I'd go the the end of the world for her. Or time

di There is always hope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1- Volatili, messaggi e sortilegi ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2- Rum, scazzottate e scambi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3- Portali, istinti e campanelli ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4- Cadute, turbamenti e pozioni ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5- Rivelazioni, appuntamenti e gelosie ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1- Volatili, messaggi e sortilegi ***


La Jolly Roger procedeva spedita sull'acqua, il vento soffiava tra i miei capelli e provavo a lasciar andare via, con esso, i miei pensieri. Ogni volta che chiudevo gli occhi mi tornava in mente il suo viso, vivido come non mai: i suoi capelli biondi lisci come la seta, quegli occhi talmente profondi in cui potevo perdermi in un attimo, le sue guance rosee, le labbra… oh le sue labbra! E in un attimo mi tornò in mente il nostro primo bacio: appena le mie labbra si posarono sulle sue fu puro oblio, non volevo staccarmi, ma lei, sempre così saccente e sicura di sé, mi aveva spinto via e si era allontanata, lasciandomi lì come un ebete. Per tutte le balene! Come posso ancora pensare a lei dopo che mi ha chiaramente fatto capire che non gliene importa nulla di me? E sapendo anche che Bae, o meglio Neal, è ancora vivo e in cerca di un modo per tornare da lei e il figlio? Dovrei sentirmi in colpa per quello che provo, ma non riesco perché mi sembra tutto così… giusto. Da quando la conosco ho voglia di essere un uomo migliore, non più il pirata in cerca di vendetta… Perso com'ero tra i miei pensieri, non mi ero accorto che un uccello si era posato sopra la mia spalla destra. Me ne accorsi solo quando iniziò a cinguettare: che suono orrendo. Dio, se odiavo i volatili! Provai a scuotere la spalla per mandarlo via, ma il dannato uccellaccio non voleva saperne e iniziò anche a beccarmi l'orecchio! Allora, con un movimento fulmineo, lo afferrai per il collo, esclamando: “O vedi di volare via da te oppure ti trapasso con il mio uncino e butto la tua stupida carcassa piumata in pasto a un pescecane!”. In quel momento il mio sguardo fu catturato da qualcosa di luccicante attaccata alla zampa del mio fastidioso ospite: era un flaconcino con dentro una specie di intruglio blu e c'era anche un biglietto! Mi incuriosì e volli sapere di cosa si trattasse; subito presi il flaconcino e il biglietto attaccati alla zampa dell'uccello. Appena fatto questo la piccola tortura con le ali volò via. Io aprì subito il pezzo di carta e vi trovai scritto “TROVA EMMA, FALLE BERE QUESTA POZIONE E RIPORTALA A STORYBROOKE. LA SUA FAMIGLIA È IN UN GRAVE PERICOLO”. Nessuna firma. Nessuna spiegazione. Di che pericolo si trattava? E come avrei mai potuto trovare Emma se i passaggi tra i nostri mondi si erano chiusi quando eravamo tornati qui? E anche se avessi trovato un modo per tornare da lei, come avrei potuto convincerla ad ascoltarmi se non si ricordava di me, visto che Regina le aveva modificato la memoria? 
Eppure c'era qualcosa che mi spingeva a fidarmi dell'anonimo informatore. Non so spiegare bene il perché, ma era così. Allora, consapevole del fatto che stavo per fare una cosa stupida, chiamai Spugna: "SPUGNA, razza di stupido idiota, vieni qui!!"
Spugna arrivò di corsa, per quanto il suo strabordante grasso potesse permetterglielo, e rispose, ansimando: "Aaa... agli ooo..ordini ca..capitano". 
Risposi: "Inverti la rotta di questa dannata bagnarola e torniamo indietro al porto". Spugna mi guardò e dalla mia espressione capì che era meglio non fare domande ed eseguì l'ordine. 
Io mi persi nuovamente tra i meandri della mia mente. Una parte , una minima parte, era in allerta per questo nuovo pericolo, ma un'altra, che era la maggior parte, stava già immaginando un eventuale incontro con Emma. Cosa le avrei detto? Come sarei riuscita a spiegarle, anzi a farle ricordare, chi fossi? MALEDIZIONE!!!! Ma cosa mi stava succedendo? Io, Killian Jones, conosciuto come il temutissimo Capitan Uncino, stavo entrando in panico... PER UNA DONNA? Sembrava impossibile, ma dovetti ammettere con me stesso che era esattamente così. Emma mi aveva stregato e, anche se non riuscivo ad accettarlo, mi sarei fatto infilzare da una spada per lei. 
 
 
Mentre ci avvicinavamo alla costa vidi in lontananza un nube verde, che andava allargandosi sempre di più. Ebbi un breve deja vu, ma sufficiente a farmi rendere conto di cosa stesse accadendo: l'ultima volta che avevo visto un fumo simile era di color viola ed era la conseguenza di un sortilegio lanciato dalla Regina Cattiva, per portare tutti gli abitanti della Foresta Incantata in un posto orrendo. Capì subito che doveva trattarsi della stessa identica cosa e, correndo come un fulmine, mi diressi verso il timone della mia nave, scansai via il marinaio e mi misi alla guida della Jolly Roger.Non avevo nessunissima intenzione di cadere vittima di un sortilegio! Non era accaduto allora, non poteva di certo accadere adesso! Avevo una missione da compiere, maledizione! 
Fortunatamente il vento era a mio favore: ordinai alla mia ciurma di spiegare le vele e cercai di allontanarmi il più possibile da quella maledetta nube verde. In quel momento mi resi conto che il pericolo di cui parlava il biglietto doveva essere proprio quello! E, nonostante fossi sull'orlo della passerella, si fece strada in me un pensiero: se fossi riuscito a seminare il sortilegio avrei potuto trovare un modo per tornare da Emma, perché il passaggio tra i due mondi si sarebbe riaperto! Sorretto da questa speranza (una parte del mio cervello si domandava se non avessi passato troppo tempo con Biancaneve da esserne stato influenzato) feci sfrecciare la Jolly Roger sul mare, come non avevo mai fatto! Nel frattempo la nube alle nostre spalle diventava sempre più grande e minacciosa. Navigammo per ore, ma alla fine riuscimmo ad uscire dal raggio d'azione del sortilegio. Complimentandomi con me stesso per l'eccellente salvataggio, decisi di attendere qualche altra ora per poi tornare al porto e cercare un modo per tornare da lei... dalla MIA Emma. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2- Rum, scazzottate e scambi ***


