My ain true love

di franci893
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Attese e sorprese. ***
Capitolo 3: *** Le apparenze ingannano. ***
Capitolo 4: *** Il gioco è bello finché dura. ***
Capitolo 5: *** Tristyn. ***
Capitolo 6: *** " Non ti lascerò mai sola." ***
Capitolo 7: *** Compromessi. ***
Capitolo 8: *** Scontrarsi e (r)incontrarsi. ***
Capitolo 9: *** Abbagli e incomprensioni. ***
Capitolo 10: *** Festeggiamenti e partenze. ***
Capitolo 11: *** Accettare l'inevitabile. ***
Capitolo 12: *** Il matrimonio si avvicina. ***
Capitolo 13: *** Un matrimonio convenzionale? ***
Capitolo 14: *** Affrontare nuove realtà. ***
Capitolo 15: *** Questione di punti di vista. ***
Capitolo 16: *** Sentirsi impotenti. ***
Capitolo 17: *** Scendere a patti con se stessi. ***
Capitolo 18: *** I nodi vengono al pettine. ***
Capitolo 19: *** Equilibri fragili. ***
Capitolo 20: *** Paura dell'ignoto ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


1.
 
 
Inghilterra, marzo 1067
 
 
Il vento soffiava lento e implacabile dalle alture del Nord, portando con sé suoni e sussurri misteriosi che spezzavano il silenzio irreale del bosco. Le fronde degli alberi spogli, se non per qualche fragile foglia, si muovevano e si piegavano docili ad ogni folata più forte.
Si avvertiva ancora nell’aria l’odore della tempesta notturna, promanava dalle cortecce degli alberi, dalla terra umida, dai ruscelli nascosti nel sottobosco, dalle pietre che lastricavano il vecchio sentiero di pietra.
Pur avendo percorso quella strada centinaia di volte, Lynn si sentì attraversare da un brivido, mentre si addentrava sempre più nella boscaglia. La mente affollata da ricordi lontani e storie secolari di spiriti e druidi, affrettò il passo, raccogliendo la gonna e stringendosi il mantello attorno alle spalle. Pochi metri ancora, e gli arbusti si diradarono, lasciando spazio ad una piccola radura nascosta in cima alla collina. Lynn si lasciò cadere scompostamente sull’erba ancora bagnata. Il suo respiro ansante si mescolava con l’aria fredda, nelle sue orecchie rimbombava il battito accelerato del cuore. Aspettò qualche istante, ferma immobile, in modo che l’affanno e quel pizzico di paura passassero. Una volta ripresasi, si alzò in piedi e s’incamminò verso il capo estremo della radura, dove si trovava una vecchia casupola di pietra. Poteva apparire abbandonata agli occhi di chiunque, ma Lynn sapeva che non era così. Raccolta la chiave nascosta in una fessura vicino alla porta, l’aprì ed entrò. L’interno era buio e odorava di chiuso.
Lynn aprì l’unica finestra, e diede un’occhiata intorno a sé. Non era cambiato nulla dall’ultima volta che lei e Tredan erano stati lì. Il suo arco era appoggiato accanto al focolare, le fiale con le erbe aromatiche erano allineate sul tavolo assieme alle tinture medicinali che lei preparava ogni primavera.
Lì dentro era tutto rimasto invariato, mentre non si poteva dire lo stesso del mondo esterno. Sentendosi assalire da un’ondata di lacrime, Lynn si sedette sul pavimento, ricoperto da una rustica pelle di orso, e lasciò che le sue emozioni represse trovassero sfogo.
Erano trascorsi quasi sei mesi dalla battaglia di Hastings: l’armata normanna, guidata dal re Guglielmo, aveva sconfitto quella anglosassone. Re Aroldo era morto e Guglielmo era stato incoronato re d’Inghilterra. Le terre di chi aveva combattuto contro di lui erano state confiscate e distribuite tra i suoi cavalieri più fedeli, i quali già subito dopo la vittoria avevano iniziato a raggiungere i loro nuovi possedimenti.
Lynn sapeva – tutti al castello lo sapevano – che presto un nuovo signore sarebbe arrivato a Welnfver. Un normanno, che avrebbe preso il posto di suo padre.
I singhiozzi aumentarono, mentre le sue mani si aggrappavano convulsamente al tessuto della gonna. Da quando aveva avuto notizia della sua morte, durante una delle prime battaglie sulla costa, Lynn non aveva mai versato una lacrima, nemmeno al momento della sepoltura. Non perché non ne fosse addolorata, ma semplicemente non l’aveva accettato: nella sua mente, quella notizia si era adagiata in un angolo dimenticato e assopito, tant’è che aveva a malapena reagito. Forse la speranza che suo fratello Tredan fosse ancora vivo, che sarebbe tornato a casa a governare le loro terre, l’aveva sostenuta.
Ma ora tutto era perduto per sempre.
Quella mattina un messaggero le aveva recapitato una missiva da sir Aidan, uno dei più fedeli vassalli del padre. Lynn era riuscita a mettersi in contatto con lui per avere notizie del fratello, e aveva atteso trepidante fino a quel giorno, pregando di ricevere la notizia che tanto desiderava sentire. Tuttavia le sue illusioni si erano sciolte come neve al sole quando le era giunta la risposta: suo fratello, che aveva partecipato alla battaglia di Hastings, risultava disperso.
Il suo corpo non era mai stato trovato.
“ Perché la vita deve essere così crudele?”, pensò Lynn, le lacrime che scorrevano libere sulle sue guance, la testa appoggiata sulle ginocchia. In un attimo, quel giorno, si era resa conto che tutto il suo mondo era finito, per sempre. Suo padre era morto, suo fratello – non riusciva a pensarlo – probabilmente aveva subito lo stesso tragico destino. Ora era rimasta solo lei. Essendo l’unica erede, il compito di guidare il castello ricadeva su di lei, interamente. Un compito per cui non era mai stata educata, né preparata, un compito che non avrebbe mai voluto ricoprire.
Ma non poteva tirarsi indietro: con i normanni alle porte, qualcuno doveva prendersi cura del castello e degli abitanti del feudo. E solo lei poteva farlo.
La ragazza non seppe mai quanto rimase lì a piangere. Quando il dolore aggredisce il cuore, il tempo si dilata e si restringe seguendo l’onda del passato e del presente, dei ricordi e della realtà. Ed essendo impotenti, si può solo lasciarlo scorrere finché l’animo non trovi pace.
Alla fine, mentre il sole cominciava a calare dietro le montagne, Lynn si decise a tornare a casa. Asciugandosi le lacrime rimaste impigliate tra le ciglia, uscì dalla casupola chiudendosi la porta alle spalle. Nascose la chiave nello stesso posto in cui l’aveva trovata. Almeno quel luogo, dove lei e il fratello avevano trascorso la loro giovinezza, doveva restare intatto.
Un appiglio al passato di cui Lynn aveva disperatamente bisogno.
 


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Salve a tutti! Questa è la prima storia che pubblico su questo sito, e sono abbastanza emozionata perché è anche la prima storia che scrivo dopo due anni di blocco creativo. In passato ho scritto diverse fan fiction, ma questa trama mi ronzava in testa da un bel po' e così ho deciso di provarci. 
Ringrazio sin da ora tutti quelli che si fermeranno a dare un'occhiata e chi vorrà lasciarmi un suo parere, ne sarei molto felice, anche se negativo ovviamente, si può sempre migliorare.
Detto questo, spero che il prologo vi abbia almeno incuriosito un po', forse è un po' denso di particolari ma avevo bisogno di definire il quadro in cui si muoveranno i protagonisti della storia. 
Alla prossima!

Francesca

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Capitolo 2
*** Attese e sorprese. ***


2.
 
Il sole stava appena sorgendo, i primi timidi raggi si infiltravano qua e là tra le nuvole fumose che avvolgevano la valle, creando coni di luce che spezzavano l’oscurità della notte.
Nell’accampamento regnava ancora il silenzio, dal momento che tutti i suoi occupanti erano ancora addormentati. Tranne Tristyn.
Avvolgendosi il mantello attorno alle spalle per scacciare i brividi di freddo, si allontanò silenziosamente dai compagni e andò ad ammirare l’alba dalla sommità della collina su cui si erano fermati per trascorrere la notte. Aguzzò la vista per scorgere i dettagli visibili della vallata che si apriva sotto di lui, i boschi che fiancheggiavano un torrente stretto e ripido, qualche radura sparsa qua e là, e in lontananza le vette delle montagne più alte.
Erano trascorsi cinque giorni da quando si erano messi in marcia da Londra, e ormai mancavano poche ore di cammino per raggiungere Welnfver. Finalmente.
Il viso di Tristyn, solitamente imperturbabile, fu attraversato dall’ombra di un sorriso.
Presto avrebbe visto con i propri occhi ciò per cui aveva combattuto e messo a rischio la vita più volte, l’unica cosa che lo aveva spinto ad abbandonare le tiepide terre bretoni per stabilirsi nella fredda e selvaggia Inghilterra.
Era felice, Tristyn, ma non si trattava di quella felicità totale capace di riempire l’animo e il cuore. Non poteva dimenticare tutto quello che era successo prima, che era stato necessario per raggiungere l’obiettivo tanto agognato. Se chiudeva gli occhi, sentiva distintamente il rumore sordo delle spade, le urla dei cavalieri all’attacco e i gemiti di chi era rimasto per sempre su quei campi brulli e desolati. Le sue ferite bruciavano ancora, inasprite non solo dal freddo ma anche dal dolore.
Aveva poco più di vent’anni quando era partito al seguito di Guglielmo, pieno di ideali, di sogni, di speranza di gloria. Da allora erano passati nemmeno due anni, ma quel ragazzo non esisteva più. Per quanto si sforzasse di cercare dentro di sé quello spirito vitale che tanto lo aveva sostenuto, non ne vedeva nemmeno l’ombra. Quella parte di lui era morta con la prima battaglia, con il primo guerriero sassone che aveva trafitto con la spada, con le prime ferite. Ne aveva ricevute tante, alcune non erano neppure guarite del tutto, ma le peggiori, quelle inferte al suo animo, erano ancora aperte, e bruciavano, come se fossero perpetuamente a contatto con il fuoco.
Tristyn era un guerriero, era stato addestrato come tale fin dall’infanzia, e sapeva che in guerra vinceva il più forte. Chi si mostrava debole, chi non reagiva alla violenza con la violenza era destinato a soccombere. Lui ce l’aveva fatta, era sopravvissuto e aveva vinto. Questo avrebbe dovuto ricompensarlo di tutte le sofferenze passate, e in parte era così, a volte riusciva quasi a convincersi che fosse la verità.
Ma quando restava solo, i demoni dentro di sé si svegliavano e gli facevano dubitare di tutto, persino di sé stesso. Che uomo era? Giusto? Saggio? Coraggioso? Oppure era solo un vile assassino?
Un mormorio assonnato, assieme allo sbatacchiare delle scodelle, gli fece intuire che i suoi compagni si fossero svegliati. Il sole era sorto, la valle appariva più chiara e nitida.
Tristyn si schermò gli occhi dalla luce mattutina, guardò verso nord e finalmente lo vide, adagiato in cima a una collina.
Il castello di Welnfver.
 
*
 
La giornata non era iniziata nel migliore dei modi, al castello di Welnfver.
Una volpe, durante la notte, era sgattaiolata nel pollaio e aveva fatto razzia di galline, il capo delle guardie si era sentito poco bene, e sua zia si rifiutava di uscire dalla sua stanza. Di nuovo.
Lynn si premette le dita sulle tempie, cercando di scacciare quel fastidioso mal di testa che l’aveva assalita fin dalle prime ore del mattino. Doveva mantenere la calma. Essere paziente. Una buona signora del castello doveva essere sempre pronta a tenere le redini salde in qualsiasi situazione.
Ebbene, lei in quel momento desiderava solo sellare il suo cavallo e farlo galoppare nella brughiera.
Sentire il vento tra i capelli e sul viso, e dimenticare tutti i suoi problemi.
Tuttavia, una buona signora del castello non lo avrebbe mai fatto.
Bussò per l’ennesima volta alla pesante porta di mogano.
-  Zia Audrey, uscite. Sono due giorni che siete chiusa lì dentro. Dovete mangiare. - la chiamò.
Nessuna risposta.
Vecchia cocciuta.
Lynn bussò di nuovo. – Zia, la cuoca ha preparato la crostata di prugne. Quella che vi piace tanto.- attese, speranzosa. La maniglia si abbassò, e dalla fessura tra la porta e il muro sbucarono gli occhi vispi e sospettosi dell’anziana donna.
- Prugne, hai detto?- chiese, non del tutto convinta.
- Certo, l’ha appena finita di cuocere! Una vera delizia, l’ho assaggiata io stessa. -, rispose Lynn, gongolando tra sé e sé. Niente come la crostata di prugne faceva uscire allo scoperto sua zia, ne era ghiotta come gli orsi del miele.
Finalmente persuasa, la vecchietta uscì dalla stanza, e appoggiandosi alla nipote, scese piano le scale che conducevano ai piani inferiori. Era di bassa statura, esile come un giunco, eppure conservava una forza straordinaria per una donna della sua età. Era astuta come una volpe e aveva una volontà di ferro, che solo Lynn e pochi altro riuscivano a piegare, anche se a fatica.
Quando giunsero in cucina, la ragazza la fece sedere e, come promesso, le diede una fetta di crostata. Almeno avrebbe mangiato qualcosa, per quel giorno. Come riuscisse a stare in piedi stando a digiuno giorni interi era un mistero inespugnabile per chiunque.
“ Almeno un problema è risolto ”, pensò Lynn, mentre si dirigeva verso i cortili interni per verificare il danno provocato dall’ingordigia della volpe.
Ormai era trascorso qualche mese da quando si era presa sulle spalle il compito di amministrare e gestire il castello e le terre che lo circondavano, e per quanto le risultasse pesante e difficoltoso, pian piano si stava abituando a quel modo di vivere. Poiché era sempre stata convinta che non si sarebbe sposata e avrebbe continuato ad abitare al castello, Lynn non aveva mai fatto attenzione a tutte le pratiche necessarie per mandarlo avanti. Fino alla sua morte quel compito era ricaduto su sua madre, e in seguito era passato nelle mani di Tess, la novella sposa del fratello.
Quel passaggio di consegne era parso naturale a tutti, dal momento che Lynn, quando la madre era morta, era ancora troppo giovane e senza esperienza, a differenza della cognata.
Ma con la guerra e la partenza del padre e di Tredan, le cose erano cambiate.
Era lei l’unica erede, e quindi era suo compito amministrare le terre.
Non era stato facile, ma Tess l’aveva aiutata, e continuava a farlo. Senza di lei, probabilmente, Lynn sarebbe riuscita a dare fuoco al castello intero prima ancora di cominciare a prendersene cura.
Canticchiando un motivetto allegro, la ragazza iniziò ad eseguire i suoi compiti e a risolvere i piccoli intoppi quotidiani, come la volpe, il capo delle guardie ammalato e le galline razziate.
La giornata trascorse come molte altre, e solo verso sera Lynn riuscì a ritagliarsi un momento di tranquillità. Distesa sul letto, guardava i raggi del sole al tramonto giocare con le ombre della sua stanza, in una sorta di buffo nascondino. Chiuse gli occhi un istante, lasciando scorrere davanti a sé tutti i pensieri e le emozioni della giornata. Lo faceva sempre, era una sorta di rituale con cui cercava di liberare la mente e l’anima per poter riposare tranquilla. Anche se, a dire il vero, quel giorno ad eccezione della volpe, nulla era stato particolarmente eccitante.
O almeno, così credeva, finché l’urlo della sentinella non richiamò la sua attenzione.

- Cavalieri all’orizzonte!-  




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Ciao a tutti! Intanto, grazie mille alla persona che ha recensito e a tutti quelli che hanno letto e messo la storia tra quelle seguite, sono davvero contenta di essere riuscita a incuriosirvi:) Non volevo aspettare troppo quindi ecco qua il primo vero e proprio capitolo della storia: è ancora introduttivo, spero di non annoiarvi troppo con tutte queste descrizioni, dal prossimo le cose inizieranno ad entrare nel vivo!;) Grazie ancora a tutti, spero che il capitolo vi piaccia!

Un bacione

Francesca

 

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Capitolo 3
*** Le apparenze ingannano. ***


3.
 
 
Lynn si era sempre reputata una ragazza abile nella corsa.
Fin dall’infanzia lei e il fratello si erano sfidati a chi riusciva a raggiungere per primo il loro rifugio segreto, o qualsiasi altra meta delle loro peregrinazioni infantili, ed era sempre stata in grado di tenergli testa.
Ma quel giorno, con i battiti forsennati del cuore che le rimbombavano nelle orecchie, salì le scale di accesso della torre ad una velocità di cui lei stessa si sarebbe stupita, se vi avesse prestato attenzione. Non lo fece, affatto. L’unico pensiero fisso nella mente recava un nome : Normanni.
Arrivata alla sommità della scalinata, i polmoni sul punto di scoppiare per lo sforzo, si precipitò verso il parapetto, lo sguardo rivolto verso est. I raggi morenti del sole primaverile illuminavano la spianata di fronte al castello, facendo scintillare le armature dei cavalieri che, a passo spedito, si stavano dirigendo verso l’altura.
La flebile speranza di Lynn si infranse non appena vide gli stendardi scarlatti con al centro leoni rampanti: il simbolo di re Guglielmo.
Il suo primo istinto fu di fuggire via, ma le sue gambe erano talmente rigide da sembrare che avessero perso la capacità di muoversi. La paura, subdola e sfuggente, iniziò a serpeggiare in lei, mentre osservava il drappello avvicinarsi sempre di più. Attorno a sé, sentiva le urla dei soldati del castello, il rumore delle spade sguainate, gli ordini del capo delle guardie, ma era come se fosse avvolta in una balla di cotone, erano suoni ovattati, quasi lontani.
- Mia signora! – la chiamò una delle sentinelle.  – Dovete ritirarvi nella sala principale. Non è sicuro restare qui.
Riscossasi da quello stato di torpore in cui era caduta, Lynn diede un’ultima occhiata ai cavalieri. Ne contò una trentina, erano numerosi, ma forse le difese del castello avrebbero retto. Dopo la sconfitta dei Sassoni, in tutti i castelli dal confine fino a Londra erano state organizzate misure per proteggersi dall’attacco dei Normanni. In alcuni casi, si erano rivelate sufficienti. Forse anche il loro castello sarebbe rimasto inviolato.
Lynn raccolse le pieghe della gonna e iniziò a scendere giù lungo gli stretti scalini della torre. Una volta giunta nel cortile principale, controllò che tutte le donne e i bambini si fossero rintanati nella parte più interna e sicura del castello e dopo essersene assicurata, ordinò di chiudere le pesanti porte di legno massiccio. Nella sala, inizialmente pervasa da mormorii spaventati, cadde il silenzio.
Fuori si sentivano gli uomini prepararsi a dare battaglia. Qualche grido di avvertimento. Poi più nulla.
Passarono i minuti, ognuno sembrava valere un’ora intera. Tutti tendevano le orecchie, ma nessuno parlava. Nessun suono proveniva dall’esterno.
Lynn, seduta sotto una delle poche e alte finestre della sala, teneva stretta la mano della cognata, cercando di percepire un qualsiasi rumore che le potesse far capire come stesse procedendo la battaglia. Forse non era ancora iniziata, pensò. Oppure, che i Normanni avessero deciso di non attaccare...? Era un’idea assurda, rasentava i limiti dell’impossibile, ma nel momento della disperazione, anche la più piccola speranza, per quanto improbabile, assume un senso.
- Cosa pensi? – le chiese Tess, la voce ridotta a un sibilo. Era pallida, gli occhi pieni di terrore.
-  Non voglio pensare. – rispose Lynn. – Voglio solo che tutto questa finisca il prima possibile.
Il tempo continuava a trascorrere, inesorabile. Ma nella sala, ormai ravvivata solo da qualche candela qua e là, l’ansia e la paura non si placavano. La tensione era insopportabile.
Improvvisamente, Lynn si alzò in piedi. – Non ce la faccio più. Devo sapere cosa sta succedendo là fuori.
- Sei impazzita? Non puoi farlo! E’ troppo pericoloso.- Tess cercò di farla sedere, inutilmente.
Lynn si era già diretta verso la porta di accesso.Facendo meno rumore possibile, riuscì ad aprirla e lanciando un’occhiata di monito alle compagne, uscì.
Nel castello regnava un silenzio funereo.
Facendosi coraggio, Lynn iniziò a percorrere i corridoi deserti. Ad ogni passo sentiva le gambe tremare, ma si impose di mantenere la calma, per quanto possibile. Lentamente, arrivò fino ad un’entrata secondaria, piuttosto nascosta rispetto alle altre, che dava sul retro dell’edificio principale. Ora iniziava la parte più pericolosa.
Uscì, dopo essersi assicurata di essere sola, e si diresse verso il cortile principale, dove erano radunati i soldati. Iniziava a sentire un lieve mormorio, man mano che si avvicinava, ma non fece in tempo a vedere cosa stava succedendo.
Nel giro di un secondo, si ritrovò con la schiena appiattita contro il muro, una mano sulla bocca e un sottile pugnale contro la gola.
- Una parola e sei morta. -
 
*
 
Non era stato difficile introdursi all’interno delle mura del castello.
Come aveva immaginato, tutte le guardie si erano radunate nella piazza antistante il cancello principale, chiuso ermeticamente dal ponte levatoio, e avevano trascurato i punti più deboli del perimetro. Una distrazione di cui loro avevano approfittato più che volentieri.
Fin dal momento in cui aveva saputo che sarebbe diventato il signore del maniero di Welnfver, Tristyn aveva deciso di usare una strategia diversa dall’attacco frontale.
Non voleva spargere inutilmente il sangue dei suoi uomini, né voleva inimicarsi ulteriormente gli abitanti delle terre a lui promesse. Non sarebbe stato facile insediarsi all’interno di una comunità in cui l’odio e la diffidenza per i conquistatori regnavano sovrani, ne era consapevole, e anche i suoi compagni più fedeli. Per cui di comune accordo avevano messo a punto un piano subdolo, forse, ma che, se fosse andato come speravano, avrebbe permesso di evitare un’inutile battaglia.
La maggior parte dei cavalieri si era resa visibile, in modo da allarmare le sentinelle e far confluire i soldati lungo le mura principali, pronti a dare battaglia. Ma il drappello aveva ricevuto ordine di fermarsi a qualche centinaia di metri dal castello, e di creare un diversivo in modo tale che Tristyn e altri pochi guerrieri si introducessero al suo interno e rapissero un ostaggio.
Mentre si aggirava silenziosamente lungo le mura, le orecchie tese per captare ogni singolo rumore, Tristyn si accorse di un lieve movimento a pochi metri da lui. Una porticina, evidentemente un’entrata secondaria, si aprì. Il ragazzo trattenne il fiato, la mano pronta sull’elsa della spada. Passarono pochi secondi prima che da essa sbucasse qualcuno. Una donna. E dalla foggia degli abiti, doveva essere una delle dame del castello.
Tristyn non poté credere alla sua fortuna. Il cielo gli aveva spedito dritto tra le braccia l’ostaggio che stava cercando. Facendo segno ai compagni di restare nella loro posizione, si avvicinò silenziosamente alla sua preda. Al momento opportuno, l’afferrò e la spinse contro il muro, imprigionandola. Anche in questo caso, era stato più facile del previsto.
O almeno così credeva.
Non fece nemmeno in tempo a vederne i lineamenti del viso, che sentì un dolore acuto sotto il ginocchio. La donna non aveva alcuna intenzione di stare zitta e buona, e aveva iniziato a scalciare, cercando di liberarsi dalla sua presa. Era minuta, e molto più bassa di lui, ma aveva una discreta forza per una fanciulla. Tuttavia, non aveva alcuna possibilità contro il cavaliere.
Con due semplici e rapide mosse, le impedì di muovere le gambe e la inchiodò contro la parete, una mano ancora premuta forte sulla sua bocca e il pugnale contro la gola.
- Un solo movimento e sei morta sul serio. – la minacciò.
La ragazza si calmò, e annuì impercettibilmente con il capo. Due occhi chiari, di un verde cristallino, lo fissarono, pieni di paura, ma anche con un lampo di sfida.
Certo che si era trovato una preda riottosa!
Un bisbiglio alle sue spalle gli ricordò che il loro tempo stava scadendo.
Dovevano andarsene da lì, e lei doveva venire con loro. Tristyn allentò la presa del pugnale per poi riporlo lentamente nel fodero, sempre tenendo d’occhio il suo ostaggio. Prima che la ragazza potesse fare un movimento per fuggire, con la mano libera esercitò una leggera pressione sul collo di lei in un punto particolarmente vulnerabile. Nel giro di un secondo, gli crollò tra le braccia, priva di sensi. Senza perdere tempo, se la caricò sulla schiena e raggiunse i compagni.
Qualche minuto dopo, erano fuori dalle mura, in un posto sicuro.
E con la chiave per entrare nel castello.
 




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Salve a tutti! Scusate il ritardo, ma sono stata via in questi giorni e solo oggi sono riuscita a mettere giù le idee che mi frullavano per la testa. Sono stata parecchio a scrivere questo capitolo perché ci tenevo molto a descrivere bene il primo incontro tra i due protagonisti. Spero che il capitolo vi possa piacere, e grazie mille a Elodie90 per la sua recensione, alle persone che hanno messo la storia tra quelle seguite/ricordate e a tutti quelli che l'hanno letta! :)
Un bacione
Francesca

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Capitolo 4
*** Il gioco è bello finché dura. ***


4.
 
Un brusio.
Voci confuse, lontane, avvolte nell’oscurità più totale.
Un clangore di spade, come se qualcuno le stesse affilando.
E poi la luce.
 
Lynn sbatté le palpebre, più volte, prima di riuscire a far abituare gli occhi ai raggi del sole che li solleticavano attraverso i lembi della tenda in cui si trovava.
Sentiva la testa pesante, il collo irrigidito e le gambe deboli. Fece per stiracchiarsi, ancora intontita, ma le braccia non si mossero. Girando il capo, si accorse di avere le mani legate al palo conficcato nel terreno.
La nebbia che le aveva avvolto la mente iniziò a svanire, mentre i ricordi di quanto accaduto vi si riversavano come un fiume in piena: l’assedio al castello, quel silenzio surreale e poi…
La ragazza trasalì, comprendendo dove si trovasse.
Cercando di non farsi prendere dal panico, fece forza sui nodi che le legavano le mani, ma erano talmente stretti che riuscì solo a procurarsi delle escoriazioni sui polsi.
- Devo stare calma. – disse tra sé e sé. Se avesse permesso alla paura di prendere il sopravvento, sarebbe stata spacciata.
Si concentrò nuovamente sulle corde, ma si fermò, non appena sentì un rumore di passi fuori dalla tenda. Un mormorio di voci maschili le solleticò le orecchie per poi svanire in lontananza.
Tirando un sospiro di sollievo, iniziò nuovamente nell’impresa di sciogliere i nodi – chi li aveva stretti sapeva quello che faceva – ed era talmente concentrata e assorta che non si accorse che qualcun altro si stava dirigendo verso la sua prigione.
I lembi della tenda furono spalancati improvvisamente e due uomini entrarono.
Erano giganteschi, armati e con un’aria tutt’altro che amichevole. Lynn si immobilizzò di colpo, dimenticandosi perfino di respirare.
Sentì il loro sguardo attraversarla mentre la osservavano da capo a piedi, quasi volessero memorizzare ogni minimo dettaglio del suo corpo. Questo pensiero non la rassicurò, affatto.
Borbottarono qualcosa tra loro e poi uno dei due, quello più alto, le si avvicinò, una mano stretta attorno a un pugnale.
Lynn non aveva mai pensato alla possibilità di morire. Eppure, in quel momento, mentre i metri che la separavano da quel soldato bretone diminuivano a vista d’occhio, si rese conto che probabilmente avrebbe dovuto farlo, una volta o due. Così facendo, almeno avrebbe potuto memorizzare una frase ad effetto o un pensiero particolare prima di lasciare questo mondo.
E invece, la sua mente era vuota.
“ Quanto sono stata sciocca”, pensò Lynn, e chiuse gli occhi aspettandosi il peggio.
Percepì distintamente il fruscio delle vesti dell’uomo mentre si piegava verso di lei, e il suono muto del pugnale che fendeva l’aria. Tuttavia, rimase sorpresa quando sentì le mani libere dalle corde.
Riaprì gli occhi, giusto in tempo per vedere l’uomo afferrarla per le spalle e trascinarla fuori dalla tenda, senza tante cerimonie. Lynn valutò la possibilità di darsela a gambe ma ogni tentativo di fuga apparve fin da subito inutile, per cui si rassegnò e si lasciò guidare attraverso l’accampamento normanno. La sera aveva iniziato a scendere, ma c’era ancora abbastanza luce e il suo passaggio non passò inosservato. Tutti gli uomini presenti si zittirono, vedendola, e smisero di occuparsi delle loro faccende. Lynn si fece coraggio e mantenne la testa alta, ma dentro di sé sentiva il cuore battere così forte che aveva paura di svenire da un momento all’altro. Percepiva vari sentimenti dietro a quelli sguardi. Curiosità. Disprezzo. Lussuria.
Lynn non aveva idea di cosa le sarebbe successo, e sentiva crescere in sé l’adrenalina, alimentata dalla paura e dal desiderio di sopravvivere. Sentiva l’irrefrenabile desiderio di scrollarsi di dosso quella mano dura e opprimente e correre via finché avesse avuto fiato in corpo. Ma almeno poteva parlare, e per quanto non sembrasse prudente mettersi a discutere con quei due energumeni, non riuscì a trattenersi.
- Dove mi state portando? – chiese, cercando di mantenere un tono di voce fermo.
I suoi carcerieri non le risposero. Probabilmente non parlavano il sassone.
Arrivarono di fronte a una delle tende poste all’estremità del campo. All’apparenza sembrava uguale alle altre, e Lynn si chiese come mai non l’avessero lasciata in quella precedente.
Rimasero fermi in piedi, immobili, per qualche minuto. La ragazza iniziò a sentire le gambe deboli e, come le era successo molte volte in quella lunga giornata, pensò che sarebbe svenuta.
- Perché mi avete portato qui? – riprovò, stavolta in un bretone molto incerto.
Silenzio.
Stava per tornare ad aprire bocca quando una voce nuova s’inserì nella conversazione. O meglio, l’unica che avesse sentito da quando era arrivata lì.
- Sono io che faccio le domande, qui. –
Lynn si voltò, proprio nell’istante in cui gli ultimi raggi di sole filtrarono nella tenda, e poté vedere in volto il nuovo arrivato. Il primo dettaglio che la colpì furono gli occhi. Erano azzurri, quasi color del ghiaccio, e spiccavano nettamente nel viso quasi interamente coperto dalla barba lunga e scura.
L’uomo mormorò qualcosa in bretone al soldato che la tratteneva, e subito la ragazza sentì venire meno la presa sulle spalle.
Finalmente libera, Lynn scrollò le spalle intorpidite.
- Chi siete? -  chiese, rivolgendosi all’uomo.
- Chi siete voi, piuttosto – ribatté l’uomo in tono brusco, mentre si accomodava su uno sgabello decisamente troppo piccolo per la sua mole. Con un’occhiata, fece segno ai suoi uomini di farla sedere, e poi li congedò, sempre parlando in bretone.
Non appena quei due energumeni se ne furono andati, Lynn si sentì allo stesso tempo sollevata e impaurita. Quell’uomo le incuteva più timore, nonostante fosse meno alto e imponente. Erano i suoi occhi, si disse. Freddi come il ghiaccio, la trapassavano da parte a parte come se fosse stata invisibile.
- Allora? – la sollecitò, facendola sobbalzare.
- Lynn – rispose lei, cercando di non far trapelare la paura.
Evidentemente al suo rapitore non bastava.
- E poi? –
Il suo sopracciglio destro iniziò a vibrare. Un segno di rabbia, probabilmente.
- Vivo nel castello. Sono…- tentennò un istante – sono la dama di compagnia di Lady Tess. E’ la moglie di Treidan, il figlio del signore del castello - mentì.
Che Dio e Tess la perdonassero, ma non poteva rivelare al nemico la sua vera identità. Se lo sconosciuto avesse pensato che fosse soltanto un’innocua ragazza del castello, probabilmente l’avrebbe lasciata andare. O almeno, questo era ciò che sperava ardentemente.
Lo sconosciuto la guardò sospettoso.
- E cosa ci facevate fuori dal castello, nel pieno di un assedio in corso?
- Volevo solo controllare la situazione – si lasciò sfuggire lei, pentendosi subito dopo. Quale ingenua fanciulla usciva nel bel mezzo di una battaglia per “controllare la situazione”?
Un ghigno si dipinse sul volto dell’uomo. Evidentemente era giunto alla stessa conclusione.
Cadde il silenzio, solo pochi secondi che a Lynn sembrarono ore.
Poi, prima che potesse solo avere il tempo di gridare, si sentì tirare su in piedi e attirare con uno strattone contro l’uomo.
- Ora basta con le bugie, se ci tenete alla vita. Ditemi chi siete veramente e cosa ci facevate lì fuori -disse a denti stretti. Stava perdendo la pazienza e ora incuteva davvero paura. Soprattutto dal momento che la sua mano destra si era posata sull’elsa del pugnale.
- Io…- Lynn si sentì strattonare con più forza, e la voce le morì in gola, mentre osservava la lama del pugnale avvicinarsi sempre più al suo viso.
- Non potete essere una semplice dama di compagnia. Lo capisco dalle vostre vesti, dal vostro atteggiamento e soprattutto dal fatto che gironzolavate da sola in un momento in cui dovevate essere ben nascosta con le altre donne. Quindi, Lynn – il modo in cui pronunciò il suo nome la fece rabbrividire – il gioco è finito. Voglio la verità.
Col senno di poi, Lynn non avrebbe ceduto facilmente. Ma in quel preciso momento, nonostante la testa le dicesse di non demordere, la paura ebbe la meglio.
E con il cuore pieno di amarezza, confessò tutto.
 
*
 
La sagoma del castello si stagliava contro il cielo plumbeo, silenzioso e inerme come gli abitanti che da due giorni stavano aspettando il loro destino.
Chissà quale doveva essere stata la loro sorpresa nell’apprendere la scomparsa della loro preziosa castellana.
Appoggiato a un vecchia quercia, osservava i suoi uomini mentre smantellavano l’accampamento e preparavano i cavalli per ripartire verso la loro meta. Questa volta però, avevano la loro chiave d’entrata e Tristyn già pregustava il momento in cui avrebbe messo piede nel castello.
Il suo castello.
I suoi pensieri furono interrotti da un fruscio alle sue spalle. All’inizio pensò che si trattasse di un animale spaventato dal troppo rumore, ma cambiò rapidamente idea quando intravide una macchia rossa dirigersi svelta verso l’interno del bosco.
Cercando di evitare il minimo rumore, la seguì, aumentando il passo per raggiungerla.
Piccola ingenua, pensava di scappare con tanta facilità? Evidentemente i suoi uomini non avevano prestato la dovuta attenzione ed era sgattaiolata via, ma che fosse dannato se avesse lasciato andare la sua prigioniera!
Improvvisamente, la macchia rossa si arrestò e si guardò intorno, forse incerta su che strada percorrere.
Tristyn le si avvicinò di soppiatto, per poi afferrarla e stringerla a sé in una morsa.
- Dove credete di andare? – chiese, ma non poté sentire la risposta perché un potente manrovescio calò sulla sua guancia sinistra.
Sconvolto, la guardò, mentre la vedeva rassettarsi le gonne e lanciargli uno sguardo carico di odio.
- Siete un animale! Mi avete rapita, tenuta prigioniera con il ricatto e adesso mi impedite pure di rinfrescarmi? – gridò lei, arrossendo nel dire le ultime parole.
Qualcuno sopraggiunse di corsa sulla scena, il soldato incaricato di sorvegliarla.
- E’ successo qualcosa, mio signore? – chiese, più sorpreso nel vedere lui lì che la ragazza a piede libero.
- Pensavo stesse scappando e l’ho seguita! Dove diavolo eri finito? Credevo ti fosse sfuggita sotto il naso!- rispose Tristyn, massaggiandosi la guancia. Certo che aveva un destro niente male.
- La signora mi ha chiesto un momento di…intimità per adempire alcune…faccende personali – borbottò il soldato – comunque ero qua dietro, se avesse provato a scappare l’avrei raggiunta subito.
- E’ ora di andare. Vai a preparare il mio cavallo – ordinò, e in un secondo l’altro era già sparito nel bosco.
Tra loro cadde il silenzio, anche se solo apparente. Poteva percepire quasi distintamente il rumore dei pensieri di lei e l’odio che nutriva nei suoi confronti.
- Scusatemi – disse.
Lei lo guardò sorpresa.
- Mi sono lasciato guidare dall’istinto e ho agito senza riflettere – le porse la mano, in segno di pace.
Lei restò immobile.
- Dobbiamo partire a breve. E’ meglio se torniamo indietro – continuò lui, avvicinandosi leggermente, la mano sempre tesa.
- Potrei sempre correre via. Voi non immaginate neanche che velocità posso raggiungere, se mi metto d’impegno – ribatté lei, spiazzandolo.
- Mettetemi alla prova, allora – le rispose. Cominciava a trovare quella testardaggine piuttosto divertente. Tanto non avrebbe osato, e…
Fu questione di un attimo. Un secondo prima lei era di fronte a lui, quello dopo era già partita di gran carriera dalla parte opposta dell’accampamento.
Piccola strega!
“ Te la sei voluta tu.”
 
Dopo pochi minuti, Lynn era accasciata contro una pietra, cercando di riprendere fiato. Non sapeva come ma l’aveva seminato, nonostante l’intralcio non indifferente delle gonne lunghe.
“ Brutto asino arrogante, te l’ho fatta!” pensò, orgogliosa più che mai della sua impresa.
Una volta che si fosse ripresa, si sarebbe mossa con cautela e avrebbe cercato la strada per tornare al castello. Fortunatamente la giornata era abbastanza chiara ed essendo mattina, avrebbe avuto tutto il tempo per agire.
Preso un ultimo respiro, si rimise in marcia, attenta a non fare troppo rumore. Va bene essere fiduciosi, ma meglio non rischiare.
Non aveva nemmeno compiuto cento passi che sentì qualcosa di pesante, pesantissimo crollarle addosso sulla schiena e in men che non si dica si ritrovò a terra, immobilizzata, con i due occhi più furiosi che avesse mai visto.
- Non nego che la parte della riottosa vi si addica a meraviglia – mormorò l’uomo dagli occhi di ghiaccio – ma adesso mi avete proprio stancato! Non volete collaborare? Ebbene, allora faremo a meno del vostro aiuto! – e nel dirlo, tirò fuori il pugnale, questa volta brandendolo in maniera molto più minacciosa.
Nonostante l’affanno e le costole indolenzite, Lynn riuscì a rispondere.
- Tanto a cosa vi servo? Pensate che solo perché mi avete in pugno vi lasceranno entrare? Non sono stupidi, e per quanto possano tenere a me, non baratteranno la loro libertà con la mia vita. Quindi procedete pure – le ultime parole erano intrise di lacrime e paura, ma chiuse gli occhi per evitare di lasciar trapelare il suo terrore.
Questa volta era davvero finita.
 
 
Tristyn restò a osservare la sua prigioniera senza dire una parola, la mano ancora stretta attorno al pugnale. Non aveva alcuna intenzione di ucciderla – era sicuro che non appena l’avessero vista, gli abitanti del castello li avrebbero fatti entrare – ma non si aspettava quella reazione. Quelle parole.
Lentamente ripose il pugnale nell’elsa. Lei teneva ancora gli occhi serrati. Tremava come una foglia.
- Siete un’ingenua – mormorò, sollevandosi da lei, senza però perdere la presa sui suoi polsi – abbiamo perso anche troppo tempo – e senza il minimo sforzo la tirò in piedi e se la caricò in spalla.
- Non voglio sentire una parola. Torniamo al campo, si staranno chiedendo dove siamo finiti. E stavolta verrete con me, senza fiatare. Sono stata chiaro? – lei non rispose, ma gli sembrò di percepire la sua testa muoversi in segno di assenso.
Almeno era riuscito a rimetterla al suo posto. Forse sarebbe stata l’unica vittoria, quel giorno, ma, pur non sapendone bene il motivo, lo riempiva di grande soddisfazione.



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Ciao a tutti! Scusate l'immenso ritardo ma questo mese è stato davvero incasinato e ho fatto parecchia fatica a scrivere. Soprattutto, ci tenevo a rappresentare bene il primo vero incontro tra i due protagonisti per cui ho dovuto riscrivere parecchie volte perché non ero mai convinta. Spero che il risultato sia buono e che vi possa piacere:) Ringrazio tantissimo le due persone che hanno recensito tutti i capitoli e anche chi continua a seguire, grazie davvero!
Un bacione
Francesca

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Capitolo 5
*** Tristyn. ***


5.

“ Non sarete mai il signore di Welnvfer. ”
 
Appoggiato al parapetto della torre maestra, Tristyn osservava l’alba sorgere.
Non era riuscito a prendere sonno quella notte, come neppure le precedenti.
Non che fosse inusuale per lui, ma stranamente lo disturbava il fatto di non riuscire a dormire proprio ora che aveva raggiunto il suo obiettivo.
Aveva combattuto per dimostrare al suo re di meritarsi quei possedimenti, due lunghi anni di privazioni e sofferenze, ed ora eccolo lì.
Welnvfer.
Il suono aspro di quel nome rispecchiava perfettamente il luogo che lo portava: pendii scoscesi, boschi selvaggi, il cielo costantemente coperto da nuvole oscure portate dal vento del Nord.
Molti lo avrebbero definito un luogo inospitale, ma Tristyn se ne era innamorato a prima vista.
Non scaturiva dalla maestosità di quella natura selvaggia e sovrana, ne’ dalla sottile bellezza di quel cielo increspato da mille colori ma era qualcosa di viscerale, che gli toccava il cuore nel profondo.
Era la consapevolezza di essere finalmente giunto a destinazione, di aver messo insieme pezzi interi di una vita e aver ottenuto la composizione finale perfetta.
La consapevolezza di appartenere a un luogo il cui richiamo è così forte che non puoi fare a meno di raggiungerlo, in un modo o nell’altro.
E allora perché, se le cose erano andate al loro posto, sentiva quell’inquietudine serpeggiare in tutto il suo corpo?
 
“ Non sarete mai il signore di Welnvfer. ”
 
- Maledizione! –
Quelle parole erano impresse a fuoco vivo nella sua mente.
Per quanto si sforzasse, gli rimbombavano in testa e andavano a toccare parti della sua coscienza che pensava di aver sotterrato per sempre. Non si reputava un uomo cattivo: la vita militare gli aveva fatto capire che nella vita esistevano logiche diverse, dimensioni diverse in cui una persona doveva imparare a giostrarsi. In guerra vigeva una logica matematica, che si basava su un unico binomio interscambiabile, vita – morte e viceversa. Se volevi sopravvivere, dovevi uccidere il tuo avversario. Era un dato di fatto, che ormai Tristyn aveva assodato e aveva accettato.
Eppure ora antichi rimorsi stava riaffiorando, mettendo in crisi le sue convinzioni e le sue certezze.
Se chiudeva gli occhi, poteva vedere distintamente i corpi che aveva trafitto con la sua spada, gli occhi vitrei e spenti, o peggio ancora, illuminati da un ultimo spasmo vitale.
Iniziò a respirare affannosamente, la morsa al petto che si faceva sempre più stringente.
- Tutto bene? – gli chiese una voce alle sue spalle, facendolo sobbalzare.
D’istinto appoggiò la mano sull’elsa della spada, ma la ritrasse non appena riconobbe il nuovo venuto.
Stefan si mise al suo fianco a contemplare la valle illuminata dal sole nascente.
- Che ci fai qui?- gli chiese.
- Non riuscivo a dormire – rispose l’amico, lo sguardo sempre fisso sull’orizzonte – e tu?-
- Avevo bisogno di schiarirmi le idee – mormorò Tristyn, tornando ad appoggiarsi al parapetto.
Rimasero in silenzio per un po’, a guardare l’alba.
Dal momento che il castello era orientato verso est, i raggi del sole avevano già raggiunto l’estremità della vallata, facendo scintillare la brina che ancora ricopriva i prati e i boschi circostanti. Un falco mattiniero volteggiò sopra di loro, prima di gettarsi in picchiata sulla sua malcapitata preda. L’aria era fresca e frizzante e il cielo era privo di nubi.
- Sembra proprio che oggi avremo una bella giornata – commentò Stefan.
- Così sembra. –
- Cosa pensi di fare con la ragazza? –
Tristyn non si aspettava quella domanda.
Rimase in silenzio.
- Verrà messa alla gogna, Tristyn, se non farai qualcosa – continuò l’amico. Ora si era voltato verso di lui e lo stava guardando dritto negli occhi – La gente pensa che sia una traditrice, e lo sa meglio di me che l’accusa di tradimento non si cancella.-
Tristyn continuò a non rispondere.  
- Non so cosa fare – ammise infine, sospirando.
- Non avremmo dovuto rapirla e usarla come ostaggio per entrare nel castello. Ora è emarginata dal suo stesso popolo.-
- Se non avessimo usato quello stratagemma sarebbe finita in un bagno di sangue! Possibile che non lo capisci? Ho solo cercato di comportarmi nel modo più giusto! –
- C’ero anche io quando l’abbiamo catturata, so bene che è stata la scelta migliore. Ma da quando siamo arrivati, tutti la evitano. Rimane chiusa in camera tutto il giorno, solo poche persone le vanno a fare visita. Giù nelle stalle ho sentito chiaramente degli uomini parlare alle sue spalle, e credimi, non sono parole degne di essere ripetute.-
- Cosa dovrei fare? Passare a filo di spada tutti quelli che la offendono? A sentire quello che dici, decimerei gli abitanti di questo posto – Tristyn si passò una mano tra i capelli arruffati. Aveva un’aria tra l’esasperato e lo sconsolato, e Stefan provò pena per lui.
- La sua immagine di castellana è stata compromessa e deve essere riabilitata, nei limiti del possibile. Forse, se la gente capisse il rischio che ha corso per salvare il castello e i suoi abitanti, le voci verrebbero messe a tacere – osservò Stefan.
- E io cosa c’entro in tutto questo? – chiese beffardamente Tristyn.
- Devi parlarle. Non l’hai più vista da quando l’hai scaricata in malo modo dal tuo cavallo davanti al portone principale. Se le mostrassi più rispetto, allora…-
- Da quando ti sei fatto portavoce dell’onore di lady Lynn? Cos’è, ne sei innamorato?- Tristyn non sapeva perché, ma non poteva fare a meno di far uscire il suo lato più pungente quando si parlava di quella ragazzina. Vide Stefan incupirsi, mentre le guance si colorivano di rosa.
Aveva indovinato, quindi.
- E’ una ragazza coraggiosa per essere così giovane, non negarlo. Non merita di finire i suoi giorni chiusa in una stanza, odiata da tutti solo per aver cercato di fare il suo dovere – ribatté Stefan, avviandosi verso le strette scale della torre – pensaci almeno. E sappi che se non farai qualcosa tu, me ne occuperò io – e detto questo, se ne andò.
 
 
Dopo aver trascorso la giornata ad allenarsi con i compagni e a controllare le tenute più vicine al castello, Tristyn si recò nell’ala nobile del castello per rinfrescarsi prima di cena. Era piuttosto stanco, e non vedeva l’ora di riempirsi lo stomaco con la selvaggina che i cacciatori erano riusciti a procurare il giorno precedente.
Salì le scale per raggiungere la sua stanza, e stava per entrarvi quando improvvisamente si voltò verso la parte opposta del corridoio di pietra. In fondo, dietro a quella porta di quercia chiusa a chiave, c’era la fonte principale dei suoi pensieri. Con la sua paternale Stefan gli aveva instillato un’altra sensazione che da tempo non provava: il senso di colpa.
Per tutto il giorno non aveva fatto altro che pensare al giorno in cui aveva visto Lynn l’ultima volta.
Era vero, l’aveva trattata alla stregua di una prigioniera di guerra, ma lei era rimasta sempre silenziosa e non aveva più cercato di fuggire. Aveva sostenuto lo sguardo attonito e sconvolto della sua gente quando erano entrati nel cortile del castello, e non aveva reagito alle parole di scherno che alcuni uomini le avevano rivolto. Doveva ammetterlo, era stata coraggiosa.
Però, se ripensava alle parole che gli aveva rivolto prima di voltargli le spalle e andarsene, sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.
 
  “ Non sarete mai il signore di Welnvfer. ”
 
Bruciavano come una ferita messa sotto sale, ma era consapevole che non poteva permettere che venisse emarginata ulteriormente per una questione personale.
Stringendo i denti, attraversò il corridoio e, preso un respiro profondo, bussò alla porta.
Nessuno rispose.
Riprovò, questa volta annunciandosi.
- Milady, sono sir Tristyn. Aprite, vi prego.-
Non sortì alcun effetto.
Stava già per lasciar perdere, quando nel corridoio vide sopraggiungere Stefan.
- Stai cercando di riconciliarti con lady Lynn? – chiese, un mezzo sorriso che gli piegava le labbra.
- A quanto pare lei non ne ha alcuna intenzione – commentò acido Tristyn, indicando la porta chiusa.
- Mi meraviglierei del contrario – scherzò l’amico, facendosi subito serio dopo l’occhiataccia ricevuta – quindi che facciamo? – chiese.
- Non so tu, ma io me ne andrò a cena – rispose Tristyn.
- E’ tuo dovere assicurarti che lei stia bene, dopo quello che ha passato! Ti ricordo che…- Stefan si interruppe, allarmato – e se si fosse sentita male? Che io sappia nessuno è venuto a vedere come stava oggi, quindi..-
-  Mio Dio, Stefan, sei diventato peggio di una balia da latte! Non capisco perché ti preoccupi tanto per lei – borbottò Tristyn.
- A quanto pare, a te è bastato diventare signore di queste terre per perdere quella poca umanità che ti è rimasta! – ribatté Stefan. La tensione tra i due divenne palpabile, mentre Tristyn stringeva i pugni con forza, valutando se colpire l’amico in viso o nello stomaco. Come osava?
Non ebbe il tempo perché quel pazzo aveva iniziato a prendere a spallate la porta.
- E adesso cosa pensi di fare? – gli chiese, allibito – probabilmente non vuole vederci e quindi se ne sta zitta zitta a farsi due risate. Smettila per favore – gli ordinò.
Stefan diede un’altra spallata alla porta, che scricchiolò sotto quella spinta impetuosa.
- Per l’amor di Dio, Stefan, fermati!- Tristyn fece per afferrare l’amico ma in quell’istante la porta cedette di schianto.
I due si fissarono senza muovere un muscolo.
Poi, visto che il danno era fatto, Tristyn decise di porre fine a quella pagliacciata.
- Milady, con permesso – disse, entrando nella stanza.
Era avvolta nell’oscurità, ad eccezione della luce che entrava dalle finestre. Vi regnava il silenzio più assoluto. Tristyn iniziò a preoccuparsi: con tutta quella confusione chiunque si sarebbe accorto della loro presenza, o quantomeno si sarebbe svegliato.
Avanzò adagio verso il letto, ma rimase senza parole quando lo trovò vuoto.
- Se è uno scherzo, è durato abbastanza – mormorò arrabbiato. Accese tutte le candele della stanza, cercandola in ogni possibile nascondiglio: l’armadio, dietro il paravento, persino sotto il letto.
Di Lynn non c’era alcuna traccia.
Che fosse uscita dal suo isolamento e si fosse unita insieme agli altri per cena?
Scendendo i gradini di corsa, lui e Stefan si precipitarono nella sala da pranzo, dove gli abitanti del castello si erano riuniti per mangiare. Non la trovarono nemmeno lì.
In breve tempo tutto il castello seppe che lady Lynn era sparita. Le guardie iniziarono a perlustrare il cortile e le mura esterne mentre i servitori la cercarono in lungo e in largo all’interno.
- Deve essere da qualche parte – mormorò Tristyn. Pur non volendoci pensare, iniziava a temere che lei avesse commesso qualche sciocchezza.
E lo stesso doveva pensarlo Stefan, dall’occhiata che gli aveva lanciato prima di andare a cercarla.
Il senso di colpa, assieme alla paura, si fece sempre più forte.
Non sopportando di restare lì con le mani in mano, stava per uscire con gli altri quando una voce lo fermò.
- Mio signore, forse so dove potete trovare Lynn.-


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Ciao a tutti! Scusate, scusate, scusate davvero per la lunga attesa! Ho avuto un mese assurdo tra università e altre cose, e come sempre sono stata un bel po' a scrivere questo capitolo perché non ero mai soddisfatta. Non pensavo che scrivere in un'ambientazione storica potesse rendere le cose così complesse, soprattutto quella medievale. Ogni volta cerco di essere il più corretta possibile da un punto di vista prettamente storico, vorrei che il tutto risultasse abbastanza realistico, spero di riuscirci. Grazie mille a tutti quelli che hanno letto, le visite sono aumentate un sacco nonostante la mia vergognosa assenza, veramente grazie! Un ringraziamento particolare alle tre persone che hanno sempre recensito, il vostro parere è molto importante per me per cui ogni commento, anche critico, è sempre ben accetto!:)
Spero che il capitolo odierno vi piaccia, un bacione grande!<3
Francesca
 

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Capitolo 6
*** " Non ti lascerò mai sola." ***


 
Ciao a tutti!
Innanzitutto, scusate davvero la mia assenza. Speravo di riuscire a postare prima ma alla fine il tempo mi sfugge talmente velocemente che nemmeno me ne rendo conto. Forse chi mi segue si accorgerà che ho cancellato il capitolo 6 e l'ho sostituito con uno nuovo. Il motivo per cui sono così in ritardo è anche questo, ho voluto riscriverlo e questo mi ha portato via molto più di quanto pensassi. Quando l'ho pubblicato mi sono lasciata prendere dall'entusiasmo ma poi, quando dovevo scrivere quello successivo, mi sono resa conto che qualcosa non funzionava. Ho come avuto l'impressione di aver affrettato troppo le cose e di aver travolto la trama. Per cui, ecco qua il capitolo sostitutivo.
Magari alcuni di voi che avevano già letto quello precedente saranno un po' delusi, ma spero comunque di conoscere le vostre opinioni, positive o negative che siano, sono sempre ben accette!
Grazie mille e scusate il papiro iniziale!:)






6.
 
 
“Lynn, dove sei?”
 
Le foglie scricchiolano, e i passi si fanno sempre più vicini. 
 
“Lynn, dai, esci fuori.”
 
Sempre più vicini.
 
“Lynn, guarda che se non esci subito ti lascio qui da sola.”
 
Più nessun rumore. I passi si sono fermati.
 
Aspetta di sentire di nuovo la voce, ma nessuno parla più. Se n’è andato veramente.
 
Scivola giù dall’albero sui cui si era nascosta e inizia a correre giù per il bosco.
 
Non può averla lasciata lì da sola. Non lo farebbe mai.
 
Il pendio è sempre più ripido, e per poco non inciampa in una radice sporgente. Continua a correre, gli occhi che le pizzicano un po’ per l’aria fresca un po’ per la paura.
 
Questa volta ha proprio esagerato.
 
Arriva nella radura e la trova vuota. Deserta.
 
Sta per mettersi a urlare, quando qualcuno sbuca alle sue spalle e la fa atterrare malamente sull’erba bagnata.
 
