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di sour_greentea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Era una notte tranquilla nella contea di Reichen. La luna piena splendeva alta nel cielo, illuminando fiocamente la strada sterrata, deserta. Non si udiva nessun rumore. Tutto pareva immobile, morto. Dall’alto della sua finestra, Rozen guardava la luna. Il suo viso era minuto e pallido, costellato di lentiggini marroncine e incorniciato da lunghi capelli rossi, liscissimi. Aveva dei bellissimi occhi, James glielo ripeteva spesso. Erano grigi, abbastanza chiari, grandi ma dal taglio allungato e molto, molto espressivi. Era appoggiata alla cornice della finestra, con il busto leggermente reclinato in avanti e il mento retto dalle nocche, che appartenevano ad un paio di mani affusolate ed eleganti. La posizione non esattamente eretta accentuava la sua figura sottile, coperta da un lungo abito porpora, con un fitto ricamo di perline argentate sul davanti che percorreva tutto il corsetto. L’intricato disegno simboleggiava la sua appartenenza a una famiglia di alto rango e, nonostante non le piacesse indossare certi ricami, vi era costretta. -Sei la figlia di un ricco mercante- le aveva spesso ripetuto sua madre -e come tale gli devi portare rispetto, onore. Devi distinguerti dalla plebaglia, cara mia!-

Mentre continuava a fissare il cielo, la porta cigolò piano. -Signorina- cominciò tremante una cameriera -suo padre l’attende nel salone. La prego di recarsi da lui. Mentre sarà via metterò io a posto le sue cose, se consente...- La ragazza le sorrise gentilmente. -Ti ringrazio, Dorothea. Ma preferirei che non buttassi via il tuo tempo a riordinare i miei vestiti. Lo farò da sola più tardi. Invece gradirei molto che stasera uscissi dal castello e ti rilassassi.- Alla cameriera brillarono gli occhi. -Oh, signorina Rozen, la r...- cominciò. -No, non sono io quella da ringraziare. Te lo meriti, vista la fedeltà che hai sempre portato alla mia famiglia. Grazie. Ma adesso devo andare, mio padre mi attende. Ci vediamo domattina, Dorothea.- Poi uscì, adagio, scese le scale ed entrò nel salone. Suo padre, un ricco mercante famosissimo all’interno della contea quanto all'esterno, era seduto sulla propria pomposa poltrona. Era un uomo sulla cinquantina, basso, grassoccio e ormai quasi pelato. La sua faccia era incorniciata da una barbetta grigia non troppo lunga, e sul volto spiccavano un paio di occhi argentei, infossati e aguzzi, da rapace. Sua moglie era seduta poco distante. Pareva la versione leggermente più invecchiata della figlia, l'unica differenza fra le due erano gli occhi: quelli della madre erano castani. Rozen salutò i propri genitori con un breve inchino e solo dopo essersi accomodata al fianco alla madre si accorse della presenza di alcuni ospiti. Erano due uomini. Quello più anziano era sulla sessantina, mentre l’altro, - il figlio, pensò Rozen - era sulla ventina. La ragazza salutò educatamente con un cenno del capo, poi suo padre cominciò: - Rozen, cara, ti attendevamo. Ti sarai certamente accorta della presenza dei nostri due ospiti. Loro sono il Signor Reichen e suo figlio.- A nessuno dei presenti sfuggì lo sguardo agitato della ragazza. Il conte Reichen e il suo erede? Che stava succedendo? Il ragazzo si alzò, le si inchinò dinnanzi e, baciandole il dorso della mano, disse: -E’ un onore fare la sua conoscenza, mia cara Rozen. Il mio nome è Tenner Reichen. - Lei corrugò le sopracciglia. Continuava a non capire, così prese coraggio e disse, flebilmente: -Padre...sono pienamente consapevole del fatto che riceviate visite di affari ogni giorno, eppure...non capisco: la mia presenza non è mai stata richiesta prima d’ora. Potreste spiegarmi cosa accade, per favore?- Sua madre prese un profondo respiro, poi sorrise raggiante, mentre il marito diceva: -Dopo averne discusso a lungo, io e il Signor Reichen abbiamo preso una decisione. Fra qualche mese compirai sedici anni, per te è dunque arrivato il momento di prender marito.- Lo sguardo di Rozen si perse nel vuoto. Suo padre sapeva benissimo di chi era innamorata, e l’aveva rinchiusa appositamente nella torre più alta del suo castello per impedir loro di vedersi. Con il viso inespressivo e il sangue che le ribolliva nelle vene, ascoltò il resto. -Vogliamo che tu e mio figlio vi sposiate. - continuò il conte. -Il nome della famiglia Vorgen acquisterà ancora più potere, in cambio noi riceveremo un’enorme dote. Sarà vantaggioso per entrambi i casati.- Rozen si prese un secondo per riflettere, poiabbassò gli occhi. -Avevamo pensato di svolgere la cerimonia nella nostra villa, esattamente il giorno del tuo diciannovesimo compleanno. Ma ormai mancano solamente un paio di giorni e non riusciremmo ad organizzare le cose con la dovuta cura. Perciò non sarà proprio lo stesso giorno ma si spera comunque prima possibile. Se il tempo lo permettesse, sarebbe meraviglioso preparare il banchetto nel nostro giardino.- disse Tenner. Il tono della sua voce era fermo ma al contempo calmo, quasi dolce, e lo sguardo di Rozen si spostò naturalmente sul volto di lui appena lo sentì parlare. Le labbra del ragazzo si incresparono un poco quando i loro sguardi si incrociarono, e una leggera fossetta si formò sulla sua guancia destra. -Mi piacerebbe, se consentito- ricominciò poi, spostando gli occhi sui genitori della propria promessa sposa -guidare Rozen in quella che sarà la sua dimora dopo il matrimonio o, magari, permetterle di viverci per un breve periodo, giusto un paio di giorni, in modo che non si troverà poi troppo a disagio una volta che vi si traferità.-

 

Quando il conte e il suo erede se ne furono andati, Rozen risalì in stanza. Un paio di cameriere le prepararono la vasca, lei le ringraziò e andò a lavarsi. Immersa nell’acqua calda e profumata pensò al figlio del conte, l’uomo che suo padre aveva scelto per lei. Era davvero un bell’uomo, con un atteggiamento elegante e gentile. Rozen strinse gli occhi, facendo sparire l’immagine di Tenner. I suoi pensieri vagarono a James. “Chissà dov’è...” si trovò a pensare, e la sua sincera curiosità si trasformò presto in irritazione. “Stupido, stupido James. Mi lasci sempre sola! Tutte le promesse che mi hai fatto...” La vocina arrabbiata nella sua testa diventò flebile, fino ad ammutolirsi completamente. Rozen prese un respiro per poi mettersi a sedere, afferrare l’olio per capelli e versarne un po' nel palmo della propria mano. Mentre passava le dita fra le ciocche bagnate, ripensò al matrimonio. Era contraria a queste nozze. Ma cosa avrebbe potuto fare? Era l’ennesimo, assurdo ordine del padre e lei l’avrebbe sbrigato a testa bassa. E dopo essersi sposata avrebbe sbrigato gli ordini del marito anziché del padre. Nel suo futuro non c'era spazio per i suoi desideri. Non c'era spazio per James.

 

Era uscita da poco dalla vasca ma si era già messa a letto, a sfogliare un libro. Narrava di una ragazza dai capelli di fuoco, proprio come lei, che era sempre in conflitto col proprio padre e che un giorno decise di scappare con uno dei suoi più fedeli schiavi. “Che cosa ridicola” si disse “Nessuna donna riuscirebbe mai a scappare da un padre come il mio.”

 

L’alba del giorno successivo la ragazza si svegliò, si infilò la vestaglia e, aprendo la porta della propria stanza, trovò Dorothea. –Buongiorno- sussurrò la ragazza. -Buongiorno signorina.- La donna era radiosa, così l’altra le chiese, facendola entrare: -Sembri felice. Sei andata a trovare tuo fratello?- -Sì. Sua moglie sta meglio, e il bambino è bellissimo. Comunque questo è il suo abito per oggi, l’ha fatto cucire sua madre per lei. Dice che è il suo regalo, ma secondo me è solo una scusa... sa, ultimamente mi sembra molto sovrappensiero...- Rozen, mentre ascoltava la deliziosa parlantina della serva, infilò l’abito.

-Signorina,c’è qualcosa che non va? Mi sembra assente. Di solito quando prova un nuovo abito è sempre contenta...non le piace?- le chiese la donna, mentre le stringeva i lacci del corpetto -No,è bellissimo... mi piace molto! Ma l’abito non ha molto a che fare col mio umore...- ribattè piano Rozen, abbassando lo sguardo. -Allora cos’è successo ieri sera col signore?- chiese la donna, facendola sedere davanti la toeletta. -Lui è convinto che io abbia bisogno di prender marito. E ha scelto per me Tenner Reichen, il figlio del conte.- La donna si irrigidì vistosamente e la cosa non sfuggì agli occhi della ragazza, che incalzò: -Che succede?-. Dorothea non le rispose e continuò ad acconciarle i capelli, sempre più nervosa.