Dopo esserci accertati che l'effetto del sortilegio fosse svanito, io e la mia ciurma invertimmo la rotta della Jolly Roger per tornare al porto. 
Appena attraccati distribuì subito gli ordini ai marinai e mi diressi verso la locanda. A quanto vidi molti erano riusciti a sfuggire alla nube e chiesi subito informazioni al primo marinaio sobrio che beccai. "Ehi, amico! Sai dirmi da dove è arrivata quella nube verde?" Lui mi rispose: "Da quanto ho sentito è stata sprigionata dal castello della Regina Cattiva." 
Maledizione! Regina aveva lanciato un nuovo sortilegio? Poteva davvero essere stata così stupida? Chiesi al marinaio se sapesse qualcosa sulla famiglia di Biancaneve, se erano scampati al sortilegio, ma non mi seppe rispondere. Agitato come non mai mi diressi verso il bancone, senza nemmeno ringraziare il tale e ordinai del rum. Non so di preciso per quanto tempo rimasi nella locanda a bere, ma quando mi ridestai dai miei pensieri mi accorsi che fuori era già calata la notte. 
Maledizione! Avevo speso un pomeriggio in stupidaggini senza concludere nulla. Dovevo necessariamente trovare un modo per arrivare da Emma. Mi guardai intorno: in quella locanda nessuno poteva essermi d'aiuto, erano tutti dei marinai o dei mozzi, irrimediabilmente inutili per i miei scopi. 
"Rifletti Killian, dannazione. Deve esserci un modo per trovare una soluzione!", pensai.
 In quel momento mi venne un' illuminazione: avevo bisogno di un fagiolo magico. Sapevo perfino dove procuramene uno, ma non sarebbe stato per nulla facile. Maledizione!
Mentre mi recavo fuori dalla locanda un tizio mi venne addosso e caddi in terra. Dall'odore che emanava mi resi conto che aveva bevuto più rum di quanto il corpo umano riuscisse a reggere. 
Spinsi via la botte umana e mi alzai in piedi, esclamando: “Razza di ubriacone, guarda dove mette i piedi!”
Il tizio, con un ruggito, mi afferrò per una caviglia, visto che si trovava ancora disteso sul pavimento, e mi fece cadere sulla schiena. Visto che nemmeno io ero proprio lucido, fui accecato dalla rabbia e mi avventai contro di lui. Infilzai il bavero della sua giacca con il mio uncino, per tenerlo fermo, e iniziai a picchiarlo in viso con l'altra mano. Gli altri uomini dentro la locanda urlavano, chi incitando me a sferrare altri colpi, chi incitando il tizio, che nel frattempo tentava di liberarsi dandomi calci nel basso ventre. Ad un tratto mi sentii afferrare da dietro e trascinare via; guardai il mozzo che stavo picchiando e mi resi conto che lo avevo ridotto proprio male. Il suo viso era ricoperto di sangue e sicuramente gli avevo rotto il setto nasale, ma in quel momento me ne fregai: ero grato di poter sfogare i miei nervi su qualcuno!
Mi liberai dalla presa che mi tratteneva e corsi fuori, senza voltarmi. Ero ancora furioso e, se fossi tornato indietro, avrei sicuramente ucciso quell'essere insulso a suon di pugni.
Senza rendermi conto di quello che stavo facendo, mi sedetti su di una panchina e provai a calmarmi. Ovviamente avrei potuto lasciar correre, ma quella scazzottata mi aveva aiutato a chiarire le idee.
Dovevo andare il più presto possibile da Emma e sapevo benissimo quale fosse l'unico modo. C'era un solo uomo in tutta la Foresta Incantata che possedeva una riserva infinita di fagioli magici...  il Capitano Barbanera. Dalle cui grinfie avevo da poco strappato la mia amata Jolly Roger, dopo essere tornato da Storybrooke. Piuttosto che aiutarmi quell'essere immondo mi avrebbe buttato in pasto agli squali, facendomi camminare sulla passerella della mia stessa nave. Dannazione! Questo era un grandissimo problema, ma era anche l'unica alternativa possibile. 
Era inutile indugiare, dovevo fare ciò che andava fatto.
Mi venne in mente un'idea e se avevo ragione avrei trovato Barbanera, anzi lui avrebbe trovato me, in meno di un'ora.
Andai alla mia nave e chiamai Spugna, gli dissi ciò che avrebbe dovuto fare e lui, riluttante, annuì e si diresse al porto. Io andai alla mia cabina e aspettai.
Dopo quella che mi sembrò un eternità, ma all'incirca erano passati una trentina di minuti, sentì un urlo disumano provenire da fuori. “UNCINOOOOO! CANAGLIA CHE NON SEI ALTRO, VIENI FUORI SE HAI CORAGGIO!”
Stampandomi sul viso la mia miglior espressione da poker mi recai sul ponte. Ed eccolo lì, grande e grosso: il Capitano Barbanera. Il suo sguardo era furente, se avesse potuto avrebbe di certo mandato scintille infuocate, cosa che, per mia fortuna, non era in grado di fare. Non ancora, perlomeno.
“A cosa devo questa spiacevole intrusione, Barbanera?” domandai.
“Lo sai benissimo, razza di furfante!” rispose lui, sempre più accalorato e sputacchiando dappertutto.
“Potresti evitare di insozzare il ponte della mia nave con la tua saliva? L' ho fatto lucidare poche ore fa!” Lo ammetto, mi divertii tantissimo a provocarlo, probabilmente a causa dell'euforia che mi scorreva nelle vene, provocata dalla sbornia e dalla recente scazzottata.
Barbanera, sempre più infuriato, attraversò il ponte con pochi balzi e mi si parò davanti: accidenti, avevo dimenticato quanto fosse imponente. Per un attimo mi feci prendere dall'ansia e mi pentii della mia idea, ma poi mi tornò in mente il viso di Emma e questo mi diede forza.
“CHI SAREBBE IL VECCHIO STOCCAFISSO RAMMOLLITO, EH?” esclamò Barbanera.
Io , cercando di non far trasparire il mio nervosismo, risposi secco: “Non so davvero di cosa tu stia parlando, amico.”
“Oh si che lo sai, invece. E non chiamarmi “amico”, se no giuro che stacco la mano che ti resta e la getto in mare, agli squali! Mi è arrivata voce che tu, piccolo insignificante escremento di gabbiano, avresti detto in giro che io, il grande Barbanera, sarei diventato un vecchio stoccafisso rammollito!”
“Ma davvero?” dissi, in tono canzonatorio “ Beh, dovrai ammettere che un pochettino è vero. Se non ricordo male l'ultima volta ti ho battuto grazie all'asse della mia nave. Un tantino rammollito lo sei.”
Barbanera, se possibile, divenne ancora più furioso e, afferrandomi violentemente per la collottola, urlò: “SE NON RITIRI SUBITO QUELLO CHE HAI DETTO TI FARÒ A PEZZI, RAZZA DI IGNOBILE FURFANTE!!”
Lo guardai dritto negli occhi e ghignai: “Oh lo farei, ma tu dovresti fare una cosa per me prima.”
Barbanera mi fissò e rispose: “Tu sei pazzo, non se ne parla nemmeno. E poi sentiamo, cosa potrei mai fare io per uno stupido come te?”.
Risposi: “Barbanera, ho urgente bisogno di un fagiolo magico e so che tu ne hai a bizzeffe.”
“E io dovrei sprecare uno dei miei fagioli consegnandolo proprio a te? Sognatelo! Adesso dì le tue ultime preghiere e preparati ad una bella passeggiatina sulla passerella.” rispose Barbanera con un sorriso maligno.
Dannazione! Ero disperato. Non sapendo cos'altro fare e spinto dall'ardente desiderio di rivedere Emma, sentii me stesso pronunciare delle parole davvero, davvero orrende: “E se ti consegnassi la mia Jolly Roger?” 
Sapevo quanto Barbanera agognasse la mia nave ed ero disposto proprio a tutto pur di riuscire nel mio intento. Lasciandomi andare, Barbanera mi guardò con sospetto. “Stai parlando seriamente, Uncino? Sei così disperato da vendermi la tua stessa nave per un fagiolo magico?”
Annuii, con decisione. “Dammi un fagiolo e la nave sarà tua.” E tesi la mia mano, per sigillare il patto.
Barbanera mi scrutò, evidentemente credendomi uscito di senno. Qualcosa nel mio sguardo dovette convincerlo e, senza esitare, mi afferrò la mano: “Affare fatto, Uncino!” disse, trionfante.


