«Scommettiamo che Giobbe rimane fedele?»

di Ciuffettina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** «Ti prego, torna a casa!» ***
Capitolo 2: *** «Dove sei stato?» ***
Capitolo 3: *** «Da che cosa posso cominciare?» ***
Capitolo 4: *** «Ma che gusto c’è?» ***
Capitolo 5: *** «Che stai facendo?» ***
Capitolo 6: *** «Bisogna accettare tutto» ***
Capitolo 7: *** «Viva l'amore coniugale!» ***
Capitolo 8: *** «Ci vorrebbe un amico...» ***
Capitolo 9: *** «Tu lo sapevi!» ***
Capitolo 10: *** «Giovane io sono e voi già canuti siete…» ***
Capitolo 11: *** «Perché Giobbe mi odia?» ***
Capitolo 12: *** «Va' e dacci dentro!» ***



Capitolo 1
*** «Ti prego, torna a casa!» ***


Dopo lungo esitare (in effetti, millenni) Gabriel aveva finalmente deciso di scoprire che gusto avesse il famoso Frutto Proibito. Aveva aspettato così tanto perché temeva che avrebbe avuto effetto anche su di lui. Avrebbe perduto la Grazia? Gli sarebbero cadute le ali?
Ma alla fine la sua curiosità aveva avuto il sopravvento.
«Tra i tanti divieti che ci sono stati impartiti, non c’è quello di mangiare questo frutto… ma forse perché si presuppone che gli angeli non si “ingozzino di cibo come gli umani”» concluse imitando la voce stridula di Metatron e ridacchiando fra sé. «Chissà se Papà aveva previsto che uno dei Suoi figli si sarebbe preso la briga di controllare che tutti i frutti fossero buoni… Beh, se fosse proibito anche a noi, suppongo che prima o poi qualcuno mi avrebbe avvisato… Ci tengo alle ali!» Cautamente Gabriel colse quello che gli umani avevano chiamato “mela cotogna” e le diede un piccolo morso ma sputò quasi subito il boccone. «Per la miseria, com’è aspro! Il profumo è celestiale ma il sapore… Bleah! Bastava solo questo a scoraggiare quei due. Si vede che avevano proprio voglia di trasgredire…»
«Nostro Padre sa che un suo arcangelo ha appena mangiato il Frutto Proibito?» chiese qualcuno dietro di lui.
Per un attimo Gabriel si sentì ghiacciare. “Però potevano avvisarmi…” Poi riconobbe chi aveva parlato e, sebbene non sentisse quella voce così beffarda da secoli, non poteva che essere… «Lucy!» esclamò voltandosi. «Si dice mangiare quando s’ingerisce, masticando e deglutendo del cibo, ma io l’ho solo assaggiato» replicò indicando il boccone per terra. «Quindi, se anche fosse vietato a noi angeli, non ho disobbedito» concluse sfarfallando le ciglia con aria innocente.
Lucifer ridacchiò leggermente: «Vedo che non devo insegnarti più niente.»
«Sapessi come mi sei mancato» gli confessò Gabriel. Era in Paradiso con migliaia di fratelli e sorelle e amava quasi tutti loro (tranne una decina di spocchiosi pennuti) ma era a Lucifer che si sentiva più legato: il fratellone che conosceva tanti trucchi fantastici, l’unico arcangelo che non lo redarguisse per i suoi scherzi e buffonate ma che rideva insieme a lui…
«Se è vero, perché non ti sei unito a me, come hanno fatto Azazel e gli altri?» gli chiese risentito.
Gabriel scrollò la testa: «Ho fatto un’altra scelta ma spero sempre che tu torni a casa…»
«E mettermi al servizio di quegli aborti? Mai! Preferisco regnare all’Inferno che servire in Paradiso» sibilò l’ex Stella del Mattino.
«Non tutti gli angeli devono occuparsi degli umani ma solo quelli custodi e, a volte, neanche quelli. Prendi Castiel, per esempio…» Vedendo l’espressione perplessa di Lucifer spiegò: «Castiel! Fa parte della mia legione… Occhioni blu da cucciolo bastonato… ali cobalto…»
Niente, sembrava proprio che Lucifer non se ne ricordasse o, più probabilmente, non si era mai preso il disturbo di conoscere tutti i suoi fratelli(1)
«Beh, in teoria dovrebbe fare l’angelo custode» proseguì Gabriel, «ma l’umano che gli è stato assegnato nascerà solo fra qualche millennio, perciò deve starsene in Paradiso a lisciarsi le piume, non è assurdo? Questo per dirti che ci sono buone possibilità che tu possa bellamente ignorarli.»
«Se anche volessi tornare, cosa che non intendo assolutamente fare, non potrei comunque» grugnì.
«Certo che puoi! Noi tutti…»
«Con queste?» ruggì Lucifer. «Guarda che cosa mi ha fatto nostro Padre!» Spalancò le ali.
Fino a quel momento le aveva tenute invisibili e anche durante il loro ultimo incontro non le aveva mostrate e ora Gabriel poteva capire il perché: quelle splendide piume soffici e cangianti erano svanite e ora le ali erano nude e membranose come quelle dei pipistrelli.
Gli si riempirono gli occhi di lacrime. «Erano così belle…» sussurrò allungando esitante una mano verso di esse.
«Infatti!» replicò Lucifer con stizza e richiudendole di scatto «e guarda come me le ha rovinate per colpa di quegli obbrobri!»
«Se tu tornassi e chiedessi perdono…»
«Perdono per cosa?» lo interruppe con rabbia. «Io non ho fatto niente! Non ho ficcato io quel maledetto frutto nella loro gola, hanno fatto tutto loro!»
«Ma tu gliel’hai suggerito…»
«E allora? È stata una loro libera scelta, potevano anche non ascoltarmi, sapevano che era proibito ma, come hai detto tu, avevano proprio voglia di trasgredire» replicò. «E nostro Padre che fa? Invece di ringraziarmi per averLo liberato da quegli esseri ingrati, mi ha bruciato le ali! Sono passati millenni ma ancora non guariscono…» L’ultima frase era quasi sussurrata.
«Nostro Padre te le può risanare! Ti prego, torna a casa» lo supplicò Gabriel.
«E come ci torno? Queste… cose non mi reggono fino in Paradiso.»
«Ti posso portare io!» esclamò Gabriel speranzoso, posandogli una mano sul braccio. «Salimi sulla schiena e in men che non si dica ti ritroverai a casa. Lucy, lasciati aiutare…»
«Dai allora!» replicò il fratello mettendoglisi dietro e cingendogli con le braccia il collo. «Fammi fare un giro. Sarà bello rivedere Michael e gli altri.»
«Sììì!!!» strillò Gabriel entusiasta e decollò. Era proprio felice: quando era appena stato creato, era talmente imbranato che non riusciva a destreggiarsi con tutte quelle ali che s’intralciavano a vicenda (solo gli arcangeli lo sapevano ma imparare a muoverne sei nella maniera corretta non era per niente facile e forse era per questo che il più delle volte Gabriel ne usava solo quattro, tranne quando aveva bisogno di volare velocissimo o gli serviva una spinta in più).
Michael era stato troppo occupato a far da paciere tra Dio e Tehom e Raphael (creato prima di lui) gli aveva detto con alterigia: «Io ho imparato da solo, possibile che tu non riesca a fare altrettanto?» così era stato Lucifer a insegnargli a volare, prendendolo bonariamente in giro per la sua goffaggine e ora toccava a lui aiutarlo…
Ne era sicuro: tutto sarebbe tornato com’era all’inizio dei tempi…

 
*****

Dedico il primo capitolo ad Abby_da_Edoras che, con le sue dolcissime storie sul rapporto fra Gabriel e Lucifer, me l’ha ispirato.
So che aspettavate il nuovo capitolo de “Tu, la cosa più importante” ma vorrei ricordarvi che oggi è la giornata dedicata agli arcangeli.
1) Nella puntata 05x10 “Lasciate ogni speranza” Lucifer non riconosce subito Castiel ma gli chiede “Castiel, giusto?” come se non l’avesse mai conosciuto prima, ma ne avesse solo sentito parlare da qui la mia idea che non si sia mai interessato agli altri angeli.

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Capitolo 2
*** «Dove sei stato?» ***


«Eccoci di nuovo a casa!» esclamò Gabriel felice, atterrando su una delle nuvole.
«Posso fidarmi a scendere?» chiese Lucifer, sempre cavalcioni sulla sua schiena. «L’ultima volta che sono stato qui, ho fatto un atterraggio fuori programma sulla Terra.»
«Stai tranquillo, non ti lascerò cadere nuovamente. E poi, non vorrei offenderti, ma pesi.»
«Rammollito» sbuffò. Scese e continuando a tenere un braccio intorno alle spalle di Gabriel, tastò le nuvole cautamente con un piede. «Bene pare che reggano… La solita vecchia brutta casa» disse poi, facendo qualche passo e guardandosi intorno. «Non ricordavo che il Paradiso fosse così noioso. L’Inferno, invece, è un vero spasso! Un intero parco giochi pieno di atroci divertimenti, non immagini quanto urlino i dannati.»
«Lucy, per favore…» replicò Gabriel a disagio.
«Che c’è, fratellino?» ridacchiò Lucifer. «Ti ho sconvolto?»
«Che cosa ci fa lui qui?» domandò Michael, atterrando davanti a loro.
«Fratello, sono secoli che non ci vediamo» replicò l’ex Stella del Mattino all’arcistratega. «Mi aspettavo un bentornato più caloroso.»
«Hai deciso di pentirti e chiederGli perdono?»
«E se non lo faccio, mi butti giù a calci come l’ultima volta?»
No, non di nuovo!” Istintivamente Gabriel tenne stretto per un braccio Lucifer, come se da un momento all’altro le nuvole dovessero di nuovo aprirsi sotto i suoi piedi. «Miki, potresti riferire a Papà che Lucy è tornato e che Gli vuole parlare?»
Michael lo guardò freddamente. «Gabriel» replicò scandendo ogni lettera, «vorrei proprio sapere che cos’è questa tua mania per i nomignoli. A sentirti parlare sembri più un cupido che un arcangelo.» Si voltò, allargò le ali e volò via.
«Ancora pochi minuti e riavrai le tue bellissime ali» disse Gabriel fiducioso.