-Dorothea, che hai?- chiese di nuovo Rozen, indispettita. Poi esordì, furiosa: -Tu lo sapevi!- La donna chinò il capo, sussurrando: -Mi dispiace, ma suo padre mi aveva ordinato di non dirle nulla, voleva farle una sorpresa...- La rabbia di Rozen durò appena un istante, e si traformò presto in tristezza. Portò le mani agli occhi. -Io non voglio sposarmi! Non voglio!- disse,scoppiando in lacrime. -Non voglio sposarmi con un uomo che non ho mai visto prima per volere di mio padre!- singhiozz ò. Dorothea la abbracciò e la ragazza si strinse a lei. -Mi ha rovinato la vita...capisci? E’ per colpa sua se mi trovo su questa torre, è colpa sua se non posso più uscire... e poi mi lascia sempre sola... mi tratta male, malissimo, peggio di mio padre... stupido, stupido James.- Prese un profondo respiro,cercando di fermare il tremare delle proprie spalle. -Però...- -Però?-le chiese la cameriera. – Però lo amo, tantissimo. E ogni volta che se ne va piango. Piango tanto...e mi si gonfiano gli occhi. E fa promesse, promesse stupide. So benissimo che non riuscirà mai a mantenerle, eppure ci credo. Ogni volta, io ci credo.-

-Cameriera Dorothea!- si udì urlare dalla capo delle governanti, Liberatrice. Dorothea si scusò, sciolse l’abbraccio e si dileguò. -Sono così sola...ho solo lei. Ma mi ascolta perché la mia famiglia la paga per farlo, non perché mi vuole bene davvero...- Rozen si sentiva così stanca da non voler neanche asciugarsi le lacrime, e poggiò il capo sul comò. Era grande e sormontato da un grande specchio; vi si sedeva davanti ogni volta che Dorothea le acconciava i capelli. Grandi lacrimoni le colavano dal viso, bagnando il legno chiaro del mobile. Mentre piangeva sperava con tutta sé stessa di sentire la mano calda di lui sulla schiena, di voltarsi e di vederlo lì, finalmente tornato, solo per lei. Quando finì di piangere, si alzò e andò a lavarsi gli occhi. Vide che il gonfiore non spariva, così si disse, amaramente: “Vedi che effetto ti fa la speranza, sciocca? Lui non tornerà.” Già. E una parte di lei lo sperava davvero. Lui non sarebbe tornato, lei si sarebbe sposata con Tenner, avrebbero avuto dei figli, sarebbe invecchiata vedendo quei bambini nati da un matrimonio forzato e senza amore e sarebbe diventata polvere. Si guardò allo specchio, indossò uno dei suoi fintissimi sorrisi e scese lo scalone. Udendo un chiacchiericcio continuo, si affacciò nel grande salone, dove suo padre riceveva solitamente gli ospiti. -Rozen, vieni. Abbiamo grandi notizie!- Esordì sua madre, facendole cenno di sedersi accanto a lei. La ragazza entrò, piano, e vedendola, Tenner, che era comodamente seduto su una delle poltrone color mattone, si illuminò.

-Buongiorno, mia cara.- Le disse lui. -Buongiorno.- Ribattè Rozen sorridendo, e sperò con tutto il cuore che il gonfiore dei propri occhi non si notasse. La ragazza si accomodò accanto alla madre, quindi la donna disse, raggiante: -Tuo padre capisce perfettamente che per te questa del matrimonio sia una novità e se fossi un po’ sconvolta lo comprenderemmo, così abbiamo deciso di invitare qui Tenner. In questo modo avrete occasione di conoscervi meglio.- -Io e il conte Reichen- interruppe poi il padre -abbiamo inoltre discusso della proposta di Tenner di averti nella loro villa, e crediamo che sia davvero un'ottima idea.- Rozen guardò il volto di suo padre senza vederlo, e chiese piano: -Quando...? Spero almeno di avere abbastanza tempo per preparare le mie cose...- -Abbiamo accordato che il matrimonio dovrebbe svolgersi il più presto possibile, così anche tutto il resto. Perciò Tenner tornerà fra tre giorni a prenderti. Ma stasera resterà con noi, per poi ripartire domattina. Sai, vi sono un bel po' di ore di carrozza fra le nostre due residenze e non ci sembra carino lasciare che il nostro futuro genero si stanchi a causa di tutti questi viaggi.- Rozen non capiva. Sarebbe comunque ripartito il mattino successivo, per poi tornare due giorni dopo. Tutto questo non aveva molto senso. -Adesso però fagli fare un giro del castello, mentre io chiedo a Liberatrice di preparare la stanza più bella per il nostro caro ospite.- La signora Vorgen si dileguò in fretta, poi Tenner si alzò, tese la mano a Rozen e le chiese, sorridendo: -Allora, posso avere l’onore di visitare la dimora della mia futura sposa?-

 

Mentre percorrevano le lunghe scale a chiocciola che conducevano ai suoi due appartamentini nella torre, Rozen chiese, esitando: -...è sicuro di voler vedere la mia stanza?- -Ovviamente- rispose lui. Lei tacque, pensierosa. Appena entrati, la ragazza si sedette davanti il piccolo comò di legno chiaro. -Si accomodi pure, se lo desidera. Anche se in realtà non capisco questo suo bisogno impellente di visitare la mia stanza...- Tenner si girò. -In realtà avevo bisogno di parlarti. Urgentemente.- Lei, che lo stava guardando attraverso il riflesso dello specchio, si voltò, con sguardo interrogativo. -Di cosa?- chiese lei.

-Di noi.- “Di noi”. Quelle parole le rimbombavano nella testa. Aveva voglia di urlare che non esisteva nessun “noi”, che se si fosse sposata con lui, non l’avrebbe ovviamente fatto per amore. Ma si morse il labbro inferiore e continuò a guardarlo, aspettando che parlasse. Lui la raggiunse e le prese la mano. Lei pensava che stesse per ricevere un baciamano, invece lui la strattonò delicatamente, facendola alzare, e la abbracciò per un breve istante. La ragazza si irrigidì. La tenne fra le braccia con fare protettivo, poi le avvicinò le labbra all’orecchio, sussurrandole: -Sai- cominciò. -Se sei sconvolta da questa notizia lo capisco, però preferirei che non piangessi. Mai, mai più.- Rozen sbattè le palpebre. “Ah...” pensò. -Se la causa sono io...beh, mi dispiace, moltissimo. Però ho bisogno che tu me lo dica. Se questa faccenda ti fa soffrire, tornerò da tuo padre e ritirerò la proposta di matrimonio...- -No!- lo interruppe impetuosamente lei. -Mio padre no...- cominciò la ragazza. Era ancora attonita. Nessuno l’aveva mai trattata con così tanto riguardo, specialmente James. Oh, James...Le tornò in mente proprio in quel momento.

 

