Die Geschichte von Katharine

di Daleko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***



Capitolo 1
*** 1 ***




1.
 
 
La giovane Katharine von Hohenstaufen, in piedi sulla balaustra che dava all'esterno, si protendeva pericolosamente in avanti. L'espressione triste dipinta sul volto giovanile avrebbe stretto il cuore a chiunque, ma la servitù era intenta nei preparativi per il viaggio e così il resto della famiglia. Nonostante la sua giovane età, quindici anni appena, Katharine conosceva già la storia e le imprese dei suoi avi: istruita e intelligente, dotata di grande sensibilità, la ragazza possedeva anche un aspetto tale da far invaghire chiunque con una sola occhiata. Fisico snello e atletico, pelle chiarissima, occhi d'un azzurro intenso e una folta chioma bionda, rassomigliante a quella di sua madre, che le dame da compagnia di Katharine si divertivano ad acconciare. Insomma: era bella, tra le più belle delle nobili della Svevia e forse anche dell'Allemagna tutta, eppure il suo viso era pensoso e intristito. Le lunghe ciglia fremevano nella brezza di fine estate e le gonfie labbra rosee mandavano, sussurrando, dolci parole alla Foresta Nera. Una voce d'uomo la colse d'improvviso, inducendola a voltarsi senza perdere l'equilibrio.
«Kathe, dobbiamo andare» la informò un ragazzo alto e d'un paio d'anni più grande di lei. Di pari bellezza, anch'egli biondo ma dagli occhi cinerei, la fissava suo fratello Gerhard. Katharine scelse volutamente d'ignorare la sua espressione preoccupata, aprendo le braccia e tendendole a mo' di ali. «Non voglio. Mi lascio andare» rispose con piglio capriccioso. Gerhard sospirò. «Violante non ne sarebbe contenta» ribatté prontamente. «Non m'importa nulla di Violante» continuò Katharine, pendendo pericolosamente all'indietro. Preoccupato, il giovane fece un passo avanti. «Heinrich nemmeno» puntualizzò, fermando la ragazza con quelle parole. Heinrich, secondogenito della casata Hohenstaufen ma primo figlio maschio dei suoi defunti genitori, era il Principe Elettore nonché il favorito di Katharine, l'unico in grado di tenere sotto controllo le sue bizzarrie e i suoi volubili capricci poco affini a una principessa. Gerhard però sapeva bene che la simpatia della piccola Hohenstaufen era ricambiata, rendendo così Heinrich incline a giustificarla spesso e senza complicità alcuna; si prendeva così la libertà di insinuare, quando gli era necessario, un eventuale turbamento d'animo del fratello maggiore per ammansire Katharine. Era l'unico ad agire in questo modo: una speculazione simile da parte di persone di rango inferiore sarebbe sfociata, ovviamente, in una punizione per tale libertà non concessa; l'unica altra persona che avrebbe potuto farlo, Violante, non perdeva tempo in simili sotterfugi. Tra le due sorelle, la cui differenza d'età era di ben dieci anni, non correva buon sangue: tendevano a ignorarsi e Violante, godendo della sua posizione di primogenita, si limitava a comunicarle freddamente le sue decisioni sulla loro vita come l'istruzione, le comparse tra i villici e i viaggi, com'era accaduto qualche sera prima. 
Katharine saltò giù dalla balaustra, toccando suolo con leggerezza e inducendo Gerhard a un lieve sospiro di sollievo. «Non voglio partecipare comunque a questa stupida cena. Che necessità ne abbiamo?» si lagnò ancora dirigendosi verso l'interno della sua camera. Gerhard la seguì volgendo gli occhi al cielo. «È una cena di gala tra le famiglie elettrici. Puoi comprenderne l'importanza» la informò soffermandosi sulla figura della sorella. Pensò che stesse crescendo bella, ma troppo viziata. Infilò le mani in tasca, avendo l'accortezza di non sgualcire il suo costoso abito su misura. Era già tutto pronto: i bagagli erano stati portati in cortile ed erano pronti a partire. «Andiamo?» chiese ignorando un'eventuale risposta, incamminandosi per primo verso l'esterno della camera da letto. Katharine sbuffò, ondeggiò con leggerezza i capelli acconciati e seguì docilmente il fratello all'esterno, rimpiangendo la sua vista sull'immensa Foresta Nera.



 

Note dell'autore ~
Ovviamente i personaggi, gli avvenimenti e tutto ciò che seguirà questo capitolo non sono cose realmente accadute, benché ispirate dalla casata realmente esistita degli Hohenstaufen. Essendo questo racconto un po' difficile da scrivere (e prestissimo scoprirete anche il perché), v'invito a lasciare una recensione per farmi sapere i vostri pareri in merito: se vi è piaciuta, non vi è piaciuta, se non ci state capendo nulla, se vi incuriosisce... Qualunque cosa mi faccia capire che qualcuno legge i miei scritti è ben accetta.
Grazie dell'attenzione!

 

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


2.
 
