Filo di Lama

di syila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I° ***
Capitolo 2: *** Capitolo II° ***
Capitolo 3: *** Capitolo III° ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV° ***
Capitolo 5: *** Capitolo V° ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI° ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII° ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII° ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX° ***
Capitolo 10: *** Capitolo X° ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI° ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII° ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII° ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV° ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV° ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI° ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII° ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII° ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX° ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX° ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI° ***



Capitolo 1
*** Capitolo I° ***


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Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.


Montale – Ossi di Seppia

"Non sceglierli troppo giovani, all'inizio la prospettiva di vivere per sempre gli sembrerà esaltante, poi arriveranno ad odiarti per le futili sciocchezze di cui li hai privati: il primo appuntamento, le vacanze con gli amici e malediranno ogni singolo tramonto di cui non hanno visto l'alba. Non prenderli nemmeno troppo in là con gli anni, quando la loro anima è diventata un groviglio di fallimenti, un cumulo di rovine, che si reggono sulle stampelle del rimpianto e della disillusione".
Gli insegnamenti di Yakov funzionavano per ogni tipo di condizione esistenziale ed era chiaro che, almeno nel secondo caso, stava parlando di sé stesso.
Lui si era attenuto scrupolosamente alle istruzioni del suo mentore e la nuova vita aveva finito per non essere molto dissimile da quella vecchia; manteneva una parvenza di normalità che gli consentiva di intrufolarsi nel consesso umano come una presenza discreta: affascinante se voleva interagire con le sue vittime, sfuggente nel momento in cui doveva sbarazzarsene.
Doveva?
Si.
Era controproducente mantenere un contatto prolungato con loro; nella prospettiva deformata di un essere immortale ogni cosa finiva per avvizzire e i sentimenti non facevano eccezione; i resti delle passioni estinte sedimentavano alimentando uno strato di cinismo e indifferenza che rendeva impermeabili a tutto, finendo per sopprimere anche gli istinti primari: la Sete, il Sonno, il Principio di Autoconservazione.
Allora la Morte, quella definitiva, veniva accolta come una benedizione da gusci ormai vuoti, insensibili perfino alle paure ancestrali, che sopravvivevano intatte durante la Trasformazione.

Apprendere, evolversi erano i comandamenti che Yakov gli aveva inculcato fin dalle prime notti; servivano ad imporsi in un ambiente piccolo, ma incredibilmente spietato e competitivo; una nicchia ecologica dove la selezione naturale era una variabile tra tante.
Tutto il resto: la voluttà, il desiderio, la seduzione, erano un elegante corollario al continuo perfezionamento dell'individuo.
Questo era il credo del suo mentore, nella loro "piccola società" molti lo condividevano, altri ne prendevano le distanze.
Delle correnti di pensiero, degli Evoluzionisti, dei Predatori, dei Concilianti lui poco si curava; da qualche tempo aveva maturato una visione personale della sua condizione dove l'evoluzione acquistava un senso solo se poteva essere condivisa con qualcuno, altrimenti era solo una fune tesa sul baratro della follia, un appiglio a cui aggrapparsi per sfuggire al miraggio di un'eternità sempre uguale a sé stessa.

Sui tempi e sui modi di questa condivisione aveva ancora qualche dubbio diversamente dal soggetto: lo aveva scelto per una sorta di affinità elettiva, perché non si era mai davvero allontanato dalla sua vita precedente, ma soprattutto perché sembrava la sintesi perfetta e paradossale del “Teorema di Yakov”: un giovane adulto carico di rimpianti e quasi del tutto privo di esperienze.
Non era ancora andato in pezzi e ciò rappresentava per lui un intrigante mistero; arrivava a sera e in qualche modo riusciva a tirare a riva la sua esistenza pronto a ricominciare l'indomani, incassando i colpi che una sorte matrigna gli riservava nello sport e nella vita, trattandolo senza troppi riguardi dentro e fuori la pista di pattinaggio.
O a bordo pista, come in quel momento, mentre confabulava con l'allenatore dopo l'uscita della classifica. Vide le sue spalle curvarsi sotto il peso delle considerazioni sulla performance e rispondere con un blando sorriso e un vago cenno di diniego ad una specie d'incoraggiamento, accompagnato da una affettuosa pacca sulla schiena, che lo spedì dritto verso gli spogliatoi, come se gli servisse una spinta per allontanarsi da lì.

Aveva già rinunciato alla fine del primo giorno di gare?
Altamente probabile se riferito al quadro generale che si era fatto di lui negli ultimi mesi.
Osservandolo dall'esterno riusciva a cogliere il meccanismo perverso in cui era intrappolato: si qualificava, otteneva un buon piazzamento e poi, per qualche motivo, si spegneva.
Qualsiasi fosse il programma, al di là di minuzie e piccoli errori, la sua esecuzione arrivava sfocata comunicando forse la metà del potenziale originario.
L'analisi tecnica terminò nel momento in cui la sagoma rassegnata del pattinatore scomparve al di là delle porte a vetri che immettevano negli spogliatoi; bastava solo un granello di sabbia dentro quel disastroso ingranaggio perché si scardinasse e sapeva, con la sfrontata sicurezza dei vincenti, che doveva essere lui quel granello.




“E' la mia doccia, sloggia Katsuki!”
All'affermazione sgarbata una testa bruna fece capolino dalla tenda e si guardò timidamente attorno.
“Le altre sono libere” obiettò sforzandosi di essere gentile, litigare col ragazzino russo a fine gara? No grazie, non era nelle sue opzioni.
“A me piace questa” scandì il biondino, esile, aggraziato, una silfide, ma con certi modi da scaricatore che avrebbero scoraggiato un santo, figurarsi lui, ancora impegnato a raccogliere dal pavimento i brandelli di autostima dopo la deludente esibizione.
La risposta fu quindi un compito inchino, seguito da un cavalleresco invito ad accomodarsi nel cubicolo a cui il suo interlocutore replicò con un'occhiata sprezzante e uno schiocco di lingua.
“Il tigrotto sta marcando il territorio non prendertela!” gli fece eco la voce musicale del collega svizzero che s'imponeva tra gli scrosci d'acqua.
“Cerchi rogne Giacometti?” s'intromise il russo.
La risata limpida di Christophe liquidò la minaccia del tigrotto e discorso proseguì su una falsariga disimpegnata “Se vuoi puoi farla insieme a me la doccia Yuuri, c'è abbastanza posto!”
“Cos...? N-no, no, no grazie! Fa come se avessi accettato!” la battuta, che sembrava preparata a bella posta scatenò un putiferio di fischi e risate nello spogliatoio e il suo autore sparì in quattro balzi nella cabina più lontana.
Scherzi e battute erano all'ordine del giorno; conosceva quegli atleti da anni ed erano la cosa che più si avvicinava al concetto di “amici” per uno come lui, sempre impegnato tra allenamenti, gare, qualificazioni, perennemente col borsone a tracolla ad arrancare verso il prossimo cancello d'imbarco, sballottato tra i fusi orari più improbabili con la prospettiva di tornare a casa un mese all'anno se andava bene.

Dal suo rifugio di piastrelle bianche rimase in ascolto finché la conversazione non venne dirottata su altri argomenti; il suo coach e Michele, il rappresentante italiano alla finale, forti delle comuni origini avevano iniziato un dibattito serratissimo sulla cucina e sul locale in cui avrebbero concluso la serata; a Milano rimanevano aperti fino a tarda ora e c'era l'imbarazzo della scelta.
Quando Phichit, il suo compagno di squadra, osò intromettersi nella discussione tra gourmet proponendo un Thai riesplose la bagarre.
Avevano una gran voglia di smaltire la tensione, rilassarsi, divertirsi, magari ubriacarsi, tutti tranne lui ovviamente; lui aveva bisogno di crogiolarsi nell'abbraccio caldo dell'acqua e di indulgere ancora un po' nell'autocommiserazione, quel tanto che bastava a trovare la forza di uscire, vestirsi, affrontare le telefonate della famiglia, il ritorno in albergo e infine seppellirsi nelle coperte fino al pomeriggio successivo.

Una volta fissata l'entusiasmante scaletta si decise ad abbandonare la trincea e constatò sollevato che la maggior parte degli altri pattinatori era già uscita; non doveva condividere il suo umore nero con nessuno... A parte Phichit.
Il ragazzo dalla carnagione ambrata gli si parò davanti all'uscita della doccia con un magnifico bouquet di rose trillando “Un fattorino le ha portate per te, sono come quelle dell'ultima volta!” e per ribadire il suo entusiasmo gli spinse i fiori sotto al naso fino a farlo starnutire.
“Chi le manda?” chiese con le palpebre socchiuse, mentre cercava a tentoni gli occhiali.
“Niente biglietto” annunciò “Hai un'ammiratrice davvero timida Yuuri!”
“E di buon gusto” anche Christophe purtroppo era ancora lì e colse subito l'occasione per impicciarsi “Rose Baccarà" valutò cogliendone una dal mazzo per osservarla con l'aria da intenditore“Molto belle e molto costose, le chiamano anche rose nere, per via del colore e credo che il loro significato sia... “passione profonda” concluse strizzandogli l'occhio.
Dio quanto sapeva assere allusivo lo svizzero quando ci si metteva!
“Potrebbero essere di uno sponsor” ipotizzò l'altro per mettersi al riparo da nuove insinuazioni equivoche.
“Se fossero di uno sponsor ci sarebbe un biglietto col logo più grosso del mazzo cher, perchè allora non di un... Ammiratore?”
“Christophe adesso che mi ricordo, c'è il tuo manager fuori, ti sta aspettando!” esclamò il giovane thailandese.
“Oh, impaziente come una donna, ma a farlo aspettare ho solo da rimetterci”
“Esco con te, e tu sbrigati Yuuri, sei sempre la solita lumaca!”
Phichit, caro ragazzo, cosa avrebbe fatto senza di lui?
“Andate avanti, mi asciugo i capelli e arrivo” rispose accennando un sorriso di gratitudine al compagno, che lo aveva appena salvato dalla maliziosa invadenza di monsieur Giacometti.

Fine prima parte



† La voce della coscienza †

Quella di Yuuri ogni tanto farà capolino durante la narrazione, la mia più modestamente la inserisco qui a piè di pagina, insieme ad alcune considerazioni personali:
Ho pensato a questo racconto come un omaggio al soggetto originale (che ho amato fin da subito) ma anche come una storia che potesse camminare con le proprie gambe partendo da un altro spunto che adoro: i vampiri.
Il risultato sono questi primi tre capitoli (di cui uno vede la luce adesso e gli altri non appena avrò terminato di litigare con l'edit) a cui faranno seguito eventi successivi.
Attenderò con piacere i vostri riscontri, che saranno importanti anche in vista degli sviluppi futuri della trama.

Un ringraziamento va a Old Fashioned, che si è coraggiosamente sobbarcato la lettura del malloppo dandomi un altro punto di vista e alcuni utili suggerimenti.
Un ringraziamento va anche a Syl, la mia socia di spericolate avventure narrative, altrettanto coraggiosa nell'affrontare la lettura e a fornirmi la sua opinione nonostante la folle mole di lavoro che la impegna in questo periodo!

Un'ultima precisazione:
La trama è ambientata nel 2018, perchè l'anno prossimo il Campionato Mondiale di Pattinaggio sarà proprio a Milano, un po' di orgoglio nazionale non guasta mai :)

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Capitolo 2
*** Capitolo II° ***


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Capitolo II°


Nonostante le buone intenzioni uscire dagli spogliatoi in tempi ragionevoli fu un'impresa; appena accese il telefono fu sommerso da un'ondata di messaggi e notifiche di chi dall'altra parte del globo sentiva il bisogno di comunicargli qualsiasi cosa: complimenti, raccomandazioni e qualche critica; la sua insegnante di danza sapeva essere più crudele del coach, soprattutto se aveva bevuto durante la diretta delle gare.
“Ah...” sospirò percorrendo i corridoi deserti del palazzetto, illuminati solo dalle discrete indicazioni delle uscite di sicurezza, possibile che se ne fossero già andati tutti?
Una volta fuori, quando si trovò nella piazza antistante il Forum di Assago, il sospetto divenne una spaventosa certezza: le navette per gli alberghi del centro erano già partite e il parcheggio appariva deserto, spazzato da un'insidiosa brezzolina gelida che sollevava mulinelli di cartacce e foglie morte.
La seccatura di scoprire che lo avevano abbandonato al suo destino in terra straniera fu tale da fargli dimenticare perfino lo smacco della serata.
Tuttavia non si perse d'animo: era abituato a viaggiare, a destreggiarsi tra ritardi, mezzi sostitutivi, coincidenze e la grande insegna luminosa della Metro all'altro capo del piazzale gli apparve, provvidenziale e seducente, come l'oasi all'assetato nel deserto.
Peccato che il servizio fosse cessato alle 24.00 e lui, alle 00.05, si trovò a contemplare le serrande abbassate all'imbocco del sottopasso domandandosi il perché di tale straordinaria efficienza, quando era cosa risaputa che in Italia i trasporti fossero sempre in ritardo.
Niente panico Yuuri, s'impose, se il Piano B non funziona passa al Piano C.
Il taxi era una soluzione costosa, ma di buon senso a meno di non prendere in considerazione l'autostop o il furgone della nettezza urbana, che stava svoltando nel parcheggio, però diamine perfino i perdenti avevano una dignità!
Armeggiò nell'ingombrante borsone destreggiandosi col bouquet di rose e un atroce peluche viola che non aveva avuto cuore di rifiutare da due piccole pattinatrici degli Juniores, infine riuscì a recuperare lo smartphone.
Cosa c'era di peggio dell'essere dimenticato dai propri compagni, trovare la Metro chiusa e correre il rischio di essere scambiato per un “ragazzo di vita” considerata l'ora tarda e il luogo isolato?
La batteria che agonizzava, ovvio.
Il caso era da manuale, oltreché disperato.
“Andiamo! Allora ce l'hai davvero con me!” sbraitò furibondo verso un ignoto Ente Divino, mentre l'infame aggeggio si ammutinava in un flebile “bip-bip”.



Subito dopo si guardò attorno, nel timore di aver disturbato qualcuno di più terreno con le sue urla e fu allora che la vide: una figura indugiava nell'ombra della tensostruttura esterna al palazzetto dove, poteva giurarlo, prima non c'era nessuno.
Si sentì gelare il sangue ed era una reazione immotivata, come gli suggeriva la sua parte logica a cui preferì dare ascolto.
Datti una calmata e comportati da persona razionale, sarà un addetto alla sicurezza o uno spettatore ritardatario!
Sollevò la mancina in un abbozzo di saluto e accennò un sorriso a cui l'altro rispose in maniera speculare. Si rimproverò ancora per essersi lasciato spaventare in quel modo, tuttavia, restare nell'alone di luce del lampione gli offriva un senso di assurda sicurezza a cui non intendeva rinunciare, tanto che alla fine fu la presenza a raggiungerlo.
Vederlo camminare senza fretta nella sua direzione gli diede il tempo di capire che non si trattava di un fantasma; i fantasmi di solito non indossavano cappotti di sartoria e sciarpe in cachemire e in genere erano molti gradini al di sotto della categoria “Fuori budget” in cui lo sconosciuto era stato appena classificato.
“Buonasera” lo salutò in un inglese pulito, privo d'accento.
Sotto il chiarore artificiale del lampione i suoi capelli prendevano una serica tonalità argentea, mentre lo sguardo, che incrociò di sfuggita sentendosi come un ladro, aveva l'intensità turchese dei mari tropicali.
Yuuri si domandò cosa l'aveva indotto a servirsi proprio di quella lingua, magari i suoi occhi a mandorla o l'aria da turista nipponico separato dal branco dei connazionali e piantato in asso dal Tour Operator di fiducia?
“Quegli affari ci abbandonano sempre quando ne abbiamo bisogno, l'ha notato?” constatò alludendo con un misurato cenno al cellulare che teneva ancora in mano e che lui si affrettò ad occultare in una tasca del giaccone.
“Ma io... non ne avevo affatto bisogno!” mentì sapendo di mentire e sapendo che l'altro sapeva, probabilmente aveva assistito ai suoi tragicomici tentativi di andarsene e al suo sfogo di rabbia.
“Eppure... Ho avuto come l'impressione che fosse alla ricerca di un modo per tornare in città”
“Ahm, si, però ho già risolto, verranno a prendermi, non si preoccupi”
Appena si accorgeranno della mia assenza, il che significa nell'ipotesi più ottimistica, col traffico ed eventuali contrattempi, un paio d'ore... Al freddo, da solo, in mezzo al nulla.
“Io non ero preoccupato, pensavo piuttosto di offrirle un passaggio, la mia auto sarà qui a minuti, anzi eccola” come se l'avesse evocata in quell'istante una berlina nera si materializzò dall'oscurità della strada ed entrò nel piazzale fermandosi ad una decina di metri dai due.



Il primo impulso del pattinatore fu di ringraziare e declinare l'invito; era qualcosa che aveva a che fare col “Mai accettare passaggi da uno sconosciuto” a cui l'immaginazione galoppante sovrappose senza soluzione di continuità una galleria virtuale composta da: ritagli di giornale, servizi di cronaca e qualche speciale della CNN riguardo al “Ritrovamento di un corpo in un canale d'irrigazione in aperta campagna”, “... Il soggetto, maschio, asiatico, di circa venticinque anni presenta numerosi segni di violenza e sevizie” “Ultim'ora: Il cadavere è quello del famoso pattinatore giapponese Yuuri Katsuki” e sul termine famoso aveva dei dubbi.
Qualcosa del suo stravolgimento spirituale doveva essere passato all'esterno perché lo sconosciuto si era girato verso di lui e lo fissava con un'aria crucciata, anzi no, il suo viso non esprimeva disappunto, quanto piuttosto un adorabile broncio.
“Le farei perdere tempo” tentò un'ultima pallida obiezione.
“Ho la fortuna di disporre del mio tempo come voglio” rispose l'altro “Inoltre andiamo nella stessa direzione”
Yuuri sbirciò l'automobile: autista impeccabile e professionale su macchina di lusso tedesca, targa europea, dettagli in radica, rivestimenti in pelle chiara e doveva rinunciare ad un salotto su ruote per cosa? Una emozionante attesa dei soccorsi nell'interland milanese?
Zittì di prepotenza le sue paranoie e affrettò il passo “Allora se non disturbo...”
Nella mimica dell'uomo avvenne un mutamento, piccolo, ma significativo: socchiuse gli occhi, le labbra si stirarono in un sorriso e l'affermazione che ne scaturì confermò un'idea generale di soddisfazione.
“Affatto, almeno avrò qualcuno con cui chiacchierare”
Cielo, sembrava proprio contento.

Fine seconda parte



† La voce della coscienza †

Che dire?
Il nostro Yuuri è proprio un ragazzo sfortunato... O forse no? :)
Le vostre opinioni sono le benvenute o come direbbe il misterioso sconosciuto: "You are quite welcome!"

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Capitolo 3
*** Capitolo III° ***


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Capitolo III°


A dispetto delle sue dichiarazioni nell'auto era calato presto il silenzio, sottolineato dal pezzo di musica classica diffuso a basso volume in cui Yuuri credette di riconoscere l'Adagio di Albinoni.
Da svariati minuti erano bloccati nel traffico della tangenziale e procedevano a passo d'uomo, il fascinoso sconosciuto col gomito puntellato al finestrino guardava oltre i vetri e aveva un'aria assorta, distante; o forse a conferirgliela era solo la suggestione del brano profondo e drammatico che passava in quel momento.
Da parte sua il giovane pattinatore tentava di limitare al massimo gli spostamenti; in barba allo spazio che aveva a disposizione era riuscito a sistemare armi e bagagli nel modo peggiore, in pratica trovandosi seduto al fianco dell'altro passeggero, con l'ingombrante peluche che minacciava di precipitargli addosso ad ogni frenata e il grosso bouquet a serio rischio di schiacciamento.
“È molto bello” le parole pronunciate all'improvviso gli fecero mancare il cuore di un battito e ruppero il muro di cristallo e ansia che stava crescendo dentro di lui.
“Ahm... Si!” articolò e prese fiato quando realizzò che il suo interlocutore si riferiva al mazzo di fiori “Sono rose Baccarà, le chiamano anche rose nere a causa della loro tonalità scura, la persona che le ha scelte ha avuto buon gusto”
Grazie Christophe, una volta tanto le tue osservazioni sono state utili.
“Le piacciono le rose?”
“Non particolarmente” ammise Yuuri, tuttavia ebbe l'impressione che una risposta del genere potesse troncare sul nascere qualsiasi tentativo di conversazione quindi si affrettò a precisare “A causa delle spine, ma queste sono diverse, sembra di accarezzare il velluto”
L'uomo accanto a lui vide nascere sulle sue labbra un sorriso impacciato, mentre le dita sfioravano appena i petali bruni, poi sollevavano gli occhiali dalla punta del naso, per ravviare infine con naturalezza una ciocca di capelli castani che gli adombrava la fronte.
Il giovane non percepì il violento virare al porpora dei suoi occhi, la penombra dell'abitacolo occultava in modo perfetto reazioni ed emozioni, che dovevano restare nascoste, almeno per un po'.



“Yuuri Katsuki”
Stavolta fu il suo nome, pronunciato a tradimento in una sfumatura calda e carezzevole vicino all'orecchio, a fargli rischiare un arresto cardiaco.
Il tizio, che fino a quel momento si era mantenuto su un sobrio e formale “lei”, iniziava a chiamarlo con quel tono senza preavviso? Era legale attentare in maniera simile all'emotività altrui?
“Sono io in effetti” e doveva aveva un'espressione davvero sconvolta se l'altro aggiunse pacato “L'ho riconosciuta subito nel parcheggio, però volevo evitare che mi scambiasse per l'ennesimo curioso o ammiratore importuno”
“No, affatto” la voce gli moriva in gola “Quindi... è venuto ad assistere alle gare?”
Ma dai? Passava di lì per caso secondo te? Benvenuti alla fiera delle ovvietà...
“Assisto appena i miei impegni me lo permettono o... Quando lo spettacolo vale la pena” c'era una sfumatura sibillina nella sua voce oppure era la paranoia a ricordargli che la sua esibizione nello short program non aveva avuto niente di spettacolare?
“Quest'anno i finalisti hanno tutti un programma di alto livello” mormorò privo di entusiasmo.
“E' curioso, parla come se la cosa non riguardasse anche lei” fu il commento divertito del suo vicino a cui Yuuri rispose stringendosi appena nelle spalle.
“Non mi riguarda infatti, come definirebbe un quinto posto altrimenti?”
“Un gradino più in alto del sesto?”
L'ironia no; poteva accettare le critiche, le frecciatine acide, ma quella provocazione gratuita equivaleva ad agitare davanti al naso di un toro il proverbiale drappo rosso.
“E' facile giudicare dagli spalti ignorando l'ansia e la pressione di chi deve entrare in pista, di chi cerca di non guardare in faccia i giudici e restare concentrato, o di chi prova a chiudere una serie di salti senza schiantarsi sul ghiaccio!”
“Oh! Dov'è il problema Yuuri?” esclamò l'uomo mostrandosi sorpreso e piuttosto compiaciuto dalla vivace reazione “Da quel punto della classifica non riesci a vedere i gradini del podio? Ho ragione?”
“Il podio è un lusso che non posso nemmeno immaginare finché lì davanti ci sono Plisetsky... Giacometti... E il Canadese...” gesticolò arrabbiato come se davvero li avesse di fronte, tanto da non registrare neppure passaggio dal “lei” al “tu” avvenuto durante lo scambio di battute.
“Leroy?”
“Si” ammise a denti stretti.
Il giovane pattinatore sentiva le guance bollenti, emise un lungo sospiro e massaggiò le tempie imponendosi un po' di autocontrollo “Mi scusi, lei è stato così gentile ad offrirmi un passaggio e io non riesco nemmeno a reggere una conversazione civile”
“Dovresti mettere le cose nella giusta prospettiva: sai perché le colonne dei templi greci sono più spesse al centro e più esili alle estremità? Per correggere un difetto di percezione che diversamente le farebbe apparire incurvate”
“Mi sta dicendo che dovrei analizzare e correggere i difetti dell'esibizione? Conosco fin troppo bene i limiti del mio programma”
“Il tuo esercizio non ha niente di sbagliato, è il modo in cui la gente lo percepisce che deve cambiare”
Psicologia del pattinaggio? Non sapevo esistessero dei corsi di laurea in materia...
“Temo sia troppo tardi ormai e comunque vada questa sarà la mia ultima stagione”
Tornare sulla decisione di ritirarsi apriva una ferita mai cicatrizzata, aveva vissuto lo sport come una vocazione, gli aveva sacrificato con gioia il resto della sua vita, ma l'ansia, le insicurezze ormai lo stavano divorando dall'interno e la sua carriera ne risentiva.
Aveva smesso di essere un divertimento finendo per somigliare piuttosto ad una tortura; pattinare in quelle condizioni non aveva senso.
“Il coach insiste che dovrei continuare” aggiunse dopo aver colto nel silenzio del suo interlocutore un tacito interessamento “Ritiene che debba esprimere ancora tutto il mio potenziale, che potrei dare molto di più, ma in realtà sento di non aver dato proprio niente”
“Pretendere il massimo da sé stessi va bene, tuttavia se tu per primo hai un giudizio così severo sul tuo lavoro nessun altro potrà esserti di aiuto”



Quelle parole rimasero ad aleggiare nel tepore dell'abitacolo insieme alla musica e ad un vago aroma di cannella finché un singhiozzo ruppe l'incanto sospeso della bolla e fece sussultare l'elegante passeggero.
Al primo ne seguirono altri a cui si sovrappose la voce rotta e affannata dal pianto del giovane “O forse al contrario sono troppo indulgente, vede alla fine mi va bene tutto, mi accontento addirittura dei fallimenti, perché dovrei aspirare a qualcosa di diverso di una banale mediocrità?”
Yuuri si rese conto di aver toccato il fondo nel momento in cui l'altro gli porse un fazzoletto insieme ad un sorriso che... Beh! Poteva essere solidarietà, tenerezza, commiserazione, qualsiasi sentimento gli ispirasse il suo patetico sfogo.
“Io-io non so come scusarmi” balbettò accettando il candido rettangolo di stoffa “Per averla costretta ad assistere ad uno spettacolo tanto avvilente, spero di non averle rovinato la serata... Vorrei rimediare se permette... Magari offrirle qualcosa quando arriviamo in albergo...”
Cosa diavolo vuoi rimediare è già molto se non dice all'autista di aprire la portiera e buttarti giù dalla macchina in corsa!
Una volta puliti gli occhiali mise a fuoco poco più avanti l'atrio illuminato del suo hotel e realizzò di essere andato al di là del concetto di “disastro diplomatico”.
“Siamo già arrivati...” mormorò attonito, l'auto accostata al marciapiede aveva motore e fari spenti “D-da quanto siamo qui?”
“Dieci minuti poco più, poco meno” lo informò puntuale l'uomo seduto accanto a lui.
Yuuri crollò il capo e agitò la mancina dove stringeva il fazzoletto sgualcito in un gesto di resa; aveva finito parole, scuse, lacrime, imbarazzo, energie, sentiva solo un'enorme stanchezza.
“Vuoi fare una cosa per me?”
La chioma castana si mosse appena in segno d'assenso.
“Allora dovresti renderti presentabile per i tuoi compagni, ormai si saranno accorti della tua assenza e saranno preoccupati, vuoi tornare da loro in queste condizioni?”
“Sono abituati a vedermi piangere”
“Ma io no!”
L'affermazione smosse nell'animo del giovane un residuo di amor proprio, sollevò il viso verso di lui ed incontrò un'espressione bonariamente contrariata.
“Ohi, ohi, vediamo di rimediare a questo guaio” tolse gli occhiali e li mise da parte, poi tamponò piano gli occhi umidi di lacrime con alcuni fazzoletti di carta.
“Il naso...” dichiarò con un altro fazzoletto già pronto alla bisogna.
“Quello p-posso soffiarmelo anche da solo!” esclamò Yuuri trovando un briciolo di ritegno.
Per il resto lasciava fare, l'idea che lo avesse visto in uno stato tanto deplorevole giustificava ai suoi occhi la prevaricazione degli spazi personali, dei quali di solito era molto geloso.
Lavorando con le dita riuscì ad addomesticare il cespuglio ispido dei suoi capelli e lasciò alcuni ciuffi liberi ai lati della fronte, poi rassettò l'informe giaccone fino a conferirgli una parvenza di stile che non aveva mai avuto.
Il buon samaritano dava l'impressione di usargli le stesse attenzioni che riservava a sé stesso e il giovane realizzò quanto dovevano essere fortunate le persone che aveva attorno, sentendo più acuta la mancanza di qualcuno che si prendesse cura di lui in quel modo.



