Counting birds against the sun

di Valpur
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Vorrei essere ovunque tranne che qui, e non so neanche dove sia, qui. ***
Capitolo 2: *** 2- Nessuno mi aveva detto che ci sarebbero stati dei demoni e questa mancanza mi disturba parecchio. ***
Capitolo 3: *** 3 - Demoni troppo grossi, penso che il comandante Cullen mi detesti, titoli altisonanti: non la migliore delle mie giornate. Però non sono morta, il che è già qualcosa. ***
Capitolo 4: *** 4 - Ma io perché mi ostino a parlare? Cassandra mi mena, Cullen mi odia - ormai è appurato - e mi sono presa una scomunica. Di bene in meglio. Varric però è un tipo a posto. ***
Capitolo 5: *** 5 - Queste mani non torneranno mai più pulite. Qualcuno mi aiuti. ***
Capitolo 6: *** 6 - Templari fuori controllo e nobili molesti. E tra una cosa e l'altra questa volta mi sono fatta male davvero; non è per niente divertente. ***
Capitolo 7: *** 7-Non doveva andare così. Ho paura e non posso permettermelo. ***
Capitolo 8: *** 8-E va bene, forse Cullen non mi odia. Ma forse, eh. Comunque avrei fatto volentieri a meno delle interruzioni di Cassandra e dell'esercito alle porte. ***
Capitolo 9: *** 9-Un drago? No ma mi state prendendo per il culo? UN DRAGO? Non so come sia riuscita a uscirne questa volta. Mi sento comunque molto in colpa, non avrei dovuto urlare. ***
Capitolo 10: *** 10-Quest'Inquisizione somiglia sempre di più al circo. Però mi sono meritata un attimo di pace. ***
Capitolo 11: *** 11-Qualche volta l'unica cosa che posso fare è esserci. Avrei un letto da inaugurare, tra l'altro, e invece ci tocca andare dall'Imperatrice. Ansia. ***
Capitolo 12: *** 12-Halamshiral, Imperatrici e i pantaloni di Cullen: tre cose che mi fanno sudare ma per ragioni molto diverse. ***
Capitolo 13: *** 13 - Odio la politica. Odio l'Orlais. Odio un po' tutti e mi hanno pure rovinato i festeggiamenti di fine serata. ***
Capitolo 14: *** Varric... Hawke? HAWKE? Cassandra, no! E... oh, Cullen... JIM? MA BASTA! ***
Capitolo 15: *** 15-Crestwood fa schifo, ho la bronchite e questa volta si fa sul serio. Ansia. ***
Capitolo 16: *** 16-Sabbia e sangue, Hawke è un enigma e soffro per lui. Stanno arrivando. ***
Capitolo 17: *** 17-Un esercito, un piano e il mio comandante: quando sembrava che le cose stessero andando meglio ecco che mi ritrovo a morire. ***
Capitolo 18: *** 18-Così questo sarebbe l'Oblio, eh? Forse avrei preferito non ricordare. Ma ora, vi prego, portatemi a casa. ***
Capitolo 19: *** 19 - Punti di sutura, rivelazioni e decisioni pesanti: voglio solo tornare a casa. ***
Capitolo 20: *** 20-Giudicare la gente non mi riesce benissimo, ma ho degli amici eccezionali. ***
Capitolo 21: *** 21-Ho quasi strozzato Morrigan, Dorian si lamenta, Cassandra mi guarda male - come se fosse una novità - e mi manca Cullen. Odio il mondo. ***
Capitolo 22: *** 22-Non sto benissimo. Davvero. ***
Capitolo 23: *** 23-Siamo a casa e il mondo mi sta crollando sotto ai piedi. ***
Capitolo 24: *** 24-Ce l'abbiamo fatta. Tutti, più uno. ***



Capitolo 1
*** 1 - Vorrei essere ovunque tranne che qui, e non so neanche dove sia, qui. ***






Teste. Un oceano di teste ornate di piume, cappelli e acconciature incipriate.

E sudore. Torrenti di profumi costosi che non bastavano a nascondere il fetore di centinaia – no, migliaia – di corpi premuti l'uno contro l'altro, l'odore di sudore. Quello stesso sudore che, in quel preciso istante, rotolava giù per la schiena di Fedra e andava a sparire tra le pieghe di velluto verde dell'abito. Con un grugnito neanche tanto sommesso si passò la manica sul viso accaldato, ringraziando mentalmente la propria cocciutaggine nel rifiutare qualsivoglia forma di trucco.
La mandria di fedeli, nobili, ficcanaso e semplici imbucati la schiacciava da ogni lato; lei stessa non sapeva bene in quale categoria infilarsi – di certo non la prima, la seconda le era inevitabile e le ultime due piuttosto calzanti. Anche “vittima sacrificale” o “figlia degenere in cerca di un modo per far tacere una madre apprensiva” erano adatte.
Il tizio di fronte a lei, un vasto gentiluomo della stazza di un druffalo con una piuma rossa ricurva che arrivava a sfiorarle il naso, si mosse sul posto e le pestò il piede. Era la sesta volta nell'ultima ora.
“Ma per quella puttana di... mh”. Si morse la lingua abbastanza in fretta da non trasformare la maleducazione in blasfemia e cercò di indietreggiare contro il muro cui era già appoggiata. Le pietre lisce le sfregarono tra le scapole e Fedra roteò gli occhi; nel far ciò lo sguardo superò la calca e si perse lontano, tra le lance di luce colorata che filtravano oltre i rosoni del Tempio delle Sacre Ceneri e fino alle alte finestre che incorniciavano brandelli di cielo blu, nuvole e sprazzi di neve tra gli alberi. Una fitta di nostalgia le ricordò che in quel preciso istante sarebbe potuta essere là fuori, a cavalcare nella foresta senza alcun pensiero se non il freddo che le accendeva le guance e il desiderio di riempirsi la pancia di vino caldo speziato in taverna al suo ritorno. Ovvero il genere di cose che faceva tremolare il labbro di sua madre, avvampare le orecchie di suo padre e che sua sorella Evelyn accoglieva con la faccia di chi abbia appena mangiato un caco acerbo.
Fedra si tormentò la lunga treccia rossa – quell'acuto stratagemma di sua madre per nascondere la rasatura laterale che tanto la faceva inorridire – e cercò di capire a che punto del suo cammino fosse il sole.
Da quanto era lì? Ore che le sembravano giorni, senza niente da bere o niente da fare che non fosse aspettare e sentirsi fuori luogo. Quest'ultima, in effetti, era un'attività cui era perfettamente abituata. Tutta quella gente che la urtava e la prendeva a gomitate indifferenti era a proprio agio, entusiasta ed emozionata di essere lì, in quel tempio dove si sarebbe fatta la storia. Finalmente la pace tra maghi e templari, dicevano tutti, e giù di sermoni su sviluppi radiosi e su come la Divina Justinia fosse così vicina alla volontà del Creatore da poter plasmare un futuro felice per tutti loro.
Bello. Interessante. Per loro, forse, perché Fedra non riusciva a provare altro che inquietudine e noia. A essere onesti, e tutto di lei si poteva dire tranne che non lo fosse (brutalmente onesta, secondo suo padre; incapace di tenere la bocca chiusa secondo sua madre. Una cafona inqualificabile secondo un po' tutto il resto del mondo), partecipare a quel Conclave era in cima alla lista delle attività meno desiderabili che le venissero in mente, battendo la pulizia delle latrine dell'intero palazzo dei Trevelyan, l'estrazione da sobria di almeno quattro molari e una serata di chiacchiere mondane con le amiche di famiglia.
Si agitò contro la parete cercando invano una posizione più comoda e riuscì solo a sgualcire quel maledetto vestito che le tirava sui fianchi.
Non aveva avuto scelta, e non solo per quanto riguardava l'abbigliamento purtroppo.
“Fedra, amore mio, ti prego. Solo questa volta, ti scongiuro, fai questo regalo alla tua povera vecchia mamma!”
“Madre, povertà e vecchiaia non sono proprio le tue caratteristiche principali”.
“Ma ti chiedo così poco!”
“No, non ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo, invece! È demenziale. Semplicemente demenziale”.
“Cosa? Scongiurarti – per una volta, una sola volta nella tua vita – di comportarti da Trevelyan?” I grandi occhi azzurri in quel viso di porcellana che l'età aveva solo addolcito erano diventati ancora più enormi e il tono si era fatto più acuto, tra il lacrimevole e il furibondo. Una garanzia di guai.
Fedra aveva lasciato cadere le braccia e peggiorato la postura, cosa che sua madre non aveva mancato di correggere mettendole una piccola, spietata mano sulla schiena.
“Si tratta di un'occasione di importanza vitale non solo per te e per tutta la famiglia. Potresti conoscere le persone giuste e... Il Conclave per te non sarà niente di così terribile, te lo garantisco, una mera formalità che...”
“Deciditi: o è importante o non lo è”.
“Oh, bambina mia, ma hai così bisogno di fare un debutto come si deve in società!”
Non che avesse tutti i torti, secondo gli standard di famiglia: Evelyn aveva quattro anni meno di lei ed era la stella di tutti i ricevimenti. Bella forza, sembrava una bambolina, bionda e con gli occhi da halla, tutti ciglia e liquide profondità di nulla cosmico. Nasino all'insù, colorito d'avorio... non come lei, Fedra dai capelli color carota e la faccia inondata di lentiggini da mandriana, con il naso severo di suo padre e le orecchie a sventola. Fedra che non sapeva tenere la schiena dritta e che aveva le spalle troppo larghe per qualsiasi moda passasse per i salotti più in voga.
“Madre, se è così importante questo Conclave perché non ci mandi Evelyn? Lei almeno farebbe bella figura”.
Ecco... sai, c'è il cugino Frederick che non è ancora sposato. Chissà che...”
“Madre, no. Non mi interessa nessun cugino Frederick, grazie”.
“Ma hai quasi venticinque anni, stai passando da fanciulla in fiore a zitella!”
“E zitella sia, allora! Non ci penso neanche a fidanzarmi con gente che non conosco neanche!”
“Fedra, amore, pensaci. Se non vuoi farlo per te fallo per tuo padre. Sai quanto ti vuole bene nonostante...”
Nonostante tu sia una delusione continua e una fonte di imbarazzo, aveva pensato Fedra. Ma era vero: i suoi genitori erano insopportabili ma non si poteva certo dire che non fossero affettuosi. Anzi, pure troppo.
“Fallo per lui. Ci tiene tanto a sapere che un domani, quando non ci sarà più, sarai sistemata e al sicuro. E poi non avresti voglia di vedere il vero mondo là fuori, per una volta?”
E alla fine Fedra, sconfitta dal pietismo e dal senso di colpa e pungolata da una improvvida curiosità, si era trovata ad acconsentire a quella messinscena. Brontolando, lamentandosi, ingoiando bestemmie che avrebbero reso orgogliosi i peggiori gaglioffi della taverna, si era sottoposta all'infinita trafila di prove, misurazioni, sguardi di disapprovazione da parte di sarte - “Non sarà facile nascondere queste spalle e questo seno, lady Fedra!” - e acconciatrici - “La nuca rasata. Come se aveste i pidocchi. Non so proprio cosa vi sia saltato in testa...” - con relativa docilità. Fino a qualche anno prima quella pantomima avrebbe scatenato un putiferio di strepiti e minacce, con padre urlante da un lato, madre piangente dall'altro, sorella trionfante in mezzo e Fedra che se ne andava sbattendo la porta. Ma stava invecchiando, questo era vero, e opporsi alla sua famiglia per partito preso aveva perso un po' del suo fascino. Era stato più facile quando aveva diciott'anni, con i ragazzi dei bassifondi che la trattavano come una di loro. Prima che arrivassero le velate minacce e gli armigeri in disparte. Prima che quelli che aveva chiamato amici – se non qualcosa in più – se ne andassero a cercare maggior fortuna o a mettere su famiglia e Fedra passasse da adolescente testa calda a ventenne sfaccendata, senza qualità particolari o prospettive. Senza chissà che sogni a parte andare via. 
Ma dove?
E così eccola lì, impacchettata in metri e metri di velluto e taffetà che le tiravano sulle spalle e sul culo e sulle braccia, a incupirsi in mezzo alla folla. Con un sospiro di desiderio sbirciò di lato fino al portone secondario a una dozzina di metri da lei. Se fosse riuscita a intrufolarsi dietro al posteriore della dama in blu al suo fianco si sarebbe potuta avvicinare e prendere almeno una boccata d'aria. Il Creatore sapeva quanto ne avesse bisogno; soffiò in su verso il naso umido di sudore e nel far ciò scompigliò le ciocche sfuggite all'acconciatura, capelli troppo lisci e sottili per stare al loro posto. Si compresse il più possibile tra il muro e la dama e borbottò qualche vuota formalità mentre, con le braccia attaccate alla parete, scivolava di lato, spremuta tra i corpi ammassati.
“S-Scusate. Permesso. Grazie, eh. Scusate solo un attimo...”
Nemmeno stavano badando a lei, tutti presi dall'attività più in voga del momento: alzarsi in punta di piedi e tendere il collo come tante oche in attesa del pastone. Anche la quantità di grasso e di piume presenti, in effetti, erano paragonabili. Fedra arrancò di qualche passo con le orecchie piene di un brusio sempre meno solenne mentre la noia prendeva il sopravvento, un chiacchiericcio fatto di banalità e tedio.
“Quanto pensi possa mandare, mio caro?”
“Non so dirtelo, diletta, ma non molto. Dobbiamo perdonare alla Divina delle tempistiche non usuali, sta pur sempre cercando di far dialogare due fazioni che hanno passato gli ultimi anni a spiccarsi reciprocamente le teste dal collo. Non certo un compito facile, mh?”
Una risatina sciocca. 
“Presto comunque la luce del Creatore brillerà su di noi tramite le parole della Divina, e allora...”
Fedra, per l'ennesima volta, alzò gli occhi alla volta ad archi e represse il desiderio di dar voce a quel disprezzo per tutto ciò che era riti e devozione. Uno dei tanti motivi di attrito con la famiglia. Ciò che non riuscì a reprimere fu lo schiocco della lingua, che fece voltare la coppia verso di lei con palese e ben nota disapprovazione nello sguardo. 
Era il momento di sfoderare l'arma perfetta per l'occasione: un ampio, vacuo sorriso e uno sbattere di ciglia che facesse sembrare i suoi occhi ancora più tondi e pallati. Ancora più stupidi. 
Funzionò. Funzionava sempre, tranne che con i suoi genitori, s'intende.
I due sconosciuti si concessero il dubbio di aver frainteso e, dopo un sorriso freddo, tornarono a conversare, mentre Fedra riprese il tuo stoico tentativo di evasione.
D'altro canto cosa ci poteva fare se odiava le situazioni mondane, se era sgraziata e vittima dell'imbarazzo perenne? Se gli anni di danza che erano stati parte della rigida educazione Trevelyan avevano trasformato Evelyn in un giunco flessuoso e invece a lei avevano dato gambe robuste e caviglie grosse? Certo, forse c'entrava il fatto che Evelyn si era limitata alla polonnaise e all'allemanda, mentre Fedra aveva scovato quel tal libro di remota origine Tevinter in cui si descriveva nel dettaglio la danza delle lame... libro che, per altro, era durato molto poco dopo la scoperta da parte di suo padre, arrivato comunque troppo tardi per impedirle di imparare qualcos'altro di indecoroso. Sua sorella aveva la grazia di una rondine e il canto soave di un usignolo. Fedra era più simile a un falco, ma con la voce di un pollo di cattivo umore. Anni di fughe e cattive frequentazioni erano stati causa e risultato delle innumerevoli liti in famiglia. Almeno però aveva imparato molto di ciò che l'educazione di corte non prevedeva; principalmente a fare a botte e barare a carte, ma erano dettagli irrilevanti.
Chissà perché il suo passato decideva di scorrerle davanti agli occhi proprio in quel momento, impegnata com'era a sgattaiolare tra corpi eleganti e voci composte verso un portone che ormai non distava più di un braccio da lei.
Con la punta delle dita incontrò le assi consunte e sentì la speranza sorgerle nel petto. Si aggrappò allo stipite della porta e si trascinò per l'ultimo tratto, arrivando finalmente a spingere il battente con un gomito e a socchiuderlo quanto bastava per uscire.
La prima boccata d'aria gelida e pura le strappò un mugolio di piacere. Restò un istante a occhi chiusi, a godersi quel vento tagliente d'inverno e quella quiete dopo il brusio del Tempio, quindi accostò la porta alle proprie spalle e vi si appoggiò con una mezza risata muta.
Mamma non si potrà lamentare. Alla fine sono venuta come avevo promesso, ho messo il vestito che voleva lei e mi sono persino pettinata come una scolaretta. Non può certo pretendere che muoia soffocata!
Si stava bene lì fuori, senza la prospettiva di nessun cugino Frederick nei paraggi e la minaccia di un sermone lungo mezza giornata. C'era pace sotto il cielo terso.
C'era silenzio.
O quasi, almeno. Qualche uccellino fuori stagione cinguettava tra le guglie, un uomo cantava in lontananza e una donna gemeva.
Fedra spalancò gli occhi e sollevò la testa.
Una donna che gemeva? No, quello decisamente non rientrava nella sua definizione di quiete. Il torpore annoiato di poco prima e quella nota di sollievo fisico si tinsero di cupo. Fedra si guardò in giro nel cortile deserto e sentì il sudore gelarsi sulle tempie.
Il suono non cessava e non prometteva niente di buono. 
E adesso cosa cazzo faccio?
Quel posto pullulava di gente armata, pensò nel voltarsi verso il Tempio. Tutte persone addestrate a ogni tipo di emergenza. Non come lei, che con tutto il suo vantato studio sapeva cavarsela se c'era da minacciare qualcuno con un coltello e poco altro. Si sarebbe potuta affacciare nella folla e dare l'allarme.
E fare la figura dell'idiota quando si scoprirà che non stava succedendo niente e che ho frainteso, come al solito.
Il verso si ripeté. Fedra trasalì e lanciò un ennesimo sguardo disperato in giro.
Certo, poteva non essere niente, ma poteva anche essere qualcosa che richiedeva l'intervento di qualcuno che non fosse lei. Il tipico adulto responsabile, insomma. L'unica cosa che poteva fare era andare a dare un'occhiata e nella peggiore delle ipotesi chiedere aiuto.
Si vide staccarsi dalla porta e camminare sul lindo selciato, la gonna sollevata in una mano e le scarpette verde scuro che ticchettavano sui sassi. Scomode, strette. 
Il suono era arrivato da quella direzione, no? Da quell'edificio secondario lì, a ridosso del muro principale, che...


Boato.
Orecchie che sanguinano, pietre vive che arrancano contro la pelle, si sgretolano contro la guancia.
Luce. Verde e irreale e troppo vivida, un alone attorno al corpo, lame di dolore negli occhi e il cranio che si spacca.
E poi passi. Innumerevoli piccoli passi frenetici, piedi – no, zampe – che grattano, scatto di mascelle.
Troppi.
Occhi.
Nel buio di paura e grida mute una mano tesa, bianca e splendente. Un volto senza lineamenti, senza occhi, solo luce per un istante prima che verde e tenebre ingoiassero di nuovo tutto.
Prima che tornasse a sentire il proprio corpo.
Distesa a faccia in giù con il naso pieno di puzzo di sangue e bruciato Fedra provò a muoversi. Le palpebre, gonfie e troppo pesanti, si aprirono di uno spiraglio. Un mondo di fumo e macerie.
L'odore di morte le risaliva fino al cervello, anch'esso annebbiato e confuso.
Qualcosa le toccava la faccia, qualcosa di caldo e che sapeva di casa? No, anzi, quasi: di cucina. Di carne lasciata troppo a lungo sullo spiedo. Qualcosa di appiccicoso, viscido. Fedra riuscì a voltare lo sguardo fino a quell'oggetto.
Sarebbe stato meglio non farlo. La mano che la sfiorava era nera di carbone, brandelli di pelle penzolanti dalle ossa bruciate. Non c'era un braccio attaccato.
Nessun pensiero in testa, solo caos e vuoto e l'incapacità di distogliere lo sguardo. Neppure l'orrore crudo e purissimo di quella scena riusciva a penetrare il muro dell'assurdità e dello shock.
Respirare, unico istinto. Anche se faceva male, anche se ogni rantolo d'aria le dilatava le costole incrinate e le strappava un sibilo. Un soffio di vento le sfiorò la schiena nuda e i polpacci e fece danzare stracci di stoffa lacera.
Ho strappato l'abito. Evelyn non lo avrebbe fatto. Evelyn doveva venire. Evelyn, non io. Nostro padre sarà arrabbiato. Scusate. Mi dispiace.
Nella testa imbottita e sconvolta si formarono e inseguirono frammenti di pensieri, una lacrima all'angolo dell'occhio pesto; sulle labbra spaccate e livide una parola, la preghiera di ogni bambino smarrito, di ogni creatura in pericolo.
M-Madre...”
Dopo i pensieri le sensazioni.
Anzi, una sola.
Dolore. Di nuovo, troppo. Schegge di fuoco verde nella mano sinistra e su fino al gomito. Fedra non riuscì a trattenere un gemito, un lungo verso continuo e inarticolato di pura sofferenza.
Udì l'eco del proprio grido, o forse lo sognò solo. Voci che si chiamavano, passi sferraglianti che si inseguivano e clangore di armi prima che un velo abbagliante, di quello stesso verde malsano che sembrava profilare ogni cosa nel nuovo mondo in rovina in cui si era svegliata, le avvolgesse i sensi e la trascinasse giù, sempre più giù in un buio senza pace.

 

Era un sogno davvero strano. Il palazzo di suo padre a Ostwick era identico a come lo ricordava – e perché mai sarebbe dovuto essere altrimenti? Era stata lontana solo qualche giorno e a nessuno interessava quel palazzotto di un ramo cadetto spuntato da altri rami cadetti. C'erano i soliti arazzi tarlati alle pareti e i trofei di caccia che la guardavano con i loro occhietti di vetro impolverato. Pure suo padre era sempre lo stesso, con il naso Trevelyan troppo lungo per il suo viso squadrato e la bocca troppo larga nascosta dalla barba che aveva perso il rosso fiammante della gioventù in favore di un grigio sfumato di giallo. La stessa bocca e lo stesso naso, persino le stesse orecchie a sventola che Fedra vedeva ogni volta che si specchiava al mattino.
Tutto come al solito.
O quasi.
La lucida stempiatura di suo padre ora, però, brillava sotto una sinistra luce verde. La stessa luminosità che inondava tutto il resto della casa, immobile e innaturale.

Fedra si mosse piano. Goffa, lenta, le pareva di essere immersa in una melassa così densa da impedirle di abbassare lo sguardo sul proprio stesso corpo. Verde e ombre a perdita d'occhio, sua madre e sua sorella sedute al posto che competeva loro, di fianco a suo padre – ma c'era una sedia vuota, la sua, come sempre. Sembravano tutti concentrati su qualcosa che Fedra non riusciva a vedere.
Sembravano tutti annegati, incolori e perfetti nella loro fragilità.
“Non morirai. Non ancora, almeno, finché ci sarò io qui con te. Devi seguirmi però, perché la mia magia non servirà a molto senza la tua collaborazione”.
Una voce ignota. Fedra si voltò – ci provò, volle farlo – verso la fonte di quelle parole calme e fredde, stranamente confortanti. Nell'aria spessa le parve di intravedere in lontananza una sagoma sottile, dai grandi occhi tristi.
Poi un profondo respiro le vibrò nel petto e le immagini sparirono all'improvviso.
Al loro posto Fedra ritrovò il proprio corpo. Di nuovo quel dolore ustionante al braccio e la certezza che le ossa fossero diventate schegge di vetro in fiamme, con l'aggravante di qualcosa di freddo e mortalmente pesante che le tratteneva i polsi.
Con cautela riuscì ad aprire gli occhi. Attraverso le ciglia filtrò la luce delle torce, abbastanza forte da spaccarle in due la testa per il dolore. Gemette e, rannicchiata sul fianco com'era, si portò ancor di più le ginocchia al petto. Attorno a lei il mondo – quello vero, quello normale – assumeva consistenza e definizione.
“Si sta riprendendo”. Voce di donna, sommessa, musicale. Ignota tanto quanto quella che le rispose, anch'essa femminile ma aspra, dura quanto la mano guantata che afferrò Fedra per la collottola,
“Bene. Se è sveglia vuol dire che è viva, se è viva allora può rispondere e spiegare cosa è successo”.
Senza tanti complimenti Fedra si trovò trascinata in ginocchio; il mal di testa scemò più in fretta di quanto avesse pensato ma il braccio continuò a pulsare. Batté le palpebre fino a che il mondo non smise di ruotare e sdoppiarsi davanti a lei.
“D-Dove... cosa...”
La stessa mano violenta la prese per la gola e diede uno strattone verso l'alto; annaspando Fedra mise a fuoco il viso di una donna, zigomi audaci e occhi grigi e allungati. Feroci.
“Prima di cominciare mettiamo le cose in chiaro: io faccio le domande, tu mi dai risposte soddisfacenti. In alternativa dovrò farti male. Quindi cominciamo: chi sei? Cosa hai fatto? Perché hai ucciso la Divina?”
La voce aspra ebbe un cedimento sul finale ma non si spezzò.
Fedra, soffocata, cercò di sollevare le mani per liberarsi dalla stretta ma le manette di metallo che la trattenevano erano pesanti.
Dall'ombra emerse una seconda figura incappucciata, la fonte della voce dolce e sommessa. Ancora più spaventosa della prima.
“Cassandra – mh  Cercatrice. Ricordati che ci serve viva e in condizioni di parlare. Se le sfondi la trachea non potrà parlare, sai?”
Cassandra – quello doveva essere il nome – digrignò i denti come un lupo e allentò la presa. Fedra ricadde in avanti e tossì fino a farsi dolere il torace.
“Mph. Ripeterò la domanda solo un'altra volta prima di passare alle maniere forti: chi sei?”
“F-Fedra. Fedra Trevelyan, ramo di Ostwick, e non ho idea di dove io sia finita né perché! Allora, cos'è successo? Cosa ci faccio qui?”
La donna incappucciata si sporse in avanti. Doveva avere una decina d'anni più di lei ma accidenti se era bella, con quel viso da statua sacra, sereno e liscio, e le labbra morbide.
“Io sono sorella Leliana. Davvero non ricordi niente di quello che è successo?”
La confusione si tinse di rabbia impotente. Fedra si agitò sulle ginocchia e le catene sferragliarono.
Non costringetemi a far pesare i titoli nobiliari, non sono abituata. Volete rispondermi o no? Un attimo fa ero lì che aspettavo il Conclave e quella Divina del cazzo non voleva saperne di arr-”
Il colpo le si abbatté il piena faccia. Ne aveva presi di peggiori durante le risse ma questo andava ad aggiungersi a una collezione di dolori di tutto rispetto. Cadde distesa sulla schiena con la bocca che sapeva di sangue e tante lucine che le danzavano davanti agli occhi.
“Tu non parlerai così della Divina Justinia”, scandì la voce di Cassandra, gelida e sempre più simile a un ringhio. Fedra riuscì a scivolare di nuovo in ginocchio, piena di rabbia mista a vergogna e confusione. Il tutto condito dal dolore, s'intende. Sputò per terra una boccata di saliva rossastra e fissò Cassandra con odio.
“Ma sei completamente pazza? Come ti permetti? Mio padre...”
“Fossi in te non farei il gioco del chi è il nobile col titolo più altisonante con Cassandra Pentaghast, Fedra. Non ne usciresti bene”, disse Leliana. Per un attimo – ma doveva esser colpa della botta presa – Fedra fu convinta che stesse quasi sorridendo. “Vai avanti, per favore, e cerca di portare rispetto. Grazie”.
Cassandra era acciaio temprato. Leliana diamante, gelido e infrangibile. Fedra non osò contraddirla e obbedì.
“U-Un attimo fa ero nel Tempio delle Sacre Ceneri con tutta quella gente. Sono uscita per prendere una boccata d'aria e... e...”
Solo in quel momento si accorse di non riconoscere gli abiti che indossava: braghe di pelle e una giubba imbottita troppo larga che odorava parecchio del precedente proprietario. 
“Un attimo parecchio lungo, Fedra. Sei stata svenuta per una giornata”, disse Leliana sotto voce.
“Cosa? Non scherzare...”
“Ti sembriamo due giullari di corte per caso?” ringhiò Cassandra. “Qualcosa – il Creatore sa cosa – succede al Conclave, il Tempio delle Sacre Ceneri viene raso al suolo in un'esplosione e c'è una sola sopravvissuta: tu”.
Il mal di testa tornò peggiore di prima, accompagnato da un brutale capogiro. Fedra si sedette pesantemente sui talloni e fissò Cassandra. Era irreale, una creatura soprannaturale con la guancia sfregiata e i capelli corti arruffati. La guardava senza riuscire a vederla.
“Come... come sarebbe a dire che sono l'unica sopravvissuta?” chiese debolmente. Le labbra formicolavano.
Silenzio a parte il mormorio del sangue che le pulsava nelle orecchie. 
Morti.
Tutti morti.
Quegli sconosciuti che l'avevano tanto infastidita, il fantomatico e ignoto cugino Frederick. 
Se fosse andata Evelyn forse sarebbe morta anche lei.
Il sudore le si gelò sulla pelle e le braccia si coprirono di pelle d'oca mentre i denti iniziavano a sbattere tra di loro.
Cassandra le si inginocchiò davanti – la superava di mezza testa, una gigantessa di cuoio e metallo cui una paura remota stava donando una parvenza di umanità – e la fissò da molto vicino.
“Ora dimmi, Fedra Trevelyan di Ostwick, per quale motivo non dovrei giustiziarti qui e ora come responsabile della strage”.
“Cosa? No! Io non ho fatto niente, lo giuro! Dovete credermi!” Provò a voltare lo sguardo verso Leliana ma incontro solo le ombra del cappuccio.
“Ah no? Allora come lo spieghi questo?” sibilò Cassandra. Le prese il braccio sinistro e lo scrollò.
E solo allora Fedra lo vide. Un bagliore verde, quel verde maledetto del sogno, dell'incubo, che le avvolgeva il palmo. Non era una ferita quella da cui fuoriusciva, più... un marchio? Qualcosa di simile. Qualcosa che non sapeva spiegare neanche a se stessa.
La luce pulsò una volta e Fedra trattenne a stento un grido di dolore.
“Ti ho detto di spiegarlo!” urlò di nuovo Cassandra.
“Basta così, Cassandra. Smettila di malmenare la prigioniera”. Leliana si avvicinò e la stretta sul polso di Fedra sparì. Ricadde in avanti, cullandosi il braccio lucente in grembo; non riusciva a sentire le parole delle due donne, a parte un sospiro affranto di Cassandra, Leliana che le diceva "so quanto fa male, ma questa non sei tu". Quando emerse dal delirio della propria sofferenza e riuscì a lanciare loro uno sguardo vide paura e incertezza sui loro volti, non odio. Alla fine Cassandra afflosciò le spalle e e annuì una volta.
“Va bene. Fedra, devi venire con me. Sono stata brusca ma se sapessi cosa sta succedendo lì fuori..”
“Perché? Cosa sta succedendo?” chiese con una nota febbrile nel tono. Leliana era di nuovo imperscrutabile, mentre Cassandra le si inginocchiò ancora una volta davanti. 
Fedra si ritrasse per puro istinto di conservazione ma la donna scosse la testa una volta.
“Non ti farò più del male, te lo prometto, ma devi seguirmi”. Le mani avvolte in guanti di cuoio armeggiarono con le manette e presto il metallo arrugginito fu sostituito da parecchi giri di corda. Fedra si lasciò aiutare a rialzarsi e scoprì di avere le ginocchia deboli.
“Mi-Mi volete dire cosa sta succedendo, per favore? Vi prego...”
Suonava patetica, sull'orlo delle lacrime. Non aveva importanza. Cassandra la guardò a lungo negli occhi e per un istante Fedra non vide acciaio o minaccia. Era solo una donna con il viso sfregiato e la paura dipinta sui lineamenti affilati. Non aveva neanche una briciola del talento di Leliana per l'impassibilità.
Le prese le mani e la sostenne mentre uscivano dal cerchio di torce accese verso una vecchia porta borchiata.
“Posso mostrartelo. Vieni con me”.




Certe storie sono troppo belle per lasciarle confinate in un gioco. Dragon Age: Inquisition ricade in questa categoria, con il suo cast di personaggi meravigliosi e l'intreccio di vicende, sentimenti e dolore che offre.
Tanto, tanto dolore.
Meraviglioso dolore **
Questa sarà la versione di Fedra, una che di fare l'eroina non aveva per niente voglia e che invece si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Discretamente sfigata, del tutto inadatta al titolo nobiliare con cui è nata e con le orecchie a sventola: non proprio la stoffa di cui sono fatti i condottieri. Ma l'eroismo si impara - anche a suon di cazzotti in faccia e traumi psicologici - e là fuori c'è pur sempre un mondo da salvare...
Un paio di voci rimarrano in silenzio (ahimé, esigenze narrative), ma spero di ricreare l'atmosfera del Thedas. Con qualcosa in più, perché altrimenti che gusto ci sarebbe?
Il titolo è "rubato" da una delle meravigliose, criptiche frasi mormorate dal mio personaggio preferito in assoluto della serie. Qualcuno dal buffo cappello che non vedo l'ora di poter far parlare.

 

Buona lettura!

Val

 



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Capitolo 2
*** 2- Nessuno mi aveva detto che ci sarebbero stati dei demoni e questa mancanza mi disturba parecchio. ***


Avvicinarsi alla porta dimostrò che le gambe di Fedra non erano poi così deboli come aveva temuto e il suo coraggio meno di quanto avesse sperato. Per quanto l'avesse pestata, minacciata e terrorizzata Cassandra rimaneva l'unico scudo contro quello che l'aspettava lì fuori, qualunque cosa fosse, e Fedra non riuscì neanche a vergognarsi quando allungò il passo per stare più vicina alla sagoma imponente della Cercatrice.
Cassandra spinse i battenti con entrambe le mani e li spalancò; la prima zaffata di aria gelida e tagliente afferrò Fedra alla gola e le strappò un rantolo muto di sollievo. Poi arrivò il resto.
Il peggio.
Un fetore misto di fumo e morte, l'odore di sangue che si mischiava con quello della neve e dei rifiuti di chissà quanti corpi. Fedra incassò la testa tra le spalle e tossì, gli occhi strizzati forte contro l'improvviso bagliore della luce del giorno. Le pupille dilatate registrarono le sagome di tetti imbiancati e cime di alberi, il profilo vagamente familiare di Haven – ci aveva trascorso una notte. La notte precedente? Poteva essere passato così poco tempo? Un brivido che non aveva niente a che vedere con il freddo le corse su per la schiena. Battendo le palpebre Fedra riuscì ad abituarsi al mondo esterno, ma qualcosa continuava a non tornarle.
A occhi bassi vide i propri piedi e la neve calpestata lì attorno circonfusi del verde che le scaturiva dalla mano, come se fosse lei a illuminarli, ma spostando lo sguardo quella sfumatura non se ne andò.
Come nel sogno.
Alzò la testa. Doveva esserci il sole, lì sopra da qualche parte oltre il velo delle nuvole. Era una certezza, una delle poche che le rimanesse.
Il vento invernale se la portò via. Fedra aprì e richiuse la bocca senza riuscire a respirare.
Nessun sole nel cielo. Nuvole, certo, ma diverse da quelle che aveva visto per tutta la vita.
Una voragine, lassù, l'occhio di un gorgo verde splendente che irradiava l'intera vallata. Malato.
Orribile.
Le nubi – nere e violette e grige di tempesta – vorticavano attorno all'anomalia e vomitavano saette del colore sbagliato fino alla terra. Fedra si schermò gli occhi con le mani, incapace di formulare un solo pensiero coerente, figuriamoci di esprimerlo; una scheggia di paura diversa dalla confusione provata fino a quel momento le si infilzò nell'anima.
Il gorgo. Il marchio sulla mano.
Erano uguali.
La voce di Cassandra la strappò dal ciglio del panico che le si stava spalancando sotto ai piedi.
Lo chiamiamo il varco. Dovrebbe – potrebbe – essere uno squarcio tra il mondo dei demoni e il mondo reale. Il nostro mondo, intendo”.
Fedra si voltò a guardarla con gli occhi sgranati. La Cercatrice non stava fissando quella cosa su in cielo. Guardava lei quasi si aspettasse qualcosa, forse una traccia di colpevolezza sul viso, forse una risposta.
Inutile, comunque. Fedra non aveva nulla di tutto ciò.
Uno squarcio. Un passaggio? Dimmi di no. Vorrei tanto che mi dicessi di no, per piacere. Lo apprezzerei molto”.
Le labbra di Cassandra si strinsero.
Un passaggio, esatto, e neanche l'unico. Si è aperto...”
Fedra lasciò perdere tutto: il cielo verde, la gente di Haven che iniziava a radunarsi lì davanti, le mani che pulsavano per i legacci troppo stretti e le scosse di dolore sordo che provenivano dal marchio. Si piazzò davanti a Cassandra in punta di piedi e la prese per il collo della corazza, per quanto le fosse possibile con tutti quei nodi.
No. No no no. Se è un passaggio significa che qualcosa ci passa. E dal mondo dei demoni – lo hai detto tu, vorrei non lo avessi fatto ma lo hai detto tu – dubito che arrivino gattini e coniglietti. Ho capito male, vero?”
Gli occhi grigi di Cassandra erano spietati. Non crudeli, semplicemente privi di qualsiasi pietosa menzogna. Non provò neanche a scrollarsi Fedra di dosso: rimase a guardarla come se fosse una ragazzina in preda a una crisi isterica, cosa che in effetti non era molto lontana dalla realtà. La fissò per istanti infiniti fino a che l'indignazione si trasformò in paralisi, la gelida attesa della preda che aspetta il colpo di grazia. Fedra lasciò ricadere le braccia e vacillò sulle ginocchia di colpo deboli. Di nuovo Cassandra la prese per il gomito e la costrinse a rimettersi in marcia.
Pulsa e diventa più grande di ora in ora, ma non è l'unico. Ce ne sono altri qui in zona e mi dicono non siano gli unici, con ogni probabilità. Sono comparsi dopo l'esplosione al Tempio”.
Si sentiva la faccia flaccida e la bocca intorpidita, ma il proprio silenzio non aiutava. La voce uscì piatta, lontana.
Non pensavo che un'esplosione potesse fare qualcosa del genere...”
Questa lo ha fatto”, tagliò corto Cassandra accelerando oltre un uomo che rabbrividiva contro il palo di una tenda. Fedra si sentì trafiggere da uno sguardo carico di odio e terrore.
Provò a voltarsi verso lo sconosciuto ma Cassandra la trascinò avanti.
Dobbiamo fare qualcosa”, disse a denti stretti. “Se quel varco non viene chiuso diventerà sempre più grande e ingoierà il mondo”.
Ero già abbastanza preoccupata all'idea dei demoni, grazie tante. Quindi cosa...”
La scossa di dolore partì dal palmo e le arrivò fino alla testa. Fedra gridò e cadde in ginocchio, accecata dalla sofferenza e dall'improvvisa luminosità del marchio.
Cassandra la tenne per le spalle e continuò a parlarle, anche se comprendere una singola parola era impensabile con quelle lame invisibili che le straziavano la carne, fino a che l'attacco non fu passato.
... guardami. Fedra, guardami! Ogni volta che il varco si allarga anche il marchio sulla tua mano diventa più grande. Ti ucciderà se non facciamo qualcosa!”
F-Fantastico, avevo proprio bisogno di una buona notizia”, biascicò Fedra. Tornata in sé si accorse che Cassandra era impallidita. Vomitare sarcasmo era più facile che accettare la prospettiva di una morte orribile e imminente.
Non si tratta solo di te, anche se capisco che tu ci tenga a rimanere in vita...”
Molto carino da parte tua”.
Mph. Il punto è che pensiamo che questo marchio, e quindi tu stessa, possa essere la chiave per chiudere il varco”.
Continui a usare il plurale. Tu e Leliana?”
Nessuna risposta, ma sul viso della Cercatrice passò un'ombra.
Non mi vuole mentire ma non può dirmi la verità?
Non chiedermi perché, non chiedermi come: non ne ho idea. L'esperta di Oblio e demoni non sono io, anche se ne ho macellato qualcuno. Saprai tutto a tempo debito”, e la aiutò a rialzarsi. “Ora però dobbiamo andare”.
"Aspetta..”
No, non aspetto. Muoviti!”
Fedra non poté che seguirla, trotterellandole dietro tra occhiate sconvolte al cielo e preoccupate alla popolazione circostante.
Ascolta, Cassandra – posso chiamarti Cassandra, sì? – io voglio aiutare. Davvero! C'è in ballo la mia vita. Però devo... senti, ma perché tutti mi guardano così?”
Tutti. Proprio tutti, Cassandra a parte. Donne e uomini sul bordo della strada, bambini ai piedi degli edifici, vecchi affacciati alle finestre: negli occhi dell'intera popolazione di Haven c'era la stessa espressione che Fedra aveva già visto.
Disgusto. Terrore. Odio puro.
Non che non fosse abituata alle occhiatacce, ma quello era troppo persino per i suoi standard.
Ti credono colpevole”.
Io? Ma cosa...”
Hanno deciso che devi esserlo, ne hanno bisogno. La Divina Justinia è morta, il Conclave, l'ultima possibilità per la pace, fallito. Tutte le nostre speranze sono sparite nella pira del Tempio delle Sacre Ceneri e tu sei l'unica ad esserne uscita viva”.
In effetti anche tu mi sei sembrata incline a ritenermi responsabile”. Le sfuggì una nota acida che Cassandra non fallì di notare, ma l'accusò senz'altro che una smorfia.
Hai ragione, ma abbiamo questioni più importanti e le mie scuse possono aspettare. Se come temo sei davvero la nostra unica speranza dobbiamo approfittarne: potresti dimostrare di essere innocente”.
E come?”
Fermiamo quel varco, questo è ciò che conta. Per il resto...”
Cassandra si lasciò scappare un lungo sospiro. Si erano lasciate Haven e la sua gente alle spalle e ora, su una passerella di pietra, erano sole. A parte i soldati che presidiavano ogni bastione e che sembravano più interessati a portare a casa la pelle che a giudicarla.
Se tutto dovesse andare male sappi che farò di tutto per farti avere un processo regolare. Non ammetto che qualcuno venga giustiziato senza seguire il protocollo”.
Meraviglioso! Non vedevo l'ora di dover affrontare anche questa prospettiva! Potresti provare a essere un pochino più incoraggiante?”
Potrei, ma non sono capace di mentire”. Dopo una rapida occhiata tutt'attorno sfilò il coltello dalla cintura e prese le mani di Fedra. La lama recise le corde, che caddero in spire disordinate sulle pietre. “Vieni, non è lontano”.
Fedra batté le palpebre e si guardò le mani libere.
Perché lo hai fatto?”
Perché non mi piaceva l'idea di portarti in parata come un trofeo. Andiamo, non è lontano da qui”.
Ancora ignara sulla destinazione ma sollevata Fedra la seguì massaggiandosi i polsi. Il marchio pulsava debolmente a ogni passo, sgradevole ma sopportabile.
Cassandra sbraitò ai soldati di aprire il portone e nessuno trovò da obiettare. Cassandra, con quelle gambe lunghe, camminava così in fretta da costringere Fedra a correre per starle dietro.
Dove stiamo andando?”
A provare il tuo marchio su qualcosa di più piccolo del varco nel cielo. Te l'ho detto, no, che ci sono altri squarci qui in giro: ecco, vediamo se...”
Un altra pulsazione, più forte questa volta, tanto da mandare di nuovo Fedra per terra con un urlo di dolore.
Dobbiamo sbrigarci, sembra che la situazione stia precipitando. E non parlo solo del varco... coraggio, Fedra, resisti. Ti prego”.
Era davvero la stessa bruta che l'aveva pestata nella segreta meno di un'ora prima? Fedra piagnucolò mentre il dolore scemava e Cassandra la rimetteva in piedi senza troppi complimenti. Avrebbe dovuto odiarla, ma era l'unica persona che stesse cercando di portarla via di lì.
“Se solo ricordassi qualcosa di ciò che hai visto forse potrei aiutarti”, le disse tenendola per le spalle, ma Fedra riuscì solo a scuotere la testa.
Ti hanno trovata svenuta fuori dal varco, in mezzo a una carneficina. I soldati dicono... dicono che c'era una donna con te, oltre lo squarcio, ma nessuno l'ha riconosciuta, era solo una sagoma luminosa. Sai chi fosse?”
N-No, te l'ho già detto, non ricordo nulla...”
Il dolore si spense in lente pulsazioni e in un attimo si trovarono a correre.
File e file di pini neri contro il fianco candido della montagna sfrecciavano attorno a loro, lo spesso manto di neve che attutiva i suoni... a parte il costante, cupo ronzio del varco. Svoltarono su un secondo ponte presidiato da altri soldati e non si fermarono.
Se solo riuscissi a dirmi da dove sei arrivata... eri vestita in modo elegante, quindi so che è vero che eri al Conclave, visto anche che la tua famiglia è...”
Le pietre iniziarono a vibrare. Cassandra si fermò di scatto e tese un braccio, contro cui Fedra andò a schiantarsi.
Oh no”.
La vibrazione divenne una catena di sussulti e prima che potessero fare molto altro che fissarsi mute per un secondo il ponte iniziò a cedere.
No no no no no!” pigolò Fedra. Allargò le braccia per cercare di rimanere in equilibrio ma non servì a nulla; l'ordinata distesa di pietre squadrate davanti a loro si ingobbì e collassò, crollando in una nuvola di detriti e polvere.
Cassandra le prese il polso e lo strinse così forte da farle male.
Giù!”
Fedra obbedì, visto che non aveva suggerimenti migliori. Si accucciò e imitò Cassandra, finendo seduta su quel che restava del ponte. Quando anche quell'ultimo moncone franò verso il canale sottostante si trovò a scivolare sulle macerie, aggrappata a sua volta alla mano della Cercatrice e con l'altro braccio a coprirle la testa. Sassi e schegge volavano tutt'attorno a loro e qualcosa di duro le colpì il gomito, peggiorando la situazione, mentre un frammento di pietra le scalfì la sommità della testa. Cadevano e, Fedra ne era certa, sarebbero morte schiacciate.
Non un demone, non un boia. Un sasso. Ah, l'ironia.
Si accorse di stare gridando quando anche l'ultimo dei detriti si fu posato al suolo.
Stai bene? Fedra! Rispondimi subito!”
C'era poco da discutere quando la Cercatrice usava quel tono. L'urlo le si spense in gola e Fedra abbassò il braccio. Aveva le mani graffiate e sanguinanti e un rivolo denso le colava sulla fronte, ma non sembrava grave.
E soprattutto era viva.
No, ma non sto peggio di prima”, mormorò con voce acuta. Anche Cassandra non sembrava al massimo della forma, con il sopracciglio spaccato e un livido che le si stava già formando sullo zigomo. Il tutto sembrava non toccarla.
Bene. Andiamo, non c'è più tempo”.
Fedra barcollò in piedi sul ghiaccio. Doveva essere lo shock a tenerla ancorata alla realtà e ad allontanare panico e dolore, si disse. Altrimenti non avrebbe potuto notare tutti quei dettagli: le pile di pietre squadrate che le circondavano, le casse di rifornimenti sfondate dalla frana, il bagliore del metallo di una corta lama tozza che sbucava dalle assi di legno.
Così tanti dettagli, così poco tempo: le nuvole eruttarono. La vide con la coda dell'occhio e la sua coscienza si rifiutò di accettarla. Una palla di fuoco verde che cadeva dal cielo.
Cassandra mostrò maggior freddezza e buon senso. Quando la sfera si schiantò sul ghiaccio, frantumandolo, si era già rialzata e armata. Spada in pugno, scudo alto davanti a sé, si parò davanti a Fedra con le gambe larghe e le ginocchia flesse.
Stai dietro di me!” le gridò.
Volentieri, ma perché...”
Perché?
Per chi. No, anzi: per cosa.
Dal ghiaccio infranto si erse qualcosa di alto e ingobbito, una sagoma deforme tutta braccia lunghe e artigli ricurvi. Un volto che non era un volto, senza occhi ma con anche troppi denti, si puntò su di loro e ruggì stridulo una minaccia.
Demoni, aveva detto Cassandra. Eccoli qui, i suoi demoni. Fedra sentì gli occhi, già sgranati, minacciare di uscirle dalle orbite. Erano meglio gli incubi, era meglio l'ignoranza di quell'assurdità in cui era piovuta, così reale e incombente.
Con un grido Cassandra scattò in avanti e allungò il braccio. La lama scalfì il gomito della creatura ma sembrò riuscire solo a farla arrabbiare ancora di più.
Ottimo. Quello che ci voleva: un demone incazzato nero.
Fedra distolse lo sguardo folle di terrore dalla lotta e si guardò intorno alla spasmodica ricerca di una possibilità.
Fuga? No. Dove? Mi prenderebbero. Mi credono già colpevole. Sicurezza, ecco! Nascondersi. Ma sono ovunque. E non posso lasciare che Cassandra...
Gli occhi che saettavano in ogni direzione si posarono su quella scintilla di metallo che aveva già visto un istante prima. Un nuovo grido squarciò l'aria, e questa volta non aveva niente di bellicoso; Fedra si voltò in tempo per vedere la lunga mano del demone colpire Cassandra in pieno petto e spedirla indietro di svariati metri, a sbattere contro una roccia.
La creatura veleggiò sul ghiaccio, incombente. Cassandra scrollò la testa per riprendersi dall'urto e Fedra diventò all'improvviso molto più stupida del necessario.
Ogni parte del suo corpo agì senza il consenso del cervello. La gamba che scattava e il piede che con un calcio mandava all'aria i resti della cassa, le mani che si serravano sulle impugnature dei due lunghi coltelli un po' ammaccati nascosti lì sotto, la memoria che passava in rassegna un archivio di ricordi e pescava quelle lunghe ore di addestramento in segreto, con un libro del Tevinter aperto alla luce di una candela.
Non lo aveva mai fatto, Fedra. Non aveva mai dovuto difendere la propria vita – non da un demone, al limite da qualche malintenzionato o ubriacone. Sapeva di poter rendere la vita difficile a chi volesse farle del male, ma un pregio della razza umana era che il sangue causava sempre reazioni simili nei vigliacchi e li faceva desistere. Bastava un graffio, un pugno ben piazzato; a volte addirittura solo la vista del metallo.
Ma quello era un demone e la danza delle lame non sarebbe servita a molto. Poco impressionabile il ragazzo, a prima vista. Fedra non si ricordò di aver deciso di correre fino alla creatura né di aver scivolato sul ghiaccio; non si rese conto di aver alzato le braccia o di aver urlato a sua volta, ma si accorse molto bene quando le due lame salirono a incrociarsi di fronte a lei. Si vide per un attimo – uno di quei momenti deliranti in cui il tempo diventa elastico e gioca con la percezione – riflessa nel coltello che affondava oltre la pelle coriacea del demone: cadaverica, con gli occhi iniettati di sangue e i denti digrignati tra labbra spaccate. L'urto le riverberò fino alle spalle, un controcanto sgradito al pulsare del marchio, mentre le armi scivolarono nella carne soprannaturale che le riversò addosso un torrente di quella che sembrava pece. Il mostro si inarcò all'indietro, le lunghe braccia al cielo in un rantolo rauco, e con un sussulto si afflosciò a terra, come se Fedra gli avesse sfilato la spina dorsale.
Di quel mostro ripugnante non restò altro che una pozza nera e fetida da cui Fedra indietreggiò ricordandosi, finalmente, di respirare.
Per le palle del Creatore... ma come ho fatto?” pigolò con una vibrazione nella voce. Una risata folle le solleticò il fondo della gola e alzò lo sguardo verso Cassandra, pronta a condividere l'ilarità.
Si trovò di fronte la punta di una spada.
Deponi le armi”.
La voce della Cercatrice era gelida, i suoi occhi di nuovo minacciosi.
“C-Cosa?”
“Ho detto deponi le armi. Subito!”
Fedra non se lo fece ripetere un'altra volta. Mentre la testa si indignava e cercava spiegazioni – ma come, l'aveva appena salvata! - le mani si aprirono e lasciarono cadere a terra i due pugnali.
Va bene, va bene! Almeno tu non cercare più di ammazzarmi, ne ho avuto abbastanza!”
E poi qualcosa si ruppe sul viso spigoloso di Cassandra. Schioccò le labbra, alzò gli occhi al cielo e rinfoderò la spada.
Ma cosa mi prende? Siamo in pericolo e io non posso certo farti da balia... in più a questo punto dubito che cercheresti di farmi fuori, visto che mi hai salvato la vita. Ti ringrazio, Fedra. Riprendi i pugnali e rimettiamoci in marcia, mh?”
Fedra sollevò le sopracciglia e si strinse nelle spalle.
Sicura? Stai cambiando idea un po' troppo spesso per i miei gusti...”
Ogni tanto quello che dovrei fare fa a pugni con quello che è giusto che io faccia. Siccome ascolto la mia coscienza prima ancora che il mio addestramento d'ora in poi ti considererò un'alleata e non una prigioniera... fino a prova contraria”.
Quasi sorrise, o forse fu solo uno spasmo della cicatrice sulla guancia, ma Fedra aveva perso ogni voglia di discutere. Raccolse i pugnali, il cui peso aveva un che di rassicurante, e riprese la sua corsa zoppicante su per le montagne.
Non ci fu tempo per altre domande, tra il freddo che le bruciava i polmoni e la costante tensione a ogni suono, a ogni cumulo di neve che cadeva dai rami. Il marchio tacque abbastanza a lungo da portarle a portata d'orecchio di quella che sembrava una battaglia.
Fedra si schermò gli occhi con la mano e rallentò. Eccolo lì, lo squarcio: non poteva che essere quella la natura del globo di luce verde che fluttuava a un paio di metri dal suolo, circondato da lampi dello stesso colore e da grida e clangore di armi.
Non dirmelo: siamo arrivate”, ansimò.
Cassandra annuì una volta e strinse la presa sullo scudo. Insieme salirono lungo i resti di una scalinata e costeggiarono le rovine di un edificio, sempre più vicine al luogo dello scontro. Fedra sentì le armi diventare viscide per il proprio sudore nel palmo e non osò rallentare, anche se ogni parte del suo corpo le gridava che era una pessima idea.
Non sono una guerriera. Non ho speranze di sopravvivenza. Cosa mi sta saltando in mente?
Ma non si fermò neanche per un istante, neanche se le ginocchia cedevano e una caviglia strillava per il male e il sangue le si era incrostato tra i capelli. Non si fermò e tallonò Cassandra fino alla battaglia, un grumo confuso di soldati urlanti dardi di balestra e demoni e...
Occhi.
Grandi occhi obliqui.
Li conosceva, li aveva già visti. Occhi antichi in un viso pallido e liscio, il bagliore dello squarcio che si rifletteva sul lucido cranio rasato.
L'elfo abbassò il bastone e le corse incontro. Fedra non riuscì a formulare neanche un brandello di pensiero: la lunga mano elegante le prese il polso con più forza di quanto avesse pensato – una mano troppo calda – e sollevò il marchio verso il cielo.
Tutto si era aspettata tranne di provare sollievo. La luce dello squarcio fluì fino al palmo, o forse fu il contrario, o ancora fu un flusso costante di energia che sembrò risanare le ossa frantumate dell'avambraccio, rimettere in sesto quella mano che aveva pulsato fin dal risveglio. Fedra tenne gli occhi chiusi e le mandibole contratte, pronta al peggio. Che non arrivò.
Il ronzio dello squarcio si fece più acuto e cessò all'improvviso, lasciandola stordita ma viva e vegeta.
L'elfo le lasciò la mano e, con una specie di sorriso e un mezzo inchino, fece un passo indietro. Fedra, vacillante, lo fissò con tanto d'occhi, ma era più interessata alla mano. Il marchio era ancora lì, una perla verde che splendeva senza più abbagliarla, e lo squarcio era sparito.
Per il momento, almeno.
Come hai fatto?” chiese sotto voce.
Io? Io non ho fatto niente. O quasi. Il merito è tuo”.
M-Mio?”
I soldati lì attorno la stavano guardando, chi con palese ammirazione, chi con sospetto. Tutti, però, erano troppo impegnati a recuperare feriti e caduti per prestarle troppa attenzione.
Tutti tranne quello strano elfo e un altra sagoma improbabile. Un nano biondo e vestito di colori sgargianti, con una grossa balestra a quattro braccia tra le mani e un sorriso obliquo sul viso squadrato. Cassandra gli regalò un'occhiataccia che avrebbe infranto il granito ma non commentò.
Tuo e del marchio. Ho la ragionevole certezza che la magia che ha aperto il varco nel cielo sia la stessa che ha impresso quel sigillo sulla tua carne; per questo hai la capacità di interagire con gli squarci”.
Ma io non voglio!” esclamò Fedra. Scrollò la mano nel patetico tentativo di rimuovere il marchio, cosa che causò qualche sguardo di compatimento.
Quindi è vero, potrebbe chiudere il varco”, chiese Cassandra senza nascondere una nota speranzosa.
L'elfo annuì e socchiuse le palpebre.
Possibile”.
Grandioso! Ho avuto la mia dose di demoni per oggi, domani e tutta settimana prossima, grazie tante”, intervenne il nano allargando le braccia massicce. Si fece avanti con passo sicuro e si piegò in una riverenza molto elaborata e del tutto incongrua. “Varric Tethras, furfante e gentiluomo, all'occorrenza mercante e scrittore. In sostanza, come te, un poveraccio che si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato”.
Cassandra lo fulminò con lo sguardo.
Eri stato convocato per chiarire i fatti di...”
Già, già, e ho scampato per un soffio il botto, proprio come Carota, qui”.
Si chiama Fedra”, ringhiò Cassandra.
Fedra, eh? Solas, molto piacere. Ho – ehm – impedito che quel marchio ti uccidesse subito dopo gli incresciosi avvenimenti del Conclave”.
Ah, quindi siamo arrivati al momento delle presentazioni. Molto carino da parte vostra. E che fortunata coincidenza che foste tutti qui quando ce n'era bisogno, mh?”
Fedra sentì la propria voce tremare e l'adrenalina minacciare di lasciarle il corpo. Quando fosse accaduto sapeva che sarebbe crollata, e non era proprio il momento adatto. Cassandra sembrò accorgersene e prese un profondo respiro.
Solas sostiene di essere un esperto dell'Oblio – il mondo dei demoni, insomma”.
Una definizione piuttosto ingenerosa, Cercatrice. L'Oblio è molto di più, il regno dei sogni e del...”
Sì. Certo. Lodevole fervore accademico, Solas. Dicevo: ci è stato di enorme aiuto e gode della mia personale protezione. Varric... è un male necessario. Fine delle presentazioni, ora andiamo”.
Andiamo? Ancora? Pensavo che l'andiamo finisse qui!”
Solas, per nulla infastidito dall'interruzione, si gettò il bastone a tracolla.
Questa era una prova che ha confermato le mie supposizioni, cosa che mi aspettavo accadesse. Ora andiamo a usare quel tuo marchio su qualcosa di più grosso”.
Ancora più grosso?” Le veniva da piangere.
Nessuno le rispose. I tre si misero in marcia, male assortiti come erano, e Fedra non poté che seguirli con gli occhi pieni di lacrime.
Varric la fece passare e chiuse la fila, la balestra carica in mano. Si accorse dello sguardo fugace che Fedra le lanciò e diede una pacca all'impugnatura.
Bianca. Bella ragazza, eh? Un progetto unico, un'arma imbattibile. Allora, Carota, vuoi dirci cos'è successo al Conclave? Ci eviteresti un sacco di situazioni imbarazzanti”.
Quante volte devo ripeterlo? Non lo so! Non me lo ricordo!”
Un po' debole come scusa, ti consiglio di pensarne una migliore se vuoi evitare un'escursione a senso unico alla forca”.
Forse non tutti sono dei cialtroni contaballe come te, nano”, ringhiò Cassandra.
Varric prese l'insulto con filosofia e ridacchiò, sfregandosi con le nocche il naso rotto e sfregiato.
Mi adora, che ci vuoi fare. Oh, meglio non prendere la strada alta, non mi va di combattere ancora se possiamo evitarlo”.
A questo Cassandra non trovò nulla da ridire: in effetti sul crinale del colle che stavano costeggiando brillavano le sagome eteree di creature spettrali; Fedra non ne conosceva la natura ma si sentiva incline ad appoggiare qualunque mozione evitasse scontri e preservasse vita e salute.
Camminarono in silenzio fino ad aver superato gli spettri, quindi Solas si voltò verso Fedra fissandola senza espressione per un rapido istante.
Io... io ti conosco”, le scappò tra le labbra intirizzite. “Ti ho visto”.
In sogno? Sì, ero io. Come ti dicevo stavo cercando di impedire che morissi, cosa che ho ottenuto con un discreto successo”. 
Non ti ho ringraziato, vero? Scusa. Grazie”.
Questo lo fece sorridere. Era un po' più inquietante quando lo faceva, anche se non si poteva dire che non fosse gentile.
Non ce n'è assolutamente bisogno. Anzi, scusami tu, è piuttosto maleducato infiltrarsi nei sogni altrui senza invito, ma avevo bisogno di garantirmi la tua attenzione”.
Oh. Capisco... credo”.
Solas evitò di commentare, anche se il millimetrico scatto delle sopracciglia suggeriva che no, non riteneva probabile che Fedra stesse capendo.
Non che le importasse molto, al momento. L'unica cosa che contava era continuare a camminare, a respirare e a restare in vita.
Superarono la devastazione di altre battaglie, una quantità incalcolabile di rovine e macerie fumanti che parlavano chiaramente di attacco di altri demoni. Fedra evitò di chiedere anche a se stessa quanti diamine fossero quei cosi, visto che la risposta non le sarebbe di certo piaciuta, e avanzò a testa bassa cercando di evitare di prestare troppa attenzione ai cadaveri che incontravano. Uomini e donne, civili e soldati, tutti morti con la medesima espressione di orrore sul volto.
Non può essere colpa mia, non ci credo! Non sono mai stata capace di tirar fuori un mazzo di fiori da un cappello, figuriamoci questo...
Era l'unica, l'ultima delle sue sicurezze e vi si aggrappò con tutta la forza che aveva.
Siamo quasi arrivati”, la rassicurò Cassandra.
Sembro così distrutta?”
Ne hai ogni ragione, non preoccuparti: nessuno ti biasima”.
Coraggio, Carota, il bello deve ancora arrivare!” la spronò Varric.
Di fronte a loro un arco li accoglieva con il suo portone spalancato e guardato da una mezza dozzina di soldati, giusto dietro una barricata di spuntoni di legno.
Il trio fu lasciato passare senza domande e Fedra si strinse nelle spalle, un ultimo, patetico tentativo di difendersi dagli sguardi astiosi degli sconosciuti.
Lungo le due balaustre giacevano dozzine di corpi, tutti avvolti in sudari ordinatamente ripiegati attorno alle membra. C'era odore di sangue e lacrime, un canto triste e incerto nell'aria. Riti funebri per i caduti. Fedra si morse il labbro e provò a deglutire senza successo; spostando lo sguardo dai cadaveri incrociò un viso noto e provò un assurdo moto di sollievo nel riconoscere il profilo delicato e imperscrutabile di Leliana. Era appoggiata a un tavolo, intenta ad ascoltare un uomo nelle vesti bianche e rosse della Chiesa.
... senza contare che... ah, eccola qui! Proprio voi, Cercatrice Pentaghast, proprio voi! Sapete quello che questa... donna ha fatto eppure non avete ancora preso provvedimenti”.
Fedra spostò lo sguardo dall'ometto che inveiva – era chiaro – contro di lei a Cassandra, sorprendendola a roteare gli occhi e mormorare un'imprecazione muta.
Ce l'avete fatta”, disse Leliana raggiungendoli. Sul volto pallido Fedra vide i segni della stanchezza e della paura, pieghe sottili agli angoli degli occhi e una sfumatura violacea sotto agli occhi che non aveva notato nella segreta. “Il cancelliere Roderick, qui...”
In quanto più alto rappresentante della Chiesa qui presente...”
Per forza, pretino, il resto delle alte sfere è saltato per aria al Conclave, a te è solo andata bene di essere al cesso in quel momento!” lo interruppe Varric. Neanche Cassandra trovò da ridire.
Roderick divenne più viola di prima.
In quanto più alto rappresentante della Chiesa vi ordino di prendere questa criminale”, e indicò Fedra, “e condurla a Val Royeux per essere giustiziata!”
Oh no, non ha cercato di ordinare qualcosa a Cassandra”, mormorò Varric a Fedra, passandosi una mano sul viso.
Cassandra sembrò diventare ancora più alta, ancora più minacciosa e decisamente pronta a fracassare qualche osso. Mosse un rigido passo avanti e torreggiò sul cancelliere, le narici dilatate.
Cosa, scusate? Voi ordinate? A me? Voi, patetico piccolo burocrate, voi...”
Roderick mostrò più coraggio di quanto Fedra si sarebbe aspettata, anche se, sotto lo stordimento per essere appena stata condannata a morte senza un processo, si agitava il desiderio di strangolare quel mentecatto, più forte di quella vaga ammirazione.
E voi siete poco più che una teppista, ma avete giurato di obbedire alla Chiesa e quindi, in questo momento, a me!”
Cancelliere, Cassandra e io serviamo la Divina in qualità di Mano Destra e Mano Sinistra, e lo sapete molto bene”, disse piano Leliana.
Ma la Divina è morta, e quindi...”
Il velo della confusione si sollevò e Fedra si riscosse con un brivido. Ritrovò la voce, stufa che parlassero di lei come se non fosse presente; se c'era una cosa che sapeva fare benissimo era fare casino e immischiarsi.
Allora, la smettiamo? No, non mi lascerò staccare la testa dal collo così come se niente fosse, soprattutto perché abbiamo un problema un po' più grande che decidere chi è il capo di chi in questo momento”, e sollevò l'indice puntandolo verso il varco nel cielo. Solas annuì una volta, apparentemente soddisfatto.
Roderick la guardò come se fosse una lumaca morta e scosse la testa, tornando a rivolgersi a Cassandra.
Cercatrice, richiamate i soldati. Rimanere qui è inutile ormai!”
Cassandra, a sua volta, gli restituì uno sguardo analogo, se non ancora più sprezzante.
Non faremo niente di tutto questo! Raggiungeremo il Tempio e chiuderemo quello squarcio una volta per tutte”.
Non sopravviveremo abbastanza per farvi raggiungere il tempio, anche con tutti i vostri soldati!”
La mano di Cassandra scattò in avanti e si fermò a una spanna dal bavero di Roderick. Varric sbuffò un verso deluso.
Ho detto che non ce ne andiamo senza prima aver risolto la situazione. Questa è la mia ultima parola, cancelliere Roderick”. Gli voltò le spalle, ignorandone i tentativi di riprendere il controllo della conversazione, e marciò verso le porte. “Fedra, vieni. Varric, Solas, seguitemi”.
Di nuovo quel tono che non ammetteva repliche; persino il nano perse ogni traccia di scherno e la raggiunse.
Fedra fu l'ultima; si voltò a guardare Roderick, la faccia contratta e indignata, gli occhietti scuri pieni di odio.
Non la passerete liscia. Chiunque voi siate siete prima di tutto un'assassina e la pagherete cara!”
Vai”, disse Leliana con un cenno del capo. “Vi raggiungerò al Tempio. Non avere paura”.
Difficile a farsi in quella situazione, ma che altro poteva fare? Si sistemò i pugnali alla cintura e raggiunse Cassandra e gli altri.

Bentornati tra le macerie! E questa volta con l'aggiunta di demoni, sangue, lividi e un paio di ragionevolissime crisi di panico.
I personaggi sono tanti e saranno ancora di più, ma farò il possibile per dare a tutti lo spazio che meritano. Sono così belli, così adorabili – ciascuno a modo suo – sì, pure Cassandra. Soprattutto Cassandra! - che meritano tutte le attenzioni del mondo!
Buona lettura e al prossimo capitolo!

Val

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Capitolo 3
*** 3 - Demoni troppo grossi, penso che il comandante Cullen mi detesti, titoli altisonanti: non la migliore delle mie giornate. Però non sono morta, il che è già qualcosa. ***



“Immagino che sarei ripetitiva se chiedessi qualche dettaglio su quello che stiamo andando a fare, vero?”

La neve scricchiolava sotto alle suole, un manto che arrivava oltre le caviglie e appesantiva ogni passo. Fedra, orecchie congelate e viso in fiamme, si passò la manica sulle guance sudate mentre arrancavano su per il pendio. Era molto più facile guardare dove metteva i piedi o, al limite, dedicarsi allo studio dei compagni di viaggio che accettare il fatto che il cielo continuasse a vomitare palle di fuoco verde. Qualcuno, da qualche parte, stava combattendo quei demoni e una parte di lei di cui non era molto orgogliosa era felice che il compito non toccasse a lei.
Cassandra, le spalle rigide e il profilo nobile stagliato contro il cielo, strinse le labbra.
“Te l'ho già detto almeno tre volte, al Tempio delle Sacre Ceneri”.
“Sì ma...”
Solas, al suo fianco, inclinò la testa verso Fedra e rallentò per permetterle di raggiungerlo.
“Dobbiamo vedere se il marchio funziona contro uno squarcio più grande; quello al Tempio ha le caratteristiche giuste... e anche qualcuna in più”.
L'elfo non sorrideva ma non sembrava neanche particolarmente preoccupato. Non sembrava proprio niente, cosa che Fedra trovava snervante.
“Non sei di grande aiuto”, brontolò. Solas sollevò di nuovo il sopracciglio ma non aggiunse niente, rimettendosi a camminare come se la neve non gli desse alcun fastidio. E dire che con quei ridicoli sandali avrebbe dovuto avere già le dita dei piedi assiderate! Fedra provò un moto di stizza nei suoi confronti.
“Lascia perdere, Carota”, intervenne Varric. La spinse avanti posandole una manona sul gomito, non senza gentilezza. “Andiamo, vediamo e spacchiamo qualche culo. Non preoccuparti troppo, è la nostra specialità. Potrebbe persino essere divertente”.
Cassandra produsse un verso di disapprovazione dal fondo della gola, e Varric sollevò le spalle.
“Non lo ammetterà mai ma è così”, sussurrò con una strizzatina d'occhi.
Ben poco confortata Fedra sbuffò una nuvoletta di vapore e ricominciò a camminare. Mentre nessuno la guardava aprì il pugno che nemmeno si era accorta di aver stretto e sbirciò il marchio. Da quando avevano chiuso quel primo squarcio sembrava andare meglio, anche se non smetteva di brillare e pulsare. Almeno non la mandava lunga distesa per terra gridando per il dolore, e per quel che la riguardava era già un gran miglioramento.
Forse non sarà questo ad ammazzarmi. Ora la scelta rimane la folla inferocita, il boia o un demone. Dai, potrebbe andare peggio, potrebbe nevicare...
L'amara ironia le strappò una smorfia simile a un sorriso e un'occhiata al cielo terso – a parte per quel vortice di nuvole e luce verde. Nell'alzare la testa si accorse che avevano superato il crinale della montagna e ora riconosceva il paesaggio.

Quel che ne restava, almeno. Fedra si fermò in cima all'altura che solo due giorni prima le aveva regalato la prima panoramica sul Tempio delle Sacre Ceneri.
E cenere era praticamente tutto ciò che ne rimaneva.
Lì doveva esserci la casupola con il guardiano che le aveva chiesto il nome quando si era avvicinata, poco più avanti il banchetto della vecchia che vendeva lumini e fiori di stoffa sbiadita. Lungo la strada aveva incrociato quella coppia con delle maschere orlesiane piuttosto fuori luogo e ancora oltre...
Un lampo. Vide le proprie dita appoggiarsi a una porta e socchiuderla, liberando un grido. Si fermò e si prese la testa tra le mani.
“Ah...”
“Cosa succede? Il marchio?” Cassandra fu subito al suo fianco, un tocco tra il frenetico e il rassicurante sulla spalla. Fedra scosse la testa.
“No... no, non questa volta”. Un altro scrollone e fece correre lo sguardo oltre l'espressione angosciata della Cercatrice, fino alle rovine.
La folla era ancora tutta lì, si rese conto con una stretta allo stomaco. Solo che al posto di abiti sgargianti e sussurri d'attesa c'erano ossa spolpate, carne bruciata.
Un pietoso stordimento si frappose fra quel massacro e la sua coscienza.
C'era silenzio, tinto del verde sgargiante di uno squarcio immenso sospeso a mezz'aria.
Provò a deglutire senza riuscirci e chiuse di nuovo gli occhi.
“Coraggio”, disse piano Cassandra con una leggera stretta alla sua spalla. Fedra la guardò e volle tanto aggrapparsi a quella parola, trovare almeno una goccia di eroismo, ma la stretta al petto stava peggiorando e minacciava di trasformarsi in pianto.
Tirò su a secco con il naso e annuì.
Il piccolo sorriso che Cassandra le regalò la fece sembrare più giovane e gentile, anche se il naso indolenzito di Fedra non aveva dimenticato il cazzotto di qualche ora prima.
Fu Solas ad aprire la fila, questa volta, in una discesa muta e sinuosa verso la spianata del Tempio. Cassandra da un lato e Varric dall'altro, ora silenzioso e torvo con Bianca tra le mani, erano una consolazione, seppure insufficiente.
Quel che sarà, dovrò affrontarlo da sola. Dovrò farlo io, non loro.
La quiete di morte che avevano ammirato dall'alto si rivelò un'illusione a mano a mano che si avvicinavano alle rovine. Udirono voci e gemiti sempre più vicini ma nessun clangore di armi.

“Qui hanno già finito”, disse piano Varric concludendo il suo pensiero.
Una dozzina di soldati, chi più chi meno in condizioni di combattere, si voltarono a guardare il quartetto improbabile che li approcciava. Fedra cercò di farsi piccola sotto quegli sguardi inquisitori, quasi minacciosi.
“Cassandra!”
Una voce si levò dal brusio. La mente di Fedra, annebbiata dalla paura di ciò che l'aspettava, registrò pochi dettagli: tono giovane, un sacco di pelo fulvo attorno al collo, un viso imbrattato di sangue e il braccio di un commilitone zoppicante gettato sulle spalle.
“Cullen, cos'è successo?” chiese Cassandra. Si avvicinò all'uomo e lo squadrò da capo a piedi con occhi severi.
“Demoni, ma li abbiamo respinti. Non ne sono usciti altri, per fortuna, e lo squarcio non ronza più”. L'uomo passò in rassegna il gruppo; quando fu il turno di Fedra gli occhi d'ambra di un felino la inchiodarono al suolo, duri e freddi in mezzo al sangue. Provò a deglutire di nuovo e sempre con gli stessi scarsi risultati, ma non riuscì a distogliere lo sguardo.
Fu Cullen a farlo, regalandole un ultimo cenno del capo.
“Questa è...”
“Lei”, confermò Cassandra annuendo una volta. “Ci è riuscita”.
“Ah”.
Silenzio. Tensione.
Vorrei che la smettessero di aspettarsi qualcosa da me...
Una goccia di sudore freddo le scivolò per la nuca. Cullen aiutò il soldato a sedersi e gli sorrise rassicurante, perdendo per un istante quella corazza di ferro e ghiaccio.

“Ti facciamo portare al campo, non preoccuparti; non la perdi, quella gamba, promesso”.
“Grazie, comandante”, biascicò l'uomo.
Cullen gli diede una pacca sulla spalla e tornò da Cassandra.
“Nessun caduto, per fortuna, ma abbiamo dei feriti come puoi vedere. Non sono in condizioni di sostenere altri scontri”.
“I miei uomini sì”, disse una voce ben nota dalle loro spalle. Si voltarono tutti di scatto, tranne Cullen che tradì un sospiro di sollievo.
Leliana, un arco a tracolla e la faretra mezza vuota, marciò avanti alla testa di un piccolo contingente di armati in corazza di metallo.
“Il Creatore ti benedica, Leliana”, disse Cullen rilassando le vaste spalle. “Non penso di essere mai stato così felice di vederti!”
La donna inclinò la bocca in un sorriso obliquo e fece per parlare, ma Fedra la prevenne.
“Tutto molto bello, davvero. Più soldati è sempre meglio che meno soldati, ma qui non ci sono demoni e mi pare che non si fosse parlato di combattere. Ho capito male? No perché a me sembra proprio che...”
Solas la interruppe con un gesto della mano sottile.
“Lo squarcio alle tue spalle è chiuso ma ancora vivo, se vogliamo chiamarlo così. Come una ferita rimarginata ma ancora infetta. L'unico modo per sigillarlo è...”
“Non mi piace. Non mi piace per niente il discorso che stai facendo”, pigolò Fedra premendosi pollice e indice sugli occhi.
“... riaprirlo. Questo richiamerà l'attenzione di chi vive dall'altra parte e non possiamo sapere cosa uscirà dallo squarcio. Per questo l'arrivo di Leliana è tanto benvenuto”, e le rese omaggio con un lieve inchino che la donna ricambiò.
“Ma è chiuso! Per una volta che qualcosa va nel verso giusto non possiamo lasciarla – insomma – andare? Capisco che ci teniate tutti a mettermi alla prova e dimostrare a non so chi che io sono non so cosa, ma... ma no, davvero!”
“Puoi farlo? Puoi chiudere gli squarci?” La voce di Cullen era secca, decisa. Qualcosa in fondo alla pancia di Fedra fece un balzo.
“Credo. L'ho fatto una volta, Solas dice che può funzionare ma non so cosa vi aspettiate da me”.
Il comandante le si piazzò davanti. Era alto, anche più di Cassandra, e quel mantello cremisi bordato di pelo lo faceva assomigliare a un leone; la voce bassa e vibrante, quasi una promessa di ruggito, non faceva che acuire la sensazione.
“Possiamo darti tempo, ehm...”
“Fedra. Molto onorata”. Il solito tempismo, la solita figura da sciocca. Si sentì le guance diventare di lava. Cullen quasi sorrise, arricciando una lunga, spessa cicatrice che Fedra non aveva notato, uno sfregio che dal labbro superiore arrivava fino alla guancia.
“Fedra. Bene. Ti copriremo le spalle e ti daremo il tempo per raggiungere lo squarcio e fare quello che devi, te lo prometto”.
Rimasero a guardarsi un attimo troppo a lungo. Era difficile capire cosa ci fosse sotto tutto lo strato di sangue e sudiciume, a parte quegli occhi quasi gialli e una chioma irrigidita dal sudore.
Solas si fece avanti.
“Il marchio interagisce con lo squarcio e questo lo sappiamo. Penso tu possa usarlo per riaprire questo in particolare. Te la senti? Prima cominciamo e meglio è”.
“Ovviamente no, non me la sento, ma mi sembra anche di non avere molte alternative...”
Cassandra sfoderò la spada e Cullen fece altrettanto, un ultimo cenno del capo che voleva essere d'incoraggiamento.
“Andiamo allora”, disse. Fedra lo guardò mentre dava qualche indicazione agli uomini feriti e stanchi che avrebbe lasciato indietro; Leliana comandò il proprio piccolo contingente con nulla più che un cenno del capo e Varric diede una gomitata nel fianco di Fedra.
“Che ne dici, andiamo? Prova a non avere troppa paura, Carota, anche se sei perfettamente giustificata a fartela sotto. Ci siamo io e Bianca a tenerti al sicuro. E anche quel coacervo di testosterone e cocciutaggine”, aggiunse indicando con il mento Cullen e Cassandra che sbraitavano ordini alle truppe.
“Ci provo”. Suonava ancora patetica, ma la voce del nano era in qualche modo riuscita a consolarla almeno un po'.
Scendere nel Tempio fu peggio di quanto avesse preventivato. Non solo c'erano cadaveri dappertutto, non solo non esisteva più neanche una parete che non fosse in briciole, ma tra le macerie sbucavano delle incongrue, immense schegge di quello che sembrava un cristallo rosso.
Era ovunque, mazzi di punte alte tre o quattro metri che si ergevano dove fino al giorno prima statue sacre e vetrate colorate avevano guardato con distaccata benevolenza i fedeli.
“E quello cos'è?” si chiese Fedra a bassa voce.
“Lyrium rosso”, rispose Varric. Questa volta non c'era una briciola di ironia nel tono; nel guardarlo, serio e quasi tetro, Fedra si rese conto che quel nano era molto più pericoloso di quanto la camicia di seta rossa o i gioielli sgargianti lasciassero intendere.
“Lyrium... quello che prendono i Templari per essere... be', Templari? La spremuta di coraggio e stupidità ed eroismo...”
“Non farti beccare da Cullen a parlare così dei suoi vecchi compagni di scuola”, disse Varric. “Circa, comunque. Questo è... diverso. Sbagliato. Non credo sia il momento giusto per parlarne, però”.
Gli avrebbe chiesto altro, molto altro, ma scavalcando e scendendo scale franate erano arrivati in quella che era stata la navata centrale. Cassandra chiamò Fedra con un cenno della mano.
“Cosa devo fare?” chiese piano. Varric le diede una pacca sulla schiena, una spintarella leggera e quasi affettuosa.
“Andare, intanto. E non preoccuparti di niente che esca da quella cosa, ci siamo qui noi per te”. Le sorrise e Fedra strinse le labbra, annuendo.
Si sentiva dozzine di occhi puntati addosso. Paura e dubbio negli sguardi dei soldati, speranza in quelli di Cassandra e Leliana e – se ne rese conto con un sussulto di sorpresa – Cullen. Fiducia, persino.
Non me la merito, non sono nessuno!
Di nuovo Solas le fu accanto.

“Come prima, Fedra. Alza il marchio e riaprirai lo squarcio”.
Il ruggito di Cullen rimbombò nel silenzio.
“Soldati, in posizione! Circondate il perimetro del Tempio!”
Vederlo allontanarsi, spada e scudo e tutto il resto, fece sembrare le rovine ancora più minacciose.
Fedra si scostò i capelli umidi di sudore dalla fronte e alzò gli occhi verso lo squarcio. Anche così, privo di orribili creature che uscissero dai suoi abissi, era spaventoso, un alone di luce verde e vorticante del tutto fuori posto in mezzo al mondo della realtà.
Contò fino a tre. E poi fino a dieci. E poi respirò a fondo una volta, due...
Basta. Tanto vale farlo.
Chiuse gli occhi, si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare e alzò la mano verso lo squarcio.

Le sfuggì un sussulto di sorpresa quando il flusso di energia le risalì lungo il braccio, la stessa sensazione di inspiegabile sollievo che aveva provato la prima volta. Qualche secondo e un istinto ignoto le fece ritrarre la mano con uno strappo.
Fatto. Lo aveva fatto di nuovo, qualunque cosa fosse.
Ma prima che potesse riaprire le palpebre Cassandra cacciò un grido.
“Cos'è? Quella cosa... cos'è?”
Fedra si aspettò di trovarsi di fronte un demone corazzato alto quattro metri per tre di larghezza, ma davanti a lei scoprì qualcosa di completamente diverso.
Portate il sacrificio.
Una voce disumana, profonda, che sembrava giungere da ogni punto del cielo e che le vibrava nel petto. Una serie di immagini eteree si dipanò dallo squarcio – una sagoma di ombra e fumo, tizzoni ardenti gli occhi in un volto senza forma.

Qualcuno mi aiuti!
Cassandra lasciò cadere la mandibola. Leliana si coprì la bocca con la mano.

La Divina. Sospesa in aria, le braccia avvolte da legacci di luce rossa.
Cosa sta succedendo qui?
Fedra si paralizzò nel sentire la propria stessa voce uscire dallo squarcio. Il marchio sulla mano lampeggiò più forte che mani, sfrigolando.

Si vide, incorporea, avvolta in quel maledetto vestito verde, affacciarsi oltre la porta e guardare in su. Incrociare lo sguardo disperato della Divina Justinia.
Scappa finché puoi! Devi avvisarli!
E di nuovo il volto d'ombra e brace.

Un'intrusa. Uccidetela.
Un lampo bianco si portò via la visione.

“Quella... quella era la tua voce. Eri tu”, gracchiò Cassandra. “La Divina ha chiesto aiuto e tu... chi era quella figura nera? La visione era reale?”
“Non lo so, non so cosa sia successo!” rispose Fedra per l'ennesima volta, allargando le braccia impotente.
“Ma tu guarda, allora mi sa che sei innocente sul serio”, ridacchiò Varric senza allegria.
“L'Oblio è sogno e ricordo, oltre che spiriti e creature soprannaturali. In questo luogo il velo è sottile”, disse Solas senza scomporsi. “La visione era reale, Cassandra. Era memoria fatta immagini”.
Cassandra si avvicinò, una speranza folle negli occhi.
“Fedra, dobbiamo...”
Lo squarcio mandò scosse verdi e pulsò allo stesso ritmo della mano di Fedra.
“Sta arrivando qualcosa”, mormorò Leliana.
Qualcosa, sì.
Qualcosa di grosso, il quattro metri per tre che Fedra aveva supposto poco prima.
Una sagoma con due braccia, due gambe, una testa e nessun'altra somiglianza con una forma di vita umanoide si delineò nella luce dello squarcio. Varric spinse da parte Fedra e spianò Bianca mentre Solas puntava il bastone verso la creatura. Un globo di fiamma si accese sulla sommità.
Fedra agì solo per imitazione della folla che la circondava e sguainò i pugnali, correndo indietro fino alle mura.
“Un demone dell'orgoglio”, disse Solas. “Lo si riconosce dalle caratteristiche escrescenze cornee sugli avambracci e dal...”
“Grazie mille, simpaticone. Magari potresti fornirci qualche informazione utile sul serio, tipo come lo tiriamo giù?”disse Varric scagliando il primo dardo. Solas lo fece seguire da una palla di fuoco che colpì il demone in pieno torace.
“Con la violenza. Tanta, insensata violenza”.
Il nano rise di gusto.
“Mi piace!” gridò prima di ricaricare.
Una pioggia di frecce venne giù da quel che rimaneva delle balconate del Tempio e Fedra non trovò niente di meglio da fare che coprirsi la testa con le braccia armate, rischiando di amputarsi un orecchio nel gesto.
Grosso. Troppo grosso e, cosa ancora peggiore, non da solo. Alle spalle del demone, ora attaccato da una Cassandra ululante di furia – la scudata in piena faccia che gli rifilò mostrò qualche risultato, facendogli piegare la testa all'indietro – e da una frangia degli armati di Cullen, emersero altre sagome più piccole. Fedra riconobbe le braccia lunghe e i volti senza lineamenti che aveva già affrontato.
Una scintilla di coraggio le sbocciò nel petto.
Li conosco. Posso ucciderli.
Non che avesse molte alternative: si era allontanata troppo dallo squarcio per potervi interagire.

Chiuse un istante gli occhi e si sforzò di calmare il respiro affannato. Non era in pericolo di vita immediato, non con Cullen che si lanciava alla carica e Leliana che abbatteva una creatura orribile dietro l'altra con una mira che, come lei, aveva dell'inquietante.
Silenzio, da qualche parte nel cuore, e pace.
Posso farcela.
Partì decisa, armi incrociate davanti a sé e passi lunghi, pesanti. Non il demone dell'orgoglio, quello no – troppo grande, troppo spaventoso. Ignoto.

Il primo demone, quell'ombra informe tutta artigli e strida, le fu addosso. Qualcuno le gridò un avvertimento.
Si abbassò sotto alla falciata di un lungo braccio nero che le scompigliò i capelli, ruotò sul tallone e affondò entrambe le lame nel punto in cui un uomo avrebbe avuto il cuore. Un getto di pece sulle mani e un grido. L'ombra indietreggiò, lontana da lei, verso il turbine di fuoco che era Solas.
Altri due demoni minori.
Era più vicina, il marchio pulsava di nuovo. Il demone dell'orgoglio era in ginocchio e scagliò via un soldato, mandandolo a fracassarsi contro le rocce. Fedra esitò un attimo di troppo di fronte alla morte: un artiglio le calò sulla schiena, lacerando la giubba imbottita e aprendole la pelle della schiena dalle scapole alla vita.
Il bruciore la riportò in sé ma non del tutto, come attraverso la nebbia. Ebbe il tempo di vedere le dita dell'ombra grondare del suo stesso sangue e sollevare la lama in un arco che era più angoscia che premeditazione prima che l'arto della creatura si staccasse dal corpo deforme.
Due. Ne ho presi due.
Era ancora viva. Era più vicina allo squarcio.

“Continua così, Carota! Stai andando alla grande!”
Tutto remoto – l'incoraggiamento di Varric, il grido di battaglia di Cassandra, il demone dell'orgoglio che calava un pugno mancando Solas di un soffio. Ancora più irreale lo splendore dello squarcio.
Sempre più vicina.
Uno spettro, verde e incorporeo, ennesimo parto deforme dello squarcio, fluttuò verso di lei. La freccia di Leliana lo mandò in fumo prima che potesse raggiungerla.

Non stava più camminando: con il sangue che le scivolava fino nei pantaloni Fedra corse scomposta, troppo sconvolta per badare al dolore della ferita o delle ginocchia che si sbucciavano quando, con un'ultima scivolata, schivò l'ombra di guardia allo squarcio.
Notò come da una grande distanza il braccio del demone dell'orgoglio che penzolava inerte dalla spalla, sradicato da una Cassandra coperta di materia nera e viscida, e un moto di orgoglio le risollevò il cuore.
Eccolo lì, il suo obiettivo.
Sapeva cosa fare, anche se non sapeva perché funzionasse. D'altro canto non era certo quello il momento delle domande.
“Fallo! Ora!” gridò Solas sopra al clamore dello scontro.
E Fedra obbedì.
Tese il braccio al cielo e pregò a suon di bestemmie che funzionasse, e che funzionasse subito. Denti digrignati, pulsare di ferite e sagome buie e mostruose che incombevano ai margini del suo campo visivo, profili verdi contro arti deformi.
Il mondo si sfumò di nero e la testa diventò leggera. Lo squarcio la stava risucchiando, ossa dolenti e pelle lacerata e tutto il resto. Ed era strano, quasi bello sentirsi strappata dal pericolo imminente.
La colonna di luce che scaturiva dal suo palmo e si fondeva con lo squarcio lottò contro le tenebre che la stavano inghiottendo.
“Resisti!”
Una voce. La conosceva? Sì, ma di chi era? Chi aveva gridato... sempre che non fosse stato solo un parto della sua follia.
Fedra resistette. Per una volta non sarebbe stata una delusione per nessuno.
Tenne duro fino a che il buio non si portò via anche l'ultimo spiraglio di Tempio.
Cadde di nuovo – fresche ombre senza peso che la cullavano e un sonno senza sogni – e non riuscì neanche a preoccuparsi di essere morta.

 

Per essere morta, comunque, non se la stava passando tanto male. Il cuscino era morbido, la coperta calda e quell'odore di fuoco di legna e cera era rassicurante. Sapeva di casa, di lanterne accese contro le notti d'inverno e di un cucchiaio di miele nel latte prima di andare a dormire. Fedra mugolò piano e sprofondò più a fondo nel pagliericcio ben imbottito.
Il movimento le ricordò che aveva comunque un corpo, cosa improbabile nel caso fosse stata defunta. Il bruciore tra le scapole era molto reale e lo stesso si poteva dire dell'intenso odore di canfora che le riempiva le narici.
Il verso compiaciuto si trasformò in un grugnito incerto quando Fedra schioccò la lingua tra le labbra secche e aprì un occhio. Fu salutata da un basso soffitto a travi e dalla luce opalina che filtrava dalla finestra.
C'era qualcosa che le sfuggiva, qualcosa che sapeva essere molto normale e al tempo stesso inatteso.
Si sollevò su un gomito e si godette appieno la scossa di fastidio che le partiva dalle scapole e scivolava giù fin quasi alla vita.
Il primo istinto fu di scoppiare a ridere, nonostante il dolore.
Sono viva. Non ci posso credere, me la sono cavata un'altra volta!
Era una sensazione nuova e inspiegabile; aveva sempre dato per scontata la propria sopravvivenza, cullata in una vita di cibo garantito, guaritori sempre a portata di mano e tutto sommato nessun rischio concreto di lasciarci le penne da un giorno all'altro. E adesso aveva perso il conto delle volte in cui aveva spernacchiato la morte negli ultimi giorni.

Ridere, comunque, non fu una buona idea. Fedra sbuffò e lasciò cadere le coperte, scoprendo una fitta fasciatura che sapeva, appunto, di canfora e altre erbe a lei sconosciute che la copriva dal collo in giù. Qualcuno le aveva tolto i vestiti laceri e luridi e l'aveva rivestita di una camicia da notte lunga fino ai piedi.
La stanza era semplice ma pulita, il letto che l'accoglieva circondato di mobili che mostravano i segni del tempo e della cura – cera d'api passata su angoli sbeccati, sedie impagliate con i segni di molti rammendi. Il fuoco ruggiva e sul comodino al suo fianco c'era un assortimento di boccette e flaconi, oltre a una brocca d'acqua che Fedra scolò con avidità.
Si fermò per riprendere fiato e lo sguardo incontrò la finestra.
Il mondo esterno era normale. Innevato, con le cime dei pini stagliate contro il cielo pallido.
La brocca le cadde di mano sferragliando. Fedra si alzò in piedi di scatto e l'improvviso capogiro la rimandò in fretta a sedersi sul materasso. Oltre le lucine che le danzavano davanti agli occhi rimase inebetita a fissare quel cielo nuvoloso e grigio.
Grigio.
Non verde.
La risata le frizzò di nuovo sulle labbra. Non aveva idea di quale fosse la minaccia che aveva sventato, non sapeva come lo aveva fatto eppure ci era riuscita. Certo, ora rimaneva da gestire la faccenda del processo e della condanna a morte, ma da qualche parte dentro di lei stava sbocciando un timido ottimismo. Come aveva detto Cassandra? Se avesse chiuso il varco la gente avrebbe iniziato a ritenerla innocente. Forse. Aveva senso ed era meraviglioso.
Se solo i suoi genitori avessero saputo...
La porta sbatté alle sue spalle. Fedra si voltò di scatto, peggiorando la situazione della ferita, e fece una smorfia di dolore alla giovane elfa dai corti capelli scuri con le braccia cariche che la fissava con tanto d'occhi dalla soglia.
“I-Io non s-sapevo che foste sveglia! Ve lo giuro!”
“Cosa... chi...”
La voce le uscì arrochita. Da quanto non parlava?
Di tutte le cose che si sarebbe aspettata, e che comprendevano grida di allarme, coltelli puntati e scongiuri contro il malocchio, vedere l'elfa balbettante lasciar cadere i panni piegati che portava e inginocchiarsi sul tappeto era l'ultima.
“Ma cosa fai? Sei ferita?” chiese, sentendosi più stupida del solito. Il che richiedeva un certo impegno. Si alzò per assicurarsi delle condizioni dell'elfa ma questo causò solo un aggravarsi dell'inchino, che si trasformò in prostrazione. Fedra cercò una via di fuga senza successo.
“No, no, senti, puoi evitare per piacere? E magari dirmi dove sono?”
“V-Vi prego di perdonarmi e di darmi la vostra benedizione! So di essere solo un'umile serva e d-di non meritarmi...”
“Ma che benedizione e benedizione! Alzati, dannazione, stai rendendo tutto più strano di quanto già non sia!”
Senza altri indugi, nonostante le bende, raggiunse l'elfa e la prese per le spalle, rimettendola in piedi. Era esile e tremava, ma quando la guardò di nuovo in volto sembrava splendere.
“Allora è vero, siete davvero buona e gentile come dicono!”
Fedra la lasciò andare di colpo.
“Buona e gentile lo dici a tua sorella! Se questa è una prigione è ben strana, comunque”.
“Prigione? Oh no, non è una prigione. Non direi, almeno. Siete ad Haven, signora. Dicono che ci avete salvati tutti. Che avete fermato il v-varco!”
L'elfa era raggiante, anche se non smetteva di stringersi nelle spalle come a proteggersi da qualcosa. Fedra non riuscì a reprimere un moto di pena, ma aveva altro cui pensare. Raggiunse la finestra e guardò fuori.
Era vero. Il gorgo era ancora lì ma non era neanche remotamente immane come quando lo aveva visto la prima volta. Un buco nel cielo circondato di nuvole verdi ma nessuna palla di fuoco, nessun lampo del colore sbagliato a squarciare la terra. Un senso di sollievo insufficiente le riempì il cuore.
“Quindi... ho fatto bene, vuoi dire?”
“B-Bene? Sì, mia signora, sì! Andraste ha davvero guidato la vostra mano!”
Mano? Fedra sollevò la propria, la sinistra. IL marchio era lì, una perla verde che brillava tranquilla.
“Anche... anche quello ha smesso di crescere, come il varco. Sono tre giorni che tutti ne parlano!”
Fedra alzò di scatto la testa.
“Tre giorni? Cosa significa che...”
L'elfa spalancò gli occhi e si coprì la bocca con le mani.
“Oh, ma Lady Cassandra aveva ordinato di essere informata immediatamente del vostro risveglio!”
“Cassandra? Quindi è viva? Dov'è?”
“N-Nella chiesa, con il Cancelliere e... e... immediatamente, ha detto. Immediatamente!”
L'elfa si voltò verso la porta e uscì di corsa, senza curarsi di chiuderla alle proprie spalle né di raccogliere i panni a terra.
“Aspetta! Elfa! Tu, Cosa, lì... come ti chiami! Non andartene!”
Inutile. Fedra era sola, con l'aria fredda che la faceva rabbrividire e una debolezza improvvisa nelle gambe. Riuscì a richiudere la porta cogliendo uno scorcio delle case di Haven con i tetti innevati e poco altro prima di crollare seduta a terra con la testa che girava, e non solo per il brusco risveglio.
Quello non era l'atteggiamento che preludeva a una folla con torce e forconi, per quel che ne sapeva.
Ma Cassandra era viva, e questo le era di conforto. Magari non l'avrebbe presa a cazzotti e avrebbe avuto qualche risposta. Si sfregò le braccia coperte di pelle d'oca e considerò le proprie condizioni. Poco meno che nuda, scalza e scarmigliata... be', se doveva incontrare la Cercatrice tanto valeva essere presentabile. Il carico abbandonato dall'elfa rivelò un paio di pantaloni più o meno della taglia giusta e una camicia di flanella ingrigita ma lavata di fresco. La casacca di pelle di daino era un po' troppo ricamata per i suoi gusti ma calda e imbottita, e Fedra si sentì padrona di se stessa più di quanto non le fosse accaduto da quando aveva indossato l'abito di velluto verde per il Conclave.
Mentre allacciava l'ultimo degli alamari un pensiero le saettò in testa.
La sua famiglia non sapeva niente di lei. Quando le voci circa l'esplosione al Conclave fossero arrivate fino a Ostwick l'avrebbero pianta morta, sempre che non fossero arrivati prima i pettegolezzi sulla sua presunta responsabilità nella tragedia.
Si portò dietro quel peso mentre apriva la porta e usciva nella luce di Haven.
Dovrei scrivere loro che sto bene, credo. E spiegare che no, non c'entro niente, che le voci sono false, che non sono stata io.
Non sono stata io.
Quante volte lo aveva detto nel corso della vita. Quante volte – non proprio tutte, va bene – era stato vero e non le avevano creduto.

Un'altra, ennesima delusione.
Ma non posso lasciarli con l'angoscia che io sia morta! Sono un disastro come figlia ma mi vogliono bene. Certo. E se tutto questo li mettesse in pericolo?
A Ostwick non c'era che una manciata di veterani che si godevano la vecchiaia giocando a carte e fingendo di essere ancora soldati; nessuna rete di spie, poco interesse per gli intrighi politici. Chi avrebbe mai potuto difendere il castello da un attacco di qualsiasi tipo, a parte le antiche mura?

Fedra si passò una mano tra i capelli sciolti e quel gesto liberò per un istante la mente dalle riflessioni. Abbastanza a lungo da far filtrare un brusio.
“L'Araldo di Andraste”, mormorava qualcuno nella folla.
Non se li era aspettati. Va bene, non avevano torce e forconi e neanche facce particolarmente minacciose, ma quegli sconosciuti accalcati davanti alla casupola, con le espressioni adoranti e gli occhi grandi che la fissavano erano comunque inquietanti.
E quel titolo, Araldo di Andraste, che rimbalzava di bocca in bocca del tutto privo di senso.
Rimanendo in tema Andraste, Fedra mormorò un paio di bestemmie nella sua direzione.
“È lei, è l'Araldo!”
“Andraste l'ha mandata tra noi!”
“Ha impedito al Varco di ingoiare il mondo, ci ha salvati!”
Fedra si tenne il più possibile lontana da quella gente. Un uomo in armatura cadde in ginocchio sul ciglio della strada.
“Araldo di Andraste”, mormorò anche lui. Fedra si trattenne a stento dal gridargli di piantarla subito e di rialzarsi. Allungò il passo su per la scalinata di pietra e verso il profilo massiccio della Chiesa che incombeva su Haven.
Non ha senso. Niente di tutta questa faccenda ne ha ma questo è peggio. Fino a ieri – no, fino a tre giorni fa, immagino – mi volevano penzolare da una forca e adesso...
Giunta sul sagrato era coperta di sudore e stava in pratica correndo. Una piccola delegazione di guardie si inchinò al suo passaggio e Fedra sfrecciò via davanti a loro, nella fresca oscurità dell'edificio.

Le navate deserte, anche se ingombre di casse e candele e festonate di ragnatele, le fornirono un immediato conforto. Almeno lì non sembrava esserci nessuno che si comportasse in maniera strana.
La sensazione di pacifica normalità durò giusto il tempo di udire delle grida giungere dal capo opposto della chiesa.
“... posso suggerirvi cosa farne della vostra opinione?”
Fedra non trattenne un sorriso. La voce di Cassandra era tesa eppure nota, unica ancora in quel delirio incomprensibile. Raggiunta la porta nel bel mezzo di una gara a chi urlava più forte Fedra l'aprì ed entro in una piccola stanza ingombrata da un tavolo di legno. Notò con la coda dell'occhio i due Templari in armatura completa – elmi alati e qualche decina di chili di metallo - che presidiavano l'ingresso prima che una seconda voce conosciuta e ben poco gradita le risuonasse all'orecchio.
“Eccola! Prendetela e mettetela in catene, verrà condotta alla capitale per il processo!” sbraitò Roderick.
Fedra aprì la bocca per dar voce a qualcosa – probabilmente al panico – ma Cassandra la precedette.
“Ignorate l'ordine e lasciateci”.
Quanto poteva valere il suo carisma? Era abbastanza influente per evitarle di finire spiaccicata tra le lamiere?
Evidentemente sì, perché i due Templari non fecero una piega. Sferragliarono in un rigido saluto marziale e uscirono, lasciando il cancelliere Roderick color prugna e parimenti avvizzito per l'indignazione.
“State presumendo troppo, Cercatrice. Rimango pur sempre la più alta autorità della Chiesa in questo momento!”
“Che sciagura, eh? Pensatela come volete, cancelliere, ma quel varco è ancora un pericolo. Non lo ignorerò per dar soddisfazione a un galoppino passacarte come voi!”
Fedra si scrollò e recuperò la voce.
“Fermi tutti, fatemi capire: sospettate ancora di me?”
“Certo che ”, rispose Roderick.
“Ovviamente no”, ringhiò Cassandra guardandolo malissimo.
“Eh, dai, mi fa piacere che almeno andiate d'accordo”. Nessuno colse l'ironia.
Dall'ombra ai margini della stanza si staccò una figura. Leliana si avvicinò al tavolo e vi appoggiò le mani.
“La Divina Justinia è morta per mano di qualcuno che non conosciamo. Qualcuno che, per quel che ne sappiamo, potrebbe essere morto durante l'esplosione, certo. Ma se avesse degli alleati? Degli insospettabili infiltrati dove fa più comodo, qualcuno che magari è sopravvissuto alla tragedia trovandosi altrove proprio quando il Tempio è saltato per aria?”
Il colorito di Roderick si chiazzò di bianco.
“Cosa... cosa... io? Io sarei un sospettato?”
Fedra non mancò di notare che nemmeno quel molesto cancelliere sembrava avere il fegato per urlare in faccia a Leliana.
“Come molti altri, cancelliere”.
“Quindi sospettate di me ma non di questa... di questa donna?”
“Fedra è innocente. Ve lo abbiamo detto dozzine di volte, abbiamo visto la Divina implorarla di fuggire e cercare aiuto. E chi siamo noi per rifiutare ciò che la Provvidenza del Creatore ci manda?” Leliana era impassibile, un bel contrasto con l'aura rovente di ira che sembrava avvolgere Cassandra.
Fedra si sentì, forse per la prima volta nella propria vita, in mezzo ad alleati, per quanto improbabili.
“Mi piace questa cosa che non mi vuoi più morta”, si lasciò scappare Fedra. Cassandra fece spallucce facendo risuonare il metallo della corazza.
“Mi sbagliavo e ti devo ancora delle scuse. Magari non adesso, mh?”
“Il punto”, riprese Leliana come se non fosse stata interrotta, “è che il varco rimane una minaccia e il marchio di Fedra è la nostra unica possibilità per chiuderlo, anche se dobbiamo capire se è abbastanza potente per farlo”.
Il cancelliere si erse in tutta la sua trascurabile statura, fremente di orgoglio ferito.
“Non spetta a voi stabilire come gestire l'emergenza! Non spetta a voi legiferare sulla prigioniera! Non spetta a voi...”
“Ah no? Ah no?” scoppiò Cassandra. Si voltò e prese qualcosa dalla panca alle sue spalle. Un istante dopo l'intero, enorme tavolo vibrò sotto l'urto del tomo che vi sbatté sopra. Il simbolo della Chiesa era impresso sulla copertina, un sigillo inconfondibile. Cassandra vi puntò sopra l'indice e guardò Roderick con uno sguardo omicida.
“Questo lo riconoscete, no, cancelliere?”
Roderick perse quel poco di porpora che ancora gli chiazzava le guance cascanti. Fissò la copertina con la bocca socchiusa.
“Una scrittura ufficiale della Divina Justinia che ci autorizza ad agire in caso di emergenza per il regno. Ci stavamo lavorando da mesi prima del Conclave, alla ricerca di uno strumento per contrastare la guerra tra Maghi e Templari. Sapete bene qual è il valore di questo documento, immagino. Neanche voi potete essere così stupido da opporvi!”
“Io... io non ne sapevo niente...”
“Forse perché la Santissima non ha ritenuto necessario informarvi della cosa”, disse Leliana, tagliente.
“Qui e ora dichiaro rifondata l'Inquisizione”, scandì Cassandra. Poche parole che caddero come pietre sul pavimento consunto dai secoli. Fedra, nella sua ignoranza, non riuscì a ignorare l'eco di potere e gravità di quella dichiarazione. Non riuscì a chiedere cosa fosse e per una volta tacque.
“Chiuderemo il Varco e ci opporremo al caos con o senza il vostro supporto, cancelliere. Sono stata chiara?”
Roderick fissò le tre donne con gli occhi pieni di orrore. Cassandra lo incalzò, troppo vicina per poterla ignorare.
“Ho detto: sono stata chiara?”
Il cancelliere non rispose. La vecchia espressione di disgusto gli scese di nuovo sul volto prima che girasse sui tacchi e marciasse via, sbattendosi la porta alle spalle.
La tensione svanì. Cassandra gettò indietro la testa e piantò le mani sui fianchi, sbuffando al soffitto; Leliana si appoggiò al tavolo e scosse la testa con una risata amara.
“Non siamo pronti. Non abbiamo un capo, non abbiamo il supporto della Chiesa, siamo pochi...”
“Siamo in tre, è qualcosa meno che pochi”, disse Fedra. Leliana la guardò e ammiccò con un lieve sorriso.
“Ma non siamo sole, Fedra. Credimi”.
“Non abbiamo alternative, Leliana, e lo sai benissimo. Dobbiamo agire subito e portare Fedra con noi”, disse Cassandra. Si passò una mano sulle labbra e sospirò. “Vorrei dirti che hai una scelta, ma la verità è che abbiamo un bisogno disperato di te. Sei l'unica che può aiutarci ma ti prometto che non ti lasceremo a te stessa”.
“Ci contavo... ma non è che intendi che io devo salvare il mondo, vero? Suona molto così e non mi piace...”
Cassandra strinse le labbra e annuì una volta.
“Oh. Per le palle del Cre- ahio!”
Lo schiaffo la prese sulla nuca e Fedra fece un passo in avanti. Cassandra la guardò malissimo.
“Ho già Varric che bestemmia ogni due parole, non tollererò sacrilegi anche da parte tua!”
“Ma mi hai fatto male!”
“... soprattutto perché sei l'Araldo di Andraste”, aggiunse Leliana divertita.
“Ancora con questa storia? Non la capisco e nel dubbio non mi piace”. Fedra si massaggiò la parte lesa e si imbronciò.
“Molto semplice. Prima pensavano fossi colpevole dell'esplosione, ora non più, e tutti sono convinti che la donna luminosa che hanno visto con te nello squarcio fosse Andraste. Il mondo è in pericolo e la gente ha bisogno di un simbolo, ed ecco dove entri in gioco tu”. La faceva facile, Leliana, ma Fedra non riuscì a ingoiare il boccone.
“Quante cazzate...”
Cassandra alzò di nuovo la mano.
“Smettila di sfottere la fede altrui!”
“E tu smettila di prendermi a schiaffi!”
“Smettetela tutte e due, va bene?” tagliò corto Leliana. “L'Inquisizione è un'istituzione antica, ancor più della Chiesa. Abbiamo un compito importante e non possiamo permetterci di comportarci come ragazzine litigiose”.
“E va bene”, mormorò Fedra.
Cassandra sbuffò e roteò gli occhi.
“Scusa”.
“D'accordo, scuse accettate”.
“Non per lo schiaffo, quello te lo meritavi. E neanche per il pugno. Scusa se ti abbiamo considerata colpevole; a quanto pare non te lo meritavi e mi dispiace averti fatto del male”.
Fedra sentì le guance scaldarsi.
“Oh. S-Sì, capisco. Suppongo fosse solo il vostro mestiere, no? E comunque negli ultimi giorni mi avete aiutata, penso valga la pena fidarsi di voi”.
“Anche perché non ci sono molte alternative. Così come noi non possiamo permetterci di far affidamento sulle tempistiche eterne della Chiesa... dobbiamo agire in fretta. Sei dei nostri, Fedra?”
Cassandra le tese la mano, e in quel palmo di cuoio e ferro erano racchiuse minacce e promesse.
Fedra. L'inutile Fedra che non era mai stata abbastanza o che era sempre troppo, fuori luogo e imbarazzante. Senza scopo. Senza onore.
Cosa avrebbe fatto sua madre? E suo padre? Evelyn non si sarebbe mai trovata in quella situazione.
Ma io non sono loro. Io sono Fedra e questa è la mia possibilità.
Afferrò la mano di Cassandra e la strinse, un sorriso feroce che le si apriva sulle labbra.

“Benvenuta nell'Inquisizione”, disse Leliana.




Benritrovati con più demoni, più mazzate e finalmente Haven!
Con questo capitolo si conclude l'introduzione e partiamo con l'azione vera e propria; per Fedra (o Carota, come preferisce chiamarla Varric - che è ovviamente un grande fan di Terry Pratchett!) ci sarà da menare le mani, come sempre, rischiare la pelle e scoprire nuovi modi per mettersi in imbarazzo.
Uno in particolare è già comparso, proprio qui :P
Buona lettura!

 

Val

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Capitolo 4
*** 4 - Ma io perché mi ostino a parlare? Cassandra mi mena, Cullen mi odia - ormai è appurato - e mi sono presa una scomunica. Di bene in meglio. Varric però è un tipo a posto. ***


 

 

Nei giorni successivi Haven mutò. Il coro di “Araldo di Andraste” che la seguiva ogni volta che metteva il naso fuori dalla porta non si smorzò ma Fedra imparò a ignorarlo, anche se lo stesso non si poteva dire degli sguardi della gente e dei loro sorrisi genuinamente entusiasti. Anche troppo, per i suoi gusti.
Ai normali suoni della vita del villaggio si aggiunse il canto del metallo mentre le fucine si riaccendevano. Il vecchio Harritt si trovò subissato di commissioni – non più solo qualche cavallo da ferrare o arnese da riparare ma armi, scudi, corazze che nel giro di poco esaurirono le scorte di ferro e lo costrinsero ad arruolare nuovi garzoni e cercare rifornimenti.
Il gracchiare dei corvi era ovunque; Fedra li vedeva entrare e uscire dalle feritoie della Chiesa, ormai diventata quartier generale della neonata Inquisizione senza che nessuno trovasse molto da ridire sul caos di penne e guano. A parte Roderick, s'intende, la cui sagoma incupita e sibilante minacce e scomuniche si ostinava a orbitare attorno all'edificio. Corvi che lasciavano Haven e sparivano all'orizzonte, corvi che tornavano a posarsi sul braccio di Leliana e le permettevano di lisciar loro le penne prima che prendesse i messaggi legati alle zampe adunche. Solo una volta Fedra era stata presente all'arrivo dei messaggeri alati; il corvo, un mostro gigantesco con un palmo di becco nero con cui aveva cercato di staccarle un brandello del marchio dal palmo, era diventato docile come una colomba quando Leliana lo aveva richiamato. Di fronte alla sconvolta perplessità di Fedra che si cullava protettiva la mano minacciata la donna aveva riso. La prima, vera risata che le avesse mai sentito fare.
“Non abbiamo alleati, è vero, e siamo pochi. Niente a cui non si possa porre rimedio”. Le aveva fatto l'occhiolino e non aveva aggiunto niente.
Per la prima settimana Fedra si sentì sempre in mezzo ai piedi e la cappa grigia di una vita di disagio tornò a incomberle addosso. Era di nuovo quella che non sapeva cosa fare, non autoritaria o efficiente a sufficienza per essere di alcuna utilità; Cassandra e Leliana ronzavano come api e costruivano qualcosa che voleva essere grande e potente.
Lei riusciva solo a tormentarsi tra le dita una pergamena stropicciata e piena di righe scribacchiate e cancellate, seduta a un tavolo zoppicante nell'unica taverna di Haven. Aveva dovuto insistere per pagare i boccali di birra scura che continuava a trangugiare, cosa che l'ostessa sembrava ritenere un affronto. Lì almeno si sentiva quasi a casa, con l'odore di cibo e alcolici e la musica in sottofondo.
Cara madre, scrisse per l'ennesima volta. Intinse di nuovo la penna nel calamaio e la tenne sollevata sulla pergamena. Una goccia d'inchiostro cadde e macchiò il foglio; schioccò la lingua e passò la manica sulla chiazza, riuscendo solo a spalmarla ovunque.
“Porco il Creatore”, ringhiò lasciando cadere la penna.
“Se ti sente Cassandra ti apre la testa in due come una noce”, disse una voce bassa e divertita alle sue spalle. Fedra si voltò e si trovò davanti Varric, armato di una bottiglia e due bicchieri. Il nano sollevò le sopracciglia e indicò la sedia di fronte alla sua, libera. “Non sai che porta male bere da soli, Carota? Posso farti compagnia?”
Fedra si appoggiò contro lo schienale e sospirò.
“Una persona per bene direbbe che ha già bevuto abbastanza per la serata”, disse con un cenno ai tre boccali vuoti davanti a sé. “Io, d'altro canto, ti do il benvenuto”.
Il nano si accomodò facendo sfregare la sedia contro il pavimento e riempì due bicchieri di vino rosso. Ne porse uno a Fedra e tenne sollevato il proprio davanti al naso schiacciato.
“All'Inquisizione, agli Araldi improvvisati e alle... lettere che non vogliono saperne di scriversi da sole, vero?”
Fedra fece spallucce e rispose al brindisi, scolandosi il bicchiere in due sorsi.
“Mh. Già, non sono molto brava con le lettere.”, commentò. “Grazie, comunque. Bere da soli non porterà sfiga ma farlo in compagnia è meglio. Rimani ad Haven, Varric?”
“Proprio così. Cassandra non si farà sfuggire l'occasione per tenermi d'occhio e farmi le domande che la Divina non ha avuto modo di pormi”. Sorseggiò il suo vino e scosse la testa. “Domande su Hawke – sai, il Campione di Kirkwall, chissà perché è convinta che io sappia dove si sia accciato. Ah, lascia perdere, storia vecchia, brutti ceffi evocati e ricacciati indietro... insomma, cose così. In più non si sa mai, potrei esserti utile”.
“Se sai come prendere a calci in culo fino a casa sua un demone lo sei di sicuro più di me...”
Varric si pulì le labbra e riempì di nuovo i bicchieri.
“Io e Solas siamo rimasti. Conosco le mie ragioni ma non le sue, se non che è un secchione ficcanaso col pallino dell'Oblio. Poterti studiare sarà come ricevere un triplo regalo di compleanno a sorpresa per lui, immagino”.
Fedra ridacchiò al pensiero di Solas di fronte a un pacco regalo con tanto di fiocco. Quell'elfo era – a esser gentili – strano. Mai scortese, sempre pronto a parlare e spiegare ed entusiasmarsi per quel che riguardavano l'Oblio, ma in quei grandi occhi azzurri c'era qualcosa che non riusciva ad afferrare.
“Sono contenta che tu sia qui”, si sentì dire. All'occhiata di sbieco del nano arrossì un po'. “Insomma... sei un tipo a posto. Non sei inquietante e non mi hai presa a schiaffi neanche una volta”.
“Cassandra, eh?”
“Chi altri? Be', tutto qui. Grazie di essere rimasto”.
Varric le diede delle pacche sull'avambraccio.
“E perdermi tutto questo casino? Neanche morto! Cosa stavi scrivendo, comunque?”
Il rossore peggiorò.
“Io? Oh. Nulla di concreto, non ci riesco. Volevo... volevo scrivere alla mia famiglia, su a Ostwick, ma non... insomma, non so come fare. Mi sembra sempre stupido”.
Gli occhi chiari del nano si strinsero in due triangoli scintillanti.
“Blocco dello scrittore? Posso aiutarti, se vuoi. Con carta e penna me la cavo bene quasi quanto con Bianca”.
Fedra allargò le braccia e indicò la pergamena macchiata sul tavolo. “Ho iniziato cinque volte e non so neanche cosa dire. Non importa come pensi di metterla giù, tutta la situazione è semplicemente delirante e non sono capace di spiegarmi”.
“'Cara mamma, sono viva, sto bene e non ho fatto esplodere niente' potrebbe essere un buon inizio, ma puoi prenderti qualche altro giorno per rifletterci, Carota. Intanto...”
Il brusio nella taverna si abbassò di volume; Varric si voltò verso l'ingresso e Fedra fece altrettanto.
Leliana era sulla porta e la guardava; un cenno della mano e se ne andò.
“Mi sa che ce l'aveva con te, ragazzina. Vai, potrebbe essere importante”.
“S-Sì, penso proprio di sì”. Spinse via la sedia e si alzò. “Ti ho già detto grazie?”
“No, ma non importa. Lasciami qui fogli e inchiostro, comunque: parlare con te mi ha fatto venire l'ispirazione e devo prendere due appunti prima di dimenticare tutto”.
“Prego, accomodati pure”.
“Questo ti varrà una dedica sul mio prossimo capolavoro”, e le fece l'occhiolino.
Fedra non riuscì a non sorridergli. Era la prima conversazione amichevole che avesse da troppo tempo.
“Grazie, Varric”.
“Muoviti, Leliana non è un tipo che ama aspettare”.
Fedra si gettò il mantello sulle spalle e uscì nella notte, sotto un inizio di nevicata. Si sentiva stranamente più leggera, confortata dalla vaga consapevolezza di aver trovato un improbabile alleato in quel delirio.
Raggiunse la chiesa prima ancora che il naso iniziasse a raffreddarsi. Leliana la aspettava all'interno, quasi più freddo che l'esterno, con un sorriso indecifrabile sul viso pallido.
“Cos'è successo?” chiese Fedra. Si ricordò solo in quel momento che forse c'era qualcosa di cui preoccuparsi – a parte il buco nel cielo, ovviamente.
“Devo presentarti qualcuno. I miei corvi hanno fatto il loro lavoro e l'Inquisizione comincia a crescere”. Le fece un cenno e la condusse fino alla sala di guerra, per fortuna più calda grazie al falò che ardeva nel camino.
Non erano sole. Dall'ingresso Fedra registrò una lucida crocchia di capelli neri sopra a un tripudio di balze e gale blu e oro. Quello che sembrava un pavone in forma umana si voltò e rivelò un giovane viso scuro, illuminato da occhi grigi e acuti. La giovane donna sorrise si sfregò le mani che aveva tenuto tese verso il fuoco.
“Fedra, sono lieta di presentarti Josephine Montilyet”. Josephine stese le labbra in un bel sorriso che mostrò denti bianchi, un netto contrasto con la pelle ambrata.
“Sono lieta e onorata di fare la vostra conoscenza, lady Trevelyan”, disse con voce resa musicale da un forte accento straniero.
“No, non sono lady Trevelyan. Quella è mia sorella”, disse senza riflettere. Poi, rendendosi conto dell'occhiata al limite del compatimento di Josephine, tossicchiò e corresse il tiro. “Sono Fedra, solo Fedra. Non sono brava con i convenevoli”.
“Per questo ho chiesto a Josephine di unirsi all'Inquisizione. È una stimata diplomatica ad Antiva e sa il Creatore quanto abbiamo bisogno di qualcuno con le sue capacità”, disse Leliana regalando un cenno affettuoso a Josephine. “Le battaglie si vincono con gli eserciti ma le guerre si evitano con la diplomazia”.
“Posso chiamarti solo Fedra allora? In privato, s'intende: in pubblico le formalità sono un'arma potente”.
“Mi farebbe sentire molto più a mio agio”, rispose Fedra, nervosa. Josephine si coprì la bocca con una piccola mano curata e ridacchiò.
Un certo clamore richiamò l'attenzione delle tre verso la navata. Leliana annuì una volta.
“Se è chi penso il nostro entourage è finalmente al completo”.
“Entourage?” chiese Fedra aggrottando le sopracciglia.
“Guerre e diplomazia, battaglie ed eserciti, ricordi? Questa dovrebbe essere una faccia nota anche a te, Fedra”.
La porta si aprì e Cassandra, i capelli neri spolverati di neve, sorrise. Un bel sorriso, raro ma così luminoso da trasformarle il viso austero.
“Ci siamo”, annunciò soddisfatta. Si fece da parte e una seconda figura avanzò alle sue spalle.
Sì, una faccia nota. Il comandante Cullen, ripulito dal fango e dal sangue, sembrava un'altra persona, con folti riccioli biondi pettinati con cura e labbra morbide incurvate in un leggero sorriso. La cicatrice risaliva oltre il labbro tra la corta barba ispida e aggiungeva qualcosa di pericoloso al volto gentile.
Aveva ancora l'aspetto di un leone, con quella criniera di pelo attorno al collo del mantello e gli occhi color ambra, ma ora, lontano dalla furia della battaglia, quegli occhi erano buoni.
E non la lasciavano andare.
Fedra si ricordò dopo parecchio tempo di chiudere la bocca e quando lo fece ormai aveva le orecchie in fiamme e si era persa metà del discorso di Cassandra.
“Mi stai ascoltando?”
“Sì. No. Cosa... scusa, Cassandra, ho – uhm – bevuto troppo per la serata, credo”.
Cassandra schioccò la lingua ed emise un verso disgustato.
“Ti stavo presentando il comandante Cullen Rutherford. Si occuperà del braccio armato dell'Inquisizione”.
Cullen si passò una mano sulla nuca e finalmente distolse lo sguardo, anche se solo per un istante.
“Fedra, vero? Ho visto cosa hai fatto al Tempio delle Sacre Ceneri e... e niente. Combatti bene”.
“Io? Ma non è vero!”
Josephine tossicchiò nel pugno.
“Un piccolo consiglio: ai complimenti si risponde grazie”, disse a voce non abbastanza bassa. Fedra virò a un color vinaccia di cui Rodrick sarebbe stato molto fiero.
“In ogni caso”, li interruppe Cassandra, “Cullen addestrerà le nostre truppe e provvederà a creare un esercito degno di questo nome per la nostra Inquisizione”.
“Addestrerà anche te, se ce ne fosse bisogno”, disse Leliana con noncuranza. Fedra fu certa di avere del vapore che le fuoriusciva dalle orecchie. Cullen non sembrò scomporsi, anche se quando si voltò per togliere il mantello Fedra notò che aveva il collo molto rosso.
“Ci siamo, dunque. Sta succedendo davvero”, disse Josephine.
“Sta succedendo davvero, sì”, confermò Leliana. “Ora tutto ciò che occorre è scoprire cosa sia quel varco nel cielo, richiuderlo e salvare il mondo”.
La risatina di Fedra si trasformò in singhiozzo. Cullen le lanciò una rapida occhiata che peggiorò la situazione rossore e imbarazzo, ma Cassandra la salvò. A modo suo.
“Da sobria lo farai molto più facilmente. Se Varric ti fa di nuovo bere così tanto lo strozzo, garantito. Domani mattina abbiamo da fare, Fedra, quindi vedi di andare a letto e di farti passare la sbronza”.
Dare una rispostaccia – no che non era sbronza, neanche lontanamente! - oppure approfittarne? Cos'era peggio, fingere di aver bevuto troppo o ammettere che il rossore aveva tutt'altra origine?
Di certo per quell'unico istante il piacevole imbarazzo causato dall'arrivo di Cullen era un diversivo rispetto all'idea di dover salvare il mondo.
“Giusto. A domani, suppongo”, disse, e dopo un cenno di saluto poco convinto si voltò per andarsene. Mentre percorreva la navata, però, ebbe l'intensa sensazione di essere osservata.
Fu la stessa giovane elfa che l'aveva accolta ad Haven il primo giorno a svegliarla al mattino.
O meglio, fu la netta sensazione di essere osservata nel dormiveglia a far socchiudere un occhio a Fedra.
“S-Scusate! Non volevo svegliarvi! Anche se in... in effetti dovevo svegliarvi...”
“Eh, direi che ci sei riuscita”, mugugnò Fedra. L'elfa, per quel che riusciva a vedere attraverso gli occhi ancora annebbiati dal sonno, strinse le mani al petto e un sorriso tremulo le si allargò sul viso pallido. Fedra la vide spostarsi per la stanza e armeggiare con le imposte.
“Argh! Era proprio necessario?” Fedra si coprì la testa col cuscino quando la luce abbagliante del giorno entrò dalla finestra.
“S-Scusate, ma devo...”
“Smettila di scusarti, ehm... Cosa... Senti, come ti chiami?”
L'elfa emise un singulto e tacque. Fedra emerse per metà dal cuscino e la guardò con la coda dell'occhio.
“No! Scusami! Ho detto qualcosa che non va? Non volevo farti piangere!” si affrettò a dire alzandosi a sedere di fronte all'elfa dagli occhi lucidi.
“L'Araldo... L'Araldo di Andraste mi ha... mi ha...”
“Ti prego, potresti smetterla? Se ti ho offesa...”
“Maren. Mi chiamo Maren, solo che la gente di solito non me lo chiede”.
Fedra ricadde sul materasso e si stropicciò gli occhi, tra l'esasperato e il sollevato. Almeno non aveva fatto qualcosa di sbagliato, apparentemente.
“Se la gente è cafona mi spiace molto. A casa di mio padre i servitori hanno un nome, che siano elfi o meno”.
Maren si pulì il naso con un fazzoletto e depose ai piedi del letto una pila di indumenti puliti. Nulla che Fedra non avesse tollerato per l'intera esistenza, ma i pochi giorni precedenti, privi del giogo delle formalità, le erano piaciuti di più.
“Come mai ti hanno mandata qui, Maren?” chiese nell'alzarsi a sedere. Tese le braccia sopra alla testa e si stiracchiò a lungo.
L'elfa sorrise e spiegò della biancheria pulita sul copriletto.
“Non ho fatto domande, Araldo...”
“Fedra. Mi mette meno ansia. Sono un po' stufa di ripetere alla gente di chiamarmi per nome”.
Maren avvampò ma non osò opporsi.
“F-Fedra. Scusate”.
“E basta scusarsi, non hai fatto niente di male!” Scostò le coperte e agitò i piedi nudi nell'aria fredda. “Prova a formulare un'ipotesi, se non hai informazioni concrete”.
La giovane elfa fece per sfilarle la camicia da notte ma Fedra la precedette, levandola e lasciandola a terra. Maren abbassò lo sguardo con pudore, un'altra delle qualità che Fedra sapeva di non possedere.
“Ora che avete dei C-Consiglieri, sign-Fedra, forse desiderano che iniziate a lavorare sul serio. E io sono qui per aiutarvi”.
La camicia era pulita ma fredda e indossarla peggiorò la pelle d'oca che le copriva le braccia, ma dopo aver aggiunto calze di lana e braghe pesanti Fedra si sentì meglio. Maren fece per inginocchiarsi e allacciarle gli stivali.
“Ehi! No! Cioè, va benissimo, sei stata in gamba e tutto il resto, ma... scusami, Maren, ma la gente che mi si inchina davanti mi mette tantissimo a disagio. Posso farlo da sola – non inchinarmi ai miei piedi, intendo allacciarmi le scarpe. Davvero!”
Gli occhioni obliqui si fecero ancora più grandi.
“Ma io devo servirvi, mi è stato ordinato e... e...”
“E io ti dico che hai fatto più che a sufficienza. Dimmi solo cosa devo fare io, adesso, e poi riposati”.
Le labbra sottili di Maren tremolarono ma per fortuna si stesero in un timido sorriso.
“La Cercatrice Pentaghast ritiene vi sarebbe d'aiuto qualche lezione con le truppe. Un po' di addestramento, ecco. Giù oltre i bastioni esterni”.
Aveva senso, in effetti. Fedra annodò l'ultimo laccio e, con una sonora pacca alle cosce, si alzò dal letto. La brocca di latte e la torta sul tavolo all'ingresso richiamarono l'attenzione del suo stomaco; prese una fetta e le diede un morso, che mandò giù bevendo a canna una sorsata di latte.
“Mh. Prendine un po' anche tu, Maren. Non è per niente male”, disse sputacchiando briciole tutt'attorno.
L'elfa diventò di un rosa acceso e fece per parlare, ma Fedra la precedette.
“E ti scongiuro, rilassati. Almeno quando sei con me, davvero: non mi piace essere servita. Apprezzo il tuo aiuto ma... meno deferenza, va bene? Mi fa venire il mal di testa”.
Maren riuscì ad annuire in fretta due o tre volte prima che Fedra uscisse; prima di chiudere la porta però fu cerca di vederla avvicinarsi alla torta con un gran sorriso stampato in faccia.
Haven era sveglia da chissà quanto, le botteghe aperte e la gente in strada intenta a chiacchierare e fare acquisti. Sembrava quasi che non ci fosse niente di strano nel cielo, che il Tempio delle Sacre Ceneri fosse ancora in piedi, massiccio e rassicurante in lontananza.
Sembrava che non fosse successo niente.
Sarebbe bello. Sarei ancora me stessa e nessuno si aspetterebbe niente da me. Invece...
I saluti e i piccoli inchini all'Araldo di Andraste erano una costante, anche se meno plateali rispetto ai giorni precedenti. Fedra rabbrividiva ogni volta che sentiva quel titolo.

Ovviamente non era l'araldo proprio di nessuno, tantomeno di Andraste, il cui nome provvedeva a bestemmiare a ogni occasione. Non c'era modo però di farlo capire a quella gente, figurarsi a Cassandra con la sua fede incrollabile o a Leliana e al suo sguardo stoico.
Passò davanti alle tende che continuavano a sorgere in ogni spiazzo disponibile della città, rubando stralci di conversazione e masticando la torta.
“... più cuoio, e non quella robaccia di capra che hanno cercato di vendermi la volta scorsa”, si lamentava una donna massiccia dietro a un tavolo ingombro di scartoffie. Il ragazzo al suo fianco annotava frenetico su un rotolo sgualcito. “Qui non posso certo fare tutto io!”
“Sì, Threnn”, rispose il garzone con il tono stanco di chi abbia ripetuto la stessa cosa per troppe volte.
Fedra se li lasciò alle spalle. Superò le scalinate di pietra e alla calma sinfonia di un villaggio in piena attività si aggiunse il clangore delle armi. Quando passò sotto alle immense porte che si spalancavano sul mondo esterno quel fragore si portò via tutti gli altri suoni.
Con un ultimo sbadiglio si spazzolò via le briciole dal mantello e guardò verso il campo d'addestramento.
Non era male, come prospettiva. Avrebbe mandato in bestia la sua famiglia – cosa che aggiungeva fascino all'idea – e le avrebbe forse consentito di resistere qualche secondo in più in caso di attacco. E poi...
“Su quello scudo! I tuoi schinieri possono sopravvivere a un colpo, il tuo collo no!”
Non era difficile individuarlo, nonostante il mantello rosso fosse gettato con noncuranza tra le braccia di una recluta impettita e piuttosto confusa. Cullen era più alto del resto dei soldati e il sole strappava scintille di metallo dalla corazza e dai riccioli biondi, così assurdamente in ordine nonostante stesse menando fendenti contro un poveraccio tutto appallottolato sotto a uno scudo a torre più grande di lui.
“Così, ragazzo! Piedi larghi e rimani in equilibrio!” e giù un'altra bordata. Il soldato scivolò indietro ma tenne la posizione e Cullen lasciò ricadere il braccio armato. “Stiamo migliorando, bene così. Ricordati che ogni livido che subisci in addestramento è un minuto in più di sopravvivenza sul campo di battaglia”. Si chinò verso di lui e gli tese la mano, tirandolo in piedi. Una pacca sulla spalla e lo vece voltare con brusco entusiasmo verso il resto dei commilitoni.
Fedra si pulì di nuovo la bocca da briciole inesistenti e si sistemò i capelli dietro alle orecchie sporgenti.
No, no. Così sembro ancora di più un nug, pensò nel lasciarli ricadere ai lati del viso.
Di colpo consapevole di avere dei piedi, così goffi lì in fondo alle gambe, si avvicinò al campo di addestramento con le guance sempre più calde.
Cullen stava riallacciando il mantello. Il sorriso entusiasta di poco prima aveva assunto una nota amara.
“Ne abbiamo di strada da fare”, lo sentì dire con rassegnazione. Quando alzò lo sguardo e incrociò quello di Fedra, però, il viso perse ogni espressione.
“Fedr-Inquisitore, sei tu! Sei qui per...”
“Ehm... buongiorno, Cullen. Comandante, volevo dire. Mi hanno detto che dovrei...”
“Cullen andrà benissimo. Sì, certo, dovresti... insomma...”
“Addestrarmi. Già”.
Anche Cullen aveva due pomelli rossi sulle guance pallide, di certo per aver passato buona parte della mattina all'aria fredda. Si scompigliò i capelli sulla nuca, salvo lisciarli subito con le dita, e abbassò lo sguardo.
“Comunque sì, buongiorno. Scusa, non ti ho neanche salutata. Ecco... l'addestramento, giusto. Un'idea di Cassandra, spero di poterti essere utile”. Si sfregò il naso con la nocca e fece un gesto vago verso le reclute che si allenavano. “Faccio del mio meglio. Tanti anni da Templare qualcosa hanno lasciato, per fortuna, ma... ho visto come combatti, mi sembri poco incline a brandire uno spadone o a combattere nel muro di scudi”.
Fedra ridacchiò e smosse la neve calpestata con la punta del piede.
“Già, non sono proprio la disciplina fatta persona”.
“Quella si impara”. C'era una nota quasi divertita nella voce di Cullen. Fedra lo sbirciò dal basso e per il tempo di un pensiero si godette il profilo stagliato contro le montagne, il naso dritto e l'ombra di barba sulla mascella squadrata. Si trattenne dal sospirare e il comandante si voltò a guardarla.
Le riuscì di imbastire un sorriso di circostanza che sperò non risultasse troppo inquietante.
“Templare, eh? Alla faccia della disciplina, comunque...”
Cullen sollevò una spalla.
“Niente che non fossi in grado di sopportare, ma io potrei non fare testo. Ho desiderato diventare un Templare fin da quando ero un bambino. Ero pronto a tutto pur di essere ordinato e credo di poter dire senza falsa modestia di essere stato l'alunno modello”. Una risata muta gli fece arricciare gli angoli della bocca. “Anche troppo, secondo alcuni”.
“E perché hai lasciato i...”
Troppo. Lo sguardo di Cullen si oscurò così all'improvviso da farlo sembrare un altro uomo. L'alone di sofferenza che lo circondava era quasi fisica e Fedra sentì il proprio cuore affossarsi.
“Ho chiesto troppo. Scusami, davvero, non volevo essere indiscreta. Troppo presto”.
“No, no, figurati. Dobbiamo lavorare assieme e hai tutte le ragioni per voler sapere... be', diciamo che non mi piaceva ciò che erano diventati. Lasciarli è stato più facile che rimanere, e mi è comunque costato molto”.
Rialzò la testa e guardò l'orizzonte, poi con un deciso scrollone delle spalle e un profondo respiro recuperò l'espressione gentile di poco prima. Si voltò verso Fedra e aggrottò le sopracciglia.
“Fedra, davvero. Non crucciarti, non hai fatto niente di male! Non sono arrabbiato”.
Fedra si mordicchiò il labbro e annuì.
“Va bene. Cercherò di essere più a modo, anche se in venticinque anni non ho capito come si faccia. Dicevamo – ehm – la disciplina. Un sacco di voti da prendere, immagino. Rinunce, sacrifici, cosa così”.
“Precisamente. Votarsi a una causa richiede sacrifici e determinazione; i voti sono qualcosa di personale ma devono rappresentare la volontà di mettere il dovere davanti a se stessi. C'è chi rinuncia alle proprietà di famiglia, chi fa voto di celibato...”
"No! Non tu, vero?”
Le parole le esplosero fuori dalla bocca prima che il cervello potesse urlarle che era una pessima idea. Rimasero lì, a ciondolare tra loro due, mentre la faccia di Fedra diventava rovente. Avrebbe tanto voluto smetterla di fissare Cullen con gli occhi sgranati, anche solo chiudere la bocca o non tirarsi uno schiaffo in piena fronte, ma stava rapidamente perdendo il controllo e il poco di dignità che le rimaneva.
Cullen avvampò in zona collo e strinse le labbra.
“Cos-cosa? Io... io... no, non ho... non ho preso quei v-voti, no. E... e... per lo spirito del Creatore, ti scongiuro, possiamo cambiare argomento?”
“Sì. Scusa. Scusami di nuovo. Io n-non so cosa mi sia venuto in mente. Scusa”.
“Lo hai già detto”.
“Lo so. Sc-ehm. Potremmo parlare di qualcos'altro, in effetti. Qualcosa che non riguardi i piaceri della carn- no. No, la smetto. Ehm. Addestramento?”
“Addestramento”, disse Cullen in tono definitivo. Ormai aveva nuca e gola dello stesso colore del mantello e la fronte imperlata di sudore. Fedra era sicura che non fosse stato così sudato dopo lo scontro con il soldato.
“Già. Buona idea”, e si voltò verso i manichini imbottiti che sembravano essere sorti dal terreno durante la notte insieme alle tende.
L'ho fatto di nuovo. Non devo parlare. Non devo fare cose difficili come cercare di comportarmi bene, perché guarda cosa succede. Ora mi detesterà e ne avrà ben donde.
“Dunque. Come ti dicevo prima che... prima, insomma, non sono un esperto di armi corte e leggere, ma possiamo provare a...”

“Inquisitore! Fedra!”
Una voce di donna squillò nell'aria e superò il chiasso delle armi. Fedra e Cullen si voltarono verso quel gradito diversivo dall'imbarzzo e si videro correre incontro Josephine, tutta avvolta in strati e strati di pellicce e con la punta del naso arrossata che sporgeva da sopra una sciarpa.
“Cosa succede?” D'istinto lanciò uno sguardo al cielo e subito dopo uno al marchio, ma nessuna delle due anomalie sembrava peggiorata rispetto al giorno precedente.
“Una lettera”, disse Josephine ansante. “Leliana l'ha appena ricevuta e... e riguarda te e l'Inquisizione. Venite, sembra importante”.
Fedra sentì il cuore accelerare. Cullen, al suo fianco, strinse i denti e aggrottò le sopracciglia. D'istinto Fedra gli si tenne vicina mentre risalivano per le scale di Haven, incapace di porre domande ma oscuramente rassicurata dalla sua presenza massiccia. La chiesa sembrava più distante che mai, circondata come era dalla minaccia senza forma delle notizie di Josephine. Questa, per quanto rabbrividisse e si tenesse le braccia strette attorno al corpo, li guidava a passi decisi. Dall'arco che incorniciava la porta d'ingresso pendeva uno stendardo che Fedra non aveva notato, decorato con lo stesso simbolo che marcava il rotolo di pergamena inchiodato al battente: un occhio circondato da raggi. Cullen le lesse lo sguardo e, nel cederle il passo per entrare, spiegò: "Siamo ufficialmente l'Inquisizione. La notizia deve essere arrivata a tutti gli angoli del Thedas e ho come il sospetto che a qualcuno la cosa non sia andata giù".
Fedra non trovò niente da commentare; pensieri sempre più cupi le si addensavano in testa mentre superavano la soglia della sala di guerra e Josephine si spogliava delle pellicce. Cassandra e Leliana alzarono lo sguardo dai fogli sparsi sul tavolo e un corvo appollaiato sulle travi del soffitto gracchiò piano. Tra il lamento dell'animale e le espressioni delle due donne l'atmosfera era plumbea.
Fu Cassandra a rompere il silenzio, un dito puntato sulla lettera.
"La Chiesa ti ha denunciata", disse senza tanti giri di parole.
Fedra batté le palpebre e si bloccò sulla porta.
"Scusa? Cosa ho fatto di male questa volta?"
Leliana le porse la lettera. Tre pagine fitte di una grafia tutta svolazzi tra cui distinse più volte il proprio nome e un paio di 'blasfemia' qua e là. Un esempio di suddetta blasfemia le affiorò alle labbra ma si spense prima di trovare suono.
"Niente di nuovo, ma la voce secondo cui saresti l'Araldo di Andraste si è diffusa. Questo ovviamente alla Chiesa non piace: sei una minaccia alla loro autorità, soprattutto adesso che non abbiamo una Divina. La Chiesa ha il terrore che i fedeli si voltino verso di te".
Le mani le stavano tremando. Neanche la presenza di Cullen curvo sulla sua spalla per leggere la lettera, così vicino da sentirne il calore, bastava a calmarla. Alzò gli occhi dallo scritto e fissò prima Leliana, quindi Cassandra.
"Tutti questo è ridicolo. Lo sapete, vero? Io non sono l'Araldo di nessuno... O almeno non credo..."
Cassandra strinse le palpebre.
"Questo non puoi saperlo fino a che non avremo recuperato i tuoi ricordi. Non puoi negare che la tua presenza abbia un che di soprannaturale, quindi..."
Josephine si sporse in avanti, gli occhi seri nel bel viso scuro.
"Con tutto il dovuto rispetto penso che non sia questa la faccenda di maggior rilievo al momento. La stoccata della Chiesa va a sommarsi alla già grave carenza di alleanze per l'Inquisizione".
Fedra si passò le mani tra i capelli. Un principio di mal di testa iniziava ad addensarsi dietro alla fronte.
"Non vi aspetterete che trovi io una soluzione, vero? Tutto ciò che ho è questa... Questa cosa sulla mano. Non so fare niente, non..."
"Siamo qui per aiutarti, Fedra", disse Cullen piano, chinandosi per guardarla in faccia. "Non siamo consiglieri solo per modo di dire, sai?"
Il tenue sorriso che gli sfiorò le labbra la aiutò a emergere da quell'istante di sconforto. Al resto pensò Leliana.
"In tutto questo abbiamo qualcosa di simile a una buona notizia", disse alzando lo sguardo su Fedra. "Come da tradizione la Chiesa non é unita, ora meno che mai. Per nostra fortuna, oserei dire. Almeno questa volta".
"Non posso dire che l'idea mi piaccia molto. Sfruttare le debolezze della Chiesa va contro tutto ciò che sono", disse Cassandra, le labbra tese.
"Vedila come un'occasione di rinnovamento, se vuoi", riprese Leliana con un'alzata di spalle.
Josephine prese da una mensola un'asse di legno coperta di fogli e sormontata da un mozzicone di candela. Da chissà dove fece sbucare con uno svolazzo una penna dalla punta affilata e la usò per picchiettare la tavoletta.
"Sono lieta di poter aggiungere una seconda buona notizia, allora. Durante il viaggio verso Haven ho attraversato le Terre Centrali. Non sono più di un paio di giorni di viaggio, anche meno se non si gradiscono le - ecco - comodità cui sono abituata io. Una zona che sta patendo molto lo scontro tra Maghi e Templari, mi duole ammetterlo. Laggiù si parla molto di una sacerdotessa, Madre Giselle, e di un suo aperto interesse per l'Araldo di Andraste..."
"Ancora? Mi farebbe molto piacere che l'intero mondo la smettesse di guardarmi come se fossi inviata da chissà qualche personaggio di fantas - ahio! Smettila di picchiarmi, Cassandra!" Scattò Fedra massaggiandomi la spalla su cui si era appena schiantato un pugno.
"E tu smettila di bestemmiare!"
"Mi sembra di sentire mia madre", ringhiò Fedra. Incrociò le braccia e distolse lo sguardo dall'espressione furente di Cassandra.
"So di non essere il più indicato quando si tratta di sottigliezze diplomatiche, ma se posso permettermi... Fedra, non importa quello che pensi del titolo che ti sei trovata appiccicata addosso", disse Cullen. Fedra cerco di controllare la propria espressione ma si rese subito conto di avere tradito l'amarezza improvvisa che quel l'affermazione le aveva causato. Cullen scosse la testa e mise le mani avanti. " N-No, credo di essermi spiegato molto male. Ovviamente quello che pensi è importante, non sei un oggetto da sfruttare a nostro piacimento. Però ecco... Per quanto sia pesante sentirti chiamare Araldo pensi di poterlo tollerare? Un soldato si sente rassicurato quando è un comandante a dargli ordini anche in virtù del titolo che quest'ultimo porta".
Cassandra lo guardò con chiaro orgoglio e annuì.
"Proprio così. Il nome che ti è stato dato ha fatto paura alla Chiesa; non mi stupirei se colpisse l'immaginazione della gente".
"Fantastico! Siete tutti ottimi oratori e guarda un po', mi avete quasi convinta che tutto questo mare di stronzate sia una buona idea! Quasi, appunto... Anche perché non ho ancora capito cosa vi aspettiate che faccia", sbottò Fedra. Fece molta attenzione a ignorare l'espressione ferita di Cullen; era molto più facile concentrarsi sulla rabbia di Cassandra o il gelo di Leliana.
Invece fu Josephine a parlare, leggera e pragmatica.
"Recarti presso le Terre Centrali e parlare con Madre Giselle. Potremmo inviarle un corvo, è ovvio, ma certe questioni si affrontano meglio di persona. E tu sei quella più indicata per una simile missione".
"Ma io non sono capace di..."
"Di imparare? Fedra, non so se sia più mancanza di autostima o desiderio di fuggire dalle responsabilità, ma in ogni caso non permetterò che ti paralizzi. Andremo a parlare con Madre Giselle ", tagliò corto Cassandra. Impietosa, brutale.
Aveva ragione, accidenti a lei, e l'orgoglio di Fedra bruciò furiosamente.
"Un'ottima idea", approvò Josephine. "Suggerirei di portare un piccolo seguito, considerate le condizioni instabili delle Terre Centrali".
"Sarei onorato di poter partecipare alla spedizione", rispose subito Cullen. Cassandra, per motivi insondabili, emise un profondo verso disgustato che rimise subito a posto il comandante. "M-Ma non posso assentarmi da Haven, non con un esercito da addestrare", concluse sfregandosi la nuca.
Fedra abbassò il capo per nascondere la sgradita onda di delusione che le risaliva per il viso.
"Concordo. Sono certa che entro domani avremo trovato le persone più indicate per accompagnarvi. Datemi due ore e avrò organizzato tutto per la partenza", disse Josephine scribacchiando sui suoi fogli. Mise un punto così deciso in fondo a una frase da far scricchiolare la pergamena, alzò lo sguardo e sorrise. "È la mia specialità!"

