Sweet Dreams

di Strawbana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Awakening ***
Capitolo 2: *** Waking Nightmare ***
Capitolo 3: *** Red Lights and Beautiful Dreams ***
Capitolo 4: *** Fear ***
Capitolo 5: *** What happens in a dream remains in a dream… Maybe ***
Capitolo 6: *** Attack on Nightmare ***
Capitolo 7: *** Shaping the Puzzle ***
Capitolo 8: *** Quiet Mystery ***
Capitolo 9: *** Encounter ***



Capitolo 1
*** Awakening ***


Sweet Dreams

1.    Awakening

 

“Mamma, mamma, posso controllare i miei sogni!”

“Come cara?”

“Sono un po’ di notti che mi accorgo di star sognando e faccio fare ai miei sogni tutto quello che voglio!”

“Ma brava tesoro, diventi un’onironauta senza dirmi niente?”

“Cos’è un onironauta?”

“È un viaggiatore dei sogni, è un dono prezioso, lo sai? Potrai ricordare i bei sogni e cambiare quelli brutti! E se proprio non riesci a cambiarli puoi sempre svegliarti… Ma ricorda cucciola, ci sono sogni da cui non si può scappare!”

 

Quando sua madre le aveva fatto quell’avvertimento non era seria, voleva solo giocare spaventandola un po’, ma anni più tardi Cassandra si era accorta che quel monito era più che veritiero. L’incubo che la ragazza si trovava davanti era a dir poco orrendo: grande quanto un piccolo aeroplano, il corpo era composto da un enorme torso umano, terminante con una coda da coccodrillo, la bestia si muoveva grazie a tre paia di zampe, tutte dalla forma di braccia di donna, con mani sottili e unghie lunghe ed affilate, colorate da uno smalto rosa scuro. Anche la testa era umana, coperta da una cascata di capelli corvini arruffati, ma aveva un muso bestiale, anche se Cassandra non sapeva dire a che creatura appartenesse. Le bastava sapere che era pieno di denti affilati e produceva enormi quantità di bava. Però la cosa che più spaventava la giovane erano gli occhi della creatura: due cerchi privi di pupille, rossi come il fuoco e luminosi come lanterne. Quello era il segno che contraddistingueva gli incubi veri, quelli pericolosi che si nutrivano di paura e Cassandra non ne aveva mai affrontato uno così grosso. La ragazza rimaneva immobile ad osservarlo, riflettendo sul da farsi: se si fosse mossa la creatura si sarebbe accorta della sua presenza, ma d’altro canto l’aveva già fiutata, un altro minuto al massimo e non avrebbe più avuto dubbi su dove si trovava la sua preda. Non aveva altra scelta, doveva scappare, ma dove? Si trovava in un labirinto composto da enormi librerie piene di libri, rischiava di girare intorno o peggio di chiudersi in un vicolo cieco. Cassandra chiuse gli occhi per un secondo: non doveva pensare negativamente, ora si doveva solo concentrare sull’obbiettivo di fuggire.

Fece un respiro profondo e poi scattò, girando l’angolo a destra dell’incrocio che ancora la divideva dalla creatura. Dietro di sé la giovane sentì un ululato sovrannaturale e dei passi giganteschi che colpivano il pavimento: la bestia aveva iniziato ad inseguirla. La castana scacciò quel pensiero dalla sua mente: doveva concentrarsi su ciò che aveva davanti, non quello che c’era dietro di lei.

 

˾Destra̚

˾Sinistra̚

˾Destra̚

˾Sinistra̚

 

Doveva trovare l’uscita di quel labirinto…

˾Destra̚

˾Sinistra̚

˾Destra̚

˾Sinistra̚

 

Se si concentrava abbastanza forse sarebbe riuscita a farla comparire…

˾Destra̚

˾Sinistra̚

˾Destra̚

˾Sinistra̚

                                                                                                                                                                                

Ma era così difficile concentrarsi con un mostro alle calcagna in procinto di morderti.

 

Cassandra alzò le braccia, portando le mani sulla sua testa, per poi abbassarle di colpo come se stesse spingendo qualcosa. Dietro di lei si udì il suono del legno che scricchiolava e poi un sonoro schianto, seguito da dei guaiti lamentosi. La ragazza si lasciò scappare un sorriso: era riuscita a far cadere almeno una libreria addosso a quel mostro, così avrebbe guadagnato un po’ di tempo. Finalmente la giovane si poté concentrare sull’idea di trovare un’uscita e ad un certo punto vide una luce venire da un incrocio davanti a lei. Cassandra si diresse subito lì, convinta di aver finalmente trovato ciò che cercava, invece si trovò davanti ad un vicolo cieco dove si trovava uno strano vortice azzurro, sospeso a mezz’aria. La castana rimase completamente spiazzata dalla scoperta: non aveva mai visto niente del genere, eppure girava per quel mondo dei sogni da tantissimo tempo ormai. Era un portale quello? Dove l’avrebbe portata? Era sicuro? La ragazza avrebbe voluto trovare con calma risposta a tutte quelle domande, ma l’ululato che sentiva avvicinarsi le faceva capire di non avere più molto tempo. Era sicura che se si fosse girata per cercare un’altra strada si sarebbe gettata praticamente nelle fauci del mostro, quindi non le restava che fare una cosa soltanto: saltare nel portale. Cassandra si avvicinò al vortice e, dopo un attimo di esitazione, ci saltò dentro. Almeno in quel modo le sue domande avrebbero trovato risposta.

 

Le successive cose che la ragazza sentì furono un tonfo ed un dolore sordo alla schiena. La giovane rotolò per terra, cercando di massaggiarsi la schiena dolorante, poi si alzò e si guardò intorno: le sembrava di essere in un parco, era notte e riusciva ad intravedere dei lampioni in lontananza, seminascosti dagli alberi. Lei in quel momento si trovava su un prato vicino ad un albero, un po’ lontana dai sentieri principali. Cassandra fece per muoversi verso una di quelle strade, ma il dolore alla schiena la costrinse a poggiarsi all’albero ed aspettare un attimo. La castana imprecò sottovoce, poi si rese conto di una cosa: stava provando dolore. Ma si trovava in un sogno, come poteva provare dolore? Per un attimo la giovane si fece prendere dal panico, poi cercò di calmarsi e dare una spiegazione a tutto. Non era la prima volta che provava sensazioni in un sogno, ricordava ancora la volta in cui le avevano tagliato la gola: aveva avvertito chiaramente la lama affondarle nella carne e l’improvvisa incapacità di respirare, ma poi era tornato tutto alla normalità perché quelli erano solo sogni, nulla era reale. E lei poi non poteva in alcun modo risvegliarsi, aveva abbracciato il sonno eterno dopotutto. Giusto per rassicurarsi di più, Cassandra decise di compiere delle piccole prove per capire se era in un sogno o meno: erano gesti semplici che aveva imparato quando si era informata di più sui sogni lucidi. La ragazza prese un respiro profondo e poi si tappò il naso: in un sogno non si ha bisogno di respirare, anche sott’acqua si riusciva a respirare, quindi non avrebbe dovuto avere problemi. Eppure dopo una manciata di secondi dovette stapparsi il naso: le mancava l’aria, cosa mai successa prima, almeno in un sogno. Il panico di Cassandra si fece più grande e la giovane provò a saltare, riuscendo a fare un normale saltello, niente di eccezionale. Ormai completamente terrorizzata la ragazza urlò con tutta la sua forza ed ascoltò incredula la sua voce che risuonava forte e chiara nella notte. Finalmente priva di ogni dubbio, la castana iniziò a tremare.

«Sono sveglia…»

Cassandra scosse la testa come a scacciare l’idea: non doveva farsi illusioni, c’erano un sacco di altre prove che doveva fare per capire se era davvero sveglia e non avrebbe potuto certo farle in quel parchetto deserto. Con passo deciso la giovane si avviò alla stradina più vicina per individuare un’uscita. Una volta uscita dal parco e ormai avviatasi su una strada principale, la ragazza rabbrividì udendo in lontananza l’ululato della creatura da cui era scappata poco prima. Anche se sembrava davvero molto, molto lontano la castana non riuscì a trattenersi ed iniziò a correre. Se era davvero nel mondo della veglia, come poteva un incubo averla inseguita fin lì? Cassandra non sapeva se una cosa del genere era possibile, ma di sicuro non voleva scoprirlo.

 

La ragazza osservò ancora una volta con attenzione l’insegna luminosa che aveva davanti: minimarket aperto 24 ore su 24, tutto scritto in kanji, ed era riuscita a leggerlo più volte, un altro segno che quello non era un sogno e soprattutto segno che era in Giappone, terra in cui aveva passato la maggior parte della sua breve vita. Cassandra entrò nel supermercato, sussurrando un “buonasera” al commesso insonnolito prima di scomparire in una delle varie corsie. Dopo aver girato per un po’ tra cibarie di ogni genere la giovane puntò finalmente quello per cui entrata: dei quotidiani. Cassandra ne afferrò uno, cercando di coprire la data del giornale con le mani e lo sollevò per leggerne il titolo. Le era andata bene, aveva pescato un quotidiano cittadino dedicato agli annunci per la compravendita di oggetti, e la cosa migliore era che lo conosceva. Quello le dava la conferma che si trovava nella cittadina in cui aveva chiuso gli occhi l’ultima volta: Inazuma-cho. Ormai alla ragazza rimaneva da controllare solo una cosa, ma aveva davvero paura di farlo, il cuore le batteva a mille e sudava freddo per l’agitazione. Poi però si fece coraggio e spostò la mano che copriva la data. Quando i suoi occhi si posarono su quel numero la castana fece cadere il giornale ed iniziò ad indietreggiare, coprendosi la bocca con le mani, sgomenta. Aveva avuto la fortuna di ritrovarsi nel posto in cui era cresciuta, in cui aveva conosciuto i suoi amici ed aveva provato i suoi primi amori, ma allo stesso tempo era arrivata in una città completamente diversa. I suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime.

«Non è possibile…»

Si lasciò scappare un singhiozzo.

«Quarant’anni… Io sono morta quarant’anni fa…»

 

 

 

 

××××××××××××××××××××

 

Ehilà, salve a tutti!

Eh sì, invece di continuare i miei lavori in corso mi butto in una storia ad OC. Sono senza speranze, ma questa idea mi ispirava tantissimo e trovo che renda bene sotto forma di storia ad OC.

Questo primo capitolo è un po’ confusionario, ma nei prossimi verranno spiegate un po’ di cose prima di entrare nel vivo dell’azione, quindi non preoccupatevi.

Questa storia girerà tutta introno ai fenomeni del sonno, quello principale sarà il sogno lucido, ma saranno presenti anche temi come il sonnambulismo e la paralisi del sonno.

Ora, non so ancora quanti OC sceglierò, ma non penso di prenderne più di dieci, soprattutto perché dovrò vedere quanti saranno quelli ben costruiti.

Qui sotto vi lascio la scheda, mi raccomando niente OC via recensioni, solo via MP. La storia è ambientata durante le prime tre serie di Inazuma Eleven, quindi mi dispiace ma non potrete mettere elementi legati alla GO nei vostri OC.

 

Nome:

Cognome:

Sesso: (Non mandate solo femmine, per piacere)

Età: (Deve avere minimo 14 anni)

Nazionalità: (Che sia coerente sia col nome che con l’aspetto del vostro OC)

Aspetto fisico:

Personalità: (Più dettagliata e coerente è, più possibilità ci sono che il vostro OC venga scelto)

Background: (Non esagerate con la tragedia e cercate di essere sintetici)

Interesse romantico: (Mettete più di una opzione, accetto anche OC omosessuali, non mi faccio problemi)

Perché si trova in Giappone: (La storia sarà ambientata lì, quindi inventatevi un motivo per la presenza del vostro personaggio in Giappone! Sbizzarritevi, mandatelo lì per uno scambio culturale, a cercare lavoro, in vacanza, siate creativi)

Paure/Fobie:

Reazione agli incubi: (Non quelli descritti nel capitolo, quelli che fate quando dormite. È una cosa importante per la storia, non sottovalutate questo punto)

Altro: (Se c’è qualcos’altro che volete dirmi sul vostro personaggio e non avete trovato spazio negli altri punti ditemelo qui!)

 

Le iscrizioni saranno aperte fino a domenica.

A presto,

Lauui

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Capitolo 2
*** Waking Nightmare ***


2. Waking Nightmare

 

> Inazuma-cho, zona sud, 6:17 AM

Sebastiaan sbadigliò: non era riuscito a dormire molto bene quella notte e svegliarsi gli era risultato difficile. Avrebbe volentieri dormito per un’altra mezz’ora, ma la sua cagnolina Audrey pretendeva di essere portata a spasso e non poteva certo deluderla, anche perché farlo significava poi ritrovarsi un simpatico ricordino davanti alla porta d’ingresso. Il sole non era ancora sorto e le strade che il biondo percorreva erano deserte ed illuminate solo dalla luce giallognola dei lampioni. Il ragazzo camminava a testa bassa, ripassando a mente il programma che aveva fatto per la giornata, cercando un momento libero in cui fare un riposino per recuperare un po’ di sonno arretrato, quando notò che Audrey si era fermata e stava puntando qualcosa davanti a loro. Incuriosito, Sebastiaan alzò lo sguardò e vide un’esile figura incappucciata che, in mezzo alla strada, fissava i cancelli ancora chiusi di una scuola media. Il biondo si insospettì: certo, lo sconosciuto sembrava parecchio giovane, ma non così piccolo da andare alla scuola media, inoltre non indossava una divisa scolastica, quindi non era di certo uno studente arrivato un po’ troppo in anticipo. Sebastiaan non aveva alcuna voglia di avere a che fare con uno sconosciuto sospetto, ma purtroppo per raggiungere il parco per cani doveva passargli affianco e di sicuro sarebbe stato notato, quindi decise di giocare di anticipo e si sforzò di sorridere prima di rivolgere la parola al ragazzo.

«Ciao, hai bisogno di una mano?»

Lo sconosciuto si girò di colpo verso il biondo e Sebastiaan poté constatare che era in realtà una ragazza. La giovane lo scrutò per qualche secondo, poi posò lo sguardo sull’akita inu che le scodinzolava ed accennò un sorriso, per poi girarsi dalla parte opposta e, senza dire nulla, cominciare a correre.

Sebastiaan la guardò scomparire nell’oscurità ed alzò le spalle: meglio così, non si doveva sforzare di sembrare amichevole di prima mattina. Il biondo riprese a camminare, ma fu frenato da Audrey che non voleva accennare a spostarsi.

Il ragazzo si girò verso il suo cane per capire cosa volesse e si sorprese non poco nel vedere che Audrey stava ringhiando verso un punto imprecisato davanti a loro. Sebastiaan si voltò allarmato e vide che l’akita inu stava ringhiando ad un lampione più avanti, oltre i cancelli della scuola. Convinto che lì dietro si nascondesse qualche malintenzionato, il biondo alzò la voce, sicuro di sé.

«Chi c’è là?»

Nessuno rispose, poi una creatura gigantesca spuntò da dietro il palo: pareva di guardare un uomo molto alto che si piegava per passare da una porta troppo piccola per lui ed entrare in una stanza. Infatti la creatura aveva le sembianze di un uomo gigantesco, con gambe e braccia terribilmente lunghe. Somigliava ad un manichino esposto in qualche negozio d’abbigliamento: indossava un completo nero, la sua carnagione era di un pallore mortale, la testa priva di capelli. L’unica cosa insolita erano le mani, le cui dita avevano la forma di lunghe lame arcuate.

Sebastiaan sentì il sangue gelargli nelle vene: non riusciva a muoversi, i suoi sensi erano tutti all’erta, ma non aveva la minima idea di come reagire, il suo cervello riusciva solo a chiedersi cosa fosse quell’essere. A peggiorare la situazione ci pensò Audrey, che iniziò ad abbaiare. Solo allora la creatura si accorse della loro presenza e si girò, rivelando un volto privo di connotati, fatta eccezioni per gli occhi che erano grandi e luminosi, completamente rossi. Di fronte a quella vista Sebastiaan si coprì il viso con una mano, ripetendo a sé stesso che quella era solo un’allucinazione, che non potevano esistere creature del genere. Ma nonostante questa sua opera di autoconvincimento il continuo abbaiare di Audrey gli ricordava che non era l’unico a vedere l’essere, che in qualche modo era lì e che probabilmente l’avrebbe attaccato da un momento all’altro. Invece non accadde nulla e dopo qualche altro attimo Audrey smise di abbaiare. Un po’ rassicurato da quel silenzio, Sebastiaan spostò la mano dai suoi occhi e vide che la creatura era scomparsa. Sollevato, ma allo stesso tempo ancora teso e all’erta, il biondo si guardò intorno per cercare qualche traccia lasciata dall’essere, senza però trovare nulla. Notando che Audrey stava tremando, il ragazzo si chinò ad accarezzarla per tranquillizzarla un po’, lanciando di tanto in tanto occhiate sospettose al lampione da dove era spuntata la creatura, poi si alzò e tornò da dove era venuto.

«Vieni Audrey, oggi facciamo il giro lungo per andare al parco…»

 

> Inazuma-cho, biblioteca comunale, 3:28 PM

Aléja si mise le mani tra i capelli, irritato: era quasi mezz’ora che continuava a fissare la stessa pagina del suo libro senza riuscire a memorizzarla. Quella mattina si era svegliato tardi, perdendo il treno e saltando la lezione di storia giapponese, che era proprio l’esame che doveva dare a breve, si era fatto sfottere ed additare come pigrone dai suoi amici ed in quel momento non riusciva nemmeno a concentrarsi come doveva per studiare, per lui era proprio una giornata no.

«Mi scusi, potrei avere l’elenco di circoscrizione del quartiere?»

Il moro brontolò, guardando male la ragazza che, alle sue spalle, parlava con la bibliotecaria: non era nemmeno riuscito a trovare un tavolo libero abbastanza lontano dal banco dei prestiti, quindi gli toccava ascoltare tutte le richieste che venivano fatte al personale della biblioteca. Per di più la ragazza che era appena entrata, quando le fu consegnato l’elenco che aveva chiesto, andò a sedersi di fronte a lui e Aléja non aveva voglia di interagire con qualcuno in qualsiasi modo. Il ragazzo cercò di studiare ancora per qualche minuto, poi chiuse tutto e si preparò ad andarsene: in fondo se non riusciva a concentrarsi era inutile rimanere lì. Dopo aver chiuso la sua borsa il moro uscì dall’edificio, si avviò verso una fermata dell’autobus e, una volta arrivato a destinazione, si sedette su una panchina. Intorno a lui c’era altra gente che aspettava l’arrivo del bus: c’era chi leggeva, chi chiacchierava con qualcun altro, chi giocava con una console, chi guardava il suo cellulare e ad Aléja andava bene così, anche lui voleva stare per i fatti suoi. Il ragazzo prese il suo cellulare per rispondere a qualche messaggio, poi sentì qualcosa passare a grande velocità di fronte a lui. Alzò gli occhi dallo schermo e vide passare sulla strada qualcosa di lunghissimo, simile ad un treno, eppure guardando meglio si rese conto che quella cosa sembrava un enorme millepiedi. La struttura del corpo era uguale a quella dell’insetto, però le sue zampe erano sostituite da braccia umane. Aléja aprì la bocca, senza dire niente: quella cosa era reale? O era sotto acidi e non se ne era reso conto? Guardò le altre persone in attesa alla fermata, ma nessuna di loro sembrava aver fatto caso al mostro che stava passando loro davanti e continuavano le loro attività tranquillamente. Dopo pochi secondi l’essere li sorpassò completamente e poi sopraggiunse l’autobus, ma Aléja non lo prese: era ancora troppo sconvolto dall’accaduto e rimase per qualche minuto a guardare sbigottito un punto imprecisato davanti a sé.

«…Cosa ho appena visto?»

 

>Inazuma-cho, biblioteca comunale, 3:52 PM

Cassandra sospirò, guardando sconsolata l’elenco che aveva chiesto poco prima alla bibliotecaria: come immaginava i suoi genitori non abitavano più lì. Quella notte era andata a controllare il suo vecchio appartamento, covando una minima speranza di ritrovare lì la sua famiglia o almeno qualcuno che conoscesse, ben sapendo che le possibilità erano davvero minime, infatti non aveva trovato nessuno. In fondo erano passati quarant’anni, i suoi genitori dovevano avere più di ottant’anni, sempre se erano ancora vivi. Con tutta probabilità dopo la sua dipartita i suoi erano tornati in Italia, si erano trasferiti in Giappone solo per lavoro dopotutto. La castana si intristì ancora di più cercando di immaginare la vita di sua madre e suo padre dopo la sua morte: era certa che fossero tornati in Italia, ma lei non aveva modo di raggiungerli o almeno cercarli. Non aveva soldi, non aveva documenti, non aveva nemmeno un cambio di vestiti, aveva assolutamente bisogno di aiuto. Era riuscita a ritrovare la sua vecchia scuola, cambiata come il resto della città, ma neanche quello poteva aiutarla: i suoi professori erano sicuramente andati in pensione da tanto tempo ed i suoi compagni di scuola, ormai adulti, probabilmente non si ricordavano nemmeno della sua esistenza. Cassandra non aveva stretto amicizie importanti con i suoi compagni giapponesi, i suoi amici più cari vivevano all’estero anche quando lei era in vita, dubitava fortemente che fossero tornati nella terra del Sol Levante, soprattutto nello stesso quartiere.

C’era una sola persona che probabilmente era rimasta lì…

La ragazza fece una smorfia: si trattava del ragazzo con cui era fidanzata all’epoca della sua morte, ma la vita per lui non si era certo fermata, forse anche lui si era dimenticato di lei, poteva avere una sua famiglia, dei figli, non le sembrava giusto andare a sconvolgergli l’esistenza solo per chiedergli aiuto. D’altro canto però era l’unica persona di cui la castana sapeva di potersi fidare.

Cassandra riprese a sfogliare freneticamente l’elenco, cercando il nome del suo fidanzato. Dopo un altro po’ di ricerca riuscì finalmente a trovare l’indirizzo della persona che stava cercando

La giovane corse a chiedere alla bibliotecaria una mappa della zona, una penna ed un foglietto di carta, poi tornò al suo tavolo ed iniziò ad appuntarsi la strada da fare per raggiungere la casa del suo fidanzato. Una volta finito la castana restituì i tomi che aveva preso in prestito e si diresse velocemente verso l’uscita: la sua meta era dall’altra parte della città e, se non trovava il modo di imbucarsi su un treno, doveva fare tutta la strada a piedi. Riprese il foglietto con le indicazioni per controllare dove andare e si fermò di colpo rileggendo il nome del ragazzo di cui si era innamorata anni prima: era davvero giusto coinvolgerlo in tutta quella storia? Era giusto ripresentarsi da lui dopo avergli causato sicuramente tanto dolore?
Cassandra
scosse la testa, come a scacciare quei pensieri: non poteva lasciarsi andare alla negatività, in quel momento era l’unica cosa che poteva fare. Dopo aver controllato dove andare, la giovane si rimise in tasca il bigliettino e riprese a camminare.

> Inazuma-cho, stazione nord della metropolitana, 10:26 PM

Raphael sospirò, grattandosi la testa: era stato costretto da uno degli impresari con cui stava lavorando ad unirsi ad una festicciola dopo il lavoro ed era riuscito a liberarsi solo da poco. Ormai era tardi, c’era poca gente in giro ed in più aveva iniziato a diluviare. Il castano, stanco per la lunga giornata, si infilò nella fermata della metropolitana, pronto a prendere il primo treno per tornare nel suo albergo. Il giovane interprete si fermò un attimo di fronte ai tornelli per recuperare il suo abbonamento dalla borsa, quando una ragazzina scavalcò la barriera di sicurezza con un balzo e corse come un razzo verso l’uscita, inseguita da un paio di controllori che le urlavano dietro di fermarsi. Raphael rimase un attimo interdetto dalla scena: per tutta la sua permanenza in Giappone non aveva mai assistito ad una scena del genere, ne aveva viste di cotte e di crude, ma ragazzini che scappavano per non aver pagato il biglietto non gli erano ancora capitati.

Dopo poco i controllori ritornarono sui loro passi brontolando, probabilmente dopo aver rinunciato ad inseguire la piccola canaglia sotto la pioggia ed il castano tornò a cercare il suo biglietto. Raggiunto il binario del suo treno, l’interprete notò che neanche lì c’era molta gente: oltre lui sulla c’erano solo uno degli impiegati presenti alla stessa festicciola dove era stato lui e, verso la fine della banchina, una donna dai capelli neri e vestita con un semplice abito bianco, che all’americano sembrava più una camicia da notte. Per ingannare l’attesa fino all’arrivo della metro, il giovane si avvicinò all’uomo che aveva incontrato alla festa per iniziare una conversazione, ma dopo aver visto l’aria seria e seccata del tipo decise di rinunciare all’idea, immaginando di non riuscire ad intavolare un discorso tranquillo ed amichevole.

Fallito il suo primo tentativo per far passare velocemente il tempo, Raphael decise di concentrarsi sulla donna in fondo alla banchina: era decisamente strana, aveva la carnagione mortalmente pallida e sembrava essere scalza, una figura decisamente bizzarra. Poco dopo il castano sentì il rumore del treno che arrivava e vide la donna fare dei piccoli, incerti, passi avanti verso i binari. Il ragazzo si allarmò un attimo, ma poi vide la donna fermarsi giusto sulla linea gialla di sicurezza. Magari si stava solo avvicinando per salire appena le porte si fossero aperte, pensò l’interprete. Invece, quando il treno era sul punto di passarle davanti, la donna si gettò sui binari, venendo investita. Raphael si lasciò scappare un urlo d’orrore e l’altro uomo presente sulla banchina lo guardò come se fosse pazzo. Il castano indicò tremante il punto dove prima si trovava la donna.

«L-La donna che era lì prima, si è appena gettata sotto il treno…!

L’uomo guardò il punto indicato dall’americano, poi a tornò a guardare il più giovane con aria scettica e detto questo salì sul treno.

Il castano rimase senza parole: come non c’era nessuna donna? L’aveva vista con i suoi occhi, non poteva essere un’allucinazione!

Eppure neanche il macchinista, che sicuramente doveva essersi accorto dell’incidente, stava facendo nulla. Confuso ed un po’ mortificato dall’accaduto, Raphael entrò nel vagone del treno, ma mentre stava varcando la soglia d’entrata, vide un pallido volto femminile nello spazio tra la banchina e la vettura della metro, su cui spiccavano due punti rossi luminosi al posto degli occhi. Il giovane balzò nella carrozza, lasciandosi scappare un altro urlo, e prima che potesse fare qualsiasi cosa le porte si chiusero ed il treno si mise in movimento. Per il resto del viaggio Raphael rimase in silenzio, tremando seduto al suo posto, ed appena arrivato a destinazione schizzò fuori dal vagone e non si guardò indietro fino a quando non raggiunse il suo hotel.

 

> Inazuma-cho, zona nord, 11:10 PM

Davanti alla sua scrivania ricoperta da documenti e scartoffie di vario genere, Kageyama cercava di mettere ordine nel lavoro delle prossime settimane: da quando era stato costretto a trasferirsi completamente alla Zeus la sua mole di lavoro era decisamente aumentata. Doveva studiare i dati relativi al Progetto Z, le informazioni raccolte dai suoi agenti sui progressi della Raimon e sui movimenti del detective ficcanaso. A tutto questo si aggiungevano i suoi doveri di vice presidente della lega calcistica giovanile giapponese. L’uomo si levò gli inseparabili occhiali da sole per massaggiarsi meglio le tempie: era faticoso stare dietro a tutta quella roba, soprattutto con il fastidioso rumore della pioggia che picchiettava contro le finestre del suo studio che gli impediva di concentrarsi.

D’un tratto qualcuno bussò alla sua porta e Reiji brontolò un “Avanti” molto infastidito. A richiedere le sue attenzioni era una delle sue domestiche, con in volto dipinta un’aria abbastanza tesa.

«Signore, alla porta c’è una ragazzina che chiede di lei…»

L’allenatore guardò la donna con aria confusa.

«Una ragazzina…? Non ha detto chi è?»

«No signore, ha solo detto che deve parlare con lei di qualcosa di molto urgente…»

Kageyama era ancora più confuso: non aveva contatti con “ragazzine” di alcun tipo. Soprattutto non capiva cosa ci facesse una ragazzina alla sua porta a quell’ora della notte mentre fuori imperversava una bella bufera.

Seppur controvoglia, l’uomo si alzò dalla sua poltrona e si diresse verso l’ingresso di casa, dove, davanti alla porta aperta, una figura incappucciata bagnata fradicia gli rivolgeva le spalle, intenta a guardare la strada.

«Allora, chi saresti tu e cosa avresti di tanto importante da dirmi?»

La figura sussultò e si voltò timidamente, levandosi il cappuccio. Reiji sentì il suo cuore saltare qualche battito: quello della ragazza davanti a lui era un volto che un tempo gli era stato molto caro, che non vedeva da quattro decadi, ma nonostante gli anni passati non sembrava essere invecchiato poi molto. La giovane gli sorrise con aria nervosa.

«C-Ciao Kageyama… Lo so che è strano, ma ti ricordi di me?»

All’uomo venne la pelle d’oca: persino la voce non era cambiata minimamente, era esattamente come se la ricordava. Reiji deglutì, non riuscendo a credere di stare per pronunciare un nome che non diceva più da tempo immemore.

«Cassandra…»

Il sorriso della castana si fece più tranquillo e annuì felice.

«Sì, sono io! Ora ti prego, ascoltami, ho bisogno del tuo aiuto…»

 

 

××××××××××××××××××××

 

Ehilà, ci si rivede!

Ecco finalmente il primo vero capitolo di questa long, ed è uno dei capitoli più lunghi che abbia mai scritto nella mia “carriera” da scrittrice!