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Capitolo 3
*** Capitolo 3- Portali, istinti e campanelli ***


Era fatta. 
Stringevo tra le mani il fagiolo magico e guardavo con un magone alla gola la mia nave, la mia adorata Jolly Roger, ormai nelle luride mani di quel vecchio stoccafisso di Barbanera. Ma non me ne pentii nemmeno per un secondo, avevo fatto ciò che era giusto, così, facendomi forza, voltai le spalle al veliero e mi diressi verso il villaggio, e da lì sarei poi andato in direzione della foresta, per cercare un luogo sicuro dove poter aprire il portale. 
Nonostante fossi felice per essermi procurato il fagiolo, mi chiedevo ancora come sarei riuscito a far tornare la memoria ad Emma; ma era inutile preoccuparsene proprio in quel momento, prima dovevo trovarla e poi avrei pensato a cosa fare. Attraversai di corsa il villaggio, quasi i miei piedi non toccavano terra, e mi diressi verso la foresta. Camminai per qualche ora e poi arrivai in una radura; mi accertai che nessuno mi avesse seguito e lanciai il fagiolo sull'erba. Subito si aprì il portale e io non pensai ad un luogo specifico dove recarmi, ma alla persona che volevo trovare, a quel viso che volevo disperatamente rivedere, certo che non avrei fallito. Presi un respiro profondo e mi gettai dentro quel turbine.
 
