Le cronache di Aveiron: La guerra continua

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come sabbia fra le dita ***
Capitolo 2: *** A mani giunte ***
Capitolo 3: *** Pianti ascoltati ***
Capitolo 4: *** Periodo di pace ***
Capitolo 5: *** Momenti di fortuna ***
Capitolo 6: *** Il cuore e la famiglia ***
Capitolo 7: *** Il gran segreto ***
Capitolo 8: *** Sorelle per sempre ***
Capitolo 9: *** Nebbia e tempeste ***
Capitolo 10: *** In salute e malattia ***
Capitolo 11: *** Decisioni difficili ***
Capitolo 12: *** Sulla via della ripresa ***
Capitolo 13: *** Lady Bianca ***
Capitolo 14: *** Nuovi orizzonti ***
Capitolo 15: *** Primordi di una lotta ***
Capitolo 16: *** Tacere il vero ***
Capitolo 17: *** L'amore e i suoi miracoli ***
Capitolo 18: *** Alta tensione ***
Capitolo 19: *** Tesi come mai prima ***
Capitolo 20: *** Spade, scudi e nuove sfide ***
Capitolo 21: *** Verso nuovi inizi ***
Capitolo 22: *** Notte di segreti ***
Capitolo 23: *** Scegliere e agire ***
Capitolo 24: *** Confessioni del cuore ***
Capitolo 25: *** Falsa quiete ***
Capitolo 26: *** L'occasione più speciale ***
Capitolo 27: *** Ritorno ad Ascantha ***
Capitolo 28: *** Vita nuova e regolare ***
Capitolo 29: *** Dalla calma al terrore ***
Capitolo 30: *** Beata innocenza ***
Capitolo 31: *** Appesi ad un filo ***
Capitolo 32: *** Fragile come vetro ***
Capitolo 33: *** La forza dentro ***
Capitolo 34: *** Il gioco delle colpe ***
Capitolo 35: *** Speranze ancora vive ***
Capitolo 36: *** Volere è potere ***
Capitolo 37: *** Mosaico di domande ***
Capitolo 38: *** Segni indelebili ***
Capitolo 39: *** Invasione ***
Capitolo 40: *** Fine? ***



Capitolo 1
*** Come sabbia fra le dita ***


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Le cronache di Aveiron: La guerra continua

Capitolo I

Come sabbia fra le dita

Ero esterrefatta. Non riuscivo a muovermi, a ragionare o a concentrarmi. Avevo dalla mia parte la compagnia del mio gruppo, ma nonostante questo, mi veniva davvero da piangere. Lacrime. Acqua che minacciava di sgorgare dai miei occhi da un momento all’altro. Attorno a me non c’erano che dolore, miseria e distruzione, e mentre sia il tempo che il mio intero mondo parevano aver smesso di muoversi, io ero lì, ferma e china sul corpo della mia povera figlia, che all’età di soli cinque anni, aveva raccolto tutto il suo coraggio per difendere me. Sua madre, la donna che le aveva donato la vita. Muta e letteralmente incapace di parlare, non facevo che guardarla e piangere in silenzio. Guardandomi intorno, non dicevo una parola, ma anche solo con l’aiuto dello sguardo, cercavo aiuto. In quel preciso istante, Stefan e Soren mi notarono, e avvicinandosi, il mio amato si rese subito conto di quanto stesso accadendo. “Mio Dio, Terra.” Biascicò, con la voce rotta e spezzata dall’emozione. Proprio come me, non riusciva a crederci. La sua bambina, piccola principessa, che ora giaceva lì, immobile e quasi priva di vita. Inginocchiata in terra, la guardai, e solo allora, notai un particolare. Stentavo a crederci, ma non era morta. La mia piccola era ancora viva, e respirava. Il suo petto si alzava e abbassava lentamente, ma c’era un ritmo, e questo bastava. Allarmato, Stefan le afferrò un polso, e guardandoci per un attimo negli occhi, ci sentimmo sollevati. Sembrava un miracolo, ma il suo piccolo cuore batteva. Seppur rinfrancata da quella vista, non potei evitare di piangere, e i miei singhiozzi si trasformarono presto in grida disperate. “Aiuto! Un dottore! Ci serve un dottore! È per nostra figlia!” urlavo, sperando che qualche buon’anima sopravvissuta come noi a quest’insulso massacro potesse aiutarci. Con il cuore dolente ma al contempo gonfio di speranza, facevo saettare lo sguardo ovunque, andando alla muta ricerca del dottor Patrick, o perlomeno di una qualunque persona con indosso un camice bianco. Inutile è dire che fossi disperata e paralizzata dal terrore, ma improvvisamente, qualcosa accadde. Grazie alla forza della disperazione, scelsi di agire. Mi concentrai quindi sulla ferita nella schiena di mia figlia, e chiudendo gli occhi per un attimo, mi feci coraggio. Con un gesto secco estrassi quell’arma, e subito dopo, fu il turno di Stefan. “Non perdere tempo, andiamo.” Mi disse, invitandomi ad alzarmi e sollevando da terra il corpo della nostra piccola. La prese quindi in braccio, e correndo, mi incitò a seguirlo. Limitandomi ad annuire, obbedii senza proteste, e durante quella così sfrenata corsa verso l’ignoto, ascoltavo i suoni e le urla della povera gente intorno a me. Suoni che sentivo ininterrottamente, e che avevo ormai imparato ad ignorare. Ben presto, questi vennero sostituiti da altro, ossia dalle parole del mio amato. Fra un passo e l’altro, parlava a nostra figlia. “Va tutto bene Terra, sei con papà adesso.” Le diceva, parlandole con la sola speranza di mantenerla cosciente ed evitare di perderla. In fin dei conti, era la nostra primogenita, ed ero sicura che se questo fosse accaduto, entrambi ne saremmo usciti distrutti. “Sei al sicuro adesso, piccola. Hai capito?” continuò, ponendole quella domanda al solo scopo di sincerarsi di essere ascoltato e sentito. La nostra amata Terra era viva, ma dato il gran dolore derivante dalla ferita sulla sua schiena, non parlava. Non riusciva davvero a farlo, ma in cuor mio speravo ardentemente che si riprendesse. “Ti prego, piccola mia. Ti prego. Torna da mamma, per favore.” Continuavo a ripetere, parlando con me stessa e sperando che qualcuno di molto più in alto oltre a lei potesse sentirmi. Data la situazione, poteva apparire scontato, ma stavo davvero pregando Dio perché la salvasse. Da molti avevo sentito dire che il destino era scritto, e che per tale ragione nulla si poteva cambiare, ma io non ci credevo. In fondo, perché mai qualcuno di superiore a me e alla mia intera e allargata famiglia avrebbe dovuto scrivere un capitolo così triste per le nostre rispettive vite? Non lo sapevo, né potevo saperlo, e benché fosse accaduto, non potevo accettarlo. Non lei, non la mia bambina. La dolce e adorabile creatura che avevo tenuto sotto il mio cuore per nove lunghi mesi, ancora troppo giovane, piccola e fragile per questa vita, piena di dolore, miseria e violenza. Ad ogni modo, il tempo aveva seppur lentamente ripreso a scorrere, e data la situazione, ogni attimo era una tortura, un vero e doloroso supplizio. I minuti passavano, ed io rimanevo metaforicamente ferma a incolparmi di quanto fosse appena accaduto. “Perché non l’avevo fermata? Perché non l’avevo lasciata alle cure di mia madre o di Lady Fatima? Perché?” domande che mi ponevo incessantemente, soffocando ogni volta l’impulso di urlare e piangere. Intanto, la nostra corsa continuava, e improvvisamente, un viso amico si palesò davanti ai nostri occhi. “Dottor Patrick! Dottor Patrick! Chiamai a gran voce, vedendolo notarci solo allora. “Ragazzi! Che cosa…” provò a chiedere, faticando a parlare per lo sforzo e l’emozione. “Papà! Ti prego, aiuto. Si tratta della bambina. Aiuto!” rispose Stefan, non badando al tono che utilizzò nel parlare. “Accidenti, è grave. Venite con me, presto.” Commentò, ordinandoci poi di seguirlo verso un edificio che ai nostri occhi appariva malconcio e abbandonato da parecchio tempo. Confusa, mi guardai intorno. Le pareti bianche e piene di crepe, le porte delle stanze chiuse, le luci attaccate al soffitto che penzolavano appena sopra di noi. In quel momento, un lampo di genio. Sembrava incredibile, ma finalmente, avevamo raggiunto un vero ospedale. Mantenevo il silenzio, ma era come se il mio cuore fosse stretto in una morsa. Il dolore mi stava consumando, e in quel preciso istante, avevo un unico desiderio. Rivedere la mia bambina in forze. Vederla sorridere, sentirla parlare, ascoltare il suono della sua risata, in una parola, riaverla. Senza proferire parola, guardai il mio Stefan negli occhi, pregandolo di posare la povera e ora incosciente Terra fra le braccia del nonno. “Avrà cura di lei. Sai che puoi fidarti, Stefan.” Gli dissi, notando la riluttanza che tentava in ogni modo di mascherare. Decidendosi, il mio amato scelse di ascoltarmi, e deponendo la bambina fra le braccia di suo padre, si voltò dando le spalle ad entrambi, e concentrandosi poi su di me. Provando istintivamente pena per lui, lo abbracciai, stringendolo a me con forza inaudita. “Pensi che ce la farà?” mi chiese, con la voce corrotta da un dolore impossibile da nascondere. Scivolando nel più completo mutismo, non risposi. La sofferenza mi dilaniava, ma nonostante questo, raccolsi le mie energie, e parlando in completa sincerità, mi espressi. “Guardami negli occhi e ascoltami.” Gli intimai, facendomi improvvisamente seria. “Ricordi quello che ha detto Rachel? Bene, io non ci credevo, ma ha ragione. Terra non è solo una bambina. Lei è forte, molto forte, perciò sì, ce la farà.” Risposi poi, vedendo il suo sguardo illuminarsi. In quel preciso istante, la gioia parve pervaderlo, e senza pronunciare una singola parola, avvicinò le sue labbra alle mie, baciandomi. Non muovendo un muscolo, lo lasciai fare, e quella sera, passai gran parte del tempo nella stanza assegnata alla nostra piccola, tenendole la mano e pregando. Proprio come mi aspettavo, Stefan mi rimase accanto, e mentre la luna e le compagne stelle prendevano il loro posto nel cielo scuro e quasi tinto di nero, sussurrò qualcosa. “Rain?” mi chiamò, quasi volendo sincerarsi di avere tutta la mia attenzione. “Sì?” risposi, spostando il mio sguardo su di lui. “Voglio crederci.” Disse poi, terminando quella frase con un secondo e più leggero bacio sulla fronte, che accettai con un sorriso. In parole più povere e comprensibili, quella notte fu per noi colma di dolore e tristezza, ma anche di speranza, poiché entrambi, orgogliosi della nostra amata bambina, non avremmo permesso che la sua vita scivolasse via come la fine sabbia di una spiaggia fra le nostre stesse dita.

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Capitolo 2
*** A mani giunte ***


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Capitolo II

A mani giunte

Tutto quel che stava accadendo era ai miei occhi irreale. Quest’assurda guerra continua a imperversare, e a quanto sembrava, non risparmiava niente e nessuno. Neppure la mia bambina, la mia piccola e dolce Terra. Grazie al provvidenziale intervento del caro dottor Patrick, accorso sentendo le mie disperate grida, mia figlia era stata trasportata nell’unico ospedale di Aveiron ancora in piedi, e secondo il suo onesto parere, aveva avuto fortuna. Difatti, se non ci fossimo mossi in tempo, le sue ferite l’avrebbero uccisa, ma data la mia prontezza nei riflessi, ora lei poteva avere una speranza di farcela. Guardandola, non facevo che stringermi a Stefan e piangere in silenzio, temendo per la sua incolumità. Il tempo scorreva senza sosta, ma ogni minuto pareva trascinarsi come un flessuoso serpente. Lento ma deciso, così il tempo fuggiva da noi, senza possibilità di tornare indietro. Fra una lacrima e l’altra, pregavo Dio con tutto il cuore. In fin dei conti, quella dolcissima eroina aveva solo cinque anni, e secondo il mio pensiero di madre, non meritava di morire. In completo e perfetto silenzio, eravamo entrambi lì, in quell’arida stanza d’ospedale, i cui muri sembravano non solo coperti di crepe, ma anche consumati dall’umidità e dalla muffa. Intristita da quel pietoso spettacolo, guardai Stefan ancora una volta. Che mi stava succedendo? Perché piangevo se ero stata io a dare a lui la forza di andare avanti e credere nella guarigione di nostra figlia? “È tutto normale Rain, sfogati, avanti.” Mi diceva il dottor Patrick, abbandonando il letto dove Terra riposava al solo scopo di avvicinarsi e confortarmi. “Hai paura, vero?” mi chiese poi Stefan, guardandomi con fare preoccupato e apprensivo. “Cosa? Certo che ho paura! In fondo è nostra figlia! L’hai dimenticato?” sbottai, perdendo improvvisamente il controllo delle mie emozioni e nascondendo il volto e le mie lacrime con le mani. “Dai, l’abbiamo salvata. Abbi fede, può farcela.” Continuò, stringendomi ancora una volta a sé sperando di calmare i miei singhiozzi. Seppur rinfrancata da quel gesto e dalle sue parole, non smisi di piangere, e guardandomi intorno, notai l’entrata in scena di alcuni visi conosciuti. C’erano tutti. Soren, Samira, perfino Basil, Rachel e Lady Fatima. Ci avevano seguito dopo averci visto scomparire durante la battaglia, e adesso erano con noi. Sapevano bene ciò che era successo a Terra, ed erano venuti a darci conforto. Il silenzio cadde nella stanza, e di punto in bianco, la Leader si avvicinò a me. Teneva in braccio la mia piccola Rose, e non appena fu abbastanza vicina, lasciò che la prendessi in braccio. Le avevo ancora una volta chiesto di proteggerla da quegli odiosi Ladri, e a quanto sembrava, aveva mantenuto la promessa. Difatti, la mia bella bambina non aveva un graffio, ed era ancora avvolta nella rosea copertina che mia madre le aveva fatto lavorando a maglia. “La terrà calda.” Mi aveva detto nel giorno della sua nascita, posandola poi sul suo tremante corpicino mentre dormiva nella sua culla di robusto legno. “Grazie.” Sussurrai all’indirizzo di Lady Fatima, prendendo la piccola in braccio e stringendola a me. Ormai aveva quasi un anno, e anche se poco per volta, stava imparando a parlare. Guardandosi curiosamente intorno, scorse il volto della sorella maggiore spuntare da quelle bianche coperte, e indicandola con il dito, tentò di esprimersi e parlare. “Terra.” Biascicò, trascinando quel nome con grande indecisione. “Sì, Terra.” Risposi, incoraggiandola. Per tutta risposta, la piccola continuò a guardarla, e facendolo, emise un versetto. “Tua sorella è coraggiosa, sai?” continuai, completando quella frase con quella semplice domanda. Rompendo ancora il silenzio, la bimba vagì ancora, e con il cuore che pareva sciogliersi, mi avvicinai a quel bianco letto. Sorridendo debolmente, le carezzai una guancia, sentendo poi il suono del suo affaticato respiro. Quello era uno dei segni che era viva, e con l’arrivo della notte, ci avvicinammo tutti a lei, chiudendo gli occhi e pregando con il cuore. Non sapevamo se qualcuno più in alto di noi ci avrebbe mai sentito, dando a quella bella bambina dal cuor di leone una seconda possibilità, ma in silenzio, pregavamo. Senza parole, ma a mani giunte.

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Capitolo 3
*** Pianti ascoltati ***


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Capitolo III

Pianti ascoltati

Passarono tre giorni. Tre interminabili giorni, che trascorsi piangendo accanto al corpo della mia incosciente figlia maggiore. Secondo il dottor Patrick era viva, e stava bene, ma nonostante tale consapevolezza, non potevo evitare di essere preoccupata. Stefan mi parlava continuamente, incoraggiandomi ad aver fede proprio come io avevo fatto con lui, e tenendomi la mano, continuava a pregare. Confusa e nervosa, fissavo il volto della mia bambina, concentrandomi poi sul suo petto. Si alzava e abbassava in modo regolare, e saperlo mi era di conforto, ma non abbastanza. Tutti i miei amici lo sapevano, e anche la mia famiglia, che al solo scopo di rincuorarmi, mi aveva mandato un’ennesima lettera. Dicevano che sarebbero venuti ad Aveiron il prima possibile, ma dopo tre giorni di snervante attesa, di loro neanche l’ombra. Distrutta, stavo per arrendermi, ma proprio in quel momento, eccoli. Mia madre, mio padre e Alisia. Ricordavo bene l’ultima volta in cui l’avevo vista, così come la prima, in cui mi aveva intimato di ricordarla come sorellastra. Sì, sorellastra. Nessuno oltre a lei me l’aveva mai detto, eppure esisteva una possibilità che il legame esistente fra di noi fosse solo e soltanto affettivo, ma a me non importava. Per quanto ne sapevo, lei sarebbe sempre stata mia sorella, e i miei genitori sarebbero stati nostri. In fin dei conti, le volevo bene, e benché fossi convinta di non dirglielo abbastanza, né di ricambiare i mille favori che continuava a farmi, era vero. Ad essere sincera, avrei davvero voluto conoscere la verità sentendola provenire direttamente dai miei, o meglio nostri genitori, ma ora era poco importante. Quello che per me contava era riavere indietro Terra. Per una madre, un figlio non è che una benedizione, e perderlo in qualunque circostanza, inclusa quella in cui ci trovavamo, può significare molto, e come tante altre cose, essere indice di dolore. Avendola affidata alle cure di un medico del calibro del dottor Patrick, che aveva lavorato e lavorava ancora al servizio della Leader Lady Fatima, non potevamo far altro che guardarla e sperare per il meglio, tenendo le mani giunte e unite in preghiera. Restando vicina ai miei genitori, infusi coraggio a mia madre, provata e distrutta all’idea di perdere una delle sue nipoti. Contrariamente a lei, mio padre non piangeva, ma a giudicare dalla mesta espressione dipinta sul suo volto, era triste anche lui. Abbracciandola, offriva conforto alla moglie, e aspettando, fissavo il sole e le stelle. Se ne andarono così altri sette giorni, e dopo ben dieci, accade quello che ognuno di noi in quella stanza attendeva. Mugolando qualche insensata parola, Terra provò a comunicare con noi, e con uno sforzo immane, mosse una mano. I suoi verdi occhi si riaprirono solo poco dopo, e risvegliandosi, si ritrovò circondata da visi amici, ma specialmente dalla sua intera famiglia. Per una ragione comune infatti, eravamo tutti lì per lei, felici di rivederla viva e sveglia, con i cuori colmi di gioia sapendo che ce l’aveva fatta. Aveva vinto un’ardua battaglia contro la morte, ed era tornata tra noi. “Terra!” la chiamai, quasi gridando il suo nome e precipitandomi ad abbracciarla. “Tesoro mio, per fortuna sei qui!” continuai, stringendola a me con forza ancora maggiore. “Sono qui? Significa che ti ho salvata?” chiese, attendendo in silenzio una qualsiasi risposta. “Sì, piccola, mi hai salvata, ma quel che conta è che ti sei salvata.” Le risposi, spiegandole poi in termini comprensibili alla sua età la grande importanza del suo sacrificio. Sciogliendo poi quell’abbraccio, l’aiutai a liberarsi dalle coperte e scendere da quel letto, notando che nonostante il dolore alla schiena, e una vistosa cicatrice, riusciva a muoversi. Ancora tutti intorno a lei, non riuscivamo a credere ai nostri occhi. Quella cucciola coraggiosa si era sacrificata per quello che lei vedeva come il componente più importante dell’intero gruppo, e a seguito di quella così ardua e importante battaglia, che a momenti minacciava di privarla della vita, era ancora in piedi, pronta a lottare ancora. In quel così fortunato giorno, il dottor Patrick la dimesse, e una volta fuori da quell’ambiente così clinico e arido, ci rendemmo conto di una cosa. Finalmente, dopo dieci giorni di attesa, i nostri pianti erano stati ascoltati.

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Capitolo 4
*** Periodo di pace ***


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Capitolo IV

Periodo di pace

E così, una prima battaglia contro i Ladri sembrava vinta. Ci eravamo feriti, ma finalmente ripresi, e ammirando il levarsi e lo scomparire del sole dal cielo, che puntualmente lo lasciava vuoto e libero alla luna, avevo avuto tempo e modo di accorgermi del passare di un’altra settimana. Data l’attuale situazione, noi tutti viviamo ancora nella residenza di Lady Fatima, ma questo non ci tocca. Siamo felici, e pronti a qualsiasi cosa pur di continuare a difenderci. Ora come ora, sono occupata a guardare oltre il vetro della finestra della mia stanza. La luce solare è tenue, ma una leggera brezza spira accarezzandomi i capelli. La finestra è ora aperta, e a occhi chiusi, inspiro profondamente. Il periodo appena trascorso non è certo stato il migliore delle nostre intere e rispettive vite, ma ci sentiamo bene. Dopo quanto è accaduto durante quella battaglia, io stesa sono ancora viva, e mentre il tempo scorre, non posso fare a meno di pensare a Terra. Quel piccolo angelo mi ha letteralmente salvata, ed è solo grazie a lei se sono ancora qui. Le mie ferite non sono ancora guarite del tutto, e anche se una in prossimità del mio occhio si è ora cicatrizzata, è ancora visibile. Lentamente, il freddo diviene tiranno, e richiudendo la finestra, ammirai il mio riflesso nel vetro. Sospirando lievemente, vi posai una mano sopra, e voltandomi, mi sedetti sul letto. Ero completamente sola, e Stefan non era con me, e beandomi di tali momenti di solitudine, continuavo a pensare e torturarmi la mente e le membra. Nascosi poi il viso fra le mani. Sentivo gli occhi bruciare come fuoco vivo, e in silenzio, piansi. Eravamo ancora vivi e vegeti, certo, ma feriti, e non soltanto fisicamente. Ormai quasi un intero mese se n’era andato,  ma nonostante l’andar del tempo, che nessuno arresterà mai, ognuno dei miei ricordi era ancora ben impresso nella mia mente. Tentando di rallegrarmi, faccio del mio meglio per concentrarmi sulla vita che ora vivo, e facendolo, provo sentimenti contrastanti. Da un lato c’è la felicità legata all’essere ancora viva e avere il mio intero gruppo accanto, l’orgoglio verso la mia piccola salvatrice Terra, e anche lo stupore provato nel vederla svegliarsi dal suo coma, e dall’altro, in un antro completamente opposto del mio animo ancora ferito, il dolore che mi ha colpita nel vedere ogni persona  a me cara soffrire per tutto questo. Una guerra insulsa, che nessuno riesce a spiegare, e che ora, mentre sono occupata e intenta sia a pensare che a piangere,  sta sicuramente riempiendo di sangue, morte e distruzione le strade della mia bella e umile Aveiron. Mia città e regno natale, che ora, per colpa di gente del calibro dei Ladri, sta perdendo, oltre al suo originario splendore, anche la forza e la capacità di restare in piedi. Quelle orribili persone la stanno letteralmente distruggendo, e fra le lacrime, continuo a pensare. Qualche giorno fa, mia figlia Terra mi ha fatto un disegno. Ha preso una semplice matita in mano, e poi l’ha colorato. Un disegno della nostra casa ad Ascantha. Noi tutti, inclusi i nostri amici Soren, Basil e Samira, siamo lì, davanti alla porta di casa, intenti a sorridere. Mi sono ora calmata, e guardandolo, respiro. Le lacrime che hanno ricominciato a bagnarmi il viso sono figlie della mia ritrovata felicità. È soltanto un disegno, ma ha un gran significato. In fin dei conti, tornare indietro, a vivere la nostra vecchia e calma vita è un desiderio comune, che risiede nel cuore di ognuno di noi, compreso il suo, che a detta di suo padre e di chi la conosce, è di vero e puro oro. In altri termini, siamo tutti qui, uniti, a sperare in un periodo di pace.

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Capitolo 5
*** Momenti di fortuna ***


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Capitolo V

Momenti di fortuna

Il tempo continuava a scorrere, ed eravamo ancora fermi in quello che consideravamo il nostro rifugio. La dimora di Lady Fatima, che ora come ora, ci sta offrendo il ricovero, la protezione e l’aiuto di cui abbiamo bisogno. Come sempre, Stefan mi è accanto, e dopo un tempo che nessuno di noi riesce a definire, un viso amico è tornato fra noi. Suo fratello Drake. Non lo vedevamo da molto, e finalmente, proprio questa mattina, ha deciso di ripercorrere i propri passi e tornare indietro. Stefan e lui si erano divisi nel giorno in cui aveva provato a chiedere la mia mano, dopo una lite e la mia fuga da questo così sontuoso luogo, e poi riavvicinati dopo la nascita di Terra, nostra prima figlia e sua dolce nipote. Una sorta di figliol prodigo, nuovamente tornato sui suoi passi e deciso ad aiutarci al meglio delle sue possibilità dopo quanto ci era accaduto. Aveva saputo della nascita di Rose e dell’incidente di Terra, e ricordo che all’apprendere quella notizia, era quasi sbiancato. Non poteva crederci, ed era felice che fosse ancora viva. Inoltre, affermava di sentirsi incredibilmente orgoglioso di lei, tanto da voler fare qualcosa per una nipote così speciale. Sapeva bene che Rachel, l’amata compagna di Lady Fatima, le aveva regalato uno scudo e una spada in legno, e dopo il suo terribile incidente, nel quale era rimasta coinvolta al solo scopo di salvarmi, aveva preso una decisione. Armandosi di pazienza, le avrebbe insegnato ad usarle al meglio e difendersi. Felice di passare del tempo con lo zio, aveva accettato, e ora, invece che con il suo orsetto Ned, giocava con le sue affatto offensive armi, pur sempre conservando l’amore per le bambole e i peluche. “Sono una guerriera.” Diceva, ridendo e sfidando lo zio ad un giocoso scontro all’ultimo sangue. Assecondandola, Drake si lasciava colpire, fingendo di ferirsi e arrendendosi quasi subito. La lasciava vincere, ma solo per evitare un dispiacere. “Sei un codardo.” Gli diceva, beffandosi di lui e vantandosi di essere più forte. “Ho vinto! Ho vinto!” iniziò poi a ripetere più volte, felice di aver sconfitto lo zio e vinto quella sorta di scontro. “Sei fortissima.” Le rispose il padre, prendendola in braccio e lasciandola andare solo dopo averla baciata in fronte. A quella vista, sorrisi. Lo faceva solo in poche occasioni, e a quanto sembrava, non era riuscito a trattenersi. Sin dal giorno in cui ci eravamo sposati, Stefan ed io parlavamo in ogni occasione, specialmente poco prima di andare a dormire. In moltissime occasioni, mi aveva confessato di volere un bambino. Un maschietto, un erede che portasse avanti il cognome di famiglia. Una volta innamoratici, avevamo provato ad avere dei figli, e dalla nostra unione erano nate Rose e Terra. Ricordo ancora i giorni in cui sono nate, e la gioia che gli aveva allora pervaso il cuore e fatto brillare gli occhi nel momento in cui gli avevo confessato di essere incinta. Ora come ora, sono vicina alla soglia dei trent’anni, perciò ancora giovane, e spero vivamente che nonostante il sangue e le lacrime che scorrono per queste quasi deserte strade, piagate da una guerra che non sembra voler finire, la nostra vita tornerà un giorno ad essere quella che era, molto più rosea e tranquilla. A detta di molti, il nostro amore è paragonabile ad un fiore o ad una tenera piantina, che a dispetto di ogni difficoltà, continua a vivere sfidando il freddo, la neve e le crepe nel cemento cittadino. Così, il tempo sta passando, e concentrandomi su tutto ciò che di bello ci è successo, dal nostro primo bacio, alla nascita di entrambe le nostre principesse, comprendo di dover mantenere la mia innata positività, non scordando, intanto, di ringraziare il cielo per questi bellissimi momenti, costellati d’amore, amicizia e gran fortuna.

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Capitolo 6
*** Il cuore e la famiglia ***


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Capitolo VI

Il cuore e la famiglia

I giorni continuavano a passare, e mentre continuare a mantenere la calma che tanto agognavo diventava sempre più difficile, io facevo del mio meglio, concentrandomi principalmente su Rose e Terra. Erano le mie bambine, e sapevo bene che non sarebbero rimaste piccole per sempre, ragion per cui, tentavo di passare più tempo possibile al loro fianco, così che nonostante tutto potessero avere un’infanzia pura e normale. Dopo quanto era accaduto, ero certa che Terra avesse ormai parzialmente se non addirittura interamente sacrificato la sua nel giorno in cui mi aveva salvata, ma nonostante tale consapevolezza, non potevo evitare di sentirmi orgogliosa di lei. Sin da quel fortunato giorno, lei mi ha fatto una promessa. Proprio come suo padre, ha promesso di provare a proteggermi. Un pensiero lodevole, che le fa davvero onore, e che ricorderò finchè in me aleggeranno un’ombra di forza e vita. Ora come ora, sono comodamente seduta alla mia piccola scrivania, intenta ad aggiornare quello che considero il mio diario. L’ho letteralmente creato da sola servendomi di carta, ago e filo, così come di una fida biro nera. Non lo tocco ormai da tempo, ma ci annoto praticamente qualunque cosa mi accada. Inutile è dire che ci scriva anche dei miei sogni e delle mie speranze, fra le quali, come ripeto spesso sapendo che non mi stancherò mai di farlo, si annovera e compare, ogni volta che chiudo gli occhi, il desiderio di tornare a vivere ad Ascantha. Una città non molto lontana da Aveiron, che seppur per un breve periodo di tempo, ci ha dato modo di vivere serenamente, lontano dal dolore, dal sangue e dalla minaccia dei Ladri. Esseri spregevoli che abbiamo sconfitto una volta, ma che quasi sicuramente, ricordando tale avvenimento, si rifaranno vivi. Ad essere sincera, spero davvero che non accada, e mentre il tempo passa, e il nero inchiostro della mia penna rimane impresso fra le pagine del mio diario, macchiandomi saltuariamente le mani, un ricordo si fa spazio nella mia mente. Alisia. Mia sorella, che come avevo capito in quel freddo giorno d’inverno, poteva anche non esserlo. Avendola sempre avuta accanto per moltissimo tempo, sin da quando non eravamo che bambine, l’ho sempre considerata tale, ma proprio ora, questo dubbio si insinua nella mia mente. Ancora una volta, il buio ha iniziato a farmi compagnia, e accendendo una piccola lampada, continuo a scrivere. Come molti miei amici sanno, farlo mi aiuta a calmarmi, ed è a mio avviso molto rilassante. Non nego che facendolo a volte sento il bisogno di piangere, e quando accade, non tento di fermare le lacrime. In fin dei conti, piangere fa bene tanto quanto ridere, e dati i miei trascorsi, ho avuto modo di imparare che per quanto profondo, il dolore è sempre passeggero. È ormai quasi ora di andare a dormire, e poco prima di andare a letto, Terra ha bussato alla porta della mia camera. Voleva darmi la buonanotte. Lasciandola pazientemente fare, aprii la porta, notando che portava con sé il suo disegno. L’aveva rivoluto indietro al solo scopo di modificarlo, e a quanto sembrava, ora voleva farmelo vedere. Regalandole un luminoso sorriso, lasciai che me lo mostrasse, e in quel preciso istante, lo notai. L’aveva firmato, ma quella non era l’unica differenza. Guardandola senza capire, attesi per qualche attimo, e stringendomi in un delicato abbraccio, la piccola mi sussurrò qualcosa. “Puoi tenerlo.” Mi disse, riferendosi al suo infantile ma bellissimo schizzo. Non volendo altro che renderla felice, le sorrisi, e appena un attimo dopo, le diedi la risposta che sapevo aspettava di sentire. “Lo terrò al sicuro.” Le dissi, abbracciandola a mia volta e deponendole un bacio in fronte. “Adesso va a dormire.” Le consigliai poi, con voce calma. “Non ci riesco.” Piagnucolò, guardandomi con gli occhi lucidi e sperando nel mio aiuto. Provando istintivamente pena per lei, la presi per mano, e accompagnandola nella cameretta che Lady Fatima le aveva assegnato, la aiutai a infilare la sua camicina da notte. “Vuoi un pò di latte?” le chiesi, ben sapendo che quella salutare bevanda le conciliava il sonno quando era più piccola. Il tempo stava passando, e benché avesse solo cinque anni, sentivo che un giorno sarebbe diventata una vera donna. Una guerriera, proprio come lei voleva e sognava. “Voglio fare del bene.” Aveva detto nel giorno di quella pericolosa battaglia, dalla quale ero uscita viva solo grazie a lei. Così, con quel ricordo in mente, sorrisi leggermente, e solo allora, la voce della mia piccola ruppe il silenzio creatosi fra di noi. “Non trovo Ned e Bunny.” Si lamentò, guardandomi con aria triste e spaesata. “Sta calma, saranno qui nella tua stanzetta.” Provai a rassicurarla, guardandomi poi intorno e andando silenziosamente alla ricerca dei suo due amati pupazzi. Un orsetto e un coniglio di pezza, con cui giocava moltissimo, e che custodiva gelosamente. Erano lì, caduti dal piccolo scaffale dove li teneva, ma non avendoli visti, la bimba li credeva persi. Abbassandomi, raccolsi entrambi quei peluche dal pavimento, e riavvicinandomi poi al suo letto, glieli diedi indietro. “Ecco, sono qui. Ora dormi, tesoro mio.” Le dissi, avendo in quel momento la gioia di vederla sorridere. “Grazie.” Soffiò poi, poco prima di chiudere gli occhi e rigirarsi nel letto. Nel farlo mi diede le spalle, e vedendola sbadigliare, capii che non mancava molto. Augurandole ancora una buona notte, spensi la luce, e chiudendo lentamente la porta, la lasciai dormire. Subito dopo, andai a letto a mia volta, ma faticai a dormire. Quella sera, qualcosa non quadrava. Sapevo bene dell’esistenza di una remota possibilità secondo la quale io e Alisia potevamo non essere legate dal sangue, e nonostante avessi tentato di convincermi che la cosa non aveva la minima importanza, ora scoprivo che era il contrario. Tutto sembrava andar bene, ma sentivo di dover conoscere la verità. Avevo a lungo provato a negarlo, ma non ci riuscivo più. Ora come ora, il mio animo sembra diviso in due. Una parte è dedicata ai miei sentimenti e al mio cuore, e l’altra, alla mia grande e allargata famiglia.  

