Killer & Mother

di Heihei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rapimento ***
Capitolo 2: *** Brady ***
Capitolo 3: *** Benvenuti a Terminus ***
Capitolo 4: *** Pollo ***
Capitolo 5: *** Le parole magiche ***
Capitolo 6: *** Antidolorifici ***
Capitolo 7: *** Carne fresca ***
Capitolo 8: *** Riunirsi ***
Capitolo 9: *** Taglio cesareo ***
Capitolo 10: *** Fuoristrada ***
Capitolo 11: *** Grido di battaglia ***
Capitolo 12: *** Sopravvissuti ***
Capitolo 13: *** Felice di essere viva ***
Capitolo 14: *** Destinazione? ***
Capitolo 15: *** Rifugio ***
Capitolo 16: *** Silenzio ***
Capitolo 17: *** Vicini ***
Capitolo 18: *** Il prete e il cannibale ***
Capitolo 19: *** In una chiesa? ***
Capitolo 20: *** Sacrificare ***
Capitolo 21: *** Rinforzi ***
Capitolo 22: *** Mostri ***
Capitolo 23: *** La nostra famiglia ***
Capitolo 24: *** Lasciata indietro ***
Capitolo 25: *** Il bosco ***
Capitolo 26: *** AU ***
Capitolo 27: *** Sveglia ***
Capitolo 28: *** Matrimonio apocalittico ***
Capitolo 29: *** Madre ***
Capitolo 30: *** Luna di miele ***
Capitolo 31: *** Calma ***
Capitolo 32: *** Capolinea ***
Capitolo 33: *** Il livello più alto ***
Capitolo 34: *** Cacciatori ***
Capitolo 35: *** Ulna e radio ***
Capitolo 36: *** Whiskey ***
Capitolo 37: *** Lezioni di guerra ***
Capitolo 38: *** Amore e speranza ***
Capitolo 39: *** Paura e Rabbia (Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Rapimento ***


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Angolo traduttrice:
Ho deciso di tradurre questa storia perché mi è piaciuta particolarmente e volevo condividerla con voi! :)
E' una Bethyl ambientata dopo il finale della 4 stagione. Beth non è stata rapita dai poliziotti del Grady e le storie di tutti gli altri che stanno andando a Terminus si intrecciano con la sua.
Ovviamente ho cercato di tradurla nel modo più fedele possibile, anche se ho dovuto modificare leggermente qualche frase per renderle più gradevoli nella lettura in italiano.
Nel caso vi trovaste a leggere l'originale e doveste individuare qualche errore di comprensione fatemelo sapere e correggerò immediatamente.
I capitoli non sono lunghissimi, quindi non passerà molto tempo tra la pubblicazione di un capitolo e quella di un altro, cercherò di essere abbastanza costante.
Detto ciò, buona lettura! :)

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Nota dell'autrice (Alfsigesey):
"Questa ff è stata scritta per puro divertimento e per combattere la noia mortale di queste prime settimane di vacanze estive. Detto ciò, sarà molto dark. Quindi, se ciò vi potrebbe disturbare, fermatevi.
Avvertimento: VIOLENZA. Di solito non faccio avvertimenti sulla violenza, soprattutto se si tratta di Walking Dead - voglio dire ragazzi, insomma, che serie guardate?! Ma penso che in questo caso potrebbe essere una buona idea. Quindi, vi avverto che la storia sarà violenta e che accadranno brutte cose ai personaggi che amate.
Ho messo su la trama usando teorie e speculazioni sulla 5 stagione che io ho ritenuto "interessanti, ma non verosimili". Siccome non credo che le vedremo compiersi, le ho messe insieme tramite situazioni in cui loro potrebbero trovarsi, se così desiderano gli eccelsi scrittori di twd. Mi sono divertita parecchio a giocare con questi personaggi. Sono una Bethyl accanita, e di conseguenza questa è una Bethyl, in gran parte narrata secondo il punto di vista di Beth. Enjoy! :)"

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RAPIMENTO



"Oh."

Nella cucina di un vecchio obitorio, posto alla fine di un cimitero, Beth e Daryl condividevano l'ennesimo pasto rubato. Avevano appena cominciato la loro conversazione, una importante. A primo acchito, sembrava che Daryl si stesse nascondendo dietro i suoi capelli, ma dalla prospettiva di Beth era perfettamente visibile il modo in cui le sue iridi azzurre la stavano cercando oltre la sua lunga, incolta frangia.

Come avrebbe reagito se si fosse avvicinata a scostargli quelle ciocche dalla fronte per guardarlo meglio?

Probabilmente gliel'avrebbe lasciato fare. Quindi, tese il collo, ma pensò che non era sicura di avere bisogno di guardarlo meglio. Anche con tre strati di vestiti, macchie di sporcizia e i capelli unti, lei aveva imparato a leggerlo come un tabellone.

I barattoli attaccati al filo che avevano avvolto attorno alla casa per avvisarli di un eventuale arrivo dei vaganti tintinnarono, sentirono gli abbai e i lamenti di quel cane avvicinarsi alla porta.
"Darò a quel dannato cane un'altra chance."
Daryl si alzò in piedi, allontanandosi dalla tavola. Dietro al suo gilet di pelle erano cucite due ali angeliche che i suoi occhi seguirono fin quando non sparirono nella stanza di fronte. Entrambi indossavano i loro stivali, entrambi avevano le borse pronte. Erano sempre pronti a scappare in caso di emergenza; dovevano essere pronti.
Quel cane randagio era già venuto fuori al "loro" portico, Daryl aveva provato a farlo entrare, ma era scappato via.
Dal momento che era rimasta sola in cucina, due cose tenevano il suo sguardo inchiodato allo spazio in cui quelle due ali d'angelo s'erano librate per mezzo secondo: la prima era che Daryl sembrava quasi sollevato dal fatto che erano stati interrotti prima che potesse rispondere alla sua domanda, la seconda era che questo le aveva fatto capire che tipo di uomo era veramente, aveva imparato a comprenderlo.
Lui non parlava molto dei suoi sentimenti; infatti, non aveva mai condiviso praticamente nulla con lei, l'aveva fatto eccezionalmente solo perché lei lo aveva messo in condizione di aprirsi... o forse perché era ubriaco.
Ma lei lo conosceva.
In quel casino apocalittico, Daryl era un sopravvissuto, e nella maggior parte dei casi era il più adatto, tra tutti quelli che aveva incontrato fin'ora, a vivere nel nuovo disordine mondiale. Quello stesso uomo che aveva capito l'uccidi o sarai ucciso, che sapeva prendersi cura di se stesso senza alcuna comodità moderna, che non aveva alcuno scrupolo nell'invadere la proprietà di qualcun'altro -e l'aveva fatto così frequentemente, senza mai scusarsi- , era ancora il tipo di uomo che condivideva le sue preziose e limitate scorte di cibo con degli animali (perlomeno con quelli che non cacciava). Se questo non riusciva a fornirle un quadro completo della sua personalità, null'altro avrebbe potuto.
"BETH! BETH!"
Con le sue urla, udì un improvviso e ringhioso coro di gemiti agghiaccianti e familiari: il cane era stato seguito.
Merda. Merda!
Immediatamente, sollevò la balestra di Daryl e corse nella stanza di fronte. Arrivata zoppicando, vide Daryl che si stava sforzando a barricare la porta col suo stesso corpo.
Mani putrefatte sporgevano dall'infisso: i vaganti li avevano trovati.
Gli lanciò la balestra e lui, afferrandola abilmente, si girò di scatto, lasciando che la porta si aprisse.
"Corri!", gridò sparando il primo colpo, "corri!"
Scappò rapidamente da quella folle lotta, ignorando la sua caviglia slogata. Se non avesse fatto quello che lui le aveva detto di fare, sarebbe diventata cibo per zombie.
Nel frattempo, riusciva a sentirlo correre per la casa, spingendo via i vaganti.
"Beth, esci dalla finestra! Datti una mossa!" ordinò.
Una tempesta di sentimenti si agitava in lei tra un battito e un altro.
"Non ti lascerò!", gli rispose.
No. No. No!
Le sembrava sbagliato. Voleva fare qualcosa, qualsiasi cosa. Voleva aiutarlo, non voleva lasciarlo lì.
"Va' via, vai in strada! Ci vedremo là."
Più di una dozzina di vaganti irruppe in casa alle sue spalle.
Gridando in silenzio, dentro di sé, approfittò della situazione per fuggire. Il cuore le batteva all'impazzata e sembrava ripetere quel no, no, no a ritmo costante.
Era l'unico modo per far sopravvivere entrambi. Aveva senso: Beth era ferita e non era una forte combattente come Daryl, specialmente contro tutti quei vaganti messi insieme. Se lei si fosse trovata nei guai lì dentro, Daryl avrebbe consumato tutte le sue energie per proteggerla. Se lei fosse scappata, si sarebbe concentrato a salvare se stesso. Le aveva dato un'opportunità, le aveva ordinato di seguirla. Lei fece come aveva detto, anche se non aveva una bella sensazione a proposito.

... "Ci vedremo là."...

"Vai!"
Una volta fuori, un vagante apparve sul prato, barcollando verso di lei.
"Da questa parte!", gridò. E, all'improvviso, il tempo si fermò. 
I vaganti non parlano.
Non era morto, la pelle non gli si staccava da dosso. Infatti, quell'uomo che visto meglio sembrava giovane e in salute, tentava di convincerla a entrare in una macchina.
Nel tempo di quei due pesanti, inciampanti passi, si era resa conto che quell'uomo non era morto, ma allo stesso tempo non le era piaciuto il modo in cui era apparso o il modo in cui la guardava, come se fosse pronto ad avventarsi su di lei se non avesse fatto quello che diceva.
Si voltò per sfuggirgli, così come sarebbe fuggita di fronte a qualsiasi altra minaccia. Ma la sua caviglia slogata l'aveva resa troppo lenta: l'afferrò da dietro e la colpì in testa.
Il suo zaino cadde sull'erba dietro di loro.
Scombussolata e ancora in preda al panico, pensò di aver sentito la portiera di una macchina sbattere e Daryl urlare il suo nome. Sentì il rumore dell'auto mentre veniva messa in moto, e gridò con tutta la forza che aveva in corpo. Si rese conto di essere nel bagagliaio senza essere sicura di come ci era finita.
"BETH!"
La voce di Daryl si faceva sempre più lontana.  

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Capitolo 2
*** Brady ***


BRADY


Un acchiappamosche. Ecco cos'era.
Che cazzo voleva Terminus dagli insetti?!
Daryl si era accorto subito che l'obitorio era pulito, che aveva tutto ciò di cui avrebbero avuto bisogno. Perché allora era vuota? Perché le persone che l'avevano pulita non c'erano? Beth ricordò vagamente che si era convinta del fatto che forse avevano bisogno di medicine ed erano usciti. Era quasi certa che, invece, la supposizione di Daryl fosse quella più pratica, che non c'erano perché erano morti.
Tra l'altro, aveva notato che avevano lasciato del cibo. Questo ai suoi occhi rendeva il tutto ancora più significativo: aveva pensato che fosse un'offerta per i morti, un segno di rispetto.
Trascorse tutto il viaggio verso Terminus a interrogarsi sulla verità, quella più realistica. Si rese conto che il cibo e il riparo che avevano incontrato erano un'esca, l'intera casa era una trappola. Sembrava tutto così bello, e ora era lì, legata.
Per i primi minuti dopo che era stata colpita alla testa, era tutto sfocato. Brady l'aveva afferrata, lei aveva cercato di urlare per farsi sentire da Daryl e l'aveva anche sentito chiamarla. Quando chiese spiegazioni a Brady sull'accaduto, lui insisteva nel dire che quella persona che inseguiva la macchina non era viva, che era un vagante, che non parlava.
Lui era Daryl. L'aveva chiamata. Continuò a chiedere ancora e ancora, fin quando non venne imbavagliata.
"Se pensi che somigliava al tuo amico, intuisco che si sia trasformato".
Brady aveva una voce estremamente calma e rispondeva con rapidità a tutto quello che gli chiedeva. Aveva la risposta pronta per tutto, era troppo sbrigativo, tutto quello che diceva sembrava recitato.
Da quando non poteva più parlare, lui iniziò a farlo così tanto da poter colmare ambo i lati della conversazione.
"Senti... Beth? E' il tuo nome, no?"
Sapeva il suo nome solo perché l'aveva sentito dalle urla di Daryl. Lo guardava in cagnesco dal sedile posteriore, si era scagliata anche in avanti per provare ad afferrare il volante, ma lui le aveva legato le mani al poggiatesta del sedile.
"Sei troppo confusa e agitata. Quell'obitorio dove ti ho trovata era una delle mie case sicure e sono arrivato giusto in tempo per vederlo invaso. Sei zoppa e la tua caviglia rotta è messa male, sei semplicemente inciampata e sei caduta battendo forte la testa a terra. Non potevi fuggire da loro, io ti ho salvata. Questo è quello che è successo. Devi calmarti."
Brady era giovane, aveva il viso pulito e due occhi chiari che non mollavano un secondo la strada, mentre tamburellava con disinvoltura le dita sul volante. L'aveva legata in modo così esperto che lei ebbe l'inquietante impressione che avesse esperienza nel rapire le persone... o le ragazze ferite, perlomeno.
Stavano seguendo i cartelli per Terminus, la strada alla fine si divise in un bivio e, dopo aver percorso un sentiero lastricato, imboccarono i binari della ferrovia. La sua guida spericolata aggravava ancor di più il fatto che stessero sulla ghiaia. Sperò ardemente che le ruote si perforassero.
"Mi dispiace per il tuo amico", disse atono, "questo mondo in cui ci troviamo fa schifo". 
Lo disse come se quella frase l'avesse ripetuta già altre milioni di volte, magari l'aveva anche odiata, ma sapeva che sarebbe suonata molto calma una volta scivolata via dalla sua bocca.
"Non potrai mai sopravvivere da sola, Beth. Nessuno di noi può, abbiamo bisogno gli uni degli altri. Terminus si basa su quest'idea. Abbiamo bisogno di persone, per questo ogni tanto esco e vado in uno dei miei rifugi sicuri: cerco sopravvissuti e li porto a Terminus. Più siamo numerosi, più siamo forti... non ha senso per te?"
Non importava se aveva senso. Era come se la parola BUGIARDO fosse stata scarabocchiata per tutto il suo viso cesellato. L'obitorio non era un rifugio sicuro, era un acchiappamosche. Probabilmente aveva visto Daryl e l'aveva lasciato lì. Se li avesse presi entrambi, forse avrebbe potuto credergli.
Se l'avesse lasciata andare, sarebbero stati insieme andando per la loro strada, sarebbero stati bene. Daryl poteva proteggerli entrmbi, perciò aveva sempre fatto ciò che lui le diceva di fare. O meglio, quasi sempre.
Il fatto che Terminus avesse bisogno di persone poteva essere vero, ma doveva indagare su cosa volessero esattamente dalle persone. Portare qualcuno nel tuo gruppo con forza non è un bel modo di iniziare una relazione. Molte cose erano cambiate nel mondo, ma il rapimento restava, nella migliore delle ipotesi, una mossa del cazzo.
Non poteva essere già impaurita sul serio, c'era troppa rabbia a bruciare dentro i suoi occhi e ogni parola che Brady le rivolgeva alimentava quel fuoco scoppiettante: odiava la sua voce, odiava la sua pratica, fredda razionalità. Masticava il bavaglio guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore. La paura non la invase del tutto fin quando lui non smise di parlare; nel silenzio la sentì insidiarsi dentro di lei. La sua voce atona l'aveva castigata per tutto il tempo in cui era stata cosciente, ma adesso era calmo, la sua mascella serrata, la sporgente vena sul collo pulsava.
Daryl non avrebbe potuto seguire le tracce dell'auto. Avrebbe provato a cercarla, ma come avrebbe potuto immaginare la strada che avevano percorso? Erano stati troppo veloci ed erano già arrivati lontano. Crebbe in lei l'intenzione di trovare un modo per uscirne da sola.
L'auto rallentò nei pressi di un punto roccioso, Brady scese e avanzò verso la sua portiera.
"Pausa bagno?"
Il suo quasi-sorriso era tutto fuorché rassicurante. Tagliò il nastro che legava i suoi polsi con un coltello tascabile, indietreggiò di un passo e le fece cenno di scendere.
Togliendosi il bavaglio dalla bocca, si guardò attorno alla ricerca di qualche arma o di qualsiasi cosa che le potesse tornare utile. Aveva ucciso molti vaganti, uccidere una persona non doveva essere poi così diverso. Tuttavia, lui, oltre a essere più grosso e più forte di lei, era anche armato. Non era privo di senno come un vagante, tra l'altro. Con la sua caviglia fuori uso, non poteva scappare da lui.
Zoppicò tra i cespugli e, senza voltarsi, avrebbe comunque potuto constatare che Brady le era vicino: la sua ombra si allungava oltre la sua spalla, il rumore dei suoi stivali contro le rocce sparpagliate sembrava essere legato alla stessa esasperata, quasi ipnotica cadenza della sua voce. Lei si diresse verso la parte posteriore dell'arbusto verso il quale l'aveva guidata, e si accovacciò.
Pur avendo girato tre quarti del suo corpo verso la strada, continuava a guardarla con la coda dell'occhio: quest'era tutta la privacy che si fidava a darle.
Pensò di fare qualcosa. Poteva essere la sua unica occasione per fuggire. Pensarci rese solo lo scampanellio che aveva in testa più forte. Tutto quello che voleva fare ora era piangere. Non sapeva come affrontare quel ragazzo. Chiuse gli occhi, tirò un respiro profondo e cercò di pensare a cosa avrebbe fatto Maggie.
Cosa avrebbe detto lei?
"A cosa ti servo?" chiese abbottonandosi i jeans e zoppicando di nuovo intorno a quell'arbusto.
Ancora senza guardarla, le lanciò una bottiglia d'acqua. L'aveva visto bere dalla stessa bottiglia poco prima. L'afferrò e, sentendosi ancora inquieta, fece un sorso e attese una risposta.
Lui scrollò le spalle. "Te l'ho detto, abbiamo bisogno di persone."
Voleva smascherarlo. Maggie aveva sempre avuto una mente lucida, lei sarebbe stata capace di parlargli e guardarlo negli occhi senza piangere. Così anche Carol. Michonne probabilmente l'avrebbe già ucciso. Ma loro non c'erano, c'era semplicemente Beth.
"Ho capito, le persone hanno bisogno di persone", disse a voce rotta. Doveva pensare come loro adesso, tenendo sotto controllo il respiro le venne più facile. Pensando a Maggie disse: "Questo è molto intelligente, ma perché hai bisogno di me? Non mi conosci, non sai se ho qualche abilità."
"Di sicuro ne hai una", disse lentamente, "troveremo qualcosa per te."
"Quindi è così che funziona?"
La sua voce si fece più morbida e per un momento si chiese se aveva malinterpretato qualcosa. Magari Brady e il suo gruppo non erano così diversi da lei.
"E' una piccola comunità dove ognuno svolge il proprio lavoro?"
"Ovvio, è quello che ha più senso, no?"
Cos'ha senso?
Lo diceva così spesso. La infastidiva, ma cercava di non darglielo a vedere. Nulla aveva più senso, non esistevano più regole. O sopravvivi, o muori. Tutto il resto serviva solo a ingannarsi, era tutto un gioco. Un gioco di guerra, di caccia, di fuga e di ricerca.
"Io vivevo in un posto."
Fece un sorso più lungo, costruendo la prigione nella sua mente. Non si permetteva di farlo da un po' di tempo. Era sicura, una fortezza che teneva lontano l'orrore dell'esterno. Per un po' aveva maturato la convinzione che avrebbero potuto avere qualcosa come una vita normale all'interno di quei cancelli.
"E qual era il tuo lavoro?"
Non sembrava davvero interessato alla sua risposta. Le ricordò di quando, prima che il mondo finisse, usciva con i ragazzi di sedici, diciassette anni che la riempivano di domande, ma non gli importava davvero ascoltarla.
Decise quindi di dargli una risposta onesta, sforzandosi di dirla ad alta voce.
"Mi prendevo cura di una bambina, sua madre è morta. Mi prendevo cura di Judith."
Quando il governatore attaccò la prigione, Beth provò a cercarla, perciò l'autobus partì senza di lei. Era scesa per cercare Judith e gli altri bambini, ma fu un tentativo vano, non li trovò. Invece Daryl trovò lei e la portò via. Una delle tante volte in cui le aveva salvato la vita.
Per la maggior parte dei giorni, s'impose di non pensare a quello che poteva essere accaduto ai bambini... a quella dolcissima bambina. Stava andando troppo oltre, tornò a pensare agli altri, a quello che dicevano alle persone di cui non erano sicuri di potersi fidare.
"Facevamo alcune domande prima di permettere alle persone di unirsi a noi, non ci fidavamo di chiunque."
La sua espressione perfettamente tranquilla si scompose leggermente attraverso un sorrisetto furbo. Si sentì le guance bruciare, perché credeva di aver capito a cosa stesse pensando. Aveva sentito il modo in cui parlava della prigione, e capì che l'adorava e che adesso non c'era più. Le sorrideva perché il suo gruppo era vicino, mentre quello di Beth no.
"Beh, tu mi sembri abbastanza innocua", sottolineò con un'altra pigra alzata di spalle.
"Voglio farti quelle domande."
"Non posso prometterti che risponderò, non sapenso cosa mi chiederai."
Brady alzò la mano, in segno di sottomissione, ma non fu efficace perché a guastare il tutto c'erano ancora quelle due dita a stringere il manico del coltello.
"Quanti vaganti hai ucciso?"
Si fece scappare una risata.
"Li contate?! Che razza di gruppo è?! Diavolo, non lo so. Più di un centinaio, ma meno di centocinquanta, più o meno."
"Quante persone hai ucciso?"
L'espressione di Brady tornò seria. La sua voce assunse di nuovo il tono piatto e sconnesso che lei gli aveva associato sin dal primo momento.
"Stavolta non posso rispondere, ma non riderò. E' una cosa seria. Come il tuo gruppo immagino sappia, ci sono alcune persone di cui non puoi fidarti, e non voglio mentire dicendo che non mi sono mai sporcato le mani col sangue dei vivi."
"Perché?"
"Ognuno ha il suo lavoro da svolgere, come hai detto tu, e alcune persone pensano che il loro sia ferire la mia gente e non posso permetterlo. Uccido per proteggermi e non me ne vergogno. Se fossi stata parte del mio gruppo, avrei ucciso per proteggere anche te."
Sapeva sempre cosa dire. Sembrava abbastanza convincente, ma proprio non ci riusciva a fidarsi di lui, non riusciva a incontrare quello sguardo glaciale e impenetrabile senza odiarlo. La repulsione fisica era diventata così forte da torcerle lo stomaco.
Gli rilanciò la bottiglia d'acqua.
"Non farò parte di Terminus, lasciami qui. Non ti sarò utile e non m'importa di quanto sia bello e sicuro il vostro accampamento. Non verrò."
All'inizio la sua espressione si mantenne placida, non reagì a quello che gli aveva detto. Non mostrò né l'esasperazione né la sorpresa che invece lei si aspettava, restò a fissarla, con la bocca che s'incrinava gradualmente.
"Morirai."
"E' una mia scelta. Sono sicura che tu sappia che è una scelta che ha fatto gran parte della gente."
Spostò i laccetti di cuoio e i bracciali che aveva sul braccio, in modo tale da mostrargli le vecchie cicatrici.
"Era una scelta a cui ero vicina già da un po'. Hai detto che Daryl è morto, no?"
Lei non ci credeva, ma recitò, provando a immaginarne la possibilità, lasciando che i suoi occhi diventassero umidi.
"Quindi io la faccio finita."
Plasmò il tono assunto finora da Brady.
"Era l'unica persona di cui m'iportava rimasta, l'ultima che ho perso."
In parte era vero, infatti le riuscì più semplice mentire. Confidava ancora nella speranza che qualcuno di loro fosse riuscito a cavarsela. Michonne probabilmente era viva. Rick, l'ultima volta che l'aveva visto, era un po' a pezzi, ma era un sopravvissuto, come Daryl: poteva essere riuscito a fuggire in tempo. Anche Carl avrebbe potuto. Sasha e Tyreese avevano passato davvero molto tempo praticamente da soli nella natura selvaggia. Glenn era veloce e intelligente, Maggie era forte.
Era viva, chissà dove.
"Non voglio più subire nulla del genere. Lasciami qui, non ho intenzione di far parte di nessun altro gruppo. Avevo la mia gente, che ora non c'è più."
Con il suo solito disinteresse, Brady rivolse un'occhiata veloce al suo polso, aggrottando le sopracciglia in un'espressione un tantino lontana da quell'empatia che avrebbe dovuto mostrare per sembrare sincero.
"Cosa ti fa pensare di aver diritto a una scelta in questa situazione?"
Robotico, la guardò senza nessun accenno di espressività, né falsa né autentica. Ebbe paura. La sua maschera si stava sciogliendo e non poteva distogliere lo sguardo.
"Alcuni di questi codardi di cui mi parlavi, quelli che hanno deciso di andarsene così presto, dicevano che questa è la nostra estinzione. Si sbagliavano. Questo è solo il nuovo grande evento che cambierà le cose nella storia dell'umanità. E' diverso."
Quasi sorrise, ma frenò in poco tempo la voglia di parlare.
"Ognuno deve svolgere il proprio lavoro, ma esistono solo due lavori importanti; quale sarà il tuo? Assassina o madre? Non sembri molto adatta a fare l'assassina."
La parte che stava interpretando diventava man mano meno credibile, ma dopo quell'ultima rivelazione, pensò che forse non le importava. Non doveva crollare davanti a lui.
Cosa avrebbe fatto Maggie?
Non avrebbe mollato.
"Quindi stai cercando di dirmi che mi hai rapita perché potrei essere una bella scopata?"
Lo sguardo di Brady vacillò per un secondo, sembrava arrabbiato. Ma poi notò sul suo volto il primo vero sorriso.
"Sì", ammise, "qualcosa di simile."
E aveva lasciato Daryl lì perché non avevano più bisogno di assassini. Evidentemente ne avevano in abbondanza, ma saperlo era inutile.
Cominciò a zoppicare all'indietro, sperando che la sua caviglia guarisse miracolosamente. O forse poteva scaricare tutta la paura prendendosi una pausa da tutto ciò.
La guardò come se volesse ridere di lei.
"Ora forza, non deve andare necessariamente così."
All'improvviso una nuova idea le balenò in mente come uno schiaffo sulla fronte. Cercò di mantenere sempre lo stesso sguardo, per fare in modo che Brady non si accorgesse della lampadina che si stava lentamente accendendo nella sua testa.
"Che vuol dire? Come può andare diversamente? Subirò violenze di gruppo fin quando non avrò un bambino in corpo... è questo quello che intendi, no? Il tuo gruppo si sta prendendo la responsabilità di ripopolare il pianeta?"
"Ormai abbiamo solo merda intorno, Beth. Non c'è motivo di essere così suscettibili, noi ci comportiamo bene con le nostre madri."
Fece un paio di passi verso di lei, cautamente, aspettandosi un'eventuale fuga.
"Le manteniamo ben nutrite, protette, pulite. Da quanto tempo non ti curavi di queste cose? Il vagante che seguì l'auto, quello che pensavi fosse il tuo amico Daryl, quel figlio di puttana che ho visto era uno sporco animale, un bel po' più grande di te. Sembrava il tipo di persona cresciuta già grezza ancor prima di questo inferno. Vuoi dirmi che quel lurido bifolco teneva con sé una creatura così piccola e carina come te senza aspettarsi di poter abusare della tua compagnia?"
"Sì, non era così."
Beth cercò di non sputare troppo veleno nella sua risposta, non le piaceva il modo in cui parlava di Daryl.
"E' un mio amico. Mi tiene al sicuro semplicemente perché è un brav'uomo."
Non perché si aspettasse di ricevere da me qualche favore perverso.
Represse l'impulso di andare avanti e dirgli che sarebbe stata bene con Daryl e che non aveva bisogno di loro. Certo, avevano vissuto rozzamente, ma non poteva dire di non sentirsi al sicuro con lui o di non aver avuto quello che le serviva quando le serviva.
Ingoiando tutte le osservazioni viziose di Brady, notò che si era avvicinato ancora di più.
"... Avete delle mura?"
Cercò di forzare un po' di dolcezza nel suo tono di voce.
"Molte mura, recinzioni comprese."
"Cibo?"
Lui sorrise in modo strano. Non era sicura di poter comprendere cosa ci fosse di così divertente.
"Ovvio che ce l'abbiamo, bambolina."
"Io... mi rende nervosa..."
Fece con cautela un passo verso di lui, lo spazio tra loro si strinse ancora di più.
"Cosa ti rende nervosa?", le chiese indossando ancora lo stesso irritante sorriso.
"Non sono mai stata con un uomo", rispose vergognandosi del suo stesso tono sciocco.
"Quanti anni hai, bambolina?"
"Quasi diciannove."
"Mi sembra che sia anche ora, non credi?"
"Sì... forse", disse mordendosi il labbro inferiore.
Cazzo, si sta bevendo questa balla!
La soddisfazione che luccicava negli occhi del ragazzo era esasperante.
"Brava ragazza", le disse, prendendo la sua mano tra le sue. La sua tipica voce piana divenne gentile.
Lei gli accarezzò le mani, guardandolo negli occhi e poi la sua bocca gli catturò le labbra. Le sue mani andarono dritte sulla vita, mentre quelle di Brady scivolarono dal collo ai seni. Le labbra erano premute con forza sulle sue, la sua lingua era invasiva. Le morse il labbro e lei dovette desistere dal divincolarsi, perché la sua mano destra aveva raggiunto il gonfiore della sua tasca.
In una frazione di secondo, lui capì cosa stava facendo, ma era troppo tardi: nello stesso momento in cui gli sfilò le chiavi dell'auto dalla tasca, sollevò la sua gamba sana dandogli un calcio sulle parti basse con tutta la forza di cui poteva essere capace. Nonostante fosse caduta perché la sua caviglia slogata non aveva retto il suo stesso peso, anche lui era a terra. Si alzò e scattò in direzione della macchina, mentre lui provava a sollevarsi, stranamente in silenzio.
Corse verso il lato del guidatore, ma lui si riprese più in fretta del previsto, e stavolta era furioso. A pochi passi dalla portiera, l'afferrò per i capelli e, stringendo la presa, sbattè la sua testa contro l'auto, bloccandola da dietro. Il respiro le usciva a fatica, aveva battuto violentemente la mascella contro il tettuccio della macchina. Il dolore le invase il torace e il cranio, provava a respirare ma lui la teneva schiacciata contro l'auto con così tanta forza che non aveva spazio per aprire i polmoni. Le strappò le chiavi dalle mani e indietreggiò abbastanza da aprire la portiera. 
Lei ansimava in cerca di aria e il dolore si faceva sempre più acuto. Le aveva incrinato qualche costola, ne era sicura. Tenendola per i capelli, li tirò mentre si chinava per aprire il bagagliaio, davanti al quale la trascinò subito dopo.
"Ti pentirai di non avermi assecondato quando dovevi", promise prima di farla entrare con la forza.
Attorno alle sue dita erano avvolte alcune ciocche bionde.
Sbattè la porta del cofano.

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Capitolo 3
*** Benvenuti a Terminus ***


BENVENUTI A TERMINUS




Il perdono, Carol lo sapeva bene, non ripristinava automaticamente anche la fiducia.
Tyreese l'aveva perdonata, ma si fidava di lei? Ci riusciva?
Lo vedeva nei suoi occhi qualche volta. Non era ancora lì, ma, un passo alla volta, stava scalando quella montagna, stava provando a capirla e voleva che lei lo sapesse, perché alla fine, inconsciamente, sapeva che capirla poteva portarlo a recuperare la fiducia che aveva in lei. Carol aveva conosciuto tanti uomini diversi; pochi di loro avrebbero fatto un tale sforzo, ma mai nessuno come Tyreese.
"Ho capito perché hai fatto quello che hai fatto", mugugnò mentre percorrevano la strada verso Terminus, la loro possibile salvezza.
"Che hai capito?"
Mantenevano sempre lo sguardo su ciò che li circondava, senza mai guardarsi, a meno che uno dei due non fosse di guardia. Tra tutti alla prigione, Tyreese sarebbe stata l'ultima persona che avrebbe scelto come compagno, ma evidentemente l'universo sapeva qualcosa che nessuno dei due aveva mai afferrato: quei due avevano un ritmo simile. Alcune persone non potevano funzionare insieme. Loro si erano semplicemente adattati l'uno all'altra. Se lei guardava a destra, lui dava un'occhiata a sinistra, non avevano bisogno di discutere più di tanto e si muovevano l'uno a fianco all'altra tranquillamente. Non era un compromesso, non era nulla che avesse richiesto uno sforzo da parte loro. Semplicemente riuscivano a lavorare insieme.
"Non posso immaginare di poter capire tutto quello che hai passato. La fine del mondo è stata diversa per tutti, credo."
Dopo aver esternato quel pensiero, si fermò ad ascoltare qualche minaccia che si stava avvicinando o la stessa Carol, ma lei non lo interruppe.
"Ho saputo alcune cose su tuo marito, su tua figlia. So che hai visto l'inferno. Tu non hai più paura, e penso che sia per questo che tu riesca a fare ciò che va fatto, anche se è orribile. Anche quando ti dovrebbe spaventare non lo fa comunque, perché hai già visto le tue più terribili paure prendere vita, non è così?"
Carol si permise di rivolgergli un'occhiata veloce, per poi tornare a guardare la strada. Tyreese non era un tipo da chiacchiere. Erano tutti grandi discorsi, quelli con lui. Non che le dispiacesse.
"Non c'è... più nient'altro che il mondo può scagliarti contro, vero? Hai già fatto a pugni con tutto questo."
Mentre cercava nel suo zaino una bottiglia d'acqua, Carol smise di camminare. Fece un sorso e gliela offrì, guardando finalmente i suoi grandi occhi marroni privi di giudizio. Aveva imparato che anche quando era arrabbiato non era capace di mantenere uno sguardo inquisitorio. Poi rivide nella sua testa la scena di quando ritrovò i corpi di David e Karen. Era stata lei, ma lui non lo sapeva ancora. La sua ira era incontrollabile, era sicura che se gli avesse detto in quel momento che era stata lei ad ucciderli, l'avrebbe pestata a morte in dieci secondi, senza darle il tempo di spiegare. Ma da quando l'aveva capito, le era sembrato più lucido di quanto si aspettasse. Non aveva intenzione di riversare la sua rabbia su di lei, non importava quanto fosse ferito. Era come se ci fosse stata una vocina dentro di lui a suggerirgli che forse c'era qualcosa di quella storia che lui non sapeva. Lui rispettava le persone, le loro pene e i loro voleri, ma riusciva comunque a ucciderle. Anche lei provava a capirlo, ma era un tipo di persona con cui non aveva familiarità. Poche persone genuine e mansuete riuscivano a diventare anche assassini.
Era arrivato il suo turno per parlare, lui la guardava in attesa. Si chinò a baciare Judith, che era fasciata al torace di lui e dormiva con addosso un piccolo cappuccio per proteggerla dal sole.
"C'è una sorta di... pace, credo." Scosse la testa, sapeva che quella parola non era adatta ma non riusciva a trovarne una migliore. "C'è una sorta di pace che arriva dopo che si è stati pesantemente abbattuti. L'ho sempre pensata come una scuola di sopravvivenza. Quando affronti il momento in cui pensi che tutto stia per finire, in cui sei assolutamente sicuro che morirai, e poi quel momento passa e sei ancora vivo, a volte provi quella sensazione. Sollievo. L'ho provato in vari momenti, fino a sentirlo costantemente."
Non l'aveva mai detto ad alta voce prima di allora. In pochi erano riusciti nel cercare di tirare fuori qualcosa da Carol, ma lei non aveva mai detto nulla.
Tyreese la osservava pensieroso, cercando i suoi occhi, come se potesse vedere gli altri segreti che nascondevano.
Un urlo trafisse l'aria, e a rimbombare con esso vi erano i soliti grugniti dei vaganti.
Prima che potesse fare qualsiasi cosa per fermarlo, Tyreese scattò. Carol lo seguì, impugnando la sua pistola e reprimendo qualsiasi segno di dissenso. Lui era un brav'uomo, e gli uomini buoni ogni tanto avevano bisogno di fare gli eroi; non poteva fermarlo.
Dopo una trentina di metri percorsi nel bosco, si trovarono davanti alla scena. Era troppo tardi per quel ragazzo che ancora si agitava nonostante tre vaganti gli avessero strappato via le interiora con poche manate. Il quarto cercava di afferrare una ragazza. Tutto ciò che Carol riuscì a vedere di lei era il suo piede appoggiato a un ramo dell'albero. La ragazza gridò quando vide i vaganti lacerare il corpo del suo compagno morto.
Tyreese uccise subito i tre vaganti che stavano divorando il ragazzo col suo martello, distruggendo, già che c'era, anche il cranio di quest'ultimo. Carol tirò a sé quello che tentava di raggiungere la ragazza. Era particolarmente alto, con le braccia lunghe, tanto che dovette saltare per darsi lo slancio necessario per poter affondare il coltello nella sua testa.
Anche se tutti i vaganti erano morti, lei continuava a gridare.
"Zitta, o ne attirerai altri!"
Carol si scostò dal vagante ed estrasse il suo coltello. Le urla della ragazza si trasformarono in singhiozzi, ma tuttavia cercò di mantenere la calma. Con un sospiro, Carol si ricompose e alzò lo sguardo. Non sapeva cosa avesse di strano, ma le si spezzò il cuore alla vista di quella ragazza. Era un'adolescente minuta, con le gambe lunghe e i piedi piccoli, i capelli castani lunghi fino alle spalle e degli occhi color sabbia che sembravano fatti apposta per piangere. Sembrava Carol a quindici anni. Era come sua figlia Sophia sarebbe diventata se fosse stata ancora viva.
"Vieni, tesoro, ti aiuto a scendere."
Tyreese prese il suo posto sotto di lei, diede Judith a Carol e allungò le braccia verso la ragazza sull'albero.
Scuotendosi, con una rara fiducia nei suoi salvatori, si lasciò cadere tra le braccia dell'uomo e, affondando sbito il viso nel suo petto muscoloso, iniziò a piangere.
Carol si girò e li lasciò lì.
Non posso farlo di nuovo.
Avvolse Judith nelle sue braccia, che era perfettamente sveglia, i suoi piccoli vestiti si erano macchiati con qualche schizzo del sangue di quei vaganti. Erano fortunati che non fosse molto rumorosa, era come se capisse che il silenzio era essenziale per la sua sopravvivenza. Si avvicinò al ragazzo per guardarlo meglio. La sua faccia si era mantenuta abbastanza bene nonostante il martello di Tyreese, aveva gli stessi occhi tristi della ragazza. Era il fratello più grande, anche se non di troppo.
Mentre Tyreese cercava di lenire la ragazza, Carol si occupò dei corpi. Già prima che tornassero in strada aveva intuito la loro situazione abbastanza bene, ma sulla via del ritorno Tyreese le fece un riassunto.
"Lei e la sua famiglia avevano un rifugio, ma non abbastanza cibo. Entrambi i genitori erano malati di cancro, sono morti e si sono trasformati. E' stato il fratello ad abbatterli. Stavano seguendo la strada per Terminus e hanno deciso di passare la notte nel bosco."
Scrollò le spalle, il resto l'avevano potuto vedere con i loro occhi. Ma aveva tralasciato la parte più importante.
"Come si chiama?"
"Sophie."
Non posso farlo di nuovo.


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Dentro al bagagliaio, Beth cercava di mettere su più indizi possibili per capire dove stessero andando. Ad un certo punto tornarono indietro. Lei cercò di memorizzare la strada che stavano percorrendo, ma, paranoica, cominciò a chiedersi se aveva fatto marcia indietro solo per confonderla. Poi arrivarono alla fine della strada, sentì l'auto parcheggiarsi e una voce proveniente da fuori.
"Non mi piace che torni a mani vuote, Brady."
Era una donna a parlare.
"Infatti ho trovato qualcosa."
Bussò con forza sul cofano, tanto che l'auto si muoveva. Beth si portò le mani sulle orecchie, ma il rumore risuonava ancora indisturbato nella sua testa. Un attimo dopo, Brady aprì il bagagliaio. La luce del sole era accecante, la sua vista si schiarì pian piano.
"Non potevi farle la cortesia dei sedili posteriori?"
La donna era più grande di lui, aveva i capelli grigi che le ricadevano sulle spalle e le braccia scheletriche incrociate al petto. Le rivolse a malapena un'occhiata, poi spostò lo sguardo sul ragazzo.
"Merda, è messa male."
"Ha provato a fare la furba strada facendo."
"Sì, beh, portatela in ospedale."
Con un sorriso gelido, Brady la salutò con un cenno del capo e tornò al posto del guidatore, aspettando. Notò che la donna era accompagnata da due giovani uomini. Lei appoggiò la testa a una delle pareti del cofano; a quel punto ribellarsi avrebbe solo peggiorato la situazione. Permise loro di tirarla fuori e gettò il primo sguardo a Terminus con grandi occhi insonni.
Brady rimise la macchina in moto e si diresse all'interno della struttura.
Non somigliava più a una stazione ferroviaria, le dava più l'idea di un campo di concentramento. Mentre marciavano in silenzio, cercava con lo sguardo i luoghi di riferimento. C'erano vagoni, retrofit e pochi elementi che testimoniavano un soggiorno a lungo termine, come le fioriere e tele dipinte con messaggi che non riusciva a leggere. Ma non c'era nulla che spiccasse, come ad esempio un'armeria, un garage, delle abitazioni. Non c'era nessuno lì fuori a parte Beth, la donna dai capelli grigi e i due uomini armati.
L'edificio che la donna aveva indicato come "ospedale" sembrava un centro di smistamento tipico dei vecchi film sulla guerra. C'erano circa dodici lettini con a fianco qualche retina per la privacy, avevano anche un po' di medicinali e attrezzature mediche, rubate probabilmente a qualche vero ospedale.
Sembrava che Beth fosse la loro unica paziente: tutti i lettini erano vuoti e privi di lenzuola. L'avevano portata a quello più vicino, facendola sedere. Dato che il dolore alla caviglia era peggiorato e le costole pulsavano, non credeva di riuscire a stendersi.
I due uomini armati indietreggiarono per consentire a lei e alla donna dai capelli grigi un po' di spazio. Non le aveva neanche detto il suo nome. Aveva le mani tozze e fredde. Senza preavviso, si chinò sulla sua caviglia ispezionandola grossolanamente con le mani e gli occhi strabici.
"Zoppichi, che hai fatto?"
"E' solo una distorsione, neanche troppo grave. La stavo già curando."
"Vedremo."
La donna ancora non la guardava negli occhi. Le girò la caviglia.
"E questi lividi?"
"Ti ho detto, è solo una distorsione."
Con una smorfia, il medico finalmente la guardò.
"Nient'altro?"
"Le mie costole, penso che siano rotte."
"Vediamo."
Si mosse verso il torso di Beth. Guardando le due guardie, sentì le sue guance bruciare. Non l'avrebbero lasciata sola se poco prima aveva cercato di scappare.
"Hai davvero tutto questo pudore?!", disse la dottoressa alzando le sopracciglia.
"Sì, davvero", rispose sottovoce. Ma lei già aveva iniziato a sbottonarle la maglietta e a tirarla su, per ispezionare i segni blu e neri.
"Sono incrinate, non c'è molto che io possa fare."
Non appena finì di dirlo, si riabbassò la maglietta all'altezza dei jeans.
"La tua caviglia guarirà presto da sola, invece per quanto riguarda le costole hanno bisogno di un po' più di tempo e riposo. Non fare attività fisica per le prossime due settimane e saranno come nuove. Il vero problema è che se farai qualcosa per rialzarle rischi che si incrinino ancora di più e potrebbero perforarti un polmone.
"Rialzarle? ...Sei davvero un medico?"
Il suo sguardo divenne ancora più duro e le sue guance meno rosee.
"So di cosa sto parlando. Ti darò antidolorifici, lenzuola, un bidet e un paio di manette a tenerti compagnia. Non possiamo perdere tempo a sorvegliarti ventiquattro ore su ventiquattro." 

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Capitolo 4
*** Pollo ***


POLLO



Le diedero del latte in polvere e dell'acqua.
Quattro volte al giorno, la dottoressa dai capelli grigi sarebbe tornata per darle più antidolorifici. Quattro volte al giorno, Beth nascondeva le pillole ai lati della bocca finché non uscivano dalla stanza senza essere vista, e poi le riponeva nelle tasche dei suoi jeans.
Una moltitudine di strani pensieri le annebbiava la mente e le riuscì difficile pensare a un piano efficace. Poteva affrontare il dolore da sola per un po', ma non troppo a lungo.
Se tutte le persone che amavano erano morte e il destino l'aveva portata lì, tra quei mostri, valeva la pena andare avanti?
Doveva tornare da Daryl.
Forse Judith e gli altri bambini erano stati uccisi alla prigione. Forse Rick era morto, forse Carl, e anche Michonne. Forse non avrebbe più rivisto Maggie o Glenn, ma lei sapeva con certezza che Daryl era lì fuori.
Daryl Dixon era vivo. Lei l'avrebbe ritrovato e avrebbero continuato quello che avevano lasciato in sospeso, con lui che era diventato fin troppo nervoso per darle una dannata risposta e lei, seduta su quella sedia, che moriva dalla voglia di scostargli quella ciocca di capelli dalla fronte.
Sarebbero sopravvissuti insieme.
Dietro la sua branda, all'ospedale, c'era un tubo che sporgeva fuori dalla parete. Attorno ad esso c'era una lunga, pesante catena alla quale era attaccata una delle due manette, mentre l'altra le imprigionava il polso sinistro. Le avevano ammanettato una sola mano per permetterle di lavarsi un po' più facilmente da sola e senza sforzare ulteriormente le costole.
Sola in quella stanza, Beth non aveva molto da fare. Ma ascoltava il lontano gocciolio dell'acqua e cercava di capire che fare con quegli antidolorifici e quale osso del pollice avrebbe dovuto rompere per poter scivolare via dalla manetta. Non avrebbe tentato il suicidio.
Cosa avrebbe detto Maggie?
Non aveva bisogno di immaginarlo, sua sorella le aveva detto esattamente come si era sentita quel giorno, qualche tempo fa, in cui provò a tagliarsi le vene.
Era rimasta sul bus?
Conoscendola, avrebbe detto di no, che non era rimasta sul bus. Era troppo impavida per starsene al sicuro mentre le persone che amava rischiavano la vita nel cortile della prigione.
Se Beth l'avesse fatto, non solo avrebbe dovuto dare una spiegazione plausibile a sua sorella nell'aldilà, ma anche a suo padre, che le aspettava lì.
Se Daryl l'avesse saputo, non solo si sarebbe incazzato con lei, ma sarebbe anche crollato. Già incolpava se stesso per troppe cose. Lei non se n'era accorta all'inizio. Lo fece solo il giorno in cui vide il redneck piangere fuori al Moonshine, dopo averle finalmente parlato.
Anche se, in realtà, le aveva gridato contro.
"Hai perso due fidanzati e non hai versato una lacrima, non hai più una famiglia e pensi solo a ubriacarti come una stupida puttanella!"
Bruciava, perché almeno in parte era vero. Suo padre era morto, Judith era scomparsa e non riuscivano a trovare Maggie. 
Non sapeva che fare, voleva solo riavere uno scopo da seguire, qualcosa di cui aver cura. 
"Vaffanculo, tu non te ne rendi conto."
"No, tu non te ne rendi conto! Tutti quelli che conosciamo sono morti!"

Da ubriaco, era proprio un coglione. Lo ammise anche lui, più tardi, e lei accettò le sue scuse ancor prima che potesse porgergliele. Sapeva che era in lutto proprio come lei.
"No, questo non lo sai!"
"E' come se lo fossero, perché non li rivedrai mai più... Rick... e non rivedrai mai più Maggie!"
"Daryl, smettila."
"Il Governatore si è presentato al cancello"
, per quanto fosse spaventoso vederlo gridare contro di lei, lo era ancora di più sentire la sua voce spezzarsi. "Se magari non avessi smesso di cercarlo, se magari non avessi rinunciato... è colpa mia."
Quando vide la velocità con cui la rabbia si stava trasformando in pianto, non potè fare a meno di toccarlo.
"Daryl..."
Lui l'allontanò.
"No. E tuo padre..."
Come poteva dimenticare il rispetto che nutriva per suo padre? Era stato costretto a vederlo morire, proprio come lei.
"Magari... magari avrei potuto fare qualcosa."
La Beth ubriaca non esitò a gettarsi a braccia aperte su di lui, che scoppiò in lacrime.
Se avesse scoperto che lei l'aveva fatta finita, sarebbe stato distrutto dalla cosa. Avrebbe pensato che avrebbe dovuto trovarla, salvarla in tempo, così come si era incolpato per l'attacco del Governatore alla prigione e per la morte di suo padre.
Dopo aver lasciato la prigione, la sua mente aveva sfiorato quell'idea solo in alcuni fugaci e cupi istanti, ma fu capace di ignorarla.
Daryl la rendeva capace di farlo.
Il Moonshine e Daryl... ma soprattutto Daryl.
"Vorrei solo poter... cambiare", gli aveva confessato dicendo addio alla gioia ingiustificata che l'ebbrezza le aveva regalato fino a quel momento.
"L'hai fatto."
"Non abbastanza, non come te. Tu sembri nato per il mondo attuale."

Ogni volta che provava a immaginarselo prima dell'apocalisse, semplicemente non ci riusciva. Era un cacciatore, un killer. Aveva sempre la sua balestra in spalla, oppure tra le mani. Era sempre un po' sporco e malconcio, non riusciva a vedelo in panni diversi.
Lui l'aveva guardata come se sapesse a cosa stava pensando.

"Sono solo abituato alle cose brutte, essendo cresciuto in un posto simile."
Il Moonshine Schack era un posto misero, isolato e fatiscente, con chiari segni di sdegno e trascuratezza.
"Te ne sei andato."
"Non è vero."
"Sì che lo è."
"Ogni tanto magari continua a ricordarmelo."
"No... non puoi contare su nessuno per niente, giusto?"

Aveva usato la sua stessa filosofia contro di lui. Era solo una delle tante cose che li rendeva così diversi: lei non sarebbe sopravvissuta a lungo da sola, lui sì.
"Io sarò morta un giorno."
"Smettila."
"Morirò. Tu sarai l'ultimo sopravvissuto. Lo sei. Quanto ti mancherò quando non ci sarò più, Daryl Dixon."
"Neanche a te prende poi così bene."

Una nuova pace le aveva invaso la mente, lasciando andare il dolore. Suo padre era stato ucciso davanti a lei, per la seconda volta la sua casa era stata invasa dai vaganti, sua sorella le era stata strappata via, tutta la sua gente era dispersa o morta. Aveva perso anche Judith. Quel dolore tormentò la sua mente e il suo cuore per un po'. Era così anche per Daryl, ma lei era troppo occupata a guardare ai suoi, di mali, per vederlo.
Lui si chiudeva in se stesso, lei esplodeva.
Lo affrontarono a modo loro, e poi lo affrontarono insieme.
Era bello. Il fatto che stessero insieme lo era.
Il suo odio per Terminus, grazie a quei pensieri, crebbe a dismisura e pensò a come fosse possibile che era stata davvero felice, nonostante tutte le difficoltà. Non aveva nulla, di nuovo.
Nulla eccetto Daryl.
L'aveva tenuta al sicuro, le aveva fatto ritrovare la speranza. Era felice con lui.
Con un vuoto nel cuore, ricordò la loro ultima conversazione.
"Gli lascerò un biglietto."
In quel momento le era sembrata la cosa più giusta da fare. Avevano preso il loro cibo e usato il loro rifugio. Il mondo era diverso, ma lei voleva comunque conservare qualcosa del vecchio mondo e un biglietto di ringraziamento per aver usato la loro roba le era sembrato un buon compromesso.
Daryl si era preso una pausa dal divorare l'intero barattolo di marmellata.
"Perché?"
"Per quando torneranno."

Anche se Daryl pensava che fossero morti, implicitamente le aveva dimostrato di apprezzare l'idea.
"Se torneranno. Anche se non tornano, voglio ringraziarli lo stesso", aveva continuato lei.
Forse le sue parole avrebbero potuto raggiungerli, in qualche modo. Anche se erano morti.
"Magari non dobbiamo lasciarlo."
Daryl l'aveva sorpresa, proprio quando pensava di averlo capito.
"Magari possiamo restare qui per un po' e quando tornano troveremo un accordo. Potrebbero essere dei pazzi, ma potrebbe anche andare bene."
Dal giorno dell'attacco, erano stati sempre in movimento, senza mai fermarsi in un posto troppo a lungo. Questa volta le era sembrato speranzoso.
"Quindi credi ancora che ci siano brave persone in giro."
Aveva riso, ma non perché era divertente. Aveva riso perché ne era felice.
"Perché hai cambiato idea?"
"Lo sai."
"Dimmelo."

Con una scrollata di spalle, Daryl era riuscito solo a borbottare un "Mmh-mmh."
"Non fare mmh-mmh... perché hai cambiato idea?"

Non le aveva risposto. Si era limitato a guardarla, con occhi colmi di sentimento. Occhi che lei non si aspettava di vedere.
Per un istante aveva sentito un fremito scuoterle il petto: sapeva cosa le avrebbe voluto dire.
Ogni traccia del sorriso che illuminava il suo volto era svanita. Non era divertente, era una cosa seria, leggere nella mente dell'uomo.
"Oh."
Era diventato vulnerabile. In quei momenti lo aveva capito alla perfezione, ma per il caos che ne seguì, le era sembrato un sogno. Magari l'aveva solo immaginato.
Ora che era sola a Terminus, cercò di andare oltre quelle immagini, cercando di ricordare anche il dettaglio più sottile.
Non le aveva risposto.
La porta si aprì con un cigolio, ma Beth non alzò gli occhi, lasciando che il suo sguardo strisciasse lateralmente: era il momento della giornata in cui arrivava la dottoressa dai capelli grigi a portarle più medicinali.
Le venne consegnato anche un pasto, ma quella volta era diverso dal solito. Non era solo latte in polvere, era un piatto vero e proprio. Le sue pillole erao affiancate a una vera cena.
Diverso dal solito era anche il fatto che non era stata la dottoressa a portarglielo.
"Pensavo che ti avrebbe fatto piacere del vero cibo."
Il giovane uomo le rivolse un brillante mezzo sorriso.
"E' pollo?"
Anche se l'aveva chiesto, le dava più l'impressione di carne di maiale.
"Certo che sì."
Le poggiò il piatto sulle ginocchia e incrociò le braccia al petto, squadrandola dalla testa ai piedi.
"Avete dei polli?"
Spostò la fetta di carne arrostita dalla verdura, prese poi un solo pisello e lo portò alla bocca.
"No, sono semplicemente passato al supermercato e l'ho preso", rispose il ragazzo in tono sarcastico, ma con un'espressione impassibile. "Volevo darti un'occhiata da quando Brady ti ha portata qui. Dice che sarai un'ottima madre."
"Sì, me l'ha detto."
Beth ne mangiò un altro.
"Continuerai a mangiarli uno alla volta?", chiese ironico alzando un sopracciglio. "Il fatto è che, come hai potuto vedere tu stessa, Brady è un idiota."
"Non penso che sarò una brava madre, comunque. Dovreste lasciarmi andare. Finirò in pasto ai vaganti entro un giorno o due, ma sarà un mio problema. Non vostro."
Alzò lo sguardo verso di lui, pur restando col collo piegato verso il piatto.
Il ragazzo non rispose a quell'affermazione, restando in silenzio per qualche minuto e creandole un forte disagio.
"Io sono Gareth, comunque."
Non le domandò il suo nome, e lei non glielo disse.
"Non penso che sarò una brava madre, Gareth."
"Il tuo ciclo è regolare?"
Cedendo alla fame, afferrò la fetta di carne con le dita e la morse.
"Questa è una cosa che può escluderti. Lo stress e la mancanza di cibo normale... da quando il mondo è finito, insomma, le donne non se la passano bene. Sai cosa intendo. Ci sono donne che sono molto abili nel diventare assassine e potrebbero fare entrambe le cose, se volessero. Non credi sia interessante?"
Veramente no.
Diede un altro morso.
"Quello che sto cercando di dirti è che avere un utero non basta. Se non sei una madre, non significa che ti lasceremo andare. Significa che troveremo un altro impiego per te."
"Non sono adatta neanche a fare l'assassina."
L'espressione di Gareth si sciolse in un sorriso tranquillo. Provò a immaginarlo prima dell'apocalisse, inquadrandolo come una persona con cui tutti amavano stare e parlare. Alla fine non era poi così tanto simile a Brady, il quale sarebbe parso molto inquietante anche prima dell'inferno. Gareth però era ancora più snervante, perché Beth sapeva che se ci fosse stato lui al posto di Brady si sarebbe fidata immediatamente.
"Questo lo sappiamo", inclinò la testa verso di lei, "Non sei un'assassina, ma non sei poi così docile."
"Grazie?"
Sempre sorridendo, scosse la testa.
"Non è un complimento. E' un problema. Sai il significato della parola ricalcitrante?"
"Ricalcitrante? E' tipo... ribelle?"
"Opponi resistenza all'autorità, no?"
Prima, nella sua vecchia vita, avrebbe negato con convinzione.
"Solo quando io e l'autorità non siamo d'accordo."
"E' qui che sta il problema. Tu pensi che conti qualcosa il fatto che tu non sia d'accordo?"
Fece schioccare la lingua e la guardò accigliato.
"Le donne che non capiscono che stiamo facendo loro un favore mantenendole protette e nutrite, che in cambio dovrebbero come minimo... fidarsi ciecamente di noi, ecco, non le vogliamo. Crea troppi problemi avere a che fare con qualcuno che perde tempo a cercare di fuggire, compromette l'intera operazione."
Prendendosi un minuto per capire ed essere sicura di tutto ciò che aveva detto e non detto, Beth finalmente aprì bocca e fece un respiro profondo.
"Allora lasciami andare."
"Se non potrai essere una madre, troveremo un altro impiego per te. Ti darò una notte per pensarci, non abbiamo voglia di occuparci di madri ribelli. Se deciderai di dire di no, allora considereremo il no come la tua risposta definitiva."
"Ma ancora non posso andarmene?"
Gareth scosse la testa e si diresse verso la porta.
"Non lascerai Terminus. Troveremo un impiego per te."
Scandì per bene le parole chiudendosi la porta alle spalle.
Al posto di rimuginare sul suo destino lì a Terminus, passò tutta la notte a cercare di scivolare via da quelle manette. Il fratello di Daryl, Merle, si era tagliato la mano per liberarsi dalle manette ed era un uomo grande e grosso con mani e polsi enormi. Beth invece era minuscola, oltre che pelle e ossa, ma non riuscì a farlo.
Cercò di rompersi l'osso del pollice, ma non trovò la forza e la volontà necessarie. Era troppo insicura su come farlo. Se non l'avesse rotto nel modo giusto, oltre a farsi male, avrebbe potuto restare comunque bloccata nella manetta.
Tutto ciò che fece, allora, fu usare i denti.
Aveva sentito che alcuni animali per uscire dalle trappole rosicavano i loro stessi arti. Lei di certo non voleva strapparsi via la mano a morsi e non ne aveva neanche bisogno, le sue dita e il suo polso erano così sottili da poter scivolare via facilmente. Sarebbe bastato solo rosicare pochi pezzi di carne del pollice.
Le si torse lo stomaco al pensiero, era già abbastanza sconcertata per il pasto datole da Gareth.
Vomitò nel contenitore che le avevano dato per urinare, poi ingoiò alcuni antidolorifici e iniziò a mordersi il pollice.


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"Perché devo restare qui fuori da sola?"
I grandi occhi contemplatori di Sophie riuscivano sempre a portare un'ondata di tristezza e rabbia nel cuore di Carol.
Non era giusto, e lo sapeva.
"Non sappiamo com'è la situazione lì dentro, non rischierò la tua vita e quella di Judith finché non sarò certa che è sicuro."
Carol glielo aveva già spiegato in mille modi diversi, ma la ragazza ancorra non demordeva. Almeno era una buona babysitter. Infatti, quando Judith piangeva, il che era raro, Sophie sapeva come tenerla in braccio nel mondo giusto per farla addormentare.
Le avevano costruito un nascondiglio con i grossi rami degli alberi spezzati. Non sapeva ancora sparare, ma col coltello sapeva cavarsela, perlomeno. Era anche una brava scalatrice, anche gli alberi più angusti non potevano competere con lei.
Dopo molte discussioni, Carol e Tyreese decisero che sarebbero entrati a Terminus da soli.
In un primo momento, Carol voleva andare da sola, ma Tyreese non glielo permise. Nel caso in cui qualcosa fosse andato storto, sarebbe stato più semplice per loro uscire insieme. Oltre a questo, se Carol avesse detto a quella gente di essere sola avrebbe destato sospetto. Le persone da sole non arrivavano molto lontano, soprattutto una donna come lei avrebbe fatto aggrottare le sopracciglia a tutti.
Neanche Tyreese poteva entrare da solo. In ogni caso, non valeva la pena portare dentro Sophie e Judith.
Le lasciarono nel bosco con una pistola, un coltello e indicazioni per arrampicarsi nel caso in cui un vagante le avesse trovate.
Non ancora pienamente convinta della decisione presa, Carol seguì silenziosamente Tyreese alle porte di Terminus, rimpiangendo passo dopo passo di non essere riuscita a convincerlo a restare con le ragazze.
"Sei fredda con lei", la accusò. "E' una ragazzina indifesa, ha perso tutte le persone a lei care ancora prima di tutto questo. Ha solo bisogno di un po' di affetto. Io so che t'importa, ma devi dimostrarglielo."
"Deve darsi una svegliata. Prima lo fa, meglio è."
Tyreese sospirò.
"Si fida ciecamente."
Anche tu.
Carol l'aveva capito nel momento in cui era saltata giù dall'albero tra le sue braccia. Nessuno l'avrebbe fatto al posto suo. Lui poteva essere chiunque, un qualsiasi pazzo pronto a torturarla, violentarla, umiliarla o ucciderla. Ma per l'ingenuità con cui guardava ancora il mondo, capì immediatamente che quel pensiero non l'aveva neanche sfiorata. Sophie non riusciva neanche a immaginare di ferire qualcuno, quindi neanche di poter essere ferita da qualcuno. Aveva visto cose orribili e non aveva ancora risvegliato la sopravvissuta che era in lei: quanta speranza c'era per una persona così?
Come se le stesse leggendo nella mente, Tyreese le disse: "Non rinunciare a lei, dalle una possibilità."
La prima cosa che notò di Terminus fu la scarsa sicurezza. Tra i motivi per cui le cose erano andate male alla prigione, c'era il fatto che si erano agiati troppo. Preferiva un piccolo gruppo di persone vigili a un folto gruppo di idioti che se ne stavano lì ad aspettare che gli altri venissero uccisi. Anche se la gente di Terminus non era predatrice e si accontentava di una sicurezza negligente, poteva essere comunque pericolosa.
Le dimensioni del posto erano impressionanti, l'impostazione era promettente. Vide delle piante in alcuni vasi, un giardino pieno di erbe e verdure. Era come se volessero mostrare qualcosa del luogo prima di farsi conoscere di persona.
La prima persona che vide fu una donna dai lunghi capelli castani avvolti in una treccia. Guardava il giardino, attenta a vedere se qualche verdura era pronta per essere raccolta.
Carol sapeva che li aveva già visti arrivare. Sembrava che non le importasse di scambiare qualche parola con loro, come se potesse vederli anche se era di spalle.
Ma a un certo punto si voltò e li salutò con un sorriso.
"Beh, siete arrivati."
"Questo significa che sopravviveremo?", disse Tyreese per primo, mentre Carol e la donna si studiavano a vicenda.
"Esatto. Io sono Mary."
La donna sorrise e gli fece cenno di seguirla.
"Immagino abbiate delle domande da farmi. Perché però non venite prima a mangiare qualcosa? Dovete essere molto stanchi."
E fu allora che lo sentì.
L'odore della carne.