Ancora prima di aprire gli occhi le mie orecchie furono assordate da rumori che avevo udito solo una volta nella mia vita, quando ero corso dietro ad Emma e quel dannato Coccodrillo per uccidere quest'ultimo. Aprii gli occhi e mi ritrovai nello stesso identico luogo dell'ultima volta, con l'unica differenza che adesso era notte fonda. La situazione che mi si parò davanti era più o meno questa: gente che urlava, strane scatole che si muovevano sulla strada così da trasportare persone da un luogo all'altro. C'erano anche persone che urlavano dentro uno strano aggeggio tenendolo vicino all'orecchio! 
In questo mondo non esistevano carrozze, non dovevi muoverti necessariamente in sella ad un cavallo...  Dannazione, era tutto decisamente troppo rumoroso e frustante! Dentro di me cominciò a farsi largo la nostalgia per il rumore delle onde e il russare dei marinai. 
Ripresomi dall'impatto iniziale pensai subito al da farsi: ero nel mondo di Emma, ma come trovarla? 
Ad un tratto mi accorsi che la gente passava e mi guardava in modo strano, fissandosi, in particolare, sul mio braccio sinistro; guardai il mio uncino e mi resi conto che non trasmetteva molta sicurezza, così decisi di cambiarlo con la mano finta che portavo sempre con me e usavo quando non volevo farmi riconoscere.  
Mi guardai intorno: quale strada dovevo prendere? Non potevano mettere un cartello "Per di qua se vuoi trovare Emma Swan!" ? Va bene seguire l'istinto, ma così era troppo. Questo luogo era enorme e pieno di gente, sarei riuscito a trovare Emma prima di morire di stenti? MALEDIZIONE! 
Presi un respiro profondo e tentai di calmarmi, cercando di non distruggere tutto quello che mi stava intorno per la rabbia. Decisi di dirigermi verso destra e chiedere a qualcuno se per caso conoscesse Emma; fermai un numero imprecisato di tizi, ma nessuno di loro aveva mai sentito il suo nome o quello del figlio. Dannazione! Dovevo trovare una soluzione alla svelta, tanto più che era quasi l'alba. Dopo un po' passai di fronte quello che doveva essere un negozio di gioielli e andai a scontrarmi con un tale che usciva da lì come una furia. Stavo per perdere l'equilibrio, visto che per la troppa stanchezza non tenevo nemmeno in piedi, ma lui mi afferrò per un braccio e mi aiutò a non cadere, dicendo: "Mi scusi, non l'avevo proprio vista. Si sente bene?"
Dovevo avere una faccia cadaverica. Risposi: "Si, sono solo esausto. Sto cercando una persona da ore, ma non riesco a trovarla."
"Provi a dirmi il nome, magari posso aiutarla. Mi chiamo Walsh, tra parentesi, e gestisco un negozio di mobili" disse lui, sorridendo. 
Guardai quell'uomo: era magro, con i capelli ricci, alto, vestito elegantemente e stringeva una scatolina rossa in mano. All'apparenza un tipo normalissimo...non fosse stato per i suoi occhi. Erano piccoli, luccicanti, quel tipo di bagliore che emanano le iridi delle persone che hanno qualcosa da nascondere. Il suo sorriso, benché apparisse sereno, mi sembrò quasi un ghigno. Subito tornò a prevalere il mio istinto che questa volta diceva chiaramente di non fidarmi. Quando entrava in gioco il mio sesto senso c'era poco da fare: quel tizio non meritava la mia fiducia. 
"Chiedo venia...Sono ubriaco, non so quello che dico. Ho solo bisogno di riposo." E corsi via, lasciando quel tipo sul marciapiede, con la sua scatolina rossa in mano.
Corsi, corsi senza fermarmi. Il vento che sferzava il mio viso aiutò a svegliarmi e provai a rimettere insieme le idee, ma divenni, se possibile, più confuso di prima. Quando iniziò a mancarmi il fiato mi fermai e mi appoggiai con le mani ad un cancello, guardando in terra e  cercando di respirare. La rabbia mi fremeva dentro, mista a disperazione: ero sull'orlo della passerella e sotto c'erano una decina di squali pronti a trasformare le mie carni nel loro lauto pasto. Maledizione! 
Mi resi conto che il sole era sorto, dovevano essere all'incirca le otto del mattino e io avevo passato tutta la notte a vagare per quella dannata città senza risolvere nulla! Ad un tratto alzai lo sguardo e i miei occhi furono attratti da un particolare: su quel cancello c'era uno strano aggeggio con dei pulsanti e dei nomi scritti sopra, uno di quei cosi che servono a bussare dentro le case delle persone per poi farsi aprire. Tra tutti quelli che vi erano scritti spiccò un nome, IL SUO NOME! Non potevo crederci, doveva essere un sogno... se non avevo le allucinazioni e il mio cervello funzionava correttamente, e così i miei occhi, l'avevo trovata! Emma abitava qui! Un sorriso inconsapevole andò a disegnarsi sul mio viso, mentre la speranza cresceva dentro il mio cuore, il quale per conto suo martellava nel mio petto come se fosse impazzito, non so se per la corsa o per l'euforia della scoperta… o per qualcosa che in quel momento non riuscivo ad identificare.
“E adesso?” pensai “Cosa devo fare?” Ero un fascio di nervi, dannazione a me!
Chiusi gli occhi, presi un respiro profondo e mi concentrai: adesso che ero ad un passo dal poterla rivedere non avevo il coraggio di compiere l'ultimo passo. Cercando di mantenere i nervi saldi, provai a premere il pulsante vicino al nome di Emma, ma la mano tremava troppo e sbagliai, premendo il tasto sotto. Dopo pochi secondi si sentì uno scatto e il cancello si aprì. Entrai e mi diressi dentro l'edificio. Iniziai a salire le scale fermandomi ad ogni porta per leggere il nome che recava, finché non trovai una targhetta con scritto "Swan". Da dietro la porta proveniva della musica, ma il suono che mi attirò fu un altro: le voci di Emma ed Henry, che ridevano e scherzavano. Non pensai due volte a quello che dovevo fare e bussai. La musica si interruppe, così le voci e dopo un paio di secondi si aprì la porta. 
Eccola, lì davanti a me, radiosa come il sole! Notai a malapena che era ancora in pigiama e che, quindi, si era appena svegliata. Il ricordo che avevo conservato di lei per circa un anno non le rendeva giustizia; era bellissima e io avrei potuto passare giornate intere a guardare il suo viso, senza stancarmi mai! Non potei trattenermi dall'esclamare "SWAN!" e lei mi guardò in modo decisamente sospettoso. Disse: "Ci conosciamo?" 
Il suo sguardo mi fece un po' male, si capiva che non aveva idea di chi fossi; risposi: "Sono un vecchio amico e sono qui per dirti che la tua famiglia ha bisogno del tuo aiuto!" 
Lei mi guardava come se fossi pazzo: "La mia famiglia? Ma che stai dicendo? La mia famiglia è proprio qui, dove dovrebbe essere!" 
Non ricordava proprio nulla, dannazione! 
Provai a sorridere e le dissi: "Lo so che adesso non puoi ricordare, ma forse posso rinfrescarti la memoria". Senza riflettere su quello che facevo, la attirai a me e la baciai. Per un attimo mi sentii a casa, ma l'incantesimo fu interrotto proprio da Emma che, per liberarsi, mi diede un calcio nel basso ventre e mi spinse vie. La guardai, era terrorizzata. "MA CHE DIAVOLO FAI?" urlò. 
Cercando di reggermi in piedi (il suo calcio era stato abbastanza potente), risposi: "Dovevo provare. Dovevo scoprire se provi ciò che provo io!" 
Lei, sempre più sconvolta, disse: "Tu sei pazzo. La prossima volta chiamerò la polizia e ti farò ammanettare!" 
Disperato, urlai: "NO EMMA! Devi ascoltarmi, i tuoi gen...". 
Ma non potei finire la frase; mi chiuse la porta in faccia, lasciandomi lì come un ebete, per la seconda volta da quando la conoscevo. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4- Cadute, turbamenti e pozioni ***