In questo capitolo sono presentati solo tre OC, altri misteri e nessuna spiegazione. Abbiate pazienza, arriveranno a tempo debito, lo giuro!

Riguardo agli OC, ora metterò una lista di quelli scelti e a chi appartengono, così non si crea nessuna confusione. La scelta di questi OC è stata abbastanza difficile: avevo deciso di prendere dagli otto ai nove OC, quindi con 22 schede consegnate ho dovuto tagliare un sacco di roba. Waffle_Ivanov, la tua scheda non mi è arrivata proprio nonostante l’avviso. Ho avuto parecchie difficoltà per due motivi principali: ho ricevuto tanti, ma proprio tanti pg maschili ed ho ricevuto altrettanti pg che preferivano rimanere single, se tutti non inciuciavano o lo facevano solo con altri OC alla fine questa sarebbe diventata un’original! Questo, insieme a schede incomplete e personaggi che si somigliavano abbastanza, hanno facilitato un po’ la scelta, ma è stato comunque difficoltoso.

Gli OC scelti sono:

 

Sebastian van Hoensbroeck – Chion

Vespera Jasper – Zodyacon_

Shane WalkerScattered Dream

Matt Hoffmannhirondelle_

Raphael Polański – happley

Malia McMooreVegetable_Tommo

Aléja SaezBloody Alice

Andrea Cervini – Marina Swift

Eiji Maekawa – Claire Knight

 

Mi dispiace per chi non è stato scelto, ma non potevo prenderne davvero più di così e mi sono dovuta orientare su pg non troppo simili, adatti alla storia e credibili. Spero non rimaniate troppo delusi, magari in una futura storia OC sarete voi ad essere scelti.
Per finire vi prometto che nel prossimo capitolo compariranno tutti gli altri OC (tranne uno, forse) ed un minimo di spiegazioni inizieranno ad essere date. Non so che altro dire, quindi la chiudo qui che ho sonno--
Alla prossima,

Lau

 

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Capitolo 3
*** Red Lights and Beautiful Dreams ***


3.   Red Lights and Beautiful Dreams

 

> Inazuma-cho, casa Kageyama, 3 agosto, 11:12 PM

Dopo lo stupore iniziale, Kageyama fu preso da una grande rabbia.

«No, no, NO! Lei è morta, non puoi essere vero! Chi sei tu, cosa sei tu?»

Spaventata da quella reazione tanto violenta ed inaspettata, Cassandra arretrò di un passo.

«L-Lo so che è strano da credere, ma ti prego di ascoltarmi!»

Ignorando completamente le parole della ragazza, l’uomo la prese per un polso, cercando di trovare un punto debole in quello che lui credeva un travestimento.

«Non sembra una maschera e non vedo cicatrici da chirurgia estetica… Chi si è preso il disturbo di trovare un sosia e mandarlo da me?! Dimmi per chi lavori!»

Come risposta la castana mise la mano libera in faccia all’uomo, cercando di allontanarlo.

«Kageyama, calmati ed ascoltami, per piacere!»

Irritato all’inverosimile da quel gesto, Reiji scostò bruscamente la mano della giovane dalla sua faccia e le afferrò anche l’altro polso. C’erano poche cose al mondo in grado di far perdere in quel modo all’uomo la sua solita compostezza, ma l’idea che qualcuno stesse cercando di giocare con dei sentimenti che aveva a lungo cercato di dimenticare lo faceva davvero infuriare.

Cassandra in quel momento era davvero spaventata: certo, si aspettava una reazione incredula, anche brusca, ma non una così aggressiva. Cercando di mantenere la calma, la ragazza fece quello che faceva sempre quando qualcuno non la ascoltava: prese una bella boccata d’aria e poi emise un urlo acutissimo e prolungato. Stordito da quel suono, Kageyama lasciò i polsi della castana per potersi tappare le orecchie e chiuse gli occhi. Era incredulo: ricordava bene il suono di quell’urlo, più volte da giovane aveva chiesto alla sua fidanzata di gridare in quel modo per spaventare qualcuno che gli stava poco simpatico e divertirsi un poco, un suono del genere era difficile da imitare, soprattutto per chi non l’aveva mai sentito. Una volta che la giovane smise di strillare, Reiji riaprì gli occhi e sentì una stretta al cuore guardando quelli pieni di lacrime di Cassandra.

«L-Lo so che è difficile da credere, neanche io riesco a farmene una ragione, ma sono viva. Ho freddo, ho fame, sono tutte cose che non provo da tantissimo tempo, ma sono cose che mi fanno capire di essere viva. Reiji… Ascoltami, ti prego, non ho nessun altro a cui chiedere aiuto…»

L’uomo si morse le labbra: avrebbe voluto davvero credere alla ragazza, più la guardava e più sentiva la sua voce più si convinceva che era la fidanzata che aveva perso tanti anni prima, ma continuava a temere che quello fosse tutto un inganno.

«Come faccio… Come faccio a sapere che sei davvero tu?»

La castana rimase senza parole: quella posta da Kageyama era una domanda più che legittima, ma come poteva dimostrargli di essere la stessa ragazza di quarant’anni prima? Si prese un attimo per riflettere, poi venne fulminata da un’idea.

«Tua madre ti ha confezionato un pinguino di peluches quando sei nato, lo conservavi sotto il tuo letto! Un pomeriggio mentre studiavamo insieme l’ho trovato per caso, tu per l’imbarazzo ti sei chiuso in bagno ed ho impiegato circa due ore per convincerti ad uscire da lì!»

Reiji avvampò, imbarazzato dal ricordo e dal fatto che la domestica che l’aveva chiamato prima e che era rimasta lì tutto il tempo avesse sentito. Coprendosi il volto con una mano, l’allenatore fece un cenno alla donna di allontanarsi.

«Vai a prendere qualcosa per permettere a questa ragazza di asciugarsi e cerca un cambio di vestiti che le possa andare.»

Una volta che la domestica se ne fu andata, Kageyama tornò a posare il suo sguardo su Cassandra, che lo guardava speranzosa.

«Solo tu potevi scegliere di raccontare qualcosa di tanto imbarazzante per farti riconoscere…»

Felice di essersi finalmente guadagnata la fiducia del suo vecchio fidanzato, la castana non riuscì a trattenere un sorriso.

«Beh, era l’unica cosa che certamente non conosceva nessuno oltre noi due, io non l’ho mai detto a nessuno come ti avevo promesso!»

Quel sorriso scaldò il cuore di Reiji, che non poté fare a meno di imitare la ragazza.

«Vieni dentro, devi raccontarmi tante cose…»

>Inazuma-cho, casa Kageyama, 4 agosto, 00:27 AM

Kageyama sospirò per l’ennesima volta quella sera: con un po’ di fatica e prendendo in prestito qualche vestito dal cambio della domestica, era riuscito a mettere insieme qualcosa da far indossare alla sua ospite mentre ciò che indossava prima si asciugava. Le aveva fatto preparare da mangiare e nel frattempo la ragazza gli aveva raccontato la sua storia. L’uomo trovava incredibile che la castana fosse rimasta per tutti quegli anni in quello che lei definiva il mondo dei sogni e che ne fosse uscita tramite uno strano portale. Tutta quella storia suonava assurda e impossibile, ma anche la sola presenza di Cassandra seduta al suo fianco era impossibile, quindi aveva deciso di accettare la vicenda così come gli era stata esposta. Nel mentre raccontava, la castana gli aveva più volte dato prova di essere la stessa di quarant’anni prima: conosceva cose che solo loro potevano sapere, ricordava un sacco di eventi che Reiji stesso aveva iniziato a dimenticare e, cosa più importante di tutte, si comportava esattamente come la ragazza di cui Kageyama si era innamorato quarant’anni prima. L’uomo sorrise, osservando la sua ospite sorseggiare la tisana che le aveva fatto preparare, e le accarezzò una guancia.

«Non sei cambiata di una virgola…»

Cassandra lo squadrò e poi sorrise divertita.

«Beh, scusa se il treno della pubertà non passa nel mondo dei sogni!»

Reiji non capì al volo la battuta.

«Treno della pubertà…?»

La castana ridacchiò, un po’ a disagio.

«Beh, perché da come sei cresciuto sembra che non sei stato tu a raggiungere la pubertà, è stata lei ad investirti e a passarti sopra un paio di volte!»

La risata della ragazza morì piano piano, lasciando il posto ad un silenzio imbarazzante. Si diede mentalmente della stupida: come le veniva in mente di fare una battuta del genere in quel momento? Doveva abituarsi all’idea che Kageyama aveva quarant’anni in più di lei ormai, non poteva lasciarsi andare a spiritosaggini del genere, soprattutto perché non sapeva se l’uomo avesse fosse impegnato con qualcun altro, non era più il suo fidanzatino.

«Sono cambiato molto, vero?»

Reiji aveva un sorriso amaro dipinto sul volto: da giovane era sempre insicuro del suo aspetto, un disagio che era andato affievolendosi col passare degli anni senza però scomparire mai del tutto. Ma quello a cui si riferiva principalmente l’uomo era ciò che aveva fatto nei passati quarant’anni. Aveva compiuto a sangue freddo diversi crimini, infischiandosene della vita di tutti quelli intorno a lui, non era più il ragazzino che al massimo faceva a botte con i suoi compagni di scuola o rispondeva male agli adulti. Chissà se Cassandra avvertiva quel suo cambiamento, di sicuro se avesse scoperto quello che aveva fatto lo avrebbe lasciato, e Kageyama non voleva correre quel rischio. Non voleva perderla di nuovo, non dopo che era miracolosamente tornata da lui.

Cassandra si rattristò nel vedere Reiji così amareggiato e lo abbracciò, facendolo sussultare.

-Sì, sei cambiato. Sei cresciuto e dall’essere un bel ragazzo sei diventato un bell’uomo. Va bene così, non c’è nulla di sbagliato! Sei maturato, o a quest’ora ti staresti già lamentando per l’imbarazzo, e dalla casa che ti ritrovi direi che te la sei cavata bene anche nel mondo del lavoro. Sono felice di vedere che la tua vita sta andando bene…

L’uomo sorrise appena e ricambio l’abbraccio. Era strano, Cassandra era tanto piccola fisicamente in confronto a lui, ma un suo abbraccio lo rassicurava più di un esercito pronto a proteggerlo. Era stata una particolarità che la ragazza aveva sempre posseduto, gli era mancata molto la calma che riusciva a regalargli, ma questo Kageyama non l’avrebbe mai ammesso. Dopo un po’ la castana si separò dall’abbraccio e sbadigliò.

«Sei stanca? Hai avuto una giornata intensa dopotutto… Andiamo a dormire?»

Cassandra rabbrividì e sorrise a Reiji, cercando di sembrare sicura di sé.

«Oh no, potrei andare avanti a parlare per tutta la notte!»

L’allenatore la guardò facendo una smorfia poco convinta.

«Non sei mai stata brava a mentire.»

Il sorriso della ragazza si spense mentre lei si raggomitolava su sé stessa, ginocchia strette al petto e sguardo perso nel vuoto.

«Ho paura che se mi addormento rimarrò di nuovo intrappolata in quel mondo…»

Kageyama le accarezzò la testa.

«Stai tranquilla, non permetterò che accada. Se inizia a succedere qualcosa ti sveglierò immediatamente.»

L’uomo si alzò dal divano e le porse la mano.

«Dai, andiamo. Ti si chiudono gli occhi e domani è il mio turno di raccontarti un po’ di cose…»

Reiji ridacchiò.

«In fondo hai solo quarant’anni di storia da recuperare.»

Confortata da quelle parole, Cassandra tornò a sorridere.

«Va bene, mi affido a te allora…»

>Inazuma-cho, caffetteria universitaria, 4 agosto, 07:34 am

«Oh andiamo, smettetela di ridere, vi ho detto che è vero!»

Aléja guardò malissimo il suo amico Shane che, insieme al suo fidanzato Eiji, si stavano sbellicando dalle risate dopo aver sentito cosa aveva visto il giorno prima.

«Un millepiedi gigante che passa per la strada al posto dell’autobus e che hai visto solo tu? Andiamo Al, è assurdo!»

«Non era un millepiedi Shane, era qualcosa di peggio!»

Dal bar si sentì chiamare un numero ed Eiji si alzò dal suo posto per andare a prendere il loro ordine.

«Meno canne amico mio, meno canne.»

Saez mostrò un bel dito medio all’amico, anche se questo era di spalle e non poteva vederlo.

«‘Fanculo Maekawa, vi ho detto che ho dato un tiro UNA sola volta!»

Il russo odiava quando i due fidanzati si spalleggiavano in quel modo, quasi quanto la loro abitudine di tubare sottovoce tagliandosi fuori dai discorsi del loro gruppo di amici. Certo, era molto felice che Shane, di solito introverso ed indifferente, avesse trovato qualcuno che lo smuovesse un po’, ma quando i due si alleavano contro qualcosa o qualcuno anche per scherzo erano insopportabili. Aléja però non poteva dar loro torto: se fosse stato nei loro panni neanche lui avrebbe creduto ad una storia del genere. Poco dopo Eiji tornò, consegnando a ciascuno il proprio ordine.

«Comunque sicuro che non sia stato uno scherzo dello stress? Forse dovresti andare a casa a risposarti, questo esame ti sta davvero spompando.»

«No ragazzi, non era un’allucinazione, era reale! Potevo sentire perfettamente il suono delle sue… Cose che fungevano da zampe sbattere contro l’asfalto, ho sentito lo spostamento d’aria che ha provocato, ho anche visto i vestiti e i capelli degli altri muoversi a causa di quell’aria, ma oltre me nessuno si è accorto di niente!»

Shane iniziò a prendere sul serio quella faccenda: certo, non credeva al mostro che passeggiava tranquillamente per strada, ma il suo amico era fermamente convinto di aver visto qualcosa del genere, quindi qualcosa non andava con lui.

«Non avevi mangiato niente di strano prima?»

«No.»

«Non hai preso medicinali scaduti.»

«Non prendo medicinali da tipo un mese!»

«Provato roba strana?»

«Dio santo Shane, non ero fatto!»

L’americano iniziò a preoccuparsi: se Aléja non aveva preso niente che potesse provocare allucinazioni forse quello era un sintomo di qualche malattia neurologica e la cosa non gli piaceva per niente. Shane stava ripassando mentalmente le malattie che conosceva e che potevano provocare allucinazioni quando il suo fidanzato gli tirò una gomitata per attirare la sua attenzione.

«Shane, lo vedi anche tu quello?»

Il ragazzo alzò lo sguardo per osservare il punto indicato da Eiji: su uno dei grattacieli che si vedevano dalla vetrata c’era una grande figura nera arrampicata come una lucertola. Era abbastanza lontana, quindi non riusciva a vedere bene i dettagli, ma quella creatura sembrava avere un aspetto umano.

«Che è quella roba?»

Aléja, che si era girato anche lui per osservare quel mostro, tirò per la manica uno studente che gli era appena passato vicino e gli indico il palazzo.

«Ehi, vedi niente di strano lì?»

Lo studente guardò tranquillo in direzione della figura, poi fece segno di no.

«No, mi sembra tutto apposto.»

Il russo strinse le spalle.

«A me sembrava che il vetro fosse crepato… Va beh, sarà stata una mia impressione, meglio così.»

Eiji e Shane si guardarono increduli, poi tornarono a guardare la creatura e, con loro sommo orrore, notarono che questa aveva girato la testa a 180° e stava fissando nella loro direzione con i suoi grandi e luminosi occhi rossi. Allarmati da questa cosa, i due scattarono in piedi quasi simultaneamente, imitati subito dopo da Aléja.

«Andiamocene, subito

Dopo aver recuperato le loro borse, i tre si avviarono a passo veloce verso le loro classi.

«Cosa era quel mostro?!»

«Oh, non lo so, sicuro di non essere fatto?»

La coppietta fulminò con lo sguardo Aléja che si stava prendendo la sua rivincita, ma quando quest’ultimo si bloccò di colpo tornarono a guardare davanti a loro e rimasero sgomenti nel vedere la finestra immersa in un bagliore rosso. Quando quel bagliore si trasformò in pura oscurità per un secondo i ragazzi non ebbero più dubbi: quello era un occhio della creatura di prima.

>Inazuma-cho, zona ovest, 4 agosto, 10:45 am

Matt osservava con noncuranza la creatura fuori dalla sua finestra: era una delle allucinazioni più strane che aveva avuto di recente, si trattava dell’enorme testa di una persona decisamente brutta, come quelle streghe delle favole che gli venivano raccontate da piccolo. Il naso arcigno e verrucoso, pieno di rughe e con i capelli sporchi e scompigliati, ma la cosa più strana di quel volto erano gli occhi: erano quattro, piccolissimi, rossi e luminosi. Il ragazzo iniziò a chiedersi se poteva esistere dell’LSD più scadente di quella che aveva comprato la sera prima, quando sentì la porta di casa aprirsi.

«Ehi Matt, sei in casa?»

Il biondo si accigliò e si alzò dall’angolino della stanza dove si era addormentato la sera precedente.

«Fudou, che ci fai qui? Non dovresti essere a quelle lezioni supplementari a scuola?»

«Oh, allora sei a casa sul serio.»

Il giovane teppista gettò sul tavolo le chiavi che aveva usato per aprire la porta e si diresse subito al frigo, come se fosse a casa sua.

«Non avevo voglia di andarci, e tu? Non dovresti essere al lavoro?»

Matt si morse le labbra e non rispose.

«Oh, non me lo dire. Ti sei fatto licenziare un’altra volta…»

«Non me la sentivo di truffare le persone in quel modo…»

Akio sospirò, aprendosi una lattina che aveva trovato in frigo.

«Di nuovo. Che ti trovo a fare un lavoro se lo perdi nel giro di una settimana?»

Il biondo si sentiva davvero in colpa: Fudou si impegnava a trovargli una occupazione, anche se di dubbia legalità, e lui lo ripagava spendendo quel poco che guadagnava in droghe. Il più piccolo sbuffò, agitando una mano per farsi aria.

«Qua dentro si soffoca, non puoi aprire la finestra?»

Matt lanciò un’occhiata veloce alla testa che si era spostata per continuare a guardarlo: era sicuro che quella fosse solo un’allucinazione, ma si sentiva comunque a disagio nel sapere che quella cosa era libera di entrare in casa.

«…È rotta.»

Il teppista sbuffò nuovamente.

«Che palle… Va beh, allora approfittiamone ed andiamo a comprarci qualcosa di fresco al mini-market qui sotto.»

Con un ghigno fiero, Akio tirò fuori un portafogli gonfio e lo mostrò all’amico, che lo guardò male.

«Fudou, hai derubato di nuovo qualcuno?!»
Con
fare innocente, il ragazzino aprì il portafoglio ed iniziò ad esaminarne il contenuto.

«Non è colpa mia, quel pallone gonfiato lo teneva in bella vista nella tasca di dietro del suo pantalone, era un invito a fregarglielo.»

Matt scosse la testa sconsolato: voleva davvero bene ad Akio, lo aveva aiutato parecchio in quegli ultimi mesi e per lui ormai era diventato come un fratellino, ma proprio non sopportava quel suo fare da criminale. Purtroppo però, il biondo non riusciva proprio a dissuaderlo dal commettere furti e stringere patti ed amicizie con individui poco raccomandabili.

«Dai, non fare così. Oggi offro tutto io, ti riempio il frigo e pensiamo a trovarti un nuovo lavoro. Sai, ho iniziato a fare dei servizietti per un pezzo grosso, magari lui può procurarti un posto di poco conto ma di cui non ti potrai lamentare.»

Lo svedese fece una smorfia: non credeva che qualcuno delle conoscenze di Fudou riuscisse a procurargli un lavoro onesto, ma alla fine tentare non nuoceva a nessuno. Lanciò poi un’altra occhiata alla finestra e vide che il mostro di prima era scomparso. Sollevato dalla cosa, andò a recuperare chiavi e portafogli, mentre il teppista finiva la sua bibita e lanciava con noncuranza la lattina vuota sul pavimento.

«Datti una mossa Matt, se rimango in questo forno un secondo di più ci rimango secco.»

Il biondo sospirò, poi aprì la porta al più piccolo.

«Andiamo. Quando ti metti a frignare così sembri proprio un bambino.»

Akio gli passò davanti esibendo un bel dito medio e si avviò verso l’ascensore del palazzo, mentre il suo amico si fermò un attimo a chiudere la porta dell’appartamento prima di seguirlo.

 

>Tokyo, courtyard hotel, 4 agosto, 2:34 pm

Noia. Quella che Andrea provava in quel momento era pura e semplice noia. Aveva finito l’ultimo libro che si era portata dietro dall’America, i suoi amici a Los Angeles in quel momento erano tutti a mangiare o a finire i loro compiti e suo padre non era ancora tornato dalla riunione di quella mattina. Ma la cosa peggiore di tutte era che aveva fame. Suo padre le aveva promesso di portarla in qualche posto carino per pranzo, ma non si era ancora fatto vivo. Andrea però era ormai abituata, quindi continuò a scorrere sul suo Iphone la mappa di Akihabara, segnandosi i posti da visitare quando finalmente suo padre si sarebbe deciso a portarla lì.

Sarebbe andata volentieri andata da sola a visitare quel quartiere, ma per arrivarci avrebbe dovuto prendere la metropolitana ed il solo pensiero la fece rabbrividire.

In quel momento sentì la porta della stanza aprirsi e si mise a sedere sul letto, speranzosa. Finalmente suo padre entrò in camera e poggiò con un sospiro di sollievo la sua borsa a terra, prima di sorridere alla figlia.

«Ehi Andrea, eccoti qui!»

La ragazza si alzò e andò ad abbracciare il genitore.

«Finalmente sei tornato. Andiamo a mangiare ora? Muoio di fame.»

«Ehi, quanta fretta! Fammi cambiare un attimo, poi andiamo a mangiare dove vuoi.»

L’americana era impaziente, ma in fondo suo padre aveva il diritto almeno di indossare qualcosa di più comodo, quindi decise di aspettare senza lamentarsi. Nel mentre si svestiva, l’uomo cercò di conversare con la figlia.

«Allora, cosa hai fatto stamattina?»

La castana strinse le spalle.

«Niente di che. Ho lavorato un po’ al computer, chiacchierato con i ragazzi a casa, finito di leggere il libro che mi hai regalato… Domani mi porti a visitare Akihabara

Il signor Cervini fece una smorfia.

«Scusa tesoro, per domani mi hanno fissato un’altra riunione importante…»

Andrea sospirò esasperata: quel quartiere era l’unica cosa che voleva visitare lì a Tokyo, ma suo padre continuava a rimandare la loro gita lì. Dopo essersi cambiato l’uomo andò a scompigliare i capelli alla figlia.

«Dai, non fare così, ho promesso che ti ci porto e ti ci porterò!»

La giovane fece un verso poco convinto, sperando che quella promessa venisse mantenuta il più presto possibile, poi iniziò a radunare le sue cose per uscire.

«A proposito… Dopodomani dovrei andare a parlare con un cliente in un quartiere residenziale parecchio lontano da qui e poi avrei il pomeriggio libero, vuoi venire con me? Certo, non sarà come visitare la città dell’elettricità, ma potremmo divertirci comunque.»

Andrea ci pensò un po’ su: certo, un quartiere residenziale non era la sua meta più ambita, ma sempre meglio che rimanere in albergo ad annoiarsi.

«Ok, ci sto. Ora andiamo per piacere? Mi mangio un cuscino se non ci sbrighiamo.»

Suo padre ridacchiò e prese la chiave magnetica della stanza.

«Va bene, va bene. Visto che ho parecchie cose da farmi perdonare che ne dici di andare a mangiare a quel KFC gigantesco vicino alla stazione?»

«Direi che è una splendida idea, approvata.»

>Inazuma-cho, cortile della Raimon, 4 agosto, 4:16 PM

Vespera era decisamente depressa e demoralizzata: essere l’unica studentessa della Raimon costretta a venire a scuola durante le vacanze estive per frequentare delle lezioni supplementari non faceva bene alla sua già fragile autostima. Avendo però studiato per tutta la vita privatamente con vari istruttori privati almeno era abituata a rimanere per lungo tempo sola con un insegnante. La scuola era stata anche molto gentile ad organizzare quelle lezioni speciali di giapponese solo per aiutarla, ma lei continuava a sentirsi un peso per tutti: in fondo viveva stabilmente in Giappone da un anno e mezzo, il fatto che non avesse ancora imparato perfettamente la lingua non era accettabile.

Mentre era immersa in questi mesti pensieri, le arrivò un pallone in testa. Il colpo non era stato molto forte e la rossa prese in mano la sfera, prendendosi un colpo vedendo che, dalla stessa direzione da cui era arrivata la palla, stava venendo verso di lei un ragazzo in divisa sportiva.

«Scusami, ti sei fatta male?»

Il giovane sconosciuto era molto alto e magrissimo, carnagione scura e capelli di uno strano azzurro tagliati a spazzola.  Sorrideva, ma Vespera si sentiva comunque intimidita dal suo aspetto, forse a causa del fatto che il ragazzo era molto snello, cosa che le faceva gravare ancora di più i suoi problemi di peso.

«Cosa c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?»

Andando un po’ nel panico di fronte a quell’insistenza, l’australiana porse il pallone al ragazzo e chiuse gli occhi.

«S-Sorry, I don’t speak japanese

Che cosa stupida che aveva detto, pensò Vespera, in fondo il giapponese lo sapeva parlare, aveva anche capito il ragazzo, l’ansia però le giocava spesso quei brutti scherzi.

«…Oh! Parli inglese! Ti sei trasferita qui da poco? Da dove vieni?»

La rossa riaprì gli occhi, stupita: il giovane aveva appena parlato in un inglese perfetto, senza sbagliare nemmeno una pronuncia.

«D-Da Melbourne…»

«Australiana? Cool! I miei sono giapponesi, ma ho vissuto in negli States praticamente per tutta la vita, mi sono trasferito qui poco più di un anno fa!»

Vespera si sentì sollevata come non mai: aveva finalmente trovato qualcuno che poteva capirla. Ma prima che potesse dire qualcos’altro al ragazzo, qualcuno dal campo da calcio lo chiamò.

«Ehi Domon, sbrigati con quella palla!»

Rispondendo all’appello, il calciatore riprese la palla dalle mani della rossa e si riavviò verso il campo.

«Scusa, devo andare! Ci si becca in giro, ciao!»

Vespera rimase a guardarlo mentre tornava a giocare con i suoi compagni, riflettendo sul da farsi: voleva davvero tanto fare amicizia con quel ragazzo, però in quel momento era con un sacco di altre persone e non sapeva se era il caso di avvicinarsi o meno. Però alla fine doveva provare, tanto ormai le lezioni erano finite e, se qualcosa andava storto, poteva sempre scappare verso casa. Timidamente, la giovane si avvicinò al campo di calcio e rimase sorpresa nel vedere giocatori con ogni tipo di corporatura affannarsi allo stesso modo e senza riserve, c’era anche un difensore anche più grosso di lei! L’australiana era tanto rapita da quella scena di non accorgersi di essersi avvicinata troppo alla panchina a bordocampo, o almeno non se ne accorse fino a quando una fanciulla dai capelli verde scuro non le rivolse la parola.

«Ciao, sei interessata alla squadra?»

La rossa sussultò, colta alla sprovvista, e non seppe nuovamente cosa dire.

«Parlale in inglese Aki, penso si trovi più a suo agio.»

Ad esprimersi era stato il ragazzo di poco prima, che sorrise nuovamente a Vespera prima di intercettare una palla.

«Oh, sei una studentessa straniera? Come ti chiami? Io sono Aki Kino, piacere di conoscerti!»

Un’altra persona che parlava benissimo in inglese, all’australiana quello sembrava un sogno.

«Vespera Jasper, piacere mio…»

«Ti sei trasferita qui da poco?»

«Un anno e mezzo…»

«Oh! Beh, il giapponese è una lingua complessa, è normale non capirla ancora del tutto!»

Da dietro le spalle di Aki fece capolino una ragazza dai capelli blu.

«Vuoi diventare una manager del club di calcio?»

Imbarazzata dall’audacia della compagna, Aki si girò verso di lei con aria di rimprovero.

«Otonashi-san!»

Vespera lasciò che le due ragazze discutessero un po’ tra loro. Lei non era una tipa sportiva, però magari quello era un buon modo per fare amicizia con qualcuno.

«S-Sarebbe una cosa molto carina…»

 

>Inazuma-cho, ospedale centrale, 4 agosto, 6:59 PM

«Sei molto gentile a venirmi a trovare durante le vacanze estive, non deve essere il massimo del divertimento venire ogni giorno in ospedale…»

Malia fece cenno di no, scuotendo senza volerlo i suoi lunghi capelli castani.

«No, mi fa piacere venirti a trovare, Genda-san.»

Il ragazzo le sorrise, poi riprese il bento che la giovane gli aveva portato. Era ormai un’intera settimana che il portiere della Teikoku, insieme al resto della sua squadra, era ricoverato all’ospedale dopo la disastrosa sconfitta contro la Zeus e Malia era venuto a trovarlo ogni giorno. Era ormai più di un anno che la castana si era presa una cotta per il ragazzo, dopo averlo visto giocare in televisione, e da allora aveva iniziato ad appassionarsi al calcio e a seguire tutte le partite della Teikoku. Ci era rimasta un po’ male quando la squadra aveva perso la finale regionale del Football Frontier, ma non era minimamente paragonabile al terrore che aveva provato vedendo i ragazzi massacrati da una squadra sconosciuta e senza scrupoli. Da allora la ragazza aveva deciso di farsi avanti e smetterla di osservarlo solo dagli spalti, in modo da poterlo conoscere meglio e proteggerlo da chi gli voleva fare del male. Perché sì, era convinta che quello della Zeus non era stato un incidente e che qualcuno stesse cercando di fare del male e Genda ed i suoi compagni, ma se qualcuno intendeva ferirlo un’altra volta se la sarebbe vista con lei. Le sue compagne intanto la prendevano in giro per questo suo interesse in un ragazzo che andava ancora alle medie, ma la diciassettenne non ci faceva caso: era testarda, non sarebbero state certo le risatine di quattro oche a farle dimenticare i suoi sentimenti.

