Recollections of a lifetime

di Alyss Liebert
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prompt 1: Talento incompreso ***
Capitolo 2: *** Headcanon 1: Diet wars! ***



Capitolo 1
*** Prompt 1: Talento incompreso ***


Disclaimer
I personaggi e le ambientazioni non mi appartengono, ma sono proprietà di Yoshihiro Togashi; al contrario, il racconto che state per leggere è una mia creazione.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
 
 
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A volte, è meglio non prendere troppo in considerazione ciò che dice una persona, specialmente se con quest’ultima non ci si frequenta da anni; al contrario, non prestare ascolto al proprio partner e sottovalutarlo può portare a spiacevoli conseguenze sull’autostima personale, soprattutto se egli è permaloso e competitivo come chi gli sta accanto.
 
 
 

Talento incompreso
(prompt 1)

 
 
 

Il risotto allo zafferano era pronto da venti minuti.
Kurapika aveva riempito con cautela il suo piatto e quello di Leorio, poggiandoli poi sul piccolo tavolo della cucina ed aspettando che il suo compagno arrivasse per cominciare a mangiare.
Leorio non aveva ancora messo piede lì dentro, e si limitava a replicare un quasi impercettibile “Arrivo” ogni volta che Kurapika lo chiamava infastidito.
«Se non ti presenti qui entro dieci secondi, getto via la tua porzione».
Gli giunse all’orecchio il brusio di una sedia e di un libro che si chiudeva, seguito da un rumore di passi lesti. Il Kuruta sapeva quanto il suo amante adorasse il riso cucinato in quel modo; perciò, dargli l’ultimatum era, alla fine, la soluzione più saggia.
Leorio si precipitò a fianco al biondo, sedendosi al tavolo e sfoggiando un’espressione trionfante. Indossava ancora il pigiama.
«La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar», recitò con fierezza, portandosi poi alla bocca una forchettata.
Kurapika gli lanciò un’occhiata stranita prima di sospirare.
«Carducci», specificò il moro.
«E poi? Continua la poesia».
«La sto ancora studiando!», esclamò con un certo stupore.
«La sanno tutti a memoria».
«Allora ripetila tu, sapientone».
«Sto mangiando, non vedi?», tagliò corto il più giovane con una punta di irritazione.
«È solo una scusa. In realtà, non sai neanche la prima strofa», dedusse l’altro.
«Oggi pomeriggio devo passare in libreria: è arrivato il romanzo che ho ordinato», cambiò discorso Kurapika, «Mi accompagni?»
«E io che c’entro?»
«È per farti uscire. Ti vedo pallido… e sei sempre chino su quei libri».
«Questa, invece, la so a memoria! È di Montale», annunciò Leorio completamente noncurante, «Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto; ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi…»
Si fermò, tornando ad osservare un Kurapika alquanto contrariato.
«Schiocchi di merli, frusci di serpi», ripeté, «Amo la buffa cadenza di questo pezzo. In questo verso ci sono molte figure retoriche!»
«A-ha», emise il Kuruta con falso interesse.
«Allitterazioni, l’assonanza fra “merli” e “serpi”…». Ragionò un attimo. «… mononatopee…»
«Onomatopee», lo corresse il compagno.
«Sì, quelle».
D’un tratto, la sua espressione cambiò; un’aria inquieta e nervosa pervase il suo volto. Corrugò la fronte e piantò gli occhi sull'amante.
«Non ricordo come continua!», proruppe stizzito, «Giuro che la sapevo!»
«Calmati», lo sollecitò Kurapika, «Adesso finisci di mangiare, poi vai a ripassarla».
«Non posso, mi fa rabbia!»
Picchiettò per qualche secondo il tavolo con le dita, pensando evidentemente a cosa fosse meglio fare, e poi si alzò di scatto, strisciando la sedia sul pavimento e facendo sobbalzare il biondo.
«Torno subito, ok? Non ti preoccupare se il riso si raffredda: lo mangio lo stesso».
Prima che Kurapika avesse potuto aprire bocca, Leorio era già tornato in camera a sfogliare il suo libro di poesie mentre continuava a ripetere ad alta voce quel verso.
 
 
 
 
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«Ancora con questa storia!?», sbottò Killua dall’altra parte della linea.
«Purtroppo sì…», ribadì Kurapika con un sospiro, «… e non ce la faccio più a sopportare tutto ciò».
«Ma se ha scoperto questa passione, perché non lo lasci dedicare a quelle cose?», domandò Gon con la sua solita voce squillante, la quale giunse con una certa intensità all’orecchio del Kuruta.
«Il problema è che lo stanno distraendo dallo studio e da altre attività. Talvolta non riesce a pensare ad altro», fu la spiegazione.
«Quindi sta esagerando!», esclamò, «È come Killua! Lui, per esempio, ha sempre voglia di cioccolato; ogni giorno ruba e sgranocchia le barrette che compra zia Mito».
«Non puoi paragonare la fissazione di Leorio alla mia!», inveì l’interessato, togliendogli probabilmente il telefono dalle mani, «Quest’abitudine non rovina i miei progetti della giornata!»
«Mmh…», emise il moro perplesso. Si rivolse, poi, di nuovo a Kurapika. «Da quanto tempo avete questo… problema?»
«Quasi un mese».
«Non ci hai mai detto, però, come Leorio si è montato la testa», fece notare lo Zaoldyeck.
«… Una sera, mentre stava tornando a casa dalla facoltà, è incappato in un suo compagno delle elementari che si trovava nella nostra città per un viaggio di piacere».
«Delle elementari?», ripeté Gon.
«Sì. Avevano, ovviamente, molto da raccontarsi; così, Leorio l’ha invitato a cena a casa nostra».
«Aspetta, ma gli ha detto che voi due…?», cominciò a chiedere Killua.
«Ha preferito di no. Mi ha presentato come “il collega secchione che si è offerto di aiutarlo con lo studio fino a tarda sera”», rivelò il Kuruta con un tono che trasudava sarcasmo.
Dopo aver sentito dall’altra parte uno sbuffo divertito, proseguì.
«Prima di cenare, abbiamo seguito in TV un quiz televisivo. Il presentatore ha posto quesiti su vari poeti, e Leorio li ha azzeccati tutti; il suo amico gli ha ricordato, a proposito di ciò, che lui alle elementari aveva voti alti in italiano e scriveva belle poesie».
«… Tutto qui?», domandò l’albino.
«Sì».
«Solo perché il suo vecchio compagno…?»
«Già».
«… Chiama uno psicologo».
«Penso di farlo a breve, se le cose non si sistemano. Intanto, pregate affinché la mia pazienza non si esaurisca».
 
 
 
 
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«Kurapika!», lo chiamò a gran voce Leorio, precipitandosi in cucina e sorprendendo il compagno a bere una tazza di tè, «Senti qua».
Aprì un foglio di carta, inizialmente piegato in due, e lesse: «“A volte faccio finta di essere normale, ma diventa noioso; così, torno ad essere me stesso”».
Ci furono diversi secondi di silenzio, durante i quali i due si scambiarono una serie di sguardi; fiero e pieno di gioia da parte di Leorio, tanto attonito quanto scocciato da parte di Kurapika.
«È una bella frase a effetto, non ti pare?», si decise a parlare il moro, «L’ho trovata su un sito di aforismi e citazioni».
«Ora preferisci questo tipo di composizioni?», chiese il più giovane con un’aria che lasciava trapelare tutto fuorché interesse e partecipazione. Si preoccupò, invece, di tirare il cucchiaino fuori dalla tazza colma dell’infuso, dopo averlo girato almeno venti volte per essere certo che si sciogliesse tutto lo zucchero.
«Più sono brevi, meglio le memorizzo», fu la risposta, «Trovo che questa frase sia stata scritta apposta per me!»
Il biondo gli lanciò un’occhiata sbilenca.
«Tu non provi neanche ad essere normale», asserì.
«Ho deciso: appendo questo foglio nella nostra camera», annunciò subito l’altro.
«Sulla stessa parete dove hai già appeso alcune poesie di Leopardi, Pascoli, Neruda, Shakespeare, Wilde, Baudelaire e Bukowski, assieme alle loro fotografie accanto?»
«Esatto. Cercherò di fare spazio…»
«… nella tua parte di stanza. Gradirei che la mia restasse immacolata».
«Nel caso, lo conservo in un cassetto del mio comodino… o lo metto sotto il letto».
«Leorio…»
«Vado a vedere cosa posso fare».
E si dileguò, lasciando il Kuruta con il viso fra le mani.
 