“Meglio” dichiarò alla fine l'uomo soddisfatto “Si poteva fare di più, però viste le circostanze...”
“Ha fatto anche troppo signor...”
Il discorso partito a precipizio s'inceppò all'improvviso e accadde un evento curioso: Yuuri portò la mano alle labbra per soffocare un grido e lo fissò con la devastante consapevolezza di non sapere come si chiamasse, né di averglielo chiesto neppure una volta durante il tragitto.
Era un fatto che andava decisamente oltre la maleducazione, doveva esserci un serio problema di relazioni sociali, forse addirittura una patologia alla base del suo inqualificabile comportamento.
L'altro subodorò l'impiccio, reclinò il capo per osservarlo meglio e sollevò l'angolo delle labbra in un ghignetto divertito.
“C'è qualcosa che dovresti chiedermi Yuuri? Un piccolo dettaglio che hai trascurato, forse?”
Il giovane sempre con la bocca chiusa e lo sguardo allucinato scuoteva piano la testa.
“In fondo cos'è un nome? Quella che noi chiamiamo rosa, anche con un altro nome avrebbe il suo soave profumo!" si allungò verso di lui in un morbido fruscio di stoffe e rimase qualche istante a fissarlo da vicino finché la sua espressione si addolcì.
"Coglierò una rosa da questo giardino e mi dichiarerò soddisfatto" sussurrò sfilando dal grande bouquet uno dei fiori più belli per poi odorarlo.
Dopo esserti sobbarcato la mia crisi di nervi te ne esci con Shakespeare e un doppio senso che Christophe si venderebbe l'anima per poterlo citare, da quale angolo dell'universo sei arrivato?
"Tutto qui?" sentì pronunciare dalla sua voce; ormai si contemplava dall'esterno della paradossale situazione.
"Mi pare di si" annuì serio e compreso l'altro, ma c'era un brillio giocoso dentro il mare turchese dei suoi occhi.
"Allora credo sia il momento di togliere il disturbo" mentre raccoglieva le sue cose sentì crescere un inspiegabile senso di rammarico all'idea di dover abbandonare quello spazio intimo col suo occupante.
"Yuuri" aveva già un piede a terra quando una presa gli strinse il polso e lo trattenne insieme a tutti i suoi bagagli "Non dimentichi nulla?"
Il tono malizioso della domanda gli fece provare un tuffo al cuore, diede una sbirciata alle sue spalle poi capì; l'uomo scrollava energicamente l'orribile peluche viola e gli sorrideva "Stavi cercando di disfartene, confessa!"
"Oh, ci ho provato" ammise facendo la faccia colpevole.
"Che razza di animale è, io non sono ancora riuscito a capirlo" l'uomo inarcò un sopracciglio, si concentrò sul pupazzo di dubbio gusto, infine lo mostrò a Yuuri come a chiedergli una spiegazione.
"Ecco... Credo sia un porcellino... Un porcellino spaziale" disse e scoppiò a ridere nel momento in cui si rese conto della sua reale natura.
"Allora ringraziamo il nostro porcellino spaziale, è merito suo se il signor Katsuki ha ritrovato il sorriso”
“Posso riaverlo?”
“Ohi-ohi non so! Mi ci sto affezionando!” il giovane arrossì a quelle parole, sembravano rivolte al peluche e tuttavia guardava lui “Magari potrei tenerlo fino alla finale”
“Se la mette così....” sussurrò confuso “Dunque ci rivedremo l'ultimo giorno di gare?”
“Ci rivedremo” promise l'altro con un sorriso sibillino.
Yuuri accompagnò la portiera per chiuderla, ma si sentì chiamare di nuovo: dall'interno lo sconosciuto gli stava porgendo la mano in un chiaro gesto di presentazione; d'impulso il giovane gliela tese a sua volta e capì un istante troppo tardi che invece di stringergliela l'aveva portata alle labbra sfiorandone il dorso con un bacio.
“Per la prossima volta in cui c'incontreremo: il mio nome è Victor Nikiforov”

Fine terza parte



† La voce della coscienza †

Ohi-ohi!
Giuro che ho provato a dividere questo capitolo in due brani più brevi, ma il testo non ne voleva sapere di collaborare!
Confido però che possiate apprezzarlo, come Yuuri ha apprezzato le attenzioni (e la pazienza) del signor Nikiforov ^^

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Capitolo 4
*** Capitolo IV° ***


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Capitolo IV°


L'atrio dell'hotel, illuminato a giorno, trasse in salvo Yuuri dallo stato emotivo confusionale in cui lo aveva lasciato l'enigmatico sconosciuto e gli diede il tempo di riprendersi prima di venire nuovamente travolto dalla vita reale, che si presentò sotto forma di un coach ormai idrofobo e di un Phichit quasi in lacrime col telefono in mano.
“Yuuri! Abbiamo cercato di contattarti non so quante volte!”
“M-mi dispiace... La batteria è andata”
“Dio Santissimo Yuuri!” esclamò in italiano l'altro, uso ad esprimersi nella sua lingua madre se qualcosa lo faceva arrabbiare o preoccupare “Pensavamo fossi sull'ultima navetta, poi quando non ti abbiamo visto scendere ho pensato di tutto, di notte quella zona non è una affatto sicura!”
“Sono mortificato Celestino” rispose il giovane chinando il capo in segno di scusa.
“Hai preso la metro?”
Yuuri scosse il capo “Una persona mi ha offerto un passaggio fin qui” ammise arrossendo appena e d'istinto si guardò indietro; la macchina nera era scomparsa, scivolata via nel traffico anonimo della metropoli, che non si fermava mai, neppure di notte “Oh... è già andato...” mormorò deluso.
“Ti sei ricordato di ringraziarlo spero!” l'allenatore alzò gli occhi al cielo, sapeva com'era fatto il suo giapponese: tre quarti di ansia, uno di testa tra le nuvole.
“Ahm...” il ricordo della recente avventura accentuò il suo rossore, che i due scambiarono per imbarazzo “Più o meno...”
“Lo sapevo”
“T-tanto sarà alla finale, ha seguito le gare e da quel che ho capito è una specie di habitué del nostro ambiente”
“Sul serio? Ti sei fatto dire il suo nome almeno? Magari lo conosco”
“Che domande Celestino, c-certo, ci siamo presentati!”
Ci fu un rimpallarsi di sguardi tra loro, una specie di “io so, che tu sai, che io so” riguardo alle capacità relazionali di Yuuri, il quale, omettendo in blocco le speciali circostanze di quella conoscenza precisò “Ha detto di chiamarsi Victor Nikiforov”
“Ah!” esclamò l'allenatore, che prese a massaggiarsi il mento con aria pensierosa.
“Lo conosci?” chiese il giovane pattinatore con un tono forse troppo speranzoso.
“Il nome non mi è nuovo, però così su due piedi faccio fatica a collegarlo a qualcuno”
“Sembra un nome russo, potremmo chiederlo a Plisetsky” suggerì Phichit.
Seguì un nuovo giro di occhiate interlocutorie e il team si trovò a scuotere la testa: meglio evitare il tigrotto e il suo pessimo carattere “No, lasciamo perdere, pensiamo piuttosto alla cena, gli altri sono già al ristorante da un pezzo e sono capaci di averci lasciato solo gli avanzi!”
“Andate voi, io sono troppo stanco, salgo in camera e mi butto a letto”
“Yuuri! Mi lasci da solo? Cosa faccio se Celestino esagera con l'alcol!” esclamò il ragazzo thailandese, incurante che il coach fosse accanto a lui; coach che, per inciso, minimamente toccato dalle recriminazioni dell'allievo prese a sghignazzare sommessamente.
“Bevi anche tu, così mi fai compagnia!”
“Hai sentito?” strepitò scandalizzato il più giovane.
“Sta scherzando!” il giapponese decise di ignorare la richiesta di soccorso archiviandola con una discreta risata, sentiva il bisogno di restare solo per elaborare la mole di emozioni che gli erano piovute addosso nelle ultime ore, molte delle quali riguardavano il suo Buon Samaritano.



Aveva appena preso sonno, ad un'ora indecentemente alta della notte, quando alcuni rumori provenienti dal corridoio lo svegliarono di soprassalto: qualcuno stava tentando, senza successo, di forzare la serratura elettronica e a ogni tentativo fallito si sentivano risatine soffocate e tonfi sulla cui natura preferì non indagare, aveva riconosciuto la voce di Celestino e aprendo la porta se lo trovò di fronte ubriaco perso, sorretto da un Phichit in condizioni non certo migliori.
“Voi due... Dovreste vergognarvi!” brontolò in un bisbiglio che provocò un nuovo scroscio di risate. Inutile dire che i tentativi di Yuuri di farli tacere peggiorarono solo le cose; il compagno di squadra lasciò alla deriva l'allenatore e si abbrancò a lui ridacchiando.
“Sai, il coach ha ricordato finalmente chi è questo Victor Nici... Nico...”
“Nikiforov?” il giovane scoccò un'occhiata perplessa a Celestino, che sollevata la destra recitò solenne “In vino veritas! Ma la grappa è anche meglio!”
E giù a ridere. Il giapponese non aveva santi nel calendario, però ne scomodò ugualmente qualcuno.
“Sveglierete l'albergo, ti accompagno in camera coach, me lo dirai domani...” mise al sicuro il suo compagno prima che crollasse a terra e poi si accinse a fare l'ultima buona azione della giornata, o la prima del giorno successivo, perché a occhio dovevano essere le quattro passate.
“Devi sapere ragazzo mio che questo Nikiforov ha vinto tutto quello che si poteva vincere nel pattinaggio di figura... Un vero campione!” Celestino aveva la loquela vivace e discontinua degli avvinazzati.
“É un pattinatore?” il giovane era sorpreso e turbato, qualcosa nel discorso dell'altro lo aveva messo sull'avviso “E quand'è che si sarebbe ritirato dall'agonismo?”
“Se non ricordo male aveva ventisette... Ventotto...”
“L'anno Celestino, in che anno? Era il 2000? Il 2001?” insistette incalzato da uno strano presentimento, ormai erano arrivati alla camera del Coach, il quale, esauriti i vapori alcolici cominciava a manifestare una certa stanchezza.
“Eh? No, no ragazzo era il 19...52” l'uomo corrugò la fronte come a sottolineare lo sforzo mnemonico, nemmeno si avvide dell'espressione stranita di Yuuri “Era già una leggenda quando ho cominciato a pattinare negli juniores”
“E... Perchè si è ritirato?” chiese con un filo di voce.
“Oh, un incidente, mentre si allenava per le Olimpiadi invernali di Oslo, la Grande Madre Russia emise un comunicato ufficiale del suo infortunio e del conseguente ritiro e lui uscì di scena”
“Sparito? Dall'oggi al domani? Com'è possibile!”
“He-he Yuuri” l'allenatore lo guardò sotto le palpebre socchiuse e gli rivolse un sorriso indulgente “Era un altro mondo quello! La Guerra Fredda, il Blocco Sovietico, la Cortina di Ferro, non filtravano informazioni, di nessun genere!”
“Quindi poteva anche essere morto...”
“Lo hai incontrato stasera, direi proprio di no! Anzi è piuttosto arzillo il vecchietto, se a quasi novant'anni riesce ancora a seguire la stagione agonistica!”
La vicenda assunse all'improvviso dei contorni inquietanti, chi diavolo aveva viaggiato con lui in quell'auto?
“Sai cosa c'è? I-io credo di essermi sbagliato sul nome! Col russo di solito litigo sul ghiaccio e fuori” disse riuscendo a formulare un sorriso abbastanza convincente da ingannare un ubriaco, il quale rise della battuta “Ah, quel demonio di Plisetsky, non preoccuparti andrà tutto bene, va' a letto e domani pensa a riposarti”
“Ok Celestino, buona notte” gli aprì la porta e rimase a controllare che la richiudesse prima di tornare sui suoi passi; il rumore ingigantito dal silenzio notturno gli fece correre un brivido lungo la schiena.
Ipotesi numero uno: ho capito male, succede, approfittando della mia debolezza può avermi detto qualunque cosa! … Questa scusa non regge, lo sai Yuuri, vero? Va bene, ipotesi numero due: è un omonimo, un fottuto omonimo, la Russia è grande, quanti Nikiforov ci saranno?
Un giro sui motori di ricerca divenne la sua priorità dell'indomani.

Fine quarta parte



† La voce della coscienza †

Un capitolo ad alto tasso alcolico questo, ma come dicevano gli antichi sul fondo della coppa si trova la verità e a Yuuri qualche dubbio comincia a venire... :)

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Capitolo 5
*** Capitolo V° ***


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Capitolo V°


“Yuuri svegliati! Quanto ancora hai intenzione di dormire?” piccole mani scrollavano il bozzolo di coperte in cui si era rifugiato nella speranza di riuscire a riposare almeno qualche ora e lo stavano strappando ad un sogno decisamente conturbante a cui non voleva rinunciare.
“Fino alla prossima estinzione di massa...” biascicò senza aprire gli occhi nel tentativo di non perdere il filo della labile visione notturna.
“Vuoi rimanere a letto tutto il giorno? Celestino ci porta in giro per Milano! Andiamo a vedere il Duomo, la Scala, il Castello Sforzesco, mangiamo sui Navigli e poi shopping a Montenapoleone! Il Castello, Yuuri andiamo...!” l'ultimo scossone portò in superficie una zazzera scarmigliata.
“Phichit...” un lungo sospiro sottolineò l'addio definitivo al suo bel sogno, il ragazzo aveva delle capacità di ripresa straordinarie, aveva smaltito la sbronza ed era già pronto per buttarsi in un folle tour cittadino “Non è il Castello di Disneyland, ci saranno prigioni, sotterranei, sale di tortura...”
“Oh! Allora è molto meglio di Disneyland!”
“Facciamo così: voi andate avanti e ci sentiamo più tardi, magari vi raggiungo”
“Lo dici sempre e poi rimani a letto a poltrire” bofonchiò il thailandese.
“Stavolta no, promesso” una mano col pollice all'insù si levò dal bozzolo, in segno di conferma.
“Va bene...”
Dal successivo tramestio dedusse che il compagno si stava preparando ad uscire, ma prima che varcasse la porta lo richiamò.
“Ti dispiace se più tardi uso un po' il tuo portatile?”
“Certo che no! Mi casa es tu casa!” scandì il più giovane.
“Lo sai che il tuo spagnolo è... Inclassificabile?”
“Parli proprio tu?” ridacchiò Phichit uscendo, mentre la mano lo salutava e tornava lentamente sottocoperta dove ormai il danno era fatto.
Il sogno aveva lasciato degli strascichi molto "tangibili" svegliando qualcosa nelle parti basse insieme al loro proprietario e a complicare la faccenda c'era il fatto che il protagonista dell'esperienza onirica era il misterioso individuo della sera prima.
Non era solito frequentare siti hot o chat porno e si chiese da dove fosse arrivata quella collezione di posizioni e giochini in cui si era trovato incastrato, nel senso letterale del termine, coll'attraente signor Nikiforov durante il sogno.
A sua discolpa poteva addurre di non avere alcun controllo sulla psiche durante il sonno, anche se immaginava la fine analisi psicologica dell'evento che ne avrebbe dato Christophe: Devi scopare di più.
Purtroppo diversamente da altre fantasticherie notturne questa non si decideva a scomparire dal subconscio al levare del sole e a causa del livello di sconcezza gli risultava imbarazzante anche il solo pensarci; come avrebbe fatto a guardarlo in faccia senza sentire il bisogno di sparire, semmai si fossero incontrati di nuovo?
Brontolando e sacramentando il bozzolo si mosse verso il bagno, di fronte a certe necessità la ricerca su internet passava in secondo piano.



Una mezz'oretta più tardi, appoggiato comodo alla testiera del letto e armato di un paio di enormi tramezzini ordinati col servizio in camera, Yuuri si accingeva a dare la “caccia” al fantomatico campione russo; caccia virtuale beninteso e sebbene fosse meno abile del suo compagno di squadra a razzolare in Rete, per lui era diventato un punto d'onore scoprire la vera identità dell'uomo che gli aveva scombussolato la vita reale e quella onirica.
La scelta più ovvia fu di iniziare dal Padre di tutti i motori di ricerca, che Phichit aveva come pagina di apertura del browser, il quale lo rimandò ad un altrettanto indispensabile sito enciclopedico in cui Victor Nikiforov veniva diligentemente elencato nella tabella dei vincitori di una sfilza infinita di competizioni nazionali e internazionali.
Non c'erano collegamenti esterni al suo nome però e le scarne notizie che riuscì a setacciare da blog e portali sportivi riportavano tutti le stesse cose.
Niente foto, niente scansioni di... che ne so! Di qualche articolo della Pravda, maledizione erano gli anni Cinquanta, non il Medio Evo! Le macchine fotografiche esistevano già!
Il giovane si sgranchì le dita, sistemò gli occhiali sul naso e mormorò “Ok, è ora di fare sul serio, spero che i soldi dell'antivirus siano stati spesi bene Phichit, perché ho intenzione di metterlo alla prova”
Detto questo si tuffò in una serie di siti russi e asiatici sempre più equivoci; gli sfuggiva il collegamento tra orge di lusso, bondage estremo, scommesse ippiche e pattinaggio artistico, ma alla fine, sotto tonnellate di spazzatura informatica, riuscì a rintracciare un forum di appassionati dell'Eros vintage, rigorosamente in cirillico, in cui venivano riportare una serie di immagini d'epoca di sportivi giudicati molto “sexy”.
Fece scorrere pigramente la pagina su corpi perfetti, sorrisi smaglianti accentuati dal contrasto del bianco e nero, poi con uno scatto improvviso strillò e richiuse il portatile, aveva intravisto qualcosa, o meglio qualcuno in mezzo ai volti della galleria ed era terrorizzato all'idea di riaprire lo schermo per accertarsene.
Alla fine eccoti qui...
Oltre la risoluzione scadente dell'immagine, oltre la retinatura di stampa che sgranava i contorni, oltre ogni ragionevole dubbio quello era Victor Nikiforov; la foto di una premiazione, lui sul gradino più alto del podio,leggermente proteso in avanti nell'atto di ricevere un enorme mazzo di fiori da una paffuta bimbetta agghindata nel tipico costume russo.
Lui forse un po' più giovane, ma già con lo stesso sorriso sicuro e lo sguardo indecifrabile, nascosto dalle lunghe ciglia argentate. Lui che... Cazzo! Dovrebbe andare per i Novanta e mangiare semolino, non fare il trentenne annoiato in giro per l'Europa!
Yuuri tolse gli occhiali e massaggiò le palpebre, nella sua testa diverse tesi collidevano in cerca di una spiegazione plausibile, anche perché degli altri Nikiforov che aveva rintracciato tre erano donne e un paio portavano un doppio cognome impronunciabile.
Una volta eliminato l'impossibile, quello che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità...
Chissà perché gli veniva in mente Conan Doyle, forse tutto quel giocare al piccolo investigatore aveva finito per suggestionarlo.
Tra le ipotesi ancora sul tavolo (Un sosia? Un cosplayer? Siamo seri! Quale tizio ricco sfondato perderebbe il suo tempo a imitare un'icona del pattinaggio degli anni 50?) Yuuri scelse quella più verosimile: il legame parentale.
Un nipote forse? Magari poco amante dell'esposizione mediatica e dei social, dato che non esisteva uno straccio di profilo pubblico su di lui, tuttavia calzava a pennello con le tempistiche e la fisiognomica.
Forse si potevano tacciare i genitori di poca fantasia per aver scelto lo stesso nome del nonno, però questa era una tradizione ancora assai diffusa in certi contesti.
L'idea funzionò tanto bene che riuscì a tranquillizzarlo e a motivarlo ad attuare il programma pomeridiano che aveva ben chiaro in mente fin dalla sera prima.
Spense il portatile, raccattò in fretta e furia l'attrezzatura con cui riempì il borsone da ginnastica e uscì di soppiatto dalla camera assicurandosi, prima di scendere in strada e chiamare un taxi, che nessuno dei colleghi o dello staff tecnico fosse nei paraggi.
Quando mise le lame sul ghiaccio il grande orologio dell'impianto di Assago segnava le 16 meno un quarto.

Fine quinta parte



† La voce della coscienza †

Piccoli navigatori indagano, ma difficilmente un "fantasma" possiede un'identità digitale! Che avesse ragione Christophe? :)

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Capitolo 6
*** Capitolo VI° ***


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Capitolo VI°


Gli ho mentito.
Non quel genere di menzogna di cui ci serviamo per entrare in punta di piedi nelle vite degli altri dissimulando la nostra reale natura; piuttosto un tipo di bugia che si porta dietro il brusio indistinto dei sensi di colpa e appesantisce l'anima.
Gli ho detto che ero padrone del mio tempo.
Non è vero.
Non esiste bugia più grossa per una creatura immortale.
Il Tempo continua a tiranneggiarci anche dopo aver varcato il Confine, ingannare la Morte non è stato sufficiente; non siamo riusciti ad ingannare il Tempo.
Le ore volano sul quadrante dell'orologio e sono così veloci per gli umani!
Non hanno mai abbastanza tempo per dormire, amare, lavorare... Non hanno mai abbastanza Tempo per vivere!
Mentre noi ne avanziamo in eccesso.
I grani scendono piano nella Grande Clessidra , se mi concentro posso sentirli cadere nell'ampolla inferiore fino a formare una piccola duna di sabbia.
Le ore diurne trascorrono con lentezza esasperante dentro una forzata immobilità che simula il sonno, in una stanza buia, al riparo dalle aggressive certezze della luce.
Se estendo le mie percezioni riesco a sentire il filo di lama che accarezza il ghiaccio disegnando cerchi perfetti e lunghe spirali; sei andato ad allenarti di nascosto nonostante il giorno di riposo, sento il battito diseguale del tuo cuore e il respiro rotto dallo sforzo, vedo attraverso i tuoi occhi che mi stai cercando.
Mi aspetterai Yuuri?
Un'ora, tremilaseicento grani di sabbia e arriverà il tramonto.




A dispetto dei suoi timori trovò il palazzetto quasi completamente deserto; in quel momento gli addetti stavano preparando la struttura per la finale del giorno successivo.
Di norma l'accesso al pubblico era vietato, ma mostrando il pass e l'aria da cucciolo smarrito riuscì a vincere la sospettosa diffidenza degli uscieri, i quali subito dopo il suo passaggio tornarono a crogiolarsi al caldo della reception in attesa dell'ora di chiusura.
Avere la pista a completa disposizione era inebriante; niente, nell'enorme contenitore freddo e vuoto avrebbe dovuto ispirargli un senso di intimità, eppure la sua comunione con quello spazio gelido era totale.
Pattinare da solo, nella penombra via-via più fitta che segnava il declinare del giorno attraverso le grandi vetrate, era ancora la stessa felicità di quando, bambino, scendeva sul ghiaccio ad Hasetsu e la lastra lucida sembrava estendersi infinita davanti a lui.
L'accendersi delle luci lo colse di sorpresa all'uscita da una trottola, si fermò ansante accanto al parapetto e ne approfittò per guardarsi attorno; una piccola parte di lui, una parte che nascondeva perfino a sé stesso, nutriva la speranza di non essere proprio solo, che ci fosse qualcun altro ad osservarlo dagli spalti; tuttavia, facendo vagare lo sguardo, non vide che sedili vuoti e una squadra di ragazzi delle pulizie col loro carrello diretti agli spogliatoi.
No, era assurdo anche solo pensarci, doveva imparare a tenere a bada certi viaggi mentali, come li definiva Phichit.
A proposito...
Pescò il telefono dalla sacca e controllò i messaggi: Phichit, Phichit e di nuovo Phichit.
“Sei rimasto a letto, lo sapevo” recitava l'ultima chat, dopo che il compagno di squadra si era premurato di inoltrargli tutta la gallery della sua avventura milanese; qua e là spuntava la testa bionda di Christophe, Sara e Michele sempre appiccicati come pane e cioccolata e perfino il musetto scocciato di Plisetsky vicino a.... Aspetta un attimo... Quello era Altin!
Allora è vero che gli opposti si attraggono...
Doveva rispondergli o ne andava della sua copertura.
“No, all'uscita dell'albergo ho incontrato degli amici, bevo qualcosa con loro e poi andiamo a cena in un localino del centro”
“Allora raggiungeteci! JJ ha scovato un non so bene cosa, dove si mangia e si balla!”
Un po' di ritardo nella risposta diede modo a Phichit di fare mente locale.
“Un attimo... Tu non hai amici a Milano...”
“...” silenzio, la spunta confermava la visualizzazione, ma non la replica.
“Yuuuuuuuuuuuuuuuuuuuri!” le “u” intasarono il display dando la misura del suo sgomento“TU NON SEI dove io penso CHE TU SIA, Vero? Vero? Vero?”
“Sei un mio amico, reggimi il gioco”
“Se Celestino...”
“Coprimi e ti comprerò la più bella casa per criceti che i tuoi roditori abbiano mai visto, sognato o osato immaginare, farò in modo di tornare presto”

Chiuse bruscamente la chat e spense il telefono senza dar modo al ragazzo thailandese di replicare, l'idea di avergli mentito lo faceva sentire a disagio, emise un grosso sospiro e rimase appoggiato coi gomiti al parapetto dando le spalle alla pista.
Forse era meglio tornare in albergo prima che il coach scoprisse la sua “scappatella”; stava appunto ragionando sul da farsi quando un rumore, il suono inconfondibile dell'acciaio che incontrava il ghiaccio, attirò la sua attenzione.
Nel tempo che impiegò a girarsi il sibilo rauco e sottile lo raggiunse e lui si trovò intrappolato tra la barriera e una figura che lo sovrastava di quasi tutta la testa.
“Yuuri! Sai pensavo...”
Non avrebbe mai saputo a cosa pensasse Victor Nikiforov in quell'istante, la reazione del giovane giapponese fu immediata e istintiva, gettò un grido di puro terrore e lo spinse via con tanta forza da buttarlo a terra.
Poi gridò ancora appena si rese conto di ciò che aveva fatto e nella fretta di raggiungerlo incespicò e finì lungo disteso addosso a lui.

Fine sesta parte



† La voce della coscienza †

I pensieri di Victor, le speranze di Yuuri, le incursioni "social" di Phichit!
Phichit: se non ci fosse bisognerebbe inventarlo :D
Ringrazio tutti quelli che hanno inserito Filo di Lama tra le Preferite o le Seguite e chi mi lascia recensioni e commenti, che sono importantissimi per me :3
Chiedo venia se questo capitolo è breve e vi lascerà con l'ansia di conoscere il seguito, vi anticipo che il prossimo, proprio per non spezzarne la continuità narrativa sarà molto più luuuuuuuuuuuuuuuuuuuuungo :D

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Capitolo 7
*** Capitolo VII° ***


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Capitolo VII°


“Che entusiasmo!” esclamò l'uomo scostandogli i capelli dal viso “Ti sei fatto male?” il suo tono di voce aveva una sfumatura preoccupata.
“N-no... Sono atterrato sul morbido...” mormorò disorientato dalla caduta; Yuuri non seguiva un copione, certe battute gli uscivano spontaneamente di bocca e a garantire l'effetto comico era poi l'espressione scioccata del suo viso l'attimo successivo a quello in cui si rendeva conto di ciò che aveva detto.
Quando comprese il chi-cosa-dove tutto risalì a galla: crisi di nervi, campione di pattinaggio, ricerche su internet, novantenne? No probabile nipote e dulcis in fundo... Il sogno indecente.
Era facile leggere la stratificazione dei suoi pensieri, perché le guance prendevano una tonalità via-via più accesa, man mano che la mente faceva i vari collegamenti.
“Victor?” sussurrò incredulo, ormai consapevole di trovarsi ad un palmo di naso dal suo e soprattutto di essergli sdraiato sopra.
“Intendiamoci, non che mi dispiaccia” chiarì l'altro mentre le sue labbra si stiravano in una piega maliziosa “Però comincio a sentire freddo, vorresti...?”
Il giovane lo strinse con forza e lo sollevò quasi di peso per trovarsi a sua volta abbracciato a lui.

Questo file si autodistruggerà in cinque... Quattro... Tre...
Niente? Nessuna voragine in cui sprofondare?
Immagino non esista una fossa abbastanza profonda per me...


“Perché?” chiese in un sussurro soffocato dalla morbida maglia contro cui era premuto.
“Perché mi piace abbracciare le persone Yuuri! E poi dovresti scaldarmi, visto che è colpa tua se siamo finiti sul ghiaccio” ribatté l'uomo fingendosi contrariato.
Il giapponese lo prese per le spalle e si scostò da lui in modo brusco imponendosi uno sforzo sovrumano per guardarlo in viso nonostante l'imbarazzo “Perché sei qui, con quelli ai piedi” scandì impossessandosi della seconda persona singolare che l'altro usava con tanta disinvoltura, quanti anni potevano avere di differenza? Quattro al massimo! Al diavolo le distanze personali allora!
“Pattini, ghiaccio, palazzo del ghiaccio” indicò Victor tutto compunto, come se il nesso fosse ovvio “Mi abbracci adesso?”
“Come hai fatto ad entrare, il Palaforum oggi è chiuso al pubblico” Yuuri insistette deciso ad ignorare la provocazione, il colorito paonazzo delle sue gote assommava ora anche un certo disappunto “E-e non mi avevi detto di saper pattinare!”
“Ho mai affermato il contrario? Poi, se ben ricordo, non è stata una conversazione molto lunga”
“In effetti...”
L'uomo sorrise e sbuffò sollevando la frangia argentea che gli accarezzava la fronte “Ho i miei metodi per arrivare dove voglio davvero” disse e gli mostrò un pass dello staff tecnico col suo nome scritto sopra.
“E quali metodi hai usato per sapere che mi trovavo qui?” chiese sommessamente il giovane, mentre distoglieva lo sguardo, sentendosi un perfetto idiota.
“Fortuna immagino” gli sollevò il mento fino ad incontrare di nuovo i suoi occhi “E un po' d'intuito: avevi bisogno di verificare se ci fossero margini di miglioramento al tuo programma libero e hai capito che l'allenamento di domani non sarebbe bastato.”
“Nemmeno altri sei mesi basterebbero, forse aveva ragione Celestino, dovevo scegliere un tema più congeniale a me per il mondiale di quest'anno” ammise sconfortato il giovane.
Cosa gli era saltato in mente di prendersi il Vampiro come tema delle qualificazioni? Avrebbe dovuto ascoltare i suggerimenti del coach e optare per soggetti più facili da interpretare.
La presa di Victor divenne più forte e un bagliore metallico attraversò i suoi occhi.
“Basta recriminazioni, abbiamo sei ore scarse per trasformarti in un vampiro degno di questo nome”
“A-abbiamo?” perché parlava al plurale?
“Vuoi un punto di vista diverso da quello dei tuoi compagni, dei giudici e dell'allenatore oppure no? Considerato che finora non ho visto danzare un Principe della Notte, quanto piuttosto una vittima” la mano lasciò la stretta sul mento e si spostò verso il collo sfiorando con la punta delle dita la pelle sottile sotto cui pulsavano vene e arterie “Una vittima molto attraente, ma pur sempre destinata ad essere cacciata”
Yuuri deglutì anche se aveva la gola secca, la voce dell'uomo così vicina al suo orecchio era ipnotica, roca, tanto dolce da sembrare miele.