"Idiota!" Mi dissi. "Sei proprio un grandissimo scemo!" Come mi era potuto venire in mente di baciarla? La situazione era estremamente delicata e io avevo mandato tutto in pasto ai pesci perché non ero capace di controllarmi. 

Come avrei potuto convincerla adesso? Avevo combinato una catastrofe. Eppure credevo davvero che il mio bacio avrebbe funzionato.

Mentre pensavo tutto questo scendevo le dannate scale di quel maledetto palazzo, così non vidi nemmeno che a metà della terza rampa c'era un borsone e vi inciampai, capitolando giù per il resto degli scalini e finendo con la faccia sul pavimento. Mentre valutavo i danni, udì una voce: "Mi scusi tantissimo! Ho lasciato il borsone un attimo e sono rientrato a prendere una cosa. Sta bene?" Alzai gli occhi e vidi un uomo di fronte a me, che mi guardava preoccupato. Il tizio era grassoccio e non molto alto, con capelli castani e indossava occhiali quadrati. La sua faccia mi ricordava quella di un furetto.

Il mio primo istinto fu quello di alzarmi e picchiarlo, ma cercai di dominarmi e, mettendomi in piedi, risposi: "Tutto bene. Non guardavo dove mettevo i piedi, colpa mia."

L'uomo disse: "Sicuro? Se ha bisogno posso portarla in ospedale" 

Cosa? OSPEDALE? Mai! Avevo già passato dei giorni orrendi in uno di quegli orrendi buchi puzzolenti, a Storybrooke; non avevo alcuna intenzione di ripetere l'esperienza, piuttosto sarei andato in giro con una gamba rotta.

"No, grazie. Sto bene, davvero. Dovrei proprio andare" risposi. Ma quel tipo non voleva saperne. "Lasci almeno che le offra qualcosa per scusarmi!" disse. In effetti non avrei rifiutato un bel bicchiere di rum... o anche una bottiglia intera. 

L'uomo mi fece entrare in casa, mi condusse in quella che doveva essere la cucina e mi invitò ad accomodarmi su una delle sedie intorno al tavolo. 

"Gradisce qualcosa in particolare?"

"Ha del rum?"

Mi guardò, stupito. "No... mi dispiace. Non bevo alcolici. E poi non le sembra un po' presto per bere del rum?"

Oh, grandioso! Ero capitato in casa di un aspirante omicida (quella caduta mi aveva provocato parecchie ammaccature) e per di più astemio. Le cose non sarebbero potute andare peggio. Dannazione! 

Stranamente riuscì a mantenere una certa calma, probabilmente perché ero stanco morto e non avevo voglia di ribattere; l'uomo disse: "La vedo molto provato. Ha dormito nelle ultime ore?" 

Diversamente da come era accaduto con il tizio in cui mi ero imbattuto qualche ora fa, l'istinto mi disse che potevo fidarmi di questo tipo, perciò risposi: "Ad essere sincero non chiudo occhio da un bel po'. Mi servirebbe proprio una bella dormita."

"Casa sua è qui vicino?" chiese.

"No" dissi "abito molto lontano da qui." E non poteva nemmeno immaginare quanto! 

"Ha un posto dove stare?" 

"Ehm... no." risposi.

 L'uomo, tutto sorridente (chissà cosa trovasse di comico nella mia situazione), mi disse: "Guardi, voglio proprio sdebitarmi con lei per il piccolo incidente di poco fa. Le offro il mio divano per qualche ora e, se vuole, anche la mia doccia" (stava per caso insinuando che puzzavo?!) "Faccia come se fosse a casa sua!"

Lo guardai, imbambolato. Le persone di questo mondo erano proprio stupide! Non aveva paura che potessi fargli del male, rubare qualcosa o fare anche di peggio? Certo, mi sarebbe piaciuto recuperare le forze e, magari, una bella rinfrescata non sarebbe stata una cattiva idea... e poi sarei potuto restare vicino ad Emma, cosa che mi rendeva poco più sereno. Oltretutto, sentivo di potermi fidare di quell'uomo, quindi accettai. 