“Tana per Lynn!” 
 
Tredan ride soddisfatto, mentre Lynn si divincola arrabbiata e si rimette in piedi.
 
“Pensavo mi avessi lasciato qui da sola!” grida, ferita.
 
Tredan ridacchia tra sé, ma poi la guarda, con quello sguardo protettivo che la fa sentire sempre al sicuro.
 
“ Non ti lascerò mai sola.”
 
 
Lynn si asciugò gli occhi, mentre raccoglieva rami secchi nel bosco.
L’aria si stava facendo fredda per l’avvicinarsi della sera, e il sole stava iniziando a disperdere i suoi raggi oltre le cime degli alberi. Non poteva attardarsi troppo.
Legò la legna in una fascina e iniziò a farsi strada a ritroso nella boscaglia. Camminava piano, cercando di non fare troppo rumore e allo stesso tempo di percepire qualsiasi suono attorno.
A quanto pareva, non vi era nessuno all’infuori di lei.
Lynn sospirò. Per l’ennesima volta.
Iniziava a detestarlo, quasi quanto piangere.
Eppure, negli ultimi giorni, non era riuscita a fare altro.
Odiava quella debolezza. A volte, faceva fatica a riconoscere in lei la ragazza che era stata un tempo. Dentro di sé aveva sempre percepito scorrere la vita come un torrente in piena, pieno di vortici e cascate, pronto a spazzare via ogni ostacolo che gli si parasse di fronte.
Ora quel torrente era diventato un ruscello silenzioso, quasi invisibile, quel tanto che bastava per andare avanti e sopravvivere.
 
“ Non ti lascerò mai sola.”
 
Lynn chiuse gli occhi, come se quel gesto bastasse ad allontanare quelle parole dalla sua testa.
Da quando era scappata dal castello, quel ricordo la tormentava. Per anni era rimasto nascosto nei meandri profondi della sua memoria e poi qualche giorno prima era riemerso come un fulmine a ciel sereno.
Per quanto si sforzasse, era sempre lì, alleggiava nella sua mente come una nebbia impalpabile e perpetua, simile a quella che stava iniziando a salire da fondovalle.
Paradossalmente, Lynn trovava conforto in quel ricordo perché era talmente vivido che a volte aveva l’impressione di avere Tredan accanto a sé. Sentiva la sua voce mescolata ai suoni del vento, la sua presenza in tutti i posti in cui avevano trascorso insieme l’infanzia. Erano sempre stati inseparabili e anche ora, pur sapendo che probabilmente non lo avrebbe mai più rivisto, Lynn sentiva quel legame permanere, discreto e invisibile agli occhi degli altri ma non ai suoi.
Tuttavia, come ogni ricordo, anche quelli legati al fratello erano destinati a disperdersi sempre più con il passare del tempo, ed era un pensiero inaccettabile per Lynn. Quei ricordi erano tutto ciò che le rimanevano della sua vita precedente, l’unica di cui le importasse qualcosa. Se guardava avanti, non riusciva a scorgere niente per cui valesse la pena battersi. Nemmeno il castello, ormai caduto in mano agli invasori, le appariva più così importante. Si sentiva inutile. E disperatamente sola.
Sbatté gli occhi per scacciare le lacrime e, dopo aver attraversato rapidamente l’ultima parte della boscaglia, si ritrovò nella radura.
Il sole era calato del tutto, e l’oscurità stava prendendo il sopravvento.
La luna iniziava a fare capolino da nubi invisibili che avvolgevano il cielo, e i suoi pallidi raggi facevano brillare di riflessi freddi le cime innevate delle montagne.
Lynn si incamminò verso il capanno da caccia, l’unico posto in cui ormai si sentiva a casa.
All’interno di quelle quattro mura il tempo pareva essersi fermato. Ogni volta che vi entrava aveva la sensazione di scavalcare le barriere della realtà e di trovarsi in un’altra dimensione, accogliente e rassicurante.
Chiuse la porta, inserendo il chiavistello, dopo essersi assicurata che non vi fosse nessuno nelle vicinanze. La radura era ben protetta e solitamente solo gli abitanti della vallata erano a conoscenza della sua esistenza, tuttavia Lynn sapeva di non poter stare completamente tranquilla. Diversi briganti vivevano stabilmente in quella zona e, dopo l’inizio della guerra, avevano iniziato a farsi vedere sempre più spesso anche a valle. La ragazza si fece coraggio e accese il fuoco nel piccolo focolare che fungeva da camino. Le prime scintille scoppiettarono e in poco tempo la stanza fu rischiarata da una tenue luce aranciata. Avvolgendosi in una vecchia coperta, Lynn si accoccolò vicino a quell’unica fonte di calore e si mise a osservare la danza misteriosa, quasi onirica delle fiamme. Come succedeva spesso, bastò questo a tranquillizzarla. I giochi ipnotici prodotti dal movimento sinuoso delle fiamme e lo strepitio della legna secca operarono la consueta magia e ben presto Lynn si addormentò.
 
 
 
“Lynn, dove sei?”
 
Le foglie scricchiolano, e i passi si fanno sempre più vicini. 
 
“Lynn, dai, esci fuori.”
 
Sempre più vicini.
 
“Lynn, guarda che se non esci subito ti lascio qui da sola.”
 
La ragazza reprime una risata, mentre resta nascosta tra le fronde di una grande quercia. 
 
Questa volta non si lascerà ingannare così facilmente. Attende con pazienza.
 
Più nessun rumore. I passi si sono fermati.
 
Si sporge dal ramo su cui si è appollaiata ma non c’è traccia di Tredan.
 
Scivola giù dall’albero e, senza fretta, inizia a scendere lungo il pendio che conduce alla radura.
 
Sa che Tredan la sta aspettando lì.
 
Quando vi arriva, si guarda intorno, facendo finta di niente, e comincia a contare a bassa voce.
 
“Uno, due, tre….”, un fruscio alle sue spalle la fa voltare ma non vede anima viva.
 
“ Quattro, cinque, sei…” di nuovo un fruscio. O meglio, passi che si avvicinano. 
 
Si gira, certa di trovarsi di fronte il fratello ma non c’è nessuno. 
 
“ Va bene Tredan, esci fuori adesso.” dice, non più tanto sicura di sé.
 
Un nitrito spezza il silenzio, seguito dal rumore di zoccoli attutito dal terreno fangoso.
 
Lynn prova a muoversi, ma i piedi sono come incatenati al suolo. 
 
Grida il nome di Tredan, ma dalla bocca non esce alcun suono.
 
Il cavallo si avvicina sempre di più. Ma non è più uno, sono dieci, cento, mille.
 
La radura è diventata un campo di battaglia. Non la vede, ma percepisce attorno a sé le grida dei soldati, il clangore delle spade e l’odore del sangue. 
 
Non vede nulla, ma sa che Tredan è lì, impegnato a combattere. A difendersi. A morire.
 
Non lo vede cadere da cavallo, ma lo sente mentre precipita a terra ferito. 
 
Lo sente, mentre chiede aiuto con voce flebile. 
 
Lo sente, mentre esala il suo ultimo respiro.
 
 
Un gridò svegliò Lynn dai suoi sogni burrascosi, e si rese conto che apparteneva a lei.
Sentiva il cuore battere all’impazzata, mentre gli ultimi strascichi del sonno sparivano nell’oscurità della stanza. Il fuoco si era spento e nel camino erano rimaste solo poche braci, brillanti come lava fusa. Fece un bel respiro, cercando di calmarsi. A tentoni raggiunse il focolare e riattizzò le fiamme, avvolgendosi nuovamente nella coperta. Era attraversata da brividi di freddo e paura insieme.
Puntualmente, sentì le lacrime pungerle gli occhi. Ormai era un’abitudine.
“ Era solo un sogno”, pensò, serrando le palpebre per scacciare l’impulso di piangere.
Provò in tutti i modi a tranquillizzarsi, ma sembrava che avesse perso improvvisamente il controllo del suo corpo. I brividi che la scuotevano non accennavano a diminuire, e aveva l’impressione che il cuore fosse sul punto di esploderle nel petto. Con voce tentennante, iniziò a canticchiare una vecchia ninna nanna scozzese che la sua balia usava sempre per farla addormentare.
E lentamente, molto lentamente, il suo corpo si rilassò. Le palpebre si fecero pesanti e il sonno sembrava essere sul punto di prendere il sopravvento su di lei quando sentì qualcosa.
Un nitrito.
“ Forse sto sognando”, si disse, ciò nonostante si alzò in piedi e aguzzò le orecchie.
Passi. Erano lievi, leggerissimi ma comunque udibili. E si facevano sempre più vicini.
Non essendoci finestre, Lynn non poteva sbirciare fuori per vedere chi fosse. Poteva trattarsi di un animale, con molta probabilità, eppure il suo istinto le suggeriva il contrario.
Senza nemmeno accorgersi, afferrò un pezzo di legno e lo strinse nella mano, con forza.
Attese, il cuore in gola e la mente paralizzata dalla paura.
Sentì la porta scricchiolare per poi aprirsi di scatto, il suo cuore impazzire e le sue braccia sollevarsi e abbassarsi con forza.
E poi il buio.
 
 
La prima cosa di cui si rese conto, quando aprì gli occhi, fu il lancinante dolore alla testa.
Era così martellante, che dovette chiuderli nuovamente. Provò a tirarsi su, ma una mano gli afferrò una spalla e lo rimise al suo posto.
- State fermo – disse una voce.
Poi qualcosa di fresco gli sfiorò la tempia, regalandogli un momentaneo sollievo.
Aprì gli occhi, guardandosi intorno.
La persona accanto a lui si allontanò di colpo e quando riuscì a metterla a fuoco, Tristyn gemette.
- Non posso crederci – borbottò, alzandosi in piedi lentamente e cercando di non perdere l’equilibrio.
La ragazza lo guardò sospettosa da dietro la sedia cui si era rifugiata.
- Volevate uccidermi per caso? Perché ci siete quasi riuscita – osservò lui, massaggiandosi la tempia. Che disonore, farsi prendere alla sprovvista da una ragazzina. Che razza di guerriero era diventato? Non sapeva se gli bruciava più la ferita o l’orgoglio.
- Che cosa volete? – gli domandò, brusca. Teneva ancora in mano quel maledetto pezzo di legno e vista la sua abilità nell’usarlo, Tristyn avrebbe desiderato vederlo bruciare in un bel fuoco piuttosto che sentirselo di nuovo tirare addosso.
- Sono venuto per riportarvi al castello – disse, senza troppi convenevoli.
A dire il vero, mentre la stava cercando nei boschi, aveva pensato a un modo più cortese per farla tornare indietro con lui, ma gli era decisamente passata la voglia di comportarsi da cavaliere.
- Be’, avete fatto tanta strada per niente. Io non vengo – ribatté lei, imperturbabile.
- Non ho alcuna intenzione di stare a perdere tempo dietro a questa sciocchezza, ne ho già sprecato abbastanza – fece per afferrarle una mano, ma lei fu svelta a indietreggiare e ad alzare la sua arma.
- Milady, sto esaurendo la mia pazienza. Abbiamo finito di giocare, adesso voi tornerete al castello, che lo vogliate oppure no! – le ordinò.
Aveva usato il suo tono più autoritario, e sperava ardentemente che funzionasse.
Per quanto l’idea non gli dispiacesse, non aveva alcuna intenzione di trascinarla giù dalla collina con la forza. Era stanco, spossato e voleva solo un letto caldo su cui riposare qualche ora.
- Perché? –
La domanda lo colse di sorpresa.
- Perché volete che torni al castello? – ripeté lei, spazientita. Tuttavia, nel suo tono di voce c’era anche qualcos’altro che sul momento Tristyn non riuscì a riconoscere.
- Forse perché non è consigliabile che una giovane donna se ne stia da sola in una catapecchia in mezzo al bosco. Ditemi, milady, quanto pensavate di restare nascosta qui? – le chiese.
- Rispondete sempre alle domande con altre domande? – ribatté lei.
Ora ne aveva abbastanza.
Con decisione avanzò verso di lei e prima che potesse servirsene, le prese il bastone dalle mani e lo gettò nelle fiamme che ardevano nel focolare.
- Sentite, sono ore che vi sto cercando in mezzo a boschi e radure sperdute, e sono stanco. Potete credere quello che volete sul mio conto, ma non lascerei mai una fanciulla da sola in un posto del genere. E adesso vi prego di seguirmi! – disse, trattenendo a stento la rabbia.
Lynn non disse nulla. Sembrava essere caduta in trance, mentre guardava la sua arma improvvisata venire divorata dal fuoco.
- Milady?- la chiamò Tristyn. Cosa diavolo aveva ora?
- ….qui – vide le labbra di lei pronunciare qualcosa, ma il tono di voce era talmente basso che non udì nulla.
- Che cosa avete detto? – chiese, avvicinandosi a lei.
- Voglio restare qui – mormorò lei, in tono pacato ma risoluto.
Tristyn rimase in silenzio, non sapendo come reagire. Perché doveva essere così testarda, maledizione?
- Milady, ascoltatemi. Non so perché vogliate rimanere in questo posto dimenticato da Dio ma è necessario che torniate al castello. La vostra gente ha bisogno di voi, non potete abbandonarli così.–
- Io non credo proprio. Ormai mi odiano! – ribatté lei, arrabbiata.
- Ma che cosa state dicendo? – Tristyn era piuttosto confuso.
- Non fate finta di non saperlo! E’ tutta colpa vostra!- continuò lei, gesticolando nella sua direzione. Per fortuna che le aveva tolto dalle mani quel bastone, se no chissà cosa gli avrebbe fatto.
“ Ovviamente. Quando mai non è colpa mia?”, pensò lui con ironia.
- Me lo spiegherete strada facendo ma adesso – si piegò leggermente e se la caricò su una spalla, prima che lei potesse reagire in alcun modo – voi venite con me.-
Lynn non la prese bene. Affatto.
Gli tempestò la schiena di pugni mentre la trasportava fino al suo cavallo e cercò di divincolarsi in tutti i modi quando la mise in sella e salì dietro di lei.
- Voi non potete farmi questo! Lasciatemi qui! – gli disse furiosa, mentre lui spingeva il cavallo giù dalla collina al trotto.
Adesso ne aveva proprio abbastanza!
Tirò di colpo le redini, facendola sobbalzare contro di lui.
- Ascoltatemi bene, perché non ho intenzione di ripeterlo ancora. Potrei lasciarvi qui, come tanto desiderate, e tornarmene al castello da solo, anzi, forse avrei già dovuto farlo. Ma ci sono due motivi per cui non posso semplicemente farvi tornare in quella catapecchia a farvi divorare dai lupi: il primo è che non lascio vagare giovani donne sotto la mia protezione in mezzo ai boschi da sole; il secondo è che giù al castello sono ore che tutti vi cercano, terrorizzati che vi sia successo chissà cosa. Quindi, una volta per tutte, finiamo questo capriccio e torniamo a comportarci da adulti – concluse.
Lynn non rispose subito.
Trascorsero almeno una decina di minuti in cui restò in silenzio, immobile, tra le braccia di Tristyn, tant’è che si chiese se non si fosse addormentata.
- Non sono preoccupati per me. Non ha alcun senso – osservò, in tono neutro.
Ecco che ricominciavano le frasi senza senso.
Stava per ribattere ma lei lo interruppe: - “Voi non capite. Mi odiano. Da quando siete entrati nel castello, nessuno osa più rivolgermi la parola. Mi considerano una traditrice. E hanno ragione” – sussurrò, più rivolta a se stessa che a lui.
Tristyn sul momento non seppe come rispondere. Avrebbe voluto negare, ma a ben pensarci anche lui aveva notato come Lynn fosse rimasta isolata e sola dopo che l’avevano ricondotta sana e salva a casa. D’altronde, quello era stato il prezzo da pagare per evitare un combattimento aperto con i soldati, e lui non si era mai pentito per come aveva agito.
- Mi dispiace – disse. Lo era veramente.
Nonostante quella ragazza fosse testarda come un mulo, indisciplinata e con la lingua tagliente, una parte di lui ne provava ammirazione. Sapeva riconoscere un nemico valoroso quando lo vedeva, e Lynn aveva dimostrato più volte il proprio coraggio di fronte a lui e ai suoi uomini.
E adesso, nel vederla così sconsolata e oppressa dal senso di solitudine, qualcosa era scattato in lui.
Il suo animo da cavaliere, forse. O semplicemente compassione.
- Io non vi lascerò mai sola – le promise – Se mai doveste avere bisogno di protezione, aiuto, qualsiasi cosa, venite da me. Non sono un santo, ma mantengo la mia parola, una volta data.–
Si aspettava una battuta tagliente o un’occhiata scettica, ma quando Lynn si girò, si sentì come se qualcuno gli avesse tirato un pugno sul petto.
Gli occhi di Lynn brillavano, pieni di lacrime.
Riflettevano mille emozioni diversi, paura, dolore, stupore.
Era come se lo stesse vedendo per la prima volta, e Tristyn si sentì attraversare da quello sguardo, scavare a fondo nella sua anima come a ricercare la veridicità delle parole che aveva appena pronunciato.
La ragazza non disse nulla. Ma annuì lievemente. L’aveva convinta.
Per il resto del viaggio, rimasero in silenzio, ognuno immerso nei proprio pensieri.
Quando arrivarono in prossimità del castello, Lynn si era addormentata. Aveva appoggiato la testa contro di lui, in una posizione raccolta che non poteva essere del tutto causale.
Cercava sicurezza, protezione.
E adesso aveva capito dove poteva trovarla.

 

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Capitolo 7
*** Compromessi. ***


7.
 
Erano trascorse diverse settimane dal ritorno di Lynn, e la vita al castello aveva ripreso a scorrere tranquillamente, almeno in apparenza.
Si era nel pieno della stagione primaverile, e la maggior parte della popolazione era impegnata a dissodare gli ultimi acri di terra per procedere poi alla semina. L’aria era impregnata di quel fervore tipico dei primi giorni della bella stagione, ed aveva contagiato anche gli abitanti del castello: dalla mattina alla sera si sentivano sbattere tappeti e coperte, le porte venivano tirate a lucido e lasciate aperte per far entrare i raggi del sole, e non era difficile imbattersi continuamente nella servitù intenta a pulire, lucidare e sistemare ogni singola stanza.
Sembrava che le persone si fossero risvegliate dal letargo invernale e che una nuova linfa scorresse nelle loro vene, riempiendoli di energia e vitalità.
Anche per questo motivo Lynn aveva sempre amato quel periodo dell’anno, fin da bambina. L’arrivo della primavera significava poter uscire dalle mura austere in cui doveva rimanere rinchiusa per così tante settimane, correre libera nei prati, raccogliere grandi mazzi di fiori con cui adornare le stanze del castello e soprattutto festeggiare l’equinozio di primavera al villaggio, assieme alla sua famiglia e a tutti gli abitanti della contea.
Come spiegare, quindi, la malinconia che invece l’assaliva nell’assistere al consueto fermento che agitava tutti? Per la prima volta nella sua vita, Lynn si sentiva spenta. Proprio lei, così piena di energia e voglia di vivere, trascorreva le giornate aspettando solo che arrivasse l’imbrunire per coricarsi. Era diventata una reclusa nella sua stessa casa.
Anche in quel momento, sola nella sua stanza, osservava le ombre della notte danzare sui muri, la mente confusa e ovattata prossima ad abbandonarsi al sonno, chiedendosi per quanto ancora sarebbe riuscita ad andare avanti in quel modo.
Stava per addormentarsi quando sentì qualcuno bussare alla porta. La luna era già alta in cielo, chi poteva essere? Titubante, accese una candela, si avvicinò alla serratura, tolse la chiave e vi sbirciò attraverso, cercando di capire l’identità del visitatore.
- Lynn, sono io – mormorò una voce.
Riconoscendola, la ragazza aprì la porta e Tess sgattaiolò nella stanza, silenziosa come una lince.
- Che cosa ci fai qui? – le chiese, chiudendo di nuovo a chiave.
- Avevo voglia di parlarti – rispose la cognata, accomodandosi ai piedi del letto.
- Potevi farlo domani – osservò la ragazza, sedendosi accanto a lei. Non era da Tess gironzolare per il castello durante la notte, affatto.
- Ho pensato che a quest’ora nessuno ci avrebbe interrotte. E poi – si aggiustò la lunga treccia che le cadeva sulla schiena – solo venendo qui ero sicura che non mi avresti evitato, come fai ultimamente.-
Lynn fece per alzare gli occhi al cielo a quell’affermazione, ma l’amica le prese una mano tra le sue e la fissò: - Sono preoccupata per te, Lynn. Non sei più la stessa da quando sei tornata al castello. Cos’è successo? – chiese, rafforzando la stretta in segno di incoraggiamento.
Se c’era una ragazza affabile e gentile, quella era Tess, e fin da quando si erano conosciute, era stata la sorella che Lynn non aveva avuto. Aveva qualche anno in più, e quella saggezza e discrezione nell’esprimersi propri di una donna sposata, eppure non aveva affatto un carattere sottomesso. Era stata lei a insegnarle come gestire la servitù con la giusta fermezza e ad essere una castellana giusta, questo quando avrebbe potuto tranquillamente prendere il suo posto, in quanto moglie di suo fratello. In diverse occasioni l’aveva aiutata a dirimere dispute sorte tra gli abitanti, e ormai tutti ne conoscevano il modo di fare pacato ma determinato.
- Non è successo niente – rispose Lynn, a bassa voce.
- Non è possibile! Sei un’altra persona! E’ stato lui, vero? Ti ha fatto qualcosa e non lo vuoi rivelare. Sapevo che non avrei dovuto dirgli dov’eri nascosta, ma ero così in pena e lui sembrava avere intenzioni onorevoli, mentre invece…-
- Non mi ha toccata, Tess. Non ha fatto niente di quello che pensi – mormorò Lynn, interrompendo quel flusso concitato di parole.
Sua cognata la guardò in silenzio, indecisa se crederle o meno. La ragazza si sentì arrossire, ma sostenne il suo esame senza alcun cedimento.
- E allora cosa c’è che non va? – chiese.
Era una bella domanda.
Come poteva spiegare quella sensazione di vuoto che avvertiva costantemente?
- Non lo so…è come se improvvisamente tutto non avesse più senso e fosse grigio. Non riesco a capire più quale sia il mio posto qui. Per questo me ne ero andata, sapevo che una volta arrivati i normanni sarei stata inutile. E difatti è così – mormorò, liberando la mano e raggomitolandosi sulle ginocchia, come faceva sempre da piccola.
- Non sei inutile, Lynn! Sei la legittima erede al casato e il feudo ti appartiene di diritto. Nemmeno i normanni possono spezzare il legame tra te e questo posto – ribatté Tess.
A Lynn scappò una risata amara. – Sono talmente indispensabile che ultimamente trascorro le mie giornate con le mani in mano. Ovunque vada, nessuno ha bisogno del mio aiuto o dei miei consigli, né la cuoca, né la governante, nemmeno l’ultima delle sguattere. Sanno tutti cosa fare, e non mi guardano nemmeno. Ormai per loro non solo sono una traditrice, ma anche un peso da sopportare!- sbottò, asciugandosi una lacrima.
Almeno adesso era arrabbiata, era quasi confortante poter provare di nuovo qualcosa che non la facesse sentire apatica.
- Qualcuno ha osato di nuovo parlarti in questo modo? Sir Tristyn è stato molto chiaro, quando siete tornati, sei sotto la sua protezione ora. Se tu glielo riferissi, lui sicuramente potrebbe…-
- Potrebbe fare cosa? Riprenderli? Minacciarli? Puoi mettere a tacere le parole, ma non i pensieri. E io percepisco chiaramente dai loro sguardi quello che in realtà passa nella loro mente – ora Lynn si era alzata in piedi, e camminava nervosamente avanti e indietro per la stanza – e onestamente, come dar loro torto? Forse, se non mi fossi fatta catturare così facilmente dai normanni quando ci stavano assediando, il castello non sarebbe caduto così facilmente!-
- Forse qualcuno può pensarlo ma, se ci riflettesse a fondo, chiunque capirebbe che il tuo gesto è stato compiuto con le migliori intenzioni – ribatté l’amica -  e anche se i normanni sono riusciti ad entrare prendendoti come prigioniera, è pure vero che tutti gli abitanti sono rimasti incolumi e al sicuro. E questo perché tu ti sei sacrificata per loro! –
Lynn la vide alzarsi in piedi e dirigersi verso di lei – Sei la persona più leale e coraggiosa che io conosca, e niente e nessuno potrebbe farmi cambiare idea - affermò, stringendola in un abbraccio. Lynn vi si abbandonò per qualche istante, godendosi quell’affetto di cui aveva disperatamente bisogno – Grazie Tess – mormorò.
- Vedrai che supererai questo momento. Tu sei la legittima signora di questo posto, e presto tornerà ad appartenerti, com’è giusto che sia. –
 
*
 
Tristyn si asciugò una goccia di sudore che gli stava scendendo lungo la fronte.
Si sentiva spossato, ma se c’era un momento della giornata che amava, era proprio quello.
Ogni mattina, poco dopo che il sole si era levato, lui e gli altri cavalieri si riunivano nel cortile principale per esercitarsi nel combattimento con la spada. Era utile sia ai veterani per mantenersi in esercizio, sia alle giovani leve per imparare i rudimenti dell’arte della guerra. Era molto faticoso, ma era l’unico modo in cui riusciva a scaricare la tensione nervosa che gli percorreva tutto il corpo.
Tristyn era sempre stato un ragazzo impetuoso e pieno di energie, e ricordava come aveva dovuto imparare a dosare la sua irruenza per riuscire a raggiungere gli obiettivi che si era prefissato.
Nel corso del tempo aveva memorizzato diversi stratagemmi per calmarsi e per non far trapelare la miriade di emozioni che aveva dentro sé, ma era pur sempre un essere umano, e quindi periodicamente si impegnava in qualche attività che lo lasciasse sfiancato e sollevato allo stesso tempo.
- Non dirmi che sei già stanco? – domandò scherzosamente Stefan, vedendolo appoggiato contro una delle mura.
Tristyn sorrise a quella battuta, e inarcò un sopracciglio in modo eloquente: - Sai bene che questo per me è solo un riscaldamento – ribatté, prendendo di nuovo in mano la spada per combattere contro l’amico.
Il rumore stridente delle spade che cozzavano le une contro le altre, le imprecazioni sommesse degli uomini, l’odore di sudore e fatica gli erano così familiari che quasi sembrava fosse di nuovo a casa, ad esercitarsi con il suo vecchio maestro d’armi.
Tirò una stoccata contro Stefan, cercando di farlo indietreggiare verso le mura, ma l’amico la parò, rispondendo al suo attacco.
- Sei particolarmente irruento oggi – commentò, mentre le loro spade seguivano una danza lenta e misurata, quasi in armonia.
- O forse sei tu particolarmente fuori forma – rispose, tornando all’attacco.
- Te lo lascerò pensare – l’amico parò nuovamente un affondo.
Continuarono a duellare, e man mano che andavano avanti i movimenti di Tristyn diventano più veloci e aggressivi. Stefan era abituato a quegli allenamenti estenuanti, ma dopo essersi difeso dall’ennesima stoccata, rallentò.
- Va bene, mi fermerei qui – disse, facendo segno di voler interrompere il combattimento.
- Non ti facevo così debole, l’aria dell’Inghilterra ti sta rendendo una femminuccia – ribatté sarcastico Tristyn.
- Tu invece diventi ogni giorno più arrogante – rispose a tono Stefan, andando a rinfrescarsi la fronte con un panno imbevuto d’acqua fresca.
- Io non la definirei arroganza, ma sicurezza nelle proprie capacità – ridacchiò l’uomo – se non l’avessi, non mi troverei qui, altrimenti. –
- Troppa sicurezza può farti montare la testa – borbottò Stefan, riponendo la spada nel suo fodero – e in questo momento non puoi permettertelo – concluse, incamminandosi verso le cucine.
- Che intendi dire? – chiese Tristyn, seguendolo a ruota. Certe volte rimaneva spiazzato dalle frasi concise e enigmatiche dell’amico. Da quel punto di vista erano completamente diversi, tanto lui era impulsivo e irruento, tanto Stefan era riflessivo e paziente. Si completavano alla perfezione e in cuor suo Tristyn era consapevole di essere riuscito in molte imprese grazie al suo aiuto.
Entrarono nelle cucine, restando in disparte per non farsi vedere da troppa gente. Gli abitanti del castello si stavano abituando alla presenza dei normanni, ma Tristyn aveva deciso di mantenere un atteggiamento defilato, non volendo creare possibili attriti tra normanni e sassoni.
- Ho come l’impressione che per te la cosa più impegnativa fosse conquistare questo posto, ma forse stai sottovalutando l’impegno necessario per mandare avanti un castello e tutte le terre che lo circondano – spiegò Stefan, mentre addentava una pagnotta appena sfornata, osservando di sottecchi e con interesse una delle ragazze intente a preparare le pietanze per la giornata.
- Suvvia, mi stai dicendo che governare una tenuta sia più difficile di combattere una battaglia o assediare un castello? Ma è un’assurdità! – sbottò Tristyn, bevendo un boccale di acqua fresca – e smettila di fissare quella sguattera, o si metterà strane idee in testa – borbottò, notando lo sguardo fisso dell’amico. In effetti, la ragazza aveva alzato gli occhi dal suo lavoro e adesso guardava Stefan con un’espressione a metà tra l’imbarazzo e il terrore.
- Abbiamo combattuto duramente per essere qui, fammi almeno godere lo spettacolo delle bellezze inglesi – rispose, ridendo.
- Non ne ho ancora vista una degna di questo titolo – disse lui, lanciando uno sguardo distratto alle donne lì attorno – comunque sopravvaluti le incombenze che mi spettano. Finora sta andando tutto per il meglio, senza eccessivi sforzi da parte mia – concluse, soddisfatto di aver provato il suo punto di vista.
- Forse perché finora lady Lynn si è occupata di tutto – osservò Stefan, mettendosi a ridere nel vedere l’amico quasi strozzarsi a sentire quel nome.
Tristyn lo fulminò con un’occhiata , mentre riprendeva a bere.
Da quando l’aveva riportata al castello l’aveva incontrata in rare occasioni e, in quel caso, si era limitato a renderle omaggio, come dettavano le convenienze. Onestamente, lui pensava di aver esaurito le cose che doveva dirle quando avevano lasciato il capanno. Come promesso, le aveva assicurato la sua protezione, e lo aveva messo subito in chiaro a tutti, non appena erano tornati al castello, minacciando chiunque avesse intenzione di insultarla nuovamente, e a quanto sembrava, aveva funzionato, visto che non aveva più sentito alcun commento sgradevole su di lei.
- Se una donna è capace di farlo, non vedo come io non possa riuscirci facilmente – ribatté, sbattendo con forza il bicchiere sul tavolo e incamminandosi verso i suoi alloggi.
- Non sottovalutarla, Tristyn. Il suo aiuto potrebbe esserti utile prima di quanto tu pensi – gli gridò dietro Stefan, la voce velata da una risata.
Un’altra frase enigmatica. Per oggi ne aveva sentite abbastanza.
 
*
 
- Maledizione!- sbottò Tristyn, per l’ennesima volta in pochi minuti, gettando gran parte delle carte sparpagliate a terra.
Iniziava a pensare che Stefan possedesse qualche dote profetica, perché erano trascorse ore da quando si era rinchiuso in quella stanza, e ancora non era riuscito a risolvere il problema postogli da due abitanti del villaggio. A quanto pareva, entrambi erano convinti di possedere un terreno posto sul confine tra le loro proprietà e dopo innumerevoli liti erano andati da lui, chiedendogli chi avesse ragione, dal momento che i terreni erano concessi dal signore del castello.
Tristyn ovviamente non lo poteva sapere, ma li aveva rassicurati dicendo che avrebbe saputo dar loro una risposta entro il giorno dopo. In fondo, bastava trovare un documento che riguardasse quel terreno e il gioco era fatto. Peccato che avesse trascorso tutto il giorno a spulciare ogni singolo, dannato angolo della stanza adibita a biblioteca e non avesse trovato nulla.
Migliaia di libri e documenti erano stati raccolti lì dentro, e oltre alla fatica della ricerca, si era aggiunto un problema che Tristyn non aveva considerato: la lingua in cui erano scritti.
Avendo trascorso molti mesi in Inghilterra, riusciva a comprendere a sufficienza l’inglese e stava imparando anche a dire qualche frase di senso compiuto, ma leggerlo era tutt’altra questione. Perché diavolo i sassoni non potevano usare un alfabeto civile e comprensibile? Che significato si poteva dare a tutti quei simboli aspri e incomprensibili che i sassoni definivano “lettere”?
Aveva bisogno di aiuto. Si arrovellò il cervello per qualche minuto, quando improvvisamente si ricordò le parole di Stefan.
 
Non sottovalutarla, Tristyn. Il suo aiuto potrebbe esserti utile prima di quanto tu pensi.”
 
Il ragazzo appoggiò la testa contro la parete, lasciandosi scivolare a terra.
Non voleva chiedere aiuto a Lynn. Ora era lui il signore di Welnfver, santo cielo! Nelle ultime settimane si era dato molto da fare per consolidare la sua posizione all’interno del castello, e i suoi sforzi stavano iniziando a dare i loro frutti. Voleva dare un’immagine di sé forte, non eccessivamente aggressiva, ma soprattutto desiderava dimostrare di essere in grado di gestire il suo nuovo ruolo. Aveva trascorso tutta la vita aspettando questo momento, e non poteva permettersi un solo sbaglio. Forse, però, aveva peccato un po’ di presunzione quando aveva creduto di potercela fare così facilmente.
Tristyn sbuffò, si rialzò in piedi e, prima di pentirsene, uscì alla ricerca di Stefan. Lo trovò all’esterno, intento a supervisionare i lavori di rinforzo delle mura.
- Sei riuscito a trovare quello che cercavi? – gli chiese, curioso.
- Manda a chiamare lady Lynn. Dille che l’aspetto in biblioteca. E – aggiunse, con un tono che non ammetteva repliche – non dire una parola.-
 
*
 
Lynn guardò la pesante porta intagliata di fronte a sé, titubante.
Bussò piano e attese.
- Avanti – abbaiò una voce maschile, dall’altra parte.
La ragazza dovette reprimere un sorriso soddisfatto, ed entrò nella stanza. La prima cosa che notò furono le decine di foglie buttati a terra qua e là, poi il suo sguardo si spostò verso la scrivania, dietro cui se ne stava seduto Tristyn.
- Potete chiudere la porta – disse, facendole segno di accomodarsi di fronte a lui.
Lynn obbedì alla prima richiesta, ma restò in piedi, fissandolo in silenzio.
- Fate come volete – borbottò lui, iniziando a sfogliare un enorme libro pieno di cifre e nomi – vi ho fatto chiamare perché ho bisogno di qualcuno che sappia leggere e tradurmi tutte queste parole, spero di non metterci troppo. Ora, si tratta di…- lei lo interruppe.
- So di cosa si tratta, Stefan me l’ha spiegato mentre mi accompagnava qui – lo vide inarcare un sopracciglio, ma non si lasciò intimorire – è ovvio che avete bisogno di me, anzi, mi sorprende che non mi abbiate fatto chiamare prima, tuttavia…- questa volta fu lui a interromperla.
- Benissimo, allora, così perderemo meno tempo. Dunque, come vi dicevo…-
- Non ho detto che vi aiuterò – le parole di Lynn risuonarono chiare e sonore nella stanza, e lei ebbe la soddisfazione di vederlo ammutolire dallo stupore.
Passò un minuto, o forse anche più, in cui il silenzio calò tra loro. Lei aspettava, immobile, mentre lui sbatteva le palpebre a intermittenza mentre la guardava sconvolto.
Alla fine, Tristyn riuscì a riprendere la capacità di parlare: - Non pensavo di avervi prospettato una possibilità di scelta – disse, cercando di mantenere un tono di voce calmo.
- Lo sto facendo io ora – ribatté Lynn – ci ho pensato a lungo, e credo che la mia proposta soddisferà anche voi. Io vi aiuterò con tutte le incombenze relative alla lettura dei documenti e dei libri contabili, e in cambio voi mi farete riavere il mio posto nel castello – scandì le parole con cura e con sicurezza, anche se in cuor suo non aveva tutta quella spavalderia che stava dimostrando, ma era l’ultima opportunità che vedeva per poter tornare ad avere un controllo sul castello e un contatto diretto con la sua gente.
Tristyn rimase in silenzio, guardandola come se fosse impazzita.
- Credo di non aver capito bene – disse infine.
- Io invece penso abbiate compreso perfettamente – ribatté lei – suvvia, sapete benissimo che avete bisogno del mio aiuto, non conoscete la lingua e non avete molta esperienza nella gestione di un castello. La mia offerta soddisfa entrambi come vedete – accennò persino un sorriso, tutto pur di convincerlo.
- Questo è un maledetto ricatto!- sbottò lui, alzandosi in piedi di colpo e facendo cadere la sedia dietro di sé. Era più imponente di quanto ricordasse, ma Lynn riuscì a rimanere ferma nella sua posizione.
- Io lo definirei più un accordo favorevole a tutti e due – insistette. Non poteva alzare le mani su di lei, non lì almeno, se non voleva affrontare una ribellione interna, pensò.
- Vorrà dire che chiederò a qualcun altro. Non mi piegherò mai a questa richiesta! – ribadì lui, il tono di voce piuttosto arrabbiato, ora.
- Nessuno meglio di me conosce questo posto, e ho aiutato mio padre a tenere i libri contabili, le rendite e a occuparsi di tutte le questioni di proprietà fin da quando ero una ragazzina. Cosa vi costa? Temete forse che, riabilitandomi agli occhi degli abitanti di questo posto, io possa minare la vostra posizione? Siate razionale! – gli disse, cercando di controllare il tremore nella voce.
Era così vicina ad ottenere quello che desiderava, perché quell’uomo cocciuto non dava il suo consenso e basta?
Tristyn grugnì, o almeno così le parve, mentre la fissava in cagnesco, le mani appoggiate sulla scrivania, il corpo proteso verso di lei quasi a volerle saltarle alla gola. Poi, come d’incanto, lo vide rilassarsi di colpo e mettersi di nuovo a sedere con un sospiro.
- D’accordo – mormorò, passandosi una mano sul volto, quasi aver preso quella decisione gli avesse tolto ogni energia.
Lynn dovette trattenersi dal mettersi a gridare per la felicità.
- Ho la vostra parola? – chiese, trepidante.
- Avete la mia parola – ripeté lui, con un tono molto meno entusiasta del suo – ora però, per l’amor del cielo, venite ad aiutarmi con questi incartamenti. Domani quegli uomini torneranno e ho promesso loro che avrei risolto il loro problema – concluse, spazientito.
Lynn si accostò alla scrivania e, silenziosamente, iniziò a scorrere i vari documenti, fermandosi ogni volta che trovava qualcosa di interessante o anche semplicemente per spiegare a Tristyn i meccanismi alla base del funzionamento di tutto il feudo.
Non seppe quanto rimase lì con lui, ma quando finirono, ebbe come la sensazione che si fosse instaurato un fragile legale basato sul rispetto reciproco. Entrambi volevano la stessa cosa – la fiducia della gente del castello – e per ottenerla dovevano collaborare.
Dopo settimane, Lynn finalmente vide una luce nei giorni che l’attendevano.
Sperava solo che non si spegnesse prima che lei potesse fare qualcosa per raggiungerla.




Salve a tutti! 
Dopo tre mesi, rieccomi, come sempre con immenso ritardo. Mi dispiace davvero molto essere così poco costante, ma non ho molto tempo a disposizione, e per questo capitolo in particolare ho avuto un po' di problemi di ispirazione. Ho sempre paura di risultare poco credibile, ed essendo la prima storia di ambientazione storica, ci metto molto di più. Voglio ringraziare la mia amica Eleonora per i preziosi consigli, soprattutto questa volta sono stata provvidenziali:)
Detto questo, ho visto che comunque le visite sono continuate a salire, e volevo ringraziarvi tantissimo per questo, non pensavo che questa storia potesse interessare così tante persone. Un ringraziamento speciale ai miei due recensori di fiducia, i vostri commenti mi aiutano molto a capire cosa ne pensate:)
Sperando vi piaccia, mando un bacio a tutti!

Francesca


 

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Capitolo 8
*** Scontrarsi e (r)incontrarsi. ***


8.
 
 
Northumbria, giugno 1067
 
 
 
Faceva particolarmente caldo, quel giorno.
Lynn si asciugò l’ennesima goccia di sudore dalla fronte, mentre continuava a camminare lungo la strada che conduceva al castello.
Il sole cadeva a picco sulla vallata, riempiendola di luce e calore e facendo scintillare tutti i minuscoli corsi d’acqua che serpeggiavano tra i campi verdeggianti e ricchi di messi in piena fioritura.
Se il tempo avesse continuato a essere così clemente, probabilmente quell’anno i raccolti sarebbero stati abbondanti e sarebbe stato più facile affrontare l’inverno successivo.
- Sarei dovuta andare al villaggio a cavallo – borbottò la ragazza, arrancando su per la salita che la separava dall’entrata del maniero e dal refrigerio della sua stanza.
Finalmente raggiunse il cancello, e subito le guardie la fecero passare, salutandola con rispetto.
Ancora qualche metro e finalmente si sarebbe liberata di quelle vesti pesanti che la stavano soffocando, e poi…
- Milady! –
Lynn alzò gli occhi al cielo, trattenendosi dal pronunciare parole sicuramente non degne di una dama ma che sarebbero calzate a pennello in quell’occasione.
Prendendo un bel respiro, si voltò per ritrovarsi faccia a faccia con Stefan e il suo volto sorridente.
- Buongiorno – lo salutò, schermandosi gli occhi per ripararli dai raggi del sole.
Iniziava a detestare il caldo, decisamente.
- Buongiorno – l’uomo ricambiò il saluto, chinando rapidamente il capo – siete di ritorno dal villaggio? – chiese, con tono educato.
- Sì, mi sono recata là questa mattina, ora vogliate scusarmi ma ho proprio bisogno di darmi una rinfrescata - fece per voltarsi ed entrare, ma fu nuovamente fermata dalla voce di Stefan.
- Sir Tristyn desidera la vostra presenza nella biblioteca. Per la questione dei Townsed, ricordate? E’ molto urgente, a quanto pare, per cui se volete seguirmi vi accompagno da lui - disse, conciliante e con il consueto sorriso affabile.
- Dite pure a sir Tristyn che lo raggiungerò più tardi. Sono molto stanca e ho bisogno di riposare un po’, per cui ora mi ritirerò nei miei alloggi. Non ci metterò molto – gli disse lei, educatamente ma con fermezza.
- Ma, milady, Tristyn ha detto che si tratta di un problema piuttosto importante, e la vostra presenza è quantomeno necessaria – ribatté lui, guardandola negli occhi con espressione grave.
Lynn ridacchiò tra sé, ci voleva ben più di uno sguardo del genere per farla demordere dalle sue intenzioni. Tuttavia aveva imparato a conoscere Stefan e la sua testardaggine, e non aveva alcuna voglia di stare lì a discutere con lui.
Decise di giocare d’astuzia.
- D’accordo, se le cose stanno così, allora andrò subito da lui. Ma prima – finse di avere un capogiro e si appoggiò contro il muro – non potreste portarmi un bicchiere d’acqua? La camminata deve avermi sfiancato più di quanto pensassi – mormorò, usando il tono di voce più lamentoso che le riuscì.
- Certamente! Aspettatemi qui, torno subito – rispose sollecito lui, allontanandosi in direzione delle cucine, poco distanti.
Prima che Stefan potesse accorgersene, Lynn sgattaiolò dentro il castello e corse verso le sue stanze il più velocemente possibile. Un po’ le dispiaceva averlo ingannato, ma in quel momento nessuno, nemmeno il potente sir Tristyn, l’avrebbe potuta separare da un bel bagno rinfrescante.
*
 
Se c’era una cosa che Tristyn amava dell’estate, era il caldo.
Adorava sentire il calore del sole penetrare nella pelle e scaldargli le ossa, lo faceva sentire vivo.
Mai come quell’anno aveva bramato l’arrivo della stagione estiva, dopo il lungo e rigido inverno inglese.
Peccato fosse costretto a rimanere chiuso ore e ore in biblioteca per occuparsi di mille faccende di cui il più delle volte non capiva nulla. Non c’era giorno in cui non ci fosse un problema da risolvere o una disputa da dirimere. Iniziava seriamente a rimpiangere i tempi in cui il suo unico dovere era allenarsi ore e ore a combattere, in quel modo almeno trovava uno sfogo fisico alla sua innata iperattività.
Qualcuno bussò alla porta.
Finalmente.
- Entrate pure – disse, senza alzare lo sguardo dai documenti che stava, senza grandi risultati, cercando di decifrare – vi stavo aspettando. Dovete aiutarmi a…- incominciò, ma presto s’interruppe – dove diavolo è? – sbottò, vedendo che Stefan si era presentato da solo.
- Ambasciator non porta pena – scherzò l’amico, alzando le mani in segno di resa.
- Perché non è qui? – domandò Tristyn, piuttosto alterato.
Era tutta la mattina che stava aspettando che Lynn tornasse dal villaggio per dargli una mano e la sua pazienza si era esaurita.
- Lady Lynn mi ha detto di essere piuttosto stanca e di comunicarti che ti raggiungerà dopo che si sarà un po’ riposata. E’ sparita dalla mia vista prima che potessi fermarla – gli spiegò, senza scendere nei dettagli, sarebbe stato troppo imbarazzante.
- E quindi io dovrei aspettare che Sua Grazia sbrighi le sue faccende personali prima di venire ad aiutarmi? Col cavolo! Sono stato troppo morbido con quella ragazzina, ed è solo colpa tua! – borbottò, chiudendo con un colpo secco il libro che stava leggendo.
- Colpa mia? – rispose incredulo Stefan – E perché mai? –
- “ Devi essere paziente con lei, Tristyn”, “ è poco più che una ragazzina, Tristyn” me lo hai ripetuto allo sfinimento da quando siamo arrivati qua. Ebbene, sono stanco di avere pazienza! Sono sceso a patti con lei, le ho dato il mio appoggio per farle riavere il suo posto di signora del castello, e in cambio lei che fa? Non si presenta quando le ho ordinato espressamente di venire ad aiutarmi! – sbottò.
Stefan lo guardava esterrefatto, quasi gli fosse spuntata un’altra testa.
- Suvvia, stai esagerando, lady Lynn ti ha aiutato moltissimo da quando siamo qui – gli fece notare – senza di lei probabilmente le cose sarebbero molto più complicate, e poi non è mica un tuo soldato, la devi trattare come una gentildonna – concluse, in tono pacato.
- Per favore, non cominciare di nuovo con la storia della povera dama indifesa. Ma non hai ancora capito che dietro quel faccino angelico si nasconde una piccola volpe? E’ astuta come pochi, e vi fa piegare tutti come fuscelli al vento – rispose, sogghignando nel vedere Stefan arrossire, punto nell’orgoglio.
- Dimentichi che si è trovata da sola a gestire un castello e un’invasione del giro di pochi mesi? Ammetterai che non dev’essere stato facile per lei – cercò di blandirlo Stefan.
Certe volte odiava l’abilità dell’amico nel saper rivoltare le conversazioni sempre a suo vantaggio, soprattutto quando si metteva a fare la parte del cavaliere dall’armatura scintillante a difesa dei deboli.
 - La vita non è mai facile, Stefan. Si è trovata in una situazione difficile, certo, ma adesso il castello è di nuovo al sicuro, e ha un uomo su cui fare affidamento e a cui deve obbedire – ribatté, alzandosi dalla sedia e marciando verso la porta.
- Dove stai andando? – gli chiese l’amico, prima di capire le sue intenzioni – Non puoi farlo, aspetta un…- ma Tristyn era già lontano.
A quanto pareva, quel giorno nessuno lo voleva ascoltare.
Sospirando, Stefan seguì l’amico.
Chissà perché, ma aveva l’impressione che si stessero profilando grossi guai all’orizzonte.
 
 
*
 
 
Lynn sospirò soddisfatta, appoggiando la testa contro il bordo della tinozza.
Sentiva l’acqua fresca lambirle la pelle, lavando via tutta la polvere e il sudore che l’avevano tormentata quella mattina, mentre era al villaggio.
Fuori si sentiva il cinguettio degli uccelli, il sole riempiva la stanza di mille riflessi e Lynn si sentiva veramente in pace.
Da quando Tristyn l’aveva aiutata a riprendere il suo posto all’interno del castello era sempre molto impegnata, più di prima poiché ora doveva anche trascorrere ore intere in biblioteca con lui per aiutarlo a leggere tutti i documenti e a comprendere come funzionasse il feudo.
Probabilmente era il momento della giornata più pesante perché loro due non andavano molto d’accordo. Si rispettavano, e davanti agli altri abitanti del castello cercavano di comportarsi in maniera educata e civile, ma quando erano soli i loro caratteri orgogliosi si scontravano in continuazione. Lynn cercava di non reagire al suo modo di fare autoritario e dispotico, ma certe volte la trattava alla stregua di un soldato, soprattutto quando si irritava perché non capiva quello di cui si stavano occupando. E lei non amava farsi mettere i piedi in testa, per cui la maggior parte delle volte i loro incontri finivano con uno dei due che se ne andava, sbattendo la porta.
Stiracchiandosi nella tinozza, chiuse gli occhi un istante, solo un minuto ancora per riprendere le forze e poi avrebbe raggiunto quell’uomo insopportabile.
Gli sembrava quasi di sentire la sua voce, stava diventando una presenza costante…
- Lady Lynn! –
Per la sorpresa la ragazza scivolò nella tinozza, finendo con il viso sott’acqua.
“ Ma che diavolo...?”
- Aprite subito questa porta! – ordinò sempre la stessa voce.
- Che cosa devo fare, milady? – le chiese Winfrid, la sua cameriera, terrorizzata.
- Aiutami ad asciugarmi, svelta – le disse lei, uscendo dall’acqua e lasciandosi avvolgere in un telo asciutto. I capelli ancora bagnati gocciolavano sul pavimento, mentre Winfrid li tamponava alla bell’e meglio, cercando di non ingrovigliarli più di quanto non lo fossero già.
- Milady, se non aprite, entrerò da solo – annunciò l’uomo al di là della porta, in tono sempre più arrabbiato.
Winfrid la guardò con occhi sbarrati.
- Non preoccuparti, non oserà. E’ pur sempre un cavalier…- Lynn stava rassicurando la ragazza, quando un suono agghiacciante, proveniente dalla porta, la interruppe.
Si girò a guardare in quella direzione, ma quello che vide – o meglio chi vide – la lasciò paralizzata dallo stupore.
Avrebbe voluto reagire come qualsiasi donna in una situazione del genere, mettendosi a urlare e andando a nascondersi dietro il paravento, ma non ci riuscì. Accanto a lei, Winfrid lasciò cadere a terra il telo bagnato, e si coprì la mano con la bocca, soffocando un urlo.
Lynn rimase immobile, infagottata nel telo di stoffa, a guardare sconvolta ora la porta spalancata ora chi ne era stato il responsabile. Tanto le sue gambe erano rigide e fredde tanto il viso era accaldato, probabilmente era diventato dello stesso colore dei suoi capelli.
Provò a parlare ma dalla sua bocca non uscì niente. Forse si era pure dimenticata di respirare.
Tristyn la guardava con la stessa espressione scioccata, quasi avesse visto un fantasma.
Sentì il suo sguardo scivolare lungo tutto il suo corpo, nascosto da un sottile strato di tessuto e nient’altro, dall’alto al basso, e poi di nuovo puntato sul suo viso.
- Io…- iniziò balbettando, sempre fissandola negli occhi – Io volevo…- ma a quanto pareva anche lui aveva perso il dono della parola.
Era come se il tempo si fosse fermato e non ne volesse sapere di andare avanti.
- Tristyn, per l’amor di… oh, Signore! - la voce di Stefan ruppe quello strano momento.
Lynn si riscosse e andò a nascondersi di corsa dietro il paravento, Tristyn si girò di scatto, andando a scontrarsi con l’amico, e Winfrid si mise a piangere, disperata.
- Milady, sono estremamente dispiaciuto, ho provato a fermarlo, ma…- si scusò Stefan, voltato rigorosamente di spalle e rosso per l’imbarazzo.
- Non preoccupatevi – riuscì a rispondere lei, ben nascosta dietro il paravento.
Un istante prima aveva avuto l’impressione di non respirare neppure, adesso l’aria le riempiva i polmoni quasi stessero per scoppiare, tanto che si dovette sedere sul pavimento.
La sua percezione divenne ovattata, le orecchie preda di un’insopportabile ronzio, e quasi non sentì tutta la confusione che regnava al di là del suo rifugio.
Le ci volle qualche minuto per riprendersi completamente.
Quando finalmente guardò oltre il paravento, Tristyn era scomparso.
 