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Capitolo 7
*** Il gran segreto ***


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Capitolo VII

Il gran segreto

Avevo faticato a dormire, e una volta in piedi, mi ero vestita con una semplice intenzione. Tornare ad Ascantha e parlare con i miei genitori. Quel che desideravo sapere era estremamente importanza, ed ero convinta che una lettera non sarebbe stata abbastanza. Certo, avrei potuto scriverne una e attendere una loro risposta, ma no, non volevo. Avevo atteso per anni, e sapevo che ora non c’era più tempo. La mia pazienza aveva ormai raggiunto il limite, e volevo vederci chiaro. Avrei, in un modo o nell’altro, fatto luce su quel mistero, andando subito alla fonte della risposta stessa. I miei genitori. Due anime gentili, che mi avevano donato la vita. Svegliando anche Stefan, raccolsi le mie forze e il mio coraggio, per poi raccontargli la verità riguardo ai miei desideri. “Noi due torneremo ad Ascantha.” Gli dissi, in tono fiero e solenne, che non tradiva altro che sicurezza. “Cosa? Perché? Qui stiamo bene!” replicò lui, stranito dalle mie parole. Non riusciva davvero a crederci. L’avevo colto di sorpresa, ma ad essere sincera, speravo davvero che come ogni altra volta mi sostenesse. “Ti prego, è davvero importante.” Esordii, sentendo la voce tremare come le foglie in autunno, ormai vicina a morire staccandosi dall’albero a cui appartiene. “Rain, calmati. Cosa ti succede?” fu la sua domanda, alla quale risposi prontamente. “Tu non lo sai, ma si tratta di Alisia. Ho sempre creduto che fosse mia sorella, ma ora i dubbi mi divorano.” Vedi, lei potrebbe non esserlo, e… e…” pronunciai quelle frasi con una velocità incredibile. In quel momento, ero letteralmente devastata. Il dolore mi stava controllando, e il mio obiettivo era ormai diventato uno solo. Ad ogni modo, quella frase mi morì in gola, non trovando mai una vera fine. Nervosa, tremavo incontrollabilmente, e mentre i secondi scorrevano, sparendo lentamente dalla mia vita, Stefan provò ancora a parlarmi. Il mio racconto sembrava averlo davvero preoccupato, e guardandomi negli occhi, mi posò una mano sulla spalla. “Rain, ascoltami. Verrò con te, e tu scoprirai tutto, ma la cosa importante è che saremo insieme.” Mi disse, supportandomi con amore anche stavolta. Ad essere sincera, credevo fermamente che non l’avrebbe fatto, ma invece era successo, e ora ero felice. Quel desiderio mi stava ormai consumando, tanto da impedirmi di ragionare lucidamente, ma sapevo che con il suo aiuto, ce l’avrei davvero fatta. Sorridendo, lo strinsi in un abbraccio, e avvisando prontamente Lady Fatima del nostro viaggio verso Ascantha, la vidi mostrarmi completamente a favore. In fin dei conti, le avevo parlato al lungo del mio rapporto con i miei amata genitori, che grazie al loro amore, mi avevano offerto il dono della vita. Li amavo davvero, e il pensiero che avessero potuto mentirmi riguardo a lei mi feriva. “Era vero? Alisia ed io non eravamo sorelle? Se sì, perché l’avevano fatto?” non lo sapevo, e sembrava che fossi realmente destinata a brancolare nel buio a riguardo. “Ci tieni molto, vero?” mi chiese Stefan, notando la tristezza e il dolore dipinti sul mio viso. “Potrebbero avermi mentito.” Risposi soltanto, in tono nettamente mesto. “Nonno e nonna non lo farebbero mai.” Osservò Terra, apparendo quasi indignata ai miei occhi. Proprio come me, anche lei voleva bene ai miei genitori, e li credeva persone buone e prive di difetti. A mio avviso, lo erano davvero, ma nonostante questo, non sopportavo di non conoscere tutta la verità su Alisia. Forse era mia sorella, forse non lo era, ma una cosa era certa. Io lo avrei scoperto una volta per tutte. “A volte lo si fa senza volerlo.” Le rispose lo zio Drake, in tono neutro ma serio al tempo stesso. Era venuto con noi solo perché la Leader gli aveva chiesto di accompagnarci, e notando il modo in cui avevo ignorato la bambina, aveva sentito necessario intervenire. Intanto, il nostro viaggio in carrozza continuava, e ascoltando il suono degli zoccoli del destriero appartenuto a Lady Fatima che colpivano quasi ritmicamente il terreno, mi misi a pensare. In quel preciso istante, mille ricordi mi passarono davanti agli occhi. Il giorno in cui mi ero arresa alla presenza dei Ladri ad Aveiron, quello in cui Alisia era sparita dopo avermi intimato di chiamarla sorellastra, e ultimo, ma non per importanza, quello in cui Stefan ed io l’avevamo soccorso dal freddo e dalla pioggia anni prima, vedendola poi perdere i sensi sul pavimento di casa. Per pura fortuna, si era poi ripresa, ma sin da allora, questo dubbio mi massacrava, lacerandomi la mente e le membra. Una parte di me era convinta che fossimo realmente legate da un vincolo di sangue, ma un’altra continuava a dirmi che era il contrario, e che per tutta la vita, noi non saremmo mai state sorelle. Improvvisamente, il cavallo nitrì con forza, e fermandosi, arrestò la sua corsa. Guardandomi brevemente intorno, scoprii di aver raggiunto la mia destinazione. Scendendo quindi da quella carrozza, attesi di riavere Stefan accanto, e facendomi poi coraggio, bussai a quella porta. Poco tempo dopo, mia madre mi accolse in casa, e dopo averla salutata, la informai del motivo della mia visita. “Devo saperlo.” Esordii, mettendola evidentemente alle strette. “Sapere cosa?” mi chiese lei, confusa e stranita da quelle parole. “Perché mi avete mentito?” chiesi poi, alterandomi di colpo e quasi urlando. “Rain, noi non lo faremmo mai, e Alisia…” biascicò, sentendo quella frase spezzarsi a metà e arrivare alla fine della sua esistenza. “Non è mia sorella, giusto? La incalzai, attendendo in silenzio una qualsiasi risposta. Forse mi stavo comportando male, forse esageravo, ragion per cui, guardandola negli occhi, provai a calmarmi. “Ti prego, dimmelo. Dimmi la verità, mamma.” La pregai, con la voce corrotta dal dolore e non più dalla rabbia, che soppiantata dalla tristezza, cessò di esistere. “No, lei non lo è, e non è neanche mia figlia.” Una frase che ebbe il suono di una confessione, e di fronte alla quale, mi sciolsi come neve al sole. Iniziando quindi a piangere, mi lasciai abbracciare, e fra una lacrima e l’altra, non potei che soffrire. “Mi dispiace.” Singhiozzai, scusandomi con lei della durezza che avevo mostrato in quei momenti. “Non fa niente, Rain. Avremmo dovuto dirtelo, e tu meritavi di saperlo. Non è tua sorella, ma lo sarà finchè la consideri tale. Ricordalo sempre.” Stavolta fu mio padre a parlare, sentendosi in dovere di farlo e non volendo che tentare di consolarmi. “Vi voglio bene.” Dissi allora, abbracciandoli entrambi e smettendo poi di piangere. “Anche noi, piccola. Anche noi.” Questa fu la loro risposta, che accettai senza proferire parola. Guardandoli in faccia per un’ultima volta, li salutai in silenzio, ma poco prima che potessi andarmene, mio padre mi fermò. “Fa attenzione, e sii forte, Rain.” Mi disse soltanto, stringendomi poi in un nuovo abbraccio, nel quale, dopo quanto era accaduto, desiderai soltanto perdermi. Non appena questo si sciolse, tornai alla carrozza, e con l’inizio del nostro viaggio di ritorno nella nostra bella Aveiron, li salutai ancora con un cenno della mano, non vedendo poi altro che il selciato scivolare via. Finalmente, mi sentivo meglio. Mi avevano mentito, certo, ma a fin di bene. In fin dei conti, non volevano che evitare di ferirmi, e a quanto sembrava, c’erano riusciti. Inutile è dire che non li odiassi per questo, perciò ciò che mi legava a loro è un sentimento di forte, fortissima amicizia e amore, perfino più grande di quello che mi legava a Stefan. Spostando lo sguardo, notai che Terra si era ormai addormentata. Avvicinandomi, le carezzai una guancia, e per il resto di quel viaggio, fui felice. Finalmente, il dolore e la rabbia erano scomparsi dal mio animo, così come questo grande e pesante segreto, che, ormai rivelato, aveva smesso di essere tale.

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Capitolo 8
*** Sorelle per sempre ***


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Capitolo VIII

Sorelle per sempre

Era fatta. I miei genitori mi avevano raccontato tutto su Alisia, e il nostro viaggio di ritorno ad Aveiron stava per iniziare. Guardando in basso, mantenevo il silenzio. Stefan mi fissava, ma senza proferir parola. Intanto, Terra sembrava essersi addormentata con Bunny fra le braccia, e mentre il tempo scorreva, il suono di una voce mi distrasse. “Rain! Aspetta! Ti prego, fermati!” gridava quella voce, invocando il mio nome e sperando di essere sentita. Rispondendo a quella sorta di richiamo, mi voltai quasi per istinto, e fu allora che la vidi. Era lei. Alisia. Aveva gli occhi velati dalle lacrime, piangeva, e sembrava davvero disperata. Al suo arrivo alla carrozza, il cavallo nitrì sonoramente, e per un singolo attimo, quel maestoso animale si erse sulle zampe posteriori. Allarmato, Drake strinse forte le redini tirandole a sé,e solo in quell’istante, il destriero si calmò. “Ascolta, mi dispiace. Mi dispiace davvero. Te ne avevo parlato, è vero, ma c’è un’altra cosa che devi sapere.” Mi disse, con la voce spezzata e corrotta sia dal dolore che dalla tristezza. Guardandola, non dissi nulla, ma sentendo improvvisamente le guance bruciare come fuoco vivo, mi lasciai vincere dai sentimenti e dalla forza del nostro legame. In quel momento, lei mi tese la mano, che io afferrai saldamente, quasi fosse stata un’ancora di salvezza. Così facendo, l’aiutai a salire in carrozza con noi, e poco dopo, il viaggio ebbe davvero inizio. Ad ogni modo, lei continuò a piangere per minuti interi, e sentendola singhiozzare, Terra finì per svegliarsi. “Che è successo?” chiese, incerta e dubbiosa. “La zia verrà con noi.” Le rispose Stefan, in tono calo e neutro. A quella notizia, la bambina sorrise. Sapevo bene che aveva avuto modo di legarsi profondamente a lei, e che le voleva bene, ma allo stesso tempo temevo per lei. In fin dei conti, aveva solo cinque anni, e non avevo idea di come avesse potuto reagire alla realtà. Per qualche strana ragione, finii per fantasticare sul discorso che Alisia voleva e doveva farmi, e una volta tornata alla residenza di Lady Fatima, le spiegai tutto, tentando di far leva sulla sua gentilezza. “Può restare.” Disse semplicemente, dopo aver sentito le mie ragioni. “Grazie. Grazie davvero.” Rispose Alisia, mostrandosi genuinamente grata di essere appena stata accolta dalla Leader in persona. Subito dopo, le mostrai la mia stanza, unico luogo in  cui io e lei avremmo potuto parlare restando lontano da orecchie indiscrete. Come mi ero ripromessa infatti, né Terra né Rose dovevano saperlo. Soffrivano già abbastanza conoscendo la situazione ad Aveiron, e no, in nessuna occasione, avrei permesso che soffrissero ancora. Avrei messo le carte in tavola a riguardo certo, ma non subito. Essendo loro madre, potevo affermare di conoscerle perfino meglio di me stessa. Due bambine dolci, adorabili e sensibili, che avevo messo al mondo dopo essermi unita al mio Stefan, e che avevo giurato di proteggere finchè la mia ora non fosse definitivamente scoccata. “Rain, no. È tua figlia. Ha ogni diritto di saperlo.” Mi disse Alisia, quasi intuendo il mio volere nel vedermi mandare Terra nella sua stanza.“Hai ragione, ma ora parla. Dimmi tutto.” Pregai Alisia, guardandola dritto negli occhi con fare serio e al contempo supplichevole. “È tutto iniziato in quel giorno. Te lo ricordi?” esordì, ponendomi poi quella semplice domanda. Muta come un pesce, mi limitai ad annuire, e appena un attimo dopo, lei riprese a parlare. Seduta sul mio letto, Terra restava in silenzio, tenendo in grembo Ned e Bunny, quasi come se fossero suoi figli intenti ad ascoltare una storia. “Come forse non sai, sono nata dal primo ma falso amore di nostro padre. Lui ha finto di amare la vera regina, e lei ha dato alla luce una bambina.” “Che bambina?” fu la domanda di Terra, dolce e ingenua come sempre. Esitando, Alisia la guardò negli occhi, e la sua calma divenne tristezza. “Io, piccola.” Disse in un sospiro, fissando poi lo sguardo sul pavimento della stanza al solo scopo di nascondere il dolore. “Cosa?” non potei fare a meno di chiedere, quasi scioccata da quella rivelazione. “È tutto vero. Sono figlia della prima regina. Lei è morta poco dopo la mia nascita, ma prima di andarsene, ha pregato nostro padre di tenermi con sé. Lui l’ha fatto, ed è per questo sono qui.” Concluse, facendosi seria come mai prima. “Alisia, io non… non ne avevo idea. Abbiamo litigato per tutto quel tempo, e solo ora scopro che… che…” biascicai non avendo la forza d’animo né quella fisica necessaria a proseguire. La frase mi morì quindi in gola, e mentre le lacrime iniziarono a rigarmi il viso, la voce di Terra ruppe il silenzio creatosi nella stanza. “Basta.” Disse soltanto, attirando la nostra attenzione. In quel preciso istante, Alisia ed io ci voltammo verso di lei, stupefatte. “Che cosa vi è preso? So che vi volete bene, e non voglio più sentirvi litigare!” gridò poi, iniziando anche lei a piangere. A quella vista, provai una profonda pena, così come una fitta al cuore. “Ha ragione. Che cosa abbiamo fatto?” dissi, guardando Alisia dritto negli occhi. Mantenendo il silenzio, lei non fece che guardarmi. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo, e tenendola stretta a me, la sentii sussurrare qualcosa. “Non importa. Non importa come, ma saremo sorelle per sempre.” Una frase che mi colpì il cuore e l’anima, finendo per esservi scolpita e incisa come un graffito sulla rocciosa parete di una spelonca. “Per sempre.” Ripetei in un sussurro, staccandomi da lei solo dopo la fine della frase. Poco dopo, Terra si avvicinò a noi, e un secondo abbraccio, contante stavolta tre elementi, ci unì tutte. Non appena questo si sciolse, Alisia guardò la bambina negli occhi, abbassandosi al suo livello. “Ora devo andare, ma tornerò presto. Continua a proteggere la mamma, piccolina.” Le disse, per poi rimettersi in piedi e lasciare la mia stanza. Dì lì a poco, fu di nuovo in strada, e affacciandomi dalla finestra, la vidi salutarmi. Sorridendo, ricambiai il saluto, e vedendola allontanarsi a piedi per raggiungere di nuovo Ascantha, ripensai alle sue parole. Sangue o non sangue, era vero. Noi saremmo state sorelle per sempre.

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Capitolo 9
*** Nebbia e tempeste ***


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Capitolo IX

Nebbia e tempeste

Era così passata un’altra settimana, e con gran gioia, avevamo tutti celebrato il compleanno di Rose. Aveva appena compiuto un anno di vita, e tutti, nessuno escluso, le avevamo fatto un regalo. Perfino sua sorella maggiore Terra, che guardandola dormire nella sua culla, le rimase accanto fino al suo risveglio, per poi ottenere il permesso di prenderla in braccio e compiere un gesto che non mi sarei certamente aspettata, ma che come tanti altri, ricorderò per sempre. Sorridendo, mi porse una piccola scatola che aveva decorato completamente da sola. “Dici che le piacerà?” mi chiese, attendendo in completo silenzio il mio parere. “Ne sono certa.” Dissi semplicemente, sorridendole apertamente. “C’ è solo un modo per scoprirlo.” Continuò, in tono serio e solenne. Subito dopo, con muta ammirazione, continuai a guardarla. In completo silenzio, Terra porse alla piccola il suo amato coniglietto di pezza. “Ned è il mio cavaliere, e quando lei sarà grande, Bunny sarà il suo.” Un pensiero dolce tanto quanto lei, rivolto alla sorellina che tanto aveva aspettato, e che amava persino più dei suoi giocattoli. Per tutta risposta, Rose sorrise, e prendendo quel morbido pupazzetto in mano, iniziò a giocarci. I sorrisi e i versetti che emise ci apparvero adorabili, e poco tempo dopo, Stefan ed io aprimmo per lei gli altri regali. Un sonaglio, una nuova bambola, e in ultimo, ma non per importanza, una copertina per la sua culla, che mia madre affermava di aver realizzato a mano. Rosa, calda e morbida, le avrebbe sicuramente permesso di fare dolci sogni. Ad ogni modo, il tempo continuò a scorrere, e quella sera, Lady Fatima bussò alla porta della mia stanza. “Dobbiamo parlare.” Disse sia a me che a Stefan, guardandoci entrambi negli occhi con aria seria. Mantenendo il silenzio, la incoraggiammo a parlare, e fu allora che ce lo disse. “Rain, Stefan, ascoltatemi. Posso proteggervi e lo farò, ma sappiate che la vostra famiglia è in pericolo.” Confessò, provando poi un più che motivato senza di paura misto a vergogna. Non riuscivo a capire perché, ma il luccichio nei suoi occhi, unito al tremore presente nella sua voce tradiva le sue vere emozioni. Difatti, era come se lei sapesse qualcosa. Qualcosa di grosso e importante, che certamente non poteva aspettare per vedere la luce. “Che succede? È grave?” osai chiedere, spaventandomi da sola e immaginando cosa sarebbe potuto accadere di lì a poco. “Molto più di quanto pensi.” Fu la sua risposta, che spinse Rose e Terra a cercare conforto fra le nostre braccia. Avevano entrambe paura, e in quel momento, la nostra piccola iniziò a piangere. Stringendola a me, iniziai a cullarla, ma nulla parve funzionare. Avvicinandosi a me, Stefan si offrì di tenerla con sé, e solo allora, la bimba parve calmarsi. “Ci dica cosa dobbiamo fare.” Continuò poi il mio amato, più pronto e serio che mai. “Dovrete solo prepararvi. I Ladri stanno tornando. Avete ancora le vostre armi, giusto?” concluse, ponendoci poi quella domanda. In completo e perfetto silenzio, ci limitammo ad annuire, e una volta ricevuta tale risposta, la Leader scelse di lasciarci da soli. Non appena se ne fu andata, decidemmo di mettere le bambine a letto, ma proprio mentre stavo rimboccando le coperte a Terra, lei mi pose una domanda tanto lecita quanto difficile, dettata solo dalla sua ingenuità.”Dovremo combattere ancora?” mi chiese, con la voce che tremava come una foglia. “Sì, principessa.” Le rispose il padre, guardandola negli occhi. “E secondo te vinceremo?” continuò la bambina, attendendo in silenzio una qualsiasi risposta. “Dipenderà tutto da quanto ci impegneremo, tesoro, ma almeno stavolta resta con papà, d’accordo?” risposi, completando quella frase con quella domanda. “D’accordo.” Rispose lei, facendomi eco e sbadigliando appena un attimo dopo. “Buonanotte, mamma.” Soffiò, guardandomi mentre mi allontanavo dal suo caldo lettino per raggiungere la porta della sua stanza. Poco prima di farlo, la guardai, e chiudendola, le soffiai il bacio della buonanotte. Una tradizione che avevamo iniziato nel giorno in cui era nata, e che per nessuna ragione al mondo avrei osato rompere o lasciar morire. “Buonanotte, mia piccola guerriera.” Sussurrai lievemente, chiudendo poi la porta della sua stanza e spegnendo la luce perché riuscisse a dormire. In quel preciso istante, Stefan mi strinse entrambe le mani, e spostando il mio sguardo e la mia attenzione su di lui, mi lasciai baciare. Le nostre labbra si staccarono solo poco dopo, e sentendomi ancora preda dei miei stessi sentimenti, così come dai miei pensieri concernenti i dubbi di Terra il nuovo attacco da parte dei Ladri, raccolsi le mie forze e il mio coraggio, per poi porgli una semplice e al contempo ardua domanda. “Cosa ne pensi?” azzardai, tenendogli le mani e stringendole con forza ancora maggiore. Mantenendo il silenzio, Stefan si limitò ad accompagnarmi nella nostra stanza, e una volta lì, si preparò a dirmi la verità. “Penso che ce la faremo, nonostante centinaia o anche migliaia di tempeste.” Una risposta che ascoltai senza parlare, e che continuò ad echeggiare nella mia mente finchè, felice e fiduciosa, non mi addormentai.

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Capitolo 10
*** In salute e malattia ***


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Capitolo X

In salute e malattia

Se n’era andata una sola notte, e con il sole fermo in cielo, intento a scaldare la mia bella e umile città grazie alla potenza dei suoi raggi, mi svegliavo sentendomi felice e piena di fiducia in me stessa. La frase pronunciata dal mio Stefan la notte scorsa continuava a tornarmi in mente, e per tale ragione, era come se nulla potesse rovinarmi la giornata. Alzandomi dal letto, svegliai anche le bambine, e poco dopo, incontrai sia Rachel che Lady Fatima. Soren e Samira ci raggiunsero per la colazione, e proprio durante tale e importante pasto, notai qualcosa. Noi tutti mangiavamo con gusto, ma non Samira. Per qualche strana ragione, continuava a dire di non aver fame, non facendo altro che tossire e bere dell’acqua, sbocconcellando qua e là parte della sua colazione. Non avevo idea di cosa le stesse accadendo, e andando alla ricerca di risposte, guardai Soren. Muto come un pesce, non disse nulla, limitandosi a scuotere la testa in segno di dubbio. Incredibilmente, non ne sapeva nulla, ma appariva preoccupato. Conoscevo Samira da ormai lungo tempo, e per quanto ne sapevo, non le era mai accaduto nulla di simile. Facendo del suo meglio per depistarci ed evitarci preoccupazioni a suo dire inutili, regalava ad ognuno di noi dei luminosi sorrisi, interrotti solo dai suoi colpi di tosse, tanto forti e frequenti da portarla a posarsi una mano sul petto sperando di lenire il dolore. Preoccupatissimo, Soren la guardò negli occhi, e posandole una mano sulla fronte, confermò i suoi sospetti. La sua amata stava davvero male, e a quanto sembrava, aveva la febbre. “Avanti, mangia qualcosa. Ti farà bene.” La pregò, sperando di convincerla a nutrirsi almeno in parte. “Soren, basta. Sto bene. È solo un pò di tosse.” Gli rispose lei, rifiutandosi ancora una volta di mangiare e sorridendogli con dolcezza. “Ne sei sicura?” le chiese, incerto e dubbioso. “Sicurissima, ora lasciami tornare a dormire e sta tranquillo, va bene?” continuò lei, più testarda e cocciuta di un mulo. In completo silenzio, Soren non fece che annuire, e prima di lasciarla andare, la baciò sulle labbra. Il loro fu un bacio veloce, che ebbe fine in pochissimo tempo. Subito dopo, Samira si ritirò nella sua stanza, e guardandola allontanarsi, la vidi barcollare. Ero attonita. “Se stava così male, perché mentiva?” mi chiedevo, parlando con me stessa e tentando di trovare una risposta a quel complicato enigma. Per pura sfortuna, tale interrogativo rimase senza, e con l’arrivo del pomeriggio, decisi di provare a far luce su quel così intricato mistero. “Samira? Posso entrare? Chiesi, bussando alla porta della sua stanza. Da parte sua nessuna risposta. Solo silenzio. “Va tutto bene?” azzardai poi, spingendo leggermente la porta e scoprendola aperta. Entrando, scoprii la ragione di quell’assordante silenzio. La stanza era vuota, e Samira non era lì. Aveva mentito anche su questo, e nessuno sapeva dove fosse. Seppur confusa e preoccupata quanto il resto del mio gruppo, tornai da loro tacendo la mia scoperta, e dopo aver consumato il mio pasto, non ne parlai con nessuno oltre che con Lady Fatima. In fin dei conti, era la Leader di questa Casa, e doveva forzatamente conoscere Samira meglio di me, ragion per cui il suo parere mi avrebbe sicuramente aiutata. “Sono preoccupata.” Dissi soltanto, dando inizio ad un discorso che lei parve finire per me, quasi leggendomi nel pensiero. “Si tratta di Samira? Chiese, attendendo silenziosamente una mia risposta. “Sì, come lo sa?” mi informai, improvvisamente colta alla sprovvista. “È tua amica, è naturale che tu lo sia.” Continuò, sorridendo debolmente. “Sta davvero male, ma non vuole dirci nulla. Dovrei indagare?” azzardai, ben sapendo di star forse per commettere uno sbaglio e toccare un tasto dolente. “Perché non parlarle?” fu il suo suggerimento, che dovetti scartare quasi subito, proprio come una caramella. “Non è nella sua stanza, e nessuno sa dove sia.” Piagnucolai allora, sentendo la preoccupazione annidarsi sempre di più nel mio animo. “Tuo suocero Patrick è un dottore, giusto? Forse è semplicemente andata da lui.” Osservò poi la Leader, sorridendo nuovamente e restituendomi una nuova speranza. “Grazie del consiglio, ci vado subito.” Risposi, rimettendomi in piedi e dirigendomi velocemente verso il suo studio. Una volta arrivata, scoprii che Lady Fatima aveva ragione. Quella che sentivo non era infatti che la sua voce, e pur non entrando, mi fermai ad ascoltare. Origliare era sbagliato, e lo sapevo bene, ma il mio istinto me lo aveva suggerito, ragion per cui non potei evitarlo. “Deve aiutarmi, dottore.” La sentii dire, con la voce spezzata e colma di paura. “Samira, calma. Siediti e dimmi cosa ti succede. “Come ti senti?” le chiese il dottor Patrick, con il fare calmo che era solito mostrare dato il suo lavoro di medico. “Male, e da parecchio tempo ormai.” Esordì lei, in tono mesto. “Va avanti.” Continuò il dottore, esortandola ad entrare nei dettagli del suo attuale stato di salute. “Mi sento stanca e debole, ho un gran mal di testa e mi capita di avere delle fitte di dolore.” Confessò, fissando poi lo sguardo sul pavimento in segno di vergogna. “Cos’hai detto?” si informò, insicuro su quanto avesse appena sentito. Sì, e in tutto il corpo, specialmente il petto, sa?” chiarì lei, tornando a guardare il dottore negli occhi. “Non può davvero fare nulla?” gli chiese poi, andando alla ricerca di una soluzione per il suo problema. “Pare che sia il tuo cuore.” Disse il dottor Patrick, rompendo il silenzio e facendosi improvvisamente serio. “Cosa? No, non può essere! Non ho mai sofferto di…” replicò lei, non curandosi del tono che utilizzò nel parlare e quasi urlando. “Se vuoi posso darti delle pillole.” Propose il dottore, tentando di calmarla e riportarla alla ragione. “Dammi retta, ti aiuteranno.” Continuò poi, sempre conservando la segreta speranza di aiutare la sua paziente. “Mi fido. Grazie dottore.” Rispose semplicemente, sorridendo e afferrando saldamente un flacone contente le medicine che le erano appena state prescritte. Voltandosi, fissò lo sguardo sulla porta chiusa, e prima che potesse muoversi, il dottore le parlò ancora. “Ricorda, non affaticarti troppo.” Le disse, avvisandola e fornendole un utile consiglio che lei non si fece sfuggire. Subito dopo, la vidi alzarsi dalla sedia presente nello studio, e pur affrettandomi perché non mi vedesse, venni colta in flagrante. Alla mia vista, Samira parve sbiancare. “Rain! Che ci facevi qui? Quanto hai ascoltato?” due quesiti che mi pose con velocità inaudita, e ai quali ebbi appena il tempo di rispondere. “Ho sentito ogni cosa, e mi dispiace. Perché non hai detto niente?” le dissi, confessando la verità e completando il mio discorso con quella domanda. “Non l’ho fatto per paura, Rain. Ricordi il giorno del nostro viaggio di fortuna?” fu la sua risposta, accompagnata da un quesito al quale risposi con un semplice cenno del capo. “È tutto iniziato allora. Avevo davvero paura di non farcela, e quando mi sono salvata, ho giurato di non far più preoccupare Soren in quel modo. Non potevo vederlo, ma lo sentivo parlarmi, e sapevo che soffriva. C’è un’altra cosa che vorrei dirgli, ma ho davvero troppa paura.” Questo il suo racconto, che ascoltai in religioso silenzio, con gli occhi sgranati per lo stupore. “Adesso ascolta. Soren non deve saperlo. Tu non dirai niente, vero?” concluse, pregandomi di mantenere il suo segreto. “Non lo farò, tranquilla.” Risposi, sorridendole e dandole fiducia. “Grazie, Rain. Sei una vera amica.” Mi disse lei, sorridendo a sua volta e allargando le braccia perché le mie l’accogliessero. Inutile è dire che non le negai un abbraccio, con la cui fine, la convinsi a tornare al fianco del suo amato. Non gli avrei rivelato nulla, certo, ma forse vedendola sorridere Soren avrebbe smesso di preoccuparsi. Così, con quel pensiero fisso in mente, l’accompagnai camminando al suo fianco, e scoprendo poi di avere ragione. Alla vista della sua amata moglie, Soren parve infatti illuminarsi, e abbracciandola, constatò che la sua febbre sembrava scomparsa. Ora stava meglio, ma al contrario dello stesso Soren, felice di rivedere la sua amata al suo fianco, io ero ancora preoccupata. In fondo, le ultime parole che mi aveva rivolto prima di seguirmi avevano lasciato che un dubbio si insinuasse nella mia mente. “Perché non ce l’aveva detto prima? Sarebbe mai riuscita a guarire? Che aveva da rivelare a Soren?” domande alle quali solo lei avrebbe saputo rispondere correttamente, e che con lo scorrere del tempo, sovrastarono ogni mio altro pensiero, oltre a impedirmi di tranquillizzarmi e riposare. In altri termini, non avevo la minima idea di quello che sarebbe accaduto, ma ero certa di una cosa. Soren amava Samira con tutto sé stesso, sentendo l’amore per lei invadere ogni cellula del suo corpo, e sicuramente avrebbe continuato ad amarla, come aveva promesso nei suoi voti nuziali, in salute e malattia.  