Genda si era dimostrato un ragazzo educato e gentile, a Malia piaceva sempre di più ed era decisa a chiedergli un appuntamento prima della sua dimissione, ma per quello c’era tempo: il portiere aveva ancora un mese da passare in ospedale, non c’era bisogno di affrettare le cose. Intanto la castana si godeva le loro chiacchierate, le piaceva portargli da mangiare e raccontargli l’andamento del Football Frontier, anche se non lo dava molto a vedere.

Quel giorno però era turbata, cosa che Genda non faticò a notare.

«Malia-san, va tutto bene?»

La ragazza si ridestò dai suoi pensieri.

«Sì, va tutto bene.»

Un sogno. Quello a cui stava pensando era il sogno fatto la sera precedente, in cui delle figure nere dagli occhi rossi attraversavano in massa un vortice azzurro, osservate da un uomo che sorrideva in maniera maligna. Non le piaceva per niente.

«Sicura? Oggi sei così pensierosa…»

Malia abbozzò un sorriso per tranquillizzarlo.

«Ripensavo a qualcosa di sciocco, niente che debba allarmarti. Tu ora hai bisogno di riposo e serenità.»

Già, quello della sera prima era solo uno strano incubo, niente di tanto importante da distrarla dal piccolo sogno d’amore che si stava pian piano costruendo.

 

O almeno, così pensava.

 

 

××××××××××××××××××××

 

Guess who’s back, back again

Lau is back, tell a friend.

Sì ok faccio la seria. Allora… Terzo capitolo, finalmente! Poco più di 4500 parole, più vado avanti più sforno roba lunga, spero non sia pesante da leggere—

Comunque avrete notato che ho aggiunto le date. Già, non aveva senso senza di quelle, ora funziona molto meglio. Il capitolo precedente è tutto ambientato il tre Agosto, giusto per puntualizzare.

Ho fatto comparire tutti gli OC non comparsi nello scorso capitolo, spero di averli resi bene. Mi scuso con Vegetable_Tommie e Marina Swift visto che le loro parti sono un po’ più corte delle altre, ma i vostri OC avranno più spazio in seguito. Col prossimo capitolo si inizia con un po’ di azione, yay! (E prometto di lasciar Cass fuori per un po’)

Intanto godetevi questo capitolo.

Ci si sente presto,

Lau

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Capitolo 4
*** Fear ***


4.  Fear

 

> Inazuma-cho, casa maekawa, 4 agosto, 11:23 pm

 

«Non siete un po’ troppo grandi per un pigiama party voi tre?»

Eiji era davvero imbarazzato: era già stato a casa sua insieme a Shane in più di un’occasione, sia per farlo conoscere al genitore che per passare insieme al suo ragazzo un po’ di tempo in intimità, ma presentarsi davanti al padre con l’aria di chi era appena scappato da un campo di prigionia non solo insieme a Shane, ma anche in compagnia di Aléja, aveva giustamente allarmato il signor Maekawa. Il giovane non voleva far preoccupare suo padre e soprattutto dubitava che credesse alla storia del mostro, quindi aveva semplicemente detto si sarebbero fermati tutti a dormire lì per fare qualcosa di diverso dal solito. Il genitore però non si era bevuto quella scusa chiaramente campata per aria.

«Dai papà, non è un pigiama party! Te l’ho detto, volevamo stare insieme e fare qualcosa di diverso, tutto qui…»

L’uomo fece una smorfia poco convinta: era Agosto, le lezioni universitarie del figlio si sarebbero fermate nel giro di due giorni per le vacanze estive e giustamente il giovane ed i suoi amici approfittavano della cosa uscendo ogni sera a divertirsi, quindi la situazione gli sembrava sempre più sospetta. Ma se suo figlio non gli voleva dire la verità magari non era successo niente di grave, quindi decise di lasciare perdere.

«Come volete, vedete solo di non fare troppo casino, capito?»

Eiji annuì, cercando di mostrare un sorriso convincente, poi prese il futon che era venuto a chiedere al padre e tornò in camera, dove lo stavano aspettando i suoi due ospiti.

Aléja, che veniva a casa del suo amico per la prima volta, era intento ad osservare con interesse i libri posseduti dall’amico, mentre Shane guardava le luci dei lampioni con aria assente.

Dopo essersi trovati quasi faccia a faccia con il mostro quella mattina, i tre avevano cercato di comportarsi in maniera normale, ma mantenere la calma era assai difficile, soprattutto perché dalle varie finestre dell’edificio potevano intravedere il mostro che era sempre lì, in agguato. Shane aveva più volte avanzato la richiesta di dirlo a qualcuno, ma era chiaro che, a parte loro tre, nessuno riusciva a vedere la creatura. I ragazzi erano rimasti all’interno dell’edificio per quello che a loro era sembrato un tempo interminabile, poi, così come era comparsa, la bestia era sparita nel nulla.

Approfittando di ciò, i tre amici erano scappati fuori dall’edificio, ma, temendo di poter essere attaccati, avevano deciso di rimanere assieme. La faccenda però li aveva davvero agitati: tutti e tre erano dei tipi razionali, non credevano nel paranormale e cercavano sempre di dare una spiegazione a tutto, ma non riuscivano proprio a trovarne una a quell’incontro.

Eiji sospirò, sistemando il futon sul pavimento: l’aria era ancora molto tesa, anche se Aléja cercava in tutti i modi di sdrammatizzare.

«Eh? Devo dormire sul pavimento? Eiji, perché non fai il bravo padrone di casa e non mi fai dormire nel letto insieme a Shane?»

Il giapponese fece un sorrisetto divertito: nonostante tutte le loro preoccupazioni, il suo amico riusciva comunque a distrarlo con quel suo fare scherzoso.

«Eh no, non ci provare. Tu nel futon, io nel letto con Shane. Niente storie.»

Aléja mostrò un ghigno divertito.

«Che c’è, hai paura che ti rubi il ragazzo?»

«Oh no, nessuna paura, a lui non piacciono gli idioti.»

I due si guardarono con aria seria per un momento, poi scoppiarono entrambi a ridere. Shane però non si fece trasportare da quell’atmosfera più leggera e rimase a guardare fuori dalla finestra senza dire una parola. Preoccupato per il suo ragazzo, Eiji gli si avvicinò avvolgendogli le spalle con un braccio.

«Ehi, è inutile rimuginare su ciò che è successo oggi così tanto. Ora siamo al sicuro, è questo l’importante.»

Shane si girò a guardare il fidanzato, con occhi pieni di preoccupazione.

«Come posso non pensarci? Cos’era quella cosa, perché la vediamo solo noi? E poi siamo davvero al sicuro? Potrebbe averci seguiti… E se ci attaccasse nel sonno? Come faremo a difenderci da un mostro del genere?»

Il giapponese abbracciò il suo ragazzo, cercando di tranquillizzarlo.

«Cerca di stare calmo. Se avesse voluto attaccarci lo avrebbe fatto all’università, no? Per quanto alle altre domande… Ne sappiamo troppo poco, non posso risponderti… Però magari è stato solo un episodio, magari non rivedremo mai quella creatura.»

Shane rimase teso tra le braccia di Eiji, per niente tranquillizzato.

«Sembrava che stesse cercando qualcosa…»

«E noi cercheremo lui!»

La coppietta si voltò verso Aléja, che si era intromesso di colpo nella loro conversazione.

«…Che sei scemo?»

Il russo guardò malissimo il padrone di casa.

«Andiamo, non possiamo solo far finta di non aver visto niente! Tra pochi giorni inizierà la pausa estiva, avremo tutto il tempo per indagare.»

«È troppo pericoloso, non possiamo farlo!»

«Io sto con Aléja.»

Eiji guardò incredulo il suo ragazzo.

«Voglio capirci di più. Voglio sapere cos’era quella cosa e da dove veniva. Non posso vivere con questo dubbio.»

Il giapponese si morse le labbra, cercando di pensare a qualche scusa che facesse desistere i suoi due compagni da quell’impresa, ma alla fine arrivò alla conclusione che niente avrebbe fatto cambiare loro idea e sospirò.

«Aaaaah, a furia di seguirvi finirò ammazzato…»

 

> Inazuma-cho, stadio della Zeus, 5 agosto, 10:17 am

 

Raphael si guardò intorno, cercando di capire dove andare: quello stadio era enorme, nonostante non fosse la prima volta che ci veniva gli risultava ancora difficile orientarsi all’interno dei lunghi corridoi tutti uguali.

L’americano era stato chiamato lì per una trattativa privata esterna al suo lavoro, a volte capitava che i suoi superiori lo mettessero a disposizione di clienti molto importanti. In quel caso doveva fare da interprete tra i rappresentati di due magnanti, uno delle armi ed uno del petrolio. In realtà però in quella particolare trattativa la sua presenza era necessaria più che altro per formalità, infatti il rappresentante giapponese, un certo Kageyama Reiji, parlava inglese in maniera a dir poco perfetta, cosa che Raphael aveva visto fare a pochissimi giapponesi. Nonostante questo rendesse il suo lavoro semplicissimo, l’interprete non era felice di presenziare a quelle trattative: dopo aver ascoltato le prime conversazioni aveva capito che i due lavoravano per persone molto importanti ed altrettanto pericolose, rimanere impicciati nei loro affari non doveva essere un’esperienza piacevole. Raphael aveva cercato di ascoltare il meno possibile le conversazioni tra i rappresentanti, anche perché quel Kageyama lo inquietava parecchio. Gli sembrava impossibile che come secondo lavoro quell’uomo facesse l’allenatore di calcio per una squadra di ragazzini, eppure era lì, nello stadio creato apposta per loro ed aveva anche conosciuto la squadra.

Proprio in quel momento nel corridoio risuonò una risata cristallina, angelica e maliziosa allo stesso tempo. Raphael sapeva bene a chi apparteneva.

«Ciao Raphael, che ci fai qui?»

L’americano sorrise al ragazzino dai lunghi capelli biondi che gli si stava avvicinando.

«Ciao Aphrodi. Tecnicamente dovevo partecipare ad un altro incontro tra il tuo allenatore ed il signor Smith, ma il signor Kageyama ha posticipato tutto all’ultimo secondo.»

Il capitano della Zeus si mise a giocare con una ciocca dei suoi capelli, senza staccare gli occhi dall’uomo che aveva davanti.

«Sì, non si è fatto vedere neanche ieri. Forse si è beccato qualche malanno, non lo so e non mi interessa.»

Raphael deglutì, messo un po’ a disagio dallo sguardo penetrante del ragazzo. Aveva capito da un po’ che il giovane aveva una bella cotta per lui e l’americano era anche lusingato da ciò, ma la differenza di età e la distanza che si sarebbe frapposta tra di loro dopo il suo ritorno in patria lo frenava e lo spingeva a mantenere le distanze da Aphrodi. Però il capitano della Zeus non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere l’interprete ed ogni volta che veniva a sapere della sua presenza nella struttura lo andava a cercare per corteggiarlo un po’.

«Comunque sei in una zona vietata ai visitatori, dovresti andartene prima che ti veda qualcuno.»

Raphael sussultò: nonostante quello fosse uno stadio di calcio aveva una sicurezza strettissima e delle guardie parecchio aggressive, suo malgrado gli era già capitato di averci a che fare e non voleva ripetere l’esperienza.

«Ehm, mi sono perso di nuovo. Mi puoi dire da che parte è l’uscita?»

Aphrodi sorrise in maniera amabile.

«Ma certo, solo in cambio di una cosa però…»

L’americano inclinò la testa, in segno di curiosità e il suo interlocutore sorrise.

«Voglio il tuo numero di telefono!»

Raphael arrossì, colto alla sprovvista da quella richiesta.

«M-Ma dai, che te ne devi fare del mio numero di telefono?»

Il giovane calciatore assunse un’aria fiera.

«Per poterti invitare agli allenamenti e concederti l’onore di osservarmi giocare.»

L’americano ridacchiò sinceramente imbarazzato: Aphrodi era parecchio vanitoso, a volte fin troppo, ma l’interprete aveva imparato a sue spese che non era saggio farglielo notare. Inoltre era sicuro che, se avesse rifiutato quella proposta, il ragazzo l’avrebbe lasciato lì a vagare per i corridoi vuoti dello stadio per chissà quanto tempo.

«Va bene, se proprio ci tieni…»

Soddisfatto, Aphrodi si girò ed iniziò a fare strada. Non volendo passare tutto il tragitto in silenzio, Raphael cercò un argomento di cui parlare con il ragazzo. Pensando agli occhi rossastri del calciatore all’interprete tornò in mente la spaventosa esperienza che aveva vissuto in metro due giorni prima: nei suoi sprazzi di tempo libero aveva cercato di dare una spiegazione all’accaduto, cercando in internet notizie di incidenti simili, ma non aveva trovato ancora una risposta alle sue domande. Le cose che più si avvicinavano alla sua esperienza erano vari racconti sul paranormale, aveva anche trovato le descrizioni di alcuni fantasmi che somigliavano alla donna che aveva visto, ma nessuno di questi aveva gli occhi rossi come quelli della creatura della banchina. Ricordando che, quando era più piccolo, i pettegolezzi sul paranormale erano molto comuni nella sua scuola, Raphael pensò che magari Aphrodi sapeva qualcosa che poteva essergli utile, quindi decise di chiederglielo.

«Aphrodi, posso farti una domanda?»

Il biondo si girò appena, incuriosito.

«Sì, dimmi.»

«Ecco… Tu sai qualcosa di strane donne con gli occhi completamente rossi che si buttano sotto i treni e nessuno si accorge di niente? Tipo dei fantasmi o cose così?»

Aphrodi ridacchiò, sinceramente divertito.

«Hai paura che qualche mostro ti mangi, Raphael?»

L’interprete sospirò ed arrossì appena, imbarazzato dal fatto che un quattordicenne lo stava prendendo in giro in quel modo.

«No, è che l’altro giorno mi è accaduto proprio una cosa del genere. Sulla banchina del treno c’era questa donna che si è buttata sui binari mentre il treno arrivava, ma io sono l’unico ad averla notata. Inoltre mentre salivo sul vagone sotto il treno ho scorto due occhi rossi che mi fissavano. È stato parecchio pauroso e speravo che tu, vivendo qui, mi sapessi dire se sono l’unico che ha vissuto un’esperienza del genere o no…»

Il giovane calciatore rimase in silenzio qualche secondo: non voleva dubitare di Raphael, inoltre l’interprete sembrava scosso e sincero, quindi decise di prendere la cosa seriamente.

«No, mi dispiace, non ho mai sentito di cose del genere. Però se vuoi posso chiedere in giro, magari qualcuno è più informato di me.»

Raphael sorrise, sinceramente grato al più piccolo per l’aiuto che gli stava offrendo.

«Questo però è un altro favore…»

Il sorriso del castano si spense, preoccupato per quello che Aphrodi avrebbe detto da lì a poco.

«…Quindi voglio che, in cambio, passi un pomeriggio insieme a me!»

Raphael cercò qualche argomento con cui ribattere alla richiesta, ma subito si arrese, sospirando e tornando a sorridere: ma sì, in fondo un appuntamento poteva concederglielo.

 

> Inazuma-cho, Entrata della raimon jr. High, 5 Agosto, 4:41 PM

 

Sebastiaan toccò il palo della luce che aveva davanti: niente, non aveva trovato nulla di sbagliato, quello era un lampione come ce n’erano tanti in quella strada. Eppure da lì dietro aveva visto uscire un mostro ed era sicuro che non fosse stata un’allucinazione, quindi ci doveva essere un’altra spiegazione. Aveva provato a chiedere discretamente informazioni a qualche conoscente nell’esercito giapponese, ma non ne sapevano niente, né poteva essere opera di qualche criminale, tutto troppo strano ed impossibile. L’olandese si stava mangiando il cervello dietro a quel mistero: ci doveva essere una spiegazione razionale, aveva solo troppe poche informazioni per trovarla.

Il biondo si nascose di nuovo dietro il palo per poter analizzare la situazione da un’altra prospettiva, ma, come le altre volte che ci aveva provato, arrivò solo alla conclusione che la cosa da lui vista non si sarebbe mai potuta nascondere tanto perfettamente lì dietro. Sebastiaan sospirò, pensando per l’ennesima volta che stava sprecando un pomeriggio, ma poi una voce attirò la sua attenzione.

«Ehi tu, che stai facendo lì dietro?»

Hibiki Seigou avanzò minaccioso verso l’individuo nascosto dietro il palo davanti all’entrata, pronto ad affrontarlo. Il ragazzo però uscì tranquillamente dal rifugio con un sorriso caldo ed amichevole dipinto sul volto.

«Stavo controllando una cosa. Mi dispiace se l’ho fatta allarmare, non ho cattive intenzioni.»

L’allenatore scrutò da capo a piedi il giovane: si trattava di un uomo slanciato, dal fisico asciutto ed allenato, i capelli biondi e gli occhi di una tonalità particolare di giallo, molto simile a quello dell’oro vecchio. Ma la cosa che più attirava l’attenzione di Hibiki era il sorriso del ragazzo: ne aveva visti di sorrisi nella sua vita, ma di così finti ne ricordava pochi. Decisamente sospetto.

«Chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti.»

Il sorriso di Sebastiaan si tese per il fastidio: ma che voleva quel vecchio? Non stava facendo nulla di male, voleva solo indagare su quella maledetta bestia vista due giorni prima.

«Oh, non ci vengo spesso di giorno, passo di qui la mattina presto per portare a spasso il mio cane. Mi sono ricordato di un volantino interessante appeso al palo e volevo solo controllare se c’era ancora!»

«E come avresti potuto vederlo dietro il palo?»

Il tono saccente di Hibiki innervosì ancora di più il biondo, che però mantenne la calma.

«Stavo solo controllando bene, non ho mica fatto qualcosa di illegale…»

Il più grande si fece ancora avanti fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo interlocutore.

«Ti manda Kageyama, non è vero?»

Il sorriso di Sebastiaan scomparve, lasciando posto ad un’espressione decisamente confusa.

«Scusi, ma non ho la minima idea di chi sia questo tipo.»

Seigou rimase a fissare il ragazzo per un’altra manciata di secondi, poi si girò emettendo un verso stizzito.

«Non mi piaci ragazzo, finisci quello che devi fare e vattene in fretta.»

Sebastiaan guardò con aria alterata l’allenatore varcare il cancello della scuola e sparire, poi si girò ed iniziò a camminare per sbollire la rabbia. Chi era quel vecchio per provare a dargli degli ordini in quella maniera rozza e volgare? In più non aveva trovato nessun indizio che lo aiutasse a chiarire quella vicenda. Però, rifletté il ragazzo, forse si stava concentrando troppo sul mostro lasciandosi sfuggire dettagli importanti. E proprio mentre formulava quel pensiero venne colpito da un’illuminazione: quella mattina non era solo, c’era una ragazzina in quella strada ed era scappata giusto un attimo prima della comparsa dell’essere. Forse lei c’entrava qualcosa, era una pista che l’olandese non voleva escludere a priori. Le sue indagini sarebbero continuate, doveva trovare solo il modo di trovare la ragazza.

 

> Inazuma-cho, ospedale centrale, 5 agosto, 5:05 Pm

 

Svolgendo la sua normale routine da un mese a quella parte, Malia entrò nell’ospedale, salutò le infermiere e salì le scale, diretta al secondo piano dove era ricoverato Genda. Ma, diversamente dal solito, non lo trovò a leggere o a guardare fuori dalla finestra come al solito, bensì a conversare in maniera fitta con il suo compagno di stanza, Sakuma. I due erano veramente presi dalla discussione, tanto che ci impiegarono un po’ ad accorgersi dell’arrivo della ragazza. Appena si resero conto di non essere più soli i due smisero di colpo di parlare e il portiere accolse con un sorriso la nuova arrivata.

«Malia-san, benvenuta. Non ci eravamo accorti che fosse già iniziato l’orario di visita. Prego, accomodati.»

La castana rispose con un cenno a quel saluto ed andò a sedersi al suo solito posto. La giornata andò avanti come al solito, anche se Genda sembrava teso rispetto al solito.

«Malia-san, posso chiederti un favore?»

La ragazza inclinò appena la testa, incuriosita.

«Cosa vuoi chiedermi Genda-san?»

Il giovane portiere era un po’ in imbarazzo, ma continuò a parlare dopo essersi schiarito la voce.

«Ecco, avrei bisogno che tu andassi alla Raimon a consegnare una lettera a Kidou. A noi non è permesso lasciare l’ospedale e beh… Tu…»

“Tu non attireresti i sospetti di chi ci vuole fare del male.”

Malia sapeva bene che era quello che il ragazzo non riusciva a dirle, quindi decise di non costringerlo a continuare.

«Va bene, andrò a consegnare la lettera.»

Genda sorrise alla sua spasimante, sinceramente grato per la sua disponibilità.

«Grazie davvero, io e Sakuma non sapevamo bene a chi altro rivolgerci.»

E, detto questo, le porse la lettera.

Malia la guardò attentamente: la busta era sigillata, ma sopra non c’era scritto niente e non c’era nessun francobollo, una lettera completamente anonima.

«Mi raccomando, nessuno deve vederne il contenuto se non Kidou, contiene informazioni importanti…»

La castana annuì: sapeva che i ragazzi della Teikoku anche dall’ospedale si erano attivati per condurre grazie ad amici e parenti delle indagini su ciò che era loro capitato loro contro la Zeus e lei era davvero curiosa di sapere cosa avevano scoperto, ma se Genda voleva che la lettera arrivasse intatta al suo ex capitano avrebbe rispettato la sua volontà.

A quel punto Malia infilò la busta nella sua borsa scolastica e si alzò.

«Allora io vado.»

Il portiere annuì, sorridendole con aria impacciata.

«Mi dispiace che tu te ne debba andare prima…»

La ragazza scosse la testa.

«Non fa niente, questa cosa ha la priorità, no? Avremo altri pomeriggi da passare insieme…»

«Certo, una volta uscito di qui dovrò offrirti qualcosa come minimo per ringraziarti della tua gentilezza.»

Malia salutò il ragazzo con un inchino e si avviò verso l’uscita dell’ospedale, senza riuscire però a trattenere un piccolo sorriso. Dopotutto il suo amato le aveva appena chiesto di uscire con lui.

Nonostante quel pensiero felice ben piantato nella sua mente, la castana non riusciva a fare altro che riflettere sul contenuto della lettera che doveva consegnare: ci sarebbe stato scritto il nome di complottava contro Genda ed i suoi amici? Sapeva per certo che i ragazzi della Teikoku sospettavano del loro ex allenatore, ma lui era stato preso in custodia dalla polizia dopo l’incidente con la Raimon e poi rilasciato, era innocente o si era fatto scarcerare con qualche mezzuccio? Se fosse stato davvero lui il responsabile di quello che era successo a Genda, Malia lo avrebbe affrontato volentieri, lui e tutta la Zeus!

Immersa in quei pensieri, la giovane arrivò alla Raimon, dove la squadra di calcio si stava allenando in vista della finale. Senza paura o imbarazzo, Malia si fece avanti, attirando l’attenzione dei calciatori, ovviamente sorpresi di vedere una ragazza molto più grande di loro entrare nella scuola e dirigersi verso il campo di allenamento.

«Scusatemi, sto cercando Kidou Yuuto.»

Il giovane con occhialini e mantellina si fece avanti.

«Sono io.»

Malia lo salutò con un inchino formale e tirò fuori la lettera dalla sua borsa per porgergliela.

«Genda Koujirou mi ha chiesto di consegnarti questa.»

Un po’ perplesso, il rasta prese la busta, aprendola e tirandone fuori il contenuto. Ma, dopo pochi secondi che il centrocampista aveva posato i suoi occhi sulle parole scritte sul foglio di carta, il ragazzo emise un verso lamentoso e si tenne la testa con una mano, lasciando cadere la lettera.

«Ehi Kidou, tutto bene?»

I compagni di squadra corsero subito a soccorrere il loro amico mentre Malia, confusa ed un po’ allarmata, andò a recuperare la lettera che Kidou aveva lasciato cadere. Con sua somma sorpresa, la diciassettenne si rese conto di non essere in grado di leggere il contenuto della lettera, non perché fosse scritta in una lingua a lei incomprensibile, ma perché i suoi occhi non sembravano essere in grado di mettere a fuoco le parole. In quel momento una delle manager, una ragazza in carne che teneva stretta a sé una bambola di pezza, lanciò un urlo ed indicò qualcosa alle spalle della più grande. Sempre più tesa ed inquieta, Malia si girò di scatto per vedere una strana creatura tutta nera dall’aspetto umanoide e due grandi occhi rossi. La bestia non era molto grande, non raggiungeva il ginocchio della ragazza, ma le sue mani terminavano in cinque artigli lunghi  ed affilati. La cosa peggiore che la diciassettenne riusciva a notare però era che quella cosa si stava muovendo a passi incerti verso di lei. Malia si girò verso la Raimon per dir loro di scappare, ma tutta la squadra e lo staff, fatta eccezione della ragazza che aveva urlato prima, sembravano pietrificati: sui loro volti era dipinta un’espressione stupefatta, ma nessuno parlava o muoveva un muscolo, a malapena sembravano respirare. Prima che la castana potesse fare altro il mostro si avventò su di lei con grande velocità, emettendo un verso acutissimo e cercando di ferirla con le sue unghia. Malia però non si fece cogliere impreparata e, imbracciata saldamente la sua borsa per i manici, la usò come un’arma per respingere la creaturina, che si fece un volo di qualche metro prima di cadere rovinosamente al suolo. Nonostante questo però lo sgorbio nero si rimise in piedi, come un neonato che imparava a camminare, e riprese ad attaccare Malia, che intanto si difendeva come poteva con la sua cartella.

Ad un certo punto però la creatura riuscì a far breccia con gli artigli nel tessuto della borsa, lacerandola in maniera terribile e facendo fuoriuscire tutti i libri e i quaderni contenuti al suo interno.

Privata dalla sua “arma”, la diciassettenne cercò di pensare velocemente a cosa fare: sarebbe potuta scappare, ma questo significava abbandonare i ragazzi della Raimon, ancora immobili, nelle grinfie del mostro. Proprio quando stava per gettare la spugna, un giovane uomo dai capelli biondi armato di mazza da baseball corse verso di lei e colpì con violenza il mostro.

Sebastiaan era tornato alla Raimon nella speranza che Hibiki se ne fosse andato e che potesse chiedere in giro se qualcuno conosceva la ragazza che aveva visto la notte del 3 Agosto, invece si era trovato davanti una specie di versione in miniatura della creatura su cui stava indagando che attaccava una studentessa delle superiori. Senza un minimo di esitazione ed armandosi di una mazza da baseball che era stata lasciata fortuitamente vicino al cancello, l’ex militare si era gettato all’attacco, più che per senso del dovere per il bisogno di capire qualcosa in più di quello che stava succedendo. Nonostante il colpo ben assestato da un’arma ben più valida di una borsa piena di libri, la creaturina si rialzò e concentrò subito le sue attenzioni sull’olandese, attaccandolo come aveva fatto con la diciassettenne poco prima. Cercando di difendersi, Sebastiaan decise di parare un fendente del mostro con la sua mazza, permettendo così alla bestia di fare letteralmente a fettine la sua arma di fortuna. Ormai disarmato, il biondo indietreggiò di qualche passo, mentre la creatura nera avanzava, pronta a porre fine alla vita del giovane.

Vespera, che fino a quel momento era rimasta a guardare la scena tremante, non ce la fece più e si rannicchiò su sé stessa, stringendo forte la sua bambola e chiudendo gli occhi.

«N-Non può essere vero, deve essere un incubo! Cose del genere non succedono nella realtà. È solo un incubo, è solo un incubo èsolounincuboèsolounincuboèsolounincubo…»

Continuando a ripetere quelle parole come un mantra, la piccola australiana iniziò ad adottare la strategia che usava sempre quando si risvegliava da un incubo ed iniziò a pensare a quei buffi pennuti che, per qualche strana ragione, riuscivano sempre a tranquillizzarla. E, proprio quando aveva iniziato a concentrarsi tanto, dal cielo cadde sulla testa del mostro una paffuta e starnazzante papera. Il pennuto, confuso e decisamente irritato, non ci mise molto a rimettersi in piedi sulle sue zampe palmate e subito iniziò a guardarsi intorno, come a cercare chi le avesse tirato quel brutto scherzo. La bestiaccia nera intanto si era fermata e sul suo brutto muso si era formata un’espressione che si poteva definire incredula mentre guardava la papera, espressione dipinta anche sul volto di Malia e Sebastiaan, altrettanto sorpresi dalla comparsa dell’animale. Quando il mostro, timoroso, fece un passetto indietro, il pennuto si girò verso di lui e con fare aggressivo iniziò a starnazzargli contro, aprendo le ali per risultare più minacciosa.

Attirata da quei versi familiari, Vespera riaprì gli occhi e anche lei rimase senza parole davanti alla scena che si stava svolgendo di fronte a lei: la papera stava riuscendo davvero a spaventare la creatura, che ora la guardava con puro orrore, e presto la mise in fuga.

Passato il pericolo ma ancora sopraffatta dalla sorpresa, la ragazzina dai capelli color pesca si alzò e si avvicinò a passi lenti verso i due che avevano combattuto furiosamente fino ad un momento prima e tutti e tre si misero a fissare la papera, che ora si era calmata ed era intenta a sistemarsi le piume. Dopo circa un minuto, il pennuto alzò la testa per ricambiare lo sguardo dei ragazzi e poi, con un sonoro QUACK, iniziò a svanire, come svaniscono i miraggi nei cartoni animati.