E invece avevano dovuto aspettare ore prima che l’intera corte celeste si riunisse nella sala del Trono. C’erano proprio tutti: dagli arcangeli ai cherubini, erano presenti persino gli angeli custodi che avevano dovuto mollare i loro protetti e star lì a vedere che cosa sarebbe successo fra pochi minuti.
Ogni tanto dalla Terra si sentiva provenire un urlo e un tonfo dovuti ai bimbi che, privi del loro guardiano celeste, precipitavano in qualche burrone.(1)
Gabriel si rese conto che le ali dei suoi fratelli fremevano, alcune per l’indignazione ma la maggior parte per la curiosità. “Non è stata una bella idea” pensò.
Lucifer era estremamente orgoglioso ma forse a quattr’occhi con il Padre, avrebbe anche potuto ammettere che aveva sbagliato ma umiliarsi di fronte a tutta la corte? Mai!
Gabriel sperò che il suo desiderio di riavere le più belle ali del Creato fosse maggiore della sua superbia.
Il Signore gli chiese: «Dove sei stato?»
«Un po’ qua, un po’ là…» rispose Lucifer facendo spallucce e tenendo le ali invisibili.
«Hai notato il mio servo Giobbe? Nessun uomo è come lui sulla terra: è integerrimo e Mi è devoto.»
Lucifer rispose sbuffando: «E vorrei vedere! Non hai forse messo una siepe di protezione intorno a tutto quanto è suo? Hai benedetto i suoi campi e il suo bestiame infesta la terra. Ma togligli quello che possiede e sentirai che benedizioni Ti rivolgerà!»
Un mormorio di orrore attraversò la corte. Mai nessuno aveva osato rivolgersi a Dio con tanta arroganza.
Il Signore stette un attimo a pensare poi replicò: «D’accordo, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano contro di lui. Puoi andare ora.»
«Bene! Dai, Gabriel, riportami sulla Terra che ho una missione da svolgere» disse Lucifer.

Gabriel lo prese sulla schiena e lo portò giù fino a quando non fu sicuro che le sue ali potessero reggerlo. «Ecco, da qui in avanti puoi volare senza passaggi» gli disse di malumore.
«Fratellino, sei arrabbiato con me?» domandò Lucifer staccandosi da lui e svolazzandogli davanti.
«E certo! Mi hai mentito! Avevi detto…»
«Avevo detto: “Fammi fare un giro, sarà bello rivedere Michael e gli altri.”» lo interruppe. «Non ho mai detto che ero pentito o che volessi chiedere perdono. E poi hai visto anche tu, no? Anche se ne avessi avuta voglia, Lui non me ne ha dato il tempo: “Hai visto Giobbe? Com’è bravo Giobbe!” Giobbe!» sbuffò disgustato. «Che nome stupido! “Dov’è-mio-padre?” Se non lo sa lui, devono saperlo gli altri? Ma ora finalmente Gli dimostrerò che quegli insetti non meritano niente.»
«Lucy, non capisci che quello che intendi fare è inutile? Nostro Padre non cambierà mai idea sugli umani, se anche Giobbe dovesse… lamentarsi del trattamento subito, Lui si troverebbe un altro profeta e andrebbe avanti come prima. Sai quanto li ami ma ama anche noi, tutti noi, anzi tu eri il Suo preferito e lo sai.»
«No, che non lo so!» esclamò rabbioso. «Non me l’ha mai dimostrato! A te ha dato il Corno, a Michael il comando su tutti gli angeli, a Raphael…»
«A te aveva dato il Marchio» lo interruppe Gabriel, volandogli un po’ più vicino, «proprio per dimostrarti quanto ti amasse e stimasse.»
«Oh sì, lo so bene quanto ci ami e ci stimi» ribatté ironico. «Dannazione, Gabriel! Sei un arcangelo, una delle creature più potenti dell’universo, eppure mi hanno riferito che hai dovuto far da balia a quegli esseri inferiori!» esclamò disgustato.
«È vero» sorrise Gabriel al ricordo del piccolo Abram(2). «È stato divertente, sai?»
«Divertente!» sbuffò Lucifer sprezzante. «Avresti dovuto rifiutarti di obbedirGli! Che mandi i cupidi a mischiarsi con quella feccia se ci tiene così tanto! Ma se le cose andranno come penso io, saremo finalmente liberi da questa schiavitù. Fidati di me, io so quel che faccio!»

*****

1) Ovviamente la frase fa riferimento ai santini sugli angeli custodi che vengono spesso raffigurati mentre vegliano dei bambini che attraversano dei ponti sgangheratissimi per inseguire farfalle o si sporgono sui crepacci per raccogliere fiori.
2) Vedere il racconto “L’infanzia di Abram

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Capitolo 3
*** «Da che cosa posso cominciare?» ***


Per secoli Lucifer aveva potuto solo sussurrare agli umani per cercare di convincerli a trasformare la vita dei loro simili in un inferno, («Omicidi, violenza, furti… Visto che cosa succede se si concede loro il Libero Arbitrio?») ma ora finalmente avrebbe potuto sfogare su quell’umano tutta la sua rabbia per i secoli di esilio che gli era toccato sopportare.
«Peccato però che la mia cavia sia un unico umano e non posso nemmeno farlo schiattare, beh vediamo come portarlo fuori dalla Grazia di Dio. Da che cosa posso cominciare?»
Dopo un attento inventario dei possedimenti di Giobbe, iniziò dai greggi, scagliando una marea di fulmini che incenerirono sia le pecore sia i loro guardiani. Mentre stava ancora sghignazzando, si accorse che gliene era sfuggito uno, prese la mira per colpirlo quando…
«Fermo! Non puoi ucciderli tutti!» esclamò un angelo che gli era atterrato davanti, con in mano una pergamena e una penna.
«E tu chi saresti? E come osi dare ordini a me
L’angelo, che era ancor più basso di Gabriel, spalancò le ali grigio cenere, gonfiò il petto orgogliosamente e gracidò: «Io sono Metatron, lo scriba di Dio!»
«Mai sentito nominare… Vuoi forse ostacolarmi?» gli domandò stringendo le palpebre e alzando le dita, pronto a farle schioccare.
«No! Mi ha mandato nostro Padre…» esclamò spaventato. «Devo documentare tutto quanto… Quello che fai tu… Le reazioni di Giobbe…» Adesso stava decisamente sudando. «Almeno un umano deve rimanere in vita, perché deve raccontare a Giobbe quanto è successo.»
«Devi documentare tutto quanto, eh? Allora ti ci vorrà più di un rotolo per immortalare le mie imprese. Seguimi!»
Risparmiò quel miserabile umano e andò a sussurrare all’orecchio dei Sabei per indurli a rubare gli armenti e le asine di Giobbe e massacrare tutti i guardiani, tranne uno e lo stesso fece con i Caldei che razziarono i cammelli, risparmiando un unico umano. Poi scatenò una tempesta con tuoni e grandine che distrusse i raccolti nei campi e la frutta nei giardini.
«Bene, bene, bene!» esclamò Lucifer soddisfatto, guardandosi in giro. «E ora andiamo a sentire che genere di lodi eleverà Giobbe a nostro Padre, quando sentirà che servizietto gli ho fatto!»

A casa di Giobbe c’erano i suoi tre guardiani che gli raccontarono che cosa era accaduto ai suoi animali, in quel momento arrivò anche un contadino che descrisse la distruzione dei raccolti.
«Pronto a scrivere?» domandò Lucifer allo scriba. «Adesso nostro Padre dovrà ricredersi per forza su questi scarafaggi.»
Invece Giobbe si limitò a dire: «Dio mi aveva donato tutti quei beni, se li ha ripresi, era nel suo diritto» e continuò la sua preghiera come se nulla fosse accaduto.
Lucifer quasi esplose dalla rabbia. «Ma per la miseria! Tutti gli altri umani a quest’ora avrebbero già tirato certi moccoli che non ti dico e a questo non gliene frega niente!»
«Come vedi non gli interessa la ricchezza» disse Metatron, continuando a scrivere.
«Già e non gli interessano neanche quegli umani schiattati.» Il Diavolo stette un attimo a pensare. «Però se fossero stati i suoi figli… Portami su, devo parlare con nostro Padre!»


Invece aveva dovuto aspettare fino al giorno dopo, prima che suo Padre si decidesse a mandargli giù un angelo che gli desse un passaggio, in quanto Metatron gli aveva risposto che non era tra gli ordini che aveva ricevuto il riportarlo in Paradiso ma avrebbe riferito la sua richiesta di un nuovo incontro. Il giorno dopo, quindi tornò nell’alto dei cieli, e che cosa vide? Tutti gli angeli che si rallegravano per il suo fallimento!
Cantavano di come Giobbe avesse resistito alla tentazione, di come nulla l’avesse spostato dall’amore e dalla riconoscenza verso il Signore, di come la sua fede fosse diventata ancor più forte, di come…
«SILENZIO!!!» esplose Lucifer.
Tutti ammutolirono stupiti e lui ne approfittò per dire a Dio: «Oh finalmente ora possiamo parlare in pace. Perché quell’umano dovrebbe soffrire per la perdita di qualche pecora quando ha una famiglia numerosa radunata intorno per confortarlo e consolarlo? Tu gli hai dato una bella quantità di figli che gli daranno una marea di nipoti. Questo è ciò che gli importa. Se Tu lasci che glieli tolga, sentirai che benedizioni!»
Avuto il permesso, Lucifer se ne andò sogghignando tra sé perfidamente: oh sì, stavolta avrebbe vinto di sicuro!

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Capitolo 4
*** «Ma che gusto c’è?» ***


Per fortuna Giobbe, obbediente all’esortazione “Crescete e moltiplicatevi”, aveva messo al mondo ben dieci figli su cui ora Lucifer poteva sfogarsi.
«Peccato che non mi sia venuto in mente prima, avrei potuto evitare la nascita delle dodici tribù d’Israele(1). Beh pensiamo a questi, ora.»
Così mentre tutti i figli stavano pranzando a casa del fratello maggiore, scatenò un uragano che distrusse la casa, spappolando tutti quelli che erano all’interno, si salvò soltanto un servo che era uscito ad attingere l’acqua al pozzo.
«Ops! Temo di aver usato troppa violenza.»
Che seccatura! Che gusto c’era se quelle scimmie parlanti erano schiattate subito?
«Credevo fossero più resistenti, invece probabilmente non si sono neanche accorti di crepare» brontolò. «Dannazione! Volevo vederli agonizzare per ore
Ripensandoci avrebbe potuto far venire loro qualche malattia ai polmoni, farli sputare sangue mentre si contorcevano per terra rantolando sotto gli occhi del padre che, sconvolto, avrebbe supplicato invano Dio di salvarli… Oppure avrebbe potuto ideare una morte diversa per ognuno di loro… uno travolto da un cavallo imbizzarrito, un altro ucciso da una pietra, anzi no, da una tartaruga lasciata cadere da un’aquila… Andava in estasi anche solo a pensarci! Beh, ormai era fatta…
«Gli umani sono fragili» si limitò a commentare Metatron, mentre annotava tutto minuziosamente.
«Sono proprio degli aborti!» sbuffò Lucifer. «Persino i topi resistono a un crollo del genere!»
«Soltanto quelli delle piramidi» puntualizzò lo scriba.
«Smettila di contraddirmi!» esclamò il Diavolo stizzito. «Piuttosto andiamo a vedere come l’ha presa Giobbe.»