 

"Questo sarebbe il seguito che ci ha promesso Josephine".
La voce di Cassandra era piatta, il viso contratto.
"E di cosa ti lamenti, Cercatrice? Puoi tenermi d'occhio e in più godere della mia frizzante simpatia. Non capisco cosa vorresti di più!" Varric si sistemò Bianca a tracolla e montò in sella con inattesa agilità.
"Tu. E un elfo apostata che..."
"Che conosce l'Oblio meglio di tutti i consiglieri messi assieme - con tutto il dovuto rispetto - e che ha ricevuto rapporti sulla presenza di altri squarci nelle Terre Centrali? Cassandra, mi permetto di farti notare che potrei non essere un'aggiunta così sgradita al gruppo". Solas non si scompose mentre accarezzava il muso della cavalla grigia che gli avevano assegnato. Alzò il viso pallido verso Cassandra e le concesse un sorriso pacato. Questo sembrò destabilizzarla; Fedra provò quasi un moto di solidarietà nei suoi confronti a vederla agitarsi in sella con le labbra strette.
"Mph. Ce lo faremo andare bene, anche perché so che siete entrambi in grado di combattere; avrei preferito avere anche Cullen ma..."
Varric si schiarì la gola e Cassandra lo guardò male.
"Hai detto qualcosa?"
"Io? Certo che no! Tutti avremmo voluto portarci dietro Ricciolino ma si fa quel che si può. Vero, Fedra?"
Uno strano commento. Fedra infilò il piede nella staffa e montò in sella, gli occhi stretti contro l'alba. Cullen si era presentato alla chiesa prima che partissero, con il cielo ancora buio e gli occhi assonnati, a suo dire solo per assicurarsi che tutto fosse a posto per la partenza. Josephine si era quasi offesa per quella mancanza di fiducia.
"Non credo sarebbe stato prudente portarlo via dalle sue reclute, ne ho viste un paio rischiare di amputarsi un piede durante gli allenamenti", ammise a malincuore.
"Sia quel che sia, non perdiamo tempo. La stagione non è delle migliori per viaggiare ma non abbiamo alternative. In marcia", ordinò Cassandra dando di sprone.
I calcoli di Josephine si erano rivelati più che corretti. Dopo una notte trascorsa in una locanda sulla strada appresero che il conflitto tra Maghi e Templari si era effettivamente inasprito a causa di un rinfacciarsi a vicenda le colpe per il Conclave, risultando in un assedio ai villaggi delle Terre Centrali. Raccolsero storie cupe di assedi e profughi che cercavano rifugio dove capitava, a povera gente che pativa la fame in una zona fino a a poco tempo prima ricca e fertile.
Quella notte Fedra non riuscì a dormire, tormentata dal ricordo degli occhi che l'avevano fissato durante la serata, attratti dal marchio che non era stata abbastanza rapida a nascondere, dalla lacerante nostalgia per i suoi genitori e persino per sua sorella e da un qualcosa di indefinito che bruciava in fondo alla pancia. Si sentiva esposta, vulnerabile e sbagliata. Insomma, peggio del solito. Al mattino era stravolta, demotivata e con gli occhi pesti, intollerante verso tutto.
Solas trascorse le prime ore a descrivere con calma competenza le terre che stavano attraversando, sottolineando tutto ciò che potesse tornare utile all'Inquisizione.
"Hai parlato di altri squarci, vero?" Lo incalzò Cassandra, interessata.
"Esatto. Non delle dimensioni di quello al Tempio, per nostra immensa fortuna, ma paragonabili al primo che abbiamo chiuso. Ciascuno di essi presidiato da demoni e spettri di varia natura, come abbiamo avuto modo di..."
"Va avanti ancora a lungo questa lezione?" sbottò Fedra dopo un sussulto del cavallo che le peggiorò il costante mal di testa. Solas e Cassandra la guardarono con un misto di offesa e fastidio che ridusse al mutismo quelle proteste irritate.
Umiliata, Fedra incassò la testa tra le spalle e li segui in silenzio.
Facile per loro parlare. Mica avevano un nome ingombrante da giustificare o imprese epiche e terrificanti da compiere... Anche se queste ultime erano per lo più frutto delle paranoie di Fedra.
Loro erano... loro. E non essere il presunto l'Araldo di Andraste forse era comodo.
Uno scalpiccio di zoccoli le si avvicinò.
"Ehi, ragazzina". La voce di Varric era bassa e gentile, quasi troppo per riuscire a tenergli il muso.
"Cosa c'è, è il tuo turno di farmi il culo?"
Il nano rise e scosse la testa.
"Sono l'ultima persona al mondo che ha il diritto di dirti come comportarti, Carota. Però posso darti un consiglio? Sentiti libera di dire di no".
Quello non la aiutò a sentirsi meno in colpa. Sospirò e annuì.
"Sei l'unico qui attorno che non mi tratta come se fossi una mentecatta, quindi vai pure".
"Tanto per cominciare non usare le lenti dell'insicurezza per analizzare l'opinione che il resto dell'Inquisizione ha di te. Cassandra ha un carattere di merda - non dirle che te l'ho detto, ti prego - ma un cuore grande, le piace il tuo coraggio e la tua disponibilità al sacrificio, mentre Solas mi sembra decisamente troppo sicuro di sé per lasciarsi urtare dai capricci di una ragazzina. con tutto il rispetto".
"Nessuna offesa".
"A me piaci davvero, Carota, e non solo a me. Credimi. Però cerca di non reagire sempre così: credo che a modo loro stiano cercando di spiegarti come affrontare questa situazione assurda. Siamo una squadra, anche se un po' improbabile".
"È che... che... Varric, mi sento troppo stupida per questo compito, e stiamo solo andando a parlare con una sacerdotessa che per giunta non sembra detestarci più di tanto. Figurati il resto!"
"Siamo qui per questo, Fedra. Tutti noi". Si frugò in tasca e ne estrasse un foglio ben ripiegato. "Tieni. Le parti più personali devi aggiungerle tu, ma credo di aver esposto il quadro generale in modo chiaro e lucido".
Fedra si sporse di sella e prese il foglio. Varric aveva una calligrafia spigolosa ma ordinata.

Cara Made, gentile padre - qui mettici quello che preferisci, sono stato sul generico -
Sono viva. Credo che questa sia la parte più importante di questa missiva: sono viva, sto bene, non sono in pericolo di vita o prigioniera. Mi dispiace scrivervi con tanti giorni di ritardo e posso solo immaginare lo stato di angoscia in cui potete trovarvi, ma dopo la tragedia del Conclave tutto si è fatto molto complicato.
Non so quali voci abbiate sentito riguardo gli avvenimenti al Tempio delle Sacre Ceneri ma ecco un resoconto stringato e di prima mano: un'esplosione ha squarciato il tempio e ucciso tutti i presenti, compresa la Divina. Per ragioni che esulano le regole della realtà io sono sopravvissuta. Solo io.
Sentirete storie strane sul mio conto, vi parleranno dell'Araldo di Andraste... Non so cosa significhi ma una cosa è certa: la tragedia del Conclave ha dato origine a una minaccia che incombe sulle a vite di tutti noi, e a quanto pare è necessario che io faccia la mia parte per proteggere questa terra e i suoi abitanti. Suona strano, poco chiaro? Lo so, non posso fare altrimenti. Troppi dettagli metterebbero in pericolo l'Inquisizione cui mi sono unita e la vostra stessa incolumità.
So che non è da me chiedervelo ma pregate per me. Ho paura e mi mancate, ma questa volta non posso starmene in un angolo e fingere di non vedere. Non posso essere solo una spettatrice che sceglie di stare in disparte ed evitare le responsabilità. Suonerà incredibile ma devo fare la mia parte e non posso tirarmi indietro.
Vorrei che foste fieri di me, almeno questa volta, e al tempo stesso vorrei tornare a cosa e sapervi al sicuro. Ma il mio posto è qui, sotto lo stemma di questa Inquisizione che sembra contare anche troppo su di me.
Madre, padre, pregate per me perché ho bisogno di sapere che pensate a me e che siete orgogliosi di chiamarmi figlia.
Spero di potermi mettere presto in contatto con voi, ma se così non fosse non temete,se mi dovesse capitare qualcosa lo verreste a sapere.

Vi abbraccio con affetto - anche qui, correggi pure se sono stato troppo sdolcinato, non urterai la mia sensibilità artistica.

Erano rimasti indietro rispetto a Solas e Cassandra, più in basso lungo il sentiero battuto che conduceva al primo villaggio delle Terre Centrali. Cassandra si voltò a guardarli ma non mise loro fretta e Fedra si asciugò furtivamente una lacrima.
"Non avere paura di sembrare spaventata", sussurrò Varric dandole una pacca sul braccio. "Nessuno si aspetta che tu non lo sia".
"È che... È perfetta, Varric. Davvero. E... E non credo che nessuno abbia mai fatto qualcosa di così gentile per me..."
Il nano sbuffo una risata rauca.
"Non fare troppe scene adesso, sono solo una dozzina di righe per far sapere ai tuoi che stai bene. Copiale e fine della storia, Carota".
Un sorriso le tremò sulle labbra. Si passò la mano sugli occhi e respirò a fondo.
"Grazie".
"Adesso ricomponiti e preparati a sembrare il più inquisizionesca possibile, mh?"
"Non esiste quella parola!"
"Se possiamo chiudere squarci nel velo possiamo inventare parole". Colpì coi tacchi i fianchi del cavallo e lo spronò in avanti.
Fedra lo seguì con il cuore più leggero.

 

Bentornati di nuovo alle disavventure dell'Araldo di Andraste meglio nota come Imbarazzo dei Trevelyan.
Se ve lo state chiedendo sì, Cullen è sostanzialmente Shang. Questa cosa non me la toglierò mai dalla testa. Seguiranno svariati capitoli di imbarazzo reciproco tra lui e Fedra <3
E Varric è l'amico che tutti vorremmo avere: la sua disapprovazione in gioco è straziante quasi quanto quella di Cole.
Lasciamo Haven, quindi, per andare in guerra davvero. Ci sarà poco da divertirsi.. o forse no!

Grazie a tutti voi che ancora siete da queste parti e buona lettura!

 

Val

 

 

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Capitolo 5
*** 5 - Queste mani non torneranno mai più pulite. Qualcuno mi aiuti. ***


Cassandra si sporse oltre il margine della scarpata, verso quel che restava del villaggio sottostante.
"È molto peggio di quanto temessi", mormorò.
"Temo che i miei resoconti fossero un po' carenti nel descrivere la puzza", disse Harding con una scrollata delle spalle massicce. La nana si voltò verso l'accampamento alle sue spalle e alzò la voce. "Tutto bene, Inquisitore? Avete un curioso colorito grigiastro".
"Benissimo. Sto benissimo", annaspò Fedra aggrappata alle redini del cavallo. La nausea le comprimeva il petto e le faceva formicolare la mandibola per quel fetore di rifiuti umani e carne bruciata che le attanagliava il naso. Ma non era neanche quella la cosa peggiore: l'aria era piena di grida, gente che piangeva, voci che chiamavano qualcuno che non rispondeva. Che non avrebbe mai risposto. Appoggiò la fronte al fianco del cavallo e ne inalò il rassicurante odore animale.
La cacofonia, però, non se ne voleva andare.
Si era aspettata di scoprire che Maghi e Templari fossero ancor più del solito ai ferri corti – il Conclave doveva cercare di metterli d'accordo e l'esplosione si era trasformata in una scusa in più per farsi la guerra - ma non così tanto. Harding aveva riportato di scontri costanti nelle Terre Centrali, elette loro malgrado a campo di battaglia tra le due fazioni, incuranti dei danni collaterali. Avevano incendiato case con dentro occupanti sospettati di essere nemici, rubato provviste e stuprato tutto ciò che riuscivano a tenere fermo abbastanza a lungo. Il villaggio - il crocevia tra le principali vie di comunicazione della regione - era ridotto a uno scheletro di casupole mezze bruciate attorno a cui era sorta una distesa di bivacchi per i profughi.
Fedra si concentrò sul proprio respiro.
Maghi, da sempre accusati delle peggiori efferatezze anche quando non ne avevano colpa; Templari, votati a proteggere la gente dalla magia fuori controllo e trasformati in bande di mostri schiavi del lyrium e della sete di sangue.
Cullen è meglio di così. Non avrebbe mai fatto niente di simile.
Il tentativo disperato di concentrarsi su qualcosa di nobile, sulla sensazione di sicurezza che il comandante riusciva a ispirarle si infranse quando una donna, in lontananza, lanciò un gemito acuto, lacerante. Fedra strinse più forte le redini e si rannicchiò contro al cavallo, facendolo sussultare.

Il contatto inatteso di una mano calda sulla propria le fece spalancare gli occhi contro il pelo baio.
"Così non gli fai un favore", disse la voce bassa e calma di Solas. Le sciolse le dita avvinghiate alle redini e mormorò qualcosa in elfico, una lieve cantilena che fece rizzare le orecchie del cavallo. L'animale gli sfregò il muso morbido contro la spalla e gli permise di condurlo via per assicurarlo a un ramo basso lì accanto.
L'elfo sorrideva quando tornò da Fedra. Quelle poche frasi in una lingua che non conosceva erano bastate a restituirle un briciolo di calma, morbide e lente com'erano. Deglutì a fatica e prese fiato.
"Non avevi mai visto gli effetti della guerra, vero, Fedra?"
Dritto al punto. Gli occhi le pizzicarono e fu costretta ad abbassare il viso.
"Mai".
Solas le mise un dito sotto al mento e glielo sollevò con dolcezza.
"Te ne vergogni? Non dovresti. Sei solo giovane e molto innocente, due qualità preziose".
Fedra sbuffò una risata amara.
"Tutta questa storia si sta rivelando un po' più grave del previsto. Pensi davvero che giovane e innocente siano qualità utili in questa situazione?"
Con un sorriso triste Solas lasciò ricadere la mano.
"Ti stupirebbe scoprire quanto. Ho visto anche troppe guerre per credere ancora che siano ardimento e spregiudicatezza a cambiare le cose, e so che sotto sotto sei d'accordo con me. Non credi che quello che rende il nostro Cullen qualcosa in più che un semplice combattente sia il suo cuore e non solo il braccio che regge la spada?"
Fedra lo guardò dritto negli occhi con un movimento improvviso.
"E adesso cosa c'entra..."
"Ogni cosa è collegata, Inquisitore. Ogni storia, ogni sogno. Quello che di piccolo puoi fare oggi potrebbe avere ripercussioni potenti che neanche ti immagini. Possiamo solo fare del nostro meglio".
Si sentiva stranamente confortata quando Solas la salutò con un mezzo inchino e raggiunse Varric e Cassandra sulla strada che portava a valle. Il fumo dei fuochi e i gemiti erano sempre lì, ma almeno riusciva a respirare.
Harding la guardò sfilarle davanti mordicchiandomi il labbro, ma prima che Fedra la superasse la fermò.
"Inquisitore, là sotto c'è gente che ha perso tutto. Madre Giselle è una delle loro poche speranze, anche se non l'unica ora che ci siete qui anche voi. Io... Ricordo com'era questo posto fino a poco fa e so che può guarire. Se posso aiutare in
qualsiasi modo lo farò".
Cosa si rispondeva in una situazione simile? Fedra annuì e le tese la mano, sperando bastasse. Quella di Harding era piccola e solida, una stretta energica che le fece quasi male alle dita.
"Non ne ho mai dubitato", disse piano prima di incamminarsi dietro il resto del gruppo.
I compagni erano a non più di un centinaio di passi da lei, tre sagome male assortite che camminavano in silenzio. Fedra non si affrettò a raggiungerli, grata di quell'attimo con se stessa che le permetteva di assorbire le conseguenze della guerra.
Una privilegiata, ecco cosa era stata per tutta la vita, una sciocca che faceva i capricci ignorando i veri problemi.
Ho passato anni a crogiolarmi nell'ignoranza e a giocare a fare la ribelle. Non ho mai neanche pensato che...
Un fruscio tra i cespugli alla sua destra.

Fedra vide Cassandra voltarsi verso di lei e Solas afferrare il bastone, ma troppo lentamente. Dalla vegetazione sul ciglio della strada emerse una figura bardata di nero, uno spadone a due mani levati sopra una testa che sfoggiava l'elmo dei Templari.
Non fu il grido di guerra di Cassandra o la scarica di fulmini di Solas, un lampo a pochi passi dal nemico, a salvarla. Fu l'istinto, puro e semplice.
Fedra si trovò i coltelli in mano senza quasi rendersene conto e schivò di lato il fendente che le avrebbe fracassato testa e spalla. Lo spadone si abbatté al suolo a meno di una spanna da lei e il Templare la recuperò con un ruggito. Durò una frazione di secondo, il tempo tra il pensiero e il respiro. Uno spicchio di pelle balenò tra lo spallaccio e il collo dell'armatura raffazzonata e Fedra scattò in avanti.
Sopravvivenza. Riflessi da animale selvatico risvegliati dal pericolo imminente.
La pelle era più morbida di quella dei demoni, sangue rosso, non nero, che le schizzava sulle mani e in bocca. Il Templare perse la presa sull'elsa e annaspò, le mani frementi che salivano a coprire la ferita.
Sangue. Ancora. Troppo sangue e Fedra cadde seduta ai piedi dell'uomo rantolante. Il getto spruzzò lontano una volta, due, e la terza fu già più debole. Con fragore di metallo il Templare cadde in ginocchio e scivolò nella pozza rossa.
Fedra non riusciva a respirare. La stretta brusca che la strappò dal largo di sangue era di Varric, sua la voce frenetica che la richiamava.
"Via, Fedra. Vieni via di lì!"
Non riusciva a muoversi. Impossibile alzarsi, prendere fiato. Impensabile chiudere le palpebre contro quella morte.
Cassandra calciò via la spada del guerriero e lo ribaltò sulla schiena. Con un singolo gesto brusco gli strappò l'elmo dalla testa e lo mandò a rotolare nel fango cremisi.
Aveva ancora gli occhi aperti, una scintilla di vita che si spegneva per sempre. Iridi nere in un sclera iniettata di sangue. Per uno scherzo della luce Fedra credette di vedere un bagliore rosso nelle profondità di quello sguardo senza luce, ma prima che potesse realizzarlo Cassandra lasciò cadere il cadavere con un verso disgustato.
"Ho un brutto sospetto", disse sputando per terra. "Dobbiamo... Oh! Stai bene, Fedra?"
"Certo che non sta bene, Cercatrice! Sono sicuro possa arrivarci persino tu!" Ringhiò Varric. La teneva stretta, un braccio tozzo sulle spalle e una mano avvinta al suo polso.
Fedra non riusciva a controllare il proprio corpo, che all'improvviso cominciò a tremare forte. Batteva i denti e un verso inarticolato le saliva dalla gola. Cassandra lascio perdere le invettive e le si inginocchiò davanti, incurante del sangue che le imbrattava le ginocchia.
"Sei ferita? Cosa ti ha fatto? Ah, avrei dovuto tenerti d'occhio e starti vicina, come ho fatto a non pensarci? Stai bene?"
Le tastava il viso e la guardava da vicino, gli occhi grigi immensi e lucidi. Fedra riuscì a scuotere la testa una volta.
"S-Sto bene", biascicò.
"Una favola, a parte il fatto che tremi come un pulcino e hai gli occhi sbarrati", disse Varric. Solas sbucò dai cespugli con le labbra strette e la fronte aggrottata.
"Non ne ho visti altri. Un cane randagio".
Cassandra lo ringraziò con un cenno del capo ma tornò subito a concentrarsi su Fedra. Il cipiglio che le contraeva il volto si spianò in un istante quando un barlume di comprensione le si accese nello sguardo e le labbra si socchiusero.
"Era il primo, vero?" Chiese in un soffio.
Il primo. La prima vittima, il primo morto, il primo uomo cui toglieva la vita. Non un demone: una persona. Qualcuno che aveva pochi anni più di lei e gli occhi neri, che aveva una famiglia e aveva riso alle battute di un amico. Che aveva amato qualcuno prima di cercare di ucciderla.
Il respiro le si strozzò in gola e uscì in brevi ansiti.
"Oh, buon Creatore... Fedra, lo so, fa malissimo. Avrei dovuto prepararti meglio,è tutta colpa mia se ora stai così, ma sei viva. Ti sei difesa ed era tuo diritto farlo, non... non..." Cassandra alzò le mani e le lascio ricadere mentre le parole le si spegnevano in gola. Scosse la testa una volta e si slanciò in avanti, strappando Fedra dalla stretta di Varric e abbracciandola forte.
Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata. Sotto gli odori di cuoio, metallo e fatica Cassandra aveva un inatteso profumo di rose e quell'abbraccio brutale sapeva di protezione, di sicurezza. Fedra vi si abbandonò, premendo la fronte contro la spalla coperta di armatura e lasciandosi sfuggire un singulto doloroso.
"S-Sono un'assassina", gemette. Cassandra se la scostò di dosso e la guardò da vicino, seria ma con gli occhi ancora lucidi.
"Non dirlo mai. Sei in guerra, Inquisitore, e non ne uscirai con le mani pulite. Hai ucciso per salvarti la vita, nessun Creatore potrebbe condannarti per questo. E... e neanche la tua coscienza dovrebbe, visto che la fede non è un grande sprone, per te".
"La prossima volta ti staremo più vicini", promise Varric. Le tese una mano e Fedra, dopo aver guardato una Cassandra sfocata oltre il velo delle lacrime, la accettò. Si alzò in piedi ancora tremante e incerta.
"Non voglio che ci sia una prossima volta..."
"Ci sarà". La voce di Solas era spietata. "E tu sarai più forte, più capace di affrontarla".
In quel momento le sembrava molto improbabile. Le energie l'avevano abbandonata e fu quasi una sorpresa quando la vista di Cassandra che frugava il cadavere le fece provare un guizzo di indignazione.
"Ma cosa..."
"Devo capire chi è e magari chi lo manda, sempre che non fosse solo un bastardo accecato dalla guerra. Non vorrei fossi proprio tu l'obiettivo in quanto membro dell'Inquisizione e Araldo di Andraste", disse asciutta. Quando la guardò, però, Fedra le vide sul viso l'ombra dell'affetto brusco che aveva lasciato trapelare poco prima. Cassandra strappo una borsa di cuoio dalla cintura del morto e la ribaltò per terra, mandando a rotolare in giro un assortimento di cianfrusaglie. "Niente di utile... Un paio di dadi, un coltellino..."
Qualcosa di scintillante rotolò fino ai piedi di Fedra. Con un brivido di riscosse dal torpore e si accucciò, aiutata da Varric. L'anello si fermò contro la punta del suo stivale e Fedra si chinò a raccoglierlo; un oggetto di poco valore, metallo chiazzato di verde con un motivo a foglie. All'interno un nome: Maura.
"Tienilo", disse Solas da oltre la sua spalla.
"Non lo voglio!"
"Tienilo", ripeté convinto, "Non puoi sapere cosa metterà in moto".
Si voltò a guardarlo perplessa. Quali segreti custodiva quello strano elfo comparso dal nulla, capace di leggere dentro alle persone e con un piede nel mondo dei sogni? Solas però non aggiunse altro né la guardò, e poco dopo Cassandra li fece rimettere in marcia.
Per tutto il breve tragitto fino al villaggio non lascio il suo fianco, lo scudo sollevato quel tanto che bastava per coprire anche lei. Fedra le si tenne vicina, unico conforto tra un'occhiata al cada vere abbandonato sulla strada e l'altra.
"Basta così, Carota", le disse Varric allungando il passo per tenere dietro alle lunghe gambe di Cassandra. "Non lo riportarsi in vita continuando a guardarlo, e per fortuna, direi".
"Avrò gli incubi per mesi..."
"Li abbiamo avuti tutti. Qualcuno li ha ancora. Ci si convive", tagliò corto Cassandra guardando il campo profughi davanti a loro. "Ti chiedo molto, lo so, ma cerca di concentrarti su Madre Giselle ora. Avremo tempo per affrontare il trauma
più tardi".
Fedra strinse i pugni. Gli occhi di quell'uomo la ossessionavano e Cassandra si aspettava che si dedicasse alla diplomazia? Assurdo.
Tuttavia la frenesia del villaggio aiutò a tenere lontani i fantasmi. Superarono le prime tende rattoppate attorno alle fattorie dai tetti sfondati e Fedra sentì la propria sofferenza impallidire. Non vide un solo paio di occhi sereni: erano tutti gonfi o rossi per il pianto, la stanchezza, le eterne notti di guardia. Sguardi vacui che la guardavano come se non esistesse e passavano oltre, rapiti da dolori troppo grandi per le parole. All'improvviso Fedra si sentì trasparente, ignorata da tutti. Inutile.
Una sensazione che riusciva a essere peggio della responsabilità.
Rallentò il passo senza che Cassandra se ne accorgesse; un cacciatore smunto stava riducendo in porzioni troppo piccole un coniglio ossuto, una donna tossiva in uno straccio sotto a una tettoia, avvolta in una coperta lacera.
E io ho ucciso uno di coloro che hanno causato tutto questo...
Il pensiero non la fece stare meglio ma mandò a posto un tassello nella sua anima. Alle sue spalle una voce si levò dal chiasso.

"... a chiamare Maura. Sta arrivando, credo".
Fedra si paralizzò e si guardò in giro. Era stata una donna anziana a parlare, i capelli grigi che sfuggivano dal fazzoletto legato attorno alla testa.
L'anello le pesava in tasca. Fedra vi frugò e lo tenne stretto in pugno, un piccolo peso rovente di colpa. I tre compagni erano finiti chissà dove.
Solo un attimo, non ci vorrà molto.
Mordicchiandosi il labbro Fedra avanzò verso la vecchia. Stava ancora pensando a cosa dire quando questa dedico la propria attenzione a un'elfa dai capelli neri e le labbra pallide.

"Eccoti qui, Maura. Ho bisogno di altra radice elfica, vai a prenderla dalle scorte. Sbrigati!"
L'elfa non fece altro che un rapido cenno del capo, senza mutare l'espressione grave, e se ne andò.
Fedra trasalì nel vederla allontanarsi e aprì la mano. Un brutto anello. Un nome. Possibile? Si riscosse e la seguí tra la folla fino a una pila di casse di legno.
Vista da vicino Maura era ossuta, spalle sottili sotto una casacca Lisa. Le vertebre sporgevano lungo la schiene curva su una cassa aperta.
Indugiando a pochi passi da lei Fedra si rigirò l'anello tra le dita e cercò un senso a quel che stava facendo.
La voce uscì acuta, lieve.
"Maura?" Chiese piano.
"Ora non posso, signora", fu la brusca risposta. Maura non si voltò neanche a guardarla.
Fedra si schiarì la voce e si avvicinò di più.
"Ho una cosa... Ho trovato questo. Forse è vostro".
L'elfa si voltò con un sospiro stanco. Aveva segni scuri sotto gli occhi e le palpebre cascanti.
"Sentite, io... Oh".
Quando lo sguardo si abbassò sul palmo di Fedra qualcosa cambio sul viso sottile. Maura si portò le dita alle labbra.
"È vostro, allora?" Chiese Fedra, un nodo di pianto a serrarle la gola. Maura le prese l'anello dalla mano con un leggero sorriso tremante.
"Dove lo avete trovato?"
"Addosso a un Templare che m-mi ha attaccata". Le lacrime iniziarono ad affollarsi sulle ciglia. L'elfa accarezzò l'anello con un sospiro.
"Dieci giorni fa hanno ucciso mio marito. I Templari, ecco chi é stato. E gli hanno portato via la nostra fede nuziale perché pensavano fosse un artefatto magico". Levò su Fedra gli occhi lucidi. "Lui era solo un contadino. Non era mai stato nient'altro che un contadino e questa... questa la nostra fede. Di quando ci siamo sposati. Non mi rimane altro di lui e voi... voi me l'avete riportata".
"Mi dispiace", disse Fedra, la voce nasale e le guance bagnate. Maura sorrise ancora di più.
"Questo é un piccolo miracolo. E non so nemmeno chi voi siate".
"F-Fedra. Solo..."
L'elfa si illuminò e le gettò le braccia attorno alla vita.
"Grazie. Di tutto cuore, grazie: avete ridato a me un po' di serenità e allo spirito di mio marito la pace", mormorò frenetica. E poi la lascio andare di colpo, bianca come un cencio. "Aspettate... voi siete..."
"Inquisitore!"
La voce di Cassandra tagliò l'aria. Fedra si voltò di scatto e si asciugò gli occhi sperando di non essere notata.
"Siete voi, dunque..." mormorò Maura.
"Devo andare", disse in fretta Fedra. Le strinse il polso in un tacito, muto commiato e si allontanò, quasi lieta di lasciarsi alle spalle quella gratitudine.
Cassandra l'aspettavo vicino alla donna che tossiva. Sul viso sfregiato aleggiava un'espressione strana. Compiaciuta?
"Brava, Fedra. Hai fatto la cosa giusta".
"Le ho solo ridato un anello..."
"E in un colpo solo hai dato sollievo a una vedova e dimostrato che l'Inquisizione lavora per il popolo. Non una cosa da poco".
"Ma io non... non..."
Cassandra le diede un colpetto sulla spalla.
"Pensavi ti avrei persa di vista un'altra volta? Coraggio, abbiamo trovato Madre Giselle".
Le girava la testa peggio che prima. I giorni dopo il Conclave le avevano regalato una sequela di shock eppure non riusciva ad abituarsi.
Le trottò dietro su per la scalinata e in mezzo a una folla sempre più fitta. I cori di lamenti si fece più intenso mentre si avvicinavano a una spianata ingombra di barelle e lettighe.
"No! No, tenetemela lontana!"
"Ragazzo, stiamo cercando di curarti, devi..."
"Tenetemela lontana! È una maga, mandatela via!"
Due donne incombevano su un ferito recalcitrante. L'uomo scalciava e si contorceva perdendo sangue da uno squarcio al fianco, disperato nel suo tentativo di allontanare una maga dalle vesti scure.
"Madre, io non so più cosa fare, non posso costringerlo a..."
La seconda donna, nella tonaca rossa e bianca della chiesa arrotolata fin sopra i gomiti, si pulì il viso scuro e segnato con la manica, si alzò e posò le mani sulle spalle del ferito.
"Figliolo, tu ti lascerai curare o morirai. E io non ho intenzione di perdere anche te". Aveva una voce calda, dai marcati toni orlesiani.
"La magia ha fatto questo! Tenetela lontana, Madre, non può fare niente di buono!"
"Madre Giselle, io ve lo giuro, non gli farei nulla di male!" La maga sembrava disperata.
"Lo so, ragazza, lo so. Ora però..."
Madre Giselle si chinò sul ferito e gli staccò un pugnale dalla cintura. Lo brandì e lo puntò in faccia all'uomo.
"Questa lama può tagliare una gola o il cordone ombelicale di un bambino. Può affettare una mela, minacciare la tua famiglia oppure difenderla". Lasciò cadere l'arma e l'espressione si addolcì mentre accarezzava la guancia esangue
dell'uomo. "Lo stesso vale per la magia: uno strumento, nulla più, nelle mani di chi può farne qualcosa di buono o qualcosa di malvagio. Devi vivere, figliolo. Puoi farlo".
Il ferito ammiccò più volte e ricadde sul lettino, le labbra strette. Giselle fece un cenno alla maga e le sorrise, indicandole il paziente.
Cassandra condusse Fedra fino alla sacerdotessa, trovandola intenta a lavarsi le mani in un bacile.
"L'Inquisizione viene a cercare alleati improbabili", disse con un sorriso.
"Solo quelli che vale la pena avere come amici", rispose Cassandra. L'espressione di Giselle si rilassò quando si voltò verso loro due.
"Cercatrice Pentaghast, non posso dire di non avervi aspettata". Lo sguardo dei dolci occhi scuri scivolo lungo Fedra fino al marchio che brillava quieto sulla mano. "E voi dovete essere l'Araldo di Andraste".
"Fedra. Solo Fedra, madre".
Le si avvicinò con grazia e le accarezzò la guancia, un gesto così intimo che la colse alla sprovvista.
"Povera bambina, gettata in mezzo alla tempesta. La Chiesa è divisa su di voi, lo sapete?"
"Intendete dire che ci sono quelli che mi odiano, quelli che mi odiano tanto e quelli che mi odiano tantissimo, no?".
Cassandra bofonchiò qualcosa sull'andare a recuperare Varric e Solas e si defilò, lasciandole sole - per quanto sole potessero essere in mezzo ai feriti.
Fedra, stranamente, non si sentì in pericolo.
"Alcuni membri in effetti vi vedono come una minaccia, un'usurpatrice nonché qualcuno da immolare sul loro cammino verso la carica di nuova Divina. Sarebbe stato molto più semplice se foste stata voi la responsabile dell'esplosione".
Denti bianchi balenarono tra le labbra. "Ma non tutti".
"Voi no?"
Stavano camminando tra le file di pazienti. Ogni pochi passi qualcuno salutava Madre Giselle o le sfiorava la mano. A tutti lei sorrideva con immancabile tenerezza.
"Io no, avete ragione".
Fedra sentì il peso che le gravava addosso farsi più leggero, ma solo per un attimo.
"Non posso negare che mi faccia piacere che almeno voi non vogliate la mia testa, ma temo non sia sufficiente".
"Come le vostre azioni hanno convinto me potrebbero convincere qualcun altro, non pensate?"
Uno sbuffo che non era proprio una risata le sfuggì dalle labbra.
"Come se fosse facile. Dovrei convincere mezza Chiesa che non sono una mitomane con il pallino per i titoli altisonanti... Non mi ascolteranno mai!"
Madre Giselle si fermò vicino a un roseto spoglio e la guardò, seria.
"No, non è ciò che ho detto. Avete ragione, convincerli tutti sarebbe impossibile, ma far sorgere il dubbio ad alcuni esponenti non lo è. E a voi potrebbe bastare".
Si srotolò le maniche e tentò di lisciarne le grinze.
"Io verrò a Haven, Fedra, per mettermi al servizio dell'Araldo di Andraste, che tu voglia o meno usare quel titolo, e per fornire a sorella Leliana i nomi di chi potrebbe ascoltare l'Inquisizione. Ma voi dovrete fare la vostra parte. Andate' da quei membri della Chiesa che non sanno ancora come considerarvi e convinceteli che non siete un demone da temere. Hanno sentito storie orribili sul vostro conto, ma voi potreste dar loro qualcosa di diverso in cui credere".
Madre Giselle nascose le mani nelle ampie maniche e guardò Fedra negli occhi, uno sguardo diretto e senza maschere.
"Potete portare speranza, Fedra, e questo è più di quel che la Chiesa possa fornire, al momento. Avete un grande potere: rendere l'Inquisizione una forza capace di salvarci tutti. O di distruggerci".
La sacerdotessa chinò il capo in un cenno di saluto e lascio Fedra sola con l'immensità del piano di cui era fulcro. Per qualche strano motivo, però, l'orrore provato nell'uccidere quel Templare non bruciava più così tanto.

Il soggiorno nelle Terre Centrali si protrasse per altri cinque giorni in cui Fedra si trovò inglobata dal turbine di attività di Cassandra. Ogni mattina all'alba veniva svegliata da una Harding già perfettamente padrona di sé e armata di una lista di compiti che andavano dalla raccolta di erbe alle lunghe conversazioni con questo o quel professionista.
"Mi piacerebbe sapere in che modo può essere utile mettermi a strigliare i cavalli", si lamentò un giorno con Varric. Il nano alzò la testa dal plico che stava scribacchiando e le fece un cenno con la penna.
"L'Inquisitore, nonché Araldo di Andraste, con le mani sporche di fango e una parola gentile per tutti: stai diventando simpatica a un po' di persone, Carota".
Fedra diede una pacca al collo del cavallo e lasciò ricadere la striglia.
"Questo immagino renda felice Cassandra..."
Varric sventolò un foglio e lo infilo sotto agli altri.
"A lei sei già simpatica, cosa che mi stupisce non poco. Forse con l'età si sta ammorbidendo... Be', il punto è che la gente inizia a fidarsi di te. Oltre a Madre Giselle altre sette persone hanno chiesto di venire ad Haven per appoggiare
l'Inquisizione. Non una cosa da poco".
Era qualcosa su cui riflettere. E poi le toccava ammettere che non le dispiaceva tenersi occupata, anche se con attività che un mese prima avrebbe affidato a uno scudiero: se le mani lavoravano la testa non si tormentava con il ricordo di incubi fatti di sangue e vacui occhi neri. La sera era così stanca da crollare addormentata e si risvegliava confusa, con vaghi ricordi di sogni che non riusciva a ricostruire.
Quando Cassandra comunicò al gruppo che sarebbero ripartiti Fedra provo un misto di inquietudine e attesa che non sapeva spiegarsi. L'idea dei giorni di cavalcava fino ad Haven, in compagnia solo dei propri pensieri, la tormentava ma era quasi felice di tornare al villaggio.
Ci rimuginò sopra mentre ripercorrevano la strada verso le montagne, quasi orgogliosa di avere portato a termine il compito che le era stato affidato. Di certo si trattava dell'illusione di sicurezza che le dava la prospettiva di essere circondata da un esercito a renderla così impaziente di tornare.
Più volte, durante il viaggio, noto che Solas mormorava formule a lei sconosciute che causavano una pioggia di scintille azzurre tutto attorno a loro. Quando finalmente si decise a porre la domanda l'elfo la precedette.
"Una piccola barriera protettiva", disse sventolando le lunghe dita verso il bagliore che li circondava. "Qualcuno ad Haven si risentirebbe molto se tornassi non tutta intera".
"Hai appena lanciato una frecciatina, simpaticone? Non pensavo ne fossi capace!" Rise Varric.
"Anche qui c'è qualcuno che preferirebbe evitare agguati. Fedra stessa, per esempio, oltre che la sottoscritta. Non abbiamo tempo per scaramucce", sbottò Cassandra. Fulminò elfo e nano con lo sguardo e Fedra batté le palpebre.
"Non ho capito", ammise.
"Meglio", ringhiò Cassandra spronando il cavallo.
Il viaggio proseguì così, relativamente tranquillo se non nella testa di Fedra. Quando pochi giorni dopo intravidero la sagoma della chiesa di Haven aveva un grumo di ansia nei pensieri e mal di schiena.
La prospettiva di una cena tranquilla e di una nottata riposante si infranse non appena, lasciati i cavalli alle scuderie, si incamminò per il villaggio.
Era tardo pomeriggio e il sole indugiava ancora tra i tetti innevati. Si era aspettata di trovare le strade vive di cittadini intenti alle loro attività e invece erano deserte, anche se per nulla silenziose. Fedra si guardò attorno; Cassandra e Solas erano spariti all'arrivo e Varric l'aveva salutata prima di allontanarsi verso i suoi alloggi. Era sola quando raggiunse il sagrato e lo trovo affollato di gente e grida.
"Come sempre è colpa dei Maghi!"
"Lurido bastardo, come ti permetti? Non mi risulta che i Templari abbiano fatto chissà cosa per evitare il..."
"Bastardo a chi? Eh? Detto da uno che aveva giurato di difendere la Divina e invece l'ha lasciata saltare per aria!"
Fedra si fece strada tra la folla. Due uomini si fronteggiavano, il simbolo dell'Inquisizione che spiccava sulle lunghe vesti gialle dell'uno e sulla corazza del secondo. Erano così vicini da potersi prendere a testate, cosa che sembrava nei piani di entrambi.
"Ma cosa credi, che la gente qui attorno si senta sicura ad averti tra i piedi? Non sarebbe la prima volta che causate un cataclisma, e ancora vi aspettate che qualcuno vi creda innocenti!"
"Certo, detto da uno che se non prende la sua dose di lyrium prima di andare a dormire frigna come una ragazzina..."
"Figlio di..." 
Il mago strinse il bastone. Fedra si guardò in giro impotente - facce sconvolte quanto la sua, pallide e incerte - e intravide, con la coda dell'occhio, qualcosa di rosso che le sfrecciava così vicino da sfregarle contro la spalla.
"Basta!"
La voce tonante le vibrò dietro allo sterno e in molti si spostarono per lasciar passare il tifone di pelliccia fulva e metallo che fendeva la folla.
Il Templare porto la mano alla spada e il mago iniziò a salmodiare, ma non andò molto lontano con la sua formula. Cullen emerse dalla calca e lo colpì in pieno stomaco con una ginocchiata. La spada del cavaliere si interruppe a metà del suo viaggio attraverso il fodero quando il comandante si voltò di scatto e gli rifilò un pugno in pieno viso.
I due litiganti crollarono a terra, il mago che sibilava cercando invano di riprendere fiato e il templare che sputacchiava saliva e sangue.
"Ho detto basta", ripeté Cullen a voce più bassa e ancora più minacciosa. Fedra si ricordò di respirare e si mordicchiò il labbro. Era diverso da come lo avesse mai visto finoas quel momento, furibondo e deciso a far valere la propria autorità. Si chinò prima sul Mago, quindi sul Templare, e li rimise in piedi con un gesto brusco tenendoli per la collottola.
"Vi siete presentati alle porte di Haven con tante buone intenzioni sulle labbra e non avete neanche avuto il fegato di aspettare la prima vera occasione per coprirvi di insulti. Non so cosa vi aspettiate ma non ho pazienza con i ragazzini litigiosi; non siete meglio dei vostri compagni che incendiano le campagne nelle Terre Centrali".
Sotto lo sguardo duro degli occhi da felino i due uomini biascicarono e sibilarono qualcosa di simile a delle scuse. Cullen li interruppe con un gesto della mano.
"Siete agli ordini dell'Inquisizione e non intendo tollerare altre dimostrazioni di incapacità come queste. Sì, mago, incapacità, hai sentito bene: non dubito della portata dei tuoi fulmini ma hai appena dato prova di avere la tempra e il cervello di un moccioso. Vedi di farmi cambiare idea. Quanto a te", e si volse verso il Templare con un ringhio sommesso, "sono disgustato. Disonori il nome che porti e i voti che hai preso. Mi vergogno di te".
Sgridati come bambini i due non riuscirono ad alzare gli occhi. Mormorarono qualcosa di simile a promesse di maggior collaborazione e se ne rimasero lì con le orecchie basse e la coda tra le gambe.
Cullen strinse le labbra.
"Mi aspetto di vedervi collaborare. andare a spazzare le stalle di mastro Dennett potrebbe essere un buon inizio". Alzò la mano per bloccare le proteste che aleggiavano sulle labbra dei due avversari. "Non è un consiglio, è un ordine. Preferite questo o devo ricorrere alla disciplina militare?"
Il Templare trasalì.
"No, no... agli ordini, comandante", e tirò la manica del mago per trascinarselo dietro. Questi lanciò un'occhiata furiosa a Cullen ma si risolse a obbedire.
Insieme a loro anche la folla che si era radunata si disperse.
Cullen rimase a guardare i due allontanarsi e, quando credette di essere solo, abbassò le spalle. Fedra avanzò in quel momento.
Il volto del comandante si trasfigurò. Prima che potesse ricomporsi Fedra vide gli occhi diventare grandi e un sorriso raggiante comparirgli tra la barba ispida. Sentì le proprie guance scaldarsi e Cullen si portò un pugno alla bocca, tossendo un paio di volte.
"Fedr-Inquisitore! Non-non sapevo che foste tornati".
"So ancora di sudore di cavallo, siamo arrivati poco fa. Cos'è successo?"
"I soliti Maghi e Templari pronti alla rissa. Si sono uniti all'Inquisizione con tanti buoni proposti e troppa voglia di menare le mani. Sa il Creatore quanto abbiamo bisogno di nuove leve, ma ogni occasione è buona per alzare la voce". Si passò una mano sul mento e sospirò stringendo le labbra. "Almeno adesso saranno troppo impegnati ad avercela con me per odiarsi a vicenda. Spero funzioni, se non riesco a farli andare d'accordo non so come sarà possibile addestrare delle truppe adeguate per sostentare l'Inquisizione".
Era sconcertante osservare la transizione da comandante di ferro a soldato stanco. No, a uomo poco più grande di lei con quella che sembrava una voglia disperata di parlare.
Starei ad ascoltarti per ore.
Il rossore si intensificò sul suo viso e Fedra si accorse di avere uno sguardo troppo attento.

"Te la sei cavata... Insomma, sei un vero comandante. Non che... non che abbia mai dubitato di te, anzi! Però oggi ti ho visto proprio... ecco..."
Qualcosa si addolcì negli occhi di Cullen, fissi nei suoi. Per la prima volta Fedra si accorse che aveva il naso cosparso di lentiggini dorate.
"Grazie. Io... ogni tanto aiuta sentirselo dire. Soprattutto da te. Che sei - uhm - l'Inquisitore, intendo. Si capiva, vero?"
Stava diventando rosa acceso. Inatteso salvatore dal crescente imbarazzo giunse Roderick.
"Un eccellente sfoggio di muscoli, comandante Cullen", disse con quella sua faccia da stitichezza prolungata. Gli occhi stretti nel sospetto sfrecciarono su Fedra e non la lasciarono andare. "Pensate che la brutalità sia sufficiente per tenere in riga le truppe?"
Mentre Fedra sentiva la rabbia salire a incendiarle là orecchie Cullen sorrise, anche se senza una traccia del calore di poco prima. Si erse in tutta la sua altezza e si chinò sul cancelliere, parecchio più in basso.
"Penso di aver trascorso gli ultimi dieci anni nel ruolo che ricopro ora. Suppongo di saper fare il mio mestiere, soprattutto quando si tratta semplicemente di mettere a tacere due teste calde".
"Dunque siete in grado di far sentire la vostra voce di comandante. Di mantenere l'ordine".
"Di certo meglio di voi", si lasciò sfuggire Fedra. Strinse i pugni e avanzò verso Roderick. Non era molto più alto di lei. "Sapete, cancelliere, mi sfugge ancora quale sia il vostro ruolo ad Haven".
Roderick gonfiò il petto e diventò molto simile a un piccione.
"Mi sembra evidente! Vigilo su questo gregge di fedeli che potrebbero facilmente essere tratti in inganno dalle vostre pretese, dalla vostra messinscena che..."
"Capisco, quindi in sostanza non fate niente di utile. Ora, siate gentile, andate a scavare una buca e a riempirla di fango mentre la gente seria si mette a lavorare".
Questo sembrò far saltare la valvola del suo autocontrollo. Roderick si gonfiò ancora di più, al punto che Fedra temette di vederlo prendere il volo, e aprì la bocca. Cullen sbuffò piano e mosse un passo in avanti.
"Ben detto, Inquisitore. Posso rubare un attimo del vostro tempo per discutere dello stato di manutenzione dei trabucchi?"
"Il dovere prima di tutto, comandante; la sicurezza di Haven ha la precedenza". Fedra voltò le spalle a Roderick e si allontanò con Cullen, badando bene di non guardarlo in faccia. Quando ebbero svoltato un angolo e abbandonato la vista del cancelliere scoppiarono entrambi a ridere.
Cullen seppellì il naso nella pelliccia, tutto un sussultare di spalle e uno sbuffo, mentre Fedra si morse il pugno e riuscì a farsi venire il singhiozzo.
"Ma hai visto che faccia ha fatto? Pensavo gli sarebbe scoppiata quella vena sulla tempia!" Sussurrò Fedra asciugandosi gli occhi.
"Avresti avuto sulla coscienza il più alto esponente della Chiesa", ridacchiò Cullen, arricciando il naso.
La voglia di ridere abbandonò Fedra come l'aria dopo un pugno in pancia. Abbassò il capo cercando di nascondere la reazione improvvisa ma non fu abbastanza rapida.
Cullen tacque e le si avvicinò.
"Ho... detto qualcosa che non va?" Chiese piano.
"Niente". Fedra provo a sorridere ma con risultati così scarsi che Cullen sembro afflosciarsi. Si guardò attorno - erano soli - e le mise una mano sulla schiena, portandola con sé verso la legnaia dietro la casupola che stavano costeggiando.
"Fedra, cos'è successo?"
Voce bassa, calda come la mano che l'accompagnava a sedersi su un ciocco di legno.
Fedra sentì il dolore stringerle la gola.
"Ho ucciso un uomo. Un Templare".
E dal grumo di angoscia emerse una verità che non era stata capace di comprendere. "Mi odi per questo, vero?"
Cullen aggrottò le sopracciglia.
"Cosa? Io non potrei mai odiarti! Voglio dire... avrai avuto le tue buone ragioni".
"Non avevo mai ucciso un uomo prima. Mi ha attaccata e... e non ho pensato a cosa fare. Ho visto un'apertura e ho colpito. E lui è morto. Ho pensato che... che siccome tu sei stato un Templare avresti... avresti..."
Non aveva più lacrime. Si sentiva di colpo stanca e vuota, quell'orrore senza nome che solo il brusco abbraccio di Cassandra era riuscito a tenere lontano di nuovo su di lei.
Tacquero a lungo. Cullen le si sedette di fianco, ingombrante e caldo.
"Avevo quasi diciassette anni quando successe a me. Non era previsto che succedesse, stavamo solo marciando in pattuglia un'estate. Non ero ancora neanche diventato ufficialmente un Templare. Ci attaccarono - penso fossero briganti, di sicuro erano disperati. Uno di essi provò a colpirmi con una scure e io fui più veloce".
Si passò la mano sul viso. Nella penombra gli occhi sembravano sprofondati nelle orbite, le guance incavate. All'improvviso apparve stanco.
"Quante vite ho preso da allora... Ho perso il conto, ho dovuto farlo o sarei impazzito. Non mi è mai piaciuto uccidere, te lo giuro, ma morire mi piace ancora di meno come idea". Una risata muta e triste gli fece sussultare le spalle. "Quella prima volta ho vomitato. Il mio sovrintendente mi ha tenuto la testa e mi ha consolato e nessuno si è congratulato con me. Mi hanno solo fatto forza e dopo un po' il peggio è passato".
Fedra si accorse di avere le guance umide. "Ho avuto gli incubi..."
Cullen tese una mano verso di lei, come se volesse prendere la sua, ma all'ultimo cambio idea e le diede una pacca sulla spalla.
"Anche quelli passeranno, te lo prometto. Sei stata così coraggiosa, Fedra, e so che diventerai qualcosa di importante per... per tutti".
La stanchezza doveva iniziare a richiedere il suo prezzo, perché Fedra si sentiva la testa leggera e il cuore che sfarfallava. Annuì e alzò il viso su Cullen.
Il sorriso che le riservò, dolce e leggero, durò solo un soffio. Subito emise un verso profondo in fondo alla gola e si alzò, sfregandosi come suo solito la nuca.
"Mh. Ecco, stai meglio, vero?"
Fedra balzo in piedi e si spazzolò il mantello, decisa a non guardare Cullen in faccia.
"Meglio, sì. Grazie".
Per un attimo rimasero lì, in piedi nella neve calpestata sotto le ombre sempre più lunghe della sera. La punta degli stivali di Fedra era di colpo molto, molto interessante, ma convincere i piedi ad allontanarsi impossibile.
“Fedra, io...”
Il cuore le si strizzò nel petto e solo in quel momento alzò lo sguardo.
Mannaggia al Creatore, ma sei bello sul serio...
Dire che non se n'era mai accorta sarebbe stata una bugia bella e buona, perché quelle spalle larghe, quel sorriso che sorgeva come il sole e – dannazione – quelle labbra erano lì, sotto gli occhi di tutti. Ora però di colpo faceva fatica a respirare.

Cullen strinse le labbra e scrollò le spalle.
“Io... odio essere quello che richiama al dovere, soprattutto dopo un viaggio pesante come quello che hai dovuto sostenere, ma Leliana ha urgente bisogno del tuo resoconto. Devi – dobbiamo andare alla chiesa”.
“Oh”. Il vuoto spinto che le stava invadendo la testa lasciò passare qualche informazione essenziale. Fedra si arruffò i capelli e guardò su verso la chiesa. “Sì, in effetti ha senso...”
“Credimi, avrei tanto preferito lasciarti il tempo di mangiare, magari di farti un b-bagno o qualcosa del genere ma... direi che è meglio se andiamo, che ne dici?”
“Va bene, ti seguo”.
Cullen annuì qualche volta e si lisciò le pieghe del mantello sul petto, quindi fece un ultimo cenno deciso con il capo e distolse lo sguardo da Fedra, conducendola attraverso Haven.
A ogni passo la stanchezza diventava più pesante, un dolore sordo nelle ossa e nei muscoli, ma non riuscì a rallentarla. Tenne dietro ai lunghi passi di Cullen con testardaggine fino a che non tornarono di fronte al portone della chiesa e lo superarono, accolti dall'ormai familiare odore di polvere e cera sciolta.
Al tavolo di guerra Cassandra non era in condizioni migliori delle sue, gli stivali chiazzati di fango e ombre scure sotto agli occhi. Fedra esitò un istante nel vederla scambiarsi un'occhiata con Leliana; entrambe sorrisero e distolsero in fretta lo sguardo, anche se Leliana fu più rapida.
Josephine alzò lo sguardo dalla sua immancabile cartelletta macchiata di cera e inchiostro e sorrise a Fedra, indicandola con la piuma.
“Bentornata, Inquisitore! Cassandra ha già avuto modo di raccontarci a grandi linee le tue imprese nelle Terre Centrali e...”
Imprese? Ho strigliato dei cavalli, restituito un anello a una vedova e spalato del letame. Ah, e ho parlato con Madre Giselle, che aveva comunque già deciso di venire qui. Grandi imprese proprio”.
Tralasciò volutamente l'incontro con il Templare. Cassandra le lanciò una rapida occhiata e Cullen le si fece impercettibilmente più vicino, ma nessuno commentò. Josephine picchiettò la punta della penna sui fogli.
“E anche le valanghe iniziano con un sassolino che rotola in montagna. Da quando sei arrivata laggiù si è sparsa la voce riguardo l'Inquisizione e i suoi scopi e da ogni punto dell'Impero iniziano ad arrivare i volontari”.
“Non molti”, precisò Leliana. “Ma stanno diventando abbastanza. Parte del merito è tuo, non possiamo negarlo: ormai le voci sull'Araldo si inseguono in lungo e in largo, e sapere che questa figura quasi mitologica è una ragazza gentile che non disdegna i lavori più umili ha aiutato. Inoltre – anche se quest'oggi non hanno dato una gran prova del loro valore – anche alcuni Maghi e qualche Templare stanno abbandonando i propri ranghi per combattere per noi. Un risultato non da poco”. Le sorrise, quel suo solito sorriso enigmatico e remoto che però questa volta sembrava più profondo. Sincero? Forse. Fedra sentì l'orgoglio ribollirle nel petto e, del tutto inatteso, il pensiero volò alla lettera stropicciata che ancora teneva in tasca. Senza riflettere vi posò la mano e la pergamena scricchiolò, cosa che Leliana non mancò di notare, pur non commentando.
“Ma non possiamo concederci il privilegio di indugiare”, intervenne Cassandra. Si chinò sulla mappa stesa sul tavolo e puntò un dito a est. “Se ciò che ha detto Madre Giselle è vero – e so che lo è – occorre intervenire al più presto sulla Capitale. Val Royeux è la prossima tappa per l'Inquisizione”.
Cullen si sporse sulla mappa e si sfregò il mento nella mano.
“Pensate possa essere utile contattare i Templari ancora fedeli alla Chiesa? Avremmo un gancio in più per guidare le opinioni degli indecisi”.
“Lo sarebbe senza dubbio se ne avessimo il tempo”, disse Leliana, le mani intrecciate dietro la schiena. “Cosa che purtroppo in questo momento non abbiamo. Se non agiamo subito sarà qualcun altro a sussurrare a quelle orecchie e
avremmo perso la nostra occasione”.
Il comandante guardò Fedra di sbieco, quel suo sorriso obliquo a increspare la cicatrice.
“Temo che questo significhi un'altra lunga cavalcata, Fe- ehm – Inquisitore”.
Josephine sollevò la cartelletta a nasconderle il viso, ma Fedra ebbe la netta impressione di vederla ridacchiare in silenzio. Cassandra si massaggiò il viso e strinse le labbra.
“Proprio così. Partiamo domani, se Josie può preparare il tutto per...”
Abbassando la cartelletta gli occhi di Josephine, di colpo acuti, mandarono lampi.
“Mi stai sfidando, Cercatrice? Ho già pronto l'elenco di tutto ciò che serve e mi sono permessa”, si voltò verso Fedra, “di far aggiornare il tuo guardaroba. Non stai andando a – come hai detto, prima? - spalare letame ma a farci fare bella figura con la Chiesa. Puoi permetterti qualche svolazzo”.
Fedra arricciò il labbro superiore e lasciò cadere le braccia.
“Preferivo la parte che riguardava il rimontare in sella all'alba, ed era una parte che comunque non mi piaceva granché. Posso almeno sapere cosa è previsto che io faccia?”
“Ora? Lavati, mangia qualcosa e vai a letto presto. Ci aspetta un'altra levataccia per un viaggio abbastanza lungo da permetterci di parlare di tutto”, disse Cassandra. “Verrò con te”.
Nonostante tutto una buona notizia.
“Temevo già di dover affrontare questa cosa da sola...”
“Non sei sola, Fedra. Non lo sarai mai”, disse Cullen sotto voce. Leliana si abbassò il cappuccio sulla testa e Cassandra allargò le braccia.
“Sì ma allora!”
Josephine si eclissò di nuovo dietro alla cartelletta e Fedra lasciò perdere la ricerca di parole adatte.
“Vai a riposarti e per questa sera finiamola qui”, la congedò Cassandra.
“A domani, allora”, disse Fedra. Tutto a un tratto faceva davvero troppo caldo in quella stanzetta; raggiunse la porta e Cullen, mezzo sprofondato nel pelo del mantello, le fece un vago cenno di saluto.

Maren le aveva lasciato una ciotola di terracotta con della zuppa ancora calda, densa e piena di pezzi di carne speziata che galleggiavano tra le verdure. Non ciò cui era abituata alla tavola alta di Ostwick ma, pensò mentre vi intingeva un pezzo del pane scuro che accompagnava la zuppa, molto più buona di quanto si sarebbe aspettata.
Dopo poche cucchiaiate, però, lo stomaco le si ribellò. Un nodo sempre più stretto le comprimeva la gola e mangiare diventò impossibile. Abbandonò il cucchiaio e appoggiò il mento al pugno, lo sguardo rivolto verso le strade buie di Haven.
Partire di nuovo. Niente di preoccupante questa volta: Val Royeux era a dir poco in pace, centrale e importante com'era, ma si trattava di altri giorni di lontananza, di altre responsabilità.
Sono felice che Cassandra sia con me, si disse, ma c'era qualcosa di sbagliato in quella frase. No, di non proprio esatto.
Non sei sola. Non lo sarai mai.
Le parole di Cullen le riecheggiarono nella memoria e il senso di calore dato dalla zuppa si intensificò. Certo, non l'avrebbe mai potuta accompagnare, non con un esercito da addestrare e una città da proteggere. Però forse avrebbe voluto farlo – durante la spedizione precedente lo aveva detto.

Sempre che non fosse solo un modo per essere gentile. Niente di personale, insomma...
Se anche le cose fossero state così, comunque, era una fantasticheria piacevole in cui perdersi. Meglio pensare al modo in cui quegli occhi color ambra si stringevano quando sorrideva, o a quanto le sarebbe piaciuto arruffare quei riccioli sempre in perfetto ordine per vedere Cullen arrossire e rimetterseli a posto in fretta e furia... qualsiasi cosa, pur di tenere la mente lontana dall'enorme responsabilità che l'attendeva nella capitale.

Ma proprio io devo andare a palare con quella congrega di prelati con il bastone su per il...
Un suono secco arrivò dalla finestra. Fedra alzò di scatto la testa e il suono si ripeté, un battito ritmato e deciso. Le ci volle un attimo per riconoscere la sagoma del corvo nel buio; l'uccello la guardava coi suoi occhietti lucidi e picchiettava contro il vetro.

“E tu adesso cosa vuoi?” chiese. Scostò il piatto e si avvicinò alla finestra, la mano sulla maniglia e la certezza che quella bestia le avrebbe tirato una beccata appena l'avesse lasciato entrare.
Con sua grande sorpresa, però, il corvo saltellò oltre il davanzale e andò ad appollaiarsi sul tavolo.
“Prego, eh, accomodati pure”, gli disse Fedra. Richiuse la finestra per allontanare l'aria fredda e guardò il volatile intento a scrutare gli avanzi di zuppa con sguardo avido. “Anche quella? Beh, suppongo tu possa averne un po', io non ho più fame...”
Gli spinse davanti la ciotola con la punta del dito e, prima che il corvo potesse intingervi il becco, qualcuno bussò alla porta.
“Ma tutti adesso?” sbuffò. L'ultima cosa di cui aveva voglia era di discutere con qualcuno di qualsiasi cosa; pestò i piedi nel raggiungere la porta e la spalancò senza premurarsi di nascondere l'espressione infastidita.
“Sì? Che c'è? Spero sia importante perché... oh! L-Leliana, scusami, non mi aspettavo di...”
“Di vedermi? Lo prendo come un complimento, è parte del mio mestiere. Posso disturbarti un secondo?”
Era così strano vederla fuori dal suo ambiente, senza il cappuccio viola in testa e la mappa sotto alle mani. Fedra esitò un attimo e guardò il corvo alle sue spalle, intento a ingozzarsi di bocconi di carne.
Leliana schioccò la lingua con disapprovazione.
“Quel ruffiano... Messer Piumino è goloso e tende a ingrassare, non dovrebbe venire a mendicare il cibo così. Però è uno dei miei corvi più fidati”.
“Messer... Piumino?” chiese Fedra. La fece accomodare con un gesto e non riuscì a spianare le sopracciglia aggrottate. Leliana raggiunse il corvo e gli fece una gentile carezza con la punta del dito sulla lucida testa nera.
“Un bravo ragazzo, non è vero, Piumino? Pensavo potesse servirti”. Oltre il caschetto fulvo gli occhi azzurri erano limpidi, lo sguardo diretto. Fedra scosse la testa.
“Per cosa?”
Con un movimento fluido Leliana si voltò e riprese la sua solita posa, schiena dritta e mani intrecciate dietro la schiena.
Eccola lì, la spia, la sussurratrice di segreti.
Siamo fortunati ad averla come amica.
“Sai, Fedra, tra i miei compiti c'è anche notare le cose che le persone non dicono”.

Fedra sentì le orecchie diventare molto, molto calde e distolse lo sguardo.
“A cosa ti riferisci?” chiese troppo in fretta. Leliana strinse le labbra e ammiccò un paio di volte prima di indicare la cintura che Fedra aveva lasciato appesa alla testiera del letto.
“Hai una lettera non spedita, vero?”
“Una lett-oh! Ti riferivi a quello!” Si batté la mano sulla gamba e ridacchiò per il sollievo. Ma poi sollievo di cosa? Si ricompose in fretta e sperò di non avere le orecchie troppo rosse mentre prendeva la lettera dalla borsa appesa alla cintura.
Se la rigirò tra le mani. Varric aveva fatto davvero un buon lavoro e a lei era bastato aggiungere un paio di dettagli marginali e ricopiare il tutto con la propria calligrafia spigolosa e tutta macchie e sbavature... ma non aveva neanche pensato a spedire quella lettera.
Ora la fissava, un rettangolo di pergamena gualcita e piena di troppi significati. Il cuore sprofondò.
“Ho... scritto ai miei genitori, a Ostwick. Suppongo mi credano morta e... e sono una persona orribile, non ho pensato di farlo prima e li ho lasciati per un mese con il dubbio di non avere neanche un corpo da seppellire. Però non ho il coraggio... se non sanno sono al sicuro, capisci?”
Alzò lo sguardo e si accorse che Leliana la stava fissando con una strana tenerezza negli occhi chiari.
“Capisco molto bene”.
Fedra allargò le braccia e alzò la testa verso il soffitto, le travi scure per anni di fuliggine che sembravano di colpo opprimenti.
“Se li avviso – se dico loro che sono viva allora saranno felici, certo, ma cercheranno di mettersi in contatto con me, non importa quante volte possa dir loro di lasciar perdere, che è meglio così. E come posso dar loro torto? Per quanto imperfetta sono pur sempre loro figlia, mi vogliono b-bene...”
Il nodo alla gola si strinse e le lacrime tornarono ad affollarsi sulle ciglia. Un pugno di nostalgia la prese in pieno e le mozzò il fiato; si strinse la lettera al petto e voltò le spalle a Leliana, un singhiozzo muto nel petto.
Sua madre, con gli occhi grandi e blu – l'unica cosa che avesse preso da lei – che ricamava sotto alla finestra più alta della sala, dove c'era più luce. Fiori che sbocciavano dalle sue dita abili, sinfonie di fili d'oro e argento sulla stoffa. Suo padre che usciva a caccia con i segugi e rideva quando Rufus, quel grosso bastardo con il pelo nero, si alzava su due zampe per leccargli la faccia, che le aveva permesso di cavalcare con lui più volte di quanto gli piacesse ammettere con sua madre. E persino Evelyn, che ballava con la grazia di un cigno e le tendeva la mano. Vieni anche tu! E avevano ballato assieme e riso durante quella festa d'inverno, con i musici che aumentavano il ritmo per farle danzare ancora, di più...
Una lacrima le si staccò dalla punta del naso e sbavò l'inchiostro.
La sua famiglia. Quanto li amava, tutti quanti, e quanto le mancavano. Anche i litigi, anche la disapprovazione, anche le ansie di sua madre... perché dietro tutto quello c'era amore, solo amore.
Il suo branco.
Leliana le posò una mano fresca sulla spalla e la fece voltare.
“Fedra, guardami”.
Non era facile, con gli occhi lucidi e arrossati e il naso che colava, ma lo fece.
La maschera di Leliana era caduta e dietro c'era solo una donna. Una donna sola, qualche volta triste, più spesso coraggiosa. Un mistero ambulante che le permetteva di dare uno sguardo a ciò che c'era in fondo alla pila dei travestimenti.
“Non ti sto parlando come Consigliera ma come... come amica, se lo vorrai”.
“Lo voglio eccome!” disse in fretta.
Questo fece ridere Leliana, un suono inatteso e cristallino. Le accarezzò la guancia e scosse la testa.
“Ogni tanto mi dimentico quanto tu sia giovane per tutto questo. Hai ragione, è pericoloso spedire quella lettera. Ma è pericoloso solo se lo fai tu”.
Si allontanò e tese il braccio. Messer Piumino gracchiò e abbandonò all'istante la sua cena per appollaiarsi sul pugno che gli veniva porto.
“Ma se lo faccio io puoi star certa che il tuo messaggio volerà su ali silenziose e buie come la notte; non lo troverà nessuno che non sia amico. Posso fare in modo che la tua famiglia sia al sicuro e che riceva tutte le informazioni necessarie senza correre il minimo pericolo. Vuoi fidarti di me?”
Fedra la vedeva male, con gli occhi inondati di lacrime che si ritrovava, ma riuscì ad annuire, mordicchiandosi il labbro. Si sentiva una bambina mentre le tendeva la lettera e tirava su col naso. Leliana le strizzò l'occhio e assicurò la pergamena all'artiglio del corvo, piegandola fino a ridurla a un cubetto. Messer Piumino si fece scompigliare le piume soffici del petto e tornò a picchiettare la finestra fino a che Leliana non l'ebbe aperta per lasciarlo uscire.
“Ecco fatto. Almeno saranno tranquilli e...”
Agì d'impulso. Si lanciò in avanti e gettò le braccia attorno alla vita di Leliana, premendole la fronte contro la spalla.
“Grazie”, mormorò, la voce soffocata dalla stoffa.
E poi le venne in mente, in elegante ritardo, che forse abbracciare quella che era stata la Mano Sinistra della Divina, con ogni probabilità la spia più letale dell'intero Thedas, non era una buona idea. Fece per districarsi ma Leliana le accarezzò la testa.
“Siamo qui anche per questo”, le sussurrò all'orecchio. A quel punto fece un passo indietro e sistemò con cura i capelli di Fedra, facendoglieli ricadere attorno al viso.
“Ora riposati, ti aspetta un lungo viaggio”.
Non aggiunse altro, non commentò il gesto brusco di Fedra e non la salutò. Di nuovo composta – anche se forse con un luccichio negli occhi – si voltò e uscì.
Quella notte Fedra dormì a fondo e senza incubi e il mattino dopo fu pronta per ripartire, anche se con molte occhiate nostalgiche alle mura di Haven.


Buonsalve a tutti :) ben ritrovati all'appuntamento della domenica con l'Inquisitore più recalcitrante della storia. 
Il primo morto dev'essere un bel peso sulla coscienza; anche se ne seguiranno tanti, tanti altri il trauma non è facile da processare. Per fortuna che Fedra non è da sola - a parte quel certo comandante che ormai riesce a farla arrossire anche solo sbadigliando. Questa volta tocca a Leliana, che mi ha sempre intrigata moltissimo (la sto conoscendo nella sua versione giovane e innocente solo ora, ho iniziato da poco Origins) e che nasconde un animo gentile e delicato. Lo nasconde bene, però!

Bene, spero che la storia continui a interessarvi! Ci vediamo settimana prossima... a Val Royeux :)

 

Val

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Capitolo 6
*** 6 - Templari fuori controllo e nobili molesti. E tra una cosa e l'altra questa volta mi sono fatta male davvero; non è per niente divertente. ***


L'ultima – nonché unica – volta che aveva messo piede a Val Royeux aveva avuto tredici anni e il tipico fascino dell'adolescente montata con pezzi male assortiti. Piedi troppo lunghi, orecchie ancora più grandi, schiena ingobbita e un ridicolo abito rosa pieno di ruches che persino sua madre aveva fatto fatica a definire “grazioso” addosso a lei.
Almeno su quel punto doveva ammettere che Josephine era stata magistrale. Niente gonne e sottogonne e sottane e sottovesti e chissà quanti altri strati di crinoline, solo un sobrio completo non dissimile da quello che indossava tutti i giorni, con la frivola ma tollerabile aggiunta di una lunga fila di bottoncini d'argento sul davanti. Quasi le piaceva.
Sfilando lungo l'alto ponte di marmo candido che conduceva ai cancelli della città, con Cassandra in armatura lucente al suo fianco, Fedra si rese conto di essere cambiata rispetto a quella sgraziata ragazzina tutta orecchie e capelli rossi... be', cambiata fino a un certo punto. Almeno non sembrava un nug imbellettato. La capitale, però, era sempre la stessa: marmo splendente sotto il sole e statue tutte muscoli gonfi ed espressioni tormentate ai lati del viale che dai cancelli in ferro battuto portava alla piazza. Le dozzine di porte azzurre che si aprivano nei palazzi slanciati, ghirigori di colonne e vetrate colorate, erano sempre le stesse e Fedra avrebbe potuto giurare che persino i passanti in ghingheri che affollavano i portici erano immutati.
Facile, si disse salutando con un sorriso falso una dama dall'ingombrante gorgiera di pizzo. Dietro quelle maschere potrebbe esserci chiunque.
Cassandra sembrò leggerle nel pensiero.
“Non ho mai sopportato questa moda orlesiana delle maschere. Divento subito malfidente”, le disse tra i denti.
“A chi lo dici” rispose Fedra senza smettere di sorridere.
Ma più avanzavano tra le architetture intricate più qualcosa sembrava stonare. Abiti sfarzosi, certo, e fiori a ogni davanzale. Ma i toni erano smorzati, gli sguardi invisibili delle maschere indugiavano troppo a lungo su di loro. La musica che risuonava tra gli archi e le colonne era triste. Troppo triste.
“Questa città è ancora in lutto”, disse Cassandra, grave. Val Royeux, il cuore della Chiesa, che in una singola vampata di fuoco verde si era vista portare via la Divina Justinia e tutti coloro che avevano dato lustro all'istituzione. Fedra non faticava a capire il perché di quei toni dimessi.
I passanti si voltavano dall'altra parte al loro approcciarsi, chi con diffidenza, chi con paura evidente anche con il volto coperto.
“Sanno chi siamo”, disse Fedra. Non era una bella sensazione. Il palmo mandò un lampo verde poco fraintendibile. Cassandra sollevò un sopracciglio.
“Ma non mi dire...”
Tuttavia stava sorridendo, o quasi.
“Araldo”.
Si bloccarono prima di inoltrarsi nella piazza. Il soldato – una donna più giovane di Fedra, con il cappuccio calato sul capo e un'inequivocabile spilla dell'Inquisizione sul mantello – si inginocchiò.
"La finiamo con questa storia degli inchini e gli inginocchiamenti e...”
Cassandra la zittì con un gesto.
“Sei uno degli agenti di Leliana, vero?”
“Sì, Cercatrice. La Chiesa vi aspetta, ma...”
“Ecco. Ora arriva la brutta notizia. Me lo sento, me lo sento”, mormorò Fedra premendosi la base del naso tra pollice e indice.
E infatti arrivò.
“Ci sono dei Templari. Tanti Templari, signora”.
Templari?”
“La gente è convinta che siano qui per difendere la Chiesa da... da voi. Dall'Inquisizione”.
Fedra allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo.
“Ma certo, come ho fatto a non pensarci? In due – due contate! - siamo di certo una grande minaccia contro l'intera Chiesa!”
Cassandra le tirò una gomitata molto poco amichevole.
“Lo siamo eccome. Tu, soprattutto, Araldo di Andraste”. Il titolo pesava più del solito.
“Cassandra, in che modo potremmo far del male a...”
“Si stanno radunando dall'altra parte della piazza. Sapevano che sareste arrivata e sono pronti ad accogliervi”, concluse l'agente. Si alzò, fece un rigido saluto marziale cui rispose solo Cassandra e si fece da parte.
“Bene”, disse quest'ultima.
“No, bene un cazzo”, rispose Fedra. Si prese un'altra gomitata.
“Morditi la lingua qualche volta. Dicevo, bene, perché almeno sappiamo cosa fare”.
“Andiamo a incontrarli a muso duro, giusto?”
“Giusto”.
“Speravo avessi un piano migliore. Ma tanto vale andare a vedere cosa sta succedendo, no?”
Cassandra annuì e Fedra non mancò di notare il gesto con cui posò la mano sull'impugnatura della spada.
Apparentemente erano arrivate giusto in tempo per lo spettacolo. In mezzo agli abitanti di Val Royeux, colorati e sgargianti come farfalle, si ergeva un palco che ospitava un assortimento di sacerdotesse in abiti bianchi e rossi e un numero sgradevolmente cospicuo di individui in armatura, con la spada dei Templari incisa sul pettorale di metallo scintillante.
Fedra imitò Cassandra e sfiorò l'impugnatura dei lunghi coltelli appesi alla cintura, ma una parte di lei si chiese se valesse davvero la pena pensare di poter combattere.
“Brava gente di Val Royeux, ascoltatemi!” declamava una sacerdotessa dal forte accento orlesiano. Fedra e Cassandra si spinsero avanti fino a raggiungere la prima fila, cosa facilitata dall'entusiasmo con cui la gente si scostava al loro passaggio. Uno zelo riservato forse agli appestati.
La sacerdotessa le vide e inchiodò Fedra con lo sguardo.
“Siamo qui oggi per piangere la nostra Divina, strappata precocemente al suo sacro ufficio e all'amore dei suoi fedeli con il tradimento! Troppo a lungo vi siete domandati cosa accadrà alla bestia che ne ha causato la morte... ebbene, oggi i vostri dubbi verranno fugati!”
Un dito snello e carico di accusa si puntò su Fedra.
Eccoci qui. Dovevo aspettarmelo.
“Badate alle false parole di colei che afferma di essere l'Araldo di Andraste! Colei che proprio con la caduta della nostra amata Divina ha visto elevarsi il proprio ruolo... essa è profetessa
di menzogne, una bugiarda che si fregia di un titolo che non le spetta!”
Ogni parole soffiava sulle braci mai spente della rabbia e della confusione che si portava dietro da troppe settimane. Fedra strinse così forte le mandibole da far scricchiolare i denti e chiuse i pugni, un tremito rigido che la scuoteva fino alla radice dei capelli.
Era troppo tardi, le parole di Madre Giselle avevano generato una speranza che era morta prima ancora di germogliare. Quelli erano nemici, non possibili alleati da convincere.
Il sangue le ruggiva nelle orecchie.
“E dunque oggi io vi dico che...”
Basta!”
Forse gridare non era stata una grande idea ma controllarsi era fuori discussione. Cassandra mugugnò qualcosa dal fondo della gola ma non cercò di fermarla quando marciò avanti fino ai piedi del palco. Visti da lì i Templari erano ancora più impressionanti; solo uno di essi – un ragazzo dalla pelle scura con occhi verdi e preoccupati – si degnò di guardarla.
“Sono tutte stronzate! Eravamo qui per parlare, per trovare un accordo, ma se partite spalandomi merda...”
“Inquisitore, un minimo di linguaggio. Per l'amor d'Andraste, ti prego”, sussurrò Cassandra a denti stretti.
Fedra si morse la lingua.
“Sentite, abbiamo un nemico comune e non siamo mai, mai stati avversari. Non ci pensate?” continuò con vigore.
“È vero. L'Inquisizione è qui per impedire una guerra che distruggerebbe tutti noi, per fermare una minaccia che incombe sull'Impero prima che sia troppo tardi”, continuò Cassandra.
“È già troppo tardi”, ringhiò la sacerdotessa. Fece un passo indietro e spostò il dito da Fedra, indicando il drappello di Templari che marciavano sferragliando verso il palco. “I Templari si
ricongiungono alla Chiesa nel momento di maggior pericolo, per difenderla dall'Inquisizione e dalle mire del falso Araldo! Il popolo sarà di nuovo al sicuro!”
Sfilarono sul palco uno dietro l'altro, tutti uguali nelle loro armature splendenti. Uno di essi, in più anziano, viso pallido e capelli grigi pettinati all'indietro, indugiò con lo sguardo su Cassandra, quindi fece un cenno a uno dei suoi soldati.
“Agite ora, Templari! Il vostro...”
Il soldato strinse il pugno avvolto da un guanto di metallo e lo calò sulla nuca della sacerdotessa. La donna si afflosciò a terra senza un suono e la folla radunata in piazza emise un unico, corale verso di shock.
“Oh merda!” gridò Cassandra sguainando la spada.
“Linguaggio, eh?” la scimmiottò Fedra, ma anche lei si armò.
Il giovane dalla pelle scura si affrettò verso la sacerdotessa, un grido di orrore sulle labbra, ma il cavaliere più anziano lo fermò con un gesto.
“Va tutto bene, ser Barris. Noi siamo al di sopra di queste persone”, disse con voce fredda e un orribile sorriso.
“Ci state prendendo per il culo? Da quando i Templari prendono a pugni le sacerdotesse indifese... oh, giusto, da quando hanno perso ogni forma di onore e vanno in giro per l'impero a fare più schifo dei tagliagole del porto”, disse Fedra. Era al di là della prudenza. Quella sacerdotessa riusciva a far sembrare affabile e gentile persino il cancelliere Roderick, ma era pur sempre una donna disarmata.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere... Araldo”. C'era così tanta derisione, così tanto disprezzo in quel titolo che Fedra avrebbe preferito direttamente un insulto. Cassandra le si parò davanti e fronteggiò il cavaliere. Era pallida.
“Primo Cercatore Lucius, non capisco! Dobbiamo assolutamente parlare con...”
Lucius, intento a scendere dal palco, non degnò Cassandra di un singolo sguardo.
“Tu non oserai rivolgermi la parola”.
Fu come uno schiaffo. Cassandra socchiuse la bocca e scosse la testa.
“Primo Cercatore...”
“Hai fondato un movimento eretico. Hai preso una ragazzotta senza storia, un burattino da trasformare nell'Araldo di Andraste. Una marionetta nelle tue mani. Dovresti vergognarti”.
Ogni parola trasudava disprezzo e Fedra provò l'impulso folle di aggredire quel bastardo che stava facendo così tanto male a Cassandra.
“Dovreste vergognarvi tutti! I Templari fecero bene ad abbandonare la Chiesa per arginare l'emergenza dei Maghi ribelli, solo loro hanno mantenuto intatto l'onore”. Abbassò il viso pallido e guardò Fedra negli occhi. Il nulla oltre quelle iridi azzurre le mandò un brivido lungo la schiena. “Se siete venute ad appellarvi alla Chiesa è troppo tardi. L'unica voce che verrà ascoltata, ora, è la mia”.
Ser Barris, gli occhi sgranati e l'espressione smarrita, fissò Fedra.
Un appiglio!
“Non siete costretti a seguire questo... questo folle, Templari! Il comandante Cullen Rutherford appoggia l'Inquisizione e...”
“Ottima idea, ragazza, tirare in ballo il peggior traditore dei suoi voti. La prossima volta chiamiamo una volpe a far la guardia a un pollaio”, rise il Primo Cercatore. Ser Barris, però, socchiuse le labbra come a dire qualcosa.
“Non avete niente. Nessun potere, nessun obiettivo... il Creatore ci salvi, nessun obiettivo sacro. Saranno i miei Templari a ergersi contro l'Oblio e a chiudere il varco”.
“Ma se invece lo fosse davvero, se Andraste l'avesse mandata... se il Creatore...” azzardò ser Barris.
Il soldato che aveva colpito la sacerdotessa gli passò davanti.
“Non discutere. Abbiamo uno scopo più nobile da perseguire, non perdiamo tempo con certa feccia”, e passò davanti a Cassandra tirandole una spallata.
“In marcia, Templari: Val Royeux non merita la nostra protezione!”
Lucius arricciò le labbra in un'orrida parodia di sorriso e si allontanò, seguito dal resto dei Templari. Barris lanciò un'ultima occhiata disperata a Fedra ma alla fine abbassò la testa e seguì il resto dei compagni.
Piano piano l'intera folla si disperse tra molti brusii sconvolti e congetture, nessuna benevola verso i Templari e poche fiduciose nei confronti dell'Inquisizione. Molti dubbi, però, iniziavano a sbocciare sulle labbra dei cittadini.
Che Madre Giselle avesse ragione... ma in un modo che non aveva previsto?
Circondate da sguardi avidi e smarriti Fedra e Cassandra rimasero immobili a guardare le armature sparire all'orizzonte.
“Che stronzo”, si lasciò sfuggire. Questa volta Cassandra non trovò da rimproverarla.
“Dev'essere impazzito. Non mi aspettavo questo da lui...”
“Lo conoscevi bene?”
“È al comando dei Cercatori da due anni. Ha sempre fatto il suo dovere nel controllare i Templari, ma non è mai stato noto per essere ambizioso o particolarmente sottile. Questo... questo non è da lui”.
“Ho come il sospetto che i Templari siano diventati un problema ancora peggiore”, disse a malincuore Fedra.
Cassandra si riscosse e la guardò.
“Temo di doverti dare ragione, Fedra. Torniamo ad Haven, non voglio rimanere un istante di più in questa maledetta città”.
Durante il lungo, eterno viaggio di ritorno non ci fu modo di strappare molto a Cassandra. Al secondo giorno di mutismo selettivo quando si toccava l’argomento “Primo Cercatore” Fedra iniziò a preoccuparsi seriamente. Era abituata al cipiglio di Cassandra e ai suoi modi bruschi, ma quella che le cavalcava di fianco era un’altra persona, una donna cui qualcosa si era spezzato dalle parti del cuore. E questo Fedra non poteva tollerarlo, perché per quanto la loro relazione non fosse iniziata nel migliore dei modi si era affezionata anche troppo a quella virago scorbutica e con un cuore immenso, corazzato di metallo per proteggere quello che nascondeva. 
Più si avvicinavano ad Haven e più Fedra si sforzava di sbrogliare la matassa di pensieri e rabbia che si portava dietro da Val Royeux. Fu solo l’ultima sera che si decise ad affrontare apertamente l’argomento.
“Non mi interessa quello che diranno gli altri. Abbiamo un problema con i Templari e mi preoccupano molto più della Chiesa: per me questa è diventata la priorità”.
Cassandra smosse con la punta del piede le braci del fuoco che avevano acceso sul ciglio della strada, un accampamento improvvisato e gelido. Ormai Fedra ci si stava abituando: sonni stancanti, ossa che dolevano al mattino e mani gonfie per i geloni.
“Continuo a pensare che in qualche modo sia colpa mia…”
“Be’, non lo è, fine della questione. Hai fatto la cosa giusta e con il benestare della Divina – pace all’anima sua. Ehi, ehi, non ero sarcastica, giuro!” si affrettò ad aggiungere coprendosi la testa con le mani, visto il lampo negli occhi di Cassandra. Per qualche strano motivo questo le strappò una specie di sorriso.
“Eppure guarda cos’ho combinato… Lucius che mi dà della traditrice è più di quanto potessi tollerare”.
“Ma quello non era Lucius…”
“No no, ti garantisco che era proprio lui!”
Fedra roteò gli occhi.
“Hai capito cosa intendo, c’è qualcosa di losco sotto. Non so tu, ma io sento puzza di Oblio in tutto questo; dovremmo parlarne con Solas”.
Cassandra annuì e si voltò per raccogliere la coperta, che si gettò sulle spalle.
“Faremo qualcosa, te lo prometto. Non chiedermi cosa perché non sono brava in questo genere di discorsi – non sono Josephine. Però… neanche tu sei sola, Cassandra”.
Il profilo nobile, sottolineato dalle fiamme morenti, si addolcì.
“Lo so. E per quanto mi dispiaccia che tu sia finita invischiata in tutto questo, per quanto mi dispiaccia ancora di più averti trattata in modo un po’ brusco…”
Un po’?”
Una risata sommessa e Cassandra ricominciò.
“Va bene, in modo decisamente brutale quando ci siamo conosciute… Fedra, devo dirtelo, non mi dispiaci per niente”.
Fedra rispose sbuffando piano, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Si avvolse in un bozzolo di coperte ruvide e si acciambellò vicina al fuoco.
“Era un complimento? Lo prenderò come tale. Grazie, Cassandra”.
“Ora dormi. Faccio il primo turno di guardia”.
Non lo fece. Non solo, almeno: Fedra dormì per troppe ore e si svegliò intirizzita davanti a un fuoco ravviato. Cassandra non aveva chiuso occhio.
Raggiunsero Haven nel pomeriggio e questa volta Fedra non provò nemmeno a sperare in qualche ora di quiete. Con suo grande stupore si accorse di non volerla nemmeno: il senso di urgenza, il desiderio di parlare con qualcuno di competente di quel folle progetto che aveva in mente erano troppo forti. 
Cullen era al campo di addestramento. Fedra rallentò un attimo e si lasciò superare da Cassandra.
Il sangue prese a scorrerle più forte nelle vene. Aveva abbandonato mantello e corazza; la camicia bianca, tesa sulle spalle, era incollata alla schiena sudata mentre il comandante indietreggiava sotto i colpi di un soldato poco più che adolescente. 
“Così! Ottimo!” e questa volta non c’era vuoto incoraggiamento nel tono, solo orgoglio. Il ragazzino riuscì a penetrare la guardia di Cullen e se ne stupì a tal punto da esitare. Gli sarebbe
bastato un colpo per mandarlo a terra, ma la sorpresa lo tradì. 
Indugiò una frazione di secondo di troppo, sufficiente per fargli perdere la concentrazione.
Non posso biasimarlo. Anche io farei fatica a stare concentrata, pensò Fedra con un sospiro. Cullen era spettinato e con le guance rosse; un pensiero molto poco pudico le attraversò la mente.
“Araldo? Fedra?” la richiamò Cassandra alcuni metri avanti a lei.
“Cos-Cosa?”
Fedra si riscosse. Il ragazzino era finito spalle a terra, con Cullen che gli torreggiava sopra e gli tendeva la mano.
“Se fossi stato un demone a quest’ora saresti morto un paio di volte. Però stai davvero migliorando, Fitz, sono fiero di te”. Il giovane soldato prese la mano, paonazzo e sorridente, e si alzò. In quel momento Cullen vide Fedra.
Si guardarono per un lungo istante da un capo all’altro del campo di addestramento, fino a che…
“Allora! Oh, per l’amore di Andraste, puoi essere un filo meno smaccata di così?” le ringhiò all’orecchio. Le prese per il gomito e la trascinò via.
“Smaccata? Cosa?”
“Ogni tanto mi chiedo se tu sia nata così o se per caso non ti abbia pestata troppo forte. Muoviti, Cullen ci raggiungerà tra poco”.
“Ma io non…”
“Muoviti!” e se la tirò dietro, neanche fosse una bambina recalcitrante. 
Fedra ritrovò la compostezza quando raggiunsero il tavolo di guerra e riuscì a mantenerla quasi del tutto anche quando Cullen, impeccabile come se non fosse stato fino a pochi minuti prima nel bel mezzo di un addestramento, le raggiunse. Quasi, visto che non riuscì a non sorridergli da un orecchio all’altro.
“Io dico un mese”, disse Leliana 
“Per me meno di tre settimane”, rispose Josephine senza alzare gli occhi dalla tavoletta..
“Eh?” chiesero Cullen e Fedra in coro. Ottennero come risposta solo sorrisi vaghi e teste scosse.
“Sappiamo già cos’è successo”, iniziò Leliana senza altri preamboli. Per un istante Fedra sospettò di essersi sognata il calore che aveva percepito prima di partire per la capitale. “Alla luce della ribellione dei Templari mi sembra evidente che occorra richiedere l’intervento dei Maghi”.
“Concordo. Non trarremmo alcun giovamento dall’arruolare forze già così lacerate al loro interno; inoltre una mia conoscenza nei Circoli mi ha confermato che…”
“No no, fermi tutti”, si fece avanti Fedra. Lo sfinimento era lì, ai margini della consapevolezza, e non sapeva quanto a lungo sarebbe durata la sua determinazione. “Qui non si tratta di cercare alleati ma di sventare una minaccia. Un’altra minaccia, visto che se non ci complichiamo la vita qui non siamo contenti”.
“Lo sappiamo, Inquisitore, ma non possiamo permetterci di perdere altro tempo. I Maghi potrebbero non essere in condizioni critiche come i Templari”, disse Leliana.
“Potrebbero. Lo hai detto tu stessa: non abbiamo garanzie”, intervenne Cullen. 
Oh. Quindi è dalla mia parte.
Leliana lo guardò male.
“Stiamo facendo dei giochini di sintassi, comandante? Pessima idea. I Templari sono una garanzia di pericolo, in questo momento, cosa che non si può dire dei maghi”.
“Ma la questione è un’altra! Se il Primo Cercatore è davvero uscito di testa – e da quel che dice Cassandra ci sono pochi dubbi in proposito – rischiamo di trovarci un’orda di Templari altrettanto sciroccati fuori dalla porta da un momento all’altro!” Fedra stava alzando la voce. Non le piaceva neanche un po’, ma non riuscì a trattenersi.
Josephine mordicchiò la penna.
“Come vi stavo dicendo, un mio contatto molto vicino ai Circoli si è lasciato sfuggire che l’arcimaga Fiona potrebbe essere interessata a una collaborazione con l’Inquisizione”.
“Capite, immagino, che un simile aggancio…”
Il pugno di Cassandra si abbatté sul tavolo, facendo sussultare le pedine sparse sulla mappa.
“No”.
Testa china, spalle rigide, quando alzò lentamente lo sguardo aveva l’espressione di chi fosse pronta a uccidere per ciò in cui credeva. Un distillato di Cassandra.
“No. Saranno i Templari, e Fedra vi ha spiegato perché. Prima lo accetterete e meglio sarà per tutti”.
“Cassandra, ma i maghi…”
Con un gesto fece tacere Josephine; Fedra si dispiacque per quello scontro e lanciò alla diplomatica antivana uno sguardo di scuse. In risposta Josephine scosse la testa ma senza alcun
rancore.
“I maghi aspetteranno. Siamo immersi fino alla gola nel soprannaturale e il varco continua a vomitare demoni. Devo spiegarvi qualcosa sulle possessioni o mi credete sulla parola?”
Il silenzio nella stanza era un blocco di ghiaccio. Josephine si coprì la bocca con la mano e indietreggiò.
“Lo pensi davvero?”
“Sì”.
“O forse lo speri perché sarebbe una spiegazione più facile da digerire? Una motivazione che va nella direzione che vorresti tu?” Leliana era glaciale, spietata. Cassandra, però, non fu da meno.
“Lo penso e vorrei non fosse così. Uno stronzo si prende a calci in culo, un demone che manda all’aria un’armata è tutt’altra faccenda. Siamo dalla stessa parte da tanti anni, Usignolo: lo sarai anche questa volta?”
E alla fine, dopo un lungo silenzio, Leliana annuì.
Fedra avvertì la tensione lasciare Cullen al suo fianco. Quando parlò il tono era pratico, deciso.
“Allora dobbiamo organizzarci e anche in fretta. Mi sembra evidente che non possiamo approcciare i generali a muso duro, accusandoli di essere dei traditori…”
“’Buongiorno, Pezzo Grosso Dei Templari, non è che ultimamente siete diventati tutti pazzi o scemi e magari siete posseduti?’ No, non suona molto bene”, ammise Fedra. La voglia di ridere non aveva niente a che vedere con la situazione tesa, quanto piuttosto con la stanchezza e il nervosismo; Cullen, però, arricciò un angolo della bocca.
“Questo è vero. Tuttavia non mi sentirei di scartare a priori l’idea di chiedere il loro appoggio”. Josephine iniziò a camminare avanti e indietro picchiettando la penna contro i fogli. “Se riuscissimo a presentarci come qualcosa di più grande e importante di quanto già non siamo potremmo attirare la loro attenzione”.
“Non dimenticare”, intervenne Leliana, “che l'Orlais non sarà particolarmente ben disposto nei loro confronti dopo quanto successo a Val Royeux”. Prese una pedina e la spostò sulla mappa fino alla capitale.
“Saranno furibondi, altro che non ben disposti. Un attacco alla chiesa in maniera così spudorata, nel cuore della capitale?” Cassandra incrociò le braccia e continuò a fissare la mappa.
Josephine alzò la testa, l’espressione raggiante.
“Ma è perfetto! Voglio dire, provate a seguire il mio ragionamento: possiamo mettere i Templari in un angolo e costringerli – non dico ad ascoltarci – ma almeno a darci udienza. Pensateci!” Svolazzò attorno alla mappa e radunò un gran numero di pedine, avvicinandole alla capitale. “Famiglie nobili. Esponenti di spicco delle gilde. Personalità di rilievo in tutti i campi che possano venirci in mente… se riuscissimo a radunarli, a convincerli ad accompagnarci all’incontro il Primo Cercatore non potrebbe allontanarci senza rimetterci la faccia!”
“Dobbiamo giocare la nostra carta migliore: tu”. Leliana fissò Fedra, che di colpo si sentì un pulcino inchiodato dagli occhi di un rapace. “L'Araldo di Andraste in persona, nonostante i trascorsi burrascosi con Lucius, si dimostrerà desiderosa di avere il suo appoggio. Una lusinga non da poco, non trovi?”
“Certo che sì. Peccato che io abbia dimenticato a casa il mio seguito di – come hai detto, Josie? – nobili, gilde e gente importante. Il fatto che mi chiami Trevelyan non significa che abbia chissà che peso”.
Leliana e Josephine si guardarono a lungo; sul viso elegante della seconda sbocciò un sorriso acuto.
“Questo lascialo nelle nostre mani, Inquisitore. Il tempo di mandare qualche messaggio alle persone giuste e vedrai che faranno la fila per accompagnarti!”
L’intera faccenda iniziava a sembrarle sempre più losca. Fedra si passò le mani tra i capelli e scosse la testa.
“Mi state chiedendo di fare da esca. Sventolare davanti al Primo Cercatore la richiesta d’aiuto e, alle sue spalle, andare a frugare negli armadi per vedere quali scheletri ci siano nascosti”.
“Precisamente”, disse Leliana.
“Fa un po’ schifo, lo sapete?”
“È un capolavoro di diplomazia!” esclamò Josephine.
“Una buona idea. Rischiosa ma intelligente. Se c’è qualcuno che può farla funzionare quella sei tu, Fedr-mh. Inquisitore”.
“Puoi anche finirla con questa sceneggiata e chiamarla semplicemente per nome, Cullen. Ormai non si stupirebbe più nessuno”, disse Cassandra agitando una mano. “Comunque sia sono d’accordo: abbiamo una strategia. Appena tutto sarà pronto agiremo”.

E fu di nuovo attesa. Pianificazione. Angoscia che si stemperava in una routine di cui aveva un bisogno disperato.
Leliana si era premurata di assicurarle che a Ostwick la sua famiglia era al sicuro e sollevata di saperla in vita, ma Fedra aveva preferito non conoscere altri dettagli per non rinfocolare la nostalgia. L’inverno raggiunse il suo picco con bufere di neve che avrebbero tenuto al chiuso persino le aquile delle montagne, ma anche nel buio fitto di aghi di ghiaccio delle peggiori tormente Haven vibrava di attività.
Ogni giorno arrivavano nuovi volenterosi per l’Inquisizione, soldati e contadini, maniscalchi e sacerdotesse. Ciascuno veniva accolto e alloggiato da Josephine con immancabile precisione e cortesia, quindi, nel caso si trattasse di un guerriero, spedito al campo di addestramento.
Fedra, pungolata insistentemente da Cassandra e, con sua sorpresa, da un Varric sghignazzante, si era sottoposta allo stesso trattamento. 
“Vai da Cullen, Carota. Sono sicuro che non veda l’ora di aiutarti a migliorare la tua – uhm – presa? Mira? Qualsiasi cosa?”
“In effetti avevamo parlato dell’argomento, tempo fa, solo che poi…”
Il ricordo dello scivolone sul celibato bruciava ancora. Anzi, bruciava ancora di più.
E così Fedra aveva dedicato ore ad accanirsi contro un manichino, con Cullen che la osservava da lontano. Sapere che la stava guardando da un lato la distraeva e le faceva venire voglia di girarsi a ogni colpo per cercare la sua approvazione (o anche solo per guardarlo), ma dall’altro la spronava a fare del suo meglio. Voleva impressionarlo, voleva che la vedesse come qualcosa di più che la goffa rissaiola improvvisata che sentiva di essere. Ogni sera, dopo che il resto delle truppe era stato congedato tra lividi e pacche sulle spalle, Cullen si attardava a osservare Fedra ripetere fino alla nausea la danza delle lame. Una pagina dopo l’altra, un movimento dopo l’altro con una libertà che non le era mai stata concessa a Ostwick. Nessuno da cui nascondersi questa volta. Anzi.
Per una volta non si sentiva sgraziata e fuori luogo. Aveva braccia forti, non massicce, e cosce agili, non tozze. La lunga treccia rossa fendeva l’aria a ogni affondo e quasi non le importava più di avere le orecchie così sporgenti. Non quando Cullen la guardava con quel mezzo sorriso, seduto su un sacco di granaglie con il mento appoggiato al pugno.
Sarebbe potuta andare avanti così per sempre, l’Oblio lontano dai pensieri e il varco verde nel cielo solo una bizzarria a cui abituarsi. Le bastava voltarsi e rubare un secondo di quell’espressione rapita prima che Cullen si ricomponesse e si schiarisse la voce in una serie di consigli tattici.
Non durò a lungo. Una sera Fedra vide Josephine, sempre avvolta fino al naso in una pelliccia vaporosa, dare indicazioni a uno stuolo di faccendieri per sellare i cavalli e impacchettare i bagagli. Si scambiarono una lunga occhiata muta, piena di tensione.
Devo andare, vero? Non c’è modo di scamparla.
Josie colse qualcosa nell’espressione di Fedra e annuì triste. Le si avvicinò, la cartelletta infilata sotto al braccio, e si sfregò le mani.
“Tutto pronto o quasi. Abbiamo radunato un buon seguito per… per la tua missione. Therinfal non è molto distante, quindi almeno il viaggio non sarà terribile; i Templari si stanno
radunando lì”.
“Per la serie guardiamo il lato positivo della faccenda”, brontolò Fedra. Cullen passò alle sue spalle in quel momento e le strappò un sospiro che a Josephine non sfuggì.
“Avrebbe voluto accompagnarti anche questa volta. Ha il terrore che ti succeda qualcosa di male”.
“Non lo biasimo, non sono Cassandra che potrebbe uscire indenne da un’esplosione solo gridando dietro alle fiamme”.
“Ci tiene a te. Tanto”. All’improvviso si morse il labbro e arrossì appena, distogliendo lo sguardo. “Ma comunque non ti devi preoccupare, non ci sarà solo Cassandra con te. Solas e Varric
ti accompagneranno”.
Il pensiero di avere il nano come compagno di viaggio era confortante, una nota solare nella prospettiva cupa che andavano a fronteggiare. Solas era un enigma e una parte di Fedra temeva che la sua presenza fosse indice di guai molto più grossi del previsto all’orizzonte, ma saperlo al suo fianco la tranquillizzava.
“Non preoccuparti troppo”, le disse Varric mentre cavalcavano via da Haven. “Torneremo. Lo facciamo sempre”. 
Ma a mano a mano che le porte della città diventavano più piccole all’orizzonte, con lo sguardo di Cullen che la seguiva dalle mura, Fedra sentiva l’angoscia aumentare.
Leliana e Josephine, inutile dirlo, avevano fatto un lavoro eccellente. Therinfal – un catafalco di pietre annerite dal tempo, una fortezza grossolana tutta feritoie e grate borchiate – sorgeva all’estremità di un ponte levatoio gremito di una fauna completamente stonata in quell’ambiente così austero. Maschere e broccati, mantelli di velluto e acconciature eleganti: nobili da ogni parte dell’impero. Promesse mantenute.
Fedra affrettò il passo verso il portone, le braccia sopra alla testa nell’inutile tentativo di proteggersi dalla pioggia incessante. Varric la raggiunse subito e abbassò il cappuccio che si era tirato sul capo.
“Se il buongiorno si vede dal mattino mi sa che la faccenda qui è più grama del previsto”, disse. La sagoma di Bianca fissata alla schiena lo rendeva deforme, una gobba squadrata che gli sbucava tra le scapole.
Con un brivido Fedra annuì. Sotto il ticchettio della pioggia l’aria era gremita di sussurri, quella litania di “Araldo di Andraste” che ormai l’accompagnava dappertutto. 
Cassandra e Solas li raggiunsero poco dopo, la prima incurante dell’acquazzone, il secondo pallido e austero sotto il mantello scuro che lo avvolgeva.
“Fedra, l’Araldo di Andraste non si mette a correre in mezzo ai nobili”, ringhiò Cassandra. Era stata silenziosa, più brusca del solito durante tutto il viaggio. Fedra non se la sentiva di biasimarla, ma anche la sua, di tolleranza, era arrivata al limite.
“L’Araldo di Andraste non gradisce inzupparsi sotto il diluvio, e chiunque la pensi diversamente dovrebbe fare due conti con la realtà”, rispose secca. 
“Ci stanno guardando tutti”, disse tra i denti. Su quello non aveva nulla da obiettare, era semplicemente vero. Non uno dei pezzi grossi radunati a Therinfal nascondeva l’interesse verso l’Inquisizione. Verso Fedra, che si teneva strette le braccia e cercava di non battere i denti.
“Araldo di Andraste! Un onore che iniziavo a temere non giungesse più!”
Non fu un sussurro questa volta, ma una declamazione ad alta voce, squillante. Fedra si scostò dal viso i capelli bagnati e raddrizzò la schiena all’approcciarsi di un nobiluomo vestito nei toni sgargianti del giallo, una maschera laccata a nascondere gli occhi. Cassandra si irrigidì ma Solas scosse una volta la testa.
“Siamo qui per questo, Cercatrice. Devi costringerti ad abbassare la guardia, almeno per il momento”. Il sussurro era teso, le mani eleganti strette attorno al bastone.
Il nobile li raggiunse e si piegò in un elaborato inchino tutto svolazzi che culminò in un baciamano a sorpresa. Fedra non riuscì neanche a sottrarvisi.
“Un vero, genuino piacere incontrarvi, Araldo. Lord Esmeral Abernache al vostro servizio, lieto di poter dimostrare finalmente il mio appoggio all’Inquisizione. Sono fiero di annunciarvi che il Primo Cercatore ha acconsentito all’incontro di oggi anche e soprattutto grazie alla mia influenza e alla sottile opera di…”
“… di stordimento a suon di ciance”, sibilò Varric, il naso nascosto nel collo del mantello. Cassandra lo guardò peggio del solito.
Fedra recuperò dai recessi della memoria quello strazio di lezioni di portamento e buona educazione cui era stata costretta fin dalla più tenera età. Riuscì a trattenersi dallo strappare la mano dalla stretta molliccia di Abernache e mise insieme un inchino accettabile.
“L’Inquisizione è lieta del vostro appoggio, lord Abernache, e io stessa sono felice di fare la vostra conoscenza”. 
“Mi permettete dunque di accompagnarvi all’incontro?” chiese. Le porse il braccio e oltre i fori della maschera Fedra vide due occhi scuri e ansiosi. 
Le costò fatica costringere le guance a collaborare ma riuscì a sorridere e prese il braccio di Abernache.
“Con piacere”, e si avviò con lui. Alle sue spalle Varric sgranò gli occhi. 
“Parlavamo di possessione, no? Che mi venga un colpo se Carota non è posseduta dallo spirito di Frufrù!”
“Josephine è viva e in salute, oltre a non essere un demone. Non potrebbe mai…” lo interruppe Solas.
“Si chiama ironia, simpaticone. Dovreste fare la reciproca conoscenza qualche volta”.
Cassandra mugugnò infastidita.
Presto Fedra si trovò separata dal resto del gruppo, sola con il nobile che la teneva ben stretta lungo gli innumerevoli, angusti cortili di Therinfal.
“La chiusura del varco rimane di primaria importanza, Araldo. O preferite Inquisitore?”
“Fedra andrà benissimo”.
Abernache ridacchiò e le diede una pacca sulla mano che tratteneva nell’incavo del gomito.
“Vi adoro, così spontanea, così priva di fronzoli… non mi stupisce che il popolo abbia un debole per voi. Il Primo Cercatore non ha accettato di incontrare alcun membro della nobiltà orlesiana qui radunato fino a che non gli fosse garantito un colloquio con l'Araldo di Andraste in persona. Curioso, no, dopo il trattamento che vi ha riservato a Val Royeux”.
“Curioso è dir poco”, rispose Fedra. Con discrezione si guardò alle spalle e vide, tra le numerose figure mascherate, l’alta sagoma di Cassandra. Subito si sentì rassicurata. “Tutto ciò che chiediamo al Primo Cercatore è il supporto suo e dei Templari per chiudere il varco. La definirei una richiesta ragionevole”.
“Lo è senz’ombra di dubbio, Araldo. Inoltre… oh, guardate. Il Primo Cercatore ha mandato qualcuno ad accoglierci!”
Fedra guardò attraverso la cortina grigia della pioggia e vide un viso conosciuto.
“Ma io lo conosco…” sussurrò.
“Ah sì? E chi sarebbe costui?” chiese Abernache non senza una traccia di disgusto.
Ser Barris si fece avanti, le gocce d’acqua che scintillavano sulla testa rasata e gli occhi verdi pieni di preoccupazione. 
“Araldo di Andraste, non abbiamo avuto modo di presentarci. Ser Delrin Barris, figlio cadetto del bann Jervin Barris del Ferelden”, disse portandosi il pugno al petto. Abernache sbuffò, quasi una pernacchia muta.
“Un secondogenito. Tutto qui quello che mandano ad accogliere nientemeno che l’Inquisizione in persona?”
Fedra si sfilò dalla stretta del nobile e tese la mano al giovane Templare.
“Mi ricordo di voi, ser Barris. Mi siete sembrato l’unico dotato di buon senso a Val Royeux”.
Il Templare aprì la bocca e la richiuse, ingoiando chissà quale frase compromettente.
“Ho contribuito a quest’incontro, Araldo. Conosco Cullen e mi fido di lui se afferma che il vostro scopo sia di chiudere il varco”.
Fedra annuì seria.
“Cullen non mente”.
Ser Barris quasi sorrise.
“Lo so. Devo comunque ammettere che vi accompagnate a un seguito… bizzarro”.
“Bizzarro? Conoscete di sicuro la Cercatrice Pentaghast, mentre Varric e Solas…”
“Non mi riferivo al nano e all’elfo. Sono i benvenuti”, e li salutò con un rigido inchino. Abernache spinse in fuori il petto e si piantò i pugni sui fianchi.
“State definendo bizzarra la più alta nobiltà orlesiana? Badate alle vostre parole, cavaliere!”
Barris lo ignorò e tornò a fissare Fedra.
“Il Primo Cercatore ignora la minaccia che brucia nel cielo e si è rifiutato di fare alcunché senza prima aver conferito con voi. I più alti generali sono con lui… e temo non sia una questione di rispetto nei vostri confronti”.
Con una smorfia Fedra annuì.
“Chissà perché lo penso anche io…”
“Venite. Ci sono alcune formalità da sbrigare prima di essere ricevuti”.
“Ah, certo! Le lunghe cerimonie dei Templari!” lo canzonò Abernache. “Al Primo Cercatore fa senza dubbio piacere tenerci qui sotto la pioggia a…”
“Barris, tagliamo corto”, lo fermò Fedra. “Non ho tempo da perdere con queste pagliacciate”, e indicò Abernache.
Il Templare la fissò a lungo.
“Non gli farà piacere”.
“E a me non ne fa stare qui a inzupparmi e a fare i suoi porci comodi. Vuole parlare con l’Inquisizione? Bene, siamo qui. Basta cerimonie”.
Abernache, zittito dallo sberleffo di Fedra, non disse una parola, troppo intento a indignarsi in silenzio. Alla fine Barris acconsentì, anche se con un’espressione funerea sul bel viso nero.
“Seguitemi allora. Non gli farà piacere ma immagino ve ne assumerete la responsabilità”. Li guidò attraverso il cortile, sotto una serie di stendardi rossi appesi alle pareti, e fino a porta laterale.
L’aprì e la tenne ferma affinché Fedra potesse passare. Varric, Solas e Cassandra la seguirono, ma il Templare bloccò l’accesso ad Abernache.
“Come, prego?” chiese quest’ultimo. Il mento che sbucava dalla maschera si tinse di un furibondo rossore.
“Si tratta di una questione tra i Templari e l’Inquisizione, lord Abernache. Sono certo che il Primo Cercatore provvederà a conferire anche con voi a tempo debito”.
“Mi state escludendo da questo concilio? E con quale autorità?”
Barris sospirò stanco.
“Non vi escludo da niente, semplicemente questa particolare occasione è riservata all'Araldo di Andraste e al suo seguito – di cui non fate parte, mi risulta”.
Passi sferraglianti andarono a coprire l’invettiva di Abernache, sempre più rosso in viso e starnazzante. Fedra guardò verso l’altro capo della sala e vide avvicinarsi un drappello di cinque Templari in alta uniforme, con tanto di elmo alato sul capo. A guidarli un uomo alto e massiccio, ben più robusto del Primo Cercatore Lucius.
Cassandra si tese al suo fianco e afferrò la spada. L’istinto le fece fare altrettanto, mani strette sulle else dei pugnali. Ser Barris si voltò a metà di un’ennesima risposta ad Abernache e corrugò le sopracciglia.
“Alto Capitano Denam? Aspettavamo il Primo Cercatore. Lui…”
“Ha mandato me”, rispose con voce amplificata dall’elmo. Qualcosa vibrò in fondo a quel suono, qualcosa di sbagliato. Fedra strinse più forte i pugnali e vide che Varric, nell’angolo più remoto, staccava Bianca dalla spalla.
“Dov’è Lucius?” scattò Cassandra.
“Non qui. Posso certamente fare le sue veci di fronte a questa nobile, esaltante nuova alleanza”.
Di nuovo quel brivido, quella sensazione che in quell’uomo qualcosa non andasse. Fedra sentì ogni pelo rizzarsi sulla sua nuca, come un cane pronto ad attaccare. Cercò di leggere qualcosa sui volti degli altri cavalieri al seguito di Denam, ma gli occhi di tutti erano nascosti da elmi o cappucci. 
Qualcosa, nei recessi della sua anima, sussurrò.
Rosso.
Il marchio sulla mano pulsò. Definitivo segnale di pericolo.
“Abernache, andatevene”, disse con voce piatta.
“Ma Araldo! Ero convinto che almeno voi…”
“Andatevene. In fretta, anche. Per il vostro bene”. Sguainò un pollice di acciaio e non distolse lo sguardo dal capitano Denam.
Il nobile si guardò intorno senza capire.
“Via!” gli urlò Cassandra. A quest’ultimo avvertimento Abernache non seppe opporsi. Trasalì, fece una specie di balletto sulla punta dei piedi per la confusione e uscì di corsa, sbattendosi la porta alle spalle. Immediatamente una freccia andò a piantarsi nelle assi di legno, proprio dove un istante prima si era trovata la testa di Abernache.
Fedra sguainò le spade e Cassandra le si parò davanti.
“Esigo sapere cosa sta succedendo e dove si trova il Primo Cercatore”. La voce di ser Barris era tesa mentre avanzava verso il capitano, le mani ancora disarmate per l’incredulità.
“Il vostro arrivo in pompa magna, Inquisitore, ha rovinato i piani del Primo Cercatore”, rispose Denam. Guardò Barris dall’alto in basso e molto lentamente levò le mani ad afferrare l’elmo.
“Ho un presentimento davvero brutto”, sussurrò Varric. Incoccò il dardo con un clic e puntò Bianca in avanti verso i Templari, un occhio chiuso per prendere la mira. 
Denam voltava le spalle a Fedra, che poteva vedere molto bene il viso di Barris. Un viso che, mentre l’elmo abbandonava il cranio del capitano, diventò sempre più pallido. Il giovane cavaliere indietreggiò di un passo ed estrasse la spada, puntandola contro il suo diretto superiore.
“Cosa siete diventato?” chiese con voce tremante. Fedra si guardò attorno e l’orrore le tolse il fiato. Uno degli arcieri si scrollò via il cappuccio, rivelando un viso che aveva ormai poco di umano. Venature rosse, splendenti come la carne esposta, correvano per il viso e il collo dell’uomo – non solo il suo, di tutti i Templari lì presenti, a parte Barris. Gli occhi dei cavalieri avevano perso ogni traccia di sentimento, pozze scure dal remoto bagliore scarlatto.
Denam lasciò cadere l’elmo e afferrò Barris per il collo dell’armatura, tirandolo in avanti. Era un uomo dai lunghi capelli castani e il viso butterato e quell’anomalia scarlatta rendeva mostruosi i freddi occhi azzurri.
“Dovevate essere mutati, tutti voi. Ora tutti i Templari che hanno rifiutato il trattamento verranno epurati. A partire da voi, ser Barris”.
Il giovane cavaliere si divincolò dalla stretta e indietreggiò fino alla parete, dove recuperò uno scudo.
“Capitano, inizio a capire cosa stia succedendo ma non intendo arrendermi!”
Cassandra si mosse brusca al fianco di Fedra e sollevò lo scudo. Una freccia si infisse nel legno e le fece vibrare il braccio, strappandole un ringhio, ma Bianca eliminò il problema. L’arciere cadde a faccia in giù sul pavimento prima di riuscire a raggiungere la faretra, un dardo che gli sbucava dalla gola.
“Meno uno”, disse cupo Varric con un ghigno da predatore. Mentre ricaricava Solas colpì il secondo arciere con una sfera di energia che gli fece perdere la presa sull’arco e lo spedì a sbattere contro la parete.
La coscienza di Fedra, ancora ferita dal primo omicidio, decise che forse era il caso di mettersi a tacere. Voltò le spalle a Cassandra e incrociò le lame davanti a sé.
“Tieniti pronta”, le disse la Cercatrice. La sentì staccarsi da lei e caricare un cavaliere in armatura e scudo a torre mentre un secondo si scagliava verso Fedra.
Concentrati! 
Il tempo sembrò rallentare, il cuoio dell’impugnatura dei lunghi pugnali che diventava un tutt’uno con le sue mani.
Silenzio nella testa. Quiete nonostante il cuore che ruggiva e il pericolo che le gridava nelle orecchie. 
Il cavaliere si avvicinava di corsa - sapeva che doveva essere così - ma le sembrava fosse una parodia. Lo vedeva rallentato, lo scudo alto e la spada scostata dal corpo, sollevata.
Le avrebbe falciato il collo, all’attaccatura con le spalle. 
Fedra mosse il piede all’indietro e si abbassò in ginocchio; le due lame, incrociate sopra alla testa, mandarono scintille quando la spada del Templare vi si schiantò. Visto da vicino era ancora più spaventoso - pelle cinerea e occhiaie rossastre oltre la feritoia dell’elmo.
L’urto mandò una scossa di dolore fino alle spalle, una vibrazione lungo tutte le ossa. Un movimento delle braccia, un balzo indietro e il Templare era sbilanciato in avanti, la spada bassa e il corpo inclinato. Fedra giunse i pugni - metallo, tutto metallo, questa volta nessuno spiraglio da colpire - e piegò i gomiti. Le impugnature delle due armi andarono a impattare a tutta forza contro la guancia del Templare, un altro colpo che fece male anche a lei ma che riuscì ad ammaccare l'acciaio, a far ruotare l’elmo di alcuni gradi di lato. Abbastanza per schiacciare il naso dell’uomo e strappargli un grido di dolore. Semi accecato, con la feritoia di sbieco davanti a un solo occhio, il Templare risollevò la spada e menò un fendente alla cieca. Fedra si fece da parte e lo guardò annaspare, il sangue che gli colava dal mento.
La sala era un caos di clangore d’armi ed esplosioni, ma non le importava. Non poteva prestarvi attenzione: il suo mondo, in quel momento, iniziava e finiva con i nemici che le invadevano il campo visivo. Un secondo Cavaliere schivò la carica di Cassandra e caricò dritto verso Fedra. Gridava e sputava sangue, ferito chissà quando da un dardo di Bianca che gli sbucava dal fianco. 
lo vide arrivare e si preparò a evitarne il colpo, ma non era pronta all’impatto con lo scudo. Fu come una valanga in piena faccia; Fedra sentì il metallo schiantarsi sul suo naso e spaccarle un sopracciglio, i denti penetrare nel labbro e lacerare pelle e carne. Si ritrovò a terra, gli occhi che non volevano stare aperti e la bocca che perdeva sangue in un unico flusso continuo. Una miriade di luci le danzavano davanti agli occhi e il Templare che le veniva incontro era una sagoma doppia, sfocata.
Il suo nome riecheggiava da lontano, la voce tonante di Cassandra che la chiamava.
Non mollare!
Scrollò la testa per far fermare la giostra folle del mondo.
L’uomo le barcollava incontro. Fedra premette le mani contro il pavimento e ingoiò una boccata di sangue. Sotto i palmi la forma dura dei pugnali era rassicurante, reale. Una promessa di sopravvivenza. 
Una spada sopra di lei, alta sulla sua testa. Rotolò di lato e il colpo si infranse sul pavimento, sollevando schegge di legno. Fedra batté le palpebre e le strizzò, l’elmo del Templare che tornava a fuoco.
L’elmo era aperto sul davanti, una fessura a forma di T che lasciava poco spazio per una lama.
Però che ne lasciava abbastanza. 
Fece scattare il braccio verso l’alto in un colpo senza speranza senza nemmeno concedersi il lusso di rifletterci. La fortuna, quel giorno, guardò verso di lei. La lama del pugnale scintillò contro i margini della feritoia e andò a infilzarsi sempre più a fondo nel cranio del Templare. L’uomo lanciò un grido gorgogliante cui Fedra nemmeno si accorsi di essersi unita; spada e scudo caddero mentre le membra danzavano in una frenesia di morte. 
Ritrasse l’arma prima che l’uomo fosse crollato a terra e ritrovò la lucidità. Sangue le imbrattava le braccia fino ai gomiti, le colava dal viso al petto. Barcollò in piedi e si vide venire incontro il primo uomo che aveva ferito, il naso schiacciato di lato e l’elmo di nuovo al suo posto. Si fece ruotare i pugnali nelle mani e si piantò salda sulle gambe. 
Lento. Era lento e non poteva prenderla mentre, ancora incerta sui piedi, roteava sulle punte ed evitava un ennesimo fendente. Il sangue le faceva bruciare l’occhio destro, che si stava gonfiando per l’urto, ma Fedra riusciva ancora a vederci abbastanza da scorgere uno spiraglio nella corazza del cavaliere. Uno spicchio di tunica rossa che sbucava sotto l’ascella, dove il pettorale si interrompeva e articolava con lo spallaccio. Lo stesso spazio angusto in cui Fedra appoggiò uno dei pugnali.
La punta scalfì qualcosa di duro - un osso, pelle lacerata e sangue che iniziava a grondare - e quando lei vi si appoggiò con tutto il proprio peso, spingendo verso l’alto, trovò la via. Avanzò tra due costole e oltre, dentro il polmone, in un vaso sanguigno troppo grande, troppo importante. L’uomo le vomitò addosso un getto di sangue rovente e denso e oscillò
pericolosamente; si schiantò a terra a un passo da lei, l’elmo che rotolava via e rivelava il viso sfregiato dalla strana sostanza rossa, il naso piegato di lato dalla frattura di poco prima.
Solo allora Fedra si accorse che il clangore nella stanza era scemato. Un ultimo boato di fiamme emerse dal bastone di Solas e creò una voragine nera nel petto dell’ultimo dei cavalieri rimasti. Respirando a stento si alzò in piedi, una mano appoggiata alla parete. Nessun senso di colpa questa volta, solo l’eccitazione che scemava e le faceva tremare le ginocchia. Cassandra si pulì il sangue che le colava dal naso e la raggiunse, le spalle guardate da Varric.
“Tutto a posto?” le chiese. Questa volta non ci fu bisogno di altro che un cenno del capo. Cassandra le prese la mano e la rimise in posizione verticale.
Un ultimo urto risuonò a pochi metri di distanza. Tutti si voltarono per vedere Barris colpire due volte Denam in piena faccia con un pugno di ferro, frantumando ossa e lasciando il capitano immobile, anche se vivo.
Il giovane cavaliere si alzò ansimando e appoggiandosi con tutto il peso al petto di Denam. Un lungo squarcio gli scendeva dalla tempia alla mandibola ma per il resto sembrava incolume.
“Ben fatto, ragazzo! Ora però sarebbe il caso di finirlo”, disse Varric. Si asciugò la fronte sudata con l’avambraccio e indicò il capitano con Bianca. “Posso pensarci io, se preferisci”.
“No. Sa qualcosa - più di quanto sappia io - e dobbiamo poterlo interrogare”. Ser Barris recuperò una corda e legò Denam mani e piedi, quindi raggiunse Fedra fermandosi a pochi passi da lei.
Qualcuno stava combattendo. Fuori dalla stanza, nelle viscere di Therinfal, il ferro cantava contro la carne.
Cassandra prese Barris per il braccio.
“Il Primo Cercatore è qui?”
“Sì, ma non in quest’ala della fortezza. Se ha mandato Denam al posto suo potrebbe…”
“Dobbiamo trovarlo. Subito!” Fece voltare Barris verso la porta e lo spinse avanti. “Facci strada. Varric, Solas, copriteci!”
Barris esitò solo un istante, soverchiato dalle parole di Cassandra, ma quando si riscosse agì con decisione. Assicurato lo scudo al braccio raggiunse la porta e la spalancò con un calcio.
Fedra venne spinta avanti da Varric verso un corridoio. A mano a mano che si avvicinavano al cortile interno il fragore della battaglia si faceva più intenso.
“Lo stanno facendo davvero. Stanno - come ha detto il capitano?- epurando i Templari da chi non ha… non ha voluto assumere…”
Si morse il labbro. Fedra ebbe una fugace impressione di orrore sul viso di Varric, un pallore inusuale sul largo volto massiccio del nano. Non c’era tempo per domande, però, e il gruppo raggiunse l’accesso al cortile.
Barris si fermò alla porta e guardò Fedra.
“Se troviamo un modo per aprirvi un corridoio dovete andare. La prima porta a destra e subito su dalle scale. Oltre c’è una terrazza e in cima a una seconda scalinata gli alloggi di Lucius”.
Gli occhi verdi si strinsero, lucidi, e il cavaliere posò una mano sulla spalla di Fedra.
“Araldo di Andraste, Inquisitore… se ho ragione, se è il Creatore a mandarti, prega che oggi non abbia niente di meglio da fare e ci guardi con benevolenza”.
“Non sono un granché a pregare, ser Barris, ma hai le mie lame e tutto il mio coraggio, anche se non è molto. Dobbiamo farcelo bastare”, rispose incerta.
Il Templare quasi sorrise e annuì.
“Siamo pronti?”
“No, ma chi mai lo è? Facci strada, cavaliere, e noi cercheremo di non sprecare tempo e vite”, disse freddo Solas. Aveva uno schizzo di sangue non suo sullo zigomo e una manica lacerata, gli occhi due schegge di gelida furia. 
Cassandra fece un cenno rapido con il capo verso la porta dopo un ultimo sguardo a Fedra.
“Coraggio, ser Barris, e che Andraste vegli su di noi”.
Il cavaliere aprì la porta e l’onda d’urto del chiasso investì il gruppo. Grida, fragore di armi e armature, tonfo di corpi e lì, di fronte a loro, lo spiazzo quadrato del cortile invaso di Templari imbrattati di sangue. Era difficile capire quali tra di essi recassero sul volto i segni della corruzione.
Fedra lanciò un pensiero disperato ai nobili orlesiani accampati dall’altra parte della fortezza, indifesi e fuori luogo in una simile carneficina.
Erano spacciati, tutti loro, a meno che le riuscisse di trovare un sistema per fermare quella follia.
Quel sistema, odiava ammetterlo, passava per il Primo Cercatore. Strinse i denti e le dita sulle armi e seguì di corsa Barris nel cortile. Tra lo scudo squadrato di quest’ultimo e la protezione di Cassandra al suo altro fianco attraversò lo spiazzo e si addossò al muro di destra.
La porta - la loro meta - era lì, a non più di venti metri sotto una tettoia.
Una tettoia infestata di arcieri.
La prima nube di frecce si schiantò contro gli scudi, innocua. Ci fu una pausa e una nuova, singola freccia fendette l’aria. Si andò a infilare sopra al braccio alzato di Barris e raggiunse il bersaglio.
Fedra gridò mentre la punta di metallo le scavava nella carne, si infilava in profondità nel muscolo della spalla. Un dolore bruciante si diramò dalla ferita fino alla gola e ai polmoni, le ustionò ogni respiro e le annebbiò la vista. 
Cassandra urlò qualcosa nel suo orecchio, una maledizione o un’invocazione impossibile a dirsi, e la lanciò dentro all’edificio. Accecata, sanguinante, Fedra sentì le grida di che incoraggiavano Varric, lo udì bestemmiare mentre entrava di corsa e oltre le palpebre chiuse scorse il bagliore dell’incantesimo di Solas. Poi con un tonfo la porta si chiuse e il chiavistello sferragliò nel muro.
Non silenzio, non del tutto, ma un istante di respiro. Giusto il tempo per fasi prendere dal panico.
Cassandra mollo lo scudo e sorresse Fedra prendendola da sotto le ascelle.
“Quanto è grave? Stai sveglia, ti prego, ti scongiuro non morire!”
“N-Non credo”, provò a rispondere, ma la voce le si spezzò.
Faceva male, tanto, troppo male. Ora che il clamore si era acquietato, però, la nuvola di follia iniziava a dissiparsi. Era dolore, solo dolore: poteva respirare e forse non sarebbe morta subito. 
Solas si chinò su di lei e le tastò la gola, slacciò la casacca di pelle e le scoprì la spalla. Nelle dita calde che la sfioravano non c’erano altro che preoccupazione e premura medica e Fedra non riuscì a imbarazzarsi.
Gli occhi dell’elfo scattarono in su, oltre la testa di Fedra, così all’improvviso da farla voltare di scatto.
Un bieco trucco. Solas strinse la mano sull’asta della freccia e la sradicò proprio quando Fedra meno se l’aspettava. Un nuovo grido le eruppe dalla gola insieme a un rivolo di sangue che scese a inzupparle la manica. Subito Cassandra vi premette le mani tremanti.
“Mi dispiace averti fatto del male, Fedra. Ho cercato di distarti per rendere il tutto più rapido; non è una ferita grave e penso di riuscire a stagnarla almeno nell’immediato. Dammi solo un istante”.
Pose una mano snella sulla spalla ferita, incurante del pianto ululante di Fedra, e presto una luce pallida sbocciò tra il suo palmo e la carne lacerata. Un tenue calore le si sparse per la pelle e il dolore sembrò affievolirsi mentre il sangue smetteva di correre. Fedra trattenne il fiato e mosse le dita, lo sguardo che passava dalla ferita a Solas.
“Sono… mi hai guarita?”
“Per il momento. Non posso escludere che si riapra se combatti, ma non ti avrebbe comunque uccisa”. Solas si rialzò e riprese il bastone, che usò per indicare la scala di legno.
“Da questa parte, giusto, ser Barris?”
Il Templare annuì secco una volta. Cassandra aiutò Fedra ad alzarsi e la sorresse fino a che non smise di barcollare.
“Ci sei? Non possiamo trattenerci a lungo…”
No, non c’era per niente, era terrorizzata e non aveva mai subito una ferita del genere. Ma la battaglia le scorreva nel sangue, la magia di Solas si era portata via la sofferenza e lei non aveva alternative. Recuperò i pugnali e li soppesò.
“Andiamo. Subito”, disse, il tono ancora nasale per il pianto. 
Oltre la scala, oltre il pianerottolo di legno e in un secondo cortile corsero, incuranti dei focolai di scontri che li circondavano. La pioggia stava ricominciando più torrenziale di prima; scrosciava e si portava via il sangue che incrostava i capelli e gli abiti di Fedra quando riuscì a raggiungere la scalinata di pietra. Lassù, in alto, oltre dozzine di scalini viscidi di umidità, una lucida porta rossa si aprì e richiuse.
La sagoma del Primo Cercatore Lucius era stagliata contro quella lastra scarlatta - rosso, troppo rosso, ovunque. Nel sangue e nei Templari corrotti. Nel dolore che le indugiava nella memoria, troppo vicino. Cassandra abbassò la testa e si piegò sulle gambe, pronta alla carica, ma Fedra la trattenne con un gesto.
“No. Vuole me”, disse piano. Cassandra scoprì i denti in un ringhio ma non si mosse, e lo stesso fecero gli altri tre compagni. Fedra percorse da sola gli ultimi gradini fino a raggiungere il Primo Cercatore, in piedi di spalle davanti a lei.
“Lucius - o Primo Cercatore, non so come vuoi farti chiamare e sono comunque poco incline alle formalità. Volevi parlare con me? Eccomi. Sono qui”.
L’uomo si voltò di scatto.
Non ci sarebbe stato bisogno del grido di avvertimento di Cassandra, dell’imprecazione di Varric o del lampo dal bastone di Solas per capire che qualcosa era peggio che fuori posto. 
Lucius prese Fedra per il bavero e se la tirò contro, quasi volesse baciarla. Il viso pallido, i capelli grigi… era lui, lo sapeva. Lo credeva.
Qualcosa si agitò in fondo agli occhi chiari.
“Finalmente”, le disse con voce carica di desiderio. 
Lottare? Avrebbe voluto. Avrebbe dovuto. Ma il Primo Cercatore la prese per il collo e la tirò contro di sé, dentro una luce accecante che li ingoiò entrambi e cancellò il mondo da attorno a loro.


Buona domenica e buon nuovo capitolo :)
Ci siamo: adesso si fa sul serio, basta girare attorno ai problemi. Sangue, e tanto anche.
So che la quest dei maghi è più popolare ma i Templari - in questo episodio della saga, perché nei precedenti sono molto più Mage Right Activist :P - mi sono rimasti nel cuore. Colpa del background di Cullen? Non proprio, non solo, perché ser Barris è un personaggio secondario che mi è piaciuto molto, un paladino vecchio stampo come se ne vedono pochi ormai (e Abernache, se sopravvive, regala un siparietto divertentissimo). Onestamente, comunque, non sarei in grado di scegliere tra le due quest: sono entrambe così belle che meritano un giro!
Come sempre grazie e al prossimo capitolo!

 

Val

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Capitolo 7
*** 7-Non doveva andare così. Ho paura e non posso permettermelo. ***


Il lampo accecante si dissipò, la stretta di Lucius sul suo collo sparita. Come se non ci fosse mai stata.
Fedra vacillò in piedi e tese le braccia di lato con un respiro brusco che le riempiva i polmoni.
Davanti a lei ombre deformi si agitavano agli angoli, tra due file di colonne che avevano un che di familiare. E familiare era anche il bagliore verde che inondava quella strana stanza lunga e alta, che gettava su sagome curve e contratte sparse sul pavimento la luce cangiante di una grotta sottomarina. Ogni cosa sembrava annegata, morta.
La pelle d’oca le rizzò i peli sulle braccia e Fedra si aggrappò ai pugnali.
“Solas, sei tu l'esperto, cosa pensi che sia?”
La sua voce rimbombò sotto alle volte nere.
Nessuno rispose.
Fedra si voltò e alle sue spalle c’era solo tenebra, densa. Impenetrabile.
Era sola.
Il gelo le si infiltrò nel cuore, un terrore muto che le mozzava il fiato.
Dove sono tutti?
Mosse un passo avanti e quasi si stupì nel trovare il pavimento solido e asciutto, non viscido di alghe. Ma più avanzava in quel salone più qualcosa le stuzzicava la memoria.
Archi. Due file di colonne tozze, squadrate, a delineare le strette navate laterali. La sensazione di gelo nel petto si fece più intensa.
Era ad Haven. Quella era la chiesa, e lì in quell’angolo doveva esserci la pila di casse con le bende, quelle che si era portata Madre Giselle. E appena sopra la ragnatela che nessuno osava rimuovere perché il proprietario, grasso, giallo e nero, divorava così tante mosche da rendere un servizio alla comunità.
Era casa ma non lo era, una grottesca parodia della sicurezza che quell’edificio le aveva sempre trasmesso.
Nel buio verdastro sbocciarono tante piccole scintille. Avanzando la paura si tinse di disgusto, di orrore.
Non fuochi fatui: vere e proprie fiamme che danzavano sulle teste, sulle mani sollevate e tese al cielo di uno stuolo di cadaveri carbonizzati. L’odore di carne bruciata scivolò dalla memoria al naso e Fedra si portò il dorso della mano alla bocca a reprimere un conato.
Morti. Come al Tempio delle Sacre Ceneri.
No, non ha senso. Sto impazzendo, non ho altre spiegazioni, pensò nel distogliere lo sguardo dai corpi bruciati. Le colonne erano lucide di umidità, rivoli d’acqua che scorrevano verso l’alto.
C’era silenzio. Troppo silenzio, a parte quello sgocciolio fuori posto; non riusciva neanche a sentire il proprio cuore.
Qualcosa, in fondo alla sala – sì, laggiù, dove si sarebbe trovata la sala di guerra – si mosse. Fedra cercò di affrettarsi ma era come camminare nella melassa e fu solo dopo un’eternità durata pochi istanti che riconobbe due sagome.
Josephine. Semplicemente Josie, con i suoi bei vestiti sgargianti blu e oro. Ma non c’era alcun sorriso negli occhi acuti, nessuna vita sul viso grazioso.
La seconda sagoma le causò un brivido così intenso da terminare con uno spasmo delle mani.
Cullen. Statua immobile, occhi vacui fissi oltre di lei. Perfetto, con i suoi capelli ben pettinati e la cicatrice sul labbro. Perfetto se non fosse stato che non poteva essere lui. Non poteva essere
, ovunque fosse quel lì.
Fedra si paralizzò con la bocca socchiusa e solo il rumore di passi che si avvicinavano la fece riscuotere. Distogliere lo sguardo da Cullen, però, le era impossibile.
Passi, quindi, passi sempre più vicini. Leggeri.
Questa forma va bene? Mi aiuterà a conoscerti?”
Trattenne il fiato così forte da sussultare.
“Leliana?” chiese. Prima ancora di finire quel nome, quella parola così nota, si accorse che non era possibile fosse lei. Oh, certo, il viso era lo stesso, gli stessi occhi e bocca delicata. Persino le stesse pieghe del cappuccio viola. Lo sguardo, però, era sbagliato.
Tutto in lei era impreciso, anche se imitava così bene l’originale.
“Chi sei?” chiese. Un rantolo o poco più.
“Tutto ciò che fai, ogni tuo gesto mi parla di te. Vuoi vedere?” disse la creatura con le sembianze di Leliana.
“No, non voglio vedere niente. Voglio solo andarmene di qui”.
Non-Leliana sorrise. “Hai paura. Hai fretta di andartene. Senti di dover fare qualcosa e di essere imprigionata qui. Lo detesti”.
Nella mano guantata comparve un coltello. La creatura si portò alle spalle di Cullen e sorrise ancora di più.
“E questo, invece? Cosa mi dirà di te?”
Non era lui. Lo sapeva. Lo aveva saputo dal primo istante – luce spenta in fondo agli occhi, nessuno dei suoi gesti a renderlo reale. Ma vedere la mano della creatura afferrargli il mento e sollevargli il viso, scoprirgli la gola e passarvi la lama con un movimento calmo e deliberato fu troppo. Un getto di sangue nero si riversò a terra e Fedra urlò.
Cullen – o quel che era – cadde a terra, occhi sgranati, bocca socchiusa. Morto.
No. No no no. Questo no. Questo mai. Non è lui, Fedra, torna in te. Non è lui. Vuole solo farti paura quella cosa, vuole solo…
“Inizio a capire. Dunque è questo ciò che provi per lui”, rise la creatura.
Non aveva ancora smesso di urlare. Continuava a fissare la sagoma di Cullen a terra, spezzata, immobile. Da qualche parte oltre l’orrore terrorizzato qualcosa si agitò e brillò, una stella lontana nascosta dalle nuvole.
Torna in te!
La voce le risuonò nella testa. Non era sua, non la conosceva, ma era pulita. Non-Leliana trasalì e Fedra ritrovò una briciola di controllo. Con le lacrime che le grondavano dalle guance alzò la testa e fissò quella strana creatura dal viso di donna.
“Tu… tu sei un demone, non è così? E questo è tutto un trucco”.
Il demone sogghignò. Mosse un passo indietro e la forma di Leliana svanì, inghiottita dalle tenebre. Questa volta fu il turno di Josephine: prese vita e si avvicinò a Fedra, un corto pugnale tra le mani.
“Vedo che sei intelligente, anche se non sei abituata a ritenerti tale. Testarda. Ribelle contro neanche tu sai cosa ma tanto desiderosa di fare la cosa giusta, di essere apprezzata… oh, essere te sarà molto più stimolante che rubare il Primo Cercatore”.
Le girò attorno, le dita che giocherellavano con l’arma, e si chinò a sussurrarle all’orecchio. Dalle labbra non fuoriuscì alcun respiro.

Prima i Templari, poi l'Inquisizione. Su, su fino all'Imperatrice in una spirale di caos meraviglioso che renderà così semplice l'opera del mio padrone...”