Non avendo più l’animale su cui concentrarsi, Sebastiaan guardò la mano in cui fino ad un momento prima stringeva quel poco che restava della mazza da baseball con cui si era difeso, ma anche quello era sparito.

«Ugh… Che cosa è successo?!»

Come liberati da un incantesimo, tutti i componenti della Raimon ripresero a muoversi e a tenersi la testa, scossa da una strana emicrania che andava scemando molto velocemente.

Sebastiaan, Malia e Vespera avrebbero tanto voluto rispondere a quella domanda, ma neanche loro avevano chiara la situazione: erano stati attaccati e quasi uccisi da una strana creatura, erano gli unici in grado di muoversi ed agire ed erano stati salvati da una papera fantasma.

E se quella era una spiegazione, allora i morti potevano ritornare in vita.

 

Il che non era del tutto impossibile…

 

Ma i tre ragazzi, poverini, ancora non potevano saperlo. L’incubo sospeso tra vita e morte era appena iniziato.

 

××××××××××××××××××××

 

Siamo tornatiiiiii~

Avevo dubbi sulla lunghezza del capitolo, ma alla fine tutto è andato come previsto. Inizia l’azione, da qui in poi sarà tutto un degenerare. Come voglio bene ai bambini che mi avete mandato :°
Facendo le persone serie, la fic è appena entrata nel vivo, non so ancora quanto sarà lunga ma sono certa che da qui in avanti ci sarà parecchia più azione. Nonostante questo però penso che il quarto sia l’ultimo capitolo che pubblicherò in questo 2015: per star dietro a Sweet Dreams ho trascurato un po’ gli altri miei progetti e prima della fine dell’anno vorrei pubblicare un capitolo dell’altra long che ho in corso ed uno della challenge che sto facendo.

Insomma, non ho altro da dire… Spero che i pg siano IC, nel prossimo comparirà chi non è comparso in questo e bon, terminiamola qui prima che collassi—

Spero che il capitolo sia piaciuto!
A
 presto,

Lau.

                                     

 

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Capitolo 5
*** What happens in a dream remains in a dream… Maybe ***


Cover

5. What happens in a dream remains in a dreamMaybe

 

 

> Inazuma-cho, cortile della raimon, 5 agosto, 6:57 pm

 

Seduta su una panchina a bordo campo, Malia fissava con aria persa la lettera che le aveva consegnato Genda, senza leggere davvero ciò che c’era scritto. Era ancora sconvolta da quello che era successo, ma tutti lì lo erano, anche se i ragazzi della Raimon erano per lo più confusi. Nessuno di loro ricordava alla perfezione quello che era successo, ma solo uno strano senso di rassegnazione, come se sapessero che qualcosa di brutto stava per accadere e che non potevano fare nulla per fermarlo. In più, quasi tutti si stavano velocemente dimenticando dell’accaduto, come se fosse stato solo un brutto sogno. Gli unici che continuavano a ricordare erano Malia, Sebastiaan, Vespera e per qualche ragione Kidou. Quando la situazione si era un po’ tranquillizzata, la diciassettenne si era allontanata dagli altri con la scusa di recuperare i libri che aveva sparso in giro durante la battaglia contro il mostro, ma in realtà voleva solo stare sola a riflettere. Mentre raccoglieva le sue cose aveva trovato la lettera che aveva consegnato a Kidou prima che iniziasse tutto quel macello, così l’aveva presa e si era andata a sedere sulla panchina con l’intenzione di leggerla e cercare di impegnare la mente con le informazioni lì scritte, ma qualcosa la bloccava. Aveva appena combattuto contro qualcosa di mostruoso, era confusa e spaventata, aveva davvero bisogno di procurarsi nuove apprensioni? Dopo un poco Sebastiaan la raggiunse.

«Tu sai cos’era quella bestia
La
diciassettenne rimase muta, ma fece lentamente cenno di no. Il biondo continuò a parlare.

-Beh, io ho incontrato qualcosa di simile un paio di giorni fa proprio davanti a questa scuola. Era una specie di umanoide altissimo, è spuntato fuori da dietro il lampione vicino al cancello e poi è scomparso improvvisamente così com’era sbucato. Ho passato il pomeriggio ad indagare su di lui prima di venire ad aiutarvi e mi sono ricordato di una cosa: prima che la creatura comparisse a fissare il cancello della scuola c’era una ragazzina. Non ho idea di chi fosse, ma è strano per una che non poteva avere più di quindici anni andare in giro alle sei del mattino…

Malia prese un respiro profondo: doveva calmarsi, ritrovare la sua solita lucidità e reagire. Il suo interlocutore, dopotutto, le stava offrendo qualche spunto per risolvere il mistero.

«Pensi che questa ragazzina possa c’entrare qualcosa con quei mostri?»

L’olandese strinse le spalle.

«Non lo so, ma è l’unica pista che mi rimane.»

Timidamente, anche Vespera li raggiunse.

«P-Posso sapere anche io?»

I due più grandi guardarono la rossa poco convinti.

«Sarà pericoloso, non mi sembra il caso di coinvolgerti.»

La piccola strinse forte a sé la sua bambola di pezza.

«M-Magari, se ci troveremo di nuovo nei guai, la papera tornerà ad aiutarci.»

Sia Malia che Sebastiaan arrossirono appena al ricordo del pennuto che aveva salvato loro la vita e si fermarono un attimo per riflettere: Vespera era diversa, così come erano diversi loro. Durante l’attacco erano riusciti a muoversi, a combattere ed erano gli unici che continuavano a ricordare. Il biondo non aveva idea se la piccola australiana si sarebbe rivelata utile o una palla al piede, ma non poteva escludere nessuna possibilità.

«Va bene, come vuoi. Comunque dovremo organizzarci.»

 

> Inazuma-cho, galleria centrale, 5 agosto, 6:58 pm

 

Kageyama non ricordava l’ultima volta che aveva sorriso tanto a lungo. Dopo una tranquilla notte di sonno si era preso una prima giornata libera per aggiornare Cassandra su ciò che era successo nel mondo nei quarant’anni in cui lei era stata… Assente. Il resto della giornata l’avevano passato a far compere: in fondo la ragazza non aveva niente con sé a parte i vestiti che indossava e Reiji era più che disponibile a procurarle tutto ciò di cui aveva bisogno. Quella mattina l’uomo si era preso un’altra giornata di permesso: non riusciva a concentrarsi sul lavoro, aveva così tanto tempo da recuperare con Cassandra che avrebbe voluto mollare per sempre tutto e concentrarsi solo e soltanto sulla sua ospite per il resto della sua vita, cosa che sapeva benissimo di non poter fare, ma nulla gli impediva di dedicare altre ventiquattro ore solo alla ragazza. Si era proposto di mostrarle come era cambiata la città, ma erano finiti nuovamente a fare compere per lei: Kageyama trascinava Cassandra in qualsiasi negozio la ragazza si fermasse ad ammirare, invitandole a comprare qualsiasi cosa lei volesse. Tra le tante cose che erano cambiate in meglio dall’ultima volta che Cassandra e Reiji si erano visti c’era la situazione economica dell’uomo, che cercava di farlo notare il più possibile. Una volta che la ragazza fu riuscita a convincere Kageyama che con le compere bastava così, i due avevano lasciato i loro acquisti all’autista dell’uomo, per poi incamminarsi in una semplice passeggiata per il viale illuminato dal tramonto. Reiji non riusciva a staccare gli occhi dalla sua ospite: adorava vedere come il suo volto si illuminava di sorpresa per ogni piccola cosa, ma questo lo portò ad accorgersi immediatamente che qualcosa non andava quando Cassandra si fermò per guardare una piccola ed ombrosa stradina secondaria.

«Cass, va tutto bene?»

L’uomo non ricevette risposta, la ragazza era troppo assorta nei suoi pensieri per ascoltarlo. Subito dopo la giovane si incamminò per il vicolo a passo deciso e Kageyama, allarmato, la seguì subito. Cassandra si fermò davanti ad un manifesto ed iniziò a fissarlo intensamente. Reiji non capiva: cosa ci trovava la ragazza interessante in quel pezzo di carta attaccato al muro? Lui non sapeva neanche dire cosa ci fosse rappresentato sopra, l’unica cosa che vedeva erano solo delle macchie colorate, sfocate e confuse che si muovevano pigramente lungo il manifesto. La realizzazione che dell’inchiostro si stesse muovendo sembrò scatenare nel cervello dell’uomo un dolore lancinante, talmente intenso che lo fece vacillare e gemere di dolore.

«Reiji, stai bene?!»

Sentendolo in difficoltà, Cassandra si era subito dimenticata dei suoi pensieri ed aveva cercato di sostenerlo, per quanto una quattordicenne potesse sostenere un uomo alto il doppio di lei. Kageyama si sentiva tremendamente debole e continuava ad avvertire uno strano dolore alla testa, ma non voleva allarmare in alcun modo la ragazza.

«Sto bene, sto bene… Solo... Torniamo indietro, ok?»

La castana si morse le labbra e tornò a guardare il manifesto di prima.

«Io… Non posso, devo prima controllare una cosa importante. Tu torna sulla strada principale ed aspettami lì, va bene?»

Non andava bene per niente e la preoccupazione per l’espressione inquieta che aveva Cassandra superava qualsiasi dolore Reiji potesse provare in quel momento.

«Non se ne parla. Qualsiasi cosa devi controllare, io vengo con te.»

Andrei avrebbe voluto dirgli di no, che poteva essere pericoloso e che doveva andare da sola, ma sapeva che quello avrebbe portato l’uomo ad impedirle di andare da qualsiasi parte. Pur riluttante, la ragazza decise di acconsentire alla richiesta dell’altro.

«Va bene, ma stammi vicino e prometti di fare quello che ti dico in qualsiasi situazione.»

Kageyama annuì e lasciò che la più piccola lo prendesse per mano. Quel contatto sembrava mitigare il dolore ed il senso di debolezza che l’allenatore della Zeus aveva provato fino a quel momento, non sapeva dire neanche lui come fosse possibile. I due camminarono per un bel po’, inoltrandosi in un viale pieno di case e fermandosi di tanto in tanto così che Cassandra potesse provare a leggere qualcosa. Ogni lettera e numero sembrava essersi trasformato in una macchia confusa e se Reiji provava a leggere qualcosa il dolore che provava diventava abbastanza forte da procurargli la nausea, quindi cercava di concentrarsi solo sulla sua compagna.  D’un tratto questa si fermò nuovamente per scrutare una casa che sembrava non essere abitata da molto tempo. La ragazza sembrava interessata ad una finestra in particolare? Kageyama non vedeva nulla. Qualcosa però Cassandra doveva averla vista perché la ragazza lasciò la mano al più grande e si avviò verso il cancello che dava sul cortile dell’abitazione.

«Devo entrare, aspetta qui.»

Subito l’uomo la raggiunse e l’afferrò per un braccio per fermarla.

«Non puoi entrare, è proprietà privata!»

La giovane si girò verso di lui: la sua espressione era seria come lo era stata pochissime altre volte.

«Devo andare e basta.»

Reiji la lasciò e stava per dirle che tanto il cancello era chiuso, ma questo si aprì comunque ad una lieve spinta della ragazza, che subito marciò verso la porta principale che dava alla casa. L’uomo non voleva e non poteva lasciarla andare da sola, quindi la seguì.

«Cosa ci devi fare qui dentro? Questo posto cade a pezzi!»

«Ssssh

Kageyama sussultò a quell’ammonimento: non se lo aspettava e Cassandra era talmente tesa e allarmata che non riuscì a rispondere. Anche la porta principale si aprì senza problemi, come se fosse stata solo accostata, ed i due poterono entrare all’interno della casa. Era una tipica abitazione giapponese: stretta, a due piani e col pavimento in legno. Appena la ragazza fece un passo all’interno il suo peso fece scricchiolare il parquet in maniera orribile e la giovane fece una smorfia preoccupata, ma il suo secondo passo non emise il minimo rumore. Anche Reiji ora era teso e non si sentiva minimamente a suo agio: tutto in quella situazione era così strano ed innaturale, semplicemente sbagliato. La coppia avanzò di più all’interno della casa: il precedente proprietario aveva lasciato diversi mobili al suo interno, soprattutto nel salone in cui era presente un divano, un mobile per la TV ed una cassettiera poggiata contro il muro che dava alle scale per il piano superiore. Tutto era avvolto dalla polvere e dalla penombra, ma era il silenzio a fare da padrone lì dentro: Kageyama poteva sentire chiaramente il suono degli uccellini cantare nel cortile esterno, ma lì dentro non riusciva a sentire nemmeno il suo stesso respiro. Senza preavviso l’uomo si sentì trascinare a terra dietro al divano da Cassandra. Subito Reiji cercò di chiederle spiegazioni, ma la giovane gli fece un muto segno di rimanere in silenzio, per poi alzarsi appena per spiare ciò che l’aveva allarmata. Volendo capirne di più, l’adulto la imitò, cercando di seguire lo sguardo della sua compagna: presto capì che Cassandra stava spiando una donna dai lunghi capelli neri vestita con un semplice abito bianco che si trovava nella stanza di fronte al salone. Kageyama imprecò mentalmente: ecco perché era tutto aperto, c’era già qualcuno lì dentro e se li avesse visti chissà che sarebbe successo. L’uomo si girò verso la più piccola per dirle che se ne dovevano andare, ma quest’ultima fu la prima a parlare.

«Qualsiasi cosa succeda tu rimani nascosto o scappa.»

E, prima di ricevere una risposta, la ragazza si alzò e uscì da dietro al nascondiglio, mettendosi in linea d’aria di fronte all’estranea. Reiji si sentì paralizzare dalla paura: Cassandra aveva in mano un revolver. Non aveva idea di dove l’avesse preso, da quanto l’avesse con sé e perché, ma sapeva che la giovane la stava puntando contro l’estranea nell’altra stanza e sembrava decisa a sparare.

Kageyama non poteva lasciarglielo fare, non perché trovasse l’atto sbagliato in sé ma perché avrebbe messo in pericolo Cass in talmente tanti modi che l’uomo non riusciva neanche a immaginarseli tutti. In un disperato tentativo di fermare la ragazza, l’uomo cercò di afferrarla e riportarla dietro il divano, ma l’unico risultato che ottenne fu quello di farle sbagliare mira. Infatti, proprio in quell’istante, Cassandra premette il grilletto, ma oltre allo spostamento che le fece sbagliare mira, ci si mise anche il rinculo dell’arma che la prese alla sprovvista, facendole scappare un urlo di dolore mentre lasciava cadere d’istinto la pistola. Alla giovane bastò una frazione di secondo per comprendere l’errore che aveva fatto e Reiji la vide tendersi come una corda di violino prima che lei scattasse verso le scale poco lontane ed iniziasse a salirle in fretta e furia, seguita subito dopo dalla figura della stanza affianco che sembrava muoversi ad una velocità quasi innaturale. Kageyama continuava a non capire niente in quella situazione, ma era sicuro di una cosa: Cass in quel momento era in pericolo e lui non avrebbe permesso a nessuno di farle del male. Combattendo il senso di debolezza che continuava a non lasciarlo, l’uomo recuperò la pistola fatta cadere dalla ragazza e controllò i colpi rimasti: ce n’erano ancora cinque, più che abbondanti per abbattere la sconosciuta se ce ne fosse stato bisogno. Reiji prese un respiro profondo e salì a sua volta le scale, sperando di trovare al sua ospite prima che le succedesse qualcosa. Fortunatamente per lui gli bastò salire l’ultimo gradino per trovarla: Cassandra era in fondo al corridoio su cui davano le scale, intrappolata tra la parete e la sconosciuta che la squadrava come a voler vedere qualcosa dietro di lei. Kageyama si avvicinò di più per essere sicuro di risultare più minaccioso possibile alla sconosciuta: non voleva sparare, c’era il serio rischio di colpire Cassandra in caso di una sparatoria, quindi voleva in tutti i modi evitare la cosa.

«Fermati! Allontanati immediatamente da lei o apro il fuoco!»

L’allenatore della Zeus era pronto a combattere, ma mai sarebbe stato preparato ad affrontare ciò che sarebbe successo dopo. La donna gettò indietro la testa, piegando la propria schiena in una maniera impossibile per qualsiasi essere umano, fino a quando il suo capo non raggiunse l’altezza del bacino, per osservare l’uomo alle sue spalle. Reiji sentì il suo corpo farsi di pietra mentre osservava le orbite vuote della creature, riempite solo da un’intensa luce rossa, e, pur sapendo di dover reagire, non riuscì a far nulla se non fissare quei due punti luminosi di fronte a lui. Subito dopo la donna iniziò ad aprire la sua bocca come se volesse urlare, ma non emise alcun suono. La bestia continuò a spalancare le sue fauci, arrivando a lacerarsi la carne delle guance per allargare ancora di più la mascella. Kageyama sentiva dentro di sé la sua coscienza urlare d’orrore, ma era come un suono lontano perso nel suo essere, la cosa che aveva il completo controllo su di lui era un profondo senso di atonia e rassegnazione: sarebbe morto, sarebbe stato inghiottito da quel buco nero che costituiva la bocca della donna e nessuno avrebbe più ritrovato una singola traccia di lui, era inutile combattere. D’un tratto la creatura crollò a terra, come se un macigno le fosse caduto sull’addome esposto, e Reiji sentì un liquido caldo schizzargli sul volto, cosa che lo ridestò dal trance in cui era caduto. L’uomo alzò appena gli occhi per vedere Cassandra ansimare agitata, col volto contratto dalla rabbia ed armata di ascia. La giovane aveva colpito quella donna innaturale, facendo schizzare sangue su di sé e sull’uomo poco lontano, oltre che sulle pareti della casa. Nonostante avesse il ventre quasi squarciato dal colpo, la creatura tentò lentamente di rimettersi in piedi, ma fu inchiodata al pavimento da Cassandra, che premette una gamba sul petto della creatura per bloccarla.

«Non ci pensare…»

La ragazza continuava ad ansimare, furiosa, e le sue parole risultarono solo un sussurro alle orecchie di Reiji.

«NON CI DEVI NEANCHE PENSARE A FARGLI DEL MALE!»

Cassandra alzò l’ascia sopra la sua testa urlando, per poi schiantarla sulla testa della donna. Ripeté questo procedimento ancora ed ancora, fino a quando della bestia non rimase solo un corpo privo di capo, perché lì dove una volta c’era la testa vi era solo una poltiglia rossa sanguinolenta. Una volta che la giovane fu sicura che la creatura non potesse più muoversi lasciò l’ascia conficcata nel pavimento e raggiunse a passo deciso Kageyama, che era rimasto fino a quel momento bloccato nella sua atonia, per afferrargli una mano e trascinarlo via.

«Ora ce ne dobbiamo andare. Veloce, finché quella rimane morta.»

Reiji si lasciò guidare dall’altra, ancora immerso nella rassegnazione che gli aveva impedito di reagire fino a quel momento. Era sicuro che se non ci fosse stata la ragazza a portarlo via lui sarebbe rimasto in quella casa abbandonato per il resto della sua esistenza, perso a fissare il corpo mutilato di quell’essere orribile. I due si dovettero allontanare parecchio dal luogo del loro crimine prima che l’uomo riuscisse a riprendersi e a pensare normalmente. Rendendosi conto che Cassandra stava tornando indietro verso la galleria commerciale dove stavano passeggiando prima, Kageyama subito cercò di fermarla.

«Cass, non possiamo tornare di là! Sei coperta di sangue, ti arresteranno sicurame-…»

La ragazza si era voltata verso di lui e né sul suo viso né sui suoi vestiti c’era alcuna traccia di sangue. Il volto delle giovane era una maschera di indifferenza, non sembrava provare alcuna emozione.

«Ciò che appartiene al sogno al sogno rimane. Se ti sporchi in sogno ti svegli sporco? Non avremo problemi…»

Reiji era stupito dalla cosa e si toccò subito il volto lì dove doveva essere sporco di sangue, ma non c’era niente. Inoltre si accorse di non avere più in mano la pistola ed era certo di non averla fatta cadere.

Cassandra fece per riprendere a camminare, ma Kageyama la bloccò, tenendola ben ferma per le spalle e guardandola con aria estremamente angosciata.

«Cass, devi spiegarmi cosa sta succedendo e devi farlo ora!»

La giovane chinò il capo, non osando guardare negli occhi il più grande.

«Non lo so…»

«Come non lo sai?! È impossibile!»

La piccola si lasciò scappare un singhiozzo e si coprì il volto con le mani, per nascondere le lacrime che iniziavano a solcarle le guance.

«N-Non lo so, pensavo fossero rimasti indietro ed invece li ritrovo anche qui… Perché non mi lasciano in pace? Perché mi devono inseguire ovunque io vada? Io… Io speravo di poter ricominciare una vita normale…»

Reiji la strinse forte a sé per consolarla: quella situazione continuava ad angosciarlo, ma era in un certo senso sollevato dal vedere che la ragazza esprimeva sentimenti come una persona normale. Di sicuro lei sapeva qualcosa che lui non sapeva, forse nel suo racconto iniziale aveva omesso qualcosa, ma di sicuro quello non era il momento adatto per chiederle qualcosa. La cosa più importante per Kageyama in quel momento era tranquillizzarla e riportarla al sicuro, a casa.

 

> Inazuma-Cho, Casa Kageyama, 5 Agosto, 9:34 PM

 

Reiji si tolse gli occhiali da sole per massaggiarsi le tempie e mitigare il dolore pulsante che gli attanagliava la testa. Si era completamente ripreso dal malore accusato qualche ora prima, il mal di testa che provava in quel momento era dovuto alla quantità di informazioni che stava cercando di assimilare. Una volta tornato a casa e rassicurata Cassandra, l’uomo si era fatto spiegare per filo e per segno come stavano le cose: a quanto pare la creatura che i due avevano affrontato era un incubo, uno dei mostri che si sogna durante la notte, questo in particolare lo incontrava la notte fin da quando era piccola, ma il problema era che l’avevano affrontato nel mondo reale e non in un sogno. A quanto pare nel luogo in cui era rimasta Cass fino a qualche giorno prima le cose erano degenerate pian piano col tempo ed ogni angolo di quel mondo si era riempito di mostri orrendi di ogni forma e dimensione. Ed ora, oltre alla giovane, anche questi mostri si erano riversati nel mondo reale. Nel contempo che l’allenatore pensava, la sua ospite era crollata addormentata al suo fianco sul divano. Kageyama la strinse appena a sé per rassicurarsi: quel pomeriggio Cassandra l’aveva spaventato da morire. Era capitato qualche volta quando erano piccoli che lei si arrabbiasse con qualcuno e fosse finita col farci a botte, ma mai l’aveva vista combattere con la furia e la cattiveria di quel pomeriggio. Reiji non voleva vederla così, voleva proteggere la sua serenità ed il suo sorriso. L’avventura di qualche ora prima era bastata a fargli capire che lui non avrebbe mai potuto difendere da solo la ragazza, ma poteva cercare facilmente qualcuno che lo potesse aiutare.

Ringraziando la tecnologia moderna, l’uomo prese il suo telefono e si mise velocemente a digitare sulla tastiera.

 

> Inazuma-cho, Casa Hoffman, 5 agosto, 10:02 PM

 

Matt continuava a lanciare occhiate nervose alla finestra del proprio appartamento: erano passate diverse ore, ma la testa era ancora lì a fissarlo. Lui cercava di far finta di niente, ma iniziava a sentirsi prendere dal panico: la roba che aveva preso era davvero tanto brutta da prolungare gli effetti allucinogeni così tanto? Nonostante l’evidente agitazione del ragazzo, Fudou non ci faceva caso, immerso com’era nella contemplazione del suo cellulare. D’un tratto la vitalità del più piccolo si risvegliò di colpo.

«Ehi Matt, forse ti ho trovato un lavoro!»

Interessato più a questa notizia che alla testa fluttuante, lo svedese si avvicinò al suo ospite.

«Di cosa si tratta?»

«Uno dei tizi per cui lavoro sta cercando urgentemente un bodyguard, ti puoi candidare!»

Il biondo guardò il quattordicenne con aria incredula: lui era un ragazzo dalla corporatura esile, il carattere estremamente dolce e non sapeva minimamente combattere, come poteva lui fare la guardia del corpo?

«Fudou, non sono adatto a quel lavoro, non mi prenderanno mai!»

Akio lo liquidò con un verso sprezzante.

«Non preoccuparti, ci parlo io col capo. Ti farò avere il lavoro di sicuro.»

Matt sospirò: quello sarebbe stato un altro lavoro che avrebbe perso nel giro di una settimana, ma era inutile discutere con Fudou, era meglio lasciarlo fare e vedere come andava.

 

> Inazuma-cho, zona finanziaria, 6 Agosto, 9:28 am

 

Andrea era arrivata nel palazzo dove suo padre aveva l’incontro con quel cliente importante da meno di dieci minuti e già si stava annoiando. Il posto era un grande edificio amministrativo, pieno di uffici e sale conferenze grigie e monotone, il massimo della noia. Si era portata con sé il suo portatile, ma senza password per la wi-fi era praticamente inutile, l’unico alleato che le rimaneva era il suo inseparabile iPhone con cui ascoltare musica. Mancavano due minuti all’appuntamento e ancora il cliente di suo padre non si era fatto vedere. D’un tratto, dalla zona degli ascensori, si iniziarono ad udire delle voci avvicinarsi.

«Non ho bisogno di una guardia del corpo!»

«Ti ho già detto che non sarà una guardia del corpo, sarà… Una guida! Una guida che ti terrà d’occhio e starà attenta a non farti perdere nella città.»

«Ho letto i requisiti che hai richiesto, quella che vuoi tu mi sembra proprio una guardia del corpo.»

«Senti, non è il momento, ne parliamo dopo.»

Al signor Cervini ed a sua figlia si avvicinarono un uomo alto, vestito di viola e con gli occhiali da sole calati sugli occhi ed una ragazzina poco più piccola di Andrea dall’aria decisamente irritata.

«Oh, signor Kageyama è un piacere conoscerla!»

I due adulti si scambiarono stretta di mano, poi l’americano osservò con curiosità la ragazzina arrivata insieme al suo cliente.

«È sua figlia questa?»

La giovane scoppiò in una risata sarcastica, chiaramente poco apprezzata da Reiji.

«No è… Una ragazza a cui sto facendo da tutore, tutto qui.»

La cosa sembrava un po’ strana all’americano, ma non si discuteva di vita privata con i clienti.

«Beh, comunque mi fa piacere che l’abbia portata con sé, così mia figlia avrà qualcuno con cui socializzare mentre noi parliamo di affari.»

Andrea roteò gli occhi al cielo: non voleva socializzare, figurarsi con una sconosciuta che sembrava avere un diavolo per capello, ma discutere con suo padre non aveva senso, si sarebbe limitata ad ignorare l’altra una volta che gli adulti se ne fossero andati, cosa che accadde poco dopo. Fortunatamente per l’americana, anche la giovane sconosciuta non sembrava aver voglia di discutere e le due si limitarono a sedersi fianco a fianco sulle sedie appena fuori alla sala che avevano occupato i due uomini. Il tempo iniziò a scorrere, anche se lentamente, e Andrea si mise ad ascoltare la musica sul suo iPhone come aveva pianificato. D’un tratto una voce sovrastò la melodia proveniente dalle cuffie.

«Ehi, conosco il nome di questa canzone!»

L’americana si girò verso l’altra ragazza in sua compagnia: sembrava essersi calmata di colpo, il suo volto ora era sereno e pieno di curiosità per il cellulare che teneva in mano l’altra. Andrea si tolse un’auricolare e lo porse alla ragazza.

«Vuoi sentire?»

Normalmente non l’avrebbe fatto, ma poi suo padre l’avrebbe rimproverata per la sua poca socievolezza. Cassandra guardò un attimo confusa l’affarino che l’altra le stava porgendo, poi guardando come quest’ultima teneva l’altro auricolare nelle orecchie la imitò e subito il suo volto si illuminò di sorpresa.

«Si sente benissimo!»

Sul momento Andrea pensò che quella ragazza era davvero strana, ma non fece in tempo a formulare a voce quel pensiero perché Cassandra impallidì, lo sguardo perso verso la parete costituita da finestre davanti a lei. L’americana si girò per capire cosa l’aveva sconvolta, ma proprio in quel momento il boato dei vetri che si frantumavano e una specie di onda d’urto la fecero saltare via. Non ci volle molto alla ragazza per riprendersi e la prima cosa che vide quando riaprì gli occhi fu un’enorme mano femminile dalle unghie lunghe e colorate da uno smalto rosa scuro muoversi a pochi centimetri dai suoi piedi.

 

××××××××××××××××××××

 

Voi non avete idea di che parto sia stato questo capitolo, 4000 e passa parole in due giorni.

Hello a tutti, scusate per la lunga assenza ma tra millemila cose son riuscita a scrivere solo ora.

Mi sono iscritta ad una iniziativa che mi sta rubando un sacco di tempo, anche se sono molto felice di partecipare, e penso anche che stia migliorando le mie capacità di scrittura, soprattutto in lunghezza e velocità. L’unico problema è che tale iniziativa mi terrà occupata ancora per un po’, quindi non ci sarà un altro aggiornamento molto presto, spero che questo abbia placato un po’ la vostra sete di informazioni. E ricordate: Lau non si è dimenticata di voi, è solo molto occupata! Intanto però la parte fragolosa di questo account resuscita per dare alla storia una degna copertina che comparirà all’inizio di ogni capitolo da ora in poi! Spero possiate apprezzarla come la apprezzo io. Detto questo vi saluto, altra scrittura mi chiama!

