Starry Night

di ClaryWonderstruck
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una notte al museo ***
Capitolo 2: *** Baciati dalla sfortuna ***
Capitolo 3: *** Papillons et mémoires. ***
Capitolo 4: *** L'ombre d'un homme ***
Capitolo 5: *** Fatto il misfatto ***
Capitolo 6: *** Buttercup ***
Capitolo 7: *** XVI Arrondissement ***
Capitolo 8: *** Too cold ***
Capitolo 9: *** Azioni e reazioni ***
Capitolo 10: *** Silenzi rivelatori ***
Capitolo 11: *** Murphy's theory ***
Capitolo 12: *** Locks and old clocks ***
Capitolo 13: *** Je vois la vie en Noir ***
Capitolo 14: *** Radici ***
Capitolo 15: *** Finn's Memoirs ***
Capitolo 16: *** Lies: Warnings and Side effects ***



Capitolo 1
*** Una notte al museo ***


              

Una notte al museo











Il cielo sembrava un’estesa massa di luci vorticanti, di scie circolari che si inondavano le une sulle altre in un concatenarsi quasi eterno. Vigilavano sulla cittadina mercantile che dormiva quieta, nel silenzio della notte, accompagnando i loro sogni con il brillare delle stelle che vi si specchiavano.

I colori caldi degli astri, circondati da quelle aure magnetiche, venivano mescolati perfettamente con la freddezza del blu sconfinato, ed il nero pece che le ombre gettavano sull’unico cipresso del paese. Era così denso che regalava la vivida impressione d’esser un incendio sul punto di morire.

Quell’infinitezza, la ricchezza dei colori accesi, spenti, opachi e tonali, pareva l’eco di innumerevoli gridi appartenenti a indecifrabili voci distinte.
Ognuna con i propri desideri, con la propria storia. Oltre il fascino della notte, scavando all’interno della scintillante volta celeste, era possibile perdersi totalmente nel mare di sentimenti che vi celava.

Sembrava un mistero cosa Van Gogh volesse trasmettere dipingendo tale meraviglia, eppure riusciva comunque a comunicare diverse note a ciascuno degli spettatori senza ripetersi mai. Pennellate grosse e cariche di emozioni, prive di esitazioni, ma allo stesso tempo fragili come le stelle cadenti: al vertice della propria gloria e contemporaneamente ad un passo dalla collisione.

Marinette avrebbe potuto osservare quel dipinto per ore, per giorni, rimanendone rapita come la prima volta. Le infondeva l’ispirazione giusta per esprimere la sua creatività artistica, così da poter abbozzare schizzi di modelli che aspettavano soltanto di esser scoperti dalla sua mente.
Non avrebbe mai smesso di ringraziare la sua accademia per quella visita in previsione delle vacanze natalizie. Era stato come infilare la testa in un calderone di idee e venirne risucchiata completamente.
Ok, probabilmente la presenza di Adrien aveva inizialmente catturato la sua attenzione, ma una volta entrati nella sala d’esposizione, tutto il mondo era semplicemente svanito alle sue spalle. Esisteva solo la sua arte come unica fonte di vita.

<< Pronto ?! Terra chiama Marinette ! >> mormorò poi Alya, sventolandole una mano sotto il suo naso. Lo stato di trance in cui era entrata iniziava a spaventarla davvero, soprattutto perché era riuscito a rapirla persino dalla contemplazione del ragazzo dietro al quale sbavava da circa un paio d’anni.
Marinette indietreggiò velocemente, scuotendo la testa per lasciare defluire le rumorose idee che rombavano dappertutto. Finì  con abbandonarle completamente, come onde oceaniche fuggono dalla riva quando la marea si fa grossa.

<< Marinette è al momento nel paese di Van Gogh, si prega di lasciare un messaggio dopo il beep >> rispose la giovane in tono scherzoso, osservando attentamente tutti i disegni che la sua mano aveva automaticamente trasposto su carta.
<< Mancano dieci minuti alla chiusura del museo, e tutti gli altri se ne sono già andati da un bel pezzo. Che ne dici di un bel film e qualche schifezza ?? >>
Alya provava a persuaderla con le sue solite tattiche subdole, ma quel giorno Marinette poteva considerarsi tutto fuorché se stessa.
Forse un altro giorno, in un’altra vita, l’avrebbe seguita senza pensarci due volte, come tutti i ragazzi della sua età avrebbero fatto. Ma lei non era normale, nemmeno un po’.

<< Per quanto sia allentante, sta sera passo. Devo completare alcune bozze e non voglio trattenerti oltre con le mie visioni “divine” >>

Alya salutò Marinette sbuffando e borbottando qualche lamento che la supereroina avrebbe colto sicuramente se solo non fosse stata presa dall’immensità della mostra. Il tempo rimanente era veramente poco considerando la quantità di ispirazione che la stava divorando.

Quando la solitudine invase totalmente l’esposizione, oramai abitata dai soli quadri appesi alle pareti bianco latte e la giovane seduta a quattro di bastoni di fronte la “Notte Stellata”, le luci si spensero una ad una secondo un ritmo abbastanza inquietante.
Erano passati soli pochi minuti dalla dipartita di Alya, eppure Marinette sentiva che quel piccolo imprevisto presto o tardi si sarebbe rilevato più grave del previsto.

La fanciulla si guardò attorno interdetta, indecisa se iniziare ad allarmarsi oppure defilarsi senza intervenire troppo. Se solo Tikki le fosse rimasta accanto in quel momento, avrebbe potuto trasformarsi ed investigare l’entità del pericolo, ma quella coccinella furbetta l’aveva bidonata per un bel pisolino sotto le coperte di casa Dupain-Cheng. Mai fare l’errore di riporre la maschera, adesso lo capiva perfettamente.
Sfruttò la luce del telefono per guidarsi tra i corridoi del museo, investendo di tanto in tanto la superficie di alcuni quadri esposti. Abbagliati così intensamente dalla torcia, assumevano tinte grottesche che ricordavano le ambientazioni dei tipici film horror americani. Mancava la colonna sonora da brividi ed un uomo vestito di nero – si disse ingoiando a forza le perplessità riguardo quel silenzio atroce.

La sfortuna volle che proprio in quell’istante partisse sugli schermi della sala la sonata al chiaro di luna di Beethoven, più cupa e tetra di quanto non avesse mai potuto quantificare fisicamente. Marinette alzò gli occhi al cielo maldicendosi per aver scommesso contro il karma. Evidentemente - era giunta alla conclusione - il fato non voleva dargliela vinta senza il suo prezioso Miraculous a darle man forte.

<< Perrr-sa, principessa ? >> echeggiò improvvisamente la parete alle sue spalle, rivelando un paio di occhi vispi e verdi dotati di fessure sottili tipicamente feline. Fu un colpo al cuore.
<< Oh andiamo ! >> brontolò Marinette esausta << Quando dicevo “uomo vestito di nero”, non intendevo con una tutina di lattice aderente !>>
Marinette non poteva vedere chiaramente l’espressione sul volto di Chat Noir, ma sentiva su pelle il fastidio opprimente delle sue solite smorfie incredibilmente irritanti. Incurvava leggermente un lato della bocca, vaneggiando solitamente sulle sue meravigliose ed estremamente divertenti battutine taglienti. L’unica cosa che Marinette avrebbe voluto recidere era, però, la sua lingua affilata.

<< E privarti della mia presenza ? Non sarebbe troppo crudele ? >> replicò Chat sgusciando fuori dal buio pesto che l’aveva avvolto fino a un momento prima. Marinette puntò la torcetta verso il soffitto, così da rendere più o meno visibile l’intero perimetro circostante.
<< Crudele è quello che ti farei se non avessi bisogno del tuo aiuto … >>

Chat avanzò di soppiatto, sfregandosi il mento con un’aria falsamente dubbiosa << Dipende in che circostanze vorresti sfogare la tua crudeltà >> strizzò l’occhio, poi. La fanciulla sentì un leggero rossore pizzicarle le gote per l’imbarazzo.

<< Non lo vuoi sapere, credimi. >> disse duramente, ispezionando ciascun dipinto senza consultarsi prima con Chat, il quale era ancora stordito delle sue parole. Forse il micetto stava lentamente cadendo nella trappola del topo, o meglio, della coccinella.

<< Piuttosto, che ci fai qui Chat ? Non mi sembri il tipo da mostra >>

Per quanto la mancanza di luce rendesse le figure dipinte alquanto spettrali, pareva che nulla di concreto stesse minacciando la loro sicurezza. Anzi, c’era qualcosa di insolitamente attraente nel rimanere confinati tra le mura di un museo oltre l’orario di chiusura. Non che a lei dispiacesse conversare con il suo partner in crime, ovviamente, tuttavia nei panni dell’insicura Marinette trovava la cosa rischiosa. Celargli la sua vera identità sarebbe stato piuttosto complicato considerando la complicità che li aveva legati dopo tutti quegli anni di lotta senza sosta contro il crimine.

<< Au contraire,princess! Sono abbastanza immischiato con l’arte, contrariamente alle tue aspettative, anche se non è questo il motivo che mi ha trascinato veramente qui >>

Marinette s’immaginò Chat Noir intento a disegnare qualcosa con il suo ghigno furbastro, teso ad incorniciargli il volto: l’unico soggetto che avrebbe mai potuto ritrarre ( escluso se stesso ) era la sua amata Lady Bug, magari fiera su un piedistallo accanto al suo partner.

<< Akuma ? >> domandò scacciando quella sciocca fantasia dai suoi pensieri. Chat Noir annuì serio, assumendo una postura retta e scattante << Proteggerti è l’obiettivo principale, ma akuma andrà bene lo stesso.>>

Marinette sgranò gli occhi nell’ascoltare quell’ammissione così spontanea << Proteggermi ? Mi stavi per caso seguendo, kitty cat ? >>

Chat si grattò la nuca, studiando nei minimi dettagli la figura di Marinette, che a braccia conserte aspettava impaziente una risposta. Quell’aria decisa, sicura, sfacciata, le era talmente estranea quando riusciva ad approcciarlo nei panni di Adrien, che quasi sembrava un’altra ragazza. Si comportava senza nascondere un briciolo dei suoi pensieri, dimostrando questa grande naturalezza che solo LadyBug era solita manifestare.

<< Marinette, hai visto o sentito qualcosa di strano aggirandoti per il museo ? >> Chat preferì evitare di spiegare il perché si trovasse proprio nei pressi del museo a quell’ora di notte. Sarebbe stato un mucchio di menzogne ben impilate e decisamente poco plausibili che avrebbero unicamente incrementato dei sospetti nei suoi riguardi.

La fanciulla si ricompose in fretta, sfruttando il tipico acume e piglio che la caratterizzavano una volta indossata la maschera << Le luci. Sfarfallano in modo strano, come se qualcuno le stesse manipolando a proprio piacimento, ma non riesco a capire bene da dove provenga >>.
Chat non aspettò un istante prima di afferrarla per il polso e scarrozzare Marinette lungo tutto il percorso della mostra.
Viaggiavano leggiadri, saltando e quasi fluttuando nell’aria beffandosi della gravità. La giovane conosceva abbastanza bene la sensazione di libertà e vuoto che i loro superpoteri donavano, eppure il fatto stesso di dover dipendere dal suo partner la rese complice in un modo del tutto nuovo e frizzante. Per una buona volta anche Marinette poteva sentirsi utile, con o senza magiche abilità.
Attraversarono metà dell’esposizione in silenzio, cullati solo dall’aria fresca che la velocità trascinava con sé. Quando giunsero finalmente nella sala degli specchi, Marinette poté riprendere fiato e finalmente arrestarsi per pochi istanti. Forse Ladybug avrebbe retto persino una maratona, ma la fragile Marinetta era stata già fin troppo atletica per i suoi normali standard, considerando che Chat Noir l’aveva letteralmente trasportata ignorando i limiti di un essere umano. Si fermò nel bel mezzo della stanza, con le mani premute sul petto, intenta a prendere boccate d’aria mentre Chat perlustrava il territorio vagamente sospetto.

La stanza quadrangolare era l’unica dotata di un grande soffitto in vetrate che filtrava la luce della luna, un flebile bagliore sufficientemente brillante da poter distinguere quantomeno i propri passi. Alle pareti laterali, invece, erano stati fissati immensi specchi dalle sfumature decisamente particolari, che riflettevano i profili di entrambi i giovani creando l’illusione ottica di uno spazio ancora più grande. Le loro figure, catturate dal potere specchiante, parevano fantasmi intrappolati in un’altra dimensione identica alla loro, ma completamente distorta. Era strano vedersi al fianco di Chat senza una tutina a pois ed uno yoyo alla mano: c’era solo la buffa Marinette con le sue ciocche blu elettrico ed un paio di jeans scoloriti.

<< Il pannello di controllo si trovava qui, che strano … >> barbottò Chat sostando di tanto in tanto per ammirare la sua immagine catturata dal riflesso. Ladybug aveva la possibilità di osservarlo durante ogni trasformazione, spoglia della sua sbadataggine e debolezza terrestre,  non rendendosi affatto conto che quel gattaccio potesse apparire così attraente malgrado l’atteggiamento sgradevole. La sua controparte umana, invece, la dolce ed innocente disegnatrice capace di incappare in figuracce barbine, rimase quasi abbagliata da quella sua grande scioltezza. Investito dalla luce della luna sembrava completamente coeso con la sua natura felina.

<< Hanno ristrutturato il posto poco tempo fa, sicuramente l’impianto sarà stato spostato durante i lavori. Dico di tornare da Van Gogh e vedere se la cosa continua >> suggerì Marinette, utilizzando la sua tipica organizzazione da trasformazione. Chat le parve fin troppo estasiato di quel cambiamento repentino. La guardava con quegli occhi verdi, profondi e sinceri, che riservava solo raramente alla sua versione non umana. La fanciulla non poteva permettersi di mostrare quel lato di sé e compromettere l’identità che aveva sempre salvaguardato. << O almeno, non è quello che un supereroe farebbe in questi casi ?

<< Mi sembra un piano peerrr-fetto princess >> rispose facendo le fusa. Marinette alzò gli occhi al cielo esasperata delle sue battute e giochi di parole << Devi sempre fare quella cosa con la coda ? >>

Chat fece una smorfia eloquente, giocando a muovere la coda avanti e indietro sul pavimento in marmo della sala. Si avvicinò lasciando intravedere le punte aguzze dei canini, che fecero capolino sulle sue labbra nel momento stesso in cui sorrise sornione alla sua bella. Chat era incredibilmente affascinante – si ritrovò a pensare Marinette, osservando il chiarore lunare colpirgli il petto, disperdendosi oltre l’incavo del  collo, fin sopra le pupille intensamente dilatate.

<< Non sempre. E’ un riflesso automatico agli stimoli esterni, soprattutto a quelli particolarmente graditi>>

Marinette non si mosse di un centimetro dalla sua posizione, cosciente solo in parte di aver avviato una sorta di blando flirt con la persona che considerava meno indicata di tutte. Non che la disturbasse un pizzico di malizia, considerando che era l’ingrediente principale delle loro solite conversazioni, ma la cosa stava prendendo pieghe inaspettate. Il fatto che Chat le rivolgesse certe attenzioni persino da umana non poteva che incuriosirla, e poi sotto sotto voleva capire fino a che punto sarebbe riuscita a spingersi prima di arrestare la sua corsa verso il nulla. Era sbagliato, lo sapeva, pretendere di poter gestire una cosa più grande di lei, ma non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che Chat potesse davvero suscitare in lei emozioni contrastanti.

<< Adesso non mi chiederai mica di farti i grattini, micetto! Abbiamo cose più importanti di cui occuparci >>

Chat Noir rizzò le orecchie, improvvisamente catturato da qualche rumore che Marinette non riuscì a percepire completamente << C’è qualcuno nel museo, sarà meglio sbrigarsi >> annunciò in un sussurro, chiedendole successivamente di seguirlo tra i corridoi del posto senza far uso della luce artificiale. Sarebbe stato più sicuro per entrambi, e poi un vantaggio certo sul probabile nemico akumizzato che si aggirava impunito tra le mura del museo. << Il discorso non è chiuso qui, comunque. La proposta dei grattini mi sembrava piuttosto interessante … >>

Raggiunsero in men che non si dica la zona dedicata al pittore olandese, sta volta illuminata da lampadine d’emergenza che coloravano le pareti di un rosso fosforescente, quasi come pennellate di sangue. I girasoli parevano della natura marcia, appassita, spenta, sotto quei lampi infiammati, mentre i restanti paesaggi di campagna delle vittime di un incendio fatale. A Marinette pianse il cuore quando notò che persino il campo di grano con corvi era stato “violato” da quel vermiglio invadente.

Chat fece per toccarne una, intento a studiare cosa stonasse in quelle opere, ma Marinette gli afferrò il polso in fretta e furia, quasi graffiandosi il palmo della mano contro i suoi artigli felini << Sei pazzo!? Questi capolavori sono inviolabili, rischi di comprometterli per sempre ! >> gridò severamente.
L’ammonimento di Marinette non lo disturbò affatto << Hey, rilassati principessa. Stavo solo controllando le luci alla base del quadro >> disse poi indicando dei piccoli raggi colorati proprio sottostanti al campo di grano con corvi.
La ragazza si grattò la nuca imbarazzata, mollando la presa tenace che aveva mantenuto attorno il polso di Chat. Si fidava di lui, ciecamente ed indiscutibilmente, ma quando si trattava dell’arte perdeva completamente le staffe, anche nei confronti di chi non le aveva mai dato modo di dubitare. Durante l’ispezione, Marinette si rese conto che bazzicare nel cuore della notte in compagnia dell’uomo nero, del gatto color pece, ricordava uno scassinamento a tutti gli effetti. Se solo avesse potuto attingere alla sua fortuna da coccinella, Chat avrebbe affrontato un problema in meno. Diciamo che affrontare un’akuma e contemporaneamente proteggere una “civile” gli doveva pesare gravemente sulla coscienza.

<< Tutto molto, molto bizzarro. Queste luci non sono collegate al sistema principale, né ad alcun tipo di impianto esistente. >> borbottò Chat accucciandosi accanto la cornice che ospitava l’opera. Marinette, altrettanto pensierosa, scivolò sulla parete per ritrovarsi a gambe conserte vicino il gattaccio randagio.

<< Eppure non c’è segno di akuma. Sembra che ci siano solo un mucchio di dipinti ed un allarme inefficiente. Se qualcuno fosse fuggito, sarebbe scattato, giusto ? >>

Chat annuì tamburellando le unghie sul pavimento in legno << Per cui, chiunque sia, girovaga ancora nei paraggi>> . Parlare con Marinette di materie che solitamente competevano a Ladybug rendevano quella ragazza ancora più misteriosa di quanto non lo fosse già davanti ai suoi occhi.                                                                              <<  Ma dove ? Abbiamo a che fare con un maestro della mimetizzazione  >>  esordì la giovane infilando la testa fra le gambe snelle. Sentiva la stoffa dei jeans coprirle completamente il volto, ingabbiandola in un’oscurità perfetta per riflettere attentamente sugli indizi che aveva attorno. Anche senza Tikki l’avrebbe spuntata, e non sarebbe stato per le sue doti magistrali, ma per il suo unico e personale acume.
Chat la richiamò presto all’attenzione, spalancando le palpebre con fare entusiasta << Questo perché non si sta davvero mimetizzando, Marinette ! L’unica via d’uscita del museo è coperta dall’allarme, no ? Perciò il solo modo possibile per nascondersi è sfruttare le milioni porte di accesso esposte all’interno delle mostre… >>

Quando la fanciulla capì dove Chat volesse andare a parare, tutta quella nebbia vorticosa di dubbi si fece chiara improvvisamente nella sua testa: era stato come assemblare frettolosamente tutti i pezzi di un puzzle. << Chat, sei un genio! Un furbo, demenziale, sarcastico micetto >> esclamò tornando alla postura retta. Quella scoperta le aveva conferito la scarica d’adrenalina necessaria a concentrare le sue energie positive. Come team funzionavano in ogni forma – si disse soddisfatta.

<< Posso avere i miei grattini, adesso ? >>

Marinette guardò intensamente il viso del supereroe: al di là del musetto falsamente imbronciato, il volto di Chat era marcato e proporzionato, reso più spigoloso probabilmente dal taglio degli occhi, mentre la mascella moderatamente accentuata faceva risaltare il collo atletico e snello circondato dal solito campanellino vibrante. Avrebbe potuto fare il modello – si disse Marinette voltandosi per l’imbarazzo. Scosse il capo di conseguenza, ignorando completamente tanto le sue fantasie, quanto la presenza del suo gattaccio. Ancora qualche minuto e avrebbe sognato di conoscerne l’identità, se lo sentiva.

<< Andiamo kitty, dobbiamo trovare il “camaleonte” >> . La fanciulla sfruttò il suo occhio attento all’arte per esaminare ciascuna opera della mostra, convinta che l’akuma si fosse infiltrata in una di queste. Purtroppo la blanda luminosità circostante non faceva che sbiadire i contorni delle figure, costringendo Marinette a strizzare le palpebre come una forsennata. Chat, ben abituato all’oscurità, sembrava, al contrario,  coeso con la  mistificazione del buio, perciò gli costò relativamente poco tempo perlustrare circa la metà delle opere d’arte.

La ricerca non stava conducendo a nulla di concreto, difatti più il tempo scorreva dalle loro mani, più il terrore di aver perso le tracce del malcapitato accresceva proporzionalmente. Pareva una caccia al tesoro senza l’informazione base: la forma del premio. Poi, di getto, Marinette scovò all’interno del “campo di grano con corvi” una figura nera, abbozzata al culmine del sentiero che apriva la coltivazione di frumento. Estranea all’opera, salutava allegramente la giovane sventolando una mano con fare intimidatorio.
Chat subentrò di soppiatto, facendo in tempo a spostare Marinette prima che una mano uscente dal dipinto la trascinasse con sé nel quadro. La spinse di forza a terra, provando ad attutire il dolore della caduta con il proprio corpo.

<< Perché l’hai fatto ?! Dovevamo entrare per sconfiggere l’akuma! >> protestò Marinette divincolandosi dalla presa che Chat esercitava sulla sua vita esile. Il gatto nero, allora, la tirò su con eleganza, pulendosi la tuta come se avesse solamente sollevato qualche pacco postale.

<< Noi sconfiggere ? Oh no, non se ne parla. Non ho intenzione di gettarti nel pericolo principessa, potresti uscirne fin troppo graffiata >> spiegò successivamente, distanziando Marinette dalla superficie del dipinto <<  E non sarebbe causato da qualcosa di piacevole >> aggiunse alludendo a qualcosa che la ragazza non volle nemmeno provare ad immaginare.

Marinette dovette tristemente farsi da parte, consapevole che gli ammonimenti di Chat avevano ragione d’esistere. D’altronde, sprovvista del suo alterego, non poteva volontariamente fiondarsi da qualunque parte sperando di cavarsela solo grazie alla sua capacità di fare figuracce. La gracile e dolce Marinette sarebbe stata solo d’intralcio, solo uno strumento efficacie per distrarre il lavoro del suo gattaccio. L’unica perplessità che ancora la spingeva a seguirlo era la possibilità che da solo, senza la sua lady, non avrebbe fatto troppi passi avanti. Sapeva che la collaborazione, nel loro caso, diventava cruciale. 
Forse il suo sguardo colpevole, rivolto verso il basso, mise Chat Noir nella posizione di tranquillizzarla riguardo la missione che di lì a poco avrebbe intrapreso << Non torturarti per me, tornerò sano e salvo! E poi sono sicuro che Lady Bug ci stia raggiungendo proprio in questo momento >>

Marinette si irrigidì di colpo, sempre più ripiegata nei suoi stessi dubbi << Non sono sicura di ciò … >> borbottò tra sé e sé, sperando di convincere Chat a lasciarla venire con lui. Peccato che fosse persino più testardo di lei quando si trattava del coinvolgimento personale di innocenti indifesi.

<< Mi fido ciecamente di lei, non potrebbe essere altrimenti >> ribatté Chat posando entrambi le mani sulle spalle della minuta Marinette. La guardò con serietà e sincera fiducia nei confronti di una persona che non si sarebbe mai presentata. Questa indiscutibile fede nei suoi riguardi fu il colpo di grazia.

<< Promettimi che non entrerai nel quadro Marinette >>

Ma come faceva, Marinette, a rassicurarlo, quando chiaramente sarebbe finita in mezzo al pericolo ? Tornare a casa per recuperare il suo Miraculous significava impiegare più di un’ora di mezzi, tempo sufficiente per l’akumizzato a mettere k.o Chat Noir e rubargli i poteri. Non poteva permettersi di perdere, soprattutto se in ballo c’era la vita di una persona alla quale teneva molto.
Allora la fanciulla fece un sorriso tirato, forzato e decisamente ostentato, simile alla fila di bottoni cuciti sulle bambole di pezza. Provvista di una smorfia così spudoratamente finta, le probabilità che Chat le credesse rasentavano lo zero scarso.

<<  Potresti almeno fingere in modo più convincente ? Mi sentirei meno in colpa di quanto già non lo sia avendoti trascinato in questo pasticcio con me >> ammise il biondo, facendo dei piccoli buffetti sul capo soffice di Marinette, alla quale venne voglia, in tutta risposta, di sprofondare sotto terra come solo i degni struzzi riescono a fare. Peccato che il suo totem fosse una coccinella, e che in quel dannato giorno la fortuna non sembrava proprio appartenerle.

<< Se dovessi trovarti nei guai, per favore, non esitare a chiamarmi. Ti aspetterò qui fuori >> annunciò la fanciulla cercando di sembrare il più convincente possibile. La sua preoccupazione per Chat era vera, quindi non dovette sforzarsi troppo di persuaderlo decentemente. Il super eroe, a quel punto, si sciolse in un tenero e buffo sorriso che Marinette era riuscita a intravedere solo attraverso i fori della sua maschera da coccinella. 

<< Non ce ne sarà bisogno, principessa! Au revoir ! >> gridò poco prima di lasciarsi penetrare completamente dal portale che sormontava la facciata del quadro. I movimenti fluidi di Chat, accompagnati da una buona dose di charm, lo rendevano intrigante quanto un angelo sul punto di cadere in picchiata dal paradiso. Se lo immaginava perfettamente, lì, sul limbo dell’inferno con quello sguardo in cerca di sfida ed un paio di ali piumate, pece, color pozzo profondo. Marinette vide la sua figura nera e splendente scivolare all’interno del dipinto con grazia e dinamicità, mentre nella sua gola si formava un groppo sempre più soffocante  e colpevole. Si sentiva criminale, ricoperta delle sue macchie nere come se fossero state evidente segno di peccato.

“Mi dispiace Chat, ma a te serve Lady Bug e Lady Bug sarà quello che avrai. Più o meno “ pensò Marinette prima di tuffarsi letteralmente dentro il portale. La tela del dipinto aveva la consistenza di una gigantesca gelatina gommosa, capace di strapparla dalla realtà circostante come  corvi affamati arraffano frumento da un campo di grano. Paradossale, assurdo e completamente folle quel destino impazzito.

Così Marinette si gettò nel pericolo senza troppe storie, cosciente della sua sfrontatezza, ma sicura delle sue intenzioni.
La luce della luna risplendeva ancora fioca attraverso le grate della finestra: investiva il materiale, il concreto della mostra, quasi a volerne conferire un soffio vitale. Le opere sembravano animarsi e ribellarsi delle cornici che le tenevano ingabbiate, dell’astratto che le obbligava ad una staticità per lo più snervante.
Van Gogh era così. Un turbine di ombre e luci di estatica bellezza, costellate, però, da un incolmabile senso di angosciante solitudine

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Capitolo 2
*** Baciati dalla sfortuna ***




 


Baciati dalla sfortuna 
 
 
 




Ammettere di avere un problema è il primo passo avanti per risolverlo, dicevano in giro.
Questo perché le persone non si erano mai ritrovate nella tragica situazione di Marinette : vagante per uno sterminato campo di grano dall'umidità opprimente, senza un minimo di senso dell'orientamento e uno straccio di piano utile.
L'idea iniziale era stata quella di studiare il nemico per poi mettere a punto un eventuale contrattacco in grado di "disakumizzarlo" anche sprovvista del suo Miraculous.
 Ad essere onesti, la super eroina non conosceva affatto modi efficaci per sostituire il suo yo-yo ( capace di purificare le farfalle infettate ), né tantomeno il volto del nemico.
 
La sfortuna si stava abbattendo sulla persona sbagliata - si disse amaramente, facendosi largo tra le spighe di grano alte almeno due spanne più di lei.
Il frumento, infatti, formava una sorta di labirinto fitto e monocromatico che non permetteva alcun tipo di previsione riguardo il cammino da scegliere.
Marinette apriva le fronde imperterrita, sperando ancora dopo una trentina di tentativi, che il grano non si sarebbe richiuso alle sue spalle come aveva fatto tutte le volte precedenti.
 
Ovviamente il caso non l'assistette per niente.
 
La ragazza, allora, digrignò i denti, emettendo un lamento frustrato che si insinuò tra le spighe di grano provocando un suono rimbombante e deciso.
Quando il rumore raggiunse il cielo nuvoloso, il grigio di questo fu macchiato da tanti piccoli puntini neri che accrescevano di dimensioni col passare dei secondi. Prendevano velocemente forma, acquisendo piume, becchi ed ali belle tese che si gonfiavano sotto la spinta del vento.
Lo stormo di corvi neri si stava abbattendo sul campo volando a bassa quota, in modo caotico e disordinato, beccando qua e là qualche chicco superstite.
Se l'avessero scovata, di certo Marinette avrebbe fatto una fine dolorosamente atroce.
 
Detestava i corvi.
 
 Con tanta pazienza, cercò di ricordare la struttura del dipinto traendone spunto.
 La memoria le suggeriva che il frumento era attraversato da tre sentieri distinti che si diramavano in tre direzioni differenti, una delle quali l'avrebbe persino portata da Chat Noir.
Più rapidamente dello lo stormo intento a scovare qualcuno tra le folte spighe, Marinette si fiondò lateralmente, cercando di tagliare il campo orizzontalmente così da trovarne sicuramente un'uscita.
 La corsa a perdifiato le graffiò le braccia e la privò di una buona dose di ossigeno, che fu immediatamente ricaricata non appena l'eco del gracchiare funesto raggiunse le sue orecchie.
Prima che i becchi dei pennuti potessero raggiungerla, si gettò letteralmente in un fessura poco visibile tra le spighe, che si rivelò quella propizia.
 
La buona notizia era avesse scovato l'uscita; la cattiva non aveva il coraggio di quantificarla.
Sentiva di essere finita in una pozza melmosa con tutte le scarpe, ma sperava che ignorando il problema, prima o poi sarebbe sparito realmente come la sua dignità.
Si ricompose in fretta.
Doveva seguire il sentiero e ritrovare non solo Chat, ma anche il mal capitato vittima di Papillon.
 
 " Spero solo che non ..." pensò tra sé e sé, interrompendosi quando percepì qualche gocciolina di pioggia scivolarle sul viso pallido.
Stava diventando una barzelletta.
 " Se questo è un modo per testare la mia fortuna, Tikki, non sta funzionando!!"'
 
Ma la giornata era appena iniziata nel mondo di Van Gogh, ed aveva appena cominciato con la sua trafila infinita di cattiva sorte.
 

 


***




Stanca e amareggiata, Marinette camminava trascinata per inerzia lungo il sentiero interminabile.
Era zuppa dalla testa ai piedi e ricoperta di una sostanza marroncina dall'odore non proprio piacevole, che increspava il tessuto degli jeans scoloriti: gonfi di fango, avevano assunto la consistenza ruvida della carta vetrata.
Aveva smesso di piovere da circa un'oretta, ma nessuna traccia di qualche abitazione.
C'era solo un susseguirsi di campi e mulini che parevano la fotocopia gli uni degli altri.
Tutto quel grano, poi, le ricordava l'odore caldo e sfizioso delle ciotole colme di pop corn che sicuramente Alya stava divorando davanti alla televisione.
Maledisse ancora la sua folle passione per l'arte.
Quando meno se l'aspettava, un arco in mattoncini rossi balenò davanti alla sua vista, segnando l'ingresso per l'unica città che Marinette riteneva possibile: Auvers-sur-Oise, l'ultima tappa della vita del pittore.

"Bingo" ridacchiò, ignorando il rumore imbarazzante che il tessuto creava quando compiva un passo.
 
Il paese sembrava delizioso e ben curato, infatti era stato efficientemente strutturato su vari livelli dove villette colorate e floreali si innestavano armoniosamente, creando dei piccoli borghi decisamente caratteristici.
La tecnologica pareva un ricordo lontanissimo, soffocato dall'aria di campagna ottocentesca che permeava l'intera cittadina.
Peccato che oltre alla modernità, anche l'elemento umano era stato risucchiato via.
 Non vide un carro passare, od una vecchietta filare sul balcone, né qualche bimbo scorrazzare fuggendo dalla famiglia o mercanti gridare per vendere i propri prodotti.
Tutto fortemente spento e statico, bidimensionale quasi, senza un minimo di vitalità.
A dirla tutta aveva un suo perché, rifletté Marinette, dal momento che non era reale, ma solo frutto della magia dell'akuma, un mero trucchetto.
 
Dopo alcuni giri di perlustrazione poco producenti, Marinette s’affacciò in un viale affiancato da un fila di girasoli rivolti verso un punto indistinto del cielo. S’accorse, dunque, che non c’era il sole in quella dimensione alternativa: la luce proveniva da tutt’intorno come se la terra stessa la irradiasse. Chat non poteva essersi imboscato troppo lontano- si disse percorrendo la stradina che portava ad una cappella di paese: era in stile gotico, dalle decorazioni austere e le vetrate policromatiche.
Marinette tentò di forzare la maniglia del portone, ma sembrava bloccata dall’interno, così cercò di intravedere cosa celassero le finestre colorate dell’abside. Con un po’ d’olio di gomito e tanta pazienza, adocchiò delle figure sedute sulle panche della campata centrale.
A guardarle meglio, parevano inginocchiate, addirittura imbavagliate e legate al proprio posto contro la loro volontà. Impiegò qualche secondo prima di riconoscere la sua migliore amica spuntare fra la quarta e la terza fila laterale.
Lo spirito razionale che le vibrava dentro stava analizzando la situazione con estrema calma, cercando un modo per forzare la serratura senza dover necessariamente ricorrere a mezzi pesanti. E con pesanti intendeva spaccare la vetrata a suon di sassate. Ergo, un segno evidente della sua presenza.

“ Pensa, pensa Marinette” si grattò la nuca dondolandosi avanti e indietro per il giardino antistante della chiesa “ Sfrutta gli oggetti che hai attorno. Cosa hai attorno, Marinette ?”

La voce che la sua testa aveva scelto come suggeritrice era stata plausibilmente quella di Tikki, l’unica in grado di scamparla in situazioni disastrose. La fanciulla perlustrò l’area del giardino adocchiando un paio di strumenti da giardinaggio e l’ingresso per il cimitero adiacente.

“ Col cavolo che metto piede lì dentro” fu il primo impulso a scuoterle le tempie. Ma il senso di dovere e la preoccupazione crescente ebbero la meglio, trascinandola contro volontà verso l’ingresso lugubre del posto. Era preceduto da un arco in ferro battuto, al centro del quale si divincolava una figura angelica dai tratti alquanto raccapriccianti.
Se non si fosse trovata rinchiusa in una dimensione alternativa, probabilmente avrebbe ricondotto l’immagine a quella dei Gargoyles del Gobbo di Notredame.
Era pur sempre una nerd.

Non appena fece un passo per entrare, il terreno si aprì sotto i suoi piedi come una voragine che risucchia le anime direttamente all’inferno. Marinette fu inghiottita in basso, dove nemmeno il suo più grande coraggio l’avrebbe pienamente assistita, dove il respiro si faceva rantolante e confuso, carico di angoscia.
Cadere nel vuoto completo, avvolta dall’oscurità e sporca di terra  sembrava la coronazione della sua cattiva fortuna. Persino Chat Noir godeva di una sorte migliore paragonato alla serie di sfortunati eventi che la stava colpendo.
E lui rappresentava la distruzione per eccellenza.

Finì schiantata in una sorta di galleria sotterranea, una specie di catacomba fatiscente che a stento conteneva la natura invadente. Con qualche ammaccatura e un grande mal di testa, si fece forza per alzarsi e pulirsi il viso dalla polvere e qualche fogliaccia secca.
Sembrava uno spaventapasseri fradicio e visibilmente stremato.
Benché le pulsasse un fastidioso dolore sotto pelle, riconobbe che il corridoio dove si trovava era fortunatamente illuminato da qualche torcia incastrata tra le fessure dei mattoncini. Forse avrebbe trovato qualche passaggio segreto per l’interno della chiesa, ma con la fortuna che aveva, era più probabile finire dentro una discarica.