Una mano gelida le sfiorò la mandibola.
“Vuoi sapere cosa diventerà l’Inquisizione con te? Posso mostrartelo…”
Fedra si voltò di scatto e cercò di colpire la creatura, ma nel ruotare su se stessa la punta della lama incontrò solo l’aria. Lontano, in quello che aveva creduto essere solo buio, brillavano cupi degli immensi cristalli rossi.
Lo riconobbe da quell’ultima visita al Tempio delle Sacre Ceneri: lyrium rosso. Niente di buono.
“E anche una buona memoria, vedo. Ne terrò conto quando finalmente sarò te”.
La voce era tutt’attorno a lei. Non c’era più il corpo di Cullen a terra, Josephine era sparita ma quella voce maledetta non la lasciava un istante.
“Quando avrò preso il tuo corpo tu morirai. Ti ucciderò, Inquisitore, e l’Antico potrà ascendere”.
“L’Antico?”
“Ah, questo non lo sapevi, dunque? Interessante…”
“No, non lo so. Basta giochetti, demone: chi è questo Antico di cui vai blaterando?”
“Promessa di gloria, un corpo tutto per me. E tu lo servirai come tutti gli altri: morendo nel modo giusto”.
Si sentiva la gola stretta, la pelle inondata di sudore gelido.
Continua a chiedere, cerca di concentrarti e la chiave verrà da te.
Di nuovo quella voce dolce, sommessa nella testa. Non aveva di meglio da fare: Fedra l’ascoltò.
“Mi stai dicendo molte cose interessanti, demone. Ti prego, vai avanti, sto imparando molto da te”. Che fatica suonare convinta, intridere il tono di scherno e sicurezza.
Il demone da qualche parte lanciò un grugnito di astio.
“Non sono il tuo giocattolo!”
La voce le risuonò alle spalle. Fedra si voltò e Cullen era di fronte a lei, uno sguardo innaturale negli occhi chiari. Non la durezza del comandante, tantomeno la gentilezza che nutriva la sua stessa anima. Uno sguardo stizzito, freddo. Disumano.
“Io sono Invidia. E io conoscerò tutto di te!”
Le fu addosso. Vicino, così vicino che avrebbe dovuto sentirne il calore, il respiro.
“Dimmi, Araldo. Dimmi cosa pensi”. Una mano avvolta nel cuoio salì a prenderle il viso; il demone si chinò su di lei e le sfiorò le labbra con le sue. “Dimmi cosa provi”.
La stella nascosta dalle ombre brillò più forte nel cuore di Fedra. Subito però giunse la ragione, una luce crudele a scacciare l’improvviso languore che le bruciava nel petto e le rendeva le gambe deboli.
“Tu non sei
lui”, ringhiò.
Invidia la lasciò bruscamente e indietreggiò.
“Lo vuoi. Potresti averlo. Io lo avrò”, sibilò il demone. Questa volta la risata amara di Fedra era genuina.
“Non credo proprio, Invidia. Tu non sarai mai me”.
“Lo vedremo quando ti avrò mostrato ciò che sarà della tua Inquisizione. Dei tuoi amici”. Invidia si lasciò avvolgere dalle tenebre e la forma di Cullen sparì.
Andava meglio, anche se non bene. Fedra si ritrovò da sola in quell’imitazione di chiesa che pensava di conoscere così bene. Eppure era Haven, o così sembrava.
Lo è. Ricorda, ricerca, resta te stessa.
Fedra cercò tra le ombre la fonte di quelle parole ma non c’era nessuno lì, a parte i cadaveri bruciati.
E una porta in fondo, sulla sinistra. Come nella vera chiesa.
Strinse le labbra e vi si incamminò decisa, la testa bassa e i pugni stretti.
Stanze. Una dopo l’altra, tutte uguali – celle vuote e ombre e torce fiammeggianti – e tutte popolate.
Insinuano. Immaginano. Ignorali, non sono reali.
“Può darsi, ma non mi piacciono neanche un po’”, disse piano Fedra. Erano volti noti, volti amici.
Il suo stesso viso.
Si vide inginocchiata tra le lame di troppi armati, Cassandra che torreggiava su di lei. Delusione, dolore nel tono.
“Come hai potuto, Inquisitore? Ci hai traditi tutti e solo per la tua brama di potere!” la sentì dire.
“Brama di potere? Io?” Fedra quasi rise al solo pensiero.
“Quindi è così? Non è l’ambizione a muoverti. Grazie, un’informazione preziosa”, cantilenò Invidia da qualche parte. Fedra si maledì e continuò a camminare.
Forme nelle celle. Lacrime. Preghiere.
“Confesserò tutto, ve lo giuro, ma ditemi almeno cosa volete che confessi! Ho… ho tanta sete, non bevo da un giorno intero e… e…”
La voce di Josephine, distrutta, flebile.
“Non sono un’eretica! Non ho fatto nulla di male, vi scongiuro ditemi per quale motivo mi state condannando a morte!” Madre Giselle. Rabbia.
La pelle d’oca sulle braccia di Fedra faceva quasi male. Si sforzò di tenere lo sguardo basso, le orecchie tappate contro quelle grida. Impossibile.
“E così mi farai impiccare all’alba… Curioso, Carota. Pensavo fossimo amici”.
No, non Varric.
“Non farei mai una cosa del genere!” si lasciò sfuggire. Invidia rise e l’immagine del nano in catene si sciolse in una pozza nera. Il viso di Solas aleggiò incorporeo da qualche parte nella sua coscienza.
“Potevi cambiare il mondo e lo hai fatto. Lo hai distorto. Corrotto. Ho sbagliato a fidarmi di te”. Quanto odio, quanta sofferenza nella voce dell’elfo.
E poi giunse l’ultima goccia.
Cullen.
“Fedra. Perché? Pensavo che tu mi…”
“Basta!”
Fedra crollò in ginocchio, le mani premute contro le orecchie. Anche a occhi chiusi non poteva scacciare l’espressione distrutta di Cullen, le speranze andate in briciole. Il suo stesso cuore si frantumò.
Non è reale. Resisti!
Fu come se una gentile mano fresca le accarezzasse la guancia.
“Vattene!” ringhiò Invidia. Fedra sentì la speranza riaccendersi.
“Non so chi tu sia, ma se Invidia è così infastidito dalla tua presenza non sei un nemico”, disse piano. Si rialzò nonostante le ginocchia deboli e si morse a sangue il labbro. Il dolore era reale, era suo. La riportò nel suo corpo e ce la tenne ben stretta.
Invidia emise un verso inarticolato che si trasformò in uno sghignazzo folle.
“Se solo sapessi quanto mi stai raccontando di te, Araldo! Nessuna fede a muoverti, nessun Creatore davanti a cui piegare il ginocchio per te: solo il dovere. No, ma quale dovere! Solo la scelta. Vuoi essere di più. Vuoi essere
ammirata!”
“E tu sei talmente patetico da voler essere me. Non te lo raccomando”, sibilò tra i denti stretti. “Io uscirò di qui, demone, e tu non sarai altro che un verme da schiacciare”.
“Tu non uscirai di qui poiché io non te lo permetterò!”
Il soffitto tremò. Fedra ebbe la prontezza di lanciarsi contro la parete, le spalle premute contro le pietre viscide; da sopra la sua testa una cascata di fuoco pallido si riversò a terra. Fuoco vero, che le bruciava i polmoni a ogni respiro e le strinava i capelli.
“Merda!”
Attraversare la sala era impossibile, la porta laggiù in fondo – ma c’era sempre stata? – un miraggio irraggiungibile. Una seconda porta si apriva alla sua sinistra, il marchio sulla mano che si rifletteva sulle assi consunte. Senza pensarci due volte Fedra rotolò sul fianco e la aprì con una spallata.
Fresca penombra l’accolse; riuscì a respirare meglio senza quelle fiamme che la lambivano, ma appena i suoi occhi si abituarono alla scarsa luminosità un profondo senso di disagio le strinse lo stomaco.
Quella era la sua stanza. Il letto con la trapunta un po’ sbiadita, i vestiti che Maren le lasciava sempre piegati ai piedi del materasso, persino la torta che le aveva portato uno dei primi giorni ad Haven.
Solo che il tavolo era sul soffitto. La sedia di sbieco sulla parete, ma i vestiti non sembravano intenzionati a cadere.
Così simile. Così sbagliato. All’improvviso l’angoscia per ciò che aveva appena visto si fece più tollerabile.
Invidia stava provando a essere lei, a rubare ogni dettaglio della sua vita, ma non era un lavoro preciso.
Ora le rimaneva solo da affrontare di nuovo quella pioggia di fiamme e trovare un modo per uscire dal labirinto. Non una cosa da poco. Si voltò di nuovo verso la porta e allungò una mano per spingerla, ma quella voce gentile che aveva già udito risuonò. Non nella sua testa, questa volta.
“Aspetta”.
Fedra sussultò. Lasciò perdere la porta e tornò nella stanza, ma era sola.
La voce parlò di nuovo alle sue spalle. Una voce giovane, fresca.
“Invidia ti ferisce. Fa male, mima memorie che non esistono. Che non esisteranno”.
Fedra girò la testa di scatto e si fece male al collo. Davanti a lei c’era un ragazzo poco più che adolescente, alto e snello. Tutto ciò che poteva scorgere di lui, a parte l’accozzaglia di abiti sdruciti e riassemblati a casaccio – braghe di pelle che gli lasciavano scoperte le caviglie, una casacca piena di toppe – era un ridicolo cappello dalla tesa così larga da celargli i lineamenti.
“Io voglio aiutare. Te, non Invidia”, disse. Un battito di ciglia ed era scomparso.
“Chi… chi sei?” chiese Fedra. Non era paura, non proprio. Inquietudine, forse?
Il ragazzo parlò di nuovo. A testa in giù, in piedi sul soffitto.
“Cole. Ti stavo osservando. Siamo dentro di te. O meglio, tu ci sei sempre. Io guardavo. Sentivo. Ho capito e temuto per te, e ho voluto essere qui. Eccomi”.
Da lì sotto riusciva a vederlo in faccia. Pallido, un viso lungo e dolce anche se non sorrideva, capelli incolori davanti a grandi occhi azzurri. Non batteva mai le palpebre.
“Ascoltare è facile. Osservare è facile. Ma diventare parte di ciò che stai osservando non lo è. Ora sono arrivato, però. Per aiutarti”.
Un attimo dopo era seduto sulla testiera del letto, lunghe mani avvolte in bende che tremavano leggermente e si intrecciavano davanti al suo viso.
“Ho guardato. Io guardo i Templari, li vedo volerti incontrare ma non come il loro comandante. Diverso, deviato”.
“Il… il Primo Cercatore. Lui in realtà è un demone dell’invidia, vero?” chiese Fedra.
“Sì. Corrompe i comandanti, forza la furia, la rabbia. Rossi. Sono rossi dentro”.
“Li ho visti. Quella… cosa che hanno in faccia, quei marchi…”
“Piagati nel cuore. Il male si mostra sul volto”.
Cole scese dal letto con un movimento fluido; non fece alcun rumore quando atterrò sul pavimento. Si avvicinò a Fedra, dinoccolato; sentirlo respirare fu un sollievo inatteso.
“Sei bloccata nella tua stessa mente. Invidia vuole rubare la tua faccia… l’ho sentito, e mi sono teso, e poi sono entrato ed eccomi qui”.
“Vorrei dire che tutto questo ha senso ma mentirei”.
“Tu non menti. Non ne sei capace”, disse piano Cole.
Il disagio in fondo alla pancia di Fedra si aggravò.
“Mi guardi dentro. Come Invidia, quindi…”
“No. Io non sono un demone”.
“E allora cosa sei? Uno spirito che incidentalmente legge nella mente e…”
“Se ti faccio paura posso farti dimenticare tutto questo. A volte aiuta”. Nella voce sommessa, quasi priva di intonazione, vibrò una nota dispiaciuta. Fedra si agitò una mano davanti al viso e schioccò la lingua.
“Fammi uscire di qui, piuttosto”.
Cole annuì e l’ampia tesa del cappello svolazzò davanti al suo naso.
“Puoi farlo. Se continui ti allontani, diventi sempre più te stessa e Invidia deve lottare per raggiungerti. Più sei tu, meno può esserlo lui. Vuole essere te e tanti, troppi altri, e si divide, si stiracchia, si stanca. Occorre troppa forza per combattere chi continua a crederci”.
“E Invidia non ce l’ha?”
“Tu sì. Invidia impazzisce, tu sei libera”.
Le girava la testa. Si premette le dita tra le sopracciglia e strizzò gli occhi.
“Non so, dovrei essere ignifuga per risolvere il problema del fuoco qui fuori, e purtroppo è un’abilità che ancora non…”
“Acqua”.
“Scusa?”
Cole guardava oltre lei. C’era qualcosa di sbagliato in lui, ma non di minaccioso, non di grottesco. Era umano.
Quasi.
“Pensa all’acqua. Questa è la tua testa, Fedra – Fedra. Forte e fiamme e forse… forse…” Cole raggiunse la porta e sparì.
“No! Non andartene, mi servi ancora!”
Sono qui. Non mi vedi, Invidia non mi vede, ma sono qui.
La voce di Cole le risuonò in testa, sempre gentile.
Pensare all’acqua. Certo, facile con quelle fiamme che scrosciavano dal soffitto… se l’avessero colpita avrebbero bruciato pelle e carne e ossa, un dolore ustionante. Nessun sollievo se non…
Fredda. Fradicia. La mano che si immerge in una bacinella vicino al camino dopo aver provato ad afferrare uno spiedo ancora troppo caldo. Acqua che lenisce, che sfiora la pelle ferita, schizza e sfrigola tra le fiamme e le –
Spegne.
Non poteva funzionare e infatti funzionò. Fedra sgranò gli occhi quando la cascata di fuoco esplose in sbuffi di vapore sotto un torrente di acqua che pioveva dalle colonne.
“Cosa? No! Tu, vattene, lei è mia!”
La voce di Invidia rimbombò nella sala e Fedra rise.
“Buona fortuna, demone: io me ne vado da qui”.
Spinse la porta e l’entusiasmo si sgonfiò.
Era ancora nel posto sbagliato. Nella sua testa, ma questa non era più Haven; il cortile di Therinfal era invaso d’erba alta fino a metà petto, arbusti e cespugli contorti, senza foglie. Mura crollate, mucchi di detriti: la fortezza era in rovina. Tra le ombre si aggiravano demoni e creature deformi. Nessuna provò ad attaccare Fedra.
“Li vedi, Inquisitore? Sono tuoi. Tu li hai portati qui. Questo è ciò che la gente ricorderà quando sarò diventato te! L’Araldo di Andraste che consegna il mondo all’Oblio più deforme”.
“Un esercito di demoni? Questa è un po' esagerata come cazzata. Stai diventando ridicolo, Invidia. Sappiamo entrambi che non succederà!”
“Quindi sei così sicura di te? Vedremo…”
Continua ad andare. Sempre su, scale e altre scale.
“Sparisci!” Il ruggito di Invidia fece vibrare il cielo e Fedra si aggrappò a quella frustrazione.
Cammina nella tua testa, nei tuoi ricordi, fino alla fine della memoria.
Fedra lo fece. Era sempre più vicina al momento in cui aveva trovato il Primo Cercatore, in cima a quell’ultima rampa di pietra. Salì i gradini a due a due fino alla porta rossa.
C’era quasi. Bastava allungare una mano, spingere il battente e sarebbe stata libera.
Ma un’altra mano – la conosceva bene – la prevenne. La afferrò per la collottola e la costrinse a voltarsi.
Verso se stessa, ma nella forma imperfetta di Invidia. Un’ombra che aveva le sue stesse orecchie a sventola e lo stesso naso, stessa bocca grande digrignata su denti neri e fitti. Niente occhi, solo due braci dal colore acido.
“Ingiusto! Ingiusto! Quella cosa ti ha portata fin qui, ti ha tenuta aggrappata a te stessa e mi ha impedito di prendermi la tua faccia!”
La voce del demone era cambiata, priva di sotterfugi: era cruda, ruvida, nessuna traccia di umanità. Afferrò Fedra per il collo e la sollevò senza sforzo.
Mezza soffocata trovò solo un residuo di sarcasmo cui aggrapparsi.
“C-Cosa ci guadagneresti a essere me?” gracchiò.
Invidia fece un verso infastidito, un’ottima imitazione di quello che avrebbe fatto Fedra.
“Cosa ci guadagnerei a… a… te l’ho già spiegato e non hai voluto capire! Forse sei meno intelligente di quanto credessi?” Sollevò una mano e il marchio che aveva tanto diligentemente copiato brillò. “Non importa. Otterrò ciò che voglio e l’Antico giungerà; devo solo farti soffrire un po’ di più…”
“Ha paura di te”.
La voce di Cole arrivò dall’alto, così improbabile che persino Invidia si distrasse a cercarlo. Il ragazzo era in piedi su una delle statue spezzate vicino alla porta rossa. Immobile, le braccia lungo i fianchi.
“Sparisci!”
Invidia strinse il pugno e scoprì i denti, voltato verso la sagoma slavata così distante. La stretta su Fedra perse abbastanza forza da lasciarla respirare. Da permettere di agire.
Si aggrappò al braccio nero e lo strattonò; libera, finalmente, non cercò nemmeno una soluzione elegante.
Tenne Invidia per le braccia e l’istinto fece il resto.
Un colpo secco, deciso, la fronte che si schiantava sul naso del demone e lo incassava in un cranio ancora imperfetto.
Il dolore improvviso, reale, che le sbocciò nella testa fu un lampo bianco e un’ancora verso la realtà. Fedra barcollò oltre la porta e cadde seduta.
“Ahio”, gemette, le mani premute sulla fronte e rivoli di pioggia che le scorrevano tra i capelli.
“Cos’è successo? Che fine ha fatto Lucius?” Cassandra era nello stesso punto di quando il Primo Cercatore aveva afferrato Fedra, un paio di gradini più in basso e con i capelli ispidi per la pioggia.
“Aspetta, Cassandra”. Solas salì gli scalini a due a due e si accucciò di fianco a Fedra. Le prese il viso tra le mani e la studiò a lungo. “Dove sei stata?”
“Allora non era solo una mia impressione che fosse scomparsa”, disse Varric.
“Fedra, guardami. Dove sei stata?” chiese di nuovo l’elfo.
“Nella… nella mia testa”, gli rispose. Scrollò la testa e gli prese i polsi. “Il Primo Cercatore non è Lucius. Non è lui”. Si alzò senza disdegnare l’aiuto di Solas e si tenne stretta al suo braccio. “Cassandra, è un demone dell’invidia; deve aver preso la forma di Lucius settimane fa, prima dei fatti di Val Royeux… me lo ha detto lui”.
Cassandra sbiancò.
“Quindi il vero Lucius è…”
“Morto, giursto?” rispose Barris. Fedra annuì e recuperò il contatto con la realtà. Armi cadute a terra, pioggia sul viso, la paura che aveva provato sempre lì, tutta intera. E dietro, in fondo, una scoperta che la terrorizzava ancora di più e che le faceva desiderare di essere ad Haven in quel momento.
“Il demone non può essere molto lontano, l’ho contrastato come potevo ma questo lo ha fatto molto arrabbiare e… aspettate, dov’è Cole?”
“Chi?” chiese Cassandra. Si sporse verso Fedra e la scrutò con occhi preoccupati, quasi fosse febbricitante.
“Un ragazzo pallido, alto e magro e con un cappello vistoso… era con me, era… era qui…”
Varric si accigliò.
“Non c’era nessuno, Carota. Solo tu”.
Un boato risuonò oltre la porta rossa, seguito dalle grida di un numero imprecisato di persone. Cassandra alzò la testa.
“Il tuo demone potrebbe essersi fatto vivo”, disse asciutta.
“E allora cosa stiamo aspettando?” Varric armò Bianca e marciò verso la porta. “Andiamo a fargliela vedere, a quell’impostore”.

La porta si aprì su quella che aveva tutto l’aspetto di una cattedrale, volte a ogiva e colonne snelle che salivano fino a un soffitto di marmo. Al di sotto, su tutto il pavimento, corpi.
Templari dai visi deformi morti di fianco ai loro compagni la cui pelle ancora non mostrava segni di corruzione, prigionieri legati alle colonne, fetore di sangue.
Una donna si fece avanti e si tolse l’elmo; Fedra, nel vederne il viso segnato dal tempo ma privo di corruzione scarlatta, rilassò i muscoli.
“Ser Barris! Cos’è successo? Ci hanno attaccati! I nostri stessi compagni!”
Il giovane cavaliere fece scorrere lo sguardo sconvolto sulla carneficina. Alcuni dei sopravvissuti si agitavano nei legacci e gridavano, i tendini del collo che spiccavano sulla carne.
“Il-Il lyrium rosso”, disse a bassa voce.
Varric emise un verso soffocato e girò la testa dall’altra parte. Cassandra si mise tra i due cavalieri e tese una mano.
“Spiegami”.
“I generali – il Primo Cercatore, certo, ma anche il capitano Denam e i suoi diretti superiori – ci hanno proposto un tipo nuovo di lyrium. Non sarebbe stata la prima volta, in effetti, ma… non tutti lo hanno voluto. O hanno fatto in tempo a provarlo”.
La donna si scostò dal viso i capelli candidi e lasciò cadere le spalle.
“È stato questo a corromperli, confratello? Il lyrium stesso?”
“Non è lyrium e basta”. La voce di Varric era aspra, diversa dal solito tono gentile e scanzonato. “Il lyrium rosso è… è abominio, è flagello e… ed è una merda, senza tanti giri di parole. Guardate cosa ha fatto!”
Ser Barris strinse le mandibole e un muscolo gli si contrasse sulla guancia.
“Lyrium corrotto. Questo spiega molte cose; Araldo, io sono oltre la mortificazione per ciò che è accaduto, non…”
Una vibrazione scosse le fondamenta della cattedrale. Barris e Cassandra si pararono davanti al gruppo, scudi alzati e spada pronta, mentre l’aria sopra all’altare tremava e scintillava di verde.
“Quello è uno squarcio. Non ne avevo mai visto nascere uno…” mormorò Solas.
“Adorabile. Somiglia tutto alla mamma”, disse Varric tra i denti. Fedra brandì i due coltelli ma una fitta alla spalla le ricordò che l’incantesimo di Solas non sarebbe durato ancora a lungo.
Lo squarcio si aprì lentamente, il tessuto stesso del velo che si lacerava e sfrigolava. Il marchio sulla mano di Fedra pulsò, una sofferenza improvvisa che le fece digrignare i denti.
Con la coda dell’occhio Fedra vide due Templari zoppicanti avanzare con una cassa. Tra grandi cerimonie ne estrassero un calice pieno di una sostanza azzurra, luminescente, e la sua pazienza iniziò a scarseggiare.
“Ma certo, facciamoci una bevuta prima di affrontare un’orda di demoni, che idea brillante!” sibilò.
Cassandra emise un verso disgustato. Al solito.
“Quello è lyrium, Fedra”.
“Ah”.
Non ci fu tempo per la vergogna o per altre domande. Fedra mandò giù la figura da idiota – l’ennesima della sua vita, e una in più di certo non l’avrebbe uccisa – e tornò a concentrarsi sullo squarcio che si allargava. Ser Barris ricomparve al suo fianco, gli occhi verdi che splendevano di una luce innaturale.
Un lungo braccio nero emerse dalla lacerazione nel velo.
Cullen non è così. I suoi occhi non sono così.
Il pensiero la sfiorò e svanì. Le diede una forza che non si aspettava.
Il braccio continuò a uscire, sempre più pallido mentre raggiungeva la spalla e si collegava a clavicole esili, a un collo lungo e solcato da tendini tesi come corde. La creatura rotolò fuori dal varco, immensa e scheletrica, una bozza di essere umano con arti troppo lunghi e una piccola testa senza occhi. Spalancò le fauci zannute e lanciò un grido di rabbia e sofferenza, e quel suono atroce fece vibrare un ricordo.
Invidia.
Il demone arrancò sulla schiena e si arcuò, simile a un colossale insetto dal corpo glabro e bianco; caracollò lontano dal varco e Fedra scattò in avanti.
“No!”
Cassandra la trattenne per il braccio. Appena in tempo: dallo squarcio iniziarono a uscire altri corpi deformi, altre forme demoniache di ombra e paura.
Troppe.
“Andate”, disse Barris. Il profilo scuro era trasfigurato dal lyrium, le pupille dilatate e ogni traccia di paura svanita. Fedra lo invidiò per un attimo. “Andate a prendere Invidia. Noi penseremo al resto: possiamo aprirvi un corridoio”.
Levò la spada e lanciò un ruggito cui tutti i Templari ancora in piedi risposero all’unisono. Un cuneo di armati, metallo e carne devota a una causa superiore, si slanciò in avanti. In un istante Fedra si trovò premuta tra Solas e Cassandra, con Varric appoggiato alla schiena e dozzine di Templari che scorrevano loro attorno. Il fiume scintillante di sangue e acciaio si riversò sui demoni che uscivano dallo squarcio e creò una barriera.
“Chiudilo! Ora!”
Non ci sarebbe stato bisogno dell’incitamento di Solas. Fedra rinfoderò un solo coltello e corse in avanti, vicina allo squarcio quanto la protezione dei Templari le permetteva, e levò la mano. Il marchio pulsò forte una sola volta e la luce diventò quasi insopportabile, l’ormai ben nota colonna di energia che la rendeva un tutt’uno con l’Oblio e le scorreva nel sangue.
Un istante, non di più, e la breccia fu chiusa. Fedra serrò il pugno e fece un passo indietro, stordita e abbagliata. Cassandra la sorresse ma non le diede modo di riposarsi.
“Non ne usciranno altri ma quelli sono già una sfida sufficiente. Andiamo a prendere Invidia!” le gridò.
Il braccio armato le premeva contro le spalle; Fedra incespicò ma dopo pochi passi tornò salda sulle gambe.
I Templari stavano combattendo per loro.
Stavano morendo per lei.
Ne vide uno caricare un’ombra – un cavaliere già ferito, una striscia di sangue che gli colava dalla gamba – e sradicarle un braccio prima che la creatura lo falciasse con l’altro. La gola del cavaliere esplose in una raggiera di sangue.
Anche questa è colpa mia.
La colpa tornò a pesarle sull’anima, a rallentarle in quella corsa delirante oltre le fila nemiche, tra due colonne di Templari pieni di lyrium e desiderio di morte. Superarono l’altare e videro Invidia nel cortile posteriore, la schiena biancastra che scintillava sotto la pioggia.
E io sono solo un’imbrogliona. Nessun Araldo, nessun messo divino. Moriranno per niente, e questo è peggio che essere un’assassina.
Una seconda voce si infiltrò nella sua coscienza. Acqua fresca sulle ferite.
Non lo sei. Loro scelgono, combattono, cadono e sono liberi. Tu la loro causa.
Lo vide mentre uscivano allo scoperto, lontani dal fragore della battaglia. Un cappello buffo, abiti laceri e due inattese armi in pugno.
“Cole!” esclamò Fedra.
Cassandra si voltò a guardarlo e alzò la spada. Fedra la fermò con un gesto frenetico. “No! Aspetta, lui… è dei nostri. Vero?”
“Voglio aiutare”, fu la quieta risposta. E poi non ci fu tempo per dire altro; Varric fu il primo ad agire, scagliando un dardo che si infilzò nella coscia di Invidia. Il demone perse il poco di umano che gli restava e non riuscì a far altro che a gridare, a voltarsi verso di loro con le zanne scoperte.
Un mostro, nulla più.
La spalla di Fedra scelse il momento sbagliato per ricominciare a dolere; quando si scagliò contro il demone – testa vuota, cuore gonfio – e menò il primo fendente avvertì lo strappo nella carne, il sangue che riprendeva a scorrere lento, a inzupparle la casacca.
Non importava. Non era lyrium quello che ora le muoveva ogni muscolo e cancellava il freddo e la sofferenza, che distruggeva la paura.
Era furia, pura e semplice, e non lasciava spazio per i pensieri.
Invidia agitò le lunghe braccia e un artiglio trovò uno spiraglio nella guardia di Cassandra. Fedra la vide prendere il volo e schiantarsi contro il selciato, provare a rialzarsi.
Restare ferma.
Le sue gambe trovarono una forza che pensava di non possedere. Scattò verso Cassandra mentre la mente si riempiva di quella maledetta voce che l’aveva tormentata.
“Le vuoi bene. Ti sacrificheresti per lei. Lo stai facendo, piccola, sciocca Fedra a cui non sembra vero che qualcuno voglia starle vicino”.
Fedra scivolò sotto al braccio del demone e si piantò a gambe larghe, con le ginocchia flesse, sopra alla sagoma gemente di Cassandra. Il colpo dell’artiglio andò a schiantarsi tra le lame incrociate, alte sopra alla testa, e Invidia ruggì.
“Hai ragione. Sei contento adesso?”
Avvicinò i pugni e le lame si strinsero in una forbice letale. I tendini del polso ossuto si lacerarono nella stretta e Invidia arretrò.
“Sì, morirei per loro, lurido bastardo!”
“Potrei dire lo stesso”. La voce di Cassandra arrivò da terra, incerta. Con la coda dell’occhio Fedra la vide rialzarsi e sputare una boccata di sangue. Aveva gli occhi lucidi ma in un istante fu pronta, schiena contro schiena e in guardia.
Fedra sentì un intempestivo moto di commozione serrarle la gola, ma il grido di Cole la riportò alla realtà. In qualche modo era saltato a cavalcioni del demone e gli tempestava le spalle di colpi. Invidia cercava di levarselo di dosso con l’unico braccio ancora funzionante, ma le scosse elettriche di Solas gli strappavano spasmi e gemiti.
Una selva di dardi sbucava dalla carne del demone e torrenti di sangue putrido gli scorrevano su quell’abbozzo di volto. Fedra, oltre gli arti deformi di Invidia, scorse i Templari affrettarsi fuori dalla porta, guidati da ser Barris.
Il demone si scrollò con violenza e Cole perse la presa; Fedra provò un attimo di paura per quello strano ragazzo poco meno che sconosciuto, ma Cole la sorprese con un’agilità imprevista. Fece una capriola in aria e atterrò poco distante, giusto di fianco a Varric.
“Sei una molla, ragazzino! Mi piaci!” ruggì il nano. Portò la mano alla faretra ma la trovò vuota.
“Fedra, tocca a noi. Pronta?”
Cassandra, anche se pallida, sorrise come un predatore e guardò verso Fedra.
Pronta?
No, mai, tanto meno in quel momento, con il sangue che le colava lungo la schiena e la vista che iniziava ad annebbiarsi. Ma quel ghigno era contagioso: annuì una volta e lanciò un urlo mentre correva in avanti.
Invidia sollevò la testa per guardarle – o lo avrebbe fatto, se avesse avuto degli occhi.
Su quel grumo di carne soprannaturale, però, non c’era nulla. Nessuna paura, nessuna preghiera. Fedra provò solo gioia selvaggia quando affondò i pugnali alla base della gola del demone; li ritrasse e quasi tirò una gomitata a Cassandra, mai lontana dal suo fianco, la spada infissa fino all’elsa nel fianco del nemico.
Invidia inarcò la schiena e agitò la piccola testa deforme lanciando al cielo un lungo rantolo indignato, prima di afflosciarsi e iniziare a dissolversi in tanti brandelli di cenere vischiosa.
Fedra vacillò all’indietro e lasciò cadere le armi, ma Cassandra fu rapida a prenderla prima che cadesse.
“Stai bene?” le chiese Fedra, incurante del capogiro e della debolezza. La Cercatrice annuì, ancora cinerea in viso e con un livido che le si stava spandendo sulla fronte, e Fedra continuò il controllo del gruppo.
Varric era illeso, anche se visibilmente scosso, e Solas aveva rimediato chissà come uno squarcio nella veste, ma la pelle diafana del petto sottostante era intatta. Cole, invece, era sparito.
“Dove… dove…”
“No!”
Un grido si levò dalle fila dei Templari. La donna che aveva accolto ser Barris ora lo teneva tra le braccia e il cavaliere era riverso a terra.
Fedra abbandonò a terra le armi e corse verso di loro.
Fu quasi troppo tardi.
“Barris… cos’è successo?” gli chiese, in ginocchio accanto a lui. Di colpo la ferita alla spalla era di nuovo solo un fastidio remoto; il giovane cavaliere tossì e un fiotto di sangue gli colò dal lato della bocca; era cadaverico, una pozza scura che si formava tutt’attorno a lui da uno squarcio sull’armatura.
“N-Niente. Solo una f-ferita…”
Solas gli si avvicinò in fretta ma non provò neanche a tendere una mano su di lui. Prima ancora di guardare l’elfo, di vedere la tragedia nei suoi occhi, Fedra seppe che non c’era niente da fare.
“Li abbiamo respinti, Araldo. T-Tutti quanti. E tu hai… hai sconfitto Invidia”.
Le lacrime le serrarono la gola. Fedra annuì una volta e gli prese la mano; era grande ma molle, così debole nella sua.
“Non doveva andare così, non avrei mai voluto che andasse così”.
Gli occhi chiari del giovane si fissarono in quelli di Fedra e oltre, verso qualcosa che solo lui poteva vedere.
“Sono… fiero di aver c-combattuto per voi, Araldo di Andraste. D-Datemi la vostra benedizione”.
E fu subito panico. Fedra si voltò di scatto verso Cassandra e la vide annuire una volta, gli occhi rossi per il pianto trattenuto.
“Ma io…”
La voce di Cole le parlò di nuovo all’orecchio.
Inquisitore, non impostore. Lui sa, ti ha vista e cercata e ha trovato in te qualcosa. Non negarglielo.
“Ser Barris, io…”
Le dita del cavaliere si strinsero piano sulle sue, un residuo di forza che gli costò le ultime energie.
“V-Valeva la pena… morire… per questo…”
Una lacrima scivolò sulla guancia di Fedra. Non pioveva più e il sole del tramonto dipinse d’oro le ciglia di Barris.
“Allora andate, cavaliere Templare Barris, con la benedizione di Andraste e del Creatore. Oggi siete un eroe e io giuro che non verrete dimenticato”.
Ser Barris tossì altro sangue e annaspò per respirare; Fedra non gli lasciò mai la mano fino a che non la sentì diventare flaccida. Un ultimo sorriso si dipinse sulle labbra esangui del cavaliere, un ultimo respiro gli sfuggì dal petto lacerato e morì, negli occhi una speranza meravigliosa nota solo a lui.
I singhiozzi scoppiarono senza che riuscisse a controllarli. Sapeva che almeno trenta persone la stavano guardando, amici ma anche perfetti sconosciuti, così come quasi sconosciuto era stato il corpo ancora caldo che teneva tra le braccia.
Faceva male, più del buco di freccia nella spalla, più dei muscoli lacerati dalla fatica. Faceva male ed era giusto così.
La mano di Cassandra le si posò sulla schiena. Nessuna fretta, nessun richiamo all’ordine: un modo silenzioso per ricordarle che non era sola.
Lo so.
E di colpo una forza inaspettata le si accese in fondo all’anima. Fedra alzò la testa e vide tutti quei Templari che la fissavano – non i raminghi che si erano allontanati dai ranghi per andare a caccia di maghi, non gli esseri corrotti dal lyrium rosso che avevano abbandonato ogni umanità. Uomini e donne come lei, come Cullen e Cassandra e Barris. In cerca di una causa.
Di redenzione.
Adagiò il corpo esanime sul selciato umido di pioggia e si alzò, incurante della debolezza che le annebbiava la vista e ignorando la mano tesa di Varric.
“Templari! Avete visto cosa quel varco ha portato nel mondo? Tutto è iniziato con il Conclave. Demoni che graffiano e lacerano la nostra terra, che si insinuano nei nostri cuori. Invidia che distrugge i Templari, che ne perverte la vera natura…”
Ingoiò un gemito e si fece violenza per non afferrarsi il braccio ferito. Testa alta, lacrime che continuavano a scorrerle sul viso e voce ferma proseguì.
“Ecco per cosa lotta l’Inquisizione. Ecco per cosa siamo pronti a morire – noi, tutti noi! Io per prima, al di là del titolo che porto o di ciò che posso essere stata: ora sono un Inquisitore e per questo lotterò fino a che avrò fiato in corpo; e se come Templari avete tradito i voti che avevate preso potrete redimervi come qualcos'altro. Siete con me, Cavalieri?”
Un azzardo. Poteva essere un fiasco, poteva risolversi in una rivolta.
La donna dai capelli bianchi fu la prima a farsi avanti. Piegò il ginocchio e tese la spada dalla parte dell’elsa.
Uno dopo l’altro i suoi compagni fecero altrettanto. Di nuovo l’aria fu piena del fragore del metallo, ma questa volta erano pugni battuti contro le corazze, ginocchia che toccavano terra in una dimostrazione di lealtà.
Fedra levò il pugno e urlò, di nuovo.
“Siete con noi?”
Quelli che erano stati i Templari risposero con un unico boato.
“Ad Haven, allora. Per l’Inquisizione!”
Fedra voltò le spalle all’ovazione che seguì. Sui volti dei tre compagni vide la medesima meraviglia, lo stesso orgoglio – quieto negli occhi antichi di Solas, luminoso come il sole in quelli di Varric. Cassandra stava piangendo apertamente, il naso arrossato e i denti piantati nel labbro inferiore.
“Ti prego reggimi perché sto per svenire”, le sussurrò racimolando l’ultimo fiato che le rimaneva. Cassandra non se lo fece ripetere due volte: trasformò il gesto d’aiuto in un abbraccio e le posò le labbra all’orecchio.
“Sono fiera di te, Inquisitore”, disse piano.
E per una volta Fedra provò lo stesso.


Buona domenica, Eroi, Campioni e Inquisitori :)
Eccoci qui con un bel trip nella testa di Fedra e qualche altarino che si scopre. E finalmente Cole! Il mio adorato, preziosissimo Cole che mi ha rubato il cuore appena è comparso e che ancora adesso riesce a farmi soffrire ogni volta che apre bocca; peggio di lui - ed è arrivato dopo perché DA:I è il primo della serie che ho giocato - solo Anders.
Povero ser Barris, era una gran brava persona e ciò di cui i Templari avevano un gran bisogno: gente onesta che non odia i maghi per partito preso (ma demolire i Circoli rimane sempre la soluzione migliore, su questo non ci piove). Ho scoperto in un gameplay successivo che è possibile salvarlo e ne sono stata molto felice, ma purtroppo per lui mi serviva morto... e quindi addio, Barris.
Come sempre grazie per essere arrivati a leggere fin qui e al prossimo capitolo!

 

Val

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Capitolo 8
*** 8-E va bene, forse Cullen non mi odia. Ma forse, eh. Comunque avrei fatto volentieri a meno delle interruzioni di Cassandra e dell'esercito alle porte. ***



Haven non era mai sembrata tanto lontana. Fedra cavalcava a testa alta, il corpo indolenzito e il cuore che piangeva, ma per la prima volta da mesi la testa sgombra.
Aveva fatto la cosa giusta e non era sola: quelli che l'accompagnavano erano amici, ormai, e non solo persone che si trovavano a condividere un incidente cosmico con lei. Non aveva mai dubitato di Varric e ormai le scaramucce con Cassandra erano un'abitudine venata d'affetto; persino Solas, strano e misterioso com'era, riusciva a darle la sicurezza di un compagno.
Invidia l'aveva piegata e ferita, aveva messo a nudo paure che nemmeno pensava di avere solo per testarla e vedere come avrebbe reagito. Per conoscerla, ma quello che era riuscito a ottenere era che Fedra conoscesse di più se stessa. La perdita di ser Barris era uno strazio che sapeva di dover imparare a gestire, ma i nobili orlesiani – persino quel molesto Abernache – erano riusciti a mettersi in salvo prima degli scontri e non c'erano state vittime civili. Un successo che Cassandra non mancò di farle notare.
Così cavalcava con orgoglio sfumato di lutto per le perdite che aveva causato ma con la convinzione, per una volta, di aver fatto la differenza.
E con un'altra certezza, quella timida stella che aveva scoperto brillarle nel cuore.
Non cercò più di nasconderla. Quando giunsero alle stalle e mastro Dennet ebbe preso in consegna i cavalli esausti Fedra smontò e si guardò intorno.
“Dov'è Cullen?” chiese. Il cuore le batteva forte e finalmente iniziò a capire il sorriso esasperato di Cassandra e quello aperto e smaccato di Varric.
“Non ne hai avuto abbastanza di Templari?” scherzò Solas, ma persino lui sollevò un sopracciglio con aria saccente prima di allontanarsi con il nano.
“Arriverà, vedrai. Ma forse preferiresti renderti più presentabile? Puzzi di sangue e sudore, hai i capelli appiccicati in testa e non sei esattamente un bello spettacolo”, le disse Cassandra mentre uscivano dalle stalle. Erano rimaste sole.
“Senti chi parla: hai le penne ritte in testa come una cornacchia!” riuscì a ridere Fedra.
Cassandra fece per rispondere ma all'improvviso cambiò espressione.
“Io – uh – andrò a fare una cosa di là”, e indicò col pollice alle proprie spalle. “Una cosa urgente. Il... fabbro. Certo”.
“A quest'ora?” chiese Fedra.
“Proprio così! A dopo”, e le voltò con decisione le spalle.
Fedra rimase lì, sporca e arruffata per il viaggio, a massaggiarsi la spalla che continuava a dar fastidio nonostante le cure di Solas. Quando distolse lo sguardo dalla sagoma di Cassandra e tornò a guardare Haven, però, capì.
Che tu sia maledetta, Cassandra Pentaghast, tu e la tua ruffianeria!
Il sangue le affluì alle guance quando si accorse che Cullen era lì, un'ombra nel crepuscolo che si stagliava contro le tende dell'accampamento dei soldati. Erano più numerose ora, una distesa di tela grezza che parlava di un esercito in crescita.
Strategia, numeri, tattica... tutti pensieri che scivolarono via dalla mente di Fedra. Smise di essere l'Inquisitore per un attimo e si impose a fatica di non mettersi a correre.
Questo era Cullen. Anche nella penombra lo vedeva – lo percepiva come reale, come vivo. Il luccichio negli occhi, il sorriso incerto che si allargava mentre la guardava, i passi rapidi, decisi. Persino lo svolazzare del mantello, il pelo che si arruffava nel vento della sera e gli faceva arricciare il naso per il solletico.
Le stava venendo incontro e il cuore le si gonfiò, piazzandosi dritto dritto in gola.
Era vivo. Meravigliosamente vivo.
E lei se ne stava innamorando come una ragazzina.
“Fedr-Inquisitore!” la salutò con quell'esitazione che valeva mille parole. Fedra non si fermò: gli arrivò vicina e...
E si bloccò a una spanna da lui. Voleva abbracciarlo – oh, non aveva mai voluto qualcosa così tanto – e sentire il suo odore contro la pelle e percepirne il calore, il corpo solido e vero su di lei.
Ma non lì. Non con dozzine di soldati che andavano avanti e indietro per l'accampamento. Non con Cassandra e Varric e Solas che, ne era certa, si erano appostati dietro un muro per assistere alla scena.
“C-Cullen”.
“Sei tornata”. La voce si fece più bassa, ancora più dolce. Erano troppo vicini per non suscitare qualche sospetto ma ormai era fatta.
Fedra sollevò una mano e la lasciò scorrere nella pelliccia del mantello. Quasi una carezza, la guancia ispida di barba così vicina, così allettante...
“Sono tornata anche questa volta, ma non è stato...”
“Ma tu sei ferita!” Cullen trasalì e la afferrò per le spalle, salvo allentare la presa quando si accorse della smorfia di Fedra. “Cos'è successo? Dimmi che stai... che va tutto bene!”
“Nulla di grave, davvero. Cullen, mi... mi sei mancato”.
Ecco fatto. Si morse il labbro mentre un torrente di altre parole – più grandi, più importanti, paure e speranze e qualcos'altro a cui non osava dare un nome – le si incastrava tra i denti e contro la diga di eventi che l'avevano sconvolta negli ultimi giorni. Strinse nel pugno il pelo soffice del mantello e abbassò la testa.
“Fedra”.
Nessuna esitazione questa volta. Nessuna vuota formalità: solo il suo nome, nudo e pulito. Alzò il viso per guardarlo negli occhi e si stupì di quanto fossero vicini.
Oh, sì. Chiunque li avessi visti in quel momento, nel bel mezzo del campo di addestramento, praticamente abbracciati, avrebbe avuto di che parlare.
Non le importava.
Il viso di Cullen faceva male. Gli occhi chiari erano così pieni di una tenerezza straziante, la bocca socchiusa così invitante che Fedra sentì le ginocchia farsi acqua.
“Fedra, io... t-tu...” Le accarezzò piano le spalle e deglutì, il pomo d'adamo che ballava su e giù per la gola esposta. Un lampo di ricordo le balenò in mente, sangue che sgorgava dalla pelle chiara.
No, non sarebbe accaduto. Era tutto un inganno.
“N-Non so se... e neanche
come, in realtà. Non so niente, ma...”
La mano di Cullen scivolò dalla spalla e le sfiorò il braccio. Le sue dita le accarezzarono il dorso della mano e Fedra sentì qualcosa guarirle dentro.
“Scusami. So che è inappropriato in questo momento ma...”
Un gran cicaleccio di voci femminili interruppe la magia del momento. Fedra si irrigidì e mosse un rapido passo all'indietro mentre Cullen voltava brusco la testa e si passava la mano sulla nuca.
“... di aspettare un attimo, Josie!” Cassandra era molto poco abile nel tenere un tono di voce basso.
“Sì ma dovevi essere più chiara! Ormai è troppo tardi. E comunque Leliana mi deve dei soldi!”
Cullen tossì e si voltò verso le due donne. Cassandra evitò accuratamente di guardare Fedra ma anche così, alla luce della torcia che portava, era evidente che il rossore sulle guance non dipendeva solo dal freddo o dalle battaglie.
“Ah, siete voi. Io e l'Araldo stavamo – uh – l'Inquisitore mi stava ragguagliando su quello che è successo a Therinfal”, mentì Cullen. A giudicare dall'espressione condiscendente di Josephine, o di quel che se ne poteva intuire attraverso la sciarpa che si era avvolta attorno alla testa, fu ben poco credibile.
“Sì, sì, certo. Mi dispiace davvero,
davvero tanto interrompervi ma abbiamo una strategia da discutere. Subito”.
“Subito?” chiese Fedra. Il momento era passato ma il batticuore no, e nemmeno la certezza che se avesse fatto una certa domanda non avrebbe ricevuto un no come risposta. Si premette i palmi freschi sulle guance roventi e non riuscì a trattenere un sorriso.
“Leliana ha chiesto di vederci il prima possibile. Abbiamo ospiti importanti”, disse Josephine. Cullen annuì e si schiarì la voce.
“Sì, non ho fatto in tempo a dirtelo, ma sono arrivati i Templari. Sono qui per te. Per l'Inquisizione”.
“Di già?” si stupì Fedra. Senza nemmeno accorgersene avevano iniziato a camminare, Cassandra e Josephine qualche passo avanti a loro.
“Hai dato loro un nuovo motivo per combattere e ti seguirebbero in fondo all'Oblio, se glielo chiedessi. Riesci a stupirmi ogni volta, Fedra”. Aveva abbassato il tono e mezzo voltato il capo verso di lei, con quel maledetto sorriso che faceva risaltare la cicatrice e le causava pensieri che avrebbero fatto venire un colpo a Madre Giselle.
Leliana li accolse con le sopracciglia sollevate e Josephine, emergendo dalla sciarpa, le tese la mano, il palmo in su.
“Ho vinto”, disse agitando le dita snelle.
“Sicura?”
“Be', praticamente! Cassandra mi è testimone!”
“Io non voglio entrare in questa faccenda!” si schermì la Cercatrice.
Leliana nascose un vasto sorriso nel cappuccio e si finse molto interessata alle pedine. Cullen avvicinò una panca e Fedra vi si accomodò con un sospiro grato. Aveva male alla schiena e alle cosce per la lunga cavalcata e oltre a un bagno caldo e un letto desiderava poche altre cose. Una di queste le si accomodò di fianco, un po' troppo vicino. Fedra, molto consapevole della coscia muscolosa premuta contro la sua, non fece niente per spostarsi.
“Raccontaci tutto”, disse Leliana appoggiata al tavolo. E Fedra lo fece, aiutata da Cassandra quando la stanchezza la sopraffaceva.
“Hai fatto un lavoro eccezionale”, disse Josephine. La osservava rapita, il mento appoggiato alle mani e lo sguardo quasi sognante. “Stai diventando sempre più simile a una leggenda vivente”.
“No, io non ho fatto niente di particolare. Mi sono limitata a menare le mani e... e a non impazzire. Ser Barris è stato molto più essenziale di me, e per colpa mia è morto”.
Il nodo di pena tornò a serrarle la gola. Abbassò la testa e continuò.
“Era giovane, era coraggioso e aveva il cuore puro. Ha scelto di stare dalla parte sbagliata per vivere, credo”.
La mano di Cullen sotto al tavolo afferrò la sua. Fedra la strinse – era solida, il cuoio che scricchiolava a ogni movimento, e sentire le lunghe dita intrecciarsi alle sue era una sensazione così bella che sentiva di non meritare. Vi si aggrappò mentre l'ondata di sofferenza la squassava.
“Fedra, tu non ne hai colpa. Hai combattuto e fatto quello che era giusto”. La voce di Josephine era musicale, delicata. “Un combattente mette in conto di –
AAARGH!”
Il grido rimbombò sotto le travi. Cullen si alzò così di scatto che Fedra si trovò sbilanciata; la panca si inclinò e cadde, e lei rovinò a terra con essa. Quando riuscì a rimettersi in piedi Cassandra e Cullen avevano sguainato la spada e Leliana si era parata di fronte a Josie, un pugnale tra le mani.
Cole se ne stava appollaiato sul tavolo e si rigirava tra le dita inquiete una delle pedine.
“Stai indietro, Fedra! Chi sei, demone? Io ti ho già visto!” gli urlò Cassandra.
“Demo-no, no! Questo è Cole! Cole, scendi subito dal tavolo di guerra!” disse Fedra, più confusa che preoccupata.
Era parecchio fuori posto, quel cappellaccio raffazzonato e gli abiti ricuciti alle meglio. Non sorrise quando sollevò il viso pallido su Fedra ma inclinò la testa di lato come un bizzarro uccellino arruffato.
“Hai ragione, non dovrei essere qui sopra. Io non sono una guerra”, e lasciò penzolare le lunghe gambe magre dal tavolo.
“Ah, sì. Devo presentarvi, giusto? Lei è Cassandra, poi abbiamo Leliana e Josephine – scusati con lei, l'hai spaventata a morte – e Cullen. Tutti quanti, lui è Cole”.
“Glielo hai detto?” le chiese il giovane senza guardarla. “No, non ancora. Fallo, sarai felice”.
“Fedra? Cosa – chi sarebbe questo ragazzo?” Leliana si sporse verso Cole e lo studiò da vicino.
“Lui è... uno spirito, vero, Cole? Qualcosa di simile...”
“Spirito e poi carne e ora a metà tra le due cose. Compassione fatta sangue nel silenzio. Sono Cole. Solo Cole”.
“Questo dovremmo chiederlo a Solas. Tutto ciò che so è che Cole è dalla nostra parte e ci vuole aiutare. Senza di lui Invidia mi avrebbe uccisa o peggio”.
“Non mi piace. Neanche un po'”, ringhiò Cassandra senza levargli dal petto la punta della spada. “Chi ci dice che possiamo fidarci di lui? Che non si tratta di un demone come Invidia?”
“Nessuno”, ammise Fedra. “A parte me, che gli devo la vita”.
“L'Inquisizione dà un posto dove stare a chi ha perso tutto. Aiuta i deboli, protegge i piccoli. Voglio esserci anche io. Voglio aiutare”.
“Vi prego, lasciatelo rimanere. Garantisco io per lui”, disse Fedra, sfinita, guardando Cullen e Cassandra.
Quest'ultima emise un verso gutturale ma abbassò la spada.
“Mi fido di te, e lo sai, ma non chiedermi di non tenerlo d'occhio”, disse Cullen teso.
“Va benissimo, mi sembra il minimo che... oh, per le palle del Creatore!”
Con un lieve pop Cole era scomparso.
“Dov'è andato?” si scaldò subito Cassandra guardandosi intorno. Fedra si arruffò i capelli per la frustrazione.
“Qui in giro, da qualche parte. Ha questo potere e in più legge nella mente... ma è innocuo, anzi, utile. Lo hai visto combattere con noi”.
Questo vinse le ultime resistenze di Cassandra. Sospirò e rinfoderò la spada.
“Hai amici davvero strani, Inquisitore, e conto anche noi nel loro novero. Il prossimo cosa sarà, un Qunari guercio con la passione per i draghi?”
Josephine si sistemò i capelli scivolati dalla crocchia e si sventolò una mano davanti al viso.
“Mi ha fatto prendere un colpo, ma non rifiuterò un alleato con capacità così potenzialmente utili”.
Per qualche istante furono tutti impegnati a rimettere a posto la mappa scombussolata dall'apparizione di Cole; Cullen, anche se ancora guardingo, sembrava cogliere ogni occasione per sfiorare Fedra o starle vicino. Nonostante tutto questo la rendeva silenziosamente felice.
In breve furono di nuovo pronti a discutere.
“Come dicevamo poco fa, dunque, i Templari sono arrivati. Ho avuto modo di consultare svariati esperti sull'argomento e...” Josephine prese una pila di fogli da una mensola e li sfogliò in fretta fino a trovare quello che le serviva. Lo sfilò e se lo tenne davanti al naso. “... e mi hanno confermato che per chiudere il varco sei necessaria tu, Fedra, con il tuo marchio, ma che la tua forza non è sufficiente”.
Leliana iniziò a camminare avanti a indietro, le mani giunte dietro la schiena.
“I Templari, alla fine, si potrebbero rivelare una scelta valida. Sono per natura e addestramento avvezzi alla magia e a convogliare le proprie energie non solo fisiche verso un obiettivo: possiamo tentare di utilizzarli come fonte per fornirti la forza necessaria a chiudere il varco”.
Fedra sentì il sudore gelarsi sulla fronte e si strinse nelle spalle.
“Troppi condizionali per i miei gusti. E se non funzionassero?”
“Potremmo rivolgerci ai maghi. Ma intanto vale la pena tentare, no?” disse Cullen, deciso anche se pallido in volto.
Leliana annuì e tutti tacquero per un lungo istante.
“Solas cosa dice di tutto questo?” chiese Cassandra.
“Ne abbiamo discusso prima che voi partiste e concorda con me”, disse Josephine. “Possiamo farlo. Possiamo chiudere il varco”.
Chiudere il varco. Essere liberi. Niente più demoni, quel fantomatico “Antico” di cui parlava Invidia chiuso fuori come un gatto molesto.
Sembrava troppo bello per essere vero. Fedra, a capo chino, alzò lo sguardo di lato verso Cullen e lo vide a occhi chiusi, la fronte appoggiata alle mani giunte. Quasi stesse pregando.
“Possiamo farlo davvero”, mormorò Cassandra.
“I Templari saranno pronti quando lo siamo noi. Fedra, tu...”
“All'alba”, disse alzando di scatto la testa. “Datemi solo qualche ora per... per entrare nell'ordine di idee che questo mondo lo stiamo salvando davvero e sono pronta”.
Una nota ilare le si intrufolò nel tono.
Fu una lunga notte insonne che iniziò quando Cullen l'accompagnò fino alla porta del suo alloggio e rimase a ciondolarsi sui piedi, lo sguardo perso negli occhi di Fedra.
“Se-No,
quando avrai chiuso il varco noi... voglio dire, io... cioè, avremo tempo. E mi piacerebbe...”
“Piacerebbe anche a me”, disse in fretta Fedra. Troppo in fretta. Abbassò lo sguardo con un sorriso. “Mi piacerebbe davvero molto”.
“Oh. Bene. Quindi – uhm – buona notte, Inquisitore. Fedra”. Si chinò goffo e le posò un bacio leggero e ispido sulla guancia che la lasciò paonazza e inebetita. Lo guardò allontanarsi, il collo rosso e il passo più entusiasta del solito e si sfiorò il viso dove le sue labbra l'avevano toccata.
Avrebbero avuto tempo.
L'alba sorse grigia e densa di una promessa di neve. Fedra la salutò vestita di tutto punto e seduta al tavolo davanti alla finestra. Aveva pensato tanto, troppo quella notte – a Cullen, certo, e alla sua Inquisizione. Ma anche alla sua famiglia: Invidia non li aveva visti. Non li aveva toccati per usarli contro di lei.
L
i ho protetti senza nemmeno saperlo. L'Inquisizione era preparata ad affrontare le minacce dei demoni, i suoi genitori e sua sorella no. Erano al sicuro, sigillati in un angolo ben difeso della sua coscienza.
Presto li avrebbe rivisti, lo sapeva. Bastava chiudere quel maledetto gorgo verde nel cielo e sarebbero stati liberi.
Quando una mano leggera bussò alla porta Fedra era già in piedi, armata e pronta. Maren batté le palpebre nel trovarsela di fronte.
“Siete... pensavo di dovervi aiutare a preparavi, lady Fedra!”
“Non sono riuscita a dormire molto, ma ti ringrazio. Gli altri sono già pronti?”
“Lady Cassandra mi ha mandata a chiamarvi, signora. Vi sta aspettando alle stalle con Solas e un sacco, ma proprio un sacco di Templari!”
Gli occhi dell'elfa erano giganteschi, le mani sottili giunte davanti al petto esile. Maren deglutì forte e strinse le labbra in un'espressione determinata. Allungò un braccio e prese la mano di Fedra tra le sue, stringendola forte.
“Mia signora... Araldo, Inquisitore, quello che preferite... vi prego, vi prego state attenta! Non voglio che vi succeda niente di male!”
Fedra sentì la tensione trasformarsi in commozione.
“Non succederà, Maren. Non chiedermi perché ma sento che andrà tutto bene. Fidati di me”.
No, non ne era così sicura, ma di fronte all'espressione carica di ansia e speranza dell'elfa le parole uscirono da sole. Maren le baciò le nocche – Fedra neanche ci provò a ritrarsi – e mormorò qualcosa nella sua lingua dolce e musicale.
“Sylaise vi protegga, lady Fedra, o il Creatore, se preferite. Io pregherò per voi”.
“Grazie, Maren. Sei un'amica”. Si chinò e le diede un bacio sulla fronte prima di farsi forza e uscire nel gelo.
La stavano aspettando. Uno stuolo di figure avvolte in corazze scure e splendenti, penne di metallo a ornare gli elmi così orrendamente uguali a quelli dei Templari Rossi di Therinfal. Ma oltre le feritoie gli occhi erano limpidi, sani.
Solas si fece incontro a Fedra e si appoggiò al bastone in un mezzo inchino informale.
“Pronta, Fedra?”
“No, mai. Quindi tanto vale andare subito”.
Si sentiva la bocca asciutta e la testa leggera. Si guardò rapidamente intorno e non si stupì quando si accorse che erano tutti lì. Varric e un cenno di intesa con la testa, un occhiolino che valeva quanto un abbraccio; Josie che rabbrividiva di fianco a Leliana, preoccupata la prima, imperturbabile la seconda. Le due facce della diplomazia. Madre Giselle, una preghiera infinita mormorata a fior di labbra, persino il cancelliere Roderick e il suo solito broncio disgustato. E lì accanto, alto e dritto, Cullen. Negli occhi una promessa.
“Più della paura, passione, parole che potrai dire. Quanto peso porti sulle spalle, Araldo. Vorrei poterti aiutare in questo”. Fedra trasalì quando si accorse di avere Cole alle spalle ma Solas lo salutò con un sorriso gentile.
“Aiuterai alla prossima occasione, te lo prometto”, gli disse. Cole sembrò interessato per un istante, quindi si accucciò a terra e si smarrì a spostare la neve con la punta del dito.
“Andiamo”, disse Cassandra asciutta. A giudicare dalle occhiaie neanche lei aveva chiuso occhio quella notte.
Fedra fece un rapido cenno di assenso e la truppa si mosse.
Il Tempio delle Sacre Ceneri era al tempo stesso troppo vicino e infinitamente lontano in un viaggio senza distanza fatto solo di attesa e pensieri.
Nessuno sembrava aver voglia di parlare, anceh se Fedra sapeva che avrebbe dovuto chiedere lumi a Solas, parlare con i Templari... qualsiasi cosa. E invece tacque, mente e cuore concentrati sul varco aperto nel cielo.
Qualche anima buona, nelle lunghe settimane dopo il Conclave, aveva raccolto i cadaveri e li aveva sepolti. La terra attorno al Tempio, dove la neve non si era posata, era smossa in centinaia di tumuli tutti uguali. Cassandra mormorò una preghiera mentre li superavano. Fedra riuscì solo a fissare lo squarcio nel cielo.
Avanzarono senza dire una parola attraverso le rovine deserte, sotto la luce cangiante dell'Oblio, e alla fine Fedra si fermò sotto all'occhio malevolo che li fissava dal cielo.
I Templari si disposero tutt'attorno a lei e Cassandra le strinse il polso in silenzio prima di raggiungerli.
Tuttavia fu Solas a parlare, il bastone levato alto e un tono autorevole nella voce che Fedra non aveva mai immaginato di poter sentire.
“Templari! Sapete cosa fare: concentratevi sull'Araldo, lasciate che la vostra energia fluisca in lei! La vostra volontà divenga la sua per sigillare il varco nel cielo!”
Veli verdi di luce scivolavano dal varco fino a terra e Fedra prese un profondo respiro.
Per l'Inquisizione. Per i Trevelyan. Per Maren e tutti coloro che si fidano di me. Per Evelyn. Per Cullen e quel bacio che non gli ho ancora dato.
Un vento magico si levò nel Tempio, raffiche di energia che spingevano indietro Fedra mentre si avvicinava di più al centro del varco, un braccio a proteggerle gli occhi e il marchio che mandava saette lungo tutto il braccio.
Li vide senza doverli guardare. Cassandra lanciò un grido, un rapido comando che non riuscì a capire, e tutti i Templari crollarono in ginocchio. Spade si infissero nel terreno, mani si strinsero alle impugnature. Teste chine e cuori che galoppavano con lei.
La loro forza le fluì nel sangue e il marchio brillò più splendente, quasi accecante.
Fallo, Fedra. Sei qui per questo, è il tuo momento.
I Templari erano con lei e ogni passo era più semplice, fino a che, proprio sotto al varco, Fedra sentì il marchio prendere vita. Lo assecondò nel levarlo al cielo e chiuse gli occhi.
Fallo e salvali!
Fu come le altre volte e mille volte più intenso. Il varco bevve da lei e le strappò un gemito che si trasformò in un grido mentre, il braccio teso al cielo, il marchio si fondeva con l'Oblio.
Resisti. Resisti, ce la stai facendo!
Non sapeva da dove arrivassero quelle parole, se fossero un incoraggiamento della sua coscienza o Cole che le parlava nella testa oppure ancora le voci di tutti coloro che contavano su di lei. Fedra urlò fino a farsi bruciare la gola e si tenne fermo il braccio con la mano libera, ossa che vibravano per il flusso di energia.
Oltre le palpebre chiuse vide la colonna di luce allargarsi e diventare sempre più potente, al punto che il buio si tinse di bianco e verde e gli occhi le bruciarono. Il ronzio del varco si fece più acuto, più intenso, quasi troppo per poterlo sopportare. Disumano.
Un ultimo lampo di luce, un'ultima scossa di energia che la lanciò indietro, distesa al suolo con la mano che pulsava e la ferita alla spalla che bruciava: Fedra rotolò via e cercò disperatamente di non perdere conoscenza.
Ci riuscì solo in parte, perché per qualche istante confuso e stiracchiato si trovò a fluttuare in una confortevole oscurità priva di stimoli.
A parte una voce che la chiamava, ruvida e insistente. Fedra si alzò su un gomito e si stropicciò gli occhi fino a riuscire a mettere a fuoco un muro di gambe che la circondava, stivali e schinieri di metallo, ginocchia sporche. Cassandra li spintonò via uno dopo l'altro e le corse incontro; si accucciò su di lei e le prese il viso tra le mani.
“Stai bene?”
Riuscì ad annuire, anche se una vaga nausea le rendeva difficile articolare le parole. Si tenne stretta al braccio di Cassandra e barcollò in piedi, una mano premuta contro la fronte e gli occhi che lacrimavano.
“Fedra, ce l'hai fatta”. La voce della Cercatrice era flebile ma il tremito che vibrava nel tono non aveva niente di disperato. Fedra alzò lo sguardo prima sul viso raggiante e sconvolto di Cassandra, quindi più in là, verso Solas che fissava il cielo, rapito.
Un cielo grigio e pulito.
Normale, con le sue nuvole pesanti e la minaccia di una nuova nevicata.
Niente di verde.
Niente varco.
Il coro partì dal fondo della platea di Templari e crebbe fino a diventare un boato. Fedra lo udì a stento, l'ovazione coperta dal suono folle e liberatorio della propria risata.
Ce l'aveva fatta. Ce l'avevano fatta sul serio! Cassandra la abbracciò così forte da farle male alle costole e la sollevò da terra, facendola girare.
Il varco era chiuso. Avevano vinto.

 

Haven. Quel villaggio che definire città sarebbe stato presuntuoso e che nel giro di pochi mesi era diventata la sua Haven.
Fedra sentì le lacrime salirle agli occhi quando ne vide il profilo basso e innevato; uno scorcio che durò un istante, subito cancellato dalla fiumana di persone che si riversò fuori dai cancelli e corse incontro al gruppo. C’era chi cantava, chi inneggiava all’Araldo e all’Inquisizione tutta.
Mani strinsero quelle di Fedra, occhi lucidi e sorridenti la guardarono e lei non trovò la forza di opporsi. Era troppo stanca per risentirsi, capace solo di sorridere da un orecchio all’altro mentre Varric si faceva strada a spallate tra la folla e la tirava giù da cavallo, schioccandole due baci ruvidi e bruschi sulle guance.
“Lo sapevo che ce l’avresti fatta, Carota! L’ho sempre saputo!”. Fedra si abbassò ad abbracciarlo forte senza trattenere la risata. Quando alzò lo sguardo si accorse che in qualche modo l’avevano trascinata oltre le mura e su dalle scale.
Josephine era davanti alla chiesa e batteva le mani, saltellando sulla punta dei piedi e sgargiante nel suo oro e blu, per una volta troppo esaltata per badare al freddo. Persino Leliana sorrideva e applaudiva con una libertà rara.
E Cullen…
Cassandra appoggiò le mani tra le scapole di Fedra e la spinse avanti con una risata.
“Datti una mossa, lo hai fatto aspettare anche troppo!”
Il cuore si gonfiò come una bolla di sapone; nonostante le gambe che tremavano e la vista annebbiata dallo sfinimento Fedra caracollò in avanti e lo raggiunse in una mezza corsa goffa.
Questa volta non ci fu spazio per l’imbarazzo. Si lanciò tra le braccia del comandante e picchiò la faccia contro la corazza, la pelliccia del mantello che le faceva il solletico al naso.
“Oh! Scusa! Ti sei f-fatta male?”
“Stai zitto e abbracciami prima che caschi per terra”, biascicò Fedra. Gli passò le braccia dietro la schiena e sentì l’ultimo nodo dentro di lei sciogliersi. Era grande. Era forte e caldo e quelle braccia la avvolgevano come ali.
Era a casa.
Cullen tremava quando chinò il capo e appoggiò la fronte alla sua. Si guardarono negli occhi per un istante lungo tutta la vita.
“Abbiamo tempo”, sussurrò. E lo avevano per davvero: certo, avrebbe potuto baciarlo lì, di fronte a tutti, ma perché non aspettare? Quel momento doveva essere tutto per loro e lo sarebbe stato.
“Abbiamo tempo”, ripeté Fedra. Il petto di Cullen vibrò di una risata muta mentre la stringeva ancora un attimo. Poi la voce di Josephine iniziò a ronzare loro attorno, instancabile.
“Bisogna festeggiare! Non – non solo la vittoria. Non solo per quello, almeno: è una questione di prestigio, di immagine! Ho già contattato i migliori fornitori della zona, entro questo pomeriggio avremo così tanto vino da sommergere la valle, e stanno già scavando le fosse per arrostire la carne”, elencò mentre salivano per la città.
Le porte della chiesa si chiusero alle loro spalle e Josie non tacque, scartabellando i suoi fogli e parlando più in fretta del solito.
“Ovviamente sarà necessario spedire resoconti a tutti gli angoli dell’Impero – non vogliamo che le tue gesta passino inosservate, Fedra – e a questo possiamo provvedere con i corvi di Leliana. Se per te sta bene”, aggiunse indicandola con la penna ma senza distogliere lo sguardo dai suoi appunti.
“Josie…” Fedra sentì la mano di Cullen accarezzarle la schiena, un ultimo contatto prima di tornare a essere il comandante.
Prima o poi sarebbe riuscita a smettere di sorridere, forse.
“Gli abiti! A quello non avevo pensato, ma dovremo farci andar bene quello che si trova in città. Niente di elaborato, certo, ma siccome…”
“Josephine!” alzò la voce Cassandra, ma senza rabbia. “Fedra è sfinita e tu sei bravissima nell’organizzare tutto questo. So che la renderai una serata indimenticabile, ma cosa ne diresti di lasciarla riposare per questo pomeriggio? Non che a me dispiaccia l’idea di riprendermi un po’…”
“Certo! Certo! Ehm… nei tuoi alloggi?”
Fedra diventò color porpora e Cullen fu preso da un accesso di tosse.
“Sì. D-Direi di sì. Ora, se non vi dispiace…”
“Non ci dispiace. Per una volta possiamo respirare; ti rubiamo Cullen solo per un attimo, se permetti. A dopo, Fedra”, la salutò Leliana con un occhiolino.
Cullen alzò gli occhi al cielo e inclinò la testa.
“Prima il dovere, immagino”, scherzò. Lasciò Fedra con un ultimo tocco alla mano e le sorrise.
Avevano tempo, sì. E avrebbero avuto anche qualcos’altro.
Quella mattina Fedra, finalmente, dormì. Crollò sul letto ancora vestita, la faccia premuta contro il cuscino e la bocca aperta. Nessun incubo a tormentarla, nessun senso di colpa: solo lo sfinimento della vittoria e la semplice gioia di una festa tutta per lei. A un certo punto del pomeriggio sentì armeggiare nella stanza e socchiuse un occhio, sveglia solo per metà.
Maren stava versando acqua bollente nella vasca di peltro e le sorrise, senza accorgersi che si stava svegliando. Senza il solito completo di ansia e formalità l’elfa si avvicinò al letto, le rimboccò le coperte e le scostò i capelli dalla fronte, mormorando qualcosa in elfico.
“Grazie”, aggiunse alla fine con un sospiro. Si chinò a sfiorarle la tempia con un bacio gentile e sparì. Fedra avrebbe voluto fare qualcosa ma si riaddormentò immediatamente, e quando si svegliò del tutto, con la luce dorata del tramonto che filtrava dalle finestre, si chiese se per caso non lo avesse sognato. Si stropicciò gli occhi ed ebbe la risposta: la vasca era piena, l’acqua ancora tiepida e una saponetta profumata che galleggiava in superficie. Quando si immerse si sentì lenta e placida, la frenesia delle ultime settimane che se ne andava con la stanchezza e si scioglieva come i nodi tra i capelli. Si prese il tempo per spazzolarli, anche se la spalla faceva ancora male e la fasciatura si era inzuppata per il bagno, e li lasciò sciolti.
Da quanto tempo non era così semplicemente felice? Si rivestì – niente ruches o svolazzi, per fortuna, solo pantaloni puliti e una giacca un po’ più elegante del solito – e si passò una mano sullo stomaco. Aveva fame. Davvero fame, come non le capitava da tempo, e il profumo di carne alla griglia che filtrava dalle finestre non aiutava di certo in quel senso. Respirò a pieni polmoni ed espirò con un mugolio soddisfatto. C’era musica nell’aria. Risate.
Era quasi troppo bello per poterci credere.
Aveva appena finito di allacciarsi gli stivali quando un colpo risuonò alla porta. Gettò indietro i capelli, stupendosi nello scoprirsi a canticchiare a bassa voce, e andò ad aprire.
Cullen era lì in piedi, splendido nel mantello rosso e con un mezzo sorriso sulle labbra. A vedere come si arruffava i capelli sulla nuca e tormentava la neve con la punta del piede lo si sarebbe scambiato per un enorme, goffo quattordicenne al primo appuntamento. Fedra quasi si sciolse per la tenerezza.
“Buonasera, Inquisitore. Posso – ehm – hai dormito bene?”
Fedra inarcò un sopracciglio.
“Decisamente, anche se ho preferito il risveglio al sonno”.
“Bene. Ottimo. E… ecco… mi faresti l’onore di… insomma, posso chiederti se vuoi accompagnarmi a… al…”
“Oh, per le bocce di Andraste, Cullen!” Fedra mosse un passo deciso in avanti, sbatté la porta alle proprie spalle e lo prese con forza sotto braccio. “Era così difficile?”
“Sì. Ma ne valeva la pena”, le disse infilando la mano nella sua.
C’era musica da tutte le parti. Falò alti metri che ruggivano tra le tende e gente che ballava, che beveva. Cole era seduto su un muretto e Varric al suo fianco, intento ad annusare una bottiglia di vetro scuro.
“Il miglior idromele dell’intero Thedas, fidati di me. Assaggialo!”
“Io non bevo”.
“Cosa… ragazzino, sei astemio? Questo è grave, dobbiamo rimediare…”
“No. Io non bevo e basta. Non mi serve”.
Il nano lo guardò arricciando il naso.
“Certo che sei strano forte… be’, in ogni caso possiamo rimediare”, e gli passò la bottiglia. Cole la prese e ci guardò dentro. “Avanti, prendine un sorso!”
Le venne da ridere a vederlo attaccarsi alla bottiglia e berne metà, sotto gli occhi increduli di Varric.
“Così va bene?” chiese senza alcuna nota rauca nella voce. Il nano ammiccò e socchiuse la bocca.
“D-Direi di sì…”
Cullen le accarezzò il palmo con il pollice. “Non so cosa pensare di quel ragazzo, ma sono felice che abbia qualcuno che si prende cura di lui”, disse indicando Varric con un cenno del mento.
“Cole è a posto. Non proprio rassicurante, ma mi fido di lui, e quindi…”
“E quindi mi fido anche io”.
Il calore che le pervadeva il corpo non aveva molto a che fare con i fuochi. Camminarono per un po’ – Solas li guardò e sorrise, levando il capo dalla fitta conversazione con Leliana, e Josephine non li vide nemmeno intenta com’era a tempestare di domande un uomo che portava due barilotti sulle spalle.
Dalla folla festante sbucò Maren, una corona di bacche attorno alla fronte e le guance accese. Non disse niente, si limitò a mettere in mano a Fedra e Cullen due boccali traboccanti e a piroettare via, senza mai smettere di ridere.
“Ti adora”, le disse il comandante. “L’hai trattata bene”.
“Cos’altro avrei dovuto fare? Si è presa cura di me da quando ho aperto gli occhi ad Haven”.
“Non tutti l’avrebbero pensata come te. Per questo mi piaci così tanto”.
Ora lo faccio. Mi giro e lo bacio. Va bene che mi sto godendo l’attesa, ma non ce la faccio più.
Ma proprio mentre si voltava verso di lui lo vide portarsi il boccale alle labbra e bere una lunga sorsata. Gli andò di traverso: Cullen si piegò in avanti tossendo in modo convulso e picchiandosi dei gran pugni sul petto.
“P-Per… lo sp-spirito del Creatore… questa roba brucia!” gracchiò sbrodolandosi abbondantemente.
Fedra si trattenne dal ridere e sorseggiò a sua volta quella che si rivelò essere acquavite così forte da darle l’impressione di averle scarnificato la lingua.
“Uh! Hai ragione… per un attimo ho pensato che fosse la tua – come si dice?- Templarità a farti reggere poco l’alcol. Sai, voti e rinunce e tutto quanto”.
Qualcosa si oscurò sul viso di Cullen. Si pulì la bocca con il dorso della mano e guardò Fedra a lungo.
“Sai, ci sto pensando da giorni e… e vorrei che tu sapessi chi sono davvero”.
Fedra inarcò le sopracciglia e cercò con poco successo di sdrammatizzare.
“Non dirmi che adesso salta fuori il colpo di scena, tipo che sei mio fratello perduto o qualcosa del genere, perché…”
“No, no. Nel senso… la mia vita prima di Haven – prima dell’Inquisizione – è un po’ complicata. Vorrei che sapessi a cosa… vai incontro”.
Si sedette su un basso muretto e bevve un lungo sorso di acquavite senza tossire, quindi iniziò a parlare, lo sguardo fisso all’orizzonte.
“Volevo aiutare la gente e sono diventato un Templare. Mi piaceva. Persino il lyrium era… ah, Fedra, se solo sapessi cosa si prova! Il lyrium ti vincola all’Ordine ed è uno sprone in più, una droga che ti rende più di te stesso, un’arma migliore per la causa che hai scelto di servire. Ovviamente non puoi scegliere quando assumerlo ma… ma ti lega. Lo vuoi, non puoi averlo e sei disposto a essere stupidamente orgoglioso pur di meritartelo”.
Abbassò la testa e se la prese tra le mani.
“Non è stato facile essere un Templare. I primi tempi… be’, ero un ragazzino. Ma ho visto morire così tanti miei amici che… che…”
Deglutì e bevve di nuovo. Fedra gli si sedette di fianco; avrebbe voluto prendergli la mano ma non sembrava il momento giusto.
“Durante una delle peggiori ribellioni dei Maghi sono stato imprigionato. Lui – Uldred, si chiamava – li ha uccisi tutti. I miei compagni – i miei fratelli. Morti uno dopo l’altro sotto i miei occhi. E poi ha torturato anche me”. Si sfiorò la cicatrice con la punta del dito e lasciò ricadere la mano. Non c’era alcuna gioia nel ghigno che gli inclinava le labbra, nessuna emozione nel tono. “Ero così giovane… non sarei dovuto sopravvivere. E invece eccomi qui”.
Il freddo iniziò a insinuarsi nelle ossa di Fedra. Si abbracciò le ginocchia e parlò in un sussurro strozzato.
“Ti ha… torturato?”
“Sì. Ti risparmio i dettagli – no, credimi, è meglio così. Ma sono ancora vivo e posso rendermi utile, e tanto mi basta. Dopo c'è stata Kirkwall e la mia comandante che si è trasformata in una genocida o poco meno… non sono più riuscito a guardare i Templari con gli stessi occhi. Ho provato a tenere duro, ad aggrapparmi alle vecchie tradizioni, ma non ho resistito a lungo. Sono due anni che… che sono solo il comandante Cullen”.
Si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro, le spalle incurvate e una nota stonata nella voce.
“Mi manca. Non l’Ordine – quello ormai era perduto, per me – ma… oh, Fedra, come faccio a dirtelo senza temere il tuo disprezzo?” chiese allargando le braccia, sconfitto.
“Non potrei mai disprezzarti. Me lo hai detto anche tu, una volta, no? Quando ho ucciso p-per la prima volta”. Da qualche parte il dolore per quell’omicidio la tormentava ancora. Cullen sospirò e sorrise triste.
“Mi manca il lyrium. L’estasi che ti regala, il suo canto nella testa e nel cuore che ti fa correre avanti in battaglia senza paura, certo di essere nel giusto… fa male non averlo più. Fa davvero male, e non sta migliorando come avrei sperato”.
“No, aspetta: non prendi più il lyrium?”
“Non sono un Templare. Ormai sono due anni che non ne sento neanche l’odore. Sono due anni che…”
Scosse la testa e si sfilò i guanti. Con un brivido Fedra si rese conto che era la prima volta che lo faceva davanti a lei.
Non aveva mai visto le sue mani – grandi, eleganti, dita affusolate e palmi segnati dai calli della spada. Ma ferite: le nocche erano gonfie e spaccate, c’erano lividi sulle articolazioni delle falangi. Come se avesse preso a pugni qualcosa.
Un muro.
Per anni.
Cullen si sedette e rimase a fissarsi i palmi, quasi incredulo.
“L’astinenza da lyrium può ucciderti o farti impazzire. Qualcuno ne esce, e troppe volte mi sono chiesto se fosse quello il mio destino. Di giorno ce la faccio – ho dei soldati da addestrare, ho l’Inquisizione. Ho te”, e la voce gli si spezzò. Tenne gli occhi bassi e Fedra bruciò dal desiderio di abbracciarlo e tenerlo stretto per sempre. “Ma di notte sento ancora quella musica che mi chiama. Sento le voci dei miei compagni e… e le torture. Le rivivo”.
Ormai le parole erano solo un soffio. Cullen alzò di scatto al testa e fissò Fedra negli occhi.
“Dovevi saperlo. Non è un segreto che potessi tenere ancora, non adesso che… insomma, ora lo sai, e lo sa anche Cassandra. Lei mi sta tenendo d’occhio, come è giusto che faccia un Cercatore con un Templare, anche se ormai noi due siamo qualcosa di diverso. Se dovesse vedermi cedere o perdere il controllo sa che dovrà sollevarmi dall’incarico e trovare un nuovo comandante per le truppe, e io non mi opporrò”.
“Non succederà”.
Fedra gli posò la mano sulla guancia e scosse la testa. “Non succederà perché io credo in te”.
Il viso di Cullen, contratto dall’angoscia, si distese piano in un sorriso dolce. Si appoggiò alla carezza di Fedra e socchiuse gli occhi, sempre più simile a un grosso felino. Anche la voce, arrochita dall’emozione, bassa e vibrante, aveva il suono delle fusa.
“Sei comparsa nella mia vita e mi hai reso un uomo migliore. Anche solo per questo – per averti incontrata – vale la pena vivere”.
Erano vicini. Era il momento giusto.
Sarebbe bastato tendersi avanti di una spanna. Sarebbe bastato chiudere gli occhi e attendere il bacio.
Sarebbe bastato che Cassandra non sbucasse da dietro il muro, i passi lunghi e tesi e gli occhi imbronciati.
“Dannato nano e dannato il suo idromele. Vieni a ballare anche tu, Cercatrice, per una volta tirati via la scopa dal… oh. Oh no. Vi ho interrotti”. Il tono passò da un sordo brontolio a un sussurro, la mano che saliva a coprirle le labbra. “Ditemi che non l’ho fatto”.
Cullen abbassò la testa e si sfregò il collo.
“Non preoccuparti, Cassandra. Noi… stavamo…”
Per baciarci e tu sei saltata fuori nel momento meno opportuno. Ringrazia che ti voglio bene sennò a quest’ora ti avrei già strangolata.
Fedra fulminò Cassandra con lo sguardo e fu certa che avesse recepito il messaggio.
Da sotto di loro arrivò un boato di risa.
“Ehi! Comandante! Venite a brindare con le truppe!” gridò una donna di mezza età in armatura. Cullen si infilò i guanti e si sfregò la faccia con entrambe le mani.
“Dovere. Sempre dovere!”
“Avrai tempo per il piacere, dopo. Ne sono sicura”, ridacchiò Cassandra. Fedra cercò di scomparire nel muro ma con scarsi risultati. Cullen scivolò in piedi e le regalò un ultimo sorriso pieno di promesse prima di allontanarsi verso i soldati.
Fedra lo guardò andare via e non trattenne un sospiro.
“Volevi proprio un lieto fine in piena regola, eh?” le chiese la Cercatrice in piedi alle sue spalle.
“Lo avrei avuto se non fosse stato per te!”
“Sono felice per voi. Cullen è un brav’uomo e un amico, e sa il Creatore quanto avrebbe bisogno di un po’ di felicità”.
Tacquero a lungo, lo sguardo che indugiava sulle montagne innevate in lontananza. Risate, canti, il suono di qualche inevitabile rissa tra ubriachi.
Era una bella notte per essere in pace, sotto il cielo coperto ma quieto.
“Ho parlato con Solas. L’Oblio è sfregiato, in qualche modo, dove prima c’era il varco. Tuttavia lo hai chiuso davvero. Abbiamo notizie di altri squarci in giro per le terre e dobbiamo ancora trovare molte risposte, ma questa”, e indicò le nuvole, “è una vittoria”.
Cassandra si passò una mano tra i corti capelli neri e guardò l’orizzonte.
“Parlano del tuo eroismo. Stai diventando famosa in lungo e in largo, Fedra”.
“Eroismo? No, ho solo avuto una squadra eccezionale che mi ha portata fino al punto giusto in cui potessi rendermi utile”. Alzò lo sguardo sulla Cercatrice e le sorrise.
“L’Inquisizione non ha ancora finito il suo lavoro. Un singolo successo non basta a garantire la pace e ci sarà molto altro da…”
Si interruppe e si tese, lo sguardo puntato lontano e ogni traccia di serenità che le scivolava via dal viso. Un brivido corse su per la schiena di Fedra.
Pericolo. Ora.
Seguì il profilo di Cassandra puntato verso la valle e le vide.
Torce. Centinaia e centinaia di torce che scendevano in un lungo serpente attraverso i passi montani che fronteggiavano Haven. Troppe per non essere una minaccia, rapide. In carica.
“Siamo sotto attacco”, mormorò Fedra, raggelata.




Nuova domenica, nuovo capitolo!
E qui inizia il dramma vero, la tensione reale: il pericolo è diretto, immediato. Il fatto che la minaccia più terribile arrivi proprio dopo una vittoria importante ha fatto ancora più male.
Ma guardiamo i lati positivi: qualcuno inizia a capire cosa prova - e se non fosse per Cassandra forse sarebbero qualche passettino avanti - e presto arriverà un altro personaggio assolutamente delizioso (a cui ho riservato molto più spazio di quanto avessi preventivato perché lo amo).
E poi DRAGHI!
Quindi buona lettura e a settimana prossima!

Val

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Capitolo 9
*** 9-Un drago? No ma mi state prendendo per il culo? UN DRAGO? Non so come sia riuscita a uscirne questa volta. Mi sento comunque molto in colpa, non avrei dovuto urlare. ***


Un'ondata di panico corse per Haven; sopra al brusio crescente si levò la voce di Cullen.
Uomini! Alle armi! Subito!”
Una scossa percorse tutta Haven e fu solo una questione di secondi prima che i canti si trasformassero in grida, le danze in una fuga precipitosa. Tavoli rovesciati, barili versati a terra: della festa non rimanevano che le macerie festonate dal terrore dei civili.
“Ma cosa… Fedra, dobbiamo andare ai cancelli. Subito!”
Cassandra la prese per il braccio e la trascinò con sé prima che Fedra potesse formulare un pensiero coerente.
Cavalcarono controcorrente la folla in ritirata, tra gomitate e colpi che cercavano di trattenerle. Varric sbucò come dal nulla all’altezza del fianco di Cassandra.
“Quanto siamo nella merda?” chiese. Era riuscito a recuperare Bianca e non aveva per nulla l’aspetto di chi avesse bevuto tutta la sera.
Solas li raggiunse, passi agili ai margini della folla. “Immagino lo scopriremo a breve”, gridò sopra al chiasso.
Fedra colse di sfuggita l’immagine di Cole che raccoglieva una bambina urlante da terra e la consegnava alla madre poco più avanti.
Raggiunsero il primo dei cancelli e vi trovarono Cullen, armato e pronto, insieme a Leliana.
Un soldato porse la spada a Cassandra e, con sua sorpresa, i pugnali a Fedra.
“Abbiamo il rapporto di una sentinella. È un esercito, non una pattuglia; attaccano in forze dalle montagne”.
Erano lì. Udiva i passi appena fuori dalla città, grida di battaglia. Di morte.
Josephine li raggiunse, il fiato grosso e il viso cinereo.
“Un esercito? Sotto quali insegne?”
Cullen sembrava un’altra persona, un monolito di metallo e gelida disciplina. Guardò il cancello e strinse i pugni.
“Nessuna”.
Nessuna? Ma non è possibile! Un simile attacco in forze deve avere alle spalle qualche…”
Fedra smise di ascoltare. C’era qualcosa di sbagliato nel portone serrato sulle mura, una vibrazione nel legno borchiato che non poteva dipendere solo dal vento. Si accigliò e vi si avvicinò, scostando brusca la mano di Cassandra che cercava di trattenerla.
Il primo lampo di luce la fece sussultare e indietreggiare di un passo.
“Sono qui”, disse Cullen con voce piatta. Tenne la spada pronta e in guardia con la faccia di chi sappia benissimo quanto a poco servirà.
Altro lampo. Le porte danzarono sui cardini. Ci fu uno sfrigolio e il suono dei passi sferraglianti fuori dalle mura tacque.
Una voce si alzò nel silenzio, soffocata e ansimante.
“S-Se qualcuno fosse così gentile da aprire questa porta lo apprezzerei moltissimo”, disse quello che sembrava un uomo, giovane e provato.
Cassandra esitò ma Cullen fece un cenno ai soldati più vicini.
“Un esercito non viene a bussare di solito. Aprite i cancelli”.
Gli obbedirono e Fedra scalpitò mentre i due battenti venivano spinti verso l’esterno.
Quel che vide dallo spiraglio sempre più ampio le parve all’inizio impossibile. Più le porte si aprivano, però, più diventava evidente che sì, c’erano davvero due dozzine di cadaveri (o quasi cadaveri) fumanti disposti a cerchio attorno alle porte. E sì, lì in mezzo c’era in effetti uno sconosciuto inginocchiato e appoggiato a un bastone da mago.
Quando alzò il capo Fedra vide un bel volto olivastro sotto folti capelli neri; le labbra, ombreggiate da un paio di baffi assurdamente in ordine in quel delirio, erano tese.
Cullen la raggiunse e la superò, il braccio libero teso verso lo sconosciuto. Gli occhi grigi dell’uomo diedero un guizzo e ammiccarono.
“Sono… sono qui per avvisarvi, ma temo di essere elegantemente in ritardo”. Si appoggiò al bastone e cercò di alzarsi, ma barcollò così tanto che Cullen lasciò la spada e lo sorresse. “No, no, sto bene, sono solo sfinito. Anche se non mi dispiacciono queste attenzioni”.
Fedra fu certo di vederlo strizzare l’occhio a Cullen, cosa alquanto improbabile vista la situazione. Del resto, però, anche l’abbigliamento del mago lo era, un intrico di cuoio e cinghie tempestate di specchietti e fibbie scintillanti.
Sgargiante ma, doveva ammetterlo, niente male.
“Mi chiamo Dorian Pavus. Porto brutte notizie, temo, da Redcliffe: alle mie spalle sta arrivando un esercito di maghi ribelli. Si fanno chiamare Venatori e sono agli ordini di un tale Antico”.
Fedra si morse il pugno.
“L’Antico… come a Therinfal”, mormorò mentre un tassello di conoscenza andò al posto.
Cadde per un attimo nel gorgo dei ricordi – Invidia e i suoi deliri all’improvviso non sembravano più così privi di senso – e si perse le presentazioni. Si riscosse quando Cassandra disse il suo nome.
“Lei è Fedra, ed è…”
Gli occhi di Dorian, bordati da ciglia così lunghe e scure da sembrare truccati – no, no, erano proprio truccati - , indugiarono su di lei. Le prese la mano e vi si chinò sopra con un baciamano del tutto fuori luogo vista la situazione.
“L’Araldo di Andraste e il cuore dell’Inquisizione. Pensate possa servirvi un mago straordinariamente abile e affascinante?”
“E modesto soprattutto”, bofonchiò Fedra.
“Stanno arrivando!” gridò una sentinella dalle mura. In un istante il gruppo corse su per i bastioni e Dorian perse l’aria da damerino, tornando lo stesso mago che aveva incenerito le prime propaggini dell’esercito nemico.
“Eccolo lì!” esclamò tendendo il braccio verso uno sperone di roccia in fondo alla valle. “La donna – il generale dell’esercito – si chiama Calpernia e quella… quella cosa è l’Antico!”
Senza tutte quelle torce sarebbe stato impossibile distinguere qualcosa, ma Fedra, strizzando gli occhi, riconobbe una donna bionda vestita di nero e qualcosa che non era umano. L’Antico era alto e aveva qualcosa del corvo nelle spalle bordate di piume, ma molto di più del mostro.
Prole Oscura, un nome pescato dalla memoria, foriero solo di sventura e morte.
Qualcosa di rosso gli fuoriusciva dal torace e gli deformava il volto, le lunghe braccia artigliate più simili a quelle di un demone che di un uomo.
Non era pronta, non quella sera di gioia e vittoria. 
“Cullen… Cullen dammi un piano. Qualcosa, qualsiasi cosa!”
“Haven non è una fortezza. La nostra unica possibilità è di controllare la battaglia e fermarli prima che facciano irruzione in città. Possiamo tenerli occupati mentre i trabucchi vengono caricati”.
Non c’era spazio per lei e non ne voleva; Cullen si trasformò sotto i suoi occhi nel soldato che era nato per essere.
“Radunate i civili e portateli al sicuro. Voglio le armi da assedio pronte e operative”. I soldati si radunarono in ranghi ordinati di fronte a lui. Spada alta, occhi accesi, il leone ruggì. “Inquisizione! Per l’Araldo! Per tutti noi!” Tese il braccio e
l’esercito eruppe in un coro di grida.
Nessun lyrium per loro, solo la fede, la fiducia nell’uomo che li guidava.
La fiducia nell’Araldo.
Fedra strinse i denti mentre il fiume di armati fluiva fuori dai cancelli alle spalle di Cullen.
“Andiamo”, disse senza esitare un altro istante che le sarebbe potuto costare la determinazione che le rimaneva. Voltò le spalle al campo di battaglia e, certa di non essere sola, corse verso il trabucco. 
Non era una fortezza, Haven, Cullen aveva ragione. Ma i due trabucchi alle estremità dell’abitato erano pronti e integri. 
Devo diventare uno scudo, pensò nel dirigersi verso la prima delle armi. I genieri erano impegnati a caricare freneticamente le due gigantesche armi; quanto gli ci sarebbe voluto? Minuti. Forse troppi.
Blocchi di pietra fatti rotolare sulla sacca, pece incendiata – sì, forse avrebbe funzionato, ma sarebbero stati lenti.
“Hanno sfondato!” gridò uno dei soldati accanto al trabucco. Fece per aggiungere qualcosa ma una lama di ghiaccio gli lacerò il petto e lo fece schiantare a terra in un lago di sangue. 
Le sue ultime parole erano la verità. I Venatori – maghi dal copricapo a due punte, guerrieri dall’elmo acuminato – sciamarono ai lati del trabucco, oltre le mura troppo fragili della città. Due soldati dell’Inquisizione si affrettarono alla ruota che permetteva di muovere il trabucco, ma solo uno riuscì a raggiungerla. L’altro venne scagliato via, con uno strillo acuto, da una scarica di energia.
Fedra sentì il panico minacciarla: Varric colpiva chiunque fosse a tiro di Bianca, Solas cercava di difendere la postazione da lontano… ma lei era inutile.
Una seconda bordata di magia sfrigolò nell’aria. La vide avvicinarsi, un lampo azzurro che illuminò il viso stravolto dalla follia del Venatore e le danzò davanti agli occhi.
L’avrebbe uccisa. Un mezzo respiro fitto di paura e delusione le si bloccò in gola, ma prima che potesse chiudere gli occhi la scarica le esplose davanti. Non contro, no: andò a schiantarsi contro una semisfera splendente, vetro immateriale
che disperse l’incantesimo in tante schegge inutili.
Fedra, avvolta da quell’istante di quiete irreale, si voltò. Dorian era in piedi al suo fianco, la mano tesa davanti a sé che controllava la barriera. Gli occhi chiari erano seri e gli davano un’aria pericolosa che cozzava con le vesti sgargianti. 
“Come ha detto il bel biondino? Per l’Inquisizione, mh?”
“G-Grazie”, balbettò Fedra. Dorian sorrise, un lampo di denti candidi tra le labbra scure. “Ora facciamo partire quel trabucco, cortesemente? Non resisterò per sempre”.
Aveva ragione, certo. Fedra si riscosse e scacciò via dalla memoria l’istante in cui era stata certa di morire, cercò di non chiedersi in che modo il soldato trafitto dal ghiaccio potesse essere tornato a camminare, sguardo vuoto e sangue che
inzuppava il terreno.
Magia. Carne morta che diventava scudo, un gesto di Dorian e scintille viola nell'aria. Troppo da comprendere in quel momento; Fedra si voltò verso il trabucco e ritrovò una scintilla di lucidità.
Un solo soldato non bastava a girare il meccanismo di controllo del trabucco e gli altri erano impegnati a difendere lo strumento: toccava a lei.
Corse verso la ruota e lasciò cadere i pugnali, fissando il compagno di sventura con occhi frenetici.
“Come ti chiami?” gli chiese.
“J-Jeremiah. Jim. Il meccanismo si è bloccato”, balbettò lui, paonazzo per lo sforzo.
“Bene, Jim. Dimmi cosa devo fare”.
“Due giri a destra, Araldo, alla vostra destra. Due giri completi”.
Fedra afferrò i pioli che sporgevano dalla ruota, rozze impugnature troppo grandi per le sue mani. Sarebbe andata bene: non avevano alternative. Un’occhiata ai Venatori le diede coraggio. Stavano indietreggiando sotto l’inattesa resistenza
dell’Inquisizione.
“E allora andiamo”, ringhiò. Si appoggiò con tutto il suo peso al meccanismo e spinse. 
All’inizio non successe nulla; Fedra premette fino a farsi bruciare le mani e dolere le spalle, scivolando sul terreno fangoso, con la speranza che si affievoliva a ogni colpo che sferrava contro la ruota.
Si sbloccò all’improvviso, in modo così inatteso da farle perdere l’equilibrio e caracollare in avanti.
“Ci siamo, Araldo! Ora si muove!” esclamò Jim senza fiato. 
Aveva ragione. Lento, inesorabile, il trabucco ruotò sulla sua base e il lungo braccio armato descrisse un arco nell’aria.
Un giro. Uno e mezzo – i Venatori che ricominciavano ad avvicinarsi – quasi due.
“Ancora un po’… siamo quasi in posizione”. Jim ansimò e si piegò sulle ginocchia, mentre Fedra cominciava a dubitare della sua stessa forza.
Ancora un po’. Come se fosse semplice! Se solo riuscissimo a essere più veloci…
Il secondo trabucco, dall’altra parte di Haven, lanciò il suo primo proiettile. Lo vide con la coda dell’occhio, un’immensa palla di fuoco che solcava il cielo e andava a esplodere tra le fila nemiche.

I Venatori esitarono e si volsero a guardare quel primo accenno di sfacelo.
“Signori? Questo sarebbe un ottimo momento per sparare”, disse Dorian. Roteò il bastone e lo pestò sul cranio di un mago nemico, mandandolo a faccia in giù nel fango. Sbuffò, si spazzolò il petto e annuì. “Grezzo ma efficace”.
La base del trabucco fece un secondo, ultimo clac. Jim balzò indietro e fece dei cenni frenetici a Fedra.
“Via, Araldo! Via!”
Lo fece appena in tempo. Cadde seduta e indietreggiò sulle mani mentre il braccio del trabucco scattava, un arco che si stendeva nella notte e scagliava qualcosa che si incendiò a mezz’aria.
Varric emerse dalla mischia e la mise in piedi.
“Per le tette di Andraste… guarda!” Indicò con il dito tozzo il fianco della montagna che delimitava la valle sulla sinistra. “Abbiamo sbagliato mira!”
Fedra si morse il labbro. Possibile? Cullen aveva passato settimane a ragionare, a fare calcoli… e ora il colpo andava a schiantarsi troppo in alto, ad almeno trenta metri dalla colonna di soldati nemici.
Poi la terra vibrò.
“No che non ha sbagliato mira”, disse a Varric con voce tremante. Una lastra di neve si staccò dal fianco della montagna e ruggì verso valle, inesorabile nella sua corsa che sradicava pini e macigni e li scagliava tra le fila dei Venatori.
La mischia si disperse; i pochi nemici ancora ingaggiati si diedero alla fuga… quelli che ci riuscirono. Cassandra comparve alle loro spalle e ne macellò due prima ancora che potessero rendersi conto del pericolo; con il piede premette contro
la seconda vittima e liberò la spada.
“Resistete, sto arrivando!” gridò. Ma ormai non serviva più: erano rimasti soli, indolenziti ma salvi, e sui visi dei presenti si fece strada un timidi ottimismo. Un corno suonò dalle mura e Fedra si sporse per vedere – con un tuffo al cuore – Cullen che riportava in città le truppe superstiti.
Jim iniziò a battere le mani.
“Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta!” e dimentico di ogni riguardo si voltò e abbracciò Fedra, per poi correre via a festeggiare con i commilitoni.
La genialità del piano di Cullen fece salire la già alta opinione che aveva di lui. Due colpi, poche vittime e un intero esercito annientato. Dorian, intento ad arricciarsi i baffi e a riprendere fiato, sembrò leggerle nel pensiero.
“Quindi il capitano non è solo belloccio, mh?”
Una risposta sarcastica le si formò nella mente, ma non trovò mai la via per le labbra.
Le grida di giubilo si trasformarono in orrore senza forma. In un istante Fedra si trovò schiacciata a terra da Dorian mentre il cielo deflagrava di rosso e giallo.
L’esplosione li sfiorò, un’onda d’urto che le lasciò le orecchie ronzanti e il naso pieno dell’odore di capelli strinati. Dorian, sdraiato sopra di lei, non la lasciò andare e alzò la testa.
“Ah. Fantastico”, lo sentì dire, ancora confusa. “Un drago. Quello che ci voleva per rovinare una così bella giornata”.
“Un-Un… levati, Dorian, cazzo!” Fedra gli sgusciò via da sotto le braccia e si rimise in piedi. Il trabucco non c’era più, al suo posto una pila di immense schegge di legno semicarbonizzate tra i cadaveri.
Uno sguardo frenetico tutt’attorno le rivelò Varric e Solas che si rialzavano, il primo reggendosi un braccio. Cassandra tossiva da qualche parte nel fumo.
E sopra di loro planò un’ombra. Grande come le montagne, nera e grondante male: un drago.
“Un drago”, ripeté piano Fedra. Non provava niente: era troppo anche per avere paura ed era una condanna a morte per tutti.
“L’avevo detto, io”, disse Dorian. Si sistemò i capelli e brandì il bastone. “Cosa facciamo? Rimaniamo qui a morire o facciamo le personcine per bene e ci leviamo di torno?”
“Via! Via!” gridò Cassandra, unica voce del buon senso.
Fedra corse alla cieca nel fumo e li perse di vista quasi subito. Sapeva da che parte andare? Sì, sì, conosceva Haven, la chiesa era lassù, era l’unico edificio abbastanza robusto da reggere a un attacco. Forse.
Un’altra pioggia di fuoco. Qualcuno gridò – e poi tacque all’improvviso. I polmoni che bruciavano, lacrime sul viso sporco, Fedra corse disperata per Haven e si rese conto di essere in mezzo a una carneficina. 
Chi non era caduto sotto i Venatori stava morendo per l’attacco del drago. Rallentò nel sentire una voce di donna che gridava da qualche parte nella taverna in fiamme e si guardò attorno: non poteva lasciarla lì!
Si coprì il viso con il braccio, trattenne il respiro ed entrò a testa bassa nell’edificio. Una trave in fiamme la mancò di un soffio, andando a infrangersi in una pioggia di scintille a un passo da lei. La donna urlava ancora: era viva!
“Aiuto! Vi scongiuro, qualcuno mi aiuti!”
La trovò appena prima di finire il fiato in quell’inferno di fuoco e lapilli: la conosceva… sì, Flissa, quella che non voleva mai farle pagare la birra. Era rannicchiata sotto al bancone, i capelli per metà bruciati e il viso stravolto. Nessun commento: la afferrò per le mani e la strattonò in piedi, arrivando a lanciarla fuori dalla taverna prima che il tetto collassasse.
“V-Vai… chiesa”, riuscì a gracchiare prima di essere sopraffatta da un accesso di tosse. 
Qualcun altro lanciò una disperata richiesta d’aiuto poco lontano, ma quando Fedra lo raggiunse, reggendosi il fianco per lo sforzo, era già morto.
Poca aria, troppo sforzo, fuoco e terrore: le girava la testa. Era pieno di grida tutt’attorno e lei non sapeva chi salvare. 
Inutile. Sono inutile. Non basterò mai.
Alla fine, nel caos di panico e urla, riconobbe una voce.

Maren!
Era in quella casupola che l’aveva ospitata al suo arrivo. Un guerriero dei Venatori le marciava lento davanti, spade sguainate, petto lucido di sangue. L’elfa era armata solo di una sedia spezzata.

Fedra non ragionò. Corse su per la salita e scivolò sul fango. 
Un secondo. Un solo, prezioso secondo. Maren tremava ma gli occhi erano braci di rabbia e determinazione, la voce snocciolava un’infinita sequela di quelle che sembravano maledizioni in elfico.
Fu rapida a colpire – un montante in piena faccia che avrebbe messo in difficoltà molti avversari, che piegò all'indietro la testa del soldato. Ma non quello, non un fanatico con la testa avvolta nel metallo. Fedra non arrivò in tempo.
Il Venatore raddrizzò la testa e la inclinò da un lato e dall'altro, un sordo scrocchio di vertebre. Fece un passo avanti e con un movimento lento e drastico affondò entrambe le spade nel ventre di Maren, mozzando il salmodiare in un rantolo
umido. 
“No!” 
Il ruggito le riecheggiò nel cranio e dietro agli occhi, dove un velo rosso si srotolava a coprire ogni cosa.
Rabbia. Odio. Fedra perse il controllo del proprio corpo e scattò in avanti. Il Venatore sfilò le lame dal corpo di Maren e si voltò; il tempo di un pensiero e il braccio di Fedra scattò verso l'alto. Il primo fendente lo raggiunse sotto al mento. 
Un solo colpo, dal sotto in su, nella carne molle sopra alla gola e tra le mandibole e su, nel cranio, contro le ossa che scricchiolavano. Fino al cervello.
Non bastava. Il guerriero lasciò le armi e crollò a terra in preda alle convulsioni, un torrente di sangue caldo che gli si spandeva attorno. Fedra gli montò sopra e sfilò il pugnale. E colpì, colpì ancora, colpì con le lacrime che le grondavano dal viso, colpì anche se era già morto.
Colpì fino a che non ne ebbe più la forza. Allora scivolò in avanti, appoggiata all’elsa infissa nel petto dell’uomo, e sollevò lo sguardo offuscato dall'orrore davanti a sé.
Maren era in ginocchio, le mani strette attorno all’orrenda ferita. Sangue tra le dita intrecciate, sangue che usciva dalla bocca socchiusa.
“No…” Fedra gattonò fino a raggiungerla e riuscì a prenderla tra le braccia prima che cadesse.
“A-Araldo…”
“Ti ho detto che Fedra va meglio”, riuscì a dire. Maren abbozzò un sorriso e le braccia le ricaddero ai fianchi.
“Fedra”, sussurrò prima di tacere. Occhi grandi, vuoti.
Morti.
Il drago sorvolò di nuovo Haven.
No, non c’era tempo per il lutto. Fedra lasciò il cadavere dell’elfa e si asciugò gli occhi; fu solo per caso, per istinto che corse via. Una palla di fuoco cadde dalle fauci del mostro e ingoiò quella che era stata la sua casa. Si portò via Maren e la possibilità di piangerla.
“Verso la chiesa! Andiamo!”
Una voce fece breccia nel delirio di sofferenza e futile confusione che le stava montando dentro.
Cullen!
Fedra si coprì la testa con le braccia e coprì zoppicando l’ultimo tratto fino al sagrato. Dozzine di persone le arrancavano davanti, soldati e cittadini, madri con i figli, sacerdotesse. Intravide Madre Giselle che sorreggeva un vecchio con la
barba bianca e indugiò.
Prima loro.
“Fedra! Ti prego!” L’urlo di Cullen era qualcosa in più che l’ordine di un comandante. Uno sguardo – rapido, troppo carico di mille significati – la riscosse e la spinse ad avanzare. Si gettò dentro appena prima che due soldati raggiungessero le porte.

“No! No, fermi!”
Il Cancelliere Roderick grondava sangue ma era ancora in piedi. Lottò con uno dei soldati per strappargli di mano il battente e tenerlo aperto. “Correte! Sbrigatevi!... non li lascerete fuori”, sibilò.
“Ma il comandante…”
“Non li lascerete morire là fuori!” ruggì. Fedra non capì fino a che non vide un’ultima famiglia lanciarsi oltre la porta. Allora il cancelliere lasciò il braccio del soldato e vacillò.
Fu Dorian a sostenerlo, una striscia lucente di sangue che gli colava dalla tempia ma mani abbastanza rapide da prendere Roderick al volo prima che si accasciasse.
“Coraggio, vecchio mio. Vi porto al sicuro”, lo sentì sussurrargli. Di fronte all’espressione di Fedra, probabilmente scioccata dopo tutto ciò che aveva visto, Dorian si fece serio. “Un uomo coraggioso. Ha tenuto testa a un Venatore per salvare
due ragazzi”.
“Per… per poco. Non sono un Templare”, biascicò Roderick. 
Non c’era spazio per l’antipatia e le ripicche. Fedra lo guardò con sincera, tarda ammirazione.
La chiesa era stipata. Grappoli di persone si stringevano sotto alle navate, famiglie che contavano i propri membri e occhi disperati di madri cui mancava un figlio, di mariti che non trovavano la moglie. 
Si chiamavano.
Nessuno rispondeva.
Cole era all’ingresso, la mano stretta a quella di un’anziana che piangeva in silenzio. Negli occhi pallidi del ragazzo – sempre vaghi, quasi inespressivi – Fedra scorse una compassione così bruciante, così piena di tenerezza che le venne da
piangere.
Varric aveva la manica arrotolata a mostrare un lungo squarcio sull’avambraccio, ma Madre Giselle lo stava già medicando, e Solas era in disparte, a capo chino, la mano premuta sugli occhi.
“Fedra!”
Cassandra le venne incontro.
“Quanti?” La parola le sfuggì dalle labbra.
“Cosa?”
“Quanti morti, Cassandra?”
“Non... Non lo so, dovresti chiederlo a Leliana o a Josie se… ah. Sono vive”, disse, notandole in fondo alla chiesa, la tensione che si scioglieva nel sollievo.
“Quanti morti?” La voce si spezzò in un grido rauco. Fedra afferrò Cassandra per la corazza e la strattonò. “Quanti? Quanti?”
Troppi. Maren era solo una faccia, ma quanti altri erano caduti per colpa sua? Solo per essersi trovati vicino all'Araldo di Andraste. Erano morti festeggiandola.
Mani robuste la presero per le spalle e la trascinarono via. Un istante dopo Fedra si trovò premuta contro il petto di Cullen, un grido folle soffocato contro il pelo del mantello.
“Conta i vivi, non i morti”, le sussurrò contro i capelli. Sapeva di sangue e sudore e tremava quasi quanto lei.
Si divincolò e si sciolse dall’abbraccio. Poco importava se le colava il naso, se tutto ciò di cui aveva bisogno era essere confortata. Non poteva permetterselo.
“Quanti saranno se quel drago di merda continua a vomitarci addosso fuoco?” disse in un sussurro furibondo.
Cullen la guardò, occhi freddi e duri. Nessuna pietosa menzogna.
“La nostra posizione è grave. Il drago ci ha tolto qualsiasi vantaggio fossimo riusciti a guadagnare grazie ai trabucchi. Non hanno avanzato richieste, mostrato insegne… ci vogliono morti, semplicemente morti”.
“Non tutti noi”.
Dorian alzò la testa dalla sagoma accasciata di Roderick.
“Ho sentito delle voci, Araldo. Non si scende a patti con i maghi né con l’Antico. Lui vuole te”.
“Chissà perché me lo aspettavo”, disse con un accenno di risata demente. Non c’era niente da ridere, però, e il volto di Cullen era funereo.
“E allora cosa dovremmo fare?”
“Oh, credimi, Araldo o quel che è, se lo sapessi te lo direi. E sì che avevamo iniziato così bene con la valanga… se solo potessimo usare ancora i trabucchi…”
Il viso di Cullen si illuminò di qualcosa di più tetro della speranza. Tormento, follia. Un’ultima possibilità.
“Possiamo”, disse sotto voce. “Se riuscissimo a uscire e a puntare il trabucco rimanente verso la montagna alle spalle di Haven…”
Fedra capì al volo. Non avrebbe voluto perché era troppo – troppo orribile e assurdo e brutale – ma capì.
“Tiriamo giù la montagna. Seppelliamo il nemico nelle rovine di Haven”.
“Siamo spacciati, Fedra. Ma possiamo ancora andarcene combattendo e portandoci dietro il maggior numero possibile di quei bastardi”. Cullen era l’immagine della disperazione e, al tempo stesso, del gelido raziocinio. 
“Be’, no. Mi spiace – in realtà non mi spiace per niente, ma era per dire – ma non lo accetto. Non sono venuto qui praticamente di corsa, strinandomi i capelli e rischiando la vita solo per farmi tirare in testa una montagna di sassi!” scattò
Dorian. Si alzò e fronteggiò Cullen; non era alto quanto lui ma non sembrava intimorito.
“E allora cosa dovremmo fare? Arrenderci e lasciare che ci uccida senza fare nulla?” ribatté il capitano. Si fronteggiavano, così vicini da potersi sfiorare con la punta del naso.
Due cani ringhiosi, si disse Fedra.
“Sai, biondino, di solito la morte è l’ultima risorsa, non la prima. Capisco tutti i tuoi bei discorsi sulla nobiltà e il resto delle ciance di cui riempiono le vostre testoline da Templare, ma…”
“Sto solo dicendo che se facciamo così, forse... questo sacrificio è la nostra ultima possibilità!”
“Certo che per essere un Templare ragioni come un mago del sangue!”
“C’è… c’è un passaggio”.
La voce del cancelliere Roderick era flebile. Cullen si bloccò con l’indice accusatorio puntato verso Dorian. Il mago si accucciò di fianco al ferito e Fedra fece altrettanto.
“Un passaggio? Per dove?” gli chiese con un filo di voce.
“Da-Da Haven alle montagne. Un passaggio sacro, il percorso d-del Pellegrinaggio d’Estate. Io l’ho fatto e… sarebbe un segreto della Chiesa, delle alte sfere, ma la gente deve sapere. Deve poter fuggire!” La mano di Roderick si strinse sul
braccio di Fedra. Aveva gli occhi lucidi, febbricitanti. “Andraste mi ha parlato. È mio dovere aiutare queste persone, e… e devo fidarmi di voi, Araldo. Vi prego, credetemi”.
Rimase a guardarlo per un attimo, incerta. Quell’uomo l’aveva odiata dal primo istante e aveva fatto il poco che era in suo potere per metterle i bastoni tra le ruote. Eppure ora…
La stretta si fece più intensa.
“Se questo mio semplice ricordo può salvare delle vite allora forse… forse voi siete più di quello che sembrate. Il passaggio parte dalle segrete della chiesa, potrebbe… funzionare”.
Fedra annuì e gli sfiorò la mano, incapace di recuperare il rancore che aveva provato per lui in tutti quei mesi. Alzò lo sguardo su Cullen.
“Puoi farlo? Puoi portare questa gente fuori di qui?”
“Sì, e anche te, se…”
“No”.
Lasciò Roderick e si alzò in piedi. 
In tanti erano morti per lei. Non avrebbe permesso che fosse invano. Parlò in fretta prima di perdere il coraggio.
“Se quella… quella cosa è qui per me allora sono io l’unico obiettivo. Quel bastardo rosso deve venirmi a prendere e non gli renderò la cosa tanto facile”.
Cullen le afferrò la spalla ferita e strinse. Fu quasi un sollievo sentire la scossa di dolore irradiarle il braccio: la tenne ancorata al momento, lontana dalle orribili prospettive che le si srotolavano davanti.
“La montagna franerà, Fedra. E tu…”
Non guardarmi così perché potrei perdere il poco coraggio che mi resta. Non farlo, non chiedermi di rimanere con te perché lo farò e ci condannerò tutti. Ti prego, se hai provato qualcosa per me, ti prego lasciami andare…
“Forse puoi riuscire a prendere di sorpresa l’Antico”, disse Dorian in un delicato tentativo di confortarla. “Se il trabucco funziona, se riesci ad azionarlo al momento giusto, se… in effetti sono un sacco di se, Araldo”.

Cullen la fissò negli occhi. Era furioso, disperato.
Sarebbe potuto essere suo. Fedra soffocò l'ondata di emozione e strinse i denti, sguardo duro e mani che tremavano.
Il comandante. Non l'uomo di cui si era innamorata. Dovette strapparsi il cuore dal petto per non cedere alla luce bruciante che vedeva nei suoi occhi.
Di’ ai tuoi di radunare i sopravvissuti e di seguire il cancelliere Roderick. Non possono perdere tempo”.
Era un ordine e Cullen lo capì. La lasciò andare e sbraitò, secco e rapido, con la voce che si incrinava. Quando si voltò di nuovo verso di lei aveva le ciglia imperlate di pianto.
“Tieni l’Antico occupato fino al mio segnale. Quando avremo superato la linea degli alberi saremo al sicuro e… Fedra, io... io ti…”
Dorian sollevò Roderick, ma questi lo fece fermare mentre superavano Fedra, interrompendo Cullen.
“Se… se è vero ciò che dici di essere… se sei l’Araldo di Andraste e questo è ciò che l’Inquisizione è chiamata a fare… io pregherò per te”, sussurrò. 
“Andiamo, grand’uomo. Dovete guidare un popolo, non sprecare il fiato”, scherzò Dorian nel portarlo via.
Erano tutti lì, un grumo di persone che aveva perso tutto.
I suoi amici mischiati alla folla, intenti a convincere anche i più terrorizzati a seguire il cancelliere verso l’ultima speranza.
Fedra sapeva di dover loro qualcosa. Un addio, un ringraziamento.
Un bacio.
La forza di Cassandra, il cuore grande di Varric e la mente acuta di Solas. I silenzi pieni di significato di Leliana e il chiacchiericcio efficiente di Josie. Cole e il suo cuore puro, persino il coraggio vanaglorioso di Dorian, che conosceva così poco

ma le aveva già salvato la vita.
L’amore di Cullen.
Il petto le si strinse in una morsa per tutta la bellezza che aveva attorno e che sentiva di non meritare.
Madre, padre, sarete orgogliosi di me. Evelyn, ricordami e pensami, perché sono stata felice di averti come sorella.
Voltò le spalle alla sala e ai visi familiari.

Se avesse indugiato anche solo un istante avrebbe perso tutta la determinazione, quindi agì prima che fosse troppo tardi.
Corse verso la porta, la spalancò e corse incontro alla morte con un ghigno umido di lacrime.


Poche centinaia di metri la separavano dall’ultimo trabucco residuo. Per attraversarli le ci volle tutta la vita.
Haven era ancora infestata di Venatori, bande di pochi individui comunque troppo pericolosi per poterli affrontare da sola. Si mosse nell’ombra, il cuore che ruggiva in gola e nelle orecchie, il marchio nascosto nel pugno così stretto da farle dolere le dita. Un passo dopo l’altro tra macerie e case in fiamme, in un silenzio di morte spezzato solo dalle grida lontane del drago.
Forse avrebbe dovuto stupirsi quando nessun Venatori la notò nel suo avvicinarsi all’arma, chiedersi perché non ci fosse nemmeno una guardia ai piedi del trabucco già carico. Quando lo raggiunse, però, aveva smesso di pensare: tutto ciò che le riempiva la testa e gli occhi era quella ruota di legno identica a quella che aveva girato con Jim.
Vi si lanciò contro con tutto il suo peso e si aggrappò alle impugnature.
L’idea di non farcela non la sfiorò nemmeno, ma quell’ingranaggio era duro. Pesante. Sentì i muscoli delle spalle e della schiena tendersi e spingere contro le cuciture della giacca in uno sforzo inutile. Il trabucco non si mosse di un pollice.
Tra i denti digrignati una litania di bestemmie le si srotolava sulla lingua, un lungo ringhio senza suono che le raspava in gola.
“Muoviti…” gemette.
Il legno era ruvido sotto le mani e ogni venatura le scavava nella carne. Fedra spinse con la spalla appoggiata alle nocche, muscoli che urlavano per il dolore e la frustrazione. Il meccanismo si mosse di un soffio, o forse fu solo un’impressione.
Fu solo speranza, dopo tutto, quella che le fiorì lenta nel cuore.
Puoi salvarli tutti. Chi rimane può avere un futuro se solo trovi la forza di essere più di te stessa.
Era la sua coscienza che le parlava, ma non solo. Era Cole che le aveva dato coraggio e lucidità nel delirio della sua stessa mente, era Maren che le rimboccava le coperte e credeva in lei.
Era la verità.
Il marchio iniziò a brillare più forte sulla pelle che si riempiva di vesciche contro la ruota, un bagliore così forte da superare le palpebre serrate, da richiamare l’attenzione dei Venatori.
Sempre più intenso a ogni passo in avanti, a ogni scatto del trabucco sulla base. Mezzo giro, un grido rauco che grattava nel petto e i piedi che scivolavano nel pantano. Un altro quarto di giro e la montagna dietro Haven quasi a portata.
Ancora poco. Ancora poco, Fedra, ce la stai facendo.
Ogni muscolo gemeva per lo sforzo eccessivo. Sì, ancora poco – uno scatto, un rumore secco e definitivo mentre gli ingranaggi arrivavano a destinazione e si incastravano tra di loro.
Fatto.
Fedra si accasciò contro la ruota e cercò di riprendere fiato, ma qualcosa andò storto. Un’ombra immensa le passò sopra alla testa, ali di tenebra che sbattevano lente nell’aria.
I pensieri si rincorsero troppo veloci per distinguerli e di nuovo fu solo l’istinto a farla fuggire dal trabucco.
Vuole me!
Le gambe tremavano ma la ressero in una breve, folle corsa attraverso lo spiazzo che ospitava il trabucco. Il marchio bruciava e pulsava, la neve calpestata cedeva sotto si lei e ormai all’imboccatura della strada la palla di fuoco colpì. L’aria sfrigolò e Fedra ebbe solo il tempo di lanciarsi di lato prima che il globo incandescente si abbattesse a terra, non più lontano di tre metri da lei. L’onda d’urto la sollevò da terra e la scagliò via come un inutile pupazzo.
Fumo nel naso, polvere in gola e negli occhi e la terra che le veniva incontro troppo in fretta. Fedra si schiantò a terra e l’aria le lasciò i polmoni in un unico sbuffo. Per un istante se ne rimase sulla schiena in perfetto stile scarafaggio, agitando le dita e cercando di respirare e vederci qualcosa; il sibilo si trasformò in ansiti e l’aria riprese a circolarle nel petto e finalmente riuscì a sollevarsi sul gomito.
Un anello di fuoco circondava la piana del trabucco. Battendo le palpebre Fedra fissò le fiamme e capì di non essere sola.
L’Antico avanzava verso di lei, sagoma deforme troppo alta, braccia lunghe e abomini di cristallo rosso che si affacciavano alla carne esangue. Il petto era lyrium rosso, e lyrium gli sporgeva in schegge dalla spalla, dal viso che forse, un tempo, era stato umano. C’era ancora un naso e una bocca sottile, gli occhi erano chiari ma la somiglianza con un uomo si fermava alla superficie.
Fedra si passò la mano sulla fronte e spalmò via il sangue che colava da un taglio.
Occhi vuoti. Freddi. Fissi su di lei.
Stava arrivando.
Era venuto a prenderla.
Con le ultime forze Fedra si rialzò in piedi e sguainò i pugnali, anche se era certa che non sarebbero serviti a niente.
L’Antico le si parò davanti, un colosso di penne di corvo e cristalli scarlatti che la guardava con un odio puro e assoluto.
Qualcosa le si formò dietro alla lingua – una sfida, parole sprezzanti. Qualcosa che non trovò mai suono quando la terra tremò di nuovo. Fedra si voltò di scatto e sentì di essere decisamente sul punto di farsela sotto. Chi mai avrebbe potuto biasimarla? Il drago era atterrato a una ventina di metri da lei e ora le galoppava incontro.
Sono fottuta.
Arti come tronchi, una testa grande come una casa tutta denti – orribilmente simili a quelli di un teschio – e piccoli occhi di furia, la bestia si parò contro la strada con le movenze letali di un gigantesco predatore. Cristalli di lyrium rosso sbucavano dal lungo collo serpentino, dalle zampe da rettile.
“Ora basta”.
L’Antico puntò l’indice adunco contro Fedra e quel semplice gesto la paralizzò, più spaventoso del drago che si muoveva alle sue spalle.
“Usurpatrice. Giochi con forze che non sei nemmeno in grado di comprendere”. La voce era bassa, troppo bassa e potente, le vibrava nelle ossa, le avrebbe spaccato il cranio. “Tutto questo deve finire”.
Disperazione le inondò il cuore. Ci era andata così vicina! Il trabucco era il posizione, le sarebbe bastato colpire il fermo che tratteneva il braccio…
Posso ancora farcela.
Ingoiò il terrore e mosse un passo di lato, più simile al barcollare di un ubriaco, e imdossò la sua miglior maschera di spacconeria, rovinata dal tono incerto della voce.
“N-Non so chi tu sia, non so cosa tu sia e sinceramente non me ne frega un cazzo. Tu non mi fai paura!”
L’essere arricciò le labbra in una parodia di sorriso che lo fece sembrare ancora più mostruoso. E non era cosa da niente.
“Parole che voi mortali dite spesso alle tenebre. Le conosco bene, e sono sempre false”.
Mosse un passo avanti, il margine della tunica nera e lacera che sfiorava le fiamme. “Guardami, ora. Impara a conoscermi. A conoscere ciò che hai finto di essere!”
La spocchia l’aveva lasciata dopo le prime tre parole. Fedra vacillò di lato – un altro passo mascherato da terrore – e si tese sotto la mano dell’essere puntata verso di lei.
“Io sono Corypheus, e tu ti inginocchierai al mio cospetto”.
“Inginocchiarmi? Ho un gran mal di gambe a furia di massacrare i tuoi amichetti, ti spiace se ci limitiamo a una pacca sulla spalla?”
Corypheus alzò la testa e la guardò ancor più dall’alto.
“Vuoi resistermi. Resisterai, e presto ti renderai conto che non ha alcuna importanza”. Un vortice di ombre gli avvolse la mano e si addensò in una sfera grossa come una testa, nera e perfetta, solcata da una miriade di linee. Tra gli artigli di Corypheus mandò lampi rossi. “Sono qui per l’ancora. La sua rimozione inizia ora”.
Di nuovo tese la mano verso di lei e le stesse saette scaturirono nella sua direzione.
Il marchio – l’ancora! – rispose. Fedra lanciò un grido mentre il palmo esplodeva in un delirio di dolore verde, lampi brucianti che le facevano vibrare il braccio fino alla spalla. Provò ad afferrarsi il gomito, a trattenere il trmeito incontrollabile che lo scuoteva, ma non servì a nulla. Crollò in ginocchio con la fronte premuta a terra.
“La colpa è solo tua, Araldo: hai interrotto un rituale che ha richiesto anni e anni di preparazione, e invece di morire come sarebbe stato logico ne hai rubato lo scopo!”
Continua a parlare, riuscì a pensare tra le scosse di soffererenza bruciante.
Lo fece.
“Non so come tu sia sopravvissuta, ma ciò che ti marchia come prescelta, che sventoli agli squarci per chiuderli, era il mio strmento per assaltare i cieli stessi. E tu vorresti usarlo contro di me?”
Strinse il pugno e Fedra ricadde sul fianco. Il drago ruggì alle sue spalle e le si avvicinò di pochi passi, abbastanza per farle percepire il suo fiato rovente.
“Io porterò certezze laddove non ce ne sono. Stabilità attraverso e oltre il caos: nessun ordine in questa ridicola parodia di un impero quando avrò infranto il trono di Celene, quando non ci sarà più un governo da chiamare con questo nome. Solo io, unica speranza nelle tenebre”.
In un istante Corypheus le fu addosso, la mano affilata stretta attorno al polso. La sollevò come se non avesse alcun peso e Fedra, attraverso le ciglia, se lo vide troppo vicino. Sapeva di vecchio e morto, di fuoco, cenere e carne bruciata. Come aveva potuto credere che ci fosse qualcosa di umano su quel volto sfigurato? La spalla e il braccio tesia reggere il suo peso erano solo un altro dolore che si sommava a tutto il resto.
“Ci fu un tempo in cui attraversai il velo – un’altra epoca, un altro nome – per andare a servire gli antichi dei in persona. Sai cosa vidi?” La attirò più vicina e Fedra distolse lo sguardo. “Caos. Corruzione. Per mille anni ho vagato nella confusione, ma ora non più. Ora giungo recando solo il mio nome per riportare gloria al Tevinter e correggere questo mondo corrotto, per assurgere alla divinità che mi spetta. Prega che io abbia successo perché io ho visto il trono degli dei ed era vuoto!”
Corypheus scoprì i denti. Gli occhi erano sgranati e folli quando sollevò ancor di più il braccio e scagliò via Fedra. Un istante di volo in aria, nemmeno il tempo di gridare, e le travi di legno le si schiantarono contro la schiena.
Fedra sentì qualcosa incrinarsi tra le scapole e scivolò a terra, incapace di respirare e di trattenere un sogghigno folle, bordato di sangue. Lottò per non perdere conoscenza e si sollevò sulle braccia, appoggiandosi all’indietro contro il trabucco.
Contro l’inatteso colpo di fortuna che Corypheus stesso le aveva regalato.
Stava avanzando verso di lei, il drago al suo fianco, la morte sul viso.
E Fedra rise. Un verso basso, sgraziato e sull’orlo della pazzia. Rise con le costole che dolevano e il sangue che le colava sulla faccia.
“Non posso strapparti l’ancora? Pazienza, troverò un altro modo per dare a questo mondo la nazione e il dio che merita. E tu morirai, perché non intendo avere rivali, anche se patetici e inutili”.
Rise in faccia a Corypheus mentre si rialzava in ginocchio, il marchio – l’ancora – che brillava contro il metallo della leva del trabucco. Alzò lo sguardo oltre le spalle da corvo, verso i monti oltre Haven.
La freccia incendiaria brillò in cielo, cometa di speranza.
Segnale.
Ce l’hanno fatta!
Fedra tornò a guardarlo in faccia, questa volta senza paura. Era oltre.
“Sai, non ti ho tenuto qui a chiacchierare per il…” Tossì e uno schizzo di sangue le macchiò il mento. “Per il piacere della tua compagnia. Vai a farti fottere, Corypheus!”
Si appese alla leva con tutte le sue forze e il trabucco scattò.
Il tempo si fermò mentre il proiettile sfrecciava nell’aria. Tutti e tre ne seguirono l’arco nel cielo – gli occhi lucidi di Fedra, quelli di Corypheus in cui si faceva strada l’orrore, quelli da bestia del drago – e infine le fiamme esplosero sul fianco della montagna.
La valanga si staccò, immane, e piovve su quel che restava di Haven.
“No!”
Il grido di Corypheus fu subito sopraffatto dal ruggito di neve e macigni che invadeva l’aria. Fedra vide il drago avvolgere le ali attorno al suo padrone e si ricordò di gettarsi di lato.
Braccia sopra alla testa, tuono di distruzione nelle orecchie.
Cadde e qualcosa le colpì la testa.
Non sentì più nulla.


Non era così male. Buio, gelido, ma tranquillo.
C’era pace nel nulla, una confusa soddisfazione nel non essere, nel non fare.
Era tutto finito -qualunque cosa fosse quel tutto- e lei poteva giacere e cessare di esistere, diventare silenzio.
L’avrebbe fatto, ma non poteva. Non con quel sottile verso acuto che si intrufolava nel suo bozzolo di nulla. Una nota alta, stonata in una melodia monotona e rassicurante.
Basta, ho fatto tutto quello che potevo. Ora voglio solo non essere più. Non dover essere.
Ma il verso non taceva.
Il pianto di un bambino.
Fedra socchiuse le labbra spaccate e prese un breve respiro bruciante che si trasformò in un gemito.
Dolore. Dolore ovunque, ossa rotte e sangue che le incollava i vestiti al corpo.
Cieca nel buio provò a girarsi su un fianco per dare sollievo alla schiena che urlava per il male. Ci riuscì dopo molti tentativi, ridicolo insetto semischiacciato sul pavimento.
Mosse gli occhi oltre le palpebre chiuse, cercò di aprirli. Il destro non obbedì – o forse sì? Forse era cieca? Riuscì a strisciare in ginocchio, sfregando sulla pelle lacerata, sulle schegge di pietra che le entravano nelle ferite aperte.
L’unica fonte di luce era lei: l’ancora brillava verde e più forte di prima, gettava ombre vibranti in quello che sembrava un cratere.
Sono viva.
Era impossibile, le era piovuta in testa un’intera montagna… eppure eccola lì, al freddo, al buio, a contare le ferite e a recuperare il controllo su se stessa, in mezzo alle rovine di Haven e ai cadaveri di centinaia di Venatori.
Assurdo, ma mai quanto la figurina che si stagliò al confine dell’ombra.
La fonte di quel pianto.
“Mamma…”
Non aveva più di tre anni, codini biondi incrostati di polvere, un piede scalzo e il vestito lacerato. Caracollò in avanti tendendo le manine paffute.
Fedra arrancò verso la bambina e la prese tra le braccia prima che potesse cadere. Era calda e leggera, le braccia strette al suo collo facevano male ma erano così vere, così meravigliosamente vive… la strinse piano a sé tenendole una mano dietro alla schiena e la cullò in silenzio, incapace di parlare per la commozione.
Il cuore le faceva male.
Per questo. L’Inquisizione, la rabbia, il sangue e la paura, i piani folli di Cullen, i sotterfugi di Leliana… per questo.
“Shh, piccola. Va tutto bene, ci sono qui io. Ora andiamo a… a cercare la tua mamma, va bene?”
La bambina si scostò e si stropicciò gli occhi con il pugnetto insanguinato. Annuì una volta e si accoccolò tra le braccia di Fedra.
Non ci sapeva fare coi bambini. L’ultimo poppante di cui avesse ricordo era Evelyn, gracile e malaticcia: non poteva toccarla, non poteva starle troppo vicino, era sempre attaccata alla tetta materna e frignava in continuazione. Quella piccola, però, le si era affidata con una fiducia che sentiva ancora di non meritare, nonostante tutto.
E sua madre probabilmente era morta, sepolta lì sotto da qualche parte o fatta a pezzi da un Venatori.
Fedra si alzò in piedi, un braccio stretto attorno alla bambina, le gambe che tremavano.
Ma vivrà. Fosse l’ultima cosa che faccio, vivrà.
Se la sistemò contro il fainco e tenne l’ancora tesa in avanti come unica fonte di luce. Ogni passo era un’agonia di fatica ma non si poteva fermare: dal cratere si dipanava un sigolo cunicolo di cui non aveva memoria, ma che era anche l’unica via da prendere. A mano a mano che zoppicava in avanti si accorse che il terreno davanti a lei era calpestato da centinaia di passi e si permise di sperare.
Sono andati da questa parte!
Nemmeno si accorse di aver accelerato, nonostante lo sfinimento. La bimba si cacciò il pollice in bocca e in breve si addormentò, le dita soffici intrecciate tra i nodi dei capelli di Fedra.
Quando qualcosa si sollevò dalle macerie, quasi troppo in ombra per poterla riconoscere, il cuore le si congelò.
Riconobbe la sagoma del demone per averla vista troppe, troppe volte da quel giorno al Tempio delle Sacre Ceneri. Braccia lunghe, torso ingobbito… cosa ci faceva lì?
Non adesso! Non ora che ho iniziato a sperare!
Il demone scivolò dal buio, le zanne digrignate e gli artigli pronti.
Fedra si voltò di lato, ponendo il proprio corpo tra la creatura e la bambina addormentata, un furore animalesco che le scoppiava dentro e gridava che non l’avrebbe lasciata a quel mostro, che lo avrebbe ucciso a morsi se fosse stato necessario. Ma qualcosa accadde prima che potesse pensare a come combattere.
Il braccio dell’ancora ricominciò a vibrare e si tese in avanti; il dubbio si mischiò a una nuova ondata di paura – Cosa cazzo sta succedendo? – e una lancia di luce verde eruppe dal suo palmo.
Il grido le si strozzò in gola: era la stessa sensazione di quando chiudeva gli squarci, qualcosa che fluiva e rilassava una tensione che non sapeva di aver provato. Solo che questa volta non c’era alcuno squarcio da sigillare, solo un demone ramingo che non arrivò mai a più di due metri da lei. Brillò di verde e lanciò uno stridio sempre più debole.
Un lampo, un soffio ed era svanito. Fedra annaspò all’indietro e quasi cadde per l’improvvisa mancanza di energia nel braccio, ora di nuovo debole al suo fianco.
Del demone non rimaneva che una chiazza bruciata a terra e la bambina senza nome non si era nemmeno svegliata.
SI guardò l’ancora con l’unico occhio aperto: non sembrava diversa da prima, solo che…
Che non aveva mai fatto così…
Camminò per il resto del cunicolo lanciando occhiate intermittenti alla propria mano, ma il marchio non diede cenni di instabilità e nessun altro demone le sbarrò la strada.
Dopo quelle che parvero ore un alito gelido la investì e il brivido di freddo si tinse di sollievo. Era la direzione giusta!
Il sollievo durò molto poco, giusto fino all’uscita dal tunnel.
Certo, c’erano tracce sul suolo innevato, ma il tempo era peggiorato e grossi fiocchi avevano iniziato a scendere. Quanto tempo era rimasta svenuta? Abbastanza perché le orme si riempissero e si trasformassero in vaghi avvallamenti nella neve, abbastanza perché il manto bianco si ispessisse fino a raggiungerle le ginocchia.
Fu un lungo incubo di buio, gelo e brividi. Ogni passo la lasciava in un bagno di sudore lungo quella salita quasi verticale che conduceva verso… verso cosa? Era troppo stanca persino per sperare, persino per ricordare. Il naso le colava e si ghiacciava e la bimba, dopo aver frignato un po’ per il freddo, era diventata stranamente tranquilla. Fedra si era tolta la giacca e ce l’aveva avvolta, pregando che il tremito convulso che la scuoteva fosse un segno che non stava morendo assiderata.
I denti le battevano forte; si morse la lingua puù volte e sentì in bocca il sapore del sangue.
Un passo. Ancora uno tra i pini neri contro il candore della montagna. Ancora uno oltre le rocce ghiacciate e quei giganti di freddo e pietra che incombevano, infiniti, davanti a lei.
Smise di pensare, di chiedersi quanto mancasse. Smise di essere consapevole di altro che del corpicino che tremava sempre più piano tra le sue braccia.
Non aveva quasi più freddo ma solo la testa leggera e i piedi pesanti. L’unico occhio lacrimava, cristalli di pianto e neve incollati alle ciglia, e di certo non funzionava più molto bene.
Non era possibile che il mondo si stesse tingendo di una tenue sfumatura arancione, laggiù, oltre quelle rocce.
Il piede si impigliò in qualcosa e rimase lì, ancorato al suolo, mentre Fedra cadeva in avanti.
Sapeva di dover fare qualcosa, vagamente consapevole che se si fosse fermata non si sarebbe alzata mai più, ma non riusciva a fare altro che ad accasciarsi in ginocchio.
Il freddo non era più così nemico, la morte solo un passo oltre il sonno. La bambina tossì piano tra le sue braccia e Fedra si distese nella neve.
Che non era fredda. Non tanto. Mandava un lieve tepore lì, da qualche parte vicino alla sua testa.
Con le ultime forze sollevò il viso e scorse delle braci a non più di un palmo dal suo viso.
Braci ancora calde, vive.
Le girava la testa.
Braci. Fuoco. Qualcuno che era passato da poco di lì.
Se fosse riuscita a rialzarsi…
Eccola!”
Era un sogno molto bello quello in cui la voce dura di Cassandra fendeva il vento d’inverno. La parte in cui la vedeva correrle incontro e lanciarsi su di lei, mani frenetiche contro le guance intorpidite, occhi grandi e sconvolti.
“Fedra! Andraste sia benedetta, sei viva! Sei… e questa cos’è?”
Provò a parlare ma le labbra non funzionavano. Non si oppose quando Cassandra le prese la bambina dalle braccia e se la tenne contro la spalla, parlando in fretta con qualcuno dietro di lei.
E poi Cassandra sparì. C’era solo qualcosa di rosso e caldo, un brivido sulle labbra che le sfioravano la fronte. Stava fluttuando – no, erano braccia che la tenevano stretta, braccia forti e pelo che le solleticava la pelle.
“Non morire, Fedra, ti scongiuro non morire! Rimani con me! Guardami!”
Lo fece, per quel che poteva.
Se era un sogno ci si sarebbe smarrita volentieri, perché il viso di Cullen così vicino al suo, l’odore del suo corpo caldo, le mani che la portavano via dal gelo erano così meravigliosi da farla piangere per la felicità.
Sentiva il suo respiro sul viso e sorrise, sapendo che c’era qualcosa in sospeso, lì, tra di loro. Una stella che brillava piano nella neve.
Gli appoggiò la guancia alla spalla e scivolò via. Dal sogno nel sogno.

Si svegliò più volte durante quella che le parve una notte infinita. La prima volta fu per l’improvviso bruciore che le inondava mezza faccia e per un odore misto di alcol ed erbe che le aleggiava nel naso. Sternutì addosso a qualcuno e mugolò, ma si riaddormentò quasi all’istante.
Quando invece socchiuse gli occhi – l’occhio, visto che l’altro sembrava avvolto da strati di bende – da qualche parte intorno al mattino, svegliata da qualcosa di leggero sulla mano, vide la luce del sole splendere sui capelli di Cullen, inginocchiato di fianco al suo lettino e avrebbe voluto resistere più a lungo. Arruffato, con ombre scure nelle orbite e il viso rilassato nel sonno, le teneva piano la mano.
Niente guanti, solo pelle contro la sua, ferite e bende che si sfioravano. Provò a muovere le dita, ad accarezzare le nocche gonfie e lacere, ma era così difficile, ogni parte del suo corpo così pesante…
Riuscì solo a sorridere prima di sprofondare di nuovo nel sonno.
Il risveglio definitivo fu accompagnato dal suono lontano di voci che urlavano. Fedra riuscì ad aggrapparsi alla coscienza abbastanza a lungo da registrare i toni concitati, ma subito la sua attenzione fu rubata da una diversa melodia.
Qualcuno stava cantando, a voce bassa e dolce.
Strinse le palpebre e notò con enorme sollievo che entrambi gli occhi sembravano al loro posto, anche se uno era ancora bendato. Si alzò a sedere con la testa imbottita di confusione e sonno, e la coperta le scivolò fino alla vita.
L’avevano curata e rivestita, mani e dita bendate, odore di erbe che indugiava sugli abiti semplici che indossava. Sopra di lei un tetto di stoffa – una tenda gremita di lettini uguali al suo, tutti occupati.
Feriti a perdita d’occhio.
E qua e là volti noti, stilettate in pieno cuore.
Dorian era a tre file di distanza, seduto di fianco alla figura immobile del cancelliere Roderick. Gli teneva la mano a denti stretti, sulle labbra neanche l’ombra della sicurezza con cui si era presentato. Era triste, più giovane di quanto le fosse sembrato, e aveva gli occhi rossi, le spalle curve. Si voltò e quando tornò a sedersi – un gesto pesante, si prese la testa tra le mani – Roderick era coperto da un lenzuolo. Morto.
Madre Giselle, con le braccia cariche di bende, si avvicinò e abbassò il viso. Pallida, le vesti inzaccherate fino alle ginocchia e macchiate di sangue, giunse le mani in una preghiera silenziosa prima di passare al letto successivo. Aveva gli occhi arrossati.
Fedra si morse il labbro. La melodia continuava e non riusciva a capire da dove arrivasse, poi lo vide. Seduto a terra, la tesa del cappello che gli nascondeva il viso, Cole teneva in braccio la bambina bionda che aveva salvato.
… Tel’enfenim, da’len/Irassal ma ghilas…”
Il viso pallido di Cole sbucò da sotto il cappello, uno sguardo dolce a incontrare il suo. Fedra si coprì la bocca con la mano e cercò invano di non piangere.
Aveva una voce bassa, Cole, delicata. Perfetta per una ninnananna.
Ma garas mir renan/Ara ma’athlan vhenas”.
La bambina sbadigliò e gli appoggiò la testa bionda sulla spalla, la boccuccia socchiusa in un sonno profondo. Per la prima volta Fedra vide un sorriso sulle labbra di Cole.
Si asciugò una lacrima all’angolo dell’occhio e aspettò che la voce le tornasse salda. Si accucciò al suo fianco e vide che la bimba era stata medicata e avvolta in vestiti caldi. Era al sicuro.
Le scostò un ricciolo dalla fronte.
“N-Non sapevo che parlassi l’elfico”, disse senza guardare Cole.
“Io no. Sua mamma sì”, rispose sottovoce. Alzò lo sguardo su Fedra e la guardò a lungo senza parlare, fino a farla sentire quasi a disagio sotto quello sguardo pallido. “Sono felice che tu sia viva. Aiuti i piccoli, pensi prima a loro. Per questo ti ho seguita”.
Spinta da un impulso irresistibile Fedra gli strinse la mano, ma le ferite e i geloni mandarono scosse di dolore. Quello stesso dolore risvegliò qualcosa di molto brutto sopito in fondo al suo petto. Si alzò di scatto e abbassò la testa, ma Cole non era facile da imbrogliare.
“Soffri perché sono morti. Tanti, troppi, tutti perché erano lì con te. Sbagli. Non a soffrire, non puoi farci niente, ma non…”
“Stai zitto”, ringhiò. Il brusco cambio di umore spaventò persino lei, ma l’improvviso silenzio di Cole fu una coltellata. Non se lo era meritato, mai. Fedra si voltò di nuovo verso di lui, incapace di trattenere le lacrime. “Scusa. N-Non volevo, ma…”
“Lo so che non volevi. Ma stavi pensando alla madre di Linda”.
“Linda?”
Indicò la bambina addormentata con un cenno della testa.
“A lei e Roderick e Maren e Barris e tutti gli altri. Pesano tanto, vero?”
“Troppo”. Stava soffocando; si sedette di nuovo sul letto e lasciò ricadere le braccia in avanti, appoggiate tra le ginocchia. “Non posso farcela”.
“Ma non devi portarlo da sola”.
Dall’altro capo della tenda le grida ricominciarono. Non dolore: un litigio. Fedra alzò di scatto la testa e riconobbe Cassandra e Cullen che si urlavano dietro in mezzo all’accampamento.
“… e chi ha deciso che dovessi essere tu a comandare?” stava gridando Cassandra.
“Non ho deciso niente, ma è evidente che occorre prendere una direzione chiara! Se l’Inquisitore…”
Fedra attraversò la corsia tra i feriti, sotto gli sguardi muti e pieni di una speranza che in quel momento detestava di chi era riuscito a fuggire da Haven. Scostò un lembo della tenda e li vide lì, tutti e quattro i suoi consiglieri, attorno a una mappa illuminata da mozziconi di candela.
Ecco cosa restava del tavolo di guerra.
Dell’Inquisizione.
Josephine si scompigliò l’elegante chignon e si mise in mezzo fra Cullen e Cassandra, in piedi uno di fronte all’altro e con la faccia di chi non chieda altro che un’occasione per passare alle maniere forti.
“Basta! Non ci serve un leader ma un consenso! Dobbiamo metterci d’accordo su cosa fare!”
Leliana, dall’ombra, strinse le labbra.
“Mastini ringhianti, ecco cosa siete. Vi manca la sottigliezza per capire i dettagli della situazione! La scomparsa dei Custodi Grigi...”
“Prego, Leliana: vuoi illuminarci con la tua saggezza? Ti sembra che abbiamo il tempo di preoccuparci anche dei Custodi?” scattò Cassandra.
Fedra si accorse di avere il lembo della tenda stritolato tra le dita. Aveva male dappertutto, era debole, ma il sangue prese a scorrerle più forte fino alla testa. Si trovò a marciare a lunghi passi zoppicanti fino al tavolo, a ignorare la luce negli occhi di Cassandra, il gesto con cui Cullen cercò di andarle incontro, i sorrisi increduli di Leliana e Josephine.
Una singola parola le eruppe tra i denti digrignati.
Vaffanculo!”
Le espressioni dei consiglieri si raggelarono. Puntò un dito contro Cassandra.
“Vaffanculo tu e il tuo carattere di merda!”, quindi si voltò verso Leliana. “E vaffanculo ai tuoi misteri e segreti e alla tua supponenza!”
Fu il turno di Josephine, le mani premute contro la bocca e gli occhi pieni di lacrime.
“Vaffanculo al tuo buonsenso e…”
Cullen era troppo da sopportare. Voleva solo abbracciarlo e sentire di nuovo il calore delle sue mani, le sue labbra sulla pelle.
“… e vaffanculo pure a te, Cullen!”
Si afferrò i capelli tra le dita e alzò lo sguardo al cielo notturno.
“Io… io…”
Niente da fare, aveva davvero esaurito le cose da dire. Ruotò sui talloni e si allontanò, oltre la tenda dei guaritori e verso gli alberi sprofondati nella neve.
Raggiunse l’abete più vicino e gli tirò un pugno. Dolore fino al gomito. Un altro, e la corteccia si sbriciolò; ancora, e ancora, fino a che le bende non si tinsero di rosso sulle nocche.
Una gentile e ferma mano nera le afferrò il polso. Fedra si voltò per ricominciare a urlare, ma era impossibile osare tanto di fronte agli occhi saggi di Madre Giselle.
“Avete tre costole rotte, un ematoma su mezza faccia e i geloni. Cosa mai può avervi fatto di male quel povero albero per meritare la vostra ira?”
Fedra aveva già pianto, lacrime silenziose al risveglio. Ora scoppiò senza preavviso in singhiozzi spezzati.
“Ho… ho… visto cose. Sono morti in tanti e… e loro… si urlano dietro!” Cadde seduta nella neve con un plop umido e si prese la testa tra le mani dolenti, oscillando avanti e indietro.
“Vi aspettavate un ringraziamento?”
“No! Mi aspettavo che… che…”
Cosa si aspettava? Qualcosa di diverso, certo, ma cosa? Aprire gli occhi e scoprire che tutto si era risolto, che aveva rischiato la vita e portato alla morte tante persone per qualcosa. Non per sentire i suoi migliori amici gridarsi in faccia.
Sospirò e appoggiò la fronte alle ginocchia.
“Non lo so. Non lo so nemmeno io”.
“Avete concesso loro il lusso di poter litigare. Avete dato a tutti noi un attimo di respiro, sottraendoci alla stretta del nemico. Ci avete dato tempo, e col tempo arriva il desiderio di incolpare qualcuno”.
Fedra sbirciò Giselle tra le braccia conserte. La sacerdotessa era sfinita, le guance scavate e profonde occhiaie scure sopra agli zigomi, ma l’amarezza nel tono era più preoccupante.
“In un momento come questo le divisioni interne possono essere pericolose tanto quanto Corypheus”.
Le ci vollero lunghi istanti per placarsi abbastanza, ma alla fine si pulì il naso sulle bende e si appoggiò all’indietro contro l’albero.
“Corypheus… dov’è?”
“Non sappiamo nemmeno dove siamo noi, ma di lui non c’è traccia. Avete inferto un duro colpo alle sue armate, e forse vi crede morta. Ci hai dato tanto, Araldo di Andraste”.
“Per favore, madre, sapete che non sopporto quel…”
Madre Giselle si abbassò e le prese il mento nella mano. Sorrideva nonostante tutto.
“Lo so, ma siete anche questo, se non per voi almeno per chi vi segue. Non dovete dimenticarlo”.
Fedra sospirò. Da lì poteva ancora vedere la sagoma di Cullen che camminava avanti e indietro, Cassandra che prendeva a pugni la mappa.
“Devo andare da loro. Farli ragionare”.
“Dovreste riposare, in realtà. Ricordate però che un’altra voce furiosa – soprattutto la vostra! – non farebbe che aggiungere fiamme all’incendio”.
La sacerdotessa si alzò e aiutò Fedra a fare altrettanto, reggendola con delicatezza per i gomiti.
“Sapete cosa li terrorizza? La gente ha visto il nostro difensore – voi – venire sconfitto. Cadere”.
“Lo so, ma ho fatto quel che…”
“No, aspettate. Vi hanno vista morire… eppure eccovi qui. Siete tornata. Più il nemico sembra esserci superiore e più le vostre azioni diventano leggendarie, quasi miracolose. È difficile accettarlo, sapete? Accettare che nuove prove possano attenderci. Attendere voi, certo, ma anche tutta questa gente”.
Sospirò e la spinse con gentilezza verso l’accampamento. Solo in quel momento Fedra si accorse di quante tende fossero sorte lì, in quel punto imprecisato tra i monti. Decine e decine, e sotto di esse le centinaia di persone che erano sopravvissute ad Haven.
“Hanno visto e ora credono ciò in cui hanno bisogno di credere. Il Creatore non opera solo nella realtà, ma anche e soprattutto in come questa viene percepita. Anche se voi non avete fede, pensate che sia così assurdo credere che il destino, come direbbero alcuni, o il Creatore stesso cammini con noi?”
Madre Giselle la sorresse in un attimo di sfinimento.
Come aveva potuto urlare quelle cose ai suoi consiglieri? A Cullen, che le aveva tenuto la mano per chissà quanto dopo che era tornata?
“Corypheus… lo avete visto, no? Cosa sappiamo di lui?”
“Le scritture dicono che i magister del Tevinter, servitori degli antichi dei, entrarono nell’Oblio per raggiungere il trono del Creatore. Questa tracotanza lo allontanò da noi e gettò loro nelle tenebre come poco più che anime d’ombra, Prole Oscura. Se quello che Corypheus afferma di voler ottenre è vero allora è un mostro oltre ogni immaginazione, poiché intende riportare questo flagello sull’umanità perpetrando le azioni dei suoi avi maledetti”. Posò di nuovo una mano sulla guancia di Fedra e la costrinse a guardarla. “Se anche solo una briciola di tutto questo è vero, allora è una ragione in più per cui Andraste possa averci mandato il suo Araldo per ergersi contro questa minaccia”.
La lasciò andare e proseguì.
“Se è vero ciò che dice, se davvero è entrato nell’Oblio… ah, quel luogo non è fatto per i viventi. Ma continuo a credere che questa parte sia solo una menzogna che si racconta, piuttosto che ammettere di essere solo un’altra vittima dell’ira del Creatore”.
Un lungo brivido scosse Fedra e Giselle la sostenne.
“Ma ora basta con questi discorsi. Avete ancora la febbre e siete stata molto male, dovreste…”
“So cosa devo fare”, rispose con più durezza del previsto. Si sciolse dalla stretta della sacerdotessa e abbozzò un cenno col capo. “Grazie. Di tutto. Ma adesso non posso permettermi di parlare di fede e religione”.
Si affrettò verso il tavolo e le torce, anche se camminare faceva sempre più male e i muscoli si stavano lamentando a ogni movimento.
Josephine aveva pianto e si stava tamponando le guance con un fazzoletto di pizzo, mentre di Leliana, seduta a terra ai suoi piedi, si scorgeva solo la punta del naso incorniciato dal cappuccio.
Cassandra la vide e distolse subito lo sguardo, mentre Cullen non provò nemmeno a guardarla.
“Scusate”, disse Fedra con voce rauca. Tossì una volta ma si rivelò una pessima idea; la fitta al torace la fece piegare in avanti e le fece danzare tante lucine bianche davanti agli occhi.
Il braccio di Cullen era solido e gentile mentre la sorreggeva, l’accompagnava a sedersi. Nonostante tutto le sfiorò la mano e Fedra si sentì ancora più in colpa.
“Scusate. Davvero, non meritavate che io fossi così… così io. L’Araldo di Andraste dovrebbe essere più… qualcosa. Più…”
Una voce bassa e dolce vibrò nell’aria immobile della sera. Il silenzio delle montagne la portò lontano e Fedra trasalì. Tutti si voltarono in quella direzione per vedere Madre Giselle avanzare tra le tende.
Calano le tenebre, la speranza è fuggita/Fatti forza, il sole sorgerà”.
Una melodia lenta, profonda, che scivolava dentro come una medicina e trasformava il nodo di confusione e sofferenza che soffocava il cuore di Fedra in tristezza, pulita e sana.
Lacrime si stavano affollando agli occhi di Cassandra.
Lunga è la notte e buia la via/Alza gli occhi, perché presto il sole sorgerà”.
L’impensabile iniziò ad accadere. Una dopo l’altra le tende si aprirono, facce assonnate e congestionate dal lutto che si affacciavano alla notte. Fedra si alzò lentamente, aggrappata al braccio di Cullen.
Una nuova voce si aggiunse a quella di Madre Giselle, più alta e cristallina.
Leliana?
Il pastore è smarrito e la sua casa lontana/Segui le stelle, il sole sorgerà”.
Altre voci. Poche, prima, quindi decine. Centinaia. Fedra sentì la testa che iniziava a girarle mentre tutto ciò che rimaneva di Haven si riversava attorno a lei. Vide Varric, un braccio steccato al collo, e Solas appoggiato al suo bastone, accigliato.
I toni da tenore di Cullen al suo fianco la colsero di sorpresa.
Lunga è la notte e buia la via/Alza gli occhi, perché presto il sole sorgerà”.
Le teneva una mano sulla schiena, lo sguardo fisso sul suo volto.
Erano tutti attorno a lei. C’erano, avevano fiducia e forse lei se l’era meritata: se erano vivi era anche per le sue azioni. Dorian aveva recuperato l’espressione sarcastica nella curva del sopracciglio, ma aveva il naso arrossato, e Cole taceva, la bambina premuta contro il petto.
I primi furono i soldati. Coperti di lividi, le corazze ammaccate, si fecero avanti e appoggiarono un ginocchio a terra.
“Sguaina la lama e alzala al cielo/lotta con coraggio, perché presto il sole sorgerà”.
Prima che l’eco dell’ultima nota si fosse spenta nella valle erano tutti in ginocchio davanti a lei.
Era impossibile. Sì, lo aveva saputo fin dal primo istante grazie a quei sussurri deferenti che non aveva mai voluto, ma ora…
Ora è reale. Non posso fingere di essere qualcosa di diverso: vogliono un simbolo? Un eroe?
Fedra raddrizzò le spalle e la testa, i pugni stretti e l’espressione dura.
Lo avranno.
Madre Giselle le si avvicinò, un sorriso dolce sulle labbra stanche.
“Si meritano una speranza. Si meritano voi”.
Cassandra la guardò e non la lasciò andare. Chinò la testa una volta e arricciò un angolo della bocca. Josephine sfiorò il braccio di Fedra e Leliana la guardò negli occhi: nessuna di quelle amicizie era perduta. E Cullen…
“Largo, largo! Seguito ufficiale dell’Inquisizione in avvicinamento!”
Varric marciò tra i cittadini inginocchiati facendoli alzare senza troppi complimenti. Raggiunse Fedra e la guardò, scuotendo la testa bionda.
“Che mi venga un colpo, Carota. Li hai fatti cantare! Questa è grossa, eh?” Le fece l’occhiolino e Fedra per un istante volle solo dimenticare tutto e poter essere – un’ora, non chiedeva altro – in taverna a bere con tutti loro.
Cercò le parole per esprimere almeno l’ombra di quel sentimento, ma una voce decisa la chiamò.
“Inquisitore. Una parola, se posso”.
Solas era in piedi appena oltre il cerchio delle torce, con lo sguardo fisso in quello di Fedra.
Non le andava. All’improvviso il sonno tornò a richiamarla, e Varric fece per dire qualcosa, forse una scusa per permetterle di andare a letto.
Ormai non importava più, però. Era Fedra, certo, ma era anche qualcosa di più; non poteva permettersi di fare i capricci.
“Certo”, rispose annuendo una volta. Sfiorò deliberatamente la mano di Cullen mentre si allontanava e seguì l’elfo nella neve.