La notte successiva Rozen stava dormendo profondamente nel suo letto, illuminata dalla luce della luna, che faceva capolino dalla finestra. Da quella stessa finestra si affacciò un piccolo pipistrello e sbirciò dentro. Un istante più tardi, al posto di quella bestiolina v’era un giovane. Era seduto pigramente sulla larga cornice della finestra, con una gamba che dondolava svogliatamente all’interno della stanza. Era interamente vestito di nero e i suoi abiti erano elegantissimi, per metà coperti da un mantello di uno scarlatto così profondo da sembrare nero, dalla trama fittamente ricamata. I suoi capelli erano biondissimi, come fili d’oro, lisci e acconciati all'indietro, in modo che gli accarezzassero le orecchie e la base del collo. La sua carnagione era olivastra ma al contempo luminosa, quasi traslucente, e vi risaltavano un paio di occhi verde smeraldo, brillanti. Rozen si rigirò nel letto alcune volte, inquieta, per poi svegliarsi. Quando vide il ragazzo spalancò le palpebre, scattò a sedere e trattenne a stento un grido, mentre gli occhi le si riempirono immediatamente di lacrime. -Rozen- fece lui, quasi impercettibilmente. La sua voce era roca e profonda, e risuonò nel petto della ragazza nonostante avesse semplicemente sussurrato. Lei lo fissò, mentre calde lacrime le solcavano le guance. Si fissarono per alcuni istanti, poi lei distolse lo sguardo e lo rivolse verso un punto indistinto. Il ragazzo si avvicinò spavaldamente, le afferrò con violenza e la strattono a sé. –No...- cominciò lei in un respiro. –Non voglio...- continuò in modo davvero poco convincente. Perché, sebbene con la testa sapesse che quel ragazzo le avrebbe portato solo disgrazie e malessere, non riusciva ad arrestare i propri sentimenti. –James, io...- sussurrò la rossa. Lui la spinse via bruscamente, con uno sguardo tagliente. Incrociò le braccia al petto e tuonò: -Non glielo permetterò.- Poi la guardò bieco, dicendo, fra i denti: -Non permetterò che un uomo del genere si prenda gioco di me in questo modo!- Rozen abbassò gli occhi, impotente. Detestava assistere a quei suoi violenti sbalzi d’umore. Lui sospirò, poi rise sguaiatamente e disse: -Cosa crede di fare quel vecchio? Quale presunzione! Ho già marcato il mio territorio, e darti in moglie a quel principino non cambierà assolutamente nulla! – Rozen continuò a guardarlo, poi cominciò: – James, io...- -Non ho intenzione di stare qui ad ascoltare una sgualdrina come te!- la interruppe violentemente il biondo. – Sgual...drina...?- La ragazza era allibita. Poi si infuriò. –Come osi?! Non sono affatto una donna di facili costumi!- sbottò subito dopo.–Lo credevo anch’io. Ma solo una ragazza di facili costumi si lascerebbe incantare da un uomo come il figlio del conte. Ed è appunto ciò che hai fatto tu.- ribattè James fra i denti, con le braccia incrociate al petto e un’espressione rabbiosa e bieca. Rozen spalancò gli occhi, poi sbottò, furiosa: -Non riesco a crederci! Quanto tempo sei stato lì a spiarmi?- Il giovane la guardò torvamente, senza dire una parola. La ragazza si coprì la bocca con le mani, lasciando vagare il proprio sguardo attraverso la grande stanza. La rabbia si trasformo subito in tristezza, e gli occhi le si riempirono di lacrime, sedendosi sul letto. Tentò di calmarsi, prendendo un profondo respiro, ma invano: aveva già cominciato a tremare e le lacrime non volevano saperne di fermarsi. -Perché non ti sei fatto vedere...?- mormorò in un respiro. James la guardò in modo bieco per un attimo, poi scoppiò a ridere, una risata secca e per nulla divertita. -Adesso non ricominciare. Non metterti a piangere e non dirmi che sono cattivo e che ti sei sentita sola, che ti mancavo!- disse rabbioso, afferrandole con una mano la mascella. -Non azzardarti! Non ne posso davvero più del tuo solito modo di fare, maledizione. E quel vecchio arrogante, poi!- Pian piano il suo tono andava alzandosi, e finì per urlare. -Tu sei di mia proprietà! Sei il mio animaletto e non ti lascerò andare così facilmente, sappilo!- La pressione delle sue dita sul volto della ragazza aumentò. -La...lasciami! Mi stai facendo male...!- si lamentò lei, tentando di allentare la presa del ragazzo con le proprie piccole, esili dita. La rabbia di lui sbollì abbastanza da mollare la presa su Rozen. Le voltò le spalle e incrociò le braccia, sospirando pesantemente. -Sgualdrina.- ripetè. La ragazza era troppo impaurita per fare qualsiasi cosa e si limitò a fissarlo, massaggiandosi il punto in cui l’aveva afferrata. Dopo un attimo di silenzio, lui fece: -Cosa? Non hai intenzione di aggrapparti a me e piangermi addosso, implorandomi di restare?- Rozen non rispose. Si era preso gioco di lei fin troppo. Quando riuscì a prendere abbastanza coraggio, mormorò: -Cosa sei venuto a fare...?- -Non è ovvio?- scattò bruscamente lui, voltandosi di nuovo verso la ragazza. -Oggi è il tuo diciannovesimo compleanno.- Rozen continuò a fissarlo. Non gli erano mai importate cose del genere... James sospirò.
-Ti porto via con me, stupida.- Rozen abbassò lo sguardo, poi si asciugò le lacrime col lembo della propria veste e sorrise tristemente. In un'altra situazione non ci avrebbe pensato su due volte; gli avrebbe gettato le braccia al collo, magari piangendo, mentre lui l'avrebbe chiamata stupida e l'avrebbe abbracciata. Adesso, però, le cose erano diverse. -Non...non puoi farlo.- disse piano. La mattina successiva Tenner sarebbe venuta a prenderla e l'avrebbe portata nella propria villa, dove, un paio di settimane più tardi, si sarebbero sposati. Non era quello che lei desiderava, certamente. Ma era stanca di essere alla completa mercé di un uomo come James, che la torturava e tormentava, approfittando dei sentimenti che nutriva per lui. -Ah, e chi lo dice, questo?- ribattè il biondo, squarciandola con i suoi occhi verdissimi. Rozen raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo e prese un piccolo respiro, poi cominciò a parlare, tenendo gli occhi bassi. -Non puoi farlo...non puoi venire qui e fare ciò che vuoi, per poi andartene e tornare dopo mesi, per dirmi che mi porti via...non è così che funziona.- James scoppiò a ridere, riempiendo la stanza della propria risata, secca e spaventosa. Stupida ragazzina. Perché non capiva? Eppure era così chiaro: lo stava facendo per il suo bene. Però lei era testarda. “Non è così che funziona” ...con quale arroganza glielo stava dicendo? Dopo tutto ciò che lui aveva combinato per quel suo tenero visino. Si poggiò allo stipite della porta, incrociando le braccia e successivamente anche le gambe, all'altezza delle caviglie. Chiuse brevemente gli occhi, esalando un piccolo respiro. -Rozen- fece poi, alzando lo sguardo ed incrociando quello di lei, ancora seduta a letto, con le coperte in grembo e le spalle leggermente in tensione. I capelli ramati erano raccolti in una treccia morbida, dalla quale erano sfuggite diverse ciocche, che, ricadendo dolcemente, incorniciavano il viso perfettamente ovale. Il labbro inferiore era leggermente reclinato e le sopracciglia chiare, appena corrugate, formavano una piccola riga sulla fronte alta. Oh, era così patetica. Ma era la forma di pateticità che gli piaceva così tanto. Lo appagava così tanto. -Rozen, tesoro.- sussurrò, attraversando a grandi passi la distanza fra la porta e il letto, e la prese fra le braccia. La ragazza fremette un attimo, come percorsa da un brivido, e poi, inaspettatamente, cominciò a dimenarsi. James, che nel tenerla stretta l'aveva sollevata di un poco, allargò le proprie braccia. Rozen fece leva sul suo petto, ma le sue tenere manine non avevano abbastanza forza, e finì semplicemente per cadere all'indietro, sul letto. La sua figura esile adesso distesa pareva agli occhi del biondo così fragile... Gli occhi grigi di lei lo fissavano impotentemente fra le ciglia rossicce. Per un istante il tempo parve fermarsi. Poi James sorrise, ed una frazione di secondo più tardi si trovò sopra la ragazza. Rozen deglutì, abbastanza forte da farlo sentire anche al ragazzo, e sbattè le palpebre. Restarono un istante a fissarsi negli occhi. Oh, se aveva sentito la mancanza di quel paio di fari argentati. -James...- sussurrò lei, abbassando lo sguardo. Il ragazzo non rispose ma si fiondò sulle sue labbra, prima dolcemente, assaporandole piano, come se avesse paura di far loro del male, poi in modo più famelico, inserendo quasi forzatamente la propria lingua fra le labbra di lei. Il volto torvo e disapprovevole di suo padre apparve davanti agli occhi della ragazza, che sbattè ripetutamente le palpebre per scacciare via quell'immagine. Poggiò le palme delle mani sul petto del ragazzo, e bastò una leggera pressione per interrompere il bacio. James allontanò il proprio volto di qualche centimetro, e aprendo le palpebre si ritrovò di fronte gli occhi di Rozen, spalancati ed inorriditi, pieni di lacrime. -Seriamente....- cominciò il ragazzo, prendendo un respiro e scuotendo la testa. -Credo sia la terza volta che i tuoi occhi si riempiono di lacrime stasera.- Poi, in modo completamente inaspettato, le rotolò accanto, stendendosi sul letto. La afferrò con veemenza e l'avvicinò a sé, chiudendola nella morsa delle sue braccia. Rozen venne investita dall'odore pungente di lui: spezie ed erbe varie si univano ad una leggera nota di sudore. Quello era il profumo di James. Non era mai riuscita a capire cosa pensasse...e la cosa l'aveva turbata molto, all'inizio. Poi, aveva semplicemente smesso di provarci, lasciandosi trasportare da ciò che il suo piccolo cuoricino impazzito le diceva di fare. Prima di conoscerlo non avrebbe mai neppure lontanamente pensato di poter provare qualcosa di simile. Prima di James era tutto così diverso. La sua stanza era poco distante da quella di sua madre, e la torre nella quale si trovava adesso non esisteva ancora. Suo padre era un punto di riferimento per lei, e non avrebbe mai creduto che potesse farle del male, in alcun modo. Improvvisamente, l'immagine di due bambini, voltati di spalle, che giocavano vicino ad un albero, apparve nella mente di Rozen. Non le era mai accaduto prima di allora, ed era anche abbastanza sicura di non aver mai assistito a quella scena. -Rozen- chiamò piano James, strappandola a quel pensiero. Lei alzò di poco il viso, incontrando lo sguardo di lui. -Ti sei irrigidita.- continuò James. Rozen scosse leggermente la testa, e un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra. Andava tutto bene. Nonostante il ragazzo fosse mentalmente instabile, e Rozen non riuscisse mai a capire cosa scatenasse la sua ira... nonostante la facesse sentire insicura, stupida, usata e inutile... nonostante se ne andasse sempre, così, senza nemmeno avvisarla e senza che lei sapesse dove o a fare cosa... James era sempre James. Ed adesso era lì, che la teneva fra le braccia. Nient'altro aveva importanza. Non avrebbe permesso al dolore che le attanagliava la gola di rovinare quel momento. Rozen abbassò le palpebre, esalando un piccolo respiro fra le labbra socchiuse, per poi poggiare la fronte sul petto del ragazzo. -Mi sei mancato...- sussurrò.