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Capitolo 11
*** Decisioni difficili ***


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Capitolo XI

Decisioni difficili

Un altro giorno aveva lentamente inizio, e svegliandomi accanto a Stefan nella stanza che condividevamo grazie al permesso della Leader Lady Fatima, non vedevo altro che il sole. Era una bella giornata, e aprendo le finestre, lo sentivo sulla pelle. Assieme a questo una leggera brezza, fredda ma non troppo. Tutto sembrava andar bene, e dopo essermi vestita, mi alzai subito dal letto. Fu poi ora di colazione, e proprio come mi aspettavo, Samira rifiutava ancora di mangiare. Sapevo che era malata, e stando alla conversazione che aveva avuto con il dottor Patrick, era anche affetta da qualcosa di grave, e con il tempo che scorreva, rimanevo ferma e inerme di fronte alla sua inappetenza, preoccupandomi non poco. In completo silenzio, soffrivo per lei, e guardando Soren, mi sentii malissimo. In fin dei conti, stavo mantenendo quel segreto, e questo equivaleva a non essere onesta con lui, cosa che non mi piaceva affatto. Non proferendo parola, sospirai lievemente, e subito dopo aver finito di mangiare, mi alzai. “Glielo dirai mai?” mi chiese Stefan, non appena fummo soli nella nostra stanza. “So che dovrei, ma non posso.” Risposi, guardandolo negli occhi e tenendo in braccio Rose, che al sicuro con me, dormiva beatamente. “Che significa?” continuò poi, colto alla sprovvista dalle mie parole. “Ho promesso a Samira di non farlo, e non vorrei… tradirla, capisci?” dissi poco dopo, con la voce che intanto si era assottigliata come duro ghiaccio. “Tradirla? Che stai dicendo? E se fosse davvero grave?” Replicò Stefan, ora leggermente adirato dal mio comportamento. “Una promessa rimane sempre tale, e lo sai.” Ribattei, rimanendo seduta sul letto e fissandolo stavolta con occhi colmi d’ira. In quel preciso istante, Rose parve svegliarsi, e un suo versetto attirò la mia attenzione. Alzandomi in piedi per un attimo, la tenni stretta a me, per poi rimetterla nella sua culla e darle il suo pupazzo, così che giocando potesse distrarsi. “Rain, so che le vuoi bene, ma non si può andare avanti così. Pensaci. Stai ferendo entrambi. Samira soffre perché sta male, e Soren invece sta male per lei.” Questo fu il suo discorso, composto da parole pesanti ma ragionate, che riuscirono a colpirmi duramente. Era vero, e aveva ragione, ma ero combattuta. In fin dei conti, non volevo far del male a nessuno, ma data la situazione, era come se stessi agendo contro più di una persona. Ero combattuta. Avrei davvero voluto agire, ma non sapevo cosa fare. Stefan mi aveva parlata, facendo le veci della mia stessa coscienza, e sapevo bene che il suo ragionamento non faceva una grinza, ma nonostante tale consapevolezza, non avevo alcuna idea su come muovermi. “Basta. Basta così.” Dissi soltanto, posando lo sguardo altrove e dando le spalle al mio Stefan. “Cosa?” fu la sua semplice domanda, indice della sua preoccupazione per me. “Ti prego, basta. Ho soltanto bisogno di stare da sola.” Chiarii, con gli occhi fissi sul paesaggio baciato dal sole oltre il vetro della finestra e la voce che intanto pareva essere sul punto di spezzarsi come un’ormai consunta corda o un ramoscello in un verde e rigoglioso bosco. Mantenendo il silenzio, Stefan non provò ad allontanarsi, ma al contrario, mi venne lentamente incontro, stringendomi poi in un delicato abbraccio. “So che fa male, tesoro, ma lei ti vuole davvero bene, e capirà, tranquilla.” Mi disse poi, mentre i nostri corpi erano tanto vicini da sembrare incollati l’uno all’altro. “Dici davvero?” chiesi, tacendo nell’attesa di una risposta. Non volevo ammetterlo, ma i miei occhi non stavano mentendo. Bruciavano come fuoco vivo, e anche con la vista annebbiata, continuai a guardare il mio amato negli occhi. Fissandomi, non proferì parola, ma nel giro di un singolo attimo, un bacio unì le nostre labbra. “Te l’ho detto migliaia di volte, ma andrà tutto bene, Rain.” Quella fu l’ultima frase che mi rivolse, al termine della quale, mi lasciò davvero da sola, con l’unica compagnia dei miei ora cupi pensieri, a cui si aggiungeva una lunghissima lista di decisioni importanti ed estremamente difficili.  

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Capitolo 12
*** Sulla via della ripresa ***


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Capitolo XII

Sulla via della ripresa

I giorni continuavano a passare, e seguendo uno schema ormai ripetitivo e preciso, Samira non mangiava. Aveva letteralmente smesso di farlo, nutrendosi poco, quanto bastasse per sopravvivere. Ad ogni modo, questa non fu l’unica cosa che notai. Difatti, mi resi conto che aveva perfino smesso di uscire dalla sua stanza, facendolo unicamente all’ora dei pasti, che lasciava quasi sempre completamente intatti. Guardandola, non le parlavo, ma esprimevo con il solo sguardo il mio dolore unito al mio disappunto. Mi preoccupavo davvero per lei, e lei lo sapevo, ma mantenendo il silenzio, si limitava a bere dell’acqua e accompagnare con questa le sue pillole, che incredibilmente, non scordava mai. “Cosa sono?” chiese Terra, dopo aver bevuto il suo latte addolcito con dello zucchero. “Pillole, amore. Vedi, Samira non sta bene, e le servono per riprendersi.” Le risposi, guardandola negli occhi e ponendole la questione in termini semplici e a lei comprensibili. “Come quelle che prendo per la tosse?” continuò poi, ponendomi quella semplice e innocente domanda. “Esatto piccola, ora va a giocare con Ned.” Risposi, completando quella frase con un suggerimento da lei accolto con entusiasmo. Non appena se ne fu andata, tornai a guardare la mia amica, vedendola non fare altro che fissare il pavimento. La sua inappetenza la stava distruggendo, e a quanto sembrava, il suo corpo pareva ora risentirne. “Samira.” Sussurrai, chiamandola per nome e sperando segretamente che riuscisse a comprendere ciò che avevo da dirle. Guardandomi per un singolo attimo, non fece che annuire, e solo allora, si decise a prendere qualche altro boccone. A quella vista, Soren sorrise, e poco tempo dopo, l’accompagnò nella loro stanza. Contrariamente a loro, mi ritirai nella mia, e sedendomi alla mia piccola scrivania, aggiornai il mio diario. Parte del nero inchiostro presente nella penna mi macchiò le mani, ma non ci badai. Finalmente, Samira sembrava aver afferrato il messaggio, e con lo scorrere del tempo, riempii tre intere pagine del mio diario. Chiudendolo, rividi il disegno di mia figlia, e in completo silenzio, poco prima di nasconderlo sotto al mio cuscino, sorrisi. Di lì a poco fu sera, poi notte, e andando finalmente a letto, mi sdraiai accanto al mio Stefan, ancora innamorato di me come nel giorno del nostro primo incontro. Data la mia stanchezza, mi addormentai quasi subito, cullata, oltre che dal bubolare dei gufi sui tetti delle case e dalla fresca brezza serale, anche dal battito di colui che amavo e sapevo di amare. Ad accompagnarmi ci fu anche una speranza, legata alla pronta e reale guarigione della mia grande amica Samira.

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Capitolo 13
*** Lady Bianca ***


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Capitolo XIII

Lady Bianca

La notte era buia, il vento freddo, e da sveglia, riuscii a sentire l’ululato di qualche povero e affamato cane in lontananza. Aveiron era ridotta male, e pareva che gli umani non fossero gli unici a soffrire. Difatti, anche gli animali erano stati ridotti alla fame, e costretti quindi a ricorrere all’elemosina di cibo dai pochi fortunati che, come me, Stefan e i miei amici, avevano un alloggio e qualcosa da mangiare. Quello odierno è un mondo crudele, e anche se l’Aveiron odierna sta davvero facendo risaltare il peggio che c’è in ogni persona, noi sappiamo bene di non essere di quello stampo. Non siamo ladri, assassini o gente violenta, e men che meno sporchi traditori. Sì, traditori, perché in fondo coloro che conosciamo come Ladri non sono che questo. Traditori della loro bella e umile patria, che non hanno voluto sottostare agli ordini e alle leggi di un re del calibro di mio padre Ronan una volta scoperta la sua volontà di sposare mia madre Katia, che non era, è né sarà mai la legittima erede al trono. Difatti, tale onore sarebbe dovuto toccare alla madre della mia amata sorellastra Alisia, ma data la sua morte poco dopo la sua nascita, questo non è mai accaduto. Sono felice che mia madre sia al potere, e anche incredibilmente orgogliosa di lei, ma nonostante questo, mi spiace davvero che la madre di Alisia sia scomparsa. Nessuna persona vorrebbe mai sopravvivere a chi ama, ma purtroppo questo è ciò che è successo a lei. Al tempo Alisia non era che in fasce, ragion per cui non ricorda molto di lei, ma nel suo cuore, una cosa è certa. Lei amava sua madre, e la cosa appariva reciproca. Io e Alisia non ne abbiamo mai parlato, né siamo mai entrate nei dettagli, ma sono sicura che il ricordo della sua ora scomparsa madre è ancora vivo dentro di lei. Il tempo sta ora passando, e anche se con lentezza quasi esasperante, scivola dalle nostre mani come sabbia o sfuggevole sapone. È ormai passato quasi un mese, e Terra non fa che pormi la stessa domanda, con frequenza sempre maggiore. “Torneremo mai ad Ascantha? Mi manca, sai?” lo ripete in continuazione, con un tono dolce e supplichevole al tempo stesso. “Manca anche a noi, principessa, ma questa guerra ce lo impedisce.” Le risponde ogni volta Stefan, abbassandosi al suo livello e posandole una mano sulla spalla. “Allora finiamola.” Replica lei, testarda e fiduciosa nella fine di questo inferno costato la vita a moltissime persone, tutte innocenti. “Vorrei davvero che fosse così facile, piccolina.” Fu proprio oggi la risposta di Soren, che guardandola, dovette sforzarsi di non tradire alcuna emozione. Per sua sfortuna, questo non accadde, e sospirando, Soren mostrò tutta la sua tristezza. Per quanto ne so, ha rischiato di perdere Samira, e rischia non poco anche adesso, ragion per cui mantengo il silenzio, non volendo intristirlo ulteriormente. “Dai, abbi fiducia, in fondo siamo forti.” Rispose lei, tirando forte una manica della sua giacca e sorridendo apertamente. “Sai una cosa? Lo farò.” Disse infine lui, sorridendo a sua volta e carezzandole una guancia. “Questo è lo spirito!” concluse lei, in tono serio e solenne. Parole che proprio io e Stefan le avevamo, che aveva sentito innumerevoli volte, e che ora ripeteva al solo scopo di infonderci coraggio. In completo silenzio, la guardavo, e sorridendo, mi scioglievo puntualmente come neve al sole. Poteva sembrare sciocco, eppure non riuscivo a smettere di pensarci. Come ben sapevo, non era che una bambina, ma nonostante la tenera età, appariva molto più sveglia degli altri bambini. Mi chiedevo spesso perché, e un giorno, mia madre riuscì finalmente a fornirmi una risposta. “L’ambiente l’ha formata.” Mi disse, parlandomi in tono calmo ma serio. inizialmente, stentai a crederci, ma con l’andar del tempo, dovetti ricredermi. Difatti, mia madre aveva ragione. Come ben sapevo, le mie figlie erano loro malgrado protagoniste di un’avventura molto più grande di loro, e benché ora tutti noi siamo enormemente preoccupati per quello che accadrà, siamo anche fiduciosi. Ad ogni modo, un mese passò in fretta, e in una mattina di sole, qualcuno bussò alla porta della nostra cara Leader. Era una donna, e dato il modo che aveva di abbigliarsi, azzardai che fosse una delle poche persone di sangue blu non accecate dalla ricchezza e dalla vana avarizia. Alla sua vista, Lady Fatima si esibì in una riverenza, e così facemmo tutte, perfino Terra. Contrariamente a noi donzelle, Soren e Stefan rimasero completamente fermi, salvo poi sorridere e allungare le mani perché la gentil donna gliele stringesse in segno d’amicizia. Vestiva di bianco, e il biondo dei suoi capelli ci colpiva profondamente, riportando, nella mente di ognuno di noi, il colore delle spighe di grano maturo nei campi. Gli occhi azzurri non passavano poi inosservati, tanto che mia figlia ne rimase incantata. Innocente come sempre, le fece i complimenti, e la donna li accettò con gentilezza. Quel che suscitò il nostro interesse fu però il suo discorso, che fluendo chiaro dalle sue labbra, parve ipnotizzarci, mandandoci in un inspiegabile stato di trance. “Vi osservo da molto, e credo che siate le persone giuste.” Esordì, attirando la nostra attenzione con la fine di quella frase. “Giuste per cosa?” azzardai, curiosa riguardo a cos’altro potesse aver avuto da dirci. “Per aiutarmi. Vedete, data la situazione qui ad Aveiron, sto aiutando le persone a costruirsi una nuova vita lontano da qui, ad Ascantha.” Ci disse, riuscendo, con quelle parole, ad incuriosirci ancora di più. Rimanendo in silenzio, la ascoltammo senza interrompere, ma improvvisamente, qualcosa colpì Terra. “Ascantha! Mamma, ha detto Ascantha!” gridò, felice ed eccitata. “Ci torniamo?” chiese poi, guardando sia me che suo padre con aria supplichevole. “Terra, tesoro, non sappiamo se…” provò a risponderle Stefan, non avendone però il tempo. “Papà, per favore!” iniziò poi a cantilenare, sperando che tale stratagemma funzionasse. “Amore, diciamo sul serio. La signora sta aiutando le persone sfortunate, ma noi viviamo qui, e stiamo bene.” Le dissi quindi io, tentando di convincerla e farla ragionare. “Ma la nostra vera casa è lì! Ti prego, mamma!” continuò, piagnucolando con insistenza ancora maggiore. “Terra…” Sospirai, chiamandola per nome e mostrandole il mio disappunto. In quel momento, la donna si inginocchiò fino a raggiungere il suo livello, e con voce dolce, provò a parlarle. “Dimmi, piccola, non ti piace stare qui?” le chiese, attendendo in silenzio una risposta. “Sì, perché sono con papà e mamma, ma voglio tornare alla mia vecchia casa.” Spiegò lei, sempre più decisa a tornare indietro. “Se vuoi, posso accompagnarti. Che ne dici?” propose la donna, sorridendo leggermente e spostando poi lo sguardo su di noi. Anche non chiedendola, cercava la nostra approvazione. A quanto sembrava, l’innocenza di Terra l’aveva convinta, e ora non mancava che il nostro parere a riguardo. Rimanendo in silenzio per pochi istanti, guardai negli occhi Stefan, notando nei suoi uno strano luccichio. A questo seguirono un sorriso e un’occhiata d’intesa, e fu così che voltandomi verso quella misteriosa e gentilissima donna, annuii. “Va bene, verremo con lei.” Dissi, parlando in tono cortese e stringendole la mano così da suggellare quell’accordo. “Perfetto, vi basterà dirmi quando siete pronti.” Rispose la donna, regalandoci poi un luminoso sorriso. “Grazie, signora.” Continuò Terra, lasciandomi la mano al solo scopo di avvicinarsi e provare ad abbracciarla. A quella vista, risi di gusto, e così quella donna, che ridendo, si inginocchiò ancora. “Chiamami pure Lady Bianca, piccola.” Le disse, presentandosi e acquistando finalmente una vera identità. Subito dopo, ci salutò caldamente, e con l’arrivo della sera, iniziammo tutti a prepararci, sul fronte fisico, materiale e psicologico, per la nuova crociata che ci avrebbe condotto ad Ascantha. La bella città dove avevamo messo radici tempo prima, e dove ora, grazie ai nostri stessi ricordi uniti alle suppliche di Terra, eravamo felici di ritornare. Data l’attuale situazione di Aveiron, viaggiare non sarebbe stato certo semplice, ma non volevamo lasciare nulla d’intentato. Ad essere sincera, credevo sia ai miracoli che alla fortuna, e nel corso del tempo avevo imparato ad affidarmi alle stelle, usandole sempre come garanzia o ultima spiaggia. A quanto sembrava, le mie preghiere per un futuro migliore erano finalmente state ascoltate, e avevano portato al nostro incontro con la gentile e coraggiosa Lady Bianca.

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Capitolo 14
*** Nuovi orizzonti ***


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Capitolo XIV

Nuovi orizzonti

Prima che potessi accorgermene, dieci giorni se n’erano già andati, e di Lady Bianca neanche l’ombra. Il tempo continuava a scorrere, e nell’attesa, lo ingannavo scrivendo. Anche se da poco, avevo ripreso in mano il mio diario, continuando a scriverci e annotarvi qualunque cosa mi accadesse. Tenendolo aperto sulla mia scrivania, rileggevo ogni riga che avevo scritto fino a questo momento. Nel farlo, mantenevo il silenzio, ma inevitabilmente, finii per farmi prendere la mano dalle mie stesse emozioni, e pur non piangendo, sentii gli occhi bruciare. Le mie lacrime volevano uscire, ma io non volevo permetterglielo. In fin dei conti, Terra giocava felice nella stanza accanto, e ad essere sincera, non volevo che mi sentisse. Sedendomi sul letto, continuai a leggere, notando per caso alcune righe dedicate a Stefan. Ricordavo bene di aver scritto più è più volte quanto lo amassi, e mentre i minuti continuavano a scorrere, decisi di chiuderlo e smettere di leggere. Non potevo farcela. Troppi ricordi, troppe frasi, troppe emozioni, troppo. Decisamente troppo. Richiudendo quindi quel piccolo quaderno nel cassetto della mia scrivania, mi sedetti di nuovo sul letto, e poco dopo, sospirai. La malinconia era tornata ad essere la mia unica compagna, e benché fossi felice delle fortune e delle gioie riservatemi dalla vita negli anni, ora sentivo di avere di nuovo il morale sotto le scarpe. Sospirando ancora, fissai lo sguardo sulla porta della stanza, notando poi qualcosa. La maniglia si abbassò lentamente, e dopo un singolo attimo, Samira fece la sua comparsa sulla scena. “Rain, va tutto bene?” mi chiese, incerta e dubbiosa. Muta come un pesce, non risposi, e non facendo altro che guardarmi, la mia amica ebbe l’unica reazione di sedersi accanto a me. “Dai, parlamene. Starai subito meglio, vedrai.” Mi pregò, in tono quasi supplichevole. “Vedi, Stefan ed io… ne abbiamo passate tante insieme, ed io sono stanca. Non voglio più vivere tutto questo dolore, e tutti in questa Casa lo sanno, perfino la Leader.” Piagnucolai, guardandolo negli occhi e sentendo la mia voce spezzarsi come un fragile ramoscello. “Allora reagisci. Alzati da questo letto e fa qualcosa che ti renda felice.”  Mi rispose, evitando di staccare il suo sguardo dal mio e regalandomi un luminoso sorriso. “Ovvero?” azzardai, ponendole quella semplice domanda. “Inizia uscendo da questa stanza. A te piace scrivere, quindi perché non farlo? E poi pensa, hai due bellissime bambine, un marito che ti ama, un’intera famiglia pronta a sostenerti. Passa del tempo con loro. Fallo per me, e vivi.” Questa fu la sua risposta, che ascoltai in religioso silenzio, carpendone ogni parola. Attendendo una mia qualsiasi reazione, Samira sorrise di nuovo. In quell’istante, semplicemente vederla sorridere mi riempiva di gioia, e concedendomi del tempo per pensare, capii che aveva ragione. In fondo, perché dovevo continuare a lasciare che il dolore consumasse lentamente ogni cellula del mio corpo? Me lo chiedevo spesso, capendo solo ora che non c’era alcuna ragione di farlo. Ora come ora, la mia amica si era dimostrata saggia, riuscendo, con quelle semplici parole, a fornirmi un utile consiglio, che sicuramente avrei seguito. Poco tempo dopo, lei tornò a guardarmi, parlandomi stavolta con aria affranta. “Dovrei dirglielo?” biascicò, attendendo in silenzio una mia risposta al suo quesito. “Dire cosa?” non potei che chiedere, colta inspiegabilmente alla sprovvista. “Il segreto. Dovrei rivelargli tutto?” chiarì, poco dopo, rompendo il silenzio che intanto si era creato nella stanza. A quelle parole, quasi sbiancai. Anche se per poco, mantenni il silenzio, e riprendendo la parola, le dissi la verità. “Samira, ascolta. Tu stessa hai detto di non voler vedere Soren soffrire, e credo che dirglielo sistemerebbe tutto. Lui ti ama, è innamorato di te da sempre, e fidati, ti aiuterà, e insieme supererete anche questo.” Le parole che pronunciai non furono che sincere, e nel sentirle, la mia amica mi abbracciò. Sorridendo, la lasciai fare, e poco dopo, la vidi lasciare la stanza. Da quel momento in poi fui sola, e riprendendo in mano il mio diario, vi annotai anche questo. Inutile è dire che anche questa volta, il nero inchiostro della penna non mi risparmiò le mani, ma come sempre, non ci badai. Non appena mi accinsi a chiuderlo, qualcosa accadde. Per puro caso, mi ritrovai in mano uno dei disegni di Terra, lo stesso che mi aveva regalato. C’eravamo tutti, e sorridevamo. Molti dicono che nei disegni dei bambini non ci siano che inutile scarabocchi insensati, ma non sono di quest’avviso. Non lo dico solo perché è mia figlia, ma perché è vero. L’arte è un dono, e a quanto sembra, le è stato fatto alla nascita. Certo, il suo talento deve ancora sbocciare, ma poco importa. Ora come ora, sono di nuovo felice, e tutto grazie a Samira. Siamo diverse, ma lei è comunque una mia amica, e in quanto tale anche per lei, sono e sarò sempre pronta, come lei ha fatto per me, a offrirle il mio aiuto e tenderle una mano qualora ne abbia bisogno. Non so ancora se abbia davvero deciso di vuotare il sacco riguardo alla sua malattia, e mentre il tempo scorre, mi perdo nei miei stessi pensieri. Sembra sciocco, ma mi concentro su Rose e Terra. Sono la loro mamma, e le amo più della mia stessa vita, ma nonostante tale consapevolezza, un’altra verità, più dura della prima, si fa spazio nella mia mente. Le amo, certo, ma come una volta mi disse Rachel, non potrò proteggerle per sempre. Presto o tardi, entrambe dovranno imparare a combattere le loro ardue battaglie da sole, e benché io sarò sempre al loro fianco, non potrò fungere da scudo in eterno. Un’ora è passata, Stefan mi ha raggiunta, e mentre siamo entrambi occupati ad ammirare il tramonto fuori dalla finestra, ci baciamo, sperando ardentemente nel profilarsi, proprio davanti ai nostri occhi, di nuovi e luminosi orizzonti.

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Capitolo 15
*** Primordi di una lotta ***


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Capitolo XV

Primordi di una lotta

Il vento soffia, il sole splende, ed io sospiro. Un’intera settimana è scomparsa, e intorno a me è tutto calmo, troppo calmo. L’attuale situazione mi insospettisce non poco, e rivolgendo a Stefan una veloce occhiata d’intesa, lo vedo farsi più vicino. Stringendomi a sé, posa la mano sulla tasca del mio vestito, unico luogo dove, per ogni evenienza, tengo la daga datami in dono da Lady Fatima. Stranamente, ricordo ancora il modo in cui si era comportata di fronte all’altra donna, Lady Bianca, arrivando quasi ad inchinarsi di fronte a lei in segno di rispetto. Che si conoscessero? Che l’una fosse superiore all’altra? Non lo sapevo, e non potevo saperlo, ma nonostante tutto, me lo chiedevo incessantemente. “Perché sei nervosa?” mi chiese Terra, rompendo il silenzio creatosi nel salotto di casa. Ferma e inerme, non parlavo, limitandomi a fissare il cielo infinito, e le sue parole mi scivolarono addosso con estrema facilità. “Mamma? Mamma? Tutto bene?” chiese, chiamandomi per ben due volte, nel tentativo di attirare la mia attenzione. “S-Sì piccola, la mamma è solo stanca, proprio come hai detto tu.” Fu Stefan a risponderle, abbassandosi al suo livello e posandole una mano sulla spalla. “Ma sta bene, vero?” continuò poi, quasi volendo sincerarsi del mio stato di salute fisica e mentale. “Certo, non preoccuparti.” Replicò suo padre, sorridendo debolmente. “Perfino Ned crede di no.” Disse poi, dopo una piccola pausa di silenzio. “Allora parlaci, e diglielo tu stessa.” Continuò Stefan, sempre cercando di rassicurarla. “L’ho fatto, ma dice che dobbiamo stare attenti.” Fu la sua risposta, data con la solita voce dolce e sottile che sapeva di possedere. “Attenti? Attenti a cosa?” le chiese Rachel, che da poco si era unita a noi in quello spazioso salotto. “Ned crede che Loro siano qui.” Rispose, parlando in maniera estremamente seria. “Cosa? Biascicai, sperando segretamente che non riuscisse a sentirmi. Per pura fortuna, fu proprio così, ma le parole di una persona da lei diversa mi fecero gelare il sangue. “La bambina ha ragione.” Disse quella voce, cogliendomi alla sprovvista. Voltandomi nella direzione da cui proveniva, scoprii che apparteneva a Lady Fatima. “È così da quando sono arrivati. Non posseggono il dono della magia, ma è come se al loro arrivo tutto cambiasse.” Chiarì, in tono serio e solenne al tempo stesso. “Crede che…” azzardò Rachel, trascinando le parole e finendo preda dell’insicurezza. “Attaccheranno, Rachel e presto.” Fu la sua risposta, semplice e a dir poco lapidaria. A sentire quelle parole, Rachel la guardò negli occhi, e animata dalla paura, le si fece più vicina. Non appena lo fu abbastanza da toccarla, ci provò, ma venne ignorata. Stando a ciò che vidi, pensai che avesse solo bisogno d’affetto, che data la situazione, le venne negato. Parlando con me stessa, mi chiesi perché, non trovando risposte, ma solo dubbi. Sapevo bene che si amavano, ma a quanto sembrava, la Leader non era solita dimostrarlo. Forse non se la sentiva, forse non voleva, o forse credeva che non fosse davvero il momento, ma qualunque fosse la ragione, provai pena per Rachel. Confesso che se fossi stata al posto della sua amata, l’avrei perlomeno accolta fra le mie braccia, e non lasciata lì a soffrire in silenzio. Non proferendo parola, la guardai soltanto, e di lì a poco, qualcosa accadde. Quasi pentendosi del suo precedente gesto, Lady Fatima si avvicinò a Rachel, e solo allora, sfiorò appena le sue labbra per poi abbracciarla. Il loro fu un bacio veloce e quasi inesistente, ma che parve bastare a quella povera ragazza. In fin dei conti, ne era innamorata, ed ero sicura che il sentimento fosse pienamente ricambiato. Non mostrato apertamente, ma ricambiato. Ad essere sincera, comprendevo perfettamente il comportamento della Leader. La conoscevo, e sapevo che era una donna forte, ma anche che alle volte il lato più freddo e distaccato del suo carattere aveva la meglio, proprio come in questo caso. In altri termini, Lady Fatima non lo ammetteva, ma era davvero preoccupata. Aveva già perso Rachel una volta, e non avrebbe permesso che accadesse una seconda. Avvalendosi di ogni suo potere, l’avrebbe protetta, pur non potendo scongiurare i primordi di una nuova e ardua lotta.

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Capitolo 16
*** Tacere il vero ***


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Capitolo XVI

Tacere il vero

Con estrema lentezza, i giorni continuavano a susseguirsi, e ben altri sette erano ormai scomparsi. Per fortuna, nonostante gli avvisi e i saggi avvertimenti di Lady Fatima, oggi le cose sembrano andar bene. Rose e Terra crescono, Stefan ed io siamo ottimisti, e Samira ha ripreso ad alimentarsi a dovere, non dimenticando mai di accompagnare con un bicchier d’acqua le sue pillole. Come c’è d’aspettarsi, sono felice per lei, perché pare aver finalmente compreso la gravità della sua malattia, ma ad ogni modo, un’altra cosa mi preoccupa. L’ho vista prendere quelle medicine moltissime volte, ma da poco, ho iniziato a notare qualcosa di strano. Le assume ogni giorno, come il dottor Patrick le ha consigliato, ma mai in presenza di Soren. Non so perché, ma guardandola, mi interrogo senza riuscire a trovare una risposta. So bene che mi ha parlato incoraggiandomi a scrivere, vivere e far ciò che mi riesce meglio, ma in questo preciso istante, mille pensieri collegati a lei e alla promessa che le ho fatto mi vorticano in testa. Come ho già detto a Stefan, una promessa deve sempre rimanere tale, ma data la situazione, sto davvero iniziando a credere il contrario. Parlandomi, Samira mi ha confessato di non stare ammettendo nulla al solo scopo di non far soffrire Soren, e la capisco, ma credo fermamente che un giorno lei dovrà farlo. Per sua indole, è sensibile, e dopo quanto è accaduto in passato, non vuole riportare la sofferenza nella vita di nessuno. In fin dei conti, abbiamo ben altro a cui pensare, ma come forse non capisce, la stabilità del gruppo è più importante di ogni battaglia. Ora come ora, è mattina, e dopo la colazione, ho deciso di invitare Samira a raggiungermi nella mia stanza. “Vengo subito.” Mi ha fatto capire con un gesto, inghiottendo velocemente l’ennesima delle pillole prescrittele dal dottor Patrick. Passarono quindi alcuni secondi, e non appena mi raggiunse, chiusi la porta. Ciò che stavo per dirle era di vitale importanza, e ad essere sincera, non volevo che nessuno ci sentisse. Guardandola negli occhi, mantenni il silenzio a lungo, temendo di arrivare a porle la questione in termini troppo duri. “Samira, ascolta. Non voglio incolparti di nulla, ma stai tirando la corda.” Le dissi, sperando segretamente che riuscisse a capire quanto fossi preoccupata per lei. “Lo so, ma non me la sento! Non posso dirglielo!” replicò, intuendo quasi subito dove volessi andare a parare. “Gli spezzerei il cuore!” aggiunse poi, con la voce corrotta da un dolore che aveva tenuto dentro per troppo tempo, e che solo ora stava lasciando libero. Ascoltai le sue parole senza interrompere, ma fu allora che risposi. “E il tuo cuore? Non pensi a ciò che potrebbe accaderti? Io ti voglio bene, e fidati, devi farlo. Prima che sia troppo tardi.” Continuai, tentando per l’ennesima volta di metterla in guardia sul suo futuro. “Ma Rain, io…” biascicò, non riuscendo a completare quella frase perché spaventata da qualcosa. Ci fu quindi una pausa di silenzio, e rompendolo come vetro, la porta si aprì. Qualcuno ci aveva sentite, e fissando il mio sguardo in direzione della porta stessa, lo vidi. Era Stefan. “Ha ragione.” Disse, entrando e avvicinandosi a lei. “Ve l’ho detto! Non ce la faccio!” rispose, sempre più sconvolta dal dolore e dalla paura di fallire. “Inoltre, questo non è il punto.” Continuò, parlando in tono mesto e fissando con aria triste il pavimento. “Cosa? Che vuoi dire?” non potei astenermi dal chiederle, incredula. “Soren non ne ha idea, ma c’è qualcos’altro che dovrei dirgli.” Quella fu la sua risposta, che ci lasciò entrambi interdetti. In quell’istante, Stefan si ritrasse, rivolgendole, prima di farmisi più vicino, un’ultima frase. “Qualsiasi cosa accada, fa sempre quello che ritieni giusto, d’accordo?” le disse, tendendole la mano perché la stringesse e stipulasse con lui quella sorta di patto. “D’accordo.” Le fece eco lei, sorridendo felice. In quel momento, Stefan sorrise a sua volta, e rimanendo in piedi accanto a me, continuò ad ascoltare. “Dì, che intendevi prima?” stavolta fu Stefan a fare domande, e lei, con la paura ancora negli occhi, rifiutò di rispondere. “Nulla.” Disse soltanto, quasi pentendosi di aver parlato troppo. In silenzio, tutti e due la guardammo, e Stefan non potè evitare di spingerla a farlo, commettendo un grave, gravissimo errore. “Non può essere vero. Se non fosse nulla non staresti così male, non credi?” le disse infatti, incalzandola e continuando ad attendere una sua risposta. “Ragazzi, basta! Non voglio parlarne!” gridò poi, ferita e delusa, fuggendo dalla stanza e imboccando il corridoio. “No, aspetta! La pregai, provando a seguirla. Muovendo un singolo passo in avanti, tentai di farlo, ma Stefan mi afferrò un braccio. “Lasciala andare, ho esagerato.” Confessò, in tono mesto. Spostando lo sguardo su di lui, non dissi nulla, e liberandomi dalla sua presa, raggiunsi la porta. Non ne uscii, ma vidi ciò che decisamente non mi aspettavo. Erano in due, Samira e Soren, al centro del corridoio. “Ti ho sentita gridare, che è successo?” le chiese lui, preoccupato. “Soren, no, io… non è niente, tranquillo.” Rispose, trascinando le parole a causa del pianto che aveva iniziato e che ora non riusciva a domare. Dettò ciò, Samira tentò di sfuggirgli, ma lui la bloccò stringendole un polso. “Non ti credo.” Sibilò allora, adirato più che mai. Tremando di paura, lei non disse nulla, ma poco dopo, crollò come un castello di carte. E va bene! Mentire non ha più senso ormai.” Gridò, continuando a piangere e rifugiandosi fra le sue braccia. “Mentire? Ma cosa… Fu la conseguente domanda, inevitabile e istintiva. “Sì, è vero. Ti ho mentito per tutto questo tempo, ma devo dirtelo, ora o mai più.” Continuò lei, seria e rigida come un’asse di legno. Confuso, il suo amato continuò a guardarla, e dopo una pausa di silenzio, lei riprese la parola. “Io sono malata. Si tratta del mio cuore, ed è per questo che prendo le pillole.” Confessò, lasciando i loro sguardi incatenarsi l’uno all’altro. “Sto male, e non volevo dirtelo perché… perché avresti sofferto troppo, ecco.” Concluse, scivolando nel silenzio e attendendo una qualunque reazione da parte di Soren. Colpito o forse sconvolto, questo non proferì parola. Quel silenzio la rendeva sorda, e non volendo altro che sentire la sua voce, Samira fece un ultimo tentativo. “Soren, ti scongiuro, parlami, e perdonami se puoi.” Lo pregò, conservando la segreta speranza che ciò accadesse. Di lì a poco, non si sentì altro che silenzio, e proprio quando tutto tacque, assistetti alla scena più bella al mondo. Innamorati come sempre, i due si baciarono, e beandosi di ognuno di quei momenti, lei lo lasciò agire. Incantata da quella scena, non potei che sorridere, e scambiandomi con Stefan una veloce occhiata d’intesa, non dissi nulla. “Ce l’ha fatta.” Pensai, parlando con me stessa e continuando a guardarli. “Grazie.” Soffiò lei al suo amato, non appena il loro bacio ebbe fine. “A te.” Rispose lui, cogliendola alla sprovvista. “Per cosa?” non potè che replicare, incerta e piena di dubbi. “Di esistere.” Continuò Soren, sorridendo e baciandola ancora. “Ti amo.” Si dissero a vicenda, sentendo i propri cuori gonfiarsi di amore e gioia. ancora impegnata a guardarli, mi lasciai commuovere, e lasciando una singola ma affatto amara lacrima, mi voltai verso Stefan. “Hai visto? È finita bene.” Mi disse, guardandomi fisso negli occhi. “Come speravo.” Risposi, poco prima di ergermi sulle punte e baciarlo. Il nostro fu un bacio veloce, ma non ci badai. Finalmente, l’incubo di Samira aveva avuto fine, e proprio come nella migliore delle ipotesi, Soren aveva accettato quella confessione. Ne ero felice, ma ora un dubbio sorgeva spontaneo come il sole nella mia mente. Che altro aveva da dirgli? Non lo sapevo, e una parte di me voleva scoprirlo, ma dall’altra, mi dissi che non importava. Difatti, l’unica cosa a contare davvero era una. Nonostante la sua grande sensibilità, Samira aveva dimostrato di saper essere forte, e di non riuscire mai, per quanto si sforzasse, a tacere il vero.