 
L'albergo era tra i più lussuosi di quell'inizio secolo. Accennando inchini agli altri Principi Elettori, incontrando sue pari tra i corridoi egregiamente decorati, Katharine fingeva un'allegria che non le apparteneva. Arrivata alla sua stanza, sentendosi su di uno di quei transatlantici di cui aveva sentito parlare, richiuse la porta dietro di sé sbuffando e scuotendo i capelli dorati. Crucciata da qualcosa che cercava d'ignorare, volse lo sguardo intorno nel ricercare le sue proprietà. Le iridi chiare si posarono dapprima sullo scrittoio e sulla scranna dorata lì vicino, poi verso l'armadio perlaceo contenente i suoi abiti e infine, annoiata, tentò d'intrattenersi nell'ammirare le decorazioni alle pareti, sul soffitto e tutt'intorno. Dopo una manciata di minuti rinunciò al tentativo di distrarsi, si diresse a grandi passi verso il letto a baldacchino e si gettò sul morbido materasso con una smorfia di fastidio. Incrociò le mani sul petto, batté un tacco sulla moquette scura per qualche tempo e fu infine interrotta dal delicato bussare alla porta. «Desidero non essere disturbata!» scandì con irritazione senza spostare lo sguardo dal drappo di seta. La porta si aprì comunque, inducendola a scattare ritta seduta con le gote arrossate, ancora più bella del solito. «Ho espressa– Oh!» s'interruppe all'improvviso con un soffio a fior di labbra. Heinrich era fermo sulla porta, con una postura perfetta e parimenti perfetto nell'estetica. Katharine non aveva molte occasioni di vedere suo fratello così ben agghindato: lo ritenne all'ultima moda, e notò quanto quest'ultima moda gli donasse particolarmente. Sulla camicia d'un bianco accecante aveva fatto annodare un plastron blu scuro fermato con una perla, mentre lo smoking nero tendeva a risaltare la sua carnagione chiara. Le scarpe basse, perfettamente lucide d'un profondo nero, erano coperte da eleganti ghette in tessuto grigio scuro. Ciò che però colpiva maggiormente Katharine era il cilindro, anch'esso nero, che Heinrich portava lievemente inclinato verso destra. Volto completamente sbarbato, capelli pece che donavano ai suoi occhi azzurro ghiaccio. La ragazza si alzò rapidamente, ravvivandosi i capelli. «Non sapevo che foste Voi, Heinrich, perdonatemi» si scusò con un cenno rispettoso del capo. Il fratello le sorrise benevolo. «Non è importante, Kathe. Sono quasi le diciotto, avrei mandato la servitù ma so che non avresti prestato ascolto ad altri. È ora di cena» la informò con tono pacato. La squadrò per un attimo mentre la sorella continuava a maneggiare la pettinatura. «Almeno hai un abbigliamento appropriato. Dopo di te» la invitò a uscire con un gesto della mano e Katharine obbedì pacatamente. La sinuosa forma del suo corpo era accentuata dagli strati di seta blu che inspessivano la sua figura in un abbigliamento elegante che non apprezzava eccessivamente. Il busto le modellava le forme e i sottili guanti bianchi le pizzicavano sui polpastrelli. Uscì nel corridoio adornato di lumi dorati e tappeti rubino e si diresse verso le scale, seguita da suo fratello. Le donne presenti, ridendo e cinguettando tra loro, indossavano dei piacenti cappellini adornati, per lo più, da piume di struzzo. Katharine adocchiò altre sue coetanee, anch'esse sprovviste di cappelli, e accennava gentili saluti col capo nell'incrociarle. Tutte arrossivano nell'incontrare lei o suo fratello, immediatamente dietro di lei; la bellezza non solo d'animo, ma anche d'aspetto della casata Hohenstaufen colpiva tutti, che mormoravano al loro passaggio e che premevano sul fastidio di Katharine. «Fratello, era proprio necessario quest'evento sociale?» domandò titubante nello scendere le scale. Heinrich le porse il braccio cui lei si appoggiò con reverenza. «Katharine, non essere sciocca. Era indispensabile» le rispose a mezza voce mentre scendevano l'elegante scalinata.
Katharine non era pronta per quello che l'aspettava: nell'entrare nella spaziosa sala, parzialmente inondata dal fumo delle sigarette, fu stordita da un lampo accecante. Un crocchio di giornalisti si teneva in disparte per testimoniare l'evento. La giovane si sentiva confusa a causa dell'incessante parlottare dei presenti, del quartetto d'archi intento a suonare per intrattenere i nobili e per i lampi provenienti dalle macchine fotografiche. «Non riuscirò mai a tollerarli!» si lagnò con il fratello. «Sono un'offesa al buon gusto e all'arte intera» continuò mentre si dirigevano al tavolo. Heinrich ridacchiò divertito e al loro arrivo Violante e Gerhard, già seduti all'adornato tavolo circolare, si alzarono in segno di rispetto. Katharine si sciolse dalla presa gentile del fratello, salutò rispettosamente i suoi altri due familiari e attese con loro che Heinrich si sedesse, prima di accomodarsi a sua volta. Dei servitori accorsero per sistemare la loro seduta e la giovane, con il busto dritto e ben composta, si volse verso Gerhard. «Non avete trovato il viaggio stancante, fratello mio?» gli chiese quasi cinguettando per far passare il tempo. Violante, con il cappellino di piume ben sistemato sui capelli biondi, le rivolse un'occhiata di disappunto. Tenendo con leggiadria il bocchino lontano dalle labbra ben dipinte, la rimproverò: «Katharine, non usare quel tono squillante in pubblico» disse con voce contenuta. La giovane si corrucciò, cercando con lo sguardo Heinrich che, di suo, si volse nuovamente verso Gerhard. «Hai portato i miei omaggi ai von Lothringen?» domandò con sguardo pacato. Gerhard, anch'egli vestito con abiti eleganti –ma distinto da un doppiopetto e una semplice cravatta blu scuro– annuì. «Ricambiano rispettosamente e ci invitano, per domani sera, a una serata di gala in città» rispose. Katharine si lasciò andare a un breve sbuffo, venendo subito fulminata con gli occhi da sua sorella. Heinrich sorrise mentre la servitù si spostava fra i tavoli per servire loro i piatti. «Ottima idea. Desidero da tempo che la piccola Katharine si avvicini al figlio minore di Konrad, Hermann. Le nostre casate ne gioverebbero in caso di una sincera amicizia» pronunziò con calma; la mano destra si spostò verso la forchetta al lato del piatto, imitata da quelle di Violante e di Gerhard. Katharine, inebetita, sentì le gote avvampare e si voltò verso il fratello maggiore. «Scusatemi, Heinrich, ma temo di non capire» gracchiò con voce roca. Heinrich non alzò lo sguardo dal piatto. «Ne parleremo domattina, Katharine. Comportati educatamente, per favore» la rimproverò dolcemente. La ragazzina ci mise un po' per riuscire a ingoiare il primo boccone di quella che, rifletté, si preannunciava un
a lunga serata.