Stavolta l’umano ebbe una reazione più vivace: si alzò dalla sua solita posizione a tappetino, si stracciò le vesti, si rase il capo, s’inginocchiò, si prostrò di nuovo e disse: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!»
A quel punto Lucifer tirò tutta una serie d’imprecazioni e parolacce tanto che Metatron esclamò: «Mi rifiuto di scrivere tutte queste volgarità!»
«E tu non farlo! Come mi piacerebbe poterlo prendere a pedate, allora sì che si lagnerebbe… Purtroppo Egli ha decretato che non posso toccarlo…» Stette a pensare. «Però i decreti si possono cambiare… AnnunciaGli che Gli devo parlare!»


Come la volta precedente, Lucifer fu obbligato ad aspettare fino al giorno dopo, prima che un infimo angelo scendesse a prenderlo.
Stavolta però i suoi fratelli si guardarono bene dal cantare, tuttavia Lucifer vide sui loro volti dei sorrisetti di compatimento, specialmente quando pensavano che non stesse guardando nella loro direzione.
L’unico che lo fissava con un’espressione addolorata era Gabriel ma era dispiaciuto per quegli scarafaggi o per lui?
Lo faccio anche per te, fratellino.” Che un arcangelo fosse costretto a fare da bambinaia a un umano era semplicemente inconcepibile!
Dio disse: «Hai visto? Il mio servo Giobbe è ancor saldo nella sua integrità, nonostante ciò che gli hai fatto. La sua pazienza è davvero senza fine.»
«Non c'è da meravigliarsi che non sia toccato da nulla di tutto questo» sbuffò Satana, «ha ancora la salute e il vigore, con sua moglie può avere altri bambini e compensare le sue perdite, perciò non gli importa. Ogni cosa che ha perso può essere rimpiazzata, a meno che Tu non lasci che io attacchi il suo corpo e lo metta alla prova attraverso malanni e acciacchi…»
«Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita e la sua mente.»
Peccato, pensavo di fargli venire delle allucinazioni niente male…

*****

1) Ogni tribù d’Israele prende il nome da un figlio di Giacobbe che aveva avuto appunto dodici figli e una figlia.

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Capitolo 5
*** «Che stai facendo?» ***


Gabriel riportò Lucifer sulla Terra, seguito da Metatron, e durante il tragitto pensò a che cosa avrebbe potuto dirgli per farlo desistere da quel piano atroce.
«Questa volta lo spezzo di sicuro!» sghignazzò Lucifer, appena atterrarono. «Peccato che l’umano da testare non sia la moglie, sapessi come si è arrabbiata perché non è più madre!»
«Lucy, che stai facendo?» gli chiese Gabriel con aria triste. «Erano dei bravi ragazzi, non ti avevano fatto niente di male.»
«Erano umani, Gabe! Degli esseri infimi che non me…»
«Smettila! Stai rovinando tutto! Di nuovo!» Gabriel serrò i pugni, sforzandosi di non piangere. «Avevi la possibilità di tornare e l’hai sprecata! Non ce ne saranno altre! Pensi che nostro Padre ti riaccoglierà a braccia aperte dopo che hai massacrato e torturato degli umani innocenti?»
«Ti sta sfuggendo il piccolo particolare che è stato Lui ad autorizzarmi, fratellino» replicò il Diavolo incrociando le braccia e battendo nervosamente un piede a terra.
«Soltanto per dimostrarti che ti stai sbagliando sul loro conto…» Sospirò e cercò di calmarsi. «Lucy, forse non è troppo tardi…» lo supplicò, posandogli una mano sul braccio. «Ammetti che hai sbagliato nel giudicare Giobbe, che alcuni umani non sono poi così male e potrai tornare con noi.»
«Gabriel, non credo che tu possa interferire in questa faccenda» interloquì Metatron.
«Chiudi il becco che non sei stato interpellato! Mi dai ai nervi!» lo zittì Lucifer, girandosi e fulminandolo con gli occhi, poi tornò a rivolgersi all’arcangelo. «Non capisci che lo sto facendo anche per te?»
«Per me? Allora smettila subito! Io non voglio essere “liberato” o “salvato”, come dici tu. A me piace fare l’arcangelo custode… Ti ricordi quando mi hai insegnato a volare?»
«Altroché! Eri talmente imbranato che continuavi a ribaltarti» ridacchiò. «Stavo per chiedere a nostro Padre di degradarti ad angelo semplice, almeno avresti avuto soltanto due ali e il mio compito sarebbe stato molto più facile!»
«Ma non l’hai fatto… Mi hai sempre incoraggiato, anche quando Raphael ti ha detto che ero una causa persa… e mi ricordo di come fosti orgoglioso quando finalmente volai per la prima volta senza che le ali s’intralciassero a vicenda! Ecco, quando mi affidano un protetto, provo le stesse cose: lo consiglio perché faccia la scelta giusta, lo incoraggio quando si sente frustrato, lo…»
«Già, come hai fatto con Sansone! Davvero un ottimo lavoro!» sghignazzò Lucifer.
«E lì di chi è stata la colpa, eh?» gli domandò seccamente Gabriel, facendo un passo indietro e lanciandogli un’occhiataccia.
«Guarda che ha scelto lui di accettare il Marchio(1). Dai fratellino, non guardarmi male.» Lo afferrò per la nuca tirandolo un po’ più vicino. «Vedrai che dopo mi ringrazierai.» Gli diede qualche pacca sulla spalla e si allontanò, seguito da Metatron, in direzione della casa di Giobbe, mentre Gabriel sospirò, allargò le ali e tornò in Paradiso.

Come al solito, Giobbe era prostrato a pregare.
«Non sa che esiste anche la posizione eretta?» sghignazzò Lucifer. «Almeno le scimmie ci provano a mantenerla.»
«Sta pregando, se non te ne sei accorto» replicò Metatron.
«E fra un po’ imprecherà.» Schioccò le dita e a Giobbe venne un’orticaria in tutto il corpo.
Lucifer e Metatron osservarono l’umano attentamente: per i primi secondi, sembrò che la cosa non gli avesse fatto né caldo né freddo, limitandosi a sussultare leggermente ma poi cominciò a contorcersi e a grattarsi furiosamente, senza però lamentarsi.
«L’umano Giobbe non ha proferito ingiurie o altro contro Dio» disse Metatron, annotando sulla pergamena. «Direi che hai perso la scommessa.»
«No che non l’ho persa!» scattò Lucifer. «È ovvio che per i primi minuti non si lamenti perché è convinto che sia un fastidio momentaneo ma sentirai che cosa dirà quando si renderà conto che quel prurito non gli passerà neanche dopo giorni o settimane. Allora sì che ci sarà da ridere!»

*****

1) Sansone uccise 1.000 filistei con una mascella d’asino, vi suona familiare? A me sì XD

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Capitolo 6
*** «Bisogna accettare tutto» ***


Lucifer aveva una fervida immaginazione (e anche una gran voglia di vendicarsi) ma purtroppo appena trovava un nuovo divertimento (leggasi tortura) da far sperimentare a Giobbe (cancro allo stomaco, lasciarlo senza polmoni per 60 secondi, farlo defecare e vomitare continuamente e contemporaneamente…) puntualmente compariva quel noiosone di Metatron a fermarlo con la scusa che rischiava di uccidere il soggetto, alla fine l’unico spasso che gli era rimasto era quello di farlo grattare.
Finalmente gli venne in mente un altro svago: impedirgli di dormire perciò ogni volta che l’umano si assopiva, Lucifer gli dava un bello scrollone.
Per tre giorni lo lasciarono fare ma al quarto decisero di togliergli anche quel passatempo.
«Fermo! Lascialo dormire!» gli ingiunse Metatron, proprio quando Lucifer stava per dare l’ennesimo scrollone a quello schifosissimo umano.
«Si può sapere qual è il problema se lo tengo sveglio a meditare sulla sua squallida vita?»
«Dopo cinque giorni gli si danneggerebbe gravemente il cervello e gli verrebbero le allucinazioni che, vorrei ricordartelo, sono state vietate da nostro Padre» rispose serafico lo scriba, iniziando a prendere appunti.
«Uffa! Come sei noioso!» s’imbronciò il Diavolo. «Farlo rigirare nel letto per tutta la notte no, farlo vomitare continuamente no, la diarrea non stop è vietata… Si può sapere che cosa posso fargli? Mi annoio!»
«Ormai l’hai talmente debilitato che qualsiasi cosa lo ucciderebbe» rispose Metatron, continuando a scrivere. «Dovresti prendere in considerazione l’idea che hai per…»
«Oh ma se il problema è solo questo» lo interruppe Lucifer, «si può rimediare.» Prima che lo scriba potesse impedirglielo, diede uno scrollone a Giobbe per svegliarlo poi gli posò una mano sulla fronte.
Subito l’umano, dopo un attimo di smarrimento, si accorse che si sentiva molto meno debole di quando si era coricato. «Mio Dio, ti ringra… BUARGH!» Fu interrotto da un super attacco di vomito.
«Stava ringraziando l’essere sbagliato» disse Lucifer quasi a giustificarsi. «Perché questo verme dovrebbe ringraziarLo se è colpa di Paparino se sta ridotto così?»
«Che COSA???» L’affermazione era talmente sfacciata che Metatron lasciò cadere il papiro e la penna. «Ma sei stato tu a lanciare l’idea di torturarlo per vedere se sarebbe rimasto fedele!» esclamò chinandosi a raccoglierli.
«Ah sì? Beh, Lui mi ha autorizzato, avrebbe potuto impedirmelo, quindi è colpa Sua se questo verme sta soffrendo.»
Lo scriba scrollò le ali e ricominciò a scrivere, mentre Giobbe, dopo un’altra grattata, si rimise a dormire.
«Per curiosità: Metatron è il tuo unico nome o ne hai qualcun altro più celebrativo?»
«Celebrativo?» gli domandò perplesso e smettendo di scrivere.
«Ma sì, lo sai, quei nomi autocelebrativi che Lui ha imposto a tutti noi… “Chi-è-come-Dio?” sottinteso “Nessuno”, “Dio-è-immenso”, “Dio-è-forte(1)” bla, bla, bla…» ridacchiò. «E poi dicono che sono io quello vanesio.»
«Non mancare di rispetto a nostro Padre!» lo redarguì lo scriba.
«Nostro Padre mi manca di rispetto fin dalla notte dei tempi, quindi siamo pari… e poi che razza di nome è “Dietro-il-Trono”?»
«Mi ha chiamato così perché, evidentemente, quando mi ha creato, aveva già pensato di fare di me il Suo scriba e che avrei sempre dovuto stare vicino a Lui» rispose Metatron con sufficienza.
«Azazel dice che ti ha nominato soltanto perché eri quello più vicino alla porta del Suo ufficio.»
L’altro angelo si gonfiò come un rospo. «Non è vero!» gracidò. «Sono il migliore di tutti loro!»
«Sì, sì…» rispose l’arcangelo con aria accondiscendente.
«Io sono speciale!» s’intestardì Metatron.
«Tutti hanno bisogno di credere in qualcosa… io credo che andrò a traviare qualche altra anima.» Lo piantò lì con la pergamena in mano e la penna a mezz’aria.
 