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Capitolo 17
*** L'amore e i suoi miracoli ***


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Capitolo XVII

L’amore e i suoi miracoli

C’è chi non crede ai miracoli, ed io rispetto tale realtà, ma ricordando ancora quel che è successo appena ieri, ho definitivamente cambiato idea. Come sempre, ho aggiornato il mio diario,e guardandomi attorno, noto da stamattina qualcosa di diverso. Samira ha finalmente avuto il coraggio di dire tutto a Soren, e nonostante debba ancora prendere le sue ormai famose pillole, è davvero rifiorita. È passato solo un giorno, ma da allora lei e Soren sono sempre insieme. Sì, sempre, in ogni momento. Lui la ama davvero, e vedendoli scambiarsi dolci effusioni, non faccio che sorridere. Ad essere sincera, non li biasimo. In fin dei conti, il loro è un amore sincero, proprio come quello che io provo per Stefan, e nonostante ogni ostacolo la vita ci metta davanti, e ogni sfida ci proponga, non vogliamo davvero arrenderci. Sinceramente, non credo all’occulto né alla magia, ma sono fermamente convinta che quello dell’amore sia uno degli incantesimi più forti e difficili da spezzare. Tante e tante volte ho visto Terra correre in giro per casa, agitando una bacchetta in legno e fingendo di essere una fata. Ho riso ogni volta, e rido ancora al solo pensiero. Ad ogni modo, il tempo sta passando, e come ho avuto modo di vedere, tutti stanno cercando di approfittare di questa protettiva bolla di calma, destinata, secondo la voce del mio istinto, a scoppiare come ogni altra. Incredibilmente, perfino Lady Fatima sta passando più tempo accanto a Rachel, forse tentando di farsi perdonare la mancanza di qualche tempo prima. Anche loro sono innamorate, e ad essere sincera, sono felice che abbiano trovato l’una nell’altra un’anima gemella. L’ottimismo è quindi padrone del mio animo, e guardando fuori dalla finestra, non vedo che il sole. Già alto nel cielo, brilla nella sua magnificenza, illuminando la piazza principale di Aveiron, ben visibile dalla dimora della Leader. A quella vista, non provo che calma, ma voltandomi, noto qualcosa. Soren è fermo alle mie spalle, e ha qualcosa stretto in mano. “Terra dice che hai perso questo.” Dichiara, mostrandomi un foglio di carta. Avvicinandomi, lascio che me lo porga, sorridendo poi alla sua sola vista. È il disegno di nostra figlia, quello che lei stessa ha fatto per me, chiedendomi poi di tenerla al sicuro. Quella piccola ladruncola doveva aver visto il mio diario lasciato sulla scrivania, e curiosa, provato a capire cosa contenesse. Il disegno doveva esser poi caduto, e accortasi dello sbaglio, chiesto al padre di ridarmelo indietro. Pensandoci, non mi arrabbiai affatto, ma con l’arrivo del pomeriggio, fui colta da un orribile mal di testa. Decisi quindi di andare a riposarmi, facendolo per alcune ore, e svegliandomi, allertata da strani rumori, nel cuore della notte. Quasi ignorandoli, tornai subito a dormire, cadendo preda del sonno di fianco a Stefan. Poco prima di assopirmi, però, sentii la voce di Samira. Era nella sua stanza, ma non da sola, ed evidentemente, parlava con Soren. Ripeteva di amarlo, e pur non potendo vederli insieme, li immaginai intenti a stringersi e baciarsi, professandosi l’eterno amore che si erano giurati di avere, l’uno per l’altra, nel giorno del loro matrimonio. Ricordando quel momento, mi sentii felice, ma poco dopo, qualcosa mi distrasse. Erano lì, l’uno di fronte all’altra, pronti a passare una notte insieme e amarsi, ma stranamente, lei esitava. Guardava il suo Soren con occhi lucidi, quasi spaventata, e nonostante le forti emozioni provate in sua presenza, non riusciva ad agire. “Soren, io non so se…” gli disse, titubando e avendo pensieri contrastanti su ciò che stavano per fare. “Rilassati.” La pregò, sperando ardentemente di convincerla. “Ma…” provò a rispondere, sentendo quella frase morirle in gola come un’autunnale foglia scolorita e provata dal freddo. Per tutta risposta, Soren le portò un indice sulle labbra, esortandola a far silenzio. “Non preoccuparti.” Le disse poi, avvicinandosi sempre di più a lei, finchè la distanza fra di loro non divenne minima. In quel momento, Samira si ritrovò distesa sul letto, con lo sguardo fisso sul suo amato, pronto a darle l’amore che sapeva la sua lei meritasse. Silenziosa come un saggio gufo o uno scaltro topo, si limitò ad annuire, sorridendo leggermente. Subito dopo, un bacio unì le loro labbra, e nonostante tutto, lei esitava. Non era la loro prima volta, certo, ma per qualche strana ragione, non se la sentiva. Come avevo capito, doveva essere spaventata, ma da cosa? Me lo chiedevo restando in silenzio, e rimanendo purtroppo senza risposte. I minuti si susseguirono veloci, e ben presto, la sentii arrendersi, poi abbandonarsi a dei piccoli gemiti. Prima soffusi, poi sempre più evidenti, ma comunque soffocati al solo scopo di non essere sentita o notata da occhi e orecchie indiscrete. Miriadi di bollenti baci e dolci carezze continuarono a scaldarle il corpo e le labbra, e mordendosele, cercò in tutti i modi di resistere. Inutile. In fondo, Soren sapeva benissimo quanto lei lo desiderasse, nonostante le sue parole dicessero altro. Fu così che lei lo lasciò fare, crogiolandosi fra mille e mille attenzioni. Chiaro indice del piacere che provava e che non poteva negare, quei gemiti non cessarono, e ce ne fu poi un ultimo, seguito da un’ennesima dichiarazione d’amore e dalla caduta nel sonno di entrambi. Come a lungo avevano desiderato, erano riusciti ad amarsi donandosi, anche se non per la prima volta, l’uno all’altra in maniera completa. Si amavano, e lo sapevo bene, e un rapporto non era che un modo come un altro di mostrarlo. Si era lasciata andare, abbandonata, donata al suo lui. Com’era ovvio, lui aveva agito secondo istinti e sentimenti, lasciando che ogni azione avesse una conseguenza. Ancora sveglia, mi fermai a pensare, immaginando l’avvenire che il futuro avrebbe potuto riservare ai miei amici, ora coppia felice dopo tutto quello che nel tempo avevano passato. Ne ero già a conoscenza, ma il loro amore era puro e reale, e finalmente, insieme, si erano arresi all’amore stesso, e ai suoi potentissimi miracoli.

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Capitolo 18
*** Alta tensione ***


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Capitolo XVIII

Alta tensione

La luce e il sole del mattino arrivarono anche ad Aveiron, salutandola cordialmente, e come onestamente non mi aspettavo, Samira fu la prima a svegliarsi. Ancora stremata dalla notte appena trascorsa, aprì lentamente gli occhi, e voltandosi, non rivide che Soren. Sorridendo, lui le augurò il buongiorno, e quasi imitandolo, lei ricambiò. Subito dopo, si voltò completamente verso di lui, e un bacio unì le loro labbra. “Mi ami ancora, vero?” gli chiese, attendendo in perfetto silenzio una risposta. “Certo, che domande sono?” le disse lui, rispondendo a quella domanda con una retorica e completamente diversa. “È sciocco, lo so, ma a volte ho bisogno di saperlo.” Replicò lei, provando una sorta di pentimento riguardo quanto avesse appena detto. Guardandola, Soren non fece che sorridere, e muovendo una mano, iniziò ad accarezzarle i capelli. Paziente come sempre, lei lo lasciò fare, e di lì a poco, lei disse qualcosa. “Penso ancora a ieri, sai?” una seconda domanda, che alle orecchie del suo amato giunse nuovamente come retorica. “Anche io. È stato bellissimo.” Rispose lui, sorridendole ancora. Silenziosamente, lei si avvicinò ancora di più, e senza neanche dargli il tempo di reagire o respirare, lo baciò con forza, avidità e prepotenza. Seppur colto alla sprovvista, Soren l’assecondò con grande amore, e non appena il loro bacio ebbe fine, nessuno dei due disse nulla. Ben presto però, il silenzio presente nella stanza cessò di nuovo di esistere. “Dì, pensi mai al nostro futuro?” gli chiese, guardandolo con i sognanti occhi di chi ama. “Quale? Quello che viviamo ogni giorno?” rispose, prendendola amorevolmente in giro. Quasi offesa da quella reazione, lei si voltò fino a dargli le spalle, e liberandosi poi delle coperte, si alzò dal letto. “Dai, che ho detto?” le chiese lui, confuso e stranito dal comportamento di colei che tanto amava. “Niente.” Fu l’unica e acida risposta che ricevette, priva del solito calore che lei era solita riservargli. Una volta in piedi, Samira indossò la sua vestaglia, e uscendo dalla stanza, si recò subito in cucina. Ad aspettarla c’era soltanto una tazza di caffè caldo, ma la cosa non parve importarle. Difatti, lo bevve senza lamentarsi, e pur avendo lo stomaco ancora vuoto, non dimenticò la sua pillola. Passò quindi qualche minuto, e sedendosi nella sala principale, mi raggiunse. Notandola, la salutai sorridendo, e poco prima che potessi chiedere cosa la turbasse, notai l’entrata in scena dei miei compagni di vita e avventura, e poco dopo, un suono attirò la mia attenzione. Qualcuno stava bussando alla porta, e alzandomi, notai la presenza di qualcosa sul pavimento. Incuriosita, mi avvicinai, scoprendo solo allora che si trattava di una lettera. “Cari ragazzi, sono io, Lady Bianca. Non ho vostre notizie da tempo, ma scrivo questa lettera per dirvi qualcosa di davvero importante. Le vostre impressioni corrispondono al vero, e Loro sono davvero qui. Preparatevi al meglio, e sappiate che vi aiuterò. Credo in voi, ma prima di andare, devo dirvi un’ultima cosa. Attenzione. Sì, attenzione. Moltissime cose stanno accadendo, e ad essere sincera, temo per il vostro gruppo. Impegnatevi, e per favore, siate uniti. Spero davvero che tutto vada bene, e conto di rivedervi molto presto. Non so esattamente quando, ma fino ad allora, proteggevi. Con grande affetto, Lady Bianca.” Quelle le parole che componevano quella lettera, mandataci dalla stessa donna che si era offerta di aiutarci tempo addietro. Per qualche strana ragione, mi sentivo diversa. Non riuscivo a capire perché. Come sempre, provavo ad essere ottimista, ma guardandomi attorno in questa così soleggiata mattina, notavo che tutti erano nervosi o stanchi, e privi della loro solita gioia di vivere. A quanto sembrava, la bolla di calma in cui ci stavamo abituando a vivere era sul punto di scoppiare, e tutto ciò che mi accadeva intorno ne era la prova. Samira appariva intrattabile, Lady Fatima non proferiva parola, Rachel mi ignorava, e perfino Stefan sembrava troppo occupato a guardare fuori dalla finestra per notarmi. In quel momento, mi sentivo ferita, ma richiudendo quella lettera nella busta che la conteneva, finsi indifferenza realmente non provata fino a sera. Stavo male con me stessa, e ad essere sincera, non ero pronta ad accettare la verità. Non avrei mai voluto crederci, ma il nostro tanto unito gruppo sembrava sgretolarsi di fronte ai miei increduli occhi. La felicità che tutti provavamo in precedenza aveva già smesso di esistere. Incredibilmente, tutto era cambiato. La minaccia dei Ladri stava minando la stabilità della nostra squadra, e mentre il tempo passava, non facevo che interrogarmi. “Che ci stava succedendo? Dov’era finito il calore che ci univa? Perché era scomparso proprio ora? Perché proprio a noi?” domande che mi ponevo ininterrottamente, andando alla disperata ricerca di una risposta. Non riuscivo a crederci. In fondo eravamo così uniti, e sinceramente, non avrei mai voluto che accadesse. Ad ogni modo, il tempo scorreva, e nonostante i miei innumerevoli tentativi di restare ottimista di fronte a tutto questo, notavo con orrore che fra di noi esisteva ora solo alta tensione.

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Capitolo 19
*** Tesi come mai prima ***


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Capitolo XIX

Tesi come mai prima

Un altro giorno stava giungendo alla sua fine, e lentamente, stava calando la sera. La luce solare era quindi meno forte, e seduta nella sala principale, rimanevo in silenzio. Terra giocava nella sua stanza, e Rose dormiva beata. Tutto sembrava andar bene, ma stando a come mi sentivo, la realtà non era quella. Nonostante l’andar del tempo, nulla era cambiato. La tensione era ancora palpabile, e a quanto sembrava, i rapporti si stavano incrinando sensibilmente. Stefan non faceva che guardare oltre il vetro della finestra senza dire una parola, e nessuno sembrava aver voglia di conversare. Erano tutti troppo nervosi per farlo, ed era come se una bomba minacciasse di esplodere da un momento all’altro. Il silenzio calò quindi nell’intera Casa, e parlando con me stessa, dovetti ammettere che la cosa mi intristiva. La nostra reciproca unione stava cessando di esistere, ed ero preoccupata. Difatti, non riuscivo a smettere di pensare alle parole scritte nella lettera di Lady Bianca. Non sapevo se avesse ragione o meno, ma gli eventi parlavano chiaro. I mesi stavano continuando a svanire dalle nostre vite, e temevo davvero che quella sorta di profezia si sarebbe avverata. In quella lettera, Lady Bianca ci incitava a rimanere uniti nonostante ogni difficoltà, ma a quanto sembrava, stava accadendo il contrario. Ero davvero spaventata, ma tacevo i miei veri sentimenti, sentendomi troppo scossa per rivelarli. Ad ogni modo, il silenzio continuò a riempire la stanza, ma improvvisamente, un suono mi distrasse. risultando al mio udito simile ad un pianto. Spinta da curiosità e preoccupazione, mi alzai in piedi, attraversando un intero corridoio alla ricerca della soluzione a quel mistero. Camminando, sorpassai la stanza di Samira, e proprio allora, tutto mi fu chiaro. A quanto sembrava, stava piangendo, e aveva bisogno d’aiuto. Provando istintivamente pena per lei, provai ad aprire la porta, scoprendola chiusa a chiave. Sempre più preoccupata, bussai educatamente, sperando che lei venisse ad aprirmi. Per tutta risposta, controllò attraverso il buco della serratura, e una volta resasi conto di chi volesse vederla, aprì. “Grazie al cielo sei tu.” Mi disse, lasciandomi entrare e richiudendo la porta con estrema cura. “Stavi piangendo, che ti succede?” fu la mia domanda, tanto seria quanto spontanea. “Posso spiegarti subito.” Si difese, quasi temendo la mia reazione. Muta come un pesce, non feci che guardarla, e poco tempo dopo, lei si decise a parlare. “Capisco come ti senti, sai?” esordì, dando inizio ad un discorso che non volli interrompere. “Ne stiamo passando tante, ma rimaniamo sempre insieme, e a quanto vedo, sei molto forte. A volte vorrei davvero essere come te. Lo vorrei, ma invece sono chiusa qui a piangere per quello che è successo.” Continuò, terminando quella frase in maniera alquanto enigmatica. Rimanendo ferma e inerme, attesi che ritrovasse la parola persa, ma ciò non accadde, e i suoi occhi mostrarono inaudita eloquenza. “Samira, non mi dirai che…” azzardai, trascinando ogni parola come se fossi sul punto di svenire. “Sì, Rain. Io sono incinta.” Confessò, guardandomi con aria affranta. “Soren lo sa, giusto?” mi informai poi, incerta e dubbiosa. “No, ma non è l’unico problema.” Rispose, facendo nascere nella mia mente un interrogativo. “Che intendi?” le chiesi, scivolando nel silenzio in attesa di una risposta. Per mia fortuna, questa arrivò forte e chiara, ma non prima che alcuni attimi scomparissero dalla mia vita, non avendo potere dissimile dal farmi preoccupare. Come ben sapevo, era passato qualche mese dal giorno in cui Samira e Soren avevano scelto di appartenersi reciprocamente, e ora, come se questo non fosse abbastanza in una situazione del nostro calibro, un nuovo problema faceva la sua comparsa. “Sono andata dal dottor Patrick perché mi controllasse, ed ho scoperto una cosa. Una brutta cosa.” Disse, ponendo inaudita enfasi sull’aggettivo che utilizzò per descrivere il tutto. A quelle parole, non ebbi reazione alcuna, salvo quella di guardarla negli occhi e sperare ardentemente che ogni cosa facesse parte di un sogno. Data la situazione, il mio intuito mi aveva portata a immaginare il peggiore degli scenari, e non appena la mia amica riprese a parlare, mi sentii venir meno. “Si tratta del mio cuore, ed è più grave del previsto.” Questa fu la sua risposta, in grado di stordire e portarmi sull’orlo di uno svenimento. In quel preciso istante, infatti, la stanza parve iniziare a girare, ma concentrandomi a fondo, riuscii a tornare ad essere me stessa. “Ma come? Ti stai curando, e le medicine…” provai a dirle, sentendo quella frase morirmi in gola come tante altre che non ero mai riuscita a pronunciare. “Non fanno più effetto. Ho provato, ma è così.” Mi rispose allora, facendomi gelare il sangue nelle vene. “Vieni.” Replicai, afferrandole saldamente un polso e stringendolo così forte che non riuscì a liberarsi. “Dove andiamo?” chiese, spaesata e colta alla sprovvista. “Mi dispiace, ma Soren deve saperlo, e subito.” Risposi a denti stretti, trascinandola per l’intero corridoio fino alla sala principale. “Rain, ti prego, non…” biascicò lei, tentando di ammansirmi e riportarmi alla ragione. “Subito!” ripetei, alterandomi di colpo e quasi urlando. Ammutolita dalla mia reazione, Samira scelse di darmi retta, e una volta arrivate a tavola in tempo per la cena, lei si sedette, ma poco si rimise in piedi. Forse avevo esagerato, ed era vero, ma dopo quanto avevo ascoltato, sapevo bene di non poter essere l’unica a conoscere la verità. In fin dei conti, eravamo una grande famiglia, e in un gruppo come il nostro, verità e lealtà gli uni fra gli altri erano due dei pilastri fondamentali. Inoltre, se il nostro intero gruppo non era stato scosso da quanto avevamo passato fino a quel preciso momento, ero fermamente convinta che non sarebbe accaduto neanche ora. In altre parole, sentivo di star facendo la cosa giusta. Ad ogni modo, Samira era lì in piedi, spaventata e confusa. Avevano tutti smesso di mangiare, e la fissavano con ansia. Nel tentativo di aiutarla, le rivolsi un sorriso, e solo allora, lei riuscì ad esprimersi. “Io… ho un annuncio da fare.” Esordì, attirando l’attenzione di tutti, che ora, ancora più concentrati e trepidanti di prima, aspettavano. “Soren, devi essere il primo a saperlo, perciò lo dirò anche a te.” Continuò, spostando lo sguardo sull’amato, che notando quanto fosse scossa e impacciata, sorrise apertamente. “Dai, parla.” Le sussurrai, sempre tentando di infonderle sicurezza. Scivolando nel silenzio, la mia amica si limitò ad annuire, e tornando a guardare il suo amato negli occhi, raccolse le sue forze e il suo coraggio per dire la verità. “Soren, amore, io… sono incinta.” Disse, esitando per un attimo e facendo quanto fosse in suo potere per evitare di piangere. Per sua sfortuna, non ci riuscì, e a quella vista, suo marito le si avvicinò. Non appena fu abbastanza vicino da toccarla, la strinse in un abbraccio, sussurrandole poi qualcosa all’orecchio. “Staremo sempre insieme, amore mio. Sempre, e ora più che mai.” Una frase che lei ascoltò senza parlare, e alla quale rispose con un bacio che entrambi approfondirono quasi subito. Fu così che le loro labbra si toccarono, e che ancora una volta, vidi il loro amore trionfare su tutto quello che ci stava accadendo. Grazie alla loro coppia, e ai sentimenti che sapevo di provare per il mio Stefan, avevo fiducia. Ce l’avremmo sicuramente fatta, nonostante, sempre a causa di una guerra che ora minacciava di ricominciare e mietere nuove e innocenti vittime, fossimo tutti visibilmente nervosi e tesi come mai prima.

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Capitolo 20
*** Spade, scudi e nuove sfide ***


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Capitolo XX

Spade, scudi e nuove sfide

I giorni passavano lenti, quasi trascinandosi sulla linea del tempo, e guardando la data scritta nel mio diario, mi accorsi che un’altra settimana era ormai scomparsa. Così, il tempo continuava a scorrere come sabbia in una clessidra, e per pura sfortuna, le cose non sembravano cambiare. “Siate uniti.” Questa la frase che nei momenti di calma e silenzio la mia mente continuava a replicare, tenendo viva nel mio cuore una speranza che malgrado tutto, andava sempre più scemando, come la luce di un giorno ormai prossimo alla fine. Evitavo con tutte le mie forze di pensarci, ma nonostante i miei sforzi, tutto era inutile. Volevo davvero bene ai miei amici, e parlando con me stessa dovetti ammettere che vederli in uno stato pari a quello in cui versavano, apparendo nervosi, tesi e logorati dalla paura di fare un disgraziato e maledetto passo falso, mi intristiva molto. Pur non volendo, arrivavo così a credere che il nostro destino era segnato. Come avevo avuto modo di constatare, esisteva una seppur remota possibilità che il nostro gruppo si sarebbe sgretolato lentamente, proprio come una parete rocciosa erosa dalle acque. Non potevo crederci, eppure quel così orribile pensiero continuava a galleggiare nella mia mente, soppiantando gli altri e portandomi ad avere i nervi a fior di pelle. Detestavo ammetterlo, ma c’erano davvero momenti in cui tutta la rabbia e la frustrazione che accumulavo si trasformavano in lacrime, e in quelle occasioni, non mi restava che guardarmi allo specchio e notare che queste ultime mi rigavano il viso, mentre la luce presente nei miei occhi sembrava scomparire, rendendoli spenti e privi del loro usuale splendore. Non proferendo parola, resto ora in silenzio, concentrata solo sui miei stessi pensieri, ora cupi dato tutto ciò che sto passando. I minuti scorrono, ed io sono sola. Seduta alla mia scrivania, rileggo più e più volte la lettera scrittami dalla cara Lady Bianca, donna presentatasi a tutti noi come un aiuto prezioso. Ora come ora, e come del resto continuo a vedere, la mia amata Aveiron è in ginocchio a causa dei Ladri, e a quanto sembra, anche lottare al solo scopo di difendersi e sopravvivere sta perdendo il senso che prima possedeva. Stando alle parole di Stefan, non dovrei lasciarmi andare così. “Devi essere forte.” Continua a ripetermi, sedendosi ogni sera al mio fianco per infondermi il coraggio che ora mi manca. “Non ci riesco. Non ce la faccio più.” Ho risposto stasera, non riuscendo più a trattenere le lacrime e piangendo proprio di fronte a lui. “Rain, tesoro, basta, smettila. Tu sei forte, ed io lo so bene. Noi ce la faremo. Insieme, mi hai capito?” mi disse, ponendomi poi quella domanda per assicurarsi di essere ascoltato. “Sì.” Dissi soltanto, voltandomi a guardarlo e tirando su col naso. “Ottimo, ora vieni qui.” Continuò, attirandomi lentamente a sé. In quel preciso istante, le nostre labbra si unirono, e un bacio mi tolse il respiro. Non contenta, tentai di approfondirlo. Non riuscivo a spiegarmene il perché, ma lo desideravo. Come lui stesso diceva, ero debole e forte al tempo stesso, e non appena la parte più debole di me prendeva il sopravvento, avvertivo l’impellente bisogno di piangere ed essere rincuorata da una persona a me cara. Stefan lo sapeva bene, e sin dal giorno del nostro primo incontro, non aveva fatto altro che questo, onorando la promessa che mi aveva fatto anni prima. Continuai a baciarlo allietata da questi pensieri, ma all’improvviso, qualcosa mi bloccò. Nonostante l’ora tarda, qualcuno stava bussando alla nostra porta. Colti alla sprovvista, Stefan ed io ci fermammo, e solo allora, qualcuno fece la sua entrata in scena. La nostra piccola Terra, che a soli cinque anni era già un’eroina. Mi aveva salvata da morte certa tempo prima, ed io lo ricordavo ancora. Era mia figlia, e come non mi stancherò mai di ripetere, ero, sono e sarò sempre orgogliosa di lei. Ad ogni modo, ora stava piangendo, e notando che i suoi verdissimi occhi apparivano lucidi a causa della tristezza, mi avvicinai. “Terra! Tesoro, che è successo?” le chiesi, inginocchiandomi e abbassandomi al suo livello. “Non riesco a dormire. Ho fatto un brutto sogno e… e voglio andare ad Ascantha. Rispose fra le lacrime, piangendo disperata e andando alla muta ricerca di aiuto. Provando istintivamente pena per lei, l’abbracciai forte, e prendendole la mano, la guidai fino al nostro letto. “Vuoi dormire con me e mamma stasera? Che ne dici?” propose Stefan, sorridendole leggermente. Mantenendo il silenzio, la bambina si limitò ad annuire, ma prima di accoccolarsi in mezzo a noi, lasciò che una domanda abbandonasse le sue labbra. “Ned può restare, vero?” ci chiese, conservando la segreta speranza di ricevere una risposta positiva. “Certo.” Le rispose il padre, sorridendo ancora e carezzandole la testolina castana. Sempre silenziosa, la piccola guardò per un attimo suo padre, per poi fare uno sforzo e salire sul letto. Solo allora, le rimboccai le coperte. Contrariamente e me e Stefan, si addormentò quasi subito, sempre stringendo, proprio sul suo piccolo ma nobile cuore, il suo amato orsetto di pezza. Quella sera, faticai a dormire, pensosa. Per quanto ne sapevo, quello non era il suo primo incubo, e vederla soffrire tanto solo per un brutto sogno mi spingeva a pensare. Stando ai miei ricordi, avere degli incubi capitava anche a me da bambina, ma riflettendoci, compresi che per lei era diverso. I miei si limitavano a falsi fantasmi o immaginari mostri nascosti sotto il mio letto, ma ero certa che per lei non fosse così. Preoccupata, mi chiedevo cosa davvero sognasse. Mostri? Ladri? Non potevo saperlo, e pur solo immaginandolo, in compagnia della luna e delle luminose stelle, presi una decisione. Lady Bianca ci aveva offerto la possibilità di tornare con lei ad Ascantha, e ora, dopo tutto questo tempo, mi ero decisa ad accettare. Ricordando le parole che mi aveva rivolto nel giorno del suo arrivo di fronte alla nostra porta, si impegnava con tutte le sue forze per permettere ad anime più sfortunate di condurre una vita migliore, ed io mi fidavo. Si dice che certi treni passano una sola volta nella vita, e no, non avrei sprecato quest’occasione, lasciandolo partire senza di me. In altre parole, avrei esaudito il tanto ardente desiderio della mia piccola Terra, e permesso alla mia bella bambina di vivere come tale. Sapevo bene che il viaggio sarebbe stato lungo e difficile, ma non m’importava. Io, Rain Gardner, sarei tornata nel regno di Ascantha, affrontando una vera e propria crociata fra spade, scudi e nuove sfide.

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Capitolo 21
*** Verso nuovi inizi ***


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Capitolo XXI

Verso nuovi inizi

Il sole era spuntato ancora, e il silenzio della notte da poco trascorsa mi aveva aiutata a pensare, permettendomi di scavare a fondo fra i miei ricordi e riportarmi una sorta di consiglio. Dopo mesi passati a riflettere su cosa fare, avevo deciso. Stefan e i miei amici non lo sapevano ancora, ma grazie alla mia piccola Terra, avevo scelto Ascantha. Una città poco lontana da Aveiron, dove avevo piantato radici per qualche tempo, e dove, proprio come la mia bambina, volevo ritornare. Sapevo bene che fuggire dai miei problemi non mi avrebbe aiutata, ma dati i miei cupi trascorsi, non vedevo soluzione dissimile da quella. Inoltre, ero certa che una volta arrivata avrei sicuramente avuto l’appoggio dei miei genitori, stabilitisi lì poco dopo l’inizio di quest’assurda guerra, così come un rifugio per la mia intera famiglia, che sarebbe finalmente rimasta al sicuro. Mi svegliai quindi alle prime luci dell’alba, scivolando con lentezza fuori dal letto al solo scopo di non svegliare nessuno. Mentre ero nell’atto di farlo, spostai lo sguardo, notando Stefan e Terra ancora placidamente addormentati. Sorridendo, non feci che guardarli. L’uno vicino all’altra. Lui in posizione supina, lei in quella fetale, vicinissima al padre che le dormiva accanto. “Dormite bene.” Sussurrai, alzandomi e aprendo lentamente l’armadio presente nella stanza, notando tre zainetti, di cui uno a colori vivaci. Apparteneva a Terra, e non ci teneva mai molte cose, salvo le matite con cui disegnava, i fogli su cui lo faceva, e alcune volte, anche i suoi giocattoli. Muovendomi con fare furtivo, ne afferrai soltanto uno, scoprendolo insolitamente pesante. Aprendolo, vi sbirciai dentro per scoprirne il contenuto, e indagando anche con le mani, per poco non mi tagliai. Sentii dolore, ma questo non accade. In quell’istante, ricordai di averci nascosto la mia daga, e con essa una mappa di Ascantha regalatami da mia madre e una piccola bussola, regalo del mio amico Basil. Pensandoci, compresi di non avere sue notizie da tempo, e con quel pensiero in mente, ripresi a fare ciò che stavo facendo. Subito dopo, richiusi il mio zaino, lasciandolo stavolta sul pavimento accanto al letto e non nell’armadio. Disgraziatamente, lo zaino cadde con un tonfo, e quell’inaspettato rumore svegliò Terra. Mordendomi la lingua, maledissi la mia innata goffaggine, mia sgradita compagna sempre presente nei momenti meno indicati. “Mamma? Che stai facendo?” mi chiese la mia piccola, scivolando nel silenzio in attesa di una risposta. “Niente.” Risposi soltanto, spingendo quell’ormai famoso zaino sotto al letto e sperando che non lo vedesse. “Sembri strana, sai?” osservò poi, confusa. “Cosa? No, va… va tutto bene, sta tranquilla.” Continuai, mentendo e vergognandomi di averlo appena fatto. Poco dopo, anche Stefan parve svegliarsi. “Buongiorno.” Mi disse sbadigliando e coprendosi la bocca con educazione. Muta come un pesce, non feci che sorridere e annuire, e in quel preciso istante, una domanda fece crollare ogni mia certezza. “Stai tremando, sicura di star bene?” si informò Stefan, notando che il mio corpo veniva scosso da tremori controllati ma evidenti. “S-Sì.” Biascicai, trascinando a fatica quella singola parola finchè non abbandonò la mia bocca. “Rain…” continuò Stefan, pronunciando il mio nome con fare poco convinto. Come avevo ormai capito, mentire non mi serviva  a nulla, e quella farsa era destinata a non reggere. In quel momento, mi decisi a dire la verità. Terra era ancora nella stanza assieme a noi, perciò la guardai, e soltanto un attimo dopo, scelsi di parlare. “Voglio tornare ad Ascantha.” Dissi semplicemente, guardando il mio Stefan negli occhi e sperando segretamente che capisse il perché del mio volere. “Scusa, cos’hai detto?” chiese, confuso e stranito dalle mie parole. Quasi ignorandolo, mi concentrai su Terra, invitandola con fare amorevole ad andare a giocare. Regalandomi un sorriso, la bambina obbedì subito, e non appena fui sola con Stefan, continuai il mio discorso. “Ci ho pensato, ed è la cosa migliore.” Dissi, continuando a guardarlo e attendendo una sua risposta. “Tu credi?” replicò soltanto, incerto e dubbioso. “Stefan, ragiona. So che qui stiamo bene, ma sono certa che saremo al sicuro anche lì. In fondo non saremo soli, e Lady Bianca ha detto…” le mie parole fluirono chiare dalle mie labbra, ma improvvisamente, fui costretta a fermarmi. “Ti capisco, ma non possiamo.” Fu la risposta di Stefan, dura e secca come mai prima. “Perché? Spiegami solo questo, in fondo sarebbe davvero la cosa migliore!” protestai allora, desiderosa di una spiegazione. “ Non ci arrivi? Samira sta male, e viaggiare è impossibile nelle sue condizioni. In più è perfino incinta, perciò attireremo solo l’attenzione.” Mi disse, riuscendo con quelle parole a far luce sui miei dubbi. Sapevo bene che aveva ragione, ma nonostante tutto ero atterrita. Perché non voleva? Perché si stava comportando così. Non riuscivo a spiegarmelo, e non proferendo parola, rimanevo lì davanti a lui, ferma e inerme. “Ci sono anche i miei genitori.” Mugolai poco dopo, spostando lo sguardo sul duro e inospitale pavimento della stanza, pulito ma ormai consumato dal tempo. Confuso, Stefan mi guardò senza capire. “Hai sentito bene, i miei genitori.” Replicai, inviperita. Stanno ospitando mia sorella, e faranno lo stesso anche con noi. Perché non vuoi partire?” continuai, sentendo la mia rabbia cedere il posto alla tristezza, e il viso bruciare come fiamma viva. “Non voglio perderti, Rain. Ecco perché. Non lo capisci? Io sto cercando di proteggerti, da sempre.” Rispose lui, con il tono calmo che usava ogni volta che mi vedeva piangere. In quel momento, il suo unico scopo era confortarmi, e sedendomi accanto a lui, mi lasciai abbracciare. Subito dopo, mi abbandonai ad un pianto silenzioso, e quasi non curandosene, lui mi baciò la fronte. Stringendomi forte a sé, mi asciugò le lacrime, e pur non riuscendo a smettere di piangere, lo guardai. “Ti amo.” Mi sussurrò poi, dandomi modo e tempo di sfogarmi. “Sei proprio sicuro di non voler andare?” gli chiesi poi, andando alla ricerca di una conferma. “Partiremo, ma non ora, d’accordo?” fu la sua risposta, che terminò tendendomi la mano. Seppur con riluttanza, gliela strinsi. “D’accordo.” Dissi poi in tono mesto, tentando di alzarmi in piedi e riuscendoci a fatica. “Bene, ora va a lavarti la faccia, non voglio che gli altri ti vedano così.” Mi consigliò Stefan, con il suo solito fare apprensivo. Muta come un pesce, annuii lentamente, e chiudendomi a chiave nel bagno, feci ciò che mi era stato detto. Solo allora, la fredda acqua che scorreva dal rubinetto mi bagnò il viso, poi anche i polsi. Dopo essermi ripresa, guardai la mia immagine riflessa nello specchio. Ero sempre io, ma mi sentivo diversa, e per qualche strana ragione, mi sembrò di vedere la mia intera vita passarmi davanti in un soffio. Avevo fatto ciò che potevo, ed ora mi toccava aspettare, ma come sempre, rimanevo aggrappata alla speranza di lasciarmi il passato alle spalle e non voltarmi, avendo sempre in mente il disegno di viaggiare e spostarmi, seppur lentamente, verso nuovi e rosei inizi.

