ℒa vie en rose

di AlnyFMillen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1❦ℭ entaurée ***
Capitolo 2: *** 2❦ℵarcisse ***
Capitolo 3: *** ❦Tournesol ***



Capitolo 1
*** 1❦ℭ entaurée ***


❦La vie en rose


 
"Des yeux qui font baisser les miens 

Un reir qui se perd sur sa bouche 

Voilà le portrait sans retouche 

De l'homme auquel j'appartiens"

Edith Piaf❦
 
1
❦Centaurée❦ 

 
E' cosa ormai risaputa che uno scapolo in possesso di un vistoso patrimonio abbia bisogno soltanto una moglie. Questa verità è così radicata nella mente della maggior parte delle famiglie che, quando un giovane scapolo viene a far parte del vicinato -prima ancora di aver il più lontano sentore di quelli che possono essere i suoi sentimenti in proposito- è subito considerato come legittima proprietà di una o dell'altra delle loro figlie.

Peccato solo che, fin ad allora, nessuno avesse mai potuto far i conti con Marinette Dupain-Cheng.
La signorina sopracitata sfoggiava con orgoglio meritato il fisico snello di una donna appena in fiore fasciato dall'ormai abituale veste cittadina. Quell'ultima era stata indossata appositamente in occasione del giorno cui aveva deciso di recarsi al mercato sotto mentite spoglie di borghese. Ebbene si, Marinette non era assolutamente una commerciante. 
Per quanto i suoi genitori avessero sempre preferito rimboccarsi le maniche nei lavori manuali, le sue origini erano inevitabilmente ed indiscutibilmente nobili. Se poi il sangue che scorreva nelle sue vene fosse blu così come i grandi occhioni ed i boccoli fluenti, ne dubitava abbastanza. Nonostante entrambi i padroni di casa Dupain-Cheng, in particolare il padre, si ritenessero pienamente d'accordo con le sue scampagnate per la bassa società, non era comunque raccomandabile per una ragazza come lei aggirarsi indisturbata per i sobborghi francesi. Parigi era una città grande e piena di pericoli, verso la quale prestare massima attenzione. Avrebbero potuto riconoscerla, derubarla, aggredirla e chi più ne ha più ne metta. Inevitabile era stata la pretesa dei familiari che fosse sempre accompagnata da una personale guardia sotto copertura. Con la pelle così chiara e dei tratti così particolari, sarebbe risultata una facile preda, non fosse stato per gli interminabili strati di stoffa che aveva indosso. 
Si strinse di più nel proprio cappotto mogano, acquistato da un mercante a poco prezzo perchè potesse confondersi fra la calca che affollava le vie senza dare troppo nell'occhio. 
Eppure ormai aveva imparato: spalle forzatamente più curve del normale, cappuccio tirato fin sopra la base del naso, passo meno delicato di quanto non gli fosse stato insegnato. Decine di anni passati a cercare di inculcarle qualcosa di  concreto sul bon-ton, la postura e l'eleganza mandati all'aria in un solo istante. Magari avrebbe dovuto persino ancheggiare, ridere senza freni e correre come se non ci fosse un domani proprio come le ragazze che l'avevano urtata inavvertitamente passandole accanto proprio in quell'istante. Peccato che non potesse. Oh se avrebbe voluto lasciarsi cullare dal soffio del vento mentre urlava a squarciagola per le strade ma, semplicemente... non ne aveva il coraggio.
Lanciò un'occhiata curiosa all'uomo lontano pochi passi da lei. Non era brutto, tutt'altro. Non il classico principe  biondo e dagli occhi azzurri, eppure il suo aspetto doveva aver attirato più di un'occhiata lì in città. Capelli rossicci, sguardo d'un verdemare singolare. Mingherlino, si, probabilmente costretto a prendere le armi dal padre. Dietro i tratti ancora acerbi di un adolescente e l'espressione tirata, si intravedeva un giovane più buono di quel che non si volesse far credere.
"Nathanael perchè non vieni qui accanto a me?" domandò con pacatezza la ragazza.
L'altro la guardò prima con sorpresa, poi con incredulità, infine con scetticismo, gli occhi di ghiaccio solidificato. 
"M-Madamigelle non è consono che una guardia..." 
"Ma quale madamigelle e madamigelle, tutto questo non è credibile se tu rimani lì dietro a pedinarmi. In questo momento sono solo una ragazza di umili origini con il proprio -si portò il dito indice sulle labbra, alla ricerca della parola più appropriata, poi arrossì di botto- fidanzato" sussurrò quasi l'ultima parola, ma azzardò un piccolo sorriso di incoraggiamento.
"Una ragazza comune non userebbe modi tanto aristocratici" continuò Nathanael prima di avvicinarsi fino a far sfiorare la propria spalla con quella di Marinette. Le parve quasi di notare un leggero rossore sfiorare le guance del ragazzo.
"Suvvia, a restare poco dietro di me mi metti a disagio" insistette.
E in effetti era proprio così. Non le piaceva avere il fiato sul collo persino in quelle poche ore  di libertà sorvegliata. Averlo di fianco le faceva avere almeno una parvenza di vita in più nonostante l'altro non facesse nulla per collaborare ed, anzi, fosse rigido come un chiodo, la mano ferma sull'elsa della spada sulla quale era riportato il logo della famiglia.
Sbuffò atterrita. Si conoscevano sin da piccoli e, mentre lei cercava di dialogare in qualche modo del più e del meno, Nathanael continuava a voler tenere fra di loro un muro fatto di pura professionalità. 

Lo aveva incontrato per la prima volta in una delle sue segrete escursioni pomeridiane nelle cucine, orario nel quale queste erano completamente deserte. All'epoca lei aveva solamente cinque anni e le era stato proibito categoricamente di mangiare più dolci di quanti già non ne ingurgitasse. Ma si sa, biscotti di qua, croassan di là, era finita per andare alla ricerca di nuove delizie. Meringhe, era di quelle che aveva voglia. 
Pur essendo di un'altezza pienamente nella media finì per sbilanciarsi, cadde dalla sedia sulla quale aveva trovato appoggio e rovinò a terra. La botta col pavimento, seppur non molto forte, fu abbastanza perchè le facesse salire le lacrime agli occhi. Con lo sguardo appannato, riuscì a malapena a notare il bambino che la osservava da poco distante. Se ne stava appoggiato allo stipite della porta a guardarla serio.
"P-Perchè m-mi gua-guardi?" singhiozzò nella sua direzione.
"Non dovresti piangere..." fece lui avvicinandosi leggermente titubante. Sembrava a disagio.
Lei sfregò i pugnetti sugli occhi, lasciò ondeggiare i codini scompigliati a destra e sinistra e parlò come a giustificarsi.
"S-Sono cadu-duta"
"Perchè hai cercato di prendere quella roba lì" disse semplicemente, indicando con il dito la dispensa "E'alta alta, la mamma ti avrà detto di non arrampicarti. Però tu hai disubbidito e ti sei fatta male"
"Non lo faccio più" promise.
E da lì, di tanto in tanto, si erano ritrovati per giocare. Non c'era voluto molto perchè arrivasse a scoprire che quel ragazzino, all'apparenza tanto scostante, altro non era che di una timidezza struggente. Per lo più, passavano il tempo a disegnare sulle piastrelle nere del porticato. Non che fossero dei così grandi amici ma era bello poter scambiare più di due parole con un proprio coetaneo. La maggior parte delle volte Nathanael, però, diceva a malincuore di essere occupato con il padre, così poco per volta avevano finito per non vedersi più. Lei era diventata una vera aristocratica, lui una semplice guardia. 