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Capitolo 5
*** Le parole magiche ***


LE PAROLE MAGICHE




"Tyreese, non hai imparato nulla dalla tua esperienza a Woodbury?"
Carol rivolse quella domanda al suo compagno nel momento in cui la porta si chiuse e vennero lasciati soli. Avevano trascorso le due ore precedenti a parlare con Mary.
Mary che in qualche modo era fredda e accogliente allo stesso tempo.
Mary che aveva risposto a tutte le loro domande con le risposte giuste.
Mary che Carol non riusciva proprio a farsela piacere.
Tyreese era stato gentile a tal punto da preoccuparla. Se non ci fosse stata lei, le avrebbe già detto di voler rimanere. Forse intuendo il crescente disagio, li aveva lasciati soli per permettergli di discuterne.
Lui colse a pieno l'accusa che era celata in quella domanda, guardandola negli occhi aveva capito che pensava che lui credesse, almeno in parte, a quella donna. Ma, al di là di questo, voleva davvero sapere se aveva visto qualcosa che gli ricordasse Woodbury.
"Non mi dà proprio la stessa impressione di Woodbury", ammise lentamente. Era come se avesse qualcos'altro da dire, ma gli fosse rimasto sulla punta della lingua.
Non lo disse, ma continuò a tenere lo sguardo su di lei, in attesa di una sentenza.
"Ti è sembrata... sincera?"
Era evidente che a Carol non aveva fatto la stessa impressione. Non sapeva spiegare perché, ma c'era qualcosa in quel posto che la faceva rabbrividire.
"Hai notato che in realtà non ci hanno detto niente di loro?", disse lui abbassando la voce. "Siamo stati qui ore e sì, ci ha detto delle cose, ma non ci ha raccontato la loro storia."
Era vero. Mary aveva parlato dei loro rifornimenti, della struttura, dei diversi ruoli che svolgevano nella comunità. Aveva parlato dei loro piani per rendere più sicura la stazione ferroviaria, ma non aveva mai menzionato i suoi compagni, né raccontato la loro storia, come se quel posto fosse apparso dal nulla.
"In qualsiasi posto io sia andato, ho sentito raccontare una storia. Perché qui non ne hanno una?"
"Ce l'hanno", Carol ne era sicura, "Magari non vogliono parlarne. Quando eravamo alla prigione, neanche noi finché non ci fidavamo del tutto eravamo propensi a farlo subito."
"Spero che sia così", ammise Tyreese, "Non c'è nulla di strano nel fatto che non si fidino di noi, giusto? Significa semplicemente che sono persone intelligenti."
Può significare un sacco di cose.
"Non siamo dei disperati", gli ricordò, "Ce la possiamo fare anche da soli, l'abbiamo fatto entrambi fin'ora."
"E' più sicuro stare in un gruppo, sai che è così, ci sono più persone. Non dormiresti più tranquillamente?"
Carol non sapeva cosa significasse dormire tranquillamente.
"Non lo so, sono preoccupata per le ragazze. Non mi sento sicura."
"Bene, di cosa hai bisogno?"
Tyreese sembrava molto più ansioso di prima, non staccava gli occhi dalla porta.
"Qualunque sia la decisione che prenderemo, voglio essere sicura che sia quella giusta."
Per qualche secondo la sua espressione divenne fredda. Voleva restare, lei se n'era accorta. Ma comunque annuì.
"Ok, allora. Se sono così ragionevoli come sembrano, non gli importerà se decidiamo di pensarci su una notte. Diciamogli che torneremo al nostro accampamento per questa notte."
Caddero in un teso silenzio, in attesa del ritorno di Mary.
Ogni minuto che passava, la sensazione sgradevole che Carol stava tentando di razionalizzare cresceva sempre di più. Irrequieta, si alzò in piedi e avanzò verso la finestra.
Appena era iniziato a piovere, Mary li portò in quello che prima dell'apocalisse doveva essere stato un ufficio amministrativo. Attraverso quella finestra, riuscirono a vedere quelle poche persone che, a parte Mary, avevano visto lì. Il suo sguardo cadde su quelle fioriere che la donna stava guardando poco prima di salutarli. La sensazione crebbe ancora a dismisura e fu più difficile ignorarla.
Fuori i cancelli, una timida figura si faceva sempre più vicina. Portava un fagotto al petto e zoppicava. Era troppo lontana per esserne certa, ma Carol si sentì salire il cuore in gola non appena riconobbe il suo passo.
"Qualcosa non va, Sophie è qui."
Carol si fiondò fuori dalla stanza e Tyreese la seguì credendole sulla parola, afferrando il suo martello senza neanche rendersene conto. Del resto, anche lei fece lo stesso con il suo coltello. Le grida di Judith la colpirono come un pugno nello stomaco. Stava piangendo.
Sophie si alzò, cercando di calmarla e cullarla, con entrambe le mani di Mary poggiate sulle spalle. La stava portando verso un altro edificio.
Dopo aver visto i due correre verso di lei, la ragazza si fermò e li guardò mortificata.
"Mi dispiace! Uno di loro ci ha attaccate e sono inciampata."
La sua caviglia era molto gonfia, tremava mentre provava a non poggiarcisi sopra. Le sue mani erano sporche di sangue.
"Carol, mi dispiace, non riuscivo ad arrampicarmi e..."
"Ora cerca di calmarti", la interruppe Mary, "prendo io la bambina."
"Mary, aspetta. Abbiamo discusso e abbiamo deciso che ci prenderemo una notte per pensarci su", cercò di fermarla Tyreese.
"Beh, non potrete fin quando non avremo dato uno sguardo alla caviglia della ragazza. Va ripulita e fasciata."
Ignorandoli, la donna prese Judith dalle braccia di Sophie. Una donna dai capelli grigi e due uomini spuntarono da dietro una tenda vicina. Probabilmente se ne stavano lì dietro ad ascoltarli da un po'.
I loro volti placidi e sereni misero Carol ancora più a disagio di quanto non fosse già. Il suo cuore iniziò a battere più forte, sentiva la pesantezza di ogni secondo che passava. Ancora non sapeva se si poteva fidare di quelle persone.
O di chiunque altro in generale.
Altri due uomini girarono l'angolo, ma questi erano armati e sembrava fossero arrivati come rinforzi.
"Siamo in grado di gestire la cosa", Carol cercò di mantenere la sua voce il più tranquilla possibile. "Ora ce ne andiamo. Ci hai detto molte cose e dobbiamo pensarci su. Posso prendere la bambina ora."
Il sorriso di Mary divenne forzato, come se non volesse lasciargliela.
"Sophie, va' con Greg e Tom, ti aiuteranno con la caviglia."
La ragazza guardò Carol confusa.
"No. Ci prenderemo noi cura di lei, abbiamo le nostre risorse. Non ci servono le vostre."
Merda, merda, merda!
Carol vide i due uomini armati piazzarsi dietro Sophie, i suoi occhi tristi divennero spaventati in un istante.
Accanto a lei, Tyreese si irrigidì e prese parola: "Non avete intenzione di lasciarci andare, vero?"
"Carol, Tyreese, cosa sta succedendo?"
Sophie iniziò ad agitarsi quando uno dei due uomini la prese in braccio.
"Nulla. Andrà tutto bene", mentì Tyreese. Usò un tono così rilassato che fece sospirare Carol.
Mentre la portavano via, Sophie scoppiò a piangere per la paura di non rivederli mai più. Carol e Tyreese rimasero con Mary, la donna dai capelli grigi e gli altri due uomini armati che attendevano solo il loro ordine per sparare.
"A che gioco state giocando?", domandò Carol, sorpresa di sentire più la stanchezza che la paura. Avrebbe mai avuto una fine? C'era sempre qualcuno a volerli uccidere.
"Ci sono altre persone con voi?", chiese la donna dai capelli grigi.
In qualsiasi modo avessero risposto, avrebbero trovato un modo per incastrarli. Chi pensavano che fossero?
Carol tenne lo sguardo sull'uomo armato che le puntava la pistola contro, ma senza mai perdere di vista Mary, Judith e l'altra donna.
"Perché non possiamo semplicemente andarcene? Cosa volete farci?"
"Abbiamo veramente pochissima roba che vi può servire", ragionò Tyreese con la voce roca, "stiamo solo cercando un posto sicuro, soprattutto per la ragazza e la bambina. Loro ne hanno bisogno."
"Hai ragione", il sorriso di Mary si allargò. Judith si era sistemata tra le sue braccia, indisturbata, senza capire ciò che stava accadendo. "Dovrebbero essere in un posto sicuro, ed è esattamente dove sono."
Iniziò a camminare, seguita dall'altra donna.
"Non potet..." Tyreese fece un passo avanti, ma si trovò puntate in faccia due pistole cariche.
Lentamente, Carol alzò le mani e fece qualche passo indietro. Lui seguì il suo esempio.
La sua mente correva alla ricerca di una spiegazione. Che motivo avevano di intrappolare le persone? Se avevano messo tutti quei cartelli e sembravano avere tutte quelle risorse, perché non creare davvero un rifugio per i sopravvissuti?
Se non era un rifugio, che altro poteva essere?
Sapeva che poteva essere di tutto. Se lo sentiva, ma non sapeva dire esattamente cosa.
Presero le loro armi e li guidarono per Terminus puntandogli le pistole dietro le spalle.
"Posso dirvi precisamente cosa accade alle persone come voi", ringhiò Tyreese, "Ho visto cosa succede alle persone come voi, avrete quello che vi meritate."
Gli uomini armati li condussero a un furgone con un'enorme D dipinta sulla parte esterna. Carol riuscì a sentire che all'interno c'era qualcuno che piangeva.
"Apri la porta!"
Uno di loro colpì forte Tyreese con l'impugnatura della pistola.
Ogni minima oncia di autocontrollo che riuscì a mantenere gli impedì di reagire e ucciderli con le sue stesse mani. Sarebbero entrambi finiti sotto una pioggia di proiettili se solo ci avesse provato, ma una parte di Carol arse dalla voglia di vederlo combattere di nuovo.
Tyreese afferrò la maniglia e spalancò la porta.
L'idea di entrare in quel buio finalmente innescò in Carol quella paura che aveva tanto respinto. Le sue mani tremarono tutto il tempo finché non le strinse a pugno. Una parte di lei pensò che sarebbe rimasta lì dentro al buio senza rivedere mai più la luce.
Doveva fare qualcosa.
Tyreese varcò la soglia.
"Dove avete portato Sophie?", chiese.
"Dentro", ringhiò uno dei due.
"Dov'è? Perché non è qui con noi?"
Avevano detto che le avrebbero curato la caviglia.
Non aveva senso il fatto che non avessero pensato di poter offrire a quel posto le loro abilità. Terminus aveva bisogno di persone, come ogni altro gruppo. Se fosse riuscita a soddisfare qualche loro necessità magari l'avrebbero fatta uscire di lì.
"E' il tuo turno."
L'uomo le indicò il furgone.
"Ma, posso aiutare..."
"Entra dentro!"
"Sono un medico!"
"Abbiamo già un medico. Entra."
Il suo cuore saltò un battito. Non l'avrebbe detto se la sua intuizione non fosse stata giusta.
"Sono una brava dottoressa, ho curato vari infortuni con successo anche dopo l'apocalisse..."
Uno dei due uomini l'afferrò rudemente per il braccio, trascinandola con forza nel furgone. L'altro continuava a tenere sollevata la pistola, pronto a spararle.
"Ho curato malattie e infortuni, amputato arti, fatto nascere bambini..."
A quel punto della sua falsa confessione, l'uomo si fermò e lei capì di aver fatto centro.
Entrambi la guardarono con rinnovato interesse. Avevano le armi ancora puntate su di lei e le mascelle serrate, perché non volevano che lei si accorgesse di aver detto le parole magiche, ma avevano smesso di spingerla. La stavano ascoltando.
"Ho fatto anche un taglio cesareo, dopo l'apocalisse." 

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Capitolo 6
*** Antidolorifici ***


ANTIDOLORIFICI



Le ferite le facevano ancora male. Sentiva la mano avvolta nella garza pulsare e il dolore alle costole era forte, ma gli antidolorifici resero il tutto più sopportabile. Lo sentiva ancora, ma non le importava. Aveva iniziato a sentirlo da quando aveva strappato via il primo pezzo di carne dal suo pollice, per cercare di liberarsi dalla manetta. Sentiva ancora il suo stomaco contorcersi per il sapore del suo stesso sangue e per i pezzi di carne lacera ancora incastrati tra i denti. Ma era solo l'inizio, doveva trovare la forza per continuare.
All'alba era libera. Il sangue iniziò a colare fuori dalla benda, ma non la preoccupava quanto la possibilità di rimanere a corto di antidolorifici. E poi, non aveva la più pallida idea di quale strada percorrere per uscire più velocemente da Terminus. Fortunatamente, la porta dell'ospedale non era chiusa a chiave, ma, varcandone la soglia, si ritrovò nel bel mezzo della loro tana.
Si appoggiò alle pareti e cercò con lo sguardo posti dietro cui nascondersi e di rimanere vicina a quante più porte possibili. Come quando era scivolata via dalla manetta, non c'era nessuno. Terminus era un posto tranquillo, eppure stranamente minaccioso nei suoi freddi percorsi sconnessi e privi di vita. Decise di scegliere una qualsiasi direzione e seguirla, prima o poi sarebbe riuscita a scorgere la recinzione che li circondava. Se riusciva a procedere senza colpi di scena, ci sarebbe arrivata.
"Mary è impegnata, puoi parlargliene dopo."
Una voce proveniva da dietro l'angolo. Beth, appena la sentì, s'infilò dentro una cassa aperta. Attraverso gli spazi tra le lastre di legno, riuscì a vedere tre uomini passarle davanti. Uno di loro era Brady.
"Avrebbe potuto aspettare", disse il più piccolo dei tre.
"Conosci le regole", Brady buttò giù il suo compagno, "e, ancora più importante, sai perché seguiamo le regole. Mary non aveva nulla contro Alex, lo sai."
"Voglio solo sentirmelo dire da lei", borbottò l'altro agitando il suo esile e lungo collo. Era davvero magro.
"Ti dirà esattamente cosa abbiamo fatto", gli rispose Brady, "ha aspettato più a lungo che poteva. Anche Alex conosceva le regole."
"Hux mi ha detto che vi ha implorati..."
Le loro voci si facevano sempre più lontane, finché svoltarono prendendo un'altra strada. L'ultima cosa che sentì fu il muscoloso braccio di Brady sbattere sulla spalla del ragazzo più esile in qualcosa che doveva somigliare a una pacca amichevole.
"Chiunque di noi al posto nostro avrebbe fatto lo stesso, chiunque di noi al suo posto sarebbe morto nella stessa maniera. E' così che deve andare, altrimenti tutto questo non funzionerà. Non prendertela con Mary, prenditela con quelli che sarebbero dovuti diventare carne, o con Alex stesso che si è portato a letto il loro capo."
Non voleva seguire la strada da dove erano venuti, né quella che stavano seguendo. Se quello era un percorso comune per la gente di Terminus, non voleva restarci a lungo. Silenziosa e vigile, schizzò fuori dalla cassa dirigendosi verso l'unica direzione opposta alla sua posizione, cioè verso un garage. Tramite la piccola finestra sulla porta, Beth poté notare che era vuoto e che le altre porte erano aperte, ma ormai era uscita da lì e non poteva andare altrove. Odiava non poter scegliere la strada da percorrere. Decise di scappare dietro il lato sicuro del garage, raggiungendo l'esterno. La visuale era molto chiara, e, tra due enormi edifici distanti tra loro, vide una sola figura. Entrò di nuovo nel garage per riprendere fiato e lasciare che il cuore riprendesse il suo battito normale. Si affacciò ancora per riguardare la figura, e il suo cuore si fermò.
Tyreese.
Non si stava sbagliando, era proprio Tyreese. Ce l'aveva fatta anche lui.
Si era unito alla gente di Terminus?
Un'altra persona si fermò davanti a lui, e Beth dovette portarsi una mano alla bocca per contenersi. Era Carol, e aveva le mani alzate. Con riluttanza, anche Tyreese le alzò dopo di lei.
Non si erano uniti a Terminus, erano in trappola, proprio come lei. Un secondo dopo la loro comparsa, avanzarono due guardie armate. Beth decise di seguirli. Non aveva il tempo per formulare un piano razionale, non sapeva che fare, se non vedere dove li stavano portando. Non aveva intenzione di fuggire da Terminus da sola.
Poteva sentire altre voci, ma erano lontane. A un certo punto le sembrò di sentire anche quella di Tyreese, che probabilmente stava cercando di discutere con i loro rapitori.
"E' stata curata", disse una voce femminile. Veniva dall'angolo successivo a quello di Beth.
Si nascose appoggiandosi a un portone, schiacciandosi così forte contro di esso da riuscire a sentire la maniglia lasciare il suo segno sul fondoschiena.
Erano passate altre due donne, ma non l'avevano vista.
"Permettimi di prenderla!"
Era la dottoressa dai capelli grigi.
L'altra donna aveva la sua stessa età, aveva i lunghi capelli castani raccolti in una treccia disordinata, e teneva Judith contro la sua spalla. Ma, dopo la sollecitazione del medico, si fermò per passargliela.
Inorridita, Beth dovette mordersi con forza entrambe le labbra per riuscire a stare zitta. Dalla spalla della donna, gli occhi della neonata incontrarono per qualche secondo i suoi e iniziò a urlare. Beth non poté non sorridere alla vista di quei due occhioni dolcissimi, incredula. Ma presto le due donne ridacchiarono e ripresero la loro marcia.
Avevano la sua Judith.
Chi altro era lì?
Distratta dalla bambina, aveva perso Carol e Tyreese in quella struttura labirintica, ma almeno poteva vedere dov'erano dirette le due donne. Cercò di essere silenziosa, ma anche più veloce di prima. Non era così vicina da sentire quello che dicevano, ma Judith cominciava ad agitarsi, il che era positivo. In tal modo, poteva seguire le loro tracce con più facilità. Si fermarono in un punto e lei ne approfittò per cercare con lo sguardo qualsiasi cosa che potesse fungere da arma, ma il suo tentativo di ricerca risultò vano. Vide un piccolo gruppo di uomini e dovette fare qualche passo indietro per nascondersi di nuovo. Rimase schiacciata contro il muro, affacciandosi ogni tanto nella speranza che se ne andassero, ma a quanto pareva avevano intenzione di fermarsi lì per un po'. Uno di loro, infatti, tirò fuori un pacchetto di sigarette e le grida di Judith si fecero sempre più distanti. Pensando di poterli evitare passando dall'altra parte, allungò procedendo intorno all'edificio, ma il pianto della neonata svanì nel silenzio e perse le sue tracce.
L'incertezza sul da farsi la congelò sul posto. Si concentrò sul suo respiro profondo e sui battiti del cuore per recuperare la calma.
Doveva uscire prima che qualcuno la vedesse.
Forse era la cosa più giusta da fare, andarsene e poi tornare una volta che avrebbero smesso di cercarla. Ma cosa sarebbe accaduto nel frattempo? Cosa avrebbero fatto a Carol e a Tyreese? Invece, il modo in cui le due donne guardavano Judith non le aveva fatto supporre che le volessero fare del male, ma il pensiero la faceva comunque imbestialire. Doveva portarla via di lì. Era la sua bambina, anche se non era stata lei a metterla alla luce.
Se fosse rimasta, l'avrebbero trovata... ma se se ne fosse andata, poi come sarebbe tornata indietro? Avrebbe avuto dei problemi anche fuori da Terminus. E poi non era giusto, non aveva intenzione di andarsene mentre gli altri erano ancora lì. Potevano anche ricatturarla, non importava, perché insieme sarebbero stati più forti e si sarebbero aiutati a vicenda per riuscire a scappare.
Presa la sua decisione definitiva, seguì la strada che secondo lei avevano percorso Carol e Tyreese.
Un grido acuto di dolore uscì dall'edificio alla sua destra. Beth trasalì, perché l'urlo si prolungava sempre di più e sembrava fosse di una donna. Anzi, la voce le era anche familiare. Passò di fianco a una tenda di plastica, le urla la condussero a un recinto, ma inciampò su qualcosa di appiccicoso che scricchiolava sotto i suoi piedi. Le urla diventavano sempre più forti e strazianti, Beth non riusciva a sentire altro. Poi vide ciò che aveva calpestato e fu costretta a reprimere un conato di vomito: erano ossa, ossa umane spogliate dei loro corpi, ancora bagnate di sangue. Non erano le ossa scolorite di un vagante. Ce n'era un mucchio enorme ad asciugare per terra. Le grida all'interno dell'edificio erano diventate spropositate e quando la donna non aveva la forza neanche più di gridare, si trasformarono in singhiozzi.
Beth oltrepassò la porta e sbirciò dalla finestra, dalla quale vide una donna appesa a una corda, posta tra due uomini, e un gancio da macellaio le trapassava la spalla. Teneva la testa bassa, non riuscì a vedere il suo volto, ma solo una moltitudine di capelli ricci e neri. Stringeva con entrambe le mani il gancio che aveva nella spalla, per evitare che strappasse ulteriormente la sua carne. Dei due uomini, uno impugnava un coltello pronto a ferirla, mentre l'altro le tagliava i vestiti con delle forbici.
La donna alzò la testa quel poco che bastava per rendersi visibile a Beth.
Era Sasha.

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Capitolo 7
*** Carne fresca ***


CARNE FRESCA


Prima ancora di capire a pieno cosa stava pianificando, Beth raccolse un femore da terra, calpestandone una parte e tirando verso l'alto quella superiore. L'osso si ruppe con un rumore agghiacciante. Mentre strappava via la parte più molle rimasta attaccata in basso, cercò disperatamente di pensare alle ossa del tacchino durante il Giorno del Ringraziamento.
Con la sua arma improvvisata, entrò nell'edificio. Entrambi gli uomini si girarono a guardarla, ma li aveva colti di sorpresa. Perciò usò il loro shock momentaneo a suo vantaggio, colpendo immediatamente l'occhio del più vicino con violenza.
Proprio come un vagante.
Con l'osso ancora attaccato alla faccia, cadde all'indietro, facendo cadere anche il suo coltello a terra. Sasha era completamente nuda, smise di urlare e guardò Beth incredula. L'altro uomo si scagliò sul coltello nello stesso momento in cui anche lei lo aveva raggiunto, e le mani di entrambi lo toccarono nello stesso momento. Ma lui toccò il manico, lei la lama. Lo afferrò più velocemente di lei e la spinse via, lasciandole una sottile linea rossa sul palmo della mano. Beth si ritrovò a terra, ma si diresse subito verso il suo osso per strapparlo via dalla faccia del macellaio.
All'improvviso, sembrò che Sasha si fosse resa conto che quella non era una sua allucinazione. Con un altro urlo disumano, alzò le gambe e le avvolse intorno alla vita del suo aggressore, bloccandolo, mentre Beth mise un piede sul collo del cadavere e tirò fuori l'osso dalla sua orbita.
"Fallo ora, non posso più trattenerlo!"
Questa volta, fu lui ad urlare quando lei gli colpì il cranio con forza, ma morì dopo pochi colpi.
Dopo un urlo di trionfo, Sasha lasciò la presa sull'uomo lasciando cadere il suo corpo a fianco a quell'altro.
"Fammi scendere", supplicò con una smorfia.
Le mani sporche di sangue scivolarono via dal gancio mentre tentava di tenersi su. L'effetto degli antidolorifici che Beth aveva preso cominciava a scemare: mentre tentava di tirare via Sasha da quel gancio, sentì il suo fianco ferito martellare così violentemente che tutto il suo corpo fu preso da uno spasmo. Si lasciò andare e cadde sulle ginocchia. La sua caviglia era quasi a posto, ma per le costole ci voleva ancora una settimana di riposo, come minimo.
"Non ce la faccio, dammi un secondo!"
Beth si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse fare da appoggio a Sasha.
"Muoviti!", la sollecitò. Le sue mani tremavano, stava perdendo molto sangue.
Nascosta in un angolino, vicino a una serie di coltelli, catene e ganci, vide una sedia di legno. Era vecchia e traballante, ma tenuta abbastanza bene da far stare Sasha in piedi mentre Beth l'aiutava a liberarsi.
"Che diavolo ci fai qui?", chiese Sasha che, una volta libera, crollò a terra vicino ai suoi vestiti tagliuzzati.
Beth le controllò la spalla, che alla fine non aveva perso tutto il sangue che lei invece si aspettava.
"Mi hanno rapita. Dobbiamo uscire di qui, ma prima dobbiamo trovare Tyreese, Carol e..."
"Mio fratello è qui?!", Sasha assunse l'espressione dolorante di prima.
"Tu non sei venuta con loro?", Beth la guardò con gli occhi sbarrati.
"No... quindi neanche tu?"
"Ero con Daryl, ma mi hanno rapita. Sono arrivata da sola. Tu come sei arrivata qui?"
"Con tua sorella, Glenn, Bob e altre persone."
Non sapendo se provare sollievo per aver saputo che sua sorella era viva o orrore perché era intrappolata a Terminus, si limitò a guardare Sasha, travolta da quest'ultima notizia.
"Anche Rick è qui, con suo figlio, Michonne e Daryl."
Daryl era lì.
Una folle e inappropriata sensazione di felicità le riempì il cuore. Era scossa e ricoperta di sangue, aveva appena ucciso due uomini, ma nulla di tutto quello avrebbe potuto smorzare la gioia per quella speranza che era da poco rinata in lei. Pensava che non avrebbe mai più rivisto Maggie. Sin dal suo primo tentativo di fuga, che risultò vano, pensava costantemente a come tornare da Daryl e fino a quel momento non si era mai resa conto di quanta paura avesse di non rivederlo più.
Erano tutti così vicini, Judith era così vicina. Aveva perso suo padre, ma poteva riavere il suo gruppo, perché le persone di cui le importava erano tutte attorno a lei.
"Tieni, prendine alcuni". S'infilò la mano in tasca per cercare altri antidolorifici, per poi darne qualcuno a Sasha.
I suoi vestiti erano inutilizzabili, ma Beth ne usò il tessuto per avvolgerglielo intorno alla spalla ferita mentre si rimetteva le scarpe con le mani tremanti. C'erano degli indumenti ammassati in un angolo e, rabbrividendo, realizzò che erano di altre vittime. Guardandoli meglio, notò che non erano malmessi quanto quelli di Sasha. Erano stati, quindi, molto più brutali con lei di quanto dovessero.
"Quindi questi ragazzi sono cannibali", disse Sasha con tono falsamente disinvolto.
Non era sicuramente pollo.
"Così sembra."
Lo stomaco di Beth continuò a contorcersi, ma cercò di non pensarci. Non poteva fare nient'altro in quel momento se non portare le persone che amava fuori da Terminus e passare il resto della sua vita a cercare di dimenticare di aver mangiato carne umana.
"Non riesco a credere che non ti abbiano uccisa prima... voglio dire, sono contenta che non l'abbiano fatto, però così è..."
"So cosa vuoi dire." Ancora stringendosi la spalla con una mano, Sasha cominciò a perquisire i corpi dei macellai per prenderne le armi. "Penso che mi avrebbero uccisa prima se io fossi stata più gentile. Erano molto... ritualisti su questa cosa. Forse hanno il fegato di macellare la gente viva per un motivo", rabbrividì, "o forse semplicemente provano piacere a farlo."
"Più o meno è così."
Beth le lanciò una grande felpa nera con il cappuccio. Non era strappata, senza considerare qualche sfilacciatura sulle maniche, ma aveva varie macchie di sangue.
"Andrà bene."
Sasha provò a portarsela verso la testa con un gemito.
"Mi daresti una mano?", disse respirando a fatica.
Beth l'aiutò a infilarsela, ed era abbastanza lunga da poter andare anche senza pantaloni.
"Andiamo, so cosa dobbiamo fare."
Dai cadaveri dei due uomini non trovarono altro che due pugnali. Armatosi di quelli e del grosso coltello destinato a sventrare Sasha, si prepararono a uscire.
"Dobbiamo liberare gli altri."
Il panico iniziò pian piano a impadronirsi di Beth quando vide la sua compagna scuotere la testa. Non potevano lasciarli lì.
"Rick ha nascosto un borsone con delle armi fuori dalle mura, sai, nel caso in cui non si fossero rivelate persone affidabili", sottolineò l'ultima parola con un tono più aggressivo. "Andremo a prenderle, le porteremo agli altri e andremo tutti via da qui. Questo è il piano."
Le lanciò uno sguardo di sfida che non ammetteva repliche.
"Va bene", annuì Beth. Non riusciva a pensare a un'altra idea migliore.
"Stammi dietro e fai quello che dico", sussurrò Sasha quando aprì la porta e uscì fuori al cortile. 
Beth annuì di nuovo, mordendosi la lingua per non parlare.
A Maggie non avresti risposto così.
Non era il momento giusto per soffermarsi sugli atteggiamenti di Sasha o per infastidirsi, dovevano lavorare insieme per uscire da lì e aveva molta più esperienza di lei in quel genere di cose. Ma non potè fare a meno di provare risentimento. Le aveva appena salvato la vita, ma era certa di essere l'ultima persona che lei avrebbe voluto al suo fianco durante una lotta.
Era mattina inoltrata, e Beth ebbe la brutta sensazione che Terminus avrebbe iniziato ad affollarsi verso mezzogiorno. Era l'ora dell'allattamento. Provò a mettere in guardia Sasha un paio di volte, pensando che stessero seguendo la strada da dove era arrivata lei, verso il centro del campo. Ma la sua compagna la zittì ribadendole entrambe le volte che sapeva dove stava andando.
Come aveva previsto, molte persone erano fuori e avevano dovuto nascondersi o entrare negli edifici più volte per non essere viste, ma alla fine riuscirono ad arrivare alla recinzione. Beth doveva aver confuso una zona con un'altra, perché non riusciva a dare un senso alla loro posizione. Terminus era volutamente confusa, era un labirinto che cercava di ricondurle dove erano già state o dove sarebbero state in difficoltà. Passarono dei furgoni e riuscirono a sentire le voci delle persone che erano dentro di essi.
"Gli altri sono in uno di questi?", mantenne la sua voce un sussurro, in modo tale che Sasha non inveisse di nuovo contro di lei.
"Sì, è lì che tengono la gente. Tu non eri in uno di quelli?"
"No, mi tenevano da un'altra parte. Dovremmo liberarli tutti."
Dove tengono le altre madri?
"Questo è un bel pensiero e tutto quanto, ma dobbiamo pensare a tirar fuori prima i nostri."
"Ma se fossimo in tanti potremmo conquistare questo posto."
"Guarda, non so come sia stata la tua esperienza qui fin'ora, ma Terminus è sicuramente meglio equipaggiata di noi. Io voglio solo uscire, non possiamo permetterci di iniziare una guerra."
Loro l'hanno già iniziata.
Rimasero nei pressi della recinzione, non osarono uscire allo scoperto. Erano passate abbastanza inosservate nei corridoi e tra gli edifici e ora guardavano con diffidenza quello spazio che le divideva dalla libertà.
"Quando sono di guardia, sono una forza da non sottovalutare. Ci conviene scappare adesso prima che si accorgano di noi, in modo tale che quando lo faranno sarà troppo tardi."
Era passato un po' di tempo da quando Beth era uscita dall'ospedale. Gareth le aveva detto che sarebbe tornato proprio quella mattina per sapere la sua risposta. Poteva solo sperare che fosse stato occupato tutta la mattinata e che quindi non aveva avuto il tempo di passare. In caso contrario, Terminus sarebbe già stata in allerta.
"Sì, corriamo", concordò e, senza esitare, Sasha afferrò la sua mano trascinandola in una folle corsa. Quando raggiunsero i cancelli, Beth sentì delle grida. Sasha infilò il coltello da macellaio il più in alto possibile e, arrampicandosi, iniziò a salire, stringendo i denti nel tentativo di sopportare il suo stesso peso soretto dalla spalla ferita. Beth le diede una spinta in modo tale da farle raggiungere la cima con una gamba. Sfiorò il filo spinato, ma ci riuscì.
"Hey!"
Qualcuno le aveva sicuramente viste. Beth non si voltò, ma da quanto era lontana la voce, capì che era qualcuno di guardia. Con una violenta caduta, Sasha arrivò a terra dall'altro lato del cancello e si alzò subito in piedi soffocando un gemito di dolore.
"Andiamo!"
Il dolore alle costole non diminuì la sua fretta. Infatti, cercava di tirarsi su nonostante si sentisse come se qualcuno le avesse appena conficcato un coltello nel torace, lasciando che le sue gambe facessero la maggior parte del lavoro. Ma non era abbastanza veloce. Aveva appena raggiunto la cima, quando qualcuno la raggiunse e la trascinò giù.
Atterrò con violenza, provando per qualche secondo difficoltà a respirare.
La guardia venne raggiunta da un'altra dozzina di uomini, sentì i loro stivali pesanti marciare verso il perimetro, con le armi pronte all'uso.
Non c'era bisogno di dire a Sasha di scappare, già si era inoltrata nel bosco, seguita da una pioggia di proiettili e, a giudicare dalle facce frustrate delle guardie, almeno lei era riuscita a farla franca.

 

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Capitolo 8
*** Riunirsi ***


Riunirsi


All'esterno del furgone, vi era dipinta un'enorme A bianca.
Aveva un fucile puntato proprio dietro alle sue spalle, le avevano sottratto i pugnali e gli antidolorifici. Poi una guardia le tolse il maglione, dicendo che l'avrebbe regalato a una certa Angela.
Le ordinarono di aprire la porta ed entrare. Era buio, ma divenne ancora più oscuro quando chiuse la porta alle sue spalle, sempre su ordine degli uomini armati.
Non appena lo fece, qualcuno corse verso di lei, stringendola in un abbraccio. Era Maggie, che piangeva vicino al suo orecchio.
"E' Beth."
La voce incredula di Rick risuonò dalla parte posteriore della vettura.
"Credevo che fossi morta", le sussurrò Maggie che nel frattempo si staccò da lei, per cercare di guardarla.
Sapevo che eri viva.
Beth non riuscì a parlare, ma premette le mani contro le guance bagnate della sorella, lasciando che un singhiozzo sfuggisse anche a lei.
Dietro di loro, gli altri si erano alzati in piedi. Bob era a fianco a Glenn, che stava con una ragazza che le sembrò vagamente familiare, anche se non faceva parte del loro gruppo alla prigione. Sasha le aveva detto che altre persone si erano uniti a loro. Rick e Carl si fecero avanti, con Michonne che teneva una mano sulla spalla di quest'ultimo.
Il resto delle ombre rimase indietro, e Beth riuscì a distinguere subito quella di Dary in mezzo a figure non familiari.
"Stai bene, Beth?", Carl la cercò con i suoi grandi occhi azzurri. Aveva incrociato il suo sguardo sofferente mentre Maggie la stringeva un po' troppo forte.
Si asciugò le lacrime. "Starò bene."
A meno che non mangino anche me.
"Come sei arrivata qui?" Glenn comparve vicino a Maggie, prendendole la mano. Con un sospiro, tentò di soffocare le lacrime.
"Uno stronzo di nome Brady mi ha rapita mentre io e Daryl cercavamo di metterci in salvo dai vaganti e mi ha portata qui. Daryl non vi ha detto...?"
Quando pronunciò la parola "rapita", Maggie cercò di mascherare un'espressione colma di terrore. Quella sua reazione la confuse.
"Uh, no. Daryl?" Glenn si girò alzando le mani, in cerca di spiegazioni.
"Daryl ma che cazzo?!", lo aggredì invece Maggie.
Un passo pesante alla volta, Daryl si fermò sotto quello squarcio di luce che penetrava nel furgone attraverso il tetto arruginito. Era chiaramente stato pestato di recente, aveva un occhio nero ed era cosparso di lividi e tagli. Non sembrò curarsi di Glenn e Maggie, non li aveva neanche ascoltati. Restò a guardare Beth, senza parole.
"A me l'ha detto." L'affermazione di Rick frenò tutte le altre imprecazioni che i due stavano per rivolgergli. "Mi ha detto che sono fuggiti insieme dalla prigione, che hanno vagato per un po' e poi Beth è scomparsa. Non pensavo che dirvelo potesse aiutare, almeno non ancora."
Beth sentì a malapena le parole di Rick. Non le importava se aveva le costole a pezzi, voleva correre da Daryl e sentire le sue braccia forti stringerla. Lui era rimasto lì in silenzio, come suo solito, ma lei riuscì ancora una volta a leggere il suo volto martoriato. Sembrava sollevato dal pensiero che fosse viva, ma aveva anche paura. Sicuramente, pensava che lei lo avrebbe odiato per non averla salvata da Brady. Voleva solo mostrargli di essere felice di averlo ritrovato... di aver ritrovato la loro famiglia.
Invece, la timidezza la bloccò. Li stavano fissando tutti. Se fossero stati solo loro due, da soli, non avrebbe esitato.
"Daryl ha fatto tutto ciò che poteva per proteggermi." Staccò gli occhi da lui per riportarli su sua sorella. "E' stato terribile, lui era sepolto dai vaganti e mi ha detto di scappare. E' stato allora che Brady mi ha rapita."
Riportò lo sguardo su Daryl che si stava guardando le mani, chiedendosi se avesse recepito il messaggio. Si voltò, e tra le ombre poté distinguere una delle due ali dietro al suo gilet.
"Sono contento che tu sia qui", disse Rick.
"Mi dispiace che tu sia qui." Michonne espose l'altro punto di vista di quella situazione, guardando male Rick. "Non sei ancora esattamente fuori pericolo."
"Sasha è libera, ha superato la recinzione. Sta andando a prendere le vostre armi e tornerà qui."
"E' uscita?" Lo sceriffo sembrò sollevato da quella notizia. "L'avevano portata via circa un'ora fa, non sapevamo se volessero interrogarla o..."
"Mangiarla", lo corresse Beth, sopprimendo un conato di vomito.
Nessuno sembrò particolarmente sorpreso. Michonne strinse la mano che aveva sulla spalla di Carl, per dargli conforto.
"E' andata via?", chiese Bob, visibilmente preoccupato per Sasha.
"Sì. E' ferita alla spalla... ma è viva e tornerà da noi. E poi, immagino che non lo sappiate perché neanche lei lo sapeva, ma anche Tyreese, Carol e Judith sono qui."
Se l'espressione sul volto di Rick non le avesse trasmesso speranza, cos'altro avrebbe potuto farlo?
"Judith?"
"E' viva?", balbettò Carl.
"Sì, qualcuno, Tyreese o Carol suppongo, deve averla trovata alla prigione. Stavo cercando lei e gli altri bambini, ma c'erano troppi vaganti e se n'erano andati tutti, tranne Daryl."
"E io." Glenn alzò la mano con un sorriso risoluto. "Ero incosciente nella prigione."
"E siete tutti finiti nello stesso posto", disse qualcuno degli sconosciuti. La ragazza col viso familiare, i capelli corti scuri e lo sguardo insolitamente innocente fece un passo avanti. "Non è un po' strano?"
"Siamo tutti caduti nella stessa trappola, per come la vedo io." Daryl finalmente parlò, ignorando le occhiate di Beth.
Rick e Carl erano entrambi in lacrime per la notizia su Judith, ma lo sceriffo tentò di contenersi. "Carol?"
Beth aggrottò la fronte a quella domanda. Che significava la sua espressione preoccupata?
"Sì, e Tyreese."
"Non importa ora", Daryl si rivolse a Rick, facendo un passo avanti per catturare il suo sguardo. "Siamo di più, questo lo considererei un vantaggio."
"Daryl, hanno preso mia figlia", rispose a voce rotta, con la bocca contratta in una smorfia furiosa.
"Allora li uccidiamo e salviamo la piccola spaccaculi. Il piano non cambia."
"Avete un piano?", s'intromise Beth, con gli occhi illuminati dalla speranza, ma il silenzio che ne seguì fu deludente. "Oh."
"Ci stiamo lavorando." Il tono di Rick le fece pensare che anche lui  riservasse qualche speranza alla cosa, nonostante la tristezza e la preoccupazione per sua figlia.
Gli sconosciuti parlavano tra loro a bassa voce, e anche tutti gli altri presto fecero lo stesso. Glenn e Maggie rimasero con Beth vicino alla porta, la guardavano entrambi come se non si fossero ancora resi conto che era davvero lì.
"Sicuri che ci possiamo fidare di loro?", chiese indicando le nuove persone inclinando la testa.
Glenn annuì. "Sono brave persone, mi hanno aiutato a ritrovare Maggie", aggiunse.
"C'erano tante tracce diverse, ne abbiamo seguite alcune finché non sono scomparse. Volevo trovarvi."
Quella frase colpì Maggie come un pugno. "Anch'io volevo trovarti ma...", disse lentamente, insicura su come continuare la frase, ma s'interruppe e Beth capì.
Annuendo, esaminò dopo molto tempo i loro volti. Maggie era scossa, Glenn invece solo un po' confuso, sapeva che non gli conveniva chiedere o dire niente. Con un colpo di tosse, Beth si schiarì la gola.
"Va tutto bene. Hai pensato che io fossi morta perché... perché io sono..."
Perché io sono debole. Non sono come te, sono quel tipo di persona che non dura parecchio in questo mondo.
Cercò di pensare a come dirlo senza che suonasse come un'accusa a sua sorella di aver rinunciato a lei.
"Beth, mi dispiace così tanto...", la sua voce tremava. "Io volevo..."
"Va tutto bene", disse di nuovo, stavolta cercando di convincere se stessa.
Erano sempre state diverse, ma quella fu l'unica volta in cui Beth ebbe difficoltà a relazionarsi con lei. Sicuramente l'aveva capita, si era trovata nella situazione di dover mettere a paragone le possibilità di sopravvivenza di sua sorella e quelle di suo marito e, ovviamente, Glenn aveva vinto.
"Non importa. Siamo di nuovo tutti insieme ora."
"Sì, giusto in tempo per la cena", s'intromise Glenn sarcastico, guadagnandosi lo sguardo di disapprovazione di sua moglie.
"Ok, scusate, non è divertente."
Fino a quel momento Daryl e Rick erano rimasti a discutere del piano, ma ora lo sceriffo stava parlando con Carl e Michonne sottovoce, e quindi Daryl si allontanò per fargli avere un po' di privacy.
"Devo dire una cosa a Daryl."
Sembrò che Maggie fosse sul punto di rispondere, ma evitò, limitandosi a sorriderle. Ricambiando il sorriso, Beth l'abbracciò di nuovo e le sue costole pulsarono per la pressione, ma ne valeva la pena.
Raggiunse il fondo del furgone, dove Daryl si era seduto, e si accovacciò a fianco a lui. Studiando il suo volto livido, si chiese se avesse lasciato che gli prendesse la mano, o se stare di nuovo con il gruppo significasse che non doveva neanche provarci.
"Allora... siamo arrivati un po' più lontani del previsto!" Provò a ridere, ma non ci riuscì del tutto.
Anche lui fallì il tentativo, ma dedicò uno sguardo lungo e persistente al suo viso, poi le indicò la bocca con un dito. Le sue unghie erano incrostate di sporcizia.
"Hai un po' di sangue tra i denti."
"Sì?" Fece scivolare la lingua per tutta la parte anteriore del suo sorriso e si sentì subito più rilassata. Almeno non l'aveva cacciata. "Sto provando un nuovo look."
"Ti sta bene."
Daryl prese la sua mano e iniziò ad esaminarla con le sue dita. Prima disegnò una linea sul taglio sottile del palmo che aveva ricevuto dal macellaio mentre provava a salvare Sasha, poi la sua attenzione venne catturata dalla garza insanguinata. Ancora non si notava molto che le mancava una parte a lato del pollice, perché il gonfiore la faceva sembrare una mano quasi normale. Quando sarebbe guarita, la sua mano sarebbe rimasta deforme per sempre.
"Manetta", spiegò.
"Quell'idiota di mio fratello avrebbe potuto imparare qualcosa da te. Pace all'anima sua."
"Per fortuna ho i polsi sottili, è stato sicuramente mille volte più semplice rispetto a quello che Merle ha dovuto fare."
Rispetto alle sue, le mani di Daryl erano così grandi e forti, callose e cosparse di piccoli tagli. 
Indietreggiando, appoggiò la schiena al muro e rimise le mani in tasca. Guardava a terra, e nella sua espressione abbattuta lei vide quella stessa timidezza che la paralizzò la prima volta che l'aveva visto. Ancora una volta stava prendendo piede e, pensandoci, rendeva nervosa anche lei, ma tra i due era decisamente lei quella più sfacciata.
"Quindi... dove eravamo rimasti? Ah, sì... ti avevo chiesto cosa ti ha fatto cambiare idea. Mi dirai cosa ti ha fatto ritrovare la fiducia nelle persone?"
Beth decise di buttarsi, doveva farlo parlare con lei.
Per qualche secondo non disse nulla, come la prima volta che gliel'aveva chiesto. Poi, indicando lo spazio che li circondava, in poco più di un borbottio, disse: "Con tutto il rispetto, ma sono accadute molte cose da allora."
"E' cambiata anche la tua risposta?"
"No", scosse la testa. "La risposta è sempre la stessa."
Fece una pausa e si voltò di nuovo verso di lei, facendo le spallucce.
"Mhmh."
Beth alzò gli occhi al cielo e si fece scappare un sorriso, che lui ricambiò.
"La risposta è la stessa."
Affrontò il suo sguardo e, per qualche secondo, la timidezza nei suoi occhi chiari svanì. Ma poi tornò a guardare a terra. Era stato un attimo così fugace che se l'era quasi perso.
Daryl si era costruito una corazza molto resistente ed era difficile romperla, specialmente in presenza degli altri, dove poteva sentirsi osservato. Non era come quando erano da soli.
"Cosa ti è successo?", gli chiese osservando i lividi che aveva sul viso.
"A chi diavolo importa?" Daryl fece di nuovo le spallucce e rincontrò i suoi grandi occhi celesti. "Ti hanno fatto del male? Dimmi la verità."
"Sto bene. Non mi ha fatto nulla, davvero... mi ha solo spaventata un po'."
"Non importa quel che ha fatto o non ha fatto. Quel figlio di puttana è un uomo morto."
Soddisfatta dal sentirgli pronunciare quelle parole, Beth annuì. Ricordando i momenti con Brady, le salì il sangue al cervello.
"Ho provato ad affrontarlo. Ho provato a scappare, ma lui era troppo forte... non ci sono riuscita. Diceva di avermi salvata dai vaganti e che tu ti eri trasformato e stavi venendo con loro verso di me per aggredirmi. Cercava di convincermi a pensare che gli dovevo la vita."
L'espressione di Daryl s'incupiva sempre di più a ogni accusa che sollevava contro Brady.
"Non mi avevano messo insieme agli altri perché all'inizio lui voleva... beh, non voleva mangiarmi. Stavo male, mi ha picchiata perché strada facendo ho cercato di scappare." Si guardò la mano mutilata, mordendosi il labbro. "Ma poi mi sono liberata, quindi..."
Stavolta non riuscì a capire a cosa stesse pensando Daryl nello specifico, ma era sicuramente furioso.
La porta del furgone si aprì.
La figura in piedi sulla soglia era proprio Brady. Alle sue spalle, le guardie armate tenevano i fucili alti, puntati verso l'interno, sfidandoli a muoversi. Gli occhi di Brady incontrarono quelli di Beth, e le sorrise.
Si trattennero tutti. I loro sguardi trasudavano odio, come se aspettarono che la loro ira si abbattesse da sola sugli abitanti di Terminus.
"Che ne dici di quello?" Brady superò Beth con lo sguardo, portandolo su Daryl e indicandolo. "Sembra buono?", chiese a qualcuno che stava dietro di lui.
"Scegli tu."
Sembrava Gareth.
"Arciere, alzati e vieni fuori."
Beth non ci vide più dalla rabbia.
"NO!"
Afferrò il braccio di Daryl, anche se lui si era già alzato in piedi, in silenzio. Brady l'aveva scelto per colpa sua, perché l'aveva visto seduto così vicino a lei.
"No, no, no!", ripetè scuotendo la testa. Cercava di trattenerlo, si erano appena ritrovati. 
Brady continuava a guardarla divertito, con il suo solito sorriso da brividi.
"Niente da fare, ragazzina", le sussurrò Daryl.
Non sembrava per niente spaventato. Stava ancora aspettando il momento giusto per scappare, così come aveva fatto Sasha. Ma Beth non gli aveva detto che era stata lei a salvare Sasha.
"Potrei portarvi tutti e due, se ci tieni tanto a stare con lui", continuò Brady con disinvoltura.
"Sì", sospirò Beth.
"NO!"
Tutto il resto del furgone gridò all'unisono.
"Non ti lascerò di nuovo!" Strinse la presa sul braccio di Daryl, nonostante provasse a spingerla via.
"Volevano me, andrò da solo."
Daryl raggiunse Brady alla soglia, ma lei si riattaccò immediatamente a lui. Afferrandola per le spalle, Maggie la convinse a fare qualche passo indietro.
"Beth, lascialo andare. Non puoi aiutarlo."
"No, mi sta piacendo l'idea di prenderne due", disse Brady annuendo pensieroso. "Andiamo, bambolina."
"Lei non verrà", gridò il balestriere. Era una minaccia.
Il volto quasi sorridente di Brady tornò serio.
"Siete impotenti. Accettatelo, siete già sottomessi da noi."
Daryl scosse lentamente la testa. "Quando sconfiggi qualcuno, non hai bisogno di dirlo, perché lo sanno già."
Un brivido smosse la tranquillità del ragazzo. Cercò di non mostrare il disagio che gli aveva provocato quella risposta, ma teneva la mascella serrata, le narici allargate e non mantenne lo sguardo di Daryl, che invece continuò a penetrarlo. Altri due uomini superarono le guardie e lo portarono fuori. Beth li seguì.
"Beth! Aspetta, ferma! Non prendete mia sorella!"
Maggie corse verso di lei, ma Rick e Glenn la trattennero. Quando la porta si richiuse, Beth la sentì piangere.
Una dozzina di uomini e donne armati li circondò. Afferrò la mano di Daryl e lui gliela strinse non appena Gareth fece un passo avanti. Guardava la coppia con le braccia incrociate al petto e con un'espressione indifferente.
"Hey, Hannibal, stai già pensando a come cucinarmi?", lo provocò Daryl.
Guardandolo, Beth intuì che Gareth si stava trattenendo dal sorridere. 
"In realtà, ci servite per un'altra situazione. Abbiamo anche cancellato il pranzo di oggi per curarcene."
Avete cancellato il pranzo perché io l'ho aiutato a raggiungere la recinzione e a scappare.
Beth spalancò gli occhi e lo guardò con insistenza. Che tipo di situazione?
"Ricordi di quando mi hai detto che volevi che ti lasciassi andare, che preferivi essere divorata dai vaganti piuttosto che fare la madre?"
Gareth le rivolse uno sguardo che la fece sentire male.
"Sì?"
Si voltò e cominciò ad allontanarsi. "Ti ho detto che avrei trovato un altro impiego per te."
Brady fece loro cenno di seguirlo. "Andiamo."
Con i fucili puntati dietro la schiena, furono condotti a una macchina che sembrava stesse aspettando proprio loro.

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Capitolo 9
*** Taglio cesareo ***


TAGLIO CESAREO


Carol non poteva avere idea che la sua bugia sul taglio cesareo potesse essere messa in discussione così in fretta. Non appena entrò nella comunità di Terminus, Jenny era in travaglio.
Jenny era la ragione per cui Carol non era stata gettata in quel furgone insieme a Tyreese, era pronta a partorire e tutti erano preoccupati perché aveva concepito il suo primo figlio col cesareo. Le tornò in mente Lori, insieme a un flusso incessante di emozioni frustranti.
La donna dai capelli grigi che aveva preso Judith era il loro medico. In realtà, insegnava biologia al liceo perché aveva abbandonato gli studi di medicina vent'anni prima. Aveva le conoscenze basilari per aiutarle con problemi minori, ma le mancava l'esperienza che invece Carol aveva detto di avere. 
L'avevano trasferita alla Casa delle Madri, probabilmente l'unico edificio di Terminus che era stato trasformato in un'abitazione confortevole. Le mantenevano lì e, per la stragrande maggioranza di loro, erano solo ragazze. C'erano poche donne adulte, come Jenny, abbastanza grandi d'età da non far sembrare il titolo di madre inadeguato, come invece era per le altre, ma Carol cercò di non pensarci, cercò di ignorare lo sguardo spento di quelle ragazze deboli, disperate e impaurite. Terminus le proteggeva e loro in cambio dovevano fare bambini e prendersi cura di loro. C'erano una decina di donne incinte, tutte quasi pronte al parto e, se non lo erano, lo sarebbero state presto. Vide solo circa cinque bambini e si chiese da quanto tempo esisteva la Casa a Terminus... e poi, anche quanti bambini dovevano aver perso.
Seduta con altre ragazze in una sorta di soggiorno, vide Sophie. Carol passò talmente in fretta che forse non l'aveva neanche notata. La guardò meglio da lontano, almeno non piangeva. Era con delle ragazze della sua età, ma probabilmente le stavano raccontando cose orribili.
Forse questo la sveglierà.
Judith era ancora con la dottoressa, le vide mentre la stavano portando nella sala da parto dov'era Jenny, disperata e insofferente per i dolori.
"Tu... tu sei un medico? Sai far uscire il bambino?"
Jenny rimase a bocca aperta tra un gemito e l'altro, sembrava che volesse strappare le lenzuola sotto i suoi pugni.
"Sì, calmati. Sono qui per aiutarti."
Non sarà come con il vagante, Carol ammise tranquillamente a se stessa tramite una vocina nascosta dentro di sé, ma decise di ignorarla e iniziò a tagliare. L'aveva già fatto con un cadavere ed era sempre stata molto abile con i coltelli, non vedeva perché avrebbero dovuto scoprire che mentiva.
La preoccupazione per se stessa svanì nel momento in cui si trovò da sola con lei in travaglio. Certo, non voleva dire la verità, ma voleva salvare davvero lei e il suo bambino. La dottoressa dai capelli grigi venne in suo aiuto e Carol sperò che avesse affidato Judith a qualcuno di competente.
"Abbiamo un sacco di farmaci", le disse.
"Bene, ne avremo bisogno."
Avevano appena finito di lavarsi le mani quando un urlo straziante proveniente dall'esterno le fece trasalire.
"Vai a vedere di cosa si tratta", ordinò la dottoressa a una delle ragazze sedute nel corridoio per assistere all'intervento.
"Dobbiamo focalizzarci su quello che succede qui, in questa stanza, per il momento", disse Carol, col cuore che le batteva all'impazzata. Forse erano solo un paio di vaganti troppo vicini alla recinzione.
Pensò a Tyreese. Se avesse avuto la possibilità di uscire da quel furgone, l'avrebbe fatto.
Pochi minuti più tardi, la ragazza incaricata di andare a contollare tornò nella stanza, annunciando ad alta voce: "Qualsiasi cosa fosse, è finita velocemente!"
Con un numero sufficiente di anestetici per mantenerla incosciente nelle ore successive, le urla della madre cessarono e i suoi occhi si chiusero. Carol respirava profondamente, cercando di contenere il tremolio della mano con cui teneva il coltello.
Funzionerà, sopravviveranno e dimostrerai di essergli utile. Potrai anche salvare Tyreese e Judith, e portare via Sophie dalla Casa delle Madri più facilmente, una volta diventata parte di loro.
Sapeva di avere un'unica possibilità, e cercò di attenersi al piano durante l'intervento. Affondò il coltello nell'addome di Jenny, facendo sufficiente pressione per farla gemere leggermente. Fece del suo meglio per non mostrarsi insicura e a non reagire quando la dottoressa si asciugò il sudore dalla fronte, preoccupata. Seguì la cicatrice del vecchio taglio, il sangue le bagnò le mani in pochi secondi. Era senza guanti, non era del tutto sicura che fossero a disposizione se lei li avesse chiesti.
Era caldo. Inaspettatamente, pensò a Karen e a David, a quanto la stupì quella sensazione di calore. Aveva ucciso tanti vaganti, ma non era come essere a contatto con il sangue di un corpo vivo.
Andò tutto così bene che Carol dopo pronunciò una piccola preghiera di ringraziamento, cosa che non faceva da parecchio tempo. Il bambino piangeva e tutta la Casa era in festa. La dottoressa cullava il neonato, mentre lei ricuciva il ventre della madre. L'unico rischio per Jenny poteva essere un'infezione, dato che le loro condizioni non erano state proprio sterili, ma aveva fatto del suo meglio.
Infine, la donna dai capelli grigi le offrì di sedersi con lei e il neonato fin quando la madre non si fosse svegliata. Quando lo fece, le presentarono il bambino e poi Carol fu autorizzata ad andarsene.
Tutte le ragazze presenti la ringraziavano, dicendole quanto le fossero grate per il suo arrivo. Alcune la definirono un "dono di Dio" con le lacrime agli occhi.
Usò la stanchezza come scusa per andarsene e non partecipare a quella festa con loro. Attraversò tutto il corridoio della Casa alla ricerca di Sophie e la vide, finalmente, in una delle sale da parto con Judith in braccio. Entrambe videro le porte sul fondo del corridoio, quelle che affacciavano all'esterno, aprirsi. Due uomini armati entrarono per vedere il bambino. Carol deglutì, avvicinandosi a Sophie che non riusciva a non guardare le mani della donna, sporca di sangue fino ai gomiti. Tutti gli stracci e il sapone per lavarsele erano rimasti nella stanza di Jenny, ma decise che avrebbe potuto aspettare.
"Stai bene?", sussurrò a Sophie.
"Mi dispiace. Sarei dovuta rimanere nel bosco", le sue labbra tremavano. "Ma ho temuto che ci avrebbe prese se fossimo rimaste lì."
Carol scrollò le spalle. "Forse l'avrebbe fatto. Se credevi che potesse accadere, hai fatto bene a scappare."
"Vogliono violentarmi", disse a voce rotta, con un tono così basso che Carl la capì per aver letto il labiale. Aveva gli occhi lucidi, il viso teso in una smorfia di dolore. "Me l'hanno detto le altre ragazze. Hanno detto che devo lasciarli fare e tutto farà meno male."
Abbracciò forte Judith per confortarsi.
Carol non si rese conto subito di aver annuito tutto il tempo, ma quando lo fece, si fermò facendo un respiro profondo. "E' quello che avevo pensato", ammise.
"Dobbiamo uscire da qui."
"Lo faremo", la rassicurò. "Ce ne andremo. Io, tu, Tyreese e Judith. Ce ne andremo e staremo bene da soli. Ma fino a quel momento, dobbiamo essere coraggiosi."
"Per quanto tempo? Non possiamo andarcene prima che..."
"Non lo so, Sophie. Ho intenzione di portarvi fuori di qui al più presto."
Avrebbe voluto dirle tante cose. Odiava la sua stessa voce, era troppo dura. Aveva ragione Tyreese, era troppo severa con lei e troppo determinata a cambiarla. Ma Carol non era cambiata in una notte, non poteva aspettarsi che lo facesse lei. Sophie aveva bisogno di qualcuno che la proteggesse finché non avrebbe imparato a farlo da sola. Qualcuno doveva dirle che, anche se in quel momento era impotente, non lo sarebbe stata per sempre e che, anche se non fossero riusciti ad uscire prima che avessero abusato di lei, sarebbe diventata comunque forte. Non poteva mollare solo perché le erano accadute delle brutte cose. Carol lasciò che volesse bene a Sophie quel tanto che bastava per farle pensare quelle cose, ma non potè trasformarle in parole.
Fuori quelle porte, gli spari cominciarono a piovere su Terminus. E stavolta non si fermarono.