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Capitolo 22
*** Notte di segreti ***


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Capitolo XXII

Notte di segreti

Era ormai arrivato il pomeriggio, e avevo passato alcuni minuti chiusa in bagno, nel semplice tentativo di cancellare dal mio volto i segni del pianto. Guardandomi ancora allo specchio, scoprii che c’ero riuscita, e dando le spalle al mio riflesso, riaprii la porta. Uscii da quel bagno più calma e serena, e non appena misi piede in quell’ampio corridoio, scelsi di raggiungere la gran sala principale. Proprio come mi aspettavo, vi trovai Lady Fatima, intenta a scrutare la piazza principale di Aveiron proprio da quella finestra. Avvicinandomi, provai a parlarle, ma un suo intervento mi impedì di farlo. “Cerchi aiuto, non è vero, Rain?” mi chiese, quasi leggendomi nel pensiero. “Sì.” Risposi, tremando inconsapevolmente. “Parla pure, ti ascolto.” Fu la sua risposta, semplice e quasi lapidaria. “È importante.” Esordii, dando inizio ad un discorso che non credevo di poter portare avanti. “Vedete, noi vorremmo tornare ad Ascantha, ma…” continuai, bloccandomi improvvisamente e sentendo quella frase morirmi in gola. Sconvolta, provai a parlare, ma mi accorsi di avere la lingua impastata. “Avete paura, giusto?” proruppe la Leader, ponendomi una semplice ma al contempo ardua domanda. Mantenendo il silenzio, mi limitai a guardarla, sperando che il mio silenzio fosse abbastanza eloquente. “Tranquilla, è tutto normale. L’importante è saperla affrontare, e voi ce la farete, ne sono certa.” Aggiunse, guardandomi negli occhi e sorridendo debolmente. Rinfrancata da quelle parole, sorrisi a mia volta, e solo allora, notai qualcosa. Un dettaglio negli sguardi di Lady Fatima, troppo veloci e privi di concentrazione. Mi parlava, ma era come se fosse distratta da qualcosa. Forse un altro pensiero avevo preso possesso della sua mente, e ad essere sincera, non la biasimavo. In fin dei conti, era pur sempre una Leader, e come tale, doveva prendersi cura del nostro gruppo e dell’intera comunità di Aveiron. Come ben sapevo, i suoi poteri si avvicinavano a quelli di un monarca, ragion per cui, mille preoccupazioni diverse finivano spesso per impadronirsi di lei. Ringraziandola del sostegno che mi aveva offerto, le sorrisi ancora, ma non appena mi voltai per andarmene e lasciarla da sola, la sentii rompere il silenzio creatosi fra di noi. “Hai visto Rachel?” mi chiese, incerta e dubbiosa. Voltandomi nella sua direzione, non feci altro che scuotere la testa,e nel sentire la mia risposta, la Leader parve sussultare. “Ne sei sicura?” una seconda domanda che trovò la libertà grazie alla sua voce, che alle mie orecchie giungeva diversa. Non più calma, ma per qualche arcana ragione corrotta e spezzata dalla preoccupazione. “Mi dispiace, Signora, non l’ho proprio vista.” Confessai a malincuore, ben sapendo di star dicendo la verità. Alle mie parola, Lady Fatima parve bloccarsi. Il suo sguardo divenne vitreo, il suo intero corpo si immobilizzò. Di punto in bianco, chiuse gli occhi, e solo allora, riprese a parlare. “C’è una cosa che dovrei dirle.” Disse soltanto, ridestando in quel modo la mia curiosità. In quel momento, provai l’impulso di intervenire, ma soffocandolo, la lasciai esprimersi. “Non so più cosa mi stia succedendo. Non mi sento più me stessa, e penso solo a lei. Ovunque io sia, ovunque io vada, lei è sempre con me. Ferma, nella mia mente.” Continuò, fermandosi e prendendo una pausa al solo scopo di respirare. Evitando di staccare il mio sguardo da lei, mi avvicinai di qualche passo, invitandola con un gesto della mano a continuare. Notandolo, lei mi guardò a sua volta, e poco dopo, riprese la parola. “Vedi, Rain, ci sono sere in cui vorrei davvero parlarle, confessarle tutto, ma… qualcosa mi blocca. Io la amo, la amo moltissimo, eppure non ci riesco.” Concluse, sospirando cupamente e fissando lo sguardo sul pavimento. In completo e perfetto silenzio, la guardai, ma provando istintivamente pena per lei, scelsi di agire. “State calma, non è niente. Se siete così innamorata, parlatele subito, e ditele la verità.” Le dissi, sorridendo gentilmente. Dici che dovrei?” si informò, più incerta di prima. “Certo. La verità diventa dolorosa se viene taciuta troppo a lungo, sappiatelo.” Risposi, parlandole stavolta da amica. “E se… e se avesse smesso di amarmi? In fondo sono stata orribile con lei.” Continuò, imputandosi una colpa che ero certa non esistesse. “Non dite così. Ho visto come vi guarda, e so che non potrebbe mai.” Quella fu la mia risposta, che le diedi poco prima di darle le spalle. “Passate una buona notte, Lady Fatima.” Conclusi, voltandomi definitivamente e allontanandomi da lei. “Rain, aspetta.” Mi pregò, guardandomi con occhi lucidi di tristezza. Le stava davvero venendo da piangere, ma nonostante tutto provava a contenersi. Rispondendo a quella sorta di richiamo, mi voltai ancora verso di lei, e in quel preciso istante, un solo lemma abbandonò le sue labbra. “Grazie.” Una parola semplice, ma che per me aveva un significato speciale. Ad essere sincera, mi consideravo una persona semplice, ma sempre pronta a muovermi e agire in favore di un amico o di una persona cara, proprio come avevo appena fatto. “Di nulla.” Risposi soltanto, regalandole un ultimo sorriso, che ebbe il potere di riportare la Leader alla normalità. Quella sera, andai a letto poco dopo di lei, e mentre camminavo per raggiungere la stanza che lei stessa mi aveva assegnato, mi accorsi di non sentirla più piangere o struggersi per amore. Da qualche tempo a questa parte, lei e Rachel avevano smesso di dividere la stanza, e come temevo, ne soffriva parecchio. Per tale ragione, passava le sue notti a piangere, e alcune volte, anche a chiamare flebilmente il suo nome, sperando di essere sentita. Inutile è dire che la sua amata non varcasse mai quella porta, ma non importava. Il mio consiglio sembrava aver funzionato, e finalmente, la dolce e amara Leader riusciva a dormire e riposarsi senza alcun problema. Ricordo ancora le notti insonni che io stessa trascorrevo preoccupandomi per il futuro mio e di Stefan, che ora, per pura fortuna, sono solo un vago e lontano ricordo. Ad ogni modo, le ore passarono, e un rumore improvviso mi svegliò. Qualcuno aveva aperto quell’ormai famosa porta, e pur non potendo vedere nulla, immaginai che Rachel avesse finalmente perdonato all’amata la mancanza di qualche tempo prima. In fin dei conti, l’amava molto, ed ero certa che la loro coppia avrebbe continuato ad esistere e durare nel tempo. In altri termini, quella fu una notte agitata ma speciale, poiché piena di consigli e segreti, che, finalmente rivelati, avevano permesso ad un gran dolore covato da tempo, di scomparire per sempre, lasciando il posto, a una calma bramata e attesa. A quel solo pensiero, sorrisi, immaginando, al solo scopo di addormentarmi più in fretta, un corso d’acqua, che da torbido e mosso, si faceva via via sempre più limpido.

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Capitolo 23
*** Scegliere e agire ***


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Capitolo XXIII

Scegliere e agire

Ancora una volta, ero intenta a guardare il triste panorama fuori dalla finestra della sala principale. Tendevo sempre a non sbilanciarmi, ma definirlo triste era ben poca cosa. Da ormai qualche giorno, la pioggia aveva ricominciato a cadere, e benché inizialmente non me lo aspettassi, ormai mi ero abituata. Ad ogni modo, ero lì, ferma e inerme, talmente avvilita da ciò che vedevo da non sbattere neanche le palpebre. Nessuno nel mio intero gruppo lo sapeva, ma c’erano davvero momenti in cui desideravo solo sedermi in terra e lasciare che una profonda oscurità mi inghiottisse per sempre. E così, eccoli di nuovo. Altri pensieri negativi, altre parole da rinunciataria. Ce la stavo mettendo tutta, e i miei compagni mi vedevano, non mancando mai di elogiarmi in quei casi, e pur sapendolo, desideravo ardentemente portare a termine quella che ormai consideravo una vera e propria missione. Riportare Terra ad Ascantha. Ingenua com’era, continuava a pormi la stessa domanda. “Allora? Ci andremo? Quando?” chiedeva, trascinandosi dietro il suo orsacchiotto e attendendo in silenzio una mia risposta. “Non adesso, ma presto.” Le rispondeva sempre suo padre, abbassandosi al suo livello per guardarla negli occhi. “Sì, ma quando? Io sono pronta!” protesta invece sin da stamattina, puntando i piedi com’è abituata a fare per imporre il suo volere. Mantenendo il silenzio, non dissi nulla, e continuando a guardarmi, la piccola attese. “Non è giusto!” si lamentò poi, alzando la voce e alterandosi di colpo. In quel momento, mi voltai a guardarla, e solo allora, qualcuno decise di aiutarmi a risolvere la situazione. “Piccola, adesso ascoltami. Andremo davvero ad Ascantha, solo non adesso.” Fu Lady Fatima a parlare, quasi inginocchiandosi di fronte a lei e toccandole una spalla. “Perché?” chiese la bambina, che finalmente pareva aver compreso la gravità della situazione. “Perché adesso Samira sta male, e abbiamo tutti paura, proprio come te.” Le rispose la Leader, intristendola senza volere. Quasi offesa da quelle parole, Terra si limitò a fissarla, e poco dopo, una voce diversa riempì il silenzio. “Sai una cosa? Io dico che ce la faremo.” Stavolta fu Rachel a parlare, avvicinandosi e comportandosi con lei come una nonna. “Ti credo.” Rispose Terra, sorridendo leggermente. Sempre in silenzio, guardai per un attimo Rachel, e non appena i nostri sguardi si incrociarono, le sorrisi anch’io. “Prego.” Parve volermi dire,con il solo uso dello sguardo. In quel preciso istante, un nuovo sorriso illuminò il volto di mia figlia, che trotterellando tranquilla, tornò nella sua stanza. Poco dopo, il dorato mattino sfumò i suoi colori tramutandosi in pomeriggio, e quest’ultimo divenne sera. Finita la cena, misi Terra e Rose a letto, e tornando dai miei amici in sala da pranzo, scoprii che Lady Fatima aveva un annuncio da fare. Imitando gli altri, mi alzai rispettosamente in piedi, e in quel momento, lei prese la parola. “So bene che il viaggio verso la vicina Ascantha sarà sicuramente pieno di insidie, perciò sarò felice di accompagnarvi, ma prima di andare, dovremo prepararci a dovere.” Quello fu il suo discorso, che tutti ascoltammo senza interrompere, e che onestamente mi fece riflettere. Mi costava ammetterlo, ma aveva ragione, e dopo aver riflettuto, mi sentii una stupida. Poteva apparire folle, ma non credevo a me stessa. Ero stata così cieca, così concentrata sull’avere Ascantha come obiettivo che avevo dimenticato la parte più importante, ovvero la preparazione. Quasi intuendolo, la Leader mi aveva fermata in tempo, impedendomi di mettere, tramite la mia impulsività, l’intero gruppo nel mirino del pericolo che cercavamo costantemente di evitare. A questo punto, il piano era più che semplice, poiché ognuno di noi non avrebbe dovuto far altro che scegliere e agire.

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Capitolo 24
*** Confessioni del cuore ***


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Capitolo XXIV

Confessioni del cuore

E così, un altro giorno iniziava, lento, placido e magnifico al tempo stesso. Soltanto la notte scorsa mi ero lasciata abbracciare da Stefan, e avevo dormito con lui sotto calde e accoglienti coperte. Nelle mie orecchie non ci fu altro che il suono prodotto dal battito del suo cuore, e nella mia mente, una copia esatta del discorso di Lady Fatima. Sembrava incredibile, ma quelle semplici parole erano bastate per riportarmi a sperare e credere nel domani. Con un sorriso sulle labbra, ho oggi raggiunto la sala da pranzo, poi consumato la mia colazione e passato gran parte del mio tempo a occuparmi delle faccende domestiche. Contrariamente a me, Samira leggeva, e sembrava che nulla potesse distrarla. Avvicinandomi, mi sedetti su una poltrona accanto a lei, e prima che potessi parlare, lei ruppe il silenzio. “È bello poter stare tranquilli, sai?”osservò, guardandomi con aria calma. Scivolando nel più completo mutismo, mi limitai a guardarla, sorridendo felice. Intanto, il tempo continuò a scorrere, e solo poco dopo, la vidi toccarsi la pancia. Come ben sapevo, il suo corpo ospitava una piccola vita che andava protetta e non distrutta, e sorridendo ancora a quella così tenera vista, glielo chiesi. “Dì, hai già pensato a un nome?” fu la mia domanda, alla quale lei rispose prontamente. “Non ho deciso, ma spero sia un maschio.” Mi disse, in tono calmo e neutro. “Almeno Soren sarà contento.” Aggiunse poi, poco prima di scivolare nel silenzio. “Avanti, avrai almeno una preferenza!” protestai allora, dandole un affatto offensivo pugno sul braccio. “Sai una cosa? Hai ragione. Mi piace Isaac.” Commentò, seria e calma al tempo stesso. “Davvero? Anche a me!” le risposi, ridendo di gusto. “E Soren invece? Lui cosa ne pensa?” mi informai poi, curiosa e felice per lei. “Per lui è indifferente.” Rispose, lasciandomi per qualche secondo sorpresa e interdetta. “Che… Che significa?” Balbettai, incredula. “È bellissimo. Da quando l’ha scoperto mi tratta perfino meglio di prima, quasi come se fossi la sua… la sua regina, ecco.” Questa fu la sua risposta, contenuta in un discorso che ascoltai senza proferire parola. Tornando poi a guardarla, notai nei suoi occhi un luccichio conosciuto. La conoscevo ormai da anni, e sapevo quanto fosse innamorata. “Lo immagino. In fondo vi amate molto, vero?” commentai, scegliendo poi di porle quella semplice e retorica domanda. “Esatto, e amerò questo bambino tanto quanto lui. Parole che ascoltai in religioso silenzio, e nelle quali sentivo davvero di rispecchiarmi. In fin dei conti, avevo Stefan al mio fianco, che come un vero cavaliere, era sempre pronto a proteggere me e le bambine, e ad essere onesta, ero felice per lei. Non gelosa, ma felice. Le ero stata accanto nei periodi più ardui della sua intera vita, e facendolo avevo avuto modo di conoscere la nera ombra di sfortuna che sembrava seguire senza apparente sosta sia lei che il suo Soren, che ora, finalmente, era scomparsa. A quanto sembrava, la sorte aveva deciso di dar loro tregua e sorridere, permettendo così al loro amore di esistere e fiorire per quello che era. Un sentimento forte, puro e ricambiato, che come stavo avendo occasione di vedere, continuava a guidarli nel cammino verso la felicità reciproca, obiettivo che, dopo tante tribolazioni, avevano raggiunto insieme, l’uno al fianco dell’altra. A quel solo pensiero, non facevo che sorridere, ma nonostante tutto, uno completamente diverso finì per soppiantarlo. Dov’era finita la Rachel che conoscevo? Perché era cambiata? Che le era successo? E soprattutto, perché da ormai tre interi giorni non lasciava mai la sua stanza se non per nutrirsi? Sembrava sparita, e interrogandomi, me ne chiedevo il perché. Mille domande che mi ronzavano in testa come fastidiosi insetti, e che con il passare di ogni minuto, mi torturavano la mente. Inesorabile, il tempo scorreva senza sosta, e quella sera, notai che Rachel non era con noi. Era ora di cena, ma lei mancava all’appello. Preoccupata, Lady Fatima si guardava intorno, sperando ardentemente di vederla comparire sulla scena. Per pura sfortuna, ciò non accade, e camminando per i corridoi della Casa nel tentativo di raggiungere la mia stanza, sentii qualcosa. Un suono indistinto, ma al mio udito simile a un lamento. In quel momento, accelerai il passo, e nel farlo, lo notai. Sdraiata sul suo letto, Rachel pareva piangere, e con le lacrime che le correvano sul viso, ansimava. Il pianto le impediva di respirare correttamente, e provarci peggiorava solo le cose. Con qualche passo in avanti, vidi anche le sue labbra. Rosse, gonfie e sanguinanti. Per quanto ne sapevo, nessuno le aveva fatto del male, perciò conclusi che doveva essersele morse nel tentativo di calmarsi e riprendersi dal pianto. Notando il suo dolore, provai pena, e distogliendo lo sguardo, tornai dai miei amici. Una volta lì, guardai Lady Fatima. Stando a quanto avevo appena visto, Rachel soffriva, e data la situazione, lei doveva essere la prima a saperlo. Tacendo inizialmente la mia scoperta, consumai la cena, e non appena ebbi finito, feci un respiro profondo. Raccogliendo quindi le mie forze e il mio coraggio, le dissi la verità. “Signora, si tratta di Rachel.” Esordii, scoprendo di aver attirato la sua attenzione. “Come? Rain, dimmi, che cos’ha?” mi chiese, allarmata. “Sta male, e ha bisogno di voi.” Le risposi, vedendola tremare in preda alla paura. Nel sentire la mia risposta, Lady Fatima non fece che ringraziarmi, e voltandosi, sparì subito dalla mia vista. Muovendosi più veloce che poteva, raggiunse subito la camera di Rachel, trovandola ancora stesa sul letto. Il viso affondato nel cuscino, e il dolore nel profondo dell’anima. “Rachel, ti prego, dimmi, perché piangi?” le chiese, attendendo con impazienza una qualsiasi risposta. “Vedete, non riesco più a trattenermi. So di averlo già detto, e per questo non mi aspetto che mi crediate, ma io… ecco io… io Vi amo, mia Signora, con tutta me stessa.” Queste furono le parole di Rachel, scolpite da tempo immemore nel suo cuore e rimaste nascoste fino a quel momento. Il silenzio che le seguì fu assordante, ma rotto solo dal suono del respiro della Leader. Chiamando a raccolta tutto il suo coraggio, aveva premuto con forza le labbra su quelle di Rachel, e dopo averla baciata, non voleva lasciarla andare. Non appena quel bacio ebbe fine, la stessa Rachel non potè che guardarla, confusa e frastornata. “Ma… ma cosa… Voi mi…” mugolò, incredula. “Esatto, Rachel, ti amo, e sono incredibilmente attratta da te.” Confessò la Leader, con la voce tremante e il cuore che le batteva all’impazzata, quasi fosse un’adolescente alla prima cotta. In completo silenzio, Rachel continuò a fissarla, e solo allora, una domanda abbandonò le sue labbra. “Possiamo rifarlo?” la pregò, stringendosi forte a lei e attendendo con trepidazione. Obbedendo a quella sorta di ordine, Lady Fatima la baciò ancora, respirando a fondo e beandosi di quei momenti. Osando poi come mai prima, Rachel prese a giocare con gli scuri capelli dell’amata, che intanto continuava a tenerla stretta a sé. Di lì a poco, Lady Fatima si staccò da lei, sdraiandosi al suo fianco nel letto di quella stanza. Riflettendo, compresi che Rachel sperava in qualcosa di più d’un semplice bacio, ma nonostante ciò, quella sera decise di accontentarsi. Si addormentò quindi accanto alla sua lei, e poco prima di addormentarmi a mia volta, capii una cosa. Mi era difficile crederlo, ma quelle di Rachel e Lady Fatima non erano che confessioni scaturite dai loro rispettivi e pulsanti cuori.

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Capitolo 25
*** Falsa quiete ***


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Capitolo XXV

Falsa quiete

Delle grigie nuvole avevano riempito e scurito il cielo, e aveva piovuto per tutta la notte. La piazza principale di Aveiron era fradicia, e mentre alcune tristi persone camminavano lente, mi parve di vedere qualcosa. Un povero cane emaciato e ormai prossimo alla morte che pareva incapace di reggersi in piedi. Una bestiola affamata e impaurita che aveva urgente bisogno d’aiuto. “Mamma, un cucciolo!” gridò Terra, felice ed eccitata. “Dai, aiutiamolo.” Mi consigliò, mentre anche la sorellina, al sicuro fra le mie braccia, guardava fuori dalla finestra toccandone il vetro e quasi dando manforte alla maggiore. Terra, tesoro, non possiamo.” Le risposi, con calma e dolcezza. “Dai, ti prego! Morirà lì tutto solo!” replicò, dando così inizio a una cantilena che non sopportai. Tentando di ignorarla, guardai ancora fuori, e per la seconda volta, il mio sguardo si incatenò a quello del randagio. Seduto per strada, rimaneva fermo, e benché non potessi sentirlo, ero certa che uggiolasse per la tristezza. A quella vista, fui mossa a compassione, e scambiandomi con Stefan una veloce occhiata d’intesa, glielo dissi. “Va a prenderlo.” Chiesi soltanto, in tono tranquillo e neutro, ma successivamente spezzato da una motivata pena nei confronti di quell’animale. Mantenendo il silenzio, Stefan si limitò ad annuire, e nel giro di poco, mi ritrovai a guardarlo scendere in quell’ora lugubre piazza e operare la sua magia. Difatti, fu questione di attimi, e fidandosi ciecamente, il cane prese a seguirlo zoppicando, lasciandosi poi perfino prendere in braccio. Poco dopo, Stefan tornò in casa, e guardandolo, scoprii che Terra aveva ragione. Fra le sue braccia c’era davvero un cucciolo, ma a quanto sembrava, quel povero animale era ormai vicino alla sua stessa fine. Provando istintivamente pena per lui, gli preparai due piattini. Uno riempito con gli avanzi della nostra cena, e un altro colmo di latte e pane bagnato. Un pasto frugale, ma che almeno per oggi gli avrebbe riempito la pancia. Una volta finito di mangiare, il cucciolo prese a camminare e guardarsi intorno, annusando alternativamente l’aria e il pavimento. In silenzio, lo guardavamo. In un ambiente nuovo, il piccolo si sentiva spaesato, e nel tentativo di aiutarlo, Terra decise di prenderlo sotto la sua ala protettrice. “Tu vieni con me.” Disse a quel povero cucciolo, sollevandolo e prendendolo in braccio. Con estrema pazienza, l’animale la lasciò fare, e di lì a poco, la vidi portarlo nella sua stanza. Volendo semplicemente controllare, la seguii, avendo poi il piacere di sentirla ridere e divertirsi. “No, lascialo!” gridò poi, mentre il suo nuovo e peloso amico ringhiava, divertendosi almeno tanto quanto lei. Aprendo la porta, la trovai intenta a litigarci, tirando verso di sé il suo orsetto, ora vittima dei denti del cucciolo. “Ho detto lascialo!” ripetè, tirando sempre più forte e sperando di riuscire a riprendersi ciò che le apparteneva. In quel momento, il cagnetto parve obbedire,e  per pura fortuna, il pupazzetto di mia figlia non subì danni. “Questo non è per te.” Lo sgridò poi, dandogli un buffetto sul muso. Quasi offeso da quel gesto, il cucciolo andò a nascondersi sotto il suo letto, e una volta fatto, rifiutò di uscirne. Sempre in silenzio, assistetti a quella scena, e abbassandomi, mi battei una gamba nel tentativo di richiamare l’animale. Obbedendo a quel mio calmo ordine, il piccolo mi si avvicinò, e poco dopo, mi misi ad accarezzarlo. Ad essere sincera, non avevo mai davvero avuto un animale, ma nonostante questo, volevo che Terra sapesse come trattarne uno. “Stava solo giocando con Ned, non voleva fargli del male.” Le dissi, tentando con quelle parole di spiegarle la situazione. “Lo so, ma non è suo.” Protestò, indignata. Quasi ignorandola, alzai gli occhi al cielo, per poi guardarla e carezzarle la testolina castana. Poco dopo, mi rimisi in piedi, e lasciando mia figlia e il suo nuovo amico da soli, gli permisi di continuare a giocare e divertirsi. Rivolgendole un ultimo sorriso, uscii dalla sua stanza, raggiungendo, con passi lenti e decisi, la gran sala principale. Una volta lì, rividi Samira. Come era ormai abituata a fare, leggeva in silenzio, e anche Soren era immerso nella lettura, ma notandomi, smise di farlo. “Dì, va tutto bene? Mi chiese, sorridendo debolmente. “Mi godo la tranquillità.” Risposi soltanto, ricambiando quel seppur debole sorriso. “Spero davvero che duri, sai?” commentò Samira, prendendosi una pausa dal leggere. “Anch’io.” Risposi prontamente, sorridendo ancora. Di lì a poco, il silenzio tornò a riempire la stanza, venendo rotto da un leggero suono di passi. Voltandoci, scoprimmo la verità. Era Rachel. Sorpresi da quella sua così improvvisa entrata in scena, la guardammo tutti senza capire, e in quel momento, una frase trovò la libertà grazie alla sua voce. “Godiamoci la felicità, in quanto questa non è che falsa quiete.”  

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Capitolo 26
*** L'occasione più speciale ***


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Capitolo XXVI

L’occasione più speciale

Era una giornata completamente nuova, e svegliandomi con l’arrivo del mattino, mi ritrovavo protagonista di una sorpresa. Come i miei compagni sapevano, il viaggio fino ad Ascantha veniva rimandato ormai da lungo tempo, e lasciando la mia stanza per raggiungere la cucina e tentare di far colazione, la vidi. Terra. Sorridendo, portava sulle spalle il suo zainetto a colori vivaci, lo stesso che io le avevo preparato tempo prima. “Buongiorno, mamma.” Mi disse, con un gran sorriso a fior di labbra. “Terra, amore, perché lo zainetto? Che succede?” le chiesi, incerta e dubbiosa. “Papà ti deve parlare.” Fu la sua risposta, completamente irrilevante ma in qualche modo collegata alla domanda che le avevo posto. “Come? Papà?” continuai, mentre mille incertezze mi attraversavano la mente facendosi spazio nei miei pensieri. Scuotendo la testa, provai a svuotarla e liberarmene, e allontanandomi da lei, andai subito alla ricerca di Stefan. Lo trovai poco dopo, in piedi di fronte a uno dei tanti specchi presenti nella Casa. “Che significa tutto questo? M’informai, ancora piena di dubbi. “Significa che finalmente andremo ad Ascantha, e che i tuoi, no, i nostri sogni potranno realizzarsi.” Questa fu la sua risposta, così sincera e inaspettata da scioccarmi. “Scusa, cosa?” dissi in quel momento, parlando ad alta voce e sbattendo gli occhi più volte per l’incredulità. “Mi hai sentito bene, ora vieni con me. Mi rispose, prendendomi poi per mano e conducendomi nella gran sala principale. Nel farlo, mi chiese espressamente di chiudere gli occhi, ma non ci riuscii. Troppe cose stavano accadendo troppo in fretta, e il livello della mia felicità era ormai arrivato alle stelle. Vedendomi felice come una bambina nel giorno di Natale, Stefan sorrise, e decidendo di prendere in mano la situazione, mi coprì gli occhi con una benda. Privata in quel momento della capacità di vedere e guardarmi attorno, mi lasciai guidare da lui, e camminando per i corridoi della Casa per un tempo che non riuscii a definire, sentii un suono indistinto, un brusio già sentito e per questo conosciuto. Dì lì a poco, Stefan mi tolse la benda, e davanti a me comparirono tutti i miei amici più cari. Soren, Samira, Basil, Rachel e Lady Fatima, ma anche Drake e Alisia, e perfino i miei genitori. “Sorpresa!” gridarono tutti in coro, facendomi provare una delle emozioni più grandi e belle della mia vita. Piangendo di gioia, corsi ad abbracciarli, e stringendo a me mio padre, lo sentii sussurrarmi qualcosa. “Buon compleanno, piccola goccia di pioggia.” Sì, goccia di pioggia. Era quello il nomignolo, ispirato al mio nome reale, che i miei mi avevano scherzosamente affibbiato da bambina, e che sin da allora, non avevo fatto che amare. “Grazie, grazie a tutti, ragazzi. Io… io non so cosa dire.” Biascicai, scoprendomi ormai preda delle mie stesse emozioni. Com’era facile evincere dal luccichio presente nei miei occhi, ero felicissima, e con il cuore che batteva all’impazzata, sentivo di non riuscire a respirare. Asciugandomi una lacrima con il dorso della mano, guardai Stefan, e per tutta risposta, lui mi si avvicinò. In quel momento, vidi che aveva un pugno chiuso, e riaprendo la mano, notai sul suo palmo la presenza di due catenine argentee e perfettamente uguali. “Questa è per te, buon compleanno, amore mio.” Mi disse, mettendosi dietro di me per allacciarmela al collo. In perfetto silenzio, lo lasciai fare, e solo allora, la esaminai con le dita. Nel farlo, scoprii che il ciondolo aveva la forma di un’ala, e sorridendo, mi avvicinai per baciarlo. Inutile è dire che quello fu il mio modo di ringraziarlo, ma subito dopo, una spontanea domanda trovò la libertà grazie alla mia voce. “Perché Stefan? Perché tutto questo?” gli chiesi, con il cuore che batteva come impazzito e la felicità ancora padrona del mio animo. “Perché tu sei mia, e le scelte sono due. Voliamo insieme, o non voliamo affatto.” Questa fu la sua risposta, dolcissima e piena di verità al tempo stesso. Come ben sapevo, era innamorato di me, e mi amava alla follia, e avendo scelto di fargli da compagnia per il resto della vita dopo le nostre tanto sospirate nozze, non potevo che ricambiarlo. Quello di oggi era un giorno speciale, ovvero il mio compleanno, che lui, grazie a quel gesto così colmo di puro amore, era riuscito a rendere mistico e indimenticabile. Compivo ventisette anni, e nonostante tutto il tempo e tutti gli anni che avevamo passato insieme, guardandolo mi sembrava di rivedere tutta la nostra vita insieme scorrermi davanti. Ricordai tutto. Il nostro primo bacio, l’unione dei nostri cuori, le battaglie combattute sin dall’inizio di questa tanto assurda guerra, perfino la nascita delle nostre due belle bambine, che lui amava e proteggeva come faceva con me, quasi fossimo tutte e tre sue principesse. Intanto, i nostri sguardi erano ancora fusi insieme, e il tempo sembrava essersi fermato. “Ti amo, Rain.” Mi disse poi, avvicinandosi lentamente per posare le sue labbra sulle mie. “Ti amo anch’io, Stefan.” Risposi nel bacio, evitando di staccarmi da lui e beandomi di quel momento così magico. “C’è una cosa che devo chiederti.” Annunciò poco dopo, non appena quel nostro meraviglioso bacio ebbe fine. “Puoi dirmi qualunque cosa, tesoro mio. Parla, ti prego.” Una frase che abbandonò le mie labbra poiché dettata dai sentimenti, e una supplica finale che sperai ascoltasse. “Preparati, andremo davvero ad Ascantha.” Mi rispose, concludendo quella frase con un luminoso sorriso. “No, non ci credo.” Balbettai, stringendogli forte le mani e non riuscendo a capacitarmi di quanto avessi appena sentito. “Dico sul serio, ora va a prepararti, ti aspettiamo.” Continuò, sorridendomi ancora e riuscendo con quel solo gesto a stordirmi. Sciogliendo il nostro abbraccio, faticai a camminare poiché ancora frastornata, e una volta raggiunta la mia stanza, guardai sotto al letto. Fu da lì che ripresi il mio ormai famoso zaino, lasciato lì in terra tempo prima, e pieno di tute quelle piccole ma importanti cose che potevano servirmi, inclusa una mappa e una piccola ma affidabile bussola, che Basil, da vero esperto, avrebbe potuto usare per guidarci. Una volta pronta, tornai nella gran sala, e uscendo in strada, accompagnata da Stefan, rividi i suoi genitori, già comodamente seduti nella carrozza appartenuta a Lady Fatima. Stando ai miei ricordi, aveva promesso di accompagnarci, e solo ora scoprivo che aveva davvero mantenuto la parola data. Fu così, che con il sole mattutino, e il potente nitrito di un destriero unito al rumore dei suoi zoccoli che colpivano ritmicamente il terreno, ebbe inizio il nostro secondo viaggio di speranza. Guardando Stefan, scoprii che le nostre mani era ancora intrecciate, ma non ci badai, poiché finalmente era fatta. La destinazione era Ascantha, e sapevo che nulla avrebbe potuto trasformare il mio semplice compleanno in un’occasione più speciale.