Come devo comportarmi con te Yuuri, nemmeno ti rendi conto di quanto tu sia desiderabile ai miei occhi!
La Sete mi sussurra cose innominabili che potrei farti prima di succhiare via fino all'ultima stilla di vita dal tuo grazioso collo.
Piuttosto dimmi: ti è piaciuto quel sogno?
È stato un regalo confezionato con cura, consegnartelo ha richiesto una certa maestria nell'uso di quelli che noi definiamo Doni del Sangue, ma ti risparmio volentieri i dettagli tecnici... Se solo sapessi... Se solo tu volessi...



“Si” una sillaba, tremula e lieve quanto una piuma oltrepassò la burrascosa barriera dei pensieri di Victor e lo sottrasse alla spirale scarlatta in cui stava precipitando “Certo che voglio la tua opinione e-e... Il tuo aiuto” disse in un filo di fiato rotto dall'emozione, poi con un piccolo, perfetto inchino aggiunse “Shite kudosai, per favore”
Come il vento spazzava le nubi dopo un violento temporale lasciando nell'aria solo il profumo salmastro del mare similmente l'uomo a quelle parole ritrovò il sorriso e l'atteggiamento svagato che al contempo piaceva ed imbarazzava Yuuri.
Si allontanò spingendosi fino al centro della pista e da quella distanza lui poteva azzardarsi ad osservarlo meglio, senza rischiare di morire di vergogna.
Il signor Nikivorof non era solo un aitante trentenne à la page; sotto gli strati di cachemire, fresco lana e batista nascondeva un corpo tonico, snello, una anatomia da atleta, o meglio da pattinatore.
Gli venivano in mente grappoli di aggettivi per descrivere il suo modo di gestire il rapporto con l'insidiosa superficie ghiacciata, ma tre spiccavano sugli altri: elegante, essenziale, espressivo.
La sobria tuta nera ne evidenziava i muscoli tesi nei salti, le geometrie perfette dei passi, esaltando i movimenti puliti e precisi sul bianco abbagliante, mentre eseguiva...
Un momento...
“Quella è mia coreografia!”
“Ohi-ohi l'hai riconosciuta alla fine?” Victor chiuse un toe loop che si trovava a circa tre quarti dell'esibizione e si fermò, era un elemento di disarmante semplicità che lui era riuscito ad impreziosire sfruttando abilmente il gioco di contrappesi degli arti.
“Si... Cioè no! È la mia, ma non è la mia... è... come dire... Cento volte meglio”ammise il giovane demoralizzato un attimo prima di domandarsi dove diavolo avesse trovato il modo di prepararla e come diavolo facesse a pattinare a quel livello senza avere un curriculum di medaglie lungo un chilometro.

Il piccolo investigatore che aveva in testa tolse la pipa di bocca e sentenziò: “Elementare Katsuki, se decidi di credere che abbia avuto un nonno campione del mondo tutto torna e, fidati, ti conviene rimanere su questa ipotesi, le altre ti regalerebbero un viaggio di sola andata per lo studio dello psicanalista...”
“Chiedere a lui no, vero?”
“Meglio non chiedere, se non sei preparato a sentire la risposta”
“Mi pare logico”
“Io sono la tua logica, avrai sempre risposte "logiche" da me, perciò da adesso in avanti me ne starò zitto e tu seguirai l'istinto; è l'unico in grado di stare appresso al tuo bel russo”




“In fondo ho solo spostato qualcosa qui e l'ho messa là” quasi avesse origliato il suo silenzioso ragionamento Victor attese alcuni istanti prima di proseguire “Cosa volevi raccontare del tuo vampiro in questo esercizio?”
“Che è una persona tormentata...” l'altro sgranò un sorriso che non riuscì a interpretare “Sbaglio?”
“Hai detto persona... Non mostro o Essere malvagio”
“N-no, no, sono persone, o comunque lo sono state, c'è ancora dell'umanità in loro e questo li rende malinconici, hanno un vuoto dentro, una... Nostalgia che non è possibile colmare”
“Senti-senti” rispose in un soffio appena udibile, la sua espressione si era ammorbidita lasciando trapelare qualcosa che al giovane pattinatore parve una vivida emozione “E il tuo vampiro ha provato a riempire quel vuoto?”
L'uomo strinse le sue mani e lo indusse a seguirlo sul ghiaccio in una lenta danza; erano il perno di un mondo che ruotava solo per loro, attorno a loro.
“Come tutti noi credo...” mormorò Yuuri specchiandosi nei suoi occhi “Cerca una creatura che possa completarlo, qualcuno simile a lui”
“Ah-ha e pensi che l'abbia trovata?”
La danza e il mondo si fermarono.
“È riuscito ad intravederla, solo per un attimo, sul fare dell'alba” Yuuri, appoggiato di schiena al suo petto, sollevò i palmi e nascose gli occhi “Prima che quella persona scomparisse nella luce e lui fosse costretto a nascondersi di nuovo nelle ombre” concluse circondandosi le spalle in un abbraccio che parlava di protezione e solitudine.
Le braccia di Victor si posarono sulle sue e dopo un momento che al giovane giapponese non parve abbastanza lungo disse piano “Mi hai convinto e forse convincerai anche i giudici” l'altro sembrò ricordarsi di come si faceva a respirare “Ma questo non basta, devi sorprenderli”
“C-cioè?” azzardò, intuiva che dopo il miele sarebbe arrivata la bastonata.
“I bonus Yuuri, ho visto che nei quadrupli e nei tripli tendi a sollevare solo un braccio, devi alzare entrambi se vuoi aggiungere decimali di punto, più decimali accumuli, più distanza metti tra te e i concorrenti che sono già virtualmente sul podio, è una questione di strategia, si sentono la vittoria in tasca e se tu tiri fuori dal cilindro qualche bel trucco forse e dico forse riuscirai a spiazzare le loro sicurezze, poi vogliamo parlare delle...”
Yuuri si era girato verso di lui e lo fissava allibito; altro che batosta, lo stava massacrando!
Quando provò a replicare venne respinto da un'onda anomala di critiche impietose, Celestino al confronto era una dama dell'Esercito della Salvezza!



Fine settima parte



† La voce della coscienza †

Potrei intitolare questo capitolo: How to train your little vampire. :D
Cosa non deve inventarsi Victor per spiegare a Yuuri come si interpreta un vampiro!
Il seguito e molto altro nell'aggiornamento di San Valentino... E ho detto tutto! :3

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII° ***


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Capitolo VIII°


Diverso tempo più tardi (il giapponese non avrebbe saputo dire quanto, perché da un pezzo aveva smesso di guardare il grande orologio a parete, o meglio, colui che era diventato il suo allenatore facente funzione semplicemente non gliene aveva dato modo) ormai allo stremo delle forze alzò una mano e la mosse come a dire “basta”. Aveva finito il fiato per formulare la richiesta a parole e chissà se lo avrebbe recuperato per la finale dell'indomani.
Poteva dirglielo prima, in fondo Victor non gli aveva imposto quella specie di prova di forza e nemmeno lo stava minacciando con una frusta anche se... Una frusta da qualche parte poteva nasconderla davvero.
Tuttavia era in grado di giudicare da sé che coi suoi suggerimenti e le rifiniture maniacali di certe combinazioni di passi il suo Libero era cambiato, era salito ad un livello superiore.
“Può bastare” convenne l'uomo raggiungendolo; si era sempre attribuito tra le poche qualità, quella di essere molto resistente alla fatica, però il russo lo batteva di gran lunga, avanzava verso di lui con grazia, senza dare segni di stanchezza e si erano esercitati insieme fino ad un attimo prima!
“Ti ritieni soddisfatto? Un cenno vuol dire si, due no” disse vedendolo al limite.
“Molto spiritoso...” sibilò il giovane scoccandogli un'occhiata di traverso.
“Ohi-ohi, vedo che hai ancora un po' di energie per rispondere, allora potremmo ritornare su...”
“No! Cerca di essere comprensivo se vuoi vedermi gareggiare domani sera! Sono... Più che soddisfatto... Ecco.. Soddisfatto non rende bene l'idea”
Fece per aggiungere altro, ma senza alcun preavviso le luci dell'impianto si spensero e i due piombarono nella totale oscurità; Yuuri, che aveva un modo tutto suo di reagire agli eventi esterni, trasalì spaventato e venne subito inghiottito dall'abbraccio di Victor.
“Paura del buio?” gli chiese stringendolo a sé.
Il più giovane fu tentato di dire di sì, solo per prolungare la piacevole sensazione di calore che gli veniva da quel gesto e l'uomo sembrò interpretare la mancata risposta nel verso giusto.
In silenzio prese ad accarezzargli i capelli e ad ascoltare il battito del suo cuore farsi più calmo e regolare, almeno fino a quando qualcuno all'altro capo dell'impianto spinse con malagrazia un maniglione antipanico e fece entrare una lama di luce che ne frugò indispettita i recessi fino a incontrare le due figure.
“Lo sapevo che erano ancora qui! Ehi voi due, stiamo chiudendo, sbrigatevi ad uscire!” a quel punto Victor stava già scivolando placido in direzione della torcia.
“Siamo spiacenti, il tempo è volato, possiamo fare una doccia veloce?”
Il giapponese non ne era certo, data la distanza e l'oscurità, però doveva aver passato qualcosa ai due custodi, il cui tono si fece subito più disponibile e conciliante.
“Ok, mezz'ora e poi si chiude”
Quando tornò a recuperarlo aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
“Andiamo a farci la doccia Yuuri, non voglio che tu esca sudato, rischi di prendere una polmonite!”
Elaborò col solito tragico ritardo il motivo per cui il russo fosse tanto contento di fare la doccia, in effetti c'era solo “un motivo” ed era di una chiarezza lampante.
Oddiosantissimo abbi pietà...



In definitiva si trattava di qualcosa che aveva fatto centinaia di volte; condividere gli spazi comuni dello spogliatoio con persone dello stesso sesso faceva parte della sua quotidianità esattamente come le battute di Christophe e le irruzioni di Phichit!
Tuttavia non si decideva ad uscire dalla sua cabina e teneva le orecchie tese allo scroscio d'acqua della doccia accanto alla sua.
È tutta questione di tempistiche pensava se esco prima e mi rivesto al volo evitiamo situazioni imbarazzanti, o meglio molto più imbarazzanti di questa!
L'idea diabolica era di sgattaiolare fuori lasciando il rubinetto aperto, andare a vestirsi e poi tornare a richiuderlo, Victor sembrava essersi sprofondato nella cabina, non si sarebbe accorto di niente!
Uscì dal cubicolo zampettando in punta di piedi verso le panche dove aveva lasciato il borsone e ci sarebbe anche arrivato se all'improvviso la tenda della doccia a fianco non si fosse aperta a mo di sipario ed il suo contenuto, nella gloria della tenuta adamitica, non avesse esclamato “Yuuri! Hai già finito? Non pensavo fossi un tipo da sciacquata veloce e via!”
Il soggetto chiamato in causa si appiattì contro la parete opposta e considerò seriamente l'idea di cavarsi gli occhi, dato che, per quanto si sforzasse, il suo sguardo cadeva sempre lì!
“...”
“Tutto bene?” Victor uscì a sua volta afferrando con noncuranza un asciugamano che, a somma disperazione del giapponese, non mise attorno alla vita, bensì in testa.
“P-perché me lo chiedi?”articolò a fatica cercando di sembrare naturale.
L'uomo si girò rivolgendogli un sorriso sornione “Quando si risponde a una domanda con un'altra domanda di solito si vuole nascondere qualcosa, cosa mi nascondi Yuuri?”
“Heh-he... Cosa potrei nascondere?” chiese aprendo le braccia.
Maledisse la sua boccaccia che aveva partorito l'ennesimo doppio senso ottenendo l'effetto opposto a quello desiderato: Victor lo raggiunse col fare indolente del grosso felino che era riuscito a mettere all'angolo la preda, puntellò le mani al muro retrostante e chinò la fronte fino ad incontrare la sua.
“V-victor?” chiese con la voce strozzata.
“Ssst! Posso sentirli...”
“Sentire... Chi?”
“I cattivi pensieri, l'ansia, le insicurezze che si agitano lì dentro”
“Ci convivo da sempre, ad alcune ho dato per fino un nome!”
“Non va, bisogna provvedere...” sussurrò sfregando lentamente il naso contro il suo, mentre gocce d'acqua ormai fredde gli piovevano sul viso e rotolavano giù segnando un percorso di piccoli, piacevoli brividi “Sei d'accordo?”
Yuuri avrebbe concordato anche se gli avesse chiesto di saltare dentro un lago di lava bollente, però, alla luce di quanto sperimentato nelle ore precedenti continuava a chiedersi dove fosse l'imbroglio.
“Nessun imbroglio...” bisbigliò sulle sue labbra; ma considerate le pietose condizioni emotive in cui si trovava a lui arrivò solo un mormorio intellegibile.
“Victor” stavolta il suo nome fu una preghiera “Se i custodi entrassero...”
“Non verranno, non verrà nessuno”
Lui aveva tentato di far prendere agli eventi una piega diversa o perlomeno ci aveva provato, ma il debole barlume di resistenza si era sciolto nel primo bacio insieme all'ansia, alle paure, alle insicurezze e la sua anima galleggiava leggera, tanto in alto da rischiare di sfuggirgli dalle dita.



Domani sera a quest'ora sarà tutto finito.
Che ne sarà di te Yuuri e che ne sarà di me?
Ho guardato sotto le tue indecisioni, il senso di inadeguatezza, le delusioni e mi sono trovato a dover rincorrere il filo della tua anima, che stava volando via, solo per qualche piccolo bacio.
Nessuno degli insegnamenti di Yakov è applicabile con te “Quando t'imbatti in qualcosa di rotto fa in modo di aggiustarlo”
Il problema è che il tuo ingranaggio non è rotto, funziona benissimo, ha un movimento tutto suo, forse fuori sincrono e incoerente, ma bellissimo.
Rimarrei ad ascoltarne il ticchettio fino all'alba; si accorda in modo gentile al tuo respiro leggero, mentre dormi.




“Uhm? Hai detto qualcosa Victor?” il giovane si stropicciò le palpebre e alzò la testa guardandosi attorno.
“Che siamo arrivati in hotel” l'uomo allentò la presa attorno alle sue spalle e gli sorrise.
“Devo aver chiuso gli occhi per un attimo”
“Si, giusto un attimo”
Inutile dirgli che una volta saliti in auto era crollato dalla stanchezza, era stato piacevole sentire su di sé il calore e l'abbandono naturale del suo corpo; tutto era dannatamente piacevole con lui, forse troppo; per questo aveva rigettato l'impulso della Sete, non sapeva se sarebbe riuscito a fermarsi.
“Che ore sono?” in cerca di un riferimento lo sguardo di Yuuri cadde sul cruscotto e ciò che vide sul display digitale lo allarmò “Devo rientrare, Celestino mi ucciderà...”
“Ormai il danno è fatto” disse l'altro dimostrando una buona dose di fatalismo nell'incrociare il quadrante che segnava un orario ben oltre la mezzanotte “Sei sicuro di non voler mangiare qualcosa prima?”
Il giapponese scosse ripetutamente la testa, ormai era altrove; quel mondo che non era più il suo glielo stava strappando dalle mani e lui doveva, a malincuore, lasciarlo andare.
“Non riuscirei a mandar giù nemmeno un bicchier d'acqua”
La sua pena era equamente divisa tra l'ansia di affrontare le ire del coach e il dispiacere di doversi congedare da Victor perciò il russo si offrì di farsi carico almeno della metà di quel tormento.
“Vuoi che gli parli io?”
“No! Ci penso io, so come prenderlo... Almeno spero”
“Celestino Cialdini è un ottimo coach”
Stranamente la conferma alle sue parole si faceva attendere, sapeva della stima e dell'affetto per l'allenatore, era una delle tante informazioni carpite quasi senza sforzo dalla sua amabile e confusa testolina.
Yuuri taceva e si torceva le mani, sembrava sul punto di fare una rivelazione epocale, di quelle che cambiavano la vita di milioni di persone.
“Lo è” ammise infine “Gli devo molto, è per merito suo se sono arrivato fin qui... Però...”
“Però?”
“Domani sera...” s'indovinava l'enorme fatica del giovane nel trovare le parole giuste per descrivere qualcosa che nemmeno a lui era del tutto chiara “Domani sera non è lui che voglio impressionare, né i giudici, né gli altri pattinatori o il pubblico! Victor voglio che tu mi guardi, voglio riuscire a sorprenderti almeno una volta prima di... Prima...” l'emozione divorò l'ultima parte del suo discorso e lo tradì, grosse lacrime gli annebbiarono la vista nonostante si fosse imposto di mantenere il controllo.
“Ohi-ohi siamo daccapo...” lo riprese benevolo l'altro, gli strinse le mani tra le sue e le portò alle labbra “Pensiamoci quando i riflettori si saranno spenti, va bene? Io sarò là, comunque vada la finale non ti toglierò gli occhi di dosso”
“É una promessa?” chiese Yuuri tra i singhiozzi.
“Un detto buddhista recita: Non fare promesse quando sei felice”
“E tu adesso sei felice... Victor?”
“Come poche volte nella mia vita”
“Bene... perché se lo sei tu, lo sono anche io”


Ridi e piangi allo stesso tempo, ti disperi e riesci già a guardare oltre domani, che disastro sei Yuuri, che meraviglioso disastro!



Fine Ottava parte



♥ La voce della coscienza ♥

Un bel capitolo "corposo" e fluffoso per San valentino che spero apprezzerete, ma la strada ahinoi è ancora tutta in salita!
Baci fluffosi e più Victuury per tutti! *-*

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Capitolo 9
*** Capitolo IX° ***


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Capitolo IX°


Il senso di pace in cui il giovane pattinatore fluttuava ancora dopo essersi accomiatato da lui sparì appena oltrepassate le porte a vetri dell'albergo: Celestino era seduto nella hall e lo stava aspettando a braccia conserte, giudice, giuria e boia schierati insieme.
Il cipiglio severo, sul blocco granitico della sua persona fece svanire quel poco di sicurezza che aveva racimolato e rimpianse di aver rifiutato la proposta di Victor, di parlamentare con lui.
Quando il coach si accorse del suo ingresso e ne incrociò lo sguardo il giapponese fu davvero tentato di girarsi e scappare, peccato che documenti e passaporto fossero ancora in camera.
“Celestino posso spiegare...” cominciò, era chiaro che Phichit aveva parlato e se non lo aveva fatto, il grosso borsone sportivo che si tirava dietro era già un indizio di colpevolezza sufficiente “No. In realtà non posso”
L'uomo inarcò un sopracciglio e Yuuri inspirò.
L'hai combinata grossa stavolta... pensò di fronte al prolungato silenzio del coach.
“So che sei arrabbiato, m-ma se vuoi cacciarmi, rimproverarmi, rispedirmi a casa ti prego, ti prego, ti prego! Attenti almeno di vedere il libero di domani!”
Come faceva a rimanere in collera con un soggetto così, che a mani giunte si stava profondendo in scongiuri e inchini nella Hall dell'albergo davanti a tutti?
Alla fine Celestino esalò un rumoroso sospiro e bofonchiò “Ne riparliamo a colazione”
“Oh! Grazie! Grazie!”
“Aspetta a ringraziarmi, adesso fila a letto e guai a te se sento anche un solo lamento domani, perché oggi hai lavorato come un pazzo invece di riposarti!”
A quel punto Yuuri si aspettava uno di quegli scapaccioni che l'altro era solito distribuire durante gli allenamenti, invece con grande sorpresa la sua mano gli si posò sulla testa in una ruvida carezza prima di mandarlo verso gli ascensori.
Forse si sbagliava, ma gli occhi del suo allievo oltre ad essere arrossati dal pianto, avevano una luce diversa, un guizzo di follia, di temerarietà che gli era piaciuto e se faceva tanto a mantenerlo fino all'indomani...
Chissà! Magari era la volta buona che poteva vederlo sul podio.



In camera trovò Phichit intento a scavare un solco sul pavimento col suo nervoso via-vai; lo aspettava e quando lo vide entrare gli buttò le braccia al collo esclamando “Allora sei vivo!”
“Non grazie a te!” il giovane provò a fare la faccia scura, ma il suo compagno di squadra aveva i lucciconi agli occhi, segno che si era preso un bello spavento e probabilmente anche una lavata di capo dal coach per avergli nascosto la sua fuga.
“Comunque è andata...” sospirò e il thailandese ritrovò il sorriso.
“Sai aveva cominciato a imprecare in italiano e se lo fa si mette male, ho avuto paura...”
Yuuri lasciò il borsone dietro la porta e scosse blandamente la mano, come a dire che non importava, voleva solo andare a dormire, ammesso di riuscirci dopo l'altalena di emozioni della giornata.
“Non fai la doccia?”
A quelle parole il giapponese, che si stava infilando il pigiama, si girò e lo fissò come se avesse appena visto un serpente “No! Niente doccia!!!”
“Ma...”
“Ahm... L'ho fatta prima di uscire dal Palaforum” si giustificò consapevole di essere arrossito, terminò in fretta di vestirsi e si imbozzolò nelle coperte augurandosi che Phichit fosse abbastanza stanco e perspicace da fare altrettanto.
“Yuuuuuri” ovvio che aveva fatto i conti senza l'oste “Hai poi trovato questo Nikiforov?”
“Eh?” una reazione esagerata lo spinse a balzare sul materasso e ad accendere la luce per osservare meglio il ragazzo dalla pelle ambrata che lo fissava sorridente dal suo letto “P-perchè me lo chiedi?”
“Uhm... Perché non hai cancellato la cronologia forse? Cosa sei andato a fare su youporn? È un tipo da filmini amatoriali il tuo signor Nikiforov?”
“Certo che no!” Yuuri ormai era di una tonalità bordeaux uniforme, spense l'abat-jour e cacciò la testa sotto i cuscini “Erano delle false piste e comunque non c'è niente di interessante su di lui...”
Trascorsero svariati minuti in cui il pattinatore giapponese rimase immobile come una mummia sperando di farla franca, ma poi...
“Yuuuuri”
“Phichit... è tardi...”
“Me la compri lo stesso la casetta dei criceti?”
Dal letto vicino si levò un sospiro sconfitto “Certo che te la compro”



Il mattino seguente era previsto un leggero allenamento degli atleti finalisti, ma, fatto abbastanza sorprendente per gli altri, invece di provare il suo esercizio Yuuri si trattenne a lungo in disparte con Celestino.
I due confabulavano a bassa voce e ogni tanto l'italiano si passava una mano sulla fronte e annuiva o dissentiva a seconda delle spiegazioni fornite dal suo allievo.
Phichit, che stava provando alcune sequenze di passi, si sentì afferrare per le braccia e venne trascinato dalla parte opposta della pista.
“Ehi, ma che diav...”
Da un lato c'era Christophe e dall'altro Michele, il tigrotto russo li seguiva a breve distanza e aveva un'espressione truce, da far paura.
“Allora che succede al nostro cher Yuuri?”
“Niente! Che volete che succeda? Heh-he...”
“Guarda che non siamo né ciechi né sordi, da ieri qualcosa bolle in pentola” insistette Michele a cui piacevano le metafore culinarie.
“Ha intenzione di mollare prima della finale?” se i primi due erano i poliziotti buoni, Yuri Plisetsky era quello molto, molto cattivo “Perchè se lo fa...” terminò la frase con un gesto esplicativo: strinse il pugno finché le ossa non emisero un sinistro scricchiolio “Mi sono spiegato?”
“C-chiaro come il sole...” balbettò il giovane thailandese, che guardò oltre le spalle dei suoi sequestratori e vide che finalmente il compagno di squadra aveva terminato la riunione a porte chiuse e stava scendendo in pista “Visto?” lo indicò con enfasi “Doveva solo chiarire alcuni passaggi dell'esercizio col coach!”
I tre parvero persuasi, ma Plisetsky aggiunse “Ricordati che vi tengo d'occhio. Tu e quel mangiariso”
Phichit decise di accogliere l'interrogatorio come manifestazione di affetto e preoccupazione nei confronti dell'amico, sul russo non poteva mettere la mano sul fuoco, però se lo fece bastare.
La verità era che nemmeno lui sapeva cosa era successo la sera prima; Yuuri voleva apportare dei cambiamenti al programma, non qualche piccola correzione, ma variazioni sostanziali e farle digerire a Celestino doveva essere stato piuttosto difficile.

Fine nona parte



† La voce della coscienza †

Con sommo spegio del pericolo ho deciso di sfidare la sorte e pubblicare di Venerdì 17 ^^
In questo capitolo ci avviciniamo alla sera della finale, nella quale accadrà... Un po' di tutto ^^
Boccaccia mi statti zitta o potrebbe arrivare il Tigrotto ^^
Vi rimando al prossimo aggiornamento e vi ringrazio del supporto e del gradimento che dimostrate ai miei "viaggi mentali" ^^
Abbracci portafortuna a tutti! ^^

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Capitolo 10
*** Capitolo X° ***


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Capitolo X°


Diamine mi stanno fissando tutti... Pensò, sbirciando nello specchio mentre dava gli ultimi ritocchi al costume Sapranno già del casino che ho combinato ieri...
Quando fece per girarsi, gli altri tornarono in fretta e furia alle loro cose, simulando il più totale disinteresse per lui.
Yuuri sospirò e tornò a prepararsi.
Gli allenamenti della mattina erano stati l'occasione di chiarirsi col coach, spiegargli come intendeva presentare il suo libero era stato più semplice del previsto e sorprendentemente Celestino lo aveva ascoltato e aveva deciso di dargli fiducia.
“Forse è la più grossa stupidaggine che farò nella mia carriera, ma se sei pronto a rischiare ti sosterrò al cento uno percento!” aveva detto prima di piazzargli una pacca sulla spalla che lo aveva piegato in due.
Di Victor nessuna traccia, sapeva (e doveva saperlo anche il russo) che se lo avesse visto prima della finale la sua determinazione si sarebbe sciolta come neve al sole; quell'uomo riusciva a sconvolgerlo più di quanto fosse disposto ad ammettere. Non era venuto a visitarlo neppure in sogno, anzi una volta rassicurato Phichit era sprofondato in un sonno pesante da cui al mattino si era svegliato a fatica.
A quell'ora però doveva aver già preso posto tra il pubblico, magari in una posizione dotata di una buona visuale sulla pista e lo stava aspettando!
Più che un auspicio, si trattava di una certezza, sebbene da dove derivasse non poteva dirlo nemmeno lui; era una sensazione chimica, quasi a livello cellulare.
Cercò di sbrigarsi, nonostante i bottoni del panciotto opponessero resistenza.
“Très mervilleux mon cher!” tubò Christophe piazzandosi davanti a lui “Lascia che ti aiuti, ho una certa pratica di bottoni e cerniere....”
Lo svizzero aveva la capacità di trasformare anche la frase più innocente in una equivoca allusione a sfondo sessuale, forse per questo aveva scelto per sé il ruolo del demone succube, il costume rosso e nero pieno di tagli e trasparenze del resto gli calzava a pennello.
“Che vampiro magnifique! Me lo farei dare un morso da te...” rincarò la dose terminando di allineare il suo papillon e il cordone di seta rossa col pendente smaltato.
“P-possiamo riparlarne dopo la finale?”
“Guarda che ti prendo in parola...”
Yuuri te le vai proprio a cercare! Si riproverò.
“Ullallà! E questa?” chiese sollevando il rever della giacca sul cui occhiello era appuntato un bocciolo di rosa nera “Un messaggio segreto per il misterioso ammiratore...”
“Potrebbe essere un'ammiratrice!” esclamò il giapponese arrossendo, demonio di un Giacometti, le indovinava tutte!
“In ogni caso è parfait!” e a sottolineare la sua approvazione lo congedò con una pacca sul fondoschiena.



Quando venne annunciato il suo nome e le prime note dell'Appassionata dilagarono sulla pista Yuuri aveva già risolto tutti i dubbi e le incertezze che di solito lo tormentavano fino alla fine dell'esercizio. Stavolta non avrebbe permesso all'ansia di sopraffarlo; avrebbe attraversato i passaggi della coreografia uno dopo l'altro, senza esitazioni, fino alla fine.
Qualunque fosse stato il risultato...