 

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Capitolo 3
*** 3 ***




3.
 
 
La cena volgeva a termine e le risate femminili s'intrecciavano sinuose con il suono degli archi. C'era un gran chiacchiericcio nella sala da pranzo e gli abiti costosi s'impregnavano del fumo che offuscava le figure. I fotografi ogni tanto chiedevano a qualcuno di posare: spalle indietro, labbra in fuori e occhi al di sopra della spalla, civettuole, in attesa che il rossetto si trasformasse in una fredda scala di grigi con cui condire i giornali. Katharine non si sentiva a suo agio tra quelle persone: pallida, ancora più bella con le labbra chiare arricciate in una smorfia infantile, sfuggì all'attenzione dei fratelli e tentò di rifugiarsi nella sala adiacente: più piccola e contenuta, appena più riservata, alla giovane ricordò l'interno di una noce. Ogni superficie era di legno e il bancone del bar l'attraeva come seno materno. Fece qualche passo all'interno della sala, osservando gli altri suoi pari rifugiatisi lì per conversazioni discrete, e i suoi boccoli biondi cominciarono ad arricciarsi fra le sue dita affusolate. Il disagio cominciava a svanire, lasciando posto a un turbamento che sperava di riuscire a dimenticare presto. Si avvicinò al bancone, schiudendo appena le labbra in direzione dell'uomo intento a riporre delle bottiglie. 
«Katharine von Hohenstaufen, Vi rifugiate lontana da Vostro fratello?» chiese una voce alle sue spalle. La ragazza si voltò lentamente, stendendo le braccia lungo i fianchi in una posa educata e sorridendo gentile. «Dai fotografi, temo. Voi quale scusa avete?» rivolse la domanda al giovane uomo davanti a sé. Di poco più grande di lei e di qualche centimetro più alto, gli occhi del suo conoscente sembravano essere anche più azzurri del solito. Alzò istintivamente la mano destra per riportarla ai capelli, ma distogliendo lo sguardo dagli occhi dell'altro, fissi nei suoi, il suo gesto venne frainteso: il ragazzo portò la gamba destra a piegarsi all'indietro in un breve inchino e la mano libera intercettò la sua. Katharine arrossì violentemente, lanciando un'occhiata intorno: aveva dimenticato di aver sfilato i guanti per poggiarli sul tavolo, dando così il tacito permesso di omaggiarla in modo formale. Le labbra del ragazzo sfiorarono galantemente il dorso della sua mano e il suo tocco era caldo e piacevole. Il baciamano terminò dopo un momento, ma il cuore della ragazza continuava a tremare. L'altro le sorrise. «Il richiamo del bourbon» rispose con tranquillità, alzando piano il bicchiere tenuto nella mancina. Katharine batté le palpebre un paio di volte: non l'aveva notato. «Oh!» soffiò con la bocca chiusa in un piccolo cerchio. Il ragazzo rise di gusto scoprendo i denti bianchi. «Guardatevi, Katharine, non siete cambiata affatto! Siete sempre la giovane donna più bella dell'Allemagna. Qual è il vostro segreto?» la prese in giro prima di riportare il bicchiere alle labbra. Non interrompeva il contatto visivo e la ragazza si sentiva sempre più imbarazzata: le gote purpuree la rendevano, se possibile, ancora più bella. «Uh, io...» balbettò per un istante. 
«Katharine, Hermann! Vedo che vi siete già incontrati» esclamò una voce. Entrambi si voltarono a guardare l'uomo in avvicinamento: sulla sessantina, vestito con eleganza nonostante il fisico poco atletico e con una tuba simile a quella di Heinrich ben dritta sul capo. Gli occhi erano appena più grigi di quelli dell'altro e i capelli ormai bianchi, ma nonostante i segni dell'età Katharine lo riconobbe facilmente come il padre del ragazzo. «Duca Konrad von Lothringen, è sempre un piacere vederVi» lo salutò rispettosamente alzando morbida la mano destra. Il duca s'inchinò in modo più elegante del figlio e le sfiorò con un soffio il candido dorso della mano. Katharine ricambiò il saluto con un rispettoso cenno del capo. «Stavo giusto parlando con Vostro fratello. È molto tempo che non si partecipa a una battuta di caccia assieme. Ricordo meravigliose giornate in compagnia di Vostro padre. Non si fermava neppure dinanzi alla neve fresca: quanto hanno patito, quei poveri cavalli» raccontò ridendo di gusto. Hermann colse al volo l'occasione. «Sarei onorato di esplorare la Foresta Nera in Vostra compagnia, Katharine. L'ultima volta che ho visitato la Svevia eravamo troppo piccoli per cavalcare» ricordò anch'egli con un sorriso. Katharine arrossì di nuovo. «Oh, Hermann, non sono poi così brava a cavallo. Ho spesso preferito visitarVi in Lorena, da bambina: i parchi della vostra magione sono unici in tutta l'Allemagna» ricambiò con un timido sorriso; il continuo contatto visivo con l'altro le scuoteva le membra. Finalmente Hermann cercò l'altro uomo con lo sguardo. «Mio padre ha una vera mania per gli animali esotici» scherzò prima di tornare con l'attenzione su di lei. Prese un altro sorso dal bicchiere quasi vuoto. «Mi avete reso davvero felice, accettando l'invito per domani. È molto tempo che desideravo rivederVi» le mormorò con uno sguardo troppo penetrante per non risultare attraente. Katharine si voltò verso Konrad, ma l'uomo si era spostato di qualche passo per salutare altre persone. Si sentì in trappola e l'aria cominciò a mancarle. «Sì, la serata, Io... Temo di non sentirmi molto bene, Hermann, perdonatemi. La testa mi duole insopportabilmente» si congedò. Aveva la fronte imperlata di sudore e una mano venne portata alla tempia. Il ragazzo scrutò lo sguardo basso dell'altra, trovandola troppo pallida per essere in buona salute. «Katharine, necessitate di aiuto? Posso chiamare...» offrì il suo aiuto, ma venne interrotto subito dall'altra. «No, Hermann, Vi ringrazio per l'apprensione. Ho solo bisogno di stendermi, perdonatemi l'improvviso congedo» concluse con un filo di voce prima di dirigersi verso l'uscita. Hermann la fissò andar via con sguardo preoccupato; sembrava non riuscire a reggersi in piedi. 