 
 
 
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Abitare al quarto piano di un edificio – per giunta senza ascensore – non agevolava molte cose; portare la spesa nell’abitazione era una di quelle.
Kurapika era andato al supermercato da solo, poiché Leorio doveva dare per la prima volta sfogo al suo estro poetico, e aveva bisogno di solitudine e concentrazione. Tuttavia, aveva elencato all’amante una serie di oggetti da comprargli, compresa una risma e, se possibile, una penna stilografica.
Il biondo varcò stremato la soglia del salotto con tre sacchetti di plastica straripanti, che posò subito sul pavimento in maniera tutt’altro che aggraziata.
«Spero non ci siano uova lì dentro», commentò Leorio con un volto alquanto divertito che il Kuruta avrebbe preso volentieri a schiaffi.
Era seduto sul divano con una lattina di birra in mano e un quaderno rigido sulle cosce, aperto nella prima pagina.
«Ci sono due confezioni di acqua al piano terra. Perché non mi aiuti a portarle su?», gli chiese Kurapika con espressione seccata.
«Tranquillo, ci penso io. Fammi finire di scrivere una poesia», lo mise al corrente.
«Se devo aspettare che ti muova, un passante fa prima a rubarle».
«Sciocchezze! Mi manca pochissimo».
Alitò sulle lenti dei suoi occhiali e le strofinò rapidamente sull’orlo della sua canotta blu, prima di rimetterseli.
«O mia musa prediletta…», lesse poi ad alta voce, «… rendi il mio cuore una…»
Si fermò un attimo, corrugando la fronte e serrando le palpebre. All’improvviso, riaprì gli occhi e sorrise compiaciuto.
«… una polpetta», enunciò mentre afferrava la penna per trascrivere la parola.
Per la prima volta, Kurapika ebbe la tentazione di accartocciare quel pezzo di carta di fronte a lui e di dirgli in faccia ciò che pensava sul suo “talento”; ciononostante, le sue ultime briciole di tolleranza gli impedirono ancora una volta di aprire bocca.
 
 
 
 
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La predilezione di Leorio era ormai diventata un’ossessione. Qualsiasi oggetto dell’abitazione, animale, stato d’animo, cosa concreta che aveva l’occasione di contemplare quotidianamente fuori casa – il cielo, il sole, le nuvole, le piante, i viandanti, i mezzi di trasporto, e via dicendo –, diventava protagonista dei suoi componimenti.
L’impulso di scrivere lo assaliva in ogni momento: quando studiava od oziava, mentre si lavava, durante il pasto, dopo il sesso, prima di assopirsi…
Ogni volta che ciò accadeva, doveva prontamente interrompere l’attività a cui si stava dedicando o che era in procinto di fare, finendo spesso per inimicarsi l’amante, il quale metteva molto volentieri il broncio – seppur con scarsi risultati.
Un giorno, mentre il Kuruta stava stendendo alcuni panni in balcone, si vide piombare Leorio accanto con volto turbato.
«… Cosa c’è?»
«Mi secca ammetterlo, ma ho bisogno del tuo aiuto», gli confidò il moro.
«Sono impegnato».
«Non riesco a trovare una parola decente che faccia rima con un’altra», persisté.
«… Dimmi quella che sai già».
«Bordello».
Al biondo non sfuggì per poco una molletta dalla mano destra, assieme ad un asciugamano che teneva nella sinistra.
Piantò gli occhi addosso al partner con espressione sconcertata.
«Bordello?», ripeté.
«Esatto».
A quel punto, Kurapika voltò di nuovo la testa verso i capi che stava stendendo ed emise un sospiro alquanto esasperato.
«Contestualizzami questo…». “Scempio”, si immaginò di dire, ma si trattenne. «… vocabolo».
«Ti leggo la poesia», replicò Leorio, tirando fuori un pezzo di carta da una tasca posteriore dei suoi pantaloni, «“Da quando ti ho visto, i miei pensieri sono un misto…”»
Il più giovane storse il naso involontariamente.
«Un misto di cosa?», chiese poi.
«Un misto», reiterò l’altro, «È la parola che fa rima con “visto”».
«… Ah», riuscì a proferire sempre più sconcertato.
Il compagno proseguì.
«“Il mio cervello è un bordello, curami con…”?»
Osservò Kurapika con un filo di angoscia, sperando di ottenere la parola perfetta che tanto agognava.
«Un manganello», gli giunse dopo un po’ alle orecchie.
«… Un manganello?», ripeté abbastanza stupito da quella scelta.
«Sì», fu la risposta.
«Cosa c’entra un manganello con la cura?»
«Credimi, ti servirebbe».
«Un colpo di manganello!?»
«Esatto».
Lo sbigottimento del moro si tramutò immediatamente in indignazione.
«Si può sapere che ti prende? Non posso chiederti aiuto?»
«Io vorrei sapere cosa succede a te», puntualizzò il Kuruta, sbattendo una mano sulla ringhiera, «Non ti riconosco».
«Cosa intendi?»
«Ti rendi conto che ormai non riesci più a staccarti da questa tua fissazione? È diventato il tuo chiodo fisso; non riesci a pensare ad altro, nemmeno allo studio».
«Non mi pare di essere l’unico ad avere certe “fissazioni”», azzardò il più grande.
«… Leorio, vuoi litigare?»
«Lo stiamo già facendo».
«Non paragonare la mia questione alla tua: sono cose molto diverse».
«È vero. Innanzitutto, la mia è una passione, uno svago».
«È una perdita di tempo», avanzò Kurapika, «Non fa altro che distoglierti dai tuoi impegni».
«Beh, magari ho appena scoperto la mia vera vocazione e non posso più farne a meno».
«Leorio…», lo chiamò con tono austero, scrutandolo in faccia, «… non sei bravo né a scrivere, né a recitare».
Silenzio. L’interessato non ribatté, troppo sgomento per poterlo fare; era come se l’avessero appena informato della morte di un suo parente.
«Hai tante qualità; non mi basterebbe un’ora per elencarle tutte», riprese il biondo, «Tuttavia, riconosco che non sei abile in molte altre cose, la scrittura compresa. Le tue poesie, le tue cosiddette “frasi a effetto”… non hanno un minimo di senso, e la loro musicalità è sgradevole al mio udito».
Tornò ad osservare la maglietta umida che stava appendendo.
«In altre parole, non mi piacciono e ne ho abbastanza di sentirle».
Per un attimo, provò un certo disagio e senso di colpa per la severità e schiettezza con la quale aveva sciorinato all’amante ciò che pensava; per di più, Leorio non aveva ancora replicato a nessuna considerazione.
Comunque, il rimorso svanì molto presto.
«Mi dispiace, ma è la verità», concluse con atteggiamento insofferente.
«No, è solo una tua opinione», si espresse finalmente l’altro, «Nessun altro mi ha mai fatto delle critiche».
«Se ti riferisci ai tuoi colleghi, hanno sicuramente mentito per farti felice».
«Non ne sarebbero capaci».
Kurapika gli lanciò uno sguardo carico di stizza.
«Credi a loro e non a me?», chiese, «Pensi voglia metterti contro i tuoi amici? Preferisci il parere di persone che ti conoscono meno di me?»
«Piantala di essere così geloso…», ribatté Leorio sbuffando.
«… Geloso?»
«Non del mio rapporto con gli altri, ma di ciò che loro pensano di me», precisò all’amante sconcertato, rigirando la questione, «Tu non hai questa passione; non ti ci dedichi, né sei portato. Solo perché sto tentando di essere eccellente almeno in una cosa in cui tu non lo sei, fai l’antipatico».
«Quella non è una passione, ma una mania», lo corresse il Kuruta, «È un'ossessione temporanea, come la mia vecchia abitudine di collezionare scontrini e usarli come segnalibri. Ti passerà presto, vedrai… ed io lo spero».
Entrambi tornarono ad essere muti. Kurapika ne approfittò per finire di stendere gli ultimi panni, cercando di non incontrare lo sguardo probabilmente offeso del compagno.
«Io so perché sei contrariato», dichiarò ad un tratto il moro.
L’altro stette fermo, con la cesta in mano, dandogli le spalle e attendendo che proseguisse.
«Non ti ho ancora dedicato qualcosa!», esclamò aprendo le braccia.
La cesta appena menzionata rischiò di fare una brutta fine, poiché a chi la stava reggendo era scivolato un manico. Il biondo tornò per l’ennesima volta ad osservare il ragazzo che amava con tutto se stesso – ma che mancava totalmente di perspicacia – con espressione allibita.
«Non ci provare», asserì.
«Lo faccio eccome! Devo decidere se scriverti una poesia, un aforisma, il testo di una serenata… o semplicemente una dedica che ti faccia perdere ulteriormente la testa per me».
«… Mi basta sopportarti tutti i giorni», controbatté.
«Ti stupirò, stanne certo. Ti dovrai per forza ricredere», insisté il più grande ormai vicino alla porta-finestra, pronto per sgattaiolare di nuovo in camera.
«Leorio, ti lascio», fu la minaccia.
«Quando meno te lo aspetti, avrai una sorpresa», concluse lasciando il balcone e Kurapika a bocca aperta.
 