“L'Appassionata di Beethoven...”
“Hai da ridire perfino sulla musica? Mi sono ispirato al libro di...”
A Victor non sfuggì la nota polemica e, dopo una breve risata, lo interruppe “Guarda che li leggo anche io certi libri... Li trovo piuttosto... Divertenti”
“Divertenti?”
“O istruttivi se vuoi, comunque la musica mi piace, solo mi domandavo... La senti tua? Questo giovane vampiro ha la passione dentro di sé?” chiese guardandolo fisso in quel modo sfrontato e curioso che lo imbarazzava tanto.
“Se volesse sedurre qualcuno certo! Certo che l'avrebbe!” fu la veemente risposta.
Il russo rise ancora e gli diede un buffetto sotto al mento “Allora prova a sedurre me”


Lo aveva cercato dal momento in cui era uscito dagli spogliatoi, impresa non facile dato che il palazzetto era gremito di pubblico fino alle ultime file e quelle più lontane erano avvolte nella penombra.
Lo cercava ancora, mentre ascoltava gli ultimi consigli di Celestino e rispondeva agli incoraggiamenti degli altri pattinatori, poi, alla conclusione del primo quadruplo il giro di chiusura lo portò ad inquadrare una porzione defilata delle gradinate, vicino ad una rampa d'accesso notò un guizzo argenteo, una figura elegante, appartata e prima di allontanarsi verso una nuova combinazione di salti riuscì a cogliere un sorriso e una grossa rosa nera che spiccava sul chiaro del cappotto.
“Victor aspettami, non andare via! C'è una cosa che ieri non ti ho detto... Quella persona che il vampiro ha intravisto prima dell'alba... Eri tu”



Qualcun altro seguiva l'esercizio del giapponese a bordo pista, ma in tutt'altra disposizione d'animo “Che diavolo s'è messo in testa il mangiariso?” ringhiò Yuri Plisetsky creando un singolare contrasto tra le sembianze eteree da fata dei ghiacci del suo costume e l'espressione feroce che aveva dipinta sul volto.
“S'è messo in testa di vincere” rispose leggiadro e ironico Christophe “Ed era ora direi...”
“Hai rivoluzionato tutta la coreografia! E TU lo sapevi!” esclamò il russo puntando il dito su Phichit; il thailandese scomparve dietro le spalle di Michele prima che il tigrotto gli saltasse alla gola.
“Guarda che gli elementi sono gli stessi! E smettila di accusarmi come se fossi un traditore, io non sapevo un bel niente, voglio vincere l'oro come tutti qui!” Phichit fece capolino e poi tornò a rintanarsi “Probabilmente però... Yuuri lo vuole più di noi”
“Ma brutta specie di...”
“Hey! Siamo nervosetti!” Jean Jeaques Leroy si era intromesso nella discussione “Pare che il podio non sia più una threesome, i giochi si sono riaperti, ti dispiace principessa? Hai paura di prenderti qualche rischio?”
“A me dispiace, se lo chiami principessa” l'intervento di Otabek Altin fu la goccia che fece traboccare il vaso, gli allenatori si avvicinarono per ricondurre le rispettive pecorelle all'ovile prima che dalle parole passassero ai fatti. Era meglio evitare una rissa in mondovisione.

Yuuri non si rese conto di quello che avveniva oltre il parapetto, terminò il suo pezzo a filo del tempo regolamentare concesso e nonostante la fatica che gli spezzava il respiro rivolse lo sguardo a quel punto della gradinata, nascosto dietro le luci abbaglianti dei riflettori e sgranò un largo sorriso.
Ho fatto degli errori?
Sei ancora felice?
Sono riuscito a sorprenderti?


Il pubblico applaudiva, lanciava fiori e pupazzi, il cronista parlava di una performance impressionante, ma tutto gli arrivava come un ronzio confuso; senza sapere come riuscì a riguadagnare il cancello d'uscita dove Celestino lo stritolò in un abbraccio e lo trascinò quasi di peso al kiss and cry.
L'annuncio del punteggio tardava, ogni secondo di attesa era una stilettata nel cuore del giovane pattinatore e un capello bianco in più sulla testa del suo coach, ma alla fine quando venne annunciato la votazione e mostrata la nuova classifica gli spettatori esplosero in un altro applauso e Celestino gli urlò nelle orecchie qualcosa riguardo al suo record personale e al primo posto, provvisorio certo, ma con un distacco importante dagli altri, che lo metteva davvero a rischio di vincere una medaglia.
“Ha-ha-ha! Ragazzaccio, hai preso più bonus di quanti ne potessi contare!”
Yuuri lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
“I Bonus... Victor!”
“Uhm?”
“Celestino devo andare! Devo vedere una persona!”
Il giovane scattò in piedi e corse via, lasciandosi il coach e le sue contumelie alle spalle.



Togliere i pattini fu un'operazione complicata e probabilmente gli fece perdere tempo prezioso, ma non poteva avventurarsi sulle gradinate coi coprilama.
Puntò dritto al settore in cui lo aveva visto dalla pista col il cuore il gola e non solo per la corsa.
La rampa d'accesso era deserta, e tra gli spettatori delle file circostanti Victor non c'era; qualcuno però lo riconobbe: mani e fiori si sporsero verso di lui e lo trattennero per saluti e congratulazioni.
Una volta libero tornò di sotto, nei corridoi dove la folla defluiva all'esterno c'erano i soliti irriducibili drogati di caffeina e parole che conversavano al cellulare in una miriade di lingue diverse.
Dove sei Victor?
Gli sovvenne del pass da tecnico sportivo che aveva mostrato il giorno prima; poteva essere nella loro area riservata?
Diede poi un'occhiata alla sala stampa, ma senza arrischiarsi di entrare, se i giornalisti lo vedevano addio ricerca! Ricerca che, tra l'altro, si stava facendo sempre più difficile e più si riducevano i posti in cui guardare più la sua ansia cresceva stringendogli lo stomaco, i polmoni e infine la gola.
Alla certezza di saperlo lì si era sostituita una terribile sensazione di vuoto.
Provò all'ingresso, dove gli addetti alla biglietteria si godevano la serata ormai tutta in discesa tra una sigaretta e un paio di chiacchiere.
Gli chiese se avevano visto uscire un uomo in quei ultimi minuti; la descrizione di Victor e la sua aria sconvolta gli fruttarono un po' di umana comprensione, ma nessuno aveva visto passare una persona del genere, diamine, se lo sarebbero ricordato e no, giuravano che nessuno di loro si era mosso da lì.
Si diede un'ultima chance, uscì e guardò nel parcheggio pieno zeppo di auto; tra Suv, utilitarie, monovolume e berline nessuna sembrava corrispondere a quella del russo.
Dove sei Victor, maledizione!
Dall'interno arrivavano a cadenza regolare applausi e esclamazioni d'incitamento: qualcuno dei ragazzi era caduto o aveva sbagliato; avrebbe dovuto essere là ad incoraggiarli come tante volte avevano fatto con lui, ma riusciva solo a pensare a Victor; Victor che sapeva di non poter mantenere quella promessa, Victor che forse era deluso, Victor che se ne era andato e lui lo aveva perso.
Stupido asociale! Le persone normali si scambiano telefoni o indirizzi mail, sai quelle cose che servono per rintracciarsi quando le circostanze impongono una separazione!
Perché non ci aveva pensato prima? Egoisticamente si era goduto attimo dopo attimo la sua compagnia, il suo aiuto e peggio del peggio, gli aveva scaricato addosso le sue paranoie e le frustrazioni, quale persona sana di mente avrebbe voluto stare appresso ad uno spostato del genere?

Lo trovarono nascosto nell'interstizio tra il distributore di bevande e una fila di sedie, seduto a terra con la testa tra le mani che piangeva a dirotto.
“Ossignore!” imprecò Celestino, mentre Phichit faceva del suo meglio per metterlo in piedi e lui li supplicava di lasciarlo in pace.
“C'è la premiazione Yuuri! La Medaglia! Ti stanno aspettando!” l'emozione palese nel tono del compagno di squadra lo scosse un po'.
“Me-medaglia? Chi? Cosa?...” chiese a stento, coi grossi lacrimoni che gli sbavavano il khol sulle guance.
“La medaglia d'oro Yuuri! La tua medaglia d'oro!”



Chert voz'mi! ... Passerà alla storia come il mondiale delle lacrime“
L'interno della berlina tedesca era illuminato dal flebile bagliore di un tablet, sui sedili posteriori sedeva un uomo tarchiato, sulla cinquantina, con un cappello e un cappotto grigio ferro, senza fronzoli, come il suo modo di esprimersi “Non capisco se piange di gioia o di disperazione”
“Ah, io credo di saperlo” le dita guantate di Victor sfiorarono lo schermo accarezzando il viso disfatto dal pianto del suo magnifico disastro “Yakov, dimmi qualcosa che mi faccia stare dannatamente bene o dannatamente male”
Lo sguardo si velò insieme alla voce.
L'uomo al suo fianco emise un profondo sospiro e poi sbraitò in crescendo “E tu mi hai fatto alzare il culo dal mio locale preferito di Pietroburgo per scapicollarmi qui in un viaggio aereo infernale solo per consolarti?”
L'espressione afflitta dell'altro passeggero era eloquente.
“Merda... Vitya”
Yakov sospirò di nuovo, si massaggiò le tempie e provò a farsi venire qualche idea.
“D'accordo ascolta: tempo una settimana e il tuo pechinese...”
“È giapponese...”
“Tanto ha sempre gli occhi a mandorla! Il tuo giapponese sarà talmente ubriaco di sponsor, interviste, pubblicità e promozioni che non si ricorderà nemmeno se è esistito un Victor Nikiforov!”
“Questo dovrebbe farmi stare meglio o peggio?”
La risposta fu preceduta un'interiezione irripetibile “Capisci anche tu che non puoi portare una persona così... Così fragile nel nostro mondo!”
“Stasera si è dimostrato tutt'altro che fragile”
“Perché Dio, l'Universo, il Fato o chi per Esso casualmente stavano guardando verso di lui, ma domani? Dopodomani? Tra cento anni?” Il più giovane reclinò il capo sul poggiatesta e chiuse gli occhi “Ok, questo fa male”
“É mio dovere dirti anche le cose sgradevoli, fattene una ragione, se è scaltro camperà fino alla vecchiaia sfruttando il nome e la notorietà”
“Vorrei poterti credere, sai?”
“Però farai di testa tua come sempre” nel tono del suo mentore era palese una rassegnata consapevolezza, d'altronde l'aveva cresciuto lui, prima come atleta, poi come creatura notturna. Fece un cenno all'autista e la macchina partì lasciandosi alle spalle il Palaforum di Assago illuminato a giorno.

Fine decima parte



† La voce della coscienza †

-si avvicina con cautela agitanto una bandiera bianca- vengo in pace non sparatemi!
Ebbene si, come preannunciato nel capitolo "X" succede un po' di tutto, non ultima la terribile carognata di un Victor che abbandona Yuuri senza preavviso proprio dopo che lui ha vinto la tanto agognata medaglia d'oro.
Ma! (c'è sempre un MA a questo punto)
Ma se avete fede (e un po' di pazienza) vedrete che le pene d'amore del nostro giappino arriveranno a soluzione, come è giusto che sia.
Già dal prossimo aggiornamento vi preannuncio novità e momenti di riscatto! *-*

E adesso un paio di precisazioni tecniche:
La Colonna sonora del libero di Yuuri è il primo movimento dell'Appassionata di Beethoven https://www.youtube.com/watch?v=CdC5aG03gkQ fino al minuto 4.32.
La citazione velata del libro da cui la trae è naturalmente The Vampire Armand di Anne Rice, uno dei miei libri preferiti in assoluto ^^
Chert voz'mi! invece dovrebbe significare “Dannazione” in russo, ma accetto consigli da studenti o madrelingua se fossero nei paraggi ^^

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Capitolo 11
*** Capitolo XI° ***


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Capitolo XI°


Arrivare alla sera del Gala senza andare in frantumi fu un altro di quei miracoli su cui Yuuri ormai aveva smesso d'indagare da qualche giorno a questa parte; si stupiva di sé stesso, di come potesse trovare la forza di scrivere un nuovo autografo, stringere mani o anche solo sorridere.
Perchè “doveva” sorridere, non fosse altro che per il fatto di avere appesa al collo quella medaglia; il suo peso gli ricordava che si, era reale, tangibile, concreta, era davvero sua, ma doveva obbligarsi a rammentare di averla guadagnata dopo una vita di sacrifici e rinunce.
Continuava a ripetere e a ripetersi come un mantra che la doveva a Celestino, alla sua famiglia, agli amici, a chi aveva creduto in lui fin da piccolo e gli aveva permesso di muovere i primi passi sul ghiaccio e si sentiva il più abbietto degli egoisti solo a dubitarne.
Eppure sapeva di aver abbandonato nell'ombra proprio chi era stato in grado di prenderlo e scaraventarlo quasi contro la sua volontà sul gradino più alto del podio; pensare a lui, a quello che provava per lui lo faceva sentire perfino peggio.

“Vuoi cambiare la colonna sonora... Adesso?” Celestino trasecolò “Stasera c'è l'esibizione! Bisogna avvisare i tecnici audio, quelli delle luci e poi... Poi la coreografia, come pensi di riuscire ad adattarla in meno di sei ore?”
“Oh, sono più che sufficienti credimi” Yuuri gli rivolse uno dei suoi sorrisi migliori e si picchiettò la fronte “L'ho già tutta in mente, pensi tu ad avvisare i tecnici allora?” gli fece gli occhioni dolci e il suo coach alzò le mani in segno di resa sacramentando qualcosa di intraducibile nell'idioma natale.




Il Gran Gala chiudeva il Campionato del Mondo di Pattinaggio di Figura; per gli atleti era poco più di una passerella su cui sbizzarrirsi con coreografie e costumi stravaganti senza la pressione di un giudizio o il timore di sbagliare.
Di solito snobbavano gli esercizi troppo complicati, preferivano evitare i rischi di incidenti affidandosi alla verve comunicativa e all'ironia per stupire il pubblico.
A onor del vero il suo allenatore apprezzava la scelta del nuovo brano musicale; trovava Requiem for a Dream a dir poco deprimente, perché era come ammettere che quello era l'addio alla carriera del suo giapponese; invece Una furtiva lagrima dall'Elisir d'amore gli gonfiava il petto d'italica fierezza; amava l'Opera almeno quanto amava la grappa e il pattinaggio.
Cominciò a stramaledire la scelta dell'allievo e la sua superficialità nell'appoggiarlo dopo il primo quadruplo Flip; Yuuri passò in un attimo dalla categoria “Guardatelo, quello è il mio ragazzo!” a “Ti uccido appena esci dalla pista!”

“Ah, è così romantico...” cinguettò Christophe.
“È uno stronzo esibizionista!” gli fece eco il Tigrotto, a cui non piaceva lasciare adito a dubbi quando esprimeva i suoi giudizi.
“Abbi un po' di rispetto, là c'è chi muore per amore!” disse Michele commosso fino alle lacrime, vittima anche lui dell'amor di patria.
“Morirà male schiantandosi sul parapetto, toglietevi dalla testa l'idea che gli porti i fiori in ospedale se si spaccherà una gamba!” sottolineò Plisetsky.
Phichit taceva e riprendeva con lo smartphone a beneficio dei posteri; intuiva che nelle scelte avventate del suo compagno il misterioso signor Nikiforov c'entrava qualcosa, ma si guardò bene dal riferirlo agli altri, sarebbero stati capaci di torturarlo a morte pur di cavargli fuori tutte le informazioni!



Contro ogni previsione funesta il giovane giapponese concluse il suo pezzo senza incidenti o cadute e il pubblico lo ricompensò ampiamente con applausi e ovazioni, ma all'uscita della pista non c'era Celestino ad aspettarlo, qualcuno lo aveva battuto sui tempi e Yuuri si trovò con un microfono piazzato sotto al naso e la luce di una telecamera puntata sul viso.
“Ecco il nostro Yuuri Katsuki!”
Era Hisashi Mooroka, il cronista della TV giapponese.
“Innanzitutto complimenti per la Medaglia, però dopo la performance di due giorni fa nessuno si aspettava che ci regalassi il bis stasera! Vuoi fugare le voci di un tuo ritiro dall'agonismo?”
L'intervistato abbozzò, sorrise, poi chiese, in tono educato e sommesso “Questa trasmissione vai in onda in diretta via satellite?”
Di solito era abile ad evitare giornalisti e ficcanaso, però stavolta ne poteva trarre un vantaggio.
Aveva un piano in mente ed era abbastanza folle da funzionare.
Il signor Mooroka trascorso un doveroso attimo di perplessità esclamò entusiasta “Naturalmente! Ed è in streaming sul nostro sito coi sottotitoli!”
“Allora potrei avere il microfono?”
Il giornalista glielo tese, il pattinatore sembrava per qualche imperscrutabile ragione contento e nervoso allo stesso tempo.
“In realtà non ho ancora deciso nulla riguardo al mio ritiro, prima di farlo devo chiarire alcune cose con una persona, vede è la stessa che mi ha ispirato le variazioni sul Libero e l'esibizione di poco fa” Yuuri guardò fisso in camera, inspirò profondamente e poi dichiarò “Victor Nikiforov, non so se stai guardando questo programma, ma devi sapere che ti troverò, dovessero volerci anche dieci anni!”



A svariate migliaia di chilometri di distanza, in un elegante attico di San Pietroburgo intanto...

“Vityaaaaa! Maledizone Vityaaaa!” Yakov Felstman aveva sbattuto la coppa di cristallo sul tavolino, era balzato in piedi e stava urlando nonostante il soggetto coinvolto fosse solo dall'altra parte del divano “Hai sentito cosa ha appena detto il tuo cazzo di giapponese ? E togliti quel sorriso idiota dalla faccia!”
“Ohi-ohi si, ho sentito! Non trovi anche tu che sia un disastro? Un magnifico disastro!” esclamò Victor in brodo di giuggiole.
“Ci saranno delle conseguenze!”
“Vuol dire che le affronterò!”
“No! No! No! Tu non farai assolutamente niente! Hai già fatto anche troppo!”
“D'accordo” sillabò il più giovane alzandosi a sua volta “Allora mi limiterò ad aspettare che le conseguenze vengano da me, adesso mi abbracci Yakov? Sono felice e devo condividerlo con qualcuno!”
“Al diavolo tu e la tua felicità!” sbraitò l'altro mentre soccombeva all'affettuosa esuberanza del suo antico allievo.


Fine undicesima parte



† La voce della coscienza †

Recita un vecchio adagio zen: non è cadere nel fiume ciò che ti uccide, ma il restare sott'acqua.
E finalmente Yuuri dopo aver esaurito la scorta delle lacrime ha deciso di riemergere e di darsi da fare.
Se e quali risultati porterà la sua ricerca lo vedremo nei capitoli successivi, restate sintonizzati e vogliatemi bene ^^
Abbracci fluffosi a tutti!


E adesso un paio di precisazioni tecniche:
La Colonna sonora dell'esibizione al Gala è Una furtiva Lagrima dall'Elisir d'amore di Donizetti https://www.youtube.com/watch?v=JgIUsiD-o8M
Mentre il brano scartato è Requiem for a Dream, se volete ascoltarlo merita anche lui ^^ https://www.youtube.com/watch?v=Byl3hl5r6OA

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Capitolo 12
*** Capitolo XII° ***


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Capitolo XII°


“Non devi decidere adesso o domani, torna a casa, prenditi qualche settimana per stare in famiglia, ti aiuterà a chiarire le idee”
Celestino era stato troppo ottimista quando gli aveva suggerito di trascorrere un periodo di vacanza a casa; di fatto, appena aveva messo piede in Giappone era stato requisito dalle autorità, dagli sponsor e dai programmi televisivi che se lo contendevano come una celebrità.
Tuttavia, se con questi ultimi spesso era stato facile declinare, altrettanto non si poteva dire degli sponsor coi quali aveva firmato dei contratti e soprattutto con le autorità; dal Primo Ministro in giù aveva avuto incontri e cene ufficiali, tagliato nastri e infine partecipato ad una specie di tour nelle scuole del paese col compito di instillare a tanti potenziali piccoli Katsuki l'amore per il pattinaggio.
I suoi connazionali prendevano certe cose molto sul serio.
Troppo sul serio.
Aveva pensato posando i bagagli nell'atrio della locanda di famiglia, mentre chiudeva l'antica porta su un incantevole scorcio autunnale.
Primavera ed estate erano trascorse in un battito di ciglia senza novità apprezzabili, o meglio senza l'unica novità che sarebbe stato in grado di apprezzare.
Il suo annuncio in diretta TV aveva suscitato molto clamore, ma la curiosità in rete era durata il tempo di essere rimpiazzata da qualcosa di altrettanto interessante: JJ che annunciava le nozze con Isabella, Christophe modello per una campagna di intimo maschile molto audace...

“Quindi mi abbandoni? Hai deciso di gettare alle ortiche la nostra meravigliosa storia?”
“Chris... NOI non abbiamo una storia, né mi risulta che l'abbiamo mai avuta”
“Neghi anche l'evidenza, il mio cuore sanguina! Non ci credi? Guarda!”

Inutile dire che l'immagine allegata era ampiamente censurabile.
“Giacometti tu non hai un cuore e se ce l'hai deve essere dalle parti dell'inguine!”
Chiuse la chat con lo svizzero e si ritrovò a ridere suo malgrado, lui e i criceti ammaestrati di Phichit erano una delle poche cose che riuscivano ancora a raggiungerlo nel guscio di delicata apatia in cui si stava rintanando.
Scorse svogliatamente il suo profilo, ormai ridotto ad uno scarno resoconto settimanale e sospirò.
Forse tornare ad Hasetsu non era stata una buona idea.



“Ti aspetti davvero che il tuo principe azzurro esca da quello schermo su un cavallo bianco?”
Lo sguardo di Yuuri si alzò incontrando una bottiglia di sake, poi salì ancora e trovò l'espressione contrariata della sua insegnante di danza.
“Minako sensei?” chiese incredulo “Come hai fatto a trovarmi?”
“Andando per esclusione forse? Se non sei alla locanda dai tuoi sei all'Ice Castle e nel caso non ti trovassi neppure lì saresti esattamente qui, in spiaggia” senza troppe cerimonie si prese una porzione del masso su cui Yuuri era seduto a contemplare l'orizzonte e dopo il prevedibile rifiuto dell'allievo di bere sake alle undici del mattino, ne versò una dose doppia nella sakazuki* e la mandò giù in un sorso solo.
“Diosantissimo Yuuri sei uno straccio” fu il successivo commento a cui rispose il flebile sospiro del suo vicino “Potrai abbindolare la tua famiglia o i tuoi amici con la storia del ritiro dalla carriera agonistica, ma a me non la dai a bere” singolare metafora detta da chi si stava mescendo il secondo giro di liquore.
“Questa è una faccenda di cuore” sentenziò subito dopo attirandosi l'espressione sgomenta del giovane.
“N-n-no! Minako-sensei cosa vai a pensare!” cominciò, cercando di prevenire il peggio; conosceva abbastanza bene la sua insegnante: se riteneva di doversi impicciare per bene di qualcuno era impossibile fermarla.
“É quel Victor Nikiforov, vero?”
Yuuri passò dall'avere le guance in fiamme ad un colorito terreo premorte, touché, colpito e affondato senza nemmeno dover aprire bocca.
“Ma...”
“Oh, smettila, l'ho visto anche io il Gala di Milano, quindi mi chiedo: che fine ha fatto tutta quella determinazione? Dovresti essere in giro a rivoltare i sassi per trovarlo!”
“E da dove dovrei cominciare?” mormorò mettendo via lo smartphone. In otto mesi aveva raggranellato solo qualche proposta di matrimonio da fans agguerrite che millantavano un falso cognome Nikiforov e inviti a mettere like in profili di signorine dal mestiere discutibile.
Nessuna traccia era stata anche lontanamente riconducibile a Victor.
Fu il turno della donna di sospirare.
“Da una ricerca sul campo. Vecchia scuola.” dichiarò mettendogli sotto al naso un paio di biglietti aerei.
Il giovane li studiò con circospezione, che si tramutò in stupore quando lesse la destinazione finale.
“Mosca?”
“Alcuni colleghi organizzano una cena di beneficenza e vogliono conoscere il mio allievo, quello che ha vinto l'oro ai mondiali di pattinaggio”
“Oh, no...”
Yuuri era allergico a certi eventi mondani, di solito finiva in un angolo a fare tappezzeria e se lo facevano bere... Andava anche peggio.
“Prima di rifiutare ti conviene sentire il resto” lo rimbeccò l'insegnante guardandolo di sbieco “La maggior parte di questi ballerini era già anziana al tempo delle piramidi, non sanno cosa sia un cellulare, ma ti assicuro che hanno una memoria di ferro, nel caso esista la benché minima possibilità che Victor Nikiforov faccia parte dell'ambiente artistico o sportivo russo loro lo sanno”
L'espressione del giovane rimaneva in bilico tra speranza e scetticismo.
“Preferirei evitare d'illudermi” sussurrò piano.
“Quello” indicò la tasca dove teneva lo smartphone “non ha portato risultati, rimanere qui non ti porta risultati! Devi cambiare aria, sei impigrito e depresso, quasi-quasi ti preferisco da ansioso!”
“Ma io...”
Tu uccidi un uomo morto Minako-sensei!
“Niente ma! Il biglietto è il tuo regalo di compleanno!”
“Il mio compleanno è tra due giorni!”
La donna sogghignò “E la data del biglietto è...?”
Yuuri girò il biglietto e gli prese un accidente “Il volo è prenotato per domani mattina! La mia famiglia voleva festeggiare, hanno già organizzato tutto!”
“Ottimo! Allora corri a casa e digli di anticipare a stasera, che mettano in fresco il sake, molto sake!” e dato che l'allievo la fissava scioccato senza risolversi a fare alcunché batté le mani ed esclamò in modo autoritario “Quindi? Sei ancora qui? Hai i bagagli da fare! Muoversi! Muoversi! Muoversi! Sei sempre la solita lumaca!”
“S-si v-vado!” Yuuri già stava riguadagnando il sentiero.
“E non dimenticare il sake!” sospirò e si fece il terzo giro di liquore “Ah! Che avrà mai questo russo per averlo ridotto così!”



Il volo Tokyo-Mosca fu un'avventura nell'avventura, con l'insegnante di danza che era arrivata a spacciarlo come figlio suo al solo scopo di bere un paio di drink con un uomo d'affari indiano molto attraente, salvo poi, dopo la dipartita del gentiluomo durante uno scalo, schiantarsi a dormire sulla sua spalla obbligandolo in una scomodissima posizione per il resto del tragitto.
Durante le ore di forzata immobilità Yuuri prese seriamente in considerazione l'opportunità di organizzare un appuntamento al buio tra Minako e Celestino, quei due avevano più cose in comune che capelli in testa, come aveva fatto a non pensarci prima?
Smartphone alla mano era già pronto a comunicarlo a Phichit, quando gli sovvenne che nessuno dei suoi amici sapeva ancora del viaggio in Russia, quindi perché non sfruttare l'occasione a suo favore?
Avvisare il compagno di squadra significava mettere in allerta tre quarti del pattinaggio mondiale e voleva evitare di muoversi con gli occhi di amici e fans puntati addosso, soprattutto nel caso in cui la ricerca, com'era assai probabile, si fosse rivelata un buco nell'acqua.
Questo si chiama lavorare in incognito... Pensò il piccolo detective tornato di prepotenza a farsi sentire.
“Yuuri, perché indossi gli occhiali da sole?” Minako sbadigliò stirandosi voluttuosamente prima di proseguire “A Mosca fa buio alle tre del pomeriggio a che ti servono?”
“P-per calarmi meglio nella missione sul campo!”
La donna lo squadrò alcuni secondi e una volta collegati tutti i puntini del disegno sogghignò conficcandogli le nocche nella spalla, la stessa spalla che le era servita da cuscino e ormai aveva perso sensibilità “Questo è lo spirito giusto! Ma ti servirà di più l'abito scuro in valigia, le mie colleghe hanno un debole per i bei ragazzi! Soprattutto se è carne fresca!”
Yuuri si guardò bene dal riferire la sua opinione in merito, sorridere e incassare a volte era meno doloroso; gli si prospettava una magnifica serata tra fameliche quarantenni single che lo avrebbero spolpato vivo.


Fine dodicesima parte



† La voce della coscienza †

I moderni mezzi di comunicazione non stanno aiutando Yuuri come aveva sperato, ma in fondo si tratta della via più comoda, non di quella più interessante, per fortuna una certa insegnante di danza ama ancora la "vecchia scuola" investigativa...
Nota tecnica:
La sakazuki è in sostanza una piccola scodella, uno dei modi tradizonali con cui bere il sake, bevanda di cui Minako è un'estimatrice :)
E come promesso ecco una piccola fanart della sottoscritta: come si fa a non sciogliersi come un cioccolatino al sole quando Victor ti dice: "Prova a sedurmi?" *^.^*



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Capitolo 13
*** Capitolo XIII° ***


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Capitolo XIII°


All'arrivo dei dessert il giovane giapponese era ancora intero e soprattutto aveva conservato tutti i suoi vestiti addosso; il vecchio trucco dell'opossum morto aveva funzionato ed esaurite le presentazioni, i complimenti e i convenevoli aveva potuto beneficiare di una virtuale invisibilità lasciando a Minako le luci della ribalta.
L'accordo con l'insegnante era che lui si sarebbe fatto leccare e tirare a lucido per ammaliare le sue colleghe, mentre lei si occupava di carpire informazioni sullo sfuggente signor Nikiforov durante il banchetto.
Ormai erano arrivati al punto di non ritorno che caratterizzava un po' tutte le rimpatriate sui generis: dopo essersi scambiati i resoconti sulle rispettive attività professionali, aver mostrato interesse (reale o presunto) sulle famiglie, figli, genitori e affini e aver evocato ricordi di alcune ere geologiche precedenti stavano per passare al vero piatto forte della serata: i pettegolezzi.
I camerieri del lussuoso Hotel Savoy dovevano saperlo, perché qualcuno aveva chiuso con discrezione la porta a doppio battente della sala riservata all'evento dove di lì a poco sarebbero risuonate grida e risate innaffiate da un abbondante dose di alcol.
Yuuri sospirò preparandosi al peggio, quando la persona seduta a capotavola si alzò provocando un mormorio di disappunto.
“Madame Baranovskaya ci lascia già?”
“Credo che per stasera le mie povere orecchie abbiano sentito abbastanza, queste sono cose da giovani”
“Le chiamo un taxi?” si offrì sollecito uno degli ospiti.
“Ho già chiesto al cameriere”
“Allora... Ahm la accompagno all'ingresso?” chiese un altro commensale.
“Non occorre, ci penserà quel giovanotto
Attorno a Yuuri si fece il vuoto.
Il giapponese alzò la testa, sbirciò timidamente a destra e a sinistra, poi portò la sua attenzione sulla persona all'altro capo del tavolo, che lo stava fissando a sua volta; per qualche strana ragione i suoi vicini di posto si erano improvvisamente defilati, quindi doveva essere proprio lui “il giovanotto” designato.
Questa Madame Baranovskaya, suscitava negli altri una specie di rispetto misto a paura e non ne capiva la ragione, in fondo era un'adorabile nonnina con una crocchia di capelli candidi!
“Giovanotto non ho tutta la serata!” ribadì seccata la nonnina, ora un po' meno adorabile, picchiando a terra il suo bastone.