Fece qualche passo avanti con la mano premuta accuratamente sul capo, tuttavia il suo andamento fu interrotto  dalla vista di un giovane gatto in carriera  che correva a perdifiato verso la sua direzione. Chat Noir sobbalzò quando la vide conciata in quel modo, ancora più sorpreso del suo aspetto scombussolato che non della sua effettiva presenza. Era chiaro come il sole che l’avrebbe comunque seguito malgrado gli avvertimenti.
<< Che c’è ?>> brontolò Marinette sulla difensiva, ancora travolta da un senso di volteggiante disorientamento. Chat Noir sfilò le rimanenti foglie dai capelli arruffati, trattenendo una evidente risata derisoria.
<< Il tuo aspetto mi ha persino prosciugato la vena ironica >> disse infine, scatenando l’incombere di uno sguardo fulmineo e stressato.

Non ci volevano proprio le sue battute con tutta quella malasorte.

<< Chiudi il becco. Il karma mi ha torturata abbastanza per un giorno solo >>

Il supereroe si voltò di scatto, ricordandosi evidentemente la ragione che l’aveva condotto fino a quel punto delle catacombe << Non vorrei infrangere i tuoi sogni, ma Papillon si è superato con il suo ultimo "esperimento" >>
<< Sono pronta a tutto >> rispose Marinette fin troppo impulsivamente, posando una mano sulla spalla del partner.
I suoi muscoli, notò la giovane, erano tesi come corde di violino appena tirate.

<< Anche ad affrontare le tue stesse paure ?>>

Marinette trasalì << Stai scherzando? Ti prego, dimmi che stai scherzando >>.
Il viso di Chat, però, era tutt’altro che divertito, piuttosto incorniciato da un’espressione di frenetica ansia mista ad una stenua determinazione.

I minuti che seguirono vennero colmati da veloci spiegazioni riguardanti la capacità dell’akuma di trasformarsi nella paura dell’osservatore, assumendone la forma e persino la voce. Una bambola di pezza dalle sembianze estremamente reali, insomma.
I due supereroi compirono numerosi passi febbricitanti lungo tutte le diramazioni dei sotterranei, volti a depistare il nemico che stava inseguendo Chat già prima che piombasse dalla fanciulla. Marinette aveva raccolto le forze e riacquisito un po’ di equilibrio, ma ancora faticava a mantenere una concentrazione stabile quando le pareti attorno a lei si ripetevano in modo così dannatamente incalzante. Per non parlare del fetido odore che quel postaccio esalava: vecchio e polveroso, era rimasto intrappolato nel tempo proprio come tutto il resto.

<< E’ un mutaforma, non un corridore. Potremmo fermarci un secondo per riflettere meglio? >> si lamentò la fanciulla tirando verso di sé Chat, il quale non ne voleva sentire di piccole pause di percorso. Studiò Marinette intensamente, assumendo uno sguardo così orgoglioso da rendere il taglio dei propri occhi una sottilissima fessura verde smeraldo.
<< Quando usciremo da questo labirinto. Poi penserò ad un piano. Dovremmo esserci quasi…>>

La giovane svoltò un’ultima volta, intravedendo uno spiffero di luce invadere la cupezza del tunnel.

<< Cosa c’è di tanto terrificante nella tua paura, Chat? Sembra che tu stia fuggendo da Jack lo Squartatore>>

Il ragazzo s’assicurò che non spuntassero fuori spiacevoli sorprese dalle entrate laterali, per poi richiamare Plag e sfruttare il suo potente cataclisma.
Da comune cittadina, Marinette simulò uno sgomento di sorpresa nel vedere in azione i superpoteri di Chat: il denso fumo nero che scoppiettava tra le sue dita affusolate fu direzionato verso la zona alta della parete, che crollò come un castello di carte contro il soffio del vento.
Tanto fu il baccano prodotto, che potevano considerare distrutta la loro possibilità di rimanere avvolti nell’ombra, ignoti agli occhi del nemico che ora avrebbe potuto localizzarli con estrema facilità.

Sentirono il rumore sordo di scarpe rimbombare sotto il loro  piedi, un suono sincronico e deciso, generato possibilmente da un paio di mocassini dal tacco affilato. Marinette non poté fare a meno di immaginare a chi potessero appartenere, a chi Chat Noir doveva il suo terrore e la sua evidente preoccupazione. Con un balzo efficacemente calibrato, il gatto s’arrampicò oltre la parete di mattoni, per poi tendere la mano verso Marinette.
La giovane esitò quell’istante necessario a mandare Chat nel completo panico.
Voleva davvero scoprire che volto possedesse la sua paura ? Sotto sotto una leggera curiosità ronzava attorno i suoi pensieri, ma l’idea di doverla affrontare superò il desiderio di conoscerla.
Così afferrò la mano di Chat, il quale la trasportò in fretta e furia fuori dall’inferno.

La voragine del cataclisma l’aveva condotti direttamente nella sacrestia della chiesa, dove qualche tunica ancora appesa sembrava suggerire un utilizzo piuttosto recente del posto. Non aspettarono molto prima di spostare la libreria a muro per richiudere il passaggio e scampare temporaneamente il pericolo.

<< Ti dico quello che ho scoperto mentre tu giocavi col fango >>  esordì Chat, sedendosi comodamente su un mucchio di libri caduti in seguito al rovesciamento della libreria  <<  L’unico modo per fuggire definitivamente dall’akuma è uscire dal quadro. I luoghi dipinti da Van Gogh sono dei portali per il nostro mondo, quindi basta attraversarli e puff, il gioco è fatto >>


<< Ok, potremmo fare così, ma non è una soluzione definitiva. Come pensi di sconfiggere l’akuma? Hai idee? >>  incalzò Marinette, presa a valutare ciascuna variabile del caso. Chat Noir rispose con un eloquente silenzio, che da una parte le permise di riflettere più affondo, ma dall’altra accrebbe in lei un grande senso di preoccupazione. Non sapeva se sprovvista dei suoi poteri, dopotutto, avrebbe potuto salvare la situazione come suo solito.

<< Fantastico. Non hai pensato a un fico secco >>

<< Hey, sono stato un felino occupato a scappare dallo psicopatico del villaggio, per la cronaca >> replicò lui, restando sulla difensiva. Marinette lo guardò di bieco, a braccia conserte  << Oh certo, perché camminare e pensare contemporaneamente è una richiesta fin troppo eccessiva … >>

<< Certe volte sai essere davvero irritante >> borbottò di tutta risposta.

La giovane si morse il labbro, in attesa di un brillante piano sfornato direttamente dal suo piccolo cervello scaltro. Inclinò il capo leggermente, fulminata improvvisamente da un’idea che probabilmente si sarebbe rivelata disastrosa e potenzialmente fatale. Nonostante ciò,  in quelle condizioni critiche, tanto valeva tentarla piuttosto che continuare a nascondersi.
Chat si rese immediatamente conto della smorfia << Mi piace quel sorriso malefico. Così subdolo e calcolatore >> si complimentò poi, scattando sue due “zampe” << Mi piace molto >>

Il suono vibrante e malizioso della sua voce rimase incastrato nei pensieri di Marinette, la quale, per un semplice istante, ne fu completamente rapita. Accade che dovette distogliere lo sguardo per tornare alla realtà nuda e cruda. Quel gattaccio ci sapeva fare – si disse arrendevole.

<< Non penso ti piacerà una volta ascoltato quello che ho da proporti >> canzonò la fanciulla. L’umore del ragazzo non cambiò affatto, anzi, sembrava divertito della situazione << Sono aperto a tutte le proposte, ma eviterei all’interno di una chiesa. Sai, luogo sacro e tutto … >>

Marinette arretrò, emettendo un suono vibrante e fin troppo acuto  << Eww, non hai proprio peli sulla lingua, eh ? >> .
Chiaramente, Chat approfittò dell’osservazione per indicare i suoi canini appuntiti << Il gatto deve avermela mangiata >> .

Ne conseguì una veloce spintarella, accompagnata da battute orribili riguardo le condotte dei gatti del suo quartiere. Erano apparentemente maleducati e pigri, a quanto diceva il supereroe.

Dopo un momento di leggerezza, tornarono alla serietà che la loro impresa richiedeva. Marinette provò ad assemblare qualche idea cercando di sembrare il più goffa possibile, per depistare quanto meno le ipotesi che Chat Noir aveva fatto sicuramente sul suo conto. Non era idiota, né tantomeno cieca per non accorgersi del modo in cui lui aveva iniziato a guardarla quella notte.

<< Quindi tu metti in salvo gli innocenti, mentre io distruggo l’akuma. Cristallino >> ricapitolò Chat.
La ragazza riprese fiato << Esatto. Poi l’attireremo fuori dal dipinto, dove non avrà più tanto potere, e cercheremo di distruggerla con il cataclisma. Non sono molto propensa a soluzioni così drastiche, ma senza Ladybug non possiamo purificare le farfalle >>

Malgrado le tragicità delle circostanze, sentirono entrambi una scarica elettrica percorrere le loro fibre muscolari, cariche ed elastiche per compiere qualche follia di troppo. Marinette percepì quell’energia dinamica rispecchiarsi nelle pupille di Chat Noir, il quale la guardava in modo strano e particolarmente intenso.

<< Ricordami di ringraziarti quando usciremo da qui. Te la sai cavare bene, princess >> Chat fece per dirigersi verso l’uscita della sacrestia, munito della sua lancia e una folgorante determinazione.
Fu fermato, poco prima di varcare la soglia, da una mano affusolata e delicata che teneva stretto il lembo finale della sua tuta << Ricordati di sopravvivere nel frattempo, kitty cat >>

Chat digrignò i denti, chinandosi in modo sfacciatamente teatrale << Se è questo che vuole la mia lady, sarà fatto >> . Impetuosamente si gettò oltre la porta, lasciando Marinette sola, nel cuore di una sacrestia cupa e terribilmente silenziosa.

Tutto nelle ossa le suggeriva che di lì a poco sarebbe letteralmente scoppiata come un bollitore a pressione.
Non capiva per quale dannato motivo Chat si fosse rivolto a lei come fosse stata Ladybug e non la buffa Marinette.

Si torturò non poco, bombardandosi di domande e dubbi riguardo le parole di Chat. Forse era stato solo uno sbaglio, un lapsus – si disse. O forse le serviva una bella doccia fresca e tante ore di sonno dentro le sue coperte. Sbraitando contro quella poltrona di Tikki che l’aveva lasciata al suo sfortunato e tragico destino.

“ Ok karma, patti chiari e amicizia lunga. Dammi un piccolo aiutino almeno per ora, poi potrai continuare a buttarmi malocchio quanto ti pare “ pensò tra sé e sé, accantonando il problema sollevato da Chat.

La faccenda si faceva seria.
Game on.
 
 
 





















Angolo autrice
Ma buonsalve miei piccoli fiocchi di neve invernale (?)! So di aver detto che non avrei aggiornato in poco tempo, ma l’ispirazione mi ha travolta e non ho potuto frenarmi. Mia colpa u.u Anyways, non so dove la storia mi stia conducendo in realtà, lascerò i personaggi parlare per me.
Vi auguro un felice Capodanno e vi lascio con la speranza che il 2017 sia meno #mainagioia dell’anno precedente. Au revoir !

PS : questa follia è dedicata alla mia Chat che ora si trova al letto con la febbre. Don’t get used to it 

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Capitolo 3
*** Papillons et mémoires. ***





Farfalle e ricordi  Ƹ̵̡Ӝ̵̨̄Ʒ 
 












Ad Adrien non era mai capitato di cercarsi il pericolo consapevolmente. Certo, non si considerava uno stinco di santo che agiva sempre con cautela, ma almeno poteva ritenersi abbastanza sveglio da capire qual era il limite che non doveva superare. Soprattutto dopo aver usato il suo cataclisma ed esser tornato nei panni del ragazzo impeccabile e certosino.
Vagare così, per le strade di un paesino abbandonato, ignorando completamente la presenza di una possibile akuma, sembrava così stupido che persino una testa calda come lui l’avrebbe capito.
Eppure fare da esca, rientrava nel contorto piano che Marinette aveva faticosamente riunito (perché lui non era stato in grado di pensare a qualcosa di concreto ed efficace).
Si sentiva leggermente in colpa per quella mancanza, così come del tempo perso ad arrovellarsi sulla vera identità di Ladybug. Malgrado ciò, non aveva potuto frenare il correre della sua fantasia sfrenata, e più i secondi passavano, più ne sentiva la completa certezza: Marinette era Ladybug.
 
Forse, inizialmente, si era convinto che certe blande somiglianze non potessero giustificare i suoi insensati dubbi, frutto di un’attrazione che l’aveva notevolmente astratto dalla realtà. Vedeva la sua lady in ogni ragazza che gli capitava a tiro, immaginando come la maschera da coccinella avrebbe incorniciato il viso di ciascuna. Era assurdo e patetico – si ripeteva.
Idealizzare una persona che aveva mostrato più volte di non ricambiare i suoi sentimenti.
 
Nonostante ciò, quando Marinette gli aveva lasciato intravedere uno spiraglio della sua vera personalità, tutte quelle domande represse tornarono ad affollargli i pensieri. E osservarla combattere, calarsi nei panni della sua lady, mossa da uno spirito che non aveva mai visto in nessun’altra ragazza, riaccese in lui il desiderio di scoprire chi si celasse dietro la supereroina.
Marinette gli sembrava la candidata ideale: forte, determinata, a tratti provocatoria, ed incredibilmente risoluta. Sì, non poteva che calzarle a pennello. Poco gli importava se durante le ore scolastiche sembrava sempre sul punto di crollare, costantemente a disagio quando si trovava nei paraggi.
A dirla tutta gli faceva piacere quel suo comportamento quasi imbarazzato.
Niente a che vedere con quello che vestiva quando si trovava nei panni di Chat. Quelli si che erano incontri.
 
Sentiva che nascosto dietro un paio di occhi felini riusciva a toccare corde che da umano non si sarebbe mai permesso di stuzzicare. Ed era piacevole costatare che Marinette non lo percepiva come un estraneo.
Era altrettanto bizzarro iniziare a vedere quella sua compagna di accademia sotto altri riflettori.
Gli era sempre piaciuta, d’altronde una ragazza così dolce, bella e timida non poteva che farlo, ma non avrebbe mai pensato di sentirsi attratto da lei in quel modo.
Quel modo che lo spingeva a immaginare di ammaliarla come tentava invano con Ladybug.
Voleva conoscerla e diventare la sua spalla persino al di fuori del crimine.
Senza trucchi o troppe attese.
Dopo tutto, cosa impediva a Marinette di respingerlo quando le veniva benissimo una volta indossato il costume ?
Forse quell’occasione aveva donato lui la chance di provarci ancora, in modo nuovo. D’altro canto, voleva assicurarsi che tutte quelle congetture non fossero il risultato di un desiderio incolmabile, ma lo specchio della verità.
Aveva deciso: entrare nella vita di Marinette da quel giorno in poi e studiare bene il suo comportamento.
Prima, però, doveva superare quell’infausto contrattempo che Papillon aveva scagliato loro.
 
<< Plagg, pensi che stia esagerando ? >> domandò Adrien al piccolo kwami, che nel frattempo si lamentava per la mancanza di cibo nel suo minuto ed incredibilmente vorace stomaco.
Plagg sbuffò << Penso che tu debba occuparti dell’akuma e del mio nutrimento. Avrai tempo per continuare a struggerti per Marinette >>.
Lo sguardo di Adrien era divertito, ma non sembrava convinto delle sue parole. In primis perché in quel borgo desertico sarebbe stato impossibile trovare un pasto decente, e poi tutta quella staticità gli aveva concesso il lusso di distendersi mentalmente e focalizzarsi sui tipici problemi sentimentali degli adolescenti.
 
<< Tu sai chi è Ladybug, lo vedo che ne sei a conoscenza >> protestò Adrien.
 
 L’aria era fresca e non troppo forte, ma non abbastanza da riempirgli i polmoni come si deve. Le casettine isolate, dalle porte sbarrate e le finestre chiuse, rendevano l’ambiente un misto fra un circo degli orrori e qualche paesello colpito da epidemie. In una di quelle scatole cinesi non avrebbe mai trovato del cibo per Plagg, nemmeno volendo.
 
<< Oh tu guarda! >> esclamò il kwami << Un’invitantissima fontana proprio in fondo a quella strada. Non vorrai lasciarmi morire disidratato? >> .
Adrien alzò il sopracciglio, cosciente che il suo protettore avesse deliberatamente evitato la sua osservazione << Oppure potrei confinarti nel Miraculous e riflettere in pace >>
<< Mi permetto di dissentire >> replicò, infine, con la sua solita aria altezzosa. Chat, allora, si trascinò fino alla fontana che stagliava nel centro della piazzola color pastello, dove un carretto di fiori gialli accostava il perimetro della sorgente.
 << Va bene, va bene. Ma poi te ne ritorni dentro senza storie, devo trasformarmi. Sento la presenza di qualcuno >> . Così Plagg bevve qualche sorso in fretta e furia, leccandosi i baffi finalmente carico.
<< Attento Adrien, tuo padre potrebbe essere nei paraggi >>  disse, prima di essere rispedito nel Miraculous del ragazzo, avvolgendolo poi attorno un’aura nera che lo tramutò in Chat .
 
L’inevitabile certezza che Adrien avrebbe dovuto affrontare suo padre, o almeno, il mero sostituto di suo padre, lo terrorizzava tanto da lasciargli una scia di brividi lungo la schiena. Temeva il suo giudizio più di ogni altra cosa ( era un sentimento vivo dalla scomparsa della madre ), ma non si poteva permettere di finirne sopraffatto come l’ultima volta.
 
La sorpresa di averlo visto akumizzato gli era pesata sul petto come una lancia. Non aveva parlato, eppure era stato sufficiente guardarlo per sentirsi completamente soggiogato dalla sua autorità.
Questa volta sarebbe stato diverso – si disse per tranquillizzarsi.
Non tanto perché qualcosa in lui era cambiato, era pur sempre lo stesso ragazzo orfano di madre, più che altro sentiva di doverlo alle vittime dell’akuma.
Loro non potevano reagire, così come Marinette non avrebbe potuto contrattaccare da umana.
 
Adrien non aveva ancora capito per quale motivo non fosse riuscita a trasformarsi, gli era sembrato assurdo che la sua lady ignorasse il pericolo. Poi la coincidenza gli balenò tra i pensieri : Marinette spuntava fuori tutte le volte che Ladybug scappava via. Non le aveva mai viste nello stesso istante.
 
Ancora beato di quell’idea, ubriaco di convinzioni che ormai lo tormentavano continuamente, non si accorse subito che dall’altro lato della piazza stagliava la figura snella e dispotica di Gabrielle Agreste. Vestiva di tutto punto, con il suo solito completo bianco cadaverico dall’eleganza disarmante, e la cravatta accuratamente annodata attorno al collo. Adrien quasi si strozzò. L’unica differenza con quello vero era la presenza del simbolo di Papillon sul volto.
 
Chat prese a correre, tentando di distrarlo dal vero nucleo del piano: Marinette e il portale. La cittadina, però, non faceva che rendergli il compito difficile, inglobando ogni sua mossa in una serie di vicoli ciechi tutto fuorché rassicuranti. Gabriel Agreste, o almeno, la copia fatta male di suo padre, serpeggiava tra le stradine senza emettere suono, ma ancorando comunque lo sguardo severo in quello del figlio.
 
Forse l’akuma poteva solo assumere l’aspetto della paura, ma non appropriarsi dei pensieri – si disse Adrien leggermente risollevato. Sarebbe stato come lottare contro un muro di cemento che non poteva realmente ferirlo con le sue parole. Tutt’al più che il signor Agreste l’aveva già saturato di delusione: niente poteva peggiorare una situazione così frammentata.
 
<< Beh, sono curioso. Come mai ti sei fatto akumizzare ? Problemi in casa ? >> domandò Chat saltando da un tetto all’altro delle abitazioni.
 
Scattava come una molla scivolando sulle mattonelle con la stessa grazia di un surfista che cavalca le onde. Chiaramente un tentativo di conversazione non era stato contemplato dal suo inseguitore, il quale l’aveva totalmente ignorato, brandendo un bastone appuntito raccolto da terra.
La cosa si faceva seria se era disposto a ferire fisicamente qualcuno.
 
Chat pensò ad un diversivo che gli avrebbe salvato la pelle << Problemi di cuore? Sai, ti capisco, sono un tipo abbastanza sfortunato … >> . Balzò sul tendone di una vivanda, lasciandosi rotolare fino a terra, dove a pochi metri di distanza lo aspettava ancora il padre.
 
La cittadina lo stava realmente ingabbiando in una sorta di labirinto inespugnabile. Gli era sembrato di aver percorso una decina di metri o più, invece il potere dell’akuma l’aveva solo ingannato con qualche trucchetto da quattro soldi. Chat Noir era consapevole che dentro al dipinto non sarebbe mai riuscito a sfiorarlo con un dito, perché l’atmosfera tutt’attorno gliel’avrebbe impedito strenuamente.
 
Mentre si corrodeva per cavarne qualcosa di serio, la terra iniziò a volteggiare sotto i suoi piedi, scuotendogli le ossa e paralizzandogli i muscoli. Una sensazione di terribile nausea, mista a totale spaesamento, generarono una fitta nebbia che lo obbligarono a cadere sulle sue stesse ginocchia.
Si sentiva scoppiare la testa, pressata da una forza che avrebbe voluto solo soffocare, ma l’unica cosa che stava soffocando era lui stesso.
Ora capiva perché entrare nel quadro non era stata una buona idea.
 Quell’akuma non solo rubava le paure altrui, ma giocava letteralmente con la mente dei malcapitati, rendendoli folli e paranoici come … Van Gogh.
 
 Ancora divorato dalla confusione, fu sorpreso dal bastone del padre che volteggiava in aria diretto verso di lui. Gli bastarono pochi istanti di lucidità per scansarsi leggermente ed evitare di venire trafitto a mo’ di spiedino gigante.
Ripensando al cibo, gli venne un certo languorino.
 Scacciò i desideri di Plagg dalla testa, constatando che malgrado la prontezza dei sensi, non era riuscito a schivare completamente il lancio, infatti gli aveva procurato comunque un bel graffio profondo sulla spalla destra.
 
Ci stava dando dentro quell’akuma – ripensò con una smorfia di dolore.
 
Tornò in piedi traballando, ancora indeciso sul piano da mettere in atto.
Sicuramente stava regalando minuti preziosi a Marinette, ma in quelle condizioni sarebbe finito nelle grinfie di Papillon in men che non si dica.
 E certo Ladybug non l’avrebbe salvato – ne era convinto -  dal momento che si trovava nella sua stessa situazione indecente. Chat ripensò agli allenamenti con Plagg, ricordando una frase che gli diede la forza di rimboccarsi le maniche : “ Per battere il tuo nemico, devi diventare il tuo nemico “.
 
Combattere il fuoco con il fuoco.
 
“ Chissà come se la sta cavando Marinette … “
 
 
***
 
Marinette se la stava cavando, più o meno, decentemente. Raggiungere la campata centrale era stato un gioco da ragazzi una volta riposti tutti i dubbi che Chat le aveva consapevolmente innescato.
Quando raggiunse le panche della chiesa, rimase colpita dell’architettura modesta ed allo stesso tempo elaborata del posto: volte a vela che scaricavano il peso su grandi colonne portanti, spesso alternate ad esili elementi sormontati da capitelli leggermente grotteschi.
 La luce tutt’attorno filtrava flebilmente dai grandi rosoni colorati che, sfortunatamente per lei, intrappolavano la maggior parte dei raggi.
Diciamo che la vista non era proprio il massimo per una che non possedeva la prontezza felina.
Dopo un primo momento di stupore, si fiondò immediatamente nella missione, individuando una decina di persone legate attorno le panche dei fedeli.
Intrisa di un silenzio sacrale, s’adoperò a sciogliere ciascun nodo, chiedendo piena collaborazione a chi era già stato liberato.
 
 Inizialmente calmare le acque e tentare di spiegare la situazione aveva solo generato un ronzio di proteste e preoccupazione, che stava sfociando in dibattiti ridicoli e critiche infondate.
Poi Marinette aveva deciso di salire le scalette dell’abside e sfruttare il rumore sordo di un fischio per richiamare a sé l’intera attenzione dei presenti.
Nei panni umani non era affatto propensa a brillare sotto le luci della ribalta, ma sapeva che dolente o non, avrebbe dovuto sforzarsi per superare le sue ansie.
L’intera folla caotica e turbolenta si placò immediatamente, puntando lo sguardo verso la giovane supereroina maldestra. Tra le vittime dell’akuma, oltre ad Alya, Marinette vide i genitori di alcuni compagni d’accademia e qualche personaggio decisamente sconosciuto.
 
Forse non ci avrebbe rimesso la faccia, dopotutto.
 
La fanciulla di schiarì la gola << So che siete spaventati, però non è il caso di peggiorare le cose con litigi inutili >>.
 
La folla parve improvvisamente “addomesticata” ed incantata dalla voce di Marinette, che con serietà ed autorità spiegò loro cosa Chat le aveva proposto di fare. Evitò di aggiungere che il piano non era stato tutto farina del suo sacco, altrimenti Alya avrebbe viaggiato con la fantasia costruendosi castelli di carta indistruttibili. Conosceva la sua polla come il palmo della propria mano.
 
Una donna sulla quarantina si levò dalla massa adottando un’espressione più che animalesca << Ti aspetti la nostra sottomissione ? Dovremmo seguirti fino a questo “portale”, ragazzina? Cosa ti fa credere che avrai la nostra fiducia ? Questi sono compiti dei veri supereroi, non di certo buffonate da quattro soldi >>.
 
Marinette calpestò il suo orgoglio, evitando di farsi piccola di fronte quelle parole tanto aspre e decisamente sensate. Non biasimava le persone che avevano difficoltà a crederle, sapeva che richiedeva un atto di fede non indifferente, ma detestava chi osava trattare gli altri con inferiorità.
Avrebbe preferito il caos, piuttosto.
 
<< Non vi sto chiedendo di fidarvi di me, avete ragione. Vi sto chiedendo di seguire le istruzioni di Chat Noir, che al momento sta lottando contro la cosa che vi rinchiusi qui. E’ l’unica possibilità che avete per fuggire, per cui se non la sfruttate al massimo potreste ritrovarvi intrappolati nel quadro per sempre >>
 
OK, forse ci era andata pesante, gonfiando un po’ la drammaticità delle circostanze, ma con la calma non avrebbe ottenuto la stessa reazione. La paura fa fare cose inimmaginabili, in questo caso addirittura spinse adulti contrariati a seguire gli ordini di un’adolescente apparentemente inesperta.
Alya le diede una pacca sulla spalla, sorridendole come se tutto il mondo le fosse pesato sulle spalle adesso.
 
<< Poi mi racconterai meglio quando usciremo da qui, ragazzaccia >> disse l’amica, strizzandole l’occhio.
 
Marinette stava guidando la folla oltre l’uscita della chiesa, direttamente nel giardino antistante dove Van Gogh aveva ritratto la struttura, perciò non si soffermò molto sulle insinuazioni di Alya.
Quando il suo cervello ebbe tempo sufficiente ad elaborare la richiesta dell’amica, fu come venir attraversati da una raffica di pizzicotti caldi e fastidiosi.
 
Tra lei e Chat non c’era niente, assolutamente nulla.
 
<< Alya, non farti strane idee, sto solo aiutando l’eroe di Parigi, mica ci devo andare a cena fuori >> balbettò Marinette sbloccando finalmente il portone. Aveva ragione riguardo il lucchetto : era stata chiusa dall’interno. E questo la spinse a rifletter ancora di più sulla faccenda e le abilità dell’akuma.
Se era riuscita a seguire Chat fuori dalla Chiesa senza sfondare la porta, le possibilità erano due:  aveva trovato un’altra uscita, oppure possedeva più poteri di quanto non avesse quantificato.
 
<< Mari, che stai facendo ? >> bisbigliò Alya tutt’un tratto.
La supereroina aveva sbloccato la porta per permettere alla folla di defluire nel giardino, ma osservando meglio la maniglia dell’ingresso, si rese conto che era sprovvista di lucchetto.
Era semplicemente un peso da spingere e tirare, come tutte le normali abbazie.
Eppure era sicura di aver fisicamente spostato la chiave. Non poteva esserselo immaginato.
 
<< Sto … >> disse con un groppo alla gola, sfiorando la porta incredula << Niente. Andiamo, meno tempo perdiamo e meglio è per Chat >> .
 
Superarono l’uscita riluttanti, proseguendo senza capire esattamente cosa stessero facendo e dove si trovassero. E Marinette sembrava sempre più turbata degli accadimenti precedenti, consapevole che qualcosa le stesse sfuggendo di mano. Il fatto che non riusciva ancora a capire cosa, le mandava in tilt il cervello, soffocando ogni tentativo di conversazione che Alya cercava di intavolare.
 
Non era in vena di pettegolezzi. Marinette si sentiva presa in giro dalla sua stessa mente.
 
<< Ok, forse non avrai interessi, Miss “Adrienamoregrandedellamiavita”, ma devi ammettere che ha un suo fascino. E poi credo che dovresti un po’ farti la pelle con queste cose, forse riuscirai a parlare senza scappare continuamente … >>
 
Il discorso di Alya scivolò nei meandri della coscienza di Marinette, la quale si teneva occupata provando ad identificare il punto esatto dove Van Gogh aveva schizzato il dipinto. Non era facile se tutta quella folla iniziava ad agitarsi ed Alya continuava a blaterare imperterrita sulla bellezza del suo gattaccio.
Prese ad ispezionare il luogo, aprendo le erbacce e cambiando prospettiva puntualmente, con l’intento di individuare uno sfarfallio dell’atmosfera, che doveva sembrare una sorta di parete gelatinosa.
 
<< Non è questo il momento per parlare della “magistrale” bellezza di Chat Noir. Ne discuteremo con calma, quando avremmo trovat- >> Si interruppe nel momento in cui la donna di prima fu intrappolata nelle maglie di una superficie trasparente estremamente densa.
 
<< Il portale ! >>
 
I fuggiaschi non aspettarono un secondo di più per buttarsi nel vuoto denso e vorace del portale. Alcuni furono spinti, altri semplicemente indotti dalla disperazione, ma ciò che contava era il risultato finale: tutti si trovavano nella dimensione d’origine, senza un graffio.
Okay, magari non tutti.
Alya la stava ancora fissando interdetta, accompagnata da una donna buffa e minuta che sembrava non volersi schiodare dalla sua posizione. Marinette rassicurò l’amica che avrebbe attraversato il portale una volta avvertito Chat Noir, eppure Alya faceva ancora una certa resistenza. Forse per la stretta morbosa che quella donna continuava a esercitarle sul polso. Marinette non l’aveva notata immediatamente, probabilmente troppo presa dalla confusione e l’azione, ma non le era sembrata un ostacolo.
 
<< Signora, la prego, è tempo di andare. Ci sarà questa mia amica a prendersi cura di lei, gliel’assicuro>> disse Marinette dirigendo la donna verso la voragine.
Alya la fulminò.
 Evidentemente non aveva capito che la sua collaborazione era più che necessaria.
 
<< Non posso, non posso >> piagnucolò poi, gettando le braccia al collo di Marinette.
La scena stava diventando surreale.
Alya la guardò interdetta, alzando le spalle quando mimò con le labbra una richiesta di spiegazioni.
 
<< Cosa la trattiene qui? >> domandò la giovane, sfoderando tutta la dolcezza del suo amplio repertorio.
La donna si fece piccola piccola, sgranando gli occhioni lucidi come una bambina spaesata in cerca di protezione. Il suo volto paffuto e tondo si gonfiò di rossore, che culminò in un silenzioso pianto liberatorio.
<< Devi farlo ragionare. Non è in sé stesso, non posso abbandonarlo!>>
Continuava a urlare imperterrita, rifiutandosi di seguire Alya. Marinette, allora, provò a ricollegare le parole della donna con la situazione in corso. Sembrava si stesse riferendo all’akuma, o meglio, alla persona che il malvagio Papillon stava crudelmente manipolando.
 
<< Non lo farò. Signora, la prego, provi a spiegarmi meglio, potrei aiutarla >>
La donna emise un singulto trattenuto << Mio marito … è completamente fuori di sé. Ha perso il lavoro al museo, e il suo capo l’ha umiliato rifiutando uno dei suoi lavori. E’ un pittore, sai ?>>
 
“ Oh diavolo, ora inizio a capire … “
 
<< Era terrorizzato all’idea di venir rifiutato. Voleva comprare una bicicletta nuova a Theresa, di quelle con il manubrio colorato e gli elastici >>
Marinette sospirò posando una mano sulla spalla della signora << Le assicuro che Chat Noir salverà suo marito. Tornerà sano e salvo a casa in un batter d’occhio! Ma deve seguire Alya e fuggire di qui, è troppo pericoloso >>
 
Dopo svariati minuti di lotta instancabile, la signora si lasciò a malavoglia convincere, probabilmente esaurita tanto fisicamente quanto psicologicamente. Marinette restò sola a guardare il portale con una sola cosa impressa nella mente: l’ammonimento silenzioso che Alya le aveva lanciato prima di tuffarsi nel portale. Da cosa derivava? Beh, dal semplice fatto che aveva bellamente promesso un qualcosa che non sapeva possibile. Cioè, forse Ladybug avrebbe sbrigliato il tutto senza danni collaterali, ma lei non poteva dirsi così fortunata ed abile. Alya sapeva. Capiva che Marinette non poteva decisamente farsi carico di una cosa così grande, ma allo stesso tempo riponeva estrema fiducia in lei, sperando che in qualche modo se la sarebbe cavata. E la supereroina sperava davvero di farcela escludendo l’alternativa negativa.
Quello che doveva compiere, adesso, rientrava nella sfera magica dei miracoli. 
Un miracolo di Natale? Una fortuita intuizione che finalmente il karma le avrebbe concesso ?
Si grattò la nuca gettando i capelli all’indietro, come un’onda che scuote l’oceano.
 
Doveva trovare Chat Noir. 

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Capitolo 4
*** L'ombre d'un homme ***






L’ombre d’un homme 

 
 
 



Un'arancia bella tonda e brillante rotolava sull'asfalto della piazza, seguita da alcuni frutti sferici che ne simulavano l'andamento. Scivolava prendendo sempre più velocità a dispetto dell'attrito che avrebbe dovuto ostacolarla fin da subito. Fu interrotta dal marmo duro della fontana, il cui basamento contava già una trentina di frutti sparsi in modo caotico.

L'idea di Chat Noir era semplice, ma nella pratica abbastanza articolata: confondere l'akuma impiegando alcuni trucchetti che di certo l'avrebbero rallentata e indebolita. Giocava sull'astuzia e la stanchezza che avrebbe comportato al nemico. Certo, riconosceva malincuore che non era riuscito ad escogitare una soluzione permanente e decisiva, ma non aveva tempo fisico per pensare quando persino l'ambiente circostante gli metteva i bastoni fra le ruote.

L'alternativa ricadeva sulla possibilità di finire affettato, oppure rapito da Papillon. Entrambe disastrose e possibilmente fatali.

Dunque aveva ben pensato di nascondersi e tirargli qualche scherzo nel mentre, tenendo al guinzaglio quella brutta linguaccia irrefrenabile che gli suggeriva tutte le volte di provocare l'akuma. In primis, perché adorava poter parlare così liberamente senza subire una strigliata paterna; secondo, perché in fondo faceva parte della sua natura felina stuzzicare il prossimo continuamente.

Così, negli ultimi momenti, s'era divertito a rovesciare tutti i carri colmi di frutta che circondavano le estremità della piazza, stando attento a non farsi vedere e contemporaneamente evitando di venire sopraffatto dalla stessa nausea che prima l'aveva quasi condotto alla morte.

Forse doveva prendersi una bella pausa da quell'impiego.

Tipo una nottata con i videogiochi senza pietà, oppure un'innocente scappatella nell'appartamento di Marinette.
Ok, l'ultima lo rallegrava molto di più.

Così tanto che quasi lo divertiva correre da una parte all'altra con una spalla sanguinolenta ed un gran mal di testa pulsante.
Adrien era nascosto sotto il tendone di una locanda, con gli occhi ben puntati sul centro della piazza dove il padre scrutava il territorio nell'intento di scovarlo.
I gatti sono formidabili fuggiaschi.
Non fece in tempo a congratularsi con se stesso, che vide la figura snella e scattante di Marinette raggiungere la fontana maledetta.

" Dannazione ... " si disse rischiando di bucarsi la pelle con le sue stesse unghie affilate. Marinette non sapeva a cosa stesse andando incontro. Una cosa era affrontare la propria paura, un'altra farlo senza I propri superpoteri, in aggiunta ostacolata dalla città del suo pittore preferito. Gli serviva un'idea fulminante.
Un'idea di quelle potenzialmente mortali che tutte le volte Ladybug gli bocciava spietatamente.