 
Se qualcuno aveva sperato che Lucifer si fosse arreso, dovette ben presto ricredersi.
Dopo una settimana di leva-togli malanni e non aver ottenuto niente, il Diavolo si presentò in forma umana nel villaggio e raccontò alla gente degli acciacchi di Giobbe. «Vedete che ne è stato di lui? Ha rifiutato così a lungo di adorare il vostro dio Zannus che, come risultato, egli si è vendicato su di lui mentre il Dio che Giobbe adora non ha fatto niente per impedirlo, quindi o è meno forte di Zannus o non esiste. Se io fossi in voi non attirerei oltre la collera di Zannus su questo villaggio.»
A quelle parole, tutti si rivoltarono contro Giobbe, fecero irruzione in casa sua e lo spedirono fuori dal villaggio, dove buttavano l’immondizia.
Solo la moglie, Sitis, rimase con lui ma, invece di consolarlo, continuava a inveirgli contro per tutti gli anni di devozione che non erano serviti a preservarli da tutte quelle disgrazie infernali: «Dove sono le tue elemosine? A che ti hanno giovato tutte le tue opere buone? Offrivi dieci sacrifici ogni settimana e guarda quello che ti hanno fruttato!»
«Parli come una stolta! Quanti anni abbiamo passato in prosperità e salute?» replicava lui.
«40 anni.»
«E quanti anni abbiamo passato nelle disgrazie?»
«Quasi due settimane.»
Allora lui rispondeva: «Mi vergognerei di chiedere a Dio di salvarmi dalle disgrazie dopo tutto quel tempo in cui ho vissuto in prosperità e salute.»
Al che lei, esasperata, urlava: «Sai che ti dico? Maledici Dio e crepa!»
Questo siparietto (con varianti) si ripeteva varie volte al giorno e fu soltanto per questo che Lucifer aveva deciso di risparmiare la dolce metà di Giobbe.

Nonostante le liti quotidiane con la moglie, (durante le quali Giobbe la pregava vivamente di rifarsi una vita altrove, sempre invano) quell’umano rognoso non si lamentava mai della propria malattia, perciò Satana decise di parlargli cercando di fargli perdere la fiducia in Dio.
Gli comparve in forma umana e gli disse, tutto contrito: «Ho sentito ciò che ti è successo, il mio cuore sanguina per te. Dio è stato ingiusto, non sei uno dei Suoi figli? Se io avessi un figlio, non lo farei mai soffrire.»
«Lode a Dio» disse invece Giobbe con tranquillità, pur continuando a grattarsi con un pezzo di mattone, «che mi ha dato e che mi ha tolto. Nudo sono uscito dal ventre di mia madre e nudo ritornerò alla terra. Non bisogna gioire quando Dio dà in prestito, né lamentarsi quando Si riprende quello che ha prestato. Egli ha pieni diritti su ciò che dà e su ciò che toglie.»
Ingoiando la sua stizza, Lucifer proseguì: «Io non capisco: sei un uomo giusto, eppure hai perso la tua ricchezza, la tua famiglia e la tua salute e Lui ha permesso che ciò avvenisse! Se ti amasse davvero, l’avrebbe impedito. E i tuoi poveri figli! Come ha potuto Dio starsene tranquillo in Cielo mentre quel terremoto uccideva quei poveri innocenti?» Sospirò platealmente. «Ci sono solo due risposte: o Lui è un sadico che Si diverte a vedere la gente soffrire o semplicemente non Gli importa di te. Se tu fossi arrabbiato con Lui saresti pienamente giustificato. Al tuo posto io sarei incavolato nero.»
«Non bisogna arrabbiarsi con Lui, se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?» replicò serafico Giobbe. «Bisogna accettare la Sua volontà, qualunque essa sia.»
«Hai ragione, bisogna accettare tutto.» “E ora accetta questo!” Schioccò le dita e a Giobbe venne un attacco di diarrea fulminante. «Vedo che hai da fare, sarà meglio che me ne vada.»

*****

1) Michael, Umabel, Gabriel

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Capitolo 7
*** «Viva l'amore coniugale!» ***


Ormai in Paradiso non si parlava d’altro della sfida tra Dio e il Diavolo e Balthazar aveva pensato bene di organizzarci sopra un giro di scommesse.
All’inizio gli altri angeli erano rimasti inorriditi all’idea che si potesse anche solo pensare di puntare contro il loro Padre ma Balth li rassicurò, precisando che si scommetteva soltanto se era più resistente Giobbe o testardo Lucifer.
L’idea aveva avuto molto successo ma sfortunatamente dopo poco tempo era intervenuto Michael in tutta la sua arcangelica Grazia, sbattendo (di nuovo!) Balthazar nell’Armeria del Paradiso e redarguendo severamente tutti gli altri, ricordando loro che Giobbe era il campione di Dio, quindi scommettere contro l’umano significava puntare contro l’Eterno in persona.
Ed era un vero peccato che l’arcistratega delle truppe angeliche avesse bloccato tutto, perché all’ex Stella del Mattino era venuta un’altra idea per rovinare la vita all’umano e alla sua “dolce” consorte.
Sitis, che era abituata a tutte le comodità della vita da ricchi, era ormai costretta, in cambio di un po’ di cibo, a lavorare come una sguattera in casa di una signora, e non mancava mai di far sapere al marito di quanto fosse “felice” di doverlo fare.
 
Un giorno Sitis arrivò per lavorare e vide che c’erano molti compiti da svolgere: le capre da mungere, i pavimenti da lavare, il cibo da cucinare… ma la signora della casa le disse: «Oggi non ho niente da farti fare… Ci vediamo domani.»
«Ma… ma io ho bisogno di lavorare!» obbiettò Sitis confusa.
«Mi dispiace… davvero!» disse l’altra. «Però sai cosa? Vorrei tanto avere i tuoi capelli» aggiunse con aria frivola.
Sitis non poteva sapere che, in realtà, la vera signora era stata spedita a nanna e quella che le stava parlando era in realtà Lucifer trasformato.
«Beh è semplice» rispose Sitis. «Si prende del grasso di capra, della cenere di faggio e…»
«Non hai capito» la interruppe il Diavolo con petulanza. «Non ho detto che voglio i capelli come i tuoi, ho detto che voglio i tuoi capelli.»
«Ma… ma come?»
«Ignorante! Non lo sai che hanno inventato le parrucche?»
«Oh… ma io…»
«Insomma, lo vuoi ‘sto pane o no?»
Accidenti, dovrei rinunciare alle mie belle trecce?” pensò la donna. “Con i capelli corti potrebbero pensare che sono un’adultera o una prostituta… d’altra parte sarebbe la prima volta che mi darebbero del pane senza che io faccia niente.” «Accetto.» Si sedette su una seggiola e si lasciò tagliare i lunghi e bei capelli. In cambio ebbe cinque pagnotte e uscì di corsa.
Mentre Sitis si affrettava verso quella che ormai era diventata la loro casa (una catapecchia che avrebbe fatto inorridire persino gli scarafaggi), Lucifer riprese il suo aspetto e fissò disgustato i capelli che giacevano a terra.
E questi aborti massacrano una povera capra e bruciano un povero faggio per le loro schifosissime chiome? Che esseri repellenti hai creato, Padre!
In realtà non gli importava niente né delle capre né dei faggi, semplicemente odiava qualsiasi cosa facessero gli umani, persino sentirli respirare lo mandava in bestia, specialmente quando non poteva far loro del male.
«Devo raggiungere quell’essere rognoso prima di quella stupida!» esclamò decollando. Atterrato a poca distanza dalla capanna dell’umano, lo chiamò: «Ehi, Giobbe!» Quando lo vide affacciarsi, proseguì: «Ti dirò qualcosa che non ti piacerà affatto: la donna, che tu ami e della quale ti fidi, ha commesso indecenza e fornicazione, e per questo le hanno tagliato i capelli com’è d’uso. Se non mi credi, presto vedrai tu stesso.» Poi se ne andò ridacchiando.
Quando Sitis arrivò, strillò al marito: «Guarda che cosa mi è toccato fare per portarti del pane fresco.» Con una mano si toccò la testa. «Quella pazza dove lavoro vuole farsi una parrucca! Con i miei capelli! Me li ha pure tagliati da schifo! Spero che tu sia soddisfatto!»
Giobbe la guardò: non arrivavano a coprirle le orecchie. Inoltre chiunque glieli avesse tagliati non aveva nemmeno usato le forbici: le ciocche erano troppo irregolari. Dovevano essersi serviti di un coltello. Per umiliarla, si disse. E questo escludeva che potesse essere stata la sua datrice di lavoro.
«Non mentirmi» rispose tristemente. «Lo so che hai commesso adulterio per questo ti hanno tagliato i capelli.»
«Che cosa?» replicò Sitis indignata. «Io non faccio cose simili; per chi mi hai presa? Sono andata come sempre al lavoro e la donna mi ha dato queste pagnotte in cambio dei miei capelli.»
Giobbe scosse la testa. «Sei caduta nelle vie del male e i tuoi capelli sono stati tagliati come si fa con le donne di malaffare…»
«Bella gratitudine!» lo interruppe strillando. «Io mi faccio un mazzo così per portarti da mangiare e tu mi accusi di essere una meretrice! Sai che ti dico? Domani ci vai tu a lavare i pavimenti e a mungere le capre… se ce la fai ad alzarti dal giaciglio» aggiunse poi perfidamente.
«Quanto è vero Dio, giuro che, quando guarisco, ti do cento frustate!» urlò lui esasperato.
«Se guarirai, potrai frustarmi finché vorrai, ma ora mangia» disse tirandogli addosso una pagnotta.
«Adoro queste scenette di amore coniugale!» sghignazzò Lucifer.