Katharine si sentiva invasa dal panico. La cacofonia di suoni, odori e colori intorno a lei si confondevano con le lacrime che le offuscavano gli occhi chiari. Procedeva a fatica nella sala da pranzo; si appoggiò debolmente a una sedia, tremando visibilmente mentre con lo sguardo cercava la scalinata. Urtando qualcuno, malferma sulle gambe, risalì le scale discese poche ore prima con un diffuso senso di nausea. Il malessere l'avvolgeva come un manto troppo pesante.
«Käthe! Käthe, stai bene?» la raggiunse la voce preoccupata di suo fratello. La ragazza si voltò a guardarlo: era appoggiata al muro, con le dita artigliate sul legno del corrimano e la mancina stretta sul petto. Il cuore le batteva tanto forte da dolerle il petto, e mentre Heinrich saliva velocemente le scale lei non poté trattenere un gemito. Erano al coperto dalla sala, quindi potevano discorrere senza badare all'etichetta. «Käthe, cos'hai? Ti senti male?» Le chiese a voce bassa e con un'espressione accigliata a corrugargli il bel volto. Le mani le afferrarono le braccia coperte, appena sotto le spalle, e la strinsero per impedirle di tremare. «Heinrich, io non posso andare a quella serata domani. Vi prego. Non posso» si lamentò deglutendo a fatica. Alzò gli occhi su quelli ghiaccio del fratello, mentre le lacrime cominciavano a bagnarle le gote. Heinrich si corrucciò ulteriormente. «Katharine, non stai andando in sposa. È solo una serata...» provò a confortarla, ma la ragazzina scoppiò in lacrime. Stupito, il moro la strinse a sé portandole una mano dietro la nuca. «Calmati, calmati! Katharine, non puoi mettermi sempre in queste situazioni difficili... Ma stai tremando? Perché stai tremando?» le chiese ancora confuso. Si sciolsero dall'abbraccio in un tentativo della giovane di andar via. Heinrich la fermò nuovamente per un braccio. «Vi prego, Heinrich, lasciatemi stare... Per l'amor di Dio, lasciatemi stare...» si lamentava fra le lacrime, un piede già sul gradino successivo e il viso rivolto verso il piano superiore. Il fratello lasciò che salisse lo scalino, seguendo il suo passo senza lasciare la presa. La mano scivolò sul braccio fino a bloccarsi intorno al polso nudo: Heinrich non usava abbastanza forza da farle male, ma sapevano entrambi che non avrebbe potuto liberarsi dalla sua presa. «Käthe, ti lascio, ma spiegami perché rifiuti Hermann in questo modo. È una persona a modo, c'è sempre stata amicizia tra voi...» tentò di parlarle ma venne nuovamente interrotto. Katharine era scoppiata di nuovo a piangere. «Eravamo bambini, Heinrich! Bambini! Non ci sarà mai alcun affetto tra noi...» gemette con gli occhi rossi dal pianto. Il fratello la fissava dal gradino più in basso; non aveva quasi bisogno di muovere il capo per guardarla dritta tra le lacrime. «Come puoi dire questo, Käthe?» le chiese con tono appena più duro. La ragazza comprese che ai suoi occhi il tutto sembrava solo il capriccio di una bambina. Singhiozzò ancora. «Perché non posso, Heinrich, preferirei andare in sposa al Signore anche subito, subito!» esclamò straziata, quasi urlandogli in volto. Il ragazzo la sentì tornare a tremare violentemente sotto la sua presa; la scosse con forza. «Katharine, sei ammattita? Ma cosa stai farneticando?!» domandò ancora con tono irato. La ragazza tornò a guardarlo, scossa dai singhiozzi ma ora in silenzio. La rabbia gli disegnava sottili rughe ai lati degli occhi, gli angoli delle labbra erano rivolti verso il basso e la mascella serrata. Sospirò un ultimo gemito, chiudendo gli occhi con la disperazione dipinta in volto. Tornò a divincolarsi. «Lasciatemi, lasciatemi, lasciatemi...» mormorò in una nenia addolorata mentre continuava a contorcersi. Entrambi i polsi erano stretti tra le mani di Heinrich e dopo qualche istante Katharine si fermò, tendendo improvvisamente le braccia verso il basso. Il fratello la guardò stupito fare un passo in avanti; il viso della giovane era troppo vicino al suo e spinse indietro il capo con un movimento brusco, facendo cadere la tuba giù per le scale. Sua sorella lo fissava negli occhi con uno struggimento d'inconfondibile amore; non riusciva a comprendere cosa stesse accadendo e vide solo la bocca di Katharine scandire un muto pensiero. «Ti prego» soffiò appena con le labbra tremanti, poi le poggiò sulle sue. Le lunghe ciglia di sua sorella erano chiuse, imperlate dalle lacrime, e il suo dolore salato stretto nell'unione delle loro labbra. Incredulo lasciò la presa e fece un passo indietro, scendendo di un gradino per poi oscillare pericolosamente. Non cadde, restando a fissare con le labbra schiuse la figura di sua sorella minore, scossa dalle lacrime, voltarsi in preda al pianto per poi correre al piano di sopra. Heinrich era impallidito; non riusciva più a muoversi. 