 

Era ormai mattina, e un raggio di sole penetrava fra le tende chiare, socchiuse, della finestra di Rozen, avvolgendo nella propria luce dorata una porzione del letto. In esso, James, ormai sveglio da qualche ora, era disteso su un fianco, mentre giocava con una ciocca ramata della ragazza. La arrotolava e srotolava piano attorno alle proprie dita, fissando il modo in cui la luce veniva riflessa sui capelli di lei, che sembravano quasi biondi. Rozen, ancora addormentata, gli dava le spalle. Gli unici suoni udibili erano il cinguettare di qualche uccellino e i lenti respiri della ragazza. James avrebbe dovuto portarla via prima del sorgere del sole. No. Avrebbe dovuto portarla via prima del suo diciannovesimo compleanno. Ormai era già tardi... quelle bestie erano già in viaggio. Tutto questo era così snervante. Era già stanco di questa storia... Non avrebbe voluto partecipare fin dall'inizio. Non che avesse avuto scelta, comunque. Un gemito lo strappò a quei pensieri. Abbassò lo sguardo annoiato sulla ragazza, che, ancora addormentata, si era voltata verso di lui. La scialba casacca che la ragazza indossava per dormire, che normalmente le sfiorava le ginocchia, con quel movimento si era sollevata, mostrando più pelle di quanto fosse consono. Gli occhi del ragazzo analizzarono senza poi troppo interesse quelle forme, e il suo sguardo indugiò su un neo nell'interno coscia destro. Quella seppur piccola macchiolina scura, dalla forma particolare, era il motivo per il quale l'aveva conosciuta. Senza pensarci su troppo, avvicinò la mano e la sfiorò con la punta del dito. Rozen sbattè un paio di volte le palpebre prima di svegliarsi. -James...- mormorò con la bocca impastata, sorpresa di vederlo ancora lì. Poi abbassò lo sguardo verso la mano del ragazzo e avvampò, distogliendo subito lo sguardo. -C...he stai facendo?- balbettò, ora completamente sveglia. James prese un respiro, pensando a come potesse ancora imbarazzarsi per un contatto come quello, e poggiò adesso il palmo alla base della schiena della ragazza, avvicinandola a sé. -Ti porto via.- le sussurrò in un orecchio. Il suo tono era piatto ed inespressivo, e il ragazzo non aveva voglia di discutere. Era particolarmente di cattivo umore quel mattino, come accadeva ogni volta che trascorreva un po' di tempo con quella ragazza. Assorbiva tutta le sue energie e lo rendeva stanco e irritabile. Più irritabile del solito. Inoltre, non è che lui volesse davvero portarla via. Rozen scosse piano il capo, abbassando lo sguardo. -Non puoi farlo...- ribattè piano. James sospirò, allontanandola bruscamente da sé. -Diamine, che ragazzina arrogante.- fece fra i denti. Si mise a sedere, passandosi poi una mano fra i capelli chiarissimi, ed infine afferrò Rozen per un braccio e la trascinò fuori dal letto. La spinse al centro della stanza, per poi spostare il letto in ferro battuto, allontanandolo dal muro di mattoni. Rozen spalancò gli occhi. Credeva di averlo nascosto per bene... James si accovacciò fra il muro e il letto, per poi inserire le dita fra gli spazi adiacenti ad un mattone, sfilandolo. -Disgustoso.- fece il biondo, schioccando la lingua. -La prossima volta che proverai a lamentarti del fatto che non penso mai a te nasconderò la tua testa dentro questo buco. Stupida.- Rozen abbassò lo sguardo colpevole, mentre il giovane tirava fuori un pesante libro dalla copertina rigida e scura. -Credevi non sapessi di questo “nascondiglio”?- le chiese poi, spolverando con le proprie mani le copertina rovinata. Se lo mise sotto braccio e si avvicinò alla porta, per poi voltarsi verso la ragazza, ancora al centro della stanza. -Cosa stai aspettando, esattamente?- le chiese, irritato. Rozen continuava a fissare un punto indistinto sul pavimento, mentre stringeva fra le dita la casacca che aveva addosso.

 

***

 

Sotto un albero, che lo riparava dal sole, era seduto un ragazzo. La schiena, poggiata contro il tronco, era ampia e le spalle, grandi, erano collegate ad un paio di braccia imponenti. Queste terminavano in un paio di mani che stringevano un piccolo libro, il quale appariva ancora più minuscolo fra le sue dita. Le gambe erano stese e accavallate pigramente all'altezza delle caviglie. Alzò un bracciò per riavviarsi una ciocca biondo-rossiccia, sfuggita alla bassa coda sulla nuca, dietro l'orecchio. Quando fece per riportare le dita al libro, una manina gli si poggiò sul polso. Apparteneva alla bambina che gli era distesa accanto, il cui capo era poggiato sul grembo di lui. Anche lei teneva fra le mani un piccolo libro, e, senza staccare gli occhi dalla frase che stava leggendo, portò la mano del ragazzo alla propria guancia. L'espressione di lui si ammorbidì, e le sue labbra s'incresparono, formandogli così un paio di fossette sulle guance.

-Signorina Reon...- sussurrò flebilmente una cameriera, apparsa dal nulla. -Un uomo dall'aria cupa ha chiesto di riceverla... ha detto che si tratta di un affare importante.- La bambina si mise a sedere e, con espressione annoiata, si voltò verso la donna tremante, chiedendole: -Dov'è adesso?- Nell'esatto momento in cui gli occhi di ghiaccio di Reon si fermarono ad analizzare il suo volto, la cameriera impallidì. -Nel salottino dei vostri appartamenti...- rispose. Reon sbuffò platealmente, per poi alzarsi e dirigersi verso l'edificio in mattoni nel quale abitava.

 

-Cos'è che vuoi?- chiese all'uomo interamente vestito di nero, che le dava ancora le spalle, seduto in una delle piccole poltroncine dorate. Lui si voltò verso la bambina. Il suo volto presentava un paio di rughe sottili e quasi impercettibi ai lati degli occhi e fra le sopracciglia, nere e foltissime, dalla bella forma. La mascella squadrata quasi contrastava lo sguardo dolce nei suoi occhi dorati, e la fine delle basette, quasi completamente grigie, tradiva il suo aspetto giovane. I capelli corvini erano raccolti in una coda bassa, sulla nuca, mentre una singola ciocca, tenuta insieme da un fermaglio nel quale era incastonata una pietrolina, gli incorniciava il viso. -Reon- cominciò lui, sorridendole. -è sempre un piacere vederti.- La bambina attraversò la stanza, andandosi a sedere sulla poltrona dal lato opposto a quella dell'uomo. -Mi piacerebbe poter dire lo stesso, Luz.- mormorò, fissandolo. Il vestito color miele che indossava lei sembrava dello stesso colore degli occhi dell'uomo, ma non l'aveva scelto per quel motivo. Nell'esatto momento in cui aveva visto quell'abito non le era nemmeno passato per la testa che potesse intonarsi a quel tremendo paio di occhi. Seriamente. L'uomo le sorrise, per poi cacciare da una tasca un piccolo sacchetto e poggiarlo sul basso tavolino che si trovava fra loro. -Ero in viaggio verso la Grande Acqua e ho visto questa cosa in un mercato. Credo che possa interessarti.- Reon abbassò lo sguardo verso il sacchetto scuro e si sporse in avanti, afferrandolo. Fece per aprirlo ma si fermò e sollevò lo sguardo verso un lato della stanza. -Ho fame.- fece. Poggiò il sacchetto sul proprio grembo e battè le palme delle mani due volte. Un istante più tardi una figura alta ed esile entrò nella stanza. -Ha chiamato, signorina?- chiese con la sua voce stridula ed echeggiante. -Ho faaaame.- ripetè Reon, dondolando le gambe.