Buon nuovo capitolo a tutti voi che ancora leggete!
Ci siamo, si cambia scenario, oltre le rovine di Haven e verso le montagne. E non lo negherò, mi sono presa qualche libertà - in questo capitolo e nel prossimo, e non tarderete a capire di cosa si tratti.
Ma eccolo, finalmente, l'Altus più amato di tutto l'Imperium! Dorian è semplicemente meraviglioso, una confezione scintillante in cui si nasconde un cuore grande come il Tevinter. Avrà tanto spazio, se lo merita.
Come sempre, quindi, grazie a chi vorrà passare di qui e alla prossima settimana :)

Val

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Capitolo 10
*** 10-Quest'Inquisizione somiglia sempre di più al circo. Però mi sono meritata un attimo di pace. ***


Solas l’aspettava vicino a un braciere spento. Fedra sentì il freddo insinuarsi sotto ai vestiti e per un attimo, rabbridivendo, si chiese se fosse normale che l’elfo fosse così a proprio agio, praticamente scalzo e vestito solo di una camicia leggera.
Fosse questa la cosa più strana, si disse con una risata muta. Solas, di spalle, agitò la mano sul braciere ed evocò delle pallide fiamme azzurre.
“Mi piace quando lo fai”, ammise Fedra con un sorriso. Tese le mani contro il fuoco e si compiacque nel vedere il sorriso dell’elfo.
“Ti ringrazio. Sono lieto che tu sia sopravvissuta, la tua perdita mi avrebbe addolorato”.
“Uh. Grazie”.
Seguì un breve silenzio che per Fedra fu piuttosto imbarazzante, quindi Solas parlò di nuovo, le mani incrociate dietro la schiena e la voce calma e fredda.
“Immagino tu abbia sentito le parole di Leliana riguardo i Custodi Grigi”.
“Serve una risposta? Be', sì, le ho sentite ma non ho capito cosa significhino”.
L'elfo si voltò a guardarla, gli occhi azzurri cupi nella luce gelida della torcia.
“Posso darti la mia – e penso anche quella di Leliana – interpretazione. Non mi stupirei affatto se quello che abbiamo visto non fosse un drago ma un arcidemone; questo significherebbe che su di noi incombe un nuovo flagello”.
Fedra rabbrividì, le ossa che vibravano per il freddo, lo sfinimento e ora anche per la paura. Si stava parlando di leggende, di pericoli che fino a quel momento erano stati affrontati da personaggi che si erano meritati il termine di eroe.
E ora toccava a lei?
Aveva la bocca asciutta e la voce un tono implorante quando alzò gli occhi su Solas.
“Ma forse non è così, vero? Forse... forse si tratta solo di un...”
“Di un enorme drago che vomita palle di fuoco e di un magister corrotto che vuole assurgere al ruolo di divinità? Sì, forse potrebbe essere solo questo”. Le labbra sottili dell'elfo si incurvarono all'insù in un inatteso sorriso ironico. “Comunque vada, Fedra, troveremo il modo per affrontare ciò che ci aspetta”.
Le fiamme azzurre si riflettevano sulla testa calva, rendevano inspiegabilmente profondo lo sguardo. Quando parlò di nuovo il tono era serio, pragmatico.
“La minaccia di Corypheus, la sfera che ti ha mostrato… hanno origine elfica. Lui ha usato la sfera per aprire il varco, e questo ha causato l’esplosione che ha distrutto il Conclave”.
“E questo tu come lo sai?”
Di nuovo quel sorriso ma questa volta era ferino.
“Non sarò così presuntuoso da vantarmene, ma la mia conoscenza trascende i limiti delle biblioteche. Ho avuto modo di viaggiare e leggere molto, e per questo ti chiedo di avere fiducia in me”.
Fedra strinse le spalle.
“Mi sono sempre fidata di te, Solas. Non posso dire di comprendere tutto il discorso, però. Insomma, la seconda parte – un artefatto per squarciare il varco – era abbastanza intuitiva, mentre la prima… ti preoccupa, vero?”
Solas chinò il capo e sospirò.
“Quando si scoprirà l’origine della sfera tutti si volteranno verso il mio popolo”.
“No, fermo, fermo: fai un passo indietro. La sfera cos’è? Dubito fosse solo una palla di pietra, vero?”
“È un focus. Furono costruiti per incanalare il potere degli dei – o di uno specifico dio. Sono quasi leggende, la conoscenza del loro potere dimenticata da molti. Non da me”. Sollevò su Fedra i grandi occhi tristi e scosse la testa. “Non so come Corypheus abbia ottenuto il focus, ma so che si tratta di un artefatto elfico. Con cui vuole minacciare il mondo che conosciamo. Capisci che per la mia gente il pericolo ha una doppia faccia…”
“Sai, Solas, avevo proprio bisogno di un ulteriore peso sulle spalle”, disse Fedra. Se ne pentì subito: stava facendo i capricci, e in ballo c’era un intero popolo. “Scusa. Ho esagerato”.
L’elfo non si scompose.
“No, hai ragione. Guidi un popolo che ha cieca fiducia in te, ma il passo da campione a martire è breve. Spero tu non debba mai compierlo… comunque sia, Fedra, devo dirti qualcos’altro”.
Ogni ferita bruciò, ogni stilla di stanchezza diventò un macigno insopportabile. Solas dovette accorgersene perché le prese il braccio e la condusse verso le tende con espressione gentile.
“Niente brutte notizie, questa volta, solo strategia. In questo momento sei alla testa di una colonna di profughi che hanno perso tutto; hanno bisogno di un posto in cui stare e a te occorre una roccaforte”.
“Già. Dopo andrò a controllare nei bagagli, magari qualcuno ha una fortezza che gli avanza…”
Niente da fare, il sarcasmo continuava a filtrare nelle sue parole. Solas sorrise – un sorriso affilato, da lupo – e guardò oltre le montagne, a nord.
“Devo chiederti di nuovo di avere fiducia in me. Ho quello di cui abbiamo bisogno”.

Partirono all’alba, sotto un cielo di un azzurro abbagliante.
Non ci era voluto molto a convincere i consiglieri, giusto un breve discorso da parte di Solas e un sospiro di sollievo collettivo che aveva rivelato quanto tormentati fossero stati i loro pensieri.
“Si tratta di una necessità immediata, non resisteremo a lungo nei boschi”, disse Cullen, intento a caricare i soldati con bagagli e armi. “Non possiamo permetterci il lusso di non fidarci dell’elfo”.
Partirono, una colonna disordinata di vedove e orfani, soldati e contadini, feriti, malati. Gli occhi di tutti erano su Fedra e su ciascuno dei volti segnati dal dolore e dalla stanchezza aleggiava un sorriso incerto.
Speranza.
Fedra si portò in testa alla carovana. Avrebbe voluto zoppicare o lamentarsi ancora delle sue ferite, ma non ne aveva il diritto.
Non con le ultime parole di Solas che le ronzavano nelle orecchie.
“Attaccando l’Inquisizione Corypheus l’ha cambiata. Ha cambiato te, ti ha trasformata in una guida”.
E così marciavano lenti, con poco cibo e troppa speranza. Cassandra era sempre al suo fianco, forza silenziosa, roccia a cui aggrapparsi quando lo sfinimento minacciava di sopraffarla. In fondo alla file Cullen e l’esercito – e Fedra malediceva ogni giorno l’impossibilità di trovare un solo istante per parlargli da sola, anche se i sorrisi che le lanciava da lontano avrebbero sciolto la neve. Ci sarebbe stato fino in fondo, doveva solo aspettarlo. La piccola Linda non piangeva quasi più la notte e durante il cammino viveva in spalla o in braccio a Cole.
Non tutti ce l’avrebbero fatta, Madre Giselle aveva messo in guardia Fedra. Alcuni soldati avevano ferite troppo gravi e, trasportati su lettighe improvvisate, lottavano ogni giorno contro la morte. Chi alla fine si addormentava per sempre, però, lo faceva libero, sotto un cielo terso e non tra le rovine della devastazione.
Lo sapeva e una parte di lei lo accettava, ma era un pensiero cui non osava dare troppo spazio. La disperazione indugiava sempre vicina, nera, quasi più spaventosa di Corypheus.
Era facile tenerla a bada finché doveva camminare, un centinaio di metri davanti a tutti, con la neve fino alle ginocchia. Lo divenne ancora di più quando Leliana le si avvicinò il pomeriggio del terzo giorno di marcia.
“Inquisitore, posso parlarti?”
“Solo se non mi fai fermare. Se cammino non ho troppo freddo”, bofonchiò calciando via un cumulo di neve. La mano guantata di Leliana le prese il braccio con una forza inattesa.
“Ho due brutte notizie e non ho un modo gentile per comunicartele”.
“Che fortuna, non vedevo l’ora”, fu la risposta acida, l’unico modo che Fedra conoscesse per evitare il panico. Il viso esangue di Leliana era mortalmente serio. “Cos’è successo e a chi?”
“Qualcosa di diverso. La prima è che c’è uno squarcio a un paio di miglia davanti a noi…”
Uno squarcio. Di nuovo. Si era scioccamente illusa, nonostante le parole dei consiglieri, che ormai quella faccenda fosse conclusa, e invece eccolo lì. Un altro, col suo contorno di demoni e luce verde.
Fedra strinse i denti e annuì una volta.
“Abbiamo ancora dei soldati per difendere la gente e io sono in grado di chiuderlo, anche se preferirei non dovermene occupare. Notizia brutta ma non terribile, quindi immagino che la seconda sia peggio…”
“Siamo seguiti”.
Fedra si bloccò. Cassandra, poco più avanti di lei in esplorazione, la raggiunse, sudata e con il naso rosso.
“Cosa succede?”
“Qualcuno ci sta seguendo”, disse Fedra senza distogliere lo sguardo da Leliana. “Chi?”
Lo sguardo dei freddi occhi azzurri superò la spalla di Fedra e si perse nella foresta dietro di lei.
“Loro”, e tese il dito.
Fedra e Cassandra si voltarono di scatto e li videro.
Loro erano un gruppo di persone incappucciate, guerrieri a giudicare dagli archi e armi che sbucavano oltre le loro spalle. Fedra contò sei individui, poi il suo cervello registrò che l’assurdità alla loro guida doveva essere il capo e socchiuse la bocca.
Era grosso, un colosso che faceva sembrare minuta Cassandra. Grosso e grigio e seminudo, con una scure alta come Fedra appesa alle spalle. Tutto molto normale se paragonato alla faccia.
Un qunari, quelle corna da toro che gli sbucavano ai lati del cranio non lasciavano dubbi. Fedra indietreggiò di un passo: dovevano pesare quanto lei! Il guerriero sorrideva e quel gesto rendeva più evidenti le cicatrici che gli squarciavano il viso spigoloso e la benda sull’occhio.
Cassandra portò subito la mano alla spada ma Fedra la fermò, senza perdere di vista il gruppo.
“Aspetta”, disse. “Non sembrano minacciosi”.
Poi guardò meglio il qunari e non riuscì a trovarsi in disaccordo con il verso ringhiante di Cassandra.
“No, va bene, minacciosi lo sembrano eccome. Bellicosi no”.
Non fu il gigante cornuto a parlare. Un uomo dalla mascella squadrata e il collo taurino, in un’armatura un po’ troppo scintillante, per quanto ammaccata, gli si parò davanti e roteò gli occhi al cielo. Il viso liscio lo faceva sembrare molto giovane, anche se non meno pericoloso.
“Ho l’onore di presentarvi il capo della compagnia di mercenari più temuta dell’Impero, le Furie del Toro di Ferro”, cantilenò parecchio annoiato. “Le cui gesta… cazzo, Toro, ma è proprio necessaria tutta questa sceneggiata?”
“Vai avanti, Krem. L’abbiamo provata”, e gli diede una spintarella con la punta del dito.
Il soldato si prese a schiaffi la faccia e lasciò scivolare giù la mano. Fedra fu certa di leggergli negli occhi un mare di esasperazione.
“Le cui gesta eroiche sono cantate in tutte le taverne e… no, Inquisitore, io non ce la posso fare. Sono Cremisius Aclassi e questi sono i miei compagni, le Furie. Lui”, e indicò col pollice il Qunari, “è il Toro di Ferro, il nostro capo”. Sintetico, asciutto, visibilmente sollevato.
“Calzante”, ammise Cassandra.
“Hai rovinato tutto”, ringhiò il Toro. Dietro di lui il gruppetto assortito di uomini, elfi e persino un nano con dei folti baffi ridacchiò. “E voi piantatela!”
“Non riesco a capire come possa non aver freddo”, sussurrò perfettamente udibile un’elfa bionda tutta imbacuccata.
Fedra si voltò verso Cassandra.
“Ferma il gruppo. Con questo tizio dobbiamo parlarci, mi sa”. La Cercatrice annuì e se ne andò senza mai smettere di voltarsi e controllare la situazione. Fedra, con Leliana al suo fianco, rimase in guardia.
Non possono farci davvero del male. Abbiamo maghi e un esercito, li annienteremmo prima che questo Toro di Ferro possa brandire la scure.
Il marchio mandò un lampo verde e Fedra strinse il pugno.
“Toro di Ferro, giusto?” chiese guardandolo dal basso – molto dal basso – in alto.
“Quasi. Il Toro di Ferro. C’è l’articolo… mi piace, è un po’ come se fossi un’arma”, disse senza mai smettere di sorridere. Fedra e Leliana si scambiarono una lunga occhiata incerta.
Il Toro di Ferro, come preferisci. Ehm… e saresti qui per…?”
Il Toro allargò le enormi braccia. “Ma per offrire i nostri servigi all’Inquisizione!”
Cassandra tornò di corsa, seguita a breve distanza da Josephine, armata del suo solito plico di fogli.
“Ah. Molto carino da parte vostra – ehm – Furie, ma per quale motivo dovremmo accettare? Non che non apprezzi, sia chiaro!” si affrettò ad aggiungere Fedra con le mani tese in avanti.
“Perché siamo forti, affidabili e di gran compagnia. Certo, non siamo economici, ma ne vale la pena”, rispose il Toro con un’alzata di spalle. Era impressionante, l’ombra che gettava copriva del tutto Fedra e Josephine al suo fianco.
“Quanto cari?” chiese brusca.
Fu Krem a rispondere, con un sorriso inaspettamente affascinante sul viso scuro. “Per te, principessa? Un prezzo di favore, credimi”.
Josephine diventò paonazza sotto alla sciarpa che l’avvolgeva ed esitò un attimo di troppo prima di abbassare lo sguardo sulle carte.
“Possiamo parlare dopo delle tariffe e sono sicuro che troveremo un modo per metterci d’accordo. Che ne dici se prima ti facciamo vedere ciò di cui siamo capaci, eh, Inquisitore?” chiese il Toro. Fedra rimase inebetita per un attimo a guardare quanto palese fosse la reazione di Josie al sorriso di Krem, quindi scrollò la testa.
“Un duello? Per questo dovreste sentire Cassandra o Cullen, loro sono i meglio preparati. Non…”
“Non siamo qui per giocare. Sbaglio o c’è uno squarcio da chiudere a tre miglia e otto da qui?” L’espressione gioviale si fece cupa anche se il sorriso non gli lasciò le labbra. Ora sì che faceva paura.
Leliana incrociò le braccia.
“Non ho visto altri esploratori nei paraggi. Come fate a sapere del varco?”
Il Toro sollevò un sopracciglio e la benda di cuoio si mosse nell’orbita vuota.
“So parecchie cose, Usignolo. Tutte molto utili”.
Cosa passò nello sguardo incendiario che si scambiarono Fedra non sarebbe mai stata in grado di dirlo. Fu Krem a rompere l’imbarazzo.
“Il piano è questo, Inquisitore: noi andiamo lì e prendiamo a mazzate qualsiasi cosa esca dallo squarcio, tu ci guardi, ti meravigli della nostra bravura e poi chiudi il buco. Semplice ed efficace”.
Fedra si voltò verso Leliana.
Aveva stranamente senso.
“Che ne dici? Una possibilità se la meritano, no?”
Il Toro di Ferro fece un passo avanti lasciando le Furie a rabbrividire sotto ai pini, con Josie che scartabellava i suoi fogli. Si chinò sulle ginocchia per guardare Fedra dritta in faccia.
“Ben-Hassarath”, sussurrò.
Questo le fece sollevare le sopracciglia.
“Salute?”
“Cosa?” scattò Leliana, ma non proprio col tono di chi non stesse capendo. “Tu?”
“Proprio così. Spie qunari, e il fatto che io vi metta davanti questo segreto dovrebbe dirla lunga sulla mia lealtà”.
“Tu saresti una spia?” rise Fedra. “Sei parecchio improbabile per…”
“Vero? Nessuno mi prenderebbe per uno degli uccellini di Leliana. Chi mai sospetterebbe del grosso, chiassoso Toro di Ferro?”
La sensazione di pericolo che emanava si faceva più forte a ogni secondo che passava.
“Leliana? Sono nelle tue mani in questo. Non voglio sapere niente di questi sotterfugi…”
“I Ben-Hassarath vogliono informazioni su di te e sull’Inquisizione”, riprese il Toro, serio. “Ma sono disposto a far passare ogni comunicazione al vaglio dell’Usignolo”.
Leliana squadrò il Toro da capo a piedi e ci mise un bel po’, quindi si voltò verso Fedra.
“Vediamo cosa sanno fare. Del resto non preoccuparti, Inquisitore”.
“Certo che non mi preoccupo. Se mi fanno sospettare qualcosa di losco li faccio prendere a calci in culo da Cassandra, e fossi in loro righerei dritto”.
Bastarono un paio di ordini urlati da Cassandra per far montare, con un po’ di anticipo, il campo per la notte. Nel giro di un’ora raggiunse Fedra nella piana indicata da Leliana.
Lo squarcio era proprio lì, il solito passaggio slabbrato verde e luminoso circondato da un drappello di demoni ossuti.
Si appostarono dietro un macigno e Fedra sbirciò fuori. Le Furie erano dall’altro lato della spianata e le corna del Toro sbucavano dalle rocce.
“Sei sicura?” le chiese Cassandra.
“Mai. Di solito improvviso”, rispose Fedra.
Il solito verso gutturale che esprimeva disapprovazione.
“Voglio dire, non li conosci. Sei venuta qui solo con me, e potrei non bastare a proteggerti se dovessero attaccarti”.
“E allora speriamo non lo facciano, no? Stanno per… oh!”
Un dardo di luce partì dal nascondiglio delle Furie e colpì in pieno petto un demone. Non servì ad atterrarlo, anche se gli lasciò una ustione grossa come un pugno, ma l’odore di bruciato riempì la radura.
“Avete anche un mago?” esclamò Cassandra a voce molto alta.
Non sono una maga! Quella era una freccia!” gridò in rimando una voce femminile dal lato delle Furie.
“Cassandra, facciamo che questo non l'hai visto, eh?”
Rimasero a godersi lo spettacolo.
Sì, valevano la spesa. Persino Cassandra non trovò nulla da ridire mentre ammirava la carica delle Furie – Krem alla guida, un turbine di metallo e lame che decapitò il demone ferito con un solo colpo.
Erano già impressionanti così, ma poi fu il turno del Toro. Emerse lento dalle rocce proprio mentre un altro gruppo di orrori emergeva dallo squarcio.
“Forse dovrei…” azzardò Fedra. Erano tanti, e se non avesse chiuso lo squarcio ne sarebbero giutni altri. Cassandra la fermò.
“Non ti ringrazierebbero. Guarda!”
Il Toro tenne fede al suo nome. Lento, inesorabile, partì in corsa con un ghigno folle sul viso sfregiato. Il primo demone che ebbe la malaugurata idea di mettersi sul suo cammino incontrò la punta delle corna; il Toro lo trafisse in pieno ventre e gettò indietro il collo, squarciando la carne della creatura e mandandola a morire dopo un volo di parecchi metri. La seconda creatura gli mulinò contro le lunghe braccia esili; un artiglio colpì il vasto petto nudo, ma la vista del sangue sembrò eccitare ancora di più il mercenario. Prese tra le grosse mani il cranio del demone e semplicemente strinse.
Uno scricchiolio umido riecheggiò per la piana – Fedra distolse lo sguardo – e anche il secondo avversario si afflosciò a terra.
“Li prendiamo”, disse Cassandra. “Li facciamo tenere d’occhio da Leliana, da Josie – sbaglio o quel Krem l’ha spogliata con gli occhi? – o che ne so, ma li prendiamo”. Era a dir poco ammirata.
“Sono perfettamente d’accordo”.
Lo scontro non era durato che una manciata di secondi, il Toro non aveva neanche sguainato la scure e per terra c’erano una decina di demoni morti o morenti. E l’unica ferita l’aveva subita, quasi cercata, proprio il Toro stesso.
“Vado”, disse Fedra. Balzò fuori dalle rocce mentre uno dei mercenari, pelle scura e occhi grigi, finiva un demone d’ombra che si agitava per terra.
Attraversò di corsa il campo di battaglia e raggiunse lo squarcio proprio mentre un altro paio di mani artigliate iniziava a emergere dal passaggio. Inchiodò con una scivolata sulla neve – il demone stava scivolando fuori – e tese la mano. Il marchio si unì allo squarcio e la luce improvvisa gettò lunghe ombre dagli alberi circostanti.
Il demone era a metà del passaggio e lanciò un grido lacerante mentre veniva risucchiato nell’Oblio. Fedra strinse il pugno e lo squarcio si chiuse.
“Ma no!” urlò il Toro. 
“Avevamo appena iniziato a divertirci”, si lamentò Krem. Sfilò lo spadone dal petto dell’ultima bestia abbattuta e lasciò ricadere le vaste spalle.
“Avremo molte altre occasioni, ve lo garantisco. Siete assunti”, disse Fedra un po' senza fiato. Era stato facile, persino divertente: qualcosa che non aveva mai associato al suo ruolo di Araldo. Sorrise al Toro e gli tese la mano con l’ancora.
“Che ne dici, Toro?”
“Che ne dico?” Si voltò e i suoi compagni lo raggiunsero. “Furie! Su le corna!” ruggì nel crepuscolo.
Le Furie si unirono al grido, entusiaste, e la manona del qunari – mancavano un paio di falangi e il resto era una distesa di cicatrici – strinse quella di Fedra fino al polso. 
“Hai fatto l’affare della vita, capo”.
Fedra si sentì minuscola ma rispose alla stretta con entusiasmo. Il Toro inclinò le corna verso Krem.
“Allora, ci vai tu a trattare con quella bella Antivana?”
“Agli ordini!"

Fu solo una piacevole parentesi. Il mattino dopo la carovana si rimise in marcia, più numerosa di prima ma non meno sfinita. Il Toro di Ferro si rivelò subito un ottimo acquisto, ben disposto a trainare i carichi più pesanti neanche fosse un animale da soma.
“Non so”, disse Cullen sfregandosi il mento. “Una spia qunari nell’Inquisizione? Siete sicure?”
“No, e infatti lo sto tenendo d’occhio. Per ora, comunque, non ho trovato niente di troppo sospetto su di lui”, rispose Leliana. “Quindi o è molto bravo, e ne abbiamo bisogno, o ci è davvero leale, e anche di questo abbiamo bisogno”.
“Io l’ho visto combattere e non ho dubbi”, chiuse la questione Cassandra.
A Dorian, stranamente, la faccenda non dispiaceva neanche un po’.
Si avvicinò a Fedra a metà del quinto giorno, con il naso tappato dal raffreddore e i baffi meno in ordine del solito.
“Ma senti… quel Toro di Ferro”.
“Sì?”
“Del toro ha solo le corna?”
Le ci volle un attimo per decifrare l’informazione e una risata spontanea le salì alle labbra.
“Dovrai indagare da solo, temo. Non che ci voglia molto, visto che non è particolarmente vestito. Comunque no, non ne ho idea, non è molto il mio tipo”.
Dorian le arruffò i capelli.
“Dimenticavo, tu preferisci i giovani, affascinanti templari. Non me la sento di darti torto, Fedra”.
E se ne andò, lasciandola ad arrossire nella neve.
Ma lo sapevano proprio tutti? Ora che ci pensava certe battute da parte di Cassandra erano precedenti alla sua stessa ammissione di provare quaclosa per Cullen. Eppure non si erano dati neppure un bacio…
Per qualche tempo rimuginò sulla faccenda e su come avrebbe influito sul suo ruolo. Nessuno venne a disturbarla e le sue rapide occhiate le rivelarono che il gruppo marciava con più vigore di quello che suggerisse lo sfinimento. I consiglieri ronzavano da un gruppo all’altro di profughi e si lasciavano dietro una traccia di cenni di assenso e sorrisi determinati.
Fedra si gonfiò di orgoglio.
Senza di voi sarei morta mille volte.
Era mezzogiorno, il sole alto e splendente, quasi caldo nonostante il ghiaccio, quando Solas le si avvicinò.
“Ci siamo”, disse con un sorriso raggiante che non gli aveva mai visto. Fedra lo seguì fino a uno sperone di roccia e guardò giù.
L’esclamazione di sorpresa si trasformò in una specie di urlo quando il cornicione di pietra si sgretolò sotto i suoi piedi. Solas la tirò indietro e Fedra cadde seduta.
“Per il cazzo del Creatore… ma cos’è?”
“Skyhold”, rispose l’elfo.
Era enorme. Mura fortificate, dozzine di torrioni e ponti. Una fortezza colossale appollaiata su una vetta. Abbastanza grande per ospitare tre volte Haven.
Per accogliere i rifugiati. 
“Chi ci vive?”
“È abbandonata da molto tempo. Può diventare il quartier generale dell’Inquisizione, la valle retrostante è ricca di risorse e…”
Lo abbracciò di slancio. Seduta per terra, con il sedere imbrattato di fango e l’occhio ancora pesto che iniziava a guarire, improbabile guida di un popolo in fuga, Fedra si girò e strizzò l’elfo in un abbraccio che lo lasciò rigido e impacciato.
“Grazie. Grazie grazie grazie, Solas!”
Era troppo. Aveva sperato in una fattoria, un vecchio cascinale da adibire a ricovero per i feriti e i bambini attorno a cui costruire qualche baracca.
Ma quello…
Quando tutti ebbero raggiunto l’altura e visto il panorama, quando la voce che Skyhold sarebbe stata la loro nuova casa si sparse tra le fila, un brusio esaltato corse tra i sorpavvissuti.
Ci vollero un paio d’ore a raggiungere il ponte e Fedra non riusciva a smettere si sgranare gli occhi per le immense mura che accolsero la processione.
Cullen vi appoggiò la mano e le si affiancò.
“Questo posto è incredibile. Potrebbe davvero resistere all’attacco di un drago…”
Gli occhi color ambra si posarono sui suoi e Fedra gli prese la mano.
“Li abbiamo portati in salvo”, disse sotto voce.
“Non ho mai dubitato di te”, le rispose. E avrebbe detto qualcos’altro se uno dei carri non si fosse incastrato sulle pietre del ponte d’accesso. Uno dei soldati cacciò un urlo e Cullen si morse il labbro.
“Dopo… dopo”, le disse agitandole il dito davanti. 
“Quando vuoi”, rispose Fedra. Non si sentiva così leggera da troppo tempo.
Fu un pomeriggio frenetico, trascorso ad allestire un accampamento nell’immenso cortile e a esplorare la miriade di sale che Skyhold offriva. Il cortile superiore – sì, ce n’era persino uno inferiore, e chissà quanti altri nascosti nelle molte ali della fortezza! – si collegava con una scalinata di pietra a quello che sembrava l’edificio principale, alto e stretto ma abbastanza grande da ospitare la chiesa di Haven e il Tempio delle Sacre Ceneri. Fedra vi si affacciò e di nuovo trattenne il fiato per la meraviglia.
C’erano rovine dappertutto, travi crollate, tavoli in frantumi, ma le mura erano perfette. Sul lungo salone si aprivano tante porte borchiate ancora in perfetto stato e là in fondo, su una predella di pietra, si ergeva qualcosa di molto simile a un trono.
Solas le comparve di nuovo a fianco.
“Io non ho parole. Come sapevi di questo posto?”
“So parecchie cose, Fedra, tra cui che l’Inquisizione ridarà a Skyhold lo splendore che le manca da troppo tempo”.
Si aggirò per il salone mentre il sole, oltre le ampie vetrate, tingeva le ombre di rosso e oro. Alla fine Solas tossì nel pugno.
“Ero venuto a chiamarti per conto di Cassandra. Ti aspetta qui fuori, ha qualcosa di importante da dirti”.
“Cosa? Oh. Sì, sì, arrivo subito…”
Le dispiaceva interrompere l’esplorazione ma avrebbe avuto tempo – se ne rese conto solo in quel momento ed era un sollievo incredibile – per conoscere ogni recesso di Skyhold.
Voltò le spalle al trono e percorse tutta la navata fino alle scale.
In cima ad esse, però, si bloccò.
Erano tutti lì, i superstiti all’assedio e le Furie e – ma non ne era certa – anche qualche altro pellegrino raccolto lungo la strada. Assiepati nel cortile, con gli occhi puntati su di lei. Cassandra e Leliana l’aspettavano sullo spiazzo davanti al portone.
“Cosa sta succedendo?” La voce di Fedra tremò, ma Cassandra le sorrise.
“Siamo più di quando siamo partiti. Skyhold diventerà una meta di pellegrinaggio”, le disse guardando il loro popolo lì sotto. “Prima o poi anche Corypheus saprà che siamo qui; ora abbiamo più possibilità di affrontarlo, ma soprattutto sappiamo che il marchio, o l’ancora, chiamalo come vuoi, è ciò che Corypheus vuole. Ed è anche ciò che ti ha permesso di guarire i cieli. Dietro, però, ci sei tu. Le tue decisioni, il tuo coraggio… tu, semplicemente”.
Fedra sentì le mani che iniziavano a sudarle. Nonostante lo sguardo fiero e sicuro di Cassandra, nonostante l’espressione ferma di Leliana, qualcosa la agitava terribilmente.
“Non è solo per l’ancora che Corypheus ti vede come il suo acerrimo nemico. È per via del tuo coraggio, di ciò che hai fatto, e ora tutti noi lo sappiamo”.
Fece un cenno con la mano e un soldato incappucciato si fece avanti con una spada tra le mani. Leliana la prese e la tenne tese in avanti, verso Fedra.
“L’Inquisizione ha bisogno di un capo. Qualcuno che l’abbia già guidata senza chiedere alcun riconoscimento. Ha bisogno di te”.
Ecco. Avevo ragione ad angosciarmi.
Asciugandosi i palmi sulle cosce Fedra guardò verso il basso. Speranza e fiducia negli occhi di tutti, orgoglio in quelli di Josephine che teneva le mani giunte davanti a sé. Dorian e Varric avevano la faccia di chi la sapesse lunga e le Furie, al contrario, fremevano per la curiosità.

Cullen era di fronte all’esercito e c’era un mondo nel suo sguardo.
“Non potete dire sul serio, bisbigliò Fedra.
“Lo vogliono tutti. Nessuno escluso”, disse Leliana. “Vogliono che tu sia il loro capo”.
“Ma io… io…”
“Te lo meriti, Fedra. Dal profondo del cuore”.
“Io n-non so cosa dire…”
Cassandra schioccò la lingua.
“Dimmi solo che non mi pentirò di questa scelta”.
“Grazie per la fiducia!”
“Oh, smettila! Senza di te non i sarebbe stata alcuna Inquisizione, hai tutti i diritti di guidarla”, e fece un cenno a Leliana, che si avvicinò con la spada.
La stavano aspettando. 
“Ciò che farai in futuro, come ci guiderai, è tutto nelle tue mani”.
Era un’arma unica, tenuta nascosta chissà dove. Lama immacolata, filo perfetto sotto gli ultimi raggi del sole, e un drago ad avvolgersi attorno alla guardia. Fedra guardò a lungo le fauci del mostro e vide, come da una grande distanza, la propria stessa mano scivolare attorno all’impugnatura.
Pesava troppo ma riuscì a tenerla sollevata. Si vide riflessa nella spada: era diversa dalla ribelle senza una causa che era stata solo pochi mesi prima. C’era una cicatrice sul sopracciglio, le guance erano più scavate e gli occhi più cupi.
Non più solo Fedra, ma l’Inquisitore.
“Per ciò che è giusto”, disse piano. Si voltò lentamente verso la folla senza distogliere lo sguardo dalla spada; nel silenzio di tomba la sua voce echeggiò lontana. “Per ciò che è giusto. Per coloro che amiamo, per la nostra libertà”. Tese il braccio al cielo e il tramonto accese di fuoco la spada. “Per l’Inquisizione!”
Cullen fu il primo a rispondere e a levare la spada. Il boato che seguì sembrò far vibrare le fondamenta stesse di Skyhold e Fedra non si mosse.
Per ciò che è giusto.
Per ciò che amiamo.
Incrociò lo sguardo di Cullen e le lacrime le salirono agli occhi.

Non sarò abbastanza ma non sono sola.
Per l’Inquisizione!

Si girarono attorno per due giorni, troppo impegnati ad accomodare tutti e a scoprire che Skyhold era molto più grande del previsto. La prima notte Fedra era crollata addormentata davanti al fuoco senza riuscire a formulare neanche un buon proposito per il giorno dopo, mentre la successiva l’idea che le aveva ronzato in testa per ore di raggiungere Cullen prima che andasse a dormire si infranse contro il suo ruolo di comandante. Con la coperta gettata sul braccio rimase a guardarlo spingere i soldati dentro una delle ali del castello adibita a caserma, un po’ delusa. Prima di chiudere la porta i loro sguardi si incrociarono e Fedra vide chiaramente quanto gli dispiacesse lasciarla lì. Fece un cenno con il capo verso le truppe, qualcosa che sembrava voler dire “non mi lasciano stare un secondo!” e le sorrise.
Va bene, avevano tempo, ma stava iniziando a essere impaziente.
Ci aveva riflettuto anche troppo a lungo in quei primi giorni frenetici. Ovunque si girasse c’era necessità di un guaritore o di un fabbro o di un falegname, mentre per il momento nessuno sembrava sapere che farsene del nuovo capo dell’Inquisizione. Tutti erano felici di vederla, ma nessuno aveva davvero bisogno di lei, così Fedra si prese del tempo per gironzolare per la fortezza e riflettere.
Solo due settimane prima avrebbe pensato di volere Cullen nel proprio letto e basta. E già quello era un pensiero non da poco, capace di accelerarle il respiro. Ora però c’era qualcosa di diverso, di più profondo ad agitarsi in fondo al suo cuore.
Doveva solo trovare il coraggio di affrontare l’argomento, e sinceramente tirare fuori dal nulla la questione ne richiedeva molto più di quanto sperasse di avere.
Di certo non aiutava il fatto che Cullen avesse lo spirito di iniziativa di un quattordicenne e la stessa tendenza ad arrossire.
Fedra continuava a rigirarsi in testa e sulla lingua ipotesi di discorso, una più ridicola dell’altra. Era così concentrata sugli scenari che le si dipingevano nella mente da non accorgersi, durante una delle sue ronde senza meta, di aver raggiunto uno dei cortili interni di Skyhold.
Quel giardino segreto era una specie di gioiello; al centro di un chiostro incredibilmente ben conservato eruttava un rigoglio di erbe e piante di ogni tipo, nude per l’inverno ma coperte di gemme. E sotto i porticati, seduti a un tavolino scovato chissà dove, due compagni decisamente improbabili.
“Dovrai ammettere la mia superiorità, comandante. Vedrai”. Dorian spostò un pezzo sulla scacchiera e si stiracchiò, le braccia tese dietro la testa. Cullen, le sopracciglia corrugate per la concentrazione, si strofinò il mento.
“Continua a parlare, Pavus, e di sicuro mi prenderai per sfinimento”. Sfiorò un pezzo, poi cambiò idea; ne afferrò un altro e mangiò la pedina di Dorian.
“Oh! Sono quasi sicuro tu abbia barato! Non potevi arrivare fin lì!”
“Certo che potevo! Guarda, il cavallo era qui, l’ho spostato di…”
Fedra si avvicinò e tradì la propria presenza colpendo un sasso con il piede. I due contendenti si voltarono verso di lei ma Cullen cercò anche di alzarsi in piedi, tirando una ginocchiata al tavolino e mandando le pedine dappertutto.
“F-Fedra!” esclamò con quel suo solito sorriso che la faceva sentire stupida e felice. Dorian alzò le mani e sbuffò.
“Fantastico, prima bari e poi mi saboti la partita per non ammettere che stavi perdendo!”
“Non. Stavo. Perdendo”, ringhiò Cullen dall’angolo della bocca.
“Mi spiace avervi interrotti, non volevo disturbare, io…”
Dorian la fermò con un gesto della mano e si prese la radice del naso tra pollice e indice dell’altra.
“Aspetta aspetta aspetta. Sto scoprendo proprio ora di avere poteri che non immaginavo: leggo nella mente. Il comandante sta per dire ‘no, figurati, tu non disturbi mai’. Ho ragione?”
Fedra ridacchiò e Cullen, rosso in viso, si sedette sfregandosi la nuca.
Un piccolo pop risuonò alle spalle di Fedra. Ormai quasi nessuno si stupiva più della sua presenza, ma veder comparire Cole dal nulla faceva sempre uno strano effetto. Si rigirava tra le dita un topolino, una minuscola creatura che gli saltellava sulle mani senza apparente timore.
“No, non è quello che pensa. Forte, fiamme, cuore che soffoca quando la guardo allontanarsi. Torna, ti prego torna, non dovrebbe fare così male ma non voglio perderti. Guardami ancora una volta e sorridi perché se lo fai il sole sorge. Una musica diversa, pace, incubi che svaniscono nell'alba. Se…”
“C-Cole. Non credo sia il caso”. Cullen era impietrito e Fedra non riusciva a guardarlo in faccia.
Dorian si schiarì la voce e si alzò senza azzardarsi a incrociare lo sguardo di nessuno, le labbra che fremevano di una risata trattenuta sotto ai baffi.
“Basta. Vi lascio, tanto stavo comunque vincendo. Uhm… Cole, forse è meglio se vieni con me”.
Gli occhi pallidi del ragazzo si alzarono di scatto, quasi feriti.
“Ma non ho finito! Sto cercando di aiutare!” Il topolino gli corse su per il braccio e si arrampicò sulla tesa del cappello.
“Fidati, hai finito”. Dorian lo prese sotto braccio e lo trascinò via. “Andiamo, Cole, sono sicuro che ci sia qualcuno da aiutare qui in zona”.
“Ma io…”
“Su da bravo”, e se lo tirò dietro. Fedra e Cullen rimasero in piedi di fianco al tavolo da scacchi senza osare alzare il viso. Un drappello di giardinieri armati di cesoie e zappe sbucò da una scalinata secondaria e li salutò gioviale. E addio al prezioso istante di intimità che aveva sognato. Cullen sembrò condividere il pensiero e ridacchiò, guardandola di sottecchi.
“Meno male che non volevamo rimanere da soli…”
“Già”. Fedra si tormentò la lunga treccia tra le dita e cercò di non pensare alle parole di Cole. 
Lui non mente. Mai.
“Sì. Bene – ecco...” 

Cullen si guardò in giro non senza un filo d’ansia e si mise a raccogliere le pedine. 
“Potremmo fare una partita!” propose con un po’ troppo entusiasmo e con le mani piene di pezzi. 
“Una part-oh. Certo, ottima idea!”
Anche lei suonava troppo elettrizzata, ma era più semplice che ragionare su quello che aveva appena sentito. Si sedette facendo troppo rumore con la sedia e rimase a guardare mentre Cullen si toglieva i guanti e sistemava le pedine.
Fedra si accorse di non riuscire a distogliere lo sguardo dalle sue mani. Mentre fissava le lunghe dita che armeggiavano sulla scacchiera un pensiero orribile le attraversò la mente.
“La caserma è quasi pronta, penso che nel giro di una settimana i soldati saranno accomodati. Un buon passo avanti, non credi?”
“Cullen, tu hai vissuto a Kirkwall per tanto tempo… hai lasciato qualcuno?”
“Cosa… oh, no, no. La mia famiglia è a sud, si sono trasferiti prima che…”
“Non in quel senso. C’era qualcuno che… che ti… interessasse, laggiù?”
La comprensione si fece lentamente strada sul viso di Cullen. Gli occhi dorati diventarono più intensi, quasi troppo per sopportarli; Fedra abbassò lo sguardo pregando per la risposta giusta.
“No. Non c’era nessuno che mi interessasse laggiù”.
Il cuore le fece un tuffo e si trovò a ridere come l’idiota che era.
“Ah. Capisco. Bene, uhm… ma dicevi della tua famiglia…”
La tensione si spezzò.
“Sì, loro… stanno bene, credo. Non scrivo da troppo tempo e Mia me la farà pagare alla prima occasione. Sai, è mia sorella maggiore; poi ci sono Branson – continuo a chiamarlo fratellino ma ha due anni meno di me e un figlio! – e la piccola Rosalie”. Il sorriso sul suo volto cambiò, si fece malinconico. “Mi mancano, ma sono al sicuro e tanto mi basta. E tu, Fedra? Mi rendo conto di non sapere tante cose di te…”
“La situazione non è molto diversa, credo. Anche io non ho loro notizie da prima del Conclave, anche se… Leliana ha fatto avere una lettera ai miei genitori. Dice che sono al sicuro”.
“Devono essere così orgogliosi di te…”
Sbuffò una risata amara.
“Lo spero. Quando sono partita erano più che altro esasperati dalla mia condotta; sai, forse non te ne sei reso conto, ma non sono esattamente una raffinata damina di corte”.
“Me ne sono accorto eccome. Ma solo un folle potrebbe volerti diversa da come sei”.
Cullen Rutherford, stai esagerando. Ora mi prenderanno fuoco le orecchie.
Fedra si torse le mani in grembo e cercò di concentrarsi sulla scacchiera. Di colpo non si ricordava neanche mezza regola; si affrettò a tornare in territorio neutro mentre un giardiniere le passava di fianco con una fascina di sterpi.

“Loro sono…” Sospirò e la vecchia nostalgia le increspò la voce. “Mio padre mi somiglia anche troppo. Ha la testa dura e una passione per la caccia, da giovane aveva i miei stessi capelli rossi e secondo mia madre litighiamo allo stesso modo. Mia madre è molto… molto mamma. Si preoccupa sempre che tutti mangino abbastanza e ricama in maniera meravigliosa; lei è così affascinante che fa quasi male guardarla. Mia sorella Evelyn ha preso da lei e penso davvero sia la ragazza più bella che abbia mai visto”.
“Non la conosco ma probabilmente dissentirei”. Voce rauca, ciglia dorate abbassate sugli zigomi. Un altro dei giardinieri transitò lì vicino e mancò la testa di Cullen di un soffio con il manico del rastrello che portava in spalla.
“Immagino tocchi a me”, ansimò Fedra. Quella faccenda stava diventando patetica, ben oltre l’imbarazzante. Indugiò con la punta delle dita su una pedina a caso, cercando disperatamente di ricordarsi come iniziare la partita, e all’improvviso la mano di Cullen si posò sulla sua.
Aveva ancora gli occhi bassi. 
Il momento perfetto. Fedra si bevve la luce che gli dipingeva d’oro i riccioli ordinatamente pettinati all’indietro e le lentiggini lievi sul naso. La gola ebbe uno spasmo al pensiero di chi aveva osato rovinarlo con quella cicatrice che gli solcava la guancia, ma con un vago senso di colpa si rese conto che la sola vista di quello sfregio – un dettaglio che lo rendeva più selvatico, che lo faceva sembrare più pericoloso - bastava a farle girare la testa.
Una campana suonò all’improvviso e Fedra sussultò, saltando sulla sedia. Cullen spalancò gli occhi e raddrizzò le spalle.
“C-Cosa… oh, no. Questa era per me!”
Si guardò in giro con espressione quasi disperata e alla fine fissò di nuovo Fedra.
“Mi dispiace, ma avevo detto che avrei ricevuto gli altri ufficiali alla quarta ora. Stando con te me ne ero completamente dimenticato… mi dispiace così tanto!”
“No, non preoccuparti, capisco, figurati, io…”
Riprese i guanti e le puntò l’indice davanti.
“Mi devi una partita. Non me ne dimenticherò”.
L’emozione si trasformò in un’inattesa ilarità e Fedra rise, la testa gettata all’indietro e le mani appoggiate sulla scacchiera.
“Promesso, mi lascerò sconfiggere alla prima occasione”. Troppo tardi si rese conto di quanto la frase suonasse ambigua. Cullen avvampò ma la tolse dall’imbarazzo con un mezzo saluto marziale prima di allontanarsi a lunghi passi tesi.
Fedra mugolò e si prese la testa tra le mani.
“Ti lascerai sconfiggere alla prima occasione, eh? Potevi direttamente lanciargli la biancheria addosso”. La voce di Dorian arrivò da dietro le scale.
“Da quanto tempo eri lì?” Fedra sentì la rabbia salirle per la testa e si alzò di scatto. Il mago avanzò con la sua solita andatura fluida e sollevò le mani.
“Non così tanto, in realtà. Non mi sono perso il bacio, vero? Non me lo perdonerei mai!”
Fedra si risedette con un sospiro.
“No, non ti sei perso niente”, esalò.
Dorian si sedette di traverso sull’altra sedia e le schioccò le dita davanti.
“Senti, InquisiFedra, non ci conosciamo da molto ma gli occhi per vedere li ho anche io, e come puoi notare sono anche particolarmente belli. Tu sei cotta di lui, lui è cotto di te e io ti invidio parecchio perché insomma, guardalo! Si può sapere cosa stai aspettando?”
“M-Ma è davvero così lampante?”
Dorian sollevò le dita di una mano e iniziò a contare.
“Josephine e Leliana hanno scommesso mesi fa sulla faccenda, Varric come prima cosa quando ci siamo incontrati mi ha parlato di voi due, Cassandra si maledice ancora per avervi interrotti ad Haven e Cole… be’, lui semplicemente lo sa”. Gli occhi grigi erano brillanti e divertiti. “Siete gli ultimi due ad esservene accorti, credo”.
“E cosa dovrei fare? Ogni volta che provo ad affrontare la questione succede qualcosa. Cassandra, draghi, giardinieri… non so cosa sia peggio!”
“Direi draghi, seguiti da vicino da Cassandra. Fedra, vai da lui. Vacci e basta, sei una donna adulta e vai sul sicuro”.
“Ora ha tutti gli ufficiali a rapporto, non posso certo interromperlo così!”
Dorian si raddrizzò e intrecciò le dita davanti al naso. Una delle donne intente a potare il giardino gli lanciò uno sguardo affamato, e Fedra non le diede torto. Era un gran bello spettacolo.
“Questa, mia cara, è una bieca scusa. Qualunque cosa stia facendo può aspettare, gli ufficiali non andranno da nessuna parte e tu puoi permetterti per una volta di abusare della tua posizione”.
“Non lo farei mai!”
“Allora”, si batté le mani sulle ginocchia e si alzò, “lo farò io per te”.
“Dorian, no. Non… non serve. Se ti prometto che più tardi vado da lui eviti di mettermi in imbarazzo?”
La guardò con sospetto, le lunghe ciglia che fremevano di malizia. Senza abbandonare l’espressione dubbiosa le tese la mano.
“Giura”.
Fedra sospirò, si alzò e gliela strinse.
“Giuro. Però niente scherzi, intesi?”
“Va bene. Devo proprio spiegarti tutto…”
E con uno svolazzo della tunica si voltò e la lasciò sola.
Fedra lo seguì poco dopo, soffocata dalle mura del chiostro e dagli sguardi dei giardinieri, che probabilmente erano pura cortesia ma che la tormentavano.
Riprese a camminare pre Skyhold, su per le scalinate e lungo le mura. Il mondo sembrava fatto di cielo e pietra da lassù, a parte la vallata verde che sprofondava alle spalle della fortezza. Lì si sarebbero potuti arare dei campi, trovare legna
nelle foreste…
Si arrotolò la treccia attorno al pugno e seguì con lo sguardo il volo di uno stormo di corvi dalla torre più alta. Leliana era in piena attività, cosa che la fece sorridere.
Si appoggiò alle merlature e si perse a contemplare il panorama, con l’aria fredda che le scompigliava i capelli.
La faceva facile, Dorian. 
Vai lì e parlagli.
Aveva perso mille occasioni – no, le erano state rubate. Certo, anche frugando in fondo alle sue insicurezze doveva ammettere che era abbastanza evidente che l’interesse fosse reciproco. Camminò avanti e indietro a lungo, rigirandosi in testa quel pensiero.

Non si era mai trovata in quella situazione. Di solito c’era sempre qualcun altro a fare il primo passo, oppure una robusta dose di alcol a rendere le cose più semplici.
Eppure non era mai stata così. Aveva sempre avuto quel che voleva subito oppure ci aveva rinunciato per pigrizia.
Rinunciare a Cullen, però? Mai.
Skyhold era un dedalo di torri e porte di cui Fedra ignorava l’utilità. Non aveva ancora scoperto, per esempio, qualche degli infiniti locali Cullen avesse scelto come alloggio.
Lo scoprì in quel momento. La porta in fondo alla balaustra si aprì e una mezza dozzina di soldati uscì salutando qualcuno alle proprie spalle.
“A presto, comandante”, disse uno di essi. Nell’avvicinarsi a Fedra ciascuno di essi sorrise e scattò sull’attenti, per poi allontanarsi di buon umore.
Eccolo lì.
La porta era ancora aperta e lui era lì dentro.
Quante occasioni. Quanti baci mancati.
Fedra raccolse tutto il coraggio che aveva, si rimboccò le maniche e sbuffò.
E andiamo.
Raggiunse la torre con il cuore che correva all’impazzata e la testa stranamente leggera. Sembrava di muoversi in un sogno. Si affacciò a quello che aveva tutto l’aspetto di uno studio improvvisato – una sedia, un tavolo e una mappa, poco

 più. In piedi alla scrivania Cullen, di fronte a lui due giovani soldati intenti a ricopiare qualcosa.
Alzò lo sguardo e la vide.
“Fedr-Inquisitore. Cosa succede?”
Testa vuota. Occhi spalancati. Doveva dire qualcosa, doveva parlargli e di nuovo non erano soli.
Basta, non possiamo andare avanti così!
Prese fiato un paio di volte e sperò che la sua voce non suonasse acuta come le sembrava.

“Comandante Cullen, possiamo parlare?”
Il tono formale lo colse di sorpresa.
“Certo, Inquisitore. Dimmi”.
“In… In privato”.
C’era un mondo di insicurezza e paura e speranze in quelle due parole e Cullen se ne accorse. Si sfregò la nuca e deglutì vistosamente.
“Sì. Sì, io… arrivo. Voi andate avanti”, disse ai due soldati.
Seguì Fedra lungo i bastioni per qualche minuto.
Era inutile aspettare, le parole non le aveva e non le avrebbe mai avute. Si fermò in quello che sembrava un punto isolato e alzò lo sguardo su Cullen.
Lo trovò ancora intento a tormentarsi il collo guardando in su verso il cielo che virava al tramonto.
“Una gran bella giornata, eh?”
“Cosa… Cullen, ma sul serio?”
“Cosa ho detto di male?”
“Sul serio stai parlando del tempo?”
“D-Di cosa volevi parlare?” Stava diventando di un rosa molto intenso e l’imbarazzo cedette all’esasperazione. Fedra alzò gli occhi al cielo.
“Di noi, Cullen. Voglio parlare di noi due!”
Gli voltò le spalle e si appoggiò ai merli. Era più facile senza guardarlo, la distraeva troppo.
“Il fatto è che mi ritrovo a pensare a te un po’ più spesso di quanto sarebbe opportuno. Vale a dire… be’, sempre”.
Una risata sommessa dietro di lei.
“Non dirlo a me. Qualche volta – piuttosto spesso, in realtà, e l’ultima non più di due ore fa – ho avuto la presunzione di pensare che forse tu…”
Le prese la mano e la fece voltare, ma teneva lo sguardo basso. Niente guanti per lei, solo pelle calda contro la sua.
“Ci ho pensato a come sarebbe potuto essere, ma poi… siamo in guerra, Fedra, e tu sei l’Inquisitore. Sarebbe strano e… e… forse sbagliato, non lo so, anche se lo vorrei così tanto. E...”
La lasciò andare e si voltò, la testa tra le mani, all’improvviso frustrato.
“Ma mi senti come parlo? Io ci provo a essere ligio al dovere, a non lasciarmi coinvolgere, ma la verità è che pur di stare con te sarei disposto a tutto. Non volevo pensare fosse possibile perché mi avrebbe reso più…”
“Felice?” azzardò Fedra. Cullen alzò lo sguardo su di lei e sorrise.
“Già. Non ci sono abituato e ho avuto mille volte paura di allontanarti”.
Erano vicini. Poteva sentire il suo calore, l’odore della sua pelle. Le gambe le stavano diventando di colpo inutili, deboli. Gli prese la mano e accarezzò i calli sul palmo, le escoriazioni sul dorso.
“E invece sono ancora qui…”
Imponente, con il vento che gli arruffava il pelo del mantello, Cullen si chinò su di lei. 
“Non mi sembra vero”.
Chiuse gli occhi, pronta e sospesa in una gioia senza nome.
“Comandante, ho qui il rapporto di sorella Leliana”.
Cullen si tese e le si staccò di dosso. Fedra si coprì il viso con le mani e gemette una lunga sequela di bestemmie a stento soffocate. 
Cosa?”
Il tono era quello di un’altra persona. Il comandante, e anche un comandante parecchio incazzato. Fedra schiuse le dita e sbirciò il profilo di Cullen parato davanti a lei. Denti digrignati, naso arricciato, era di nuovo simile a un grosso felino
che soffiasse.
Sopra al bordo di pelo del mantello riconobbe un viso noto. Jim, il soldato del trabucco. Per quanto lieta di vederlo vivo Fedra provò un improvviso desiderio di lanciarlo dalle mura. Se ne stava lì col naso sepolto tra le scartoffie, ignaro.
“Il rapporto di sorella Leliana. Mi avevate detto di protarvene una copia, no? Era urgente…”
Il ragazzo sollevò lo sguardo e si trovò di fronte Cullen, torvo e fumante. Indietreggiò di un passo, di colpo pallido, e finalmente si accorse di Fedra.
Il viso sbarbato perse ogni traccia di colore residuo. Jim aprì e richiuse la bocca due o tre volte, guardò Fedra, poi Cullen, poi il rapporto e quindi di nuovo Cullen.
“N-Nel vostro ufficio. Lo… lo lascio nel vostro ufficio, giusto”, pigolò. Lasciò cadere i fogli, li raccolse calpestandone un paio e si allontanò in fretta. Al terzo passo iniziò direttamente a correre.
Cullen rimase a guardarlo andar via e dopo un po’ le ampie spalle si rilassarono.
Solo che il momento era passato.
Di nuovo!
Fedra si passò le mani tra i capelli e, appoggiata al parapetto, alzò lo sguardo al cielo.
“Cullen, se devi andare non sarò io a…”
Successe. Dopo mesi di dubbi, di domande senza risposta, sofferenza e attesa successe. Cullen le prese il viso tra le mani e premette con forza le labbra sulle sue.
Fedra trattenne il fiato per un istante, quindi la barriera crollò. Si aggrappò al petto di Cullen, percepì il suo corpo caldo premuto contro di lei, le mani che le cullavano il viso e il tocco di quella bocca – quanto se l’era sognata! – le fece perdere un battito.
Sapeva di buono, di pane e birra e cuoio. Sapeva di Cullen e Fedra capì che un altro tassello era andato a posto dentro di lei.
Sì sì sì sì sì sì.
Non riusciva a pensare a nient’altro, solo una gioia frenetica come il battito d’ali di una farfalla.

Si staccarono solo per respirare. La fronte di Cullen si appoggiò alla sua e i loro nasi si sfiorarono.
“Mi dispiace”, mormorò contro le sue labbra. “Forse avrei dovuto…”
“F-Farlo prima”, esalò Fedra. Si sentiva la punta della lingua formicolare.
Ancora!
Cullen sorrise.

“È stato – uhm – bello”. Eccolo lì di nuovo, quell’imbarazzo da ragazzino che l’aveva tormentata. Che continuava a farla impazzire. Fedra gli passò le mani tra i capelli e si spinse contro di lui.
“Era quello che volevo da troppo tempo”.
“Davvero?”
Il fuoco si accese in fondo agli occhi d’ambra. Qualcosa che non aveva mai visto – felicità, pura e semplice, che gli trasfigurava il volto.
“Davvero”, disse piano Fedra. Gli gettò le braccia al collo e lo baciò di nuovo, ma questa volta alla dolcezza si aggiunse qualcosa di più caldo che le bruciava nel basso ventre.
E non solo a lei, a giudicare dall’espressione di Cullen quando si scostò.
“Mi sembra impossibile!” Rise contro di lei.
“Credici, perché io non ho nessuna intenzione di lasciarti andare”.
“Anche se la gente parlerà?”
A quello non aveva pensato, ma in quel tramonto d’oro e fiamme non c’era spazio per quel tipo di preoccupazioni. Solo gioia.
Fedra rise.
“Se la cosa peggiore che possono dire di me è che mi sono innamorata del mio comandante io… oh. Ho detto troppo”. Si morse il labbro e abbassò il viso, ma Cullen glielo sollevò con la punta delle dita.
“Hai detto quello che io non ho avuto il coraggio di dire. Lascia che parlino, io so che provo la stessa cosa per te”.
Le sfiorò la fronte con un ultimo bacio leggero e fece un passo indietro. Non lo aveva mai visto sorridere così.
“Non ci posso credere. Mi sembra di essere tornato un…”
“… ragazzino di quattordici anni alla prima cotta? Sì, ho presente”.
Cullen rise e le sfiorò le dita con le labbra.
“Il ragazzo, Jim. Temo di averlo terrorizzato. Mi concedi di andare da lui?”
Fedra scoppiò a ridere e lo spinse via per il gomito.
“Vai. Tanto sai dove trovarmi”.
“Già. Qui”, e si toccò il cuore prima di voltarsi e allontanarsi, quasi saltellando.
Fedra rimase appoggiata al muro e si sfiorò le labbra. 
Era come l’aveva sognato? No, anche meglio. Si sentiva ancora solleticare dove la corta barba ispida l’aveva sfiorata, sentiva ancora le dita che le affondavano tra i capelli e…
“Ehi! Inquisitore!”
Dorian?
Fedra raggiunse l’altro margine delle mura e guardo giù.
Proprio Dorian. Con un sorriso da un orecchio all’altro sotto ai baffi e il pugno levato. E Cole lì vicino, naso in su e un’espressione sognante, beata.
“Ci è piaciuto un sacco!” le urlò il mago.
Fedra mugugnò e appoggiò la testa ai merli.
Sì, avrebbero parlato. E lei sarebbe morta per l’imbarazzo. Ma ne sarebbe decisamente valsa la pena.

 



Buon nuovo capitolo a tutti!
Le Furie dovevano arrivare - ho un debole per Krem prima ancora che per il Toro (e il fatto che non esista la possibilità di una romance con Krem mi è rimasta di traverso non poco) - e ho regalato loro un ingresso in scena alternativo ma, spero, ugualmente caratteristico dei nostri mercenari preferiti!
E poi, finalmente, #unagioia per Fedra e Cullen, nonostante l'intervento di Jim (poveraccio... ma anche lui avrà qualcos'altro da dire, vedrete!). Dopo l'assedio, la scalata e il trauma emotivo di essere proclamata ufficialmente il capo dell'Inquisizione direi che se lo meritava anche, stellina.
Sarò ripetitiva ma, come sempre, grazie e a domenica prossima!

 

Val

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Capitolo 11
*** 11-Qualche volta l'unica cosa che posso fare è esserci. Avrei un letto da inaugurare, tra l'altro, e invece ci tocca andare dall'Imperatrice. Ansia. ***


Incredibile come la vita abbia bisogno di incastrarsi in una quotidianità fatta di gesti ripetuti e appuntamenti stabiliti.
Skyhold ci mise solo alcuni giorni a trasformarsi da maestoso ammasso di macerie a cantiere, con ragnatele di impalcature che sorgevano contro le pareti e un incessante viavai di gente che lavorava.
Anzi, un viavai di gente e basta, perché Skyhold, nelle poche settimane dopo che l'Inquisizione vi si fu insediata, divenne davvero meta di pellegrinaggio. Delle mura Fedra li vedeva arrivare ogni giorno – contadini e fedeli, elfi e umani e nani con bestie da soma e mani pronte a mettersi all'opera.
Li amava tutti, uno per uno, anche quelli che non conosceva, perché erano la sua gente. Il pensiero la terrorizzava ma era diventato parte di lei.
Per questo non permise che l'Inquisizione fosse da meno. Il tavolo da guerra aveva trovato nuova vita in una delle ali dell'edificio principale e il consiglio vi trascorreva ogni minuto libero. Questo significava parecchie cose, non ultimo il fatto che il tempo da trascorrere con Cullen era meno di quanto le sarebbe piaciuto.
In quello, almeno, il comandante si rivelò più sfacciato di lei. Non era passato nemmeno un giorno da quel primo bacio quando si riunirono attorno al tavolo; ovviamente – e non ci sarebbe stato bisogno delle arti di Leliana o dei Ben-Hassarath, visto che Dorian era andato in giro a gridarlo ai quattro venti – nel vederli entrare fianco a fianco gli occhi delle tre consigliere brillarono di curiosità. Fedra aprì bocca per dire qualcosa ma Cullen tagliò corto. La prese per mano e le baciò le nocche prima di lasciarla a un capo del tavolo come se niente fosse.
L'ultima cosa che si sarebbe aspettata al mondo si avverò. Non fu Josephine a sospirare sognante ma Cassandra, una luce deliziata negli occhi grigi che contrastava con l'immagine della dura paladina che aveva imparato ad ammirare. Si posò una mano sul petto e sorrise da un orecchio all'altro.
“Che cosa romantica”, mormorò. Leliana si tirò il cappuccio sulla testa e bofonchiò una risata sommessa. Cassandra si rese conto con un attimo di ritardo della propria reazione e diventò paonazza; sgranò gli occhi e li abbassò sulla mappa, recuperando il solito tono sbrigativo. 
“Comunque vi stavamo aspettando. Abbiamo un sacco di cose da fare”.
“C'è anche chi ha qualcuno da farsi”. Josephine si lasciò sfuggire una battuta degna di Varric e subito si tappò la bocca con il pugno. Cassandra la guardò malissimo. 
“Stai trascorrendo troppo tempo con quel Krem, tu”, ringhiò.
Fedra si arrotolò la treccia attorno al pugno e soffocò una risata per il rossore dell'intero consiglio – e il proprio, un misto di ilarità e shock.
“Sono qui, mettiamoci all'opera. Allora, novità di Corypheus?”
Cassandra sembrò di colpo più a proprio agio nel parlare della fine del mondo piuttosto che di relazioni sentimentali e incrociò le braccia.
“Niente di nuovo, è sparito. Lui e quel suo drago”.
“Drago che potrebbe non essere tale. Ne ho parlato con Solas e concorda con me: potrebbe trattarsi di un arcidemone che di un drago ha solo l'aspetto”, intervenne Leliana. Fedra appoggiò i gomiti al tavolo e pungolò una pedina appoggiata su quella che era stata Haven.
“Cosa cambia? Ha bruciato una città e l'ha rasa al suolo, se anche fosse stato un nug mannaro gigante sputafuoco il risultato sarebbe stato lo stesso...”
“Abbiamo modo di approfondire la questione?” chiese Cullen camminando avanti e indietro davanti al tavolo. “Forse l'effetto della creatura è lo stesso, ma almeno sapremmo da dove Corypheus ha recuperato quella che ha tutto l'aspetto della sua arma più potente”.
Josephine spazzolò la mappa con la penna, su, verso nord.
“Se è vero ciò che abbiamo scoperto, ovvero che Corypheus è stato un Magister del Tevinter, potrei fare qualche discreta domanda a certe mie conoscenze dell'Imperium. Ci sono alcune persone che mi devono un favore e potrebbe essere l'occasione giusta per riscuotere...”
Fedra si prese un attimo per apprezzare quanto dietro quei fiocchi e brillantini ci fosse qualcuno di spietato almeno quanto Leliana, anche se meno sospettabile.
“Un buon punto di partenza. Noi, nel frattempo, potremmo cominciare a indagare su dove si sia andato a cacciare Corypheus”, disse Cullen, ma Leliana scosse piano la testa.
“Abbiamo già qualcosa su cui lavorare: se non ricordo male a Therinfal avete scoperto un complotto contro l'Imperatrice Celene”.
Certo che ricordava bene; Fedra era convinta che non avesse mai dimenticato niente in tutta la sua vita. 
Non fu piacevole rivisitare quel luogo violato della propria memoria, dipinto con il sangue e con le ombre nere della paura. Un brivido la scosse nonostante la sala fosse tutt'altro che fredda.
“Uccidere l'imperatrice getterebbe il Thedas nel caos, ostacolando chiunque possa pensare di opporsi a lui. Questo Corypheus non è uno sciocco”, ammise Cullen a malincuore. 
“Sta radunando un esercito di demoni, Invidia lo ha detto chiaro e tondo. E con un esercito del genere, dio o non dio, potrebbe facilmente conquistarci senza fatica”, concluse Josephine.
“E allora è un bene che ci sia la possibilità di anticipare la sua prossima mossa”. Cassandra strinse il pugno e colpì il tavolo. “Dobbiamo capire i programmi dell'Imperatrice e capire chi e quando possa presentare la minaccia”.
Josephine si solleticò la punta del naso con la piuma.
“Anche questo non sarà un problema. Leliana, posso contare sui tuoi corvi?”
Leliana le sorrise.
“Come sempre, mia cara”.
E quello fu solo l'inizio. Fedra cercò con scarsa convinzione di rendersi utile; Skyhold rivelò un'inattesa, sconfinata biblioteca gremita di volumi polverosi. Di sicuro ci sarebbe stato qualcosa di interessante.
Dorian, per esempio. Che non appena scoprì dell'esistenza dei libri si presentò trafelato e con i capelli arruffati dopo una corsa.
“Come hai potuto?” sussurrò furibondo. Fedra, inginocchiata tra tomi in disordine e con un grembiule rubato dalle cucine in vita, sollevò le sopracciglia.
“Questa volta cos'ho fatto di male?”
“Questo! Non me lo hai detto subito!” C'era una luce febbrile negli occhi grigi. Il mago si precipitò al suo fianco e iniziò a sollevare un testo dopo l'altro, passando le dita sulle coste impolverate e schioccando la lingua con disapprovazione.
“Posso tollerare arcidemoni, assedi e persino le riunioni di famiglia ma vedere dei libri trattati così no, proprio no! Guarda! Questo è una prima edizione!” e le sventolò davanti al naso un libro con la copertina tarlata.
“Be', direi che sei arrivato al momento più propizio: dammi una mano a mettere in ordine questo disastro”, tagliò corto Fedra.
Si rivelò una pessima idea. Dorian era un maniaco dell'ordine e in quel singolo pomeriggio le gridò dietro almeno una dozzina di volte perché non apprezzava il criterio con cui disponeva i volumi sulle mensole o trovava scandaloso che quel tal volume venisse gettato con tanta distrazione nel mucchio degli irrecuperabili.
“Guarda! La copertina è marcia e due terzi delle pagine mangiate dai topi, ma ci sono delle illustrazioni ancora quasi distinguibili!”
“Fosse per te non butteremmo via nulla”, bofonchiò Fedra. Sternutì per una nuvola di polvere e cadde seduta, pulendosi uno sbaffo di polvere dalla guancia con la manica. “Non aiuti molto l'Inquisizione continuando a sgridarne il capo!”
“Butto solo quel che serve”, disse lanciando un tomo apparentemente in buone condizioni oltre il parapetto. Solas, da qualche parte sotto di loro, esclamò qualcosa in elfico con tono parecchio irritato. Fedra non provò neanche a non ridere, questa volta.
Dorian alzò gli occhi al cielo e le si sedette di fianco. Aveva le guance arrossate e ancora quello scintillio nello sguardo; quando si voltò a guardarla il sorriso era più profondo del solito.
“Mi piacciono i libri”, disse semplicemente.
“Ne avevo il sospetto”.
Sfilò un libro dalla pila su cui si era seduta e lo accarezzò con tenerezza. “Quando ero un adolescente erano l'unica compagnia che non mi facesse sentire fuori luogo...”
Sento odore di rivelazioni. 
Ne apprezzava la compagnia, sapeva di potersi fidare di lui e si era persino confidata, ma ora che ci pensava Fedra si rese conto di conoscere pochissimo del suo passato.

“L'adolescenza è un periodo brutto per tutti, Dorian”. La battuta non ebbe l'effetto sperato. Gli occhi sottolineati da una riga nera si fecero un po' più tristi, sfuggenti, e il sorriso amaro.
“Se sei il figlio accuratamente progettato di una delle famiglie più di spicco tra i maghi del Tevinter è un po' peggio”.
“Genitori che si aspettavano troppo da te?” Su quello poteva sentirsi di essere solidale, ma Dorian scosse la testa.
“Qualcosa del genere. Si aspettavano che fossi qualcosa di completamente diverso da ciò che sono, ed essere – giuro, è solo la verità – uno dei più promettenti e brillanti incantatori a perdita d'occhio non era sufficiente”. Chiuse il libro con un tonfo e una nuvoletta di polvere e guardò Fedra con una smorfia. “Si aspettavano di programmarmi un matrimonio come il loro, con una bella facciata scintillante dietro cui nascondere anni di odio reciproco e disprezzo per non far girare voci sconvenienti. Purtroppo ho frustrato le loro speranze”.
“In che modo un genitore potrebbe non essere orgoglioso di te? Sei uno sbruffone, va bene – no, non guardarmi così, lo sei e basta – ma se fossi un po' più affascinante faresti male agli occhi...”
Questo ridiede calore al suo sorriso.
“Me la segno questa, non me l'ero mai sentito dire... be', c'è un piccolo dettaglio della mia persona che urta orribilmente la mia gentile madre e il mio affettuoso padre”.
Abbassò la testa e la scosse una volta, e Fedra non se la sentì di indagare per confermare il sospetto che iniziava a nascerle dentro.
“Non penso sappiano che mi sono unito all'Inquisizione. Probabilmente non gli interessa neanche”.
Le si strinse il cuore. C'era qualcosa di molto bello e fragile sotto quella corazza di specchi e vanità e per la prima volta le concedeva di vederlo. Gli accarezzò l'avambraccio e scosse la testa.
“Io sono felice che tu sia qui, per quel che può valere...”
Dorian le sorrise e la corazza tornò al suo posto, non senza però lasciarle intravedere uno spiraglio di verità.
“Vale eccome, anche se la tua libreria farebbe piangere qualsiasi archivista. Rimettiamoci all'opera prima che mi penta di essermi spettinato per questo lavoro ingrato”.
Non toccarono più l'argomento ma Fedra si interrogò più volte se fosse il caso di fare qualcosa per lui.
L'occasione si presentò poco dopo nella forma di Madre Giselle. Fedra si stava sciacquando mani e collo in un bacile vicino alla libreria e la sacerdotessa sembrò esitare prima di avvicinarla. Si guardò intorno e quando si accorse che erano praticamente sole le sorrise e le si fece incontro.
Fedra raddrizzò la schiena e si asciugò le mani sui pantaloni.
“Madre Giselle! A cosa devo l'onore?”
“Il Creatore vi benedica, Araldo. Posso rubare un secondo del vostro prezioso tempo?”
Questioni ufficiali, si disse subito. Se usava quel tono formale aveva qualcosa di serio da dirle.
“Voi potete sempre. Ditemi”.
Il viso scuro si fece guardingo per un istante.
“Lord Pavus è qui con voi?”
“No, Dorian se n'è andato qualche minuto fa. Ma posso andare a chiamarlo se...”
“Meglio così. Dovevo parlarvi proprio di lui”. Era seria, quasi tetra mentre raggiungeva una delle panche in una nicchia e vi si sedeva, le mani giunte in grembo. Fedra sentì uno strano presentimento che le piacque molto poco. Controllò attorno a sé e si accomodò di fianco alla sacerdotessa.
“Cos'ha combinato?”
“Vi fidate di lui?”
Domanda pericolosa, risposta secca e immediata.
“Sì. È mio amico e mi ha salvato la vita due volte. Ma a voi non piace, vero?”
La sacerdotessa chinò il capo e lo scosse piano.
“Un mago del Tevinter quando il nostro nemico è stato un Magister... capite che è sospetto, vero?”
“Se il problema è questo vi consiglio di parlarne direttamente con Dorian. Sono certo che fugherà ogni vostro dubbio”, e fece per alzarsi. Madre Giselle la fermò sfiorandole la mano.
“Ho ricevuto una lettera. Un messaggio della sua famiglia”.
Fedra si voltò lentamente. Non si era aspettata sotterfugi anche da quella sacerdotessa che sembrava amare tutti, eppure eccola lì. La ferita alla fiducia bruciava più di quanto avesse pensato.
“Parlate”.
“Il giovane Pavus non sembra in buoni rapporti con i suoi genitori. Suo padre, il Magister Halward Pavus, desidera parlargli. Non conosco i dettagli ma un messo della famiglia lo attende alla locanda del Gabbiano e la Lanterna a Redcliffe”.
“E io in questo cosa c'entro? Potevate parlarne voi con Dorian. Non morde mica”.
Ma la sacerdotessa scosse la testa.
“Nella lettera che ho ricevuto il padre di Dorian chiede espressamente che lui non sappia di questo incontro. Per questo sono preoccupata – per voi e per l'Inquisizione. Occorre trovare un modo per farlo giungere alla locanda senza che sappia cosa...”
Questa volta Fedra si alzò di scatto e fronteggiò la sacerdotessa senza traccia di simpatia.
“Se pensate che io sia il tipo di persona che pugnala alle spalle un amico in questo modo vi sbagliate di grosso, Madre Giselle”.
Gli occhi delle donna si fecero grandi, la bocca si socchiuse in un tentativo di rimediare.
“Io non intendevo...”
“Grazie per avermi informata”, disse secca prima di voltarsi e andarsene.
Per il resto della giornata non vide Dorian e Madre Giselle non cercò di parlarle nuovamente, così si ritrovò a rimuginare sulla faccenda da sola.
Aveva già preso una decisione ma in qualche modo sentiva di aver bisogno di una conferma.
Ne parlò con Cullen quella sera, durante uno di quei rari minuti che riuscivano a rubare alle incombenze e agli sguardi di mezza Skyhold. 
Erano nascosti dietro una torre, abbracciati contro il parapetto, e Fedra si sentiva leggera, il calore del corpo di Cullen contro la sua schiena che le dava sicurezza e teneva lontana la paura costante.
“C'è la primavera nell'aria”, le sussurrò all'orecchio. “Presto il fianco della montagna sarà pieno di fiori”.
La fece voltare e le posò un bacio leggero sulle labbra. “Non te ne ho mai portati. Sarebbe stato carino, da parte mia...”
“Non me li sarei goduti a lungo. O forse no, avrei potuto portarli a Therinfal e cercare di usarli per affascinare il capitano Denam. Pensi avrebbe funzionato?”
“Se fossi stato io al suo posto avrebbe funzionato eccome”, ridacchiò prima di baciarla di nuovo, più a fondo.
Per un attimo tacquero e Fedra cercò di placare la marea di fuoco che montava ogni volta che erano da soli, così vicini. Ci erano voluti mesi per darsi anche solo un bacio, quanto avrebbe dovuto aspettare per avere qualcosa di più? 
Quel genere di pensieri era molto pericoloso quando non si riusciva a trovare un posto in cui stare davvero da soli. Entrambi avevano volentieri rinunciato, per il momento, a delle vere e proprie camere da letto, in favore di lavori più urgenti. Non ne avevano parlato direttamente ma iniziavano a sentirne la mancanza.
Fedra prese un profondo respiro e guardò di nuovo la vallata. I discorsi di quel pomeriggio, all'improvviso, le tornarono in mente.
“Cullen, cosa ne pensi di Dorian?”
Un sopracciglio biondo guizzò verso l'alto.
“Devo essere geloso?”
Gli tirò un pugno sulla spalla e sogghignò.
“Ho a malapena il tempo per rubare un bacio a te, pensi che ne avrei per qualcun altro che, per giunta, dev'essere un incubo da avere di fianco?”
“Però è piuttosto affascinante...”
“Adesso sono io che mi ingelosisco!”
Cullen rise e le passò le dita tra i capelli.
“Un mago del Tevinter... se lo avessi chiesto al Cullen di cinque anni fa probabilmente l'avresti trovato già intento a cercare di ammazzarlo. Ora sono più saggio e... mi duole ammetterlo, ma mi sembra una persona affidabile. Un pessimo giocatore di scacchi ma ha la stoffa dell'amico, e sa il Creatore quanto ne abbiamo bisogno”.
“A Madre Giselle non piace”, disse senza tanti giri di parole.
“Esiste qualcuno che non piaccia a quella donna? Sono stupito”.
Fedra scosse la testa e strinse le labbra. Raccontò in breve quanto scoperto quel pomeriggio e Cullen rimase ad ascoltarla serio.
“Capisci? Sono convinta che Madre Giselle sia in buona fede e al tempo stesso non posso tollerare di mentire a una persona che combatte al mio fianco”.
Il sorriso di Cullen sorse lieve e dolce come la luna. Le sfiorò la guancia con la punta delle dita.
“Neanche ti rendi conto di quanto tu sia speciale. Sono così fortunato... e sì, hai ragione e capisco cosa intendi. Pensi sia una trappola?”
“Per Dorian? Non credo. Spero di no, almeno. Però sento di dovergliene parlare e...”
“... e di dover andare con lui, vero?”
Non ci aveva pensato. Non era un tragitto così lungo fino a Redcliffe, ancora martoriata dagli scontri tra Maghi e Templari, ma ormai il nome e la lunga mano dell'Inquisizione potevano rappresentare una protezione sufficiente.
“Credo di sì. Non deve affrontare questa cosa da solo, qualcunque cosa sia. In questo modo saprei se ci ha tenuto nascosto qualcosa di rilevante e sarei lì per dargli sostegno in ogni caso”.
Cullen si chinò a baciarle la fronte.
“Stai facendo la cosa giusta. Posso però dirti che mi mancherai?”
Gli cinse la vita con le braccia e si premette contro di lui. 
“Potrai sopravvivere una settimana senza di me?”
“Farò del mio meglio. Anche perché...”
Una torcia dardeggiò a pochi metri da loro. Cullen rise in silenzio e la prese per mano.
“Fine del nostro momento di intimità. Per quando tornerai prometto che mi sarò inventato qualcosa”.

Era sera tardi quando si decise a cercare Dorian. Con ogni probabilità era già a dormire, ma un tentativo andava fatto.
Non fu sorpresa nel trovarlo ancora in biblioteca, seduto in un angolo alla luce di una lanterna e con una bottiglia di vino appoggiata di fianco. Un libro aperto sulle ginocchia, i capelli che gli spiovevano sulla fronte: sembrava davvero un ragazzino in fuga da tutto tra la magia dell'inchiostro.
Fedra sentì un improvviso desiderio di proteggerlo, anche se era più probabile che lo facesse lui.
“Ti ho vista, Araldo. Brilli al buio”. Tenne il segno con il dito e alzò la testa.
“Non volevo disturbarti, topo di biblioteca”. Dorian ridacchiò e le fece cenno con la mano di sedersi a terra con lei.
“Sono preoccupato, Fedra. Il nostro ex Templare preferito non sembra tenerti occupata come dovrebbe di notte. Devo dirgliene quattro?”
“No! È solo che non - non ho neanche un vero letto, ancora. E lui dorme in caserma, quindi a meno di non accettare la presenza di qualche dozzina di persone attorno...”
“A qualcuno piace”. Lasciò perdere il libro e lo chiuse con un tonfo. Fedra si sentì le guance calde e abbassò lo sguardo. “Allora? Cosa sei venuta a dirmi?
Prese fiato e, per lottare con il disagio crescente e con il dubbio che non voleva lasciarla, parlò molto più in fretta di quanto fosse normale.
“Madre Giselle mi ha detto che c'è un messo della famiglia Pavus a Redcliffe che vorrebbe incontrarti. Non era previsto che te lo dicessi, avrei dovuto portarti là con una scusa e farti la sorpresa, ma mi faceva schifo”. Sospirò e si passò le mani tra i capelli rossi. “Sarei una pessima spia, non sono capace di tenere i segreti”, concluse più lentamente.
Dorian non disse una parola. Strinse i pugni sulle ginocchia e la guardò a lungo.
“Ah”.
Non era il Dorian che conosceva, che aveva imparato ad apprezzare. C'era qualcosa di spezzato oltre gli occhi grigi, un'improvvisa durezza d'acciaio, rabbia. Dolore.
“Chissà cosa vorranno dirmi”, aggiunse con voce atona.
“Potremmo andare a scoprirlo”, disse Fedra scrollando le spalle.
Potremmo?”
“Andiamo a Redcliffe, vediamo cosa vuole questo messaggero e poi decidiamo il da farsi. Qui sono poco meno che inutile, visto che più che spolverare mensole non mi fanno fare. Le cose importanti le stanno facendo Leliana e Josie, non ho un esercito da addestrare e le Furie si stanno rivelando ottimi uomini di fatica”. Allargò le braccia e le lasciò ricadere. “Se non ti dà fastidio che ti accompagni, è chiaro. Non voglio immischiarmi nei fatti tuoi...”
“No! Vieni”, rispose subito. Anche troppo in fretta. Abbassò la testa con improvviso imbarazzo. “Quantomeno potrò vantarmi di essere andato a questo incontro portando l'Inqusizione in persona. Ai miei non farà piacere. Sempre che questo fantomatico messaggero non sia un mercenario assoldato per tirarmi una botta in testa e trascinarmi indietro fino al Tevinter”.
“Nel qual caso ti difenderò io. Altrimenti chi mi metterebbe in difficoltà con il comandante dell'esercito?”
Così, due giorni dopo, erano in marcia. Dorian era un compagno di viaggio piacevole anche se incapace di tenere la bocca chiusa. Mai una volta, in quei suoi lunghi monologhi, accennò a cosa potesse attenderlo all'appuntamento, ma Fedra non mancò di notare che non sembrava curioso o stupito. Forse rassegnato?
Raggiunsero Redcliffe nel mezzogiorno e salirono verso la taverna.
“Così grossolano. In mezzo a una taverna affollata, all'ora di punta, a bere piscio qunari spacciato per vino”. Arricciò il naso aquilino e scosse la testa, una mano coperta di anelli appoggiata alla porta, che tenne aperta. “Dopo di voi, madame l'Inquisizione”.
Fedra, con la spilla che ne gridava il rango appuntata sul petto e le armi fissate alla schiena, si sentiva meno incline allo scherzo. La poca ironia che le restava evaporò quando si affaccio al Gabbiano e la Lanterna.
Era deserta. Dorian le si accostò alle spalle.
“Oh-ho. Non c'è nessuno: brutto segno”.
Qualcosa scricchiolò oltre i tavoli vuoti, passi sui gradini che conducevano al piano di sopra.
E prima che potessero voltarsi una voce profonda parlò.
“Dorian”.
Fedra vide il cambiamento sul viso del mago. Gli occhi diventarono freddi e si venarono di paura, i denti si strinsero e un muscolo si contrasse sulla mandibola squadrata.
“Padre”.
Fedra spalancò la bocca. Questo non se l'era aspettato.
Harward Pavus era un bell'uomo e non ci voleva molto a capire da chi Dorian avesse preso la carnagione dorata e i folti capelli neri. Scese l'ultimo scalino e restò con le mani giunte davanti a sé, un'espressione addolorata negli occhi uguali a quelli del figlio.
Dorian scoprì i denti.
“Ottimo. Quindi la faccenda del messaggero era tutta una farsa, molto divertente. Ora rido, eh. Dammi solo un attimo per prepararmi a dovere”.
Il viso del Magister si oscurò.
“Quindi ti è stato detto tutto...”
Harward Pavus si voltò verso Fedra e le fece un mezzo inchino.
“Sono dolente per l'inganno e vi chiedo perdono, Inquisitore. Non ho mai desiderato coinvolgervi in questa faccenda”.
Fedra fece per rispondere qualcosa ma si morse la lingua. La maleducazione era lì che fremeva per avere libero sfogo, ma forse non era il momento adatto. Dorian, per fortuna, era abbastanza furibondo da risparmiarle l'imbarazzo. Mosse un passo verso il padre e le mani mandarono tenui scintille violette.
“Certo che no. Il Magister Pavus non si abbassa a venire fino a Skyhold, col rischio di farsi vedere in compagnia dell'Inquisizione. Senno la gente cosa potrebbe pensare?”
C'era ben più che una nota di scherno in quelle ultime parole e Fedra avvertì il dolore che contenevano.
Dorian allargò le braccia, un'espressione terribile sul viso e quell'inquietante luce magica tra le dita.
“Come vogliamo chiamarla allora, Padre? Un'imboscata? Un rapimento? Una calorosa riunione di famiglia?”
Harward Pavus sospirò e scosse al testa.
“Sei sempre il solito, Dorian. Tu sei...”
“No, ha ragione a essere incazzato”, intervenne Fedra senza neanche provare a fermarsi. “Come potevate aspettavi che non lo fosse, con il tranello che gli avete teso?”
Dorian sollevò le sopracciglia senza distogliere lo sguardo dal padre e indicò Fedra con entrambe le mani tese, come a dire 'visto?'.
“Gli avete mentito. Come avete potuto fare una cosa simile a vostro figlio?”
Il ricordo della sua famiglia la colpì in pieno. Erano fastidiosi e pignoli e formali, ma la amavano. Non avrebbero mai fatto qualcosa del genere.
Dorian scosse la testa e finalmente posò lo sguardo su di lei. 
Fuoco puro, un oceano in tempesta.
“Ha fatto di peggio”, sussurrò.
Suo padre fece un passo avanti e scosse il capo.
“Dorian, non c'è bisogno di...”
“Mi piacciono gli uomini e mio padre disapprova”, disse semplicemente Dorian. Fedra sollevò le spalle e incrociò le braccia.
“Sì, lo immaginavo. E allora? Cosa c'è di male?”
Dorian strinse i pugni e i tendini spiccarono sul dorso delle mani.
“Vorrei tanto saperlo anche io”, ringhiò con un'amarezza intollerabile. Fedra ebbe l'orrendo sospetto di iniziare a capire dove stavano andando a parare.
Harward strinse gli occhi, all'improvviso una maschera di crudele severità che nessun figlio dovrebbe vedere sul volto del padre.
“Questa scenata non era necessaria!”
“No, caro Padre, lo era. Lo hai resa tale attirandomi qui!”
“Non era ciò che volevo...”
“Io non sono mai ciò che volevi! O lo hai dimenticato?”
Dorian, teso, abbassò lo sguardo.
“Sono un errore, un figlio difettoso che non permette ai Pavus di vivere secondo i demenziali standard Tevinter. Mente perfetta, corpo perfetto e perfetto comportamento socialmente accettabile”. Mosse un passo verso il padre e Fedra si accorse che aveva gli occhi pieni di lacrime. “Mi hai insegnato che la magia del sangue è l'ultima risorsa dei deboli e poi hai cercato di usarla su di me per cambiarmi, per farmi entrare nella categoria che ti eri creato in testa! Non potevi semplicemente essere mio padre?”
Fedra trattenne bruscamente il respiro. Parte dell'odio di Dorian iniziò a scaturire anche da lei. Quale padre avrebbe mai potuto usare la magia del sangue su un proprio figlio? Era troppo orribile anche solo pensarci. 
La voce gli si spezzò e Harward sembrò esitare nel tentativo di mettergli una mano sulla spalla.
“Dorian, se solo volessi ascoltarmi capiresti!”
“Se ti ascoltassi mi riempiresti solo di altre menzogne. Lo hai fatto da quando sono nato!”
“Ho solo cercato di fare ciò che era meglio per te!”
“Visto? Altre menzogne! Hai solo cercato di fare quello che era meglio per te, per il tuo fottutissimo nome!”
Fedra aveva sentito abbastanza. Le lacrime di Dorian stavano diventando le sue, la sua rabbia una malattia contagiosa. Lo raggiunse in fretta e gli prese la mano, tirandolo verso di sé, lo sguardo fisso su suo padre.
“Penso di aver sentito abbastanza. Dorian, vieni via”.
Il pugno contratto tra le sue dita vibrò un istante e si sciolse. Dorian ricambiò la stretta.
“Volevo vederti. Sentire la tua voce”, ammise Harward con un sussurro. 
Fu allora che Dorian esitò. Si bloccò e guardò per un istante suo padre.
Fedra avrebbe voluto trascinarlo via da quella situazione che non avrebbe fatto altro che ferirlo ancora di più, ma non poteva. Gli tenne la mano e tacque.
“Perché?”
“Perché una volta avevo un figlio che si fidava di me. E io ho tradito quella fiducia. Ho sbagliato”.
Dorian deglutì lentamente; l'ombra di amore disperato che gli passò sul volto non durò più che un istante.
“Mi dispiace. Non posso perdonarti”.
Strinse la mano di Fedra e si allontanò. Nessuno dei due si voltò prima di chiudersi la porta alle spalle e in silenzio si rimisero in cammino verso Skyhold.
Fu un viaggio molto diverso dall'andata. Cupo e silenzioso, senza traccia della logorrea di Dorian, ora distrutto e capace solo di aggrapparsi alle redini e fissare davanti a sé con occhi spenti. Fedra si limitò a stargli accanto e ad aspettare. L'ultima sera, davanti a un fuoco acceso con uno schiocco di dita, Dorian si sedette con le gambe incrociate, appoggiato all'indietro, lo sguardo al cielo stellato.
“Pensi sia stato egoista?”
Fedra, a metà di un boccone di pane, alzò la testa con le guance imbottite e bofonchiò qualcosa. Dorian quasi rise.
“Un criceto. L'Inquisizione è guidata da un criceto”. Tornò subito serio e la guardò negli occhi, in cerca di una risposta. “Sono stato egoista a rifiutare la vita che volevano da me? Una moglie di cui non mi importava nulla, una vita a nascondermi... a vivere ogni giorno gridando dentro?”
Con un sorso di vino Fedra mandò giù il pane e scosse in fretta la testa.
“No! Sei stato molto più bravo di me nel fuggire dalla gabbia. Certo, la tua era decisamente più angusta della mia”.
“Lui – mio padre – era disposto a praticare su di me un rituale che avrebbe potuto lasciarmi ridotto a un vegetale sbavante pur di rendermi come lui mi voleva”. Si passò le mani tra i capelli e abbassò il volto. “E tutto perché non era soddisfatto del genere con cui vado a letto... mi chiedo cosa tu pensi di me, adesso”.
“Cosa dovrei pensare, scusa? Non sei diverso da ciò che eri settimana scorsa, e a me questo Dorian piace”, si trovò a dire Fedra con un sorriso. Si allungò ad accarezzargli una spalla. “Anche se è chiassoso e pieno di sé lo ritengo tanto, tanto coraggioso”.
“Coraggioso? Io?” Sembrava genuinamente stupito.
“Mi hai salvato la vita due volte nelle prime tre ore in cui ci siamo conosciuti, ma non è solo quello. Ci vuole più coraggio ad abbandonare le tradizioni che a fronteggiare un esercito”.
Qualcosa si rilassò sul viso scuro di Dorian, una tensione cupa che gli lasciava i lineamenti facendolo sembrare più giovane e spensierato.
“Non puoi capire quanto avessi bisogno di sentirtelo dire. Sei un'amica, Fedra. Non avrei mai pensato che unirmi all'Inquisizione perché pensavo fosse la cosa giusta da fare mi avrebbe regalato qualcuno come te”. La attirò a sé e le schioccò un bacio sulla testa. “Ora, se permetti, credo di meritarmi di bere fino a svenire per arrivare a Skyhold in tutto il mio decadente splendore!”
Fedra scoppiò a ridere e gli agitò davanti la bottiglia di vino mezza vuota.
“Accomodati, anche se penso basterà giusto a rinfrescarti la gola!”

E così, dopo aver finalmente sciolto quel nodo, il viaggio si concluse su note più allegre.
Raggiunsero Skyhold in un tramonto glorioso sulle cime che iniziavano a spogliarsi della neve e Fedra provò un tuffo al cuore. Cullen le era mancato molto più di quanto si fosse concessa di ammettere e Dorian dovette notare qualcosa sul suo viso.
“Dimmi un po', Inquisitore, il nostro comandante soddisfa le tue esigenze anche senza il lusso di un letto o devo spiegargli un paio di cose?”
“Cosa... smettila! Non farò questo discorso con te!”
“Potrei darli anche a te un paio di consigli, sai?”
“Piantala!”
E così, quando attraversarono il ponte levatoio, Fedra aveva il viso in fiamme e Dorian rideva di gusto.
La risata si spense quando si accorse di chi stava venendo loro incontro, tra i saluti entusiasti della sempre più popolosa fortezza.
Madre Giselle era ferma in mezzo al cortile principale con le mani giunte nelle maniche.
“Non vedevo proprio l'ora di farmi fare una lezione di catechismo da quella...”
“Dorian, ti prego, non avercela almeno con lei. Non troppo, almeno: non sapeva quanto ti stesse facendo male”.
Le labbra si torsero sotto i baffi e Dorian sbuffò. Sotto la facciata di stizza affettata Fedra riuscì a intuire la reale tensione, la sofferenza, ma la maschera resse.
“E va bene. Ma solo perché ti adoro”.
La sacerdotessa si fece avanti con la testa alta e guardò Dorian dritto negli occhi.
“Vi devo delle scuse, lord Pavus. Ho riflettuto molto durante la vostra assenza e sono giunta alla conclusione che avrei dovuto essere sincera con voi fin dall'inizio. Sono lieta che l'Araldo di Andraste abbia mostrato più buon senso di me”.
“Ah, be'. Meglio del previsto”. Dorian smontò di sella con uno svolazzo. “Questo vuol dire che non mi considerate più un pervertito con la passione per le terga dei candidi e innocenti giovani della Chiesa?”
Madre Giselle spalancò gli occhi e si erse in tutta la sua statura.
“Tenete a freno quella lingua malevola!”
“Se solo sapeste quello che può fare, questa lingua, non sareste così...”
“Dorian”, lo riprese a bassa voce Fedra consegnando le redini del cavallo a uno stalliere. Una parola in più e sarebbe scoppiata a ridere.
“Sì, ho capito. Tengo a freno la mia meravigliosa lingua malevola, d'accordo”, disse a malincuore. “Ora, se non avete niente in contrario, andrei a controllare come stanno i miei libri”.
Fedra e Madre Giselle rimasero a guardarlo allontanarsi e alla fine la sacerdotessa sospirò.
“Non credo mi piacerà mai”, disse stanca.
“Dovreste conoscerlo meglio, credo sia impossibile non innamorarsi almeno un po' di quel suo cervello”.
“A proposito di innamorarsi: dovreste andare a parlare con il comandante Cullen”. Strano come non ci fosse traccia di ironia benevola in quella frase. Fedra si tese.
“Cos'è successo?”
“Non lo so, ma sento che potrebbe avere bisogno di voi. L'ho visto molto nervoso in questi ultimi giorni”.
“Era comunque nei miei piani. Grazie per avermi avvisata, Madre Giselle”.
“Almeno voi due cercate di essere felici. Abbiamo bisogno di una luce come la vostra”. Le fece un piccolo inchino e si allontanò.
Fedra, corrucciata, salì a due a due gli scalini che portavano allo studio di Cullen. Come suo privilegio di leader dell'Inquisizione entrò senza bussare e causò un istante di caos tra i quattro soldati impegnati a spostare un letto.
“Più a destra, più... oh!”
I quattro mollarono l'ingombrante letto di legno scuro e scattarono sull'attenti. Fedra li tranquillizzò con un cenno della mano.
“Dov'è il comandante Cullen?”
Tre dei soldati abbassarono il capo e il quarto, una ragazza con le guance rosse, si fece avanti.
“Sta parlando con la Cercatrice Pentaghast, Araldo. Li trovate giù vicino alla forgia, credo”.
Un rapido saluto e Fedra, sempre più preoccupata, ridiscese le scale di corsa.
Fuori dalla porta della forgia si fermò e udì la voce di Cassandra, adirata.
“Hai chiesto la mia opinione e te l'ho data: non è cambiata negli ultimi quattro giorni!”
“Ma tu non puoi pensare che io...”
“Non osare dirmi cosa posso o non posso fare!”
Fedra spinse la porta e li vide fronteggiarsi di fronte a un camino acceso. Cassandra aveva i pugni piantati sui fianchi e il mento in fuori, determinata e inamovibile. Cullen, al contrario, doveva essere stato malato, perché Fedra non gli aveva mai visto quelle occhiaie nere e quelle palpebre rosse e gonfie. Era pallido e tremava.
“Pensa al bene dell'Inquisizione!”
“Lo sto facendo e tu sei la persona più adatta per... ah, ecco. Al momento giusto”, disse nel notare Fedra sulla soglia.
“Cosa sta succedendo?”
Cullen si voltò verso di lei e aprì la bocca per dire qualcosa, ma tutto ciò che riuscì a mormorare, voce spezzata e occhi che non riuscivano a sostenere i suoi, fu un “Perdonami” a stento udibile. Incassò la testa tra le spalle e marciò fuori, sfiorandola con un lembo del mantello.
Fedra allargò le braccia e gli gridò dietro.
“Ma cos'hai?” 
“Sta male”, rispose Cassandra dietro di lei.
“Cosa? Cosa gli è successo?” La preoccupazione diventò paura ma Cassandra scosse la testa e andò a sedersi su uno degli sgabelli sparsi sul pavimento coperto di polvere, indicandone un altro a Fedra.
“Lyrium. Sai che non lo sta più prendendo?”
“Sì. Me lo ha detto”.
Questo sembrò pizzicare una corda da qualche parte dentro Cassandra, perché socchiuse gli occhi e inclinò la testa.
“Allora è qualcosa più di un'infatuazione quella che ha per te. Sai anche che mi ha chiesto di fare da garante per il suo ruolo di comandante dell'esercito? Se avessi trovato il suo rendimento insufficiente avrei dovuto trovargli un sostituto”.
“Ma lui è un ottimo comandante, le truppe lo adorano e...”
“Lo so, e ho cercato di spiegarglielo quando è venuto a chiedermi di sospenderlo dall'incarico”.
“Cosa? E perché?”
Una secchiata d'acqua gelida, ecco cos'era stata. Fedra intravide un lampo di pensiero – l'Inquisizione senza Cullen – e fu uno scenario che non voleva neanche immaginare.
“Perché sta soffrendo molto. Cerca di non darlo a vedere ma l'astinenza da lyrium è incredibilmente dolorosa. In molti muoiono o impazziscono e lui... resiste da così tanto, Fedra. Devi perdonargli un attimo di debolezza”.
“E tu cosa gli hai detto?”
“Lo hai sentito, no? Che può infilarsi le sue dimissioni dove sa benissimo lui. Ma non mi ascolterà perché è più testardo di me. Vai a parlargli, Fedra: se c'è qualcuno che può farlo ragionare sei tu”.
Di colpo un'ombra nera passò sulla stella che aveva imparato ad associare a Cullen. Le sembrò di avere qualcosa di amaro in bocca e strinse forte i denti.
“Non ne sono così sicura. Non è venuto da me per parlarne”.
“Aveva paura di deluderti. Ne ha tanta, e quell'uomo di solito non ha paura di niente”. Si sporse in avanti e le strinse il pugno che non si era nemmeno accorta di aver chiuso. “Sei tornata al momento giusto e sono felice che tu sia qui. Cullen ha bisogno di te”.
Quando si alzò per assecondare quella ragionevole richiesta tutto ciò che di bello aveva provato nel tornare a Skyhold – la gioia per aver aiutato Dorian, l'attesa di riabbracciare Cullen – si trasformò in cenere.
Non si era fidato di lei.
Risalì quelle scale sotto un cielo quasi buio, a passi pesanti e faticosi e non certo per il viaggio. La porta ridipinta di fresco lì davanti a lei sembrava aliena, quasi minacciosa. Fedra vi appoggiò la mano e spinse.
Per fortuna aveva dei buoni riflessi. Scorse con una frazione primordiale della propria attenzione il movimento di Cullen e si abbassò. La scatola di legno si fracassò sopra alla sua testa e una pioggia di frammenti di vetro, schegge di legno e polvere brillante le cadde addosso.
“P-Per il Creatore! Scusami, Fedra, non sapevo che fossi lì! Non ti ho f-fatto male, vero?”
“No, non con quel lancio. Per fortuna non hai una così buona mira”. Si chiuse la porta alle spalle e si prese un attimo, le mani premute sul legno, per acquietare il cuore. 
“Cullen, perché non me ne hai parlato? Lo sai che sei hai bisogno di me...”
“Non preoccuparti, non c'è bisogno che tu... ah”. La frase si spense in un rantolo. Cullen si accasciò sul tavolo e Fedra, dimentica del rancore che aveva provato, gli corse incontro, sorreggendolo come meglio poteva. 
“Va così male?” gli chiese in un soffio. Cullen contrasse la mandibola e cercò di allontanarla con la mano, senza riuscire a guardarla.
“Non avevo intenzione di permettere a tutto questo di interferire e non... non volevo mi vedessi così”.
“Sono abbastanza forte per questo”.
No, non è vero, ogni sua ferita ti strazia dentro e ti fa sanguinare. Eppure devi esserci per lui, devi essere forte.
Con uno sforzo Cullen si rimise in piedi e si appoggiò al muro dietro alla scrivania. 

“Ho visto morire così tanti amici, ho sopportato che cercassero di spezzarmi la mente e il cuore con la tortura e ho continuato a voler servire. A Kirkwall mi sono fidato della mia comandante solo per vedere la sua paura dei maghi portarla alla pazzia e causare la morte di tanti innocenti. Ho visto il male alla radice della causa cui avevo scelto di votare la mia esistenza, i soprusi travestiti da obbedienza... e io ne sono stato parte. Capisci perché non volevo più niente a che fare con quella vita? ”
Si voltò a guardarla, gli occhi che ardevano di una lontana scintilla di follia disperata che Fedra non gli aveva mai visto. Fece un passo avanti e lasciò perdere ogni pensiero egoista che aveva avuto sul suo ritorno.
“Certo che lo capisco, io...”
Non dovresti!” Fu quasi un grido, una richiesta di aiuto. “Non dovresti fidarti di me, dovresti chiederti se sono adatto a questo ruolo!”
Ricominciò a marciare avanti e indietro per la stanza a passi frenetici, le mani tra i capelli.
“Pensavo che abbandonare il lyrium sarebbe servito, che avrei riguadagnato il controllo sulla mia vita, ma... è peggiorato. Gli incubi, le voci, io non... questi pensieri, Fedra, questi pensieri non mi lasciano!”
Era inceppata, incapace di trovare una singola parola per fermare quel torrente di sofferenza che aveva a stento intuito sotto la corazza da guerriero.
“Continuo a pensare a quante vite dipendono dal nostro successo, dalla mia abilità. Mi sono votato a questa causa e non posso accettare di dare meno all'Inquisizione di quanto ho... ho dato alla Chiesa. Dovrei ricominciare a prenderlo. Dovrei... dovrei...”
Le parole si trasformarono in un farneticare sconnesso e Fedra alla fine vide l'origine di quelle ferite sulle mani. Cullen lanciò un cupo ruggito e colpì la libreria con un pugno, e poi un altro e un altro ancora. Libri caddero dagli scaffali mentre il ritmo aumentava.
“Cullen... Cullen, basta. Basta!” Gli afferrò il braccio e il colpo la spostò. Tanta forza la stupì ma non la fece desistere: prese il viso di Cullen tra le mani e lo costrinse a guardarla, anche se i pugni rimanevano premuti contro la libreria.
“Guardami e ti prego, per una volta, solo per un secondo, smetti di essere il Templare o il comandante dell'Inquisizione. Sii solo te stesso – solo Cullen – e dimmi la verità: tu cosa vuoi?”
Un rapido battito di ciglia dorate e quella luce delirante si spense. Gli occhi di Cullen, per quanto sfiniti e arrossati, tornarono i suoi. Guardò Fedra a lungo e alla fine rilassò le braccia, lasciandole ricadere lungo i fianchi. Il viso si addolcì.
“Io?”
“Tu”. Fedra gli accarezzò il viso e lo costrinse a tenere lo sguardo fisso su di lei.
“Io non... non voglio ricominciare a prenderlo. Ma se questi ricordi continuassero a tormentarmi, se non fossi più in grado di sopportarli...”
“Lo sarai”.
Quelle due semplici parole rimasero a galleggiare tra di loro per un lungo istante. Alla fine Cullen sospirò e appoggiò la fronte a quella di Fedra chiudendo gli occhi.
“Sei così sicura...”
“Sì, perché ti conosco meglio di quanto ti conosca tu. No, aspetta”, lo prevenne, “non chi sei stato in passato ma chi sei ora. Ce la farai, e sai perché? Me lo hai detto tu tanto tempo fa quando ancora non osavo ammettere di provare qualcosa per te. Non sei solo. Non lo sei mai stato”.
Le palpebre arrossate fremettero. Cullen la prese tra le braccia e la strinse così forte da farle male, le mani che si aggrappavano alla sua schiena. Fedra sentì il sangue scaldarsi a quel contatto e lo ricambiò, le dita affondate nei riccioli biondi e i denti stretti.
“Perdonami se non ti ho parlato subito. Avevo paura d- di perderti”, ammise in un sussurro. Fedra gli fece sollevare la testa e lo baciò a fior di labbra. Cullen si sciolse subito a quel contatto e si rilassò, schiudendo la bocca e rispondendo con trasporto crescente al bacio.
“Non mi perderai”, disse Fedra senza scostarsi da lui, “ e io non perderò te. Ti starò vicino e uscirai da quest'incubo, te lo giuro”.
Gli occhi color ambra erano lucidi e così dolci che Fedra si sentì in colpa per il proprio meschino egoismo.
“Sei la mia forza”, le disse.
“E tu la mia. Per questo dobbiamo stare assieme”.
Le baciò un'ultima volta la fronte e si scostò, passandosi le mani sul viso congestionato.
“Starò meglio, te lo prometto. Però posso... posso chiederti un attimo per rimettermi in sesto? Sono un po' scosso...”
Fedra, anche se avrebbe preferito rimanere lì, si rese conto che non era il momento di fare i capricci. Annuì e andò alla porta.
“Mando qualcuno a pulire questo casino. Sul serio, Cullen, la prossima volta che vuoi lanciare oggetti non tirarli alla porta!”
Un mezzo sorriso gli increspò la cicatrice.
“Starò attento, te lo prometto”.
Fedra spinse la maniglia e prima di uscire sentì un sussurrò rauco provenire dalla sala.
Riconobbe un grazie e qualcos'altro di incomprensibile, ma non si voltò.
Sarebbero stati bene, alla fine.
C'era speranza in abbondanza anche per quello.
Quella sera Fedra scoprì che c'era un letto anche per lei, un catafalco scheggiato ma con un vero materasso in una stanza tutta sua. Dormì male, ormai poco abituata al silenzio e a essere sola, ma quando al mattino si svegliò con gli occhi gonfi e la testa pesante e scese verso la sala grande ricevette il regalo di un Cullen ancora pallido ma tornato alla consueta attività. Appoggiata allo stipite della porta rimase ad ammirarlo mentre sbraitava ordini a un drappello di giovani reclute entusiaste e le spediva di corsa verso il cortile. 
Sì, sarebbero stati bene.
Si stropicciò gli occhi cercando di riprendere il contatto con tutto quello che avevano da fare e Josephine la prevenne.
“Inquisitore! Inquisitore!” la chiamò con voce acuta, quasi frenetica. Fedra batté le palpebre e la vide sulla porta della sala di guerra. Saltellava sulla punta dei piedi e si teneva stretta al petto una lettera con un lungo sigillo dorato.
La raggiunse con un pensiero carico di desiderio alla colazione, ma lo sbadiglio che le stava spalancando la bocca si bloccò quando riconobbe la lettera.
Il sigillo imperiale.
All'improvviso del tutto sveglia alzò di scatto la testa verso Josephine.
“Come sarebbe a dire che siamo invitati al ballo dell'imperatrice?” chiese sconvolta.


Bentornati a tutti - a chi non è a Lucca, almeno, e chi invece si trova lì in questo momento ha tutta la mia invidia! T_T
Un po' di dolore per i due ragazzi immagine dell'Inquisizione - Dorian probabilmente si offrirebbe volontario, e Cullen... be', Leliana glielo dice proprio: "Hush and look pretty". Soprattutto Dorian mi ha straziata durante il gioco: non mi aspettavo qualcosa di così moderno e condivisibile in un gioco, non mi aspettavo di voler entrare nello schermo e prendere a pugni Pavus senior, né di provare un simile brutale istinto di protezione per un necromante. 
Eppure... eccomi qui. E Cullen non è da meno, visto che scoprirlo così vulnerabile (specialmente alla luce di Origins  e DA2: il suo percorso di redenzione è faticosissimo e molto bello, fa capire molto bene che non è il paladino senza macchia che potrebbe sembrare) è stato tristissimo e me lo ha fatto amare ancora di più.
Proprio per il nostro ex Templare di turno lascio un po' di colonna sonora, che non fa mai male: The lion of Ferelden
A settimana prossima - ad Halamshiral!

Val

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Capitolo 12
*** 12-Halamshiral, Imperatrici e i pantaloni di Cullen: tre cose che mi fanno sudare ma per ragioni molto diverse. ***


“Josie, calmati e parla più lentamente” le disse Cassandra. Era sudata e con la camicia incollata alla schiena, interrotta durante l'allenamento mattutino.
Josephine indicò la lettera che ora Cullen e Leliana stavano rileggendo per l'ennesima volta.
“L'Imperatrice ha avuto degli screzi con suo cugino, il duca Gaspard, e con l'ambasciatrice Briala; i negoziati di pace si terranno in occasione del ballo indetto dalla sorella del duca. Se c'è un luogo in cui un assassino può colpire quello è il Palazzo d'Inverno. E Gaspard ha invitato anche noi, forse sospetta qualcosa, forse è solo un gesto diplomatico, non lo so, ma è... è...”
Fedra si scostò i capelli dalla fronte e tese le mani verso di lei.
“Va bene. Josephine, respira e smettila di ronzare avanti e indietro. Mi sembra una buona notizia, no?”
Questo le fece sgranare gli occhi.
“Buona? Meglio che buona! Ottima! L'invito arriva dal duca in persona. Se ci invita ci stima, se ci stima potremmo affascinarlo, e se ci riusciamo – e se i negoziati vanno a buon fine - l'Impero potrebbe addirittura appoggiarci! Vi rendete conto di cosa potrebbe comportare il suo sostegno ufficiale?”
“Soldi. Tanti, tanti soldi”, rispose Cassandra. Srotolò le maniche della camicia e si fece porgere la lettera da Cullen.
“Tutti i nobili dell'impero saranno presenti, dal primo all'ultimo...”
“Oh, no. Significa che mi toccherà sorbirmi uno stuolo di Abernache”, sospirò Fedra, ma Josephine la ignorò.
“Se un assassino non può sperare in occasione migliore per colpire allora vuol dire che per noi è l'occasione ideale per fermarlo. È un agente di Corypheus, non dobbiamo dimenticarlo: parliamo di qualcosa di più importante che salvare un impero”.
“Ma ad Halamshiral ci sarà molto altro da tenere d'occhio”, intervenne Leliana assorta. Vederla così concentrata era quasi inquietante: pericolo all'orizzonte. “Se vogliamo garantirci il sostegno di Celene non possiamo fare affidamento solo sui riccioli di Cullen o sugli occhioni di Fedra, occorre qualcosa di più sottile ed efficace”.
“Inganno, tradimento e sotterfugio. Ho indovinato?” brontolò Fedra. Leliana le sorrise e fu una risposta sufficiente.
“Ovviamente l'Inquisitore non può andare da sola”, continuò imperterrita Josephine appuntando selvaggiamente sui suoi fogli. “Noi ci saremo – non me lo perderei per nulla al mondo – e ti consiglio di portare qualcun altro. Se i miei conti sono esatti...”
“Quando mai non lo sono”, commentò Cassandra. Cullen soffocò una risata nella pelliccia.
“... dicevo. Se i miei conti sono esatti ci sarà da agire su più fronti. Qualcuno dovrà mantenere la facciata e assicurarsi di parlare con le persone giuste, ma se ci sarà da sporcarsi le mani...”
“Josie, ho capito. Davvero, non preoccuparti così tanto! Abbiamo te, sei una garanzia di successo”, la tranquilizzò Fedra. “Chi mi consigli di portare?”
“Qualcuno di appariscente. Di pittoresco. I cortigiani adorano i fenomeni da baraccone”, disse Cassandra non senza una nota disgustata.
“E qualcuno che sappia ascoltare i sussurri giusti e interpretarli”, aggiunse Leliana. Si guardarono negli occhi e capirono all'istante.
L'ansia per quella missione tanto improvvisa si colorò di eccitazione mentre Fedra trovava i candidati perfetti.

Durante il viaggio per Halamshiral – l'antico luogo elfico dove sorgeva Palazzo d'Inverno – Fedra alternò attimi di puro panico al pensiero non tanto di sventare un attentato ma di dover mettere in pratica tutte le lezioni di buone maniere che tanto si era rifiutata di apprendere, e momenti di felicità così intensa da vergognarsene. Non aveva mai avuto la gioia di poter passare giorni interi con Cullen, anche se rimanere da soli era più difficile che a Skyhold.
Anche il semplice cavalcargli di fianco, con le mani che si sfioravano in maniera quasi casuale, le bastava. Quando lo scopriva a guardarla sognante, con quel sorriso dolce e inatteso sulle labbra, non riusciva a resistere e andava sempre a finire che lo raggiungeva per un bacio o una rapida carezza.
Cosa che il suo seguito non mancava di sottolineare.
“Dovreste davvero trovarvi una camera voi due. Rendete nervosi persino i cavalli!” sbottò Cassandra un mattino dopo averli visti scambiarsi un lungo bacio prima di ripartire. Era un sollievo non dover neanche provare a nascondersi, non sotto gli occhi di chi sapeva benissimo della loro relazione. Dorian era stato a dir poco entusiasta all'idea di partecipare alla spedizione, anche se Fedra era convinta c'entrasse solo in parte la prospettiva di lusso, sfarzo e vini pregiati. Cassandra aveva approvato la scelta, ritenendo il mago abbastanza sgargiante e fascinoso da non passare inosservato; era stata meno convinta quando Fedra aveva insistito per il Toro di Ferro.
“Lui? Ma è... grosso. E ha le corna!”
“Ed è un Ben-Hassrath”, era intervenuta Leliana. Questo aveva concluso la discussione: con due spie di quella portata Fedra si sentiva sicura di poter rivoltare il Palazzo d'Inverno come un calzino.
Il viaggio fino ad Halamshiral trascorse privo di pericoli, al punto che Fedra rischiò di dimenticarsi quanto fosse delicato il compito a cui erano chiamati.
Il Palazzo d'Inverno li accolse in un tripudio di guglie dorate e marmi candidi, dita scintillanti tese sotto il cielo del pomeriggio.
“Un posticino sobrio”, disse il Toro sistemandosi la benda sull'occhio. “Di sicuro le stanze per gli ospiti non mancheranno”.
“Oh. Peccato”, bofonchiò Dorian. A quest'appunto il colossale mercenario rispose con un'alzata di sopracciglia e un'occhiata così intenta che Fedra si sentì indirettamente in imbarazzo. Cullen tossì nel pugno e smontò da cavallo.
“Abbiamo qualche ora per prepararci e magari potremmo...”
“No! Non abbiamo tempo per niente che non sia prepararci!” aveva esclamato Josephine. Era scesa di sella così in fretta da impigliarsi nella staffa e rischiare di cadere, sorretta da uno scatto di riflessi di Cassandra. “G-Grazie. Ora andrò a parlare con il ciambellano e poi andremo immediatamente ai nostri alloggi, dobbiamo splendere e non accetterò di vedere neanche un capello fuori posto!”
Fedra si portò automaticamente la mano alle ciocche lisce che sfuggivano dalla treccia. I membri del gruppo dotati di capelli erano in perfetto ordine anche dopo giorni a cavallo e lei iniziava già a sentirsi a disagio.
Le stanze che erano state loro assegnate erano così sfarzose da farle temere per ciò che li avrebbe attesi nel Palazzo vero e proprio. Fedra approfittò di un attimo in cui uno stuolo di servitori elfici, supervisionati da molto vicino da Leliana e Josephine, si diede da fare a sistemare i loro bagagli per dare una prima occhiata in giro. Sui pavimenti di marmo lucido i tacchi degli stivali scivolavano – brutto segno, se ne sarebbe dovuta ricordare nella malaugurata ipotesi di uno scontro – e dal soffitto affrescato pendevano lampadari grondanti gocce di cristallo. Persino l'armadio, un mostro di legno scuro e intarsi dorati, era sovradimensionato, vuoto e così grande da ospitare tranquillamente un tavolo e sei sedie.
Un sussurro divertito alle sue spalle la fece trasalire.
“Stai pensando quello che sto pensando io?” Cullen le si avvicinò con una luce maliziosa negli occhi.
“No”, ammise Fedra, anche se l'idea di saltargli in braccio non era così lontana dal prendere vita.
“Vieni”, le prese la mano e avanzò verso l'armadio. Ci entrò. Letteralmente.
E allora Fedra iniziò a capire, con una vampata di eccitazione così intensa da farla balbettare.
“N-Non puoi avere in mente proprio questo”, disse soffocando una risata, ma Cullen non l'ascoltò. Chiuse le porte e si trovarono da soli, al buio, e la bocca morbida, appena ispida di barba, si chiuse sulla sua. Fedra si abbandonò contro il suo corpo e si lasciò spingere indietro contro la parete di legno, le mani che afferravano la camicia di Cullen e la strattonavano fuori dai calzoni.
Rimpianse il buio ma si godette la sensazione della pelle morbida sotto le dita, un accenno di peluria sul petto e i muscoli che si contraevano contro di lei. La stretta di Cullen scivolò dalla sua schiena sempre più in basso, le labbra che lasciavano le sue e si chiudevano sulla sua gola e...
Luce. Improvvisa e accecante.
“Cosa avevo detto? Dobbiamo prepararci! Fuori di lì, voi due!” berciò Josephine tenendo le ante spalancate con le braccia.
Fedra e Cullen non fecero neanche un tentativo per far sembrare che le cose stessero in maniera un po' diversa – anche perché c'era poco da interpretare. Aveva le mani di Cullen sul culo e gli stava sfilando la camicia, quindi ormai il danno era fatto.
“Ho detto fuori di lì!” Josephine pestò il piede e tese l'indice verso la sala. Arruffati e con le guance rosse emersero dall'armadio, per fortuna risparmiandosi la presenza di altre persone, e la seguirono a testa bassa. Il costante mormorio in antivano doveva contenere non pochi insulti, ma discutere era inutile. Cullen le prese la mano mordendosi il labbro contro una risata.
Trovarono il resto del gruppo schierato tra i bagagli; nessuno provò a nascondere le espressioni divertite, a parte Cassandra che alzò gli occhi al soffitto decorato e mugugnò il proprio disappunto.
“Due adolescenti in fregola. E abbiamo il mondo da salvare”.
Cullen si sfregò la nuca e si mise in fila. Josephine si mise a marciare davanti a loro con un piglio militare del tutto inaspettato.
“Allora! Non siamo a un concilio di guerra né a una cena in famiglia...”
“Per fortuna”, borbottò Dorian. Gli occhi di Josie lo zittirono – cosa che aveva dell'incredibile.
“Siamo al cospetto dell'Imperatrice Celene e di tutti i nobili dell'Impero stesso, quindi mi aspetto una condotta impeccabile da parte volta. Qualsiasi cosa diciate o facciate verrà esaminata e giudicata, andrà a influire sull'opinione della corte. Opinione che segnerà l'esito del gioco che stiamo andando ad affrontare”.
“Gioco?” chiese Fedra, anche se iniziava già a tornarle alla memoria una noiosa lezione di oltre dieci anni prima. Il gioco della politica, qualcosa da cui si era sempre tenuta attentamente alla larga.
“Proprio così. Camminiamo sulle uova. Uova di cristallo e diamanti, ma altrettanto fragili. Non dobbiamo mai rivelare le nostre carte: per quel che riguarda chiunque siamo qui per far bella figura con Celene, e tanto basta”.
Si voltò e indicò con un gesto della mano la fila ordinata di abiti piegati alle sue spalle.
“Divise. Niente di troppo elaborato ma abbastanza riconoscibile, sufficiente a farci ricordare. Al ballo sarà una giostra di abiti sgargianti, maschere e pizzi, per spiccare ci sarà d'aiuto la sobrietà”.
Dorian mise un po' il broncio. Josephine batté le mani e li rimise tutti sull'attenti.
“Vestitevi e fatevi più belli che potete. Non avremo difficoltà a farci notare”, aggiunse al sorriso del Toro.
Fedra fu la prima a riemergere, avvolta in una giacca scarlatta dai dettagli dorati e con lucidi stivali alti oltre il ginocchio. Si rimirò in uno dei molti specchi della stanza e decise che non andava poi così male. Il Toro la raggiunse poco dopo, sistemandosi la fusciacca in vita e sfoggiando una lucida benda nera sull'occhio, più elegante della solita.
“Accidenti. Non stai per niente male!” si lasciò sfuggire. Grosso era grosso, le corna erano sempre qualcosa di sconvolgente, ma senza le solite braghe a righe colorate e gli stivali con la punta all'insù aveva tutt'altro aspetto. Schiena dritta, portamento inaspettatamente severo, era di certo uno spettacolo interessante. Il Toro sembrò accorgersi della considerazione e si piegò in un inchino carico di fascino.
“L'Inquisitore è troppo gentile. Non sono abituato a fare il damerino ma come Ben-Hassrath sono preparato a ogni evenienza”, e ammiccò da sotto la benda.
Uscirono uno dopo l'altro, Cassandra del tutto a suo agio e Leliana diversa dal solito senza il suo cappuccio viola in testa. Il corto caschetto rosso la faceva sembrare più giovane e meno minacciosa senza le ombre che le avvolgevano il viso. Dorian, come sempre impeccabile, si sistemò le maniche sui polsi e si arricciò una ciocca già in perfetto ordine sulla tempia.
Se lo mangeranno con gli occhi, pensò Fedra ammirandolo con tanto d'occhi. Se c'era qualcuno che si sarebbe goduto le attenzioni della corte era proprio Dorian, e il pensiero della sua figura affascinante che si crogiolava tra gli sguardi adoranti dei nobili era fin troppo divertente.
E poi Cullen sbucò in fondo alla sala, e la voglia di ridere le passò del tutto, sostituita da un desiderio di tutt'altra natura.
Erano tutti eleganti, ma nella divisa del comandante c'era qualcosa di diverso. La giacca sembrava essergli stata cucita addosso e i calzoni scuri erano tanto attillati che Fedra poteva vedere i muscoli contrarsi sotto alla stoffa. Sembrava glieli avessero dipinti addosso.
“Tanto valeva mandarlo nudo”. Il sussurro ammirato di Dorian riecheggiò il suo pensiero. Cullen, a disagio, si strattonò la cintura e piegò le ginocchia con una smorfia. Josephine li raggiunse in quel momento e li guardò soddisfatta.
“Josie, temo ci sia qualcosa che non va con... con la mia divisa. È decisamente troppo aderente!”
“Non diciamo sciocchezze, va benissimo così”, tagliò corto.
“Ma i pantaloni sono...”
Stretti. Troppo. Fedra non riusciva a distogliere lo sguardo. Si infilò un dito nel colletto e lo scostò per respirare meglio.
“Sono precisamente della tua misura, Cullen, non discutere. Ora, se...”
“Ma i loro non sono così stretti!” insisté indicando Dorian e il Toro. Quest'ultimo sollevò un sopracciglio. “Ho bisogno di spazio, comandante. Ma non crucciarti troppo, avrai gli occhi di tutto l'impero attaccati al culo”.
Non fu d'aiuto. Cullen diventò rosso e strinse le labbra, mentre Josephine li guardò tutti con severità.
“Mi sono assicurata di riscuotere un favore da qualche amico, ho fatto introdurre le vostre armi a palazzo nel caso ce ne fosse bisogno, cosa che spero non accadrà”.
Li passò in rassegna uno per uno, sistemando una corta ciocca sulla fronte di Cassandra, che non gradì, e spazzolando la casacca di Dorian, che gradì ancor meno.
Una campana argentina suonò poco distante e Josephine trasalì.
“Dobbiamo andare! Fedra, il granduca Gaspard ha chiesto di te, tieniti pronta a conquistarlo con la tua classe e... e, ti prego, fai del tuo meglio. Siamo tutti nelle tue mani – l'Impero e il mondo lo sono”, la implorò.
“Tranquilla, non ero agitata comunque, nessuna pressione”. Fedra si asciugò le mani sudate sulle falde della giacca e guardò il proprio piccolo, sgargiante esercito.
Questa volta non ho proprio idea di cosa fare. Se entro l'alba non avrò causato un incidente diplomatico mi riterrò già soddisfatta.
Fedra non capì come accadde ma all'improvviso, nel breve tragitto fino ai giardini imperiali, si trovò con Josephine, separata dal resto del seguito. Due file di soldati le affiancarono e non fu abbastanza rapida da continuare a sorridere.

“Sono la nostra scorta”, disse Josephine senza mutare espressione. “Rilassati”. 
Fedra si guardò intorno e tese il collo, cosa che le rimediò una discreta gomitata nel fianco.
“E smettila di allungare il collo come un'oca”. 
Cosa poteva fare? Stese le labbra in un'approssimazione di sorriso e pregò che la tensione che le vibrava nel cuore non fosse troppo evidente mentre marciavano tra i soldati in livrea imperiale – corazze lucidate a specchio e pennacchi azzurri – fino a un cancello che sembrava un merletto in ferro battuto. I due battenti si aprirono e alzando la testa Fedra vide da vicino il Palazzo d'Inverno.
“Wow”, si lasciò sfuggire dalle labbra. Subito capì che Josephine non avrebbe approvato quell'atteggiamento da contadina al ballo e raddrizzò le spalle. Era comunque impossibile non rimanere impressionati dalla mole sconfinata del palazzo, dalle pareti azzurro cielo bordate d'oro su un'infinità di sottili colonne a tortiglione. Vetrate variopinte ammiccavano nel crepuscolo e riflettevano l'arcobaleno di colori e gemme degli ospiti che si aggiravano in attesa eccitata nel giardino. L'odore dei fiori era schiacciato da quello delle nuvole di profumi assortiti e Fedra non riuscì a nascondere una smorfia.
Come al Conclave.
L'eco di ricordi mutilati le riverberò nella testa e tinse di rosso sangue lo spettacolo di maschere e sfarzo che si stendeva davanti a lei. All'improvviso non era più circondata da siepi fiorite e giochi d'acqua ma da una distesa di teste assiepate nel Tempio delle Sacre Ceneri; sentiva di nuovo il frusciare della gonna che non indossava più indossato e respirava l'aria viziata del Conclave, non l'aria profumata di Halamshiral.

Troppo reale. Si trovò a respirare a stento e a desiderare solo di fuggire da lì, di nascondersi tra le mura tozze e sicure di Skyhold. Aria gelida di montagna e cielo sgombro, visi aperti, nessuna maschera. Nessuna minaccia.
Poi la mano di Josephine le sfiorò il gomito e la visione si frantumò. La stava guardando con un'espressione preoccupata negli occhi che stonava con il sorriso imperterrito.
“Stai bene?”
“Credo di sì”, sussurrò Fedra raddrizzando la schiena.
“Sei pallida, cosa che qui potrebbero apprezzare perché fa molto nobile d'altri tempi. Cerca di non vomitare addosso a nessuno, però, specialmente non a chi ci sta venendo incontro”.
Fedra emerse dall'angoscia e fissò l'uomo che si stava avvicinando. Poco più alto di lei, una maschera a coprirgli il viso e un tripudio di broccato e spallacci decorativi d'argento sopra a un collo di volpe.
“Incontrarvi è un piacere troppo a lungo rimandato, Inquisitore Trevelyan”. L'uomo chinò appena il capo rivelando corti capelli brizzolati e si rialzò con una scintilla negli occhi in ombra. Non aveva niente della vuota formalità di Abernache: chiunque fosse era potente e consapevole di avere una posizione di vantaggio. 
Non ci fu bisogno di presentazioni. Fedra si portò il pugno al petto e si inchinò in modo molto formale, strappando un sorriso soddisfatto a Josephine, in ombra dietro di lei.
“Il piacere è mio, granduca Gaspard. Non ho parole per esprimere la gratitudine per il vostro invito: voi onorate l'Inquisizione”.
Da dove le usciva quella faccia da schiaffi? All'improvviso fu come se la scatola in cui aveva distrattamente archiviato anni di lezioni si fosse scoperchiata. Non sapeva se sentirsi orgogliosa o spaventata dalla propria performance.
Gaspard sorrise, labbra sottili su denti bianchi e affilati in un mento ispido di barba.
“La voce delle vostre gesta riecheggia per tutto l'Impero”. Si avvicinò e le si sporse verso l'orecchio. “Immaginate cosa potreste ottenere con l'appoggio del legittimo imperatore di Orlais”.
Fedra sentì una scossa lungo la schiena. Così sfacciato? Con la coda dell'occhio vide Josephine allontanarsi: ora era sola sul serio.
Si tenne stretto il delicato sorriso che era riuscita a incollarsi in faccia e inclinò il capo.
“Immagino stiate parlando di voi”.
Gaspard rise senza un suono e le porse il braccio.
“Non sono un uomo che dimentichi gli amici, Inquisitore: voi aiutate me, io aiuto voi. E per cominciare cosa ne direste di dare scandalo accompagnando al ballo l'odiato usurpatore?”
E il possibile mandante dell'assassino di Celene? Improbabile, non con tanta sfacciataggine.
Eppure per qualche motivo le venne in mente il Toro di Ferro: una spia dall'aspetto tutt'altro che anonimo. Nascondere i segreti in piena luce sembrava andare di moda.

Allargando il sorriso Fedra accettò l'invito e gli prese il braccio.
“Diamo scandalo allora. Non si può dire che non ci sia abituata”.
Il granduca rise più apertamente e si incamminò.
“Siete deliziosa, Inquisitore. Non mi avevano parlato della vostra verve, sapete?”
Passarono a passi lenti e deliberati attraverso un viale lastricato che conduceva, tra due lunghe aiuole traboccanti fiori, al portone del palazzo. Gaspard aveva ragione: gli occhi di tutti erano su di loro.
Compresi, si accorse con un misto di sollievo e desiderio, quelli di Cullen. Ad alcuni metri di distanza, accompagnato da Cassandra, la seguì con uno sguardo di feroce protezione.
E forse con un filo di gelosia.
Fedra gli strizzò impercettibilmente l'occhio senza cambiare espressione e Cullen rispose con un sorriso e un cenno del capo. Si sentiva rassicurata a saperlo lì vicino; il Toro di Ferro era già circondato da un drappello di dame e gentiluomini rapiti dalla sua figura e Fedra si congratulò con se stessa per la buona idea di esserselo portato dietro.
“Posso osare, Inquisitore?”
“Cosa, vostra grazia?”
“Definirvi amica. Mi farebbe enormemente piacere”.
No, non puoi permettertelo, perché i miei amici si meritano che io muoia per loro mentre tu sei solo un viscido sciacallo. Però sei fortunato che questa sera sia costretta a mordermi la lingua.
“Così mi confondete, granduca, ma ne sarei onorata”.

“Quindi, poiché siamo tra amici, posso chiedervi un piccolo aiuto”. Abbassò la voce, più roca e forse più sincera. “C'è un'elfa – l'ambasciatrice Briala, ne avrete sentito parlare – che temo potrebbe voler mandare a monte i negoziati di pace con mia cugina Celene. La mia gente ha avuto notizie di alcuni atti di sabotaggio ai danni di fortificazioni di un certo rilievo a opera di un gruppo di elfi che parrebbe riferire a Briala stessa. Se poteste sfruttare quei vostri meravigliosi occhi blu per cogliere qualche dettaglio a riguardo...”
“Ho anche altri sensi che non esiterò a mettere al servizio di questa splendida serata”. Si morse la lingua per quello che nella sua testa era uno scivolone ma che causò un lieve fremito delle labbra di Gaspard.
“Siete più interessante di quanto potessi sperare, Inquisitore. Briala era al servizio di mia cugina Celene prima che questa la facesse scacciare con un pretesto per coprire un errore politico. Ha tutte le ragioni per attentare alla vita dell'Imperatrice. Non intendo reclamare un trono grondante il sangue della mia stessa famiglia”.
Fedra fu grata di avere un istante per recuperare il tono fermo.
“Siamo qui per evitarlo, granduca. Avete la mia parola”.
Erano arrivati alle porte d'accesso, sotto gli occhi impassibili delle guardie imperiali che si fecero da parte senza un battito di ciglia all'approssimarsi di Gaspard.
La folla si strinse attorno a loro mentre superavano le porte e si affacciavano al Palazzo d'Inverno e Fedra fu grata della pioggia di saluti e riverenze che le permisero di nascondere la pura, infantile ammirazione per lo splendore che li circondava. Sembrava di camminare in un mondo d'oro e ghiaccio. 
I suoi passi non facevano rumore sui soffici tappeti che coprivano i pavimenti; servitori elfici si aggiravano in ogni angolo, occhi bassi e visi impassibili. Si chiese quanto fosse pericolosa la pista di Briala. 
In mezzo al mare di maschere, fascino e pericolo Fedra scorse Leliana appoggiata a una colonna, le mani intrecciate davanti a sé e un sorriso gentile sul viso pallido. Cullen era poco distante ed era impossibile non notare il Toro, con un nobile tutto vestito di azzurro e argento attaccato a un braccio e una dama bionda dall'altro lato. Dorian le fece l'occhiolino e vuotò il bicchiere di vino rosso che reggeva tra le dita.
Un altro portone, altre guardie. Gaspard fece un cenno con la mano e queste si fecero da parte lasciando loro accesso al salone da ballo.
Se Fedra si era stupita del lusso qui lasciò perdere direttamente ogni considerazione e si godette l'ampio spazio colonnato che sembrava brillare interamente d'oro. Non c'era il brusio eccitato che li aveva accolti nel vestibolo ma una musica leggera a coprire il silenzio, rotto solo dalla voce stentorea di un banditore che annunciava la trafila di nobili e personalità di spicco giunte a rendere omaggio all'Imperatrice.
“Siete pronta, mia cara?” le sussurro Gaspard. 
La risposta, come sempre in quegli ultimi mesi, sarebbe stata un secco no, ma Fedra chinò con gentilezza il capo e si lasciò condurre avanti.
Gli occhi di tutta Orlais erano su di lei, su quell'improbabile, sgraziata nobile di nascita, con i capelli sgargianti e le orecchie a sventola, che ora marciava a testa alta al braccio di un presunto usurpatore con l'unico desiderio di scambiare i fasti di Halamshiral con la ruvida sicurezza di Skyhold.
La voce del banditore si levò sopra alla musica e annunciò la sfilza di titoli di Gaspard e, Fedra avrebbe voluto seppellirsi, anche i suoi. Poi proseguì, con sua grande sorpresa, con tutti i membri del seguito, dall'infinita sequela di nomi di Cassandra – tra cui un incongruo Allegra – al Toro di Ferro, che richiamò più di un'occhiata stupita. Dorian, per quel che era riuscita a vedere quando gli era passata di fianco, era del tutto a proprio agio, quasi quanto Josephine.
Ma più si avvicinavano alla balaustra dall'altro lato della sala meno Fedra prestava attenzione a nomi e titoli. Tutto ciò che riusciva ad attirarla erano le due figure oltre la ringhiera dorata lassù.
Gaspard, un pugno dietro alla schiena e la testa ben dritta, la condusse su per alcuni scalini e fino ai piedi dell'Imperatrice Celene in persona, una snella donna bionda e pallida per quel che poteva scorgere oltre la maschera argentata, avvolta in un tripudio di seta blu. Alle sue spalle una seconda sagoma emerse dalla penombra, un'altra donna con lo stesso mento di Gaspard e un sorriso sulle labbra truccate.
“Cugina”, si inchinò Gaspard. “Mia adorata sorella”, aggiunse rivolto alla seconda figura. Fedra registrò l'informazione e rimase sull'attenti con quel sorriso che ormai stava diventando ebete in viso.
“Granduca, come sempre siamo onorate quando la vostra presenza dona lustro alle nostre serate”, disse Celene con un forte accento orlesiano e una cortesia affettata. Gaspard sogghignò.
“Non farmi perdere tempo con i convenevoli, Celene. Abbiamo degli affari da concludere”, disse secco. Fedra avrebbe voluto guardarlo con tanto d'occhi – era pazzo? – ma evidentemente il gioco funzionava così. Celene non si scompose e inclinò il capo.
“Discuteremo della questione quando avremo finito di salutare gli altri nostri ospiti”, un appunto cui Gaspard rispose con un inchino tutto svolazzi prima di allontanarsi. L'Imperatrice si concentrò su Fedra, di colpo sola sotto gli occhi di tutti.
Una parte di lei non riusciva a trattenere il pensiero di quanto sarebbero stati orgogliosi, e forse persino invidiosi, i suoi genitori di vederla lì. Tutto il resto, ed era la maggior parte del suo essere, voleva solo scappare urlando.
“Madame Inquisitore, benvenuta al Palazzo d'Inverno. Permetteteci di presentarvi nostra cugina Florianne, granduchessa di Lydes, senza cui quest'incontro non sarebbe stato possibile”.
La sorella di Gaspard si fece avanti e guardò Fedra con un sorriso sottile, obliquo, molto diverso da quelli di formale cortesia che le erano stati rivolti fino a quel momento.
“Quale inatteso piacere. Non mi aspettavo che l'Inquisizione avrebbe partecipato alla nostra piccola soirée”. 
“È normale, nessuno si aspetta mai l'Inquisizione”, si lasciò sfuggire Fedra. Alle sue spalle Josephine trattenne il fiato e Cullen iniziò a tossire, mascherando malamente un accesso di risa.
Florianne non sembrò divertita ma mise insieme una riverenza abbastanza credibile e fece un passo indietro, cedendo di nuovo il palco all'Imperatrice. Fedra si segnò mentalmente di dar retta alla subitanea diffidenza verso la granduchessa.
“Il vostro arrivo a corte è gradita quanto una brezza fresca in una sera d'estate”.
Fedra si ricordò di avere delle gambe e le piegò in quella che pregò fosse una riverenza accettabile. Non sarebbe mai riuscita a farla sembrare un passo di danza come faceva Evelyn, ma nessuno lanciò esclamazioni inorridite quindi forse se la cavò a sufficienza.
“Lo splendore di Halamshiral è al di là della mia capacità di descriverlo, maestà”.
“Ci auguriamo che avrete modo di godere appieno della sua bellezza. Vi preghiamo di trovare piacere nelle danze, Inquisitore”, e le fece un cenno distratto con la mano.
Mi ha congedata? Non mi ha congedata? Aiuto. Cosa faccio?
Nel dubbio si inchinò di nuovo. Il suono di passi che si allontanavano dietro di lei le rivelò che sì, era stata congedata. Ruotò sui tacchi e seguì il resto del gruppo fuori dal salone da ballo.

Pur con tutta l'ansia da prestazione, la tensione e l'imbarazzo di sentirsi osservata da centinaia di persone Fedra non poté fare a meno di notare che i pantaloni di Cullen erano davvero stretti.
Durante il breve tragitto fu più facile concentrarsi su quel non trascurabile capolavoro dell'anatomia che badare agli sguardi dei nobili, e quasi senza accorgersene si trovò fuori dalla ressa, di nuovo nel vestibolo.
La voce di Leliana, sommessa al suo orecchio, la distrasse dallo spettacolo.
“Fedra, dobbiamo parlare”.
Le fece un cenno col capo e la chiamò in disparte, su un divanetto stranamente privo di coppie già intente ad amoreggiare.
Fedra, richiamata all'ordine, annuì e la seguì.





Eccoci di nuovo qui - e qui per l'esattezza è uno dei luoghi più pericolosi e per me affascinanti dell'intero Inquisition. Ho amato alla follia l'intera quest, che pure mi ha fatto sputar sangue per riuscire a fare tutto... e al terzo playthrough ancora non ci sono riuscita, dannate monetine!
Una piccola introduzione al grosso dell'azione che arriverà con il prossimo capitolo: proprio come nel gioco scriverlo è stato molto complicato e altrettanto soddisfacente.

Buona lettura a voi!

 

Val

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Capitolo 13
*** 13 - Odio la politica. Odio l'Orlais. Odio un po' tutti e mi hanno pure rovinato i festeggiamenti di fine serata. ***


“Cosa vedi, Fedra?”
Il profilo di Leliana era impassibile contro il caleidoscopio di colori che la circondava. Fedra alzò le spalle e giocherellò con le frange della fusciacca.
“Troppa gente, troppe maschere e pericoli dappertutto. Può andare come risposta?”
Leliana sorrise e si scostò un ciuffo dalla fronte.
“Un buon inizio. Te la sei cavata meglio di quanto sperassi con la corte; puoi ignorarlo quanto vuoi, ma il sangue che ti scorre in corpo è nobile e si vede”.
“Molto gentile da parte tua, ma sospetto tu non mi abbia chiamata in disparte per farmi i complimenti…”
“E perché no? Anche questo genere di cose fa parte del grande gioco della politica, non dimenticarlo”. Accavallò le gambe e salutò con un cenno una dama di passaggio. “Hai scoperto qualcosa di utile? Ti ho vista parlare con Gaspard”.
Un cameriere elfo passò e porse a entrambe un vassoio, da cui Fedra prese con gratitudine un bicchiere di vino.
“Grazie”, disse piano. Bevve e fece per rispondere a Leliana, ma questa la fermò con un breve cenno del capo.
“Aspetta”.
Lo fece, perplessa e con la bocca invasa dal sapore troppo dolce del vino. Quando l’elfo si fu allontanato Leliana le fece cenno di continuare.
“Il granduca è un potenziale candidato ad assassino o mandante, mi sembra chiaro, ma a sua volta nutre dei sospetti su un’elfa, l’ambasciatrice Briala. Pare che alcuni elfi di sua conoscenza abbiano tentato di sabotare delle fortificazioni orlesiane e… scusa, Leliana, ma non sono brava a questo gioco, ti riporto solo quello che ho sentito”.
Leliana le prese le mano e scosse la testa.
“Va bene così, siamo qui per aiutarti. Ho già dato istruzioni a tutti gli altri affinché tengano occhi e orecchie ben aperte, non ti preoccupare. Fai solo attenzione a una persona, Fedra”.
Le si avvicinò e si sporse per sussurrarle all’orecchio. “L’Imperatrice ha una maga di corte, qualcuno che ho avuto modo di conoscere tempo fa. È ambiziosa e spietata, difficile capire da che parte stia… non fidarti di lei”.
“Qui dentro mi fido in totale di sei persone, non c’è pericolo”.
Leliana le strinse l’avambraccio e annuì, seria.
“Meglio così. Cerca qualsiasi sussurro o traccia del coinvolgimento di Gaspard e Briala nel complotto, e speriamo che siano davvero loro i due unici sospettati”.
Senza aggiungere altro si alzò e se ne andò.
La fai facile, io non sono una spia!
Le prime due ore del ricevimento, comunque, trascorsero pigre e senza avvenimenti degni di nota. In ogni alcova c’era qualcuno che ridacchiava, beveva o infilava mani dove non avrebbe dovuto, e Fedra si trovò travolta da un vortice di chiacchiere che le davano il mal di testa.
Tutti sembravano volerle offrire da bere e presentarle qualcun altro e presto Fedra si trovò a versare vino nei vasi di fiori per evitare di crollare ubriaca sul pavimento e a fingere impellenti bisogni fisiologici per sfuggire alle grinfie di questo o quel notabile orlesiano.
Fu in uno di quei momenti di fuga, nascosta dietro alla statua dorata e tozza di un leone, che iniziò a sentirsi utile. Si stava slacciando il colletto della giacca per prendere aria, ma di nascosto onde evitare occhiatacce da parte di una onnipresente Josephine, quando due figure snelle si fermarono nei paraggi.
“… avvertire Briala. Qualcosa non va nell’ala dei servitori”.
“Non poteva essere sangue, non voglio neanche pensare che lo fosse”.
“Eppure…”
Il sussurro si spense all’improvviso e i due servitori, richiamati da uno degli ospiti, si allontanarono come se niente fosse. Fedra rimase lì, paralizzata, con le dita strette sugli alamari dorati.
Sangue. Non era mai un buon segno quando c’era del sangue in giro.
Doveva parlarne con Leliana, ma prima aveva davvero bisogno di respirare, soprattutto ora che il cuore le aveva accelerato per l’improvvisa scossa di adrenalina. Sgusciò fuori da dietro la statua e puntò dritta verso le enormi finestre spalancate su uno degli innumerevoli giardini, circondato da graticci argentati su cui correvano fiori rampicanti.
Il ballo non era ancora nel vivo ma gli invitati si stavano già divertendo parecchio, a gradi diversi di ubriachezza e di lascivia. E tra questi invitati Dorian era del tutto a proprio agio, si disse nel vederlo in mezzo al giardino, circondato da un pubblico che pendeva dalle sue labbra.
Ovviamente nel Tevinter abbiamo libri di questo tipo, ma non sono certo alla portata di tutti. Specialmente dei più puri di cuore!”, e tutti risero. Quando alzò la testa e incrociò lo sguardo di Fedra gli occhi grigi ebbero un guizzo. “Perdonatemi, miei cari amici, ma il dovere mi chiama. Sono pur sempre nel seguito dell’Inquisitore e devo concederle di rimproverarmi per la mia condotta dissoluta”. Prese la mano di una dama e la baciò, lasciando i propri ammiratori rapiti un po’ delusi quando si allontanò.
“Inquisitore! Avete la mia attenzione incondizionata!” disse nel prendere Fedra sotto braccio. Aveva un profumo intenso di fiori e di alcol, ma gli occhi erano vigili. Non appena si furono allontanati dalla ressa, però, qualcosa cambiò. La sua mano scivolò in quella di Fedra e lei percepì una piccola forma spigolosa contro il palmo. “Fedra, ho qualcosa di interessante”. Con noncuranza la guidò fin dietro a un cespuglio.
Fedra aprì il pugno, certa che Dorian stesse facendo la guardia, e si trovò in mano un cilindretto di metallo dalla cui estremità sbucava un messaggio arrotolato.
“L’ho recuperato da uno dei servitori, non penso si sia accorto della mia mano nella sua tasca, visto che le mani da tutte le altre parti dovevano intressargli molto di più…”
“Dorian, cosa gli hai fatto?”
“Posso giurarti che non ho costretto nessuno a fare niente! Per chi mi hai preso?” Sembrava genuinamente offeso all’idea e Fedra gli credette, pur senza risparmiargli un’occhiataccia.
“Tieni le mani fuori dai pantaloni della servitù, anche se ti si lanciano addosso. Ti sei dato da fare, eh?”
“Che ci vuoi fare, sono irresistibile…”
Il messaggio era scritto in una calligrafia sottile e spigolosa. Un elenco di nomi e orari – qualcuno stava monitorando gli accessi all’area della servitù – e un messaggio. 
Briala, abbiamo bisogno di aiuto. Qualcosa sta andando storto.
Questo la fece ragionare su ciò che aveva origliato dagli elfi. Fedra appallottolò il messaggio e se lo cacciò in tasca, in profondità.