*
 
Il tramonto stava calando su Welnfver, portandosi via gli ultimi momenti di quella giornata di prima estate.
Tristyn osservava la valle davanti a sé, appoggiato al parapetto della torre, ma in realtà non vedeva i giochi di luce accendere le acque del ruscello, né le chiome degli alberi mosse dalla brezza serale in un’invisibile e coordinata danza.
Vedeva lei.
Quell’immagine gli si era stampata in testa e non riusciva a cancellarla, per quanto avrebbe dovuto farlo – non sapeva come avrebbe fatto a guardarla di nuovo senza immaginarla nuda  - come anche avrebbe voluto dimenticare tutto quello che aveva fatto negli istanti precedenti.
Tristyn era una persona impulsiva, da sempre.
Lo sapeva lui, e lo sapeva suo padre, che fin dall’infanzia lo aveva affidato a precettori dal pugno di ferro, in grado di domare quel carattere ribelle e impetuoso. Ci erano riusciti, altrimenti non sarebbe mai potuto diventare un buon soldato. Aveva imparato a chinare il capo davanti ai suoi superiori, a obbedire agli ordini, giusti o sbagliati che fossero, a ingoiare il suo orgoglio.
Tutto questo per raggiungere il suo obiettivo, e ora era proprio lì, davanti ai suoi occhi.
Nei suoi sogni più sfrenati, Tristyn si era visto come un signore giusto e saggio, amato dalla sua gente. Invece, almeno fino a quel momento, si era comportato nel modo opposto, soprattutto con Lynn. Non ne comprendeva il motivo, ma quella ragazza faceva uscire quel lato di lui che tanti si erano prodigati a plasmare.
Forse era la sua sfrontatezza, il suo atteggiamento ribelle così inconsueto in una donna.
Lo faceva impazzire il fatto che lo sfidasse così apertamente e non stesse al suo posto, quasi lo facesse al solo scopo di irritarlo. E non capiva perché Stefan la difendesse così tanto, solo lui la vedeva per quello che era?
Eppure ciò che era accaduto quel pomeriggio l’aveva fatto ricredere.
Su tutto.
Per la prima volta aveva visto la ragazzina che era in lei, e che effettivamente era.
Nel suo sguardo attonito aveva scorto l’innocenza e la fragilità di una persona diventata donna troppo in fretta, uno sguardo così diverso da quello che normalmente sfoggiava con tutti.
Tristyn aveva avuto la sensazione che qualcuno gli avesse tirato un pugno in pieno stomaco, e non gli era ancora passata del tutto. Voleva essere un uomo ammirevole e giusto, e invece si comportava come un balordo. Era questo ciò che era diventato?
Sentì dei passi dietro di sé, ma non si voltò neppure.
Sapeva di chi si trattava.
- Non ho voglia di parlare, Stefan – disse, continuando a guardare un punto fisso davanti a sé.
- Io credo che dovremmo farlo, invece – gli rispose una voce, ma non era quella di Stefan.
Tristyn non si voltò subito.
Era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, in quel momento.
Tuttavia era un soldato, e non aveva intenzione di indietreggiare davanti a quella situazione, per quanto si sentisse divorare dalla vergogna.
Quando si girò, Lynn era di fronte a lui, in attesa.
Si era cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista – e ci sarebbe mancato altro – e indossava una lunga e semplice veste che le arrivava fino ai piedi.  I capelli rossi sembravano incendiati dalla luce del sole al tramonto, e gli occhi verdi spiccavano limpidi e determinati nel suo viso da ragazzina.
Acconciata in quel modo sembrava di nuovo la solita Lynn, ma ora aveva visto oltre le apparenze e non gli sembrava più così invincibile.
- Non ho scuse per il mio comportamento di oggi – le disse lui, in tono contrito, senza avere il coraggio di guardarla.
- No, non ne avete – rispose lei, imperturbabile.
Lui alzò lo sguardo, confuso.
- E allora perché volete parlare, se non volete accettare le mie scuse? – chiese.
- Non devo necessariamente accettare le vostre scuse per parlare con voi – ribatté lei.
- Penso di non seguirvi, allora – osservò lui.
Questa era decisamente una strana conversazione.
- Ho parlato con Stefan, poco fa. Mi ha raccontato quello che vi siete detti oggi – iniziò lei – e forse dobbiamo rivedere il nostro accordo…- s’interruppe bruscamente, non appena vide l’espressione sconvolta di lui.
- Non volete più aiutarmi? Sapete che non posso gestire tutto questo da solo, sto appena imparando la lingua! Come ha osato Stefan venire a parlare con voi? Lo…- attaccò, concitato.
- Sapete, se per una volta steste ad ascoltare senza interrompere forse riuscireste a capire qualcosa!- sbottò lei, incrociando le braccia al petto.
- Avete ragione. Scusate – le fece cenno di andare avanti.
- E’ evidente che non andiamo molto d’accordo, ma io vi rispetto. Come soldato, come comandante e come uomo. Avreste potuto uccidere me e la mia gente e invece ci avete risparmiati. Per questo ho deciso di aiutarvi, perché so che potrete fare buone cose per questo posto, cose che io non potrò mai fare – le ultime parole erano velate di amarezza, ma lui non disse niente – però se volete che il nostro accordo funzioni, dovete cercare di non trattarmi come un vostro soldato perché non lo sono. Non posso esservi d’aiuto se vi irritate in continuazione e non ascoltate quello che vi dico, o se perdete la testa perché non mi presento subito al vostro cospetto. E’ tempo sprecato, e con i tempi che corrono non possiamo restare con le mani in mano. Capite quello che vi sto dicendo? – chiese dubbiosa, accorgendosi che lui non aveva più proferito parola.
Tristyn la guardava attonito, strabiliato dalla capacità di quella ragazza di trasformarsi.
Un momento gli sembrava una monella impertinente, quello dopo una fanciulla innocente e adesso una donna matura e sicura di sé.
- Ho parlato troppo veloce? – gli domandò, perplessa.
A Tristyn scappò un sorriso, mentre quella sensazione di pesantezza che gli aveva imprigionato lo stomaco si dissolveva.
- No, ho capito e avete ragione. Sono stato eccessivamente rude con voi, e senza motivo. Vi chiedo perdono. Almeno queste scuse le potete accettare? – chiese, allungando una mano in un gesto di riconciliazione.
Lynn lo fissò per qualche secondo, incerta, ma alla fine strinse la mano alla sua, senza dire niente.
Ma Tristyn sapeva che l’aveva perdonato.
- Ora è meglio andare a cena, se non vogliamo restare a digiuno fino a domattina – disse lei, liberando la mano dalla presa, e dirigendosi verso le scale della torre.
- Lynn – la chiamò.
 Lei si girò, sorpresa.
- Pensate di poter accettare anche le scuse per quello che è successo oggi pomeriggio? – le chiese, arrossendo leggermente.
Lynn finse di pensarci su, prima di rispondere.
- Credo di sì – rispose, alla fine, facendogli tirare un sospiro di sollievo – E, comunque, mi auguro di non essere stata la prima donna che avete visto svestita – disse, e prima che lui potesse pronunciare una sola parola, era già sparita.
Tristyn, rimasto in un primo momento esterrefatto, quando realizzò quello che aveva detto, si mise a ridere.
Sì, quella era stata sicuramente la conversazione più strana della sua vita.



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Ciao a tutti!:)
Questa volta ho cercato di postare il prima possibile, anche perché con il periodo degli esami che si avvicina il tempo per scrivere temo diminuirà:(
Ci tengo molto a questo capitolo perché lo considero abbastanza importante per il proseguo della storia e soprattutto per l'evolversi del rapporto tra Lynn e Tristyn.
Grazie mille a tutti quelli che leggono e hanno messo la storia tra le seguite/preferite e ricordate, oltre ovviamente ai miei cari recensori, è sempre un piacere leggere le vostre opinioni e idee, sono molto importanti per me, per cui se volete lasciare anche solo un breve pensiero mi renderete molto felice:)

Un bacione a tutti
Francesca


 

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Capitolo 9
*** Abbagli e incomprensioni. ***


9.
 
 

Il sole non si era ancora levato, ma Lynn era già sveglia quella mattina.
Aveva trascorso la notte a girarsi e rigirarsi nel letto, presa da un’inquietudine cui non era ancora riuscita a dare una spiegazione, e i pochi momenti in cui aveva ceduto al sonno le avevano regalato poco sollievo.
Per questo motivo, non appena la prima luce diurna si era infiltrata nella sua stanza, aveva deciso di rinunciare a prendere sonno e di uscire a prendere una boccata d’aria fresca.
Dopo essere scesa dal letto ed essersi rinfrescata, si infilò un abito di lana leggera sopra la tunica di lino, si legò i lunghi capelli in una treccia stretta e si avvolse in un mantello scuro.
Per precauzione, decise di portarsi dietro il piccolo pugnale che le aveva regalato il fratello quando aveva compiuto sedici anni, anche se sperava di non doverlo usare. Dopo il rapimento da parte dei Normanni, aveva imparato a portarselo dietro ogni volta che si allontanava troppo dal castello, ed era proprio quello che aveva intenzione di fare quel giorno.
Senza far troppo rumore, uscì dalla sua stanza, facendo attenzione a chiudere la porta in modo che nessuno si accorgesse della sua assenza, sgattaiolò lungo il corridoio del piano nobile e prese una scorciatoia che conduceva direttamente alle scuderie.
Come aveva sperato, a quell’ora gli stallieri dormivano ancora, per cui non ebbe difficoltà a raggiungere la sua giumenta la quale, non appena la riconobbe, lanciò un nitrito felice.
Lynn si affrettò a zittirla, accarezzandole piano il muso e sussurrandole parole dolci, e continuò a mormorare quella strana litania anche mentre la sellava e la faceva uscire dalle scuderie.
Ora veniva la parte difficile.
Lynn si avvicinò a uno dei cancelli presieduti dalle guardie. Da quando erano arrivati i Normanni, le difese erano state notevolmente rinforzate e nessuno poteva uscire o entrare in maniera indisturbata.
- Chi è là? – l’apostrofò una delle guardie, non appena la scorse nella penombra.
Un soldato sassone. La fortuna era dalla sua parte.
- Sono io Garrett – gli rispose, scoprendosi il capo in modo che potesse riconoscerla.
Lynn lo conosceva sin dall’infanzia, poiché era il capo della guarnigione del castello ed era anche stato uno dei maestri d’armi del fratello. Quando era bambina e passava le ore a osservare il fratello allenarsi, l’uomo aveva insegnato anche a lei a tirare con l’arco e i rudimenti della scherma, avendo compreso il suo grande desiderio di imparare.
- Lady Lynn – il tono di voce dell’uomo si addolcì, pur velandosi di rimprovero – dovreste essere nel vostro letto, a dormire. La signora di un castello non se ne va in giro all'alba – l’ammonì, con un’occhiata severa.
- Lo so, ma non riuscivo a dormire. E poi non ho intenzione di andare lontano, non correrò alcun pericolo – lo rassicurò.
Lynn sapeva che Garrett si sentiva in colpa per aver permesso ai Normanni di rapirla e non si era mai perdonato per quella mancanza. Da allora era diventato ancora più protettivo nei suoi confronti.
Anche troppo, per i suoi gusti.
- E dove avreste intenzione di andare, esattamente ? – le chiese, sospettoso – non è sicuro che ve ne andiate in giro da sola, a quest’ora soprattutto! Se proprio volete uscire da qui, vi farò accompagnare da uno dei miei soldati– decise.
- Non è necessario, Garrett! Ti prometto che starò attenta, e tornerò prima di mezzogiorno, non starò via molto. Ho solo bisogno di fare una cavalcata per svagarmi un po’. Per favore – lo pregò, guardandolo con occhi dolci, come faceva sempre da bambina per ammorbidirlo un po’.
L’uomo la squadrò, indeciso sul da farsi, ma alla fine capitolò.
- A mezzogiorno vi voglio vedere di nuovo qui, intesi? Altrimenti la prossima volta vi farò scortare dall’intera guarnigione anche se doveste solo andare al villaggio! – l’ammonì, burbero.
Ce l’aveva fatta.
- Grazie Garrett, sapevo che avresti capito – Lynn lo abbracciò di slancio, ignorando i borbotti imbarazzati del soldato, saltò in sella e, non appena il cancello fu aperto e il ponte abbassato, si lanciò al galoppo giù per la strada sterrata che conduceva al fiume.
“Libera, finalmente!” esultò tra sé e sé, mentre lasciava correre il cavallo tra l’erba alta e ancora fresca di rugiada.
Il sole stava sorgendo a est, rischiarando l’intera valle con una luce soffusa e tenue che insieme alla nebbia mattutina le conferiva un aspetto quasi ultraterreno e onirico.
Lynn adorava Welnfver, e non riusciva ad immaginare un luogo al mondo altrettanto bello.
Come si poteva non rimanere rapiti di fronte alla maestosità delle montagne che si stagliavano alle spalle della vallata, o davanti all’eleganza delle colline disseminate qua e là, che degradavano placidamente verso est, al punto che nelle giornate più limpide si riusciva a scorgere persino l’azzurro accesso del mare in lontananza?
Facendo rallentare la giumenta, si avvicinò alle rive del fiume e scese a terra, lasciandola brucare in libertà mentre lei si dedicava a una delle sue attività preferite: raccogliere le erbe selvatiche.
Fin da bambina Lynn era stata affascinata dal mondo dell’erboristeria e dal fatto che una semplice piantina potesse, a volte, salvare la vita di un uomo. Crescendo, aveva imparato l’arte di essiccare le erbe più comuni e, ogni anno, preparava tinture e impacchi medicamentosi, soprattutto per l’inverno. Quell’occupazione era una delle poche cose che la facevano svagare completamente ed era l’unico rimedio efficace contro i suoi momenti di inquietudine, sebbene non ne avesse mai capito bene il perché.
Canticchiando, Lynn prese a tagliare via rametti di menta, camomilla ed erica e a riporli in un sacchetto di lino. Si prospettava una bella giornata, e iniziava già a sentirsi meglio.
Una lieve e rinfrescante brezza si era levata, facendo frusciare le foglie degli alberi in una sorta di melodia antica e ipnotica.
La ragazza era quasi tentata di distendersi per godersi quel momento di tranquillità, ma non aveva molto tempo a disposizione prima di dover tornare al castello e non poteva sprecarlo in pennichelle sulla riva del fiume.
Raccolte le ultime erbe, chiamò con un fischio la sua cavalla che trotterellò allegra verso di lei, dandole un buffetto con il muso in segno di saluto. Gliel’aveva donata il padre, poco prima di partire per la guerra e, dal momento che era uno dei pochi ricordi che le erano rimasti di lui, Lynn le era molto affezionata.
Una volta montata in sella, le fece costeggiare il corso d’acqua fino a un piccolo guado, per poi farle prendere la strada lastricata in pietra che si addentrava nel bosco. L’aria si era già fatta più calda, per cui Lynn accolse con piacere la frescura offerta dalla fitta coltre di alberi. Faceva procedere la giumenta più lentamente, in modo da poter evitare eventuali ostacoli sul terreno.
Era quasi giunta a destinazione quando un rumore secco alle sue spalle la fece trasalire.
Un ramo spezzato.
Facendo finta di niente, continuò per la sua strada, ma anche la cavalla si era innervosita e sbuffava di tanto in tanto, inquieta. Aveva avvertito la presenza di qualcuno.
Lynn le diede una carezza affettuosa sul muso, cercando di tranquillizzarla.
E fu in quel momento che lo sentì di nuovo. Un altro ramo spezzato.
Qualcuno la stava seguendo.
“Maledizione!” pensò, facendo aumentare la velocità dell’andatura.
Il monito di Garrett le risuonò nelle orecchie, ma si sforzò di ricacciare l’ondata di panico che stava per assalirla. Forse si trattava di un animale. Non che la tentasse l’idea di affrontare un cinghiale inferocito ma nel capanno aveva un arco e, se fosse riuscita a prenderlo, avrebbe potuto cercare di difendersi con quello.
Ma se si fosse trattato di una persona, la situazione si faceva notevolmente più complicata.
Per fortuna la radura apparve presto ai suoi occhi, con il capanno in lontananza, e in pochi istanti giunse a destinazione. Fece per scendere da cavallo quando sentì alle sue spalle un chiaro rumore di zoccoli.
Si sentì gelare il sangue nelle vene, mentre nella sua mente si rincorrevano immagini di briganti, disertori o Normanni sanguinari, Tuttavia si fece coraggio, scivolò giù dalla sella brandendo il pugnale che aveva portato con sé e non appena sentì l’altro cavallo fermarsi, si girò puntandolo contro il suo aggressore, pronta a difendersi a qualunque costo.
- Potete metterlo giù, Lynn. Sono io – le disse il suo inseguitore, accennando un inchino con il capo.
- Stefan! Volevate farmi morire di paura? – ribatté lei, abbassando le braccia e portandosi una mano sul cuore che batteva impazzito.
- No, volevo solo assicurarmi che non vi succedesse niente durante la vostra escursione mattutina – le rispose serafico, scendendo anche lui da cavallo.
Lynn lo guardò, perplessa.
- Garrett mi ha avvisato subito dopo che avete lasciato il castello e non è stato difficile rintracciarvi – le spiegò, mentre beveva un sorso d’acqua da una borraccia – effettivamente oggi è una bella giornata per una passeggiata a cavallo – ammise, con un sorriso.
- Come ha potuto Garrett fare questo? Non poteva succedermi niente! – esclamò Lynn, punta sul vivo. E dire che si era fidata di quel vecchio guastafeste!
- Avrei fatto lo stesso al suo posto, non è prudente che ve ne andiate in giro da sola per i boschi, milady – osservò Stefan – pensate se non fossi stato io a seguirvi ma un bandito o un malintenzionato, come avreste agito a quel punto? – le chiese.
- Avevo un pugnale – disse, ostentando una sicurezza ben lontana da quello che aveva provato qualche momento prima, ma non dovette sembrare molto convincente vista l’occhiata sarcastica che le rivolse Stefan – va bene, forse non me la sarei cavata in maniera brillante, ma avevo bisogno di uscire per stare un po’ per conto mio – rispose, a mo’ di spiegazione.
- Avreste potuto farvi accompagnare da qualcuno così avrebbe potuto difendervi, in caso di necessità – le disse lui, e stava per continuare la sua predica quando la sua attenzione fu attratta da qualcosa – che cosa avete lì? – chiese curioso, notando il sacchetto gonfio che portava legato alla cintura.
- Oh, queste? Sono erbe raccolte questa mattina, le uso per preparare decotti e rimedi curativi in vista dell’inverno – gli spiegò – vengo fin quassù perché è dove tengo gli strumenti di lavoro – disse, accennando al capanno alle sue spalle.
- Capisco – Stefan lo osservò assorto qualche istante – immagino siate venuta per dedicarvi alla vostra attività. Vorrà dire che vi aspetterò qui, fintantoché non avrete finito – le disse.
- Non è affatto necessario… - iniziò Lynn, tuttavia capì che era fiato sprecato non appena lo vide andare a distendersi all’ombra di un albero poco lontano.
Stefan era davvero irremovibile, quando prendeva una decisione.
Con il cuore ancora in subbuglio per lo spavento preso, entrò dentro la vecchia casupola e si mise all’opera. Come sempre, quell’attività minuziosa e ripetitiva l’assorbì completamente, facendole perdere del tutto la cognizione del tempo e dello spazio.
Quando Stefan bussò alla porta, Lynn ebbe quasi l’impressione di essersi risvegliata da un sogno ad occhi aperti.
- Scusate l’intrusione, ma dovremmo tornare al castello – le disse, restando sulla soglia della porta.
- Certamente, non mi ero accorta che si fosse fatta così tardi – rispose lei, iniziando a riporre i suoi attrezzi.
Lo sentì entrare titubante e fermarsi accanto a lei.
- Così è questo il rifugio in cui vi eravate nascosta quando eravate sparita dal castello – mormorò, guardandosi intorno.
Lei annuì, un po’ imbarazzata al ricordo dell’ultima volta in cui era stata lì.
- E’ un bel rifugio – ammise lui, sempre con educazione.
Lynn si mise a ridere.
Non capiva come facesse, ma Stefan trovava sempre le parole giuste da dire al momento opportuno.
- Sì, lo è. Io e mio fratello venivamo sempre qua a…- Lynn si interruppe di colpo, mentre una morsa di dolore le catturava il cuore. Non parlava mai di Tredan. Con nessuno, nemmeno con Tess.
Non che non volesse, semplicemente non ci riusciva.
- Eravate molto legata a vostro fratello, vero?- le chiese, piano.
- Sì…sì – rispose lei, annuendo nervosamente.
- Vi capisco, anche io ero molto affezionato a mio fratello Bastien – disse lui, guardandosi le mani, quasi non sapesse da che altra parte guardare. Leggendo la domanda inespressa negli occhi di Lynn, continuò – è morto combattendo ad Hastings. Non ho potuto fare niente per salvarlo – mormorò, chinando il capo in modo sconsolato.
Senza che nemmeno se ne accorgesse, Lynn si scoprì a prendergli una mano tra le sue, in segno di conforto.
- Siete riuscito a cavarvela e a sopravvivere. Penso che sarebbe stato molto contento di questo – gli disse, con un sorriso incoraggiante nonostante sentisse i propri occhi lucidi.
Stefan la guardò, ricambiando la stretta della sua mano prima di lasciarla andare – Grazie per le vostre parole – sospirò.
- Era il vostro unico fratello? – gli chiese, pentendosene subito dopo – mi dispiace, è stato indelicato da parte mia – si scusò, mortificata.
- Non preoccupatevi, è una domanda legittima. Ho due fratelli più grandi, loro sono rimasti a vivere in Francia – le rispose Stefan – mi sarebbe piaciuto avere una sorella, ma si vede che non era destino – aggiunse, scherzosamente.
- Le sorelle possono essere fonte di molti guai – ribatté lei, più rilassata – da bambina non riuscivo a stare mai ferma ed ero piuttosto maldestra, tuttavia ogni volta Tredan mi difendeva e si prendeva la colpa al posto mio – ammise, ricordando quei momenti ancora così vividi nella sua mente.
- Se avessi avuto una sorella, avrei voluto che fosse proprio come voi – disse Stefan, sorridendole.
Lynn alzò lo sguardo, stupita, non sapendo cosa rispondere. Non capendo bene nemmeno il perché, si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie. Era forse un complimento, quello?
Avrebbe voluto chiederglielo, ma Stefan si stava già dirigendo verso la porta.
- Adesso è ora di rientrare, prima che mandino qualcuno a cercarci – le disse – vado a preparare i cavalli, vi aspetto fuori – e detto questo, uscì, lasciandola sola e un po’ frastornata da quel momento di comunanza reciproca.
Lynn si scoprì a sorridere come una sciocca, mentre la sua mente continuava a ripercorrere le parole di Stefan ininterrottamente.
“ Riprenditi Lynn, per l’amor del cielo!” si disse, scuotendo la testa quasi a voler scrollarsi di dosso tutta quell’euforia.
Finì di riporre via i vari sacchetti con le erbe, spense le ultime braci nel camino e dopo essersi assicurata che tutto fosse in ordine chiuse la porta a chiave.
Mentre saliva a cavallo, si rese conto che quella sensazione di disagio che l’aveva accompagnata per tutta la notte si era dissolta come per magia.
E pur non sapendone bene il perché, era sicura che in parte il merito fosse di Stefan.
 
 
*
 
 
Il sole aveva raggiunto il punto più alto nel cielo, il che significava una sola cosa: era mezzogiorno, e lady Lynn non era ancora tornata al castello.
“ Questa volta non gliela farò passare liscia, poco ma sicuro” disse tra sé e sé Tristyn, mentre usciva a passo di marcia fuori dal castello.
Nel cortile interno, preda di un via vai di soldati, contadini e servitù, individuò Garrett, il capo delle guardie, e gli fece cenno di avvicinarsi.
- Sono tornati?- gli chiese, simulando una calma che non possedeva.
- Non ancora signore – la voce dell’uomo era sconsolata – non avrei dovuto lasciarmi convincere così facilmente! E se le fosse successo qualcosa? Non potrei mai perdonarmelo – disse, asciugandosi una goccia di sudore dal capo canuto.
- Sono sicuro che Stefan l’ha trovata e che sono sulla via del ritorno – cercò di consolarlo, azzardandosi a dargli una pacca sulle spalle in segno di conforto.
L’uomo gli lanciò uno sguardo stranito e si allontanò, ma almeno non avrebbe ricominciato a piangersi addosso e a dargli il tormento.
Per lui, l’unica colpevole in questa storia era Lynn.
Tristyn non sapeva più cosa fare con lei.
Dopo il loro chiarimento sulla torre, avvenuto due settimane prima, si era convinto che finalmente le cose avrebbero iniziato a funzionare nel verso giusto. Ed effettivamente era stato così: Lynn si era prodigata ad aiutarlo ogni volta che ne aveva avuto bisogno, gli aveva insegnato a leggere il sassone e i rudimenti della scrittura, tant’è che ormai Tristyn iniziava ad avere una certa dimestichezza con quella lingua aspra e difficile.
Tutto stava filando liscio come l’olio, e quella mattina si era svegliato di buon umore, fino a quando
il capo delle guardie non lo aveva avvisato di quello che aveva combinato Lynn.
Per quanto lui stesso avrebbe voluto andare a recuperare la piccola fuggiasca, aveva preferito mandare Stefan, ben più diplomatico e cortese di quanto mai avrebbe potuto esserlo lui in quella situazione.
“ Questa volta sarò irremovibile, è l’ultima volta che mi faccio ingannare da quella volpe travestita da donna” si ripromise.
Un rumore di zoccoli lo fece voltare e vide Lynn e l’amico entrare al galoppo nel cortile.
“ Dio sia lodato!” pensò, pregustando la ramanzina che le avrebbe fatto.
Pensava l’avessero scorto, ma gli passarono davanti senza degnarlo di un’occhiata.
- Avete barato – gridò lei rivolta all’amico, scendendo con grazia dalla sella – se non aveste guadato il fiume, sarei arrivata prima di voi – esclamò, rassettandosi la veste impolverata.
- Non avevate detto che non si potevano prendere scorciatoie, la prossima volta stabiliremo delle regole più precise – le rispose Stefan, ridacchiando, imitandola.
Continuarono a scherzare tra loro, senza accorgersi che Tristyn li aveva raggiunti.
- Buongiorno, milady – la chiamò, attirando la sua attenzione.
Subito Lynn si voltò verso di lui, ammutolendo di colpo.
- Buongiorno – rispose con voce tranquilla, ma era evidente che fosse consapevole di essere nei guai.
- Come vedi l’ho riportata sana e salva – si intromise Stefan, frapponendosi tra loro due ed esibendo il solito sorriso bonario.
“Non questa volta, amico mio” pensò Tristyn.
- Sì, lo vedo. Avete gradito la vostra passeggiata mattutina? – le chiese, scansando l’amico e tornando a guardarla faccia a faccia.
- Immensamente – ribatté lei, mettendosi sulla difensiva – anzi, se volete scusarmi credo proprio che andrò a cambiarmi. Con permesso – accennò un inchino e schizzò verso la porta veloce come una lepre, ma Tristyn fu più svelto e l’afferrò per un braccio.
- Non così in fretta. Noi due dobbiamo parlare – disse, trattenendola.
- Dopo sarò ben lieta di parlare con voi, di qualunque cosa desideriate – ribatté lei, sfilando il braccio dalla sua presa – ora scusatemi – e questa volta fuggì via in pochi istanti.
Sentì Stefan ridacchiare alle sue spalle e lo fulminò con un’occhiata.
- Non è divertente! – sbottò – questa volta ha superato il limite e non la passerà liscia – e detto questo tornò dentro il castello, piuttosto risentito.
- Suvvia Tristyn, alla fine è andato tutto bene. Non dico di lasciar correre ma non puoi nemmeno punirla a pane e acqua per un mese – scherzò l’amico, passandosi una mano tra i capelli leggermente arruffati dal vento. Era impressionante come tutto in Stefan, persino l’aspetto fisico, fosse sempre ordinato, anche dopo una cavalcata sotto il sole.
- Poteva accaderle qualsiasi cosa mentre era là fuori da sola! Buon Dio, credevo che essendo stata rapita pochi mesi fa avesse maturato maggior assennatezza e invece mi ritrovo a mandare i miei soldati a cercarla in giro per i boschi! Quella donna mi farà impazzire – borbottò, lasciandosi cadere su una delle poltrone davanti al camino spento.
- Forse devi ancora imparare a conoscerla – osservò con calma Stefan, sedendosi nella poltrona accanto alla sua.
- La conosco anche fin troppo bene! – ribatté Tristyn – e smettila di difenderla sempre, stai diventando noioso – disse, in tono seccato.
- Cerco solo di essere gentile con lei – rispose Stefan – a mio parere, quella ragazza ha solo bisogno di parlare con qualcuno e di svagarsi un po’. –
- Io le parlo ogni giorno, e in quanto allo svagarsi nessuno le vieta di farlo, anche se preferirei che si svagasse dentro le mura del castello, dove la posso tenere d’occhio – quella conversazione lo stava innervosendo, come accadeva tutte le volte in cui lui e l’amico si mettevano a discutere di Lynn.
Un sospetto iniziò a serpeggiare nella sua mente.
- Aspetta un momento. Non ti sarai mica invaghito di lei? – esclamò.
- Che cosa? – l’amico lo guardò stupefatto – sei impazzito, per caso?
- Sii onesto con me, Stefan! – lo ammonì Tristin.
- Non ho idea di cosa tu stia parlando! – ribatté lui, esterrefatto .
- E allora perché ogni maledetta volta che ne parliamo la difendi a spada tratta, anche quando sai bene che è nel torto? – gli disse, alzandosi in piedi  - o parliamo di come ve la stavate ridendo poco fa in cortile – gli disse, sarcastico.
- Sei completamente fuori strada, Tristyn – disse Stefan, lanciandogli un’occhiata fredda – abbiamo solo fatto una corsa a cavallo, non ci vedo nulla di male. –
- Be’, io sì. Andiamo Stefan, ho visto l’intesa che c’è tra voi , il modo adorante con cui ti guarda e come cerca la tua protezione ogni volta che è nei guai. Chiunque se ne accorgerebbe – continuò Tristyn, imperterrito.
- Sai perché Lynn si appoggia a me? Perché forse sono l’unico che prende le sue difese, quando ne ha bisogno!  – sbottò Stefan, imitandolo e alzandosi in piedi in modo da guardarlo negli occhi.
- Lynn è sotto la mia protezione – ribatté Tristyn, avanzando verso di lui – e non venirmi a dire che non è così perché da quando ho messo in chiaro le cose nessuno ha osato dire una parola contro di lei!- quasi gridò.
Stefan stette zitto, non potendo negare quell’affermazione.
- Santo cielo, è uscita dal castello all’alba e senza scorta! In una delle regioni più instabili di Inghilterra! Come puoi prendere le sue parti? – sbottò Tristyn, sempre più basito – Non riesco a capirti. -
- Non sto prendendo le sue parti. Ha sbagliato ed è giusto che se ne renda conto. Ma dovevi vederla oggi, Tristyn! Dopo mesi interi in cui è stata costretta a prendersi carico di tutta questa situazione finalmente l’ho vista dedicarsi a qualcosa che le piace davvero. Sembrava un’altra persona, tanto era felice e rilassata. –
Le parole di Stefan per un istante gli riportarono in mente l’immagine di Lynn nella sala da bagno.
Giovane, innocente, estremamente vulnerabile.
Si sentì arrossire e cercò di distogliere la mente da quel pensiero
- Può svagarsi entro i confini del castello – insistette .
- Andiamo, ti sembra tipo da starsene chiusa tutto il giorno a ricamare? Lynn non è così! – ribatté Stefan.
- Tu invece sai bene com’è, a quanto pare! – gli disse sarcastico.
- Anche tu lo sapresti se avessi provato a conoscerla veramente – rispose Stefan, concitato – per te è solo la castellana di questo posto ma pensaci. Ha solo diciotto anni. Ha perso il padre e il fratello in guerra, si è trovata un castello sulle spalle e non si è mai lamentata per questo, lavorando sodo ogni giorno.  Quanti uomini di tua conoscenza sarebbero stati in grado di reggere una situazione del genere? –gli chiese, con tono di sfida.
Le parole di Stefan lo fecero fremere, ma Tristyn non cedette.
- Anche tu hai perso un fratello in battaglia – fu la sua unica risposta – e non te ne sei mai lamentato – disse, in tono freddo.
Vide Stefan impallidire a quell’affermazione
- Hai ragione. Ma solo perché una persona non esterna il proprio dolore per qualcosa, non è detto che non soffra per questo. Ora scusami, ma penso che andrò a cambiarmi. A dopo – si congedò e dopo avergli lanciato un’occhiata disgustata se ne andò.
Tristyn rimase immobile a guardare l’amico allontanarsi, mentre dentro di sé iniziava a sentirsi opprimere dai sensi di colpa.
Non aveva avuto intenzione di essere così duro con lui. Sapeva quanto Stefan ancora soffrisse per la perdita del fratello, eppure in quel momento aveva solo voluto chiudere quella discussione perché le sue parole avevano colpito nel segno: lui non voleva conoscere Lynn, non voleva vedere il suo lato più umano e vulnerabile. La sola idea lo spaventava a morte.
Peccato che per rendersene conto avesse dovuto ferire il suo migliore amico.




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Ciao a tutti!
Eccomi qui con un altro capitolo di passaggio ma anche di introduzione di un nuovo personaggio, che avrà un ruolo piuttosto importante nella storia. Dal prossimo capitolo dovremmo entrare nel pieno svolgimento della narrazione e quindi ci sarà più movimento e azione:)
Spero comunque che questo capitolo vi possa piacere e volevo ringraziare tutte le persone che leggono e seguono la storia, oltre che ovviamente quelle che le recensiscono, in questo periodo leggere le vostre opinioni è una delle poche cose che mi tirano su il morale:)

Un bacione,
Francesca

 

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Capitolo 10
*** Festeggiamenti e partenze. ***


10.
 
 
Northumbria, agosto 1067
 
 
- Possiamo iniziare? – chiese uno degli uomini riuniti nella sala principale del castello, sventolando una mano in cerca di un po’ di sollievo dal caldo.
Non erano neppure le dieci del mattino, eppure l’aria era già diventata irrespirabile a causa dell’afa.
Non pioveva da giorni. Quel clima così arido era insolito per quella zona, tant’è che nemmeno i vecchi del villaggio ricordavano delle giornate così calde e secche.
- Non ancora – rispose Tristyn, buttando giù un’abbondante sorsata d’acqua fresca e asciugandosi il sudore dalla fronte. Tamburellò nervosamente le mani sul tavolo, buttando l’occhio di tanto in tanto verso la porta chiusa. Dove diavolo si era cacciato Stefan?
- Per fortuna che in Inghilterra dovrebbe sempre piovere – borbottò un altro, slacciandosi il collo della camicia in cerca di un po’ di sollievo.
- Non eri tu che ti lamentavi sempre dell’umidità del clima inglese, Yann? – gli chiese Tristyn, scherzosamente.
In quel momento la porta si aprì e Stefan fece il suo ingresso, trafelato.
- Scusate il ritardo – disse, andandosi a sedere accanto all’amico.
- Ci siamo tutti. Possiamo iniziare allora – alzandosi in piedi, Tristyn prese la parola – pochi giorni fa mi è giunta la notizia che Osulf, il conte di Northumbria, è stato ucciso da alcuni briganti mentre stava tornando da un sopralluogo sulla costa – nella stanza serpeggiarono mormorii sorpresi –re Guglielmo ha deciso di nominare come suo successore Gospatric, suo cugino – a quella notizia gli animi si scaldarono.
- Un altro sassone! –
- Di questo passo i sassoni torneranno indisturbati a regnare su queste terre -
- Lo ammazzeranno come hanno fatto con gli altri –
Tristyn dovette intervenire, intimando loro silenzio.
- Questa è la decisione del re, e noi non abbiamo diritto di parola su questo – disse, con tono fermo – tuttavia sarà bene mettersi in contatto con il nuovo conte il prima possibile per sapere quale sarà la sua linea di condotta nei nostri confronti.-
Tristyn era stato uno dei pochi cavalieri normanni a ricevere delle terre in Northumbria, regione ancora per la maggior parte in mano ai nobili sassoni. Finora era riuscito a gestire bene la situazione e a evitare scontri diretti con gli altri feudatari ma sapeva di trovarsi in una posizione delicata e per questo aveva bisogno dell’appoggio di un personaggio influente come il conte Gospatric.
Gli uomini si dissero d’accordo, sebbene l’idea non li rendesse entusiasti.
- Cosa sappiamo di lui? E’ fedele al re? – chiese Yann.
- Lui professa di esserlo, ma sarà meglio tenere gli occhi aperti – gli rispose, nutrendo gli stessi dubbi dell’amico.
Nel giro di pochi mesi, il contado era passato in mano a tre uomini diversi, Copsi, Osulf e infine Gospatric, e questa instabilità politica non era vista di buon occhio dai Normanni.
- Partiremo fra due giorni. Yann e i suoi uomini verranno con me, Stefan e gli altri resteranno qui a difesa del castello. Finora non siamo stati attaccati, ma meglio essere prudenti – le sue parole furono accolte con mormorii di assenso.
- Se non c’è altro da aggiungere, direi che siete liberi di andare – e detto questo, gli uomini iniziarono a sparpagliarsi fino a quando nel salone non rimasero solo lui e Stefan.
Tristyn controllò che tutti se ne fossero effettivamente andati, prima di rivolgersi all’amico.
- Allora? – gli chiese.
- Sono andato a controllare il posto da dove abbiamo visto levarsi del fumo ieri e ho trovato i resti di un bivacco. Molto probabilmente era una banda di briganti, tuttavia... - estrasse un piccolo pugnale dalla tasca – ho trovato questo. -
Tristyn studiò l’elsa dell’arma con attenzione.
- Briganti scozzesi, a quanto pare…- mormorò, scuotendo la testa – Fa’ preparare i cavalli – gli disse.
Stefan si affrettò a ubbidire, lasciandolo solo.
Tristyn si sedette stancamente su una delle sedie, prendendosi il capo tra le mani.
La situazione, già delicata di per sé, rischiava di degenerare se gli Scozzesi avessero iniziato a fare pressioni sui confini. Welnfver si trovava sulla strada direttrice che conduceva a sud e sarebbe stato impossibile evitare un attacco.
Se fosse stato per lui non ci avrebbe pensato due volte a prendere i suoi uomini e a dare una lezione agli Scozzesi che sconfinavano nelle sue terre, ma non poteva permettersi azioni azzardate, altrimenti avrebbe rischiato di mettere il castello ancora più in pericolo.
- I cavalli sono pronti – lo avvisò Stefan.
- Andiamo allora. –
 
*
 
 
I cavalli procedevano lentamente, affaticati dal caldo e messi in difficoltà dalla ripidità del pendio.
Il sole cadeva a picco su Stefan e Tristyn, facendoli sudare copiosamente nonostante indossassero solo delle tuniche leggere sopra i pantaloni. Avevano deciso di non indossare le cotte di maglia per evitare di attirare l’attenzione, ma si erano comunque portati dietro le spade, per precauzione.
Finalmente raggiunsero la sommità della collina, dove trovarono i resti dell’accampamento scozzese.
Entrambi smontarono da cavallo e iniziarono a guardarsi in giro.
Da una prima occhiata intuirono che i suoi occupanti lo avevano lasciato da poche ore, per cui probabilmente avevano già percorso diverse miglia di distanza. Tristyn sperava vivamente che se ne fossero tornati al Nord, ma non poteva averne la certezza.
- Guarda qui – lo chiamò l’amico.
Sul terreno polveroso si riuscivano a scorgere deboli tracce di zoccoli.
- Sono più di cinque cavalli…– mormorò Tristyn, esaminandole con occhio attento – Maledizione! Sono diretti a sud! - sbottò, tirando un calcio ai resti del falò spento.
A quanto pare i suoi timori erano fondati.
- Pensi che siano soldati del re Malcolm? – chiese Stefan nervoso, mentre si guardava intorno.
L’aria pareva immobile e non gli piaceva l’atmosfera che c’era in quel luogo.
- Non lo so – gli rispose, cercando di pensare al da farsi – ma di solito i briganti non possiedono pugnali simili a quello che hai trovato – mormorò, assorto.
Doveva recarsi al più presto da Gospatric e negoziare un accordo di tregua con i Sassoni.
Se fossero stati attaccati da entrambe le parti non sarebbero mai riusciti a difendere il castello senza soccombere.
L’idea di recarsi fino ad Alnwick, dove risiedeva il conte di Northumbria, lo rendeva piuttosto teso perché sarebbe stata la prima volta che si sarebbe allontanato per più giorni dal castello, ma non aveva molta scelta.
- Sei sicuro di non volere che ti accompagni da Gospatric? – gli chiese Stefan, quasi gli avesse letto nel pensiero. Date le sue doti di negoziatore gli sarebbe stato utile averlo al suo fianco.
- No, voglio che resti al castello. Non saprei a chi altro affidarlo – rispose – e sei l’unico in grado di organizzare una difesa nel caso in cui gli Scozzesi decidano di farsi vedere da queste parti. -
Stefan annuì, senza dire niente, ma era evidente che si sentiva onorato da quelle parole.
- Direi che qui non c’è altro – disse Tristyn, dopo aver lanciato un’ultima occhiata ai dintorni.
Non vedeva l’ora di andarsene da quel posto.
Risalirono in sella ma, invece di scendere lungo il sentiero che avevano imboccato all’arrivo, decisero di tagliare per i boschi sperando di trovare un po’ di refrigerio dalla morsa di calore che li stava soffocando. Anche i cavalli furono felici di quella scelta e aumentarono l’andatura, per cui riuscirono ad arrivare a valle piuttosto velocemente, nonostante la via fosse più ricca di ostacoli.
Stavano per imboccare la strada principale quando Tristyn fu attratto dal movimento inconsueto che agitava il villaggio.
- Che succede? – chiese, facendo voltare il cavallo in quella direzione.
- Domani i sassoni festeggeranno Lughnasadh – gli spiegò – viene celebrato l’inizio del periodo del raccolto con il taglio del primo grano.-
- Da quando conosci così bene i costumi sassoni? – lo prese in giro Tristyn.
- Lady Lynn mi ha raccontato qualcosa mentre l’accompagnavo al villaggio, stamattina – gli rispose, in tono neutro.
Dopo la loro ultima conversazione piuttosto accesa non avevano più parlato di lei se non per banali questioni concernenti il castello. Era l’unico punto su cui non riuscivano a discutere in modo tranquillo, e Tristyn, che ancora si vergognava per le parole che aveva rivolto all’amico in quell’occasione, aveva deciso di non tirare più fuori l’argomento.
- Capisco. –
Quella notizia non avrebbe dovuto fargli né caldo né freddo, ma in verità gli bruciava che Lynn non lo avesse informato di tutto ciò.
- Vado a dare un’occhiata – disse, spronando il cavallo verso il villaggio, ignorando lo sguardo stupito dell’amico.
In breve raggiunse la piazza principale, solitamente deserta, ora occupata da una serie di tavoloni posti in cerchio coperti da tovaglie di tessuto chiaro, e individuò subito Lynn, abbarbicata su una specie di scala scalcinata e intenta ad appendere degli addobbi floreali sopra l’entrata della piccola chiesa in pietra.
Possibile che dovesse sempre impegnarsi in attività pericolose?
Sbuffando, scese da cavallo e si diresse verso di lei.
- Milady – la chiamò, arrivando alle sue spalle. Non intendeva spaventarla, ma evidentemente non si era accorta di lui poiché la vide sobbalzare e oscillare pericolosamente verso di lui.
Un attimo dopo sentì un urlo e, senza sapere come, si ritrovò lungo disteso a terra, il corpo indolenzito e gli occhi annebbiati per il colpo ricevuto.
- Ma siete impazzito, per caso? – sbottò una voce femminile che conosceva fin troppo bene.
Tristyn mise a fuoco prima una chioma ramata, un viso pieno di lentiggini e infine un paio di occhi verdi inferociti.
“ Signore, salvami” pensò, mentre osservava Lynn cercare di alzarsi in piedi, puntellandosi con le mani sul suo petto e schiacciandogli quasi un polmone.
Quella ragazza aveva la delicatezza di un orso.
- Voi! Non osate mai più arrivare alle mie spalle in quel modo, chiaro? Potevo farmi male! – lo aggredì, non appena anche lui riuscì a rialzarsi.
- Veramente qui l’unico che si è fatto male sono io – borbottò, accarezzandosi la testa dolorante – e comunque non sarebbe successo niente se non vi foste arrampicata su quella scala pericolante! – ribatté, caustico.
- Quella scala è robustissima! E non mi verrete mica a dire che non posso nemmeno addobbare una chiesa, adesso ? – gli rispose, arrabbiata. Il suo viso era diventato tutto rosso, e i suoi occhi verdi mandavano lampi pronti a incenerirlo.
- Dico solo che dovreste stare più attenta, se non ci fossi stato io a prendervi avreste potuto rompervi una gamba – disse, scaldandosi.
- Se non ci foste stato voi non sarei caduta proprio! – borbottò lei, ripulendosi il vestito dalla polvere.
Quel movimento attirò lo sguardò di Tristyn sulle forme delicate del suo corpo, ma fu solo un attimo.
- Che succede qui? – chiese una voce dal nulla.
“ Al peggio non c’è limite” pensò lui, alzando gli occhi al cielo.
- Stefan! – sul viso di Lynn comparve un sorriso luminoso mentre si avvicinava all’amico, appena sceso da cavallo – un piccolo incidente, niente di grave – spiegò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
- Sono contento che non vi siate fatta male – rispose Stefan, con la solita cortesia – come stanno andando i preparativi?-
- Molto bene, stavo giusto finendo di mettere quegli addobbi lassù – indicò la chiesa – verrete domani, vero? – gli chiese, speranzosa.
- Certo, non potremmo mai mancare, vero Tristyn? – rispose, lanciandogli un’occhiata di monito.
Anche Lynn lo guardò, ma non l’avrebbe certo definita entusiasta a quella notizia.
- Ovviamente – borbottò lui. Voleva solo andarsene a casa, in quel momento – Stefan, io torno al castello. Ti aspetto dopo per discutere dei preparativi per la partenza. Milady – la salutò con un rapido inchino, prima di salire a cavallo.
Lynn rispose educatamente al saluto. Li sentì ridere mentre si allontanava lungo la strada maestra, ma si impose di ignorare la rabbia che lo stava assalendo.
Non aveva tempo da perdere, e Lynn rappresentava una distrazione da cui doveva stare ben lontano.
 
 
*
 
 
- Cosa ne pensi, Winfrid? – chiese Lynn, trepidante.
- Siete bellissima milady – le rispose la ragazza, mentre finiva di appuntarle piccole perle tra i capelli, raccolti in un’elaborata treccia che le arrivava fino a metà schiena.
Lynn di solito non badava molto al suo aspetto fisico ma quel giorno voleva essere al meglio delle sue possibilità: per l’occasione aveva indossato uno dei suoi abiti più belli, di color verde scuro, che le risaltava sia gli occhi chiari sia i capelli rossi.
In quel momento Tess entrò nella stanza.
- Sembra che qualcuno stasera voglia fare colpo – disse, osservandola.
La ragazza non rispose a quell’affermazione ma si limitò ad arrossire lievemente.
- Sciocchezze, lo faccio solo perché è un’occasione di festa – disse, cercando di celare il suo vero stato d’animo.
- Una festa a cui parteciperà anche il bel Stefan – la punzecchiò la cognata, sedendosi vicino a lei.
A Winfrid scappò una risatina che subito nascose dopo aver visto l’occhiataccia che le aveva lanciato Lynn.
- Stefan non c’entra proprio niente! – si difese – e adesso possiamo anche smettere di discutere del mio vestiario. Gli altri sono pronti? – chiese.
- Sì, ci stanno aspettando giù al salone – Tess la osservò per un istante – certe volte mi sembra impossibile che tu sia già diventata una donna adulta – mormorò, con tenerezza.
Lynn si voltò verso di lei e le prese la mano, in segno di affetto.
Quando Tess aveva sposato il fratello ed era venuta a vivere al castello Lynn aveva da poco compiuto tredici anni. Sua madre era morta da poco e la cognata l’aveva sostituita a tutti gli effetti.
- Non farti ingannare dalle apparenze, in fondo sono ancora quella ragazzina pestifera che ama arrampicarsi sugli alberi – scherzò Lynn, per scacciare la malinconia che la stava assalendo nel pensare a quante cose erano cambiate in pochi anni.
- Ecco, ho finito. Siete davvero splendida – esultò Winfrid, dando un’occhiata orgogliosa al suo lavoro.
Lynn si guardò allo specchio, e annuì, un po’ emozionata.
Aveva lavorato molto affinché quella giornata riuscisse nel migliore dei modi e sperava che nessuno restasse deluso, lei stessa in primis.
- Non fare quella faccia preoccupata Lynn, sono sicura che Stefan avrà solo occhi solo per te – la prese in giro la cognata, iniziando a incamminarsi verso il salone.
- Tess! – esclamò indignata lei, ma la risata dell’amica era già lontana.
“ Speriamo che abbia ragione” pensò.
In quel momento, era la cosa che desiderava più al mondo.
 
 
*
 
Lynn si guardò intorno, soddisfatta.
Il villaggio era in festa e tutti sembravano divertirsi.
Come da tradizione, le celebrazioni erano iniziate con il taglio del primo grano che era stato benedetto da padre Cedric durante una breve cerimonia religiosa al centro della piazza principale.
Parte del grano veniva usato per preparare delle pietanze che sarebbero poi state servite la sera stessa, in segno di buon auspicio per l’arrivo della stagione invernale.
Tuttavia, i festeggiamenti veri e proprio ebbero inizio solo con le gare sportive in cui si sfidavano gli uomini e i ragazzi più forti del villaggio e del castello.
Lynn le trovava molto divertenti e più di una volta dovette frenare il proprio entusiasmo nel tifo, dal momento che non era un comportamento adatto a una signora del suo rango.
L’unica cosa che la distoglieva dal godersi pienamente quella giornata era data dall’assenza di Stefan. Diversi normanni si erano presentati al villaggio, incuriositi, ed era strano che lui non ci fosse. La ragazza, memore della sua promessa, stava iniziando a preoccuparsi e avrebbe voluto andare a cercarlo, tuttavia anche in questo caso non poteva agire in modo sconveniente.
- Smettila di guardarti in giro, vedrai che arriverà – la rassicurò Tess.
Eppure passarono le ore, e di Stefan nemmeno l’ombra.
- Forse sir Tristyn l’ha trattenuto al castello – cercò di consolarla l’amica, ma Lynn non voleva sentire ragioni.
- Allora è proprio un uomo ingiusto, oggi è un giorno di festa, dovrebbe permettere a Stefan di prendersi qualche ora libera – sbottò.
- Questo dovrebbe valere anche per sir Tristyn, non trovi? – osservò ironicamente Tess.
- A lui non interessa questo genere di cose – ribatté Lynn, liquidando la questione con un gesto della mano.
Si avvicinava il momento della gara più importante: la corsa a cavallo.
Gli sfidanti dovevano percorrere il più velocemente possibile un percorso di qualche chilometro che si snodava attorno al villaggio. Il vincitore avrebbe vinto, come premio, il fazzoletto ricamato della signora del castello.
Lynn onestamente non era mai riuscita a capire l’importanza di quel dono, se fosse stata uno degli uomini avrebbe preferito ricevere un arco nuovo di zecca o qualcos’altro di utile, ma a quanto pareva loro non la pensavano così.
Gli uomini stavano raggiungendo la linea di partenza quando un rumore di zoccoli al galoppo attirò l’attenzione generale.
Lynn si sporse dalla sua postazione per vedere chi fossero i nuovi arrivati e il suo cuore quasi esplose di gioia nel vedere Stefan.
Sventolò una mano per attirare la sua attenzione, ricevendo un’occhiata di rimprovero da più di una dama seduta accanto a lei, ma le importava poco.
- Siete venuto – gli disse, non appena si avvicinò.
- Ve l’avevo promesso – Stefan si inchinò galantemente.
- Sono così felice che siate qui. Adesso sta per iniziare la gara più importante – gli annunciò.
- Oh, ma io non sono venuto per assistervi, io partecipo – le fece un occhiolino. Il cuore di Lynn perse un battito – assieme a Tristyn – aggiunse lui, indicando un uomo poco lontano.
La ragazza guardò in quella direzione ma sul momento quasi non lo riconobbe.
Si era rasato completamente la folta barba scura e sembrava molto più giovane. Se non fosse stato per il suo solito cipiglio e le ricche vesti avrebbe potuto scambiarlo per un ragazzo del villaggio.
- Ora vado. Auguratemi buona fortuna – si congedò Stefan, allontanandosi.
Lynn lo salutò con un cenno della mano, senza riuscire a dire una parola.
- Hai visto che è venuto? E gareggia pure per vincere il tuo fazzoletto – la punzecchiò Tess.
Lynn tuttavia non la stava ascoltando.
Vide gli uomini allinearsi sulla linea di partenza e poi partire di gran carriera non appena suonò la campana della chiesa.
La gente iniziò ad acclamare e incitare i vari corridori mentre si allontanavo dal villaggio.
Lynn era così agitata che sentiva solo il battito furioso del cuore contro la sua cassa toracica.
Desiderava disperatamente che vincesse Stefan.
Anzi, non riusciva nemmeno pensare di poter dare il proprio fazzoletto a qualcun altro.
Guardò con trepidazione in direzione della nuvola di polvere che si levava in lontananza, segno che i primi cavalieri stavano ritornando verso il villaggio. Stefan era in testa.
Lynn si alzò in piedi, con il cuore in gola.
“Ti prego, ti prego, ti prego” pensò, mentre li vedeva avvicinarsi sempre di più.
Stava per tirare un sospiro di sollievo quando all’improvviso un cavaliere sbucò dietro a Stefan e lo superò in pochi istanti. Tutti gli astanti lo accolsero con grida di esultanza quando superò la linea di arrivo.
Tutti tranne Lynn.
Lo guardò scendere da cavallo e dirigersi verso di lei, con passo sicuro.
- Milady – la salutò, inchinandosi.
La ragazza osservò i suoi occhi chiari come il ghiaccio trafiggere i propri, mentre un sorrisetto soddisfatto gli piegava le labbra.
Allungò la mano, in attesa.
La gente guardava la scena in silenzio, e tutti gli occhi erano puntati su di lei.
Lynn non aveva molta scelta. Prese il fazzoletto e lo consegnò all’ultima persona a cui avrebbe desiderato darlo.
Tristyn.
 
 *
 
Lynn sedeva rigida al suo posto, al tavolo d’onore, circondata dalle dame e dai cavalieri del castello. Le ultime luci del giorno rischiaravano il cielo, mentre diversi falò erano stati accesi per illuminare la piazza.
Tutti sembrano divertirsi e quella sera apparentemente i normanni e i sassoni avevano trovato un fragile equilibrio di sopportazione reciproca.
Lynn avrebbe dovuto essere contenta di questo importante risultato ma l’unica cosa che in quel momento le martellava la mente riguardava la gara a cavallo.
E chi l’aveva vinta.
Osservò Tristyn mentre, seduto dall’altro capo della tavolata, rideva e scherzava con i suoi amici.
A vederlo così faticava a credere che fosse lo stesso uomo che l’aveva rapita e con cui litigava in continuazione. Sembrava un ragazzino spensierato, e per un attimo si sentì in colpa per tutti brutti pensieri che gli aveva rivolto subito dopo la gara.
In quel momento lui guardò nella sua direzione, e Lynn distolse lo sguardo, facendo finta di niente.
Non doveva lasciarsi ingannare dalle apparenze, in fondo lui restava il solito uomo arrogante e prepotente.
Lanciò un’occhiata in direzione delle persone che ballavano e sospirò.
Un tempo vi avrebbe potuto prendere parte senza problemi, ma ormai era troppo grande e di solito le dame del castello non si mescolavano alla gente comune per danzare.
- Milady? – una voce la riscosse dai suoi pensieri.
Si girò e per poco non sobbalzò nel vedere Tristyn in piedi accanto a lei.
- Mi avete spaventata.-
- Me ne sono accorto – sembrava a disagio – vi state divertendo?- chiese.
- Sì, certo – rispose lei, esibendo il sorriso più convincente che le riuscì.
- Bene.-
Non disse altro, ma rimase fermo al suo posto.
- So che domani partirete alla volta di Alnwick – disse, per fare conversazione.
- Sì, ma spero di non dovervi restare troppo a lungo. Stefan resterà con voi al castello.-
La ragazza annuì, e la conversazione tornò a un punto morto.
- Volete ballare? – le domandò, di punto in bianco.
- Come? – chiese, stupita.
- Volete ballare con me? – ripeté lui, impacciato.
Lynn lo guardava esterrefatta, quasi stentasse a credere a quello che le aveva appena chiesto.
- Mi dispiace, ma non è buona norma che una dama partecipi a balli popolari – rispose, desolata.
Lui sembrò accettare quella spiegazione e fece per andarsene, ma poi tornò sui suoi passi.
- Io credo che stasera possiate fare un’eccezione – allungò una mano verso di lei – per favore – la pregò, accennando un sorriso di incoraggiamento.
Lynn non aveva neppure pensato a cosa rispondere che si ritrovò in mezzo alla pista da ballo, circondata da un silenzio imbarazzato e da decine di occhi sbigottiti.
- Musica, prego – ordinò Tristyn, e i musicisti ripresero a suonare.
In breve l’atmosfera tesa si sciolse e Lynn si lasciò coinvolgere in quelle danze caotiche e allegre, al punto che non seppe nemmeno lei per quanto tempo rimase lì a ballare.
Quando Tristyn l’accompagnò al suo posto, era accaldata e svuotata di energie ma anche molto rilassata.
- Grazie – disse, bevendo avidamente da un boccale di vino – non mi divertivo così da molto tempo.-
- Ne sono felice – Tristyn sorrise.
- Siete un ottimo ballerino. Non l’avrei mai detto – Lynn si asciugò una goccia di vino che le era sfuggita dalle labbra, ignara del modo in cui lui la stava osservando.
- Forse perché non mi conoscete. Non sapete molte cose di me – ribatté lui.
- E’ perché voi non volete che le scopra. Non mi avete mai parlato mai di voi. Non so neppure quanti anni avete – sbuffò, imbronciata. Il vino stava iniziando a circolarle nel corpo e si sentiva leggera, quasi non pesasse nulla.
- Ventiquattro. Non me lo avete mai chiesto – osservò Tristyn – non è che avete bevuto troppo vino? – le chiese, vedendola barcollare leggermente.
- Certo che no, sto benissimo. Vi prego, ditemi qualcos’altro su di voi. Avete fratelli o sorelle? Perché siete diventato cavaliere? Vi manca la vostra terra d’origine? Odiate la pioggia? Io personalmente la detesto però ci sono abituata, tuttavia voi venite dal sud e lì non piove spesso e non ci siete abituato. Allora? – la ragazza aveva iniziato a parlare a ruota libera e Tristyn dovette trattenere una risata.
- Sono troppe domande per una sera, e penso che sia il caso che voi torniate al castello, adesso – con delicatezza la fece alzare in piedi e la sostenne, mentre la conduceva verso il carro che l’avrebbe riportata a casa.
- Torniamo a ballare – la ragazza fece per voltarsi ma la presa di lui era salda attorno alla sua vita.
- Abbiamo ballato abbastanza per stasera – disse, in tono pacato.
In breve raggiunsero il calesse su cui diverse dame, compresa Tess, erano già salite.
- Eccoci qua. Spero abbiate trascorso una bella serata – disse lui, scostandola da sé.
Sarebbe crollata da un momento all’altro, e voleva assicurarsi che fosse almeno seduta quando sarebbe successo.
- Oh, sì. Una bellissima serata. Non penso di essermi mai divertita tanto. No, a parte quella volta in cui ho quasi appiccato il fuoco a un pollaio, non ve l’ho mai raccontato? – chiese.
- No, me lo racconterete un’altra volta – la fece accomodare accanto a Tess – allora buona notte –
si congedò, con il solito inchino.
- Aspettate – Lynn gli afferrò la mano – promettetemi che starete attento e che tornerete al castello il prima possibile – gli chiese.
Tristyn la guardò intensamente, prima di risponderle.
- Ve lo prometto.-
 





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Ciao a tutti!
Siamo arrivati a un capitolo che ritengo piuttosto importante per la storia, perché da adesso le cose cominceranno a cambiare per i nostri protagonisti.
Probabilmente è stato il capitolo che finora mi ha fatto più piacere scrivere, e spero che piacerà altrettanto a voi:)
Non so come ringraziare tutte le persone che leggono e seguono questa storia, siete sempre di più e questo mi rende davvero felice! Un ringraziamento particolare alle persone, vecchie e nuove, che recensiscono la storia, grazie di cuore! So di ripetermi, ma la vostra opinione conta molto per me:)

Un bacione,
Francesca

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Capitolo 11
*** Accettare l'inevitabile. ***


11.
 