“Sediamoci qui” disse, indicando due poltroncine affrontate nell'immenso atrio dell'hotel e Yuuri, da perfetto cavaliere l'accompagnò, per poi spiare oltre la vetrata semmai il taxi fosse già arrivato.
“Ah, sei abituato all'efficienza giapponese, non arriverà prima di mezzora, dovresti essermi grato lo sai?” disse soppesandolo con un occhio chiuso e uno aperto, mentre prendeva posto accanto a lei.
“S-si?”
“Ti ho salvato dalla bolgia infernale che sta per diventare la serata, mi sembrava non fossi molto a tuo agio là dentro, ti ho tenuto d'occhio durante la cena”
“Eh...” allora la Tecnica dell'Opossum morto era stata inutile, se perfino la vegliarda si era accorta di lui.
“In effetti è così madame Baranovskaya” sospirò incassando la testa nelle spalle.
“Puoi chiamarmi Lilia e tieni dritte quelle spalle!” Yuuri scattò sull'attenti “Sei uno sportivo, un ballerino e te ne stai lì ripiegato come uno dei vostri ravioli al vapore”
Deformazione professionale? Possibile, considerato che ad un'occhiata più attenta l'adorabile nonnina aveva mantenuto la postura rigida ed altera della danzatrice nonostante l'età avanzata.
Quanti anni poteva avere a proposito? Il tempo aveva lavorato in modo discontinuo sulla sua figura incidendo in profondità delle linee sulla fronte e agli angoli delle labbra, che le conferivano un'espressione severa, accigliata, tuttavia nei suoi occhi c'erano ancora la luce e la vitalità di una ragazzina.
Il giovane stava disperatamente cercando un argomento di conversazione per intrattenere l'esigente pubblico fino all'arrivo dell'auto quando fu lei e nel modo più inaspettato a fornirgliene uno.
“Sei tu quello che sta cercando Victor Nikiforov, sbaglio?”
A Yuuri si fermò il cuore e non solo a livello metaforico, il muscolo cardiaco aveva appena annunciato un ammutinamento e la sua espressione doveva essere così sconcertata da attirare una nuova nota di biasimo dell'anziana donna.
“Prendi fiato giovanotto e chiudi quella bocca prima che ci entri una mosca, ma cosa ti ha insegnato Minako in questi anni?”
“Minako sensei non c'entra, è un'ottima insegnante madame” rispose appena riuscì a respirare e chinò il capo “Solo... Non mi aspettavo si ricordasse di quel piccolo avvenimento!”
“Non tanto piccolo, sei andato in mondovisione ragazzo e poi sono molto meno svanita di altri miei coetanei”
“Io non intendevo...”
Madame Baranovskaya agitò la mancina dell'aria come a dirgli di lasciar perdere.
“Non sentivo pronunciare quel nome da... Più di sessant'anni ormai”
L'interlocutore stentava a credere alle sue orecchie, dopo mesi di frustranti ricerche in rete il primo vero indizio concreto su Victor gli arrivava dalla persona più improbabile. Era quasi sicuro che lei si riferisse al nonno del suo russo, però si trattava pur sempre di un inizio!
“Lo ha conosciuto di persona?” domandò vedendo un'aria assorta sul suo volto.
“L'ho conosciuto, anche se sarebbe più esatto dire che l'ho incontrato a casa del suo allenatore. È una storia che risale a molti anni fa”
“Il taxi deve ancora arrivare...” azzardò il giovane che sperava in un seguito.
L'altra lo fissò da sotto le ciglia con un sorrisetto sornione “Quindi t'interessa?”
“Adoro le vecchie storie madame Lilia!” le assicurò annuendo convinto.



“A quell'epoca ero una giovane ballerina ammessa da poco al primo corpo di ballo del Bol'šoj, ma mi stavo già facendo notare ” la donna sorrise sull'onda di un ricordo piacevole “Avevo alcuni ammiratori, tra i quali uno davvero assiduo; mi portava fiori e piccoli regali che rendevano la mia vita molto più dolce e piacevole. Non mi aspetto che tu capisca, voi giovani d'oggi siete abituati ad avere tutto; non puoi immaginare cosa significassero un profumo, un libro, un abito nuovo nel niente che avevamo attorno finita la Guerra”
La piega delle labbra di Madame Baranovskaya si accentuò in una smorfia amara, Yuuri quelle cose le aveva lette sui libri di storia o sentite in famiglia, doveva fare un grosso sforzo d'immaginazione per immedesimarsi nell'esistenza tribolata di paesi in macerie e decise di gratificarla di una totale attenzione.
“Si chiamava Yakov Felstman ed era portato in palmo di mano dalle autorità, perché allenava e faceva vincere il loro campione, il loro Zar del pattinaggio: Victor Nikiforov. Devi credermi se ti dico che per il Partito non era solo bravo atleta, ma un Eroe e agli eroi si erigono monumenti, si offrono doni, si è perfino disposti a soprassedere ai loro vizi e capricci”
L'ex ballerina si fermò, aveva alluso a qualcosa che probabilmente la imbarazzava e prima di proseguire squadrò a lungo il giovane giapponese “Gli saresti piaciuto, amava circondarsi di cose belle o fuori dall'ordinario”
Yuuri preferì tacere, non si stimava poi così bello o interessante.
“Avevano una grande casa, una dacia sull'isola di Kamenny alla foce della Neva, la chiamavano “il Castello” per via delle torrette e dei profili merlati, ed era sempre piena di gente, di musica e risate. Il Partito era molto generoso coi suoi campioni, una generosità che quei due elargivano volentieri alle altre persone” la donna emise un lieve sospiro “Per chi come me arrivava dalla grigia e fredda Mosca sembrava di passare da un film in bianco e nero ad una pellicola a colori, di vivere in una perenne estate”
“E Victor com'era?”
“Vitya?” Madame Baranovskaya sorrise nel vedere le guance del giovane arrossarsi quando aveva usato quel diminutivo affettuoso “Oh, era un piccolo sole, sempre circondato da ammiratori e adulatori, ma non credo gli importasse molto di loro, del resto bastava mettersi alla giusta distanza da lui per vedere che sotto la pelle del vincente aveva un animo triste e insoddisfatto, come se fosse in cerca di qualcosa che lo completasse”
“O qualcuno...” suggerì lui ricordando un certo dialogo di mesi or sono.
“O qualcuno” convenne l'altra “Ad ogni modo l'estate non durò per sempre; l'autunno si presentò all'improvviso alla porta del Castello e fu un vento gelido a spezzare e disperdere le vite di tutti noi. Quello fu l'autunno del 1952”
“Le Olimpiadi invernali di Olso...” mormorò Yuuri e l'anziana donna annuì.
“Ti sei informato”
“S-si, ma... Le notizie non vanno oltre quella data! È vera la storia dell'incidente?”
“Quanta fretta giovanotto!” esclamò Madame Baranovskaya “Ci stavo arrivando”
“Mi scusi” sospirò mesto il giapponese tornando nei ranghi.
“Vuoi la verità? Nemmeno io so come sono andate le cose; nel momento in cui i giornali e la radio diedero il comunicato del suo infortunio, Yakov e Victor divennero improvvisamente irraggiungibili. Quando accadeva qualcosa ad un personaggio pubblico: un politico, un artista, uno sportivo il Partito diventava molto protettivo nei suoi confronti, se tu capisci quel che intendo”
“Cioè lo facevano... Sparire?”
“Oggi la chiamerebbero Tutela della Privacy” specificò la donna con una certa ironia “Nei primi giorni non me ne preoccupai, era normale che il suo allenatore si dedicasse totalmente a lui dopo l'incidente; tra le poche informazioni attendibili c'era che Victor avrebbe subito un intervento per valutare i danni della frattura all'anca”
Yuuri socchiuse le palpebre e arricciò il naso.
“Sono i rischi del nostro mestiere, lo sai anche tu, in qualsiasi momento possiamo andare incontro a fratture, lussazioni, strappi, con la moderna chirurgia e la riabilitazione ci sono ottime probabilità di riprendere la carriera agonistica...”
“Mentre allora...”
“I giorni divennero settimane senza che nessuna notizia trapelasse, provai invano a contattare Yakov, ma il Ministero dello Sport era impenetrabile e chi possedeva delle informazioni aveva molta paura di rivelarle e subire le conseguenze.”
“Sembra la trama di un romanzo di spionaggio” mormorò il giovane.
“Oh, era la realtà quotidiana invece; quando trovai il coraggio di tornare sull'isola di Kamenny, il Castello era deserto; via il mobilio, scomparsi il dondolo e le sedie da giardino, come se nessuno avesse mai abitato lì. I vicini non vollero rispondere alle mie domande, avevano troppo da perdere in un epoca in cui bastava trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato per finire in un Campo di lavoro in Siberia. Fu il custode della rimessa delle barche ad aiutarmi, era un uomo anziano, dormiva poco e spesso di sera era al deposito per riparare e riverniciare le imbarcazioni. Mi riferì che un mese prima aveva visto arrivare sull'isola in piena notte un corteo di auto scure, si fermarono davanti al Castello e poco dopo vide uscire i padroni di casa scortati da un drappello di uomini, alcuni dei quali avevano abiti militari, privi di insegne o mostrine, gli altri li identificò come medici e infermieri."
“Oh, no” la trama si complicava sempre di più e la fervida fantasia di Yuuri era al lavoro per ricavare scenari terrificanti.
“È quello che ho pensato anche io” annuì l'ex ballerina gravemente “era un brutto segno, tuttavia un dettaglio del suo racconto mi diede molto da pensare in seguito: disse che a colpirlo più dell'anonimato del gruppo fu che non si esprimevano in russo, bensì in una lingua simile al ceco o al rumeno e trattavano entrambi con un certo riguardo”
“Cecoslovacchia e Romania facevano parte del Patto di Varsavia” ragionò il giovane frugando nei suoi ricordi scolastici.
“Esatto, però ammetterai la stranezza di servirsi dei vicini di casa per risolvere un problema del genere”
Yuuri assentì e aggiunse “E se ci fosse stato... Un luminare o delle terapie sperimentali che avessero giustificato il trasferimento?”
“Se quella cura c'era giovanotto allora non ha funzionato. Vitya e Yakov non sono più tornati qui, non sono tornati da me” le sue parole suonavano come una confessione “Sai, avevamo dei progetti io e Yakovc'ka... Invece ho aspettato troppo, per prudenza, paura, orgoglio e li ho persi entrambi.”
“Oh, Madame...”
“Ti ho ho detto che era una vecchia storia, non che aveva un lieto fine” aggiunse la donna vedendolo turbato; l'auto era arrivata e il giovane la stava accompagnando all'uscita “Hai conosciuto qualcuno che ha detto di chiamarsi Victor Nikiforov, non so se stiamo parlando della stessa persona e forse non è nemmeno importante saperlo, ma lui è importante per te e dovresti fare l'impossibile per trovarlo”
“É lo scopo di questo viaggio” dichiarò Yuuri commosso.
“Arigatou gozaimasu, per tutto quello che ha fatto per me” ringraziò e chinò il capo attirandosi un nuovo rimprovero dell'ex-ballerina.
“Quanto siete formali voi giapponesi! Se dovessi incontrare Victor digli...”
“Si?”
“No, non dirgli niente, abbraccialo e basta” Madame Baranovskaya sorrise e per un attimo gli parve di cogliere sul suo volto il riflesso dell'antica bellezza.
“Lo farò madame Lilia, può starne certa”
Yuuri seguì le luci del taxi finché non si confusero nel traffico notturno delle vie centrali di Mosca; ma anche se il freddo cominciava a mordere, indugiò un po' prima di rientrare; doveva filtrare tutte le informazioni che aveva raccolto, perché intuiva l'esistenza di un legame tra loro, sebbene fossero pezzi di un rompicapo riluttanti a qualsiasi incastro.



Al suo ritorno nella sala dei banchetti trovò che le cose erano degenerate oltre le più orribili previsioni: la cena elegante si era trasformata in un baccanale; Minako era in piedi sulla sedia e appena lo vide puntò verso di lui la bottiglia di champagne gridando “Ecco il nostro festeggiato! Buon Compleanno Yuuri! Tanti brindisi quanti sono gli anni, come vuole la tradizione!”
La frase ebbe un effetto immediato sugli altri commensali e dal tavolo si levò un'unica voce accompagnata da un tintinnare di calici e un ritmico battere di pugni sul tavolo “Bevi! Bevi! Bevi!”


Fine tredicesima parte



† La voce della coscienza †

Un altro tassello si aggiunge al puzzle che Yuuri sta tentando di ricostruire e non sospetta ancora quanto sia andato vicino alla verità!
Il capitolo è piuttosto lungo stavolta, vi rimando al prossimo che avrà un carattere molto "particolare", diciamo... Onirico :) Abbracci fluffosi e carrettate di arigato gozaimasu a tutti quelli che mi stanno seguendo in questa avventura ^^

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV° ***


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Capitolo XIV°


Il rollio stava diventando fastidioso, sapeva che mischiare vodka e champagne sarebbe stato devastante... E la luce poi... Era insopportabile.
“Fermate il mondo e spegnete il sole vi prego, qui c'è qualcuno che prova a smaltire una sbronza”
“Cosa stai blaterando, io non parlo il giapponese Yuuri!”
“Ok, Victor quando mi sveglio te lo traduco...”
Victor? È la sua voce! U-un attimo! È un sogno? Sto sognando? Però di solito non si è consapevoli di sognare quando si sogna!
“Dipende dal livello di coscienza di sé, voi orientali avete millenni di tradizione a riguardo e questo aiuta... Vuoi aprire gli occhi o hai deciso di passare il resto del tuo sogno sdraiato sul fondo della barca?”
“Barca?”
“Niente movimenti....” la piccola imbarcazione a remi oscillò paurosamente quando il giovane saltò in piedi “bruschi”
“Victor!” esclamò inquadrando la figura davanti a sé, mentre con cautela si rimetteva seduto “Cosa ci fai nel mio sogno? No-no-no! Aspetta va benissimo che tu ci sia... Ma spero che non sia un coma etilico e che non stacchino la spina da un momento all'altro!”
Il russo si concesse una breve risata “Credo sia solo il prodotto una sbornia colossale, non reggi molto bene l'alcol...”
“Non lo reggo affatto, però di solito mi limito a fare cose strane”
“Interessante... Quanto strane?”
Yuuri spese qualche istante a ragionare sulla questione, finché non si rese conto dell'opportunità che stava sprecando.
“Ahm, possiamo soprassedere? Ho delle domande più importanti da farti!”
“Oh e le vuoi fare al me stesso del sogno o a quello reale?”
“Evita di confondermi più di quanto sia già, dannazione!”
A quel punto l'uomo abbandonò i remi che stava portando e incrociò le braccia al petto mostrandosi offeso “Non risponderò a nessuna domanda, se prima non mi abbracci”
“Sul serio Victor devi aiutarmi a fare chiarezza, a-anche se questa è un'allucinazione e io probabilmente adesso sto dormendo sotto ad un tavolo dell'hotel!”
Ma l'altro era irremovibile, così, badando a non finire in acqua, Yuuri si spostò con prudenza verso di lui, finché il moto ondoso non decise di metterci del suo, fece ondeggiare il legno e il ragazzo gli finì addosso.
“Ho un deja-vu” mormorò notando che il russo l'aveva preso al volo ed era tutto soddisfatto.
“Ci vuole coerenza, anche nei sogni” rispose Victor stringendolo a sé.
Certo per essere frutto di una ubriacatura è una gran bella attività onirica pensò Lui è così... Reale! Sento il suo profumo, il calore del suo corpo, magari potrei baciarlo e poi...
In fondo cosa avrei da perdere? Quello che accade nel sogno, resta nel sogno!
“Non avevi delle domande da farmi?” chiese il russo scoccandogli uno dei suoi sorrisi luminosi, come se avesse intuito quello che gli passava per la testa.
Va bene, niente baci...
“Da dove comincio la ricerca? Mi serve un luogo da cui partire per rintracciarti”
Silenzio.
“Uhm, la richiesta era formulata male? Si lo so è assurdo chiedere all'immagine ideale che ho di te di aiutarmi...”
“No, ma pensavo lo avessi capito; guardati attorno, in realtà sei già dove dovresti essere



C'era un paesaggio in effetti, la luce violenta dell'estate glielo rivelò non appena distolse lo sguardo da Victor; la barca seguiva il placido fluire di un corso d'acqua alle cui rive ombrose di alberi secolari si affacciavano ville e palazzi che alternavano la tipica architettura russa della dacia a soluzioni più ardite e bizzarre.
Dai giardini nascosti alla vista provenivano le grida e le risate dei ragazzi, mentre il vento portava a suo capriccio l'odore salmastro del mare poco distante o il profumo zuccheroso di certi dolci casalinghi.
“Giornata magnifica per una gita sul fiume, non trovi anche tu?”
Senza attendere risposta il russo gettò una cima ad un piccolo approdo, trasse la barca a riva, salì agilmente sul pontile e gli tese la mano “Vieni, si domanderanno dove siamo finiti per tutto il pomeriggio”
“C-chi?” osò chiedere il più giovane, che solo ora notava il loro strano abbigliamento; calzoni e camicia bianchi, un gilet smanicato e scarpe che sembravano usciti da un guardaroba degli anni Cinquanta.
“Come chi? Yakov e gli altri!”
“Yakov...” gli venne spontaneo collegare quel nome a qualcuno “C'è anche madame Lilia?”
“Lili'enka, da quando la chiami Madame?” Victor rise portandoselo su per le scalette “Lei arriverà stasera, sul serio non ricordi? Devi aver preso troppo sole” dichiarò posando la mano fresca sulla sua fronte per sentire se aveva la febbre.
Yuuri socchiuse le palpebre e scosse il capo, il racconto di Madame Baranovskaya lo aveva suggestionato e la nostalgia per Victor insieme all'alcol avevano fatto il resto confluendo in un sogno meraviglioso dal quale non avrebbe voluto svegliarsi mai.



“Questo è il Castello...” constatò posando gli occhi sull'enorme edificio una volta risalito l'argine; le torri rotonde, le merlature, era tutto come glielo aveva descritto l'ex ballerina.
“Almeno di casa nostra ti ricordi!” esclamò allegro il russo, che, passando dal giardino, salutò un gruppo di persone intente a chiacchierare sotto un gazebo “Siamo tornati! Accompagno Yuuri in camera, s'è preso un colpo di sole!”
Casa nostra suonava davvero bene detto da lui, sembrava un progetto a portata di mano, che si potesse realizzare dall'oggi al domani.
“Fermiamoci qui, si sta bene” il giapponese lo trattenne dal salire le scale e tornò nel salotto dove dalle finestre aperte sul giardino veniva una brezza gentile insieme al fruscio musicale di un grammofono e le note di una vecchia canzone americana “Oh, la conosco...”
“In teoria questa roba sarebbe al bando, ma Yakov ha degli amici all'ufficio della censura e gli passano le copie destinate alla distruzione” spiegò l'altro cingendogli la vita per attirarlo a sé “Balliamo?”
“In sala? Adesso? Con gli invitati fuori che potrebbero...”
“Conosci dei momenti giusti ed altri meno per ballare con la persona che ami?”
Yuuri sorrise e appoggiò il capo sulla sua spalla; la musica seguiva il battito dei loro cuori e ne rivelava i pensieri, le emozioni segrete “È come dice la canzone: quando mi innamorerò sarà per sempre, oppure non mi innamorerò mai...”
“E nel momento in cui riuscirò a sentire che tu provi lo stesso allora anche io m'innamorerò” Victor lo strinse più forte, come se temesse di perderlo; nell'aria calda della stanza si era verificato un cambiamento: la vibrazione luminosa di cui era permeata si raffreddò spegnendosi in un grigio uniforme.
Anche Yuuri colse il mutamento: la musica e le risate erano scemate in un sordo brusio, tutto attorno a lui stava perdendo solidità rivelando la fragile consistenza della carta velina.
“Victor che succede?”
“Ohi-ohi questo temo sia il mio limite, l'alba è vicina e anche il tuo risveglio”
“No! No! No! Non ti azzardare a sparire un'altra volta!” gridò il giovane cercando di trattenere un'immagine di lui sempre più labile e trasparente “Devo dirti ancora tante cose!”
“Me ne basterebbe una... Lyubov’ moya, pridi ka mne...
“Victor!"
“Vieni da me, amore mio...” gli rispose una flebile eco, mentre il magnifico fondale del sogno, ormai ridotto ad un pallido scheletro, bruciando si accartocciava su sé stesso come il vecchio fotogramma di una pellicola di celluloide.

† La voce della coscienza †

Quando lo champagne e un vampiro decidono di metterci lo zampino non può che uscire un sogno come questo!
Ho lasciato la descrizione del risveglio e dei postumi della sbronza epica di Yuuri al prossimo capitolo, perchè mi sembrava giusto mantenere intatta l'atmosfera romantica e "vintage" dell'esperienza onirica, che aggiunge un altro tassello all'indagine del nostro giapponesino.

Se volete un'idea della colonna sonora sulla quale Victor e Yuuri ballano, la canzone è questa: https://www.youtube.com/watch?v=STddi-1eR5E
Ho rivoltato il "Tubo" per trovare un pezzo del 1952 che si adattasse, ma il risulato credo sia valso la fatica :3

*piccola nota tecnica: Lyubov’ moya, pridi ka mne -> come sotto: Vieni da me amore mio

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Capitolo 15
*** Capitolo XV° ***


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Capitolo XV°


“Victor!” urlò di nuovo incontrando una superficie dura e fredda che, a contatto col suo corpo, gli fece provare dolore.
Yuuri aprì gli occhi e si trovò ad osservare le linee sfocate di un intarsio marmoreo che riconobbe per il pavimento della sua camera d'albergo solo dopo un lungo istante.
Il sogno agitato lo aveva spinto a cadere dal letto, sebbene non ricordasse in che modo ci era arrivato la sera prima.
Sentiva male ovunque, come se la sua anima, precipitando da terribili altezze, avesse dovuto adattarsi di nuovo ai limiti fisici della realtà; era sudato fradicio e per recuperare gli occhiali fu costretto a procedere a carponi, perché mettersi in piedi gli procurava le vertigini.
Niente che un paio di aspirine e una doccia non possano curare... si disse raggiungendo alla medesima maniera il trolley.
Quando notò sul suo percorso un paio di décolleté rosse da donna abbandonate con negligenza accanto ad una poltroncina qualche dubbio cominciò a venirgli e decise di riprendere la postura eretta dell'Homo Sapiens per guardarsi allo specchio.
Oddiosantissimo...
Perché aveva un orecchino di perle appeso al lobo e una giarrettiera del pari rossa come grazioso fermacapelli?
Le sopracciglia dello Yuuri nello specchio si curvarono in un perfetto arco di perplessità.
“Non fare domande, se non sei pronto a sentire la risposta...”
Ripeté a sé stesso prima di infilarsi sotto la doccia, gelida, tanto per essere sicuro di essere completamente sveglio e pronto alla nuova avventura in cui stava per cimentarsi.



La porta della camera di Minako si aprì sbadigliando all'ennesimo insistito bussare; la faccia dell'insegnante di danza era il manifesto di una notte di perdizione e, in quanto ad abbigliamento, nemmeno lei era messa meglio del suo allievo; il giovane intravide una camicia da uomo di cinque taglie più grande e una cravatta regimental che le penzolava lenta dal collo.
“Yuuuuuri” esordì assonnata strascicando il suo nome dopo averlo riconosciuto “dovresti essere collassato a letto o a vomitare l'anima in bagno tesoro...”
“Ahm... Ho già dato in quel senso, ero venuto ad avvisarti, non torno a casa con te stasera”
La donna decise di fare uno sforzo di concentrazione e lo osservò meglio: indossava il giaccone, sciarpa, guanti e si tirava appresso il fido trolley da viaggio “Dove diavolo pensi di andare?”
“A San Pietroburgo!” annunciò l'altro.
L'espressione atona della sua insegnante lo spinse ad una spiegazione più dettagliata “L'indizio Minako-sensei, ho avuto un indizio su Victor Nikiforov!”
Occorse qualche altro istante di intenso lavorio intellettuale da parte di Minako, affinché riuscisse a inquadrare la questione e finalmente la proverbiale lampadina si accese “Oh! Oh-ho! Allora vai ragazzo! Che stai aspettando?”
“Chi c'è lì con te Raviolino mio?” una voce, inquinata dal forte accento russo, giunse dai recessi della stanza alle sue spalle e si sovrappose al loro dialogo; Yuuri guardò l'insegnante, che gli restituì lo sguardo stringendosi nelle spalle.
“S-si meglio che vada adesso, ti avviso appena sono arrivato!” fece per andare, ma tornò sui suoi passi, s'inchinò e l'abbracciò di slancio “Grazie per avermi portato fin qui!” poi prese il trolley e s'infilò come un fulmine in ascensore.
“Heh-he... Aspetta di vedere il video che posterò in rete con la tua performance di ieri sera prima di ringraziarmi” sghignazzò Minako che chiuse la porta rivolgendosi al suo amico di letto “Adesso sono tutta tua orsacchiotto della steppa!”

La giovane receptionist dell'Hotel Savoy si fece in quattro per trovargli un posto sul primo volo diretto a San Pietroburgo, ma per quel giorno erano già in overbooking.
Rimaneva l'opzione del treno; il collegamento tra le due città era efficiente, ben servito e quattro ore passavano in fretta.
Dietro la promessa di un selfie e un autografo (in fondo la celebrità a volte faceva comodo) la ragazza gli stampò anche un piano dettagliato di partenze e arrivi e alcune indicazioni utili su come muoversi una volta arrivato laggiù.
Mentre varcava l'antico ingresso della Stazione Leningradsky Yuuri si sentiva così motivato che se anche il treno avesse subito un guasto avrebbe proseguito a piedi pur raggiungere San Pietroburgo.



Lilia Baranovskaya...
Forse in passato ho agito in modo riprovevole come immortale, tuttavia in questo caso sono stato un semplice spettatore degli eventi e pagherei qualunque cifra pur di vedere l'espressione di Yakov mentre ascolta l'amore della sua vita fornire all'amore della “mia” vita i pezzi mancanti necessari a completare il gioco.
Esiste una forza nettamente superiore alle nostre piccole esistenze, per alcuni è un'emanazione divina per altri un dettato della Fisica; essa interviene ad equilibrare mancanze, a colmare vuoti o a ricongiungere, talvolta per sentieri tortuosi, due mondi all'apparenza inconciliabili.
Yakov e il suo dannato senso del dovere.
Io lo so: non c'è alba in cui il suo ultimo pensiero non sia per lei, non un tramonto che non sia consumato nell'amarezza del rimpianto.
Ho perso il conto delle volte in cui l'ho supplicato di tornare a prenderla, dandole la possibilità di scegliere.
Invece lui ha scelto per entrambi.
Che vite hanno vissuto? Sarebbero stati più felici insieme?
È una domanda che non voglio pormi di qui a venti, trenta o cento anni.
La Felicità è egoista, di più: è impaziente, smaniosa, mostruosa, consuma ogni cosa attorno a sé.
È totale.
E una volta raggiunta ci costringe a procedere in equilibrio, come acrobati, nel terrore che un passo falso ci faccia precipitare nel nulla dell'indifferenza.
Oh, ma provare una sola volta quel sublime terrore ripaga di ogni sforzo fatto per conquistarla.
La felicità muove la danza cosmica dei pianeti, è (adesso lo capisco) il rumore dei grani di sabbia che cadono dentro la Grande Clessidra e ti avvicinano a me istante dopo istante.
Al contrario del tuo sogno rivendico meriti e colpe; avevi già un indizio, ti serviva un piccolo incentivo.
Ora hai davvero tutto ciò che ti occorre per trovarmi, non scapperò, non mi nasconderò, rimetti le tessere al posto giusto Yuuri e poni finalmente quella domanda; ormai credo che tu sia pronto a sentire la risposta.