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Capitolo 10
*** Fuoristrada ***


FUORISTRADA




Brady e gli altri cinque uomini erano dotati ciascuno di una pistola, un pugnale e un fucile d'assalto. Il più grosso, che Brady chiamava Franco, aveva anche una katana che Beth conosceva bene e sedeva proprio accanto a lei.
"A Michonne non piacerà." Daryl non si prese la briga di parlare a voce bassa, ma del resto i loro rapitori non sembrava si preoccupassero del fatto che parlassero.
Erano stati caricati su una grande jeep militare aperta che sul retro era anche molto spaziosa, ma priva di cinture di sicurezza. Li spinsero sui sedili posteriori l'uno di fronte all'altra e li circondarono.
Beth riconobbe subito il ragazzo esile di prima. L'autista era l'unica donna presente. Non c'era quando li avevano fatti scendere dal furgone, ma era lì di guardia ad aspettarli accanto al fuoristrada. Li guardò entrambi solo di sfuggita dallo specchietto retrovisore.
Brady si sedette molto vicino a Beth e di fronte a loro Daryl era stato inserito tra gli altri due scagnozzi, due ragazzi che quasi sicuramente, data la somiglianza, erano fratelli.
Terminus scomparve gradualmente dietro di loro e la strada che stavano percorrendo era così angusta che lasciò intendere che si stavano allontanando da dove, un tempo, c'era stata la civiltà. Infatti, si inoltrarono nei boschi e, sempre più confusa, Beth cercò di capire invano dove fossero diretti. Stavano procedendo in salita e la boscaglia diventava sempre più folta, tanto che la donna al volante fu costretta a rallentare.
Daryl le catturò gli occhi e li incatenò ai suoi per molto tempo. Fece un paio di respiri profondi per riuscire a controllare il suo battito cardiaco. Stava cercando di dirle qualcosa.
Dopo un po', il suo sguardo si posò oltre la sua spalla: stava guardando il ragazzo seduto accanto a lei, quello con la katana di Michonne. La stessa che aveva decapitato suo padre.
Poteva riuscire a prenderla?
Anche se ci fosse riuscita, avevano tutti dei fucili e un sacco di pistole, però probabilmente nessuno di loro sapeva maneggiarla correttamente. Forse l'unico tra i presenti che avrebbe potuto capire come farlo era Daryl Dixon. Poteva sfilarla via a Franco e poi passargliela, poteva essere abbastanza veloce da farlo prima che potesse sparare... ma poi? L'avrebbero fatto comunque.
Era riuscita a sfilare le chiavi a Brady, ma prendergli la pistola non sarebbe stato altrettanto semplice. Teneva una mano stretta sul manico e l'altra sul fucile. Le uniche armi un po' più scoperte erano i pugnali.
Un miglio, due miglia, tre miglia... si stavano allontanando parecchio. Il sentiero alberato li portò sulla cima di una collina. Beth vide una torre idrica che era stata trasformata in un punto panoramico. Appunto, c'erano delle persone e una di loro fece un cenno a Brady, tirando fuori un walkie-talkie. Sbuffando, anche Brady afferrò il suo.
"Cosa sta succedendo?"
"Dieci minuti o poco più. Si stanno avvicinando, non hanno cambiato rotta", disse la voce metallica attraverso il walkie-talkie.
"Bene", rispose Brady, "tenete sotto controllo la situazione."
"Sii reperibile, ti avviseremo a ogni cambiamento."
Brady fece cenno alla donna di continuare a guidare. Nel momento in cui la jeep iniziò a scendere, dall'altro lato della collina Beth e Daryl scorsero il motivo per cui erano stati condotti lì.
"Una mandria."
Fissò incredula il fiume di vaganti che si aggirava tra gli alberi. Erano circa a un mezzo miglio di distanza. Alcuni avevano cambiato rotta e si dirigevano verso la torre idrica, ma la maggior parte continuava ad andare dritta verso Terminus. Sentendosi come se avesse appena ingoiato un macigno, Beth capì: i vaganti erano troppo vicini, dovevano fargli cambiare rotta e, per fare in modo che restassero lontani da casa loro, la soluzione più semplice era utilizzare un'esca.
Dall'espressione cupa di Daryl, intuì che anche lui aveva capito.
Il fuoristrada proseguì a destra della mandria, avvicinandosi sempre di più a quella folla zoppicante, fino a raggiungerne la testa. La donna guidava tra gli alberi con una certa maestria, suonando anche il clacson per attirare la loro attenzione.
La mandria avanzava lentamente ed era anche abbastanza silenziosa, eccetto per il solito brontolio che emettevano quando respiravano. Ma poi quei volti marci e deformi si voltarono a guardarli, i loro occhi morti trovarono la jeep. Non appena fiutarono il loro odore, si raddrizzarono di colpo, aprendo e chiudendo le loro fauci come se li stessero già divorando. I loro versi si fecero più acuti mentre avanzavano per catturare l'auto. La donna frenò e ripartì un paio di volte per istigarli, in modo tale che accelerassero. Infatti, così fecero e la jeep imboccò di nuovo un sentiero alberato in direzione opposta alla torre idrica e a Terminus.
Deglutendo, Beth tornò a guardare Daryl, il quale non stava osservando i vaganti, ma la stava fissando con insistenza. Sperò che avesse un piano, perché ogni volta che lei provava a pensarne uno che fosse efficace sentiva solo una voce nella sua testa che gridava: Cerca solo di non morire!
L'inseguimento continuò per altri cento metri più avanti, poi l'auto si fermò. Si sentivano ancora i lamenti della madria in lontananza, ancora determinata a catturare la sua preda.
Brady si alzò e fece un cenno a entrambi i fratelli seduti accanto a Daryl, che lo strattonarono con violenza.
"Li lasciamo uno alla volta a una distanza di cinquecento metri?", urlò Brady alla donna alla guida, che acconsentì annuendo.
Mentre si voltò verso la donna, Daryl afferrò la sua camicia spingendolo contro il sedile e rotolò fuori dalla jeep. Accadde tutto così velocemente che se Beth avesse sbattuto le palpebre se lo sarebbe perso.
Franco e gli altri dovevano ancora rendersi conto dell'accaduto, così Beth afferrò il manico della katana e provò a sfilargliela. Lui le afferrò il polso, ma era riuscita a tirarla abbastanza fuori dal fodero che le scivolò da mano e cadde fuori dalla jeep, accanto alla ruota posteriore.
Qualcuno sparò, ma anche se i due fratelli tenevano alti i fucili, non erano stati loro.
"Brady?!", gridò uno dei due.
"Che cazzo sta succedendo?", chiese la donna.
Ancora stringendo il polso di Beth, Franco balzò dall'altro lato della jeep trascinandola con sé e sbirciò oltre il bordo della portiera.
Brady era morto. Il suo corpo giaceva sul terreno in posizione supina, il cranio era aperto, c'erano schizzi di sangue ovunque.
Il suo pugnale e le armi da fuoco erano sparite, e così anche Daryl.
"Il figlio di puttana è rotolato sotto la jeep!", urlò.
Per qualche strana ragione, la paura che vide negli occhi di quell'uomo così grande e grosso fece ridere Beth istericamente ad alta voce, nonostante fosse spaventata anche lei. Entrambi i fratelli la fissavano sorpresi, puntandole i fucili contro.
"Siete stati chiusi lì dentro troppo a lungo." Beth sentì la sua stessa voce senza sapere con quale coraggio aveva pronunciato quelle parole. "Da quant'è che non avete uno scontro corpo a corpo?!"
Franco la fulminò con lo sguardo, per poi iniziare a ispezionare il corpo morto di Brady e, sempre trascinando Beth con sé, cercò Daryl sotto la jeep.
Dal cadavere di quello che era il loro capo, sentirono di nuovo la voce del walkie-talkie: "Parte della mandria si sta ancora dirigendo verso Terminus, non avete fatto abbastanza. Continuate!"
"Che ha detto?", uno dei due fratelli impallidì.
"Non è nemmeno grande come la mandria che ha invaso la mia vecchia casa!", li schernì Beth, anche se probabilmente era una bugia.
"Brady? Mi ricevi?", continuò la voce.
"Andrah, rimetti in moto!", gridò Franco. Ora che Brady era morto, il suo atteggiamento era cambiato, come se si fosse autoeletto capo.
La conducente obbedì e Beth cercò di saltare fuori dalla jeep, ma Franco strinse ancora il suo polso come se avesse previsto la sua azione. Appena sentì il rumore del motore, Daryl scivolò via da sotto il fuoristrada. Beth notò subito la scia liquida che stavano lasciando dietro di loro. Benzina.
Come Daryl si alzò, vide che aveva entrambe le pistole di Brady e anche il suo pugnale. Lo aveva usato per bucare il serbatoio, nel caso avessero deciso di fare ciò che avevano appena fatto.
Non gli avrebbe permesso di nuovo di portare Beth lontano da lui.
"Voi, ragazzi, siete fottuti."
Dopo una breve preghiera di ringraziamento per i miglioramenti della sua caviglia, Beth anticipò il panico che tra pochi secondi si sarebbe comunque creato tra tutti loro.
"Merda!", imprecò l'omaccione accanto a lei mentre guardava la traccia di benzina che lei gli aveva indicato.
"Potrete allontanarvi ancora un miglio o due, prima che il motore si fermi... o forse no."
Beth si divincolò dalla presa dell'uomo e ricadde sul sedile, al suo posto. Il suo battito aumentò nel vedere la figura di Daryl farsi sempre più piccola mentre il fuoristrada si allontanava. Aveva iniziato a correre per inseguirli.
"Quindi? Che farete? Continuerete a guidare la mandria lontano da Terminus rischiando di restare bloccati qui o tornerete a casa magari portandovela dietro?"
Franco le rivolse un'occhiata feroce, i due fratelli si spostarono nervosamente. Dal lato dei sedili anteriori, il ragazzo esile discuteva con la donna. Le fece notare che stavano perdendo troppa benzina e che se non avessero risolto il problema sarebbero rimasti bloccati nel bosco.
"Il piano è lo stesso! Gli daremo una distrazione così potremo andarcene indisturbati. Fermati!", le ringhiò.
La donna lo ignorò, ma lui continuò ad urlare finché non gli intimò di stare zitto.
Senza Brady, sembravano essere caduti nel caos più totale.
"Che cazzo stai facendo?"
Uno dei due fratelli colpì Franco con un pugno, che, in tutta risposta, lo spinse sul sedile e gli puntò la pistola contro.
Cosciente del fatto che quella poteva essere la sua unica occasione, Beth si aggrappò alla portiera della jeep in moto e saltò giù. L'impatto con la terra fu così forte che le sue ginocchia cedettero e cadde nel fango.
La ignorarono, avevano altri problemi più grandi di cui preoccuparsi.
Iniziò a correre verso Daryl e, quando raggiunse una trentina di metri di distanza, il rumore di uno sparo la fece sobbalzare. Senza voltarsi, continuò la sua corsa. Sentì gridare qualcuno dietro di sé: per assicurarsi che non potessero scappare via, Franco prese la mira e sparò a Daryl proprio sopra al ginocchio. Vide la jeep allontanarsi velocemente attraverso il bosco, lasciando il corpo di Brady, lei e Daryl in pasto alla mandria.
L'orda di corpi putrefatti sembrava estendersi all'infinito. Gran parte della madria non si era ancora accorta di loro, ma i vaganti più veloci, quelli in testa, gridarono inferociti per l'odore di sangue fresco e carne viva. Beth distolse lo sguardo da loro e lo portò su Daryl.
"Vai!"
Provò a spingerla via con un braccio, mentre con l'altra mano stringeva la coscia ferita. Aveva le dita intrise di sangue.
"No! Non me ne andrò!"
Beth gli afferrò il braccio e lo poggiò sulla sua spalla, ma era troppo pesante per riuscire a correre. Fecero solo quattro passi per poi inciampare di nuovo.
"Ti rallento, corri!"
Si accasciò a terra e, quando il suo ginocchio affondò nel fango, una chiazza rossa gli sporcò il pantalone strappato. Era pallido e tremava, non l'aveva mai visto così. Riusciva a malapena a camminare.
Beth si rifiutò categoricamente di muoversi. Era come se i suo cuore si fosse fermato. Sapeva che da sola sarebbe riuscita a seminare la mandria, sapeva anche che Daryl era troppo grande e pesante da trasportare e che insieme non ci sarebbero riusciti.
"Va' via!"
Daryl era bravo a nascondere la paura, ma lei era brava a vederla comunque. 
Si erano appena ritrovati.
L'ultima volta che si erano separati, lui le aveva detto di correre e lei obbedì, anche se sentì una brutta sensazione scuoterle il cuore. In quel momento stava provando la stessa sensazione di allora. Non aveva intenzione di scappare, lasciando che venisse travolto di nuovo dai vaganti.
Convinta più che mai della sua decisione, si lasciò cadere su di lui. Daryl provò a respingerla, ma le sue mani già gli circondavano il petto con forza. Nascose il viso nel suo collo. Non importava che le stava ancora gridando di andarsene, dandole della stupida, che la stava pregando di correre via senza guardarsi indietro.
I lamenti dei vaganti si facevano sempre più vicini e li sentì agitarsi non appena il più veloce di tutti si stava già dirigendo verso di loro.
Finalmente, si arrese. Le sue braccia la strinsero, tremanti ma sicure, e le accarezzò i capelli. Il suo respiro si fece affannoso vicino al suo orecchio.
"Mi sei mancata così tanto quando te ne sei andata, Beth Greene."
Non l'avrebbe lasciato di nuovo. Preferiva essere fatta a pezzi.

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Capitolo 11
*** Grido di battaglia ***


GRIDO DI BATTAGLIA




"Sophia, resta qui!"
Lo sentì, ma non ebbe il tempo di assaporare il crepacuore o di soffermarsi sull'errore.
Le porte della Casa delle Madri erano scoperte, tutte le guardie armate si erano allontanate per andare a difendere i loro compagni.
"Non mi lasciare!"
Judith cominciò a piangere appena sentì il grido disperato che la ragazza rivolse a Carol.
Ma lei non si fermò. Poteva essere pericoloso, ma era anche la loro unica possibilità per uscire da Terminus. Erano tutti occupati a difendersi contro chi li stava attaccando e doveva approfittarne, ma Carol non sarebbe riuscita a portarle fuori senza prima aver chiaro il modo in cui farlo. E poi, Tyreese era ancora in quel furgone, doveva prima liberarlo e dopo sarebbe tornata a prendere le ragazze. Era molto più semplice tirare fuori loro che Tyreese.
Terminus si trasformò rapidamente in un campo di battaglie. Notò che la maggior parte degli spari si concentrava proprio intorno ai furgoni.
"Tyreese."
Carol scattò, stando al passo con due guardie. Pur avendo notato che era disarmata e che stava correndo verso la battaglia, non intervennero. Era sporca di sangue fino ai gomiti, sembrava fosse una di loro.
Mentre giravano attorno all'edificio, Carol vide una delle persone che stavano sparando e rimase a bocca aperta. Le due guardie s'inginocchiarono e alzarono i fucili, pronti a sparare.
Michonne era nascosta dietro a uno dei furgoni con un fucile automatico e stava sparando a un gruppo di guardie sul tetto. L'uomo alla destra di Carol prese la mira e sparò. La polvere si sollevò dietro di lei, che si spostò lungo il perimetro del furgone, mentre altri due proiettili rimbalzarono nella sua direzione.
Carol colpì la guardia accanto a lei con un pugno e approfittò del momento di confusione per disarmarlo: quando provò ad alzarsi da terra, gli sparò in testa. L'altro soldato l'afferrò da dietro, stringendole le braccia attorno al collo nel tentativo di soffocarla. Inavvertitamente, il suo dito premette il grilletto e sparò cinque colpi consecutivi sul terreno. La sua testa colpì con forza la faccia del soldato e, rotolando via, sparò anche a lui.
Michonne tenne le guardie sul tetto occupate, in modo tale che non si accorgessero della colluttazione. Mentre continuava a sparare a caso verso la cima dell'edificio per coprirla, la guardò con insistenza e Carol annuì per farle sapere che aveva capito. Si preparò a scappare, rubando un machete al corpo di una delle guardie che aveva ucciso.
Il rumore degli spari era frastornante, ma riuscì comunque a sentire Michonne urlare: "Dove sono Judith e Tyreese?"
Raggiungendola, le passò il machete e una delle pistole, probabilmente era a corto di munizioni.
"Judith è al sicuro, per ora. Dopo devo tornare a prenderla. Tyreese è nel furgone D. Come sapevi che eravamo qui?", chiese incredula.
"Beth vi ha visti mentre provava a scappare."
"Non ce l'ha fatta?"
La mascella di Michonne rimase serrata. Il fatto che Beth fosse scappata dalla prigione indenne era un miracolo, ma sapeva cosa voleva dire quel silenzio. O era morta a Terminus o l'avevano portata via. Non l'aveva vista con le madri, quindi probabilmente l'avevano uccisa mentre tentava di fuggire.
Altri spari provenivano da est.
"Chi altro è qui?"
Sperò di poter avere altro tempo più tardi per parlare di come fossero arrivati tutti a Teminus.
"Rick, Carl, Maggie, Glenn, Sasha, Bob e altre persone nuove."
"Daryl non c'è?"
Il suo era l'unico nome che non aveva sentito. Se qualcuno tra tutti loro poteva essere stato abile a tirarsi fuori da quel casino, quello era Daryl. Poteva solo sperare che era stato abbastanza saggio da non cadere in quella trappola come tutti gli altri. Michonne scosse la testa, mantenendo lo stesso silenzio stoico di quando le aveva chiesto di Beth.
"L'hai visto? E' stato anche lui qui?", le toccò una spalla, cercando di contenere il tremito nella sua voce.
"E' con Beth", disse con fermezza. "Li hanno portati via."
Tramortita da quella notizia, poté solo annuire. Non lo sapevano e forse non lo avrebbero mai saputo, ma forse era ancora vivo.
Potevano sentire il rumore dei passi che si stavano avvicinando a loro dall'altro lato del furgone. Erano rimaste in quella posizione così a lungo che probabilmente avevano pensato che fossero a corto di munizioni. Senza aspettare che fossero loro i primi ad attaccare, Michonne spinse la canna del fucile oltre il furgone e iniziò a scappare ripetutamente. Le urla di dolore fecero intuire a Carol che aveva colpito almeno due guardie. Lasciando andare il fucile, con una mano afferrò la pistola che le aveva portato, mentre con l'altra prese il machete. Era strano vederla senza la sua katana. Infatti, fissò la lama più piccola visibilmente riluttante ad averla come compagna in quella battaglia. Rassegnata, appoggiò il fucile alla sua spalla, pronta a colpire.
Carol si affacciò da dietro al furgone: la piccola squadra che avrebbe dovuto catturarle era ancora a circa dodici piedi da loro. Due di loro erano a terra, mentre gli altri quattro procedevano con cautela, pronti a difendersi nel caso vedessero apparire una pistola. Uno le sparò, ma lei si ritrasse in tempo, trattenendo il respiro.
"Dove sono gli altri?"
Avevano bisogno di rinforzi.
"Stanno cercando una via di fuga per arrivare ai cancelli. Ci sono alcune jeep militari parcheggiate intorno al campo."
Michonne indicò con un cenno del capo il lato destro del furgone. In silenzio, le fece capire che le guardie si stavano avvicinando a loro da quel lato. Così, Carol slittò rapidamente verso l'angolo opposto, per poi cadere su un ginocchio, prendendo la mira di precauzione.
"Prima ero alla ricerca dell'armeria, e dovrebbe essere proprio questo edificio. Ecco perché le guardie corrono in quella direzione quando finiscono le munizioni", aggiunse Michonne.
In perfetta sincronia, due guardie spuntarono da entrambi i lati del furgone. Carol sparò senza esitazione, mentre Michonne colse di sorpresa il suo aggressore colpendolo dal basso, conficcandogli il machete in fronte con un unico movimento. Dopo aver tirato fuori la lama, indietreggiò perché il suo compagno aveva provato a spararle.
L'avversario di Carol era solo un ragazzino, probabilmente aveva diciassette anni. Giaceva nel fango senza vita, con una chiazza rossa sotto la testa. In totale ne avevano uccisi quattro, c'erano ancora i due uomini che davano agli altri le istruzioni. Ciò significava che avrebbero dovuto prima scontrarsi con loro, e poi avrebbero potuto occuparsi di quelli sul tetto.
"Ho un'idea!", le urlò Michonne. "Non ucciderlo, prendi solo l'arma!"
Carol aveva avuto la stessa idea. Agitata ma determinata, prese il coltello che il ragazzino aveva nello stivale e uscì correndo da dietro al furgone. Incontrò l'ultima guardia e l'accoltellò alla spalla mentre gli sfilava la pistola. Era giovane anche lui. Lo sentì gridare accanto al suo orecchio e a quel punto lo superò accoltellandolo ancora, dietro la schiena. Non fu un colpo mortale, ma era certa che fosse molto doloroso. Sentì il rumore delle pallottole provenienti dal tetto fischiare dietro di lei.
Cercò di tenere il coltello conficcato nella sua schiena e di stringergli la vita con l'altra mano. Si nascose dietro di lui e lo spinse in avanti con forza, costringendolo a camminare anche se gli stavano sparando. Gli uomini sul tetto continuarono a sparare, martoriandogli il corpo. Anche se barcollava e reggeva a fatica il suo peso, dovette farsi forza per correre verso il muro infondo alla strada.
Anche Michonne usò l'ultima guardia rimasta come scudo umano e arrivò all'armeria nello stesso momento in cui la raggiunse Carol. Quest'ultima vide le altre guardie avvicinarsi per aggredirle, ma Michonne le cinse il braccio con forza, la trascinò verso l'ingresso e, insieme, fecero irruzione nell'edificio. Era un enorme magazzino dal soffitto piuttosto alto, c'erano fucili, proiettili e altri gioielli di guerra sparsi ovunque.
Carol contò circa dieci guardie intente a prendere delle armi dalla loro enorme scorta. Riuscirono a ucciderne due silenziosamente, cogliendole di sorpresa, ma presto furono costrette a ripararsi dietro lo scaffale dei fucili da caccia.
"Dal tetto potremmo fare di meglio, non trovi?", suggerì Michonne indicando una rampa di scale non molto lontana da loro.
Una scatola di granate posta sullo scaffale di fronte catturò l'attenzione di Carol.
"Ti coprirò io."
La sua compagna uscì allo scoperto e presto tutti le puntarono le armi contro. Carol approfittò di quella distrazione per raggiungere rapidamente l'oggetto del suo desiderio: afferrò una granata e la lanciò il più lontano possibile da Michonne, non completamente sicura di quanto potesse essere dannosa l'esplosione in un luogo chiuso.
Fu molto potente. Così tanto che non sentì nemmeno le grida delle guardie. Un forte rumore le invase le orecchie come se non se le fosse coperte e cadde a terra, spinta dalla forza dell'aria. Tutti quelli che le stavano vicino erano stati scagliati contro gli scaffali. Anche Michonne, che era la più lontana, cadde sui gradini. Ma poi si arrampicò verticalmente e sparì in cima alla rampa, con la pistola sollevata e il machete in mano.
Carol si nascose dietro uno scaffale libero, guardandosi intorno alla ricerca di sopravvissuti. Sentì alcuni gemiti di dolore, ma erano tutti morti o moribondi, eccetto due ombre rapide che a malapena distingueva dall'altro lato dell'armeria. Chinandosi e avanzando con cautela, si diresse verso di loro, determinata a uccidere tutte le guardie presenti il più velocemente possibile per correre sul tetto e aiutare Michonne. Fu subito attratta dalla collezione di pugnali: erano disposti tutti sullo stesso tavolo, altri erano a terra a causa dell'esplosione della granata. Non ci mise molto a distinguere tra tutti quei coltelli il suo vecchio pugnale. Lo afferrò e le sue dita trovarono subito il loro posto nel manico d'acciaio.
Appena in tempo, udì un rumore proveniente da qualche scaffale più avanti e si rese conto che qualcuno voleva tenderle un'imboscata. Si girò di scatto e vide l'uomo nascosto girare l'angolo e iniziare a sparare. Prendendo a cuore la lezione di Michonne, si abbassò e indietreggiò, evitando i proiettili. Avendola persa di vista, l'ultima guardia rimasta si stava dirigendo nella direzione opposta alla sua, così Carol uscì allo scoperto e gli affondò il suo vecchio pugnale nel collo. La guardia, ancora moribonda, le cadde addosso e lo pugnalò altre due volte in testa per sicurezza. Per qualche secondo, rimase lì a terra ansimante, rendendosi conto di aver bisogno di riprendere fiato. Ma non poteva perdere tempo, così appoggiò il peso sulle braccia e si alzò in piedi.
Fu in quel momento che la vide: a terra, ammassata insieme alle altre armi, c'era una balestra ancora munita delle sue frecce.
Non ha senso, è morto.
Sentì una morsa al cuore solo al pensiero, ma doveva accettare la possibilità di non rivederlo mai più.
La prendo in ogni caso, mormorò a se stessa.
Afferrandola e portandosela alla schiena, Carol raccolse il maggior numero di armi che riusciva a portare, in maggioranza proiettili, pistole e granate.
Un'altra arma la colpì la sua attenzione, ma era troppo pesante da trasportare insieme alle altre, quindi corse verso le scale. Mentre si avvicinava alla porta, sentì il rumore degli spari.
Per favore, Michonne, resisti, pregava in silenzio.
Aprendola, scoprì che la sua compagna stava più che bene. Era sola, seduta a terra, circondata dalle cinque guardie appena uccise. Accanto a lei, c'erano due pistole già utilizzate. Afferrò la terza per colpire i cecchini sul tetto più vicino. Poi, senza tante storie, lasciò andare anche quella e ne afferrò un'altra per continuare a sparare.
Vedendo che era sana e salva, gettò tutte le armi che aveva preso a terra. "Torno subito!"
Scese di nuovo le scale per entrare nell'armeria e tornò dopo due minuti con un lanciarazzi.
Gli occhi di Michonne s'illuminarono. "Attenta a non puntare troppo vicino alla nostra gente!"
"Voglio solo ripulire tutti i tetti", spiegò Carol.
In pochi secondi, Terminus era in fiamme.

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Capitolo 12
*** Sopravvissuti ***


SOPRAVVISSUTI


Se avesse avuto il tempo per rifletterci, Beth avrebbe sicuramente pensato che quello era il piano più folle mai concepito. Ed era frutto della mente di Daryl Dixon.
Armata del pugnale e del fucile rubati al corpo di Brady, seguì il suo esempio: zoppicando per tutto il tempo, Daryl tagliò gli arti di Brady con la katana di Michonne e li lanciò in direzioni diverse per sfamare i vaganti e per sventrare la testa della mandria. Cominciarono a uccidere quelli che si staccavano dalla mandria, cambiando direzione, e quelli più veloci. Daryl le gridò di appostarsi con il fucile contro un albero, per sparare da lontano. Beth obbedì senza discutere, uccidendo col pugnale altri due vaganti che le bloccavano il passaggio.
In pochi secondi, diedero inizio a quella folle lotta contro quell'orda di morti che sembrava non avere fine. Daryl ne uccise quanti più ne poteva, gli altri li indirizzava verso Beth per farglieli pugnalare o lei stessa li uccideva sparando a distanza. A poco a poco, il gruppo di vaganti che la circondava crebbe sempre di più. Daryl aveva utilizzato solo cinque proiettili, gliene restavano tre che aveva deciso di conservare, quindi ripose la pistola di Brady nella cintura e iniziò a decapitare i vaganti con la katana. Completamente bagnato di sudore, rischiò di inciampare sulla massa di corpi davanti a lui che diventava sempre più alta. Il sudore gli gocciolava dai capelli sulla punta del naso, fino ad arrivare al pizzetto. La gamba ferita tremava ogni volta che vi appoggiava il peso, ma non era ancora crollata. Nonostante le macchie di sporcizia e di fango, Beth notò che si era fatto pericolosamente pallido: stava perdendo troppo sangue.
"Daryl, basta! Vieni qui!", gridò.
La maggior parte dei vaganti era ancora in salita, a meno di cinquanta metri da loro. Fino a quel momento si erano scontrati solo con quelli più veloci. Il muro di vaganti li avrebbe presto raggiunti, cinquanta metri erano pochi.
Inizialmente, Daryl la ignorò, o forse i lamenti dei morti erano troppo forti e vicini da impedirgli di sentire la sua voce. Oppure, era semplicemente troppo preso da quel che stava facendo. Si appoggiò alla spada, la gamba ferita era al culmine della sopportazione. Davanti a loro, tre piccoli gruppi di vaganti erano ancora impegnati a nutrirsi delle membra di Brady che Daryl aveva lanciato, mentre un altro gruppo di circa una ventina di morti era intento a divorarne il torso.
Ringhiando, un altro vagante avanzò verso di lei, alzandosi dalla matassa di cadaveri.
"Daryl!"
Continuando a chiamarlo, accoltellò in faccia quel vagante appena le si avvicinò, cercandola con le sue dita lacere. Le crollò addosso, schiacciandola con il suo peso, ma poi lo spostò per rialzarsi e vedere Daryl che zoppicava verso di lei. Con una smorfia, calciò un paio di corpi per sedersi accanto a lei e poi li riafferrò, con l'aiuto di Beth, per trascinarli verso di loro.
Il gruppo di vaganti più vicino aveva appena finito di consumare il braccio di Brady e iniziava ad avvicinarsi. Si rivolsero entrambi lo stesso sguardo preoccupato e si trascinarono addosso gli altri cadaveri che Beth aveva abbattuto, coprendosi con essi finché non ne furono sepolti.
Da sotto quella massa informe di corpi, Daryl continuava ad allungare la katana per abbattere i vaganti più aggressivi e agili che erano riusciti ad arrampicarsi sul mucchio alla ricerca di carne umana. Il loro peso cominciava a diventare schiacciante, ma l'albero che gli fungeva d'appoggio era di grande aiuto. Spostando alcuni cadaveri e utilizzando alcuni rami, riuscirono a creare una sorta di tettoia di corpi, per non soffocare. Quel filo di luce che permeava da essa permise a Beth di vedere Daryl steso accanto a lei.
I versi e i rumori dei loro passi si fecero più forti. La mandria stava passando senza fermarsi, senza accorgersi di loro.
"E' assurdo", Beth osò sussurrare.
Con la mano che non stava sostenendo il peso sopra di lui, Daryl si portò l'indice alla bocca, zittendola.
Dopo aver vissuto in quel mondo per così tanto tempo, Beth pensò di essersi quasi abituata alla puzza di morte, ma il peso cominciava a diventare insostenibile e il suo respiro sempre più corto, come se qualcuno le avesse stretto le mani al collo.
Guardò Daryl. Aveva perso molto sangue e voleva assicurarsi che avesse ancora i suoi occhi aperti a bruciare su di lei.
Anche quando i lamenti si fecero così lontani che svanirono e il cielo si fece scuro, non si mossero subito.
"Non posso crederci che ha funzionato davvero", gli mormorò. "Come ti è venuto in mente?"
"Mhmh...", sussurrò di rimando. "A volte quando non dormo, penso a situazioni come questa, penso a come tirarmi fuori da situazioni di merda."
"Come va con la gamba?"
"Fa fottutamente male, ma ha smesso di sanguinare. Il tuo respiro?"
"Se così si può dire, va meglio."
Ogni volta che le mancava l'aria, spostava il cadavere appena sopra di lei e si riempiva i polmoni, prima di lasciarlo cadere. Le sue braccia bruciavano per lo sforzo di sorreggere tutto quel peso e, per quanto forte potesse essere Daryl, era convinta che per lui era lo stesso e che, se non fossero usciti in fretta da là sotto, sarebbe crollato dalla fatica da un momento all'altro.
Come se le avesse letto nel pensiero, Daryl iniziò a spostare i corpi che erano sulle loro teste e, divincolandosi, Beth s'infilò nello spazio che si stava creando tra loro. Osservò il bosco, che ormai era diventato deserto e silenzioso. L'unico suono a interrompere la quiete era quello del vento che scuoteva le foglie degli alberi.
Accanto a lei, Daryl gemette per il dolore: quattro cadaveri schiacciavano la sua gamba ferita e, solo per spostare il primo, lo vede stringere i denti. Beth liberò i suoi piedi e lo aiutò a spostarne altri due. Mentre i corpi strusciavano sulla sua ferita, si lasciò andare a un lamento misto a una delle sue solite imprecazioni volgari. Lo aiutò ad alzarsi e uscirono insieme dal mucchio di carcasse.
Una volta usciti, un tuono fu l'unico avvertimento che il cielo gli diede prima che una nube si spalancò. Daryl cadde in ginocchio respirando a fatica e, tenendosi aggrappato alla spalla di Beth, la trascinò giù con sé.
Nel momento in cui entrambi caddero nel fango, cominciò a piovere.

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Capitolo 13
*** Felice di essere viva ***


FELICE DI ESSERE VIVA



Daryl si tolse il gilet, liberando i suoi muscoli gonfi per lo sforzo. Le ali cucite sulla schiena erano sporche del sangue dei vaganti che aveva ucciso.
Davanti a una tale visione, Beth non poté evitare di arrossire, ma lui non sembrò accorgersene, quindi non distolse lo sguardo. La canotta era quasi pulita, essendo stata coperta da altri vestiti, così lui ne strappò una parte, scoprendo il tatuaggio che aveva su una spalla. Aveva spesso intravisto piccole parti di esso spuntargli fuori dai vestiti, ma non l'aveva mai visto completamente: erano due demoni che si toccavano. Occupavano tutta la sua scapola destra, contornati da una pioggia di cicatrici in rilievo sparse per tutta la schiena.
Nel corso degli ultimi anni, aveva assistito a innumerevoli spargimenti di sangue, atti di violenza e brutalità che spesso l'avevano fatta scoppiare in lacrime. Ma, crescendo, si era abituata anche lei, ritagliando nella sua anima un posto anche per tutto quell'orrore, accettandolo come parte integrante della sua vita senza però permettergli di terrorizzarla ancora. Per qualche strana ragione, rimase congelata davanti alle vecchie cicatrici di Daryl.
Lui e Carol erano molto amici, e spesso si era domandata se la loro vicinanza fosse dipesa dal fatto che entrambi avevano dovuto fare i conti con i demoni del passato. Carol non aveva mai nascosto che suo marito abusava di lei. Beth aveva conosciuto Merle poco prima che morisse, ma sapeva cosa avevano passato lui e Daryl e come si comportava nei confronti del fratello. Le persone che più di tutti avrebbero dovuto amarli, avevano fatto loro solo del male.
Daryl divenne teso e ansioso quando si accorse che Beth lo stava fissando. Aggrovigliò il tessuto strappato che aveva in mano e si voltò a guardarla.
"Posso?"
Lei, avvicinandosi, allungò la mano e prese quel laccio emostatico improvvisato sporco di sangue e di fango dalle sue mani. Con un notevole sforzo, Daryl tentò di raddrizzare la gamba ferita, affondò le dita nei buchi del pantalone e lo strappò, in modo tale che Beth potesse avvolgergli quello straccio attorno alla ferita e legarlo così come suo padre le aveva insegnato.
Erano completamente bagnati e la pioggia continuava a venire giù più forte che mai, ma a Beth sembrò meraviglioso. Inclinò la testa all'indietro e aprì la bocca, inghiottendo le gocce di pioggia per bagnarsi la gola. Le stesse gocce lavarono via le tracce di sangue dal viso di Daryl, che invece se ne stava lì seduto con la stessa espressione di un cane che non avrebbe voluto lavarsi.
"Riesci a camminare?", gli chiese. 
Provò a calcolare la distanza da lì a Terminus, che almeno sarebbe stata in discesa.
"Sarò lento, ma ce la posso fare."
"Che faremo una volta arrivati lì?"
Beth voleva che avessero un piano per far uscire gli altri, era anche consapevole che Daryl aveva bisogno di punti e tempo per guarire, ma, allo stesso tempo, gli altri non potevano aspettare: dovevano aiutarli a uscire prima che venissero uccisi.
"Andiamo dove Rick ha lasciato il borsone con le armi. Se è ancora lì, significa che Sasha non l'ha trovato, oppure che non ce l'ha fatta...", scosse la testa, spostandosi i capelli bagnati dal viso. "Se invece non c'è, significa che Sasha ha preso le armi e gliele ha portate per combattere e farli scappare. Ma siamo stati entrambi lì, anche se Sasha avesse preso il borsone, potrebbero averglielo sequestrato e, a quel punto, se Terminus ha le nostre armi, toccherà a noi cambiare la situazione."
"Quanto tempo è passato?" Beth guardò il cielo. Era buio, ma poteva essersi oscurato anche a causa delle nubi. Era difficile dire con certezza che il sole era davvero tramontato.
"Abbastanza. Non abbiamo tempo per fermarci, soprattutto dopo che siamo stati una giornata intera stesi lì sotto."
Nonostante quella sua ultima dichiarazione, Daryl non si alzò da terra. 
Beth pensò che non era stato proprio rilassante stare una giornata intera schiacciati da una massa di cadaveri, ma quel piano le aveva salvato la vita e non aveva intenzione di lamentarsi.
"Beh, allora andiamo!"
Lo aiutò ad alzarsi e lui provò ad appoggiare il peso sulla gamba ferita, ma riuscì a fare solo un passo prima di inciampare. Lei s'inginocchiò e controllò se il laccio emostatico che avevano creato fosse ancora stretto per bene, poi alzò ancora la testa per sentire la pioggia bagnare nuovamente il suo volto. Quando l'abbassò, lo sguardo di Daryl si agganciò al suo e, con un movimento lento e incerto, le accarezzò una guancia con le dita, cercando di strofinare via una macchia di sangue.
Ritornato in sé, stava per divincolarsi, ma lei lo bloccò, sfiorandogli la ferita con le labbra. A quel contatto, Beth lo sentì irrigidirsi. Fu arsa dallo stesso desiderio di quando l'aveva visto nel furgone dopo tutto quel tempo. Voleva stare con lui, sentirlo vicino a lei. Non sapeva come avrebbe reagito se si fosse gettata su di lui, ma aveva la sensazione che presto entrambi lo avrebbero scoperto.
Aggrappandosi alle sue braccia forti, si tirò su. Finora era stata in equilibrio su un sottile filo di tensione, stentando per sopravvivere. Doveva agire, saltare, combattere rischiando sempre di morire. Non aveva avuto tempo per pensarci davvero, anche se ci aveva provato in ospedale. Teoricamente, anche ora non ne avevano, dovendo ritornare a Terminus, ma si fermò a respirare profondamente, assaporando quel momento: erano di nuovo insieme, vivi. 
Come aveva sempre fatto, Daryl Dixon aveva rischiato la sua vita per proteggerla.
"L'ultimo sopravvissuto", gli disse con un sorriso, che lui non ricambiò.
Scosse lentamente la testa, non stava scherzando. "No."
Il dolore che vide nei suoi occhi fu sufficiente a farla vergognare, non poteva fare a meno di pensare che lui era fatto apposta per quel mondo.
"Se fossi stato da solo, di nuovo...", s'interruppe fissando lo spazio tra di loro. "...Non ce l'avrei fatta senza di te", borbottò.
"Probabilmente sarebbe stato più facile, senza di me", provò a correggerlo Beth. "Non avresti dovuto coprire prima me con i corpi e..."
"No", disse di nuovo. "Non è così, non lo è mai stato. Dopo che quell'auto ti aveva portata via..."
Si allontanò da lei barcollando, la sua gamba ferita tremava. Beth si fece avanti e gli afferrò la spalla, ma lui sembrava ancora combattuto: non sapeva se rifiutare quel contatto o stringere la sua mano e lasciarsi supportare.
"Dopo che ti hanno portata via, mi sono messo a correre. Ho seguito quella strada fin quando le mie gambe non hanno ceduto. Non so neanche quanto lontano fossi arrivato." Provò a indietreggiare ancora, rischiando di inciampare di nuovo. "Ero su quella strada quando ho visto delle persone venire verso di me, sapevo che probabilmente mi avrebbero ucciso e, per un secondo, li avrei lasciati fare. Alla fine sono andato avanti, ma dannazione, Beth, da solo? Da solo ero perso, non avevo più una buona ragione per lottare."
Beth ebbe serie difficoltà a respirare, come se fosse stata schiacciata di nuovo da tutti quei corpi.
"Eri tu la mia ragione", gli disse.
Prima di vedere Tyreese, aveva messo da parte le sue speranze. Sperava ancora che la sua gente stesse bene, ma in quel momento non poteva neanche sapere se erano vivi. Con Daryl era diverso, sapeva che lui stava bene, perché doveva stare bene. Per tutto il tempo in cui aveva cercato di fuggire da Terminus, l'aveva fatto con l'obiettivo di tornare da lui.
Sapere che lui avrebbe mollato così facilmente le spezzò il cuore. Tornando con la mente a qualche anno prima, riuscì a capire Maggie che scoppiò in lacrime quando scoprì che sua sorella voleva suicidarsi.
"Tu eri la mia ragione", ripetè, tenendo gli occhi fissi sui suoi. "Dovevi proteggerti così come avresti protetto me, Rick, Judith, Carol o chiunque altro. Mi senti?"
La fissò con i suoi occhi glaciali come se volesse sfidarla, così tenace e imperturbabile che ancora tentava di reggersi in piedi da solo. Così, gli circondò la vita in un abbraccio, affondando la testa nell'incavo del collo.
"Forse è così che deve andare ora, forse nessuno di noi riuscirà più a vivere per se stesso", gli sussurrò.
Le sue labbra gli sfiorarono la pelle e, pian piano, lo sentì sciogliersi. Infatti, quasi si abbandonò a lei, accarezzandole la pelle dietro al collo e stringendole la vita con l'altro braccio.
"Dovremmo andare, dobbiamo raggiungere gli altri", le ricordò, ma non si ritrasse. 
La pioggia si fece meno intensa, ma ormai erano entrambi bagnati e tremanti per il freddo.
"Sì, andiamo", mormorò Beth. "Se non ci vedono arrivare..."
"...Non avranno alcun motivo per pensare che le nostre chiappe sono ancora sane e salve", sogghignò tra i suoi capelli.
Beth, grazie a un'innata spinta di coraggio, si alzò sulle punte e premette delicatamente le labbra contro le sue. "Sono così felice di averti ritrovato."
Daryl rimase di sasso. Dovette inciampare su un paio di mezze parole prima di arrivare a dire qualcosa di senso compiuto. "Perché l'hai fatto?"
Al posto di dirgli quello che lui avrebbe già dovuto capire da solo, lo baciò ancora, stavolta staccando lievemente le labbra, per invitarlo a prendere iniziativa. Con un'inaspettata e impulsiva convinzione, Daryl rispose al suo richiamo massaggiando le sue labbra con quelle di lei, mentre le mani si facevano strada sui suoi fianchi.
Dopo qualche secondo, il suo respiro cominciò a farsi affannoso e si staccò da lei con un movimento sbilanciato.
"Tutto bene? E' la gamba?", farfugliò Beth. Le sue guance si colorarono inevitabilmente di un rosso scarlatto non appena realizzò quello che era appena successo.
"La mia gamba continua a frignare, ma non è per questo." Si voltò e scosse la testa.
"Ho fatto qualcosa di sbagliato?", chiese lei con un filo di voce.
"No", le assicurò. "Tu sei perfetta." Guardando oltre la sua spalla, indicò un mucchio di ossa sparse a terra, ancora visibili nella sporcizia: tutto ciò che restava di Brady. "Ma se io approfittassi di te, cosa mi renderebbe diverso da quel bastardo figlio di puttana?"
"Cosa ti renderebbe diverso?!", ripetè le sue stesse parole, restando a bocca aperta. "Tanto per cominciare, tu mi piaci e non sei un cannibale."
"Quello che ha fatto mi ha fatto uscire fuori di testa. Ha provato a convincerti che senza di lui non ce l'avresti fatta, di aver bisogno di lui, in modo tale che avrebbe potuto fare di te ciò che voleva perché ti saresti sentita in debito con lui. Non voglio farti sentire così, tu non mi devi niente."
Si girò di scatto per guardarlo e gli afferrò la cintura. Aveva provato a sfuggirle, ma la sua gamba lo rendeva troppo lento. Sospirò per la sconfitta nel momento in cui se la trovò di fronte, molto vicina, con la testa inclinata abbastanza all'indietro per riuscire a guardarlo negli occhi.
"Tu non sei come lui. Quando eravamo rimasti da soli, tu mi hai protetta, senza mai provare a corrompermi o a controllarmi. Mi ricordo addirittura che, quando ancora non capivo perché mi trattavi in quel modo, ero così arrabbiata con te!" Rise, cingendogli di nuovo la vita. "Un vagante mi stava attaccando e io aspettavo che lo uccidessi tu per me, ma mi hai costretta a combattere e a difendermi da sola per farmi diventare più forte. Non sei il genere di uomo che ha bisogno di circondarsi di gente debole per sentirsi forte. Tu mi hai protetta, senza usarmi o chiedermi qualcosa in cambio, semplicemente perché sei un brav'uomo."
Daryl la guardò di traverso. "Se fossi stato un brav'uomo, non ti avrei messo le mani addosso in quel modo."
Non aveva ancora afferrato il concetto, così Beth fu costretta a dirglielo apertamente.
"Non ti ho baciato perché ti sono grata di avermi salvato il culo cento volte, ti ho baciato perché volevo farlo dalla prima volta che ti ho visto alla fattoria di mio padre. So che sono giovane..."
"No, non sei giovane. Sono io che sono un vecchio sporco redneck che non avrebbe neanche dovuto guardarti."
Cercò di farle mollare la presa, ma lei non lo lasciò andare.
"Io non so neanche quanti anni hai e non dirmelo, perché non è importante", lo abbracciò di nuovo. "Forse sarà anche iniziata come una stupida cotta, ma io non sono più una bambina. Io sono una sopravvissuta, proprio come te."
Preoccupata che non la stesse ascoltando, alzò la testa per guardare il suo viso. Aveva ancora la mascella serrata, ma i suoi occhi scivolarono su di lei. Sembrava indeciso, non gli bastava la consapevolezza di voler stare con lei, doveva essere sicuro che fosse giusto.
"Sono una donna adulta ormai, signor Dixon. Oggi ho ucciso due uomini, ho abbattuto molti vaganti e sto diventando anche abbastanza brava con la tua balestra. Ti ho anche dimostrato di saper reggere l'alcool!"
"L'unica volta che hai bevuto, hai bruciato una casa", ribattè, ma Beth riuscì a notare comunque l'accenno di un sorriso che con fatica riusciva a trattenere.
"Abbiamo bruciato una casa."
"Hai vinto, Greene."
Si chinò per poggiare la fronte sulla sua, ma esitò. Poteva sentirlo trattenere il respiro e il suo cuore battere forte contro di lei.
Beth smise di sorridere appena capì a cosa stava pensando. Se lei non si fosse aggrappata a lui, l'avrebbe spinta via, convinto di farlo per il suo bene. Ma lei lo voleva e non aveva intenzione di arrendersi. Ne valeva la pena.
"M'importa di te. Io ti voglio, ti amo. Per questo ti ho baciato. Per questo e perché potrebbero separarci ancora, viviamo nell'incertezza e io non voglio perderti di nuovo senza che tu sappia come mi sento."
Le poggiò una mano sul viso, accarezzandole le labbra con il pollice.
"E' così che ti senti?"
Girando la testa, gli sfiorò il palmo con le labbra.
Continuando a tenere le mani sul suo viso, l'avvicinò fin quando le punte dei loro nasi si toccarono. Beth sentì il calore della bocca di Daryl a pochi millimetri dalla sua e chiuse gli occhi, in attesa. Lui indugiò per alcuni secondi, stuzzicandola. Le ciocche di capelli umidi che gli ricadevano sulla fronte solleticavano anche la sua, mentre lui si curvava leggermente, per poterla sfiorare ancora.

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Capitolo 14
*** Destinazione? ***


DESTINAZIONE?




Dopo aver visto i vaganti, Carol sarebbe dovuta tornare a prendere Judith. Sentiva quel bisogno come un calcio nello stomaco, ma restò lì.
Lei e Michonne stavano dando il loro meglio per avvantaggiarsi sugli abitanti di Terminus attaccando dal loro punto strategico, il tetto dell'armeria. Altri due gruppi di guardie avevano provato ad entrare nell'edificio per riconquistarlo, ma uccisero il primo gruppo a suon di colpi di pistola e il secondo gruppo incontrò l'ultima granata vicino alla rampa di scale.
Il loro obiettivo principale, dopo aver ripulito i tetti, divenne quello di eliminare ogni possibile minaccia ravvicinata per Rick e gli altri. Mirarono con una precisione strabiliante alle teste delle guardie più vicine con dei fucili a lunga portata, e li eliminarono.
Rick e un uomo dai capelli rossi che lei non conosceva, ma che Michonne chiamò Abraham, stavano andando verso i furgoni per liberare gli altri prigionieri e fare numero contro Terminus. Rapidissimo com'era risaputo che fosse, Glenn era entrato nell'armeria circa tre volte per prendere le armi da portare alle altre persone liberate.
Maggie, Sasha e altre due donne che non aveva mai visto erano alla ricerca di qualcosa. Iniziò a perdere le loro tracce mentre si aggiravano per il campo, perché le guardie avanzavano per attaccarle e loro dovettero eliminarle dal tetto. Con tutte quelle minacce diventava sempre più difficile fare loro da angeli custodi. Poi, quando le vide mettere in moto una jeep, capì che stavano cercando delle chiavi.
Ma ormai erano tutti scoperti.
Una guardia si avvicinò pericolosamente a loro e Carol e Michonne se ne accorsero solo quando videro Maggie cadere all'indietro. Si stringeva una gamba con entrambe le mani, urlando. Simultaneamente, entrambe le donne abbatterono la guardia, sparandogli. La sua pistola cadde a terra e quando Carol vide il calibro le si fermò il cuore: per il momento, Maggie era fuori combattimento. Bob le tendeva la gamba nella parte posteriore della jeep. Non poteva vederlo da quella distanza, ma sembrava non fosse messa bene. Almeno non era stata colpita al torace.
I vaganti cominciarono a invadere il campo, una delle recinzioni più lontane era completamente andata. Dovevano aver sentito gli spari ed essendo tutti ammassati in un unico punto, presto avrebbero abbattuto anche le altre recinzioni. Da quel punto, erano state le prime ad accorgersene.
"Dobbiamo andare!", Michonne cominciò a raccogliere tutte le armi più utili, tra cui la balestra di Daryl, che afferrò senza esitazioni. "Forza Carol, andiamo!"
Carol sparò un ultimo colpo a un vagante che si stava avvicinando a Carl.
"Vai senza di me, devo andare a prendere Judith e Sophie!"
Michonne non provò a dissuaderla. Se ne andò, correndo più lentamente per il peso di tutte quelle armi. Carol la coprì come aveva fatto con gli altri finché, tra la polvere, non la vide salire sulla jeep insieme a quelle due donne sconosciute e Glenn.
Mentre il fuoco e i vaganti continuavano a divorare Terminus, vide i suoi abitanti in fuga e, tra la folla, vide anche lei: la dottoressa dai capelli grigi correva verso una Saturn grigia con un fagotto in braccio. Nauseata, Carol riconobbe la coperta in cui avevano avvolto Judith alla Casa delle Madri. Afferrò le sue pistole e corse, ma era troppo tardi. La Saturn era stata già messa in moto e stava lasciando il campo, portando con sé la bambina.
Si diresse verso la Casa delle Madri, nella speranza di rivedere Sophie, uccidendo tutti i vaganti che le capitavano a tiro. 
La Casa era sigillata, con le fiamme che divampavano dal tetto in giù, avvolgendola in una nube di fumo. Corse fermandosi a ogni entrata, ma vide solo vaganti e fumo. Era già abbastanza esausta, non ce l'avrebbe fatta a raggiungere Sophie e a portarla via con sé, anche se l'avesse trovata.
"Non mi lasciare!"
Le ultime parole della ragazza riecheggiarono nella sua mente, ma sapeva di non potercela fare.
La Casa era comunque chiusa a chiave, probabilmente i vaganti non sarebbero riusciti ad entrare. Forse Sophie era ancora viva, ma se Carol fosse entrata lì dentro sarebbero morte entrambe.
Con un istintivo grido di battaglia, iniziò a correre contando sulle poche forze che le restavano, uccidendo i vaganti e cercando una direzione da prendere in tutto quel disordine. A un certo punto, sentì il rumore di un motore e lo seguì.
"Da questa parte!"
Sperò vivamente che fosse la sua gente.
"CAROL!", sentì Tyreese urlare. 
La jeep accostò a fianco a lei, e Tyreese balzò fuori per aiutarla, vedendola sul punto di crollare. "Stai bene? Ti hanno morsa?"
"Sto bene!", Carol strinse con forza le mani dell'uomo, tentando di salire.
"Dov'è Sophie? Devo tirarla fuor..."
morta!", le venne così naturale che non dovette neanche pensarci.
L'espressione dell'uomo si contorse in una smorfia di dolore, facendo trasparire tutto il senso di colpa che stava provando. Anche se gli altri gli gridavano di fare in fretta, si congelò sul posto. 
"È morta, Tyreese."
Non poteva dirgli che probabilmente era ancora viva nella Casa delle Madri. Se l'avesse saputo, sarebbe corso a cercarla. Doveva salvarlo, almeno lui.

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Quando Beth e Daryl s'incamminarono, il sole era già tramontato. Decisero di non procedere per le rotaie, in modo tale da risparmiarsi un mezzo-miglio di camminata. 
D'un tratto, videro una colonna di fumo in lontananza che sembrava provenire da Terminus. 
"Ci sono riusciti", disse Beth speranzosa, "Forse Sasha li ha aiutati e ora stanno combattendo."
"Sono fottutamente sicuro che quell'incendio non è un barbecue. Quello è un incendio doloso."
Daryl aveva il braccio appoggiato alle sue spalle, in modo tale da poter camminare senza sforzare troppo la gamba. Non avevano interrotto la loro marcia neanche una volta e si stupì di quanto stessero andando discretamente veloce.
"Guarda!", Daryl indicò il ciglio della strada. La jeep che aveva sabotato si era schiantata contro un masso. 
Si avvicinarono il più velocemente possibile. Un paio di vaganti si stavano cibando del corpo della donna che era alla guida. Fu facile abbatterli, essendo distratti dalla carne che stavano divorando. All'interno della jeep trovarono due barrette ai cereali e la guaina della katana di Michonne.
"Pensi che l'abbiano sacrificata per distrarre i vaganti?"
Beth l'aveva pensato perché il suo cadavere era privo di armi.
Senza risponderle, Daryl cominciò a zoppicare attorno alla jeep.
"Non sono tornati a Terminus. Probabilmente hanno visto il fumo e hanno deciso di cercare rifugio altrove. Forse ci sono posti sicuri dove nascondersi non molto lontani da qui."
In lontananza, la nebbia venne illuminata dai fari di un'auto. Stava andando verso di loro.
Senza dire una parola, rientrarono nel bosco a fianco alla strada, si sdraiarono a terra, nascosti tra l'erba alta, giusto in tempo per far passare un'altra jeep militare.
Sui sedili posteriori, Beth riconobbe Tyreese, e Sasha e Michonne sedute di fronte a lui.
"Sono loro!", saltò fuori dal loro nascondiglio, raggiunse il centro della strada e agitò le braccia per attirare la loro attenzione. "Hey! Maggie!"
Daryl si rialzò zoppicando e la raggiunse, anche lui agitando le braccia.
Ma la jeep sparì dalla loro vista in men che non si dica, svoltando alla prossima curva e lasciandoli al buio. Erano troppo veloci, probabilmente guidava Glenn.
Rimasero lì a fissare per un secondo o due il punto in cui era sparita la jeep, poi si scambiarono un'occhiata complice e iniziarono a camminare. Era più difficile per Daryl procedere in salita, ma non ebbero bisogno di parlarne per capire che quella era l'unica cosa che avesse senso fare. Terminus era in fiamme, le persone erano in fuga. Non gli restava nient'altro da fare che cercare di seguire le loro tracce il più a lungo possibile, sperando di incontrarli dovunque decidessero di fermarsi a riposare.
Come aveva detto lui, non potevano immaginare che loro erano ancora vivi.
Beth si chiese ad alta voce se erano riusciti a mettersi tutti in salvo, ma poi scosse la testa guardando il viso pallido di Daryl poggiato contro la sua spalla. Anche lui ci stava pensando, ma lei forse un po' troppo in grande. Sarebbe stato un miracolo non aver perso nessuno.
Quando la pendenza e il freddo aumentarono, divennero molto più lenti. Se le prime due miglia non erano state facili da affrontare, l'ultimo mezzo miglio fu un'agonia. Erano ancora entrambi bagnati dalla pioggia e l'aria fresca della notte non migliorava la situazione. Non volevano fermarsi finché il sole non sarebbe sorto, o finché non avrebbero trovato un rifugio sicuro. Ma i movimenti di Daryl divennero sempre più rigidi e il suo peso era sempre più gravoso sulle spalle di Beth passo dopo passo.
"Aspetta, aspetta."
Spaventata dalla sua voce stremata, Beth scosse la testa e provò a spingerlo ancora in avanti.
"No, dobbiamo prima trovare un posto sicuro."
Non l'avrebbe lasciato stendersi in mezzo alla strada.
"Non mi serve, sto bene", mormorò tentando di raddrizzarsi, tenendo ancora il braccio stretto su di lei per evitare di cadere. "Guarda là", le indicò un punto tra i boschi, ma Beth non riuscì a vedere nulla di utile, non subito.
L'erba era quasi morta, la pioggia aveva infangato tutta la zona. Con tutto quel buio poi era difficile distinguere qualcosa, ma Daryl la invitò a guardare meglio.
Infatti, sforzando la vista, notò quattro auto diverse schiantate contro un albero. Beth sobbalzò e iniziò a cercare con lo sguardo la jeep militare, pur sapendo che, grazie alle grosse ruote della vettura, probabilmente sarebbero riusciti a superare senza problemi quella trappola scivolosa.
"Potrebbero essere qui da mesi... ma forse hanno qualcosa al loro interno che ci può servire", sussurrò, ascoltando i lamenti che provenivano da sotto le auto. Probabilmente erano solo due vaganti.
"È recente", disse Daryl, indicando il fango. Ma Beth riusciva a malapena a distinguere le tracce dei pneumatici nel fango.
"Qualcuno in fuga da Terminus?", indovinò.
Daryl iniziò a scendere verso le macchine, raggiunto di corsa da lei, che gli fornì il suo appoggio. Scesero in un ampio fossato e divenne più semplice distinguere le tracce, perché erano più profonde. Il fango gli arrivava alle caviglie. Le tracce dei pneumatici li condussero a una Saturn grigia, sulla quale si stavano avventando tre vaganti. Schiacciavano i loro corpi contro il parabrezza, cercando di arrivare a chi c'era dentro.
Liberando la katana di Michonne dal suo fodero, Beth la passò a Daryl e afferrò il pugnale che aveva nella cintura. I vaganti li notarono e si allontanarono dalla macchina. Li fecero fuori in breve tempo.
"Quanto mi manca la mia balestra", ammise Daryl mentre agitava la spada per far scivolare via il sangue, cercando di imitare Michonne. Ma non fece i movimenti giusti, infatti un paio di volte gli schizzò sul volto.
Beth osservò l'auto con attenzione. C'era una figura seduta dal lato del guidatore, immobile. Il parabrezza e i finestrini erano troppo sporchi per riuscire a vederla bene, ma riuscì a distinguere i capelli corti e grigi. Per un secondo, sperò che fosse Carol. Poi Daryl aprì la portiera puntandole una pistola contro: era la dottoressa di Terminus.
La donna alzò entrambe le mani.
"Scendi", le disse bruscamente.
Le tremavano le labbra. Con qualche difficoltà, scese dall'auto. Il sedile era ricoperto di sangue.
Il pianto di un neonato proveniente dai sedili posteriori rese gli occhi di Beth più lucidi. Si precipitò sulla portiera e l'aprì: trovò Judith fasciata in una coperta, legata a un seggiolino. Anche lei era sporca di sangue, ma non sembrava fosse il suo. Piangeva, ma non per il dolore. 
"Judith!"
Beth si asciugò le lacrime e la slegò, prendendola in braccio. Lasciò che riposasse sulla sua spalla, e poté sentire di nuovo quel calore che così tanto le mancava.
"In ginocchio!", ringhiò Daryl.
La dottoressa obbedì, con le mani ancora alzate. Aveva una pistola, ma non provò nemmeno a raggiungerla. 
Tenendo la pistola dietro la sua testa, Daryl guardò Beth. "Come sta la piccola spaccaculi?"
"Sta bene."
La sua voce tremava dalla gioia mentre Judith giocava con i lembi della sua maglietta e con i suoi capelli.
"Cosa facciamo con lei?", le chiese, senza smettere di guardarla.
Un brivido le percorse tutta la schiena. Forse era semplicemente il freddo, o forse era lo sguardo di Daryl inchiodato al suo, in attesa di una sentenza. Doveva decidere lei.
"È messa male", gli rispose guardando la dottoressa, che era pallida come un cadavere, "Fasciamole quella ferita e lasciamola andare."
Daryl annuì, per niente sorpreso da quell'atto di misericordia.
"È bloccata", intervenì finalmente la donna con un filo di voce. Guardava dritto davanti a sé con gli occhi spalancati.
Guardando le ruote, capirono a cosa si stava riferendo. L'auto era scivolata fuori strada ed era rimasta bloccata nel fango. Muoversi in retromarcia sarebbe stato impossibile a causa dell'accumulo di fango e davanti ad essa c'erano le altre tre vetture incidentate. Ma se fossero riusciti a tirarla fuori dal fango in qualche modo, avrebbero potuto muoversi attorno alle altre tre auto tranquillamente.
Mentre Beth si prese un momento per gioire ancora un po' della compagnia di Judith, Daryl spostò il seggiolino nel bagagliaio e caricò la donna sui sedili posteriori, sequestrandole la pistola. Sembrava che non provasse niente. Il suo volto mantenne quell'espressione persa per tutto il tempo, aveva lo sguardo fisso nel vuoto e stringeva il fianco ferito con entrambe le mani.
Judith ricominciò ad agitarsi, probabilmente per il freddo causatole dalla maglietta umida di Beth. Daryl zoppicava intorno alla vettura, alla ricerca di qualcosa che potessero utilizzare per creare un po' di spazio sotto la ruota.
Beth non aveva intenzione di lasciare Judith a quella donna, quindi, tenendola ancora in braccio, iniziò a scavare nel fango con una mano, creando una sorta di rampa da un lato della ruota. Daryl fece lo stesso dall'altro lato.
Dopo aver ripetuto lo stesso lavoro sulle altre ruote, Daryl voleva spingere l'auto, ma Beth non glielo permise. Lo fece sedere al posto del guidatore, con Judith appoggiata dal lato del passeggero. Piangeva, forse per la scomodità e per il freddo. Riuscì a sentire Daryl tentare di tranquillizzarla mentre lei raggiungeva la parte posteriore della vettura per iniziare a spingere.
Ricoperti di fango, riuscirono a tornare sulla strada. Beth guidava, mentre Daryl, a fianco a lei, teneva Judith sulle ginocchia.
"È stato un peccato non usare il seggiolino", gli disse, anche se sapeva perché l'aveva messo via. Alla donna serviva lo spazio necessario per stendersi e, tra l'altro, preferiva vedere la neonata tra le braccia di Daryl. Non la voleva seduta a fianco a quella cannibale.
"Guida con attenzione."
Judith sembrava più tranquilla ora che giocava con il naso e il pizzetto di Daryl.
Dietro di loro, la donna stava gradualmente cadendo nell'incoscienza. Non riusciva più a sopportare il dolore, probabilmente sarebbe morta prima dell'alba e, nonostante non potessero fare molto per lei, per qualche assurdo motivo Beth si sentiva in dovere di salvarla.
"Se ti avessi chiesto di ucciderla, l'avresti fatto?"
Beth gli rivolse un'occhiata veloce prima di tornare con lo sguardo sulla strada.
Facendo le spallucce, Daryl annuì. "Avresti avuto le tue ragioni."
"Sai... non voglio credere che siano tutti come Brady. Non credi che alcuni di loro fossero diversi? Magari lei lo è."
Non poteva darsi una risposta, neanche Daryl poteva. In silenzio, continuò a pensarci, ma poi scacciò via quelle preoccupazioni. Non era il momento. Dovevano trovare un posto sicuro. E poi, se fossero stati fortunati, magari avrebbero trovato anche Maggie e gli altri lungo la strada. Avevano il serbatoio pieno.
Anche se era ricoperta di sangue, fango e acqua piovana, anche se era esausta e affamata, si sentì più tranquilla. Si sarebbero messi in salvo. Avevano l'un l'altra, e anche Judith. Era un miracolo, un motivo per festeggiare.
"Ero un po' più triste prima."
"Che vuoi dire?", Judith giocava soddisfatta con le dita di Daryl. "Non ricordo", aggiunse.
"Quando mi sono chiesta come sia possibile che possa andare peggio di così. Ma sai, so che andrà peggio di così ed è proprio per questo che non riesco a smettere di cercare le cose belle in questo orrore."
"Le cose belle sono rare", mormorò Daryl.
"Sì, esatto", gli sorrise, contenta che lui avesse capito subito quello che voleva dire. "È un po' come quando T-dog e Lori sono morti. Io ero triste...", la sua voce si ridusse a un sussurro, "...ma non riuscivo a smettere di guardare la bambina."
"Neanch'io", ammise. "C'era la morte nascosta dietro ogni angolo, ma ora abbiamo lei."
"Abbiamo avuto un bambino. Voglio dire, so che non è mia, ma è come se lo fosse. È di Lori, di Rick, di Carl, di Michonne... è anche mia. Ed è la tua piccola spaccaculi."
"Sì, lo è." Daryl accarezzò il mento della neonata.
"Accadranno altre cose belle. Ritroveremo la nostra famiglia, incontreremo altre brave persone e il nostro gruppo sarà più forte di prima."
Daryl rivolse uno sguardo dubbioso alla donna stesa sui sedili posteriori.
"Prima che ti portassero nel furgone, stavo parlando con Abraham. È un militare, una brava persona."
"Maggie mi ha detto che ha aiutato lei e Glenn a ritrovarsi", Beth lo ricordava vagamente, non lo aveva guardato per più di qualche secondo.
"Sembra gente a posto."
"So che c'è gente cattiva, ma c'è sempre stata. Possiamo ancora sperare che ci siano più persone come noi qui fuori."
Non dissero più nulla per un po'. Judith era sulla buona strada per addormentarsi, e anche Daryl si mise comodo, appoggiando la testa sul sedile e girandola verso Beth.
"Li troveremo", sussurrò. 
"Sì?", Beth ricambiò lo sguardo con la coda dell'occhio, senza distogliere l'attenzione dalla strada. "Lo credo anch'io", gli sorrise genuinamente. Avrebbe voluto raggiungergli la mano e avvolgerla nella sua, ma prese in considerazione il prezioso consiglio che le aveva dato prima: doveva stare attenta alla guida.
"Non sto dicendo solo questo. Voglio che tu sappia che ho avuto speranza."
Daryl, anche se involontariamente, stava dando il meglio di sé per distrarla dalla strada. I suoi occhi azzurri erano fissi su di lei, l'ombra della notte sul suo viso non era abbastanza abile a nascondere un piccolo sorriso che si era coraggiosamente concesso. "Devo averla rubata a te."
Esitò, come se il trattenersi dal fare qualcosa lo rendesse tremendamente nervoso.
Era come all'obitorio, quando provò, miseramente fallendo, a dirle come si sentiva, ma lei lo capì comunque. L'aveva capito anche prima, nel modo in cui la baciava. Ora lo vedeva in quell'esitazione, in quel desiderio di dover fare sempre la cosa giusta se si trattava di lei. Allungò la mano sulla sua spalla, con una pressione sufficiente a riscaldarle la pelle bagnata. 
Tenendo gli occhi sulla strada, Beth inclinò leggermente la testa, appoggiando la guancia alla sua mano.
"Anche se ci vorrà del tempo a trovarli... tu sei con me."
Quelle ultime parole gli uscirono fuori in poco più di un mormorio.
"Sono con te."
Maggie e gli altri non dovevano essere poi così lontani. Percorsero tutta la strada fino alla fine del bosco e, arrivati lì, riuscivano a vedere miglia davanti a loro. Non videro altri fanali al di fuori dei loro.
La luna era coperta da un letto di nuvole e per quanto la loro vista gli potesse permettere, non gli restava che cercarli con lo sguardo nell'oscurità.

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Capitolo 15
*** Rifugio ***


RIFUGIO

 

 

Quando fu chiaro che non sarebbero mai riusciti a trovare la jeep militare quella sera, Beth decise di imboccare la prima strada che portasse a una cittadina. Non avevano scelta, l’emorragia aveva portato la dottoressa a una sorta di stato di shock, Daryl era ferito e aveva bisogno di riposo, Judith doveva mangiare. Oltre a ciò, una parte di lei continuava a sperare che Rick e gli altri non fossero andati troppo lontano. Forse si erano fermati nella stessa cittadina per un paio di giorni a recuperare le forze.

Quella piccola città fantasma non aveva neanche più un nome, perché il cartello con su scritto “Welcome to...” era stato vandalizzato e reso illeggibile. Aveva le strade sbarrate, pochi piccoli negozi che Beth temeva fossero già stati svuotati, qualche casa, una scuola, un fatiscente parco di roulotte e una vecchia cappella, che prima dell’apocalisse doveva essere l’orgoglio di quel piccolo paesino. Era stata innalzata proprio al centro della cittadina ed era visibile da ogni angolazione, essendo il più alto degli edifici presenti. Le finestre erano ancora sbarrate. Non ci volle più di un secondo sguardo per farla rabbrividire, perciò decise di guardare altrove.

Accanto alla cappella, però, vide un potenziale rifugio abbastanza promettente.

“Che ne dici?”, chiese a Daryl alzando un sopracciglio.

“Non mi interessa”, rispose lui con un sospiro, capendo subito il perché di quella domanda: Beth sapeva che un po’ in realtà gli interessava, dato che non gli era mai piaciuta molto l’idea di dormire in una cella.

Raggiungendo il marciapiede accanto alla piccola stazione di polizia, si guardarono subito intorno per verificare la presenza di qualche vagante. L’auto con cui erano arrivati, la Saturn grigia, era abbastanza silenziosa e avevano spento i fanali quando erano entrati in città proprio per evitare di attirarli con la luce. Sembrava non ce ne fossero, però Daryl insistette per correre lungo tutto il perimetro dell’edificio.

La serratura della porta d’ingresso era rotta, ma all’interno non c’era nessun vagante. Probabilmente era stata forzata da qualcuno in cerca di armi, perché la stazione di polizia ne era completamente priva.

Dopo Judith, con l’aiuto di Daryl, portò la dottoressa nell’edificio, adagiandola sul pavimento della cella. Prima che potesse dirgli qualsiasi cosa, era già ritornato alla macchina per svuotarla. Prendendo la bambina in braccio, si rese conto di quanto fossero indolenzite le sue braccia, non riusciva neanche a immaginare come lui potesse ancora muoversi. Ritornò zoppicando e lasciò a terra un sacco di stoffa e il seggiolino per Judith, che Beth sistemò a mo’ di culla. Stremata dal viaggio, la piccola crollò subito.

Barricarono l’ingresso con due scrivanie prese dalla sala amministrativa e controllarono tutte le uscite. Solo allora poterono concedersi un respiro profondo.

“La nostra amica di Terminus ha pensato alle forniture mediche”, disse Daryl, rovesciando tutto il contenuto del sacco di stoffa che aveva trovato nella Saturn sul pavimento.