"Ne sono felice! Il mio nome è Adam Kitsis, comunque."

"Killian Jones, per servirla"

L'uomo scoppiò a ridere. "Ma che strano modo di esprimersi! Fa per caso parte di una compagnia teatrale? Dai vestiti si direbbe di sì" 

Compagnia teatrale? Mi aveva preso per un dilettante allo sbaraglio? E come osava criticare il mio linguaggio e i miei abiti? Ma si era guardato allo specchio? Decisi di non replicare, limitandomi a sorridere... cosa che mi riuscì malissimo, per due motivi: non sentivo più i muscoli del viso e cercavo di non farmi travolgere dalla rabbia. Quell'uomo stava mettendo a dura prova la mia già limitata pazienza. Lui non se ne accorse nemmeno e continuò a parlare come se nulla fosse.

"Allora... A sinistra, in fondo al corridoio, troverà il bagno, mentre a destra c'è il salotto dove potrà distendersi sul divano. Qui troverà del cibo" mi indicò una di quelle scatole metalliche dove la gente teneva il cibo al fresco "Io devo andare al lavoro, tornerò verso mezzogiorno; si riposi signor Jones, mi raccomando!" 

"La ringrazio infinitamente, signor Kitsis, cercherò di recarle meno disturbo possibile." Risposi io. Lui mi fece un altro fastidiosissimo sorriso tutto denti e, salutandomi, uscì.

 

Dopo essermi fatto una lunghissima doccia, andai a stendermi sul divano, che era davvero comodo. Osservando quella casa si capiva che il signor Kitsis doveva passarsela bene e un po' lo invidiai. Di certo non aveva problemi come sortilegi e tentare di ripristinare la memoria di qualcuno; la vita in quel mondo era molto più semplice rispetto a quella del mio. Pensai a quanto accaduto poco prima con Emma e il mio stomaco sprofondò: non avevo nessunissima possibilità di farle ricordare chi fossi, e adesso ero perfino bloccato in quella città senza un modo per andarmene. Maledizione!

Senza accorgermene, forse per la troppa stanchezza, forse perché volevo sfuggire per un po' alla vita reale, mi addormentai. Fu un sonno pieno di sogni, o meglio incubi: Barbanera che mi inseguiva brandendo la sua spada e urlando minacce… Emma che scappava via da me, in lacrime… uomini con in mano scatoline rosse che gettavano fiamme dagli occhi…

Mi svegliai al rumore di una porta che sbatteva. Aprii gli occhi e mi ritrovai davanti il signor Kitsis, sempre con quel suo sorriso stampato in viso. Che nervi…

“Signor Jones! Vedo che ha seguito il mio consiglio; qualche ora di riposo può fare solo bene, quando si hanno dei problemi da risolvere.”

“A lei chi dice che ho dei problemi da risolvere?” biascicai, mezzo addormentato.

“Oh, andiamo signor Jones, le si legge in faccia che qualcosa la tormenta. Si sfoghi pure, se vuole. So essere un bravo ascoltatore e magari potrei darle qualche consiglio. Intanto mi segua in cucina; ho una fame da lupi e vorrei che si unisse a me per un bel pranzetto. Che ne dice?” mi disse Kitsis. Mi alzai e lo seguì. Lui iniziò a preparare da mangiare e io mi accomodai al bancone della cucina, senza proferir parola.

“Allora, signor Jones, vuole raccontarmi cos'è che la turba tanto?”

Quell'uomo non era solo irritantemente ottimista, ma anche un grandissimo ficcanaso, quindi non avevo per niente voglia di raccontargli i fatti miei; ma la mia bocca si mosse incontrollata e, come da un'altra dimensione, udii me stesso parlare.

“Sono venuto da molto lontano in cerca di una persona, la cui famiglia è… in una brutta situazione. Sapevo che sarebbe stato difficile trovarla e farmi ascoltare, ma le cose sono andate anche peggio di quanto pensassi. Lei non si ricorda minimamente di me e io non so...”

“Come fa a non ricordarsi di lei? Non la conosce bene?” mi interruppe Kitsis.

“ Non proprio; diciamo che lei ha...ecco… dei problemi di memoria” risposi.

“Problemi di memoria? Ha per caso avuto un incidente e perso i suoi ricordi?”

“Beh, si… una cosa del genere”. Che situazione assurda!

“Mi dispiace molto, deve essere difficile accettare che una persona a cui si tiene molto si dimentichi di noi. Però le voglio dire una cosa: non si arrenda, signor Jones! Lei è una persona forte, l' ho capito dal suo sguardo; non si lasci bloccare da un ostacolo, per quanto arduo da superare possa essere! Sa come si dice, la speranza è l'ultima a morire”.

Stavo per chiedere al signor Kitsis se per caso fosse parente di Biancaneve, ma riuscii a trattenermi e dissi, invece :“Grazie, signor Kitsis. Terrò care le sue parole.”

“Di nulla!” rispose. “In questi casi tornerebbe utile un bell'incantesimo per recuperare la memoria, come accade nei film, vero?” disse, sorridendo.

Le sue parole fecero scattare una molla nella mia mente: non avevo la più pallida idea di cosa fosse un film, e in quel momento non me ne importava più di tanto, ma quello che aveva attirato la mia attenzione era stata l'espressione “incantesimo per recuperare la memoria”.