 

La pioggia aveva iniziato a cadere non appena erano usciti dalle mura di Alnwick e, al momento, non aveva alcuna intenzione di smettere.
Tristyn sbuffò, irritato, cercando di trovare una posizione più comoda nel riparo di fortuna che lui e i suoi compagni avevano costruito sulla strada verso Welnfver. Fosse stato per lui avrebbe proseguito senza indugio, ma Yann e gli altri avevano minacciato di tirarlo giù a forza dal cavallo se non li avesse seguiti.
Così imparava a essere troppo amichevole con i suoi soldati!
Si accostò maggiormente alla parete rocciosa alle sue spalle per evitare che le gocce d’acqua gli arrivassero dritte negli occhi, tuttavia lo spazio era limitato e lui, con addosso la cotta di maglia e la tunica di cotone pesante, era decisamente ingombrante.
“ Maledizione!”, pensò, e un tuono rimbombò nell’aria, quasi un monito divino a moderare il suo linguaggio. Non che gli importasse più di tanto.
Odiava sentirsi impotente, e in quel momento la pioggia battente lo faceva sentire tale, impedendogli di tornare al castello. Quindi che gli si lasciasse almeno la libertà di imprecare in santa pace!
Dopo il colloquio con il conte Gospatric, avvenuto il giorno prima, Tristyn desiderava parlare con l’unica persona di cui si fidava e che, sfortunatamente, si trovava a miglia di distanza: Stefan.
I suoi compagni avevano cercato di estorcergli informazioni ma lui era rimasto muto come una tomba sia perché era troppo arrabbiato, sia perché aveva bisogno di ragionare lucidamente su ciò che gli era stato riferito. E visto che da solo, a quanto pareva, non ci riusciva – il solo pensare a quell’uomo gli faceva venir voglia di prendere un muro a testate – era necessario l’intervento del suo saggio e pacato amico.
Forse Stefan avrebbe trovato un modo per sfuggire alla situazione in cui si trovava. Ci riusciva sempre. Se non avesse fatto il cavaliere, avrebbe potuto dedicarsi a quel talento, tanto era bravo.
Dal momento che però Tristyn era bloccato lì tanto valeva rassegnarsi e cercare di passare il tempo in modo utile. I suoi compagni si erano sistemati come meglio potevano e stavano riprendendo le forze, mentre Yann se ne stava di guardia. C’era un tempo da lupi, ma meglio non fidarsi troppo.
Tristyn si stese a terra, nonostante l’impiccio degli indumenti e delle armi, e dopo aver trovato una posizione abbastanza confortevole, per quanto lo permettevano le circostanze, chiuse gli occhi e cercò di dormire un po’.
Cadde in una specie di dormiveglia agitato, come gli era successo ogni notte ad Alnwick.
Aveva odiato quel posto dal momento in cui ci aveva messo piede ed era stato contraccambiato con la stessa intensità. I soldati di Gospatric lo avevano tenuto costantemente d’occhio, pronti a uccidere lui e i suoi uomini alla minima occasione, e i nobili sassoni avevano mal sopportato la loro presenza a palazzo. Tristyn aveva sempre pensato che l’inferno fosse simile al campo di battaglia, ma anche una residenza prolungata ad Alnwick ci andava molto vicino.
Si rigirò più volte, cercando disperatamente di dormire, ma non ci riuscì.
Aveva troppi pensieri per la testa, stava soffocando sotto tutti quegli abiti e il ticchettio metallico della pioggia gli stava dando sui nervi. Alla faccia di chi sosteneva che il rumore delle gocce d’acqua conciliava il sonno!
- Basta!- borbottò.
Non ce la faceva più a restare lì a non fare nulla.
Si alzò in piedi, si tolse la cotta di maglia, tenendo sempre con sé la spada, e si avventurò sotto la pioggia battente.
- Tristyn, dove diavolo stai andando? – gli gridò dietro Yann.
- Vado a fare due passi – rispose, senza nemmeno voltarsi.
- Ti prenderai un accidente! Sei impazzito? – l’amico fece per seguirlo.
- Non muoverti da lì, sono stato chiaro? – gli ordinò Tristyn, in tono glaciale.
Yann lo fissò, combattuto, ma alla fine rimase al suo posto.
Finalmente aveva ripreso il comando della situazione!
Soddisfatto di aver ottenuto qualcosa di positivo in quella giornata da incubo, si incamminò in mezzo ai prati verdeggianti, senza una meta precisa.
Voleva solo sfogare la sua energia repressa, e sapeva di averne bisogno, soprattutto in vista di ciò che lo aspettava.
A est le nuvole avevano iniziato a diradarsi, e forse presto avrebbero potuto riprendere il cammino verso Welnfver.
 
Lynn.
 
Rimase a fissare assorto la cortina d’acqua di fronte a lui, nella stessa direzione in cui si trovava Welnfver. Tristyn sospirò. Il suo desiderio di tornare al castello era pari a quello di mettere la maggior distanza possibile tra lui e quel luogo che finora gli aveva procurato solo problemi.
E il peggio doveva ancora arrivare.
Il ragazzo scosse la testa, irritato con se stesso.
Da dove veniva fuori questa rassegnazione? Era un uomo, santo cielo!
E poi Stefan avrebbe sicuramente trovato una soluzione.
Ci riusciva sempre.
 
 
*
 
Lynn osservava assorta le gocce di pioggia rimbalzare a terra, mentre se ne stava seduta sulla soglia di una delle porte affacciate sul cortile interno, il mento appoggiato sulle ginocchia raccolte.
Sapeva che non era una posa adatta ad una gentildonna, ma a volte sentiva la necessità di smettere i panni di padrona del castello e di prendersi qualche momento per se stessa.
Non capiva bene il perché, ma la pioggia le aveva sempre messo una particolare malinconia e quel giorno non aveva fatto eccezione, per quanto fosse grata di poter sentire di nuovo sulla pelle quella sensazione di freschezza che solo la pioggia estiva riusciva a regalare.
In lontananza, verso la costa, stava infuriando un brutto temporale che quella notte, probabilmente, avrebbe raggiunto Welnfver.
 
Tristyn.
 
Subito scosse il capo a quel pensiero fugace, quasi che in questo modo se lo potesse togliere dalla testa.
Non capiva perché le venisse così spesso in mente quell’arrogante normanno eppure, da quando era partito due settimane prima, si era ritrovata più volte a pensare a lui e a come stessero procedendo le cose ad Alnwick.
Immagini della festa le tornarono in mente, e arrossì al ricordo di come si era comportata – non avrebbe bevuto vino mai più! – con lui. Che razza di sfacciata!
Ma ancora di più la imbarazzava ricordare il segreto piacere che aveva provato a ballare e a parlare con Tristyn. Era stato gentile e cordiale, e le aveva mostrato un lato di sé di cui non aveva mai sospettato l’esistenza. Le aveva addirittura sorriso, il che l’aveva stupita non poco visto che fino a quel momento lo aveva ritenuto incapace di farlo.
“ Smettila di pensarci!” si ammonì, riprendendo il controllo di se stessa.
Probabilmente, una volta tornato da Alnwick, lui sarebbe tornato ad essere il solito uomo arrogante ed indisponente, ed era la cosa migliore per tutti.
E poi lei preferiva di gran lunga Stefan. Il simpatico, intelligente, sorridente Stefan.
Soddisfatta di aver rimesso i propri pensieri sulla giusta carreggiata, Lynn si alzò in piedi per tornare dentro quando, nel voltarsi, andò a sbattere contro qualcuno.
- Attenta – disse Stefan, afferrandola per le spalle e impedendole di cadergli addosso.
Non che le sarebbe dispiaciuto, comunque.
- Scusate, non vi avevo sentito arrivare – si scusò, una volta ripreso l’equilibrio.
- No, è colpa mia, avrei dovuto avvertirvi della mia presenza. Vi ho visto qui tutta sola e volevo sapere cosa avesse attirato la vostra attenzione – rispose, con il solito sorriso cortese.
- Solo la pioggia – ribatté lei – più che altro volevo godermi un po’ di refrigerio in santa pace – si accorse di essere suonata scortese e corse subito ai ripari – ma se volete accomodarvi, sarò più che lieta di condividere il gradino con voi – disse.
- Vi ringrazio, ma devo tornare in biblioteca a occuparmi di alcune faccende. Ora capisco perché Tristyn trascorre lì tanto tempo, c’è sempre qualcosa da fare.
 
Tristyn.
 
Maledizione, si era giusto dimenticata di lui!
- Se avete bisogno di aiuto, potrei venire con voi – si offrì – in questa giornata piovosa c’è ben poco da fare, e così potreste salvarmi dalla seduta di ricamo con le altre dame, credetemi, è una vera tortura– disse.
Stefan si mise a ridere.
- Credevo che il ricamo fosse un’attività dilettevole per una donna – osservò, divertito.
Scoppiò nuovamente a ridere vedendo l’espressione afflitta di Lynn.
- Ho capito. In questo caso, non posso fare altro che invitarvi a darmi una mano – affermò, e galantemente le offrì il braccio.
Passarono così le ore seguenti in biblioteca, impegnati a leggere dispacci, compilare registri, annotare numeri e stilare gli elenchi delle provviste per l’inverno.
Lynn era felice di trascorrere del tempo insieme a lui, tuttavia le sembrò strano svolgere quei compiti con una persona diversa da Tristyn. Sebbene ultimamente il loro rapporto si fosse appianato, ogni volta che lavoravano insieme non potevano fare a meno di battibeccarsi e discutere per ogni minima sciocchezza.  A volte quella situazione era snervante però Lynn doveva ammettere che era anche divertente. Ormai aveva imparato a conoscere le sue debolezze e adorava stuzzicarlo con argomenti che lo mandavano subito su tutte le furie.
- Avete avuto notizie di Tristyn? – chiese, con fare noncurante.
Stefan alzò lo sguardo, sorpreso.
- Non ho avuto più missive da quando lui e i suoi uomini hanno raggiunto Alnwick. Spero che Gospatric lo abbia ricevuto e abbiano trovato un accordo – disse, rimettendosi al lavoro.
- Non sapevo si fosse recato là per incontrare il conte. Di che accordo si tratta?- chiese, curiosa.
- Non ne so molto. Comunque sono certo che Tristyn sarà felice di spiegarvi ogni cosa, non appena sarà tornato – rispose, senza aggiungere altro.
Stefan sapeva molto più di quanto dava a intendere , ma tutti i tentativi di Lynn di carpire altre informazioni finirono in un buco nell’acqua. Piuttosto seccata, passò il resto della giornata a rimuginare sul perché Tristyn si fosse recato ad Alnwick, senza trovare una risposta.
- Secondo te perché è andato da Gospatric? – chiese quella sera a Tess, mentre la cognata si preparava ad andare a letto.
- Non ne ho idea. Forse vuole stringere un’alleanza con lui – rispose, togliendosi il velo e sciogliendosi i capelli.
Lynn la guardò, scuotendo la testa.
- So già quello che pensi del velo, Lynn – le disse, ridacchiando – ma quando ti sposerai dovrai fartene una ragione e indossarlo anche tu.
- Dubito che questo accadrà mai – ribatté lei, in tono tranquillo.
- Mi sembra giusto. Con il tuo aspetto e la tua dote sei davvero un pessimo partito – la prese in giro.
Lynn si sentì prendere dall’agitazione. Non amava le conversazioni sui matrimoni, men che meno quando la riguardavano direttamente. In cuor suo era convinta di non essere adatta a fare la moglie e si era già prefigurata di trascorrere il resto dei suoi giorni come sua zia Audrey, che non si era mai sposata e aveva sempre vissuto al castello con loro.
- Le cose sono cambiate con l’arrivo dei Normanni, comunque – disse Lynn, sperando di chiudere lì quella conversazione spinosa.
- Infatti – rispose Tess – secondo la logica, ora dovresti sposare uno di loro. Sir Tristyn, per esempio.
- Sei impazzita? – Lynn per poco non cadde dal letto a quella frase – non puoi parlare sul serio – disse, incredula.
- Non sareste gli unici – rispose Tess – diverse donne sassoni hanno sposato i cavalieri normanni che si sono stabiliti nelle loro proprietà. In fondo le cose non sarebbero poi molto diverse da come sono ora, dato che mandate avanti il castello collaborando l’uno con l’altra.
Lynn la guardò come se fosse impazzita.
- Sarebbero molto diverse, invece! Non potrei mai sposare Tristyn! E’ l’uomo più insopportabile che io abbia mai conosciuto – sbottò.
- Non puoi negare che abbia anche delle qualità. Si è dimostrato un uomo giusto e tollerante e si vede che ci tiene a Welnfver e ai suoi abitanti – le disse in tono pacato.
- Ciò non toglie che sia un uomo arrogante e oppressivo! – fece osservare Lynn.
- Non mi sembrava che tu lo trovassi così insopportabile la sera della festa – la punzecchiò Tess, facendola arrossire.
- Non è leale, quella sera non ero in me. E comunque non è successo niente di male! – si difese.
Quel ricordo l’avrebbe tormentata a vita, ne era certa.
- Non ti sto accusando di niente, Lynn – la rassicurò la cognata – credo solo che tu stessa, in verità, sia consapevole che lui non è quel mostro che credi. Se non fosse un normanno e lo avessi conosciuto per caso, penseresti di lui le stesse cose che mi hai detto poco fa?
Lynn fu incapace di rispondere a quella domanda.
Forse perché sapeva che, in fondo in fondo, Tess aveva in parte ragione.
Ed era un pensiero che non le piaceva per niente.
 
*
 
Tristyn stava seduto comodamente dinanzi al fuoco scoppiettante, cercando di riscaldarsi le ossa dopo aver trascorso tutta la giornata in balia delle intemperie.
Forse la sua camminata sotto la pioggia non era stata una buona idea come credeva.
Lui e i suoi compagni erano arrivati al castello nel cuore della notte e si erano accontentati di un pasto frugale prima di andare a coricarsi.
Anche lui avrebbe desiderato buttarsi su un morbido letto e dormire, ma prima aveva bisogno di sfogarsi con l’unica persona di cui si fidava.
- Yann mi ha detto che l’incontro con Gospatric è andato bene – disse Stefan, seduto accanto a lui.
Tristyn annuì, continuando a guardare le fiamme guizzare nel camino.
- E allora cosa c’è che non va? – continuò l’amico, lanciandogli un’occhiata penetrante.
- Andiamo a parlarne in biblioteca – era un argomento troppo delicato e non voleva correre il rischio che qualcuno li sentisse.
Non appena si chiusero nella stanza, Tristyn si sedette stancamente su una delle sedie. Si sentiva spossato, a livello fisico e mentale.
- Gospatric mi ha concesso il suo appoggio – iniziò, il tono piatto – non è stato facile, e non so con certezza se possiamo fidarci di lui ma è già un passo avanti. Inoltre questo ci mette sotto una nuova luce con i sassoni, forse ci considereranno meno pericolosi, ora che siamo a fianco di Gospatric.
- Cosa vuole in cambio? – chiese Stefan, spiazzandolo.
Aveva già capito che c’era qualcosa sotto.
- Vuole una garanzia. Un segnale tangibile che, in caso di bisogno, io gli offra il mio appoggio.
- Sarebbe a dire? – ora l’amico era chiaramente incuriosito.
- Un matrimonio – sospirò Tristyn.
A dirlo ad alta voce gli faceva una strana impressione.
- Un matrimonio? –
Tristyn annuì, prima di continuare.
- Devo sposarmi, il più presto possibile – confermò.
- E chi….? Con chi? – gli chiese.
Stava per rispondere quando il cigolio della porta attirò la sua attenzione.
Senza far rumore si avvicinò e la spalancò di colpo, ma non vide nessuno.
Si guardò intorno, il corridoio era deserto e si sentiva solo il sibilo del vento.
- Deve essere stato un colpo d’aria – disse Stefan.
Lui annuì, tuttavia gettò un’occhiata verso le scale buie che conducevano al piano superiore.
Tornò dentro la stanza, chiudendo con forza la porta alle sue spalle.
- Allora, chi è la donna che devi sposare? – lo incalzò l’amico.
Tristyn prese un bel respiro.
- Lady Lynn.
Stefan sul momento restò basito.
Tristyn non si meravigliò più di tanto, visto che lui stesso aveva avuto la stessa espressione quando lo aveva saputo.
- Cosa ne pensi, quindi? – chiese.
- Non può funzionare – disse, scuotendo la testa – Non ancora, almeno. Voi due vi conoscete appena e passate la maggior parte del tempo a discutere! Un matrimonio tra voi è impensabile, al momento. E poi, non offenderti, ma lei non accetterà mai di sposarti!
- Come se non lo sapessi – borbottò Tristyn, tornando a sedersi.
- Da dove gli è venuta in mente quest’idea? Non che non abbia una sua logica, certo, ma avrebbe potuto chiederti qualcos’altro a titolo di garanzia!  Manda un messaggio a Gospatric e digli che hai bisogno di più tempo per sistemare questa faccenda, non può mica importi di sposarti da un giorno all’altro, non sei un suo sottoposto – continuò l’amico.
- E’ un ordine di re Guglielmo – mormorò Tristyn.
A quella notizia, Stefan si lasciò cadere su una sedia.
Entrambi sapevano che lì stava il cuore del problema. Loro avevano giurato fedeltà a Guglielmo e avevano promesso di obbedire finché fossero stati in vita. Non potevano rifiutarsi di adempiere a un suo ordine, sarebbe stato interpretato come un segno di ribellione. In un secondo tutto quello per cui avevano duramente lavorato gli sarebbe stato portato via, per non parlare del disonore che sarebbe ricaduto su di loro e sulle loro famiglie.
- Quando pensi di dirglielo? – chiese, infine.
Tristyn aveva sperato che l’amico trovasse una scappatoia, un appiglio cui aggrapparsi, ma quella domanda sconsolata gli confermò l’ineluttabilità del suo destino.
- Domattina.
Stefan annuì ed entrambi rimasero in silenzio, ad ascoltare il rumore delle gocce di pioggia contro le pareti di pietra.
- Penso che berrò qualcosa – disse infine l’amico.
- Buona idea.
In quel momento solo l’alcol poteva donargli quel minimo di serenità per affrontare una notte che si preannunciava insonne.
 
 
*
 
Lynn stava tornando al castello dopo essersi recata al villaggio da padre Brion.
Il cielo era di nuovo sereno e limpido, dopo il temporale notturno, e una leggera brezza carezzava le colline verdeggianti.
Era una bella giornata tuttavia la ragazza non riusciva a godersi la sua passeggiata come avrebbe voluto. Nella sua testa risuonavano le parole che aveva sentito la sera prima. Ad essere onesti, origliato sarebbe stato un aggettivo più calzante, ma in fondo non lo aveva fatto di proposito.
Quella notte, quando il temporale l’aveva svegliata, si era accorta che qualcuno era ancora sveglio nel castello ed era scesa a controllare di chi si trattasse. Non c’era niente di male in questo.
Quando poi era arrivata davanti alla porta della biblioteca e aveva percepito le voci di Stefan e Tristyn, be’, forse quello avrebbe potuto non farlo ma la curiosità era stata troppa ed era stata ben ripagata.
“ Chissà chi dovrà sposare Tristyn?” pensò, mentre raggiungeva il castello.
Se non avesse fatto scricchiolare la porta probabilmente l’avrebbe già saputo, ma non aveva potuto rischiare di farsi scoprire in camicia da notte dai due uomini.
Aveva trascorso il resto della notte a riflettere su come la sua vita sarebbe cambiato con il matrimonio di Tristyn, visto che la sua futura moglie avrebbe preso sicuramente il suo posto come signora del castello. Un po’ le dispiaceva dover lasciare Welnfver, ma finalmente avrebbe potuto dedicarsi alla vita che aveva sempre desiderato, senza costrizioni o etichette da seguire.
Stava per salire in camera sua quando si imbatté in Stefan.
- Buongiorno – gli disse, in tono cordiale.
Tuttavia il ragazzo non ricambiò il sorriso. Aveva un’espressione seria, che raramente gli aveva visto in viso.
- C’è qualcosa che non va? – chiese, preoccupata.
- Tristyn desidera parlare di una questione importante con voi. Vi aspetta in biblioteca – rispose.
Si comportava in modo strano, quasi fosse dispiaciuto per lei.
- Di cosa si tratta? – si informò lei, sempre più tesa.
Doveva trattarsi di qualcosa di grave.
- Ve ne parlerà lui – ribadì Stefan, facendole segno di entrare.
Con il cuore in subbuglio, Lynn bussò alla porta della biblioteca.
- Avanti – rispose una voce roca, e lei sentì i battiti aumentare.
Entrò nella stanza e lo trovò seduto dietro alla scrivania.
La barba era tornata a coprirgli il viso e anche i capelli le sembravano più folti dall’ultima volta che l’aveva visto. Non aveva un bell’aspetto e a giudicare dalle ombre scure sotto gli occhi non si godeva una buona notte di sonno da un bel po’ di tempo.
- Stefan mi ha detto che dovete parlarmi di una cosa importante – disse, imponendosi di restare calma.
Lui annuì e le fece segno di sedersi.
Lynn obbedì e aspettò che Tristyn prendesse la parola. Tuttavia passarono diversi istanti senza che lui né la guardasse in faccia né le dicesse nulla, al punto che il silenzio divenne assordante.
Alla fine lei non resistette oltre.
- Allora?- chiese, suonando più scortese di quanto fosse nelle sue intenzioni.
Lui la fulminò con quello sguardo glaciale che lei ricordava bene.
- Dovreste imparare a stare zitta, sapete? Nessuno desidera avere una donna incapace di tenere a freno la lingua – borbottò.
Lynn lo guardò stranita, ma decise di reprimere sul nascere la battuta tagliente che le era salita alle labbra.
Finalmente Tristyn la guardò negli occhi.
- Come saprete, mi sono recato ad Alnwick per incontrare il conte Gospatric. Vista la situazione attuale, ho bisogno di avere alleati su cui contare e il conte mi ha garantito il suo appoggio – parlava in tono calmo e misurato, quasi avesse provato quel discorso più volte – il conte mi ha anche informato di un’altra questione, che mi riguarda direttamente – si fermò un attimo prima di aggiungere – mi devo sposare, per ordine di re Guglielmo.
A quel punto si zittì e rimase a guardarla.
- E’ questa la notizia che dovevate darmi? – chiese.
Lui annuì, con un’espressione serissima in volto.
- Congratulazioni, allora – disse, accennando un sorriso.
Tristyn la guardò incredulo.
- Ne siete felice? – chiese, quasi non potesse credere alle sue orecchie.
- Mi sembra una buona notizia, in fondo. Penso abbiate bisogno di una donna al vostro fianco, che vi aiuti anche con la gestione del castello – rispose, non capendo perché la stesse osservando come se le fosse spuntato un terzo occhio in fronte.
- Non ci posso credere – mormorò Tristyn, alzandosi in piedi – pensavo che non mi sopportaste! – esclamò.
- Non capisco cosa c’entri la mia opinione su di voi con il vostro matrimonio. L’importante è che andiate d’accordo con la vostra futura moglie – provò di nuovo a sorridergli, in segno di incoraggiamento - a proposito, sapete già chi sposerete? – chiese, in tono tranquillo.
Il comportamento di Tristyn le pareva più strano del solito, ma forse non si era ancora ripreso dalla stanchezza del viaggio.
- Oh mio Dio – mormorò lui, passandosi una mano sulla fronte. Sembrava spossato da quella conversazione. Borbottò qualcosa che Lynn non riuscì a capire per poi avvicinarsi a lei, sovrastandola con la sua statura. Lei si irrigidì e suo malgrado si sentì arrossire, ricordando com’erano stati vicini la sera della festa. Cosa diavolo gli era preso, adesso?  Gli aveva solo fatto le sue congratulazioni per il matrimonio, avrebbe dovuto ringraziarla!
Quasi le scappò un grido quando le mise le mani sulle spalle e la fece alzare in piedi.
I suoi occhi color del ghiaccio trafissero i suoi.
- Lynn – disse, la voce roca – siete voi la donna che devo sposare.
 



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Ciao a tutti!
Lo so, sono imperdonabile per non aver pubblicato più niente per tre mesi ma ho avuto un'estate davvero impegnativa e poco stimolo a scrivere. Questo capitolo era pronto già da un po', a dire il vero, ma la parte iniziale non mi convinceva per cui l'ho voluta riscrivere più volte perché ritengo che questo sia un passaggio importante della storia e ci tenevo che fosse scritto nel modo migliore possibile.
Nonostante la mia assenza, le visite sono aumentate tantissimo, soprattutto per l'ultimo capitolo, e questo mi fa davvero molto piacere, all'inizio non avevo molta fiducia in questa storia perché era il primo tentativo dopo anni di blocco e invece piano piano mi è tornata la voglia di andare avanti e sperimentare, e questo grazie al vostro costante supporto!:)
Un ringraziamento speciale alle persone che recensiscono, il vostro parere è molto importante e mi sprona a fare del mio meglio!
Spero che la mia prolungata assenza non vi abbia fatto desistere dalla voglia di leggere questa storia, adesso che le cose si sono un po' sistemate mi auguro di essere più puntuale nella pubblicazione dei capitoli:)

Grazie ancora a tutti!

Un bacione,
Francesca

 

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Capitolo 12
*** Il matrimonio si avvicina. ***


12.
 
 
Una nebbia leggera avvolgeva il castello quel giorno.
Agli occhi di un viaggiatore errante, complice quell’atmosfera surreale e la quiete che regnava nella vallata circostante, quella dimora sarebbe potuta sembrare disabitata da anni.
Ma Conrad Fitzgerald non si lasciò ingannare.
Esausto dopo quattro giorni di viaggio, guardò con sollievo quelle alte mura e pregustò il momento in cui avrebbe potuto riposare su un letto morbido, e non sui scomodi giacigli a cui si era dovuto adattare nelle notti precedenti.
- Finalmente – mormorò, dando una pacca affettuosa al suo cavallo.
L’animale, sbuffando, si rimise in marcia, e in poco tempo raggiunsero l’entrata del castello.
Il grande portone di legno era aperto, e due soldati se ne stavano di guardia, le casacche rosse che brillavano alla luce del sole mattutino. Normanni.
Non appena si avvicinò si misero sull’attenti, ma sul loro viso apparve un’espressione sorpresa, non appena lo riconobbero. Esaurite le domande di rito, lo fecero passare senza indugio.
Il cortile interno era affollato da uomini e donne, indaffarati in mille attività diverse al punto che non degnarono di uno sguardo la sua entrata. Il cavallo scattò, infastidito da quella confusione, e Conrad dovette far forza sulle redini per tenerlo tranquillo. Dopo averlo lasciato alle cure di uno degli stallieri, si mescolò agli abitanti del posto, cercando di orientarsi in quella baraonda.
- Guarda un po’ chi ha deciso di farsi vivo! –
Conrad si voltò, e si ritrovò faccia a faccia con un viso conosciuto.
Un sorriso si allargò sul suo volto.
- Stefan! Quanto tempo! – gli strinse la mano vigorosamente.
- Non ci posso credere! Pensavamo non saresti arrivato in tempo – gli disse l’altro, dandogli una sonora pacca sulla spalla.
- Non potevo mancare per nulla al mondo – Conrad ridacchiò – allora, Lei dov’è? – chiese.
Stefan gli lanciò un’occhiataccia.
- Non cambi mai, sempre pronto ad andare alla ricerca di donne da importunare!- lo rimproverò scherzosamente.
- Non sono io che le importuno, sono loro che si gettano tra le mie braccia – ribatté lui, con orgoglio.
Stefan sbuffò, come faceva sempre, ed entrambi si misero a ridere.
- E sia, vorrà dire che andrò prima a porgere i miei omaggi al padrone di casa. Lui almeno è disponibile?-
Stefan lo guardò con aria afflitta, il che lo fece allarmare.
- E’ successo qualcosa? – domandò, preoccupato.
- Oh no, affatto. Solo che non lo troverai di ottimo umore – Stefan gli fece segno di seguirlo.
Entrarono da una delle porte laterali e s’incamminarono lungo un corridoio ancora avvolto nella penombra mattutina.
- Cos’è, il nostro Tristyn non si sente pronto a legarsi a una donna? – scherzò Conrad.
Arrivarono di fronte ad una porta chiusa. Un silenzio irreale aleggiava intorno, quasi nessuno osasse avvicinarsi a essa.
- Ecco il mio consiglio: non fare battute su matrimoni, mogli, mariti e quant’altro se non vuoi essere preso a calci. E’ un po’ suscettibile al momento – mormorò Stefan, prima di bussare.
- Andate via! – borbottò una voce dall’interno.
Stefan gli lanciò un’occhiata eloquente. Diamine, la situazione era più grave di quanto pensasse.
Senza aspettare alcun permesso, l’amico aprì la porta e Conrad lo seguì a ruota.
- Stefan, a meno che un’orda di scozzesi o sassoni assetati di sangue non sia davanti ai cancelli, pronta a buttare giù il castello, non voglio essere disturbato – disse Tristyn, senza nemmeno guardare nella loro direzione.
- Pochi mesi lontano dalla civiltà e hai già dimenticato come si accoglie un amico? – lo prese in giro Conrad, facendosi avanti.
Tristyn alzò di scatto la testa, e un sorriso gli illuminò il volto.
- Che il diavolo mi prenda! – esclamò.
Si alzò in piedi e lo strinse in un abbraccio fraterno.
- Pensavo non ce l’avresti fatta! – disse, facendogli segno di sedersi.
- La vostra fiducia riesce sempre a commuovermi, sul serio – ribatté Conrad, accomodandosi su una sedia lì accanto.
Sia Stefan sia Tristyn ridacchiarono, e per un attimo a tutti loro sembrò di essere tornati ai tempi della loro adolescenza, nelle assolate campagne bretoni, quando la loro unica preoccupazione era stata sfuggire alle attenzioni dei loro precettori.
Era passato poco tempo da allora, ma le cose erano radicalmente cambiate. Ognuno aveva scelto un percorso diverso, in base alle proprie aspirazioni e talenti. Conrad aveva una spiccata inclinazione per la politica, Tristyn era un ottimo soldato e Stefan aveva sicuramente una dote per la diplomazia. Nonostante questo però, eccoli lì, di nuovo insieme. E per quanto ormai fossero degli uomini adulti, tutti e tre sapevano bene di dover essere grati a qualche divinità superiore per questo privilegio.
- Allora amico mio, muoio dal desiderio di conoscere la tua futura moglie! – esordì Conrad.
Stefan si passò una mano sulla fronte e scosse la testa, frustrato.
Tristyn gli lanciò un’occhiata di fuoco.
Ma Conrad non si lasciò impressionare.
- Ho detto qualcosa di male, forse? – chiese, con tono innocente – voglio solo conoscere la fortunata ragazza che ha preso al laccio il mio migliore amico. -
L’espressione arrabbiata di Tristyn iniziò a incrinarsi.
- Non preoccuparti, non ho intenzione di portartela via. Farò tutto ciò che è in mio potere per reprimere il mio naturale fascino e non farla cadere ai miei piedi – promise, mettendosi una mano sul cuore.
- Sei sempre il solito bastardo insolente – mormorò Tristyn, mentre un ghigno divertito compariva sulle sue labbra.
- E’ vero, ma qualcuno deve pur metterti al tuo posto – ribatté Conrad.
E tutti e tre scoppiarono a ridere.
Come ai vecchi tempi.
 
*
 
 Dopo aver trascorso più di un’ora a rivangare insieme i vecchi tempi e a bere diversi calici di vino, Stefan li lasciò soli.
Tristyn si assicurò che l’amico avesse chiuso la porta alle sue spalle prima di rivolgersi a Conrad.
Non disse nulla, ma non fu necessario parlare.
- Ho portato ciò che mi hai chiesto – rispose l’amico, alla sua muta domanda.
Estrasse da una tasca nascosta un piccolo astuccio in velluto, e glielo porse, senza aggiungere altro.
Tristyn si sentì stringere un nodo in gola, mentre lo prendeva in mano.
Non lo aprì, ma seguì con le dita la sagoma dell’oggetto che conteneva, sentendosi prendere da una miriade di emozioni diverse.
Conrad decise di spezzare il silenzio che si era creato nella stanza.
- Siamo stati fortunati. Quando ho ricevuto la tua lettera, stava per salpare una nave da Hastings e sono riuscito a imbarcarmi. Da lì ci ho messo poco a raggiungere la casa di tuo fratello. Ti manda i suoi saluti. E mi ha chiesto di farti avere anche questa – si sfilò una lettera stropicciata dalla stessa tasca.
- Grazie – Tristyn la prese.
Bruciava dalla voglia di aprirla e leggerla, tuttavia voleva godersi quel momento in solitudine, perché sapeva che non sarebbe rimasto indifferente al suo contenuto e non voleva spettatori.
- Grazie Conrad – ripeté, cercando di non far trasparire quanto tutto ciò lo toccasse nel profondo – ti sono debitore – disse.
L’amico alzò le spalle.
Per qualche istante, non dissero più nulla.
- Ora basta con questi sentimentalismi, però! – borbottò Conrad, alzandosi in piedi e schiarendosi la voce.
Tristyn lo imitò, infilandosi l’astuccio in tasca.
- Sarai stanco. Ti ho fatto preparare una stanza al piano superiore – gli disse, aprendogli la porta e facendogli strada.
- Queste sono parole celestiali per le mie orecchie. Non ce la facevo più a dormire su letti di foglie secche – si lamentò l’amico.
Tristyn alzò gli occhi al cielo.
- Londra ha avuto una brutta influenza su di te – lo prese in giro.
- Oh, affatto. Dovresti vederla, Tristyn. La città cresce di giorno in giorno, e Guglielmo sta facendo costruire nuove strade. Due fortezze sono già state erette a est e ovest delle mura, per proteggere la città in caso di un attacco da parte dei Danesi o dei ribelli sassoni – Conrad era entusiasta mentre raccontava all’amico ogni dettaglio della vita cittadina ma Tristyn non lo invidiava.
Lui amava Welnfver. Era stato così dal primo momento che aveva messo piede in quella terra brulla e inospitale, e con il passare del tempo, il legame che sentiva con essa era diventato sempre più forte.
-… e dovresti vedere la varietà di mercanzie al mercato di Westcheape, ne rimarresti impressionato! Mi stai ascoltando o no? – domandò Conrad, spazientito.
- Sì, Conrad. Ma resto della mia idea che Londra ti abbia rammollito – scherzò.
- Che barbaro – borbottò l’amico, alzando gli occhi al cielo – non sei proprio cambiato. –
Tristyn ridacchiò.
- Nemmeno tu, principino – lo prese in giro, scattando in avanti per evitare il manrovescio dell’amico.
Certe cose non cambiavano mai.
 
*
 
Lynn se ne stava davanti allo specchio, immobile.
Il suo riflesso le rimandava indietro un’immagine di se stessa che, se non fosse stata certa di essere sveglia, le sarebbe parsa irreale.
Winfrid e Tess avevano trascorso le ultime due ore ad acconciarle i capelli e l’avevano pure costretta ad indossare l’abito nuziale, per finire di sistemare gli ultimi dettagli in vista della cerimonia, che si sarebbe tenuta tra due giorni.
Dopo aver subito in silenzio quel supplizio, Lynn le aveva pregate di lasciarla sola.
E ora eccola lì, dall’altra parte della superficie riflettente, una sconosciuta che la guardava dritto negli occhi.
I suoi lunghi capelli rossi erano stati chiusi in un’elaborata treccia, puntata sotto la nuca, ed erano stati coperti con un velo di lino candido come la neve. L’abito, di un tenue azzurro con ricami più scuri lungo gli orli delle maniche, era stretto in vita da una cintura e le cadeva giù fino ai piedi.  Tess e Winfrid erano rimaste estasiate quando avevano terminato il loro lavoro, e l’avevano ricoperta di complimenti. Tuttavia Lynn non era riuscita a condividere il loro entusiasmo.
Ai suoi occhi, quel velo, quell’abito erano la prova inconfutabile che ormai non poteva più tirarsi indietro.
Non che ne avesse avuta la possibilità: quando le aveva dato la notizia, Tristyn le aveva spiegato chiaramente i motivi che stavano dietro al loro matrimonio. O meglio, chi.
Lynn aveva le mani legate: nessuno poteva opporsi al volere di re Guglielmo, neppure lei, che lo considerava un mero usurpatore.
La ragazza aveva trascorso le notti precedenti in bianco, alla disperata ricerca di una scappatoia, uno stratagemma che potesse salvarla da quell’unione forzata, ma ben presto aveva capito che non c’era nulla che lei, o nessun altro, potesse fare.
Non poteva nemmeno fuggire, perché le conseguenze sarebbero state disastrose per gli abitanti del castello. E per Tristyn. Con sgomento, Lynn si era resa conto che ormai le sue azioni ricadevano pure su di lui. C’era un legame tra loro, anche se non erano sposati, che era maturato con il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi, senza che lei nemmeno se ne accorgesse.
Lynn aveva cercato di evitarlo il più possibile, limitandosi a salutarlo educatamente quando si incrociavano a cena o nei corridoi del castello. In questo modo, aveva l’impressione di riuscire a non pensare al loro matrimonio come se fosse un evento reale; sapeva che doveva accadere, ma era lontano nel tempo, un pensiero fluttuante nella sua mente che però acquisiva consistenza non appena Tristyn era nelle vicinanze.
Tuttavia quello stratagemma ora non funzionava più. La sua immagine riflessa glielo diceva chiaramente: si sarebbe dovuta sposare tra due giorni, che lo volesse o no.
Lynn si sentì travolgere dalla rabbia.
- Al diavolo!- esplose.
Iniziò a togliersi il velo dalla testa, strappandosi qualche ciocca nella foga, e lo lanciò contro lo specchio, quasi a voler coprire l’immagine che rifletteva. Sciolse i capelli e si levò con malagrazia l’abito, restando in sottoveste. Improvvisamente sentiva la necessità di indossare i suoi soliti indumenti e sentire il vento correre libero tra i suoi capelli. Una volta sposata avrebbe dovuto sempre portare il capo coperto, e quel pensiero la faceva impazzire.
Una volta che si fu vestita, uscì di corsa dalla sua stanza e si diresse verso le scuderie.
Aveva bisogno di uscire dal castello, da quelle mura che negli ultimi giorni erano state più una prigione che una casa e soprattutto sfuggire dall’ombra delle nozze incombenti.
- Buongiorno milady – la salutò uno degli stallieri, chinando il capo.
Lei ricambiò con un cenno.
- Fate sellare il mio cavallo – ordinò, cercando di non far trapelare la sua impazienza.
Il ragazzo iniziò a farfugliare qualcosa.
- Veramente milady, non dovreste uscire da sola. Sir Tristyn ha detto che…- era evidente che temeva una sua reazione, ma Lynn aveva già capito tutto.
“ Non sono ancora sposata e già mi tiene in gabbia”, pensò, indecisa se mettersi a urlare dalla rabbia o dalla disperazione.
Quanto sarebbe stato facile buttare fuori in quel modo tutte le emozioni represse fino a quel momento!
Tuttavia non era nel carattere di Lynn di dare spettacolo e, soprattutto, sapeva che avrebbe provato un sollievo temporaneo.
No, ci voleva un’azione più drastica.
Prima di cambiare idea, entrò nuovamente nel castello, decisa a risolvere il problema alla radice e, tra gli sguardi preoccupati della servitù, si diresse verso la biblioteca.
Era sicura che avrebbe trovato lì Tristyn.
Per quanto questo volesse dire venire meno alla promessa che aveva fatto a se stessa – evitarlo fino al giorno delle nozze – non poteva pensare di iniziare una relazione con quell’uomo senza avergli prima detto in chiaro che cosa pensava di lui e delle sue manie di controllo!
Come aveva previsto, la porta era chiusa.
Da quando si era sparsa la notizia del matrimonio, Tristyn si era barricato là dentro per la maggior parte del tempo, quasi fosse lui la vittima oltraggiata di quel folle piano matrimoniale! Lei invece non solo non si era opposta in alcun modo, ben sapendo che qualsiasi resistenza sarebbe stata inutile, ma si era pure occupata di organizzare ogni cosa.
Questo ultimo pensiero le fece vedere rosso, e stava per entrare senza tante cerimonie quando sentì una voce provenire dall’interno della stanza. Per quanto il suono fosse attutito, Lynn si accorse subito che non si trattava di Tristyn. No, chi parlava aveva una voce calma e squillante, marcata da un forte accento francese.
Doveva trattarsi sicuramente di un normanno, un ospite di Tristyn probabilmente.
Ora, se Lynn fosse stata la gentildonna educata e rispettosa che avrebbe dovuto essere, si sarebbe allontanata in silenzio e senza voltarsi indietro. La ragazza sapeva benissimo quanto fosse sbagliato origliare da dietro ad una porta, e si stava impegnando seriamente per togliersi quel vizio.
Tuttavia, come accadeva sempre, la curiosità vince sui suoi buoni propositi.
Dopo essersi assicurata che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, si appoggiò alla porta e aguzzò le orecchie. Purtroppo i due uomini parlavano troppo piano perché lei potesse sentire quello che si stavano dicendo, tuttavia alle orecchie di Lynn giunsero alcune parole confuse: lettera, Hastings, fratello…
Le cose si facevano interessanti.
Tristyn non le aveva mai parlato della sua famiglia. Non ce n’era mai stata l’occasione e, ad eccezione della sera della festa in cui lei non era stata particolarmente in sé, Lynn non gli aveva mai chiesto nulla. A quanto pareva, però, l’uomo misterioso era arrivato a Welnfver per portare a Tristyn un messaggio da casa. Che avesse informato i suoi familiari delle sue imminenti nozze? Li aveva invitati alla cerimonia? Stavano arrivando a Welnfver? E senza nemmeno avvisarla, magari!
D’altronde, se lo sarebbe aspettata da uno come lui…
Immersa com’era nelle sue riflessioni, sobbalzò quando sentì la voce di Tristyn, molto più chiara e vicina.
- …ti ho fatto preparare una stanza al piano superiore – disse, e con orrore Lynn si accorse che stava per aprire la porta.
Con un balzo, indietreggiò, pensando freneticamente a cosa fare.
Se lui l’avesse trovata là fuori, non ci avrebbe messo molto a capire cosa stava facendo.
Con la coda dell’occhio, vide una nicchia nel muro a qualche metro di distanza. La raggiunse e vi si nascose dentro proprio mentre la porta si apriva. I due uomini uscirono, chiacchierando amichevolmente, e si diressero verso le scale che portavano al piano superiore.
Lynn tirò un sospiro di sollievo e si lasciò scivolare a terra.
Mentre l’adrenalina scemava però, la sua mente continuava a rimuginare su quanto aveva appena sentito. Il senso di indignazione e rifiuto che aveva covato fino a quel momento esplose , facendola uscire dallo stato di apatia in cui era caduta dal momento in cui aveva saputo il destino che l’attendeva.
Doveva scoprire cosa stava tramando Tristyn ad ogni costo, e c’era solo un modo per riuscire nell’impresa: scovare l’uomo misterioso e farlo cantare.
 
*
 
Se Lynn aveva creduto che la parte più difficile del suo piano fosse convincere l’ospite di Tristyn a raccontarle tutto, si dovette presto ricredere.
L’uomo misterioso le era sfuggito per tutto il pomeriggio. Lynn aveva aspettato che uscisse dalla sua stanza a lungo, e sarebbe stata ancora lì se una delle cameriere non fosse arrivata a rassettare la stanza. Evidentemente si era messo a gironzolare per il castello, eppure Lynn, pur controllando ogni singolo angolo dell’edificio, non ne trovò traccia.
Sbuffando frustrata, uscì nel cortile principale, decisa ad estendere la sua ricerca all’esterno. Il sole aveva iniziato a calare e il cielo si era tinto di mille sfumature aranciate.
Nonostante fosse stanca, Lynn era felice di questo diversivo. Per la prima volta da giorni la sua mente non era focalizzata sul suo matrimonio, e questo la faceva sentire decisamente meglio.
Stava per superare le scuderie quando un nitrito attirò la sua attenzione.
Si girò e rimase a bocca aperta.
A pochi metri da lei se ne stava uno dei cavalli più belli che avesse mai visto, il manto nero come la notte e due occhi lucenti e intelligenti che la fissavano, guardinghi.
Incantata, si avvicinò, tendendo la mano verso l’animale e mormorando qualche parola in sassone per tranquillizzarlo. Il cavallo sbuffò un paio di volte, indietreggiando nello spazio angusto in cui era confinato, ma alla fine tornò verso di lei e si sporse in avanti, cauto.
- Ecco, così, bravo – lo lodò la ragazza, mentre colmava gli ultimi metri tra loro e gli sfiorava il manto lucido con una carezza.
L’animale si irrigidì leggermente, però la lasciò fare, osservandola attentamente.
Lynn lo accarezzò dolcemente, e quel movimento quieto, unito alla litania che continuava a mormorargli, contribuirono a tranquillizzarlo. Inspiegabilmente, anche la ragazza si calmò.
- Sei proprio bello, sai? – gli disse, assorta nei suoi pensieri.
- Grazie – rispose una voce alle sue spalle.
La ragazza sobbalzò, e si allontanò di scatto dal cavallo.
Quella voce!
Si voltò e si ritrovò di fronte un uomo che non aveva mai visto prima e che la stava osservando, divertito. Non era particolarmente alto, né aveva il fisico possente di molti soldati normanni, eppure c’era qualcosa in lui che lo rendeva attraente, e di questo lui ne era pienamente consapevole.
- Perdonatemi, non volevo spaventarvi – si scusò l’uomo.
- Non importa, ero distratta. Bel cavallo – rispose lei, mentre mentalmente si preparava alla fase più delicata del suo piano. Doveva estorcergli tutte le informazioni possibili con la massima discrezione, l’ultima cosa che desiderava era che lui intuisse la sua identità.
Lo sconosciuto sorrise.
- Si chiama Alar – disse, avvicinandosi a lui.
L’animale lo riconobbe e sporse il muso verso il padrone, in cerca di una carezza.
- Gli piacete – osservò l’uomo – di solito non si lascia toccare dagli estranei. –
- Molti dicono che vado più d’accordo con gli animali che con le persone – disse lei, facendolo ridere.
- Sono Conrad Fitzgerald – si presentò l’uomo, facendole un inchino.
- Lady Lynn – rispose lei – non siete di queste parti, vero? – chiese, passando subito all’attacco.
- No, sono arrivato stamattina da Londra. Ma, come avrete intuito, non sono inglese. – ammise.
- L’avevo notato – osservò lei, e l’uomo ridacchiò.
- Non avete peli sulla lingua, milady. Mi piacciono le donne che dicono quello che pensano – disse, lanciandole un’occhiata interessata e facendola arrossire.
Le cose non stavano andando come aveva previsto. Non aveva bisogno di ricevere complimenti da quel farfallone, lei voleva informazioni.
- Siete un amico di sir Tristyn? – chiese, in tono casuale.
Conrad annuì.
- Fin da quando eravamo piccoli. Siamo cresciuti insieme, nelle assolate terre della Bretagna – declamò, in tono melodrammatico, facendola ridere.
- Quindi siete venuto qui per il matrimonio? – continuò lei.
Lui le lanciò un’occhiata incuriosita.
- Ditemi, fate sempre così tante domande alle persone che non avete mai visto? – chiese.
- Solo se le trovo interessanti.-
Mio dio, quella frase avrebbe gonfiato ancora di più il suo ego, ma era l’unico modo per farlo parlare. Per quanto si atteggiasse a bellimbusto, Lynn aveva capito che dietro quella maschera si nascondeva un uomo intelligente e, soprattutto, astuto.
Conrad scoppiò a ridere.
- Sì, siete decisamente una donna senza peli sulla lingua. Mi chiedo se sia così anche quella che ha stregato il cuore del mio migliore amico – osservò, incrociando le braccia sul petto.
Lynn si sentì arrossire.
Per fortuna che non gli aveva rivelato la sua identità, sarebbe stato terribilmente imbarazzante.
“ … quella che che ha stregato il cuore del mio migliore amico.”
Come se lei avesse mai fatto qualcosa del genere!
- Temo resterete deluso, milord. Si tratta di un matrimonio dettato da semplici ragioni di stato, lo sanno tutti. Nessuno ha stregato il cuore a nessuno – gli disse, punta sul vivo.
A Lynn non interessava quello che la gente pensava del suo matrimonio. Lei rispettava Tristyn, lui rispettava lei, e il loro rapporto si esauriva lì. Tuttavia, si accorse con sgomento, le interessava sapere cosa pensasse il suo futuro marito di lei.  Per questo aveva voluto così disperatamente parlare con Conrad, non tanto per avere informazioni sulla famiglia di Tristyn, ma per sapere cosa Tristyn pensasse di lei. Non come castellana. Come persona.
Che tenesse a lei più di quanto le aveva fatto credere? Cosa c’era scritto nella lettera che Conrad gli aveva recapitato? La testa le iniziò a girare alla stessa velocità in cui si rincorrevano i suoi pensieri.
Conrad, nel frattempo, aveva abbandonato il suo atteggiamento scherzoso e ora la osservava attentamente.
Per un attimo Lynn temette che avesse intuito la sua vera identità, invece la spiazzò.
- Con tutto il rispetto milady, penso di conoscere il mio amico meglio di voi. Tristyn non è un uomo facile da comprendere: è taciturno, introverso, e non ama parlare di sé, nemmeno con le persone di cui si fida. Quando lo fa, si tratta solo di questioni che gli stanno a cuore. Per questo mi dovete credere quando vi dico che quella donna conta qualcosa per lui – spiegò, in tono gentile ma fermo.
- Allora ve l’ha detto lui? – chiese, cercando di non suonare troppo brusca.
Conrad incrociò le braccia sul petto, lanciandole un’occhiata scaltra.
- Non mi ha detto nulla – rispose.
Quell’arrogante di un normanno si stava prendendo gioco di lei! E lei gli permetteva di farlo!
Lynn stava per voltargli le spalle e andarsene senza dire un’altra parola quando lui continuò:
- Tristyn mi ha chiesto di fare una cosa per lui che non mi lascia alcun dubbio su ciò che affermo. Se davvero per lui si trattasse solo di un matrimonio di convenienza, non si sarebbe mai sognato di…- si interruppe di colpo.
Ci siamo.
- Che cosa? – chiese Lynn, con il fiato sospeso.
Conrad le rivolse un sorrisetto malizioso.
- Temo di non potervelo dire, sono desolato. Ora, con il vostro permesso, mi ritirerò nei miei alloggi. Milady – fece un lieve inchino e si incamminò verso il castello.
Lynn si riprese subito dallo stupore e si lanciò al suo inseguimento.
- Aspettate! Non potete lasciarmi così! – gli gridò dietro.
Dopo tutta la fatica che aveva fatto per farsi rivelare ciò che voleva sapere, non aveva alcuna intenzione di lasciare la presa ad un passo dalla vittoria!
L’uomo non si voltò nemmeno.
D’accordo, l’aveva voluto lui.
Senza perdere velocità, cambiò strada e prese una piccola scorciatoia.
Lo incrociò mentre stava per raggiungere la porta principale e gli si parò davanti, trionfante.
Conrad si limitò a sollevare un sopracciglio.
- Notevole – disse – avete sicuramente un passo allenato, milady. –
Lynn liquidò quel complimento con un gesto della mano.
- Che cosa vi ha chiesto sir Tristyn di così importante da farvi giungere a quella conclusione? – domandò, con il fiato corto – ho bisogno di saperlo – aggiunse.
- Milady…- iniziò il normanno, in tono più gentile.
- Per favore! – lo pregò.
Evidentemente era riuscita a muovere qualcosa nel cuore di quell’uomo perché alla fine annuì.
- D’accordo. Io…- si interruppe di colpo.
Lynn stava per urlare per la frustrazione quando sentì una voce alle sue spalle.
- Si può sapere cosa sta succedendo qui? –
La ragazza trasalì, e dopo qualche istante si costrinse a voltarsi.
- Ora vi può rispondere il vostro futuro marito - le sussurrò Conrad, facendola arrossire.
Quel maledetto normanno aveva capito tutto fin dal principio!
 – Arrivederci milady – chinò il capo in segno di saluto e si accomiatò, lasciandoli soli.
Tristyn guardò entrambi con aria perplessa.
- Tutto bene? – le domandò, cortese.
I loro sguardi si incrociarono, per la prima volta, dopo giorni.
Le parole di Conrad le rimbombavano nel cervello.
“ …mi dovete credere quando vi dico che quella donna conta qualcosa per lui.”
- Lynn! – la chiamò Tristyn.
“Tristyn mi ha chiesto di fare una cosa per lui che non mi lascia alcun dubbio su ciò che affermo.”
- Lynn, siete sicura di stare bene? – le chiese, prendendola per le spalle e scuotendola leggermente.
La ragazza si riscosse e si allontanò di scatto da lui.
- Sì, sono solo un po’ stanca. Io…io penso che andrò a riposare, adesso – mormorò.
Senza aggiungere altro, entrò nel castello e corse a perdifiato finché non raggiunse la sua camera.
Si gettò sul letto, il viso sepolto nei cuscini, quasi il contatto con il tessuto potesse assorbire il calore della sua pelle. Le parole di Conrad avrebbero dovuto farla sentire meglio, eppure Lynn non era affatto sollevata. Perché quelle parole l’avevano messa di fronte ad una domanda che non si era mai posta fino a quel momento.
Provava qualcosa per Tristyn?
 