A presto,

Lau

 

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Capitolo 6
*** Attack on Nightmare ***


Cover

6.   Attack on Nightmare

 

> Inazuma-cho, zona finanziaria, 6 Agosto, 9:28 am

 

Andrea rimase a fissare quella mano nera, ossuta ed enorme: era reale? Come poteva non esserlo, aveva sfondato la vetrata spargendo detriti ovunque! Poi quella cosa si stava muovendo a pochi centimetri dalle gambe della ragazza, facendole avvertire chiaramente uno spostamento d’aria. Sì, quell’appendice mostruosa era sicuramente reale, ma allora a chi apparteneva? La giovane americana risalì con lo sguardo lungo il braccio della creatura fino a quando non incontrò un’orbita vuota illuminata di rosso, incastonata in un volto umano con un muso bestiale, fissa su di lei. Prima che Andrea potesse ben comprendere cosa avesse davanti, la ragazza venne tirata su da Cassandra, visibilmente agitata.

«Stai bene?»

L’americana, continuando ad osservare il mostro, annuì.

«Non lo guardare!»

L’italiana prese il viso dell’altra e glielo spostò, fissando i suoi occhi in quelli di Andrea.

«Riesci a muoverti
La
più grande annuì ancora, confusa.

«Sì, sì, ma perché mi chiedi questo?»

L’espressione di Cassandra si rasserenò un pochino e la giovane aprì la bocca per rispondere alla domanda, ma prima che potesse dire qualcosa la sua attenzione e quella di Andrea venne catturata dal rumore di detriti che venivano spostati ed un lamento della bestia. Sconvolti da quella specie di esplosione e preoccupati per le fanciulle, Kageyama ed il signor Cervini stavano cercando disperatamente di aprire la porta della sala conferenze, ma la mano del mostro, che ancora si agitava all’interno del corridoio, bloccava loro il passaggio. Riuscendo comunque a vedere le ragazze dallo spiraglio che erano riusciti ad aprire, Kageyama iniziò ad urlare, cercando di sovrastare il suono dell’allarme che si era attivato poco prima.

«Cassandra, che sta succedendo?!»

Infastidita dai colpi che la porta le stava infliggendo, la bestia riuscì ad infilare le dita ossute nella fessura, sradicando poi completamente la porta dalla parete, facendo indietreggiare non poco i due uomini, inorriditi da quella cosa.

Cercando di mantenere la calma, l’italiana cercò di sbloccare la situazione.

«Reiji, rimani lì, non ti muovere e per l’amor del cielo non guardare quella cosa negli occhi! Io cerco un modo per scacciarlo!»

Senza dare il tempo all’uomo di risponderle, la ragazza schizzò dalla parte opposta del corridoio, scomparendo subito dietro un angolo. Vedendo Cassandra correre verso chissà quale pericolo, Kageyama si fece prendere dal panico e cercò di inseguirla, ma la mano del mostro ancora gli bloccava il passaggio. Vedendo gli adulti tanto agitati, Andrea decise di prendere in mano la situazione.

«Signor Kageyama, la vado a riprendere io. Voi non cercate di superare quella cosa, comunque non potrà rimanere lì per sempre. Torno subito!»

E, detto questo, l’americana si gettò all’inseguimento.

Trovare Cassandra non le fu difficile, la giovane era ferma davanti alle scale del palazzo, gremite di impiegati che stavano evacuando, e Andrea subito la afferrò per le spalle.

«Cosa fai?! Torna indietro!»

«Non posso, devo fermare quel mostro!»

«E come pensi di fare? È enorme! Lascia fare alla polizia, o meglio all’esercito!»

«Loro non riescono nemmeno a vederlo!»

L’americana proprio non capiva: come poteva la polizia non vedere il mostro, era troppo grosso per non essere notato. Approfittando della distrazione dell’altra, Cassandra si liberò dalla sua stretta e si fiondò sulle scale che portavano ai piani superiori, ormai vuote. Andrea, arrabbiata ed esasperata dal comportamento della più piccola, incominciò nuovamente ad inseguirla fino al tetto. Quando la raggiunse, l’italiana stava guardando la grande struttura metallica che costituiva parte dell’impianto di aereazione del palazzo, pianificando chissà cosa. Prima che Andrea potesse nuovamente afferrarla, Cassandra corse verso il lato della costruzione dove si doveva trovare il mostro per controllare la sua posizione. Trovandosi improvvisamente preoccupata per le sorti del padre, la più grande fece lo stesso, osservando con orrore la creatura che cercava di ritrarre la mano dal palazzo, ferendosi nel tentativo. Prima che potesse pensare qualcosa, Andrea vide la ragazza al suo fianco correre di nuovo via, posizionandosi come un corridore ai blocchi di partenza dietro all’impianto di aereazione.

«Cosa stai facendo?!»

«Cercherò di fargli cadere addosso questa roba
Gli
occhi dell’americana si sgranarono: no, Cassandra era completamente pazza, non sarebbe mai riuscita a farla ragionare. Per tutta risposta l’italiana scattò, correndo verso la cassa di metallo di fronte a lei e saltando, prima di assestarle una potente ginocchiata. Andrea si tappò le orecchie, cercandole di proteggerle dal fragore che il colpo aveva causato, ed abbassò la testa. Il suo sguardo così si posò sulla base della struttura, dove era più sottile e assicurata al grattacielo con grossi bulloni, e notò che il metallo si era piegato. Mentre la ragazza si chiedeva come fosse possibile, l’altra ripeté l’operazione ed Andrea poté constatare con i suoi occhi che i colpi di Cassandra erano efficaci, ma questo fece nascere in lei nuovi dubbi: come poteva un’adolescente come Cassandra riuscire a smuovere quella cosa, ci sarebbe voluta una forza mostruosa! Il fragore generato dal nuovo colpo però sembrò spazzare via tutto, lasciando un unico, orribile interrogativo nella mente di Andrea, interrogativo che l’americana andrò subito a soddisfare affacciandosi nuovamente sul lato del palazzo: la bestia le aveva sentite, il suo volto mostruoso era rivolto verso di loro e la sua mano era nuovamente libera. Lentamente, la creatura iniziò a scalare il palazzo, le sue appendici aderivano al vetro come quelle di una lucertola ed i suoi occhi erano sempre rivolti verso l’alto, dove si trovava la sua preda. Lanciando un urlo terrorizzato, Andrea corse via, avvicinandosi alla porta che dava alle scale.

«Sta venendo qui!»

La notizia agitò non poco Cassandra, che cercò di essere più veloce nei movimenti, imprecando tra i denti. Mentre Andrea cercava di riconquistare la calma, il suo cellulare iniziò a squillare, e, quasi guidata dall’abitudine, l’americana se lo sfilò dalla tasca e guardò il nome sullo schermo, trovando al suo posto solo un ammasso di macchie sfocate, proprio come le capitava durante i sogni. Confusa e turbata, la ragazza rispose comunque alla chiamata.

«Pronto
A
risponderle dall’altro capo del telefono fu suo padre, agitato ed angosciato quasi quanto lei.

«Andrea, dove siete?!»

Ma certo, ora che il mostro si era ritratto suo padre ed il signor Kageyama erano riusciti ad uscire dalla sala conferenza e, col loro aiuto, sarebbe riuscita a trascinare Cassandra al sicuro, che l’italiana lo volesse o meno.

«Siamo sul tetto! Aiutatemi, Cassandra non vuole ascoltarmi!»

Il padre le rispose con un breve “arriviamo”, prima di chiudere la chiamata, poi corse alla rampa delle scale per osservare gli uomini che salivano verso di lei. Il primo ad arrivare fu suo padre, che subito si informò sulle sue condizioni di salute, un attimo dopo arrivò Kageyama che superò i due senza degnarli di uno sguardo e uscì sul tetto, cercando la sua protetta.

«Cassandra, vieni via!»

Sentendo la voce del suo ex fidanzato, la ragazza si fermò un attimo a guardarlo.

«Non posso Reiji, devo fermarlo!»

«No che non devi, vieni via immediatamente!»

Preoccupati per il giapponese e l’italiana, il signor Cervini si avvicinò a loro, tenendo per mano sua figlia. L’uomo non stava capendo molto: c’era stata un’esplosione, ma la ragazzina con cui si accompagnava il suo socio in affari continuava a comportarsi come una pazza e lui, da quando aveva provato a chiamare sua figlia e si era reso conto di non riuscire a leggere nulla sul suo smartphone, si sentiva estremamente debole. In quel momento, come se stesse fuoriuscendo dalle viscere dell’inferno, l’incubo raggiunse la cima del palazzo e sovrastò il gruppo col suo corpo enorme e mostruoso. Andrea sentì la presa di suo padre farsi più rigida e, quando si girò verso di lui, vide che il suo volto era sbiancato ed i suoi tratti sembravano di pietra. Accorgendosi che nella stessa situazione si trovava Kageyama, l’americana si fece prendere dalla paura ed iniziò a scuotere il genitore, cercando di risvegliarlo, ma fu riportata alla calma da una voce squillante.

«Andrea!»

L’americana si girò e scoprì che Cassandra ora la guardava, con occhi pieni di paura, ma con un sorriso incerto sulle labbra.

«Io gli do il colpo di grazia, tu tirami via, ok?»

Prima che Andrea potesse chiederle cosa intendesse, l’italiana ripartì all’attacco della struttura metallica, colpendola con l’ennesima ginocchiata. Già indebolite dai colpi precedenti, le fasce in acciaio che assicuravano l’impianto al palazzo cedettero, facendolo crollare addosso all’abominevole creatura. Spinta dall’adrenalina, Andrea iniziò a ragionare in maniera talmente veloce che ai suoi occhi tutto sembrava muoversi a rallentatore: la bestia, capendo che da lì a pochi secondi sarebbe precipitata al suolo, stava per afferrare Cassandra, ancora tramortita dal colpo appena dato alla struttura in metallo, che non sarebbe mai riuscita a sfuggirle, non da sola. L’americana sapeva di dover fare qualcosa, ma cosa? Tutta quella situazione sembrava un brutto sogno, ma lei di solito riusciva a fare di tutto mentre sognava, anche negli incubi. Ad un tratto un’idea le balenò in testa: l’unica cosa che nei sogni non era mai riuscita a fare era leggere, sia i numeri che le parole, e poco prima non era riuscita a leggere nulla sullo schermo del suo iPhone. Quello che stava vivendo era davvero un sogno? Si sarebbero spiegate la creatura mostruosa e la forza inumana dimostrata da Cassandra, ma se quello era un sogno allora…

Andrea portò le mani avanti e le strinse, come se avesse appena afferrato una corda, per poi tirare con forza verso di sé. In risposta, la giovane italiana viene sbalzata via con forza, come se fosse stata veramente tirata via con una fune, finendo addosso ad Andrea. Lanciando un verso colmo di rabbia e frustrazione, l’incubo venne trascinato via dal peso dell’impianto, schiantandosi al suolo. Un secondo dopo aver sentito il rumore dell’impatto, il signor Cervini e Kageyama crollarono in ginocchio, ansanti e pieni di sudori freddi, come si fossero appena svegliati dal peggior sogno della loro vita e, appena furono in grado di muoversi, corsero subito ad aiutare le due fanciulle, stese una sopra l’altra sul cemento bollente del tetto. Cassandra, trovandosi sopra Andrea, si spostò con non poca difficoltà a causa delle sue ginocchia, rosse e doloranti per tutti i colpi inflitti al duro metallo, e subito dopo venne tirata su dal suo ex fidanzato, che la prese in braccio.

«Ce ne andiamo, immediatamente.»

Il signor Cervini, che nel frattempo aveva aiutato sua figlia ad alzarsi, guardò l’allenatore con aria sconvolta.

«No, aspetti, non può andarsene! Che è appena successo? Cos’era quel mostro? Ci deve una spiegazione
Senza
degnare l’uomo d’affari di una risposta, Kageyama iniziò a scendere le scale, ma si fermò subito quando la ragazza che teneva in braccio iniziò a tirargli con forza un orecchio.

«Non possiamo lasciarli qui, hanno diritto a sapere cosa è successo!»

Kageyama ringhiò arrabbiato.

«Perché, pensi che ti crederebbero
Indispettita
da quelle parole, la giovane italiana si rivolse ad Andrea e suo padre, che cercavano di seguirli.

«Vi rendete conto dell’assurdità della situazione a cui siete appena sopravvissuti, vero?»

I Cervini si fermarono, confusi da quella domanda che, a loro parere, era senza senso, ma sperando di ottenere una spiegazione più chiara, annuirono entrambi.

«E vi rendete anche conto che la spiegazione che avrete sarà altrettanto assurda e suonerà incredibile?»

Di nuovo, i due annuirono, anche se in cuor loro desideravano che tutto si concludesse con “è stato solo uno scherzo”.

Ottenute quelle risposte, Cassandra guardò Reiji negli occhi con aria seria e decisa.

«Vengono con noi, punto e basta.»

Kageyama fece un verso stizzito: normalmente avrebbe risposto per le rime alla ragazza, ma la fretta di allontanarsi da quel posto ed evitare domande scomode di esercito e polizia non gli permetteva di mettersi a discutere con la fanciulla.

«Fai come diamine ti pare.»

E, detto questo, riprese a scendere le scale, allertando nel contempo il suo autista perché venisse a prendere lui e i suoi nuovi ospiti d’oltreoceano.

 

> Inazuma-cho, strade della citta’, 6 agosto, 10:18 Am

 

Gouenji abbassò lo sguardo sull’asfalto, pensieroso.

«Un mostro ci ha attaccati…? Non capisco, non ricordo nulla del genere.»

Kidou sospirò, aspettandosi quella risposta.

«Lo sospettavo, a parte me e Jaspers nessuno ricorda nulla. Persino la mia memoria è fumosa e quando provo a chiedere alla manager cambia argomento o scappa.»

«Sei stato male ieri, sei sicuro di non aver avuto un’allucinazione?»

Il regista fece cenno di no. Ricordava chiaramente uno scontro in cui erano stati coinvolti la fan di Genda ed un ragazzo che passava di lì. Loro gli erano sembrati gli unici in grado di muoversi di fronte alla creatura, mentre lui si era sentito paralizzare da un senso di rassegnazione e malinconica accettazione della morte che lo aveva privato di ogni forza. Però, a differenza del resto della squadra che aveva già dimenticato tutto dopo dieci minuti, lui ricordava. Perché?

Preoccupato per il suo amico, Gouenji gli poggiò una mano sulla spalla.

«Kidou, sei visibilmente provato e non me ne sorprendo. La nostra partita contro di te alla Teikoku, la partita contro la Zeus, i problemi con Kageyama, il tuo trasferimento alla Raimon e il Football Frontier… Sei stressato ed è più che comprensibile il perché. Però è vero che c’è qualcosa di strano… Jaspers è ancora più tesa del solito e così lo erano quel tipo sospetto e la ragazza che ti ha consegnato la lettera. Inoltre lei si è anche trovata la borsa a pezzi, non mi ricordo minimamente quando si sia rotta.»

D’un tratto Kidou si ricordò qualcosa.

«La lettera! Gouenji, quando ho provato a leggerla non ci sono riuscito!»

Il bomber di fuoco guardò perplesso l’altro.

«Non sei riuscito a leggerla…? Non capisco.»

Il rasta si concentrò, cercando di riportare alla mente ogni dettaglio.

«Quella ragazza, Malia si chiama se non erro, mi ha consegnato la lettera di Genda, ma quando l’ho aperta per esaminarla le parole erano… Sfocate! E appena me ne sono reso conto mi sono sentito debole come non mai. Subito dopo è comparso il mostro e ci siamo tutti paralizzati. Beh, tutti tranne Malia, Jaspers e quel ragazzo che è venuto in loro soccorso. È strano, Gouenji, sta succedendo qualcosa di strano.»

Il biondo si mise nuovamente a riflettere, turbato: non dubitava di Kidou, sapeva che era un ragazzo con la testa sulle spalle e sicuramente non si faceva suggestionare facilmente. Temeva ancora per la salute del regista, ma allo stesso tempo gli sembrava strano un malore isolato e tanto improvviso, poi lui stesso aveva un vuoto di memoria che coincideva proprio con il periodo che Yuuto diceva di ricordare.

«La lettera… Ora riesci a leggerla?»

L’espressione di Kidou si irrigidì mentre dalla sua cartella tirava fuori un foglio di carta, il rapporto dei suoi ex compagni sulle recenti attività di Kageyama.

«Sì, perfettamente…»

Gouenji rivolse a Kidou un sorriso per tranquillizzarlo.

«Ho capito, se vuoi scoprire qualcosa di più ti darò una mano.»

Il regista ricambiò il sorriso: si era ormai abituato alla nuova squadra, aveva stretto un legame di amicizia con Endou e gli altri, ma sapeva che se voleva parlare di qualcosa di serio era meglio confidarsi prima con Gouenji. Non lo faceva per cattiveria, ma i ragazzi della Raimon erano molto spensierati e a certe cose non facevano proprio per loro, Gouenji invece era un ottimo ascoltatore e pensatore, Yuuto sapeva di poter contare su di lui per ogni confidenza. Proprio per questo quando l’attaccante gli chiese di leggere la lettera, Kidou gliela consegnò senza esitare. I due erano ancora lontani dalla Raimon, dove si stavano recando per gli allenamenti in vista della partita contro la Zeus, quindi Shuuya aveva tutto il tempo di leggere il rapporto e riconsegnarlo al compagno. Ma, mentre camminava, Gouenji iniziò a non distinguere i kanji, che si trasformarono in una nebbia grigia e fumosa che aleggiava sul foglio bianco. Prima che il biondo potesse chiedersi se la vista si stesse annebbiando o meno, una fitta dolorosissima gli attraversò il capo, privandolo delle forze e mettendolo quasi in ginocchio, se non ci fosse stato Kidou a sostenerlo.

«Gouenji, ti senti bene?!»

Mentre l’attaccante cercava faticosamente di sostenersi da solo, i due calciatori vennero sorpassati ad altissima velocità prima da un’auto e poi da una creatura enorme e lunghissima, strutturata come un millepiedi le cui zampe erano state sostituite con braccia umane, che li travolse con un forte spostamento d’aria. Quando la bestia li ebbe superati, Gouenji e Kidou si scambiarono uno sguardo allarmato: avevano appena visto qualcosa di simile al giorno prima?

Subito il regista fece dietrofront per seguirli, ma il biondo lo fermò.

«Non possiamo andargli dietro, è troppo pericoloso!»

Kidou si girò verso il compagno, con un’espressione agitata.

«Ma forse questa è l’unica possibilità che abbiamo di capirci qualcosa!»

Shuuya sapeva che il suo amico aveva ragione ed anche lui voleva scoprire cosa stava succedendo.

«Va bene, andiamo… Ma cerchiamo di rimanere al sicuro
Yuuto
annuì ed i due iniziarono a correre dietro la strana creatura che continuava ad allontanarsi.

 

> Inazuma-cho, strade della citta’, 6 agosto, 10:21 Am

 

«Più veloce Shane, più veloce! Quella cosa ci ha quasi raggiunti!»

«Sto andando più veloce che posso Aléja, è inutile che urli!»

Il diciannovenne americano aggrottò la fronte imperlata di sudore, chiedendosi come fossero finiti lui ed i suoi due amici in quell’assurda situazione. Quella mattina avevano deciso di saltare le lezioni e di muoversi in macchina per la città, alla ricerca del mostro che li aveva tormentati all’università, e all’inizio era andato tutto bene, non avevano trovato nulla ma si stavano divertendo e rilassando. Poi ad un certo punto avevano visto il millepiedi in lontananza, in cima ad un palazzo. Quando la bestia aveva visto loro, era scesa dal grattacielo ad altissima velocità, per poi avanzare verso la macchina senza rallentare un attimo. Il povero Shane aveva fatto a malapena in tempo a fare inversione ed iniziare a fuggire, se avesse esitato un secondo in più il mostro li avrebbe raggiunti subito. Per loro fortuna, a causa dell’ora e del periodo di vacanza appena iniziato, le strade erano deserte e poterono scappare senza preoccuparsi troppo di creare un incidente. Nonostante però Shane stesse premendo l’acceleratore a tavoletta, il millepiedi si stava avvicinando sempre di più, creando il panico tra i ragazzi.

«Cosa facciamo? Cosa facciamo?!»

Eiji si chinò, tenendosi la testa tra le mani. Lo sapeva, lo sapeva che andare a cercare quella creatura era un errore. Se solo nella macchina ci fosse stato qualcosa da buttare contro il mostro per distrarlo e guadagnare terreno…

Appena ebbe finito di formulare quel pensiero, il giapponese sentì qualcosa rotolargli vicino ai piedi da sotto il sedile. Una volta raccolto, l’oggetto si rivelò essere una bottiglia di vetro piena di alcool tappata con un lungo lembo di stoffa bianca. Ad Eiji non serviva essere chissà quale esperto di armi per riconoscere cosa fosse, e l’idea di tenere in mano qualcosa del genere aumentò la sua agitazione.

«Che ci fa una molotov in macchina?!»

Shane staccò gli occhi dalla strada per guardare cosa avesse in mano il suo ragazzo.

«Che cazzo ne so?! È la macchina di tuo padre questa!»

«Guarda la strada Shane, guarda la strada!»

Mentre i due fidanzati erano impegnati a litigare, Aléja sfilò la molotov dalle mani dell’amico e recuperò un accendino abbandonato nel compartimento tra i sedili, per poi aprire il tettuccio ed affacciarsi fuori, prima di accendere il pezzo di stoffa che spuntava dal collo della bottiglia.

«Mangiati questa, mostro!»

Detto questo, il russo lanciò la molotov contro il muso dell’insettone, colpendolo in pieno. Ciò fece fermare la bestia, ferita ed accecata dalle fiamme, ed Aléja tornò a sedersi, soddisfatto.

Shane ed Eiji rimasero a bocca aperta davanti al comportamento del loro amico, ma appena si ripresero pensarono a come sfruttare il loro nuovo vantaggio.

«Cerchiamo di seminarlo!»

«E come Eiji?! Questa strada è tutta dritta e stiamo andando anche verso il ponte che porta a Tokyo! Non possiamo portarlo lì, saremmo in trappola e farebbe un casino!»

Aléja, che intanto guardava fuori dal finestrino, se ne uscì con un’idea.

«Chissenefrega della macchina, parcheggia qui e nascondiamoci tra gli alberi!»

Con una manovra da vero stuntman, Shane frenò e parcheggiò l’auto da un lato della strada, provocando un piccolo infarto ad Eiji, poi i tre uscirono velocemente dalla vettura ed andarono a nascondersi tra alberi e cespugli. Quando il millepiedi li raggiunse si mise subito ad esaminare l’auto, sorprendendosi di trovarla vuota. La bestia alzò il capo mostruoso, guardandosi in torno alla ricerca delle sue prede. I ragazzi rabbrividirono vedendo la testa da insetto del mostro, le grandi tenaglie che si aprivano e chiudevano, rilasciando una bava verdastra, ma tacquero, sperando che la creatura se ne andasse senza notarli. Il suono di passi veloci sull’asfalto attirò l’attenzione di Shane, che inorridì vedendo due ragazzini avvicinarsi. Il rumore arrivò anche alle orecchie del millepiedi, che si girò di scatto verso i nuovi arrivati, fulminandoli e paralizzandoli con lo sguardo. Prima che l’americano potesse pensare ad un piano per distrarre il mostro e permettere ai due ragazzi di fuggire, una voce troppo famigliare arrivò alle orecchie sue e del suo fidanzato.

«Ehi bestione, mi stavi cercando? Sei arrabbiato per prima?»

Aléja, con un sorriso nervoso e tirato, saltellava e si sbracciava vicino al ponte per attirare l’attenzione del mostro, che si girò verso di lui ed iniziò ad attaccarlo, cercando di acchiapparlo con le sue molteplici mani. Senza perdere un secondo di tempo, Eiji corse dal suo ragazzo e lo afferrò per le spalle, guardandolo dritto negli occhi.

«Shane, porta al sicuro quei ragazzini, io vado ad aiutare Aléja!»

L’americano ebbe bisogno di un secondo per comprendere ciò che gli veniva chiesto, poi annuì con decisione ed i due si separarono, andando da parti opposte.

Mentre Eiji attirava a turno l’attenzione del millepiedi con Aléja, Shane raggiunse i ragazzini e cercò di scuoterli.

«Ehi, che ci fate qui? Datevi una mossa e scappate
I
due, entrambi delle medie, uno biondo con i capelli a spina e l’altro con dei rasta castani tenuti insieme da una coda alta, non reagirono in alcun modo. Erano paralizzati sul posto, al più grande sembrava che non stessero neanche respirando. Capendo che da soli quei ragazzi non si sarebbero mossi, Shane prese il biondo in braccio, con non un po’ di difficoltà, ed andò a nasconderlo nella macchia di verde al lato della strada. Fortunatamente entrambi i ragazzi erano ancora molto giovani e Shane riuscì a trasportarli entrambi al sicuro in poco tempo. Dopo aver nascosto i ragazzini tra i cespugli, l’americano si girò a vedere come se la stessero cavando i suoi amici. Il mostro doveva avere anche il cervello di un millepiedi, oltre all’aspetto, perché la strategia di Aléja ed Eiji stava funzionando, l’unico problema era che ora non potevano scappare.

Shane si sentì montare una grande rabbia dentro: quella mattina stava andando tutto bene, poi quella cosa li aveva presi di mira ed aveva iniziato ad inseguirli, ed ora il suo fidanzato ed il suo migliore amico stavano rischiando la vita nel tentativo di distrarlo. Il moro avrebbe tanto voluto investire quell’orribile mostro, ma la macchina del padre di Eiji era troppo piccola, se solo avesse avuto un mezzo più grosso…

Il filo dei pensieri del ragazzo venne interrotto dal suono di un grosso motore che si accendeva e, guardando dietro di sé, Shane vide un’autocisterna comparsa dal nulla. Dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno alla guida e nei paraggi, l’americano si sedette al posto di guida e, dopo aver famigliarizzato un attimo con il veicolo, partì a tutta velocità, puntando al mostro. Sentendo il forte clacson della vettura, Eiji ed Aléja si scansarono, lasciando così la libertà a Shane di investire e trascinare via il mostro, verso il ponte che prima si era rifiutato di attraversare.

Constatando che la bestia era bloccata e non riusciva a liberarsi, il ragazzo bloccò il pedale dell’acceleratore e si buttò dal veicolo. Aléja non poté che esultare mentalmente per ciò che aveva appena visto: il suo amico era al sicuro e il millepiedi era bloccato, per di più da una cisterna che trasportava liquido infiammabile! Oh, se solo avesse avuto tra le mani qualcosa per provocare un’esplosione si sarebbero potuti liberare di quell’incubo…

Come per magia, a quel pensiero, un bazooka comparve tra le mani del russo, sorprendendo sia lui sia Eiji, al suo fianco.

«Da dove è uscita quella roba?!»

Aléja sfoggiò un sorrisetto sorpreso e divertito.

«Non lo so, ma so perfettamente cosa farci!»

Il ragazzo imbracciò l’arma e poi urlò all’amico che stava correndo verso di lui.

«Shane, a terra!»

Appena ebbe visto l’americano buttarsi sull’asfalto, Aléja premette il grilletto e venne sbalzato via dal rinculo, finendo per terra. Ad occhi chiusi, ascoltando il sibilo del proiettile, il russo pregò intensamente di non aver mancato il suo bersaglio. Poco dopo un tremendo boato ed una discreta onda d’urto, seguita da versi inumani disperati, lo spinsero a riaprire gli occhi e ad avere la conferma che le sue preghiere avevano ricevuto una risposta. Il millepiedi si agitava, avvolto dalle fiamme, emettendo versi striduli e terrificante, prima di abbattersi al suolo e smettere di muoversi. Era finita. Con il cuore che batteva a mille, Shane si rialzò e raggiunse i suoi amici, sconvolti quanto lui. Ce l’avevano fatta, avevano distrutto il mostro e, con esso, il ponte che portava a Tokyo. Eiji ed il suo fidanzato aiutarono Aléja ad alzarsi, poi i tre corsero a controllare le condizioni dei due ragazzi nascosti tra i cespugli, che nel frattempo sembravano essersi sbloccato.

«Ehi piccoli, state bene?»

Kidou si tenne la testa, sorpreso di trovarsi coperto di sudori freddi e, dopo aver deglutito a vuoto, annuì.

«Q-Quel mostro… Che fine ha fatto?»

Sorridendo sollevato, Aléja rispose a Yuuto mimando un’esplosione. Dopo essersi alzati da terra, il regista ed il suo compagno tornarono in strada per verificare con i loro occhi quello che era  successo, seguiti a ruota dal terzetto di ragazzi più grandi, che avevano mille domande da far loro.

«L’avete visto anche voi, vero? Cazzo, temevamo di vederlo solo noi tre.»

Kidou cercò di riacquistare la calma, per poter rispondere chiaramente a quelli che erano ufficialmente i loro salvatori.

«Sì, l’abbiamo visto anche noi… Una cosa simile ieri ha attaccato dei ragazzi alla nostra scuola…»

I tre universitari imprecarono sottovoce, poi Shane ruppe il silenzio che quella notizia aveva creato.

«Possiamo parlarne mentre ce ne andiamo di qua? Tra poco questo posto pullulerà di polizia e vigili del fuoco, e vorrei evitare che ci accusassero di aver creato questo casino. Ragazzi, venite con noi, vi accompagniamo a casa.»

Normalmente Kidou e Gouenji non avrebbero accettato un passaggio da tre sconosciuti, ma visto quello che avevano appena passato, decisero di fidarsi. In fondo durante il tragitto avrebbero potuto scambiarsi con quei ragazzi delle informazioni importanti.