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Capitolo 27
*** Ritorno ad Ascantha ***


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Capitolo XXVII

Ritorno ad Ascantha

Ero ancora sveglia, e il viaggio continuava. Attorno a noi c’era solo silenzio, rotto soltanto dal suono degli zoccoli del cavallo di Lady Fatima che colpivano ritmicamente il terreno. Il cielo era sereno, e una leggera brezza spirava. Stringevo ancora la mano di Stefan, e intanto, quel baldo destriero si lasciava andava ad un trotto sciolto e privo di esitazioni. Eravamo tutti seduti vicini, e Drake teneva salde le redini, tirandole solo quando necessario. A occhi chiusi, immaginavo quello che sarebbe potuto accaderci, mentre Terra sedeva al mio fianco, con in braccio il cucciolo che le avevo lasciato tenere perché colta da un momento di compassione e tenerezza. Non aveva ancora un nome, ma ciò non importava. Grazie alle nostre cure, si era finalmente ripreso, e dato il caldo, rimaneva lì fermo con la rosea lingua appena fuori dalla bocca. Muta ma felice, Terra lo accarezzava, guardando negli occhi quel cagnetto dagli occhi scuri. Voltandomi nella sua direzione, lo guardai a mia volta, e a quella vista, sorrisi. In fondo, quel dolce cagnolino era il primo animaletto di Terra, e lei ne era contenta, e in un certo senso anche io. Non era passato che qualche giorno, eppure mi sembrava di essermi già abituata alla presenza in casa di quella piccola peste. Tenero, dolce e un pò spelacchiato, si aggirava zampettando gioiosamente da una camera all’altra, e non mancando mai di far sorridere e divertire sia Rose che Terra. Giocando, dava inizio a innocenti guerre contro il suo povero Ned, e pur essendo sua madre, ovvero un’adulta responsabile, vederlo litigare con quel pupazzetto mi strappava sempre più d’un sorriso. Chiaro era che poi mi toccasse rassicurare mia figlia circa la salute di quel giocattolo, ma la cosa quasi non mi toccava. Volevo bene a entrambi, e mai, in nessuna occasione, avrei lasciato che quel peloso amichetto prendesse nel mio cuore il posto della mia bella bambina. Così, questo pensiero non faceva che girarmi in testa, e mentre il tempo continuava imperterrito a scorrere, un grido mise fine al silenzio. “Lady Fatima! Lady Fatima! Vi prego, aspettate!” Voltandomi in fretta in direzione di quel suono, la vidi. Era Rachel, e correva con quanto fiato avesse in gola verso di noi. Notandola, la Leader sussultò, e continuando a guardarla, ordinò a Drake di fermarsi. Annuendo energicamente, lui non fece che obbedire, e nello spazio di un momento, il cavallo arrestò il suo cammino. “Signora, io non… non posso lasciarvi andare.” Biascicò, respirando a fatica e trascinando ogni parola. “Rachel, tranquilla, tornerò appena posso.” Le rispose, sorridendole e avvicinandosi per cercare di abbracciarla. Intuendo il volere dell’amata, questa la lasciò fare, e poco dopo, un bacio unì le loro labbra. “Ti amo.” Le sussurrò la Leader, tenendole delicatamente la mano. “Vi amo anch’io, mia Signora.” Rispose Rachel, baciandola ancora e beandosi di quel così fugace momento. “ Va a casa adesso, ci rivedremo presto.” Continuò poi Lady Fatima, facendo all’amata una promessa che intendeva mantenere. “Presto?” le fece eco la ragazza, andando alla disperata ricerca di una conferma. “Sì, presto. Ora torna indietro, ti prego.” La supplicò la donna, sentendo un nodo bloccarle la gola e mille lacrime bruciarle lentamente gli occhi. A quelle parole, Rachel non rispose, e voltandosi, fece ciò che le era stato chiesto. Di lì a poco, il tempo riprese lentamente a scorrere, e nei minuti a seguire, Lady Fatima non fece altro che guardarsi indietro. Amava davvero la sua Rachel, e a quanto sembrava, voleva assicurarsi che tornasse alla Casa sana e salva. Sfiorandole un braccio, provai a rassicurarla,  e così fece il cagnolino di mia figlia, uggiolando e piantandole le zampe su una gamba. A quella vista, l’amara Leader sorrise, carezzando frettolosamente la testa dell’animale. Per tutta risposta, questo le leccò la mano, e poco dopo, vidi ciò che da lungo tempo speravo di vedere. L’entrata del regno di Ascantha, e assieme a questa, il viso di Lady Bianca. Una donna buona e gentile, che per noi tutti rappresentava un aiuto prezioso, che certamente non avremmo sprecato. In quel preciso istante, scendemmo tutti dalla carrozza, e da vero innamorato, Soren si offrì di aiutare Samira. In fin dei conti, la sua condizione progrediva, e con il passare di ogni giorno, la nascita del loro piccolo si avvicinava. Non mancava ormai molto, tanto che nella loro mente, quella creatura aveva già un nome. Isaac. Un nome che mi piaceva davvero, e che come tanti altri, mi ispirava forza e coraggio. Fantasticando, Samira immaginava che il piccolo somigliasse al padre, con quel suo temperamento forte misto ad una dolcezza a dir poco irresistibile. Sorridendo, li guardavo e sentivo discutere del loro futuro, mostrandomi felice per loro. Conoscendomi a fondo, sapevo di esserlo davvero, e non facendo che guardarli, rivolgevo al cielo mute preghiere, così che nonostante mille e mille pericoli, loro avessero potuto vivere la vita che meritavano. Come ben sapevo, avevano sofferto già troppo, e non potevo più permetterlo. Samira era mia amica, e sempre secondo il mio pensiero, una giovane di buon cuore come lei non poteva continuare a provare il dolore che per lungo tempo aveva provato. Stando ai miei ricordi, era stata abbandonata, rapita, quasi violata, e perfino vittima di un coma che l’aveva condotta vicino alla morte, e benché ora soffrisse di cuore, sapevo che era in buone mani. Il suo Soren era con lei, e l’amava più di ogni altra cosa al mondo, ragion per cui, la loro era una coppia speciale, paragonabile ad un fiore in una città brulicante di vita, che faceva del suo meglio per nascere e crescere sfidando l’inospitale asfalto e il duro cemento. In completo e perfetto silenzio, pregavo a loro completa insaputa, ben sapendo che la purezza del loro amore avrebbe presto trionfato. Quel pensiero mi vorticò in mente per poco, poiché uno completamente diverso prese il suo posto. “Siete arrivati!” ci disse Lady Bianca, avvicinandosi per stringerci tutti in un delicato abbraccio. “Finalmente.” Risposi, non appena fu il mio turno. “Benvenuti qui ad Ascantha, amici miei.” Continuò poi Lady Bianca, sorridendo leggermente e conducendoci per una strada mai percorsa prima. “Seguitemi.” Ci disse, continuando a camminare e voltandosi solo per sincerarsi di essere seguita. Fra un passo e l’altro, mi guardavo intorno, notando che il piano da lei architettato sembrava aver funzionato alla perfezione. Per quanto ne sapevo, il suo obiettivo era aiutare i meno fortunati a vivere una vita piena e rispettabile, e durante il cammino al suo fianco, scoprii che Ascantha non era come Aveiron. Era un regno, certo, ma nonostante questo era un luogo completamente diverso. Ameno, ridente e colmo di positività. Camminando, tenni vivo un sorriso sulle labbra. “È fatta, siamo salvi.” Pensai, continuando a camminare e scambiandomi con Stefan una veloce occhiata d’intesa. Mantenendo il silenzio, Stefan si limitò a guardarmi, e sorridendo, si avvicinò leggermente. Le nostre labbra si sfiorarono slo allora, e notandoci, Terra si coprì gli occhi. “Mamma!” mi riprese, trovando il mio comportamento esagerato. Lasciandomi sfuggire una risatina, la ignorai, e mentre il nostro cammino continuava, un suono ruppe il silenzio. Timoroso di essere lasciato indietro, il cucciolo di Terra abbaiò, e voltandosi, Lady Bianca lo vide. Il pelo biondo, gli occhi scuri e un sorriso perennemente stampato sul muso. Facendo del suo meglio per stare al passo con noi, abbaiava senza sosta, e divertita, mia figlia rideva. Aiutata da Stefan, Rose stava imparando a camminare. “Cucciolo!” gridò, notando la presenza del cagnolino alle sue spalle. “Esatto, piccola, è un cucciolo.” Le rispose Lady Fatima, sorridendole e fungendo per lei da guida. “Cos’è, il tuo cagnolino?” chiese Lady Bianca, rivolgendosi ancora a Terra. “Sì, e si chiama Chance.” Rispose la bambina, con voce dolce e seria al tempo stesso. “Cosa? Ma significa occasione, perché mai?” fu la sua seconda domanda, dettata da una genuina curiosità. “Perché l’abbiamo salvato, e in vita tutti meritano una seconda occasione.” Una spiegazione che ascoltai e non interruppi, e che per qualche ragione, mi sciolse il cuore. A quanto sembrava, il suo non era stato un semplice capriccio, e sentendomi incredibilmente orgogliosa, mi avvicinai per abbracciarla. “Ti voglio bene, piccola mia.” Le dissi semplicemente, per poi prenderla brevemente in braccio e lasciarla andare. “Te ne voglio anch’io, mamma. E anche Chance te ne vuole, sai?” mi rispose, ponendomi poi quella così innocente domanda. “Lo, so, amore, lo so.” Le risposi, abbassandomi ancora per baciarle la fronte. Muta e immobile, la piccola mi lasciò fare, e poco dopo, il nostro giro di ricognizione di Ascantha riprese spedito. Camminando, mi accorsi di trovarmi davanti alla mia vecchia casa, la stessa che i miei genitori avevano comprato per me e Stefan poco dopo le nostre nozze. “Qui è dove dormirete.” Ci disse Lady Bianca, aprendo la porta e lasciandoci entrare. Mi bastò un solo passo, e una volta entrata, la riconobbi subito. Piccola, ma ben decorata e adatta ad una famiglia di quattro elementi, proprio come la nostra. “Questa era casa nostra!” proruppe Terra, rompendo il silenzio creatosi attorno a noi. “Lo so bene, tesoro. Lady Fatima mi ha detto tutto di voi.” Le disse, abbassandosi al suo livello e carezzandole dolcemente una guancia. “Quindi potrò restare qui con papà e mamma?” le chiese la mia bimba, andando alla ricerca di conforto dato il suo gran desiderio di vivere qui ad Ascantha. “Sì, e lo sai perché?” La rincuorò Stefan, guardandola negli occhi e mostrandole un sorriso. “No, perché?” chiese, incerta e dubbiosa. “Questo è un posto sicuro, principessa, e inoltre io e la mamma ti proteggeremo dai cattivi.” “Noi siamo forti!” fu la risposta di quel piccolo angelo, che si lasciò poi sfuggire una risata. “Molto forti.” Dissi, rompendo ancora il silenzio e concentrandomi su Stefan. Pur fissandolo, dovetti astenermi dal baciarlo, e con il calar della sera, andammo subito a letto. Quella notte, andai a dormire con il sorriso sulle labbra. Come mi ero detta parlando con me stessa, ce l’avevamo fatta, e quel che ora restava da fare era godersi il ritorno nella bella e pacifica Ascantha.

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Capitolo 28
*** Vita nuova e regolare ***


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Capitolo XXVIII

Vita nuova e regolare

Troppo stanca per raggiungere la sua amata stanzetta, Terra aveva finito per addormentarsi sul divano di casa, sdraiata in posizione fetale e con il suo pupazzo preferito stretto sul cuore. Come mi aveva detto più volte, quel semplice orsetto di pezza era il suo cavaliere, ed era solito aiutarla a combattere i mostri e i cattivi dei suoi sogni, con una ferrea spada e una lucente armatura sempre priva di graffi o scalfitture di sorta. Secondo il suo infantile ma giusto pensiero, era quella la ragione per cui riusciva a fare dolci sogni. “Ned è il mio eroe, come papà lo è per te.” Mi diceva sempre quando non aveva che tre anni, ed era abituata a vedere il padre comportarsi con me da vero e innamorato gentiluomo. Un’abitudine che da poco aveva ripreso, e che come tante piccole cose, mi rendeva felice e orgogliosa di lei. Con quel pensiero fisso in testa, provavo a mantenere il mio ottimismo, e guardando fuori dalla finestra, lo vedevo. Il sole. Stella più importante nel nostro vasto, vastissimo cielo, brillava in tutta la sua magnificenza, scaldando con i suoi raggi la bella città dove ora vivevamo. Quello che stavamo vivendo appariva ai miei occhi come un ritorno alle origini, poiché come ricordavo, avevamo piantato radici qui per qualche tempo, salvo poi trasferirci ancora ad Aveiron per affrontare i Ladri. Mossa stupida, che ci ha messo tutti in pericolo, ma al tempo stesso lodevole, come Lady Fatima, saggia Leader, non faceva che dirci sin dal giorno in cui l’avevamo conosciuta. Ad ogni modo, era mattina presto, e con l’astro re del cielo spuntato come un fiore solo da qualche ora, qualcuno bussò alla nostra porta. Alzandomi dal divano, andai subito ad aprire, e facendolo, notai la presenza di Lady Bianca. Teneva sotto braccio alcuni piccoli quaderni dalle copertine colorate, e assieme a questi, una matita e una penna. Sorridendo, mi augurò il buongiorno, e ricambiando, le sorrisi a mia volta. “Questi sono per Terra. Dimmi, è sveglia? Ho una sorpresa per lei.” Mi disse, mostrandomi quei quaderni e passandomeli così che potessi afferrarli. “Grazie, grazie davvero Lady Bianca.” Risposi semplicemente, ringraziandola del gesto e chiedendole con un gesto della mano di aspettarmi. “Vado a chiamarla.” Continuai, ripetendo solo allora quel gesto con la mano. Limitandosi ad annuire, Lady Bianca sorrise debolmente, e poco dopo, ebbe la fortuna di vedermi tornare, con Terra e Chance al seguito.” “Che succede?” mi chiese la mia piccola, curiosa e incerta come mai prima. “La signora Bianca ha una sorpresa per te, amore.” Risposi, abbassandomi al suo livello al solo scopo di guardarla negli occhi. “Una sorpresa? Cos’è?” continuò, improvvisamente felice ed eccitata all’idea di un’inaspettata novità. “Dì una cosa, piccolina, sei mai stata in una scuola?” fu la domanda della buona e calma Lady Bianca, che si collegava evidentemente a qualcosa che lei stessa aveva organizzato per l’intera comunità di Ascantha. “No ma… lì non si va per imparare?” rispose Terra, onesta e al contempo incredibilmente tenera e dolce. “Sì, ma che ne dici? Ti va?” continuò la donna, mostrandosi sempre calma e posata nei suoi confronti. “Certo! Io voglio imparare! Voglio scrivere come fa mamma, e disegnare anche meglio.” Questa fu la risposta di mia figlia, colma dell’entusiasmo e dell’innocenza che erano solite caratterizzarla. “Va bene allora, andiamo. Vieni con me.” Le disse Lady Bianca, non riuscendo a trattenere un sorriso e soffocando di fronte a lei una risata divertita. A quelle parole, Terra prese la mano della donna, che la condusse subito fuori casa. Seppur esitando, scelsi di seguirle, e poco tempo dopo, mi ritrovai di fronte ad un edificio in legno. Di medie dimensioni, ospitava alcuni banchi dello stesso materiale, e una nera lavagna. Non mancava una cattedra per gli insegnanti, e un bianco gessetto posato appena sopra. “Benvenuta a scuola, Terra.” Disse Lady Bianca, abbassando lo sguardo fino a fissarla. “Che ne dici, ti piace?” le chiesi, attendendo un suo parere e sorridendo per incoraggiarla. In completo e perfetto silenzio, la piccola si limitò ad annuire, e poco dopo, una domanda abbandonò le sue labbra. “Perché sono sola?” s’informò, stranita dal non avere nessuno oltre noi accanto. “Tranquilla, i tuoi compagni arriveranno!” le dissi, sorridendo ancora al solo scopo di far scomparire i suoi dubbi. Quasi volendo imitarmi, il piccolo Chance abbaiò, ma solo allora, Lady Bianca reagì. “I cani non possono stare qui a scuola. È la regola.” Disse semplicemente, guardando alternativamente me e Terra in quanto padrone di quel cagnolino. Alzandosi dal suo banchetto, la bambina mi si avvicinò, e scansandomi, si accovacciò di fronte al cane. “Hai sentito bello? Va a casa, capito? Va a casa.” Gli ordinò, con fermezza e decisione. Alle parole della padroncina, Chance reagì prontamente, uscendo subito dalla scuola e annusando il terreno per ritrovare la strada di casa. “Ci vediamo presto, Terra.” Le dissi, allontanandomi anch’io da lei e lasciandola nelle esperte mani di Lady Bianca. Poco prima di andarmene, le sorrisi, vedendola alzare una manina e salutarmi. Una volta a casa, mi dedicai a sua sorella Rose, aspettando trepidamente che tornasse a casa. Certo, era andata a scuola per imparare e crescere intellettualmente come ogni bambina della sua età, ma avendo passato così tanto tempo con lei, iniziavo ad avvertire la mancanza del nostro legame. Nonostante questo, cercavo di essere ottimista. In fin dei conti, Lady Bianca ci stava davvero aiutando nel nostro momento di bisogno, permettendo sia a noi che a molte anime sfortunate, di vivere una vita piena, nuova e regolare.
 

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Capitolo 29
*** Dalla calma al terrore ***


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Capitolo XXIX

Dalla calma al terrore

Eravamo ad Ascantha soltanto da qualche giorno, eppure sentivo di essermi già pienamente abituata al clima calmo e pacifico della città. Proprio come mi aspettavo ed ero contenta di ricordare, appariva molto più amena e ridente rispetto ad Aveiron, che ero ormai abituata a definire fredda e inospitale. La colpa di tutto era unicamente imputabile ai Ladri, e lo sapevo bene, ma nonostante questo cercavo in tutti i modi di accogliere nella mia casa e nella mia anima il vento del cambiamento. Così, il tempo continuava a scorrere, e guardando intensamente fuori dalla finestra, ammirai i lontani monti. Sembrava strano, addirittura folle, ma oltre quel normalissimo vetro il paesaggio appariva statico e al contempo poetico, quasi come se facesse parte di una cartolina. Mi godevo quindi il panorama, e con la mano poggiata sul vetro della finestra, inspirai a fondo, lasciandomi invadere da una sensazione di calma così profonda da risultare quasi mistica. Ferma e inerme, me ne stavo lì persa nei miei stessi pensieri, quando improvvisamente, sentii qualcosa. Fu la voce del mio amato a ridestarmi da quella sorta di torpore, e guardandolo, non mossi foglia. “Che c’è, eri persa nei tuoi ricordi?” mi chiese, carezzandomi la schiena e attendendo in silenzio una mia risposta. Per sua fortuna, questa arrivò in fretta, e solo grazie ad un singolo ma rapido movimento della mia testa. Colta alla sprovvista dalla presenza di Stefan, la scossi energicamente, scoprendo poi di essere quasi divenuta rossa in viso. “Allora? Te ne vergogni per caso?” fu la sua seconda domanda, ancora più inaspettata della prima. “No, no, è che…” biascicai, esitando come una bimba che tenta di difendersi a parole dopo una marachella. “Stavo pensando.” Ammisi, tornando a guardarlo e abbassando gli occhi appena un attimo dopo. In silenzio, Stefan mi si avvicinò, e fatti pochi passi mi strinse la mano, quasi volendo incitarmi a finire la frase lasciata in sospeso. “Sai, credo che Samira avesse ragione.” Continuai, spostando stavolta tutta la mia attenzione sul mio lui. Confuso, Stefan non fece che guardarmi, attendendo chiarimenti. “Vedi, non aveva torto nel dire che è bello stare tranquilli per un pò, ecco tutto.” Questa fu la mia unica spiegazione, alla quale seguì un abbraccio che ci avvicinò l’uno all’altra. “Che intendi? Non ti seguo, spiegati.” Mi pregò, sempre guardandomi negli occhi con aria stranita. “Mi manca.” Dissi soltanto, lasciando andare le sue mani e sciogliendo con rudezza il delicato abbraccio che ci aveva uniti. Non riuscivo a capire perché, ma era come se ad ogni parola, una motivata rabbia mi crescesse dentro. Non ce l’avevo con Stefan, chiaro, ma quella domanda mi appariva ora priva di senso, e tanto stupida da farmi saltare i nervi. Senza neanche volerlo, iniziai a piangere, e mentre mille lacrime mi rigavano il volto, esplosi come una bomba. “So che siamo adulti, ma non m’importa. Il punto è che io non ho mai chiesto di vivere questa vita! Quello che voglio è vivere in modo semplice, come si viveva prima che il sangue sporcasse le strade! L’ho già detto, ed è vero, ma non ne posso più! Non voglio vivere in questo modo Stefan, né ora né mai.” Fu la mia confessione,  contenente tutta la frustrazione che da tempo covavo nel cuore e che ora avevo finalmente lasciato andare, seppur sulla persona sbagliata. “Rain, tesoro, va tutto bene, davvero. Ti capisco, capisco come ti senti, ma è normale.” Mi rispose Stefan, attirandomi ancora a sé e lasciando che mi sfogassi fra le sue braccia. Sentendomi immediatamente più al sicuro, lo feci liberamente, e nel momento in cui i singhiozzi smisero di torturarmi la gola, lo sentii parlarmi. “Sai cosa ci vuole adesso? Mi chiese, ponendomi quella domanda sotto forma di indovinello. “Che cosa?” replicai, con la voce ancora corrotta dal pianto. “Prendi il tuo zaino, te lo mostro.” Come, ma a che mi serve…” non ebbi il tempo di terminare la frase, perché questa mi si spense in gola come una candela dopo un soffio di vento. Volendo zittirmi, Stefan posò un indice sulle mie labbra, ed io lo lasciai fare, ma poco dopo, decisi di fare quanto mi era stato chiesto. Assentandomi per un attimo, andai a prendere il mio zaino, e una volta tornata da lui, notai la presenza della nostra piccola Terra. Doveva avermi sentita piangere, e preoccupata, aveva raggiunto il salotto anche lei. “Dove state andando? Posso venire anch’io? E Rose?” “Andiamo al lago, principessa. Va a prendere tua sorella, ci andremo insieme.” Le rispose il padre, regalandole un ampio e luminoso sorriso. Non proferendo parola, la bimba si limitò ad obbedire, e appena un attimo dopo, torno con in braccio la sorellina minore. Quasi volendo imitarci, aveva preso anche il suo zainetto, e non aspettava che di poter uscire. Ansiosa, aprì con lentezza la porta di casa, e prima che potessimo mettere tutti un piede fuori dalla porta, un suono ci distrasse. Era Chance, che abbaiando festoso, correva per casa alla ricerca della sua padroncina. Correndo, rischiò di scivolare, e trattenendo una risata, lo vidi ritrovare goffamente l’equilibrio. Terminata la sua ricerca, Chance piantò le zampe sul petto della mia piccola, che abbassandosi, prese ad accarezzargli la pancia. “Non vuole star solo. Può venire anche lui?” ci chiese, guardandoci entrambi e dando inizio ad una seppur corta supplica. “D’accordo.” Dissi, stringendomi nelle spalle, e riaprendo la porta, che in tutto quel trambusto aveva finito per richiudersi. Appena un attimo più tardi, il cucciolo si precipitò fuori, mettendosi spontaneamente in testa alla nostra marcia. Non aveva un guinzaglio, ma la cosa non ci toccava. In fondo, sapevo che Terra l’aveva addestrato bene, ed ero sicura che quel piccolo mascalzone, per quanto testardo, non avrebbe mai deluso colei che gli aveva letteralmente salvato la vita. Fu quindi questione di attimi, e ci ritrovammo fuori casa. Stefan ed io fianco a fianco, Rose fra le mie braccia, e Terra al nostro seguito. Guardando dritto davanti a sé, seguiva il suo amico peloso, che alternativamente fissava lei e il terreno, annusando anche la docile aria. Non ne ero sicura, ma sembrava davvero che stesse cercando qualcosa. Ignorandolo, continuai a camminare, e poco tempo dopo, sentii un suono. Proveniva dall’alto, e alzando la testa, non vidi che un uccellino dalle piume color cenere, poi una piccola farfalla. A quella vista, sorrisi leggermente, notando che anche Terra appariva contenta. Sempre al sicuro fra le mie braccia, Rose si guardò intorno. “Farfallina!” disse soltanto, sorridendo a sua volta  e riuscendo con quella semplice parola a sciogliermi il cuore. Proprio come sua sorella maggiore, anche lei stava crescendo, e con l’andar del tempo, imparava molte cose, compreso parlare ed esprimersi. Ora come ora, risponde a domande adatte alla sua età, e conosce, oltre al proprio, anche i nomi di tutti quanti noi. Sfortuna vuole che sia molto timida, e che a volte preferisca nascondersi dietro me o suo padre, la cosa non ci tocca. In fondo, ha soltanto un anno, e sono convinta che un giorno crescerà a dovere, diventando coraggiosa quanto e forse più di ognuno di noi. Ora come ora, il tempo continua a scorrere, e con ogni passo, la mia curiosità aumenta. Stefan non vuole dirmi nulla, e mentre innumerevoli momenti si susseguono, il nostro cammino ha fine. Ho gli occhi ben aperti, eppure mi sembra di sognare. Siamo nel bosco di Ascantha, che ricordavo benissimo di aver già visitato. Verde e rigoglioso, brulicava di vita, e con la gioia padrona del mio animo, guardai Stefan. Le nostre labbra si unirono solo poco dopo, e abbracciandomi forte, aprì il suo zaino. Continuando a sorridere, mi sedetti all’ombra di un grande albero, e di lì a poco, Stefan stese sull’erba una morbida coperta. Rimettendomi per un attimo in piedi, mi avvicinai a lui, e sdraiandomi al suo fianco, inspirai. La gentile aria mi lambì i polmoni, e ben presto, la sua mano prese a navigare sulla mia schiena, e con gran pazienza, lo lasciai fare. “Stefan, grazie. È tutto bellissimo.” Gli dissi, ringraziandolo di cuore e guardandolo dritto negli occhi. “Non ringraziarmi, Rain. Sai che farei qualsiasi cosa per te.” Questa fu la sua risposta, che concluse con un secondo bacio, perfino più dolce e profondo del primo. Evitando di sottrarmi al suo amore, non mossi un muscolo, e poco dopo, sentii la risata di Terra. Seguita a ruota da Chance, giocava felice tentando di acchiappare delle colorate farfalle, e il suo amico abbaiava, correndo dietro a quei piccoli esseri al solo scopo di raggiungerli. Inutile è dire che non ci riuscì mai, perché questi volavano via alla sua sola vista. Guardandoli divertirsi, sentivo il cuore riempirsi di gioia, e guardando ancora Stefan, espressi lo stesso desiderio di molto tempo prima. “Potremmo restare qui per sempre.” Dissi, con un ennesimo sorriso dipinto sul volto. “È ciò che voglio.” Mi rispose lui, perdendosi per l’ennesima volta nei miei occhi e carezzandomi gentilmente il viso. Lasciandolo fare, mossi leggermente il collo, e solo allora, lui provò a baciarmi. In quel momento, mille brividi mi percorsero il corpo intero, e lasciandomi guidare dai miei sentimenti, lasciai che agisse. Da allora in poi, mille baci mi scivolarono sul corpo, e tremando leggermente, chiusi per un attimo gli occhi. In quel momento, tutto era perfetto, e Stefan mi stava letteralmente stregando, ma nonostante ciò, non riuscivo a bearmi di quel momento. Ne stavamo passando troppe, e i ricordi legati alla presenza dei Ladri mi impedivano di rilassarmi. Data l’attuale e così perfetta situazione, avrei davvero voluto riuscirci, ma a causa dei miei cupi ricordi connessi con il mio passato, mi fu impossibile. “Stefan, no.” Dissi semplicemente, riaprendo gli occhi e staccandomi da lui. “Cosa? Che hai? Stai bene?” mi chiese, mostrandosi evidentemente preoccupato per me. “Sì, ma, ora…. Ora non me la sento. Mi capisci, vero?” confessai, rispondendo alla sua domanda con una completamente diversa. Pur provandoci, Stefan non ebbe tempo di rispondermi, poiché un suono ci distrasse entrambi. “Mamma! Papà! Chance ha trovato qualcosa!” Era Terra, che correndo verso di noi, appariva spaventata. “Terra! Dì, che è successo?” le chiesi, abbassandomi al suo livello e toccandole lievemente una spalla. “Non lo so, Chance ha trovato questo.” Mi rispose, con la voce spezzata dalla paura. Di lì a poco, la bambina aprì la mano, mostrando ciò che non avrei mai voluto vedere. Una sorta di piccola daga, che il nostro cagnolino aveva trovato fra l’erba. Incerta e dubbiosa, Terra mi porse quello strano oggetto, ed esaminandolo, fui scossa da un brivido d’orrore. Era una daga, certo, ma era diversa da ogni arma che avessi mai visto. Sembrava uguale ad ogni altra, ma era resa unica da una differenza. La lama vantava una stranissima incisione, e guardandola con attenzione, sussultai. Un ricordo si fece poi spazio nella mia mente, assieme ad un’immagine a dir poco inquietante. Una maestosa aquila calva dalle ali spiegate, racchiusa in una stella a cinque punte. Un simbolo unico nel suo genere, che stando alle parole rivoltemi in un’agitata notte priva di sonno da Lady Fatima, era il simbolo di quegli sporchi e spregevoli individui chiamati Ladri, macchiatisi ancora una volta della stessa e identica colpa che li rendeva coloro che erano, ossia l’aver rovinato la vita di ogni persona in tutta Aveiron. Stringendo quella daga in mano, la nascosi nel mio zaino, e prendendo la mano di Stefan, lo convinsi a tornare subito a casa. Una volta arrivata, provai a calmarmi andando a dormire, ma fallii miseramente. Nel tentativo di scaricare la tensione, aggiornai il mio diario, capendo, soltanto con l’arrivo della notte, che nonostante l’aiuto di Lady Bianca e le novità di Ascantha, quello era un segno. L’indelebile segno del passaggio dalla calma al terrore.