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Capitolo 8
*** «Ci vorrebbe un amico...» ***


Il giorno dopo, Sitis avrebbe pensato di essere finita in un manicomio, ma siccome non erano ancora stati inventati, si limitò a pensare che la situazione era decisamente assurda: non solo la sua padrona le aveva chiesto, con arroganza, perché non si fosse degnata di farsi vedere il giorno prima, ben sapendo che c’era un sacco di lavoro da fare, ma aveva anche avuto la faccia tosta di domandarle perché si fosse tagliata i capelli in modo da sembrare una donna perduta (che poi erano quelle più facili da trovare).
Ovviamente Sitis non era rimasta in silenzio davanti a quelle rampogne così ingiuste ma aveva reagito con veemenza, affermando che già doveva lavorare come una schiava e non le piaceva essere presa in giro da una pazza che s’inventava scuse per accusarla di cose inesistenti.
Ne era seguito un vivace battibecco che aveva attirato la curiosità di tutte le vicine di casa che erano uscite in strada per sentire meglio gli insulti che le due contendenti si lanciavano.
Alla fine, esasperata, la padrona aveva licenziato Sitis, intimandole di non farsi più vedere.
Come sempre, quando era di malumore, la donna andò a sfogarsi contro Giobbe, “colpevole”, a suo dire, di averla messa in quella situazione, mentre Lucifer si godeva l’ennesima idilliaca (almeno per i suoi gusti!) scenetta di vita familiare, mentre Metatron si limitava ad annotare che, ancora una volta, Giobbe non aveva pronunciato bestemmie o altro contro l’Altissimo.
Il più turbato dall’intera faccenda era, invece, Gabriel.
Per secoli aveva preferito fingere di ignorare che il suo adorato fratellone stava corrompendo l’umanità come un cancro ma ora che la sfida sulla pelle di Giobbe era sotto gli occhi di tutti, lo sconvolgeva la crudeltà assolutamente gratuita che Lucifer stava dimostrando. Era d’accordo sul fatto che alcuni umani sarebbero stati davvero da castigare (e se avesse avuto campo libero, Gabriel avrebbe fatto assaggiare loro delle punizioni che non erano niente male) ma a Giobbe, tediosità mortale a parte, non si poteva rimproverare niente, anzi stava dimostrando con tutto se stesso che non meritava un trattamento simile.
«Ti sembra bello quello che gli stai facendo?» gli domandò Gabriel, comparendogli davanti e cercando, invano, di avere l’aria austera di Michael quando rimproverava qualcuno.
«Oh, non dirmi che non hai mai fatto qualche scherzo agli umani perché non ci credo» gli disse Lucifer malizioso.
«Sì, è vero» ammise Gabriel, «ma erano scherzi innocui, non torture e solo a chi se lo meritava. Hai accusato Giobbe di essere devoto solo per essere favorito da nostro Padre, invece, nonostante tu gli stia distruggendo la vita, non ha perso la sua fede in Lui. Non pensi che dovresti…?»
«Mica gliela sto distruggendo» lo interruppe con impazienza il fratello, «sta facendo tutto lui, basterebbe che tirasse qualche bella imprecazione e tutto finirebbe. Non capisco perché a nostro Padre piaccia così tanto, ha più aspetti in comune con gli scarafaggi che con noi angeli. Basta solo guardare in che tugurio vive» sghignazzò.
«E per colpa di chi, deve vivere qui?» Gabriel sbuffò, si sedette accanto a lui e scosse la testa. «Ma perché dobbiamo sempre finire a litigare per gli umani? Non ti piacciono? Ignorali, come faccio io con le mosche, sono fastidiose ma non al punto da avvelenarmi l’eternità.»
«Ignorarli? Nostro Padre li ha preferiti a noi!» scattò il Diavolo. «Aveva donato loro l’Eden e guarda che cosa combinano: mentono, rubano, uccidono. Quando nostro Padre si renderà conto dell’errore che ha fatto nel crearli, li distruggerà, tutto tornerà com’era all’inizio e di quelle scimmie parlanti non resterà altro che un brutto ricordo.»
«Non tutti sono così» replicò Gabriel. «A molti di loro non verrebbe nemmeno in mente di fare certe cose. Prendi per esempio Giobbe o Enoch…»
Durante il loro battibecco, Metatron si guardò bene dall’intervenire, non voleva suscitare ancora l’ira di Satana che, incurante degli ordini del Padre, avrebbe potuto farlo esplodere con uno schiocco di dita quando voleva, in più non era certo che Gabriel avrebbe cercato di difenderlo. Non vedeva l’ora di tornare in Paradiso e strappare di nuovo il titolo di miglior servitore del mese a Zaccaria. In quel momento avrebbe dovuto essere accanto all’Immenso a documentare ogni singola virgola che usciva dalla Sua bocca, non a sorbirsi il litigio dei due arcangeli.
«Non vorrai, sul serio, accusare me, per quello che fanno quegli scarafaggi?» stava dicendo Lucifer oltraggiato. «Come ti ho già spiegato, io non obbligo nessuno, do loro solo qualche suggerimento e non è colpa mia se preferiscono ascoltare me piuttosto che i tuoi angeli custodi» concluse con un ghigno. «Anzi, a pensarci bene, se i primi due scarafaggi non mi avessero dato retta, io sarei ancora in Paradiso.»
Gabriel sbuffò mentalmente: ormai aveva perso il conto dei millenni in cui Lucy ripeteva quella tiritera: «Se loro non mi avessero ascoltato… nostro Padre è un ingrato… io volevo solo farGli un favore… bla, bla, bla…» e si preparò a sorbirsi l’ennesima lagna sull’“Ingratitudine di Paparino” ma stavolta il fratello lo sorprese.
«Sai una cosa? Forse hai ragione, quest’insetto merita qualche gentilezza.»
«Mi stai prendendo in giro?» domandò Gabriel sospettoso.
«Mi sembra così solo… la moglie che lo insulta, i vicini di casa che l’hanno cacciato…» mormorò Lucifer senza dar segno di aver sentito la domanda del minore. «Sai che cosa farò? Farò venire qui i suoi amici!»
«Che cosa hai intenzione di fare? Non vorrai ucciderli davanti a lui?» chiese Gabriel, cominciando a preoccuparsi.
«Gabe, così mi ferisci!» esclamò melodrammaticamente, posandosi una mano sul cuore. «Credi davvero che farei una cosa così crudele? E se mi rispondi: “Gli hai ammazzato i figli”, ti ricordo che è stato Paparino ad autorizzarmi, io non c’entro» rispose con ammirevole faccia tosta. «Sì, Giobbe ha proprio bisogno di un po’ di amici che lo confortino durante questa prova… e ti prometto che non li ucciderò e non li torturerò, sei più tranquillo ora?»
«Sì… anzi no! Che cosa mi dici dei tuoi demoni?» domandò Gabriel, ricordando che non solo bisognava stare attenti a quello che Lucifer diceva ma anche a quello che non diceva.
«Niente demoni e niente possessioni, te lo prometto» replicò Lucifer, sorridendogli affettuosamente e scompigliandogli i capelli.
Per un attimo, a Gabriel sembrò di esser tornato indietro di millenni, quando gli unici problemi che avevano erano combinare scherzi a Raphael e Uriel ed evitare i rimproveri di Michael. «Mi sembra un’ottima idea!» rispose entusiasta. Il fatto che il suo fratellone volesse chiamare gli amici più cari di Giobbe era comunque positivo e Gabriel sperò che forse Lucy stesse cominciando a provare qualcosa che poteva essere rimorso per il male fattogli. «Vado a chiamarli io» si offrì, «come si chiamano?»
«Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita» rispose Lucifer. «Sono sicuro che gli tireranno su il morale.»
Gabriel stava per replicargli che l’unica cosa che avrebbe risollevato il morale all’umano era che fosse annullata quella stupida scommessa ma decise di lasciar perdere e decollò.

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Capitolo 9
*** «Tu lo sapevi!» ***