“Gaspard potrebbe non avere tutti i torti a sospettare di Briala, ma a quanto pare nemmeno lei è a conoscenza di tutti i dettagli… grazie, Dorian, sei stato eccezionale”.
“Dimmi qualcosa che non so, mia cara!”
Fedra fece per rispondergli a tono ma lo sguardo colse un movimento sulla balconata che circondava il giardino, tre metri sopra di loro. Una sagoma incappucciata che usciva da una porta laterale e la lasciava socchiusa.
L’istinto di Fedra le tirò una gomitata.
“Dorian, pensi di poter distrarre i tuoi amici per qualche minuto?”
Questi si arricciò un baffo con le dita e quindi si passò le mani sui capelli in perfetto ordine.
“Ai tuoi ordini, Inquisitore. È la mia specialità”. Batté i tacchi in un saluto marziale di cui Cullen sarebbe stato molto orgoglioso e uscì allo scoperto, braccia spalancate e un sorriso raggiante sul volto scuro.
“Ed eccomi di nuovo tra voi! Vi sono mancato, non è così?”
Era il momento opportuno, ma il luogo non lo era per niente. Fedra si voltò verso la parete alle sue spalle e afferrò il graticcio. Era solido e resse senza problemi al suo strattone, anche se parecchie foglie caddero dai rampicanti che vi si avvolgevano.
Se mi vedesse Josie le verrebbe un colpo, pensò, ma non poteva perdere troppo tempo. L’intero giardino era affascinato da Dorian e la figura incappucciata era sparita. Fedra si tolse i guanti, li cacciò in tasca e si aggrappò all’intrico di metallo; un passo dopo l’altro, con i rami che le graffiavano le mani e tiravano i fili della giacca, salì fino alla balconata e si nascose dietro una delle colonne.
A un veloce controllo sembrava che nessuno si fosse particolarmente accorto del suo gesto inappropriato. Una risata tra l’isterico e il divertito le si bloccò in gola: prima il dovere. Sempre accucciata strisciò nell’ombra fino alla porta socchiusa. La aprì il poco che serviva per intrufolarsi e urtò qualcosa con il piede.
Odore dolciastro, ferroso. Anche troppo noto, ormai. Sangue. Fedra si morse il labbro e si accucciò sul corpo – era ancora caldo. 
Questa è roba grossa.
Si sentiva all’improvviso intorpidita dallo shock. Al buio si chinò sul corpo e lo tastò alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa; era un uomo, questo era certo, e per quel che poteva stabilire indossava troppo cuoio per essere un cortigiano. Con le dita che si macchiavano di sangue viscido, mezzo coagulato, trovò un foglio infilato in una tasca sul petto del cadavere. Non si fermò a riflettere: lo prese e se lo nascose nella giacca.

Doveva scendere da lì e anche in fretta, ma quando si alzò e si accostò la porta alle spalle si rese conto di avere un problema: le mani erano sporche, i palmi che scintillavano rossi sotto la luce delle torce.
Merda!
Le pulì alla meglio sui rampicanti, finendo per graffiarsi, mentre scendeva e si affrettò a infilare di nuovo i guanti. Il cuore rullava nel petto e le costò fatica non mettersi a correre una volta atterrata nel giardino. Sempre nascosta tra i cespugli prese la lettera e la lesse in fretta.

Briala, pericolo, tenterà di far saltare i negoziati… una lettera di Gaspard a Celene! Quindi non era un segreto che l’elfa potesse essere pericolosa. 
“Madame Inquisizione! Ma dove vi eravate cacciata? E perché avete delle foglie sulla vostra splendida divisa?”
Era uno dei nobili orlesiani senza volto; Fedra infilò la lettera nella manica e si voltò con un sorriso ebete. 
“Io… ecco…”
Pensa! Pensa pensa pensa!
“Ma quindi anche voi avete i vostri piccoli segreti, non è così? Questo non fa che rendervi più affascinante”, e cercò di prenderla per il braccio. Fedra, al solito, improvvisò: gli afferrò le mani e ammiccò.

“Segreti che non potete neanche immaginare. Le voci che sentite su di me sono tutte assolutamente vere!”
Il nobile socchiuse la bocca e sollevò le sopracciglia oltre la maschera.
“Anche quelle riguardo voi e…”
“Assolutamente”.
Fu sufficiente. L’uomo le fece una riverenza fino a terra e mosse un passo indietro. “Non posso tenere per me simili rivelazioni! Devo condividerle con il buon Auguste o scoppierò!” e se ne andò quasi saltellando.
E adesso cosa andranno in giro a dire su di me?
Non che avesse voglia di preoccuparsi dei pettegolezzi in quel momento. Lasciò il giardino con un cenno d’intesa a Dorian e un gran bisogno di bere, ma una volta rientrata non fece molta strada. Il Toro di Ferro le si avvicinò con un gran fracasso.

“Inquisitore! Eccoti qui”, e scostò sollevandola di peso un’esile dama che si frapponeva tra di loro, causando una pioggia di risatine.
“Ti stai divertendo?”
“No, sono obbligata a rimanere sobria e non sto trovando molto di utile, a parte un…” si guardò attorno e abbassò la voce. “Un cadavere”.
L’occhio del Toro – non ci aveva mai fatto caso, era di un azzurro chiarissimo – si strinse. 
“Lo sapevo. Puzzi di sangue. Ho fatto un giro dove non avrei dovuto – non preoccuparti, mi hanno visto tutti, mi credono ubriaco – e ho trovato un divertente messaggio della nostra Imperatrice a una certa ‘lady M’, la cui compagnia sembra essere di grande valore per lei. Una maga, a giudicare dal contenuto del messaggio: Celene le chiede aiuto per scoprire se suo cugino avrà intenzione di usare incantesimi per il suo complotto, cosa improbabile”.
“Lady M.? Leliana mi ha parlato di un’incantatrice di corte, ma al momento mi preoccupa di più il cadavere, se…”
Una campana risuonò nell’aria e Fedra si tese.
“E questa cos’è?”
Il Toro sogghignò.
“Una campana, capo”.
“Sì ma perché…”
E la risposta arrivò nel cicaleccio eccitato della folla che passava loro di fianco.
“Le prime danze! Non possiamo mancare, altrimenti che figura faremmo?”
Il Toro scrollò le enormi spalle e porse a Fedra un braccio grosso quanto lei.
“Non vogliamo fare la figura dei bifolchi, o sbaglio?”
Si sentiva un po’ più tranquilla con quel catafalco di muscoli e corna attaccato al fianco, ma incrociare lo sguardo di Cassandra nel vestibolo fu ancora più rassicurante.
Il Toro la lasciò nei pressi del portone e raggiunse Cassandra.
“Ti facciamo strada, capo. Sei al sicuro, ricordatelo”, e ammiccò.
Fedra fece per seguirli nella folla che li aveva ingoiati ma una voce profonda risuonò alle sue spalle. “Guarda guarda, cosa abbiamo qui?”
Si voltò di scatto e si trovò di fronte una donna pallida ed elegante, il viola e il nero dell’abito che riprendevano la sfumatura corvina dei capelli. Sorrideva, ma non con la vacua grazia di una cortigiana: era il sorriso di un predatore, impressione confermata dagli occhi gialli e acuti.
La sconosciuta si sventolò un ventaglio davanti al viso e lo chiuse con uno scatto, sbattendolo contro la coscia.
“Il capo della nuova Inquisizione, fantomatico araldo della fede”. La donna le si avvicinò e le girò attorno sfiorandola con il ventaglio. “Liberata dalle grinfie dell’Oblio dalla mano della venerata Andraste in persona. Cosa porta un simile portento alla corte imperiale?”
Fedra sentì le braccia coprirsi di pelle d’oca. Quella donna era diversa da qualsiasi altra damigella elegante le fosse ronzata attorno ed emanava un fascino inquietante; si risolse a stare al gioco e sogghignò.
“Chi può dirlo? La corte brulica di misteri, uno in più non può far male…”
“Sono Morrigan, secondo alcuni consigliera dell’Imperatrice in tutto ciò che è arcano”.
“Ah”.
Morrigan. Lady M. 
Le parole di Leliana le tornarono alla mente e Fedra si tese.
“Proprio così. Suppongo abbiate sentito parlare di me, se non altro da una delle amiche che avete portato con voi. Sapete, pare siate stata piuttosto impegnata a scrutare gli angoli più bui di Halamshiral, questa sera”. La fissò con occhi da rapace e la tenne inchiodata lì, sul posto. “Forse diamo la caccia alla stessa preda”.
“Chi può dirlo?”
Anche perché io non ho idea di chi sia la mia preda, quindi…
Morrigan rise, roca e sensuale, e sollevò un sottile sopracciglio nero.

“Astuta”.
“No, solo prudente”.
“Una scelta saggia, soprattutto qui. Lasciate che sia io a parlare, dunque: ho recentemente scovato e ucciso un ospite sgradito qui a palazzo, un agente del Tevinter. No, non il vostro affascinante mago dai capelli neri, non preoccupatevi”.
La campana suonò una seconda volta e Morrigan si fece seria.
“Leliana – sì, la conosco molto bene – vi avrà detto di non fidarvi di me e ha fatto bene, per quel che ne sa, ma io vi faccio un’offerta”. Si frugò nel corpettò e ne estrasse qualcosa. Una chiave. “L’ho trovata sul corpo dell’agente. Non so cosa apra, Celene è in pericolo e io non posso lasciare troppo a lungo il suo fianco, ma sono certa che saprete cosa farne”.
Fedra esitò solo un istante prima di prendere la chiave, ancora calda del corpo di Morrigan. Non era un oggetto raffinato e un pensiero le balenò nella mente: le parole che aveva origliato.
L’ala dei servitori?
“Penso di sapere dove conduce”, si lasciò sfuggire, ma Morrigan non ne approfittò.

“Buon per voi, allora. Ho fiducia nelle vostre capacità”.
Si guardarono per un lungo istante. Una strana donna, sconosciuta e letale che parlava di omicidio come se niente fosse. Ma anche un’alleata? Ne avevano un disperato bisogno.
“Ora, Inquisitore, forse è meglio affrettarvi. Non vorrete tardare al ballo”, e le indicò il portone. Fedra cercò qualcosa da dirle ma quando si voltò di nuovo verso di lei era sparita.
Confusa e inquieta superò la soglia appena prima dell’ultimo rintocco, che si perse sotto la musica vivace. La pista di marmo era gremita di coppie che ballavano con entusiasmo.
La chiave era dura tra le sue dita ma per il momento non c’era modo di allontanarsi senza destare sospetti. Cassandra l’aspettava poco distante, il viso serio e preoccupato.
“Tutto bene?”
“Dobbiamo andare a ficcare il naso in un posto che ci sarebbe proibito”, disse sotto voce. Con suo enorme sollievo Cassandra non fece domande e annuì secca una volta.
“Non prima che sia finito questo ballo, Fedra. Ma al momento opportuno radunerò la squadra e saremo con te”.
“Fuori dal vestibolo, dietro le statue dei leoni. Le due grosse – sì, lo so, ci sono leoni dappertutto in questo dannato posto…”
“Di questo non preoccuparti. Anzi, cerca di sorridere e di sembrare disinvolta. E a proposito di leoni…” le indicò Cullen con un cenno del capo. La tensione letale che le contraeva ogni muscolo si sciolse appena e per la prima volta da quando era entrata a palazzo Fedra sorrise sul serio.
Era in piedi contro il muro lungo il lato della sala da ballo, le braccia incrociate e un drappello di ammiratori che faceva invidia a quello di Dorian.
“Il povero comandante sembra avere bisogno di essere salvato”, disse Cassandra, e Fedra non poté darle torto. Gli si avvicinò lentamente e si accorse che non solo due dame incipriate gli si stravano strusciando addosso, ma anche un paio di nobiluomini sembravano fin troppo interessati.
“V-Visconte, mi avete toccato il cu… le natiche?” lo sentì balbettare.
“La tentazione è stata troppo forte, comandante”, rispose un’ebbra voce orlesiana. Cullen, paonazzo ad altezza collo, strinse i denti e rimase impassibile, per quanto gli fosse possibile.
Fedra cercò di essere gelosa ma trovò solo un disperato desiderio di proteggerlo, cosa che la fece parecchio ridere. Poi Cullen si voltò verso di lei e la implorò con lo sguardo. Portami via di qui!
Raddrizzò la schiena e si avvicinò di più, seria per quel che le riusciva in quella situazione. Cullen tossì nel pugno e sorrise con uno sforzo al gruppo.

“Dame, signori, temo che il dovere mi chiami. L’Inquisizione… ma insomma! Mi avete di nuovo pizzicato il culo!”
“Perdonatemi, sono un uomo debole”, disse il Visconte con un sospiro affranto. Prese a braccetto le due dame e si allontanò, inchinandosi a Fedra nel passarle accanto.
“Te la stai cavando peggio di me, e io ho trovato un cadavere e almeno tre diversi complotti nell’ultimo quarto d’ora”. 
“Hai trovato cosa?”
“Lascia stare, al momento può attendere. Allora - ehm – vedo che hai fatto strage di cuori…”
“Li odio tutti. Voglio solo nascondermi sotto un tappeto e fingere di non esistere, ma ho paura che qualcuno attenterebbe al mio… alla mia virtù”, si corresse con uno sbuffo.
“Io attenterei volentieri alla tua virtù”, disse Fedra. La situazione rossore di Cullen peggiorò e anche le braghe troppo strette ebbero un sussulto. 
“Mi vuoi morto. Dillo che mi vuoi morto…”
“No, scusa. N-Non mi metterò a ridere, te lo giuro. Ehm… balliamo?”
NO!”
Fu una sorta di grido e in parecchi si voltarono a guardarlo. Fedra fece un mezzo passo indietro e Cullen si passò la mano guantata sulla fronte.
“Scusa, non pensavo di offenderti…”
“No, no. Anzi, scusami tu, è che è tutta sera che devo difendermi dalla corte e sono un po’ nervoso. E comunque non ballo. I Templari non ballano. Non ci addestrano a ballare, non si fanno balli in caserma. Niente ballo per me. Ti prego”, pigolò.
“Hai deto 'ballo' un sacco di volte, ti ho turbato?”
Un angolo della bocca di Cullen si arricciò in una sorta di sorriso.
“Mi hai regalato un attimo di noi due in questo covo di serpi, ed è già più di quello che potessi sperare”.
Fedra gli prese furtivamente la mano e gliela strinse.
“Non preoccuparti, verrò a salvarti il prima possibile non appena avrò sventato un colpo di stato. Pensi di poter resistere?”
Cullen si rilassò e sorrise; incurante della folla si chinò verso di lei e le sussurrò all’orecchio.
“Sventalo in fretta allora, perché mi basta vederti per rendere questi pantaloni davvero troppo stretti”.
Le ginocchia le diventarono molli e Fedra sgranò gli occhi.
“C-Cosa hai…”
Avrebbe volentieri approfondito la faccenda in separata sede, soprattutto con quella nota di malizia nel tono di Cullen che le era nuova e le piaceva anche troppo, ma la musica scemò.
Cassandra, nei pressi della porta, le fece un cenno col capo.
“Devo andare”, disse, la magia del momento che si spegneva. Anche Cullen tornò subito serio e le sfiorò la schiena con una carezza.
“Vorrei esserci anche io. Va’ e cerca di stare attenta”.
Non si voltò a guardarlo un’ultima volta per non sembrare troppo disperata e raggiunse Cassandra proprio mentre iniziava un nuovo giro di danze.
“Ora, prima che qualcuno ci noti troppo”, le disse piano mentre abbandonavano la sala.
Il Toro e Dorian erano vicini, nel cono d’ombra di una nicchia vicino ai due leoni dorati, e vederli così seri e composti, per una volta, le diede i brividi. 
Quanto era pericoloso ciò che stavano andando a fare? Fedra si tolse i guanti e strinse la chiave tra le dita sporche di sangue.
“Dobbiamo intrufolarci nell’ala della servitù”, disse sottovoce chiamadoli a sé con un cenno.
“Chiusa. Ho già provato”. La voce di Dorian era ferma, in contrasto con l’odore di alcol che lo circondava. Fedra sollevò la chiave e se la fece rotolare tra le dita.
“Non chiedermi come l’ho avuta”.
Raggiunsero la porta da cui aveva visto uscire sciami di camierieri e affrontò la serratura. Uno scatto silenzioso, due, e la maniglia si abbassò.
Fedra sentì una goccia di sudore scenderle lungo la schiena.
“Andiamo”.

Erano dentro, in una piccola sala disadorna e ingombra di casse su cui si aprivano svariate porte.
“Josephine ha parlato di armi”, disse Cassandra. “Se ho capito bene dovrebbero essere qui da qualche parte, anche se… ah. Eccole”.
Non fu difficile trovarle, con le sagome ingombranti della scure del Toro e dello scudo di Cassandra che sbucavano da sotto un telo.
“Quella ragazza non finirà mai di stupirmi. Prima o poi le chiederò come ha fatto a far passare inosservato questo”, disse Dorian ammirato brandendo il bastone.
“Non te lo dirà mai. A ciascuno i suoi segreti”. Fedra si fissò i pugnali alla cintura e alzò la testa di scatto. “Scusate, non notate qualcosa di strano?”
“A parte lui?” chiese Cassandra indicando il Toro col pollice, cosa che lo fece sorridere da un orecchio all’altro.
“No, è che c’è silenzio. Troppo silenzio”.
Dorian fece per aggiungere qualcosa ma si bloccò prima di proferir parola. Si sporse indietro, verso una delle porte che si aprivano sull’anticamera, e contrasse la mandibola.
“Questo perché i morti non parlano”, sussurrò tetro. Il resto del gruppo si radunò alle sue spalle e capì.
Per terra c’erano i cadaveri di una mezza dozzina di elfi, i corpi macellati da ferite brutali.
“Uccidi i servitori, o avvertiranno qualcuno”, mormorò il Toro. “Chiunque abbia fatto questo non è uno sprovveduto”.
“E non penso sia Briala”, aggiunse Fedra con un vago capogiro; la paladina degli elfi che massacra i suoi simili? Si accucciò a esaminare con scarso entusiasmo i corpi – quelle espressioni inorridite non le piacevano affatto – e nel rialzarsi scorse qualcosa disteso a terra poco lontano, oltre la porta che dava sul giardino.
Cassandra intercettò lo sguardo e la superò.
“Quello non è un servitore però”, ringhiò.
Aveva ragione. Ai piedi di una fontana di marmo circondata da siepi trovarono un altro corpo, abbigliato come i nobili orlesiani e con un elaborato pugnale dalla lama ritorta piantato tra le scapole.
“Un emissario del Concilio. Cosa ci faceva qui? Sono i più vicini all’Imperatrice…”
Fedra lo smosse col piede. Morto, decisamente. Certa di non fare altri danni prese il pugnale e fece per rimuoverlo, ma il sigillo sull’elsa la fece trasalire.
“Fermi tutti… ma questo è il blasone della famiglia di Gaspard!”
“Un messaggio oppure una trappola. Faresti bene a parlare con il granduca appena…”
La voce del Toro venne coperta da un grido. Una delle serve, un’elfa pallida che ricordò a Fedra, con una fitta di dolore, Maren, stava correndo verso di loro. E alle sue spalle…
Il tempo si riavvolse su se stesso. Erano di nuovo ad Haven, circondati da elmi puntuti e grida rauche.
Da Venatori.
Cassandra e il Toro si pararono davanti a Fedra ma non abbastanza in fretta da impedirle di vedere una figura vestita di bianco falciare l’elfa e scomparire in una nube di fumo prima che questa avesse finito di vomitare sangue per la lama piantata nella gola.
Erano in cinque, ora che lo strano assassino era sparito, guerrieri massicci che li caricavano urlando. Il primo non li raggiunse mai: il Toro di Ferro partì con un ruggito a testa bassa. Il Venatore rallentò la propria carica nel vedersi venire incontro un simile colosso di corna e metallo e cercò di voltarsi e fuggire, ma la lama della scure lo prese sulla nuca e lo schiantò a terra.
Anche Cassandra ingaggiò il proprio avversario, i colpi che si abbattevano sullo scudo. Bassa sulle ginocchia spinse verso l’altro e aprì uno spiraglio nella guardia del Venatore, ma Fedra non rimase a guardarla. Si accorse di avere sguainato i pugnali e di essersi messa in posizione, pronta a difendersi o morire.
Dorian, al suo fianco, tese il bastone.
“Avevo una gran voglia di farlo...” La voce era remota, una strana eco dei suoi soliti toni scanzonati. Dalle mani e dagli occhi si diffuse una luce violetta e malsana e il mago, parole arcane che si rincorrevano sulle labbra, cadde in ginocchio e colpì il terreno con un pugno.
Erano stati solo servitori e un nobile, certo, ma erano numerosi. Sette – no, otto, con il Venatore ucciso dal Toro – cadaveri si levarono da terra e li circondarono, rallentando gli assalitori.
Fedra non si perse ad ammirare l’orrendo spettacolo; scattò in avanti, più veloce dei guerrieri in armatura, e schivò con una piroetta una spada che le si schiantò di fianco in un vortice di scintille.
Un secondo armato la raggiunse alle spalle, abbattendo per la seconda volta il compagno già morto, ma la spada di Cassandra gli sbucò dal petto e subito scomparve, lasciando al proprio posto un fiotto di sangue che mancò Fedra di un soffio.
Non riuscì a provare paura, solo la scossa di eccitazione della battaglia; uno morto, il secondo ancora ingaggiao. Balzò sul braccio teso del guerriero superstite e gli schiacciò il gomito, un calcio in faccia a ribaltargli indietro la testa ed eccola lì, la gola nuda, esposta.
Sua.
Incrociò le lame davanti a sé e le vide scivolare sulla pelle scura dell’uomo, appena sopra l’attaccatura delle clavicole. Riuscì a balzare di lato appena in tempo per evitare il getto di sangue, e quando atterrò erano soli.
A parte una mezza dozzina di cadaveri resuscitati.
“Ehi, ‘Vint, potresti… mandarli via? Mi mettono l’ansia”, disse il Toro pulendosi una mano imbrattata sulla bella giacca.
“’Vint?” chiese Dorian. Era tornato se stesso, occhi grigi e baffi impomatati, ma Fedra per la prima volta ne ebbe un po’ paura.
Meno male che sei mio amico.
“’Vint, sì. Tevinter. Tu, insomma?”
“Con tutte le cose carine che potresti dire su di me proprio quella dovevi tirare in ballo?”
“I cadaveri, chiappe d’oro. Ti prego”.
“Già meglio”.
I cadaveri tornarono tali, fermi e tristi al suolo. Solo che ora erano cinque in più.
“Sbrighiamoci, questo posto è un fottuto labirinto e prima o poi si accorgeranno della nostra assenza”, li interruppe Fedra. Una rapida esplorazione del giardino non rivelò nulla di utile, a parte un cancello socchiuso.
“Saranno passati da qui”, disse aprendolo del tutto.
“Scusate, odio essere quello che sottolinea l’ovvio, ma perché nessuno sta parlando del fatto che ci fossero dei Venatori nel palazzo imperiale?” chiese Dorian.
“Perché non abbiamo in mano niente. Non so se siano stati assoldati da Gaspard – il che lo renderebbe complice di Corypheus – oppure se si tratti di un terzo pericolo a sorpresa. Il membro del Concilio non aveva ferite paragonabili a quelle inferte da quel gruppo di squilibrati”, gli rispose secca Cassandra.
“La situazione peggiora a ogni passo. Sto iniziando a divertirmi”, disse il Toro con un gran ghigno.
“Se ti vede Josie con quella giacca insanguinata ti apre la testa come una zucca”, lo rimbeccò Dorian.
“Posso togliermela se vuoi…”
“Allora, voi due! Siamo in mezzo a una carneficina, potete aspettare a…”
“Fedra, guarda!” la interruppe Cassandra prendendole la mano e indicando un punto sopra di loro.
Un’ombra bianca passò davanti a una delle finestre buie del piano superiore.
Fedra lasciò perdere i battibecchi e strinse le labbra.
“Andiamo”, tagliò corto. Si mise a correre e superò la porta ad arco lì accanto, sbucando in un corridoio inaspettatamente sfarzoso. Il tappeto azzurro, per quanto meno sgargiante di quelli del vestibolo, era così soffice da sprofondarci e da attutire persino i passi pesanti del Toro e di Cassandra.
Scale. Mi servono delle scale, ma da che parte?
La prima scalinata che incontrarono, oltre una sala da pranzo dai lunghi tavoli con dozzine di sedie appoggiate sopra, era sbarrata da assi di legno. La seconda, per fortuna, li accolse poco più avanti e li condusse a un lungo corridoio ingombro di sagome coperte da teli impolverati e casse.

“Un’ala in disuso”, fece notare Cassandra. Si affacciò alla finestra e annuì. “Sì, siamo nel punto giusto, ma…”
Alzò lo scudo in quello che a Fedra parve uno spasmo senza senso, ma su cui si ricredette subito quando udì il tonfo del dardo che vi si infisse.
I Venatori sbucarono gridando dal fondo del corridoio.
“Ma quanti ce ne sono?” chiese Dorian. Sparò una palla di fuoco e ne prese uno in piena faccia, mandandolo a terra tra strida e fumo.
“Mai abbastanza. Ehi, non dar fuoco a tutto il palazzo, intesi?” Il Toro non si era nemmeno premurato di alzare la scure. Parò il colpo del secondo avversario prendendolo per il gomito e gli fracassò le ossa nel pugno.
Fedra era pronta, questa volta, già armata e decisa ad agire. Ma non contro quello che le comparve – letteralmente – di fronte. Uno sbuffo di fumo che le fece lacrimare gli occhi, un lampo bianco e il misterioso assassino le balzò davanti. Cassandra amputò con un singolo fendente un braccio del Venatore ingaggiato e lo lasciò a morire per terra, ma non fece in tempo a giungere in soccorso a Fedra.
Lo fece un pugnale.
Dal nulla, o così parve, qualcosa le saettò davanti agli occhi, così vicino da sentirne il sibilo contro la pelle, e si piantò con precisione mortale nella maschera dell’assassino in bianco.
Il tempo, come spesso faceva in quei momenti di tensione, rallentò. Fedra si accorse che gli scontri attorno a lei stavano scemando – vittoria? Così pareva – e che l’individuo alto e magro davanti a lei lasciava cadere le armi e sollevava le mani sussultanti verso il volto. Dall’orbita sinistra sbucava l’impugnatura di un’arma sottile, uno stiletto o poco più.
L’assassino crollò a terra in una danza scomposta di lunghi arti contratti dall’agonia della morte e Fedra fece un passo indietro senza abbassare la guardia.
Dalle tenebre in fondo al corridoio emerse una figurina snella, una maschera argentata su un bel viso pallido. Cassandra, con uno schizzo di sangue in piena faccia, si parò davanti a Fedra, ma la sconosciuta scosse la testa e alzò le mani.
“Vengo in pace. Per voi, almeno. L’Arlecchino non può dire la stessa cosa”.
Scavalcò uno dei cadaveri come se niente fosse e si avvicinò.
“Curioso incontrarvi qui, Inquisitore Trevelyan, a spulciare gli alloggi della servitù mentre là fuori tutti si chiedono che fine abbiate fatto. Ma perdonate le mie maniere, non ci hanno ancora presentate ufficialmente: Ambasciatrice Briala”, e si inchinò.
“Bel colpo, Ambasciatrice”, riuscì a dire, ancora scossa. Cassandra le si avvicinò minacciosa e le si piazzò alle spalle, come un cane da guardia.
“Si chiama diplomazia, da queste parti. Alla corte imperiale funziona così. Sono venuta quaggiù per soccorrere i miei simili – avete visto quanti ne sono stati uccisi solo questa sera? Temevano un agguato del genere e hanno cercato il mio aiuto. L’emissario del Concilio, tuttavia…”
“Non è opera vostra, vero?”
“No, e sono lieta di sentirvi collaborativa. Non sospetto di voi, nonostante il vostro arrivo con il granduca Gaspard”. Briala scosse la testa. “Sapevo che stava cercando di infiltrare dei suoi cavalieri per sbilanciare con la minaccia armata i negoziati, ma uccidere un emissario… non me lo sarei mai aspettato. Dev’essere disperato, temo cercherà di colpire di nuovo questa notte”.
La presenza di Dorian e del Toro alle spalle di Briala era una garanzia in più e Fedra incrociò le braccia, rassicurata.
“Non mi sembrava disperato, Ambasciatrice, anzi: era piuttosto rilassato e affabile”.
“È orlesiano, non lasciatevi ingannare dal suo fascino. Se c’è qualcuno che potrebbe attentare alla vita di Celene quello è lui: la morte dell'emissario è un chiaro segnale dei suoi piani”.
Briala si spostò di lato e sgusciò tra le spalle di Dorian e del Toro con un piccolo inchino.
“Siete meno peggio di quanto sospettassi, Trevelyan. Se vi comporterete come credo entro la fine di questa deliziosa serata potreste trovare in me un’alleata inattesa”.
Scivolò fino alla balconata e, senza fermare la camminata rilassata, saltò giù.
“No!” Cassandra scattò in avanti ma la sua mano si chiuse sul nulla. Quando si sporse per guardare in cortile almeno cinque metri più in basso di Briala non c’era traccia.
“Lasciamola perdere per ora, non andrà lontana. Intanto abbiamo appreso qualcosa di utile, no?”
“Che Gaspard incolpa lei e lei incolpa Gaspard? Sono impressionato”, disse il Toro con una smorfia.
Da qualche parte risuonò di nuovo la campana.
“Stanno chiamando un’altra danza, dobbiamo sbrigarci a uscire di qui”, trasalì Fedra. Si controllò in fretta e si vide tutto sommato pulita. La scelta del rosso per la giacca era stata vincente, utile a nsacondere gli schizzi. Del tutti inefficiente per il lago di sangue che sporcava quella del Toro.
Correndo per le scale questi se la sfilò senza scomporsi troppo.
“Mi basta un vassoio di calici di vino e nessuno si stupirà se giro in camicia”.
Lasciarono le armi dove le avevano trovate e uscirono di nuovo nel vestibolo, trovandolo già pericolosamente prossimo a svuotarsi.
“Merda, siamo in ritardo!” Fedra aveva cercato di mantenere un passo poco appariscente una volta fuori dagli alloggi della servitù, ma ora accelerò nuovamente, con le guance in fiamme e il fiato corto.
Arrivarono al salone per ultimi e appena prima che i banditori chiudessero le ampie porte.
Ebbe a stento il tempo di sistemarsi i capelli sfuggiti alla treccia e di intercettare lo sguardo di Cullen prima che una maschera d’argento le si parasse davanti.
“Madame Trevelyan, finalmente abbiamo un attimo per parlare”.
Chi era? Corti capelli biondi, abito dorato… con tutte le persone che avevano insistito per avere la sua attenzione le veniva difficile ricordare chi potesse essere. Poi notò il sorriso aspro e capì. Si inchinò a fondo e sperò di non suonare troppo affannata per la corsa e il combattimento.
“Granduchessa Florianne, voi mi onorate”. Si rialzò e di fronte a quell’espressione da volpe non si seppe trattenere. “Curioso che veniate a cercarmi proprio ora”.
Florianne la guardò negli occhi con tanta intensità da metterla a disagio.
“Orlais, Inquisitore. Qui nulla accade per caso”.
L’orchestra iniziò a suonare e la duchessa inclinò il capo.
“Ballate con me, Inquisitore. Dobbiamo parlare”.
Fedra esitò un istante. Ballare? Non lo faceva da così tanto, e mai le era capitato di tenere la mano di una potenziale nemica. Ma del resto cosa ne sapeva, lei, del gioco? Accettò con un ulteriore inchino e seguì la duchessa fino alla pista.
“Siamo in guerra, lady Trevelyan”. Florianne, il viso vicino al suo e le labbra posate accanto all’orecchio, parlava con voce ferma per quanto sommessa. “La sicurezza dell’Impero è a rischio e nessuna di noi due vuole vederlo crollare”.
La musica si levò, solenne e ritmata, e Fedra si scoprì ancora in possesso di tutta la destrezza imparata in anni di istruzione nobiliare.
“Ma davvero”, rispose laconica imitando Florianne in un inchino rituale. Mormorii di approvazione si sparsero tutt’attorno.
“In tempi come questi è difficile distinguere gli amici dai nemici. Siete ospite di mio fratello Gaspard e, permettetemi di dirlo, una curiosità per alcuni e una preoccupazione per altri”. La duchessa si girò contro di lei e Fedra le mise una mano sulla vita sottile, facendola piroettare.
“E per voi cosa sono, vostra grazia?” Il profumo di Florianne era troppo forte, la sua vicinanza troppo incombente. Le sfiorò la guancia con le labbra per sussurrarle ancora all’orecchio: “Un po’ di entrambi, mia cara. Ciò che mi preme sapere da voi è di chi vi fidiate in questa corte”.
Di te non di certo, così come di tuo fratello, di Briala e persino di Celene.
Si trattenne e virò sulla diplomazia.
“Ho il presentimento di dover stare in guardia, vostra grazia. Mi fido dell’Inquisizione”.
La musica salì di intensità e Florianne attirò Fedra verso di sé.
“Ciò che conta è che non vi fidiate di Gaspard. Nel giardino dell’ala reale troverete il capitano dei mercenari che mio fratello sta intrufolando a palazzo”.
Con un ultimo sussulto il brano si spense e Fedra, ancora con le mani sui fianchi di Florianne, batté le palpebre, tra lo sconvolto e l'incredulo.
“Parlate con lui. Conosce tutti i segreti di Gaspard e ricordatevi che vi ho aiutato”. Le strizzò l’occhio e fece un passo indietro, congedandosi.
Fedra rimase a vacillare un istante in mezzo alla pista, sommersa dagli applausi. Era come in trance quando salì le scale e cercò di intercettare di nuovo Cassandra, che si era ripulita la guancia ma aveva ancora uno sbaffo rosso sopra al labbro. Il brusio di complimenti che la circondò servì solo a confonderla.
Cosa significava quella messinscena? Poteva essere una trappola oppure no, qualcosa che in ogni caso valeva la pena approfondire. Ma come?
Cullen, Josephine e Leliana la raggiunsero in cima alla scalinata.
“Stai bene?” chiese Cullen senza tanti preamboli. Era più pallido di quando l’aveva lasciato, gli occhi cupi. Proccupato? “So che ci sono stati degli scontri, ma mi sembra che tu sia salva”.
“Sì, io…”
“I negoziati stanno andando a rotoli. Dacci qualche buona notizia”, l’interruppe Josephine. L’elegante chignon iniziava a disfarsi sotto lo stress della serata.
Fedra scosse la testa.
“Molte novità e nessuna risposta, ma ho una pista. Gaspard potrebbe essere effetivamente coinvolto, ma ho bisogno di andare a controllare di persona. Appena potete dite agli altri di raggiungermi al giardino dell’ala reale, che per inciso non so nemmeno dove sia”. Non una realizzazione piacevole.
Leliana annuì.
“Lo so io, non preoccuparti. Cassandra saprà guidarti, fatti trovare vicino alla porta della servitù e saranno subito da te”.
Il peso della serata iniziava a farsi sentire e Fedra vacillò. Cullen la prese per le braccia con una carezza nascosta.
“Stai facendo un ottimo lavoro. Ora abbiamo la certezza che l’attacco avverrà stanotte”.
“Non possiamo avvertire Celene, se fuggisse i negoziati di pace andrebbero all’aria”, fece presente Josephine, scoraggiata.
“Potremmo lasciarla morire”. Leliana si trovò tre paia d’occhi sconvolti puntati addosso, ma non si scompose. “A noi interessa l’ordine, non chi regna. Non siamo qui per salvare Celene ma per non concedere terreno a Corypheus, non dimenticarlo”.
Josephine mormorò qualcosa in antivano ma Fedra scosse la testa.
“Questi discorsi non li voglio neanche sentire. Ora andrò a vedere cosa sta succedendo e in un modo o nell’altro scopriremo chi è l’infiltrato, i dettagli li lascio a voi”. Si divincolò dalla presa di Cullen e guardò Leliana, un po’ spaventata nel sentirla così spietata. “Mandami gli altri. Non dobbiamo perdere tempo”.
E si allontanò prima che potessero aggiungere qualcosa.
Nessuno la fermò mentre, con Cassandra al fianco e Dorian e il Toro a chiudere il drappello, si intrufolava di nuovo negli alloggi della servitù. Leliana aveva dato indicazioni precise: ripercorsero i corridoi di poco prima – qualcuno aveva giù rimosso i cadaveri, ma il sangue aveva intriso i tappeti – e svoltarono oltre una porta azzurra che, Fedra ne era convinta, non era stata lì in precedenza.
Un mondo di cuscini e seta e tende pesanti si spalancò davanti a loro.
“Se questi non sono gli alloggi di Celene io sono un piccolo, tenero nug”, disse il Toro sottovoce, per quanto gli riuscisse di tenerla bassa. Mentre scivolavano tra balconate e archi, tuttavia, Fedra si convinse che il silenzio non era poi così necessario. Una voce femminile lanciò un grido oltre una delle innumerevoli porte intarsiate che puneggiavano l’ala; dopo uno sguardo corale l’intero gruppo partì in quella direzione.
“Stammi lontano!”
Il Toro spalancò la porta con una spallata; un’elfa, per terra, cercava di allontanare con calci poco convinti un Arlecchino, un’alta sagoma dalla maschera bianca, uguale a quella uccisa da Briala poco prima.
Dorian prese in mano la situazione. Bastone puntato in avanti, una breve formula secca e una sfera di energia andò a impattare contro il fianco dell’Arlecchino, sollevandolo in aria. Per un attimo la figura variopinta sembrò fluttuare nel cielo stellato, quindi cadde dalla finestra con un urlo che si spense in un tonfo umido. Dorian soffiò sul bastone e sollevò un sopracciglio.
“Per gli autografi ne riparliamo a fine serata”.
Fedra lo spinse via e si precipitò sull’elfa. Era cadaverica e tremava così forte da battere i denti, ma sembrava illesa.
“G-Gra…Grazie”, sputacchiò. Il tremore peggiorò quando Fedra la prese per le braccia e la tirò in piedi. Indossava gli abiti semplici della servitù ed era fuori luogo tra le sete e i velluti di quella stanza – una camera da letto, con un colossale letto a baldacchino dorato e divanetti lungo le pareti.
“Sei al sicuro adesso. Cosa ci fai qui?”
“L-Lei – Briala – aveva detto di venire qui. Non direttamente, no, lei non parla con la servitù, ma ...”
“Briala? Lei ti ha mandata qui?”
“S-Sì, questa è la stanza di Florianne, ma non so cosa avrei dovuto cercare. Ah, avrei dovuto capire che era una trappola!”
“Aspetta: ti ha mandata a morire?”
L’elfa deglutì duro e abbassò la testa.
“Come ho fatto a non pensarci? Io…” Scosse la testa e Fedra le diede un piccolo scrollone d’incoraggiamento. “Io conoscevo Briala… prima. Quando era ancora l’amante di Celene”.
“Briala era cosa?” sbottò Cassandra. Dorian ridacchiò: “Inizia a piacermi tutto questo!”
“Adesso Briala fa la paladina degli elfi, ma io ricordo quando era il cucciolo dell’Imperatrice, quando chiudeva gli occhi di fronte alle angherie che faceva alla nostra gente. Io c'ero, il resto della servitù è arrivato dopo”.
Gli ingranaggi nella mente di Fedra presero a girare in fretta.
“Ti ha attirata qui confidando nel tuo spirito di gruppo con gli altri elfi e ha approfittato per cercare di farti sparire. Come ti chiami?”
L’elfa scosse la testa.
“Non ha alcuna importanza, Inquisitore, perché io questa sera morirò”.
“No, non morirai, te lo giuro. Ma devi raggiungere il salone da ballo, in qualsiasi modo, e dire a Cullen che ti metto sotto la sua protezione. Lui…”
Capirà? Non ho modo di fargli comprendere che sono davvero io a mandargli questa persona. O forse sì?
Fedra raddrizzò le spalle, decisa.
“Digli del soldato Jim. Saprà che ci sono io dietro tutto questo”.
“Davvero?” Gli occhi dell’elfa diventarono ancora più grandi.
“Vai. Sei sotto la protezione dell’Inquisizione ora, non hai nulla da temere”.
Le mani che presero le sue erano piccole e dure, rovinate dal lavoro. L’elfa si inchinò a fondo.
“Io… io ve lo giuro, avete la mia fedeltà e la mia testimonianza contro Briala, se sarà necessario”.
Fedra, come sempre in imbarazzo, cincischiò sui piedi e si sottrasse alla stretta.
“Vai, però”, ripeté decisa. L’elfa, ancora pallida, annuì e corse via, lanciando uno sguardo inquieto al Toro.
Rimasero per un attimo soli, con l’enormità della scoeprta che aleggiava tra loro.
“Briala l’amante dell’Imperatrice…” mormorò il Toro. “Questa mi mancava”.
“È un’informazione davvero grave. Ho visto troni vacillare per ricatti molto meno scottanti”, disse Cassandra.
“Be’, abbiamo qualcosa in più da usare quando affronteremo Celene, se riusciamo a tenerla in vita. O per tenere sulla corda Briala. Ora però andiamo, va bene?”
Uscirono dalla stanza ma non andarono molto lontano: altra porta, altri suoni sospetti.
“Io non ci posso credere, quest’ala del palazzo sembra il parco giochi di assassini, congiurati e gente losca”, esclamò Fedra allargando le braccia.
“E infatti ci siamo qui pure noi”, rispose il Toro. Fu sempre lui a farsi avanti e aprire il passaggio verso una seconda camera da letto.
Che rivelò a dir poco una sorpresa.
Il soldato – perché tale doveva essere, a giudicare dalla divisa appallottolata sul pavimento – si agitava invano tra le manette che lo trattenevano mani e piedi.
“Oh per il Creatore!” sbottò Cassandra distogliendo lo sguardo.
“Per il Creatore davvero! Complimenti, amico mio”, fu l’allegro commento di Dorian, sfacciato nello squadrare il corpo nudo del soldato.
Fedra diventò di diversi colori prima di avvicinarsi, dando con decisione le spalle alla parte inferiore del corpo del poveraccio.
“Vi serve aiuto o tutto sta andando come previsto?” chiese.
Non ridere. Non. Ridere!
“Giuro, non è come sembra!... A-Anche se preferirei che fosse come sembra”, balbettò il poveraccio, ormai oltre l’imbarazzo.
“E com’è, allora? L’intera faccenda mi interessa molto”. Dorian si sedette sul bordo del letto con le mani educatamente giunte in grembo. Il Toro si chinò su di lui e gli sussurrò qualcosa che gli fece sollevare le sopracciglia, ma Fedra non prestò molta attenzione.
“L’Imperatrice mi ha fatto credere che sarei stato ricompensato se avessi tradito il Granduca, ma mi aspettavo qualcosa di diverso!”
“Dunque tu mi stai dicendo che l’Imperatrice ti ha spogliato e lasciato legato come un arrosto. L’Imperatrice. Celene”.
“Vi prego, madame, non ditelo a Gaspard! L'Imperatrice sa tutto del piano del Granduca – sì, era previsto un attacco, ma l’Imperatrice lo ha sventato prima ancora che prendesse forma e ha trasformato i negoziati in una trappola!”
“Appena Gaspard oserà fare un passo per pretendere qualcosa Celene lo farà arrestare per tradimento… molto astuto davvero”, ammise Cassandra non senza ammirazione (ma non guardando mai il soldato nudo). Fedra si passò una mano sugli occhi.
“Senti, mi dispiace per questa faccenda. Però… se ti slego, tu collaborerai con l’Inquisizione? Posso farti stare al sicuro”.
“Farò quello che volete ma tiratemi via di qui! Sono quattro ore che aspetto!”
Fedra si voltò verso Cassandra e disse, muovendo solo le labbra: altri ricatti. La Cercatrice emise un verso disgustato e alzò gli occhi al soffitto.
“Stai imparando troppo bene da Leliana”, ma procedette a tagliare le corde che imprigionavano il soldato.
“Io mi sarei divertito, credo”, commentò Dorian.
“No, non vi sareste divertito per niente, credetemi”, esclamò l’uomo coprendosi alla meglio con i vestiti recuperati da terra.
“Ricomponiti e vai a cercare il comandante Cullen, nella sala da ballo. No, non funzionerebbe, Celene potrebbe riconoscerti…”
“Posso aspettare qui”, disse. Si era allacciato le braghe e ora tutto il gruppo sembrava concentrarsi meglio. “Non andrò da nessuna parte, ve lo giuro!”
“Aggiudicato. Non una parola, non un passo, niente di niente altrimenti ti rovino, intesi?” chiese Fedra, un pugnale puntato contro il naso del malcapitato, che annuì e tacque.
“Bene. E ora andiamo a trovare questo dannato mercenario. Mi sta venendo un gran mal di testa”, concluse. Si voltò e uscì premendosi una mano sulla fronte.
Le implicazioni del gioco della politica iniziavano a sfinirla. Rimase indietro, le orecchie che ronzavano e un crescente senso di disagio.
Cassandra rallentò e Fedra quasi le andò a sbattere contro.
“Lo sentite anche voi?”
Il ronzio, cupo e basso, a quanto pare non era solo nella sua mente: Fedra rizzò le orecchie e dalla memoria si fece avanti un ricordo di cieli lacerati e sagome deformi. Il marchio sulla mano lampeggiò forte.
“Questo è uno squarcio”, disse a bassa voce. L’assurdità dei minuti precedenti lasciò il posto al pericolo immediato e tutti levarono le armi.
“Da quella parte”, disse il Toro con un cenno a una balconata. Da sotto l’ennesima porta azzurra filtrava un bagliore verde.
Questa volta non ci furono battute o lagne da parte di nessuno, solo una corsa furiosa e l'impatto contro i battenti.
Avevano indovinato. Eccolo lì, sospeso a mezz’aria in un piccolo giardino ordinato, veli lucenti attorno a uno squarcio che si affacciava sull’Oblio. Fedra inchiodò sul pietrisco e rimase a fissare l’orrendo spettacolo; non erano soli – un uomo era legato a un palo poco distante, una corazza grossolana e una benda cacciata in bocca. Sembrava al di là della paura.
Qualcosa si mosse. Non nello squarcio ma sopra, lungo uno dei balconi che si affacciava sul giardino. Fedra dirgignò i denti ma non riuscì a stupirsi quando vide Florianne passeggiare dietro alla ringhiera dorata. Il verde che si rifletteva sulla maschera e sulla pelle diafana la faceva sembrare più vecchia e di sicuro inquietante.
“Non ero sicura che avreste abboccato. Siete una donna meno semplice da leggere di quanto avessi immaginato”.
“Temo di non potervi offrire il prossimo ballo, come vedete sono piuttosto impegnata al momento”, si lasciò sfuggire. Dorian fischiò tra i denti la propria approvazione.
“Un vero peccato, ma apprezzo la solerzia con cui siete finita nella mia trappola. Ero davvero stufa di vedervi ficcanasare a quel modo”.
Il sarcasmo scivolò via da Fedra, sostituito da una cieca paura. Si era lasciata ingannare e aveva trascinato con sé gli amici: se fosse successo loro qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
Florianne si guardò distratta le unghie e sorrise felina.
“Corypheus ha insistito che Celene morisse questa notte e non ho intenzione di deluderlo”.
Si sentì gelare le vene stesse. Eccolo lì, il loro agente, il loro assassino. L’ombra di Corypheus, l’orrore che aveva sepolto sotto neve e pietre e accettazione si stendeva su tutta Halamshiral.
Era vero. Tutto vero. E c’era in ballo molto più che un impero.
Quando Fedra parlò di nuovo la voce tremava ma non riuscì ad abbandonare del tutto il tono sprezzante.
“Ormai ci sarà abituato. Sai, l’ultima volta gli ho fatto cadere in testa una montagna. Due volte”.
Florianne ridacchiò.
“Povera cara, non hai davvero idea di ciò che io e Calpernia abbiamo in serbo. E a questo punto temo non lo avrai mai. Nessuno sospetterebbe di me, e mi basterà tenerti lontana dalla sala da ballo abbastanza a lungo da uccidere Celene. Se morissi sarebbe molto gentile”.
Dal porticato attorno al cortile sbucarono dei soldati in armatura grigia, anonima.
“Uccidetela e portatmi la mano con il marchio come prova”, concluse Florianne. Voltò le spalle allo squarcio e se ne andò con tutta calma.
“Capo? Qualche idea?” chiese il Toro. Non riuscì a rispondergli: i soldati attaccarono con un grido e delle sagome nere si affacciarono allo squarcio.
Erano finiti. I soldati erano troppi – sotto gli occhi frenetici di Fedra sembravano sette? Otto, forse – e non potevano andare a chiedere aiuto. Cullen avrebbe saputo che c’era qualcosa che non andava, ma sarebbe stato troppo tardi.
Sarebbero morti. Sarebbe morta Cassandra, la sua cocciuta, brutale amica che ora percuoteva un lanciere con lo scudo, tenendone ingaggiato un secondo con la spada. Sarebbe morto il Toro che aveva messo le sue Furie al servizio dell’Inquisizione per gloria e per gioco. E Dorian, quell’incredibile giovane uomo fatto di dolore e spocchia, con il cuore grande come il Tevinter.
Sarebbe morta anche lei e tutto ciò per cui avevano lottato sarebbe stato per niente. Dorian deviò una pioggia di frecce con una barriera d’energia.
“Che bello, mi stavo annoiando! Un paio di demoni ci volevano proprio!” gridò acido.
Erano più di un paio, quattro – no, cinque sagome dinoccolate e simili a ragni umanoidi che scivolavano oltre lo squarcio. L’uomo legato al palo urlava nel suo bavaglio.
Il marchio sfrigolò e lanciò saette verdi.
Non posso fallire così. Ho una speranza troppo grande da far realizzare!
Un verso gutturale le riempì le orecchie, un ringhio assordante da leonessa che scaturiva dalla sua stessa gola. La mano sinistra brillò così forte da rivaleggiare con lo squarcio e Fedra sentì il potere scorrerle in ogni muscolo.
Come sotto Haven, quando aveva tenuto tra le braccia la piccola Linda e quel singolo demone le aveva minacciate. Come allora ma più forte, un velo verde dietro gli occhi e nella testa.
Alzò la mano al cielo e un fulmine si sprigionò dal marchio fino allo squarcio.
Si sentiva avvolta da fiamme gelide, unica stella abbagliante nel giardino nascosto. Cieca in quella luce sovrumana percepì ombre nere con qualcosa di diverso dalla vista, sagome deformi che si slabbravano verso l’alto e svanivano nella notte con un boato che le feriva le orecchie.
Durò pochi secondi o forse tutta la notte; all’improvviso Fedra si trovò distesa sulla schiena con le braccia allargate e le guance indolenzite.
La ragione di quest’ultimo disagio fu subito molto chiara: Cassandra le rifilò uno schiaffo così forte da girarle la faccia, e non doveva essere neanche il primo.
“Svegliati! Fedra, svegliati!”
“Sì ma così l’ammazzi”, cercò di fermarla Dorian.
Due colossali mani grigie cui mancava qualche pezzo la presero per le braccia e la tirarono su. “Tutto a posto, capo?”
“No. Anzi… anzi sì”. Le girava la testa e davanti agli occhi danzavano tante luci verdine, ma il giardino era vuoto e tranquillo. A parte per lo sconosciuto ancora legato a un palo, che la fissava con gli occhi sgranati.
“Come hai fatto?” chiese piano Cassandra. Fedra si guardò il marchio: era tornato normale, per quanto lo si potesse definire tale.
“Non lo so, mi è successo la prima volta ad Haven dopo l’assedio, ma non… aspettate, ma dove sono tutti?”
“Morti. Li hai… sciolti? Credo. Qualcosa del genere”. Dorian suonava vagamente inquietato.
Riuscì a rimettersi in piedi anche se aveva le gambe deboli.
“Slegate quel poveraccio, sospetto sia il mercenario di cui parlava quella stronza. Florianne, intendo”.
“Stronza rende meglio l’idea, capo”. Il Toro obbedì e tolse il bavaglio all’uomo, che crollò in ginocchio ai piedi di Fedra.
“Vi prego, non uccidetemi! S-Siete davvero l’Araldo di Andraste, abbiate pietà di me!”
“Io non ne posso davvero più di queste sceneggiate, mi credete?” chiese stanca Fedra.
“Un ultimo piccolo sforzo, su”, la incoraggiò Cassandra con un colpetto nel costato.
“E va bene, va bene. Alzati, sei al sicuro adesso. Sei il mercenario di Gaspard, vero?”
“S-Sì, lo sono. Lo ero, lo eravamo io e i miei uomini fino a che non ha smesso d-di pagarci. Ma cos’è successo? Cos’era quella roba verde?”
Il Toro brontolò dal fondo della gola.
“Non pagare i propri mercenari. Increscioso”.
“Non gli bastavano i suoi cavalieri e così ha preso anche noi. Ma giuro, se avessi saputo che questo era...”
Fedra si premette le dita sulle tempie e lo interruppe.
“Mi devi la vita o sbaglio?”
“No, non sbagliate, mia signora! Se posso ripagarvi…”
“Potresti farlo. Ho bisogno che non ti allontani dal palazzo; rimani in zona – no, non salteranno fuori altri demoni, te lo giuro – e potrei venire a chiedere una tua testimonianza contro Gaspard”.
Il mercenario si sfregò la barba e annuì convinto.
“Sì, signora. Qualsiasi cosa, signora!”
“Basta così. Fedra, non finisci mai di stupirmi, ma abbiamo ancora un omicidio da fermare”, disse Cassandra. 
L’unica cosa di cui aveva voglia era un letto e silenzio, ma aveva ragione. Fedra sospirò e annuì.
“Andiamo e facciamola finita una volta per tutte”.
La combinazione di rabbia e sfinimento le fece digrignare i denti mentre, pugni stretti e testa bassa, marciava alla testa del gruppo.
Stessa strada, stesso salone che li accolse con il suo splendore d’oro e seta. La serata era arrivata al culmine e un orologio lontano batté la mezzanotte.
Josephine le si fece incontro sulla soglia, sconvolta.
“Si può sapere dove ti eri cacciata? Ti abbiamo cercata ovunque! E guarda come ti sei ridotta, tutta spettinata, la corte…”
“Può cortesemente andare a farsi fottere. Josie, dov’è Florianne?”
La giovane trasalì e si corrucciò.
“È lì, vicino all’Imperatrice, perché?”
Non le rispose. Fedra scostò con una manata il damerino che indugiava in cima alle scale, intento a guardarla con un certo disprezzo per il suo aspetto arruffato, e marciò attraverso il salone. Cullen e Leliana si fiondarono alla balaustra sovrastante, guardandola come fosse pazza.
No, non pazza, solo molto stufa.
Recuperò quel che restava della sua miglior faccia da schiaffi e sorrise. 

“Vostra altezza!” chiamò a gran voce. Celene si voltò e con lei Florianne; fu un piacere vedere quella faccia pallida contrarsi in uno spasmo. 
Sorpresa!
Gaspard non era lontano, anche se la stizzita meraviglia che gli torceva la bocca era rivolta a Briala, comparsa nell’angolo più remoto della sala.

“Madame Inquisitore, cosa succede?” Celene sembrava poco felice di quella piazzata.
“Penso che la duchessa Florianne debba a questa corte un ultimo istante di intrattenimento”, disse con voce alta e chiara. Cadde il silenzio.
“Non so di cosa stiate parlando…”, azzardò la duchessa.
“Sorridete, vostra grazia: ci guardano tutti!”
“Perché mai non dovrei sorridere? È sempre un piacere parlare con voi, Inquisitore”.
“Mi risulta che l’ultima cosa che ci siamo dette sia stata – aspettate, aiutatemi a ricordare – ah, sì, che vi sarebbe bastato tenermi alla larga dalla sala quel tanto che bastava per uccidere vostra cugina. Ricordo bene, vero?”
Tutti i nobili trattennero il respiro e il viso delicato di Celene si tramutò in pietra.
“Incastrare vostro fratello per l’omicidio di un delegato, montare tutti i sospetti su Briala… oh, no, non sono persone per bene, nessuno di loro, ma non sono assassini. Cosa che invece si può dire di voi”.
“Farneticate”, ma fu un timido moto di ribellione. Fedra trovò una riserva di determinazione e si milse a camminare davanti a tutti con le braccia conserte.
“Un piano davvero ben congeniato, ve ne rendo atto. Organizzare un ballo e radunare sotto lo stesso tetto tutti i vostri avversari. Peccato che l’invito sia arrivato anche all’Inquisizione”. Le si avvicinò così tanto da sentirne il respiro furioso sulle labbra. “Dov’è il vostro Corypheus adesso?”
“Non avete prove”, scattò Florianne, ma Celene la interruppe.
“A noi non servono prove. Sarà un giudice a decidere la vostra sorte”.
“E comunque ne ho eccome, di prove. Mi sembrava solo educato non umiliarvi ulteriormente”.
Florianne era sull’orlo del panico. Si voltò verso Gaspard, che nel frattempo si era avvicinato e aveva tolto la maschera. Un bell’uomo, occhi verdi sopra a un naso aquilino ora arricciato per il disgusto.
“Gaspard… fratello mio, non puoi permettere che questo accada!”
Le lanciò un’unica occhiata di puro disprezzo e le diede le spalle, allontanandosi a rigidi passi in una definitiva dichiarazione di odio.
“Gettatela nelle segrete”, ordinò Celene, ma Fedra fece un passo avanti.
Male: non è solo una traditrice ma serve Corypheus. Ho bisogno di interrogarla.
“Vostra altezza, a costo di risultare presuntuosa debbo chiedervi una grazia: concedete all’Inquisizione di detenere la duchessa. Vi garantisco che verrà giudicata in maniera severa e incarcerata senza possibilità di fuga”.
“No! Celene, ti prego, non puoi…”
L’Imperatrice non la guardò nemmeno.
“Possiamo. Lo faremo, lady Trevelyan, per esprimere la nostra gratitudine”. Fece un cenno e il Toro e Cullen si fecero avanti, portando via Florianne che continuava a dimenarsi. “E ora, cara amica, possiamo avere il piacere della vostra compagnia per dirimere una volta per tutte le inimicizie che hanno minacciato questa serata?”
Era quasi troppo da sopportare ma tanto valeva finire in bellezza. Fedra annuì senza entusiasmo e un attimo dopo si trovò su un balcone isolato, sola con l’Imperatrice, Gaspard e Briala. Quando li raggiunse stavano già discutendo e parole come “tradimento” e “segreti scottanti” volavano da tutte le parti.
Aveva accettato di prendere parte a quell’ultimo atto della farsa, ma non aveva intenzione di tollerarlo troppo a lungo. Quando le guardie ebbero chiuso la porta alle sue spalle, garantendo loro il massimo dell’intimità, Fedra fece un passo avanti.
“Bene, signori. Ora se permettete la facciamo finita con le maschere e le buffonate e ci parliamo chiaro”.
“Inquisitore! Non potete permettervi di rivolgervi così alla vostra Imperatrice!”
“La stessa imperatrice che si dimentica soldati nudi legati al letto? Che trama contro i suoi stessi familiari?”
Celene chiuse di scatto la bocca.
“Non so a cosa vi riferiate”.
“Ma guarda, suonate un sacco come Florianne. Sapete benissimo a cosa mi riferisco e ho testimoni pronti ad avvallare queste mie parole. E voi due”, aggiunse di fronte alle espressioni trionfanti di Briala e Gaspard, “avete ben poco da ridere. Voi avete cercato di intrufolare dei mercenari a palazzo per tentare un colpo di stato, mentre la gentile Briala, già amante della nostra Celene, qui, ha una rete di spie che lavora per lei qui ad Halamshiral. Sì, anche per voi due ho dei testimoni, sono al sicuro e impazienti di vuotare il sacco. Allora? Come la mettiamo?”
Il silenzio era gelido nonostante l’aria tiepida della sera. Briala era impassibile, gli occhi sgranati dietro la maschera, e Celene aveva due pomelli rossi sulle guance pallide. Gaspard si passò una mano sulla testa.
“Che mi venga un colpo, ci tenete per le palle. Allora, procediamo con i ricatti, adesso?”
“Per chi mi avete presa?” Fedra era sinceramente disgustata da quel suggerimento. Guardò con astio Gaspard, l’Imperatrice e l’elfa e incrociò le braccia. “L’Impero appoggerà l’Inquisizione, ecco tutto ciò che chiedo. Niente richieste di denaro o ricchezza, solo sostegno logistico per mettere al sicuro il Thedas. E lo farà – no, ora mi lasciate parlare, Imperatrice, qui sono io che faccio le regole – collaborando”.
“Collaborando? Con loro?” Briala suonava sinceramente stupita.
“Proprio così. Siete in grado di farlo: siete con ogni probabilità le tre menti più brillanti dell'impero e sono sicura che preferiate mettere via le vostre ridicole ambizioni piuttosto che perdere la faccia di fronte a tutti i vostri sudditi”.
Tese una mano e sperò non tremasse.
“Vostra altezza, cosa ne dite? Ricordate, mi dovete la vita”.
Celene la guardò negli occhi senza un briciolo di simpatia.
“Mi piaceste, quando vi incontrai. Forse mi sbagliavo”, ma le prese la mano e la strinse. A quel punto convincere Gaspard e Briala a fare altrettanto fu semplice.
“E così ve ne andate da questa serata con un alleato potente”, disse il duca. Trattenne la sua mano un po’ più a lungo del dovuto e vi depose un bacio lento che le diede i brividi. 
“Non me ne sto andando, vostra grazia. Sono terribilmente sobria”. Fece una riverenza e si allontanò a testa alta.
Ho appena preso a schiaffi metaforici l’Imperatrice. Mamma e papà non la prenderanno bene.
Spalancò la porta e tornò nella sala da ballo, dove la festa sembrava solo aver tratto giovamento dall’arresto di Florianne. Questa volta non si trattenne e prese due calici da un vassoio, scolandoli uno dietro l’altro.

Se li era meritati.
Un balcone laterale le regalò un attimo di quiete tanto desiderata. Era deserto, poco sfarzoso rispetto agli altri e con la porta d’accesso quasi ostruita da un divano: non era previsto che fosse lì. Eppure era un luogo carino, con i vasi traboccanti di fiori incolti e le stelle sopra alla testa.
Prima o poi Josephine sarebbe arrivata a chiamarla e si sarebbero rimessi in marcia verso Skyhold, ad analizzare le implicazioni di quella serata maledetta.
Prima o poi, però, perché ciò che accadde fu qualcosa di molto diverso. Appoggiata alla balaustra Fedra sentì un grattare di legno alle sue spalle e non si voltò. Cullen la raggiunse e le circondò la vita con le mani, facendola voltare.
“Ti stanno cercando tutti. Stai bene?” si chinò e la baciò a lungo. Fedra pensò di opporre resistenza – altro che pettegolezzi! – ma le labbra di Cullen sulle sue erano un premio che si era più che meritata. Gli mise le braccia al collo e sospirò.
“Ora sto bene, sono solo stanca”. Finalmente un odore familiare, pelle e vino, senza traccia di quei profumi brutali che inondavano il palazzo.
“È stata una lunga notte per tutti”. Le fece scorrere le dita dal collo alla curva dei fianchi e sorrise. Inclinò la testa verso la musica che fluttuava fuori dalla finestra e una luce brillante gli si accese nello sguardo. “Potrei non avere un’altra possibilità, quindi devo chiedertelo”.
Fece un passo indietro e si piegò un braccio dietro la schiena. Con un mezzo inchino tese la mano a Fedra, un capolavoro di galanteria.
“Posso avere questo ballo, mia signora?”
Fedra si morse il labbro. 
Era splendido, con quella cicatrice che smorzava l’impressione di ordine e controllo che emanava da lui. 
Il suo leone. Il suo comandante.
Si sentì leggera e rovente e abbassò la testa con una risata.
“Mi eri sembrato abbastanza drastico sull'argomento!”
“Non ho detto di saperlo fare, ma posso provarci, per te”.
Era la cosa più sciocca e dolce che qualcuno avesse mai fatto per lei. Fedra lo guardò da sotto in su e allungò lenta la mano a prendere la sua. Cullen la attirò a sé e le passò il braccio dietro la schiena.
Decisamente troppo in basso.
Fedra roteò gli occhi e lo rimise in posizione.
“Se vuoi che ti insegni devi essere pronto a imparare”. 
“Sarò un bravo studente, promesso”, ma la mano scivolò di nuovo verso il basso. Questa volta Fedra non provò neanche a correggerlo e lo condusse, un passo dopo l’altro, a girare sul balcone in un ballo goffo e scoordinato.
Era terribile, un pezzo di legno privo del controllo dei propri piedi e con la tendenza a calpestare i suoi. Un paio di volteggi ed entrambi si trovarono a ridere e a caracollare via, più abbracciati che altro.
“Non posso credere che esista qualcuno di così imbranato”, gli rise Fedra contro il collo. La gola di Cullen vibrò divertita e lei vi depose un bacio. Un impulso irrefrenabile la colse e socchiuse le labbra, stringendo la pelle morbida alla base del collo tra i denti in un morso lieve.
La risata morì di colpo. Cullen deglutì e le prese con forza i fianchi; Fedra alzò il viso e si trovò sommersa da un bacio vorace che le incendiò il corpo. Le dita di Cullen si piantarono nella sua carne e il suo corpo si premette contro di lei, spingendola via dalla luce del balcone e verso l’angolo più remoto. La sollevò come se fosse una bambola e la appoggiò sulla balaustra; con una coscia le aprì le gambe e Fedra gliele avvolse attorno ai fianchi, spingendosi in avanti.
Quei maledetti pantaloni. Lasciavano davvero poco all’immaginazione. Cullen le si strusciò contro e le morse il labbro inferiore, le mani che risalivano lungo la vita ad afferrarle il seno.
Maledetti pantaloni. Maledetta giacca. Fedra si agitò contro di lui – peggiorando la situazione e facendolo mugolare contro la sua bocca – e strattonò la stoffa fino a riuscire a infilare le mani sotto agli strati di stoffa. Pelle morbida, gli addominali che si contraevano sotto alla punta delle dita che scivolavano sempre più in basso, verso la cintura, verso la fonte di quel calore quasi intollerabile contro di lei.
“Fedra…”
Un sussurro rauco, un altro bacio a zittirlo e Cullen che vi si abbandonava.
Maledetta anche la cintura.
Ma solo per un istante. Si scostò da lei e tossì senza spostare le mani.

“Fedra, temo che non siamo soli”.
Dalla gola le salì un verso rauco di cui Cassandra sarebbe stata molto orgogliosa. Appoggiò la fronte alla spalla di Cullen e lasciò ricadere le mani.
“Dorian che fa il tifo?”
“No”.
“Josie che si appresta a sgridarci?”
“Nemmeno”. Si scostò da lei e, prima di voltarsi, diede una rapida e inutile sistemata al cavallo dei pantaloni. Guance rosse, capelli arruffati e un mezzo sorriso sulle labbra, riusciva comunque a mantenere una parvenza di dignità. Fedra scivolò dalla ringhiera e si voltò.
Morrigan ridacchiava dietro al ventaglio. Li raggiunse con passo felino e si fermò a poca distanza da loro.
“Fate pure come se non ci fossi”, disse con quella sua voce bassa. Cullen lanciò una breve occhiata a Fedra e salutò la maga con molta calma.
“Suppongo vorrete parlare con l’Inquisitore, lady Morrigan. Non vi priverò di tale piacere”.
“Sempre a proposito di piaceri negati… vi ringrazio, comandante”.
Fedra cercò di darsi un tono, ma tra il sangue che le imbrattava la giacca, i capelli in disordine e il respiro accelerato era un tentativo vano. Cullen si allontanò lanciandole un ultimo occhiolino carico di promesse e Morrigan avanzò.
“La nobiltà orlesiana alza i calici all’Inquisitore e voi vi perdete lo spettacolo dei loro brindisi ubriachi. Certo, capisco il motivo”. Si picchiettò il mento con il ventaglio chiuso e Fedra riuscì a divnetare ancora più rossa. 
“Credo di dovervi ringraziare, lady Morrigan. Senza il vostro aiuto non sarei riuscita a infilarmi nel groviglio di intrighi e panni sporchi della corte imperiale. Ho scoperto molto più di quello che desiderassi…”
“Mi auguro che anche ciò che sto per dirvi vi sarà altrettanto gradito, allora”. Abbassò un istante le ciglia nere e prese fiato; la tensione sul volto disegnava sottili linee agli angoli degli occhi. “Per decreto imperiale sono stata nominata contatto ufficiale con l’Inquisizione. Celene sembra intenzionata a offrire tutto l’aiuto possibile – compreso il mio. Congratulazioni”.
Il tono aspro stonava con le parole e Fedra inclinò il capo.
“Scontenta?”
“Preoccupata. Celene senza il mio appoggio, la prospettiva di Corypheus… ma ritenetevi fortunata”. L’espressione tornò acuta, le labbra truccate curve all’insù. “Possiedo abilità fuori dal comune che sarò lieta di mettere al vostro servizio. Leliana dovrà rassegnarsi alla mia presenza, ma non sarà un problema, ve lo garantisco”.
Fedra sospirò. Era troppo stanca, provata da qualcosa di peggio dello sfinimento – il peso dei segreti, il terrore di morire, il leviatano di implicazioni politiche di ogni suo gesto – per assorbire del tutto la rivelazione. Un'emissaria dell'Imperatrice sotto il suo steso tetto: un modo molto comodo per tenerla d'occhio.
Eppure c'era qualcosa in Morrigan che andava oltre la diffidenza. Che fosse pericolosa era lampante, ma nonostante tutto sentiva che doveva esserci di più sollo la superficie di fascino e misteri.
Rilassò le spalle e la guardò dritta negli occhi, realizzando che forse era più giovane di quanto la postura e il sogghigno lasciassero intendere.
Tanto valeva iniziare con il piede giusto.
“Non ho comunque alternative, no? Benvenuta a bordo, Morrigan”.
“Cosa... tutto qui? Mi aspettavo una protesta di qualche tipo, lagne e piedi pestati e dichiarazioni di lesa maestà!” Lo stupore si tramutò in ilarità. “E invece vi dimostrate ragionevole!”
“Datemene atto: sono una persona per bene”.
La maga aprì il ventaglio davanti al viso e accennò una riverenza, non senza un guizzo sarcastico negli occhi da rapace.
“Questo l'avevo intuito. Spero non vi causi troppi problemi”.
Indietreggiò di un passo e la squadrò un'ultima volta.
“A Skyhold, allora, Fedra”.



Che. Fatica.
La quest è la mia preferita di Inquisition, complicata e piena di punti in cui è facile sbagliare tutto e causare una tragedia - che nel mio caso equivale alla disapprovazione di Cole - e scriverne non è stato da meno. Ovviamente ho dovuto adattare qualche dettaglio ma... eccoci qui, il Palazzo d'Inverno e tre persone dalla morale discutibile costrette a collaborare a suon di ricatti. Di sicuro è stato soddisfacente!
(Poveracci Cullen e Fedra, il loro destino è di essere cockblockati da chiunque passi da quelle parti!)

Val

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Capitolo 14
*** Varric... Hawke? HAWKE? Cassandra, no! E... oh, Cullen... JIM? MA BASTA! ***


“Avrei preferito non succedesse”.
Leliana incrociò le braccia e non sollevò lo sguardo dal tavolo di guerra. Erano appena rientrati a Skyhold dopo un viaggio con pochi imprevisti; non aveva avuto neanche dieci minuti di solitudine da condividere con Cullen e Fedra era impaziente di rimediare a quella mancanza. Leliana, però, aveva insistito per parlarle e quindi eccola lì, a ciondolare per la stanchezza e invidiare il resto del gruppo e il meritato riposo pomeridiano.
“Anche io avrei voluto non succedessero un sacco di cose, a partire da questo”, e agitò la mano col marchio. “Potresti essere più precisa?”
“Morrigan. Te l’ho detto, non mi piace, ma non possiamo farci nulla; c’è la mano di Celene dietro tutto questo e non possiamo permetterci di alzare la voce con l’Impero, visto che ci supporta solo per paura”.
“Prima o poi dovresti raccontarmi cos’ha fatto Morrigan perché tu la detesti così tanto”.
“Motivazioni piuttosto banali, in un certo senso”. Leliana quasi sorrise. “Si tratta di…”
Due colpi secchi risuonarono alla porta. Fedra si accigliò: nessuno veniva mai a curiosare in quella sala e i Consiglieri non avevano certo bisogno di bussare. Leliana fece spallucce e andò ad aprire.
“Signore, bentornate”. Varric si affacciò alla porta con un sorriso un po’ troppo smaccato sul volto massiccio. “Posso disturbarvi un istante?”
“Dev’essere urgente, non hai mai messo piede qui dentro… va tutto bene?” Fedra sentì la stanchezza sfumarsi di apprensione.
“Oh sì, tutto a posto, il ragazzino – Cole – mi segue dappertutto e sta iniziando ad ambientarsi. Nessuna cattiva notizia, tranquilla, Carota”. Si guardò alle spalle ed entrò, chiudendo la porta.
“Tutta questa cautela…” ma Leliana non concluse la frase. Varric le fece l'occhiolino e proseguì.
“Sai, Carota, la faccenda di Corypheus è grossa”.
“Felice che siamo d’accordo su questo”.
Varric ridacchiò.
“E tu hai bisogno di tutto l’aiuto possibile per salvare questo strano mondo da una fine orribile, giusto?”
“Oh no. Non dirmelo”. Leliana si coprì gli occhi con il palmo e scosse la testa, mentre Fedra sollevava le mani e spostava lo sguardo dall’uno all’altra senza capire.
“La finiamo di fare i misteriosi? Mi mettete a disagio!”.
“Niente misteri: ci ho riflettuto e prima che partiste ho contattato un vecchio amico che potrebbe darci una mano in questo casino”.
Leliana perse la sua compostezza e si premette le dita al centro della fronte. “Fa’ che non sia chi penso io…”
“Un… amico?”
“Amico. Davvero amico, puoi fidarti di lui come ti fideresti di me. Allora, che ne dici? Vuoi incontrarlo?”
“Ah. È già qui?”
La confusione minacciava di sopraffarla. Fedra si arruffò i capelli ancora umidi di pioggia e desiderò moltissimo essere altrove.
“È arrivato ieri. Sai, preferirei evitare di dare spettacolo, quindi – insomma – una visita in un luogo privato e lontano da occhi indiscreti sarebbe meglio”. Le fece cenno con la mano e ammiccò. “Allora, Carota, che ne dici?”
Fedra chiese l’aiuto di Leliana, che alzò le mani e fece un passo indietro.
“Non voglio entrarci. Se è chi penso e Cassandra lo viene a scoprire avremo un nano da seppellire, però”.
“Molto incoraggiante…”
“Coraggio, non lasciamolo ad arrugginirsi sotto la pioggia”, la incalzò Varric, e Fedra non poté che accettare di seguirlo.
Nei giorni di assenza Skyhold aveva continuato a fiorire e i cortili lucidi d’umidità erano gremiti di persone che si affrettavano a completare i lavori per poter andare al riparo. Fedra lasciò perdere il patetico tentativo di ripararsi la testa con le braccia e si inzuppò con rassegnazione mentre seguiva Varric su per le scale e lungo le mura che incombevano su una valle ingombra di nuvole scure.
Una tettoia di legno sporgeva su una figura che aveva poco delle sentinelle in uniforme cui era abituata; più si avvicinavano e più Fedra distingueva i dettagli – qualcuno di alto e massiccio, una folta barba nera e un segno rosso dipinto sul setto nasale.
“Varric?”
“Sai, non è la prima volta che Corypheus fa casino, Carota. Potrei aver convinto la persona che lo ha distrutto l’ultima volta a darci qualche consiglio”.
Fedra si bloccò sotto alla pioggia.
“Cosa?”
Varric le fece cenno di avvicinarsi e lo sconosciuto avanzò sotto la tettoia.
“Inquisitore, posso presentarti Garrett Hawke, il Campione di Kirkwall?”
Era imponente, Hawke, con una corazza tutta spigoli come il viso squadrato. Guardò Fedra con quella che sembrava ben poca simpatia ma a lei importò molto poco.
“È un piacere, Inquisitore. Spero che…”
Gli si fiondò addosso e lo prese per il collo dell’armatura, appendendosi e scrollandolo.
“Il fottutissimo Campione di Kirkwall. Come hai fatto? Ti prego, ti scongiuro dimmi come cazzo hai fatto!”
Ombre le danzavano davanti agli occhi e la testa girava così tanto da darle la nausea.
Era vero. Quell’uomo aveva avuto successo laddove lei arrancava da mesi, era uno sconosciuto e probabilmente l’unico ad avere idea di cosa andasse fatto. Incidentalmente, era anche con ogni probabilità la persona più ricercata del momento, un eroe problematico e un'icona.
Per la prima volta da quando era emersa nel caos del Tempio delle Sacre Ceneri Fedra sentì di non dover improvvisare ma di avere qualcuno che avrebbe potuto dirle cosa fare.
Hawke sollevò le sopracciglia e la guardò con uno sguardo curioso, via via meno arcigno.
“Disperata, eh?”
“Molto”.
“Va bene, lo capisco molto bene. Ehm-Inquisitore, potresti…”
“Fedra”.
“Fedra. Ti spiace sganciarti dal mio collo? Mi serve... sai, per tenerci appoggiata la testa, cose così”.
“Oh. C-Certo”. Fedra schiuse le dita e riatterrò, scossa da un tremito che non poteva fermare. E ancora non si era soffermata sulla pessima figura appena fatta.
Varric ridacchiò e fece un passo indietro.
“Vi lascio a fare due chiacchiere. Sono sicuro che ne uscirà qualcosa di utile”.
Li salutò sfiorandosi la fronte con due dita e marciò via fischiettando, incurante della pioggia. Dopo poco Hawke lo imitò e andò ad appoggiarsi ai merli. Guardò verso il cortile e scosse la testa.
“Mi ricorda casa mia, a Kirkwall. All’inizio adoravo la vista delle persone affaccendate, di tutti i colori della gente… ma poi l’unica cosa che riuscivo a vedere era che tutti dipendevano da me”. Si alzò e guardò Fedra. “Sono sicuro che sai cosa si provi”.
Uno sconosciuto di cui conosceva giusto il nome e la fama. Fedra strinse i denti e i pugni.
“Hai sentito di Haven”.
Nella voce bassa c'era un'eco stranamente dolce, quasi la comprensione filtrasse atrraverso quelle poche parole.
“Sì. Mi dispiace per quella gente e per ciò che hai dovuto passare tu”.
Il peso non se ne sarebbe mai andato. Tutti quei morti erano suoi, ma aveva la netta sensazione di avere accanto qualcuno che sapeva esattamente ciò che stava provando.
“Per questo siamo qui. Non voglio che accada di nuovo”.
“Te lo auguro”.
Tacquero per un lungo istante, curvi a guardare verso i cortili e persi nei rispettivi pensieri cupi più del cielo sopra di loro.
Si narravano storie su Garrett Hawke – il mago, l'eretico, l'eroe, il complice – e Fedra per un attimo si vergognò della propria ignoranza. Storie, ecco cosa conosceva del dramma di Kirkwall, qualcosa che non l'aveva mai riguardata e che aveva per lei il sapore delle ballate da taverna, nient'altro.
Lì con lei, però, c'era un uomo in carne, ossa e cicatrici che aveva vissuto quel delirio.
Con un brivido scosse la testa e si impose di tornare alla realtà, al momento umido, scomodo e spaventoso che stavano vivendo.
“Passiamo alle cose importanti, Hawke: tu hai già combattuto Corypheus”.
“Combattuto e ucciso, sì. Ai tempi era tenuto prigioniero dai Custodi Grigi, ma quel bastardo ha trovato un modo per entrare nelle loro teste e farli impazzire”. Lasciò i merli e tornò alla tettoia. “Li ha messi gli uni contro gli altri. Dimmi, Inquisitore: da quanto non hai notizie dei Custodi?”
“Io? Non ci ho mai avuto a che fare, ma non capisco cosa…”
“Chiedilo all’Usignolo, allora. Scoprirai che sono praticamente scomparsi, e non mi stupirei se fossero di nuovo caduti sotto il controllo di Corypheus”.
La solita risata isterica le scoppiò dalle labbra. Fedra rise e rise fino a farsi male al costato sotto lo sguardo impassibile di Hawke. Pugni contro i merli, lacrime agli occhi, un grido nascosto in fondo al panico che l'attanagliava.
Ritrovò la voce e si strattonò la treccia rossa.
“I-I Venatori. I Templari Rossi. Adesso pure i Custodi. Corypheus ha fatto tombola, fantastico!”
Era andata su quel bastione sperando in un aiuto e invece le notizie peggioravano ogni secondo di più.
Hawke attese che si fosse calmata, che persino l’ultimo spasmo di follia avesse lasciato il posto alla minaccia del pianto prima di parlare di nuovo, con un tono più gentile di quanto Fedra sentisse di meritare.
“Non sono qui solo per le brutte notizie”, disse come se le avesse letto nella mente. “I Custodi Grigi sono spariti quasi tutti”.
Fedra si passò una manica umida sul viso e rabbrividì.
“Quasi tutti”.
Hawke annuì con qualcosa di simile a un sorriso nella barba nera.
“Ho un amico, Stroud. Un Custode. L’ultima volta che abbiamo parlato si è mostrato preoccupato per la corruzione che serpeggiava tra i ranghi dei suoi superiori”.
“Corruzione potrebbe far rima con Corypheus”.
“Si nasconde dalle parti di Crestwood, presso un vecchio covo di contrabbandieri. Se c’è qualcuno con cui valga la pena parlare è lui”.
“Quindi… quindi mi stai dicendo che forse i Custodi Grigi sono stati plagiati da Corypheus – di nuovo – e che abbiamo la possibilità di parlarne con qualcuno informato dei fatti”.
“Precisamente”.
Fedra esalò un lungo sospiro.
“Questa faccenda si sta complicando più di quanto possa tollerare”.
Hawke si appoggiò al muro al suo fianco e scosse la testa.
“Ho ucciso – o così credevo – Corypheus una volta. Ne ero convinto. Questa volta voglio assicurarmi che sia definitivo”.
La guardò di traverso e oltre la tensione sul viso squadrato Fedra vide sincero dispiacere.
“Avrei voluto darvi di più, ma è già un inizio”.
E tutt'a un tratto Fedra si sentì in colpa.
“Sei... sei sbucato dal nulla al richiamo di un amico. Sei venuto a darmi l'aiuto che puoi nonostante sia pericoloso, nonostante tu non mi conosca neanche”. Gli tese la mano e cercò di sembrare pardona di se stessa. “Grazie, Hawke”.
La stretta era quasi troppo forte.
“Non ti conoscevo fino a poco fa, Fedra, ma adesso...” Scosse la testa e quasi rise. “Quando arrivai a Kirkwall ero poco più vecchio di te, disperato e senza nessuno che mi potesse aiutare. Ho avuto anni per imparare a essere ciò che ci si aspettava da me, e tu invece ti sei svegliata con una mano verde e luminosa e il mondo da salvare; mi piacerebbe poter fare qualcosa per renderti la guerra un po' meno difficile”.
Il nodo che le serrava la gola si sciolse e Fedra dovette voltargli le spalle.
Non si meritava tutto quello, ma quanto – quanto ne aveva bisogno.
Hawke le concesse un attimo per ricomporsi e quando parlò di nuovo la voce era pragmatica e decisa.
“Faremo l’impossibile. Andrò a Crestwood e cercherò Stroud, appena avrò qualcosa di utile mi metterò in contatto con Skyhold. Ho ancora qualche carta da giocare, Inquisitore. Vedrai”.

La seguente riunione del consiglio fu stressante. Fedra iniziò a raccontare la faccenda a Cullen – che si incupiva a ogni dettaglio -, Josephine e Leliana, ma quest’ultima la interruppe brusca alla prima citazione di Hawke.
“Oh, buon Creatore. Avevo ragione”, disse funerea. “Cassandra dov’è?”
“Non lo so, posso andare a chiamarla”, intervenne Josephine con le sopracciglia sollevate.
“E Varric?” Il tono di Leliana era più teso del solito, un brutto segno. Fedra la guardò intenta.
“Dici che lo sta strangolando?”
“Ne sono quasi sicura. Dobbiamo trovarli subito”.
“Perché ogni volta che si tratta di quei succedono disastri?” brontolò criptico Cullen prima di correre giù per le scale.
Sciamarono fuori nei cortili di Skyhold per quella che sembrava una vera emergenza. Fu Fedra a trovarli, seguendo oltre lo scroscio della pioggia un’eco improvvisa di legna fracassata. Corse sul selciato e si fermò derapando davanti alla porta della forgia, che aprì con una manata. Una sedia volò attraverso la stanza, e a giudicare dalle condizioni delle macerie a terra non era la prima.
Varric si coprì la testa con le braccia e Cassandra gli fu addosso in poche lunghe falcate; lo prese per il bavero e lo sbatté contro il muro.
“Tu hai sempre saputo dov’era Hawke!” gli urlò in faccia. Fedra si fermò sulla soglia, gocciolante d’acqua, di fronte allo spettacolo di Cassandra infuriata. Solo rabbia, questa volta, non orrore come quando l’aveva incontrata dopo il Conclave.
Faceva paura, occhi sgranati e una vena pulsante sulla tempia.
Varric le prese i polsi e, dopo un paio di strattoni, riuscì a staccarsela di dosso.
“Certo che lo sapevo!” gridò di rimando senza tirarsi indietro, spostandosi di lato con i pugni streti.
Quantomeno è una cosa alla pari, si disse Fedra con vago sollievo. Comunque non erano un bello spettacolo.
“Maledetto stronzo bugiardo!” sbraitò Cassandra. Caricò un pugno e lo scagliò contro il punto in cui si sarebbe dovuta trovare la faccia di Varric, che lo schivò inclinandosi all’indietro e sgusciando via.
“Cosa ti aspettavi? Mi hai praticamente rapito e trascinato al Conclave per costringermi a rivelarti dove fosse!”
“C'è di mezzo una guerra tra Maghi e Templari, Corypheus, un eretico che ha fatto esplodere una chiesa e tu... tu...”
“Oh, ma stai zitta, Cercatrice!”
Si parò dietro un tavolo ma la manata di Cassandra lo mandò a gambe all’aria. Varric si piantò sulle tozze gambe e digrignò i denti. “Hawke è mio amico, non lo avrei mai tradito per…”
Fedra si riscosse. Prima di rifletterci troppo corse via dalla porta e si parò tra i due litiganti, con le braccia tese per dividerli.
“Ehi! Finitela subito!” gridò.
Cassandra non la toccò ma si rivoltò contro di lei, gli occhi stretti in uno sguardo carico di rancore.
“Ah, così adesso prendi le sue difese!”
“Ho detto basta!” Fedra alzò la voce e sostenne il suo sguardo. “No, Varric, tu non vai da nessuna parte: adesso torni qui e mi spieghi tutto”.
Il nano stava cercando di sgattaiolare via ma sospirò al richiamo di Fedra e incrociò le braccia, le ampie spalle appoggiate al muro.
“Non so cosa sia successo tra voi due ma non intendo tollerare un simile comportamento da parte di due dei miei…” Agenti? Consiglieri? Scosse la testa. “Dei miei migliori amici”.
Centro. Cassandra fece il suo solito verso rauco dal fondo della gola e voltò loro le spalle, le braccia conserte.
“Allora, Cercatrice, inizi tu o inizio io?” chiese Varric, il tono un po' triste.
Dopo un lungo silenzio Cassandra sospirò e lasciò ricadere le braccia.
“Ci serviva un leader per l’Inquisizione; la Divina Justinia riteneva importante rifondarla già prima del Conclave. Io e Leliana volevamo Hawke, lo abbiamo cercato in lungo e in largo ma era come scomparso. Chi meglio di lui, che aveva già sconfitto Corypheus una volta? Ma niente da fare, non si trovava da nessuna parte”.
Si passò una mano tra i corti capelli neri e si voltò di nuovo verso Fedra. “Pensavamo fosse morto, e invece questo bastardo biondo ce lo stava tenendo nascosto!”
Varric contrasse la mascella e indicò Fedra.
“L’Inquisizione ha un leader!”
“Se Hawke fosse stato al Conclave avrebbe potuto salvare la Divina!”
“No, se fosse stato al Conclave sarebbe morto anche lui!” La voce di Varric tuonò nella stanza vuota e Fedra percepì una tensione e un affetto che non si era aspettata.
“Sei responsabile della sua morte, Varric!”
“No, no, fermi tutti!” Fedra tese le mani e scosse la testa. “Capisco la tua rabbia, Cassandra, e capisco che l’Inquisizione avrebbe tratto giovamento da qualcuno di più abile di me, ma Varric non ha colpe per ciò che è accaduto al Conclave”.
Qualcuno migliore di me. Era un pensiero che faceva male e Fedra non riuscì a guardare nessuno dei due negli occhi.
“Stavo proteggendo un amico”.
“Varric è un bugiardo, Fedra! Non puoi fidarti di lui, non quando ci ha tenuto Hawke nascosto così a lungo!”
“Ma l’ho contattato non appena ho pensato potesse davvero fare la differenza!”
“Smettetela di abbaiarvi in faccia, voi due. Io… io ho bisogno di sapere se posso fidarmi di te, Varric. Ho apprezzato quello che hai fatto, ma non sapevo tutti i retroscena”.
“Hai ragione, Carota. Io… senti, mi dispiace, va bene? Perdere la tua fiducia mi farebbe un male cane, ma vorrei che capissi. Hawke è il fratello che mi sono scelto e non potevo metterlo in pericolo, ma adesso l’ho fatto. Perché l’Inquisizione ne ha bisogno – perché tu ne hai bisogno. Ti prego, mi puoi credere?”
Il largo viso del nano era trasparente, per una volta, privo della maschera strafottente o dell’aria di sicurezza che lo aveva sempre contraddistinto. Sembrava più fragile, il ricordo di anni di battaglie che affiorava alla superficie e si portava dietro incubi e perdita.
Fedra voleva fidarsi, lo voleva disperatamente.
La grossa mano squadrata prese la sua con una stretta gentile.
“Cassandra ha ragione, non sono una brava persona e vi ho mentito, ma non per chissà quali interessi. L’ho fatto per seguire il mio cuore, lo stesso che ora mi ha portato a contattare Hawke per te. Puoi perdonarmi?”
Poteva? Di certo lo voleva, anche se bruciava ancora. Fedra sospirò e lasciò ricadere le spalle.
“Ci posso provare, Varric”.
Un’ultima stretta e un quasi sorriso e il nano si allontanò, indietreggiando fino alla porta con lo sguardo su Cassandra.
“Anche tu hai qualcosa da farti perdonare, Cercatrice”, le disse prima di sparire nella pioggia.
Cassandra lo guardò uscire e dopo un istante sembrò perdere tutta la sua forza. Si accasciò su un tavolo e si prese la testa tra le mani.
“Non riesco a smettere di pensare a come sarebbe potuto essere con Hawke. Abbiamo così tanto sulle nostre spalle…”
Sospirò a fondo e alzò lo sguardo ma senza guardare Fedra.
“Mi ha ingannata. Si è inventato una storiella e io gli ho creduto; se solo fossi stata più chiara, se gli avessi spiegato davvero cosa c’era in ballo, allora forse…”
Si alzò e si mise a camminare avanti e indietro.
“Ma non l’ho fatto. Mi sono limitata a dirgli che ci serviva Hawke e non mi sono abbassata a spiegare il perché. Volevo che Varric mi obbedisse e basta, con il Conclave che incombeva e tutta quella responsabilità da gestire”. Si passò una mano tra i capelli, si rialzò e si sedette su uno sgabello, uno dei pochi ancora intatti. “Sono una stupida”.
La ferita all’orgoglio di Fedra bruciava ancora ma non tanto quanto vedere Cassandra in quelle condizioni. Prese un secondo sgabello e lo trascinò davanti a lei, per poi sedersi.
“Si possono dire molte cose su di te, Cassandra Pentaghast, ma non che tu sia stupida. Mi… mi spiace solo che l’Inquisizione si sia dovuta arrangiare con me”.
Eccolo lì, quel senso di insicurezza sepolto sotto mesi di imprese e ovazioni ma mai spento.
Forse sono arrivata fin qui solo grazie a una fortunata concatenazione di coincidenze.
Cassandra alzò di scatto la testa e la inchiodò con quegli occhi grigi, quasi violetti.
“Non dirlo mai, neanche per scherzo!” Si tese e le prese le mani, forte. “Voglio che tu sappia – ho bisogno che tu sappia – che nonostante tutta la mia rabbia e la delusione non ho nessun rimpianto. Se avessimo trovato Hawke il Creatore non ci avrebbe mandato te”.
Si inclinò in avanti e appoggiò la fronte a quella di Fedra, un po’ troppo forte.
“Non sei quello che mi aspettavo, ma se c’è qualcosa che ho imparato in questi mesi è che io non so proprio niente. Sono stata presuntuosa e la mia unica speranza, adesso, è di poterti ancora chiamare amica”.
Fedra si morse il labbro e chiuse gli occhi.
Impulsiva, priva di un filtro tra pensieri e azioni, con la lingua tagliente: era Cassandra, e non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo.
“Sto facendo del mio meglio”, sussurrò.
“Sei il capo di cui l’Inquisizione aveva bisogno e sono felice di essermene accorta. Perdonami se è sembrato che dubitassi di te”.
Semplice e diretta, ecco che quella frase risanava la fiducia ferita. Fedra ricambiò la stretta e si raddrizzò sullo sgabello.
“E con Varric?”
Cassandra sbuffò e roteò gli occhi, più serena di un attimo prima.
“Sono riuscita a non ammazzarlo, direi che è già un risultato. Andrò a parlargli appena mi sarà sbollita, promesso”.
Le sorrise e il disordine emotivo si rimise a posto. Fedra le diede una pacca sul braccio e se ne andò, un po’ più leggera.
Rimaneva sempre Hawke su cui indagare, altre domande da fare a Varric e un messaggio da attendere, ma per il momento poteva aspettare.
Aveva smesso di piovere e Skyhold si stava accendendo di una miriade di finestre dorate. Era quel momento sospeso in cui non si poteva dire che fosse proprio ancora notte, ma era già troppo tardi per definirla “sera”, un attimo di quiete in una giornata anche troppo fitta di emozioni.
Come sempre, del resto.
Fedra passeggiò per i cortili che odoravano di pioggia e di una promessa di primavera sempre più imminente – persino lì tra le cime – e all’improvviso una nuova finestra si mise a splendere nell’aria violetta.
Cullen era nel suo studio.
Forse da solo.
E quello di cui Fedra aveva bisogno in quel momento era lui. Certo, avrebbero dovuto parlare di Hawke – che Cullen conosceva bene, per quanto Fedra non l'avese mai interrogato con troppa insistenza sui fatti di Kirkwall, e che sicuramente gli riportava alla mente l'orrore che l'aveva condotto a lasciare i Templari.
Ma non avrebbero solo parlato.
Si mordicchiò il labbro e avanzò decisa verso i bastioni, ma prima di poter formulare per bene un pensiero poco pudico un soldato la intercettò sulle scale.
“Oh! Inquisitore, stavo venendo a chiamarvi. Il comandante Cullen vi vuole nel suo ufficio”, disse la stessa giovane donna con il viso rosso che aveva già incontrato una volta.
Fedra cercò di assumere l’espressione più – come aveva detto Varric quella volta, mesi prima? – inquisizionesca possibile ma incespicò sulle parole.
“V-Va bene, vado subito, non voglio farlo aspettare…”
La recluta le fece un saluto militare e la precedette lungo le scale, seppellendo i suoi cattivi propositi.
“Arrivate appena in tempo, la riunione con i legati non è ancora conclusa”.
“Che fortuna”, esalò Fedra, ma a voce abbastanza bassa da non farsi sentire.
La ragazza la lasciò alla porta e Fedra entrò.
“Gli uomini di Rylen possono tenere sotto controllo la situazione”. La voce di Cullen salì, chiara e decisa, da oltre un muro di schiene corazzate.
“Sì, signore. Inizieremo subito con i preparativi”, rispose uno dei legati scattando sull’attenti.
Fedra sorrise nonostante tutto e si appoggiò all’indietro contro lo stipite della porta.
Non le era capitato spesso di vedere Cullen nei panni del comandante. Spesso in quelli dell’insegnante, intento a trasformare reclute in soldati, ma di rado alle prese con gli aspetti più burocratici della guerra. E adesso eccolo lì, curvo su quella ben nota mappa fitta di scarabocchi e ingombra di fogli e appunti.
Quando si concentrava gli si formava un sottile solco tra le sopracciglia e non smetteva di tamburellare con le dita sul tavolo. Fedra non lo aveva mai notato e si godette quei piccoli dettagli con espressione beata.
“Nel frattempo possiamo mandare dei soldati a… ad… ad assistere con le operazioni”. Cullen alzò lo sguardo su di lei e perse per un istante il filo del discorso. Fedra lo vide lottare con se stesso per darsi un tono e perdere miseramente.
“Bene, basta così per questa sera. Siete congedati”.
Un gran chiasso di tacchi battuti e saluti marziali risuonò nella stanza. Nessuno obiettò e i legati si incamminarono verso l’uscita, senza mancare di salutare Fedra con la stessa disciplina riservata al loro comandante.
Cullen li accompagno fino alla porta, dando una pacca sulla spalla all’ultimo della fila. Alla fine li chiuse fuori e si appoggiò alle assi di legno con un sospiro e una scrollata di testa.
“Ce n’è sempre una”, disse.
“Abbiamo avuto tutti una giornataccia. Mi hai mandata a chiamare?”
Cullen si alzò e le sorrise, la stanchezza di gli scivolava via dal viso.
“Avrò il diritto di conferire in privato con l’Inquisitore, no?” Le fece l’occhiolino e si mise a camminare in mezzo alla stanza e Fedra si rese conto che erano da soli, erano in un luogo riparato ed erano ancora tragicamente vestiti.
“Ho sentito che Varric e Cassandra hanno reciprocamente cercato di strangolarsi. È per quello che penso io?”
“Dipende cosa pensi...”
Cullen si passò la mano tra i capelli e la guardo di traverso.
“Ha portato qui il Campione di Kirkwall dopo aver detto di non sapere dove fosse, giusto?”
“E tu come lo sai?”
Sollevò le ampie spalle e scosse la testa.
“Non mi ritengo un mostro d'intelligenza ma conosco Varric tanti anni – e anche Hawke. Leliana mi ha parlato dei suoi sospetti e poi ho fatto due più due, non c'è voluto molto”. Sospirò e scosse la testa. “Non so come prenderla; Hawke era – è – qualcosa in più che una persona. Ha carisma, una forza incredibile e la tendenza ad associarsi a persone che definire discutibili sarebbe un complimento... e in effetti è qualcosa che avete in comune. Eppure...”
“... eppure potrebbe aiutarci. Non ti preoccupa la cosa?”
Un sogghigno li torse le labbra.
“Mi preoccupa moltissimo dover avere di nuovo a che fare con lui, ma devo confessare – e non è facile – che nonostante tutto mi piaceva, ai tempi di Kirkwall. Era difficile non subire il suo fascino, credo. Del resto, comunque, ha chiesto di te e non di me, e personalmente per ora non intendo rivangare il passato. Anche se...”
La guardò a lungo negli occhi e Fedra accantonò Campioni, menzogne e Magister con draghi.
“Anche se è inevitabile. I giorni da Templare, il male che ho vissuto, il lyrium... Sai, non ti ho ancora ringraziata per… per le tue parole. Quando sono stato male”.
Il ricordo della sofferenza e delle sue parole sul lyrium la rese seria, presente.
“Se c’è… se c’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi io… ecco…”
Cullen si sfregò la nuca e scoppiò in una breve risata priva di amarezza. Un buon segno.
“Nella mia testa suonava molto meglio di così. Però… grazie, Fedra”. Le si avvicinò e la prese per le mani, facendola scostare dalla parete.
“Suonava piuttosto bene, se può confortarti”, ma Cullen sollevò un sopracciglio e Fedra ridacchiò. “No, era un mezzo disastro, ma non importa. Ciò che conta è che tu ora stia meglio”.
“Sì, direi di sì. Va a periodi, di solito riesco a tollerare l’astinenza concentrandomi sul dovere o sulle cose belle”, e le diede una stretta alle dita, “ma ci sono dei periodi difficili. Continuerà a migliorare, ne sono sicuro”. Le baciò la mano e riprese a camminare in cerchio.
“Andrà tutto bene, lo so, e questa guerra non durerà per sempre”.
Qualcosa non tornava. Cullen era sembrato, come al solito, entusiasta di vederla, ma a ogni istante che passava Fedra lo vedeva più nervoso, e sentiva che non poteva essere solo colpa della comparsa di Hawke. Si corrucciò e rimase a guardarlo.
“Quando… quando è cominciata non ho considerato niente a parte la sopravvivenza. Dovevamo combatterne e uscirne il più vivi possibile. Ora però è diverso”.
“In che senso?”
Cullen si voltò a guardarla, gli occhi da leone così ardenti da farle cedere le ginocchia.
“Continuo a chiedermi cosa succederà dopo. Ho speranza, finalmente, che un dopo ci possa essere, ma non… non voglio che le cose cambino. Non voglio stare senza di te”. Tese una mano avvolta nel cuoio e le sfiorò la guancia così piano da farle venire un brivido; Fedra si appoggiò a quella carezza con il cuore che le scoppiava nel petto.
Che fosse bello lo aveva notato dal primo istante, quando era solo un soldato imbrattato di sangue tra le rovine carbonizzate di una cattedrale; ora, però, era quasi impossibile guardarlo senza volergli sfiorare il viso, senza cercare di toccarlo. Fedra cercò qualcosa da rispondergli ma riuscì solo a lasciarsi sfuggire un singhiozzo muto.
Cullen lasciò ricadere la mano e abbassò la testa.
“Se… insomma, io non so nemmeno se lo vuoi. Mi dispiace se ti ho messo in difficoltà facendo discorsi così… voglio dire…”. Le voltò le spalle e appoggiò le mani alla scrivania, a testa bassa.
Era troppo. Troppo dolce e sciocco e imbranato e gentile. Troppo Cullen.
Fedra ingoiò un verso a metà tra il pianto e una risata e appoggiò a lui, seduta sul tavolo.
“Hai davvero bisogno di chiederlo, Cullen?”
La voce le uscì bassa, poco più che un respiro.
Sufficiente.
L’espressione di Cullen si fece morbida e calda; si sporse verso Fedra e si chinò su di lei.
“Suppongo di no”, mormorò contro le sue labbra. Fedra si mosse all’indietro e urtò qualcosa. Una bottiglia vuota cadde dalla scrivania e andò in frantumi a terra, rovinando l’atmosfera.
“Scusami! Io non…”
Le labbra di Cullen si schiusero in un sorriso carico di malizia. Si morse il labbro e spazzò la scrivania con il braccio, mandando penne, fogli, un intero calamaio e pile ordinate di rapporti a rovinare al suolo.
Avrebbe voluto stupirsi, Fedra, o ridere o chiedere qualcosa, ma le braccia di Cullen la sollevarono e la stesero sul tavolo.
Era sopra di lei, la lingua intrecciata alla sua, il peso del suo corpo caldo che le premeva tra le gambe, la spingeva a sollevare il bacino e chiedere di più. Gli afferrò il collo di pelo del mantello e strattonò verso il basso, mandandolo a cadere in un cumulo rosso e disordinato sul pavimento.
Troppi vestiti, troppi bottoni. Mani ruvide di calli le si infilarono sotto alla camicia e la sollevarono; Fedra tirò troppo forte e qualche punto saltò via dalla tunica di Cullen; si agitò per un po’ in quella prigione di stoffa ma alla fine ne emerse, i capelli arruffati e le pupille dilatate, e la scosto da sé solo per un attimo, giusto il tempo di liberare anche lei da quell’ultima barriera di stoffa.
Era perfetto. Pelle morbida contro la sua, il respiro caldo contro le sue labbra – e più in basso, contro la sua gola e contro il seno, i denti che si chiudevano piano su un capezzolo. Fedra lo prese per i capelli e si contorse per emergere dai calzoni, insopportabili stupidi calzoni che si incastravano sui polpacci. Riuscì a liberare una gamba e fu abbastanza; una mano di Cullen salì ad afferrare la sua, dita intrecciate sopra alle loro teste, e l’altra era tra di loro. Sentì le dita sfiorarla e accendere un desiderio che non riusciva a trattenere. Si trovò ansimante, con la testa gettata indietro e gli occhi chiusi.
“Ti… ti voglio”.
Le labbra di Cullen lasciarono la sua pelle e tornarono sulle sue, un bacio famelico che le tolse il poco respiro che le rimaneva.
Lo sentiva contro di lei e gli avvolse le gambe attorno ai fianchi, spingendosi in avanti.
E finalmente lo sentì dentro di lei.
Tutto si fermò. Cullen era sospeso su di lei, il naso che sfiorava il suo, un unico respiro tra le loro labbra. Occhi dolci, increduli che la fissavano con così tanto amore da fare male. Fedra gli accarezzò la schiena e non riuscì a trattenere un’esclamazione soffocata. Orrore, sorpresa, dolore.
Una ragnatela di cicatrici solcava i muscoli tesi, linee sottili in rilievo che parlavano di guerra, di un tormento che non lo aveva ancora davvero abbandonato.
Sei a casa. Sei al sicuro. Io ti proteggerò.
Lo pensò con tutta la forza che aveva, gli occhi che si riempivano di lacrime e una lunga carezza fino alla nuca. Gli abbassò il viso e lo baciò di nuovo, un bacio profondo e pieno di parole non dette.
Cullen iniziò a muoversi dentro di lei. Lento come la marea, il respiro che si strozzava contro la sua gola e i loro cuori che ruggivano all’unisono.
Caldo. Colori che esplodevano oltre le palpebre chiuse. Fedra si morse il labbro e sollevò il bacino mentre le mani di Cullen andavano ad afferrarle i polsi. Forza trattenuta, promessa di sicurezza.
Le fusa di un leone.
Mille e una volta Fedra sentì la testa diventare leggera e l’ondata rovente salirle dal basso ventre fino alla gola. E mille e una volta Cullen si fermò, strappandole un mugolio di piacere trattenuto e frustrazione che lo faceva sorridere come non lo aveva mai visto fare.
“Ti prego”, gli sussurrò all’orecchio, affamata. E lui le morse la gola, piano ma non troppo.
Fedra sentì i denti nella pelle e spinse contro di lui.
“Ai vostri ordini, Inquisitore”.
Ricominciò a scivolare dentro di lei dando il ritmo al piacere che le cresceva dentro. Fedra si sentiva galleggiare, ancorata al suo corpo ma incapace di controllare il gemito che le saliva dalle labbra, le unghie che si aggrappavano alla schiena di Cullen. Da qualche parte in quel mondo che diventava remoto e immenso eppure tutto concentrato lì, tra di loro, anche la disciplina da Templare andò in frantumi. Colpi più vigorosi, un ringhio sulle labbra. Una mano invisibile afferrò Fedra – cosce e basso ventre e su, su fino al cuore – e strinse, il gemito che si trasformava in un grido strozzato. Cullen si tese sulle braccia, muscoli che tremavano e capo chino in avanti, e Fedra tornò in sé per vederlo digrignare i denti e fallire nel trattenere un ruggito mentre la raggiungeva.
Rimasero a fissarsi in silenzio con gli occhi sgranati e il respiro affannoso. Cullen era scarmigliato, i capelli spettinati che si arricciavano in tutte le direzioni e le guance rosse.
“Mi sembra ti sia piaciuto”, disse con voce roca. Fedra gettò indietro la testa e scoppiò in una risata libera, di pura felicità; lo strinse a sé e lo fece stendere al suo fianco. Rannicchiarsi nell’ampia curva del braccio, con la guancia premuta contro il suo petto fu così gratificante che le scappò un lungo sospiro estatico prima di rispondergli.
“Qualcosa in più che piaciuto”.
Rimasero in silenzio a lungo, stesi su quello scomodo tavolo su un lenzuolo di scartoffie stropicciate. La mano di Cullen scivolava leggera lungo la schiena di Fedra e lei lo scrutava da vicino, tracciando con la punta delle dita il profilo di ogni muscolo, di ogni cicatrice.
Andrà meglio, le aveva detto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché fosse vero.
Era difficile mantenere la calma sotto quelle carezze che si facevano sempre più audaci; il sangue riprese a scorrerle veloce in tutto il corpo quando Cullen la guardò negli occhi – ora due pozze scure, l’iride dorata ingoiata dalla pupilla – e le passò piano la lingua sulle labbra.
“Ho un letto. Più comodo di un tavolo”, le mormorò all’orecchio, il respiro caldo sulla pelle e una mano che scendeva lungo il suo ventre e si intrufolava tra le sue gambe. Fedra trattenne il fiato e gli andò incontro, sorpresa dalla risposta del suo corpo.
“M-Mi sembra una buona idea”, riuscì a mugugnare, ma quando Cullen si staccò da lei si sentì di colpo sola. Durò solo un istante, il tempo di sedersi e di vederlo in piedi davanti a lei, una mano tesa e un sorriso radioso sul volto.
Era splendido, spalle larghe coperte di lentiggini e una criniera disordinata di riccioli attorno al viso. Fedra scese dal tavolo e gli prese la mano.
“Andiamo”.
Fu una lunga notte, di quelle che sembrano non finire mai, fatta di scoperte reciproche e di una fame insaziabile che li portava a non riuscire a staccarsi le mani di dosso. Il letto aveva mantenuto le promesse, anche se il soppalco su cui era stato montato era spoglio – giusto un paio di bauli e la manica di una camicia che sbucava da un coperchio – e c’era un buco sul tetto da cui entravano dei rampicanti. Quando Cullen le si addormentò di fianco era molto tardi e le nuvole si erano diradate, lasciando spazio alla luna piena.
Fedra non riuscì a chiudere gli occhi, rapita dalla visione di carne e ossa al suo fianco.
Si rese conto per la prima volta che non ne aveva abbastanza, di Cullen. Come faceva a distogliere lo sguardo dalle scintille d’oro che la luna gli dipingeva tra i capelli? La bocca socchiusa nel sonno aveva un che di infantile che cozzava con lo sfregio, le ciglia erano lunghe e arcuate, onde dorate posate sulle guance. Con il mento appoggiato al pugno Fedra cercò di imprimersi nella memoria il solco tra i muscoli della spalla e la fossetta tra le clavicole, la curva elegante del polpaccio e la coscia che sbucava da sotto un lembo del lenzuolo.
Quella stella che era sbocciata nella follia di Therinfal, che aveva continuato a brillare nella tormenta dopo Haven e negli angoli più nascosti di Skyhold ora era così abbagliante da farle venire le lacrime agli occhi.
Amore, solo amore, intenso e totale e bruciante. Gli scostò un ricciolo dalla fronte e all'improvviso trasalì.
Qualcosa si contrasse sul viso di Cullen e le labbra si strinsero in un ringhio.
“N-No… no, lascialo…” Le dita afferrarono le lenzuola, le nocche sbiancate contro la pelle. Respirava male, a rantoli, e un pallore letale gli scolorò il viso. “Prendi me, non lui… p-prendi me, non toccarlo!”
La voce era remota e gli occhi guizzavano sotto le palpebre chiuse.
Fedra si paralizzò. Se li era aspettati quegli incubi, solo che adesso non sapeva cosa fare. I tendini gli si tesero sul collo e gli occhi, oltre le palpebre chiuse, danzavano da un lato all’altro.
Cullen si agitò tra le lenzuola, un grido soffocato in gola e la fronte imperlata di sudore.
“Cullen… svegliati”, sussurrò Fedra. Doveva portarlo via da quel luogo orribile, ma la sua voce non lo richiamò. Gli posò una mano sulla spalla sudata e lo scosse. “Non è reale, svegliati!”
Con un profondo respiro Cullen spalancò gli occhi e si sollevò a sedere così in fretta da far sussultare Fedra. Per un istante lo sguardo rimase folle, confuso nel riprendere contatto con la realtà, ma quando scivolò su di lei la tensione si sciolse. Con un sospiro e un brivido Cullen ricadde sul cuscino e si appoggiò un braccio sugli occhi.
“Brutti sogni?” chiese, retorica, Fedra.
“Niente di nuovo, ci sono abituato. Senza il lyrium sono peggio, ma…” Si voltò verso di lei e abbassò il braccio; del terrore dell’incubo restava solo un’ombra, allontanata da un sorriso incerto. “Ehi. Scusami… ti ho fatta preoccupare?”
Fedra gli prese il viso tra le mani e gli baciò la punta del naso.
“Ogni tanto lasciamelo fare”.
Cullen rise e appoggiò la fronte a quella di Fedra. Rimasero a guardarsi per un lungo istante, le ciglia che si intrecciavano.
“Tu… tu sei…” Un sospiro profondo e Cullen le sistemò una ciocca dietro l’orecchio. “Fedra, io non ho mai provato niente del genere. Quel giorno Cole aveva ragione, tutto quello che ha detto è vero e io…”
“Ti amo”.
Le parole le rotolarono inattese fuori dal cuore e Fedra sentì la stella dentro di lei ingigantirsi e riempirla di luce. L’espressione di Cullen si congelò. Shock, sorpresa… no, non solo. Una lenta, inesorabile felicità gli risplendette dentro agli occhi e gli inondò il viso. In un istante sparirono anni di solitudine e dolore, gli incubi evaporarono e ci fu solo quello: amore. La abbracciò di slancio e la tenne stretta, una mano dietro alla nuca e un braccio attorno ai fianchi; rimasero così per un po’, fino a che il respiro non gli si fu calmato, ma quando parlò la voce era ancora incerta, spezzata.
“Ti amo, Fedra, ti amo e volevo dirtelo da così tanto tempo che… che… ti amo, non posso crederci, ti amo”, le sussurrava all’orecchio con tenerezza frenetica. Fedra si trovò a ridere e piangere al tempo stesso e alla fine si fece anche venire il singhiozzo; Cullen la scostò da sé e la baciò, tenendole il viso tra le mani.
Era vero, più del marchio sulla sua mano, più della minaccia di Corypheus e degli ultimi mesi folli. Era reale, qualcosa su cui costruire un mondo dopo la guerra. Fedra gettò le braccia al collo di Cullen e gli salì a cavalcioni, di nuovo una cosa sola, e il futuro per un attimo fece un po’ meno paura.
Rimasero svegli fino all’alba, occhi che bruciavano e sorrisi che non se ne volevano andare.
Così assorbiti da quella notte di pura gioia non fecero caso ai raggi del sole che entravano, accompagnati da un uccellino scuro, dal buco sul soffitto.
Ignorare la porta che si apriva con un cigolio e un tonfo sulla parete, però, fu meno facile.
Un soldato entrò di schiena, la spalla a spingere il battente e le braccia cariche di panni piegati.
Cullen e Fedra si appiattirono sul letto, nudi e sconvolti, con gli occhi sgranati.
“Merda”, sussurrò Cullen.
“Meglio portare la biancheria al capo, ci mancherebbe, che andare di nuovo a montare trabucchi e ad affrontare draghi. Però insomma…”
Fedra riconobbe la voce e si coprì la bocca con le mani mentre una risata prorompente le eruttava dalle labbra. Prese il cuscino e lo morse per soffocare i singulti, mentre Cullen nascondeva la testa sotto alle lenzuola.
Jim.
Di nuovo.
Il soldato si voltò e Fedra quasi soffocò dal ridere nel vedere l’espressione che mutava mentre lo sguardo passava in rassegna l’assortimento di stivali, calze, braghe e biancheria sparso sul pavimento. Indugiò sul mantello di Cullen appallottolato a terra e, dopo aver posato i panni sul tavolo, si chinò a raccoglierlo; quando si alzò guardò verso l’alto con un’espressione di puro orrore sul viso e Fedra perse ogni contegno. Mollò il cuscino e si piegò in due sul letto, scossa da risa convulse.
“Oh no. Oh no questa volta mi ammazza. Sento che mi ammazza”, pigolò Jim.
“Non mi sei di nessun aiuto!” sibilò Cullen con una risata soffocata nel tono; rotolò fuori dal letto e recuperò un paio di pantaloni dal baule più vicino, vi saltò dentro e scese la scala a pioli praticamente a balzi, scalzo e seminudo.
“Jeremiah - Jim, no”.
Il soldato si nascose la faccia con le mani e guaì più forte, scuotendo la testa.
“N-Non ho visto niente comandante ve lo giuro non ho visto niente mi dispiace non lo dirò a nessuno non ho visto niente faccio dieci giri di Skyhold vero? Vado a farli vado ma tanto non ho visto niente non… non...”
“Calmati!” Cullen finì di allacciarsi le braghe e si passò le mani tra i capelli. “Io… ehm… non c’è problema, Jim. Nessun problema. Ora… ecco… grazie per la biancheria. Vai. Vai pure”.
Il soldato socchiuse le dita e lo sbirciò.
“S-Sicuro?”
“Vai prima che cambi idea!”
Jim lanciò un’ultima occhiata a Fedra, tutta fatta su nelle lenzuola e ancora incapace di controllare l’ilarità, e accennò un paonazzo saluto marziale. Cullen lo accompagnò alla porta con poche parole, molte pacche sulla spalla e parecchia decisione e lo chiuse fuori, quindi sospirò e si sedette per terra.
“E tanti saluti alla nostra reputazione…”
Fedra si diede una calmata e, sempre avvolta nel lenzuolo, scese dal letto e si sedette sul bordo del soppalco con le gambe a penzoloni.
“Io sono molto orgogliosa di aver portato sulla via della perdizione l’integerrimo comandante Cullen Stanton Rutherford”, disse senza riuscire a smttere di sorridere. Cullen allargò le braccia e si rialzò con un cenno divertito del capo. Raccolse la biancheria di Fedra e gliela lanciò con precisione.
“Povero Jim, gli sarà venuto un collasso”.
Fedra si srotolò dalle coperte e iniziò a sistemarsi, assonnata e felice. Per una notte l’orrore era stato lontano, e adesso affrontare quel che rimaneva della guerra sembrava un po’ più facile. Si rivestì in fretta e scese, trovando Cullen che finiva di allacciarsi il mantello ma ancora decisamente spettinato.
Gli passò le mani tra i capelli, li strinse e lo attirò a sé per un ultimo bacio.
“Buona giornata, comandante”, sussurrò contro la sua bocca.
“Farò rapporto nel mezzogiorno, Inquisitore”, e le diede un piccolo morso affettuoso. Fedra strinse le labbra e Cullen ci mise un istante a capire. “No. Niente battute sui rapporti. So che vorresti farla ma ti prego no”.
“… sicuro?”
Scoppiò a ridere un’ultima volta e le schioccò un bacio.
“Ti amo, ricordatelo”, le sussurrò.
“Anche io, e non c’è pericolo che me lo dimentichi”. Fedra uscì in cortile, e il sole non era mai sembrato così luminoso.



Benritrovati!
Hawke, Hawke... quanto posso essere innamorata persa di quest'uomo? Quanto? Mi strappa il cuore (e mi causa pensieri molto impuri) (no davvero, tra lui e Cassandra non saprei chi scegliere) e ho un bisogno quasi fisico di sapere che è felice. E Anders con lui - per inciso, se tra voi lettori c'è qualcuno interessato a una storia su loro due mi contatti per il link, che qui - be', non può stare, mettiamola così!
E finalmente un attimo di solitudine anche per Fedra e Cullen, che, diciamocelo, se lo sono sudato e meritato. Peccato per Jim, povera stella!
Come sempre grazie e alla prossima!

 

Val

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Capitolo 15
*** 15-Crestwood fa schifo, ho la bronchite e questa volta si fa sul serio. Ansia. ***


Morrigan si presentò a Skyhold tre giorni dopo.
Nessuno la vide arrivare, nessuno rilevò tracce di un seguito o anche solo di una carrozza. Semplicemente comparve un mattino sulla soglia della sala grande, ben diversa dalla dama elegante che aveva sussurrato nel buio di Halamshiral.
Fedra, impegnata con Leliana a controllare un rapporto da Harding nelle Terre Centrali, le andò a sbattere contro quando le inchiodò di fronte.
“Ahio”, bofonchiò massaggiandosi la punta del naso. “Scusa. Dicevo, per quanto riguarda la clinica di Redcliffe dovremmo… Leliana?”
Si era bloccata davanti a lei, alta e rigida, e a Fedra non servì guardarla in faccia per percepire l’aura di irritazione che emanava da lei. Si sporse oltre la sua spalla e ammiccò verso l’arco di luce che entrava dal portone spalancato.
“Inquisitore. Finalmente sono arrivata”. La voce di Morrigan era sempre uguale, bassa e vibrante; ora, però, al posto delle ampie gonne ricamate e del corpetto bordato di pizzo sembrava vestita da viaggio. Braghe, stivali, una tunica dalla scollatura profonda che rivelava parecchie superficie di pelle candida. Avanzò ancheggiando con un sorriso per niente rassicurante sulle labbra e fece l’occhiolino a Leliana.
“Non mi aspettavi, di’ la verità”.
“Certo che ti aspettavo. Devo darti il benvenuto?” La voce di Leliana era lieve ma Fedra non mancò di notare il gelo nello sguardo. Morrigan ridacchiò e la superò con uno svolazzo della mano.
“Una vecchia amica si aspetterebbe qualcosa del genere, ma non sono pretenziosa. Allora, Inquisitore – Fedra, giusto? –, sono qui per mantenere la promessa fatta a Celene e tenerti d’occhio, ma soprattutto per darti una mano”.
“Certo, io – ehm – stavo giusto…” e indicò vaga il rapporto che ancora stringeva tra le mani, quindi scosse la testa. “Perdonatemi, lady Morrigan, ma mi cogliete alla sprovvista. In che modo posso aiutarvi?”
Leliana si spostò di lato, quasi non volesse sfiorare Morrigan, e si allontanò con un cenno del capo.
“Vi lascio sole”, ma l’ultima occhiata che rivolse a Fedra sembrava volerla mettere in guardia.
“Prima o poi qualcuno mi spiegherà cosa avete passato per guardarvi così in cagnesco…”
“Oh, nulla di che. Mai andate d’accordo. E in più potrei averle… be’, diciamo che potrei averle rubato il fidanzatino quando eravamo più giovani”.
Fedra si passò una mano sulla nuca e lasciò ricadere le braccia.
“Non vi metterete a strapparvi i capelli in cortile, vero? Perché ne ho avuto abbastanza di gente che litiga per questa settimana”.
Aveva rivisto Varric il pomeriggio dopo il suo litigio con Cassandra; per quanto confusa, assonnata e beatamente distratta dai ricordi della notte passata con Cullen era riuscita a estorcergli che sì, si erano parlati e sì, avevano fatto pace, anche se nessuno dei due aveva mutato l’opinione sull’altro, ma Fedra decise di farselo bastare.
Morrigan gettò indietro la testa e rise. Un gentiluomo di passaggio non trattenne lo sguardo e lo lasciò indugiare un po’ troppo a lungo sulla scollatura, ma quando la maga lo fulminò con quegli occhi gialli corse praticamente via.
“Non preoccupartene, Fedra, siamo due donne adulte e un po’ troppo vecchie per questi giochini. Siamo qui per l’Inquisizione. Ora, se permetti so che Skyhold ha una biblioteca di tutto rispetto; so già dove sistemarmi e tu non dovrai preoccuparti della mia presenza”. Le sfiorò la guancia con un dito e le si avvicinò così tanto da farla indietreggiare. “Avrete presto notizie dal Campione di Kirkwall e confido che entro allora anche io avrò delle novità”.
Le fece l’occhiolino e se ne andò, lasciando Fedra col rapporti di Harding in mano e le idee molto confuse.
Non poteva allontanarla – ordini imperiali – e non riusciva a fidarsi di lei, ma Skyhold era al sicuro: aveva orecchie e occhi in ogni angolo, più spie di quanto le sembrasse decoroso (ogni tanto le veniva il sospetto che persino il ragazzino che pelava le patate in cucina fosse al servizio di Leliana, del Toro o di entrambi) ed era circondata da amici.
Tanto valeva non porsi il problema.
Furono di nuovo giorni di attesa. Fedra passava il tempo a chiedere se ci fossero notizie di Hawke o di Corypheus, a studiare la mappa con Cassandra in cerca di altre possibili alleanze e a sgattaiolare furtivamente fuori dalla torre di Cullen, appena prima dell’alba. Valeva la pena rinunciare a qualche ora di sonno per godersi il contatto con la sua pelle e il sorriso che le rivolgeva ogni volta che si svegliava. Col passare dei giorni era diventata molto abile a percepire i primi accenni di incubo e a scrollarlo prima che peggiorassero, e il sorriso di scuse e sollievo che le regalava ogni volta le scaldava il cuore.
Un mattino stava uscendo dagli alloggi di Cullen dopo aver controllato che non ci fossero sentinelle in vista – anche se ormai la relazione tra l’Inquisitore e il suo comandante era poco meno che di dominio pubblico – quando l’aria gelida la fece rabbrividire. Faceva ancora freddo nonostante i ciuffi di dente di leone che esplodevano tra le fessure delle mura e del cortile e la tentazione di voltarsi e tornare a rannicchiarsi tra le braccia di Cullen era molto forte, ma aveva una guerra da mandare avanti.
Almeno ho questi momenti. Servono a ricordarmi per cosa stiamo combattendo.
L’improvviso pop sulle merlature nel silenzio totale di Skyhold le strappò un rantolo; Fedra si morse il labbro per non gridare quando Cole comparve seduto sulle mura, le gambe a penzoloni verso il baratro sottostante.
“Il leone torna a ruggire ma è la leonessa a uccidere la preda. Più forti quando sono assieme, pelle e parole nel buio e una fiamma gentile che scalda ma non distrugge”. Sollevò la testa e la guardò da sotto la tesa del cappello. “Quando lo abbracci è più calmo, c’è silenzio. Non riuscirai mai a contargli le lentiggini sulle spalle ma gli piace quando ci provi”.
Fedra si guardò in giro – erano soli – e si stropicciò gli occhi.
“Scendi, Cole, mi fai preoccupare se stai lì”.
La guardò, iridi incolori nell’aria grigia prima dell’alba.
“Ti proccupi per gli amici. Ti preoccupi anche per me”. Si voltò e si sedette, più al sicuro, rivolto verso il cortile. “Vuol dire che sono tuo amico?”
“Sì, lo sei. Mi hai salvato la vita e ho voluto che rimanessi, è normale che mi preoccupi per te”.
Si sedette al suo fianco e per un attimo rimase a rabbrividire sulle pietre umide. Cole le passò un braccio sulle spalle e sfregò per un attimo.
“Questo aiuta?”
Le venne da ridere. Aiutare, sempre aiutare.
“Un po’, ma non rimarrò fuori a lungo, sto congelando”.
“Le coperte sono più calde quando siete abbracciati, quando…”
“Cole. No, fermati. Ti voglio bene ma certe cose… possiamo lasciarle in camera da letto? Per favore?”
“In camera da letto e nella sala di guerra dopo che Cassandra è appena uscita e dietro le stalle e…”
Cole!”
Silenzio. Fedra si strinse le ginocchia al petto e vi appoggiò il mento.
“Se ti faccio una domanda non ti offendi?”
“L’hai appena fatta. Io non mi offendo, io cerco di capire”. La voce di Cole fluttuava nel buio, incorporea da sotto quell’enorme cappello.
“Cosa sei? No, fermo”, lo prevenne. “Niente allitterazioni e giochi di parole. Puoi renderlo semplice? Mi aiuterebbe molto”.
Il profilo bianco si abbassò, quel mezzo broncio che aveva sempre sulle labbra più infantile del solito. Non sembrava avere più di vent’anni ma qualcosa nell’espressione lo faceva sembrare ancora più giovane. E quando apriva bocca diventava di colpo senza età.
“Spirito, prima. Solo spirito, sussurri nel buio senza essere visto. Cercavo i sofferenti e aiutavo, loro dimenticavano. E poi… maghi. Maghi imprigionati che imploravano di morire. Volevo aiutarli. Davvero”.
Il freddo che le penetrò nelle ossa non aveva più a che fare con la notte primaverile. Fedra non si mosse.
“Li hai uccisi?”
“Sì. Sbagliavo: sono stato Compassione e poi qualcos’altro, e alla fine sono stato Cole”.
Alzò la testa e guardò le stelle, il lungo collo immobile.
“Avevo amici. Templari, parole pericolose – uccidete altri maghi, nascondete segreti – e la fortezza di Adamant. Lottarono contro i demoni ma lì il velo è sottile e…”
Tacque, parole che si inseguivano troppo in fretta, troppi ricordi e mani che tremavano.
“Era un mago prigioniero, Cole. Un bambino o poco più. Suo padre lo odiava per ciò che era e sua sorella era morta durante la fuga. I Templari lo imprigionarono e se lo dimenticarono”.
Stava diventando tutto molto più cupo di quanto avesse previsto; Fedra rimpianse di aver posto la domanda e, subito dopo, rimpianse quello stesso pensiero. Cole non si voltò verso di lei.
“Posso smettere se vuoi. Non voglio farti male”.
“Continua. Scusami, non mi tirerò indietro dopo aver chiesto”.
“Fame, freddo, forme nell’ombra e fitte alla pancia. Unghie spezzate, pugni picchiati contro pietre pazienti. Nessuno ascoltava, nessuno veniva per lui. Per Cole. E alla fine smise di piangere”.
Si tolse il cappello e lo spazzolò con cura, rivelando sottili capelli di un biondo quasi bianco schiacciati contro la testa.
“Era solo. Stava morendo di fame e di freddo, dimenticato. Chiese aiuto e lo trovai. Io, solo io. Non potei fare altro che tenergli la mano. Piccola, pallida, poco più che pelle e ossa. Diventò molle e Cole morì. E io diventai lui”.
Confusa, con il cuore stretto per l’orrore, Fedra si sporse a prendergli la mano. Era fredda.
“Sei… diventato umano?”
“No. Ma sono diventato Cole”.
Quello non riusciva a capirlo; avrebbe dovuto parlarne con Solas, la sola persona lì dentro che sembrasse avere dimestichezza con spiriti e demoni e Oblio, ma l’unica teoria che le si formò in testa fu che Cole aveva assunto l’aspetto di quel ragazzino, pur rimanendo Compassione. Provò a chiedergli qualcosa di simile ma ottenne solo di fargli rimettere il cappello.
“Sono sempre stato spirito. E adesso anche Cole”.
“Per questo sei venuto a Therinfal? Avevi già visto Templari fuori controllo far male a qualcuno”.
Cole si limitò ad annuire.
Fedra lasciò perdere e si alzò.
“Cole, io non ho capito molto. So solo che da quello che mi hai raccontato hai conosciuto più morte e sofferenza di tutti noi, che non siamo esattamente il circo degli allegri gattini felici”.
“Non ci sono gattini, anche se arriveranno settimana prossima. Due gatte incinte nelle stalle, bianche e nere e rosse”.
“Ah. Be’, fantastico, a tutti piacciono i gattini. Quello che volevo dirti, Cole, è che sono grata che tu sia a Skyhold. Se potrò fare qualcosa per aiutarti – non so, anche solo a capire cosa sei, cosa può renderti più felice – allora lo farò”.
“Sì. Ti preoccupi e aiuti. Per questo sono rimasto”. La guardò e le prime luci dell’alba cancellarono l’impressione di essere incorporeo, rendendolo più simile a uno strano ragazzo con le guance pallide e gli occhi un po’ imbambolati. Qualcosa di vagamente simile a un sorriso gli piegò le labbra e Cole la guardò senza battere le ciglia. “Grazie”.
Un altro piccolo schiocco e sparì nell’aria, lasciando Fedra con la mano sospesa e il solito stupore. Era giorno ormai e i soldati sciamavano fuori dalla caserma; presto Cullen li avrebbe passati in rassegna e messi a lavorare, il clangore della forgia sarebbe ricominciato e Skyhold avrebbe preso vita.
Presto, si augurava, avrebbe capito del tutto il triste enigma dietro Cole.
Ma prima accadde qualcos’altro.
Un corvo planò sulle guglie della fortezza, recando tra gli artigli notizie da parte di Hawke.


Ne aveva visti di posti di merda, Fedra. A partire da quella bettola nel vicolo di Ostwick che puzzava sempre di vomito.
Crestwood era peggio.
Arrivarono al villaggio dopo giorni di piogge incessanti che tolsero persino a Fedra ogni energia per lamentarsi. Il terreno fangoso ingoiava gli zoccoli dei cavalli, il diluvio si infilava in tutti gli anfratti degli abiti e lo sfregamento contro la sella portava con sé vesciche in posti di solito non mostrati al pubblico. Cassandra si esprimeva a ringhi, Varric non aveva voglia di parlare e nessun altro si era mostrato ansioso di accompagnarli. Se lasciare Cullen con la prospettiva di non rivederlo per giorni le era già pesato ora, sotto quel muro d’acqua che le faceva bruciare gli occhi e le diluiva i pensieri, la nostalgia era quasi intollerabile.
Le mancava Cullen, certo, e le notti passate a dormire male sotto ripari di fortuna erano orribili, ma le mancava quasi di più Skyhold, l’aria pulita di montagna un sogno remoto tra i miasmi di vegetazione marcia e fanghiglia.
Hawke aveva trovato Stroud, e questo era un bene. Li avrebbe attesi dalle parti di una caverna – o qualcosa di simile, Fedra non si era molto posta il problema – segnata su una mappa. Raggiunsero il luogo dell’appuntamento che era quasi buio e l’area deserta.
Non pioveva così tanto – non per gli standard di Crestwood almeno, il che significava che pioveva comunque troppo – e Fedra smontò con un gemito da cavallo, atterrando in una pozzanghera fangosa. Cosa che non poté peggiorare di molto le sue condizioni, visto che ormai era inzaccherata fino alle orecchie. La sua povera cavalcatura se la vedeva peggio, con la pelle piagata da escoriazioni da sella; Fedra gliela levò in fretta e l’appoggiò all’ingresso della grotta, prima ancora di badare al resto. Il cavallo sbuffò e pestò lo zoccolo nel fango ma si girò a darle un’affettuosa brucata ai capelli, che Fedra interpretò come una versione equina di un ringraziamento.
Cassandra si mise al riparo e si passò la mano tra i capelli, lasciandoli ritti sulla testa.
“Eccoci qui, Varric. E adesso?”
“Hawke arriverà. Io di lui mi fido”.
“Ma io non mi fido di te”.
“E io non ho voglia di sentirvi litigare di nuovo. Siate costruttivi oppure statevene zitti”, sbottò Fedra di spalle, dopo aver assicurato il cavallo a un basso cespuglio.
“Va bene, Carota. Abbiamo smesso di beccarci, adesso la smetti anche tu di trattarci come ragazzini che bisticciano?”
“Solo se la piantate di…”
“State zitti”. La voce di Cassandra riecheggiò bassa e cupa nella grotta. Fedra si voltò sbuffando.
“Abbiamo tutti le palle girate, d’accordo, ma…”
“No, davvero. Ascoltate”, e indicò il buio tra le rocce. Varric caricò Bianca e le si affiancò e Fedra guardò il marchio: no, niente di strano. Se c’era una minaccia era umana.
Oltre lo sgocciolio della pioggia e i versi sommessi dei cavalli emerse un suono nuovo, ritmico.
Passi.
Cassandra scivolò davanti a Fedra e sguainò la spada.
Una luce nelle tenebre, il giallo di una torcia che delineava un’ombra enorme, mostruosa.
Fedra estrasse i pugnali e si preparò, ma la luce si fece più vicina, più intensa. L’ombra solo un frutto di un gioco delle fiamme magiche che ardevano in cima a un bastone da incantatore.
“Vi stavo aspettando”. La voce di Hawke riecheggiò sotto le volte di pietra e Varric abbassò Bianca.
“Che mi venga un colpo, Hawke! Ci hai fatti spaventare!” Mise la balestra a tracolla e lo raggiunse per un rapido, burbero abbraccio.
Cassandra emise il suo solito grugnito disgustato e si fece avanti, seguita da Fedra.
“È un piacere vederti, Campione di Kirkwall”. Gli tese la mano e Hawke la strinse con vigore, serio; a Fedra non sfuggì l'espressione deliziata della Cercatrice.
“Cassandra. Mi spiace aver fatto attendere così a lungo l’Inquisizione”, e salutò Fedra con un cenno del capo cui lei rispose agitando la mano, da vera mentecatta. “Sono appena arrivato, comunque. Il mio contatto nei Custodi dovrebbe essere in fondo a questa caverna”.
Fece un cenno del capo e tutti lo seguirono. Fedra non riuscì a mordersi la lingua in tempo.
Dovrebbe. Io questi condizionali proprio non li sopporto: una certezza ogni tanto non mi farebbe così schifo, proprio no…”
Hawke, di fronte a lei, si voltò con un mezzo sogghigno in faccia ma non commentò e Fedra rimase a imbarazzarsi nella penombra.
Non fu un tragitto lungo. Il tunnel si srotolava sotto alle colline in spire di roccia liscia e – neanche a dirlo – umida, infestata di funghi che crescevano a cespi nelle spaccature delle pareti. Un gocciolio insistente rimbombava nelle orecchie ma a parte quello e lo scalpiccio dei loro passi nessun rumore turbva la quiete della grotta.
“Ho incontrato altri Custodi venendo qui, probabilmente sulle tracce del mio contatto. Brave persone al servizio di superiori corrotti. Siamo fortunati che non siano venuti a ficcare il naso da queste parti”.
I primi segni di vita umana comparvero quando ormai si erano lasciati alle spalle la vaga luminosità del mondo fuori dalla grotta: casse di legno marcio, stoffa ammuffita e detriti a fare da cancello d’ingresso a una porta di assi sconnesse, in condizioni di poco migliori. Hawke appoggiò la mano sulla porta.
“Dobbiamo prepararci a un attacco?” chiese Varric.
“No, fidati di me”.
“L’ho sempre fatto, vecchio mio”.
Oltre la soglia li accolse una grotta più alta del tunnel che avevano appena attraversato, infestata di stalattiti e globi di calcare sorti dall’incessante sgocciolio. C’era qualche traccia di presenza umana – una panca, una lanterna accesa, un boccale rovesciato sul fianco – ma nessuno in vista. Cassandra superò Hawke e andò a esplorare il lato opposto dello spiazzo.
Fedra si passò il pomolo del pugnale sulla testa, grattandosi i capelli fradici.
I tre compagni si aggiravano per la grotta, cercando, scrutando…
E lei non riusciva a tenere a bada la delusione.
Non si era aspettata molto, non dopo quell’unico incontro con Hawke, e aveva cercato di aspettarsi ancor meno per paura di un’altra delusione. Ora però erano lì, in quel posto maleodorante e umido che sapeva di occasione mancata.
Sospirò, scosse la testa e si voltò.
Si bloccò, mani alte e occhi spalancati. La punta di una spada era a un soffio dalla sua gola, seguita da un braccio massiccio e da un corpo avvolto nella divisa blu e grigia di un Custode. L’uomo la guardava torvo, la bocca torta in una smorfia sotto folti baffi neri.
“Parliamone?” chiese piano Fedra.
“Stroud! Sono io, stai tranquillo!” Hawke gli sbucò alle spalle, seguito da tutti gli altri. Varric rimase in disparte, Bianca puntata verso la testa del Custode.
“E loro chi sono?”
“L’Inquisizione. Sono con me, te lo giuro”.
Stroud lo guardò con la coda dell’occhio e riportò lo sguardo su Fedra. C’era ancora sospetto nello sguardo scuro ma meno ostilità.
Con un tentativo di sorriso, rovinato dal fango, dalla stanchezza e dalla scossa di terrore nel vedersi minacciata di morte, Fedra sollevò di più le mani e si indicò coi pollici.
“Inquisitore. Amica”.
“Va bene”. Abbassò la lama e fece un passo indietro; Varric non spostò Bianca. “Come avete sentito il mio nome è Stroud. Sono al vostro servizio, Inquisitore”.
Fedra si rilassò e ripose le armi, imitata da Cassandra.
“Non sapete quanto mi faccia piacere sentirvelo dire. Ho bisogno fi tutto l’auito che posso trovare. Fedra, comunque”.
“Lo so”, e annuì, sempre serio. “Il vostro nome è noto anche ai fuggiaschi come me”. Rinfoderò la spada e fece un cenno col braccio a indicare alcune casse ancora integre. Vi si accomodarono tutti attorno a una lanterna e Fedra riprese a parlare.
“Bene, Stroud. So che i Custodi Grigi hanno qualche problema. Mi hanno detto che molti sono scomparsi e che circolano voci di corruzione ai piani alti. È così?”
“Temo sia la verità, e temo anche che dietro ci sia Corypheus. Fummo noi a perderlo per la prima volta, e dopo che Hawke, qui, lo ha ucciso – o così pareva – nessuno ha voluto più sollevare la questione. Avevamo fatto una figura abbastanza magra senza infierire, capite?”
Dalla cassa sotto di sé estrasse una bottiglia impolverata, la stappò con i denti e fece per passarla a Cassandra al suo fianco. Ci ripensò, ne bevve un lungo sorso e si pulì i baffi con il dorso della mano prima di porgerla.
“Un arcidemone può sopravvivere a ferite fatali e temevo che anche Corypheus avesse questo potere…”
“Ferite fatali? Hai detto poco, Stroud: era ridotto a un pugno di carne trita”, intervenne Varric. Ogni tanto Fedra dimenticava che il nano aveva un passato più oscuro e combattuto di quanto desse a vedere.
“Per qualche tempo ho studiato, investigato, ho indagato anche dove non avrei dovuto. E poco dopo ogni Custode nell’Orlais ha iniziato a sentire il Richiamo”.
Fedra si accigliò, ma il resto del gruppo sembrò prendere molto male la notizia.
“Per il Creatore! Perché non me lo hai detto?” Sul viso di Hawke passò un'ondata di emozione che cancellò la solita espressione stoica. Era spaventato. Sconvolto.
La voce di Stroud era bassa, oltre la disperazione.
“Era una faccenda da Custodi, e io ero legato da un voto di segretezza”.
“Ah, capisco. Una specie di rituale da Custodi, giusto?” azzardò Fedra. Stroud scosse la testa.
“Il Richiamo è la campana della fine per un Custode. Gli dice quando il Flagello lo verrà a prendere. Prima vengono i sogni, poi le voci nella testa… quando lo sente, un Custode dice addio ai suoi compagni e va a morire in battaglia. Meglio che cedere alla corruzione”.
“Tutti i Custodi dell’Orlais lo stanno sentendo? Tutti?” Hawke era peggio che incredulo, pallido sotto al segno rosso sul naso.
“Sì. E probabilmente è colpa di Corypheus”.
Fedra prese la bottiglia che nel frattempo era arrivata a lei e ne bevve metà, senza neanche sentire il forte sapore del rum che le scendeva in gola.
“Non è un vero Richiamo, non c’è nessun Flagello in arrivo e lo sai benissimo! Corypheus vi sta ingannando affinché crediate il contrario per distruggervi!” Hawke alzò la voce.
“Può farlo? E come?” chiese Cassandra, pallida.
“L’unica cosa che so di Corypheus è che rappresenta un pericolo immenso per tutti noi”.
“E tu?” Fedra bevve un altro sorso e ignorò la mano di Varric che chiedeva la bottiglia. “Lo senti anche tu, questo Richiamo?”
Stroud abbassò lo sguardo e annuì.
“Sì. Lo sento ogni istante, un predatore appostato nell’ombra. Tuttavia ho deciso di resistere per vedere se i miei sospetti sono fondati: dobbiamo scoprire qual è il piano di Corypheus e sventarlo”.
Varric le strappò la bottiglia di mano e brontolò prima di bere. Fedra si leccò le labbra e il calore del rum si mischiò al peso di quelle scoperte.
Non aveva mai voluto saperne molto di Custodi Grigi e aveva vissuto benissimo nella sua ignoranza. Ora le toccava affrontare anche quello.
“Se quello di Corypheus non è un drago ma l'Arcidemone allora è affare dei Custodi. Abbiamo sempre tenuto questo mondo al sicuro da quelle creature e vogliamo continuare a farlo… anche se temo che stia accadendo nel modo sbagliato”.
“In che senso?” Hawke non bevve, le mani contratte sulle ginocchia.
“Il Custode Comandante Clarel parlava di un rituale. Magia del sangue per prevenire futuri Flagelli e… e quando ho protestato che si trattava di un rituale empio, di un abominio, i miei stessi confratelli si sono rivoltati contro di me”.
“Anche per questo ti sei dato alla macchia”, osservò Cassandra. Stroud annuì e si voltò a frugare in un’altra cassa. Tornò con una mappa chiazzata che stese a terra.
“Posso dirvi questo: i Custodi Grigi spariti si stanno radunando qui”, e indicò un punto a ovest. Hawke si sporse in avanti.
“L’Accesso Occidentale?”
“Sbaglio o Adamant è da quelle parti?” chiese Varric, e Fedra cercò di ricordare dove avesse già sentito quel nome. Nessuno rispose.
“C’è un luogo, un’antica torre rituale Tevinter. So che laggiù troveremo delle risposte, ma devo avvertirvi”. Alzò la testa e fissò Fedra, duro. “Se ho ragione, e temo di averne, non basterà il nostro intervento. Ci occorrerà un esercito”.
“Lo abbiamo”, disse Cassandra alzandosi. “Prima, però, indagheremo questa tua torre”.
Lasciarono Crestwood di umore sempre funereo, con Hawke al seguito. Raggiunsero Skyhold in preda a un’epidemia di tosse e nasi colanti, sfiniti ma grati di essere a casa, anche se per poco.
Fedra fu quella che la prese peggio. Per due giorni Madre Giselle la tenne a letto per una febbre che non voleva saperne di andarsene; persino bere il brodo che la sacerdotessa le somministrava le causava la nausea e l’unico a riuscire a intrufolarsi nella sua camera senza rischiare il contagio fu Cole.
“Non sto così male”, provò a dirgli, ma un accesso di tosse la fece piegare in due.
“Starai bene presto, ma non volevo ti sentissi sola. Cullen è andato otto volte da Madre Giselle per chiederle come stavi, oggi”.
Questo la fece sorridere.
“Ha paura che un naso gocciolante fermi il nostro valoroso comandante?”
“Sta preparando un esercito. Verrà con voi verso il deserto”.
“Cosa? All’Accesso Occidentale? E perché?”
Appollaiato in fondo al letto Cole iniziò a oscillare avanti e indietro.
“Velo. Verde, vibrante, vicino e sottile e mani. Troppe mani che si tendono e strappano e afferrano. Pericolo, portatemi via, io non… non…”
Fedra si sporse in avanti con un leggero capogiro e prese con forza l’avambraccio di Cole.
“Calmati, va tutto bene. Non capisco cosa stai dicendo, però”.
Gli occhi azzurri, grandi e spalancati, si posarono su di lei.
“Lo capirai”. E svanì, lasciandola ad artigliare il nulla. Di nuovo.
Proprio quello di cui avevo bisogno: altro mal di testa.
Ricadde sul cuscino e cercò il fazzoletto per soffiarsi il naso. Cullen stava davvero preparando il loro esercito? Ma perché?
Riuscì a chiederglielo solo due giorni dopo. Continuava a sentirsi debole e indolenzita, ma almeno non aveva più quella tosse che le toglieva il sonno, anche se il naso rosso e gocciolante era sempre lo stesso. Cullen si affacciò alla sua camera con l’espressione preoccupata.
“Finalmente!” Fedra fece per lanciarsi giù dal letto e corrergli incontro, ma Cullen fu più rapido e la trattenne mettendo avanti le mani.
“No! Non devi alzarti ancora, Madre Giselle…”
“Quelli cosa sono?”
Nel pugno brillò qualcosa di giallo e Cullen si passò la mano libera sulla nuca.
“I-Io… non te li avevo mai portati e… e…”
Glielo tese: un piccolo mazzo di denti di leone un po’ sbilenchi e con i gambi schiacciati. Fedra sentì la commozione stringerla la gola e li prese con un sospiro.
“Sono bellissimi…”
“Li ho rovinati venendo qui e credo di aver lasciato delle radici. Non devi dire che sono belli solo perché…”
Gli prese il mento in una mano e lo baciò a lungo, in apnea per il raffreddore e incurante del pericolo di contagio.
“Sono i fiori più belli che mi abbiano mai regalato”, sussurrò contro di lui, e Cullen diventò rosso per l’emozione. “Ti amo”.
“Anche io. Avevo bisogno di sentirtelo dire”.
Si sedette sul letto al suo fianco e fece sussultare il materasso. Le scostò i capelli dalla fronte e fece scendere la mano lungo la guancia e fino alla spalla.
“Mi sei mancata così tanto… e ci aspettano giorno difficili”.
Fedra depose i fiori sul comodino e gli mise le gambe in grembo. Cullen le accarezzo le gambe sollevandole fino al ginocchio la camicia da notte.
“Cole è passato di qui. Ha detto che stai preparando le truppe”.
Cullen annuì, cupo.
“Scusa, avrei dovuto parlarne con te, prima, ma ne ho discusso con Cassandra e Hawke e tutti sono concordi: dobbiamo essere pronti a partire in qualsiasi momento”.
Un brivido le corse sulle braccia e Fedra si strinse le braccia al corpo.
“Non importa, sono solo felice di poter contare su di te e sugli altri per questo genere di cose”.
“Ma guardati, stai tremando…” Cullen la rimise sotto le coperte e gliele rimboccò fino al mento.
“Sei peggio di Madre Giselle”.
Il sorriso che le regalò fu rapido, offuscato da troppi pensieri. Fedra sfilò una mano dalle coperte e prese la sua.
“Cosa c’è?”
“Sono preoccupato. Custodi Grigi, magia del sangue… Leliana ha cercato di contattare il Comandante Clarel ma senza successo. Potrebbe esserci una vera battaglia, questa volta, e non si è mai pronti al pensiero di perdere i propri uomini”.
“Non pensarci troppo. O comunque non pensarci adesso, anche se so che è un consiglio stupido. Faremo ciò che bisogna fare e potremo contare l’uno sull’altra, è tutto ciò che posso darti. So che non è molto”. Il sorriso di Cullen, questa volta, fu pura luce. La tenne stretta e le sfiorò la fronte con le labbra.
“È ciò di cui ho bisogno”.
Rimasero così ancora un po’, fino a che Madre Giselle non fece irruzione nella stanza brandendo una delle sue orrende pozioni. Cullen si alzò con un colpo di tosse, salutò Fedra con una parvenza di serietà che non inbrogliò nessuno e uscì.
La sacerdotessa si limitò a sorridere tra sé e a posare la tazza di infuso fumante di fianco ai fiori, sul comodino. Sfiorò le corolle gialle con la punta del dito e scosse la testa.
“Vi meritereste un tempo diverso per la vostra gioia, ma il Creatore sceglie le notti più buie per far sbocciare le stelle”. Prese i fiori e li mise in un piccolo vaso prima di chinarsi su Fedra e toccarle la fronte con il dorso della mano. “La febbre è scesa, bambina. Domani starai meglio”.
Era rassicurante sentirsi chiamare così, lontano da responsabilità e morte anche se solo per un paio di giorni di febbre. Le venne in mente sua madre: quando era bambina e stava male rimaneva nella sua stanza, a ricamare fino a che non cadeva addormentata sul telaio ma pronta ad accorrere a ogni piccolo verso della sua piccola.
Mi manchi.
Quante cose da raccontare, quanti mesi di lontananza… Fedra bevve l’infuso con una smorfia e un paio di conati che nascose a malapena e ripose la tazza. Le erbe fecero effetto quasi subito e si addormentò, sognando di fili colorati intessuti in un arazzo di fiori e scintille d’oro.