Fine quindicesima parte


† La voce della coscienza †

Finalmente il nostro giapponesino ha iniziato l'ultima parte dell'epico viaggio che nei suoi piani lo porterà più vicino a Victor! Ma non ha idea di quello che lo aspetta e soprattutto degli incontri/scontri che dovrà ancora affrontare!
E resta sempre la grande incognita: cos'è successo a Laura Palmer... Ahm no scusate quello è un'altro film X°D
La vera domanda è: che diavolo ha combinato durante la famosa "cena di beneficienza"? Lo sapremo non appena Minako si deciderà a postare il video in rete :3
Volevo scusarmi della brevità di questo capitolo, per farmi perdonare i prossimi due saranno mooooooooooolto più lunghi!
Abbracci fluffosi e ciliegi in fiore a tutti *-*

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI° ***


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Capitolo XVI°


L'orario della partenza, le nove del mattino, e il giorno feriale avevano complicato un po' la salita e ricerca di un posto, ma dopo essersi scapicollato dalla prima all'ultima carrozza Yuuri era riuscito nel miracolo di trovare due posti liberi in coda al convoglio.
Contrariamente all'immagine stereotipata che aveva dei trasporti russi, non si trattava di un mezzo a vapore, non c'erano i sedili di legno in terza classe e nemmeno i contadini con pollame e masserizie al seguito.
Era un treno di pendolari, perlopiù studenti e impiegati chini col naso sui libri o su un moderno tablet.
Si prospettava un viaggio tranquillo, perfino confortevole, che gli avrebbe dato modo di programmare con calma le mosse successive al suo arrivo a San Pietroburgo.
Stava appunto sistemando il trolley sulla cappelliera, quando qualcuno lo spinse di lato apostrofandolo in maniera scortese.
“Ehi, è libero questo posto?”
Conosceva quella sfumatura aggressiva e proterva, l'avrebbe riconosciuta addirittura dentro il bailamme di un rave party.
Inspirò, attese una frazione di secondo, poi si girò, presentando il suo miglior sorriso a Yuri Plisetsky.
“Ma certo che è libero!”
Il biondino rimase di sale; era evidente che nella sua lista di eventi improbabili l'idea di affrontare un viaggio seduto a fianco di chi gli aveva soffiato la medaglia d'oro per pochi decimi di punto agli ultimi Mondiali, era catalogata alla voce “Mai nella vita”.
“Tu... Cosa ci fai qui?” chiese con una voce stridula, come se si stesse strozzando con una nocciolina, c'era un limite alle cose che un diciassettenne problematico poteva tollerare e la presenza di Katsuki sul suolo russo segnava il superamento di tale limite.
“Ho pagato regolarmente il biglietto” rispose il giapponese, che gongolando terminò di sistemare il suo bagaglio e prese posto accanto al finestrino, poi rivolse un altro sorriso al Tigrotto in un invito eloquente a fare altrettanto.
Adesso saldiamo qualche conto piccoletto...
“Fottiti Katsuki!” strillò il ragazzo, in giapponese, dato che gli insulti sono una forma di linguaggio primaria e universale.
Yuuri ridacchiò, mentre lo guardava riprendersi le sue cose tutto affannato nell'intento di migrare altrove “Risparmiati la fatica, ho già controllato tutto il convoglio, non ci sono posti liberi... Tranne questo”
E il Tigrotto, già arrivato a metà corridoio, inveì di nuovo “Piuttosto la morte!”
“Sono per l'autodeterminazione, solo sappi che il tragitto dura quattro ore e il treno non fa fermate intermedie, quindi la possibilità che scendano dei passeggeri è nulla...”
Gli diede un'occhiata di sfuggita prima di prendere i suoi stampati con le indicazioni su Pietroburgo, cielo, il ragazzino sembrava ad un passo dall'implosione tanto era rosso e incazzato.
I minuti successivi trascorsero con un Plisetsky appostato di fianco alla porta della carrozza deciso a tenere il punto e il giapponese dedito ad ignorarlo a favore dei suoi preziosi fogli.
Quando si avvicinarono uno studente di belle arti e la sua ingombrante carpetta da disegno Yuuri sorrise gentile e scosse il capo indicandogli con un cenno del mento il riottoso biondino in fondo al vagone “Scusami, è già occupato per il mio amico laggiù”.
La scena successiva vide un drastico cambio di posizioni: il posto vuoto venne occupato da un indignatissimo Yuri Plisetsky, che s'insaccò nel sedile risoluto a mantenere la testa girata verso il corridoio fino alla fine del viaggio; peccato che di fronte a lui ci fosse una sbaciucchiosa coppietta di fidanzatini, intenta a scambiarsi romantiche effusioni, condite da apprezzamenti e vezzeggiativi che, per chi ne capiva di russo, dovevano risultare nauseanti.
“Sai, ti cederei il mio posto accanto al finestrino... Se me lo chiedessi gentilmente”
Il giovane giapponese intercettò uno sguardo assassino alla sua destra; per fortuna le occhiate non potevano uccidere o sarebbe morto all'istante.
Trascorse un buon quarto d'ora prima che il piccoletto si decidesse a capitolare e a chiedere “gentilmente” il cambio di posto.



Ne vuoi ancora? Pensò Yuuri ben determinato a rifarsi con gli interessi delle angherie subite negli anni dallo spocchioso ragazzino Perchè abbiamo altre due ore di viaggio prima di arrivare...
Qualcosa nell'atteggiamento del più giovane però lo indusse a interrompere le sue bellicose riflessioni.
“Tutto bene?” chiese all'ennesimo squillo del suo cellulare andato a vuoto.
Il russo lo prendeva dalla tasca, lo guardava e poi lo rimetteva via ed ogni volta la sua espressione diventava più corrucciata.
La prevedibile reazione alla domanda di Yuuri fu un “Fatti i cazzi tuoi” sibilato guardandolo di sbieco; una persona normale avrebbe mandato al diavolo il ragazzino coi suoi problemi adolescenziali e il giapponese si comportò in effetti da persona normale, riprendendo la lettura della sua guida alla città.
Almeno fino a quando non stabilì di averne abbastanza e che era arrivata l'ora di mettere all'angolo il dispotico Tigrotto “È Altin, vero?”
Il suo vicino scattò sul sedile e abbrancò i braccioli girandosi verso di lui, pronto a saltargli addosso “Chi te l'ha detto!” ringhiò perentorio.
“Ahm, l'inno del Kazakistan che mi sono ripassato dieci volte nell'ultima mezzora ad ogni messaggio che ti arrivava, ad esempio?”
L'altro sbiancò.
Beata ingenuità, Yuri Plisetsky poteva fare la voce grossa, ruggire e mostrare gli artigli, ma restava pur sempre un ragazzino facile da cogliere in castagna.
“È solo questo che ti disturba?” afferrò il cellulare e disattivò la suoneria martellando sui tasti come un forsennato.
“Non mi disturba, mi chiedevo se ci fosse qualche problema tra voi due...”
Il Tigrotto virò dal bianco al verde cadaverico.
“Quale parte del *fatti i cazzi tuoi* non ti è chiara Katsuki!” sbraitò.
“So che siete amici... Magari potrei...”
“No!”
“Parlare...”
“No!”
“Ascolt...”
“No! Io non ci parlo con te, capito? Nemmeno se fossi l'ultimo essere umano sulla faccia della terra! Di tutti i treni che potevo prendere ho avuto la sfortuna di capitare su questo e di averti come vicino di posto, ma questo non fa di te un amico, un confidente e nemmeno un conoscente!”
“Un avversario magari?”
Il biondino era ammutolito di nuovo.
Giappone batte Russia undici a zero.
Yuuri prese un fazzoletto di carta dalla confezione e lo agitò in aria sgranando il sorriso delle grandi occasioni “Tregua?”
“Hah!” rispose il ragazzino che, rimasto a corto di munizioni verbali, incrociò le braccia e rivolse la sua attenzione all'anonimo paesaggio al di là dei finestrini.



Non era certo di aver ottenuto un risultato, almeno fino a quando la voce del russo non si sovrappose al rumore di fondo del treno e al silenzio che era calato tra loro.
“Se ci fosse un amico... E, mettiamo il caso, questo amico facesse all'improvviso dei ragionamenti strani...”
Yuuri sbirciò alla sua sinistra, il suo omonimo teneva lo sguardo ostinatamente fisso oltre i vetri, ma era fuor di dubbio che si stava rivolgendo a lui.
La prende alla lontana...
“Stiamo ragionando per ipotesi?” s'informò cortese.
“È ovvio!” protestò offeso l'altro “Solo per fare conversazione! Il cellulare ha la batteria scarica e non posso ascoltare della musica per coprire le scemenze di quei due” Plisetsky alludeva alla coppietta di fronte, che proseguiva a tubare imperterrita.
“Ah-ha” annuì il giapponese “quindi questo amico ha cominciato a farti dei discorsi strani...”
“N-no! Non a me personalmente!” il ragazzino avvampò “è un amico ipotetico!”
“D'accordo” convenne Yuuri con aria conciliante “e in questo esercizio retorico quali sono gli argomenti *strani* dell'amico?”
“Lui ha ricevuto un'offerta per allenars... No per lavorare! Ecco per lavorare vicino ad una certa persona”
“Si, va avanti” lo incoraggiò, ben sapendo quanto fosse difficile per il Tigrotto tirare fuori un ragionamento che non comprendesse insulti e minacce.
“Beh... L'amico ha detto a quella certa persona che lui si trasferirebbe solo se lei fosse pronta a volerlo nella sua vita”
Traduci dal Tigresco: Altin potrebbe trasferirsi in Russia dove si allena Plisetsky... Ecco perché lo ha chiamato dieci volte, vorrà una risposta e il piccoletto non sa decidersi!
“Se gli ha fatto questo discorso vuol dire che la persona è molto importante per lui, più del suo... Posto di lavoro. Quella persona dovrebbe tenersi caro un amico così”
“No invece!” sbottò il suo vicino picchiando i palmi sui braccioli “Lui deve pensare alla sua carriera, deve allenarsi e vincere e fregarsene se può farlo qui perché ci sono io o in America!”
Seguì un lungo istante di palpabile imbarazzo in cui con tutta probabilità il biondino meditava su come sparire dalla faccia della terra, mentre Yuuri si limitava a prendere atto della cosa.
“Hai mai pensato alla possibilità che arrivare a certi traguardi in due abbia più valore che raggiungerli da solo?”
“Non dovrebbe anteporre noi alla carriera” ammise l'altro afflosciandosi sul sedile dopo un lievissimo sospiro.
“Tu non lo faresti?”
“Si, n-no, non lo so! È un problema troppo grande ok?” sbuffò esasperato, come se non pretendessero già abbastanza da lui là fuori!
“Però te lo sei posto e in quel momento hai smesso di ragionare come io e hai iniziato a pensare come noi
Il russo lo fissò sbalordito, come se avesse avuto una rivelazione “Non ti facevo così profondo Katsuki!”
“Lo prendo per un complimento” ridacchiò il giapponese provocando un sonoro sbuffo che sollevò la lunga frangia bionda del ragazzino.
“Si, ma non t'illudere che questo cambi le cose tra noi, restiamo avversari, sempre e comunque!” riecco il solito Tigrotto e in fondo a Yuuri stava bene così.
“Come vuoi, però qualcuno aspetta una risposta e non sono io” rispose indicandogli il telefono col display acceso dopo l'ultimo messaggio.
Il ragazzino lo prese, ne studiò sospettoso il contenuto, rivolse un'occhiata al suo vicino che sorrideva e annuiva e infine si decise a rispondere, avviando quello che sembrava essere il sospirato colloquio chiarificatore.
La profondità non c'entra niente... pensava intanto Yuuri occupato a massaggiarsi le palpebre Non serve un filosofo zen per capire certe cose, basta sapere cosa significa Amare ed essere Amati.
Lui lo aveva scoperto circa otto mesi prima, magari un po' in ritardo rispetto alla media dei suoi coetanei, eppure stava recuperando rapidamente considerata la follia in cui si era imbarcato: mollare tutto per gettarsi all'inseguimento di un fantasma.
Chi c'era realmente ad attenderlo alla fine del viaggio?
Ammesso che ci sarebbe stato qualcuno e non si fosse trattato di un enorme abbaglio.
Cosa aveva per le mani? Il racconto di un fatto risalente a sessant'anni prima, un luogo, un paio di nomi che a stento comparivano sui motori di ricerca e un bel sogno.
In un serial poliziesco con questi indizi non ti farebbero nemmeno aprire il caso...



Riaprì gli occhi quando sentì un profumo invitante e inquadrò quello che aveva l'aria di essere un fagottino ripieno; il suo omonimo glielo stava sventolando sotto al naso e dato che lui non si decideva a prenderlo precisò “Tieni! Hai un aspetto schifoso e non mi va di passare il resto del viaggio a sentire il tuo stomaco che si lamenta per la fame; chissà cosa combinate di notte voi giapponesi”
Un'offerta di cibo! In certe culture equivaleva a stringere un'alleanza, era davvero un grosso passo in avanti da parte di qualcuno che solo mezzora prima gli sarebbe saltato addosso per picchiarlo.
“Guarda che non sono avvelenati!” strillò il ragazzino davanti al prolungato tentennamento del collega.
“No, no certo... arigato!” Yuuri annuì, ringraziò e accettò l'offerta rituale sbocconcellandola di gusto “Questi li conosco... Sono i pierogi!”
“Ahhhh!” urlò Plisetsky inorridito “Come li hai chiamati?”
“Pi... Pierogi?” balbettò il giapponese, interdetto.
“E io che sono stato tanto idiota da dartene uno! Restituiscimelo!”
Seguì un momento concitato in cui il ragazzino cercò seriamente di recuperare il boccone dalla gola del malcapitato e lui che provava in tutti i modi a scusarsi, anche se non sapeva bene di cosa.
“Quelli sono piroshky e li ha fatti mio nonno! Mettitelo bene in testa! Vedi d'imparare il russo o non sopravviverai un'ora là fuori!”
“I-io pensavo che bastasse un buon livello d'inglese... Per farsi capire ovunque”
“Hah!”
“Comunque complimenti a tuo nonno, è un ottimo cuoco...” Yuuri sorrise accondiscendente provando a limitare i danni, ore di preziosa fiducia guadagnata col Tigrotto non potevano svanire a causa di un fagottino ripieno!
“È il migliore” sentenziò deciso; in qualche modo era riuscito ad ammansire la piccola belva e l'ultimo tratto del percorso filò via liscio, senza ulteriori incidenti.
L'enorme atrio della Stazione Moskovskij li accolse col frenetico via-vai dei suoi passeggeri, in un carosello di saluti, abbracci, risate, che rendeva quel luogo straordinariamente simile a tutte le altre stazioni del mondo.
Anche per loro era venuto il momento di salutarsi, però il giovane giapponese era indeciso sull'atteggiamento da adottare: di certo il ragazzino non era tipo da addii struggenti e lacrimevoli.
“Senti, non so perché sei a San Pietroburgo, né quanto ti fermerai e in fondo non sono affari miei” esordì a sorpresa il più piccolo, mentre procedevano affiancati all'uscita “Però nel caso ti andasse di pattinare, puoi venire all'Accademia del Pattinaggio di Figura e dire che ti mando io”
Dato che l'altro si limitava a guardarlo come se gli fosse spuntata un'aureola sulla testa aggiunse seccato “Beh? È un invito ad allenarsi, non una proposta di matrimonio Katsuky, accidenti ai giapponesi!”
Yuri Plisetsky affrettò il passo e lo lasciò indietro; poco oltre l'ingresso c'era una persona ad attenderlo, suo nonno con tutta probabilità: l'anziano, fermo vicino ad una scalcinata Trabant azzurra, venne letteralmente travolto dall'abbraccio del biondino.
Il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge... Concluse Yuuri sorridendo.
Almeno sui saluti, si era sbagliato.

Fine sedicesima parte


† La voce della coscienza †

Poteva il viaggio di Yuuri verso San Pietroburgo essere un viaggio "normale"? Magari con qualche "normale" ritardo o sciopero o guasto feroviario? Ovviamente no!
Perchè il Fato o chi per Esso ha deciso di mettere un poì d'ordine della sua vita e sistemare qualche conto in sospeso con il feroce Tigrotto faceva parte del pacchetto!
SI sarà davvero ammansita la piccola Belva? Vi confesso che ho altri progetti in serbo per lui, dato che, tolta l'adorazione verso Victor e Yuuri, il piccoletto è il mio personaggio preferito ^^
Spero che vi siate divertiti a leggere questa luuuuuuuuuunga traversata epica del nostro giappino, almeno quanto io mi sono divertita a scriverla, fatemi sapere e allacciate le cinture, perché i suoi guai non sono ancora finiti! *.*

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII° ***


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Capitolo XVII°


San Pietroburgo era avvolta nella luce incerta di un'oscurità precoce, grosse nubi livide e pesanti premevano sugli edifici minacciando da un momento all'altro di rovesciare sulla città un diluvio o una tormenta di neve. Sull'immenso piazzale della stazione non c'era nemmeno l'ombra di un taxi e considerata la sua fortuna potevano passare ore prima di trovarne uno disponibile.
O forse no?
A ben guardare, appostata in un angolo buio, c'era un'auto con l'insegna accesa; Yuuri decise di soprassedere sulla carrozzeria ammaccata e la puntò con decisione.
“Buongiorno, parla inglese? È libero questo Taxi?” chiese alla massiccia sagoma che intravide dal finestrino abbassato.
“Da”
Cominciamo bene...
Un schiocco meccanico indicò l'apertura del bagagliaio.
“Tu mette valigia dietro e poi accomoda, io ti porto dove tu vuole” esordì una voce gutturale.
Pretendevi che scendesse a darti una mano? Suvvia! Forse sono le usanze locali... Pensò mentre armeggiava col trolley per incastrarlo dentro uno spazio minuscolo e già in buona parte ingombro di scatole e oggetti di cui volle ignorare la funzione.
I sedili anteriori dell'auto dovevano aver visto tempi migliori e il giovane pattinatore, fanatico dell'igiene come tutti i suoi connazionali si augurò di non contrarre qualche malattia infettiva... O peggio viste le macchie sospette che ricoprivano il logoro tessuto in simil-pelle.
L'aria era impregnata di tabacco e deodorante scadente usato per coprire l'odore del fumo, in un mix letale da togliere il respiro.
“Vuoi andare in Hotel? Conosco tutti gli Hotel di Pietroburgo, se non hai prenotato uno io ti consiglio posto buono dove spendi poco e ti diverti molto”
“Div... Divertirmi?” domandò senza capire il passeggero impegnato a ripulire le lenti appannate dal brusco passaggio di temperatura.
“Da, da... Con belle signorine, molto gentili” il tassista si girò e accese la luce di cortesia proprio mentre Yuuri rimetteva gli occhiali; ciò che vide andava ben al di là dei peggiori incubi di un viaggiatore abituale.
L'uomo, anzi no, l'energumeno al posto di guida sembrava appena uscito in permesso premio da un carcere di massima sicurezza, di quelli segreti, di cui ogni tanto si sentiva favoleggiare in rete: era un ammasso di muscoli scolpiti da anni di palestra, niente a che fare col fitness da copertina, il tizio doveva essersi plasmato in luoghi spartani, dove si respiravano ancora sudore, fatica e sangue.
Cranio rasato e tatuaggi su braccia, mani e collo completavano il suo guardaroba; Yuuri credette d'intravedere anche un paio di denti d'oro nel ghigno dell'uomo in attesa di una risposta, ma a quel punto era già troppo spaventato per distinguere tra realtà e immaginazione.
Pregò solo che il tassista non se ne accorgesse.
“Allora?”
“Eh?” il passeggero sussultò.
“Vuoi Hotel con signorine o...”
“N-no, grazie, lei è molto gentile, ma io dovrei andare a... All'isola di Kamenny”
Sulla fronte spaziosa dell'autista si disegnarono una serie di profonde linee orizzontali, stava evidentemente cercando di associare il nome ad un luogo e Yuuri sperò fino all'ultimo che ignorasse la destinazione, in modo da abbandonare in fretta la vettura salvandosi da un destino incerto.
“Ostrov Trudyashchikhsya!” esclamò “Isola dei Lavoratori! Bel posto da vacanza, ma noi si va in estate, adesso non c'è nessuno, cosa va a fare tu a Kamenny?”
D'accordo, era la sua paranoia o quello somigliava ad un interrogatorio?
“Ho degli amici, m-mi aspettano là” fu la flebile risposta del giapponese, il quale fornì la prima scusa plausibile a cui aveva pensato “M-ma se è troppo fuori mano per lei, posso prender...”
“Niet! Tu vuoi andare a Kamenny, Sergej ti porta a Kamenny, conosco scorciatoia, non ti preoccupare mindalevidnyye glaza...” gli rivolse un sorriso simil rassicurante, ma i denti d'oro li aveva davvero e non erano due, bensì quattro.
Subito dopo fece scattare la chiusura centralizzata, intrappolando di fatto il giovane all'interno e precisò “Per tua sicurezza, ragazzi in moto si affiancano, aprono portiera e rubano, poi se non trovano soldi, sparano”
“S-si? Grazie...” riteneva di aver toccato il fondo durante un viaggio a New York quando a caricare lui e Pichit era stato un tassista giamaicano strafatto d'erba, ma qui si era su tutt'altro livello.



Inutile dire che il suo stile di guida faceva il paio col personaggio: definirlo “disinvolto” era perlomeno riduttivo.
Al terzo semaforo rosso ignorato Yuuri aveva smesso di raccomandarsi a entità superiori e attendeva rassegnato l'inevitabile; stavano lasciando il centro città, però qualcosa nell'itinerario non lo convinceva: nelle indicazioni fornite dalla receptionist del Savoy l'accesso all'isola di Kamenny era garantito da una comoda strada a scorrimento veloce, una sorta di tangenziale, mentre il paesaggio al di là dei finestrini somigliava più ad un quartiere periferico, di quelli degradati, che le amministrazioni civiche tendevano a nascondere o tuttalpiù ad ignorare.
A conferma dei suoi presentimenti l'auto, dopo alcune svolte in strade sempre più buie e isolate, si fermò sotto l'atrio male illuminato di un condominio enorme e prima che il passeggero potesse obiettare alcunché l'energumeno staccò il tassametro, scese e gli disse “Tu aspetta qui e non esce, torno presto” e tanto per stare tranquillo bloccò di nuovo la chiusura centralizza e si avviò fischiettando sulle scale.
Yuuri valutò di darsi alla fuga, in fondo la chiusura si poteva aprire dall'interno, ma a farlo desistere fu la vista della fauna che popolava la strada e l'ingresso del condominio.
Nemmeno a Detroit c'era un simile assortimento di delinquenza: ragazzini bardati in pelle si muovevano a branchi transitando lenti da un marciapiede all'altro, se questi branchi entravano in contatto scattavano insulti e spintoni, più in là sotto ad un lampione alcune prostitute si intrattenevano in amena conversazione nell'attesa di un cliente, mentre sul muretto antistante un gruppo di sbandati fumava qualcosa e di sicuro non erano sigarette.
Qualcuno infine aveva notato il taxi e il suo passeggero, perché i gruppuscoli cominciarono ad avvicinarsi in una specie di manovra di accerchiamento della preda e a dividerlo da... Non voleva nemmeno sapere cosa, c'era solo un sottile strato di lamiera arrugginita.
Chiamare la polizia fu il pensiero più logico quando vide alcuni dei ragazzini appoggiarsi con noncuranza sul cofano; però si accorse che tenevano d'occhio i suoi movimenti aspettando l'occasione propizia per tirarlo fuori da lì e fargli la festa.
Ne dedusse che la polizia sarebbe arrivata giusto in tempo a raccattare quel poco che restava di lui, ammesso che gli agenti avessero il coraggio di presentarsi in certi quartieri.
Poi, com'erano arrivati, all'improvviso i teppistelli in erba si dispersero; sulle scale era ricomparso il suo autista e sbraitava in russo al loro indirizzo. Yuuri gliene sarebbe stato grato se l'occhio non gli fosse caduto subito dopo sugli attrezzi branditi dall'energumeno: una grossa cassetta di metallo e una mazza da baseball, che agitò in direzione del branco di ragazzini prima di buttarla insieme alla cassetta sul sedile anteriore libero.
“Tu no spaventato, vero?” chiese il tassista usando un tono quasi premuroso “Sono piccoli bastardi, bisogna fargli capire chi comanda”
Il suo passeggero era bianco come un lenzuolo e poiché continuava a fissare terrorizzato la misteriosa scatola metallica aggiunse “Forse un po' di borsh caldo ti farebbe bene, si? Mama usa ancora vecchia ricetta, è ideale per turno di notte” concluse tutto soddisfatto accarezzando amorevolmente il coperchio del suo cestino porta pranzo.
“Faccia come se avessi accettato...”
Quando l'omone si girò per rispondere trovò il suo passeggero collassato sui sedili, sembrava dormire come un bambino e lui non ebbe cuore di svegliarlo; mise in moto e partì sgommando alla volta dell'isola di Kamenny.
Yuuri non stava dormendo, era proprio svenuto, e durante il viaggio soffrì di incubi orrendi degni di un B-movie splatter degli anni Settanta, di quelli senza lieto fine, che a Phichit piacevano tanto.
“Siamo arrivati mindalevidnyye glaza, ora tu sveglia!” a salvarlo da un branco di criceti mannari intenzionati a divorarlo vivo fu la voce baritonale dell'autista “Siamo a destinazione!”
Ribadì il concetto indicando un cartello di benvenuto a lato carreggiata, scritto rigorosamente in cirillico oltre il quale la strada proseguiva illuminata da radi lampioni giallastri.
“S-siamo a Kamenny?”
“Da, Isola dei Lavoratori”
“Eh... Ma...” il giovane giapponese si guardò attorno ancora intontito, però non riconobbe nulla di quel luogo “E il Castello?”
“Castello? Tu intendi  Kamennoostrovsky Palace?“
“N-no, no una dacia, la chiamano il Castello
Di nuovo sulla fronte dell'uomo si formarono delle profonde pieghe, ma stavolta non ne venne alcunché di utile “Non conosco questo Castello, però questa è isola di Kamenny, tu arrivato, tu paga corsa o io...”
“No-no-no-no!” esclamò impaurito Yuuri che non ci teneva a sapere il seguito; aprì il portafogli e gli diede tutti i rubli al suo interno “Pago!”
“Questo è troppo, tu aspetta, io do resto!”
“No! Tenga pure il resto, p-per la sua gentilezza!”
Scese dalla macchina prima che il tizio ci ripensasse, raccattò al volo il trolley e si allontanò a passo di carica; sarebbe tornato a nuoto via fiume piuttosto di fare un altro giro sul taxi degli orrori.

Fine diciassettesima parte


† La voce della coscienza †

Ultima fermata: isola di Kamenny!
Grazie ad un'ignota protezione divina Yuuri è riuscito ad arrivare a destinazione, con la sua virtù intatta e gli organi al posto giusto, il che non lo ha salvato da una gita fuori programma nelle periferie più degradate della città!
Tuttavia questa è stata una passeggiata in confronto a quello che l'attende adesso! Prendete la vostra copertina preferita, i pop corn, i fazzoletti, una torcia d'emergenza e preparatevi all'ultima parte di questo viaggio! Ma soprattutto vogliatemi bene *-*

Mindalevidnyye glaza-> Occhi a mandorla, il soprannome simpaticamente rifilato dal forzuto tassista al nostro Yuuri ^^

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII° ***


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Capitolo XVIII°


Da un po' aveva preso a cadere una fastidiosa pioggia gelida e il crepuscolo era ormai una sottile striscia incandescente sotto la pesante lastra di piombo del cielo.
Yuuri fece il giro dell'isola senza incontrare anima viva; la Kamenny del sogno e dei ricordi di madame Baranovskaya era un luogo spettrale, silenzioso e i suoi nervi, già provati dal terribile viaggio in taxi, gli facevano immaginare ombre tra gli alberi, mentre i loro rami spogli somigliavano a dita adunche protese verso di lui.
La scarsa illuminazione, il freddo pungente e una vaga foschia sembravano messi lì apposta per impressionarlo più di quanto non fosse già. Non si era mai reputato uno spavaldo e quelle rare volte in cui Phichit riusciva a convincerlo a guardare un film horror controllava sempre sotto al letto prima di coricarsi.
Eppure niente poteva prepararlo a ciò che gli si parò di fronte alla fine dell'ultima strada rimasta da ispezionare.
Adesso capisco perché lo hanno soprannominato il Castello... È la copia in miniatura del Castello di Dracula!

L'arcigno profilo dell'edificio si stagliava nero contro manto uniforme della notte; le linee dei tetti, le decorazioni scolpite disegnavano una struttura allo stesso tempo massiccia e capricciosa, un gotico bizzarro, che, visto con lo spirito facilmente suggestionabile di Yuuri in una sera da tregenda, aveva poco o nulla della ridente dimora estiva.
Eppure non poteva sbagliarsi: era il luogo descritto dall'ex ballerina e, fatto, assai più inquietante nel valutarlo a posteriori, corrispondeva fin nei minimi dettagli a quello visitato in sogno.
Certo, sembra disabitato da decenni... pensò il giovane mentre apriva il basso cancello dai cui cardini uscì un rugginoso lamento Però il giardino, gli alberi secolari, il viale d'accesso... Tutto coincide.
Entrò camminando sopra un soffice tappeto di foglie morte dove si spegneva il rumore dei suoi passi, ma anche così aveva l'impressione che il rimbalzare discontinuo del trolley sulle pietre sconnesse e soprattutto il battito accelerato del suo cuore potessero udirsi a chilometri di distanza.
Inutile girarci attorno, si chiama Paura Yuuri e se non muori di spavento è possibile che esca qualcuno e ti spari perché stai violando una proprietà privata.
Sull'ultima ipotesi aveva alcune riserve, data la scarsa probabilità che una persona normale vivesse in un posto simile; tuttavia fu costretto a rivalutarla molto in fretta quando vide una luce transitare dietro alle finestre del piano terreno e poi scomparire in un tremulo bagliore nelle stanze sul retro.
Cercò una spiegazione logica al fenomeno, ma i suoi pensieri erano paralizzati dal panico; l'istinto gli suggeriva di alzare i tacchi e scappare senza voltarsi indietro, eppure le gambe si rifiutavano si muoversi.
Andiamo, grande e grosso e te ne stai lì a piagnucolare come un bambino! Era un riflesso sui vetri e quella è solo una grande casa abbandonata!
Hai attraversato sottopassi più spaventosi a Detroit!