 

Note dell'autore ~
Spero che questo capitolo (in cui finalmente abbiamo introdotto l'incest, yay) vi sia piaciuto almeno quanto è piaciuto a me scriverlo, ossia: davvero tanto! ❤️
Ne approfitto per comunicarvi che è finalmente uscito il mio primo libro, pubblicato da Genesis Publishing a fine febbraio. Potete trovarlo qui e un po' in tutti gli store online. Enjoy! 

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Capitolo 4
*** 4 ***


4.
 
 
Raggomitolata sul letto, con le scarpe gettate sul tappeto e il vestito a coprirle pudicamente le gambe e i piedi nudi, Katharine piangeva tutte le sue lacrime in uno dei gonfi cuscini ricamati. Singhiozzò disperata per almeno venti minuti prima che un lieve bussare provò a interrompere il suo dolore. «Andate via!» esclamò con la voce rotta dal pianto prima di tornare ad affondare il viso nel cuscino. La porta si aprì comunque, lentamente, per poi richiudersi dopo pochi secondi. Katharine rimase in silenzio; udì dei passi maschili avvicinarsi al letto e poi il peso di un corpo seduto sul bordo. Alzò il viso, ruotando il busto verso la camera ma restando parzialmente distesa: incontrò l'espressione preoccupata di Gerhard, intento a scrutarla con i suoi penetranti occhi grigi. Katharine aveva il viso gonfio e arrossato dal pianto, così come gli occhi; le labbra le tremavano e le guance erano rigate dalle lacrime. Non aveva modo di mentirgli e così rimase in silenzio, tremante, a fissarlo in attesa. «Heinrich è sceso in sala visibilmente turbato. Non sono molti in grado di sconvolgerlo in questo modo e ho intuito ci fosse una diatriba tra voi» spiegò la sua presenza nella camera di Katharine. Aveva le dita intrecciate e i pollici, irrequieti, continuavano a sfiorarsi. «Mi sembri più sconvolta di nostro fratello. Cos'è accaduto?» domandò con gentilezza. Sperava di riuscire a calmarla, invece ottenne una nuova crisi di pianto: la rägazza si coprì il viso con le mani, piegando le gambe verso il cuscino e gettandosi fra le braccia di Gerhard, che la strinse prontamente per confortarla. «Käthe, te ne prego, non piangere così... Qualunque sia la causa del tuo dolore ricorda che c'è una soluzione» le disse con tono calmo e rassicurante. Katharine scosse la testa con forza. «No, Gerhard, no, ho rovinato tutto... Ho rovinato tutto...» si lamentò lei tra i gemiti del pianto. Gerhard alzò un sopracciglio. «Ti riferisci ai von Lothringen? E' stato Hermann a turbarti in questo modo?» chiese ancora, ottenendo un altro vigoroso segno di diniego dalla sorella. «No, no!» esclamò con disperazione. Gerhard rimase in silenzio a osservarla: stretta fra le sue braccia, con il viso bagnato e tremante infilato fra un braccio e il petto magro del ragazzo, gli sembrò di avere in braccio nuovamente una piccola Käthe. Il ricordo della loro infanzia lo fece sorridere mestamente. «Käthe, se non mi confidi cos'è accaduto non potrò aiutarti. Si tratta di Heinrich?» indagò a bassa voce; il brivido che scosse il corpicino della sorella confermò la sua supposizione. Sospirò. «Hai disobbedito a qualcosa d'importante?» provò a indovinare. Katharine non parlò, stringendosi dapprima nelle spalle e scuotendo poi il capo. Si strinse ancora più forte al fratello. «Parlami, sii gentile» la incoraggiò a confidarsi; finalmente Katharine alzò lo sguardo arrossato e colmo d'angoscia. Lo fissava negli occhi cercando di dimostrarsi forte, ma il tremore incontrollato al labbro inferiore la tradiva. 
«Gerhard, io...» balbettò. Continuava a tremare, interrompendosi. Al ragazzo sembrò di scorgere della paura sul suo volto e si incupì preoccupato; Katharine si rannicchiò con più decisione, tirando a sé le gambe fin quasi scomparendo nella gonna. «Io... Provo d-dell'affetto per Heinrich» balbettò mentre nuove lacrime tornavano a sgorgare dai suoi occhi chiari. Le bionde sopracciglia di Gerhard si alzarono in due piccoli archi di stupore, mentre Katharine gli gettava le braccia al collo stringendolo con forza. Ricambiò l'abbraccio dopo un momento di confusione senza dire una parola. «Oh Gerhard sono così stupida, così stupida!, e me ne vergogno così tanto... Non so più che cosa fare, sono una tale sciocca...» continuava a mormorare tra le lacrime. Gerhard sospirò, sciogliendo l'abbraccio e stringendo con dolcezza le spalle di Katharine tra le mani. «Non biasimarti. Heinrich è tuo fratello, è normale provare affetto e gelosia verso un familiare. Heinrich capirà la tua confusione, ne sono sicuro» la confortò con un sorriso incoraggiante. Katharine abbassò il capo, scuotendolo lentamente. «No, io... Prima io ho.... Ho...» balbettò ancora senza riuscire a concludere la frase. Il fratello la guardò con aria di rimprovero. «"Omnis homo ad proximas sanguinis sui non accedet ut revelet turpitudinem", Käthe. Non dire altro, pentiti e chiedi perdono al Signore. Sono sicuro che questa confusione svanirà presto» ripeté recitandole un versetto del Levitico. Katharine singhiozzò. «Gerhard, fratello mio, io non so più che cosa fare...» si lamentò ancora; il ragazzo la scosse debolmente per le spalle, cercando lo sguardo della sorella scivolato lentamente al suolo. «Riferirò il tuo pentimento a Heinrich. Prega finché la Luna non è alta, poi dormi serena fino a domattina e vedrai che sarà tutto passato. Sii forte e non cedere a queste perversioni: tutto ciò che facciamo è per il tuo bene» la tranquillizzò ancora; Katharine annuì, apparentemente più calma. «Vi ringrazio, Gerhard. Non saprei cosa fare senza di Voi» mormorò. Il fratello sospirò, poi si alzò sorridendo e lasciando una Katharine più tranquilla ma non ancora felice. «Ci vediamo domattina. Comando una delle dame di restare accanto alla tua porta. Buonanotte e che Dio ti benedica» si congedò aprendo la porta della stanza. «Buonanotte, che Dio Vi benedica» mormorò in risposta mentre la porta veniva richiusa silenziosamente. Fissò il vuoto per svariati minuti, ancora con gli occhi gonfi e arrossati, prima d'intonare un debole Pater Noster.