Marinette ora si trovava lì, ferma e congelata all'estremità della piazza, osservando l'akuma con occhi più che terrorizzati: sembrava un cerbiatto illuminato dalla luce dei fanali automobilistici.
Chat avrebbe voluto strapparla via da tutto quello, ma la testa gli diceva di seguire il piano contorto che era riuscito a mettere in piedi. Pregò funzionasse davvero.

Poi Marinette parlò, e le cose si fecero decisamente interessanti.

<< Perché ? >> gracchiò a mezza voce.
 
Chat Noir non capiva. Non comprendeva la motivazione di quell'unico singulto che la voce della ragazza era stata capace di produrre. L'akuma agiva e basta, sotto il controllo di Papillon, il quale ovviamente non le avrebbe mai rivelato le ragioni.
 
<< Non è questa la mia paura, ne sono certa >> sibilò a denti stretti.
 
Chat sgranò gli occhi. Trovarsi lì iniziava a pesargli sulla coscienza: intromettersi senza permesso nel confronto fra Marinette ed una cosa così personale come la propria paura lo rendeva fuori posto e decisamente in colpa.

<< È assurdo ... >>

L'akuma possedeva, per Chat, le stesse forme del padre, perciò fu strano e inquietante sentirlo ridacchiare gloriosamente con la voce che solitamente usava per impartire ordini e prediche.
Evidentemente Marinette ne rimase completamente agghiacciata.
Non l'aveva mai vista tanto fuori forma: spenta, appassita, passiva verso le circostanze.

Mosso dalla gravità della cosa, soprattutto dal bastone che l'akuma ancora stringeva in mano, Chat sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio, acquattandosi a terra per non farsi vedere da entrambi.

L'unico modo per scamparla era coglierlo di sorpresa e darsi tempo utile ad attraversare il portale. Una volta lì, l'akuma avrebbe perso la stragrande maggioranza delle sue abilità.

<< Marinette, è così facile leggerti dentro. Si direbbe che oggi sia il tuo giorno sfortunato, eh? >>.

La voce di suo padre tuonò tutt'intorno, scuotendogli fin dentro le viscere. Era come aver infilato la testa in una tinozza di acido.
La giovane non sapeva che dire, né tantomeno cosa fare per rilassare i muscoli  che erano diventati un fascio di nervi tesi.
E lui? Beh, Adrien doveva aspettare il momento più opportuno per sfruttare il fattore sorpresa. Nonostante tutto, la vista di una scena tanto intensa lo agitò non poco.

Ciò che Chat aveva capito in tutto quel trambusto, guardando Marinette congelata nella sua posizione, era tristemente evidente: Papillon aveva architettato uno spettacolo che somigliava al loro piccolo e personale inferno.
 
La superoeroina non reagì bene, o meglio, non si mosse affatto, il che rendeva più prossima l'eventualità di fare la fine del tacchino durante il giorno del ringraziamento. Dopo il cenone, si intende.
Chat represse il desiderio di cibo che sicuramente Plagg gli stava infondendo, tornando al suo piano paradossalmente fortuito. Non pensava di essere tanto fortunato considerati i suoi attuali poteri. Probabilmente il karma tanto acclamato da Marinette aveva scelto di girare la sua ruota per una buona volta.

<< Lo è, sì, catastroficamente sfortunato, ma credo tu lo sappia già Papillon >> disse la giovane confrontandosi direttamente con la mente dietro ai burattini.

Per quanto fosse generalmente imprevedibile, Chat non si aspettava che fosse così forte da poter prendere di petto il vero artefice del danno. D'altronde, perché no? Non conoscevano una virgola del cattivone che combattevano da circa un paio d'anni, e le sue continue minacce alla città non facevano che peggiorare la situazione. Forse era il momento di affrontarlo e capirci qualcosa. Peccato che in quelle condizioni non fosse ottimale.

" L'akuma deve spostarsi ..." si disse, pregando di poter compiere il suo agguato.

Il tempo, però, scarseggiava, e Papillon sembrava non gradire quel confronto.
                                
 
 


***
 



 
 
 
Marinette vacillava palesemente.
Manteneva lo sguardo in alto, inghiottendo una paura che la stava divorando, tuttavia sapeva che le strette al cuore gliel'avrebbero frantumato. Affrontava quella cosa soltanto per la promessa fatta alla moglie del pittore: deludere il prossimo era persino più tremendo dell'akuma di fronte ai suoi occhi.

Così aveva optato per una distrazione, non certo diretta al malcapitato trasformato, ma alla mano invisibile che tramava alle loro spalle. Per la prima volta capiva che anche da umana valeva qualcosa. O almeno, doveva provarci in nome della stessa giustizia che l'aveva condotta fino a quel punto.
Senza contare il fatto che Chat si era tradito esponendo la coda oltre il marmo della fontana, dandole la sicurezza che stesse pianificando un attacco lampo.
Il prossimo passo era quello di spingere l'akuma sotto il bocchettone della fontana, abbastanza vicino per Chat e i suoi artigli.
L'unico neo di quel piano ? Il fatto che la natura  le stesse tirando brutti scherzi, confondendola più del previsto. Come avrebbe fatto ad affrontare un'akuma che vedeva sdoppiata? Frammentata e sfocata in mille immagini tremolanti, come un caleidoscopio rotto.
 
<< Marinette Dupain-Cheng, la goffa e maldestra studentessa modello che "salva" i poveri vecchietti in mezzo alla strada! Quale cuor di leone ti spinge a provocare un super cattivo? Stupidità ? Stoltezza ? >> disse l'akuma, picchiettando il bastone contro la pavimentazione di pietra.

Marinette si trovava praticamente sotto la fontana, pero doveva lasciare che l'akuma si avvicinasse ancora di più perché Chat l'acciuffasse. In tutto questo, sperava vivamente di riuscire a svignarsela prima di ritrovarsi lei stessa oggetto dell'agguato.

<< Forse un po' entrambe. O forse vorrei solo capirti meglio >> bofonchiò a mezza voce << Cosa ne ricavi? Possedere il corpo di gente delusa e sola per poi? >>

L'akuma fece una semplice smorfia derisoria, stringendo con più veemenza il bastone, che si trascinava dietro creando un rumore stridulo e sgradevole. Stava a pochi centimetri dal volto di Marinette, sotto la mira del gattaccio nascosto accuratamente dietro i gorgogli d'acqua.
Quando la giovane comprese le intenzioni del nemico, sentì la pelle del viso tirarle come se una pressa gliela stesse distendendo. Doveva togliersi di lì.

<< Buffa la tua paura, non credi? Sarà ancora più soddisfacente sapere quale sarà l'ultima faccia che guarderai >>
 
Marinette avrebbe voluto ribattere con qualcosa di intelligente e brillante, ma senza la maschera si sentiva abbastanza persa per prendere il toro per le corna. Il massimo che le riuscì, dopo un incontro così ravvicinato con il proprio terrore, era scivolare a terra e pregare che Chat proseguisse con il suo piano.
Così fece, e Chat non la deluse affatto.
Saltò sull'akuma con un balzo quasi artistico, piombandole addosso munito dell'asta che sfruttò per far perdere l'equilibrio al nemico, il quale cadde sorpreso e ferito come corpo morto s'accascia sulla terra.

Marinette guardò il partner compiaciuta, per poi venir letteralmente scarrozzata come una furia verso la cappella oltre le mura della città. Chat la stringeva con fermezza, ignorando completamente il fatto che fosse sporca di fango, resina e qualche altra sostanza non identificabile.
Correvano a per di fiato per le viuzze, dimenticando quante ne avessero superate, ma sicuri e proiettati verso l'obiettivo: il portale.
Con un po' di escamotage, l'akuma non li stava ostacolando attraverso la natura del dipinto, forse perché era ancora destabilizzata dai graffi che Chat le aveva procurato una volta zompato sulle sue spalle.

Svoltarono un paio di volte in silenzio, eppure Marinette sentiva che qualcosa nella fisicità del gatto stava perdendo smalto. Lo percepiva affaticato, dolorante, frenato nei movimenti solitamente fluidi.

Nell'euforia della corsa, le ci volle un po' prima di notare che la zona della spalla  fasciata dalla tuta nera possedeva una colorazione più densa e rossastra del resto del costume. E la macchia s'estendeva a colpo d'occhio.

Mancavano pochi metri al portale, quando Chat si chinò a terra, stremato e afflitto, trattenendo a stento dei versi di strazio. La ragazza lo tirò sù di peso, facendosi da traino mentre il supereroe la fissava ammutolito. Non potevano arrendersi così, poco prima del traguardo.

<< Shh, manca ancora un metro >> bisbigliò, cercando di rasserenare l'agonia del partner. Ad un benedetto passo dall'uscita, furono sorpresi
dalla presenza dell'akuma che sghignazzava sorniona alle loro spalle.

Si sentì morire dentro, letteralmente.

<< Dove pensate di svignarvela? Dobbiamo finire la chiacchierata, Marinette. Non ti sembra maleducato?>>

La ragazza guardò in basso evitando di concentrarsi sul volto dell'akuma, continuando però a trasportare il corpo di Chat, poiché  aggrappata all'unico appiglio di speranza. Era estremamente difficile gestire i movimenti con tutta quella pressione che le premeva contro. Ed altrettanto complesso mantenere Chat sveglio e cosciente a dispetto della ferita profonda che gli stava evidentemente infettando la spalla. Marinette lo sentiva tremare come una foglia sotto pelle, contraendosi in spasmi e brividi.

Per un istante si fermò a maledire ancora una volta il karma, ed in più quella pigrona di Tikki che dormiva beatamente senza minimamente immaginare cosa stesse accadendo alla sua goffa proprietaria. Certo, il divano di casa Dupain-Cheng era una mano santa per il mal di schiena, a quanto asseriva il padre, ma dubitava che il kwami ne possedesse una nel suo corpicino gommoso. Anzi, dubitava necessitasse il sonno come le normali creature della natura, se per questo.
 
<< Non so quale sia il tuo concetto di etichetta, ma non penso rientri l'inseguimento e il rapimento di persone >> sbuffò la giovane, indietreggiando verso il portale.
 
La massa gelatinosa alle proprie spalle la stava richiamando tenacemente, volendola intrappolare nelle maglie dense della sua struttura.
Chat ridacchiò sommesso, soddisfatto dell'atteggiamento schietto e sarcastico che Marinette aveva assunto soltanto per distrarlo dal dolore che altrimenti lo avrebbe spinto a chiudere gli occhi e lasciarsi oscurare dal buio.
L'akuma, tuttavia, non si fece abbindolare perdendo altro tempo in chiacchiere inutili.
La risposta violenta si riversò sulla povera Marinette, che però riuscì a gettarsi di botto nel portale accompagnata da tutti e due gli individui.

Tempo di un batter d'occhio, e si ritrovarono accasciati nella sala d'esposizione del museo in posizioni diametralmente opposte.
La giovane aveva schivato il bastone ad un centimetro dal viso, tuttavia le era stata comunque segnata la pelle con una ferita sanguinolenta che bruciava al livello del collo. Il dolore era acuto e caldo, ma decisamente sopportabile, a differenza di Chat che non muoveva un dito dal suo contorto atteggiamento: testa reclinata, posata sul muro della sala, con occhi serrati e gambe strette al petto.

Le spezzò il cuore.
Era come se mille schegge affilate si stessero abbattendo contro il suo petto.
 
L'akuma, invece, si trovava distesa sotto il quadro dei girasoli, ricurva in se stessa come se fosse stata intrappolata in un bozzolo sul punto di schiudersi.
In quelle condizioni, malgrado le fitte al collo, doveva agire e scovare l'oggetto che nascondeva la farfalla di Papillon.
Fece leva sulle gambe e quasi cadde nuovamente a causa dei forti giramenti di testa.
In quel momento pensò di voler strozzare Tikki e la volta in cui le era stato affidato un incarico tanto dispendioso e faticoso.
Non era tagliata per quel mestiere.
Le piaceva indossare la tuta e diventare un'altra persona completamente disinibita, per poi ritrasformarsi in un angolo buio della strada e spezzare l'incantesimo.
C'erano troppe variabili in quella situazione che non le andavano giù: che ci faceva lì?
 
Scosse il capo esausta, decisa a riporre quelle scomode domande in un cassetto dei suoi pensieri, sperando di poterne uscire indenne.
La luce nella sala era tornata normale, constatò felicemente, così come i dipinti di Van Gogh prima velati da una strana sensazione oscura e negativa.
Il risultato di quella miracolosa svolta indicava indubbiamente che l'akuma avesse comunque perso il controllo che poteva esercitare nel suo perfetto regno infernale.
Forse il karma ...

<< Marinette! >> gridò una vocetta delicata alle proprie spalle.

"Alla buon ora!" Si disse guardando gli occhioni lucidi del suo piccolo Kwami, il quale levitava nell'aria con un'espressione più che rammaricata. La ragazza non le permise di continuare la conversazione, perché afferrò gli orecchini prontamente e si lasciò trasformare con altrettanta esuberanza.

Il costume l'avvolse come fosse stato parte di lei fin sotto la pelle: una sensazione di inebriante forza le riempì il petto diffondendosi per tutte le fibre muscolari. Fu una scossa incredibilmente ricostituente.

Immediatamente Ladybug entrò in scena, munita di una determinazione che avrebbe persino fatto titubare Papillon in persona.
L'akuma, a quel punto, era più che sveglia e pronta a confrontarsi con la supereroina, la quale sfoderò il suo yo-yo con estrema disinvoltura.
Iniziarono lo scontro in men che non si dica, scivolando da una parte all'altra della sala senza esclusione di colpi.
Marinette cercava di salvare i quadri benché L'akuma tentasse in tutti i modi di scaraventarla contro questi.

<< Hey, non te la prendere con l'arte. Non eri un pittore un tempo?>> disse saltando sopra il bastone che il nemico aveva scagliato verso di lei.
L'akuma vacillò per un istante.

Quel secondo necessario a Marinette per studiare cosa potesse celare la farfalla malvagia.
La cintura? Nah, troppo piccola.
Forse l'attrezzo che le circondava il collo? Ma anche lì non avrebbe potuto contenere una cosa così grande, e poi non le sembrava così rilevante da poter contenerla.

Un'ultima analisi celere che riuscì ad adocchiare il maledetto oggetto del peccato: era un semplice pennello infilato tra le cuciture della cintura.
Invocò immediatamente il suo lucky charm, ricevendo in cambio una mappa turistica del museo.

Era uno scherzo, per caso?

Segnato in rosso acrilico, la zona degli specchi dove prima Chat e lei avevano cercato il nemico invano.
Stropicciò la carta e pregò che l'intuizione appena avuta fosse quella giusta.

<< Vuoi farti una corsetta? >> esordì provocando l'akuma.

Carica fin sopra la punta dei capelli, cercò di ignorare i lamenti che Chat emetteva nell'angolo dell'esposizione. Prima di fiondarsi verso la sala degli specchi, sentì forte e chiaro la sua voce pronunciare il suo nome.
Non Ladybug, la sua Lady, ma Marinette.

Sentì per un breve momento un calore piacevole avvolgerle il petto.

Peccato che il tempo di esitare era giunto al suo termine, sostituito da una nuova spinta di azione febbricitante.
 
Prese a correre schivando gli attacchi dell'akuma, elettrizzata ed al contempo preoccupata, mentre il nemico alle sue spalle guadagnava sempre più terreno.
Diciamo che la ferita non giocava a suo favore. Se solo avesse avuto qualche super potere della guarigione, molte delle ultime tragedie non sarebbero mai avvenute - si ripeteva, avanzando a perdi fiato.

" Si, ma non vivo nemmeno nel mondo dei vampiri sbrilluccicosi "

Benché stesse intraprendendo delle vere e proprie conversazioni con il suo "io" interiore, non perdeva mai la concentrazione su quello che stava facendo. Doveva colpire e agire come un fulmine riga il cielo notturno.
Ok, forse Marinette non era molto il tipo da fulmine, o da qualsiasi cataclisma naturale, però non le veniva in mente altra metafora altrettanto efficace, perciò dovette accontentarsi.

Scivolò a terra per evitare un altro colpo, ritrovandosi slittata nel pavimento di marmo della sala degli specchi.
Se prima con Chat le era sembrata quasi buffa, adesso quell'infinta schiera di vetri riflettenti non faceva che amplificare il terrore ben soffocato dalla sua razionalità.
Doveva mantenere la calma.
L'akuma entrò a grandi falcate nella sala, come la stella di una prima cinematografica, sventolando la sua arma manco fosse stato il premio cinematografico dell'anno.
Non appena si rese conto dell'ambientazione, fece un sorriso macabro a trecentosessanta gradi, che le prendeva completamente la zona anteriore del volto. Marinette immaginò di poterla vestire in modo buffo, magari da ananas gigante, così da eludere l'influenza che la sua persona le infondeva.
Dopotutto, si trovava letteralmente faccia a faccia con il proprio terrore, e non c'era nulla al mondo che potesse realmente sottrarla ai brividi di freddo e le palpitazioni convulsive.

L'akuma guardò Ladybug, leggermente colpita << Marinette cara, un cambio di costume? Non pensi di esagerare ?>>

Ci fu un freddo silenzio.

Marinette doveva capirlo, o quantomeno metterlo in conto nel suo piano contorto: la sua paura non mutava con indosso la maschera. Se l'akuma avesse ricordato il suo segreto anche una volta purificata, tutte le persone che le stavano attorno erano in grave pericolo. Non poteva esporre i suoi genitori, Alya, Adrien ...

Puntò i piedi a terra rimanendo fedele alle sue decisioni.

<< Potrei dire lo stesso di te. Guardati attorno >> affermò con risolutezza << In questi specchi non vedo la mia paura. Vedo l'angoscia di un uomo disperato che tenta di sopravvivere al dolore nel modo più sbagliato. >>

Effettivamente, analizzando più profondamente la natura dei riflessi, era possibile scorgere i tratti del vero pittore, il quale, malgrado i tentativi di Papillon, iniziava a vacillare schiacciato dal peso del suo stesso viso.
Se con Papillon aveva raggiunto il desiderio di essere qualcun altro, ora la realtà si abbatteva contro di lui senza pietà, come un fulmine a ciel sereno.

" Ora si che ci siamo con le metafore " rimbombò nella testa della super eroina.

<< Ho parlato con tua moglie poco fa. Era addolorata. Parlava di Theresa, la ricordi?>> continuò Marinette, facendo leva sul briciolo di umanità rimasta nel nemico.

Quest'ultimo perse completamente le sembianze della sua paura quando lei nominò la moglie e la piccola figlia.

<< Theresa vorrebbe suo padre, non un super cattivo che rapisce e fa del male alle persone. >> disse poi, avvicinandosi con cautela a quello che ormai era diventato il fantasma di una persona.

Si faceva piccolo piccolo, oppresso dalle proprie azioni e annullato dalle parole di Ladybug. Marinette fece per afferrare il pennello, quando il pittore le ghermì il polso in un gesto di impeto animalesco.

<< Devono pagarla. Mi hanno deluso, umiliato e licenziato >>

Marinette sospirò intensamente << E la risposta sarebbe deludere la propria famiglia? Perché è questo quello che stai facendo. >>
Il pittore guardò in basso, allentando la presa quel tanto sufficiente ad agguantare il pennello e sgretolarlo sotto il tacco della sua tuta da coccinella.

Dal fumo denso che fuoriuscì, svolazzò l'akuma attorno alla figura della super eroina, macchiata di un inchiostro nero derivato dalla magia nera che Papillon le aveva infuso.
Marinette sfoderò il suo miracoloso yo-yo per purificarla in men che non si dica.
Il disastro era stato scongiurato - si ripeté tremante e soddisfatta.

<< La sua famiglia è qui fuori. Theresa ha aspettato tutto il tempo >> disse poi, aiutando il povero uomo ad alzarsi in piedi.
Quest'ultimo s'avviò lentamente verso l'uscita, trascinato da un senso di colpa che non riusciva a quantificare. A quanto pareva, le memorie della possessione non gli appartenevano più, ma il fatto di aver danneggiato qualcuno gli era comunque rimasto infuocato nei ricordi.

<< Grazie, giovane coccinella >> balbettò affranto. Marinette annuì senza dire una parola, ricomponendo gli affari in sospeso che l'akuma aveva causato.

Chat Noir, ad esempio.

Il suo gattaccio aveva disperato bisogno di un aiuto, e di certo Marinette non poteva tirarsi indietro, e non voleva assolutamente farlo.
 


Si precipitò nella sala di Van Gogh come fosse stato l'ultimo desiderio della sua vita. Chat Noir si trovava ancora lì, sull'orlo dell'incoscienza, spaesato e dolorante. Dormiva beatamente rannicchiato su se stesso, quietando probabilmente lo strazio che la ferita gli aveva inflitto.Non si svegliò nemmeno quando Marinette lo legò al suo yo-yo per portarselo a casa, passando sui tetti parigini in modo furtivo e delicato.

La notte brillava di speranza, ricca di puntini bianchi che inondavano la superficie blu notte di un'aurea quasi magica. Marinette doveva sbrigarsi se voleva portarlo al sicuro e guarirlo prima della trasformazione.  
Balzare lì, sui comignoli delle case francesi, le ricordava i movimenti delle dita sui tasti del pianoforte, che, come i suoi passi leggeri, sfioravano lo strumento armonizzandosi perfettamente.

Era una notte pungente.
Una di quelle serate invernali dove il cielo diventa luminoso quasi quanto la luna.



















Angolo autrice 
Evidentemente mi sta proprio prendendo questa cosa, perchè non faccio che scrivere e scrivere :P vi tocca sopprotarmi ancora, in sostanza. Spero vi stia ancora piacendo, perchè ho in serbo molte sorprese per i futuri capitoli!
Au revoir!
 

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Capitolo 5
*** Fatto il misfatto ***






F
atto il misfatto

 





Il bagliore caldo della luce solare filtrava tra le fessure delle serrande semi chiuse, invadendo una parte della stanza che, a detta di Adrien, sembrava un tempio sacro: oggetti perfettamente impilati sulla scrivania color bianco latte ed una serie di lanternette legate ad un fil di ferro che attraversava le quattro pareti scarne e modeste.
Si era destato da quello che credeva un bizzarro e paradossale sogno ad occhi aperti, eppure la visione della pacifica stanza dove era steso comodamente gli suggeriva che forse non era riuscito a svegliarsi completamente. Riconquistando parzialmente la vista, mise a fuoco ciò che lo circondava.
Non ricordava bene in che modalità precise era stato trasportato fino al luogo sicuro, né chi fosse stato l’artefice di un miracolo del genere. L’ultimo ricordo che gli sfiorava i pensieri riguardava l’attraversamento di un portale, poi si era fatto tutto talmente buio e confuso che l’ambiente gli era sembrato una strada notturna priva del chiarore dei lampioni: una dopo l’altra, le figure sparivano come luci di Natale.

Sospirò stordito, muovendo i muscoli intorpiditi dalla notte, ma qualcosa gli bruciava fastidiosamente nella zona della spalla destra. Adrien toccò la propria pelle ricordando di essere stato colpito durante lo scontro con l’akuma. La ferita violenta, però, era stata accuratamente massaggiata con delle creme cicatrizzanti ed avvolta da garze leggermente sporche di rosso.
Aveva perso una bella quantità di sangue – disse borbottando tra sé e sé. Dopo una prima analisi superficiale, si accorse di star indossando una camicia nera molto più grande del suo fisico snello ed atletico. Si guardò le gambe, anche queste fasciate da un paio di pantaloni che non gli appartenevano affatto, per poi tastarsi il capo soffice dove due orecchie da gatto vibravano al suono dei suoi spostamenti.

Di una cosa era certo in quel momento: vestiva i panni di Chat Noir con indosso i capi di qualcun altro, il quale l’aveva salvato dalla tragica missione nel museo d’arte.

Improvvisamente, ripensando alle opere d’arte esposte nel museo, ricordò la voce vigorosa dell’akuma che si scagliava contro la sua timida compagna di corso.
“Marinette.”

Adrien balzò in piedi con estrema disinvoltura, spaventato delle conseguenze che la sua perdita di sensi aveva causato alla propria peculiare partner per una notte. Girandosi attorno, notò che addossato alla parete opposta, insieme ad una marea di schizzi blandamente appesi, c’era un letto matrimoniale dove qualcuno stava riposando raggomitolato nelle coperte.
Avanzò cauto, incappando nelle fotografie riposte sullo scaffale della scrivania: era la stanza di Marinette, e qualcosa gli diceva che tra quelle lenzuola dormiva niente di meno che la figlia dei Dupain-Cheng. Nelle fotografie ridacchiava, sporca di gelato, mentre in altre sorrideva in compagnia di Alya e qualche altra compagna di corso che riconobbe.

Era così delicata che quasi si dimenticò come in realtà fosse il suo carattere combattivo.

Preso dalla curiosità, si avvicinò al letto stando attento a non creare troppo baccano. Marinette era accucciata da un lato, colpita per metà dal chiarore delle finestre, che parevano riversare dell’oro liquido sulle sue ciocche blu notte. Un contrasto decisamente stupefacente.
Era strano e familiare stare lì ad osservarla sonnecchiare, come se da un lato si conoscessero da sempre, ma dall’altro stesse imparando a scavare meglio nella sua personalità. Si prese del tempo a memorizzarne i tratti dolci del viso, quando la giovane spalancò una palpebra in modo perplesso.

<< Vedo che ti sei ripreso, gatto curioso >> dichiarò con voce ancora impastata dal sonno. Si ricompose immediatamente, scansando le coperte chiare che rivelarono il suo semplice pigiama color pastello. Adrien non riuscì a trattenere un sorrisetto malizioso che gli pizzicava la gola da quando l’aveva intravista nelle coperte.

<< Mi hai portato tu qui? >>

Marinette si sedette a quattro di bastoni sul materasso << Non esattamente. Quando sei svenuto, Ladybug è arrivata per purificare l’akuma. Ti ha portato qui da me perché non sapeva dove tu abitassi >>
Benché la giovane provasse a mantenere un tono convincente, Adrien riusciva a cogliere un pizzico di amarezza nelle sue parole. D’altronde, s’era convinto che dietro la goffaggine ed una scarsa autostima si nascondesse la supereroina che aveva disperatamente cercato negli ultimi due anni a questa parte. Entro breve avrebbe compiuto la maggiore età, ma ancora non sapeva chi si celasse nella maschera da coccinella di cui si era accidentalmente innamorato.

<< E tu hai accolto un gatto randagio senza protestare ? >> domandò, rizzando le orecchie feline.
<< Un randagio gravemente ferito >> precisò la ragazza, indicando la spalla del partner << Ho cambiato la fasciatura un paio di volte questa notte, anche se ti lamentavi nel sonno come un dannato >>
Chat rimase decisamente sorpreso. Marinette aveva sopportato una nottata d’inferno solo per garantirgli un posto sicuro dove riprendersi e rimarginare le cicatrici.

<< Ero almeno attraente? >> replicò, tornando al sarcasmo che solitamente sfoggiava nei momenti più delicati delle conversazioni. Non ce la faceva proprio ad affrontare certe situazioni quando toccavano corde più sensibili, connesse ad un qualcosa di più profondo.

Marinette si stropicciò gli occhi << Oh, tantissimo. Soprattutto con i vestiti di mio zio indosso. Ci balli praticamente dentro >>

“ Ora si spiega la taglia … “ si disse Adrien, osservando la stoffa stropicciata della camicia. Era tanto abbondante quanto confortevole e calda, necessaria soprattutto durante quel rigido ed impetuoso inverno parigino. Incontrando gli occhi di Marinette, intrisi di un non so che di nostalgico, percepì quasi l’impulso di fare qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentito eventualmente.

Eppure c’erano tante cose delle quali doveva sentirsi in colpa, come ad esempio l’aver perso i sensi nel vivo della battaglia. Non tanto perché riteneva Ladybug incapace di cavarsela da sé, piuttosto era certo che il suo intervento le avrebbe risparmiato il profondo graffio che le squarciava la pelle delicata del collo. Marinette non s’era adoperata a medicare se stessa, così la cicatrice spiccava senza che potesse nemmeno tentare di coprirla con le lenzuola del letto.

Adrien si chinò lievemente, allungando le dita affusolate lungo l’incavo del collo di Marinette, la quale arretrò di scatto come se le avessero indirizzato contro una scossa elettrica. Malgrado ciò, Chat non si diede per vinto, e riuscì ad esaminare la ferita senza ricevere qualche scarpata in faccia per il solo tentativo di avvicinamento diretto.
Sospirando, Marinette trattenne uno sbuffo di dolore che ancora le procurava il taglio. Quello che stupì il gatto non fu affatto il suo tenace orgoglio che indubbiamente arginava qualsiasi espressione tradita,  ma la totale assenza di imbarazzo nei suoi gesti. Se pur limitati ed accondiscendenti, non si nascondeva sotto l’acqua, non annaspava in mezzo l’oceano come quando Adrien le girava attorno, anzi, s’affogava dei movimenti del partner quasi fossero un’estensione del suo stesso corpo.

Doveva essere la sua lady, non sentiva altro da ore ormai.

<< Dovresti medicarla, altrimenti potrebbe infettarsi >> . La luce iniziò a farsi spazio prepotentemente nella stanza, rimbalzando sulla chioma dorata e folta che gli ricadeva sulla fronte simile ai narcisi in primavera.

<< Non è così importante. Nessuno dell’accademia riuscirà a vederla per via delle vacanze di Natale, in più i miei genitori torneranno tra una settimana dal viaggio in Cina a casa della nonna. E’ tutto straordinariamente pianificato >> spiegò poi, preoccupandosi più dell’incolumità di Chat che della propria.

Un lampo di apprensione balenò negli occhi del gatto << A me sembra un comportamento meow-sochista, Princess; inoltre, niente di quello che hai detto mi impedisce di curarti il taglio come si deve >>
Marinette alzò lo sguardo sulle sue, cosciente che nulla avrebbe distolto Chat dal suo attuale obiettivo. Raramente si mostrava indeciso riguardo qualcosa, e altrettanto peculiare era vederlo mollare un’idea precedentemente sostenuta. Piuttosto preferiva scavarsi la fossa più che poteva, sperando che una delle nove vite feline gli venisse incontro di tanto in tanto. 

Così, la giovane non perse tempo ad alzarsi e stiracchiarsi la schiena dolorante << Ok, va bene >> sputò fuori riluttante << Ma prima mangiamo qualcosa, che sto morendo da ieri sera >>
Il Plagg che ancora viveva nell’anima di Adrien prese ad esultare esuberante, dipingendo un sorriso beato sulle labbra del supereroe, il quale ancora faceva fatica ad osservare la sua partner vestita per la notte. Se le gote iniziarono a tingersi di rosso puramente a caso, allora doveva cominciare a farsi qualche seria domanda.
Peccato che adorasse procrastinare, forse persino di più del cibo che la giovane gli aveva proposto sotto forma di una lunga lista interminabile.
I genitori di Marinette possedevano una grande pasticceria nel centro di Parigi che realizzava delle paste deliziose e decisamente necessarie a colmare i borbottii gorgoglianti nel suo stomaco.

<< Hai scelto cosa vuoi? Il mio orologio interiore sta per esplodere, ti avviso >> parlottò Marinette, sul punto di uscire dalla stanza.
Chat ammiccò arricciando il naso << Sorprendimi >>

Scompigliandosi la chioma corvina, che ora giaceva sulle sue spalle scoperte formando delle onde prima nascoste dagli elastici, fece notare al ragazzo la presenza di un telefono fisso.

<< Se hai bisogno di avvisare la tua famiglia che sei, che so, vivo, ti consiglio di approfittarne. Ai miei verrebbe un infarto se non avessero mie notizie per più di dodici ore >>

Chat Noir ripensò improvvisamente al padre, senza sentimento od un pizzico di ansia per la sua preoccupazione. Sicuramente s’era bevuto la storia del gruppo studio, o meglio, si era costretto a crederci, altrimenti avrebbe affrontato un litigio infinito col figlio. Dopotutto, stava per raggiungere la maggiore età, per cui nulla realmente gli impediva di trovarsi un lavoretto e staccarsi completamente da quell’ombra invadente che riusciva ad incupirgli qualsiasi giorno dell’anno.

<< No problem, sa che sono al sicuro, ma dubito gli importi davvero >> sibilò a denti stretti, lasciandosi inevitabilmente scappare quel dettaglio della sua vita personale. Un dettaglio che non passò inosservato agli occhi della giovane supereroina << Se ti può far sentire meglio, ho dei croccantini per gatti di sotto…>>

<< Mhh, un’offerta invitante, te lo concedo. Detta, però, con indosso quel pigiamino mi fa pensare a tutt’altro >>

Marinette si guardò tranquillamente, a detta di Chat completamente disinibita e sorprendentemente rilassata. Forse ci aveva fatto il callo con tutte le battute pessime che le rifilava solitamente .
<< Sei sempre così sfrontato? >> borbottò poi, roteando gli occhi. Il ragazzo balzò in piedi, assumendo un’espressione falsamente interdetta e pensierosa. Era così evidente che anticipasse qualcosa di inconveniente.

<< Solo nei weekend. E quando qualcuno attira la mia attenzione >> rispose, serpeggiando tra i mobili della camera da letto. Ci volle un po’ prima che Marienette cogliesse l’allusione a pieno.
Quella naturale scioltezza si trasformò in rigido legno << Oggi è venerdì … >>

Chat sfiorò il vetro che inquadrava una delle fotografie posate sullo scaffale della parete, inarcando il sopracciglio con fare terribilmente impudico << Complimenti per la sagacia >>
 
 
***
 
 
Marinette era scesa al piano inferiore dove si trovava il bistrot gestito dalla sua famiglia, momentaneamente chiuso a causa della partenza, per scovare gli ultimi dolci impilati nel frigo.
Vederlo così cupo, con le finestre sbarrate e privo della solita scia di profumi deliziosi, le diede l'impressione che il viaggio fosse una sorta di distacco permanente. 
 
Era sempre stata abituata ad averli attorno, per quanto impiccioni ed eccessivamente premurosi fossero. 
 
Questo affetto che lentamente prendeva forma nei suoi ricordi attraverso gesti banali e quotidiani, la fece scivolare in pensieri profondi e genuini, capaci di estraniarla completamente dalla realtà circostante. Le ci volle un po' prima di accantonare dalla testa le volte in cui tornava da scuola ed aiutava i suoi a preparare le meringhe, ma alla fine il gorgoglio della fame ebbe la meglio.
 
Prese le prime paste che il suo naso fiutò fra le tante esposte.
 
Non conosceva le preferenze di Chat al riguardo, perciò si fece guidare dall'istinto più naturale: lo stomaco.
Ci voleva qualcosa di duro e forte, ma anche dolce abbastanza da accarezzare il palato di chi lo assaggiasse. La madre di Marinette se ne intendeva come pochi di cioccolata, tant'è che possedeva la straordinaria abilità di indovinare esattamente che tipo di dolce prediligessero i clienti a colpo d'occhio. Un'abilità che Marinette aveva decisamente ereditato.
Infine optò per una pasta sfoglia speziata, tipica del periodo festivo, e si avviò in camera con la bocca impastata del primo morso. 
 
Quando raggiunse la stanza, Chat non era più seduto sul materasso, bensì in piedi, di fronte lo specchio a muro dell'armadio, dove poteva eseminare meglio la ferita alla spalla. Per riuscire nel suo intento, aveva giustamente tolto la camicia enorme dello zio, ripiegata sulla scrivania accuratamente, e preso la lozione cicatrizzante che lei stessa gli aveva spalmato tutta la notte. 
Se medicarlo in preda a deliri le era sembrato un tantinello imbarazzante, adesso non riusciva a nasconderlo pienamente. 
 
Non poteva negare di trovarlo attraente. 
 
Un magnetismo che differiva dalla solita bellezza statuaria e perfetta, e che si presentava in modo tormentato e dannato. 
Marinette si disse, sorpresa dei suoi pensieri turbolenti, che Chat acquisiva quell'ipnotica aria quando il silenzio faceva emergere la sua interiorità. Le sue battute la divertivano sì, ma a renderlo desiderabile era qualcosa che aveva dentro inconsapevolmente. 
E così doveva assolutamente rimanere, considerando quanto altrimenti se ne sarebbe vantato ad oltranza. 
 
<< Questo è il tuo preferito >> asserì la giovane, porgendo il dolce caldo al gatto. Chat prese al volo la colazione, facendo appena in tempo ad infilarsi la camicia senza, però, abbottonarsela del tutto. 
 
Guardò la pasta sospetto, poi l'addentò delicatamente, riflettendo morso dopo morso sulla qualità del sapore.
Marinette trovò assurdo sentirsi trepidante nel ricevere una conferma delle sue abilità riguardo la personalità dei cibi. 
Infine Chat le rovinò il briciolo di certezze che s'era costruita attorno. 
 