-Portaci l'arrosto di gui... o qualsiasi cosa sia.- L'omino argenteo si inchinò, mentre Reon aggiunse, fra i denti: -E fa' presto.-. L'omino si affrettò fuori dalla stanza e Reon riportò la propria attenzione al sacchetto. Sciolse il piccolo fiocco e rovesciò la bustina sul proprio palmo, rivelando un piccolo orologio da taschino di bronzo. I numeri, però, erano assenti, e vi erano solo una lancetta a due punte e una piccola immagine che Reon non riuscì a decifrare. -Che strano orologio.- mormorò, fissandolo. Luz sorrise. -Non si tratta di un orologio. Si chiama bussola ed è una specie di cartina portatile che ti indica la direzione.- Reon alzò lo sguardo verso di lui. -Aspetta, stai tentando di dirmi che questa cosa può indicarmi la strada e che perciò non devo fare appello a nessun tipo di magia per trovarla?- L'uomo sorrise ancora. -Già. In bella parte del continente di Oron girano già un sacco di voci sull'Un. Sai, i mercanti tentano sempre di lucrare su questo genere di cose. Ma questa bussola l'ho presa da una vecchia che sembrava sapere esattamente di cosa si trattasse.- In quell'istante, l'omino grigio rientrò preceduto da un carrello. Posò un piatto di fronte ciascuno degli ospiti, insieme a diversi tipi di posate. Infine riempì due calici altri di una sostanza densa e rossiccia e li poggiò dinnanzi i piatti. Poi sparì, se possibile anche più velocemente di quanto fosse apparso. Luz sorrise di nuovo. -I tuoi amichetti non sembrano esattamente cordiali. Pare che non vedano l'ora di allontanarsi da te.- Reon sorrise biecamente. -Lo dici come se fosse una brutta cosa. Mi temono, ed è giusto così, non credi?- -Non ne sono sicuro.- ribattè l'uomo, per poi abbassare lo sguardo sul piatto di fronte a sé. -E non sono nemmeno sicuro che questa sia carne di gui. Diamine, per quanto ne so potrebbero essersi estinti da decenni.- -Oh, non importa. Ha un buon sapore. Ah, e questa miscela vi si sposa alla perfezione. Se non sei affamato almeno prova a berla, sono sicura che ti piacerà.- Luz prese il calice e fissò il liquido all'interno, nel quale si rifletté. Lo portò poi alle labbra e prese un sorso. Reon intanto si concentrò sulla propria carne, e tagliandola un rivolo violaceo fuoriuscì, sporcando il piatto. L'uomo abbassò le palpebre, esalando un piccolo respiro. Quando le risollevò i suoi occhi color miele erano diventati nerissimi. Reon deglutì ilproprio boccone e scoppiò a ridere. -Sapevo che avresti apprezzato ma non credevo così tanto.- Luz la guardò, passando la lingua sui propri canini pulsanti, ora aguzzi. -Non capisco perché tu ci tenga tanto a farmi del male.- fece con amarezza. -Oh, andiamo.- Reon riportò le proprie attenzioni alla carne, tagliandone poi un altro boccone e avvicinandolo alle proprie labbra. -Lo sai che adoro stuzzicarti.- L'uomo la fissò per un paio di istanti. -Non sei cambiata per nulla.- disse. Lei sorrise. -Oh sì che lo sono, purtroppo. Questo corpo è così piccolo e scomodo. Ah, e non incute nemmeno paura.- Questa volta fu lui a sorridere. -Io lo trovo adorabile, però.- -Non ti senti disgustoso? Potrei essere tua figlia.- ribattè Reon, facendogli roteare gli occhi. -Non dirlo come se stessimo parlando di una bambina vera. Comunque sia, mi riferivo al tuo caratterino. Pungente come sempre.- -Non dirlo come se ti dispiacesse, Luz. Ad ogni modo, quel ragazzo...- cominciò, mentre l'uomo prendeva un altro sorso. -Ho l'impressione che mi stia facendo ammorbidire. Non vedo l'ora che tutto questo finisca e che io possa finalmente tornare alle origini. Voglio togliermelo di torno.- -Beh, spero che con quell'oggettino io possa averti aiutato in qualche modo. Questa storia non è nemmeno cominciata ed è già tutto così tremendo. Non oso immaginare come sarà una volta che troverete quel maledettissimo Un.-

 

-Il tuo colloquio con l'uomo “dall'aria spaventosa” è durato davvero molto.- disse il ragazzo dall'aria imponente a Reon, una volta che lei lo ebbe raggiunto nella cupa ed enorme libreria del palazzo.

-Purtroppo. Ma almeno è stato in qualche modo utile. Mi ha procurato una sorta di mappa che ci potrebbe indicare la direzione dell'Un. Non sono certa che funzioni davvero ma...non mi resta che provare. Se le indicazioni della mia mappa e quelle coincidono, potrò evitare di cercare con la mia magia.- -Risparmiandone una quantità notevole.- finì lui. -Esatto. Questo corpo è così minuscolo, non riesce a contenere nemmeno la metà del mio potenziale...- Reon sedette accanto al ragazzo, poggiando le palme delle mani sul tavolo in legno massiccio. Chiuse gli occhi e prese un respiro. Qualche istante più tardi una luce rosea la avvolse, e come se vi fosse una forza che li spingesse verso l'alto, i suoi capelli si sollevarono, insieme ad alcuni piccoli globuli di luce, rosei anch'essi. Le palpebre di Reon poi si sollevarono, rivelando l'assenza delle pupille, che erano rovesciate così all'indietro da mostrare solamente la sclera bianca. Le dita della bambina cominciarono a tracciare diverse figure sul tavolo, rilasciando dei tratti di luce dai toni principalmente caldi. Prima disegnò due cerchi concentrici con della luce aranciata, poi accanto una croce in bianco, ed infine diverse altre figure, in dorato e rosso. Finito il disegno, poggiò nuovamente le palme sul tavolo e abbassò le palpebre. Una volta che la luce l'ebbe abbandonata, il suo capo si rilassò, rovesciandosi in avanti, come se fosse addormentata. Il ragazzo scattò in piedi, piegandosi sul tavolo ed afferrandola prima che cadesse e potesse sbattere la testa. Ultimamente accadeva sempre più spesso, pensò il ragazzo. Poggiò il suo capo sul tavolo, in modo che non potesse farsi male, e attese che si riprendesse. Intanto abbassò lo sguardo sulla mappa di luce che aveva ora completamente preso forma. I disegni non assomigliavano nemmeno a quelli dell'ultima volta, e si chiese il perché. Mentre continuava ad analizzare i tratti, Reon riaprì le palpebre. -Maledizione- fece -sto diventando una deboluccia...-. Tirò poi fuori la piccola bussola donatole da Luz e la poggiò accanto al disegno di luce. La direzione della croce bianca e quella dell'iconcina nella bussola corrispondevano. Perfetto. -Sean.- disse lei, guardando il ragazzo. -Sei sicuro di volerlo fare? Non ti costringe nessuno e sei ancora in tempo per farti indietro.- Lui le sorrise con aria fiduciosa. -Non mi costringe nessuno? Io devo trovarla.-

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Rozen riaprì le palpebre e il buio l'avvolse. Per un attimo credette addirittura di non aver aperto gli occhi. Poi la voce di James le giunse flebilmente alle orecchie e gli ultimi avvenimenti le tornarono alla memoria. Il ragazzo era tornato da lei e aveva deciso di portarla via il giorno del suo diciannovesimo compleanno. Erano quindi partiti, lei non aveva idea di dove stessero andando ma James sembrava saperlo, perciò aveva deciso di non fare domande, minimizzando il rischio di irritarlo inutilmente. La voce del giovane le giunse di nuovo, meno ovattata di prima. Il suo tono sembrava alterato. Rozen si voltò nel letto scomodo dell'ostello nella quale avevano deciso di alloggiare momentaneamente, e vide una flebile luce attraverso la fessura della porta. Si alzò, fece alcuni passi verso di questa, e nello stesso istante nel quale poggiò le dita sul pomello, la porta si aprì. -Che stai facendo? Credevo stessi dormendo.- le chiese James. -Sì, stavo dormendo, ma...- cominciò la ragazza. Non sapeva cosa dire.

-...ma devo...- continuò in tono imbarazzato e lasciò la frase in sospeso, aspettandosi che James capisse comunque. Ora che ci pensava, aveva davvero bisogno di trovare una latrina. -Credo siano fuori dalla locanda. Ti accompagno.- Rozen lo fissò. -Non ce n'è bisogno...- mormorò. -Non te lo stavo chiedendo. Ti accompagno. Una stupida ragazzina come te potrebbe perdersi addirittura durante un tragitto così breve. O potrebbero rapirti. Siamo nel bel mezzo della parte povera della città, dopotutto.-

 

Avere James che aspettava finisse i suoi bisogni a pochi metri di distanza la imbarazzava a morte. Per qualche motivo, però, la tranquillizzava anche un po'. Non era mai stata in città, da quel che ricordava, ed era tutto così spaventoso. Vi erano diverse...creature. Alcune le aveva viste rappresentate su quel pesante libro che James le aveva regalato, mentre altre le risultavano completamente nuove. La città era così caotica. Piena di colori, “persone”, oggetti di vario tipo...O almeno così era la città nella quale si trovavano adesso. Chiamata Dithral e posizionata presso una delle Grandi Acque, era una località portuale che ospitava un'enorme varietà di razze, oltre ad essere un punto crucialmente importante per il commercio con le contee vicine. Nonostante si trattasse di un centro commerciale importante, la città era molto povera, e se accanto al porto vi erano alcune locande ed ostelli dall'apparenza abbastanza decente, più ci si allontanava e più la qualità delle strutture scendeva. A non poi così tanti piedi dal porto cominciavano a trovarsi le prime capanne. Anche i globuli di luce dorata che fluttuavano a mezz'aria e che illuminavano le strade sterrate si facevano sempre più rari, man mano che si entrava nella parte povera della città. Rozen era terrorizzata dal buio, ma quello non era più stato un problema dal momento in cui James le aveva regalato quel vecchio libro. In una lingua che Rozen sapeva di non aver mai studiato ma che riusciva comunque a decifrare, erano scritti un sacco di “trucchetti”, fra i quali c'era anche la rscetta per creare dei piccoli globuli di luce fluttuanti, che illuminavano poco, ma comunque abbastanza perché lei riuscisse ad avere sonni tranquilli. Un altro motivo per il quale era grata a James di averla accompagnata era perché all'esterno dell'ostello tutto era in penombra.