Sospirò. Ora si che non aveva più nessuno con cui parlare. La vita di corte poteva essere estremamente difficile e solitaria per una che, come lei, non riusciva a fare amicizia tanto facilmente. 
Già, sarebbe bello se...
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto in malo modo quando un passante, l'ennesimo, le diede una spintarella poco più forte, rischiando di farla inciampare. Improvvisamente le parve di essere tornata nella cucina della sua residenza a sporgersi verso lo scaffale dei dolci per cercare di non cadere. L'equilibrio precario che si era faticosamente guadagnata vacillò una volta di troppo e lei si ritrovò faccia a faccia col terreno. Fortuna che Nath fosse lì accanto, pronto per ogni evenienza. Già, fortuna che... 
Arricciò le labbra sconcertata. No, c'era qualcosa che non andava. Le mani che le circondavano la vita erano troppo sicure, troppo decise, troppo lisce e curate per essere quelle del suo amico. Riusciva a vederle solo in parte, abbassando appena lo sguardo verso l'addome, ma era sicurissima che fossero mani diverse. Per assicurarsene decise dunque di tornare in posizione eretta, sempre con l'aiuto degli arti misteriosi. Due smeraldi di un verde intenso la imprigionarono non appena alzò il viso e la sua ipotesi trovò conferma.
"Excusez-moi" si scusò una voce calda con un sorriso.
Non si accorse nemmeno delle dita della guardia strette con prontezza attorno al suo braccio destro, Marinette; non si accorse che i magnifici occhi erano ormai scomparsi nè della domanda che le era stata posta. Per questo scosse leggermente il capo così da riprendere il controllo.
Che cosa assurda...
Solo un semplice scambio di sguardi, si ripetè, solo un semplice scambio di sguardi. Nulla di più. Perchè si sentiva tanto scombussolata? Come d'improvviso aveva avvertito lo stomaco stringersi, le gambe farsi molli e il respiro accelerare. Impossibile che un attimo fugace le avesse regalato tutto quell'oceano di emozioni. Portò una mano a toccarle la fronte, quasi a controllare che non fosse colpa di un'improvviso malanno. No, di febbre non ce ne era.
"Si è fatta male?" chiese Nathanael accorto.
Lei dissentì distratta mentre lo sguardo si perdeva tra la folla.