<< Cos'è? Marzapane? >> 
 
Marinette annuì impaziente, energica.
 
<< Buonissimo, ma non il mio preferito>> 
 
Una sola affermazione bastò a mandarla completamente in tilt. La madre le aveva insegnato un metodo infallibile, quindi l'eventualità di aver sbagliato le bruciava come la più ardua delle sfide. 
 
<< Impossibile ... >> boccheggiò poi, finendo la propria colazione stupita.
Chat si leccò letteralmente i baffi << Se ti interessa tanto, posso dirti qual è >> 
 
Marinette non poteva e non voleva accettare la sconfitta. 
 
<< Non se ne parla. Riuscirò a trovarlo, fosse l'ultima cosa che faccio >> parlottò, brandendo la carta che rivestiva il dolce come una spada affilata. 
Chat ridacchiò, abbassando la mano della giovane << Metti giù l'arma Pocahontas, è tempo che ti curi la ferita >> 
 
Il tessuto morbido e caldo del pigiama che Marinette aveva comprato un paio di anni prima le mancava come una seconda pelle. Al tempo la scelta era ricaduta proprio su quel modello perché era estremamente comodo ed elegante, quasi raffinato: tutto ciò che lei non era.
O meglio, tutto ciò che voleva essere anche nei panni di Marinette.
Quando Chat le aveva gentilmente scostato una bretella, senza mostrare altra pelle, si sentì improvvisamente a disagio. Benché fosse il suo partner e condividesse con lui dolori e angosce, il contatto diretto con le sue dita la rendeva nervosa.
E non un nervosismo infastidito, tipica reazione alle sue battutacce, ma una tensione particolarmente piacevole. 
Forse il cioccolato del dolce l'aveva esaltata un po' troppo- si disse provando a guardare oltre la finestra della sua camera. 
Peccato che lui le massaggiasse la ferita ancora dolorante con destrezza ed una sensibilità disarmante. Il segreto per un buon massaggio? Non cessare mai il contatto. 
 
<< Sei stranamente silenziosa. >> costatò Chat, seduto a cavalcioni tra le pieghe delle coperte ammassate. Marinette si rese conto solo in quel preciso momento che vista con occhi spettatori, la loro condizione poteva apparire leggermente sospetta. Poi riprese a chiedersi come mai continuava ad arrovellarsi il cervello per un'ipotesi manco plausibile: erano completamente soli e così sarebbe rimasto. 
 
<< Mhh?>>
 
Tutto quel pensare le aveva bruciato la lingua evidentemente. 
 
<< Non mi hai ancora tirato una pantofola in faccia, devo iniziare a preoccuparmi?>>
 
Marinette alzò le spalle interdetta, poi capì.
 Chat aveva smesso di curarle la ferita, malgrado non se ne fosse accorta a causa delle mille paranoie. 
Eppure se ne stava lì, accovacciata, come se fosse stato il gesto più normale e allo stesso tempo più nuovo del mondo. 
 
<< Che pensi di fare adesso?>> domandò a bassa voce, affondando il capo sulla superficie del cuscino. 
Chat poteva anche bivaccare a casa sua quanto voleva, però la preoccupazione per la sua famiglia iniziava a ronzarle per la testa. Senza contare il fatto che Papillon stesse sfruttando akuma molto pericolose e letali. 
 
Il giovane si stiracchiò mostrando le punte dei canini << Era una proposta, per caso? >> 
 
Detto dopo un massaggio così rilassante, non poteva che causare un afflusso di sangue eccessivo alle gote di una Marinette assonnata e stanca.
 
<< Sì, una di quelle vietate ad un pubblico di minori >> bofonchiò, prendendolo palesemente in giro. 
 
Fortunatamente era stata salvata dal cuscino. 
 
<< No, intendo con Papillon. Non pensi sia giunta l'ora di scoprire dove si nasconda? Dopo anni di battaglie contro un uomo senza volto, sarebbe il minimo >> 
Gli occhi smeraldo del gatto, ora socchiusi per lasciarlo riflettere meglio al riguardo, si posarono su una delle tante cornici appese in camera. 
 
Doveva essere strano infiltrarsi improvvisamente nella vita di una sconosciuta - si disse Marinette, provando a mettersi nei suoi panni. Ecco, con magari la metà del sarcasmo ed egocentrismo, già che ci siamo. 
 
<< In effetti ci stavo pensando ultimamente. Peccato che Ladybug voli via proprio come entri in scena >>  
Marinette si torturò le unghie, già spezzate per l'utilizzo prolungato di gessetti da disegno << Perché non fai un tentativo? Parigi non potrà sempre dipendere da voi>> 
 
<< Ti stai facendo avanti? >> 
 
La ragazza quasi si strozzò nella sua stessa aria. Alzò il capo dal cuscino, tornando ad una posizione retta come un arco ben teso si distende una volta scoccata la freccia. Sapeva che passare del tempo con Chat era deleterio. 
Non riusciva a mentirgli, né tanto meno a guardarlo senza temere che potesse in qualche modo mettere a nudo la sua vera identità. 
 
<< Eh? Io? Ma se ho lo spirito combattivo di un koala in letargo! >> 
 
Chat si scompigliò la chioma, esausto. Solo dopo un'intensa analisi, Marinette vide dei profondi cerchi eri incupirgli il volto perfettamente scolpito. Da quanto tempo non dormiva serenamente?
Sicuramente la quantità esigua di ore che lei riposava senza doversi trasformare per un'ennesima battaglia. 
Quella routine elettrica le era sempre pesata, lo ammetteva candidamente, ma Chat l'aveva concepita come una grande avventura emozionante.
Se la stanchezza si faceva sentire anche per Mr. Instancabile, allora la faccenda diventava piuttosto seria. 
 
<< A me sembra tutto il contrario. Hai salvato questo bel faccino più di una volta ieri notte >> 
Marinette cercò di non lasciarsi sfuggire la presenza di Ladybug << Chat, tu non capisci. Sono il tipo di ragazza che mangerebbe cioccolata il giorno del suo matrimonio e poi pulirebbe accidentalmente le mani sul proprio vestito >> 
 
Confidava sul fatto che potesse creare più danni che risolverne nelle sue condizioni umane. 
Non aveva, però, preventivamente calcolato che il gatto fosse testardo almeno tanto quanto lei, se non di più. 
 
<< Saprei cavarmela benissimo, ho nove vite a disposizione. E un charm niente male, aggiungerei  >>
 
<< Sii serio, ti rallenterei solamente >> 
 
Benché ci fosse un fondo evidente di verità nelle sue parole, Chat non sembrava affatto mollare la presa. Letteralmente. 
La guardava tenacemente, dannato dalle tenebre che creavano giochi di luce nelle pupille sgranate. 
 
<< Mai stato più serio. L'unico modo per capirci qualcosa, è sfruttare una mente che non venga coinvolta nell'azione. Te la caveresti benissimo >> 
 
Marinette sapeva che tirarsi indietro non l'avrebbe destato dal tentare. 
 
<< Quindi niente lotte?>> 
 
Il ragazzo scosse il capo risoluto. 
 
<< Niente corse folli e fango?>> 
 
Chat sorrise di sbieco, ripensando all'immagine di Marinette completamente ricoperta di liquidi viscosi e marroncini. 
 
<< Promesso. Ho mai fatto qualcosa di così pericoloso? >> 
<< Vuoi la lista in ordine cronologico oppure ti basta l'alfabetico ? >> le uscì dalla bocca come uno sbuffo non programmato. 
 
Doveva calmarsi con tutte quelle insinuazioni che non poteva conoscere effettivamente. 
 
Marinette, allora, afferrò un pezzo di carta che teneva infilato fra le varie bozze, nascoste in un cassetto della scrivania. Semmai fosse entrato un ladro in camera sua, l'unico oggetto che lei considerava abbastanza di valore tanto da essere tenuto praticamente sotto chiave, era proprio il suo quaderno di disegni.
Che poi nessuno avrebbe mai messo piede in una sottospecie di soffitta, non le sfiorava la minimamente. 
 
<< Ouch >> Chat osservava la ragazza accendersi di un non so che di intenso << Stai veramente compilando una lista? >> 
 
<< Ovviamente no, idiota. Sto semplicemente mettendo nero su bianco le condizioni di questo patto >> 
Chat tossicchiò veemente << Condizioni?>>
 
<< Pensavi davvero che avrei accettato senza prima considerare tutte le variabili? >> rispose, curvando gli angoli della bocca verso l'alto, facendoli sembrare delle chiocciole semichiuse. 
Detto questo, riprese a scrivere la sua apparentemente fitta lista, animata da una nuova energia sprizzante.
 
 
***
 
 
 
Adrien non sapeva esattamente cosa stesse leggendo da circa un paio di minuti, ma riteneva fieramente che la scrittura ordinata e graziosa si addicesse proprio alla persona di Marinette.
Disegnava le vocali come onde dai piccoli risvolti attorcigliati. 
Diede uno sguardo approfondito alle condizioni sottoscritte, fingendo una faccia di bronzo anche quando le richieste ricadevano plausibilmente su atteggiamenti sopra le righe che non riusciva a contenere nemmeno volendo. 
 
Il più dei punti era fattibile, nonostante lo vincolasse abbastanza rispetto i suoi piani originali. Certo, con quel patto frequentare Marinette avrebbe acquistato un senso effettivo, se non per il fatto che accettando le sue restrizioni tutto il divertimento avrebbe perso la scintilla ancora prima di nascere. 
 
Cosa c'era di ironico nell'imbucarsi senza permesso nella sua stanza provocando piccoli infarti alla malcapitata? La sfortunata stessa, ecco cosa c'era. 
 
<< Perché non dovrei farmi trovare nei paraggi di giorno? La notte ti sembra più intima? >> 
 
Marinette reagì ignorando, come da copione, il ghigno del suo volto tagliente. 
 
<< Le persone potrebbero iniziare a fare domande. In più, se Papillon lo venisse a sapere, potrei finire davvero nei guai >> 
<< Previdente. Sai, credevo avessi paura dell'opinione pubblica... rimango comunque una celebrità >> 
 
Adrien poteva sembrare un angelico giovanotto sprovveduto, tuttavia capiva perfettamente quando era il tempo giusto per stuzzicare o meno la propria partner con domande scomode. Si ripeteva che stringere la corda avrebbe aumentato delle conferme già fondamentalmente saldate.
 Il Plagg nella sua testa, d'altro canto, continuava a bastonarlo e rimproverarlo, dato che s'ostinava a cercare prove per un qualcosa che credeva fosse la verità sin dalla partenza. 
Ladybug era abituata alle luci della ribalta, al gossip ed i giornalisti ai piedi, mentre per Marinette quel mondo doveva spaventare ed affascinare contemporaneamente.
 
Se, e solo se, non fossero state la stessa persona. 
 
<< Se con opinione pubblica intendi la bocca larga di Alya, allora sì, ne sono terrorizzata >> 
 
Adrien non fece in tempo a rispondere come si deve, che il volto della giovane si trasformò in marmo freddo. Qualcosa le stava scombussolando la mente. 
 
<< Alya. Oggi è il compleanno di Alya. >> si disse freddamente, provando a buttarsi addosso la notizia come un getto d'acqua gelido s'abbatte sugli scogli. Quel piccolo dettaglio svanito dietro ore di insonnia e medicazione, ora si faceva imponente e quasi grave. Adrien stesso conosceva perfettamente Alya, essendo la ragazza del suo scapestrato migliore amico, però poteva anche solo immaginare quale shock dovesse essere stato per Marinette che la considerava al pari di una sorella. 
 
<< Devo andare. Sta organizzando questa grande festa da una vita, e ... oh Dio sono una pessima amica. Pessima e pigra >> perseverò con il suo dialogo interiore, tralasciando il fatto che il supereroe fosse ancora steso sul materasso del letto. 
 
<< Finirò di leggere la lista con calma, devo ancora capire qualche punto. Ti ringrazio per l'assistenza Marinette >> disse Chat, facendo per arrampicarsi sulla scaletta a pioli che portava direttamente al tetto della casa. 
 
<< Nah, non era niente di che. Piuttosto, vedi di filare direttamente a casa, che in queste condizioni verresti picchiato persino da un bambino >> 
 
Marinette non riusciva proprio a contenere le risposte ironiche quando si trovava nei paraggi di Chat. E questo il ragazzo lo sapeva più che bene: era un suo contorto modo per assicurarsi fosse indenne senza specificarlo apertamente. 
 
<< Ho ancora qualche gatta da pelare in giro, non struggerti troppo per la mia assenza >> dichiarò teatralmente, fermo circa a metà della scala. Osservava la ragazza sistemare freneticamente la sua roba, mossa da qualche morbo di pulizia convulsiva. 
 
<< Cammina Chat, prima o poi verrai ucciso dalle tue stesse idiozie >> 
<< Una morte beata, allora >> la canzonò << Au revoir Princess... e bel pigiamino!>> 
 
 
Salì le scale agilmente, cosciente di essersi lasciato alle spalle una Marinette rossa come un peperone di stagione. 
Lo stuzzicava l'idea d'averla messa nel sacco, per una buona volta. 
Ora, pervaso da folate gelate dell'aria parigina, si scaldò i muscoli intirizziti delle gambe pronte a scattare come molle. 
Suo padre l'avrebbe ignorato, Nino probabilmente mortificato perché aveva promesso di accompagnarlo a casa della ragazza con l'auto super costosa del padre, e la segretaria dell'azienda ingozzato inutilmente di cibo. 
L'unica gioia in tutto quel trambusto? 
Il party mozzafiato che Alya aveva attrezzato, al quale Marinette doveva partecipare per forza di cose. 
E Adrien Agreste non si sarebbe perso un'occasione del genere. 
Nemmeno per tutti i topi del mondo. 
















ANGOLO AUTRICE
Premetto che parte di questo capitolo sia una grande autocelebrazione a Chocolat. Non ci posso fare niente, amo troppo quel film. Anyways, le cose inizieranno a farsi davvero complicate nel prossimo capitolo, con nuove scoperte e volti intriganti ... spero mi continuiate a seguire ! 
 

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Capitolo 6
*** Buttercup ***





B
uttercup





Una cascata di pizzo nero le scendeva lungo la schiena pallida, creando dei disegni floreali dove le scapole incontravano la base del collo, per poi ricongiungersi al petto e cadere perfettamente sulla vita stretta di Marinette. Imbevuta di un profumo dalla marca impronunciabile ed una confezione altrettanto peculiare, la giovane si rigirava nervosamente gli anelli fra le dita snelle. 
 
Si trovava nel bagno della casa di Alya da circa una decina di minuti, occupandolo a discapito di tutti gli ospiti che necessitavano veramente i servizi igienici del posto. La musica del salotto rimbombava selvaggiamente per tutte le pareti, intonando ritmi forti ed a tratti assordanti. Quel tumultuoso strusciarsi e vagare come fantasmi in cerca di una meta era una cosa che non amava proprio fare. 
Soprattutto in mezzo a tizi mascherati ed acchitati manco fosse stato un carro del carnevale di Rio. 
Certo, girarsi attorno ed ammirare infiniti costumi di Ladybug e Chat Noir le aveva piacevolmente migliorato l'umore, peccato che la maggior parte degli invitati consistesse in gruppetti di fomentati alcolizzati dallo sguardo facile. 
Per una volta che indossava qualcosa di carino in cui si sentiva effettivamente a proprio agio, doveva subire come risposta qualche commento di troppo. 
 
Qualcosa di triste e patetico, alla "Hey, ti sei fatta male cadendo dal Paradiso?", oppure peggio, come "Tuo padre è un ladro? Perché ha rubato le stelle per mettertele agli occhi ".
 
Certe cadute di stile potevano solo produrre conati di vomito a stento trattenuti ed una sfilza di risposte decisamente sarcastiche. Sì, diciamo che negli ultimi anni aveva imparato qualcosina al riguardo, mantenendo un certo livello di goffaggine solo in presenza di una persona in particolare.
 
La stessa persona che cercava di evitare da circa mezz'ora, e che puntualmente ritrovava a conversare in ogni angolo dell'appartamento. Eppure quella casa era enorme e dispersiva- si disse lamentandosi di conseguenza.
Era la stessa maledizione che la perseguitava da due anni a questa parte, obbligandola questa volta a rintanarsi nel bagno di una casa favolosamente arredata. 
 
Ancora doveva capire perché si nascondesse da lui, a dirla tutta, dal momento che quell'abito le calzava a pennello, perciò non sembrava un clown uscito dal circo. Nonostante ciò, l'impulso di darsela a gambe era stato più forte della razionalità e delle ore passate sotto i ferri di Alya. 
 
Non si sentiva inadeguata, né tantomeno fuori luogo.
Era piuttosto persa tra le note echeggianti e le mille paranoie che un'eventuale conversazione avrebbe comportato.
In sua presenza il suo sex appeal si riduceva a quello di una patata lessa - non fritta e ricoperta di cheddar - a detta sua, perché quella scatenava un certo fascino intrinseco. 
 
Immobile, di fronte lo specchietto ovale, laccato in bianco opaco, prese a picchiettarsi le guance arrossate con qualche schizzo d'acqua fresca.
Strinse le mani attorno al lavabo in modo concitato. 
Quell'atteggiamento codardo doveva sparire dal suo vocabolario, soprattutto dopo l'incontro recente con la propria paura. 
 
Quando alzò lo sguardo un'ultima volta, osservando le curvature delle sue ciglia accuratamente allungate, fece qualche considerazione di troppo sulla maschera nera che le incorniciava le pupille azzurre. 
 
A differenza di Chat, Marinette sembrava un angioletto travestito invano da diavolo. 
 
Lui le conferiva un non so che di unico - si disse ripensando alla ferita che Alya aveva pazientemente coperto con uno strato di trucco e qualche collana. 
Chat l'avrebbe trascinata via da quel bagno, anzi, forse con lui non avrebbe manco pensato di entrarci per una cosa così stupida. Era davvero stupido temere di venir rifiutati da qualcuno ? 
 
"Il rifiuto è parte della crescita, Marinette" le continuava a ribadire Tikki con il suo tono calmo e pacato. 
 
Il risultato dei suoi consigli non aveva portato a buoni risvolti negli ultimi anni, infatti ancora trovava difficile approcciare una persona che conosceva da parecchio tempo e con la quale condivideva una larga cerchia di amici. 
 
Aveva l'età giusta per prendere il toro per le corna e buttarsi.
Non su di lui, s'intende - completò il discorso auto motivazionale alzando un pugno verso l'alto.  
 
Allora che ci faceva ancora in bagno, senza aver toccato un goccio di alcol e con delle calzature scomodissime che le segavano le caviglie?
 
Forse sotto sotto non le dispiaceva essere la tipica teenager tormentata e viziata che poteva lamentarsi con il mondo intero delle sue stupide problematiche. 
Peccato che le somiglianze con quell'arpia di Chloè fossero talmente tanto lampanti da darle la carica necessaria ad uscire. 
 
"Pensiamo a qualcosa di piacevole Marinette... avanti
 
La voce squillante di Tikki guidava i suoi passi lungo la moquette color fango che precedeva il salotto. Ogni passo avanti era un affondo più pesante nella superficie morbida del tappeto, che s'estendeva praticamente per tutta la pavimentazione del corridoio. I consigli della coscienza provavano a placare i nervi irti, ma anche questi non potevano nulla contro le mille chiacchiere provenienti dal centro della sala. 
 
" Pensa alla famiglia! "
 
No, forse le mancava un po' troppo per usarla come ancora. 
 
" Amici ...?"
 
Scelta più sbagliata non poteva venirle in mente. L'ultima cosa a cui voleva pensare 
erano proprio gli amic- 
 
<< Gatto nero? Wow, una scelta che non mi sarei mai aspettato >> disse una voce maschile dal tono caldo e vellutato. 
 
Marinette si trovava di spalle, volontariamente proiettata verso il tavolo degli stuzzichini dove sedevano anche Alya e Nino. Quella voce sconosciuta, però, arrestò il suo passo già fortemente limitato dal décolleté nero. 
 
Si voltò di scatto, pronta a prendere di petto chiunque avesse avuto la brillante idea di ironizzare sul suo costume. Che metà della casa fosse vestita da Miraculous non era certo un suo problema, d'altronde. 
 
Quando lo fece, con quell'aria stanca e distaccata, rimase essenzialmente di stucco. 
Di fronte a lei stagliava un ragazzo alto, dalla chioma biondo cenere ed un paio di occhi nero pece, proprio come la maschera che indossava. Fu la prima volta in tutta la serata che adocchiava qualcuno di veramente simile al vero Chat Noir, se non per le pupille di un verde sottobosco con intense sfumature menta e giada. 
 
<< Bel costume >> sputò Marinette, osservandolo saldamente munita di una diffidenza insolita. Forse le dava sui nervi il fatto che scimmiottasse persino la postura del suo Chat. 
Il ragazzo stette a braccia conserte, conservando una punta di egocentrismo persino nel modo in cui si sistemava la giacca di pelle. 
 
<< Mhh, lo dici per convenienza o semplice autocontrollo ? >> 
 
"Un po' tutte e due, ad essere onesti" le rimbombò in testa, a suon di percussioni e ritmi moderni prettamente pop. 
 
<< Lo dico perché sto evitando di commentare la sigaretta accesa che tieni in mano. È severamente vietato all'interno della casa >> 
 
Divertito ed incuriosito, spense immediatamente la cicca sul posacenere posizionato immediatamente sopra il mobile a cassettoni del salotto. Lo stesso mobile dove Alya teneva tutti i disegni che Mari le aveva donato nel corso della loro amicizia. 
 
<< Ahio, provocante alla Cat woman e responsabile come Ladybug >> 
 
Marinette dimenticò l'ennesimo apprezzamento riguardo il suo fisico, concentrandosi piuttosto sull'assurdità del caso.
Era impensabile che uno sconosciuto potesse associarla alla sua vera identità in meno di un secondo. 
 
Incatenata in un turbine di pensieri, riuscì a scorgere solo blandamente la figura di Adrien serpeggiare tra alcuni ospiti non lontano da lei.
Le bastarono pochi istanti a frantumare quella determinazione assemblata in malo modo nel bagno di Alya. Era un caso perso. 
 
<< Ehh mi ignora anche. Una serata davvero interessante >> 
 
Marinette fu riesumata dalla voce distante del disturbatore, capace di gettarla nel mondo reale come uno schiaffo in pieno volto.
Quella smorfia, ne rimase sorpresa, le era talmente familiare.
Così familiare che non poteva fare a meno di pensare alla camicia che gli aveva prestato poche ore prima.
Quel farfallone non poteva essere il vero Chat Noir, si rifiutava di crederlo. 
 
<< Non hai scelto il costume adatto a rimorchiare, sta sera. Ritenta e sarai più fortunato, magari senza un pacchetto di sigarette in tasca e quest'aria da cattivo ragazzo segretamente di buon cuore >>
 
In un batter d'occhio, la giovane girò i tacchi e riprese la sua camminata verso le poltroncine dove sedevano abbracciati i piccioncini più litigiosi di Parigi. 
 
Sedevano in un angolo abbastanza intimo, attraversato in parte da alcune luci soffuse di colore blu che rendevano il tendaggio antistante una riproduzione fedele della distesa oceanica.
Alya era davvero bella nel suo abitino rosso plissettato, e questo Nino l'aveva dichiarato all'ingresso della casa, poco prima di stringerla a sé ed avvolgerla completamente tra le sue braccia. 
 
Marinette si sentiva traviata: non le piaceva essere il terzo in comodo della coppia, ma l'alternativa ricadeva nell'approfittare della presenza dell'unica persona libera. E voleva continuare a ignorarlo per quanto possibile. In più, le palme dei piedi la stavano supplicando di prendersi una pausa con tutto quell'ondeggiare frenetico.
 
Non ci fu niente di più piacevole che slacciarsi i tacchi per poi distendersi sulla finta pelle della poltroncina, prevedibilmente distaccata da quella della coppietta felice. 
 
<< Mari, ti senti bene? >> domandò Alya, con muso ancora affondato nel petto del ragazzo. Nino le accarezzava qualche ciocca senza commentare l'aspetto visibilmente deprimente di Marinette. Fu una cosa che la ragazza apprezzò molto.
 
Successivamente guardò con la coda dell'occhio la chioma dorata del ragazzo, in piedi a sorseggiare qualche drink in compagnia di persone mia viste in vita sua. 
 
" Sì, come no! Vorrei solo qualcosa più forte dell'alcol ma nemmeno distruttiva come la droga. Suggerimenti?" 
 

Sospirò sentendo il tessuto dell'abito tirarle sotto pelle << Solo assonnata >> 
 
<< Beh, ti passerà in fretta >> 
 
Il mal di testa poteva passarle in fretta, i continui ritardi in classe e le assenze da attacchi d'ispirazione fulminanti potevano dissolversi in poco, ma quello no.
Quello era un tarlo bello grosso che le gravava addosso da troppo tempo. 
 
Sarebbe stato più semplice insegnare ad una scimmia ammaestrata come utilizzare Facebook, piuttosto che calmare le sue paranoie. 
 
Nel momento in cui si focalizzò sull'immagine di un gorilla con in mano un PC, qualcuno le sfiorò la spalla. 
"No, no, no, per la barba di Merlino ..." si ripeté rannicchiandosi sempre di più nella poltrona. 
 
<< Eilà, tutto ok? >> 
 
Marinette seguì la mano, risalendo sino al braccio del suo interlocutore, per poi arrivare al viso incorniciato in una maschera rossa a pois neri. Poteva mozzarle il fiato persino conciato da lei?
Eccome se poteva. 
 
"Diciotto anni e comportarsi come una tredicenne il giorno del suo compleanno"
 
Marinette annuì, abbagliata dalla bellezza di Adrian vestito come un provetto ( e sexy ) Ladybug. 
 
<< Ladybug ...? >> chiese poi, indicando il costume del ragazzo. Se solo avesse potuto fisicamente rallentare il battito del suo cuore, forse concepire frasi lunghe di senso compiuto sarebbe stato semplice. 
 
Il ragazzo si sedette con nonchalance << Già, e sembra che tutti abbiano avuto la mia stessa idea. >> 
 
Fece una risata così genuina e spontanea che Marinette dovette sforzarsi di non fantasticare oltre. 
 
<< La metà della sala è vestita da coccinella. Mi ricorda l'anno delle Harley Quinn ribelli >> commentò Nino, con un mezzo sorrisetto. 
 
Alya scattò << Beh, almeno le Ladybug non ci provano spudoratamente >> 
Marinette guardò quella faida percependo un leggero miglioramento di autostima. 
 
<< Sono sempre le stesse dell'anno scorso. Per esempio, quante ti hanno chiesto il numero sta sera, Adrien? >>
 
Marinette non lo voleva sapere. 
Anzi, avrebbe con gaudio rimpinzato la bocca di Nino con arachidi e mini Pretzel. 
 
<< Nessuna a cui abbia dato importanza >> rispose candidamente il ragazzo. 
 
Vi fu un istante, veloce e significativo, in cui Marinette ebbe la vivida impressione che Adrien le avesse lanciato uno sguardo. 
Niente di più disastroso per un cuore già fortemente debilitato. 
 
<< Ah giusto, tu miri a quella vera! >> bofonchiò l'amico in tono scherzoso. 
Uno scherzo che rimase incastrato tra i pensieri di Marinette come un disco rotto in loop. 
 
<< Per quello c'è già Chat Noir >> replicò Adrien, strizzando l'occhio in direzione di Marinette. La ragazza chinò il capo immediatamente, allacciandosi le scarpe come diversivo per distogliere l'attenzione dal suo rossore convulso. Un calore che non dipendeva dalle allusioni di Adrien, ma dal fatto che ricordasse perfettamente il tocco del suo partner. 
 
Alya non poteva starsene con le mani in mano mentre la sua amica affondava in un mare di vergogna. 
 
<< A proposito di gatti... ho visto che hai conosciuto il cugino svedese di Chloè, Finn Lacroix >>. 
Era imparentato con Chloè, ora molte cose si spiegavano. 
 
<< Conosciuto? Sembrava più intento a fare altro >> aggiunse Nino, rivolgendo uno sguardo eloquente ad Adrien. 
 
<< Come violare le regole della casa? Sì, decisamente il cugino di Chloè. Ed una copia fatta male di Chat Noir >> 
 
Alya sorseggiò un altro goccio d'alcol, rendendo le sue pupille scure, lucide come vetro appena pulito << Marinette sa tutto di Chat Noir. Ha persino delle sue foto nei cassetti >> singhiozzò mezza brilla. 
 
Ed ecco che la serata colava a picco come il Titanic con l'iceberg. Peccato che lei fosse la barca, ed Alya un grosso macigno di ghiaccio pronto a perorare tutto il suo autocontrollo.  
 
<< Vado a prendere un po' d'aria >> 
 
 
***
 
 
Adrien vide Marinette annaspare in un mare di puro imbarazzo. Percorreva il corridoio velocemente, quasi volando sulla moquette, attenta a non inciampare nel mentre. Rimase incantato della sua silhouette, fasciata da un vestito che le calzava come un guanto, aderente sulla vita senza cadere mai nel volgare, non prestando, però,  minimamente attenzione ai richiami continui di Nino.
Gli stava sventolando una mano sul viso con fare concitato, eppure Adrien riusciva solo a pensare che la sua Lady conservava segretamente delle fotografie di Chat Noir. Per lei doveva essere stato una tortura dichiararlo al mondo intero, ma per lui… beh dire che gongolava sarebbe un mero eufemismo.
<< Che vi prende a tutti sta sera? >> borbottò Nino fissando il migliore amico, ancora rivolto verso un corridoio oramai spoglio. Alya gli tirò una gomitata significativa, sperando che capisse realmente le dinamiche della situazione.

Alya non era affatto ubriaca, Adrien l’aveva capito da come riusciva a controllarsi in presenza del ragazzo, tuttavia le era sembrato opportuno spiattellare quel dettaglio imbarazzante della vita di Marinette proprio di fronte a lui.
Che avesse pensato di renderlo in qualche modo geloso? Certo, una strategia del genere poteva anche funzionare se Adrien fosse stata un’altra persona. L’unica reazione ottenuta aveva praticamente spinto la povera Marinette a fuggire via come una furia.

<< Fuori si gela, forse è meglio che vada a ripescarla >> annunciò il supereroe, silenziando le lamentele sommosse di un migliore amico sessualmente frustrato. Se Alya continuava tenerlo sulle spine, non era un suo problema.
Il suo problema adesso consisteva nello sgusciare fuori dalla casa senza incappare in incontri di circostanza, ed assicurarsi che Marinette non stesse diventando Leonardo di Caprio in Revenant. E no, non l’orso.

Superò una serie di persone intente ad iniziare conversazione mondane col modello più popolare di Parigi, aumentando il passo una volta raggiunto il pianerottolo d’ingresso dell’abitazione. Era un’ala deserta e grigia: sorretta da due pali monocromatici, apriva uno spazio dove si trovava il portiere notturno ed una rampa di scalette in marmo.
Marinette era lì, accucciata con le gambe abbracciate al grembo, ed una chioma mossa da alcune folate fredde di vento. Se prima aveva accelerato il passo per raggiungerla il più presto possibile, ora se ne stava fermo ad osservarla respirare. Sapeva che dentro quella fragile ragazza si nascondeva la stessa folle pronta a rischiare la vita pur di garantire la sopravvivenza altrui.
Era sott’acqua, momentaneamente ibernata nelle sue paure, come un volatile violentemente strappato alla libertà di volare.

<< Se sei venuta a scusarti, sappi che l’ho già fatto. E’ il tuo compleanno ed hai bevuto tanta di quella birra che al tuo posto sarei già collassata a terra. Mi avresti raccolto col cucchiaio, poi >>

Adrien sorrise. Credeva che Alya l’avesse inseguita.

<< Peccato. Avrei trovato una scusa plausibile per riaccompagnarti a casa >>

Sì, era una cosa che Chat Noir avrebbe sicuramente detto, accompagnato da una smorfia beffarda dipinta sul volto. E Marinette avrebbe alzato gli occhi al cielo, acconsentendo riluttante alla sua proposta, per quando maliziosa fosse stata. Questo perché si fidava di lui, si fidava completamente. Poi avrebbe fatto qualche battuta ed infine tentato di avvicinarsi pericolosamente alle sue labbra rosate.
Una bella scena, sì, viva soltanto nella sua testa, come in un film tagliato male, perché chi aveva pronunciato quelle parole non era stato lui.
Quello lì era Finn Locroix. 

Lo riconosceva perfettamente con il suo look da motociclista degli anni novanta ed un piercing argentato che gli forava il labbro inferiore.
 Non era cambiato molto.
Quando Adrien frequentava le medie, lui già bazzicava per i corridoi del liceo trafficando chissà qualche sostanza, diventando l'attrazione principale della famiglia.
 Nel male si era creato una personalità disastrata che in un certo senso riusciva a esercitare un particolare ascendente verso chiunque gli parlasse. Soprattutto verso chi studiava da privatista  perché gli era stato proibito mettere naso fuori da casa.
 
Finn era un Dio: forte, combina guai, anticonformista, libero di fare ciò che voleva quando lo desiderava. Se Adrien fosse tornato bambino, tutto in una volta, probabilmente l'avrebbe visto sotto un'altra luce completamente diversa.
 
 Ricordava, però, che si comportava in maniera fin troppo losca alle volte, scatenando l'ira dei genitori e di un'acida Chloè degli inizi, finendo per venire escluso da qualsiasi rimpatriata a cui Adrien poteva partecipare. Fu un colpo duro per un bambino che sognava di essere un supereroe, ma viveva confinato come Raperonzolo. 
Gli anni senza sue notizie passarono, e Adrien crebbe accantonando l'esempio del grande e ribelle Finn, il quale collezionava comunque una serie di atti illegali che iniziava a invadere i fascicoli della polizia comunale.
 
Il padre gli disse che fu trasferito in Svezia dalla madre, a seguito di un grave incidente. Adrien aveva dodici anni, tuttavia riesumò facilmente la scena del dramma irrisolto dei Locroix. Dire che provocò solo il tracollo finanziario dell'impresa svedese, sminuirebbe la gravità dei fatti. 
Finn era peggiorato in modo irrefrenabile, così tanto che quasi lo spaventava pensare di averlo divinizzato per tutti quegli anni.
 
Dopo l'incidente, Mr.Agreste aveva deciso di allontanarsi da certe amicizie, come quella con i cugini di Chloè, non rivelando mai ad Adrien l'entità del problema. 
Certo, lo sollevava potersi dimenticare di una persona così torbida e meschina, ma la curiosità di capire che fine avesse fatto lo sfiorava di tanto in tanto.
 
 "Chi non muore si rivede" si disse il ragazzo, esasperato ed al contempo attratto dal mistero. 
 
Aveva sperato davvero di chiudere con quel capitolo passato, eppure riaffiorava sempre ostacolandolo in qualche modo contorto. 
Un modo tutto alla Finn: gli piaceva manipolare e truffare le persone, raggirandole e seducendole, come sottoscriveva anche il suo file archiviato nel database della centrale svedese. 
 
E ora si era presentato in casa di amici, con la prepotenza di chi crede di possedere la terra dove poggiano i propri piedi, flirtando senza ritegno con la ragazza che ultimamente gli stava mandando in palla il cervello. 
Se anche iniziava a sentire qualcosa di forte per Marinette, Finn non aiutava a far chiarezza tra i pensieri, anzi, era come la gelateria nuova del corso che apre proprio di fronte ad un'altra storica.
 Competizione contenuta. 
 
Adrien dosò i movimenti, intento a comprendere i termini della conversazione. Spiare non era affatto nelle sue corde, però la situazione richiedeva estrema cautela. 
Non sapeva per quale motivo Finn fosse rientrato alla base, né tantomeno le cause che l'avevano spinto ad affondare gli artigli sulla sua Lady. 
 
<< Sei già uscito di galera? >> mormorò Marinette, rimanendo inginocchiata sulle scalette. Finn rispose con un occhiolino ammiccante, di quelli che Adrien conosceva benissimo: erano una sua cosa.  Li sfruttava nei panni del suo alterego, proprio per canzonare e divertire la sua Lady. 
 
Iniziò a sudare freddo. 
 
Per la prima volta nella storia, un gatto stava avendo la pelle d'oca. 
 
<< Per buona condotta, ovviamente. >> 
 
I denti di Adrien cigolavano sotto la sua irrequietezza, irrigidendo la mascella e rallentando i battiti. 
 
<< Corrompere i secondini non conta. Finn, vatti a fare un giro, non sono in vena >>
Adrien quasi ci sperò, se Finn non si fosse così incaponito con la sua lady. Il ragazzo fece scivolare dalla tasca dei jeans strappati un pacchetto di gomme. 
 