Rastrellò ogni briciola di baldanza che gli era rimasta, inspirò profondamente e si risolse a raggiungere l'ingresso.
Dovunque lo avessero portato Victor e la sua ricerca non era certo arrivato fin lì per rinunciare a un metro dal traguardo.



Sotto la tettoia c'era una targa consumata e scolorita, se un tempo aveva ospitato nome e numero civico ora erano praticamente illeggibili; Yuuri cercò senza successo qualcosa che somigliasse ad un campanello e, nell'intento di bussare, il pesante battente metallico che ornava la porta si staccò rotolando a terra con un fracasso assordante che lo fece sobbalzare.
Indietreggiò di qualche passo e occhieggiò in apprensione se dall'interno della casa giungesse un segno di vita, ma nulla, il bizzarro edificio continuò ad ignorarlo e a dormire nel suo sinistro abbandono.
Come gli venne l'idea?
Nemmeno lui avrebbe saputo spiegarlo: prese il suo trolley e fece il giro sul retro; voleva scoprire se ci fosse un modo di spiare l'interno da qualche finestra.
Stavolta fu più fortunato: un davanzale al piano terreno poteva essere raggiunto con facilità arrampicandosi su uno spallotto di pietra; il giovane mise da parte la prudenza e lo scalò risolutamente insieme al suo bagaglio.
La sporgenza riusciva a reggere entrambi, ma gli infissi a cui si era appoggiato dovevano essere marci, perché dopo un leggero scricchiolio di avvertimento cedettero di schianto facendo precipitare l'intruso e la valigia all'interno.
Yuuri perse la cognizione del tempo per qualche istante, di certo aveva gridato e creato tanto di quel trambusto da svegliare perfino i morti.
Sentiva dolore alla schiena e realizzò che si trattava della valigia, nella caduta gli era finita addosso aprendosi e sparpagliando le sue cose sul pavimento. Le distingueva in modo confuso davanti a sé, alla poca luce che entrava dalla finestra spalancata, cadendo gli occhiali erano volati via e quando riuscì a recuperarli si accorse che una delle lenti era incrinata.

“Ricapitolando abbiamo: violazione di proprietà privata, effrazione e danneggiamento, notevole per essere la tua prima azione criminale...” mormorò il giovane rimettendosi in piedi a fatica, la casa era immersa in un silenzio perfetto, così perfetto da risultare insostenibile e per spezzarlo azzardò ad alzare la voce “C'è nessuno? Ehi, c'è qualcuno in casa?” le ombre accolsero e trattennero la sua domanda, nessuna eco tornò a rassicurarlo.
A sua consolazione, una volta adattati gli occhi alla semioscurità, scoprì che l'interno era in condizioni migliori rispetto alla struttura esterna; la stanza in cui era caduto conservava qualcosa del mobilio originale e in fondo alla parete c'era un enorme camino in cui erano sistemati grossi ciocchi di legna da ardere, come se il proprietario si fosse premurato di lasciare tutto in ordine in vista di un successivo ritorno.
Un brivido rammentò a Yuuri di essere bagnato fradicio e lì davanti aveva un camino pronto all'uso; aggiungere alla lista dei reati anche l'appropriazione indebita non gli sembrò in definitiva tanto grave.
Come aveva immaginato il meticoloso padrone di casa aveva posato sulla mensola una scatola di fiammiferi e, a parte un leggero filo di polvere, erano perfettamente funzionanti; accendere il fuoco non fu complicato, lo faceva di frequente alla locanda, quando si tratta di attivare il tradizionale impianto di riscaldamento delle terme.
La legna prese subito e la cappa tirava bene segno che il camino era stato pulito negli ultimi tempi, presto i grossi ciocchi iniziarono a crepitare sprizzando scintille e scoppiettii a causa dell'umidità.
Beh, almeno non correrò il rischio di appiccare un incendio... considerò il giapponese sollevato.
Il fuoco, la luce avevano ancora quell'effetto tranquillizzante che accompagnava l'uomo dai primordi della civiltà e con la luce e il calore che si propagavano nella stanza a Yuuri tornò la curiosità di esplorare meglio l'ambiente.
Sulla mensola insieme ai fiammiferi c'era un candeliere di fortuna con alcuni mozziconi di cera consumata, una volta accesi poté dedicarsi a raccogliere i suoi effetti personali e a controllare lo smartphone.
Dai? Niente campo... Perché la cosa non mi sorprende?



Avrebbe pensato più tardi ad un modo per tornare in città, poi valutò l'idea di passare la notte lì.
Un tale sprezzo del pericolo sorprese lui per primo, ma, tolto lo spavento iniziale, era ormai certo che la casa fosse deserta e nessuno sarebbe venuto a disturbarlo in un luogo tanto remoto.
Non da ultimo lo stravagante palazzo aveva cominciato ad assumere un'aria familiare; quello in cui si trovava ad esempio era il salotto, sollevando il candeliere trovò la scalinata di legno che conduceva ai piani superiori, la stessa che aveva visto in sogno.
Il divano, le poltrone erano dove li ricordava e non si stupì nemmeno di scoprire sopra un basso tavolinetto intarsiato un grammofono insieme ad una raccolta di vecchi dischi in vinile.
“Come funziona questo coso...” abituato al digitale Yuuri dovette armeggiare un po' per scoprire che doveva girare una manovella per caricare l'apparecchio e doveva mettere il vinile sul piatto, perché non ci sarebbe andato da solo.
“Vediamo la playlist...” sorrise quando nella pila dei 33 giri trovò esattamente quella canzone e la posizionò con estrema delicatezza sotto la puntina.
Il suo stato d'animo somigliava al fruscio incerto che usciva dal grammofono, alla voce roca e lontana che raccontava l'Amore: era come se tutto in quella casa gli stesse parlando, eppure a lui arrivava solo un brusio confuso.
“Dannazione Victor cosa vuoi dirmi...” sospirò sconfortato e si alzò, propenso a continuare la sua esplorazione.
Fu allora che notò la grande porta coi vetri all'inglese; immetteva in un piccolo ambiente attiguo, probabilmente uno studio e non la rammentava nel suo sogno per il fatto che doveva essere stata ricavata molto più tardi prendendo una parte di spazio dal grande salotto. L'intelaiatura di legno era nuova in effetti e sui vetri mancava la patina opaca degli anni.
Il giovane abbassò la maniglia e ciò che vide una volta varcato l'ingresso lo lasciò attonito sulla soglia.



La stanza delle medaglie... Allora esiste davvero.
Alla luce vacillante delle candele trofei e medaglie si accesero di riflessi dorati, sulle scansie accanto alle pareti faceva bella mostra di sé una collezione di premi che nemmeno nelle sue fantasie più sfrenate era riuscito a concepire.
L'oro era protagonista e non poteva essere altrimenti dopo quello che gli avevano raccontato madame Baranovskaya e Celestino, ma c'era spazio anche per il chiarore lunare dell'argento e i toni cupi del bronzo, oltre ad una serie infinita di coppe e targhe.
Ai riconoscimenti si accompagnavano le fotografie delle occasioni in cui erano stati ottenuti.
“Che bambino adorabile!” Yuuri aveva preso una foto in cui un Victor di forse cinque o sei anni posava tutto serio e impostato accanto ad un trofeo più grande di lui “Davvero un piccolo angioletto” ridacchiò sommessamente rimettendola a posto con cura.
In altre scoprì con stupore che da adolescente aveva avuto i capelli lunghi ed era diventato così bello da togliere il fiato “Oh, è inutile che mi guardi con quell'aria contrariata caro signor Nikiforov, chissà quanti cuori avrai spezzato prima del mio!”
Spostandosi allo scaffale successivo, però il suo sorriso si spense.
“Ehi... Ma tu cosa ci fai qui?” bisbigliò allungandosi a prendere l'ultimo oggetto che si sarebbe aspettato di trovare in quella stanza.
Il porcellino viola gli restituì un'occhiata strabica.
“Sei proprio brutto! Non dovresti stare in mezzo a questi tesori...” esclamò, quindi alzò la testa e scorse il portafoto di cristallo che il peluche nascondeva: lo scatto immortalava la sua premiazione a Milano, lui al centro sul gradino più alto che piangeva come una fontana, Plisetsky con un'espressione incarognita da manuale e Christophe intento a mandare baci alle sue fans.
Ossignore...
Quindi Victor era stato lì negli ultimi mesi!
No... Non mesi.
Anni.
Volevi che le vedessi, vero?

Sulla mensola restavano ancora molte foto da esaminare e non dovette neppure sforzarsi troppo per collocarle nella giusta epoca.
Un salotto moderno, Victor insieme ad altre persone seduto davanti ad una TV in bianco e nero che annunciava l'arrivo dell'uomo sulla Luna.
1969.
Victor confuso tra una folla festante ai piedi di un muro ormai demolito, il Muro di Berlino.
1989.
Ancora Victor sulla Piazza Rossa, di nuovo altri festeggiamenti e ovunque bandiere del neonato Stato russo.
1990.
E alternate a queste altre immagini di eventi sportivi: lo riconobbe nel parterre delle Olimpiadi Invernali di Nagano, Torino, Soči e nell'ultimo Mondiale di Helsinki in cui aveva clamorosamente mancato il podio finendo all'ultimo posto.
Sapere che Victor era lì e lo aveva visto fallire travalicò per un attimo la sconvolgente rivelazione che quelle foto racchiudevano.
Solo quando si rese conto che davanti al lui c'era la risposta alla sue domande abbandonò le gramaglie del sentirsi un perenne perdente, arretrò di alcuni passi e osservò il quadro d'insieme che le immagini e i trofei componevano.
“Ossignore” ripeté ad alta voce premendo la mancina sulle labbra per soffocare il suo sgomento “è la stessa persona...”
Non esiste alcun nipote, sosia, omonimo niente che scienza e logica possano spiegare!

Fine diciottesima parte


† La voce della coscienza †

Alla fine il nostro Yuuri ha sbattuto il naso contro la realtà, dopo averlo sbattuto sul pavimento a causa della sua fantozziana irruzione nel "Castello".
E' comprensibilmente scioccato, ma io, che sono una bruttissima persona e un po' sadica inside vi anticipo che il meglio (o il peggio) deve ancora venire! Se proprio non riuscite a resistere alla curiosità potrei prendere in considerazione di aggiornare il Capitolo diciamo... Uhm... Venerdì invece di sabato :p

La dacia, che ho denominato "il Castello" esiste davvero sull'isola di Kamenny e ho preso spunto dalla sua struttura per ricavarne la classica cadente dimora da vampiri :)



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Capitolo 19
*** Capitolo XIX° ***


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Capitolo IX°


“A volte la verità non è logica, né improbabile, a volte la verità è semplicemente impossibile Yuuri”
No.
Quella voce non l'aveva sognata, non era nella sua testa, veniva da qualche parte dietro di lui.
Molto vicino.
Il portafoto di cristallo scivolò tra le sue mani insicure e cadde a terra frantumandosi in un'esplosione di schegge, il pupazzo lo seguì con un morbido tonfo.
Se mi giro adesso tutto cambia per sempre.
Se mi giro adesso non si torna indietro.
Se mi giro adesso chi dovrei trovare?
Se...

“Se ti volti non accadrà niente e troverai me” le mani di Victor si posarono caute sulle sue spalle e lo costrinsero a girarsi, poi gli sollevarono il viso fino ad incontrarne lo sguardo, ma il giovane indugiava tenendo le palpebre serrate in quello che sembrava un rifiuto ad affrontare la realtà.
“Apri gli occhi, per favore” insistette l'uomo, quasi implorando.
Incontrare di nuovo quel mare turchese diede un senso a tutto; ogni avvenimento tornava nella giusta prospettiva e ciò che si era rotto dentro di lui in quei mesi tornò finalmente a funzionare.
“M-mi dispiace” sussurrò.
“Era solo un portafotografie Yuuri, ne comprer...”
“Mi dispiace di averti deluso, va bene?” l'altro lo interruppe con foga “F-forse ti aspettavi di più da me, di una medaglia conquistata grazie agli errori altrui! Inoltre m-mi sono comportato in maniera orribile, senza nemmeno dirti grazie!”
“E hai fatto migliaia di chilometri solo per ringraziarmi?” la voce del russo fu un soffio sottile, amareggiato, mentre i pensieri di Yuuri erano un grumo burrascoso di emozioni che non riusciva a decifrare; per la prima volta lo aveva chiuso fuori dalla sua mente, lasciandolo in balia di due grandi occhi di velluto bruno traboccanti di lacrime.
“No!” strillò “Sono qui perché sono arrabbiato con te ovviamente!”
“Ohi-ohi...”
“Te ne sei andato senza una parola! Non si tratta così la persona a cui si tiene!”
“Allora è vero che ti ho spezzato il cuore” l'espressione di Victor si addolcì, lo prese per le braccia e si accorse che tremava “Nessuno dei due pare si sia comportato il maniera esemplare, dovremmo cominciare da capo, sei d'accordo?”
“E me lo dici come se niente fosse dopo avermi mostrato... Questo?” Yuuri gli indicò le bacheche, poi cercò di allontanarsi, d'interrompere una vicinanza desiderata e spaventosa al tempo stesso.
“Dovevi arrivare qui, vedere... E capire.” fu la pacata replica.
“Beh, non sono sicuro di avere capito *cosa* sei Victor Nikiforov!” l'atteggiamento misurato del suo interlocutore finì per esasperarlo del tutto “In cosa ti hanno trasformato dopo quell'incidente, quali esperimenti ti hanno reso un...”
“Mostro?”
Il giovane spalancò gli occhi e s'irrigidì “Io non ho mai...”
“Oh si invece, posso leggerti dentro con la stessa facilità con cui tu sfogli un libro, vuoi una prova del mostro che sono diventato?”
Fu un mutamento impercettibile, ma sufficiente a svelare l'ovvietà del meccanismo tra preda e predatore in cui era caduto: la voce che prendeva una sfumatura aggressiva e sprezzante, l'incupirsi dello sguardo, il serrarsi doloroso della stretta sulle sue braccia.
Yuuri provò inutilmente a divincolarsi col risultato di trovarsi schiacciato con la schiena al suo petto, mentre un braccio gli bloccava la gola impedendogli di respirare e la mano libera percorreva in una lenta carezza lasciva il fianco, la spalla e arrivava a scoprirgli il collo.
“Pensi ancora che siamo persone Yuuri? Che il Principe delle Tenebre abbia un'aura romantica e malinconica?” il giovane non riconobbe il tono mellifluo e ironico, non era Victor quello che gli stava parlando, non era lui a stringergli la gola fino a farlo soffocare “Avevo immaginato in maniera diversa la nostra prima volta, sarebbe stato tutto... Perfetto! Però siamo mostri, siamo lontani dalla perfezione”



Come siamo siamo arrivati a questo punto?
La Sete.
L'Istinto.
L'Amore.
La Rabbia.
La Paura.
Soprattutto la paura!
L'irrazionale paura di perderlo, di non poter sopportare il ribrezzo che avrei letto nei suoi occhi.
Ascolto incredulo parole orribili uscire dalle mie stesse labbra, so esattamente quello che sta per succedere e non voglio, non posso fermarmi!
Yakov avevi ragione ed io torto.
Adesso che so cosa significa amare tanto una persona da volerla consumare completamente sei contento vecchio?




“Vitya... Ti prego, Vitya...”
Era un suono flebile, ma sufficiente ad allentare la morsa che lo teneva bloccato permettendo all'aria di fluire di nuovo nei polmoni; Yuuri ne bevve un lungo sorso, tossì, ansimò e a fatica riuscì a proseguire “F-forse non so cosa sei diventato, ma so bene chi sei... So che ti piace abbracciare le persone...”
Victor non lo stringeva più ormai, le sue braccia erano ricadute inerti lungo i fianchi, toccava al lui adesso girarsi e chiuderlo in una tenera prigione d'affetto.
“Ti piace andare in soccorso di certi soggetti imbranati e disastrati... Ti piace pattinare e nessuno lo ha fatto o lo farà mai come te...”
C'era riuscito ancora, con poche, semplici parole aveva allontanato di nuovo lo spettro scarlatto della Sete, come sul ghiaccio a Milano, tanti mesi fa.
Yuuri non era solo la persona che aveva deciso testardamente di amare, in dispetto ai dettami di Yakov e delle convenzioni del suo mondo; era una medicina, un antidoto alla sua natura, la mano che lo guidava sulla fune tesa al di sopra del baratro della follia.
“Tu piangi...” mormorò sorpreso il giovane quando sentì qualcosa di umido scendergli sul viso, ed erano lacrime vere, non un pianto di sangue.
“Ho avuto paura...” ammise l'uomo che poté arrischiarsi di cingerlo a sua volta senza sentire altro desiderio che il contatto col suo corpo “tu no?”
“Dovrei avere paura... Di te?”
“Un individuo di buon senso l'avrebbe”
“Oh... I-io e il Buon Senso abbiamo smesso di parlarci dalla finale dei Mondiali, ci siamo presi una pausa di riflessione...”
Lo sentì sorridere, rilassarsi e suo malgrado sorrise insieme a lui “Ohi-ohi temo che anche quello sia colpa mia”
“Victor...”
“Che c'è solnyshko moyo?”
“S-sai credo di essere sul punto di svenire...”
Doveva aspettarselo che l'impalcatura emotiva su cui era riuscito a reggersi fino a quel momento sarebbe crollata miseramente; dopo tutto quello che gli era capitato nelle ultime ore il suo Sole aveva oltrepassato il punto di rottura .



Quando riaprì gli occhi era sdraiato sul largo divano davanti al camino, si sforzò invano di mettere a fuoco la sagoma in controluce accoccolata sul pavimento vicino a lui e sbuffò “Ah, dove sono finiti gli occhiali?”
“Li ho presi io, subito dopo aver preso te, subito prima che cadessi a terra”
“Potresti ridarmeli?”
“Ah no! Quella lente scheggiata è pericolosa, domani ne faremo fare una nuova”
Il russo reclinò il capo verso di lui e sorrise.
La crisi era passata, di qualunque cosa si fosse trattato ormai era alle loro spalle e Victor, beh, era tornato il Victor di sempre.
“Si, ma io non vedo niente” si lamentò l'altro stropicciandosi le palpebre.
“Non c'è nient'altro d'interessante da vedere qui, tra poco la macchina verrà a prenderci e torneremo a casa”
“Casa?”
“Casa nostra, a San Pietroburgo, in città” si premurò di specificare l'uomo con un sorriso sornione.
“Io pensavo abitassi qui!” il giovane era sorpreso, tanto da soprassedere, sul momento, al reale contenuto della sua affermazione.
“Oh, passi l'immagina romantica e decadente” Victor iniziò a ridere di gusto “Però questa dacia cade a pezzi! È una fortuna che tu non ti sia ferito quando sei entrato dalla finestra, ti è mai passata per la testa l'idea di provare ad aprire la porta?”
“Uhm... no” fu la risposta imbarazzata.
“Non ti piacciono le cose facili”
“No... Credo di no”
Yuuri accennò un sorriso; era arrossito e il suo imbarazzo aumentò quando comprese infine il significato di tutto il discorso.
“U-un attimo...”
“Ah-ha...
“Ho capito male o mi hai appena detto che il tuo autista verrà a prenderci a momenti per portarci... A … Casa Nostra?”
“Oh Yuuri! Quanto mi sono mancate le tue risposte in differita!” Victor si era girato nella sua direzione e aveva posato i gomiti sul divano osservando di sotto in su l'espressione sbalordita del giapponese “Tu mi ascolti dalla Luna, vero? O magari da Marte!”
“M-ma, ma io...” era passato da un rossore soffuso ad una tinta bordeaux uniforme, prese un lungo respiro e poi esclamò “Io non sono d'accordo!”
Il russo si aspettava una contestazione, forse meno diretta, tuttavia evitò di entrare nei pensieri del suo adorato “disastro”, non dopo il terribile azzardo di poc'anzi; si limitò a guardarlo con un'aria affranta, da cane bastonato, che avrebbe commosso un sasso.
“Davvero?” mormorò corrugando la fronte.
“Si, io ho delle obiezioni sul fatto che qui non ci sia nient'altro da vedere...”
“Ohi-ohi”
“P-prima di andare a casa”
“Nostra”
“Nostra...” capitolò l'altro, a cui quella piccola parola rimbalzava nelle orecchie come la più dolce delle melodie.
“Cosa vorresti vedere Yuuri?” chiese sporgendosi un po' verso di lui.
“Ecco... Vorrei... Vedere te, vorrei conoscere quello che le fotografie e i premi non raccontano” sussurrò e protese la mano a sfiorargli il viso in una timida carezza, quindi aggiunse quasi vergognandosi “Ma devi venire più vicino, perché da qui è tutto sfocato”
L'uomo si allungò maggiormente, ormai era ben visibile allo sguardo miope del giovane la curva divertita del suo sorriso “Meglio?”
Yuuri arricciò le labbra ostentando disappunto “Uhm, più vicino...”
“Adesso?” il naso del russo arrivava a sfiorare il suo; poteva distinguere le lunghe ciglia chiare che nascondevano in parte l'ammiccare scherzoso del suo sguardo.
“Non è sufficiente...”
“Allora dimmi tu quando è abbastanza”
Yuuri non ne aveva alcuna intenzione e anche se l'avesse avuta Victor aveva impegnato le sue labbra in modi che non contemplavano l'uso di parole o la capacità di formare discorsi coerenti.
Sapeva quale potere riusciva ad esercitare su di lui.
Aveva già sperimentato gli effetti della sua vicinanza quando mesi prima in quello spogliatoio a Milano era solo un giovane uomo frustrato, ansioso e represso che aveva appena scoperto un paradiso proibito e ci si era avventato in modo disordinato e vorace; col terrore di essere scoperto nelle sue fragilità e l'egoismo di volerlo tenere tutto per sé, senza nemmeno mostrargli un po' di gratitudine.
Frustrato, ansioso e represso lo era ancora probabilmente, con la differenza che adesso ne era consapevole e con la stessa consapevolezza voleva che Victor portasse a termine ciò che aveva cominciato in primavera e continuasse a farlo per sempre.
Erano stati intimi, i loro corpi si erano trovati vicini più di quanto Yuuri avesse permesso a chiunque altro, adesso però, nel modo in cui le mani del russo s'infilavano sotto i suoi vestiti e percorrevano l'epidermide serica in cerca dei punti più delicati e sensibili, c'era un'intensità nuova e per certi versi sconvolgente.
Microscopici impulsi nervosi si trasmettevano dalla superficie esterna, dall'involucro composto di carne e sangue fino al centro dell'anima e lo facevano sospirare di pura estasi ogni volta che si attardava su quella minuscola zona.
Fu una straordinaria rivelazione scoprire che Victor rispondeva con eguale sollecitudine alle sue impacciate attenzioni e non si stancava di ripetergli quanto fosse bello e desiderabile, abbandonato sotto di lui sul velluto ammaccato del divano, tra gli abiti sgualciti gettati alla rinfusa, coi capelli arruffati, le guance in fiamme e gli occhi lucidi di pianto.
La risposta naturale ad una dolce profanazione che lo aveva trovato più che consenziente e lo aveva lasciato esausto, eppure appagato in ogni minima fibra del suo essere.



Tuttavia...
Una piccolissima obiezione si fece strada nei soffici pensieri di Yuuri e colpì il suo amante come una frustata; condividere il sesso, mescolare gli umori, annullarsi fisicamente l'uno nell'altro aveva reso la loro connessione più forte ed esclusiva; Victor percepì subito un turbamento nello spirito limpido del giovane.
“Yuuri” lo chiamò in un modo basso e vibrato, che era suo soltanto e gli scioglieva il cuore ogni volta “Cosa c'è?”
“Dimmelo tu...” provocò l'altro socchiudendo le palpebre e stirando gli angoli della bocca in un pigro sorriso.
“Demonietto” lo rimproverò maliziosamente l'uomo, prima di scivolargli al fianco e insinuare una gamba tra le sue “Non funziona così e poi non voglio rubarti ancora i desideri, i sogni, le paure, dovresti farmene partecipe”
“È... Difficile da spiegare” esordì il giovane occupato ad intrecciare le sue dita con quelle di Victor come se fosse un passatempo molto impegnativo“E non vorrei che la prendessi a male”
Era una di quelle frasi che autorizzavano un partner a porsi decine di domande, la maggior parte delle quali circa alle sue prestazioni amatorie.
Si trattava forse di qualcosa che aveva o piuttosto non aveva fatto? Lui era vergine e pur con le mille accortezze usate per non spaventarlo o traumatizzarlo era così sensibile! Poteva essergli sfuggito qualcosa!
“Quando hai parlato della nostra prima volta...” Yuuri continuò ignaro delle sue paturnie erotiche “Immagino non ti riferissi solo... A questo” smise di giocherellare con le dita e lo guardò speranzoso che avesse intuito il punto della questione, ma il russo non dava segno di aver colto alcunché quindi emise un lieve sospiro e girò il capo per offrirgli il collo da un'angolatura assai più sensuale.
“Oh, no! No-no-no!” il tono di voce lo spinse ad aprire un occhio per sbirciare la sua espressione; l'uomo accanto a lui lo guardava come se ne fosse terrorizzato
“Victor...” mormorò confuso, aveva scoperto di volerlo quasi nello stesso istante in cui gli aveva rivelato la sua vera natura e con ragionevole sicurezza sapeva che il desiderio era reciproco; quindi perché adesso gli negava qualcosa che doveva sancire la loro unione come un sigillo di sangue, uno scambio segreto di promesse, un vincolo che lo legasse a lui al di là dei fragili confini umani?
“Victor... Niente!” esclamò l'altro e poi aggiunse “Hai letto troppi libri e visto troppi film, ti sei fatto un'idea sbagliata delle creature della notte; tutto quel palpitare, struggersi per il misterioso e pallido protagonista è finzione letteraria, buona solo ad ingrassare le tasche degli autori!”
Yuuri inarcò un sopracciglio “Se non ricordo male hai detto di averli letti anche tu quei libri e di averli trovati... Divertenti e istruttivi”
“Appunto: divertenti, niente a che vedere col nostro mondo, non c'è niente di romantico o piacevole in ciò che facciamo, ed ... È eccitante quanto una visita medica”
Le sopracciglia inarcate divennero due.
“Bugia...” bisbigliò piano portandosi la sua mano alle labbra per baciarla.
“Sembra che tu stia cercando di convincere te stesso. Perché?”



Si è vero, assolutamente vero.
E bravo il mio magnifico Disastro.
Perché voi umani avete questa smania di volere tutto e subito e vi saziate delle vostre conquiste solo per pochi istanti prima di volere ancora e ancora di più.
E perché la mia determinazione è tanto debole di fronte alle tue aspettative e al sorriso placido e fiducioso che mi rivolgi!




“Hai visto anche tu cos'è successo di là” Victor prese un lungo respiro “Siamo come scogli affilati a pelo d'acqua nascosti dalla nebbia e voi siete piccole navi, che avanzano inconsapevoli, senza mappe o strumenti di navigazione, la maggior parte delle volte ci passate accanto e noi vi lasciamo andare sfiorandovi appena, senza conseguenze. Ma può accadere che uno di quegli scogli, privo di scrupoli o sensi di colpa, decida di prendersi la vita del marinaio, distruggendo la sua barca e, compiaciuto, lo osservi affogare”
“Tu no!” fu pronto a ribattere il giovane, stringendo la presa delle dita quando il russo provò a ritrarsi “Mi hai chiesto se avevo paura di te e perfino adesso, mentre provi a dissuadermi e spaventarmi usando delle scuse, la mia unica vera paura è di perderti di nuovo”
“La mia parola d'onore che non mi perderai mai più sarebbe sufficiente a farti desistere?”
“No-no” rispose Yuuri dondolando piano la testa, serio, addirittura imbronciato.
Diabolico demonietto!
“Non credo siano il luogo e il momento opportuni per affrontare questo discorso...”
“Conosci forse un momento più opportuno di altri per dedicarti alla persona amata?”
“Questo è un colpo basso Yuuri!” sbottò incredulo mettendosi a cavalcioni sopra di lui; l'oggetto della sua indignazione si godeva la momentanea superiorità di gioco e gli sorrideva beato fissandolo sotto le palpebre socchiuse.
“Sei sempre stato un passo avanti a me, hai sempre intuito in anticipo quello di cui avevo bisogno e col senno di poi mi è chiaro il motivo, adesso che io sono riuscito a sorprenderti mi rimproveri? Ho vinto un mondiale e ti ho trovato” dichiarò il giovane lasciando scorrere sotto le sue dita la muscolatura levigata e tonica del russo “Perciò escogita una ragione davvero valida per negarmi il premio o consegnamelo senza tante storie”
“Oh, è una minaccia!” Victor sorrise intenerito da quell'uscita spavalda.
“Si e molto seria”
“Comincio ad avere paura...” rispose chinandosi su di lui per sfiorargli la gola con un bacio.
Alla fine era entrato nel gioco in cui Yuuri lo aveva trascinato suo malgrado.
Era pericoloso? E cosa non lo era nella sua vita?
Aveva ragione a muovergli quei rimproveri, gli aveva sconvolto l'esistenza comportandosi come una divinità onnisciente, disponendo i pezzi sulla scacchiera convinto di sapere cosa fosse bene per lui, certo che una medaglia potesse ripagare anni di solitudine e tristezza.
Avrebbe dovuto imparare la lezione: il metallo per quanto nobile e prezioso non sostituiva nemmeno un'ora di quello che gli aveva tolto col suo brusco allontanamento, ma Yuuri gli stava dicendo di prendere ancora qualcosa, felicemente inconsapevole dell'impegno che comportava per entrambi.