"Vorrei poter vedere quel banchetto"  
Il sole inondava Place du Tertre quel sabato mattina. Simbolo del quartiere di Montmartre, non era la classica piazza parigina visitata dalla nobiltà, tutt'altro. Sulla riva destra del Senna, molti erano i turisti ed i cittadini smaniosi di farsi immortalare da uno dei tanti artisti muniti di tavolozza e cavalletto. Banchi e piccoli negozietti circondavano l'ambiente, omoni barbuti e vecchie signore pronti a gridare la propria merce ai passanti. 
Marinette fece scorrere lo sguardo sul paesaggio a carboncino intrappolato in una tela poco distante, poi tornò a rivolgere la sua attenzione verso chi stava alla sua destra.
"Da sola, se possibile" continuò timorosa. 
Era sicura che Nathanael, per quanto incline ad assecondare ogni suo più piccolo desiderio, non avrebbe permesso che andasse in giro per un luogo tanto affollato senza nessuno a scortarla. Già era molto che suo padre avesse acconsentito quando l'aveva supplicato di diminuire la sorveglianza fino a un solo uomo, eliminarla non sembrava proprio un'alternativa plausibile. Era pur sempre una Dupain-Cheng, non mancavano mai di ripeterle, prima ed unica figlia di una delle casate più importanti dell'intera Francia. Ne era perfettamente a conoscenza e comprendeva l'ansia che attanagliava i genitori ogni qualvolta la sapevano lontana da casa, ma non credeva che una semplice visita in città, fatta nel pieno del giorno, potesse essere tanto pericolosa. E poi, per quanto sfuggisse sempre all'argomento, Nathanael adorava l'arte, di sicuro gli sarebbe piaciuto avere qualche secondo per poter dare un'occhiata ai meravigliosi quadri che lì erano esposti al pubblico. C'era ancora speranza, quindi, riposta nel buonsenso del suo accompagnatore.
"Madamiggelle, sa che..." 
Come volevasi dimostrare. 
Tentar non nuoce, no? Sarà per la prossima volta.
Sospirò afflitta, pronta a sorridergli quasi a scusarsi ma una voce la interruppe. 
"Una rosa per la signorina?"
Una ragazza. Avrà avuto più o meno sedici anni, constatò, e stava porgendo un mazzo di fiori ben compatto nella la loro direzione. Gli occhioni cielo brillarono quando Marinette si voltò incuriosita verso la merce di scambio.
"Un fiore?" domandò di nuovo, alternando lo sguardo da lui a lei.
Forse, riflettè l'aristocratica, non si sarebbe presentata occasione migliore per cercare di sviare la risposta di Nathanael.
"Lo vorrei davvero tanto"  rispose allora con un sorriso "Davvero molto. E' importante"
Il ragazzo la fissò sconcertato, palesemente confuso dalla piega che stava prendendo la situazione. Non riuscì a valutare per quanto restò a scrutarla, valutando le due opzioni. Infine socchiuse le palpebre, l'angolo destro della bocca ebbe un guizzo verso l'alto. 
"Come desidera" acconsentì timido.
Così, mentre la fioraia sfilava la rosa più bella e gliela porgeva e Nathanael provvedeva al pagamento, sul viso di Marinette si dipinse un sorriso pregno di pura gioia. Non seppe bene cosa successe poi. Ricordava un "Grazie mille" ad alta voce, l'ordine di comprare tutte le rose della ragazza, lo sguardo ansioso della guardia su di lei e la camminata, prima lenta e misurata, farsi sempre più veloce, sino a diventare corsa.
Continuò correndo a perdifiato tra un individuo e l'altro, nulla più che una macchia informe nel mezzo di mille ancora. Giunse davanti ad un negozio di stoffe, si appoggiò ad un sostegno in legno per poter regolarizzare il respiro, diede un'occhiata ai vestiti esposti ammirandone i colori e le forme. Restò incantata di fronte un abito color crema dal taglio semplice e subito la commerciante le chiese se fosse interessata. Negò e continuò la sua visita. Eppure... Tornò indietro, indicò all'anziana dietro il bancone ciò che aveva attirato la sua attenzione e ne chiese il prezzo. Poco dopo stava camminando con due buste sottobraccio, una contenente l'abitino, l'altra stoffe dei più svariati colori. Aveva ben in mente come avrebbe potuto passare il pomeriggio a ricamare qualche punto di qua e di là, così da apportare poche essenziali migliorare che avrebbero fatto risplendere il tessuto. Nemmeno mosse dieci passi che un altro oggetto la incantò.
Era una sensazione strana quella di trovarsi da sola in un posto simile, poter fare quel che più le pareva senza chiedere niente a nessuno. Non si sentiva malinconica come quando cuciva nella sua stanza, non triste come quando passeggiava nei giardini della magione. Stava così bene, era così, così, così... Libera. Nonostante sapesse di essere guardata costantemente da un supervisore pronto ad ogni evenienza. Quella era libertà e con la consapevolezza che avrebbe potuta respirala ancora per poco, non potè far a meno di assaporare ogni suo più piccolo particolare. C'era così tanto da vedere ma non le passò mai per la mente che osservare attentamente la più misera tra le cose fosse uno spreco di tempo. 
Si avvicinò ad un ripiano sul quale erano esposti graziosi elaborati in metallo fine. Quel che più la colpì fu una piccola ed articolata costruzione ramata: un cuore tondeggiante sulla parte frontale, lì dove i due lati erano più pieni. Pochi centimetri lontana dall'estremità destra più alta, una piccola pietra azzurra di forma romboidale, dalla quale si diramavano poi quattro gruppi di onde. Quelle finivano per scontrarsi con un ghirigoro circolare più largo, i cui rami verso l'interno circondavano a loro volta quattro pietruzze rosso fuoco, protettrici di quella centrale. Da lì verso l'esterno una serie di movimenti floreali disegnati finemente. A circa metà della struttura, sul bordo, vi era un piccolo salsicciotto lavorato a nastro che si allargava nella spaccatura dell'oggetto, dividendolo in due parti perfettamente speculari con una spada stilizzata. La lama avvolgeva la struttura sino a sfinarsi come a goccia perpendicolarmente al centro. 
Marinette se lo rigirò tra le mani, ammirata. Mai aveva avuto il piacere di vedere una tale meraviglia ed ora il suo sguardo ricolmo di ammirazione era rivolto verso il venditore, un omino di origini chiaramente orientali che la osservava gentile. Passò l'indice sul retro, più semplice e composto da una sola lamina incisa con stile simile a quello che aveva potuto vedere sul davanti. 
"Mi scusi, sa dirmi quanto viene?" domandò staccando gli occhi dal cimelio.
"Bello vero?" domandò l'uomo con un sorriso.
Lei fece cadere nuovamente lo sguardo sull'oggetto, annuendo.
"Lo prenda allora" la incitò lisciando la barbetta curata.
"Può dirmi quanto cost--"
Lui la bloccò con un cenno sbrigativo della mano.
"Lo prenda" ripetè.
"Ma io... Non posso. E' un così bel lavoro, potrebbe guadagnarci davvero bene. Non posso prenderlo come se niente fosse" insistette la ragazza.
Al che frugò nelle tasche del cappotto e ne tirò fuori una sacchetta. Fortuna che aveva avuto l'accortezza di portare quel poco di denaro.
"Tenga, è tutto ciò che ho con me. Spero basti" 
Non fece neanche in tempo ad alzare il capo e porgere i soldi all'anziano che questo era già scomparso. Marinette si guardò attorno, cercando di capire dove potesse essere andato, ma non trovò nulla al di là della densa calca parigina. Eppure era lì un momento fa, impossibile si fosse volatilizzato nel nulla. Non poteva certo lasciare i soldi sul banco ed andarsene, qualcuno avrebbe potuto rubarli. Doveva essere certa di consegnarli nelle mani del signore. Cosa fare, dunque? Andare via senza aver dato nemmeno uno spicciolo era fuori discussone. Restare lì ad aspettare che il venditore tornasse? Le pareva l'unica via d'uscita. Mentre rifletteva sul da farsi, venne spintonata violentamene da quello che dalla stazza sembrava senz'ombra di dubbio un uomo e finì per picchiare il fondo schiena a terra. Il cuore le volò di mano e si schiantò con un tonfo metallico accanto a lei.
Non è proprio la mia giornata decretò massaggiandosi la base della colonna vertebrale.
"Vogliate scusarmi, ero sovrappensiero e non vi ho vista. Sono mortificato" la raggiunse una voce dall'alto.
"Che modi" inveì sommessamente, pronta a dirne quattro a quel maleducato, ma restò bloccata nell'istante esatto nel quale incontrò il volto del suo aggressore.
Quegli occhi. Erano gli stessi che avevano rischiato di farla cadere qualche ora prima, ne era sicura.
Restò per un attimo a fissarli, verde foresta affogato nel blu del mare, il cuore martellante contro la gabbia toracica pareva dover volare via da un momento all'altro.
"Vi sentite bene?" gli smeraldi si dipinsero di una sfumatura leggermente impacciata, mentre il loro proprietario le porgeva una mano.
"N-nebe tottu... Ovvero, bene u-uttot..." cercò di rispondere accettando ben volentieri l'aiuto offerto. Che cosa le prendeva adesso? Non riusciva nemmeno più ad articolare una semplice frase. Eppure sapeva parlare e, a detta di sua madre, anche piuttosto bene se si metteva di impegno. Inspirò profondamente per riprendere il controllo.
"Vi ringrazio, non mi sono fatta nulla" concluse.
Era troppo confusa, però, per notare l'utilizzo del voi ed il  tono formale con il quale aveva argomentato la risposta, istintivi per lei ma inusuali tra persone di basso rango. Distolse educatamente lo sguardo dal ragazzo che le stava dinnanzi, spostandolo a terra ed arrossendo leggermente. Fu grazie a quel gesto quasi involontario che si accorse di aver cosparso l'intero passaggio con i suoi acquisti.
"Tranquilla, faccio io" disse l'altro quasi leggendole nella mente, non appena si riscosse e notò il disastro combinato. 
"Moun die" mormorò lei affrettandosi a rimettere in ordine.
Peccato che così facendo non diedero vita ad altro che danni. Infatti, entrambi si chinarono nello stesso istante e, concentrati come erano nel cercare di rimettere ogni cosa al proprio posto, finirono per scontrarsi nuovamente.
"Ouch" si lamentò lui massaggiandosi il capo.
"S-Scusate tanto! V-Vi siete fatto male?" chiese Marinette mortificata.
"Nulla, sono io quello dalla parte del torto" la rassicurò accompagnando il tutto con un sorriso che la fece inspiegabilmente arrossire.
"ADRIEN!" urlò una voce stridula da poco lontano.
Il giovane sbiancò, la stoffa rossa che stava raccogliendo ancora impigliata tra le dita.
"Mi dispiace" si affrettò a dire "Devo andare, scusatemi"
Detto ciò scattò in piedi con un balzo degno di un felino, affondò meccanicamente le mani nelle tasche e si diresse a passo veloce tra le bancarelle. Confusa, restò a fissare il punto nel quale si era dileguato il ragazzo mentre una mano faceva per scuoterla.
"Madamigelle si sente bene?" s'informò subito Nathanael, probabilmente riuscito a raggiungerla.
Marinette gli restituì uno sguardo rassicurante poco prima che i suoi occhi si sgranassero dalla sorpresa.
"Il cimelio!" sbottò allarmata, cominciando a tastare il terreno.
Non ricordava di averlo messo nelle buste, nè visto nascosto fra le stoffe. Diede ancora una veloce controllata, per esserne certa, ma non lo trovò. Continuò così a cercarlo sotto i tavoli, tra le crepe dei marciapiedi, ovunque potesse infiltrarsi anche solo un granello di polvere, fin quando la guardia- mobilitata anch'essa ai fini del ritrovamento- non l'avvertì che il tempo a sua disposizione era ormai scaduto. Così, a malincuore, attirò l'attenzione di una carrozza e indicò al cocchiere la strada verso la villa dei Dupain-Cheng.
Mentre varcava i cancelli della residenza ed iniziava ufficialmente la sua nuova prigionia, però, si accorse che almeno per quella notte la sua camera sarebbe stata un po'meno vuota, il suo letto un po' meno freddo. Avrebbe sognato di luci abbaglianti, viottoli vivaci, scrosciare di fiumi, voci calde, occhi verdi e cuori scomparsi.