<< Vedo che il mio nome ha già fatto il giro della festa. Mi chiedevo, Buttercup, per quale motivo te stia qui sola soletta, indifesa contro i brutti tipi che si aggirano da queste parti >> 
 
Ed ecco che si sedeva accanto a lei. 
La guardò dall'alto in basso, sfoderando una smorfia che solo i più grandi Don Giovanni avrebbero potuto sfoderare. 
 
Aveva fatto la sua mossa, quel dannato. 
 
<< Buttercup? >> sospirò infastidita Marinette << Potevi impegnartici un tantinello di più. Senti, Mr. Sonotormentatoetroppofigo, dovresti imparare a leggere il labiale. Non sono in vena. E poi, l'unico pericolo che incorro qui sei proprio tu >> 
 
Finn prese a masticare una gomma, accettando l'acidità della ragazza come una sfida da dover superare.
Stava mettendo davvero a dura prova la sua pazienza. E Adrien era il bravo ragazzo, non lo scapestrato in una tutina di lattice nera che attaccava brighe persino col salumiere all'incrocio degli Champs D'Élysee. 
 
<< Ouch. Suppongo che chiederti cosa ti abbia sconvolta non mi sia concesso >> 
Adrien alzò gli occhi al cielo: Finn sfoderava la carta del falso interessamento. Quel malefico svedese stava ad Adrien quanto i cani stanno ai gatti, ne era certo. 
 
<< Esatto. Voglio rimanere sola, completamente e deprimentemente sola >> rispose Marinette, sfoggiando un sorriso tirato che trasmetteva un senso di fastidio premente. 
 
Finn s'alzò in piedi sistemandosi la cintura dei pantaloni, per poi puntare lo sguardo su quello di Adrien. Non era uno sprovveduto, si disse il supereroe, perciò aveva sicuramente adocchiata la sua presenza dall'inizio della conversazione. 
 
<< Penso che avrai compagnia >> sussurrò poi, continuando a guardare Adrien con un ghigno di superiorità invadente. 
 
Marinette protestò << Ti ho detto che ...>> 
 
Fu brutalmente interrotta da un colpo di tosse che Adrien aveva deliberatamente cacciato fuori, segnalando la sua posizione. 
 
<< Oh, Adrien >> 
 
Finn guardò entrambi i ragazzi con una punta di ironia, tipica di chi è sul punto di scatenare l'Inferno. 
 
<< Ti lascio al tuo modello, Buttercup >> bisbigliò << Ciao anche a te Adrien Agreste. Abbiamo tante cose di cui parlare >> 
 
Il biondo osservò ancora una volta quella falsa copia di se stesso, indignato del fatto  che infangasse il suo nome. 
 
<< Chloè ti starà cercando, non ti conviene farla agitare, sai cosa rischi >> 
 
Adrien gettò l'amo aspettando che il pesce abboccasse. Sospettava che Finn dipendesse dalla famiglia Bourgeois, sia economicamente che giuridicamente, perciò un passo falso l'avrebbe rispedito da dove era venuto. 
 
<< Agreste junior ha fatto crescere gli artigli! Una serata piena di piacevoli >> dichiarò rivolgendosi a Marinette << sorprese >> 
 
La ragazza, però, non faceva altro che guardare Adrien. O almeno questo era quello in cui lui disperatamente confidava. 
<< Ci si vede in giro >> 
 
Così Finn sparì oltre le scale come era entrato in scena: in un movimento fluido e determinato, calò il sipario sui due ragazzi che sentivano la bocca impastata di un sapore dolce amaro.
 
Adrien si costrinse e cancellare dalla mente il viso del ragazzo, accantonando quel problema in una pila della sua mente. Doveva ordinare le sue priorità prima. 
Marinette, in quel momento, era la sua reale priorità. 
 
<< Ero venuto ad accertamenti che stessi bene >> iniziò Adrien << Però se vuoi rimanere sola, me ne torno dentro. Alya e Nino si staranno divorando a vicenda >>
 
Marinette lo fermò prima che potesse rientrare << No, r-resta. L'avevo detto per finire la caccia. Cioè, cacciare Finn >> 
 
Adrien le rivolse un sorriso smagliante << Beh buttercup >> disse punzecchiandola leggermente << Che ne dici di svignarcela per un po' e discorrere la fine? >> 
 
Sapeva che da parte sua non era il massimo prenderla in giro, ma doveva provare a svegliare l'animo combattivo di Marinette. << Finire il discorso, s'intende >> 
 
La ragazza annuì bisbigliando a mezza voce << Non mi chiamare Buttercup, però >>
 
 
 
***

 
Se Marinette si fosse trovata a passeggiare per uno dei quartieri più chic di Parigi affiancata dal fantavoloso Adrien Agreste alcuni anni prima, forse la sua mente sarebbe esplosa nel tentativo di metabolizzare il fatto. I neuroni sì, quelle piccole particelle elettriche vangati, avrebbero dichiarato guerra all'organismo, provocando un vero e proprio collasso. 
Non che adesso si sentisse propriamente tranquilla e rilassata, ad essere onesti. Anzi, percepiva una sirena rimbombante e fastidiosa sconquassarle il cranio con quel suo "Mayday, mayday, NON E' UN'ESERCITAZIONE". 
Marinette si sentiva come un'aereo-fobica che compra un biglietto di sola andata per l'altro capo del mondo. 
E Adrien era la turbolenza. 
Il freddo che però le ibernava i pensieri non poteva essere minimamente paragonato a quello della stagione invernale: ondate di gelo pizzicavano la pelle intirizzita e, come aghi aguzzi, si aggregavano alle estremità del corpo. Mani e piedi, in particolare modo, ne risentirono maggiormente, irrigidendosi a mo' di ghiaccioli appena tirati fuori dal freezer. 
 
Adrien sembrava immune a quel tipo di clima, completamente a suo agio e persino accaldato, oserebbe dire Marinette. 
Camminava con le mani in tasca, osservando un punto indistinto del paesaggio. La ragazza non sapeva dire se la stesse studiando con la coda dell'occhio ( per via della maschera da coccinella ), tuttavia non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di esser guardata da qualcuno. 
Lei, dal canto suo, non poteva fare a meno di fissarlo di sottecchi. 
Fosse stato Chat, le avrebbe certamente consigliato di scattargli una fotografia per conservarla più a lungo di un fugace sguardo, esaltando la sua purrr-fezione in ogni modo possibile. 
 
"Stupido gatto" pensò fra sé e sé, guardandosi le unghie smaltate di nero pece. Quel look tendente al dark non le dispiaceva affatto, malgrado prediligesse sempre i colori pastello e le tonalità tenui alle tinte decise e forti. Le piacevano le lente transizione di colore, un po' come le candide sfumature dell'alba. 
 
I capelli di Adrien, si ritrovò a pensare, non sarebbero mai passati inosservati con quel tono accesso e carico d'oro: sembravano raggi solari intrecciati a fili ambrati con qualche tinta più scura nel mezzo. 
Le facevano venire in mente i girasoli di Van Gogh, le spighe di grano bagnate dalla prima pioggia primaverile, e probabilmente lo scoppiettare del fuoco della sua vecchia villetta in Provenza. 
 
<< Camminavo qui quando ero alle elementari, e andavo tutte le volte ad importunare i cani di quel parco lì >> disse Adrien, finalmente risvegliato dalla fase di trance nella quale era inevitabilmente ricaduto. 
 
Marinette seguì il dito del ragazzo che puntava ad un piccolo spazio verde ora illuminato solamente da qualche palo stradale. Se lo immaginava da piccolo, a scorrazzare dove nessuno avrebbe mai messo piede.  
 
<< Non ti piacciono i cani? Da piccola supplicavo i miei per averne uno, ma niente da fare. Casa troppo stretta e tempo troppo poco >>
 
<< Sagge persone. Preferisco animali con più ... carattere >> 
Il suono echeggiante delle scarpe col tacco s'arrestò di colpo, rendendo quel quartiere silenzioso ancora più desertico del solito. 
 
" Siete in due, allora
 
Marinette tremava tutta, ma il freddo riusciva paradossalmente a disinibirla. O forse il fatto che stessero conversando di animali, proprio accadeva col suo partner. 
 
<< Dicono che i gatti siano solitari e un po' menefreghisti >> 
<< Dicono anche che il cibo della mensa sia buono, ma non per questo è la verità assoluta >> replicò Adrien, fermandosi dove Marinette era rimasta a guardarsi intorno. 
 
Non se l'aspettava proprio da lui. 
 
Passò pochissimo tempo affinché potesse ingranare e mettere a posto i pensieri, quando il suono di un clacson obbligò loro a scappare via dalla strada spoglia. Corsero di getto oltre il vialetto, febbricitanti e quasi divertiti. Forse piazzarsi nel mezzo della carreggiata non era stata un'idea idilliaca. 
Affannata e quasi inciampata a causa delle sue scarpe vertiginose, Marinette strinse il lembo della maglia del ragazzo, il quale la stava immediatamente aiutando a sedersi sulla panchina più vicina. 
 
Le dispiaceva farsi dare una mano, ma quei tacchi le logoravano le piante come tizzoni ardenti. 
 
<< Slacciatele >> disse il giovane, slegandosi la maschera da dietro la nuca. 
Marinette alzò un sopracciglio << E poi come ci torno da Alya? Col tappeto volante? >> 
 
Le parole appena pronunciate risuonarono nella sua testa come note finalmente armoniche. Erano uscite dalla sua bocca così naturalmente che non poté proprio rimangiarsele, nemmeno volendo. 
 
Non che volesse cancellare quell'attimo di intima sincerità con se stessa, ovviamente. 
 
<< Col tappeto no, ma in moto sì >> 
 
Marinette vide gli occhi del ragazzo accendersi come luci di Natale. Quando scorse la vecchia Harley Davidson, che Adrien aveva ereditato dal nonno paterno, parcheggiata a pochi metri dalla panchina, quasi le venne un colpo. 
L'ultima volta che era stata in moto, aveva superato un incontro spiacevole con uno sciame di moscerini all'arrembaggio. 
 
<< La sai guidare? >> sputò fuori trattenendo l'entusiasmo che le urlava in testa di saltellare manco avesse vinto la lotteria. 
Adrien rispose con una smorfia << No, la tengo solo per esposizione, quando passano belle ragazze >> 
 
Marinette gli tirò una gomitata istintivamente. La sua domanda, seppur sciocca ed ovvia, era stata frutto di un'ansia irrefrenabile che ora lui stava magicamente stemperando. Non capiva cosa le stesse accadendo, però iniziava a sentirsi leggermente più rilassata in sua presenza.
Certo, di qui a non fantasticare su come sarebbe stato stringere la sua vita una volta saliti in moto, ce ne passava di acqua sotto i ponti. E Marinette questo lo comprendeva perfettamente, considerando anche tutti i film mentali che la sua mente aveva partorito in cinque minuti buoni. 
 
<< Posso anche farmela a piedi >> 
Adrien le offrì un braccio candidamente << State rifiutando un passaggio nel mio destriero, milady ?>> 
 
<< N-no. Cioè, sono solo sorpresa >> 
 
Il ragazzo non aspettò altro per condurla dove si trovava la sua amata motocicletta << Meglio del tappeto volante, te l'assicuro >> 
 
Marinette osservò zoppicante, con un pizzico di diffidenza, le condizioni di quella bellissima ed antica Harley Davidson. Era sicura? Tutti quegli anni non gli avevano fritto i motori ? E se poi fosse caduta a terra come un pesce lesso? 
Adrien le sembrava più che sicuro. Aveva legato la giacca rossa attorno i fianchi, sfilando il mazzo di chiavi dalle tasche dei pantaloni color pece, per poi porgerle uno di quei caschi ingombranti con le visiere traslucide. 
 
<< Ti avverto, ho l'istinto naturale di essere una completa frana >> bofonchiò allacciandosi a stento il casco protettivo. Il cuore le batteva a mille, rallentandole quei movimenti che altrimenti avrebbe fatto con disinvoltura. 
 
<< Wow >> bisbigliò il ragazzo. 
<< "Wow" ho cambiato idea e voglio tornare a piedi? Perché è questo il "wow" che vorrei sentire >> farfugliò Marinette picchiettando le dita sul sedile della motocicletta. Chissà se qualcuno avrebbe ascoltato le sue ultime preghiere su quel pezzo d'epoca. 
 
<< Andiamo Marinette, monta su >> rispose energicamente, mettendo in moto il gioiellino di famiglia. Lo osservò bene, dubitando fosse lo stesso angelo che si rifiutava di saltare un giorno di accademia per mantenere il record di presenze annuali. 
 
Adrien era sempre stato il tipico bravo ragazzo, perfetto da presentare ai genitori senza che uscissero fuori di testa. Di quelli che portano alla prima cena qualche dolce per accalappiarsi il consenso della famiglia. Sotto la luce fioca delle lampade e nascosto dal casco rossastro, avrebbe giurato fosse stato un altro. 
Un altro che invece di portare a casa una laurea strapremiata, dava fuoco al pianerottolo e faceva razzie dell'alcol nelle dispense. 
 
Si rese conto di quanto fossero ridicoli i propri pensieri non appena ricordò di chi stava parlando. Insomma, Adrien salvava i cuccioli e gestiva due associazioni salva-vita, era una sorta di dio per lei, non un tentatore dalle intenzioni poco rassicuranti. 
 
<< Lo faccio solo perché i miei piedi stanno progettando un'autodistruzione di massa >> puntualizzò la ragazza, sedendosi a cavalcioni dietro il guidatore. 
 
Il sangue le stava affluendo in modo così capiente verso il cervello, che era un miracolo si reggesse in piedi. 
 
Poi Adrien le fece notare che in caso non volesse fare la fine del purè di patate, doveva assolutamente cingergli per bene la vita durante tutto il tragitto. 
 
<< Non vorrei essere pignolo, ma dovresti stringerti più forte di così >> obiettò il giovane, afferrando le mani di Marinette per mettersele attorno più saldamente. 
Adesso poteva ufficialmente entrare nel panico e crogiolarsi in un momento di estasi biblica. Sembrava una ragazzina in delirio dopo il concerto del proprio cantante preferito. 
 
Prima che partisse, Adrien ridacchiò tra i baffi, alzando leggermente le spalle con fare su di giri. Era un atteggiamento tipico di Chat quello, poteva scommetterci la mano. Associarlo per un istante a Chat, le permise di esprimersi liberamente come avrebbe fatto con quest'ultimo. 
 
<< E io che pensavo l'avessi comprata solo per fare colpo sulle ragazze >> 
Adrien spinse l'acceleratore << Mio nonno forse sì. Gli Agreste hanno sempre avuto una passione per le moto, ed un discreto successo naturale >> 
 
La voce di Marinette fu risucchiata dalla velocità che il mezzo comportava, ma nella sua testa si era costruita una risposta abbastanza strana dalle solite balbettanti che rifilava al ragazzo. 
 
<< Naturale charm, intendi? Qualcuno si è montato la testa al lavoro ... >> gridò sopra il rumore del motore. 
 
Sfrecciavano lungo le stradine parigine quasi domandole, facendosi beffe della gravità e del clima tremendo. 
 
<< Marinette ti do' un consiglio. Se il gentile proprietario della moto su cui sei precariamente seduta ti dice che il cielo è fatto di barboncini rosa, allora sarà così >>
 
Marinette premeva il petto ansimante sulla schiena di Adrien, ben distesa a causa della guida.
 
<< Te non odiavi i cani ?>> 
Adrien aumentò la velocità << Touchè >>
 
Immersi nell'euforia della velocità, che aveva sconvolto decisamente le loro capigliature, arrivarono all'appartamento di Alya prima del previsto. Marinette non disdegnava qualche altro secondo in sua compagnia, prevedibilmente. 
 
Saldati i piedi su una terra che pareva vorticare come una montagna russa, videro una scena assurda sfilare davanti ai loro occhi: alcuni ragazzi ammucchiati attorno ad un'ambulanza che trascinava via qualcuno d'emergenza. C'erano luci rosse, gialle, praticamente ovunque, e le grida sommosse dei presenti non facevano che mescolarsi con il terrore che sommergeva completamente il corpo della giovane. 
 
Il momento di pace fu sostituito da un fulmineo stato d'ansia. 
 
La reazione di entrambi fu immediata, infatti corsero a perdi fiato nel palazzo sperando di capirci qualcosa. Malgrado procedessero ansimanti ed in silenzio, la paura che fosse capitato qualcosa di grave ai loro amici sgorgava in ogni singolo movimento compiuto.
 
Adrien suonò il campanello con decisione. Fu Nino ad aprire la porta, contro le speranze di Marinette. 
 
<< Ma chi si rivede! È... >> 
 
Non aspettò che concludesse la frase per scapicollarsi nell'ingresso vuoto ed accertarsi delle condizioni dell'amica. 
 
<< Alya dov'è? >> 
 
Il ragazzo non rispose. 
 
<< Nino, sputa il rospo! >> 
 
La preoccupazione di Marinette stava sfociando in crescente ira, così evidente che Adrien dovette calmarla prima di affrontare nuovamente il ragazzo. 
 
<< Ok, magari non l'ho tenuta d'occhio proprio tutto tutto il tempo >> iniziò in tono arrendevole << Potrebbe aver mischiato qualche drink di troppo >> 
 
Marinette calpestò il terreno come un toro pronto alla carica. Sapevano tutti cosa accadeva quando Alya si permetteva di aumentare il tasso alcolemico sopportabile: Esplodeva. Fisicamente e psicologicamente, e toccava sempre a lei ricucirne i pezzi. 
 
<< Adesso dove sta? >> subito domandò Adrien, mantenendo quella calma che a Marinette mancava. Era strano che fosse proprio lui a contenerla in uno stato di equilibrio, posandole una mano sulla spalla esile, quando lei riusciva benissimo a non perdere le staffe persino in situazioni tragiche. Eppure le bravate da teenager la mandavano su tutte le furie, questo era certo. 
 
Nino balbettò << Al piano di sopra, l'ho messa a dormire. È quasi svenuta, ma non le è successo nulla di grave >> 
 
Due profondi e sinceri sospiri si levarono nell'aria immediatamente.
Alya stava bene. 
<< Cos'era quell'ambulanza allora ?>> domandò finalmente rilassata. 
 
<< Finn ha litigato con un tipo qui fuori. Si sono scazzottati pesantemente, così Alya ha chiamato la polizia e l'ambulanza. Poi è collassata e ci hanno fatto sgomberare >> 
 
Finn Lacroix, doveva immaginarselo. 
Marinette vide il biondo irrigidissi al solo suono di quel nome, stringendo poi i denti con fare teso. Non gli andava proprio giù il cugino di Chloè, ma come biasimarlo? 
Era più che pericoloso. 
Era persuasivo e pericoloso. 
 
"Buttercup
 
Cacciò dalla testa il ridicolo nomignolo affibbiatole poco prima, concentrandosi sul caos che le stagliava attorno: cibi e spazzatura sparsi come coriandoli a terra e sulle mensole; per non parlare delle mille bottiglie adagiate nei posti più improbabili e le grosse chiazze di drink sui mobili nuovi dell'abitazione.
 
<< Avanti squadra, dobbiamo sistemare questa casa. Sarà una lunga nottata >>
 

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Capitolo 7
*** XVI Arrondissement ***











 

XVI Arrondissement
 

 



Era passata una settimana dal compleanno di Alya, e Marinette non riusciva ancora a farsi sette ore filate di sonno.
Che fosse un'abitudine malsana la sua, quella di rimanere incollata ai libri una volta immersa nelle coperte, lo capiva benissimo, ma l'alternativa consisteva in un'interessante analisi del soffitto della propria camera.
Non lo faceva consapevolmente, anzi, avrebbe dato qualsiasi cosa per dormire anche solo un'ora in più, però il corpo si divincolava come un calzino nella centrifuga, facendola ribaltare a terra puntualmente.

Riflettendoci a fondo, Marinette constatò che la radice del problema aveva attecchito subito dopo l'attacco al museo, quindi la notte insonne passata a rassettare cartacce nell'appartamento di Alya non c'entrava granché.
Per quanto stancante e lunga fosse stata.
Durante l'extreme makeover di pulizia le sue palpebre erano cedute  un paio di volte: mentre passava lo straccio in cucina in primis, e poi quando lavò le macchie d'olio sul pavimento in salone. Certa sporcizia era tosta da rimuovere.
Fortuna che Adrien e Nino si erano dati da fare almeno tanto quanto lei, svegliandola con vigorosi schiocchi di dita ogni qual volta si fosse fatta cogliere dal sonno.

Il capitolo della festa si era concluso positivamente, lasciando però sulle spalle di Marinette una pesantezza che la distraeva dallo studio.
Mancava una settimana a Natale, al rientro dei suoi, e l'unico traguardo raggiunto in ambito scolastico era stato quello di sottolineare paragrafi e paragrafi sfruttando più colori possibili per catturare la sua attenzione. Di certo questo metodo non l'avrebbe salvata dall'insonnia e l'isteria latente.


Il mercoledì dopo la sbronza di Alya era persino stata sorpresa da Chat, il quale, bussandole furtivamente alla finestra, aveva dichiarato incredibilmente l'accettazione della sua lista di vincoli, apportandone qualche modifica.
Sapeva che non avrebbe mai ingoiato del tutto le sue restrizioni senza metterle i bastoni fra le ruote prima.
Qualche volta si fermava a fare colazione con lei, il gattaccio, oppure l'aiutava a portare i pacchi della spesa nei pressi del quartiere. Non era molto prudente da parte sua e Marinette detestava farsi aiutare, ma quello era Chat, e, come adorava sottoscrivere, il suo secondo nome riportava "pericolo".

Gi piaceva anche aggiungere "divina bellezza naturale ", ma il più delle volte riceveva croccantini per gatti come punizione.

Ora Marinette si stava dirigendo verso la biblioteca comunale, coperta con mille strati di maglioni e sciarpe, per fare fede al patto appena firmato. Chat aveva il dovere di mantenersi nell'ombra ed evitare qualsivoglia contatto visibile alla luce del sole, ma sapeva che questo non gli impediva di tenerla d'occhio seppure in lontananza.

Dopo aver preso due linee di metro e superato con successo dei quartieri non proprio rassicuranti, Marinette si ritrovò davanti la facciata dell'edificio, che si ergeva imponente al centro di una piazza.
La costruzione risaliva agli inizi dell'Ottocento, ( poté recuperare tale informazione osservando gli elementi neogotici sparsi qua e là ) eppure conteneva una mescolanza atipica con strutture prettamente moderne. Classico esempio di rivisitazione eclettica novecentesca.
Pannelli vetrati e porte automatiche non si erano mai visti nella Francia della Tour Eiffel, ma non stonavano affatto col concept del luogo: un paradiso dove passato e presente si compenetravano completamente.

Entrò subito dopo, registrando la sua presenza alla segreteria antistante, dove una signora di mezza età scribacchiava continuamente col telefono costantemente premuto in faccia.
La voce gracchiante che le diede il permesso di proseguire fu talmente familiare da riesumare una serie di flashbacks non proprio allegri.
L'attacco al museo. La donna che aveva dubitato di lei. L'incontro ravvicinato con il proprio inferno.

Marinette ringraziò la signora con una chinata di capo cordiale, scacciando dai pensieri l'incidente come al momento stava tentando di sfilare la sciarpa bluette dal suo collo delicato.

"Questo posto è il Paradiso" capitolò la voce della sua coscienza, sempre provvista del tono squillante di Tikki.

I soffitti svettavano immensi e infiniti, conferendo l'illusione di poter raggiungere il cielo, abbagliati dalla luce di tre gigantesche finestre che gettavano su dei giardinetti interni dalle mille e una notte. Gli intarsi ed il mobilio in legno antico si snodavano prendendo vita, raccontando essi stessi le storie che celavano quelle milioni di pagine scritte.

Ogni mensola, ogni singolo centimetro della biblioteca racchiudeva un mistero, un nuovo tassello e una nuova vita da esplorare.
Marinette inspirò un'aria magica, fatta di libri e parole, sentendo il petto gonfiarsi di un non so che di nuovo.
Il fatto che fosse completamente deserta eccetto lei, rendeva il tutto ancora più affascinante e inaccessibile all'occhio umano. Perché i suoi genitori non l'avevano mai portata lì?

Se prima l'incanto del posto l'aveva spinta a studiare tutte le aree della biblioteca, adesso ricordava per quale motivo si fosse recata proprio lì in partenza.

"I Miraculous"

Cercò nella sezione del sovrannaturale, ma non trovò nulla di attinente. Il massimo che riuscì a cavarne era stato qualche succhia sangue glitteroso di troppo.
Vagando nella zona destinata alla religione, incappò solamente in qualche scritto poco traducibile del confucianesimo.
A lei servivano informazioni sulle origini dei kwami, non istruzioni base sulla cerimonia del tea. Che tra l'altro sua madre le aveva impartito nel corso dell'infanzia.

<< Vuoi una mano?>> esordì una voce tagliente, proveniente da un angolo buio della sezione. Dal buio pesto fuoriuscirono un paio di pupille verdi e sottili, accompagnate dalla tipica smorfia felina.

Marinette lo spinse istintivamente nell'oscurità da dove era venuto.

<< Wooow, piano principessa. Non pensavo volessi farlo in un'area pubblica sorvegliata >> replicò Chat Noir, inglobando nelle tenebre anche la minuta Marinette.
<< Ti sei bevuto il cervello?? Potrebbero vederti. Riconoscerti. Ci sono telecamere ovunque ed è un miracolo che non riprendano persino i miei pensieri >>

Chat non poté fare a meno di incurvare le labbra in un sorrisetto malizioso << Che tipo di pensieri? >>

Marinette gli tirò una schicchera così forte, che dovette schiacciarsi alla parete antistante per non cadere a terra.

<< Sono entrato dai canali sotterranei. Lo sapevi che vicino al Louvre vendono delle pizze fantastiche ? >>

La ragazza lo fissò in cagnesco. Malgrado la scarsa illuminazione, le sue intenzioni si facevano sentire forte e chiaro.

<< In mia discolpa posso dire che non avevo programmato di rovesciare il carretto degli hot dogs. È stato il proprietario ad ignorare la presenza di una bellezza così folgorante >>

<< Chat, se continui a blaterale te la tiro io una pizza. Di quelle a cinque dita >> rispose Marinette contenendo il tono di voce.
<< Stai tecnicamente violando uno dei punti principali dell'accordo kitty cat >>

Chat si strinse le braccia al petto, contento oltremodo del rossore che le sue allusioni avevano provocato alle gote della ragazza.
<< Tecnicamente il patto non diceva nulla riguardo i sotterranei. In più, siamo soli soletti tra un mucchio di libri, cosa vuoi che ... >>

Marinette se lo sentiva che era sul punto di dire le magiche parole disgraziate. Quelle stesse parole che inevitabilmente aizzavano il karma contro il malcapitato di turno.

<< Non dirlo >> s'affrettò a premergli una mano sulle labbra, trattenendo il fiato come gesto scaramantico. Quando le sue dita incontrarono il volto di Chat,

Marinette sentì improvvisamente pizzicare la pelle. Doveva reggersi in punta di piedi per raggiungerlo, perciò se Chat avesse voluto davvero agire, non gli sarebbe stato difficile spostarla a suo piacimento come un sacco di patate. Il gatto, tuttavia, si limitò a guardarla fissa negli occhi, aspettando che lei ritraesse lentamente la mano.

<< La festa di Alya ti ha proprio sconvolta >> commentò il supereroe, notando una forte stanchezza negli occhi della giovane, la quale rispose con un'alzata di spalle arrendevole.

<< È una fortuna nessuno si sia fatto male >>

<< Non c'è stata una rissa?>> incalzò poi << le voci circolano in fretta >>
Marinette annuì, avanzando finalmente dove batteva la luce del sole. I finestroni della biblioteca erano esteticamente meravigliosi quanto tremendamente disfunzionali: filtravano i raggi in alcune zone limitate, intrappolando nell'ombra intere aree illuminate solo grazie a qualche lampadina artificiale. Il che rendeva asfissiante la permanenza nella penombra, soprattutto se implicava nascondere una persona dalle orecchie feline e la linguaccia tagliente.

<< Si, tra il cugino di una nostra "conoscente" e un altro tipo. Non si riesce a capire chi fosse, erano tutti mascherati >> rispose la giovane rimanendo sul vago.
Più tempo perdevano in chiacchiere inutili e più Papillon ingigantiva i suoi poteri, tessendo una rete infinita di trappole che prima o poi li avrebbero stroncati definitivamente.

<< E tu da cosa eri mascherata, princess?>>

Chat si divertiva a toccare tasti delicati:  eh era il suo modus operandi. Mentre la sua controparte fortunata tirava le fila del discorso, analizzando le situazioni in modo analitico, lui preferiva, appunto, vaneggiare senza senso. Lusingava, stuzzicava, provocava come pane quotidiano, fortificando l'autocontrollo che a Marinette era sempre mancato.
Certo, con Chat si sentiva se stessa, ma una parte di lei, quella ancora legata alla tredicenne impaurita, riaffiorava di tanto in tanto, cadendo nella trappola del gatto con tutte le scarpe. O almeno era così che a Marinette piaceva etichettare quei fuorvianti batticuori che ultimamente le facevano visita tutte le volte che sopraggiungeva il partner.

Solo delle reminiscenze del passato.

Ma allora Adrien cos'era? La proiezione farlocca di un eroe cavalleresco?
Tutto quel pensare la distrasse dal succo della domanda.

<< Da "nonsonoaffaraccituoi" >> disse affaticata << Ora mettiamoci al lavoro ficcanaso, prima che qualcuno si domandi perché mezza biblioteca sia ricoperta da peli >>

Il gatto non forzò troppo la mano e si lasciò stranamente sviare, malgrado trattenesse incastrate in gola molte delle sue tipiche battute. Cosa fisicamente dolorosa per uno che le considerava un'estensione della propria testa.
La ragazza gliene era riconoscente.

Tutto quel trambusto fuso con mancate ore di sonno le scoppiava in testa come fuochi d'artificio durante la notte di Capodanno, trivellando sulle tempie manco avesse subito un trauma cranico in battaglia. Marinette non era nello stato di mettersi a battibeccare con il supereroe, né tantomeno di buttarsi a capofitto in uno studio snervante e possibilmente inutile.

<< Dimentica Confucio allora. Qualcosa mi dice si trovi da quelle parti >> indicò la sezione al lato sinistro della biblioteca, dove campeggiava una targhetta placcata in oro con su scritto "miti e leggende" .

Marinette l'aveva superata poco tempo prima, tuttavia era stata cancellata completamente dal suo campo visivo.

La distrazione la diceva lunga: doveva dormire come una persona normale. Non ne poteva più di sentirsi un fantasma per tutto il giorno, ed una falena nelle ore notturne. Altrimenti sarebbe collassata da un momento all'altro.

<< Intelligente >> ciancicò a mezza bocca, distanziandosi sempre di più dalle tenebre che occultavano il gatto.
<< Lo dici come se fossi sorpresa >> bofonchiò il lontananza.

Ormai ciò che sperava loro era il corridoio centrale, quello arieggiato e illuminato direttamente dalle finestre e collegato con la porta d'ingresso.
Marinette avanzò provando a mantenere un barlume di concentrazione, sentendo solo il rumore dei suoi stivali da pioggia colpire la superficie del pavimento. Quando arrivò dall'altra parte, il gatto si trovava già con in mano qualche libro, dando le spalle alla fitta ed alta mensola posteriore che contava un'infinita serie di libri sulla filosofia occidentale.

Non si stupì della sua velocità. Né della rapidità con la quale stava sfogliando il più dei libri selezionati.

S'accorse, buttando l'occhio sui tomi ordinati cronologicamente e alfabeticamente sullo scaffale, che le date risalivano a periodi fin troppo recenti perché potessero contenere notizie fondate sulla nascita dei kwami. Tikki non le poteva dire nulla al riguardo, era una sorta di vincolo magico a quanto spergiurava, per cui l'unica possibilità rimasta consisteva nel consultare le biblioteche umane. Ma come poteva scovare una verità profondamente irrazionale dentro un mare di teorie fondate ?

<< I kwami sono vecchi milioni di anni, forse il prodotto della creazione stessa. San Giorgio possedeva un Miraculous, persino re Artù e qualche Indios americano. La straordinaria donna faraone, Hatshepsut, è riportato avesse un kwami >> asserì parlando più a se stessa che non a Chat. La stanchezza le aveva già fatto fare un passo falso.

Che lei ne sapesse un po' di più del partner era ovvio considerato il rapporto con Tikki, però doveva andarci piano con tutte quelle informazioni approfondite.

<< Beh, almeno questo lo dice internet >> s'affrettò ad aggiungere successivamente. Ecco perché era stata titubante nel firmare il patto con Chat. Ecco perché si ostinava a tenerlo lontano il più possibile. Marinette era sveglia e razionale, ma quando si trovava nello stato di torpore oppure immersa nelle sue favole d'amore, avrebbe potuto spifferare al mondo di tutto: una bomba ad orologeria.

<< E vediamo, cos'altro dice internet che io non so? >> alzò un sopracciglio, divertito.

La ragazza si morse il labbro maledicendo il giorno in cui aveva accettato quella dannata proposta. Quando si ricama una rete di bugie, solitamente il tempo gioca di contro battuta, rendendola così intricata da confondere persino l'artefice dell'intreccio. Soprattutto se questo possiede la concentrazione di un canarino in letargo, c'è da specificare.

Lei e Chat avevano sì parlato dei kwami e di alcuni particolari sulla trasformazione ( cose che lei fingeva di non conoscere affatto), peccato che non fossero mai entrati nel dettaglio sulla storia dei Miraculous.

Doveva prestare più attenzione alla sua boccaccia.

<< Nient'altro. La traccia più antica appartiene al tempo dei faraoni, ma nulla di più >>
<< Hatshepsut, giusto ? >> rimarcò chiudendo il libro sotto le sue unghie affilate.

<< Partiamo da lei >>

La giovane lo interruppe suo malincuore << Non è così facile. Dopo la sua caduta ha subito la pena della damnatio memoriae >>

Chat non sembrava capire molto dei discorsi storici che Marinette stava portando avanti. Beh, dopotutto le piaceva almeno tanto quanto l'arte, perciò non le pesava buttarsi a capofitto nella lettura di qualche romanzo complicato.

<< La damnatio memoriae è un termine latino, ma risale a molto prima. Consisteva nella totale e dissacrante cancellazione della persona. Tutto veniva capillarmente insabbiato e dimenticato: dalle opere pubbliche, alle banali incisioni, o piccole testimonianze di poco conto. I condannati venivano semplicemente fatti sparire dalla realtà, come se non fossero mai esistiti >>

Chat rimase piacevolmente interdetto ed un pizzico ammaliato dalle conoscenze della partner.  << Geniale >> le disse.

Marinette cacciò fuori una smorfia smagliante, percorrendo la fila di libri per arrivare all'antico Egitto.
<< Lo dici come se fossi sorpreso >>

I loro sguardi si incontrarono fugacemente,  in un istante di completa sintonia, per poi riprendere con la ricerca del fantomatico libro perduto. Erano complici e coordinati, ma allo stesso tempo, sentiva Marinette, quasi attratti dalla diversità dell'altro.

Sfogliarono pagine e pagine di libri per un tempo infinito, studiando praticamente tutta la storia dell'Egitto nell'arco di tre ore e mezza. Seduti con la schiena premuta sulla parete libera e illuminati dalla misera lampadina che rendeva visibile quell'area sperduta della biblioteca, appresero una quantità di informazioni aberranti. 
Le dita di Marinette correvano veloci sulla carta vecchia, di quelle profumate e al tatto ruvide, ormai guidate dalla semplice meccanicità che quel gesto aveva generato. 

Qualche volta si lasciava distrarre però, catturata con la coda dell'occhio dal profilo di Chat Noir. Era frustrante sapere che i Miraculous dovessero camuffare i tratti impedendo alle persone di riconoscere i loro proprietari. Chiaro, salvaguardavano le vite umane così facendo, ma l'ignoranza di non sapere chi si celasse dietro la maschera diventava logorante se ci si  rifletteva troppo. 

Poteva essere chiunque e nessuno, in fin dei conti. 

Verso l'ora di pranzo iniziarono i primi sbadigli. Marinette stava cedendo lentamente al sonno che la richiamava da oltre una settimana. 

<< Marinette... dovresti riposare. Posso finire io qui. >> 

La ragazza sussultò riappropriandosi dell'elasticità sensoriale << Non se ne parla. Mi hai chiesto aiuto e così sarà. >>
 
In realtà dietro quella dura risposta si celava un grande orgoglio, mescolato con un senso del dovere al limite del sano. Detestava farsi aiutare, mostrare i punti vacillanti del suo carattere. Da quando era diventata Ladybug aveva acquisito una nuova consapevolezza di se stessa, che in parte era riuscita a proiettarsi persino nella vita di tutti i giorni. Non si faceva mettere i piedi in testa dai bulletti all'Accademia, né si preoccupava delle malelingue divulgate da Chloè. 
I superpoteri non l'avevano cambiata, solo aperta a se stessa. Erano stati l'interruttore capace di accenderla anche priva della maschera. Beh, quanto meno quando si trattava di situazioni logicamente risolvibili. 