 

> Inazuma-cho, Casa Kageyama, 6 agosto, 12:48 Am

 

Comodamente seduta su un divano, Andrea sorseggiò la bevanda calda che le era stata servita da una delle cameriere di casa, mentre ascoltava con attenzione il telegiornale. Al notiziario stavano parlando dell’incidente di qualche ora prima, dicendo che era stata una forte esplosione che aveva sconvolto parte del palazzo. Nel frattempo suo padre David discuteva nervosamente con Kageyama, chiedendo spiegazioni su ciò che era successo. Il padrone di casa però insisteva nell’aspettare Cassandra prima di dare una qualsiasi spiegazione ai suoi ospiti, facendo agitare ancora di più l’americano. Andrea sospirò, stanca: capiva l’angoscia di suo padre, ma credeva che poteva risparmiarsela. In fondo, anche se con un po’ di difficoltà, erano riusciti ad uscire dal palazzo evitando di essere fermati da chicchessia, avevano raggiunto l’autista di Kageyama e, pur rimanendo bloccati nel traffico per un po’, erano arrivati a casa dell’uomo sani e salvi. Avevano aspettato fin ora, potevano aspettare altri dieci minuti per avere delle spiegazione, l’importante era ottenerle. Proprio quando i due uomini erano sul punto di scoppiare a litigare, la voce squillante di Cassandra gli interruppe.

«Uffa quanto urlate, vi si sente dall’altro capo della casa, e non siamo mica in un monolocale!»

Dimenticando completamente tutto il resto, Reiji si assicurò subito delle condizione della ragazza.

«Cass, come vanno le ginocchia
La
castana sorride per tranquillizzare il suo ex fidanzato.

«Molto meglio Reiji, non preoccuparti!»

Stanco di aspettare, il signor Cervini cercò di attirare l’attenzione dei due.

«Bene, ora volete spiegarci cosa sta succedendo?»

Pronta a rispondere ad ogni domanda, Cassandra andò a sedersi al fianco di Andrea, a gambe incrociate.

«Allora, ciò che avete visto oggi era un incubo!»

I due americani rimasero per un attimo senza parole, poi David sbottò arrabbiato.

«Stai insinuando che ci siamo sognati tutto?!»

La più piccola scosse energicamente la testa.

«No no, è ciò che è quella creatura, un incubo! Non siete voi ad averla sognata ad occhi aperti, è lei ad essere uscita da un sogno!»

Andrea sapeva di doversi aspettare una spiegazione assurda, ma quello andava oltre ogni immaginazione.

«Scusa, come fai ad esserne sicura?»

«Beh… L’ho incontrata in un sogno qualche tempo fa. Ed anche la creatura di un incubo ricorrente che faccio fin da piccola si è manifestata nel mondo reale.»

Il signor Cervini si tenne la testa, confuso.

«Non capisco… Anche se fosse vero, se quella cosa fosse stato un incubo, perché nessun altro sembra averla vista?»

Cassandra si mise a riflettere: non aveva una risposta precisa a quella domanda.

«Non lo so con certezza… Penso che in qualche modo riescano ad ingannare la mente di tutti.»

Kageyama decise di intervenire.

«In effetti neanche lei riusciva a vederlo all’inizio. Quando ha scardinato la porta lei non ha notato nulla.»

Rendendosi conto che ciò era vero, David si sedette su una poltrona per riflettere.

«È vero, l’unica cosa che ho visto è stata la porta scardinarsi, il corridoio era vuoto, almeno ai miei occhi… Andrea, mi confermi che è stato il mostro a farlo?»

La giovane annuì al genitore, prima di parlare.

«Sì, ma allora cos’è cambiato? Perché sul tetto l’hai vista?»

Il signor Cervini chiuse gli occhi, cercando di ricordare.

«Non lo so… L’unica cosa strana è che quando ho provato a chiamarti non riuscivo a leggere nulla sull’iPhone e quando me ne sono reso conto mi sono sentito male…»

Fulminata da un’idea, Cassandra schioccò le dita.

«Si è svegliato!»

Tutti gli altri guardarono confusi l’italiana e quest’ultima, capendo di doversi spiegare meglio, continuò a parlare.

«Signore, le è mai capitato di provare a leggere qualcosa in un sogno?»

L’uomo scosse la testa.

«No, quando mi rendo conto di non riuscire a capire nulla mi svegl- oh…»

Cassandra annuì, decisa.

«Ecco. In qualche modo queste creature compaiono in un sogno ambientato nella realtà e quando le persone si svegliano riescono a vederle. È successo anche con te Reiji, ricordi? Hai tentato di leggere un manifesto e ti sei sentito male, infatti poi sei riuscito a vedere da subito l’incubo in quella casa.»

L’allenatore annuì, contento di veder spiegato il perché del suo malore improvviso del giorno prima, ma il signor Cervini aveva altre domande da porre.

«C’è qualcos’altro che non capisco: quando abbiamo guardato negli occhi quella cosa sia io che il signor Kageyama ci siamo praticamente paralizzati, mentre tu ed Andrea no, perché?»

«Oh, io non mi paralizzo mai davanti agli incubi, li cambio!»

David assunse un’espressione confusa, non capendo quella risposta.

«Cambi gli incubi…?»

L’italiana annuì nuovamente, accorgendosi solo dopo di dover specificare meglio cosa intendesse.

«Oh, non parlo degli incubi tipo quello di oggi, parlo di quelli normali. Cambio sempre i miei sogni.»

«Sei una sognatrice lucida…»

Cassandra guardò entusiasta la ragazza al suo fianco.

«Sai di cosa parlo?»

Andrea annuì: era una sognatrice lucida lei stessa e si era informata tempo prima su questo fenomeno.

«Sì, sono una sognatrice lucida anche io. »

Cassandra tratteneva a stento l’emozione: era la prima volta che incontrava una sognatrice lucida come lei e questo voleva dire avere un’alleata contro gli incubi.

«Quindi i sognatori lucidi hanno la possibilità di muoversi davanti a questi mostri e le persone normali no… Rimangono comunque tanti interrogativi! Da dove escono fuori questi incubi e cosa vogliono?»

L’entusiasmo della castana si spense di fronte alle domande del signor Cervini: non aveva la minima idea di come quelle creature fossero arrivate nel mondo reale. Certo, c’era il portale che aveva attraversato anche lei, ma questo non poteva confidarlo all’americano e a sua figlia. Inoltre non aveva le idee ben chiare su quello strano varco e su come si fosse formato. Ad un certo punto l’attenzione di tutti fu catturata nuovamente dalla televisione, che trasmetteva ora un’altra notizia importante.

«Un altro attacco è stato effettuato stamane al ponte, rendendolo impraticabile. Coloro che devono andare o tornare da Tokyo sono pregati di utilizzare le linee metropolitane, potenziate per contrastare l’emergenza.»

Andrea rabbrividì a quella notizia e suo padre lo notò subito.

«Andrea…»

«Io non ci vado in metropolitana.»

David sospirò: lui doveva assolutamente tornare in hotel, il giorno dopo avrebbe avuto altri importanti appuntamenti di lavoro a Tokyo e non poteva di certo mancarli perché sua figlia aveva paura della metropolitana, ma non voleva neanche lasciare Andrea da sola. Appena l’uomo ebbe spiegato a Reiji e Cassandra il problema, quest’ultima se ne uscì subito con una soluzione.

«Andrea può stare da noi!»

Le occhiatacce che i due adulti le riservarono fecero per un attimo pentire la castana della sua proposta, ma subito dopo cercò di convincerli.

«B-Beh, qui con noi sarebbe più al sicuro…»

«Ha ragione, papà, rimango qui.»

David guardò a bocca aperta sua figlia. Lui non si fidava a lasciarla lì da sola, come poteva lei essere così tranquilla invece? L’occhiata decisa che gli lanciò Andrea gli fece però capire che era inutile tentare di convincerla. Sospirando, l’americano si grattò la testa.

«Va bene… Domani cercherò di liberarmi il prima possibile dei miei impegni, così potrò tornare qui.»

Andrea fu soddisfatta della risposta.

«Ok, domani però porta il mio portatile, ne avrò bisogno.»

Già, la ragazza ne avrebbe avuto proprio bisogno: era decisa a fare parecchie ricerche sulla faccenda per capire fino in fondo cosa stesse succedendo lì. Inoltre pernottare da Kageyama le avrebbe permesso di conoscere meglio Cassandra e scoprire come mai conoscesse così tante cose sulla questione.

 

××××××××××××××××××××

 

Mh mh mh, indovinate chi è tornata dal mondo dei morti? Mi scuso per il ritardo bestiale, ma a forza di aspettare una recensione al capitolo scorso mi sono completamente dimenticata di aggiornare questa storia e quando ho notato che l’ultimo capitolo risaliva a FEBBRAIO ho sclerato male. Però mi sono fatta perdonare, no? Il capitolo è di quasi 6000 parole, pieno di azione… Sigh, spero davvero che basti a farmi perdonare questo ritardo. Comunque la storia inizia ad entrare nel vivo, il prossimo aggiornamento sarà dopo che avrò aggiornata l’altra mia storia ad OC, cosa che cercherò di fare prima dell’inizio delle mie lezioni il 26. Una volta che avrò finito la raccolta che sto scrivendo mi dedicherò solo ai progetti in corso, facendo eccezione solo per qualche one-shot sporadica. Spero davvero di ricevere qualche parere e di trovare la possibilità di aggiornare il prima possibile. In ogni caso, ci rivedremo.

A presto,

Lau

 

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Capitolo 7
*** Shaping the Puzzle ***


Cover

7. Shaping the Puzzle

 

> Inazuma-cho, Rairaiken, 6 agosto, 1:13 PM

 

«...Un millepiedi, eh?»

Hibiki guardò con aria scettica i tre universitari che mangiavano avidamente le pietanze che aveva preparato loro.

«Scì scignore! Sembrava proprio un fottutissimo millepiedi!»

Aléja, con la bocca piena, cercò di eliminare i dubbi del ristoratore, riuscendo solo ad aumentarli.

«Allenatore… Posso darle la mia parola, stanno dicendo la verità.»

L’uomo fece una smorfia preoccupata: se Kidou sosteneva la veridicità di quella storia voleva dire che aveva fondamento.

«Ho capito… Allora devo ringraziarvi per aver protetto i miei ragazzi.»

Eiji, che aveva l’aspetto più ragguardevole tra i tre, rispose con un sorriso.

«Si figuri, per noi era un dovere proteggere i ragazzi. E la ringraziamo per la sua ospitalità, siamo ancora molto scossi dall’incontro.»

Kidou guardò il suo cellulare: il vero motivo per cui aveva portato lì i tre universitari era per fargli conoscere Vespera, Malia e l’altro ragazzo che aveva combattuto contro il piccolo mostro il giorno prima.

Aveva chiamato la nuova manager un’ora prima, quando aveva convinto Shane e gli altri a fermarsi al Rairaiken per presentar loro queste persone, e lei avrebbe pensato a contattare Malia e Sebastiaan. Sarebbero dovuti arrivare da un momento all’altro.

Infatti, pochi minuti dopo, i tre varcarono la soglia del ristorante, Sebastiaan in testa a tutti.  L’olandese si mise subito a scrutare l’ambiente arricciando appena il naso, infastiditi dagli odori della cucina, mentre Malia, entrata subito dopo di lui, andò direttamente a sedersi.

«Allora, perché ci avete chiamati qui?»

Vespera, che ancora esitava sulla porta, sussultò davanti a quella domanda e si avvicinò al resto del gruppo, preoccupata all’idea di potersi perdere una conversazione importante.

«Gouenji e io abbiamo incontrato un altro di quei mostri stamattina. Questi tre ragazzi sono riusciti a sconfiggerlo.»

A quelle parole anche l’attenzione di Sebastiaan, che fino a quel momento era immersa nei giudizi negativi rivolti a Hibiki e al suo ristorante, fu conquistata completamente.

Intanto Eiji, sentendosi un po’ in imbarazzo a lasciar spiegare tutto a un ragazzino di quattordici anni, decise di parlare a sua volta.

«Sì… Era un mostro simile a un millepiedi, però aveva delle braccia umane al posto delle zampe. Non è neanche il primo che vediamo, eravamo usciti a cercarne un altro…»

Sebastiaan, ormai completamente assorto dalla conversazione, si portò una mano sotto al mento, riflettendo.

«Quanti ne avete incontrato in tutto?»

I tre universitari si guardarono per un attimo prima di lasciare nuovamente la parola a Eiji.

«Il mio amico Aléja ha incontrato da solo questo millepiedi, il giorno dopo alla nostra sede universitaria abbiamo visto insieme un altro mostro. Era un umanoide con gli arti lunghissimi che si arrampicava sui palazzi come un insetto…»

Sebastiaan chiuse gli occhi, pensando a cosa altro poteva chiedere ai ragazzi.

«E questi mostri sono comparsi dal nulla? Non avete idea di dove possano essere spuntati?»

Alla risposta negativa dei tre studenti, l’olandese sospirò profondamente.

«Io ho visto uno di queste creature comparire da dietro un lampione, vicino alla Raimon. Era un uomo altissimo, senza volto… È uscito da dietro il lampione come se fosse una porta, prima lì non c’era niente.»

Un profondo silenzio calò nel ristorante, mentre ognuno dei presenti cercava di districare quella matassa di misteri che si trovavano per le mani.

«Non avete notato nulla di strano prima della loro comparsa?» Chiese Kidou, sperando in qualche nuova informazione che potesse aiutarli.

«Una ragazza…»

Il gruppo rivolse le sue attenzioni a Sebastiaan, che aveva appena parlato.

«Una ragazza? Che ragazza?» Lo incalzò Shane, parlando per la prima volta di fronte agli altri.

«Una ragazzina… L’ho vista davanti al cancello della Raimon prima che comparisse il mostro dietro il lampione. Mancava un quarto alle sei, era troppo presto perché fosse una studentessa in attesa che aprissero la scuola. Inoltre non indossava nemmeno una divisa scolastica. Indossava una felpa grigia, dei jeans blu scuro, scarpe da ginnastica bianche e mi sembra una maglietta verde con una scritta bianca. Aveva il cappuccio calato sul volto, ma si è girata a guardarmi.  Aveva i tratti occidentali, occhi marroni, capelli castani e pelle chiara. Doveva avere un taglio corto, i capelli erano completamente coperti dal cappuccio. Aveva più o meno l'età dei ragazzi della Raimon, forse appena più grande. Mi ha sorriso ed è scappata, due secondi dopo è comparso quel mostro dal lampione.»

Il silenzio conquistò nuovamente il ristorante, anche se brevemente. Con uno schiocco di dita Aléja portò l'attenzione su di sé.

«L’ho vista anche io.»

Sconvolti da quella rivelazione, Shane ed Eiji si fiondarono in una serie infinita di domande.

«Sul serio? E dove? Perché non ce l’hai detto prima?»

«Non pensavo fosse importante! Ero alla biblioteca pubblica, lì c'è sempre un casino di gente. Però questa ragazza sono sicura di averla vista! Ero davanti al banco prestiti, ha preso un libro enorme e si è seduta davanti a me. Capelli corti e castani, tratti occidentali, felpa grigia e maglia verde, sono sicurissimo che fosse lei!»

Sebastiaan in questo modo ebbe conferma di ciò che sospettava già da un po’.

«La ragazza potrebbe essere in qualche modo legata a questi mostri, o almeno sapere qualcosa su di loro. Suggerisco di cercarla.»

«E se non lo fosse? La sua presenza in entrambi i luoghi potrebbe essere una coincidenza.»

L’olandese lanciò un’occhiata colma di fastidio a Hibiki, che si ergeva dietro al bancone a braccia conserte con aria severa.

«Una straniera che si palesa insieme a questi mostri è sospetto, non crede?»

«Anche tu sei uno straniero e ti sei palesato insieme a un mostro, devi essere sospetto anche tu?»

Aléja ridacchiò e si stese sul bancone verso il proprietario del locale.

«Signor Hibiki, vero? Capisco cosa sta dicendo, ma anche io penso che dovremmo trovare questa ragazza. Potrebbe non c’entrare nulla con la storia, oppure potrebbe essere in pericolo! Solo trovandola potremmo saperlo.»

L’allenatore emise un sospiro.

«Sì, penso che sia giusto da questo punto di vista…»

Preso dall’entusiasmo, Aléja si alzò di scatto, occhi brillanti e sorriso furbo stampato in faccia.

«Bene, alla biblioteca!»

 

> Inazuma-cho, Stadio della Zeus, campi di allenamento, 6 agosto, 3:54 PM

 

«Raphaeeeeeeeeeeel

Cercando di contenere l’imbarazzo che provava, il giovane interprete ricambiò il saluto di Aphrodi dall’alto degli spalti. Come promesso il giorno prima, il capitano della Zeus aveva approfittato del contatto telefonico dell’americano per invitarlo ad assistere agli allenamenti della squadra. Raphael, non sentendosela di deludere il giovane calciatore, aveva accettato l’invito, pentendosene amaramente quando si era ritrovato a subire un terzo grado da parte delle guardie dello stadio, chiaramente poco contente di vederlo lì. A salvare la situazione ci aveva pensato Aphrodi in persona, intervenuto per spiegare agli energumeni che Raphael era suo ospite e per accompagnare l’interprete sugli spalti per consigliargli il posto migliore dove poterlo osservare.

L’americano quindi si era ritrovato a essere il solo ad assistere agli allenamenti, con gli occhi di tecnici e squadra puntati contro ogni volta che il biondo capitano lo salutava e la cosa lo metteva terribilmente a disagio. A circa un quarto d’ora dall’inizio dell’allenamento una figura scura si avvicinò a Raphael, che pensò subito a un’altra guardia venuta a interrogarlo sulla sua presenza lì. Girandosi per guardare meglio il nuovo arrivato, l’interprete fece un salto sulla sedia rendendosi conto che la figura scura apparteneva a Kageyama. L’americano poteva percepire i penetranti occhi neri dell’allenatore fissi su di lui anche se non poteva vederli, e la cosa lo preoccupava da morire.

«Lei sarebbe? Chi le ha dato il permesso di stare qui?»

Raphael si sentì mancare un battito: Kageyama non si ricordava di lui? Non sapeva dire se quello era un vantaggio o uno svantaggio.

«S-Sono Raphael Polański signore. L-Le faccio da interprete durante gli incontri col signor Smith… Sono qui sotto invito di Afuro Terumi comunque!»

Kageyama distolse lo sguardo dal suo interlocutore per qualche attimo, cercando di rammentare.

«Mh sì, ricordo. Se intende assistere agli allenamenti mi faccia un favore e tenga d’occhio queste due.»

Spinto dalle parole dell’uomo, Raphael fece caso alle due persone che lo accompagnavano. Sulla sinistra c’era una ragazza dai capelli castani lunghi e lisci, la carnagione pallida e occhi neri ben incollati allo schermo del suo iPhone, vestita con jeans e maglietta di una band un po’ datata, mentre sulla destra c’era un’altra ragazza più piccola della prima, anche lei con i capelli lisci e castani, ma corti fino alla nuca con due ciocche più lunghe sul davanti. Indossava una maglietta blu, una felpa blu, una gonna dello stesso colore e tentava disperatamente di liberarsi dalla presa ferrea con cui Kageyama aveva intrappolato il suo polso.

Raphael aveva la netta sensazione di non poter rifiutare quella richiesta, ma in fondo la situazione lo incuriosiva e in quel mono non sarebbe stato il solo ad occupare quegli spalti.

«Sì signore, nessun problema!»

Nell’udire quella conferma Andrea, senza staccare un attimo gli occhi dallo schermo del suo cellulare, si sedette accanto all’interprete, mentre Cassandra fu spinta a sedersi dall’uomo più grande.

«Io non ci rimango qui, vengo con te!»

L’italiana fece per alzarsi, ma le mani del suo ex fidanzato la tennero ben ancorata sulla sedia.

«Devo lavorare Cassandra, non puoi venire con me.»

La castana lanciò all’altro un’occhiata colma di rabbia.

«Tu non stai andando a lavorare, stai andando a scegliermi una babysitter!»

L’allenatore alzò gli occhi al cielo, stanco di quella discussione che andava avanti da un giorno intero ormai.

«Non parlare a vanvera di cose che non comprendi.»

«E tu non prendermi per una stupida, Reiji! Ho letto l’annuncio, so esattamente di cosa parlo!»

«È una questione che non ti riguarda.»

«Sì che mi riguarda! Sono io quella che si becca la palla al piede!»

Kageyama sospirò. Quando erano giovani lui e Cassandra non avevano mai litigato tanto, quindi destreggiarsi in bisticci di quel genere non era la sua specialità, ma per il bene della ragazza l’uomo sapeva di doversi imporre con forza, anche se questo significava far arrabbiare la sua giovane ospite.

«Ascoltami Cassandra, hai due possibilità: o stai qui buona a goderti gli allenamenti o passerai il resto del pomeriggio chiusa in uno spogliatoio sorvegliata a vista.»

La castana continuò a scoccare occhiate iraconde al suo ex fidanzato per qualche secondo, poi si arrese e incrociò le braccia, mettendo il broncio e distogliendo lo sguardo.

Sollevato dall’aver fatto ragionare la ragazza, Reiji le lasciò le spalle e si rimise in piedi, sistemandosi gli occhiali.

«Tornerò tra tre ore. Non allontanatevi e se avete bisogno del bagno chiedete allo staff, potreste perdervi.»

E, detto questo, l’uomo si ritirò, lasciando così la libertà a Raphael di esprimere il sorriso che tratteneva già da un po’. L’interprete non immaginava che Kageyama potesse nascondere un lato così paterno, rendeva l’uomo molto meno spaventoso.

«Non sapevo che il signor Kageyama avesse delle figlie…»

«Non ne ha.»

Rispose Andrea, sempre attaccata al cellulare.

«Io sono la figlia di un suo socio e lei, beh…»

L’americana spostò gli occhi neri dallo schermo a Cassandra, seduta lì vicino. Già, chi era lei? Perché viveva con Kageyama e per quale motivo conosceva tante cose sul mostro che le aveva attaccate quella mattina?

«…Non lo so. Kageyama ha detto di essere il suo tutore o qualcosa del genere.»

Raphael si ammutolì un attimo, messo un po’ a disagio da quell’informazione. Non volendo però far morire la conversazione, l’interprete si azzardò a spiare il cellulare della ragazza per capire cosa stesse facendo. Il giovane ebbe un sussulto quando vide che Andrea stava cercando informazioni su mostri dagli occhi rossi.

«Avete incontrato dei mostri con gli occhi rossi?»

Per la prima volta Andrea guardò il ragazzo seduto al suo fianco.

«Perché, sai qualcosa su di loro?»

Il cuore di Raphael iniziò a battere più forte ricordando la paura provata in metro qualche giorno prima e per l’emozione di aver forse trovato qualche risposta.

«Beh, in realtà ho incontrato qualcosa del genere tre giorni fa. Ero alla stazione della metropolitana e ho visto una donna buttarsi sotto al treno, ma era come se l’avessi vista solo io. Poi quando stavo per entrare nella carrozza l’ho vista sui binari, mi guardava nello spazio tra la banchina e il treno con i suoi occhi completamente rossi e luminescenti.»

Andrea venne scossa da un brivido: la metropolitana la inquietava abbastanza da sé, non aveva bisogno di creature strane a peggiorare la situazione.

«Cassandra, anche lui ha visto un mo-…»

Girandosi per parlare all’altra ragazza, Andrea vide che questa era sparita. Raphael, notando la cosa nello stesso momento, si sentì morire al pensiero di subire l’ira di Kageyama per non aver svolto il suo compito.

 

> Inazuma-cho, Stadio della Zeus, Zona uffici, 6 agosto, 4:20 PM

 

«Respira e rilassati, andrai una favola!»

Circondato da tutti quegli energumeni grandi come armadi, Matt non riusciva proprio a rilassarsi, anche se Fudou stava provando seriamente a metterlo a suo agio.

«Non lo so Fudou… Non sono proprio tagliato per questo lavoro, forse è meglio rinunciare e andare a casa.»

«Col cazzo che ce ne andiamo, ora tocca a te! Senti, magari questo non ti prende per fare da guardia del corpo, ma se fai una buona impressione potrebbe impiegarti in qualcos’altro! Tu smettila di sembrare sul punto di vomitare e cerca di chiamarlo “comandante”, per qualche motivo gli piace essere chiamato così.»

Matt deglutì a fatica. Per fortuna, pensò per tranquillizzarsi, la sua carnagione era così pallida che non si notava quanto fosse sbiancato a causa della tensione.

Quando il candidato prima di lui uscì dal ufficio di Kageyama, Matt si alzò e barcollò verso la porta. L’allenatore intanto, abbandonato sulla sedia della scrivania, si massaggiava le tempie. Quando aveva creato l’annuncio sapeva che Cassandra era seguita da dei mostri, ma non aveva idea che queste creature potessero raggiungere dimensioni grandi come quello di quella mattina. A causa di questa nuova informazione ora ogni candidato gli sembrava inadatto, non importava quante persone avessero protetto e dove avessero lavorato, ogni volta che Reiji si chiedeva se fossero in grado di combattere contro una bestia enorme la risposta era sempre no. Avrebbe dovuto ingaggiare qualche miliziano preparato, ma anche loro non gli avrebbero dato la sicurezza che cercava. Di sicuro l’ultima cosa di cui aveva bisogno era qualcuno come Matt Hoffman.

Vedendo avanzare quel ragazzo sì alto, ma magro e dall’aspetto fragile da bambola di porcellana, Kageyama non trattenne una smorfia infastidita: non aveva tempo da perdere.

Sedendosi di fronte all’uomo, Matt poteva avvertire chiaramente l’ostilità che provava nei suoi confronti, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.

«Lei è…?»

«Matt Hoffman s-signor… Ehm, Comandante. Le sono stato raccomandato da Fudou Akio.»

Kageyama fece un’espressione poco impressionata e continuò con le domande sulle conoscenze della città, delle tecniche di difesa e sulla competenza delle armi. Su queste ultime due cose Matt era assai impreparato, ma il ragazzo, sicuro di non venire assunto, voleva solo che quella tortura finisse al più presto.

Proprio quando l’allenatore stava per mandarlo via con il solito “le farò sapere” di rito, la porta dell’ufficio si spalancò di colpo.

«Kageyama Reiji non ho intenzione di farmi appioppare una guardia del corpo!»

L’uomo si alzò dalla sedia, guardando arrabbiato Cassandra che si avvicinava alla sua scrivania.

«Ti avevo detto di rimanere a guardare gli allenamenti.»

Confuso dalla situazione, Matt rimase in silenzio a osservare i due che si guardavano in cagnesco.

«Non puoi dirmi cosa devo fare, che sia rimanere in un posto o di portarmi dietro un energumeno senza cervello!»

«È per il tuo bene!»

«No, non lo è! Finirebbe per mettermi ancora più in difficoltà! Finirebbe per bloccarsi come è successo a te e sarei io a doverlo difendere!»

Reiji sospirò: così non avrebbero concluso niente e rischiava di scatenare nella castana delle azioni dettate dalla testardaggine che l’avrebbero spinta a mettersi ancora più in pericolo. Doveva trovare un modo per rigirare la situazione a suo favore. Nel tentativo di risultare meno nervoso e più aperto al dialogo, l’uomo tornò a sedersi, mettendosi così al livello della ragazza.

«Comunque hai frainteso le mie intenzioni, non ti sto cercando una guardia del corpo, sto cercando una… una guida! Così potrai esplorare la città anche mentre io sono occupato.»

Cassandra alzò un sopracciglio, poco convinta.

«Ah sì? E allora perché tutti i candidati sono super muscolosi e grandi come armadi?»

«Così potrai essere tranquilla anche nelle zone più malfamate.»

La ragazza non era per niente convinta, sapeva benissimo che il suo ex fidanzato stava tentando di imbrogliarla e lei non ci sarebbe cascata. Si girò verso il terzo incomodo e lo osservò velocemente: biondo, pallido, alto, magro e con occhi azzurri colmi di confusione, non avrebbe spaventato neanche un coniglietto.

«Come ti chiami?»

«Matt Hoffman…»

«Conosci la città, Matt?»

«Sì, ci vivo da qualche anno…»

«E dimmi Matt… Ti capita mai di controllare i tuoi sogni?»

«Uh? Sì, abbastanza spesso… Perché?»

L’italiana, presa dall’entusiasmo, non si preoccupò di rispondere e si girò verso Kageyama, guardandolo con aria vittoriosa.

«Assumiamo lui.»

«No.»

La risposta secca e negativa dell’allenatore fecero trasformare l’espressione della ragazza in una maschera minacciosa.

«Assumi uno qualsiasi degli altri candidati e alla prima occasione scappo di casa e mi assicuro di non farmi ritrovare neanche dalla polizia internazionale.»

Rosso di rabbia, Reiji si trattenne dal dare qualche altra risposta affrettata: sapeva che la castana era abbastanza testarda da attuare quella minaccia, era stato messo all’angolo e doveva trovare un modo per districarsi da quella situazione. Ma prima che l’allenatore potesse trovare una soluzione, Andrea aprì la porta, seguita da Raphael.

«Cassandra, ha visto un mostro anche lui.»

L’italiana non si aspettava di trovare così tanti sognatori lucidi in un giorno solo, men che meno di trovarne uno che aveva avuto esperienze di quel tipo. Intanto la discussione con Kageyama era ufficialmente finita, la ragazza aveva altro a cui pensare.

 

> Inazuma-cho, Stadio della Zeus, spogliatoio degli ospiti, 6 agosto, 4:53 PM

 

«Davvero esistono dei mostri del genere?»

Cassandra annuì alla domanda di Matt, che si ammutolì. Lo svedese avrebbe voluto dire che anche lui aveva visto una creatura dagli occhi rossi, ma si vergognava troppo ad ammettere che l’aveva scambiata per un’allucinazione causata dalle droghe che assumeva.