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Capitolo 30
*** Beata innocenza ***


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Capitolo XXX
 

 
Beata innocenza
 

 
Tornata a casa, mi sentivo molto più al sicuro, ma nonostante tutto, non riuscivo a smettere di pensare a quanto ci era accaduto in quel bosco. Non volevo crederci. L’intera giornata appariva perfetta, ma improvvisamente, tutto era cambiato. La vista di quella daga mi aveva letteralmente scombussolata, e a peggiorare le cose c’era un secondo particolare. Sangue. Del rosso sangue sporcava davvero quella lama, risvegliando in me la paura che ne avevo. Intanto, il tempo scorreva, e con l’arrivo di questa nuova mattina, Terra era andata a scuola. Volendo unicamente evitarmi ulteriore stress, Stefan si era offerto di accompagnarla, e una volta a casa, aveva fatto di tutto per consolarmi. Fra una carezza e l’altra, c’era riuscito, e scrivendo nel mio diario, mi occupavo da sola dei miei sentimenti. Il mio obiettivo era calmarmi, e mentre la mia fedele biro nera scivolava lesta su quelle bianche e immacolate pagine, ripercorrevo i miei ormai andati giorni e gli innumerevoli attimi della mia esistenza. Mi misi così a leggere, e prima che avessi modo di accorgermene, intere ore erano scomparse. Seduta nel salotto di casa, fui distratta dall’uggiolo di Chance, che tenendo in bocca una pallina, tentava di dirmi qualcosa. Semplicemente guardandolo, capii che voleva giocare, ma con un chiaro gesto della mano, lo dissuasi. Data la mia reazione, il cagnolino scelse di ritirarsi, e poco tempo dopo, tornò da me. In quel momento, l’orologio appeso al muro batte l’una, e per entrambi, quella poteva voler dire una sola cosa. Terra. Era ancora a scuola, ed era ormai arrivata l’ora di andare a prenderla. Indossando un cappotto, uscii subito di casa assieme a Stefan, e quasi leggendomi nel pensiero, Chance iniziò a seguirci. Voleva davvero rivedere la sua padroncina, ed io non gliel’avrei certo impedito. Con un secondo gesto della mano, lo incoraggiai, e di lì a poco, mi ritrovai in strada. Ansioso di ricevere ancora le coccole della mia bambina, annusava il terreno e l’aria alla sua ricerca, e una volta arrivati all’ormai famosa scuola, vidi Terra uscirne felice e contenta. Guardando nella sua direzione, scoprii che non era sola. Un bambino era con lei, e doveva avere all’incirca la sua stessa età. Non lo conoscevo, né avevo visto sua madre, ma non appena si salutarono, sorrisi. Alla mia vista, mia figlia mi corse incontro, e un abbraccio ci legò l’una all’altra. Calma e tranquilla, la piccola saluto anche il suo cucciolo, ricevendo una leccata sul viso e sulle mani. Prendendole la mano, la invitai a starmi vicino, e poco dopo, le posi una semplice domanda. “Chi era quel bambino?” le chiesi, curiosa. “Un mio amico.” Fu la sua sola risposta, che diede sorridendo apertamente. “Davvero? E come si chiama? Azzardò il padre, scivolando poi nel silenzio in attesa di una risposta. “Trace.” Ci disse la piccola, sorridendo ancora. “Giochiamo tutto il tempo, e mi aiuta. È intelligente, sai papà?” continuò, fornendoci dettagli infantili ma utili alla sua descrizione. “Non quanto te.” Le rispose Stefan, sorridendole e facendole l’occhiolino. Per tutta risposta, la bambina scoppiò a ridere, dando al padre un affatto offensivo pugno sul braccio. Così, fra uno scherzo e l’altro, arrivammo a casa, e una volta lì, venni di nuovo assalita dai ricordi. Terra e Rose giocavano con Chance, e Stefan era al mio fianco, ma nonostante tutto, non riuscivo a stare tranquilla. Ammirando la mia immagine riflessa in uno specchio, respirai a fondo,e chiudendo gli occhi, immaginai di poter viaggiare, spostando magicamente le leste e fuggenti lancette del tempo, che decretavano lo scorrere della vita di ognuno di noi. Ricordai così la mia infanzia e i miei tempi di bambina, fatti di gioia e felicità, ma anche di dolore. In quel preciso istante, un ricordo. Avevo dieci anni, e camminando per le strade di Aveiron, notavo il modo in cui la gente mi guardava. Sapevo che ero figlia dell’amore dei miei genitori, colpevoli, a detta loro, del più grave dei peccati. Il semplice atto di amarsi nonostante solo uno di loro facesse parte della nobiltà di allora. Sono passati anni, ma è in momenti del genere che, proprio come le mie figlie, vorrei vivere una spensierata e beata infanzia caratterizzata da una profonda innocenza.  
 
 

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Capitolo 31
*** Appesi ad un filo ***


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Capitolo XXXI

Appesi ad un filo

La finestra era aperta, una leggera brezza spirava, e anche se da poco, una leggera e rinvigorente pioggia, panacea di piante e animali, aveva smesso di scrosciare e cadere. Aveva piovuto, e guardando fuori, non notavo che erba bagnata. Respirando a fondo, richiusi la finestra, e solo allora, qualcosa mi tornò in mente. Uno dei primi disegni di Terra, dove io, lei e suo padre sorridiamo anche se piove. Uno schizzo infantile, ma che conservavo con orgoglio e gelosia, e che al cui solo ricordo, sorrisi debolmente. Lei era con me, e guardandomi negli occhi, mi si fece più vicina. L’abbraccio che seguì quell’istante fu forte e carico di significato, e lasciando che le sue verdissime iridi incontrassero le mie, le carezzai i capelli. Poco dopo, la piccola mi lasciò andare, sedendosi al tavolo del salotto per distrarsi creando bellissimi disegni. Per quanto ne sapevo, la mia piccola Terra possedeva il dono dell’arte, ed io ne ero orgogliosa, ma pur non guardandola, mi chiesi a quale capolavoro stesse lavorando stavolta. Forse un ritratto di sé stessa, o una della sua famiglia, o forse anche un disegno di Ned e Bunny in armatura scintillante, chi lo sapeva? Io no di certo. Andando poi a sedermi in poltrona, afferrai una tazza di buon tè caldo, e sorseggiandolo lentamente, sentii tutto il mio stress scomparire dal mio corpo, sciogliendosi come fredda neve a contatto con il tiepido sole. Ero finalmente tornata alla calma, e tutto sembrava andar bene, tanto che perfino Chance si avvicinò a me zampettando tranquillo. Non appena mi fu abbastanza vicino, si sdraiò al mio fianco nella sua amata cuccia, e sbadigliando sonoramente, mostrò i denti e la rosea lingua, per poi addormentarsi. Limitandomi a guardarlo, non dissi una parola, e poco dopo, qualcuno parve bussare alla nostra porta. Quelli che sentivo erano colpi ripetuti e decisi, ai quali risposi prontamente. Svegliandosi quasi subito, Chance corse verso la porta stessa, e sfiorandone il legno con la zampa, tentò di aprirla, ma senza alcun successo. Rattristato, cominciò a uggiolare, e alzandosi in piedi, ci provò ancora. A quella vista, provai pena per lui, e volendo semplicemente esaudire il suo desiderio, mi alzai da quella poltrona. Fu allora che decisi di aprire la porta, e dopo averlo fatto, vidi Samira. Come sempre, Soren era con lei, e le teneva la mano. “Ci serve aiuto.” Disse, parlando per entrambi e non celando la vena di preoccupazione che gli corrompeva la voce. “Certo, entrate, vado a chiamare Stefan.” Risposi, facendomi da parte e invitandoli ad entrare con un gesto della mano. Limitandosi ad annuire, i miei amici fecero un passo in avanti, e non appena mise piede in casa mia, Samira avvertì un gran dolore allo stomaco. A quella vista, Soren sussultò, e affrettandomi, andai subito alla ricerca di Stefan. Era figlio di un medico, e ora che Samira stava male, il suo aiuto sarebbe stato per lei di gran conforto. Ecco, bevi questa.” Le disse, porgendole una tazza con dentro una tisana alle erbe. Non era medicina moderna, certo, ma sbirciando in uno dei vecchi manuali del dottor Patrick, avevo letto che le tisane come quella potevano essere un vero toccasana per molteplici malanni, proprio come il caldo tè che ero ormai abituata a bere. “Va meglio adesso?” le chiese Soren, sempre teso e preoccupato per lei. “S-Sì non… non preoccuparti amore, io… biascicò, non riuscendo, sempre a causa del dolore, a terminare quella frase. Difatti, questa non raggiunse mai la sua vera fine, poiché una seconda fitta di dolore le attraversò il corpo. Mordendosi le labbra, provò ad evitare di gridare, ma fallendo nel suo intento, Samira fece preoccupare anche me. Allarmata, la chiamai per nome, e continuando a lamentarsi, la mia amica mi guardò, terrorizzata. Non sapendo cosa fare, non mossi foglia. Solo allora, Chance scattò sull’attenti, e uscendo subito di casa, corse in strada per cercare aiuto. Intuendo il suo volere, chiesi a Terra di andare con lui, e annuendo, la bambina obbedì, sparendo dalla mia vista assieme al suo cucciolo. Quest’ultimo, agitato tanto quanto la giovane padroncina, abbaiava al solo scopo di attirare l’attenzione, mentre lei gridava a squarciagola. “Aiuto! Aiuto! Nonno, per favore, aiuto!” gridava, sperando segretamente di essere sentita da una delle persone più importanti della sua vita. La stessa che come suo padre l’aveva vista nascere, e che l’aveva perfino aiutata a riprendersi e guarire da alcune gravissime ferite che avevano minacciato di portarcela via, e a cui lei voleva un gran bene. Sapevo che erano molto legati, e ne ero felice, ma in quel momento, non potevo gioirne. Il tempo scorreva, e lacerata dal terrore, guardavo alternativamente il volto di Samira e il vetro della finestra. Terra era fuori da pochissimo tempo, e pur sapendolo, mi preoccupavo. Iniziando poi inconsapevolmente a tremare, presi la mano di Stefan, che intanto faceva ciò che poteva per aiutare la nostra povera amica. Intanto, il tempo continuava a passare, e notando il terrore nei suoi occhi, temetti per lei e per la sua incolumità. Non volevo crederci, né pensavo fosse possibile, ma era vero. La situazione non aveva fatto altro che peggiorare, facendoci sentire tutti inequivocabilmente appesi ad un sottilissimo filo.

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Capitolo 32
*** Fragile come vetro ***


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Capitolo XXXII

Fragile come vetro

Incredibile, era tutto semplicemente incredibile. La mattina si era tramutata in pomeriggio, Samira stava malissimo, e di Terra e Chance ancora nessuna traccia. I minuti si susseguivano inesorabili, ed ero così tesa da poter vedere e sentire le pulsazioni delle vene di entrambe le mie mani. Ero preoccupatissima, e cosa ancor peggiore, non lì sentivo più. Né le grida di Terra, né i latrati di Chance. “Che gli era successo? Dov’erano? Perché non tornavano?” domande che mi ponevo senza sosta, torturandomi psicologicamente. “Stanno bene, Rain, ora calmati.” Mi ripeteva Stefan, con gli occhi incatenati ai miei e la sua mano sempre nella mia. “Non posso, non ci riesco.” Rispondevo ogni volta, certa di stare per raggiungere la più completa isteria. Mi costava ammetterlo, ma era la realtà. Ne avevo passate decisamente troppe per riuscire a star calma in una situazione di quel genere. In quel momento non solo la mia migliore amica rischiava la vita, ma a peggiorare le cose c’era l’assenza di Chance e Terra, importanti per me tanto quanto la pura aria che respiravo. Con i pugni chiusi e stretti, quasi mi conficcai le unghie nel palmo della mano, ma non ci badai. Nervosa come mai prima, continuavo a guardare fuori dalla finestra, ma di loro nessun segno. Intanto, mille dubbi cominciavano a prendere possesso della mia mente, e la povera Samira peggiorava sempre di più. Faticava a parlare ed esprimersi, e perfino a respirare. Con le scarse possibilità che aveva di farlo, ci diceva che il dolore si era spostato dall’addome al cuore. Al suono di quella parola, Soren scattò in piedi, e lasciando per un attimo il fianco dell’amata moglie, si decise. “Ora basta, andrò anch’io.” Dichiarò, in tono solenne. “No, non farlo.” Piagnucolò Samira, con voce fievole e quasi inudibile. “Ti prego, resta con me.” Continuò poi, mentre la sua voce sembrava minacciare di scomparire per sempre. Guardandola, Soren non fece che annuire, e poco dopo, vide la sua amata chiudere gli occhi. A quanto sembrava, il dolore le aveva fatto perdere i sensi, ma reagendo prontamente, Stefan appurò che ci fosse ancora un battito. “Soren, ascoltami. Lei sta bene, hai capito? Sta bene. Resta con lei, d’accordo?” gli disse, stringendo poi con lui una sorta di patto orale, al quale l’amico non osò opporsi. Annuendo, rimase accanto alla moglie per tutto il tempo, parlandole dolcemente. Sull’orlo di una vera crisi di nervi, mi avvicinai alla porta, che solo allora, e per la gioia di tutti noi, si spalancò, donandoci quindi una nuova speranza. Finalmente, Terra e Chance erano tornati,e per pura fortuna, non erano soli. Entrambi i suoi nonni erano con  lei, e la dottoressa Janet aveva sellato e preparato il suo cavallo per un’emergenza come questa. “Portatela da me, andremo in ospedale.” Ordinò, attendendo che obbedissimo. A quelle parole, Soren reagì in fretta, e sollevando di peso l’amata, la caricò sul dorso di quel possente animale, che subito dopo, si voltò nitrendo fiero, e dando inizio alla corsa verso l’ospedale. Non disponendo di mezzi nostri, fummo costretti a seguirli correndo, e nonostante la fretta, non dimenticai Rose. Correndo, la tenni fra le braccia per tutto il tragitto, e quando finalmente arrivammo, non potei far altro che guardare la mia povera e innocente amica soffrire, esanime e quasi priva di vita, in un letto d’ospedale, suo unico giaciglio data la situazione. La sera scese lenta, e con il suo arrivo, pregammo tutti insieme. Fra tutti noi, il più determinato fu Soren, che inginocchiato davanti al letto dove la moglie riposava, teneva le mani giunte, e facendolo, guardava le stelle. “Ti prego, non portarmela via, Dio. Non ora. Non è pronta per Te.” Sussurrò, versando calde e amare lacrime su quelle bianche lenzuola. In quel momento, le mie emozioni ebbero la meglio su di me, e avvicinandomi, lo imitai, pregando anch’io per un’amica la cui salute era divenuto nel tempo cagionevole e fragile come vetro.

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Capitolo 33
*** La forza dentro ***


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Capitolo XXXIII

La forza dentro

La situazione era critica, e tutti noi terrorizzati. Per pura fortuna, la folle corsa in strada di Chance e Terra era servita a qualcosa, e proprio come desideravamo, Samira era arrivata in ospedale. Giaceva ora in un letto dalle bianche lenzuola, e suo marito, con le lacrime agli occhi, non faceva che pregare per lei. Nel farlo, parlava con Dio. “Non portarmela via. Non è pronta per Te. Ripeteva, con le mani giunte in preghiera e la voce corrotta da un pianto che non riuscii a domare. Intanto, la sua amata restava lì. Ferma, ad occhi chiusi e quasi addormentata. Era da poco svenuta, e sembrava davvero dormire, ma ciononostante, sapevamo che non era così. Gli occhi mi bruciavano e dolevano a causa di un pianto che anch’io non riuscivo a tenere nascosto, ma stringendo con forza la mano di Stefan, mi feci forza. La mia povera amica soffriva di cuore, e oltre che triste, ero anche fiduciosa. Sapevo che era stata protagonista di mille sciagure anche prima di conoscerci, ma ora aveva tutti noi al suo fianco, e no, non l’avremmo certo abbandonata. Lento e inesorabile, il prezioso tempo continuava a sfuggirci di mano, e dopo circa un’ora passata nella sala d’attesa sotto il consiglio del dottor Patrick, Soren aveva espressamente chiesto di rimanere da solo con lei. Conoscendolo e sapendo quanto l’amasse, lui l’aveva lasciato fare, ma nonostante la porta chiusa, riuscimmo tutti a sentirlo mentre le parlava. “Ti prego, tesoro, svegliati. Torna da me e non lasciarti andare. So che sei forte, e non posso perderti. Le diceva, supplicandola teneramente e sperando in un suo risveglio. Guardandola, non faceva che ripetere quelle parole, e quasi arrendendosi, uscì da quella stanza. “Ti prego, svegliati.” Ripetè poi un’ultima volta, con alcune lacrime che gli rigavano il volto. Subito dopo, ci raggiunse in quella sala, ma complice la tristezza, mantenne un religioso silenzio. Soffrendo per lui, lo chiamai per nome, e guardandomi, attese che iniziassi a parlargli. “Sai come sta?”Una domanda forse indelicata e infelice, ma che non risparmiai. “Il dottore dice che è stabile, ma ho davvero paura.” Confessò, con voce ancora tremante. “Ti ho sentito mentre le parlavi, e sono d’accordo. Lei non può andarsene, non ora.” Gli dissi, posandogli una mano sulla spalla per infondergli coraggio. Sorridendo, il mio amico mi ringraziò, e in quel preciso istante, qualcosa di decisamente orribile accadde, cogliendoci entrambi di sorpresa. Il cardiografo a cui Samira era stata collegata emise un suono prolungato, e sul piccolo schermo non si vide che una linea piatta. Sconvolto, Soren provò ad avvicinarsi al letto della moglie, ma il dottor Patrick lo fermò. “Non serve, se n’è andata.” Gli disse, guardandolo con aria affranta. “Che… Cosa?” balbettò, incredulo e letteralmente senza parole. “Mi dispiace, ma è così.” Continuò il dottore, abbassando lo sguardo e muovendo qualche passo per la stanza al solo scopo di avvicinarsi e staccare la spina di quella macchina. “No! La prego, non lo faccia!” Gridò, tentando di fermarlo e impedirgli di compiere quel così crudele gesto. Colto alla sprovvista, il dottor Patrick si voltò, e solo allora, Soren si avvicinò alla moglie, iniziando poi a praticare su di lei il massaggio cardiaco. Compressioni semplici ma dalla cadenza ritmata, viste dal marito come l’ultima possibilità di salvare la vita di colei che amava. “Soren, basta. Ormai non ha più senso.” Gli disse il dottore, tentando di dissuaderlo e riportarlo alla ragione. “Lei non è morta.” Rispose Soren a muso duro, continuando imperterrito ad eseguire quella disperata manovra. Muta e immobile, soffrivo in silenzio, e non riuscendo più a trattenermi, glielo dissi anch’io. “Soren, mi dispiace davvero, credimi, ma è morta.” Questa la frase che pronunciai, sentendo poi una strana stretta al cuore e pentendomene subito dopo. “Lei. Non. È. Morta.” Fu la sua risposta, che formulò scandendo con precisione ogni parola. Guardandolo, aprii la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Addolorata, mi voltai lentamente, e in quel momento, sentii una specie di rantolo. Di lì a poco, Samira iniziò a tossire, e riaprendo gli occhi, posò lo sguardo sul marito. “Samira! Amore mio, grazie al cielo stai bene!” il suo fu un grido di vera gioia, al quale seguirono un forte abbraccio e un profondo bacio che lo unì alla sua tanto amata moglie. “Sto bene perché mi hai salvata, tesoro.” Gli rispose lei, liberando un colpo di tosse e sorridendo debolmente. Poi, una seconda domanda, che fece crollar loro il mondo addosso. “Che mi dici del bambino?” cinque parole pronunciate dalla stessa Samira, alle quali il dottore rispose prontamente. “Forse possiamo ancora salvarlo.” Disse infatti, riaccendendo in ognuno di noi un’ora flebile speranza. “Dimmi, lo senti ancora?” le chiese poi, sperando di ricevere una risposta positiva. Per pura fortuna, questa arrivò senza farsi attendere, e in quell’istante, Samira avvertì un movimento, poi un forte, fortissimo dolore allo stomaco. In preda al dolore, non fece che gridare e stringere la mano del marito, e poco tempo dopo, sfinita dalla stanchezza, si lasciò ricadere sul letto. Aveva davvero finito le energie, ma con un ultimo sforzo, la mia amica riuscì a realizzare il desiderio che aveva in comune con il marito, e mettere al mondo il loro tanto atteso bambino. Non appena lo videro, i due si baciarono, ma nonostante la loro felicità, sentivo che a quel momento così magico e speciale mancava qualcosa. Per qualche arcana ragione, il bambino non piangeva. Non ero un medico né una dottoressa, ma sapevo che significava una sola cosa. Il piccolo non respirava. “Dottore, faccia qualcosa!” gridai, alterandomi di colpo e non curandomi del tono che utilizzai nel farlo. Obbedendo a quella sorta di ordine, il dottor Patrick prese con sé il neonato, e battendogli una mano nel mezzo delle scapole, provò a liberargli le vie aeree, riuscendo ad aiutarlo e salvargli la vita. Fu quindi questione di attimi, e il piccolo prese a piangere. Lacrimando di gioia, Samira chiese di vedere suo figlio, e non appena questo le venne posato in braccio, lei pronunciò il nome che lei e suo marito avevano scelto. Isaac. Poco dopo, prese ad allattarlo, e poi, davvero sfinita, si addormentò assieme al suo piccolo. Quella sera, mi appisolai con Stefan e Terra in sala d’attesa. Lui teneva in braccio Rose, e come c’era d’aspettarsi, ero esausta. Poco prima di dormire, aggiornai il mio diario, registrandovi anche questo magnifico e inaspettato evento. Un’ennesima sfida che Soren e Samira avevano affrontato e vinto insieme, scoprendo, mano nella mano, di possedere un’incredibile forza che scaturiva da dentro.

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Capitolo 34
*** Il gioco delle colpe ***


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Capitolo XXXIV

Il gioco delle colpe

Sei mesi. Questo l’esatto lasso di tempo che Soren e Samira avevano aspettato prima di vedere il loro piccolo Isaac venire al mondo. L’avevano atteso con grande ansia, e benché entrambi fossero davvero felici di aver assistito ad un vero e proprio miracolo, erano anche tristissimi. Sapevano che il loro piccolo aveva fatto il suo ingresso nel mondo e cominciato il viaggio legato all'esistenza, e ne erano felici, ma la loro tristezza era comunque comprensibile. Secondo il dottor Patrick, quel povero neonato doveva aver sofferto tanto quanto la madre, e una singola frase continuava a tornare in mente a tutti quanti. "Forse ce la farà." Aveva detto il dottore, poco prima che Samira fosse davvero pronta a darlo alla luce. Forse. La parola che portava ogni persona a dubitare, e che in un caso del genere, non avremmo mai voluto sentire. In fondo, non si trattava che di un neonato, o come dicevano sia Soren che Samira, una piccola vita che andava protetta e non distrutta. Ad ogni modo, Il sole splendeva anche se nascosto da alcune leggere nuvole, ma nonostante tutto, nessuno di noi era in vena di guardarlo brillare e mostrare l’immensa potenza dei suoi raggi. Samira aveva partorito da poco, e con lo sguardo fisso sulla porta della sua stanza d’ospedale ora chiusa, non faceva che piangere, singhiozzando disperata. “Che è successo? Dov’è il piccolo?” chiesi, confusa e stranita. “Ce l’hanno portato via.” Mi rispose Soren, con lo sguardo basso e profondamente mesto. “Cosa? Com’è possibile?” azzardò Terra, sempre tenera e innocente. “Nonno si è subito accorto che stava male, e l’ha fatto perché così starà meglio.” Le risposi, tentando di porle la questione in termini semplici e a lei comprensibili. “Ne sei sicura? Continuò poi, con la voce corrotta da un dolore che non riusciva a nascondere. “Certo. Lui è un bimbo forte, proprio come te.” Stavolta fu suo padre a parlarle, abbassandosi al suo livello e quasi inginocchiandosi di fronte a lei. “Mi fido di nonno, ma ho paura.” Aggiunse poco dopo, iniziando a tremare quasi inconsapevolmente. “Non averne, starà bene.” La rassicurai, posandole una mano sulla spalla. “La mamma ha ragione, ora va a giocare con Rose e Ned.” Le consigliò suo padre, sperando con quelle parole di riuscire a distrarla e farle passare la paura. “Non mi va.” Fu la sua sola risposta, che diede sedendosi sull’unica sedia libera e presente in quell’arida stanza. Fatto ciò, Terra incrociò le braccia, e fissando lo sguardo sul pavimento, non disse una parola. Poco dopo, qualcuno bussò alla porta, e con il fiato sospeso, la vidi aprirsi. Era il dottor Patrick. Sua moglie Janet era con lui, e l’espressione sui loro volti non tradiva che tristezza e dolore. “Ho alcune notizie da darvi.” Disse, rivolgendosi ai nostri cari amici ora neogenitori. “La prego, ci dica tutto, dottore. Come sta il nostro bambino?” la domanda di Soren fu veloce ma ovvia, e mantenendo il silenzio, il sapiente dottor Patrick non disse nulla, andando forse alla ricerca dei termini più giusti per formulare una risposta. Il silenzio cadde quindi nella stanza, e dopo un tempo che nessuno di noi fu in grado di definire, una singola frase ci gelò il sangue nelle vene. “È in terapia intensiva, e tutto ciò che possiamo fare è pregare.” Queste le parole pronunciate dalla dottoressa Janet, che in quel momento aveva preso il posto del marito. A sentire quella risposta, Samira scoppiò ancora a piangere, più triste e sconvolta di quanto già non fosse. Provando pena per lei, mi avvicinai per abbracciarla e tentare di darle conforto, e intuendo il mio volere, lei mi lasciò fare. Piangeva, ed io non sapevo come comportarmi, così agii d’istinto. In completo e perfetto silenzio, lasciai che si sfogasse fra le mie braccia, e non appena anche suo marito le fu accanto, decisi di parlare. “Ragazzi, io conosco il dottor Patrick. Mi ha aiutata a dare alla luce Rose e Terra, e se loro sono qui è solo grazie a lui, perciò fidatevi. Isaac ce la farà.” Dissi, riuscendo inaspettatamente a far nascere nei loro cuori colmi di ferite una nuova speranza. “Lo pensi davvero?” mi chiese Samira, tirando su col naso e guardandomi con occhi lucidi di pianto.” “Non mentirei mai su una cosa del genere.” Le risposi, sorridendo apertamente. “Grazie di tutto, Rain, davvero.” Mi disse poi Soren, ricambiando il sorriso. “È stato un piacere, Soren.” Risposi, stringendolo in un delicato abbraccio che gli infuse una profonda sensazione di calore. Poco dopo, il nostro abbraccio si sciolse, e guardando velocemente fuori dalla finestra, notai che il sole era ormai prossimo a tramontare. Era pomeriggio inoltrato, e spostando lo sguardo su Stefan, notai che era del mio stesso avviso. “Credo sia ora di andare.” Azzardai, prendendo la mano di Stefan e tentando di guadagnare la porta d’uscita. “Rain ha ragione, ragazzi. Il vostro piccolo starà bene, e potrete fargli visita quando vorrete.” Rispose il dottor Patrick, agendo da moderatore e convincendo i miei amici a lasciare l’ospedale. Ovvio è che Samira non se la sentisse, ma con un pizzico di insistenza, riuscii a farla ragionare. In fin dei conti, Isaac sarebbe rimasto in buone mani, e come loro, io mi fidavo. Anche se lentamente, riuscimmo a tornare tutti a casa, ma quella notte, Soren e Samira ci chiesero ospitalità. Conoscendo la loro attuale situazione, Stefan ed io non ce la sentimmo di negargliela, proponendo loro di dormire nella camera degli ospiti. Come Samira mi aveva detto, lei e suo marito non se la sentivano di dormire nella stessa casa in cui avrebbero accolto il frutto del loro amore. Un gesto dettato dal dolore, che ad essere sincera, comprendevo perfettamente. Poco dopo, andai a dormire, pur non riuscendo a prendere sonno. Difatti, non sentii altro che i pianti di Samira, e svegliandomi, decisi di provare ad aiutarla e lenire le sue pene. “Samira, coraggio, ne abbiamo già parlato,e  devi fidarti. Isaac ce la farà, tranquilla.” Le dissi, dopo averla invitata a sedersi in cucina a bere una buona tazza di tè. Bevanda calda e dal gusto pressoché inconfondibile, che per qualche arcana ragione mi aiutava a rilassarmi, e che speravo avesse lo stesso effetto su di lei. “Tu non lo capisci, Rain, è colpa mia! Disse, ricominciando a piangere  e singhiozzare cadendo preda dei suoi ora cupi sentimenti. “No, non è vero. Non dire così.” L’ammonii, non facendo altro che provare a calmarla. “Invece è vero eccome! Pensaci, se non avessi preso quelle maledette pillole ora Isaac sarebbe qui con noi, non in ospedale!” mi rispose, con la voce ancora corrotta dal pianto e gli occhi incredibilmente lucidi. A quelle parole, mi sentii oltraggiata,e  sentendo una seppur immotivata rabbia crescermi dentro, non riuscii a tenere a freno la lingua, pronunciando una frase alla quale io stessa non riuscii a credere. “No, sei tu a non capire. Ti sbagli, e lo sai bene. È solo grazie alle pillole se sei qui, d’accordo? Se non le avessi prese e non avessi provato a curarti, io non avrei un’amica, e Soren non avrebbe una moglie! Riesci a capirlo?” finii per gridare, alterata da quella sua risposta così inaccettabile. Ero stata dura, avevo esagerato e lo sapevo, ma non ero riuscita a fermarmi. Volevo davvero bene a Samira, e benché sapessi che voleva semplicemente vivere accanto a suo marito e tenere fra le braccia il suo amato bambino, non potevo andare avanti sapendo che in qualche modo entrambi i miei migliori amici passassero i loro giorni giocando al gioco delle colpe.