 

***

 

-Anne! Ti aspettavo!- esordì Oron una volta aperto il pesante portone in legno. Quella che aveva di fronte era una bellissima ragazza, dal volto a cuore e dai tratti delicati, angelici. I suoi capelli erano biondi e andavano a formare dei boccoli perfetti, mentre la sua fronte era coperta da un frangione dritto, che terminava appena sopra un paio di fari, di un viola profondissimo. Il suo nasino era piccolo e perfettamente al centro del viso, mentre la bocca era minuscola e le labbra, sottili e rosee, dischiuse. Infine, la sua pelle era liscia e bianca, diafana, come se non avesse già quell'aspetto perfetto e irreale, da bambola di porcellana. Anne gli rivolse un educato cenno del capo, prima di farsi strada nel basso e buio corridoio. Oron chiuse il portone e la seguì, sorridendo. Era un giovane bänt, di statura media e dalla pelle molto chiara. I suoi capelli erano di un purissimo bianco e abbastanza lunghi da coprire le orecchie leggermente a punta, le quali erano state ripetutamente bucate e mostravano ancora le cicatrici. Forse era quello il motivo per il quale lasciava i capelli crescere, aveva pensato Anne, una volta. Gli occhi di Oron erano piuttosto allungati, di uno slavato color fango, e stonavano pesantemente col candore della pelle e dei capelli. La zona che andava dagli zigomi, alti, al naso, né troppo lungo né troppo corto, era ricoperta di efelidi. La sua figura snella, poi, era nascosta da una pesante tunica blu, che gli arrivava fin sotto le caviglie e che aveva arrotolato all'altezza dei gomiti, rivelando un paio di avambracci lunghi e delle grandi mani, le cui dita erano però affusolate. La tunica era fermata in vita da una cintola in cuoio, che, oltre a stringere il tanto tessuto in eccesso e a mostrare i fianchi effettivi del ragazzo, reggeva il peso di quello che sembrava essere il fodero di un pugnale. -E così sapevi che sarei passata?- chiese la ragazza, una volta entrata nel piccolo salottino e accomodatasi sul minuscolo divano rudimentale, unico mobile presente, oltre ad un basso e minuscolo tavolino. Questa stanza si trovava sotto terra, adiacente ad una sala più ampia ma comunque di dimensioni abbastanza ristrette, nella quale si trovavano appena una libreria, dalla fattura scialba, e un tavolo con un paio di sedie dallo schienale troppo alto. Sulle pareti di entrambe le camere erano appesi disordinatamente alcuni disegni e mappe, certi abbastanza chiari e interpretabili, mentre altri erano molto stilizzati o complicati. -Ti ho sognata stanotte- rispose semplicemente il ragazzo, sedendosi accanto a lei e scrollando le spalle. Nonostante fosse considerata la pecora “nera” dei bänt, il suo potenziale magico era enorme e nettamente sopra la media, mentre le sue doti semplicemente straordinarie. All'età di tre anni aveva spontaneamente eretto un campo di forza tale da respingere qualsiasi forma di magia nel raggio di trenta piedi - una cosa inaudita per la comunità di bänt nel quale viveva. Erano stregoni ed indovini, certo, ma le loro capacità derivavano da allenamenti estenuamenti che duravano decenni. Poi c'era Oron. Le labbra della ragazza formarono una piccola “o”, e lui sorrise a quella reazione. Nonostante si conoscessero da molto tempo, Anne finiva spesso per dimenticare tutti i poteri che il ragazzo possedeva, e lui adorava le reazioni ingenue che aveva quando se ne ricordava. O meglio, le adorava tutte. -Sai anche perché sono qui?- chiese lei. -Sono abbastanza sicuro che abbia a che fare con l'Un.- ribattè lui. -Zio Ilic aveva trovato una ragazza che era convinto fosse l'Un, e voleva darla in moglie a mio cugino. Lei però sembra sparita...e zio Ilic è furioso. Ha mandato Tenner a cercarla, però...- Anne si interruppe e abbassò lo sguardo. -Non voglio che se ne vada. E...e se, una volta trovata, lei gli facesse il lavaggio del cervello o qualcosa del genere? Se è davvero l'Un potrebbe farlo, e...- Oron la fissò. -Quindi cosa vorresti fare?- chiese subito dopo. -Vuoi andare alla ricerca dell'Un anche tu?- fece in tono sarcastico, e Anne rimase in silenzio per alcuni istanti. -Non puoi farlo, Anne!- esclamò allarmato il ragazzo. -Ma... devo riportare Tenner qui...- -Non se ne parla.- Lei si voltò completamente verso il ragazzo. -Oron...- mormorò in tono supplichevole. -Mi serve il tuo aiuto. Non ti chiederò di venire con me, ma...- -Credi di poterci andare da sola? Alla ricerca di una ragazza che potrebbe essere anche quella più comune?- Anne lo fissò. -Ho una brutta sensazione. È come se sapessi che gli accadrà qualcosa. Non voglio che succeda qualcosa a Tenner.- -Nemmeno io. È come se fosse un fratello per me, lo sai. Ma è un uomo adulto e saprà badare a sé stesso; oltretutto dubito che intraprenderà un viaggio del genere da solo. Tu invece, sola, cosa saresti capace di fare?-. La ragazza restò in silenzio per diversi istanti, e abbassò lo sguardo. -Se lui sapesse che sei partita a cercarlo finirebbe solo per preoccuparsi inutilmente, e non riuscirebbe a concentrarsi sull'Un. E il signor Vorgen sarebbe tremendamente contrariato. Oltretutto... da quanto tempo non vedi Tenner? Abitate così lontani uno dall'altra. Magari potrebbe essere cambiato. Anzi, sono certo che non sia più il bambino capriccioso che conoscevamo. Perciò- Anne lasciò vagare il proprio sguardo sul muro di fronte a sé. -non ha senso voler andare a cercarlo. Non gli accadrà nulla, te lo prometto.-

 

***

 

Una volta tornati nella stanza, Rozen si infilò rapidamente nel letto, ed esalò un piccolo respiro. Spalancò poi gli occhi ed incollò le coperte al proprio petto, mentre davanti ai suoi occhi apparivano cose. James si stese accanto a lei e la fissò senza troppo stupore o interesse. L'immagine, che solamente gli occhi della ragazza riuscivano a percepire, mostrava gli stessi bambini della prima volta, ma più chiaramente. Rozen riuscì a distinguere che si trattava di un maschio e di una femmina. Erano ancora voltati di spalle, ed entrambi avevano i capelli di un bellissimo color bronzo. La bambina indossava una tunica bianca ed era a piedi nudi, mentre il bambino, che la teneva per mano, era completamente vestito di nero. Rozen riuscì poi a distinguere che entrambi avevano qualcosa in mano, ma non riuscì a concentrarsi abbastanza per capire cosa fosse, perché la visione sparì. -Rozen, tesoro.- sentì chiamare da James. La ragazza sbattè le palpebre, e i suoi occhi misero a fuoco la figura di James, piegata su di lei.

-Mmh...?- mormorò lei, abbassando le palpebre e prendendo un respiro. -Cos'è stato?- fece il ragazzo, come se già non sapesse esattamente cosa stesse accadendo. -Ho...visto dei bambini che si tenevano per mano, ma...non credo di aver mai assistito ad una scena simile, e non è nemmeno la prima volta che ho questa specie di visione.- Rozen avvertiva un dolore remoto dietro gli occhi, e riusciva a percepire lo sguardo tagliente di James su di sé. La stava fissando. Perché la fissava...? Cosa stava pensando? Non era normale credere di vedere cose. James...stava pensando che fosse pazza? Si coprì il volto con le mani. -Sono pazza...?- singhiozzò. Il ragazzo corrugò le sopracciglia. -Cosa?- fece. Quella ragazza...diamine, era così strana. Lo era sempre stata, ma James, col tempo, aveva cominciato a capire come funzionasse quella testolina rossa, come ragionasse. Ultimamente, però, era...diversa. Il ragazzo spalancò leggermente le palpebre. Aveva già cominciato a deteriorarsi? Com'era possibile?! Non era mai successo prima d'ora. Però erano sempre stati diversi fra loro, perciò James non poteva basarsi su dati certi. Dannazione... -James...- Il ragazzo fu riportato alla realtà da quel sussurro. -Cosa c'è?- fece lui. Questa risposta brusca scosse ancora di più Rozen, che singhiozzò: -Mi odi...? ...mi odi...- James le prese i polsi e li scostò dal volto di lei, per poi fissare i suoi occhi verdissimi in quelli grigi della ragazza.

-Rozen.- chiamò. -Non ti odio. Perché dovrei, stupida?-

 

 

 

Il mattino successivo decisero di andare a visitare un mercato. Gli abiti di entrambi erano decisamente troppo vistosi e, se James poteva permettersi di girare tranquillamente indossando i propri ricami intricati, per Rozen la cosa era molto diversa. Era terrorizzata all'idea che suo padre, furioso, avesse sparso la voce e che l'avesse mandata a cercare. I ricami della famiglia Vorgen erano argentati, fitti e vistosi, oltre ad essere abbastanza famosi in tutto il Continente: i Vorgen erano sempre stati dei ricchi mercanti e avevano girato moltissimo, dopotutto. Nella folla era impossibile procedere uno accanto all'altra, anzi, sembrava proprio impossibile procedere. James si fece strada fino ad una bancarella che vendeva vari tipi di abiti e ne scelse uno per Rozen. Era semplice, di un arancione slavato, quasi pastello, a maniche lunghe e che le sfiorava le ginocchia. I polsi e lo scollo erano rifiniti da una piccola striscia viola, così come la cintola sottile che aveva in vita. Rozen lo provò, nonostante non le piacesse particolarmente, e l'assenza di un corpetto che le comprimesse la vita la faceva sentire a disagio. -Lo prendiamo- fece James appena la vide con quell'abito addosso. Acquistarono poi un paio di semplici calzari in cuoio, abbastanza comodi, che avevano un'adorabile striscia sulle caviglie. Una volta finiti gli acquisti, provarono ad allontanarsi dalla folla e si rifugiarono in una minuscola locanda. Mentre mangiavano la zuppa giallastra, James notò una figura bassa affacciarsi dall'altro lato della finestra, dietro Rozen. I loro sguardi s'incrociarono, e la figura si allontanò velocemente. “Maledetti wehn” pensò, tornando a rivolgere le proprie attenzioni al piatto che aveva di fronte. I wehn erano dei mostriciattoli dalla fattezze quasi umane, ma bassi e gracili, con braccia sproporzionatamente lunghe rispetto al resto del corpo. Non erano dotati di naso, e perciò del senso dell'olfatto, ma il loro senso dell'udito è eccezionale, così come la loro agilità. Sono infatti principalmente ladri, e il colore della loro pelle varia dal verde al giallognolo.