 
 
 
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Passarono due settimane, e non successe nulla di particolare: Leorio proseguì con le sue composizioni e Kurapika continuò a tollerarlo, evitarlo, detestarlo – dipendeva dai giorni.
Il lunedì mattina seguente, il moro mandò un messaggio al suo compagno.
“Torno dalla facoltà di pomeriggio, dopo pranzo. Ti amo tanto”, gli scrisse.
Ciò non sconvolse i progetti al Kuruta; mandatogli un veloce “Va bene. Ti amo anch’io”, finì di vestirsi – poiché era rimasto sdraiato sul letto in boxer a leggere fino a quell’istante –, prese il suo portafoglio e uscì di casa, diretto al fast food più vicino. Quando aveva la possibilità di non scervellarsi per preparare qualcosa, ne approfittava sempre.
Una volta tornato a casa, si sdraiò sul divano del salotto e riprese la lettura.
Verso le quattro, Kurapika sentì il flebile tintinnio di un mazzo di chiavi, ed una di queste incassarsi nella serratura della porta d’ingresso. Leorio era tornato, ma i due non si salutarono: il più giovane era troppo concentrato su una determinata scena di un capitolo, e l’altro non voleva probabilmente farsi sentire, dato il suo quasi impercettibile passo.
Ad un tratto, il biondo si risvegliò da quello stato di torpore.
«Bentornato», mormorò all’amante.
Non udendo una replica, pensò di voltare la testa verso l’entrata. Nel momento in cui provò a farlo, venne investito da una manciata di petali di rose rosse, i quali si depositarono fra le pagine aperte del suo libro e sui suoi capelli; uno finì nella sua bocca, e lo sputò immediatamente.
Gli tornò alla memoria un'occasione in cui aveva partecipato ad una festa di Carnevale; tutti i bambini mascherati solevano lanciargli addosso coriandoli e stelle filanti mentre era impegnato a leggere volantini o a parlare per telefono. Non si era mai irritato più di quella circostanza.
Non fece in tempo a liberarsi di tutti quei petali che comparì alla sua destra Leorio, attraversando con lentezza e decoro il centro della sala. Era vestito in maniera succinta, con pantaloni neri di velluto attillati, una camicia di seta color porpora e una quantità spropositata di gel nei capelli.
Quella mattina non era uscito dall’appartamento conciato in quel modo; doveva essersi cambiato in facoltà o aveva fatto alcune spese.
Giunto dall’altra parte della stanza, di fronte al muro, si girò verso Kurapika, mostrandogli la camicia totalmente sbottonata e una rosa tenuta fra i denti dal gambo.
«Ehi, bellezza…», esordì il moro ad un Kuruta a dir poco stralunato, dopo aver sputato a terra la rosa, «… credi nell’amore a prima vista o devo passare di nuovo?»
Rimasero per un po’ a scrutarsi; chi attendeva una reazione o una risposta dall’altro, chi non aveva la benché minima idea di come esprimersi, troppo indeciso se stare al gioco o tirargli in testa ciò che stava leggendo.
La riflessione del biondo non durò a lungo, né optò di fare una delle due cose. Prima che avesse potuto rendersene conto, aveva già affondato il viso fra le pagine del suo libro; cominciò a ridere, all’inizio in maniera sommessa, poi di gusto, ad alta voce, talvolta sghignazzando, faticando a respirare e addirittura affogandosi con la propria saliva.
Leorio osservò sbigottito e un po’ contrariato la faccia arrossata del compagno, che tentava di calmarsi e faceva pressione sul suo stomaco indolenzito con entrambe le braccia.
«Faccio sbellicare così tanto, conciato così?», proferì dopo almeno un minuto.
Il Kuruta tentò di dire qualcosa, ma fu solo in grado di scuotere la testa.
«Puntavo a lasciarti senza parole… ma non in questo senso», continuò arricciando le labbra in un sorriso mesto.
Sentita l’ultima affermazione, Kurapika riuscì a domare la sua sonora risata; calmatosi quasi del tutto, fece due grossi respiri prima di ribattere.
«Mi piace come sei vestito», disse, «Il problema è la tua frase». Gli sfuggì un altro risolino, poi dichiarò: «Scusami, ma è troppo stupida».
Il disappunto di Leorio si tramutò in irritazione.
«Ah, sì? È così? Ti sfido, allora», sentenziò con arroganza, «Dinne una migliore, adesso. Non puoi rifletterci più di tanto: dev’essere quasi spontanea e deve colpirmi».
Ogni traccia di riso svanì dalla bocca dell’interessato, rimpiazzato da un atteggiamento risoluto e competitivo. Fissò il partner con aria di sfida; il moro sostenne quell’occhiata provocante e rispose con altrettanta confidenza.
«D’accordo, come vuoi», approvò il più giovane, chiudendo il libro con un colpo secco.
Si approssimò alla finestra, tirando le tende per offuscare il salotto e renderlo un ambiente più intimo. Subito dopo, cominciò ad avvicinarsi lentamente a Leorio con espressione tanto amabile quanto maliziosa.
Quando gli fu ad un passo, lo afferrò per il colletto della sua camicia, spostandolo in direzione dell’ampio divano in pelle; dopodiché, prima che la sua vittima potesse prevederlo e sorreggersi, lo spinse contro di esso, lasciando che impattasse la morbida superficie dei cuscini e ne rimanesse attorniato.
Con un fluido movimento delle gambe, si posizionò a cavalcioni sopra di lui, premendo il bacino contro quello del compagno; la sua mano sinistra si fece largo fra le asole e i bottoni della camicia del moro, percorrendo, dal basso verso l’alto e con estrema lentezza, il suo petto, arrivando a carezzare il suo viso.
Leorio osservò confuso e imbarazzato le movenze del Kuruta, e quest’ultimo avvicinare poi il capo fino a toccargli la fronte con la sua, senza poter – né voler – fare niente per frenare tutto ciò.
«Vorrei essere ogni tua lacrima…», cominciò a sussurrargli Kurapika.
«… per poter nascere sempre nei tuoi occhi…», proseguì passando l’indice sulle sue ciglia.
«… vivere sulle tue guance…», continuò scorrendo il dito su una di esse.
«… e morire sulle tue labbra», concluse sfregandolo su queste ultime.
 
 
 