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Capitolo 35
*** Speranze ancora vive ***


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Capitolo XXXV

Speranze ancora vive

Passavano i giorni, e di Isaac nessuna notizia. “È stabile, ma possiamo solo pregare.” Non facevano che ripeterci i dottori, in tono mesto e quasi rassegnato. Com’era ovvio, questo non faceva che scatenare il pianto di Samira, facendola sentire costantemente in colpa per quello che era successo. Soltanto la notte prima ero riuscita a farla ragionare, ma ora ecco che ricominciava. Era mamma da poco, e la capivo, poiché stando ai miei ancora nitidi ricordi, avevo passato anch’io dei momenti orribili mentre ero incinta sia di Rose che di Terra. Due doni bellissimi, per i quali credo che non smetterò mai di ringraziare il cielo. Mentre il tempo scorre, Soren e Samira fanno lo stesso, e seguendo il consiglio dei medici, non fanno che pregare. Dal canto nostro, Stefan ed io proviamo ad offrir loro tutto il sostegno di cui possano aver bisogno, e loro ne sono felici, ma per pura sfortuna, le cose on cambiano. Il loro piccolo è sempre lì, in una piccola incubatrice che per ora gli fa da caldo nido, e in quella che il dottor Patrick definisce terapia intensiva. “Secondo me ce la farà.” Ha detto Terra stamattina, guardando Samira negli occhi e sorridendole apertamente. “Lo spero davvero, piccina.” Le ha risposto, carezzandole dolcemente la testolina castana. Rimanendo immobile, la bambina non ha poi più reagito, e poco dopo, qualcuno ha bussato alla porta per lei. Andando subito ad aprirla, ho scoperto che era Lady Bianca, passata da noi per prenderla e accompagnarla  a scuola. Per quanto ne sapevo, lei era l’unica insegnante, e benché tentasse di nasconderlo al meglio tramite falsi sorrisi e sguardi ordinari, ero ormai diventata troppo brava nel riconoscere tutti i tipi di bugie, perciò sapevo che qualcosa la turbava. Fingendo indifferenza, non dissi nulla, e fidandomi, le lasciai fare il suo lavoro. Poco prima che entrambe potessero andarsene, però, un suono ruppe il silenzio creatosi nel salotto di casa. Era Chance, che uggiolando tristemente, pregava la sua amata padroncina di restare con lui. “Tornerò presto, te lo prometto.” Gli disse lei, avvicinandosi e abbassandosi per fargli una carezza. Quasi tentando di convincerla, il cagnolino le leccò le mani, e lasciandosi sfuggire una risata, Terra seguì Lady Bianca nel viaggio fino a scuola. Quella era una delle tante scene che ero ormai abituata a vedere, e nonostante lo scorrere del tempo, Chance non si era ancora abituato a tutto ciò. Quando la sua padroncina non c’era, lo incoraggiavo a distrarsi con il resto dei suoi giocattoli, ma nulla sembrava funzionare. Lui voleva mia figlia. Come ben sapevo, il loro era un legame davvero forte, una metaforica catena li legava, ed ero certa che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a spezzarla. Ad ogni modo, il tempo continuò a scorrere, e salutando la mia piccola, notai qualcosa. Per qualche strana ragione, camminava lentamente, e la gamba destra sembrava dolerle. Non avevo idea di come fosse potuto accadere, e pur pensandoci, non riuscivo a capirlo. Sfruttando i fuggevoli momenti di calma che la vita era solita offrirmi, ne approfittai per riscoprire i piaceri della lettura, e afferrando un buon libro da uno degli scaffali nel salotto, iniziai il mio viaggio alla scoperta di un mondo fatto di parole. Incuriosita dalla storia, ne lessi tre interi capitoli, e non appena decisi di lasciar andare quel libro, Chance si avvicinò a me, piantandomi le zampe addosso. Infastidita, provai ad alzarmi, ma lui non demorse, arrivando perfino a seguirmi con insistenza per tutta la casa, finchè, stremata dalla sua cocciutaggine, non gli diedi retta. “Si può sapere cosa vuoi?” chiesi, esasperata. “Forse vuole dirti qualcosa.” Azzardò Stefan, che intanto mi aveva raggiunta. D’accordo, ma cosa?” replicai, sentendo ogni grammo di pazienza svanire dal mio corpo. A quella domanda, Stefan non rispose, limitandosi, confuso, a stringersi nelle spalle. Per tutta risposta, il cane sparì dalla nostra vista, per poi tornare indietro soltanto un attimo dopo, tirando con gran fatica il mio zaino. “Ma che cosa…” biascicai, incerta e dubbiosa. Per pura fortuna, quella mia domanda trovò quasi subito una degna risposta, che si palesò proprio davanti ai miei occhi. Ringhiando sommessamente, Chance prese una delle cinghie del mio zaino fra i denti, e scuotendolo, ne rovesciò in terra l’intero contenuto. La mappa di Ascantha, la bussola regalatami da Basil, il mio diario e alcuni disegni di nostra figlia Terra, ma anche la mia daga e l’arma misteriosa. Ancora confusa, guardai il cane per un attimo, e sollevando quella strana daga con la bocca, provò a mostrarmela. In quel momento, tutto divenne più chiaro, e mille ricordi si fecero strada nella mia mente, travolgendola come un impetuoso fiume in piena. Rimembrai quindi di aver trovato quell’ormai famosa arma nel bosco solo grazie al suo aiuto, e dando una nuova occhiata, alla strana incisione che la lama vantava, collegai in fretta i pezzi di quel metaforico puzzle. Ladri. Questa l’unica parola che mi venne in mente, e che ebbe l’incredibile potere di sconvolgermi e farmi nuovamente cadere nel baratro della paura. Con il cuore in gola, tentai di mantenere la calma, e ringraziando Chance, rimediai al suo disastro. Anche se a modo suo, quel piccolo cane aveva tentato di riportarmi alla realtà, e ora che l’avevo capito, non potevo che dargli ragione. In fondo ne aveva, e da vendere. Certo, sfruttare la tranquillità offertami dalla vita era positivo, ma che senso aveva starmene lì ferma a leggere quando Loro potevano essere lì fuori a piede libero? Nessuno, ecco quale. Così, allo scoccare dell’una di pomeriggio, mi precipitai fuori casa per raggiungere mia figlia, con il piccolo ma coraggioso Chance al seguito. Come sempre non aveva il suo guinzaglio, ma dato il rigido addestramento che aveva ricevuto da Stefan e Terra, ero convinta che non ne avesse più bisogno. Non lo portava più da ormai lungo tempo, ma non contava. L’unica cosa importante, dati i ricordi che erano tornati ad assalirmi, era arrivare a Terra. Raggiunsi la scuola in poco tempo, e una volta arrivata, fui felice di scoprire che stava bene. Il suo amico Trace era con lei, ed insieme, camminavano l’uno al fianco dell’altra. “È arrivata la mia mamma.” Disse lei, notandomi e regalandomi un sorriso. “Devi proprio andare?” le chiese lui, evidentemente triste all’idea di vederla allontanarsi. Non sapendo cosa rispondere, la bambina ci pensò un attimo, e sentendosi colpire da una sorta di lampo di genio, diede voce a una sua idea. “Non per forza, adesso vieni.” Gli rispose, prendendogli una mano e incoraggiandolo a seguirla. Felice ed eccitato, il suo amico non se lo fece ripetere, e correndo, la seguì finchè entrambi non arrivarono da me. “Mamma, Trace ed io possiamo giocare insieme oggi?” fu la sua domanda, innocente e colma della solita tenerezza che ero solita scorgere nelle sue parole. “Certo!” risposi, sorridendo ad entrambi, e prendendo per mano la mia bambina nel cammino fino a casa. Fra un passo e l’altro, Trace e Terra parlarono e risero insieme, scoprendo molte cose l’uno dell’altra. Io non feci che parlare con la madre del bambino, trovando in lei una nuova amica. Guardando i nostri figli ridere e parlare, ridevamo a nostra volta. Parlandole, scoprii che si chiamava Tanya, e che non aveva altri figli oltre al piccolo Trace. Una volta arrivati a casa, la salutai, e dopo aver chiesto alla mamma il permesso di restare con noi per il pomeriggio, il bambino l’ottenne senza problemi. Di lì a poco, arrivò l’ora di pranzo, e dopo i compiti, quei due piccoli terremoti decisero di voler davvero giocare insieme. “Torniamo nel bosco?” mi chiese Terra, attendendo in silenzio una mia risposta. Ancora seduta in sala da pranzo, guardai suo padre andando alla ricerca di una sua opinione, e limitandosi ad annuire, si trovò d’accordo. Detto fatto. Fu questione di pochi minuti, e tutti insieme, ci ritrovammo di nuovo in giro per i sentieri di Ascantha, diretti verso il bosco che mi aveva regalato sorrisi, risate e bellissimi ricordi. Una volta arrivata, stesi fra l’erba una morbida coperta, sedendomi con Stefan all’ombra di un grande e forte albero. Letteralmente incapaci di star fermi, i bambini presero a rincorrersi e giocare insieme, fingendo anche di essere impavidi guerrieri. Guardandoli, non potei evitare di sorridere, e facendolo, posai gli occhi su Stefan. “Sono davvero amici, non trovi?” gli chiesi, scivolando poi nel silenzio in attesa di un suo parere a riguardo. “Forse anche qualcos’altro, sai?” fu la sua risposta, che per qualche strana ragione mi fece ridere come mai avevo fatto prima. “Smettila, sono solo bambini!” risposi, ridacchiando e assestandogli un inoffensivo pugno sul braccio. “E allora? Eravamo poco più che ragazzi quando…” continuò, non riuscendo tuttavia a terminare quella frase a causa di una mia seconda e identica reazione. “Stefan!” lo ripresi, ridendo come una matta soltanto per colpa sua. “Va bene, va bene, scusa.” Fu la sua unica risposta, data con un sorriso luminoso e mal celato. Aprendo poi lo zaino, ne tirai fuori le provviste che avevo portato, e chiamandoli, invitai i bambini a far merenda. Tornarono da noi stanchi e affamati, trovandosi però liberi di scegliere fra dei salati ma deliziosi cracker e della dolce e buonissima cioccolata. Golosi e incorreggibili, optarono entrambi per la seconda scelta, e spezzandone un’intera tavoletta con le mani, Terra ne offrì un pezzo all’amico. Sorridendo leggermente, il bambino accettò volentieri, e dopo il veloce spuntino, entrambi tornarono a giocare. Stavolta fu Trace a scegliere, optando per la classica corsa fra l’erba. Ridendo, Terra faticava a stargli dietro, ma stoica, resisteva. Infantile almeno tanto quanto loro, Chance li seguiva divertito e attento, con gli occhi sempre puntati sulla padroncina. Quando questa cadde inciampando in una roccia, lui fu il primo ad avvicinarsi, e abbaiando, attirò la nostra attenzione. Precipitandoci entrambi da lei, scoprimmo che non riusciva ad alzarsi, e che una ferita alla gamba sanguinava. Non copiosamente chiaro, ma sanguinava. “Terra!” gridò Trace, accortosi dello stato in cui versava la piccola amica. “Mi dispiace, perdonami, non giocheremo più ad acchiapparci.” Continuò poi, tentando di giustificarsi e incolpandosi per quanto le fosse appena accaduto. “No, tranquillo, non c’è bisogno che smettiamo. Sto bene, vedi?” gli rispose, provando ad alzarsi e riuscendoci con gran fatica. Non appena la vide in piedi, Chance corse a leccarle la ferita, e malgrado questa bruciasse, Terra non disse una parola. Con il calar della sera, tornammo a casa, e camminando, mi concentrai sui bei momenti che avevano caratterizzato quella giornata. Fra le tante cose, mi ritornò in mente l’immagine dei bambini che si fingevano guerrieri ed eroi, stuzzicandosi con due rametti d’albero trovati in giro fra l’erba. Una volta a casa, Trace si ricongiunse alla madre, e aggiornando il mio diario, decisi di fidarmi e provare ancora a credere nel domani, considerandolo pieno di speranze ancora vive.

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Capitolo 36
*** Volere è potere ***


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Capitolo XXXVI

Volere è potere

Un altro mese se n’era ormai andato, e con questo, anche la calma e la tranquillità che insieme ai miei amici mi sforzavo di sfruttare per continuare a vivere. Io sembravo riuscirci, ma loro no. Avevo tanto pregato perché il cielo desse loro un attimo di tregua, e ora non riuscivo a capire se le mie preghiere erano state ignorate o i miei desideri negati. Ad essere sincera, credo davvero che Soren e Samira formino una bellissima coppia, che come tante altre merita di vivere una bella vita. Il tempo scorre, e più li guardo, più me ne convinco. Difatti, proprio come me e Stefan, loro sembrano letteralmente fatti l’uno per l’altra. Due anime gemelle che hanno faticato tanto per trovarsi, e che ora ripetono costantemente di sentirsi preda del dolore più grande mai provato. Da ormai lungo tempo, trascorrono la loro esistenza impegnandosi in quello che io chiamo “gioco delle colpe.” Da un lato c’è Samira, che soffre per le attuali condizioni in cui versa il loro amato bambino, e dall’altro c’è il suo Soren, che pur non piangendo, mi parla spesso, punendosi verbalmente. Sa bene di aver salvato sua moglie da morte certa in un arido e clinico letto d’ospedale, ma è convinto che se non l’avesse fatto, le avrebbe evitato di continuare a soffrire. Come tutti noi, lui crede in Dio, e pensa che ora Lui lo stia punendo per aver agito contro il suo inequivocabile volere. Parlandogli incessantemente, sto provando a convincerlo che nulla di tutto questo è vero, e che il gesto che ha compiuto per salvare la sua amata è solo nobile, ma è accecato dal dispiacere, e non vuole credermi. Con mio gran dispiacere, mi trovo oggi costretta ad ammettere che quei due non hanno davvero vita facile, e che pare esistere sempre qualcosa in grado di distruggere la loro felicità. Tale consapevolezza non fa che intristirmi, ma volendo rimanere ottimista, ho dedicato loro molte pagine del mio diario, e una semplice frase piena di significato, che ogni sera Samira legge per farsi forza. “Andrà tutto bene. Siete come piume dello stesso uccello.” Questa la frase che ho loro rivolto, e che è servita a far tornare il sorriso sul volto della mia amica, precedentemente straziata dal dolore. Sconvolta, aveva perfino pensato di farsi ancora del male smettendo di nuovo di mangiare, ma dandomi ragione, suo marito l’ha spinta a desistere. Ad ogni modo, il sole è in cielo già da ore, e mentre splende, la realtà è sempre uguale. Isaac è stabile, e la preghiera appare come l’ultima spiaggia. Ogni giorno, nei momenti di tempo libero, vado a fargli visita in ospedale, trovando Samira già lì, intenta a parlargli e stringergli la manina. “Riprenditi, ometto speciale.” Gli dice sempre, guardandolo con occhi lucidi e rovinati dal pianto. “Sei forte, piccolo campione.” Risponde ogni volta il padre, dando manforte ad una moglie sconvolta. Queste due frasi vengono ripetute giornalmente, e risuonano ormai infinite volte nella mia testa, quasi fossero vecchi e vedici mantra ormai dimenticati. A mani giunte, noi tutti preghiamo per loro, inclusa la piccola Rose, che nel silenzio, sussurra sempre le stesse parole. “Ti prego, aiutalo.” Tre semplici lemmi che spera arrivino a Dio, convincendolo a intercedere e salvare la vita a quel povero neonato, definito dal padre un vero miracolo. A mio avviso, questo è un altro di quei gesti che in genere definisco lodevoli, poiché nonostante la perfetta conoscenza della malattia di Samira, e la possibilità che insieme non avrebbero mai potuto avere dei figli, loro si sono fidati l’uno dell’altra,  scegliendo di rischiare e dando il benvenuto ad un figlio che è ora in bilico fra la vita e la morte. Immagine straziante per una madre, ma che corrisponde, anche se per una sorta di scherzo del fato, alla realtà. “Non ce la faccio più. Sto per arrendermi, Rain.” Mi ha detto Samira, piangendo e allontanandosi lentamente dal suo bel bambino, che al sicuro nel suo caldo nido, ha il respiro debole e pare dormire. “Non farlo.” Le ha risposto Terra, stringendole la mano e guardandola negli occhi con aria seria. Confusa e stranita dalle sue parole, la mia amica non ha fatto che guardarla, e la sua risposta ha scioccato tutti. “Volere è potere.”  
 

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Capitolo 37
*** Mosaico di domande ***


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Capitolo XXXVII

Mosaico di domande

Non avevo dormito, ed ero rimasta sveglia per tutta la notte, intenta a pensare. Come sempre, mi sforzavo di essere ottimista, ma anche questo tentativo ora mi appariva patetico. Giornalmente, sentivo i miei nervi strapparsi e logorarsi come il pregiato tessuto che in genere compone un arazzo, e non volendo piangere, resistevo. Ero ancora a letto, e Stefan dormiva accanto a me, ma fra noi due, ero l’unica sveglia. Mi conosceva da anni, mi aveva sposata e sapeva che soffrivo, ma quando mi vedeva tesa e concentrata su qualunque cosa, esitava spesso, non sapendo se agire e provare a confortarmi, o non far nulla ed evitare di adirarmi. Rigirandomi, gli diedi le spalle, e quasi sbuffando, provai a ritrovare la calma. Come mi aspettavo, il mio fu un tentativo a dir poco fallimentare. Difatti, rimanevo lì al sicuro e al caldo fra le coperte, ma migliaia di interrogativi continuavano ad annidarsi nella mia mente come vespe, ronzando fastidiose. Per mia sfortuna, nessuna di quelle trovò una risposta, e nel silenzio, una frase prese a torturarmi le membra, facendo eco nella mia testa. “Attaccheranno, e presto.” Era la voce di Lady Fatima, rimastami impressa in mente assieme a quella sorta di avvertimento. Sapevo bene che si riferiva ai famigerati Ladri, ed ero mortalmente certa di essere pronta ad affrontarli, ma nonostante tutto, continuavo ad aver più paura di un coniglio fuori dalla sua tana. Non ero sola, e avevo due bambine a cui badare, due vite che ancora dipendevano da me, e che temevo di veder spezzate in una guerra così profondamente insulsa. Solo pensare che è guidata da persone completamente normali ma accecate da sentimenti come rabbia e ira, e che hanno ormai perso i doni di empatia e ragione, mi fa star male. “Perché lo stanno facendo? Perché sta accadendo a noi,  e soprattutto, quando finirà? Questi i quesiti che entrambe le mie amate figlie mi pongono, piangendo e stringendo i loro pupazzetti alla ricerca di conforto. Ogni volta, non so cosa rispondere, e se lo faccio, so bene di stare mentendo, vergognandomene solo momenti dopo, proprio come una sporca criminale. Ora come ora, abbiamo tutti di nuovo paura, Soren e Samira stanno malissimo, e il loro piccolo Isaac lotta ancora per la vita, e pur concentrando ogni grammo delle mie energie nel pregare e sostenerli, sento di star lentamente perdendo le speranze. Non me ne spiego il perché, ma è davvero così. Vedendomi ora, molti mi definirebbero debole, ma non sarei d’accordo. Non sono debole, e sono felice di non essere l’unica a pensarlo. I miei amici sono dello stesso avviso, e ogni volta che ne ha l’occasione, Stefan non manca di farmelo notare. “Sei più forte di quanto credi.” Non fa che dirmi, sorridendo e stringendomi in delicati abbracci. In silenzio, non faccio che sorridere e ringraziare, ma mentre il tempo passa, la realtà della quale viviamo ogni singolo secondo senza lasciare che questi ci sfuggano rimane sempre la stessa, e dentro ognuno di noi ora non c’è che un mosaico di domande, anche se l’unica cosa a mancare è l’insieme delle rispettive risposte, che finora nessuno è mai riuscito a trovare a dispetto di numerosi e infruttuosi tentativi.

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Capitolo 38
*** Segni indelebili ***


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Capitolo XXXVIII

Segni indelebili

È ormai arrivato il pomeriggio. Terra è da poco tornata da scuola, e ha di nuovo espresso il desiderio di stare con Trace. Ovvio è che non gliel’ho negato, e proprio ora, siamo di nuovo nel bosco. La calma sembra regnare sovrana, ma non ne sono troppo sicura. In genere, un bosco verde e rigoglioso come quello brulica di vita, e in questa stagione gli uccelli e le farfalle volano sempre anche vicino ad eventuali visitatori come noi, ma oggi non è così. È tutto calmo, troppo calmo. Non sono tranquilla, e non lo è nemmeno Stefan. Non volendo rovinare il pomeriggio dei bambini, manteniamo il silenzio non dicendo nulla, ma nonostante questo, abbiamo altro in mente. Che è successo? Non lo sappiamo, ma alcune tristi teorie cominciano a farsi spazio nelle nostre menti. “Sono davvero tornati? Ci stanno cercando? Forse sanno di noi?” Tutte ipotesi probabili, che nonostante tale consapevolezza non mi sogno di avvalorare. Ora come ora, Trace e Terra giocano contenti e ignari di tutto. Rose si è unita a loro da poco, e rimasti in disparte, Stefan ed io non facciamo che guardarli. I nostri cuori sono gonfi di gioia, ma questa non tarda a tramutarsi in preoccupazione, poiché incredibilmente, gli alberi attorno a noi paiono meno vivi e verdi del solito. Le foglie sono tutte al loro posto, ma per qualche arcana ragione, i rami oscillano minacciosi. “Andate via.” Sembrano dire, mentre il vento si alza e sibila, minaccioso come un serpente dai denti aguzzi e avvelenati. Tentando di non badarci, continuo ad ammirare la felicità negli occhi e nella risata delle mie figlie, che con alcuni ramoscelli stretti in mano, giocano a fare le guerriere. Sì, le guerriere. Una parola che Terra ormai usa spesso, e alla quale non credo riuscirò mai ad abituarmi. Sia lei che Rose stanno crescendo, e malgrado sappia di non poterle proteggere per sempre, a volte vorrei davvero che il tempo si fermasse. In fin dei conti, sono le mie bambine, e sono certa che non riuscirei a sopportare il pensiero di entrambe in mano ai Ladri o in balia del pericolo. In qualità di loro madre, ero mortalmente preoccupata, e guardando in alto, notai che alcune grigie e pesanti nuvole avevano coperto il cielo. Il vento si fece poi più freddo, tanto che fui costretta a stringermi nella giacca che portavo. In quel preciso istante, ricordai un’altra delle frasi di Lady Fatima. “Non posseggono il dono della magia, ma è come se al loro arrivo tutto cambiasse.” Una frase che a suo tempo mi aveva spiazzato e colpito molto, ma che a dispetto del tempo trascorso ricordavo ancora. Inizialmente, non volevo crederci, ma solo ora mi rendevo conto che corrispondeva al vero. Difatti, tornava tutto, e mentre continuavo a preoccuparmi, vidi mia figlia corrermi incontro. Tremava, e sembrava essere sul punto di congelare. Stringendola a me, l’aiutai ad infilare il cappotto, e aiutando anche Trace, decisi che ne avevo avuto abbastanza. Saremmo subito tornati indietro. Fu quindi questione di attimi, e la decisione fu presa. Arrivammo a casa in pochissimo tempo, ma camminando, notai delle differenze sostanziali. Per quanto ne sapevo, Ascantha era una città bella e pacifica, dove il sole era sempre solito splendere, e la pioggia non cadeva quasi mai, ma ora tutto era diverso. Il vento spirava minaccioso, e alcune pesanti nuvole parevano prossime a scaricare fiumi di pioggia sui sentieri, sul bosco e sulla città intera. Intanto il tempo scorreva, e una volta a casa, chiusi porte e finestre. La fredda pioggia continuava a cadere, e le mie povere figlie tremavano. Perfino Chance, il loro cucciolo coraggioso, guaiva e uggiolava per la paura, girando nervosamente in cerchio. Poco dopo, si sedette, ma la cadenza ritmata della coda che sbatte contro il pavimento, tradiva tensione. Il silenzio cadde poi nella stanza riempiendola completamente, per poi essere rotto come vetro da un suono che conoscevo fin troppo bene. Rose piangeva, e mugolando qualche parola, mi guardò negli occhi. “Mamma ho paura.” Piagnucolò, con la voce spezzata come l’ala di un uccellino ferito e gli occhi colmi di amare lacrime. Notandola, Chance le si avvicinò, invitandola ad accarezzarlo e sdraiandosi accanto a lei. “Ho paura anch’io, ma sono calmo, vedi?” sembrava dirle, con il respiro regolare e un sorriso sul muso. A quella vista, la bambina sorrise, calmandosi quasi istantaneamente. Orgogliosa di entrambi, lasciai cadere il mio sguardo su Chance, sorridendogli. Quasi sapendo di aver fatto un buon lavoro, agitò la coda, ma non emise un fiato. La calma era tornata, ma nel silenzio, eravamo tutti tesi. In quel momento, un velocissimo lampo rischiò di accecarmi, e subito dopo, nulla. Ancora silenzio, seguito da un forte scroscio di pioggia. Sollevata, provai a guardare fuori, scoprendo che ci avvicinavamo all’imbrunire. Voltandomi, raggiunsi Rose per prenderla in braccio, scoprendo solo allora che stringeva a sé il suo piccolo Bunny. Il pupazzetto che sua sorella Terra le aveva regalato nel giorno del suo primo compleanno, e che sin da allora custodiva gelosamente. Come lei le aveva spiegato, quel coniglietto sarebbe stato il suo cavaliere non appena fosse cresciuta, e a quanto vedevo, Rose aveva preso la sorella in parola. Proprio come lei faceva con Ned, era solita tenerlo sul suo letto o abbracciarlo per addormentarsi all’ora della nanna. Ne ero felice, poiché sapevo che un giocattolo sarebbe servito a distrarla data la sua così tenera età, ma nonostante tutto, non riuscivo a smettere di pensare a quello che ci era appena accaduto, e al fatto che quegli sporchi e ignobili Ladri stessero lasciando, anche qui ad Ascantha, dei segni indelebili.    
 

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Capitolo 39
*** Invasione ***


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Capitolo XXXIX

Invasione

Era di nuovo mattina, e un nuovo giorno aveva avuto inizio, ma il sole, indignato o forse spaventato dalla presenza in città dei Ladri stessi, non si degnava di mostrarsi. Delle grigie nuvole lo coprivano, e mentre la pioggia continuava a cadere, e quell’odore così buono e caratteristico se ne mischiava un altro. Uno che avevo sentito, ma che avevo in tutti i modi tentato di eliminare dalla mia memoria. Quello del sangue. Un rosso liquido naturalmente presente nel corpo di ognuno di noi, destinato a rimanervi fino all’ora della nostra morte, che ora, proprio per mano di quegli schifosi criminali, veniva fatto scorrere come fosse acqua di fiume. Ero disgustata. Continuavo a chiedermi perché lo stessero facendo, e puntualmente, la risposta risultava uguale. Invidia. Invidia per quello che Aveiron era diventata sotto il regno e la guida del mio esperto padre, invidia per tutti i traguardi da lui tagliati nel tempo, e soprattutto invidia per il grande potere che non avrebbero mai potuto ottenere. È orribile pensare cosa sentimenti come la cupidigia e la vana avarizia possano fare a degli uomini. Improvvisamente, questi cessano di essere tali, non diventando nient’altro che bestie guidate da istinti e desideri sempre più ardenti di potere e ricchezze materiali. Pensandoci, non faccio che arrabbiarmi, e stringendo in mano la mia daga, rischio sempre di ferirmi. “Rain, ti prego, ora basta. Calmati, per favore.” Mi dice sempre Stefan, pregandomi di ritrovare la compostezza persa per il bene mio e delle bambine, che anche solo tramite lo sguardo, apprendono molto più di quanto si pensi. “Scusa.” Ho risposto oggi, lasciando andare la mia arma e chiudendo il pugno al solo scopo di celare una ferita proprio al centro del palmo. “Non fa niente, ti capisco.” Mi ha risposto, sorridendomi e posandomi una mano sulla spalla. “Credi che siano qui?” gli ho poi chiesto, scivolando nel più completo mutismo in attesa di una risposta. “Non ne ho idea, ma spero di no.” Ha replicato, spostando lo sguardo dal mio viso al vetro della finestra del salotto. Guardando appena attraverso, non ha visto che alberi spogli e sentieri inumiditi dalla pioggia, ridotti quindi a pozze di lurido fango, ma nient’altro. Nessun segno di Loro, per fortuna. Sollevata, mi sono scambiata con lui un’occhiata d’intesa, ma poi più nulla. Ora come ora, sono nervosamente seduta accanto al caminetto spento nonostante il freddo, e mentre Chance rimane lì davanti alla porta, fermo e sull’attenti come un bravo soldato, Terra inganna il suo tempo disegnando. “Non verranno qui da noi, vero?” mi chiede invece Rose, spaventatissima. “Non lo so, tesoro, ma tieniti pronta e resta con papà, va bene?” le rispondo, sorridendole e fornendole un utile consiglio che spero vivamente riesca a seguire nonostante il terrore che prova. In silenzio, la piccola annuisce, e voltandosi, inizia a giocare con il suo Bunny. Anche se lentamente, alcune ore passarono, e non appena qualcuno bussò alla nostra porta, Chance prese ad abbaiare, furioso. Andando alla ricerca di un rifugio, si nascondeva dietro me e Stefan, avanzando solo per abbaiare. Nervosa, esitai stringendo i denti, ma quel suono divenne sempre più insistente. C’era qualcuno dall’altra parte, e le possibilità erano solo due. Quella persona odiava quella porta,  o era davvero determinata nel vederla aperta. Facendosi avanti, Soren andò ad aprire, rallegrandosi alla vista di un viso amico. Per nostra fortuna, Lady Bianca. A quanto sembrava, era venuta in nostro soccorso, e dando uno sguardo ai suoi vestiti logori, dedussi che avesse fatto appena in tempo. “Stanno arrivando, ma ho avvertito Fatima e gli altri giorni fa. Ora seguitemi, presto!” ci disse, incoraggiandoci ad uscire subito di casa e seguire i suoi ordini. Annuendo, ci precipitammo tutti fuori, e una volta all’esterno, sollevammo le armi. Atterrita, scoprii che aveva ragione. Erano lì, di fronte a noi. Orde di sporchi e ignobili Ladri, impegnati nelle loro opere di distruzione e razzia. Ormai era fatta. Avevano preso di mira anche Ascantha, e quella a cui stavamo assistendo, paralizzati ma al contempo pronti, non era che una vera e propria invasione.
 

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Capitolo 40
*** Fine? ***


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Capitolo XL

 
Fine?

 
Eravamo sempre lì. Proprio davanti a casa nostra, e potevamo vedere decina, forse centinaia di Ladri avvicinarsi. Stefan ed io eravamo l’uno accanto all’altra, e mentre le bambine rimanevano in disparte, troppo spaventate per prendere parte all’azione, Chance era al nostro fianco, pronto ad attaccare e mordere per difendere le padroncine. Come nell’ultima battaglia, i minuti scorrevano veloci, e tutto accadeva in fretta. I nemici avanzavano, e noi colpivamo, mettendoli al tappeto con fare fermo e deciso. Ovvio era che i loro connotati non ci interessassero, poiché il contatto visivo era tanto breve quanto inutile. Forse era una parola grossa o sbagliata, ma quello che noi provavamo per loro era odio. Sì, odio. Il sentimento completamente opposto all’amore, che vantava un posto d’onore fra quelli più negativi che conoscevano. Sfuggendoci di mano, il tempo continuava a scorrere, e inevitabilmente, fiumi di sangue macchiavano le strade, rendendo i sentieri irriconoscibili. Facendo del mio meglio, combattevo con ogni grammo delle mie forze, stando ben attenta a non perdere l’equilibrio al solo scopo di non ripetere gli errori passati. Apparendo scaltra e priva di cuore, uccidevo qualunque nemico avessi davanti, e nei momenti in cui i miei occhi vivi e attenti incrociavano quelli morti e spenti di un cadavere, facevo sempre attenzione nel controllare che non appartenesse ad alcun membro della mia famiglia. Così, la battaglia andava avanti, con le urla della povera gente coinvolta a far da colonna sonora e i grugniti di dolore di quei vermi prossimi alla morte come sottofondo. Non ricorrevo davvero mai alla violenza, né ero incline all’ira, ma per qualche arcana ragione, vederli ad uno ad uno in battaglia come birilli mi rendeva felice e orgogliosa di me stessa. In fin dei conti, sapevo bene di star lottando per tentare di eliminare la minaccia che quei manigoldi rappresentavano, e benché sapessi di essere una goccia di giustizia in un oceano di malvagità, volevo agire e fare del bene, proprio come avevo detto la mia piccola Terra. Almeno stavolta, pareva avermi dato ascolto, e rimasta a casa con la sorella, si preoccupava a morte per me. In mezzo a quell’autentico marasma, non potevo vederla, ma la immaginavo con il naso schiacciato contro la finestra a guardarsi attorno, sperando di vedermi. Come lei stessa diceva, era una bimba grande, e si era ormai abituata a tutto quello che le succedeva intorno. Mentre il tempo continuava a passare, mi guardavo attorno a mia volta, sperando di scorgere, anche per poco, i visi dei miei cari amici. Mi ci volle molto per trovarli in quel campo di battaglia, ma alla fine li vidi. Alisia, Drake, Rachel e Lady Fatima, ma anche Soren e Samira, che avevano scelto di lasciare il loro piccolo Isaac da solo in ospedale per venire ad aiutarci. “Cosa ci fate qui? Non pensate al bambino?” gridai loro, vedendoli correre, combattere e schivare ogni colpo al loro indirizzo. “È per questo che siamo venuti. Lo facciamo per te, ma anche per lui.” Mi rispose Soren, mentre era intento a sferrare colpi di spada in ogni direzione nel tentativo di difendere sé stesso e la moglie. A quelle parole, non dissi nulla, ma in compenso, sorrisi. Il loro appariva ai miei occhi come un gesto lodevole, ed era un altro dei motivi per cui credevo che meritassero tutta la felicità di questo vasto mondo. Ne avevano passate tante, perfino troppe insieme, e non potevano permettere a nessuno di dividerli. Fra un colpo di daga e l’altro, spostavo lo sguardo per tener d’occhio i miei amici, e improvvisamente, sentii ciò che non avrei mai voluto sentire. Un pianto. Esterrefatta, mi voltai. Era Rose a piangere, e piangeva perché fra le braccia di uno di quei mostri. “Lasciala andare!” gridò poi qualcuno, cogliendomi di sorpresa. Sapevo bene di non stare sognando, eppure non riuscivo a crederci. Terra. Era corsa in strada per prestare soccorso alla sorellina, attirando su di sé tutta l’attenzione di quello sporco energumeno, che reputandola una pulce al confronto, realizzò il suo desiderio, ma lasciando andare la sorella minore, si concentrò su di lei, afferrandola per i lunghi capelli castani. Gridando di dolore, la bambina provò a liberarsi, ma senza successo. Andando alla disperata ricerca d’aiuto, urlava come un’ossessa, e finalmente, dopo minuti interminabili, qualcuno parve udirla. Chance. Un cucciolo che da poco non era più tale, e che dimostrandosi coraggioso, aveva scelto di salvare la padroncina in pericolo. Correndo nella sua direzione, spiccò un balzo affondando i denti nel braccio di quello schifoso individuo, inchiodandolo al terreno e quasi accecandolo con una zampata in pieno viso. Un latrato sordo seguì quel momento, e ritirandosi, quel codardo non si fece più rivedere. Piangendo, Terra mi cercava, ma non riusciva a trovarmi. Sentivo la sua voce, ma non potendo vederla, sentivo di stare per impazzire. “Le bambine! Aiutale!” ordinai a Chance, sperando ardentemente che capisse. Abbaiando, il  cane si voltò, e una volta ritrovate le mie figlie, fece del suo meglio per riportarle al sicuro. Sparendo dalla mia vista per un tempo interminabile, si assicurò di trovar loro un rifugio, specialmente per Rose, ancora troppo piccola per capire cosa stesse accadendo. Non aveva che due anni, ed ero certa che quell’orribile spettacolo di morte fosse decisamente troppo per lei. “Rose, no, non piangere. Non siamo sole. Chance è qui. E guarda, c’è anche Bunny.” Le diceva Terra, tentando di rassicurarla e farla smettere di piangere. Purtroppo, nessun successo. Rose aveva il viso paonazzo per il pianto e lo sforzo, e le manine quasi viola. Quando si arrabbiava, stringeva con forza i pugni, e per quanto ne sapevo, quello era sempre il risultato. Ad ogni modo, le mie bambine erano finalmente al riparo, e sapere che Chance era con loro mi tranquillizzava. I minuti fuggivano, e la notte era vicina. Con grande sorpresa di tutti, fu proprio allora che i nemici decisero di arrendersi, abbandonando quello che era ormai diventato il nostro campo di battaglia. Stremata, mi ritirai assieme ai miei amici, stanchi ma orgogliosi di sé stessi almeno tanto quanto me. Le energie stavano per abbandonarmi, ma voltandomi per un ultima volta, fui certa di riuscire a vedere qualcosa, o per meglio dire, qualcuno. Non un volto, ma due occhi azzurri e lucenti come quelli di un gatto nel buio. Ero davvero stanca, e per questo non sicura di nulla, ma intanto, una domanda ancora senza risposta continuava a torturarmi la mente. “Tutto questo avrà mai una fine?”  




Salve a tutti! Ancora una volta, e anche in questo caso, quaranta capitoli. Pieni d'amore, dolore e azione, hanno portato avanti la vita e le avventure di Rain e del suo gruppo. Ora come ora, sono certa che molti di voi avranno voglia di scoprire come la storia continua, bene, nessuna paura. Nella sesta parte molti nodi inizieranno a venire al pettine, e cosa più importante, attenzione, perchè proprio nel prosieguo, si farà un salto temporale d circa dieci anni. Che altro dire, se non grazie a voi, miei cari lettori? Nulla, almeno credo. Ci rivedremo nel seguito! Ancora grazie, e alla prossima,


Emmastory :)
 

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