CHE RAZZA DI SCEMO! Ero proprio uno stupido, maledizione! Mi alzai di scatto e andai a cercare il mio pastrano, che avevo lasciato sul divano; lo afferrai e iniziai una ricerca frenetica in ogni tasca. Ad un tratto le dita afferrarono ciò che cercavo e lentamente portai l'oggetto davanti i miei occhi. Si trattava del flaconcino che mi era stato spedito insieme al biglietto che chiedeva di andare a cercare Emma. All'inizio non mi ero reso conto di cosa potesse trattarsi e ne avevo anche dimenticato l'esistenza, ma le parole del mio nuovo conoscente avevano risvegliato qualcosa nella mia testa: dentro quella boccetta c'era la pozione della memoria! Non potevo esserne totalmente certo, ma era l'unica spiegazione possibile. Cos'altro sarebbe potuto essere?

“Signor Jones, si sente bene?” Alzai lo sguardo; Kitsis mi osservava con aria preoccupata.

“Si, sto benissimo! Ho appena avuto un'illuminazione e tutto grazie a lei!” risposi, euforico.

“Grazie a me? Ma cosa ho fatto? E che cosa ha in mano?” chiese lui, confuso.

Ovviamente non potevo spiegargli tutto, mi avrebbe preso per pazzo; ma gli feci un grandissimo sorriso, per fargli capire che era tutto sotto controllo.

“Signor Kitsis, vorrei chiederle un ultimo favore. Potrei abusare della sua ospitalità per qualche altra ora?” chiesi.

“M..ma certo! Mi fa piacere vederla più sereno e sono lieto di esserle stato d'aiuto, anche se non ho idea di come abbia fatto.” disse lui.

“Grazie davvero e si consideri fortunato, perché ricevere un ringraziamento da parte mia è davvero difficile! Ma lei mi ha salvato da una situazione davvero disastrosa.”

Kitsis mi fece un altro di quei suoi sorrisoni, ma stavolta non provai nessun fastidio: gli ero davvero grato.

“Di nulla, signor Jones. Adesso però mettiamoci a tavola, muoio di fame e, a giudicare dai rumori che provengono dal suo stomaco, direi che anche lei ha bisogno di mettere subito del cibo sotto i denti!”

Lo seguii in cucina, affamatissimo e incapace di smettere di sorridere.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5- Rivelazioni, appuntamenti e gelosie ***


Dopo essermi rifocillato con un ottimo pasto, riuscii a pensare con più calma al da farsi. Avevo la pozione della memoria, cosa che risolveva metà dei miei problemi; ma la situazione era ancora difficile. Come sarei riuscito a convincere Emma a berla? Se mi fossi ripresentato alla sua porta mi avrebbe sicuramente infilzato con un coltello. Maledizione a quel suo caratterino, alla sua testardaggine e anche ai miei istinti animaleschi. Mi ero comportato da perfetto decerebrato e adesso ne avrei pagato le conseguenze. Non potevo semplicemente presentarmi e chiederle di parlare come due persone civili? Perché dovevo sempre essere un pirata imbecille?L'unica cosa che mi restava da fare era pedinarla e cogliere il momento opportuno per parlarle, convincerla a bere quella dannata pozione e, così, andarcene insieme a Storybrooke.
“Un gioco da ragazzi” mi dissi, sarcastico.
Il signor Kitsis mi aveva dato la possibilità di restare nella sua casa fin quando avessi voluto, ma non volevo coinvolgerlo più di quanto non avessi già fatto. Era stato davvero gentile con me e non mi guardava come facevano le persone di solito, con un misto di disgusto e paura. Mi ero guadagnato la fama di pirata a discapito di molte persone, facendo cose orrende e, anche se odiavo ammetterlo, non sopportavo molto quegli sguardi che mi giudicavano. Per una volta non dovevo giustificarmi di ciò che avevo fatto per chiedere un favore a qualcuno.
“Allora signor Jones, ha pensato a come risolvere il suo problema?” mi chiese Kitsis. Era quasi calata la sera e avevo passato tutto il pomeriggio steso sul divano a rimuginare, ancora e ancora, sperando di trovare un modo per avvicinare Emma senza farla spaventare come avevo fatto la mattina.
“Non esattamente” risposi.
“Senta, non vorrei sembrare invadente ma le andrebbe di dirmi il nome della persona che ha bisogno di convincere? Se ho ben intuito deve abitare qui; io conosco l'intero palazzo. Magari posso darle una mano.” disse Kitsis.
Non era poi una così cattiva idea, pensai. Avrei potuto dirgli giusto qualcosa per farmi aiutare, tralasciando i particolari… assurdi.
“Il suo nome è Emma. Emma Swan.” dissi.
“Oh, la deliziosa ragazza del quarto piano che vive con il figlio Henry? Si, la conosco. A quanto so si è trasferita qui all'incirca un anno fa e che prima abitava a Boston.”
“Boston?” pensai “certo che Regina aveva fatto un incantesimo perfetto!”
Decisi di stare al gioco, e dissi: “Si, infatti. Non la vedo proprio da quel periodo. C'è stato...emh… l'incidente di cui lei parlavo poco fa, in seguito al quale lei ha riportato quei piccoli problemi alla memoria. Per questo è dovuta andare via. Da allora non ho più avuto sue notizie e non so come è andata avanti la sua vita.”
“Capisco. Quello che posso dirle è che ha un buon lavoro, il figlio frequenta un ottima scuola ed è sempre disponibile a dare una mano nel palazzo o a scambiare quattro chiacchiere. Ogni tanto lascia Henry da me quando la baby- sitter non è disponibile. Ah, inoltre qualche mese dopo il suo arrivo qui ha conosciuto un ragazzo; si frequentano da allora.”
A quelle parole mi alzai di scatto dal divano. Emma frequentava qualcuno? Sentii crescere dentro di me una strana sensazione, qualcosa che non provavo da tempo, qualcosa che mi dava voglia di distruggere tutto quello che avevo intorno... e di picchiare Kitsis per avermi dato quella notizia catastrofica. Chi era questo verme inutile che aveva osato posare gli occhi su Emma ed essersi introdotto nella sua vita? Avevo una tremenda voglia di trovarmi di fronte a lui e infilzarlo con il mio uncino!
“Si sente bene?” chiese Kitsis.
Lo guardai, senza vederlo davvero. La rabbia mi aveva offuscato i sensi, non capivo più nulla; il pasto di poco prima stava risalendomi per lo stomaco.
“SIGNOR JONES?” mi sentii strattonare al braccio. Kitsis mi fissava allarmato e anche un po' spaventato.
Mi accorsi che non stavo nemmeno respirando, quindi feci rientrare aria nei polmoni, prima di sentirmi male sul serio.
“Mi scusi. Questa notizia non mi ha reso particolarmente allegro.” dissi.
“L'ho notato” affermò Kitsis “Le prendo un bicchiere d'acqua. Per un attimo è diventato talmente rosso in viso che ho temuto le stesse per scoppiare il cervello…...” continuò a blaterare mentre si dirigeva verso la cucina. Non prestai la minima attenzione alle sue parole, tanto che quando fu di ritorno interruppi qualsiasi cosa stesse ancora dicendo, esclamando: “Mi parli di questo tizio!”
Kitsis mi porse il bicchiere d'acqua, lo afferrai meccanicamente, e ascoltai le sue parole: “Se devo essere sincero non so molto, non ho mai avuto l'occasione di parlare con lui faccia a faccia. Solo qualche buongiorno e buonasera. Sembra un tipo per bene, educato e non deve nemmeno passarsela male economicamente. Ah, quasi dimenticavo, si chiama Walsh.”
Avevo come la sensazione di aver già sentito quel nome, ma non sapevo dove.
“E poi?” dissi, furibondo “Non sa più nulla?”
“No, signor Jones. Mi spiace.” rispose Kitsis. “Forse dovrebbe calmarsi un attimo, tra un po' consumerà il pavimento col tanto fare avanti e indietro.”
Non mi ero nemmeno reso conto di essermi mosso. Mi fermai. Guardai fisso Kitsis e dissi una cosa che mai avrei pensato di poter dire: “Lei deve aiutarmi!”