 
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«Ha smesso di scrivere!?», proruppe Killua.
«Sì, esatto», rispose Kurapika.
«Da quanto tempo!?»
«Poco più di una settimana».
«Com’è successo!?», sbottò Gon, togliendo probabilmente il telefono dalle mani del suo coetaneo.
«Beh…», emise il biondo, pensando a come sintetizzare l’accaduto, «… diciamo che Leorio non mi riteneva portato in ciò in cui era solito dilettarsi; perciò, ha fatto male a sfidarmi».
«Sfidarti?», ripeté il moro.
«A colpi di poesia?», ipotizzò Killua.
«Più o meno. Era in corso una specie di competizione».
«E hai vinto tu».
«A quanto pare».
«Non pensavo che fossi bravo in queste cose!», esclamò Gon.
«Infatti non lo sono», chiarì Kurapika, «In quel momento avevo un libro in mano, aperto in una pagina nella quale un ragazzo stava dedicando una poesia a colei che amava; ho semplicemente ripetuto ciò che le ha detto».
«E Leorio crede tuttora che l’abbia inventata di sana pianta», desunse Killua.
«Sì».
«Ma perché ti ha provocato?», chiese Gon.
«Gli ho fatto capire più volte che, secondo me, non ha talento».
«E si è demoralizzato così!? Che pappamolle…», commentò l’albino.
«Più che altro… si è incaponito ulteriormente per farmi ricredere».
«Però… se uno ha una passione tanto forte, alla fine non dà troppo peso alle critiche degli altri», giudicò il moro.
«E non rompe le scatole a chi preferisce non seguirlo», aggiunse l’amico.
«È proprio per questo che sono giunto alla seguente conclusione: Leorio si era affezionato a quel passatempo perché è una cosa che non mi ha mai visto fare», disse Kurapika.
«Intendi dire che…»
«… il suo obiettivo era dimostrare di essere più bravo di me “almeno in una cosa”, come mi aveva detto lui».
«Quindi ha smesso di scrivere perché crede che tu l’abbia battuto?», domandò Gon.
«Esattamente».
«Ma in realtà hai barato!»
«Lo so. Per quanto mediocre potesse essere, Leorio non era di sicuro peggio di me. A dire la verità, mi ha sempre dato fastidio questo suo comportamento e la sua poca autostima; non si rende conto di quanti lati positivi abbia».
«… Non credi di aver peggiorato le cose, infrangendogli quelle poche speranze?»
«In questo caso, sono contento che abbia smesso. Quella non era una passione, bensì un ennesimo tentativo di prevalere su di me, il che mi dà sempre molto fastidio», asserì il Kuruta con tono più serio.
«Non gliene potevi parlare, anziché risolvere tutto così?», chiese Killua.
«Sono stato sfidato, quindi ho fatto del mio meglio», rispose senza scomporsi.
«Adesso lui come sta? È tornato tutto normale fra voi?», si intromise Gon.
«Più o meno. Dal giorno dell’accaduto non mi rivolge spesso la parola; è sempre gentile con me, ma più riservato, sulle sue. Non so se considerarlo vergognato o deluso di se stesso».
«O indispettito», aggiunse Killua.
«E ora dov’è?», domandò l’altro.
«In camera nostra. Forse sta riposando».
«Se invece è sveglio, penso che dovresti parlargli».
«… Sì, hai ragione. Dai, ci sentiamo in un altro momento… e grazie per avermi ascoltato».
«Figurati».
«A presto», lo salutò l’albino prima di chiudere la chiamata.
Appoggiato il cellulare sul tavolo della sala, Kurapika fece per incamminarsi verso la camera quando udì un rumore molto forte proveniente esattamente da essa, come se qualcuno o qualcosa avesse urtato un mobile, seguito da uno strepito di oggetti che avevano colpito con forza il pavimento.
«Leorio!»
Il biondo si precipitò dove aveva sentito il frastuono, trovando l’amante in piedi in mezzo alla stanza, in equilibrio sul piede sinistro; la sua testa reggeva un libro, la mano destra un portafoto, quella sinistra una scatoletta – fortunatamente chiusa – di caramelle balsamiche, il piede destro un paio di cuffie. Intorno a lui c’erano altre confezioni e libri sparsi per terra.
«… Cos’è successo!?», eruppe il compagno intimorito.
«Kurapika, è incredibile!», esclamò il moro con un ampio sorriso, mentre posava sulla scrivania ciò che stava tenendo, «Avevo appena finito di studiare un capitolo del libro di istologia; alzandomi dalla sedia, ho avuto un capogiro e sono andato a sbattere sulla libreria. Sono cadute molte cose, ma sono riuscito a salvarne alcune in questo modo con mosse velocissime».
Il partner lo scrutò con espressione confusa, non comprendendo il motivo di tanta euforia ed attendendo qualche informazione in più.
«Ti rendi conto che ho afferrato tutti questi oggetti anche con la testa e un piede? Non perdendo mai la stabilità, per giunta!», sottolineò Leorio.
«Sei stato fortunato: avresti potuto farti male», rispose l’altro.
«No. Significa che ho talento!»
Sentita l’ultima parola, Kurapika impallidì e fissò il compagno come se fosse in preda ad un istinto omicida.
«Saresti stato capace di fare queste cose senza l’aiuto dei tuoi poteri?», proseguì il più grande, «Credo proprio di no. Non sei alto, hai le braccia e le gambe corte… non hai il fisico».
Assunse un’aria pensierosa e, mentre si osservava allo specchio, affermò: «Forse la mia vera vocazione… è proprio questa».
«Leorio…», lo chiamò il Kuruta sottovoce, a denti stretti.
«Potrei diventare un equilibrista… o un giocoliere».
«LEORIO…»
«Da oggi in poi, vedrò di allenarmi. Tu non dire niente: sei soltanto invidioso, come sempre».
«Io non…»
Si bloccò immediatamente, facendo mille sforzi per non cedere alla tentazione di urlargli in faccia. Continuò a ripetersi che ciò non sarebbe servito a niente.
Con le mani che gli prudevano, si voltò per uscire dalla stanza messa a soqquadro dicendogli: «Fai quello che ti pare, ma non strafare e non disturbarmi».
«Almeno la sera, così ti mostro un assaggio dei progressi che farò durante la giornata».
«… D’accordo».
 
Un’altra fissazione aveva preso il sopravvento.
Kurapika pensò che forse gli conveniva abituarsi, non prendersela ed evitare di far cambiare idea ad una persona che gli faceva concorrenza in quanto a testardaggine e ostinazione.
Forse era meglio così; forse ciò avrebbe reso l’atmosfera più vivace.
In ogni caso, il biondo fu grato a Leorio per una cosa: grazie a ciò che quest’ultimo combinava, il compagno trovava un po’ di ristoro psicologico svuotando poco a poco tutte le vecchie confezioni di camomilla e tisane rilassanti sottomarca che il moro aveva comprato, credendo erroneamente di fare un favore all’amante risparmiando pure su quel tipo di acquisti – poiché il Kuruta era disposto a spendere il massimo solo per i decotti di ottima qualità.
Dopo aver messo a scaldare l’acqua nel bollitore, gli tornò in mente un giorno in cui Leorio gli aveva detto che, nonostante la scarsa qualità di quegli infusi, solo uno come Kurapika era capace di prepararli così bene, servirli così elegantemente e conferire loro un aroma così buono.
Perché non vantarsi di quello? Perché non permettersi di fantasticare?
Un timido sorriso increspò le sue labbra.
«Potrei diventare un maggiordomo».
 

 
 
 
~ ♦ ~
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
 
Con un leggero ritardo rispetto a quanto promesso nella precedente fanfiction (ossia che sarei tornata a Settembre), eccomi qua.
Dunque… non era mia intenzione tornare con questa raccolta. Avevo optato di scrivere un’altra one-shot (che posterò un po’ più in là), ma non è stato possibile per una serie di ragioni; una di queste è la mia vista, peggiorata negli ultimi mesi, che mi ha impedito – per quanto mi sforzassi – di essere molto attiva su EFP e di dedicarmi alla stesura di storie più complesse.
Essendo arrivata a fine Agosto senza aver potuto completare niente di ciò che volevo pubblicare, ho fatto mente locale su altre idee meno corpose e più rapide da mettere su carta… e ho scelto di dedicarmi a questa particolare raccolta. In pratica, essa è frutto di un connubio di headcanon e prompt sulla Leopika che ho immaginato io o che mi sono passati sotto il naso, girovagando per vari siti – Tumblr in primis.
Mi ero presa la briga di appuntarli con la speranza di realizzare presto delle fanfiction almeno sulla maggior parte di essi. Dopo un po’, però, ho pensato che creare one-shot per ognuno degli headcanon/prompt sarebbe stato noioso e futile; così, ho deciso di riunire i più belli in una raccolta.
Questo primo capitolo è un’elaborazione di uno dei primi prompt più “semplici” che ho trovato; anzi, più che prompt, lo definirei “un breve ma intenso scambio di frasi a effetto” fra Leorio e Kurapika. ♥
Il tutto è sempre incentrato sulla loro vita di coppia e, per quanto riguarda il periodo e l’ambientazione, ho pensato di rifarmi a quelli di Irreplaceable. Ho deciso anche di rendere l’atmosfera – di questo e molti altri capitoli – pregna di “italianità”. Le poesie che ha recitato Leorio (e alcuni poeti che sono stati menzionati) sono italiani. Nella storia originale, non penso proprio che questi autori siano conosciuti/rappresentino un pilastro importante per la cultura dei personaggi; di molti di essi non è specificato il preciso ceppo di appartenenza, ed è erroneo pensare solo ad origini giapponesi. Perciò, non avendo punti di riferimento per determinare tutto questo – oltre al fatto che quell’universo è totalmente diverso dal nostro –, ho “italianizzato” certi aspetti della loro “conoscenza” (facilitandomi il lavoro).
Cliccando qui, verrete portati direttamente al post di Tumblr (o come lo definisco io, primo prompt) che mi ha dato l’ispirazione per scrivere questa prima storia. Se volete, potete anche dare un’occhiata al blog dell’autrice.
Spero abbiate gradito questa lettura meno impegnativa. Come ho detto prima, non ce l’ho fatta a dedicarmi a trame più articolate; ho dato la precedenza a queste mini-storie, scritte senza troppe pretese e che mi auguro vi strappino un sorriso, anche se non tutte verteranno sulla comicità.
Non so quando (e se) la raccolta avrà una fine, dato che almeno una volta al mese aggiungo un nuovo headcanon alla mia lista. Non essendo una long, i capitoli (tranne qualche eccezione) non seguono un filo logico; perciò, non ci sarà una frequenza precisa con la quale li posterò.
Parlando del capitolo… ho sempre ritenuto Leorio un tipo che tende a fissarsi – talvolta peggio di Kurapika – su certe cose, persino montandosi la testa; tutto perché, sotto sotto, pur amando il Kuruta, gli capita di provare una lieve gelosia nei confronti delle sue capacità, e si sente in dovere di prevalere in qualche modo in qualcosa. Tuttavia, non ho mai pensato di fargli venire l’ossessione per le poesie. *ridacchia* Ho trovato, però, l’idea interessante e alquanto realizzabile; mi sono divertita tantissimo a scrivere ogni scena.
D’altra parte, Kurapika non è nemmeno uno stinco di santo: critica molte cose, ma alla fine non gli dispiace lasciarsi trasportare dall’euforia del partner.
Insomma, entrambi hanno dei modi di affrontare certi problemi che sfiorano l’infantilità e la superficialità. Hanno ancora molta strada da fare prima di maturare, haha…
Piccolo dettaglio: Gon e Killua sono – come avrete capito – a conoscenza della loro relazione, e in alcuni capitoli avranno un ruolo molto importante.