 
A(l)n(y)golino:
Salve a tutte anime pie arrivate a fine capitolo!Per chi non mi conoscesse, piacere^^, per chi abbia avuto già la (s)fortuna di aver a che fare con me, riciao:) Sbarco finalmente in questo fandom dopo un estenuante periodo di letture silenziose.Spero di non aver già fatto casiniO_oAccetto consigli,critiche e chi più ne ha più ne metta ma prima di spaccarmi l'anima credo sia il caso di dire un paio di cosette.Quindi bando alle ciance senza senso,cercherò di essere sintetica.Intanto,riporto qui sotto il link dell'immagine a inizio pagina.
https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/originals/e8/31/3a/e8313a156ccd4d64640634b7257b44bd.png
Devo dire che è grazie a lei se questa storia è qui oggi :P
 Il titolo,La vie en rose,è una vecchia canzone di Edith Piaf.
Il nome del capitolo- Centaurée-  è equivalente a Fiordaliso. Nel linguaggio dei fiori assume il significato di "speranza in un legame".
La citazione iniziale,a destra ed in corsivo,è di Jane Austen.
Parlando del resto, non ho molto da aggiungere.Credevo di aver abbastanza su cui blaterare ed invece non è così,ma tanto meglio:9 Qualunque dubbio abbiate,sentitevi liberi di chiedere.Mi scuso per eventuali errori o strabicismi,non fatevi scrupoli nel segnalarmeli.E niente,al prossimo capitolo!
Salutoni,
AlnyFMillen

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Capitolo 2
*** 2❦ℵarcisse ***


2
❦Narcisse❦ 

 
La donna scostò lievemente le tende pregate che incorniciavano le finestre così da poter osservare la carrozza allontanarsi. Col dito tracciò un percorso sinuoso sul vetro appannato per la condensa, quasi a voler sfiorare il mezzo di trasporto, fin quando quello non fu più visibile. Sospirò sovrappensiero.
Aveva insistito perchè non andasse ma alla fine era stata costretta a cedere di fronte alla realtà dei fatti: assecondare sua figlia, affinchè agisse col proprio consenso, o negarle il permesso, così che disubbidisse volutamente. Inutile dire che, non essendo successo ancora nulla di tanto pericoloso da costringerla al castigo, l'unica cosa che restava da fare fosse cercare di proteggere l'unica primogenita con ogni mezzo disponibile. Il che equivaleva a tempestarla di raccomandazioni, ma nemmeno così tante da farla sentire soffocata, e incaricare l'abituale scorta di controllarla.
Sabine Dupain-Cheng, rinomata per la sua temperanza e pazienza, sapeva bene come gestire lo spirito libero quale era sua figlia. Darle le giuste permissioni, certo senza esagerare, avrebbe permesso una convivenza pacifica e una vita più piacevole. Rispettava la volontà di Marinette quando si trattava di respingere con forza ogni più piccola cosa in grado di reprimere la sua libertà, a patto che accordasse questa sua parte più ribelle con quella più pacata e rispettosa, spesso sua caratterizzante.
Quella ragazza era una miscela perfetta tra lei e suo marito. Impacciata e sicura, dolce e decisa, maldestra e aggraziata. Talmente tanto che persino lei faceva fatica a concepirne la complessità, molto più di quanto equilibrata e semplice si mostrasse. Era quello il motivo principale che la preoccupava. La preoccupava molto.
Forse alle volte potevano essere stati dei genitori severi ma mai gli era passato per la testa di poter essere una cattiva madre. Certo, di dubbi ce ne erano stati e continuavano ad esserci, aveva fatto tutte le scelte che riteneva migliori per sua figlia e, vedendo la giovane donna quale era diventata, si rincuorava.
Quella cui stavano andando incontro, però... Era una decisione troppo affrettata, troppo poco pensata. Sempre, fin da quando aveva ritenuto Marinette capace di intendere e di volere, aveva chiesto un suo parere. Ora invece...
Una mano le si poggiò sulla spalla e, prima ancora di alzare il volto, riconobbe la stretta rassicurante e familiare dell'uomo che amava. Di riflesso, poggiò il palmo sul dorso della sua mano.
Thomas aveva sempre avuto il potere di conferirgli una calma innaturale. Sin da quando si erano incontrati la prima volta, aveva sentito una specie di calore al petto nel vedere quell'uomo grande e grosso farsi in quattro solo per vederla rasserenata. Alla morte della fratello, cagionevole di salute fin dall'infanzia, era stato l'unico veramente in grado di capirla e risollevarla. Nemmeno i genitori avevano potuto dove lui era invece riuscito con successo a farla andare avanti. Lo amava, così come amava sua figlia.
Senza che dovesse dir nulla, presto si ritrovò stretta tra le braccia del marito, in uno dei loro personali abbracci al sapore di casa. Nonostante gli anni passati nell'alta società, riflettè, il profumo che gli impregnava abiti e pelle non era cambiato.
Farina e cannella, di questo sapeva.
Sembrava solo un attimo prima avesse preparato qualche prelibatezza da offrirle, solo un'ora fa avesse indossato il grembiule macchiato della panetteria all'angolo tra le due piazze, solo ieri si fosse rimboccato le maniche per lavorare. Eppure ne era passato di tempo, non erano più due ragazzini che si incontravano di nascosto per aiutare la povera gente così che potesse arrivare almeno a fine mese. Lei non cuciva più per la vecchina dei quartieri bassi, lui non sfornava più le pagnotte di pane fresco per sostituire il proprietario ammalato. Non avevano più bisogno di nascondersi nè di fuggire dai genitori di uno o dell'altro, entrambi assolutamente allergici all'elemosina. Erano felici ora, avevano una casa ora, una famiglia, fin troppi soldi. Ma Marinette? Lei cosa aveva? Levarle persino quel poco di giurisdizione sembrava un affronto imperdonabile. Ingiusto.
Loro avevano sempre odiato le ingiustizie.
"Andrà tutto bene, Sabine" la rassicurò Tom sorridendo il quel modo confortante che spesso l'aveva soccorsa nei momenti più bui.
Sperò che anche quella volta aiutasse a fare la scelta giusta.

Marinette riteneva la mattina uno dei più bei momenti, che si trattasse dell'alba o di mezzodì. Se ad inizio giornata poteva osservare il sole sorgere pacato e sfidare la notte in una danza tinta di rosso, pian piano gli era data la possibiltà di scoprire quali angoli più remoti del paese la luce potesse illuminare. Era un gioco di ombre che si accorciavano e uccellini che si risvegliavano. O almeno lo sarebbe stato, se non fosse per il temporale che la notte precedente aveva intaccato l'usuale calma cittadina. Non era una cosa fuori dal comune, certo, troppi giorni senza pioggia costituivano un'eccezione alla regola, ma l'insolita foschia piovigginosa che impregnava l'aria di quel giovedì rendeva il clima parigino molto più simile a quello londinese, non fosse stato per la palese mancanza del grande orologio. Il Big Ben, lo avrebbero chiamato anni avanti, e subito le immagini di tale costruzione sarebbero circolate per l'intero continente. Il progetto della famosa torre di Gustave Eifelle, poi, rende oggi ancora più inavvicinabili i paesaggi urbani delle due nazioni: impossibile confonderle. Eppure, in un'epoca come quella in cui si trovavano intrappolati gli abitanti del 1750, ancora lontana da simili capolavori dell'architettura, quella nebbiolina sinistra restava inalterata, svettando silenziosa sopra i tetti delle case.
Nonostante il tempo poco propizio, la ragazza non si era però vista intenzionata a rinunciare all'ormai abituale gitarella. Lasciò scivolare lo sguardo sul gruppetto di bambini che giocava saltando nelle pozze di pioggia poco distanti, poi sull'ombrello che le riparava il capo.
"Potremmo farlo anche noi, se lo volessimo" la rimbeccò una voce ben conosciuta, quasi leggendole nel pensiero.
Arrossì di colpo, colta sul fatto.
"Si, non negate. Ho visto quello sguardo da cane bastonato che avevate stampato in volto solo pochi secondi fa"
La voce rise, attenta a non farsi udire da orecchie indiscrete. Non era consono parlare in tal modo nei confronti di una dame, soprattutto se si apparteneva a una classe nobiliare più bassa. In fondo, però, si conoscevano da molto ormai e la futura duchesse aveva ripetuto più e più volte di parlarle amichevolmente. Inoltre, se avesse usato troppi titoli avrebbe rischiato di far saltare la loro copertura.
Marinette, infatti, si limitò ad arricciare il naso in una smorfia fintamente offesa per poi ridacchiare a sua volta.
Alya Césaire era davvero la migliore amica che si potesse avere.