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Capitolo 5
*** 5 ***



5.
 
 
La stanza in cui albergava Heinrich era molto spaziosa e lussuosamente adornata. Gerhard richiuse la porta dietro di sé, avanzando di qualche passo sui tappeti ricamati. La camera da letto era vuota; si diresse quindi verso destra, varcando l'arco che portava al salotto. Heinrich era seduto sul bianco sofà al centro della stanza; era rimasto in camicia e sul suo candido colore spiccavano le bretelle scure. Le gambe erano accavallate con garbo e la mano destra reggeva un bicchiere di vino rosso; nonostante l'atteggiamento all'apparenza rilassato, Gerhard riconobbe l'espressione tesa sul volto di Heinrich e ben la ricollegò a quanto udito poco prima dalla sorella minore. C'era anche un altro particolare che non lasciava molto spazio ai dubbi, e fu quello che lo preoccupò maggiormente. «Omaggi, Heinrich. E... Salve, Violante. Spero di non interrompervi» si introdusse pacatamente. Heinrich rispose con un educato cenno del capo; Violante, rivolta inizialmente verso la finestra, si voltò con espressione furiosa. Non indossava più il cappellino e il trucco, abbellimento gradevole sul suo sorriso, donava un'aria ancor più spaventosa a quel viso adirato. «Niente affatto, Gerhard. Ho ipotizzato fossi da nostra sorella e ho preferito non disturbarti» spiegò lentamente il Principe. Violante fece qualche passo in avanti, nella loro direzione, con andamento impettito. «Gerhard, spero che quella... Piccola... Che Katharine», marcò con irritazione a un'occhiata di rimprovero di Heinrich, «Vi abbia detto ciò che ha fatto» aprì l'argomento scottante. Gerhard sospirò, poi si voltò verso il fratello ignorando Violante. «Heinrich, Katharine è molto pentita e Vi porge le sue più sincere scuse. Era sconvolta e...» provò a fare da mediatore in quella terribile situazione, ma venne bruscamente interrotto. «Ancora la difendete, Gerhard?!» chiese retoricamente la sorella con voce isterica. «Suvvia, Violante, un po' di educazione» la rimproverò Heinrich. La donna divenne rossa in viso, ammutolendosi. Gerhard sospirò. «In ogni caso, fratello mio...» rispose Heinrich, alzandosi «temo che Katharine ti abbia mentito». Cominciò a passeggiare per la stanza, facendo roteare piano il vino all'interno del calice. «Vedi, io... L'ho guardata. Negli occhi» specificò nel silenzio assoluto. «Aveva uno sguardo intenso, e sincero... Quando ha detto di provare affetto nei miei confronti io non le ho creduto» ammise tornando a guardare Gerhard. Strinse le labbra in una smorfia. «Poi l'ho guardata negli occhi ed era mossa dalla sincerità. Quindi ne sono addolorato, Gerhard, ma temo che ti abbia mentito» concluse con un sospiro. Prese poi un sorso di vino mentre Violante tornava a parlare. «Basta. Quella ragazzina ha toccato il fondo. Dev'essere mandata in Svizzera! Spedita in un collegio femminile. Ha bisogno di... Di disciplina!» s'infervorò ancora. Gerhard cominciò a massaggiarsi le sopracciglia con la mano destra, pensoso. «Violante, io... Io la ritengo una punizione spropositata» ammise a mezza voce, mandando sua sorella su tutte le furie; la donna pestò i piedi, alzando la voce. «Gerhard, come potete difenderla ancora?!» chiese indignata. Gerhard rialzò lo sguardo su di lei. «Non si tratta di difendere qualcuno. È nostra sorella, una Hohenstaufen e non ho alcuna intenzione di farla rinchiudere in un istituto!» sbottò improvvisamente. Violante inasprì ulteriormente il suo tono. «È malata! Malata, Gerhard, mentalmente deviata! Ha...» rimarcò le sue azioni, improvvisamente interrotta dall'altro. «È solo una vendetta meschina, Violante! Voi l'avete sempre odiata, da quando è nata!» l'accusò irato. Violante si zittì con gli occhi improvvisamente lucidi. «Ha ucciso nostra madre. È una ragione sufficiente per mal tollerare chiunque» mormorò. «Non ha ucciso nessuno, è morta di parto! Di parto, Violante!» quasi urlò l'altro. La donna tremò per un momento. «Non cambia la realtà dei fatti. Dev'essere allontanata» continuò con voce tremante. Gerhard s'impose. «Giammai. Piuttosto che sottostare a una simile infamia, andrei via con lei» la difese ancora. Violante scoppiò a ridere, amareggiata. «Oh, Gerhard, come siete anacronistico con il vostro spirito salvatore! Siete sicuro di non essere geloso di Heinrich?» chiese inviperita; il ragazzo scattò in avanti. «Non vi permetto simili insinuazioni!» abbaiò incredibilmente adirato. Violante fece un passo indietro ed Heinrich, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, scagliò il bicchiere contro il muro più vicino. Violante e Gerhard si voltarono verso il fratello maggiore, stupiti. «Non tollero questo comportamento inadeguato in mia presenza. Siete vergognosi, mai mi sarei aspettato un simile comportamento da voi due!» esclamò nero di rabbia il rampollo della Casata. Entrambi i litiganti sembrarono rimpicciolire dalla vergogna, a capo chino e con una postura degna del loro rango. «Uscite immediatamente da questa camera e comandate di cancellare tutti gli incontri dei prossimi giorni. Katharine ha una brutta influenza e ho intenzione di ripartire domani. Dovete solo vergognarvi per quanto è stato appena detto tra queste mura! E ora andate» li congedò adirato e seccato da quel teatrino. Gerhard e Violante obbedirono senza emettere un fiato ed entrambi si occuparono delle proprie mansioni, senza rivolgersi neanche una parola.