I sentimenti? Ancora doveva fare parecchia strada. 

<< È la terza volta che ti addormenti sui libri. Vai a casa, purrr- favor >> obiettò ancora Chat, in ansia per la sua salute. Marinette sapeva che il suo non era un tentativo maschilista e superiore di evidenziare le proprie debolezze, anzi, si era dimostrato più che premuroso e preoccupato per la sua salute. 

Malgrado ciò, l'ammettere una sconfitta, soprattutto quando l'unica cosa che poteva fare da umana era impiegare l'intelletto, feriva talmente tanto il suo orgoglio da impedirle di accettare una proposta così allettante. E le sue palpebre desideravano avidamente chiudersi in un sonno profondo, tant'è che l'intero corpo ne veniva attratto. 

<< Abbiamo un patto, kitty cat. Devo farlo, caso chiuso >> 

Il gatto, però, abbassò il libro dal muso della ragazza, guardandola finalmente negli occhi. Ora, si disse Marinette, non si era sentita mai più sveglia. 

<< Caso chiuso? Non essere meow-sochista, Marinette. L'orgoglio non c'entra niente, devi riposarti perché la prossima volta potresti stare addirittura peggio >> canzonò lui.

<< Sto benone. Potrei durare così per ore >> incalzò di getto.

"Bugiarda."

Non si ricordava più dove fosse arrivata a quel punto, era tutto troppo confuso e denso di dettagli che ogni singola pagina pareva la fotocopia della precedente. 
<< C'è dell'altro, non è vero?>> 

Fece segno di no con la testa.

<< Non sei talmente autodistruttiva >> continuò ignorando l'impazienza della giovane. Quando le mancava il riposo, l'ira le invadeva i pensieri in modo prepotente. 

<< Puoi essere solo tu l'incosciente ? Lasciami decidere Chat, va bene così >> 

<< È di questo che si tratta? Essere quella che si spinge oltre i limiti? >> 

Marinette posò il tomo a terra contenendo tutte le brutte parole che le ronzavano in testa. Lei non era così, lo capiva perfettamente. 
<< Mi sono espressa male. Non voglio crollare, ma ho fatto una promessa e mantengo sempre la parola data. >> 

Chat addolcì il tono, spostando la pila di libri che lo separava dalla ragazza per avvicinarsi un po' di più. Non aveva ostacoli, adesso. 

<< Anche se ti prendi un giorno di vacanza manterresti la parola data >> bisbigliò poi, trovandosi spalla a spalla con la giovane. 

Questa mise le mani tra le ciocche blu scure, cresciute fin sotto il seno dopo anni di sacrifici, prendendo seriamente in considerazione la sua proposta. 
Peccato che ci fosse ancora quel tarlo a corromperle il buon senso. Il parassita dell'impotenza e della temuta inettitudine. 

<< Se ... >> balbettò col viso nascosto dai capelli << Se non uso nemmeno il cervello, a cosa ti servo? A cosa? Sono completamente inutile >> 

Chat le accarezzò il capo, infilando una ciocca che le copriva il volto dietro l'orecchio destro, così che potesse ascoltarlo a pieno. 

<< Non hai bisogno di un discorso motivazionale. E questo lo so perché sei abbastanza sveglia da capire che senza il tuo aiuto sarei stato spacciato. In più, sei anche abbastanza sveglia per prenderti una pausa. Domani potrai bastonarmi al solito, promesso >>.
Marinette si sentì mancare il respiro. 

Non l'aveva mai visto sotto quella luce calda e premurosa. Ultimamente le persone stavano mettendo seriamente in dubbio tutto quello che la ragazza credeva di sapere al loro riguardo. 

<< Non lo dici perché muori dalla voglia di vedere il mio "pigiamino"? >> 

Chat ritrasse la mano, fingendo di rifletterci sopra << Mentirei se ti dicessi che non ci ho pensato >>

In un battibaleno, la giovane s'alzò da terra, rischiando uno sbandamento serio per colpa della troppa impetuosità. 
Le bastò un semplice sguardo severo per ricordare a Chat i termini dell'accordo. 
Averlo attorno era un balsamo per l'anima, ma la sua presenza rischiava sempre di attirare folla e nemici verso una fanciulla che poteva mostrarsi solo umana in quelle circostanze. E poi c'era anche il problema della sintonia: di quel passo, Marinette avrebbe rivelato a Chat persino la sua folle cotta per Adrien. Se prima non si fosse invaghita del supereroe stesso.

<< La lista, sì principessa, me la ricordo. Tornatene a casa Marinette, altrimenti la tentazione di seguirti potrebbe sopra valere > 

A modo suo si considerava piuttosto protettiva nei confronti del gatto. Le dispiaceva lasciarlo con una mole di lavoro così pesante da gestire, soprattutto vestito con quella tuta anti traspirante e scomoda. Ritrasformarsi era infattibile considerando le telecamere che monitoravano gli ingressi. Cosa avrebbero detto gli assistenti vedendo qualcuno uscire dalla biblioteca pur non essendoci mai entrato?

<< Qualsiasi cosa, hai il mio numero >> gli sottolineò, sventolando una mano in segno di saluto << Ma non scrivermi tutte le idiozie che ti passano in mente. Sii coinciso >> precisò poi.

<< Peccato, avevo preparato un monologo sulla brillantezza dei miei capelli apposta per te! >>
 
 

Quando Marinette riuscì ad raggiungere il suo quartiere, trascinata dall’inerzia ed una grande forza di volontà, non poteva minimamente immaginare di dover assistere ad una scena tanto bizzarra: seduti su una panchina nel vicino viale, parlavano il Maestro Fu e – udite, udite – Mr. Loschezza in persona. Finn non sembrava prestare molta attenzione alle parole del maestro, anzi, occupava il tempo a modificare il suo aspetto fisico sparando pose strategiche. Marinette arrestò il suo passo immediatamente, fiondandosi dietro il primo tronco disponibile.

Non avrebbe mai sentito il contenuto della conversazione da quella distanza, eppure le condizioni espresse parevano suggerire un incontro non troppo amichevole tra persone con un affaraccio in sospeso. La giovane sospettava di un tipo come Finn, ma il Maestro ? Come facevano a conoscersi? Le si rizzarono le antenne da coccinella al solo pensiero.

Fu così che il suo senso di irrefrenabile curiosità ebbe la meglio sull’agognato sonno, impedendole ancora una volta di raggiungere la destinazione iniziale.
Cosa nascondevano quei due?

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Capitolo 8
*** Too cold ***






T
oo Cold.
 
 
 
 
Un leggero fruscio pungente, di quelli provenienti dall'area scandinava, accarezzava il volto disteso di Adrien, il quale osservava beatamente l'alba dal balcone di villa Agreste. Indossava una mera camicia di flanella imbevuta del profumo che aveva sponsorizzato pochi giorni prima, godendosi il sorgere del sole come un meraviglioso spettacolo teatrale in procinto di spalancare il sipario. 
La vista da lì era magnifica: spicchi di raggi si infiltravano dappertutto, generando complicate alternanze d'ombra e luce che parevano frutto di un dipinto impressionista. Assistere ad un evento tanto semplice quanto unico nel suo genere lo faceva sentire privilegiato in un certo senso. Come se tutto il mondo fosse la finestra di casa sua e d'un tratto Adrien potesse perlustrarlo senza problemi.
Non aveva freddo, né fretta di liberarsene. 
Veniva cullato dal vento, trascinato, sbandante, verso qualche posto che la sua mente stava vibratamente plasmando.
La magia diffusa dalla Tour Eiffel e le sue maglie di ferro ripagavano di tutti i brividi causati dalle bassissime temperature. 
Calmo e rilassato, Adrien realizzò lentamente che l'indomani avrebbe dovuto partecipare al banchetto organizzato dal padre in vista della nuova collezione primaverile. Una di quelle feste lussuose alla quale non tutti potevano permettersi di parteciparvi, non almeno durante la notte di Natale. Una decisione non troppo scioccante , secondo Adrien, dato che a Gabriel Agreste non importava affatto del Natale, né di qualsiasi cosa riguardante la vita di altre persone che non orbitassero attorno il suo gigantesco ego di plastica.
Era semplicemente non curante. Perdeva di vista i piccoli dettagli che mano a mano s’accumulavano formando pile sempre più fitte e alte.
 
Le preparazioni delle feste firmate "Agreste" poi, erano veri e propri simposi, perciò imponevano una programmazione ferrea e assolutamente impeccabile che aboliva le ferie ai propri sottoposti. 
Oggi tutto il mondo festeggiava insieme ai propri cari sotto il vischio, mentre la cucina scoppiettava di rumori buffi e la tavola profumava di sapori agrodolci, magari accompagnati da qualche aneddoto ripetuto costantemente durante l’intero periodo natalizio. 
Possibile che Adrien non conoscesse più il sapore di quella felicità? La spensieratezza, dov’era? Le luci, i canti, persino quella stupida chitarrina che da piccolo suonava ad oltranza svegliando l’intero vicinato… che fine avevano fatto?
Distratto dalle polemiche che quelle riflessioni avevano scatenato, si accorse solo in un secondo momento della presenza del suo piccolo amico volante. 
Svegliato probabilmente dal chiasso del piano sottostante, Plagg sembrava reduce di una serata all'insegna dell'alcol, sbadigliando rumorosamente e fluttuando nell'aria in modo discontinuo.
<< Tutto bene amico? >>
Adrien si era permesso di rompere quell'innaturale armonia pronunciando parole amare. Una richiesta di risposta che di prima mattina rischiava di tramutarsi in una scena d'isterismo coi fiocchi. 
D'altronde di mattina non si è disposti ad abbandonare il torpore facilmente, soprattutto se strappati con forza da esso a causa di rumoracci stridenti.
Plagg sbatté le palpebre vigorosamente << Tutto BENE AMICO?! Quelle teste vuote qui sotto non fanno altro che disturbare il mio sonno di bellezza, braccando l'ingresso per la cucina! >> vaneggiò in tono ora supplichevole << Capisci? Comprendi? Adrien, non posso stare senza mangiare! >> 
 
Il ragazzo frugò nelle tasche della tuta, trovando una caramella alla frutta che fece rapidamente borbottare lo stomaco del kwami. Prese a sventolarla sotto il naso del piccolo, desideroso Plagg, il cui olfatto sviluppato tendeva a trascinarlo verso la carta brillante che avvolgeva la caramella. 
Lo aveva praticamente in pugno, ormai. 
 
<< Dimmi Plagg, vuoi mangiare?>> 
 
Era una domanda talmente retorica e subdola che quasi Adrien si complimentò con se stesso. Mentre il kwami pareva ignorare le intenzioni reali del proprietario, annuendo energicamente con insistenza, Adrien affilava gli artigli e l'astuzia. 
 
<< Bene, allora sarebbe proprio un peccato se io gettassi via questa succosa caramella alla frutta... non è così ?>> 
 
Continuava a sfruttare quello stratagemma impiegando tecniche di ipnosi sublimi. 
Peccato che Plagg fosse un gatto vecchio miliardi di anni, prima di diventare un divoratore convulsivo di formaggi e dolci fatti in casa. 
 
<< Non ti dirò nulla dei Miraculous. È inutile provare ad ingannare l'ingannatore>> 
 
Adrien sbuffò di conseguenza, stringendo in un pugno l'arma del ricatto. Non aveva trovato uno straccio di informazione durante le scappatelle in biblioteca, e l'unica soluzione disponibile sembrava dover spillare qualche dettaglio dall'incuranza del proprio kwami. 
Marinette sembrava nelle sue stesse condizioni. Che anche il suo kwami si rifiutasse di darle una mano?
 
<< Ma perché ? Sai che potremmo concludere questa faccenda molto prima se tu ci dicessi qualcosa!>> si lamentò di tutta risposta. Era arcistufo della sua ignoranza in merito. 
Plagg si leccò i baffi, silenziando il morso della fame << Non ci è permesso! Quante volte ancora te lo devo ripetere? E poi cos'è questa storia tra te e Ladybug ? Non avevi detto che era sparita da settimane?>> 
Già, lo era. Eccome se lo era. Così come il suo appetito e la voglia di rimanere confinato entro quelle quattro mura opprimenti.
<< Sai che ho firmato un patto con Marinette >> ribatté lui, sorridendo leggermente al pensiero della ragazza. Per lui stava diventando una sorta di calmante istantaneo: afferrava quel sentimento, quella luce, e la custodiva nel petto tirandola fuori quando si sentiva perso.
Plagg alzò gli occhi al cielo con fare esausto << Ah, giusto. Sei convinto sia Ladybug, come dimenticarselo! E Marinette qua, e Marinette là... >> 
Adrien lo interruppe divertito << Lei è Ladybug, non ci sono dubbi >> 
La sicurezza che aveva mostrato non fece altro che accrescere il panico nella ossa fragili del piccolo kwami. 
<< Sai su cos'altro non dovresti dubitare? >> svolazzò paonazzo << Sul fatto che mi stia autodigerendo! HO F-A-M-E! >>
 
Qualche broncio supplichevole, accompagnato da una serie infinita di borbottii elettrici, convinse il ragazzo a trovargli qualcosa di più sostanzioso della semplice caramella. Per quanto desiderasse cavargli informazioni, era chiaro come il sole che non gli avrebbe detto una singola parola.
Anche quando divorava le fette di Bree che Adrien era riuscito a trovare nel frigo, non si degnava di dargli una risposta.
Così il ragazzo lo osservava masticare avidamente il suo pasto, accoccolato sul materasso soffice del divano ad angolo che precedeva il gigantesco televisore al plasma HD. La sua stanza era l'unica della villa sopravvissuta al chiasso perpetuo delle stagiste, che scorrazzavano indaffarate manco stessero pianificando qualche gran ballo reale. 
 
In quel momento Adrien ripensò ai veri Natali passati in famiglia, quelli in compagnia  della madre e dei cuginetti sparsi per mezzo globo. La signora Agreste era solita discorrere con tutti amorevolmente, sentendosi a suo agio persino in mezzo a totali sconosciuti. Possedeva questa strana abilità di rendersi gradevole a pelle, strappando un sorriso persino a quel burbero del padre. Senza contare che fosse incredibilmente portata per le lingue, dunque le veniva abbastanza bene conversare con chiunque si trovasse nei paraggi. Adrien la vedeva lì, seduta, proprio accanto il suo divano, mentre lo osservava pensare ed immaginare vecchi ricordi ammuffiti.
 
Non erano state mai serate all'insegna della noia, del dovere, piuttosto grandi banchetti celebrati con lo scopo di divertire e stupire. L'unica cosa che stupiva il piccolo Adrien, a quanto ricordava,  era la sua mancanza di virtù e coraggio paragonato alla virtuosità della madre, la quale animava le feste solo entrando in scena. 
Ora che il grande Adrien si trovava costantemente sotto la luce dei riflettori, non invidiava più tanto i talenti della madre. E sebbene detestasse quella totale privazione di spazio personale, odiava ancora di più l'eventualità di passare un altro Natale circondato da estranei e un piatto freddo di poltiglia "alla moda". 
Certe volte gli mancava così tanto che non poteva evitare di sfogliare i vecchi album di famiglia riposti sulle mensole alte. Era un'arma a doppio taglio quella: da una parte curava momentaneamente la nostalgia dirompente, dall'altra finiva per condannarlo ad una depressione insormontabile. 
Quando la malinconia dei vecchi tempi sembrò catturarlo permanentemente tra le sue grinfie, il telefonino che teneva nella tasca dei jeans prese a vibrare con veemenza. Adrien afferrò il dispositivo, guardando il nome del disturbatore sullo schermo del cellulare: Marinette. 
Ok, le soluzioni potevano articolarsi in due interpretazioni differenti: o Marinette aveva bevuto pesantemente, oppure quello era il secondo telefono che Adrien aveva comprato esclusivamente per il suo alter ego. 
Optò per la seconda opzione, quando cercò le parole esatte per salutare propriamente la ragazza. 
 
<< Vedo che non hai perso l'abitudine di dormire poco ... >> disse Adrien, notando con la coda dell'occhio un Plagg più che disgustato. Addirittura gli faceva il verso e simulava le sue - a detta del kwami - patetiche espressioni facciali da pesce lesso innamorato. 
 
<< Vedo che sei spiritoso già di prima mattina! Giornata allegra? >> 
 
Sentire la sua voce gli fece immediatamente galoppare il cuore a mille.
“Cristo, sembro un ragazzino iperattivo” si continuava a ripetere tenacemente.
Più che allegra, la sua giornata si presentava come una lenta e peggiorativa decadenza interminabile. 
Sospirò un momento, con l'intento di concentrare l'aria nei polmoni e sgomberare la negatività. Lui era Chat Noir, non poteva farsi annebbiare dal nero.
<< A cosa devo questa piacevole chiamata? Bontà natalizia ? >> 
<< Non mi pare ti sia comportato bene, kitty, ma sorvoliamo. Ho una pista, più o meno >> 
 
Adrien sgranò gli occhi. 
 
<< Come hai ...? >> 
 
La voce di Marinette lo interruppe immediatamente << Storia lunga. Vediamoci da qualche parte e ti spiegherò tutto >> 
 
<< Fai la misteriosa adesso? >> 
 
Il silenzio infastidito dall'altra parte della cornetta lo spinse a dire qualcos'altro per rimediare. 
 
<< Casa è libera? I tuoi dovrebbero essere rientrati >> 
 
Forse detto ad una normale compagna di classe con lo stesso tono malizioso, questa avrebbe reagito più che scandalizzata. Un’oscenità, penserete, domandare di poter incontrare la propria cotta senza la costante paura dell’allarme genitoriale, tuttavia abbastanza verosimile. Non che fosse una richiesta veramente di quel genere, però ad Adrien piaceva pensare che fosse così. Solo per un singolo istante gli era concesso di potersi beare di una fantastica ragazza che non lo vedeva solo attraverso i cartelloni giganti appesi per tutta Parigi?
 
<< I miei non torneranno a Natale. I voli sono stati soppressi a causa di una tempesta di neve >> ribatté in tono secco e comprensibilmente dispiaciuto.
 
Così anche Marinette avrebbe passato le festività da sola proprio come lui – si disse sconsolato – con la differenza che lui desiderava volontariamente isolarsi da quel mondo di tessuti e finti sorrisi.
 
<< Ci vediamo nella pasticceria fra mezz'ora. Vedi di arrivare puntuale >> 
 
Categorica e precisa come un orologio svizzero, era questa la sua Ladybug. Quasi gli faceva venir voglia di riconsiderare il Natale. 
 
 
 



***


 
 
 
Arrivare nella pasticceria Dupain-Chang era stata la cosa più complicata che Adrien avesse mai fatto. Non tanto per l'accortezza di rimanere nell'ombra, o le condense di ghiaccio che rendevano scivolosi i tetti dove era solito zompare, quanto per le persone che incontrava con lo sguardo ogni qual volta superava un nuovo vicoletto. 
Bambini, famiglie, persino anziani che passeggiavano in compagnia, riempiendo il giorno di un non so che di magico.
Ad Adrien mancava quella magia. 
Perciò la traversata che normalmente gli avrebbe impiegato cinque minuti, riuscì a trattenerlo più del dovuto, intrappolandolo in qualche nebbia di vecchi ricordi polverosi. 
Malgrado la mancata attenzione, raggiunse in orario l'ingresso della pasticceria, ed incappucciato come un ladro in cerca di guai, fu accolto da una furtiva Marinette. Questa lo spinse dentro accertandosi che nessuno potesse vederli o sospettare qualcosa, chiudendo persino il locale nel momento stesso in cui vi mise piede. 
 
Quegli incontri clandestini sembravano sempre più una lotta contro l'invisibile: armati di santa pazienza, arrangiavano qualsiasi appuntamento con l'accuratezza di veri professionisti. Persino Nino e Alya ( da sempre famosi per il loro fare impiccione ) erano stati esclusi brillantemente da qualsiasi collegamento.
 
Adrien notò che sul lungo bancone spoglio stagliava un unico piatto con alcuni cioccolatini glassati al pistacchio. Se non fosse stato per quell'unico tocco di colore, l'intero locale pareva intrappolato in un film muto dalle tinte spente. 
Indicando il piatto, Chat Noir si voltò verso Marinette << È per me ? >> 
 
La ragazza lo fissò, infilandosi il mazzo di chiavi nella tasca << No, per il fioraio qui accanto. >>
 
Indossava una maschera di ghiaccio per essere una fanciulla prettamente elettrica. La serietà che palesava il suo volto, tuttavia, si frantumò non appena incontrò lo sguardo ombrato del gatto.
 
<< Ti sto prendendo in giro! Avanti, dimmi com’è …  >> 
 
L'entusiasmo con cui ancora provava ad indovinare i gusti segreti del ragazzo rendeva quella degustazione più speciale del solito. Erano settimane che gli proponeva piatti su piatti, fallendo miseramente ogni volta. Non che fossero cattivi, ma non erano i suoi preferiti.
Adrien assaporò il cioccolatino avidamente, guardando negli occhi Marinette solo dopo aver finito definitivamente.
Era evidente che avesse riconosciuto la sua tipica espressione del "ritenta e sarai più fortunato", non appena le avesse indirizzato quello sguardo così comunicativo. 
 
<< Dannazione. Cosa ci mangi con quel cavolo di cioccolato!? Le sardine!? >> sbuffò Marinette, masticando anch'essa qualche morso di pistacchio. 
Vestiva con un maglione molto natalizio, di quelli morbidi al tatto e dai disegni in tema, che a causa dell'estrema lunghezza portava praticamente come vestito. 
Chat Noir stava decisamente rivalutando le feste. 
 
<< Non diciamo blasfemie. Sarebbe come l'ananas sulla pizza! Non scherziamo con queste cose >> 
Marinette gettò il piatto nel cestino, posando entrambi i gomiti sulla superficie pulita del bancone. << Di sicuro più invitante della serata che mi toccherà passare. In completa fusione con la televisione, davvero rassicurante >>
 
<< Potrai fare quelle che ti pare! Non ti pare purrr-fetto? >> 
Era quello che faceva sempre lui, dopotutto. Ma davvero lo considerava piacevole come decantava?
La ragazza prese a picchiettare le dita contro il bancone, suscitando in Adrien la voglia invadente di capire cosa frullasse per la sua testolina blu. 
<< Ah certo, non fare niente è molto invitante. >> 
Chiaro, per quanto non lo desse visibilmente a vedere, l'assenza accidentale dei genitori l'aveva abbastanza abbattuta. 
<< Non hai nessuno qui a Parigi? >> 
 
Le parole gli erano scappate prima che potesse frenarle. Il problema di quella domanda stava nelle clausole del patto, che limitavano qualsivoglia tipo di conoscenza approfondita. Dovevano rimanere individui distinti, complici, ma emotivamente lontani. 
Peccato che ultimamente il suo autocontrollo stesse perdendo colpi. 
Allora Marinette fece per dire qualcosa, però si morse il labbro anticipando l'azione della lingua. Il suo volto regolare, dolce, incorniciato da una cascata di capelli ora legati disordinatamente in una treccia, stava diventando paonazzo e agitato. 
Adrien non era intenzionato a metterla in crisi, sebbene avesse involontariamente violato uno dei paletti del contratto.
<< Nemmeno io festeggerò il Natale, se può consolarti >> 
Se prima si trovava con la schiena premuta sul bancone a guardare le tende pastello  coprenti gli infissi bianchi delle finestre, adesso aveva rivolto la sua attenzione alle mani di Marinette, che giocavano ancora con gli anelli compiendo movimenti eleganti e riflessivi. 
Erano sporche di gessetti colorati e pittura acrilica. Ciò significava che prima del loro incontro era stata colta da un attacco d'arte fulmineo, di quelli che raramente la investivano durante le lezioni all'accademia. Sul perché si fosse impegnata a disegnare praticamente durante le prime luci del mattino, non aveva trovato risposta plausibilmente verosimile.
 
<< Mio padre è occupato al lavoro, ed il resto della famiglia ha inventato scuse abbastanza idiote per non venire. >> disse ancora, cercando di mantenere un tono freddo.
 
Era stato molto furbo da parte sua rimediare al danno fornendo informazioni sulla sua persona. D'altronde il patto non diceva assolutamente riguardo i dati personali del ragazzo, probabilmente perché si dava per scontato che un supereroe ci tenesse a mantenere la sua identità segreta. 
Peccato che Adrien avesse il dono della totale e irrefrenabile incoscienza. Era un po' come quei gattini appena nati che, malgrado gli ammonimenti, si aggiravano senza paura sporcando tutta casa con la sabbietta della lettiera.
Marinette continuava ad osservare il duro materiale imperterrita << I tuoi sono separati ? >> 
 
Il ragazzo sorrise. Tutto ciò che aveva aspettato, che aveva sperato di fare, ruotava attorno quella piccola domanda innocente. Poteva sentire il suo cuore applaudire per la grande idea, quella di trascinare nella suo dolore anche un’altra persona. Sapeva che non era corretto, che lui poteva bastare per saziare la tristezza, ma proprio non ce la faceva ad affrontarla da solo.
Un semplice e delicato sorrisetto a denti stretti gli rigò le labbra, lasciando intravedere leggermente i canini aguzzi. Quel tanto sufficiente a strappare Marinette dalla sua glaciale ipnosi. 
<< Magari! >> sbadigliò poi, sedendosi con un balzo sulla superficie del bancone << L'avrei ancora qui con me >> 
 
***
 
 
 
Un senso di nausea disgustosa serpeggiava nello stomaco sottosopra della ragazza, la quale si sentiva intrappolata in qualche macabro universo alternativo dove tutto il suo tatto era andato a farsi friggere letteralmente. 
Benché avesse frequentato quel gattaccio per oltre due anni nei panni di Ladybug, ed ultimamente persino da tenera Marinette, nulla l'aveva preparata ad una simile scoperta. Questo la face dubitare sulla profondità del loro rapporto.
Come aveva fatto ad ignorare una ferita tanto grave? Era corretto definirsi partner sebbene conoscessero a stento gli scheletri dei propri armadi? 
Si domandò quanta sofferenza avesse patito in silenzio e quanta soffocato sotto amabile sarcasmo. 
“Sono una stupida. Una cretina totale
Forse poteva ancora rimediare, e per una buona volta lasciar intravedere uno spicchio di se stessa che custodiva celato a tutti. Non doveva per forza mettere a nudo ogni cosa, non ne era emotivamente pronta, ma sentiva di doverglielo. Dopo tutto quel tempo non poteva fingere di ignorare un legame sempre più ingarbugliato attorno al cuore.
 
<< Sai perché i miei partono ogni Natale? >> sospirò retorica Marinette. 
Chat non rispose affermativamente, come da copione. 
 
<< Mia mamma è nata da madre canadese e padre cinese, perciò ha vissuto tutta l'infanzia in un paesino vicino Pechino. Non avevano molto, e quando la nonna è morta di polmonite, lei fu spedita in Francia a studiare la lingua. Il nonno non si è mai spostato da allora, per cui non ci vediamo granché, però ogni 23 Dicembre celebrano l'anniversario di morte in pieno stile cinese... >> 
 
Mentre raccontava quello che a lei era sempre stato detto come una favola, le brillarono gli occhi di un sentimento strano, incomprensibile. 
Chat Noir la guardò intontito, addolorato e al contempo carico di affetto. Sembrava che la stesse conoscendo per la prima volta ancora e ancora. 
 
<< Non so cosa voglia dire perdere qualcuno di così importante, però lo vedo con mia madre e ti assicuro che per quanto tempo sia passato, sembra sempre angosciante quanto il primo giorno >> continuò, sfiorando consapevolmente la mano del partner << L'importante è che tu sappia di non essere solo. I miei dicono che siamo ciò che i nostri ricordi hanno fatto di noi, per cui sono sicura che tua madre sia con te in qualunque momento. >> 
C'era qualcosa in quel tocco che la mandò in totale confusione. Pareva aver appena sfondato un portone di marmo con la sola forza del pensiero, affondando le dita in un interminabile e piacevole mare di sentimenti inaspettati. Si sentiva ipocrita nell’approfittare della sua fragilità in quel modo, oppure era il senso di colpa a parlare?
La mano del ragazzo era affusolata, provata forse dalle continue battaglie, eppure si manteneva perfettamente delicata. I suoi occhi, invece, presero a condensarsi in colorazioni sempre più intense, tendenti al verde foresta con qualche pagliuzza dorata ad illuminargli il volto. 
"È così familiare " si disse immediatamente Marinette, osservandolo crogiolarsi in un momento di grande affettività. 
Le piaceva come le sue dita d'artista si compenetravano perfettamente nelle sue, c'era da ammetterlo. 
<< Quando la smetterai di fare tardi la notte? >>
La giovane sapeva che Chat avrebbe trovato una risposta in grado di evadere da quell'intimità a tratti spaventosa. Avrebbe lei stessa fatto lo stesso. 
 
<< Quando ci darai un taglio col sarcasmo, penso. Ergo... aspettati il peggio >> 
<< Cos'è tutta questa cattiveria? A Natale dovresti comportarti da brava ragazza >> replicò il gattaccio stuzzicandola un po', mentre sfiorava gli anelli che Marinette teneva sull'indice destro. Le pizzicava la pelle, la stessa pelle che avvolgeva un turbine di pensieri come una pellicola aderente.
<< Questa cattiva ragazza ha appena scoperto un paio di cosucce interessanti, se ti può importare ... >> s’affrettò ad aggiungere, cercando di ignorare le spinte di calore che le si ammassavano attorno le gote.
Chat rimase interdetto. 
<< Quanto è grave ? >> 
<< Oh, non ne hai idea >>
 
 
Marinette scivolò oltre il bancone, frugando tra i cassetti dove solitamente tenevano i set da tea più pregiati del servizio. Aveva nascosto un mazzetto di fotografie sparse, di quelle stampate alla meno peggio tramite il computer di casa sua che mancavano persino del colore originario.
Diciamo che la sua stampante non aveva voglia di lavorare, né tantomeno Marinette di mettersi a cercare un negozio che vendesse cartucce il giorno di Natale. 
Va bene che sarebbe rimasta da sola, però ogni cosa aveva il suo limite. 
Con uno scatto richiuse il cassetto, facendo traballare un po' le assi della mensola a muro che reggevano le varie alzate da portata e quadretti asimmetrici. 
Conseguentemente le posizionò l'una accanto all'altra sul bancone, in modo tale da renderle riconoscibili anche al partner. La reazione di Chat Noir fu immediata: sgranò le pupille, arrabbiato, per poi afferrarne una ed osservarla in cagnesco. 
Marinette non si aspettava tanto astio.
Evidentemente Chat Noir conosceva bene entrambi gli individui catturati nelle foto, e palesemente non gli andava proprio giù quello che stava sfilando sotto i suoi occhi. Un'ipotesi del genere – si disse Marinette - implicava che sotto la maschera nera si celasse qualcuno che lei stessa, magari anche indirettamente, conosceva. 
Oppure c'era sempre quell'1% di probabilità ( da lei ripudiato ) che Chat fosse proprio la persona ritratta nelle fotografie. 
 
<< Il maestro Fu alcuni anni fa, mentre inaugurava la sua palestra >> indicò  l'omino orientale che sorrideva beatamente. Chat le aveva parlato blandamente di un certo maestro Fu, per cui indagare su di lui le era sembrato meno sospetto di quanto potesse sembrare. Ultimamente doveva andarci calma con la sua identità segreta.  
<< Non riesco a riconoscere proprio tutti gli invitati... però uno di questi continua spiacevolmente a ronzarmi attorno >> continuò indicando un altro volto più giovane. Era bello, sorridente ed incredibilmente cosciente del suo magnetismo.
Chat non si soffermò su di lui come fece Marinette, anzi, sistemò le fotografie in un mazzetto ordinato, adottando un atteggiamento quasi trattenuto e diffidente.
Non le piacque per niente quella sensazione di latente menzogna. 
Era vero che nascondendo le proprie identità non facevano altro che mentirsi di continuo, però questa volta era diverso. 
Tecnicamente firmando quel patto avevano acconsentito a dirsi quanto meno i dettagli essenziali alla ricerca. Se Chat faceva ostruzionismo in qualche modo, la situazione non poteva prendere una piega proprio piacevole. 
<< Conosci Finn. >> disse la ragazza, senza alcun accenno di domanda. La sua era una diretta osservazione basata sulla reazione del partner. 
 
Chat Noir annuì << Non capisco che ci faccia con Fu. È un tipo pericoloso >> 
 
<< Qualche giorno fa li ho visti discutere in piazza, così mi sono rimboccata per trovare queste foto. Non chiedere come ci sia riuscita >> 
Effettivamente le costava caro ammettere di essere andata al municipio esclusivamente per cercare i vecchi articoli di giornale con l'obiettivo di spiare l'unica persona che avrebbe voluto evitare. Si sentiva una stalker coi fiocchi. 
<< Mhh ... è sicuramente coinvolto nella storia dei Miraculous. Dovrò investigare al riguardo >> asserì Chat Noir, riluttante. 
Marinette rettificò << Dovremo investigare. Questa faccenda mi puzza di bruciato >> 
Chat Noir ridacchiò ironico, fingendo un falso sorriso. 
 
<< Feeerma principessa. Niente azione, ricordi? Lascia che me ne occupi io. >> 
 
La giovane si era lasciata talmente tanto coinvolgere dalla faccenda, che quasi dimenticava le clausole del patto che lei stessa aveva redatto. 
 
<< Potrei essere veramente d'aiuto in questo caso. Lo "conosco" dopotutto, non sarebbe difficile avvicinarmi >> 
 
Chiaramente l'eventualità di legare con quel teppistello giovava a Chat ancor di meno che alla diretta interessata. Non lo infastidiva solamente, ne era disgustato. 
 
<< Marinette, se non ti conoscessi abbastanza bene, direi che non stai pensando di agire sotto copertura. Peccato che tu sia un'incosciente certe volte, almeno tanto quanto me, quindi ti chiedo di lasciar stare. Quel tipo porta solo guai, non è il caso tu rimanga coinvolta >> 
 
Le parole uscirono dalle orecchie della giovane così come erano entrate: in un fruscio incomprensibile che preferì ignorare. 
L'unica cosa che prendeva a ronzarle in testa era la possibilità di trovarsi vicina alla soluzione dell'enigma. E poi c'era sempre quel tarlo in testa che continuava a giocare con la sua confusione mentale, rendendole il divieto un modo per evadere dalla gabbia. Che quello fosse una sorta di ammonimento dettato non solo dalle premure, ma anche contenente un pizzico di gelosia? 
 
<< Ok, va bene >> 
Chat la guardò interdetto << Va bene? >>
 
<< Sarei incoerente altrimenti, non ti pare? Però se il tuo piano fallisce, si fa a modo mio. Andata ?>> 
 
Gli mostrò una mano per suggellare il patto, sicura di doverlo eventualmente rompere. Non tanto nei panni di Marinette, perché effettivamente Finn poteva rivelarsi abbastanza pericoloso, piuttosto in quelli di una super eroina esperta e furtiva.  Probabilmente Tikki l'avrebbe sgridata urlando a squarciagola qualche ammonimento riguardo la sua incoscienza. 
 
<< Mhh, non la smetterai se non cedo?>>
 
La smorfia che le si disegnò sulle labbra fu sufficiente come risposta. 
 
<< Tra un paio di giorni ci aggiorneremo sul da farsi. Non ti cacciare nei guai >> 
 
Strabuzzando le palpebre come una dannata, Marinette si indicò il petto << Io? Sono sempre stata io quella responsabile tra i due !>>
 
L'aria calda che sbuffava dalle stufette elettriche a muro le appannò la vista per qualche istante, impedendole di studiarsi un piano di riserva capace di sistemare i danni che la sua boccaccia aveva provocato. 
Si era bellamente tradita. 
Se Chat avesse colto quell'ennesima allusione correttamente, avrebbe potuto benissimo dire addio alla sua fantastica identità segreta. 
Il gatto si stiracchiò interamente sulla superficie del bancone: pareva uno di quei micetti che si nascondono nelle scatole delle scarpe per poi venire riesumati dopo secoli. Sbadigliando si ritrovò addirittura steso supino su di esso, mentre Marinette sedeva sullo sgabello con le mani strette al petto. 
Sperava con tutto il cuore di non aver innescato un meccanismo autodistruttivo. 
Il profilo di Chat era impressionante, ora che prestava più attenzione alla sua figura. Se la magia dei Miraculous non le avesse impedito di riconoscerlo, avrebbe giurato di averlo già visto da qualche parte. 
D'altronde la sua voce vellutata le ricordava un qualcosa di estremamente familiare. 
 