 
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Ciao a tutti!
So che avevo promesso che sarei stata più puntuale, ma sto avendo un po' di difficoltà a scrivere, ultimamente. Questo capitolo l'ho riscritto diverse volte, e penso sia stato il più difficile finora, spero che il risultato sia buono:) Comunque non ho alcuna intenzione di abbandonare questa storia, ci tengo molto e voglio assolutamente darle un finale. Nonostante la mia assenza, le visite sono veramente tante, e voglio ringraziare tantissimo tutte le persone che hanno inserito la storia tra le seguite/preferite, ma soprattutto a chi recensisce, leggere i vostri commenti mi rallegra davvero la giornata, e mi aiuta a capire cosa c'è da migliorare:)
Vi lascio al capitolo!

Un bacione
Francesca
 

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Capitolo 13
*** Un matrimonio convenzionale? ***


13.
 
 
La notte prima del matrimonio Lynn non riuscì a dormire.
Nei giorni precedenti si era sforzata di non pensare al grande passo che stava per compiere, ma, una volta rimasta sola nel buio della sua stanza, aveva dovuto fare i conti con se stessa.
Emozioni contrastanti le laceravano l’animo, e per quanto cercasse di analizzare razionalmente la situazione, ogni volta le immagini del suo futuro assumevano le tinte della paura, della rabbia, della confusione e, infine, del rimorso.
Lynn non sopportava i sensi di colpa: erano creature subdole, capaci di starsene nascoste nell’ombra per tempo incalcolabile per poi uscire nei momenti più inaspettati. Erano anche spietate, perché colpivano i punti deboli della persona che li provava, facendola cadere in un baratro di impotenza e disperazione da cui era poi difficile risalire. Per questo, nei limiti del possibile, Lynn aveva fatto di tutto per tenere sopiti i propri demoni interiori, soprattutto dopo l’arrivo dei Normanni.
Quella notte però, erano tornati a bussare alla sua porta e lei non aveva potuto evitarli in alcun modo.
Di solito, l’immagine che Lynn associava al suo rimorso era quella del padre, il vero signore di Welnfver, il quale si sarebbe rivoltato nella tomba nel vedere il suo castello lasciato in mano agli invasori. Non era stato facile per la ragazza riuscire a convincersi di aver fatto la cosa giusta, ma col tempo i risultati le avevano dato ragione, e il suo senso di colpevolezza si era affievolito a poco a poco.
Stavolta, però, il viso che le si parò di fronte non fu quello paterno. Era quello di Tredan.
Mentre si rigirava inutilmente tra le lenzuola bagnate dal sudore, Lynn lo vedeva chiaramente davanti a sé, ferito e sanguinante eppure imperturbabile, lo sguardo deluso e arrabbiato diretto a lei.
 
“ Sul serio, Lynn? Stai davvero per sposare quell’uomo? Lo stesso uomo che mi ha ucciso?”
 
Il corpo del fratello non era mai stato ritrovato, ma Lynn si era rassegnata all’idea di non vederlo tornare a casa. Non sapeva chi fosse il responsabile della sua morte, e sebbene le importasse relativamente poco conoscere l’identità del suo assassino, dopo che i Normanni si erano insediati a Welnfver, aveva pregato spesso che non fosse stato Stefan o, ancora peggio, Tristyn.
La sola idea le dava la nausea.
Con il passare del tempo se ne era quasi dimenticata, eppure ora, quel pensiero subdolo era tornato più vivo che mai. Tristyn aveva partecipato alla battaglia di Hastings e, da ciò che aveva sentito, aveva ucciso molti soldati sassoni. Tra questi avrebbe potuto esserci benissimo anche suo fratello.
 
“ Come puoi farlo, Lynn?”
 
La ragazza sudava freddo, nello sforzo di cacciare via quell’immagine, quella voce, quelle parole dalla sua testa. Non erano reali. Suo fratello non le avrebbe mai mosso un’accusa del genere.
Tutto ciò era illogico, tuttavia più tempo passava, più Lynn provava disgusto per se stessa.
 
Non appena iniziò ad albeggiare, decise che ne aveva abbastanza.
Si avvolse in un pesante scialle e, a piedi nudi, uscì dalla sua stanza e scese le scale in silenzio. Faceva molto freddo, al punto che le battevano i denti quando raggiunse la piccola cappella di famiglia, incuneata a metà strada tra il pianterreno e i sotterranei del castello. A quell’ora la luce non riusciva ancora a penetrare in quello spazio angusto, e Lynn si mosse lentamente nella penombra fino a che raggiunse l’altare. Accese una candela e subito una luce tenue rischiarò la cappella. A quel punto la ragazza si lasciò cadere a terra, quasi quell’azione l’avesse svuotata delle sue ultime energie. Per un po’ stette immobile a fissare i movimenti sinuosi della fiammella e i giochi di luce proiettati sulla parete.
Probabilmente quella era una delle ultime occasioni che aveva per restare completamente sola, e voleva godersene ogni istante. Tuttavia c’era anche un motivo per cui si era recata proprio lì.
- Pensavo potessimo parlare – disse, infine.
Nessuno le rispose, ovviamente, ma Lynn non si lasciò scoraggiare.
- Oggi mi sposo – pronunciò quelle parole in tono forzatamente allegro – l’avresti mai detto che sarei riuscita ad arrivare all’altare? – scherzò.
Rimase zitta per qualche istante, quasi si aspettasse davvero una risposta dal suo interlocutore invisibile.
- Penso che approveresti. E’ un brav’uomo, in fin dei conti, e mi tratta bene. E tiene molto a Welnfver, sta pure imparando il sassone, anche se non è un granché – cercò di sorridere, nonostante sentisse gli occhi riempirsi di lacrime.
Prese un respiro profondo.
- Mi manchi, Tred – disse, mordendosi il labbro inferiore nello sforzo di non piangere.
- Non dovevi morire, maledizione! – sbottò arrabbiata - E io non posso sapere se Tristyn ti ha ucciso oppure no! Non puoi farmene una colpa! – la voce si ruppe, e iniziò a singhiozzare, disperata.
Da mesi si era privata del lusso di piangere, per mostrarsi forte e combattiva davanti agli abitanti di Welnfver, ai Normanni, e infine per difendere se stessa, ben sapendo che se fosse crollata, difficilmente sarebbe riuscita a rialzarsi come se niente fosse. A quel punto però, a poche ore dalla cerimonia, non aveva trovato più alcun motivo per resistere al dolore che aveva accumulato in quei mesi.
- Mi dispiace tanto, Tred – mormorò, tra i gemiti – non doveva andare così, non doveva andare così…ma non posso farci niente, ormai, devo sposarlo, capisci? – si tirò le ginocchia al petto, come faceva sempre da bambina, continuando a mormorare quella litania, ancora e ancora.
La porta di legno scricchiolò, facendola sobbalzare.
Si asciugò in fretta le lacrime e fece per alzarsi in piedi, quando riconobbe la sagoma che si stagliava all’entrata della cappella.
- Oh, Lynn – mormorò Tess, la voce addolorata.
La ragazza cercò di scacciare via la nuova ondata di lacrime, ma il suo corpo continuava a tremare, come se non avesse ancora buttato fuori tutte le emozioni represse in quei mesi.
- Sto…sto bene – mormorò, stringendosi le braccia attorno al corpo.
L’amica la raggiunse e l’abbracciò, e a quel punto Lynn non riuscì a resistere.
- Tess, è tutto così ingiusto – singhiozzò, aggrappandosi a lei disperata – non posso sposare Tristyn, non posso….che cosa direbbe Tredan? E papà? Come posso sposare l’uomo che forse li ha uccisi? Non posso farlo! –
- Calmati adesso – le sussurrò la cognata, facendola sedere a terra e accarezzandole piano la schiena.
- E se li avesse veramente uccisi lui, Tess? Non potrei sposare il loro assassino! – mormorò Lynn.
I singhiozzi si erano fermati, e lungo le sue guance continuavano a scendere solo lacrime silenziose.
- Devi stare tranquilla, Lynn. Nessuno può sapere chi li ha uccisi, probabilmente nemmeno loro hanno visto in faccia il loro assassino. Nella furia della battaglia non guardi chi hai di fronte, pensi solo a sopravvivere – Lynn sentì la cognata rabbrividire, e la strinse forte.
- Sono morti sapendo a cosa andavano incontro, Lynn. E per quanto a lungo possiamo interrogarci su chi li abbia uccisi, questo non li riporterà indietro. Hanno fatto il loro dovere. Tu hai fatto il tuo, e lo continui a fare, ogni giorno. Pensi davvero che ti odierebbero per questo? Per aver salvato la tua gente e impedito che Welnfver fosse rasa al suolo? Per tutti gli sforzi che hai fatto per far funzionare i rapporti con i Normanni? No, io penso che loro sarebbero fieri di te – Tess la guardò con gli occhi lucidi.
Lynn l’abbracciò forte.
- Non ce l’avrei mai fatta senza di te – le disse, mentre la sentiva piangere silenziosamente contro la sua spalla. A quanto pareva anche per Tess era arrivato il momento di sfogarsi.
- Mi manca, Lynn. A volte non posso credere che non lo rivedrò più – disse, tra le lacrime.
Lynn sentì gli occhi inumidirsi di nuovo, ma questa volta era il suo turno di consolare l’amica.
Non aggiunse nulla, si limitò a stare lì, in silenzio.
Per quanto il dolore fosse bruciante, sapere che non era l’unica a sentirsi in quel modo la consolava, per qualche strano motivo. Lei e Tess vivevano quella perdita in modo diverso, eppure condividerla con qualcuno la rendeva più leggera, più facile da accettare, se questo fosse mai stato possibile.
In lontananza, il gallo intonò il suo canto mattutino.
- Dobbiamo andare a prepararti – le disse Tess, asciugandosi le guance umide.
Lynn prese un bel respiro, prima di alzarsi.
L’ora era arrivata, e lei non poteva fare più nulla per aggirarla.
- Andiamo –
 
*
 
Era fatta.
Le cose si erano svolte molto più velocemente di quanto avesse temuto, pensò Tristyn, mentre sedeva al posto d’onore della grande tavolata. La sala grande del castello era stata addobbata per l’occasione ed era gremita di uomini e donne, Sassoni, Normanni, persino alcuni Scozzesi.
Tristyn non si era aspettato l’arrivo di tutta quella gente per il suo matrimonio: in fondo lui era solo il figlio cadetto di una famiglia bretone, con un buon nome certamente, ma non così importante da giustificare la presenza di tutte quelle persone, che erano venute lì per festeggiare, almeno in apparenza. Tristyn lasciò vagare lo sguardo su diversi volti accanto a lui, alla ricerca di qualcosa di sospetto, e finì per incrociare quello del povero cinghiale arrosto che troneggiava in mezzo alla tavola.  Per quanto assurdo potesse sembrare, Tristyn provava molta più empatia nei confronti dell’animale rispetto a tutti gli invitati presenti, forse perché anche lui si sentiva senza vie di scampo. L’unica differenza era che lui non era finito arrostito.
“ Al diavolo Tristyn, è un matrimonio, mica una condanna a morte!” pensò, seccato con se stesso.
In vita sua aveva affrontato situazioni ben peggiori, aveva rischiato la vita più volte, eppure non si era mai sentito così inerme. Forse perché in questo caso non aveva avuto alcun margine di scelta, e il solo pensarci lo faceva andare in bestia.
“ Devo solo guardare il tutto sotto il giusto punto di vista” si disse, accarezzandosi le tempie.
- Propongo un brindisi per questa deliziosa coppia! – gridò qualcuno, e subito si levarono cori di congratulazioni da ogni angolo della stanza e diverse paia di occhi si puntarono su di lui. Ecco, ci mancava solo questa.
Tristyn alzò il calice, facendo buon viso a cattivo gioco, ma il suo sorriso si gelò non appena incrociò lo sguardo dell’uomo che aveva dato il via alle ovazioni.
Maledetto Gospatric!
L’uomo sogghignò, mentre chinava leggermente il capo nella sua direzione, e tornò a sedersi.
Quel lurido verme! Non solo era stato uno degli artefici delle sue nozze, ora aveva pure il coraggio di schernirlo pubblicamente. Ah, ma sarebbe venuto il giorno in cui avrebbe ballato sulle sue ceneri!
- Calmati, Tristyn – sussurrò Stefan, seduto accanto a lui, lanciandogli un’occhiata di monito.
- Vorrei vedere te al posto mio - gli rispose stizzito, mollando la presa sul coltello che inconsapevolmente aveva afferrato. Calmo, doveva restare calmo.
Quel giorno era all’insegna della diplomazia, e non poteva rovinare tutto. Guglielmo non lo avrebbe affatto gradito.
L’amico sbuffò, e bevve un sorso di vino.
- C’è chi sta molto peggio di te – disse, e mosse il capo dall’altra parte della tavola.
Tristyn guardò in quella direzione e gli si strinse lo stomaco.
Seduta rigida al suo posto, sua moglie – Cristo, suonava così strano! – osservava con particolare interesse il contenuto del suo piatto. Era pallida e due aloni scuri circondavano i suoi occhi stanchi, tuttavia quel giorno era davvero bella. Il velo bianco le dava un’aria più adulta, ma un ricciolo ribelle era scivolato fuori dall’acconciatura, un particolare che lo fece sorridere.
La ragazza alzò lo sguardo, accorgendosi di lui.
Per la prima volta da quando si conoscevano, Tristyn provò un moto di empatia nei suoi confronti. Sembrava così fragile, al punto che sarebbe voluto andare da lei e rassicurarla, dirle che in qualche modo se la sarebbero cavata e che sarebbe stato un buon marito per lei. Mentendo spudoratamente su quest’ultimo punto, perché lui non si era mai immaginato in quella veste, perlomeno non alla sua età. Molti suoi amici erano sposati da un pezzo ma Tristyn non si era mai sentito attirato da quel genere di vita. Gli interessava altro, tutto qui.
- Sembri un gufo pronto a balzare sulla sua preda – gli disse una voce, facendolo voltare di scatto.
Conrad sogghignò, addentando una pagnotta fragrante.
Indossava una tunica rossa dai toni sgargianti e finemente intessuta – l’ultima moda di Londra, a suo dire – e a vederlo, chiunque avrebbe potuto scambiarlo per il novello sposo. Il solito egocentrico.
- E’ un tuo nuovo modo di conquistare le donne? Mi auguro che usi delle creature più adeguate a mo’ di paragone, altrimenti dubito che possa funzionare – ribatté, sarcastico.
L’amico scoppiò a ridere sonoramente, e diverse teste si girarono dalla loro parte.
- Non capirò mai perché ti ostini a nascondere agli altri questo tuo lato comico, fai molto male, credimi. Alle donne piacciono gli uomini che le sanno far ridere. Vedi? – gli disse, facendo un lieve cenno con il capo di fronte a sé.
Lynn li stava osservando, e un piccolo sorriso le aveva increspato le labbra, il primo di quella giornata, e che prontamente scomparve non appena si accorse di lui.
- La stai di nuovo guardando come un gufo – ci tenne a informarlo Conrad.
- Giuro che se non la smetti di…- iniziò Tristyn, pronto a scattare, ma l’amico lo fermò immediatamente.
- Stefan ha ragione, devi proprio darti una calmata. Cristo, nemmeno prima di una battaglia ti ho mai visto così – gli disse, in tono serio.
- E’ facile parlare per voi – borbottò, bevendo un sorso di vino.
- Già, perché tu hai proprio fatto un brutto affare a sposare una donna come quella! Penso che metà degli uomini in questa sala ti invidi parecchio – osservò.
- Non è lei il problema, per l’amor di Dio! – Tristyn si guardò intorno, per assicurarsi che nessuno lo ascoltasse – è il fatto di non aver avuto alcuna voce in capitolo. E’ la mia vita, e altri hanno deciso per me! –
- Senti…- iniziò Conrad.
- Non cominciare a fare i tuoi discorsi ragionevoli e diplomatici con me, non siamo a Londra, maledizione! – sbottò.
Si rese conto di aver esagerato quando vide passare un lampo negli occhi dell’amico.
- Adesso ascoltami bene, brutto bastardo arrogante. Non so cosa tu ti sia messo in testa in questi mesi, ma sei sempre un suddito di re Guglielmo. Se sei qui ora, se queste terre ti appartengono, non è solo per il fatto che sai cavartela bene in battaglia, ma perché il re te le ha concesse, e così come te le ha date, se le può anche riprendere. La prima persona a cui devi rispondere non sei tu, Tristyn, ma il tuo sovrano, ed è così per tutti noi. Pensi di essere il primo costretto a sposarsi con una donna sassone? Be’, non lo sei, e non sarai nemmeno l’ultimo. Quindi, invece di stare a commiserarti, metti una pietra sopra al tuo dannato orgoglio e vai avanti, anche perché c’è chi sta molto peggio di te – sussurrò, guardando verso Lynn.
Cristo, quel giorno i suoi amici volevano proprio farlo sentire in colpa!
Dopo quel piccolo screzio, Conrad tornò a comportarsi normalmente, ma le sue parole continuarono a ronzare nella mente di Tristyn per tutto il resto di quell’interminabile banchetto.
Il suo orgoglio bruciava ancora, però su una cosa l’amico aveva ragione: doveva andare avanti e cercare di far funzionare le cose, perché lui non era l’unica persona coinvolta.
Lanciò un’occhiata a Lynn.
Si era fatta sempre più piccola, quasi volesse sparire, e il viso era diventato di un pallore preoccupante. Sì, c’era chi stava decisamente peggio di lui.
  
*
 
Distesa tra le lenzuola fresche, Lynn aspettava.
In qualche maniera era riuscita a sopravvivere alla cerimonia e al banchetto nuziale, e ora mancava solo l’ultimo atto a mettere la parola fine a quella lunghissima giornata.
Non si sentiva agitata come aveva creduto. Sapeva, a cosa andava incontro, in linea di principio almeno. Tess gliene aveva parlato poco prima, mentre l’aiutava a prepararsi per la notte, eppure l’idea la spaventava solo fino ad un certo punto. Si sentiva molto stanca, e distante con la mente, e l’unica cosa che desiderava era che tutto finisse il prima possibile così da poter poi andare a dormire.
Tuttavia il tempo passava, e di suo marito – suonava così strano! – non c’era traccia.
Il fuoco scoppiettava allegramente nel camino, e la stanza matrimoniale era immersa nel silenzio, ad eccezione del crepitare delle fiamme. Era paradossale come, in un momento del genere, Lynn si sentisse in pace con se stessa, come non accadeva da diverso tempo.
A poco a poco, complice il tepore proveniente dal focolare, il vino bevuto al banchetto e la stanchezza dei giorni precedenti, la ragazza cadde in un sonno profondo, senza sogni.
Quando si risvegliò, non sapeva quanto avesse dormito, ma le fiamme avevano esaurito la loro energia e la stanza era caduta nella penombra. Stava per alzarsi a buttare altra legna sul fuoco quando con la coda dell’occhio percepì un movimento vicino a sé. Lanciò un grido spaventato, mentre l’ombra a pochi passi da lei balzò all’indietro, colta di sorpresa.
- Sono solo io, maledizione! –
Lynn si zittì immediatamente, mentre iniziava a distinguere il volto dello sconosciuto.
- Ma siete voi! – esclamò, quasi non l’avesse sentito.
- Aspettavate qualcun altro? – chiese Tristyn, raccogliendo i ciocchi di legno che gli erano scivolati dalle mani e buttandoli sul fuoco, per ravvivare le fiamme.
In pochi istanti, una luce aranciata tornò a invadere la stanza, e la ragazza si ritrovò faccia a faccia con l’uomo che da poche ore era diventato suo marito.
- Mi dispiace, non vi avevo sentito entrare – si scusò.
Tristyn si passò una mano sulla fronte, sospirando.
- No, è colpa mia, non volevo spaventarvi – disse.
Nessuno dei due aveva altro da aggiungere, e restarono a guardarsi in silenzio, per un tempo che a Lynn sembrò lunghissimo. Alla fine, poiché lui non dava segno di voler parlare, decise di rompere il ghiaccio.
- Vi siete rasato la barba – osservò.
Tristyn sorrise, quasi questo fatto lo imbarazzasse, e annuì.
- Mi sembrava giusto, vista l’occasione – spiegò, accarezzandosi il mento sovrappensiero.
Lynn era stata talmente agitata quel giorno, che non se ne era nemmeno accorta, sebbene la differenza fosse evidente. Sembrava molto più giovane, più umano, e le ricordò l’uomo con cui aveva ballato alla festa di Lughnasadh.
- Posso? – le chiese, indicando il letto.
La ragazza annuì, poco convinta. A quanto pareva, suo marito non voleva perdere troppo tempo in chiacchiere. Inconsciamente, arretrò fino a che sentì i cuscini premerle contro la schiena, e rimase in attesa.
Iniziava a capire perché le spose fossero così agitate la loro prima notte di nozze. Un conto era immaginarlo, un conto era passare ai fatti.
Tristyn si sedette accanto a lei, e la fissò.
La studiava, come se non l’avesse mai vista per la prima volta.
- Non mi ero mai accorto che i vostri capelli fossero così rossi – disse, infine.
Lynn strabuzzò gli occhi. Era tutto lì quello che aveva da dire?
Non che si fosse aspettata delle lodi sperticate sulla sua bellezza esteriore, ma insomma, si poteva fare di meglio! Cercò di stare zitta. Sul serio, ci provò con tutte le sue forze.
- Mi sembra strano, visto che è l’unica cosa che notano tutti – disse, mordendosi subito la lingua.
Tristyn la guardò, sorpreso, e poi si mise a ridere.
Non lo aveva mai sentito ridere.
- Sì, avete ragione – scosse la testa, si alzò in piedi e uscì dalla stanza senza dire una parola.
Lynn stava iniziando seriamente a chiedersi cosa gli passava per la testa, quando lo vide rientrare e chiudere la porta a chiave. In mano teneva un piccolo astuccio di velluto scuro.
Tornò a sedersi accanto a lei e la guardò dritto negli occhi.
- So che avete già un anello – disse, prendendole la mano e accarezzandole il piccolo anello che ora ornava il suo anulare sinistro – tuttavia…-
Aprì l’astuccio e fece scivolare il contenuto sul palmo della sua mano.
- Questo anello apparteneva a mia madre – spiegò, mentre Lynn lo osservava più da vicino – poco prima di morire lo diede a me e mi chiese di regalarlo alla donna che avrei sposato – Tristyn sorrise a quel ricordo – per cui vorrei che lo aveste voi -  disse, tutto d’un fiato
- Grazie – disse Lynn, non sapendo che altro aggiungere.
- Non lo provate? – le chiese, un po’ agitato.
La ragazza provò a infilarlo ma era troppo stretto per le sue dita, persino per il mignolo.
- Vostra madre doveva avere delle mani molto piccole – osservò.
- Sì, era piccola di statura ma aveva molte energie – rispose lui.
Di nuovo rimasero a fissarsi in silenzio.
Solo che questa volta lei non sapeva più cosa dire. Si era aspettata che lui facesse quello che doveva e che poi se ne andasse via, non di trascorrere la serata a guardarsi negli occhi muti come due pesci rossi.
- Vi è tornato un po’ di colore sulle guance, prima eravate bianca come un cencio– osservò lui.
Lynn ridacchiò.
- Perché ridete? – chiese, incuriosito.
- Avete un modo tutto vostro di fare i complimenti ad una donna – disse.
- Forse dovrei imparare da Conrad, lui sa sempre quali sono le cose giuste da dire – ribatté lui, leggermente imbarazzato.
- No, mi piace il vostro metodo. E’ un po’ diretto, ma almeno è sincero…siete arrossito veramente?- chiese, divertita.
Quella serata si stava rivelando più facile del previsto, almeno finora.
- Certo che no!- ribatté lui, indignato.
- Se lo dite voi…- lo stuzzicò Lynn.
- State rischiando grosso – la avvisò lui.
- Ah sì? Perché io…ehi! – gridò la ragazza, sentendosi afferrare per le caviglie.
In un secondo si ritrovò supina, il naso di Tristyn ad un centimetro dal suo.
Presa dall’imbarazzo, disse la prima cosa che le venne in mente.
- Non mi ero mai accorta che i vostri occhi fossero così azzurri.
- Mi sembra strano, visto che è l’unica cosa che notano tutti – le fece il verso lui.
Lynn ridacchiò, mentre continuava ad osservarlo da vicino. Doveva ammettere che suo marito era più attraente di quanto avesse pensato. Non che l’avesse mai considerato brutto, ma averlo ad un palmo dal naso rendeva le cose molto diverse e…
- Siete arrossita – la prese in giro lui, sogghignando.
Lynn si sentì avvampare.
- Certo che no! – rispose.
- Mi state osservando come un gufo – mormorò, e poi scosse la testa, quasi non credesse nemmeno lui a quello che aveva appena detto.
- Come prego? – chiese Lynn, spalancando gli occhi.
- Non è niente di importante – borbottò Tristyn.
- Ma io lo voglio sapere ugualmente – lo incalzò lei.
Quella conversazione stava diventando paradossale.
- Be’, io non ve lo voglio dire – ribatté lui. La fissò intensamente, e all’improvviso l’atmosfera tra loro cambiò. Mantenendosi sempre sopra di lei, sollevò una mano e le accarezzò delicatamente una guancia, le sopracciglia, la fronte. Lynn deglutì, e rimase immobile.
La mano del marito scivolò lungo il collo, sempre più giù, fino a sfiorarle il seno.
Lynn trattenne il fiato e chiuse gli occhi, in attesa.
Improvvisamente, però, Tristyn si sollevò e si allontanò da lei.
- Non posso farlo – disse.
Se ne stava ai piedi del letto, e ansimava nervosamente.
- Perché? – gli chiese Lynn, tirandosi su a sedere – Non è quello che fanno le persone sposate? Io pensavo…-
- So benissimo cosa fanno le persone sposate – replicò lui, lapidario – ma non intendo farlo.
La ragazza non poteva credere alle sue orecchie.
- Ma…ma…- iniziò a balbettare – non possiamo non farlo! Lo verranno a sapere tutti domani se noi non…- sentì il viso andare in fiamme, e sperò che lui avesse capito cosa intendeva.
Tristyn le lanciò un’occhiata in tralice, e non disse nulla.
- Se è solo questo che vi preoccupa – sbottò infine, avvicinandosi a lei, minacciosamente.
Estrasse il pugnale dal fodero e con un colpo secco si tagliò il polso sinistro.
Alcune gocce di sangue caddero sulle lenzuola, macchiandole.
- Ecco fatto – disse, riponendo il pugnale.
Lynn lo guardò, pietrificata. Era impazzito, per caso?
- Dove…dove state andando? – riuscì a chiedere, vedendolo aprire la porta.
Tristyn non rispose.
- Buonanotte, milady –
La porta si chiuse con un colpo secco.
A quanto pareva, non avevano più nulla da dirsi quella sera.
 
*
 
Addossato al muro della torre, Tristyn imprecava silenziosamente.
Il suo corpo era attraversato da brividi intermittenti, e non riusciva a capire se fossero dovuti al freddo gelido della notte o al desiderio represso. Forse entrambi.
- Maledizione! – gridò a mezza voce, avvolgendosi meglio nel mantello di lana.
Era furibondo.
La rabbia che aveva covato in tutti quei giorni gli era scoppiata nelle vene, e l’unica cosa che poteva fare era aspettare che gli passasse. E trascorrere un paio d’ore esposto in quella ghiacciaia era sicuramente un buon modo per accelerare il processo.
Chiuse gli occhi, ma neppure questo gli permise di smettere di pensare a Lynn.
Un brivido gli scese lungo la spina dorsale, e non era per colpa dell’aria gelata.
La voleva.
Si alzò in piedi e si avvicinò al parapetto, prendendo respiri profondi.
Le cose non erano andate come aveva previsto. Prima di raggiungerla nella stanza da letto, Tristyn aveva già deciso che quella notte avrebbe agito con la massima calma. Quel giorno Lynn aveva dovuto sopportare abbastanza – come gli avevano ricordato incessantemente Stefan e Conrad, autoproclamatisi nuovi paladini delle vergini indifese– e l’ultima cosa che voleva era saltarle addosso come un animale in calore. Gli era sembrato giusto concederle un po’ di tempo, e si era sentito molto fiero di se stesso per questa sua decisione.
Eppure, non appena l’aveva vista nel letto, i capelli rossi sciolti e gli occhi verdi scintillanti, i suoi propositi avevano iniziato a vacillare pericolosamente. In più, alla luce del camino, era riuscito a intravedere la sagoma snella del suo corpo, e subito la sua mente era tornata indietro, quando l’aveva sorpresa mezza nuda nella stanza da bagno. Tristyn si era imposto di dimenticare quell’episodio, ma a quanto pareva non ci era riuscito come aveva sperato.
La voleva.
Era un uomo, per l’amor del cielo, e lei era sua moglie! Non era poi così strano, no? Soprattutto visto che era da mesi che non aveva una donna, e stava cominciando a sentirne decisamente la mancanza. Ma Lynn meritava qualcosa di meglio, lui voleva darle qualcosa di meglio.
Non aveva idea di come si comportava un marito, però l’ultima cosa che desiderava era iniziare il loro matrimonio spaventandola a morte. Non si conoscevano affatto, e forse farla parlare un po’ l’avrebbe aiutata a rilassarsi. Apparentemente quel metodo aveva funzionato, peccato che poi avesse rovinato tutto.
Tristyn rabbrividì, ricordando la sensazione del corpo di lei contro il suo. Il naso spruzzato di lentiggini e quei maledetti occhi verdi che lo osservavano impertinenti gli avevano fatto salire il sangue al cervello! Lo stesso sangue che gli si era gelato nelle vene non appena l’aveva sentita irrigidirsi sotto di lui. Aveva cercato il suo sguardo per rassicurarla, e invece l’aveva trovata con gli occhi serrati e le labbra tremanti, l’ombra della donna che fino a un istante prima aveva tra le braccia.
Lei non lo voleva.
Quel pensiero l’aveva colpito come una secchiata d’acqua gelida.
E non era riuscito a proseguire oltre.
“ Sono un idiota, un idiota!” pensò, sbattendo il pugno contro il parapetto di pietra.
La ferita al polso bruciava ancora, ma era superficiale e in pochi giorni sarebbe guarita.
Tristyn scosse la testa, ricordando lo sguardo terrorizzato di sua moglie quando aveva afferrato il pugnale, evidentemente pensava che l’avrebbe costretta con la forza. Com’era il suo proposito di non spaventarla a morte? Aveva fatto proprio un bel lavoro!
Rimase ad osservare l’oscurità della notte fino a che non si fu calmato del tutto. Da qualche parte, un gufo intonò un canto lugubre. La degna colonna sonora di quella serata.
Alla fine, quando ormai aveva quasi perso la sensibilità delle gambe, decise di tornare dentro.
Scivolò silenziosamente lungo le scale e si incamminò lungo il corridoi. Quando passò davanti alla stanza di Conrad, sentì dei gemiti attutiti e delle risatine sommesse. Figuriamoci! Il solito bastardo fortunato!
Cercando di non fare rumore, aprì la porta della sua camera e la chiuse alle sue spalle.
Il fuoco stava lentamente morendo, e solo alcune fiamme continuavano a brillare nel camino.
Raggomitolata sotto le coperte, sua moglie dormiva tranquilla.
A quanto pareva, la stanchezza di quella giornata non le aveva dato scampo, e ora riposava, il petto che si sollevava in un ritmo lieve e cadenzato. Sembrava più una bambina che una donna appena sposata Con delicatezza, si avvicinò e le scostò un ricciolo dalla fronte.
Lynn mormorò qualcosa nel sonno, ma non si svegliò. Dormiva proprio dalla grossa.
Con un sospiro, Tristyn afferrò uno dei cuscini e si distese sul tappeto di lana grezza di fronte al caminetto. Si avvolse nel mantello e chiuse gli occhi.
Lo aspettava una lunga notte insonne.



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Ciao a tutti!
Come sempre in ritardo, ma ci sono! Ci tenevo a postare un capitolo prima di Natale, e spero che nelle vacanze riuscirò a scrivere un pochino di più:) Nonostante pubblichi a singhiozzo, la storia continua a ricevere moltissime visualizzazioni, per cui volevo ringraziare tutte le persone che leggono, la seguono, o anche solo vi danno una sbirciatina. Un grazie enorme a chi lascia una recensione, per me sono molto importanti per capire come continuare a costruire la storia, sono sempre ben accette:)
Ne approfitto per farvi tanti auguri di Buon Natale!

Un bacione
Francesca

 
 

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Capitolo 14
*** Affrontare nuove realtà. ***


Ciao a tutti.
Non sono un miraggio, dopo mesi rieccomi qui, anche se un po' mi vergogno ad essere stata via così tanto tempo. Ogni volta prometto di essere puntuale nelle pubblicazioni ma poi, senza che me ne renda conto, il tempo vola via e la storia resta sempre ferma allo stesso punto.
Devo dire la verità, il motivo per cui questa volta sono stata così tanto tempo a pubblicare è perché non riuscivo a scrivere questo capitolo. Penso di avere buttato giù almeno sei versioni diverse, e nessuna riusciva mai a soddisfarmi e finivo per bloccarmi e lasciar perdere. Questo capitolo è fondamentale per la storia, e scrivere male questo avrebbe poi influenzato tutto quello che sarebbe seguito, per questo ho voluto lavorarci e rifletterci su fino a che venisse fuori un buon lavoro. Spero di esserci riuscita, e di non aver perso tutti i lettori per strada, anche se sarebbe comprensibile:)
Chiusa questa noiosissima parentesi, vi lascio al capitolo! 

Un bacione
Francesca


14.
 
Accovacciata sotto un grande platano solitario che dominava la vallata sottostante, Lynn osservava le fronde variopinte degli alberi muoversi dolcemente e ascoltava il fruscio prodotto dalla brezza autunnale. Le foglie si staccavano docili dai rami e volteggiavano nel vuoto prima di cadere al suolo, inermi. Solo alcune restavano in balia del vento che, a suo piacimento, le disperdeva nel cielo. Chissà dove andavano a finire.
A volte le sarebbe piaciuto prendere il volo con la loro stessa facilità, andare via e scappare lontano, da tutto e tutti.
Un leggero fruscio la distolse dai suoi pensieri, e con la coda dell’occhio vide uno scoiattolo arrampicarsi in cima all’albero sopra di sé. La stagione autunnale aveva regalato giorni insolitamente tiepidi, e sembrava che gli animali volessero ancora godersi qualche raggio di sole, prima di ritirarsi nelle loro tane in vista dell’inverno. Lynn non poteva biasimarli.
Lei stessa aveva approfittato di quelle belle giornate per uscire dal castello e stare un po’ da sola. Raggiungeva il vecchio platano, si raggomitolava nel suo mantello di lana, e trascorreva molto tempo a osservare la natura che, nel suo linguaggio arcano e misterioso, si prendeva congedo dal mondo esterno, e a pensare.
Lynn era sempre stata una ragazza riflessiva, ma non le era mai capitato di trascorrere intere giornate persa nei suoi pensieri: per un motivo o per l’altro trovava sempre qualcosa da fare, e spesso l’unico momento in cui riusciva a prendere del tempo per se stessa era la sera, prima di addormentarsi. Ora però, le cose erano cambiate.
Con un sospiro si appoggiò al tronco freddo e nodoso, strattonando distrattamente la fede nuziale che le ornava la mano sinistra. Il piccolo cerchio dorato brillò alla luce del sole.
Era impressionante pensare che un minuscolo oggetto come quello potesse racchiudere in sé un valore così grande, al punto tale da condizionare la vita della donna che lo indossava.
Tristyn.
Erano trascorse tre settimane dal loro matrimonio, eppure la ragazza continuava ad avere le idee molto confuse sull’uomo che aveva sposato. Nella sua breve vita, Lynn era sempre riuscita ad attribuire una caratteristica precisa a ogni persona che aveva incontrato sul suo cammino.
Eppure con Tristyn questa sua capacità svaniva del tutto.
Quell’uomo restava un mistero, come anche i suoi pensieri e la sua opinione verso di lei.
Un giorno la trattava con gentilezza, quello dopo la ignorava apertamente, come se non esistesse, quello dopo ancora se la prendeva con lei per la più piccola delle sciocchezze.
- Potrebbe anche decidersi- borbottò Lynn, non riuscendo però a trattenere un sorriso.
Perché nonostante Tristyn fosse arrogante, testardo e prepotente, in fondo lei sapeva che il suo carattere aveva qualche lato positivo. Altrimenti come spiegarsi la sua gentilezza durante la loro prima notte di nozze? Qualsiasi altro uomo non si sarebbe fatto scrupolo a prendersi ciò che gli spettava di diritto, e lui invece le aveva concesso del tempo.
Lynn, passato il primo momento di sconcerto, gli era stata molto grata per questo. Aveva nettamente rivalutato suo marito, e aveva tirato un sospiro di sollievo nel avere conferma che non era lo spietato barbaro che, all’inizio, aveva creduto che fosse. Tuttavia, trascorso un po’ di tempo, aveva avuto l’impressione che lui lo avesse fatto più per se stesso che per lei. Con il passare dei giorni, suo marito aveva instaurato una routine ben precisa, in modo da evitare il più possibile ogni loro contatto in camera da letto: andava a coricarsi solo quando era certo che lei fosse addormentata, e la mattina si svegliava ancora prima che sorgesse l’alba, al punto che Lynn dubitava che dormisse più di tanto, visti i suoi ritmi giornalieri. Evidentemente, una volta salvaguardato il suo onore davanti agli abitanti del villaggio, non aveva più avuto alcun interesse per lei, almeno da un punto di vista prettamente fisico.
Lynn sapeva che avrebbe dovuto gioire di questo, e allora perché ogni volta che ci pensava, si sentiva ribollire dentro? In fondo, un po’ le bruciava il fatto di non riuscire a essere interessante agli occhi di Tristyn come donna. Cosa le mancava rispetto alle altre ragazze? Era davvero così poco desiderabile? Non avrebbe mai pensato di porsi domande del genere, ma ultimamente il rimuginarci sopra le portava via parecchio tempo.
La brezza si era fatta più fredda, e la ragazza si avvolse ancora di più nel mantello di lana.
Era ora di tornare a casa.
Con un sospiro, s’incamminò lungo il sentiero che si snodava fino al castello.
Il sole stava iniziando a calare, e i suoi raggi aranciati conferivano una luce mistica all’intero paesaggio. Lynn ringraziava spesso Dio per averle dato la vista, perché a volte solo contemplare la bellezza della natura riusciva a darle quella serenità che lei tanto ricercava. Forse era un pensiero un po’ stupido, eppure le sorgeva spontaneo ogni volta che i suoi occhi ammiravano il mondo che la circondava.
Sgattaiolò nelle cucine per evitare il trambusto che regnava nel cortile interno, e stava per raggiungere il corridoio quando la sua attenzione fu attirata da uno scoppio di risate maschili.
In una nicchia avvolto nella penombra, vide Tristyn, seduto a uno dei grandi tavoli in quercia, assieme a Stefan e Conrad. Stavano brindando a qualcosa, a giudicare dai boccali che tenevano in mano, e sembravano divertirsi un mondo.
Attenta a non farsi notare, Lynn si avvicinò e si fermò a osservarli: le faceva sempre uno strano effetto vederli ridere, soprattutto Tristyn. Nella sua mente lui era un uomo adulto, responsabile, e spesso si dimenticava che fosse poco più vecchio di lei. Eppure ora, a vederlo ridere e scherzare con i suoi amici, la sua giovinezza traspariva in tutta la sua forza e vitalità.
Una strana sensazione – la stessa che aveva provato la prima notte di nozze quando si erano ritrovati faccia a faccia - le prese la bocca dello stomaco, ma cercò di non badarci, come faceva sempre del resto.
Curiosa di sapere quale fosse il motivo di tanta allegria, la ragazza si avvicinò ancora di più, senza nemmeno guardare dove metteva i piedi.
Fu questione di un attimo.
Lynn si accorse solo di un movimento sopra la sua testa, e poi vide tutto nero.
Quando riaprì gli occhi, si ritrovò distesa a terra, attorniata da diverse paia di occhi preoccupati che la stavano fissando.
- Tutto bene, milady? –
- Oh, santo cielo! –
- Forse bisogna chiamare un dottore…-
A fatica, la ragazza si mise a sedere e solo allora si accorse di essere completamente ricoperta di una sostanza bianca e polverosa. Farina?
Stava ancora cercando di capire da dove diavolo fosse arrivata tutta quella farina, quando vide la folla attorno a sé disperdersi in silenzio.
- Si può sapere cosa sta succedendo qui? – chiese una voce autoritaria.
Oh, maledizione!
- Lynn? – domandò la stessa voce, stavolta in tono sorpreso.
Facendosi forza, la ragazza alzò gli occhi e si ritrovò faccia a faccia con lo sguardo stupito del marito.
- Sto bene – disse, in fretta, cercando di alzarsi e scomparire il prima possibile. Fece per tirarsi su ma una fitta alla tempia la costrinse a sedersi. Ma cosa diavolo aveva combinato?
- Ma cosa diavolo avete combinato? –
Ecco, quando si diceva una domanda calzante.
- No, non ditemelo. Coraggio, vi aiuto – prima che potesse protestare, sentì Tristyn afferrarla delicatamente per la vita e metterla in piedi.
La ragazza barcollò, ma lui la tenne stretta a sé.
- Sicura di stare bene? – le chiese, in tono preoccupato.
Lynn annuì, frastornata più dai suoi modi gentili che dalla caduta in sé.
Tristyn la fece accomodare su una sedia lì accanto e iniziò a ispezionarle il capo, con delicatezza.
- Sto bene – gli disse – non c’è bisogno di…-
- State buona. Vi è caduto un sacco di farina in testa, e probabilmente vi uscirà un bernoccolo. Anche se, conoscendo la vostra testa dura, credo che il sacco sia ridotto molto peggio di voi – le disse, continuando a passarle con delicatezza la mano tra i capelli.
Lynn stava per ribattere, quando sobbalzò per il dolore.
- Come volevasi dimostrare – bofonchiò lui – niente di grave, è solo un bernoccolo – disse, rivolgendosi all’uomo che si era avvicinato.
- Tutto bene, milady? – le chiese Stefan, preoccupato.
Lynn stava per rispondergli, quando intervenne Tristyn.
- Sta bene – borbottò, lapidario – basterà un impacco caldo per farlo andare via. Chiedi a una delle sguattere di prepararne uno.
Stefan obbedì, non troppo convinto e, dopo averle lanciato un’ultima occhiata, si allontanò.
- Non serviva essere così bruschi – osservò Lynn.
- Stefan ha l’abitudine di fare troppo la chioccia quando si tratta di voi – ribatté Tristyn – e comunque, si può sapere cosa ci facevate lì? Potevate farvi male – la rimproverò, mentre cercava di toglierle la farina dal viso.
- Da quello che avete detto, il sacco se l’è vista peggio di me – lo rimbeccò lei, offesa.
Inaspettatamente, Tristyn scoppiò a ridere e scosse la testa.
- Cosa c’è adesso? – gli domandò, con voce acida.
Tutti i pensieri positivi di poco prima erano scomparsi. Era tutto inutile! Lui restava sempre il solito arrogante, maleducato e…
- Non smettete mai di stupirmi. Nemmeno essere stata centrata da un sacco di farina vi ha fatto perdere il vostro sarcasmo – le disse.
- Non mi lascio mettere i piedi in testa facilmente. Nemmeno da un sacco di farina – rispose lei, in tono combattivo.
- Me ne sono accorto – osservò Tristyn – è anche per questo che mi piacete.
Entrambi rimasero in silenzio, incapaci di aggiungere altro.
Suo marito le aveva appena fatto un complimento? Lynn quasi non poteva credere alle sue orecchie.
- Ecco qua l’impacco! – esclamò Stefan.
Erano talmente assorti a guardarsi l’uno con l’altra che non si erano nemmeno accorti del suo arrivo.
Tristyn fu il primo a riscuotersi da quel torpore.
- Bene. Mettetelo sopra il bernoccolo e state a riposo per qualche ora. Stefan, accompagnala nella sua stanza, non voglio che combini altri danni per oggi – e senza aspettare una risposta, girò sui tacchi e si allontanò così rapidamente che la ragazza quasi credette di essersi immaginata tutto.
“Non voglio che combini altri danni per oggi”, brutto prepotente, come osava?
Nemmeno suo padre le aveva mai parlato così!
Eppure la preoccupazione che aveva letto nei suoi occhi quando si accertato se stesse bene…
Non c’era niente da fare.
Un enigma. Quell’uomo sarebbe sempre rimasto un enigma per lei.
 
*
 
- Ecco dove ti eri cacciato –
Tristyn alzò la testa di scatto.
- Che cosa vuoi? – chiese brusco, riprendendo a spazzolare il suo cavallo.
Conrad si appoggiò con nonchalance contro la palizzata.
- Un uomo non può fare due chiacchiere con un suo amico? – domandò, in tono innocente.
Tristyn non lo sopportava quando si comportava così.
- Non tu – disse, continuando a strigliare il manto lucido dell’animale.
Conrad era l’ultima persona con cui desiderava parlare, in quel momento.
Anzi, non voleva parlare proprio con nessuno, per questo era andato nelle scuderie alla ricerca di un luogo tranquillo per starsene per i fatti suoi: a quell’ora gli stallieri si erano ormai ritirati e non c’era nessuno che potesse disturbarlo.
Almeno fino a quel momento.
- Sai, ho come l’impressione che tu sia un po’ nervoso – osservò l’amico.
- Risparmiati questi modi diplomatici e vieni al punto – ribatté lui, a denti stretti.
- D’accordo, come desideri. Quali sono i rapporti tra te e tua moglie, esattamente? -
A Tristyn cadde la spazzola di mano.
Si voltò a guardarlo, incredulo.
- Puoi ripetere? – chiese.
- Suvvia, non c’è nulla di cui essere imbarazzati. Ci siamo sempre confidati noi due, no? Tra pochi giorni partirò per Londra e ho pensato che forse volessi parlarne con me, visto che, diciamo, ho una certa esperienza in fatto di donne – disse, con finta modestia.
Tristyn desiderava fare tante cose.
La prima della lista era togliere quel sorriso impudente dalla faccia del suo amico a suon di pugni.
- Sparisci dalla mia vista! – sibilò, riprendendo il suo lavoro da dove l’aveva interrotto.
- Così mi ferisci! – ribatté Conrad, portandosi una mano al petto.
Tristyn gli lanciò un’occhiata scettica, a cui l’uomo rispose con una risata.
Per fortuna che almeno uno dei due stava trovando quella situazione divertente!
- Dai, Tristyn, pensi che sia cieco? C’è qualcosa di strano in te ogni volta che tua moglie è in giro, me ne sono accorto da un po’, ormai. Prima la cerchi, e poi scappi a gambe levate, quasi avessi paura di lei. Si può sapere qual è il tuo problema?- chiese.
- Te l’ho già detto, vattene – lo ammonì Tristyn.
- Prima voglio che tu mi dica cosa c’è che non va! – insistette Conrad.
- Ora basta! – sbottò lui.
Voltandosi di scatto Tristyn sferrò un pugno contro il viso dell’amico, facendolo ribaltare dall’altra parte della palizzata.
L’uomo si rialzò subito in piedi.
- Non ti conviene attaccare briga con me, ti ho sempre battuto – lo ammonì.
- Le cose cambiano – grugnì Tristyn, prima di partire all’attacco.
Tuttavia questa volta Conrad non si lasciò cogliere impreparato.
Rispose con prontezza di riflessi e colpì Tristyn allo stomaco, facendolo indietreggiare.
- Dai Tristyn, cerca di comportarti in modo ragionevole – sbottò.
- Sai dove puoi mettere le tue belle maniere londinesi? – ribatté lui, tornando alla carica.
Si azzuffarono per un po’, come ai bei vecchi tempi, e Tristyn, al di là di tutto, si divertì.
Aveva bisogno di scaricare la tensione che si era accumulata dal giorno del matrimonio, e fino a quel momento non ne aveva mai avuta realmente occasione. Non nel modo che desiderava, almeno.
- Ti senti meglio, adesso? – gli chiese Conrad, una volta che entrambi furono troppo stanchi anche per restare in piedi.
Tristyn si lasciò cadere a terra e annuì.
- Ti batti bene per essere il damerino che sei diventato – osservò.
Conrad sogghignò, asciugandosi un rivolo di sangue che gli colava dal labbro ferito.
- Questo era solo un riscaldamento per me – rispose – comunque lieto di esserti stato d’aiuto.
Rimasero in silenzio alcuni minuti.
Sopra di loro, una luna luminosa rischiarava il cielo e il paesaggio sottostante, e migliaia di stelle brillavano silenziose.
- Senti Tristyn, non voglio farmi gli affari tuoi, ma ti conosco da una vita e non ti ho mai visto in questo stato – iniziò Conrad – cos’è, il tuo orgoglio non ha ancora digerito la storia del matrimonio combinato? –
Come se fosse questo il problema.
La gente pensava che lui fosse molto orgoglioso, e lui non aveva mai capito perché. Certo, l’idea del matrimonio non gli era mai andata a genio, ma l’aveva accettata ormai da tempo.
No, la situazione assurda in cui si trovava era ben peggiore! E ora che ci rifletteva su, era stata tutta colpa di Conrad e Stefan! Se non gli avessero riempito la testa di mille incertezze, ora sarebbe stato un uomo sereno. Appagato, probabilmente. Ma no, aveva voluto fare la parte del cavaliere dall’armatura scintillante e ora ne stava pagando le conseguenze!
- Perché è questo il problema, vero? – chiese Conrad.
Ecco. Appunto.
- Senti Conrad, apprezzo il tuo aiuto ma non mi va di parlarne – disse.
Seguì un silenzio assordante. Si sentiva solo il canto di un gufo in lontananza.
Ormai lo riconosceva, visto che era il compagno di molte sue notti insonni.
Improvvisamente, Conrad si tirò su e lo fissò attentamente.
- D’accordo, sto iniziando a farmi un’idea ma ho qualche scrupolo a fartela.
Be’, questa è una novità.
- Forse tua moglie non gradisce le tue attenzioni? – gli chiese – in camera da letto intendo.
- Per fortuna che avevi qualche scrupolo a domandarmelo!- sbottò Tristyn, mettendosi a sedere.
- Be’, ho ragione o no? – ribatté Conrad – A me non è mai successo, però non penso sia un problema così irrisolvibile e…- 
- Dio, cosa ho fatto di male per meritarmi questo? – borbottò Tristyn, passandosi una mano sugli occhi.
- Oh, smettila di commiserarti, non ti sopporto quando ti comporti come una donnicciola lagnosa – esclamò Conrad.
- Stai attento a come parli – lo minacciò lui, già pronto a riprendere a menare le mani.
- Risparmiati questo atteggiamento da vero uomo per quando sei solo con tua moglie. Che poi, davvero non capisco come mai le cose tra voi non funzionino. Voglio dire, Lynn è una bella donna, piuttosto desiderabile e…-
- Attento a quello che dici – ringhiò Tristyn.
L’amico lo guardò e scoppiò a ridere.
- Cos’è, hai paura che Lynn preferisca me? Non temere, non ho intenzione di rubartela, è tua moglie e anche un uomo come me ha dei principi morali. Sta di fatto che non puoi continuare così, vai da lei e vedi di superare i problemi che ci sono tra voi – concluse, lapidario.
Dopodiché, si mise a ridacchiare tra sé e sé.
- Si può sapere che cosa c’è adesso? – gli chiese, irritato.
Non solo si era dovuto sorbire la sua predica, ora aveva pure il coraggio di ridergli in faccia!
- Niente, è che…chi l’avrebbe mai detto? Proprio tu, sempre così sicuro di te, messo con le spalle al muro da quella piccola sassone con i capelli rossi! Quasi da non crederci!- osservò.
- Felice che lo trovi divertente – borbottò in risposta.
- Oh, ricominci con questo atteggiamento lamentoso? Senti, se vuoi qualche consiglio più specifico, basta chiedere – si offrì, sornione.
- No grazie – rispose Tristyn, in tono lapidario.
- Come vuoi – disse Conrad.
Apparentemente, quella conversazione assurda era giunta a un termine.
Grazie a Dio.
- Bene – disse Tristyn - penso che sia ora di andare e…-
- Eccovi finalmente! Vi ho cercato dappertutto! – esclamò la voce di Stefan – si può sapere che cosa è successo? – chiese, vedendoli mezzi acciaccati.
Conrad scoppiò a ridere.
- E’ una lunga storia – gli disse, e gli fece segno di sedersi accanto a loro – non è vero Tristyn? –
Dal luccichio nel suo sguardo, Tristyn capì che il suo calvario era solo all’inizio.
Sarebbe stata una lunga serata.
 