Gabriel era proprio soddisfatto della reazione che avevano avuto Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita: ognuno di loro, appena aveva appreso della “sventura” che aveva colpito il loro amico, si era stracciato le vesti in segno di dolore e si era subito messo in cammino per andare a trovarlo.
Mentre volava per tornare da Giobbe, ripensò alle promesse che gli aveva fatto Lucy: non avrebbe ucciso i tre umani, non li avrebbe fatti possedere e non li avrebbe nemmeno torturati. Stava per pensare che tutto sarebbe andato nel migliore dei modi quando un pensiero lo colpì così all’improvviso da farlo sbandare: e se Lucifer li avesse fatti ammalare come Giobbe? No, no, la malattia doveva essere considerata come una tortura, giusto? Giusto? Gabriel si augurò che se il suo fratellone ci avesse provato, Metatron l’avrebbe richiamato all’ordine… ma no! Lo Scriba Divino controllava soltanto che Lucifer non trascendesse nel torturare l’umano da testare ma non avrebbe minimamente protetto soggetti terzi. Si preoccupò per un attimo ma poi ridacchiò fra sé: a che punto era arrivato, a diffidare della parola del proprio fratello!
Finalmente arrivarono tutti e tre più un curioso, molto più giovane, Elihu, figlio di BaRachel il Buzita, che si era unito a loro. Appena riconobbero che quella carcassa d’uomo piena di piaghe era proprio il loro amico Giobbe, ognuno di loro si stracciò le vesti e si cosparse il capo di polvere. Poi sedettero accanto a lui in terra.
Giobbe si commosse nel vederli e, se avesse potuto, li avrebbe abbracciati ma temeva di disgustarli. «Che bello vedervi, amici miei! Seppure in una circostanza così luttuosa.» Brevemente spiegò loro le sue disavventure, poi disse: «Maledetto il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “È stato concepito un uomo!” Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo?»
«Ecco!» esclamò trionfante Lucifer. «Ha maledetto Dio!»
«No che non l’ha fatto» replicò Metatron seccato e continuando a scrivere. «Ha soltanto maledetto il giorno in cui è nato.»
«D’accordo, però siccome è stato nostro Padre a volere che quest’insetto nascesse, maledicendo una cosa che Lui ha fatto è come se avesse maledetto Dio stesso.»
«Non è la stessa cosa» replicò lo scriba. «Perché la scommessa sia vinta deve proferire ingiurie dirette a nostro Padre.»
«Ingiurie dirette tipo cosa?» domandò Lucifer con aria innocente. «Potresti farmi un esempio?»
«Beh tipo… ma cosa stai per farmi dire???»
«Ehilà sveglia! Io sono il Diavolo, indurre gli altri in tentazione è il mio mestiere.»
Metatron riprese a scrivere, mentre Gabriel ridacchiava al pensiero che il Lecchino d’oro potesse ingiuriare l’Altissimo.
«Adesso chi lo sente Laylahel, il cupido che ha fatto incontrare i genitori di Giobbe?» brontolò Metatron, continuando a scrivere. «Avete idea di quanto sia insopportabile un cupido depresso?»
Nel frattempo aveva cominciato a parlare Elifaz il Temanita: «Tu hai istruito molti e a mani fiacche hai ridato vigore; le tue parole hanno sorretto chi vacillava e hai rafforzato le ginocchia che si piegavano. Ma ora questo accade a te e ti abbatti; capita a te e ne sei sconvolto. Ricordalo: quale innocente è mai perito e quando mai furono distrutti gli uomini retti? Per quanto ho visto, chi semina iniquità, le raccoglie. Felice l’uomo che è corretto da Dio: perciò tu non disdegnare la correzione dell’Onnipotente e pentiti. Vedrai che tutto tornerà come prima.»
Giobbe, continuando a grattarsi, sbatté le palpebre sorpreso e rispose: «Ma io non devo pentirmi di nulla perché sono innocente.»
A quel punto si scatenò il finimondo.
I tre amici cominciarono a inveirgli contro (meno veemente Elifaz, più aggressivo Zofar, mentre Elihu rimaneva in silenzio) che se era ridotto così, qualcosa doveva pur aver fatto, in più aveva persino l’arroganza di professarsi innocente, inaudito!
«Istruitemi, fatemi conoscere in che cosa ho sbagliato» balbettò Giobbe di fronte a quel repentino cambio di atmosfera.
I tre non si fecero pregare e gli elencarono i suoi possibili peccati. Forse si era accomodato dove prima stava seduta una donna impura o aveva toccato una cosa immonda, come il cadavere di un animale e perciò era rimasto egli stesso immondo e, nonostante questo, era entrato ugualmente nel Tempio a pregare; era sicuro che i suoi figli erano stati tutti giusti e retti? Se l’uragano li aveva schiacciati, tanto innocenti non dovevano essere e la sua malattia poteva essere la giusta punizione per aver allevato dieci miscredenti e che dire del cibo? Aveva forse bevuto del sangue? Era più che sicuro di aver mangiato soltanto alimenti approvati da Dio in persona e preparati come Lui comanda? Si era forse lasciato tentare da una braciola di cinghiale? Lo straccio che aveva indosso non sarà stato di tessuto misto, per caso? E l’orto? Che aveva da dire sul suo orto? Non è che aveva permesso ai servi di piantare le lenticchie accanto al grano? O forse aveva tentato di far accoppiare le capre con le pecore…
A ogni frase Giobbe scuoteva la testa col risultato di farli imbufalire sempre di più e di farli strillare ancora più forte.
Gabriel, sconvolto, domandò a Lucifer: «Ma che cosa hai fatto loro?»
Il fratello alzò le mani con aria innocente. «Assolutamente nulla, lo giuro.»
«Vuoi dire che loro sono così
«Ehhh… Temo di sì, mi sto rendendo conto che non sono proprio le persone più indicate a risollevare il morale a quel verme, chi l’avrebbe mai immaginato?»
«Tu lo sapevi!» lo accusò Gabriel. «Sapevi che erano talmente moralisti da insultare il povero Giobbe per le disgrazie che tu gli hai procurato e hai lasciato che andassi io a chiamarli!»
«Fratellino, se ben ricordi, sei stato tu a offrirti per convocarli, non te l’ho chiesto io, inoltre non è colpa mia se a quel verme piace frequentare questi idioti che preferiscono seguire regole assurde invece di spassarsela, come se seguire i comandamenti di Paparino li facesse diventare immortali, invece alla fine invecchiano e crepano anche loro!»
L’idea che Lucifer l’avesse usato per procurare l’ennesima tortura a quell’umano era più di quanto Gabriel potesse sopportare: aprì le ali e scomparve.

*****

Questi “peccati”, che a noi moderni sembrano così assurdi, sono tratti dal “Levitico” capitoli 11, 15 e 19.

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Capitolo 10
*** «Giovane io sono e voi già canuti siete…» ***


Gabriel, come al solito, aveva deciso di strafogarsi di fichi per sfogare il suo malumore che non sapeva bene dove indirizzare. Da una parte era rimasto basito dall’assoluta mancanza di empatia e solidarietà da parte dei tre cosiddetti amici di Giobbe, dall’altra era deluso da Lucy che, ancora una volta, aveva deciso di fare la cosa sbagliata. “Ma quando imparerò che devo smetterla di sperare che tutto possa tornare come prima?
«Ehilà Gabe!» disse Lucifer, comparendogli davanti. «Non dirmi che ora mi tieni il broncio per uno stupido umano?»
«Più che arrabbiato, sono deluso da te» rispose Gabriel. «Ti rendi conto che se continui a comportarti così, nostro Padre non potrà mai farti tornare in Paradiso. L’avevo tanto sperato…» disse poi con voce più sommessa.
«Certo che può, non è onnipotente?» esclamò Lucifer con derisione. «Può fare tutto quello che vuole! Basterebbe una Sua parola e ritornerei in Paradiso con tutti gli onori e tutti quei pennuti dovrebbero ricominciare a rispettarmi come facevano all’inizio dei tempi, invece di chiamarmi “Satana” e a fissarmi con orrore come se avessi commesso chissà quale delitto. Ho una notiziona per tutti voi: il Diluvio Universale, le Piaghe d’Egitto e la peste a Gerusalemme non sono opera mia, quindi chi mai potrà aver sterminato tutti quegli umani, eh? Qualcuno di molto più crudele di me, immagino».
«Smettila di parlare così!» esclamò Gabriel spaventato. «Già ti ha bruciato le ali, vuoi suscitare ancora la Sua collera?»
«Cosa c’è? Sei preoccupato per me, fratellino?» gli domandò Lucifer cercando di sembrare ironico ma il tono era decisamente affettuoso.
«Certo che sì, stupido testone che non sei altro!» Si alzò sulle punte e lo abbracciò. «Mi hai sempre aiutato e difeso quando Michael e Raphael mi rimproveravano, lo sai che ti voglio bene e non voglio che ti succeda qualcos’altro di brutto…»
Lucifer ricambiò l’abbraccio, non l’avrebbe mai ammesso ma gli era mancato il suo dolce fratellino. «Ehi Gabe, chissà che cosa direbbero Michael e Raphael se ci vedessero in questo momento?»
«Direbbero: “Gli arcangeli non si abbracciano fra di loro”» rispose Gabriel divertito e imitando la voce austera di Michael.
«Già e soprattutto direbbero: “Un arcangelo fedele al Signore non se la fa col Diavolo”» aggiunse Lucifer, imitando invece quella piena di sussiego di Raphael e staccandosi dal fratellino.
«Ma perché non lasci perdere quella stupida scommessa e non dai ragione a Papà, così puoi tornare in Paradiso con noi?» gli domandò Gabriel.
«No! È una questione di principio!» rispose Lucifer, incrociando le braccia e facendo il broncio.
Gabriel ridacchiò leggermente.
«Che cos’è che ti diverte tanto?» gli domandò l’altro incuriosito.
«Sai… molti umani ti considerano l’esatta antitesi di nostro Padre, invece voi due siete più simili di quello che potrebbero immaginare… Tanto per cominciare siete testardi uguale… e pignoli… Se solo ti persuadessi che gli umani non sono poi così male…»
«Dici? Ti sei perso lo spettacolo di quel verme che si vantava oltre ogni dire. “Liberavo il povero che gridava in cerca di aiuto”» continuò con la voce in falsetto, «e l’orfano che non aveva alcuno che l’aiutasse. La benedizione del moribondo scendeva su di me e facevo esultare il cuore della vedova. Avevo indossato la giustizia ed essa mi rivestiva; la mia equità mi faceva da mantello e turbante. Ero occhi per il cieco e piedi per lo zoppo.” Praticamente sosteneva che, se non fosse stato per lui, nessuno li avrebbe aiutati, nemmeno Paparino. Sbaglio ma voi che ancora Gli date retta, non condannate la superbia?»
«In effetti, sì… Giobbe non dovrebbe vantarsi del bene che ha compiuto ma forse l’ha fatto per difendersi visto che quel trio, a parte aver mangiato il Frutto Proibito, lo sta accusando di ogni nefandezza».
«E fanno bene! Dai, fratellino, andiamo a scoprire se quel verme sta ancora vantandosi di essere l’unico deus ex machina del circondario» lo esortò Lucifer.
Gabriel si ficcò qualche fico nelle pieghe della tunica e seguì il fratello.

«Dici che aiutavi i poveri, le vedove e gli orfani» stava strillando nel frattempo Elifaz, «ma questa tua malattia dimostra tutto il contrario! Li opprimevi, altro che aiutarli!»
«Ma non è vero!» si difese Giobbe. «Fino a quando mi tormenterete e mi opprimerete con le vostre parole? Sono dieci volte che m’insultate e mi maltrattate senza pudore. Abbiate pietà almeno voi, amici miei... Perché vi accanite contro di me? È poi vero che io abbia mancato e che persista nel mio errore? Sono innocente? Non lo so più neppure io, detesto la mia vita! Ma perché Dio tratta male me, che mi sono sempre comportato correttamente, e non punisce piuttosto i malvagi che invece prosperano? Almeno allontanasse da me la Sua verga…»
«Oooh» esalò Lucifer compiaciuto, «ha appena detto che Paparino è ingiusto, non è un’ingiuria questa? A parte che io lo sto ripetendo da secoli».
«Semplicemente non capisce perché debba subire un castigo divino, visto che si ritiene un Giusto» rispose Metatron con astio e scrivendo nervosamente sul suo papiro.
«Un Giusto?» si stizzì Lucifer. «Come quei tre bei campioni? Lo sapete perché Giobbe è loro amico? Oh avanti, la risposta è ovvia ma avete paura a dirlo. Perché il vostro preziosissimo umano è esattamente come loro. Uno convinto che basti seguire tutte quelle regole assurde per non essere colpiti nemmeno da un raffreddore e che chi sta nell’indigenza non è un vero devoto, ma ora ha imparato che neppure lui è immune alle avversità» sghignazzò.
Giobbe guardò verso il Cielo. «Ti prego, non condannarmi! Dimmi perché mi sei avversario. È forse bene per Te opprimermi, disprezzare l’opera delle Tue mani? Perché devi scrutare la mia colpa e frugare il mio peccato, pur sapendo che sono innocente? Le Tue mani mi hanno plasmato e vorresti ora distruggermi? Sono stanco della mia vita! Perché mi hai fatto nascere? Almeno fossi morto subito! Se ho peccato, che cosa Ti ho fatto? Rispondimi! Perché mi hai fatto il Tuo bersaglio? Perché non perdoni le mie trasgressioni e non passi sopra la mia iniquità? Presto giacerò nella polvere…»
«Oh, magari fosse così…» sospirò Lucifer.
«Sei stanco di me? Allora uccidimi e facciamola finita!» gridò alla fine Giobbe esasperato.
Allora si fece avanti Elihu, figlio di BaRachel il Buzita, della tribù di Ram e disse: «Giovane io sono e voi già canuti siete; per questo ho esitato, per rispetto, a manifestare a voi il mio sapere, ma ora ascoltatemi; anch’io lo esporrò. Ho atteso le vostre parole, ho teso l’orecchio ai vostri argomenti ma nessuno ha potuto convincere Giobbe. Voglio anch’io dire la mia parte, anch’io esporrò il mio parere; mi sento infatti pieno di parole, mi preme lo spirito che è dentro di me. Dentro di me c’è come un vino senza sfogo, come un vino nuovo che squarcia gli otri. Parlerò e mi sfogherò, aprirò le labbra e risponderò. Non guarderò in faccia ad alcuno, non adulerò nessuno, perché non so adulare. Ascolta dunque, Giobbe, i miei discorsi, a ogni mia parola porgi l’orecchio. Ecco, apro la bocca, parla la mia lingua entro il mio palato. Il mio cuore dirà sagge parole e le mie labbra parleranno chiaramente. Attendi, Giobbe, ascoltami, taci ed io parlerò: ma se hai qualcosa da dire, rispondimi, parla, perché vorrei darti ragione; se no, tu ascoltami ed io t’insegnerò la sapienza. Ascoltate, saggi, le mie parole e voi, sapienti, porgetemi l’orecchio, perché esso distingue le parole, come il palato assapora i cibi…»
«Ma quando arriva al dunque questa scimmia parlante?» sbuffò Lucifer. «Mi vien voglia di farlo soffocare con la sua stessa saliva… anzi no… con un bel vino giovane, uno di quelli che squarcia gli otri» ridacchiò.
«Ma non puoi, mi hai fatto una promessa, ricordi?» gli disse Gabriel gentilmente.
«Sei tu che non ricordi: la promessa vale soltanto per i tre amici di quel verme, non per quell’impiccione che si è aggregato, quindi…» Alzò le dita, pronto a farle schioccare.
«Lucy! No!» lo supplicò Gabriel, afferrandogli il polso. «Ammetto che è veramente noioso e prolisso ma, per favore, non farlo».
«D’accordo, fratellino, però vado a farmi un giro, altrimenti non rispondo più di me». Volò via.
Quanto mai ho fermato Lucy!” pensò Gabriel dopo un po’, annoiato a morte dalla prolissità di Elihu il cui succo del discorso era: Dio non può, mai e per nessuna ragione al mondo agire ingiustamente.
In quel momento si sentì chiamare in Cielo.