 

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Capitolo 6
*** 6 ***



6.
 
 
Non vi fu alcuna uscita in città e Katharine trascorse quei pochi giorni chiusa nella sua stanza. Quando tornarono a casa non vi fu nulla di diverso; corse nella sua camera e lì rimase, per due giorni interi, senza mostrarsi a nessun familiare e ammettendo, come uniche visite, quelle delle sue dame di compagnia. Esse avevano il compito di nutrirla, lavarla, vestirla e null’altro, osservando la giovane Hohenstaufen sprofondare in un sempre maggiore mutismo. Katharine divenne estremamente silenziosa, pallida ed emaciata. Rifiutava il cibo, rifiutava la compagnia e piangeva ogni giorno e ogni notte il bel Heinrich che non le andò più a fare visita per i mesi seguenti.

Arrivò l’inverno, e con esso le cose più belle e più tristi dell’anno: i camini si accendevano, la foresta si ricopriva di neve, le persone si coprivano con pellicce e abiti pesanti, l’umore era estremamente allegro o estremamente triste. Le dame di Katharine s’impegnavano a pettinarla nei modi più belli e sensuali che conoscessero, mentre la ragazza evitava finanche di specchiarsi. Novembre giunse e terminò, i giorni di dicembre si susseguirono in fretta uno uguale all’altro, e la vigilia di Natale finalmente arrivò, annunciandosi con un battito di nocche contro la porta.