*
 
Avviluppata nel tepore delle coperte, Lynn non riusciva a prendere sonno.
La testa le faceva male nel punto in cui stava uscendo il bernoccolo, e l’infuso alle erbe che aveva bevuto prima di andare a letto non l’aveva calmata come aveva sperato.
Continuava a pensare a quello che era successo quel pomeriggio.
Allo sguardo preoccupato di suo marito. Alle sue mani gentili che le avevano accarezzato i capelli e il viso. Alla sua fronte, leggermente cosparsa di farina. Al calore del suo corpo contro il suo e…maledizione, che stava facendo?
Irritata per la piega dei suoi pensieri, si mise a sedere, appoggiandosi contro i cuscini.
La sensazione di vuoto allo stomaco era tornata, per l’ennesima volta.
Che avesse fame? Di solito la cena la saziava a sufficienza, ma forse la botta in testa aveva avuto ripercussioni anche sul suo appetito.
Dopo averci riflettuto attentamente, scese giù dal letto, prese con sé la candela e iniziò a scendere le scale con cautela. La testa le girava ancora un po’ e voleva evitare di spezzarsi l’osso del collo.
- Si può sapere dove pensate di andare? –
Lynn sobbalzò e si appoggiò al muro per sorreggersi.
Ma che diavolo…?
Guardò in fondo alle scale e vide la sagoma del marito nella penombra, le gambe larghe e le braccia incrociate sul petto. Sembrava piuttosto arrabbiato.
Sai che novità.
- A mangiare qualcosa – rispose lei, in tono calmo.
Fece per scendere ancora, ma lui le fu accanto in un attimo, superando con un balzo i gradini che li separavano.
- Tornate di sopra – le ordinò, nel suo solito tono imperioso.
- Con tutto il dovuto rispetto, voglio solo…- s’interruppe di colpo, vedendo il viso di Tristyn alla luce della candela – Cosa vi siete fatto? – chiese, inorridita.
Aveva un labbro spaccato, diversi tagli sulla fronte e la sua guancia destra stava velocemente acquistando un colorito bluastro. I vestiti erano stropicciati e sporchi, come se si fosse rotolato nel fango.
- Non sono affari che vi riguardano – rispose, imperturbabile.
- Pensate che sia stupida? Avete fatto a botte con qualcuno, è evidente! Non ci posso credere – borbottò – Forza, venite con me.
Senza pensarci gli afferrò una mano e lo trascinò di sopra, fino alla loro camera.
- Sedetevi lì – gli disse, indicando il letto e Tristyn, stranamente, obbedì.
Lynn accese il fuoco nel camino, per avere più luce possibile, e si mise a frugare freneticamente nel suo baule.
- Che cosa state cercando? – gli sentì chiedere.
- Qualcosa per la vostra faccia – borbottò lei.
- Non mi serve nulla – iniziò lui – un po’ d’acqua fresca e…-
- Potete tacere per una volta? – sbottò Lynn.
Un silenzio surreale calò tra loro, mentre lei si rendeva conto di cosa aveva appena detto.
E in che modo soprattutto.
Trovata l’ampolla che stava cercando, si fece coraggio e si voltò verso il marito.
Lui la fissò senza dire nulla, rimanendo immobile al suo posto.
La ragazza versò il contenuto della fiala su un panno di stoffa, e un aspro profumo di erbe aromatiche si diffuse nell’aria.
- Questo aiuta a far guarire più in fretta le ferite – spiegò, muovendosi verso di lui, in attesa.
- Fate pure – le disse.
Con cautela, Lynn si avvicinò e appoggiò il panno sul labbro arrossato e sui piccoli tagli che aveva sul viso.
Tristyn girò la testa, infastidito.
- Su, non è così terribile! Brucia un po’, ma funziona, ve lo posso assicurare – gli spiegò, continuando a tamponargli il volto – ogni volta che cadevo, da piccola, la mia balia usava sempre questo unguento, e faceva miracoli.
- Dovevate essere una bambina molto vivace – osservò lui.
- Be’, vivace è il termine giusto. Non stavo mai ferma. Mi piaceva esplorare e gironzolare qua e là, soprattutto in estate – Lynn sorrise al ricordo – purtroppo mio padre non me lo lasciava fare spesso.
- Sì, capisco il suo punto di vista – disse Tristyn.
I suoi occhi chiari, leggermente divertiti, erano fissi su di lei, e Lynn poteva percepire il calore della sua pelle sotto la stoffa umida. Anche se aveva finito di medicarlo, non riusciva ad allontanarsi.
Era come se una forza inopponibile la stesse attraendo verso di lui.
- Non mi volete dire cosa è successo? – gli chiese, cercando un argomento di conversazione.
Si sentiva piuttosto accaldata e stordita, ma probabilmente era dovuto all’incidente del pomeriggio.
Mettersi a letto e riposare erano di certo la cosa migliore da fare. Se solo fosse riuscita a staccare i piedi da terra.
- Ho avuto una piccola discussione con Conrad – borbottò lui – niente di che.
- Pensavo foste amici – osservò lei.
- Le risse migliori sono proprio quelle – le rispose, ridacchiando – avevamo voglia di menare un po’ le mani e lo abbiamo fatto. Niente di grave. Avete finito? – le chiese.
Accorgendosi di essere rimasta ferma per chissà quanto tempo, la ragazza si riscosse imbarazzata.
- Si certo! Stanotte dovrebbe già fare effetto e…- cercò di voltarsi ma lui la trattenne.
Lynn iniziava a sentire le gambe molli. Sul serio, non era solo una sua impressione.
Con delicatezza, suo marito le mise una mano tra i capelli e le accarezzò la testa.
- Vi fa ancora male? – domandò, con aria preoccupata.
- No…no… – balbettò lei – credo che alla fine sia andata peggio al sacco di farina – scherzò, riprendendo la battuta che le aveva fatto quel pomeriggio.
- Non mi avete detto perché eravate lì – mormorò lui, continuando ad accarezzarle delicatamente il capo. Dio, era così piacevole!
- Passavo per caso – rispose la ragazza, di getto.
Suo marito le lanciò un’occhiata scettica, che la punse sul vivo.
L’abilità di quell’uomo a cambiare atteggiamento era sorprendente!
- D’accordo, non volete credermi? Siete libero di farlo! Davvero, a volte non capisco proprio…- le parole le morirono in gola quando suo marito si alzò in piedi di fronte a lei.
La ragazza era talmente abituata a non stare troppo vicina a lui che quasi si meravigliò di quanta forza emanasse il suo corpo allenato e imponente. Eppure la stava trattenendo con una delicatezza tale che non riusciva a sentirsi intimidita da lui.
- Cosa non riuscite a capire Lynn? – le chiese.
Lei si era aspettata un tono sarcastico, invece sembrava sinceramente interessato.
- Voi – disse, guardandolo negli occhi - cambiate in continuazione. Per essere un uomo, siete piuttosto complicato – osservò, cercando di essere pragmatica.
Tristyn rise piano e scosse la testa.
- Be’, non penso di esserlo così tanto. Forse siete voi che non vi sforzate troppo per capirmi – la prese in giro, guardandola sornione.
Tristyn stava veramente scherzando con lei? La botta in testa doveva essere più forte del previsto perché la situazione le stava sembrando sempre più surreale.
- Sappiate che ho ottime capacità nell’individuare subito il carattere di una persona! Sul serio! Potete chiedere a chiunque e…si può sapere cosa c’è adesso? - gli chiese, sentendolo ridere sempre di più.
- E’ troppo facile – le disse lui, attirandola più vicina a sé.
In un altro momento Lynn se ne sarebbe subito accorta ma la sua mente era troppo impegnata a ragionare su cosa intendesse dire.
- Cosa? Vedete che siete complicato? E’ colpa vostra! – esclamò, trionfante, puntandogli un dito contro il petto.
Senza ribattere nulla, lui le prese la mano e la premette contro di sé.
- Avete finito? – le chiese.
- Sul serio, da come vi comportate stasera, sembra che abbiate preso voi una botta in testa, se fossi in voi andrei a…- le parole le morirono in gola.
O meglio, non riuscì proprio ad articolarle.
Prima che potesse accorgersene, si trovò a un palmo di naso dal viso di Tristyn. Non fece nemmeno in tempo a metterlo bene a fuoco che le labbra di lui si posarono sulle sue.
Delicatamente, al punto che all’inizio Lynn pensò di stare veramente vivendo un’allucinazione.
Poi però, la pressione delle sue labbra si fece sempre più insistente e la ragazza chiuse gli occhi, d’istinto, appoggiando le mani contro il petto di lui.
Aveva trascorso le ultime tre settimane a chiedersi cosa mai suo marito trovasse di così repellente in lei da non volerla nemmeno sfiorare con un dito, e ora invece stava succedendo questo!
Tristyn le passò una mano tra i capelli per tenerla vicino a sé, e la ragazza si ritrovò imprigionata contro di lui. Ancora stupita per la piega che quella serata aveva preso, rimase immobile, lasciandolo fare. Non era un’esperta, ma suo marito sembrava molto capace in quello che stava facendo, ecco, se solo non avesse…
- Ahi! – borbottò, quando sentì la mano di lui premere contro il bernoccolo.
Subito Tristyn la lasciò andare, guardandola preoccupato.
- Mi spiace – disse, in tono contrito.
Aveva le guance arrossate e il respiro un po’ affannato. Tuttavia, ciò che più la colpì in quel momento fu la luce che gli brillava negli occhi e che comunicava emozioni contrastanti.
Sollievo. Appagamento. Orgoglio.
- Dovete riposare, adesso – le disse lui, riprendendo il suo tono fermo, anche se la voce non aveva la solita sfumatura autoritaria.
Lei annuì, ancora intenta a osservare quello sconosciuto che aveva preso il posto di suo marito.
- Lynn? –
- Si? -
- Siete sicura di stare bene? – le domandò – avete preso una bella botta oggi.
Ah, sì. Giusto.
- Si…infatti, credo che ora andrò a dormire – mormorò lei – grazie.
Grazie?
La botta in testa doveva averla rintronata più di quando si aspettasse.
- Prego – rispose lui, in tono educato, ma i suoi occhi sorridevano divertiti.
La degna conclusione della serata.
Cercando di muoversi con disinvoltura, si arrampicò sul letto e si infilò sotto le coperte, sospirando di piacere nel poter appoggiare la testa sul cuscino. Emise uno sbadiglio e osservò Tristyn  mentre attizzava il fuoco nel camino. Sembrava…felice. 
- Tristyn? – lo chiamò, con voce assonnata.
- Sì? – rispose lui, senza voltarsi.
- Siete davvero un uomo complicato – borbottò prima di cadere in un sonno profondo.
 
 
 

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Capitolo 15
*** Questione di punti di vista. ***


15.
 
Era trascorso un anno dalla battaglia che aveva visto trionfare Guglielmo il Bastardo su re Harold, e ormai sembrava che i Normanni fossero riusciti a prendere il controllo su gran parte dell’isola inglese; rassicurato da questo successo, all’inizio dell’estate il re era partito alla volta della Normandia, portando con sé un folto gruppo di nobili sassoni che gli avevano giurato fedeltà.
Nonostante questo clima di apparente calma, tuttavia, non si poteva abbassare la guardia: a sud alcuni gruppi di ribelli avevano cercato di attaccare la roccaforte di Dover, e sebbene fossero stati respinti con successo, era chiaro che la speranza di cacciare l’invasore serpeggiasse ancora in diverse zone del paese. Tristyn non aveva alcun dubbio: presto sarebbero scoppiate altre rivolte, e l’idea non gli piaceva per niente. Sapeva che il suo castello, piuttosto distante dalle fortezze normanne, poteva rappresentare una preda appetibile sia per i sassoni ribelli, sia per i danesi, che rappresentavano una costante minaccia per le coste orientali.  Certo, negli ultimi mesi erano state apportate migliorie al sistema difensivo e il suo matrimonio con Lynn aveva rafforzato la sua posizione nella regione, garantendogli nuovi alleati, tuttavia Tristyn era consapevole che tutto questo ancora non bastava.
Il re doveva tornare a Londra, il più presto possibile.
- Tu sei uno degli uomini più vicini a Guglielmo, spiegagli la situazione e digli che la sua presenza è più richiesta qui che in Normandia. A te darà ascolto – disse a Conrad.
L’amico stava per partire alla volta della capitale, prima che l’inverno si abbattesse sulla regione, e assieme a Stefan si erano riuniti nella biblioteca, lontano da orecchie indiscrete, per fare il punto della situazione.
- Il re decide con la sua testa, non saranno certo le mie parole a convincerlo a partire. E poi Guglielmo ha delegato il potere a FitzOsborne e Odo, e finora sembra che riescano a tenere la situazione sotto controllo, senza che la sua presenza sia richiesta – osservò Conrad.
- E anche tu la pensi così?- gli chiese.
- Da quando il re è partito, entrambi hanno dimostrato di sapere adempiere al loro dovere. Li ho conosciuti mentre ero a corte, e ti assicuro che sono due abili politici, oltre che due bravi condottieri.
- Talmente abili da permettere che Dover fosse attaccata!- sbottò Tristyn
- La cosa importante è che l’attacco sia stato respinto, così da inviare un messaggio chiaro a chi osa opporsi ai Normanni – ribatté Conrad, in tono glaciale – so che sei preoccupato per le tue terre, ma credo tu stia sopravalutando la forza dei ribelli.
- O forse sono l’unico che vede le cose per quelle che sono! Cristo santo, Conrad, la situazione è molto più instabile di quello che pensi, non si tratta di pochi soldati allo sbando, sono gruppi armati e ben preparati, appoggiati molto probabilmente dai Gallesi e dagli Scozzesi! E’ questione di tempo ormai! Il re deve tornare a Londra e riprendere in mano la situazione.
- Forse Conrad non ha tutti i torti, Tristyn. Da quando siamo arrivati a Welnfver abbiamo avuto pochi scontri con i sassoni, e anche gli scozzesi non ci hanno dato problemi, se non con qualche intimidazione – si intromise Stefan.
- Stai dalla sua parte, adesso? – Tristyn gli rivolse un’occhiata fulminante.
- Dico solo che bisogna cercare di ragionare a mente lucida e…-
- E’ quello che sto facendo, maledizione! Non abbiamo vinto ad Hastings con la diplomazia e sapete meglio di me che i Sassoni non sono un popolo debole. Per quanto il re abbia cercato di venire loro incontro, stipulando accordi con i conti sassoni, so per certo che una parte della popolazione spera ancora nel ritorno dei figli di Harold dall’Irlanda. Credete che non li appoggerebbero contro di noi? Che quelli che hanno giurato fedeltà a Guglielmo non siano capaci di voltargli le spalle? La diplomazia vi ha fatto bollire il cervello! –
Conrad si alzò di scatto, a pugni chiusi.
- Stai oltrepassando il limite. Finiscila qui. Adesso.
- Perché, altrimenti cosa credi di poter fare?-
- Ora basta - Stefan si intromise tra loro – non si risolve niente così! Calmatevi!
Tristyn si allontanò e si appoggiò al muro, cercando di far scemare la rabbia.
- Sai Stefan, comincio davvero a pensare che tu sia sprecato qui. Hai riflettuto sulla mia proposta? – chiese Conrad, tornandosi a sedere come se nulla fosse successo.
Di cosa diavolo stava parlando?
Tristyn lanciò un’occhiata interrogativa a Stefan, che scosse la testa.
- Gli ho proposto di seguirmi a Londra. Un uomo con le sue capacità sarebbe molto apprezzato a corte – spiegò l’amico, in tono calmo.
- Perché nessuno mi ha informato di niente? – chiese Tristyn.
Guardò il suo migliore amico, e sentì una fitta al petto – Allora? –
- Non ho ancora deciso – rispose Stefan, imbarazzato – e poi…-
- Suvvia, Tristyn, non serve fare quella faccia sconvolta! Non puoi pensare che tutti vogliano restare quassù a vita, vero? Non te ne abbiamo parlato perché sei già abbastanza nervoso in questo periodo, e poi, conoscendoti, la prenderesti sul personale – disse Conrad, in tono pratico.
Nella stanza calò il silenzio.
- Tu la pensi come lui? – chiese a Stefan.
L’amico non rispose, chiaramente a disagio.
- Molto bene. Credo che toglierò il disturbo allora – mormorò, avviandosi verso la porta.
- Dai, Tristyn, aspetta! – gli gridò dietro Stefan.
- Lascialo andare. Deve imparare che non può averla sempre vinta lui – disse Conrad, a voce abbastanza alta così che anche lui potesse sentirlo.
Tristyn chiuse la porta di scatto, e vi si appoggiò contro.
Per la prima volta nella sua vita, era stato deluso dai suoi stessi amici. Questa sensazione gli bruciava dentro e gli fece venir voglia di urlare.
Reprimendo un’imprecazione, si avviò lungo il corridoio deserto, allontanandosi il più possibile dalla causa della sua frustrazione.
 
 
*
 
 
- Avete sentito? Sir Conrad è prossimo alla partenza per Londra.
Un eco di sospiri serpeggiò tra le dame sedute a ricamare nella sala da pranzo. Quel giorno il cielo grigio e carico di pioggia le aveva dissuase da qualsiasi attività all’aperto, e dopo colazione si erano tutte dedicate diligentemente a quell’attività delicata, femminile e terribilmente noiosa.
Con un sospiro, Lynn disfò per l’ennesima volta il suo lavoro e guardò verso la porta principale, sperando in qualche apparizione divina che la potesse portare via da quel luogo infernale, riempito solo da sciocche chiacchiere su argomenti di cui non le interessava nulla.
Fin da bambina, Lynn si era augurata di non dover mai partecipare a questo genere di incontri e anche per questo si era ripromessa di restare nubile: una zitella non aveva l’obbligo di stare con le donne sposate del castello, anzi, era tenuta a distanza, quasi che il non aver sposato un uomo la rendesse inferiore alle altre.  
- E’ davvero un peccato che debba partire, le serate al castello sono state molto più divertenti da quando è arrivato lui – disse un’altra, ottenendo il consenso di gran parte delle presenti.
La ragazza dovette trattenere una risata: a quanto pareva, la fama di ammaliatore di sir Conrad era ben meritata.
- Sapete se tornerà presto a Welnfver, milady? –
- Come? – chiese Lynn, venendo distolta dai suoi pensieri – oh, non so nulla, mi dispiace.
- Magari potreste chiedere a vostro marito – propose una, in tono speranzoso.
- Via, non vorrete mica farle passare dei guai con sir Tristyn? Potrebbe ingelosirsi – aggiunse un’altra, maliziosamente.
Lynn si sentì arrossire. Non era abituata a questo genere di conversazioni, e non osava immaginare cosa avrebbero pensato quelle donne se avessero saputo la verità sul suo matrimonio con Tristyn.
- E’ così, milady? A vederlo, dà l’impressione di essere un uomo geloso.
- Com’è giusto che sia, almeno all’inizio del matrimonio. Ascoltate il mio consiglio, milady, la gelosia è un buon modo per tenersi stretto un uomo. Non dategli sempre ciò che vuole.
Alcune donne ridacchiarono, mentre la ragazza voleva sprofondare dall’imbarazzo.
- Signore, per favore – intervenne Tess, sorridente ma con voce ferma – non credo che siano affari che ci riguardino, non pensate? –
Un coro di “ sì, certamente” si levò con clamore, e in poco tempo l’argomento fu dimenticato.
- Grazie – sussurrò Lynn alla cognata, lanciandole uno sguardo riconoscente.
Tess le fece un occhiolino.
Nemmeno lei sapeva come stavano realmente le cose tra lei e il marito, e Lynn si sentiva un po’ in colpa: di solito non aveva remore a confidarsi con Tess, ma si trattava di una questione troppo personale e delicata.
Si rimise all’opera, cercando di concentrarsi sul suo lavoro, e aveva perso quasi la cognizione del tempo quando si accorse che uno strano silenzio era calato nella stanza. Alzò lo sguardo e incrociò quello di Tristyn: se ne stava appoggiato contro lo stipite della porta e la fissava intensamente.
- Magari avessi un uomo che mi guarda così – sussurrò la donna seduta accanto a lei.
Lynn fece finta di niente e cercò di comportarsi con naturalezza.
- Buongiorno, avete bisogno di qualcosa? – gli chiese educatamente.
- In effetti, sì. Posso rubarvi per qualche istante dal vostro lavoro? –
Anche tutto il giorno!
- Vi raggiungo subito – ripose in fretta ago e filo nel cesto e si diresse verso la porta.
Ignorò gli sguardi maliziosi delle donne e seguì suo marito fuori dalla stanza.
- Non so davvero come ringraziarvi, non resistevo più là dentro – iniziò – di cosa avete…si può sapere dove stiamo andando? –chiese, non appena si sentì afferrare e trascinare lungo il corridoio che portava alle segrete.
Tristyn, ovviamente, non la degnò di una risposta, continuando a scendere i ripidi gradini con attenzione. Quando arrivarono a destinazione, Lynn rabbrividì per il freddo.
- Sul serio, si può sapere cosa siamo venuti a fare qui? – borbottò – e lasciatemi andare!-
Suo marito obbedì alla sua richiesta, ma un istante dopo la ragazza si ritrovò imprigionata tra il muro e il corpo di lui.
- D’accordo, ora state iniziando a preoccuparmi, va tutto bene? – chiese.
- Perché non dovrei stare bene? – ribatté lui, come se la sua domanda non avesse senso.
Peccato che la tensione del suo corpo dicesse tutto il contrario.
- Mi state prendendo in giro? E’ evidente che avete qualcosa che non va e…- Tristyn le impedì di finire la frase, chiudendole la bocca con un bacio.
Ora, Lynn aveva iniziato ad apprezzare questa storia dei baci, anzi, ci aveva quasi fatto l’abitudine.
Le piacevano le sensazioni che provava quando suo marito la prendeva tra le braccia: si sentiva protetta, desiderata, realizzata come donna. Tristyn era un uomo attraente, su questo non c’era alcun dubbio ma, al di là dell’attrazione fisica, in quei momenti la ragazza aveva l’impressione che lui si spogliasse del suo atteggiamento scontroso e burbero, e le facesse conoscere una parte di sé più dolce e gentile.
Adesso però, passato il primo momento di stordimento, Lynn iniziò a sentirsi a disagio: non la stava baciando perché desiderava farlo, ma solo per dimostrare a se stesso tutta la sua virilità e forza.
E questo non le piaceva per niente.
Dopo qualche inutile tentativo di staccarlo da sé, riuscì finalmente ad allontanarlo.
- Cosa diavolo significa? – sbottò, senza fiato.
- Che cosa? – ribatté lui, seccato da quell’interruzione.
- Questo. Portarmi via dalle mie faccende, trascinarmi nelle segrete e aggredirmi in questo modo,
 come….come se fossi una donnaccia qualunque! – balbettò, arrabbiata.
- Adesso non posso nemmeno pretendere un po’ di attenzioni da mia moglie? Si può sapere cosa volete ancora da me? – le chiese, frustrato, mentre cercava di baciarla di nuovo.
- Ho detto di no! – ribadì la ragazza, e con uno spintone riuscì a sgusciare via dalla sua stretta.
Si fissarono in silenzio, nella penombra dei sotterranei.
- Potrei obbligarvi con la forza, sapete? Sono vostro marito e almeno voi mi dovete obbedire, maledizione!- gridò.
Lynn rimase immobile.
- Lo avreste già fatto – mormorò, guardandolo dritto negli occhi.
Suo marito la fissò intensamente. Era rimasto a corto di parole, e aveva perso parte della sua arroganza.
- Che cosa vi succede? – gli chiese, avvicinandosi un po’ – sembrate…arrabbiato.
- Lo sono – fu la cupa risposta.
La ragazza fece ancora un passo avanti.
- Ho fatto qualcosa di sbagliato? –
- Voi non c’entrate nulla –
- D’accordo. Mi fa piacere perché, se dobbiamo litigare, voglio almeno sapere che posizione prendere – scherzò.
Tristyn scosse la testa.
- Siete la donna più strana che abbia mai conosciuto.
- Mi piace distinguermi dalla massa.
Uno scintillio attraversò lo sguardo di lui.
- Credetemi, vi riesce benissimo.
Cercando di ignorare l’allusione di quella frase, la ragazza si avvicinò fino a trovarsi di fronte a lui.
- E allora qual è il problema? – chiese.
- Siete davvero furba, eravate quasi riuscita a distrarmi, piccola volpe – osservò suo marito, lanciandole un’occhiataccia.
- Volete rispondere sì o no? – lo incalzò.
- No.
- Perché dovete essere così ottuso? Voglio solo aiutarvi! – sbottò.
- Sono affari miei – ribatté lui, sulla difensiva – e vi ho già detto che non voglio parlarne con voi!
Ora era Lynn che cominciava a essere molto infastidita.
- Quindi, una moglie è adatta solo per soddisfare le vostre…le vostre brame primordiali, giusto? –
Suo marito la guardò, sconvolto.
- Le mie… cosa? –
- Oh avete capito, brutto normanno arrogante! D’accordo, non voglio sapere nulla, contento? Ma non osate mai più mettermi le mani addosso in quel modo, solo per sfogare la vostra frustrazione, sono stata chiara? – disse, tutto d’un fiato.
Tristyn non rispose, si limitò a inarcare un sopracciglio.
Forse questa volta aveva esagerato.
- Vogliate scusarmi – borbottò, e prima che potesse fermarla, era già svanita lungo le scale.
 

*
 
 
- Vuoi continuare a tenermi il muso a vita? – gli chiese Stefan, sedendosi accanto a lui.
Tristyn mugugnò qualcosa in risposta, e finì di mangiare quel che aveva nel piatto.
La sala aveva già iniziato a svuotarsi e solo pochi commensali erano ancora seduti a tavola a cenare.
- D’accordo, se non parli tu, parlerò io. Mi dispiace per quello che è successo stamattina – iniziò l’amico – avrei voluto dirtelo prima ma non ho mai trovato l’occasione giusta.
Tristyn scosse la testa, ma non rispose nulla.
- La proposta che mi ha fatto Conrad è molto allettante, e ho voluto pensarci bene: sono il figlio cadetto di un piccolo barone bretone, e questo sarebbe un grosso avanzamento di carriera per me.
E’ una grande opportunità – continuò, in un tono calmo.
Come riuscisse sempre a essere così serafico, quello era un mistero!
- Senti Stefan, ammetto di aver esagerato. Me la sono presa quasi fosse un tradimento nei miei confronti ma la vita è tua, e se vuoi partire con Conrad, non ho alcuna obiezione. Avrei solo voluto saperlo prima – disse Tristyn.
- Ah, davvero lo pensi? – un sorrisetto increspò le labbra dell’amico – comunque, il fatto è che…-
- Sul serio, se c’è qualcuno che merita quel posto sei tu – ribadì lui.
- Mi fa piacere, però vedi…-
- Sei uno degli uomini più in gamba che io conosca e a Londra dovrebbero solo ringraziare il cielo che ti degni di offrire i tuoi servigi! –
- Cristo, mi vuoi lasciare finire? Ho rifiutato! – esclamò Stefan.
Tristyn lo guardò come se gli fosse spuntata una seconda testa.
- Che cosa? –
- Resto a Welnfver! Londra offre grandi opportunità, ma mi piace stare qui. E’ un bel posto e mi trovo bene con la gente. E poi hai bisogno del mio aiuto – disse, orgoglioso.
Tristyn avrebbe voluto abbracciarlo dalla gioia, ma si limitò ad assestargli una sonora pacca sulla spalla.
 - Spero che sarai contento – osservò una voce alle sue spalle – sono ammesso anch’io al tavolo della riconciliazione? -
Conrad lo guardava sogghignando, le braccia incrociate sul petto nella sua solita posa arrogante.
Sebbene lo volesse ancora prendere a pugni in faccia, Tristyn gli fece segno di sedersi e, dopo qualche boccale di birra, i restanti dissapori furono superati.
La sua partenza era alle porte e non aveva senso sprecare gli ultimi giorni insieme a tenersi il muso a vicenda (arte in cui entrambi eccellevano, d’altronde).
- Comunque amico, se posso darti un consiglio, invece di prendertela così tanto per sciocchezze del genere, fossi in te mi dedicherei alla bella fanciulla che, guarda caso, ora è tua moglie – mormorò Conrad, sorseggiando amabilmente l’ennesimo bicchiere – anzi, si può sapere cosa stai facendo ancora qui?
Tristyn quasi si strozzò a quelle parole.
Non aveva raccontato a nessuno del patto che aveva stipulato con Lynn, nemmeno a Stefan, ma gli era sempre più difficile continuare a comportarsi come nulla fosse. Aveva il timore che dall’esterno qualcuno potesse intuire la verità, e se ciò fosse successo, sarebbe stato uno scandalo.
- In effetti, penso che ora mi ritirerò – disse, cercando di salvare le apparenze.
- Ben detto! Vai e fatti onore! – esclamò Conrad.
Stefan si limitò ad alzare il calice alla sua salute.
Acclamato dai suoi amici, Tristyn perse gran parte della sua baldanza non appena arrivò davanti alla porta della stanza da letto. Nella sua testa rimbombavano le parole che la moglie gli aveva rivolto quel giorno, e sebbene il suo orgoglio maschile ne fosse stato punto, in fondo sapeva di aver sbagliato. Non c’era niente da fare, Lynn era diversa dalle tutte le donne che aveva conosciuto, e  ogni volta riusciva a spiazzarlo.
Prendendo coraggio, bussò alla porta ed entrò.
Trovò sua moglie seduta di fronte al camino, intenta a spazzolarsi i folti capelli rossi.
Faceva così ogni sera, prima di coricarsi, ed era sempre uno spettacolo.
Tristyn rimase a osservarla dalla soglia, in silenzio, alla ricerca di qualcosa da dire.
Alla fine, optò per la sincerità.
- Mi dispiace per oggi – disse.
Lynn si voltò verso di lui, senza rispondere. Dalla sua espressione non riusciva a capire se fosse ancora arrabbiata ma, conoscendola, preferiva esserne sicuro prima di avvicinarsi troppo.
- Anche a me – mormorò lei, esibendo un sorriso triste.
Si alzò in piedi e appoggiò la spazzola sul comodino, prima di andare da lui.
- Ho esagerato, stamattina. So che ora siamo sposati, e che, come moglie, devo saper stare al mio posto e non mettere in discussione la vostra autorità, è solo che oggi ero…spaventata. Mi avete preso alla sprovvista e…- Tristyn le mise una mano sulla bocca per farla tacere.
- E’ vero, dovreste imparare a essere più obbediente, ma – aggiunse – questo non giustifica il mio comportamento di oggi. Avete fatto bene a fermarmi – concluse, lasciandola libera di parlare.
- Eravate davvero fuori di voi – sussurrò lei, guardandolo con quegli occhi trasparenti.
- Sì, è vero. E nemmeno per una questione così importante. Spero davvero che accettiate le mie scuse – disse, contrito.
Lei annuì.
- D’accordo. Buonanotte, allora – le posò un bacio leggero sulle labbra, e aspettò che andasse a letto. Era il loro rituale: lei si metteva sotto le lenzuola, spegneva la candela e solo allora lui si spogliava per coricarsi. Era una situazione piuttosto singolare, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Questa volta, tuttavia, sua moglie non si mosse.
- Lynn, tutto bene? – le chiese.
- Potete….ecco, potete spogliarvi, se volete – disse.
Era arrossita a tal punto che ormai il suo viso aveva lo stesso colore dei suoi capelli.
Lui la guardò spiazzato.
- Non credo sia una buona idea – borbottò lui.
Non era affatto una buona idea!
- Sono vostra moglie, no? Avete detto che devo imparare a stare al mio posto, e le mogli di solito fanno queste cose, giusto? – mormorò.
Tristyn iniziò a sentire caldo, molto caldo.
- Lynn, davvero, non è necessario…-
- Vi vergognate per caso? – gli chiese, spiazzandolo.
- Come prego? –
- Non lo so, pensavo che per un uomo fosse più semplice…- fece un gesto vago con la mano nella sua direzione.
Che il Signore lo aiutasse, quella ragazza lo stava mandando oltre il limite, e non l’aveva neppure toccata!
- Allora? – lo incalzò.
Tristyn prese un profondo respiro.
- D’accordo, però voi andate a letto – le ordinò.
- Ma io…-
- Adesso, Lynn – disse, perentorio.
Bofonchiando qualcosa, la ragazza obbedì, e solo quando la vide ben nascosta sotto le coperte, Tristyn procedette. Di solito le donne non lo osservavano mentre si spogliava, era un atto a cui non attribuiva particolare importanza e ora si sentiva piuttosto in imbarazzo.
Eppure sua moglie lo guardava con gli occhi così pieni di curiosità e interesse che non aveva avuto il coraggio di dirle di no. E poi era un buon segno, no?
Un po’ impacciato, si tolse le scarpe e la tunica, e infine si sfilò le braghe, restando solo con la camicia di lino. Per fortuna era abbastanza lunga da coprire i punti più vulnerabili, perché in quel momento era piuttosto eccitato ed era chiaramente visibile.
Lynn si sollevò sui gomiti e gli lanciò una lunga occhiata.
La vide deglutire un paio di volte, mentre sentiva il suo sguardo percorrere il suo corpo da capo a piedi.
- Soddisfatta? – le chiese, cercando di apparire distaccato e calmo.
Lei annuì con una tale enfasi che gli strappò una risata.
Era davvero adorabile.
- Devo fare altro? – domandò, incrociando le braccia sul petto.
La camicia risalì di qualche centimetro, e gli occhi di Lynn si fecero ancora più grandi.
- No…no, buonanotte! – gli disse, soffiando sulla candela accanto a sé.
La stanza piombò nel buio, se non per la luce tenue proveniente dal camino.
Con un sospiro, Tristyn si avvicinò a tentoni verso la finestra e inspirò a fondo l’aria fredda della notte, per cercare di calmarsi. Sua moglie lo avrebbe fatto diventare pazzo.
Lanciò un’occhiata verso il letto avvolto nella penombra.
“ Presto”, pensò.
La sua attesa stava per terminare.


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Ciao a tutti!
Come vedete sono ancora qui, sempre un po' in ritardo, ma purtroppo non riesco sempre a scrivere quando e come vorrei. Devo dire la verità, questo capitolo mi ha impegnato molto sulla parte iniziale, ma una volta superato quello scoglio, sono riuscita a terminarlo in fretta per qui eccolo qua. Personalmente è uno di quelli che mi piacciono di più, mi sono divertuta molto a scriverlo, e spero che piacerà anche a voi. Grazie come sempre alle tantissime persone che leggono la storia, e ovviamente ai miei fidati recensori, temevo di aver perso qualcuno per strada e invece ci siete sempre, non so davvero come ringraziarvi!!:) Vi lascio al capitolo!

Un bacione
Francesca

 
 

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Capitolo 16
*** Sentirsi impotenti. ***


16.
 
Appollaiata su una delle sedie nella sala padronale, Lynn aspettava.
L’ora di coricarsi era trascorsa da un bel pezzo e l’oscurità la circondava, avvolgendola in una coltre protettiva al punto che, se non fosse stato per le poche fiamme che brillavano nel camino, non sarebbe riuscita a vedere a un palmo del suo naso.
“Questa me la paga” pensò, fissando in modo truce la porta intarsiata della biblioteca, da cui proveniva un brusio sommesso e concitato. Diverse voci maschili stavano confabulando tra loro.
Poi una pausa. Un borbottio scettico. E infine la porta si aprì.
- Yann e gli altri ti accompagneranno fino al villaggio di Lilburn, da lì potrai prendere la strada che porta a York, dovrebbe essere una via sicura – la voce del marito risuonò nitida mentre usciva dalla stanza insieme a Conrad e Stefan – scrivimi non appena arrivi a Londra. E’ importante che…-
si interruppe di colpo, scorgendola nella penombra.
Lynn si alzò in piedi e si avvicinò al terzetto. Nel vederla Conrad e Stefan piegarono il capo in un rispettoso inchino mentre Tristyn si limitò a lanciarle un’occhiata seccata. Molto seccata.
- Che cosa ci fai qui? Pensavo fossi a letto – le chiese, in tono brusco.
Lei gli rivolse un sorriso educato, ignorando la domanda, e si rivolse invece a Conrad.
- Non potevo lasciarvi partire senza nemmeno avervi salutato – disse.
L’uomo, passato il primo momento di stupore, le fece un occhiolino complice.
- Siete molto gentile, milady. Mi dispiace andare via così all’improvviso ma devo tornare a Londra prima del previsto.
- Spero nulla di grave – osservò lei.
- Nulla che possa interessarti – borbottò Tristyn, frapponendosi tra loro – vai pure in camera, adesso. Ti raggiungo tra poco.
- Posso essere utile in qualcosa? Avete delle scorte per il viaggio?
- La cuoca ha già preparato tutto l’occorrente.
- Allora potrei…
- Non serve nulla! La tua presenza non è necessaria – la interruppe il marito, seccato.
Lynn lo guardò, ferita dal quei modi bruschi.
- Volevo solo essere d’aiuto – mormorò, in tono neutro.
Si rivolse a Conrad, porgendogli una busta sigillata: - So che vi recherete a York, prima di tornare a Londra. Vi sarei molto grata se consegnaste questa a Sir Aidan Clifford. Era uno dei più cari amici di mio padre e sono mesi che non ha mie notizie.
- Mi assicurerò personalmente che arrivi nelle sue mani, milady – disse lui, gentile.
- Grazie. Viaggiate con prudenza, mi raccomando. E sappiate che sarete sempre il benvenuto qui.
Era una frase di circostanza, ma in realtà Lynn era sincera: negli ultimi tempi aveva avuto modo di conoscere Conrad scoprendo che, dietro la facciata di affascinante seduttore, si nascondeva un uomo astuto e intelligente. Non c’era da meravigliarsi che facesse parte dello stretto entourage del re Guglielmo.
L’uomo le rivolse un’occhiata divertita.
- Allora tornerò non appena mi sarà possibile.
Sì, non c’era da meravigliarsi nemmeno che fosse un abile seduttore.
- Bene, abbiamo finito con i saluti? – sbottò suo marito.
Senza rispondergli, Lynn augurò la buonanotte ai presenti e si ritirò nelle sue stanze.
Che insopportabile tiranno.
 
*
 
- Lasciatelo dire, sei proprio negato a fare il marito – disse Conrad, mentre controllava che il cavallo fosse sellato a dovere.
- Qualcuno ha chiesto la tua opinione? – ribatté Tristyn.
- No, ma mi sembrava giusto dirtelo, nel caso non te ne fossi accorto da solo – vedendo la sua espressione corrucciata, Conrad sospirò.
- Si può sapere cosa ti è preso? Non ha fatto nulla di male, stavolta. Voleva solo essere gentile.
- Lascia perdere. Sai com’è fatto – osservò Stefan, in tono piatto.
Magnifico. Non riusciva a capire come facesse, ma sua moglie riusciva sempre a mettergli i suoi amici contro. Alla faccia della solidarietà maschile.
- Sì, lo so – ghignò Conrad.
Prima che potesse togliergli quell’espressione compiaciuta dalla faccia, un piccolo gruppo di cavalieri a cavallo, capeggiati da Yann, si avvicinò.
- E’ ora di andare – Conrad si issò in sella con un balzo – non appena arriverò a Londra, informerò FitzOsborne di quello che mi hai riferito su Gospatric. Se lo riterrà necessario, avvertirà il re. Ti scriverò non appena saprò qualcosa, di più non posso fare – disse.
- E’ già abbastanza. Sii prudente – gli rispose Tristyn.
Il ponte levatoio era stato calato e i cavalli scalpitavano.
- Certo. E tu sii più comprensivo con quella povera ragazza. Altrimenti giuro che torno e me la sposo io – lo prese in giro Conrad.
Diede un colpo di speroni e partì al galoppo insieme agli altri cavalieri.
Tristyn e Stefan rimasero a osservarli, fino a che le loro sagome non si persero nell’oscurità, sparendo alla loro vista.  La notte era fredda ma limpida e, se tutto fosse andato bene, sarebbero riusciti ad arrivare a York prima che incominciassero le prime nevicate.
- Se devi dirmi qualcosa, fallo – borbottò, sentendo lo sguardo dell’amico su di sé.
- Non ho nulla da dirti. Me ne vado a dormire, buonanotte – rispose Stefan, lasciandolo solo nel cortile del castello. La brezza notturna lo fece rabbrividire, eppure non aveva ancora voglia di rientrare. Maledizione, ma cosa gli era preso?
Alla fine, dopo aver passato un tempo incalcolabile a fissare il cielo stellato, decise di andare a letto. Entrò nella camera da letto e si svestì, cercando di non fare rumore.
Si infilò sotto le coperte e si avvicinò alla sagoma immobile accanto a lui. Lynn si era addormentata.
Alla luce flebile della luna, Tristyn studiò il viso di sua moglie e scorse la traccia di alcune lacrime.
“Sono un idiota” pensò.
Chinandosi su di lei, le depose un lieve bacio sulla fronte, come faceva ogni sera, e si coricò accanto a lei. Alla fine, vinto dalla stanchezza, si addormentò.
 
*
 
Il giorno dopo Lynn era ancora risentita per quello che era successo.
Per quanto cercasse di passare oltre, questa volta non riusciva a perdonare Tristyn per come si era comportato con lei, soprattutto perché non pensava di essersi meritata quelle parole scortesi e dure.
Dopo aver consumato in fretta la sua colazione, si preparò per recarsi al villaggio: con l’arrivo dell’inverno, Lynn intensificava sempre le sue visite per assicurarsi della salute dei suoi abitanti, in particolare dei bambini, i più vulnerabili ed esposti alle malattie. Lei non era un medico ma la sua conoscenza delle erbe più di una volta le aveva permesso di rendersi utile, soprattutto nelle occasioni in cui il dottore non aveva potuto recarsi subito a prestare le cure necessarie al malato.
Si coprì con un mantello di lana pesante e si mise a tracolla la borsa contenente alcuni unguenti. Mentre sellava il suo cavallo, vide Stefan venirle incontro.
- Buongiorno – la salutò, con la solita cortesia.
Qualcuno dovrebbe imparare da lui le buone maniere”, pensò acidamente.
- Buongiorno Stefan. Sto andando al villaggio, avevi bisogno di qualcosa?
- A dire il vero no – la guardò, titubante – volevo solo dirti che mi dispiace per quello che è successo ieri sera. Sei stata molto gentile, e sappi che Conrad ha apprezzato moltissimo il tuo gesto.
La ragazza non poté fare a meno di sorridere.
- Mi fa piacere. Ieri volevo solo rendermi utile – fece una pausa – peccato che non tutti riescano a capirlo – osservò, con amarezza.
- Tristyn non è cattivo, lo sai. Solo che ha volte agisce prima di pensare.
- Me ne sono accorta – lanciò un’occhiata al cielo plumbeo – sarà meglio che vada, non vorrei imbattermi in una nevicata – disse, salendo a cavallo con un balzo atletico, nonostante l’impaccio della gonna.
- Dirò a Tristyn che sei uscita. Non fare tardi – l’ammonì Stefan.
- Non preoccuparti, sarà una visita breve.
Da qualche settimana suo marito le aveva accordato il permesso di uscire da sola quando doveva recarsi al villaggio e lei non aveva alcuna intenzione di perdere quella concessione.
Partì al galoppo e in breve tempo raggiunse la casa di padre Godric: l’anziano sacerdote era molto legato a Lynn e la ragazza non mancava di fargli visita ogni volta che ne aveva occasione, non solo per il piacere di parlare con lui ma anche per essere informata su come procedevano le cose al villaggio.
- Sei molto cara a venire così spesso, Lynn – le disse, facendola accomodare vicino al focolare.
- Cerco solo di rendermi utile – rispose lei, con un sorriso.
- Lo so, e tutti te ne sono grati, qui. Sei una buona castellana e la gente ti rispetta. Tuo padre sarebbe orgoglioso di te.
Una fitta di dolore attraversò Lynn a quelle parole ma non lo dette a vedere: con sua grande vergogna, si accorse che non pensava più assiduamente a suo padre come un tempo, né ricordava più con chiarezza i lineamenti del suo viso. I ricordi stavano svanendo, senza che lei nemmeno se ne rendesse conto.
Rimase a conversare con padre Godric ancora per un po’ e poi diresse a casa degli Osbourne, una famiglia che viveva ai confini dell’abitato: qualche settimana prima Gwynn, la moglie del mugnaio, aveva partorito il suo primo figlio ma era rimasta stremata da quell’esperienza.
Con suo grande sollievo, quando arrivò a destinazione, la trovò intenta ad allattare il bambino e, a giudicare dal colorito del suo viso, stava molto meglio. La ragazza fu così felice di vederla che la invitò a fermarsi a bere un tè caldo e Lynn non poté rifiutare in alcun modo.
Mentre aspettava che la bevanda si raffreddasse, contemplò il neonato, momentaneamente deposto in una cesta di vimini. Ora, Lynn non era molto brava con i bambini, soprattutto con quelli più piccoli: le piacevano ma non sapeva mai come comportarsi, per cui si limitava ad osservarli da una certa distanza, azzardando un sorriso di tanto in tanto.
- Avete proprio un bel bambino – disse, educatamente, mentre Gwynn era impegnata a stendere dei panni davanti al fuoco.
- Vi ringrazio milady – le rispose, riconoscente – è piuttosto tranquillo, a parte quando ha fame. Allora si mette a strillare come un’aquila finché non gli dò il latte. Volete prenderlo in braccio?
Assolutamente no!
- Non mi sembra il caso…- iniziò lei, ma la donna, veloce come il vento, le aveva già messo il neonato tra le braccia. Due piccoli occhi scuri la fissarono preoccupati, quasi conoscessero la sua inesperienza in quel genere di cose.
- Dovete tenergli la testolina in alto, così…mettete la mano lì…ecco, perfetto! – esclamò la ragazza, soddisfatta – non è difficile, vero?
Lynn annuì, e passato il primo momento di incertezza, dovette riconoscere che non era poi così complicato come aveva sempre pensato, anzi. Iniziò a cullarlo, un po’ impacciata, e il bambino emise un gorgoglio felice.
- E’ davvero bellissimo – mormorò, sfiorandogli le manine piccole e delicate.
Il piccolo le afferrò un dito e lo strinse, e fu allora che Lynn, per la prima volta nella sua vita, sentì un’emozione nuova gonfiarle il petto, qualcosa che non aveva mai provato prima. Per un istante, immaginò come sarebbe stato tenere tra le braccia il suo bambino. Un figlio tutto suo. E di Tristyn.
Questo pensiero la turbò a tal punto che si immobilizzò di colpo, incapace di prendere fiato. Il neonato, sentendola irrigidirsi, iniziò a piagnucolare spaventato.
- Io…mi dispiace – disse lei, sentendolo agitarsi tra le sue braccia e non sapendo cosa fare.
- State tranquilla milady, dopo un po’ si stanca di essere cullato – la ragazza le lanciò uno sguardo preoccupato – voi, piuttosto, vi sentite male? Siete molto pallida.
In effetti, Lynn non stava affatto bene: le mancava l’aria e le sembrava che tutta la stanza avesse iniziato a girarle intorno all’impazzata.
- Sto bene – rispose, con voce malferma – ora scusatemi ma devo proprio andare.
Si alzò, afferrò la borsa e uscì di corsa dalla casupola, quasi avesse il diavolo alle calcagna.
Fuori l’aria era fredda, ma era talmente agitata che non se ne accorse nemmeno; dovette percorrere qualche metro prima di fermarsi contro un muro diroccato.
Prese un respiro profondo, poi un altro, e finalmente si calmò.
Ma cosa le era preso? Raramente le era successo di perdere il controllo in quella maniera, e tutto a causa di un bambino. Era assurdo! Si impose di cancellare dalla sua mente quello che era successo e decise di tornare al castello. Per oggi la sua visita era durata a sufficienza.
Recuperò il cavallo e prese la strada verso casa, procedendo ad un’andatura più tranquilla: non era un tragitto lungo e il tempo sembrava reggere, per il momento.
Stava quasi per superare la curva che la separava dal cancello principale quando un rumore attirò la sua attenzione. Un rantolio secco, seguito da una serie di colpi di tosse.
Si guardò intorno, all’erta. Quel tratto di strada era circondato da una fitta macchia di vegetazione, formata perlopiù da piante di more e lamponi, che in estate era meta di tutti i bambini del villaggio. D’inverno si trasformava in una boscaglia incolta e sterile e nessuno di solito le prestava attenzione.
Di nuovo quel rantolio, questa volta più prolungato.
L’idea più saggia sarebbe stata quella di andare al castello e cercare aiuto ma Lynn non si reputava una persona saggia. Era impulsiva. Per questo, senza pensarci due volte, scese dalla sella, legò il cavallo ad un albero poco distante e si incamminò in quell’intrigato groviglio di rami e rampicanti. Alcune spine le graffiarono il viso, mentre procedeva con cautela, e finalmente lo vide.
Un piccolo corpo raggomitolato a terra, immobile.
Per un attimo la ragazza temette di essere arrivata troppo tardi, ma improvvisamente una serie di colpi di tosse squassarono quella figura inerme.
Come diavolo era finito lì? Tirando fuori il pugnale che portava sempre con sé – lo stesso che le aveva regalato il fratello anni prima – si fece largo tra i rami e lo raggiunse.
Si trattava di un bambino di sette o otto anni, non di più, il corpo tremante e il viso pallido e incavato. Due occhi esausti si posarono su di lei, quasi gli costasse uno sforzo immane tenerli aperti.
- Ciao – gli disse Lynn, dolcemente, accucciandosi accanto a lui.
Il bambino si ritrasse spaventato, per quanto glielo consentissero le sue forze.
- Non voglio farti male, stai tranquillo. Come ti chiami? – gli chiese.
Doveva portarlo via di lì il prima possibile.
- Briain – mormorò lui. Era chiaro che non si fidava di lei, ma stava talmente male che non riusciva ad opporre troppa resistenza.
- Io mi chiamo Lynn. Vivo qui vicino, al castello di Welnfver – disse.
Il bambino fece un lieve cenno del capo nel sentire quel nome e fu allora che lo riconobbe: qualche volta accompagnava suo padre, un mercante di Norwich che periodicamente si fermava a Welnfver prima di ripartire per la Scozia. Evidentemente, nella concitazione della partenza, il bambino si era allontanato, perdendosi nel bosco. Era un miracolo che fosse ancora vivo.
- D’accordo, che ne dici se ce ne andiamo da qui? Si sta facendo freddo e non è il caso di restare a passare la notte in questo posto – osservò, sperando di persuaderlo.
Maledizione, lei non era brava con i bambini! La soluzione più semplice sarebbe stata quella di caricarselo in spalla e portarlo via, ma sfortunatamente lei non era così forte da poterlo fare.
“Se ci fosse qui Tristyn, saprebbe cosa fare” pensò.
Mai come in quel momento aveva desiderato che suo marito fosse con lei, ed era un evento raro.
Il bambino ci pensò su e alla fine riuscì a mettersi seduto.
- Riesci a mettermi le mani attorno al collo? – gli chiese.
“ Dì di sì, ti prego, dì di sì” pregò.
Il bambino annuì lievemente e in qualche modo riuscì ad aggrapparsi a lei. Prendendo lo slancio necessario, Lynn si tirò su, riuscendo a mettersi in piedi. Nonostante fosse mingherlino, il piccolo era piuttosto pesante. Procedendo a fatica, percorse il sentiero che si era aperta all’andata e riuscì a tornare sulla strada maestra. Il bambino aveva iniziato a tremare vistosamente e la fronte scottava.
Salire insieme a cavallo era un’impresa impossibile: lo avvolse nel suo mantello e in qualche modo riuscì a metterlo in sella.
- Tieniti alla criniera, d’accordo? – gli disse – resisti ancora un po’ e poi potrai riposare.
Prese per le redini, e si incamminò lungo la strada, pregando Dio che il bambino non cadesse giù da cavallo. Alla fine, senza che nemmeno lei sapesse bene come, arrivarono al castello: era appena entrata nel cortile principale quando vide un uomo dirigersi verso di lei.
Le sfuggì un sospiro di sollievo.
Ce l’aveva fatta.
 
*
 
- Perché ci mette tanto a tornare? – borbottò Tristyn.
Era salito sulla torre principale assieme al capo delle guardie per verificare l’efficienza delle difese del castello, e nonostante ascoltasse quello che l’altro gli stava dicendo, non poteva fare a meno di pensare a Lynn.
Aveva trascorso buona parte della notte in bianco, a ripensare a come si era comportato con lei, e per quanto ne soffrisse il suo orgoglio, aveva deciso di scusarsi con lei. Tristyn non amava ammettere di aver sbagliato, ma questa volta aveva davvero esagerato.
- La via d’accesso è sicuramente il punto più vulnerabile – gli stava dicendo l’uomo – tuttavia con un numero adeguato di soldati…- si interruppe di colpo e si sporse dal parapetto.
Tristyn seguì la direzione del suo sguardo e vide una figura esile dirigersi verso il cancello principale, con dietro un cavallo che avanzava a passo lento e ciondolante.
Gli bastò un attimo per riconoscerla.
Si precipitò giù per le scale il più in fretta possibile e corse fuori proprio mentre Lynn faceva il suo ingresso nel cortile principale.
- Lynn! – esclamò, raggiungendola – si può sapere cos’è successo? – chiese.
La ragazza tremava visibilmente e le labbra avevano iniziato ad assumere un colorito bluastro.
- Devi entrare subito dentro, ti verrà un accidente! – disse, slanciandosi il suo mantello e appoggiandoglielo sulle spalle.
- A-aspetta – balbettò lei, afferrandogli le mani. Erano gelide – ho trovato un…un bambino lungo la strada – gli indicò il fagotto riverso sulla sella, da cui spuntava una testolina bionda.
Con cautela, Tristyn lo tirò giù e lo prese in braccio. Due occhi stanchi e febbricitanti lo fissarono.
- Dove l’hai trovato? No, me lo dirai dopo, ora avete bisogno di scaldarvi – l’afferrò con la mano libera e la trascinò dentro il salone principale, facendola sedere davanti al fuoco.
- Aspettami qui – le ordinò – a lui ci penso io. Non muoverti, intesi? –
Senza attendere una risposta, portò il bambino in una delle stanze al piano superiore e lo mise a letto. Tossiva in continuazione e a giudicare da quanto scottava, doveva avere la febbre molto alta.
Aveva accesso il fuoco nel camino, usando tutta la legna che aveva trovato, ma quel ragazzino aveva bisogno di riscaldarsi al più presto. In quel momento la signora Godwyn, la governante del castello, entrò nella stanza, portando con sé delle pezze pulite.
- Oh santo cielo – mormorò, avvicinandosi al letto e lanciando un’occhiata impietosita al suo occupante. Gli appoggiò un panno freddo sulla fronte e cercò di fargli bere qualcosa, ma il ragazzino si scansò, infastidito.
- Abbiamo bisogno di un dottore, e in fretta – disse Tristyn – lo mando subito a chiamare.
- E’ partito stamattina per un villaggio nella valle vicina, non tornerà prima di domani – osservò la donna – e non ci sono altri dottori in questa zona.
- Mi occuperò io di lui.
Entrambi si voltarono e videro Lynn sul ciglio della porta. Aveva ripreso un po’ di colore, ma tremava ancora leggermente.
- Ti avevo detto di non muoverti da lì – le disse, lanciandole un’occhiata severa.
- Sto bene – rispose, guardandolo in malo modo – lui no.
Si avvicinò al letto, sedendosi accanto al bambino.
- Ciao Briain – sussurrò, accarezzandogli la fronte – ti ricordi di me?
Il ragazzino annuì, prima di mettersi a tossire senza sosta.
Tristyn iniziava a stare male per lui.
- D’accordo, ora resta qui e cerca di dormire. Signora Godwyn, ho bisogno di qualche vestito pulito e di panni freschi per far scendere la febbre. Restate voi con lui? – chiese Lynn, alzandosi in piedi.
- Certo, milady – rispose.
Il bambino allungò una mano verso Lynn, afferrandola per la gonna.
- Non andare via – mormorò.
La ragazza si chinò verso di lui, parlandogli con voce dolce.
- Non starò via molto. Tu cerca di dormire, quando ti svegli sarò qui, promesso.
Gli accarezzò lievemente i capelli e uscì di corsa dalla stanza.
Tristyn la seguì a ruota: iniziava a sentirsi soffocare in quella stanza.
- Che cosa vuoi? – gli chiese lei, continuando a camminare.
- Intanto, che ti fermi e mi guardi in faccia quando ti parlo – le prese una mano e la costrinse a voltarsi verso di lui – e poi voglio che tu mi risponda sinceramente: pensi che ce la farà?
- Non lo so.
- Sta molto male, Lynn.
- Me ne sono accorta.
- Posso fare qualcosa? Aiutarti in qualche modo?
Un’ombra passò sul volto della ragazza.
- No. La tua presenza non è necessaria.
Si liberò dalla sua stretta e corse giù per le scale, senza lasciargli nemmeno il tempo di replicare.
 