“Bene!”

Beth si sentì sollevata, avevano una cosa in meno da cercare. Tentò di ordinarle in base alle voci, alle etichette. Avrebbe dovuto ascoltare con più attenzione suo padre quando le insegnava queste cose.

“Non si è preoccupata ugualmente del cibo, però.”

Dal tono che aveva assunto, Daryl sembrava volesse risolvere subito il problema.

“Facciamo che ce ne occuperemo al mattino. Abbiamo gli alimenti per Judith e… della carne essiccata”, sentì il suo stesso stomaco brontolare. “Per il momento abbiamo il necessario. Sei ferito, devi riposare.”

“Non credo di riuscire a farlo lo stesso, finché non saremo al sicuro.”

Non saremo mai veramente al sicuro.

“Ci riuscirai dopo che ti avrò dato i farmaci.”

Daryl la guardava a occhi stretti, come se non capisse se prenderla sul serio o no.

“Hai bisogno di punti e...”, riconobbe un’etichetta in particolare tra le tante, “...alcuni di questi, credo. E’ la stessa roba che mio padre ha dato a Michonne quando è arrivata alla prigione.”

Senza rispondere, le strappò il barattolo da mano e lo osservò con sospetto.

“Mi ricucirò la gamba da solo, tu vai a controllarla”, le ordinò accennando alla donna stesa sul pavimento.

“Sissignore!”, gli rispose sarcastica con un lieve sorriso. Afferrò altri barattoli rimasti nel sacco e poi li mise a terra insieme agli altri.

Judith dormiva beatamente sul suo seggiolino, con la bocca leggermente aperta. Era ancora tutta sporca di sangue e fango e, per quanto ne sapevano, non aveva mangiato nulla per tutta la notte. Beth l’avrebbe svegliata per provare a pulirla meglio che poteva, ma non le sarebbe piaciuto.

La donna, invece, era in condizioni pessime. Aveva ancora gli occhi spalancati e le mani strette sulla ferita, non aveva ancora detto nulla da quando erano partiti. Perciò, Beth si stupì parecchio quando stabilì un contatto visivo con lei, cosa che tra l’altro non aveva mai fatto neanche a Terminus.

“Non sprecate niente di tutto questo con me, teneteli.”

“Sono i tuoi medicinali e, dato che li abbiamo presi, il minimo che possiamo fare è dartene un po’”, rispose Beth scrollando le spalle.

“No”, scosse la testa, stringendo gli occhi per il dolore e staccando le mani dalla ferita per alzarsi la maglietta. Era piena di sangue, ma essendo stato per la maggior parte assorbito dal tessuto, riuscì a distinguere i segni di un morso. “Ero scesa per spingere la macchina e quando li ho sentiti arrivare dietro di me era già troppo tardi.”

Daryl l’aveva visto quando l’aveva caricata in macchina, ma non aveva detto nulla. Ha lasciato che quella donna passasse le ultime sue ore di vita in quelle condizioni, anche se avrebbe avuto perfettamente senso ucciderla. Incerta se se lo meritasse o no, Beth decise che l’avrebbe fatto lo stesso. Per qualche secondo non disse nulla, guardò Judith che dormiva tranquillamente. Il medico, con occhi disperati, cominciò a dimenarsi per il dolore, stringendo i denti. Era arrivata la sua ora.

“Ne è valsa la pena, provare tutto questo dolore?”, le chiese, pronta ad ucciderla se glielo avesse chiesto.

La dottoressa la guardò con occhi vitrei, lucidi. Non aveva avuto modo di osservare bene la gente a Terminus, essendo stata per la maggior parte del tempo da sola. Ma, almeno, aveva dei begli occhi, verdi come quelli di Maggie, iniettati di sangue e brulicanti di serietà.

“No, ma a breve passerà.”

“Cosa diavolo è successo lì?”, il lato pragmatico di Beth si chiese se era per quello che aveva chiesto a Daryl di risparmiarla, perché avevano bisogno di risposte.

“...Potrei chiederti la stessa cosa”, rispose la donna tra i denti.

“Prima tu.”

Forse era solo la sua immaginazione, ma le sembrò che il sudore sulla sua fronte fosse aumentato notevolmente e faceva molta fatica a parlare.

“Alcune delle… persone sono riuscite a uscire dai furgoni e in qualche modo hanno preso le armi. Ero con le madri e i bambini quando ho sentito gli spari. Ci avevano detto di restare lì dentro, che avrebbero risolto la situazione.”

Mentre ascoltava, Beth svegliò Judith con delicatezza, scusandosi sottovoce appena la sentì lamentarsi.

“Doveva essere una cosa risolvibile velocemente… ma è andata avanti. Non riesco a immaginare come abbiano fatto a prendere tutte quelle munizioni. Poi la sparatoria deve aver attirato una mandria di vaganti nelle vicinanze, perché si sono ammassati fuori le mura e...”, la dottoressa si fermò gemendo, mordendosi le labbra con così tanta forza che Beth pensò che a breve avrebbe visto del sangue fresco scorrerle sul viso.

Judith aveva fame e mangiò il cibo datole da Beth con entusiasmo, anche se le si chiudevano un po’ gli occhi per il sonno. Nonostante tutto, si sentì in dovere di confortare la donna che aveva davanti, così le strinse il polso con una mano.

“Penso che sia stato un sabotaggio”, continuò. “Qualcuno deve aver aperto la porta per far entrare i vaganti e poi è iniziato il fuoco. Mi sono resa conto che eravamo tutti in pericolo e che non c’era molto tempo, quindi ho preso quello che potevo e un’auto… ma, capisci, non volevo mettere in salvo solo me stessa, ho sentito il bisogno di salvare qualcuno...”

Qualche lacrima scivolò via dai suoi occhi quando incontrarono quelli di Judith.

“Almeno lei ce l’ha fatta… forse anche gli altri. Forse alcune delle madri stanno ancora bene, forse anche Brady, Gareth...”

Un cocktail amaro di tristezza e empatia colpì Beth nel profondo. Capiva quei pensieri, li ricordava bene. La differenza era che la dottoressa, in un modo o nell’altro, non voleva sapere qual era stata la sorte della sua gente. Erano diversi, quelli di Terminus, sembravano tutta un’altra specie. Avevano reso persone innocenti le loro vittime, creando un sistema basato sul sangue e su nauseanti dinamiche di potere e sottomissione. Non voleva accostare neanche lontanamente la sua gente a loro.

“Come sapevi il suo nome? La conoscevi?”, la voce della donna tremò.

“Non pensavo che l’avrei rivista”, ammise Beth, guardando con affetto la bambina. “Sua madre è morta e… me ne sono presa cura io. Poi ci siamo separati tutti e non riuscivo a crederci quando l’ho vista lì.”

“Allora conosci anche Sophie?”

Beth cercò di rielaborare nella mente ciò che le aveva appena chiesto, cercando di dargli un senso.

“Sophie, la ragazza che ce l’ha portata...”, insistette la dottoressa.

Ma lei scosse la testa. “No, pensavo fosse con Carol o con Tyreese, in realtà.”

“Erano con Sophie”, spiegò.

Beth aggrottò le sopracciglia. “No, non la conosco. Devono averla trovata dopo che ci siamo separati.”

“Carol… è così che si chiama? Lei e l’altro uomo sono venuti prima, Sophie li ha seguiti con la bambina e poi ha accettato di fare la madre.”

Lo sguardo di Beth corse subito alla sua mano mutilata. Si era ridotta così pur di non consegnarsi a Terminus e, in un certo senso, capì la disperazione di Sophie nell’accettare.

Probabilmente aveva saputo. Non le avevano mai detto nulla, quindi non tutti forse sapevano cosa stavano mangiando e che, se avessero rifiutato le loro assurde proposte, sarebbero diventati cibo.

“E tu?”, chiese disperata. “Avevo chiesto di te, Gareth mi aveva detto che eravate stati portati a guidare una mandria lontano da noi.”

“Probabilmente è per noi che la mandria è arrivata a Terminus”, confessò Beth senza un minimo di dispiacere. Non vedeva perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa.

Sapeva che sarebbero morte delle persone, ma erano malvagie e non aveva intenzione di biasimarsi per aver messo la sua stessa vita davanti a quella di una massa di cannibali che non facevano altro che uccidere chiunque incontrassero.

Aveva fatto ciò che doveva.

“Io e Daryl abbiamo sabotato il fuoristrada, in modo tale che i ragazzi non riuscissero a completare il viaggio di ritorno e… beh, siamo riusciti ad allontanarci dalla mandria. Stavamo ritornando a Terminus per aiutare la nostra gente, ma abbiamo visto che era già andato tutto in fumo. O sono morti o sono riusciti a fuggire.”

“Come hai fatto a scappare?”

Beth le raccontò tutto nei dettagli e la donna la ascoltò attentamente, anche se spesso chiudeva gli occhi. A un certo punto lo fece così a lungo che Beth pensò che fosse morta.

Quando finì il racconto, li riaprì e guardò attraverso le sbarre della cella.

In fondo alla stanza, Daryl era seduto a terra, curvato sulla sua gamba ferita per medicarsi. Ogni tanto si girava a guardarle per pochi minuti, ma non era abbastanza vicino per sentirle.

“Se non puoi fare l’assassina, devi trovare qualcuno che ti protegga. Ho capito perché stai con lui.”

No, non puoi capirlo.

Pensando al lato dolce che Daryl nascondeva, rimase in silenzio. Quella donna poteva pensare ciò che voleva di loro, tanto a breve sarebbe morta e, anche se avesse provato a spiegarglielo, dubitava che avrebbe capito.

Agitandosi più di prima, la dottoressa si coprì gli occhi con le mani insanguinate e trattenne un gemito con una smorfia di dolore, ma non poté frenare un lamento straziante che fece svegliare Judith. Guardando la bambina, cercò di calmarsi e di soffocare i singhiozzi con le proprie mani.

“Siamo andati troppo oltre...”, mormorò, “alla fine, non siamo stati freddi quanto bastava… Alcuni di noi l’hanno dovuto fare, ma siamo andati troppo oltre...”, parlava tra rantoli silenziosi. “E’ stata la nostra penitenza… la nostra penitenza...”

Respirava sempre più profondamente. Beth afferrò la sua mano, stringendola forte, ma la sentì ritrarsi. Gli ultimi suoi respiri somigliavano a dei fischi lenti, mantenne quello sguardo perso nel vuoto, fin quando il suo corpo si arrese.

Non si sorprese del fatto che Daryl provò ad aiutarla a portare il cadavere fuori.

Mostrandogli tutta la sua stanchezza, gli ordinò di restare dov’era, ce l’avrebbe fatta da sola. Lui obbedì, ma quando la vide mentre trascinava via il corpo con difficoltà, spostò le scrivanie dalla porta.

Volevano portarla nel parcheggio, pugnalarla alla testa e poi bruciarla.

Non sembrava che fosse già trascorsa tutta la notte, ma Beth notò che la luce dell’alba cominciava a invadere lo spazio attraverso le finestre sbarrate. Se non fosse stata così stanca, avrebbe notato il primo segnale che qualcosa non andava: lo spazio tra le porte anteriori si era leggermente allargato. Appena lo spazio fu sufficiente, tre coppie di braccia in decomposizione spuntarono fuori dalla fessura.

“Daryl!”, strillò, inciampando all’indietro.

Nella caduta, un vagante afferrò un lembo della sua maglietta, che per sua fortuna si strappò. Allora, le braccia di quello stesso vagante strinsero le spalle della dottoressa, tirandola verso di sé, mentre un altro le afferrò i capelli. Il primo volto putrefatto si avventò su di lei, mangiando con ingordigia quella carne appena scaduta.

Daryl la raggiunse e si appoggiò con tutto il suo peso sulle porte per chiudere i vaganti fuori, mentre Beth si alzò e spinse il corpo della donna verso di loro, poi rimisero le scrivanie al loro posto prima che i vaganti cominciassero a spingere.

“Dovremmo andarcene?”, gli chiese.

I vaganti non provarono ad aprire la porta perché erano distratti dal loro pasto, ma una volta consumato ci avrebbero provato?

Daryl zoppicò verso la finestra più vicina e sbirciò tra le tegole di legno con cui qualcuno l’aveva barricata.

“Per ora sono solo sei, ma potrebbero essercene altri ad unirsi a loro. Occupiamocene.”

Guardando dubbiosa la sua gamba, ma dando ascolto alla sua parte razionale, annuì. Abbattere i vaganti in quel momento sarebbe stato più facile di correre alla ricerca di un altro rifugio.

Beth aspettò che lui le dicesse cosa fare, ma sembrava aver perso momentaneamente l’uso della parola. I suoi occhi erano scivolati più di qualche centimetro in basso rispetto al suo viso. Guardandosi, si ricordò del vagante che le aveva strappato la maglietta e ora la sua polo gialla era dotata di una profonda scollatura.

Non che sentisse la differenza, era così umida che era come se non l’avesse addosso, ma si sentì subito avvampare per aver mostrato così tanto la sua pelle. Quindi, piegò i lati della parte strappata nel tentativo di coprirsi almeno il reggiseno.

“Noi… ne troveremo un’altra più tardi”, disse facendole cenno di seguirlo.

Uscirono dal retro, approfittando della loro momentanea distrazione. In breve tempo i sei vaganti davanti alla porta principale erano diventati otto, ma Daryl non sembrò preoccuparsene, trasmettendo a Beth un po’ di coraggio. Si misero schiena contro schiena, armati solo di lame per non attirarne altri, dato che anche solo in otto sarebbero riusciti a sfondare l’ingresso.

Uscirono allo scoperto così velocemente che solo tre vaganti si accorsero subito di loro. Daryl ne decapitò uno con la katana di Michonne e trapassò la testa di un altro, Beth pugnalò quello più vicino.

Restando schiena contro schiena, si prepararono per affrontare tutti gli altri, ma, mentre stavano per muoversi, sentirono il rumore di uno sparo.

Daryl si mise davanti a Beth, portandola di nuovo a riparo. In soli quattro secondi vennero sparati altri tre colpi, che uccisero rispettivamente tre vaganti. Accadde lo stesso con gli ultimi due.

I loro occhi cercavano gli uomini armati.

“Là!”, Daryl indicò il campanile della vecchia cappella, dove una figura alta e scura si distinse nella luce dell’alba e alzò la mano in segno di saluto.

Strinse il braccio di Beth e continuò a indietreggiare, ma la figura nel campanile era già svanita.

“Che significa?”, gli chiese appena poterono prendersi un attimo per respirare.

Lui non le rispose finché non rientrarono nella stazione di polizia e barricarono di nuovo la porta alle loro spalle.

“Spero nulla. Avrebbe potuto spararci, ma non l’ha fatto. Magari era solo il suo modo di mostrarsi, sprecare un paio di proiettili per farci capire che non siamo soli. Se è una delle tue brave persone, potremmo aver ottenuto un vicino di casa.”

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Capitolo 16
*** Silenzio ***


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Angolo traduttrice:
So che questo capitolo è breve, credo lo sia perché è essenzialmente un capitolo di passaggio, nel prossimo ci saranno più novità.
Proprio per questo, cercherò di pubblicare il prossimo domani stesso!
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite/preferite e chi ha recensito, mi fa molto piacere che apprezziate questa storia e la mia traduzione, davvero!
Detto ciò, baci e
 buona lettura! :)
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SILENZIO

 

 

Nella piccola cucina all’interno della stazione di polizia avevano trovato un po’ di tazze, ciotole e un pentolone. Utilizzando l’acqua della caldaia, poterono finalmente spogliarsi dei loro vestiti e lavarli, e magari lavarsi.

Daryl rimase accanto a Beth e Judith anche nelle docce, ma sistemò un tavolo tra loro per dividersi lo spazio e, ovviamente, si lavarono di spalle. A Judith non piaceva l’acqua fredda, ma non potevano farci nulla. Beth cercò di renderglielo più sopportabile stringendola a sé, ma continuava a lamentarsi e a gridare per il freddo.

Dopo averla pulita fino all’ultima goccia di sangue, l’avvolse in una delle due coperte che avevano trovato nei mobili della cucina. Judith giocava allegramente con i suoi capelli mentre lei rabbrividiva, poiché aveva lasciato che la sua pelle si asciugasse all’aria. I lividi sul torace sembravano essere peggiorati a causa di tutti gli sforzi delle ultime ventiquattro ore. Anche la mano pulsava, ma se l’avesse tenuta fasciata correttamente, non le avrebbe dato altri problemi. Prima o poi sarebbe guarita.

Si sedette per terra a gambe incrociate, completamente nuda e con la bambina in braccio, avvolta nella coperta. Guardò la luce che entrava dalle finestre sbarrate diventare sempre più intensa.

Dall’altro lato del tavolo, Daryl si alzò, girandosi di spalle non appena si tolse la coperta. Ancora una volta, Beth non poté fare a meno di guardare. Lui aveva rispettato la sua privacy, ma lei non riuscì a fare lo stesso. Si chiese addirittura se anche lui avesse desiderato guardarla. I tatuaggi e le cicatrici si vedevano meglio una volta che il sangue e il fango erano stati lavati via. Questo le ricordò quanto sangue aveva perso e che non aveva ancora avuto il tempo di riposare. Senza neanche provare a girarsi per guardarla, uscì.

Avvolgendosi a sua volta nella coperta, Beth riportò Judith nella cella. Il seggiolino era troppo sporco di sangue per essere utilizzato come culla ora che la bambina era pulita, così l’adagiò in una scatola di cartone che aveva trovato nell’ufficio amministrativo, avvolgendola meglio nella coperta in modo che non le risultasse troppo scomoda. La piccola era così esausta che le si chiusero gli occhi appena l’appoggiò nella scatola.

Daryl era ancora in piedi, intento a fissare il letto fai-da-te che lei aveva creato semplicemente ammassando più coperte a terra e mettendoci sopra qualche cuscino rubato dal divano che era nell’ufficio. Capì subito il perché di quell’espressione dubbiosa: dopo la prigione, avevano sempre dormito a turno e, soprattutto, vestiti.

Volendo dire qualcosa per spezzare la tensione, pensò di dirgli che erano entrambi esausti e che avrebbero dovuto dormire entrambi, ma non disse nulla, anzi, si morse il labbro inferiore ammettendo a se stessa che dormire al suo fianco era un’idea allettante. Anche se c’era Judith e anche se erano a pezzi, per un attimo il pensiero di far cadere la coperta che aveva addosso la sfiorò, solo per vedere cosa sarebbe successo. Ma sapeva di non avere il fegato per farlo.

“Dovresti stendere quella gamba”, gli disse, dopo aver tirato un respiro profondo. “Dai, stenditi, ti prendo un po’ d’acqua.”

A parte la carne essiccata altamente sospetta, la dottoressa si era portata anche un certo numero di barrette proteiche, un sacchetto pieno di cereali e un litro d’acqua.

Insieme al cibo per Judith, Beth portò tutto nella cella. Daryl finalmente si era steso sul loro pseudo-letto, con la schiena appoggiata alla parete. Maldestramente, gli passò con una mano l’acqua e il cibo, mentre con l’altra manteneva la coperta stretta su di sé. Si sedette accanto a lui e, sentendo per la prima volta dopo ore le fitte al fianco, sussultò.

Daryl era rigido, per lui quella situazione non era per niente rilassante. In realtà, Beth inizialmente aveva pensato di creare due letti separati, ma allo stesso tempo voleva che fossero vicini. Per il bene delle sue costole, tentò di stendersi su un fianco il più lentamente possibile, poggiandosi la testa su un braccio.

“Cosa facciamo?”

Lui rimase pietrificato. “Eh?!”

“Col nostro vicino”, precisò lei.

“Mh”, aprì il pacchetto della barretta proteica con i denti. “Per il momento niente. Continueremo a fingere che non ci sia fin quando non cambia qualcosa.”

Annuendo, Beth concordò che forse era la cosa migliore da fare. Non era il caso che si adagiassero troppo, ma se l’uomo nella cappella era una sorta di residente fisso, si sarebbe dovuto preoccupare del fatto che loro erano arrivati lì a prendersi ciò che di fatto era suo. Ammesso che non volesse far loro del male, poteva anche essere che non gli importava della loro presenza.

“Stavo pensando che dovremmo rimanere qui per un po’...”

Beth si sentiva sempre di più a suo agio ogni secondo che passava, l’imbarazzo che prima la bloccava stava gradualmente svanendo e dovette trattenersi dalla voglia di accarezzargli la spalla.

“...Finché non saremo di nuovo in forze. Poi continueremo a cercare Rick e gli altri. Solo che non abbiamo idea di dove stiano andando.”

“Abraham e il suo gruppo erano diretti a Washington. Andremo anche noi in quella direzione, magari li incontreremo strada facendo o troveremo qualche loro traccia. Più ci muoviamo, più possiamo avvicinarci a trovarli.”

Era esattamente quello che dovevano fare, il tono di Daryl le fece capire che sperava davvero di poterli trovare. Bevve metà dell’acqua in un unico sorso, ma non mangiò molto, anche se lei era sicura che stesse morendo di fame. Evidentemente, aveva pensato che forse più tardi non avrebbero avuto abbastanza cibo.

“Tu… ho visto dei brutti lividi prima.”

Quelli sul torace?

“Mi hai guardata”, disse lei sorridendo, senza riuscire a combattere il rossore sulle guance.

“Sì, l’ho fatto”, mormorò. Fece un altro sorso d’acqua senza guardarla negli occhi. “Quando siamo arrivati, ho visto uno studio veterinario. Magari c’è un po’ di DMSO, quella roba per i cavalli. Non è proprio la cosa migliore, ma...”

“Potrebbe aiutare”, realizzò Beth. Lo usavano alla fattoria per i loro cavalli. Non aveva mai pensato di utilizzarlo su una persona, ma poteva funzionare. “E’ una buona idea, possiamo andarci domani.”

Non dormiva nel vero senso del termine da quando stavano all’obitorio, escludendo le poche ore di riposo che si era concessa durante la prigionia a Terminus. Per Daryl sembrava lo stesso, infatti fu più veloce di lei ad addormentarsi. Ogni tanto, Judith piangeva e Beth scivolava via dal loro letto per prenderla in braccio, nutrirla e cullarla fuori dalla cella. Cercò di essere veloce e silenziosa ogni volta per non svegliarlo. A causa dei farmaci che stava prendendo e per la stanchezza, rimase a letto tutto il giorno e anche tutta la notte seguente. Beth divise il suo tempo tra la bambina, la ricerca di altre risorse in giro per l’edificio e poi ogni tanto controllava i loro vestiti, finché non si asciugarono del tutto e poté rivestirsi.

Gli omogenizzati stavano per finire e quasi non avevano neanche più cibo per loro. Potevano bere l’acqua della caldaia, ma avevano bisogno di trovare delle provviste al più presto.

Quando si rimise a letto, Judith dormiva beatamente appoggiata al fianco di Daryl. Beth si fermò a guardare il movimento del suo ventre. Non avrebbe mai lontanamente immaginato di dormire nello stesso letto con Daryl Dixon nudo in una cella di una stazione di polizia in una città senza nome. Anche al buio, poteva vedere che il suo colorito era ancora pallido e che a volte era così immobile che la preoccupava, ma respirava.

Il mattino seguente, Beth e Judith si svegliarono insieme grazie alla luce dell’alba. I capelli della bambina stavano iniziando a diventare lunghi, ma riuscì a trovare un paio di forbici nei cassetti di una delle due scrivanie, in modo da poterglieli spuntare un po’.

“Stai diventando grande”, le sussurrò, “dobbiamo trovare tuo padre prima che inizi a parlare e camminare.”

Le fu grata per non aver pianto tanto, quel giorno. Dopo averla fatta mangiare, si riaddormentò e Beth la rimise nella scatola di cartone. Rimase venti minuti buoni appoggiata alle sbarre della cella a guardare la luce che illuminava tutto l’ambiente. Incapace di aspettare ancora, s’infilò i suoi stivali e andò nell’edificio amministrativo, alla ricerca di carta e penna. Daryl doveva rimettersi in forze, ma lei non ce la faceva più a dormire due ore alla volta. Tra l’altro, avevano bisogno di cibo e di vestiti nuovi. Anche se non fosse riuscita a trovare tutto quello che gli serviva, almeno avrebbe controllato i due negozi a un paio di isolati dalla stazione e poi sarebbe ritornata dentro.

Trovò una banconota da venti dollari in fondo a un cassetto e la strappò a metà. Su un pezzo scrisse una piccola lista e sull’altro una nota a Daryl, nel caso si fosse svegliato. Judith probabilmente avrebbe dormito sogni tranquilli per un’altra ora e sarebbe stata velocissima a tornare.

Era meglio che Daryl non sapesse che era uscita.

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Capitolo 17
*** Vicini ***


VICINI

 

 

 

L’ultima cosa che Beth aggiunse alla lista furono dei fiammiferi, per liberarsi di tutti quei vaganti che infestavano il parcheggio. Ma, prima di bruciarli, avrebbero dovuto portarli lontano dal loro rifugio, in modo da non attirarne altri.

Aprì la porta del retro della stazione di polizia, con una mano manteneva una pistola, con l’altra un pugnale. La sua maglietta strappata era pulita e ancora scollatissima, ma non poteva farci nulla.

La zona era deserta, quindi uscì fuori, spostando alcuni bidoni davanti alla porta. Non avrebbero impedito ai vaganti di entrare, ma almeno li avrebbero rallentati e avrebbero fatto rumore quanto bastava.

Quando raggiunse l’ingresso principale, si rese conto che c’era qualcosa che non andava: c’erano ancora le macchie di sangue sull’asfalto, ma i corpi erano scomparsi. Rimase a fissare quello spazio per un po’, finché non sentì il rumore di una pala che colpiva il terreno in lontananza. Preparando la pistola e tenendola alta, seguì quel rumore fino alla cappella.

Il loro vicino era nel cortile della cappella a scavare tombe. Abbassò la pistola e lo osservò. Era alto e magro, vestito completamente di nero. Non interruppe il suo lavoro, ma sapeva che l’aveva sentita arrivare. Come Daryl, alzò la mano per salutarlo.

Lentamente, smise di scavare e ricambiò quel saluto gestuale, senza dire nulla e senza avvicinarsi. Come le aveva suggerito Daryl, il fatto che li aveva aiutati con i vaganti non significava che volesse avere qualcosa a che fare con loro, e le stava bene. Era bello vedere che c’erano ancora brave persone in quel mondo, persone che si prendevano del tempo per seppellire i morti. Pensò all’obitorio, dove aveva pensato la stessa identica cosa e poi era caduta in una trappola.

Non dovevano stabilirsi là, sarebbero ripartiti per cercare Rick, Maggie e gli altri. Se quell’uomo non aveva intenzione di essergli amico, non sarebbe stato un problema.

Continuò la sua ricerca muovendosi per gli isolati rapidamente, con la pistola carica e lo sguardo attento, ma non c’era nessun pericolo. La città senza nome aveva avuto lo stesso destino di tutte le altre: prima devastata, poi saccheggiata e, infine dimenticata. Guardandosi intorno, smise di pensare che potesse esistere qualche posto nel mondo che si era salvato. Il mondo intero era perduto e le poche cose che erano riuscite a salvarsi erano comunque destinate a marcire con esso.

Lo studio veterinario di cui Daryl le aveva parlato era accanto a un bar che era stato incendiato, la maggior parte della sala d’attesa era andata in fumo e l’intero posto puzzava di muffa. A parte gli evidenti segni dell’incendio del bar accanto, quel posto sembrava non avesse mai avuto una storia, come se si fosse eclissata con esso dopo l’apocalisse. Ad ogni modo, riuscì a trovare il DMSO e altri medicinali che attirarono la sua attenzione. Li avvolse nella sua stessa maglietta, alzandola, e sperò di trovare anche una borsa o qualcosa di simile.

Dal lato opposto della strada, c’era un supermercato che probabilmente era già stato svuotato. I saccheggiatori erano stati così cortesi da assicurarsi che le porte fossero tutte chiuse. Si chiese se fosse opera dell’uomo della cappella.

Aprendone una, entrò con cautela nel negozio, fermandosi per ascoltare eventuali rantoli o lamenti dei vaganti. Non aveva molte finestre ed era in gran parte avvolto nell’oscurità. Goffamente, richiuse la porta alle sue spalle per evitare di essere raggiunta. Sembrava che fosse sicuro e non era neanche stato svuotato del tutto.

Si diresse prima nel reparto scuola, dove trovò uno zaino in cui riporre il bottino. L’abbigliamento era di pessima qualità, inamidato e dai colori slavati, sicuramente non l’avrebbe neanche guardato prima dell’apocalisse. Nonostante ciò, riuscì a trovare un paio di piccole canotte e una felpa con la cerniera per lei e alcune camicie che dovevano andare bene per Daryl. Si tolse la polo gialla strappata e s’infilò una canotta verde che in realtà, contro ogni pronostico, sembrava anche starle bene. Il reparto neonati era ancora ben fornito. Fece abbastanza in fetta e dopo un po’ cominciò a muoversi con tranquillità tra gli scaffali, senza preoccuparsi di dover uccidere qualche vagante. Ma un rumore improvviso proveniente dall’ingresso del supermercato la bloccò sul posto.

Accovacciandosi, strisciò verso lo scaffale più vicino, in modo tale da poter avere una visuale almeno parziale dell’ingresso. Un fascio di luce illuminò il negozio quando la porta si aprì e qualcuno entrò. A differenza sua, quella persona non si preoccupò di chiudere la porta o di barricarsi. Era un uomo e le sembrò che fosse solo. Era troppo piccolo e magro per essere l’uomo della cappella, ma le era comunque familiare.

Con la schiena ancora appoggiata allo scaffale e sentendolo muoversi nel negozio, si spostò per poterlo guardare meglio e una forte rabbia fu la prima sensazione a investirla. Era il ragazzo esile di Terminus, quello che era con loro nella jeep quando dovevano spingere la mandria fuori rotta. Si muoveva con calma e in silenzio, illuminava gli scaffali con una torcia e ogni tanto stringeva gli occhi, forse perché non ci vedeva poi così bene.

La prima cosa a cui Beth pensò fu quella di sgattaiolare fuori dal negozio senza essere vista, ma quel pensiero fu interrotto da un’inedita vocina nella sua testa.

Potrebbe non essere solo. Se Franco e i due fratelli sono nelle vicinanze, dovresti scoprirlo.

Avrebbe dovuto dirlo a Daryl e lasciare a lui la decisione. Sapeva che lui aveva intenzione di fermarsi un altro paio di giorni, ma se avesse saputo che loro erano nella loro stessa cittadina, avrebbe voluto andarsene immediatamente oppure avrebbe voluto ucciderli.

E’ solo e non sa che sei qui, è disattento.

Non poteva ucciderlo, e non voleva. Beth non era una persona vendicativa, ma se le cose non fossero andate per il verso giusto avrebbe dovuto fare qualcosa. L’unico problema era che non sapeva se poteva esserne capace. Non si era mai trovata in quella posizione, prima d’ora. Non era disperata, non era neanche la vittima. Questa volta era l’aggressore.

Delle corde abbandonate su uno scaffale attirarono la sua attenzione. Senza perdere ulteriore tempo, gli arrivò alle spalle, puntandogli la pistola alla testa.

Lo sentì irrigidirsi.

“Ti sparerò solo se mi metterai in condizioni di doverlo fare.”

Fece del suo meglio per mantenere la voce e la mano ferme. Senza neanche doverglielo dire, lasciò cadere il suo zaino, alzò le mani e si voltò lentamente. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di lei, si spalancarono insieme alla bocca.

Lei gli sorrise. Non era sicura di quello che avrebbe fatto, sperava non la costringesse a sparargli. Sentiva il suo cuore battere forte, ma era stranamente calma.

Pur mantenendo la stessa espressione terrorizzata, il ragazzo si lasciò andare a un piccolo ghigno privo di umorismo.

“Cazzo!”

 

------------------------

 

Lo sguardo di Daryl era furioso. Era sicuramente sveglio da molto tempo e si era anche preoccupato parecchio. La vide tornare da una piccola finestra, spostò la barricata dall’ingresso principale e aprì la porta. Lei lasciò cadere il nuovo zaino ai suoi piedi.

Daryl tremava dalla rabbia, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu stringerla forte a sé.

Il fatto che si era preoccupato così tanto per lei le spezzò il cuore.

Mi dispiace.

Tentò di far uscire quelle parole dalla sua bocca, ma lui la stringeva con troppa forza. Si era messo i pantaloni e gli stivali, ma non la maglietta rovinata. La teneva con la guancia schiacciata contro la sua spalla nuda, le mani di Beth riuscirono a sentire le cicatrici in rilievo sulla sua schiena e, involontariamente ci affondò le unghie.

“Mi dispiace”, gli sussurrò. “Sono stata stupida.”

“E’ successo qualcosa?”

Era ancora pallido, ma si era sicuramente rimesso in forze. Non sarebbe riuscita a liberarsi dalla sua stretta se avesse voluto, ma, ovviamente, non voleva.

“No, è tutto ok, era ancora...”

Lui la interruppe premendo le sue labbra contro quelle di lei, con molta più aggressività della prima volta. Portò una mano tra i suoi capelli biondi e li strinse leggermente, le loro lingue si cercavano con foga. Un impeto di euforia la imprigionò tra le sue braccia. Non era sicura di quello che stava facendo, ma il suo corpo sembrava esserlo. La bocca di Daryl scivolò sul suo collo e si fece scappare un gemito, seguito da un piccolo sussulto. Ma a un tratto indietreggiò, rialzandosi la canotta.

Un lieve cipiglio apparse sul volto implorante di Daryl, che con nonchalance si chinò a prendere lo zaino che lei aveva lasciato a terra, rialzandosi con un gemito di dolore e stringendo il ginocchio ferito.

“Devo andarci piano con te? Sii chiara, Greene.”

“No!”, Beth scosse la testa con decisione. “No, per favore. Non farlo.”

Poté sentire le sue stesse guance arrossarsi vistosamente, rendendosi conto che ai suoi occhi sarebbe apparsa come una stupida ragazzina imbarazzata.

Il suo sguardo si fece subito scettico, sembrava aspettarsi che lei gli dicesse che non voleva farlo così presto.

Era davvero pronta?

Fai qualcosa, saltagli addosso!

“Sono solo un po’… nervosa”, provò a convincerlo, anche se era certa di star tremando ancora. “Ma per me è ok, giuro… è che c’è anche dell’altro.”

All’interno della cella, Judith si lasciò andare a un lamento che poi sfociò in un pianto disperato.

“Anche lei era preoccupata per te”, mormorò.

“Dobbiamo portarla con noi”, sospirò lei, voltandosi per andare a prenderla.

“Portarla dove?”

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Capitolo 18
*** Il prete e il cannibale ***


IL PRETE E IL CANNIBALE

 

 

 

Aveva lasciato Randal legato al manico di un congelatore. Era una delle poche cose lì dentro ad essere inchiodata al pavimento. Aveva avuto modo di sapere che il nome del ragazzo esile era Randal e durante i quaranta minuti in cui era andata a prendere Daryl e Judith, non aveva neanche provato a liberarsi. Lo trovarono che apriva e chiudeva il freezer ripetutamente.

Beth camminava avanti e indietro con Judith in braccio, cullandola.

“Ho torturato un Randal, una volta”, gli disse Daryl accovacciandosi di fronte a lui. “Me lo ricordi un po’, probabilmente hai fatto parte delle sue stesse merdate.”

Afferrò il pugnale del loro ostaggio con due dita e lo osservò. Indossava una delle magliette che Beth gli aveva preso, una polo nera non proprio adatta a lui. Infatti, era sicura che presto avrebbe tagliato le maniche.

Randal sembrava sul punto di farsela sotto per la paura, come se avesse visto due fantasmi.

“Mi dirai che inizialmente non eri come loro, perché sapevi che non erano brave persone. Ma, andiamo, avevi bisogno di qualcuno, no? Scommetto che all’inizio non facevi quelle cose e non avevi neanche intenzione di farle. Ma poi le hai fatte.”

Grazie all’occhio nero, la sua espressione sembrava ancora più minacciosa. Lei non riusciva a vederlo sotto quel punto di vista, avendolo conosciuto. Ma sapeva che con gli sconosciuti, Daryl Dixon poteva diventare un angelo della morte.

Randal deglutì, e poi annuì. Alla fine, aveva più fegato di quanto si aspettasse. Non li aveva supplicati di risparmiargli la vita. Aveva paura, ma sembrava anche stranamente rassegnato.

“Non hai più la stessa faccia di quando eri lì.” Daryl girò la lama del coltello dietro al polso. “Sto pensando che sei da solo e che non stai tornando a Terminus. Ho ragione?”

Il suo viso sbiancò non appena nominò Terminus.

“La jeep si è fermata circa a un miglio da casa. Ci siamo imbattuti in un gruppo più piccolo che cercava di riunirsi alla mandria. Andrah… l’abbiamo persa. A quel punto, abbiamo sentito gli spari, le esplosioni e abbiamo visto il fumo dell’incendio. Non aveva alcun senso. La mandria ci avrebbe messo ancora un’ora ad arrivare, ma sentivamo che qualcosa non andava. Franco era in panico. Siamo rimasti fuori e io sono scappato via da loro appena ho potuto.”

“Perché sei scappato?” Daryl faceva dondolare il pugnale su e giù. Per Beth era un semplice movimento involontario, irrequieto, ma Randal lo trovò sicuramente snervante. Infatti, non staccava gli occhi dalla lama.

“Hai visto quegli uomini. Chi di noi quattro, secondo te, sarebbe diventato per primo cibo per zombie?”

“Cibo per cosa?!”, Beth fece appoggiare Judith contro la sua spalla.

Randal alzò gli occhi verso di lei. “Zombie. Mio nonno… cioè, suo nonno gli raccontava tutte quelle storie sui morti e… non importa.”

“Noi li chiamiamo vaganti”, sbuffò Daryl.

“In ogni caso, non ci avevano mai creato grandi problemi a Terminus”, disse scrollando le spalle.

“Non ti sarebbe piaciuto restare con la tua gente?”

“Non l’ho fatto perché stando con Franco avevo le stesse probabilità di sopravvivenza che avrei avuto a starmene qui fuori da solo”, confessò con un sospiro.

“E non potevi tornare a Terminus?”, gli chiese Beth, distratta da una ciocca di capelli di Judith più lunga delle altre. Avrebbe provveduto più tardi.

Guardando il pavimento, Randal scosse la testa. “No. Stavo già pensando di andarmene, ma dopo quello che era successo Franco diceva che ne avrei subito le conseguenze. Quell’uomo è un idiota, ma penso che sapesse qualcosa a riguardo.”

“E come sei finito a pensare di lasciare un rifugio sicuro?”, chiese Daryl freddo.

“Ero lì solo per Alex. Ci eravamo incontrati all’inizio dell’apocalisse. Mi ha sempre protetto. Ma, qualche giorno fa, Mary gli ha sparato.”

Annuendo, Daryl aggrottò la fronte. “Sì, mi ricordo di quel ragazzo.”

“Eravamo sotto delle regole rigide e severe, ma è così che doveva essere, no?”, la sua voce tremò, tentando di autoconvincersi di ciò che stava dicendo. “E’ così che funziona il nuovo mondo.”

Daryl stava incidendo qualcosa nel pavimento col coltello, facendo rumore. Così, Beth si allontanò con Judith, ma era ancora vicina da sentirli.

“Come diavolo vi siete salvati da quella mandria?”, chiese poi il ragazzo dopo un lungo silenzio.

“Non ho ancora finito. Sto solo pensando.”

Daryl si appoggiò al congelatore dal lato opposto al suo, continuando a guardarlo con freddezza.

Agli occhi di Beth, Randal sembrava scosso, come se non fosse stata la prima volta in cui si trovasse in quella situazione. Il pensiero di ucciderlo la faceva stare male, ma sapeva che era una possibilità. Dovevano pensare a ciò che era meglio per loro stessi e, soprattutto, per Judith.

Il ragazzo si voltò, in modo da guardarla passeggiare avanti e indietro con la bambina in braccio.

“Lei è tua?”

Il modo in cui aveva esitato prima di chiederglielo la incuriosì. Con la coda dell’occhio, notò Daryl che lo guardava in cagnesco.

“E’ tua figlia?”, ripeté.

In tutta risposta, Beth lasciò un lungo bacio sulla fronte di Judith.

“Brady era sicuro che tu fossi vergine”, ridacchiò, poi tornò serio e terrorizzato quando incontrò lo sguardo di Daryl. “Non ho nulla contro di voi per averlo ucciso.”

“Potrebbe essere mia.”

Beth decise di fermarsi là. Randal era già abbastanza nei guai.

“Presto, sarà la mia bambina.”

“E’ questo il guaio, Randal.” Daryl posò il coltello, permettendo al loro ostaggio di tirare un sospiro di sollievo. “La cosa più giusta da fare sarebbe spararti in testa. O meglio, pugnalarti alla testa. Non ho intenzione di sprecare proiettili.”

Il ragazzo, guardandolo negli occhi, si pietrificò. Era terrorizzato e li stava implorando con lo sguardo.

“Il problema è che se ti lasciassimo qui, potresti crearci non pochi problemi.”

“Non sono una minaccia per voi! Cazzo, non lo sono per nessuno!”

“Forse no”, ammise. “Ma non sono sicuro mi piaccia l’idea di condividere la stessa città con te. Potrai anche essere una fichetta, ma sei sopravvissuto facendo cose orribili alle altre persone.”

“E tu come sei sopravvissuto così a lungo?”, alzò il tono di voce in preda alla disperazione. Non riusciva a immaginare di sopravvivere senza compire azioni terribili.

“Beh, sicuramente non facendo il cannibale”, rispose Daryl con una tranquillità che non trasmetteva nulla di buono.

L’espressione di Randal divenne seria e rigida. Fu il primo accenno di forza che videro da parte sua, ma non riuscì a mantenerla. Dopo poco distolse lo sguardo da quello di Daryl.

“Non è come pensi.”

“Io penso che quella merda sia davvero raccapricciante.”

Mentre li ascoltava, Beth sentì il suo stomaco dolere per la fame. Sperò di poter trovare qualcosa da mangiare sugli scaffali vicini. Prima che potesse fare più di due passi, sentì la porta d’ingresso aprirsi. Non era un vagante, perché il rumore non era stato pesante e, inoltre, non sentiva alcun lamento. Erano passi normali. Sentì anche la porta richiudersi e chiamò subito Daryl.

Alzandosi rapidamente, le porse la sua pistola.

“Sparagli se prova a fare qualcosa.”

Con la bambina in braccio e la pistola puntata su Randal, attese in silenzio che Daryl tornasse con chi li aveva interrotti.

Beth si rilassò, riconoscendo la figura da lontano.

“E’ l’uomo della chiesa.”

“Chiesa?”, mormorò Randal, ma lei lo zittì.

“Hai detto che è l’uomo della chiesa?!”, insistette alzando la voce.

Avrebbe dovuto sparargli per come stava urlando, ma invece annuì, rispondendo alla sua domanda.

“Padre Gabriel”, ringhiò. “Uccidetelo.”

“Ciao! So che siete qui, vi ho visti. Non sono qui per farvi del male, voglio solo parlare. Voglio convincervi a non uccidere Randal”, gridò il prete mentre si faceva strada tra gli scaffali del supermercato.

“Conosci quell’idiota?”, gli urlò Daryl a sua volta, facendo cenno a Beth di allontanarsi dal ragazzo.

“Sì. E qualsiasi cosa abbia fatto, mi prendo io le responsabilità. Ma non fategli del male.”

“Uccidete quel bastardo!”, li interruppe Randal. Non era più in sé, ma c’era molto di più oltre lo sguardo omicida. C’era della sofferenza, nel modo in cui lo guardava.

Mentre si allontanava, Beth sentì Judith agitarsi, così accelerò. Era meglio che ne restasse fuori, per proteggere la piccola da eventuali spari.

“Mi sta dicendo di farti fuori!”, continuò Daryl.

Padre Gabriel continuò a camminare, fino a che non individuò la loro posizione. Si avvicinò con le mani alzate, ma impugnava comunque il fucile da caccia.

“Questo non mi sorprende.”

“Lo farò io!”

Randal si alzò in piedi goffamente, cercando di raggiungere con la mano libera la pistola di Daryl, il quale si limitò a spostare lo sguardo dall’uomo al ragazzo.

“Sono cresciuto qui”, disse, provando ancora ad arrivarci.

Daryl era lontano, ma lo guardava con disgusto.

“Facevo parte della congregazione di padre Gabriel. E quando tutto è andato a puttane, sapete quest’anima pia che cazzo ha fatto?!”

Anche a distanza, Beth poté vedere l’espressione sofferta del prete. Ma lui non fece nulla, lasciò che continuasse a portare i suoi peccati allo scoperto.

“Un gruppo di noi corse verso la cappella per rifugiarsi, ma lui si era già barricato dentro e aveva già messo trappole ovunque. Mentre se ne stava rintanato là dentro al sicuro, noi cercavamo di entrare e molti miei amici sono stati fatti a pezzi!”

Randal scoppiò in un pianto selvaggio. Disse anche altre parole, ma a causa dei suoi singhiozzi furono incomprensibili.

Padre Gabriel ebbe il coraggio di avvicinarsi ancora, teneva alto il suo fucile, anche se l’atmosfera lì dentro non sembrava quella da scontro con armi da fuoco.

“Era quello che mi aspettavo”, rispose il prete visibilmente scosso dalle sue parole.

Girò il fucile al contrario in modo tale che la canna puntasse sulla sua fronte e azzerò le distanze tra lui e Randal, in modo tale che potesse premere il grilletto.

“E’ la mia penitenza. Ho seppellito i cadaveri del mio gregge uno dopo l’altro. Tu sei l’unico sopravvissuto e ora la mia vita può anche finire per mano tua, se è quello che ti serve.”

Anche se pensava che non sarebbe andato fino in fondo, Beth coprì comunque le orecchie di Judith, per precauzione. Attese, ma dopo qualche secondo di tensione, si rese conto che aveva ragione: la sua stretta sul fucile si allentò e lo fece cadere a terra.

“Toccante”, dichiarò Daryl infastidito. “Ora non ho più un solo problema, ma ben due! Avevo intenzione di restare qui a riposare, ma credo che non ne varrà la pena.”

“Non ti causerò alcun problema”, disse il prete, scavalcando con la sua voce i singhiozzi di Randal. “Concentrati sulla tua ragazza e sulla vostra bambina. Lo terrò io d’occhio, se temete che possa darvi fastidio. A meno che non mi uccida. In tal caso, vi porgo adesso le mie scuse.”

Vedendo che Beth stava tentando di riavvicinarsi, Daryl le fece cenno di fermarsi e lei obbedì.

“Senza offesa, ma abbiamo seri problemi di fiducia. Non fraintendermi, so che potrebbero ancora esserci brave persone in questo mondo e spero che tu sia una di queste, ma, credimi, so per certo che l’ultima pecorella del tuo gregge è un gran pezzo di merda.”

“Vi ha fatto del male?”

Il prete lanciò un’altra occhiata a Randal.

“Già”, borbottò Daryl.

Randal cercò di calmarsi, ma non riusciva a smettere di singhiozzare, mentre gli altri due discutevano sul suo destino.

“Volete vendicarvi?”

“No. Cerchiamo solo di evitare che ci faccia ancora del male e di ritrovarmi a pensare: ‘ma perché diavolo non ho imparato niente dalla prima volta?’ Mi capisci, padre?”

“Ho capito.” Padre Gabriel sembrò pensarci su per un attimo. “Non sono sicuro che questa sia l’unica soluzione. Magari possiamo provare a fidarci l’uno dell’altro, per il momento… Sai, c’è una vecchia culla in chiesa, ma me ne sono ricordato solo questa mattina. Avevo già pensato di lasciarvela fuori l’ingresso della stazione di polizia.”

Rivolgendo prima uno sguardo cauto a Daryl, Beth si fece avanti, sorridendo al prete. Spostò Judith da una spalla all’altra e, goffamente, fece lo stesso con la pistola.

“Sarebbe bello. Dormiva in una scatola di cartone, fino alla scorsa notte.”

“Immaginavo”, padre Gabriel annuì. “So che non avete alcun motivo per accettare, ma la chiesa è dotata anche di altri servizi. Negli anni Cinquanta era tutto progettato in vista di possibili disastri e anch’io ho cercato di fare del mio meglio. Siete invitati a rimanere.”

Riponendo la sua pistola, Beth intrecciò le dita con quelle di Daryl, ma lui restò in silenzio a guardarla con un’espressione interrogativa. Voleva che partecipasse anche lei a quella decisione.

Padre Gabriel poteva essere un altro cannibale o comunque un assassino, ma lei ne dubitava. Aveva permesso che la sua congregazione finisse in pasto ai vaganti ed ora era disposto a pagare col sangue. Doveva essere consumato dal senso di colpa, non avrebbe fatto loro del male.

“Se ci fermeremo, non lo faremo comunque per molto tempo. Abbiamo delle persone da trovare.”

“Gli date la caccia?”, le chiese il frate, aggrottando le sopracciglia.

“No. Stiamo solo cercando di riunirci col resto del gruppo.”

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Capitolo 19
*** In una chiesa? ***


IN UNA CHIESA?

 

 

 

In poche ore, Beth poté notare la differenza sul suo torace, anche se la pomata puzzava terribilmente d’aglio.

“Questa roba è disgustosa”, si disse da sola continuando a massaggiarsi le costole.

Padre Gabriel stava preparando la cena, e Beth era sola nella camera da letto che il prete aveva sistemato per lei.

Appena si rimise la canotta, sentì il pianto di Judith rimbombare per tutta la chiesa.

Si precipitò in cucina, dove trovò Daryl, appoggiato al telaio, che osservava vigile il prete mentre cercava di calmare la bambina. Rallentò il passo e si fermò accanto a lui, il quale si voltò e le catturò lo sguardo.

“Sei una bambina così brava”, sentì sussurrare il frate mentre la cullava.

Randal era seduto al tavolo a guardarli, massaggiandosi nervosamente i polsi.

“Ripartiamo domani?”, sussurrò a Daryl.

Era ancora incerta sul da farsi, ma era da quando erano arrivati che stava pensando di ripartire il mattino seguente. Era in ansia per il resto del gruppo e notò che anche Daryl stava diventando irrequieto. Nonostante la sua gamba fosse ancora ferita, non sembrava volesse restare ancora a lungo e, dopo le ventiquattro ore di riposo che si era concesso, si stava riprendendo bene.

“Mmh”, annuì. “Come sta la tua mano? Le costole?”

“Le pomate stanno funzionando, credo. Ma ora puzzo di aglio… è disgustoso.”

“Nah, non lo è.”

Inaspettatamente, le lasciò un bacio delicato sulla bocca.

Beth si sentì scossa da un brivido e, per qualche secondo, gli accarezzò il petto, ricambiando il bacio con più foga.

Lui si staccò e, dopo aver appoggiato la fronte sulla sua, tornò a guardare la bambina.

“Possiamo andare...”, gli mormorò.

Voleva semplicemente portarlo in fondo al corridoio per potergli parlare lontano dalle orecchie del prete.

“Dobbiamo tenere d’occhio Judith.” Fece le spallucce, come per scusarsi.

Aveva sentito dire da qualcuno, una volta, che i bambini sono il miglior metodo contraccettivo esistente. Chiunque fosse stato a dirglielo, aveva davvero ragione.

Non avrebbe potuto combattere l’imbarazzo ancora a lungo.

“Voglio solo… è solo che padre Gabriel ha preparato una stanza per me e Judith… e un’altra per te. Non voglio che tu dorma lì da solo.” Fece un respiro profondo. “Vieni a letto con me.”

Daryl si guardava le mani. “Ci stavo già pensando.”

“Bene.”

“Intendo, stavo già pensando di dormire nella vostra stessa stanza”, si giustificò. “Non ti lascerò sola, Greene, specialmente quando dormi.”

“Io invece non intendevo dire questo.”

Prese la mano di Daryl tra le sue, portandosela sul fianco.

Lui deglutì, e finalmente la portò lontano dalla cucina per avere un po’ più di privacy. La sua gamba doveva stare molto meglio, dato che non zoppicava quasi più.

“Cosa c’è che non va? E’ perché pensi che abbia paura?”

Certo, il pensiero di perdere la verginità la rendeva nervosa, ma non era un problema, aveva intenzione di superarlo.

“E’ perché sono vergine? Posso imparare, dimmi cosa fare...”

Quando vide che aveva assunto un’espressione confusa, un mare di pensieri le balenò in testa.

“Ok, la smetto, però… non voglio sapere nulla di specifico, solo quanta esperienza hai.”

“Mmh… abbastanza?”

“Oppure… è perché non vuoi?”

Beth aveva capito che in parte aveva placato il suo conflitto interiore, però pensava ancora che potesse esserci la possibilità che lui non voleva stare con lei perché pensava che fosse troppo giovane.

“Certo che voglio, però dobbiamo andarci piano.”

“E’ la tua gamba?”

“Potrebbe dare fastidio, ma non è per quello. Ascolta, Beth, io non voglio rovinare tutto. E’ stupido voler fare tutto subito. Ora la cosa importante è che tu stia bene.”

“Te l’ho già detto, Daryl. Io morirò, un giorno.”

Scosse la testa. “Non dirlo”, ringhiò.

“E’ la verità. Non sono fatta per sopravvivere a lungo in questo mondo e tu non puoi rendermi immortale.”

“Cazzo, Beth! Non ti accadrà nulla. Non lascerò che succeda, non di nuovo!”

Daryl alzò così tanto la voce che Beth pensò che il prete si fosse affacciato nel corridoio per vedere che stava succedendo.

“Non hai lasciato che succedesse...”

Gli afferrò il polso, sentendo tutta la sua rigidità. Cominciò ad accarezzarlo.

“E’ successo e basta.”

Daryl strinse i pugni. Lei lo guardò negli occhi e riuscì a vedere tutta la rabbia e la paura che li infestava. Non le credeva, ma forse, se avesse continuato a dirglielo, avrebbe accettato la verità. Magari avrebbe potuto dargli conforto quando lei sarebbe morta e lui sarebbe rimasto l’ultimo sopravvissuto, in cima all’enorme cumulo di cadaveri che il mondo era destinato a diventare.

“Non devi sentirti in colpa per tutto, Daryl Dixon. Devi sapere che io morirò e che non sarà colpa tua. Mi hai sempre salvato la vita. Morirò, ma prima di tutto, voglio vivere.”

Lui smise di guardarla.

“Sono tua. Fammi essere tua.”

Con una mano dietro al suo collo, portò il viso contro il suo.

Daryl le baciò la fronte e poi portò la bocca dietro al suo orecchio.

“Con calma.”

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Capitolo 20
*** Sacrificare ***


SACRIFICARE

 

 

 

“Raccontatemi le vostre storie.”

Ovviamente, l’ospitalità di padre Gabriel aveva un prezzo. La cena fu silenziosa, la tensione si poteva tagliare con un coltello. Beth e Daryl si scambiavano degli sguardi, ma non dicevano nulla. Randal era ancora profondamente scosso e tormentato, non parlava e non guardava in faccia nessuno.

Il prete aveva preparato delle verdure a vapore raccolte dal giardino accanto al cimitero, purea di patate e pesce.

Judith era l’unica che sprizzava felicità da tutti i pori. Seduta sulle ginocchia di Beth, giocava col cucchiaio che padre Gabriel le aveva dato.

“La nostra storia è un po’… lunga e triste.”

Beth fece le spallucce, sperando che il prete potesse accettare quel gentile rifiuto, ma sapeva che avrebbe insistito in ogni caso.

Infatti, continuò a guardarla in attesa.

“La fattoria di mio padre non era stata colpita così duramente dall’apocalisse. Non sapevamo neanche quanto fosse grave la situazione, fin quando non ci siamo imbattuti in un altro gruppo, il gruppo di Daryl.”

Lo guardò dall’altro lato della tavola. Anche se stava guardando il vuoto, era certa che stesse ascoltando con attenzione la sua versione della storia.

“La madre di Judith era incinta e… suo padre, Rick, era il leader del gruppo. Da brava famiglia cristiana, pensavamo di averli salvati, di aver fatto un’opera di bene… quando eravamo noi quelli che avevano bisogno di essere salvati.”

Alzò lo sguardo e rise nervosamente. Conscia del fatto che era alquanto irrazionale essere così nervosi nel raccontare semplicemente la propria storia, sperò che Judith cominciasse ad agitarsi, in modo tale da avere una buona scusa per allontanarsi dalla tavola.

“Ci hanno difesi da una mandria e ci hanno aiutati a scappare. Alcuni di noi sono ancora vivi. Se fossimo stati da soli, tutta la mia famiglia sarebbe morta in quella fattoria.”

L’aveva pensato così tante volte, ma non l’aveva mai detto a parole. Incontrò gli occhi di Daryl, che la osservava attraverso la sua frangia incolta. Avrebbe voluto leggergli nel pensiero, oppure che lui potesse leggere il suo.

Sapeva quanto fosse convinta che le cose dovevano andare esattamente com’erano andate? Per quanto fosse orribile, quella era la loro vita e lei era grata di poter respirare ancora.

“Abbiamo vagato per molto tempo”, Beth sospirò. “Ma poi abbiamo trovato un posto che pensavamo potesse essere sicuro, per sempre. Una prigione. La recinzione era alta, c’era terra coltivabile e anche l’acqua… ma non è stato facile all’inizio. Abbiamo perso molte persone, tra cui la madre di Judith. Poi, per un periodo di tempo, è andato tutto bene, ci siamo potuti riposare. Ma, ovviamente, quel periodo è passato.”

Aveva raccontato la loro storia a voce atona, senza lasciarsi trasportare e senza scoppiare a piangere come invece aveva sempre fatto.

“E’ semplicemente passato.”

“La tua storia è la stessa?”, padre Gabriel si rivolse a Daryl, il quale era terribilmente a disagio.

Dopo aver pensato per un secondo di rifiutarsi di parlare, si schiarì la gola.

“Sì, fondamentalmente. Voglio dire, prima di trovare la fattoria ero col gruppo di Rick, ma prima che Rick arrivasse, era solo… un campo pieno di persone che sarebbero morte subito. Prima ancora, eravamo solo io e mio fratello Merle. Io però non ricordavo che il nostro arrivo alla fattoria sia stata una specie di benedizione per voi. Sembrava più che avessimo incasinato il vostro piccolo mondo per un po’.”

“Ne avevamo bisogno.” Beth sorrise lievemente.

“Siete rimasti solo voi tre?”

“No, la nostra gente è lì fuori”, rispose Daryl. “La troveremo.”

Fu colpita da tutta quella sicurezza nel parlare di Rick e gli altri. Il suo tono era l’opposto di quello di circa due settimane prima. Non poté fare a meno di sorridere.

“Tocca a Randal.”

Padre Gabriel si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia, come se si stesse preparando psicologicamente a quello che stava per ascoltare.

Con estrema lentezza, Randal spostò lo sguardo sul prete e cominciò a fissarlo.

“Dopo aver lasciato la città, cosa ti è successo?”

Randal non aveva mangiato come gli altri. Non aveva toccato neanche una briciola di quello che gli era stato offerto, né aveva bevuto un sorso d’acqua. Spostò il piatto davanti a sé e, tirando un respiro profondo, si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia, imitando l’atteggiamento del prete.

“Alex mi ha visto sul ciglio della strada e, accorgendosi che non ero un vagante, mi ha dato un passaggio. Era ancora presto, c’era ancora la speranza in una soluzione, una cura, qualsiasi cosa. Eravamo a corto di benzina e ci siamo fermati al capolinea, dove tutti i treni s’incontravano. Col passare dei giorni, continuava ad arrivare sempre più gente. Non siamo stati i primi, ma quasi, e non siamo diventati subito un gruppo. Eravamo semplicemente tante persone spaventate che stavano nello stesso posto e tentavano di aiutarsi tra di loro. Poi, abbiamo capito che il mondo era diventato così e che dovevamo sopravvivere. Abbiamo perso molte persone nel tentare di costruire la recinzione e di cercare provviste. Un giorno, quattro uomini sono arrivati al capolinea. Dicevano di essere malati e disperati, e noi li abbiamo accolti, perché era quello che facevamo sempre… Siamo stati così stupidi e ingenui. Ci sono voluti solo due giorni per capire quanto le cose stessero andando male. Ci hanno portati via, uno alla volta, e ci hanno uccisi. All’inizio, lasciavano delle note falsa, del tipo ‘Vado a cercare provviste vicino alla costa’ e cose così. Ci hanno derubati, hanno mentito e ci hanno abbattuti come se fossimo bestie e, quando ci siamo resi conto di quello che stava succedendo, era troppo tardi. Loro avevano le nostre armi, erano più forti, più brutali. Abbiamo perso così tante persone solo per uccidere quattro uomini. Alla fine ce l’abbiamo fatta. Nessuno di noi era un assassino o era propenso a diventarlo, ma l’abbiamo fatto e questa cosa ci ha cambiati, siamo diventati più forti e intelligenti. I più deboli erano morti, ma uccidendo i loro assassini abbiamo onorato i loro nomi.”

A che punto avete iniziato a pensare di fare i cannibali?

Beth non voleva interromperlo, ma provò un profondo disprezzo per chi aveva davanti. Lei e Daryl non erano scesi nei dettagli nel raccontare quello che avevano passato con Rick e gli altri, ma anche loro erano stati disperati. Anche loro erano stati violentati da quel mondo almeno una dozzina di volte, ma non era una giustificazione per diventare disumani come la gente di Terminus.

“Poi sono iniziati i sogni”, continuò Randal, a tratti esitando. “E’ iniziato tutto da Mary. Diceva di aver sognato di parlare con Dio. Gli aveva chiesto il perché di tutto questo e lui le ha risposto che i morti sono risorti a causa nostra, a causa dei nostri peccati. I superstiti hanno la possibilità di redenzione, però devono offrire dei sacrifici. Molte altre persone hanno iniziato ad avere questi sogni, era come se fossimo tutti alla ricerca di una risposta, indecisi su cosa fare, chiedendoci cosa volesse il mondo da noi.”

A disagio, strinse le sue dita intorno alla catena d’argento che portava al collo, con gli occhi sempre più umidi.

“Ma sapevamo già cosa voleva il mondo da noi. L’avevamo visto, voleva il sangue. Le persone deboli o troppo buone si sono trasformate e quelle rimaste, i sopravvissuti, quelli che erano abbastanza forti da arrivare al capolinea, sarebbero state le nostre offerte.”

“Quindi mi stai dicendo che sacrificavate le persone a Dio?”

Daryl non riusciva più a mantenere la calma, lo guardava come se fosse pentito di non avergli sparato al supermercato.

“Il sangue dei più forti”, disse Randal alzando la voce, “Pensavamo che...”

“Non c’è nessun dio che vuole il fottuto sangue di qualcuno.”

A Beth si contorse lo stomaco mentre ascoltava tutto quello che aveva detto Randal. Guardò il prete, aspettandosi di vedere un minimo di orrore nei suoi occhi, ma vide solo le lacrime che cercava di trattenere.

“E allora che vuole?”, chiese il ragazzo sospirando. “Il mondo è morto. Se non voleva che andasse così, allora Dio è morto con lui.”

Daryl scosse la testa incredulo. “E poi? Uccidevate le persone e quando vi siete trovati a corto di cibo avete solo...”

“Abbiamo solo fatto quello che andava fatto.”

Nervosamente, Randal si tolse la catena d’argento dal collo e la sbatté sul tavolo con una forza che fece spaventare Judith. Guardandola meglio, si accorsero che aveva un ciondolo a forma di croce sporco e appannato. Teneva gli occhi fissi su padre Gabriel.

“E’ colpa mia”, disse il prete con un sussurro.

Judith cominciò a piangere e Beth si alzò, tenendola stretta e cercando di calmarla.

“Ho distrutto la tua fede.”

“L’hai fatta a pezzi”, concordò il ragazzo, sputando veleno.

“Ho permesso che la sostituissi con qualcosa di malsano.” Il prete nascose il viso tra le mani.

Daryl, sospirando, si alzò dalla sedia. “Portiamo la piccola spaccaculi a letto?”

Beth annuì, alzandosi a sua volta. “Grazie per la cena, Gabriel.”

“Ce ne andremo domani mattina”, aggiunse il balestriere con freddezza.

La loro fu più una fuga che altro. Infatti lasciarono volutamente il prete e il cannibale da soli in cucina. Li sentirono gridarsi contro, ma per Beth fu difficile capire cosa si stessero dicendo con Judith che le piangeva in braccio.

Appena entrarono nella stanza e Daryl sbatté la porta, sentirono il primo vero urlo di rabbia e sembrava la voce di Randal. Anche questa volta non capì, ma le sembrò una bestemmia.

Per tutto il tempo in cui i due litigarono, Judith pianse. L’aveva lavata, cambiata e fatta mangiare, era anche stanca, ma non smetteva.

“Ti manca il tuo papà, non è vero?”, le ripeteva Beth. “So cosa si prova.”

Nel frattempo, Daryl entrava e usciva dalla stanza in continuazione e, anche se non sapeva se lo stesse facendo per andare a tentare di farli smettere, lei non gli chiese nulla.