<< Mi piace come ti sta la treccia >> disse poi, voltando il capo verso lo sguardo della ragazza. Questa non si irrigidì completamente, eppure le parole le morirono in bocca ancora prima di dare aria sufficiente. Era stato uno dei suoi rari commenti genuini e inaspettati che riuscivano sempre a spiazzarla.
Abituarla a pane e sarcasmo rendeva certe particolarità più speciali di quanto non sembrassero. 
 
<< Che c'è? >> domandò a denti stretti << Il gatto ti ha mangiato la lingua?>>
Marinette era talmente tanto raccapricciata da quella battuta tristemente pessima che le venne bene in mente di prendere carta e penna per appuntare qualche ingrediente da comprare in vista della riapertura stagionale. Non le piaceva fare i conti in casa, tuttavia le indicazioni materne erano state decisamente precise. 
 
<< Avanti! Non era così malvagia!>> ridacchiò Chat Noir, giocando col pennacchio colorato culminante la penna della giovane. Era un gattaccio molesto.
 
<< È Natale Chat, non farmi dire cose che non vorrei dire >> 
Il super eroe raggiunse la mano dell'artista scendendo lentamente verso il basso, finché le sue dita feline non incontrarono i palmi morbidi di Marinette. 
 
<< Che genere di "cose"? >> 
A Marinette mancò un battito netto.
"Strano" si disse, considerando che lo aveva sempre visto in modo del tutto indifferente. Quella reazione era tutt'altro che indifferente: sembrava quasi a disagio. Lei a disagio?
La stessa persona che l'aveva accolto a casa sua con il pigiama, medicandogli la schiena nuda centimetro dopo centimetro? Impossibile.
<< Scemo di un gatto >> ciancicò rifilandogli una frasetta fatta, una di quelle riservate esclusivamente come esche per camuffare il suo latente imbarazzo.
<< Tutti hanno bisogno di quell'amico idiota e meravigliosamente sarcastico che illumina le giornate con la sua sola presenza, non credi?>> 
 
<< L'unica cosa che riesci ad accendere è il mio istinto omicida >> replicò sulle sue, ripensando a quando, non molto tempo prima, aveva passato sulla sua schiena la lozione cicatrizzante. All’epoca era stato del tutto normale, quasi fraterno, ma se ora fosse stata obbligata a farlo nuovamente, certo non avrebbe potuto fermare le palpitazioni.
Marinette detestava essere adolescente.
Detestava quell’assurda debolezza sempre teatralizzata e spacciata come chissà quale disastro apocalittico. Odiava sentirsi esattamente come qualsiasi ragazza della sua età, soprattutto quando le frullavano in mente idee del genere.
Non sapeva etichettare ciò che sentiva, malgrado volesse solo imballarlo e gettarlo in qualche scatola in fondo al suo cervello. Perché ammetterlo era spaventoso e delicato. Poteva schiantarla contro un benedetto autocarro nel bel mezzo dell’autostrada, o affondarla con tutta la nave in lenta deriva verso il completo nulla.
<< E’ sempre bello poter sperare >> bisbigliò poi, prendendole la mano.
Marinette si sentì sul punto di poter esplodere dentro e fuori. Avrebbe voluto spingersi oltre e contemporaneamente cacciarlo senza alcun tipo di attaccamento sentimentale.
L’eventualità di lasciarlo andare, però, la feriva più di qualsiasi altro boccone amaro.
<< Spero tu possa passare un buon Natale, Chat >>
<< Lo spero anche io >>

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Capitolo 9
*** Azioni e reazioni ***










Azioni e reazioni






Ad ogni azione corrisponde una reazione.

E’ così che la fisica lavora, no?

Una molla tirata potrebbe deformarsi, così come i gli alisei potrebbero collidere a formare una tempesta. Una volta che accade, che il danno è fatto, riavvolgere il nastro e fingere che tutto sia passato non serve a niente. Marinette era abbastanza scarsa in fisica, ma la termodinamica l’aveva sempre affascinata. Forse quella costante immutabile, quel punto fisso nello spazio che delimita le reazioni, le dava la certezza che magari non tutte le cose sfuggono alla ragione, ma spesso dipendono esattamente da come si agisce.

Se per esempio quella mattina non avesse speso ore sotto la doccia, magari avrebbe avuto il tempo per scegliere qualcosa di carino con cui fare un giro. Non un look particolarmente elegante, ma sicuramente diverso dalla tuta che si era infilata nello zaino prima di uscire di casa.
E invece si era trovata a fissare qualche fogliaccia sparsa a terra nei pressi di un parchetto semi abbandonato vicino il quartiere residenziale. Era bagnata di pioggia, come del resto l’intera piazza, e puzzava di erba fresca, quella piena zeppa di insetticidi nauseabondi. Seduta a quattro di bastoni sentiva il peso del suo corpo fradicio gravare le condizioni della panchina, che gonfia d’acqua sopportava blandamente il peso del suo zainetto colorato.

Come si era cacciata in quella situazione? Non lo sapeva nemmeno lei, ma aveva una sua teoria.

Non una teoria fisica, non era la sua materia dopotutto, ma una essenzialmente psicologica.

Era iniziato alcuni giorni dopo Natale, quando i suoi le avevano concesso del tempo libero al di fuori della pasticceria di gestione familiare. Ovviamente la prima cosa che le era balzata in mente ( a parte organizzare una serata con Alya e qualche film deprimente ) era stata quella di fare qualche ricerca sul conto di Finn.
Aveva tentato invano di contattare il maestro Fu, ma apparentemente si trovava in qualche caverna thailandese a provare qualche diavoleria hipster per affrontare il suo stress interiore.

Traduzione: non voleva essere trovato, né figuriamoci parlare di segreti oscuri.

Sapeva che la biblioteca, o qualsiasi altra forma di comune indagine, non l’avrebbe portata da nessuna parte, perciò l’unica via d’uscita consisteva nell’analizzare a fondo la routine di quel criminale che abitava nella dimora del sindaco. Spiare un membro “onorabile” della famiglia politica più famosa di Francia le era costato fatica e ore su fogliacci per valutare qualsiasi contrattempo e passo falso, ma alla fine ce l’aveva fatta. Ladybug, violando la promessa fatta al proprio partner in crime, stava tenendo sott’occhio il suo target da un paio di giorni, verificando dove spendesse il suo tempo e cosa facesse per colmare tutte quelle ore di solitudine.
Fu folle scoprire che in realtà non ammazzava gattini sul ciglio della strada.

 Non faceva granché, a dirla tutta.

Se ne stava rintanato nella sua stanza a leggere e la maggior parte del tempo chiamava qualche gentile ragazza che chiaramente si faceva abbindolare con la scusa del romanticismo patetico. Ovvio, a loro non dispiaceva affatto e lui apprezzava di buon grado.
Se Marinette avesse potuto vomitare, sarebbe corsa via lontano da quella casa notti e notti prima della seconda settimana ufficiale di spionaggio. Durante quei tempi morti senza alcuna prova valida, lei e Chat si erano visti più volte tanto nei panni di Marinette, quanto in quelli di Ladybug. Papillon e i suoi servi cercavano come sempre di rovinare la quiete cittadina, però venendo sopraffatti dal duo più affiatato di Parigi.

Peccato che malgrado il lavoro scivolasse liscio, le ricerche non procedessero di un passo. Senza contare il fatto che Chat Noir stava decisamente iniziando a trattarla in modo più freddo nel momento in cui indossava quella stra benedetta maschera.

Assurdo a pensarlo, ma sentiva che il suo legame, quello tra Marinette e il super eroe,  potesse surclassare facilmente quello creatosi con la sua controparte eroica.

Era già accaduto, veramente. Solo che non le andava di pensarci su.
Non le andava di ammettere molte cose ultimamente.

Durante la seconda settimana di spionaggio le lezioni erano persino ricominciate, costringendola a dover frequentare Chloé e quel branco di idioti che si ostinava a definire compagni di classe. L’unica nota positiva era stare insieme con la sua banda di amici inseparabili, tuttavia anche lì la fortuna sembrava proprio volerle ridere in faccia. Alya e Nino non facevano altro che isolarsi, mentre Adrien spariva per intere ore facendo chissà cosa in compagnia di chissà chi.
Non che lei avesse il diritto di giudicarlo, ma le faceva comunque male. In più, quando riuscivano a frequentarsi, riusciva meramente a salutarlo e scambiarci due parole.
Marinette era stanca e sola.
Persino mentre sedeva sul tetto della villona di Chloé non poteva evitare di pensare a quanto si sentisse sola.
Tutte quelle ore, quei giorni, buttati nel cestino le montavano una rabbia deprimente e incontenibile. 
Possibile che non riuscisse a cavarsela persino nei panni di una supereroina ? 
Certe volte quando fissava le macchie nere che le chiazzavano il costume rosso fuoco poteva perdersi completamente nel buio, facendo sì che il colore dei pois le invadesse completamente le pupille ed i pensieri. 

Finn sembrava la sua identica copia al maschile, spalmato però su un letto di piume d'oca e con una fedina penale più che allarmante.  
Leggeva sempre lo stesso romanzo tutte le notti, accendendo l'abat-jour solo quando i domestici avvisavano l'arrivo della dormita obbligatoria. 
Se ne stava rintanato nel suo personale inferno a riempire i secondi nel modo meno produttivo possibile, incastrato in una stanza che possibilmente costava più dell'intero appartamento di Marinette. 

Nulla di fin troppo sospetto. 
 
Poi il martedì seguente le cose si complicarono parecchio, rivelando le motivazioni che si celavano dietro quell'apparente calma. Finn era stato confinato dalle autorità per essersi azzuffato con un tipo alla festa di Alya, perciò secondo il provvedimento restrittivo avrebbe dovuto scontare tre settimane piene chiuso nella sua bellissima dimora nel cuore parigino.

Una punizione proprio insostenibile che solo i veri ricchi potevano permettersi di comprare senza passare grandi ripercussioni. 
Sta di fatto che Marinette lo seguì per la prima volta fuori dalla villa, balzando per i tetti delle case tutte le volte che svoltava inaspettatamente direzione. Una parte di lei credeva che lo stesse facendo a posta per complicarle la vita, mentre l'altra era solo curiosa di capire cosa gli passasse per quella testa vuota. 
Marinette aveva capito che uno dei modi per mantenerlo costantemente nel suo campo visivo era quello di seguire il tintinnio che le sue chiavi emettevano sbattendo contro la cintura di cuoio marrone. Quello, sommato al rumore degli stivali da motociclista e lo stridio della pelle, indicava una pista più o meno certa. 
Vestiva sempre in modo impeccabile sebbene leggermente tendente al dark. 
Non che indossasse catene o strani anelli in parti delicate del corpo, piuttosto preferiva andarsene in giro come se fosse stato la star di qualche pellicola vecchio stile.
 
E le persone parevano accorgersene.
 
Lo studio sociologico che aveva inaugurato dopo tutto quel tempo in sua "compagnia" stava dando dei frutti particolarmente interessanti. 
 
Nessuno poteva togliergli gli occhi di dosso. Finn era come un'irresistibile gemma rara capace di attrarre la curiosità altrui solo passeggiando blandamente per le strade. Nemmeno gli serviva aprire bocca per scatenare conversazioni riguardo la sua persona tra i passanti che incrociava durante i suoi giri. 
 
Dopo alcuni minuti di percorso senza meta, Finn sembrò finalmente deciso a raggiungere il suo obiettivo principale. Camminava non più con totale disinvoltura, ma affondava i passi a terra quasi calciando l'asfalto duro. 
Benché alla super eroina borbottasse lo stomaco rumorosamente, simulando il rumore di una ciminiera in azione, riuscì comunque ad appostarsi dietro il primo vicoletto disponibile. 
 
Con un balzo energico, saltò dal tetto dell'appartamento, atterrando magicamente su una cassa di legno contenente qualche rifiuto disgustoso. 
La stradina che aveva scelto come punto d'osservazione era stretta e fatiscente : l'odore acre di spazzatura, assenzio e carcasse quasi le spezzò il respiro già affannato dal lungo depistaggio che sembrava non finire mai; in più si trovava nei pressi di una zona periferica malfamata nella quale orientarsi le avrebbe costato la sparizione del ragazzo in un batter d'occhio. 
 
Trattenendo il respiro di tanto in tanto, aiutandosi premendo il lattice della tuta sul naso, mantenne lo sguardo proiettato verso un Finn ormai fermo contro la superficie di un muretto in pietra. 
 
Stagliava nel bel mezzo di una galleria abbandonata dove prima passavano le vecchie linee tranviarie della città, o meglio, dove il progetto iniziale le aveva inserite all'interno della cartina. Nessuno veniva a ficcanasare da quelle parti a meno che non cercasse brutti guai. 
Spacciatori, truffatori, poco di buono bazzicavano per quelle vie, nascondendo sacche nere piene di materiale da contrabbando. 
 
Finn non avrebbe potuto sentirsi più a suo agio in quelle condizioni, assumendo una posa talmente determinata che definirlo il re del quartiere sarebbe stato un banale eufemismo. 
"Santo cielo " si disse premendo le labbra sulla tuta. Una permanenza prolungata lì dentro le sarebbe costata caro considerando che il suo naso faceva fatica a distinguere odori che si discostavano da quello di marciume decadente. 
 
Pregò qualche istante che chiunque stesse aspettando in modo così sospetto entrasse in scena velocemente, scoprendo delle informazioni utili alla ricerca. 
 
Peccato che la persona in questione non rientrasse affatto nelle previsioni di Marinette. 
Non era un ladro, o un mafioso, ma una ragazza incappucciata che teneva una piccola ventiquattr'ore tra le mani. 
La faccenda si faceva intrigante.
 
Questa gli passò la valigetta senza far storie, gettandogli le braccia al collo non appena ebbe finito di controllare il suo contenuto. Era chiaro come l'acqua che non gli importava un fico secco di quella poveretta. 
Come del resto non gliene fregava qualcosa delle ingenue fanciulle pronte ad accompagnarlo durante il suo divieto restrittivo. 
Diciamo che l'odore nauseabondo del quartiere non riusciva a superare il crescente disgusto che Marinette provava nei suoi confronti. 
 
Dopo qualche bacio poco casto, il ragazzo abbassò il cappuccio che copriva il volto della fanciulla, rivelando un volto pieno e caramellato. Delle ciocche rossicce le scendevano sulle spalle, incorniciandole un viso tipicamente latino con qualche tratto somatico misto. 
 
Nel riconoscerlo Marinette quasi cadde sulle sue stesse ginocchia. 
 
" Diavolo!"
 
Si schiacciò contro la facciata grigiastra dell'edificio fatiscente cercando di non tradirsi nuovamente, per poi scivolare oltre il vicoletto e sbucare oltre una piazza mai vista prima d'ora. Le ombre scure che le nuvole cariche di pioggia proiettavano su quel posto creavano figure simili ad un teatrino delle marionette, rendendo spettrale persino l'unico alberello spoglio che stagliava al centro della piazza.
 
Aveva il cuore che le rombava nel petto, gridando e scalpitando come un folle in preda a qualche attacco epilettico. I suoi super poteri non l'avrebbero mai salvata da certe visioni. 
Avrebbe preferito cavarsi le orbite e offrirle a qualche casa di cura piuttosto che affrontare le conseguenze di ciò che aveva appena visto.
Boccheggiò qualche istante, stringendo lo yo-yo tra le mani manco fosse stato una reliquia immersa nell'acqua santa, decidendo successivamente di allontanarsi una volta per tutte dal quartiere in questione. 
 
Forse sfrecciare a tutta velocità non l'avrebbe fatta sentire meglio, ma fisicamente le riempiva la testa di altri pensieri che sicuramente risolvevano temporaneamente il problema. 
 
Durante quella corsa spericolata verso un’oasi di pace, Marinette si lasciò ritrasformare da Tikki, mostrandosi in tutta la sua umana fragilità. Sbandava per le strade affollate, per il cuore della sua città, scontrandosi con qualche turista che spesso e volentieri la spingeva sua volta come risposta.
La testa prosciugata di qualsiasi emozione seguiva l’andamento della massa che risaliva fin sopra il Louvré, dirigendosi verso stradine tipiche e gremite di ristorantini. Non si era mai sentita così assente in tutta la sua vita e non riusciva a capire come uscirne fuori indenne.
Poi il grigiume sovrastante prese a condensarsi in masse sempre più ampie e dense che diedero vita ad un bell’acquazzone di quelli forti e ingestibili persino muniti di ombrelli.

La pioggia scrosciava e schizzava dappertutto: allagando tombini, marciapiedi, scalette e persino gli ingressi della storica metro francese dove moltissimi avevano scelto di ripararsi.

L’unica persona in grado di gestire perfettamente tutta quell’acqua fredda era proprio Marinette, che semplicemente aveva scelto di non fuggire da essa, ma camminarci praticamente in mezzo. Si stava zuppando dalla testa ai piedi, compromettendo definitivamente quel velo di trucco che era riuscita ad applicarsi sul viso in modo del tutto fortuito.

La pioggia le cadeva lungo il corpo, lungo le gote e fin sotto le punte dei piedi mischiandosi con qualche lacrima che si era concessa di versare. Non sapeva più distinguere da dove provenisse l’acqua: se pioveva solo dentro di lei o solamente fuori.
Se non fosse stato per Tikki, che cercava di guidarla in un posto più isolato e tranquillo, forse Marinette sarebbe svenuta davanti all’intero gruppo di giapponesi schiacciati sulle pareti coperte dei bistrot.

Fu proprio in quel dannatissimo parco alle spalle del centro che Marinette pensò alla fisica. Quando la pioggia cessò il suo scrosciare impellente e nel cielo si intravedeva un misero spiraglio di sole, lei rifletteva come un automa senz’anima, paragonando la sua attuale situazione ad una teoria scientifica. Probabilmente perché era il solo modo utile di gestire la cosa senza distruggere tutto.

Tikki non la reputava melodrammatica, anzi, capiva perfettamente che una scoperta del genere avrebbe avuto un impatto notevole nella vita della sua padrona, così come in quella della sua cerchia di amici. Se Marinette avesse aperto bocca, avrebbe rischiato di mandare all’aria la sua amicizia con due delle persone più care al mondo, eppure le sembrava così ingiusto dover mentire. Non poteva semplicemente cancellare il passato e riscriverlo a parole sue.

<< Marinette, dovresti calmarti. Prendi un bel respiro >> le suggerì il kwami, seduto sulle gambe della giovane. La ragazza rispose con un’alzata di spalle vuota e sconnessa, continuando a guardare il nulla sempre più concentrata e presa.
<< So quello che pensi Tikki. E’ inutile che mi guardi così >> disse infine, strizzando entrambi gli occhi gonfi e rossi dal pianto. Le faceva male la gola tanto il freddo che quella scappatella le aveva afflitto.
<< Non sono qui per giudicarti, è una scelta difficile. Io tifo per l’assoluta verità, ma capisco che vada moderata questa volta. Potresti provare a parlarle prima di affrontare lui ? La vita è fatta di malintesi e fraintendimenti … >>

Marinette tossì così forte che le si sconquassò lo stomaco vuoto << Si, perché c’era tanto da fraintendere, vero ? Si stavano praticamente divorando la faccia, Tikki! Cosa vuoi che le chieda? Negherà tutto! E se anche non lo facesse, mi chiederebbe di stare al suo gioco. Non so se sarei capace di farlo >>

<< Mi sembra che tu abbia già preso una decisione, allora >> commentò a bassa voce.

La ragazza si guardò la pelle umida, screpolata e martirizzata delle mani, desiderando con tutto il cuore di poter sbattere il capo contro un muro oppure insabbiarlo completamente sotto terra.

<< E se fosse sbagliata? Potrei perderla per sempre >>
Tikki le sorrise dolcemente << E se fosse giusta? Fare nulla sarebbe un po’ come mentire, no? Ti consiglio di parlarne con qualcuno di vicino a entrambi, magari potresti trovare pace al cuore >>

Aveva capito a chi si riferisse il suo kwami, solo che non comprendeva come tirarcelo dentro potesse risolvere qualcosa. Renderlo consapevole del fattaccio non era simile allo “scarica” barile? E poi conciata in quel modo sembrava Cenerentola prima di incontrare il principe, mentre ripuliva il caminetto dalla fuliggine . Doveva però pensare alla soluzione più giusta. E per farlo correttamente, era necessario chiedere aiuto a qualcuno con un giudizio meno annebbiato del suo, che potesse ragionarci sopra a mente fredda senza dare in escandescenze o gettarsi in mezzo alla folla sotto un temporale invernale.  
Quel qualcuno abitava a pochi passi dall’area residenziale dove lei stessa si trovava, appena superata la salita che collegava le prime vilette aristocratiche con le grandi magioni dalle mille e una notte.

<< Da quando Finn è in città sta andando tutto a rotoli. Credi sia una coincidenza ? >>
<< Credo che non esistano coincidenze. E sono convinta che se non fili subito al caldo ti ammalerai in un batti baleno!>> rispose picchiettandole leggermente sulla spalla destra.
<< Va bene mommy, mi sto preparando per la figuraccia più grande della mia vita. Dici che se mi lego i capelli sembro una barbona più chic ? >> commentò alzandosi la chioma zuppa.

<< Cammina Kate Moss, su! >>
 
 



***
 
<< Mi passeresti lo zucchero Adrien?>>
 
Era la prima volta in mesi di silenzio e latente punizione che Adrien poteva finalmente pranzare in "famiglia" invece che sgranocchiarsi degli snack in compagnia di Plagg. 
Definirlo pranzo domenicale non era proprio accurato, però ci si approssimava leggermente, o comunque provava ad avvicinarsi il più possibile a quella che era una normale tradizione comune. 
Certo, non c'era nessuno che scorrazzava avanti e indietro per la cucina alle prese con i fornelli, oppure qualcuno addetto alla pulizia del tavolo una volta consumato il pasto. In primis perché la sala occupata contava un lungo tavolo apparecchiato solamente alle estremità ( fatto proprio con l'obiettivo di limitare qualsivoglia tentativo di conversazione ); in più i cibi erano stati posizionati su un'alzata d'argento da uno dei più grandi chef francesi del momento. 
Nessun odore di casa, di pasticciato, che potesse stuzzicare l'olfatto e trascinare Adrien direttamente in cucina.
Quando era bambino si infiltrava sempre mentre la madre preparava piatti sfiziosi, finendo puntualmente con la faccia spalmata su qualche torta al cioccolato appena sfornata. 
Adesso lo stomaco gli si era chiuso completamente. Gettata via la chiave, sembrava passivo e poco incline all'atto del mangiare. 
Non riusciva a rilassare i nervi nei paraggi del padre, nemmeno se questo gli domandava semplici curiosità che non avevano nulla a che fare col suo lavoro. Temeva la possibilità di un'ipotetica discussione, perciò preferiva defilarsi ed ignorarlo blandamente piuttosto che affrontarlo apertamente col rischio di sbatterci il muso in malo modo. 
 
<< Adrien ? >> 
 
Di nuovo quella voce calda e dura. Il ragazzo alzò lo sguardo dalla poltiglia che stava torturando con le posate, incontrando gli occhi severi di un padre palesemente stanco. Malgrado provasse a nasconderlo, i cerchi che gli segnavano le palpebre sottolineavano quanto il suo fisico stesse cedendo sotto il peso del lavoro. 
 
<< Lo zucchero, per favore >> ribadì Gabriel, mantenendo un tono rilassato e tagliente. Adrien, perso com'era nel mondo delle sue riflessioni, capì solo in un secondo momento la richiesta del padre.
" Strano, pensavo preferisse le cose amare" si disse allungandogli il contenitore dello zucchero. 
Ed era vero, Gabriel Agreste non s'inscriveva esattamente nella categoria dei padri modello amorevoli e devoti alla famiglia. Il più delle volte si rintanava nel suo studio d'artista a creare collezioni d'alta moda, evitando il figlio così come il ragazzo cercava disperatamente di fare con lui. 
Le rare volte che intavolavano conversazioni serie finivano sempre per discutere sull'inettitudine di Adrien, sulla sua immagine e gli obblighi che doveva alla società in quanto modello professionista. Ecco, la maggior parte del tempo Adrien non era suo figlio, ma un qualunque stipendiato sotto il suo controllo. 
E come qualsiasi dipendente teme il proprio capo, anche Adrien chinava il capo all'autorità paterna, sebbene riuscisse a svignarsela da professionisti persino sotto la vigilanza dei bodyguards. 
 
In quel momento avrebbe voluto davvero trovare un argomento di conversazione che prescindesse da qualsiasi tipo di discussione, ma la mente gli ricadeva puntualmente su temi delicati. Erano cose che si teneva dentro a ribollire nella delusione, permettendone una fuoriuscita solo in casi eccezionali: Adrien era una pentola a pressione piena di esplosivi. 
Prima o poi avrebbe trascinato tutto con sé spargendo cenere lungo i suoi passi.
Considerando la consistenza oramai molliccia e poco invitante di quella bistecca, forse la cenere sarebbe stata un condimento più saporito. 
 
<< Ho parlato con le aziende italiane che ti dicevo l'altra volta, Adrien. Sarebbero liete se tu partecipassi ad una loro sfilata >> disse poi, passandosi un fazzolettino ricamato sulle labbra sottili << Ne sarei grato >> aggiunse in tono più marcato.
 
Come se già non bastassero le sue richieste a complicargli la vita, ad aggravare il peso c'era pure quel tono sentenzioso e critico che lo metteva costantemente con le spalle al muro. 
Non sapeva e non poteva dirgli di no. Quieto vivere? Arrendevole accettazione?  Ormai neppure lui ne capiva il senso. 
 
<< È lavoro, sono tenuto a farlo >> rispose a mezza bocca, distanziando finalmente quella poltiglia da sotto il naso. L'odore di patate gli stava perforando le cavità nasali.
Così come quella risposta secca e scocciata perforò la sensibilità del padre. 
 
<< Bene, sono contento di sentirtelo dire, perché sta sera ci verrà a trovare il sindaco e qualche vecchio collega. Massima concentrazione >> 
 
"Ancora con queste cene strategiche..." borbottò tra sé e sé, alzando gli occhi verso un soffitto blandamente illuminato. La sala da pranzo era stata ristrutturata pochi mesi prima, diventando il perfetto prototipo di moderno-chic: vetrate gigantesche gettavano sul giardino dove si scorgeva il centro della città, mentre il mobilio interno di cristallo creava dei magnetici riflessi a intermittenza. Qualche volta investivano le pareti, altre invece il volto di chi stesse usufruendo del tavolo. 
 
<< Si, e massima sincerità. Ah no, quella l'ho persa circa trenta incontri fa >> sibilò spontaneamente, non volendo iniziare una nuova ed entusiasmante polemica trita e ritrita. Fortunatamente Gabriel non aveva sentito una parola, o quantomeno si sforzava di passare oltre. 
 
<< Ti consiglio caldamente di migliorare quel sorriso, o gli ospiti si spaventeranno >> commentò alzandosi dal posto. Il completo color grigio scuro lo rendeva più spettrale e temibile del solito, senza contare la posa essenzialmente dura e incorruttibile. 
 
Adrien ingoiò una buona dose d'orgoglio per mostrare un falsissimo sorriso a trecentosessanta gradi << Farò pratica >>
 
Poteva benissimo considerarsi il re del monosillabo, delle conversazioni impossibili da portare avanti. Tanto più voleva riallacciare i rapporti, tanto più gli era difficile accettare il modo in cui farlo.
Obbedire sempre e comunque non poteva rientrare nelle forme di relazione sana, anzi, rimarcava quanta distanza separasse padre e figlio. 
Una distanza ora fisica, dato che Gabriel Agreste s'era lasciato alle spalle la sala da pranzo per ritirarsi nella sua caverna - a detta di Adrien - degli orrori. Non si sarebbe certo stupito se avesse trovato qualche cavia da laboratorista o in una delle sue maison pregiate.
 
Ancora seduto a guardare oltre la finestra, ricevette una piacevole sorpresa proveniente dalla sala immediatamente adiacente. La segretaria del padre aveva aperto la porta, seguita alle sue spalle da una minuta ragazza zuppa come un pulcino sotto la pioggia. 
Malgrado l'acqua le avesse incollato delle ciocche al volto, non c'era niente di meno attraente in una Marinette Dupain-Chang avvolta in t-shirt aderente. 
Persino mentre arrancava, appesantita dalla pioggia abbondantemente assorbita dalle vesti, non perdeva quella particolare luce negli occhi.
 
<< Eilà !>> esordì la giovane, salutando il ragazzo timidamente. Guardarla crogiolarsi nel panico così conciata, fece nascere in lui l'istinto naturale di coprila con qualcosa. Magari avvolta tra le sue braccia. Ma questo rientrava in un sogno lungi dall'essere reale. 
 
<< Dimenticato l'ombrello?>> 
 
Di tutte le cose che avrebbe potuto dire, Adrien sputò fuori la frase meno adatta. Solo perché il cuore gli si divincolava dal petto, non era giustificato a comportarsi come un bambino. 
 
<< Ti porto sù, vediamo se ho qualcosa da darti come ricambio. >> aggiunse poi, cercando di rimediare all'uscita pessima di prima.
 
Durante il percorso non le domandò il reale motivo della sua visita, né tantomeno perché fosse completamente bagnata di pioggia, così mentre l'aspettava fuori la porta del bagno, provò ad immaginarsi per quale caspita di motivo si fosse precipitata di corsa proprio da lui. 
Soprattutto mettendo in conto il suo imbarazzo nell'accettarlo. 
 
Era stata coraggiosa, forte, ed anche super incosciente.
 
Quando uscì dal bagno degli ospiti, quello in fondo al corridoio del secondo piano arredato come un'imbarcazione, sembrava una piratessa pronta all'arrembaggio. 
Indossava questa lunga camicia bianco latte, stirata e semplice, che Adrien le aveva prestato, e dei pantaloncini neri che l'inserviente aveva lasciato prima di concludere il servizio. 
Ai piedi, invece, spuntavano due pantofole di morbido velluto che ricordavano tanto le tipiche ciabatte messe a disposizione dagli alberghi di città. 
I capelli, ora asciutti ed alzati in uno chignon disordinato, le davano un'aria di piena disinvoltura e sicurezza, malgrado le si leggesse in faccia che avrebbe desiderato mangiarsi un'intera scatola di cioccolata piuttosto che affrontare un'imbarazzante conversazione con lui. 
 
Adrien le sorrise dolcemente, assicurandosi che fosse completamente asciugata e nelle condizioni fisiche per poter parlare. Le faceva solo un po' male la gola, e ne era decisamente sollevato. 
<< Come mai nei paraggi ?>> le domandò finalmente, dando voce a tutte quelle ipotesi che si era creato in testa. 
 
Mentre s'incamminavano verso la sua camera, Marinette prese a parlare a ruota libera, come se le avessero conferito una scarica elettrica da mille volt in corpo. Qualche volta balbettava e faceva fatica a mantenere un tono comprensibile, ma tutto sommato fu abbastanza chiara. 
 
Fin troppo chiara. 
 
<< Non sapevo cosa fare. Ero fusa, sai? Ho rischiato di farmi tutte le Champs D'Elysees di faccia >> continuò seguendo Adrien fino al divanetto antecedente al letto. Il ragazzo cercava di rimanere calmo.
Ci provava con tutto se stesso a dare una parvenza di ordine, d'altronde se era finita proprio in casa sua l'ultima cosa che le serviva era una bella dose di agitazione extra. Peccato che dentro sentisse un'amarezza sconquassante, di quelle che ti inacidiscono i pensieri inondandoli di inchiostro nero. 
 
Come era potuto accadere ? 
 
<< Sei sicura al cento per cento di ciò che hai visto? >> le chiese candidamente << Te lo dico perché potrebbe veramente distruggere un rapporto >> 
 
Marinette lo guardò talmente sconvolta, che Adrien dovette mordersi la lingua per non dire cose sconvenienti. O fare cose sconvenienti. 
 
<< Non ci posso credere. Cristo Santo, l'hanno drogata o qualcosa, non è possibile >> esordì Marinette mettendosi le mani nei capelli. 
 
<< È pazzesco. Non so se essere più deluso o scioccato >> disse il ragazzo a mezza voce, perso nei meandri delle sue considerazioni. << Nel dubbio dobbiamo parlarne con entrambi presenti >> 
Adrien aveva l'obiettivo di darsi una parvenza di lucidità.
Gli sembrava la soluzione migliore, vero, eppure c'era qualcosa di molto sbagliato in tutto ciò. Primo, perché la rabbia che gli si montava nel petto sembrava continuare a gonfiarsi in modo spropositato, secondo perché tutto il peso di quella scelta sarebbe ricaduto sulle spalle di Marinette e non voleva che si ritenesse responsabile della rottura dei suoi migliori amici. 
 
Nino e Alya erano sempre stati anime affini, viaggianti sullo stesso binario, come era possibile che lei avesse deviato il suo treno verso una destinazione che prevedeva solo l'inferno? 
Inferno e sofferenza seguivano Finn ovunque passasse lo sguardo. 
 
E questo l'aveva capito non solo ripensando ai ricordi che condivideva col ragazzo, ma in particolare modo tramite le varie ricerche eseguite durante le settimane passate. Se ne stava sempre chiuso in casa, o almeno era quello che aveva creduto di primo impatto. 
 
Scavando più affondo nell'oscurità, aveva scoperto che sotto casa Bourgeois si snodava un articolato tunnel sotterraneo che collegava i maggiori punti della città. Come il parassita che era, serpeggiava sotto terra facendo chissà che cosa ed incontrando chissà chi. Addirittura durante ore scolastiche Adrien si era ritrovato a spiarlo nei tunnel, sparendo per ore dall'accademia senza che nessuno se ne accorgesse ( senza contare Marinette ovviamente ). 
 
Non pensava che spacciasse, ma c'era comunque qualcosa di estremamente losco nelle sue scappatelle. In assenza di prove, gli era rimasta solo una cosa da fare per capirci qualcosa: prendere il toro per le corna e parlare con quel maledetto criminale. 
Una scelta che si stava cementando nei suoi pensieri proprio mentre osservava Marinette così distrutta e ripiegata in se stessa. Non gli importava se di fatto avesse clamorosamente violato il patto con Chat Noir ( se lo aspettava dopotutto che non se ne sarebbe rimasta con le mani in mano) anzi, quella sua informazione aveva aggiunto altra carne al fuoco. 
 
<< Bene, allora mi toccherà fare il messaggero della morte. Ma perché non me ne sto mai tranquilla per gli affaracci miei ?>> 
 
Adrien osservò attentamente la linea delicata che il suo collo snello formava accordandosi alle scapole sottostanti: sinuoso e pallido, sembrava un fragile cigno. 
 
<< Perché ti preoccupi per gli altri. A costo di rimetterci anche >> disse Adrien sconsolato. 
<< Non è così come credi ... >> 
 
Adrien la guardò di bieco, inarcando volontariamente un sopracciglio. 
 
<< Ok, è spesso così, ma è più forte di me! Sono testarda e codarda me una bambina. E non cercare di farmi stare meglio, perché so che è vero >> rispose a mezza voce, mettendo a nudo un piccolo pezzo di se stessa. Adrien lo vedeva perfettamente il grigio burrascoso invaderle palpebre: Marinette era come una lente perfettamente calibrata e lucida quando si trattava del dovere, eppure si faceva attraversare da emozioni così intime più profondamente di qualsiasi persona conoscesse. Proprio per questo graffio in fondo alla lente, quello che frantumava il vetro spaccando il campo visivo in più porzioni della realtà, sentiva un costante peso sulle spalle. 
 
Attorno a lui, ad esempio, quella lente si scheggiava, così come accadeva in situazioni particolarmente dolorose. Forse poteva essere cambiata grazie a Ladybug, ma in fondo rimaneva sempre quella ragazza dalla sensibilità fragile. 
 
Anche adesso, che stava cercando di darsi un contegno ingoiando dosi di orgoglio sovrumane, Adrien immaginava quanta rabbia si tenesse dentro. Avrebbe voluto esserci di più per lei, in un modo che solo Chat Noir sarebbe stato capace di fare. 
Confinato nei suoi panni umani, certo gli era concesso ben poco. La loro amicizia non era abbastanza forte per concedergli il lusso di comportarsi da gatto. 
 
<< Non lo farò, se è questo quello che vuoi. Però dovrai provarmelo >> 
 
Marinette si rannicchiò in fondo al divano, dove si incontravano gli assi terminali. 
 
<< Che sei una "bambina codarda" >> seguitò indicando il televisore al plasma proprio di fronte ai loro occhi. Marinette continuava a non capire una parola, così Adrien fu costretto ad afferrare il joystick incastrato accanto l'x-box. 
 
Non appena i suoi occhi azzurri incontrarono l'oggetto stretto nelle mani del ragazzo, quasi scoppiò in una risata buffa. In mezzo a tutto quel disastro, Adrien doveva cavarci qualcosa di positivo per lo meno. 
 