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Capitolo 11
*** «Perché Giobbe mi odia?» ***


Appena Gabriel arrivò in Paradiso, vide che era vuoto, persino l’atrio davanti all’ufficio di suo Padre era deserto. “Ma dove sono finiti tutti quanti?” si domandò.
Ebbe la sua risposta quando qualcuno di enorme, roseo e nudo gli piombò addosso e lo strizzò in una presa (quasi) micidiale, sollevandolo da terra.
«Perché, perché Giobbe mi odia?» si sentì strepitare nelle orecchie.
Oh cavoli!
Ciò che secoli dopo sarebbe stato chiamato radio angelica aveva colpito ancora: aveva fatto sapere al cupido Laylahel che cosa avesse detto Giobbe riguardo la sua nascita e questo spiegava il fuggi fuggi generale degli altri angeli: se un cupido allegro era irritante ma, tutto sommato, tollerabile, avere a che fare con uno depresso alla ricerca spasmodica di coccole, abbracci e rassicurazioni era qualcosa di assolutamente spaventoso.
«Non ce l’ha con te» biascicò Gabriel, cercando di liberarsi dalla sua stretta.
«E invece sì!» singhiozzò il cupido, stringendolo più forte. «Ha maledetto il giorno della sua nascita! Io ho fatto incontrare i suoi genitori proprio perché lui doveva nascere, quindi lui odia me! Perché? Perché?»
«Ma no che non ti odia…» farfugliò l’arcangelo, «ma ora mollami…» Fortuna che era un essere superiore, altrimenti sarebbe finito stritolato…
«Che cosa ho fatto di male? Ti giuro, io ho solo eseguito gli ordini, non ho agito di mia iniziativa…»
«Nostro Padre mi ha convocato nel Suo Ufficio e lo sai che non è mai consigliabile farLo aspettare… Suvvia lasciami andare…»
«Perché? È per quello che ha detto Giobbe?» continuò il cupido, sempre berciando e stringendolo. «Sono secoli che faccio incontrare le coppie e nessuno dei loro figli si era mai lamentato di essere nato e adesso arriva Giobbe e dice…»
«Adesso basta!» Gabriel capì che c’era solo un modo per liberarsi anche se avrebbe preferito non usarlo…
Laylahel si mise a strillare, mollò l’arcangelo che finì a terra e si strinse il braccio sinistro leggermente ustionato dal tocco arcangelico dell’altro. «Perché mi hai scottato?» piagnucolò. «Bastava che me lo dicessi e ti avrei lasciato andare!»
«Lo sai che noi arcangeli siamo bastardi» replicò Gabriel rialzandosi. «Senti Lay, Giobbe non ti odia, in questo momento l’unico passatempo che ha è grattarsi con un coccio ed è normale che si lamenti un po’…»
«Non è vero!» frignò il cupido, asciugandosi le lacrime. «Quando era in salute, mai, mai una volta che abbia detto che era felice di essere nato e adesso, solo perché sta poco bene, se la prende con me…»
Gabriel lo lasciò lì ed entrò alla svelta nell’Ufficio di Dio. «Signore del Mondo» disse entrando, mettendosi davanti alla Sua scrivania e sperando che nel frattempo non Si fosse spazientito per il suo ritardo: l’ultima volta che l’Onnipotente aveva perso la calma, ne avevano fatto le spese gli abitanti di Gerusalemme che erano stati quasi tutti sterminati da una pestilenza durata due giorni e mezzo.
«Ne ho abbastanza di questa storia, va’ giù e di’ a Metatron che Giobbe ha vinto» disse Dio, alzando appena lo sguardo dalle pergamene che aveva lì davanti.
«Vivo per servirTi…» A quel punto Gabriel avrebbe dovuto tornare subito sulla Terra ma esitò e domandò sommessamente: «Che… che cosa succederà ora a… a Lucifer?»
Erano millenni che quel nome non veniva più pronunciato in Paradiso, ma Gabriel ne aveva abbastanza di quell’ipocrisia: il nome del secondo arcangelo creato era “Lucifer” oppure “Helel” cioè “Splendente” e per lui sarebbe sempre rimasto “Lucy”, l’arcangelo che gli aveva insegnato a volare, non “Satana” o “Diavolo” o tutte quelle altre perifrasi e titoli denigratori che gli erano stati appioppati.
«Non era Giobbe quello che volevo mettere alla prova» si limitò a dire Dio. «Puoi andare.»
Fuori dall’ufficio c’era Laylahel ancora singhiozzante, seduto per terra.
Gabriel si sedette accanto a lui e gli disse: «Dai, fammi vedere la scottatura.»
Il cupido, esitante, allungò il braccio verso di lui.
Gabriel lo guarì e gli disse: «Nostro Padre mi ha detto di riferirti che stai facendo un ottimo lavoro e che è molto orgoglioso di te.»
«Dici davvero?» domandò l’altro, illuminandosi come un prato pieno di lucciole.
«Potrei mai mentirti?» gli rispose, cercando di sembrare convincente.
Per fortuna i cupidi sentivano solo quello che volevano sentirsi dire, perciò, dopo aver battuto le mani come un bambino si rialzò e se ne andò, svolazzando felice.

«Non era Giobbe quello che volevo mettere alla prova.»
La frase continuava a rimbombargli nelle orecchie mentre volava verso la Terra. “Era Lucy quello sotto osservazione! Papà voleva riammetterlo in Paradiso ma prima intendeva verificare fino a che punto si sarebbe spinta la sua spietatezza… Ecco perché al loro primo colloquio gli ha nominato subito Giobbe! Voleva vedere se avrebbe ingoiato la sua gelosia o no… E ora che cosa succederà?” si domandò Gabriel preoccupato. “Spero soltanto che Papà non decida di punirlo ulteriormente e che Si limiti a lasciare le cose come stanno: l’aver perso le sue bellissime ali e l’accesso al Paradiso mi sembrano una punizione più che sufficiente. Stupido testone! Aveva la possibilità di tornare e l’ha sprecata! Ed io che avevo sperato tanto che si ravvedesse! E ora come farò a dirglielo?

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Capitolo 12
*** «Va' e dacci dentro!» ***