Judith gridò uno dei suoi ultimi lamenti e tirò su col naso, guardando Beth dai cuscini della bellissima culla che padre Gabriel aveva trovato per lei.

“Stavo per dirti che ti stai facendo grande per piangere senza motivo… ma la verità è che ne hai fin troppi.”

Daryl rientrò quando l’atmosfera nella chiesa si fece più tranquilla. Evidentemente i due si erano divisi.

“Tra la piccola spaccaculi e quei due idioti che non hanno fatto altro che urlare come scolarette, non mi sorprenderei se fossimo attaccati da tutte le mandrie della Georgia.”

Si stese sulla massa di cuscini che Beth aveva adibito a letto.

“Ce ne sono molti fuori?”

Gli occhi di Beth guizzarono subito in direzione della finestra, ma non vide nessun vagante.

“No, il prete ha messo trappole abbastanza decenti intorno ai giardini. Potrebbero avvicinarsi solo all’entrata principale, da dove siamo entrati noi. Prima ce n’erano due, ma me ne sono occupato io mentre Gabriel e Randal continuavano la loro terapia di coppia.”

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Capitolo 21
*** Rinforzi ***


RINFORZI

 

 

 

Judith aveva pianto incessantemente, fino all’esaurimento, ma chi avrebbe potuto biasimarla?

Beth l’avrebbe voluta al sicuro, ben nutrita e felice a dormire in un lettino vero e proprio. Era così che doveva essere, com’era alla prigione. Al di là di tutto, sapeva che la cosa più importante per lei era stare con persone che l’amassero. In un certo senso, si era sentita più al sicuro quando erano solo loro tre nella cella di quella piccola stazione di polizia. Certo, erano in condizioni misere, soprattutto se messe a confronto con quella bellissima chiesa, ma il prete e il cannibale continuavano a renderla nervosa.

Non sapeva quanto avrebbe dormito quella notte. Voleva credere che Gabriel fosse un brav’uomo e che tenesse d’occhio Randal, ma non poteva esserne sicura. La loro sicurezza era troppo importante.

Daryl, invece, sembrava abbastanza tranquillo. Respirava profondamente e il suo corpo era visibilmente rilassato. Anche se, quando la vide sedersi accanto a lui, avvolse le braccia intorno alla sua vita e la tirò contro il suo petto.

Crollarono a terra insieme, abbracciati.

Beth inalò il suo odore, così buono e familiare. Prima l’odore di bosco, di pioggia e di terra bruciata poteva risultare pungente, ma ora che erano in quella chiesa e si erano lavati da poco era diverso. Sembravano persone normali, non più vagabondi alla ricerca di un rifugio, grati a loro stessi per non essere caduti nella trappola di qualche assassino per un altro giorno. Poteva ancora sentire le tracce di sangue e sporcizia provenienti da entrambi.

Il mento di Daryl era poggiato proprio sopra la sua testa, le mani sulla sua schiena. Le sue dita che le sfioravano la spina dorsale intensificavano i brividi che la stavano già scuotendo. Nel profondo, poteva ancora sentire la paura che l’aveva spinta a fermarsi quella volta nella piccola stazione, ma aveva intenzione di vincerla.

Aveva avuto abbastanza coraggio a parlarne con lui e le aveva detto che voleva fare le cose con calma. Quanto sarebbe stato difficile fargli cambiare idea?

Se fossero stati tranquilli, si sarebbero addormentati l’uno tra le braccia dell’altra, ma erano entrambi preoccupati dai loro coinquilini, e probabilmente non avrebbero dormito.

Beth non aveva voglia di dormire.

Aprì gli occhi e si ritrovò davanti i bottoni della polo di Daryl, ormai senza maniche. Non si era curato di abbottonarseli e quindi restavano scoperti, tra i lembi di stoffa, alcuni centimetri del suo petto. Lo baciò con delicatezza, poi con più determinazione. Lo sentì gemere e non le disse nulla, lasciò che continuasse a baciarlo anche sul collo, arrivò anche a succhiarlo leggermente in prossimità della mascella.

Sentì sempre di più il suo peso su di lei. Le sue mani le afferrarono i fianchi e si ritrovò sopra di lei. Le loro labbra s’incontrarono e la baciò così intensamente che dovette riprendere aria una volta che si staccarono. Le punte delle dita di lei gli scivolarono sulla pancia, per poi infilarsi nella cintura, in attesa.

Dopo essere rimasto qualche secondo a fissarla, la bloccò con entrambe le braccia, anche se i suoi occhi e il suo corpo dimostravano di desiderarla più di ogni altra cosa.

“Fermati.”

“Ti sto solo baciando”, disse Beth, cercando di assumere invano l’espressione più innocente possibile.

“No”, brontolò.

“Non sto facendo nulla.” Si morse entrambe le labbra nel tentativo di non sorridere.

“Col cazzo.”

Daryl si alzò, sollevando il suo cuscino da terra.

Ogni traccia di quel sorriso svanì quando pensò di averlo spinto a tornare nella sua stanza.

“Per favore, non...”

“Te l’ho detto, non ti lascerò da sola”, la interruppe mentre apriva la porta. Poggiò il cuscino fuori e si stese a terra. “Sarò qui fuori.”

Beth rimase a guardarlo per un po’, seduta con le ginocchia al petto. Non poteva lasciare che facesse così, tra l’altro non era neanche stanco a giudicare dagli sguardi che le lanciava.

Decise allora di avvicinarsi alla porta e Daryl sembrò quasi pietrificarsi come un cervo davanti ai fanali di un auto. Ignorandolo, si sdraiò con la testa sulla sua pancia. Allungando le mani sul suo petto, riuscì a sentire i battiti del cuore.

“Dormirò qui, va bene?” Gli sorrise.

“Farai la brava?”

“Sì.”

Con uno dei suoi soliti versi, Daryl le dimostrò che stentava a crederci.

I movimenti del suo respiro erano in sintonia con quelli di lei e i loro corpi si adeguarono a quel ritmo. Voleva sentire il calore di Daryl, voleva smettere di immaginarselo e basta. Beth pensava fosse stupido il fatto che si ostinasse a rifiutarla, quando lei stessa sapeva quello che provava. Così com’era stupido cercare una rassicurazione da parte sua, quando sapeva che era una persona che non dava molto peso alle parole. Si convinse a parlarne ancora, perché, per quanto fosse una situazione nuova e strana per entrambi, lei se la sentiva.

Daryl non smetteva di guardarla e Beth per un secondo si pentì di averlo raggiunto. Non voleva fargli notare che ci era rimasta male.

“Perché vuoi fare sesso, Beth?”

Quella domanda uscì inaspettatamente da quella semioscurità e, inizialmente, rimase in silenzio, paralizzata. Capì, dal suo tono, che dietro quella domanda c’era più preoccupazione di quanta se ne aspettasse.

Lui alzò leggermente la testa portandosi un braccio sotto di essa, per insistere nel guardarla, in attesa di una risposta.

“Perché… lo voglio?!”

Aveva davvero bisogno di una ragione?

“Hai ancora paura, lo vedo. Perché ti senti come se dovessi correre?”

Le sue guance diventarono rosse al pensiero dei tre ultimi giorni insieme. Ne sentiva l’urgenza e non lo metteva in discussione, non lo fece neanche quando ammise di essere nervosa al pensiero di andare a letto con Daryl.

Non si era sentita così quando usciva con Jimmy, nemmeno quando era rimasto l’ultimo ragazzo sopravvissuto tra quelli che conosceva. Non si era sentita così con Zach. Le era piaciuto conoscerli, provare ad amarli e poi, quando se n’erano andati, le erano mancati entrambi. Niente di più, niente di meno.

“Non ho la forza di volontà per restare in questa posizione ancora a lungo, capisci?”

Daryl deglutì sonoramente e spostò il braccio, facendo ricadere la testa sul pavimento. Aveva distolto lo guardo da quegli enormi occhi azzurri che lo osservavano dalla sua pancia per portarlo sul soffitto.

“Voglio che tu sappia che non andrò da nessuna parte. Non sentirti come se dovessi fare qualcosa per cui non sei pronta, pensando che ti debba insegnare io o cazzate del genere. Non pensare che devi sare con me perché poi domani saremo morti. Siamo sopravvissuti.”

Un bagliore giallo fece irruzione nella stanza dalla finestra. Beth scattò in piedi, seguita a ruota da Daryl. Era inconfondibilmente una luce proveniente da dei fanali.

Entrambi giunti alla finestra, scrutavano l’oscurità che ne seguì. L’auto era già passata, ma la videro svoltare nella strada più avanti e ritornare indietro per accostare accanto alla loro Saturn grigia.

Era una delle jeep militari di Terminus. Dal lato del passeggero, una donna snella e dai capelli corti aprì la portiera e scese dalla macchina. Il bagliore dei fanali catturò il suo viso.

“Carol?”, disse Daryl, non sapendo se credere a ciò che aveva visto o meno.

Beth corse più veloce che poteva verso l’entrata della cappella.

“CAROL!”, urlò per assicurarsi che non la scambiassero per un vagante e attraversò i giardini come una valanga, evitando tutte le trappole.

Sorpresa, Carol perse quasi l’equilibrio. Anche tutti gli altri stavano scendendo dalla jeep, ma Beth non riuscì ancora a vedere chi altro c’era.

La incontrò al centro della strada e le gettò le braccia al collo.

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Capitolo 22
*** Mostri ***


MOSTRI

 

 

Tyreese, Sasha e Michonne scesero dall’auto e raggiunsero Carol e Beth al centro della carreggiata. Per quanto ci stesse provando, Beth non riusciva a scegliere quale fosse stato il momento migliore di quell’incontro.

Forse era stato quando Daryl era uscito dalla chiesa con Judith, e Carol, che a stento riusciva a parlare, aveva iniziato a barcollare verso di lui coprendosi il viso con le mani. Era scoppiata a piangere mentre accarezzava il viso della bambina. Si nascose sulla spalla di Daryl, il quale la reggeva con un braccio, fin quando non prese Judith tra le sue braccia e rimase a guardarlo, senza sapere se ridere o piangere.

O forse era stato quando Sasha aveva chiesto con un’espressione estremamente confusa come avessero fatto a trovare la bambina, o il momento in cui Tyreese aveva cominciato a piangere, allontanandosi per prendersi un momento per sé e, come Beth sospettava, per pregare.

O magari quando Michonne e Daryl, in silenzio, si erano restituiti a vicenda la balestra e la katana e indossavano entrambi espressioni di profonda gratitudine.

Ma, ovviamente, tutta quella gioia che aveva dominato quei momenti era destinata a scemare.

“Dove sono gli altri?”, sospirò Beth, con il cuore che le stava già affondando.

“Siamo tutti riusciti a scappare da Terminus”, rispose Michonne con fermezza. “Stanno bene. Carol aveva visto uno di loro fuggire con Judith durante l’incendio, ci siamo divisi per cercarla e noi ci siamo fermati qui appena abbiamo visto la macchina. Era quella donna a guidarla, vero?” Inclinò la testa verso la Saturn grigia.

“Era finita fuori strada, l’abbiamo trovata gravemente ferita ed è morta. Ma Judith stava bene.”

“Dovremmo raggiungere…”, Sasha si bloccò quando vide due figure uscire dalla chiesa.

Beth si voltò e salutò padre Gabriel alzando la mano, mentre Randal era rimasto in ombra dietro al portico. Non era stupido, aveva pensato che qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo.

“Questo è il prete, padre Gabriel.” Daryl esitò nel presentare anche Randal.

Sempre tenendo Judith stretta tra le braccia, Carol si avvicinò al prete. “Hai aiutato la nostra gente?”

Annuì. “Ho fatto del mio meglio.”

“Grazie.”

Dietro di lei, Beth sentì Sasha dire qualcosa a Tyreese e a Michonne. Distinse il nome di Rick, ma non riusciva a capire di cosa stessero parlando.

A disagio, padre Gabriel annuì ancora, accentando i ringraziamenti di Carol nonostante i suoi occhi trasudassero un infinito senso di colpa.

Si rivolse a Daryl aggrottando le sopracciglia. “Sono loro quelli che stavate cercando?”

“Sì, questa è la nostra famiglia. Alcuni di loro, in realtà.”

“Siete tutti invitati a restare, se volete.”

Con lo sguardo fisso su Randal, Daryl scosse la testa. “Hai fatto abbastanza. Grazie per la cena e tutto il resto.”

“Il padre di Judith non può stare altro tempo senza sapere che lei è al sicuro. Dobbiamo incontrare gli altri di nuovo al campo, ci avevano detto appena dopo il tramonto.” Carol guardò l’orizzonte, il sole era calato da almeno un quarto d’ora.

“Allora buona fortuna.”

Padre Gabriel fece un passo indietro, stranamente cauto. Beth lo vide afferrare il fucile da caccia che portava dietro la schiena. Evidentemente, si aspettava di poter essere derubato. Eppure, anche se non si sarebbe mai fidato di loro, li avrebbe aiutati comunque. Del resto era lo stesso uomo che stava cercando di riabilitare un cannibale.

“Vado a prendere la nostra roba.”

Beth lanciò un’ultima occhiata al gruppo prima di entrare, travolta dalla paura irrazionale di perderli di nuovo non appena si fosse girata.Corse in chiesa, rallentando solo per guardare Randal per l’ultima volta e, raggiunta la loro stanza, riempì il suo zaino più in fretta che poté.

Si fermò solo un attimo a guardare fuori dalla finestra: padre Gabriel stava rientrando nella cappella, Michonne fissava nella jeep il seggiolino sporco di Judith preso dalla Saturn, Tyreese e Sasha giocavano con la piccola. Poi, ancora in strada, Daryl e Carol erano molto vicini. Anche se era distante, Beth riuscì a sentirla ridere e la vide prendere il suo volto tra le mani.

“Buona fortuna. A tutti e due.”

Era Randal. Si voltò di scatto e lo trovò appoggiato al muro, guardava il pavimento imbarazzato.

“Voglio dire, vi meritate un po’ di fortuna… e una pausa.”

“Chi non la merita?” Si mise lo zaino in spalla e si avviò verso l’uscita. Arrivata quasi alla porta, si sentì in dovere di fermarsi. “Randal?”

La stava seguendo lentamente. Beth si girò nuovamente a guardarlo e gli rivolse un sorriso abbastanza forzato. “Se ti dovesse venire in mente di mangiare qualcun altro, ricordati che da qualche parte nel mondo c’è una ragazza che si sta pentendo di non averti sparato quando ne ha avuto l’occasione.”

Si guardava i piedi, con le sopracciglia aggrottate. “Sì, lo capisco.”

“Ascolta il prete.”

“E’ un mostro anche lui.”

Come se avesse sentito il suo nome, padre Gabriel entrò da quella stessa porta, restando comunque affacciato ad osservare il gruppo di Beth.

Lei scrollò le spalle. “Lui ci sta provando. Tu, non lo so ancora e non avrò il tempo di vederlo.”

Al posto di salutarlo alla solita maniera, allungò un braccio verso il prete e lo abbracciò, per poi varcare la soglia.

La sua gente la stava aspettando.

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Capitolo 23
*** La nostra famiglia ***


LA NOSTRA FAMIGLIA

 

 

Michonne era alla guida, Tyreese impugnava il fucile e teneva Judith in braccio, Daryl era seduto sui sedili posteriori tra Carol e Beth, e Sasha era stesa, col braccio sano a farle da cuscino, a guardare le stelle. Era una notte calda e senza vento, ma il movimento dell’auto creava comunque una brezza fresca.

Carol guardò la strada per un lungo periodo tempo, studiando i contorni degli alberi e assaporando quell’irrazionale sensazione di sollievo che stava provando. Si era preparata a rinunciare alla speranza che qualcuno di loro tre fosse ancora vivo, fino a poche ore prima pensava che Judith fosse morta, era preoccupata di non rivedere mai più Daryl e, tra l’altro, aveva saputo che Beth non c’era più. E invece, li avevano ritrovati, vivi e illesi, contro ogni aspettativa.

Con la coda dell’occhio, notò che Daryl aveva poggiato il braccio intorno alle spalle di Beth, ma non pensò nulla a proposito. O meglio, non lo fece finché non si girò per dirgli una cosa e vide Beth appoggiata addosso a lui. Teneva una mano sul suo interno coscia, mentre lui la stringeva con entrambe le braccia. Per un attimo, si sentì così stordita da dimenticarsi quello che doveva dirgli. Daryl non era il tipo da manifestazioni fisiche d’affetto, ma, evidentemente, lo sapeva fare bene.

Portò di nuovo lo sguardo di fronte a lei, a bocca aperta fin quando non sentì il vento pizzicarle la lingua. Cercò di capire che sentimento le avesse provocato una visione del genere, ma era ancora troppo sollevata dal pensiero che loro e Judith erano vivi. Avrebbe avuto tutto il tempo più tardi per rimuginare sul loro rapporto, la cosa più importante in quel momento era che stavano tutti bene.

Nel frattempo, si ricordò della domanda che voleva porre a Daryl: “Rick sta iniziando a pensare che forse dovremmo andare tutti a Washington per proteggere Eugene. Tu che ne pensi?”

“Io penso che potremmo andare”, spostò leggermente lo sguardo su di lei. Accanto a lui, Beth cominciò ad accarezzargli delicatamente la gamba. “Sembra la cosa più giusta da fare, no? Il mondo sta andando a puttane, se troviamo il modo per sistemare tutto questo casino, perché no?”

“Potrebbe essere pericoloso”, puntualizzò Carol.

“Tutto è pericoloso. Stare in un posto è pericoloso, spostarsi è pericoloso.”

Come dargli torto?

“Qualsiasi cosa decideremo di fare, dobbiamo stare attenti”, intervenne Sasha. “Questo è il motivo per cui le cose alla prigione sono andate a rotoli, ci siamo adagiati troppo.”

“Abbiamo fatto il meglio che potevamo”, sostenne Carol scocciata. “Avevamo un piano di emergenza.”

“Nessuno si aspettava un carro armato”, mormorò Beth.

“Magari avremmo dovuto. In ogni caso, io andrò a Washington. Se ho imparato qualcosa da tutto questo, è che ti aiuta ad avere un obiettivo da raggiungere. Forse questa cosa… questa cura è pura fantasia, forse non lo è. Io combatterò per un forse.” Sasha scrollò goffamente la spalla illesa.

“Qualsiasi cosa Rick deciderà”, disse Daryl, “dovrà valere per tutti. Dobbiamo stare insieme, questo è quello che io ho imparato.”

“Ma Washington...”, continuò a controbattere.

“E’ quello che Rick sceglierà. Vorrà salvare il mondo, o almeno provarci.”

“Ma Carl e Judith sono la cosa più importante per lui”, puntualizzò Beth. “Se pensa che sia meglio trovare un posto dove siano al sicuro...”

“Beth ha ragione. Se Rick non ha ancora deciso, è per questo”, concordò Carol.

“Potrebbero morire a Washington come potrebbero morire in un un luogo sicuro”, disse Sasha con convinzione. “I suoi figli sono la sua priorità e, proprio per questo, forse salvare il mondo è la scelta migliore per farli stare al sicuro, per promettergli un futuro migliore.”

Senza dire niente, Daryl annuì a Sasha e quella discussione si concluse lì. Anche Carol si fece convincere da quello che aveva detto.

Non aveva avuto il tempo di parlare con Rick da quando erano fuggiti da Terminus. Le aveva detto solo cinque parole: “Grazie per aver protetto Judith”. Non aveva detto nulla su Karen e David, né qualcosa a proposito del suo successivo allontanamento dalla prigione. Sapeva che era solo questione di tempo prima di arrivare a parlarne, era troppo distratto dalla ricerca della figlia e dal tenere tutti al sicuro. Non gli avrebbe permesso di allontanarla di nuovo. Erano la sua famiglia e aveva sempre cercato di proteggerli.

Quando arrivarono al campo, si sorprese a vedere che erano stati i primi a tornare. Erano stati lontani abbastanza, più di tre quarti d’ora. Infatti, cominciò a pensare che forse le altre due auto avevano avuto problemi. Si erano accampati lontano quanto bastava dalla strada che collegava le tre cittadine più vicine per evitare incontri spiacevoli, avevano deciso che si sarebbero rivisti appena fatto buio, dopo aver controllato ogni gruppo una città, in cerca di tracce della bambina o della Saturn grigia che l’aveva portata via.

Rimasero tutti nella jeep, immobili. Un disagio collettivo gli impediva di parlare, si stavano preparando al disastro. Anche se la cosa peggiore che potesse accadere era un loro non-ritorno, spontaneamente, ma anche inevitabilmente, Carol iniziò a costruire nella sua mente tutti gli scenari più tragici. Cosa avrebbero fatto se avessero aspettato ore, o tutta la notte, e non avrebbero mai più rivisto quelle macchine tornare?

Daryl e Beth ora si tenevano per mano. Carol non poté fare a meno di fissare le loro dita intrecciate e sapeva che stava sentendo qualcosa. Gelosia? Avrebbe dovuto sentirsi ferita? Ogni volta che provava a pensarci veniva distratta da qualcosa. Pensava a Sophie o a Sophia, al problema con Rick, a Judith, agli ultimi giorni di Lizzie e Mika. Pensava anche a Tyreese e a come gli aveva mentito, a come lui, nonostante ciò, la guardava sempre col solito sguardo spoglio di pregiudizi. Nella sua mente, cominciavano a farsi sempre più nitidi i volti dei vivi e dei morti.

Dopo un po’, arrivò a pensare anche a Daryl. L’aveva sempre visto come un animale selvatico difficile da addomesticare, era come lei, sotto molti punti di vista. Era distrutto, per questo si era sempre sentita così attratta da lui, per questo si spingeva oltre nel relazionarsi con lui. Anche quando provava a respingerla, lei gli urlava contro la sua rabbia per fargli capire che le importava di lui e che lo meritava.

Vedeva così tanto di se stessa in lui, forse troppo e forse era quello il loro problema. Lei lo riteneva ancora il suo amico più caro, ma era lo stesso per lui?

Accanto a Daryl, turbata, Beth era completamente sveglia e si guardava intorno nel buio con occhi preoccupati. Era una ragazza così giovane, bella, dolce e affettuosa. Era ovvio che volesse lei.

Una forte luce li fece tornare tutti in allerta. Da un lato, speravano fosse una delle auto degli altri, dall’altro avevano paura che non lo fosse. Un altro paio di fanali apparse subito dopo e Carol si rassicurò. Con la tachicardia a mille, scese dalla jeep per salutarli. Michonne e Tyreese, insieme a Judith, la seguirono a ruota.

La prima auto si fermò. Era un enorme fuoristrada, avevano deciso di prenderlo nonostante consumasse più benzina perché le gomme erano in ottime condizioni. Dal lato del passeggero, Rick saltò giù, nervoso.

“L’avete trovata?”, gridò.

“Sì!” Carol non era mai stata così felice di rispondere a una domanda in vita sua.

“E’ qui, sta bene!”, lo chiamò Tyreese.

“Anche Daryl e Beth stanno bene!”, aggiunse Sasha.

Beth!”

Dalla seconda auto, una berlina, Maggie aveva già notato i capelli biondi della sorella risplendere sotto la luce dei fanali. Zoppicò il più velocemente possibile verso di lei, si fiondò sulla sorella e caddero entrambe nella polvere.

Rick si diresse verso sua figlia, barcollando come un ubriaco, commosso dalla gioia. Strada facendo, afferrò una mano di Daryl e la strinse forte, per poi andare a prendere Judith dalle braccia di Tyreese. Carl era dietro di lui, con un sorriso che Carol da molto tempo non vedeva sul suo volto.

Le sorelle Greene balbettavano raggiungendo decibel disumani. Capì solo in parte quello che si stavano dicendo.

“Pensavi che fossi morta?”, le chiese Beth, ridendo.

Maggie, in risposta, singhiozzò.

Abraham e Rosita cercarono di disporre le tre auto in modo da formare un cerchio protettivo, mentre Eugene e Tara impostarono gli allarmi. Si divisero gli spazi, ma ancora una volta rivendicarono il bisogno di riunirsi tutti insieme al centro del cerchio. Carol li osservò tutti, uno ad uno, e dovette digerire un turbine di emozioni inaspettate. Molti erano dispersi e ora si erano ritrovati.

Mancava solo lei.

Posò gli occhi su Tyreese solo per pochi secondi, pensò che forse era riuscito a percepire il senso di colpa che la stava divorando. Sophie e le altre madri bloccate a Teminus avevano provviste per ancora due settimane. Carol era stata lì per poche ore, ma era stata in grado di capire subito che loro avevano considerato quell’eventualità. Probabilmente, se avessero voluto continuare quello che stavano facendo, le madri sarebbero rimaste chiuse lì dentro per due settimane, sperando che in quel lasso di tempo la mandria si sarebbe spostata.

“So che dovremmo stare tutti insieme e capisco che qualcuno di voi voglia cercare un altro posto sicuro, per ricostruirci una vita. Anch’io lo voglio.”

Rick parlò a tutto il gruppo, anche se per lui fu difficile distogliere lo sguardo da Judith. La stringeva ancora tra le braccia, con così tanta dolcezza che sembrava non volesse mai più metterla giù.

“Ma io ho intenzione di andare a Washington con Abraham, Eugene e Rosita per vedere quello che è rimasto, aiutare a risolvere questa situazione. Dubito che sarà semplice…” Finalmente staccò gli occhi dalla bambina e iniziò a guardare gli altri. “...Ma dopotutto niente lo è.”

In quel cerchio, Carol poté vedere molte teste annuire.

“Poi cercheremo un posto sicuro. Se stiamo insieme, siamo più forti e, per questo, chiederò a ognuno di voi di venire con noi. La mia è una decisione definitiva, è quello che voglio. Se non volete inseguire questa possibilità, non vi fermerò, ma vedo un’atmosfera di generale unità. Qualcuno sta pensando di lasciarla?”

Nessuna risposta. L’unica che era sul punto di obiettare era proprio Carol, ma, alla fine, evitò di esprimersi. Concordava col fatto che la cosa più importante era restare uniti.

“Va bene”, Rick annuì. “Abbiamo dato uno sguardo a Terminus, oggi. E’ ancora invasa dai vaganti, ma stiamo ragionando su un piano per farli spostare. Prima di metterci in viaggio, abbiamo bisogno di recuperare provviste e armi. Una parte del gruppo rimarrà indietro, ma non troppo, nel caso avessimo bisogno di aiuto per un problema.”

“Quando non ci sono problemi?”, sottolineò Glenn.

Lo sceriffo sospirò. “Non sappiamo cos’è successo a tutta quella gente. Alcuni probabilmente si sono messi in salvo e cercano delle provviste, forse c’è chi ha messo anche in conto di tornare e ricostruire.”

“Buona fortuna”, mormorò Sasha.

“Quando si comincia?”, chiese Glenn.

“Non appena avremo tutto quello di cui abbiamo bisogno. Per stanotte, siete liberi di riposare, poi domattina metteremo insieme un piano solido.”

Si divisero nelle tre auto, ognuno trovò il proprio posto. Carol notò Beth aiutare Maggie con la gamba ferita, mentre le spiegava che era stata sparata durante la fuga da Terminus. Lei e Glenn si sistemarono nella berlina, ma da come Maggie teneva stretta la presa sul polso della sorella, dubitava che l’avrebbe fatta dormire lontana da lei quella notte.

Alla fine, quelli che finirono a dormire per terra furono Tyreese, Carol, Eugene, Tara e Daryl. Il terreno era umido e pieno di fango in alcuni punti, ma c’erano anche molti spazi erbosi un po’ più asciutti e non così grumosi. Carol si ritrovò accanto a Tyreese, che era perso nei suoi pensieri con un’espressione per niente felice. Non glielo chiese, perché sapeva che stava pensando a Sophie. Si morse il labbro, ricordando gli incubi che l’avevano tormentata a causa della sua bugia. L’avrebbero martoriata anche quella notte?

“Credi davvero che questa sia una buona idea?”, le sussurrò.

“Tornare a Terminus?”

“Sì. Ci siamo battuti così tanto per uscirne e ora ci ritorniamo?” Visibilmente irrequieto, cominciò a grattarsi la barba.

Carol si mise un braccio sotto la testa, scavando col gomito nel terreno. Finalmente rispose: “Io ci sarei ritornata in ogni caso, anche se Rick non avesse voluto.”

“Perché?”

Lei deglutì e distolse lo sguardo. “Te lo dirò prima di entrare lì, ok?”

Tyreese la guardò come se volesse insistere, ma invece annuì, fiducioso come sempre. Poi si levò il cappello e lo mise a terra per appoggiarci la testa.

Un po’ più avanti, Daryl, Eugene e Tara cercavano di trovare una posizione confortevole sul terreno. Li sentì fermarsi qualche minuto dopo, ma il silenzio non durò così a lungo.

“E’ così strano, perché mi trovo a dormire tra due uomini?”, si lamentò Tara.

“Perché questi non sono stati abbastanza rapidi da raggiungere un’auto”, rispose Eugene come un automa.

“Dormi”, la pregò Daryl.

“Non ci riesco. Senza offesa, sembrate a posto, ma potreste darmi una rassicurazione o qualcosa di simile? Nessuno di voi due è un pervertito, vero?”, piagnucolò lei.

“Non saprei cosa fare con te”, rispose Eugene.

“Non preoccuparti per me, sono già legato”, mormorò Daryl.

“Va bene, va bene… mi avete convinta.” Il tono di Tara si rilassò e si lasciò andare a un lento sospiro.

Inaspettatamente, Carol faticò a non sorridere e non riusciva a spiegarselo. Forse era divertita da quell’assurda audacia da parte sua nell’ammettere una cosa del genere, o forse non poteva permettere a se stessa di infastidirsi. Nonostante ciò, sentirlo confermare i suoi sospetti la fece sorridere, anche quando affondò il viso nell’erba.

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Capitolo 24
*** Lasciata indietro ***


LASCIATA INDIETRO

 

 

Per tutta la durata della settimana seguente, Beth si sentì come inebriata. Non riusciva a smettere di sorridere e a trattenersi dall’abbracciare tutti, soprattutto Maggie, Glenn, Carl, Judith e, naturalmente, Daryl. A poco a poco il dolore alle costole svanì completamente. Si controllava il torace e se lo massaggiava ogni volta che poteva, ma le creme sembravano aver funzionato come speravano. La sua mano, invece, non guarì altrettanto velocemente. La ferita era ancora aperta e doveva tenerla fasciata giorno e notte per impedire infezioni che l’avrebbero riportata punto e daccapo semplicemente usando le mani.

Ogni notte, quando s’infilava tra Glenn e Maggie nella berlina per addormentarsi, si preoccupava di potersi svegliare la mattina dopo scoprendo che era stato tutto un sogno. Aveva paura che fosse rimasta incosciente nel bagagliaio di quell’auto, mentre Daryl continuava a gridare il suo nome. Temeva che Brady, Terminus, l’incontro con Daryl e tutto il resto fossero tutte cose scaturite dalla sua immaginazione. Fu più semplice combattere quei pensieri di giorno, perché, anche se erano privi di cibo e per il momento vivevano per strada, la presenza della sua famiglia fece la differenza. Tutto ciò di cui aveva bisogno era nei volti delle persone che pensava di aver perso.

L’unica cosa a smorzare un po’ il suo spirito era il fatto che vedeva sempre meno Daryl. Era ovvio, essendo tornati in un gruppo più grande ognuno aveva i propri compiti da svolgere. Lui e Beth avevano sempre avuto ruoli molto diversi, ed era proprio per questo che non avevano avuto modo di conoscersi prima di ritrovarsi da soli dopo l’attacco alla prigione.

Ogni giorno Rick portava con sé due persone per recuperare provviste. Cercava di scegliere solo coloro che non fossero feriti e gli unici che erano riusciti a tornare da Terminus completamente illesi erano Carl, Michonne, Carol, Abraham e Rosita. Tutti gli altri avevano almeno un dolore che gli impediva di andare con loro. Daryl sosteneva che la sua gamba non gli dava più fastidio e Rick finalmente permise anche a lui di seguirli, poiché aveva bisogno del suo aiuto. Zoppicava lievemente dietro lo sceriffo con la sua balestra in mano, coprendogli le spalle.

Per i primi tre giorni, Rick, Carol, Michonne, Daryl, Abraham e Rosita tornarono quasi a mani vuote. Avevano appena le quantità sufficienti di cibo e acqua fresca, ma erano completamente a corto di medicinali.

Al campo, Beth ritornò a vestire i panni di custode di Judith e aiutava Bob ad assestare le ferite che avevano riportato gli altri durante la loro fuga. Quando Judith dormiva, lasciava Carl a controllarla per vagare nel bosco alla ricerca di qualcosa di commestibile. Le bacche e i funghi che riusciva a trovare, però, non erano abbastanza per riempire neanche un solo stomaco. Ma sempre meglio di niente.

Il settimo giorno Rick e Daryl tornarono solo con un paio di conigli e un po’ d’acqua, presa probabilmente da uno scaldabagno da qualche parte. Era stata la refurtiva più scarsa che avessero mai portato, ma non pensava fosse quello il motivo dell’espressione cupa sul volto di Daryl mentre superava Bob, rivolgendogli a malapena uno sguardo quando gli aveva chiesto di sedersi per farsi controllare la gamba. Era chiaro che non volesse nessuno intorno in quel momento. Posò la balestra a terra e si stese sulla porzione di erba dove dormiva, esausto.

Bob continuò a guardarlo per un po’, ma poi si arrese e con un sospiro disse a Rick di avvicinarsi per fargli vedere la mano ferita. Gli occhi dello sceriffo incontrarono quelli di Beth e poi indicarono Daryl. Evidentemente, stava pensando che non sarebbe stato così scontroso anche con lei, anche se Beth non ne era poi così sicura. Così, fece un respiro profondo e lo raggiunse, con una nota di amaro in bocca quando realizzò che, fino a pochi giorni prima, non avrebbe mai esitato nell’avvicinarsi a lui per qualsiasi motivo. Stare di nuovo col gruppo era meraviglioso, ma la rendeva insicura nell’affrontare quella distanza indesiderata.

Daryl si mise a sedere appena la vide arrivare, osservandola con occhi luminosi e attenti. Beth ci vide anche della rabbia, ma non riuscì a capirne il motivo. Il suo occhio era sempre meno nero e i tagli stavano guarendo.

“Posso vedere?” Non seppe il perché, ma la sua voce le uscì timida mentre s’inginocchiava davanti alla sua gamba ferita.

“MmhMmh”, cedette.

Gli arrotolò il pantalone sulla gamba e scartò le bende con cautela.

“Sembra stia meglio. Stai bene?”

“Sì”, mormorò.

Cominciò a fasciargli di nuovo la ferita in silenzio, perché il silenzio era forse quello che lui più desiderava in quel momento. Aveva un po’ di cose da dirgli, ma era disposta ad aspettare. Era più importante sapere cosa fosse successo, sapere perché lui e tutti gli altri erano tornati così depressi. Era sul punto di chiederglielo, ma lui l’anticipò.

“Oggi siamo tornati da padre Gabriel e Randal perché avevo pensato che potessimo prendere quello che restava nel supermercato e nello studio veterinario.” Si fissava le mani, strofinando i polpastrelli contro le nocche. “Era tutto vuoto. Poi abbiamo visto del fumo proveniente dalla collina. Non c’è più niente di quella chiesa, è stata bruciata. Non c’era nessuna traccia di loro due.”

Beth fu investita da una tristezza incontrollabile. “E’ terribile.”

“Penso che possa essere stato Randal.” Inquieto, strappò il pugnale dalla cintura e iniziò a grattare la terra. “Perché non credo che sia un’idea da tutti quella di prendere dei medicinali da uno studio veterinario. Credo che si sia ispirato a noi.”

Scossa dalla sua teoria, Beth sentì le sue ginocchia crollare. Così, si sedette sul terreno, allungò le gambe davanti a sé e, poggiandosi sui polsi piegati, guardò a terra.

“Avremmo dovuto chiedere a Gabriel di venire con noi”, brontolò Daryl. “Non mi fidavo di lui, ma ripensandoci, poteva andare bene.”

“Pensi che sarebbe venuto se glielo avessimo chiesto?”

Anche se non le sembrava giusto averlo lasciato lì da solo, Beth pensò che comunque non avrebbe lasciato la sua chiesa.

“Probabilmente no. Ma la prossima volta che esiterò a uccidere un fottuto cannibale, ricordami di questo.”

Beth annuì, sentendosi ancora peggio. Avrebbe dovuto sparargli in testa appena l’aveva visto al supermercato.

Con lo sguardo fisso a terra, non lo vide muoversi, ma d’un tratto sentì la sua mano sfiorarle il polpaccio, fino a salire al suo ginocchio, accarezzandole i muscoli gonfi che neanche lei pensava di avere.

“Sei stata in piedi tutto il giorno?”

“Anche tu”, puntualizzò lei, ma prima che potesse toccarlo a sua volta, si tirò giù la gamba del pantalone e si mise a sedere accanto a lei.

“Rick sta semplicemente cercando di sfruttare questo tempo finché tutti non staranno di nuovo bene per affrontare un’altra battaglia. Non abbiamo buone chance di trovare chissà cosa qui intorno.”

Daryl fece pressione sul suo muscolo con così tanta forza che le fece quasi male, ma doveva essersene accorto, perché quando stava per superare la soglia del dolore sopportabile, scivolò sulla caviglia.

“Come spostiamo i vaganti?”

Lui guardò Rick in lontananza. Stava parlando con Carl.

“Fuochi d’artificio. Li abbiamo trovati qualche giorno fa. Siamo pronti, ci serve solo del cibo e che la gente guarisca.”

“Non hai l’ansia a tornare là?”

“Più aspettiamo, più è probabile che le Termiti tornino per recuperare parte del campo.” La sua voce si ridusse a un mormorio.

“Dovresti stare qui domani. Glenn sta meglio e sta impazzendo a restare qui ogni giorno. Può prendere lui il tuo posto, così puoi far riposare la gamba”, disse Beth, senza nascondere il rossore sulle guance.

“Non avevi detto che la mia gamba era messa meglio?”

Lei scrollò le spalle. “Magari voglio solo stare un po’ con te.”

Quasi sorrise, sollevando lievemente gli angoli della bocca, ma nascose quell’accenno così in fretta che forse Beth l’aveva solo immaginato.

“Forse potresti venire tu con noi. Maggie potrebbe fare pratica come mamma.”

“Anche questo mi piacerebbe”, ammise Beth.

Lo guardò, sperando di trovare nei suoi occhi quello stesso desiderio. Era proprio di quello che voleva parlargli.

“Io amo stare con Judith, però alla prigione mi sentivo come se fossi buona solo a fare quello, sai? Mio padre diceva sempre che ognuno di noi ha il suo compito e io pensavo che quello fosse il mio. Stando fuori con te, invece, ho capito che non è abbastanza. Voglio ancora prendermi cura di lei, ma vorrei fare anche altre cose. Non potrò mai rendermi utile in questo mondo se non so proteggere me stessa, o lei… o te.”

Lui alzò gli occhi di scatto e la timidezza la costrinse a distogliere lo sguardo.

“Tu ne sei già capace, Greene. Non posso lasciarti riposare troppo.”

Si sentì sollevata a sapere che anche lui era d’accordo.

“Io… non voglio restare indietro, non ora che stiamo di nuovo tutti insieme.”

Daryl si alzò e le tese la mano.

“Ho avuto un’idea. Vieni, andiamo a parlargli.”

Beth l’afferrò e il suo cuore saltò un battito quando si accorse che non la lasciò subito, ma continuava a tenere la sua presa salda mentre la portava da Rick, che in quel momento parlava con Glenn.

“Bob mi ha già controllato, riesco a vedere e a respirare bene. Nessun danno permanente o a lungo termine”, stava dicendo suo cognato mentre si avvicinavano.

“Tempismo perfetto”, le sussurrò Daryl. Poi si schiarì la voce. “Hey, Rick, che ne dici di provare qualcosa di diverso domani?”

“Sono aperto a suggerimenti.”

Rick si allontanò da Glenn, che sembrava essere abbastanza seccato per essere stato interrotto, ma tentava comunque di mantenere la pazienza.

Daryl lasciò la mano di Beth.

“Io penso che Glenn possa uscire.”

Nel sentirgli dire quelle parole, il coreano gli lanciò un’occhiata colma di gratitudine.

Rick sgranò gli occhi. “Mi stava parlando proprio di questo.”

“Sì, potrebbe prendere il mio posto.”

“Tu che farai? Andrai a caccia?”, tirò a indovinare lo sceriffo spostando lo sguardo sulla boscaglia.

“La gamba è fuori pericolo, e poi potrei portare Beth con me. Le ho insegnato come cacciare e se la cava bene.”

Glenn e Rick assunsero la stessa espressione. Probabilmente si sforzarono di non far trasparire alcun cenno di sorpresa o incredulità, ma fallirono miseramente.

“Judith?”, chiese Rick.

“Non ho ancora parlato con Maggie, ma penso che lei e Carl siano in grado di prendersi cura di lei per una giornata”, ammise Beth.

“Per me va bene.”

Finalmente Rick si decise. Sembrava volesse dire qualcos’altro, ma alla fine si limitò ad annuire e si voltò a guardare Glenn.

“Vale anche per me?”, chiese l’altro speranzoso.

“Dovete parlare con Maggie… entrambi.”

 

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Tra tutti i feriti, Maggie era quella decisamente più fuori di testa. Come Beth, da quando si erano ritrovati tutti, era in uno stato di buonumore perenne. Ma Beth riuscì a percepire un velo di frustrazione crescente nascosto dietro al suo dolce sorriso. Voleva avere di nuovo uno scopo da seguire o un obiettivo da raggiungere, come, del resto, tutti gli altri.

Convincerla a passare una giornata con Judith fu più semplice del previsto.

“Sì, certo.”

“Sul serio?” Beth sorrise.

“Potrebbe distrarmi un po’”, Maggie sospirò.

Era seduta sul sedile del passeggero della berlina e si stava fasciando la gamba ferita. Era stata sparata in un punto leggermente più alto rispetto a Daryl, quel che bastava per lesionarle un’arteria. Era sopravvissuta solo grazie alla vicinanza di Bob, il quale era stato in grado di fermare in tempo la fuoriuscita del sangue.

“Vai a caccia con Daryl?”, chiese a voce un po’ troppo alta.

“Sì, beh, abbiamo bisogno di cibo e Daryl non dovrebbe andare da solo.”

“L’ha sempre fatto”, ribatté sua sorella.

“Quando conosceva quei boschi. Oppure quando...”

Non ebbe bisogno di continuare la frase. Sapeva che Maggie aveva pensato subito all’incidente alla fattoria.

“Sì, dovresti accompagnarlo”, decise riflettendoci. “Potreste prendervi cura l’uno dell’altra, no?”

Capendo quello che sua sorella le stava davvero chiedendo, Beth annuì.

“Bene.”

Maggie si riabbassò i collant e scese dall’auto.

Beth fece per voltarsi ed andarsene, ma, fatti tre passi, sua sorella le diede modo di girarsi di nuovo.

“Hey, Beth. E’ vero che è pericoloso… affezionarsi alle persone. Ma è questo il punto. E’ tutto ciò che ci resta.”

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Capitolo 25
*** Il bosco ***


IL BOSCO


 

 

Daryl la svegliò prima dell’alba. Silenziosamente, presero tutto quello che gli serviva e lasciarono il campo. Le passò la sua balestra e la fece camminare davanti a lui.

“E’ buio, non riesco a vedere nulla”, gli confessò.

Avevano già vagato per i boschi di notte, ma lei non era mai stata particolarmente brava al buio, aveva bisogno di più esperienza. Il mondo sembrava diverso di notte, ma non era impossibile seguire delle tracce o rilevare pericoli, anche se avrebbero spiccato di più sotto la luce del giorno.

Daryl non la degnò di una risposta, ma le indicò il cielo. Seguendo la linea tracciata dal suo dito, oltre le cime degli alberi, Beth poté vedere la luna piena. Pur non avendo detto nulla, il suo messaggio adesso le era chiaro: Potrebbe andare peggio.

“Sento l’acqua.”

“Mmh.”

Beth seguì il gocciolio dell’acqua. Non era molta, ma sembrava costante. Probabilmente era un punto frequentato da molti animali.

“Sanno che siamo qui e hanno paura”, mormorò Daryl. “Fanno bene ad averne.”

Qualsiasi preda vicina era scappata, per questo seguirle era così importante. All’inizio gli animali avrebbero avuto sufficiente energia per correre lontano da loro, ma a un certo punto si sarebbero stancati e si sarebbero arresi se non avessero trovato un posto dove sentirsi sicuri. Prima o poi, in ogni caso avrebbero smesso di correre e quello sarebbe stato il momento per colpire.

“Orme di cervo.” Beth ci girò intorno, in cerca di altre tracce.

“Non sono recenti”, le fece notare Daryl.

Non trovarono delle tracce fresche da seguire finché non sorse il sole. Dal passo e dalla forma delle orme, Daryl avrebbe potuto dire che si trattava di un cinghiale.

“Ci stiamo avvicinando, non è vero?”

“Come puoi dirlo?”, le chiese.

“Mi stai chiedendo di dimostrarti quello che ho detto?”

“A volte è istinto, ma spesso puoi spiegare quello che vedi. Perché pensi che siamo vicini a Miss Piggy?”

“Quando è passato di qua, ha calpestato quella foglia nel fango. E’ ancora tutta sporca di rugiada, quindi non penso sia successo più di mezz’ora fa, altrimenti avrebbe cominciato ad asciugarsi.”

“Niente male, Greene. Andiamo.”

In meno di un’ora trovarono il cinghiale. Era più grande di quanto Beth si aspettasse pensando a quelle orme, ma l’avrebbero trasportato comunque senza problemi.

Lei e Daryl erano distanti di qualche metro. Si sentì troppo nervosa al pensiero di colpirlo, a ogni movimento che compiva le sembrava di fare rumore, rischiando di avvisare la preda della loro presenza. Fu tentata di restituirgli la balestra e chiedergli di finirlo per lei. Ora che aveva visto quant’era grande, non voleva rischiare di perderlo, soprattutto considerando quanto sarebbe stato apprezzato dal gruppo. Ma, invece, lo guardò e basta, muta.

“Vai!”, la esortò lui col labiale, indicandole il cinghiale.

Era l’incoraggiamento di cui aveva bisogno sapere che credeva che lei potesse farcela.

Prese la mira e scoccò la freccia. L’animale strillò e iniziò a correre freneticamente con la freccia conficcata nel ventre finché, goffamente, non cadde tra gli alberi.

“Andiamo!”

Daryl cominciò a inseguire il cinghiale ferito e, dopo pochi metri, lo raggiunse e lo uccise, estraendo la freccia.

Ce l’aveva fatta. Se ne rese conto solo quando lui le restituì la freccia e sentì il penetrante odore di sangue. Non le era mai piaciuta molto la caccia. Prima si lamentava sempre quando suo padre le ordinava di uccidere i loro polli, ma ora non aveva nulla da dire contro quella pratica. Era un’abilità che aveva bisogno di sviluppare.

Daryl legò insieme le zampe del cinghiale e se lo caricò in spalla, rifiutando la balestra quando lei provò a ridargliela.

“No, oggi sono solo il tuo mulo da trasporto. Andiamo, continuiamo a cacciare mentre diamo un’occhiata alle trappole.”

Avendo già preso un cinghiale, il pensiero della caccia ogni tanto cessava di essere il principale nella mente di Beth, tanto che un paio di volte Daryl dovette ricordarle di cercare altre tracce da seguire. Col passare delle ore, pensava sempre di più a quand’erano insieme, prima che Brady la rapisse. Le sembrò di essere ancora lì, solo più tranquilla, non avendo più il pensiero di ritrovare il resto del gruppo. Ora poteva godersi a pieno la quiete del bosco e la presenza confortante di Daryl.

“Ha funzionato...”

Non aveva intenzione di parlarne, ma, involontariamente, quell’ultimo pensiero lo esternò ad alta voce.

“Cosa?”

“Oh… è solo...”, balbettò arrossendo. “Stavo solo pensando al fatto che se io non fossi stata rapita, Sasha sarebbe morta. A quel punto, sareste riusciti a trovare le armi per combattere Terminus? Molto probabilmente sì, avreste rubato le armi, ma Sasha sarebbe morta comunque e forse Judith...” Rabbrividì al pensiero di ciò che sarebbe potuto accaderle se non l’avessero trovata. “Stavo solo pensando a tutto questo. A quanto maledettamente non volessi lasciarti andare.”

Rallentarono, e lei posò la balestra al suo fianco. Daryl, prendendola come una pausa, abbassò il cinghiale a terra.

“Ti ricordi all’obitorio? Quando ti ho detto che non ti avrei lasciato?”, il senso di colpa crebbe in lei parola dopo parola. Sapeva che lui se lo ricordava. “Io non volevo farlo, ma, allo stesso tempo, se fossi rimasta… sarebbero accadute comunque un sacco di cose terribili. E’ come se le cose andassero sempre male. So che è egoista, ma io semplicemente non volevo lasciarti.”

Scuotendo la testa lentamente, Daryl si avvicinò a lei, posandole una mano su una spalla.

“Non l’hai fatto.”

Il suo sguardo era così intenso che Beth a un certo punto dovette guardare altrove. Sapeva cosa stava cercando di dirle e la lasciò momentaneamente senza parole.

“Io non ce la facevo… per tutto il tempo. Quello che mi hai detto, quello che ho sentito e a volte anche solo i tuoi occhi o la tua faccia… mi hanno tormentato quando ne avevo fottutamente bisogno. Sì, non c’eri più. Ma non te n’eri andata… non te ne sei andata.”

Spostando la balestra dalla sua gamba, gli cinse la vita con le braccia e poi sentì il suo abbraccio protettivo ricambiare il suo. Aveva sempre sognato di trovare qualcuno da amare, ma lui era più di questo. Quando si staccarono, la fronte di Daryl si poggiò sulla sua, ma nessuno dei due baciò l’altro.

“Avevi ragione”, gli disse. “Io non ero pronta, volevo correre. Grazie per avermi fermata.”

In risposta, le mise una mano dietro al collo e la baciò dolcemente sulla guancia.

“Ora io… non lo so”, ammise. “Forse non lo sono ancora, ma voglio esserlo.”

Lui annuì, per dimostrarle che aveva capito.

“Va bene? Voglio dire… è abbastanza?”

“Sì, se è quello che vuoi.”

Alzandosi sulle punte, si avvicinò ancora di più a lui e premette le labbra sulle sue.

“Continuiamo.”

Daryl si rimise il cinghiale in spalla e Beth riafferrò la balestra.

La prima trappola era vuota, se ne stava ancora a terra indisturbata in cerca di qualche vittima. Facevano pause brevi, circa una all’ora, per mangiare quel poco di cibo che si erano portati dal campo e per parlare di cosa avrebbero potuto trovare a Washington. Ma la maggior parte del tempo lo spesero a godersi i momenti insieme, scherzando e prendendosi in giro. Beth festeggiò come una matta quando trovarono un coniglio e uno scoiattolo nelle altre due trappole.

Sulla via di ritorno al campo, invece, ascoltò le sue storie. La maggior parte erano sugli animali che inseguiva per giorni, che a volte catturava e che altre volte si lasciava scappare. Le raccontò delle risse in cui si ritrovò per motivi che neanche lui ricordava o che non aveva mai conosciuto, delle situazioni compromettenti in cui lo trascinava suo fratello e delle volte in cui per poco non vennero arrestati.

“Quando Merle era dentro, oppure quando semplicemente usciva da solo o era strafatto… io sparivo nel bosco per un po’. Non vedevo la gente per settimane, cacciavo quando avevo fame, ci dormivo quand’ero stanco e qualche volta tornavo in città a comprare le sigarette.”

“Nessuno veniva a cercarti? Un’altra famiglia o… vicini ficcanaso?”

“No, eravamo solo io e Merle. I nostri vicini si facevano gli affari loro.”

L’aveva sempre trovato interessante, riflettere su come la sua di vita invece era cambiata dall’inizio dell’apocalisse.

“Noi i nostri vicini abbiamo iniziato a vederli quando tutto è iniziato. Volevano sapere in continuazione come stessimo e se sapessimo qualcosa che invece loro non sapevano. Ma, in realtà, credo volessero solo affrontare la cosa con qualcun altro, stare con la gente.”

“Ha senso… io non ne ho mai avuto bisogno prima di tutto questo, cercavo di stare il più lontano possibile dalle persone. Ma ora, c’è bisogno della gente.”

“Non ti manca essere l’uomo del bosco?”

Beth non realizzò quello che gli stava per chiedere finché la domanda non uscì dalla sua bocca. Si morse il labbro inferiore per evitare di sorridere e, imbarazzata, spostò lo sguardo tra i boschi. Ma poi risero entrambi e continuarono a camminare.

Si stavano avvicinando al campo. Le sembrava che fossero passate solo un paio d’ore, ma notò che il sole all’orizzonte era pronto a tramontare. Erano stati nel bosco per tutta la giornata.

“Non mi manca”, ammise infine Daryl. “E’ bello avere qualcuno che si preoccupi per te, che preghi che torni a casa sano e salvo.”

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Capitolo 26
*** AU ***


AU

 


 

Continuò a seguire Daryl, lasciando che le mostrasse il percorso più breve per tornare al campo. Sembrava che avesse ricominciato a camminare bene. Lo osservava in attesa di un sussulto o qualsiasi altro segno di fastidio alla gamba, ma sembrava guarito e, se non era così, sapeva nasconderlo bene. Si fermarono a fare un’ultima pausa prima di percorrere l’ultimo miglio che li separava dagli altri.

“So che… l’hai fatto solo per proteggermi. Prima, quando ero un po’ più...”

“Ansiosa?” Daryl provò a completare la frase, e lei annuì.

“Ma non è solo questo. Cosa c’è che non va?”

Lui rimase in silenzio, come se non avesse alcuna intenzione di risponderle.

Beth esitò per un momento, ma poi disse: “Io vorrei che stessimo insieme, ma se per te è ancora strano...”

Lui annuì, guardando a terra. Quando cominciò a parlare, dosò le parole lentamente e con cautela, come se ognuna di loro fosse un rischio.

“Stavo pensando che se il mondo non fosse andato a puttane, io e te non ci saremmo neanche mai incontrati, e se l’avessimo fatto non saremmo mai stati… così. Ho pensato a come saresti stata, a volte. Posso immaginarlo: stai girando in qualche college importante da qualche parte, con i tuoi libri, i tuoi programmi e un bel sorriso stampato in faccia… tutti i ragazzi a guardarti. Magari ti piace uno di loro ed è davvero un bravo ragazzo, gli piace come canti e magari a te piace come canta lui. Ti preoccupa portarlo alla fattoria per presentarlo a tua mamma e a tuo padre, e questo è il tuo unico problema. Non hai fame e non devi pensare a dove dormirai. A volte penso a come potrebbe essere una vita del genere… ma so che non potrei mai saperlo.”

Improvvisamente a disagio, Beth incrociò le braccia al petto. Anche lei poteva immaginarlo, ma lui ci aveva pensato molto di più.

“Tutto va come deve andare. Io non sono felice che il mondo sia finito, ovvio che no”, alzò gli occhi al cielo. “Ma è la mia vita. Ho combattuto per averla… e poi, credo che tu sbagli a pensare di non poter farne parte.”

“No, non posso”, ribadì scuotendo la testa.

“Diciamo che sì, se tutto questo non fosse accaduto… sarei andata al college”, ammise, pensando a una situazione parallela in cui lei e Daryl si sarebbero potuti incontrare. “Otis mi ha insegnato a suonare la chitarra e, visto che ho tutti questi amici musicisti, mettiamo su una band. Così, come prima serata, andiamo a suonare in un bar fatiscente e io ho molta paura… ma ci sei tu, tu e Merle, ad ascoltarmi mentre provo a cantare e a non piangere.”

Daryl sollevò un angolo della bocca, nel tentativo di soffocare un sorriso mentre immaginava la scena.

Lei, invece, gli rivolse un sorriso a trentadue denti. “Che succede dopo?”

Lo vide aggrottare le sopracciglia, intento a pensare a un seguito.

“Non lo so. A Merle probabilmente probabilmente piace come canti… tra l’altro gli piaceva davvero, non so se te l’ho mai detto. Ma comunque è ubriaco e inizia a fare il coglione. Lo cacciano, ma io non ci faccio caso perché sto guardando te.”

“Oh, povero Merle!” Beth rise.

“Coglione”, mormorò lui, scuotendo la testa. “Si toglie di mezzo e mi lascia lì. Così, dopo l’ultima canzone, me ne vado anch’io.”

“Aspetta, non vieni a dirmi che sono stata brava mentre ce ne stiamo andando?”, gli chiese, inchiodando lo sguardo al suo.

“No”, sbuffò Daryl.

“Dai! Ero così nervosa!”

“Non lo farei”, scosse ancora la testa, sorridendo. “Non verrei da te a dirti qualcosa. Non ho mai fatto queste cose, specialmente con una bella ragazza.”

“Neanche se avessi bevuto?” Il suo cuore tremò quando si rese conto che le aveva appena detto di essere bella.

“No, Greene. Non vendono abbastanza alcool sociale in Georgia.”

Beth sospirò. “Va bene, stai tornando a casa a piedi e io sto guidando lungo quella stessa strada, quindi ti vedo e mi fermo.”

Daryl sgranò gli occhi. “Dannazione, ragazzina, mi stai offrendo un passaggio?”

“Certo!”

“So che tuo padre ti ha cresciuta bene e che sei intelligente”, stavolta rideva. “Non offriresti un passaggio a casa a uno sporco coglione ubriaco fuori controllo.”

“Ovvio che lo farei. Ti ho visto al mio concerto e hai ascoltato ogni singola parola. Hai bisogno di un passaggio e… io sono molto gentile”, aggiunse lei, allargando il suo sorriso.

“Hai dimenticato che io non lo sono”, disse Daryl, alzando l’indice in segno di raccomandazione. “Chiedimi di entrare in quella macchina e vedi che succede.”

“Certo che te lo chiedo, ti dico: Hey, vuoi un passaggio? E tu dici...”

“Cazzo, no! Non dovresti mai permettere a un redneck figlio di puttana di entrare nella tua macchina, Greene.”

“Non sai ancora che mi chiamo Greene, conosci solo il mio nome d’arte. Comunque, ti dico che sei un brav’uomo se mi stai avvertendo di non esserlo e ti rinvito a salire.”

“Non ha senso, ti direi no, grazie di nuovo.”

“Ma sta piovendo.”

“Davvero?” Daryl aggrottò le sopracciglia.

“Diluvia, entra! Mi sentirei male a lasciarti qui da solo, bagnato fradicio e abbandonato da tuo fratello.”

“Come sai che mio fratello se n’è andato?”

“Ho prestato attenzione! Ho anche io una sorella prepotente che mi dice sempre cosa fare, ma non se n’è mai andata via così lasciandomi da sola.” Beth fece le spallucce. “Non si fa. Dai, è solo un passaggio.”

Dopo un respiro profondo, Daryl annuì. “Va bene, probabilmente entrerei”, si arrese, “ma starei per tutto il viaggio a sperare che tu non prenda l’abitudine di dare passaggi a tutti gli ubriaconi autostoppisti.”

“Penso che sia molto dolce da parte tua.” Si avvicinò a lui, stringendogli la giacca con entrambe le mani. “Mi piaci, Daryl Dixon.”

Gli baciò la clavicola, poi il collo. Le mani di Daryl si fecero strada tra i passanti dei suoi jeans e l’orlo della maglietta, per poi arrivare ai fianchi, accarezzandole la pelle nuda. Beth sentì un brivido correrle lungo tutta la schiena e premette i fianchi contro i suoi con più veemenza.

“Dovremmo tornare indietro”, sospirò, guardando il sole avvicinarsi sempre di più all’orizzonte oltre la spalla di Daryl. Prima sarebbero tornati, prima avrebbero potuto mangiare il cinghiale con gli altri.

Percorsero l’ultimo miglio abbastanza velocemente. Del resto, era quasi tutto in discesa, dato che quando avevano lasciato il campo alle prime ore del giorno era in salita. Quando raggiunsero l’accampamento, c’era più movimento e più rumore del solito e, inaspettatamente, Rick e gli altri erano già tornati.

“Finalmente! E avete portato il bacon!”

Glenn fu la prima persona che incontrarono. Era più attivo rispetto agli altri giorni, evidentemente uscire gli aveva fatto più che bene.

“Che sta succedendo?” Beth guardò il resto del gruppo, stavano mettendo tutta la loro roba nelle auto.

“C’è una mandria che sta venendo in questa direzione. Non è come quella di Terminus, ma comunque abbastanza grande.” Prese il cinghiale da Daryl, sollevandolo con entrambe le mani prima di caricarselo sulla schiena. “Ci stiamo spostando. C’è un piccolo motel che abbiamo ripulito prima, fuori dal percorso che farà la mandria.”

Beth ebbe giusto il tempo di coccolare un po’ Judith e di recuperare le sue cose prima di mettersi nella berlina e partire. Non si erano proprio stabiliti lì, però, per essere rimasti per una settimana nello stesso posto, si erano ambientati più del solito.

Il motel era più vicino a Terminus, così vicino che sentì Carol e Rick discutere sull’idea di mandare due persone ogni giorno lì fuori a controllare che nulla fosse cambiato. Si chiese quanto tempo sarebbe trascorso prima che saccheggiassero Terminus e si mettessero in viaggio per Washington. Non era l’unica, aveva sentito anche Sasha, Carl e Maggie chiederlo a Rick, ma aveva dato a tutti la stessa risposta vaga: “Tra pochi giorni.”

Si era preoccupata che il motel non fosse sicuro quanto il bosco, che fosse troppo esposto e che quindi rischiassero di imbattersi in altri gruppi o mandrie di vaganti. Ma, sorprendentemente, era ben protetto e lontano dalla strada principale. Tirò un sospiro di sollievo quando vide l’auto svoltare in una stretta e angusta stradina che tagliava il bosco a metà.

Prima entrarono nell’ufficio principale per prendere le chiavi delle stanze, in modo tale da potersi chiudere dentro, poi nel parcheggio macellarono e mangiarono il cinghiale, il coniglio e lo scoiattolo. Trascorsero un altro po’ di tempo attorno a quella brace fumante, godendosi la sensazione di essere finalmente sazi. Poteva essere una di quelle notti dove potevano starsene tutti insieme a sentire le storie di guerra di Abraham o del vecchio mondo, ma invece corsero tutti subito a scegliere la propria stanza.

Con l’aiuto di Carl, Beth riuscì a creare una culla piuttosto arrangiata per Judith con uno dei cesti della lavanderia. La disposero nella stanza in fondo al corridoio del motel, dove Rick sarebbe stato con entrambi i figli.

Quando uscì fuori, vide tutti gli altri vagare per le stanze e fu investita da un forte malinconia. Le venne in mente il primo giorno alla prigione, quando ognuno di loro si scelse una cella. Ovviamente, stavolta non sentì subito il bisogno di disfare le valigie, era consapevole che entro un paio di giorni se ne sarebbero andati, come continuava a ripetere Rick.

Gironzolò per i corridoi controllando quali stanze fossero ancora aperte e cercando chi fosse in possesso delle chiavi per averne un paio, ma sembrava che si fossero già tutti chiusi dentro.

“Hey, Beth.”

Sentì la mano di Daryl poggiarsi sulla spalla, le chiavi di una stanza gli penzolavano dal pollice.

“Stai con me?”, le chiese con lo sguardo colmo di incertezza.

Non importava quante volte lei l’avesse rassicurato, si sarebbe aspettato sempre un rifiuto.

“Sì”, rispose lei con decisione.

Guardò il numero che era segnato sulla targhetta accanto alle chiavi, gli prese la mano e lo portò verso la loro stanza.

Daryl chiuse la porta a chiave.

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Capitolo 27
*** Sveglia ***


SVEGLIA

 

 

Dopo i letti a castello della prigione, le bare, i tronchi degli alberi, il terreno duro e il freddo, dormire nel letto di quel piccolo motel doveva essere una liberazione. Ma, al contrario, Beth sentì una sorta di repulsione verso quel letto, senza sapere perché. Evidentemente, anche Daryl era dello stesso avviso, perché aveva subito alzato il materasso dal letto e l’aveva messo a terra, nell’angolo più nascosto della stanza, un punto ben coperto.

“Sei sicura?”

Guardò il materasso e poi lei, irrequieto e insicuro nello stesso momento, con le mani che non sapevano cosa fare o dove andare.

Al posto di dire qualsiasi cosa a proposito, Beth si tolse la maglietta, lasciando che cadesse sul pavimento, e poi si stese sul materasso, cercando di spogliarlo senza che le sue mani tremassero troppo.

Quando cominciò a sbottonarle il jeans, il nervosismo l’abbandonò definitivamente. Incurante della scossa che le stava investendo il corpo, Daryl cominciò a baciarle il ventre, seguendo un percorso lento ma in discesa. L’ultimo attimo di paura svanì quando lo sentì così delicato, ma al contempo così avido di lei.

Con un tono sommesso, l’avvertì che quella situazione non sarebbe durata a lungo. Beth pensò che doveva averlo detto più a se stesso che a lei, in realtà. Infatti, entrò dentro di lei e sperò che potessero restare così, legati insieme, per l’eternità.