† La voce della coscienza †

-fa capoccetta da dietro l'angolo- Piaciuto il luuuuuuuungo aggiornamento? *-*
Ci sono abbastanza Victor e Yuuri? *-*
C'era la giusta dose di eros-pathos-fluff?
No, è vero non si ha mai abbastanza Victor+Yuuri in questo mondo, ma se la tanto sospirata reunion di questi patati vi è piaciuta, sappiate che ne ho ancora in serbo per voi!

Solnyshko moyo -> Mio Sole, un nomignolo affettuoso e romantico per un vampiro che il sole non può vederlo mai :3

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Capitolo 20
*** Capitolo XX° ***


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Capitolo XX°


“C'è... Un piccolo punto, qui, vicino alla base del collo” spiegò Victor sottolineandone la posizione con una leggera carezza della lingua che fece fremere il suo amante “dove la pelle diventa sottile, quasi trasparente e lascia affiorare un'arteria. Posso sentirne il rumore, il fiume vitale sale per un tratto in superficie prima di perdersi in mille rivoli troppo lontani da raggiungere...”

Non dici niente Yuuri?
Trattieni il fiato, presagisci che sta per accadere l'irreparabile, eppure lo vuoi con la caparbietà dei bambini, impuntati a fare i capricci davanti al negozio dei dolci.
Purtroppo io sarei un genitore terribilmente permissivo.
Chiudi gli occhi, non è una cosa da vedere, né vedresti comunque niente di spaventoso.
Quanti danni hanno prodotto secoli di leggende che hanno fatto leva sull'immaginario collettivo contribuendo a creare la nostra brutta reputazione!
Chiudi gli occhi Yuuri, il Bacio non puoi vederlo, devi sentirlo.


All'inizio pensò si trattasse di un semplice morso, un modo eccitante di rimarcare il suo possesso, con tutta probabilità gli avrebbe lasciato un'impronta bluastra l'indomani, poi, quando i denti si aprirono la strada nella pelle ne venne una fitta dolorosa e breve, ma durò il tempo di un battito di ciglia lasciando spazio ad un indeterminato benessere.
Si chiese cosa gli procurasse un piacere che fluiva e rifluiva come un'onda propagandosi dalla piccola ferita aperta ad ogni remota regione del suo corpo e credette di aver trovato una risposta: era l'ebbrezza di lasciarsi andare, di affidarsi all'altro negandosi la pretesa di un controllo sulla propria vita e sulle proprie sensazioni.
Si sforzò di ricordare se ci fosse stato qualcosa di paragonabile tra le sue esperienze; era come spiccare un salto sul ghiaccio, non sapendo se sarebbe diventato un triplo, un quadruplo o una caduta, senza calcolarne lo slancio o il punto d'impatto.
Stavolta però c'era Victor ad attenderlo e lo avrebbe afferrato, assicurandosi che non si facesse male.
“Yuuri guardami, dimmi qualcosa radost’ moya ” un oggetto appuntito gli dava noia sfregandogli il viso, aprì gli occhi e realizzò che si trattava del naso del russo; il suo profumo gli riempiva le narici e sentiva ogni centimetro di pelle aderire alla sua come se le sue capacità sensoriali si fossero centuplicate.
“Wao... Adesso sono... Come te?” chiese con la voce impastata di voluttà; ancora poco presente a sé stesso si tastava il collo in cerca di un'inesistente lacerazione.
“Cos...?” l'uomo lo fissò e l'attimo dopo scoppiò a ridere “No! No! Certo che no! È solo un effetto temporaneo, domani sarà passato” concluse prima di baciargli la fronte; non c'era traccia di sangue sulle sue labbra, solo gli parve che col riflesso del camino i suoi occhi avessero preso una sfumatura purpurea diventando più liquidi e brillanti.
“Oh, non so se esserne contento o dispiaciuto” rispose il giovane contrariato.
“Contento è ovvio!” esclamò Victor soddisfatto dalla sua reazione “Avremo tempo per quello, adesso voglio approfittare del mio delizioso umano in tutti i modi e le forme immaginabili”
“Ciò è molto sconveniente signor Nikiforov!” ribatté il giovane, rosso in viso, dopo la canonica manciata di istanti necessari a metabolizzare il suo tono malizioso.
Poi aprì un occhio e domandò “Quali modi di preciso?”
“Ah” l'altro si stirò pigramente e rotolò di nuovo accanto a lui portandoselo più vicino “Ad esempio saresti un cuscino perfetto, sei così morbido”
“Cuscino uhm?” borbottò il giapponese fingendosi risentito.
“Ah-ha e piuttosto confortevole” fu la serafica risposta.
Era riuscito ad incastrarsi in modo da appoggiare la testa nell'incavo della sua spalla; i fini capelli argentei solleticavano il collo e le guance di Yuuri, il quale prese ad accarezzarglieli, massaggiando lentamente la nuca coi polpastrelli, stava troppo bene per pensare di muovere anche un solo muscolo e farlo spostare da lì.
Ad un certo punto gli sembrò che si fosse assopito.
“Victor?”bisbigliò, poi chinò il capo e lo scoprì con lo sguardo assorto al fuoco del camino, come se intravedesse qualcosa dentro le mutevoli lingue di fiamma.
“Sai anche il Novembre del '52 era molto freddo. Tutti i camini di casa erano accesi, ma non riuscivano a riscaldare l'ambiente; io amo il ghiaccio, assai meno il gelo e quello entrava davvero nelle ossa”
A Yuuri si strinse il cuore quando capì che gli stava consegnando il pezzo mancante in grado di dare un senso a tutta la storia sulla quale era impazzito negli ultimi mesi; non disse niente, si limitò ad abbracciarlo più forte come se volesse proteggerlo trasmettendogli il suo calore.



“Freddo e umidità non sono certo un toccasana per un convalescente; dopo l'intervento Yakov mi aveva fatto uscire dalla clinica il prima possibile, gli standard sanitari degli anni Cinquanta erano parecchio diversi da quelli odierni e per scongiurare rischi di infezioni aveva trasformato questo salotto in una stanza d'ospedale assumendo anche un paio di infermerie. Aveva rivoltato gli ambulatori e i centri di ricerca di mezza Unione Sovietica per trovare degli antidolorifici efficaci, voleva evitare che cadessi nella dipendenza da morfina, l'unica sostanza in grado di dare tregua ai dolori lancinanti della frattura. Il risultato fu che le mie giornate diventarono intervalli di apatia alternati a momenti di lucida sofferenza in cui desideravo solo morire o sprofondare di nuovo nell'illusorio benessere dato dai farmaci. E la prospettiva, nell'ipotesi di una remota guarigione, non era di sicuro più allettante. Ti... Dispiacerebbe allungare una mano sotto il divano? Dovresti trovare qualcosa”
Yuuri lasciò sporgere il braccio e cercò alla cieca sul pavimento finchè non urtò un oggetto; una volta portato alla luce rivelò la forma snella e incurvata di un bastone da passeggio dove, sull'impugnatura, era visibile il simbolo della Russia comunista sormontato da una dedica in cirillico, con sue scarse nozioni riconobbe solo il cognome Nikiforov.
“Un bel congedo dopo aver gloriosamente servito la Madre Patria, niente da dire”
“Oh... Victor”
“Non ti sarebbe piaciuto conoscere quel Victor credimi; nei pochi momenti di tregua dal dolore penso di aver dato il peggio di me; odiavo le infermiere che mi assistevano, odiavo Yakov e sono arrivato ad attribuire a lui la causa dell'infortunio, gli ho rinfacciato qualsiasi cosa dagli otto anni in su e ancora mi chiedo come abbia resistito alla tentazione di abbandonarmi al mio destino andandosene e sbattendo la porta”
“Perché ti voleva bene... ” rispose sommessamente Yuuri, per il quale cominciavano ad avere un senso le parole del racconto di Madame Baranovskaya “Quando si ama una persona si finiscono con l'amare anche i suoi difetti e le debolezze e si cerca sempre di vedere oltre i suoi limiti”
“È quello che tu hai fatto con me?” gli ammiccò scherzoso l'uomo compiacendosi nel vederlo arrossire.
“Arrivammo comunque ad un punto in cui i nostri rapporti toccarono il fondo, non riuscivamo neppure a rimanere nella stessa stanza senza litigare, forse per questo decise di rimettersi in viaggio senza dirmi nulla. Fu una delle infermiere a rifermi della sua partenza, non aveva lasciato detto né la destinazione e neppure se sarebbe tornato. Dovevo disprezzarmi davvero tanto ed essere terrorizzato all'idea che mi avesse lasciato solo, per reagire in quella maniera...” il russo fece una pausa e sospirò “Buttai fuori le mie solerti assistenti e decisi di alzarmi; volevo una sola cosa e la volevo così disperatamente da ignorare divieti, consigli e perfino le mie stesse condizioni di salute: mettermi i pattini e tornare sul ghiaccio”
“Sei andato... A pattinare?” chiese il giovane incredulo.
“Non sono nemmeno riuscito ad arrivare alla porta; Yakov è rientrato due giorni dopo e mi ha trovato sul pavimento in uno stato... Beh! Definirlo pietoso è riduttivo; ero sporco, febbricitante, la cicatrice post operatoria si era riaperta e dalla ferita uscivano sangue e pus. Delle ore successive non ho memoria, i fatti me li ha raccontati lui,mentre eravamo in volo su un aereo diretto verso i Carpazi.”
“N-no a-aspetta... I Carpazi? Vuoi dire Romania? Quindi stavate andando dal...”
“Conte Dracula?” Victor si concesse una risatina immaginando quali pensieri si agitavano nella testa di Yuuri “ Vlad Drakul non c'entra e no, non so dirti se la storia è vera, se sia stato o meno il Primo Vampiro. Di certo i rumeni avevano secoli di esperienza alle spalle sull'argomento e quando il Partito capì di aver perso il suo campione loro furono più che felici di interessarsi al mio caso, di sperimentare il potere del Sangue su un soggetto giovane, sano, competitivo e determinato. Sono stati e sono ancora il gruppo meglio organizzato ed avanzato all'interno della nostra Piccola Società di Immortali. Li chiamano anche Evoluzionisti. Naturalmente Yakov evitò di scendere nei dettagli, mi disse che in quel laboratorio avevano sviluppato cure rivoluzionarie attraverso gli studi sul sangue. C'erano ottime possibilità di riprendere a camminare, forse addirittura di tornare a pattinare. Sul momento fu sufficiente; mi aggrappai a quella flebile speranza e tanto bastò a tenermi in vita nei giorni successivi in cui la febbre e l'infezione cercarono di divorarmi dall'interno”



Yuuri restò in silenzio, doveva familiarizzare con l'immagine di un Victor talmente disperato da mettere a repentaglio la sua vita affidandosi alle promesse di sedicenti ricercatori e non poté fare a meno di domandarsi quale sarebbe stata la sua reazione se si fosse trovato nelle stesse condizioni.
“Trascorsi alcuni giorni appeso al filo volubile delle parche, ero vagamente cosciente delle persone che si alternavano al mio capezzale e della presenza intermittente di Yakov, poi ,quando le mie condizioni mi permisero di restare sveglio e vigile, il suo cambiamento era già avvenuto.”
“Eh?” il giovane trasalì “V-vuoi dire che anche lui era diventato u-un vampiro?”
“E lo è tuttora solnyshko moyo, l'ho salutato prima di venire qui ed era in ottima forma”
Yuuri ascoltava sbigottito, il suo allenatore sembrava una figura relegata al passato, ma con l'ultima rivelazione finalmente la storia dell'ex-ballerina trovava la giusta prospettiva.
“Lo so, stai pensando a Lilia; però quella è una parte che spetta a lui raccontarti. Io non ho avuto voce in capitolo sulla sua scelta, tuttavia ne sono stato responsabile, di questo me me rendo conto; se mi fossi comportato assennatamente accettando le conseguenze dell'incidente, magari reinventandomi allenatore o consulente sportivo come aveva provato a consigliarmi lui, non saremmo mai arrivati a quel punto, Yakov avrebbe sposato la sua etoile e tu...” gli rivolse un sorriso disincantato “avresti letto una storia diversa su di me”
Era stato un capriccio della sorte, una distrazione cosmica, un singolare convergere di coincidenze a portargli in dono Victor, sarebbe riuscito a convivere con quell'idea, o meglio: sarebbe riuscito ancora a pianificare qualcosa che andasse più in là del presente?
“Alla fine è stata una questione di adattamento, anche se noi preferiamo definirla Evoluzione. Yakov era un uomo maturo, forte, aveva visto la Guerra ed era sopravvissuto, si era adeguato al regime e ne aveva tratto vantaggio, il mutamento della sua natura apriva semplicemente una nuova fase. Doveva dimostrarmi che era possibile e non dovevo temere nulla, perché lui era con me”
“Ma... Tu... Come hai reagito?” azzardò Yuuri con l'animo in subbuglio.
“Male è ovvio!” esclamò l'altro “Come chiunque fosse stato messo di fronte alla scelta di rintanarsi nell'oscurità o di proseguire una vita da storpio ai margini della società che prima lo adorava”
Pensata in questi termini qualsiasi decisione avrebbe portato comunque dei risultati drammatici, le alternative avevano messo in crisi una persona sicura di sé come Victor e lui? Sempre in bilico tra ansia e depressione, paranoico, pavido, timido dove avrebbe trovato la forza di scegliere qualora se ne fosse presentata l'occasione?
Poi il suo sguardo smarrito incontrò quello profondo e amorevole dell'uomo al suo fianco; ma certo, ecco dov'era la sua forza, aveva guardato nei posti sbagliati.



“Eppure eccoti qui” gli sorrise.
“Ho impiegato due anni ad accettare l'idea di abbandonare una vita normale alla luce del sole, però, nel momento in cui sono riuscito a tornare su una pista di pattinaggio, quando ho sentito di nuovo il suono dell'acciaio che fendeva il ghiaccio è stato come... Rinascere un'altra volta. Ho pianto tutte le mie lacrime e credo di aver pattinato ininterrottamente finché Yakov non è venuto a trascinarmi fuori a viva forza. Alla fine non m'importava granché di aver perso gli applausi, i riconoscimenti, gli adulatori, perché ero libero, ero me stesso, ero di nuovo integro. Il Sangue mi aveva ridato tutto ciò che era importante per me, tranne una cosa, ma quella mi mancava già da prima e ho continuato a cercarla negli ultimi sessant'anni.”
Yuuri gli rivolse un'espressione interrogativa e l'altro sorrise “Mi sono illuso di riuscire a trovarla nella nostra Società di Immortali, tra creature compatibili alle mie nuove... Abitudini. Poi, con gli anni, ho capito che non si trattava di un problema di specie, inclinazioni o genetica; cercavo un'anima affine alla mia e sono tornato al mio vecchio mondo, guardandolo dalla parte opposta del parapetto. Sul ghiaccio ho visto stelle nascere, brillare ed eclissarsi, ad alcune mi sono avvicinato dispensando consigli, ma di solito erano troppo piene di sé per poterne fare tesoro infine... Quando ormai mi stavo rassegnando a fare il semplice spettatore e guardare la vostra vita scorrermi davanti sei arrivato tu”
Le sopracciglia del giovane si erano curvate in un modo che sembrava dire: Proprio io?
“Ah-ha, ti è mai capitato di sentirti solo sulla pista? Quando ti alleni e quella lastra di ghiaccio appare improvvisamente troppo grande e troppo vuota per te? E non si tratta della mancanza di un pubblico, di un allenatore o dei compagni, parlo della necessità di avere qualcuno che pattina al tuo fianco, in totale sintonia, finché il rumore delle vostre lame diventa musica. Io l'ho sentita quella musica Yuuri, a Milano, qualche mese fa e vorrei sentirla ancora e ancora finché tu non sarai stanco e mi manderai al diavolo”
“Hai” annuì l'altro commosso “Dovresti stare tranquillo però, non c'è pericolo che mi stanchi di te”
“Oh, davvero?” Victor fece una faccia buffa, spiazzante, di gioia totale e infantile “Allora la faresti una cosa per me?”
Oddiosantissimo ci risiamo pensò Yuuri rassegnato al peggio: dalla prima volta in cui aveva tirato fuori quel sorriso a cuore e il tono di chi già sentiva di avere la vittoria in tasca lui non era mai riuscito a negargli niente e sarebbe stato sempre così.



† La voce della coscienza †

Con la spiegazione dei fatti che hanno portato Victor a diventare un vampiro ci stiamo avviando verso il gran finale! -squilli di trombe e rullo di tamburi-
Nell'ultimo capitolo scopriremo finalmente che progetti ha in mente il nostro russo per il suo Yuuri e ci sarà una piccola anticipazione di quella che minaccia di diventare a tutti gli effetti una saga! ^^
Così, se temevate di restare orfani del bel vampiro, del suo patato giapponese e di tutta l'allegra sarabanda che ruota loro attorno potrete tirare un sospiro di sollievo ^^
Di nuovo grazie a chi segue e commenta dall'inizio il fluffoso malloppo e a chi lo legge silenziosamente; giuro che se mi lasciate un commentino non vi mordo, vi faccio mordere direttamente da Victor, che è meglio! -puffo Quattr'occhi Mode ON-

Radost’ moya -> Mia Felicità, altro nomignolo affettuoso che sentiremo spesso da Victor :3

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI° ***


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Capitolo XXI°


“Sentiamo...” sospirò stringendosi a lui.
L'auto era arrivata da un pezzo e i due si stavano preparando a lasciare la dacia; il giapponese aveva sperato baldanzosamente di andarci camminando, ma scoprì che le gambe gli tremavano; la stanchezza, le emozioni gli avevano presentato il conto e Victor era stato felicissimo di approfittarsene prendendolo in braccio.
Si erano fermati sotto la tettoia dell'ingresso a guardare la neve che aveva iniziato a cadere copiosa da un cielo plumbeo gonfio di nubi.
“So che non sei del tutto soddisfatto di quella medaglia” iniziò il russo e lui trovò inutile negare “Potrei provare a dimostrarti in mille modi quanto ti sbagli e resteresti della tua opinione”
“Dove vuoi arrivare con questo discorso?”
“Al fatto che non voglio farti entrare nel mio mondo dalla porta di servizio Yuuri! Meno rimpianti porterai, più facile sarà accettare il cambiamento; non posso pensare a te come l'ombra timida dietro alle mie spalle, tu devi essere il compagno che cammina al mio fianco”
L'espressione del giovane era un enigma indecifrabile, stava pensando a miliardi di cose, troppo velocemente perché potesse afferrarne il senso.
“Quanto?”
“Uhm?”
“Quanto tempo mi stai chiedendo Victor?” chiese infine “Mesi? Anni? Quanto tempo richiede questo tuo... Adattamento?”
“Oh” il viso dell'uomo si illuminò “Un anno direi! Il tempo necessario a vincere un altro Mondiale... Magari il Gran Prix, o entrambi, perchè no? Oppure le Olimpiadi!”
“È fuori discussione, le prossime Olimpiadi invernali saranno nel 2022, Victor Nikiforov io non ho intenzione di aspettare tanto!”
Il tono bellicoso del suo Magnifico Disastro lo fece sciogliere in brodo di giuggiole.
“Allora accetti?” chiese mentre avanzava dondolando col suo prezioso fardello sul manto sdrucciolevole di neve fresca, incurante di rischiare un ruzzolone.
“Perché? Ho delle alternative?”
“No! Nessuna alternativa! Ti ho facilitato parecchio le cose, ne convieni?” gongolò il russo.
“Ah...” Yuuri sbuffò “Ficcatelo bene in testa: non mi metterò in gioco perché tu vuoi vedermi vincere o per sfidare le mie insicurezze, io vincerò per noi e solo se ci sarai tu accanto a me!”
“Queste parole sono musica per le mie orecchie, tu sei la mia felicità! Ho già stilato alcune ipotesi di calendario delle competizioni...”
“Cosa?!”
“Oh e aspetta di vedere i costumi! Li ha disegnati una stilista russa molto in voga...”
“Victor!”
“Si, anche io ti amo Yuuri e questo chiude il discorso, adesso abbracciami forte, comincio a sentire freddo!”
“Mi hai dato il tuo cappotto... N-no aspetta un attimo cos'hai appena detto?”
“Che il discorso è chiuso!”
“Stai provando a sviare l'argomento, sai bene a cosa mi riferisco!”
L'uomo corrugò la fronte simulando un grande sforzo di concentrazione “Alludi forse a... Ya tebya lyublyu?”
“È russo, io non parlo il russo!”
“Adesso hai un'ottima ragione per studiarlo” gli rispose zittendo le sue obiezioni con un bacio “Vuoi altri buoni motivi? Ho preparato un lungo elenco in questi mesi, per ingannare l'attesa prima del tuo arrivo”
“Tu sapevi che sarei arrivato?”
“Mai avuto dubbi in merito” annuì Victor tutto compunto provocando un leggero sospiro da parte del suo fardello.
“C'è altro che dovrei sapere?”
“Ohi-ohi certamente! Non posso raccontarti tutto adesso, devo tenermi qualche sorpresa ed evitare che tu mi dia per scontato finendo coll'annoiarti!”
“Vitya!” L'altro si fermò e sgranò gli occhi turchesi, quel diminutivo affettuoso sulle labbra di Yuuri aveva un suono incantevole: era casa, amore, fiducia, sicurezza, era presente e futuro, era tutto il suo mondo “ Ya tebya lyublyu...” pronunciò incerto.
“Oh, impari in fretta”
Yuuri arrossì “Solo se c'è un'ottima ragione”
“Allora ti darò migliaia di ottime ragioni negli gli anni a venire”

La neve ricopriva velocemente le orme, dietro di loro la grande casa ricominciò a dormire e a sognare di un'estate lontana, piena di musica, gente e risate.
Il Castello aveva smesso di fargli paura, i misteri da risolvere erano terminati, i mostri nascosti nel buio erano svaniti e l'unico tesoro da trovare adesso se ne stava andando insieme a lui.
Victor aveva sciolto molti dubbi e gliene aveva instillato di nuovi, conosceva così poco del suo mondo!
Eppure gli era bastato ancor meno per decidere di amarlo e di sapere, con l'incrollabile certezza degli cuori puri, che sarebbe stato per sempre.



Un giorno, presto, forse già domani o magari tra un anno, dieci, cento ti sveglierai e scoprirai di avere il coraggio di farmi quella domanda rimasta inespressa: perché tra le centinaia di piccole barche che mi sono passate accanto, questo scoglio ha scelto proprio la tua e magari ti sorprenderà sapere che non c'è una vera e propria risposta.
È stata la corrente del Destino a spingerla a riva insieme al suo stralunato carico trasformando una roccia nuda in un approdo sicuro.
Sono sempre stato scettico riguardo alle diverse filosofie della nostra Piccola Società e pratico quanto bastava ad apprendere il necessario per proteggere me stesso; ma da quando un magnifico disastro ha sconvolto la mia esistenza ho cominciato a considerare gli insegnamenti di Yakov sotto una luce nuova, in cui Evolvere significa Crescere e Condividere non riguarda solo il rapporto tra maestro e allievo, ma è lo scambio tra due persone che si guardano negli occhi.
Un anno sarà sufficiente a convincere quel vecchio mastino, del resto lui parte molto svantaggiato, deve ancora conoscere la persona meravigliosa che sei e anche se dovesse arrabbiarsi, strepitare o minacciare rimarrò fermo sulla mia decisione.
Certi disastri capitano una sola volta nella vita, distruggono equilibri e compromessi faticosamente raggiunti, fanno coriandoli delle certezze e poi le assemblano secondo una logica scombinata, che però funziona benissimo se solo si ha la pazienza di capirne il meccanismo.
Certi disastri hanno un nome e cognome, un lavoro o più spesso una passione folle, hanno paure enormi e pochissime sicurezze, sono ottimi acrobati e allo stesso tempo terribilmente impacciati, sono fragili come il vetro e altrettanto limpidi.
Qualcuno li definisce una calamità e ne prende le distanze, io preferisco abbracciarli e li chiamo Amore.




Un paio di giorni più tardi...

Il nuovo portatile regalatogli da Victor per il suo compleanno aveva un sistema operativo russo; subdolamente quell'infingardo aveva omesso il piccolo dettaglio quando erano andati a ritirarlo in negozio e da due giorni Yuuri era combattuto tra la tentazione di lanciarlo dalla finestra (erano al settantesimo piano) e la necessità di avere un'appendice informatica funzionante, che gli permettesse di connettersi al resto del mondo.
Stava cercando di far partire un emulatore in inglese quando l'icona di Skype si avviò in automatico con la chiamata di Phichit.
Sapeva di non poterlo evitare a lungo, ma sperava che tra la telefonata intercorsa tra lui e Celestino e la doverosa spiegazione al suo migliore amico del nuovo stato di cose passasse almeno mezza giornata! Invece nemmeno un'ora dopo ecco l'espressione in lacrime del giovane thailandese riempire tutto il monitor.
“Allora è vero!” il tono accusatorio non lasciava presagire niente di buono; se con l'ormai ex coach era stato facile spiegarsi riuscendo a mantenere buoni rapporti (tolte le riserve che qualunque persona scrupolosa avrebbe avanzato circa il suo trasferimento frettoloso in Russia) affrontare l'ex compagno e la sua emotività era un'altra faccenda.
“Celestino ti ha già detto?” chiese cercando di tastare il terreno.
“Beh” rispose l'altro tirando su col naso “Mi è bastato guardare la sua faccia per capire tutto, è un complotto dei russi! È colpa di Plisetsky, vero? Come ti ha convinto? Ti ha minacciato? Ti ricatta? Ha preso in ostaggio la tua famiglia?”
“Phichit lui non...”
“Ah, ma appena me lo ritrovo davanti giuro... Però... Si tratta bene il Tigrotto!” Il thailandese stava sbirciando oltre le spalle del suo interlocutore, dove la veduta dell'attico super lusso aveva catturato la sua attenzione “Ti ha comprato con la vista panoramica?”
“Phichit!”
“Non ci vedremo più!” si lagnò il più piccolo.
“Invece ci vedremo presto, sto valutando di partecipare alla Cup of Cina...” provò a rabbonirlo il giapponese.
“Si ma saremo rivali! Oddiosantissimo Yuuri sei il mio miglior amico, non riesco a considerarti come un rivale!” esclamò l'altro col tono drammatico di un attore shakespeariano, al quale tenne dietro un doveroso momento di silenzio.
“Eravamo rivali anche quando mi allenavo insieme a te...”
“Era diverso!” offeso, offesissimo, almeno finché i vivaci occhi neri intercettarono una figura sullo sfondo che si muoveva rapida nella loro direzione.
“Hola Phichit!” il tono squillante e il sorriso a tutto schermo di Victor gli fecero fare un balzo indietro “Complimenti per come stanno andando le tue qualificazioni al prossimo Grand Prix! Non so se Yuuri te lo ha detto: la tua casetta dei criceti è in viaggio, il corriere ha dovuto smontarla e cercare una scatola adatta, in America sono così noiosi con le spedizioni!”
“Victor...!” esclamò Yuuri, sorpreso di vederselo spuntare all'improvviso alle spalle.
Dalla finestrella di Skype uscì un suono strozzato, Phichit aveva una faccia di chi ha visto cose che non sono di questo mondo e sembrava a serio rischio sincope “A-aspè... Aspetta! V-i-c-t-o-r?” sillabò “Lui è q-quel Victor?”
“Ohi-ohi Yuuri lui non lo sa ancora?”
“Veramente mi è mancato il tempo...”
Ero impegnato a contenere una crisi diplomatica tra Thailandia e Giappone...
“Perchè attendere la Cup of China, invitalo qui a trascorrere un paio di giorni per il Natale Ortodosso!”
“Ma... Magari ha già preso degli impegni...”
“Un weekend, che sarà mai... Allora ti aspettiamo Phichit, mettiti d'accordo con Yuuri per i dettagli!”
Il dialogo si svolse sotto lo sguardo allucinato del ragazzo thailandese, incapace di spiccare una sillaba; ritrovò la parola solo nel momento in cui si rese conto che l'uomo seduto a fianco dell'amico stava lentamente abbassando il monitor del portatile e nel contempo aveva preso a flirtare smaccatamente con lui.
“No-no-no-no! Non chiudete la comunicazione! Yuuuuuuuuuuuuuuuuri!”
“Victor... Credo che tu lo abbia scioccato” sospirò il giovane stringendosi a lui“Pensi che sia... Come dire... Opportuno invitarlo qui?”
“Certo! L'ho invitato per un fine settimana, non per... La Cena!”
Trascorsa la consueta pausa differita Yuuri gridò “Victor Nikiforov non pensarci nemmeno!”
“Dimmelo in russo e forse ne possiamo parlare!” ridacchiò l'altro che, intuita la mala parata, si era sfilato dal suo abbraccio e stava scappando via.
“Vedi come te lo dico appena ti prendo!”



† La voce della coscienza †

Ohi-ohi vi confesso che, nonostante il secondo capitolo della trilogia sia già entrato in lavorazione, non è stato facile spuntare la casella "Completa" riguardo a questa storia!
Nella mia testa era partita come qualcosa di breve, al massimo tre o quattro capitoli invece è lievitata e adesso minaccia di tracimare dal forno!
La colpa è tutta di questi splendidi personaggi, che hanno alimentato il motore della mia piccola nave per viaggi mentali e del supporto e dell'affetto che mi avete manifestato finora; vuoi in silenzio, vuoi con un commento, vuoi con un "Preferito" o "seguito"; li ho apprezzati tutti e spero di ritrovarvi a breve per il proseguio di questa magnifica avventura!
Grazie di vero cuore!

Ya tebya lyublyu -> Ti amo, in russo :3

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