Qualche ora dopo mi trovavo di fronte un ristorante. Kitsis era salito a casa di Emma, con la scusa di chiederle come si sentisse Henry, visto che pochi giorni prima aveva avuto la febbre. Avevano parlato per un po' e la mia spia aveva scoperto che la sera Emma sarebbe andata a cena con quell'essere ripugnante, in uno “dei ristoranti più esclusivi di New York”.
Avevo un piano: ero deciso a seguirla e parlarle, con la speranza che non facesse una scenata in un luogo affollato. Mi ero anche preparato un asso nella manica che non poteva fallire. Dovevo assolutamente convincerla, dannazione!
Kitsis mi aveva consigliato di seguirla con una di quelle scatole gialle e mi aveva anche dato i soldi per pagare il viaggio. Arrivati al ristorante avevo fermato il conducente, lo avevo pagato e mi ero appostato vicino l'entrata del ristorante, cercando di non farmi vedere da Emma.
Lei si era diretta verso un tavolo, dove stava seduto un tizio: doveva trattarsi del famoso Walsh. Quando lei arrivò lui si alzò per salutarla, così potei guardarlo meglio in viso. “Maledizione!” esclamai. Si trattava dello stesso uomo contro cui ero andato a sbattere la mattina. Di nuovo provai la stessa strana sensazione: quell'uomo aveva qualcosa di pericoloso nel suo sguardo. Sentivo le braccia formicolare, mentre la voglia di irrompere dentro il ristorante e picchiare quel tizio cresceva sempre di più.
“Mantieni la calma, Killian. Non fare cose di cui poi potresti pentirti. Ne vale la fiducia e il bene di Emma” dissi tra me e me.
Aspettai e aspettai, mentre loro mangiavano e ridevano, e desideravo ardentemente di essere io a far ridere Emma in quel modo. Stavo bruciando di gelosia, ormai non potevo negarlo.
Ad un tratto Walsh si alzò e io ne approfittai: corsi dentro il locale e mi sedetti al suo posto. Emma era intenta ad utilizzare quell'aggeggio che serve a parlare a distanza con un'altra persona e non si accorse subito che ero io ad essermi seduto sulla sedia e non il suo accompagnatore.
Quando alzò lo sguardo la vidi raggelarsi e tentai subito di calmarla e zittirla, soprattutto. Mi scusai per ciò che le avevo fatto la mattina, ma lei mi intimò di andare via. Non le diedi retta: le dissi nuovamente che la sua famiglia era in pericolo, che, al momento, sapevo molte più cose io di lei, riguardo se stessa. E per provarle la verità sganciai l'esca: presi un biglietto su cui avevo scritto l'indirizzo di un luogo dove eravamo stati entrambi, l'appartamento di Neal. Le dissi anche che, se non voleva credermi, poteva usare il suo super potere e, così, avrebbe capito che non stavo mentendo. Capì dal suo sguardo che avevo fatto centro: qualche muro si stava sgretolando, ma lei continuava ad aggrapparsi alla logica, cercando di sfuggire alla verità. La guardai dritto negli occhi e le dissi di fidarsi del suo istinto e prima di andare via le diedi appuntamento a Central Park, che mi era stato consigliato da Kitsis.
Mi alzai e andai via, sicuro di essere riuscito nel mio intento; se conoscevo bene Emma la prima cosa che avrebbe fatto la mattina dopo sarebbe stata andare all'appartamento di Neal.
Ormai ne ero certo: entro domani sera sarei riuscito a far bere ad Emma quella maledetta pozione!

 

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