Il mattino era ancora gelido, Katharine era stava vestita e ora sedeva alla scrivania; era intenta a leggere, approfittando dei primi, veri raggi solari della fredda giornata invernale, e non rispose a quel rumore. Sapevano tutti che quando non voleva essere disturbata si limitava a non rispondere: era così fiduciosa di poter continuare la sua lettura senza altre fastidiose interruzioni. Fu costretta a ricredersi quando la maniglia si abbassò e qualcuno fece il suo ingresso in camera, costringendola ad alzare lo sguardo.
Alla porta vi era il motivo del suo più profondo dolore! Katharine rimase senza parole, dopo tutti quei mesi trascorsi senza vedere il fratello; era sicura che avrebbe dimenticato non solo i sentimenti che le animavano il cuore, ma anche i lineamenti del suo viso. Fu la seconda, errata convinzione da cancellare in pochi secondi; nel momento esatto in cui Heinrich attraversò la soglia, la giovane comprese senza ombra di dubbio di essere perduta.
«Felice vigilia, Kathe» la salutò Heinrich. Alla ragazza sembrò essere diventato ancora più alto, ancora più bello, ancora più affascinante; pareva brillare di luce propria, come una stella. L’osservò nei suoi occhi azzurri, vi ci specchiò in lontananza riconoscendosi in un puntino; il suo riflesso affogava nelle iridi del fratello, terribile quanto precisa metafora della sua vita. Schiuse le labbra pallide per rispondere a quell’augurio, ma non ne uscì alcun suono. Heinrich sembrava imbarazzato, e l’espressione era molto più dura rispetto quella che ricordava rivolgergli: una brutta sensazione annodava lo stomaco della ragazza. «Si approssima il tuo compleanno, Kathe, e spero che tu abbia avuto modo di riflettere sugli avvenimenti degli ultimi tempi. Hai quasi sedici anni ormai, ed è ora che tu ti assuma le tue responsabilità verso la nostra illustre casata. Il nome degli Hohenstaufen non si regge da solo e ognuno di noi è chiamato a mettere a servizio della casata la nostra stessa vita», le spiegava con voce inflessibile. Katharine non sapeva cosa pensare, e l’unica impressione che ebbe fu quella di un discorso imparato a memoria. Dov’erano i sorrisi? Dove, gli abbracci? Perché improvvisamente parlava di casate e responsabilità? Lo vide sospirare, un barlume di affetto represso lampeggiare sul suo volto. «Ci stiamo di molto impoverendo, mia cara sorella, ed è giusto che tu ormai lo sappia, anche se non concerne i tuoi doveri familiari. Ma sei giovane, e sei bella, e come noi tutti dovrai lavorare per la gloria della nostra famiglia» dichiarò. La voce era sì ferma e forte, ma il cuore di Katharine tremava: non riusciva a comprendere cosa Heinrich volesse dirle, e forse in fondo sapeva di non desiderarlo nemmeno. Provò a riaprire la bocca ormai secca e inaridita, ma ancora una volta non riuscì a proferire suono. Heinrich socchiuse gli occhi, il suo volto ebbe un fremito, poi tornò a guardare fisso la pelle giovane e chiara di sua sorella, fermando lo sguardo sul suo viso e sugli occhi già lucidi di spavento. «È per questo motivo che alla vigilia del nuovo anno, fra una settimana, andrai in isposa al duca Hermann von Lothringen. È già tutto pronto» si affrettò ad aggiungere alla fine.
Katharine fu colta da un turbinio di emozioni; era sorpresa, confusa, spaventata, affranta. La testa le girava terribilmente e quando si alzò di scatto ebbe un forte capogiro, rischiando di cadere. Si resse al legno pregiato della scrivania, graffiandolo con le unghie, e vide Heinrich indietreggiare. La porta si stava richiudendo e lei sapeva che non l’avrebbe più rivisto se non con un abito nuziale indosso. «NO! HEINRICH!» urlò fuori di sé; il viso era viola per lo sforzo delle lacrime trattenute e corse verso la porta a braccia protese; conosceva il fratello da così tanto tempo ch’era come se potesse leggerne i pensieri. Già sapeva, nell’istante in cui batté i pugni contro il legno della porta, ch’era stata chiusa a chiave. Sapeva anche che lui non avrebbe riaperto nonostante le urla, i pianti, il suo sfinirsi contro l’uscio colpevole d’essersi richiuso. Continuava a urlare: «Non farmi questo!», e per l’intera notte si udì solo: «Non punirmi così!». La piccola Katharine aveva pregato ogni giorno di quei lunghi mesi, nella speranza del perdono di Dio e del fratello, ma non aveva ottenuto nessuno dei due; così pregò con più forza, più lacrime e più disperazione, con il viso sul tappeto e il corpo stremato per tre giorni interi. Le dame avevano l’autorizzazione a entrare solo accompagnate da Violante, la persona più odiata da Katharine in quelle ore; era sicura, era davvero sicura che quella del matrimonio fosse stata una sua idea per allontanarla da casa, per allontanarla da Heinrich, per punirla di colpe non sue! Così tirò e tirò la scrivania fino a porla davanti alla porta, rendendone impossibile l’apertura. Non mangiò e non bevve per tre giorni, addormentandosi risvegliandosi coi brividi del mattino. All’alba del quarto giorno sentì la febbre scuoterla come una metamorfosi, per un attimo pensò che Dio l’avrebbe presa con sé quel giorno stesso ma poi udì il castello in fermento, solo poche ore dopo, alle prese con i preparativi. Pianse ancora, batté la testa contro il pavimento, urlò dalla disperazione come un animale in gabbia, ed era esattamente ciò che sentiva di essere e ciò che temeva di diventare: un nuovo animale esotico nella collezione Von Lothringen, da esporre in giardino ai visitatori. Poi venne la neve, all’alba del quinto giorno, e Katharine non poté non piangere per la sua foresta. La grande, immensa Foresta Nera che governava da lassù, affacciata a un davanzale che non avrebbe rivisto mai più.
Fu così che la giovane Katharine von Hohenstaufen si ritrovò nuovamente in piedi sulla balaustra che dava all'esterno, protendendosi pericolosamente in avanti. L'espressione triste dipinta sul volto giovanile avrebbe stretto il cuore a chiunque, ma la servitù era intenta nei preparativi per il matrimonio e così il resto della famiglia; inoltre, non è da dimenticare, questa volta la porta di camera sua aveva un lucchetto speciale, fatto di legno massiccio e impossibile da forzare. Era un giorno molto freddo e tutto era ricoperto di soffice neve. Le lacrime le si asciugavano pungenti sul volto pallido e magro, la neve s’impigliava tra le ciglia e le labbra e i capelli; gli occhi restavano aperti nonostante il vento leggero, fissi sulla Foresta Nera ironicamente bianca, ricoperta di neve; Katharine non poteva lasciarla andar via, lei non poteva andar via. Decise così, d’un tratto, che non sarebbe mai stata un animale in gabbia, né dei Von Lothringen né dei suoi stessi Hohenstaufen: aprì le braccia e le tese a mo’ di ali. «Non voglio, mi lascio andare» ripeté con aria trasognata; pensava a Gerald, alle sue parole appena quattro mesi prima. Quella volta il suo caro, caro fratello era riuscita a fermarla sfruttando il suo amore per Heinrich: ma in quel momento, pensò ancora Katharine, non c’era Heinrich a sorriderle e stringerla a sé… Per preservare intatto il suo cuore non le restava che volare. 



 
Note dell'autore
La storia di Katharine termina qui, ma se l'hai apprezzata potrebbero piacerti anche Amore Proibito, Quelle ore buca all'Università, Queste non sono le mie memorie, Quella volta che Michi si è rovinato la vita. Sì, mi piacciono gli aggettivi dimostrativi.

Alla prossima,
D.

 

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