Si svegliò che era mattina e un corno cantava nell’aria di Skyhold.
L'ora era vicina.

Buon nuovo capitolo a tutti! 
Un attimo di respiro prima del deserto e di un assedio come si deve.
E qualche libertà stilistica: nel mio headcanon Morrigan e Leliana non si sono mai piaciute molto, e la Leliana incattivita di Inquisition si fa molti meno problemi a farglielo sapere. Ma le adoro entrambe, non posso farci nulla!
Vorrei riprendere a rispondere alle sempre graditissime recensioni ma qualcosa dev'essere andato storto e semplicemente non ci riesco. Intanto lancio un grido di aiuto tecnico, magari qualcuno mi ascolterà.
Come sempre grazie e alla prossima!

 

Val

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Capitolo 16
*** 16-Sabbia e sangue, Hawke è un enigma e soffro per lui. Stanno arrivando. ***


Crestwood era stato odioso, l’Accesso Occidentale era semplicemente un mostro. Settimane per raggiungere quella distesa di sabbia rovente e ad attenderli la prospettiva di un rituale orribile con cui fare i conti: Fedra era più spaventata che irritata quando Harding, a pochi giorni dal loro arrivo, la raggiunse in quel campo tende sull’ansa di un rigagnolo che si sforzava di essere fiume.
“Inquisitore, benvenuti all’inferno”, disse la nana senza preamboli. Aveva la pelle scurita dal sole e un’esplosione di lentiggini sul naso, mentre Fedra era solo riuscita a ustionarsi malamente faccia e orecchie.
“Harding! Sono felice di vederti qui, il viaggio è stato lungo e mi serviva proprio una faccia amica tra queste dune”.
Harding sorrise e sollevò un sopracciglio.
“La prossima volta che avete voglia di vedermi mandatemi un messaggio e vi offro una birra in taverna, Inquisitore. Allora, pronta alle buone notizie?”
Il sarcasmo nel tono non faceva presentire niente di buono e Fedra sospirò. Si sedette su una roccia e subito scattò in piedi con uno strillo, le cosce scottate dalla pietra rovente.
“Attenta a non sedervi, qui scotta tutto. Fate finta che ve lo abbia detto prima e che vi sia tornato utile”, disse la nana con tono tra l’ironico e il dispiaciuto.
“Parliamo in piedi, meglio”, bofonchiò Fedra. Si schermò gli occhi con la mano e si leccò le labbra secche per il vento del deserto.
“Abbiamo notizie di attività dei Custodi Grigi a sud est, ma non siamo ancora riusciti a spingerci abbastanza vicini per avere dettagli più precisi. Tempeste di sabbia, creature orribili, serpenti… uno dei miei uomini ha bevuto dalla fonte sbagliata e ha passato due giorni ad avere le allucinazioni. Almeno non è morto di sete, se vogliamo guardare il lato positivo”. Harding guardò in su verso Fedra e scosse la testa. “Per farla breve, questo potrebbe essere il posto peggiore in tutto il mondo. State attenta, Inquisitore”. Per una volta il tono ironico si spense in una sincera preoccupazione.
“Grazie, Harding. Davvero”.
“Dovere”. Fece spallucce e indicò la sterminata distesa di sabbia e rocce rossastre erose dal vento. “Preferirei essere ovunque tranne che qui, non sopporto il caldo. Sto tempestando Skyhold di corvi con le ultime scoperte, volete che mandi qualche messaggio in particolare?”
Fedra sarebbe arrossita se non avesse già avuto la faccia viola per il troppo sole.
“In che senso?”
“Volete che faccia avere due righe al comandante Cullen? So quanto può essere dura stare lontani e quanto vi possa mancare, quindi…”
Era vero. Sarebbero passate settimane prima di poterlo abbracciare di nuovo e il solo pensiero le affossava il cuore; avrebbe dovuto evitare di rimuginarci, ma tenersi stretta al cuore il ricordo di quel sorriso e di quella voce che le sussurrava di amarla le era indispensabile per andare avanti.
Fedra sorrise e scosse la testa.
“Ha un esercito da mettere in marcia, non ti preoccupare. Però grazie”.
“Cercate di essere ottimista: se tutto va bene non ci sarà nessuna battaglia, se tutto va male avrete il vostro comandante. In ogni caso qualcosa di cui essere felici”. Harding le fece l’occhiolino, un rapido saluto militare e tornò alle proprie mansioni gridando ordini agli esploratori.
Cassandra raggiunse Fedra e le si piazzò di fianco, braccia incrociate e occhi stretti contro il sole.
“Non più tardi di domani ci rimetteremo in azione. Voglio indagare quella pista di Stroud il prima possibile; il fatto che Harding non abbia sue notizie può significare che è molto bravo a muoversi in incognito oppure che è molto morto”.
“Propenderei per la prima. Perdonami, ho tanto bisogno di pensieri positivi”.
Cassandra sollevò un sopracciglio; anche lei aveva assunto un bel colorito scuro, e apparentemente Fedra era l’unica ad avere il potere speciale di scottarsi senza mai abbronzarsi. Tutta la pelle esposta bruciava e sopportare il caldo dei vestiti era più facile che rischiare di peggiorare la situazione.
“Hawke è andato a cercarlo. Ho proposto di accompagnarlo ma ha preferito andare da solo”. La Cercatrice strizzò gli occhi verso il cielo, in cerca.
“Prego che ci arrivi in fretta un suo messaggio. Questo deserto è una prova sufficiente per la resistenza di chiunque, anche senza Corypheus di mezzo”.
Era anche troppo vero. Quella notte, davanti a un fuoco che cercava di tenere lontano il gelo della notte – Fedra non si capacitava di quella delirante escursione termica – e le ombra di iene e avvoltoi appollaiati sugli alberi morti non riuscì a decidersi su cosa la facesse stare peggio. La scelta ardua era tra la nostalgia per Cullen e la sua casa a Skyhold, la solitudine di un viaggio in compagnia di un Hawke praticamente sconosciuto nonostante i lunghi giorni sulla via – quell’uomo era più silenzioso di un ciocco di legno – e il sentirsi patetica nell’aggrapparsi così a Cassandra, unica amica e compagna in quella missione. Se a questo ci si aggiungeva il bieco terrore per l’ignoto che aveva davanti Fedra si sentiva legittimata a scoppiare a piangere e a nascondere la testa sotto al cuscino. Che non aveva, visto che dormiva in una coperta arrotolata a terra.
Comunque non poteva premetterselo. Dentro si concedeva qualche istante di pianti invisibili, ma fuori, di fronte a quel piccolo contingente di soldati che la salutavano con il suo titolo e fin troppa deferenza, doveva continuare a essere l’Inquisitore.
Quella notte dormì male, appisolandosi davanti alle fiamme e svegliandosi sotto un cielo così stellato da non sembrare neanche nero. Qualcuno le aveva messo una coperta sulle spalle, ma anche così il freddo la faceva rabbrividire. Se la strinse addosso e si scavò una nicchia nella sabbia morbida e umida.
Silenzio di tomba, rotto solo dallo sporadico movimento della sentinella che si stiracchiava o sbadigliava.
Fedra si girò sulla schiena e contemplò quell’esagerazione di stelle. Faceva quasi male guardarle, e se non avesse avuto successo non ci sarebbe stato più nessuno a meravigliarsi della loro bellezza.
Sollevò la mano sinistra e la tenne aperta sopra di sé, il bagliore del marchio quasi fastidioso in quelle tenebre morbide.
Se invece ci fosse riuscita…
La notte si addensò con un battito d’ali. Fedra fece per sedersi e indagare quel suono, il sonno di colpo svanito, quando un enorme corvo le si aggrappò alla mano sollevata.
Uno strillo soffocato le sfuggì dalle labbra e la sentinella scattò verso di lei. Il corvo, da parte sua, si limitò a piantarle gli artigli nella pelle e becchettarle le dita.
“No, no, scusami, soldato”, si affrettò a dire Fedra, ma ormai il danno era fatto. Non solo la sentinella era lì di fianco a lei, ma dalle tende sbucarono svariate teste assonnate ma attaccate in cima a corpi armati e pronti.
“Scusatemi”, ripeté Fedra, a metà tra l’imbarazzo e la preoccupazione. “È… è arrivato un corvo”.
Non le piaceva quella bestia, così come non le piacevano quelli di Leliana, ma evidentemente lei piaceva a lui, perché il volatile non sembrava volersi togliere dalla sua mano. Fedra tese due dita certa che avrebbe perso qualche falange e, dopo non poche esitazioni, le puntò verso la zampa.
Eccolo lì, un rotolino di pergamena fissato con un giro di spago. Torce la circondarono mentre slegava il messaggio e se lo lasciava cadere in mano; gli occhietti lucidi del corvo erano inespressivi, fissi su di lei. Quand’ebbe recuperato la pergamena scrollò la mano.
“Ora puoi andare”.
Il corvo non si mosse.
Con il messaggio stretto in pugno Fedra gli sventolò le dita davanti al becco. “Sciò!”
Harding la salvò dall’imbarazzo. Quando le si avvicinò, del tutto sveglia e per niente arruffata, il corvo le saltò sulla spalla senza esitazioni e si lasciò condurre via.
Cassandra si inginocchiò di fianco a Fedra, i capelli ritti in testa ma già intenta ad allacciarsi la corazza.
“Fate luce”, ordinò. Subito una torcia venne tesa sopra alla testa di Fedra, che aprì la pergamena per trovare poche parole scarabocchiate con quello che sembrava carbone.
“Venite. Stroud è con me – H”
“Ci è riuscito. Lo ha trovato”, disse Fedra. Guardò Cassandra e vide la linea della mandibola tendersi in quell’espressione di determinazione feroce che in genere preludeva a…
“In marcia. Subito”.
… decisioni prese al volo, in fretta e prima che potesse venire il dubbio che non fossero buone idee. Era uno dei motivi per cui aveva bisogno di averla accanto: caparbia, forse, ma capace di smuovere le montagne.
E comunque ormai Fedra era sveglia. Si alzò e scrollò la mano graffiata, lanciando il messaggio di Hawke tra le braci del fuoco.
Furono pronte, armate e montate a cavallo in meno di mezz’ora, con Harding che caricava le groppe di provviste e ghirbe d’acqua.
“Se partite ora e non trovate intoppi – ma li troverete – raggiungerete la torre Tevinter in circa mezza giornata. Potrei consigliarvi di stare al riparo durante le ore più calde della giornata ma tanto non mi ascoltereste. Andate a est, non potete mancare l’obiettivo”. Harding si piantò i pugni sui fianchi e guardò Fedra montare in sella. “Buona fortuna, Inquisitore. Ecco tutto”.
Cassandra la ringraziò con un cenno e diede di sprone. Fedra cercò qualcosa da dire ad Harding ma finì solo per riuscire a recuperare un gesto di saluto prima di partire a sua volta.
Caldo. Caldo dappertutto e sudore e sabbia fine come cipria che si incollava alla pelle e si infilava nel naso, negli occhi e dappertutto. Era stato tutto abbastanza semplice prima dell’alba, minacciate giusto da qualche animale selvatico e insistente che aveva trovato rapida fine sulla spada di Cassandra. Poi il sole era sorto e quella palla rovente in cielo aveva reso il viaggio un incubo.
Fedra si era convinta che non potesse andare peggio di così, costretta a tenere la testa avvolta in una sciarpa per non peggiorare l’ustione e a proseguire a passo lento per non sfiancare i cavalli.
Si era sbagliata, perché poi era salito il vento. L’orizzonte si sfumò di un rosa polveroso e nel giro di pochi minuti il cielo sparì, ingoiato da una tempesta di sabbia.
Si ritrovarono nascoste dietro a un macigno, i cavalli trattenuti e scalpitanti, impossibilitate a muoversi fino a che quella nuvola non fosse passata. C’era il rischio di smarrirsi, di incrociare qualcosa di pericoloso o, molto banalmente, di finire soffocate.
Quando la tempesta si fu placata erano entrambe coperte da capo a piedi da uno strato di polvere rossa, con le ciglia incrostate di sabbia e i capelli rigidi. Con poca voglia di parlare rimisero in pista i cavalli, li fecero bere e ripartirono.
Harding aveva detto bene: mezza giornata salvo imprevisti, e quel vento aveva fatto perdere loro almeno due ore. Era pomeriggio inoltrato quando all’orizzonte, finalmente, si profilò la sagoma semi franata di una torre.
“Ci siamo”, disse Cassandra con voce esile. Le labbra erano spaccate, gli occhi rossi, ma riusciva a tenersi in sella più dritta di Fedra, praticamente accasciata sul collo del povero cavallo.
Smontarono ai piedi di una duna; la torre distava ancora almeno un’ora a cavallo, ma avvicinarsi avrebbe significato farsi vedere da eventuali sentinelle.
“E comunque io ho bisogno di un attimo di tregua”, gracchiò Fedra. Si afflosciò sulla sabbia rovente e bevve un lungo ma insufficiente sorso di acqua dal sapore stantio, quindi porse la ghirba a Cassandra che la imitò.
“Aspettiamo. Hawke sapeva che lo avremmo raggiunto, non può essere lontano”.
Non lo era, infatti. Passarono meno di dieci minuti prima che due figure si profilassero nell’ombra della duna più vicina. Fedra afferrò i pugnali e si preparò al peggio, ma presto riconobbe la barba nera e il segno rosso sul naso di Hawke.
Stroud emerse alle sue spalle, serio e bruciato dal sole.
“Come mai arrivate solo ora? Il rituale sta per cominciare, potrebbe essere già troppo tardi”, disse con un fremito dei baffi.
“Ci siamo mosse appena abbiamo ricevuto il messaggio di Hawke. Dobbiamo ancora attrezzarci per il teletrasporto”, sbuffò Fedra. Cassandra non commentò e si mise subito in marcia, torva.
Poco da dire, poche informazioni da condividere.
Hawke si affiancò a Fedra.
“Grazie”, le disse piano. “Avrei voluto lasciarvi più tempo ma… grazie”.
Sempre meglio del commento di Stroud. Fedra annuì e tenne lo sguardo fisso davanti a sé.
“Sono io che devo ringraziarti, anche se ho come il sospetto che ciò che troveremo in quella torre non ci piacerà”.
Hawke sorrise e sembrò di colpo più giovane, come se una versione passata di lui – spensierata, avventurosa – brillasse sotto la superficie.
“Posso supporre ci saranno demoni, maghi, qualcosa di brutto con troppi arti o troppo pochi occhi… insomma, niente che tu non abbia già affrontato, immagino”.
“Niente che avessi voglia di affrontare di nuovo”.
Non ci fu molto altro tempo per parlare. L’antica torre incombeva su di loro, o almeno ciò che ne rimaneva: un arco all’imboccatura di un lungo viale e, là in fondo, ruderi di un edificio squadrato.
Fedra si schermò gli occhi contro il sole; tutto ciò che riusciva a vedere, tra la luce abbagliante e la polvere, era una struttura che ricordava una mano, dita arcuate tese verso il cielo.
Il vento mutò e un odore inconfondibile le mozzò il fiato.
Sangue.
Cassandra, accanto a lei, arricciò il naso.
“Siamo davvero arrivati tardi”, disse funerea, sguainando la spada.
Avanzarono lungo il viale lastricato e Fedra sentì l’adrenalina salirle in corpo, controcanto a un orrore crescente.
Sì, erano arrivati tardi.
Nello spiazzo davanti a loro un uomo nelle vesti dei Custodi, coperto da un’armatura ammaccata, era circondato da compagni. Altri come lui erano a terra, gole tagliate e petti squarciati.
“N-No, questa è follia”. La voce dello sconosciuto era rotta, il viso cadaverico. Nessuna pietà o simpatia negli occhi dei compagni.
Anzi, proprio niente su quei visi impassibili. Stroud deglutì forte.
“Gli ordini del Comandante Clarel li conosci molto bene”. La voce arrivava da un uomo dal pizzetto scuro, abbigliato in vesti che non avevano niente a che vedere con quelle dei Custodi. Bianche e sgargianti, ricordavano un po’ lo stile di Dorian. La somiglianza, però, si fermava lì, perché l’uomo aveva un’espressione feroce che non prometteva niente di buono.
“Ricorda il tuo voto, Custode: Nella guerra, vittoria. Nella pace, vigilanza. Nella morte…”
Stroud ringhiò forte.
“Come osa profanare i nostri voti quel…”
L’uomo concluse con un sogghigno, proprio quando uno dei Custodi in circolo sguainò un pugnale e trafisse la gola del compagno.
“… sacrificio”, concluse con un sogghigno.
La vittima si accasciò con le mani strette al collo in un ultimo, patetico tentativo di frenare il torrente di sangue che gli eruttava tra le dita.
La pozza rossa al suolo sembrò ribollire e generare una malsana luce verde.
Il marchio sulla mano di Fedra pulsò così forte da farla rallentare con un gemito.
“Cosa c’è?” le chiese Cassandra.
“Sta… sta per succedere qualcosa di brutto”, fu la risposta impotente e scontata.
Accadde davanti ai loro occhi, quando ormai erano a pochi passi dalla carneficina.
Uno squarcio si spalancò nel cielo sopra al cadavere e dalle profondità dell’Oblio emerse una sagoma alta, nera e rossa come lava, priva di fattezze umane.
L’uomo col pizzetto indicò uno dei superstiti.
“E ora vincolalo come vi ho mostrato”.
Il cervello di Fedra correva, la mano pulsava. Rituale, magia del sangue: sì, l’aveva saputo. I Custodi in circolo erano maghi – ma anche qualcos’altro, vuoti e inespressivi – e tutti i cadaveri erano stati loro compagni.
Guerrieri. Tutti morti.
Lo sconosciuto alzò lo sguardo oltre la carneficina e lo puntò negli occhi di Fedra. Un sorriso sgradevole gli si stese sulle labbra, sotto al pizzetto scuro e ordinato.
“Inquisitore, quale inatteso piacere. Lord Livius Erimond di Vyrantium, al vostro servizio”, e si piegò in un orrendo inchino carico di derisione. Prima che Fedra trovasse il fiato per rispondere, in quel delirio di mosche e sangue che si coagulava, Stroud la superò con una spallata.
“Tu… non sei un Custode!”
“Acuto”. Erimond si arricciò un baffo e sollevò un sopracciglio. “E dimmi, sei venuto fin qui con l’Inquisizione per far - come si dice -
ragionare i tuoi compagni?”
“L’idea sarebbe quella, sì”, rispose Fedra.
“Ti aspetti che mostrino rimorso? Che ti ascoltino?”. La risata di Erimond era il grattare di unghie su una lavagna. Si accarezzò il pizzetto e si voltò verso i Custodi attorno a lui. “Custodi, in alto le mani”.
Tutti obbedirono.
“E ora giù”. In coro abbassarono le braccia. Stroud aveva i denti digrignati e le pupille ridotte a spilli; fece per scattare in avanti ma Hawke lo bloccò.
“Corypheus controlla le loro menti!” ringhiò il Custode. “Lui e… e questo lurido Tevinter!”
Erimond incrociò le braccia e sorrise, anche troppo desiderioso di parlare. Fedra avrebbe preferito macellare il demone che ansimava lì davanti ma Cassandra le fece un piccolo cenno con il capo.
Aspetta.
“Quando sono andato da Clarel l’ho trovata molto provata, povera cara. E io ero tutto un consiglio affettuoso, una dimostrazione di simpatia.
Oh, cara, un nuovo Flagello sarebbe una tragedia intollerabile! Ma io e te assieme potremmo fermarlo!”
Si mise a camminare avanti e indietro e Fedra, in quel delirio di angoscia e orrore, si trovò a pensare che era un buffone, per giunta anche parecchio stupido. Non per questo meno pericoloso.
“Il piano è semplice ma geniale: creare un esercito di demoni e andare a uccidere gli Antichi Dei prima che si sveglino. Se gli Antichi Dei sono morti non possono essere corrotti, e quindi non può esserci un nuovo Flagello, mai più. I Custodi si sacrificano, salvano il mondo e tutti li amano: un piccolo capolavoro di arguzia”.

“Un esercito di demoni…”
“Non hanno bisogno di mangiare. Non si stancano, sono... sono le truppe perfette”. Hawke aveva la faccia di chi stesse per vomitare.
Parole dal passato riaffiorarono alla memoria di Fedra, sussurri acidi a Therinfal. Invidia lo aveva detto, ma all’epoca non vi aveva badato – era troppo impegnata a sopravvivere e a non impazzire.
“Non sei stupido come sembra… be’, purtroppo per i Custodi il rituale ha un effetto collaterale. Ora loro sono marionette nelle mie mani”. Mosse le dita e i Custodi oscillarono a ritmo.
“E in quelle del mio padrone, Corypheus”.
“Sì, immaginavo ti riferissi a lui”, mugugnò Fedra.
“Lui regnerà nella Città d’Oro, unico dio, e noi Venatori saremo i signori di questa terra. Un bell’affare, no?”
“Sono sicura che ci sia qualche clausola scritta in piccolo che ti fotterà alla fine. Comunque, caro Erimond, grazie per averci spiattellato tutto. Ora, se permetti…”
Fedra si mise in guardia e tutti i compagni fecero lo stesso.
Erimond roteò gli occhi e schioccò le labbra.
“Oh, ma per favore. Pensi che Corypheus non mi abbia detto come gestire il tuo piccolo problema? E per piccolo problema intendo il fatto che tu sia ancora sgradevolmente viva…”
Tese la mano e un bagliore rosso l’avvolse, proprio come era accaduto a Corypheus durante l’assedio di Haven. Fedra sentì il braccio esplodere di dolore e cadde in ginocchio.
“Quel marchio? Un furto. Hai costretto il mio padrone a cercare un nuovo accesso verso l’Oblio, e ora…”
Un botto e il dolore svanì com’era comparso. Fedra arrancò in piedi e vide Erimond seduto a terra, una barriera lucente davanti a sé. Cassandra incombeva su di lui, trattenuta solo da quell’incantesimo e con la faccia di chi non chiedesse di meglio che fracassargli qualche osso.
“C-Cosa…”
“Parli troppo”. Sollevò la spada ma la lama mandò scintille contro la barriera. Erimond perse un po’ di quell’aria saccente e si rimise in piedi. Di fronte a Fedra che si raddrizzava in una nube di luce verde, al ringhio di Cassandra e ad Hawke e Stroud che avanzavano verso di lui alla fine vinse un condivisibile panico.
“Uccideteli! Uccideteli tutti!” tagliò corto con un secco ordine ai Custodi.
Il mago corse via e sparì in una nuvola di fumo viola; tutti i Custodi si voltarono all’unisono verso di loro – occhi vuoti, divise tutte uguali. In mezzo a loro il demone di lava, che levò le braccia sopra alla testa e lanciò un verso gutturale al cielo.
Non fu una bella battaglia. Fedra si ritenne fortunata di dover affrontare solo quell’orrida creatura, interessata più a lei e al suo marchio che agli altri suoi compagni, ma mentre levava la mano e sentiva il potere scorrerle nelle ossa intravide lacrime negli occhi di Stroud mentre trafiggeva un compagno. 
Per fortuna durò poco. Il demone non arrivò mai a incalzare Fedra e si dissolse in un grido luminoso, distraendo i Custodi controllati.
Morirono tutti e nel giro di pochi minuti fu Stroud l’unico Custode superstite, in ginocchio tra i compagni caduti con il sangue che colava dalla spada. 
C’era silenzio ora nella vecchia torre. Hawke si tamponò la barba strinata da un incantesimo e Cassandra si leccò il sangue che colava dal labbro, ma nel complesso ne erano usciti bene.
Il sole stava iniziando a calare. 
“Condannati… sono tutti condannati”, mormorò Stroud tra le lacrime. Hawke lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla. “I maghi schiavi di Corypheus, i guerrieri carne da macello per i sacrifici…”
Guardò Hawke e si alzò in piedi, rigido.
“I Custodi hanno sbagliato, ma avevano le loro ragioni. Devo crederlo”.
“Li stai difendendo?” Tutta la simpatia di Hawke evaporò in una rabbia sibilante. 
“Ho detto che hanno sbagliato!”
“Non mi interessano le ragioni dietro tutto questo, è troppo grave per poterli perdonare!”
“Tu non capisci…”
“Lui non capisce, io non capisco, qui nessuno capisce niente quindi finiamola subito”, sbottò Fedra. “Sono stufa di avere attorno gente che litiga, porca di quella baldracca di An…”
Si bloccò in tempo prima che Cassandra cogliesse la bestemmia e si passò le mani tra i capelli rigidi di polvere e sudore.
“Adesso cerchiamo di capire dove è andato quello stronzo, d’accordo? E magari lo facciamo in un posto che non abbia il pavimento tapezzato di cadaveri”. Rinfoderò i pugnali e marciò a lunghi passi verso il viale, seguita subito da Cassandra.
“Sai, Fedra, non ti ci vedo a fare il generale e a comandare un esercito, ma come fai le lavate di capo tu non le fa nessuno”, disse. E nonostante la tragedia, nonostante l’incertezza e il terrore Fedra sentì il cuore alleggerirsi.
La notte attorno al fuoco concluse degnamente quella giornata infernale. Nessuno aveva voglia di parlare, l’acqua scarseggiava e le strisce di carne secca si erano impanate di sabbia.
A un certo punto, quando già Fedra stava pensando di provare a mettersi a dormire, Stroud ruppe il silenzio.
“C’è un vecchio forte dei Custodi, non molto lontano da qui. Non mi stupirei se Clarel e gli altri vi avessero cercato rifugio”.
“E cosa aspettavi a dircelo?” ringhiò Hawke. Il tentativo di Stroud di difendere i Custodi Grigi sembrava averlo fatto infuriare.
“Forse non ero entusiasta all’idea di vederti andare lì e fare un massacro, che ne dici?”
Gli occhi nocciola di Hawke fulminarono Stroud e sotto ai baffi neri balenò un ringhio di denti candidi.
“Sai chi ho scelto. Sai chi nascondo e proteggo e sai che è stato un Custode. Come pensi che mi sia sentito quando lui ha...”
“E non mi interessa! Non... non farmi parlare di lui, va bene? Siamo...”
“No, questa volta lascialo fare a me”, Cassandra prevenne Fedra prima che potesse aprir bocca. “State zitti e andate a fare il primo turno di guardia”.
Hawke la guardò male ma fu Stroud ad alzarsi e ad allontanarsi con la sua coperta.
A Fedra fu riservato l’ultimo turno, ma non avendo quasi chiuso occhio non le pesò alzarsi prima e iniziare a preparare i cavalli. Le povere bestie erano completamente rosse e piuttosto irritate dal vento, ma non si lamentarono e si lsciarono sellare senza troppi scalpitii.
Fu un sollievo rimettersi in marcia e avere qualcosa di fisico su cui concentrarsi – l’andatura stanca dei cavalli, la lontana tempesta di sabbia da aggirare.
Hawke era più cupo, le nocche che sporgevano dalle mani contratte attorno alle redini e quel mezzo litigio con Stroud che Fedra non riusciva a interpretare.
Un nome, però, continuava a rimbombarle nella testa.
Adamant.
L’aveva già sentito, ma dove?
Ci rimuginò fino a che non arrivarono, al tramonto, all’accampamento. Fu una specie di visione mistica e Fedra quasi si commosse alla vista del rigagnolo che lambiva le tende. 
Anche poco più tardi, nascosta dietro un paravento e seduta in quel ruscello tiepido, continuò a rifletterci. Grattandosi via la sabbia da dietro le orecchie continuò a rigirarsi in testa Adamant.
Fortezza dei Custodi, va bene, ma cos’altro?
Oltre la tela del paravento si stagliò la figura di Cassandra, delineata dalle fiamme.
“Muoviti, vorrei levarmi pure io di dosso questo schifo”.
Intinse i capelli nella corrente e si sollevò grondante.
“Stavo riflettendo su Adamant…”
“Immaginavo. Non pensare che io non lo stessi facendo”.
“Il fatto è che io ne ho già sentito parlare e…” Iniziava a essere snervante discutere con una persona in piedi al di là del paravento. Fedra si alzò e, in punta di piedi, vi si affacciò dall’alto. “Io ne ho ancora per un po’. Se non ti formalizzi c’è spazio per due”.
Cassandra, avvolta fino alle ginocchia in un telo non proprio pulito, sollevò le sopracciglia.
“Non ti basta che raccontino delle tue avventure con Cullen?”
“Non intendo attentare anche alla tua, di virtù! Ma ho bisogno di levarmi la sabbia da punti inenarrabili e di discutere con te”. 
Cassandra si guardò intorno, fece spallucce e alla fine la raggiunse, badando bene a non guardarla troppo mentre si immergeva di fronte a lei. 
Fedra, troppo assorta dalle sue riflessioni per far caso alla Cercatrice nuda, si passò le dita tra i capelli.
“Adamant… Adamant…”
Cassandra tuffò la testa sott’acqua e si arruffò i capelli, da cui grondarono rivoli color ocra sulle spalle.
“Mph. Sbaglio o ti sta un po’ ossessionando? Ti sei persino dimenticata di prendere il telo per…”
Telo.
Telo?
Velo!
La realizzazione le sorse lenta nella testa mentre si sfregava la nuca. Fedra socchiuse la bocca e spostò lo sguardo su Cassandra, le mani intente a frizionare i capelli e l’espressione un po’ turbata.
“Perché mi guardi così?”
“Velo… Adamant è dove il velo è sottile…”
Si slanciò in avanti e abbracciò brevemente Cassandra, del tutto indifferente alla rispettiva assenza di vestiti, prima di uscire dal torrente e rubarle il telo.
“Cole, me ne ha parlato Cole… lui ci è stato – il velo a Adamant è sottile, quale posto migliore per evocare un esercito di demoni? Gli squarci sono solo piccoli passaggi, e con la chiusura del varco Corypheus non può più farvi affidamento. Gli serve qualcosa di più grande, di più immediato…”
“Gli serve Adamant”, Cassandra lasciò ricadere le braccia e la fissò. 
“Se ho ragione, se Stroud conferma questo mio terrore, allora abbiamo una fortezza da assediare”.
Si strizzò i capelli e lasciò cadere sulla riva l’asciugamano umido, rivestendosi senza mai distoglierel o sguardo da Cassandra.
“Potrebbe essere troppo tardi. Inviare un messaggio a Skyhold, attendere i preparativi, la partenza e tutta la strada…”
Cassandra si alzò e scrollò la testa.
“Ne ho discusso con Cullen prima della partenza. Ci stanno raggiungendo”.
Non se l’era aspettato. Lo aveva saputo, certo – Cullen glielo aveva detto, ma non aveva messo in conto che avrebbe davvero mosso un intero esercito fino a quel deserto malefico. Nella sua mente sarebbe dovuta tornare a Skyhold e perdere tempo al tavolo di guerra e poi progettare tutto quanto.
Invece stavano già arrivando.
Fedra si bloccò con la camicia infilata a metà a la bocca aperta.
“Puoi cambiare espressione? Mi stai mettendo in imbarazzo”, bofonchiò Cassandra.
E invece sarebbe arrivato lì. Il suo esercito, a combattere per lei.
Con lei, questa volta.
Fedra finì di rivestirsi e se ne andò, scalza e già quasi asciutta, sulla sabbia che iniziava a raffreddarsi.
Troppo tutto assieme. Aveva bisogno di parlare con Cole per capire cosa fosse Adamant e il pensiero di combattere con Cullen la terrorizzava – non lo avevano mai fatto, sarebbe riuscita a concentrarsi, a non cercarlo con lo sguardo nella
mischia mettendo tutti a repentaglio?
E più di ogni altra cosa aveva bisogno del rapporto di Stroud.
Se c’era ancora una sola possibilità di evitare una assalto alla fortezza intendeva aggrapparvisi con tutte le sue forze.

 

I rapporti dall'Accesso Occidentale arrivavano ogni giorno, privi di novità in maniera inquietante.
Adamant non si era mossa da dov'era stata costruita secoli prima, ai tempi del Secondo Flagello, piena di Custodi che tutto sommato stavano facendo molto poco.
“Siamo fortunati che non siano ancora pronti per il rituale”, aveva commentato Stroud una sera davanti al fuoco. Quell'uomo parlava anche meno di Hawke; più di una volta Fedra l'aveva visto tendersi ad ascoltare qualcosa che solo lui poteva sentire, pallido e con i denti stretti. Il Richiamo? Non aveva avuto il coraggio di chiederglielo.
Passarono due settimane; le scottature smisero di bruciare e cominciarono a prudere e Fedra, naso e orecchie spellati, tornò bianca come prima e quindi di nuovo rossa per un secondo turno di fastidio.
Si sentiva sospesa in quell'aria rovente, con il vento che non dava tregua e rinfocolava il fuoco dei pensieri che non la lasciavano riposare. Paura per ciò che li aspettava e per ciò che aveva lasciato a Skyhold, incertezza nell'approcciare Hawke che non aveva la minima intenzione di parlare del proprio passato, una fortezza di silenzi e rancore che si scioglieva in sorrisi riluttanti durante le sere davanti alle braci, a bere e raccontarsi qualsiasi aneddoto abbastanza stupido da scacciare l'orrore dei demoni.
Le sarebbe potuto piacere, se lo sentiva: quando abbassava la guardia si intravedeva un senso dell'umorismo che le faceva capire perché Varric gli fosse così affezionato. Sapeva scherzare ma in qualche modo se lo vietava, come se si stesse punendo per qualcosa. Fedra avrebbe voluto provare a confortarlo – se, come temeva, la comprensibile ragione di quell'umore cupo era il ritorno di Corypheus – ma aveva come il sospetto che non l'avrebbe presa bene. C'era un mondo di nostalgia e paura sul viso squadrato, lo sguardo che sapeva di amore fiero e ostinato per qualcuno che Fedra non conosceva. Qualcosa dentro di sé le sussurrò che chiunque fosse doveva trattarsi di qualcuno di eccezionale per meritarsi il Campione di Kirkwall.
Non posso parlargliene, non sono affari miei.
Così si limitavano a conversazioni superficiali e alla pianficazione delle mosse successive.

Poi iniziarono ad arrivare i corvi. Non che fosse una novità, con il costante flusso di esploratori che Harding mandava in pattuglia in giro per la regione, ma questa volta c'era qualcosa di diverso. 
Il primo uccello arrivò un mattino presto, trovando Harding intenta a scrutare una mappa che ormai doveva sapere a memoria. Imparata la lezione con le disavventure precedenti Fedra si tirò indietro quando l'enorme uccello nero si appollaiò al suo fianco su uno dei pali della tenda.
“Ehi, Harding, questo è tuo”, le disse facendosi prudentemente da parte. La nana alzò la testa e strinse le palpebre per un attimo; sul largo volto lentigginoso sfrecciò un'espressione tesa.
“No che non è mio”, disse. Lasciò la mappa e si affrettò a raggiungere Fedra, di colpo interessata.
“Come sarebbe a dire che non è tuo? Mi sembrano tutti uguali”.
“A parte che no, non lo sono, ma guardate: vi sembro una che usa sigilli di ceralacca?”
Aveva ragione. Attaccata alla zampa del volatile c'era una missiva ripiegata con cura e chiusa da una goccia rossa. Fedra rabbrividì nell'aria rovente e ogni pelo del suo corpo si sollevò per l'improvvisa eccitazione. Si piazzò alle spalle di Harding e scorse in fretta quelle righe con il cuore che accelerava a ogni puntino troppo marcato sulle “i”, a ogni lettera finale che si allungava in uno scarabocchio. 
Cullen aveva una calligrafia inconfondibile. 
Harding alzò lo sguardo su di lei, pallida sotto l'abbronzatura e con la bocca socchiusa quanto Fedra.
“Stanno arrivando”, sussurrò.




Ci siamo di nuovo! 
Adamant - che paura Adamant. L'Oblio è un classico inevitabile ma i preparativi per accedervi sono stati ancora peggiori. L'ansia, lo stress... e sinceramente l'Accesso Occidentale mi ha messo un'ansia infinita. 
Di nuovo grazie a chi continua a seguire le gesta di Fedra - siamo in dirittura d'arrivo ormai, no? - e alla prossima!

Val

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Capitolo 17
*** 17-Un esercito, un piano e il mio comandante: quando sembrava che le cose stessero andando meglio ecco che mi ritrovo a morire. ***


Non se lo sarebbe potuta permettere: stavano andando in guerra, e per davvero questa volta, con un esercito alle spalle e una fortezza da assediare. Eppure Fedra sorrideva quando andò a chiamare Cassandra e le riportò il messaggio.
“Sono... quasi qui. Pochi giorni, credo cinque o sei, appena oltre la portata degli esploratori”. Si tormentava le mani in grembo e Cassandra annuì, seria.
“S-Scusa, non voglio sembrare felice o entusiasta o niente, sono terrorizzata e sconvolta, credimi, ma credo di avere una paralisi di qualche tipo alle guance. Se cambio espressione scoppio a piangere per il panico”.
“Va bene, lo capisco. Non me la sento di rimproverarti per un sorriso”, e ammiccò in fretta. Era diventata più magra in quelle settimane di deserto e gli zigomi sporgevano ancora di più, dandole un aspetto feroce.
Stavano arrivando davvero.
Le sentinelle li avvistarono a metà del secondo giorno di attesa; fu un ragazzo dalla pelle scura e dagli occhi verdi a tornare di corsa con la notizia. Fedra pensò con una stretta al cuore a ser Barris e pregò dei in cui nemmeno credeva che quel messaggero troppo giovane per la guerra non fosse condannato alla stessa fine.
“Hanno... hanno un trabucco”, ansimò l'esploratore tra un sorso d'acqua e l'altro. “E un qunari”.
“Un trabucco?” esclamò Hawke con gli occhi sgranati.
“Il Toro di Ferro?” si unì Fedra. Un leggero capogiro la prese: Cullen non si era portato solo l'esercito, ma anche l'Inquisizione stessa! Cercò disperatamente di non crearsi aspettative per non rimanere delusa ma sapere che avrebbe avuto non solo Cullen ma anche qualche compagno di avventura per quella missione le faceva girare la testa per un sollievo inatteso.
E infine, quattro giorni dopo, arrivarono. Fedra avrebbe voluto andar loro incontro ma non riuscì a imbastire una scusa strategicamente accettabile per una corsa in pieno deserto. Si sentiva il petto contratto e le mani che formicolavano al pensiero che Cullen stesse davvero arrivando e non riusciva a distogliere lo sguardo dall'orizzonte a est.
All'inizio sembrò solo un'altra di quelle dannate tempesta di sabbia, una muraglia rossa che avanzava lungo il cielo. Poi dalla nebbia si affacciarono forme. Un lungo braccio di legno teso al cielo, carri deformi per il carico di armi e provviste. Un paio di corna su una testa saldamente piantata in cima a un corpo troppo grosso per essere vero.
Fedra racimolò tutta la sua determinazione per non mettersi a saltellare, ma Cassandra lo capì ugualmente. Erano schierati per accogliere le truppe e Fedra aveva stupidamente passato quasi un'ora a cercare invano di rendersi presentabile. Naso spellato, lentiggini esplose sotto all'ustione, capelli secchi e raccolti in una crocchia scomposta: non era proprio al massimo della forma. Ma non riusciva a importarle. Dritta, con i pugni stretti ai fianchi, rimase in testa davanti a Hawke e Stroud, con Cassandra al fianco.
Cullen cavalcava nell'avanguardia su un destriero diverso da quelli che Fedra conosceva. Non i tozzi, robusti animali del Ferelden ma una creatura tutta zampe snelle e muso affusolato, con grandi occhi liquidi. Non lo degnò di un secondo sguardo, rapita dal cavaliere.
Poteva vedergli solo gli occhi, l'unico dettaglio lasciato scoperto dal drappo che si era avvolto in spire attorno alla testa e al viso, e quegli occhi d'ambra si infissero nei suoi.
Sei qui.
C'era un mondo in quel lungo sguardo che le lanciò e Fedra strinse i pugni così forte da piantarsi le unghie nei palmi. Voleva correre ad abbracciarlo e basta, e al diavolo il mondo da salvare.
Non lo fece e si accorse di stare tremando. Cullen smontò e si scoprì il viso; la striscia attorno agli occhi era abbronzata, mentre sul resto del volto la pelle era chiara come sempre. Non si radeva da parecchi giorni e una corta barba dorata gli brillava sul mento.
“Inquisitore, il tuo esercito”, disse con una vibrazione nel tono.
E il tuo uomo.
Le fece un serio saluto marziale ma le labbra si contrassero di parole non dette. Fedra raddrizzò la schiena e annuì.
“Comandante. Siete arrivati prima di quanto sperassimo”.
“Mai abbastanza presto. Abbiamo ricevuto un flusso costante di informazioni anche grazie ai nostri agganci diplomatici; siamo partiti due giorni dopo di voi”.
Cassandra si fece avanti e gli strinse il polso in un brusco saluto tra commilitoni, che si trasformò subito in un rapido abbraccio.
“Siamo più che felici di vederti. Tutti, anche se qualcuno più degli altri”, aggiunse a bassa voce. Il viso pallido di Cullen si colorò e Fedra, che sarebbe volentieri sprofondata nella sabbia, lo vide mordersi il labbro per non sorridere. “Conosci il Campione di Kirkwall, immagino”.
Cullen avanzò a stringere la mano di Hawke e nel far ciò sfiorò deliberatamente il braccio di Fedra. Una scossa le arrivò fino al cuore e si sentì di colpo debole.
Non puoi farmi quest'effetto. Dev'essere la lontananza.
“Ancora tu”, disse Cullen con un cenno del capo e un sorriso stanco. Hawke gli strinse la mano e gli diede una pacca sulla spalla. “Come sempre dove i guai si addensano”.

“La gonna da Templare non ti donava, cavaliere – no, scusa. Comandante. Ti preferisco così”. Qualcosa fremette nel tono serio, una promessa di risata e di un passato condiviso su cui Fedra si sarebbe interrogata se solo fosse stata meno in preda all'emozione. Si diedero un rapido abbraccio e prima che Cullen potesse aggiungere qualcosa una voce si levò dalle retrovie.
“Ci siamo anche noi comunque, Inquisitore. Si salutano gli amici!”
Fedra si voltò di scatto e vide Dorian sgomitare tra i cavalli per raggiungerla. Ecco qualcuno cui il deserto sembrava aver fatto bene: la pelle olivastra aveva assunto un intenso color bronzo che rendeva gli occhi grigi ancora più luminosi, baffi e capelli impeccabili nonostante sabbia e vento. Il mago le si fece incontro a lunghi passi sciolti – incurante del brontolio di Cassandra – e si chinò in un baciamano ridicolo in quella situazione. 
“Inquisitore! Hai un aspetto terrificante”.
“E tu sembri appena uscito dai salotti più eleganti di Halamshiral. Chi è fuori luogo tra i due?” La voce le si spezzò per la troppa emozione. Alle sue spalle stavano avanzando anche Solas e Cole, il primo avvolto in un turbante simile a quello di Cullen, il secondo protetto dal cono d'ombra del cappello.
Dorian scoppiò a ridere e la abbracciò con trasporto, sollevandola da terra.
“Sbaglio o ne avevi bisogno? Il tuo comandante deve darsi un tono, altrimenti so che ti avrebbe...”
“Zitto!” gli sibilò all'orecchio. Si stava commuovendo e sì, Dorian aveva ragione. Aveva bisogno di essere abbracciata e rassicurata, e se si fosse messa a pensare a Cullen più di quanto già non stesse facendo sarebbe scoppiata in lacrime.
Dietro di lei Hawke stava presentando Stroud, ma era difficile concentrarsi su di loro con quell'esercito colossale che si accalcava alle loro spalle. 
Era la prima volta che Fedra vedeva un vero esercito; di certo non poteva essere così imponente, e l'impressione che si trattasse di un serpente infinito di soldati e cavalli e carri doveva derivare dal trovarsi in un luogo così aperto, ma era suo. 
L'esercito dell'Inquisizione.
Le venne da vomitare.
Harding aveva già iniziato a sbraitare ordini a destra e a manca, supervisionando con stupita efficacia alla sistemazione dell'esercito. 
“Fedra, dobbiamo discutere subito una strategia”. La voce di Cassandra si insinuò nei suoi pensieri. “Vai in tenda, noi ti raggiungiamo tra un attimo”.
“Io... io... sì”.
Era troppo emozionata per trovare qualcos'altro da dire. Per un attimo rimase in piedi, sopraffatta dal delirio di visi che le si agitavano attorno, cavalli che sbuffavano ed enormi macchine da assedio che procedevano lente. Si riscosse con un brivido e raggiunse la tenda.
Quasi cieca nella prenombra improvvisa ebbe un istante per rimettere in ordine i pensieri.
Dovevano davvero mettere sotto assedio una fortezza vecchia di secoli, ma non era tutto nelle sue mani. Avevano armi, uomini, presto una strategia.
Era un pensiero meraviglioso quasi quanto l'idea di rubare anche solo una manciata di secondi al mondo e portare Cullen dietro una duna.
Ci pensò così tanto che fu certa di averlo fatto materializzare. La falda della tenda si sollevò e Cullen si profilò contro la luce bruciante del giorno. Niente mantello di pelo, solo una camicia arrotolata fino ai gomiti, braccia abbrustolite dal viaggio; aveva i capelli più lunghi e più ricci di come ricordasse.
Non era mai stato così bello.
Rimasero a guardarsi in silenzio per un istante eterno, poi Fedra smise di essere l'Inquisitore. Lo raggiunse e si gettò tra le sue braccia; Cullen la strinse forte, le dita che le affondavano nel groviglio dei capelli e la bocca che cercava la sua, avida.
Non aveva messo in conto un risveglio dei sensi così brutale.
“Ti amo”, le mormorò contro, distogliendosi solo un istante dal bacio. Fedra gli infilò le mani sotto alla camicia e lo tirò indietro con sé. Nessun pensiero, solo quelle mani che le scendevano lungo la schiena e i muscoli che si contraevano contro di lei. Il viaggio lo aveva reso più asciutto e poteva sentire un accenno di costole ad abbracciare il vasto torace.
“Ti amo, non posso crederci che tu sia qui”. Ingoiò le lacrime e si appoggiò contro il bordo del tavolo.
Vi prego, vi scongiuro solo un attimo... lasciateci solo un attimo.
E per la prima volta in tutti quei mesi di interruzioni intempestive lo ebbero. 

“Ho bisogno di te”, un basso ringhio all'orecchio mentre le mani le circondavano la vita e armeggiavano con i lacci dei calzoni. “Subito”.
Le girava la testa. Per quell'unico, perfetto istante fu solo Fedra e là fuori non ci fu un mondo in rovina. Solo loro due, solo Cullen che le mordeva il collo e la faceva voltare contro il tavolo.
Tutte quelle settimane cercando di non pensarci per non impazzire, cullando ricordi ma tenendo lontano un futuro chissà quanto fragile. Tutto si sciolse quando le scivolò dentro e le mozzò il fiato. Il legno era ruvido sotto i suoi gomiti, le cosce tese di Cullen che premevano contro le sue in stoccate rapide, quasi brutali. Fedra lo assecondò, andandogli incontro a ogni colpo, sconvolta per la reazione del proprio stesso corpo. 
“... ringraziare per quelle armi”.
“Oh no”. Le mancava così poco! La voce di Cassandra era troppo vicina.
“T'importa?”
Le fusa di un leone alle sue orecchie. Follia, pura e semplice. Due animali che si accoppiavano nel deserto. La scossa arrivò sull'orlo delle parole che le uscirono in un gemito dalla gola.
“N-No...”
Cullen la prese per la nuca e la tenne giù e Fedra si morse il labbro mentre una prima contrazione la afferrava tra le cosce e la squassava.
“Comunque... ah, dimenticavo, tenente! Avete lasciato indicazioni ad Harding per i cavalli? Qui l'erba scarseggia. Sì, seguitemi, basterà un istante”. Le voci si allontanarono e Cullen soffocò un ruggito contro di lei. Dentro di lei.
Un ultimo colpo, un ringhio sommesso e sgusciò fuori, sollevando Fedra e baciandola a lungo. Avevano entrambi il fiatone e i due cuori rimbombavano.
“Per il Creatore, quanto mi sei mancata...”
Non riuscì a rispondergli. Era ancora scossa per l'ondata di piacere inatteso e per l'eccesso di emozioni, così si limitò ad accarezzargli la barba. Se l'era aspettata ruvida invece era morbida come la lana di un agnello.
“Comunque sono sicura che il comandante avrà tutte le risposte”. La voce di Cassandra era davvero vicina adesso. Quando sollevò l'ingresso della tenda e vi si affacciò trovò Fedra e Cullen rispettosamente in piedi a braccia conserte.
Come se non fosse successo nulla.
Li guardò con le sopracciglia sollevate e roteò gli occhi al cielo, senza aggiungere altro se non uno dei suoi soliti versi. Tenne il lembo di stoffa sollevato e fece accomodare un paio di ufficiali che Fedra aveva già visto, con la stessa abbronzatura a strisce di Cullen. I due – una donna sulla cinquantina e un uomo con pochi capelli grigi – la salutarono con un sorriso. Cullen si passò la mano sulla nuca e si schiarì la voce.
“Bene. Vorrei lasciare a tutti il tempo di riposare ma dobbiamo parlare di strategia”. Con una piccola esitazione si accorse che la mappa sul tavolo era stropicciata e la rimise a posto senza tante cerimonie. “Cercatrice, Inquisitore, il trabucco lo avete visto, immagino”.
“Difficile mancarlo, anche se non ti nascondo che non ho capito da dove lo abbiate recuperato”, commentò Cassandra.
Cullen sorrise.
“Uno dei miracoli della nostra Josephine. Quella donna ha creditori a ogni angolo dell'Impero: un trabucco, cavalli adatti a questi climi... non voglio sapere come ha fatto”.
Fedra si ricompose abbastanza da sentir salire un moto di orgoglio per Josie. Aveva degli amici straordinari.
Cullen lisciò la mappa e, dopo un rapido controllo, puntò un dito sul punto esatto in cui si trovava il loro obiettivo. Con un tuffo al cuore Fedra si accorse che le ferite sulle nocche stavano iniziando a guarire.
“Adamant ha qualcosa in più di alcuni secoli di storia. È stata costruita per resistere al Flagello e a millenni di assalti da parte di eserciti e agenti atmosferici”.
“Suoni soddisfatto”, disse Cassandra con voce tetra. Il sorriso di Cullen si trasformò in un ghigno da predatore quando alzò lo sguardo sulla Cercatrice.
“Non è fatto per resistere alle moderne armi da assedio”.
I due ufficiali si godettero la reazione di Cassandra e Fedra, chiaramente già al corrente del piano. 
“Un colpo ben assestato e le porte cederanno come se i cardini fossero fatti di burro. Nessuno fa manutenzione da secoli”, ridacchiò l'ufficiale calvo.
“Rimane il piccolo problema dell'esercito di demoni che Erimond – si chiama così lo stronzo, lo sapevi? Oh. Scusate, signori, dovrei essere più formale”. Fedra si morse la lingua e Cassandra brontolò.
“Inquisitore, siamo in guerra. Caghiamo in piena vista in buchi nel terreno: secondo voi ci formalizziamo per questi dettagli?” La donna, folti capelli neri striati di bianco alle tempie, sollevò un sopracciglio e Fedra rise.
“Il rituale non può ancora aver avuto luogo, altrimenti non saremmo qui a fare questa gradevole chiacchierata ma saremmo impegnati a morire”, intervenne Cassandra. “Se l'esercito riesce a sfondare le mura...”
“Il piano è proprio quello. Rylen?”
L'ufficiale calvo estrasse una piantina dalla sacca alla cintura e la porse a Cullen, che l'aprì sopra alla mappa. Era la planimetria di un edificio enorme. Adamant.
“Qui e qui... ah, e anche qui. Strozzature: se riusciamo a presidiare questi punti sulle mura possiamo limitare la battaglia ad alcune aree della fortezza, creando un corridoio per andare a prendere quell'Erimond”.
“E il comandante Clarel”, aggiunse Cassandra. “Dobbiamo trovarla e... be', non so se fermarla o salvarla, ma immagino lo decideremo strada facendo”.
Fedra si sentì all'improvviso debole. Si appoggiò al tavolo e si prese la fronte nella mano.
“Un piano che sembra efficace, ma quante vite costerà?”
Silenzio. Alzò lo sguardo sugli ufficiali; Cassandra non distolse il proprio e Cullen contrasse la mandibola.
“Molte”.
Un grumo di angoscia le si formò in fondo allo stomaco e i ricordi Haven – contadini inceneriti, voci gaudenti trasformate in urla di terrore – le fecero sudare le mani. Era tutto ancora così reale.
“Non... io... vorrei non fosse necessario. Che muoiano per me. Per colpa mia”.
“Combattono per salvare il loro mondo, Fedr-Inquisitore. Sanno a cosa vanno incontro”. Formale, serio, ma con una nota di dolcezza in fondo al tono che erat tutta per lei. “Nessuna vita andrà sprecata, te lo giuro. Ci batteremo fino all'ultimo per prendere quella fortezza”.
Non molto rassicurata Fedra cercò di mantenere il controllo per tutto il resto della riunione e alla fine, quando uscirono dalla tenda, il sole stava tramontando.
“Adamant dista un giorno di viaggio. All'alba dobbiamo essere pronti a partire”, concluse Cassandra.

 

E lo furono. Fedra riuscì a racimolare giusto un paio d'ore di sonno spezzettato, frastornata dal chiasso di un esercito in preparazione alla marcia e dal tormento di avere Cullen a due metri dalla tenda e non potersi permettere di distrarlo dal dovere. Fu solo il pensiero del tempo che avrebbero avuto dopo la battaglia a tenere lontani gli incubi di sangue e morte che le indugiavano ai margini della coscienza, ma appena chiuse gli occhi diventarono reali. Vide un tappeto di soldati morti, sangue ovunque. Gli occhi vacui di Cassandra, sgranati e senza vita. Una lama infissa nel petto di Cullen.
Si svegliò nel cuore della notte coperta di sudore gelido e con il cuore che batteva rapido e leggero. Chiudere di nuovo gli occhi significava rievocare quelle immagini, quindi con uno sbuffo decise che tanto valeva alzarsi.
L'accampamento ronzava come se fosse pieno giorno e sotto alle lingue di fiamme delle innumerevoli torce accese non c'era un solo metro quadro di sabbia che non fosse occupato da un soldato che affilava la spada, da un geniere che calcolava gittate o da uno scudiero che correva avanti e indietro carico di masserizie. Ciascuno di essi, però, sia accorse della comparsa di Fedra e i saluti rivolti all'Araldo di Andraste si sprecarono, pur senza interrompere il flusso di attività.
Cullen le passò davanti, assorto in una fitta conversazione con uno dei soldati e sembrò non notarla. Fedra si infilò tra due tende per lasciarli passare e, prima che potesse prendere fiato, si trovò le labbra di Cullen premute contro le proprie in un rapido bacio.
“Ti avevo vista e ti amo”, le sussurrò prima di tornare al lavoro.
Quella macchina da guerra fatta di anime e carne funzionava anche troppo bene; Fedra, inutile e preoccupata, rimase a guardare mentre tutto si metteva in marcia e, come preventivato, l'esercito fu pronto a muoversi che il sole non era ancora sorto.
Era troppo assorbita dalla terribile prospettiva di Adamant per rendersi conto di avere sonno o di detestare l'idea di cavalcare ancora attraverso il deserto; si ritrovò in sella senza quasi rendersene conto, cullata dalla monotona cacofonia delle operazioni militari, l'orizzonte iniziava a tingersi d'oro.
Si guardò attorno un po' spaesata – si era per caso addormentata sulla sella? - e si rese conto che Cassandra, Hawke e Stroud erano un paio di file dietro di lei. Era molto avanti nella carovana ma non quanto Cullen, che cavalcava a testa alta di fronte a tutti.
“Allora, capo, questa volta facciamo le cose in grande, eh?”
Il Toro di Ferro le comparve a fianco, uno dei pochi appiedati.
“Non ti hanno dato un cavallo?”
“A me? Non mi serve. E non ce n'erano di abbastanza grossi”, sbuffò. Dorian li raggiunse, scostandosi dalla fronte una ciocca nera.
“Ho indagato un po' e parlato con quel Custode, Stroud. A parte che non può permettersi di pensare di competere con i miei baffi, ha detto cose interessanti. Non è detto che troveremo solo nemici a Adamant”.
“Be', una volta che avremo buttato giù le porte saremo noi, il nemico, chiunque ci sia dentro”. Fedra si rese conto della portata di quelle parole solo mentre le pronunciava e il cuore le sprofondò.
“I Maghi dei Custodi sono nelle mani di Corypheus, ma i loro guerrieri potrebbero convincersi a seguirci”. Dorian si spazzolò della sabbia dalle cinghie che chiudevano la veste bianca; era l'unico di tutta la colonna a sembrare fresco come una rosa.
Si voltò sulla sella. Cole era ad alcuni metri da lei e non teneva le redini del cavallo, abbandonate sul collo dell'animale. Solas gli parlava fitto, più vivace e interessato di quanto Fedra lo avesse mai visto. Il Toro le era accanto e Dorian dall'altra parte.
Per un po' cavalcarono in silenzio e presto l'ordine di marcia mutò. Dorian avanzò e come lui Cole, un'ombra pallida nel mattino al suo fianco.
“Varric non è venuto?” chiese Fedra al Toro che continuava a marciare alla sua destra.
“No, ha detto che qualcuno doveva pur rimanere a presidiare Skyhold. Non temere, capo, ho lasciato anche le Furie, il tuo castello è al sicuro”, e le strizzò l'unico occhio.
“Non voleva vedere, sentire, sapere se non avesse potuto farci niente. Vigliacco, si dice vigliacco, ma non riesce a rivangare quel passato, quelle battaglie”. La voce sommessa di Cole superò il clamore dei soldati e le fluttuò fino all'orecchio. Fedra chinò la testa per guardarlo in faccia.
“Chi?”
“Varric. Non è qui per questo motivo”.
“Ragazzo, Varric potrebbe non ringraziarti per questo”, disse il Toro.
“Ma lo fa soffrire. Voler essere qui e non volerlo, voltarsi dall'altra parte e tormentarsi di notte...”
“Cole, ti ringrazio. Ho capito”, lo interruppe Fedra. Una mezza bugia, visto che come tutte le frasi di Cole erano degli enigmi, ma questo sembrò fargli cambiare argomento.
Il profilo pallido era strano in quel mare di facce tra l'abbronzato e l'ustionato, ma neanche la punta del naso era diventata rosea. I grandi occhi azzurri scrutarono l'orizzonte di teste con un fremito delle ciglia e si soffermarono sull'alta sagoma bruna di Hawke.
“Cuore che sanguina, paura e possesso e passione premuti assieme, una pietra nel cuore che brilla e pulsa. Amore nonostante tutto – non è felice di averlo lasciato, vuole tornare da lui. Da loro, mani che grondano sangue e l'Oblio che pulsa azzurro nelle vene, Giustizia e vendetta e loro due contro il mondo”. Scrollò la testa e strinse le labbra. “Non lo capisco ma soffre. Vorrei poterlo aiutare”.
“Non dirlo a me”. La risposta di Fedra fu un brontolio sordo cui Cole rispose guardandola di sbieco.
“Non mi piace Adamant. Mi fa paura”, ammise.
“Allora perché sei venuto? Non ti avrei mai costretto a fare qualcosa che non ti sentivi di fare, sei libero di scegliere”, disse Fedra non senza un moto di preoccupazione. Cole si voltò verso di lei e quasi sorrise.
“Per questo. Perché non me lo avresti mai chiesto ma so che potrei aiutarti. Te lo meriti”.
Appoggiò la mano bianca sul collo della cavalcatura e questa accelerò, lasciandola inebetita e più confusa di prima.
“Quello è strano forte, capo. Inquietante a dir poco”, bofonchiò il Toro.
“Ma è mio amico, e non è nemmeno il più strano”. Questo lo fece ridere, un verso basso e rasposo che riuscì a sollevarle l'umore.
“Perché è uno spirito, Fedra, e quindi non ragiona in modo del tutto uguale a me o a te”. Solas l'aveva raggiunta e la sbirciava da sotto un cappuccio di tela grezza. “Sei preoccupata per l'assedio, vero?”
“Sì, e i draghi sono lucertoline... sono qualcosa più che preoccupata, Solas”.
“Abbiamo gli strumenti per affrontare qualcosa di molto grosso. Non so cosa troveremo in quella fortezza ma so che siamo preparati; non ti dirò di non avere paura perché sarebbe follia, ma abbi fiducia nei tuoi uomini”.
Uomini, certo. E donne. Elfi e qunari. E Cole, che non era niente di tutto questo e che era un po' tutto. 
In quanti sarebbero morti?
Si rigirò nella testa una risposta, qualcosa che la facesse sembrare più coraggiosa di quanto non si sentisse, ma alla fine si limitò a giocherellare con le redini e a fissare la criniera impolverata del cavallo.
Un giorno, avevano detto, e un giorno ci volle. Adamant li accolse con il calare delle tenebre, un colosso di pietra vecchio come le montagne dai mille occhi di feritoia illuminata. 
Una fortezza antica ma viva, brulicante di Custodi. Di nemici?
Fedra aveva quasi dimenticato di avere un corpo e delle esigenze fisiche, annientata dall'improvviso caos di armati che si radunavano attorno alle armi da assedio.
Cassandra la raggiunse, i capelli ritti in una cresta rigida di sudore e sabbia, e le strinse il polso.
“Devono sfondare. Rimani qui con me”.
Cosa poteva fare se non obbedire? Era uno spettacolo orribile e al tempo stesso meraviglioso: dozzine di uomini che sciamavano attorno a tronchi immani armati di borchie e spuntoni, che spingevano i colossi di legno e ferro su ruote che sprofondavano nella sabbia fino alle porte di Adamant.
Erano ad alcune centinaia di metri di distanza ma Fedra udì le grida ritmiche e gli incoraggiamenti, il cigolio delle catene. Il grido del primo uomo che morì, schiacciato da un masso lanciato dai bastioni.
I suoi compagni non si fermarono e continuarono ad armare l'ariete, mentre lei distolse il viso e si coprì la bocca con la mano. Il conato le grattò la gola, acido e bruciante, ma non produsse nulla.
“Tanto vale che tu guardi. Non sarà l'ultimo”. La voce di Cassandra aveva quella nota spietata che non ammette gentili menzogne, ma anche lei era pallida nonostante l'abbronzatura. 
Ne morirono quattro durante quel primo assalto, poi Fedra smise di contarli. Un colpo, due – scrocchiolii sinistri e urla, tonfi e scintille – e il portone cedette.
La mano di Cassandra lasciò il suo braccio, accompagnata dal canto del metallo.
“Andiamo”.
Fedra la seguì. Avevano avuto tutto il viaggio per prepararsi e lo avevano fatto – schemi e piani, ruoli da seguire, procedure di sicurezza – ma in quel momento aveva la testa vuota. Riusciva solo a correre dietro a Cassandra, grata della sua forza e del suo controllo. 
Non erano sole. L'intera seconda fila dell'esercito correva con loro, una carica di fanti che ruggivano e levavano le spade; fu relativametne facile raggiungere e superare il portone sfondato, ma il primo cortile non si rivelò vuoto come Fedra aveva sperato.
Una propaggine dell'esercito, quattro o cinque armati, venne spazzata via da un incantesimo che li mandò a schiantarsi contro i compagni alla loro spalle; incantesimo che non si ripeté, perché una freccia raggiunse l'incantatore e lo prese in un occhio. Solas superò le prime fila e stese il bastone, deflettendo oltre una splendente sfera di luce gli attacchi dei maghi Custodi.
Non appena Fedra riuscì ad affacciarsi al cortile il peggio le si parò davanti agli occhi. Maghi, certo, e guerrieri tutti nelle austere divise dei Custodi Grigi.
Ma anche demoni. Dozzine di creature dalle lunghe braccia nere, demoni di lava e orrori ingobbiti dalla schiena irta di spuntoni. 
Quelli poteva affrontarli senza rimorsi.
La fiumana di soldati continuava a scorrere attraverso le porte sfondate e a infilarsi nei passaggi laterali; prima che Fedra potese raggiungere un bersaglio l'esercito era dilagato anche sulle mura e aveva ingaggiato i Custodi. Hawke era lassù, una sagoma imponente con un bastone da mago nel pugno e fiamme rosse che gli scorrevano dalle dita, alla testa della pattuglia sulle mura.
Un'ombra verde, uno degli spettri che aveva già incontrato, le fluttuò addosso tendendo verso di lei mani incorporee e pronte a scagliarle qualcosa di molto doloroso. Fedra fu più rapida: testa bassa, un grido inarticolato sulle labbra e gli corse incontro. La lama del lungo pugnale trafisse quella strana sostanza che non era carne ma neanche solo luce e la fece sfrigolare; lo spettro si dissolse con uno stridio acuto e Fedra si voltò, pronta al prossimo avversario.
Era un mago, questa volta, una donna poco più grande di lei, con gli occhi vuoti e le labbra mosse da un incantesimo nascente.
Fu meno facile con lei. La raggiunse in pochi balzi e interruppe la formula con un calcio in piena pancia che mandò l'incantatrice a cadere sulla schiena. La mano che reggeva il bastone si mosse per colpirla ma Fedra, più rapida, impattò con i pomoli delle impugnature sulla fronte della donna. 
Non voglio ucciderla. Quando tutto sarà finito, forse...
Lo scrupolo di coscienza si interruppe quando l'avversaria, non abbastanza stordita, le afferrò la gola con una mano ardente. Fedra sentì le fiamme sprigionarsi contro la sua pelle e agì come un animale in pericolo. Colpì una sola volta, lama che penetrava sotto al costato e un grido soffocato sotto di lei. Il sangue sgorgò in un lento fiume nero sotto le stelle e la maga abbandonò l'incantesimo per reggersi il ventre ferito. Ansante Fedra indietreggiò; la gola faceva male ma forse aveva evitato il peggio; avrebbe dovuto dare il colpo di grazia – quella ferita avrebbe ucciso la maga con molta calma – ma l'arrivo di una nuova carica la distrasse. 
Non nemici: i suoi uomini. Un boato collettivo scosse il cortile interno e Fedra, come tutti, alzò lo sguardo verso quella che sembrava una cometa che solcava il cielo. Una meteora di fiamme proveniente da uno dei trabucchi e diretta verso il bastione centrale.
Centro perfetto: la pietra e i Custodi che l'occupavano – arcieri, per lo più – esplosero in una gragnuola di detriti e frammenti che scatenarono il panico tra gli assediati.
“Ripiegate! Hanno sfondato, ripiegate!” gridò qualcuno dalle merlature. I Custodi obbedirono, dandosi alla fuga verso il centro della fortezza.
A quel grido rispose una seconda voce proprio alle sue spalle. 
“Te l'avevo promesso, Inquisitore: un corridoio dentro Adamant”. Cullen – non il suo Cullen, ma il comandante, occhi acuti e denti digrignati – avanzò alla testa del grosso dell'esercito e le si fermò di fianco.
“Faremo l'impossibile per tenere i demoni occupati mentre tu cerchi di fermare il rituale”.
“Non solo lei”. Dorian era un po' meno ordinato rispetto a quella mattina, con una striscia di sangue che gli scendeva dalla tempia, ma vederlo venire verso di lei le diede forza. E poi arrivarono anche gli altri – Solas e il Toro, con un pezzo di carne ancora infisso in un corno, e Cole coperto di rosso dalla testa ai piedi ma dritto e solido, e infine Cassandra con il suo ringhio da battaglia stampato sul volto. Stroud si passò un braccio sulla fronte prima di raggiungerli zoppicando.
Fedra si sentì al sicuro, una sensazione ben strana nel bel mezzo di una carica, ma raddrizzò la schiena e annuì, seria.
“Ce la farò, comandante. Assicurati che i tuoi uomini non corrano rischi inutili”.
“Ti giuro che nessuno farà niente di avventato. Stroud ti guarderà le spalle e Hawke è lassù a guidare gli uomini all'assalto dei punti di strozzatura. Devi andare, ora!”
Quell'istante rimase sospeso e i loro pensieri divennero chiari, come se potessero leggersi nella testa.
Se rimango mi preoccuperò per te. Se mi preoccupo per te mi volterò a cercarti con lo sguardo e metterò in pericolo troppe vite. Comunque vada, ti amo.
“Buona fortuna, allora”.

“Il Creatore ti protegga, Fed-Inquisitore”.
Quella solita, vecchia esitazione la fece sorridere. Fedra voltò le spalle a Cullen prima di volerlo baciare troppo per poter resistere e corse verso la seconda cancellata, alle spalle dell'esercito.
“Perché non lo hai fatto? Voleva un bacio. Lo volevi anche tu”. Cole fu al suo fianco, passi silenziosi e nessun fiatone.
“Io... Cole, ti prometto che se ne usciamo vivi te lo spiego. Ora però concentriamoci”.
“Se due persone vogliono baciarsi dovrebbero farlo e basta. Soprattutto durante una battaglia. Ma facciamo come vuoi tu”.
Sfilarono tra fiamme e battaglie brutali, sempre più simili a risse, e arrivarono appena in tempo per assistere all'esito dello scontro tra una pattuglia e un gruppo di Custodi. Guerrieri, non maghi, messi in un angolo e incalzati da un drappello di arcieri alle spalle di altri soldati.
“No... un attimo... fermi!” Fedra accelerò e si parò tra le due fazioni.
“Inquisitore! Via di lì, subito!” gridò uno degli armati.
“No! Custodi, non siamo qui per farvi del male!”
“Ci avete attaccati!”
“Il Comandante Clarel è stata ingannata da Erimond! Vi chiediamo solo di non intervenire: non le verrà fatto alcun male, l'Inquisizione non è nemica dei Custodi ma solo di Corypheus, che ha plagiato le menti dei vostri compagni”.
Uno dei Custodi sputò per terra e lasciò cadere la spada.
“Lo sapevo, lo sapevo! Io l'ho sempre detto! Per quel che può valere andate, io non voglio saperne più niente!”
“Soldato, di' ai tuoi arcieri di abbassare le armi”, disse Fedra all'armato al suo fianco.
“Ma potrebbero ancora...”
“Custodi, vi prego! Non è questa la vostra sacra missione, non infestare di demoni il mondo che avete giurato di difendere! Guardate dentro di voi, sapete che ho ragione. Senza contare che ho sentito Erimond vantarsi di come aveva fottuto tutti voi, e insomma, fossi nei vostri panni un po' me la prenderei...”
Assurdo e ben poco nobile, ma efficace. Altri due guerrieri abbassarono la guardia e si nascosero il viso tra le mani. Ben presto l'intero gruppo fece marcia indietro e rinfoderò le spade, distrutto.
Non c'era tempo per gongolare della piccola vittoria; sopra alle mura continuavano a combattere, e a terra, scaraventati dai demoni, giacevano troppi corpi straziati. Troppi dei suoi uomini.
Fedra trattenne il fiato e riprese a correre su per delle scale che nemmeno ricordava dove portassero, cieca ai compagni che sfrecciavno con lei e con le orecchie piene solo di grida ed esplosioni.
Intravide oltre una balconata una tenue e orribile luce verde e l'ancora pulsò così forte da strapparle un gemito.
C'erano quasi.
Oltre un corridoio e un arco, oltre un demone abbattuto dal flusso incrociato degli incantesimi di Solas e Dorian e fino a una porta. Cassandra e Fedra vi si appoggiarono con tutto il loro peso senza smuoverla, un lastra di metallo e legno borchiato indifferente alle loro furiose spallate. Fu il Toro ad aprirla con un calcio.
Il cortile era gremito. Quello che sembrava uno squarcio pronto a sbocciare fluttuava al centro di un circolo di maghi, dalle cui mani dipartivano lampi di energia. Oltre un'alta predella su cui Erimond sorrideva come un gatto davanti a un topo particolarmente succulento.
E il topo era una donna, capelli grigi rasati corti e divisa da Custode.
Fedra si fermò a ridosso delle mura.
“Clarel”, mormorò. 
Il Comandante Clarel camminava avanti e indietro, un discorso infervorato sulle labbra.
“Siamo stati traditi dal mondo stesso che avevamo giurato di proteggere! Compagni, fratelli e sorelle, noi...”
“Clarel, su, ora basta con le cerimonie. L'Inquisizione è entrata, dobbiamo fare in fretta!” la interruppe Erimond.
“Questi uomini e queste donne stanno sacrificando le loro vite, Magister. Può significare poco nel Tevinter, ma per noi Custodi è un compito sacro”. Qualcosa di simile al disprezzo, intriso di disperazione, passò negli occhi chiari della donna. Fedra, immobile e spalleggiata dal compagni, la vide voltarsi verso un uomo anziano. Non riuscì a udire cosa si dissero, vide solo che lo sconosciuto si inginocchiò e quando si rialzò, voltato verso la platea, aveva lo sguardo fiero e il coltello di Clarel alla gola. Gli occhi della donna erano pieni di lacrime.
“No!”
Il grido le sfuggì dalle labbra e fece eco al verso inorridito di Solas e al sibilo da vipera furente di Dorian.
Magia del sangue. Tanto sangue, un lago che sgorgava dalla gola recisa dell'uomo e grondava oltre lo scalino di pietra.
Hawke e Stroud affiancarono Fedra, pallidi quanto lei, e lo sguardo di Erimond li scovò, alla fine.
Puntò l'indice verso di loro.
“Fermateli! Dobbiamo concludere il rituale!”
“Chiudi quel buco merdoso, Erimond! La cosa non ti riguarda...”
“I miei guerrieri sono disposti a morire nel sacrificio per un mondo che nemmeno li ringrazierà!” La voce di Clarel era forte ma spezzata. Erimond la indicò con un cenno del capo e sporse le mani di lato, i palmi verso l'alto.
“Visto? Stanno solo facendo il loro dovere!”
“E tu li stai vendendo a Corypheus!” urlò Stroud. Un sussulto collettivo corse attaverso i Custodi guerrieri presenti e parecchie lame esitarono,a bbassandosi mentre i loro proprietari si voltavano verso Clarel.
Il Comandante perse il poco colore che rimaneva sul viso segnato.
“C-Corypheus? Ma... è morto...”
“Ignorali, Clarel. Queste persone direbbero qualsiasi cosa per minare la tua sicurezza”.
“Troppo avanti per tornare indietro. Cuore che si spezza, fede che vacilla, non può guardare, non vuole, sente l'errore che sussurra nelle sue orecchie e non può, non vuole ascoltare”. La voce eterea di Cole le mormorava a poca distanza.
“Lo so. Lo vedo”.
Ma Clarel, gli occhi coperti da una mano tremante, voltò le spalle al circolo di maghi.
“Concludete il rituale”, disse con un filo di voce.
I maghi alzarono di più le mani e i guerrieri si pararono, anche se con scarsa convinzione, tra loro e l'Inquisizione.
“Vi prego”, la voce di Hawke era inaspettatamente vecchia e stanca. “Ho visto troppa magia del sangue nella mia vita. Non ne vale mai la pena”.
“Oh, per l'amor di Andraste! La metà di voi l'ho addestrata io stesso, non costringetemi a uccidervi per fermare questa follia!” Stroud, al contrario, era una fiamma di rabbia impotente. Li avrebbe uccisi e sarebbe morto dentro a ogni cuore spezzato per quella che era davvero una giusta causa.
Fedra fece un passo avanti e allargò le braccia.
“Sentite, non siete voi il nemico! Ho chiesto che i vistro compagni venissero risparmiati e voi stessi siete vittime di questo complotto! Assieme possiamo feremarlo!”
Un Custode avanti negli anni dalla pelle scura fu il primo a scuotere la testa.
“Quei maghi... sono posseduti, lo so! Non stiamo facendo la cosa giusta!”
Erimond pestò il piede. 
“Clarel, stiamo evocando un demone che richiede tutta la tua forza per essere legato! Non puoi permettere questa insubordinazione!”
“Custode Chernoff, non puoi cedere ora alla paura”, gli disse secca, con un guizzo di insicurezza negli occhi.
“Lui non ha paura”, intervenne Hawke. “Tu ne hai, perché temi di star mandando a morire i tuoi Custodi per niente. Ed è così!”
Sguardi spaventati, attoniti negli occhi dei Custodi. Dopo il primo molti altri abbassarono le armi e guardarono disperati Clarel, teste che venivano scosse nel dolore e nella delusione.
“Ora basta Clarel! Sei arrivata fin qui, devi finire questo rituale!”
“Ma se potessimo indagare queste accuse, il coinvolgimento di Corypheus... forse potremmo evitare spargimenti di sangue...” Clarel parlò poco più che in un sussurro, ingoiato dal ronzio del varco nascente.
Il volto di Erimond si contrasse in linee dure e crudeli.
“O forse dovrei cercarmi un alleato più affidabile. Il mio padrone mi aveva messo in guardia contro il tuo arrivo, Inquisitore”, e lanciò un'occhiata malevola a Fedra, “e mi ha mandato una tua vecchia conoscenza per un saluto”.
Batté a terra il bastone da Magister e scintille rosse esplosero dall'urto.
Prima ancora di percepirlo con i sensi Fedra sentì un terrore primordiale paralizzarle le gambe. Non alzò gli occhi quando la prima ombra nera oscurò la luna, ma il grido strozzato che salì attorno a lei le fece chiudere gli occhi. Oltre le palpebre rosso e nero, denti da teschio in un cranio da rettile e zampe grandi come tronchi che marciavano verso di lei. Lyrium rosso nelle ossa di un drago che non aveva il coraggio di guardare.
Braccia forti la afferrarono per la vita e la trascinarono giù, oltre la portata della prima soffiata di fiamme. Fedra riaprì gli occhi quando urtò terra con il ginocchio; oltre la spalla di Cole che la teneva con più forza di quanta sembrasse poter esistere in corpo così dinoccolato vide – da una grande distanza, follia e negazioe – il drago sorvolare il cortile e infrangere torri e statue a colpi d'ala. 
Erimond, alla luce delle fiamme, sogghignava; dietro di lui Clarel venne investita in pieno dalla cruda verità.
Corypheus era vero. Lei aveva condannato il mondo. Scosse la testa e indietreggiò: uno sguardo al drago, uno all'uomo che aveva ucciso e che ora giaceva scomposto a terra in mezzo al suo sangue. E uno carico di odio a Erimond. Mentre si rialzava Fedra la vide brandire il bastone alle spalle del Magister e, a denti stretti, lanciare una scarica di fulmini verso di lui.
Erimond cadde di faccia ma riuscì a rotolare via dalla seconda bordata. Gli occhi erano sgranati, il pizzetto strinato.
“C-Clarel! Cosa stai facendo?”
“Tu-Tu, maledetto infame, tu...”
Il drago si appollaiò sulla torre alle loro spalle e sputò altro fuoco, una barriera tra Clarel ed Erimond. Il Magister ne approfittò e caracollò in piedi, dandosi di nuovo alla fuga.
Il Comandante si voltò verso i propri uomini.
“Custodi! Aiutate l'Inquisizione!” L'ordine ruggì nell'aria proprio quando i maghi Custodi ritrassero le mani.
Anche quella era una vecchia conoscenza. Grosso, spuntoni di ossa sul cranio e sui gomiti – Orgoglio. Come al Tempio delle Sacre Ceneri, quella che sembrava una vita fa.
Clarel si lanciò attraverso le fiamme all'inseguimento di Erimondo e Fedra si alzò di scatto.
“Devo raggiungerla!” gridò.
Dorian scagliò una sfera viola dal bastone in piena faccia del demone, facendolo indietreggiare di un passo.
“Vai, qui ci pensiamo noi!”
Cassandra partì in carica insieme ai Custodi e Fedra li perse subito di vista, troppo intenta a correre a zig zag tra le macerie incendiate e su per la breve scalinata. La barriera di fuoco ardeva ancora e il battito d'ali del drago che si lanciò dietro a Erimond e Clarel la fece ardere più forte.
Non aveva alternative. Fedra respirò a fondo una volta, due, rinfoderò i pugnali e si coprì la faccia con le mani prima di spiccare una corsa folle attraverso le fiamme.
Tutto rosso e luminoso, polmoni ardenti e scintille. Un secondo, non di più, e quando emerse dall'altra parte aveva una ciocca di capelli in fiamme sulla tempia ma era salva. Si spense a schiaffi e riuscì a scorgere l'ombra di Clarel che girava oltre un angolo.
Le sembrava di non aver fatto altro che correre per l'ultimo giorno. Altre scale e corridoi, la tentazione di guardare giù verso il campo di battaglia e cercare una testa bionda che la tormentava. Non lo fece e tenne gli occhi su Clarel.
Il fiato iniziava a mozzarlesi in gola e il drago li sorvolò in ampi cerchi.
Adesso non posso pensare anche a te!
Da qualche parte dietro di lei il Toro lanciò un'esclamazione di meraviglia.

“Quello lo voglio prendere io!”
Stroud le si affiancò e accelerò, ma non andarono molto lontano.
Era un ponte quello su cui stavano correndo, o almeno ciò che ne restava dopo l'assalto del trabucco, visto che l'arcata di pietra si interrompeva brusca alcuni metri oltre Erimond, in trappola.
Il magister scagliò una palla di fuoco che non scalfì nemmeno Clarel, carica di tanta rabbia da deviare l'incantesimo con un semplice gesto del bastone.
“Tu! Tu hai distrutto i Custodi Grigi!” la voce era bassa e letale, il passo lento. Inesorabile.
Erimond si guardò attorno e tentò un altro incantesimo. Inutile: la controffensiva di Clarel gli mandò in schegge il bastone e lo fece schiantare a terra.
Il Comandante lo aggirò e, spalle al baratro, gli prese i capelli nel pugno.
“Sei indegno di chiamarti persino bestia!”
Erimond rise. Un suono sgradevole che Fedra aveva imparato a riconoscere e odiare.
“No, hai fatto tutto tu, stupida cagna!” Il Magister si alzò reggendosi il fianco con un occhio socchiuso per l'impatto. “Tutto quello che ho fatto è stato sventolarti davanti la prospettiva di gloria e potere e tu hai abboccato. Oh, non vedevi l'ora di sporcarti le mani di sangue!”
A questo Clarel non trovò da rispondere. Fedra era bloccata tra Hawke, appena sopraggiunto, e Stroud, incantata da quel terribile spettacolo. Cole emise un piccolo singhiozzo vicino a lei.
“Dolore. Troppo dolore”, mormorò.
Clarel digrignò i denti e scosse la testa in un'estrema, disperata negazione. Agitò il bastone e Erimond fece una lunga scivolata indietro, come una bambola di pezza lanciata da una carrozza in corsa. Si arrestò su un fianco, gemente e in posizione fetale ma senza perdere la spocchia.
“A-Avresti potuto servire un nuovo dio!”
“Io non servirò mai il Flagello!” tuonò Clarel. Sollevò il bastone per un colpo di grazia che non giunse mai. Dall'alto planò il drago di Corypheus e la afferrò, strappandola da terra con un orrendo scricchiolio di ossa sbriciolate e carne lacerata; prese subito il volo e fece un breve giro, lasciando cadere Clarel da svariati metri d'atezza.
Quel che restava del Comandante si schiantò a pochi metri da Fedra, che questa volta vomitò davvero senza alcun ritegno, aggrappata al braccio di Hawke. Questi si limitò a sorreggerla e a scostarsi di un mezzo passo.
Non era più una donna quella creatura spezzata, con la schiena piegata ad angolo retto e ossa che sbucavano come il lyrium rosso dal corpo di Corypheus.
Eppure era ancora Clarel.
Il drago avanzò sopra di lei e verso Fedra e gli altri. L'unico a ridere fu il Toro, che brandì la scure e si piantò largo sulle gambe.
“Krem se la sogna una morte spettacolare come la mia...”
Ancora Clarel. Ancora un Custode.
“N-Nella guerra, vittoria”, ansimò. Il drago era proprio sopra di lei, l'avrebbe calpestata da un momento all'altro e poi avrebbe demolito l'Inquisizione con un unico soffio. Fedra riprese fiato e tutto ciò che riuscì a pensare fu una sorta di preghiera.
Non voglio morire non voglio morire non voglio morire.
“Nella pace... vigilanza”, gracchiò ancora Clarel. Il drago era a poca distanza da tutti loro e, alle loro spalle, il baratro. La mano del Comandante si accese di lampi mentre il sangue sgorgava a fiotti da lei e alimentava quell'ultimo incantesimo.

Nella morte, sacrificio!” urlò. Non fu un lampo ma uan vera esplosione che deflagrò contro il collo del drago e gli strappò un grido di dolore animalesco. La bestia ricadde all'indietro e crollò su quel che restava del ponte. Le pietre sussultarono e iniziarono a crollare in blocchi immani che si portarono via Clarel, morta ancor prima di schiantarsi al suolo. 
La frana avanzava verso di loro.
“Oh merda”, gracchiò Fedra. Iniziò a indietreggiare e prese Hawke per il braccio, trascinandolo con sé.
“Oh merda davvero!” le rispose con un urlo. In un attimo erano tutti intenti in una corsa senza speranza verso la salvezza del cortile.
Il crollo, però, era troppo veloce. I primi a cadere furono Cole e il Toro, scivolato indietro in un ultimo tentativo di strappare il ragazzo dalla caduta. Poi Fedra staccò hawke e Stroud e li perse di vista.
Davanti a lei sbucarono tutti gli altri ma fu Solas a correrle incontro, seguito dalle grida di Cassandra e Dorian. L'elfo fu più veloce e arrivò quasi in tempo: le prese la mano che gli tendeva, ma il ponte le scomparve da sotto i piedi. Con un urlo Fedra cercò di lasciarlo andare ma Solas la tenne stretta mentre cadevano e cadevano, mentre l'aria da nera di notte e rossa di fiamme si tingeva di verde.
Il marchio pulsava sempre più forte e le esplose davanti.
Tra loro e la terra si aprì uno squarcio e Fedra non trovò neanche il tempo di preoccuparsene.
Sarebbe morta, e non poteva farci niente.




Buona domenica e ben ritrovati a voi che ancora seguite le gesta di Fedra!
Che rabbia Erimond - se persino Cole non ha altro modo per definirlo se non "uno stronzo"  (testuale!) allora è proprio insalvabile. Senza contare la marea di angoscia che mi causa la finta Chiamata di Corypheus su Custodi... su un custode mago in particolare, nascosto chissà dove in compagnia di Giustizia che, si spera, riesce a tenere a bada le voci nella sua testa. Anders mi fa sempre quest'effetto, povera stella.
Di nuovo grazie e al prossimo capitolo... che sarà verde e strano e pieno di mostri, ovviamente :)

Val

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Capitolo 18
*** 18-Così questo sarebbe l'Oblio, eh? Forse avrei preferito non ricordare. Ma ora, vi prego, portatemi a casa. ***


Occhi chiusi, gola riarsa, il grido di puro terrore che le riempiva la testa e le feriva le orecchie.
Fedra continuò a cadere in un mondo che non era più nero ma brillava di verde; poi qualcosa si tese, una corda invisibile che la tratteneva e le strattonava i muscoli. I capelli le si sciolsero davanti al viso e l’aria smise di frustarle la pelle.
L’urlo continuò per un attimo, poi, nel bel mezzo di quella paura totale e animalesca, qualcosa scattò. Fedra chiuse di scatto la bocca e spalancò gli occhi per trovarsi di fronte una distesa di terra e ghiaia a non più di una spanna dalla punta del naso. I capelli sfioravano il terreno e lei era ferma.
A testa in giù, appesa a una forza sconosciuta, ma ferma, integra e splendidamente viva.
Il sangue le affluiva rapido al viso in una pulsazione frenetica che non voleva saperne di calmarsi; per quel che poteva vedere il mondo era illuminato di verde e irreale, un susseguirsi di massi fluttuanti contro un cielo del colore sbagliato. Fedra tese incerta una mano verso il suolo sopra (sotto? Iniziava a non capirci molto) di lei e lo sfiorò con l’indice.
La magia si ruppe. Un altro breve grido, di pura sorpresa questa volta, e la caduta rovinosa si concluse in un capitombolo che la lasciò senza fiato e con la schiena indolenzita. Mentre si rialzava, una bestemmia sulle labbra e una mano a sfregare la testa, la vista ricominciò a funzionare a dovere.
Barcollò sulle gambe malferme e batté le palpebre più volte.
Sotto un’infinita distesa di luce verde si stendeva un paesaggio diverso da qualunque cosa avesse mai visto, con macigli fluttuanti grandi come fortezze che volavano a mezz’aria, lucidi di umidità, e montagne lontane a perdita d’occhio.
“Ma dove siamo?”
La voce di Stroud la fece sussultare, ma vederlo in piedi, perpendicolare al terreno su una lastra verticale a due metri da terra, iniziò a non sembrarle così strano.
“Stavamo cadendo, questa è l’ultima cosa che ricordi, e poi…” Hawke parlò da qualche parte sopra di lei, anche lui a testa in giù. “Mi… mi aiuteresti a scendere? Sono un po’ a disagio”.
Fedra si riscosse e annuì in fretta, tendendogli la mano.
“Non so se funzionerà”, disse, ma quando Hawke la prese riuscì a staccarsi dalla roccia su cui stava appeso e atterrò con un tonfo di fianco a Fedra, arruffato e scosso.
“Siamo morti secondo voi?” La voce di Fedra echeggiava nel vuoto.
“No”. Stroud si sedette sulla lastra e lasciò penzolare le gambe verso terra, quindi diede un colpo di reni e se ne staccò, raggiungendo Hawke altrettanto scosso. “Hai usato il marchio per aprire uno squarcio. Credo”.
“No… no no no… è sbagliato, tutto sbagliato! Sono bloccato, incastrato, devo… andarmene, devo…”
Cole sbucò da dietro una roccia, i capelli ritti in testa e gli occhi folli, sgranati. Dietro di lui il Toro di Ferro era di una delicata sfumatura di grigio pallido, il viso spigoloso contratto in una smorfia che Fedra non gli aveva mai visto. Paura?
“Siamo nell’Oblio”. La voce di Solas giunse da poco lontano, sognante. Estasiata. Fedra si voltò di scatto per vederselo venire incontro: aveva il viso illuminato da una luce di pura gioia, gli occhi lucidi di commozione. “Tanti anni a studiarlo, a sognarlo… e ora…” Si pizzicò così forte il dorso della mano da lasciare un segno rosso e il sorriso si allargò. “Ora siamo qui. In carne e ossa. Non posso crederci, è… è meraviglioso”.
“Sì, fantastico. Buon compleanno, elfo, ora tiriamo fuori le candeline e la torta”. Non c’era allegria nel sarcasmo del Toro.
“Sbagliato. Questo posto è sbagliato. Ho cercato di dimenticare quando sono diventato umano ma non è così, non dovrebbe essere così”. Cole si tormentava le mani e tremava come non mai.
“In effetti per essere il regno dei sogni fa abbastanza schifo”, commentò Fedra, ma niente di tutto questo sembrava poter distrarre Solas, rapito dallo spettacolo squallido lì attorno.

“Vi avviso, se impazzite e mi attaccate vi meno”, brontolò Hawke.
“Voi non potete capire, questo è… è reale! Più del mondo là fuori, più di qualsiasi altra cosa sia mai esistita!” Solas aveva gli occhi lucidi per l'emozione.
“Continua a far schifo”, ringhiò il Toro, ma Fedra non riuscì ad ascoltare a lungo il battibecco che seguì. Cole si era allontanato e lei gli corse dietro fino a trovarlo rannicchiato dietro a un masso che levitava a un paio di spanne da terra. Teneva le ginocchia strette al petto e il viso nascosto, poggiato contro di esse, e le spalle erano scosse da singhiozzi muti.
“Cole… ehi, cosa c’è?” Gli si avvicinò e gli mise un braccio attorno alla schiena; i muscoli sotto il suo tocco sussultarono un istante e Cole scosse forte la testa.
“Sbagliato sbagliato sbagliato. Sono incastrato, prigioniero, condannato non posso uscire non posso andarmene non… no, no no no…”
“Va tutto bene, Cole, sono qui con te”.
“Non dovrei essere qui, io ho attraversato il velo. Io sono reale, non solo spirito!”
“Ti portiamo fuori da questo posto, te lo prometto”. Gli accarezzò i serici capelli quasi bianchi e attese che il tremito diminuisse. La sensazione non era molto diversa da quella che aveva provato portando la piccola Linda fuori dalle rovine di Haven.
Dopo un istante Cole la sbirciò da sopra le braccia contratte, un occhio azzurro spalancato con la pupilla ridotta a una puntura di spillo.
“Questa non è più casa mia…”
“No, casa tua è a Skyhold, con noi. Con i tuoi amici. Però ho bisogno che tu reagisca e che mi aiuti se dobbiamo andarcene da qui”.
Un lungo respiro gli vibrò lungo la schiena e Cole finalmente alzò la testa.
“Grazie”, mormorò. Si aggrappò alla mano di Fedra e la tenne stretta mentre, dopo essersi rialzato, raggiungevano il resto del gruppo.
“Vieni qui, ragazzino, non lascerò che qualcosa ti faccia del male”. Un po’ di colore era tornato sul viso del Toro, l’istinto di protezione che interveniva dove il coraggio lo aveva tradito. Torvo e serio prese Cole e se lo piazzò di fianco, una grossa mano sulla spalla esile.
“Be’, l’ultima volta che ero stato da queste parti non era così”, disse Hawke passandosi una mano tra i capelli.
“Ma neanche due minuti fa era così!” Fedra si stropicciò gli occhi. Quella scalinata di pietra era sempre stata lì? Avrebbe dovuto notarla, con i bracieri che ardevano alla base e un’infinità di gradini irregolari che salivano a spirale tra le rocce.
“L’Oblio reagisce alla nostra presenza. Più andremo avanti e più ne esploreremo!”
“Solas, se la smettessi di eccitarti te ne sarei molto grata. Voglio solo andarmene di qui”.
“Però puoi prenderti un souvenir, se ci tieni. Dei sassi, magari”. L’improvviso guizzo di umorismo di Hawke le rilassò qualcosa dentro. Quantomeno non era lei l’unica ad affrontare la paura cercando di ridere.
Il Campione di Kirkwall la guardò negli occhi, più interessato che spaventato.
“Dicono che tu sia uscita dall’Oblio al Tempio delle Sacre Ceneri. È come te lo ricordavi?”
Fedra provò invano a passarsi le mani tra i capelli aggrovigliati.
“Non lo so, continuo a non ricordarmi cos’è successo prima che mi svegliassi perché Cassandra mi stava pestando”.
Alzò gli occhi al cielo e vide il varco, così simile a quello che con tanta fatica avevano sigillato ormai mesi prima. Le sembrava fosse passata un’eternità.
“Tanta fatica per chiuderlo e adesso è di nuovo lì… mi sembra di non essere servita a niente”.
“Conosco la sensazione”, intervenne cupo Hawke.
“Bah, non ha importanza. Qui non siamo al sicuro: avete visto le dimensioni di quel demone che Erimond ha evocato? Ce ne saranno altri, da queste parti”. Stroud sguainò la spada e si guardò attorno. “Dovremmo andare”.
“Io ammazzo tutto quello che mi dici di ammazzare, capo, ma non c’era roba sul finire col culo nell’Oblio nel contratto”, brontolò il Toro.
“Ti pago gli straordinari appena ne usciamo, giuro. Ora però… be’, Stroud non ha tutti i torti: andiamo, anche se non so dove”.
“Nel nostro mondo il punto in cui è comparso il demone non era lontano da dove siamo caduti. Se riuscissimo a tornare in quella direzione forse troveremo una via d’uscita”, propose Stroud. Fedra lo guardò con tanto d’occhi: non le era mai stato particolarmente simptaico, ma quello che diceva aveva senso.
“Sai, non suona completamente folle…”
Il mondo attorno a loro aveva assunto una forma più definita. Non più solo massi fluttuanti ma rovine che, guardando attentamente, riecheggiavano quella che era stata la struttura di Adamant.
Fedra alzò lo sguardo verso il varco che pulsava e ruotava in cielo e annuì.
“Dobbiamo provare: andiamo!”
Era assurdo muoversi in quel mondo di luce verde e pietre spezzate, con l’unico sottofondo del ronzio lontano del varco e dello scricchiolio del pietrisco sotto alle suole. Nessuno aveva molta voglia di parlare, anche se di quando in quando Solas si lasciava sfuggire mormorii entusiasti nella sua lingua madre.
I demoni non tardarono ad arrivare. Ignorarono la prima ondata nascondendosi tra le fenditure nella roccia e Fedra dovette cacciare un pugno in bocca al Toro per farlo stare zitto. Quando la piccola processione di spettri e ombre si fu allontanata si accorse che le aveva morso le nocche scalfendo il cuoio dei guanti.
“Ce la stiamo facendo tutti sotto ma non ti permetterò di lanciarti alla carica di qualsiasi cosa si muova solo per tranquillizzarti!”
“Se posso ammazzarli loro non possono entrarmi nella testa!”
“Ma faresti ammazzare anche noi! Usa la testa, Toro, e non farti prendere dal panico!”
“Ma io…”
“Niente ma, muovi quel culo da bovino e andiamo!” Fedra emerse dalle rocce con più rabbia che paura, cosa per cui si appuntò mentalmente di ringraziare il Toro. Sempre che ne avessero l’occasione.
Non riuscirono a evitare un secondo attacco, per loro fortuna portato da un singolo demone dell’ira ramingo. Pur zoppicante Stroud fu inarrestabile, il primo a partire alla carica quasi quello specifico demone gli avesse fatto un torto. Gli ci volle solo una manciata di secondi per ridurlo a una poltiglia nerastra e Fedra, che a stento aveva avuto il tempo di sguainare le armi, lo guardò con un filo di preoccupazione.
“Sicuro di star bene, Stroud?”
“Andiamo”, rispose con un ringhio tra la materia nera che gli imbrattava i baffi.
Se ricordava bene il percorso ormai si sarebbero dovuti trovare alla base del ponte franato. Svoltando a sinistra avrebbero raggiunto la scalinata che scendeva fino al luogo in cui Clarel – lo stomaco le fece un salto – aveva sacrificato quell’uomo.
Non sapeva cosa aspettarsi: l’Adamant dell’Oblio era deforme, rocce acuminate in mezzo alle rovine, tutto inondato dall’immonda luce verde del varco. Se non avessero avuto successo un esercito di demoni sarebbe uscito da quello squarcio nel cielo.
Quando si affacciarono in cima alle scale trovarono qualcuno ad attenderli. Con un gran clamore di armi Stroud, il Toro e Hawke si pararono davanti a Fedra, bloccandole la visuale prima ancora che avesse intuito qualcosa di più che un’impressione di rosso e bianco.
“Ma cosa…”
“Non ho mai visto demoni come quello”, disse il Toro.
“Perché non è un demone”, rispose Solas, che nel frattempo non aveva perso il tono entusiasta. Si intrufolò tra le spalle del Toro e di Stroud e aprì uno spiraglio da cui Fedra vide meglio la figura.
Era una donna alta, anziana e avvolta nelle vesti bianche e rosse della Chiesa, con pesanti ricami d’oro.
“Per il Creatore”, mormorò Stroud. Cadde in ginocchio e Hawke fece lo stesso.
Lo spirito – o la donna, o il demone, o quel che era – sorrise.
“Ti saluto, Custode. E saluto te, Campione”.
Fedra si accorse di avere ancora le armi sguainate e si sentì la più furba del gruppo.
“Divina Justinia… vi credevamo tutti morta!” disse Stroud di nuovo, la voce rotta dall’emozione.
“Ma certo che è morta!” esclamò Fedra indicandola con il coltello. Poi l’insicurezza le risalì nella voce. “… perché siete morta, vero?”
La Divina sorrise e Fedra si sentì all’improvviso non solo molto stupida, ma anche decisamente indegna. Justinia aveva occhi chiarissimi e gentili in un viso fitto di rughe e non le riuscì di sostenere quello sguardo.
“Voglio dire… nessuno è sopravvissuto ad Haven, come avreste potuto?” continuò in un sussurro.
“Capo, così peggiori la situazione”, le sibilò il Toro dall’angolo della bocca.
“Nessuno, Fedra Trevelyan? E tu chi saresti?”
Un brivido le corse per la schiena.
“Io…”
Anni di abitudine le portarono alle labbra la solita risposta.
Io non sono nessuno.
Era una menzogna, uno scarico di responsabilità dietro cui si era trincerata troppo a lungo. Deglutì e alzò il viso.
“Tu non hai ricordi di Haven, non è vero, Inquisitore?
Fedra scosse la testa.
“Dunque cosa sei? Carne e ossa o spirito?” La voce di Solas era piena del fervore dell’accademico e Fedra gli si rivoltò contro.
“Ti sembra che abbiamo il tempo per queste disquisizioni?”
Gli occhi dell’elfo mandarono scintille ma la Divina mosse appena una mano.
“Stabilire la natura della mia esistenza in questo luogo richiederebbe in effetti tempo che non abbiamo. Sono qui per aiutarvi”.
La donna scese verso di loro; l’orlo della lunga veste sembrava fluttuare a qualche millimetro da terra, ma più la guardava e meno Fedra riusciva a capire cosa fosse. Sembrava umana in tutto e per tutto, molto più di Cole che, ancora imbrattato del sangue della battaglia, si teneva vicino al Toro, i pugni stretti attorno ai pugnali e le braccia tese che tremavano. Se era un’ombra possedeva ancora tutte le caratteristiche che aveva avuto in vita, ma era vero: non era quello il momento di disquisirne.
La Divina Justinia si fermò davanti a Fedra; Hawke e Stroud si fecero da parte con deferenza, ma né il Toro né Cole lasciarono le armi. Solas sembrava solo affascinato, con le guance tinte di rosa.
“Non ricordi cosa è accaduto al Tempio delle Sacre Ceneri, Inquisitore. Conosco queste cose – il tuo nome, la tua carica – perché in questo luogo dimora un demone al servizio di Corypheus. Un demone che ha sottratto ricordi, proprio come i tuoi”.
Cole emise un piccolo verso strozzato.
La Divina fissò Fedra negli occhi con tanta intensità da far sembrare l’espressione solenne una sfida.
“Lui è l’Incubo. Quello che scordi al risveglio e riempie le notti di terrore, si nutre di ricordi e paura e prospera nel terrore”. Lo sguardo si posò, più triste, su Stroud. “Il falso richiamo che ha disperso i Custodi è opera sua”.
Stroud perse di colpo ogni traccia di paura o deferenza. Il volto squadrato si indurì e il guanto di cuoio scricchiolò attorno alla spada.
“Sarò lieto di vendicare il torto che i miei compagni hanno subito per mano di quell’Incubo”.
“Avrai la tua occasione, coraggioso Custode, poiché quest’oscurità è dove esso risiede. La sua tana”.
“Io preferirei andarmene di qui”, intervenne Fedra. Cole annuì con forza, i capelli che svolazzavano a ogni cenno del capo.
“Ma l’Incubo…”
“Ma la nostra pelle vale più del tuo orgoglio!” Stroud non prese bene l’interruzione ma Fedra non trovò spazio per dispiacersi per lui.
“Potete trovare una via d’uscita, ma tutto dipende da te, Inquisitore”, disse la Divina.
Fedra lasciò ricadere spalle e braccia.
“Oh, grazie per avermelo ricordato, erano almeno sedici secondi che qualcuno non mi diceva che se fallisco muore un sacco di gente. Ora sto molto meglio!”
Justinia non sembrò offesa – Hawke aveva l’espressione di chi abbia appena preso una secchiata d’acqua gelida in testa, e Fedra sapeva che se avesse spifferato a Cassandra la sua impertinenza le sarebbero arrivate più sberle di quante ne potesse contare. Poi le labbra strette sotto ai baffi neri fremettero per quella che sembrava proprio una risata trattenuta.
“Puoi salvarli tutti, ma prima devi recuperare ciò che l’Incubo ti ha sottratto quando sei fuggita dall’Oblio a Haven. I tuoi ricordi”.
Fedra trattenne il fiato. Erano passati mesi – un intero inverno e una primavera, e forse qualcosa in più da quando si era svegliata in quella segreta maleodorante. Cassandra le aveva ordinato di ricordare e lei non ci era riuscita, e una stagione dopo l’altra aveva imparato a rassegnarsi: come dopo una pessima sbronza, quei ricordi erano perduti. La visione che era comparsa quando avevano attaccato il varco per la prima volta era vera, per quel che poteva saperne, ma non riusciva a sentire sue quelle immagini.
E ora avrebbe potuto riavere quella parte di sé.
Non era sicura di volerla.
La Divina si scostò di lato e indicò con un ampio gesto della manica lo squallido panorama attorno a loro. Qua e là fiammelle pallide ardevano a terra, sussultando piano come se fossero creature vive.
“Ecco i pezzi mancanti nella tua memoria. Sono tuoi”.
“Devo… devo…”
“Andare a prenderli, Fedra. Hai la possibilità di ricostruire un momento fondamentale del tuo passato e nel farlo di portarci fuori di qui. Non che io voglia propriamente andarmene”, aggiunse Solas con un gesto vago della mano.
“Andiamo, capo? Ci terrei davvero molto a farmi ammazzare da un drago invece che diventare scemo qui dentro”. C’era una nota quasi lagnosa nel tono del Toro, qualcosa cui Fedra non era abituata. Guardò la Divina, guardò la distesa con le piccole luci pulsanti e prese fiato.
“E va bene, tanto non ho impegni per la serata…”
Sotto gli sguardi di tutti scese i pochi gradini che la separavano dalla vicina spianata e si avvicinò a quello che le risultava essere il primo ricordo. Vi si accucciò di fianco e lo guardò da vicino: un globo scintillante, niente di più, che ronzava appena. Lo pungolò con la punta del dito sentendolo stranamente caldo al tatto, proprio come un piccolo animale, e quello le entrò sotto la pelle.
“Ah!”
Non riuscì a trattenere il grido. Scrollò la mano e balzò all’indietro, ma la luce era sparita. E a ben vedere non aveva neanche fatto male. Si calmò e si guardò il palmo: normale, niente di strano – almeno sul destro, insomma. Ma proprio mentre si rigirava la mano davanti al naso il ricordo sembrò scorrerle nelle vene fino al cervello.
Una piccola luce si accese: la sua mano che si appoggiava a una porta, la spingeva. Sapeva di aver davvero chiesto cosa stesse succedendo.
Le girava la testa. Corse vicino a un secondo ricordo e lo afferrò: sì, ora la vedeva con l’occhio della mente. La Divina di spalle, le braccia tese e la luce rossa che la tratteneva erano di nuovo parte di lei. Si voltò con un sorriso esultante verso il resto del gruppo, ma l’espressione le si gelò sul viso.
Demoni!” urlò indicando l’ombra alle spalle del Toro.

L’enorme scure roteò prima che il mecenario si fose voltato e la lama pesante si piantò nel cranio di un abominio, recidendogli la calotta.
“Vai avanti, Fedra, ti copriamo le spalle!” gridò di rimando Hawke falciando una seconda mosturosità – ma quante erano? Ne contò altre due, tre, poi Hawke urlò di nuovo. “Vai!”
Il boato dell’incantesimo di Solas la fece sobbalzare ma annuì e, a fatica, voltò le spalle allo scontro. La Divina Justinia era sparita in un lampo di luce gialla ma non aveva modo di preoccuparsene in quel momento. Doveva solo correre avanti e raccogliere tutti quei ricordi che diventavano sempre più vividi. Più vivi.
L’ultimo le corse su per il sangue e le mozzò il fiato. Crollò in ginocchio e si prese la testa tra le mani mentre tutto tornava a posto: era tutto vero, rivisse di nuovo quello che la visione le aveva già mostrato… e anche dell’altro. La Divina sospesa e prigioniera e attorno a lei una mezza dozzina di figure, le mani tese a mantenere il vincolo che la imprigionava.
Maghi.
Dei Custodi Grigi.
Le uniformi erano inconfondibili così come le espressioni gelide, possedute da Corypheus. E l’Antico era lì con loro, una faccia orrendamente nota che Fedra avrebbe voluto rivedere solo contorto nel rigore della morte.
Questa è l’ora della vittoria!
Riconosceva quella voce profonda, disumana. Ma non fu a lui che la Divina si rivolse. Voltò per quel che poteva il viso contorto dalla paura e dalla sofferenza e posò lo sguardo sui Custodi.
Perché state facendo questo? Perché voi?
Tenete fermo il sacrificio!
Nella mano adunca di Corypheus il Focus brillava debolmente, una sfera perfetta solcata da una miriade di cicatrici scintillanti. Quando l’Antico lo tese verso la Divina Justinia la luce iniziò a farsi più intensa, identica al bagliore che proveniva dall’ancora sulla mano di Fedra: saette verdi che si agganciavano al petto della prigioniera – e lei lo sapeva, aveva visto tutto! Ora ricordava.
Accadde in un secondo. La porta che sbatteva contro la parete e Fedra – la Fedra del passato, ignara di tutto – che tradiva la sua presenza. Corypheus si voltò verso di lei con sguardo omicida e la Divina colse l’occasione. Una donna di un coraggio che non si sarebbe mai aspettata. Uno strattone, il braccio che si divincolava dalla stretta dei Custodi e un singolo colpo. Non a Corypheus: al Focus.
La sfera gli saltò via dal palmo e volò nell’aria.
E Fedra si vide fare la cosa più stupida e imprevedibilmente eroica di tutta la sua vita.
La prese al volo con la mano sinistra.
Il dolore era di nuovo reale, quelle schegge incandescenti che le risalivano fino al gomito, fino alla testa e la facevano urlare. Era reale il lungo ululato furioso di Corypheus che le si avventava contro e il lampo con cui il velo si lacerò.
Fedra tornò in sé dopo quella che parve una piccola eternità, inginocchiata a terra e con la testa che pulsava così forte da farla gemere a ogni ondata.
Una mano le si posò sulla spalla e la reazione da animale ferito fu di strillare e arrancare di lato, troppo sconvolta per difendersi.
“Fedra, stai calma! Va tutto bene, siamo qui!” Hawke la tenne stretta per il braccio e la tirò in piedi, scrollandola fino a che Fedra non la smise di agitarsi.
“Io… io…”
“Abbiamo visto”. Stroud stava pulendo la spada contro l’avambraccio e le zoppicò incontro. Aveva gli occhi torvi sotto le folte sopracciglia.
“I demoni! Dove sono?”
“Morti. Sempre che delle schifezze del genere possano dirsi vive”, disse il Toro senza posare la scure. Solas schioccò la lingua.
“Certo che sono vivi! Corrotti, deviati, ma vivi. Loro…”
“Inquisitore, abbiamo visto ciò che hai visto tu. Il marchio non viene da Andraste”. Stroud la guardò serio. “Non sei l’Araldo, hai solo preso qualcosa dalla sfera di Corypheus”.
Hawke si parò davanti a lei, i denti dirgignati.
“Suona molto come un’accusa, Stroud, ma non abbiamo ancora iniziato a parlare dei tuoi compagni che trattenevano la Divina”.
“Io non…”
“Corypheus intendeva lacerare il velo, usando l’ancora per entrare nell’Oblio e da lì assaltare la Città Nera. Per diventare un dio”. Lo spirito di Justinia comparve di nuovo, bordato d’oro come le sue vesti. “Hai scombinato i suoi piani e la sfera ha conferito l’ancora a te invece che a lui”.
Nessun intervento divino, nessuna Andraste a benedirla o Creatore a mandarla.
Aveva fatto tutto lei. Le sue azioni, le sue scelte imprudenti avevano iniziato a salvare il mondo prima ancora che Fedra se ne rendesse conto.
Fu orgoglio quello che le sorse nel petto? O solo terrore?
Si sentiva le gambe deboli e non solo per lo sfinimento dell’assedio; nemmeno si accorse delle mani di Solas che la prendevano mentre vacillava all’indietro.
“Resisti, sei arrivata fin qui”, le mormorò all’orecchio. Il respiro caldo era reale, le mani che la rimettevano in piedi un richiamo al mondo a cui dovevano ritornare. Fedra batté le palpebre e guardò la Divina.
“Avevo ragione allora. Non sono… non sono nessuno”.
Justinia aprì bocca per parlare ma non fu la sua voce ad arrivarle alle orecchie. Cole sbucò da dietro il Toro, le mani che tormentavano l’orlo della casacca sporca.
“Amica, amante, guida inattesa, ancora per non sparire senza speranza verso una notte sempre più buia. Mani si sono tese, mani che hai stretto e accarezzato. Mani sporche di sangue e bagnate di lacrime che hanno trovato una luce dentro di te. Non è vero che non sei nessuno”. Alzò lo sguardo su di lei e sorrise per la seconda volta da quando si conoscevano. Un vero sorriso, nonostante il pallore e la paura. “Sei Fedra. Sei un sacco di cose e ne sarai ancora di più”.
Un nodo le serrò la gola. Quel candore che non era ignoranza ma innocenza nel senso più assoluto del termine la spiazzava sempre, ma in quel momento, in quel luogo che non esisteva, era qualcosa cui aggrapparsi davvero. Fedra avrebbe voluto abbracciarlo forte ma il Toro la prevenne e gli mise sulla spalla l’enorme mano grigia.
“Sei inquietante e strano, ragazzino, ma mi piaci davvero”. L’occhio che posò su Fedra era pieno di dura determinazione, adesso. “Siamo con te, capo. Lo siamo sempre stati”.
Le ci volle un istante per calmare la voce; a giudicare dal mezzo sorriso Solas capì le condizioni del suo cuore. Alla fine riuscì ad alzare il viso verso Justinia e a trovare un tono non troppo acuto.
“Ho recuperato tutto, no? Ora possiamo uscire…”
“Non ancora, bambina. Continua e ricorda, avete una speranza”.
Bambina. Non poteva permettersi di esserlo, non più da quando il vessillo dell’Inquisizione aveva iniziato a sventolare sulla chiesa di Haven. Avrebbe dato qualsiasi cosa perché qualcuno si assumesse quel peso al posto suo, ma ormai aveva capito che era suo dovere. Suo e di nessun altro.
Strinse i pugni e annuì secca una volta.
“E allora fammi vedere da che parte dobbiamo andare. Non sono qui per il piacere della conversazione”.
“Fedra, il tono. È comunque la divina”, sibilò Stroud. Fedra si morse la lingua, di colpo in preda alla nostalgia per lo schiaffo che Cassandra le avrebbe dato, ma Justinia non sembrò aversene.
“Continuate lungo questa via”, e indicò quello che doveva essere il camminamento che portava al cortile centrale di Adamant. “E abbiate coraggio”.
Stroud fece un ultimo inchino e partì in testa, furioso e determinato. Qua e là Fedra si fermò a raccogliere altri ricordi, frammenti di passato che definivano i contorni della sua memoria.
L’esplosione verde. Il risveglio in quello stesso luogo – o quasi: l’Oblio che ricordava era uguale a quello in cui stava camminando, una familiarità di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Un ultimo globo di luce e la visione esplose di nuovo. Fedra vacillò di lato e si schiantò contro una roccia mentre il passato si districava davanti a lei.
Verde. Rocce. Ragni che la inseguivano – ragni? No, peggio, creature deformi, dozzine, centinaia. Troppi occhi neri e malevoli su di lei, troppe zampe, mandibole che schioccavano alle sue spalle. Fedra si vide correre e cadere, lo sguardo in avanti verso la Divina Justinia.
Non era proprio una scalinata, più una scarpata con scarsi appigli. Fedra scivolava e gli artigli delle creature le strappavano la gonna, le graffiavano le gambe. Calci isterici, la voce di Justinia in cima al pendio.
“Resisti! Vieni!”
E dietro di lei un bagliore verde. Lo squarcio da cui Fedra era tornata nella realtà.
Le mani di Justinia erano robuste e forti mentre l’afferravano, la trascinavano oltre il margine.
“Vai! Avvisali!”
Aveva esitato. Si era voltata per prenderle la mano quando i ragni avevano iniziato a risalire lungo la veste bianca e rossa, la mano tesa, il panico nel sangue.
“Vai!”
Un ultimo grido da parte della Divina e Fedra era caduta attraverso il velo.
Dritta nella cenere del Tempio.
Fedra tornò al presente quando Hawke le diede una stretta al braccio abbastanza forte da farla sussultare. Gli occhi nocciola erano preoccupati e, solo in quel momento se ne rese conto, amici.
“Allora eravate voi”, mormorò Stroud. “La figura luminosa di cui parlavano, quella vista attraverso lo squarcio… eravate voi”.
Non guardava Fedra ma la Divina, in piedi accanto a loro. Sembrava più fragile ora, più triste nell’annuire una sola volta e tenere il capo chino.
“Non era Andraste. Era la Divina. E la Divina è… è morta, vero?” Fedra si tenne ad Hawke e ritrovò l’equilibrio. Justinia annuì di nuovo.
“Sì”.
“Quindi siete solo il suo spirito”, mormorò Stroud.
“Mi sembra evidente, visto che sappiamo che la Divina è morta al Tempio delle Sacre Ceneri. Per colpa dei Custodi”, scattò Hawke. I baffi di Stroud fremettero di indignazione quando si voltò di scatto verso di lui.
“Erano sotto il controllo di Corypheus! Lo sai benissimo! E comunque ne discuteremo quando saremo di ritorno a Adamant…”
“Adamant. Dove l’esercito dell’Inquisizione fronteggia i demoni evocati – di nuovo – dai Custodi! Anche senza il controllo di Corypheus siete stati troppo ansiosi di sguazzare nella magia del sangue per non essere ritenuti pericolosi”. Hawke fece un passo in avanti trascinandosi dietro Fedra, minaccioso.
“Come osi! Tu, proprio tu che sappiamo tutti a chi ti accompagni dovresti...”
“E adesso che cazzo succede?” L’alta esclamazione del Toro smorzò il litigio. Tutti si voltarono verso lo spirito della Divina: luce fuoriusciva dagli occhi, dalla bocca, e ben presto l’intera sagoma risplendette come il sole al mattino.
“Sta arrivando”. La voce che li aveva accompagnati emerse forte da quella luce mentre lo spirito tendeva un dito splendente davanti a sé. “L’Incubo. Vi ha trovati”.
Fedra lasciò il braccio di Hawke e la paura le restituì forza. Si guardò intorno, alla ricerca di una minaccia, di una forma mostruosa da combattere, ma non trovò nulla.
Solo un’altra voce, bassa e rimbombante, che le vibrava nel ventre ancor più di quanto avesse fatto Invidia.
Paura.
Incubo.
Dirth ma, harellan. Ma banal enasalin. Mar solas ena mar din.
Fedra non capì quelle parole in una lingua sconosciuta, ma Solas sì. Ogni traccia di eccitazione gli defluì dal viso e per la prima volta sul volto antico e impassibile si dipinse la paura, quella vera. Divenne pallido, labbra strette e pupille dilatate, mentre le dita si stringevano sul bastone e rialsciavano scintille.
Banal nadas”, rispose in un ansito strozzato. Il petto esile si alzava e abbassava in fretta e Fedra, di fronte a quel terrore, si raggelò. Solas che mostrava di perdere il controllo? Solas?
“Cosa sta succedendo?” chiese piano.
Hawke si parò di fianco a lei e alzò il viso.
“Sta giocando con noi”, rispose.
Hai davvero pensato che sarebbe importato? Che qualsiasi cosa tu abbia fatto potesse fare la differenza? Non hai salvato la tua città. Non potrai salvare Anders per sempre da se stesso... si perderà e lo perderai, diventerà un abominio. Pensi di poter sconfiggere un dio?
Ancora peggio: parole che ora comprendeva, che colpivano nel segno. Hawke strinse i denti e ringhiò.
“Non. Toccarlo”.
Per un attimo Fedra vide qualcosa di nuovo bruciare sotto la superficie di quello che aveva considerato solo il Campione di Kirkwall – rabbia incandescente e amore e una testardaggine che avrebbe abbattuto le montagne pur di difendere chi amava. Capì di non conoscerlo e proprio mentre l’emozione gli faceva splendere gli occhi di rabbia purissima la maschera calò di nuovo sul volto squadrato. Hawke sputò a terra e strinse i pugni.
“Non mi stupisce: un demone della paura sa dove colpire per fare più male. Dobbiamo sforzarci di ignorarlo”.
“La fai facile”. Il Toro era di nuovo esangue, le nocche sbiancate attorno all’impugnatura delal scure.
“Non ascoltarlo, qualunque cosa dica”, provò a dirgli Fedra, ma l’Incubo lo scelse come suo bersaglio.
Ah, il Qunari sarà un perfetto contenitore per i miei servitori. O forse potrei decidere di possederlo io stesso…
Le narici del Toro erano dilatate, il respiro ne usciva in sbuffi rapidi e l’unico occhio azzurro era sgranato nell’orbita.

“Rimani con me, Toro! Non ascoltarlo!” Fedra gli si aggrappò al polso e non riuscì a smuovere di un pollice l’enorme braccio.
“Non… non nella mia testa”, tuonò.
“No che non ci entrerà! Sei più forte di così: è paura, solo paura, nient’altro. Il Toro di Ferro può sopravvivere anche se se la fa sotto qualche volta!”
Funzionò. I tendini e i muscoli si mossero sotto alle dita di Fedra e, mentre Incubo rideva cupo, il Toro annuì. La guardò un istante e strinse i denti.
“Voglio vederlo a provarci. A possedermi, intendo”.
“Ti difendo io”. Cole gli si parò davanti, bianco ma serio, i pugnali incrociati davanti a sé.
Cole. Cole Cole Cole. Hai paura, Cole? Posso aiutarti a dimenticare, proprio come fai tu. Ah, siamo così simili, io e te…
Le era sembrato umano, quello strano ragazzo incolore. Ora, mentre la paura gli inondava la testa e gli squassava il cuore, Fedra si accorse che non lo era mai stato davvero. C’era una luce sinistra negli occhi sgranati, nelle labbra tese in una linea bianca.
“No”, rispose asciutto in una voce che non gli aveva mai sentito.
“E io difendo te, ragazzino. Puoi permetterti di avere paura, ci penso io a tenerti al sicuro”. La voce del Toro era più bassa, tremante, ma riuscì a penetrare la difesa di Cole. Il tremito che gli scosse le mani era straziante ma normale.
“Dov’è questa cosa? Dov’è?” gridò Stroud. Si girava da una parte all’altra, la spada levata e un bisogno disperato di colpire qualcosa.
L’Incubo lo comprese.
Come ci si sente, Custode Stroud, a dedicare la propria esistenza ai Custodi solo per vederli sparire? Per vederli corrotti, responsabili della fine del mondo? Di quel mondo che avevate giurato di proteggere.
“Basta!” Fedra si colse di sorpresa con quell’urlo. “Basta, demone: ho spaccato il brutto muso del tuo amichetto Invidia, e adesso vengo a prendere anche te!”
Si mosse decisa in quell’aria densa di terrore e follia, davanti a un gruppo di compagni la cui coscienza stava andando alla deriva dietro ombre, paure troppo vere per poterle sconfiggere.
Tu? Proprio tu, Fedra Trevelyan, che non sai fare niente? Non sei abbastanza forte o saggia, non sei abbastanza coraggiosa, determinata per portare a termine qualcosa. Li deluderai tutti come hai sempre fatto.
Bruciava dentro, in profondità. Le mozzava il fiato e riempiva la testa di immagini orribili – i corpi straziati delle persone che amava, lo sguardo disgustato di Cullen che se ne andava da lei, i suoi genitori che gridavano di non averla mai voluta come figlia.
Niente di nuovo.
Niente che non avesse affrontato ogni giorno da quando era uscita dal varco al Tempio delle Sacre Ceneri.
Era paura, solo paura.
E lei ne aveva avuta ogni singolo istante da quando era inciampata sulla strada di Corypheus.
“Sei tu quello che se la sta facendo sotto, altrimenti saresti già qui ad affrontarci!”
“Ho il vago sospetto che provocarlo sia una pessima idea”. La voce di Hawke sussultava al suono sferragliante di passi di corsa.
L’Incubo ruggì.
“Da quella parte! Vedo lo squarcio!” gridò Solas. Corsero sotto una tettoia di pietra così bassa che il Toro dovette piegarsi a metà per passarci; c’era acqua sotto ai loro piedi e un ben noto bagliore verde che schizzava a ogni passo.
Uno squarcio. La via di fuga.
Fedra fu la prima a emergere dal passaggio e inchiodò con un verso inarticolato.
Cole le andò a sbattere contro la schiena e la mandò avanti di due passi e il Toro dovette prenderlo al volo per non farlo cadere.
Lo aveva provocato.
L’Incubo aveva accettato la sfida.
Nessuno trovò le parole per quell’orrore. Di fronte a Fedra si ergeva una creatura di dimensioni folli, così grande da non entrarle nel campo visivo. C’era del ragno in quel mostro pallido e viscido, nelle tenaglie che scattavano davanti alla testa. E c’erano occhi – occhi dappertutto, sulla testa corazzata e sulle troppe zampe e sull’addome pulsante, grondante un liquido che sapeva di putredine.
Era l’insieme deforme e grottesco di tutte le paure del mondo. Era lì per loro.
Il terrore che suscitava non andava a pescare nel passato e nel tormento di ciascuno di loro, era immediato, brutale. Fedra si sentì la faccia intorpidita e la testa leggera, così sconvolta che quasi non sis tupì nel veder emergere, davanti al mostro, una seconda creatura disumana.
Quasi, però, perché quella mostruosità alta e scheletrica, tutta arti sproporzionati e lunghi e zampe da aracnide che emergevano dalla schiena ossuta le tolse il poco fiato che aveva. Voltò verso di lei un viso grondante tentatcoli che si aprivano su una bocca fitta di zanne e ruggì.
Fedra cercò di prendere fiato ma quel macigno di paura le schiacciava ogni osso. Non poteva muoversi o voltarsi verso gli altri. Non poteva, semplicemente, fare nulla se non contemplare quell’eccesso di zampe e zanne che arrancava verso di lei.
Il sole sorse all’improvviso, o più semplicemente fu ciò che la mente alla deriva di Fedra riuscì a registrare. Una luce abbagliante si levò alle sue spalle e salì nell’aria. Con un briciolo di quel che restava della coscienza vide una forma umana, bianca e splendente.
La voce della Divina Justinia le fluttuò fino alle orecchie.
Posso allontanare l’Incubo da voi. Sconfiggete il suo servitore e vi darò il tempo di fuggire.
L’identità della seconda creatura le sbocciò nella testa.
Paura. Un demone della Paura.
Fedra si scrollò e cercò di guardare la Divina, ma era troppo intensa; si schermò gli occhi e, tra le dita divaricate, ebbe l’impressione di vederla voltarsi verso di lei.
Di’ a Leliana che mi dispiace averla delusa.
Non udì più nulla, né vide altro che un’esplosione di luce che la scaraventò indietro, contro Cole e il Toro.
Quando riaprì gli occhi l’immenso ragno era sparito – no, non sparito: lontano, oltre le pietre che circondavano lo spiazzo.
Fu il Toro a rimetterla in piedi prendendola per la collottola, neanche fosse un gatto.
“Capo, ci siamo. Spacchiamo il culo a quella cosa e possiamo tornare a casa”.
Casa.
Cullen.
La luce della Divina le entrò dentro e scacciò le ombre del terrore. Le distorse, ne trasformò la follia in determinazione. Fedra sguainò i pugnali e li incrociò davanti a sé.
“Torniamo a casa”, ripeté.
Caricò a testa bassa e seppe di non essere sola. L’incantesimo di Solas le sfrecciò a un soffio dall’orecchio, un lampo azzurro che sfrigolò nell’aria e colpì il demone dove si sarebbero dovuti trovare gli occhi. Paura levò le braccia scheletriche e si scrollò, ma Fedra gli fu addosso.
Alto. Troppo alto per raggiungere gli organi vitali, per la gola – sempre che quell’essere avesse un punto debole. Le lunghe gambe erano divaricate, i tendini che spiccavano come corde.
Fedra si abbassò e schivò di lato un colpo d’artiglio che la mancò di poco, grattò a terra e sprigionò scintille. Si fermò con una scivolata e fece scorrere le lame dietro al ginocchio del demone.
Sangue nero colò dalla ferita e la creatura ruggì di nuovo, più forte, mentre si sbilanciava di lato.
Tutte quelle zampe da ragno funzionavano fin troppo bene per tenere lontani gli attacchi. Una le cadde in testa, divelta da un fendente del Toro che la staccò di netto, e una seconda scattò di lato mancando Cole di un soffio.
Rotolando di fianco Fedra evitò l’attacco di Hawke e Stroud, fianco a fianco e per un attimo dimentichi delle reciproche accuse. Spade cantarono nell’aria verde e una lama trovò la strada nel costato del demone. Un colpo che avrebbe abbattuto molti avversari, ma non in quel mondo.
Il mostro si accasciò su se stesso e frustò entrambe le mani in avanti; l’urto fece cadere Stroud e Hawke riuscì a balzare indietro appena in tempo, abbassando il bastone con un unico movimento fulmineo. L'urto fracassò il gomito del demone causando un nuovo getto di sangue.
Paura si inarcò all’indietro, lasciando il collo scoperto; Cole sbucò a mezz’aria con un’espressione orribile sul viso e abbassò le lame nel punto dove spalla e collo del demone si fondevano.
Altro sangue. Altra rabbia che si trasformò in un gesto disperato: la creatura falciò con l’unico braccio buono e spazzò via Cole e Fedra stessa, di nuovo in piedi per un altro attacco.
Artigli d’ombra la presero di traverso, dal torace fino allo zigomo, lanciandola indietro a sbattere contro uno sperone di roccia. L’aria le abbandonò i polmoni e una costellazione di lucine bianche le danzò davanti agli occhi, accompagnata dall’odore ferroso del sangue.
Sopra di lei lo squarcio brillava immobile; la sagoma grottesca dell’Incubo, con le sue zampe e miriadi di occhi, si rialzò dal cratere dove la Divina lo aveva lanciato e si riscosse.
Fedra si rimise in piedi per vedere il Toro di Ferro dare il colpo di grazia al demone della Paura, la scure che si infiggeva in profondità nel cranio. Stroud cacciò un grido e infierì sulla bestia morente, mentre Solas si accertava delle condizioni di Cole: era vivo, con un profondo taglio sul sopracciglio e l’espressione più stupita che preoccupata.
“Ci siamo! Dobbiamo andare subito!” Hawke si guardò intorno e sembrò contare i compagni – tutti lì, con lui, tutti ancora vivi. “Subito, ho detto!”
L’Incubo fu più rapido dei loro riflessi. Fedra riuscì a rialzarsi, intirizzita e con le mani che tremavano, e a caracollare fino allo squarcio proprio quando l’immenso ragno vi si parò davanti. Anzi, proprio sopra, una gabbia di zampe articolate e mandibole che bloccava la via di fuga.
“Siamo fottuti”, disse il Toro leccandosi le labbra.
“Andate”. La voce di Hawke era ferma, bassa. “Lo distraggo io”.
“No! Devi andare, io… io…” Stroud lo guardò a lungo e strinse i denti. “Devo fare ammenda. Ti prego, sono stati i Custodi a causare tutto questo, lascia che sia un Custode a…”
“Appunto! I Custodi hanno bisogno di essere riformati, hanno bisogno di te!”
“Hawke, non importa quello che penso o ho detto: sai che ti sta aspettando. Lui ha bisogno di te!”
Fedra si leccò il sangue dalle labbra e li guardò per un istante. 
Un’altra decisione difficile, troppo. E dai recessi della memoria arrivò ad aiutarla una faccia squadrata, una risata beffarda dietro le quattro braccia di una balestra.
Varric. Mi odierebbe se condannassi Hawke. Peggio, lo distruggerei. E Hawke... sì, ha qualcuno da cui tornare, l'ho capito e glielo si legge negli occhi, eppure sarebbe disposto a perdere tutto per noi.
Una scelta che le sarebbe pesata per sempre nel cuore, ma non aveva più tempo e sapeva cosa fare. Alzò lo sguardo su Stroud e annuì secca una sola volta.

“Grazie, Custode Stroud. Il mondo non ti dimenticherà, te lo giuro”.
Hawke aprì bocca per protestare ma Stroud sorrise, un saluto marziale e le spalle dritte. 
“Grazie a te, Inquisitore. Mi dai l’occasione per andarmene da uomo e non da carnefice. Di andarmene da amico”. Guardò un’ultima volta Hawke, gli occhi lucidi e un rapido cenno di commiato, quindi si voltò e caricò ruggendo l’Incubo.
Non aveva speranze, ma loro sì. Il ragno, colpito tra le chele, si impennò lasciando uno spazio tra le enormi zampe.
“Non lasciamo che muoia invano!” Solas la spinse avanti e Fedra incespicò. Lo squarcio era vicino, così vicino, e il sangue le scivolava fino ai piedi. Suole che perdevano aderenza, un braccio grosso come un tronco che la afferrava per la vita e all’improvviso l’ombra di un corno sopra di lei.
Il Toro se la piazzò sulla spalla; Fedra, tra un sussulto e l’altro, vide Stroud continuare a combattere, nessuna ombra di colpa sul viso squadrato. 
Solas indugiò sulla soglia e lanciò un ultimo sguardo carico di desiderio all’inferno di demoni che si stavano lasciando alle spalle. Hawke lo superò, Cole lo prese per il braccio e lo trasse con sé e la luce verde li avvolse di nuovo.



Ah, Stroud, povero, povero Stroud... non ha mai avuto chance, non se l'alternativa è Hawke. Arrivo a dire che sceglierei Hawke anche contro Alistair, ma non c'è pericolo, lui è saldamente imbullonato al trono e non si porrà mai il problema.
L'Oblio è un appuntamento immancabile, ma meglio i sassi volanti e la luce verde e i ragni che l'intero tour in Origins.
Al prossimo capitolo e, in anticipo, buon Natale!

 

Val

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Capitolo 19
*** 19 - Punti di sutura, rivelazioni e decisioni pesanti: voglio solo tornare a casa. ***


“Toro… mettimi giù, per favore”.
“No. Sanguini”.
“Sì ma non è che se mi tieni in spalla tipo sacco di patate cambia qualcosa”.
“Sanguini. Non ti lascio finché non posso dimostrare a Cullen e a Cassandra che ti ho riportata di qui viva”.
Fedra si agitò un po’ nella sua stretta e non riuscì a muoversi granché, incastrata tra la mano che la tratteneva e il corno che le premeva sulla schiena.
Erano tornati, con quel che rimaneva del ponte solido sotto ai piedi, ed erano vivi, anche se in effetti il Toro non aveva tutti i torti. Ora che l’adrenalina iniziava a scemare Fedra percepiva qualcosa di viscido e caldo scivolarle lungo il petto e il collo; sentiva la pelle bruciare e tendersi – un buon segno, probabilmente. Puntò le mani contro la massiccia spalla grigia e spinse.
“Ho detto fammi scendere!”
“Fedra!”
Cassandra. Il cuore le fece un balzo e riprese a tormentare il mercenario sotto di lei a calci e pugni.
“Fammi scendere o almeno girati!”
“Cercatrice! Ti ho riportato l’Inquisitore più o meno tutta intera”. Il Toro aveva recuperato il tono scanzonato e obbedì; quando Fedra appoggiò i piedi a terra e cercò di voltarsi la testa le girò così tanto da farla barcollare contro Hawke, che la prese al volo.
Un istante dopo si trovò tra le braccia di Cassandra, sudata fradicia e splendidamente viva.
“L’ho… lo abbiamo sconfitto”.
“Corypheus?” le sussurrò all’orecchio con voce rotta.
Non abbastanza. Mai abbastanza.
Le sembrò di percepire l’amarezza di Hawke e la ingoiò, allontanandosi da Cassandra e scuotendo la testa.
“No, ma il suo – chiamiamolo così – contatto con il mondo dei demoni. Non usciranno da qui”.
Cassandra tirò su col naso e appoggiò la fronte alla sua.
“Hai compiuto un miracolo, Fedra. E hai riportato tutti indietro…”
“Quasi tutti”. Le sopracciglia di Cassandra si congiunsero in un cipiglio mentre passava in rassegna il gruppo, ma prima che potesse commentare la voce di Dorian salì nel brusio di Adamant.
Voci, qualche urlo: nessun clamore d’armi. L’assedio era vinto.
Fedra si tenne stretta al braccio di Cassandra per non cadere, vinta dal sollievo e dallo sfinimento.
“Andate a chiamare Cullen, sono tornati!”
E anche Dorian era vivo, anche se si appoggiava pesantemente al bastone e aveva la tunica lacerata su una gamba.
Lo era anche Cullen. Cassandra fece sedere Fedra a terra e controllò i superstiti del gruppo, prendendosi un attimo di tempo in più per Cole. Il ragazzo scosse la testa e si asciugò il sangue che colava dalla fronte, poi si sedette a terra e sospirò.

“Mi hai portato fuori da lì. Mantieni le promesse”.
“È quello che fanno gli amici, Cole”, rispose Fedra, stanca.
Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro ma qualcosa, oltre la nebbia che iniziava a offuscarle la vista, si agitò. Qualcosa di rosso e molto chiassoso.
Cullen avanzò tra le fila dei soldati che si stavano assiepando attorno a Fedra, quasi ne lanciò via uno e le si parò davanti. Era bianco come un cencio, con i capelli incollati ai lati del cranio dal sangue e l’asta di una freccia che gli sbucava dal fianco.
“Oh. Sei viva”, disse con un filo di voce. Oscillò e il soldato alla sua destra lo sorresse, ma Cullen si limitò ad appoggiarsi alla sua spalla per rimettersi in verticale. Raggiunse Fedra e si inginocchiò davanti a lei; aveva gli occhi cerchiati di scuro, febbricitanti.
“Sei ferita?”
“Anche tu”.
Questo lo fece sorridere, anche se il gelo iniziava a scorrerle nel sangue. Quella freccia era in un brutto posto e lei non era in grado di stabilire quanto fosse grave. Cullen le prese il viso tra le mani e Fedra sussultò quando una linea di dolore le saettò dal mento allo zigomo.
L’espressione di Cullen si incupì quando ritrasse la mano dalla sua guancia, ma Fedra gliela prese in fretta e la rimise dov’era. Meglio soffrire un po’ che percepire la sua assenza.
“Dove siete stati?”
“Nell’Oblio”.
Fu Solas a rispondere, lo guardo rapito rivolto verso il cielo notturno, come se potessev edere oltre il velo.
Cosa?”
Dorian li raggiunse trascinando la gamba, a occhi sgranati.
“Siete stati nell’Oblio e ne siete usciti vivi?”
“A parte Stroud, sì”, disse Hawke. Si lasciò cadere a terra e sbuffò, stanco. “Non potete capire quanto sono felice di non dover combattere anche da questa parte”.
Il tocco di Cullen diventò frenetico sul viso di Fedra.
“Stai bene? Cosa ti è successo? S-Sei stata… saresti potuta…”
“Morire, già. Proprio come te sul campo di battaglia”. Gli prese la mano e la strinse forte contro il viso che faceva male. Era solida, calda. Reale.
Le ultimi propaggini dell’orrore che aveva provato nell’Oblio svanirono, anche se qualcosa rimase adagiato in fondo al suo cuore. Cullen la guardò negli occhi con paura crescente, come se si aspettasse di vederla diventare un demone da un momento all’altro.
Il solito pop annunciò uno dei trucchi di Cole. Tutti si voltarono e videro che il punto in cui si era seduto era deserto.
Solas si riscosse con un brivido e guardò le pietre del ponte.
“Devo parlare con il ragazzo. Sono preoccupato per lui”.
“E tu devi parlare con i Custodi”, disse Cassandra. “Con quel che ne rimane, almeno…”
Altro dovere. Altre risposte da dare, decisioni da prendere, lutti da confessare.
Doveva farlo subito, prima che arrivasse la vera stanchezza; annuì e prese le braccia di Cullen, cercando di alzarsi. Fallì e fu lui a rimettersi in piedi, prendendola tra le braccia per aiutarla; per un solo istante Fedra si appoggiò a lui, la guancia contro la gola e la rassicurante, forte pulsazione del cuore che le dava coraggio. Ferito, certo, ma sarebbe sopravvissuto.
“Ho avuto paura di perderti. Di nuovo”. Un sussurrò cui non ebbe il tempo di rispondere; Cullen le prese un braccio e se lo gettò sulle spalle, scortandola avanti. Con un lampo di memoria – tutta la sua memoria, adesso, ed era incredibile sentirsi integra di nuovo – si ricordò di quel primo giorno di follia in cui aveva incontrato Cullen, sfinito e insanguinato come ora e, allo stesso modo, con un commilitone ferito in spalla.
Amanti ma non solo: compagni in quella guerra. Fedra strinse la spalla di Cullen e gli si appoggiò con una specie di sorriso.
Raggiunsero il cortile e trovarono i resti di quella che doveva essere stata una battaglia peggiore di quanto Fedra avesse temuto. C’erano corpi contro i muri e lamenti di feriti – i suoi uomini, che avevano pagato cara la lealtà all’Inquisizione; l’ormai familiare nodo di colpa le strinse lo stomaco e le mozzò il fiato. Cullen la strinse un po’ di più e le accarezzò furtivamente la schiena.
Ancora un ultimo sforzo.
Nessun drago all’orizzonte, solo una schiera di Custodi Grigi dai volti distrutti. Fatica ma ancor di più colpa, la cupa realizzazione che quei morti pesavano sulla loro coscienza.
Ma non più che sulla mia.
Si staccò da Cullen con uno sforzo di volontà e si piantò a terra a gambe larghe, in cerca di un equilibrio che la abbandonava ad ogni respiro.
Cullen era al suo fianco, pallido, e dall’altra parte aveva Hawke. Nonostante tutto c’era una scintilla negli occhi del Campione, qualcosa che parlava di sollievo, di vita. Pura e semplice.
Hai ancora qualcosa per lottare, qualcuno da cui tornare.
Il Custode dalla pelle scura che si era opposto per primo a Clarel si fece avanti e si inginocchiò davanti a Fedra.
“Inquisitore, le nostre vite sono nelle tue mani. I Custodi si rimettono al tuo giudizio”.
Al volto segnato dell’uomo si sovrappose quello pallido e sconvolto di Clarel – una donna spaventata che era morta tornando se stessa – e subito dopo quello squadrato di Stroud. Non gli si era mai affezionata, ma l’improvviso dolore per la sua perdita la trafisse in pieno stomaco.
“Voi Custodi avete… avete…”
Corrotto il vostro stesso ordine. Ceduto alla voce di Corypheus. Abbandonato i voti su cui avevate giurato. Aperto uno squarcio e cercato di riempire il mondo di demoni. Chiuso gli occhi di fronte all’orrore delle vostre azioni. Fatto esplodere il Conclave.
“… avete fatto un casino”.
Adamant era in rovina e il vento del deserto era freddo, carico dell’odore di fumo e morte. Un fetore che Fedra aveva imparato a conoscere fin troppo bene. Si passò le mani tra i capelli e camminò avanti e indietro.
“Avete fallito, ecco tutto. E un singolo uomo ha dimostrato di meritarsi il titolo di Custode. Stroud è rimasto nell’Oblio per permettere a me e all’Inquisizione di fuggire; l’unica persona che avrebbe avuto il diritto di prendere in mano l’ordine è morta e io non so cosa farmene di voi”
Fu Hawke a parlare piano alle sue spalle, chino su di lei.
“Lo accetti il consiglio di qualcuno che ha una certa familiarità coi Custodi Grigi?”
“Dimmi cosa devo fare, ti prego”, rispose in un sussurro.
“Sono tuoi se lo vorrai. Pur di fare ammenda mangeranno dal tuo palmo – e forse una possibilità di espiazione la meritano pure loro”.
Non era convinta, neanche un po’, ma quando si voltò a guardare il viso sporco di sangue di Hawke non trovò dentro di sé altro che fiducia. Non si attraversa l’Oblio con qualcuno senza guadagnarsi il privilegio di considerarlo amico.
“Grazie. Avevo bisogno di una direzione”.
Si sforzò di raddrizzare le spalle e guardò la piccola folla in divise blu e argento ai suoi piedi.
“Al momento non siete altro che dei reietti che hanno tradito la propria stessa causa. Unitevi all’Inquisizione, è l’unico modo per voi di porre rimedio a questo…”, e gesticolò verso le rovine della fortezza, “delirio”
Cullen le scoccò un’occhiata di puro orgoglio che Fedra notò appena.
L’ultima stilla di energia la abbandonò in mezzo all’ovazione dei Custodi superstiti; un velo nero le scese sugli occhi e si ritrovò trasportata via da braccia che non riconosceva, tormentata da incubi verdi e da dubbi.