Daryl accarezzò ogni centimetro del suo corpo con le labbra, la lingua e le mani, finché non la sentì gemere con più foga e pregarlo di restare dentro di lei.

Al culmine, si abbandonò su di lei, baciandola ripetutamente. I loro respiri affannosi sembravano essere in sincronia. Beth gli strinse le braccia attorno al collo e gli impedì di muoversi per alcuni minuti, accarezzandogli la nuca e i capelli.

“Beth Greene”, le sussurrò a un orecchio.

“Mh?”

“Ti amo.”

Beth sorrise incondizionatamente, stupita nel sentirgli pronunciare quelle parole. “Ti amo. Tantissimo.”

Quando mollò la presa, si stese accanto a lei, accarezzandole le curve fino a posarsi sull’interno coscia, tastandole la pelle.

“Ti fa male?”

“Sì”, ammise lei ansimando. Tutto quel furore sarebbe mai finito? “Ma voglio farlo ancora.”

Daryl si fece sfuggire una mezza risata. “Devi darmi un minuto.”

Senza rendersene conto, si stesero entrambi su un fianco, ritrovandosi l’uno di fronte all’altra. Beth averebbe voluto ricordare quella sua espressione per sempre, con quei piccoli occhi azzurri improvvisamente così pieni di luce che la guardavano come se fosse tutto ciò di cui gli importasse. C’erano così tante cose che avrebbe voluto dirgli, ma non riusciva a mettere insieme le parole. Così, si limitò ad osservarlo, e capì che non c’era niente che avrebbe potuto dire per esprimere ciò che stava provando in quel momento.

“Sei così fottutamente bella”, mormorò.

Non poté fare a meno di sorridere e arrossire, quindi nascose il viso nel suo collo. Cominciò a ridere quando lo sentì mordicchiarle e succhiarle il lobo dell’orecchio.

“Sono stata troppo rumorosa?” Poggiò la bocca sulla sua spalla, riducendo quelle parole a un sussurro.

“Forse un po’.”

Anche se si era fatto buio e il motel era avvolto nel silenzio, Beth era così euforica che non sapeva se si sarebbe addormentata.

“Stai tremando.”

Daryl allungò il braccio per afferrare una coperta e tirarla su di loro.

“Sì, ma non ho freddo.”

Afferrò il suo braccio con la mano fasciata e lo tirò a sé.

Trascorsero la notte abbracciati, e lei non seppe più distinguere il sogno dalla realtà. Era stata probabilmente la settimana più felice che avesse mai vissuto, resa ancora più dolce da quanto tragica sarebbe potuta essere. Aveva pensato al peggio ogni volta che la sua mano aveva accarezzato la coscia fasciata di Daryl, oppure ogni volta che aveva sentito la sua mano bendata pulsare. Sarebbero potuti morire così tante volte e così anche la loro gente. La fortuna che avevano avuto le sembrò irreale.

In ogni caso, non volle condurre quel pensiero a nessuna conclusione logica, era più importante vivere quel momento e amarlo. Ora che anche lui sembrava averlo capito, erano liberi di chiudersi nel loro mondo, ancora e ancora. Apprezzò quello che aveva fatto per lei, il fatto che si era preso il suo tempo e aveva fatto in modo che tutto non fosse forzato la faceva sentire davvero amata e desiderata.

Voleva stare con lui dal momento in cui si erano separati. Quando la paura le fece sentire quella piccola vocina dentro di lei che le diceva che non si sarebbero ritrovati sapeva di doverla combattere. Sapeva che l’avrebbe ritrovato e che, nel profondo, sarebbe andata a finire così.

“Trovami”, disse piano.

Il sole era già sorto e non sapeva da quanto, la forte luce entrò dalle finestre attraverso le tende della stanza. Non era sicura di quando si fosse svegliata precisamente, non era neanche sicura di aver dormito davvero. Il suo corpo doleva e le si chiudevano gli occhi, ma non era stanca, la sua mente era ancora sveglia e attiva come la notte precedente.

Accanto a lei, Daryl si mosse. “Cosa hai detto?”

Alzò la testa dal materasso. I suoi capelli erano un disastro, un po’ anche per colpa sua. Appena sveglio, si strofinò le palpebre e le labbra.

Beth allungò il braccio e gli scostò i capelli dal viso. “Se questo è solo un sogno e io sono ancora incosciente in quella macchina… trovami.”

Per qualche secondo, si limitò a fissarla con un’espressione indecifrabile, ancora mezzo addormentato.

“E’ reale”, grugnì, avvicinandosi.

Si mise dietro di lei e la tirò a sé, in modo tale che poggiasse la testa contro il suo petto. Appoggiò il mento sulla sua spalla, stringendole la vita. Poi iniziò a far scivolare le mani lentamente sui fianchi e sulle cosce, accarezzandola con delicatezza.

“Così sembra e voglio che lo sia. Perciò penso che potrebbe essere un sogno, perché sembrano sempre così reali quando ci sei dentro. Qui è tutto così… perfetto. Abbiamo trovato la nostra gente, Judith è viva, tu sei con me...”

Era tutto come voleva che fosse, e proprio per questo alcuni pensieri inquietanti scossero la sua felicità.

Qualcosa di brutto accadrà presto.

Ma li scacciò via. Era reale. Avevano entrambi vissuto dei brutti momenti e sapevano come conviverci, ma forse la vita non era solo quello, forse poteva andare meglio.

“Verrò a prenderti”, disse Daryl in poco più di un sussurro. “Se dovessi svegliarmi ancora in quel furgone, ti troverò.”

Qualcuno venne troppo presto a bussare alla porta. Entrambi scattarono in piedi il più silenziosamente possibile per rivestirsi. Daryl si avvicinò per primo alla porta, con le scarpe ancora slacciate e la balestra giù in spalla. Controllò la visuale dalla finestra e aprì la porta così velocemente che Beth ebbe a malapena il tempo di nascondersi dietro al letto per rimettersi i jeans.

“Pronto ad andare?”

Era Rick. Beth si era allontanata abbastanza da riuscire a vedere solo la sua mano che impugnava la solita pistola.

“Sì, dormivo”, brontolò Daryl.

“Penso che l’abbiano fatto tutti. E’ un po’ più semplice senza tutto quel sole in faccia.”

Daryl si allacciò le scarpe e lanciò le chiavi a Beth. Lei spuntò fuori da dietro al letto e gli andò incontro, cercando di non guardare Rick. Sicura che la sua faccia fosse diventata di fuoco, cedette a guardarlo, mordendosi il labbro.

Se Rick si era in qualche modo sentito imbarazzato, non lo diede a vedere. Fece qualche passo indietro e si voltò a guardare il parcheggio, dando loro qualche altro secondo di privacy. Daryl ne approfittò per rientrare in stanza e baciarla con foga.

Non erano il genere di persone da addii.

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Capitolo 28
*** Matrimonio apocalittico ***


MATRIMONIO APOCALITTICO


 

 

Si avvicinarono a Terminus per uno dei controlli giornalieri stabiliti da Rick. Erano abbastanza vicini da vedere ancora piccoli gruppi di vaganti aggirarsi all’interno. La Casa delle Madri, invece, era ancora sbarrata.

Sophie, le altre madri e i bambini avevano ancora delle provviste solo per altri sei giorni. Se Rick avesse aspettato ancora a lungo, avrebbe preso una macchina e sarebbe entrata lì da sola, anche se probabilmente era la scelta peggiore che potesse fare, per lei e per Sophie. Ma era una brutta situazione, non esisteva una soluzione più adatta per gestire la cosa, aveva quell’unica possibilità.

Quando la jeep ripartì da Terminus per ritornare al motel, Carol osservò Daryl di nascosto mentre parlava con Bob e Abraham.

“Potrei aver esagerato ieri”, ammise. “Intendo… con la caccia”, aggiunse poi, tempestivamente.

“Il muscolo è debole, devi andarci piano”, disse Bob.

“Scusa se ti ho snobbato, non so fare il paziente”, borbottò.

Bob alzò le mani.

“Un mio amico era stato sparato esattamente nello stesso punto e neanche lui voleva che qualcun altro salvasse la sua fottuta vita”, s’intromise Abraham. “Quel bastardo è diventato zoppo e tu farai la stessa fine. Ricorda le mie parole.”

“Meglio io invalido che voi morti”, rispose Daryl, con una nota di black humor che, così come fece sorridere Bob, fece aggrottare le sopracciglia al soldato.

“Avevo visto quel vagante, non c’era bisogno che tu...”

“Ringrazia semplicemente l’uomo che ti ha salvato la vita e falla finita!”, esclamò il medico con una risata.

“Non mi ha salvato la vita, ha interferito con la mia uccisione!”, gridò Abraham.

Poi risero tutti e tre. Insieme.

Da quando si erano riuniti, passavano tutti i giorni in compagnia gli uni degli altri, ma non si era mai sentita così distante da Daryl. Era frustrante, perché avrebbe dovuto essere felice del fatto che stava bene e che si era aperto con qualcuno, sapeva che era quello che doveva fare per stare meglio. Non voleva che restasse asociale per sempre, ma in quell’ultima settimana, in cui non avevano fatto altro che preoccuparsi del gruppo e scambiarsi risposte monosillabiche, si rese conto di qual era il fulcro del problema: non era Daryl a non parlare con lei, ma il contrario.

Magari era sempre stata lei a spingerlo a relazionarsi con lei, magari non voleva condividerlo con nessun altro. Sapeva che era da egoisti, ma avrebbe voluto continuare a sentirsi l’unica persona con cui lui potesse davvero scherzare, parlare, passare del tempo…

Aveva incrinato un po’ la sua corazza alla morte di Sophia. Riuscì a vedere quanto stesse soffrendo e cercò di fare quello che poteva per consolarlo. Lui, di quella corazza, lasciò aperta una fessura. E l’aveva fatto solo per lei.

Aveva visto molte persone, prima, provare a parlare con lui, ma, nella maggior parte dei casi, si rivelavano imbarazzanti conversazioni a senso unico. Ora, invece, sembrava molto meno a disagio nel relazionarsi con gli altri. Beth non solo aveva rotto la corazza, ma gliela stava anche sfilando. Poteva anche essere rimasto il solito Daryl scontroso e riservato, ma a poco a poco momenti come quello con Abraham e Bob erano sempre più frequenti. Si stava avvicinando alle persone. Come con Rick, per esempio: lui e Daryl erano in buoni rapporti da un bel po’, anche se lei non lo approvava del tutto, ma non li aveva mai visti così vicini prima d’ora. Era stato il più sottile dei cambiamenti, ma era evidente nei loro piccoli gesti, nei silenzi in cui si capivano anche solo con uno sguardo. Per non parlare poi di come Rick cercava sempre di confrontarsi con lui quando doveva prendere una qualsiasi decisione. Sembravano più fratelli che amici. Forse i figli di Rick, crescendo, avrebbero imparato a chiamarlo zio.

Non è neanche il fatto che stia con Beth che mi infastidisce, è il fatto che lui stia rinascendo dalle tenebre mentre io mi ci sto inoltrando ad uccidermi.

Più avanti, la strada si aprì a tal punto che riuscirono a vedere l’ultimo mezzo miglio che li avrebbe condotti a una stazione secondaria. Altre auto abbandonate erano sparpagliate lungo tutto il perimetro. Rick cominciò a rallentare, quando un rumore proveniente dai boschi li allarmò.

Daryl, ovviamente, fu il primo a rendersi conto solo dal rumore che non era un vagante.

“Chi ha voglia di cervo?”

Come saltò giù dall’auto, il cervo cominciò a scappare nei boschi e lui non esitò a seguirlo.

“Non andare da solo! Carol, lo seguiresti?”, le chiese Rick, guardando il punto tra gli alberi in cui le ali d’angelo dietro al gilet di Daryl erano sparite.

Annuendo, Carol seguì il suo percorso e lo ritrovò poco dopo tra gli alberi. Il cervo si era allontanato abbastanza.

“Dobbiamo restare indietro, deve pensare che non vogliamo raggiungerlo.”

Seguirono le tracce fresche che l’animale aveva lasciato sul terreno, senza parlare.

“Tutto bene tra te e Rick?”, chiese poi Daryl.

“A che ti riferisci?” Carol sospirò.

Nessuno le aveva chiesto nulla a proposito fino a quel momento, ma era certa che qualcuno doveva averli sentiti litigare qualche notte prima.

Sicuro di se stesso, Daryl alzò lo sguardo su di lei che, a dispetto di se stessa, dovette soffocare un sorriso amaro.

“Vi siete allontanati nei boschi e dopo qualche minuto vi ho sentiti urlare. Pensi che io non sia corso a controllare? Appena ho visto che non eravate stati attaccati, sono tornato indietro. Ma anche se non ho ascoltato quello che stavate dicendo, è evidente che le cose tra voi non vanno bene.”

Appunto, qualcuno li aveva sentiti urlare. Almeno si tranquillizzò nel sapere che era stato Daryl, forse l’unico che non si sarebbe schierato. Si fidava di lui e sapeva che le avrebbe dato un giudizio imparziale, ma non era sicura che sarebbe stato d’accordo con lei. Si chiese quale parte della conversazione avesse sentito.

“Faccio quello che mi chiede di fare”, disse con fermezza. “Cioè tutto quello che vuole lui, in ogni caso.”

“Ti sbagli, a lui importa di te. Gli importa di tutti noi”, borbottò Daryl.

“Di me meno degli altri”, sbuffò lei. “Sono pericolosa, hai sentito quella parte? Non ci si può fidare di me, faccio le cose di mia iniziativa, uccido persone innocenti. Non mi vuole intorno ai suoi figli.”

“Ha detto tutto questo?”

Teoricamente no. Aveva iniziato dicendole che Tyreese gli aveva raccontato tutto quello che avevano passato per strada e che gli dispiaceva per Lizzie, Mika e Sophie. Le aveva detto che voleva dimenticare tutto e andare avanti. In realtà, si era anche scusato per alcune cose che le aveva detto quando l’aveva allontanata dalla prigione e si era quasi rimangiato quello che aveva detto su Carl e Judith. Aveva ammesso di sapere che avrebbe fatto di tutto per proteggerli e la ringraziò per essersi presa cura della piccola. Poi, le aveva anche detto che se Tyreese era riuscito a perdonarla, poteva farlo anche lui.

Ma era stata proprio l’implicazione di dover aspettare il suo eventuale perdono a infastidirla. Non aveva fatto niente di male e lui l’aveva allontanata, e ora se n’era uscito con quel “ti farò sapere se riuscirò a perdonarti”.

“Anche se non l’ha detto, mi è chiaro ciò che pensa di me.”

“Cambierà idea.” Daryl scrollò le spalle. “Io ho capito che l’hai fatto per proteggerci e l’ha capito anche lui.”

“Ma capisci che mi ha fatto, Daryl? Mi ha lasciata lì fuori da sola. Quante chance pensi che avrei avuto di sopravvivere? Quante pensi che ne abbia chiunque? Non gli importava del fatto che rischiassi di morire.”

“Non sarebbe accaduto”, le rispose con sincerità. “Se il Governatore non avesse fatto ciò che ha fatto, sarei venuto a prenderti, Rick lo sapeva. Ti avrei riportata indietro, come ho fatto con Merle, e vi avrei chiusi in una stanza finché non sareste andati d’accordo.”

Il confronto con Merle la colpì come un pugno allo stomaco, ma cercò di non darlo a vedere.

“Come avresti fatto? Come mi avresti trovata?”

Daryl non rispose, ma si fermò, mantenendo lo sguardo fisso sul terreno. Guardò con curiosità la direzione opposta a quella che stavano seguendo, forse domandandosi cosa avesse spinto quel cervo a cambiare così bruscamente il suo percorso.

Forse l’avrebbe trovata. Era strano come tutti si fossero ritrovati ogni volta, in effetti. Era difficile per lei pensare a cosa sarebbe potuto succedere, se quello che era davvero successo di recente era così vivido nella sua mente. Probabilmente, sarebbe ritornata da sola alla prigione, divisa tra l’idea di pregare gli altri di riammetterla confessando la verità a Tyreese e l’idea di provare a convincere Daryl a partire con lei. Ma tutti i suoi piani erano stati stravolti da quello che aveva subito poco dopo e aveva abbandonato quei pensieri negli angoli più reconditi della sua memoria.

Se era davvero destinata ad essere la reietta, doveva affrontarlo. Poteva non riavere più un’altra occasione per farlo.

“Cos’è successo… tra te e Beth?”

Odiava il modo in cui quella domanda era uscita dalla sua bocca. Riuscì a sentire gli echi della persona timida e debole che era prima.

Smise per un attimo di seguire le tracce per voltarsi e guardarla, studiandola.

“Non so spiegarlo”, ammise. “E’ successo.”

Annuendo, Carol cercò di capire. “Avrei mai potuto immaginarlo?”

Fece un passo verso di lui, accorciando le distanze. Daryl non si mosse, ma mantenne lo sguardo su di lei, finché, finalmente, non scosse la testa.

“Tu non potevi immaginare niente, Carol. Se volevi, ero lì. Infatti, non volevi.”

“Non pensi che magari me lo tenevo per me?” Rise lievemente.

“Non volevi”, scosse ancora la testa. “Se l’avessi voluto davvero, avresti fatto qualcosa.”

A quelle parole, Carol alzò gli occhi al cielo. Almeno in parte, sapeva che aveva ragione. Per tutto il tempo in cui erano stati amici, aveva pensato, una volta o due, di fare qualche passo in più verso di lui, ma qualcosa l’aveva sempre frenata. Forse era la stanchezza.

Era così stanca.

Daryl si avvicinò, mantenendo la voce bassa anche se non c’era nessuno a spiarli. “Sei la persona più coraggiosa che conosco. E nella vita ho conosciuto molti figli di puttana, fattelo dire.”

C’era una serietà nei suoi occhi che la sorprese, anche se non avrebbe dovuto. Daryl non parlava mai con leggerezza.

“Tu, io, anche Beth… tutti noi abbiamo ottenuto uno scopo e tutti noi abbiamo bisogno delle persone, ma tu, più di tutti, non hai bisogno di un marito apocalittico.”

“A volte penso che Ed… la morte di Sophia… penso che mi abbiano distrutta in un modo che neanche io riesco a capire. E se non riuscissi più a farlo di nuovo?”

E se non riuscissi più ad amare?

“Stronzate. Ti ho detto che non hai bisogno di nessun uomo. Tu puoi fare tutto quello che vuoi.”

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Capitolo 29
*** Madre ***


MADRE

 



 

Beth dovette aspettare mezzogiorno per cominciare a sentire quanto davvero fosse indolenzito il suo corpo.

Daryl Dixon, cosa mi hai fatto?

Cercò di alzarsi per riprendersi un po’, ma non poté fare nulla per la stanchezza. Infatti, qualche ora più tardi, si addormentò accanto a Judith sul pavimento della stanza di Rick. Quando si svegliò, Maggie era seduta ai piedi del letto e le sorrideva.

“Stanca?”

Beth sobbalzò e guardò subito la bambina, ancora immersa nel suo pisolino.

“Scusa, ora sono sveglia, giuro”, sbadigliò. “Sono già tornati?”

Guardò fuori la finestra e dalla luce realizzò che era ancora presto. Cercò di mantenere il tono di voce basso, ma Judith la sentì comunque e cominciò a piagnucolare.

“No.”

Maggie sollevò Judith dal pavimento e tornò a sedersi ai piedi del letto, mettendola accanto a sé con un braccio ad avvolgerla per impedirle di cadere.

Dopo essersi sgranchita la schiena, Beth si alzò sospirando. “Come stai?”

“Sono pronta ad andare, ma Rick e Bob vogliono che stia qui almeno per altri tre giorni che, sinceramente, penso sia il tempo entro cui daremo inizio al piano”, rispose sua sorella alzando le spalle.

“Sei quasi morta”, sottolineò Beth, rabbrividendo al pensiero.

“Abbiamo rischiato tutti di morire”, insistette Maggie, accarezzando la testa di Judith. “Senti, devo dire questa cosa a qualcuno, e non può essere Glenn. Prometti di non voler andare al posto mio?”

Senza lasciarla parlare, Beth scoprì cosa stava per dirle semplicemente guardando i suoi occhi inumidirsi.

“Sei incinta.”

Potrei esserlo”, la corresse Maggie. “Non l’avrei mai nascosto a Glenn, solo che se lo scoprisse lo direbbe a Rick e io non potrei rendermi utile in nessun modo.”

“Ma sarebbe giusto. Se aspetti un bambino non è il caso che tu vada a Terminus. Potresti restare qui a prenderti cura di Judith, potrei andare io al posto tuo.”

“No, Beth”, scosse la testa. “Non sai combattere. Potrebbe anche non succedere nulla, magari prenderemo ciò che ci serve senza problemi e ce ne andremo, ma le cose potrebbero mettersi male. Non lascerò che tu vada.”

“Maggie...”

“No, c’è bisogno del contributo di tutti, dobbiamo proteggerci l’un l’altro lì fuori. Devi stare con la bambina, tenerla fuori pericolo. Se ti dovesse succedere qualcosa non potrei sopportarlo.”

“E’ così che mi sento sempre, lo sai?”, ribattè Beth, reggendo lo sguardo determinato di sua sorella. “Ogni volta che tu, Glenn o Daryl uscite, io vengo lasciata qui a… sperare. Come pensi mi sentirei io, invece, se scoprissi che ti è successo qualcosa quando avrei dovuto prendere il tuo posto?”

“Io e Glenn ci proteggeremo a vicenda. Tu proteggi lei.” Maggie baciò la fronte della bambina, sorridendo. “So che non è il migliore dei tempi ma… voglio avere un bambino.”

“L’avevo capito”, rispose pensierosa.

“Tu e Daryl siete stati attenti?”, chiese di punto in bianco.

Nervosamente, Beth si lasciò andare a una risata rumorosa. “Sarebbe abbastanza stupido, non ci ho neanche mai pensato… ma, non so, mi sento come se non dovessi preoccuparmi. Se succede, succede”, scrollò le spalle.

Questo è stupido”, rise anche Maggie, scuotendo la testa. “Oppure hai già raggiunto la convinzione che la vita dovrà andare avanti. Io e Glenn ci abbiamo messo un po’ per convincerci e, a essere onesti, non so neanche se lo siamo abbastanza.”

Sentì il bisogno di parlare con Daryl.

“Questo è il bello di avere una sorella maggiore: posso osservare le tue esperienze e saltare quello che non sembra piacevole.”

“Non c’è di che.”

“Ho sempre voluto avere dei bambini”, ammise Beth, ricordandosi della ragazza che era prima dell’apocalisse. “Non pensavo che sarebbe successo perché ero convinta che sarei morta. Anche quando poi ho deciso di sopravvivere, facevo fatica anche solo a immaginarlo, vedendo quello a cui andavano incontro Rick e Lori...”

Maggie fece una smorfia e si portò una mano sul ventre.

“Avevo perso le speranze per un po’, proprio non riuscivo a immaginare che ci fossero bambini in questo mondo. Quasi odiavo Rick e Lori per essere stati così sbadati. Come l’avrebbero protetto? Come avrebbe fatto a crescere felice? Per un secondo, pensandoci, mi stavo convincendo a morire vergine.” Si portò le ginocchia al petto e avvolse le braccia intorno alle gambe. “Solo che… ti ricordi di Daryl, quando è nata Judith?”

Sorrise, ricordando Daryl che la teneva in braccio con una tenerezza che da lui mai si sarebbe aspettata.

Maggie imitò la sua espressione. “E’ stato in quel momento che hai deciso che ti piaceva?”

“Quello è stato il momento in cui ho capito che non era una stupida cotta, ma ero comunque frenata per la sua età, cercavo di non pensarci… Più che altro, quello è stato il momento in cui ho recuperato la speranza e ho pensato che avrei potuto ancora avere un bambino, che le persone sono ancora persone.”

Maggie annuì senza dire nulla. Gli occhi le si inumidirono ancora di più, tentò di trattenere le lacrime. “Già… credo che Judith abbia bisogno di amici.”

Il rumore di un motore proveniente dal parcheggio le fece balzare in piedi entrambe. Sembrava simile a quello della jeep, ma non potevano mai dare nulla per scontato. Maggie passò subito Judith a Beth e, impugnando la pistola, si affacciò alla finestra.

“Sono loro”, si rilassò. “Mi chiedo perché siano tornati così presto.”

Raggiunto il parcheggio, scorsero Tara che ascoltava Eugene, perso in uno sproloquio infinito su come cucinare correttamente la carne di cervo, mentre Abraham e Carol stavano trascinando giù dalla macchina la loro cena. Carl prese Judith, e Beth poté finalmente cercare Daryl con lo sguardo.

Si avvicinò timidamente. L’aveva baciata quella stessa mattina davanti a Rick e, istintivamente, gli avrebbe gettato le braccia al collo, ma non poteva sapere come si sarebbe sentito a compiere certi gesti d’affetto davanti a tutti gli altri.

Inaspettatamente, fu lui ad avvicinarsi a lei e ad allargare le braccia per invitarla a stringersi a lui. Aveva ancora la balestra in mano, sentiva il suo peso. Il cuore di Beth batteva forte come se avesse corso e, a contatto col suo petto, sentì che anche il suo aveva un ritmo simile. Daryl le strinse il mento fra due dita e lo spinse all’indietro, per baciarla. Per qualche secondo, Beth, incredula, si domandò se si fosse reso conto che qualcuno li stava sicuramente guardando. Mentre le sue labbra l’accarezzarono lentamente, sentì qualcosa muoversi alla bocca dello stomaco.

Non molto lontana da loro, Maggie stava salutando Glenn. “Perché siete tornati così presto?”

“E’ andato tutto liscio. Abbiamo trovato molta roba in un solo giorno, abbiamo pensato che un po’ di riposo poteva valere di più di un paio di barattoli di carne in scatola.”

“Non sottovalutare la carne in scatola!”, gridò Carl.

Glenn, in risposta, fece una smorfia.

Beth si staccò da Daryl, ma mantenne la mano stretta sul suo braccio quando si voltò a parlare con Glenn. “Cosa avete trovato in grandi quantità?”

“Benzina per questa bestia”, rispose indicando il fuoristrada. “Abbiamo trovato due auto con i serbatoi pieni.”

“Era una trappola”, rifletté Daryl. “Avevano le gomme a terra, evidentemente i proprietari erano andati a cercare aiuto a piedi, ma non sono mai tornati. Chi le aveva messe lì non è mai tornato a rivendicarle.”

Beth rabbrividì, cercando di capire perché qualcuno avrebbe dovuto servirsi di una trappola del genere, ma forse conosceva già la risposta. Erano vicini a Terminus, avrebbe scommesso che qualcuno di loro le aveva messe lì per far sì che qualcuno si fermasse. E, a quel punto, li avrebbero rapiti.

“Hai trovato un cervo?”

Due giorni di fila con un pasto decente. Cominciò a sentirsi quasi viziata.

“Diciamo che è stata più lei a trovare noi”, ammise Daryl, che tacque quando vide Rick avvicinarsi.

“Beth, Daryl, posso parlarvi?”

I due annuirono e lo sceriffo gli fece cenno di seguirlo. Nonostante il suo comportamento indifferente di quella mattina, Beth considerò la possibilità che non approvasse la loro relazione e, vista la notevole influenza che aveva su Daryl, se ne preoccupò. Improvvisamente nervosa, gli strinse la mano, intrecciando le dita con le sue. Si sentì immensamente stupida quando poi scoprì che la pensava in tutt’altro modo.

“Questo è il secondo giorno di fila che riusciamo a ottenere un pasto decente e basterà anche per domani, ma stavo pensando… sarebbe un problema per te cacciare per il resto del tempo che passeremo qui? Se la tua gamba lo permette, ovviamente.”

Mentre parlava, sembrava nervoso, come suo solito. Ogni tanto non li guardava e si girava verso i boschi.

“La gamba sta bene”, disse Daryl.

“Vale anche per me?”, chiese Beth speranzosa.

“Non potrei mai lasciarlo andare fuori da solo e poi le abilità che stai sviluppando stanno diventando preziose.”

“L’unico problema è che questi boschi sono più vuoti. Una mandria è passata di qua non molto tempo fa, potremmo metterci anche una giornata intera, se non di più”, lo avvertì Daryl.

Rick annuì con uno sguardo comprensivo. “Basterà anche solo una notte, poi il giorno dopo riposerete prima di andare a Terminus.”

Circa venti minuti dopo, Beth si stava ancora crogiolando su quella conversazione, senza però sapere cosa esattamente la stava preoccupando così tanto. Più ci pensava, più realizzava che Rick non si sarebbe mai intromesso negli affari suoi e di Daryl. E poi, mandarli insieme nel bosco di notte a cercare cibo, quando fino a poco tempo prima nessuno avrebbe permesso a Beth di andare da nessuna parte, era il suo modo di mostrare la sua approvazione.

C’era un po’ di lavoro da fare, ma per una volta le sembrò che nessuno avesse fretta. Non tutti erano impegnati a fare qualcosa e, se lo facevano, si muovevano a ritmi più lenti. Erano tutti più rilassati.

Daryl e Beth con Judith in braccio si appostarono in un posto ombreggiato accanto all’ufficio del motel, che era un buon punto di osservazione. Eugene e Tara stavano preparando la cena e, abbastanza vicini a loro da condividere una conversazione, c’erano Bob e Abraham che cercavano di insegnare a Carl a giocare a Texas Hold ‘Em con un mazzo di carte consumate che avevano trovato in una delle stanze, accanto a una Bibbia. Michonne, Rick e Carol sistemavano le taniche di benzina, mentre Glenn aiutava- o distraeva, era difficile a dirsi- Maggie e Rosita a lavare i vestiti. Tyreese e Sasha, invece, erano più distanti, più vicini al bosco. Sembrava che si stessero dicendo qualcosa di importante.

Il vento freddo distolse Beth dal guardare gli altri, facendola rabbrividire. L’aria si stava raffreddando in fretta, ma non voleva credere che stesse già arrivando l’inverno.

“Ti ricordi quando siete arrivati alla fattoria e Rick aveva mandato Glenn e Maggie fuori insieme? Secondo te, l’aveva fatto apposta?”

“Che vuoi dire?”

Daryl sembrava confuso, ma il rossore sulle guance e il fatto che non la guardava negli occhi le fecero intendere che in parte aveva capito cosa stava cercando di dire. La sua bocca si contrasse mentre raddrizzava la piuma di una delle sue frecce.

“Lo sai.”

Beth avvicinò il viso al suo, sperando che si girasse per poter incontrare i suoi piccoli occhi azzurri.

“Non lo so.”

Staccò un piccolo pezzo di una delle piume con la bocca e glielo lanciò in faccia. Invece di indietreggiare, Beth si avvicinò e sentì la piuma solleticarle la pelle.

“Io penso che l’abbia fatto apposta.”

“Nel senso che li voleva incastrare o qualcosa del genere?”, borbottò Daryl, ammettendo implicitamente di aver capito cosa intendesse lei.

“Sì… oppure non so, di certo non ha cercato di combinare un matrimonio, ma credo che volesse semplicemente farci mischiare tra noi, farci relazionare. Ricordo che disse a mio padre che voleva che diventassimo un unico gruppo.”

“Mmh.” Daryl continuava a guardarsi le mani. “Tieni, facciamo a cambio.”

Levò le frecce dalla balestra e gliela passò, facendole cenno di dare a lui la bambina.

“Che devo fare con questa?”

Beth si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse fungere da bersaglio. Non faceva pratica da un po’, ma la sua mira era già abbastanza buona. Daryl fece sedere Judith sulla sua coscia sana, stringendole il piccolo busto con un braccio.

“Caricala.”

“Ma la carichi sempre tu.”

Guardò la balestra dubbiosa. Aveva già notato il modo in cui i muscoli delle braccia gli si gonfiavano quando la caricava e pensava di non farcela. In parte sapeva che anche Daryl lo pensava. Infatti, tutte le altre volte, senza neanche discuterne, l’aveva caricata lui e poi la lasciava a lei.

“Devi imparare.”

Insicura, Beth posizionò la balestra.

“Assicurati che sia sempre puntata a terra o lontano da qualsiasi persona che potresti uccidere, come con la pistola.”

Cercò di tirare indietro la corda e più la tendeva, più sentiva le braccia irrigidirsi.

“Sei forte”, gli disse ansimando, prima di arrendersi. Le dita con cui l’aveva afferrata erano diventate bianche per la pressione.

“Riprova.”

“Sono abbastanza sicura di non avere i muscoli per farlo”, ammise, vergognandosi un po’.

“Sì, ci avevo pensato”, rispose lui sollevando Judith e portandola sopra la sua testa. “Ma non è una cosa che hai e basta.”

Con delicatezza, abbassò la bambina sulle sue spalle, in modo tale che le sue piccole gambe gli ciondolassero intorno al collo. Judith emise un piccolo gridolino e, euforica, gli afferrò una ciocca di capelli. “Ce li hai i muscoli, devi solo lavorarli.”

Dopo una serie di tentativi, gli altri li avvertirono che la cena era pronta. Le braccia di Beth erano indolenzite e non era neanche riuscita a caricarla, alla fine. Eppure, a Daryl sembrava piacere guardarla mentre provava a tirare quella corda e lei era anche abbastanza determinata a metterci la forza necessaria… ma ci sarebbero voluti ancora un po’ di tempo e pratica.

Mentre consumava il suo pasto, Daryl le massaggiava con una mano la spalla dolorante. Aveva finito la sua razione in pochi minuti, ma tutti gli altri stavano ancora mangiando e parlando tra di loro. Beth cominciò a pensare che forse avrebbe dovuto chiedere a Michonne di allenarsi insieme quotidianamente.

Pensando al suo bisogno di essere forte, la conversazione con Maggie di quel pomeriggio le riaffiorò in mente. Ora sapeva che la sua paura di avere figli veniva dalla sua incapacità di tenerli a sicuro. Anche con Daryl come padre, non avrebbe potuto garantire che a loro non sarebbe successo nulla. Quel mondo era troppo pericoloso e lei non era abbastanza pronta. Se desiderava così tanto dei figli o dei nipoti, avrebbe dovuto imparare a proteggerli e sapersi proteggere, per poi insegnarlo a loro una volta cresciuti. Ormai le cose stavano così.

Abbiamo tutti un compito da svolgere. Sono una custode, una cacciatrice e una combattente. Ho bisogno di essere una madre, e ho bisogno di essere un’assassina.

Quella notte, di nuovo tra le braccia di Daryl e divisa tra mille pensieri diversi, quasi accidentalmente, si lasciò andare.

“Ho parlato con Maggie.” Era appoggiata sul suo petto, mentre lui le accarezzava i capelli. “E ho realizzato… che forse dovrei chiederti… come la prenderesti se dovessimo avere un bambino.”

Sentì le sue dita irrigidirsi tra le ciocche di capelli. “Maggie è incinta?”

Cazzo.

“Sì, forse.”

“Cazzo, Glenn non lo sa.”

“Come l’hai capito?”

Beth alzò la testa, appoggiandosi col mento sul suo torace. Il suo cuore vacillò un po’ quando lo vide. Era pallido come un fantasma.

“Beh, sarebbe davvero nei casini.” Daryl deglutì, guardando il soffitto.

“E tu?”

Rimase in silenzio per qualche secondo, pensieroso. “Non lo so, probabilmente creperei sul posto a scoprire una cosa del genere, ma mi sono sempre piaciuti i bambini. Dovrai impedirmi di diventare un padre di merda. Alcune cose le posso gestire, ma altre… cazzo, Greene, mi dovrai dare una mano.”

“Quindi non ti arrabbieresti se dovessi essere incinta?”

“Arrabbiarmi? Diamine, no. Al massimo mi piscio sotto per la paura.”

Beth aveva imparato a conoscerlo abbastanza bene da sapere già la sua risposta, ma aveva bisogno di sentirselo dire ad alta voce.

Gli sorrise. “Saresti un ottimo papà.”

“Vuoi dei bambini?”

“Sì.”

“Puoi avere tutti i bambini che vuoi.”

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Capitolo 30
*** Luna di miele ***


LUNA DI MIELE






Stare insieme, da soli, per così tanto tempo era meraviglioso, ma spesso anche problematico. Il primo giorno, prima di iniziare la caccia, s’imposero di non fermarsi fin quando non avessero trovato qualcosa. E se non avessero trovato nulla, avrebbero dovuto aspettare. Rick e gli altri contavano su di loro, dovevano essere responsabili e mettere i bisogni del gruppo al di sopra dei propri appetiti personali. Era una regola pratica e ragionevole, ma nel giro di un’ora l’avevano già infranta due volte.

Mentre Daryl si abbottonava i pantaloni, Beth era per terra alla ricerca del suo elastico per i capelli.

“D’ora in poi facciamo i bravi, ok?”

Aveva il fiato corto e non riusciva a smettere di sorridere, anche se cercava di essere seria. Avevano bisogno di concentrarsi sulla caccia, dovevano esplorare più aree possibili.

“Sì, se mi lascerai in pace”, brontolò Daryl.

Le mostrò il suo elastico e glielo lanciò, colpendole l’addome.

“Io?! Hai iniziato tu!”

“Ti stavo solo togliendo un ragno dai capelli”, rispose seccato, ma sorrideva.

“Mi hai toccata.”

“Sì, va bene, mi assumo le mie responsabilità per quello.”

S’inoltrarono nel bosco più in profondità di quanto avessero mai fatto, all’inizio anche abbastanza velocemente. Il loro primo obiettivo non era cercare delle prede, e Beth riuscì a spiegarsi il perché. La sera precedente, Daryl aveva già riferito a Rick che una mandria era passata per quei boschi di recente, ma solo ora che anche lei li stava attraversando poté capire di cosa stava parlando: il terreno era interamente ricoperto di orme, le piante più piccole erano in gran parte state calpestate. Non si meravigliò della fuga degli animali, i vaganti si nutrivano anche di loro quando non avevano la carne umana a disposizione. Era anche troppo tardi per trovare una tana, non ci sarebbe stata abbastanza acqua o abbastanza luce solare per loro sotto la copertura di qualche albero.

Furono abbastanza lesti, ma dopo qualche miglio fu inevitabile rallentare il passo. Non fecero una vera e propria pausa finché il sole non raggiunse la sua massima altezza in cielo.

“Non ci sono più tracce di vaganti”, annunciò Beth speranzosa, “possiamo iniziare a cacciare adesso?”

Daryl annuì mentre divideva un pezzo di carne essiccata con i denti. Diede a Beth la porzione più grande.

“Non ho visto nulla in lontananza”, ammise, “ma non possiamo abbassare la guardia.”

“Quanto pensi che ci siamo allontanati dal campo?”

Scrollò le spalle. “Forse cinque miglia.”

“Solo cinque?”

A Beth era sembrato di camminare per circa il doppio della strada, ma poi rammentò che l’ultima ora di cammino era stata tutta in salita.

Per una somma di tempo indefinita, quasi si fusero con la tranquillità del bosco. Prima dell’apocalisse, Beth ogni tanto vagava nei boschi attorno alla fattoria. Le piaceva il silenzio che vigeva indisturbato in quei luoghi, ma questa volta le sembrarono ancora più tranquilli di allora, forse per la consapevolezza che ora tutto il mondo era in silenzio, forse perché non avevano più un caos in cui tornare. I rumori della città non le mancavano, perché non era mai stata troppo a lungo lontana dalla sua casa in campagna per poterli apprezzare, ma nonostante ciò il pensiero che non ci fossero più la rendeva triste, così come tutti gli spazi abbandonati che avevano visto.

Il suono di una freccia appena scoccata dalla balestra di Daryl la riportò alla realtà, facendola sobbalzare. Alzò lo sguardo quel tanto che bastava per vedere che aveva trafitto uno scoiattolo, bloccato contro un albero non troppo lontano da quelli su cui si erano appoggiati. Era così assorta nei suoi pensieri che non l’aveva neanche visto arrivare.

Tenendo il resto della carne essiccata tra i denti, Daryl estrasse il pugnale dai pantaloni e si alzò per andare a recuperare la sua preda. Le aveva lasciato la balestra e un’altra freccia. Beth ne approfittò per fare un altro tentativo per ricaricarla. Forse era solo una sua impressione, ma le sembrò di essere leggermente migliorata. Il suo braccio era ancora indolenzito per lo sforzo del giorno precedente, ma le parve di potercela fare. Stava cominciando a capire che doveva impiegare tutto il suo corpo in funzione di quel movimento. La notte scorsa, Daryl le aveva spiegato che era come fare uno stacco da terra con cinquanta chili. Ovviamente, non aveva mai fatto neanche quello, però sia lui che Michonne l’avevano avvertita che sarebbe stato difficile, ma comunque non impossibile, per una piccola donna come lei.

Daryl fissò il suo bottina alla cintura e poi si fermò a qualche metro di distanza per guardarla mentre cercava di caricare l’arma. Quando Beth ne ebbe abbastanza, ricambiò il suo sguardo sbuffando.

“Insisti”, la incoraggiò. “Prima o poi riuscirai a farlo anche con una sola mano.”

“Non ho mai visto neanche te farlo”, lo sfidò con un cipiglio.

Daryl strinse gli occhi, nonostante lei fosse riuscita a vedere un piccolo sorriso comparire sul suo volto. Tornò indietro e riprese l’arma, allargando goffamente le dita per tirare la corda da entrambi i lati in egual misura. Con maggiore sforzo del solito, naturalmente, la tirò indietro e caricò la balestra senza problemi.

“Ora l’hai visto”, ghignò soddisfatto, rilanciandogliela.

Beth l’afferrò al volo. “Sì, non riuscirò mai a farlo”, disse, roteando gli occhi e alzandosi da terra.

Dopo un altro mezzo miglio, finalmente trovarono delle tracce.

“Sono fresche?” Beth pensò che le orme dovevano essere di un cervo, data la forma degli zoccoli.

“Dimmelo tu.”

“Lo sono, vero? Stiamo seguendo un cervo!”, esclamò euforica. “Dev’essere passato qui non molto tempo fa...”

Avere un pasto abbondante per un altro giorno poteva dare la giusta spinta al gruppo prima di andare a Terminus e iniziare il loro viaggio verso Washington. Erano tutti molto stanchi e qualcuno ancora ferito, il giusto apporto di energie poteva fare la differenza.

“Così sembra, ma probabilmente qualcosa l’ha spaventato. Forse noi, o qualche vagante. Dobbiamo stare attenti.”

“Dobbiamo fare in fretta!” Beth era pronta a iniziare un inseguimento, ma Daryl le fece cenno di rallentare.

“Non devi mai cercare di essere più veloce di lui”, spiegò. “La nostra presa dovrà avere sempre il vantaggio della velocità. Noi marciamo, non tentiamo di essere più veloci. Noi cacciamo. Dobbiamo solo vedere e capire dov’è diretta. Tra poco si sentirà al sicuro, si stancherà e smetterà di correre. Sarà quello il momento in cui attaccheremo, come Terminator.”

“Non l’ho mai visto”, confessò lei. Si ricordò di quanto fosse facile prima che la gente rimproverasse altra gente per non aver mai visto un certo film, per non essere mai stato a Disneyland o per non aver mai fatto altre cose che ormai erano morte e sepolte insieme al vecchio mondo. “E’ bello?”

Lui non rispose, ma rallentò verso un punto morto, alzando una mano verso di lei in segno di avvertimento.

Riuscì a sentirli anche lei, i grugniti e i fruscii. Con cautela, Daryl cercò di avanzare il più lentamente possibile verso un albero, in modo tale da avere una visuale migliore.

“Vagante?”, mimò Beth col labiale non appena incontrò il suo sguardo.

Spostando di nuovo gli occhi oltre il tronco di quell’albero, annuì e le fece cenno di avvicinarsi girando intorno ad esso.

Il vagante strisciava per terra, trascinandosi con le mani. Aveva le dita rotte per lo sforzo e le gambe amputate. Da vivo, doveva essere stato solo un ragazzino, forse di non più di quattordici anni. Appena li vide, cominciò a raspare e ad aprire e chiudere meccanicamente la mandibola.

Beth non aveva ancora ucciso un vagante con la balestra, ci era andata vicina solo quella volta che era rimasta intrappolata in quella trappola per orsi, ferendosi la caviglia. Si era distratta e non era riuscita a colpirlo alla testa, ma questa volta prese la mira e scoccò la freccia, colpendo a pieno il bersaglio in mezzo agli occhi.

“Pensi che sia stato lui a spaventare il cervo?”

Beth estrasse la freccia dalla testa del cadavere e si chiese se Daryl usasse frecce diverse per il cibo e per i vaganti, anche se probabilmente le puliva e basta. Le prese la freccia da mano e gliene diede un’altra, invitandola a provare ancora a ricaricare la balestra.

“Veniva da un’altra direzione”, fece cenno alle tracce di trascinamento che erano un chiaro segno che stava procedendo in discesa. “Teniamo gli occhi aperti.”

Le venne spontaneo pensare che forse se fosse stata da sola si sarebbe spaventata ad ogni lieve fruscio, per non parlare di restare tutta la notte da sola nei boschi. Ma con lui provava le sensazioni opposte, si sentiva assolutamente al sicuro, perché Daryl non avrebbe lasciato che le succedesse qualcosa. Allo stesso tempo, l’entusiasmo iniziale di vagare da soli nel bosco andava via via scemando, perché si accentuò il senso di dovere nell’adempire al loro compito. Continuavano a scherzare e a parlare, ma erano molto più vigili e attenti alla caccia. In un certo senso, era un momento simile a quelli che avevano seguito la caduta della prigione, solo che stavolta era felice. Prima era tormentata dalla morte del padre e dall’incertezza che i suoi compagni fossero vivi o morti. Allora Daryl era tutto ciò che le era rimasto, ma non parlava con lei, se non attraverso monosillabi o versi gutturali. Era infelice, vagava nei boschi a suo seguito come un fantasma, ma si era sempre sentita al sicuro in sua compagnia. Guardando al passato, si meravigliò di quanto poco avessero bisogno di parlare per capirsi e lavorare insieme. Lei seguiva il suo esempio e, a volte, anche lui il suo, a seconda di chi era più lucido in una determinata situazione. Non parlavano, si muovevano e basta. Infatti, nel tempo trascorso a seguire le tracce del cervo, avanzavano automaticamente, senza bisogno di discuterne.

Quando finalmente raggiunsero la loro preda, era stato esattamente come Daryl aveva predetto. L’animale sembrava starsene lì tranquillo, ignaro della loro presenza. Sentendosi più sicura della volta precedente, ma comunque nervosa, Beth prese la mira e premette il dito sul grilletto. Una frazione di secondo prima che lei scoccasse la freccia, le orecchie del cervo si mossero ed era già scappato quando la freccia aveva raggiunto il trono di un albero. Si era nascosto proprio dietro di esso, per poi sparire.

Fattasi rosse, le spalle di Beth crollarono mentre cercava di capire dove avesse sbagliato. Daryl andò a recuperare la freccia per lei.

“Ci ha sentiti?”, gli chiese confusa appena l’aveva visto tornare, mentre le porgeva la freccia. Senza neanche pensarci, riprovò a caricare l’arma, stringendo i denti per lo sforzo. “Ho fatto troppo rumore?”

Fece un respiro profondo e tirò con forza la corda.

“Non credo ci abbia sentiti”, Daryl guardò il punto tra gli alberi in cui era scomparso dalla loro vista. “A volte semplicemente capiscono… si accorgono giusto in tempo di cosa stai facendo, perché è il loro giorno fortunato o qualcosa di simile.”

“Dovremmo continuare a seguirlo?”

Beth restò a bocca aperta quando realizzò che aveva tirato la corda abbastanza in alto. Il suo volto fu illuminato da un grande sorriso che Daryl non poté non ricambiare.

“Ce l’ho fatta!”, si coprì la bocca quando si accorse di aver praticamente gridato. “Ce l’ho fatta”, ripeté, con un tono più basso.

Poggiò la balestra a terra e gli gettò le braccia al collo. Daryl la prese quando era ancora a mezz’aria, facendo un passo indietro per tenersi in equilibrio. I loro corpi erano di nuovo incollati, stavolta per iniziativa di Beth, anche se era lui quello che le aveva infilato le mani sotto la maglietta, in modo da sfiorarle la schiena nuda. La pressione di quelle mani calde quasi la tramortì, voleva di più. Sapeva che non avrebbe mai potuto provare qualcosa di simile con nessun altro.

Tuttavia, entrambi sciolsero quell’abbraccio quasi in sincronia. La loro preda era scappata.

“Non abbiamo tempo, vero?”

Beth si sistemò la maglietta e poi sollevò la balestra da terra.

“No”, gemette lui. “Dobbiamo andare.”

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Capitolo 31
*** Calma ***


CALMA

 



 

La seconda volta che s’imbatterono nel cervo vennero interrotti da due vaganti. Beth pugnalò alla testa quello più vicino, mentre Daryl si occupò dell’altro, calciando più volte il cranio del cadavere già abbattuto per la frustrazione.

Sospirando, Beth guardò di nuovo l’area in cui il cervo si era fermato in posizione perfetta. Avrebbe potuto colpirlo senza problemi, se quei due vaganti non l’avessero fatto scappare di nuovo.

“Continuiamo?”, gli chiese.

Guardò il cielo ed era il crepuscolo. Finora, erano riusciti a uccidere solo un paio di scoiattoli e un coniglio.

“Continua a portarci sempre più lontano”, sbuffò Daryl, “non credo che dovremmo allontanarci ancora di più dal campo.”

“Ci stiamo arrendendo?” Beth sembrava delusa.

“Con lei sì. Dai, abbiamo ancora un po’ di luce, possiamo trovare qualcos’altro facendoci un giro qua intorno o ricominciare domani mattina.”

Iniziava a fare freddo, le temperature erano scese in modo impressionante. Accesero il fuoco in una piccola fossa, Beth era stesa a pancia in giù sulla loro coperta e osservava Daryl che abilmente, dall’altro lato del focolare, scuoiava uno degli scoiattoli che aveva catturato.

“Ti insegnerò anche questo”, le disse.

“Non vedo l’ora.” Beth rabbrividì.

Sentì la sua mano pulsare, le faceva più male del solito. Non era mai guarita da quando l’aveva rosicata a Terminus, ogni volta le croste si aprivano poco dopo essersi formate. Per evitarlo avrebbe dovuto privarsi di fare ogni cosa con quella mano, che tra l’altro era pure la destra, ma era fuori discussione. Guardò le macchie di sangue che avevano sporcato l’interno delle bende per l’ennesima volta, non aveva pensato a portarsi delle garze pulite.

Attraverso il barlume di quella lieve luce data dal fuoco, poté vedere gli occhi di Daryl oscillare tra il suo viso e la sua mano, ma non disse nulla. Beth cominciò a fissarlo a sua volta. Guardandolo pensare, si rese conto che sembrava che volesse dire qualcosa. Evidentemente, c’era qualcosa a bloccarlo.

Daryl non era mai stato un libro aperto. I loro sentimenti li facevano avvicinare giorno dopo giorno, ma Beth era consapevole che, anche se fosse stata con lui per anni o, se avesse vissuto a lungo, per tutta la vita, avrebbero sempre avuto dei momenti come quello. Non si sarebbe mai esposto senza una piccola spinta.

“Qualcosa che non va?”

Posò la carne sul fuoco per cucinarla e non le ripose subito, comportandosi quasi come se non l’avesse neanche sentita. “La ferita ti si è riaperta caricando la balestra?”

Lei alzò le spalle. “Sì, e facendo altre milioni di cose.”

Daryl si avvicinò facendo il giro del focolare, per poi stendersi accanto a lei. Si portò un braccio sotto la testa, mentre l’altra mano era alla ricerca del suo viso. Un formicolio la scosse quando tracciò un percorso con le dita dal collo alle guance, si sentì avvampare più della carne di quello scoiattolo.

“Non devi fare tutto questo solo perché te lo dico io.”

Così era quello che lo preoccupava. Almeno non aveva dovuto pregarlo per saperlo, facevano progressi.

“Lo so.” Finì di riavvolgere la garza e si chinò a baciarlo.

“Devi dirmi di andare dritto all’inferno se divento troppo prepotente.”

“E’ un ordine, signor Dixon?”

Daryl alzò gli occhi su di lei e, posandole entrambe le mai sul volto, lo accompagnò verso il suo per iniziare a mordicchiarle il collo con foga, tanto da causarle forti brividi per tutto il corpo.

Quando si ricordarono della cena, si era quasi bruciata del tutto. Spensero il fuoco e piazzarono un paio di trappole anti-vaganti per tenersi al sicuro. Il freddo non fu un problema, dormirono abbracciati sotto la coperta.

Entrambe le soluzioni funzionarono, perché fu la luce dell’alba a svegliarli. Appena Beth si alzò in piedi, sentì tutte le miglia percorse il giorno precedente gravare sul suo corpo e desiderò di poter rimettersi a dormire avvinghiata a Daryl ancora per un po’. Il modo in cui lui si era alzato le confermò che non era stata l’unica ad averlo pensato, ma per esperienza sapeva che l’unica soluzione per sentirsi meglio era rimettersi in marcia. Silenziosamente, raccolsero le loro cose e si mossero in direzione del motel.

“Stasera, quando torneremo al campo, dovremmo massaggiarci a vicenda”, gli disse, portando la balestra più in alto che poteva sopra la sua testa, nel tentativo di sgranchire le spalle doloranti.

“Ci abbiamo già provato, ricordi?”, ribatté lui con un borbottio.

“Ci proveremo di nuovo.”

“Ci sto.” Daryl si fermò improvvisamente. “Aspetta, dobbiamo dare un’occhiata in giro.”

Arrossendo leggermente, Beth si rese conto di non aver proprio prestato attenzione alle tracce, era ancora mezza addormentata. Ispezionò immediatamente l’ambiente circostante con lo sguardo, alla ricerca di ciò che lui aveva visto. Sconfitta, si morse il labbro inferiore e posò gli occhi su di lui, porgendogli delle scuse silenziose e imbarazzate.

“Continua a seguire le tracce, Greene. Stai perdendo le cose.”

Cosa si era persa? Tutte le tracce che vedeva erano probabilmente di un altro scoiattolo che andava nella direzione da cui stavano venendo. Le piante più basse erano rosicchiate, ma non sembravano tracce recenti.

“Io non… aspetta, quelli sono semi di mela?” Gli occhi le si illuminarono non appena iniziò a cercare tra gli alberi.

“Qui ce n’è uno di pesca”, le indicò Daryl.

“Ci sono alberi da frutto nelle vicinanze!”, esclamò euforica. Era da un pezzo che non mangiava frutta fresca. Ma poi, un secondo dopo, dovette ricredersi quando una folata di vento fresco le accarezzò le guance, come se volesse riportarla coi piedi per terra. “E’ troppo tardi, tutti i frutti saranno marciti o caduti”, aggiunse delusa.

“Andiamo a vedere lo stesso.”

Sapeva che percorso fare per raggiungere quegli alberi da frutto, quindi abbandonò il largo sentiero che conduceva al motel e seguì Daryl dove il bosco cominciava man mano a diradarsi e dove il livello del terreno era più alto.

In poche decine di metri, s’imbatterono in una grande proprietà, nascosta dalla fervida vegetazione, al centro della quale c’era la casa di qualcuno che doveva sicuramente essere morto. La casa era così piccola che la liberarono in circa cinque minuti, abbattendo l’unico vagante che era nei paraggi. I proprietari avevano bloccato le porte e, come la maggior parte dei posti in cui erano stati, Beth era sicura che quella casa avesse una storia. Sembrava che nessuno prima di loro l’avesse trovata, il che era raro. Aprirono il piccolo frigorifero che doveva essere stato spento molto tempo prima, difatti era colmo di cibo scaduto e maleodorante. Dagli armadi riuscirono a recuperare del cibo in scatola da aggiungere al loro bottino di caccia, che non era poi granché, ma sempre meglio di niente.

Nonostante tutto, il vero tesoro esisteva e si trovava all’esterno di quella piccola casa, sul retro: come Beth aveva sospettato, il freddo aveva spogliato gli alberi dei loro frutti, ma accanto a loro vi era una serra che strabordava di frutta e verdura fresca. Riempirono il sacco di iuta che lei aveva trovato in casa con tutto ciò che potevano, per poi concedersi una colazione a base di pomodori freschi.

“Lasciala aperta”, suggerì a Daryl non appena lo vide chiudere la porta della serra. “Quello che lasciamo non verrà sprecato, agli animali entreranno per mangiare.”

Rincuorati dalla loro scoperta, s’incamminarono nuovamente verso il motel, trovando presto sulla strada del ritorno altre tracce di animali che non dovevano essere molto lontani da loro.

Tornarono al campo trovandolo così come l’avevano lasciato. In totale portarono due conigli, quattro scoiattoli, una capra e il cibo che avevano recuperato da quella casa.

Mentre Daryl portò il loro bottino a Eugene e Tara, che ormai si erano autoeletti cuochi ufficiali del gruppo, Beth si avvicinò a Glenn, che stava tentando di estrarre la benzina dal serbatoio della berlina.

“Hey, siete tornati!”, la salutò affaticato. “A Maggie sei mancata.”

Beth alzò un sopracciglio, rivolgendogli un’occhiata torva.

“Sei mancata anche a me”, si corresse sorridendo. “Credo.”

Ricambiando il sorriso, gli diede un abbraccio veloce. “Non staremo stretti tutti in una sola macchina?”

Il lato posteriore della jeep offriva un sacco di spazio, ma erano davvero tanti e avevano anche molte scorte.

“Il risparmio di benzina è molto più importante della nostra comodità.”

Effettivamente, tra Terminus e Washington c’erano un bel po’ di chilometri, e del carburante in più non sarebbe stato di certo inutile.

Allontanandosi da suo cognato, le fu inevitabile pensare al segreto che stava mantenendo. Ogni volta che gli parlava avrebbe voluto confessarglielo, ma puntualmente le moriva sulla punta della lingua. Non era compito suo.


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Con riluttanza, Beth si rimise la maglietta così come le aveva detto di fare Daryl.

“Non devi abbassare la guardia, potrebbe salvarti la vita.”

“Uhuh.”

“Mi stai ascoltando.”

“Abbastanza...”

Daryl era supino sul loro materasso, con addosso solo un paio di pantaloni. “Non funzionerà se solo uno di noi è concentrato.”

A quel punto, Beth gli salì praticamente addosso, afferrandogli il viso con entrambe le mani. “Sono concentrata.”

“Ora io non lo sono più”, gemette, ma dopo aver scosso la testa un paio di volte, s’immerse di nuovo nella sua lezione. “Anche se è riuscito a gettarti a terra, c’è ancora molto che puoi fare.”

“Aspetta, sono io che sto attaccando?”

“Sì, stai sopra.”

“Quindi, sei tu la donna?”

“Zitta.” Daryl le afferrò il polso e le portò la mano sul suo petto. “Devi prendere una delle sue armi e scegliere da che lato vuoi rotolare. Tieni una mano bloccata tra di voi e afferrala con l’altra...”

La strinse in un abbraccio un po’ troppo affettuoso per una lezione di autodifesa, invertì le posizioni e le bloccò un piede con la gamba senza che lei si fosse minimamente accorta che l’aveva mossa. In parte rise, e in parte strillò quando la girò di schiena.

“Come hai imparato tutto questo?”

“Il carcere l’ha insegnato a Merle e Merle l’ha insegnato a me.” Si alzò, accovacciandosi di fronte a lei. “Se puoi, alzati e scappa. Se invece ti blocca...”

“Come?”

“Avvolgi le gambe intorno a me.”

Obbedì velocemente, incrociando le caviglie dietro il suo bacino.

Aveva assunto uno sguardo sfrontato che Beth aveva imparato a conoscere molto bene. Baciandola con passione, le fece credere che la loro lezione fosse finita, ma durò solo fin quando non gli mancò completamente il respiro.

“Questo, proprio qui...”, le afferrò entrambe le cosce all’altezza dei fianchi.

“Mi piace”, Beth si morse il labbro inferiore. Quel minimo di attenzione che tentava di prestare alla lezione andò decisamente a farsi benedire.

“Per scappare, devi afferrare la pelle e stringerla.”

Daryl posò le dita sul suo interno coscia, ma al posto di esercitare la pressione di cui parlava, cominciò ad accarezzarla delicatamente e a scendere sempre più giù.

“In genere dovrebbero lasciarti andare”, mormorò.

“In genere?”

“Nel caso stringi più forte, o feriscigli li occhi, stringigli la gola...”

“Sembra difficile”, ammise, “ma voglio imparare.”

“Devi fare pratica. La cosa migliore è sempre scappare, ma se non riesci devi utilizzare tutto ciò che puoi. I gomiti, le ginocchia, le unghie, i denti.”

“I denti?”

“Impara qualcosa anche dai vaganti”, scherzò.

Abbassò la testa e si avventò sul suo collo, mordendolo prima delicatamente e poi con più forza quando lei cominciò a reagire, emettendo dei gemiti. Beth strinse la presa delle cosce dietro la sua schiena e gli strinse le spalle, affondando le unghie nella sua pelle. In poco tempo, lo sentì irrigidirsi e cominciò a sfilarle la maglietta.

“Insegnarmi a combattere è stata una grande idea”, gemette, “una delle migliori che tu abbia mai avuto.”

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Capitolo 32
*** Capolinea ***


CAPOLINEA

 


 

 

Carol ascoltò a malapena quello che stava dicendo Rick. Passò tutto il tempo ad osservare la mappa di Terminus creata da lui e da Glenn, mettendo insieme le testimonianze di tutti i componenti del gruppo. Si domandò più volte se l’avessero fatta per bene, ma forse era l’unica a essere confusa su molti dettagli. Del resto, conosceva bene solo l’armeria, l’ospedale e la Casa delle Madri.

“Abraham, Tyreese e Carl seguiranno Carol nell’armeria per recuperare tutte le munizioni possibili.”

Questa fu l’unica parte che ascoltò del grande piano di Rick. Poteva farne quanti ne voleva, tanto non andavano mai come previsto.

Il suo rapporto con Daryl, poi, era l’ultimo dei suoi problemi, ma non poté negare di aver sentito un velo di frustrazione quando lo vide abbracciare Beth. Ovviamente, a quel punto si rese conto che era un po’ di più di un semplice velo di frustrazione, ma tanto aveva già deciso che lui aveva ragione su tutto. Sarebbe andata avanti, pur indugiando su quei sentimenti, pur domandandosi in alcuni momenti se anche lui avesse provato le stesse cose. Ma poi notava gli sguardi che rivolgeva alla ragazza che aveva al suo fianco, più bella e più giovane, e ritornava coi piedi per terra. Era andato.

Nel frattempo, tutti discutevano sul da farsi e Carol pensò che sarebbe comunque successo qualcosa. Tutti speravano per il meglio, ma si preparavano al peggio.

Il pensiero di essere l’unica a sapere dell’altra missione non la faceva sentire proprio al meglio, ma d’altro canto non voleva che qualcun altro ne sentisse il peso.

La maggior parte di loro entrò a Termius. Beth, Judith, Tara ed Eugene restarono in un luogo più sicuro, una torre idrica che Beth e Daryl ricordavano di aver visto quando li avevano portati via per dirottare una mandria.

Erano organizzati meglio, stavolta. Se fosse successo qualcosa, se il gruppo si fosse disperso, avevano scelto un luogo d’incontro e, se questo fosse stato compromesso, ne avevano scelto un altro di riserva. Stavano cercando di imparare dai loro errori, non ne avevano mai abbastanza.

Quando la jeep lasciò la torre idrica, Carol fece più di un respiro profondo, preparandosi psicologicamente a dire la verità a Tyreese e a difendersi. Si stavano avvicinando, doveva dirglielo e lasciargli fare tutto quello che avrebbe ritenuto necessario.

Lasciarono che i quattro corridori più veloci, Glenn, Rosita, Michonne e Sasha, sparassero i fuochi d’artificio un quarto di miglio fuori da Terminus, in direzione opposta alla loro via di fuga. Le istruzioni erano semplici: dovevano illuminare il cielo con i fuochi attirando i vaganti verso di loro e poi dovevano usare il lanciarazzi per farne fuori qualcuno al momento della fuga.

Quando il resto del gruppo tornò sulla strada, videro le luci verdi e azzurre dei primi fuochi illuminare il cielo. Non ne avevano abbastanza per uno spettacolo vero e proprio, ma potevano bastare per tirare fuori i vaganti da Terminus e per attirare gli altri nelle vicinanze.

Attesero fuori ai cancelli che tutti i gruppi di vaganti uscissero dalla struttura, dirigendosi verso i fuochi. Nessuno parlava. Erano tutti accovacciati in silenzio nella jeep, abbastanza lontani per impedire ai morti di vederli o di sentire il loro odore. Quando sembrava che fosse rimasto solo un piccolo rivolo di vaganti, Rick mise in moto ed entrarono per i cancelli che erano crollati.

Era quasi deserta. I vaganti rimasti erano i più lenti, quelli a cui mancavano degli arti. Sarebbero stati avversari facili.

“Ognuno di noi ha una destinazione e un compito. Facciamo quello che dobbiamo e usciamo di qui”, disse Rick.