*
 
Nonostante avesse rischiato quasi di morire congelata, Lynn si sentiva piena di energie, al punto che non riusciva a stare ferma un momento: si alternava tra le cucine, doveva aveva messo a bollire diverse ingredienti per preparare un decotto, e la stanza in cui riposava Briain, accertandosi di volta in volta delle sue condizioni di salute. Era come una scheggia impazzita, tant’è che la signora Godwyn, esasperata da quel continuo via vai, l’aveva gentilmente rispedita in cucina, con l’ordine di tornare solo quando la medicina fosse stata pronta.
- Non dovrebbe mancare molto – mormorò Lynn, china sul paiolo in cui le erbe stavano bollendo già da un po’. Un odore acre e pungente si stava diffondendo nell’aria: più fosse stato forte, più efficace sarebbe stato il decotto.
Dopo aver filtrato il contenuto del paiolo, la ragazza vi aggiunse del miele e del latte, per addolcire un po’ il sapore, e lo portò al piano di sopra.
Il piccolo stava dormendo, per quanto glielo consentisse la tosse incessante, ma si svegliò di colpo non appena Lynn mise piede nella stanza.
- Che cos’è? – chiese debolmente, vedendola avvicinarsi con la tazza in mano.
- E’ un decotto di erbe. Ti farà bene, vedrai – gli disse Lynn, sedendosi accanto a lui.
- Ha un odore schifoso – osservò il bambino.
- Sì, lo so, ma ti assicuro che il gusto non è così cattivo. Dai, ti aiuto a tirarti su – con cautela lo mise a sedere e gli portò la bevanda calda alle labbra. Briain mandò giù qualche sorso, cercò di scansarsi un paio di volte, ma alla fine lo bevve quasi tutto.
Con l’aiuto della signora Godwyn, Lynn lo appoggiò sui cuscini in una posizione semieretta, di modo che potesse respirare meglio, e gli rimboccò le coperte.
- Te ne vai di nuovo? – le chiese lui, vedendola allontanarsi.
- Solo un momento, non preoccuparti.
Poco dopo tornò con una piccola boccetta di vetro.
- Questo – disse, spalmandogli una pomata sul petto – ti aiuterà a respirare meglio. Quando ero piccola ed ero ammalata, la mia balia lo usava sempre e subito mi sentivo bene.
In cuor suo, Lynn sperava che quell’antico rimedio funzionasse anche questa volta.
Con il passare delle ore, tuttavia, le condizioni del bambino non sembravano migliorare: la tosse continuava ad affliggerlo, al punto che ormai respirava con evidente affanno, e la febbre continuava ad essere alta, a giudicare da come delirava nel sonno. Per diverse ore la ragazza continuò a rinfrescargli il viso con panni imbevuti di acqua fredda e a fargli bere bevande calde: la speranza che si riprendesse si affievoliva sempre di più, ma non era ancora disposta a lasciarsi prendere dalla disperazione.
Alla fine, in un modo o nell’altro, il bambino smise di agitarsi e cadde addormentato.
Esausta, Lynn si lasciò cadere su una poltrona accanto al letto: le girava la testa, e aveva le braccia indolenzite.
- Milady, dovreste andare a riposare – osservò la governante, lanciandole un’occhiata preoccupata.
- Voglio restare qui – disse lei.
- Rischiate di ammalarvi anche voi, se continuate così. E allora non sareste di nessun aiuto a quel povero bambino, non credete?
A malincuore, Lynn dovette darle ragione.
- Va bene. Ma per qualsiasi cosa, qualsiasi, non esitate a chiamarmi.
La signora Godwyn le diede la sua parola.
A tentoni, la ragazza raggiunse la sua stanza e, dopo essersi spogliata e rinfrescata, si infilò una camicia da notte e si mise a letto, cadendo addormentata pochi istanti dopo.
 
*

Seduto nel salone principale, Tristyn osservava assente le braci spente nel focolare.
Ormai la sera era calata da un pezzo e la maggior parte degli abitanti del castello si stava preparando per la notte. Lui non andava mai a dormire così presto, e di solito ingannava l’attesa chiacchierando con Stefan e magari bevendo un bicchiere di acquavite.
Peccato che quella sera di Stefan non ci fosse traccia. Chissà dove diavolo si era cacciato.
Sentì alcuni colpi di tosse risuonare secchi nel silenzio della stanza; preoccupato, lanciò un’occhiata al piano superiore. Dubitava che quel bambino ce la potesse fare: ne aveva visti a decine morire così mentre era in guerra, tuttavia era uno spettacolo a cui non ci si abituava mai.
Stanco di stare fermo a non fare nulla, decise di andare a controllare la situazione. Gli bruciava ancora il modo in cui Lynn lo aveva trattato, ma passato il primo momento di rabbia, aveva dovuto riconoscere di esserselo meritato.
In silenzio, entrò nella stanza di Briain e lo vide immobile al centro del letto, il petto che si sollevava a fatica e che veniva di tanto in tanto squassato da un colpo di tosse, il viso pallido e tirato.
- Come sta? – chiese alla governante, seduta in una vecchia poltrona lì vicino.
La donna scosse la testa, avvilita. Una risposta più che sufficiente.
Tristyn sentì un nodo stringergli la gola.
- Dov’è mia moglie? – chiese.
- Sono riuscita a convincerla ad andare a riposare. Ha fatto tutto il possibile per lui, ora non resta che aspettare. Anche se…- la voce si affievolì, senza finire la frase.
Tristyn rimase a osservarlo per qualche istante, in silenzio. Si sentiva inerme, la stessa dannata sensazione che aveva già provato decine di volte dinanzi a qualcosa più grande di lui.
- Avete bisogno di qualcosa? Posso fermarmi io, mentre voi vi riposate – disse.
Al momento, era l’unica cosa che poteva fare.
La donna scosse la testa.
- Siete molto gentile, milord, ma resterò qui. L’ho promesso a lady Lynn.
Rivolgendo un’ultima occhiata al bambino addormentato, Tristyn si accomiatò e si diresse verso la sua stanza: si limitò a slacciare il cinturone e a togliersi le braghe prima di infilarsi sotto le coperte.
Rigirandosi tra le lenzuola fredde, allungò una mano verso il centro del materasso, trovandolo stranamente vuoto: di solito Lynn amava avere il letto tutto per sé, ma questa volta la trovò raggomitolata sul ciglio. Lontana da lui.
Tristyn stava per mettersi a dormire, quando un singhiozzo attirò la sua attenzione.
- Lynn? – chiese, tirandosi su e accendendo una candela lì vicino.
Una luce tremolante rischiarò la stanza e la sagoma di sua moglie.
Stava piangendo.
- Lynn, cosa succede? – si avvicinò, preoccupato.
- Niente – gli rispose– lasciami in pace.
Oh, ne aveva abbastanza.
Senza darle il tempo di ribellarsi, la voltò verso di sé: aveva le guance arrossate, gli occhi pieni di lacrime, le labbra tremanti.
- Perché devi fare sempre di testa tua? – sbottò lei, asciugandosi una lacrima fuggitiva.
- Perché sono preoccupato per te – rispose lui, semplicemente.
Lynn lo guardò, sorpresa, e poi scoppiò in singhiozzi.
Impacciato, Tristyn le diede qualche carezza di conforto sulla schiena, avvicinandola a sé. In risposta, lei lo abbracciò e seppellì il volto contro il suo petto.
- E’ per quel bambino, vero?
Lei annuì, senza smettere di piangere.
- Hai fatto tutto quello che era in tuo potere, Lynn – la consolò.
- Non…non voglio che m-muoia. E’ così piccolo. Non è g-giusto – mormorò lei, tra le lacrime.
- No, non è giusto. Ma purtroppo tu non ci puoi fare niente. Gli hai già dato una possibilità trovandolo e portandolo qui, ora non possiamo fare altro che aspettare.
- Pensi che ce la farà? – gli chiese.
Lui avrebbe voluto essere onesto e dirle ciò che pensava, ma non riuscì a farlo.
- Non lo so. Spero di sì.
- Lo spero anche io.
Rimasero in silenzio per un po’. Tristyn continuava ad accarezzarle piano la schiena, e pian piano sentì i singhiozzi diminuire, fino a cessare del tutto.
- Va un po’ meglio? – le chiese.
Sua moglie annuì.
Tristyn fece per staccarsi da lei ma Lynn non mollò la presa.
- Resta ancora per un po’. Per favore – lo pregò, la voce soffocata contro il suo petto.
- D’accordo. Aspetta solo un momento – si sollevò e spense la candela.
La stanza piombò nell’oscurità.
Infilandosi di nuovo sotto le coperte, la prese di nuovo tra le braccia e la sentì raggomitolarsi contro di sé come un gattino impaurito. Non l’aveva mai vista così vulnerabile.
- Allora buonanotte – mormorò.
Ma Lynn si era già addormentata.


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Ciao a tutti!
Lo so che è passato diverso tempo dall'ultimo aggiornamento, ma in questi mesi di assenza la voglia di scrivere mi aveva proprio abbandonato, avevo la testa da tutt'altra parte, tra università e problemi personali, e non riuscivo a mettere giù niente che mi convincesse. Questo capitolo, assieme al prossimo (che è già in lavorazione) chiude la seconda parte della storia, ci ho lavorato parecchio e spero che il risultato sia buono. 
Ringrazio tutti quelli che continuano a seguire e lasciarmi le loro impressioni, sono molto importanti per me e spero che, nonostante le mie continue assenze, non abbandoniate la storia :)

Un bacione
Francesca
 
 

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Capitolo 17
*** Scendere a patti con se stessi. ***


17.
 
 
Scozia, dicembre 1067
 
 
Una violenta bufera di neve si era abbattuta sulle terre scozzesi, portando via con sé gli ultimi tepori della stagione autunnale e donando, in cambio, un paesaggio gelido e immobile, spazzato via solo dalle raffiche di vento provenienti dal profondo Nord. Le strade erano deserte e, nei piccoli borghi sparsi qua e là, l’unico segno di vita era dato dal fumo proveniente dai comignoli arroccati sui tetti coperti di neve. A St. Abbs, un minuscolo villaggio di pescatori adagiato sulla costa rocciosa, non vi era anima viva per le strade: i suoi pochi abitanti si erano rintanati nelle loro case alle prime avvisaglie della burrasca e si udiva soltanto lo scroscio assordante delle onde contro gli scogli.
La sera stava calando, e si prospettava un’altra notte in preda alla tempesta di neve.
Uno scalpiccio di zoccoli irruppe con forza in quel paesaggio desolato, provocando un rumore così assordante che diversi occhi si sporsero incuriositi alle finestre, mentre la gente si domandava chi fosse così pazzo da andarsene a spasso con un tempo del genere.
Alcune ombre scure emersero per qualche istante nel turbinio dei fiocchi di neve, prima di scomparire nuovamente lungo la strada che conduceva al vecchio monastero arroccato sulla collina soprastante il villaggio: un tempo era stato un importante centro monastico in cui venivano mandati a studiare i figli delle più  influenti famiglie della zona. Secondo la leggenda, era stato fondato da Aebbe, una principessa della Northumbria che, per sfuggire ad un matrimonio combinato, era entrata in convento, decidendo poi di aprirne uno lei stessa. Tuttavia, i frequenti attacchi dei Vichinghi lo avevano fatto spopolare nel corso degli anni e ora era quasi disabitato, ad eccezione di uno sparuto gruppo di monaci che ancora vi risiedeva.
Quando i cavalieri – erano soltanto tre - arrivarono a destinazione, osservarono per qualche istante i muri austeri e fatiscenti del vecchio edificio; uno di essi scese da cavallo, avvolto in un mantello scuro, e bussò con forza alla porta. Non passò molto tempo prima che un monaco si affacciasse allo spioncino.
- Chi siete? – domandò, cercando di comprendere l’identità dei visitatori.
L’uomo, sempre tenendo il volto coperto, parlò con voce roca.
- Cerco padre Yannis. Dategli questa – gli porse una busta sigillata.
Intimorito, il ragazzo si congedò e corse via. Pochi minuti dopo, altri passi risuonarono all’ingresso, e la porta fu aperta senza indugi. Un uomo piccolo e dai capelli canuti uscì fuori con un lume in mano.
- Pensavo sareste arrivati tra qualche settimana– disse, osservando con attenzione l’uomo che aveva di fronte a sé. Sembrava sospettoso.
Con un gesto improvviso, il cavaliere si scoprì il volto.
- Ora mi riconoscete padre? – chiese, in tono ironico.
L’anziano monaco trasalì, senza però aggiungere nulla.
- Venite dentro, presto – mormorò, guardandosi intorno con attenzione e invitandoli ad entrare.
I tre cavalieri lo seguirono, tirando un sospiro di sollievo nel sentire chiudere la pesante porta alle loro spalle. Erano finalmente al sicuro.
L’abate diede istruzioni affinché fosse preparato un pasto caldo e li fece accomodare in una sala dai soffitti bassi e dalle pareti umide: lo stato di abbandono era evidente, ma il calore promanato dal focolare la rendeva più accogliente.
Fuori, il vento ululava incessantemente, facendo scricchiolare le travi di legno del soffitto.
- Fino a che resterete qui, sarete al sicuro. Raramente riceviamo visite, se non da qualche abitante del villaggio – lanciò un’occhiata all’uomo seduto davanti a lui – quando avete intenzione di ripartire?
- Presto.
Fu l’unica risposta che ottenne.
 
*
Welnfver, dicembre 1067
 
Un borbottio spaventoso svegliò Lynn, quella mattina.
Era partito da lontano, un suono ovattato perso nella mente addormentata della ragazza, per poi farsi sempre più vicino e insistente, al punto che sembrava impossibile sfuggirgli. Lynn, ancora mezza addormentata, si era catapultata giù dal letto alla ricerca di un riparo, riuscendo solamente a rimediare una sonora botta in testa che l’aveva svegliata completamente. Intontita, si era rimessa a letto e solo allora si era resa conto da dove proveniva quel rumore assordante. O meglio, da chi.
Suo marito dormiva, beatamente immerso nel mondo dei sogni al punto che non si era nemmeno accorto che lei si era quasi rotta l’osso del collo pochi minuti prima. Se ne stava disteso a pancia in già, le braccia abbracciate al cuscino e il capo sprofondato in esso. Sembrava un orso addormentato.
Lynn si sarebbe volentieri rimessa a dormire, visto che fuori era ancora buio, ma riuscire a farlo in quelle condizioni era impossibile.
- Tristyn – lo chiamò piano, scuotendogli lievemente una spalla.
Nessuna risposta.
La ragazza riprovò senza successo, per cui decise di passare alle maniere forti. Afferrò il cuscino, sfilandoglielo via da sotto il viso, e finalmente ottenne una reazione.
- Si può sapere cosa c’è? – le chiese, seccato.
- Stavi russando così forte che mi hai svegliato – gli rispose, sempre tenendo il cuscino in ostaggio.
- Bene, ora hai svegliato anche me, sei contenta? Torna a dormire!
- Non ci riesco se fai tutto quel rumore!
Tristyn si mise a sedere, strofinandosi gli occhi.
- Sono mesi che dormiamo insieme e non hai mai fatto storie. Ora, dammi quel cuscino e lasciami in pace.
- Ma io…
- Adesso, Lynn.
Con un borbottio seccato, Tristyn glielo tolse dalle mani e si rimise a dormire, come niente fosse.
Lei rimase seduta, guardandolo in cagnesco.
- Hai intenzione di restare a fissarmi fino a che non spunta l’alba?
- Chi mi assicura che non ti metterai a russare di nuovo?
Un borbottio indistinto le giunse alle orecchie.
- Che cos’hai detto? – chiese, ma in quel momento Tristyn l’afferrò per un braccio e la fece distendere accanto a sé.
- Facciamo un patto: ora tu stai buona e mi lasci dormire, d’accordo? –
- E io in cambio cosa ottengo? Non mi sembra una grande proposta – osservò lei caustica.
- Be’, è la mia unica offerta quindi dovrai fartela bastare. Adesso dormi – le avvolse un braccio attorno alle spalle e l’attirò a sé. Erano così vicini che poteva sentire il calore del suo corpo attraverso la camicia. Tristyn si riaddormentò subito, mentre lei non riuscì subito a prendere sonno. Osservò il suo viso rilassato, le ciocche spettinate che gli cadevano sulla fronte, il petto che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro. Rimase così per un po’, fino a che anche lei cadde addormentata, in un sonno tranquillo e senza sogni.
 
*
 
Un refolo di aria fredda si infiltrò nelle cucine, facendo rabbrividire Lynn mentre era intenta a fare colazione. Si avvolse il mantello attorno alle spalle e bevve un sorso di latte caldo.
- L’inverno è appena iniziato e sono già stufa di sopportarlo – borbottò Tess, seduta dall’altro lato del tavolo. Di solito non si lamentava di nulla, ma non tollerava il freddo e non ne faceva mistero.
Lynn, invece, amava la stagione invernale: le colline ricoperte di neve, il fiume ghiacciato su cui andare a pattinare, il piacere di ritrovarsi la sera davanti al fuoco scoppiettante dopo aver trascorso tutto il giorno a girovagare per i boschi. Non soffriva particolarmente il freddo, anzi, le piaceva stare fuori e respirare l’aria fresca e frizzante delle giornate invernali.
Finirono di fare colazione e si recarono nel salone principale, dove alcune donne si erano raccolte attorno al camino ed erano intente a ricamare. A quanto pareva non c’era nient’altro da fare per trascorrere il tempo ma Lynn non voleva ancora rassegnarsi a quel tedioso e deprimente svago.
Sbirciò fuori dalle finestre e vide che aveva smesso di nevicare. Era il primo momento di tregua dopo giorni in cui aveva imperversato una violenta bufera di vento e ghiaccio. Se il tempo avesse retto, più tardi sarebbe potuta uscire a prendere un po’ d’aria.
Mentre Tess si dedicava all’arte del ricamo assieme alle altre dame, Lynn salì al piano superiore ed entrò con passo felpato nella stanza di Briain. Con suo grande sollievo e stupore, il bambino era riuscito a sopravvivere e le sue condizioni stavano migliorando, nonostante fosse sempre molto debole; Lynn sapeva di non poter cantare ancora vittoria, ma con il passare dei giorni la speranza che guarisse si faceva sempre più forte.
Sempre attenta a non svegliarlo, rinfocolò le fiamme e si assicurò che ci fosse una scorta di legna sufficiente per la giornata; la più piccola infreddatura avrebbe potuto essergli fatale.
- Lynn, sei tu?
Il viso emaciato e assonnato del piccolo sbucò dalle lenzuola.
- Buongiorno. Come ti senti oggi? – gli chiese, accarezzandogli la fronte. Era fresca, grazie al cielo.
- Ho fame – mormorò.
- E’ un buon segno. Dirò alla signora Godwyn di farti portare subito qualcosa da mangiare.
Il bambino annuì, prima di tossire convulsamente.
Nonostante la febbre fosse scesa e avesse iniziato a riprendere le forze, la tosse sembrava non voler concedere nessuna tregua, e questo impensieriva parecchio Lynn. Il vecchio medico del villaggio, dopo averlo visitato, si era limitato a consigliare gli stessi decotti che lei gli aveva preparato, per cui bisognava solo sperare che alla fine riuscissero a ottenere l’effetto desiderato.
Eppure doveva esserci qualcos’altro da poter fare, lei ne era certa!
- Vado a prepararti una tisana calda, non starò via molto, d’accordo? – gli disse, alzandosi in piedi.
Briain non sembrò molto felice di quella notizia.
- Quella roba fa schifo.
- Sì, però ti fa molto bene.
- Fa schifo lo stesso.
Malato ma testardo. Le ricordava qualcuno.
Scese nuovamente nelle cucine e ordinò di preparargli qualcosa da mangiare, prima di mettere a bollire il decotto. Quando fu pronto, glielo portò lei stessa, ben sapendo quante storie facesse ogni volta per berlo.
- Eccolo qua – disse, in tono allegro.
- Io non bevo quella roba – fu la lapidaria risposta.
- Briain, non cominciare – lo redarguì.
Il bambino nascose il viso sotto le coperte.
L’impresa si prospettava lunga e difficoltosa.
- Se la bevi, dopo ti racconto una storia, che ne dici?
- No.
- Allora potrebbe venire Tess a farti un po’ di compagnia, lei ti piace, giusto?
- Non mi interessa.
Un colpo di tosse risuonò lugubre nella stanza.
Quel bambino stava iniziando a farle esaurire la pazienza.
- Dai, Briain, non fare troppe storie, esci da lì – borbottò Lynn, cercando di tirarlo fuori dalle coperte.
Il piccolo si raggomitolò ancora di più, avviluppandosi tra le lenzuola. Già faceva fatica a respirare, così rischiava di soffocarsi. Che bambino testardo!
- C’è qualche problema? – chiese una voce alle sue spalle.
La ragazza si voltò e vide Stefan appoggiato contro lo stipite della porta.
- Che cosa ci fai qui? – gli chiese.
- Ero da queste parti e ho pensato di passare per un saluto – rispose.
Fin dall’arrivo del piccolo, sia lui che Tess avevano trascorso diverso tempo insieme a lui, con grande riconoscenza di Lynn. Non se ne era mai accorta prima ma prendersi cura costantemente di un bambino richiedeva forze ed energie inesauribili.
Udendo la sua voce, Briain sbucò fuori dal suo nascondiglio.
- Stefan! – esclamò, eccitato.
- Buongiorno, come stai oggi? – gli chiese, avvicinandosi.
- Sto bene – affermò il piccolo, ma si smentì un istante dopo iniziando a tossire.
L’uomo gli lanciò un’occhiata preoccupata.
- Non puoi dargli nulla per farlo respirare meglio? – chiese, rivolgendosi a Lynn.
La ragazza come risposta sollevò la tazza bollente, chiedendogli silenziosamente aiuto.
- Staresti meglio se bevessi quella tisana calda – disse al bambino.
- Non mi piace.
Oh signore, dammi la pazienza!
- In effetti non è molto buona – osservò l’uomo, sedendosi accanto a lui.
La ragazza lo fulminò con un’occhiata.
- ….anzi, diciamo pure che è disgustosa, però se vuoi guarire presto, devi berla per forza, temo.
Il bambino mugugnò qualcosa.
- E quando sarai guarito e avrai di nuovo ripreso le forze, ti insegnerò a usare la spada. Che ne dici? – gli propose.
Briain lo guardò assorto, ponderando la sua decisione.
- Quella spada? – gli chiese, indicando l’arma che portava al suo fianco.
- Magari una più piccola per cominciare ma, quando avrai imparato, potrai usare anche la mia – gli assicurò.
- D’accordo – mormorò il piccolo. Prese la tazza fumante e bevve tutta la tisana, senza fare storie.
Stefan gli scompigliò i capelli e fece un occhiolino complice a Lynn.
- Grazie – mimò lei con le labbra.
Lui scosse le spalle.
Vedendoli così, insieme, Lynn si sentì assalire dalla tenerezza. In fondo, quel bambino era davvero dolce e adorabile.
- Stefan, raccontami di quando hai ucciso quei briganti tagliando loro la testa! –
Come non detto.
Lasciandoli soli, la ragazza andò nella sua stanza e si mise a rovistare nel baule in cui teneva tutti gli unguenti e le erbe medicinali raccolte durante la bella stagione: non sapeva esattamente cosa stesse cercando, ma aveva la sensazione che esistesse un’altra cura adatta al male che affliggeva Briain. Passò in rassegna il contenuto della cassa con grande attenzione, tuttavia nulla sembrava aiutarla nella sua ricerca. Alla fine, con un sospiro, ripose tutto al suo posto.
Evidentemente la sua memoria l’aveva ingannata.
Abbattuta, decise di andare a trovare sua zia Audrey: per quanto fosse convinta che le mancasse qualche rotella, c’erano delle volte in cui era l’unica persona in grado di darle il consiglio di cui aveva bisogno. Di solito si rivolgeva a Tess, la sua saggia e ragionevole cognata, eppure questa volta sapeva già che cosa le avrebbe detto: “ Porta pazienza e vedrai che tutto si sistemerà”.
Ma Lynn non voleva aspettare, voleva rendersi utile, ed era convinta che le stesse continuando a sfuggire qualcosa.
- Buongiorno zia – mormorò, facendo capolino dalla porta.
- Lynn! Che cosa ci fai qui? – le chiese la donna, vedendola entrare nella sua stanza.
Se ne stava in un angolo, raggomitolata nella sua poltrona, ad osservare il panorama fuori dalla finestra. Da anni le sue condizioni di salute le impedivano di uscire dal castello e per questo aveva preso l’abitudine di trascorrere ore intere a guardare il mondo esterno dalla sua stanza in cima alla torre. Aveva fatto il diavolo a quattro quando le avevano proposto di trasferirsi in una camera più calda e accogliente, e tutti davano per scontato che un giorno o l’altro l’avrebbero trovata morta chiusa lì dentro. Non che queste dicerie la infastidissero, anzi, era stata lei stessa a metterle in giro.
- Sono passata a salutarti – le disse, sedendosi per terra accanto a lei.
- Mmmm – sua zia le lanciò un’occhiata inquisitoria – lasciami indovinare, hai qualche problema con quel bel normanno che ti hanno appioppato come marito?
Lynn scosse la testa. A dire il vero lei aveva sempre problemi con Tristyn, ma stavolta aveva altro per la mente.
- Se pensi che intenda mettermi a farti domande per sapere cosa ti affligge, sappi che non ho tempo da perdere – l’ammonì.
- Zia, stai chiusa qua dentro tutto il giorno, onestamente dubito tu sia così impegnata – osservò Lynn, in tono ironico.
- Ragazza insolente. E’ una fortuna che ti abbiano trovato un marito, altrimenti nessuno ti avrebbe preso in moglie. Agli uomini non piacciono le donne con la lingua lunga – disse, con un sorrisetto sulle labbra. Faceva la scontrosa ma in realtà sua nipote le piaceva: era l’unica della famiglia che le assomigliasse un po’ e questo la rendeva orgogliosa.
- Allora, si può sapere che cosa succede? – la interrogò.
- Non è un vero e proprio problema, è solo che ho come l’impressione di stare dimenticando qualcosa di importante eppure non riesco a ricordare. Ci ho provato e forse me lo sono solo immaginata, ma non riesco a non pensarci. Capisci cosa intendo?
L’anziana ci pensò su.
- No. Ma sei sempre stata un po’ strana…-
Da che pulpito!
- ….comunque, quando ero giovane e avevo l’impressione di stare dimenticando qualcosa di importante e non riuscivo a ricordare, ebbene, ricorrevo sempre a un metodo immediato ed efficace: mi distendevo a testa in giù e me ne stavo così per un po’. Non c’è un tempo preciso, restavo lì fino a che non mi tornava in mente la cosa che avevo dimenticato.
Lynn la guardò perplessa. Questo era di gran lunga il consiglio più strambo che sua zia le avesse mai dato, e dire che ne aveva già sentite delle belle!
Rimase con lei ancora un po’, a chiacchierare del più e del meno, e poi se ne tornò in camera sua.
Briain stava dormendo e non aveva nulla da fare, se non andare a ricamare con Tess e le altre dame.
Rabbrividì al solo pensiero.
Mentre se ne stava distesa a letto, il consiglio di sua zia le attraversò la mente, facendola sorridere: era davvero assurdo, solo quella vecchia matta poteva pensare che un rimedio del genere potesse funzionare! Tuttavia…
Pensierosa, la ragazza studiò l’altezza del letto: non era molto alto e il rischio di spaccarsi la testa era minimo, perché non provare? Era disposta a tutto pur di non essere costretta a ricamare!
Stando attenta a non cadere si distese in modo tale che la testa ciondolasse giù dal bordo del letto. Era una posizione scomoda e subito si sentì girare lievemente il capo: altro che rimedio, l’unico risultato che avrebbe ottenuto sarebbe stata una dolorosa emicrania!
Stava per rimettersi a sedere quando un guizzo illuminò i meandri oscuri della sua mente, rischiarandole sempre più i ricordi confusi che la popolavano. Briain. Tosse. Decotti. Erbe. Boschi. Druidi e…
- Ho trovato! – esclamò, esultante.
- Lynn! Si può sapere cosa diavolo stai facendo? –
*
 
Dopo giorni in preda alla bufera, Welnfver si era risvegliata avvolta da una coltre candida e soffice e, passato il primo momento di stupore nel vedere il paesaggio così cambiato, Tristyn si era subito preoccupato di andare a controllare le condizioni del villaggio. Spesso i tetti, sottoposti ad un peso troppo grande, finivano per cedere travolgendo animali e persone. Fortunatamente gli edifici sembravano aver retto meglio del previsto e nel giro di una mattinata tutte le abitazioni danneggiate erano state messe in sicurezza. Lui stesso aveva dato una mano, contento di poter sfogare un po’ di energie e di dare un aiuto concreto a quelle persone che, nonostante tutto, ormai erano sotto la sua protezione e responsabilità. Stanco ma soddisfatto, una volta tornato al castello Tristyn andò nella sua stanza per rinfrescarsi e cambiarsi d’abito: il continuo movimento lo aveva fatto sudare e la camicia gli si era attaccata al corpo come una seconda pelle, facendolo sentire a disagio.
Mentre percorreva il corridoio di pietra, sentì un urlo soffocato provenire dalla sua stanza.
Era Lynn.
Coprendo gli ultimi metri rimasti, entrò dentro e vide sua moglie distesa a testa in giù che agitava le braccia in segno di vittoria.
- Lynn! Si può sapere cosa diavolo stai facendo? – chiese, esasperato.
Non fu una buona idea.
In men che non si dica, la vide scivolare giù e cadere a terra come un sacco di patate.
- Mio dio, ti sei fatta male? – le chiese, aiutandola a mettersi seduta.
- Mi hai spaventato – disse lei - potevi bussare.
- La porta era aperta.
- Nessuno ti impedisce di bussare comunque.
Tristyn sapeva che, a questo punto della loro relazione, avrebbe dovuto essere abituato a conversazioni del genere, ma sua moglie riusciva sempre a lasciarlo senza parole. Era come se percepisse il mondo in modo diverso da lui, e questo complicava decisamente il loro rapporto.
- Mi spieghi perché te ne stavi a testa in giù?
- Stavo pensando.
- E da quando, per pensare, devi rischiare di romperti l’osso del collo?
- Me l’ha suggerito mia zia.
Perfetto. Ci mancava la vecchia matta che viveva chiusa nella torre.
- Va be’, non voglio sapere altro. Piuttosto, stai bene? – le tastò la testa alla ricerca di eventuali bernoccoli.
- Sto bene. Benissimo – lei balzò in piedi, eccitata – ora mi ricordo!
- Cosa? – le chiese, confuso.
- Quello che non ricordavo. La cura per Briain. Oh, come ho potuto non pensarci prima?
- Si può sapere di cosa stai parlando? Briain è peggiorato? Come sta?
Tristyn iniziava a non capirci più nulla.
- Fa progressi, ma non riesco a fargli passare quella maledetta tosse. Pensavo che l’unico modo per curarlo fossero i decotti che abbiamo preparato, e invece un altro rimedio c’è! – quasi saltava dalla contentezza – I licheni!
Tristyn decise di gettare la spugna.
Si sedette con un sospiro, mentre sua moglie lo illuminava sulle proprietà curative di qualcosa di cui lui non aveva mai sentito parlare. Lei, invece, a quanto pare sì, e ora glielo stava spiegando per filo e per segno.
- …il decotto preparato con il lichene di betulla è molto più efficace, e in questo modo Briain si riprenderà più in fretta. Però…-
Tristyn alzò il capo e la vide mordicchiarsi un labbro. Ebbe la strana sensazione che quello che sarebbe seguito non gli sarebbe piaciuto per niente.
- Però cosa? –
- Non ne ho nemmeno un po’ qui con me per cui dovrò andare a raccoglierlo– gli lanciò un’occhiata titubante – ma conosco un posto qui vicino dove è facile trovarlo. Certo, ora che ha nevicato bisognerà cercare un po’ di più ma non penso che avrò troppa difficoltà.
Bene, ora ne aveva avuto abbastanza.
- Tu non andrai da nessuna parte – le disse, perentorio, alzandosi in piedi e voltandosi verso di lei.
Sua moglie si irrigidì e strinse i pugni.
- Non è una questione su cui intendo negoziare. Ne va della salute di Briain – ribatté, la voce tremante di rabbia.
- Se pensi che ti lasci andare a zonzo per i boschi ti stai sbagliando di grosso! Ci saranno almeno tre piedi di neve e probabilmente nevicherà di nuovo. Cristo, solo tu puoi uscire con un tempo del genere!
- Ho già deciso, ti sto solo informando. Non ho bisogno del tuo permesso!
Tristyn iniziò a vedere rosso. Si avvicinò a lei fino a farla rannicchiare contro la parete eppure, nonostante la disparità fisica tra loro, Lynn non si lasciò intimidire. Non troppo almeno.
- Sai una cosa, Lynn? Penso di essere stato troppo permissivo con te. Mi sono lasciato convincere da Stefan che avevi bisogno di tempo, che eri traumatizzata da tutto quello che era successo, ma sai cos’ho capito, invece? Che sei solo una ragazzina arrogante che crede di poter fare tutto quello che vuole. E sono stufo di lasciarmi trattare in questo modo, quindi d’ora in avanti tu farai quello che ti dirò io, sono stato chiaro?
- Tristyn…-
- Hai idea di quanto mi faccia arrabbiare il pensiero che tu te ne vada in giro da sola? Ci hai provato lontanamente a pensare?
- Ma io…-
- No, figuriamoci, perché in fondo a te non importa niente di me, giusto? Non ti importa di avermi fatto passare le pene dell’inferno quando sei scappata da sola nel cuore della notte! O di come mi sono sentito quando sei tornata a casa, con un ragazzino trovato chissà dove, prossima al congelamento e ricoperta di graffi! Eh, ci hai mai pensato?
Le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi.
Dio, era così arrabbiato con lei, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di stringerla a sé per cercare il suo conforto. Che razza di uomo stava diventando?
- Mi dispiace se ti ho deluso – mormorò lei, ricambiando il suo sguardo.
Lui non disse nulla. Non si aspettava delle scuse.
E ora, passato quel momento di rabbia, non pensava nemmeno di meritarsele, più di tanto.
- Ti prometto che d’ora in poi cercherò di fare del mio meglio per essere la moglie che desideri. Farò tutto quello che vuoi – la vide arrossire fino alla punta delle orecchie – tutto.
Tristyn iniziò a sentirsi accaldato. Dannazione, era solo un uomo, accidenti!
- Però ti voglio chiedere un’ultima concessione, e poi non sentirai altre richieste da me. Lasciami uscire a cercare quei licheni. Non farlo per me, ma per Brain. So che anche tu tieni a lui. Ho bisogno di quegli ingredienti per curarlo, altrimenti potrebbe peggiorare di nuovo e stavolta…- lasciò cadere la frase, ma l’allusione era chiara.
Maledizione. Aveva toccato un tasto dolente.
- D’accordo – le disse.
Gli occhi di lei si illuminarono di sollievo.
- Ma ad una condizione: verrò con te.



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Ciao a tutti!
Stavolta ho cercato di non far passare troppo tempo per cui ecco il nuovo capitolo :) 
Spero che questa lunga macrosezione su Lynn e Tristyn non vi annoi troppo, però è necessaria per arrivare all'ultima parte della storia in cui, promesso, ci sarà molta più azione! Grazie come sempre a chi legge, segue e recensisce, sapere che ci siete mi sprona a continuare e a dare il massimo.
Alla prossima!

Un bacione
Francesca

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Capitolo 18
*** I nodi vengono al pettine. ***


18.
 
 
Tristyn era un uomo di parola.
Una violenta bufera di neve aveva imperversato per giorni interi per cui, non appena un raggio di sole fece capolino attraverso la spessa coltre di nubi, decise di partire e porre fine a quella commedia, a cui involontariamente lui stesso aveva dato seguito.
Nei giorni precedenti la tentazione di infrangere la promessa fatta alla moglie era stata forte, ma c’era sempre stato qualcosa che lo aveva trattenuto: orgoglio, senso dell’onore oppure, e probabilmente questo era il vero motivo, solo puro egoismo. Non riusciva a togliersi dalla mente la promessa che era riuscito a strapparle, e se da una parte trovava ripugnante di averla finalmente fatta capitolare con uno sporco ricatto – perché di questo si trattava, in fondo – dall’altra una voce nella sua testa gli ricordava costantemente quando fosse stato comprensivo con lei, lasciandole tempo e spazio prima di sentirsi pronta a concedersi a lui. Non era forse arrivato il momento di prendersi ciò che gli spettava di diritto?
Con la testa assillata da questi pensieri, quella mattina era sceso presto nelle stalle e aveva iniziato a preparare tutto l’occorrente per il viaggio: aveva nevicato molto nei giorni precedenti e, sebbene la neve avesse ormai fatto presa sul terreno, c’era sempre il rischio che il peso dei cavalli potesse incrinare il sottile manto ghiacciato.
- Quando tornerete? – gli chiese Stefan, mentre lo aiutava a sellare il suo baio.
- Il più presto possibile. Da quello che ho capito, il posto che cerchiamo non è molto lontano da qui, saranno poco più di tre miglia. Se ci sbrighiamo e il tempo non peggiora, saremo a casa prima che faccia buio.
- E se non dovesse essere così?
Tristyn legò con uno strattone il sottopancia del cavallo, assicurandosi di averlo stretto a sufficienza.
- In quel caso, non veniteci a cercare prima che faccia giorno. I boschi pullulano di lupi e briganti e le temperature sono gelide durante la notte – afferrò l’arco e la faretra, legandoseli alla schiena.
Aveva la spada con sé ma era meglio essere prudenti.
- E voi cosa farete? – protestò Stefan, preoccupato.
- Ce la caveremo.
- Non mi sembra una buona idea, se…-
- E’ un ordine, Stefan. So badare a me stesso, e ho più bisogno di te qui che a zonzo per i boschi. Sono stato chiaro? – chiese, in tono fermo.
L’amico rispose con un cenno affermativo del capo.
- Molto bene. Ora, per favore, fa’ chiamare Lynn e dille di sbrigarsi. Non ho tempo da perdere.
Un rumore di passi risuonò alle sue spalle.
- Sono pronta, milord.
Sua moglie gli lanciò un’occhiata fredda da sotto il mantello di lana scura.
Porse una mano a Stefan e con un balzo montò in sella.
- Fai aprire i cancelli – ordinò Tristyn, salendo in groppa al suo cavallo – resta al mio fianco e non allontanarti per alcun motivo, intesi? – disse, rivolgendosi alla moglie.
- Come desideri – fu la risposta cupa.
Sembrava arrabbiata.
Si sentì invadere da un impercettibile moto di sollievo nello scoprirlo: era molto più facile gestirla quando era combattiva piuttosto che quando si mostrava nella sua fragilità. Perché in quel caso, per quanto lui si sforzasse, non aveva nessun potere su di lei. Nessuno.
 
*
 
Un soffice manto bianco aveva ricoperto l’intera vallata, nascondendo alla vista le strade e i tracciati dei sentieri che si snodavano qua e là lungo le alture circostanti. Tuttavia, durante la sua infanzia Lynn aveva trascorso innumerevoli giornate a cavalcare assieme al fratello in mezzo ai prati e ai boschi che circondavano il castello, e li conosceva a tal punto che sarebbe riuscita ad orientarvisi anche ad occhi chiusi. La neve poteva nascondere i segnali più visibili, ma c’era sempre qualche indizio nascosto che indicava la via da seguire: un avvallamento di neve sotto il quale giaceva, sopito, un ruscello; un albero solitario che delimitava il crocevia tra due strade maestre; le alture, silenziose vedette verso nord, che costeggiavano la via verso la Scozia.
Mentre osservava quel paesaggio sconosciuto ma allo stesso tempo familiare, Lynn lanciava di tanto in tanto qualche occhiata al marito: procedeva silenzioso al suo fianco, senza dire una parola.
La ragazza sapeva che era ancora arrabbiato con lei. Dalla loro ultima discussione suo marito aveva cercato di evitarla nei limiti del possibile. Trascorrere le notti all’interno della loro stanza matrimoniale, in cui di solito si respirava un’atmosfera tranquilla, era stato un incubo e più di una volta Lynn era stata tentata di andare da lui per dirgli che aveva cambiato idea. Per la prima volta da quando lo conosceva, si era resa conta di quale potere suo marito avesse su di lei: se prima avrebbe fatto carte false pur di stuzzicare il suo caratteraccio, anche solo per il gusto di farlo, ora non sopportava di vederlo così furibondo con lei.
Gli mancava raccontargli la sua giornata mentre erano sotto le coperte o anche solo rannicchiarsi contro di lui durante la notte. Com’era possibile che fosse diventata così debole, tutto d’un tratto? Lynn provava disgusto verso se stessa, ma sapeva bene quale fosse il motivo dietro questo suo cambiamento; volente o nolente, in tutti quei mesi insieme, si era affezionata a Tristyn, accidenti a lui!  
Ed era stata anche disposta a diventare finalmente sua moglie, ma questo prima che tornasse ad essere quell’uomo freddo e scontroso che tanto aveva detestato all’inizio. Lynn sapeva cosa gli aveva promesso e ora temeva di non essere in grado di mantenere la parola data, ma sapeva che stavolta non avrebbe potuto tirarsi indietro. Tristyn aveva dimostrato grande pazienza, e probabilmente si era ormai quasi esaurita. Negarsi ora avrebbe solo peggiorato le cose tra loro.
Un uccellino fece capolino dai rami spogli degli alberi, quasi volesse salutare il loro passaggio, facendola sorridere nonostante la cupezza dei suoi pensieri.
Arrivarono alla vecchia quercia solitaria e si inoltrarono nel sottobosco: i raggi di sole giocavano con i rami ricoperti di ghiaccio, creando una moltitudine di ricami luminosi che facevano risplendere il paesaggio circostante al punto tale da farlo sembrare un mondo onirico e fatato.
In breve tempo, uscirono dalla boscaglia e giunsero alla radura in cui, nascosta dalla neve, si ergeva la casupola di pietra meta delle sue peregrinazioni.
- Manca molto? – le chiese Tristyn, spezzando il silenzio che regnava tra loro.
- No. Basta seguire quel sentiero e arriveremo a destinazione. Ci sono alcuni alberi di betulle a ridosso di una parete rocciosa poco lontano da qui – attenta a non inciamparsi nelle gonne, Lynn balzò giù da cavallo, afferrò le redini e si mise in marcia.
- Che cosa stai facendo?
- E’ meglio proseguire a piedi, il sentiero è piuttosto ripido e con il ghiaccio lo è ancora di più.
- Non mi sembra una buona idea – disse lui.
Lynn sentì il sangue ribollirle nelle vene. Oh, che se ne andasse al diavolo!
- Puoi sempre restare qui, se vuoi – lo sfidò.
Un lampo passò negli occhi di Tristyn.
Senza aggiungere altro, si lasciò cadere da cavallo e la seguì.
 
*
 
Se c’era una cosa che Tristyn non sopportava, quella era l’insolenza.
Per un soldato, essere ligi agli ordini di un superiore era un dovere imprescindibile, e sebbene da ragazzo fosse stato considerato una testa calda, con il tempo aveva imparato a reprimere il suo lato più impetuoso e a seguire quanto gli era ordinato; per forza di cose, una volta diventato comandante, aveva preteso lo stesso dai suoi uomini.
Evidentemente, la sorte aveva voluto prendersi gioco di lui, facendogli sposare una donna che definire insolente era un eufemismo. Ogni volta che leggeva quel luccichio di sfida nei suoi occhi gli veniva la tentazione di strozzarla con le sue stesse mani, eppure era anche una delle caratteristiche che più gli piacevano di lei. Non c’era niente di scontato nel loro rapporto e di una cosa ormai Tristyn era sicuro: non si sarebbe mai annoiato con lei.
Ora bisognava solo capire se quella fosse una buona o brutta notizia.
Ci misero molto più tempo del previso ad arrivare a destinazione: il sentiero era scomparso sotto uno strato di neve ghiacciata e dovettero portare su a forza i cavalli, poco propensi ad inerpicarsi lungo quel pendio scosceso e scivoloso. Quando finalmente arrivarono in cima, davanti a loro si aprì uno spiazzo sormontato da alte e frastagliate pareti rocciose, sotto alle quali si stagliavano alcuni alberi di betulla. Il terreno era coperto di neve fresca, nascondendo buche e avvallamenti del terreno, per cui proseguirono con cautela.
- Eccoli qua! – esclamò sua moglie, soddisfatta.
Afferrò una sacca, se la mise a tracolla e si diresse saltellando verso la zona più ombrosa e umida della radura.
Tristyn legò i cavalli e la seguì, incuriosito suo malgrado.
Si accucciò di fianco a lei e la vide staccare dai tronchi dei piccoli ammassi spugnosi.
- Quindi sono questi i famosi licheni? – chiese, stupito.
- Già. Non hanno un bell’aspetto eppure hanno molte proprietà. Grazie a questi, Briain guarirà completamente – un sorriso aveva disteso i lineamenti di Lynn, e in quel momento Tristyn sentì dissolvere l’irritazione che lo aveva accompagnato per tutto il viaggio.
Gli piaceva vederla felice. Voleva che fosse felice.
- Che cosa c’è? – gli domandò lei.
- Nulla – si alzò in piedi, impressionato da come quel pensiero gli avesse fatto venire i brividi – vado a controllare i cavalli – mormorò.
Lynn gli lanciò un’occhiata perplessa, ma per fortuna non gli fece domande a cui non avrebbe saputo rispondere. Tornò dagli animali e si assicurò che i finimenti e le briglie fossero stretti a sufficienza, dopodiché li portò ad abbeverarsi ad un ruscello poco lontano; fortunatamente, era stato in parte risparmiato dal ghiaccio, grazie anche alla sua posizione riparata e alle rocce che lo circondavano, e l’acqua cristallina scivolava via con leggerezza tra i massi coperti di neve.
Se fosse stato solo, a Tristyn non sarebbe dispiaciuto esplorare i dintorni: da quando era arrivato a Welnfver, aveva avuto poco tempo a disposizione, e le volte in cui si era addentrato nei boscosi pendii inglesi era stato troppo concentrato a cercare briganti, sassoni in agguato o mogli in fuga.
E a proposito di moglie in fuga…accidenti!
Dopo aver legato nuovamente i cavalli, tornò sui suoi passi e si diresse verso l’insenatura sotto la roccia. A quell’ora Lynn avrebbe dovuto aver raccolto tutto ciò che le serviva, o almeno così sperava. Raggiunse in fretta il punto in cui l’aveva lasciata, ma Lynn sembrava scomparsa.
- Lynn? – la chiamò, con voce calma.
Attese una risposta, che però non arrivò. Il bosco si muoveva quieto attorno a lui, ignaro del suo stato d’animo sempre più preoccupato. Probabilmente si era solo allontanata per qualche istante, non c’era da temere. O almeno così sperava, e in ogni caso le avrebbe tirato il collo non appena fosse tornata! Quella donna cocciuta! Andarsene in giro per i boschi come nulla fosse!
- Questo è l’ultima volta che mi faccio convincere, lo giuro! – borbottò tra sé e sé.
Attese ancora, per un tempo interminabile, a suo parere, ma di sua moglie nessuna traccia.
Ora iniziava a preoccuparsi.
- Lynn? Dove sei? – gridò, stavolta con un tono meno deciso.
Un rumore alle sue spalle attirò la sua attenzione.
Si girò di scatto, giusto in tempo per finire sommerso da un improvviso cumulo di neve.
 
*
 
Nascosta sul crinale della radura, Lynn rise, soddisfatta della riuscita del suo piano, e si sporse per guardare fiera il risultato ottenuto. Quando suo marito finalmente la scorse, mezzo sepolto dalla neve fresca, le lanciò un’occhiata che avrebbe fatto prendere fuoco all’intera foresta.
Non disse nulla, mentre scompostamente si metteva in piedi e cercava di darsi una sistemata, il volto pallido e tirato.
- Era solo uno scherzo – gli disse, sporgendosi dal suo rifugio e accennando un sorriso riparatore.
Tristyn non rispose.
- Suvvia, non ho fatto nulla di male. Non puoi essertela presa solo per questo! – rincarò.
Suo marito fece un respiro profondo, prima di rivolgerle la parola.
- Se fossi in te, non aggiungerei un’altra parola. Scendi di lì subito!
Lei alzò gli occhi al cielo. Quanto era drammatico!
- Non si può nemmeno scherzare – sbottò, tra sé e sé.
- Ti ho ordinato di scendere! – la riprese Tristyn, in tono duro.
Ora sembrava veramente arrabbiato. Lynn decise di cambiare atteggiamento.
- Va bene, arrivo – si alzò e iniziò cautamente a scendere il pendio.
Bella mossa Lynn! Com’era il tuo proposito di diventare una moglie perfetta ed obbediente?
Arrivò nella radura titubante.
- Forse…forse ho un po’ esagerato, mi dispiace io…- si zittì nel momento stesso in cui una palla di neve la colpì in pieno petto. Ma cosa…
Si accucciò giusto in tempo per evitarne un’altra.
A pochi metri da lei, Tristyn la osservò, sogghignando.
- Tu! Non ci posso credere! Mi hai ingannato! – lo accusò, irritata per essersi fatta prendere in giro in modo così prevedibile.
- Io ti ho solo detto di scendere, non ho aggiunto altro – le rispose serafico.
Prima di lanciarglisi contro e dirgliene quattro, Lynn si fermò ad osservarlo: c’era qualcosa di diverso in lui, sembrava…divertito?
- Davvero? – chiese, più a se stessa che a lui.
Il grande condottiero normanno, sterminatore di eserciti interi, si divertiva a giocare a palle di neve?
- Non mi piace il modo in cui mi stai guardando – le disse, facendo un passo verso di lei.
- Non ti sto guardando in nessun modo – rispose, ma non riuscì a trattenere un sorrisetto.
- Invece sì, e non mi piace per niente. Non muoverti da lì – ribatté.
Lynn si appoggiò con noncuranza contro il tronco di una betulla, mentre suo marito avanzava verso di lei. Si ritrovarono a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altra. Tristyn aveva le guance arrossate e gli occhi splendenti.
- Per una volta hai obbedito ad un ordine – mormorò soddisfatto. Si chinò verso di lei, con delle molte chiare intenzioni, ma in quel momento Lynn si divincolò con uno scatto e la neve in cima all’albero gli finì rovinosamente addosso.
- Ci sei cascato di nuovo! – esclamò la ragazza, prima di darsi alla fuga.
Iniziò a correre attraverso il bosco, disseminato di piccole depressioni e dolci avvallamenti coperti di neve fresca che la rallentavano notevolmente; la ragazza sapeva che presto il marito l’avrebbe raggiunta, ma l’euforia le attraversava il corpo come se l’avesse colpita un fulmine, e non avrebbe potuto fermarsi.
Dio, da quanto tempo non si divertiva così?
Con il respiro affannoso, si fermò un istante e in quel momento Tristyn la raggiunse, tirandola a sé e facendo cadere entrambi nella neve farinosa.
- Mi arrendo! Mi arrendo! – esclamò lei, tra le risate.
Le braccia sospese sopra di lei per non caderle addosso, suo marito scosse la testa.
- Tu sei tutta matta! – le disse, mentre riprendeva fiato.
- Avresti dovuto vedere la tua faccia – lo prese in giro, affannata quanto lui.
Tristyn alzò gli occhi al cielo e poi si lasciò cadere di fianco a lei.
Mentre il respiro si acquietava, fissarono il cielo terso sopra di loro, le nuvole che si rincorrevano l’una con l’altra, qualche uccello che piroettava libero nell’aria.
Lynn aveva quasi paura a parlare, certa che avrebbe rovinato la bellezza di quel momento.
Si sentiva libera, piena di energie e…felice.
- Sarà meglio andare – disse Tristyn, dopo un po’, mettendo fine a quella piccola parentesi di pace.
Lei sapeva benissimo cosa l’aspettava una volta tornati a casa, ed era divisa tra un senso di anticipazione e il puro terrore: il giorno prima delle nozze Tess le aveva spiegato a grandi linee quello che avrebbe dovuto aspettarsi e onestamente, da quello che aveva intuito, non credeva che quell’atto potesse essere più di tanto piacevole. Eppure aveva fatto promessa, e voleva essere una buona moglie per Tristyn. Glielo doveva.
- Tutto bene? –
Suo marito la stava osservando, pensoso.
Lei annuì, sforzando di disegnare un sorriso sulle labbra tirate.
Tristyn le si avvicinò, scrutandola come se stesse cercando di leggere dentro la sua mente; il suo sguardo era così penetrante che lei aveva quasi paura che ne fosse capace.
Dio, era davvero un uomo attraente. All’inizio non ci aveva fatto caso, presa com’era dal castello e dal difendere il suo onore e la sua gente, ma da quando si erano sposati più di una volta aveva sorpreso se stessa a sbirciare in direzione del marito. Un uomo del genere sicuramente aveva avuto un gran numero di donne nel suo letto, e se lei non fosse stata all’altezza? Lynn era una ragazza molto competitiva e, anche in questo frangente, sentiva di voler dare il massimo, anche se non aveva idea di come fare. Oh, perché Tess non le aveva dato qualche dettaglio in più?
- Lynn, cosa c’è che non va? –
La ragazza alzò lo sguardo e si accorse di essersi nuovamente persa nei suoi pensieri.
- Sto bene – balbettò, scostandosi e incamminandosi verso i cavalli.
Si stava comportando come una stupida! Avrebbe quasi voluto che quell’incubo fosse già finito, perché l’attesa la stava uccidendo!
In silenzio, recuperarono le loro cavalcature e iniziarono a scendere lungo il pendio: il sole era stato offuscato da nubi grigie e il bosco era caduto in un’oscurità precoce, quasi si fosse addormentato di colpo. Tristyn guidava il gruppo mentre Lynn procedeva con cautela, messa in difficoltà sia dal terreno accidentato sia dai continui scartamenti della sua puledra; qualcosa la stava turbando ma lei non riusciva a comprendere di cosa si trattasse. Se ne rese conto quando, poco prima di arrivare alla radura, un animale le si parò di fronte, schizzando fuori dal sottobosco con una corsa inferocita, quasi la stessa aspettando al varco. Lynn non fece nemmeno in tempo a reagire che il cavallo strattonò le redini con forza, liberandosi dalla sua presa e facendola cadere a terra.
- No, aspetta! – urlò la ragazza, la testa che le girava per quello scatto improvviso.
Il rumore degli zoccoli si fece sempre più distante, fino a sparire del tutto.
- Maledizione! – inveì, mettendosi in piedi.
Afferrò un bastone e lo brandì con forza, guardandosi intorno alla ricerca del suo assalitore: si aspettava di trovarsi di fronte un lupo o qualche altra fiera selvatica, ma il bosco sembrava essere tornato alla sua innaturale calma invernale.
- Lynn! – la figura di suo marito emerse tra gli alberi e solo a quel punto la ragazza sentì l’adrenalina abbandonarla. Si accasciò contro un albero, esausta.
- Che cos’è successo?- le chiese – dov’è il cavallo?
- E’ scappato – balbettò lei – qualcosa….un animale, credo, è sbucato all’improvviso e lo ha spaventato. Ma non sono riuscita a vedere cosa fosse, non lo so…
- D’accordo, calmati adesso. Respira profondamente – con cautela la strinse tra le braccia, stando attenta a non stringerla con troppa forza.
- Voglio andare a casa – bisbigliò lei, la voce soffocata contro il suo petto – ti prego, portami a casa.
 