L'aveva conosciuta qualche anno prima, durante una cena di gala nella residenza dei Bourgeois alla quale entrambe erano state bellamente costrette a partecipare. Il motivo era semplice: Chloè, proprietaria di casa nonchè ragazzina più viziata dell'intera Francia, non era proprio tutta questa grande simpatia e gentilezza: certo era che non le avesse invitate per piacere personale. Bastava che venisse contraddetta anche solo minimamente che subito perdeva le staffe e un primo malcapitato finiva prontamente sulla sua lista nera. Se per Marinette non si conosceva bene il perchè di tutto l'odio profondo che la bionda si divertiva a riversarle addosso, per quanto riguardava Alya i dubbi erano ben pochi. Basti dire che, mentre la neoasiatica possedeva una certa quantità di autocontrollo ed era propensa a non inimicarsi nessuno ma, anzi, cercava per quanto possibile di andare più o meno d'accordo con tutti, l'altra non si faceva il benchè minimo scrupolo nel dire papalmente quel che pensava. Se per esempio trovava assolutamente irrispettoso o anche semplicemente antipatico il comportamento della reginetta di turno, non se ne stava certo in disparte ma, al contrario, si presentava davanti la diretta interessata e illustrava la sua opinione senza molti convenevoli. Quanti grattacapi aveva potuto portare alla famiglia agendo in tale modo? Abbastanza, per essere figlia di un comte. Eppure era riuscita sempre a cavarsela. Aveva questa sua capacità di credere tanto intensamente nei suoi principi da riuscire a far ragionare chiunque per portarlo sulla via della giustizia. Ovvio che anche lei fosse propensa alla parità tra individui e non le andasse a genio quell'aria da superiori che appestava figure come quelle del Duc Bourgeois e prole, ma tra l'educazione che le era stata impartita e quella timidezza insicura che già le apparteneva, finiva sempre per cercare di riappacificare le acque senza far torto a nessuno. Che poi davanti a Chloè persino lei si urtasse, era un'altra storia.

Si sporse leggermente verso destra, rischiando seriamente di scivolare e battere la testa sul terreno bagnato, ma miracolosamente mantenne l'equilibrio e continuò a setacciare il viale Avenue des Champs-Elysées. Troppe persone erano uscite di casa nonostante la pioggia e questo non facilitava certo la sua ricerca. Aveva riflettuto a lungo sui fatti dello scorso sabato e sulle sorprese che ne erano conseguite fin a raggiungere una conclusione. Doveva assolutamente ritrovare quel ragazzo. Non per qualche suo secondo fine, no, solo per potersi far restituire ciò che aveva perso. Sempre che l'avesse lui ovviamente.
Tornata in Place du Tetre per cercare il cimelio smarrito e il mercante a cui saldare il debito, infatti, non aveva trovato nè l'uno nè l'altro, nonostante l'aiuto dell'amica cui aveva raccontato- omettendo particolari che le avevano risparmiato una buona mezz'ora di occhiatine provocanti- la vicenda. L'unica soluzione era che l'anziano venditore si fosse trasferito per affari in qualche altra via, avrebbe semplicemente dovuto aspettare che tornasse nella piazza per poterlo pagare. Quale fine avesse fatto il cimelio, invece, poteva saperlo solo il ragazzo dai magnifici occhi verdi.
"Forza, ditemi cosa vi passa per la testa. Avete tutta l'aria di star cercando qualcuno" sussurrò Alya scrutandola attentamente.
Era stata così persa nelle sue ricerche da non accorgersi dello sguardo che aveva seguito ogni suo singolo movimento ed ora attendeva in attesa di spiegazioni mentre un sorriso poco rassicurante si dipingeva sul volto dell'amica.
"Oooh non volete dirmi che c'entra un qualche ragazzo" scandì ammiccando nella sua direzione.
Marinette avvampò in modo preoccupante.
"M-Ma no, che dite!" esclamò tanto veloce da inciampare nelle sue stesse parole.
"Mh mh"
"E' solo che..."
"Si..."
"Non è come pensate, insomma"
"Non lo è, dite?"
"N-No"
"Suvvia, potete dirlo"
"Non c'è nulla da dire"
"Non c'è?"
Abbassò il viso mentre si faceva scudo con la semplice borsa di cuoio nero che aveva recuperato così da poter portare con sè i blocchi da disegno tanto amati.
"Dame Marinette Dupain-Cheng!" disse la mora sette ottave più in alto del suo abituale tono. Lei le fece cenno di tacere.
Che incosciente era ad urlare, potevano riconoscerle! Vero, si trovavano in un quartiere piuttosto agiato, non le sarebbe stato permesso passeggiare tanto tranquillamente per i bassi fondi, ma c'era pur sempre una buona percentuale di rischio.
A quel punto Alya aveva arrestato il passo, si era incamminata a passo lieve verso le due guardie e, raggiunte, l'aveva indicata parlottando. Infine, era tornata da lei.
"Se vuole, abbiamo il permesso di allontanarci per una decina di metri ma dobbiamo restare visibili" rispose allo sguardo interrogativo dell'amica e, prima che quella potesse domandarle come avesse fatto a farsi concedere quella piccola permissione, accennò ad una serie di metodi infallibili tra i quali rientravano le fatidiche parole "cose da donne".
Scivolarono lente fin al punto che sembrava loro più consono, accanto un tiglio dall'aria massiccia.
"Dunque" iniziò indagatrice la primogenita del comte Cèsaire "Deduco ve ne siate invaghita..."
"N-non lo conosco neppure"
"Ammettete quindi che ci sia un qualcuno!" trillò sorridente.
"Cielo..."

Intanto, un'ombra si stava aggirando furtiva fra gli alberi. Le osservava attenta, pronta a scattare. Seguì il dondolare pacato della borsa lontana dallo sguardo distratto della sua proprietaria e si avvicinò circospetta, fondendosi con quelle poche persone che riempivano la via. Aggirò la sorveglianza in incognito, passò accanto alla prima ragazza, tanto vicino da far sfiorare le loro spalle; agganciò con l'indice il cinturino scuro e tirò, cominciando a correre il più velocemente possibile. Presto si accorse però del peso eccessivo che lo rallentava e notò la donna ancora ancorata alla tracolla. Cercò di scrollarla, senza molto successo. Udì il grido dell'amica, passi pesanti sempre più vicini. Se non avesse tirato subito uno strattone più forte dei precedenti sicuramente l'avrebbero preso prima ancora che riuscisse a rifugiarsi dentro qualche buco. Con così poche persone, non aveva altro posto dove nascondersi. Avrebbe rischiato di rompere il braccio alla sua vittima, la quale stava inutilmente cercando di fare resistenza, ma ne valeva della sua libertà.
Fece per attuare il suo piano ma un improvviso intoppo lo fece sbilanciare in avanti. Finì faccia avanti e sbattè violentemente il viso contro le pietre.