Aveva fatto la cosa giusta? Stroud cosa avrebbe voluto? Si era guadagnata degli alleati o creata dei nemici?
Sarebbe sopravvissuta?
Quell’ultimo pensiero arrivò tardi, quando si accorse di essere distesa su una brandina sotto a un telo scuro. Si rese conto con vaga sorpresa di essere nuda dalla cintola in su, con un individuo sconosciuto che armeggiava con una boccetta al suo fianco.
“Cosa…”
“Mi spiace, Inquisitore. Non sarà una passeggiata ma devo ricucirvi”. Il soldato – un uomo con i capelli bianchi e gli occhi freddi, la guardò per un istante. Fedra abbassò lo sguardo, ancora incapace di provare vergogna, e si strozzò a metà di un respiro.
Sapeva di essersi presa un colpo piuttosto forte da parte del demone della Paura, ma vedere lo squarcio rosso che dall’ombelico risaliva a superare il costato peggiorò la situazione. Già debole vide il velo nero stringersi di nuovo attorno a lei e sperò, nauseata, di poter svenire.
Quando il medico le versò un liquido bruciante sulla ferita aperta capì che non sarebbe stata così fortunata.
Più tardi le dissero che le sue grida avevano terrorizzato mezzo contingente e che in tre avevano dovuto trattenere Cullen – anche lui in fase di medicazione – dallo sradicarsi dalla presa del medico per correre a vedere come stesse.
Settantadue punti di sutura, piccole tacche nere incise nella carne.
Nella guancia.
Il medico dovette chiamare Cassandra per tener ferma Fedra, insieme ad altri due soldati sconvolti che le stavano aggrappati alle gambe.
“Non l’ammazzerà di certo la ferita, ma se continua così si slogherà tutte le articolazioni”, ringhiò il medico continuando a ricamare.
“Ma del laudano…”
NO!”
Fedra urlò più forte.
Laudano significava sonno. Sonno significava Oblio.
Meglio gridare, soffrire a ogni passaggio dell’ago nella carne che affrontare di nuovo l’Incubo.
“Il laudano lo teniamo per chi ne ha davvero bisogno”, aggiunse in un sussurro il medico, e un mondo cupo di significati aleggiò tra le parole. Per i morenti. Per chi aveva bisogno di un aiuto per andarsene.
Cole doveva essere molto impegnato, quella notte.
Durò a lungo e no, non fu una passeggiata. Quando il medico legò l’ultimo punto, poco sotto lo zigomo destro, Fedra era sfinita. Cassandra, che l’aveva tenuta ferma per le spalle così forte da riempirla di lividi, la lasciò andare ed emise un respiro a lungo trattenuto.
“Ecco fatto, Inquisitore. Fatemi i complimenti, sono stato veloce e preciso”. Le diede una pacca sulla pancia, a metà della ferita, con fare orgoglioso, e procedette ad arrotolarla in metri e metri di bende. “Proprio un bel ricamino”.
Quand’ebbe finito si pulì le mani insanguinate sul grembiule sporco, coprì Fedra con un lenzuolo e uscì.
Fedra per un lungo istante rimase immobile, occhi sgranati e dolore che scemava senza scomparire. Era stato orribile ma l’aveva tenuta aggrappata a quella sgradevole sensazione fisica, allontanando responsabilità e colpe e un dettaglio che non aveva avuto modo di realizzare.
Sudata fradicia si sollevò sui gomiti e strisciò all’indietro, cercando di sollevarsi. L’intera ferita mandò una scossa di dolore che le fece digrignare i denti; Cassandra – si accorse solo in quel momento della benda che le avvolgeva la testa – la aiutò a mettersi seduta e le tenne stretta la mano.
Rimasero in silenzio per un attimo. Quell’angolo di ospedale da campo era tutto per lei, una tenda improvvisata a disposizione dell’Inquisitore.
Doveva parlarne con qualcuno, e Cassandra aveva il diritto di sapere. Fedra sperò di non ferirla troppo, ma omettere una verità con lei sarebbe stato peggio che mentirle.
“Nell’Oblio… Cassandra, sai quella figura luminosa che avete visto nel varco al Tempio?”
“Andraste?”
Sospirò e scosse la testa.
“Non era lei. Era la Divina Justinia. O qualcosa di simile, il suo spirito… niente di divino. Neanche l’ancora è un dono, solo un incidente”.
Prese fiato e raccontò tutto, per filo e per segno. Si era aspettata di vedere l’espressione di Cassandra incupirsi, di sentirla negare l’evidenza, ma quando alla fine tacque c’era un vago sorriso sulle sue labbra.
“Non… non ti disturba?” le chiese.
“Perché dovrebbe?”
“Perché avevi creduto che fossi la prescelta di chissà chi e invece sono solo io. Solo Fedra”.
Cassandra le scompigliò i capelli e scosse la testa.
“Vorrei che avessi almeno un po’ della mia fede, Solo Fedra. Continuo a pensare che sia stato il Creatore a metterti sulla mia – sulla nostra strada, anche se per vie più tortuose di quanto credessi. Il Creatore e Andraste muovono i tuoi passi, che tu lo creda o no”.
“Ma tutta quella gente che mi chiama Araldo di Andraste… cosa devo fare? Se dico loro la verità non rischio di perdere la loro fiducia? Ma se mento…”
“Lascia che credano ciò che vogliono. Non hai mai affermato di essere qualcosa di diverso da ciò che sei: permetti a ciascuno di trovare speranza dove meglio crede, Fedra”.
Altro silenzio. La voce di Cassandra curava qualcosa dentro di lei, e ora rimaneva solo il suo corpo indolenzito a ricordarle della battaglia.
La mano sinistra si mosse da sola e si sollevò, andando a sfiorare la guancia ferita.
“Rimarrà una cicatrice”, disse Cassandra. C’era una strana dolcezza nella voce e Fedra non riuscì a guardarla.
Era sciocco. Era pura vanità in mezzo a una guerra, qualcosa a cui non aveva diritto. Aveva perso uomini e donne, aveva sciolto un ordine vecchio di secoli e ora eccola lì, con le lacrime che le scendevano implacabili e un singhiozzo strozzato in gola.
Cassandra le strinse la mano.
“Avevo diciannove anni quando mi sono fatta questa”. Fedra la sbirciò di lato tra le ciglia umide e la vide sfiorarsi lo sfregio sulla guancia. “Ho pianto di nascosto per giorni”. Le mise un braccio attorno alle spalle e la tenne contro di sé, sfregandole il braccio.
“N-Non dovrei…”
“Se qualcuno in questo campo trova il coraggio di venire a dire a una ragazza che non deve piangere per una ferita al viso vado io stessa a prenderlo a pugni. Ti prego, non dirmi che ti preoccupi per la reazione di Cullen, almeno!”
Trattenne il fiato.
“A quello non… non avevo neanche pensato!”
Pianse più forte e Cassandra brontolò uno dei suoi soliti versi infastiditi.
“Allora lo conosci proprio poco se pensi che… mph. Parlagli tu stessa, fate prima”.
Fedra alzò di scatto la testa e, in un assurdo e tardivo moto di pudore, si strinse addosso il lenzuolo. Vedere Cullen sulla soglia, il torace fasciato e un braccio appeso al collo, peggiorò la situazione pianto; i singhiozzi diventarono così forti da farle male e Cullen le passò l’unico braccio libero dietro la schiena, tenendole il viso contro la spalla.
“Sei bellissima”, le sussurrò rauco all’orecchio. “Sei forte e coraggiosa e io sono così fortunato che tu mi abbia scelto, così fiero di te”.
“Guardami!” ringhiò contro di lui Si alzò e lo guardò dritto negli occhi: Cullen era ancora pallido, sfinito dalle due notti insonni, ma c’era così tanto amore su quel volto che faceva male guardarlo. “Guardami e disprezzami perché me lo merito! Sono qui a frignare per un graffio sulla guancia e… e sono morti così tanti uomini!”
La mano di Cullen le si strinse sul braccio e le labbra si ritrassero sui denti. Il leone si stava arrabbiando.
“Non permetterti di… di…” Un sospiro e le spalle si afflosciarono. “Fedra, io ti amo. Non chiedermi di disprezzarti, non posso! Hai salvato di nuovo questo mondo e chi ti ha seguita – chi mi ha seguito, perché questo è anche il mio esercito – lo ha fatto sapendo cosa lo aspettava. Sono morti con onore e non verranno dimenticati”.
Altre lacrime che bruciavano sulla ferita richiusa da poco, sangue diluito che le colava lungo la gola.
“Voglio andare a casa”, gemette. “Non voglio saperne più nulla di questo deserto e di Adamant, voglio… voglio tornare a Skyhold”.
Le labbra di Cullen trovarono le sue in un bacio lento, dolce.
“Torniamo a casa, Fedra. Te lo prometto”.
Qualcuno lo chiamò da fuori e Cullen strinse i denti. Fedra tirò su col naso e si passò una mano sulle guance.
“S-Scusa, io non dovrei… tu come stai?”
Cullen alzò il braccio fasciato e fece una smorfia che si trasformò in un mezzo sorriso.
“Sono stato decisamente peggio di così, non ti preoccupare. Sembrava molto più brutta di quanto non fosse in realtà”. Si alzò e le diede un bacio sulla fronte. “Tornerò presto”.
“No, farai quel che devi e andrai a dormire anche tu. Altrimenti…”
Un sopracciglio biondo guizzò verso l’alto.
“Un ricatto?”
“Altrimenti anche io mi alzerò e mi metterò a girare per l’accampamento”.
Un ricatto! Non posso crederci! E va bene, hai vinto tu”. Non riusciva ad andarsene e la baciò di nuovo, cosa che Fedra accolse con un sorriso che lenì la ferita al suo cuore.
“Ti amo”, gli mormorò quand’era già sulla porta. Si stese più tranquilla e sospirò.
Il peso dei suoi morti era più pesante di prima, ma la colpa non la feriva più così tanto.
Si addormentò da qualche parte prima dell’alba, indifferente al chiasso che ronzava fuori dalla tenda e ai gemiti degli altri feriti. Quando il sole iniziava ad affacciarsi all’orizzonte – o così le parve, nel dormiveglia – un piccolo suono esplose di fianco alla sua branda; Fedra socchiuse una palpebra e ogni punto bruciò incandescente nella sua carne. Una gentile mano fresca le sollevò la testa e un bicchiere le si posò contro le labbra.
“Domani farà meno male”. La voce di Cole era incorporea nell’aria immobile della tenda. Fedra deglutì qualcosa di dolciastro che sciolse quelle scintille di dolore una dopo l’altra.
“Lui soffre. Paura e pensieri, nostalgia e attesa e il cuore che corre con il vento, con gli spiriti. Vuole tornare – mostro o eroe, entrambi e nessuna delle due cose. Solo amore”.
“Cole, di chi stai parlando?”
“Campione per tutti, per lui qualcosa di più. Vita e speranza. Capelli biondi e naso lungo, cuore spezzato, in fiamme, libertà e…”
“Hawke? Stai parlando di Hawke?”
Cole annuì.
“Non voleva lasciare Anders da solo, anche se da solo non lo è mai. Giustizia è dura e crudele ma lo tiene al sicuro quando lui non c’è. E adesso vuole solo tornare, tenerlo tra le braccia, tremare perché ha avuto paura. Ma sa cosa Corypheus può fargli e no, non lo permetterà mai”.
Fedra respirò a fondo e una striscia bruciante le corse per la pelle. Hawke, certo: avrebbe dovuto capirlo. All’improvviso si rese conto di quanto dovesse sentirsi in pericolo e smarrito in quella guerra che non era sua, e desiderò con tutta se stessa che potesse tornare a casa, al sicuro.
Cole aveva compreso. Gli aveva parlato, forse, o semplicemente si era proteso e aveva toccato quel nucleo pulsante di dolore e amore che faceva male persino a lei.
L’aveva aiutata a capire.
Prese fiato e provò a ringraziarlo, ma il palmo di Cole le si posò sulla fronte.
“Torniamo a casa. Tutti quanti”, sussurrò. Neanche il tempo di cercare le parole per consolarlo e Fedra crollò di nuovo addormentata. Al risveglio era mattina inoltrata e faceva caldo, ma le ferite non bruciavano come aveva temuto.
Si rivestì con movimenti goffi ma rifiutò l’aiuto di una giovane recluta, una ragazza magra e scura che la guardava con un misto di ammirazione e inquietudine.
“Ce la faccio, davvero”, bofonchiò. Si sentiva la faccia impastata e la guancia rigida, ma alla fine riuscì a rendersi presentabile e a zoppicare fuori, tesa.
Cullen era già in piedi, ma a giudicare dal colorito doveva aver dormito almeno qualche ora. Nonostante tutto – ferite, tragedie, sfinimento – vederlo a torso nudo che dava indicazioni ai genieri per rimuovere i trabucchi la fece sudare ancor di più.
“Eccoti qui, capo!” 
Il Toro di Ferro si fece largo a gomitate tra la folla, decisamente più a suo agio nella sabbia rovente che nell’Oblio. Un po’ come tutti. Fedra gli sorrise e cercò di salutarlo con la mano, ma la ferita era di tutt’altra opinione e bloccò il gesto a metà. 
“Gli altri come stanno?”
“Tutti bene, anche se stanchi. Puoi venire? Dorian e Solas hanno qualcosa per te”.
Non era molto rassicurante, ma Fedra lo seguì.
“Ti hanno detto cosa vogliono?”
“Certo, ma preferisco farti una sorpresa. Ah, tra l’altro, dov’è il ragazzino, Cole?”
Fedra rallentò e ricordò la visita di quella notte con un brivido. Si guardò attorno, ma dell’alta sagoma pallida non c’era traccia.
“Non lo so, ma non è lontano. Sai com’è fatto, ogni tanto decide di non farsi vedere ma suppongo abbia capito che di noi si può fidare”.
Una voce ben nota le sussurrò nella testa.
Sì.
Questo la fece sorridere.

“Sai, Toro, non penso di averti ancora ringraziato… e neanche tutti gli altri, temo, per quello che – oh, ma per il cazzo floscio del Creatore, questo no!”
“Ti ho sentita!” ruggì Cassandra dall’altro capo dell’accampamento. Fedra la ignorò, rapita dalle figure in piedi lì di fronte a lei. Non si somigliavano neanche un po’, Dorian e Solas, ma in quel momento sui due volti c’era la stessa espressione di tetra soddisfazione, la medesima posizione di guardia nelle mani strette attorno ai bastoni.
“Sorpresa, Inquisitore”, disse Dorian e fece un gesto teatrale con la mano.
Non che ce ne fosse bisogno: Fedra aveva visto molto bene la terza figura inginocchiata tra di loro e aveva riconosciuto Erimond.
“Perché è ancora vivo?”
“Perché lo abbiamo trovato così – no, non proprio così, aveva meno lividi prima che lo prendesse Cassandra – e abbiamo pensato che potesse interessarti”. Dorian ammiccò e l’espressione inquietante di attenuò.
“Non è solo un prigioniero, Inquisitore: potrebbe diventare un simbolo della giustizia dell’Inquisizione”. Solas era gelido ma vagamente sorridente. Erimond si agitò nei legacci e sollevò su di lei uno sguardo carico di odio.
Odio del tutto contraccambiato. Fedra si accorse di aver stretto i pugni.
“L’Antico arriverà ugualmente, branco di cani! E quando arriverà terrà in gloria quanti tra i suoi seguaci…”
Cassandra arrivò in quel momento e interruppe il flusso di parole.
“Bestemmia un’altra volta e le prendi. Ringrazia che non meno i convalescenti, sennò… oh, per il Creatore, ma cosa ci fa qui questo stronzo?”
Fedra sentì stupore e stanchezza scivolarle di dosso, sostituiti da una gelida rabbia che non aveva mai provato. 
Aveva combattuto demoni e uomini posseduti. Aveva fermato cospirazioni e ricattato nobili.
Aveva ucciso per difendersi.
Ma ora, solo ora, di fronte a un Magister in ginocchio, con gli occhi pesti e un sogghigno sulle labbra, desiderò fare del male. 
Chiuse gli occhi e cercò di scacciare la marea rossa che la invadeva. Non il lampo di furia della battaglia ma qualcosa di più lento e deliberato. 
Simbolo della giustizia dell’Inquisizione un cazzo.
I pugni le facevano male da tanto erano stretti. Quell’essere che rideva lì davanti a lei, la voce stridula coperta dagli insulti di Cassandra, aveva progettato di distruggere ogni cosa. Lo disprezzava forse anche più di Corypheus – non era un capo, era solo un verme.

Aprì gli occhi di scatto e un sogghigno malevolo le si aprì sulle labbra.
Ma poi Cullen comparve alle spalle del prigioniero e la bestia di vendetta sorta dentro Fedra smise di ruggire. Alto, con la mandibola contratta e lo sguardo duro: non brutalità, solo spietata giustizia in ogni suo lineamento.
Si sentì di colpo indegna di lui e schiuse i pugni.
“Erimond, chiudi quel buco merdoso che hai al posto della bocca”, disse stanca. 
“Perché dovrei? Quando Corypheus trionferà vedrete cosa…”
Il pugno di Cassandra gli si schiantò sui denti. Un pugno molto incazzato e parecchio corazzato che gli fece saltare un paio di denti e lo mandò lungo disteso per terra a rantolare nel sangue.
“Grazie, Cassandra”.
“Dovere”.
Gli occhi di Cullen brillarono divertiti per un istante e Fedra si ricompose. Non poteva permettersi i capricci, se lo era detto mille volte, e nemmeno poteva permettersi il lusso di odiare.
“Portatelo a Skyhold. Se dev’essere giudicato che avvenga di fronte al popolo che ha contribuito a distruggere”. Si voltò e fece per andarsene – i punti stavano ricominciando a tirare – ma si fermò dopo pochi passi.Aveva il diritto a prendersi almeno qualche soddisfazione, no?
“Solas e Dorian, una domanda: a un mago cosa serve per lanciare un incantesimo?”
“Un… bastone? Come catalizzatore” rispose Dorian perplesso.
“E una formula, anni di studio e gesti arcani. Ma se dobbiamo scendere nel dettaglio allora…” Fedra bloccò Solas sollevando le dita.
“Gesti, hai detto. Delle mani?”
Le sottili sopracciglia dell’elfo si sollevarono. Per una volta era lui a non capire ed era una sensazione interessante.
“Sì, delle mani. Perché me lo chiedi?”
“Oh, niente. Toro, rompigliele; non voglio correre rischi”. Se ne andò senza voltarsi, sotto gli sguardi tra l’inorridito e l’ammirato dei presenti. Il Toro di Ferro scrocchiò le nocche e dopo un istante le grida disumane di Erimond riempirono l’accampamento.

Ci vollero pochi giorni per rimettere in sesto l’esercito e organizzare il viaggio di ritorno. Fedra non vide quasi mai Cole, se non qua e là ad assistere i feriti. Non riuscì mai a parlargli, eppure era certa che non le fosse mai lontano.
Il tempo per stare con Cullen era meno che poco, e anche quando trovavano pochi minuti per sfuggire al dovere avevano entrambi ferite serie a impacciarne i movimenti. All’ennesimo tentativo fallito di imboscarsi dietro una duna, conclusosi con cinque punti saltati dallo sfregio di Fedra, stabilirono che valeva la pena aspettare di essere tornati a casa.
Cullen le baciò la punta del naso e sospirò.
“Abbiamo tutta la vita”, le disse, e a lei poteva bastare.
Bastò per tutte le settimane successive, quando lasciarono l’inferno di sabbia e vento dell’Accesso Occidentale e marciarono verso Skyhold. Bastò mentre la carne guariva e il peso crescente che si doveva portare dietro le si assestava sulle spalle. Bastò fino a che il medico non le tolse i punti e sul viso le rimase una cicatrice lunga una spanna, un taglio netto che le solcava la guancia.
Bastò fino alla prima veduta del profilo di Skyhold tra le montagne – aria pulita, l’estate che invadeva le valli e le cime, fiori gialli e bianchi a perdita d’occhio. E poi non bastò più.
Fedra sentì le lacrime scenderle lungo le guance mentre varcavano la porta d’ingresso. Cavalcava davanti a tutti, al fianco di Cullen, tra i volti esultanti della sua gente.
Molti non avrebbero festeggiato quella sera quando avessero scoperto di aver perso un marito o una sorella o un amico caduti in battaglia, ma qualcuno sì.
Era appena smontata da cavallo senza aver bisogno della mano che Cullen le aveva teso – e che aveva accettato per il puro piacere di sentire le sue dita sfiorarla – quando Josephine scese a balzi la scalinata di pietra che saliva verso la sala grande.
“Inquisitore! Bentornati, bentornati tutti!” Aveva le guance rosse e un sorriso da un orecchio all’altro. “Sono arrivate delle voci, storie incredibile di come abbiate sconfitto un Incubo dirattamente nell’Oblio e… e…” Scosse la testa una volta, facendo sciogliere l’elaborato chignon, e lasciò perdere ogni formalità. Gettò le braccia attorno alla vita di Fedra e l’abbracciò stretta. “Sono così contenta di rivederti!”
Fedra ricambiò l’abbraccio con trasporto.
“Ne avete di cose da raccontarci”. Leliana comparve alle spalle di Josephine, un’espressione più libera e aperta di quanto fosse suo solito. “Dobbiamo parlare di molte cose”.
“Subito? Avevo sperato di avere…”
Si morse la lingua ma il dovere non aspettava. Josephine la prese sotto braccio e la trascinò con sé verso l’edificio principale. Cullen sospirò e la seguì, brontolando piano.
In cima alle scale Varric sbucò dall’ombra dietro la porta. Era stranamente pallido e si tormentava le mani, lo sguardo che non osava incrociare quello di Fedra.
“Siete tornati…”
“Varric! Sono così contenta di vederti!” Allungò il passo per andargli incontro ma si accorse subito che qualcosa non andava. Il nano alzò lo sguardo verso di lei, a denti stretti e respirando forte dal naso.
“Dov’è Hawke?”
Fedra abbassò la testa.
“Lui è… è… Varric, mi dispiace ma…”
Un ringhio soffocato. Varric si premette i pugni contro gli occhi e abbassò le spalle e Fedra capì.
“No no! Scusa! Hawke sta bene, è alle stalle, mi dispiaceva solo che fosse rimasto indietro e che non…”
“Oh, per le tette di Andraste, quel bastardo! Lo sapevo!” E un istante dopo Fedra si trovò con la testa del nano piantata nella spalla e le braccia robuste che la stritolavano. “Scusami se non sono venuto, sono un vigliacco e l’Inquisizione si merita di meglio di me, ma grazie di averlo riportato a casa”.
Faceva male quella stretta così vigorosa ma ne faceva ancor di più rendersi conto che i sussulti delle spalle di Varric potevano solo essere singhiozzi a stento trattenuti. Fedra lo prese per le braccia e appoggiò la fronte alla sommità della sua testa.
“Sei rimasto a guardia della mia casa. Della mia gente. Perché tu lo abbia fatto non mi importa, l’unica cosa che conta è che sei mio amico”.
Varric fece un passo indietro e si passò il pugno sotto al naso, alzando su Fedra un viso illuminato da un sorriso tremulo.
“Sei assurda, Carota. E non credere che sapere che ti eri persa in mezzo a quel casino di sabbia e budella mi avrebbe fatto stare meglio della morte di Hawke”.
“Lasciala stare, Varric, ha una cinquantina di punti nella carne e ci manchi solo tu a darle il tormento”. Cassandra lo superò con un grugnito di disapprovazione, ma Varric sollevò le sopracciglia e guardò Fedra con rinnovata ammirazione.
“Cinquanta? Hai come minimo vinto un pupazzetto!”
“Settantadue, per la precisione. Li ho contati tutti”. Provò a sorridere ma si sentiva ancora la guancia strana.
“ Sono colpito, Carota, e tutti in un colpo solo. Quella comunque ti dona, sai?” e le indicò la cicatrice. Le fece l’occhiolino e, carico come una molla nonostante la punta del naso rossa, si lanciò tra la folla e fin giù nel cortile. Anche quand’ebbero superato l’immenso portone d’ingresso Fedra ne sentì la voce tonante chiamare “Hawke” e una serie di epiteti ben poco cortesi ma carichi di affetto in mezzo al caos.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per unirsi a quell’entusiasmo, ma Leliana le fece intendere senza dover dire nulla che avevano del lavoro da fare.
Altra riunione, altri resoconti infiniti e corvi spediti ai quattro angoli dell’Impero. Cadde un silenzio di tomba quando Fedra parlò di nuovo dello spirito della Divina e del suo ruolo involontario nel piano di Corypheus.
Era sera quando finalmente Josephine mise l’ultimo punto in fondo all’ennesima foglio e spense la candela appuntata sopra alla cartelletta con un soffio.
“Per oggi basta. Avrete bisogno di mangiare qualcosa di decente e di andare a letto, immagino”, disse con un ammiccamento a Fedra. 
Cullen tossicchiò e si premette la mano sul fianco con una smorfia.
“Avrei un esercito da riordinare, in effetti…”
“Ma anche dei legati che possano darti una mano. Vai a riposare, comandante, te lo sei meritato”, disse Cassandra dandogli una pacca sulla spalla. Uno sbadiglio le fece schioccare la mandibola.
Era una prospettiva meravigliosa. La camera di Fedra non distava più di un centinaio di passi e qualche scalino e ad attenderla c’era un letto, un vero letto con tanto di materasso e cuscini. Le girava la testa per il sonno, ma Leliana le mise una mano sul braccio.
“Posso parlarti un istante, Fedra?”
Era inutile cercare di mascherare la delusione quando si trattava dell’Usignolo. Fedra scrollò le spalle e sospirò.
“Non posso dirti di no, ma non sgridarmi se mi addormento”. Attesero che tutti fossero usciti – Cullen zoppicava ancora un po’, anche se la ferita stava guarendo abbastanza bene – e rimasero sole.
“Hai parlato con Justinia”.
Leliana, le mani intrecciate dietro la schiena, le dava le spalle a capo chino. Fedra si sedette sul tavolo e lasciò penzolare le gambe, muovendole avanti e indietro.
“Con il suo spirito, da quel che ho capito. Chiedi a Solas se vuoi i dettagli, io ci ho capito poco”.
“Era lei. Me lo sento”. Si voltò a guardarla con un gesto repentino e Fedra, per la prima volta, la vide per ciò che era veramente. Una donna molto più fragile e bisognosa di conferme di quanto lasciasse intendere con quella gelida maschera di mistero e spietatezza che indossava tutti i giorni. Leliana si mordicchiava il labbro a denti stretti. “Ti ha parlato di me?”
“Lei… sì. Ha detto che le dispiaceva di averti delusa”. Abbassò la voce e scosse il capo. “Mi spiace di non avere nient’altro da…”
“Lei. Deludere me”. Leliana si passò una mano sugli occhi e si lasciò sfuggire un sospiro che era quasi un singhiozzo. “È sempre stata così, sempre convinta di avermi usata come se fossi un’arma quando invece mi ha insegnato a essere la persona che sono adesso. Le devo così tanto…”
Doveva trovare qualcosa da dirle e, nella nebbia di stanchezza che le riempiva la testa, non era facile trovare un’idea.
“Sai, non sono la persona più adatta a dire questo genere di cose, visto che io e la fede non andiamo proprio molto d’accordo”. La sottostima fece quasi sorridere Leliana, cosa che Fedra trovò incoraggiante. “Però per quel che ho visto la Divina Justinia mi è sembrata… insomma, una persona a posto. Niente spocchia o giudizi da sputare, ci ha aiutati davvero e non mi ha trattata come se fossi feccia. Per me vuol dire molto”.
Un sorriso strano brillò sul viso di Leliana, gli occhi azzurri che scintillavano di una tenerezza che non le aveva mai visto. 
“Era una donna straordinaria, Fedra. Nonostante tutto le saresti piaciuta moltissimo, e io… spero solo di essere alla sua altezza, se e quando accetterò l’offerta che mi è stata fatta”.
Doveva essere più stanca del previsto perché Fedra non riuscì a capire la frase e nemmeno a chiedere delucidaizoni. Rimase lì a fissare davanti a sé con espressione vuota fino a che Leliana non si infilò la mano in una tasca nascosta e ne estrasse un foglio di pergamena. Fedra riconobbe il simbolo della Chiesa e iniziò a comprendere l’enormità di quello che stava per scoprire.
“L’offerta… ti hanno chiesto di…”
Leliana tenne lo sguardo sulla lettera, pallida e con quel mezzo sorriso sulle labbra.
“Non c’è una Divina, e ormai sono passati molti mesi dal Conclave. Hanno chiesto che io prenda quel ruolo”.
Alzò lo sguardo così di colpo che Fedra sussultò.
“Pensi che sia una follia, vero?”
“Fol-No! Ma quale follia! Però mi hai appena dato una notizia bella grossa, lasciami il tempo di… di… oh, Leliana, saresti una Divina incredibile!”
Lo pensava davvero. L’immagine della Chiesa, così moralista e aggrappata alle tradizioni, di colpo si tinse di mistero e di qualcosa di nuovo e fresco, con Leliana seduta su quel seggio.
Era pericolosa, era intelligente e sottile. Ed era sua amica.
“Sul serio?”
“Sul serio! Ma io non so come funzionino queste cose – c’è qualcosa che posso fare per aiutarti? Sempre che tu lo voglia… perché lo vuoi, vero?”
Il sorriso si allargò sul volto di Leliana.
“Lo voglio. Non ho mai osato pensarlo ma lo voglio. La Chiesa ha bisogno di essere riformata e anche in maniera decisa, non avrei paura a farlo. Però l’Inquisizione ha la precedenza”. Si sporse verso Fedra e posò la mano sulle sue, strette in grembo. “Tu hai la precedenza. Sconfiggiamo Corypheus una volta per tutte – gli hai tolto un esercito, non la prenderà bene – e poi vedremo. Ma sapere che sei con me mi dà più forza di quanto tu possa immaginare”. Strinse le dita e si rialzò; la maschera dell’Usignolo le scese di nuovo sui lineamenti delicati e Fedra capì che la conversazione era finita.
“Quando verrà il momento avrai il mio appoggio, te lo prometto. Ora però avrei bisogno di andare a svenire per una dozzina di ore…”
“Vai, hai fatto anche troppo”.
Fu strano lasciarla lì, alta e seria, con lo sguardo perso oltre le vetrate della sala di guerra, ma il richiamo del letto era troppo forte.
Tuttavia, lungo il tragitto che la separava dal meritato riposo, Fedra non riuscì a smettere di pensare.
Leliana come nuova Divina. Era strano, era quasi inquietante, ma per una volta la Chiesa non le sembrò un’istituzione lontana e senza volto.
Avrebbe avuto il suo appoggio, a tempo debito, ma prima c’era un mondo da salvare.
Tutti dettagli cui non riuscì più a prestare attenzione di fronte al richiamo dolce del materasso. Vi si schiantò di faccia e si addormentò senza neanche togliere gli stivali.



Benritrovati e buon anno! Sì, sono colpevole, mi sono persa una domenica di aggiornamento ma ehi, I'm back!
E Fedra con me. Fedra che non è una brava persona, non fino in fondo... perché lo sappiamo tutti cosa succede quando la Giustizia si mischia con la rabbia: la Vendetta è proprio dietro l'angolo. Per fortuna niente possessioni, almeno questa volta.
Come sempre grazie ancora a chi continua a seguire questa storia e alla prossima!

 

Val

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Capitolo 20
*** 20-Giudicare la gente non mi riesce benissimo, ma ho degli amici eccezionali. ***


Riabituarsi a Skyhold fu meno semplice del previsto. Sembrava fossero passati anni e non tutto era come l’aveva lasciato.
Morrigan venne a salutarla con molte cerimonie e nessuna novità – o, più probabilmente, nessuna novità che avesse voglia di comunicarle. Hawke era molto fuori posto in quel luogo affollato e passò i pochi giorni della sua permanenza con Varric, fino a che, due giorni dopo il loro ritorno, si presentò al cospetto di Fedra, avvolto in un mantello e con un sorriso obliquo sulle labbra.
“Inquisitore, penso sia giunto il momento di salutarci”, le disse senza tante cerimonie. Fedra era da poco uscita dall’ufficio di Cullen, più felice di quando vi era entrata e con le guance rosse; la vista di Hawke sui bastioni fece arrotolare il tempo e la riportò a quel primo incontro sotto la pioggia.
“Non starai mica partendo, vero? Non così!” Si affrettò a raggiungerlo e si accorse che qualcosa era cambiato negli occhi dorati, come se una tensione vecchia di anni si fosse allentata. Hawke sorrise e la scintilla nello sguardo si fece più brillante.
“Così come? Ho fatto i bagagli, messo la maglia di lana così non prendo freddo e adesso punterò dritto verso la porta. Mi sembra di aver fatto tutti i passaggi nell’ordine giusto!”
Fedra gettò indietro la treccia e lo raggiunse; non riuscì a trattenersi e gli tirò un pugno sul braccio, cosa che lo fece ridere.
“Intendevo dire che non puoi andartene semplicemente così, potremmo avere ancora bisogno di te…”
“Per quel che ho visto c’è una Trevelyan con i capelli rossi abbastanza folle da riuscire ad arrivare in fondo a questa vicenda anche senza di me. Ho parlato con Varric e lui… lui ha capito. Lui sa”.
“Ma non voglio che tu te ne vada! Insomma, non puoi mollarci così dopo l’Oblio, vorrei farti vedere che qualche volta facciamo anche cose divertenti e non terrificanti!”
La risata di Hawke si fece più forte e la mano che prese la spalla di Fedra era amichevole. Qualcosa che non si era aspettata da lui.
“Sono arrivato carico di rimorso e rivivendo un incubo che pensavo di aver sepolto anni fa. Ho fatto la mia parte e ho capito che non era poi tutta colpa mia, il tutto grazie a te. Hai avuto un impatto molto più forte di quanto tu possa pensare sulla mia vita, Fedra, e per questo ti ringrazio”.
“Mi dispiace vederti partire, sai?”
“Non dirlo troppo forte, non vorrei che il comandante Cullen si ingelosisse. C’è qualcuno che mi aspetta – e odio lasciare Anders da solo, anche se…”
Qualcosa gli si agitò sotto il mantello e miagolò. L’espressione di Hawke si raggelò e per un attimo lui e Fedra rimasero a fissarsi negli occhi, immobili. Dalle pieghe della lana emerse un minuscolo naso rosa e degli occhi gialli e sornioni.
“Non… io… ho preso un gatto. Scusa. Non ti dispiace, vero?”
“Un gatto. Io… no, no, figurati, ce ne sono in abbondanza”. Il cucciolo si rigirò nel mantello facendo le fusa e si acciambellò di nuovo contro il petto di Hawke, ronfando forte. “Se ti chiedessi il perché mi risponderesti?”
“Certo che lo farei”. Un sorriso gentile gli comparve in mezzo alla barba mentre, a occhi bassi, dava una carezza al fagotto nascosto sotto gli abiti. “Perché potrebbe rendere felice una persona che ha un disperato bisogno di esserlo”.
Skyhold vibrava di vita, con l’esercito che si ricomponeva nella quotidianità della caserma e le bancarelle che sorgevano nei cortili. Erano arrivati mercanti da ogni dove, facce nuove e di ogni colore; intravide mastro Dennet fendere la folla trascinando un puledro pezzato e, poco distante, Krem che prendeva per la collottola un ragazzino e lo staccava, ridendo, da un banchetto di frutta candita. La vista la fece sorridere.
“Sai, dipendono da me ed è un peso che spacca la schiena. Però sono felice di poterli aiutare”.
Hawke si alzò il cappuccio sulla testa e le tese la mano.
“Questa Inquisizione può andare molto lontano, e per quanto tu ti ostini a negarlo sei la persona giusta per sconfiggere Corypheus una volta per tutte”.
Fedra gli prese la mano e la strinse forte.
“Sarà stato anche merito tuo. Grazie di tutto, Hawke”.
“È stato un piacere. Ci rivedremo, Fedra Trevelyan, è una promessa. Oh, e trattami bene il comandante, da quando ci sei tu è una persona migliore”. Le sorrise e si voltò, e prima che Fedra potesse sbattere le palpebre un paio di volte era sparito nella folla.
Non fu così semplice spiegarlo al resto del gruppo; Cassandra, in particolare, la prese molto male.
“Non ha neanche salutato!”
“Oh, andiamo, Cercatrice, se volevi un suo autografo su uno dei miei libri bastava chiederlo. Comunque – ehi, prendi nota del momento perché è storico – sarò onesto con te: sarò sempre in contatto con Hawke e potrò chiedergli se…”
“Non. Osare!”
Certe cose non sarebbero mai cambiate, e questo rassicurava Fedra quasi quanto la costante certezza che, se si fosse voltata, avrebbe scorto Cullen da qualche parte e lui avrebbe restituito lo sguardo con un sorriso che era solo per lei.
Altre cose invece erano cambiate eccome, e per la prima volta dopo mesi a Skyhold quell’assurdo trono irto di spuntoni in fondo alla sala assunse un significato che non le piaceva neanche un po’.
Fu Josephine a richiamare la sua attenzione il giorno dopo la partenza di Hawke, non appena Fedra sbucò dalle cucine con la bocca piena di pane e marmellata.
“Inquisitore, c’è bisogno della tua assistenza”.
La formalità non portava mai a nulla di buono. Fedra deglutì e lo stomaco non smise di brontolare – le settimane di viaggio e deserto l’avevano lasciata famelica, quasi temesse di dover ancora vivere di strisce di carne coperta di sabbia.
“Cos’è successo adesso?”
Josephine fece scorrere la piuma sui suoi fogli; era molto più seria di quanto fosse abituata a vederla e questo la destabilizzava un po’.
“Durante la vostra assenza sono arrivati alcuni ospiti poco graditi. Hanno trascorso alcune settimane nelle prigioni di Skyhold e adesso è necessario che si sottopongano al giudizio dell’Inquisizione”.
“Non può farlo qualcun altro? Voglio dire, Cassandra o Cullen mi sembrano molto più adatti a questo genere di cose; io coi ladri e i furfanti tendo a farci amicizia…”
Gli occhi grigi di Josephine si strinsero e la guardarono con una certa durezza.
“Riformulo la frase: devono essere sottoposti al tuo giudizio, Inquisitore. Anche questo è parte del tuo ruolo”. Si sporse verso di lei, un po’ addolcita. “Non devi farlo da sola comunque, siamo pur sempre i tuoi consiglieri”, e ammiccò.
“E va bene, allora. Chi sono?” Josephine la condusse fino all’alto seggio e attese che vi si fosse accomodata – per quanto il termine potesse applicarsi a quell’insieme di cuoio troppo duro e spaccato da secoli di incuria e legno sbalzato – prima di fare un cenno all’altro capo della sala.
“Lo scoprirai presto”.
Fedra si agitò sul cuscino e strizzò gli occhi verso la luce.
Cullen avanzava tra due Templari in alta uniforme e per un attimo le sembrò molto strano che l’imputato fosse lui; infatti quando le fu davanti – il comandante, freddo e deciso, e non solo il suo amante – si fece da parte e le si affiancò.
“Ci tenevo a presenziare a questo giudizio, Inquisitore. Immagino capirai il perché”.
Tra i due Templari arrancava un uomo con le mani legate e il viso butterato sotto lunghi capelli castani. Fedra rabbrividì quando gli occhi azzurri le si posarono addosso.
L’ultima volta che li aveva visti la fissavano con gelido odio dalla fenditura di un elmo da Templare, in mezzo al delirio di Therinfal.
“Il capitano Denam. Immagino ricorderai di averlo già incontrato”. La voce di Cullen era acciaio e Fedra deglutì. Le faceva sempre un effetto brutale quel contrasto con la dolcezza che conosceva così bene.
“Me lo ricordo anche troppo bene”, disse a denti stretti. Aveva visto altro e forse anche di peggio, ma i Templari Rossi non erano certo una memoria piacevole da rievocare. Lo sguardo coraggioso di ser Barris e le ultime parole che le aveva rivolto prima di morirle tra le braccia le bruciarono dentro e Fedra strinse i pugni sui braccioli.
“Dev’essere giudicato per aver servito il Primo Cercatore Lucius e il demone dell’Invidia”. Cullen si sporse verso di lei e qualcosa mutò nel tono, più basso e ferito. “Conoscevo personalmente alcuni dei Templari morti per mano sua. Per questo vorrei assistere”.
“Certo, comandante”. Fedra non trovò compassione dentro di sé, niente se non un’eco di paura mentre fissava Denam, a schiena dritta davanti a lei.
“Il capitano conosceva perfettamente i rischi del lyrium rosso e ha scelto di sua spontanea volontà di corrompere i suoi fratelli e sorelle”.
Sotto le nocche i braccioli erano duri. Fedra fece scrocchiare le dita e raddrizzò la schiena.
“Mi auguro che il capitano sia abbastanza lucido da capire quali saranno le conseguenze delle sue azioni”.
Denam la guardò, gli occhi sprofondati in occhiaie scure, pelle pallida. Le prigioni non gli avevano fatto bene, ma era pur sempre un soldato.
“Ho solo eseguito gli ordini”, disse freddo.
Cullen scese di un passo verso di lui ma si fermò prima che fosse la rabbia a farlo parlare.
“Ci sono prove. Documenti a vostra firma in cui si evince che eravate a conoscenza di ciò che stavate facendo, non provate a vendermi la storia del povero soldato che fa ciò che gli viene detto, Denam, perché non funziona!”
Fedra trattenne il fiato. Era così raro vedere Cullen davvero infuriato che lo spettacolo la colse di sorpresa. Aveva la testa bassa e gli occhi ridotti a fessure piantati in quelli del prigioniero; naso arricciato, denti scoperti… si aspettava che gli saltasse alla gola da un momento all’altro.
Denam torse le labbra in un sogghigno.
“Non sono uno sciocco e so riconoscere quando un potere superiore cammina per queste terre. Tutti avrebbero dovuto fare come me! Mi merito giustizia!”
“Non posso darvela”. Fedra si stupì delle sue stesse parole, sgorgate da un punto remoto della sua anima. Sciolse i pugni e avvolse le dita attorno ai braccioli, cercando di ignorare la folla che si era radunata nel salone. “Non avrete giustizia da me perché ho assistito alla carneficina che le vostre azioni sconsiderate hanno causato. Ma è pur vero che non sono stata io a soffrire per la vostra corruzione”. Accavallò le gambe e guardò i due cavalieri di scorta. “I Tempari sono morti per questa vostra colpa. Saranno loro a giudicarvi e a darvi la giustizia che chiedete”.
Il viso di Denam perse il poco colore rimasto e la compostezza lo abbandonò. I Templari lo afferrarono per le braccia e lo tennero stretto mentre lottava per divincolarsi.
“No! Non potete farmi questo! È una condanna a morte, loro mi uccideranno!”
“Da me avreste solo vendetta, Alto Capitano. Portatelo via”.
Non si lasciò trascinare fuori senza lottare, Denam, e le sue grida oltraggiate riecheggiarono lungo l’intera navata.
Cullen voltò le spalle alla platea e regalò a Fedra un sorriso che sapeva di non meritarsi, in quel momento.
Era stata vigliacca nello scaricare la responsabilità su qualcun altro? A giudicare dall’orgoglio raggiante sul viso di Cullen forse no. Le si sistemò di fianco, dall’altro lato rispetto a Josephine, e incrociò le braccia.
“Bene, se abbiamo finito…”
“No, Inquisitore. Ce ne sono altri due”.
Fedra roteò gli occhi e cercò di non sbuffare, con pessimi risultati. Qualcuno nelle prime file ridacchiò. Dal portone arrivò un vociare querulo e Fedra fu abbastanza sicura di riconoscere una voce femminile.
“Oh no, Josie. Dimmi di no”.
“L’hai chiesto tu, ti ricordi? Alla fine del ballo. Celene ce l’ha mandata con tanto di ringraziamenti”. Anche senza guardarla sentiva la risata nascosta nel tono.
Il viaggio e la caduta in disgrazia non aveva giovato a Florianne. Senza l’abito sgargiante e la maschera sembrava molto scialba, con i corti capelli biondi che spiovevano sugli occhi quasi privi di ciglia. La veste in cui l’avevano avvolta era troppo corta e le lasciava scoperte le caviglie e i ceppi che le trattenevano.
“Inaudito, semplicemente inaudito!” bofonchiava mentre veniva condotta tra le due ali di folla. In molti fischiarono e risero sguaiatamente, mentre Fedra si tirò uno schiaffo in fronte.
“Coraggio, Fedra, non ci vorrà molto”. Cullen si spostò con discrezione e le si appoggiò alla spalla; quel contatto caldo le ridiede un po’ di entusiasmo.
La gente era aumentata e sembrava aspettarsi un qualche tipo di spettacolo.
Tanto valeva darglielo.
Fedra si raddrizzò sul trono giunse le mani davanti a sé con un sorriso affettato.
“Benvenuta alla mia festa, granduchessa. Avete un aspetto orribile”.
Florianne la guardò con puro disgusto ed emise un verso che si sarebbe aspettata da Cassandra.
Era un vero piacere, per una volta, essere in una posizione di potere.
“Il vostro amichetto Corypheus sembra essere molto rapido nel liquidare gli alleati che non gli servono più o sbaglio?”
“Cosa volete che vi risponda? La verità è che me ne sono resa conto da sola, che ho capito che non avrebbe mai rispettato gli accordi presi. Che ho sbagliato. Sarebbe la verità, ma non mi aspetto che mi crediate”.
Fedra strinse le palpebre. Era smagrita e sciupata, e nel tono non c’era neanche una traccia della boria che aveva conosciuto.
Stranamente si scoprì disposta a crederle.
“Avete vinto al gioco, Inquisitore. Celene è fortunata”.
“E anche voi, Florianne. Il vostro sangue sarebbe difficile da lavare dalle mani, ma l ostesso per fortuna non si può dire del fango. O del letame”.
Lasciò ricadere le braccia e non riuscì a trattenere un sorriso di fronte alla comprensione che si faceva strada sul volto inorridito di Florianne.
“Josephine, ricordo male o si era parlato di costruire una porcilaia?”
“Ricordate benissimo, Inquisitore”. Formale ma con una nota di risata nel tono.
“E allora qualcuno dovrà pur accudire quei maiali, dico bene, granduchessa?”
Cullen non ci provò neanche. Sbuffò nel collo di pelo del mantello e fallì nel mascherare la risata con il suo solito tentativo di tosse.
“Non osate…”
“Oso, oso eccome! Benvenuta a Skyhold, dove sarete un membro produttivo della società!”
Un soldato prese Florianne e la portò via, tra il boato di risate della gente.
“Esiliatemi! Gettatemi in prigione! Giustiziatemi, ma non i maiali! Non i maiali!”
Le grida si spensero in fondo alla sala e Fedra si rilassò. Non era andata poi così male.
“C’è un’ultima persona, Inquisitore”, disse Josephine quando la risata si fu placata. La voce era di nuovo seria e Fedra sentì la leggerezza lasciarla.
“Un’altra faccia conosciuta, vero?”
“Magister Erimond”.
Se lo era aspettato. Aveva chiesto lei di portarselo dietro e giudicarlo davanti a tutti, ma accantonare il pensiero era stato più semplice che affrontarlo.
Non era stato trattato gentilmente dall’esercito, Erimond. Nessuno sembrava intenzionato a dimenticare che era stato lui a causare la morte di così tanti commilitoni.
Le mani erano ancora gonfie, le dita ritorte – il Toro aveva fatto un orribile buon lavoro – e il viso era scavato. Fedra sentì l’aria estiva tingersi di gelo mentre l’odio che aveva provato a soffocare sorgeva di nuovo.
Josephine continuava a parlare, a riportare capi d’accusa e altri dettagli irrilevanti. Fedra riusciva solo a guardare Erimond negli occhi e a rivivere ogni secondo dell’incubo che aveva dovuto attraversare.
“… al giudizio dell’Inquisizione” fu l’unica parte del discorso che riuscì a sentire.
Erimond sputò a terra e cercò di replicare il sorriso beffardo che aveva indossato così spesso, ma aveva parecchi denti rotti.
“Pensi che possa cambiare qualcosa, Inquisitore? Pensi che io riconosca la tua autorità?”
Mosse un passo avanti – era scalzo e lurido, le catene sferragliarono a ogni movimento – e non c’era nessuna traccia di pentimento sul volto affilato.
“Corypheus trionferà e il Tevinter tornerà a dominare ogni terra su cui splende il sole, come è sempre dovuto essere! La pagherai, Inquisitore, la pagherete tutti!”
Fedra si alzò lentamente.
“Servi ancora Corypheus, quindi?”
“Sempre, patetica cagna!” Cullen ringhiò e l’acciaio cantò uscendo dal fodero, ma Fedra lo fermò con un gesto secco. “Avanti, ordina a uno dei tuoi mastini a fare il lavoro sporco e liberami da questo corpo!”
Sarebbe stato facile e Cullen sembrava anche troppo desideroso di staccargli la testa dal corpo. Lei si sarebbe risparmiata un altro morto sulla coscienza…
Ma poi la mano salì alla guancia e sfiorò il rilievo della cicatrice.
No. Non per questo, non per vendetta.
Il nodo dentro di lei era un groviglio di fuga da una responsabilità e bisogno di affermazione, non c’era spazio per qualcosa di infantile come la rivincita per quello che non era altro che un graffio sul viso.
Toccava a lei. A nessun altro.
Strinse le dita attorno a un’arma inesistente e raddrizzò la testa.
“Lord Erimond, non permetterò che la tua follia metta a repentaglio la mia gente. Ti condanno a morte”.
Il Magister gettò indietro la testa e rise senza allegria.
“E chi vibrerà il colpo, Inquisitore? Il tuo comandante? Il qunari?”
“No. Lo farò io”.
Scese dalla predella e passò di fianco a Erimond senza guardarlo.
“Portatelo fuori”, disse ai soldati.
Nessuno si oppose. Nessuno parlò mentre camminava verso il sole del mattino; intravide Varric tra la folla, Dorian corrucciato che la fissava come se la vedesse per la prima volta. Le Furie erano ai piedi della scalinata, con il Toro in piedi davanti a loro.
Cassandra e Leliana si fecero avanti e salirono i primi scalini, ma si fermarono quando i soldati gettarono Erimond sulle pietre.
“Prenditi la tua rivincita, inutile pedina. La verità è altrove”, ma la voce del Magister tremava mentre i soldati lo facevano inginocchiare. Da chissà dove sbucò un ceppo di legno che gli fu piazzato sotto alla testa, e a quel punto ogni spocchia lo lasciò.
“N-No…”
Un guaito, ma Fedra non trovò nessuna pena dentro di sé. Tese la mano di lato e un’elsa pesante le venne posta in mano; con la coda dell’occhio vide Cullen indietreggiare e la spada dell’Inquisizione – quella stessa spada dall’elsa di drago che, proprio su quella stessa scalinata tanti mesi prima, aveva significato ‘ti scegliamo come nostra guida’ – sembrò fondersi con il suo palmo.
“Pietà, Inquisitore! Pietà!”
Erimond stava piangendo e si agitava così forte che i due soldati facevano fatica a trattenerlo. Fedra rimase a guardarlo a lungo, alla ricerca di qualcosa. Qualsiasi cosa.
Non trovò niente.
“Farò qualsiasi cosa, ho sbagliato, ho…”
Cosa? Non lo seppe mai. Fedra sollevò la spada e la fece calare nell’aria. La lama cadde con precisione sulla nuca, tagliò la coda di capelli sporchi e fracassò le ossa sottostanti. L’estremo tentativo di salvarsi di Erimond si concluse con uno scricchiolio e un getto di sangue che inondò le pietre. La testa era ancora precariamente attaccata alle vertebre, nonostante il collo lacerato e l’orribile spettacolo delle membra che si contraevano e dei fluidi corporei che si spandevano a terra, ammorbando l’aria.
Fedra distolse lo sguardo mentre una nausea mortale le stringeva la gola.
Le mani di Cullen erano gentili mentre le toglievano la spada, mentre le accarezzavano il viso nonostante la folla radunata che ora ruggiva la sua approvazione.
I margini del mondo si tinsero di nero e Fedra si aggrappò al braccio robusto di Cullen; avrebbe solo voluto andarsene di lì, nell’ombra fresca di Skyhold, a lavarsi fino a staccarsi la pelle di dosso.
Non si sentiva in colpa – non quando si trattava di Erimond – ma si sentiva contaminata.
“Hai fatto la cosa giusta”.
Un sussurro all’orecchio, qualcosa che le guariva dentro.
Non ne era così convinta, ma in molti lo credevano. Doveva crederci anche lei.

 

“… ti prego!”
“Non so più come spiegartelo, non posso! Non posso e non voglio!”
“Ma io…”
Fedra scese le scale verso il cortile e si fermò al suono delle voci concitate di Cole e Solas; non che fossero i compagni di chiacchierata più improbabili, ma sentirli discutere a voce così alta in pubblico era strano. Si accigliò e li raggiunse; Cole era, se possibile, ancora più pallido del solito, gli occhi incolori sgranati e bordati di rosso.
“Hai visto com’era. Hai sentito – sussurri nel buio, verità velate e… e… Solas, sei il solo che possa farlo, ti scongiuro!”
“Ho detto di no!”
“Cosa sta succedendo?”
Cole si voltò di scatto verso di lei, un dito lungo e sottile teso verso Solas.
“Gli ho chiesto di vincolarmi. Se fossi legato a lui non… non potrei diventare come l’Incubo. Rimarrei Cole, non demone, solo Cole! E lui non vuole!”
“Certo che non voglio! È una barbarie, un abuso che non…”
“Ma se te lo chiedo non è una violenza!”
Gli occhi azzurri di Solas lanciarono dardi.
“Non è così semplice, Cole. Non intendo vincolarti perché sei mio amico e – “
“Non è vero! Se fossi mio amico lo faresti!”
“… e l’amuleto non sembra funzionare”. Fedra sollevò un sopracciglio e Solas la notò, perché indicò il petto di Cole con un gesto elegante della mano. Appuntata alla stoffa grezza della casacca c’era una spilla di metallo lucente, priva di decori. “Se Cole fosse uno spirito lo proteggerebbe dai pericoli di una perversione della sua natura, ma qualcosa è andato storto, come se…”
“Come se fosse troppo umano per questo genere di cose, mh?” Varric comparve alle loro spalle e Fedra si sentì parecchio circondata
“Scusate, non ci sto capendo molto. Cole, tu stai bene?”
“Sì”, ed era una palese menzogna, smentita dai pugni contratti e dai capelli arruffati in cima alla testa. Era strano vederlo senza il suo cappello ma ancor più alienante era l’espressione di puro terrore negli occhi sbiaditi. Aveva davvero, davvero paura, e Fedra si intenerì. Gli si avvicinò e gli accarezzò piano l’avambraccio – aveva la netta sensazione che Cole non apprezzasse di essere tenuto stretto e non se la sentiva di invadere il suo spazio personale.
“No, non stai bene e si vede. Non c’è bisogno di mentirmi, Cole: siamo amici, e anche io voglio aiutarti”. Questo gli fece rilassare un po’ le spalle; Varric gli si affiancò e scosse la testa.
“Esatto, aiutarti a essere ciò che vuoi essere e non quello che qualcuno si aspetta che tu sia”.
Solas sbuffò dal naso.
“Cole è uno spirito, è questa la sua vera natura, non sto cercando di…”
“Ma ha scelto di essere umano. Vuoi negargli questa libertà?” Era strano ascoltare la voce di Varric senza il solito tono scanzonato, eppure sembrava davvero serio
“Uno spirito che cessa di essere tale è un enorme spreco di potenziale. Sicuramente Cole ha subito traumi orribili e questo può averlo portato a modificare la propria disposizione, ecco tutto”
Fedra tirò su col naso e guardò Cole, intento a tormentarsi le mani in grembo e a fissare un punto lontano all’orizzonte. Un feroce moto di protezione le sorse nel petto.
“O forse dovreste star zitti tutti e due e lasciar decidere a lui, no?”
Tre paia di occhi chiari si posarono su di lei, e c’era una traccia di fastidio in quelli di Solas. Fedra era troppo provata dagli eventi delle ultime settimane per badarvi troppo.
“Là”.
Una singola parola, pronunciata nei toni sommessi di Cole, e tutti e tre si voltarono verso di lui. Indicava quel punto lontano e sul viso liscio non c’era molto di umano, in quel momento.
“Templare. Odore di pietra e sangue e lyrium, ma non ordine, non ordinato, no, chiasso e contrabbando e pupille dilatate per averne preso troppo. Fu lui a prendere Cole. Fu lui a dimenticarselo”.
“Ah”. Varric lasciò cadere la sillaba nel vuoto e quando Fedra lo guardò il viso squadrato era molto duro. “Una questione in sospeso, insomma”.
“Una questione che Cole dovrebbe lasciare andare per…”
“No, Solas, scusami ma insisto: è lui a dover decidere. Se può scegliere di essere umano o spirito solo Cole ha voce in capitolo. È la sua vita, non la nostra”.
L’elfo sospirò e scosse la testa, e Fedra sospettò che, nel suo modo riluttante, percepisse la ragionevolezza del suo discorso.
“Sai cosa facciamo, ragazzino?” disse Varric tornando al solito umore ironico. “Adesso andiamo a prendere questo tizio, mh? E vediamo un po’ cosa farne”.
“Potrebbe essere una buona idea”. Solas era pensieroso ma sembrava stranamente convinto. “Non fatico a credere che la risoluzione di un simile nodo nella sua esistenza possa chiarire le idee di Cole e indicargli la via migliore per lui e per tutti”.
Fedra si morse il labbro. Solas continuava a parlare di Cole come se non fosse presente, qualcosa che iniziava a irritarla, e Cole sembrava semplicemente smarrito. Fu quasi sollevata nel vedere Varric avvicinarsi e strofinargli con gentilezza la spalla.
“Allora, cosa ne dici? Io, te e il simpaticone, qui”, e accennò a Solas, “andiamo a prendere questo Templare o quel che è, e poi tu decidi cosa farne. Carota, vuoi accompagnarci anche tu?”
Fedra aprì bocca per rispondere. Era una tentazione – voleva bene a Cole e desiderava solo che dal quel viso già un po’ stralunato sparisse l’espressione tormentata, che smettesse di avere paura, eppure al tempo stesso si sentiva a disagio nel deliberare così sulla sua pelle.
Fu Cole stesso a venirle in aiuto, una fresca mano gentile a sfiorarle il polso.
“Va bene così. Hai ragione, sono io a dover scegliere. Sicuro, scortato, amici diversi e lo stesso affetto – Cullen sarebbe felice se rimanessi qui con lui, è troppo tempo che non…”
“Troppe informazioni, ragazzino. Decisamente troppe”. Varric rabbrividì e Solas si sforzò di mantenere la faccia impassibile, ma Fedra, dalle profondità del suo violento rossore, si accorse che gli angoli della bocca erano piegati all’insù.
“Va bene allora. Io vi aspetterò e… Cole, sei in buone mani, mi fido di Varric come mi fiderei di me stessa e Solas mi ha salvato la vita dopo il Conclave e infinite altre volte. Tu cerca solo di…”
Le parole le morirono in gola sotto lo sguardo sgranato di Cole. “Cerca solo di essere felice, me lo prometti?”
“Sì”, le rispose senza esitazione; chiunque altro avrebbe tentennato, avrebbe faticato a capire cosa potesse significare essere felici. Cole era diverso.
Era speciale, ed era suo amico, e Fedra, nel vederlo partire il mattino dopo – una sagoma allampanata scortata da quella tozza di Varric e da quella più elegante di Solas – desiderò di poter pregare affinché tutto andasse per il meglio.
Nei giorni successivi, accarezzata dalla quotidianità di Skyhold e benedetta da più tempo di quanto sentisse di meritare trascorso nel letto di Cullen, si tormentò nell’incertezza, e alla fine la risposta arrivò.
Lo stesso terzetto male assortito si profilò sul ponte levatoio, e Cole non solo era tornato in possesso di un cappello quasi identico a quello che aveva sempre indossato, ma avanzava ingobbito sul cavallo. Varric, di fianco a lui, era raggiante; Solas decisamente meno. Li raggiunse alle stalle e fu proprio Varric il primo a uscire.
“Ha scelto”, le disse con un sorriso stanco ma sollevato. “Cole ha scelto di essere umano”.
“Come fai a saperlo?”
Il nano fece spallucce e indicò Bianca appesa di traverso sulla schiena.
“Il Templare in questione è un contrabbandiere di lyrium, un bel distillato della feccia della società. Cole era pronto a vendicarsi e gli ho dato corda – e Bianca, con il grilletto debitamente inceppato. Uccidere quell’uomo non gli avrebbe fatto bene, e superare questo desiderio di morte sembra averlo aiutato”.
“Ora è umano”. Solas sembrava dispiaciuto mentre osservava Cole strigliare il cavallo e parlargli piano all’orecchio, fermandosi di tanto in tanto con una piccola smorfia indolenzita. “Non posso dire di esserne felice, ma…” Scosse la testa e inclinò un angolo della bocca. “Almeno ha di nuovo il suo cappello”.
“Regalargli un nuovo cappello è stata una sua idea”, disse Varric indicando Solas con il pollice. “Voleva assicurarsi che Cole continuasse a volergli bene”.
“Non è per questo che l’ho…”
Fedra rimase a guardarli battibeccare per qualche istante, il cuore gonfio di affetto.
Cole aveva molto più che un corpo umano e un cappello. Aveva una famiglia, amici disposti a portarlo per mano a trovare il suo verso essere. Quando il ragazzo alzò lo sguardo dalla striglia e incrociò il suo Fedra non vide nulla di diverso sul suo volto, solo una luce nuova oltre le ciglia sottili.
Cambiare era doloroso, ma non sarebbe stato solo in quel nuovo cammino che aveva scelto.
“… eh, Carota?”
La voce di Varric la riscosse dai suoi pensieri.
“Cosa?”
“Una partita a Grazia Malevola. O anche solo un boccale in taverna, che ne dici? Vieni anche tu, simpaticone, non voglio che tu mi tenga il broncio”.
E alla fine Fedra, intenerita, acconsentì.
Certo, cambiare era davvero doloroso, che fosse passare da testa calda a Inquisitore, che si trattasse di giudicare e condannare a morte un uomo oppure di scegliere di essere qualcosa di diverso da ciò che si era sempre stati, ma non c’era nulla che la vicinanza degli amici non rendesse più sopportabile.



Io dovrei scusarmi ._. aggiornamenti latitanti, discintinuità, sciami di locuste e piaghe assortite. Posso solo incolpare di questo ritardo la mia indicibile pigrizia accoppiata con distrazione e fangirlaggine acuta che mi sta trascinando a scrivere un'altra storia. Però ora basta capitoli a singhiozzo, si torna in riga!
Salutiamo Hawke - e quanto, quanto mi è dispiaciuto vederlo partire. Però volevo togliermi la soddisfazione di rimandarlo da Anders con qualcosa che lo rendesse felice, e sappiamo tutti che più Anders è felice e più è Anders.
Cole è come sempre il mio bimbino bellissimo; non c'è partita in cui non lo faccia tornare umano, fosse anche solo perché Varric in versione zio amorevole è troppo bello per il mondo.
A chi ancora c'è, come sempre, grazie e alla prossima! 

 

Val

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Capitolo 21
*** 21-Ho quasi strozzato Morrigan, Dorian si lamenta, Cassandra mi guarda male - come se fosse una novità - e mi manca Cullen. Odio il mondo. ***


 

Lame di luce attraverso le alte vetrate della sala di guerra. Fedra si premette le dita sulle tempie e cercò di prestare attenzione al resoconto di Josephine.
“La nostra posizione non è mai stata così forte. Nell’Orlais siamo a dir poco popolari, a un tuo cenno Celene arriverà in forze ad aiutarci, se ce ne fosse bisogno”.
“Con il supporto orlesiano i nostri numeri sono pari a quelli di Corypheus. L’operazione su Adamant lo ha privato dei suoi demoni e… Fedra, tutto bene?” Cullen si sporse verso di lei e le sfiorò la mano. Erano passati mesi, ormai, e persino lui aveva perso l’imbarazzo di fronte ai consiglieri.
Questo la fece sorridere. Abbassò le mani e scosse piano la testa.
“Ho caldo, sono stanca e credo di non essermi ancora ripresa del tutto dal viaggio. Scusate, andiamo avanti?”
Leliana la scrutò con le palpebre socchiuse, abbastanza a lungo da metterla a disagio, quindi prese la parola.
“I seguaci di Corypheus sono quantomeno scossi. Ho indagato sul suo generale, Calpernia: per nostra sfortuna è un’idealista, una ex schiava che ha seguito Corypheus perché vede in lui l’unica speranza per il Tevinter e per liberare chi ha vissuto come lei con una catena al collo”.
Fedra sbuffò e andò ad appoggiarsi alla parete. Le pietre fresche contro la schiena le diedero un attimo di sollievo.
“Non riesco comunque a farmela stare simpatica. Comunque non mi stupisce che sia di attivo umore: abbiamo preso a calci in culo questo stronzo con ambizioni da dio per due volte. Anche lui non deve averla presa bene…”
Cullen non nascose un sorriso – i toni di Fedra in qualche modo lo divertivano sempre – e si passò una mano sulla nuca.
“Neanche un po’. Dopo Adamant abbiamo qualche informazione su di lui; pare si sia diretto verso le Selve Arboree”.
“Ah. E… immagino non valga la pena chiedere come facciamo a saperlo, vero?” Fedra guardò Leliana, che agitò le dita e liquidò la faccenda.
“Sicuramente un argomento di discussione interessante, ma poco pertinente. Sono soddisfatta dell’efficacia della mai rete di spie”.
“E ne hai ben donde! Sapere dove si è andato a cacciare è fondamentale per pianificare il nostro prossimo passo”. Josephine tracciò una riga sul foglio degli appunti e alzò lo sguardo su Leliana. “Anche se non sarebbe male sapere cosa ci faccia lì…”
“Ci sono delle rovine in quell’area, rovine elfiche. Pensi potrebbero interessargli?” Cullen si voltò verso Leliana, che scosse la testa e incrociò le braccia dietro la schiena.
Fedra, con un breve capogiro, si chiese se gli altri sapessero di avere davanti la futura Divina.
Forse no, ma spettava a lei parlarne?
“Si è barricato sulla difensiva, ecco ciò che sappiamo. Cosa possa interessargli in quelle rovine va oltre la mia conoscenza”.
Cullen tamburellò sulla mappa con le labbra strette e le sopracciglia aggrottate.
“Se i resoconti sono corretti – non ne dubito, Leliana, non guardarmi così – potrebbe valere la pena muovere verso quell’area. Corypheus ha le spalle al muro, se lo prendessimo di sorpresa prima che…”
“Hai ragione a pianificare un attacco, ma ci sono ancora troppi interrogativi. Il motivo per cui si sia spinto in un’area così remota sfugge alla nostra comprensione”. La voce di Leliana era amareggiata, ma l’espressione mutò in pura tensione quando qualcuno di imprevisto le rispose.
“Non mi stupisce”.
Tutti si voltarono verso l’ingresso. La porta era chiusa, non aveva scricchiolato e nessun suono di passi aveva annunciato la comparsa di Morrigan in mezzo alla stanza. Fedra era convinta che l’espressione di Leliana fosse più pericolosa della spada di Cullen ,in quel momento, ma l’incantatrice avanzò tra di loro senza dar cenno di preoccupazione. Anzi, sul viso pallido le labbra rosse erano torte in un sorrisetto soddisfatto.
“Per fortuna posso fornirvi la mia assistenza. O vi eravate dimenticati di me?” Ammiccò a Fedra e il sorriso si allargò. “Di certo non ho passato mesi a Skyhold solo per godere della vista panoramica”.
Fedra sollevò le sopracciglia e incrociò le braccia. Era stato fin troppo facile dimenticarsi di avere l’incantatrice personale di Celene in giro per casa, e per le poche settimane che aveva trascorso a Skyhold dopo Halamshiral si erano a stento incrociate per i corridoi. Ora però la sua comparsa dava un senso all’eterna riunione in cui si stava trascinando.
“Ignorerò il fatto che siate entrata senza bussare, Lady Morrigan. Avete la mia attenzione”.
Gli occhi gialli si strinsero felini.
“Quello che Corypheus cerca in quelle terre è tanto antico quanto pericoloso”.
“Be’? Intendete dirmi cos’è oppure rimaniamo qui a guardarci in faccia?”
Morrigan perse l’espressione sorniona e si fece seria.
“Inquisitore, pensi di poter rinunciare al tuo Consiglio per qualche minuto? Vorrei mostrartelo”.
Fedra sentì il vago stordimento dissolversi. Si staccò dal muro e scambiò una lunga occhiata silenziosa con Josephine, prima, e quindi con Cullen. Gli occhi ambrati avevano di nuovo quell’espressione da leone che gli aveva visto in tanti momenti di pericolo; avrebbe voluto rassicurarlo – niente di male le sarebbe potuto accadere tra quelle mura – ma non ne ebbe il tempo.
Leliana sbuffò dal naso e si raddrizzò in tutta la sua altezza.
“Vai pure, Inquisitore. Sarai al sicuro”.
E in quelle poche parole era racchiuso un mondo di sotterfugi e occhi segreti nell’ombra. Morrigan non colse la provocazione e rimase in attesa della risposa di Fedra.
“Va bene, andiamo allora”.
Nell’uscire dalla sala di guerra alle spalle di Morrigan si voltò un’ultima volta. Josephine e Cullen avevano ripreso a confabulare fitto spostando pedine sulla mappa, ma Leliana non distolse lo sguardo.
Gelido.
Morrigan non disse una parola mentre conduceva Fedra oltre una delle porte che si aprivano sulla sala grande e fino all’altro capo di un corridoio. Il cortile in cui uscirono era un’esplosione di fiori e Fedra per un attimo fu sopraffatta dall’ondata di profumo.
Era molto diverso da quel gelido pomeriggio d’inverno in cui aveva cercato di giocare a scacchi con Cullen e aveva finito per confidarsi con Dorian; una gradevole sensazione di calore le salì dal cuore.
Quel giardino era fiorito, ma anche ciò che aveva seminato dentro di sé – amore, certo, ma amicizie che valevano quanto la sua stessa vita – era a dir poco rigoglioso.
Era ancora assorta da questa piacevole reminiscenza quando Morrigan aprì una delle porte in fondo al chiostro, che, per quel che Fedra ricordava, conduceva a un ripostiglio.
“Eccoci qui”.
Qui. In mezzo a pile di casse coperte da teli e polvere.
Di fronte a un drappo appeso alla parete.
“Se mi avete portata qui per rimproverarmi di non aver ancora finito di aprire le scatole del trasloco mi cogliete in un gran brutto momento, Morrigan, perché… e questo che cazzo è?”
Il gesto con cui la maga afferrò il drappo e lo fece cadere rivelò qualcosa di simile a uno specchio, alto fino al soffitto e completamente sbagliato. Fedra fece un passo indietro e spalancò gli occhi.
Non c’era il suo riflesso in quella superficie lucida ma una confusione di onde viola, un gorgo di luce e lampi che sembrava continuare all’infinito.
“Questo è un Eluvian”.
“Ne so quanto prima. Non mi piace. Per niente”.
Morrigan rise in silenzio.
“Un artefatto elfico, così antico da far sembrare l’Imperium un moccioso con la bocca sporca di latte. Mi è costata un’enorme fatica e un gran dispendio di risorse trovarlo e rimetterlo in funzione, ma ora è qui”. Passò una mano sulla superficie e dove le dita la sfiorarono sbocciarono scintille. “Ce n’è un altro nelle Selve Abroree. E Corypheus lo sta cercando”.
L’informazione cadde in fondo alla coscienza di Fedra e produsse ampi cerchi che le si incresparono fino alla bocca dello stomaco.
Ci mise una manciata di secondi a realizzare cosa le stesse dicendo Morrigan.
“Corypheus vuole quest’oggetto. O un oggetto come questo”.
“Esattamente”.
“E tu ne hai uno”.
“Sagace”.
La mano di Fedra scattò in avanti e afferrò i lembi della scollatura dell’Incantatrice, stringendoglieli al collo. L’ormai familiare velo rosso le scese sugli occhi insieme a una nausea brutale.
“Lo hai portato qui. Nella mia casa. In mezzo alla mia gente! Tu sei pazza!”
Morrigan indietreggiò con una mezza risata.
“Me lo hanno detto in tanti e hanno sempre avuto torto”. Dita fresche si infilarono nei suoi pugni e li sciolsero senza alcuna fatica; Fedra indietreggiò ancora fremente e le puntò contro l’indice.
“Se hai fatto qualcosa per mettere in pericolo Skyhold giuro che io ti…”
“Risparmiati le minacce di morte, Fedra; anche quelle le conosco troppo bene. Non siete più in pericolo di prima, hai la mia parola”.
La rabbia lasciò il posto a una strana debolezza. Fedra indietreggiò e si sedette su una delle casse.
“Perché lo hai portato qui?”
“Perché quello nella foresta era troppo difficile da raggiungere. Le Selve Arboree sono pericolose e se quel tuo comandante ha intenzione di portarci un esercito è meno sciocco di quel che pensassi; laggiù vi è un tempio elfico quasi intatto e so che l’altro Eluvian è custodito proprio lì. Se Corypheus ha volto lo sguardo a sud potrebbe riuscire a raggiungerlo”.
“Sì ma… cosa fanno queste cose? A cosa servono?”
Si era soffermata sul pericolo immediato e adesso che lo stagno della sua coscienza tornava quieto nuove domande emergevano in superficie.
Morrigan mosse le mani davanti alla superficie viola e un lampo blu illuminò la stanza.
“La domanda corretta è ‘dove portano’. Seguimi”.
Sentiva di non avere alternative. Rimase a guardare mentre Morrigan veniva ingoiata dall’Eluvian, solo una mano ancora visibile e tesa verso di lei in un cenno d’invito, quindi prese fiato.
Non sarà la cosa più strana o pericolosa che abbia mai fatto.
Si coprì il viso con le braccia ed entrò nello specchio.

La sensazione fu proprio quella di attraversare un muro d’acqua gelida. Quando emerse dall’altra parte fu strano, quasi sconvolgente trovarsi asciutta, e per qualche istante Fedra continuò a strizzarsi la treccia come dopo un bagno. Alzando finalmente lo sguardo, però, si rese conto di non essere più nel mondo che conosceva.
Di nuovo.
Solo che questa volta ad accoglierla non c’era la luce verde dell’Oblio e le sue rocce fluttuanti, cosa di cui Fedra era piuttosto grata, ma un mondo immerso in una nebbia immobile; qua e là emergevano forme – altri Eluvian dalle superfici nere o spezzate, i resti di un tempietto circolare, una balaustra in filigrana di marmo semi franata.
Rimase a guardarsi intorno nel silenzio innaturale fino a che Morrigan non le toccò la spalla.
“Dove siamo?” Si accorse di sussurrare e non riuscì ad alzare la voce.
“Se questo luogo ha mai avuto un nome ormai è perduto. Io lo chiamo l’Incrocio, il punto in cui tutti gli Eluvian confluiscono… ovunque essi siano”.
“Quindi se ci fossero molti Eluvian una persona potrebbe – che ne so – entrare in quello di Val Royeux, passare di qui e poi prenderne un altro fino al Tevinter?”
“Qualcosa del genere. Gli antichi elfi non costruivano strade, utilizzavano questo sistema per spostarsi”.
“Comodo. Sempre meglio che farsi venire le vesciche al culo su un cavallo”, mormorò con lo sguardo perso verso l’immensa rovina di torri e bastioni sprofondata nelle nebbie soprannaturali.
“Alcuni si possono aprire da questo lato, come se fossero porte lasciate socchiuse. Per tutti gli altri è necessaria una chiave”.
“Una… chiave?” Si voltò per cercare qualcosa di simile a una serratura.
“Di qualsiasi natura. Ogni Eluvian è differente. In alcuni casi, come questo, la conoscenza è sufficiente, e i miei viaggi mi hanno condotta in strani luoghi. Compreso l’Incrocio”.
“E Corypheus vuole venire… qui? Insomma, non è un granché come posto. Con tutto il rispetto”, si affrettò ad aggiungere.
“Questo non è l’Oblio ma neanche il mondo che conosciamo; il velo qui è sottile, molto più che ad Adamant, e chi abbia sufficiente potere e ambizione potrebbe lacerarlo e…”
“Ed entrare nell’Oblio in carne e ossa. Come Corypheus progettava di fare con l’angora”.
La nausea tornò, peggiore di prima, e la luce verde pulsò sulla mano sinistra.
Morrigan annuì.
“Proprio così. In qualche modo anche lui, come me, è venuto a conoscenza dell’Eluvian nelle Selve Arboree e adesso guida ciò che resta delle sue forze per raggiungerlo”.
Gli occhi gialli erano saggi e pericolosi, infissi in quelli di Fedra così a fondo da farla sentire nuda e vulnerabile.
“Lo hai reso disperato, Inquisitore, e adesso abbiamo una possibilità per distruggere l’ultimo dei suoi piani. Dobbiamo fermarlo, e io verrò con voi”. Si incamminò verso l’Eluvian e lo attraversò con passo sciolto.
per un attimo Fedra rimase da sola, sospesa tra due mondi e con un brivido di paura e premonizione che le correva su per la schiena.
Un'altra marcia fino all’altro capo del mondo. Un’altra battaglia contro un nemico che vedeva in lei l’unico ostacolo ai suoi piani di distruzione.
Niente che non avesse già fatto.
La nebbia le strisciò attorno alle caviglie e Fedra trasalì. Corse dietro Morrigan e sotto al velo gelido dell’Eluvian, fino alla rassicurante solidità polverosa di Skyhold.
Quando aprì gli occhi nel ripostiglio, però, della maga non c’era traccia.

 

Non fu semplice riassumere quel cumulo di nuove informazioni al Consiglio di guerra. Leliana faticava a superare la propria diffidenza nei confronti di Morrigan, Cullen riusciva a concentrarsi solo su come e quando muovere le truppe verso le Selve Arboree e Josephine fissava Fedra rosicchiando la penna.

“Se ciò che lady Morrigan afferma fosse vero – e temo di non avere i mezzi per confutarla, soprattutto perché è l'incantatrice di corte e siamo in qualche modo costretti ad affidarci a lei – siamo già spacciati”, disse quando Fedra ebbe finito lo stancante resoconto.
“Evviva, una ventata di ottimismo”, borbottò massaggiandosi la fronte.
“No, solo di realismo. Corypheus è già laggiù da settimane e ha un innegabile vantaggio temporale su di noi”.
“Certo, se potessimo muovere le truppe subito riusciremmo a intercettarlo in...” Cullen strinse gli occhi e contò mentalmente, muovendo la punta delle dita. “Dieci giorni di marcia con il tempo favorevole. Poi si tratterebbe di esplorare le Selve e...”
“Troppo”. Leliana, le mani dietro la schiena, scosse la testa. “Una pattuglia di spie sarebbe più rapida ed efficace, senza contare che potremmo più facilmente risalire ai piani di Corypheus”.
Cullen schioccò la lingua con disapprovazione.
“Spie. Coltelli e sussurri. Non è ciò che serve per sconfiggere un intero esercito!”
“Per quello potrebbe bastare la diplomazia”, intervenne Josephine accigliata. “Abbiamo amici che potrebbero acconsentire a fornire appoggi logistici e un'avanguardia. Se...”
“Stento a fidarmi di noi stessi, Josie, pensi che affiderei un compito così delicato a qualcuno che non sia l'Inquisizione?” Leliana strinse i pugni e il cuoio dei guanti scricchiolò.
“Come sempre tralasciate di considerare l'aspetto tattico! Non possiamo prescindere dall'appoggiarci alle nostre armate, senza siamo solo dei bambini che giocano a fare...”
“Basta!”
Fedra si premette le dita sugli occhi facendo sbocciare luci bianche e rosse dietro alle palpebre. L'eco del suo grido si spense.
“Hai qualche idea migliore, Inquisitore?” C'era del gelo nel tono di Leliana, nulla di cui Fedra riuscisse a preoccuparsi troppo.
“Sì, per esempio che la smettiate di pestare i piedi e di giocare a chi ha l'arma più lunga”. Si alzò e riaprì gli occhi; le ombre attorno ai suoi consiglieri erano più scure di quanto le sembrasse normale, amplificate da quell'emicrania che non voleva saperne di andarsene. “Non è la prima volta che vi mettete a bisticciare nel momento meno opportuno e trovo semplicemente ridicolo che tocchi a me – a me! – farvi ragionare da adulti. Siete tutti più preparati e in gamba di me, perché non vi comportate come tali?”
Si mise a camminare avanti e indietro.
“E comunque, a parte questa, sì, ho un'altra idea migliore. Mi stupisce che non sia venuta a voi”. Per un attimo marciò lungo il perimetro della sala, aspettando che l'irritazione si spegnesse. Non aveva voglia di guardare nessuno tanto era il fastidio che provava in quel momento.
“Abbiamo potere diplomatico? Sì. Abbiamo anche delle spie eccezionali. Due forze che possiamo mettere in campo subito, un'avanguardia che batta il territorio e inizi a sabotare gli avamposti dei Venatori. Facciamo agire subito i tuoi uomini, Leliana, e le tue conoscenze, Josie. Nel frattempo prepareremo le truppe, Cullen, e saremo attrezzati per un attacco pesante”. Si fermò, allargò le braccia e le lasciò ricadere lungo i fianchi. “Allora? Era tanto difficile? Se ci sono arrivata io che...”
“Che sei a capo dell'Inquisizione per un motivo molto preciso, Fedra. Dovresti smetterla di sottovalutarti così”, disse Josephine con un piccolo sorriso contrito.
“Per tutta una serie di motivi, in effetti, non ultimo quello di riuscire a strigliare persone più vecchie, esperte e smaliziate di te e farle tornare a essere dei ragazzini sgridati dal maestro. Hai ragione, è una buona idea”. L'espressione di Leliana si era fatta più amichevole. Cullen sfregò la punta del piede per terra e guardò Fedra senza alzare il capo, una scintilla negli occhi.
“Già. Mi sembra di avere di nuovo quattordici anni”. Non fece nulla, non ammiccò, ma anche attraverso la nebbia del mal di testa Fedra percepì la stella dentro di lei brillare più forte. Era una dichiarazione d'amore, quella, nota solo a loro due. Non riuscì a rimanere seria e si rilassò.
“Bene. Scusatemi, comunque, non... non volevo fare la parte della stronza. Non mi piace neanche un po', a Cassandra viene molto meglio di me e.. e...”
“Va bene così, Fedra. Abbiamo una strategia da mettere a punto e tu sembri avere bisogno di un po' di riposo”. Leliana si chinò verso di lei con uno sguardo critico. “Non hai una bella cera”.
“Mi sento masticata da un drago, in effetti. Domani sarò come nuova, non preoccupatevi troppo”.
Cullen la scortò alla porta e si chinò a baciarla; dietro di loro Leliana e Josephine si affrettarono a fingersi intente a fare tutt'altro.
“Non chiedermi di non preoccuparti per te”, le sussurrò Cullen sulle labbra.
“Almeno quando l'unica cosa che devo fare è trovare il mio letto penso tu possa stare tranquillo”. Nonostante tutto si scoprì a sorridere.
“Ti amo”. Un soffio contro la pelle, due parole solo per lei che le accarezzavano l'orecchio e il cuore.
Arrivò alla sua stanza un po' delusa per lo spreco di un letto così grande e comodo per un semplice sonnellino pomeridiano, ma prima che potesse crogiolarsi ancora un po' nel pensiero di Cullen sotto quelle stesse coperte – e anche sotto di lei – si addormentò.
Al risveglio era l'alba, il mal di testa era sparito e lei si sentiva un po' meglio; non ebbe molto tempo per godersi quella sensazione, però, perché dal cortile salì lo squillo di un corno.

Leliana era stata di parola, e come lei Josephine. Quando non riuscì a trovarle da nessuna parte Fedra si decise a dirigersi verso le caserme.
Come aveva supposto al suo risveglio, nonostante il cielo fosse ancora lilla e rosa sotto un'alba indecisa, i soldati erano in piena attività. Avrebbe voluto chiedere qualcosa a Cullen ma era davvero troppo impegnato a dare secchi ordini che non aveva neanche bisogno di urlare; tutti gli armati pendevano dalle sue labbra e obbedivano senza che occorresse ripetere, efficaci ed entusiasti. Cavalli sellati, carri stipati...
“Siamo già pronti a partire”. La voce di Cassandra era impastata dal sonno e Fedra si stupì nel vederla arruffata e con la bocca torta in uno sbadiglio a stento trattenuto. Era curioso vederla così vulnerabile, e quell’esitazione non passò inosservata. “Non guardarmi così, non dormo mica con l'armatura. È davvero presto anche per i miei standard!”
Si fermarono fianco a fianco a osservare i preparativi che fervevano.
“Se vanno avanti di questo passo saremo pronti a partire per...”
“Entro una settimana. Leliana e Josephine sono già sulla via per le Selve Arboree”. Cassandra si stropicciò gli occhi ed emerse da dietro i pugni più sveglia di prima.
“Che... che efficienza! Io ho proposto il piano ieri e pensavo che... insomma, che avrei avuto modo di... di fare qualcosa? Rendermi utile? Non lo so nemmeno io”.
“Dovresti essere felice di avere così tanta autorità. E comunque quelle due se la caveranno meglio di tutti noi, vedrai”.
Attesa, di nuovo, e questa volta così pesante da toglierle il sonno e da lasciarle una costante sensazione di malessere addosso. L'unico sollievo lo trovava nelle notti con Cullen, ore troppo brevi in cui il mondo smetteva di pretendere qualsiasi cosa da lei e c'erano solo le sue mani che la stringevano, la bocca su di lei e la sensazione di essere completa, al sicuro.
“Questa è la nostra ultima notte a Skyhold prima di partire, lo sai?” le sussurrò Cullen contro i capelli qualche giorno dopo. Fedra si sentiva bene, languida e accaldata, acciambellata contro il suo fianco e con il suono rassicurante del suo cuore che le batteva forte contro l'orecchio.
“Sai quanto detesti l'idea di dover ripartire”, mugugnò. Si girò e gli strofinò il naso contro il petto, grufolando un po'. “Questo non posso farlo davanti ai tuoi uomini. E... be', neanche tutto il resto”.
La risata muta di Cullen gli fece sobbalzare il torace; la strinse più forte e le baciò la testa.
“Sono convinto che sia meglio di no. Sai, detesto l'idea di un'altra battaglia quanto te, ma... senti, se ti dico una cosa prometti che non mi prenderai per pazzo?”
“Certo che no. Però prometto di ascoltarti e di essere molto seria e composta”.
Cullen rise più forte e si voltò verso di lei.
“Sono un soldato ma ci tengo alla mia vita e a quella dei miei uomini. Da quando ci sei tu, poi...” Il sorriso si allargò e brillò più luminoso, una vista che scaldò il cuore di Fedra. “Però questa volta marcerai con me; un altro viaggio come quello verso l'Accesso Occidentale, continuando a chiedermi dove fossi, a tormentarmi perché non potevo vederti... no, non so se sarei riuscito a sopportarlo”.
Fedra sospirò e appoggiò la fronte contro la sua, i nasi che si sfioravano.
“Sei riuscito a trovare qualcosa di positivo in una prospettiva che mi terrorizzava. È anche per questo che ti amo così tanto”.
Rassicurata? Non proprio, ma quando due giorni dopo fu il momento di mettersi in moto Fedra era dritta in sella, pronta ad affrontare qualunque cosa li stesse aspettando.
Si era aspettata Cassandra, e infatti erano uscite assieme dalle stalle. Dorian le raggiunse un po' mogio.
“Odio i boschi. Odio gli insetti e la muffa e i funghi e un po' tutto quello che è orribilmente verde e naturale, ma dove andresti senza di me?”
Fedra scoppiò a ridere e si sporse dalla cavalcatura per abbracciarlo stretto.
“Non so cosa ho fatto per meritarmi una persona come te!”
“Era un complimento? Lo prenderò come un complimento”. Dorian le accarezzò la schiena e si rialzò, sistemandosi le pieghe della veste. “Ora però basta dimostrazioni pubbliche di affetto, altrimenti mi imbarazzo e il rossore non mi dona”.
Varric comparve con Cole di fianco e Bianca fissata alle spalle.
“Era troppo tempo che non venivo con te, Carota; non vorrei ti venisse il dubbio che sono troppo vecchio per questo genere di cose!”
“E io volevo aiutare”, disse Cole raddrizzandosi in groppa al cavallo pezzato che gli avevano dato. L'animale sbuffò piano e voltò la testa cercando di brucargli una caviglia, cosa che lo fece ridacchiare. “No, non sono biada, ma ne potrai avere più tardi. Sei un bravo cavallo”.
“Inquisitore, terremo Skyhold al sicuro per te”. Fu Krem a parlare, non il Toro, nonostante gli stesse alle spalle con un'espressione seria. Aveva un che del padre orgoglioso e Fedra provò una stretta di tenerezza improbabile per quel gruppo di mercenari che aveva imparato a chiamare alleati, e che la gente di Skyhold ormai chiamava amici. Krem le rivolse un serio saluto marziale di cui Cullen sarebbe stato molto fiero e annuì una volta.
“Non mi aspetto niente di meno dalle furie, tenete Aclassi”, rispose con puntiglio, anche se il Toro, lì dietro, iniziava a dar segni di una risata trattenuta a stento.
Solas, a differenza degli altri, non era voluto venire.
“Sono a un punto cruciale degli studi sul Focus di Corypheus. Mi addolora non essere al tuo fianco, Inquisitore, ma sento che il mio impegno sarà meglio sfruttato in questa biblioteca. Non sono il più grande estimatore del Tevinter, ma Dorian è in grado di badare a se stesso e di aiutarti nel caso ne avessi bisogno”.
Le era spiaciuto sentirlo dire così, ma non poteva certo costringerlo. In più Dorian non era il solo mago del gruppo.
La carovana era già partita e aveva superato, accompagnata dall'ovazione di tutta Skyhold, il ponte più esterno quando Morrigan le comparve di fianco, come dal nulla.
“Non me lo sarei perso per niente al mondo”, disse a Fedra con un occhiolino. Era a piedi e non sembrava muoversi di fretta, ma in qualche modo andava allo stesso passo dei cavalli più rapidi.
“Lady Morrigan, io...”
“Fedra, la finiamo con questa formalità? A te non piace, a me nemmeno; capisco che tu voglia mantenere un certo educato distacco, ma credimi, non ti si addice”.
Fedra sbuffò e sollevò le spalle.
“Non posso darti torto. Morrigan, allora. A dire la verità faccio un po' fatica a fidarmi del tutto di te, visto che rappresenti Celene ed è come avere l'imperatrice che ficca il naso a casa mia, ma ho come il sospetto che non sarai un peso per questa spedizione. Anzi”.
Gli occhi gialli di Morrigan si strinsero in qualcosa di simile a un sorriso da belva.
“Oh, sarò tutt'altro che un peso. Tra quattro giorni ne riparleremo”.
Quattro giorni: un tempo strano. Fedra ci rimuginò per qualche istante e poi se ne scordò, assorbita com'era dalle fatiche del viaggio.
Varric era, al solito, una compagnia deliziosa, un flusso costante di aneddoti sulle terre che attraversavano. Cole lo ascoltava a bocca aperta e persino Dorian, infastidito da tutto (“Il cavallo puzza. Ho male alla schiena e a qualcos'altro di molto prezioso. Quello era un calabrone? Ditemi che non era un calabrone” e molto altro), trovava il tempo per tacere e prestargli attenzione. In breve quei due si trovarono a chiacchierare di geografia, usi e costumi delle regioni che attraversavano; Dorian si decise a rivelare apertamente l'anima colta e curiosa che nascondeva sotto tutto quel sarcasmo e Varric confessò a Fedra, una sera, di essere colpito.
“Sai, Carota, non ci avevo mai avuto molto a che fare, ma quel ragazzo mi piace davvero. Ce ne fossero, di – come li chiama il Toro? - Vint come lui...”
Persino Cassandra sembrava aver accettato l'insolita compagnia. Fedra la scoprì un paio di volte, dopo aver montato il campo, appollaiata su un tronco caduto con un libro tra le mani, intenta a leggerlo a mezza voce a un Cole che l'ascoltava rapito.
“E poi? Cos'è successo al capo delle guardie?”
“Zitto, non ci siamo ancora arrivati! Ecco, senti qui...”
Faceva bene al cuore vederli così. Fedra si sentì stupidamente orgogliosa di ciascuno di loro e per qualche istante dorato la paura di ciò che avrebbero dovuto affrontare si allontanò. Era rimasta a osservare Cassandra e Cole per qualche istante, un boccale di birra tiepida tra le mani e la spalla appoggiata a un tronco coperto di muschio, quando un braccio robusto le passò attorno alla vita.
“Non c'è intimità in un accampamento come questo”, sussurrò posandole un bacio sul lato del collo. Fedra mugolò e gli si accoccolò contro.
“Vorrà dire che aspetteremo di aver preso a calci in culo Corypheus. Di nuovo”.
“Ormai se non lo fai almeno una volta al mese ti annoi, vero?”
“Se annoiarmi significa avere più tempo per stare con te mi annoierò volentieri”. Si voltò tra le sue braccia e alzò il viso per farsi baciare. Era quel momento strano della sera in cui tutto era ancora sveglio ma una quiete lenta strisciava tra le tende; si sentiva morbida e quasi felice, nonostante il pericolo.
“Con te sarei pronto ad affrontare anche l'Oblio... no, no, lo so che hai già dato e non ci tieni a ripetere l'esperienza”. Le baciò le fronte e si guardò alle spalle; Morrigan li stava osservando dal fuoco. Cullen distolse lo sguardo e abbassò la voce. “Siamo molto più avanti di quanto avessi programmato. Mi aspettavo dieci giorni di marcia, ma in qualche modo andando avanti di questo passo ce ne metteremo solo sette. Forse meno”.
Fedra si staccò da lui e si accigliò, contando sulle dita.
Erano partiti quattro giorni prima. Proprio come aveva detto Morrigan.
Un brivido le salì per la schiena.
Il potere di quella maga le era ignoto. Dorian e Solas avevano l'aria degli studiosi, uno con il pallino per i morti e l'altro per il mondo dei sogni, ma la loro magia aveva qualcosa di fisico, di reale. Morrigan era strana e se anche solo metà delle storie che si raccontavano su di lei erano vere allora era anche qualcosa in più. Che potesse mettere le ali ai piedi di un esercito era solo un trucchetto, per i suoi standard.

I calcoli di Cullen si rivelarono corretti.
Il mattino dopo la foresta che stavano attraversando diventò così fitta da non far passare il sole, un tripudio di rampicanti e alberi colossali che salivano come colonne in una cattedrale la cui volta era un cielo invisibile, oscurato dal baldacchino verde delle foglie.
Non c'era silenzio in quella giungla, mai. Ogni istante del giorno e della notte era una continua cacofonia di uccelli che gridavano e cinguettavano e si chiamavano da un ramo all'altro, scricchiolii di legno mosso dal vento e stridio di insetti di ogni tipo.
Dorian iniziò a manifestare ancor più apertamente il proprio disagio.
“Ho ingoiato un moscerino. Fedra, fai qualcosa!”
Fedra, dal canto suo, era troppo impegnata a sudare e a boccheggiare nell'aria zuppa per avere molta pazienza.
“Hai ingoiato cose peggiori”, bofonchiò.
“In un'altra situazione apprezzerei la tua sfacciataggine ma questo posto è peggio di qualsiasi altro... oh, vishante kaffas!” Si schiaffeggiò così forte la guancia da lasciarci il segno delle dita. Cole, del tutto indifferente al tormento degli insetti, inclinò la testa e lo guardò intento.
“Non hai niente di cui punirti, Dorian. Di solito non è in faccia che ti piace ricevere sch-”
“Non ti ci mettere anche tu!” C'era una nota isterica nel tono e Fedra si incurvò in sella, grattandosi il collo pieno di punture.
Morrigan, comunque, si dimostrò davvero fondamentale. Era la sera del settimo giorno quando raggiunsero l'accampamento montato dagli uomini di Leliana. L'Usignolo sedeva dietro a un tavolo in compagnia di Josephine, entrambe chine su una mappa.
Come a Skyhold e, prima ancora, come ad Haven. Solo che qui non c'erano corvi ma stormi di uccelli dai colori troppo sgargianti che urlavano da un ramo all'altro.
Il tempo di dare ordini ai legati per accomodare l’esercito e furono pronti alla prima riunione. Fedra si sedette per terra di fianco a Cullen, in una zona periferica dell’accampamento che cresceva a vista d’occhio. Inginocchiata sull’erba e indifferente alle chiazze verdi che le sporcavano le braghe dorate Josephine srotolò la mappa.
“Venatori e Templari Rossi, ecco cosa ci toccherà affrontare. Abbiamo ricevuto rapporti che parlano di un esercito di centinaia di elementi, forse persino migliaia”.
“Incoraggiante”, bofonchiò Fedra, ma Cullen si sporse in avanti e indicò un punto sulla mappa, l’ansa di un fiume.
“Cosa sapete dirmi di quest’area? So che la spianata potrebbe essere favorevole per un accampamento”.
“Lo è”. Leliana si era tolta il cappuccio e i capelli rossi erano tirati dietro le orecchie. Sembrava più giovane, ma era strano vederla così. “Lo era, almeno: l’idea di Fedra è stata ottima e una mia squadra è riuscita a sabotare l’accampamento appena prima che arrivaste. Nessuna vittima-per noi, almeno”.
Sentirsi fare un complimento le risollevò l’umore. Fedra si diede uno schiaffo all’avambraccio e schiacciò un insetto, lasciando una piccola chiazza di sangue sulla pelle.
“Ce ne sono altri, comunque”. Josephine, carponi, si allungò sulla mappa e indicò due punti verso nord. “Qui e qui. Sembrano formare una specie di percorso che…”
“Corypheus sta andando verso nord”.
Tutti e quattro si voltarono. Morrigan era – di nuovo – comparsa dal nulla a due passi da loro.
“Riesci a essere peggio di Cole”. Fedra torse le labbra ma l’incantatrice si limitò a sorridere. Li raggiunse con quella sua andatura da animale selvatico e non si sedette, ma indicò con un gesto della mano la mappa.
“Corypheus è stato avvistato in marcia verso una rovina elfica a nord”.
“Stavo per dirlo io”, ringhiò Josephine.
“Ne sono certa. Comunque sia, so cos’è quella rovina”.
“… questo invece non stavo per dirlo”. Josephine lasciò cadere il broncio e si sedette a braccia conserte, interessata.
“Si tratta del tempio di Mythal”.
Morrigan tacque un istante e nessuno intervenne. Fedra scosse la testa e scrollò le spalle.
“Non lo dice nessuno? Lo dico io allora: chi sarebbe Mythal? È rilevante?”
“Lo è, Inquisitore. Si tratta di un tempio che ha del leggendario, ritenuto quasi una favola persino dagli elfi. Se dovessi scegliere un posto per un Eluvian sarebbe quello; il fatto che Corypheus si stia dirigendo lì mi sembra una conferma”.
“Ne sei sicura?” La voce di Leliana era seria, priva del gelo che la pervadeva ogni volta che saltava fuori l’argomento Morrigan. Questo peggiorò la preoccupazione di Fedra.
Le due donne si guardarono a lungo senza traccia di ostilità e alla fine Morrigan annuì.
Il silenzio che seguì era pieno del chiasso che animava l’accampamento, frutto di centinaia di armati che si preparavano per la notte, la guerra o entrambe.
“Non abbiamo molto tempo, vero?” Cullen fissò la maga a denti stretti.
“La definirei una sottostima della gravità del problema ma sì, non abbiamo molto tempo”.
“Allora dobbiamo muovere subito. L’esercito può aprire un corridoio attraverso le truppe di Corypheus fino al tempio. Fedra, io…”
La voce gli si spezzò e per un solo, minuscolo istante il vero Cullen si affacciò nello sguardo del comandante. Leliana si alzò in fretta e aiutò Josephine a fare altrettanto.
“Abbiamo da fare, Morrigan. Vieni, mostraci quel che sai su questo tempio di Mythal”.
La maga sollevò un sopracciglio.
“Bastava dire ‘lasciamoli solo un attimo’, comunque. Non mi sembra chissà che segreto…”
Le tre donne si allontanarono e Cullen prese la mano di Fedra.
Non erano soli, neanche per sbaglio, ma avevano quell’unico attimo per loro. Che l’intera Inquisizione li guardasse, se voleva: non c’era niente da nascondere, ormai.
“Fedra, te la senti?”
Le venne quasi da ridere, anche se l’allegria era l’ultima delle emozioni che riusciva a provare.
Avrebbe dovuto attraversare una foresta ostile, in mezzo al cuore stesso delle forze nemiche, per arrivare a un luogo misterioso che – ne era certa quanto di avere le orecchie a sventola – brulicava di ogni tipo di pericolo.
Strinse le dita di Cullen e lo guardò negli occhi.
“Non me la sono mai sentita, Cullen, ma ho sempre fatto quello che era necessario”.
Si era tolto i guanti e il mantello, intollerabili con quell’afa, e un rivolo di sudore gli scendeva dalla tempia. Non le interessava che fosse umido e appiccicoso almeno quanto lei; gli si accoccolò tra le braccia e si godette il battito del cuore che le rimbombava nelle orecchie.
“Questa volta non è un assedio, il nostro obiettivo sei tu. Darò la vita pur di vederti arrivare a quel dannato tempio sana e salva”.
Fedra si tese e gli afferrò la camicia, torcendo la stoffa nel pugno. La tenerezza si infiammò in una rabbia senza nome e quando alzò lo sguardo su di lui lo vide aggrottare le sopracciglia.
“Non… non osare mai più dire una cosa del genere, Cullen Stanton Rutherford. Parla ancora una volta di morire per me e… parla ancora una volta di morire e io ti… ti…”
“Ti ammazzo?”
Non si era accorta di avere la voce strozzata. Si limitò ad annuire e ad appoggiargli la testa contro la spalla e a mordersi il labbro. Cullen le accarezzò i capelli e le prese il mento tra le dita, sollevandolo e posando sui suoi quegli occhi da leone.
“Mi hai regalato una speranza per il futuro, Fedra. Vale la pena morire per te, ma vale molto di più la pena vivere con te”.
Si chinò per baciarla ma un corno lo fece tendere. Fedra lo prese per la nuca e lo abbassò contro di sé in un bacio rapido e duro.
“Vai, comandante”, sussurrò contro di lui.
Cullen non trovò niente da dire. La fissò per un istante che la bruciò fino in fondo all’anima – parole non dette ma pensate con tanta intensità da prendere vita. Un sorriso gli sfiorò le labbra mentre si alzava e raggiungeva i commilitoni.
Fedra rimase sola con il proprio amore e una paura di morire che non sembrava mai averla abbandonata da quando aveva aperto gli occhi sotto i cazzotti di Cassandra. Si guardò il palmo e, nell’ombra verde della foresta, l’ancora brillava forte.
E per la prima volta, mentre la sagoma di Cullen spariva tra la folla, un pensiero le prese vita nella testa.
Ti odio, Corypheus. Ti odio perché potremmo essere qualcosa in più che l’Inquisitore e il suo comandante, e invece per colpa tua la morte incombe sempre su di noi.
Faceva male, una ferita nel profondo di cui non si era mai resa conto. Una rabbia cieca le montò dentro durante quella giornata di preparativi e cancellò ogni traccia di positività che la circondava. Non riuscì a degnare di uno sguardo Varric che spiegava il funzionamento dei trabucchi a un Cole accucciato a terra e tutto interessato, fece di tutto per ignorare lo sguardo corrucciato di Cassandra – la seguiva con gli occhi, come se cercasse in lei qualcosa che non andasse – e le domande di Dorian.
“Qualcuno oggi si è alzato col piede sbagliato”, le bofonchiò dietro all’ennesimo silenzio immusonito. Fedra si voltò di scatto verso di lui, una risposta bruciante sulle labbra, ma qualcosa nello sguardo del mago le smontò tutti i progetti di acidità.
“Non… non lo so. Ho paura e sto male per… per…”
Indicò Cullen con un gesto vago della mano, trovandolo intento a farsi mettere l’armatura da uno scudiero.
Gli occhi di Dorian si indurirono di colpo, rendendo minacciosi i lineamenti eleganti.
“Cosa ti ha fatto?”
“Niente! È solo che… lo amo. E potremmo essere morti entrambi prima della prossima notte”.
Ecco. Lo aveva detto e non stava meglio.
Dorian schioccò le labbra e la prese tra le braccia in una stretta morbida, assurdamente profumata in quel caos di giungla e sudore.
Si stava bene lì. Dorian aveva sempre saputo quando Fedra aveva bisogno di essere confortata, un improbabile amico sbucato nel bel mezzo di un assedio, un’altra delle rocce su cui poggiava la sua vita.
“Potreste essere morti oppure no. Non è diverso da quello che hai fatto fino ad ora, Fedra”.
“Ho avuto fortuna troppe volte, questa forse…”
“Fortuna? Hai avuto noi! Me, soprattutto. Ma anche te stessa: sei forte e in gamba, puoi farcela di nuovo”.
Qualcosa iniziò a sciogliersi dentro di lei. Si scostò e guardo Dorian negli occhi.
“Sai, ho detto tante volte a Cullen di amarlo, ma mi rendo conto di non aver mai detto ai miei amici quanto sono importanti per me”.
Le folte ciglia nere ebbero un fremito e un sorriso timido, così insolito, gli sbocciò sotto ai baffi.
“Ti odio. Mi fai commuovere”.
“Io invece ti voglio bene, Dorian. Davvero”.
“Smettila subito! Venhedis, sei impossibile. Su, ora sparisci prima che mi venga in mente di dire qualcosa di stupido tipo che un’amica come te vale una guerra”.
La scostò da sé, le schioccò un bacio sulla fronte e la fece voltare, spingendola via.
Stava meglio? No, non proprio, ma era come se la frattura dentro di lei si fosse ricomposta. Sarebbe guarita solo quando avessero rispedito Corypheus dal buco nero da cui proveniva, ma forse c’era ancora un po’ di spazio per la speranza.
Non c’era, invece, spazio per il riposo. Il temporale scoppiò dopo il tramonto e mandò all’aria i piani di cucinare una cena su un vero fuoco. Le truppe si ritirarono sotto le tende e ripari di fortuna, i soldati che si appollaiavano gli uni contro gli altri sotto la tempesta di fulmini che squassava il cielo e faceva piovere foglie e grandine sul campo.
Fedra rimase per un po’ accucciata di fianco a Cassandra sotto a un ramo grosso come un carro; erano entrambe fradicie ma tanto valeva non porsi il problema.
“Devo chiederti una cosa, Fedra”.
Il tono era strano, incerto tra un tuono e l’altro. Fedra non si voltò a guardarla e annuì.
“Non ti sei mai fatta grossi problemi. Siamo amiche, no?”
Con la coda dell’occhio vide il mezzo sorriso inclinare le labbra della Cercatrice.
“Volevo… no, lascia perdere. Ne parleremo quando saremo tornate a casa, discuterne adesso sarebbe inutile”.
“Se volevi incuriosirmi ci sei riuscita, sappilo”.
Cassandra si alzò e un torrentello di pioggia le scese dalle spalle.
“Sopravvivrò a questa terribile notizia. Ti prometto che ne parleremo, ma non è questo il posto giusto e tantomeno il momento adatto”. Si voltò e la guardò a lungo. “Giurami che starai attenta, Fedra”.
“Come sempre. Cassandra, sicura di stare bene?”
“Sì, è del tuo, di benessere, che mi preoccupo. Vado a dare il cambio alle sentinelle, si staranno arrugginendo”. E marciò via, ingobbita sotto il diluvio.
Fedra rimase lì, a inzupparsi da sola e con l’angoscia per la battaglia a venire che si mischiava con la curiosità.
Cosa aveva in mente quella donna? Cassandra era diretta – a essere gentili – e non si faceva problemi a dire le cose come stavano. Se quella volta aveva esitato…
Qualcosa si mosse nell’ombra al lato opposto dello spiazzo al centro dell’accampamento. Un lampo squarciò il cielo e Fedra, sobbalzando per il tuono che seguì, vide il viso di Cullen stagliarsi nell’improvvisa luce azzurra.
La stava cercando. La trovò in fretta e rimase a fissarla sotto alla pioggia.
Un altro lampo. Fedra si alzò piano, guidata dalla stessa forza che l’aveva spinta verso di lui in quella tenda nel deserto.
Qualcosa di animalesco le si accese nel sangue; Cullen fece un cenno con il capo e Fedra lo seguì nella notte. Via dalle torce che faticavano a restare accese, via dalle tende e dal brusio dei soldati.
Via dall’Inquisizione.
Cento passi, poco più, fino a una minuscola radura circondata dalle radici di un albero gigantesco. Cullen si fermò e le tese la mano.
Lo vedeva appena nella penombra della foresta, solo la linea delle spalle larghe, del collo inclinato di lato in una domanda muta. Fedra si alzò in punta di piedi e lo baciò, le labbra che sapevano di pioggia e terra e foglie.
Lo spinse indietro e gli afferrò la camicia che lottava strenuamente, zuppa e incollata al corpo. Cullen sbucò dal colletto e lanciò via il grumo di stoffa fradicia; si stese a terra e trascinò Fedra con sé, sfilandole la tunica con gesti frenetici.
Fango sotto di loro, una cortina d’acqua tutt’attorno e la morte che incombeva ai margini della notte.
Non lì, però. Non in quel momento.
C’erano solo loro due, pelle contro pelle e una fame che non era solo di carne. Era di vita, era amore e paura e tutto quello che c’era in mezzo. Cullen la prese per i fianchi e la sollevò, entrando in lei con una spinta decisa. Fedra gettò indietro la testa e gli prese le mani, le fece scorrere verso l’alto fino a prenderle i seni. Strinse e le dita di Cullen la plasmarono in qualcosa di diverso. Di vero.
Non riusciva a vederlo oltre la tenda della pioggia ma lo sentiva muoversi sotto di lei e dentro, senza disciplina, senza controllo.
Ho bisogno di te.
Cullen si sollevò e la cullò contro di sé, dita che la sfioravano e che risalivano oltre le scapole, che le affondavano nei capelli e le tiravano indietro la testa. La punta della lingua scorse falla gola fino alle labbra e Fedra rispose al bacio con il respiro che iniziava a tradirla.
“Domani potremmo morire”, un sussurro ansimante cui Fedra non riuscì a rispondere. Aprì di più le gambe e si premette forte contro di lui, assecondando ogni colpo mentre una marea di stelle le esplodeva dietro le palpebre chiuse. “Ma oggi sono tuo”.
Le parole si strozzarono in un singulto all’unisono. Fedra gli morse la spalla nuda e ringhiò per il primo, violento spasmo che le strinse ogni muscolo del corpo. Contro di lei Cullen la raggiunse, le dita che la stringevano troppo forte e quel dolore che accentuava il piacere.
Un lampo dipinse di bianco e nero quell’angolo di foresta che per un istante di follia era stato solo loro. Cullen, il petto che si alzava e abbassava in respiri violenti, appoggiò la fronte a quella di Fedra.
“Ce la faremo”, la voce era rauca, spezzata. Fedra non trovò la propria: gli gettò le braccia al collo e lo strinse a sé, caldo e vivo e suo.
Sarebbe giunta un’altra alba di sangue e acciaio, ma quella notte era stata solo di carne. Solo loro.


La frustrazione sale - per Fedra e per l'intera Inquisizione. Mesi a inseguire lo stesso nemico, a sconfiggerlo e poi ci si trova sempre al punto di partenza: un po' di giramento di palle è doveroso!
Come sempre grazie a chi ancora legge e alla prossima!

 

Val

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Capitolo 22
*** 22-Non sto benissimo. Davvero. ***


L’ennesima notte insonne o quasi, l’ennesimo risveglio in preda a un terrore abbietto e con una nausea brutale che le stringeva la gola. Fedra emerse dalla tenda con le mani grinzose per l’umidità, la testa leggera e tutto il resto del corpo pesante come un macigno.
Erano già tutti pronti. I soldati schierati e in movimento, Cullen in piedi su quella che un tempo doveva essere stata una colonna ormai ingoiata dagli alberi e dalle felci intento a dare ordini; fu Cassandra ad avvicinarla, gli occhi stretti nel sospetto.
“Sei pallida. Non sei in forma, vero?”
“Sai com’è, prima di andare a rischiare la pelle dormo sempre un po’ male”. Si sfregò gli occhi e respirò a fondo, cercando di mandar via l’ondata di malessere. Pian piano la testa le si schiarì e lo stomaco si diede una calmata, pur rimanendo ostinatamente chiuso per la tensione.
“Oggi tu mi stai più vicina del solito. E no, non è una richiesta, è un ordine”.
“Cassandra, nemmeno tu mi sembri stare benissimo, sai?” Si armò e quand’ebbe fissato i foderi alla cintura era tornata se stessa. Lanciò un ultimo sguardo a Cullen che metteva in marcia quell’enormità di uomini e metallo e respirò a fondo.
Pronta non lo era mai stata, eppure non aveva ragione di attendere oltre.
Rimase a guardare l’esercito che si allontanava e rimpianse di non aver avuto neanche il tempo di dire addio a Cullen. Quel pensiero la pungolò come un tafano e la fece agitare nel cuoio della corazza.
Cole le passò di fianco, il viso nascosto sotto al cappello e due lunghi coltelli fissati dietro la schiena.
“Non c’è tempo per gli addii. Ti ha pensata tanto e si è fatto delle promesse, per quelle ci sarà tempo. Oggi potremmo morire, ma domani…”
“Cole… Cole. Grazie, lo so, io… lo so”.
Domani. Un altro domani, ecco tutto ciò che chiedeva: raddrizzò le spalle e si affacciò verso la vallata dove l’esercito scorreva come un fiume di metallo.
Attesero il segnale di Leliana prima di partire. Era ormai giorno fatto e il terrore paralizzante di Fedra si era trasformato in impazienza. Nessuno aveva molta voglia di parlare; Varric se ne stava chino su Bianca, controllando e ricontrollando i meccanismi, e persino Dorian taceva, lo sguardo perso in lontananza verso nord.
Il corvo giunse nell’ora più calda, un incongruo fantasma nero che fece scappare gridando gli onnipresenti pappagalli. Josephine balzò in piedi ma fu Leliana a richiamare il messaggero, che le si posò sul braccio e tese la zampa.
Non ci fu bisogno di leggere il messaggio. L’Usignolo si voltò verso Fedra e annuì secca una volta.
Josephine rimase a guardarli andar via con le mani giunte e un’incessante preghiera muta sulle labbra. Lei, la gentile, elegante diplomatica che si era costretta a imparare le ristrettezze della vita da campo e che ora, sporca d’erba e con i capelli mezzi sciolti sulle spalle, guardava l’Inquisizione marciare verso l’ignoto. Fedra avrebbe voluto abbracciarla, ma non si concesse di esitare.
Il passaggio dell’esercito aveva ridotto la foresta a un tappeto di vegetali schiacciati; non passarono più di un paio d’ore prima che incontrassero altri segni dell’avanzata delle truppe.
Cadaveri. Decine di corpi straziati di maghi e Templari rossi, abomini dagli sfregi scarlatti che giacevano con gli occhi vuoti rivolti al cielo. Fedra sentì la nausea tornare ad azzannarla per l’odore di sangue e la vista di tanti morti – non solo nemici. Avanzando trovarono un accampamento in fiamme e altre vittime.
Corazze con il simbolo dell’Inquisizione.
Qualcosa dentro di lei si indurì. Aveva pianto troppe volte per quell’immensa responsabilità e il senso di colpa ormai era diventato parte di lei; questa volta frugò tra i visi cinerei – gli arti ricomposti da commilitoni impietositi – in una ricerca angosciosa.
Cullen non era lì: poteva andare avanti a combattere.
Oltrepassarono l’accampamento senza dire una parola, senza incontrare resistenza; il passaggio delle truppe aveva richiesto un prezzo alto a Corypheus.
Non abbastanza, comunque: proseguendo lungo il tragitto calpestato e le pile di corpi vennero raggiunti dall’eco di un’altra battaglia.
“Stanno ancora combattendo”, sussurrò Cassandra, rompendo il silenzio che li aveva tenuti avvinti fino a quel punto.
“Andiamo”. Varric era serio e corrucciato, rivoli di sudore che gli scorrevano dal collo e sparivano nella camicia rossa. Fu lui ad aprire la fila, a fermare tutti alzando il pugno quando raggiunsero il margine dell’altura.
Ferro e grida sotto di loro, l’acqua del fiume che scorreva tra la fitta vegetazione che si tingeva di rosso.
Fedra portò senza neanche bisogno di rifletterci le mani ai pugnali e li sguainò.
“L’avanguardia”, disse Cassandra. “Devono aver mandato una pattuglia a eliminare anche questo avamposto”.
Certo, l’avanguardia. Fedra si sporse avanti oltre Varric e strinse gli occhi.
Un generale, il comandante di un esercito, sarebbe dovuto stare nelle retrovie, a dare ordini e pianificare strategie. In questo Cullen era l’antitesi della disciplina.
Immerso nell’acqua fino a metà coscia non gridava comandi ai suoi uomini, impegnati a combattere attorno a lui. Gridava e basta, un fendente dietro l’altro a ingaggiare quello che aveva sempre meno l’aspetto di un Templare e sempre più quello di un demone, immenso e ingobbito, tempestato di schegge di lyrium rosso.
Non stava combattendo solo un avversario: stava combattendo il male dentro di sé.
Bianca emise uno schiocco e il dardo sibilò a un capello dalle orecchie di Fedra.
“Rimani immobile o levati di lì, Carota. Non ci tengo a piantartene uno nel cranio”.
Stava trattenendo il fiato. L’acqua ribolliva di sangue e cadaveri – più del nemico che dell’Inquisizione, ma rinforzi stavano arrivando. Fedra agì prima che la voce di Dorian la raggiungesse, con quell’esclamazione inorridita, prima che la mano di Cassandra si chiudesse sul suo braccio.
Spiccò un balzo oltre Varric e giù per il pendio, calpestando radici e fiori, inciampando e rimettendosi in piedi mille volte.
Da una grande distanza le arrivò il grido rabbioso di Cassandra.
“… pazza scriteriata suicida! Questa me la paghi, Fedra!”
Cullen la sentì. Si voltò di una frazione di grado quando ormai Fedra era in carica, a pochi metri dalla riva, distraendosi dall’abominio morente ai suoi piedi.
Aveva una ferita sullo zigomo e la manica lacerata, appena sotto lo spallaccio, rivelava un taglio slabbrato lungo una spanna. Si accigliò per un istante nel vederla corrergli incontro a pugnali sguainati, e fu un istante fatale.
L’abominio si rialzò, braccia ciondolanti e una chiazza di sangue che si spandeva nell’acqua bassa. Un colpo con il dorso della mano deforme contro il polso di Cullen e la spada gli saltò via di mano.
“No!”
Fedra gridò e si spinse avanti, i piedi che si staccavano dal suolo in un balzo.
Fu fortuna. Caso, forse, oppure qualcosa nel suo sguardo accese l’istinto da soldato di Cullen. Era a mezz’aria quando si accucciò e sollevò lo scudo.
Una comoda piattaforma.
I muscoli si tesero per il colpo quando Fedra atterrò sul metallo dello scudo; Cullen grugnì e stese il braccio, catapultandola in aria.
Sopra all’abominio, alle braccia levate per colpire di nuovo.
Pazza scriteriata lo era di sicuro. Non riuscì a formulare un solo pensiero coerente mentre volava letteralmente in aria e raccoglieva le ginocchia al petto, piovendo verso l’abominio come una meteora.
Suicida? No, quello no. Quello mai.
Sotto l’impeto della caduta le lame trovarono senza fatica la strada attraverso la carne pallida della creatura, affondando fino all’elsa tra gli spuntoni di lyrium rosso.
Le gambe le penzolavano a un metro d’altezza, appesa com’era all’impugnatura dei pugnali. Il metallo squarciò la pelle dell’abominio e lei iniziò a scivolare verso il basso, accompagnando l’inevitabile caduta della vittima.
Cullen doveva essere riuscito a recuperare la spada perché prima ancora di essersi schiantata nell’acqua bassa Fedra vide la testa del mostro saltar via dal collo. Crollarono assieme in un’esplosione di acqua e sangue che la lasciò cieca per un istante. Una stretta quasi dolorosa le si serrò sul polso e Cullen la tirò in piedi.
“Se non fossimo in mezzo a una battaglia giuro sul Creatore che ti appoggerei contro il primo albero e…”
Sciaguattare feroce alle sue spalle. Cullen si voltò in un turbine di metallo e sangue e trafisse alla base della gola un arciere, privo di frecce ma armato di coltello. Lo scrollò via dalla lama e fissò Fedra ancora per un istante.
“Sei completamente pazza e non credo di averi mai amata così tanto”.
Le venne da ridere per una bizzarra, folle reazione all’adrenalina che le riempiva il corpo, ma non riuscì a rispondergli. Un altro assalto li divise e Fedra balzò indietro verso la riva, parando alto l’attacco di un cavaliere. Aveva perso l’elmo e i segni del lyrium rosso sul viso si erano portati via tutto ciò che di umano era rimasto sul suo volto.
Fu quasi troppo facile. Fedra scartò di lato e si abbassò sotto la falciata della spada; un mezzo giro sul tallone e gli fu alle spalle. Non un colpo da soldato: gli strinse la faccia con un braccio mentre una delle lame scorreva lungo la gola in un movimento rapido e profondo.
Altro sangue nel fiume. Fedra si scostò per evitare il corpo che le crollò addosso e risalì lungò l’argine. Per un attimo, mentre riprendeva fiato, si concesse di osservare la battaglia.
C’erano quasi, ormai gli avversari stavano cedendo e si ritiravano verso il folto della foresta. Un Templare si prese un dardo di Bianca in mezzo alla fronte, l’elmo e il cranio che si sfondavano sotto l’impatto e un volo di un paio di metri all’indietro prima di ricadere morto nell’acqua. Cassandra si fermò sopra a un cumulo di carne che doveva essere stato un abominio, coperta di sangue non suo, e dall’altura Dorian lanciò un grido.
Fedra non capì cosa stesse dicendo. Non sembrava stesse esultando; una saetta le esplose a due metri dai piedi e prima che riuscisse a voltarsi Cole, immerso fino alla vita nel fiume di fronte a lei, lanciò un coltello.
Fu assurdo, troppo rapido e confuso per riuscire a dargli un senso. Mentre il tempo giocava con lei e rallentava Fedra vide la lama roteare nell’aria dritta verso la sua stessa faccia.
Il tempo di un pensiero folle – Cole mi sta attaccando? – e si scostò di un soffio. Il pugnale le sfiorò i capelli e colpì qualcosa alle sue spalle con un tonfo sordo. L’odore ferroso del sangue riempì l’aria, così vicino da riattizzare la nausea sempre incombente. Lo vide prima con la coda dell’occhio, un uomo in armatura leggera con l’impugnatura di un coltello che gli sbucava dal collo; quando si voltò era già caduto a terra, morto.
“L’avrei preso io se non avessi avuto paura di incenerire anche te! Non ho sbagliato mira!” La voce di Dorian la riscosse dall’attimo di confusione; quando la tensione ebbe un calo – stanchezza e shock che si contendevano la sua testa – si trovò a barcollare. Cole, fradicio e fulmineo, le fu accanto e le prese il braccio.
“Devi stare più attenta, Due Cuori”.
Fedra batté le palpebre più volte e le lunghe dita pallide strinsero più forte la sua mano.
“Come mi hai chiamata?”
Cole inclinò la testa di lato e annuì.
“Promettimi solo che starai più attenta”.
“Io…”
La lasciò andare e sfilò l’arma dal cadavere ai loro piedi, come se niente fosse.
Cullen la raggiunse e abbassò lo scudo. Nell’aria non c’era più rumore di metallo ma solo i gemiti dei morenti.
“L’area è libera, Inquisitore. Potete andare”.
Varric gli passò dietro e gli diede uno spintone che lo mandò addosso a Fedra.
“Baciala, ricciolino. Lo hanno capito anche i sassi che non vedi l’ora di farlo”.
Erano zuppi, insanguinati, entrambi scossi e circondati da cadaveri. Il luogo ideale per ricordarsi cosa significasse essere vivi. Cullen, serio, prese il viso di Fedra in una mano e obbedì al consiglio di Varric.
C’era il sapore dolce e orribile del sangue sulla sua lingua, odore di ferro e sudore addosso a entrambi. Il capogiro di Fedra peggiorò.
“Ti amo”, riuscì a dirgli quando la lasciò andare, strappandogli quel mezzo sorriso sghembo che l’aveva conquistata dal primo istante.
“Anche io. Seguite il fiume, il tempio non è lontano: noi vi guardiamo le spalle”.
Il resto del gruppo l’aveva raggiunta.
Fedra si accigliò nel fare la conta dei compagni: Cassandra e Varric, certo, Dorian che scendeva tra le felci alte quanto lui con le braccia sollevate mormorando una continua litania di imprecazioni in tevene e Cole che non era mai troppo distante da lei. Due cuori? Che strano nome. Sarebbe tornata sull’argomento.
Ma Morrigan da dove saltava fuori? Era quasi sicura di non aver visto la maga sul campo di battaglia, e di certo non era partita con loro. Eppure ora eccola lì, a due passi da dove si era trovato Dorian poco prima, pallida e indifferente con il bastone gettato di traverso sulle spalle.
“E così ci avete davvero aperto una via verso il tempio di Mythal. Spero non fraintenderete il mio stupore, comandante Cullen: sono semplicemente ammirata”. Scese tra la fitta vegetazione senza fatica e in un istante fu lì con loro.
“Andiamo, per cortesia? Non vorrei che…”
“Fedra, solo un attimo”. Cullen distolse lo sguardo da Morrigan e fissò Fedra, serio. “Guarda i corpi qui attorno”.
“Preferirei di no, ma se proprio ci tieni farò un’eccezione alla mia regola di non fissare i cadaveri”.
“Davvero: guardali. Non sono solo Venatori o Templari Rossi. Ci sono degli elfi”.
“Elfi? E da dove saltano fuori?” chiese Varric.
Cullen scosse la testa e li condusse avanti, fino alle rovine franate di un ponte di marmo bianco. Aveva ragione, eccoli gli elfi: sagome esili, pallide, vestite di armature color bronzo dalla foggia esotica, simili a pelli di serpente che aderivano alle membra scomposte.
“Ne abbiamo abbattuti solo due ma erano di più. Hanno attaccato sia noi che le truppe di Corypheus e poi sono scomparsi”. Si passò il pugno sullo zigomo che non aveva ancora smesso di sanguinare. “State attenti”.
“Prometto che non le succederà nulla”. La voce di Cole, di nuovo. Cullen lo guardò stupito, ma sul viso pallido del ragazzo c’era una decisione così austera da non far sorridere nessuno.
“Grazie, Cole. Io… be’, lo apprezzo molto. Davvero”. Cullen gli diede una pacca sulla spalla e annuì, confuso ma serio.
“Tutto molto carino. Ora però mettiamoci in marcia, Inquisizione, perché Corypheus è già più avanti di noi”. Morrigan tagliò corto e li superò. Fedra lanciò un’ultima occhiata a Cullen e sorrise.
Tornerò, te lo giuro.
Nessuno ebbe molta voglia di parlare mentre si facevano strada tra gli arbusti fitti e gli alberi immensi che avevano reclamato le rovine del tempio. Ponti franati, resti di colonne… tutto parlava di un passato glorioso, di architetture armoniose che si fondevano con i rampicanti quasi fossero esse stesse creature viventi. Dorian alzò lo sguardo verso le due statue di halla rampanti alla base di una scalinata e fischiò tra i denti.
“Non avevo mai visto niente del genere, neanche nei testi delle biblioteche di Vyrantium. Ricordatemi di prendere degli appunti se ne usciamo vivi”.
“Ne usciremo vivi. Non azzardarti a essere pessimista”, rispose Fedra. Si stavano avvicinando a un alto portone coronato di foglie verde scuro e fiori dall’odore troppo intenso; ai lati del passaggio due lupi di pietra, coperti di muschio e dagli occhi troppo acuti, li fissavano intenti. Qualcosa in quelle due statue non andava.
“Fen’harel?” disse Morrigan accigliata.
“Cosa?” Fedra non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle immense, immobili creature di pietra. Sembravano vive.
“Il Temibile Lupo, il dio degli inganni o il dio ribelle, dipende dalla traduzione. Una leggenda elfica più antica di quanto gli storici riescano a calcolare. Fen’harel ha…”
“… rinchiuso gli dei – gli Evanuri – per dispetto. O qualcosa del genere”, concluse Dorian sotto voce.
“Giusto. Non mi aspettavo che un mago del Tevinter sapesse certe cose”.
“Oh, non badate a me, lady Morrigan, sono semplicemente un uomo dalla cultura sconfinata, oltre che dal fascino impareggiabile”, ma nonostante la solita vanagloria c’era sincera ammirazione negli occhi grigi levati a scrutare le rovine.
Mentre superavano un lungo corridoio buio l’odore della vegetazione e dell’aria umida si tinse di rosso. Fedra strinse le dita attorno ai pugnali, ma quando emersero su un’ampia balconata che si affacciava su un ponte si rese conto che non sarebbe servito.
C’erano corpi ovunque. Templari e Venatori con frecce che fuoriuscivano dal corpo, gole tagliate di netto. Un lavoro pulito, preciso.
Le venne la pelle d’oca nonostante la temperatura. Si guardò intorno – altri lupi, orchidee che sbucavano da ogni fessura tra le rovine – e trasalì quando la mano di Cassandra le si serrò sulla nuca. Si voltò con una domanda sulle labbra ma la Cercatrice le fece cenno di tacere e la tirò già con sé.
Erano tutti accucciati dietro la balaustra e Fedra, scostando un ramo per guardare meglio, capì.
L’ignoranza era stata molto più rassicurante.
Templari e Venatori, maghi, un abominio: tutti schierati alle spalle della figura alta di una donna bionda.
“Calpernia”, sussurrò Morrigan. Il nome attivò la memoria di Fedra e portò con sé l’orrore di Haven, le parole di Leliana.
Il generale di Corypheus.
Fedra si accorse di non riuscire a respirare. Quelli erano i loro nemici, e di fronte a loro, sul ponte festonato di liane e guardato da due statue gemelle, c’era qualcuno che sembrava altrettanto ostile.
Elfi. Cappucci grigi sul capo, visi dai lineamenti affilati e le stesse armature che splendevano di metallo come squame di un rettile.
“Na melana sur, banallen!”
Di scatto Fedra si voltò verso Dorian, che scosse la testa accigliato, e verso Morrigan, che sollevò le mani impotente.
Dovevamo portaci Solas…
“Si prende gioco di voi, mio signore”. Calpernia rideva, un suono aspro e carico di scherno.
Da sotto alla balconata emerse un’ombra deforme e Fedra si strozzò con un grido.
Un cadavere – un elfo, anche se non c’era una testa da cui giudicare la razza – cadde dalle mani di Corypheus. Quello che era stato un Magister e che ora era soltanto il nemico avanzò rapido, sfilando di fianco al suo generale.
Fedra respirava di nuovo – no, ansimava, brevi rantoli da animale braccato. Cassandra, alle sue spalle, le strinse il polso così forte da farle male. Non la lasciò andare.
“Questi patetici avanzi dal passato non ci terranno lontani dal Pozzo del Dolore”. La voce era sempre quella, bassa e così potente da raggiungere ogni angolo del tempio.
“Il cosa?” chiese sottovoce Dorian, ma Morrigan scrollò di nuovo le spalle.
“Non ne ho idea!”
Corypheus superò Calpernia e marciò dritto verso gli elfi sul ponte. Il primo di essi, quello in posizione più avanzata, indietreggiò di un passo mentre le due statue all’imboccatura iniziavano a splendere di luce azzurra.
“Siate onorati di morire per mano di un nuovo dio!” Mentre passava tra le due statue un’esplosione di luce si diramò dalla roccia, due raggi che si incrociarono sul ponte e trattennero Corypheus.
“Io non me ne intendo di magia elfica, ma secondo me è fottuto”, mormorò Varric con una nota di speranza nella voce. Fedra, semplicemente, era paralizzata e non riusciva a distogliere lo sguardo.
Certo, quell’incantesimo – se tale si poteva definire – stava facendo qualcosa. Doveva essere una qualche forma di estrema difesa e forse sarebbe riuscito a fermare un incursore diverso.
Non Corypheus. Strattonò legacci invisibili e superò le saette sfrigolanti, ancora connesse al suo corpo. L’elfo d’avanguardia lasciò cadere il bastone e cercò di allontanarsi, ma la lunga mano adunca di Corypheus lo raggiunse, ridotta a ossa e brandelli bruciati come il resto del suo corpo; l’intera testa gli entrava nel palmo e l’elfo, sollevato da terra, si dibatteva inutilmente.
Le dita affilate si strinsero e il cranio dell’elfo esplose in una bolla di sangue e ossa.
Fedra non riusciva a distogliere lo sguardo da quell’orrore. L’elfo era morto, i suoi compagni in fuga, ma Corypheus…
I due fasci di luce si fecero più intensi, così luminosi da rendere impossibile guardarli. Proprio mentre si copriva il volto col braccio l’esplosione squarciò l’aria. L’onda d’urto fece cadere tutti a terra, persino loro che erano ben lontani dal ponte. Quando si furono rialzati – Cole insolitamente sollecito nel rimetterla in piedi – di Corypheus non rimaneva altro che una chiazza bruciata sulle mattonelle di marmo spezzate.
“D-Dite che possiamo permetterci di festegg…”
Quel che restava delle truppe di Corypheus – Calpernia e una manciata di Venatori, circondati da una carneficina di Templari Rossi e persino da qualche Custode ancora posseduto – superò il ponte e si diresse l’arco all’altra estremità.
Dorian lasciò perdere e sbuffò.
“No, non c’è niente da festeggiare”.
Fedra si alzò lentamente tirandosi dietro Cassandra. In lontananza Calpernia la vide e, ne era certa, le sorrise.
Una sfida.
“Andiamo, non so cosa sia il Pozzo del Dolore ma se Corypheus lo vuole allora non deve poterlo avere”, disse Morrigan. Fu lei a guidarli giù dalla balconata e verso la scena dell’esplosione.
Non c’erano sopravvissuti, il che era un bene. Ma a guardare con attenzione non c’era neanche il corpo di Corypheus.
Un verso gorgogliante li colse di sorpresa. Si voltarono di scatto e Fedra cacciò uno strillo, balzando indietro sul piede di Cole.
Un Custode.
No, non poteva essere vivo, non con il cranio aperto in due da una roccia volante. Eppure era in ginocchio, scosso da sussulti che facevano sobbalzare la mandibola inerte.
“Non mi piace per niente”, disse Cassandra. “Per niente”.
Dalla bocca spalancata del Custode iniziò a schizzare una sostanza nera e densa, quello che Fedra aveva imparato ad associare al sangue dei demoni. Un getto sempre più grosso che si riversava in una pozza ribollente fino ai loro piedi.
“Merda”, sussurrò Varric.
Il corpo del Custode si accasciò in avanti e la schiena si squarciò con un orrendo suono gorgogliante. Dal punto in cui si sarebbero dovute trovare le vertebre si sprigionò una raggiera di liquido nero e la carne si aprì.
“Non… non è possibile”, sussurrò Morrigan, più pallida del solito.
La crisalide umana si lacerò e un lungo braccio ossuto, coronato da una grande mano dalle dita affilate, ne emerse.
La mano di Corypheus.
Cole trattenne rumorosamente il fiato e scosse la testa con gran svolazzare dell’ampia tesa del cappello.
“Merda merda merda!” Questa volta Varric urlò direttamente.
“Via di qui, subito!” Dorian dovette prendere Fedra di peso e sradicarla da terra, dove era rimasta impietrita a osservare l’orrendo spettacolo. Dopo pochi passi la mise giù e la trascinò con sé tenendola per il braccio. “Muoviti!”
Fedra si voltò solo una volta a guardare. Corypheus stava emergendo dalle spoglie del Custode, ombra nera dagli occhi di brace e volto deforme levato al cielo in un grido inumano.
L’arco sotto cui era passata Calpernia con il suo seguito si rivelò essere un portone. Erano quasi arrivati quando la foresta deflagrò in un delirio di foglie, rami spezzati e pappagalli impazziti per il terrore. L’ombra del drago accarezzò il ponte e il vento delle immense ali spazzò via i cadaveri.
Merdissima!”
Varric stava rimanendo indietro. Cassandra si fermò e lasciò che tutti la superassero, restando di guardia fino a che anche il nano non le sfrecciò davanti.
“Il portone! Chiudete il portone!” ruggì. Non ce ne sarebbe stato bisogno; Dorian lasciò Fedra e si appoggiò con tutto il suo peso a uno dei battenti e Morrigan lo imitò. Appena Varric li ebbe raggiunti si fiondò a spingere l’altro e Fedra, ancora inebetita, trovò la prontezza per fare altrettanto, insieme a Cole.
Erano pesanti. Erano immensi e lottavano strenuamente, ma alla fine si mossero. Cassandra per un istante rimase incorniciata dall’apertura verticale, poi si voltò con il drago che le incombeva alle spalle e si lanciò verso di loro. L’armatura mandò scintille quando, con un’ultima scivolata, superò il portone appena prima che i due pesanti battenti si chiudessero con un tonfo.
Appena prima che il drago vomitasse fuoco contro di loro.
Tutti finirono scagliati all’indietro e, per un motivo a lei sconosciuto, Fedra si trovò tra le braccia di Cole, che quasi la prese al volo.
“Ti ho detto che devi stare attenta”, le disse, ma Fedra non riuscì a prestargli troppa attenzione. Il portone davanti a loro si illuminò in ampi cerchi e ronzò per un istante, per poi lasciarli nel silenzio totale di un tempio buio e semidistrutto.
Se le era sembrato che le rovine esterne fossero state predate dalla natura, qui era evidente che la foresta avesse vinto sulla mano dell’uomo. O dell’elfo, per l’esattezza.
Gli alberi erano diventati le colonne del tempio, archi di liane a chiudersi sulle loro teste in volte lussureggianti. Più avanti, sotto di loro, uno spiazzo circondato da scalinate.
“Il cuore del tempio di Mythal”, sussurrò Morrigan. Fedra si scrollò e cercò di recuperare il controllo, cosa non semplice dopo gli shock dell’ultima ora.
“Possiamo ancora battere Corypheus sul tempo. Andiamo!” Era più facile mettersi a correre che ragionare, ma mentre scendevano la prima scalinata la voce di Dorian salì alle sue spalle.
“Scusate se puntualizzo l’ovvio, ma perché Corypheus dice di volere questo Pozzo del Dolore quando ci risulta che fosse interessato a uno specchio?”
“Non… non sono sicura di cosa intendesse”, rispose Morrigan a malincuore. Oltrepassarono un ennesimo lupo di pietra – e Fedra provò quel consueto brivido lungo la schiena – e Cassandra ringhiò dal profondo della gola.
“Fantastico”, brontolò.
Proseguirono lungo una scalinata franata per metà e Fedra inchiodò di fronte a un portone chiuso. Si voltò verso Morrigan e la guardò, cercando di ingoiare la rabbia rovente che le risaliva dalla gola.
“Ferma, ferma. Fammi capire. Tutte le tue teorie, l’Eluvian che hai messo a Skyhold a rischio di tutti i suoi abitanti, un intero esercito spostato fin qui… era tutta una supposizione?”
L’incantatrice schioccò la lingua e distolse lo sguardo. Fedra la incalzò e le si fece più vicina, pugni stretti e denti digrignati.
“Hai… hai trascinato qui centinaia di persone a rischiare la vita sulla base di… di un sospetto. Senza prove”.
“Avevo ragione! Siamo nel posto giusto, ma non so cosa sia questo Pozzo che Corypheus cerca, d’accordo? Questo ti soddisfa?”
“Non mi soddisfa per un cazzo!” Fedra stava alzando la voce, indifferente ai cenni di Varric per tenerla bassa.
Morrigan si scostò il ciuffo corvino dagli occhi e scosse la testa.
“Senti, in questa storia c’è un tassello più del previsto. Il Pozzo mi è ignoto, ma se Corypheus lo vuole noi dobbiamo portarglielo via. Almeno su questo sei d’accordo?”
“Morrigan, io non posso credere che…”
“Erano mesi che volevo farlo. Smettetela di litigare”, si fece avanti Cassandra. “Su questo Morrigan ha ragione, Fedra, e d’altro canto tu hai tutti i diritti di innervosirti. Ora, se permettete, abbiamo un arcidemone da fermare”. Annuì secca una volta e le superò.
Zittita Fedra preferì seguirla che continuare la discussione, ma aveva lo stomaco annodato. Si era fidata di Morrigan e della sua conoscenza; scoprirla incerta peggiorò la sensazione di ansia e precarietà.
“Aspettate… qui c’è scritto qualcosa”. Dorian si era fermato nei pressi della statua di lupo, chino in avanti e intento a strappare erbacce da un’iscrizione sulla base di pietra. Morrigan lo raggiunse, ancora pallida, e quando parlò Fedra fu certa di sentire una nota di sollievo nel tono. Come se fosse lieta di potersi dimostrare indispensabile.
“Ah, certo! Il mio elfico è arrugginito, ma qui… Abe… Abelasan? ‘Luogo del dolore’. Deve riferirsi al pozzo, stiamo andando nel posto giusto!” Seguì con lo sguardo il muso del lupo, puntato verso un altro immenso portone.
“Shiven… Shivennen… vuol dire conoscenza? Qualcosa del genere. Conoscenza pura. Credo”.
“Non pensavo l’avrei mai detto, ma avremmo dovuto portarci l’elfo”, disse Dorian, dando voce allo stesso pensiero di Fedra.
“Bah, per quel che riesco a capirne il pozzo è da quella parte. Tanto vale andare a controllare”.
Ripartirono in fretta verso un’altra serie infinita di corridoi verdeggianti e pavimenti coperti di muschio, fino a una sala interna, priva di soffitto ma anche troppo ricca di figure inquietanti.
Sul ciglio di una spaccatura al centro della sala Calpernia era in piedi, a braccia conserte e circondata da Venatori. Non era più vecchia di Fedra, ora che la vedeva da vicino, anche lei con le orecchie un po’ sporgenti e un’esplosione di lentiggini sul viso.
Il sogghigno che le schiuse le labbra, però, era spaventoso.
“Non lasciateli passare”, ordinò. Al comando di quella singola donna minuta e slavata una mezza dozzina di soldati corazzati si mise in posizione.
“Ho già detto merda?” disse Varric caricando Bianca.
“Sì, lo hai già detto quattro volte, prima. E una volta merdissima”. Cole si passò il pugno armato sotto al naso.
“Giusto, grazie, ragazzino. Una volta in più non farà male, vero?”
Calpernia fece un passo indietro e si lasciò cadere nella spaccatura proprio mentre i Venatori attaccarono.
“Con permesso”, disse Dorian parandosi davanti a Fedra. Conosceva quella barriera simile al vetro che si schiuse davanti a lei. “Cole ha insistito molto”.
“Ma che…”
Erano meno numerosi ma più pericolosi dei Venatori. Il bastone di Morrigan roteò nell’aria e produsse una frusta di fuoco che ne colpì due, mandandoli a schiantarsi in fondo al baratro dove era sparita Calpernia. Un terzo, colpito alla coscia da Bianca, trovò la morte per mano di Cole e Cassandra ne eliminò un altro.
Finì tutto troppo in fretta e Fedra, di fianco a Dorian, non riuscì a sferrare un singolo colpo.
“Mi spieghi cos’è questa follia? Non possiamo permetterci di risparmiare forze!”
“Te l’ho detto, Cole dice che bisogna tenerti al sicuro e io lo faccio. Oh, guarda, quello è ancora vivo”, e, abbassata la barriera, lo fulminò con un ampio gesto della mano.
Varric inclinò la testa da un lato e dall’altro e la raggiunse, un gran sorriso sanguinario sul volto.
“Stiamo diventando troppo bravi, quasi non c’è più gusto”.
“Sbrighiamoci, quella Calpernia arriverà prima di noi!” Cassandra puntò dritta verso il cratere, ma Morrigan rimase indietro.
“No, fermi, cosa stiamo facendo? Qui attorno potrebbero esserci tracce di una sapienza antica di millenni, non possiamo permetterci che vada persa così!”
“Morrigan, là fuori c’è un esercito che sta combattendo per noi, ogni minuto che perdiamo è un uomo in più che muore!” La voce di Cassandra era dura, Morrigan però non era da meno.
“Come possiamo sapere che quella presa da Calperni asia la via più rapida?”Indicò le svariate porte che si aprivano sulla sala. “Potremmo trovare qualcosa che ci aiuterà nella ricerca dell’Eluvian, potremmo…”
“No”. Fedra avanzò a testa bassa e pugni stretti. “Non intendo mettere a repentaglio così la vita dei nostri soldati”.
“Ma Fedra, tesoro, se Morrigan ha ragione…” Dorian si fece avanti, l’eccitazione da studioso che gli accendeva lo sguardo. “Se davvero qui intorno potesse…”
“Ho detto di no”. Implacabile Fedra raggiunse Cassandra. Odiava essere in disaccordo con Dorian, ma ci sarebbe stato il tempo per appianare la questione, se fossero sopravvissuti. Lo vide stringere le labbra e stritolare il bastone, ma quando Varric scosse la testa lasciò perdere.
In fondo alla spaccatura i cadaveri di due Venatori erano ancora caldi, scomposti dalla caduta e ustionati dall’incantesimo di Morrigan. Era un salto di almeno cinque metri e Fedra non se la sentiva di lanciarsi così, nel vuoto, ma sotto di lei si stendeva un intrico di radici che, a un tentativo con il piede, si rivelò abbastanza robusto per reggere il suo peso. Scese fino al fondo del cratere saltando gli ultimi due metri e subito Cole la raggiunse, rimbalzando una sola volta a metà della discesa.
Morrigan fu l’ultima a scendere, con Dorian, e lo sguardo giallo che rivolse a Fedra era carico di rancore.
“Hai commesso uno sbaglio, Inquisitore. Spero non dovremo pentircene tutti”.
“Ti prego, ho una voglia matta di litigare ma non qui e non ora. Possiamo comportarci da bravi bambini fino a che non avremo stabilito di non essere sul punto di morire in maniera cruenta?” le rispose, più stanca che altro.
L’incantatrice sbuffò e levò il bastone, mandando una sfera di luce a brillare davanti a loro. Un utile stratagemma quando, dopo aver percorso i primi metri tra le macerie, oltrepassarono un arco e si riversarono in quelle che avevano tutto l’aspetto di cripte.
Era impossibile camminare in silenzio sul pavimento di pietra coperto d’acqua; le pareti non grondavano più di vegetazione ma di muschio pallido tra i rivoli d’acqua che scavavano i mattoni.
Sembrò volerci un’eternità fatta di buio dall’odore stantio e da dozzine di sale vuote che si spalancavano ai lati del percorso ritorto.
In quanti stavano morendo, là fuori?
Fedra strinse i denti e accelerò, costretta a tener dietro alla luce di Morrigan.
“Continuo a credere che avremmo dovuto cercare un’altra via”, iniziò Dorian prima di affrettarsi a proseguire: “No, non cambierò idea, Fedra, puoi guardarmi male quanto vuoi. Se avessimo…”
“Con i se non si va lontano, Dorian. Possiamo non parlarne più?”
Le rispose uno sbuffo, ma Cole intervenne.
“Di là”. Stava indicando un vicolo che si diramava sulla sinistra, concentrato e serio.
“Perché?” Morrigan non sembrava convinta ma mandò la luce a indagare.
“Vecchie voci, echi di ere estinte da troppo tempo perché qualcuno ne abbia ricordo… ci chiamano. Da questa parte”.
Cassandra deglutì a vuoto.
“Mi terrorizza ma non abbiamo altre idee. Da questa parte”, e seguì l’indicazione di Cole.
Pochi gradini, una svolta a gomito e si ritrovarono in una sala inondata di sole.
Peccato che non ci fossero finestre.
Fedra fu l’ultima a entrare e indugiò sulla soglia, abbracciando con lo sguardo l’alto soffitto con il residuo di un mosaico dorato e gli archi snelli lungo le pareti. Di fronte a loro un alto pulpito privo di scale sporgeva verso la sala, ma quando Fedra si voltò per controllare alle proprie spalle di non essere seguita i due battenti, fiancheggiati dalle statue di due arcieri, si chiusero con un tonfo.
“Ma cosa…”
Ai quattro angoli della sala bracieri si incendiarono e dal nulla, in un lampo pallido, una fila di elfi comparve dietro di lei. Tutti uguali, cappuccio grigio e corazza di scaglie, archi tesi e puntati verso di loro.
“Varric, posso dire ‘merda’?” Chiese Cole.
“Sarebbe molto appropriato, ragazzino”.
Cassandra si voltò di scatto, scudo sollevato e guardia alta.
“Ci stavano seguendo!”
“No”, disse Morrigan. Era l’unica a non essersi voltata, lo sguardo fisso in alto, davanti a sé. “Ci stavano aspettando”.
Sull’alta predella, a braccia incrociate, un elfo avanzò dall’ombra. Sotto al cappuccio grigio il viso era cinereo, un tatuaggio verde ramificato sulla fronte e occhi a mandorla, dallo sguardo remoto.
“Venavis”. Una voce profonda che rimbombò in tutta la sala. “Voi… non siete come gli altri invasori”.
“Nel senso che non siamo dei fanatici o dei mostri infestati? Gentilissimo”, borbottò Dorian. Cassandra gli tirò una gomitata.
Gli occhi antichi si posarono su Fedra, la scrutarono e la fecero sentire quasi più in pericolo della dozzina di frecce puntate alla schiena.
“Tu”, le disse, avanzando fino al bordo dell’altura. “Tu rechi il marchio di una magia che mi è… familiare”.
L’ancora brillò sul palmo di Fedra e mando scosse lungo il braccio.
“Com’è potuto accadere? Qual è il vostro legame con i primi che hanno disturbato il nostro sonno?”
Fedra si riscosse e mosse un passo avanti con le braccia allargate.
“Senti, elfo, mi dispiace se vi abbiamo svegliato, è una cosa che fa incazzare di brutto anche me. Comunque tu chi saresti?”
Le sopracciglia incolori dell’elfo si corrugarono e le mani, avvolte in guanti di metallo dorato, si giunsero davanti al volto.
“Il mio nome è Abelas. Siamo sentinelle, investite del sacro dovere di difendere questo luogo dai profanatori. Ci destiamo dal nostro sonno solo per combattere, per fermare gli invasori… ma ogni volta siamo meno numerosi”.
“E io che mi lamento del mio lavoro”, bofonchiò Varric. Era di spalle dietro Fedra, Bianca puntata contro gli arcieri.
Abelas iniziò a camminare avanti e indietro.
“So cosa cercate, voi come tutti coloro che vi hanno preceduti. Volete bere dal Vir’Abelasan”.
“Il Pozzo del Dolore”. Morrigan era rapita, gli occhi da falco sgranati e la bocca socchiusa. L’immagine stessa dell’avidità di sapere.
L’elfo si fermò e guardò Fedra con odio lampante, i denti scoperti in un ringhio.
“Non è per voi. Per nessuno di voi!”
Fedra gli si avvicinò ancora, schivando la mano di Cole che cercava di trattenerla.
“Parliamone, Abelas. Io sono Fedra e sono finita in tutto questo per puro caso, quindi non credere che sia qui per profanare chissà cosa. Io neanche lo so cos’è il Vir Coso, il Pozzo del Dolore…”
“Questo secondo me conta come profanazione”, mormorò Dorian.
“Vir’Abelasan è un cammino riservato a coloro che si impegnano per ottenere il favore di Mythal. Questo è tutto ciò che vi occorre sapere”.
“Roba da sacerdoti, quindi”, tagliò corto Fedra. “Abelas, credimi, veniamo in pace: il Pozzo sembra essere una fonte di potere che ci permetterebbe di salvare il mondo qui fuori da un tizio che vorrebbe distruggerlo, di sicuro voi non vorrete che…”
“Il mondo è più aberrante e sbagliato a ogni nostro risveglio. Non è una ragione sufficiente per permettervi di profanare quanto abbiamo di più sacro, per attingere a un potere che comunque non potreste utilizzare”.
L’ancora brillò più intensa per l’improvvisa ondata di rabbia. Abelas rivolse un rapido sguardo alla luce verde e Fedra abbassò la testa e scoprì i denti.
“Perdete tempo a fare la predica a noi ma i seguaci di Corypheus li avete lasciati passare!”
“Essi riceveranno il vostro stesso trattamento. Come loro, voi siete usurpatori e non permetterò che il Vir’Abelasan venga corrotto… se anche dovessi distruggerlo io stesso. Masal din’an!”
“No!”
Il grido di Morrigan accompagnò lo scatto dell’elfo che si voltò e sparì nell’ombra.
E poi, di tutte le cose che Fedra si sarebbe aspettata, accadde la meno probabile. Morrigan mosse due passi di corsa e svanì in un lampo viola e nero; al suo posto un corvo si levò in volo dietro Abelas.
“Può fare quella cosa? Anche io voglio farla! Magari non un corvo, ma comunque…” Dorian era ammirato, ma il sibilo della prima freccia e il tonfo con cui si infisse nello scudo di Cassandra lo riportò al presente.
“Grazie, Cercatrice. Penso tu mi abbia appena salvato la…”
“Ma qualche volta ti capita mai di stare zitto?”
Cassandra lo superò e caricò gli arcieri con l oscudo a ripararle la testa.
Dorian fece spallucce e alzò una barriera davanti a sé.
“Il fatto è che amo il suono della mia voce…”
Fedra era rimasta indietro, la mano che pulsava in modo sempre più doloroso.
La stanchezza si stava trasformando in odio, in furia cieca. Vide Varric abbattere due elfi e parare una freccia con Bianca.
“Non mi piace tutto questo, non mi piace!”
Cole emise un verso strozzato e cadde in ginocchio, una freccia che gli sporgeva dalla coscia.
Colpito. Atterrato. Sembrava più meravigliato che spaventato, le mani che lasciavano cadere le armi e si stringevano sull’asta che fuoriusciva dai calzoni di cuoio.
“Fa… male”, disse piano.
E Fedra perse ogni controllo. La scossa dal marchio le risalì lungo la spalla e fino alla gola, una gabbia di saette che le incendiava gli occhi e l’urlo che le saliva dal petto.
Non i suoi amici. Non dovevano permettersi.
Alzò la mano e l’ancora brillò così intensa da trasformare la sala in un’unica sfera di luce. Tensione nei muscoli, quella sensazione di essere trascinata e tesa verso l’alto e poi un’improvvisa debolezza che la fece barcollare e cadere in ginocchio.
La spada di Cassandra colpì il pavimento, sopra ai resti che svanivano di uno degli arcieri.
Fedra oscillò avanti e indietro e batté le palpebre: lo aveva fatto di nuovo.
“E questo cosa sarebbe?” Varric la fissava ammiccando, sconvolto.
“Sono così felice che tu abbia imparato questo trucchetto, Fedra, tu non ne hai idea”. Dorian strappò una freccia dall’asta del bastone e il sorriso gli si spense sotto ai baffi quando si accorse di Cole. Era seduto a terra con il sangue che gli colava lento dalla gamba.
Cassandra rimise in piedi Fedra e la tenne contro di sé.
“Tutto bene?”
“Io s-sì, ma Cole…”
Varric mise Bianca a tracolla e corse da lui, inginocchiandosi al suo fianco.
“Ragazzino, quanto pensi sia grave?”
“Fa male, Varric. Non pensavo facesse così male. Non sono abituato”.
Le grosse mani del nano gli presero il volto e lo tastarono.
“Pallido lo sei sempre, non riesco a capire… Dorian, un incantesimo di cura?”
Il mago si morse il labbro.
“Temo non… non siano la mia specialità. Però vale la pena fare un tentativo. Senza quella freccia, grazie”.
“Posso farcela, sapete? Insomma, è scomodo. Brucia e pulsa e cola ma non è così…”
“Taci, ragazzino. Ora dovrò farti male, ti chiedo scusa in anticipo…”
“Tu non mi faresti mai male apposta, Varric. Sei mio amico”.
Qualosa luccicò negli occhi azzurri del nano. Con un mezzo sorriso afferrò la freccia e strinse forte.
“Mi fai sentire ancora peggio, così. Pronto?”
“A cosa?”
Strappò. La freccia uscì con un suono umido ma Cole non emise un grido. Si limitò a sgranare gli occhi e ad artigliare il pavimento. Fedra rimase attonita a guardarlo esalare un lungo respiro tremulo.
“Te l’ho detto che avrebbe fatto male. Perdonami, Cole”. E quando Varric non usava i suoi soliti soprannomi era davvero scosso.
Dorian gli si accucciò di fianco e sfregò le mani tra di loro; Fedra, ancora appoggiata a Cassandra, non riuscì a guardare.
Fa’ che funzioni. Fa’ che non gli succeda niente di male.
“Dovremmo andare”, disse la Cercatrice con scarsa convinzione. Fedra si scostò da lei brusca e strinse le labbra.
“Non lo lascio qui. Non vi lascio qui, e se pensi che potrei farlo non hai capito niente di me, Cercatrice”.
Gli occhi obliqui di Cassandra erano imperscrutabili, fissi in quelli di Fedra.
“Forse ho capito anche troppo, Inquisitore. Il mondo ha ancora bisogno di essere salvato, sai?”
“Fatto!”
L’esclamazione entusiasta di Dorian ruppe la tensione. Entrambe si voltarono verso Cole e lo videro intento a piegare più volte la gamba.
“Pizzica, non pulsa”. Tese la mano e Varric lo rimise in piedi, un gesto così umano e spontaneo che Fedra per un attimo si dimenticò che fino a poco tempo prima era stato solo spirito. Cole si accucciò un paio di volte e raddrizzò le spalle. “Grazie, Dorian, non fa quasi più male!”
“Non dirlo con quel tono stupito, è ben poco lusinghiero”, ma gli diede una pacca sulla schiena e si rilassò visibilmente.
“Andiamo allora. Cole, stai dietro di noi, non voglio che tu ti faccia male”, disse Fedra. Cassandra scosse la testa ma con un sogghigno.
Non fu una passeggiata attraversare quel tempio. Era un labirinto di scale e porte nascoste, di leve da tirare per aprire passaggi segreti e lupi, lupi di pietra che li accoglievano a ogni passaggio e che mettevano Fedra terribilmente a disagio.
Correvano per le sale invase dal muschio, guidati dalla luce del bastone di Dorian e dal vago bagliore dorato che emanava dalle pareti. Sembrarono passare ore ma quando finalmente Cassandra spalancò a spallate l’ennesima porta che dava su un cortile interno il sole li accecò.