I commenti di chiunque sono sempre ben accetti, e ringrazio in anticipo chi deciderà di seguire la raccolta. ♥
A presto con il prossimo capitolo e un saluto a tutti,
Scarlet.

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Capitolo 2
*** Headcanon 1: Diet wars! ***


Disclaimer
I personaggi e le ambientazioni non mi appartengono, ma sono proprietà di Yoshihiro Togashi; al contrario, il racconto che state per leggere è una mia creazione.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
 

≈*≈




Quando l’ipocondria, l’usanza di sottoporsi a un determinato regime alimentare e l’omissione di biscotti contenenti olio di palma sono relazionati, e si manifestano nella stessa persona all’interno di una coppia, l’altra metà si ritrova a fare i conti con la propria serenità messa in catene, l’intransigenza del partner e qualche sacrificio poco dignitoso per ristabilire l’ordine in casa.



Diet wars!
(headcanon 1)



Il morbido tocco di dita tiepide sulla sua pelle scaldata dal tepore delle coperte, la delicata pressione – simile a una carezza – che esercitavano sulla spalla e sul braccio - entrambi scoperti -, scosse Leorio dal suo stato di sonnolenza.
Restò immobile; non provò neanche a sgranchirsi o voltarsi in direzione di chi lo stava vezzeggiando. Affondò solamente metà del suo viso sul cuscino, soffocando con una smorfia un sonoro sbadiglio ed emettendo un mugugno.
«Alzati, pigrone», udì.
Per tutta risposta, bofonchiò qualcosa di simile a un “non rompere”, raggomitolandosi. Sentì una serie di passi alla sua sinistra e, all’improvviso, un fascio di luce illuminò il suo viso.
Cacciò un urlo strozzato e si mise una mano davanti agli occhi.
«Sono le otto del mattino», gli informò Kurapika appena finì di scostare le tende, «Dormire troppo può causare a lungo andare emicrania, malattie cardiache, depressione e obesità».
«Ho perso due diottrie…»
«Coraggio, in piedi».
«Perché!?», sbottò il più grande, aprendo finalmente gli occhi. Osservò il Kuruta vestito di tutto punto, con pantaloni marroni, camicia beige e capelli ben pettinati.
«Leorio, cosa facciamo ogni venerdì?», gli ricordò seccato.
Bastarono cinque secondi – forse anche meno – perché il volto del partner assumesse un’espressione di consapevolezza e puro terrore.
Era già passata una settimana. Quel giorno si era ripresentato, con Kurapika come suo ombroso messaggero.
Il giorno della spesa.


~




Leorio non si capacitò di trovarsi già all’interno del supermercato, poiché ciò significava che era stato lui – probabilmente sospinto dall’aria minacciosa del compagno – a mettere mano al volante della sua auto.
Chi aveva la patente, era lui; chi sosteneva di “avere le competenze necessarie senza bisogno della tessera”, era Kurapika.
Quel luogo gli era ostile; non tanto per la congestione e gli schiamazzi dei bambini che pretendevano giocattoli o caramelle, bensì per l’effetto “psicosi” che esso causava al suo partner, il quale gli stava rivolgendo la parola da più di cinque minuti.
Accorgendosi di essersi imbambolato, cercò di liberare la sua mente per impedire di udire ovattata la voce del Kuruta.
«… Eh?», emise con un sorriso da ebete.
L’altro lo guardò con occhio torvo.
«Non stavi ascoltando, vero?»
«Sì sì… cioè, insomma…»
«Beh, penso tu sappia già quello che devi fare», disse indicando un foglietto che gli aveva dato in mano – senza che lui se ne fosse accorto –, «È la tua parte della lista della spesa: per me dovresti cercare soltanto quello che mangio a colazione, il tè e le spezie. Io penserò al resto».
Prima di fare dietrofront e proseguire, chiarì: «Occupati, ovviamente, delle tue cose; basta che stia attento anche alle mie».
Una volta rimasto solo e dopo aver osservato l’essenziale da comprare – secondo il Kuruta –, il suo unico pensiero fu: “È iniziato l’incubo.


«Mmh… “biscotti della nonna” senza latte e derivati… C’è il glutine, quindi non vanno bene. Mmh... "il “buon mugnaio”, frollini per la colazione senza glutine e senza lattosio. Penso possano andare».
Leorio gettò la confezione nel cesto dove erano già stati depositati barattoli di zenzero e curcuma, e tre confezioni di tè inglese, scovati dopo una serie di interviste imbarazzanti a persone più esperte.
«Cosa viene dopo?», si domandò scrutando la lista.
Aggrottò la fronte.
«Latte di riso e… gallette di maizena?», lesse con aria perplessa, «… E io dove diamine li trovo!?»
Ogni venerdì la stessa storia: spesa infinita all’insegna di prodotti il più possibile poveri di ingredienti.
Ogni volta, lui e Leorio si dividevano i compiti per fare più in fretta, dato che il Kuruta aveva la perenne sensazione di star perdendo tempo, e che a lui piaceva agire come se fosse monitorato da un cronometro.
Ogni tipo di alimento destinato a Kurapika doveva rispondere alle seguenti caratteristiche: zero farina di frumento, zero lattosio.
Non che avesse bisogno di essere così fiscale col proprio intestino; era sua abitudine ingigantire i problemi. Dopo che gli era stata riscontrata una lieve sensibilità alle proteine del latte, ed essendo parecchio suscettibile alle notizie delle riviste e dei telegiornali che affrontano questo argomento, aveva preso troppo sul serio la questione; da un giorno all’altro, aveva drasticamente deciso di diminuire – o eliminare – l’assunzione di determinati nutrienti e di attenersi ad una dieta quasi ferrea, nella quale trascurava più del dovuto persino ciò che al momento non gli provocava nulla per prevenzione.
Erano stati vani i rimproveri e i tentativi di Leorio di farlo tornare a ragionare; egli si era dovuto arrendere dopo aver utilizzato tutto il suo repertorio di persuasioni e intimidazioni, non potendo fare altro che assecondarlo.
E il moro non poteva commettere nessun errore.


«Leorio, dove sei?»
«Nel reparto “calzini”», rispose un interlocutore indaffarato a reggere il cellulare fra una guancia e una spalla, e cercare di rimettere a posto tutti i ganci estratti.
«Ah, allora siamo vicini! Vieni in quello dermocosmetico? Ho bisogno di un consiglio».
«… Arrivo».
Tra uno sbuffo e l’altro, raggiunse il compagno, impegnato nella lettura minuziosa degli ingredienti di due shampoo e dall’espressione titubante.
Non diede a Leorio il tempo di fare la domanda retorica che piazzò davanti ai suoi occhi le due confezioni.
«Capelli secchi e sfibrati o crespi e gonfi?»
Il più grande cercò di mettere a fuoco i prodotti.
Il primo nominato era verde, l’altro blu. Quella era l’unica differenza che riuscì ad individuare; non perché non avesse afferrato l’indecisione dell’amante, ma perché a lui bastava leggere la parola “shampoo” insieme alla marca per poterlo mettere nel carrello.
«Ehm… il secondo», rispose alla fine.
Il biondo osservò quello eletto con una certa perplessità.
«Perché?», domandò infatti.
«Penso sia più utile…?», replicò Leorio con sorriso incerto.
«Mmh».
Kurapika gli diede le spalle per gettarlo del cesto, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che non convinse il compagno.
Ora ricomincia”, pensò dunque, “Sicuro.
«Mi stai dicendo che ho i capelli crespi e gonfi?», gli chiese difatti pochi attimi dopo, esibendo un’aria timorosa che fece mettere immediatamente in funzione il cervello di Leorio per escogitare qualche scappatoia ed uscire vivo dall’accusa.
«No no! I tuoi capelli sono splendidi, sul serio!»
«Però hai optato per il prodotto più drastico
«Perché voglio che l’effetto sia migliore!»
«Quindi ammetti che ne ho bisogno!»
«MI PIACE IL BLU, OK?», sbottò alla fine, con un tono esasperato che fece voltare diverse persone nella loro direzione.
«… Hai scelto quello shampoo per il colore?», azzardò il Kuruta accigliato.
«Più o meno… sì», ammise il più grande.
«Mai avrei pensato che potessi essere così superficiale!», lo rimproverò distogliendo lo sguardo.
«Ma io…»
«Non ti si può chiedere niente!»
Tirò di nuovo fuori dal cesto il prodotto e lo sostituì con quello dell’altro colore.
«Vada per “secchi e sfibrati”…». Fulminò Leorio con un’occhiata minacciosa. «… perché mi piace il verde».