Non aveva compreso affondo ciò che stava succedendo. Si era sentita strattonare violentemente per un braccio, poi trascinare tutt'altro che con decenza per una buona parte della strada. Percepiva ogni singolo sassolino conficcarsi nelle caviglie, infilarsi all'interno delle scarpe. Il braccio le doleva ed avrebbe volentieri lasciato la presa, non fosse stata incastrata tra una cinghia e l'altra. Se rifletteva però sui preziosi disegni contenuti all'interno della borsa imputata, non poteva far a meno di rafforzare la presa. Aveva cercato di fare forza sui talloni ma l'unica cosa in cui era riuscita era stata far aumentare la presa dell'aggressore.
Improvvisamente il borseggiatore aveva frenato bruscamente, trascinandola con sè di conseguenza.
Due grida, il terreno in avvicinamento, un braccio che la teneva per la vita. Il buio. Era sempre stato un vizio comune chiudere gli occhi prima di cadere. Per riflesso forse, per paura di vedere il fatto nella sua piena interezza più probabilmente. Il pensiero spontaneo che se non avesse avuto la possibilità di vedere il momento dell'impatto, tutto sarebbe durato un attimo e avrebbe fatto meno male. Eppure erano già due volte, in nemmeno una settimana, che quel suo istinto la infastidiva. Senza la vista a guidarla non possedeva armi per combattere il mondo, non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo attorno a lei. Questo non era un problema se, come di consueto, il dolore arrivava a toccare il punto imputato e il corpo si risvegliava. Cosa che, però, in quel preciso istante non era accaduta. Si sentiva bloccata in un limbo offuscato, sospesa tra un universo e un altro. Le serviva qualcosa che la svegliasse, qualunque cosa potesse svegliarla.
"State bene, madamoiselle?"
Qualcuno, magari.
Di nuovo il suo sguardo si aprì dinnanzi ad una figura sconosciuta e di nuovo gli occhi vennero a scontrarsi in modo quasi doloroso con quelli dell'altro.
Verde fu la prima cosa che pensò.
E' lui fu la seconda.
Solo dopo una manciata di secondi si rese conto di quanto press'a poco impossibile fosse il pensiero che il fantomatico ragazzo si ritrovasse dinnanzi a lei proprio in quel preciso istante. Annuì in ritardo.
"Vi ringrazio" gli disse sinceramente grata dell'aiuto.
Ora che riusciva a vederlo più o meno nella sua interezza, aveva l'occasione di giudicare con i suoi stessi occhi le fattezze del salvatore. Certo, la visuale era limitata data la stretta leggera che l'altro ancora esercitava attorno alla sua vita ma riuscì ad identificare come meglio poteva quelli che dovevano evidentemente essere i tratti distintivi. Il vestiario sicuramente appariscente, seppur nero, di cui più di tutto risaltava il cappello a falde larghe e la grande piuma morbida posta su di esso, mascherava gran parte delle fattezze corporee.
Su quel viso immerso nell'ombra però, le parve di riuscire a vedere l'abbozzo di un sorrisetto sghembo.
"La vostra bellezza meriterebbe questo ed altro. Potete scusarmi solo un attimo?"
Prima che potesse ricevere risposta, allontanò velocemente la ragazza da sè distendendo il braccio sinistro in tutta la sua lunghezza ma continuando a mantenere una presa ferma eppure delicata sul fianco destro della nobile, così che potesse proteggerle schiena e spalle. Fatto ciò scattò, sempre attento a far eseguire i suoi stessi movimenti dalla protetta per evitare che venisse strattonata eccessivamente, verso il malvivente riuscito a rialzarsi. Sfoderò la spada dal fianco e gliela puntò alla gola prima che quello potesse dire una sola sillaba.
"Ehilà signorotto, dove pensi di andare?" domandò mentre l'uomo cercava di aggirare la trappola "Non lo sai? E' piuttosto scortese scappare senza nemmeno salutare"
Con la coda dell'occhio vide una ragazza e due guardie che scortavano un secondo uomo, probabilmente complice incaricato di distrarre la sorveglianza, venire frettolosamente nella loro direzione. Del gruppetto, constatò, l'elemento che più le pareva pericoloso era la donna. Sembrava al contempo e pronta a spingere giù dalle rive del Senna il borseggiatore e pronta a stringere la vittima in un abbraccio. Immaginò fosse amica di quest'ultima, data l'espressione di pura rabbia e il passo veloce con cui avanzava.
"Ah be, si è fatto abbastanza tardi però. Credo sia meglio lasciarti nelle amorevoli cure di quei simpatici giovani" dichiarò facendo spallucce ma mantenendo salda la presa sull'arma. In realtà, più che per l'orario, aveva paura di essere messo in mezzo e perfino accusato di complicità. Sapeva bene come volgevano situazioni del genere, accadeva spesso, e non aveva davvero voglia di farsi trovare lì all'arrivo ormai imminente della cavalleria. Anche se la giovane avesse detto che lui non c'entrava assolutamente niente ed anzi tutt'altro, benchè la scena avvenuta avesse attirato parecchi sguardi e molti ne fossero testimoni, non poteva mai sapersi cosa sarebbe passato per le menti ottuse delle guardie. Farsi anche solo vedere in volto era fuori discussione. Doveva andare.
Si volse verso la ragazza che teneva ancorata accanto a lui ma ben distante dal criminale. Lo osservava con un misto di curiosità e sorpresa.
Il volto gli appariva familiare, dalla spolveratina quasi invisibile di lentiggini sulle guance alla chioma dalla strana tonalità corvina.
Dove poteva averla vista? Era sicuramente un'esponente dell'alta società parigina. Se provava a forzare la memoria, mucchi di stoffe scombinate e bancarelle sfilavano davanti i suoi occhi. Forse... Forse... Forse c'era anche... Un cuore.
Fu come se con quella parola una porta all'interno del complicato labirinto quale era la sua mente si fosse spalancata con un tonfo ed i ricordi avessero incominciato a fluirne.
Si, ma certo! Come aveva fatto a non riconoscerla? Era così ovvio. Aveva completamente rimosso quella giornata, concentrato solo sulle sue conseguenze. Cosa fare dunque? Doveva pensare in fretta, le opzioni si riducevano al dirlo o al non dirlo. In fondo, anche lei poteva averlo riconosciuto a sua volta ma, se così era, si stava sicuramente convincendo di essersi sbagliata. Insomma, non avrebbe avuto senso trovarlo lì, per una come lei che non conosceva ancora la storia nella sua interezza. Stava a lui decidere se renderla partecipe di quel nuovo, strano capitolo della sua vita. Riguardava anche lei, soprattutto lei. Le doveva il merito di quel che era accaduto, certo, ma a quanto pareva era il solo ad esserne a conoscenza.
Come sempre, agì d'impulso e le parole gli uscirono di bocca prima che la mente emettesse un verdetto vincente.
"Voi" la richiamò avvicinandosi.
Lei lo fissò con spavento mal celato. L'aveva appena salvata, si, ma era pur vero che non aveva la benchè minima di chi fosse quello strano ragazzo. Poteva corrispondere perfettamente alla figura del fanatico mascherato da brav'uomo.
"Siete voi, non è vero? Colei cui ho inavvertitamente sottratto l'incompleta ma necessaria metà. Quello stesso cimelio dorato custodito con tanta cura, ora spezzato" snocciolò in fretta e furia, scandendo però le parole perchè potesse capire.
L'espressione palesatosi sul volto di Marinette dovette essere molto più che soddisfacente, poichè il bel giovane mascherato la prese fra le braccia senza troppi preamboli e, prima ancora che le labbra di lei potessero schiudersi, già il vento gli sferzava il viso.
Avrebbe pensato poi a ciò che aveva realmente fatto: rapire una delle nobili più influenti della Parigi ottocentesca, tanto per parlare di un vecchio gingillo arrugginito.
.