*
 
Quando aveva percorso la prima volta quel sentiero, Tristyn non aveva fatto troppa attenzione alla lunghezza del tragitto, complice la voglia di tornare al castello o la semplice distrazione; ora, al calar della sera e con un peso sulle spalle, vedeva le cose in una prospettiva del tutto diversa.
Dopo essere riuscito a calmare Lynn ed essersi assicurato che non si fosse rotta nulla, se l’era caricata sulla schiena e si era messo in marcia; all’inizio, com’era prevedibile, sua moglie aveva protestato ma, presto, la stanchezza aveva avuto la meglio e si era addormentata placidamente contro di lui, rendendo il suo compito ancora più faticoso e complicato. Quella banale escursione lo aveva stancato più di quanto credesse possibile, e non vedeva l’ora di uscire da quel dannato bosco!
Aveva già deciso che quella notte non sarebbero tornati al castello: la notte stava scendendo rapidamente ed entrambi erano troppo sfibrati per rimettersi in viaggio, anche solo per poche miglia. Quando arrivarono alla radura, era già buio e la sagoma del vecchio capanno si intravedeva a malapena; il suo cavallo era legato poco distante, in un luogo riparato, e sembrava tranquillo.
- Sveglia Lynn, siamo arrivati – le disse, fermandosi davanti alla porta chiusa e facendola scivolare giù dalle sue spalle. Anche se piccolina, non si poteva dire che fosse leggera come una piuma!
Una volta dentro il capanno, Tristyn si affrettò ad accendere un fuoco nel piccolo focolare e subito una tenue luce aranciata rischiarò l’ambiente circostante; sorrise al ricordo di quella serata interminabile in cui, pochi mesi prima, era andato a cercarla nei boschi e si era preso una bastonata in testa come ringraziamento. Sentì sua moglie sedersi accanto a lui.
Non era cambiato nulla dall’ultima volta in cui erano stati lì, eppure era cambiato tutto tra loro e negli ultimi tempi Tristyn si era accorto di quanto, ormai, reputasse la presenza di Lynn attorno a lui: nonostante fosse testarda, ribelle, e con qualche rotella fuori posto, era riuscita a farsi spazio nella sua vita, molto più di quanto lui desiderasse, eppure non era riuscito a fermarla.
Non ci aveva nemmeno provato, se voleva essere onesto con se stesso.
Si voltò verso di lei e si accorse che si era accoccolata davanti al fuoco, gli occhi chiusi e un’espressione rilassata sul volto: come aveva previsto, era crollata di nuovo. Stando attento a non svegliarla – ma, conoscendola, era un rischio piuttosto labile – la liberò dal mantello bagnato e la depose su delle vecchie coperte di lana abbandonate sul pavimento. Lei borbottò qualcosa, ma non si svegliò. Dopo aver alimentato il fuoco, Tristyn si liberò delle vesti umide, restando solo con la camicia addosso, e si coricò accanto a lei, stringendola a sé come non faceva da giorni; soddisfatto, si addormentò.
 
*
 
Lynn non ricordava perché si fosse svegliata.
Il momento prima era immersa in un sonno profondo e quello dopo osservava, con gli occhi spalancati, le braci semispente nel focolare. Dietro di lei, suo marito dormiva tranquillo.
Liberandosi dalla sua stretta, la ragazza buttò alcuni ciocchi sul fuoco e le fiamme tornarono a brillare, illuminando il locale: tutto era al suo posto, come sempre, persino l’odore di chiuso mescolato a quello delle erbe aromatiche lasciate a riposo. Di solito il capanno era l’unico luogo in cui riuscisse a stare in pace con se stessa, ma in quel momento si sentiva agitata, mentre cercava disperatamente di ricordare cosa fosse successo nei suoi sogni, poco prima, qualcosa di così importante che l’aveva fatta svegliare di soprassalto, senza però lasciare tracce nella sua memoria.
Inquieta, sgusciò fuori dalla porta e inspirò una boccata d’aria fresca: la neve brillava alla luce della luna, e il bosco attorno a lei era silenzioso e immobile; un gufo bubolò nella notte, come infastidito dalla sua presenza. Tutto era tranquillo, persino il cavallo sonnecchiava indisturbato, eppure lei aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di strano nell’aria. Forse era solo un’impressione, oppure era impazzita definitivamente ed era una possibilità non da escludere.
Sentì un fruscio alle sue spalle.
- Che cosa succede, Lynn? – le chiese suo marito, facendola voltare verso di lui.
Aveva uno sguardo cupo e attento, e nella mano destra teneva stretta l’impugnatura della spada.
- Niente, avevo solo bisogno di un po’ d’aria.
Lui si guardò intorno, scrutando il bosco nella notte.
- Meglio che vada a controllare – disse. Fece per passarle davanti ma lei lo fermò.
- Non è necessario, non c’è nessuno qua fuori.
- Preferisco andare a controllare, tu torna dentro e aspettami qui.
Una strana inquietudine, senza alcuna giustificazione logica, si impadronì di lei.
- Non andare, resta qui! Per favore! – lo pregò.
Lui la guardò, senza capire.
- Non starò via a lungo, voglio solo…- un rumore nel bosco lo fece sussultare.
Entrambi trattennero il respiro, fino a quando non sentirono un lamento lontano.
- Era solo un gufo – bisbigliò lei – torniamo a dormire, adesso.
Poco convinto, Tristyn chiuse la porta alle loro spalle e la raggiunse, distendendosi di nuovo accanto a lei. Lynn chiuse gli occhi, cercando di nuovo l’oblio del sonno ma non riusciva ad addormentarsi. Quella strana inquietudine non l’abbandonava, e il fatto di sentire il corpo forte del marito dietro di sé, di solito così tranquillizzante, non l’aiutava.
- Non stai dormendo – mormorò lui.
- Non ci riesco.
- Che cosa c’è che non va?-
- Non lo so.
La ragazza si voltò verso di lui. I suoi occhi azzurri la stavano osservando, pensierosi e ipnotici, mentre le accarezzava dolcemente la schiena per calmarla.
Restarono così per un tempo incalcolabile, o almeno così le sembrò.
- A cosa stai pensando? – gli chiese.
- A niente.
- Questo è impossibile. Si pensa sempre qualcosa.
Senza accorgersene, si era avvicinata ancora di più a lui e poteva sentire distintamente il battito tranquillo del suo cuore contro il suo petto.
Lui sorrise, scuotendo lievemente la testa.
- Ti senti meglio?
Lei annuì.
- Prova a dormire, allora.
- Non voglio dormire.
Tristyn le lanciò un’occhiata penetrante che la fece arrossire.
Facendosi coraggio, si mise a sedere e iniziò a sfilarsi il vestito, sentendo lo sguardo del marito fisso su di sé. Le tremavano le braccia dall’agitazione ma in qualche modo riuscì a liberarsi dall’abito, rimanendo con addosso solo una sottile tunica in cotone.
- Che cosa stai facendo? – le chiese.
- Mantengo la mia promessa – rispose, cercando di assumere un tono tranquillo, anche se dentro si sentiva morire per l’agitazione.
- Lynn…- a quanto pare lo aveva lasciato senza parole, per una volta.
La scrutò con attenzione, e lo vide arrossire leggermente.
Fece per sfilargli la camicia ma lui la fermò.
- Non devi farlo.
- Ma avevi detto…-
- Lo so, io…- prese un bel respiro – io non voglio obbligarti a fare niente che tu non voglia.
Lynn lo guardò interdetta: stava dicendo sul serio? Avrebbe dovuto esultare, eppure non ci riusciva: aveva aspettato troppo a lungo questo momento, e sapeva che rimandarlo avrebbe solo peggiorato le cose. Era una donna adulta, no? Doveva imparare ad assumersi le sue responsabilità, e lei voleva davvero essere una brava moglie per Tristyn.
- Non mi stai obbligando – rispose.
Con presa ferma, afferrò la camicia e gliela sfilò dal collo, non senza qualche difficoltà.
Non l’aveva mai visto nudo, prima, e rimase senza fiato nell’osservarlo per la prima volta così da vicino. Era davvero un uomo attraente. Iniziò a sentirsi piuttosto accaldata.
Con cautela gli si sedette in grembo e iniziò ad accarezzargli piano il petto, la gola, le braccia muscolose che l’avevano tenuta stretta innumerevoli notti nell’oscurità della loro stanza. La pelle sotto le sue dita era bollente e, ogni volta che lo sfiorava con le sue carezze, sentiva il suo respiro accelerare, tuttavia suo marito rimase immobile, lasciando che lei prendesse confidenza con il suo corpo.
- La prima volta che ti ho visto ho pensato che fossi l’uomo più spaventoso che avessi mai incontrato – disse, seguendo con le dita il contorno delle sue spalle – se me l’avessero detto, non avrei mai creduto che avrei sposato un uomo come te.
Sentì le mani di lui afferrarla delicatamente per i fianchi, quasi avesse paura che scappasse da un momento all’altro.
- Invece, sono contenta di averti sposato. Sei burbero, ma sei sempre stato buono con me, e con la mia gente. Sei veramente un brav’uomo, Tristyn Le Guen.
Lui la zittì con un bacio prima che potesse aggiungere altro, stringendola a sé, con forza e delicatezza insieme, e lei si lasciò cullare in quell’abbraccio. Le era mancato sentirlo così vicino.
Quando si staccarono, erano entrambi a corto di fiato.
- Dio, Lynn, tu non hai idea di cosa mi fai – mormorò lui, coprendole il viso e la gola di baci leggeri, prima di scendere verso il seno. La baciò attraverso la stoffa leggera, e lei non riuscì a fare altro che restare immobile, il respiro affannato e il cuore che le batteva all’impazzata. Non sapeva che cosa fare, ma non voleva nemmeno interrompere quello che le stava facendo. Impacciata, gli accarezzò la testa.
Tristyn alzò il capo, lo sguardo acceso come mai l’aveva visto prima.
- Lynn, guardami.
Tristyn le prese il viso tra le mani, accarezzandole le tempie con i pollici.
- Sei bellissima – mormorò, baciandola di nuovo. Le sue mani la sfiorarono ovunque, e ben presto anche lei iniziò a sentire il desiderio di toccarlo allo stesso modo, con la medesima passione e frenesia.
Inaspettatamente, una sensazione di freschezza le lambì la pelle: la tunica non c’era più.
Imbarazzata, cercò di coprirsi con le mani ma suo marito la fermò.
- Tristyn, io…- balbettò. Come aveva fatto a non accorgersi di quello che stava facendo?
- Va tutto bene. Stai tranquilla. Respira.
Se la fece sedere in grembo, tenendola stretta e affondando il viso nei suoi capelli.
- La prima volta che ci siamo incontrati– disse, piano – ho pensato non avevo mai visto una ragazza così bella in vita mia. E che volevo averti, ad ogni costo.
- Credevo volessi uccidermi – mormorò lei, lanciandogli un’occhiata sardonica.
- Solo quando hai aperto bocca – la prese in giro, afferrandole le mani prima che potesse colpirlo – ma dopo ho imparato ad apprezzare la tua lingua tagliente. Il tuo coraggio. La tua onestà – le accarezzò piano il volto – non ti farei mai del male Lynn, te lo giuro sulla mia vita.
- Lo so.
Stringendogli le braccia attorno al collo, lo baciò, cercando le sue labbra calde ed esperte.
Senza interrompere il contatto tra loro, l’adagiò sulle coperte e la coprì con il suo corpo.
- Ti fidi di me? – le chiese.
Lei annuì, nascondendo il viso nella curva del suo collo.
Tristyn fu delicato con lei, ma l’esperienza si rivelò traumatica come si era aspettata che fosse, e dovette fare appello a tutto il suo coraggio per non mettersi a piangere come una bambina.
Lui rimase immobile, lasciandole il tempo di abituarsi e baciandole piano il volto, le palpebre, le labbra per confortarla. Lynn lo strinse forte a sé, e solo allora Tristyn si lasciò andare.
Fu un susseguirsi di emozioni contrastanti che la lasciarono esausta e senza fiato, e quando tutto fu finito, si ritrovò accoccolata contro di lui, la testa sul suo petto mentre il respiro di entrambi si acquietava. Prima di addormentarsi, un pensiero fugace come un lampo le attraversò la mente.
Ti amo Tristyn.


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Ciao a tutti! 
Lo so, sono passati mesi e io sono sempre in ritardo, e mi dispiace tantissimo di questo! 
Questo capitolo mi ha messo alla prova molto più di quanto pensassi, l'ho riscritto e pensato più volte senza riuscire a trovare quello che cercavo; so che per un lettore è orribile dover aspettare così tanti mesi da un aggiornamento all'altro, però credo sia giusto mettere il massimo impegno quando si scrive una storia, affinché sia coerente e credibile. Non so se la mia lo sia, ma io ci provo, purtroppo mi porta via molto più tempo di quanto vorrei. Spero ci sia ancora qualche lettore in giro disposto a perdonare i miei ritardi stratosferici e a seguire ancora la storia :)
Niente, spero che il capitolo vi piaccia, grazie a tutte le persone che in questi mesi hanno letto, recensito e inserito la storia tra le seguite, grazie di cuore! Non faccio promesse sulla tempistica perché non le manterrei, però vi assicuro che la storia avrà una fine, spero prima che poi, ma sicuramente non ho intenzione di abbandonarla!

Un bacione
Francesca

 

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Capitolo 19
*** Equilibri fragili. ***


19.
 

Northumbria, aprile 1068
 
Un sinistro contrasto animava il cielo notturno sopra Alnwick: la luna piena, pallida e immobile, emanava i suoi raggi a cascata sui tetti silenti delle case, mentre nuvole sottili avviluppavano la sua figura nelle loro spire oscure, incalzanti, pronte a offuscare quella luce spettrale.
Dall’alto della sua residenza, il conte Gospatric osserva assorto e compiaciuto quello spettacolo naturale, così in linea con i pensieri che da giorni, ormai, agitavano la sua mente; aveva lavorato duramente in quei mesi per approntare il piano che avrebbe ribaltato le sorti dell’Inghilterra e finalmente il momento era giunto. La brama di potere, fedele compagna di una vita, gli faceva ribollire il sangue nelle vene come fuoco, una sensazione galvanizzante e dolce al tempo stesso, che presto avrebbe trovato sfogo nel migliore dei modi.
Sotto di sé, vide un drappello di soldati normanni impegnati nella consueta ronda notturna lungo le vie della città e un ghigno si dipinse su quelle labbra sottili e screpolate: com’era facile conquistare la fiducia degli esseri umani, pensò, pregustando il momento in cui finalmente l’equilibrio sarebbe stato spezzato e l’ordine sarebbe stato ristabilito, com’era giusto che fosse.
I Normanni presto sarebbero stati scacciati dalle loro sacre terre e sarebbe stato lui, Gospatric, figlio di Maldred mac Crínán, a essere ricordato come colui che aveva liberato i Sassoni dalla schiavitù e dal giogo del nemico invasore.
Uno scalpiccio alle sue spalle lo fece voltare e un uomo uscì dalle tenebre, il volto coperto da un cappuccio scuro. Il conte portò d’istinto la mano sull’elsa della spada, ma emise un sospiro di sollievo quando lo riconobbe.
- Siete in ritardo – osservò – iniziavo a credere che vi foste perso da qualche parte.  
L’uomo non rispose. Loquace come lo ricordava.
- Molto bene. Vogliamo andare nel mio studio e…-
- Non ho molto tempo. Ditemi quello che dovete comunicarmi e poi ripartirò. Ho altre faccende di cui mi devo occupare – rispose, lapidario.
Gospatric si sentì assalire da una vampata di rabbia.
Quali altre faccende potevano essere più importanti del piano che a breve avrebbero messo in atto?
- Non ho alcuna intenzione di perdere questa occasione perché voi dovete occuparvi delle vostre faccende, signore – disse, con tono di scherno.
- Avete più bisogno di me di quanto io ne abbia di voi, conte. Siate cauto nelle vostre affermazioni.
Giovane insolente!
Eppure aveva ragione, dannazione a lui! Il suo aiuto era fondamentale per la riuscita del progetto, e gli altri non sarebbero stati felici di sapere di non poter contare su di lui.
- Ho bisogno di ancora un po’ di tempo. Pochi giorni al massimo – aggiunse l’uomo.
- E chi dice che possiamo aspettare voi e i vostri comodi? Ogni secondo che passa può essere prezioso per la nostra causa, la stessa per la quale voi lottate e che dovrebbe essere la vostra priorità!
- Lo è.
- Non lo state dimostrando abbastanza – Gospatric lo guardò con sospetto – chi mi assicura che possa fidarmi di voi? Conosco uomini leali che hanno voltato le spalle alla nostra causa perché sedotti dall’oro e dalle promesse di Guglielmo il Bastardo.
L’uomo si avvicinò e con uno strattone si levò il cappuccio che gli copriva il volto, sogghignando sprezzante: - Con chi pensate di avere a che fare, signore?
Il conte volse lo sguardo, impressionato più di quanto avrebbe voluto dare a vedere.
Gli porse un rotolo di pergamena.
- Queste sono le ultime istruzioni. Proteggetele a costo della vita. Vi concedo cinque giorni, non uno di più. Siamo intesi?
Il cavaliere annuì, coprendosi nuovamente il volto; afferrò la pergamena, la nascose nella cinta e si avvolse la cappa scura attorno al corpo. Quell’uomo aveva un’energia repressa e violenta che lo affascinava e inquietava al tempo stesso.
- Potete andare. Attendete l’ordine e niente mosse azzardate prima di allora, intesi? – lo ammonì.
L’uomo annuì, abbozzò un inchino irriverente e così come era arrivato sparì nell’oscurità.
Le nuvole avevano ormai conquistato il cielo notturno, e la luna si stagliava, imprigionata, dietro la loro coltre. Gospatric tornò ad osservare la città addormentata distesa ai suoi piedi; per quanto non gli piacesse particolarmente, quell’uomo era la pedina necessaria per la riuscita del loro piano, ed era talmente convinto del successo della loro impresa che già lo assaporava sulla punta della lingua. Una volta preso il potere, si sarebbe liberato di lui: non sapeva ancora come, ma avrebbe trovato un modo. Come sempre.
 
 
*
 
 
Delle grida infantili risuonarono eccitate nel cortile del castello, quella mattina.
Seduto in cima ad una botte di legno, Briain osservava affascinato i soldati impegnati nelle loro esercitazioni quotidiane: lotte corpo a corpo, tiro con l’arco ma, soprattutto, duelli di spada.
Il bambino adorava osservare i movimenti forti e bilanciati, il clangore delle lame, gli scatti improvvisi dei due contendenti, e fremeva per poter partecipare in prima persona.
All’inizio Tristyn aveva apprezzato l’idea di portarlo con sé alle esercitazioni: aveva provato quel brivido di soddisfazione maschile nell’accompagnare le nuove generazioni verso attività forti e virili. Tuttavia, il fatto di avere due occhi puntati fissi su di lui lo avevano distratto non poco, a vantaggio del suo avversario.
- Fagliela vedere, Stefan! Colpiscilo più forte!
Piccolo ingrato.
Tristyn parò il colpo, e fece segno all’amico di fermarsi.
- Non aveva promesso di stare zitto e buono?
Stefan alzò gli occhi al cielo.
- E’ solo un bambino, per l’amor di Dio, non fa nulla di male!
- Mi sta dando sui nervi.
- A me no.
- Tifa per te, ti galvanizza. A me, invece, fa perdere la concentrazione.
Un ghigno soddisfatto si disegnò sulle labbra dell’amico.
- Secondo me non è il bambino che distrae, ma qualcos’altro. Qualcun altro.
Tristyn iniziò a vedere rosso.
- Stai insinuando qualcosa?
- Certo che no.
- Meglio per te.
Senza preavviso, impugnò di nuovo la spada e si lanciò all’attacco, con molta più convinzione.
Stefan riuscì a parare il colpo, sogghignando.
- Se non ti togli quel sorrisetto dalla faccia, giuro che ti sbudello.
- Tu devi imparare a calmarti.
Continuarono a duellare con accanimento, ognuno concentrato sulle mosse dell’altro, al punto che non si accorsero neppure che attorno a loro si era formato un campanello di soldati ammirati.
- Avanti Stefan, non arrenderti! Sei il più forte!
Quel bambino sarebbe stato bandito a vita, questo era poco ma sicuro.
Alla fine, il duello si concluse in parità, come spesso succedeva, e senza spargimenti di sangue, con grande disappunto di Briain.
Mentre si rinfrescavano, il bambino trotterellò accanto a Stefan.
La devozione nei suoi confronti era così evidente da essere quasi commovente. Quasi.
- Oggi posso provare la tua spada? – chiese speranzoso.
Stefan gli arruffò i capelli giocosamente.
- Quando avrai imparato a maneggiare la tua, allora potrai.
Il bambino lanciò un’occhiata alla spada di legno che portava sempre con sé.
- Sono già capace.
- Ci vuole del tempo per imparare, amico mio. Magari potremmo esercitarci ancora un po’, che ne dici?
Il viso di Briain si illuminò.
- Briain, sei qui?
L’espressione di pura gioia fu sostituita da una di terrore.
- Oh, no. E’ Lynn. Devo nascondermi.
Rapido come una donnola, si nascose dietro alla botte, facendosi piccolo piccolo contro il muro.
Lynn apparve subito dopo, affannata e arruffata come di consueto.
- Buongiorno milady – la salutò Stefan, accennando un inchino scherzoso.
- Dov’è Briain? E non mentite, so benissimo che era qui, si sentivano le sue urla fino nelle cucine.
Stefan alzò le mani al cielo, e si allontanò con un sorrisetto.
 - Cos’ha combinato? – le chiese Tristyn, scostandole un ricciolo ribelle dalla fronte.
Come ogni donna sposata, ora Lynn portava il velo ma qualche ciocca riusciva sempre a sfuggire dalla crocchia rigida in cui li raccoglieva.
Sbuffando, Lynn gli scostò la mano e si rimise a posto i capelli. Sembrava nervosa.
- Che succede? – le chiese, abbassando la voce.
- Niente – rispose lei, spiando oltre le sue spalle alla ricerca del piccolo fuggitivo.
- Lynn – l’afferrò per le spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi.
Dalla notte al capanno, il loro rapporto aveva preso una piega diversa, in un modo che nemmeno lui si sarebbe aspettato; era come se l’intimità fisica avesse rotto le barriere tra loro, al punto che ormai bastava uno sguardo o una parola per capire cosa c’era che non andava. Almeno, per lui era così, ed era la prima volta in vita sua che sentiva un legame così forte con una persona. Cercava di non pensarci troppo: un uomo non doveva affezionarsi troppo a sua moglie - un ammonimento paterno che lo accompagnava fin dall’adolescenza - altrimenti diventava debole e incapace di resistere alla balia degli eventi. Una donna serviva a scaldare il letto e a garantire la discendenza, niente di più.
Eppure Tristyn si era reso conto da un pezzo che quell’insegnamento non era così facile da mettere in pratica. Non con Lynn, perlomeno. Era troppo orgogliosa e sveglia per essere relegata a quel ruolo, e lei glielo aveva messo in chiaro fin dall’inizio del loro matrimonio.
Con buona pace dei precetti del suo vecchio.
- Non c’è niente che non vada, voglio solo trovare quel bambino, infilarlo in una tinozza e lavarlo come si deve. Non ho mai conosciuto una persona così ostile all’acqua, lo giuro!
Lo disse in tono molto serio, ma a Tristyn scappò un sorriso.
- Lo trovi divertente?
- Certo che no.
- Stavi ridendo di me.
Lynn voleva litigare con qualcuno, questo era chiaro.
- Invece di correre in giro a dannarti, lascialo in pace e vedrai che prima o poi si butterà volontario nel primo specchio d’acqua a sua disposizione.
Sua moglie gli lanciò un’occhiata scettica.
- Sarai così permissivo anche nell’educazione dei tuoi figli? – borbottò.
Cosa c’entravano i figli, adesso?
Tristyn sentì il battito del cuore accelerare di colpo e lanciò un’occhiata al ventre di lei.
Che fosse…?
- Lynn, devi dirmi qualcosa?
Lei lo guardò confusa, poi capì di cosa stava parlando e arrossì fino alla radice dei capelli.
- Certo che no! Come puoi pensare...?! – cercò di spingerlo lontano da sé con scarsi risultati.
Il velo le scivolò giù dalla fronte e una massa scomposta di ricci ramati le ricadde sul viso.
- Ecco, guarda cos’hai fatto. Dovrò chiedere a Winfrid di aiutare a mettere a posto questo disastro!
Era veramente nervosa, quel giorno!
- Lynn, calmati, adesso. Si può sapere cosa diavolo ti succede oggi?
Lei emise un sospiro.
- Non lo so, penso di essermi svegliata dalla parte sbagliata del letto. Tutto qui.
Tristyn aveva ancora i suoi dubbi.
- Sei sicura di non essere…-
- Certo che ne sono sicura! Me ne sarei accorta non credi? – lo fulminò con un’occhiata.
- D’accordo, ho capito. Senti, perché non vai a fare una passeggiata? Oggi è una bella giornata, e sei stata chiusa qui dentro settimane intere. Che ne dici?
Un piccolo sorriso esitante le increspò le labbra.
- Sul serio? – chiese.
- Non hai altro da fare, no?
- Ma Briain…-
- A lui ci penso io, non preoccuparti. Sono bravo con i bambini.
Un’altra occhiata perplessa.
- Per Dio donna, un po’ di fiducia non guasterebbe qualche volta!
Lynn ridacchiò.
- Posso andare da sola? – chiese, speranzosa.
- Solo se prometti di non allontanarti troppo dal castello. E non stare via troppo tempo.
- Tristyn, non può succedermi niente, conosco queste colline come le mie tasche e…- questa volta fu lui a lanciarle un’occhiata ferma – d’accordo, resterò qui intorno – borbottò.
- Molto bene.
La lasciò andare, soddisfatto di come aveva risolto la situazione.
- Ah, Lynn, aspetta un momento.
La ragazza si voltò, lui la raggiunse con due falcate e le stampò un bacio intenso sulle labbra.
- Tristyn! – sbottò lei imbarazzata, quando riuscì a staccarsi da lui – davanti ai tuoi uomini…?!
- Non ti facevo così puritana – la prese in giro lui.
- Non lo sono, infatti!
- Allora non ti dispiace se…- fece per afferrarla di nuovo, ma lei riuscì a divincolarsi e a scappare via.
- Non allontanarti troppo, mi raccomando!
Lei non si curò di rispondergli.
Tristyn rimase a guardarla mentre si allontanava, un sorrisetto dipinto sulle labbra.
- Ah, l’amore! – esclamò una voce alle sue spalle.
Si voltò e vide Stefan osservarlo divertito mentre Briain, nascosto dietro di lui, sembrava più perplesso e disgustato.
Tristyn subito riprese la solita compostezza e gli lanciò un’occhiata gelida.
- Pensavo te ne fossi andato.
- Pensavo ci stessimo allenando.
- Infatti, stavo per venire a cercarti – puntò lo sguardo sul bambino – e tu, appena abbiamo finito, vieni con me.
- Mi farai usare la tua spada? – chiese il piccolo, speranzoso.
- A una condizione…- sogghignò Tristyn.
Senza saperlo, Lynn gli aveva offerto una dolce vendetta su un piatto d’argento.
 
*
 
Una brezza frizzante e sostenuta aveva iniziato a soffiare da nord, facendo ondeggiare i sottili steli d’erba che avevano iniziato a ricoprire i prati circostanti. Qua e là qualche timida margherita faceva capolino, spezzando la monocromia delle colline verdeggianti.
Distesa nell’erba bagnata di rugiada, Lynn ascoltava quel mormorio suadente, quasi impercettibile, a occhi chiusi. L’inverno passato era stato particolarmente rigido e nevoso, ed era un sollievo poter uscire di nuovo, respirare l’aria pulita proveniente dalle montagne, sentirla sulla pelle quasi potesse togliere di dosso la patina grigia del gelo invernale.
Era incredibile come le stagioni si susseguissero sempre allo stesso modo, incuranti delle dinamiche terrene, quasi fossero piccolezze indegne della loro attenzione: la vita e la morte si rincorrevano eternamente in quella cornice circolare, e i ricordi si perdevano nel tempo, via via più sbiaditi per poi sparire per sempre dalla memoria. Lynn se n’era resa conto di recente, quando aveva ritrovato, per caso, la lettera in cui le avevano comunicato la scomparsa di Tredan; leggere quelle parole le avevano tolto il respiro, facendole ricordare tutto il dolore di quei giorni. Aveva creduto di non riuscire a superare quella sofferenza, e invece c’era riuscita, relegandola in un angolo di sé che aveva quasi dimenticato. Era andata avanti con la sua vita, e quante cose erano cambiate da allora!
Soprattutto, quanto era cambiata lei.
Si mise a sedere e osservò il profilo del castello, fiero e silenzioso, immerso nella luce pomeridiana del primo sole primaverile: com’era possibile che ora lo vedesse con occhi diversi? Era sempre stato la sua casa, eppure ora vivere lì aveva un significato diverso, nuovo: che le piacesse o meno, i Normanni avevano portato un’ondata di freschezza tra quelle mura solitarie e sebbene questo aveva comportato il sacrificio di suo padre e di suo fratello, una parte di Lynn era felice di quel cambiamento, anche se non poteva ammetterlo con se stessa. Non voleva farlo.
Sospirò, appoggiando il capo sulle ginocchia; quel giorno nemmeno uscire dalle mura sembrava sortire l’effetto calmante di cui aveva disperatamente bisogno. Odiava essere prigioniera dei suoi stessi pensieri e avrebbe voluto parlarne con qualcuno. Con Tristyn. Era impressionante ma ormai sembrava che non potesse fare a meno di condividere qualsiasi cosa con lui, e mentirgli quella mattina le era costato più di quanto avesse creduto possibile.
Come poteva una persona diventare così importante nel giro di così poco tempo?
Ma Lynn, in cuor suo, comprendeva che alcuni pensieri non potevano essere spartiti con nessun altro: erano troppo intimi, troppo intricati per poter essere compresi.
Un guaito interruppe le sue riflessioni, ma era talmente distante che all’inizio pensò di esserselo immaginata. E invece no, eccolo ancora, trasportato dal vento, acuto e incalzante. Lynn tese le orecchie per capire da dove provenisse e alla fine si diresse verso il bosco che si inerpicava sul versante settentrionale della collina. Più si avvicinava e più il lamento si faceva deciso, e prima che potesse decidere sul da farsi si era già intrufolata nel sottobosco di felci e foglie appassite.
“ Prometti di non allontanarti troppo dal castello. E non stare via troppo tempo.”
La voce di Tristyn le risuonava nella mente, ma ormai la sua febbrile curiosità si era messa in moto e nessuno poteva frenarla; tuttavia, dopo essersi addentrata nella parte più folta del bosco, si rese conto di non riuscire ad udire più nulla. Evidentemente aveva fatto troppo rumore, e l’animale era scappato via. Fece per tornare sui suoi passi ma non c’era traccia del sentiero che aveva percorso: era stata talmente assorta dal suo obiettivo da non guardare nemmeno dove camminava.
“ Di bene in meglio”, pensò.
Questa volta Tristyn si sarebbe arrabbiato sul serio.
Mettendosi l’anima in pace, si rimise in cammino, cercando di individuare qualche punto di riferimento che potesse esserle d’aiuto: un albero caduto o una roccia sporgente sarebbe andati benissimo. Non trovò niente di tutto ciò ma, in compenso, si imbatté in una piccola radura ricoperta di campanule violacee, tra i primi fiori a spuntare in primavera. Incapace di resistere, decise di farne un bel mazzo da portare al castello e, una volta soddisfatta del suo bottino, si rimise in marcia individuando un sentiero che attraversava il bosco da parte a parte; in poco tempo, abbandonò la quiete sicura degli alberi e si ritrovò sulla strada maestra che portava al confine scozzese.
Il sole stava iniziando a calare a ovest e i suoi raggi si allungavano pigri sulla ghiaia, intrecciandosi con le ombre della sera. Fu in quel momento che lo vide.
In cima all’altura, al limitare della boscaglia, un uomo a cavallo la osservava, immobile, avvolto in un mantello scuro e con il capo coperto; Lynn non sapeva da quanto tempo fosse lì e per un attimo fu tentata di tornare sui suoi passi, ma non c’era alcuna possibilità che non l’avesse vista.
Nella sua mente le raccomandazioni di Tristyn iniziarono a risuonare con forza, mentre il suo corpo era paralizzato dalla paura. Non sapeva cosa fare.
Il cavallo scalpitò leggermente ma lo sconosciuto tenne salda la presa, continuando a guardare nella sua direzione. Lynn sentiva il suo sguardo addosso quasi riuscisse ad attraversarle il corpo; improvvisamente, la luce del sole era diventata incandescente, l’aria gelida, e si accorse con orrore di stare tremando come una foglia: le campanule le sfuggirono dalle mani e caddero a terra, sparpagliandosi attorno a lei in un manto silenzioso.
Doveva fare qualcosa, maledizione!
L’uomo si issò giù dalla sua cavalcatura, e allora qualcosa scattò in lei. Raccolse le gonne e si mise a correre all’impazzata lungo la discesa che portava al castello, pregando silenziosamente Dio di permetterle di arrivare salva a casa. Quando raggiunse le mura del castello, vi si accasciò contro, priva di fiato e di energia. Aveva paura di voltarsi e trovare l’uomo dietro di sé, ma quando finalmente trovò il coraggio non c’era nessuno. Solo il prato, mosso dalla brezza serale.
Con un singhiozzo si accasciò per terra e si mise a piangere, liberando la tensione e la paura che aveva accumulato dentro di sé.
“ Sono stata una stupida”, pensò, mentre cercava di calmarsi e di ricomporsi.
Non poteva farsi vedere in quelle condizioni e sperava che nessuno si fosse accorto della sua assenza prolungata. Sgusciò attraverso una delle porte laterali, attraversò il cortile posteriore e finalmente arrivò al castello, sgattaiolando nella sua stanza senza essere notata da troppe persone.
L’immagine allo specchio le restituì una visione scarmigliata e pallida, con il velo afflosciato sulle spalle, le gonne piene di polvere, i capelli appicciati al volto bagnato di lacrime e sudore.
Al piano di sotto sentì i commensali iniziare a riunirsi per la cena.
Era arrivata appena in tempo.
Mentre cercava di rendersi presentabile dandosi una ripulita, Tess fece capolino dalla porta socchiusa.
- Eccoti finalmente! Non ti trovavo da nessuna parte! La cena è già servita – la prese in giro, facendosi subito seria non appena la guardò con più attenzione.
Sua cognata era un’acuta osservatrice, da sempre, e Lynn voleva disperatamente confidarsi con lei.
- Lynn! Stai bene? Sei pallida come un cencio.
Lei annuì, esibendo un sorriso forzato.
- Certo. Vogliamo andare?
 
 
*
 
Mentre i suoi compagni discutevano animatamente su quale fosse l’animale più prestigioso da cacciare, Tristyn osservava la moglie, pensieroso. Per tutta la durata della cena era stata in silenzio, sbocconcellando qua e là con poca convinzione, il viso pallido e assorto.
Nonostante lo avesse rassicurato quella mattina, lui aveva intuito che qualcosa la turbava ma, allo stesso modo, aveva capito che non voleva rivelarglielo. Probabilmente non era nulla di importante, continuava a ripetere una voce dentro di sé, eppure Tristyn non sopportava di vederla in quello stato; gli ricordava troppo i primi tempi del loro matrimonio, un passato recente che, nelle ultime settimane, sembrava essere stato dimenticato. Le cose stavano andando bene a Welnfver, con sua grande soddisfazione: i suoi sforzi per far convivere i sassoni e i normanni avevano dato esiti migliori di quanto potesse sperare, le difese erano state rinforzate e si prospettava una stagione favorevole per le colture.
- Tristyn? – la voce di Stefan lo riscosse dai suoi pensieri – tutto bene?
- Sisi, certo – volse di nuovo la sua attenzione al gruppo di amici, lanciando di quando in quando un’occhiata a Lynn. Ben presto la vide alzarsi per congedarsi e andare a letto.
- Scusate solo un momento – si accomiatò e la raggiunse mentre saliva le scale.
Sua moglie sussultò quando lo sentì alle sue spalle, e per poco non inciampò sui gradini.
- Mi hai spaventata – mormorò, rimettendosi in equilibrio.
Tristyn l’afferrò delicatamente per un braccio e l’aiutò a raggiungere il piano superiore, senza nessuna protesta da parte di lei. Era come avere accanto una sonnambula.
- Lynn, dimmi cosa c’è che non va – disse, prendendole il volto fra le mani e costringendola a guardarlo negli occhi.
- Sto bene – rispose lei, quasi infastidita – ho solo bisogno di riposare.
Avvicinò le labbra alle sue per un bacio leggero.
- Buonanotte – disse, sparendo nella loro camera da letto.
Tristyn rimase a fissare la porta chiusa, combattuto: avrebbe voluto stare con lei, ben sapendo che prima o poi sarebbe crollata, ma il suo orgoglio bruciava al pensiero di essersi ridotto in quello stato, incapace di pensare ad altro che a sua moglie. Era un uomo, in fondo!
Se suo padre lo avesse visto in quello stato si sarebbe fatto una bella risata.
Con un sospiro infastidito, tornò dai suoi compagni.
Forse aveva ragione lei: una notte di sonno e tutto si sarebbe sistemato.
O almeno così sperava.


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Ciao a tutti!
Purtroppo anche questa volta ci ho messo più tempo del previsto, gli ultimi mesi di università sono stati tosti ma adesso, se tutto filerà liscio, dopo settembre avrò molto più tempo a disposizione per scrivere e quindi spero veramente di avere un ritmo più regolare. Comunque non manca moltissimo alla fine ma vorrei concludere la storia entro la fine dell'anno, se non prima (facciamo i dovuti scongiuri ahah). Detto questo, vi lascio al capitolo, lo definirei di passaggio perché "apre" l'ultima parte della storia, non è stato facile scriverlo ma spero di aver fatto un buon lavoro!
Come sempre, grazie a tutti per il sostegno e la vostra pazienza infinita, spero di non deludervi! <3

Un bacione
Francesca

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Capitolo 20
*** Paura dell'ignoto ***





Ciao a tutti.

E' veramente surreale tornare a pubblicare qualcosa dopo quasi tre anni di assenza, e mi voglio scusare con tutte le persone che, per tutto questo tempo, hanno atteso invano un segno di vita da parte mia. Non mi ero dimenticata di questa storia, affatto, ma per tutta una serie di motivi mi sono allontanata dalla scrittura, in una sorta di pausa di riflessione, e ho lasciato tutto in stand-by. Più volte, in questi anni, ho cercato di riprendere in mano le file, ma avevo l'impressione di non essere più in grado di portare avanti la storia, di dare la giusta voce a quei personaggi che per me, ormai, erano diventati qualcosa di più che meri soggetti immaginari trasportati sulla carta. Chi scrive lo sa, queste relazioni non sempre sono idilliache e per un po' di tempo le nostre strade si sono divise. Ma ho sempre voluto tornare e concludere questa storia e così, complice questo periodo surreale che tutti stiamo vivendo, ho deciso di riprovarci e stavolta i personaggi hanno fatto sentire la loro voce. 
Chiudo questa lunghissima introduzione ringraziando le persone che, in questi anni, mi hanno scritto incoraggiandomi a continuare, i vostri messaggi sono stati davvero importanti per me! Grazie di cuore, davvero. Spero di non aver deluso la vostra attesa.

Francesca

 


20.
 

Winchester, aprile 1068

 

Gli ultimi raggi di sole si arrampicavano pigramente lungo le pareti della sala del trono, quasi volessero aggrapparsi alle mura di pietra per non essere strappati via dall’incedere della notte.
La sala appariva deserta, se non per la figura silenziosa di un uomo nella penombra che osservava assorto i giochi di luce che il tramonto dipingeva sulle pareti, mentre accarezzava sovra pensiero la superficie lignea dello scranno sui cui sedeva.
Sebbene fosse salito al trono da poco più di un anno, Guglielmo aveva l’impressione che gli appartenesse da sempre: tra i suoi numerosi successi, la corona inglese rappresentava il suo vanto personale, forse per le molte difficoltà incontrate lungo il percorso o, forse, per la smania cieca con cui lo aveva a lungo inseguito.
Guglielmo amava il potere e non ne aveva mai fatto mistero: questo suo tratto, mal visto dai suoi rivali, era stato una delle chiavi della sua ascesa al potere, prima in Francia, e poi in Inghilterra. Tuttavia, non era impetuoso come molti lo dipingevano. Sapeva prendere decisioni ponderate quando necessario perché era ben conscio che il potere, una volta ottenuto, poteva sfuggire alla presa come acqua tra le dita, senza i dovuti accorgimenti.
Il trono inglese non rappresentava un’eccezione.
Il susseguirsi nel passato recente di sovrani anglosassoni e danesi avevano ampiamente dimostrato il fascino mortale che esercitava su chiunque vi posasse sopra gli occhi: Guglielmo era consapevole di essere solo l’ultimo di una lunga lista.
- Venite avanti – ordinò alla figura silenziosa che attendeva nella penombra.
- Vostra Maestà – l’uomo si chinò in ossequio – un messaggero è appena giunto con la notizia che la duchessa Matilda è arrivata in Inghilterra. Il corteo si è già messo in cammino verso Winchester.
Guglielmo non manifestò alcuna reazione, se non un breve cenno del capo.
Sebbene fosse trascorso più di un anno dalla sua incoronazione, nessuno sul suolo inglese aveva ancora visto la futura regina. Guglielmo non aveva voluto affrettare i tempi, si era prima assicurato di rafforzare la propria posizione, sul piano militare e diplomatico.
Ora, l’incoronazione della moglie Matilda come regina di Inghilterra avrebbe aggiunto un nuovo tassello al suo piano di conquista, consolidando la sua autorità come sovrano.
- Se non c’è altro, puoi andare – disse.
L’uomo fece per ritirarsi quando le porte della sala furono aperte con un rumore sordo, seguito da un vociare concitato.
Guglielmo balzò in piedi, mentre le guardie fermavano il nuovo arrivato.
- Fatemi passare! – esclamò quest’ultimo, cercando di scansarle e di dirigersi verso il re.
Non appena lo riconobbe, Guglielmo ordinò loro di lasciarlo andare.
- Sir Conrad – mormorò, tornando a sedersi – vi credevo fuori Londra.
- Vostra Maestà – Conrad si inginocchiò – giungo ora da York, con notizie di rilevante importanza.Guglielmo gli fece cenno di alzarsi e di continuare.
- Ho le mie buone ragioni per credere che Edgar voglia lasciare l’Inghilterra per dirigersi alla corte di re Malcolm.
Seguì un momento di silenzio, mentre il re assorbiva la notizia.
Edgar the Atheling, unico erede di Edoardo il Confessore, era stato proclamato sovrano subito dopo la morte di Harold ad Hastings ma, a differenza del suo predecessore, si era subito sottomesso a Guglielmo, offrendogli la corona. In cambio, gli erano state garantite protezione e fiducia del re.
A quanto pare, entrambe erano state mal riposte.
- Ne siete sicuro?
- Ne ho la quasi totale certezza. Le mie fonti mi hanno riferito che la madre e le sorelle si trovano già in Scozia. Crediamo che Edgar voglia raggiungerle, e chiedere protezione a Malcolm.
- Ma certo – mormorò il re, in tono sprezzante.
Edgar era un povero ingenuo; Guglielmo non aveva dubbi che il re scozzese avesse incontrato poche difficoltà a persuaderlo a partire, allettandolo con chissà quali promesse.
- Sappiamo che si trovava a Londra, fino a tre giorni fa, quindi deve essere partito da poco tempo. Possiamo ancora fermarlo – affermò Conrad – io e i miei uomini potremmo partire già stanotte.
Guglielmo rimase in silenzio. Le dita della mano destra tamburellavano frenetiche.
- No – disse infine – non abbiamo prove concrete che Edgar si stia dirigendo in Scozia. Se lo catturassimo e lo riportassimo a Londra, i ribelli sassoni lo potrebbero usare come pretesto per sollevare il popolo contro di noi. Sapete meglio di me che al momento non abbiamo bisogno di fronteggiare altre rivolte. Quanto successo a Exeter è stato un ammonimento che non possiamo sottovalutare.
- Avete ragione, Maestà, ma non possiamo permettere che Edgar raggiunga la Scozia, sapete meglio di me quanti nobili sassoni vi hanno già trovato rifugio. Se riuscisse ad arrivare a Edimburgo, con il loro appoggio e quello di Malcolm potrebbe tentare di riprendersi il trono. E’ una possibilità che non potete escludere.
Guglielmo si fermò a riflettere sulle parole di Conrad.
In cuor suo, dubitava fortemente che Edgar possedesse le capacità di organizzare un’azione militare in grado di rovesciare il proprio esercito, né tantomeno che potesse ribaltare l’equilibrio politico alla cui realizzazione Guglielmo si era dedicato anima e corpo. Per quanto riguardava Malcolm, il re scozzese era una pedina che non lo preoccupava più del dovuto: fino a quel momento, infatti, si era limitato a portare avanti piccole scaramucce oltre confine, a riprova di quale codardo fosse.
Tuttavia, in parte Conrad aveva ragione. Edgar era solo l’ultimo di numerosi nobili sassoni che si erano rifugiati presso la corte scozzese, e non c’erano dubbi che Malcolm ne volesse trarre personale vantaggio; d’altronde, era assetato di potere quanto lui.
- Sapete quanti uomini sono al suo seguito?
- Una piccola scorta, tre o quattro cavalieri, non di più. Non ha voluto destare sospetti.
Guglielmo annuì.
Il tamburellìo delle dita si fece più intenso.
- Voi pensate che qualcuno lo stia aiutando, vero?
Conrad chinò il capo in cenno di assenso.
- E sapete chi?
Conrad tentennò, incerto su come procedere.
- Aspetto una risposta.
- Le mie fonti mi hanno riferito di movimenti sospetti, su al nord. A York negli ultimi tempi si è registrata la presenza di numerosi uomini armati, e non sono soldati di Vostra Maestà. Questo l’ho appurato con i miei stessi occhi.
Il re aggrottò la fronte.
- York?
- Sì, Vostra Maestà.
- Credevo che in Northumbria la situazione fosse relativamente tranquilla, ad eccezione di qualche sconfinamento degli scozzesi. Voi stesso me lo avete riferito nelle vostre ultime missive.
- Ed era così, Vostra Maestà. Ma negli ultimi tempi qualcosa è cambiato: il conte Morcar non ha fatto mistero di volermi evitare, e suo fratello sembra sparito nel nulla. La notizia della fuga di Edgar ha rafforzato i miei sospetti e per questo ho voluto recarmi immediatamente a Londra di persona.
- Capisco.
Il tamburellìo delle dita cessò, di colpo.
- Tornate a York. I vostri sospetti possono avere un fondamento, ma ho bisogno di prove certe prima di agire.
- Ma, Vostra Maestà…-
- Non posso permettermi che scoppi un altro focolaio di rivolte al Nord. Portatemi le prove e allora agirò di conseguenza.
- Sì, Vostra Maestà.
- Per quanto riguarda Edgar, me ne occuperò personalmente.
Conrad fece per dire qualcosa, ma Guglielmo alzò una mano in segno di silenzio.
- Farete ciò che vi ho ordinato, Sir Conrad. E’ tutto, per ora.
- Sì, Vostra Maestà.
Una volta rimasto solo, Guglielmo si strofinò gli occhi con un gesto stanco.
Le tenebre erano calate nella sala del trono. Un’altra notte insonne lo attendeva al varco.

 

*

I fili d’erba oscillavano confusamente mossi dalle raffiche di vento primaverile, creando l’illusione di essere immersi in uno specchio d’acqua verdeggiante: qua e là, macchie variopinte spezzavano quella fantasia uniforme, indizi silenziosi di fiori selvatici.
Accovacciata in mezzo a quel tripudio di colori e profumi, Lynn osservava attentamente il terreno circostante, sfiorando i fusti dei fiori e analizzando la forma delle foglie. Fino a quel momento, la sua ricerca aveva dato buoni risultati, eppure non sarebbe stata soddisfatta finché non avesse trovato quello che stava cercando.
- Lynn, possiamo andare adesso?
La voce di Briain ruppe la sua concentrazione e, sollevato il capo, lo vide correre verso di lei.
- Non ho ancora finito. Hai trovato quello che ti avevo chiesto?
Il bambino sbuffò.
- I fiori sono tutti uguali.
- Ci hai almeno provato?
- Tu hai trovato quello che stavi cercando?
- Chi ti ha insegnato a rispondere alle domande con altre domande? - gli chiese.
Briain sbuffò nuovamente, facendole capire che non era interessato né a raccogliere fiori, né a rispondere alle sue domande.
Con un sospiro Lynn si mise in piedi.
- Torniamo al castello? - chiese il bambino, speranzoso.
- Non ancora.
- A me sembra che tu abbia raccolto abbastanza fiori – osservò lui, indicando il cesto pieno.
- Se tu mi avessi aiutato, ora avremmo già finito – ribatté lei, incamminandosi lungo il pendio per tornare nel bosco.
Il bambino le trotterellò dietro, mugugnando una risposta che il vento portò via con sé.
Era evidentemente annoiato, e Lynn si sentì un po’ in colpa, tuttavia non se l’era sentita di uscire da sola: l’immagine dell’uomo a cavallo continuava a riemergere nella sua mente, nonostante fossero passati diversi giorni dal loro incontro e nulla fosse accaduto da allora.
A volte aveva quasi l’impressione di essersi immaginata tutto, e se fosse stato così sarebbe stato molto più facile scrollarsi di dosso quella sensazione di disagio, come al risveglio da un incubo.
Aver portato Briain con sé aveva lenito in parte quella sgradevole sensazione, ma una parte di lei era rimasta sempre in allerta, temendo che quell’uomo potesse ricomparire da un momento all’altro.
Non appena raggiunsero i margini del bosco, imboccarono il sentiero che portava alla radura in cui si trovava il vecchio capanno di pietra; camminavano in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Di tanto in tanto Lynn prestava attenzione al terreno e, finalmente, poco prima di sbucare nella radura, scorse quello che cercava.
- Vieni Briain, l’ho trovata! – lo chiamò.
Il bambino si inginocchiò accanto a lei.
- Nel prato c’erano fiori decisamente più belli – osservò perplesso.
Dal terreno sbucavano timidamente dei piccoli fiori violacei circondati da foglioline cuoriformi.
- Non sempre i fiori più belli sono i più utili – disse Lynn, mentre con mano esperta ne iniziava a raccogliere piccoli mazzetti – prendi questa pianta qui: nessuno la nota, nascosta com’è nel sottobosco, eppure ha delle proprietà miracolose.
- Del tipo?
- Si può ricavare un olio che aiuta a curare le ferite e a cicatrizzarle. Oppure si può usare contro la tosse: quando eri malato, la usavo insieme ad altre erbe per preparare le tisane che poi ti davo da bere.
- Ecco perché erano così cattive.
Il bambino non era evidentemente affascinato dalle proprietà terapeutiche delle piante.
- Inoltre, dicono che questa erba aiuti a tenere lontano le streghe.
- Le streghe non esistono.
- Questo lo dici tu.
- Lo sanno tutti che è così.
- Ah sì? Lo sapevi che a volte, nelle notti senza luna, le streghe lanciano incantesimi sulle mucche, di modo da stregare il latte?
- Questo non è vero!
- Oh si, invece!
Briain la guardò pensieroso.
- Io non l’ho mai sentito dire.
- La mia balia ripeteva sempre un antico adagio: “io ti porto l’edera terrestre, l’acqua benedetta e il sale e scompaio fra le nuvole; ma non scordarti che tu mi devi latte, burro e cacio”.
- E cosa vuol dire?
- In questo modo scongiuri gli effetti dell’incantesimo.
Briain ci pensò su e poi scrollò la testa.
- Lo chiederò a Tristyn – disse, alzandosi in piedi.
A quanto pareva anche la storia delle streghe non aveva fatto breccia nel suo interesse.
Quel bambino trascorreva decisamente troppo tempo con suo marito.
Con un sospiro Lynn finì di raccogliere i rametti di edera e li ripose con cura insieme agli altri fiori.
Briain, nel frattempo, aveva già raggiunto la radura e stava accarezzando la cavalla legata fuori dal capanno.
La ragazza si sentì invadere da un moto di affetto e ripensò a quanto si fosse abituata alla sua presenza, nonostante fossero trascorsi pochi mesi da quando lo aveva portato con sé al castello.Il bambino si era integrato perfettamente nel tessuto sociale e gli uomini di Tristyn lo avevano preso sotto la loro ala protettiva: stravedeva per Stefan, e lo seguiva ovunque come fosse la sua ombra.
Forse avere un figlio mio sarebbe così, pensò, senza però indugiarci troppo.
- Lynn, andiamo adesso? - la chiamò Briain.
- Arrivo!
Percorrendo velocemente la distanza che li separava, andò ad aprire la porta del capanno.
- Vieni a darmi una mano, e poi torniamo al castello, d’accordo?
Il bambino annuì, rassegnato e l’aiutò a dividere e mondare le diverse piante: alcune vennero messe ad essiccare, altre furono avvolte in panni asciutti per essere portate subito al castello ed essere messe a macerare.
- Queste a cosa servono? - chiese Briain, osservando le numerose fiale contenti polveri e tinture di colore variegato.
- A molte cose. Questa, per esempio – disse Lynn, afferrando una boccetta – si può usare quando una persona non respira bene, massaggiandola sul petto. Si fanno macerare i fiori secchi per due settimane nell’alcol e si ottiene la tintura: il colore viene dai fiori, che sono gialli.
- Quindi con ogni pianta puoi curare delle cose diverse? - chiese Briain, per la prima volta veramente interessato a quello che gli stava raccontando.
- Certo, dalla tosse al mal di pancia alle ferite.
Lynn gli fece vedere diverse tinture e unguenti che aveva preparato nei mesi precedenti, mentre il bambino si galvanizzava sempre di più.
- Ma queste erbe servono anche se qualcuno ti infilza con una spada? O ti colpisce con una freccia?
- Sono ferite molto gravi, non sempre le erbe funzionano. Ma possono aiutare, in alcuni casi. Di solito si preparano degli unguenti da spalmare sulle ferite, di modo da aiutarle a cicatrizzarsi.
- E se il nemico ti sbudella? E se un cavallo ti schiaccia con le zampe?
Quella discussione stava decisamente sfuggendole di mano.
- Penso che sia ora di tornare al castello. Aspettami fuori, mentre finisco di mettere a posto.
Il bambino obbedì, lasciandola sola.
Lynn iniziò a riordinare le boccette, e solo allora si accorse che c’era qualcosa che non andava: la ragazza rimase a fissare imbambolata le fiale allineate, quasi le potessero rivelare qualche verità segreta. Gli unguenti per curare le piaghe e le ferite erano scomparsi, insieme ad alcuni tonici.
Forse li aveva portati al castello, e non se ne ricordava: negli ultimi mesi erano successe talmente tante cose che faceva fatica ad avere sempre la mente lucida.
- Lynn, andiamo?
La voce di Briain la riscosse dai suoi pensieri.
Scacciando la strana sensazione che si era impadronita di lei, ripose quanto le serviva nel cesto e uscì dal capanno, chiudendo con attenzione la porta.
Salì in sella al cavallo insieme al bambino e imboccarono la strada verso casa ma prima di lasciare la radura, Lynn si voltò indietro: la sagoma silenziosa del capanno si stagliava in lontananza, immersa nell’erba verdeggiante bagnata di rugiada; i rami degli alberi carichi di gemme frusciarono cullati da un refolo di vento e le ombre si allungarono sulla radura.
Lanciando un’ultima occhiata, Lynn fece schioccare le redini e imboccò il sentiero, senza più guardarsi indietro.

 

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