~



Quella spesa non fu la più ostica.
Numerose erano state le volte in cui il Kuruta aveva ripreso Leorio per aver scelto un prodotto – a suo avviso – sbagliato, sia alla cassa del supermercato, sia quando tornavano a casa e Kurapika esaminava, oltre allo scontrino, i loro acquisti.
Per troppa pignoleria o sbadataggine, c’era sempre qualcosa che non andava, prevalentemente per la presenza del famigerato olio di palma fra gli ingredienti.
La pazienza di Leorio non veniva messa a dura prova soltanto in quelle situazioni; per lui era davvero irritante anche assistere ogni giorno al compagno che si faceva in quattro per preservare una salute in realtà mai stata compromessa da quelle minacce.
In cucina avevano due dispense: quella destinata a Kurapika, piena di prodotti biologici o vegani, e quella di Leorio, provvista di cibo relativamente normale.
Tuttavia, nessuno dei due aveva mai sopportato il doppio dispendio di soldi per poter soddisfare le esigenze alimentari di entrambi; in cuor loro, desideravano che il rispettivo partner potesse convertirsi all’altro stile di vita. Lo sapevano perché, quando capitava che rianimassero la discussione, Leorio cercava di spronare Kurapika a desistere con quella – a detta sua – “pagliacciata”, e il più giovane lo accusava di essere abituato ad assumere cibo “insalubre”.
Leorio non demordeva: in ogni momento possibile della giornata si spremeva le meningi per trovare una soluzione a quel supplizio.
Successe anche durante il pranzo di quella mattinata, mentre fissava Kurapika intento a nutrirsi con una misera porzione di insalata e alcune fette di bresaola.
«Ti dispiacerebbe guardare il tuo piatto?», ruppe il ghiaccio il Kuruta.
«Stai dimagrendo a vista d’occhio», constatò il moro con una certa apprensione. L’affermazione fece irrigidire per un attimo il compagno.
«… Ho perso solo cinque chili».
«Solo!?»
«Significa che l’astinenza da certi cibi mi sta facendo recuperare il peso originale».
«Peso originale!?», ripeté sbigottito Leorio, sentendo un’improvvisa voglia di imboccargli a forza il suo intero piatto di tortellini – o, in alternativa, tirarglielo in faccia.
«54 chili. Mi pare vada più che bene».
«Sicuramente! Mi raccomando, dimagrisci ancora di più, così potrai diventare più sottile di un foglio di giornale e nasconderti dai nemici semplicemente mettendoti di profilo! Potresti anche evadere di prigione passando attraverso sbarre distanti mezzo alluce, dopo che ti avranno internato per disturbo della regolarità alimentare e mentale!», sciorinò il più grande senza riprendere fiato.
«Hai mai pensato di passare in giurisprudenza o in scienze politiche?», azzardò Kurapika per tutta risposta, «Ritieni di avere sempre ragione e vuoi cadere in piedi dopo qualsiasi discussione. Sarebbero due facoltà perfette!»
«Non prima che ci sarai entrato tu senza neanche fare il test d’ingresso, mister “acqua dietetica”».
Una fetta di insaccato lo colpì in pieno volto, depositandosi sul suo naso. Appena Leorio lo rimosse con palese disgusto, osservò il Kuruta con aria di sfida.
Con estrema celerità, afferrò il suo bicchiere pieno di Coca Cola e gettò quest’ultima in faccia al biondo, che non ebbe il tempo di scansarsi.
L’immediata espressione sconcertata di Kurapika divenne, poi, una di risolutezza e sollecitudine a contrattaccare; e l’accogliente cucina si trasformò ben presto in una trincea, dove il cibo veniva scagliato come granate e la tavola da pranzo era il reticolato che separava e proteggeva i due avversari dall’insozzarsi più del dovuto.
I veri sconfitti di quella battaglia furono i mobili della stanza e il pavimento lercio che i due si prodigarono di lucidare prima di entrare in doccia, troppo stravolti per stabilire chi avesse la colpa e dovesse sobbarcarsi di più lavoro.
Quando Leorio rimase da solo a strofinare la griglia dei fornelli, rifletté sull’evoluzione di quella specie di litigio che, nonostante tutto, era rimasto alquanto pacifico e parecchio esilarante.
E gli venne improvvisamente quell’illuminazione che aspettava da tanto tempo, che forse gli avrebbe permesso di fronteggiare con successo – e qualche sacrificio – la cocciutaggine del Kuruta.
“Stare al gioco” erano le parole chiave. Avrebbe fatto come voleva Kurapika, ma meglio del necessario.



~



Il rumore molesto di passi celeri – ora più nitidi, ora più felpati – e di un respiro energico, interruppe bruscamente il sonno di Kurapika. Non faticò ad aprire gli occhi, ma si stupì di vedere che l’orologio del comodino segnava le sei e mezza del mattino.
La volontà di comprendere la situazione fu più forte del nervoso che aveva cominciato a covargli, per il solo pensiero che quel giorno avrebbe dovuto lavorare da sera fino a notte fonda e che, quindi, avrebbe desiderato riposare un po’ di più.
Dopo aver constatato di essere l’unico sdraiato su quel letto, chiamò Leorio con voce roca mentre si stropicciava gli occhi. Gli si presentò l’interessato sul ciglio della camera, con una tuta color melanzana in dosso – e le maniche arrotolate fino a metà avambracci e ai polpacci – e una fascia elastica in testa; continuava a saltellare da fermo.
Kurapika non ebbe la forza di domandare nulla, e lo scrutò come se gli fosse spuntata una coda.
«Jogging ed esercizi mattutini», cominciò a dire Leorio, «Bruciano molte calorie, abbassano i trigliceridi, migliorano la circolazione, incrementano i livelli di endorfine… e soprattutto, tonificano i glutei. Dovresti saperlo!»
Il più giovane si schiarì la gola.
«Hai idea del casino che stai facendo?», gli chiese.
«Beh, sei solito svegliarti presto, no?»
«Mi riferisco all’intero condominio. Il rimbombo dei tuoi passi avrà svegliato sicuramente quelli del piano di sotto; e se vengono a lamentarsi, io sono partito per il Congo», specificò mettendosi a sedere.
L’altro sbuffò.
«Tra cinque minuti finisco e faccio colazione con te».
Stretching, addominali e flessioni sul tappeto della sala. Kurapika stentava a credere che Leorio stesse facendo una cosa del genere, per giunta a quell’ora.
Una volta terminati gli esercizi, il moro passò un piccolo asciugamano sul suo viso accaldato.
«Quindi… ti sei svegliato prima di me?», suppose il biondo.
«Esattamente. Mi lavo le mani e ti raggiungo».

«Leorio, che ti prende?», fu la domanda che il Kuruta gli rivolse quando uscì dal bagno, «Non sei il solito peso morto».
Per niente infastidito dalla considerazione dell’amante, il moro gli si avvicinò e posò le mani sulle sue spalle.
«La verità è che mi hai aperto gli occhi», rivelò.
«… Eh?»
«Non c’è niente da capire. Avevi ragione tu, e basta. Badavo poco alla mia salute, e ora voglio ricominciare».
«Ma quindi…»
«Quindi seguirò il tuo esempio, mangiando più o meno le tue cose; in questo modo, risparmieremo sulla spesa», aggiunse mentre si dirigeva verso una mensola, «Ho riflettuto su cosa è meglio apportare e togliere alla mia nuova dieta».
«Senza prima consultare un medico…?», domandò Kurapika senza riuscire a camuffare lo shock.
«Io sono un aspirante medico! Chi può capirmi meglio di me stesso? E ora si mangia!»
«Ho preparato qualcosa solo per me», gli informò il più giovane, ancora incredulo e alquanto disorientato. Non sapeva davvero come reagire, probabilmente perché non si aspettava una tale conversione da parte del compagno.
«Mmh… cosa devi mangiare?», chiese l’altro.
«Latte di riso, cereali integrali e una mela». Attese qualche secondo. «Li vuoi anche tu?»
Leorio storse il naso.
«Meno male che non sono per me!», esclamò, «Sai, non è un ottimo abbinamento. Te lo sconsiglio».
«… Ah?», emise il Kuruta sconcertato. Era la prima volta che Leorio si permetteva di contestare le sue scelte alimentari.
«Ogni quanto vai di corpo?», fu la domanda invadente del moro alla quale Kurapika non diede risposta.
«Comunque sia…», proseguì, «… i cereali integrali e il latte di riso combattono la stitichezza, poiché ricchi di fibre, ma la mela la favorisce. Un’associazione del genere può creare squilibri intestinali!»
«… Ti senti bene!?», proruppe l’altro.
«Dovresti unire cibi che hanno lo stesso effetto, come faccio io».
Senza attendere oltre, il ragazzo si mise a rovistare la confezione dove Kurapika conservava le sue adorate bustine di tè, eleggendone una. Ignorando il viso sconvolto dell’amante, passò al ripiano inferiore e tirò fuori un pacco di gallette di riso – anch’esse di proprietà del Kuruta.
Dopo aver preso un’altra mela dal cesto, posò quegli oggetti sul tavolo e disse: «Io ho bisogno di alimenti astringenti; quindi, questi fanno al caso mio».
Kurapika cercò di cancellare quell’espressione impacciata dal suo volto, e tornò a sfoggiare la sua solita aria imperturbabile.
«Le tue improvvise manifestazioni di erudizione sempliciotta in questo argomento non ti danno il diritto di appropriarti delle mie cose», bacchettò.
«Non desideravi ardentemente convertirmi al tuo stile di vita?», commentò l'altro con una punta di ironia.
«È così, ma sai bene che ognuno, in genere, pensa a ciò che gli riguarda, andando di persona a comprarlo. E se vuoi qualcosa che non è tuo, è buona educazione chiedere il permesso all’interessato».
«Yes, sir!», esclamò il più grande, cominciando a sbucciare la mela. Nel farlo, si riempì le mani di un po’ di succo del frutto, poiché aveva conficcato il coltello troppo in profondità.
«Bah, che sbadato…», brontolò prima di andare a lavarsele di nuovo.
E così rifece dopo che ebbe finito di sgranocchiare il suo pasto, dopo essersi accidentalmente rovesciato del tè caldo sulla mano che reggeva la tazza, e dopo aver spizzicato qualche galletta.
Kurapika si sentì impotente di fronte a un compagno che quel giorno pareva aver dimenticato il cervello sotto il cuscino.
Non durerà per molto”, pensò. Uno come Leorio si sarebbe stufato subito di quella routine.
Decise di non dargli troppa corda, al momento, e cominciò anche lui a fare colazione; non prima di aver rimesso nel cesto la mela che avrebbe dovuto mangiare.