Quando Gabriel atterrò, Lucifer non era ancora tornato ed Elihu stava ancora parlando quasi senza riprendere fiato, mentre Giobbe lo fissava stranito, sempre grattandosi con un coccio. Riferì il messaggio a Meti che si limitò ad annuire.
Dopo qualche secondo, ritornò Lucifer. «Oh, finalmente quel ciarliero ha finito la sua tiritera! Che lagna! Avresti dovuto lasciarmi fare, sai? Tocca al lecchino adesso?» chiese vedendo che Metatron si avviava verso l’umano. «Speriamo che sia meno prolisso e più divertente, dopo posso parlargli io? Ho in mente un po’ di cose…»
«Oh Lucy!» lo interruppe Gabriel angosciato. «Mi dispiace tanto dirtelo… ma Giobbe ha vinto, in realtà…»
«Che COSA? È impossibile! Quello ha detto che nostro Padre è ingiusto! Ha bestem…» s’interruppe, si voltò verso Metatron, poi esclamò compiaciuto: «Wow! Senti, senti che cosa sta dicendo lo scribacchino a quell’ameba!»
Infatti, lo scriba divino, dopo aver scatenato un turbine di tuoni e fulmini, stava (anche lui!) bacchettando Giobbe: «Chi è costui che pronuncia parole prive di senno? Dov’eri tu quando venivano poste le fondamenta della Terra? Certo, tu c’eri, perché allora eri già nato e il numero dei tuoi anni è assai grande! Quali sono le sue dimensioni? Dillo, se hai tanta intelligenza! Da quando vivi, hai mai comandato che giungesse il mattino…?»
«Senti come lo sta umiliando! Però… che cosa c’entra la Creazione della Terra con il fatto che da semplice verme è diventato un verme con la rogna? Perché non dirgli la verità? “Oh, sai… Papino ti ha torturato perché aveva fatto una scommessa con Suo figlio… hai presente Lucifer? Quello che voi umani chiamate Satana? Ecco proprio lui”». Mentre Metatron dava addosso a Giobbe, Lucifer pregustava sorridendo il momento in cui sarebbe tornato in Paradiso circondato da tutti gli onori.
Certo che Paparino aveva commesso un errore madornale nel creare quegli esseri abbietti. Quelli sì che sarebbero stati da annientare subito, non i Segugi Infernali; per fortuna lui era riuscito a salvare almeno Ramsey che aspettava dei cuccioli, con la complicità, seppur restia, di Gabriel…
Di certo Dio non avrebbe mai ammesso di fronte alla Corte celeste che aveva sbagliato a creare gli umani: Lui era perfetto, Onnisciente, bla bla bla… ma magari in privato… la fantasia di Lucifer si scatenò: non solo suo Padre ammetteva pubblicamente che aveva commesso un errore a creare quelle scimmie parlanti e lo ringraziava per averglieLo fatto capire ma addirittura abdicava al trono, lasciandolo a lui, Lucifer la Stella del Mattino, l’unico, in mezzo a tutte quelle pecore, che L’aveva amato al punto da sopportare millenni di esilio pur di farGli aprire gli occhi…
«Il censore vorrà ancora contendere con l’Onnipotente? L’accusatore di Dio risponda!» terminò la requisitoria Metatron.
Giobbe rispose contrito: «Ecco, sono ben meschino: che Ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca e non dico più niente.»
«Bleah!» esclamo Lucifer disgustato. «Quel verme stava ritrovando una parvenza di dignità invece era soltanto un ruggito da coniglio, è bastato che uno stupido angelo si spacciasse per Paparino perché ricominciasse a strisciare da quel verme che è. Ho dimostrato che avevo ragione io: non gliene frega niente dei figli! Fa il devoto solo per interesse, spera così di rabbonirLo e di tornare ricco e in salute! Cavoli, tu e i tuoi scherzi!» Scosse la testa, sorridendo. «Per un attimo ci avevo creduto, sai? Ehi Gabe, mi sembri turbato, non sei felice che sto per tornare a casa?»
«Vorrei tanto che fosse uno scherzo» replicò tetro, «ma la prova riguardava te, non Giobbe, nostro Padre voleva vedere fino a che punto ti saresti spinto se Lui ti avesse lasciato le briglie sciolte…»
«Sì, sì, tanto non ci casco più… Domandati una cosa, fratellino, perché prima ci dona il Libero Arbitrio e poi s’incavola se decidiamo con la nostra testa? Crea questi vermi e pretende che noi ci sottomettiamo a loro ma stiamo scherzando? A me non andava, gli ho espresso il mio punto di vista e Lui, invece di prendere atto del mio garbato dissenso, mi ha cacciato come se fossi un cane rognoso. Accidenti, non sentivo una reprimenda simile da quando quei due idioti si son fatti cacciare dall’Eden! Se davvero avesse vinto quell’aborto, mi dici perché il nanerottolo lo starebbe massacrando così?»
Difatti, Metatron non aveva ancora finito di far sentire Giobbe una completa nullità di fronte all’Altissimo: «Oseresti cancellare il giudizio Divino per avere ragione tu? Hai un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla Sua? Allora rivestiti di maestà e splendore; diffondi i furori della tua collera, scova ogni superbo e umilialo, schiaccia i reprobi ovunque si trovino; se riesci a farlo, anch’io ti loderò, perché hai trionfato. Sei tu che hai fornito le piume allo struzzo? Hai mai visto il behemoth? È la migliore delle opere di Dio…»
«Ah, ah, ah!» rise Lucifer. «Finalmente lo ammettono che l’opera migliore di nostro Padre non sono quelle scimmie parlanti, anche se sinceramente preferivo il banamora(1)
Gabriel era sconcertato: ma Metatron aveva capito che l’umano aveva vinto? Inoltre o era davvero perfido o si era scordato che quel formidabile animale, che secoli dopo gli archeologi avrebbero chiamato brachiosauro(2), si era estinto milioni di anni prima: come poteva Giobbe averlo visto?
L’umano rispose umilmente: «Ho esposto senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non comprendo. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere.»
«La sua sottomissione è un vero insulto all’intelligenza!» sbuffò Lucifer.
«Ma si può sapere che cosa pretendi da Giobbe?» gli chiese Gabriel esasperato. «Se avesse pronunciato ingiurie contro nostro Padre, avresti detto che è un essere abbietto e se…»
«Sai che cosa avrebbe dovuto dire? “E sia! Ti perdono per quello che mi hai fatto passare ma i miei poveri figli Ti perdonerebbero? Giustificando le Tue ingiustizie, diventerei Tuo complice. Esigo giustizia per loro, che il processo continui!” Sì, avrebbe dovuto fare un discorso del genere, dimostrando un po’ di spina dorsale, invece non ha detto niente, pensa solo a sé stesso. Ne ho abbastanza, riportami in Paradiso che Papà mi deve ripristinare le ali… fra le varie cose.»
«Lucy, mi piacerebbe molto… ma quello che ti ho detto non era uno scherzo, la prova era per te… e l’hai fallita.»
Vedendo che Gabriel era più serio che mai e sentendo che Metatron, dopo aver guarito quel pustoloso, aveva preso a reprimere anche i tre sedicenti amici, asserendo che solo l’intercessione del “Suo servo Giobbe” avrebbe potuto salvarli dall’ira Divina, per aver detto su di Lui cose sbagliate, capì che la propria speranza di tornare in Paradiso, alle proprie condizioni, gli era svanita da sotto il naso. «Era per me? Avrebbe dovuto dirmelo! E poi che cosa pretendeva Paparino? Che m’inchinassi davanti a delle scimmie? Nessuno di loro Lo ascolta! E Lui vuole metterle sopra di noi! Brucerò anche il Paradiso per impedirlo! Unisciti a noi, facciamo tornare tutto com’era prima delle scimmie, quando eravamo noi i Suoi preferiti.»
«Vuoi scatenare un’altra rivolta? Non contare su di me, me ne è già bastata una, grazie tante» replicò in tono leggero, «inoltre…»
«Tu lo sapevi!» lo accusò. «Lo sapevi e non mi hai avvisato! Hai sempre preferito quegli esseri inferiori a me, tuo fratello, per questo non me l’hai detto!» Gli si illuminarono gli occhi di rosso e Gabriel si ritrasse spaventato.
«Ma come ti salta in mente! Credevo che la prova riguardasse esclusivamente Giobbe, lo sai che ti voglio bene…»
«Allora dimostramelo! Unisciti a me! Riprendiamoci quello che è nostro!»
«Non… non posso…» farfugliò. Come faceva a spiegargli che gli voleva bene ma che unirsi a lui significava voltare le spalle a suo Padre, agli altri suoi fratelli e, peggio ancora, cercare di corrompere gli umani per farli condannare all’Inferno?
Lucifer non gli diede il tempo di giustificare il suo rifiuto e cominciò a urlargli contro che era sleale, che era patetico, che era un ingrato, che aveva perso il proprio tempo a insegnargli a volare, che era come piombo nelle ali…
Davanti a quello scoppio d’ira, Gabriel rimase annichilito. «Lucy, non… non dire così… io…»
Ma Satana svanì senza più ascoltarlo.
«Così impara quell’umano a pretendere di parlare direttamente con l’Onnipotente» gli disse Metatron, qualche minuto dopo, recuperando le sue pergamene, senza notare l’espressione stravolta dell’arcangelo. «Si era montato la testa ma ora l’ho rimesso al suo posto, però che bella requisitoria ho pronunciato, non trovi? Devo volare subito in Paradiso a trascriverla.» Svanì, lasciandolo solo.
Gabriel stentava ancora a credere a quello che era appena successo: Lucy era stato l’unico fratello che l’aveva costantemente difeso e aiutato, spesso l’aveva preso in giro ma sempre con affetto ma in quella sfuriata gli aveva riversato addosso solo odio e disprezzo, probabilmente se l’avesse colpito con una lama arcangelica gli avrebbe fatto meno male… Avrebbe tanto voluto ritrovarlo ma che cosa gli avrebbe potuto dire? «Ti voglio bene ma non intendo stare dalla tua parte»?
Sentì una voce: «È stato un bene per me essere stato umiliato, perché impari a obbedirTi... Signore, so che giusti sono i Tuoi giudizi e con ragione mi hai umiliato.»
Oh già, era Giobbe che, inaspettatamente, dopo esser stato maltrattato da Metatron, stava lodando Dio proprio per le prove che aveva dovuto sopportare perché, a suo dire, l’avevano migliorato.
Dopo aver ascoltato quei tre barbogi avevo quasi dimenticato che alcuni umani conservano ancora la bellezza e l’innocenza di quando erano appena stati creati” pensò Gabriel. Si sentì assurdamente in colpa per quello che Giobbe aveva dovuto patire a causa di suo padre e suo fratello però c’era qualcosa che poteva fare per rimediare. “Dalla loro parte, sempre.” Si rimise in piedi, cercando di riprendersi dalle ferite morali che gli aveva inferto Lucifer.
Comparve con le ali spalancate davanti agli umani. «Begli amici che siete!» esordì rivolgendosi a Elifaz, Bildad e Sofar. «Il vostro amico Giobbe chiedeva solo un po’ di umana comprensione e voi gliel’avete negata, accusandolo di ogni nefandezza. A volte le cose brutte succedono anche ai giusti e non per loro colpa! Come sapete, Giobbe ha perso tutto ma voi potete aiutarlo, anzi vi consiglio vivamente di farlo, adesso tornate a casa e poi ognuno di voi torni qui con 10 pecore, 10 bovini, 10 cammelli e 10 asini e li regali a Giobbe. Se per caso pensate di non tornare più, vi avviso che so dove abitate e che verrei a cercarvi. Hop, hop andate!» disse agitando le mani. «Prima partite e prima tornate.»
Mentre i tre sedicenti amici si affrettavano a partire seguiti da Elihu che si chiedeva perché nessuno avesse lodato il suo bellissimo discorso, nemmeno Dio, Gabriel si rivolse a Giobbe: «Per la cronaca, tua moglie non ti ha mai tradito, ha accettato di farsi tagliare i capelli proprio per procurarti il pane.»
«Oh!» replicò Giobbe costernato. «Ho giurato che, se fossi guarito, le avrei dato 100 frustate ma come posso farlo?»
«Non si può rompere un giuramento» Gabriel sorrise furbescamente, si chinò, strappò un filo d’erba e glielo porse, «perciò ora va’ da lei e dacci dentro!»
 
*****
  1. Non conosco l’ebraico ma con Google Translator ho cercato di tradurre in ebraico “bestia spaventosa” per indicare il tirannosauro
  2. Molti studiosi hanno tradotto “behemoth” con “elefante” o “ippopotamo”. Altri obbiettano che questi animali hanno code sottilissime, non paragonabili ai cedri, ai quali sono confrontate nel libro, al contrario delle code dei brachiosauri, brontosauri o diplodochi e l’idea mi ha affascinato.

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