In fondo a una scalinata sorgeva uno spicchio di foresta fitta di alberi immensi e infestata da farfalle e uccelli di ogni colore, con una cascata che scendeva per chissà quanti metri oltre il terreno. Una piattaforma sorgeva a una dozzina di metri d'altezza, circondata dai rami ritorti di un albero morto; tra le radici Calpernia guardava verso l'alto, rapita, mentre un manipolo di Venatori massacrava pochi elfi superstiti.
Fedra si fermò all'imboccatura del cortile.
“Così vicina...” La voce di Calpernia era sommessa ma lì, in quel luogo di magia, riecheggiava sotto alle fronde. Mosse il braccio di lato e i Venatori sollevarono la testa all'istante, come un branco di cani richiamati dalla padrona. La raggiunsero – l'ultimo elfo venne lasciato ad annegare a faccia in giù in un rigagnolo – e le si schierarono attorno.
“Il Pozzo riconoscere il suo recipiente... e anche coloro che vorrebbero profanarlo. Allontanati, Inquisitore”.
Si voltò verso di loro e fissò Fedra senza quel ghigno che aveva avuto in precedenza. Era seria, più giovane di quanto fosse sembrato poco prima.
“Non ci penso nemmeno ad andarmene, se permetti. Ci è voluto parecchio per arrivare fin qui”, le rispose avvicinandosi di un passo.
“Presto diventerò un tutt'uno con il Pozzo, Inquisitore. Te lo ripeto, vattene: questo non è il tuo momento”.
“Sarei più incline a credere alla tua buona fede se non ti accompagnassi a delle brutte, brutte compagnie”. Fedra indicò i Venatori assiepati alle spalle di Calpernia, che scosse la testa.
“Ti sto dando una possibilità di salvare la tua gente, Inquisitore. Voi avete bisogno di Corypheus, dovete solo rendervene conto! Il Pozzo trabocca di una conoscenza incredibile, di un potere abbandonato da coloro che gli elfi veneravano come dei”. Per un attimo si voltò a guardare verso l'alto e Fedra seppe dove si trovasse il Pozzo, quindi riportò lo sguardo su Fedra. “Grazie a esso Corypheus potrà entrare nell'Oblio anche senza l'Ancora”.
“Ah, ecco a cosa serviva!” esclamò Dorian battendosi la mano sulla coscia.
Fedra inclinò la testa.
“Avete un sacco di cose in comune tu e il tuo amichetto brutto. Per esempio vi divertite un sacco a spiattellarmi i vostri piani malefici. Ora, Calpernia, ti consiglierei di farti da parte e lasciar perdere”.
La donna gettò iondietro la testa e scoppiò in una breve risata acida.
“Altrimenti?”
Il primo dei Venatori cadde di schiena con le mani strette attorno al dardo di balestra che gli sbucava dalla gola.
“Questa vale come risposta? Ne ho parecchie altre!” Varric ricaricò e puntò un secondo bersaglio.
Partirono in carica, Venatori contro Inquisizione, ma non Calpernia. Sparì in un lampo di luce e ricomparve di fronte a Fedra, scagliandole contro una sfera di energia che la sollevò da terra e la mandò a schiantarsi contro una radice.
L'ansa di legno le impattò contro il fianco e la fece rotolare via, senza fiato e con lampi di sofferenza che le raggiungevano il cuore e la testa; riuscì a mantenere la stretta solo su uno dei pugnali e l'altro andò a perdersi nella boscaglia. Fedra lottò per rimettersi in piedi ma prima che ci riuscisse Calpernia era di nuovo davanti a lei, la testa china per guardarla meglio.
“Non era necessario che andasse così, Inquisitore, lo sai?”
“Oh, ma s-stai zitta!” sibilò. Riuscì a rotolare via da una seconda bordata di magia che lasciò un cratere bruciato tra le foglie dove un istante prima si era trovato il suo torace e a strisciare in ginocchio.
Troppo vicina per sguainare i pugnali, troppo pericolosa per aspettare che qualcuno intervenisse a salvarla. Fedra aprì le dita e lasciò cadere l'unica arma rimasta.
Calpernia annuì una volta.
“Ti stai mostrando ragionevole, vedo. Non temere, farò in modo che il mio signore ti...”
Un montante la prese dritta sotto alla mandibola e le fece ribaltare la testa all'indietro. Calpernia barcollò e Fedra non si fermò: un pugno alla base dello stomaco, un altro in bocca. Sentì i denti scalfirle le nocche, avvertì l'euilibrio che abbandonava l'avversaria e continuò.
Calpernia cadde di schiena e Fedra le montò a cavalcioni, una mano stretta sulla gola, l'altra – la sinistra, con il marchio che brillava nel pugno – che calava e fracassava denti e naso e ossa. Anche le sue, ma non le importava.
Era senza fiato, ogni muscolo del corpo che le doleva per i giorni di viaggio e le lunghe battaglie, ma non riusciva a fermarsi. Calpernia smise di lottare e di scalciare e attorno a lei i suoni della battaglia si fecero più attutiti.
Ansante, con i capelli sciolti e sporchi incollati al collo e alla fronte, Fedra si interruppe con il pugno grondante ancora sollevato.
Gli occhi di Calpernia erano fessure tra le palpebre gonfie, il sorriso una mostruosità di sangue e denti spezzati.
“N-non mi ucciderai...” rantolò.
“Non ne sarei così sicura”, fu la furiosa risposta, ma mentre caricava un nuovo colpo Calpernia svanì da sotto di lei. Fedra urtò il suolo con le ginocchia e seguì il grido di Dorian.
“Lassù!”
Si voltarono tutti – Cassandra sanguinava profusamente dal naso ma non sembrava preoccuparsene, Cole zoppicava e Varric si affrettò ad andar a sorreggerlo – verso l'altura. Calpernia oscillava tremendamente sul ciglio del baratro.
“Se devo morire... non sarà per mano tua”, disse con un residuo di voce. Allargò le braccia e si lasciò cadere nel vuoto.
Fedra chiuse gli occhi e strinse i denti, ma il rumore del corpo che si schiantava contro le rocce sottostanti si perse nel fragore dell’acqua che scorreva. Quando li riaprì vide qualcosa che avrebbe tanto preferito non fosse lì.
Abelas emerse da una chiazza di luce e li guardò per un istante prima di mettersi a correre verso la base della piattaforma.
“Di nuovo quell'elfo...” Cassandra sputò e si preparò a caricare, ma Abelas la prevenne. Agitò le mani e una serie di gradini bordati di luce sbocciò dalle radici ritorte. Più li risaliva e più che sorgevano, creando una rampa verso il Pozzo.
“Andiamo!” Fedra recuperò da chissà dove un residuo di energie per rimettersi a correre dietro all'elfo. Sbucò in cima all'altura reggendosi il fianco e vi trovò Abelas parato davanti a quello che doveva essere il Pozzo del Dolore, uno specchio d'acqua circolare e immobile di fronte a quello che aveva tutto l'aspetto di un Eluvian rovinato, coperto di muschio.
Fece giusto in tempo a tirare un paio di bestemmie per la fatica prima che un'ombra nera le sfrecciasse sopra alla testa. Il corvo gridò e planò tra lei e l'elfo, ma prima di toccar terra esplose di luce viola. Morrigan si alzò da terra e puntò il dito contro Abelas.
“Hai sentito cos'ha detto, prima: intende distruggere il Pozzo!”
La voce dell'elfo era un grido spezzato, frustrazione vecchia di millenni che veniva a galla.
“Certo! Qualsiasi cosa pur di tenerlo lontano dalle vostre mani! Che vada perduto piuttosto che servire gli indegni!”
Morrigan strinse i pugni e incalzò l'elfo, i denti scoperti come un animale selvatico.
“Avete lasciato l'eredità del vostro popolo a far la muffa per secoli!”
“Abelas... Abelas, ti scongiuro. Potrebbe essere essenziale per sconfiggere Corypheus!”
“Non mi importa nulla dei vostri patetici conflitti, Shemlen!”
Gli altri si affaciarono in cima alle scale.
“Non conosco l'elfico ma secondo me vuol dire 'pezzenti' o qualcosa del genere”, commentò Varric.
“Ti importerà quando Corypheus verrà per il Pozzo!” gridò Fedra.
L’elfo scosse la testa e sul viso pallido scese un’infinita, straziata stanchezza.
“Voi non sapete cosa chiedete. Quando un servitore di Mythal raggiunge la fine dei suoi anni la sua conoscenza viene trasmessa alle generazioni future… attraverso questo”. Si voltò verso il Pozzo. “Tutto ciò che siamo stati, tutto ciò che abbiamo conosciuto andrà perduto per sempre”.
Fedra lo vide stringere i pugni e chinare il capo. Dopo un lungo silenzio Abelas alzò la testa senza voltarsi.
“Il nostro dovere è tutto ciò che ci rimane. Coloro che hanno bevuto dal Vir’Abelasan hanno pagato un grande prezzo, legandosi per l’eternità al volere di Mythal. E forse questo è l’unico modo per…”
Fedra non capì cosa fosse successo. Abelas era di fronte a lei e un istante dopo si ritrovò a terra, abbagliata da un lampo di luce e circondata da una nuvola di fumo scuro.
“Ma che cosa…”
Morrigan balzò in piedi al suo fianco, una sagoma snella nel fumo. Tossendo Fedra scorse le braccia di Abelas agitarsi sul pozzo in ampi cerchi e, nella penombra, scintille blu brillargli negli occhi.
Qualcosa stava accadendo, qualcosa di magico e arcano che non sarebbe mai stata in grado di comprendere.
Non fece neanche in tempo ad alzarsi. Le acque del Pozzo sobbollivano e si levavano in archi seguendo il movimento delle braccia di Abelas, e poi ricaddero schizzando tutt’attorno. Luce e fumo si dissiparono, le stelle negli occhi dell’elfo si spensero mentre Morrigan, in piedi alle sue spalle, estraeva il pugnale che gli aveva piantato nella schiena.
M-Mythal sulevin”, sussurrò Abelas con un filo di voce. Un rivolo di sangue gli colò dal labbro e fin sul mento prima che si accasciasse a terra. Morto.
“Sei un’assassina!” La voce di Cassandra squassò l’aria; passò di fianco a Fedra, la scavalcò e raggiunse Morrigan, la spada alta.
La maga schioccò le labbra e la guardò dal basso, con uno sguardo gelido negli occhi gialli.
“E lui uno sciocco che è morto per niente. L’ultimo della sua stirpe e guardalo…”
Fedra si aggrappò alla gamba di Cassandra e si alzò, scossa.
“Non… non dovevi ucciderlo. Credo. Non così almeno…”
“Fedra, avrebbe sprecato la nostra ultima possibilità di sconfiggere Corypheus! Guarda”, e indicò il pozzo con il pugnale ancora insanguinato. L’Eluvian era opaco, coperto di muschio. “Avevo ragione: l’altro Eluvian era qui e… e…”
“Hai pugnalato quell’elfo alle spalle!” Cassandra non abbassò il tono né la spada.
“Lo rifarei! L’Eluvian è ancora una minaccia, Corypheus potrebbe ancora usarlo per i suoi piani. Se Abelas avesse bevuto dal pozzo ne avrebbe annullato il potere, ma se lo facessi io…”
“Chissà perché mi aspettavo saremmo arrivati a tanto”, brontolò Dorian. Fedra si voltò a guardarlo ma il mago alzò le mani. “Non guardare me, non ci tengo particolarmente. Tevinter, ricordi? Per una volta non sono io quello assetato di conoscenza, vi lascio volentieri la roba degli elfi”.
Gli occhi gialli di Morrigan si spsotarono su Fedra.
“Se lo facessi io avremmo la chiave per l’Eluvian. Io sarei la chiave, e Corypheus non potrebbe mai usarlo contro di noi”.
“Tu. Perché non lei?” Cassandra indicò Fedra con lo scudo.
“No no, io proprio no”, si affrettò a risponderle. “Senti, Abelas ha parlato di un prezzo da pagare, di legarsi per sempre al volere di Mythal… mi ci vedi a passare le ere a braccetto con una divinità di qualche tipo?”
“Meglio tu che lei!”
“Io non voglio! Cosa intendi fare, costringermi?”
“Ma lei…”
Fedra si scostò dal cadavere di Abelas e indicò il resto del gruppo. Dorian scosse piano la testa, mentre Varric e Cole si limiarono a sguardi parimenti perplessi.
“Fattene una ragione, Cercatrice. Tu sei troppo una fervida credente per macchiarti con una cosa del genere, Fedra ha il diritto di non volerne sapere nulla e noi siamo inadatti. Chi rimane?”
Cassandra emise un verso particolarmente disgustato e rinfoderò la spada.
“Non mi piace, neanche un po’”.
“Nemmeno a me fa impazzire, ma è la soluzione meno peggiore che abbiamo”. Fedra sostenne il suo sguardo fino a che non la vide cedere, quindi si voltò verso Morrigan.
“Non so cosa comporterà tutto questo, Morrigan, ma potrebbe essere un sacrificio e non un onore quello che ti tocca”.
L’incantatrice sorrise, quell’espressione selvatica e inquietante che la faceva sembrare molto pericolosa. Probabilmente un’impressione corretta.
“Probabilmente se ti ringraziassi la Cercatrice mi appenderebbe al muro. Sto solo facendo ciò che va fatto”. Abbandonò il bastone e il pugnale, fece un mezzo inchino e raggiunse il pozzo.
Fedra indietreggiò con gli altri.
“Potrebbe essere una buona idea o una tragedia”, sussurrò Dorian.
“Prega che sia la prima”.
Morrigan camminò fino al centro dello specchio d’acqua, dove si chinò e bevve dalle mani a coppa. Non potevano vederla in viso, tutto ciò che scorgevano era la sua schiena mentre si inginocchiava in fondo al Pozzo.
Abelas ci era andato vicino. Un alone di luce circondò Morrigan e divenne sempre più intenso, fino a trasformarsi in una colonna abbagliante che salì fino al cielo. Fedra si coprì gli occhi con il braccio e si ritrovò chissà come tra le braccia di Dorian; l’aria era piena dell’urlo disumano della maga e per un attimo Fedra fu molto felice di non aver scelto di bere.
L’acqua si levò attorno a Morrigan in un’ondata che li investì in pieno; Varric dovette prendere Cole al volo prima che finisse spazzato via verso la scalinata e Fedra si piantò a terra, stretta contro Dorian.
“Va bene, a conti fatti forse sono felice che tu non abbia scelto il Pozzo”, ammise Cassandra quando l’ondata si fu placata, rialzandosi fradicia. Fu lei ad accorrere verso il bacino vuoto, a chinarsi sulla forma distesa di Morrigan. Fedra la raggiunse subito e prese la maga per la spalla, scrollandola.
“Morrigan! Stai bene? Cos’è successo?”
Era pallida ma rispose subito al richiamo. Spalancò gli occhi e si alzò a sedere, ansante.
“Ellasin selah! Vissan… Vissanalla…”
“Straparla?” chiese Dorian.
Morrigan si tastò la faccia, si prese la testa tra le mani e alzò lo sguardo sul gruppo.
“No io… sto bene. Devo solo… accettare molte cose, immagino”. Cassandra, sebbene ancora corrucciata, le diede la mano per alzarsi e la maga accettò. “Dobbiamo…”
Scintille azzurre si dipanarono dai suoi piedi e lungo le gambe, contagiando Fedra e tutti gli altri.
“Cosa sta succedendo?” chiese Dorian guardando in basso.
“Lui… è qui”. La voce di Cole tremava mentre si voltava verso il tempio.
Lui.
Corypheus, alto e nero sulla balconata da cui l’Inquisizione si era affacciata al suo arrivo.
Non riusciva a vederlo in faccia, Fedra, ma per quel lungo istante in cui si fissarono ne percepì la rabbia impotente, subito trasformata in un grido furibondo.
“No!” ruggì mentre si levava nell’aria e fluttuava verso di loro.
“Sa anche volare? Questo è troppo!” gemette Fedra. Morrigan indietreggiò fino all’Eluvian e lo fissò per un istante; qualcosa di azzurro le sbocciò dai palmi e si fuse con la superficie opaca.
Il cambiamento fu istantaneo: non più vetro rovinato e mangiato dalle ere ma quelle stesse spire scintillanti che Fedra aveva già visto a Skyhold.
“Andate! Subito!”
“Cosa… cosa…” Cassandra riusciva solo a balbettare, scudo alto e spada sguainata.
Toccava a Fedra guidarli, ora.
“Dentro all’ELuvian, subito! Conosco la strada!” gridò. Con ampi gesti convinse Varric e Cole a correrle davanti, seguiti da Dorian che esitò solo un attimo nell’entrare, intento a guardarsi in giro.
“Bizzarro…”
Fedra gli diede uno spintone e lo fece cadere oltre lo specchio.
“Cassandra! Muoviti!”
“Non possiamo lasciarla qui!”
Muoviti!”
Qualcosa nel tono di Fedra ruppe la barriera di onore e testardaggine della Cercatrice. Cassandra raddrizzò le spalle e si voltò, correndo attraverso la superficie splendente a occhi chiusi.
Fedra restò da sola.
“Morrigan, io… oh!”
Corypheus era vicino. Troppo. E da quel che rimaneva del Pozzo del Dolore, proprio di fianco a Morrigan, emerse una figura dello stesso colore dell’Eluvian. Una donna, luminosa e carica di potere, che salì nell’aria e stese le braccia.
“Mythal…” la voce della maga era un sussurro.
“Morrigan, va’ da Cullen, avvisalo di ritirarsi! Ti prego, ti prego fallo!”
Per un attimo non ottenne risposta. Poi, proprio mentre Corypheus si schiantava contro la figura di luce, senza nemmeno voltarsi a guardarla Morrigan si trasformò in corvo.
Doveva fidarsi di nuovo. Fedra prese un profondo respiro e indietreggiò nello specchio.



Nuova domenica, nuovo capitolo :)
Siamo quasi alla fine, giusto un altro po' di dolore in arrivo. Quanto mi è costato far soffrire Cole T__T il mio bimbo strano...
Come sempre grazie e alla prossima!

Val

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Capitolo 23
*** 23-Siamo a casa e il mondo mi sta crollando sotto ai piedi. ***


Fedra emerse dall’Eluvian in quel luogo grigio che Morrigan aveva chiamato l’Incrocio, andando a sbattere contro la schiena corazzata di Cassandra.
“Dove siamo?”
“Non ha importanza, non ci rimarremo a lungo. Dunque... adesso…”
Si guardò intorno. L’aria era grigia come la ricordava, rovine sbiadite in lontananza e dozzine di Eluvian spezzati; Cole iniziò a tremare e si calcò il cappello in testa, coprendosi il viso con la tesa.
“Tranquillo, Cole, ce ne stiamo andando. Credimi”.”
“T-Ti prego, non mi piace stare qui…”
“Ci sono quasi, ci sono… ah! Eccolo!” e si mise a correre verso l’unico specchio acceso. “Entrate tutti, torniamo a Skyhold!”
Nessuno trovò da ridire. Uno dopo l’altro le sfilarono davanti e Fedra, rimasta per ultima, si voltò. Lo specchio da cui erano arrivati era nero. Spento. Corypheus non sarebbe passato di lì.
Con il peso caldo della vittoria nel cuore si tuffò nell’Eluvian e abbandonò quel luogo sospeso tra l’Oblio e la realtà.
Atterrò nel ripostiglio di Skyhold sollevando una nuvoletta di polvere e caracollò oltre Cassandra e quasi in braccio a una inserviente con le braccia cariche di stracci.
La ragazza sgranò gli occhi e li fissò senza proferir parola.
“Sì… ecco… siamo tornati. In parte”, disse Fedra. “Non stai per metterti a urlare, vero?”
“C-Ci p-proverò”, balbettò la ragazza.
“Fantastico. Ehm… grazie? Immagino. Puoi andare”.
Lo fece senza mai battere le palpebre e con le labbra contratte.
Non sarebbe stato facile da spiegare a Skyhold, ma per fortuna le Furie si rivelarono pronte ad ascoltare.
Quando Fedra emerse dal cortile, arruffata, coperta di sangue e con ogni muscolo che gridava per il dolore, Krem si precipitò giù dalle scale.
“Capo! Siete davvero voi? Una delle ragazze aveva detto che… che…”
Le si avvicinò e la prese per le spalle, scrutandola da vicino.
“Sembrate tutta intera, anche se siete tutta ammaccata. Cos’è successo? Il Toro sta arrivando, anche lui era preoccupato. Josephine dov’è?”
“Krem, sto bene. Credo, ho male dappertutto e… e…”
Il mercenario se la scostò di dosso e non la lasciò andare.
“Dove sono tutti gli altri?” Le sopracciglia si congiusero sopra agli occhi scuri mentre scrutava oltre la testa di Fedra e faceva la conta.
“L’esercito è ancora alle Selve Arboree e noi… ah, Krem, è abbastanza complicato da spiegare. Puoi chiamare il Toro e Solas, per favore? Sono sicura che seduti a un tavolo sarà tutto più facile”.
Non fu in grado di dire se la posizione seduta fosse o meno stata d’aiuto, ma nelle due ore successive, ancora incrostata di fango e sporcizia e con una stanchezza mortale che le strisciava per le ossa, Fedra spiegò tutto al Toro di Ferro e a Solas, pallido e avido di conoscere ogni dettaglio.
Qualcosa sul suo strano viso senza età sembrava cambiato, come se la sete di sapere lo consumasse nel profondo.

“Vuoi dire che mi sono perso di nuovo il drago? Ah, dimmi che non lo avete ammazzato, non me lo perdonerei mai!”
“Potrebbe essere ben peggio di così”. Solas, in piedi davanti alla finestra nella sala di guerra, non si voltò. “Hai detto che Corypheus si è… reincarnato?”
“Qualcosa del genere”. Fedra si prese la testa tra le mani e cercò di lottare contro lo sfinimento. Aveva raccontato ogni dettaglio e ci erano volute ore, con il cielo ormai buio e il sonno che lottava con la fame; rivisitare il ricordo del Custode Grigio che esplodeva come il bozzolo di un orrendo insetto non era il massimo prima di andare a dormire.
Solas si voltò di scatto e la fissò per un lungo istante.
“Non ho prove e si tratta solo di congetture. Hai fatto bene a lasciare Morrigan con le truppe, se ciò che hai raccontato è vero – e non ne dubito – il suo aiuto sarà essenziale per rendere più agevole il rientro dell’esercito. Ho urgente bisogno di parlarle… dopo la follia che ha fatto al Pozzo del Dolore non oso immaginare cosa potrebbe esserle accaduto”.
Era troppo da immagazzinare. Un a uno i compagni si allontanarono.
“Andiamo, ragazzino, mi sembri ancora scosso”. Varric si portò via Cole dandogli delle pacche sul braccio. “Hai bisogno di bere qualcosa”.
“Pensi che mi aiuterà?”
“Sei umano, adesso. Scommetto che un paio di bicchieri male non possono farti”. Il nano ammiccò a Fedra e sparì oltre la porta.
Cassandra uscì con Solas e il Toro, ma indugiò sulla soglia. Per un lungo attimo guardò Fedra mordicchiandosi il labbro, poi sbuffò.
“Bah. Può aspettare”, disse sibillina. “Riposati, Fedra, ne hai bisogno più di tutti noi.
Ultimo rimase Dorian. Fedra lo sbirciò attraverso i capelli sporchi che le spiovevano davanti al viso; non era in condizioni molto migliori di lei, con un labbro spaccato, il mento scuro di barba non fatta e i capelli pieni di foglie. In un altro momento quella sciatteria lo avrebbe mandato su tutte le furie, ma sembrava troppo stanco persino per quello. Si accucciò davanti a Fedra e le prese le mani.
“Come stai?”
“A pezzi. Non so se avrò le forze di arrivare fino al mio letto, ma… ehi! Non intendevo in senso letterale, mettimi giù!” Senza preavviso Dorian aveva sbuffato e l’aveva presa in braccio.
“Cullen non me lo perdonerebbe mai se ti lasciassi a dormire per terra”.
“Scherzavo, Dorian, riesco a camminare!”
Con un borbottio incomprensibile in Tevene la rimise in piedi.
“Immagino che ora l’unica cosa da fare sia aspettare notizie, vero?”
“Penso anche io”.
Uscirono dalla sala di guerra e Dorian la accompagnò effettivamente fino all’ingresso della sua camera.
“Sai, Fedra, stavo ripensando a quello che mi hai detto prima della battaglia e… mi permetti di essere patetico per un minuto?”
“Solo un minuto però, sto crollando dal sonno”.
“Ho una famiglia che definire agghiacciante è dir poco, ma qui ne ho trovata una che posso amare veramente. Ho sempre odiato essere figlio unico”.
Forse era la stanchezza, forse l’angoscia che la attanagliava in quella Skyhold così strana e vuota, ma era davvero ciò di cui aveva bisogno. Gli cinse la vita con le braccia e seppellì il naso nelle pieghe – assurdamente profumate nonostante tutto – della veste.
“E io ho sempre voluto avere un fratello maggiore”.
Dorian la tenne stretta per un attimo e Fedra lo sentì salutare con la mano un inserviente di passaggio.
“Dici che Cullen sarà geloso?”
“Di te e me? Non direi, ma ogni tanto vorrei che la smettessi di guardargli il culo quando passa. Quella è roba mia”.
“Ho gli occhi per guardare, Inquisitore, non farmene una colpa”. Si chinò a darle un bacio sulla testa e le aprì la porta. Fedra trovò la forza di sorridergli e si sentì meno sola mentre camminava nel buio fino al letto.
Quel che restava della notte svanì in un sonno senza sogni figlio dello sfinimento assoluto che lasciò Fedra, al risveglio, confusa e in preda a un vago malessere che non sapeva identificare.

Uno dei servitori le aveva lasciato una vasca piena d’acqua che scintillava nell’aria del mattino. Fedra vi si immerse, ogni parte del corpo che doleva, e quando si fu ripulita e rivestita riuscì a sentirsi un po’ meglio.
Durò giusto il tempo di scendere fino alla sala di guerra.

Quella volta non c’era Leliana a inviare corvi ai quattro angoli del continente, non aveva Josephine che sovrintendeva a dettagliati resoconti né un esercito su cui ragionare grazie alla mente strategica di Cullen.
C’erano solo lei e Cassandra, stanche e preoccupate, e niente che Fedra potesse fare sembrava essere d’aiuto nei tentativi della Cercatrice di pianificare le mosse successive.
“Senti, io di questa roba”, e colpì con l’indice una delle pedine sulla mappa, “non ci ho mai capito niente. Non sono Cullen!”
“Oh, c’è parecchio di lui in te, soprattutto ora”, bofonchiò Cassandra a denti stretti. Recuperò la pedina e la mise a posto. “Se solo ti concentrassi un po’…”
“Non abbiamo notizie, non abbiamo aggiornamenti. Non abbiamo niente se non la certezza – relativa, più che altro una speranza – che Corypheus non riesca a usare quel cazzo di Eluvian”. Si passò le mani tra i capelli e sbuffò. “Andraste cagna, non so cosa fare”.
Troppo tardi si morse la lingua. Chiuse gli occhi e si preparò al colpo.
Il pugno di Cassandra rimase a una spanna dal suo naso, con il viso della Cercatrice contratto dalla rabbia e da qualcos’altro di strano che Fedra non riuscì a identificare.
“Ritieniti… fortunata”, ringhiò. “Questa me la pagherai”. Lasciò ricadere la mano e se la batté contro la coscia. “Lasciamo perdere, forse hai ragione. Non sulla bestemmia, sia chiaro, ma… dobbiamo aspettare. Solo aspettare”.
E aspettarono. In quei lunghi giorni di fine estate, con le valli attorno a Skyhold che iniziavano a tingersi di un verde stanco e polveroso, Fedra passò le sue giornate sulle mura.
Ripensò a tutte le volte che Cullen l’aveva guardata cavalcare via e si chiese come aveva fatto a sopportarlo. Si sentiva male ogni volta che alzava gli occhi al cielo e scambiava un’aquila di passaggio per uno dei corvi di Leliana, ogni volta che le sembrava di intravedere un’ombra all’orizzonte tra i valichi montani.
Non erano ancora tornati. L’avrebbero mai fatto.
Cassandra non la lasciò mai. Anche quando Fedra cercava di allontanarla la Cercatrice sbuffava ma persisteva, con una pazienza inconsueta.
“Non voglio che tu stia da sola. Questa situazione non è normale per te, di solito sei tu che te ne vai e torni, stare ad aspettare non ti si addice”.
“Mi chiedo come faccia Cullen…”
“Si tiene occupato. E non credere comunque che sia molto diverso da te quando non ci sei: passa ore a scrutare la strada, fa i turni al posto delle sentinelle ed è genericamente intrattabile. È ancora presto per preoccuparsi, Fedra”.
Le pietre dei merli erano calde dell’ultimo sole del pomeriggio sotto le sue mani quando Fedra si sporse in avanti e guardò giù.
Presto, certo. Erano passati solo quattro giorni, e di sicuro non sarebbero riusciti a partire immediatamente… sempre che Corypheus non li avesse attaccati, sempre che non ci fosse stato un assalto da parte del drago o qualcosa di peggio.
Quei pensieri cupi le afflosciarono le spalle e Cassandra le sfregò la schiena con la mano.
“Ti stai tormentando. Non ti fa bene”.
“Ho un po’ l’impressione che mi trattiate tutti come se fossi malata. Ho un aspetto così terribile?”
Cassandra sollevò un sopracciglio e distolse lo sguardo.
“Hai un occhio nero, una guancia coperta di graffi, un paio di costole rotte e delle occhiaie che ti arrivano fino al mento. Hai avuto giorni migliori, senza contare che… ehi. E quello cos’è?”
Si staccò da lei e Fedra, con un brivido, ne seguì lo sguardo.
Quella volta non si sbagliava, era davvero un corvo. L’uccello planò basso su Skyhold e puntò dritto verso la torre di Leliana.
“Sono notizie, ecco cosa sono”, esalò Fedra. Diede una gran pacca alla spalla di Cassandra e partì di corsa, saltando a due a due i gradini che scendevano dalle mura e attraversando a balzi il cortile. Arrivò in cima alla torre di Leliana con il fiatone e un largo anticipo rispetto a Cassandra; il corvo era appollaiato sul davanzale e la guardava con i suoi malevoli occhietti neri.
Fedra esitò. Deglutì a fatica, fece un passo avanti e l’uccello fece schioccare il becco.
“Non cercare di cavarmi un occhio, ti scongiuro! Fai il bravo uccellino!”
Il corvo sbatté le vaste ali e le gracchiò in faccia tutto il suo disprezzo.
“Oh, andiamo! Non costringermi a… a cheidertelo per favore? A corromperti?”
Cassandra sbucò in cima alle scale e sbuffò. Senza un commento superò Fedra e afferrò il corvo da sopra, tenendolo immobile tra le dita nonostante le strida di protesta.
“E stai fermo, non sono la tua padrona che ti vizia e ti coccola. Molla quel messaggio e sparisci”. Gli staccò la pergamena dalla zampa e lo lanciò fuori dalla finestra, dove con un paio di strida indignate e un gran sbatacchiare di penne il corvo riprese il volo.
Nella fresca penombra della soffitta Fedra strappò il rotolo dalle dita di Cassandra e lo aprì.
La calligrafia di Josephine era un capolavoro di eleganza e praticità, proprio come lei. Il breve messaggio rassicurava sulla sorte dell’esercito – “Il comandante Cullen sta riportando le truppe a Skyhold; dopo l’assalto al tempio non ci sono state altre perdite” – e Fedra si lasciò cadere seduta a terra con una risata isterica.
Cassandra lesse più a fondo le paroel di Josephine e sospirò di sollievo.
“Hanno perso tempo a curare i feriti e a rimpolpare le scorte, ma non gli ci vorranno più di tre o quattro giorni. Stanno tornando a casa”.
Fedra sentì le lacrime salirle agli occhi e le maledisse – non era il momento, cosa le saltava in mente? – asciugandole rapida con il dorso della mano.
“Finirà mai quest’incubo?”
Cassandra si sedette di fianco a lei e insieme rimasero a guardare la polvere che danzava nei raggi di sole.
“Lo faremo finire, te lo prometto. Ora dobbiamo solo avere pazienza”.
La stima di Cassandra si era rivelata corretta.
Fedra dormì poco e male dopo l’arrivo del corvo, nonostante la stanchezza non l’abbandonasse mai del tutto, ma quando nel cuore della terza notte di attesa un corno cantò nel silenzio seppe cos asignificava.
Scalza, con una coperta gettata sulle spalle e in camicia da notte corse fuori dalla fortezza e fino alla porte, incurante del freddo e degli sguardi a dir poco perplessi dei soldati.
Si fermò a metà del ponte levatoio proprio mentre Cullen, Josephine e Leliana staccavano il grosso delle truppe.
Cullen la vide e sgranò gli occhi. Smontò di sella e le corse incontro senza far caso agli ordini gridati dalle sentinelle e al frastuono dell’esercito dietro di lui.
Fedra non si fermò. In un attimo si trovò sommersa in un abbraccio di pelo e braccia forti e calde, e poco importava che Cullen fosse sporco per il viaggio e arruffato e che ci fosse del sangue rappreso sulla sua camicia. Era lì, era vivo ed erano assieme.
La bocca di Cullen cercò la sua in un bacio che causò un’ovazione da parte della prima linea delle truppe e Fedra non riuscì a non ridere contro le labbra che la sfioravano.
“Tesoro, sono a casa”. La voce di Cullen vibrava divertita e Fedra sbuffò.
Un’ombra nera passò loro sopra alla testa e, con uno sbuffo, Morrigan riprese la sua forma al loro fianco.
“Adorabile. Ora però abbiamo qualcosa di urgente di cui parlare, se non vi dispiace”. C’era una strana eco nella voce della maga, qualcosa di antico e difficile da identificare.
Fedra si staccò bruscamente dall’abbraccio e tossicchiò.
“S-Sì, certo. Ehm… io…”
“Vai nella sala di guerra, ti raggiungiamo subito”. Leliana stava smontando da cavallo, seria ma con un sorriso nascosto negli occhi. Le fece l’occhiolino e Fedra, di colpo consapevole della camicia da notte e dei piedi nudi, cambiò colore.
“Vado. Subito”. Si avvolse meglio nella coperta e cercò di non correre, testa alta e spalle dritte. Come se non fosse corsa per Skyhold mezza nuda. Cassandra, che ne lfrattempo era scesa a sua volta e si stava allacciando la cintura, la guardò con fare rassegnato, si voltò e se ne andò scuotendo la testa.
“Sei senza speranze…”
Non rimase sola a lungo nella sala di guerra, anche se la compagnia della sua stessa eccitazione nel vedere Cullen – ma anche tutti gli altri! – sani e salvi era più che gradevole. Si sedette sul bordo del tavolo e lasciò penzolare i piedi scalzi e infreddoliti, salvo balzare giù con un sussulto all’arrivo di Morrigan e degli altri consiglieri.
Cullen le regalò un vasto sorriso. Non si poteva dire che la missione nelle Selve Arboree gli avesse fatto bene: aveva un profondo squarcio in via di guarigione sulla tempia e un labbro gonfio e spaccato, oltre che una ferita al braccio che sembrava essersi riaperta. Josephine lo superò scrollando la testa con disapprovazione.
“Ha insistito per cavalcare a marce forzate e guarda un po’, la ferita si è riaperta…”
“E’ solo un graffio, Josie, ma sei gentile a preoccuparti per me”.
Leliana e Josephine, per quando visibilmente stanche – pallide e con gli occhi cerchiati di scuro – erano incolumi e subito si misero in posizione, lanciandosi prima uno sguardo intenso che fece annuire seria l’Usignolo. Cullen posò un altro bacio sulle labbra di Fedra e qualcosa sembrò rilassarsi dentro di lui.
“Sono felice di annunciarti che abbiamo vinto, Inquisitore”, disse Morrigan. Ora che la guardava meglio Fedra si accorse che era l’unica a non mostrare segni di fatica.
“Quando – e lady Morrigan è stata fondamentale nel ricostruire i fatti – sei entrata nello specchio Corypheus e il suo arcidemone sono fuggiti”. Cullen si sfregò la nuca e fece spallucce con una smorfia di dolore. “Non so come mai”.
“Ciò che cercavano non era più nel tempio”, rispose Morrigan.
“Quindi è… sparito?” azzardò Josephine. Fedra avrebbe voluto condividere il suo ottimismo ma qualcosa le diceva che era fuori luogo.
Leliana camminò avanti e indietro davanti al tavolo.
“Ha subito di certo un altro duro colpo. Se è saggio Corypheus si nasconderà per ritrovare le forze per un prossimo attacco”. La stanchezza le segnava gli occhi, disegnando sottili rughe sulla pelle liscia. “Ah, vorrei tanto che potessimo dire di averlo sconfitto…”
Un singulto sfuggì dalle labbra di Morrigan e persino Leliana trasalì, guardandola preoccupata.
Cullen fu lesto a prenderla per il braccio e a sostenerla, ma la maga lo allontanò con un gesto; si prese la fronte nel palmo e scosse la testa.
“Non… non si nasconderà. Lui… no, non lui: il drago!” Alzò di scatto lo sguardo e le pupille erano spilli nelle iridi da falco. “Non è un arcidemone, non lo è mai stato: è solo un drago in cui Corypheus h ariversato parte del suo potere”.
“E questo cosa…” le parole di Fedra le si spensero in gola. C’era una luce soprannaturale sul viso di Morrigan e di colpo si ricordò di quanto era felice di non aver bevuto dal pozzo.
“La conoscenza del Vir’Abelasan è… è… ah, grazie per avermela concessa, Inquisitore! Ora so! Quel drago è il segreto per l’invincibilità di Corypheus: uccidiamolo e lo priveremo della sua capacità di saltare da un corpo all’altro. Potremo distruggerlo!”
“E queste cose dove le avresti imparate?” Nel tono di Leliana c’era un misto di sfiducia e vaga invidia, cui Morrigan rispose con un ghigno.
“Me le ha dette Mythal, insieme a qualche altro trucco che ci tornerà utile”.
“Ne parlate come se fosse una cosa da poco: Corypheus è una sfida di per sé, ma con il suo drago…” Cullen si sfregò gli occhi con pollice e indice.
“A quello penserò io. Quando verrà il momento vi chiedo di fidarmi di me un’ultima volta. O una prima, nel tuo caso”, e ammiccò a Leliana. Fece un mezzo inchino e se ne andò con un sorriso enigmatico sul volto, lasciando tutti a fissarla incerti.
Josephine nascose uno sbadiglio dietro alla cartelletta e si voltò verso il cielo notturno.
“Possiamo concederci del tempo per pianificare la prossima mossa. Nessuno degli esploratori ha trovato notizie del nemico, quindi è lecito aspettarci un attacco… ma non adesso”.
“Non adesso, per fortuna. Terrò d’occhio Morrigan, Fedra, perché non sono sicura che ci abbia detto tutta la verità”. Leliana roteò il collo e se lo massaggiò con la mano guantata.
“Di certo non è così, ma prima o poi vi racconterò più nel dettaglio cosa è successo al tempio di Mythal. Ora credo abbiate tutti bisogno di riposare, vero?”
Leliana e Josephine si diressero alla porta trascinando i piedi e Cullen le seguì.
“Buon Creatore, non ho la forza di attraversare il cortile e salire fino al mio letto. Mi troveranno addormentatao sulle scale…”
“Noi andiamo, buona notte!” esclamò con troppo entusiasmo Josephine. Prese Leliana sotto braccio e accelerò, lasciandoli soli in mezzo alla navata principale. Fedra non riuscì a non ridere.
“Serve che ti inviti o possiamo evitarci la formalità?” chiese indicando con un gesto della mano la porta che conduceva ai suoi alloggi. Cullen stese le braccia sopra alla testa e spalancò la bocca in uno sbadiglio da leone.
“Non posso garantirti di riuscire a restare sveglio il tempo di svestirmi”, bofonchiò battendo le palpebre. Fedra provò un sussulto di tenerezza e lo prese per il braccio.
“Per questa notte non approfitterò del povero, sfinito comandante Cullen. Andiamo”.
Cullen tenne fede alla sua parola e si accasciò sul letto dopo essere giusto riuscito a togliersi gli stivali. Era ingombrante, braccia e gambe allargate sul materasso che occupava quasi interamente, e ben lungi dall’essere pulito o presentabile. Fedra sospirò di piacere e si acciambellò contro il suo fianco.
Per quella notte erano al sicuro ed erano assieme. Il resto poteva aspettare.
Si svegliò intorpidita, debole per la nottata a metà e felice nel vedere Cullen rannicchiato all’altro capo del materasso, un bozzolo di coperte da cui sbucava la sommità della testa irta di riccioli scomposti. Felicità che durò il tempo di sentirlo tremare e ansimare piano.
Incubi. Come al solito. Ogni volta le spezzava il cuore vederlo così, ma almeno sapeva di poter fare la differenza; gli mise le mani sulla spalla e lo scrollò.
“Cullen, va tutto bene, svegliati”, gli sussurrò all’orecchio. Al secondo tentativo la sagoma massiccia sotto le sue mani si rilassò con uno sbuffo.
Il materasso sussultò quando Cullen si voltò sulla schiena e batté le palpebre nella luce del mattino.
“Scusa, non volevo…”
“… farmi preoccupare? Smettila, lo dici sempre”, e gli baciò la fronte. Era ancora vestito come il giorno prima e sapeva di cavallo, ma averlo accanto rendeva quel risveglio migliore di quelli degli ultimi giorni. Cullen si alzò stropicciandosi la faccia, goffo e con gli occhi gonfi.
“Faccio schifo e tutti mi vedranno uscire dalla tua camera”.
“E ti dà così fastidio? La parte sul fare schifo, intendo…”
Questo lo fece ridere. Si chinò a darle un rapido bacio a fior di labbra e cercò con scarsi risultati di ravviarsi all’indietro i capelli.
“Ho un esercito da rimettere in ordine, ma ti giuro che questa sera sarò pulito e… accidenti, Fedra, il tuo letto è più comodo del mio!”
Fedra ridacchiò nonostante quel vago malessere che non voleva andarsene e diede dei colpetti con la mano al materasso.

“Ho i miei privilegi, ma c’è spazio in abbondanza per tutti e due”.
Cullen le fece l’occhiolino tutto assonnato e sorrise mentre recuperava gli stivali e scendeva le scale.
C’era da fare, certo, ma Fedra non ne aveva molta voglia. Per qualche minuto rimase distesa a guardare il soffitto, la nausea che diventava fame, e alla fine si risolse a vestirsi e scendere.
La giornata passò lenta. Incrociò ilsoldato Jim che trotterellava alle calcagna di un Cullen di nuovo padrone di sé, pulito e in ordine, e gli sorrise, causando una vampata di rossore nel povero ragazzo.
Tutto sembrava tornato al posto giusto – avere gli amici a portata di mano, essere sicura che stessero bene era un premio senza prezzo, per lei.
Varric doveva pensarla più o meno allo stesso modo, perché quella sera, dopo una cena particolarmente noiosa passata a rimpinzarsi di costolette d’agnello sopra a una pila di rapporti da analizzare, le venne incontro mentre attraversava la navata.
“Eccoti qui, Carota! Ti stavamo cercando tutti!”
Fedra si guardò attorno. Doveva essere piuttosto tardi visto che in giro si vedeva solo un pugno di servitori. Si pulì uno sbaffo di sugo dal mento e sollevò le spalle.
“Cos’è successo questa volta?” Era pronta a preoccuparsi, ma l’espressione allegra del nano non minacciava cataclismi. Varric le mise un braccio attorno alla vita e la spinse con sé.
“Stavamo per cominciare senza di te, ma non sarebbe stata la stessa cosa”.
“Cominciare… cosa, Varric?”
Nessuna risposta. Varric la portò con sé oltre la porta più vicina – quella che era sicura conducesse alla cucina.
Dopo la scalinata in penombra e la dispensa buia, fitta dell’odore dei formaggi lasciati a stagionare e del fumo di legna, la luce gialla delle torce le ferì gli occhi. Fedra colse uno scorcio di travi basse e camino ruggente, tante figure attorno a un tavolo e poi dovette battere le palpebre.
“Eccoti qui! In elegante ritardo, oserei dire”. La voce di Dorian salì oltre un allegro brusio. Fedra ammiccò e li mise a fuoco.
Cullen inclinò la testa di lato e le sorrise, indicandole con un gesto galante della mano la sedia di fronte a lui. Gli avevano lasciato uno sgabello un po’ troppo basso ed era quasi comico vederlo sbucare dal bordo del tavolo.
“Un’idea di Varric, se ci tieni a saperlo. Ma non un’idea malvagia”. Cassandra le fece spazio e quasi finì in braccio a Dorian, che ridacchiò e le diede una spallata amichevole.
“Lo so, sono irresistibile”. Il prevedibile risultato fu un grugnito di disapprovazione, ma c’era un sorriso sulle labbra della Cercatrice. Fedra si sedette tra lei e Josephine, le mani eleganti che mischiavano rapide un mazzo di carte.
Il Toro di Ferro sbucò da dietro una fila di botti, le enormi braccia cariche di boccali. Si fece strada di fianco a Cullen e quasi lo ribaltò dallo sgabello nell’accomodarsi pesantemente al tavolo.
“Non si gioca a grazia malevola con la bocca asciutta”. Cole gli trotterellò dietro, una bracciata di bottiglie precaramente stretta al petto; Varric lo aiutò a posarle in mezzo al tavolo e si sedette vicino a lui, un sorriso da un orecchio all’altro.
Josephine aveva iniziato a dare le carte con gesti rapidi ed eleganti. Cole, appollaiato su una sedia troppo alta all’angolo del tavolo, le scrutò con aria assorta da sotto la testa del cappello.
“Lui ha una corona. E una spada. La sua testa non voleva nessuna delle due”, disse tenendo una carta molto vicina al naso.
“Non parlare con le figure, ragazzino: ti ho spiegato le regole” rise Varric.
“Scusate… scusate, cosa sarebbe tutto questo?” chiese Fedra. Il Toro riempì un boccale e glielo passò – Cassandra si corrucciò ma non fece commenti mentre Fedra vi seppelliva il naso.
“Una serata tra amici”. La risposta di Dorian fu semplice, diretta. Nessuna affettazione, solo la verità che gli inclinava le labbra in un sorriso gentile. Cullen annuì.
“Ne avevamo tutti bisogno, e tu più degli altri. Sai giocare a grazia malevola, no?”
Qualcosa di caldo sbocciò nel petto di Fedra e per un attimo riuscì solo a bere in silenzio.
Ne aveva bisogno eccome, e neanche se n’era resa conto. Mesi ad avere paura, mesi di tensione e attesa e morte… eppure erano ancora tutti lì. Non si era aspettata che Leliana o Solas partecipassero, men che meno Morrigan, eppure sapeva che li avrebbe trovati se avesse avuto bisogno di loro.
Gli occhi dorati di Cullen scintillarono, fissi nei suoi.
Lui sapeva. L’aveva vista cavalcare via troppe volte e aveva pregato per un suo ritorno, aveva anche lui trovato amici nel momento più oscuro e pericoloso.
Fedra ingoiò un sorso di vino e un nodo di lacrime e si leccò le labbra mentre un sorriso spontaneo e leggero come non ne aveva da tempo le fioriva sul volto.
“Avete sfidato la Trevelyan sbagliata. Ci sono taverne a Ostwick dove non mi lasciano neanche più entrare!”
Il Toro ruggì una risata e picchiò il pugno sul tavolo così forte da far sussultare i boccali.
“Questa non me l’aspettavo. Mi piace!”
Josephine finì di dare le carte e inclinò la testa di lato.
“Mai scommettere contro un’Antivana, Fedra. Potresti pentirtene”.
Tutti scoppiarono a ridere, a parte Cassandra che guardava minacciosa la mano di carte e brontolava sotto voce.
Josephine frugò nel borsello alla cintura e ne estrasse una manciata di monetine.
“Allora, signori, pronti a perdere in maniera umiliante?”
La sera diventò notte e le candele piantate sul tavolo si consumarono per metà.
Per la prima volta in tutta la sua vita Fedra si sentì del tutto a casa. Varric aveva raccontato una storia su un’irruzione a Chateau Haine cui aveva partecipato anche Hawke e per qualche minuto nella stanza ci fu solo il suono quasi ipnotico della sua voce. Era un narratore nato e Fedra rubò un’espressione rapita sul volto di Cassandra. Poi fu il turno di Cullen e di un aneddoto su un giovane Templare molto convinto di sé nonostante l’assenza di vestiti; forse era la tensione che l’abbandonava, forse aveva bevuto troppo, ma ascoltare le risate convulse e la voce spezzata dall’ilarità di Cullen mentre si sforzava di finire la storia la fece quasi cadere dalla sedia dal ridere.
Era perfetto.
Il Toro fece un altro giro di saccheggio delle cantine e Cassandra si portò via il boccale di Fedra.
“Per te basta così”.
“Ma non sono neanche un po’ brilla!”
“Meglio. Giochiamo, va bene?”
Le carte erano state una scusa per stare assieme, ma a fine partita Fedra ammirava con orgoglio la pila di monete di rame davanti a sé, poco più alta di quella di Josephine. Tutti gli altri erano a secco.
“Una degna avversaria, Inquisitore, devo rendertene atto. Saresti l’orgoglio di Antiva!”
“Non ci posso credere, non posso aver perso così male!” Cullen sollevò le braccia e le lasciò ricadere. “Voglio una rivincita!”
“E con che soldi? Mi sembri al verde, comandante”. Dorian si fece roteare una delle monete di Fedra tra le dita scure e la lanciò in aria.
Gli occhi di Cullen si strinsero in una feroce determinazione. Aveva bevuto parecchio e c’era uno scintillio nello sguardo che prometteva parecchie cose interessanti; fissò Fedra e contrasse la mandibola.
“Tutto per tutto, allora”. Si slacciò il mantello e lo appallottolò sul tavolo.
“Stai scommettendo i tuoi vestiti? Non dovresti, hai perso tutto fino a ora, rischieresti di rimanere…”
“Carte”. Il tono definitivo di Fedra interruppe Cole.
“Ricciolino, sei sicuro? Queste cose vanno a finire malissimo…”
“Hai sentito la signora, Josephine? Carte”.
L’alcol aveva richiesto un pagamento e un po’ tutti, a parte Fedra – costretta da Cassandra – e Cole avevano le guance rosse e la voce impastata.
“E carte siano, allora”. Le eleganti mani scure di Josephine raccolsero le carte e le passarono a Fedra. “Sei di mazzo”.
Non avrebbe dovuto farlo, era scorretto, meschino. Così divertente che quasi se ne sentì in colpa.
Fedra però non aveva passato l’adolescenza nelle peggiori bettole, scappando dal controllo dei suoi istitutori, senza imparare niente. Il mazzo guizzò tra le sue dita mentre lo mescolava con gesti un po’ trppo scenografici senza mai perdere di vista l’ultima carta.
Era un trucco banale, ma per chi non lo conosceva impossibile da identificare.
Diede le carte e non si stupì nel trovarsi in mano tre re.
Tutto come previsto.
Cullen si mordicchiò il labbro e sghignazzò.
“Allora, Inquisitore, cosa fai?”
Era un disastro a quel gioco, incapace di mantenere la faccia impassibile. Anche senza barare sarebbe stato un avversario fin troppo facile.
“Alzo. Due di rame”, e le spinse al centro del tavolo.
Da lì fu un massacro. Cullen perse una mano dietro l’altra… e un indumento dietro l’altro.
Fedra gli chiese più volte se voleva fermarsi e alla fine smise di truccare il mazzo. Si meritava almeno una chance! Niente da fare: Cullen insisteva per altre carte nella vanasperanza di recuperare qualcosa.
Almeno le braghe.
Almeno la dignità.
Alla fine se ne rimase nudo come un verme a fissare Fedra negli occhi con uno sguardo letale.
“Abbiamo cercato di dissuaderti”, disse Josephine tra uno sbuffo di risa e l’altro.
Dorian si sporse con noncuranza e sbirciò sotto al tavolo; l’occhiolino di congratulazioni che fece a Fedra non passò inosservato e Cassandra seppellì il viso tra le mani.
Era splendido, come sempre, oro e pelle candida arrossata dall’imbarazzo – e, a giudicare dalle dimensioni delle pupille, anche da qualcos’altro – e occhi che si bevevano i suoi.
“Divertita?”
“Qualcos’altro”, gli rispose in un soffio. Cullen strinse le labbra e allargò le narici per la frustrazione.
Non mi stai aiutando! Disse in silenzio muovendo solo le labbra.
Nessuno riusciva a rimanere serio e dietro il contegno di Cullen si agitava qualcosa di molto giovane e spensierato che Fedra non aveva mai visto prima. Che adorava.
Il Toro, che si era accasciato sul tavolo, grugnì e sollevò la testa pesante.
“Altro giro?”
“Meglio di no”, disse Cassandra. Si alzò e tenne lo sguardo ostinatamente lontnao da Cullen. “Andiamo, non voglio assistere alla parata della vergogna del nostro comandante fino alle caserme”.
“Be’, io sì!” disse Dorian con un gran sogghigno.
Uno dopo l’altro tutti si alzarono; Fedra rimase sola con Cullen e i suoi vestiti in disordine sul tavolo.
“Non posso…”
“No, sarebbe scorretto”. Gli fece la linguaccia e ricevette in cambio un brontolio in perfetto stile Cassandra. “Ma puoi salire da me. È più vicino e la tua mancanza div estiti sarebbe molto gradita”.
“Questa me la paghi!”
“Non vedo l’ora”. Cullen avvampò, cercò invano di coprirsi con le mani e corse via, strappando un coro di risate quando passò di fianco al resto del gruppo sulle scale.
Fedra scosse la testa e si arrotolò una ciocca dietro all’orecchio.
Ne aveva avuto bisogno, era vero, e nonostante fosse tardi e le bruciassero gli occhi per la stanchezza si sentiva carica e viva come non le capitava da troppi mesi.
Si chinò in avanti e spense le candele con un soffio, lasciando le monete sul tavolo. Un qualche sguattero avrebbe trovato una sorpresa ad attenderlo al mattino e la sua giornata sarebbe migliorata.
Quando si voltò però si accorse di non essere sola. Varric era appoggiato al camino, braccia conserte e un sorriso obliquo sul volto squadrato.
“E’ stata una tua idea, vero?” gli chiese piano.
“Non lo nego. Sai, sono felice che tu ti sia unita a noi, questa sera. A volte è facile scambiarti per l’Inquisitore…”
Fedra sollevò le sopracciglia e Varric scosse la testa.
“… e dimenticarsi che sei soprattutto Fedra”.
Ecco cos’era quel senso di leggerezza: per quelle poche, magnifiche ore non si era portata sulle spalle il peso del suo titolo. La gratitudine minacciò di farla scoppiare a piangere.
“Varric, grazie. Non so cosa ho fatto per meritarmi amici come voi ma… grazie”.
“A parte farti in quattro per salvare il mondo? Ah, non pensarci, Carota. Ora però vai a consolare quel povero ragazzo; quando tutto sarà finito dobbiamo farci un’altra partita, Ricciolino si merita di riguadagnarsi la sua dignità”. Le diede una manata sulla schiena e se ne andò fischiettando.
Fedra, anche se stanca e con gli occhi pesanti, era felice.
E per quella sera Cullen poteva fare a meno della sua dignità.

 

Quando Fedra si alzò il mattino successivo, sempre più stanca ma con un sorriso nell’osservare Cullen che si rivestiva ai piedi del letto, sentì qualcosa brillarle dentro.
Era solita paragonare l’amore per il suo comandante a una stella, ed era ancora così, ma dopo quell’ultima sera si rese conto che ormai dentro di lei c’era un firmamento di luce. Non era sola e quella rete di emozioni la sosteneva da quando aveva cominciato a tendersi, ormai quasi un anno prima, nelle viscere di Haven.
Bastò, per qualche tempo. L’attesa di notizie era più tollerabile da quando quella tensione interna le si era allentata, ma non durò a lungo.
Iniziarono ad arrivare corvi, messaggi neri come le ali che li portavano.
Nessuna notizia di Corypheus o del suo drago, ma pattuglie di Venatori che battevano le campagne, villaggi dati alle fiamme da Templari Rossi allo sbaraglio.
Tutto contribuiva a ricordarle che erano ancora in guerra. Fedra mandò le Furie a spazzare via le forze che minacciavano i profughi nelle Terre Centrali, e al loro ritorno persino Madre Giselle andò a stringere le mani graffiate e contuse del Toro, commossa per quello che in tutte le taverne venne cantato come eroismo senza pari.
Avrebbe dovuto esserne felice, ma quando vide Josephine correre incontro a Krem, un braccio al collo e l’altro sulle spalle di un compagno, e mordersi le labbra per non piangere si rese conto che erano ancora in pericolo. Tutti loro.
Il peso si aggravò giorno dopo giorno, una cappa nera che le sistringeva addosso e che divenne quasi insopportabile quando durante una notte insonne si ritrovò a camminare per i cortili di Skyhold, con l’aria fredda d’autunno che allontanava la nausea costante.
La penombra era morbida, interrotta solo dal bagliore della luna che disegnava forme di oscurità tra i rami degli alberi. Fedra non era riuscita a chiudere occhio, Cullen era stato impegnato fino a tardi con gli altri generali e lei si era ritrovata a girarsi e rigirarsi tra le coperte, incapace di calmarsi. Quella passeggiata notturna non stava aiutando. Troppi pensieri, paure che non la lasciavano stare e che le spezzavano anche il fisico. Si passò una mano sullo stomaco e svoltò oltre l’angolo, dove si fermò di colpo.
Sul pavimento davanti a lei una lama di luce gialla illuminava le pietre; Fedra la seguì fino a una porta socchiusa oltre cui giungeva una voce sommessa. Una voce ben nota.
“Nonostante tutto davanti a me sia tenebra il Creatore è la mia guida. Non rimarrò a vagare da solo sulle vie dell’Oltre”.
Qualcosa ebbe un sussulto nel profondo di Fedra. Si avvicinò in punta di piedi e socchiuse la porta.
Cullen era in ginocchio, circondato da candele, le mani giunte davanti alla fronte.

Si sentì di colpo fuori posto. Quello era troppo intimo persino per lei, ma non riuscì ad allontanarsi mentre un nodo di commozione le stringeva la gola.
“Poiché non c’è oscirutà nella luce del Creatore e nulla di ciò che Egli ha creato andrà perduto”. Un tremito nella voce, il battito d’ali di una farfalla. Fedra si coprì la bocca con la mano e strinse gli occhi contro quelle lacrime che ultimamente erano sempre pronte a traboccare.
Mai piaciuti gli dei. Mai avuto nessun interesse per chiunque quella statua dalle mani protese, abbracciata da tralci d’edera, rappresentasse. Eppure in quel momento, tra le fiammelle vibranti delle candele e l’aria che sapeva di pulito e di cera sciolta, qualcosa le toccò il cuore.
“Pensi che dovrei pregare anche io per te?” chiese prima di riuscire a fermarsi. Cullen si voltò con un mezzo sorriso.
“Prego per chi abbiamo perso”. Si alzò e si spazzolò le ginocchia, per nulla infastidito dalla sua presenza, ma quando alzò gli occhi su di lei Fedra vide le profondità della paura in fondo ai suoi occhi. “E per chi ho paura di perdere…”
“Paura? Tu?”
“Già. Ho… ho paura ogni giorno, ogni singolo istante della mia vita. Sarei un pazzo a non averla, dopo aver visto cosa Corypheus è in grado di fare”.
Fedra gli si avvicinò e gli sfiorò i capelli, sistemando un ricciolo ribelle sulla tempia. Provò a sorridergli ma senza successo.
“E io cos adevo dire? Sono molto meno coraggiosa di te…”
“Ormai è solo questione di tempo prima che Corypheus torni ad attaccare di nuovo. Dovremmo prepararci a qualsiasi evenienza e…” Cullen chiuse gli occhi e si premette la mano di Fedra contro la guancia. Aveva le sopracciglia contratte, un’espressione simile al tormento durante i suoi incubi. “Quando verrà il momento dovrai gettarti di nuovo sul suo cammino e… e che Andraste abbia pietà di me, io dovrò mandarti da lui”.
Un singhiozzo muto gli strozzò la voce e Fedra, incapace di respirare, si gettò contro di lui. Le braccia forti la avvolsero e una mano le afferrò i capelli sulla nuca, tenendola stretta contro il petto che si alzava e abbassava in fretta in un respiro affannato.
“Non riesco a pensarci, Cullen. Non ho mai avuto così tanto da perdere”. Si morse il labbro e cercò di soffocare un gemito di pura angoscia contro il pelo del mantello. Cullen tirò su col naso e le seppellì il viso tra i capelli.
“Qualunque cosa accada tu tornerai”, le ringhiò piano all’orecchio. “Non posso permettermi di pensare a un finale diverso”.
Rimasero a lungo in quell’abbraccio disperato e alla fine Fedra si scostò, asciugandosi gli occhi con il palmo della mano. Le scappò una mezza risata tremula.
“N-Non volevo farti preoccupare”.
Cullen le sistemò i capelli dietro alle orecchie e scosse il capo.
“Permettimelo, ogni tanto. Di solito lo fai tu”.
Appoggiò la fronte contro la sua; accarezzati dalla luce delle candele restarono fermi fino a che la marea della paura non si fu ritirata.
Ma non sparì mai del tutto.

 

Pochi giorni dopo, seduta sulla panca nella sala di guerra, tensione e paura tornarono tutte intere.
Cullen si chinò sulla mappa e la fissò, quasi disgustato.
“Almeno su questo siamo d’accordo: Corypheus va trovato prima che lui trovi noi. Skyhold può reggere un assedio, ma non ci tengo particolarmente a rischiare la vita della nostra gente per nulla”.
“Nessuna novità sulla sua base. L’abbiamo cercata in lungo e in largo senza nessun risultato”. Fedra si accartocciò la treccia nel pugno e la strattonò.
“Sì ma quel drago deve pur avere una… una tana, qualcosa del genere, da qualche parte! Non è un piccione!” Cullen tirò una manata a una delle pedine e sbuffò.

“Io dico di rivolgerci a Orzammar. Non abbiamo notizie da troppo tempo e se si fosse diretto verso le Vie Profonde…” Josephine si passò la piuma sotto il naso e sternutì. Leliana scosse la testa.
“Mi sembra improbabile, ma non dirò mai di no a un tentativo diplomatico”.
Fedra si accasciò un po’ di più contro il tavolo.
Avere Corypheus appollaiato sulla spalla non era per niente una prospettiva gradevole, ma sentirsi braccati senza avere la minima idea su quale minaccia li avrebbe colpiti e da dove era forse anche peggio. Mugugnò e si premette i pugni sulle orbite.
“Non ne posso più. Si può sapere dove si è andato a cacciare quello stronzo?”
Josephine sospirò.
“Potremmo provare a…”
Accadde all’improvviso. L’ancora sul palmo di Fedra pulsò in maniera brutale e le strappò un grido, ma prima ancora che potesse riaprire gli occhi un lampo immenso di luce verde invase la stanza.
Sollevò il viso con una smorfia e vide i tre consiglieri paralizzati dall’orrore sotto quella luminosità malsana.
All’improvviso Fedra rivisse l’incubo da cui Solas l’aveva strappata dopo il Conclave, la follia di Invidia e il puro terrore di fronte al varco, all’Oblio. Con la mano che lanciava saette e sfrigolava fino al gomito si alzò lentamente e andò alla finestra.
Non poteva respirare e un alone nero le si stringeva ai margini degli occhi; si aggrappò all’arco di pietra, fronte contro il vetro freddo, mentre l’orrore la invadeva.
Le nuvole in cielo si torsero e deformarono in spire, in un turbine folle attorno a un occhio splendente.
A un altro varco, identico a quello che era sbocciato sul Tempio delle Sacre Ceneri, proprio nello stesso punto.
“Ci ha trovati”, mormorò Cullen.
“Come ha fatto?” chiese Josephine. La voce le tremava e la cartelletta era per terra, i fogli sparsi dappertutto.
“E soprattutto perché?” Persino leliana non sembrava calma come al solito. Skyhold esplose di grida e panico e Fedra sentì le gambe cedere. Cadde in ginocchio e Cullen non la prese in tempo.
“Se… se non lo chiudiamo di nuovo…” La voce le uscì spezzata mentre stritolava le dita di Cullen nel rialzarsi.
“Ingoierà il mondo”.
Lo shock si depose su di loro, un peso letale da portare.
“Fedra, dobbiamo portare via questa gente. Devo…”
“Vai”, riuscì solo a dirgli, ancora appoggiata al muro. Cullen era esangue, pupille dilatate e muscoli contratti sulle mandibole.
Alzò lo sguardo verso il varco e marciò via sferragliando. Fedra non riuscì a seguirlo; vide solo lo sguardo che Leliana e Josephine si scambiarono, e quest’ultima fermare Cullen sulla soglia e dirgli qualcosa. Lui annuì e si chiuse la porta alle spalle, lasciandole sole.
“Devo farlo di nuovo. Non so se ne ho la forza” disse piano Fedra. Si sentiva sul punto di vomitare e non riusciva a guardarsi la mano sinistra.
Le smebrava di sentire di nuovo la tensione in ogni nervo, lo strappo mentre l’Oblio si fondeva con la sua carne e il velo si richiudeva.
Sapeva che questa volta non ce l’avrebbe fatta.
“Fedra, siediti”. La voce di Leliana non ammetteva repliche e lei era troppo sconvolta per opporsi. Si lasciò cadere sulla panca e guardò fuori, verso il nuovo gorgo nelle nuvole. Josephine le si sedette dall’altro lato e le prese la mano, nascondendo tra le sue dita macchiate d’inchiostro il marchio luminoso.
“Fedra, dobbiamo parlarti”.
“Cos’altro c’è? Io n-non credo che riuscirò a sopportare nient’altro”.
“Probabilmente no, ma avremmo dovuto dirtelo prima e adesso non possiamo più evitarlo”.
La porta si spalancò e andò a sbattere contro il muro, preannunciando l’arrivo di Cassandra, scarmigliata e con le guance rosse.
“Non provate neanche a pensare di mandarla contro quella cosa, non nelle sue condizioni!”
Leliana la fronteggiò e tese una mano.
“Cassandra, non abbiamo alternative. E poi lei non sa che…”
“Quali condizioni? Sono solo sconvolta come tutti noi per quella merda di buco verde nel cielo!”
Con un calcio Cassandra si chiuse la porta e il panico della fortezza alle spalle. Avanzò a lunghi passi fino alla panca e si accucciò a terra, ma Leliana cercò di fermarla con un gesto.
“Ti prego, cerca di avere un po’ di tatto, sono notizie delicate che…”
“Ma la volete finire? Cosa c’è di peggio che…”
Cassandra ringhiò.
“Sei incinta, ecco cosa c’è”.
“Tatto. Avevo detto di avere tatto”. Leliana sbuffò dal naso e alzò gli occhi al cielo.
Fedra sentì la bocca aprirsi lentamente e le mani di Josephine stringerla più forte.
“Siete diventate sceme tutte quante?”
“No, ma tu forse sì se in questi tre mesi e mezzo non te ne sei accorta!”
Cassandra si alzò e Fedra fece altrettanto, così di scatto da strapparsi dalla stretta di Josephine e far quasi ribaltare la panca.
“Ma sei impazzita, Cassandra? Mi sarei accorta se fossi stata… insomma, ci siamo capite”.
“Fedra, non conosco un modo più discreto per chiedertelo, ma sono settimane che salti il ciclo della luna”. La voce di Josephine era rotta, sull’orlo delle lacrime.
“Non diciamo cazzate! Io non…”
“Conta allora. Dimmi che abbiamo torto”. Leliana incrociò le braccia e la guardò dall’alto, implacabile ma con una tenerezza spaventata nello sguardo che non le aveva mai visto.
Fedra scosse la testa.
“Tutto questo è assurdo. Semplicemente assurdo, non ci si può aspettare che con tutto quello che sto passando il mio corpo funzioni come… come…”
“Dopo Adamant sei tornata e hai iniziato a essere strana. Cole… Cole se n’è accorto”. Cassandra deglutì rumorosamente e si morse il labbro. “Due Cuori”.
Le girava la testa. Non era possibile, il suo cervello e il suo cuore si rifiutavano anche solo di contemplare l’idea. Non lì, non in quel momento, con il cielo squarciato e il mondo che stava per finire.
Semplicemente no.
E poi una piccola voce le parlò all’orecchio. La sua coscienza.
Era vero e lei non ci aveva mai fatto caso. Non le era per niente spiaciuto risparmiarsi il fastidio dei crampi e degli sbalzi d’umore durante le infinite marce con le truppe e aveva avuto altro a cui pensare per far troppo caso al costante, sottile malessere degli ultimi tre mesi.
Tre mesi.
Il fiato le uscì dai polmoni e piccole esplosioni bianche le annebbiarono la vista. Si afferrò il basso ventre con le mani e barcollò, e un attimo dopo era di nuovo seduta con Cassandra che le teneva le braccia.
“Non sapevo come dirtelo. Non sapevamo come fare, in effetti, ma… Fedra, dovevi saperlo. Odio che sia dovuto succedere così”.
“Io… noi aspettiamo…”

“Avremmo dovuto parlartene prima, ma non è un discorso facile da fare. Perdonaci”, disse Josephine. Aveva gli occhi molto lucidi e le tremavano le labbra.
Fedra si piegò in avanti e oscillò avanti e indietro.
Incinta.
Lei.
Nel terrore abbietto del momento si fece strada il pensiero più sbagliato e dannoso che potesse venirle in mente.
Un bambino. Riccioli biondi, lentiggini sul naso.
“No!”
Gridò così forte da far trasalire Cassandra e la spinse via balzando in piedi. Iniziò a camminare avanti e indietro per la sala tirandosi i capelli.
Era fottuta. Non poteva permettersi di essere incinta in quel momento, era la cosa peggiore che potesse succederle – a parte Corypheus, e stava succedendo pure quello.
No, no, peggio: non sono solo incinta. Io e Cullen aspettiamo un figlio, è molto più grave.
Il varco andava chiuso, e anche in fretta. Non poteva aspettare e se non fosse stato per quella riunione tra donne sarebbe già stata a cavallo, volente o nolente.

Aveva a stento il coraggio di affrontare l’Oblio, in quel momento. L’idea di irrompere da Cullen durante la preparazione delle truppe era davvero eccessiva.
Si fermò e puntò il dito contro Cassandra.
“Era questo che volevi dirmi alle Selve Arboree”

“Sì. Non ci sono riuscita”.
Annuì una volta. Una freddezza a lei sconosciuta scese a coprirle i pensieri e cancellò la scintilla di gioia delirante scoccata alla comparsa di un viso tondo e sconosciuto che ancora non esisteva neanche, guance paffute e occhi blu. Via quel sogno, via quella prospettiva che tanto non si sarebbe mai realizzata. Fedra strinse i pugni e raddrizzò la schiena.
“Non deve saperlo. Cullen non deve saperlo in nessun caso”.
Leliana sembrava poco meno che inorridita.
“Come puoi tenerglielo nascosto? È suo diritto, è il padre di vostro figlio!”
Fedra si voltò verso di lei con i denti scoperti.
“E cosa pensi succederà se glielo dici adesso, con una minaccia impellente e Corypheus alla porta? Cosa farà se non cercare di tenermi al sicuro e condannarci tutti quanti?”
Josephine emise un verso strozzato e cercò di avvicinarsi.
“Ma il bambino…”
“Il bambino potrebbe non sopravvivere alla battaglia, certo, ma se non vado laggiù”, e indicò con una mano tremante il cielo sfregiato, “moriremo tutti di sicuro!”
Le lacrime le scendevano in torrenti sulle guance.
“Vi prego, fate che almeno questo non sia reale, almeno per un po’. Aiutatemi a portare questa colpa perché da sola non posso riuscirci”.
La voce le si spezzò in singhiozzi isterici e Cassandra la avvolse tra le braccia, dandole un brusco, quasi doloroso bacio sulla fronte.
“Odio tutto questo. Meritavate di meglio. Lo meritavamo tutti noi”.
Doveva tenere duro ancora una volta. Lei, che si era sentita quella fragile, quella mancante in tutto in quel gruppo di eroi e combattenti e strateghi. Lei che ora si scostava Cassandra dalle braccia e, tirando su brusca con il naso, le asciugava una lacrima dalla guancia sfregiata.
Sorella di scudo. Amica.
“Questa conversazione non è mai avvenuta”. Si voltò verso Leliana e Josephine, sotto choc quasi quanto lei e si morse il labbro. “Siete con me?”
“Fino alla fine, Inquisitore”, disse Leliana. E per la prima volta Fedra vide le lacrime negli occhi freddi dell’Usignolo.
Quelle parole non sarebbero mai uscite dalla sala di guerra, ma mentre Fedra superava la porta non poté che appoggiarsi furtivamente una mano sul ventre.
Perdonami, pensò forte, e nemmeno lei sapeva a chi stesse parlando.

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Capitolo 24
*** 24-Ce l'abbiamo fatta. Tutti, più uno. ***


Non era ancora arrivata alla navata quando Cassandra la raggiunse.
Alta, silenziosa: il suo scudo. La sua forza.
“Fedra! Ci risiamo, vero? Di nuovo quel maledetto tempio e il buco nel cielo”. Varric le trotterellò incontro e come sempre quando la chiamava per nome non c’era traccia di allegria sul suo volto. Solas li raggiunse di corsa, pallido e già armato.
“Ci risiamo, sì”. Sapeva di avere gli occhi cerchiati e il naso rosso, ma nessuno si sarebbe stupito vista la situazione. La sala era gremita di gente che correva verso il cortile, volti spaventati e sguardi stupiti. Tutti che si chiedevano come fosse possibile, cosa si potesse fare. Tutti che guardavano verso Fedra.
Dorian e il Toro sbucarono – assieme? – dalla porta che conduceva alla libreria e presto furono con lei.
“Dobbiamo partire immediatamente. Quel varco va chiuso ora!” Fedra suonava più convinta di quanto non fosse; la volta precedente aveva avuto i Templari, ora… ora era diverso. L’ancora si era fatta più potente e sentiva che doveva farcela da sola. Nessun aiuto per lei. “Radunatevi in cortile, l’Inquisizione marcia verso il Tempio delle Sacre Ceneri”.
Nessuno trovò da ridire. Dorian si morse il labbro e annuì una volta prima di partire alla testa del resto del gruppo. Fedra rimase da sola nella calca, sopraffatta per un istante da una nausea di cui ora conosceva l’origine.
“Due Cuori. Per questo”. La voce gentile di Cole la fece voltare. Era di fronte a lei, dinoccolato e con una mano pallida tesa a sfiorarle la pancia. “Ti prego, dimmi che posso aiutare in qualche modo. Ho bisogno di poter fare qualcosa”.
Più umano, sofferente, con una disperazione nello sguardo che lo faceva sembrare un po’ meno un ragazzino inquietante e più un giovane uomo in cerca di un posto in quello strano mondo. Fedra deglutì a fatica e gli prese la mano stringendola forte.
“Custodisci questo segreto, Cole. Ti prego. Se… se…”
Era un pensiero orribile che si fece strada sgomitando nella confusione e nella paura. Non poteva tenerlo fermo.
“Cole, ti chiedo solo questo: se dovessi morire parla con Cullen. Diglielo tu e spiegagli perché ho taciuto. Tu puoi capirmi, vero?”
Le lunghe ciglia bianche fremettero mentre Cole chiudeva gli occhi.
“Sacrificio, un peso soffocante da sopportare pur di salvare chi non può combattere. Meglio che non sappia quando c’è troppo da perdere e niente da stringere tra le braccia. Meglio l’odio, la fiducia tradita che mettere in pericolo tutte queste vite”. La guardò all’improvviso e scosse la testa. “Fa male”.
“Fa malissimo, ma so di poter contare su di te. Andiamo ora”.
Gli fece strada tra la folla e fino alla scalinata che si affacciava sul cortile principale. Era facile vedere dove fossero gli altri, bastava seguire le ampie corna del Toro che sollevava popolani e li riappoggiava con garbo come se fossero pacchi delicati. Aveva recuperato dei cavalli e li stava già conducendo lungo il ponte.
“Cole, vai con loro, vi raggiungerò presto”.
Non attese una risposta e seguì il torrente umano fino alle caserme.
Faceva malissimo e ne avrebbe fatto ancora di più, ma non poteva andarsene senza parlargli un’ultima volta. Salì di corsa le scale e lo trovò in piedi sui bastioni, armato di tutto punto e intento a dare ordini a un drappello di generali.
“… i tuoi uomini lungo il versante occidentale, mentre quelli di Ryles a scortare i civili nelle segrete. Connelly, abbiamo una mappa?”
“Sì signore, c’è un passaggio”.
“Perfetto, va’ con Ryles e portati dietro degli esploratori. Muovetevi ora, non intendo perdere neanche una vita quest’oggi!”
Gli ufficiali batterono i tacchi e sciamarono via; Fedra sapeva di avere solo quell’istante prima di perderlo nel gorgo degli eventi e lo raggiunse facendosi strada tra le armature di un gruppo di Templari.
“Cullen… Cullen!”
Sollevò lo sguardo e la trovò, viso contratto dall’angoscia e occhi che nonostante tutto si addolcivano nel guardarla. In barba a ogni etichetta gli corse incontro e lo abbracciò forte.
“Ti amo. Non potevo partire senza ditelo. Ti amo”.
“Oh, Fedra…” Le prese il viso nella mano e le diede un bacio rapido, ruvido di barba. “Le truppe per accompagnarti…”
“Non le voglio, ho l’Inquisizione. Se non fossero sufficienti non lo sarebbero neanche tutti i tuoi soldati”.
Il poco colore gli lasciò le guance.
“Vuoi andare da sola?”
“Certo che no, non sono pazza, ma esigo che tu e i tuoi uomini sovrintendiate all’evacuazione di Skyhold. Non ci sarà un’altra Haven, non sotto il mio comando”.
E quella durezza d’acciaio da dove le arrivava? Cullen sembrò porsi la stessa domanda mentre sollevava un sopracciglio.
“Vengo con te”.
“Non questa volta”. Gli prese la mano che ancora le teneva il viso e scosse la testa. Gli occhi da leone si fecero cupi, quasi folli mentre la fissava con i denti digrignati.
“Se non dovessi tornare…”
“Valgono così poco le tue preghiere? Abbi fiducia in me, Cullen. Ti scongiuro”.
Un altro bacio in mezzo a Skyhold che gridava e sciamava come un alveare impazzito.
“Sei la persona più coraggiosa e stupenda che abbia mai conosciuto e un giorno troverò le parole per farti capire quanto ti amo”. Gli tremava la voce, gli tremavano le dita e Fedra sentì il peso invisibile nel proprio ventre bruciare.
Per un tragico istante pensò di dirglielo, di scaricare quella tragedia anche su di lui. Le parole le si formarono sulla lingua.
“Cullen io… noi…”
Non posso!
Scosse la testa una volta e gli baciò il palmo della mano prima di fare un passo indietro.

“Noi avremo tempo. Dobbiamo crederlo”.
Si dovette quasi sfilare dalla sua stretta e al tempo stesso farsi violenza per lasciarlo. Gli diede un ultimo sguardo – ricci sempre in ordine, occhi lucidi, muscoli tesi. Il suo leone, il suo generale.
Il padre di suo figlio.
Ingoiò le lacrime e corse via, controcorrente nella folla e fino al punto in cui le corna del Toro spiccavano sopra alle teste dei cittadini.
“Siamo pronti, andiamo”.
Prese le redini che Solas le tendeva e nel far ciò gli sfiorò la mano. L’elfo gliela prese con forza e la guardò, occhi accesi e viso esangue.
“Questa è la resa dei conti, Fedra. Lo sai, vero?”

Ne sostenne lo sguardo – e c’era qualcosa di incredibile in quegli occhi azzurri e tristi, qualcosa che le mandava un brivido lungo la schiena e che le faceva tornare in mente il tempio di Mythal.

“Lo spero, Solas. Lo spero tanto”.
Montò in sella e diede di sprone; Cassandra le si affiancò subito.
“Sulla via principale ci vorranno cinque giorni per arrivare ad Haven. Viaggiamo leggeri e il tempo sarà favorevole. Se noi…”
Un corvo sfrecciò sopra alle loro teste ed esplose in una nuvola nera e viola davanti a loro. I cavalli recalcitrarono e Fedra strinse le cosce per rimanere in sella mentre Morrigan si alzava da terra.
“Senza di me non andrete molto lontano, ci metterete un sacco di tempo e morirete in fretta”.
“Hai quasi fatto cadere Fedra di sella!” sbraitò Cassandra, ma la maga non le prestò attenzione.
“Come sulla strada delle Selve, Inquisitore: abbiamo fretta. Seguitemi!”. Tornò corvo con uno sbuffo di fumo e riprese a volteggiare sopra di loro.
Fedra non riuscì mai a capire cosa accadde durante quel viaggio frettoloso, ma non erano passate che poche ore quando intravidero all’orizzonte, nere sotto la luce verde del varco, le rovine del Tempio.
Morrigan si allontanò e planò verso la spianata demolita e Dorian prese un profondo respiro.
“Sto morendo d’invidia”.

Ma Fedra non riusciva a concentrarsi su nulla, in quel momento.
Eccolo lì, il Tempio delle Sacre Ceneri: dove tutto era iniziato, dove tutto sarebbe finito. Era difficile tenere fermo il filo dei ricordi e non lasciare che si ingarbugliasse tornando a quel giorno di mesi prima in cui era stata solo una Trevelyan nel vestito della festa.
Nessuno aveva granché voglia di parlare mentre scendevano in un serpente muto verso la spianata. Il varco era immenso, più grande del primo che si era aperto nel cielo e ancora più minaccioso. Lasciarono i cavalli a qualche centinaio di metri da quello che un tempo era stato il sagrato del tempio e Fedra fu la prima a voltarsi verso le rovine, ad avvicinarle con i pugni stretti attorno alle armi e i denti contratti.
In qualche modo non si stupì nel trovarsi accanto Cole e Cassandra, più vicini di quanto sembrasse necessario.
Loro sapevano. L'avrebbero protetta.
Non riuscì a deglutire per il nodo che le serrava la gola.
La luce verde dell'Oblio toglieva vita e profondità al crepuscolo d'autunno. Ronzio del varco nell'aria, lo scricchiolio delle foglie sotto i loro piedi: tutto il resto era silenzio.
“Sei pronta?” chiese Solas con lo sguardo al cielo.
E per la prima volta, dopo tutti quei mesi di incertezze, Fedra digrignò i denti.
“Sì, sono pronta”.
Li guidò attraverso la devastazione con il cuore che ruggiva e l'attesa che le faceva formicolare la pelle.
Vieni fuori, Corypheus. Vieni fuori una volta per tutte e affrontami di nuovo.
Le ombre dei muri parzialmente crollati erano inchiostro sopra ai cristalli di lyrium rosso che ancora squarciavano la terra.
Fedra cercò con tutta se stessa di non pensare al peso che portava dentro. Era l'Inquisitore e quell'istante di caccia era la sua eternità: non era nient'altro, non sarebbe mai stata nient'altro.
“Vieni fuori, Corypheus. Fatti vedere, vigliacco”, sibilò tra i denti. Scesero i resti di una scalinata e approdarono a quella che doveva essere stata la navata del Tempio, lo stesso luogo dove aveva affrontato il demone dell'orgoglio.
Prima di Haven, prima di Cullen. Prima di essere l'Inquisizione.
Cassandra sembrò leggerle nel pensiero.
“E così siamo di nuovo qui...”
“Adesso almeno sappiamo di poter contare l'una sull'altra”, rispose piano Fedra. Il sorriso da predatore che le si aprì sul viso si riflesse su quello di Cassandra.
Solas le superò e guardò verso il cielo.
“L'ancora come reagisce?”
“Male, come vuoi che reagisca? Pulsa e fa male, ma ormai ci ho fatto il...”
La risposta di Fedra si strozzò in un singulto quando la terra iniziò a tremare sotto di lei. Sotto di loro.
“Oh merda”, sussurrò Varric allargando le gambe e le braccia per tenersi in equilibrio. Ghiaia e pietrisco iniziarono a sussultare sul terreno e a sollevarsi in volo.
“Capo...”
“Non ora, Toro”. Fedra si piegò sulle ginocchia per non cadere e una spaccatura le si aprì tra i piedi. Sassi grossi come un pugno si staccarono dal suolo e fluttuarono via.
“Sta arrivando”, sussurrò Cole da sotto il cappello. “L'Antico è qui”.
“Sì, va bene, però... capo...”
La frattura si allargò e Fedra saltò via ritrovandosi di fianco a Varric, che la prese per un braccio e la stabilizzò.
“Capo!”
“Che cazzo c'è?” gridò Fedra voltandosi verso il Toro. Lo trovò naso all'insù, circondato da macigni fluttuanti, rapito dalla vista del drago che sfrecciava tra le nuvole.
Quello c'è”, e non le sfuggì la nota eccitata nel tono. La bocca le si asciugò all'improvviso e qualcosa di nero, rosso e troppo grande si materializzò a una ventina di metri da loro, sotto a un arco franato.
Corypheus avanzò lento di alcuni passi e il marchio sulla mano di Fedra impazzì. La saetta di dolore le arrivò fino alla testa e le strappò un grido; riuscì a tenere strette le armi e a non cadere, ma la vista le si offuscò per il trauma improvviso.
“Dov'è il vostro Creatore, adesso?”
“Per... per quanto mi riguarda probabilmente al cesso”, riuscì a dire, e Cassandra non trovò da rimproverarla.
Tra le lunghe mani adunche si materializzò il Focus e Solas, dietro Fedra, si lasciò sfuggire un verso inarticolato.
“Chiamatelo. Invocate su di me la sua ira... ah, ma non potete. Perché non esiste!”
Piegò le dita e la sfera brillò rossa tra gli artigli.
Cassandra lanciò un grido quando la terra danzò più forte. Le fratture nel suolo si trasformarono in crepacci e solo la spinta di Solas che la mandò a cadere sulle ginocchia impedì a Fedra di cadere nel baratro.
Ancora semi accecata dall'ancora sentì da lontano il grido di Dorian che la chiamava e una stretta violenta sulla spalla. Batté le palpebre più volte e quando riuscì a rialzarsi – era Cassandra, sempre Cassandra al suo fianco, a sostenerla quando non riusciva a farcela da sola – si accorse che stavano volando.
Si sarebbe meravigliata se non fosse stata troppo impegnata a soffrire e a combattere la paura. Dorian, Cole e il Toro erano figurine lontane dozzine di metri, piccole e inutili ai margini del cratere lasciato dal Tempio delle Sacre Ceneri, che ora levitava nel cielo, troppo vicino al varco.
“Be', signori, questo non me lo aspettavo”, riuscì a dire Varric, Bianca tra le braccia e lo sguardo verso il vuoto sotto di loro.
Corypheus era immobile e sorrideva, o quella sembrava l'intenzione sul viso mostruoso. Mosse un passo avanti e Solas fu rapido a pararsi davanti a Fedra, il bastone tra le mani e un fulmineo incantesimo a esplodere contro il Magister.
Inutile come un fiocco di neve contro un incendio. Corypheus mosse il braccio e deviò il flusso di magia, facendo scivolare Solas fino al margine della zolla di roccia.
Fedra non riuscì a distogliere lo sguardo da quella mostruosità, anche se una parte di lei sapeva che si sarebbe dovuta preoccupare per l'elfo.
Se fallisco siamo tutti morti.
L'alta figura rossa e nera avanzò verso di loro, circonfusa dal bagliore del lyrium alle sue spalle. Il drago ruggì tra le nuvole e da qualche parte, molto lontano, risuonò il grido di frustrazione del Toro.
“Devo ammetterlo, sei stata molto tempestiva nel sabotare i miei piani, ma non dimenticare cosa sei”. La sfera gli roteò nel palmo e Fedra sentì una scintilla accendersi dentro di lei.
La chiave. Quella era la chiave di tutto; in sottofondo sentiva la predica di Corypheus che la chiamava ladra, piattola, intrusa e un sacco di altre cose, ma con lo sguardo seguiva il fascio di luce verso il varco.
“... e qui, una volta per tutte, dimostreremo chi è degno di essere chiamato divinità!”
Fedra si riscosse e abbassò le braccia con una scrollata di spalle.
“Ma sai cosa puoi fartene della tua divinità? Puoi ficcartela in profondità su per il... oh, ma ce l'avrai un culo, tu? Ah, sì, con tutte le volte che te l'ho preso a calci...”
Varric, nonostante tutto, sbuffò una risata.
“Ti adoro, Carota. Semplicemente ti adoro”.
Gli occhi gelidi di Corypheus mandarono lampi di ira.
“Pagherai per la tua blasfemia!”
Strinse il pugno e una scarica di raggi scarlatti si riversò a raggiera attorno a loro, lasciando un foro fumante nel punto dove, fino a un istante prima, si era trovato Solas, rotolato via contro a un masso.
Cassandra lanciò un grido e caricò, lo scudo alto sulla testa e la spada assetata di sangue.
Chissà come riuscì a mandare a segno un colpo, una falciata obliqua sula coscia di Corypheus che non lo danneggiò abbastanza ma lo fece infuriare; mentre si voltava per scagliarla via con una manata Varric riuscì a piantargli un dardo nella spalla, ma il momento di esultanza durò poco.
Corypheus ruggì per la frustrazione e allargò le dita di scatto, generando un'ondata di fuoco e aria rovente che investì in pieno Varric e Fedra. Con dei riflessi che nemmeno lei pensava di avere, mentre rotolava via verso il margine del precipizio, quest'ultima perse le armi ma riuscì a tendere una mano. Trovò la manica d iVarric e la tenne stretta, un braccio aggrappato a un pilastro franato, mentre il nano scivolava per metà oltre il bordo.
“Ti tengo!” gli gridò. Varric si morse il labbro e grugnì. Era pesante ma lottava per aiutarla, e in un attimo Fedra se lo trovò aggrappato alla spalla e puntellato sulle ginocchia.
“Grazie”, le disse con voce roca. Bianca era volata svariati metri più in là e non ci fu tempo per i convenevoli: bisognava ricominciare a lottare.
Qualcosa era cambiato il Solas. Il freddo elfo riflessivo, bastone in un pugno e una mano ad artigliare il terreno, si stava rimettendo in piedi con un'espressione da lupo in caccia.
Per un istante breve come un pensiero Fedra si chiese se fosse la stessa persona con cui aveva combattuto negli ultimi mesi: con un ringhio animalesco partì a testa bassa verso Corypheus, ingaggiato da Cassandra, e scatenò una pioggia di fulmini che lo prese in pieno petto.
Un grido di dolore e rabbia e la creatura ruotò su se stessa; colpì Cassandra in pieno viso e la fece ribaltare, ma la Cercatrice si rialzò nonostante il sangue che prese subito a scorrerle dal sopracciglio.
Fedra arrancò in piedi e recuperò i due coltelli. Si sentiva inutile, e poi si ricordò che mancava qualcuno all'appello.
“Morrigan... dov'è Morrigan?” chiese al nulla.
Ma era lei che Corypheus voleva. Si staccò da terra e sfrecciò via dal combattimento dritto versi di lei.
“No, non così, vecchio stronzo”, disse più a se stessa che al nemico. La mano libera di Corypheus calò su di lei e Fedra scartò di lato, incidendo il polso ossuto con una delle lame. Meno che un graffio, ma un punto per lei. Solas – uno scintillio bluastro negli occhi – lanciò una sfera luminosa dal palmo e andò a segno.
Sbilanciato in avanti dall'urto Corypheus quasi cadde su Fedra. Sulla punta dei pugnali.
Se fosse stato fatto solo di carne e ossa le lame sarebbero penetrate sotto alle clavicole e invece sferragliarono e sollevarono scintille contro gli spuntoni di lyrium rosso.
“Merda!” gridò Fedra. Si fece da parte prima di finire schiacciata, ma il corpo non incontrò mai il terreno. Con un turbine di fuoco e ombra Corypheus sparì.
“Vigliacco maledetto!” gli urlò Cassandra sventolando la spada nel nulla.
“Peggio che vigliacco”, rispose piano Solas, e anche nella voce c'era qualcosa di disumano. Tutti seguirono il profilo pallido stagliato contro il verde del varco per vedere il drago di lyrium rosso scendere in picchiata proprio sopra di loro.
“Siamo fottuti”, disse Varric. Uno, due, dieci dardi a raffica si infissero nel muso corazzato senza arrecare veri danni.
Fedra deglutì e chiuse gli occhi. L'ultima cosa che vide del mondo fu quel sogghigno di zanne e morte che si schiudeva su di loro e cercò un pensiero da portarsi con sé nella morte.
Facce, sorrisi, baci le si affollarono alla mente. Posò il pugno chiuso sul ventre e attese.
La morte arrivò con una raffica di vento così intensa da farla inclinare di lato. Fedra si coprì la testa con le mani e guardò in su.
Il drago non li aveva presi, in fin dei conti. Varric fu il primo a raggiungere il margine del tempio fluttuante e a lanciare un grido inarticolato.
Non le sembrava vero di essere ancora viva, anche se il pericolo era intatto. Fedra lo raggiunse e guardò giù – Dorian e Cole avevano occhi e bocca spalancate, il Toro brandiva la scure con una risata folle che rimbombava nella valle, sommersa dal ruggito dei due draghi.
Due.
La caduta dei due titani si interruppe a pochi metri da terra. Uno lo conosceva bene – denti da teschio, lyrium rosso nella pelle – ma l'altro... era viola, con corna ritorte, collo e coda snelli che frustavano l'aria. Quando la creatura, fauci serrate sulla nuca del drago di Corypheus, riprese il volo con la preda stretta tra gli artigli guardò Fedra negli occhi.
Iridi gialle. Da falco.
Morrigan.
Corypheus era sparito, ingoiato dalla notte, ma i due draghi erano ben visibili. Morrigan teneva il nemico tra le zampe da rapace e gli artigli scavavano nella carne soprannaturale; una pioggia di sangue nero si riversò a terra mentre il drago di lyrium si agitava e si rivoltava nella stretta; un colpo dei fianchi possenti e la planata di Morrigan si trasformò in uan caduta sul solido terreno metri e metri sotto di loro. Dorian trascinò indietro Cole mentre il Toro di Ferro ululava di eccitazione e correva avanti verso lo scontro.

Le due creature rimasero avvinte a terra a sbranarsi con un gran fragore di mandibole e ruggiti e l'aria si riempì dell'odore del sangue – arrivava persino al Tempio, in alto com'era, e Fedra dovette distogliere lo sguardo.
“Può farcela. Non ci posso credere”, disse Cassandra.
“Lei sì, ma io?” Fedra si riscosse e guardò in su verso il varco. La luce si rifletteva perpendicolare sulla zona che aveva ospitato l'altare, una distesa in cima a una scalinata.
Guardò Cassandra a lungo e annuì una volta. Non c'era bisogno di parlarsi: partirono insieme di corsa e, due scalini alla volta, si lasciarono alle spalle le grida dei draghi. Erano tornati in volo e, anche se Morrigan aveva un'ala lacerata e il drago di lyrium una zampa che pendeva a un'angolazione strana – oltre a uno squarcio sul collo che poteva derivare solo da un colpo di scure – riuscirono a divellere un'immensa scheggia di roccia dalle rovine che fluttuavano sopra al tempio. Fedra trascinò Cassandra indietro di tre scalini con un balzo e una storta alal caviglia proprio quando le pietre franarono di fronte a loro.
Corypheus comparve dietro alla barriera, occhi folli e sfera sollevata al cielo.
“Di qui”, prese il braccio di Cassandra e, ignorando il dolore e la zoppia, se la tirò dietro aggirando le rocce. Il passaggio era stretto ma non abbastanza da fermarle; riuscì a superarlo infilandosi tra due spuntoni di pietra e lacerandosi la pelle del torace, si strizzò fuori e barcollò in piedi, ma prima che potesse voltarsi verso Corypheus altre rocce piovvero dal cielo e ostruirono il passaggio.
Cassandra gridò di rabbia – meravigliosa, viva e incoraggiante rabbia – proprio mentre i due draghi, avvinti in un abbraccio letale, piovevano al suolo. Fedra scorse l'ala spezzata di Morrigan e soffocò un grido: si stava suicidando!
Corypheus dovette pensare lo stesso perché per un istante sul viso deforme passò solo la paura.
E poi accadde. Un tonfo che fece tremare gli alberi tutt'attorno, un verso strozzato e un urlo – il Toro, di nuovo – quindi il silenzio.
Solo per un istante. Qualcosa cambiò nello sguardo di Corypheus e la bocca ebbe uno spasmo.
“No...”
“Oh sì!”
Corypheus barcollò sulle ginocchia ossute e si voltò di scatto verso Fedra.
“Non ti concederò questa vittoria!”
Allargò le braccia e la sfera si sollevò in aria, una stella di saette rosse che dardeggiava sopra alla sua testa.
Lo stava facendo. Avrebbe squarciato il velo e sarebbe entrato nell'Oblio, portando a termine il suo folle piano. L'aura di energia che gli si formò tra le mani sfrigolava e Fedra si preparò. Non a parare: all'impatto. Si accartocciò su se stessa e si coprì la testa con una mano, il ventre con la sinistra.
Il marchio pulsò ferocemente e oltre le palpebre strizzate il mondo – nero e rosso di guerra – diventò verde.
Un istante dopo l'attacco di Corypheus arrivò. Si trovò sollevata da terra e scagliata in aria, circondata dal ronzio del gorgo nel cielo e dalle urla dei compagni. Cassandra gridò il suo nome quando le pietre delle macerie fermarono la caduta, un impatto che incrinò qualcosa tra le scapole e le fece sentire in bocca il sapore del sangue.
Fedra ricadde a terra e sfregò la guancia contro il pavimento ormai semidemolito. Senza fiato, senza speranze, riuscì a socchiudere le palpebre e a vedere la sagoma sdoppiata di Corypheus che teneva il Focus sollevato sopra di sé. Le mani mostruose si chiusero sulla sfera e lampi bianchi saettarono nella luce scarlatta.
“Io ho varcato i confini della città d'oro!” La voce del Magister rimbombava in maniera malsana, gli occhi due scintille bianche di luce troppo intensa.
Le faceva male tutto –corpo e cuore – ma riuscì a scivolare in ginocchio. Il marchio bruciava, pulsava e sembrava volerle spaccare le ossa fino al gomito.
Il ronzio era così forte da ferirle le orecchie – o forse ormai era solo lei a udirlo a quel modo. Barcollò in piedi e da lontano, lontanissimo, le giunse l'incoraggiamento di Varric.
“Puoi farcela, Fedra!”
Fedra. Quel nome così spigoloso, così duro. Non la musicalità di Evelyn, non i suoi capelli biondi e gli occhi da halla. Orecchie a sventola e una treccia rossa.
Anche per te, sorella mia. Per tutti noi.
“Io ho attraversato le ere!”
Il ruggito di Corypheus mandò il ritmo alle pulsazioni fino al gomito. Fedra riuscì a trovare l'equilibrio e l'ancora agì di sua spontanea volontà. Braccio teso in avanti, onde verdi di energia e potere che le incendiavano la mano.
“Dumat! Antico! Se esisti - se sei mai esistito...”
Non più l'eco rimbombante di un essere soprannaturale: disperazione.
E l'ancora sfrigolava, una forza che attirava e trascinava verso di sé.
“Aiutami! Ora!”
Nessuno rispose. Fedra digrignò così forte i denti da esser certa che si stessero spezzando per l'intollerabile tensione nel braccio, ma non durò che un soffio.
La sfera si liberò dalla stretta di Corypheus e sfrecciò verso di lei, attratta dall'ancora.
Presa. Fedra indietreggiò mentre il Focus rimbalzava contro l'energia che l'avvolgeva e si fermava a una spanna dal suo palmo. Corypheus diede un gemito inarticolato e crollò in ginocchio, la mandibola spalancata e gli occhi rivolti al cielo.
Inerme. Inutile.
Ora era lei che teneva tra le dita una fonte di potere inimmaginabile. Più di quello che avrebbero mai potuto conferirle tutti i Maghi, dal Tevinter fino al Ferelden, Più di quello di ogni singolo Templare mai esistito.
Fedra alzò lo sguardo al cielo, all'orrido sfregio aperto tra le nuvole.
Più che sufficiente per chiudere il varco. Per sempre.
Prese un profondo respiro che si spezzò per una fitta tra le costole, ma non esitò.
Non aveva più paura di fallire: quello che non poteva l'artefatto elfico leggendario che aveva tra le dita potevano i mesi di sofferenza e paura, di amore e sfida e responsabilità.
Per l'Inquisizione. Per tutti noi.
Vide con la coda dell'occhio Solas che scavalcava le pietre ma non si fermò a osservarlo. Tese il braccio verso il cielo e di nuovo si trasformò in un ponte di energia che squassava la terra. La colonna di luce verde la investì completamente, un fascio abbagliante che la avvolgeva e che componeva ogni fibra del suo essere. Si sentiva sfilacciata e attirata sia dall'Oblio aperto sopra di lei che dal mondo reale dove appoggiava i piedi e non era più importante.
Sarebbe morta, ma avrebbe salvato tutti.
Un sorriso tremulo le sfiorò le labbra.
Diglielo, Cole. Se non dovessi tornare diglielo tu.
Era un pensiero dolcissimo e straziante, ma Fedra dentro di sé seppe che qualunque cosa fosse successa non sarebbe andata da sola nel regno dei morti.
Il fascio di luce lampeggiò una volta, due.
Si spense.
Fedra rimase immobile, tesa verso il cielo, e vide quello stesso cielo guarire sopra di lei: il gorgo pulsò e si contrasse, pupilla che si stringeva per la luce improvvisa. Si strinse, si strinse... e si chiuse.
Silenzio. Nessun ronzio, solo il vento d'autunno.
Solo il tonfo improvviso della sfera che atterrava ai suoi piedi, nera e tonda e buia. Morta.
Lei, invece, era viva. Fedra trasse un lungo respiro tremulo e il mondo le vorticò davanti: Solas che le correva incontro, Cassandra che armeggiava tra i detriti con Varric tenuto stretto per la cintura, cercando di fargli scavalcare la muraglia.
Corypheus. In ginocchio, vacillante.
Sconfitto.
La guardava senza vederla, bocca spalancata e occhi vacui, tendendo verso di lei quelle orride mani che tanto le avevano fatto paura e che ora sembravano solo le appendici di un vecchio senza speranza.
Il marchio sulla mano di Fedra protestava ancora e guidava i suoi passi. Zoppicante, sfinita, raggiunse Corypheus e lo guardò, per una volta, dritto negli occhi.
“Volevi l'Oblio?” chiese con voce rauca. La mano sinistra si alzò guidata da una volontà sua e illuminò di verde gli spuntoni di lyrium rosso che laceravano la pelle grinzosa. “Ti ci mando volentieri. A pezzi”.
Uno squarcio si aprì sopra a Corypheus e la strana magia dell'ancora sbocciò per l'ultima volta. Luce, carne soprannaturale che si lacerava e sfilacciava nell'aria mentre il Tempio delle Sacre Ceneri calava lentamente verso il suolo. Della sagoma scheletrica e imponente per un attimo rimase solo un alone di luce punteggiato da frammenti neri – ossa? Lyrium? Fedra non lo sapeva e non le interessava – mentre lo squarcio si beveva l'essenza del nemico e lo riduceva alla memoria di un incubo.
Non era mai stato un dio. Non lo sarebbe mai diventato.
L'ultimo barlume di Corypheus fu risucchiato dallo squarcio. Fedra chiuse il pugno e anche quell'anomalia nel velo svanì, ricucita per sempre.
Ci fu un solo istante in cui il tempo rimase sospeso, lo spazio che intercorse tra il gesto con cui Fedra spostò lo sguardo dal cielo notturno allo spazio deserto di fronte a lei. Il tempo di un sorriso, della speranza incredula, di una risata trattenuta e pronta a scoppiare.
Poi il mondo crollò.
Non tutto il mondo, forse, ma di certo le rovine del Tempio.
Fu Cassandra a raggiungerla e a prenderla in braccio senza tanti complimenti, scudo e spada dimenticati chissà dove e mani che le stritolavano il torace e le ginocchia.
“Col cazzo che ti lascio morire così! Col cazzo!” e quell' insolita volgarità in bocca alla Cercatrice fu l'ultima cosa che Fedra udì prima del rombo e delle grida che le riempirono le orecchie.
Via dagli archi che vibravano, via dalle mura che perdevano pezzi: Cassandra raggiunse il centro della navata e si accucciò sopra a Fedra.
Il tonfo fu così forte da farle saltare entrambe di un paio di spanne e ricadere sulle dure rocce in frantumi. Varric da qualche parte gridò una bestemmia a pieni polmoni.
Il viso di Cassandra era premuto contro quello di Fedra, occhi serrati e ciglia nere che fremevano.
Altri piccoli crolli, macigni che atterravano rotolando al suolo e abbattevano la foresta. Che si schiantavano sul corpo immobile del drago di lyrium.
Erano a terra, fermi.

Fedra prese la mano di Cassandra che le proteggeva la testa e la strinse forte.
“Ce l'abbiamo fatta”, sussurrò. Era troppo anche solo pensarlo, crederlo veramente le sembrava più assurdo di un miracolo.
Gli occhi grigi della Cercatrice si aprirono piano. Era così vicina che i loro nasi si sfioravano, coperta di lividi, con un segno di preoccupazione tra le sopracciglia e i capelli coperti di polvere.
Era viva. Erano vivi, tutti loro, e avevano vinto.
La risata ribollì nella gola di entrambe e quel salvataggio si trasformò in un abbraccio isterico, fatto di ilarità che faceva male a ogni osso, a ogni muscolo contuso e di lacrime a profusione. Fedra prese il viso di Cassandra tra le mani – il marchio non brillava quasi più, nessuna pulsazione dolorosa – e le strizzò le guance.
“Ce l'abbiamo fatta!”
Questa volta fu un grido cui la Cercatrice rispose schioccandole un bacio in piena bocca e sollevandola tra le braccia.
Varric le raggiunse tenendosi una mano sulla testa, i capelli biondi incrostati di sangue e un occhio così pesto da non aprirsi più. Cassandra lasciò Fedra e corse verso di lui, inginocchiandosi a terra con una scivolata e abbattendolo in una stretta che lo fece uggiolare per il male e ridere di gusto.
Questa volta era vero. Drago morto, Corypheus sconfitto, cielo buio e placido: nessun esercito a minacciare la sua gente, nessuna ritorsione. Fedra, ancora seduta a terra, si rialzò con la testa che girava e il cuore che saltellava a un ritmo tutto suo.
Erano vivi, e anche quello aveva del miracoloso, visto che il tempio era crollato loro in testa.
Ma Solas non si vedeva da nessuna parte.
Il Toro era seduto, una decina di metri più sotto della pila di detriti, sul collo del drago morto e tuonava qualcosa di indecifrabile, dando delle gran pacche alla creatura defunta, e Cole era poco distante. Tra le sue braccia Morrigan era esangue ma reattiva, una spalla piegata nell'angolazione sbagliato e ferite sulla schiena; sarebbe sopravvissuta.
Dorian lasciò cadere il bastone e iniziò ad arrampicarsi verso Fedra.
“Stai lì. Ti vengo a prendere! Ti porto giù!”
“Ce la posso fare!”
“Sì ma vengo lì. Hai bisogno di un... no, ho bisogno di un abbraccio!”
L'angoscia per la scomparsa dell'elfo si mischiò all'affetto. Vista la malagrazia con cui Dorian continuava a litigare con gli appigli Fedra si voltò, superò Cassandra e Varric ancora abbracciati e si guardò intorno.
“Solas?” chiamò con un filo di voce. Nessuna risposta.
Superò un cumulo di macerie che le franarono sotto i piedi e scrutò nella penombra.
La sagoma snella di Solas era in ginocchio, il vento che gli sollevava l'orlo della tunica e la testa china. Fedra si affrettò a raggiungerlo con un sorriso che si spense quando ne vide l'espressione.
Nelle lunghe mani eleganti – l'avevano confortata, l'avevano curata, erano le mani di un amico – giaceva la sfera. Il Focus era opaco, spezzato in due.
Spezzato era ancora qualcosa nello sguardo dell'elfo. Lo aveva sempre considerato stoico, qualche volta persino freddo: ora aveva l'espressione di chi avesse perso tutto. Cullava quei frammenti come se fossero un figlio perduto e Fedra, pur senza capire, sentì una lancia di dispiacere lacerarle il cuore.
Gli si avvicinò e gli posò le dita sulla spalla.
“Solas, va tutto bene?”
“La... la sfera...”
E la comprensione le sbocciò dentro. Millenni, ere di conoscenza di un popolo ormai smarrito, una leggenda che aveva quasi potuto tenere tra le mani, la sua storia... in cenere. Non poté non sentirsi almeno un po' in colpa.
“Mi... mi dispiace”, strinse un po' di più la mano. “Davvero, Solas, credimi”.
L'elfo si voltò di poco verso di lei, gli occhi ancora bassi.
“Non è colpa tua”.
Appoggiò i resti della sfera a terra e per un attimo posò le dita su quelle di Fedra.
“Non è colpa tua”, ripeté con voce più ferma. Si alzò e la guardò a lungo, il cuore in pezzi come la sfera che gli si rifletteva negli occhi.
Le fu chiaro anche senza dover dire una parola. Quel che si era spezzato in Solas non si sarebbe aggiustato con una festa o con l'ovazione della folla che li acclamava.
Cercò qualcosa da dire ma una voce alle sue spalle la strappò da quel momento di strazio.
“Fedra! Fasta vass, non ci credo, non ci posso credere!”
Dorian le stava correndo incontro e non ci fu più spazio per quella sospensione. Un attimo dopo Fedra si trovò seppellita nel suo abbraccio, morbido e con le mani che tremavano un po', un bacio ad arruffarle i capelli sulla sommità della testa.
Neanche il tempo di ricambiarlo che i piedi di entrambi si staccarono da terra mentre il Toro li sollevava senza sforzo.
“Un drago! Capo, mi hai fatto combattere contro un drago! Ti direi che ti amo ma Cullen potrebbe ingelosirsi un po'!”
“Ho f-fatto quasi tutto io, bestione”. La voce di Morrigan era spezzata mentre, un braccio sulle spalle di Cole, avanzava verso di lei. Sorrideva, tuttavia, e si teneva stretta al fianco di Cole.
Cassandra e Varric li raggiunsero; quest'ultimo si guardò intorno e l'espressione raggiante si offuscò.
“Dov'è Solas?” chiese. Fedra si districò dalla stretta del Toro proprio mentre Cassandra trasaliva e iniziava a gridargli di metterla immediatamente giù. Quando il mercenario ebbe obbedito Fedra non ebbe bisogno di controllare.
La felicità si offuscò un po'.
“Lui... se n'è andato”, disse semplicemente.
“Be', è vivo?” chiese Dorian spazzolandosi la veste.
“Sì, decisamente, io l'ho..”
“Allora si farà vedere quando gli sarà sbollita la rabbia verso di te. Gli hai chiuso il parco giochi davanti al naso, Fedra, non può averla presa bene”.
Avrebbe voluto approfondire, crucciarsi ancora un po', ma qualcosa dentro di lei si ribellava. Qualcosa di un po' meschino che cozzava con la coscienza ma che gridava molto forte.
Varric le diede una pacca sulla schiena e sfregò forte.
“Carota, hai appena salvato il mondo. Cosa ne dici adesso di tornare a casa?”
Morrigan si sollevò e si asciugò una goccia di sangue dalla tempia.
“Sono un po' provata ma posso agevolare il viaggio. Abbiamo tutti bisogno di Skyhold, in questo momento”.
Skyhold.
Casa.
Cullen.
Il cuore di Fedra si gonfiò e le riempì il petto, ma senza riflettere di nuovo si portò una mano alla pancia.
Quello non era possibile, ma sarebbe sopravvissuta.
Avrebbero – quante volte se l'erano detto! - avuto tempo e lei non voleva farsi illusioni. Una nota di tristezza rassegnata le si intrufolò nella mente e fu difficile, per quel viaggio notturno che sembrò durare tutta la vita, ignorare lo sguardo luminoso di Cole su di lei.



EPILOGO

 

Era mattina inoltrata quando arrivarono in vista delle torri di Skyhold e Fedra stava diventando pazza per l'impazienza. Il cielo era di un blu pulito e perfetto sopra alle cime rosse e gialle degli alberi e lassù, oltre quel ponte, oltre i vessilli che garrivano nel vento freddo, c'era casa.
E questa volta per davvero.
Strinse le redini e fece per dare di sprone al cavallo, ma Cassandra la fermò afferrando la testiera del cavallo.
“Vedi di stare attenta”, le ringhiò dall'angolo della bocca.
Come poteva dirglielo? Che era sicura che non ci fosse più niente a cui prestare attenzione, che nessuna microscopica vita fragile poteva sopravvivere a tutto quello?
Stava ancora cercando le parole, trascinata al passo su per il sentiero, quando le prime persone corsero loro incontro.
“Eccola, eccola!”
Un bambino bruno cui mancavano i denti davanti indicò il piccolo drappello e lanciò l'allarme. Presto una pattuglia di ragazzini sciamò fuori dai cespugli e corse loro incontro, aggrappandosi alle staffe e battendo le mani. Dorian si ritrasse con espressione disgustata ma Morrigan non nascose un sorriso sfinito. 
“Avete vinto anche questa volta vero? Vero signora Araldo?” chiese una ragazzina sui quattordici anni, tutta gambe e occhi sgranati. Fedra annuì una volta e si raddrizzò sulla sella, un orgoglio che non aveva mai provato a riempirle le vene.
“Correte a Skyhold, avvisate tutti”, disse Cassandra. 
“Agli ordini, Cercatrice Pentaghast!” La ragazzina recuperò un paio di compagni e li trascinò con sé, sfrecciando a perdifiato su per la salita.
Non andarono molto lontano, perché la folla si era riversata fuori dalla fortezza e oltre il ponte levatoio.
Fedra li vide attraverso uno schermo tremulo di lacrime: i suoi soldati e contadini, fabbri, falegnami, cuoche e guaritrici. Una folla esultante di tutti i colori, centinaia e centinaia di teste, colli che si tendevano per guardare il corteo dell'Inquisizione che si avvicinava.
Risate. Lacrime di gioia. Questa volta non c'erano lutti da piangere, solo la felicità di aver salvato il mondo.
Le veniva da vomitare dall'emozione. 
Mani entusiaste la accarezzarono e strinsero le sue mentre a fatica avanzavano nella calca. 
Una parte della sua memoria riportò a galla quegli stessi festeggiamenti ad Haven, ma questa volta era diverso. Nessun drago a minacciarli: erano liberi.
Dalle mura un coro tonante inneggiava al suo nome.
“Fe-dra! Fe-dra!”
Alzando gli occhi vide le Furie schierate fianco a fianco con i pugni levati al cielo e una sfilza di sorrisi da un orecchio all'altro. Il Toro sollevò le braccia e il coro si trasformò in un ruggito.
Qualcuno l'aiutò a smontare da cavallo e un soldato la condusse tra le due fila di armati che trattenevano la folla festante. No, non un soldato qualsiasi: Jim, contegno marziale ma occhi che brillavano e i denti piantati nel labbro per trattenere una risata. Fedra non resistette e gli prese le mani, stringendole forte.
Jim le fece un cenno verso la scalinata di Skyhold. Dietro di lei Cassandra le fece l'occhiolino tra gli applausi e l'ovazione della folla.
Si sentiva – si vedeva – la mancanza di Solas, ma avrebbero avuto il tempo di preoccuparsene dopo.
Fedra raddrizzò le spalle e alzò il mento senza asciugarsi le lacrime che le scendevano sulle guance. Salì lenta e seria verso le tre figure che si stagliavano contro il sole.
Quando raggiunse lo spiazzo si fermò e tenne lo sguardo fisso negli occhi di Leliana. L'Usignolo prese un profondo respiro e, al suo fianco, Josephine non trattenne un sorriso commosso. Entrambe si inchinarono a Fedra che, goffa e rigida, rispose all'inchino.
E poi Cullen fece un passo avanti.
Fine delle cerimonie. Fedra scoppiò a ridere e a piangere apertamente e gli saltò in braccio, gambe e braccia avvolte attorno alla sua schiena.
Cullen la tenne stretta e la baciò mentre Skyhold esplodeva in un coro di esultanza.
“Lo sapevo che saresti tornata”, sussurrò contro le sue labbra, e Fedra lo sentì tremare contro di lei.
“Ti amo, Cullen”.
Gli occhi dorati scintillavano e qualcosa si era spezzato nelle loro profondità: una tensione accumulata nei mesi, il terrore incombente della fine.
Liberi. Di amarsi, di vivere, di stare assieme. Cullen chiuse gli occhi un istante in una preghiera muta di ringraziamento che vibrò anche nei pensieri di Fedra e appoggiò la fronte alla sua.
“Ti amo anche io, e... ehi!”
“Mettila subito giù, deve vedere Madre Giselle!” Josephine stava strattonando le braccia di Cullen con gesti a stento dissimulati. Cullen sollevò le sopracciglia e posò Fedra a terra, scrutandola da vicino.
“Sei... sei ferita...”
“No, niente di grave, solo qualche graffio e...”
“Ma non sappiamo l'effetto che può aver avuto la chiusura del varco su di te”. Josephine la prese sotto braccio e la trascinò via, lasciando Cullen in piedi e molto perplesso di fronte a Skyhold che festeggiava.
In un attimo Fedra, scossa e confusa, si trovò premuta tra Josephine e Leliana che la scortavano senza pietà verso le viscere di Skyhold.
“Ma cosa vi viene in mente?”
“Lo sai benissimo”.
Non fece in tempo a formulare un pensiero coerente, a spiegare che non potevano aspettarsi che fosse ancora incinta dopo aver chiuso il varco e sconfitto Corypheus che si trovò nella propria stanza, sola con Madre Giselle in piedi davanti al suo letto e con la porta che sbatteva alle sue spalle.
La sacerdotessa la guardò con gli occhi grandi e lucidi; non disse una parola, si limitò ad andarle incontro e a prenderla tra le braccia.
Non la stretta di esultanza di un commilitone, non l'amore feroce di Cullen: un abbraccio materno che le fece salire di nuovo le lacrime agli occhi. Si abbandonò tra le sue braccia e la stanchezza minacciò di sopraffarla.
“Sei stata così coraggiosa, bambina, così forte... puoi negarlo con ogni tuo respiro, ma io so che Andraste ha cavalcato con te in tutti questi mesi”. Le prese il viso tra le mani e le accarezzò le guance, sfiorando lo sfregio ormai rimarginato. “Hai salvato il mondo. E nelle tue condizioni!”
Fedra si morse il labbro e abbassò il viso.
“N-non penso che le mie condizioni siano più particolarmente fuori dal comune. Con tutto quello che...”
Madre Giselle la lasciò andare e si rimboccò le maniche, intingendo le mani in una bacinella d'acqua.
“Quello lascialo stabilire a me, Fedra. Dopo medicherò quello che ci sarà da medicare, ma per adesso...” e le indicò il letto con un cenno del mento. Perché sembrava così sicura di sé?
Fu una procedura sgradevole e imbarazzante; per tutta la durata Fedra si tenne un braccio sugli occhi e strinse i denti, pronta alla conferma di quella che per lei era ormai una certezza cui si sarebbe prima o poi potuta rassegnare.
Invece dopo qualche minuto Madre Giselle le diede una pacca sul ginocchio e si rialzò.
“Vestiti, Fedra”, le disse senza guardarla.
Ecco fatto. L'aveva sempre saputo che non sarebbe mai potuto succedere, ora si trattava solo di lasciare che la natura facesse il suo corso. Mentre si infilava i pantaloni cercò un modo per affrontare la questione, ma quando sbirciò il profilo di Madre Giselle vide le labbra incurvarsi all'insù.
“Cosa c'è?” chiese.
Non sperare. Non farlo, Fedra, farà solo male.
La sacerdotessa si voltò verso di lei e, nella luce dorata del mezzogiorno, ogni parte di lei sembrò splendere.

“Sei un miracolo continuo, Fedra. Va tutto bene, congratulazioni!”
Si bloccò con le dita sui bottoni delle braghe e la testa iniziò a girarle forte. Cadde seduta sul letto e rimbalzò sul materasso, gli occhi sgranati nel nulla.
Ce l'aveva fatta. Non lei, no, ma quella scintilla di vita che cresceva dentro di lei: si era aggrappata alla sua carne e aveva rifiutato di andarsene.
Era ancora lì, con lei.
Quell'immagine che aveva tanto faticosamente bandito dalla fantasia – guance rosee, riccioli biondi, manine paffute tese verso di lei – le esplose nel cuore e le strappò un singulto.
Non sentiva la voce di Madre Giselle che parlava e quasi non si accorse della carezza che le fece prima di raggiungere la porta.
Di certo si rese conto troppo tardi che là fuori c'era Cullen e che la sacerdotessa non sapeva alcuni dettagli. Si alzò di scatto con un capogiro la cui origine conosceva molto bene e tese una mano verso la porta senza riuscire a produrre alcun suono. 
Aveva il cervello incastrato da qualche parte tra la felicità e una paura tutta nuova fatta di futuro, speranza e responsabilità. 
Un ruggito rimbombò oltre la porta.
“LEI COSA?”
Ecco. Glielo aveva detto. La porta si spalancò e sbatté così forte contro il muro da staccare frammenti d'intonaco. Cullen era sulla soglia, una mano aperta sulla porta e gli occhi sgranati; alle sue spalle madre Giselle mormorava una litania di scuse che tacque quando si trovò chiusa fuori.
Fedra rimase a guardare Cullen e finì di allacciarsi i pantaloni: se doveva prendersi una lavata di capo – meritatissima – almeno sarebbe stata presentabile.
Le si avvicinò a pugni stretti, sferragliante e paonazzo.
“C'è qualcosa che devi dirmi, Fedra?”
La voce gli tremava come tutto il resto e le narici erano dilatate, il naso arricciato. Si sentì molto come una delle reclute durante una strigliata e abbassò lo sguardo.
“Be', tecnicamente credo che te lo abbia già detto Madre Giselle...”
“Fedra guardami negli occhi e ripetilo!”
Lo fece. Non si sarebbe fatta intimidire e sostenne quello sguardo stravolto, pupille strette e sopracciglia corrugate. Raddrizzò la schiena e sollevò il viso.
“Sono incinta”.
Cullen barcollò all'indietro e si appoggiò al comodino, facendo cadere la brocca che vi era appoggiata. Si passò una mano sul viso e sbuffò a fondo tre, quattro volte mentre tutto il colore gli spariva dal viso.
“S-Sei incinta, già. E tu lo sapevi!”
Fedra inclinò la testa di lato e il collo scricchiolò. Aveva male ovunque, lividi ed escoriazioni e in più aspettava un bambino; tutto questo, sommato al non trascurabile fatto di aver appena salvato il mondo, la rendeva poco incline alla pazienza. Si sentiva perfettamente giustificata.
“Lo sapevo da circa un'ora prima di partire, se ti interessa”.
“E non me lo hai detto!”
“Quando avrei dovuto dirtelo? Mentre organizzavi l'evacuazione di Skyhold? Mentre radunavo l'Inquisizione per prendere a calci in culo Corypheus? 'Comandante Cullen, mi raccomando coi trabucchi. Ah, e comunque sono incinta'”.
Cullen le puntò un dito contro e alzò la voce.
“Non provarci neanche a fare questi giochetti con me! Avevo il diritto di saperlo!”
“Ti sembrava il momento giusto per un discorso di questo tipo? Sei uscito di senno?”
Ora stavano urlando a pieni polmoni
“Sei un'irresponsabile!”
“E tu un egoista!”
La porta si socchiuse e Cassandra si affacciò, torva.
“Per l'amor di Andraste, pensate al bambino! Siete...”
“FUORI!” le urlarono in coro. Cassandra trasalì e strinse le labbra.
“Almeno andate d'accordo”, borbottò prima di sbattersi la porta alle spalle.
Per un attimo Fedra e Cullen si guardarono ringhiando. Nessuno dei due abbassò lo sguardo.
“Perché non me lo hai detto?”
“Cosa sarebbe cambiato? Non ci si poteva fare niente!”
“Ma avrei saputo che...”
“Cosa? Che c'era una vita in più da rischiare? Che me ne andavo a ricucire il varco con n-nostro figlio in grembo? Sarebbe stato un disastro se te lo avessi detto, Cullen, perché mi avresti implorato di non farlo, avresti perso la concentrazione e... e...”
Si passò le mani tra i capelli e prese un respiro profondo, spezzato.
“E poi ero sicura che per quando fossi tornata non ci sarebbe stato più niente da dire. Che l'avrei perso e... e basta. E invece...”
“E invece”.
Fu Cullen ad abbassare lo sguardo, alla fine, sulle mani di Fedra intrecciate in grembo.
“Quanto?” chiese con un filo di voce.
“Tre mesi. Forse qualcosa in più. Io... non me ne ero nemmeno resa conto, ero troppo presa con il panico e il terrore per notare certe cose”.
Scosse la testa e sollevò le spalle, cercando di imbastire un sorriso.
“Scusami. Non volevo tradire la tua fiducia, ma vorrei che capissi perché l'ho fatto. Tutto qui”.
“Tre mesi”. Gli occhi di Cullen stavano mutando, la meraviglia che prendeva il posto della rabbia mentre alzava lo sguardo su di lei.
“Penso sia successo da qualche parte nel deserto”. Sospirò e il sorriso divenne reale, una tenerezza che non aveva mai conosciuto. “Un assedio, l'Oblio, le Selve Arboree e adesso Corypheus. Con tutte quelle che ha già passato questo bambino sarà un guerriero”.
“No”. La mano di Cullen si posò sulla sua, una mano grande e calda e tremante che le copriva la pancia. “Sarà un eroe. Come sua madre”.
E il comandante Cullen Rutherford, veterano di chissà quante battaglie, Templare e sopravvissuto a più ordalie di quante se ne potessero contare, andò in pezzi. Crollò in ginocchio e scoppiò in singhiozzi incontrollati, le labbra posate contro il ventre di Fedra e le spalle che sussultavano.
“Un figlio. Mio... nostro figlio...” Alzò il viso e nonostante le lacrime fu come se il sole gli splendesse dietro gli occhi. Fedra si morse il labbro e cadde seduta di fronte a lui, cullandolo in un abbraccio fatto di lacrime frenetiche e di una risata tremula che non riusciva a trattenere.
“Nostro figlio”, gli sussurrò all'orecchio.
La strinse a sé con il viso stravolto e gli occhi che splendevano di una gioia folle. Le tenne il viso tra le mani e le accarezzò i capelli.
“O figlia”, e gli angoli della bocca vibrarono in un sorriso incredulo. 
“O figlia”, concordò Fedra. Posò le labbra sulle sue e le sentì schiudersi, la lingua che l'accarezzava che sapeva di sale, del pianto di entrambi.
“Per il Creatore quanto ti amo, Fedra, quanto ti amo...”
“Mi perdoni?”
“Solo se mi baci di nuovo”.
Fu molto lieta di obbedire. La porta si riaprì con un cigolio e Fedra, oltre la spalla di Cullen, vide Cassandra, Josephine e Leliana affacciarsi e sbirciare dentro con tre identiche espressioni di sollievo.
Rimasero abbracciati fino a che Fedra non iniziò ad agitarsi per la posizione scomoda. Cullen trasalì e balzò in piedi, sollevandola di peso e deponendola sul letto.
“Sono uno sconsiderato! Non ho pensato che sei...”
“Cullen, ti prego, non cominciare!” disse perentoria scendendo dal letto e fermandolo con un gesto della mano. “Se Rutherford Junior, qui, non si è formalizzato per Corypheus dubito che un crampo possa cambiare qualcosa!”
Cullen si asciugò le guance con il palmo delle mani e fece spallucce.
“Mi permetterai di prendermi cura di te?”
“Solo se non mi tratterai come se fossi malata. In più...”
La porta si aprì del tutto, questa volta, e fu Josephine ad affacciarsi, raggiante.
“Posso farvi le congratulazioni adesso?”
Fedra sospirò e annuì. Non riusciva a trovare altro che allegria dentro di sé, in quel momento.
“Ma non solo io, Fedra! Non credi che sarebbe bene dirlo anche agli altri? Oh, e poi sappi che in tuo onore si terrà una settimana di festeggiamenti!”
Il capogiro questa volta non era da imputare alla gravidanza. Si prese la testa tra le mani e batté le palpebre.
“Hai... ragione, immagino. Noi...”
“Noi saremo pronti”, e Cullen le prese la mano ammiccando.
Noi. Noi tre.

 

Cole aveva tenuto la bocca cucita. Quella sera, smaltita l'eccitazione della novità e con qualche ora di sonno, Fedra e tutti gli altri si trovarono seduti al tavolo della cucina come quella sera di pochi giorni prima che sembravano appartenere a un'altra epoca.
C'erano le carte sul tavolo e le candele semisciolte e Fedra aveva raccontato la battaglia per la millesima volta, recuperando a ogni ripetizione nuovi dettagli. Raccontò di come Morrigan si era trasformata in drago ed era rimasta ferita – niente di troppo grave, anche se Madre Giselle aveva cercato di convincerla a prendersi qualche giorno di riposo -  abbattendo il segreto per l'immortalità del nemico. Parlò anche di Solas e l'atmosfera si incupì quando non seppe dire dove fosse finito.
Leliana si versò un bicchiere di vino e guardò fuori dalla finestra buia con gli occhi acuti del capo delle spie.
“Lo troveremo, non temere. Te lo prometto”, disse prima di bere.
Ci fu un attimo di silenzio in cui Cullen cercò senza successo di trattenersi dal sorridere. Era tutto il giorno che lo faceva, un'espressione sognante e beata che faceva il paio con l'incapacità di concentrarsi come suo solito.
“Allora Fedra, cosa ne dici? Sarebbe il caso di...” accennò Cassandra con aria esplicita. Sollevò le sopracciglia e fece un cenno con il capo
“Il caso di cosa?” Dorian, che pure aveva bevuto più degli altri, tornò attento all'istante e raddrizzò la testa.
“Di dirlo”, incalzò Josephine.
“Dire cosa? Fedra?”
Le veniva da ridere – di nuovo – e si sentiva il viso in fiamme mentre alzava lo sguardo sugli amici. Su quella nuova famiglia che si era costruita.
“Sono...”
“Non ci credo sei incinta!”
“Dorian! Hai rovinato la scena!” tuonò il Toro picchiando il pugno sul tavolo. Diventò serio di colpo e voltò di scatto la testa massiccia verso Fedra. “No, aspetta capo: sei incinta sul serio?”
Le riuscì solo di annuire una volta.
“Per le tette di Andraste, Carota! Hai spedito Corypheus nell'oblio con la pagnotta nel forno? Sei incredibile!” Varric si alzò facendo cadere la sedia e corse ad abbracciarla.
“Divento zio. Non ci posso credere, divento zio...” Dorian si morse le nocche e si aggiunse all’abbraccio, che si concluse con il Toro che strizzava tutti.
“Due Cuori. Sono ancora due e sono forti”. Cole fece uno di quei suoi rari, dolci sorrisi. Il Toro e Varric si sfilarono dall'abbraccio per andare a sollevare di peso Cullen strapazzandolo con molta più energia; Dorian rimase stretto a Fedra e questa allungò la mano sul tavolo, prendendo quella di Cole.
“Grazie”, mormorò. Guardò negli occhi tutti, uno a uno, e la commozione le gonfiò il cuore.
Amici. Fratelli. Compagni.
C'erano stati fino in fondo durante quella lunga notte di orrore, e ora erano ancora assieme a godersi l'alba.


Ed eccoci qui, a spuntare la casellina e decretare conclusa questa lunga avventura. Gli ultimi capitoli sono arrivati un po' a singhiozzo e me ne scuso, tutta colpa del numero improponibile di progetti che porto avanti in parallelo.
Fedra però avrà sempre un posto speciale nel mio cuore di fanwriter. Mi ha riportata in questo mondo e mi ha fatto scoprire un'infinità di nuove sfumature della scrittura, senza contare le persone meravigliose che ha portato nella mia vita.
Si meritava un lieto fine - che lo sappiamo, durerà giusto un paio d'anni, ma anche oltre le ultime nuvole ci sarà il sole. Prevedibilmente gli headcanon sul nuovo arrivo in famiglia si sprecano; Allegra - non poteva che chiamarsi così! - sarà la prima di una dinastia, seguita dopo due o tre anni da Arland e Fergus; una maga, perché non si passano le prime, essenziali fasi dello sviluppo embrionale nell'Oblio senza portarsi a casa qualche effetto collaterale, con gli occhi della mamma e i capelli biondi del papà, ferocemente protettiva nei confronti dei fratellini e con un piede nel mondo dei sogni.

Grazie per chi ha fatto questo viaggio con me e con Fedra; al prossimo squarcio da chiudere!

 

Val

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