 
A(l)n(y)golino:
Il titolo del capitolo? Narcisse, ovvero Narciso, il che equivale al simbolo di amore senza troppe pretese, per persone conosciute da poco. Ebbene si,questo è il secondo capitolo!Ho cercato in ogni modo di inserire tutto quel che volevo ci fosse,nonostante la parte relativa all'apparizione di Chat sia stata un vero e proprio parto(santo portatore del miraculous del gatto nero,non sapevo come trattare lo pseudo salvataggio!): mi sembra di essere più o meno riuscita nell'intento.Arrivata ad un certo punto poi...Beh la tastiera è partita e tutto si è scritto da solo.Che ne dite?Troppo palloso?Lungo?Confuso?Banale?Spero di non aver fatto casini esagerati.Ho ricontrollato più volte ma sicuramente qualcosa che non va ci sarà,segnalate tutti gli errori che vi capitano sotto mano.Per farla breve,fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,
AlnyFMillen

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Capitolo 3
*** ❦Tournesol ***


3
❦Tournesol❦ 
 

 
"Siete voi, non è vero? Colei cui ho inavvertitamente sottratto l'incompleta ma necessaria metà. Quello stesso cimelio dorato custodito con tanta cura, ora spezzato"

Madamoiselle Marinette maledì mentalmente quel dannato pomeriggio di pochi giorni addietro e tutto ciò che le aveva portato.
Ad uno sconosciuto. Era in braccio ad un emerito sconosciuto, il quale aveva probabilmente qualche deficienza mentale data la lampante mancanza di coerenza. Recuperare gentilmente il bene che le era stata sottratto solo per poterla poi sequestrare -poichè alla fin fine solo così si poteva definire quello, un sequestro- non era proprio una delle idee più brillanti, per quanto stupidi si potesse essere. Ah, se lo avessero saputo i suoi genitori! Non le avrebbero sicuramente più permesso di mettere un piede fuori casa.
Già poco prima che venisse trascinata via aveva pregato Alya con lo sguardo, sperando in una comunicare silenziosa. E no, non lo aveva fatto chiedendole di venire a prenderla, di riportarla a casa, tutto il contrario. Era stata una supplica la sua, quella di non far arrivare la voce ai suoi genitori troppo velocemente, di concederle del tempo per riparare da sola quella strana situazione. Sicuramente, se la figlia del comte la conosceva davvero quel poco che lei pensava, avrebbe capito. Forse il suo rapitore non era l'unico ad avere problemi.
Riflettè però, guidata dall'ultima goccia di buon senso rimasta, sul fatto che magari sarebbe stato il caso di iniziare a preoccuparsi seriamente.
Il ragazzo, per quanto gentile si fosse dimostrato, poteva essere pericoloso. Pericoloso davvero. L'ignoranza la stava corrodendo. Non riusciva a comprendere cosa potesse pretendere un tipo del genere da una donna, abbastanza in vista nell'alta società parigina, ma pur sempre sconosciuta. La richiesta di un riscatto era la motivazione più piacevole cui riusciva a pensare. Una come lei, che non aveva armi con cui difendersi, fossero astratte o concrete, poteva rischiare seriamente. Nessuna forza fisica, poca velocità, riflessi pari allo zero. L'unica speranza consisteva nel tentare di persuaderlo a lasciarla andare con un discorso ben studiato. Ma sarebbe bastato? Se lui avesse voluto... Picchiarla, violentarla, venderla addirittura nessuno glielo avrebbe impedito.
Deglutì a vuoto, la gola improvvisamente secca.
In ogni caso, non si sarebbe lasciata sopraffare tanto facilmente. Avrebbe potuto urlare tanto forte da attirare l'attenzione di un passante o, in alternativa, attendere fin quando i suoi genitori non fossero riusciti a trovarla.
D'improvviso sussultò, strinse gli occhi sino a farsi male e artigliò più forte alle spalle del rapitore per evitare di cadere.
No, loro non avrebbero dovuto sapere nulla. Aveva dato loro già troppo per cui penare, se la sarebbe cavata basandosi sulle sue sole forze. Ce l'avrebbe fatta.

Nonostante la confusione, s'accorse che qualcosa in quel preciso istante era cambiato. Per prima, percepì l'improvvisa assenza di vento sul suo volto e, solo per seconda, un'improvvisa staticità.
Subito sbarrò le orbite e, mentre l'altro si accingeva a lasciare la presa sul suo corpo esile, sguisciò con dimestichezza lontano dalle sue braccia e si allontanò il più possibile con uno scatto atletico che faticò ad identificare come proprio. In fretta e furia, setacciò l'ambiente circostante, rendendosi contro di essere rinchiusa dentro tra due pareti soffocanti. Indietreggiando poi, sempre con lo sguardo rivolto verso l'aggressore, la schiena entrò in collisione con un terzo muro.
Sono in trappola pensò agitata.
Fece guizzare per un millesimo di secondo lo sguardo attorno a lei, notò un cumulo di rifiuti poco distante. Senza attendere oltre vi ci si fiondò, afferrando un oggetto metallico e puntandolo contro il biondo.
"Non ti avvicinare" ringhiò allora.
Ci volle qualche istante perchè quello registrasse il tutto. Se ne stava sulla soglia del vicolo, le mani ancora protese nel gesto incompiuto, lo sguardo stranito. Impiegò invece molto meno la risata del giovane ad arrivarle alle orecchie.
Un attimo e rimase interdetta, tanto che l'arma oscillò pericolosamente fra le sue dita. Stava ridendo. Lui, lo pseudostupratore stava ridendo. Ed anche di gusto, avrebbe osato dire. Non di una risata gutturale, derisoria, arrogante o quant'altro si sarebbe aspettata da una persona con il cuore nero come la pece. Semplicemente rideva, con una tale spontaneità da farle avere seri ripensamenti. Era senza dubbio più confusa di quanto già non fosse prima. "Je... Oh Je..." provò a dire il ragazzo ma un altro eccesso di risa lo bloccò.
Si tenne la pancia con le mani, letteralmente piegato in due e completamente indifferente alla presenza di Marinette lì a pochi metri da lui. Andò avanti per un po', quel tanto che bastò a fargli divenire il fiato corto. Persino gli addominali dolevano.
"Je ne peux... Je ne peux pas le croire*" mormorò finalmente asciugando una lacrima al bordo dell'occhio destro.
Lei lo guardò stralunata. Era pazzo, ora ne aveva la conferma. Trovare un modo per fuggire, la sua unica certezza.
"Scusate" esordì divenuto leggermente più serio "Forse crederete che io non sia sano di mente ma, sapete, non capita tutti i giorni di essere minacciati da una ragazza tan graziosa con l'ausilio di un... -tossicchiò per reprimere l'istinto di sorridere- Di una posata dalle proporzioni consistenti"
Marinette abbassò gli occhi sulla posata, come l'aveva definita il pazzo, e si rese effettivamente conto di quel che aveva in mano. Un mestolo metallico di discrete dimensioni, infatti. "A quanto pare ho altro di cui rimproverarmi, eccenzion fatta per questo misero particolare. Ma prima è il caso che mi presenti" continuò il giovane.
Piegò il busto in avanti, accennando ad un lieve inchino, si tolse il cappello e lasciò oscillare le ciocche ramate per qualche istante. Ben attento a non farsi scorgere in viso, riposizionò il copricapo al proprio posto e parlò nuovamente.
"E' un vero piacere fare la vostra conoscenza madame. Potete riferirvi a me chiamandomi Chat Noir"
Ma prima ancora che lui potesse finire di parlare, Marinette già lo aveva colpito sulla nuca con un violento colpo.
"Aia!" miagolò lamentoso, massaggiando con il palmo aperto la zona lesa.
E lui che credeva di aver a che fare con una gentildonna. Fortuna che la ragazza non aveva esperienze in armi, constatò tra sè e sè, perchè se così non fosse stato sarebbe sicuramente svenuto. Eppure la forza di certo non le mancava.
Inavvertitamente, lo sguardo dolorante cadde sugli avambracci di lei, coperti fino alla metà da una manica leggera e poi, dal gomito fino ai polsi, da uno scialle più pesante. Non non si soffermò però più di tanto sul domandarsi chi avesse scelto per lei quell'abbigliamento assolutamente sublime nè tantomeno perchè possedesse una tale fermezza nell'aggredire le persone, quanto su quella misera striscia di pelle- due centimetri al massimo- lasciata scoperta tra un tessuto e l'altro.
Subito fece saettare gli occhi verso un punto indefinito, socchiudendo ancor più le palpebre e ricacciando indietro un rossore del tutto inappropriato. Ma che diamine gli prendeva adesso? Perchè aveva avvertito il desiderio di sfiorare anche solo inavvertitamente quella pelle bianco latte, quasi a voler constatare se fosse davvero così liscia come pareva? Da pensieri tali si poteva benissimo giungere alla facile conclusione, seppur sbagliata, che fosse un maniaco fatto e finito. Preferì non indagare e diede la causa di quel comportamento sconsiderato alla forte botta presa in testa.