 

Una volta che i due furono usciti dalla locanda, notarono che il sole era già basso nel cielo e che la folla era quasi completamente sparita: vi erano infatti pochissime persone, che si stavano tutte affrettando per tornare a casa. Nella luce aranciata del tramonto, Rozen e James chiaccheravano tranquillamente, mano nella mano. Il ragazzo sorrise e distolse per un instante lo sguardo da Rozen, voltandosi verso la strada di fronte a sé. La voce della ragazza si interruppe improvvisamente, e appena James avvertì l'assenza della mano di lei nella sua si voltò allarmato. Rozen cadde a terra con un tonfo, e accanto a lei vi era il wehn che James aveva visto fuori dalla locanda, prima. Notò con orrore che sul polpaccio della ragazza v'era un graffio profondissimo, che andava dalla caviglia all'altezza del ginocchio. Il wehn rise, ed afferrò il borsello in cuoio che Rozen aveva attaccato alla cintura. James percorse in un istante la distanza che c'era fra loro e gli saltò addosso, afferrandolo per il collo. -Ora, se non vuoi morire- cominciò fra i denti. -Mi dirai se sei uno di quei bastardi di tipo velenoso.- Il wehn sorrise, annuendo.

-Non ci sarà nessun altro Un.- ribatté semplicemente. -Lunga vita ad Enohr!- fece poi, artigliandogli gli avambracci e liberandosi. James tentò di riafferrarlo, ma fallì e quel mostriciattolo sparì fulmineamente dietro un palazzo. Il giovane decise di non rincorrerlo e, piuttosto, di portare Rozen da uno stregone. Non sapeva se quella bestia fosse davvero velenosa, ma, nel caso, non aveva idea di quanto tempo il veleno avrebbe impiegato per entrare in circolo. Non poteva rischiare di perderla. Non ancora. Erano appena partiti, dannazione!

 

 

Il sole era già tramontato quando gli studi di Oron vennero interrotti da un incessare bussare al portone. “Non si è ancora arresa, eh?” pensò, alzandosi e andando ad aprire. La figura che si trovò davanti, però, non era quella minuscola di Anne. -Sei Oron, lo stregone?- chiese la voce profonda del ragazzo biondo davanti a sé. Fra le braccia reggeva il corpo addormentato -sperò Oron- di una ragazza esile, dalla pelle chiara e dai capelli di fuoco. Il netto contrasto fra la pelle quasi cadaverica di lei e quella olivastra dell'altro ragazzo si notava specialmente dal contatto diretto fra la pelle delle mani di lui e le ginocchia di lei, nel punto in cui lui la teneva. Oron spalancò gli occhi, notando la ferita sanguinante su uno dei polpacci della ragazza. -Sono io. Diamine, entrate.- fece. Chiese al ragazzo di stenderla sul tavolo e cominciò a tastare l'area attorno alla ferita. Era gonfia e violacea, come se il sangue si fosse già accumulato sotto pelle. -Com'è se l'è procurata? Credo sia del veleno. Una ferita del genere non dovrebbe essere così gonfia e di questo colore.- analizzò Oron, voltandosi verso il biondo. Lui continuò a fissare senza nessuna particolare espressione il volto della ragazza. -Siamo stati attaccati da un wehn.-

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Il sonno inquieto e tormentato di Rozen cessò improvvisamente, e la ragazza si risvegliò, spalancando le palpebre. Ad accoglierla non c'era né il soffitto della propria stanza, né quello dell'ostello nel quale aveva alloggiato con James per alcuni giorni. Il soffitto che l'accolse stavolta era...non poteva saperlo. La stanza nella quale si trovava era troppo al buio per vedere qualsiasi cosa, e certamente troppo buia per i suoi gusti. Rivolse il palmo verso l'alto, serrò il pugno e mormorò una breve frase. Un globulo di luce bianca apparve appena riaprì le dita, per poi fluttuarle accanto. Quando la ragazza provò a mettersi a sedere, poi, una fitta le percorse una gamba. Soffocò un grido, portando le mani all'altezza del polpaccio, e sentì una specie di tessuto avvolgerla. Il globulo di luce si avvicinò e illuminò la sua gamba, avvolta infatti da una garza, intrisa di una sostanza liquida e maleodorante. -Uhh...- fece, ritraendo le mani. Quella sostanza le aveva sporcato le dita, rendendole appiccicaticce, e Rozen si limitò a fissarle, non sapendo cosa fare. Era stanca, nonostante avesse l'impressione di aver dormito per mesi. Gli occhi le facevano male, e serrò per un paio di istanti le palpebre, ripensando al sogno che aveva fatto. Un ragazzo alto, completamente vestito di nero, era inginocchiato ai piedi di un grande letto in ferro battuto, sul quale aveva finito per addormentarsi, stremato. Fra le lenzuola, di un tenuo beige, vi era una figura – una persona probabilmente. Nel sogno il tempo pareva essersi fermato: un fascio di luce dorata, flebile, faceva capolino dalla finestra e dalle impalpabili tende bianche, e finiva per illuminare una porzione del letto. Non si udiva nessun rumore o suono, e Rozen avvertiva una sorta di disagio nell'aria. Sentiva di doversene andare da lì, perché avrebbe potuto svegliarlo. Ma svegliare chi...? -Oh, sei sveglia.- fece una voce femminile. Rozen alzò lo sguardo e vide, sullo stipite della porta, quella che era poco più di una bambina. Avvertì lo stomaco chiuderlesi alla sola presenza di quella figura, e non ne capì il motivo. Anne si fece avanti, e le rivolse un piccolo sorriso. Attorno a lei fluttavano una miriade di piccoli globuli di luce; sembravano delle lucciole, ma erano più grandi ed emanavano una flebile luce rosata. La ragazza entrò, si inginocchiò davanti il divano e posò sul basso tavolino un vassoio con dei bendaggi puliti, una tazza, una brocca e una ciotola. -Per quanto ho dormito?- chiese Rozen, fissando il vassoio. -Tre giorni, più o meno.- rispose l'altra, versando il contenuto della brocca nella ciotola, per poi immergerci una garza. Il silenzio calò nuovamente nella stanza. Anne si avvicinò poi al polpaccio dell'altra e cominciò a togliere il bendaggio, che gettò noncurante a terra, rivelando l'enorme taglio. Portò poi il palmo della mano verso uno dei globuli di luce che le levitava attorno e lo attirò verso la ferita. Rozen osservò come il tenue barlume esitò sopra la propria gamba, e avvertì solo un calore vago nel momento in cui la luce venne gradualmente assorbita. Anne prese poi la garza che aveva immerso prima e la tirò fuori, per poi strizzare il liquido maleodorante in eccesso. La rossa continuò a fissare i gesti piccoli e precisi dell'altra, come ne fosse rapita. -Dove sono?- chiese qualche istante più tardi, sollevando lo sguardo verso il volto di Anne. -Questa è la casa del bänt Oron.- rispose la bionda, continuando a strizzare il panno. -Il cavaliere di Trystann ti ha portata qui.-

 

...cavaliere di Trystann...? James? Rozen fissò la ragazza senza dare voce alle proprie domande. L'avrebbe chiesto direttamente a lui, appena l'avrebbe visto. Senza fornire ulteriori informazioni, Anne posò finalmente la garza sulla ferita e premette delicatamente ma con una certa veemenza, facendo gemere l'altra. Prese un'altra striscia di tessuto e la passò sulla garza, stringendo progressivamente ad ogni giro che faceva fare attorno alla gamba. -C...credo sia un po' troppo stretta...- sussurrò Rozen. Anne si voltò verso il vassoio, prese la tazza e la porse a Rozen. -Se fosse meno stretta il sangue potrebbe riprendere ad uscire. In ogni caso, bevi questo. È un antibatterico alle erbe.- spiegò Anne, e quando l'altra fece per prendere la tazza, le loro dita di sfiorarono. Fu un contatto breve e leggero, ma Anne si ritrasse immediatamente, come si fosse scottata. La tazza rovinò a terra, in una miriade di pezzi, che si sparvero ovunque. Anne fissò un punto indistinto, gli occhi spalancati, e rimase immobile, inorridita, mentre si teneva la mano. -Che succede?- fece agitato un ragazzo albino, affacciandosi alla porta.