Si divisero subito nelle piccole squadre prestabilite, determinati e con le armi in pugno.

“L’armeria è di qua.” Carol fece cenno al suo gruppo di seguirla.

A Terminus ormai regnava la desolazione. L’avevano distrutta e lei non poté fare a meno di provare soddisfazione davanti a quello spettacolo. Quelle persone avevano provato ad abusare di loro in tutti i modi possibili. Il ricordo della prigione le riaffiorò in mente quando vide i tetti e le pareti degli edifici anneriti dall’incendio e le recinzioni crollate. Scacciandolo subito, riprese la sua marcia.

Tyreese camminava a fianco a lei, tranquillo come sempre. Non avevano parlato molto da quando si erano ricongiunti con gli altri. L’aveva volutamente evitato, al contrario di come aveva cercato di fare con Daryl. Non le aveva chiesto più nulla di quello che gli aveva detto la prima notte. Probabilmente l’aveva dimenticato, o era solo troppo stanco da aver pensato di essersi sognato l’intera conversazione.

Carl e Abraham erano rimasti indietro per uccidere qualche vagante, ma li raggiunsero in breve tempo.

Raggiunta l’armeria, Carol si fermò davanti all’ingresso e fece un passo indietro.

“Sentite, mi dispiace doverlo fare. Abraham e Carl, entrate lì dentro e prendete tutto il possibile. Io e Tyreese abbiamo un’altra faccenda da sbrigare.”

Il volto di Abraham assunse subito un’espressione di profondo sospetto. Notò la perplessità di Tyreese e si rivolse a Carol: “Che diavolo stai cercando di fare, signora?”

“Non abbiamo tempo per questo”, li interruppe Carl con un tono più maturo di quanto lei si aspettasse.

“Mi dispiace, torniamo subito.”

“Di che si tratta?” Tyreese stringeva nervosamente il manico del suo martello.

“Sophie”, ammise Carol a bassa voce. “Si tratta di Sophie.”

Carl decise di procedere senza gli adulti e aprì lentamente la porta, in attesa di poter constatare la presenza di qualche vagante all’interno. Ma non dovevano esserci, perché il ragazzino scomparve subito nell’armeria.

Prima di seguirlo, Abraham rivolse a tutti e due uno sguardo scettico.

Tyreese guardava per terra. “E’ intrappolata da qualche parte? Dobbiamo cercarla e tirarla fuori?”

Carol annuì lentamente.

Gli occhi dell’uomo s’inumidirono e si accesero di una familiare e selvaggia follia, la stessa che li animava quando si svegliava dai suoi incubi.

“E’ viva?”

“Non lo so.”

Fu così veloce che a malapena lo vide. Tyreese azzerò la distanza tra loro avvicinandosi minacciosamente, costringendola a indietreggiare. Istintivamente, Carol portò la mano al manico del suo pugnale, ma lui non sembrava intenzionato ad alzare le mani, teneva semplicemente lo sguardo fisso sui suoi occhi. Uno sguardo accusatorio.

“Che significa non lo so?”

“Potrebbe stare bene. Io spero che stia bene.”

La voce le morì in gola. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva sentito quella sensazione di panico e stavolta era sicura che l’avrebbe strangolata. Poi, riposando lo sguardo su Tyreese, riconobbe che aveva mal interpretato la sua reazione: non aveva intenzione di farle del male, stava solo tentando di trattenere il pianto. Non era arrabbiato, era devastato. E lei gli aveva mentito, di nuovo.

“Non ho avuto scelta. Avevano rinchiuso le madri per tenerle al sicuro e dovevano rimanere rintanate lì per due settimane. Avevano delle provviste. Se hanno seguito quel piano, ora dovrebbe essere al sicuro, ma se non l’hanno fatto, non lo so. C’erano vaganti ovunque, se fossi entrata mi avrebbero seguita e probabilmente tutte la madri sarebbero morte, io e Sophie comprese. Sapevo che se te l’avessi detto tu non te ne saresti andato.”

Tyreese le diede le spalle, prendendosi il volto tra le mani. Non voleva ascoltarla, ma doveva.

“Mi dispiace tanto, Tyreese. Credimi!”

“Lei dov’è?”

Col cuore in gola, Carol si voltò e cominciò a incamminarsi verso la Casa delle Madri. Tyreese si mise dietro di lei, in modo tale da non doverla guardare in faccia.

“Sapevo che non l’avresti lasciata qui...”

Non sapeva perché stava continuando a parlare, aveva già detto tutto ciò che serviva a giustificare il suo comportamento, ma le parole sembravano uscire da sole.

“...è per questo che ho mentito, perché tu sei una brava persona e semplicemente non potevi lasciarla qui, anche se era la scelta giusta, anche se era l’unica. Io non sono una brava persona, Tyreese, perciò sono riuscita a lasciarla qui.”

Lui non disse neanche una parola.

Arrivarono alla Casa delle Madri, che era ancora bloccata. Questo causò a Carol un automatico respiro di sollievo. Ogni volta che Rick li portava ad osservare Terminus da lontano, poteva solo constatare che l’edificio, guardando da quella distanza, era ancora integro, niente di più.

Tyreese sfondò la serratura della porta principale col suo martello e, quando si ritrovarono ad aprirne una seconda, un vagante si trascinò davanti a loro, ringhiando. Era una ragazzina, una madre. Lui non esitò a colpirle il cranio e il corpo cadde giù per una rampa di scale, accanto a un’altra fila di vaganti.

Per qualche terribile minuto, Carol rimase immobile, lasciando che fosse Tyreese ad abbatterli uno ad uno. Li colpì con maestria, testa dopo testa, fin quando anche lei trovò la forza di unirsi a lui e, insieme, si aprirono la strada all’interno della Casa. Le tremavano le mani a tal punto che, se il manico del suo pugnale non fosse stato dotato del tirapugni, non sarebbe stata in grado di mantener salda la presa intorno ad esso.

Abbatterono tutti i vaganti presenti e quando Carol non ne vide altri arrivare, cadde sulle sue stesse ginocchia e cominciò a piangere in silenzio. Tyreese vagava per lo spazio circostante, chiaramente sconvolto e nauseato, ma con gli occhi pieni di speranza.

“Non era tra loro.”

Non significava nulla, mancavano anche tutti i bambini. Forse erano stati divorati dai vaganti per intero.

“Carol, ascoltami.”

Le mise una mano sulla spalla. Ora era lei a nascondersi il viso tra le mani, era lei a non volerlo guardare in faccia. Sollevandola con entrambe le braccia, la fece alzare in piedi, la fece voltare e la strinse in un abbraccio.

“Ascoltami”, la pregò di nuovo. “Judith è sopravvissuta, pensi davvero che sia stata l’unica a uscire da qui sana e salva?”

“Le avevo detto di restare!” Carol singhiozzò contro il suo petto. “Voleva che io l’aiutassi ad uscire, ma io le avevo detto di restare qui. Pensavo fosse più sicuro.”

La lasciò piangere, stringendola fin quando non si divincolò, barcollando verso la porta. Restarono in silenzio per qualche istante, finché non la condusse all’esterno dell’edificio.

“Sophie non è qui, ma non è morta. Me lo sentivo e lo sento ancora. Ora so perché: lei è li fuori.”


 

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Abraham e Carl tentarono di capire cos’era successo, ma Tyreese li invitò più volte a dimenticarlo. Per la gioia di Carol, assecondarono il suo desiderio, almeno per il momento.

Erano ancora nel pieno della loro missione di saccheggio, quindi sapevano alla perfezione quello che dovevano fare. Carichi del maggior numero di armi che riuscivano a trasportare, fecero più di un viaggio dall’armeria alla jeep e viceversa. Non incontrarono mai gli altri due gruppi, che rispettivamente dovevano cercare cibo e medicinali, ma potevano vedere il carico all’interno della jeep crescere gradualmente.

Quando i quattro tornarono alla macchina per l’ultima volta, incontrarono il resto del gruppo in attesa dei corridori. Stavano discutendo.

“I fuochi sono finiti decenni fa, dovrebbero essere già qui.” Maggie guardava con apprensione l’ingresso.

“Probabilmente stanno venendo per il bosco. C’è ancora un po’ di spazio, mentre li aspettiamo potremmo continuare...”

Rick venne interrotto da un urlo di Bob, che indicava il punto in lontananza in cui erano apparsi i quattro corridori.

C’era qualcosa che non andava, Carol si sentì come se una mano gelida le stesse stringendo la gola. Non riuscì a spiegarsi esattamente il perché, ma c’era qualcosa in loro che non trasmetteva nulla di buono. Forse era il loro ritmo. L’ultimo miglio era abbastanza semplice da percorrere, avrebbero fatto subito se avessero corso, ma stavano camminando. Tutti e quattro allo stesso modo. Nessuno di loro sembrava apparentemente ferito, ma c’era qualcosa di pesante nel modo in cui camminavano, non sembrava una marcia di vittoria. Al contrario, sembravano sconfitti.

Carol si rese conto del silenzio in cui erano calati tutti gli altri e, senza guadare le loro facce, capì che avevano fatto il suo stesso pensiero. Senza alcun preavviso, Maggie iniziò a correre in direzione di suo marito e, dopo qualche minuto, tutti gli altri seguirono il suo esempio.

Li incontrarono a metà strada. Michonne guardava Rick con gli occhi lucidi, Sasha e Rosita, invece, erano entrambe in piedi accanto a Glenn.

“Che diavolo è successo?”, chiese lo sceriffo, quasi spazientito da quel silenzio.

Maggie si tuffò tra le braccia di Glenn, ma lo lasciò non appena vide la sua espressione scossa. Aveva una mano stretta sotto la mascella.

“Non sono stato abbastanza veloce.”

Spostandola, scoprì un poco profondo ma evidente segno di un morso proprio sul lato destro del collo.

Guardando le loro facce, Carol notò che, esclusa lei, per tutti la prima reazione istintiva fu la negazione, ma per molti durò solo pochi secondi.

Maggie continuava a scuotere la testa, avvicinandosi a Glenn e aggrappandosi a lui. Tremava così violentemente che Carol dubitò che fosse in condizione di dire qualsiasi cosa, ammesso che ci sia qualcosa da dire in una tale situazione.

Fu Michonne a parlare per prima, la sua voce era ferma. “E’ stata colpa mia.”

“Stronzate, me l’hai praticamente tolto di dosso”, rispose, senza staccare lo sguardo da sua moglie. Appoggiò la fronte sulla sua quando lei cominciò a piangere sul serio.

“Non abbastanza velocemente.”

La donna si avvicinò a loro di qualche passo. Le tremavano le labbra.

“Non è profondo”, s’intromise Rosita. Anche se la sua voce era roca, Carol rimase sorpresa dalla speranza che accese il suo sguardo. “Ha detto di essere stato anche graffiato tempo fa. E se… se fosse immune a queste cose o qualcosa di simile e la febbre non lo colpisse?”

Guardò Bob sussultando, come se avesse paura di dare speranza quando non ce n’era nessuna.

Carol fu colta da una scossa di rabbia nel momento in cui vide il volto di Maggie dopo quelle parole. Non sembrava sollevata, per niente, ma c’era una sorta di nuova luce nei suoi occhi, uno spiraglio che scintillava attraverso quelle lacrime che bagnavano le sue iridi verdi disperate.

Non fatele questo.

“Non è impossibile”, disse Bob, con un tono non molto convinto. “Non sappiamo quasi nulla su questa cosa. Siamo tutti infetti, ma non ci uccide… questo mi fa pensare che la febbre dovuta ai morsi sia qualcosa di diverso rispetto a quell’altra condizione che, quando moriamo, ci trasforma in quei mostri. Ma pur non volendo dire che sia impossibile, non ho mai visto una persona guarire da un morso.”

Il medico fece una smorfia, apparentemente preoccupato che a sua spiegazione clinica potesse risultare troppo insensibile. Ma nessuno di loro aveva mai visto qualcuno guarire. Non era mai successo, nessuno resisteva alla febbre. Se venivi morso, eri spacciato.

Carol distolse lo sguardo da Glenn, mordendosi la lingua per non esprimere il suo disappunto. Il ragazzo, che inizialmente non sembrava credere all’ipotesi di Rosita, cambiò gradualmente espressione dopo le parole di Bob.

Rick non disse nulla. Stava cercando, con difficoltà, di metabolizzare la cosa. Ma come sempre, doveva dimostrare di avere tutto sempre sotto controllo.

“Bene, hai sentito il dottore. Non possiamo fare nulla, se non vedere e aspettare.”

Il tremolio della sua voce svelò come si sentiva davvero. Era evidente che fosse scosso e spaventato. Deglutì e fece cenno agli altri di seguirlo. Non aveva senso essere in lutto per chi non era ancora morto, Glenn era ancora lì.

Carol non ci riusciva. Non poteva credere che non sarebbe morto per quel morso superficiale, così come non poteva credere che Sophie non fosse stata fatta a pezzi dalle altre madri che si erano trasformate. Il mondo non poteva non essere diventato un posto freddo e senza speranze.

Salì sulla jeep insieme agli altri e oltrepassarono i cancelli. Mentre tornavano alla torre idrica per recuperare il resto della loro gente, nessuno parlava, eccetto Maggie e Glenn che bisbigliavano tra loro. Erano tutti muti, a testa bassa, con lo sguardo perso nel vuoto. Era un silenzio voluto. Lei non avrebbe detto nulla comunque, ma parlare avrebbe significato disturbare gli ultimi momenti insieme di quei due giovani innamorati.

Non sembra malato.

Non era esattamente una voce ottimista, ma allo stesso tempo persino lei coltivava quella piccola speranza nel suo cuore. Conosceva Glenn praticamente dall’inizio di tutto quel casino. Non era sicuramente legata a lui come Maggie, Rick e qualcun altro, ma dovette sforzarsi anche lei per trattenere i singhiozzi. L’aveva sempre ammirato. Era un bravo ragazzo, completamente normale. Era una di quelle persone che quel mondo avrebbe dovuto corrompere e rovinare, ma con lui non ci era riuscito.

Quello era il pensiero più ottimista a cui Carol poté dedicarsi. Non era ingenua come gli altri, non pensava che sarebbe potuto sopravvivere, ma era sicura che anche dopo la sua morte, probabilmente più vicina di quanto pensavano, la sua vita avrebbe significato qualcosa. Aveva vinto un mondo invincibile. Aveva ottenuto una clamorosa vittoria e la morte non poteva portargliela via.

La jeep militare era perfetta per passare tra i boschi, ma quel percorso era particolarmente accidentato. Ancora una volta, anche se da una certa distanza, Carol poté intuire che qualcosa non andava.

Tara, già scesa dalla torre idrica, correva con Judith in braccio verso di loro, seguita da Eugene.

Non vide Beth da nessuna parte.

Prima che la jeep si fermasse del tutto, Daryl si preparò a saltare giù. Cominciò a correre, raggiungendo la ragazza. Il suo sguardo non era puntato su di loro, ma sul terreno.

“Cos’è successo?”

Carol vide l’oggetto del suo sguardo: il terreno era ricoperto di orme tutte accavallate. Non bisognava essere bravi segugi per capire che un gruppo di persone era passato di lì.

“Erano di Terminus. Abbiamo provato a nasconderci, ma hanno visto Beth. Lei...”

“Dove?”

La voce di Daryl era rotta, aveva i pugni serrati, ma stava cercando di restare lucido.

“Vieni.”

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Capitolo 33
*** Il livello più alto ***


IL LIVELLO PIU’ ALTO


 

 

 

Dalla cima della torre idrica, Beth ripercorse con la mente, guardando i boschi circostanti, le ultime due settimane trascorse. Con Judith stretta al suo fianco, spostò lo sguardo su Terminus attraverso il cannocchiale malandato. Non riusciva a vedere l’interno del campo, ma solo alcuni edifici e poche strade.

Non potendo vedere di più, ritornò a guardare i boschi, alla ricerca del punto in cui lei e Daryl si erano messi in salvo dopo che Brady e i suoi avevano tentato di usarli come esca per distrarre la mandria. Cercò i sentieri che avevano seguito fino alla cittadina senza nome, dove adesso la chiesa di padre Gabriel era completamente annerita dalle fiamme, abbandonata a se stessa sulla collina. Ricordò la notte trascorsa nella stazione di polizia, il suo incontro con Randal e il sollievo che aveva provato quando ritrovarono la loro famiglia.

Sembrava che fosse passato molto tempo da quegli eventi, perché molte cose erano cambiate. Basti pensare all’imbarazzo e alla tensione tra lei e Daryl durante quei giorni.

Il loro primo campo doveva essere nascosto dietro le colline, in lontananza, mentre era quasi certa di aver trovato la zona del motel. Ripensò ai giorni di caccia con Daryl, in cui erano stati finalmente un po’ da soli.

“Ehi, è il mio turno.” Tara le diede un colpetto sulla spalla.

Ritornò alla realtà raddrizzandosi con un sospiro, invitandola a prendere il suo posto.

Tara si piegò avidamente sul cannocchiale e, appena vide quello che Beth stava guardando, alzò lo sguardo su di lei.

“Non eri per niente vicina a Terminus”, si lamentò.

Beth scrollò le spalle. “Non si può vedere l’interno, in ogni caso.”

Lasciando Tara al suo momento di supervisione, si sedette a terra a gambe incrociate, girando Judith in modo tale da ritrovarsela di fronte.

“Quest’affare fa schifo”, sbuffò Tara, che voltò le spalle al cielo, appoggiandosi alla ringhiera.

Eugene non era molto distante da loro, corrucciato a guardare verso Terminus. Beth aveva iniziato a pensare che quel cipiglio e quegli angoli della bocca sempre abbassati fossero la sua espressione standard.

Per qualche minuto, a nessuno venne in mente di dare inizio a una conversazione, eccetto Judith, che balbettava qualcosa ogni due secondi. La bambina fu la distrazione di cui Beth aveva bisogno: ascoltarla farfugliare chissà cosa e speculare su quali potessero essere le sue prime parole era sufficiente per tenere la mente, almeno in parte, occupata. In parte perché la preoccupazione non l’abbandonava mai del tutto, non poteva. Sapeva che era così anche per Eugene e Tara, essere sempre lasciati indietro era frustrante, anche quando, o meglio, soprattutto quando il gruppo lo faceva per la loro sicurezza. Beth odiava che loro fossero in pericolo mentre lei era al sicuro su quella torre, anche se era la decisione più sensata in quel momento. Qualcuno doveva proteggere Judith, era quello che le avevano detto tutti, ma non riusciva a smettere di sentirsi stufa di quel trattamento. Era probabile che proprio in quei momenti loro stessero combattendo per rimanere in vita, mentre lei se ne stava lì, seduta sul suo culo, ad ascoltare il fruscio del vento.

Tara decise di rompere quel silenzio.

“Allora, tu e Daryl… è recente?”

Aveva l’aria di non essere poi così tanto interessata all’argomento, se non quanto bastava per smorzare la tensione.

Beth si strinse nelle spalle “Sì… più o meno.”

Tara aggrotto le sopracciglia, ma poi annuì. “Ho capito che vuoi dire.”

Ignorandola, cominciò a raddrizzare le dita di Judith, ispezionandole per pulire la sporcizia che si era eventualmente depositata sotto le sue piccole unghie. Un tempo quel silenzio avrebbe infastidito anche lei, ma ora non più. Si chiese se quel cambiamento avesse avuto qualcosa a che fare con i suoi primi giorni con Daryl. Lui a stento le parlava e lei spesso era in imbarazzo, ma poi si abituò a quei silenzio e imparò com’era fatto, capì che aveva bisogno di tempo.

“Quanti anni hai?”, le chiese Tara, continuando a fingere un tono rilassato.

“Dovrei farne diciannove, uno di questi giorni.”

Aveva perso il conto dei giorni, ma, per fortuna, qualcun altro stava facendo attenzione alla cosa.

“Hey Eugene! Che mese è?”, gli chiese Tara, voltandosi verso di lui.

“Ottobre”, rispose lui automaticamente.

“Non credo.”

Iniziava a fare freddo, per essere ancora ottobre, pensò Beth.

“Novembre.” Eugene continuava a tenere lo sguardo fisso sui boschi.

“Qualcosa del genere.” Tara non sembrava così infastidita dall’aver perso la cognizione del tempo, così tornò, dopo pochi secondi di silenzio, all’argomento di prima. “Daryl sembra un tipo a posto, a tratti… terrificante. Ma non quel terrificante tipo Terminus, terrificante… più come Batman. E’ questo quello che ti piace di lui?”

Beth non riuscì a trattenere una risata. “Mi piacciono un sacco di cose di lui.”

“Ha una sorta di rude eleganza”, s’intromise Eugene con uno dei suoi soliti borbottii atoni.

Beth dovette trattenersi dal ridere quando vide il volto di Tara mutare in un’espressione che le stava diventando familiare, una sorta di sguardo nel vuoto che lasciava comunque trasparire la sua esasperazione. Ignorando l’uomo accanto a loro, tornò a guardare Beth.

“Lui è… sulla trentina? Quarantina?”

Beth fece ancora le spallucce.

“E’ bello che tu sia così sciolta su questo...”, Tara annuì in segno di approvazione. “Lo rispetto.”

Le tese il pugno e Beth dovette prendersi un momento per ricordarsi come doveva rispondere. Aveva seppellito i ricordi del liceo sotto tutti i segreti di quello stile di vita di sopravvivenza, autodifesa, caccia e babysitting che aveva condotto negli ultimi tempi.

“Batti il pugno!”, gridò non appena si ricordò, battendo il pugno con quello di Tara.

Judith si lasciò sfuggire un gridolino e allungò entrambe le braccia paffute verso i due pugni. Entrambe scoppiarono a ridere e finalmente Eugene diede le spalle ai boschi per girarsi verso le sue compagne.

“Dovremmo insegnarglielo!” Tara si accovacciò davanti alla bambina, le prese la mano e iniziò a sistemarle le dita in modo tale da formare un piccolo pugno.

Il suo vano tentativo di insegnarle a battere il pugno fu uno spettacolo carino per distrarli dalle loro preoccupazioni, ma non durò a lungo, soprattutto per Beth, che rabbrividì anche se si era calmato il vento. Passò Judith a Tara, che la accolse tra le sue braccia, e si avvicinò nuovamente al cannocchiale.

Non importava quanto cambiasse angolazione, non riusciva comunque a vedere nulla dell’interno di Terminus, se non le cime di qualche albero e i tetti di alcuni degli edifici bruciati.

Lasciando perdere il cannocchiale, incrociò le braccia al petto e scambiò un’occhiata con Eugene. Entrambi si affacciarono a guardare i boschi per qualche minuto. Sembrava che stessero guardando due lati diversi di uno stesso albero, ma sussultarono simultaneamente quando notarono uno strano movimento.

“Vaganti?”, chiese Beth, sperando che lo fossero.

“No”, rispose lui, che già si stava dirigendo verso la scala.

Beth si riabbassò subito sul cannocchiale per controllare. Eugene aveva ragione.

Lo sconosciuto si aggirava tra i boschi con un passo elegante ma troppo rapido e stringeva un fucile automatico. I suoi seguaci erano parzialmente oscurati dalla sua ombra. Aggiustò il cannocchiale e, quando riuscì a vedere il suo volto, il cuore le schizzò in gola.

Cominciò a correre verso la scala, mentre Tara ed Eugene erano ancora lì, fermi a discutere sul da farsi.

“Dovremmo restare qui!”, gli ricordò Tara in un sussurro, come se avesse paura di poter essere ascoltata da loro.

“Se qualcosa fosse andato storto, avremmo dovuto raggiungere il punto d’incontro. Qualcosa è andato storto”, ribatté Eugene. “Dai a me la bambina, ho maggiore forza fisica e posso scendere questa scala anche tenendomi con una sola mano.”

“E se invece semplicemente ci nascondessimo dietro la parete posteriore della torre finché...”, provò lei, impallidita per il pensiero di lasciare quel posto.

“Sono di Terminus”, li interruppe Beth, scuotendo la testa. “Probabilmente stanno venendo qui a prendere il cannocchiale, o dell’acqua, o forse altre provviste che avevano nascosto qui. Questo posto era loro e stanno venendo dritti verso di noi, dobbiamo andarcene!”

La discussione terminò lì.

Eugene stava già scendendo la scala, tenendo Judith con un braccio e mantenendosi goffamente aggrappato con l’altro, lasciando e riprendendo la scala gradino per gradino. Una volta toccato il suole, ridiede la bambina a Beth.

“Di qua!”

La seguirono senza esitazioni. Beth imboccò un sentiero lontano da quello che stavano seguendo quegli uomini. Sarebbe stato più lontano dal loro punto d’incontro, ma, essendo in discesa, potevano fuggire più velocemente.

Quando Judith cominciò a piangere, provò a rallentare per rendere il loro ritmo meno sballottante. Non le piaceva il loro modo di correre.

“Dobbiamo calmarla!” Tara si fermò, appoggiando le mani sulle ginocchia e ispezionando il bosco con occhi disperati. Le grida della bambina sembravano rimbombare tra gli alberi.

“Dobbiamo continuare.” Eugene guardava preoccupato la parte più alta della collina. Era senza fiato, lo erano tutti.

“Ci serve un posto dove nasconderci.” Beth si guardò intorno alla ricerca di un posto adatto, ma non c’era nulla in vista, solo alberi e terreno. “Zitta”, pregò Judith che continuava a lamentarsi vicino al suo orecchio.

“Oh, merda!”, sibilò Tara, inciampando all’indietro di alcuni passi.

Poi lo vide anche Beth: nella fitta boscaglia, contro alcuni alberi oppure a strisciare sul terreno, c’era movimento. Vide i loro corpi in putrefazione e i capelli arruffati. Zoppicavano scoordinati, smunti. Sentì il loro respiro logoro, i loro rantoli e le loro grida.

La morte era lì.

Arrivarono tutti insieme per raggiungere la loro preda, formando una piccola mandria in pochi passi.

“Andiamo!”, esclamò Beth sovrastando le urla di Judith, avvicinandosi a dove il terreno sembrava rialzato e incrociando le dita affinché trovassero un modo per nascondersi.

Raggiunsero il piccolo dosso, che non era alto, ma poteva diventarlo. Se si fossero stesi per terra, avrebbero potuto tentare di non farsi vedere dai morti o dai vivi, e poi si sarebbero preoccupati di calmare Judith.

“Cerca di farle succhiare le tue dita”, disse a Eugene passandogli la bambina. Poi si stese, respirando profondamente.

Quando tutti e quattro erano a terra sperando di passare inosservati, Judith tacque. Il suo viso era ancora rigato dalle lacrime, ma sembrava che il dito di Eugene l’avesse calmata abbastanza.

“Stanno venendo qui comunque.” Beth si alzò leggermente per intercettare il gruppo di vaganti e afferrare il masso più grande che riuscisse a trovare, per poi lanciarlo il più lontano possibile.

Il sasso colpì il tronco di un albero, ma il rumore non fu sufficiente ad catturare la loro attenzione, dato che fino a pochi minuti fa stavano udendo il pianto disperato della bambina. Erano circa dodici, troppi da affrontare da sola. Tara avrebbe potuto aiutarla, ma anche in due non avevano speranze senza l’uso di un’arma da fuoco e il rumore degli spari avrebbe solo peggiorato le cose.

“Ricordami di diventare più abile con l’accetta”, le disse la sua compagna con la voce tremante, probabilmente stava pensando la stessa cosa.

Dovevano affrontarli. Trovò un altro sasso e scagliò anche quello, ma non lo sentì neanche cadere. Non funzionò finché non aspettò che l’intero gruppo si avvicinasse. Per fortuna Judith era tranquilla. Ne afferrò un altro e lo lanciò in salita. Come sperava, questo fece un rumore più forte quando toccò terra e continuò mentre rotolava giù. Finalmente, attirò l’attenzione dei vaganti. Con le loro braccia a penzoloni, le ossa consumate e le bocche spaventosamente aperte, rivolsero la loro attenzione collettiva in salita, barcollando solo un po’ nella loro marcia per il cambio di direzione.

D’un tratto, sentì il familiare, ma sempre stridente, rumore di un colpo di pistola non molto lontano da lei. Si coprì immediatamente le orecchie e il suo cuore cominciò a galoppare. Vide il vagante più vicino a lei crollare a terra con un enorme foro nel cranio.

Ne seguì un’incessante pioggia di proiettili e molti altri caddero a terra. Beth si voltò per cercare con lo sguardo chi stesse sparando, ma, anche senza vederli, aveva già capito che erano coloro da cui stavano fuggendo prima.

Franco, il cui nome appena ricordato ebbe lo stesso effetto di un taglio con la carta, l’omaccione che era nella jeep da cui lei e Daryl erano scappati insieme, abbassò l’arma mentre gli altri abbatterono tutti i vaganti presenti in pochi sanguinosi istanti. I suoi occhi incontrarono quelli di lei.

Beth si ritrasse, ma era già troppo tardi.

“Mi ha vista”, sussultò. “Mi ha vista. Verrà qui.”

Si coprì la bocca con la mano, mentre tremava incessantemente.

Eugene ebbe il buon senso di tappare le orecchie a Judith con entrambe le mani. Fortunatamente, i rumori non l’avevano indotta di nuovo a piangere.

Tutti e tre guardarono Beth, scossi da quella notizia. C’era un’unica possibilità.

“Devo scappare”, disse.

“Cosa?! Non puoi!” Gli occhi di Tara si inumidirono.

“Ha visto me, ma non voi. Se corro in un’altra direzione, mi seguirà e non vi troveranno. Va tutto bene”, s’interruppe per un istante. Non poteva controllare in nessun modo il tremolio della sua voce o del suo corpo, ma aveva bisogno di un secondo per regolarizzare almeno il respiro. “Non fatevi vedere.”

Come schizzò fuori dal loro nascondiglio, sentì Franco gridare e i suoi seguaci si lasciarono andare a cori disgustosamente eccitati.

“Ecco la vostra cena, cani! Andate a prenderla!”, li incoraggiò.

Si sentì come se qualcuno le avesse strappato via il cuore dal petto. I suoi piedi cominciarono a battere il terreno da soli, correndo più veloce di quanto mai avesse fatto. Impedì al troppo slancio e alla gravità di attirarla al suolo, quasi perse l’equilibrio quando il terreno divenne irregolare in alcuni punti. Si aggirò tra gli alberi cambiando spesso direzione, girando intorno ai dossi e passando dove la terra era già rovinata, sperando di seminarli confondendo le tracce.

Non si era mai considerata velocissima nella corsa, ma evidentemente lo era più di loro. Non riusciva a sentirli dietro di sé e, quando si voltava a guardare oltre la sua spalla, non vedeva nessuno seguirla.

Dopo aver girato ancora intorno agli stessi punti e cambiando ancora direzione, riprese il suo ritmo iniziale.

Era sola nel bosco, armata di una pistola, otto proiettili e un pugnale affilato.

E le stavano dando la caccia.

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Capitolo 34
*** Cacciatori ***


CACCIATORI
 

 

 

 

Utilizzando la stanchezza come unità di misura, le sembrava di aver corso per circa due miglia. Se avesse continuato a tenere quel ritmo, sarebbe crollata in poco tempo. Così, decise di rallentare, ma senza concedersi di fermarsi.

Poteva solo sperare di essere riuscita a portarli lontano da Tara, Eugene e Judith. Se avessero sentito la piccola piangere, avrebbero capito che Beth non era sola, ma ne dubitava. Le era parso, infatti, che l’intera banda si fosse affrettata a seguirla. Era la cosa migliore che potesse fare per dare ai tre la possibilità di fuggire. Ora, invece, per dare una possibilità a se stessa, doveva tornare indietro facendo un percorso diverso per raggiungere il punto d’incontro prestabilito, dove i loro percorsi erano naturalmente intersecati.

Mentre si accingeva a superare una curva, incontrò tre vaganti. Si coprì la bocca con una mano per impedirsi di urlare, mentre con l’altra cercò il manico del pugnale. Inciampò all’indietro mentre quello più vicino tentava di afferrarla, ringhiando. Quando lo spinse a terra, il secondo già stava barcollando verso di lei. Il sangue schizzò fuori dalla sua orbita lacerata non appena venne trafitta dalla lama. Quando sentì il corpo cadere, si spostò e uccise freneticamente, senza alcuna grazia, il terzo vagante. Infine, doveva occuparsi del primo, che era riuscita solo a far cadere, ma non riuscì a mantenere la sua posizione perché quest’ultimo si fiondò su di lei. Lo accoltellò all’occhio, spingendo la lama in profondità, ma continuava a far gravare il suo peso su di lei e caddero insieme.

Di colpo, le ossa deboli del vagante cedettero e Beth estrasse il pugnale, facendolo scivolare verso il basso e tagliando via quel che restava del suo naso con un solo movimento. Tenendo ancora stretto il manico, sentì la sua mano scivolare dritta nella sua bocca e i suoi denti chiudersi su di essa.

Fu incapace di trattenere un urlo di dolore e frustrazione. Sembrava che stesse andando a fuoco. Il vagante era rimasto fermo con la bocca aperta proprio sulle sue bende, sul punto esatto in cui lei aveva strappato la sua stessa carne con i denti qualche settimana prima. Inizialmente, sembrava che avesse preso solo la garza, ma sentì la sua carne lacerata bruciare e il sangue fluire lentamente fuori di essa a bagnare le bende. Il vagante ottenne solo un assaggio del suo sangue prima che il pugnale gli trapassasse il cranio. Smise di muoversi, ma Beth restò per qualche secondo sotto di esso, in preda al panico e incapace di trattenere un lamento mentre cercava di liberare la mano dalle sue fauci.

Le bende erano incastrate tra i denti. Lo spinse via e le strappò nel tentativo di tirare la mano fuori dalla sua bocca. Il tessuto riuscì a mascherare il danno solo per pochi secondi, dato che venne subito invaso dal sangue. Svuotando la mente e respirando affannosamente, la tirò a sé con tutta la forza possibile.

Era messa male, malissimo. I segni dei denti del vagante erano sovrapposti a quelli dei suoi, sembrava quasi che si fossero riaperte le vecchie ferite. L’emorragia si fermò prima del previsto, ma la mano cominciò a pulsare. Il “veleno” si sarebbe diffuso lentamente e avrebbe raggiunto il cuore. Si riavvolse la ferita con parte delle bende strappate, senza sapere esattamente il perché. Alla fine, sapeva quello che doveva fare.

Se la tua mano destra è motivo di peccato...”(*), mormorò.

Almeno era la sinistra. Una piccola consolazione.

Pulì il pugnale dal sangue del vagante meglio che poté con la sua maglietta. Era l’unica cosa da fare, la sua unica possibilità.

La lama del coltello aleggiava sulle vecchie cicatrici che si era autoinflitta al polso due anni prima. Pensò al terribile momento che precedette il primo taglio. Questa volta non si trattava di morire, ma di vivere.

Beffandosi di lei, il morso continuava a pulsare rabbioso sotto la garza. La forza di volontà c’era, doveva solo afferrarla. Il suo pugnale era tagliente, poteva farlo.

Iniziò strappando l’orlo della maglietta per creare un laccio emostatico, maledicendosi per non aver indosso una cintura. Il coltello continuava a tremare nella sua mano sana.

Il rumore dello spezzarsi di un ramoscello la fece scattare in piedi.

Franco sbucò da dietro quella curva con la pistola alta, puntata verso di lei. Dall’altro lato spuntarono altri due uomini. Con la coda dell’occhio, Beth riconobbe i due fratelli che erano con loro nella jeep. Gli altri erano dietro di loro, due donne e due volti familiari.

Randal e padre Gabriel chiudevano quella sorta di fila e, a loro discolpa, avevano un’espressione inorridita.

“Getta il pugnale a terra.”

Franco alzò il cane della pistola. Beth non si mosse.

“Getta il pugnale a terra, o mangerai un proiettile.”

Sarebbe morta in ogni caso. L’avrebbero uccisa in quel momento oppure dopo aver visto che era stata morsa, sempre che lo stesso morso non la uccidesse prima di loro. Doveva esserci un modo per uscirne, ma non riusciva a trovarlo. Lentamente, adagiò il pugnale a terra, col cuore che le batteva a mille e la testa che carburava. Doveva esserci qualcosa che poteva fare, un modo per sopravvivere a quella situazione.

“Metti giù anche la pistola.”

Si mosse ancor più lentamente per poter ottenere altri preziosi secondi per pensare, ma, onestamente, non aveva idea di come uscirne.

“La benda sanguina”, disse una delle donne.

I suoi capelli, di un rosso brillante, erano legati in una treccia alla francese che le cadeva sulla schiena, Inclinò la testa, indicando la mano di Beth.

“Sei stata morsa?”, le chiese bruscamente la rossa, puntandole anche lei la pistola contro.

Franco sbuffò. “Sì, ma non da uno zombie. La piccola signorina bionda se l’è fatto da sola quando era ammanettata nell’ospedale. Si è rosicchiata la sua stessa mano come un animale.”

O non era riuscito a vedere che era fresco, o semplicemente aveva potuto pensare che la ferita si fosse riaperta. Non riuscì a valutare se il fatto che non avesse capito che era stata morsa fosse una cosa buona o no.

“Franco, per favore… non farle del male”, lo pregò padre Gabriel, alzando le mani per dimostrare che era disarmato mentre si avvicinava a loro con cautela.

“Credevo che avremmo guadagnato un pasto”, disse uno dei fratelli. “Randal, controlla il tuo prete.”

“Non l’avevo riconosciuta fino ad ora… ma l’ultima volta che ho visto questa puttanella, stava correndo nella direzione sbagliata, dritta verso una mandria di zombie affamati. Come diavolo hai fatto a uscire indenne da quel casino?” Franco la guardò dalla testa ai piedi.

Lo sguardo della rossa da confuso divenne inorridito. “Questa è la ragazza?! Quella che era stata portata fuori per diventare cibo per zombie insieme all’arciere? Sono loro quelli che hanno ucciso Brady?”

“E hanno sabotato la nostra jeep. A quanto pare, è sopravvissuta mentre i morti si mangiavano il suo fidanzato, e il tuo”, provò a indovinare Franco, alzando le sopracciglia.

“No, anche l’arciere si è salvato.” Randal parlò per la prima volta. Guardava i boschi con circospezione, come se si aspettasse che Daryl fosse nascosto da qualche parte nei paraggi.

“Non potete mangiarli”, disse poi, col volto che si fece visibilmente pallido quando affrontò lo sguardo di Franco. “Non puoi. Lei… lei è a posto. Tu non puoi… è quella che mi ha detto dove trovare lo studio veterinario. Se non l’avessimo saputo, Juno e Sophie non ce l’avrebbero fatta.”

Tese le mani verso l’uomo come a volerlo supplicare.

“Abbiamo bisogno di cibo. La torre idrica è stata ripulita, contavamo su quel posto. Non possiamo tornare al campo a mani vuote e abbiamo bisogno di un pasto per la notte”, rispose uno dei fratelli.

“Non importa”, la rossa abbassò la pistola e guardò Beth sgranando gli occhi. “Lei è forte, Franco. E’ sfuggita alla mandria, è una sopravvissuta. E se la salvassimo, la portassimo al campo e… ricominciassimo daccapo?”

No!”, gridò padre Gabriel. Quella donna aveva aperto un dibattito in cui loro erano chiaramente nel mezzo. “Niente più barbarie!”

“Non ho perso la mia fede!”

“Lascia perdere la fede, abbiamo bisogno di cibo.”

“Metà del campo se ne andrà se...”

“Non andranno da nessuna parte. Non hanno un posto dove andare.”

La sua mano morsa sembrava diventare più pesante, calda e infetta ogni secondo che passava. Beth cadde nel fango come una bambola sbilenca. Si sentiva stordita, la mente vuota e il suo respiro era l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi. Chiuse gli occhi, cercando di isolare le loro grida e il loro dibattito violento.

Pensò ai momenti di solitudine nel bosco con Daryl. Ricordò il calore di quando l’avvolgeva tra le sue braccia, il suo tocco feroce e gentile, deciso e provato allo stesso tempo. Doveva sopravvivere.

Qualsiasi cosa fosse successa, doveva tornare indietro. Il primo passo era amputarsi la mano. Si allungò per raggiungere il pugnale, strinse le dita attorno al manico.

Mentre gli altri discutevano con ardore, Franco la stava osservando e, quando la vide toccare la lama, accorciò le distanze tra loro, strattonandola. Le strinse la mano ferita con violenza, non riuscì a non gridare.

“Ecco la mia decisione”, gridò, “Hilly ha ragione. E’ un sacrificio perfetto e un pasto perfetto. Perché non può essere entrambe le cose? Deve essere deliziosa per essere arrivata a mangiare la sua stessa carne.”

Beth non pensava che la presa sulla sua mano ferita potesse stringersi ancora di più, ma lo fece, dopo averla spinta con la testa a terra. Con una mano teneva il braccio dritto, mentre con l’altra sfilò un lungo machete dalla sua cintura.

Cercò di prepararsi, ma non avrebbe mai potuto essere abbastanza pronta per quello che successe dopo.

Il suo gomito si aprì non appena entrò in contatto con la lama, le ossa si spezzarono e il sangue cominciò a scorrerle sul braccio. Con la faccia nel fango, gridò quando la colpì altre due volte per riuscire a tirare via la parte appena mozzata. Il resto del suo braccio, sanguinante, ricadde nel fango.

Per alcuni secondi pieni di rabbia e di sangue, fu cosciente di tutto: le grida di protesta di padre Gabriel, l’espressione traumatizzata di Randal e Franco che lanciò il suo avambraccio all’altra donna.

“Facci uno stufato o qualcosa del genere.”

 

 

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A piedi, Daryl, con Maggie e Rick, attraversava rapidamente il bosco per seguire le tracce. Se stavano parlando, non li stava ascoltando. La jeep li seguiva passo dopo passo. Erano tutti armati e pronti a combattere. Tutta la sua speranza era legata all’immagine di quella dolce piccola donna dagli occhi blu come un vetro rotto.

Se avesse detto di non aver voglia di uccidere qualcuno, avrebbe mentito. Non era proprio un desiderio giusto, ma non riusciva a trattenerlo.

Daryl di soluto non pensava a se stesso come un uomo assetato di sangue, ma aveva avuto i suoi momenti. Stranamente, sembrava ne avesse vissuti di meno da quando il mondo era finito, da quando era senza guinzaglio. Ma ora era uno di quei momenti e si era fatto completamente sopraffare da esso.

Come diavolo faceva a essere innamorata di lui? Si sentiva più una bestia che un uomo e sembrava piacerle persino quello.

L’unica cosa che poteva fare era assicurarsi che quel mostro che aveva dentro di sé gli tornasse utile. Lei ne aveva bisogno, le serviva qualcuno che uccidesse per lei.

Cercò di non pensarci, di non crogiolarsi su dove potesse essere o su cosa le stessero facendo. Avrebbe dato di matto se non avesse preso la situazione in mano.

In ogni caso, le tracce non erano d’aiuto. Il terreno sembrava urlare quello che era successo, in ogni punto. Se si fosse soffermato troppo, sarebbe impazzito per la paura e per la rabbia.

Lei conta su di te. Non è il momento di fare il pazzo. Pensa a lei. Pensa a lei.

Tentò di immaginarla così com’era di solito, così come doveva essere. Felice, giocosa, sciocca, ma saggia. Piena di tristezza, ma irradiata dalla sua stessa luce. Era un sacco di cose tutte insieme. Pensò a quando l’aveva seguita nei boschi, qualche giorno prima, per poi sorprenderla da dietro. Quando si era girata di scatto l’aveva sentita tremare tra le sue braccia e gli aveva sorriso come se fosse lui la ragione di tutta quella gioia. Pensò alla sensazione dei suoi capelli biondi tra le dita, alla sua voce che gli risuonava nella testa e pensò che sapeva d’estate.

Aveva un percorso facile da seguire. Quelli di Terminus pensavano di essere i cacciatori, quindi non si erano preoccupati di disperdere le loro tracce. Era tutto inciso nel terreno. A quel punto, avrebbero anche potuto mettere dei grandi segnali a neon che gli avrebbero indicato la strada da percorrere, sarebbe stata la stessa cosa.

Per essere più veloci, i tre rientrarono nella jeep quando la pista divenne più evidente. Greene aveva coinvolto quei bastardi in un inseguimento infernale, strisciando nel sottobosco e girando in tondo. Doveva essersi mossa rapidamente, avevano già percorso un miglio intero e le tracce erano ancora stampate a terra.

Per qualche secondo non riuscì a sentire nient’altro che paura. Immaginò di essere lei, con la tachicardia e i piedi e i polmoni che le facevano un male tremendo, che correva disperatamente, sperando di riuscire ad andarsene.

Il cuore cominciò a galoppargli in petto e grugnì ad alta voce, pizzicandosi la punta del naso. Voleva reprimere quella sensazione, ma, allo stesso tempo, doveva restarci aggrappato.

“Frena.”

Batté col pugno su un lato della jeep e iniziò a scendere prima che Tyreese recepisse il messaggio e fermasse l’auto. Maggie e Rick lo seguirono.

Finalmente, il percorso incontrò un intoppo. Era proprio quello che Daryl aspettava, anche se ne era terrorizzato. Un intoppo non poteva essere un buon segno.

A terra, c’erano tre vaganti morti e, tra i cadaveri, dei resti e del sangue fresco.

“Che… che cos’è?” La voce di Maggie tremò davanti a quello scenario.

Senza un minimo autocontrollo, Daryl si chinò a osservare quel casino e raccolse un paio di ossa pulite ancora appiccicose. La pelle lacera era stata strappata via, lasciando solo una garza insanguinata e un groviglio di corde di cuoio e bracciali.

Con quelle dita che di solito erano così controllate e delicate, Maggie sfilò maldestramente i bracciali dalla mano di Daryl.

“Oh… oh...”

La sua voce si ridusse a un borbottio nauseato. Era rimasta a bocca aperta, con il respiro corto e gli occhi lucidi.

“Maggie, forse dovresti tornare in macchina da Glenn”, le suggerì Rick, fingendo il tono più fermo che riuscisse a emulare.

Tentò di aiutarla a tenersi in piedi, ma non ne aveva bisogno. La maggiore delle Greene, infatti, si rialzò di scatto e lo afferrò per la giacca, trascinandolo indietro.

“Troveremo quegli uomini e li uccideremo. Mi hai sentita, Rick?!”

Completamente d’accordo con lei, Daryl si rialzò in piedi a sua volta e riprese il percorso, ma, dopo un paio di passi barcollanti, dovette fermarsi e aggrapparsi a un albero.

“Daryl!”

Rick lo raggiunse in un istante e gli poggiò una mano sulla spalla. Balbettava, disorientato.

“Andiamo. Sono andati di qua.”

Daryl sentì a stento a sua stessa voce, che doveva essere arrivata solo come un ringhio a Rick e Maggie.

Prima, c’erano otto coppie di impronte. Ora erano sette. Forse qualcuno la stava trasportando.

Poteva essere viva. Doveva essere viva.

La rabbia e la paura dentro di lui crebbero a dismisura e minacciavano di accecarlo, di divorarlo dall’interno. Non riusciva a percepire altro al di fuori della pista che stavano seguendo, non sapeva se Maggie e Rick fossero saliti di nuovo nella jeep o se fossero proprio accanto a lui. Non sapeva se stesse correndo o camminando, o se fosse stato spinto o sorretto da qualche forza invisibile.

Passò circa un’altra mezz’ora prima che si rendesse conto che stava ancora stringendo le sue ossa.




 

(*) "Se la tua mano destra è motivo di peccato, mozzala e gettala via, perché è meglio per te che un tuo arto perisca, piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nella Geenna" è un passo della Bibbia (Matteo 5.30).

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Capitolo 35
*** Ulna e radio ***


ULNA E RADIO

 

 

 

Beth trascorse la maggior parte della notte in stato d’incoscienza.

Randal e padre Gabriel la trasportavano a turno. La tecnica del pompiere era scomoda, ma pratica. Prendeva e perdeva conoscenza, entrava e usciva da quella condizione di stordimento estremo. Ricordò di essere inciampata, a un certo punto. Probabilmente, le avevano chiesto di camminare un po’ da sola quando erano troppo stanchi, ma non avevano lasciato che camminasse molto, questo lo sapeva.

Quando l’azzurro del cielo prese a schiarirsi, diventando del tipico colore che precede l’alba, si era parzialmente ripresa, abbastanza da realizzare di essere in piedi sul ciglio della strada. Delle voci parlavano, ma erano troppo intontita per capirle.

Alcuni dei cannibali scomparvero, per poi ritornare in pochi minuti a bordo di un’auto che avevano nascosto in precedenza da qualche parte lungo la strada. Registrò mentalmente la direzione che stavano seguendo e, quando nessuno la stava guardando, si strappò qualche ciocca di capelli biondi e le fissò a terra sotto una pietra, disegnando una freccia.

Non aveva la forza di volontà per parlare o per ascoltare le loro parole. Provò a gettarsi a terra, ma qualcuno la rialzava ogni volta.

All’alba, si svegliò davvero.

Fu il dolore a svegliarla. Il dolore e il movimento continuo a cui era sottoposta. Il suo intero corpo tremava.

Seguendo l’istinto, cercò di tirarsi su non appena aprì gli occhi e gli ultimi suoi secondi di coscienza e di panico della sera precedente le tornarono in mente con un conato di vomito. Con la mano destra, si mise alla ricerca della sinistra, che riusciva a vedere solo con la coda dell’occhio, ma quella visione svanì non appena la sua mente ricordò che il suo braccio, ora, era a metà. Il suo braccio mozzato entrò in contatto con la moquette dell’auto e le venne spontaneo gridare.

“Ssh!”, qualcuno la riprese.

Una mano troppo frenetica per essere davvero confortante si chiuse sulla sua spalla. Nella penombra, continuò a fissare il moncherino con il battito a mille e una smorfia di dolore, ricordando l’accaduto. Il suo braccio, mozzato all’altezza del gomito, era stato fasciato e non sembrava che sanguinasse ancora. Qualcuno doveva averle messo dei punti. Le avevano dato anche dei farmaci, perciò il dolore non era così esageratamente intenso.

Era ancora lì, ma non era preoccupata come avrebbe dovuto. Ripensò a quando aveva tentato di fuggire da Terminus per la prima volta.

La mano che aveva sulla spalla era scura e pesante. Si scostò, senza guardare a chi appartenesse. Necessitò di un altro paio di minuti per tirare dei respiri profondi, cercando di non guardare il suo braccio mutilato, prima di prendere coscienza dell’ambiente che la circondava: era nel retro di una Ford Expedition, che sgommava lungo la strada.

Si alzò quel tanto per bastava per vedere chi altro fosse in macchina con lei. Franco era alla guida, con accanto uno dei due fratelli armato di un fucile da caccia. L’altro era seduto nella seconda fila di sedili, tra le due donne. Al posto di una terza fila, c’era solo la moquette, impregnata di saliva e sudore. Avevano premuto il suo viso contro di essa prima che si svegliasse.

Accanto a lei c’erano Randal e padre Gabriel, che la osservavano entrambi preoccupati.

“Dove siamo?”, mormorò. Aveva la gola secca.

Avvertendo il suo bisogno, padre Gabriel svitò il tappo di una bottiglia d’acqua e gliela avvicinò al mento. L’afferrò con gratitudine, senza smettere di guardarlo, in attesa di una sua risposta.

“Non troppo lontano da dove ti abbiamo… trovata”, ammise. “Abbiamo riposato solo per un paio d’ore e poi abbiamo deciso di aspettare l’alba per tornare al campo.”

“Riposare?” Sentì una sguaiata, insolita risata rimbombare fuori dalla sua gola. “Quindi avete cenato e poi avete anche dormito per qualche ora!”

Il sorriso svanì dal suo volto. Non era neanche sicura del perché avesse riso, era stata avvolta da una strana euforia. Dovevano essere stati i farmaci.

“Voi non l’avete mangiato, vero?”, sperò.

“No”, Randal rispose bruscamente per entrambi. “Come avremmo potuto...”
“Io non ho mai mangiato carne umana”, disse padre Gabriel a bassa voce, “e non avevo intenzione di cominciare col tuo braccio.”

La sua espressione era un misto di rabbia e pietà.

Incapace di trattenersi ancora a lungo, Beth scoppiò a ridere. Sentì il modo in cui la macchina cominciò a rallentare, Franco doveva averla sentita. Si coprì la bocca con una mano per provare a fermarsi, ma le risate le uscirono ancora più forti. I suoi occhi si riempirono di lacrime in pochi secondi. Non sapeva se aveva gridato per il dolore o per l’euforia, ma le sue risate si trasformarono presto in singhiozzi.

“Che cazzo le avete dato?!”, sentì uno dei fratelli gridare.

“Volete farla stare zitta?!”, disse la donna rossa che Franco aveva chiamato Hilly.

“Beth… Beth, ti senti bene?”

Padre Gabriel non sembrava annoiato o stizzito come il resto dei presenti, sembrava preoccupato. Come se pensasse che fosse diventata pazza.

“Perché stai ridendo?”, sibilò Randal con gli occhi umidi spalancati e profondamente turbati.

“Perché non potevate fare cosa più stupida!”, esclamò, cercando di soffocare un ultimo signiozzo.

Daryl li massacrerà.

Sarebbe successo, se non l’avesse fatto prima la carne infetta.

“L’hanno mangiato tutti?”, chiese affannata. Le lacrime cominciarono ad asciugarsi, rimase a bocca aperta. “Hanno mangiato il mio braccio.”

Mangiare carne infetta doveva essere terribile quasi quanto un morso.

“Beth, mi dispiace tanto.” La voce di padre Gabriel tremò. “Mi dispiace tanto, non potevo fermarli...”

Era stanca di sentire scuse. Scosse la testa, dando un freno a tutta quell’ilarità che stava esternando.

Per quanto aprire la portiera e gettarsi sulla strada fosse allettante, sapeva che non era un’opzione da considerare. Anche se l’auto non era bloccata, aveva perso molto sangue e aveva assunto farmaci. Tra l’altro, erano riusciti già a catturarla ore prima, quando era ancora pronta a combattere. Adesso, invece, era ferita e insicura. Era troppo presto per capire come il suo braccio l’avrebbe condizionata. Non voleva pensarci.

Notò il colorito pallido della sua stessa pelle. Era sempre stata abbastanza chiara, ma ora lo era molto di più: era giallastra, come se fosse malata. Solo al pensiero di tutto quel sangue che era uscito dal suo braccio, lo stomaco le si contorse.

“Ho bisogno di stendermi.”

Poggiò la testa sulla pancia di padre Gabriel, coprendosi gli occhi con l’avambraccio che le era rimasto e cercando di ingoiare la bile che si stava facendo strada nella sua gola.

“Da quanto tempo siamo in viaggio?”

Sembrava una strada tortuosa, quella che avevano scelto di percorrere. Avevano preso una buca già un paio di volte da quando si era svegliata, quindi in pochi minuti.

“Da venti minuti o giù di lì. Sei stata incosciente per tutta la notte.”

“Abbiamo attraversato i boschi per tornare alla macchina?”

“...Sì”, rispose Randal con un sospiro, sporgendosi verso di lei.

“E ora stiamo tornando al vostro campo?”

“Esatto.”

Entrambi sembravano più afflitti di lei, le loro voci tremavano e quasi balbettavano. Vedevano la perdita del suo braccio più tragica di quanto stesse facendo lei.

Magari erano i farmaci a renderla stabile. Forse presto avrebbero smesso di fare effetto e si sarebbe sentita a pezzi, ma, per il momento, si sentiva assurdamente calma. Non era morta, quando così di recente aveva pensato che erano molte le probabilità che succedesse. Sapeva che stavano ancora pianificando di ucciderla, così aveva detto Hilly, la ragazza dai capelli rossi.

Volevano che diventasse il primo sacrificio di Terminus II.

Il sole stava sorgendo, era un momento critico, ma era quasi certa che Daryl e gli altri non ci avessero messo molto per arrivare alla torre idrica a riprendere gli altri. Lui aveva ancora tutta la notte per seguire le tracce.

Doveva essere nei pressi di quelle colline e, anche se il percorso non era poi così chiaro da quando si erano messi in viaggio, non erano lontani.

Si sarebbero ritrovati.

Si sarebbero sempre ritrovati.

Allo stesso tempo, Beth chiuse gli occhi ed ascoltò, respirando regolarmente e chiedendosi chi tra i cannibali avrebbe tossito per primo.

Fu Hilly.

 

 

–-----------

 

 

 

Carol osservò Bob mentre esaminava le ossa di Beth, con una mano sul mento.

“Sono i suoi ulna e radio sinistri”, disse.

Quelle ossa erano ancora più piccole e sottili di quanto si aspettasse. Beth era minuta, sembravano ancora quelle di un bambino, anche se un po’ più forti.

“Daryl ha detto che c’erano anche altre ossa più piccoli e altri pezzi… Credo che abbia perso solo l’avambraccio, altrimenti avremmo trovato anche l’omero.”

Il suo tono era grave, ma non sembrava demoralizzato.

In un certo senso, Carol provò quasi una sorta di gelosia nel vedere tutto il gruppo scattare per la ricerca di Beth, ma poi scacciò via quella sensazione, odiandosi per averlo anche solo pensato. Era il momento di gettarsi il passato alle spalle. Tutto.

Erano tutti nella jeep a seguire Daryl, che continuava a cercare tracce nell’oscurità a piedi. Maggie e Glenn erano avvinghiati l’uno all’altra. Era impossibile scegliere chi tra i due avesse più bisogno di conforto, ma a Carol sembrò che si stessero sostenendo a vicenda.

Abraham, Rosita e Eugene sedevano davanti, guidando a turno. Tutti gli altri erano raggruppati sul retro, circondati dal loro bottino di Terminus.

Nessuno suggerì che avrebbero dovuto risparmiare carburante.

Nessuno disse che avrebbero dovuto fermarsi a riposare.

Neanche Carol lo voleva. Ne aveva fatte di scelte difficili, ora voleva fare semplicemente la cosa giusta e, quel giorno, la cosa giusta era trovare Beth.

E confessare.

Dal lato opposto al suo, Rick sedeva accanto a Sasha e Tyreese. Non lontano da loro, Carl teneva la testa poggiata sulla pancia di Michonne, ma non stava dormendo. Nessuno di loro dormiva.

Rick alzò lo sguardo su di lei giusto in tempo per vederla perdere l’equilibrio per uno sbandamento dell’auto. Allungò una mano per afferrarle il braccio, aiutandola a sedersi di fronte a lui. Stando al suo volto preoccupato, doveva aver capito il motivo per cui si stava avvicinando.

“Te l’ha detto?”, gli chiese a bassa voce.

Tyreese e Rick si scambiarono un’occhiata, mentre l’espressione di Sasha s’incupì come si accorse di Carol.

“Sì, me l’ha detto”, disse Rick. La sua mascella era serrata, lo sguardo in fiamme. “Avresti dovuto dirlo prima. A tutti noi. Non posso continuare a fare questo con te, Carol. Devi decidere se sei davvero parte di questo gruppo o no. Decidi se sei davvero tornata dopo che ti ho mandata via.”

A quelle parole, gli occhi di Michonne ruotarono nella loro direzione e la testa di Carl sembrò sollevarsi leggermente. Non si guardò intorno, ma sapeva che stavano ascoltando tutti, o almeno ci stavano provando, dato il rumore del motore.

Annuì, guardando gli alberi scorrere dietro la testa di Rick.

“Lo so.” Stava iniziando a capirlo, come se avesse realizzato che fino a quel momento aveva camminato con delle catene alle caviglie. “Davvero.”

“Mi dispiace. Mi dispiace per tutto.” Rick scosse la testa. “Mi dispiace per Sophie, per Mika e per Lizzie. Mi dispiace per...”

Distolse lo sguardo da lei. Strinse ancora la mascella, incapace di forzare le parole ad uscire, ma Carol le aveva già predette.

“Avrei dovuto perdonarti molto tempo fa. Ci ho provato, Rick, l’ho fatto davvero. Non sono mai stata nella posizione per incolparti per ciò che è successo.”

Non riuscì a guardarlo negli occhi mentre lo ammetteva. Continuò a indietreggiare il più che poteva. Molti di loro ora potevano sentirla, la sua voce si era alzata per l’emozione.

Solo Glenn, Maggie e Carl sembravano aver capito, il resto della jeep sembrava sconcertata. In particolare, Carl incontrò il suo sguardo, contraendo la bocca in una smorfia.

“Hai perso tua figlia.” Rick riuscì finalmente a dire qualcosa. “Le avevo detto che sarei tornato. Mi aveva chiesto di non lasciarla.”

Carol si nascose il viso tra le mani. Era una condizione che non voleva accettare, ma non poteva sbarazzarsene, se la sarebbe portata dietro per sempre.

Non riuscì a vederlo, ma percepì un movimento alle sue spalle e sentì l’auto oscillare un po’ quando qualcuno si mosse. Le mani di Carl le cinsero entrambe le spalle, tirandola su.

“Manca anche a me”, disse semplicemente.

Ignaro di ciò che stava accadendo sul retro della jeep, Abraham aumentò di colpo la velocità, facendo scivolare tutti da un unico lato. Tyreese afferrò Carol prima che potesse darsi male e, mentre Rick faceva lo stesso con Carl, tutti provarono ad aggrapparsi a qualcosa.

Gli alberi scomparvero per lasciar posto alla luce rossa dell’alba non appena raggiunsero una strada.

“Li stiamo raggiungendo?”, chiese Maggie, separandosi momentaneamente da Glenn per afferrare la balestra di Daryl, aiutandolo a rimontare sulla jeep.

“Sì”, mugugnò lui, indicando la strada. “Ho trovato questa.”

Mostrò a tutti una ciocca di lunghi capelli biondi, illuminata dalla luce del mattino.

“Riempiva una freccia disegnata nel fango. Ci sta mostrando la strada.”

Il sollievo comparve negli occhi di Maggie.

“E’ viva.”

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Capitolo 36
*** Whiskey ***


WHISKEY

 

 



L’Expedition lasciò la strada per addentrarsi nei boschi, mentre Franco cominciava a tossire sul serio. Tutti loro scuotevano l’aria con dei forti colpi di tosse ogni pochi minuti. Riusciva a individuare i segni della febbre nel sudore che gocciolava sulle loro fronti, ma sembravano ancora del tutto ignari di quello che gli stava accadendo. Aspettava con ansia quel momento, pur sapendo che avrebbero potuto prendersela con lei.

“Ti viene ancora da vomitare?, le chiese Randal. Stava cercando di mostrarsi rilassato. Non stava riuscendo nel suo intento, ma apprezzò comunque lo sforzo.

“Più o meno”, ammise.

Non sapeva se fosse per il ricordo del dolore, per la semplice consapevolezza di quello che le era successo o per i farmaci che le avevano somministrato, ma il suo stomaco era sottosopra. Il percorso accidentato verso il loro campo, poi, non era certo d’aiuto.

Padre Gabriel le offrì un altro sorso d’acqua, ma lei scosse la testa, asciugandosi quelle poche gocce di sudore che aveva sulla fronte con il braccio destro. Si fermò ad osservare il suo palmo, che le sembrò improvvisamente cosparso di strane linee, e si chiese se la luce fosse arrivata davvero in modo diverso oppure se fosse solo un’allucinazione.

“Tu dovrai guardarti le spalle da ora in poi, mi hai sentita?!”, mormorò alla sua stessa mano.

Sì, probabilmente era un’allucinazione. Dalle espressioni di Randal e padre Gabriel, capì che stavano pensando la stessa cosa.

L’Expedition si fermò. La brezza fresca dell’esterno invase l’auto quando spalancarono tutte e quattro le portiere. Fu in quel momento che Beth realizzò quanto fosse stato soffocante il caldo in quegli ultimi dieci minuti o giù di lì. Con cinque persone con la febbre, non c’era da meravigliarsi.

Padre Gabriel aprì il bagagliaio e saltò giù. Probabilmente faceva freddo fuori, ma le sembrò quasi piacevole sentire il vento contro la sua pelle.

“Attenta.” Randal l’aiutò a scendere, attento a non toccarle il moncherino, accompagnandola con mani incerte. “Prima a malapena riuscivi a reggerti in piedi da sola.”

Si sentiva ancora debole e il suo stomaco era come intrecciato in un nodo strettissimo, l’aiuto che le stava offrendo si rivelò inutile. Almeno aveva ancora entrambi i piedi e, quando anche il secondo toccò terra, si sentì sicura del suo equilibrio.

“Sto bene.”

Quando fece un altro passo per allontanarsi da loro per studiare il campo, la seguirono entrambi. Terminus II era una tendopoli nascosta tra i boschi. Era evidente che non avessero intenzione di restare lì ancora a lungo, ma avevano comunque fatto il necessario per renderlo sicuro: per segnare il confine del loro piccolo villaggio, avevano scavato un fossato non molto profondo, prima del quale avevano montato quello che sembrava essere del filo spinato. Era perfetto per impedire ai vaganti di avvicinarsi… ma non avrebbe fermato Daryl.

C’erano circa dodici tende, la maggior parte sembrava essere da cinque persone o anche più grandi, ma c’era anche una serie di tende da due leggermente separate dalle altre. Franco si stava già dirigendo verso una di quelle, con l’aria di uno che non voleva fare nient’altro che stendersi. Eppure, non le sembrava ancora che lui si fosse davvero reso conto di quanto fosse nei guai.