Marinette, intanto, non era stata certo con le mani in mano. Era ovviamente sorpresa della poca efficacia del suo gesto ma il biondo le aveva lasciato tutto il tempo necessario perchè potesse tornare all'attacco. Questa volta si sarebbe limitata ad usare la parola e tenere le mani apposto. Non lasciò andare tuttavia il mestolo mentre schiudeva le labbra.
"Avete idea di chi sono io?" domandò ostentando un'altezzosità che non possedeva.
Odiava dover far leva sulla propria condizione sociale ma, come si dice, a mali estremi, estremi rimedi.
"Io" alzò il mento il aria per donarsi sicurezza "Appartengo ad una delle più prestigiose famiglie dell'intera aristocrazia francese. Il re in persona ha fatto la mia conoscenza"
Si fermò un attimo per riprendere coraggio. Era rischioso esporsi tanto ma, alla fin fine, il ragazzo che aveva dinnanzi non sembrava un così grande malintenzionato e era sicura che con un po' di impegno sarebbe riuscita a farlo ragionare. Le pesava fare la parte della nobilotta intollerante alla plebe eppure era necessario affinchè lui la riportasse a casa il prima possibile. Sperò che la sua voce fosse ferma quel che bastava.
"Dunque, se non volete avere problemi di alcun genere, vi consiglio vivamente di liberarmi o presto subirete le conseguenze del vostro vil gesto"
"Mi scuso immensamente Sua Maestà Illustrissima ma si da il caso che conosca perfettamente il suo status sociale" rispose lui con sarcasmo.
Era perfettamente rilassato e ciò non fece altro che aumentare la sua ansia. Poteva sempre aver sbagliato sul suo conto, magari era davvero il peggiore dei malviventi. Gatto nero era certamente un nome poco affidabile. Quante volte aveva già cambiato idea, nella sua mente regnava la confusione più totale!
Cominiciò a sudare freddo.
"E si da sempre il caso Pregiatissima Dame che non posso liberarla semplicemente perchè non è mia prigioniera. Basta che me lo chieda e la porterò subitamente dove da lei richiesto" chiarì allora lui serio in volto, senza abbandonare però il tono puramente ironico.
Attese qualche attimo. Aveva davvero capito quel che credeva? Sbattè le palpebre un paio di volte, perplessa.
"Bene allora vi pregherei di portar..."
"Ad una condizione" la interruppe prima che potesse finire "Prima, dovete ascoltarmi" concluse tornando serio.
Con quattro falcate ben piazzate raggiunse Marinette, la quale non aveva potuto far a meno di indietreggiare poco discretamente. L'ombra del palazzo sulla destra copriva completamente il volto di Chat Noir già in parte nascosto a causa della falda larga del cappello e la fanciulla non seppe se rincuorarsene oppure esserne triste.
"Siete voi" enunciò lui dopo aver preso un gran respiro.
"Non capisco"
"La ragazza cui appartiene l'altra metà del cimelio." spiegò "Siete voi"
Lo sguardo di lei si fece confuso, poi sorpreso. Che stesse parlando... No, non era possibile. Come poteva sapere, lui? Che fosse il ragazzo dai magnifici occhi verdi?
Presa dalla curiosità, si sporse verso il viso dell'altro che però si ritrasse prontamente.
"Come... In che modo siete riuscito a procurarvelo?" chiese aggrottando di poco le sopracciglia fine.
"L'ho trovato" snocciolò Chat voltandosi con noncuranza "Ma non è questo il punto. Devo dedurre dalla vostra risposta che siate effettivamente voi la proprietaria?"
"Io... Io credo di si"
"Ebbene, la seconda metà dove si trova?"
"Non credevo che il cuore potesse spezzarsi. L'ho perso poco tempo dopo l'acquisto"
"Quindi non l'avete?"
"No, per quanto desideri il contrario. Era davvero ben fatto. Ma ditemi, cosa sapete voi che io ignoro?"
Forse mantenendo un basso profilo ed evitando di mostrarsi più interessata e meno ingenua di quanto fosse avrebbe ricavato qualche informazione.
"Nulla di cui lei debba preoccuparsi, Sua Signoria" dichiarò scherzoso.
"Ma..."
"Voglia scusare la mia maleducazione ma mi trovo costretto ad andarmene, di nuovo"
"Aspettate! Non potete lasciarmi qui sola, senza neanche una risposta"
"Non lascerei mai una fanciulla sola nemmeno nel quartiere più agiato, seppur ritengo che alle volte i borghi siano più sicuri di molte altre residenze signorili" dichiarò portandosi una mano al cuore quasi offeso "E' stato un piacere, spero di rivederla presto. Au revoir, dame"
E come d'incanto sparì tra i vicoli parigini proprio prima che due guardie trafelate la raggiungessero.






 
 
A(l)n(y)golino:
Il Girasole è un regalo ideale per persone conosciute da poco su cui si vuole fare colpo, ma può essere interpretato anche come pegno d'amicizia.
E via con il tersssso chap!Facciamo progressi.E lo stesso si può dire per questi due qui su. E'qui che si apre davvero la storia e finalmente succede qualcosa .Mi sembra che tutto si commenti più o meno da solo,spero solo di non essere caduta nell'OOC.Ci terrei solo a fare una piccola precisazione per quanto riguarda i dialoghi:non so se avete notato ma all'interno della narrazione,in particolare quando parla Chat(solo quando parla Chat in verità) si cambia spesso e volentieri modo di rivolgersi.E prima da del voi a Marinette,e poi le da del lei e del tu e del nostro e del loro e sembra una macedonia.Insomma,non è perchè a lui piace fare strabicismi o perchè io mi sono rincretinita.Potrebbe essere ma non è così.Ha una sua logica abbastanza importante ai fini del racconto,ecco.Bene,chiarito questo vi lascio.Fatemi sapere cosa vi piace e non,quel che vi incuriosisce,quel che odiate,quel che vi pare.
Baci e alla prossima,
AlnyFMillen

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