«Non sappiamo molto su di loro, ma è abbastanza chiaro che sono aggressive nei confronti di noi sognatori lucidi. Probabilmente è perché siamo in grado di combatterle. Comunque penso che se collaborassimo potremmo sconfiggerle più facilmente!»

Raphael, completamente conquistato dalla storia e ansioso di scoprirne di più, rispose al volo.

«Io ci sto!»

L’italiana sorrise: la risposta di Matt era scontata visto che era la sua nuova guida cittadina, aveva appena trovato due nuovi alleati. Forse insieme a loro avrebbe finalmente capito perché gli incubi erano emersi dal mondo dei sogni. Nel cuore della ragazza aleggiava un sospetto terribile riguardo a quella storia, ma cercava disperatamente di non pensarci. Non voleva essere lei la causa di tutti quei problemi.

 

××××××××××××××××××××

 

Non avete idea di che corsa contro il tempo è stato questo capitolo. Sì, lo so, avrei dovuto pubblicare molto prima, ma la vita è brutta.
Allora, i nostri protagonisti iniziano a formare dei bei gruppetti, anche se in questo capitolo non c’è stato nessun attacco la trama avanza.
Avviso qui che sarò assente per dieci giorni, non posterò altre storie e risponderò parecchio in ritardo a eventuali messaggi e recensioni.

Ci si sente presto,

Lau

 

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Capitolo 8
*** Quiet Mystery ***


Cover

8. Quiet Mystery

 

> Inazuma-cho, biblioteca comunale, 6 agosto, 4:48 PM

 

«Insomma, le sto chiedendo un’informazione piccina piccina, cosa le costa rispondermi!»

La giovane bibliotecaria di turno si sistemò gli occhiali, sbuffando esasperata. Era da più di due ore che discuteva con Aléja, ma la richiesta che le veniva fatta era sempre la stessa: dare informazioni sulla ragazza che aveva chiesto l’elenco di circoscrizione del quartiere tre giorni prima.

«Per l’ultima volta signorino, quelle che lei chiama “informazioni piccine” sono i dati personali di una ragazza, non posso riferirglieli!»

Poco in disparte Malia, Vespera, Sebastiaan, Kidou e Gouenji, accompagnati da Haruna e Megane che erano passati a prendere prima di venire in biblioteca, osservavano perplessi la scena. Eiji e Shane intanto cercavano di dissuadere Aléja dal proseguire l’interrogatorio alla bibliotecaria.

«Continuando così non faremo molti progressi… Non abbiamo un’altra pista da seguire?» chiese Megane, e Kidou gli rispose facendo cenno di no. «Purtroppo questo è l’ultimo posto in cui la ragazza è stata vista. Se non riusciremo a raccogliere qualche informazione qui non sapremo più dove cercare…».

In quel momento i tre studenti universitari si ricongiunsero al gruppo, dopo che Aléja aveva finalmente gettato la spugna con la bibliotecaria.

«Nulla, la stronza non vuole parlare. Ora che facciamo?»

Sebastiaan, che aveva osservato l’intero battibecco con un sorrisetto stampato sulla faccia, non si trattenne dal commentare.

«Magari con un approccio diverso non avresti sprecato due ore del nostro tempo.»

Aléja gli lanciò un’occhiataccia.

«Se pensi di poter fare di meglio prova tu a scucire di bocca qualcosa a quella racchia!»

Senza dire nulla, Sebastiaan si separò dal gruppo e raggiunse la bibliotecaria, che subito lo guardò male individuandolo come un amico del molesto ragazzo di prima.

«Ho già ribadito a quell’altro scostumato che non vi dirò nulla!»

«Oh no signorina, non sono qui per infastidirla ulteriormente! Volevo solo chiederle scusa per il comportamento del mio amico… Sa, quella che stiamo cercando è mia cugina, è scappata di casa. Capendo di averla vista qui l’altro giorno il mio amico si è fatto prendere dall’entusiasmo. So bene che è stato pesante e inopportuno, ma non aveva cattive intenzioni.»

Incantata dal tono dolce e dal sorriso ammaliante sfoggiati da Sebastiaan, la bibliotecaria arrossì, distogliendo lo sguardo.

«Insistevate tanto per questo motivo? Potevate dirlo subito…»

«Vogliamo evitare che la voce si diffonda. Con tutto quello che sta succedendo in questi giorni non vorremmo attirare su di lei attenzioni sbagliate. Poi la polizia è molto occupata con gli attentati, è meglio se la cerchiamo per conto nostro.»

La donna annuì, colpita. Una storia struggente raccontata da un bell’uomo faceva sempre colpo, Sebastiaan lo sapeva bene, e la bibliotecaria era ormai caduta nel suo tranello.

«Beh, se la situazione è questa posso dirvi quello che so, in fondo si tratta di un’emergenza…»

Il sorriso dell’olandese assunse per un attimo un’espressione soddisfatta.

«Grazie, lei è davvero gentile.»

Dopo che Sebastiaan ebbe fatto loro cenno di avvicinarsi, il gruppo si ritrovò al bancone dei prestiti, mentre la bibliotecaria si allontanò per recuperare il registro dei prestiti del tre agosto e il libro richiesto dalla ragazza misteriosa.

«L’hai convinta? Ma come hai fatto?!»

L’olandese rivolse ad Aléja un sorrisetto perfido.

«Non saprei, forse è bastato chiedere le cose gentilmente...?»

A quella risposta sarcastica Aléja tentò di rispondere con una serie di insulti e imprecazioni, ma Sebastiaan lo zittì con una gomitata visto che la bibliotecaria stava tornando.

«Ecco qui il volume dell’elenco di circoscrizione richiesto da sua cugina! Qui invece c’è la sua firma, la riconosce?»

Sebastiaan scrutò la firma sul registro dei prestiti. La ragazza si era firmata C. Andrei, avevano quindi recuperato un’iniziale e un cognome, anche se l’olandese non sapeva definirne l’origine.

«Sì, sono sicuro che sia la sua scrittura. Non ci sa dire chi stesse cercando?»

La bibliotecaria guardò il volume che Eiji e gli altri stavano sfogliando.

«Ha detto che stava cercando il suo padre biologico, ma non so dire con certezza qual è il suo nome… Però mi ha chiesto indicazioni per una determinata parte della città, un attimo!»

La donna si allontanò di nuovo, tornando subito dopo con una cartina che stese sul bancone.

«Voleva sapere come arrivare ai quartieri alti della città, le ho suggerito di prendere la metro e di scendere a questa fermata.»

Sebastiaan osservò con attenzione la zona indicata. Era un quartiere ricco, pieno di case grandi e villette, non doveva essere troppo difficile cercare qualcuno lì. Il ragazzo sorrise nuovamente alla bibliotecaria, mostrandosi sempre dolce e affascinante.

«Queste informazioni ci saranno utilissime, la ringrazio di cuore.»

La donna arrossì, distogliendo lo sguardo.

«Oh, ma si figuri! Posso darle il mio numero? Se ha bisogno di altre informazioni potrà contattarmi…»

Sebastiaan non voleva il numero di quella donna, ma per mantenere in piedi quella recita lo accettò senza perdere il suo sorriso ammaliante.

Una volta lasciata la biblioteca il gruppo esplose in un dibattito frenetico.

«Raggiungiamo subito il quartiere e mettiamoci a cercarla!»

«Non è così semplice Aléja, non possiamo mica andare porta a porta a chiedere se qualcuno l’ha vista.»

«E perché no Shane? Siamo un bel gruppetto!»

«Possiamo chiedere ai ragazzi della squadra di darci una mano!» Aggiunse Haruna, contagiata dall’entusiasmo di Aléja. Gouenji però a quelle parole scosse la testa.

«Non so quanto ci possano aiutare. Non penso che Endou sia in grado di descrivere una persona in maniera accurata…»

Eiji annuì, condividendo la perplessità del bomber di fuoco.

«In realtà neanche io so quanto sarei in grado di descrivere questa ragazza. Gli unici ad averla vista sono Aléja e Sebastiaan, senza una descrizione accurata non riusciremo a fare molto… Sapete quante ragazze castane con i capelli corti ci sono in giro?»

Quelle affermazioni smorzarono l’entusiasmo del gruppo, che si ammutolì di colpo.

«Certo, se avessimo una foto sarebbe tutto più facile…»

Disse Shane, senza nemmeno riflettere sulle sue parole. La frase però fece scattare qualcosa in Megane.

«Io ho un’idea!»

> Inazuma-cho, Maid cafe’, 6 agosto, 6:27 PM

 

«Allora, chi è questa ragazza che state cercando?»

Aléja e Sebastiaan si lanciarono un’occhiata mentre Manga Moe continuava a schizzare il volto della ragazza misteriosa. Non potevano dire che era una loro parente, sarebbero stati costretti a spiegare il perché non stessero usando una foto per cercarla.

«Si tratta di una spia della Zeus, temiamo stia tentando di sabotarci.»

Gli occhi dei ragazzi si abbassarono su Megane che si era espresso per sbloccare la situazione. Tuttavia i due non capivano come la storia della spia potesse essere credibile.

«Oh, capisco… Il Football Frontier di quest’anno si sta rivelando pieno di insidie… Invece questi giovanotti che vi accompagnano chi sono?»

Sebastiaan e Aléja, ancora impegnati a capire come un torneo calcistico per ragazzini potesse essere pieno di insidie, vennero colti alla sprovvista dalla domanda, ma Megane ancora una volta rispose al posto loro.

«Sono dei fan della Raimon. Quando ho chiesto una mano per identificare e fermare la spia si sono fatti subito avanti per fare la loro parte.»

Manga Moe annuì, soddisfatto della risposta, mentre i due stranieri non capivano come delle affermazioni così assurde potessero essere accettate senza neanche una domanda. L’attenzione del duo venne però riconquistata appena il disegnatore mostrò il ritratto appena completato.

«Allora, che ne dite? È la vostra ragazza?»

I capelli erano esattamente come i due ricordavano, molto corti sulla nuca e con due ciuffi più lunghi ai lati del viso; i tratti erano chiaramente occidentali e si notava soprattutto dagli occhi grandi della ragazza. Una sola cosa non convinceva i due…

«Lo stile che hai usato non è un po’ troppo… Fumettoso?»

La risposta alla critica di Aléja fu un’occhiataccia sia da parte di Manga Moe e Megane. Capendo al volo che lo stile non sarebbe stato cambiato, Sebastiaan cercò di ingraziarsi di nuovo il disegnatore.

«Per me è perfetto. Visto che hai così tanto materiale non è che riusciresti anche a colorarlo?»

«Sì, certo. Ditemi quali colori vanno bene.»

Mentre Manga Moe si rimetteva al lavoro supportato dalle testimonianze di Sebastiaan e Aléja, gli altri ragazzi del gruppo esploravano pigramente il ritrovo della Shuuyou Meito. Kidou in particolare si limitava a osservare un modellino per treni con aria turbata.

«Onii-chan, va tutto bene? Sembri così pensieroso...»

Avvicinato dalla sorella, il regista abbandonò la sua concentrazione.

«Tranquilla Haruna, va tutto bene.»

«Sicuro? Non sei felice dei nostri progressi?»

«Non è quello…»

«E allora cosa c’è? Puoi dirmelo, sai…»

Kidou sospirò prima di riprendere a parlare.

«Quel quartiere… Lo conosco bene.»

«Abiti lì vicino, no?»

«Sì, ma non è solo quello… Kageyama abita lì.»

Capendo al volo il turbamento del fratello, Haruna cercò subito di tranquillizzarlo.

«Se non te la senti non sei costretto a venire! Chiediamo aiuto al resto della squadra e ce la vediamo noi!»

Kidou sorrise intenerito dall’ingenuità di sua sorella.

«Neanche il resto della squadra sarebbe tanto al sicuro intorno a quell’uomo, penso dovremmo lasciare agli altri la ricerca della ragazza…»

Il silenzio calò tra i due, mentre riflettevano sulla situazione.

«Però non è detto che lo incontreremo… Non si aspetterebbe mai di trovarci lì!»

«Questo è vero… Ma l’idea di avvicinarmi a lui mi turba comunque…»

«Non essere così pessimista, onii-chan! Abbiamo un mistero da risolvere!»

Prima che la conversazione continuasse Manga Moe attirò l’attenzione di tutti.

«Ho finito!»

Tutti lasciarono quello che stavano facendo per avvicinarsi al disegnatore, che esponeva la sua opera. Il disegno era chiaro, ben progettato e colorato, era facile immaginarsi la persona che cercavano con quello davanti.

«Allora, che ve ne pare?» Incalzò il mangaka, in attesa di un giudizio. Haruna lanciò un’occhiata furba al fratello, che scosse la testa sconsolato.

«Dico che facciamo un po’ di copie e domani ci mettiamo alla ricerca di questa ragazza!»

 

> Inazuma-cho, Casa Kageyama, 7 agosto, 7:14 AM

 

Ancora assonnato dopo la prima notte passata in una casa sconosciuta, Matt uscì dalla camera che gli era stata messa a disposizione. Venne subito accolto da Kageyama e la sua aura minacciosa.

«Sveglia alle sette significa che per le sette devi essere pronto e attivo, non che devi svegliarti alle sette.»

Terrorizzato dall’uomo, Matt rispose annuendo freneticamente. Dopo aver sospirato profondamente, Kageyama si mise a bussare alla porta della camera accanto a quella dello svedese.

«Cassandra, è ora di alzarsi. Svegliati.»

«Reiji, vedi che io sono già sveglia!»

I due uomini si girarono verso la fine del corridoio, dove faceva capolino Cassandra. La ragazza li guardò sorridente.

«La colazione è quasi pronta, potete svegliare Andrea? Così ci mettiamo a tavola tutti insieme!»

Kageyama e Matt rimasero in silenzio mentre Cassandra se ne andava. Dopo una manciata di secondi il più grande si avviò verso il salone, assegnando silenziosamente all’altro il compito di andare a svegliare Andrea. Dopo che lo svedese ebbe bussato alla porta alla sua porta, Andrea comparve spettinata e ancora in pigiama.

«Che c’è?»

«Ehm… La colazione è pronta. Vieni a tavola?»

La ragazza brontolò un “ok” pieno di malumore, poi richiuse la porta per cambiarsi. Terminato il suo compito, Matt raggiunse la sala da pranzo, dove Kageyama leggeva il giornale seduto a capotavola. Non volendosi inimicare ulteriormente il padrone di casa, Matt andò a sedersi il più lontano possibile da lui. Dalla cucina poco lontana si espandeva un ottimo odore e si poteva udire Cassandra cantare mentre preparava la colazione con le cameriere.

Un’atmosfera così calda e famigliare era molto mancata a Matt, che aveva perso i suoi genitori pochi anni prima mentre studiava lì in Giappone. Da quel momento aveva vissuto tra stenti e mille difficoltà, trovarsi in quel momento con un lavoro stabile ben pagato gli sembrava quasi impossibile. Poco dopo vennero raggiunti prima da Cassandra, che iniziò a servire a tavola, poi da Andrea che si era cambiata e resa presentabile.

Quando furono tutti a tavola e la colazione fu servita, Kageyama mise via il giornale e si mise a fare conversazione tra un sorso di caffè e l’altro.

«Che programmi avete per oggi? Io sarò tutto il giorno all’associazione di calcio giovanile oggi, tornerò verso sera.»

«Beh, noi pensavamo di fare un giro in città. Niente di impegnativo, solo una passeggiata in centro!»

L’allenatore guardò torvo Cassadra.

«Preferirei che stessi in casa.»

«Te lo puoi scordare Reiji.»

Non avendo alcuna voglia di imbarcarsi in una discussione di prima mattina, Kageyama sbuffò sonoramente.

«Fai come vuoi, ma non cacciarti nei guai e torna prima delle diciotto. Non correre pericoli inutili, se qualcosa va storto o senti notizie di gravi incidenti torna subito qua. Inoltre ti ho dato un cellulare, usalo e fatti sentire di tanto in tanto nell’arco della giornata.»

Cassandra ridacchiò sotto i baffi e assicurò all’ex fidanzato che avrebbe seguito le sue istruzioni. Anche in giovinezza l’uomo era sempre stato un uomo cauto, quindi l’italiana non si sorprendeva se la ammoniva in quel modo. La cosa le faceva anche piacere, le portava alla mente il ricordo di suo padre e di suo nonno. Chissà che fine aveva fatto la sua famiglia… Suo nonno, che tanto le stava a cuore, probabilmente non c’era più…

La castana si scosse, cercando di allontanare quei pensieri tristi, per poi portare la conversazione su argomenti più allegri e piacevoli.

Dopo aver salutato Kageyama e avergli augurato una buona giornata, Cassandra si ritrovò in salone con Matt e Andrea.

«Raphael ci aspetta alla galleria in centro tra un’ora, prepariamoci e andiamo.»

 

> Inazuma-cho, galleria centrale, 7 agosto, 10:31 AM

 

Dopo essersi incontrati con Raphael all’orario stabilito, il gruppo si avviò per la lunga strada piena di persone, intenzionati a ritrovare ed esaminare la casa in cui Cassandra aveva affrontato l’incubo dalle sembianze di donna. Il piano però era stato completamente stravolto a causa dell’entusiasmo dell’italiana che si fermava a ogni vetrina, incantata dagli oggetti esposti o dalla musica che proveniva all’interno del negozio.

La cosa all’inizio aveva irritato Raphael, ma di fronte all’eccitazione bambinesca della ragazza non riuscì a rimanere arrabbiato a lungo. Mentre l’italiana si faceva spiegare da Matt cosa fosse un robot roomba, Raphael rimase in disparte con Andrea, guardando sorridendo la scena.

«Che strana ragazza, guarda tutto come se fosse uscito da chissà che fantasy! Sembra quasi…»

«Che abbia vissuto fuori dal mondo fino a oggi, vero?»

Il biondo guardò sorpreso Andrea, che aveva finito la sua frase. La giovane americana teneva come al solito gli occhi incollati al suo cellulare, ma continuò a parlare facendo attenzione a non farsi sentire dai due più avanti.

«È strano davvero, anche troppo. Non conosce gran parte della tecnologia, è appassionata di musica ma non riconosce nessuna canzone o artista moderno, sembra persino essere all’oscuro di come vadano le cose nel resto del mondo… Non sapeva nemmeno chi fosse l’attuale presidente degli Stati Uniti.»

«Magari non si interessa a queste cose…»

«A tutte queste cose? Certo posso capire che non sia un’appassionata di politica internazionale, ma possibile che anche roba uscita da anni per lei sia una novità in campo tecnologico? Senza parlare della musica, quella sembra appassionarla, no? Conosce un sacco di brani vecchi di decenni, ma nemmeno una canzone più recente.»

Raphael rimase in silenzio a riflettere. Anche lui aveva notato qualcosa di strano in Cassandra, ma aveva attributo il tutto a un’eccentricità naturale della ragazza. Andra intanto continuò a parlare.

«La cosa è sospetta. Chi è e cosa ci fa qui? Ha detto di essere italiana, perché allora si trova in Giappone? E i suoi genitori, dove sono? Ha già specificato di non essere imparentata con Kageyama, eppure sembrano essere molto in confidenza. Poi conosce un po’ troppo bene quelle cose

Andrea si rifiutava di chiamare le creature che aveva incontrato incubi, le metteva i brividi l’idea che quei mostri fossero usciti dall’inconscio di una persona e si fossero messe a infestare la realtà.

«Dici che dovremmo ottenere più informazioni su di lei?» chiese Raphael, perplesso da tutto quel discorso.

«Ci ho provato stanotte, ho cercato in giro per internet ma non ho trovato notizie relative a nessuna Cassandra Andrei. Non è stata una ricerca molto approfondita, ma ero stanca ed è stato tutto quello che sono riuscita a fare.»

«Perché non proviamo a chiedere qualcosa direttamente a lei?»

Andrea guardò l’altro americano con aria scettica, ma Raphael tentò di rassicurarla con un sorriso.

«Non ci costa niente, possiamo provare a scoprire qualcosa di poco conto che ci possa aiutare.»

La mora sospirò. Non le piacevano gli approcci così diretti, ma finché era Raphael a fare le domande ci potevano provare.

«Ok, se pensi sia una buona idea datti da fare.»

Quando il gruppo riprese a camminare, Raphael aspettò qualche momento prima di iniziare una conversazione con la più piccola tra di loro.

«Allora Cassandra, come mai vivi con il signor Kageyama? Non siete parenti, o sbaglio?»

La castana fece cenno di no, continuando a guardarsi intorno curiosa.

«E allora perché stai da lui? È un amico dei tuoi genitori?»

Il sorriso di Cassandra in quel momento si spense. Non poteva raccontare la verità, quei ragazzi non sapevano della sua situazione, quindi dire che Reiji era il suo fidanzato avrebbe solo messo nei guai l’allenatore. Le certezze della sua esistenza erano tutte scomparse, doveva fare attenzione a cosa diceva per non distruggere il fragile equilibrio che le permetteva di vivere tranquilla in quell’epoca. L’italiana riprese a sorridere, ma in maniera meccanica e molto meno spontanea rispetto a prima.

«Sì, è un amico dei miei genitori…»

«Devi conoscerlo da tanto visto quanto siete in confidenza…»

«È così, gli voglio molto bene.»

“Questa almeno non è una bugia…”

 

Per la prima volta la ragazza si trovò a riflettere profondamente su come le cose fossero cambiate tra lei e Kageyama. L’affetto che provava nei suoi confronti era rimasto immutato in quei quarant’anni, soprattutto perché per lei i quarant’anni non erano affatto passati. Quei sentimenti però erano diventati qualcosa di scomodo e pericoloso, un passo falso e avrebbe potuto rovinare tutto ciò per cui Reiji aveva lavorato nella sua vita. Probabilmente avrebbe fatto meglio a reprimere e dimenticare l’amore che provava per l’altro, ma solo a pensare di fare qualcosa del genere i suoi occhi si riempivano di lacrime.

«Invece quei mostri, come fai a conoscerli?»

La voce severa di Andrea fece sussultare l’italiana che, persa nelle sue riflessioni, si era quasi dimenticata degli altri che erano lì.

«B-Beh, alcuni li ho incontrati nei miei incubi e visto che hanno tutti gli occhi rossi non è difficile riconoscere gli altri.»

«Ma come fai a conoscerli così bene? E perché sai come combatterli?»

Cassandra cercò di biascicare qualche scusa credibile relativa all’istinto e al sesto senso, ma la conversazione si stava facendo troppo angosciosa e lei aveva solo voglia di scappare.

Una voce squillante e alterata salvò Cassandra da ulteriori domande.

«Raphael Polański, non sei voluto uscire con me per vederti con loro?!»

Un infuriato Afuro Terumi si fece strada tra la folla, raggiungendo il gruppetto e piazzandosi davanti a Raphael, chiaramente imbarazzato.

«A-Afuro, che sorpresa vederti qui…»

Vedendo nel calciatore un’opportunità per terminare completamente quella conversazione, Cassandra lo raggiunse e si attaccò al suo braccio, sfoderando il sorriso più amichevole che riuscisse a fare.

«Ciao, tu sei il capitano della squadra di Reiji o sbaglio?»

Afuro si staccò da lei, stizzito.

«Sì, sono io. Tu invece sei la ragazzina che si è portata agli allenamenti l’altro giorno, no? Che ci fai in giro con Raphael?»

«Oh, stavamo andando a caccia di mostri, vuoi unirti a noi?»

Il capitano della Zeus guardò con aria scettica prima la ragazza, poi il traduttore, non capendo perché Raphael perdesse tempo in un’attività così infantile. Dopo un po’ di insistenza da parte dell'italiana Afuro accettò di unirsi al gruppo e, spinto da Cassandra, passò la maggior parte del tempo a parlare di sé e vantarsi per far colpo sull’americano.

La giornata passò così priva di eventi, con Cassandra che evitava in ogni modo le conversazioni importanti. Alle diciassette Raphael e Afuro lasciarono il gruppo visto che il biondo aveva convinto l’altro a riaccompagnarlo a casa, e gli altri tre si avviarono verso la dimora di Kageyama. Una volta lì Cassandra continuò a fare i salti mortali per evitare di parlare con Matt e Andrea, aiutando le cameriere con le faccende di casa e chiudendosi in camera sua o in bagno.

Al rientro di Kageyama l’italiana tirò un sospiro di sollievo visto che il padrone di casa era accompagnato dal padre di Andrea, venuto lì per riportare la figlia a Tokyo.

Dopo aver salutato l’altra ragazza, Cassandra si gettò ad abbracciare Kageyama, nascondendo il viso contro il petto dell’uomo per celare le sue lacrime.

«Mi sei mancato…» gli disse con voce tremante.

Reiji cercò subito di rassicurarla dicendole che andava tutto bene e che non si erano visti solo per una giornata, ma non era a quello che si riferiva la castana.

Kageyama gli era mancato, aveva pensato spesso a lui nel sogno eterno in cui era imprigionata. Essere riuscita a ritrovato, venire accolta da lui, potergli parlare ed esprimergli il suo affetto avevano spinto la ragazza a ignorare il passato ormai lontano e il futuro incerto che aveva davanti. La conversazione di quel giorno era stato un duro ritorno alla realtà: le cose come le conosceva non c’erano più, non aveva più né la sua famiglia né il ragazzo che amava. L’unica cosa che aveva in quel momento era un uomo che conosceva appena, che lei amava ma che non poteva ricambiare i suoi sentimenti.

Cassandra scoppiò a piangere e Reiji passò i dieci minuti successivi a consolarla. Quando la ragazza si fu finalmente calmata l’allenatore le asciugò le guance, sorridendole affettuosamente.

«Visto che ora sei più calma perché non facciamo una passeggiata prima di cena?»

 

××××××××××××××××××××

 

Sono tornata! Yeeee, che bello! Sigh, scusate. Ero convinta che avendo solo Sweet Dreams come progetto attivo sarei riuscita ad aggiornarlo più spesso, invece queste vacanze sono state piene di eventi e non ho avuto proprio tempo di scrivere. Per di più questo è un altro capitolo molto transitorio, spero non lo troviate troppo noioso. Vi prometto che nel prossimo tornerà della vera azione, basta riflessioni e momenti melodrammatici. Sangue e budella, vi prometto sangue e budella. Ora vado che domani devo andare a Milano. (Sì, non riesco a scrivere senza una partenza che incombe)

Ci si sente presto,

Lau

 

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Capitolo 9
*** Encounter ***


Cover

9. Encounter

 

> Inazuma-cho, Quartieri alti, 7 agosto, 11:25 AM

 

Come concordato il giorno precedente, i ragazzi della Raimon si incontrarono alla fermata della metro più vicina alla loro scuola alle undici spaccate. Mentre aspettavano il treno fecero il punto della situazione: si sarebbero separati e, armati di volantini, avrebbero perlustrato l’intero quartiere, chiedendo a tutti se avessero visto la misteriosa ragazza che stavano cercando.

A loro si erano uniti Shane, Eiji, Aléja, Vespera, Malia e Sebastiaan, i più interessati alla ricerca. Una volta preso il treno e raggiunta la loro destinazione, i ragazzi si divisero in gruppi da quattro, dandosi appuntamento di nuovo davanti alla stazione all’ora di pranzo per mangiare insieme e fare il punto delle loro scoperte.

Il gruppo di Aléja, composto dal ragazzo, Kazemaru, Endou e Kageno, si era appostato davanti a un supermercato per fermare i clienti e importunarli con domande relative alla loro ricerca. In realtà il grosso del lavoro lo faceva Aléja perché Kazemaru e Kageno, pur impegnandosi, venivano ignorati da gran parte degli avventori, mentre Endou aveva ben altre cose per la testa.

«Non posso credere che abbiano sospeso il Football Frontier, ormai mancava solo la finale!»

«Siamo in una situazione di emergenza Endou, è normale che sospendano gli eventi importanti. Una volta risolta la situazione riusciremo a disputare la finale. Anche per questo stiamo dando una mano.»

Il portiere brontolò, ben sapendo che il suo migliore amico aveva ragione e, rassegnatosi, decise di mettersi al lavoro, assillando i clienti del supermarket come solo lui sapeva fare.

Aléja ridacchiò vedendo come la promessa di una partita di calcio bastava a far impegnare il membro più ribelle del suo gruppo.

«Non capisco perché vi scaldiate tanto per questo torneo!»

Kazemaru arrossì, distogliendo poi lo sguarda dal suo interlocutore.

«B-Beh, per noi questo torneo è molto importante… Soprattutto per Endou! Poi ormai siamo alla finale e ci scontreremo contro una squadra che ha fatto del male a dei nostri amici, è una questione personale.»

Aléja alzò gli occhi al cielo, riflettendo sulla sua infanzia.

«Anche in Spagna il calcio è molto sentito, ma non ha mai raggiunto questi livelli. Il Giappone è sempre pieno di sorprese…»

Tra i due cadde il silenzio mentre Kazemaru cercava il coraggio per rivolgere nuovamente la parola all’altro giovane.

«Quindi… Sei stato in Spagna?»

«Sì, mio padre è spagnolo e sono cresciuto lì.»

«Tua madre invece è di nazionalità diversa?»

Il più grande si accigliò a quella domanda.

«Russa.»

Rispose, senza commentare oltre. Kazemaru avvertì il freddo scendere su di loro, ma non volendo lasciar morire la conversazione cercò di pensare ad altre domande.

«E in Russia ci sei mai stato?»

«Da. Per due anni, poi sono venuto qui in Giappone e ho deciso di restarci.»