C’erano pochi uomini, la maggior parte del campo era abitato da donne. O meglio, giovani donne. Erano divise in piccoli gruppi intorno alle loro tende, impegnate nelle faccende “domestiche”. Quelle che non stavano facendo nulla si affrettarono ad accogliere i loro compagni, mentre i due fratelli parlavano in disparte con un altro gruppetto di ragazze in mezzo al campo.

Beth si stava giusto chiedendo dove fossero Hilly e l’altra donna, quando sentì qualcuno stringerle forte una spalla. Si voltò, alla ricerca di Randal e Padre Gabriel.

“Da questa parte”, disse Hilly con un colpo di tosse.

Padre Gabriel afferrò la mano della donna e la tirò a sé. “Lascia che stia con noi...”

“Scusami?!” Hilly rifiutò, alzando entrambe le mani in un finto gesto di sottomissione. Sembrava quasi che stesse per schiaffeggiarlo. “Tu non hai alcuna voce in capitolo.”

“Non possiamo fidarci di voi”, disse l’altra donna con un’alzata di spalle, guardando i due uomini con occhi austeri. “Avete permesso ai sentimenti di distrarvi dalla questione più importante, potreste aiutarla a scappare.”

“Non siamo così stupidi, Miranda”, ribatté Randal, “non sopravviverebbe da sola in queste condizioni...”

“Ma qual è il tuo problema?!”, sbottò la donna. “Niente di tutto questo ti ha mai dato fastidio prima d’ora!”

“Sta frignando come un piccolo stronzo da quando Mary ha sparato al suo ragazzo”, disse Hilly a bassa voce. I suoi occhi ruotarono spudoratamente verso Randal e assunse un’espressione severa. “Tutti noi abbiamo perso delle persone, cresci un po’.”

Il volto di Randal si fece viola dalla rabbia e, tra le sue labbra, era visibile una sottile striscia rosea. Si stava letteralmente mordendo la lingua. E anche forte, a giudicare dalla torsione della sua mascella.

“Cosa avete intenzione di farle?” Padre Gabriel guardò entrambe, con le mani che gli tremavano finché non le chiuse a pugno. “Legarla come un animale?”

“A dire il vero, sì”, rispose Hilly con una risata che si trasformò presto nell’ennesimo colpo di tosse. Forse era solo la sua immaginazione, ma a Beth sembrò di aver visto, per una frazione di secondo, la preoccupazione deformarle il viso in una smorfia, mentre si portava la mano alla bocca. “E se continui così, farai la sua stessa fine. Stiamo ricominciando, a breve avremo bisogno di un altro sacrificio. Ti offri volontario?”

Padre Gabriel non sembrava per niente intimidito dalle sue parole. Randal, al contrario, la guardò con le sopracciglia aggrottate.

“E’ una minaccia a vuoto. Lui, tra tutti noi, è quello che si avvicina di più a un dottore.”

“Non ci è utile se non è davvero uno di noi.”

Hilly strinse di nuovo la spalla di Beth e la trascinò in mezzo al campo. Stavolta non avevano furgoni o, almeno così sembrava, qualsiasi altra sistemazione per i prigionieri, ma provvidero velocemente a crearne una. Al centro del campo, circondata da tutte le tende, Beth fu costretta a sedersi per terra mentre i due fratelli saldavano un grosso palo nel terreno. Dopo avervi sistemato intorno una lunga catena, Miranda le imprigionò la caviglia sinistra con una manetta e chiuse l’altra attorno all’ultimo anello, per poi far sparire la chiave nella sua tasca.

Era seduta nel fango a gambe incrociate a muovere ripetutamente la catena sul terreno con la mano che le era rimasta. La faceva arrivare oltre il suo braccio, per poi vederla ricadere a terra, osservandola snodarsi come un serpente. A giudicare dagli abitanti di quel campo, si rese conto che l’infezione sarebbe stata devastante. Non erano rimasti molti assassini tra loro e c’erano addirittura altri uomini della stessa stazza di Randal, con il quale, tra l’altro, sembravano condividere anche l’atteggiamento. Li aveva sorpresi a fissarla quando era appena arrivata, ma ora guardavano altrove, a testa bassa. Lontano da due colossi che perlustravano il perimetro, invece, vi era un piccolo gruppo di madri. Aveva la sensazione che la maggior parte dei sopravvissuti fossero riusciti a uscire da Terminus perché si erano dati vilmente alla fuga, sempre che nessuno li avesse salvati. Oppure, come Franco, Randal e i due fratelli, perché erano dal lato destro della recinzione quando si era scatenato l’inferno.

Padre Gabriel portò il suo zaino quasi vuoto in una delle tende da cinque persone e ritornò dopo averlo riempito fino all’orlo. Si fermò accanto a lei, che piegò la bocca in una smorfia torva mentre gli indicava il suo moncherino bendato. Non era stato chissà poi quanto lungo, ma il tratto percorso tra i boschi non aveva di certo giovato alla sua garza e lui voleva cambiargliela. Prestando attenzione al fango, al sangue che continuava a scorrere e al bordo stracciato, scoprì il braccio mutilato e lo allungò il più possibile verso di lui. Beth aveva distolto lo sguardo da quando aveva cominciato a srotolarle la garza, mordendosi la parte interna del labbro.

“Quanto ti fa male da uno a dieci?”

“Più o meno sette.”

“Posso darti altri farmaci...”, il prete smise di parlare quando la vide scuotere la testa.

“Solo antidolorifici stavolta, grazie”, puntualizzò lei. “Vedo ancora luci strane.”

Padre Gabriel rimosse l’ultima benda e Beth, alla fine, guardò.

Non avrebbe dovuto farlo. Le si torse lo stomaco e, per un attimo, chiuse gli occhi e respirò lentamente, per poi aprirli di nuovo. La seconda volta fu quasi peggio della prima, ma questa volta non rabbrividì, né tantomeno spostò lo sguardo altrove. Era parte di lei. Adesso era così.

“Ho anche questa.” Padre Gabriel aprì la borsa, mostrandole una piccola tasca colma di erba. Beth sgranò gli occhi e per qualche istante non fu pienamente sicura di ciò che stava guardando, ma, quando ne ebbe la certezza, scoppiò a ridere.

“No, grazie.” Non era per niente il momento più adatto per compromettere i suoi sensi o il suo giudizio. “Sai, questa è la prima volta che mi viene offerta dell’erba”, pensò ad alta voce con un sorriso. “E tu sei un prete”, aggiunse, con un’altra risatina.

Padre Gabriel fece le spallucce, chiuse la borsa e le rivolse uno sguardo colpevole. “Il mondo è finito.”

“Ho visto anche del whiskey qui, siete già a corto di medicinali?”, chiese inarcando un sopracciglio. “Daryl mi ha detto che lo studio veterinario è stato completamente svuotato.”

Sorpreso, il prete balbettò per qualche secondo. “E’ tornato lì?”

Lei annuì. “Era andato a cercare provviste nella vostra piccola città senza nome e ha visto la chiesa.”

Con uno sguardo cupo, Gabriel cominciò a torturare la garza pulita con le dita. Non sembrava ne fossero rimaste molte. Osservando il campo, aveva notato molte persone con ferite in diversi stati di guarigione.

Mise giù le bende e tirò fuori il whiskey. Beth mantenne il moncherino teso in modo da lasciarglielo disinfettare.

“Quando tu e Daryl ve ne siete andati, io e Randal siamo rimasti da soli per un paio di giorni. Stavamo arrivando a qualcosa, lui ed io, cominciavamo a stare bene. Ma poi Franco, Miranda e un altro uomo...”, si guardò intorno, finché non trovò chi stava cercando, “...Brock...”

Inclinò la testa verso uno dei due colossi che aveva visto prima. Brock era un omaccione dalla lunga barba scura e le mani bendate.

“…Sono venuti per cercare cibo e farmaci e ci hanno trovati. Randal voleva andarsene con loro… ho provato a fargli cambiare idea, ma non c’era verso. Lo spostato che ha dato fuoco alla chiesa è Franco, non credo gli sia piaciuto quello che ho avuto da dire sulla sua gente.”

Beth poteva immaginare. A contatto con l’alcool, la ferita le faceva così male che, a tratti, vedeva a chiazze. Cercò di non lamentarsi, ma fu più forte di lei. Annuendo, mormorò che stava bene e guardò il cielo.

Padre Gabriel cominciò ad avvolgere le bende nuove intorno al moncherino. “All’inizio è stato difficile, ma poi Randal è riuscito a convincerli a lasciarmi vivere. O meglio, a prendermi come prigioniero.”

Finì di fissare la garza e fece un sorso di whiskey.

“Non le stai dando nulla di buono, vero?”, una voce profonda e accusatoria tuonò alle spalle di Beth. “Non serve sprecare forniture mediche per una ragazza morta.”

Si voltò e vide uno dei due fratelli. Sembrava già messo male: il suo viso era estremamente pallido e le palpebre avevano assunto un colorito violastro che prima non c’era. Aveva perso una notte di sonno, magari per questo nessuno aveva ancora pensato a male, ma presto la febbre sarebbe stata devastante.

“Mi sono assicurato che la ferita non si infetti.” Padre Gabriel si alzò in piedi e lo fissò. “E’ il minimo che io possa fare.”

L’uomo si chinò su di lei e sbuffò. “In fondo hai ragione. Non voglio mangiare della carne in cancrena.”

“Già, sarebbe terribile.” Beth incontrò il suo sguardo.

Doveva aver notato il barlume di umorismo che illuminava i suoi occhi azzurri, dal momento che, dubbioso, aveva corrugato la fronte prima di voltarle le spalle, ignorandola.

“Io e mio fratello abbiamo i decimi di febbre. Hai qualcosa per farla scendere?”

“Controllerò”, disse freddamente padre Gabriel. “Ma tenete presente che siete stati in piedi tutta la notte. Riposatevi un po’ e tornate da me una volta svegli.”

Mentre lo guardava allontanarsi, Beth strinse la mano del prete per attirare la sua attenzione. “Non sprecare nulla per loro. Sono morti che camminano.”

Con un sospiro, padre Gabriel s’inginocchiò. “Loro dicono lo stesso di te.”

“Lo so, ho sentito. Ma io vivrò, loro no.”

La sicurezza della sua voce doveva averlo lasciato senza parole per un po’. Spostò lo sguardo sul perimetro del campo. “Il tuo uomo sta arrivando?”

Lei incontrò il suo sguardo e lo tenne a lungo, prima di annuire. “Ti conviene non farti vedere nei paraggi quando arriverà e lo stesso vale per Randal. Prima di farmi spiegare, penserà che siete parte di questa cosa e vi infilzerà il cranio con una freccia. E non posso biasimarlo”, ammise.

Il prete impallidì leggermente e deglutì rumorosamente, ma con un piccolo cenno del capo mormorò: “Mi sembra giusto. Se lo farà, nessun rancore.”

Detto ciò, la lasciò sola nel fango. Beth considerò la possibilità di scavare attorno al palo, ma era stato piantato troppo in profondità, il terreno era duro e non sarebbe stata sufficientemente veloce con una mano sola. Le sue dita si sarebbero sporcate di fango e di sangue e qualcuno avrebbe capito ciò che stava cercando di fare. E poi, era sorvegliata per la maggior parte del tempo. Non sopportava quell’attesa, ma non poteva neanche pensare di riuscire a fare qualcosa di diverso dal piangere o scavare una piccola buca inutile intorno al palo. Aveva bisogno di qualcosa da fare per tenere la mente occupata. Con un sospiro, cominciò a pettinarsi i capelli con la sua unica mano. Erano ridotti abbastanza male dall’ultima volta che aveva provato a sistemarli.

Prima dell’apocalisse, le piaceva tenere i capelli lunghi come una dea, così come li chiamava sua madre. Quel tipo di lunghezza non era più pratica, ma non aveva mai avuto il coraggio di tagliarli. Sciolse i nodi con le dita e cominciò a dividerli in tre ciocche.

Intrecciare i capelli con una mano sola si era rivelato davvero difficile. Ci era quasi riuscita quando venne raggiunta da una ragazza. Inizialmente, vide solo i suoi piedi, e poi le mani, che si allungarono verso di lei.

“Vuoi una mano con i capelli?”, le chiese con un filo di voce.

Beth si prese il suo tempo prima di voltarsi a guardarla. Quando lo fece, la trovò con un’espressione sinceramente gentile, ma anche impaurita. Aveva il naso all’insù, la bocca piccola e lo sguardo dolce, il tutto contornato da una chioma color sabbia.

“Posso fartela io la treccia”, continuò, mentre cercava goffamente di tirare fuori il pettine da una delle tasche posteriori dei jeans. Lo strinse, chiedendole silenziosamente il permesso.

Senza dire nulla, Beth si allontanò dal pale, in modo da permettere alla ragazza di avere lo spazio necessario per sedersi dietro di lei. Le sue dita chiare sciolsero con cura l’ultimo nodo biondo e cominciò a intrecciarle i capelli alla francese.

“Come ti chiami?”, le chiese la ragazza.

“Beth Greene. Tu?”

“Sophie.”

Non sapeva perché, ma quel nome non le era nuovo. Ignorò quel fastidioso tentativo della sua mente di ricordare di conoscere una Sophie prima che il mondo finisse.

Non parlarono più fin quando non concluse la treccia, legandola con il suo elastico.

“Sembra sia venuta bene”, sussurrò, facendosi indietro e tirandosi le ginocchia al petto, sulle quali appoggiò il mento.

“Quanti anni hai?” Beth si guardò intorno per assicurarsi che nessuno le stesse ascoltando.

“Quindici, tu?”

“Diciotto. Eri una madre a Terminus?”

“Come fai a saperlo?” Sophie aggrottò le sopracciglia, con una punta di paura nello sguardo.

“Volevano che diventassi una madre, ma ero troppo ricalcitrante.” Si spostò, in modo da mostrarle il braccio mutilato. “Quindi hanno trovato un altro impiego per me.”

Gli occhi della ragazza si spalancarono e fissarono spudoratamente il suo moncherino per qualche istante.

“Io non voglio stare con loro”, ammise velocemente, in un frenetico sussurro. “Le persone con cui ero prima erano buone, ma questa gente… Fuggirei se potessi. Non mi piace per niente, mi fa stare male… quello che ti hanno fatto, quello che ti faranno.”

“Alche le altre ragazze si sentono così?”

Sophie annuì. “Prima eravamo in un altro posto, ma poi sono arrivati i vaganti… e gli spari. Hector e Miranda sono venuti a prendere alcune di noi. Li odiavamo, ma… non volevamo morire.” Le tremavano le labbra.

“Sophie, va tutto bene.” Beth le prese la mano, stringendola forte. “Andrà tutto bene.”

La ragazza deglutì sonoramente, per poi annuire di nuovo. “Voglio crederci.”

“Sarà così.”

Prese a guardare il terreno, abbracciandosi con forza le ginocchia, finché Beth non lasciò la sua mano.

“Sophie, potresti fare qualcosa per me?”

Alzò gli occhi su di lei, con la paura che ancora vi danzava dentro. Alzò le spalle, come se potesse nasconderci la testa come le tartarughe.

“Ho bisogno che mi parli delle persone che sono qui, di tutti quelli che fanno parte del campo.”

“Perché?”

“Devo sapere chi merita di vivere.”

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Capitolo 37
*** Lezioni di guerra ***


LEZIONI DI GUERRA

 




 

Accovacciato a terra, Daryl strisciò fin quando non si ritrovò davanti a un fossato. Una linea di filo spinato tagliava la sua visione del campo e una moltitudine di oggetti appuntiti mirava minacciosamente ai suoi occhi. Oltrepassato il bosco, le tracce li avevano condotti a quella tendopoli di cui ora riusciva a vedere l’interno.

Dopo averlo seguito con cautela, Rick e il resto del gruppo avevano spento la jeep ed erano rimasti, lontano quanto bastava, ad attenderlo. Non volevano che qualcuno sentisse che si stavano avvicinando. Daryl proseguì con Abraham, Rosita e Carol. Avevano il compito di capire come fosse la situazione, per poi tornare indietro da loro per studiare un piano d’attacco.

Ma così non fu.

I suoi occhi trovarono la piccola Greene proprio al centro del loro campo, legata a un palo con una catena che probabilmente, in passato, qualcuno aveva usato per legare un cane particolarmente feroce. Vedere con i suoi occhi che era viva fu come riprendere a respirare davvero. Non sarebbe andato da nessuna parte, non prima di averla liberata.

“Sembra stia bene, meglio di quanto ci aspettassimo”, disse Carol. Sentì la sua mano posarsi sulla sua spalla, ma non si voltò a guardarla.

Beth stava bene. Era pallida, ma teneva la schiena dritta e la testa alta. In qualche modo, aveva trovato persino il tempo per fare qualcosa ai suoi capelli. Era forte, ce l’avrebbe fatta.

Non riuscì a ottenere una buona visuale del suo braccio mutilato, ma notò il biancore di una garza pulita e fu investito da un’ondata di tristezza. Quella era la mano che lui avrebbe stretto e baciato, la mano che l’avrebbe accarezzato e confortato.

Cominciò ad osservare i bordi del fossato per capire quale fosse il punto migliore per superarlo.

“Beh, almeno è ancora in piedi.” Rosita fece una smorfia.

Abraham le lanciò un’occhiata colma di disappunto, che però le scivolò addosso.

“A meno che non ce ne siano altri nascosti nelle tende, direi che è un gruppo abbastanza debole. C’è solo un pugno di uomini”, disse lui.

“Non sottovalutare le donne”, gli suggerì Rosita con un sorrisetto che lui non esitò a ricambiare.

“Riconosco alcune di queste ragazze. A Terminus erano nella Casa delle Madri”, la voce di Carol tremava. “Tyreese aveva ragione”, disse in poco più di un mormorio. “Tornerò, vado ad avvisare gli altri”, aggiunse, mentre si allontanava.

“Di che diavolo stai parlando?”, le rispose Abraham con un sibilo. “Dobbiamo tornare tutti indietro.”

“Lui no”, disse Rosita, indicando Daryl con la testa.

Carol sorrise e lo guardò. “No. Lui no.”

“Hanno ragione, entrerò adesso. Non la lascerò incatenata lì.”

“Dovremmo restare”, suggerì Rosita colpendo la spalla di Abraham. “Magari gli restituisci il favore di averti salvato la vita quella volta”, aggiunse con un tono innocente.

“Noi tre contro l’intero campo?”

“Sarà divertente.”

“Tornerò il prima possibile”, promise Carol. “Non fatevi ammazzare.”

Fece per andarsene, ma s’immobilizzò appena sentì dei rami rompersi alle loro spalle.

In trappola tra il campo e quella minaccia sconosciuta, i quattro si strinsero e tentarono di nascondersi nel sottobosco nel modo più silenzioso possibile.

“Come diavolo hai fatto a trovarla in questo cazzo di inferno?”, chiese una voce a pochi metri di distanza da loro.

“L’ho presa dalla borsa del prete quando è andato a parlare con Franco tipo un quarto d’ora fa. L’ho visto mentre la offriva a Miss Piggy, riesci a crederci?”

“Sarebbe un peccato ucciderlo”, mormorò la prima voce.

Entrambi risero rumorosamente.

Daryl, sporgendosi rischiosamente dal tronco che li divideva da loro, riconobbe due facce familiari. Erano le due teste di cazzo che erano sedute accanto a lui quando lui e Beth erano stati portati via per diventare cibo per vaganti giusto qualche settimana prima. Se ne stavano seduti a terra, uno dei due era impegnato a rollare uno spinello.

Sarebbe un peccato uccidere un uomo davanti a suo fratello. Un vero peccato.

La freccia partì dalla sua balestra in un secondo e trovò la sua destinazione nella testa del primo dei due fratelli. Lo spinello che era tra le sue dita cadde rovinosamente a terra e il suo corpo si accasciò nel fango, prima che l’altro potesse reagire o urlare.

Abraham si mosse velocemente, anticipando quello che Daryl stava per fare: si scagliò contro il fratello rimanente, spingendolo a terra e premendogli con forza una mano sulla bocca. Cercò di gridare, ma gli uscì solo un gemito di dolore.

“E se lo prendessimo come ostaggio? Se chiedessimo di fare uno scambio?”

Avanzando di un passo, Daryl estrasse la freccia dal cranio del primo fratello. “No”, disse cupo, “Rick all’inizio aveva provato a prenderne uno in ostaggio, ma la sua stessa gente gli sparò in testa. Non accettano nessun tipo di diplomazia.” Strinse la balestra, la ricaricò e la puntò tra gli occhi dell’uomo. “E non la meritano neanche.”

Abraham gli lasciò la testa e fece un salto all’indietro. Dalla gola dell’uomo sfuggì a malapena un grido prima che la freccia gli trapassasse il cranio.

Il bosco tremò intorno a loro.

“Dite che l’hanno sentito?”, chiese Rosita con una smorfia. Si tolse le mani dalle orecchie, facendole scivolare sulla cintura per stringere la pistola.

“Spero di sì.” Daryl si strinse nelle spalle e si affrettò a ricaricare la balestra. “La cosa migliore che potrebbe succedere in questo momento è che mandino un paio di altri stronzi a capire cos’è successo qui fuori. Se si aggirano per il bosco sarà facilissimo eliminarli. E’ pericoloso qui fuori.”


 

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Beth sentì un grido.

L’attenzione collettiva del campo si concentrò tutta sul confine.

“Vaganti?”, sentì una ragazza chiedere alle sue compagne. Aveva gli occhi lucidi.

Miranda uscì dalla sua tenda, guardandosi intorno con lieve interesse, mantenendo comunque la sua solita aria consunta e annoiata.

“Hey Gordon, Pike, andate a vedere”, soffocò un colpo di tosse. “Andate a controllare… e portatevi i pugnali, idioti!”, si rivolse a due degli uomini che stavano uscendo dalla tenda più grande.

Mentre i due si facevano strada ne boschi oltrepassando il fossato, Miranda li osservava. Si sentiva le spalle pesare ogni volta che muoveva il collo. La febbre l’aveva colpita. Gocce di sudore scorrevano sulla sua fronte dall’attaccatura dei capelli corvini. Si voltò maldestramente verso un gruppo di ragazze che stavano ricucendo un paio di giacche o qualsiasi cosa che appartenesse ai loro superiori.

“Avete visto il prete? Io e Hilly ci sentiamo una merda.”

Una delle ragazze interpellate le rispose a voce così bassa che Beth non riuscì a sentirla da quella distanza. Padre Gabriel non era nei paraggi, questo era chiaro. Infatti, Miranda si voltò infastidita e cominciò a cercarlo.

Nel momento in cui cominciò ad allontanarsi, Beth notò Sophie, nascosta dietro a una tenda a sbirciare furtivamente lo spazio circostante. Stringeva la mano bendata dell’omaccione che Gabriel le aveva fatto notare prima, Brock.

Con un sospiro, Beth realizzò che era evidente che stavano parlando di lei.

Brock, d’un tratto, si rese conto che avrebbero potuto sembrare sospetti e ritrasse la mano da quella di Sophie, invitandola a raggiungere le altre ragazze. Dal labiale, sembrava avesse detto: “Non guardarci.”

Sophie annuì con decisione e corse via. L’uomo sembrava più rilassato dopo aver ripristinato le distanze tra loro. Si sedette a terra, accanto a Beth, con le mani bendate poggiate sulle ginocchia.

“Sophie mi ha detto di parlare con te.”

Aveva un accento particolare, non sembrava della zona. A primo acchito, pensò che venisse da qualche parte a ovest, che magari era lontano da casa durante lo scoppio dell’epidemia ed era rimasto bloccato in Georgia, oppure che forse aveva cominciato a spostarsi dopo la fine di tutto. Era curiosa di conoscere la sua storia, ma aveva cose più importanti a cui pensare.

“Sophie mi ha detto che non facevi parte del gruppo fino a una settimana fa, che ti sei unito a loro dopo quel casino a Terminus.”

Lui annuì. “Ho seguito i segnali insieme alle mie figlie. Quando siamo arrivati, era invaso dai morti e completamente incendiato. Abbiamo incontrato Franco e gli altri mentre scappavano e ci siamo uniti a loro. Non sapevo ancora in cosa stavo entrando.”

“Ora lo sai?”

Il suo sguardo cupo si fermò sul suo braccio. Sembrava che stesse per vomitarle addosso. Beth si spostò preventivamente.

“Me ne andrei. Lo farei, ma sto male. Ci sono così tante ragazze, anche bambini. Non posso proteggerle tutte da solo e la più piccola delle mie sta male, non può andare da nessuna parte”, scosse la testa. “Questo non sono io. In molti qui ci sentiamo così, vogliamo parlare con Franco. Non gli permetteremo di farti ancora del male.”

Il suo tono era troppo fiducioso, troppo ingenuo. Dubitò che lui avesse capito chi fossero davvero i suoi leader e cosa gli avrebbero fatto se avesse anche solo provato a contraddirli. Ma comunque annuì, guardandolo dalla testa ai piedi e cercando di non esternare il pensiero che quel suo ragionamento fosse da completo idiota.

“Tu piaci a Sophie, piaci a tutte loro. Mi ha detto che sei carino con loro e che hai provato a proteggerle.”

La sua folta barba scura nascondeva un’espressione triste mentre abbassava lo sguardo a terra. “Provato è la parola giusta.”

“Vuoi riuscirci?”

Lui, comprensibilmente, la guardò con sospetto.

“Sophie mi ha detto che posso fidarmi di te e… credo che a breve te ne saresti accorto da solo in ogni caso. Tutti quelli che sono tornati con me, tranne Randal e Gabriel, stanno prendendo la febbre.”

Davanti a quella confessione, Brock si congelò sul posto, quasi come se avesse smesso di respirare.

La febbre”, ripeté per enfatizzare, anche se sapeva che aveva capito perfettamente. “Se loro si trasformano e tu non sei preparato, alcune persone innocenti potrebbero morire. Hai detto che ci sono altri come te? Fantastico, portali con te prima che qualcuno muoia.”

“Com’è successo?” Ritornò in sé con uno spasmo e la fissò incredulo.

“A quanto pare, è così che va se mangi carne infetta.”

Brock chiuse gli occhi, e Beth intuì che si stava prendendo il suo tempo per ripetersi quelle parole in mente e capirle.

“Loro hanno mangiato...”

Aveva ragione. Non aveva ancora capito con chi aveva a che fare. Si chiese quante altre persone del campo fossero ignare.

“Questa cosa mi ha salvato la vita”, disse apatica. “Se non queste le loro intenzioni… perché pensate che mi abbiano incatenata così?”

“Gliel’abbiamo chiesto, ma loro hanno detto...”, si bloccò. Il suo viso si tinse di rosso, non aveva dubbi che qualsiasi scusa gli avessero rifilato sarebbe sembrata ancora più stupida detta ad alta voce. “...Sei sicura?”

“Ne sono certa. Sono praticamente già morti. Forse anche il resto di voi presto lo sarà.” Guardò il campo, i suoi occhi si fermarono su una donna con in braccio un bambino che doveva essere un po’ più piccolo di Judith. “Io non voglio che accada, quindi dovrai proteggerli.”

Brock deglutì sonoramente, trovò con lo sguardo la tenda di Franco e impallidì.

“E’ più semplice di quanto pensi”, gli disse Beth con un sospiro.

Lentamente, l’uomo si rimise in piedi e annuì. “Già, credo di sì.”

Camminava a testa bassa e a spalle strette, più di come aveva fatto quando si era allontanato da Sophie. Alla fine avevano parlato per pochi minuti, nessuno doveva averli notati se non un gruppo di ragazze che, secondo Beth, non avrebbe parlato.

Miranda e Hilly ricomparvero insieme a Gabriel. Le guidò alla sua tenda per poi farle aspettare fuori. Stavano peggio che mai, i loro sguardi sembravano seriamente preoccupati. Hilly, in particolare, era un disastro: i suoi capelli rossi brillavano per quanto bagnati dal sudore, si era spogliata dei suoi abiti più pesanti per lasciare scoperto ciò che poteva. Nonostante indossasse un top molto sottile, Beth era sicura che la sua pelle stesse bruciando lo stesso.

Un rumore nauseante la portò a focalizzare l’attenzione su una delle piccole tende alle sue spalle. Sembrava che qualcuno stesse tossendo fino a strozzarsi.

Con una certa difficoltà, Franco aprì la sua tenda e uscì. Da quando l’avevano portata al campo, in quelle poche ore, le sue condizioni erano peggiorate. Aveva il volto scavato e pallido, il collo, le labbra e gli occhi gonfi come se si fosse appena drogato. Dopo essersi guardato attorno, fissò Hilly e Miranda e si diresse verso di loro, calciando rumorosamente il terreno a ogni suo passo. Beth sobbalzò non appena le passò accanto. Il suo volto era contratto dalla rabbia, ma per fortuna nessuno di quegli sguardi furibondi era riservato a lei, per il momento.

Tossì per annunciare il suo arrivo. Miranda e Hilly gli lanciarono uno sguardo cupo, capivano come si sentiva. Due degli omaccioni che stavano controllando il perimetro si misero i fucili in spalla e li raggiunsero per capire cosa stava succedendo. Randal fu l’ultimo ad unirsi a loro, e rimase indietro di qualche passo. Si voltò in direzione di Beth e fece incontrare il suo sguardo colmo di sospetto col suo. Compreso o meno cosa ci fosse che non andava nei suoi leader, non disse nulla. Mantenne la bocca serrata, anche se il suo sguardo sottintendeva una domanda.

Non era abbastanza vicina per sentire cosa stessero dicendo, ma riuscì a comprendere una frase di padre Gabriel: “...Voi tre avete bisogno di riposare.”

Li osservava, cercando di racimolare quanti più frammenti di conversazione possibili, ma un movimento tra gli alberi che aveva notato con la coda dell’occhio la riportò alla realtà. Confusa, si guardò attorno e si rese conto che ogni singola ragazza era sparita dal campo. Non sapeva se si erano effettivamente nascoste nelle loro tende oppure se erano davvero andate via, ma quella tendopoli, in pochi istanti, divenne una tendopoli fantasma.

Voltandosi il più che poteva per osservare l’ennesimo punto vuoto, vide Brock con altri due uomini. I loro sguardi sembravano fortemente determinati.

Aveva scoperto le sue carte, ora non poteva far altro che vedere come le avrebbero giocate. Avvolse la catena intorno al suo braccio, stringendola, e osservò la scena mordendosi nervosamente le labbra.

Brock doveva aver scartato la diplomazia e il tatto come modalità d’approccio, perché disse solo due parole e qualcuno aveva già cominciato ad urlargli contro.

“Non è la febbre! E’ solo una stupida influenza, l’abbiamo avuta tutti!” Hilly alzò subito la voce, mettendosi sulla difensiva.

I due uomini con i fucili scattarono per difenderla, piazzandosi tra lei e Brock. Quest’ultimo alzò le mani bendate. Beth lo interpretò come un segno di resa, finché non lo sentì dire: “Va bene, mi dispiace. Ma ora devi scegliere tra il prendere una pallottola in testa seduta stante o...”

“NON E’ LA FEBBRE!”, gridò Miranda.

Presto la situazione sfociò nel caos più totale e lei non riuscì più a capire neanche una parola, se non qualche eventuale imprecazione. Solo tre persone non presero parte alla rissa: Randal, che continuava a fissare Beth, padre Gabriel, che un’aria piuttosto confusa, e Franco. Il silenzio di quest’ultimo la terrorizzò. Le dava le spalle e teneva la testa bassa, respirava così pesantemente che poteva vedere il suo torace gonfiarsi e rilassarsi anche a quella distanza.

A un certo punto, ognuno impugnò la propria pistola. La cosa stava diventando più cruenta di quanto si aspettasse. Se le puntarono contro a vicenda, tranne padre Gabriel e Brock, che le avevano impugnate per precauzione, senza sollevarle. Stavano ancora cercando di ragionare col gruppo, cosa che non avrebbe mai funzionato.

L’unico a non aver afferrato la sua pistola era proprio Franco. Si voltò verso di lei con gli occhi furiosi iniettati di sangue per la febbre.

Sentì il primo sparo, ma non riuscì a distinguere quale fosse stato il bersaglio del proiettile. Vide due corpi crollare a terra, ma non riuscì a distinguere nient’altro tra la folla.

Nonostante il rumore assordante, Franco non aveva battuto ciglio. Il suo sguardo era fisso su di lei e sembrava animato da una furia omicida. Senza curarsi del caos alle sue spalle, cominciò a correre verso di lei. Tuttavia, non impugnò la sua pistola, e neanche il machete che già aveva avuto modo di farle conoscere. Il suo battito era letteralmente impazzito, stava scivolando nel panico mentre si domandava cosa stesse succedendo nel suo cervello malato.

Era un uomo morto, nulla avrebbe potuto impedirlo. Ma prima, aveva intenzione di pestarla a morte.

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Capitolo 38
*** Amore e speranza ***


AMORE E SPERANZA






Daryl Dixon era ricoperto di sangue. 
Sapeva cacciare, uccidere e scuoiare animali senza sporcarsi neanche un po’ di sangue, ma non riusciva a vendicarsi in modo pulito. Non era la stessa cosa, non era lo stesso modo di uccidere.
Fecero velocemente fuori gli altri due uomini che erano usciti a controllare cosa avesse causato quel grido di morte imminente. Con le gole tagliate e qualche buco in testa, erano due problemi in meno di cui preoccuparsi al momento dell’attacco al campo.
Carol era andata a chiamare i rinforzi. Guardando in faccia la realtà, ne avevano bisogno. Avevano ucciso quattro uomini, ma ce n’era un’altra dozzina.
“Potremmo aspettare un po’”, disse Rosita, con un tono che lasciava intuire che già sapeva che non sarebbe andata comunque così. “Magari ne usciranno altri per controllare cos’è successo ai loro compagni.”
Abraham era il più vicino al confine. Era nascosto nel fango, in modo tale da riuscire ad avere un punto di vista sicuro che affacciasse direttamente sul territorio nemico. Rosita, invece, era esattamente a metà strada tra lui e Daryl, che stava trascinando via i corpi.
“Sta succedendo qualcosa”, esclamò Abraham, senza preoccuparsi di tenere la voce bassa.
Daryl riuscì a sentire le urla di qualcuno. Lasciò cadere a terra il corpo che stava trascinando e si precipitò accanto ad Abraham. Rosita lo seguì, infatti si gettarono nel fango contemporaneamente.
Al campo, le cose stavano decisamente precipitando. Videro un mucchio di persone armate e arrabbiate che stavano cominciando a gridarsi contro. Erano in piedi, molto vicine tra loro, e Daryl conosceva molto bene quel tipo di atteggiamento. Era solo questione di pochi secondi prima che partisse il primo colpo o venisse sferrato il primo pugno. Nel frattempo Beth, seduta per terra, guardava la scena dall’altro lato del campo.
Abraham aveva parlato con urgenza, come se avesse percepito l’ansia che Daryl stava provando, impaziente di salvare la sua ragazzina e chiuderla lì.
“Rosita e io torneremo dal gruppo per...”
Provare a ragionare sul piano si rivelò inutile. Il rumore di un colpo di pistola giunse alle orecchie di Daryl e tutto ciò che riuscì a vedere fu Franco, imponente e furioso, che correva verso Beth.
“BETH!”
Si avvicinò ancora di più al fossato e scivolò sotto al filo spinato. Né Abraham né Rosita riuscirono a fermarlo.
Mentre faceva lo slalom tra le trappole e altre insidie create con gli oggetti più disparati, sicuramente trovati per strada, assistette alla scena impotente, incapace di aiutarla da quella distanza: quando Franco arrivò a pochi metri di distanza da lei, Beth balzò in piedi e gli colpì la faccia con la catena, per poi tirarla di nuovo a sé come se fosse una frusta. L’uomo cadde a terra e si toccò con una mano lo zigomo e il labbro sanguinanti. Nel frattempo, lei tirò la catena dietro di sé per darsi lo slancio e la gettò nuovamente in direzione della sua testa. Lo colpì, ma non riuscì a riprendersela in tempo. Franco afferrò una serie di anelli e la tirò, trascinando Beth nella sua stessa caduta e, toccata terra, la sovrastò.
Daryl sentiva le sue grida mentre si arrampicava. Si era tagliato, aveva diverse punte infilzate nella carne, ma a stento se ne rese conto. La sua concentrazione era tutta rivolta a lei, il suo dolore non contava. Solo dopo aver scavalcato riuscì davvero a realizzare la portata del casino che si era scatenato tra loro. Vennero sparati altri colpi in diversi punti del campo, le persone crollavano a terra come bambole rotte. Superò quella sorta di guerriglia il più velocemente possibile.
Franco era a cavalcioni su di lei, con una mano le teneva il braccio sano bloccato sopra la testa e con l’altra le stringeva il collo.
“Non rovinerò mica il tuo bel faccino, puttana!”, gridò, “Ti spezzerò le ossa, ti farò a pezzi e ti lascerò qui a marcire, come uno schifoso cadavere che non può neanche strisciare!”
Appena cominciò a stringere la presa sul collo, Beth mosse di scatto la testa in avanti e gli morse la mano. Affondò i denti nella sua carne con forza e cominciò a rosicchiare.
Franco strappò via la mano dalla sua bocca e la sollevò fino alla testa. Le sue dita si chiusero a pugno nel momento in cui notò Daryl che, raggiungendoli ad ampie falcate, lo spinse con la faccia nel fango, a terra accanto a Beth.
Alcuni uomini, prima di cominciare a darsele di santa ragione, hanno bisogno di qualche minuto per osservarsi. Non fu il caso di Daryl, né tantomeno di Franco. Quest’ultimo, appena il balestriere gli mise le mani addosso, scattò in avanti. Beth si allontanò, lasciando a Daryl lo spazio necessario per afferrargli il braccio e sbatterlo ancora a terra senza problemi. Infatti, non gli diede modo di alzarsi in piedi, i suoi stivali gli calpestarono la testa con un suono agghiacciante. Mentre alcuni suoi denti, macchiati di rosso, cadevano sul terreno, gli diede una ginocchiata in petto, senza rialzarsi. Rimase in quella posizione scaricando tutto il peso su di lui. Dopo altri tre colpi in faccia per ogni pugno, Franco smise di muoversi.
Le lacrime cominciarono a scorrere dagli splendidi occhi di Beth, tracciando delle sottili strisce bianche nella maschera di sangue e sporcizia che aveva in volto. Tremava così tanto che a stento si teneva in piedi. Sembrava che stesse provando a dirgli qualcosa, ma Daryl non sentiva altro che gli spari e il dolore che gli pulsava in petto, salendo fino alla testa. Il suo cuore era ancora infuriato, non riusciva a pensare ad altro se non che fosse arrivato troppo tardi. Aveva fatto del suo meglio, ma non era stato abbastanza. 
Aveva le braccia macchiate di sangue fino ai gomiti e sembrava sul punto di crollare dalla fatica. Aveva fatto tutto quello che poteva per lei, ma non aveva funzionato. I suoi occhi corsero sul moncherino fasciato e sulle altre ferite. Piangendo e tremando, la strinse in un abbraccio.
La guerra si era conclusa velocemente, così com’era iniziata: avevano lasciato cadere le armi a terra e tenevano tutti le mani alzate. I rinforzi erano arrivati giusto in tempo. Carol aveva portato con sé Rick, Tyreese, Michonne, Glenn e Maggie, senza fiato e con le armi puntate sulla gente del campo.
“Siete qui per la ragazza?” Un omaccione con le mani bendate si fece avanti, riferendosi a Beth. “Siete venuti a salvarla?”
“Sì, è così.” Per come li scrutava Rick, era chiaro che non aveva alcuna intenzione di lasciarli vivere, anche se si erano arresi subito.
“Solo alcuni di noi c’entrano con questa storia”, disse Brock con fermezza. “Ve lo dirà lei stessa, noi siamo solo...”
Smise di parlare quando indicò il punto del campo dove Daryl e Beth erano ancora abbracciati. Daryl si staccò da lei, prendendole il viso tra le mani e asciugandole le guance bagnate.
“Io non… non ti ho protetta.”
“Lo hai fatto.” Beth lo baciò con decisione. “Lo hai fatto. Mi hai protetta, mi hai salvata.”
Ma lui scosse la testa con una smorfia di dolore. Abbassò la testa e la nascose nel suo petto, stringendole la vita con entrambe le mani insanguinate.
Per alcuni lunghi secondi, nessun altro parlò. Daryl sentiva gli sguardi di tutto il campo su di loro, ma non se ne curò. Gli importava solo della donna che lo stava stringendo nel tentativo di calmarlo.
Quando decise che era giunto il momento di contenersi, si spostò, urtando accidentalmente la catena che si mosse nel terreno. Afferrandola, se la passò tra le mani anello dopo anello, fino a giungere alla manetta che le incatenava la caviglia.
“Dobbiamo aprire questa dannata cosa”, sibilò. “Dov’è la chiave?”
Scattò in piedi e si voltò verso gli abitanti del campo. “Datemela!”, gridò.
Padre Gabriel si avvicinò a Miranda e allungò la mano, col palmo rivolto verso l’alto. Lei, ringhiando sconfitta, tirò la chiave fuori dalla tasca e la lasciò cadere nella mano del prete. Daryl lo incontrò a metà strada e gliela strappò da mano.
Dopo aver consegnato la chiave, padre Gabriel affrontò l’ira di Rick, avvicinandosi a lui con entrambe le mani alzate. “Lasciate che prenda i suoi stivali”, disse con cautela, prima di dirigersi verso una tenda.
Rick annuì, dandogli il permesso, ma si girò a guardare Michonne. Recepito il messaggio, la donna estrasse la katana dal fodero e scortò il prete fino alla tenda doveva aveva riposto gli stivali di Beth quando l’avevano legata.
Nel frattempo, chinandosi, Daryl  la liberò da quella manetta.
“Rick...”, mormorò Maggie tra i denti. La sua mano tremava anche se stava facendo il suo meglio per tenerla puntata con fermezza sulle persone.
“Vai”, disse lo sceriffo con un cenno del capo.
Senza abbassare la pistola, Maggie corse verso Daryl e Beth per riabbracciare sua sorella. Padre Gabriel le portò i suoi stivali e Daryl l’aiutò a infilarseli mentre osservava Rick negoziare con la gente di Terminus.
“Potete andare”, disse l’uomo con le mani bendate. “Tutti quelli che avevano a che fare con questa storia stanno per morire, o sono già morti.” Guardò il corpo immobile di Franco, il cui volto era ormai irriconoscibile a causa della violenza che aveva subito. Poi indicò le due donne. Erano livide e avevano le labbra e il collo gonfi. “Loro hanno la febbre.”
“Sono state morse?”, chiese Michonne.
“No”, rispose l’uomo, spostando lo sguardo su Beth. “Hanno… consumato carne infetta.”
Sia Daryl che Maggie avevano un braccio avvolto intorno alla sua vita. Il suo peso era in gran parte appoggiato su di lui, come se non volesse far altro che addormentarsi tra le sue braccia. Trovò la forza per alzare la testa e annuire.
“E’ vero”, disse a bassa voce. “Moriranno.”
Abbastanza scosso e ancora preso a metabolizzare ciò che stava accadendo, Daryl non ebbe il tempo di indietreggiare o imprecare che vennero sparati altri due colpi. Si fece indietro e strinse Beth a sé, che era rimasta altrettanto sorpresa.
In un istante, era finita. I corpi delle donne giacevano a terra, dov’erano caduti, accanto ad altri tre cadaveri di persone che erano rimaste uccise durante la rissa. Maggie e Rick avevano entrambi le pistole alzate. Ognuno aveva sparato alla donna più vicina a sé.
Il resto della gente era costituito da soggetti patetici. Alcuni se ne stavano in ginocchio con le mani a coprirsi le orecchie, altri invece imitavano gli atti di sottomissione di padre Gabriel: mani in alto e occhi imploranti.
“Ok, va bene”, disse il prete. “Ora possiamo discutere razionalmente su quello che avete intenzione di fare?”
Quando cominciarono a darsi spiegazioni e a negoziare, il respiro di Daryl riprese finalmente un ritmo normale. Aveva ancora delle fitte al cuore, il dolore aumentava quasi ad ogni battito, ma in quel momento lei gli era così vicina, stretta contro il suo petto, e si dimenticò di se stesso per pensare al suo di battito cardiaco, abbastanza agitato, ma forte. Era viva-
“Dove sono tutti gli altri?”, mormorò Beth mentre barcollava in punta di piedi per arrivare al suo orecchio.
Daryl si chinò verso di lei, avvicinandosi il più possibile ma cercando comunque di mantenere lo sguardo sui nemici.
“Stanno tutti bene e al sicuro. Tranne Glenn, forse.”
“Forse?”
Si strinse ancora di più a lui, stringendogli la maglietta con l’unica mano che le restava e girando la testa per dare la sua prima vera occhiata a Glenn.
“Oh, no”, balbettò, nascondendo il viso nel suo braccio.
Glenn era ancora in piedi, ma la febbre si era già impossessata di lui. Daryl era certo del motivo che l’aveva spinto a raggiungerli nel vivo della lotta. Maggie non poteva restare indietro mentre gli altri andavano a salvare sua sorella, e lui non poteva lasciarla. Non sembrava debole, ma aveva un brutto colorito ed era inzuppato di sudore proprio come uno dei cadaveri che giacevano a terra. Quando Daryl incontrò il suo sguardo, gli occhi dell’asiatico guizzarono proprio in direzione di quei corpi senza vita.
“Sta lottando. Non è ancora così grave… forse...”
Strinse la presa sulla sua ragazza e lasciò quel pensiero in sospeso. Un movimento notato con la coda dell’occhio lo portò sull’attenti. Beth doveva averlo percepito, perché guardò nella stessa direzione. Dall’altro lato del campo, una cerniera di una tenda si stava aprendo. Poco dopo, una figura minuta spuntò fuori con occhi cauti, controllando che lo spazio attorno a sé fosse libero.
“Le ragazze devono essersi nascoste lì.” Beth si diresse verso la tenda, tenendo stretta la mano insanguinata di Daryl. “Va tutto bene, uscite!”, gridò.
Sembrava così stanca che lui fu momentaneamente colpito dal desiderio di sollevarla e andarsene con lei, per portarla in un qualsiasi posto dove potesse stendersi e dormire, in silenzio e al sicuro. Ma, con amarezza e una dose extra di paura, una vocina dentro di lui gli ricordò che non c’era più nessun posto così nel mondo.
Una dozzina di ragazze uscì fuori da quella tenda. Sembrava che dentro ce ne fossero altre ancora nascoste. Solo quelle più determinate ebbero il coraggio di avvicinarsi e di prendere parte alla discussione che stava animando il campo. Appena si accorsero di loro, tutti tacquero mentre le guardavano avvicinarsi con circospezione al centro dell’accampamento.
“Carol? Ty?”
La sua voce era così bassa e distante che Daryl a malapena la sentì. Era tra quella dozzina di ragazze deboli e spaventate, ma si staccò dal gruppo e cominciò a correre dritta verso Carol e Tyreese.
“Sophie!”
Tyreese la incontrò a metà strada e la strinse tra le braccia, sollevandola da terra. Per quello che Daryl poté ricordare, Carol lasciò cadere la sua pistola, nonostante la situazione fosse ancora potenzialmente pericolosa. Era a terra, in ginocchio, esterrefatta e incapace di dire una parola, quando Sophie si staccò da Tyreese e corse ad abbracciare anche lei.
“Manca qualcuno?” Rick esaminò il campo con la pistola ancora alzata, nel caso in cui altre Termiti uscissero fuori dalle tende per iniziare un’altra battaglia.
“Siamo… uh. Sembra che manchino ancora quattro dei nostri uomini”, disse padre Gabriel.
“No, non mancano”, ringhiò Daryl, scostandosi da Beth quanto bastava per sollevare entrambe le mani macchiate di rosso e mostrarle a tutti.
Il prete alzò le sopracciglia e guardò a terra, limitandosi ad annuire e a dire con tranquillità: “Allora sì. Siamo tutti, a parte un paio di donne nascoste nella tenda. Spero che tu capisca perché non escono.”
“E io spero che tu capisca se perlustriamo il campo prima di andarcene”, rispose lo sceriffo.
“Rick, ti prego, possiamo portarla fuori di qui?”
Maggie sembrava sconvolta. Il suo bel viso era gonfio ed esausto per il pianto, ma teneva ancora la pistola alzata, era ancora pronta ad uccidere se fosse stata chiamata a farlo.
“Glenn e Maggie, portate Daryl e Beth dagli altri”, disse Rick con un cenno della testa. “Noi resteremo qui a risolvere la questione.”
La gente del campo era sconcertata ed erano decimati. Escludendo le ragazze intimorite che si erano nascoste nella tenda, erano rimasti solo altri sei uomini che sembravano non aver subito alcun danno. Per il resto, c’erano corpi sparsi ovunque da cui avevano già preso le armi. Rick, Michonne, Tyreese, Carol, Abraham e Rosita erano pronti per fronteggiare qualsiasi situazione.
In generale, Daryl pensava di essere diventato abbastanza bravo a capire quello a cui pensava Rick e cosa avesse intenzione di fare, ma quel giorno, dopo tutto quello che aveva fatto e temuto, si sentiva particolarmente esausto e dolorante. Non riuscì a capire se Rick fosse ancora sospettoso o no. Se avesse ucciso chiunque gli avesse puntato una pistola contro, che ne sarebbe stato delle ragazze?
Scosse la testa e si voltò per andarsene dal campo. Rick non era crudele, si sarebbe assicurato che qualcuno si prendesse cura di loro. Daryl aveva una sola ragazza di cui preoccuparsi in quel momento.
“Vieni.”
Sollevò Beth con entrambe le braccia non appena Glenn e Maggie si affiancarono a loro. Con sua grande sorpresa, lei ridacchiò.
“Ho ancora entrambi i piedi, sai?”
“Non importa, resterai qui.”
“Mmmh, aggiustami il braccio.”
Beth si sporse per dargli un bacio sulla guancia e gli regalò quel sorriso che gli era mancato così tanto e che, per un terribile momento, pensava di aver perso.

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Capitolo 39
*** Paura e Rabbia (Epilogo) ***


PAURA E RABBIA

 



 

Uno scomodo sobbalzo dell’auto svegliò Beth di scatto. Era buio pesto, ma poté sentire la jeep fermarsi. Dalle espressioni assonnate ma ancora ansiose dei volti che la circondavano, sospettò che si fossero fermati per una pausa-bagno. Erano in molti e avevano quantità sufficienti di carburante, ma non si fermavano mai se non per casi di estremo bisogno. Era piuttosto difficile dormire nella parte posteriore di quella jeep superaffollata, ma ce l’avrebbero fatta finché lo avrebbero potuto sopportare. Si era addormentata tra le braccia di Daryl e, di fronte a loro, Maggie era stretta a Glenn, che continuava a combattere la febbre.

Erano passati due giorni. Da quanto riuscissero a ricordare, non avevano mai visto nessuno durare così a lungo. Non sembrava così fuori combattimento come erano solite essere tutte le altre vittime del morso: camminava ancora da solo e riusciva a portare avanti delle conversazioni. L’aveva persino sentito fare una battuta la sera precedente, cosa che diede speranza a tutti.

Durante una delle loro scorse pause, Bob le aveva confessato che aveva rassicurato il gruppo dicendo che sarebbe potuto sopravvivere solo per forzarli a continuare a muoversi, non perché lo credeva davvero. Tra l’altro, il sistema immunitario di Glenn aveva subito un brutto colpo solo qualche settimana prima, ma il medico restò comunque positivamente colpito dalla sua resistenza.

Nonostante ciò, erano tutti tesi. Non parlavano molto, ognuno era immerso nei propri pensieri e, quando c’erano le condizioni migliori per farlo, almeno la metà del gruppo cercava di addormentarsi. Con la strada irregolare sotto di loro, il cumulo di munizioni rubate un po’ ovunque e l’orrore ad assediare le loro menti, non era facile, ma Beth riuscì comunque a ritagliarsi poche ore preziose.

Sophie era seduta tra Carol e Tyreese. Si era scoperto che, quando non era un fascio di nervi per il pericolo costante a cui erano sottoposti, era davvero una ragazza dolce e loquace. Beth era quasi sicura che Carl, Tara e forse qualcun altro l’avevano trovata leggermente fastidiosa. Faceva un sacco di domande e interrompeva le risposte, ma era chiaro che Carol e Tyreese l’avessero praticamente adottata. Adesso era parte del gruppo.

Durante quei giorni Daryl era stato abbastanza silenzioso, ma lei riuscì a fargli dire quello che pensava su Sophie, ossia che la sua presenza avrebbe fatto bene a Carol.

“Ha bisogno di qualcuno che le mostri come deve essere”, aveva detto.

E Beth avrebbe potuto anche chiedere, ma si era limitata a speculare da sola su tutti i possibili significati di quell’affermazione fin quando non riuscì più a pensare. Troppo stanca e disidratata, era caduta in un sonno degno del termine, non indotto dai farmaci o dalla sua mente che aveva deciso di spegnersi sempre più coscienziosamente, ma un riposo vero e proprio, che le permise di risvegliarsi un po’ più in forze.

Scese dalla jeep dopo Rick e Carl. Li guardò chiedendosi, non per la prima volta in quei giorni, cosa fosse successo precisamente tra i due gruppi prima che si separassero. Sapeva solo che Rick e gli altri si erano spinti troppo oltre nei loro confronti, si erano solo assicurati che le ragazze fossero al sicuro (o almeno, non affidate a dei cannibali) con padre Gabriel, Randal e Brock al comando di quella piccola comunità che non si sarebbe mai più chiamata Terminus.

Nel buio della notte, nessuno osava allontanarsi troppo dalla jeep. Beth sgranchì le gambe, strinse la mano di Daryl e lo trascinò con sé.

“Come ti senti?”

“Sto bene”, annuì. “E tu invece?”

“A chi diavolo importa?”, brontolò lui.

“A me”, gli ricordò.

Daryl le lanciò un occhiata, ma non riuscì a guardarla negli occhi. “Sono solo preoccupato per te.”

Quando aveva tirato via Franco da lei e l’aveva gettato a terra in pochi secondi, Beth non era riuscita a scegliere quale emozione provare. Era sollevata per essere stata salvata, ma terrorizzata dal pensiero di poter essere già morta, di aver già lasciato il suo corpo e di star guardando Daryl agire come angelo vendicatore. Aveva avuto paura che Franco prendesse il sopravvento, o che un proiettile vagante mettesse fine a tutto. Era sconvolta dalla rabbia che vide sul volto di Daryl, quello spirito omicida divampava in lui come una fiamma. Quando assistette agli ultimi secondi di vita di Franco, sperò che gli venisse riservata un’eternità di dolore.

Gli ostacoli facevano parte della vita, ma quello li aveva sfiniti entrambi. Quel pensiero ancora la divorava, quello che sarebbe potuto accadere l’aveva perseguitata fino a quell’istante. A due giorni di distanza, però, aveva cominciato a dare credito alle cose importanti, alla pace nel caos.

“Ho fatto un sogno.”

Realizzò solo dopo queste parole di aver prolungato il silenzio troppo a lungo. Il volto di Daryl era ancora contorto dalla preoccupazione.

“Un incubo?”

“No”, disse prontamente, toccandogli la guancia per pulirlo da una macchia di polvere. “Era un sogno. Ho visto un bambino con i capelli castani spettinati e con gli occhi azzurri… avresti potuto essere tu da piccolo. Era completamente instabile mentre provava a correre verso di me sulle gambe che a stento sapevano come camminare. Mi sono abbassata e l’ho aiutato a stare in piedi con un braccio solo, stringendolo forte a me. Era così caldo e perfetto. Non sembrava così difficile tenerlo in braccio, anche senza il sinistro.” Beth sorrise. “Riuscivo a portarlo con un braccio solo.”

Finalmente, la guardò negli occhi. Vide ancora dell’imbarazzo nei suoi tristi occhi azzurri, ma c’era una scintilla luminosa.

“Certo che puoi”, mormorò. “Puoi farcela, Greene. Stai diventando ogni giorno più forte.”

Sentì il cuore vacillare quando lo vide distogliere ancora lo sguardo.

“Hey, guardami.” Gli sollevò il viso, posando le dita sul suo mento e scivolando col pollice sulla sua mascella, accarezzandola e sentendola pulsare sotto la sua mano. “Devi dirmi cosa c’è che non va. Ho paura”, disse semplicemente. “Siamo a posto o no?”

“Tu sei quello che sei sempre stata. E anch’io. Sono un pezzo di merda.”

Beth scosse la testa e aprì la bocca per controbattere, ma lui non aveva finito di parlare.

“Ho lasciato che accadesse. Non sono riuscito a tenerti al sicuro”, borbottò.

“Tu non hai lasciato che accadesse proprio nulla. E’ successo e basta”, rispose lei, lasciando che la sua voce si alterasse all’inizio, per poi rilassarsi dopo. “E mi hai protetta.”

“Troppo tardi.” Daryl scosse la testa.

“Non sto parlando di quando sei arrivato volando come Superman e hai gettato Franco a terra. E’ stato fantastico, ma intendevo prima.” Abbassò lo sguardo sul suo moncherino. “Per tutto questo tempo, mi avete protetta. Mio padre, Rick, tu. Forse non l’hai capito. Ricordati, signor Dixon, che io sono stata con mio padre ogni giorno quando perse la gamba, e l’ho aiutato ad andare oltre, ma allo stesso tempo lo osservavo e imparavo qualcosa da lui giorno dopo giorno.”

Il più piccolo e sofferto sorriso gli curvò un angolo della bocca in parte nascosto dalla barbetta, ma lei lo colse prima che potesse sparire.

“Duro come la roccia, il tuo vecchio.”

“Anche tuo fratello, l’ho conosciuto. Ho sentito la sua storia raccontata da Glenn e poi da te, ho visto quello che ha fatto quando la vita gli ha portato via una parte di sé...”

Gli sfiorò le labbra dolcemente, nel tentativo di far incontrare di nuovo i suoi occhi con quelli di lui. Quando funzionò, gli sorrise.

“E tu… tu mi hai insegnato a combattere, mi hai insegnato a sopravvivere. Ricordi quando ti ho detto che non volevo lasciarti e tu mi hai detto che non l’ho mai fatto? Che sono stata con te tutto il tempo?” Premette la mano contro il suo petto, si morse il labbro e riuscì a masticare col labiale solo la parola Qui, poi deglutì. “Beh, tu non hai mai smesso di proteggermi. Avevo il tuo aiuto e la tua forza, non ero sola.”

Gli strinse un braccio e lo guidò verso di sé, in modo che sentisse il battito del suo cuore nell’incavo della mano.

“Se non ci fossi stato tu, non sarei andata avanti.”

Calda e sicura, la sua mano forte si fece strada fino al collo di Beth, fermandosi dietro alla testa. Non aveva parole per replicare e non gli servivano. Lei aveva trovato la rassicurazione di cui aveva bisogno semplicemente nel modo in cui la guardava.

Erano molto più che a posto.

“Hey ragazzi, scusate se vi interrompo...”

Tara spuntò accanto a loro con una Judith agitata che le scalpitava tra le braccia. Il suo volto suggeriva che era veramente imbarazzata, avendoli trovati in silenzio che si guardavano come due idioti.

“Credo che senta la tua mancanza, ma non so se...”, indossò una smorfia dispiaciuta nell’indicare con un cenno della testa il moncherino di Beth.

“Fammi provare.”

Beth allungò il braccio sano e vi avvolse Judith, lasciando che si appoggiasse al suo fianco con la presa rassicurante di Tara ancora stretta intorno a lei.

“Hey, ci riesci senza problemi! Battilo!”

Chiuse la mano in un pugno, ancora più rossa per l’imbarazzo. Il suo sorriso si allargò ancora di più quando vide il braccio mutilato di Beth levarsi delicatamente per scontrarsi contro le sue nocche.

“Sarà una cosa nostra.”

Judith sembrava più contenta tra le sue braccia.

“Abbastanza incredibile, no?” Beth rivolse un sorriso a Daryl.

Avvolgendole le spalle con un braccio, lui si chinò e la baciò sulla fronte con tenerezza.

“Sì, lo sei”, sussurrò.

“Eugene sta progettando una protesi”, annunciò Tara con vivacità.

Beth sollevò le sopracciglia, sorpresa. L’aveva visto scarabocchiare sul suo quaderno per tutto il pomeriggio, ma non era in una posizione adatta per scoprire che cosa stesse disegnando.

“Come ti sembra?”

“Onestamente, è strana. Praticamente diventerai un robot.”

Soffocando un sorriso, Beth doveva ammettere a se stessa che era un gesto adorabile.

“Crede di poter trovare quello che gli serve a Washington.” Tara annuì e sorrise a Judith.

“Mi sono dimenticata di chiedere.” Beth arrossì, vergognandosi di aver aspettato così a lungo. “Perché stiamo andando a Washington?”, mormorò.

Reprimendo una risata, Daryl sbuffò e nascose il viso tra i suoi capelli.

Il sorriso di Tara si allargò ancora. “Stiamo andando a salvare il mondo.”

“Oh.”

Abraham urlò a tutti di tornare. Washington era ancora molto lontana, ma se qualcuno doveva salvare il mondo, non potevano essere altri che loro.

“Siamo le persone giuste per fare questa cosa”, disse Tara, perfettamente d’accordo con quello che Beth non aveva espresso, ma a differenza sua lei annuiva con un’aria assolutamente sicura.

Dopo qualche sbuffo scocciato e qualche piccola protesta, alla fine tornarono tutti alla jeep. Tara la raggiunse di corsa e fu la prima a reclamare il suo posto preferito sul retro dell’auto. Beth osservò Carol aiutare Sophie a salire, mentre Tyreese e Sasha erano in attesa dietro di loro. Sasha poggiò la testa sul braccio del fratello, esternando con quel breve gesto quanto fosse stanca. Rick e Michonne cercavano entrambi Carl dai due lati opposti della jeep. Bob, invece, assunse il ruolo di pacificatore tra Rosita ed Eugene, che stavano discutendo su chi dovesse guidare.

Lontani da tutto questo, Maggie e Glenn parlavano abbracciati, fronte contro fronte. Glenn sorrideva. Era un grande sorriso genuino solo per sua moglie, che non poteva fare a meno di ricambiarlo. Sembrava ancora stanco e malato, ma, in quell’istante, Beth si disse che sarebbe stato bene. Per il momento, stavano tutti più che bene.

Lo sguardo di Daryl non era più a terra. La stava guardando ancora in viso, come se non volesse più guardare altrove. Tirò a sé la bambina dal suo fianco, permettendole di salire nella jeep.

In pochi secondi, erano di nuovo in viaggio.

Dopo aver lasciato che Carl prendesse in braccio la sua sorellina, Daryl riprese posizione in quel piccolo nido che avevano scavato in mezzo alle scorte di armi, munizioni, cibo e medicinali. Beth fece lo stesso, sistemandosi tra le sue gambe, in modo da poggiarsi sul suo petto.

Non sarebbe mai stato semplice per loro, ma in un momento di lucidità, col mento di Daryl posato sulla spalla e le sue braccia che la stringevano sempre più forte, Beth capì che non voleva assolutamente che fosse semplice.

Le fece girare la testa e, lentamente, premette le labbra contro le sue. Non con quella passione a cui ormai era abituata, ma con una certa intimità che non aveva mai sentito da parte sua. Erano i loro primi giorni e sperò di poterne avere molti altri ancora.

Per quanto la sua vita fosse diventata difficile, rendeva le cose belle ancora più dolci. Tutto ciò che amava acquistava molto più valore, perché doveva lottare ogni giorno per preservarlo.

E non avrebbe mai più dovuto farlo da sola.

 

 

 

 

Nota dell’autrice (Alfsigesey):

Solo per questa volta… SONO TUTTI VIVI!
Ebbene, non ho ucciso nessuno, ma ho amputato un braccio e Glenn alla fine si potrebbe considerare come quasi-morto. Mi dispiace, ma non troppo. Ho lavorato su alcune brutte sensazione che avuto a proposito della quinta stagione e le ho riversate tutte qui. E’ stato più autoindulgente o terapeutico? Questo non lo so, ma è una fanfiction, che è di per sé una cosa autoindulgente e terapeutica, credo…
Ma comunque mi sono divertita :) Spero che la storia vi sia piaciuta perché mi sono divertita davvero tanto a scriverla, a leggere le vostre recensioni e a commentare con voi la serie. Sul serio, mille grazie per il supporto e le belle parole.
Peace and love, Al.

 

 

Nota traduttrice:
E anche l’ultimo capitolo è andato. Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, ma anche solo letto, la storia fino a questo punto. Spero vi sia piaciuta com’è piaciuta a me e spero che la mia traduzione non vi abbia delusi. Sono ben 39 capitoli, eppure mi dispiace che sia già finita. Mi ero affezionata a questi Beth e Daryl… ma in ogni caso, ho in programma di leggere qualche altra storia nel fandom anglofono e, nel caso, di tradurre ancora.
(A proposito, ho iniziato a tradurre e pubblicare un’AU di questa stessa autrice. Se vi va, passate a dare un’occhiata.)
Baci,
Heihei.

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