«Tu vuoi fare cosa!?», inveì Kurapika, raggiungendo Leorio – seduto sul divano a guardare la TV – in salotto.
Erano le sette di sera; il buio aveva già inglobato la città in cui vivevano, e il Kuruta doveva sbrigarsi per l’appuntamento con i suoi colleghi.
Aveva già in dosso la sua divisa nera da guardia del corpo, ma doveva ancora abbottonarsi la camicia e annodarsi la cravatta. L’affermazione del partner l’aveva destabilizzato.
«Dai, mi hai sentito…», rispose l’altro svogliato.
«Vuoi buttare tutto il cibo della tua dispensa!?», ripeté il biondo.
«Oppure darlo al rottweiler di un mio amico. Quello rosicchia pure la sua cuccia».
«È uno spreco! Se proprio non vuoi mangiare quelle cose, dalle in beneficienza o semplicemente a una persona... e non al suo cane!»
«Io non le consumo e neanche tu; quindi, devono trovare un’altra sistemazione».
Appurato ciò, si voltò verso l’amante alquanto alterato, che stava finendo di sistemarsi, e specificò: «Non mangerò più nessun tipo di dolciume, dai semplici biscotti alle torte».
Kurapika si irrigidì e piantò lo sguardo sul più grande.
«Suppongo che la mia torta “solo albumi” sia un’eccezione!», esclamò con tono velatamente intimidatorio.
«Mi dispiace, neanche quella».
«Spiegami il motivo».
«Dopo estenuanti ore di meditazione, mi sono ricordato che, nella mia famiglia, più della metà dei miei parenti hanno la glicemia alta o il diabete», svelò l’aspirante medico.
«E tu come sei messo?»
«Nah, non ho niente…», rispose scuotendo il capo, «… stando, almeno, all’ultimo controllo».
«Non puoi fasciarti la testa prima di rompertela! Chi ti dice che abbia per forza ereditato questo squilibrio?», ribatté Kurapika.
«Prevenire è meglio che curare, no?», ripeté il partner facendo una smorfia.
Il Kuruta si paralizzò, trovando difficoltà a dare una risposta. Non volendo, però, apparire sconfitto, fece per tornare nella sua stanza dicendo: «Appena torno, ne riparliamo. Ora sono di fretta».

«Sai che non mi sono ancora abituato alla tua assenza nel mio letto, vero?», sentì pronunciare a Leorio mentre si stava infilando le scarpe.
Gli sfuggì un sorriso mellifluo.
«Purtroppo ci sono giorni in cui il lavoro mi chiama a quest’ora. Stanotte potresti abbracciare il mio cuscino, se ti dovesse struggere la mia lontananza», scherzò.
«Stronzo», fu la risposta dell’amante, che Kurapika udì meno nitida.
Quando quest’ultimo indossò la giacca e mise il suo cellulare in una tasca, tornò in salotto per salutare il compagno. Lo vide, però, spuntare dalla cucina con una vaschetta in mano.
«Ecco a te», esordì.
«… Cos’è?», domandò l’interlocutore confuso.
«La tua cena: tramezzini integrali con prosciutto senza lattosio», specificò il più grande.
L’altro sgranò gli occhi.
«Stai scherzando!?»
«Ti verrà sicuramente fame».
«Sai bene che sono abituato a digiunare. Non posso permettermi di sorvegliare l’edificio e i Nostrade mentre reggo in mano una vaschetta di tramezzini!»
«Fammi il favore di infischiartene degli altri e di mangiare appena ti danno qualche minuto di pausa», insisté il più grande, «Ho preparato queste cose con piacere solo per te».
Dopo quell’affermazione, il Kuruta fu costretto a rabbonirsi e assecondare il volere dell’amante.
«Dammi almeno un sacchetto», disse poi.
Per la prima volta, ebbe una certa voglia di evadere di casa, motivato dagli assilli di Leorio; perciò, presa la sua futura cena, cominciò ad incamminarsi a passo lesto verso la porta.
«Aspetta!», proruppe ancora il moro, facendogli venire i nervi.
«Sono-in-ritardo!», scandì esasperato.
«Prendi anche questo», lo esortò porgendogli una boccetta di gel igienizzante, «Presumo non ci sarà sempre il sapone nei bagni».
Kurapika lo fulminò con uno sguardo pietrificante e sbigottito allo stesso tempo. Soffocò tutte le domande e le invettive a fior di labbra, e tolse con sgarbatezza l’oggetto dalle mani del partner.
«Vai a letto presto, te lo consiglio», gli suggerì prima di varcare la soglia dell’abitazione, «Con un po’ di riposo, forse domattina potrai tornare ad essere te stesso».



~



Il sonno prolungato dell’aspirante medico non bastò a farlo desistere dalla sua missione, ed arrivò ad accogliere l’assonnato Kuruta – tornato alle quattro del mattino e che aveva dormito fino a mezzogiorno – con un insolito buongiorno.
«Non hai accettato roba strana dagli sconosciuti, vero?»
Domanda seguita, poi, da molte altre che miravano a comprendere se il compagno avesse gradito il cibo di ieri.
«Me lo stai chiedendo proprio tu?», domandò Kurapika.
In effetti, due caratteristiche ordinarie di Leorio erano: la sua noncuranza per come ogni volta si dovesse arrangiare l’amante, e il vizio – che ora stava condannando – di mangiare e bere qualunque cosa gli venisse offerto, rubando talvolta pure degli stuzzichini dal piatto di chi gli era a fianco.

E i giorni continuarono a ripetersi esattamente come il primo, con i soliti esercizi mattutini e la solita routine alimentare fiscale di entrambi.
Non mancarono di certo le novità. L’intransigenza si estese fino ad argomenti tabù; la prevenzione da certe malattie sessualmente trasmissibili era un esempio – cosa che, fino a quel momento, aveva sempre rimarcato solo il Kuruta.

Gli effetti soddisfacenti del comportamento di Leorio su Kurapika si ebbero finalmente una di quelle sere, non appena il moro si era rifiutato di mangiare un piatto di spaghetti – cucinati a tradimento dal compagno – perché temeva un innalzamento dei livelli del colesterolo.
«Traditore!», esclamò.
«Zitto. Questa è la cena; non discutere», ribadì il partner.
«Non puoi dirmi cosa mangiare!»
«Oggi a pranzo hai toccato solo un po’ di insalata. Ti sembra sufficiente?», gli ricordò il più giovane.
«E tu, allora? Come poteva nutrirti un brodo di verdure senza pasta?»
«… Sono abituato a mangiare poco», replicò con esitazione.
«Beh, da adesso anch’io!»
«Non voglio che diventi come me!», inveì improvvisamente Kurapika, puntandosi il dito contro, «E smettila di imitarmi! Sei fastidioso».
«Cosa stanno sentendo le mie orecchie!?», sbottò Leorio con simulato stupore, «Non volevi che io fossi…?»
«Facciamo un patto», lo interruppe l’altro con aria seccata, «Forse la pasta è troppa per te. Se ne prendo metà, promettimi che mangerai il resto».
La sorpresa del moro divenne in un attimo autentica, e non poté evitare di mascherare un sorriso che lasciava trapelare soddisfazione ed incredulità.
Colmo di fierezza, poggiò la sua fronte su quella dell’amante alquanto contrariato, sussurrandogli: «Affare fatto».