-Oron..!- balbettò Anne, scattando in piedi e correndo verso di lui, fiondandoglisi contro. Affondò il volto nel petto di lui, mentre le mani presero a stringere compulsivamente il tessuto della tunica di lui. Oron abbassò lo sguardo sulla ragazzina tremante e le poggiò una mano sul capo. -Guarda che disastro...- mormorò poi, fissando i pezzi di quella che poco prima era ancora una tazza. -Sono davvero dispiaciuto.- continuò poi, verso Rozen. -Sono sicuro che non l'abbia fatto apposta... Torno subito per portarti l'infuso antibatterico e per ripulire tutto.- fece infine, per poi sparire dietro l'angolo, portando Anne con sé. -Cos'è stato?- le chiese sottovoce Oron, una volta nell'altra stanza, inchinatolesi davanti. -Quella ragazza...- cominciò Anne, balbettando. -Io...io...credo di averla uccisa.- Oron la guardò come se fosse pazza. -Se l'avessi uccisa non potrebbe essere qui, Anne.- La bionda si aggrappò alla tunica del ragazzo e avvicinò il suo volto a quello dell'altro, fissando i propri occhi inorriditi e spalancati in quelli di Oron. -Credimi! L'ho visto...!- Il ragazzo non l'aveva mai vista così scossa, e le poggiò le mani sugli avambracci. -Anne. Anne! Ascolta. Cerca di calmarti. Ne riparliamo più tardi, d'accordo? Così non riesco a capire.- Anne abbassò lo sguardo e lasciò la presa sugli abiti di lui. -Brava. Siediti e aspetta qui, va bene? Io le porto l'infuso e vado un secondo a sistemare.-

 

***

-Lo sapevo, maledizione!- sbottò Sean. Reon corrugò appena le sopracciglia, fissandolo: non l'aveva mai visto così agitato. Il potere che quella bambina aveva su di lui era spaventoso. Reon scosse appena il capo, sorridendo, e si alzò. -Andrà tutto bene. La sua forza sta finalmente venendo a galla. Non c'è bisogno di preoccuparsi tanto. E per quanto riguarda quel Jago... beh, ha già avuto troppe possibilità. Ma tornerà. E quando lo farà mi assicurerò personalmente che avrà ciò che merita, se consenti.- Uscì infine dalla stanza, lasciando Sean solo di fronte al tavolo, sul quale erano ancora flebilmente illuminati alcuni punti. Lui portò la mano alla mascella, tentando di calmarsi, mentre il sangue gli ribolliva nelle vene. Si lasciò poi cadere sul divanetto in pelle castano che gli era accanto. Accavallò le gambe e rovesciò la testa all'indietro, portandosi le mani all'attaccatura dei capelli, per poi esalare un respiro. Non credeva che sarebbe andata così. Si odiava per aver permesso che potesse accadere...ma, d'altra parte, che avrebbe potuto fare? Non è che potesse lasciare quel posto, comunque.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Erano passati due giorni da quando Rozen si era risvegliata nella minuscola stanza del bänt albino. In questo periodo aveva passato molto tempo con Oron, mentre lo guardava intento a studiare i suoi pesanti ed impolverati tomi rivestiti di cuoio. -Anche io avevo un libro simile...- mormorò Rozen una volta, fissando le pagine ingiallite e rovinate. -Cosa?- fece lui, riportato alla realtà dalla voce della ragazza. -Avevo un libro somigliante a quello. O meglio, azzarderei che si tratti dello stesso.- poi sorrise.
-Sarebbe una bella coincidenza.- aggiunse. Oron si voltò completamente verso di lei, poi abbassò per qualche istante lo sguardo verso il libro che teneva fra le mani. -Riesci a leggere cosa c'è scritto?- le chiese poi, girandolo verso di lei. Rozen allungò le braccia e prese il volume, portandoselo in grembo e scorrendo con gli occhi le righe per alcuni secondi. -Sì, ecco. Parla di una... ricetta? O qualcosa del genere. È una semplice lista di vari “ingredienti”, credo.- Oron corrugò le sopracciglia. -Come conosci questa lingua?- incalzò subito. -Non ne sono sicura. So di non averla mai studiata o imparata in qualche modo. Però anche il mio tomo era scritto con gli stessi caratteri e tutto sommato sono sempre riuscita a decifrarlo.- Oron riprese il libro e tornò alla propria sedia, un'espressione indecifrabile sul volto. -Ah... perdonami, ti ho fatto distrarre. È che mi annoio un sacco...-  fece Rozen. -No, sta' tranquilla. Anzi, se ti annoi così tanto posso farti leggere qualche libro. Sono tutti scritti con questi grafemi, ma se riesci a decifrarli non c'è nessun problema.- Rozen annuì, e Oron si alzò e si recò nell'altra stanza, per poi tornare con quattro grandi tomi, anch'essi rilegati in pelle e dall'aria antica. Li poggiò accanto al divano e Rozen gli sorrise. -Ti ringrazio.- fece. Oron non rispose e tornò a sedersi. -Solo una cosa- cominciò lei, prendendo il primo volume e sfogliandolo. -Per quanto tempo dovrò restare qui?- -Non lo so. Ti direi fin quando quella ferita non sarà completamente rimarginata, ma il cavaliere di Trystann mi ha ordinato di non farti allontanare.- Lo sguardo di Rozen vacillò un attimo, per poi tornare al libro che teneva fra le mani. Era una specie di romanzo riguardante la storia di un ragazzo e sua sorella, ambientata in una sorta di particolare villa padronale, chiamata Arcadia. La rossa si chiese per quale motivo un bänt avesse quel genere di libri. Non che fosse un male, ma insomma, non era una sorta di stregone? In più Oron le sembrava particolarmente minimalista, perciò non capiva.

Rozen chiuse il terzo volume quando era già tardi. Affondò nel divano, sbadigliando, e lasciando quasi cadere il libro dal proprio grembo. I piccoli globuli di luce che le fluttuavano attorno emanavano una luce fioca, come fossero stanchi anch'essi. Oron era uscito, e, nonostante avesse rassicurato la ragazza che non ci avrebbe messo molto, la rossa aveva l'impressione che fosse passato un bel po' di tempo. Considerando che Oron era un tipo abbastanza schivo e riservato, e che viveva in un paio di minuscole stanze sottoterra, da solo, la cosa non la preoccupava: anche lei, se fosse stata al suo posto, avrebbe preferito prendere un bel po' d'aria; si rendeva conto che la sua presenza lì non era particolarmente ben accetta. Non perché Oron non fosse gentile, ovviamente. Ma Rozen sapeva di poter essere stressante, o almeno, questo era quanto James le ripeteva spesso. Nonostante non avesse fatto molto quel giorno, si sentiva sfinita, perciò non le ci volle molto prima di scivolare in un pesante sonno.

Questa volta, la coppia di bambini si era divisa. Lei giaceva addormentata in quella che sembrava la camera di un maschietto, nel letto che sembrava enorme in confronto a lei. In posizione quasi fetale, le sue manine stringevano le coperte verdi pistacchio a righe beige, mentre il volto era solcato dalle lacrime. Il tempo pareva sospeso. Era come se l’attesa della bambina fosse eterna ed... inutile. Insulsa. Un senso di agitazione attanagliò il cuore di Rozen, che si svegliò, sobbalzando. Stai tremando, stupida… Tentò di calmarsi mettendosi a sedere e guardandosi attorno, nel buio. Passò le palme delle mani sul proprio volto una, due, tre volte, sperando di placare quella sensazione angosciante che si stava facendo largo dentro di sé. Era inutile. Era tutto inutile. James l’aveva abbandonata lì. -Fanculo James- ringhiò fra i denti, scattando in piedi. Voleva fuggire. Aveva solo bisogno di scappare, di correre via, prima che quel posto diventasse troppo opprimente. I suoi respiri si fecero sempre più veloci, mentre dei piccoli globuli di luce apparvero ad illuminare la stanzetta. Afferrò uno dei mantelli poggiati sull’unica sedia e lo indossò, sperando di non morire assiderata. Non che le importasse. Aveva solo bisogno di uscire da lì, o sapeva che sarebbe morta comunque.

***

 Una Rozen smagrita, livida e sporca inciampò su un mattone fuoriuscito dalla strada malridotta. Rotolò poco più avanti, nel fango, e fece per alzarsi, invano. Provò a trascinarsi avanti, verso il cancello, ma era troppo esausta e le mancava il fiato. Doveva correre. Se solo fosse arrivata a quel cancello sarebbe stata al sicuro. L’avrebbero raggiunta presto...
Il sangue sgorgava ormai copiosamente da una gamba, lasciando dietro di sé una scia scarlatta e dall’odore pungente. Il suo cervello non ragionava più. Mise insieme le sue ultime forze e continuò ad avanzare, carponi, mentre la fatica le si accumulava sulle spalle. Non avrebbe permesso che tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani. I respiri si fecero sempre più veloci, e mentre la mente le si annebbiava, un peso le saltò sulla schiena, seguito da un ringhio. Cadde definitivamente a terra, e il colpo le tolse il fiato. Alzò lo sguardo vacillante. La villa padronale dai mattoni scuri fu l’ultima cosa che il suo cervello riuscì ad elaborare.


 

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