«Beh, è molto bello qui…»

Disse il più giovane, arrossendo ancor più vistosamente. In realtà l’unica cosa che Kazemaru considerava bella era proprio Aléja. I capelli mori appena tinti di blu sulla frangia del ragazzo e i suoi occhi verdi avevano colpito Ichirouta che, pur conoscendo l’altro da meno di un giorno, stava sviluppando quei pensieri e sentimenti tipici della cotta adolescenziale. Aléja era stupendo ai suoi occhi e l’essere in squadra con lui era una fortuna che non pensava di poter avere.

«Kazemaru, come mai sei tutto rosso?»

Il velocista fece un salto, spaventato dal trovarsi Kageno di colpo troppo vicino.

«I-Io? R-Rosso? Ma che dici?»

Balbettò Ichirouta, lanciando occhiate nervose al più grande vicino a lui. Si era accorto del suo rossore? Aveva sentito la domanda di Kageno? A quanto pareva no.

«Eppure hai le guance tutte arrossate… Sicuro di stare bene?»

«Sì, sto bene! Non c’è bisogno di preoccuparsi per me!»

Kageno guardò dapprima il suo compagno, teso come una corda di violino, e poi Aléja, che stava parlando con una signora.

«Ti piace mica il signor Saez

Un secondo dopo aver pronunciato quelle parole Kageno si trovò la bocca coperta dalla mano di un ancora più rosso Kazemaru, che gli intimava disperatamente di star zitto.

«Non lo dire a nessuno, ok?»

Kageno non disse nulla e quando Ichirouta liberò la sua bocca si limitò a indicare il loro capitano, poco più lontano.

«Io allora vado a dare una mano a Endou… Buona fortuna, Kazemaru.»

Il velocista tirò un sospiro di sollievo mentre il suo compagno si allontanava, ringraziandolo mentalmente di essere stato comprensivo e di avergli lasciato un po’ di tempo da solo con la sua cotta.

 

> Inazuma-cho, quartieri alti, 7 agosto, 5:41 PM

 

Nonostante le tante ore di ricerca, il gruppo della Raimon non aveva trovato un singolo indizio che li potesse aiutare a svelare l’identità della ragazza misteriosa. Neanche il supporto di Hibiki, che li aveva raggiunti all’ora di pranzo, era riuscito a cambiare le sorti della ricerca.

Giunti quasi al termine della giornata, ai ragazzi mancavano solo due luoghi da controllare.

«Prima di tutto c’è la casa di Kageyama.» Spiegò Kidou, indicando la dimora su una cartina. «Anche se preferisco evitare quell’uomo se ne ho la possibilità… Per questo visiteremo prima villa Kirishiki

I ragazzi guardarono il punto indicato sulla mappa dal regista, una zona colorata di verde ai margini del quartiere che si confondeva con le altre zone non edificate.

«Cos’ha di particolare questa villa?» Chiese Endou, lievemente confuso.

«È una costruzione abbandonata da tempo, mai demolita a causa di problemi legali. L’edificio è vecchio e pericolante, preferirei non andarci, ma d’altro canto è il luogo perfetto per qualcuno che deve nascondersi… La villa conta tre piani, anche se non so se siano tutti ancora raggiungibili. Inoltre nel giardino si trova un edificio pensato per i domestici, dovremo dividerci ed esplorare tutto prima che si faccia buio.»

I ragazzi approvarono il piano, anche se alcuni di loro non erano proprio entusiasti di esplorare una casa abbandonata con la notte che si avvicinava. Una volta arrivati a destinazione Haruna diede a tutti delle torce che si era portata da casa e a ogni gruppo venne assegnata una zona da controllare: Sebastiaan, Natsumi, Megane e Handa, accompagnati da Hibiki, avrebbero esplorato il terzo piano; Shane, Someoka, Shishido e Kurimatsu il secondo; Vespera, Domon, Aki e Ichinose il primo. Al grande giardino vennero assegnati due gruppi: quello di Aléja e quello composto da Malia, Kidou, Haruna e Gouenji. L’ultimo gruppo rimasto, quello di Eiji, Matsuno, Shourinji e Kabeyama, si sarebbe dedicato all’edificio per i domestici.

Così divisi i ragazzi iniziarono la loro esplorazione: la villa era vecchia, polverosa e ospitava varie colonie di animaletti, ma non c’era traccia di presenza umana. In una zona così elitaria della città mancava anche l’attività di vandali e delinquenti, quindi la dimora era rimasta esattamente come i precedenti padroni l’avevano lasciata.

Il gruppo cercò fino al tramonto, non lasciando neanche il più piccolo anfratto inesplorato, ma fu tutto inutile. Alla fine tutti i gruppi, fatta esclusione per quello di Eiji, si incontrarono all’entrata della villa.

«Voi avete trovato qualcosa?»
«A parte un vespaio e un enorme topo morto? Nulla.»
«Ew, che schifo!»

Intanto gli altri si intrattenevano con chiacchiere leggere in attesa dell’ultimo gruppo, Kidou tirò fuori la mappa di prima, per segnare diligentemente quella zona come controllata. Ma quando gli occhi si posarono sulle lettere stampate, trasformatesi in macchie sfocate e semoventi si sentì male. Subito il giovane venne aiutato dai suoi compagni, preoccupati nel vederlo crollare in quel modo.

«Che succede Kidou?» Chiese Gouenji, sostenendo il ragazzo.

«La mappa… Non riesco a leggere, proprio come sul ponte.»

Nel mentre che i due ragazzi parlavano, Vespera alzò lo sguardo, vedendo la sagoma nera di uno strano quadrupede avvicinarsi. Quando la manager scorse gli occhi rossi della bestia lanciò un urlo, allarmando tutti. Sebastiaan, scorgendo a sua volta la creatura, si mise davanti ai ragazzi della Raimon, impedendo loro di incrociare lo sguardo con l’incubo.

«Non alzate lo sguardo, non guardatelo negli occhi, prendete mister occhialini e andate a nascondervi!»

Hibiki, capendo al volo la gravità della situazione, prese in braccio Kidou, mantenendo il sangue freddo per dare le spalle alla creatura, e si rivolse alla sua squadra.

«Torniamo dentro, cerchiamo un posto sicuro dove nasconderci!»

«In cucina c’è una dispensa senza grandi finestre, ci dovremmo stare tutti e sarebbe impossibile entrare se non dalla porta!»

Ritenendo il piano di Domon abbastanza valido, il ristoratore diede ai ragazzi l’ordine di dirigersi in cucina, cosa che tutti fecero prontamente, a eccezione di Sebastiaan, Aléja e Shane che si prepararono a combattere. D’un tratto un’idea orribile passò per la mente di Shane: Eiji era stranamente in ritardo, prima pensavano che lui e la sua squadra non avessero ancora finito di esplorare l’abitazione dei domestici, ma ora che si trovavano un incubo davanti lo studente aveva il terribile dubbio che il suo fidanzato fosse stato attaccato.

«No, Eiji!»

Sgomento, il ragazzo iniziò a correre verso il luogo in cui si trovava il suo amato.

«Shane, aspetta!»

Preoccupato per l’amico, Aléja si gettò al suo inseguimento, lasciando solo Sebastiaan a riflettere su cosa fare, mentre la figura nera venne raggiunta da altri suoi simili.

 

> Inazuma-cho, edificio dei domestici, 7 agosto, 6:28 PM

 

Eiji si teneva il fianco con una mano, cercando di bloccare il sangue che fuoriusciva da una ferita.

Proprio mentre il suo gruppo stava per tornare dagli altri erano stati attaccati da un branco di mostri. Erano tre, simili a delle persone molto magre e dalla pelle nera come il carbone. Al posto delle gambe avevano delle zampe simili a quelle dei lupi, prive però di pelo. Le mani invece terminavano con grossi artigli al posto delle dita. Eiji era stato ferito da una loro zampata mentre tentava di proteggere Shourinji, che era stato paralizzato dal loro sguardo. Non sapendo cosa fare, i ragazzi si erano rifugiati nel capanno degli attrezzi vicino alla casa, più piccolo e più facile da barricare. Lo studente universitario a quel punto aveva bloccato la porta col suo corpo, intimando ai due ragazzi che ancora potevano muoversi di bloccare le finestre. Dall’altro lato della porta, Eiji sentiva una delle bestie buttarsi contro il legno e graffiarlo, nel tentativo di buttare giù l’ostacolo.

Il moro sapeva che non avrebbero resistito molto in quella situazione e dovevano trovare il modo di avvertire gli altri, così iniziò a cercare il suo cellulare. In quel momento uno dei mostri sfondò la finestra sul lato destro del capanno, facendo urlare e ritirare Matsuno e Kabeyama che cercavano di bloccarla. Eiji non poteva lasciare la porta, ma i ragazzi erano indifesi contro quegli incubi e se non bloccavano subito l’apertura sarebbero stati invasi.

«Eiji!»
La voce del suo ragazzo raggiunse chiara e squillante l’orecchio di Eiji, che subito si preoccupò per la sua sicurezza.

«Shane, non ti avvicinare, è pericoloso!»

L’americano non ascoltò il fidanzato e, con gli occhi grigi pieni di rabbia, caricò il mostro alla porta, colpendolo alla testa con una spranga. Sentendo la colluttazione, Eiji aprì la porta per aiutare il ragazzo, ma il mostro giaceva già esanime in una pozza di sangue.

«Non c’è solo questo, gli altri due stanno tentando di entrare dalle finestre!»

Quelle parole sfuggirono completamente all’attenzione di Shane, concentrato solo sulla ferita del fidanzato. In preda all’ansia, l’americano spinse l’altro dentro il capanno, cercando di spostargli la mano che copriva il taglio.

«Che è successo? Che ti hanno fatto? Sei coperto di sangue!»

«Non ora Shane, dietro! DIETRO!»

Il ragazzo si girò e i suoi occhi dilatati incontrarono quelli incandescenti dell’incubo che stava sulla soglia della porta, pronto ad aggredirlo. Fortunatamente in quel momento li raggiunse Aléja che si buttò sulla bestia, piantandole un coltello nel cranio. Shane rimase fermo, paralizzato dalla paura, e ci dovette pensare Aléja a farlo allontanare dalla porta.

«Ragazzi, state bene?»

«Ce n’è ancora uno Aléja, chiudi la porta!» Disse Eiji, chiaramente in difficoltà.

Mentre Aléja si girava per seguire il consiglio dell’amico, un’altra voce raggiunse l’orecchio dei tre.

«ASPETTATEMI!»

Con il volto contratto per il dolore, Sebastiaan correva verso di loro, inseguito da tre di quelle bestie. Aléja si tese terribilmente: doveva pensare alla sicurezza dei suoi amici, ma non poteva lasciare certo fuori Sebastiaan, lo avrebbe condannato a morte certa. Non sapendo che altro fare, il russo si mise a incitare il biondo.

«CORRI, MALEDIZIONE! CI SEI QUASI!»

Quando fu nelle vicinanze della porta, Sebastiaan si lanciò all’interno del capanno e Aléja chiuse la porta, bloccandola col suo corpo per impedire ai mostri di sfondarla. Con grande fatica Sebastiaan cercò di rimettersi in piedi: il suo polpaccio gli faceva un gran male, tutto a causa della vecchia ferita che si era fatto durante un’esercitazione militare. Ad aiutarlo venne Shane, che però lo abbandonò presto per raggiungere Eiji. Il ragazzo giapponese si era rintanato in un angolo, insieme agli impauriti ragazzi della Raimon, continuando a tenersi il fianco ferito.

«Oddio, oddio che possiamo fare?» Chiese Shane, completamente nel panico.

«Fallo vedere a me, tu vai a dare una mano al tuo amico.»

Sebastiaan, zoppicando, raggiunse il ferito e si chinò per esaminarlo. Rispetto a Shane era più calmo e di conseguenza più delicato, poi le sue conoscenze nel primo soccorso lo aiutavano a non far provare a Eiji troppo dolore. Le ferite del giapponese non erano troppo gravi, ma la generosa perdita di sangue e il dolore gli impedivano di muoversi velocemente. Non potevano scappare.

Shane li osservava con gli occhi grandi colmi di paura, nella sua mente quei lunghi graffi si erano trasformati in ferite mortali che avrebbero potuto portargli via l’amore della sua vita senza che lui potesse fare nulla per evitarlo.

La stanza intanto si riempiva di scricchiolii sinistri.

«Shane, una mano sarebbe gradita!» Disse Aléja, tentando di riportare alla realtà il compagno, ma non servì a nulla.

«Non startene lì impalato, dai una mano a quell’altro!» Nulla, neanche le suppliche di Sebastiaan lo scossero dal suo stato catatonico.

«SHANE, PENSA A QUELLA DANNATA PORTA!» Solo le urla del suo ragazzo riuscirono a strappare una reazione all’americano che sussultò, come se si fosse appena risvegliato da un incubo.

Ma era troppo tardi.

Con una rincorsa sincronizzata, i quattro mostri sfondarono la porta, imprigionando Aléja sotto di essa. Mentre due delle creature rimasero sul pezzo di legno per impedire al russo di liberarsi, la terza si fiondò sul gruppo nell’angolo del capanno, vedendoli come una preda facile.

Sebastiaan, non sapendo che altro fare, portò una mano avanti, immaginandosi quella barriera invisibile che tante volte lo aveva salvato dagli aggressori in sogno. La barriera non lo deluse nemmeno questa volta, concretizzandosi e schermando lui, Eiji e i ragazzini dall’attacco della bestia. Vedendo il suo fidanzato in pericolo, Shane afferrò il primo pezzo di legno che gli capitò sotto mano e iniziò ad agitarlo contro la creatura per allontanarla.

Il quarto incubo intanto si era arrampicato sul soffitto come una lucertola e, trovandosi proprio sopra l’americano, rilasciò la sua lunga lingua, avvolgendola intorno al collo del ragazzo e sollevandolo per soffocarlo. Trovandosi all’improvviso a corto d’aria, Shane lasciò la spranga e iniziò a scalciare nel tentativo di liberarsi. Gli altri erano tutti in difficoltà, nessuno sarebbe riuscito a salvarlo, doveva vedersela da solo. Purtroppo la presa del mostro sembrava di ferro e più si agitava più perdeva lucidità. Il ragazzo iniziò a pensare che sarebbe morto lì, quando uno sparo lo assordò e si trovò a crollare pesantemente sul pavimento.

Tutto per un attimo divenne calmo e gli occhi dei presenti si fermarono su una figura esile armata di fucile che attendeva immobile sulla soglia della porta.

 

> Inazuma-cho, quartieri alti, 7 agosto, 6:12 PM

 

Matt camminava qualche passo dietro Cassandra e Kageyama, che si tenevano per mano. Il più grande faceva mille domande alla ragazza, cercando di farla parlare del più e del meno per distrarla da qualsiasi cosa l’avesse fatta piangere poco prima. Cassandra rispondeva con tono squillante, privo di tutta la tristezza che aveva espresso a casa, e Reiji le sorrideva affettuoso, ascoltandola con attenzione e commentando di tanto in tanto.

A Matt sembravano tanto un padre e una figlia che camminavano tranquilli, gli pareva impossibile che quell’uomo sorridente fosse il tiranno che lo guardava storto ogni due per tre. Era piacevole passeggiare con loro, anche se non partecipava alla conversazione.

Quel momento idilliaco venne rovinato quando Kageyama cercò di leggere l’orario, trovando l’operazione impossibile. Subito l’uomo si sentì male e crollò in ginocchio, tormentato dall’emicrania.

«Reiji, che ti succede?»

L’uomo non aveva dubbi: dovevano essere vicini a uno di quei mostri, non riusciva mai a leggere nulla in quelle situazioni e finiva per stare sempre male se ci provava.

«Dobbiamo tornare indietro.» Disse semplicemente, prendendo Cassandra per un braccio e cercando di trascinarla indietro, tutto sotto gli occhi di un Matt sconvolto.

«No, aspetta! Perché, che sta succedendo?!»

Kageyama non rispose, ma la ragazza capì comunque la situazione quando i suoi occhi caddero sull’orologio dell’uomo. Resasi conto del pericolo, Cassandra oppose ancora più resistenza, riuscendo anche a liberarsi dalla stretta dell’altro.

«Devo andare a indagare!»

«No Cassandra, è troppo pericoloso!»

«PROPRIO PERCHÉ È PERICOLOSO DEVO ANDARE!»

L’uomo si ammutolì, colto alla sprovvista dalle urla della ragazza. Dal canto suo Cassandra non voleva trattare male il suo ex fidanzato, così cercò di spiegargli la questione.

«Ragiona Reiji, siamo a meno di dieci minuti da casa tua. Cosa succederebbe se uno di quei mostri ci attaccasse mentre siamo a tavola, o mentre stiamo dormendo? Devo indagare per la nostra sicurezza.»

Kageyama si rese conto che la ragazza aveva ragione, che non potevano lasciare che una di quelle bestie scorrazzasse libera per il loro quartiere. La paura però non lo lasciava.

«Vengo con te.»

«No Reiji, lo sai che contro quei mostri non puoi fare niente… C’è Matt qui, mi darà una mano lui!»

«Vengo comunque! Non ti lascerò sola.»

Sapendo bene quanto l’uomo potesse essere testardo e comprendendo la sua ansia, Cassandra non se la sentì di insistere oltre.

«Va bene… Ma prima dammi i tuoi occhiali.»

Senza fare domande Reiji si tolse gli occhiali e li consegnò alla ragazza che, senza dare spiegazioni, si limitò ad alitare sulle lenti e a pulirle prima di consegnarli al legittimo proprietario, che se li rimise confuso.

«Tutto qua…?»

«Non so se funzionerà questa cosa… Ma teoricamente se incontri lo sguardo di un incubo con quelli addosso ora non dovresti bloccarti completamente. Almeno avrai il tempo di reagire e scappare.»

Terminati quei preparativi, i tre continuarono a camminare lungo il viale, stando ben all’erta.

Arrivati quasi alla fine della strada, un grido attirò la loro attenzione e subito Cassandra scattò verso la villa abbandonata da cui era provenuto l’urlo. Scontrandosi con la recinzione che delimitava la proprietà, la ragazza cominciò a scandagliare freneticamente la zona, cercando qualcosa che le permettesse di entrare. Un albero poco lontano faceva al caso suo, ma prima che potesse correre verso la pianta Kageyama l’afferrò nuovamente per un braccio. Giratasi per protestare, Cassandra si ammutolì trovandosi di fronte un Reiji pallido, teso come una corda di violino, pieno di paura. La ragazza immaginava quella paura, la paura di vederla morire di nuovo.

«Non andare…» Riuscì a sibilare il più grande.

Cassandra deglutì a fatica, contagiata in parte dai timori dell’uomo, ma doveva essere coraggiosa. Non poteva lasciare qualcuno in pericolo, era contro la sua natura.

«Non preoccuparti, non mi farò ammazzare.»

Detto questo, la ragazza si liberò dalla presa e raggiunse la pianta. Si arrampicava da quando era piccola, le ci vollero pochi secondi per raggiungere un ramo che le permettesse di scavalcare facilmente la recinzione. Prima di saltare però dedicò uno sguardo ai due uomini che la guardavano impietriti.

«Raggiungetemi il prima possibile, avrò bisogno di voi.»

Matt rimase fermo, osservando la ragazza buttarsi nell’erba secca e rialzarsi subito, iniziando a correre verso la villa. A risvegliarlo dal torpore ci pensò Kageyama, che lo trascinò via.

«Conosco un’entrata.»

 

Quando aveva dodici anni, qualcuno aveva cercato di entrare in casa dei suoi nonni. Lei era lì con loro e suo nonno l’aveva mandata a prendere i fucili, quelli che usavano per la caccia, intimandole di tenerne uno carico e pronto a far fuoco. Era stata rapida, nel giro di cinque minuti era tornata dall’anziano con un fucile in mano e l’altro a tracolla sulla schiena. Quella notte fortunatamente non c’era stato bisogno di sparare, ma in quel momento Cassandra sapeva che avrebbe dovuto combattere. Come allora aveva un fucile a tracolla e uno in mano e correva a perdifiato verso villa Kirishiki. Arrivata lì non vide nulla, ma si mise subito a osservare e ascoltare, in cerca di qualche indizio che le dicesse dove andare. Delle urla indistinte e lo schianto sul legno fecero proprio al caso suo, che subito ricominciò a correre, dirigendosi verso la colluttazione. Il periodo passato a far parte del club di atletica della Raimon le aveva fatto bene, era veloce e sapeva come non stancarsi troppo, cosa che le sarebbe stata utile una volta raggiunto il luogo dello scontro. Arrivata al capanno di legno, inorridì vedendo ben quattro creature intente ad assaltare un nutrito gruppo di ragazzi. Quello che più la preoccupava era un ragazzo con gli occhi grigi e i capelli mori boccolosi, tenuto sospeso per il collo da un mostro nel tentativo di soffocarlo.

Subito la ragazza prese la mira con il fucile ma, nella foga, mancò la testa della creatura, riuscendo comunque a tranciarle la lingua con il colpo, liberando così il ragazzo che crollò a terra insieme alla creatura.

Quel gesto però attirò tutta l’attenzione su di sé, comprese quattro paia di fari rossi come il sangue.

“Vogliono me, sono tutti concentrati su di me”

 

Non avrebbe potuto combattere, non aveva abbastanza colpi per uccidere tutte le creature e i suoi riflessi non erano abbastanza pronti, l’avrebbero uccisa prima.

Una cosa però poteva farla.

Lanciando il fucile a terra Cassandra fece dietrofront e ricominciò a correre, sperando che gli incubi la seguissero. Le sue speranze non furono deluse e le quattro bestie lasciarono perdere i ragazzi, lanciandosi tutte all’inseguimento della castana.
Libero finalmente dal peso che lo teneva bloccato sotto la porta, Aléja si tolse di dosso il pezzo di legno e si mise seduto.

«Che è successo?!»

Eiji allungò tremante il braccio, indicando il gruppo che si allontanava.

«L-La ragazza che cercavamo… Ci ha salvati…»

Aléja guardò con orrore la ragazza inseguita dalle bestie, sapendo che da sola non avrebbe potuto fare niente contro di loro, poi i suoi occhi si posarono sul fucile abbandonato per terra e il ragazzo si alzò, recuperandolo.

«Cosa fai?» Gracchiò Shane, ancora a corto di fiato.

«Vado a darle una mano.»

 

Arrivati anche loro all’altezza della villa, Matt e Kageyama iniziarono a guardarsi intorno, cercando qualche traccia di Cassandra. Il primo a scorgere la ragazza fu Matt, che vedendola inseguita da quelle orribili creature lanciò un urlo, indicando il gruppo perché anche Kageyama potesse vederli. Quando l’allenatore incontrò gli occhi rossi degli incubi venne scosso da un terribile senso di nausea, che lo costrinse a chinarsi per trattenere i conati di vomito. Tremando per il dolore e tenendosi ben aggrappato ai vestiti del ragazzo accanto a lui, l’uomo riuscì a parlare appena.

«Aiutala… Aiuta Cassandra…»

Matt era paralizzato dalla paura. Aveva ascoltato con attenzione i racconti degli altri riguardo a quelle creature, ma averle davanti era tutta un’altra storia.

«N-Non so che fare, che devo fare?!»

Rendendosi conto che il ragazzo aveva bisogno di una guida, Reiji si fece forza e alzò nuovamente gli occhi per posarlo sul gruppo di mostri. Subito però dovette tornare a chinare il capo.

«Fermali! In qualche modo fermali! Tienili lontani da Cassandra!»

Matt alzò le braccia tremando, come faceva quando voleva bloccare qualcuno in sogno, ma era ancora insicuro sul da farsi.

«C-Come li fermo? E se blocco anche Cassandra?»

Ancora una volta l’allenatore della Zeus alzò lo sguardò, concentrandosi questa volta sull’ambiente circostante. Il gruppo sarebbe passato a breve vicino a un albero morto che faceva al caso suo.

«Vedi quell’albero? Appena Cassandra lo supera tu crea una barriera, una vetrata, una siepe, qualsiasi cosa tu voglia, basta che serva a fermare quelle cose.»

Matt deglutì e si preparò ad attuare il piano. Appena la ragazza superò l’albero, il ragazzo creò una barriera invisibile su cui si schiantarono i quattro mostri. Lo sforzo di trattenere quelle creature fece urlare Matt, che si trovò costretto ad abbassare subito la barriera. Il gioco però era fatto.

«CASSANDRA!»

Con un urlo Kageyama attirò l’attenzione della ragazza, che li raggiunse poco dopo. Appena arrivata Cassandra si mise in ginocchio, facendosi scivolare tra le braccia il fucile.

«Matt, non so cosa tu abbia fatto per bloccare quelle creature, ma voglio che tu lo rifaccia qui, tutto intorno a noi. Solo quando te lo dico io però!»

Il ragazzo annuì freneticamente, affidandosi completamente all’italiana.

Gli incubi intanto si erano ripresi dalla botta e, più arrabbiati di prima, si gettarono verso il gruppetto.

Il fucile di Cassandra aveva in canna due colpi. La ragazza sapeva che Matt non sarebbe riuscito a trattenere quattro mostri tutti insieme, quindi doveva abbatterne il più possibile prima che li raggiungessero. Avrebbe avuto il tempo di ricaricare? No, avrebbe fatto comparire un fucile già carico, sarebbe stata più veloce.

La ragazza fece un bel respiro e prese la mira, sparando. Quel primo colpo andò a vuoto e la castana imprecò liberando la canna dalla cartuccia appena esplosa. Prendendosi un attimo di calma in più rispetto a prima e trattenendo il respiro, Cassandra sparò il secondo colpo. Questa volta colpì in piena testa una delle bestie, che crollò a terra rotolando prima di giacere esanime al suolo. Subito la giovane mollò il fucile, prendendo l’altro che nel frattempo le era comparso sulla schiena. C’erano ancora tre creature, non poteva sprecare i due colpi che aveva a disposizione. Sparò il terzo proiettile, che colpì uno dei mostri alla spalla, fermandolo. I due incubi rimanenti si stavano avvicinando sempre di più, Cassandra sentiva la tensione schiacciarla. L’esitare un secondo di troppo a esplodere l’ultimo colpo la fece andare nel panico, così la ragazza chiuse gli occhi e sparò il colpo alla cieca.

«MATT, ORA!»

Quando sentì il ragazzo gemere Cassandra fu sicura di aver fallito, ma riaprendo gli occhi vide un singolo incubo graffiare e scaraventarsi contro la barriera invisibile creata da Matt. L’altro giaceva poco più lontano, con una zampa posteriore quasi mozzata dal colpo della ragazza.

Più tranquilla, l’italiana si concentrò a sua volta sulla barriera, alleggerendo il compito a Matt.

«Cosa facciamo ora?» Chiese il ragazzo, preoccupato.

«Pensiamo a un diversivo…»

In quel momento sopraggiunse Aléja, che si bloccò al limitare del campo di battaglia, stupendosi nel vedere così tanti incubi al suolo. Notando però che uno era ancora in piedi e stava aggredendo la ragazza, il russo pensò in fretta a cosa fare. Non poteva sparare direttamente alla creatura, avrebbe rischiato di colpire Cassandra, Matt o Kageyama. Forse però poteva distrarla. Il ragazzo corse dal mostro colpito alla spalla, che si contorceva al suolo. Imbracciato il fucile, prese la mira e sparò in testa alla creatura, uccidendola definitivamente. Quel colpo attirò l’attenzione di tutti e Aléja si sbracciò per attirare a sé la bestia.

«Ehi mostraccio, vieni un po’ qui?»

Quella distrazione era tutto ciò di cui Cassandra aveva bisogno.

«Matt, abbassa la barriera.»

Matt non capì al volo le parole della ragazza, ma la sua confusione bastò a dissolvere la barriera e Cassandra poté mozzare la testa del mostro con un colpo d’ascia.

Rimasto solo, l’incubo con la zampa dilaniata guaì di paura, usando i tre arti che gli rimanevano per battere la ritirata. Con anche quell’ultima bestia in fuga, tutto iniziò a svanire, fino a quando dei mostri e della colluttazione non rimase traccia.

Preoccupato per i suoi amici, Aléja prese subito in mano il cellulare, mandando al gruppo il messaggio che era tutto finito, avevano vinto.

Presto vide avvicinarsi Sebastiaan e Shane, che insieme sostenevano Eiji, aiutandolo a camminare. Aléja si lanciò verso di loro, abbracciando tutti e tre pieno di commozione. Cassandra intanto aiutava Kageyama, che ancora si stava riprendendo dall’estrema nausea provocatagli dalla visione delle creature. Quel momento di calma fu interrotto dalla voce bassa e roca dalla sorpresa di Hibiki che, insieme al resto della Raimon, era appena uscito dalla villa.

«Cassandra…?»

La ragazza si girò verso l’uomo ed ebbe bisogno di un po’ di tempo per capire chi era. Riconoscendolo, l’italiana gli dedicò un sorriso.

«Hibiki! Diamine quanto sei cambiato!»

L’uomo non rispose, ma posò il suo sguardo sconvolto su Kageyama, inginocchiato di fianco alla ragazza.

«Che hai fatto?»

 

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Volevo aggiornare il giorno dei morti. È un po’ tardi, ma è sempre il giorno dei morti, no?
Mamma mia, che fatica! Ho scritto questo capitolo di corsa, spero non ci siano troppi errori, perdonatemi. Come promesso ecco un po’ di azione frenetica! E sono anche riuscita a far incontrare Cassandra e gli altri.

E nel prossimo capitolo ci aspetta LO SPIEGONE! Siete contenti? Io non lo so, c’ho già l’ansia. Non penso vedrete un altro aggiornamento prima di capodanno, scusatemi ma sono piena di impegni e vorrei spezzare la maledizione che mi spinge ad aggiornare un’altra fic solo due volte l’anno ahahahah. Che poi quella sarebbe anche il prequel di questa. Anzi, questa è il sequel di quell’altra e io non l’ho ancora finita! Sono senza speranze… Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto!

Ci si sente presto,

Lau

 

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