~



Quella notte stava conciliando particolarmente il sonno di Leorio.
La prima vittoria gli aveva fatto abbassare la guardia, e non sembrava predisposto a svegliarsi di nuovo presto la mattina seguente e riprendere quegli esercizi.
Chi, invece, pareva non riuscire ad addormentarsi era Kurapika. Si girava e rigirava fra le coperte, oppure sospirava; talvolta rimaneva ad osservare il soffitto come paralizzato, senza sbattere le palpebre, e spesso – per passare il tempo – infastidiva il compagno dormiente tappandogli il naso o tirandogli qualche capello.
In tutta la sua irritazione mischiata all’opprimente sonnolenza, a Leorio sembrò di averlo anche sentito parlare; non fu certo che si stesse rivolgendo a lui o si trattasse di un semplice monologo, ma credette di udire parole come “sbaglio”, “ossessione” e – con sua grande sorpresa – un flebile “scusami”.


Quando il moro riaprì gli occhi, si rese conto che il suo viso era rivolto verso il suo comodino e che l’orologio segnava mezzogiorno.
Pensò immediatamente due cose: che poteva dimenticarsi la colazione e che Kurapika avrebbe potuto insospettirsi o rinfacciargli di aver gettato la corda come aveva previsto.
Con l’intenzione di accusare il Kuruta di aver disturbato il suo sonno, saltò in piedi e, dopo essersi dato una rinfrescata, si diresse nella cucina da dove proveniva un profumo stuzzicante al suo olfatto.
Ciò che vide lo lasciò di stucco. Rare volte aveva visto la loro tavola così imbandita di vere e proprie pietanze da pranzo luculliano: penne al ragù, un hamburger a testa, insalata di carote e alcune fette di torta al cocco – a giudicare dalla consistenza, appena sfornata.
Seduto a sinistra c’era Kurapika, che scrutò l’interessato con espressione imperturbabile quando mise piede nella stanza.
«Stavo per svegliarti», gli informò con tono pacato, mentre versava dell’acqua in ciascuno dei bicchieri.
Leorio si avvicinò al suo posto con circospezione, faticando a credere che il suo amante stesse per mangiare cose normali e nutrienti.
«Nulla in contrario su quello che ho preparato, vero?», chiese ad un tratto il più giovane, «Siccome hai fatto lo scemo per tutti questi giorni, immagino che ora desideri un po’ di cibo sostanzioso».
«… Mai quanto te», replicò l’interlocutore con un sorriso sornione.
«Buon appetito», tagliò corto l’altro.
«Altrettanto».



~



Dire che Leorio aveva vinto quella strampalata competizione non era un’affermazione totalmente corretta, considerato il prezzo del trionfo.
Kurapika si era incaponito sulla salute e sull’igiene più di quanto non vi prestasse già attenzione; la finta apprensione di Leorio l’aveva portato a prenotare visite mediche, analisi di sangue e test di consanguineità per rintracciare nei suoi antenati qualche strana malattia a lui ignota che poteva aver ereditato. D’altra parte, era tornato sui suoi passi, mangiando ciò che soleva scartare e riuscendo a riprendere un po’ di peso.
Tuttavia, la nuova spesa al supermercato fu rimandata a quando lui e Leorio avrebbero consumato con tanta pazienza i cibi particolari della dispensa del più giovane. Il moro non obiettò soprattutto per preservare i loro risparmi, che stavano implorando pietà.


«… e poi hanno scoperto che c'è familiarità alla talassemia dalla parte di mio padre», spiegò un giorno il Kuruta durante la cena.
«Mmh, e poi?», domandò l’aspirante medico.
«Per fortuna nient’altro».
«Stai scherzando!?», sbottò l’amante, facendolo sobbalzare, «E la familiarità con le cerniere lampo? Credevo si riscontrasse con facilità nel tuo DNA!»
«… Leorio, vuoi morire adesso o fra un secondo?», replicò Kurapika lanciandogli un’occhiata sbilenca.
«Suvvia, io lo prenderei come un complimento!», esclamò per poi ridacchiare.
«Ho anche familiarità con le catene avviluppate ai cuori delle persone», lo minacciò il partner, facendole apparire per un attimo sulla mano destra.
«Infatti il mio cuore ti appartiene; mi hai stregato», confessò l’altro con tono enfatico, per poi ammiccare, «Devi ancora dimostrarmi, però, che le sai utilizzare bene sul mio corpo. In quanto aspirante medico, ritengo ci siano cose che solo io so di te o posso riscontrarti».
«Oh… vuoi giocare al dottore?», fu la domanda retorica del Kuruta.
«Tsk, e chi vuole solo giocare?», controbatté Leorio ampliando il suo sorriso.
La speranza di poter avvicinare le sue labbra a quelle di Kurapika e posargli un bacio a stampo venne infranta da quest’ultimo, che mise davanti ai suoi occhi un’insalatiera.
«Prima finisci la tua porzione di rucola», gli ordinò.
«… E tu mangia la frittata!»
«Tranquillo».
«Bravo».
«Lo so».
«Bene».
«Bene».
E cominciarono ad ingozzarsi, per vedere chi finiva prima quegli alimenti salutari che non compiacevano ai loro palati.
Perché per loro tutto ciò che concerneva l’amore – specialmente nei confini della loro abitazione – era una lotta.
E la questione del cibo non fu mai un’eccezione.



~



Angolo dell’autrice

*sospira* È sempre bello tornare a casa.
Non ho messo da parte la mia OTP, e non ho smesso di avere un occhio di riguardo per il mio fandom del cuore – così come per questa fanfiction che aveva bisogno di essere aggiornata. Perciò, dopo essermi liberata da una serie di impegni e “deadlines”, eccomi qua!
Stavolta i nostri eroi(?) sono alle prese col cibo. Confesso che non è stato affatto semplice strutturare il capitolo; mi ha divertito e stancato allo stesso tempo, per intenderci.
Ho sviluppato l’idea partendo da un headcanon personale: “Kurapika è il classico tipo che, dietro le quinte, presta particolare attenzione a quello che mangia e alla sua linea, arrivando talvolta a fissarsi sulla scelta di certi alimenti in maniera morbosa”. Tuttavia, ciò che mi ha spinto a metterlo per iscritto è quest’immagine scovata qui. Oltre ad essere morta dal ridere, ho subito pensato “Oddio, i biscotti ideali per Kurapika!”; e da lì è partito tutto. *ride*
Leorio è veramente particolare; da una parte, dimostra di essere alquanto ferrato sull’argomento “nutrizione e benessere” – sfruttandolo ed enfatizzandolo per “affrontare” il compagno, anche affermando di proposito cose non vere –, dall’altra si perde in un bicchiere d’acqua per cose in cui Kurapika – che non è uno studente ma a cui piace apprendere per conto proprio – eccelle (ma con esagerazione). Inoltre, si è ormai capito che spesso la pigrizia lo può assalire fino a non curarsi di ciò che è meglio mangiare.
In generale, è stato interessante immaginare alcune scene che ritengo fortemente probabili nella “realtà”, con le stesse ripercussioni, se quei due fossero una coppia di fatto.
Non ho inserito scene di veri e propri aspri litigi. Voglio dire… per quanto un gatto e un topo andrebbero più d’accordo di quei due, non è detto che ogni volta che c’è qualche controversia debbano risolvere tutto a suon di “angst” e colpi di padella in testa. *ride* Ho voluto rendere l’atmosfera un tantino più “giocosa”, inscenando una competizione più sana.
Una cosa importante che non ho specificato nel primo capitolo! È vero che l’ambientazione e il timeline si rifanno a quelli di Irreplaceable, ma qui Kurapika non ha una relazione a distanza con Leorio: ci convive proprio (a parte qualche rara volta in cui è chiamato a stare con i colleghi e il capo, persino per più giorni). Di conseguenza, dove lavora Kurapika e dove Leorio frequenta le lezioni non sono luoghi distanti dalla loro casa; ho reso tutto più facile(?) anche perché Recollections non è pensata per focalizzarsi su queste “questioni”.
Infine, il titolo del capitolo è ispirato a quello dell’anime “Food wars! Shokugeki no Soma”.
Non credo di avere altro da dire. Vi ringrazio, come sempre, per essere arrivati fin qui e per aver messo tra le seguite questa bizzarra raccolta. ^^
Commentate, fatemi sapere cosa ne pensate… e a presto (si spera) con il prossimo capitolo.
Un saluto a tutti,
Scarlet

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