<< Vuoi giocare adesso? >> 
 
Adrien si rigirò il joystick tra le dita, assumendo un'espressione più che maliziosa << Perché? Hai paura? >> 
<< No! Cioè, non è per questo ...>> 
Schioccando la lingua contro il palato, sperava di spingerla ad accettare la sfida << Mhh, sento odore di pollo arrosto qui >> 
 
Vide un guizzo elettrico balenarle nello sguardo. Persino la più calma delle coccinelle può trasformarsi in un predatore se accuratamente minacciata. 
 
<< Metti play, ma ti avverto. Gioco pesante e divento un tantinello competitiva >> 
Le sorrise caldamente << Non vedo l'ora >>
 
 
Dopo circa sei partite e cinque sconfitte incassate, Adrien spense l'x-box umiliato, chiedendosi dove caspita avesse preso lezioni di videogiochi. Marinette non sembrava proprio il tipo da zombie mangia cervelli che invadono le strade di Beverly Hills, eppure l'aveva completamente devastato partita dopo partita, diventando sempre più competitiva mano mano che le lancette segnavano le ore. Ardita, incredibilmente concentrata, si era mostrata un degno avversario. 
 
<< Wow, sono sconvolto >> ammise gettando il joystick sul divano. Si trovavano entrambi seduti a terra, vicini tanto da potersi sfiorare le spalle e percepire i respiri al tatto. 
 
<< Direi che brutalmente sconfitto sia più adatto >> 
Lo disse a bassa voce, nascondendosi il volto fra le maniche larghe della sua camicia, con quell'aria imbarazzata che le provocava sempre un certo rossore alle gote.
 
"Dio se le sta bene la mia camicia" 
 
<< Ouch. Sai come colpire un uomo nel profondo >> rispose battendosi una mano contro il petto. Marinette arricciò su col naso << Mh, so come colpire zombie affamati, questo te lo concedo. Anni e anni di pratica con un padre più che ossessionato >> 
 
Adrien avrebbe desiderato dire molto altro, palesando il fatto che lui si sentisse costantemente e piacevolmente trafitto in sua presenza. Gli ci erano voluti alcuni mesi per capirlo e forse non lo aveva compreso ancora del tutto, ma sapeva con certezza che Marinette gli rimaneva incisa dentro come una freccia spezzata ed incastrata fra le costole. 
 
<< Già che ci siamo, daresti a questo povero sconfitto un'ultima grazia ? >> 
Pochissima distanza. Pochissimo autocontrollo. E decisamente altrettanto scarsa capacità di continuare ciò che stesse proponendo. 
 
<< Mi spiace, sono una giocatrice senza pietà. Tra l'altro che ti sta invadendo casa da fin troppo tempo >> esordì la giovane stiracchiandosi un po' la schiena provata dopo ore di gioco. La camicia era decisamente abbondante per la sua struttura fisica, dunque di tanto in tanto le scendeva inevitabilmente al di sotto delle scapole, lasciando un tratto di pelle scoperta. 
Adrien la fermò prima che provasse ad alzarsi. 
 
<< Resta per cena. Abbiamo il pudding e qualche altro cibo commestibile, lo giuro >> 
Marinette reagì con sorpresa << Non è che vuoi vendicarti della sconfitta ? >> 
Una smorfia gli si dipinse sulle labbra << Beccato. >> 
 
La ragazza lo osservò più attentamente, così analiticamente che ad Adrien parve proprio avesse riconosciuto in lui qualche tratto che le era familiare. 
 
Se prima al tatto Adrien sentiva una certa pelle d'oca da parte sua, adesso i suoi muscoli si rilassavano sotto la mano calda del ragazzo che le avvolgeva il polso delicatamente. 
Stava cedendo? O forse aveva finalmente capito ? 
 
<< Da quando in qua sei diventato così ... >> le mancavano le parole. Evidente che le galoppassero sulla punta della lingua, pronte ad essere servite nella conversazione. 
 
<< Meravigliosamente sarcastico ?>> suggerì in vero stile Chat Noir, strizzando l'occhio teatralmente. Adrien si disse che probabilmente ciò che stava vedendo fosse solo frutto dei suoi desideri irraggiungibili, e che quindi quello sguardo reso dolce e perso non dipendeva da lui. Però ci sperava. Diavolo se ci sperava. 
 
Non l'aveva mai guardato così prima. 
 
<< Mi ricordi qualcuno, sai? >> sputò fuori Marinette d'un tratto. 
Le pupille del ragazzo si fecero sottili come due fessure << Ah si? Dev'essere qualcuno molto speciale allora >> 
<< Sì, lo è. >> 
 
Non pronunciò quelle parole in modo impacciato, piuttosto, sembrava risoluta e lucida. 
<< C-comunque, dovrei avvisare i miei della situazione. Ho lasciato il telefono in camera >> 
 
Diciamo che dopo tutto quel trambusto, poteva perfettamente capire che avesse direttamente abbandonato il cervello a casa. Le prestò il cellulare subito dopo.
 
La chiamata che seguì fu uno schiamazzo di sollievo misto a grida isteriche che la madre di Marinette aveva giustamente accumulato nell'arco di ore passate aspettando uno straccio di chiamata. 
Le aveva urlato cose in cinese, cose che neppure Marinette capiva. 
Proprio mentre la situazione sembrava sfociare e degenerare nell'apoteosi di una reclusione in casa di lungo periodo, Adrien si fece cautamente passare la cornetta. Era il miglior cliente della pasticceria, nonché rinomato bravo ragazzo sempre adorato da qualsivoglia famiglia, doveva pur tentare. 
 
<< Si, Signora è qui al sicuro. No, non è un disturbo per noi, si figuri. Anzi, le volevo chiedere se fosse possibile sequestrarla per cena... i vestiti devono asciugarsi e l'aria fredda potrebbe nuocerle >> 
Impiegò un tono più che pacato ed educato: rasentava la reverenza con quella sua strategica persuasione. 
 
Adrien sapeva il fatto suo quando si trattava di parlare alle masse. 
 
<< Fatto >> asserì poi infilando il telefono nella tasca dei pantaloni. Soddisfatto si crogiolò nello sguardo stupefatto della ragazza, che incredula prese a camminare avanti e indietro per la stanza. 
<< Svelami il tuo segreto. L'hai minacciata? Era statisticamente impossibile che mi lasciasse andare così >> 
 
Adrien ridacchiò << Se te lo dico, poi dovrei ucciderti >> 
 
<< Ti stai forse vendicando dell'umiliazione subita ? >> 
 
Il giovane si rese conto che finalmente Marinette aveva adottato un atteggiamento quasi normale nei suoi confronti. 
 
<< Nah, è solo un modo per darti fastidio. Sei molto semplice da stuzzicare, fattelo dire >> 
Marinette gli lanciò un'occhiata fulminante, per poi slacciarsi la coda muovendo alcune ciocche con i polpastrelli. Nel farlo adocchiò una carta arrotolata ed infilata nel portaombrelli. Prima che Adrien potesse avvisarla del contenuto di tale reperto magico, le dita delle ragazza si mossero più velocemente, puntando alla scoperta del poster segretamente nascosto.
 
 Era una gigantografia di Ladybug in piena azione. 
 
Adrien sentì per la prima volta un imbarazzo opprimente. Fosse stata una persona qualunque probabilmente avrebbe reagito con fierezza, ma lei era tutta un'altra storia. Tenere un poster con quella che credeva fosse proprio la sua faccia lo rendeva uno stalker coi fiocchi. Che poi l'avesse comprato anni prima nei periodi di buia adolescenza non importava affatto, perché ancora lo custodiva, incapace di gettarlo via. 
 
<< E poi sarei io quella facile da prendere in giro >> borbottò osservando attentamente il poster. 
Adrien percepì un senso di timida gratificazione nei suoi occhi, come se ne fosse di fatto lusingata. Un'ennesima prova della sua identità segreta. 
 
<< In mia discolpa posso dire che avevo sedici anni >> 
<< Perché non l'hai buttato allora?>> replicò a bassa voce, cercando di mantenere una certa compostezza.
 
Non era proprio il suo forte. 
 
<< Touchè. Ok, lo ammetto, ero decisamente ossessionato. Però se non ricordo male, anche qualcun altro qui è un piccolo fan dei supereroi >> 
 
La guardò intensamente, mettendo in quella connessione tutte le parole che non aveva il coraggio di dire. Sperava davvero che capisse. 
 
<< Non rigirare la frittata! Stavamo parlando di te qui, il mio rapporto con Chat Noir non c'entra nulla >> 
 
"Furba Marinette"
 
<< Perché, hai un rapporto con lui?>> 
 
"Ma io lo sono di più"
 
<< Ohh sei davvero bravo. Davvero davvero bravo. >> 
Adrien si compiacque così tanto di se stesso che per dimostrarle quanto il suo ego avrebbe potuto crescere, simulò un leggiadro inchino. 
 
Pateticamente teatrale, ma al punto giusto per strapparle un sorriso. Uno di quelli sinceri e fugaci che le donava al volto un'aria fresca. 
 
<< Modestamente ho migliorato le mie abilità convivendo con un padre assente e pretenzioso. È il caso controlli i tuoi vestiti, altrimenti sarebbe sconveniente presentarti così >> 
Malgrado gli piacesse da impazzire, a intendersi.
<< Troppo scandaloso aver accolto una barbona in casa ? >> asserì ridacchiando.
 
<< Nope. Vestita con la mia camicia penserebbero ad altro, credimi >> 
 
Quando uscì dalla stanza tutto pavoneggiato, Adrien era consapevole di aver appena sganciato una bomba. Non era rimasto per godersi il volto paonazzo di Marinette, ma immaginava perfettamente le sue gote chiazzarsi di rosso denso. Come i dipinti dalle pennellate vorticose che custodiva nel corridoio, anche dentro di sé poteva percepire un senso di lento e piacevole sbandamento. 
Bastava guardarlo in faccia per capire quanto quella situazione lo rendesse felice. Poi tutta la felicità fu risucchiata da un semplice promemoria della segretaria paterna. 
 
<< Spero che conserverai questa gioia anche per la cena di stasera con i Bourgeois >>
 
"Merde"















ANGOLO AUTRICE 
... Stavate per chiamare "Chi l'ha visto?", non è vero? Ebbene, probabilmente la mia università mi ha rapita, o forse la grande pigrizia che il caldo trascina con sé in sessione mi ha impedito di scrivere. Anyways, i'm back, e questo è il papiro che la mia mente è riuscita a sfornare. Ancora non so bene come procedere con certe cose, forse prenderà una direzione man mano che scrivo. Sta di fatto che lentamente alcuni tasselli verranno alla luce, promesso!
Grazie per la pazienza <3
Clary_Wonderstruck
 

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Capitolo 10
*** Silenzi rivelatori ***








S
ilenzi rivelatori








Sulla tavola imbandita campeggiava una grande quantità di piatti colmi di cibi provenienti da diversi paesi: cucina italiana, greca, giapponese e persino spagnola sfilavano sotto gli occhi rapiti degli ospiti. Uno spettacolo di colori brillanti e sapori forti accompagnati dalla tenue illuminazione che il Signor Agreste aveva fatto sistemare prima dell'arrivo di tutti. Tra le sorprendenti posate in porcellana ed alcuni calici in vetro colorato, la sala sembrava completamente inghiottita in una valle senza tempo, dove un silenzio perpetuo dominava incontrastato. 

Marinette non aveva mai visto tanta roba, né tantomeno assaggiato molte di quelle pietanze, eppure c'era qualcosa in quella cena che le chiudeva lo stomaco inevitabilmente, impedendole di godersi a pieno forse la prima ed ultima volta che sarebbe rimasta ospite da Adrien. 

Chiaramente la presenza del ragazzo alla sua destra la confortava leggermente, sennonché si ritrovava puntualmente con gli occhi puntati addosso ed un senso di estremo disagio. Non apparteneva a quel mondo, lo sapeva, ma non c'era bisogno di sottolinearlo tramite occhiatine giudicatrici e densi silenzi. Come se non fosse stato abbastanza, il papà di Chloé non faceva che decantare le lodi del suo piccolo cigno in fiore. 

A Marinette era sempre sembrata una vipera, ma di certo andarlo a spifferare al sindaco non le parve proprio indicato, considerando l'attenta analisi che il padre di Adrien stava effettuando nei suoi confronti.

La studiava come si fa con le cavie da laboratorio, cercando di capire cosa ci avesse trovato di speciale il figlio in una come lei. Non che stessero insieme, a malapena avevano legato ultimamente, tuttavia dall'esterno poteva passare per una scena quantomeno equivoca quella della "visita inaspettata".

Se prima l'aveva emozionata e lusingata un'ipotesi del genere, adesso ne sentiva tutto il peso sulle spalle, come se fosse stata colpevole di chissà quale reato. 

Fortunatamente per la sua sanità mentale, Chloé si trovava in Italia per passare del tempo con la madre, mentre quello scapestrato di Finn da qualche parte a sballarsi con quella che riteneva essere la sua migliore amica. 

Ogni boccone, per quanto tenero e squisito fosse, pareva roccia dura e difficile da digerire a pieno. Così si limitava a fare piccoli morsi, mantenendo una postura ed una classe che solo sfoggiando il suo migliore autocontrollo era riuscita a perseguire. Adrien, dal suo canto, le lanciava qualche occhiata si sfuggita, sperando che non volesse buttarsi da un momento all'altro dal balcone della villa. 

Non era colpa sua se aveva dimenticato la cena di lavoro, anzi, era stato fin troppo gentile ad assicurarsi che stesse bene dopo tutto il trambusto successo. 

A Marinette faceva piacere ricevere le sue attenzioni, anche se le sembrava così diverso dal solito Adrien: più che un angelo distante ed inafferrabile, pareva un caduto prima di schiantarsi all'inferno.

 

<< Quindi sei un'artista. >> affermò il signor Agreste, sorseggiando cautamente un calice riempito del migliore vino rosso francese in circolazione. Se prima Marinette sudava freddo, adesso la soggezione aveva raggiunto picchi insormontabili. 

Capiva solo ora le parole di Adrien riguardo la figura paterna e come si sentisse sempre intrappolato sotto la sua grande ombra minacciosa. 

Gabriel Agreste era decisamente intimidente e austero. 

<< È molto talentuosa, disegna anche bozze per l'alta moda! >> aggiunse Adrien, sostenendola con un tenero sorriso incoraggiante. 

Niente da fare, non ce la faceva proprio a rilassarsi. 

Gabriel fece una smorfia premeditata << Questo sarò io a deciderlo se permetti, figliolo. E poi la nostra dolce ospite deve ancora raccontarci di sé! Lasciala parlare >> 

Sebbene non le piacesse l'idea di confrontarsi con cerbero, dovette a malincuore abbandonare il silenzio che aveva scelto di utilizzare come scudo, per dire qualcosa di intelligente ed interessante. Voleva sembrare brillante come nei panni di Ladybug, non la solita ragazzina in cerca di occasioni inarrivabili. 

<< Non c'è molto da dire ad essere onesti. Per ora sto finendo gli studi, ma vorrei fare tanta esperienza. È un campo minato quello della moda >> 

<< Nessun campo è minato con le giuste conoscenze. >> le rispose Gabriel, incontrando prima lo sguardo del figlio, per poi concentrarsi sugli occhi spenti e bassi della fanciulla. Marinette si sentiva sprofondare sempre più giù, sempre più verso il limite sopportabile, dove insinuazioni poco veritiere e decisamente inopportune le rimbombavano in testa a suon di trilli sordi.  

Il padre di Gabriel era effettivamente una persona sgradevole ed in cerca di pretesti per gettare odio sulle persone, benché cercasse di giustificarlo per via delle ultime tragedie che l'avevano colpito. 

Se lei si mordeva la lingua candidamente, aspettando che il sindaco e gli altri due ospiti cambiassero argomento di conversazione, Adrien non poteva frenarsi dal rispondergli in qualche modo. Sebbene fosse chiaramente intimidito, il fastidio di tale insinuazione stava avendo la meglio. 

<< Se hai qualche domanda da farmi, sono qui per rispondere papà >> 

Il Signor Agreste lo squadrò attentamente, facendo sentire persino Marinette, che non era stata interpellata, sotto pressione. 

<< Nessuna domanda Adrien, solo constatazioni >> 

"Ed io sto constatando che lei è un grande stronzo" si disse la ragazza posando la forchetta sul tovagliolo. Le grandi tinte chiare che caratterizzavano la tavola entravano in netto contrasto con l'aria scura e tesa della stanza. 

<< Sapete, sto finanziando un progetto di architettura molto interessante... >> iniziò il sindaco, mettendo a tacere un'eventuale discussione familiare. 

Il pericolo, però, era stato scampato per un lasso di tempo fin troppo breve.

Marinette non ebbe neppure qualche minuto per abituarsi alle note rilassanti di una conversazione più leggera, che subito il campanello rintoccò l suo chiaro tintinnio.

Giustamente un suono talmente profetico poteva significare solo due cose: o la posta era stata consegnata in ritardo ( cosa altamente improbabile ), oppure qualcuno era finalmente riuscito a liberarsi dei propri impegni. 

Il panico crebbe così tanto in lei, che neppure lo sguardo rassicurante di Adrien riuscì a calmarla del tutto. 

Presa da un raptus di ansia, domandò dove si trovasse la toilette del piano terra, per poi sistemare la sedia e schizzare oltre la porta, prima che potesse effettivamente constatare chi diavolo avesse bussato. 

Ovviamente non si precipitò in bagno. 

Quella casa era talmente bella e talmente misteriosa che non poté frenarsi dall'ispezionare qualsivoglia gingillo inutile. Il corridoio più stretto gettava su alcune stanze, tra cui uno studiolo vecchio, dalle forniture ante guerra che sapevano di carta di giornale, ed un'ala fitness enorme con tanto di panche e tapirulan. 

Quando provò ad aprire la terza porta, quella in legno scuro e intarsiato ai bordi, il materiale fece una certa resistenza. Scricchiolò sotto le sue dita frementi, emettendo il classico cigolio inquietante che tutte le vecchie porte poco oliate prima o poi producono. 

Le bastò un passo avanti per entrarvi e chiudere la porta alle proprie spalle come se niente fosse accaduto. Peccato che tutto fosse accaduto. 

Si trovava in una camera da letto buia, dalle serrande abbassate e l'illuminazione proveniente in parte dai lumini posti sulle assi portanti. Cumuli di polvere bianca salivano sotto i raggi di luce, segno evidente che nessuno metteva piede da un bel po' di tempo. 

Nel momento in cui si prestò ad ispezionare gli oggetti, vide sul comodino uno di quei camei molto vintage, stile vittoriano, con incisa una frase di Victor Hugo "La vie est une fleur dont l'amour est le miel".

All'interno vi trovò una foto di famiglia raffigurante un piccolo Adrien in compagnia dei genitori. Non le sorprese affatto che fosse la fotocopia della madre, era una donna stupenda, piuttosto la colpì più di tutti il volto di Gabriel Agreste. Il mostro che le era sembrato poco prima pareva un dolce ed amabile padre attento alla famiglia molto di più che al lavoro. 

Richiuse il cameo immediatamente, sentendo di aver violato in un certo senso la privacy altrui, passando in rassegna alcune fotografie prima di uscire definitivamente dalla camera dei ricordi. 

Ed ecco che la sua attenzione fu catturata da un'ennesima fotografia, sta volta di gruppo, dove riconobbe un paio di famiglie importanti. La Bella Parigi posava per quegli scatti, quella ricca e famosa che frequentava solo un certo standard di individui. A parte la famiglia Agreste, Marinette notò che seduto accanto al piccolo Adrien, c'era un ragazzino occhialuto un po' più grande a scompigliargli la capigliatura bionda, intento a rendere la fotografia un po' più spiritosa dei soliti scatti ingessati. 

Che quello lì fosse Finn la sorprese leggermente. 

Qualcosa di profondamente grave era capitato per renderlo così sgradevole ed allontanarlo dalla famiglia. Nella foto indossava persino un paio di occhiali da sole scuri ed un completo certosino che ora non gli avrebbe mai e poi mai visto addosso. 

Marinette doveva sfruttare le sue armi e chiedere ai Bourgeois qualche informazione, perché sicuramente sembravano più "amichevoli" del Signor Agreste ( per quanto Chloé la detestasse nel peggiore dei modi). Forse Adrien stesso sapeva qualcosa, malgrado avesse scelto di tenere la bocca chiusa. Perché non dirlo? Perché tacere ? Non le andava proprio giù, perciò si promise di parlargli non appena ne avesse avuto l'occasione. 

Non sapeva quanto tempo fosse passato dalla sua scappatella, sta di fatto che tentennò prima di rientrare in sala. Guardava la maniglia della porta con estrema cautela, ripensando continuamente all'idea che Finn avesse plagiato la sua migliore amica inducendola a tradire il fidanzato. 

Come avrebbe potuto guardarlo in faccia senza dargli addosso? 

Adrien uscì dalla porta grattandosi il capo. Era sollevato nel vederla dietro lo stipite tutta intera, considerando il tempo impiegato per "andare in bagno". 

<< Sei viva! >> disse << mi stavo preoccupando >> 

Lo sguardo di Marinette scivolò oltre lo stipite, palesando il suo irrequieto stato d'animo. << Mi ero persa, tutto qui >> 

Gli stava mentendo. Non voleva che la ritenesse un'impicciona senza spina dorsale. 

<< Mhh, sei sicura? Sembra tu abbia visto un fantasma >> 

"In un certo senso..." 

<< Sicurissima. È arrivato emh- qualcuno ?>> 

Adrien la portò verso la fine del corridoio, tenendole stretto un polso per evitare di fare rumori sospetti. Marinette si sentiva sciogliere come un panetto di burro al sole. 

<< Sai >> iniziò tenendo un tono basso << Arricci il naso quando menti >> 

Le mancò il fiato un istante. Quella dannatissima frase era la stessa che Chat Noir continuava a ripeterle tutte le volte che avvenivano i loro incontri clandestini. 

Che lui potesse essere il suo Chat? Arrivare a quella conclusione avrebbe di certo semplificato la sua vita, ma dall'altra parte l'avrebbe resa ancora più complicata. Sapere che lui si nascondesse dietro la maschera implicava che le avesse tenuto nascosto tutto di lui, prendendola in giro quando s'aggirava nei panni di Adrien. 

Non poteva essere Adrien, non le sembrava fattibile. 

<< Tu invece sai mentire così bene, vero? >>

Le buone intenzioni morirono ancor prima di esser assemblate nella sua testa. Ormai i pensieri ricacciavano come onde in mareggiata s'infrangono sulla riva, rifuggendo e scaraventandosi sulle rocce con sempre più veemenza. I pensieri le si mescolavano in testa, troppe informazioni diverse e troppi problemi da gestire. Tra Papillon, Finn e Alya, Chat Noir doveva essere l'ultimo dei suoi rompicapi. Invece sembrava sempre il primo nelle sue riflessioni. 

<< Lo so, mi spiace essermi dimenticato della cena. Non avevo intenzione di lasciarti affrontare Finn dopo quello che è successo >> 

Così le aveva appena confermato l'entità del famigerato ospite, benché l'avesse dedotta molto tempo prima. 

Rimase di sasso, sciogliendo la presa delicata che esercitava attorno il suo polso. 

<< Ma tu non ti riferisci a questo, giusto ? >>

"Premio per l'eloquenza ad Adrien Agreste! Din din din!" 

In realtà Marinette si riferiva a più cose, solo che non era proprio il momento di mettere a nudo i suoi dubbi quando doveva ancora capirci qualcosa a tal proposito. Il discorso sulle identità segrete avrebbe aspettato. Ora le importava solo smascherare quella canaglia di Finn. 

<< Perché non mi hai detto che eravate amici? Tu lo conosci, avresti potuto fare q-qualcosa, non so, qualsiasi cosa >> 

Sapeva che era stupido incolparlo per un'azione che non dipendeva da lui, ma non le importava. Per una buona volta voleva comportarsi da adolescente arrabbiata col mondo intero. 

<< Quindi sarebbe colpa mia adesso??>> 

<< Avresti potuto dirmelo >> obiettò calmando i toni. Le pupille del ragazzo si dilatarono così tanto che parevano buchi neri in espansione.

<< Dirti cosa? Che da piccoli ci frequentavamo per motivi familiari? Avevo tipo cinque anni e non capivo un bel niente. Non l'ho più sentito per anni e nemmeno mi importava il motivo. Se pensi che sappia così tanto più di te, ti sbagli di grosso Marinette. E poi non capisco perché te la sia presa in questo modo dato che non avevo il dovere di raccontarti nulla >> 

 

"Perché siamo partner e non ci si mente a vicenda. Non si gioca con i sentimenti altrui spudoratamente " 

Improvvisamente comprese che il suo sfogo derivava da tutt'altra fonte. Benché avesse tentato di riporre la questione in un angolino, evidentemente questa riusciva a infiltrarsi senza problemi nei suoi pensieri, intaccando la sua emotività. Era stata una sciocca a lasciarsi andare così senza rifletterci meglio. 

<< Scusami, non so che mi sia saltato in testa. Sarà l'agitazione ed il terrore di mettere piede in quella sala >> 

Adrien fece un bel respiro, sciogliendosi in un sorriso caldo come miele. Affondò le dita nella folta chioma della giovane, attirandola a sé in modo del tutto naturale. Marinette sentiva il suo petto contro il volto, accogliente  ed al contempo duro, mentre una serie di brividi le schizzavano dappertutto. Se avesse posseduto più di una vita come i gatti, a quell'ora ne avrebbe perse un paio di sicuro. 

Le ricordava quando Chat l'aveva consolata durante le feste di Natale, oppure quando si era ferito e Marinette era stata costretta a trascinarselo fino a casa. 

Perché pensare a Chat quando Adrien la stava abbracciando? Era sempre stato quello che voleva, non le bastava più ? 

Qualcosa di strano le si divincolava nel petto. Era come se con Adrien si sentisse in Paradiso, sapendo di aver lasciato una parte di sé incompleta, mentre con Chat in costante bilico su di un precipizio dove il pericolo la terrorizzava, ma la vista era mozzafiato. 

 

<< Romeo e Giulietta, vi stiamo aspettando per il dolce! >> esclamò una voce maschile ed irriverente poco distante dalla loro posizione. Marinette si staccò dal ragazzo in men che non si dica, ispezionando di tutto punto l'ospite indesiderato per eccellenza. Anche questa volta indossava abiti scuri, senza però le solite borchie da motociclista squattrinato. Forse i servizi sociali gli stavano giovando il look, o forse temeva un giudizio del Mr. stilista Agreste. 

<< Andiamo >> sussurrò Adrien, avanzando con decisione verso la porta. Ignorò Finn del tutto, sperando che Marinette riuscisse a fare lo stesso. 

<< Ti trovo in forma Honey bun, fatta corsa sotto la pioggia? Dicono sia ... non trovo le parole adatte ... illuminante! >>

<< Vai al diavolo. >> rispose a denti stretti, sorpassandolo con superiorità. 

Finn si sfregò la barbetta incolta, assumendo un'espressione beffarda. 

<< Sono ateo >>

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Finito il capiente dolce che lo chef aveva accuratamente preparato con cioccolato e crema a volontà, l'intera combriccola si accomodò in salone per discutere di "affari" e parlottare sui membri assenti dell'aristocrazia parigina. Quanto si divertivano quei ricchi a spettegolare, Marinette non riusciva proprio a capirlo. Si limitava a guardare di tanto in tanto il vuoto, ridendo nei momenti che le sembravano più opportuni, giusto per mantenere un alto livello d'interesse. 

Strano a dirsi, ma Finn dominava la conversazione come un re, passando da un argomento all'altro con astuta padronanza. 

Non le piaceva per niente il fatto di trovarsi seduta fra la persona che detestava più al mondo e quella che invece la faceva sentire vulnerabile ed impotente.

<< Sugar, ti vedo spaesata, qualche problema?>>

"Tu sei il problema! Tu e la tua stramaledettissima voglia di romperete tutto ciò che tocchi." 

<< Non condivido le tue opinioni >> 

Gabriel Agreste fece segno al sindaco di prestare attenzione all'intrigante discussione che stava svolgendosi sotto i propri nasi. Adrien non si permise di parlare al posto di Marinette dato che la reputava abbastanza forte per cavarsela da sola, non era certo una bambolona di pezza alla mercé delle pretese di tutti. 

<< Questa fatalità, quest'idea che hai di un destino immutabile mi sembra solo una gigantesca scusa per giustificare la staticità più assoluta. Siamo ciò che facciamo, non ciò che gli altri scelgono di imporci. Sta a noi decidere >> 

Finn alzò le spalle avvicinandosi alla ragazza << Non pensi che esista una sorta di predisposizione? Certe persone, certe cose, sono intrise di male e distruzione per il semplice fatto di essere così. Alcune maledizioni sono incurabili >> 

Adrien si sporse in avanti, osservando Finn come se tutto il suo mondo dipendesse dalle sue parole. Qualcosa l'aveva colpito nel profondo, qualcosa che Marinette non poteva minimamente immaginare date le circostanze. 

<< Stai per caso parlando di te stesso Finn? >> le scappò inevitabilmente. Non era stata del tutto educata, ma trattenersi in quello stato sembrava più difficile che scalare l'Everest. 

Il giovane tuonò una risata sarcastica << Può darsi. Sono proprio un gatto nero: ovunque passi la terra trema. Non è così zio? >> 

La risposta del sindaco fu un semplice balbettio poco chiaro. 

"Sei un cosa esattamente? Non un gatto, per favore non un gatto"

<< Ho sempre trovato affascinante la questione dei totem animali, conosci qualcosa al riguardo ?  >> sentenziò Gabriel, dando man forte al giovane Bourgeois. 

<< Incredibilmente affascinanti, grazie per la domanda. Abbastanza, ho fatto un master sulle culture giapponesi per soddisfare la mia curiosità. È un argomento lungo e contorto, però sarebbe interessante capire come riescano a inquadrare le personalità umane così accuratamente >> rispose poi << ad esempio non saprei definirti Gabriel in un contesto animale. È difficile inquadrarti a pieno >> 

Il sindaco si eccitò improvvisamente << Io? Cosa sarei ?>> 

<< Tu come ti definiresti zio? >> 

<< Ovviamente un animale fiero e fedele. Qualcosa come un cavallo purosangue ?>>

Era chiaro come il sole che il sindaco stesse solo sperando di poter rivestire delle caratteristiche così specifiche: più che stallone, pareva un grande San Bernardo che si fa addomesticare senza problemi dalla padrona ( aka Chloè ).

<< Ovviamente zio >> sorrise Finn << E tu Pumpkin pie ? >>

Marinette sudava freddo. Era come se piccoli aghetti di ghiaccio si stessero condensando attorno le sue vene, rendendole addirittura più evidenti sotto pelle: formavano questi ingarbugliati intrichi blu rafforzati da una pelle in contrasto estremamente chiara. 

Era meglio tacere o sparare una balla? In quelle situazioni non sapeva mai che pesci prendere e l'ultima cosa che le ci voleva erano sguardi pieni di splendide aspettative. Ecco, diciamo che l'animale che avrebbe tanto desiderato essere stava sempre di più prendendo le forme di un piccolo camaleonte capace di mimetizzarsi con l'ambiente. 

 

<< Non sono un buon giudice di me stessa >> rispose tradendosi con gli occhi. Adrien la continuava a guardare senza dire una parola, come se lui stesso volesse ricevere una sorta di conferma da parte sua. Si domandò istintivamente se Chat non avesse capito fin da subito la sua reale identità. 

La situazione stava degenerando in modo esponenziale. 

 

<< Beh, io credo che tu sia ... >> iniziò Finn, prontamente interrotto da Adrien << Molto stanca dopo tutta la corsa di oggi. Ti chiamo un taxi Marinette? >> 

La ragazza annuì energicamente, lasciando Finn abbocca asciutta. 

Adrien l'aveva salvata più o meno.

 

<< Così presto? Non vuoi sentire il tuo totem ?>> 

Tutti gli ospiti posarono i loro sguardi sul volto della fanciulla , la quale si immedesimò in una di quelle concorrenti indecise dei giochi televisivi. Il giovan  Agreste detestava vederla così in difficoltà, era evidente. 

<< Passo a malincuore. Devo proprio tornare a casa e riguardarmi dopo la p-pioggia >> asserì salutando cordialmente gli ospiti della casa. 

Tagliando corto era riuscita a cavarsela piuttosto bene, anche se Gabriel non faceva altro che investirla di disapprovazione e quel teppista di Finn si divertiva a esporre il suo lato meno limpido.

 Si comportava come se sapesse tutto di tutti e questo non le piaceva affatto. 

Lo rendeva pericoloso, in una certa misura quasi temuto. Soprattutto se non fosse stata una farsa, ma una reale consapevolezza degli affari altrui.

Quando Finn la salutò stampandole un bacio sulla guancia, Marinette provò solo estrema irritazione. Sentirselo su pelle, la stesse labbra che avevano violato quelle di Alya, quasi macchiava il proprio corpo di un non so che di impuro. 

Era aggressivo persino nelle strette apparentemente cordiali. 

Poi prima di lasciarla andare via con Adrian, riuscì a sputare fuori delle parole decisamente calibrate. Non le aveva solamente dette per aumentare la tensione: provocanti e meschini, erano commenti volti a destabilizzarla.

 

<< È una fortuna che non ti sia capitato nulla, Cinnamon >> replicò Finn << sai qual è l'animale totem della fortuna? >> 

 

La giovane si scansò come se avesse infilato due dite nella presa elettrica. Sul ciglio della porta, con le palpebre spalancate, cercò di sopprimere un grande sentimento di paura sempre più evidente. Adrien scortò la fanciulla fuori dall'abitazione, sbattendo praticamente  la porta sul muso dell'ospite.

Peccato che Marinette  avesse un volto di marmo.

Un terrore papabile, percepibile, travolgente le venne a sconvolgere il petto, ma nulla traspirava effettivamente guardando il suo volto di porcellana.

Dietro lo stucco, c'erano le crepe. Tante di quelle crepe profonde che nemmeno il migliore architetto avrebbe potuto riempire. 

 

Lui sapeva, eccome se sapeva. 

 

<< Domani risolveremo tutto, non preoccuparti >> affermò Adrien << Riposati e dormi. Finn è solo un idiota >> 

 

"Un idiota che sa"

 

<< Già ... >> bofonchiò << Grazie della cena. Io, cioè, tu sei stato gentile a occuparti di me. Non volevo essere un peso, scusami >> rispose un po' inibita, mentre apriva la portiera del taxi appena arrivato. Adrien le aveva già pagato la corsa fortunatamente. 

Il ragazzo le diede un buffetto sulla guancia << Non ti scuserò mai per avermi stracciato all'x-box >> 

"Ok, si è fatto molto intimo. Troppo intimo. "

Marinette non sapeva che fare. 

<< Vai su, ti aspettano i tuoi. E il letto. >> aggiunse poi, provando a rendere meno imbarazzanti quei silenzi prolungati. Marinette si irrigidì pensando ai suoi ammonimenti. Solo Chat e Alya  sapevano della sua insonnia, non l'aveva mai raccontato a nessun altro. Che le occhiaie fossero così palesi o c'era dell'altro?

Forse si era risposta, forse non voleva ancora rispondersi. 

 

<< Posso chiederti una cosa? >> domandò prima di montare sul taxi. 

Il ragazzo annuì, dimezzando la distanza che lo separava dalla giovane. 

<< Che tipo di cioccolato preferisci? I miei hanno una pasticceria e, e vorrei ringraziarti per quanto fatto ... >> 

 

Vide il ragazzo vacillare leggermente. 

Se quello lì era il suo Chat, probabilmente aveva capito dove Marinette volesse andare a parare. Era così ovvio. 

 

<< Cioccolato extra fondente. Nero come la mia anima >> rispose strizzandole l'occhio. Poi Marinette gli sorrise ed in un battibaleno sparì da casa Agreste, imbottigliata nel traffico di una Parigi umida e piovosa. 

 

Quando si coricò nelle coperte tutto il sonno le scivolò via immediatamente dal corpo, lasciando terreno alle mille domande filosofiche che solitamente le ronzavano in testa prima di dormire. Era raggomitolata nel piumone, avvolta nel calore accogliente del suo agognato letto, a pensare ed arrovellarsi la mente su questioni delicate. 

Marinette questo non poteva proprio evitarlo, proprio per via della natura stressata della sua anima inquieta. C'erano momenti in cui si fermava a misurare i passi falsi della sua vita, i suoi errori come stralci di ricordi che non la smettevano di riavvolgersi e continuare a proiettarsi nuovamente. La costringevano a fissare il vuoto, ad ubriacarsi di congetture ed a torturarsi le dita delle mani. 

Il dramma di Alya e la questione di Papillon erano stati sostituiti da due preoccupazioni differenti, di natura unicamente maschile.

Se da una parte sapeva che Finn avesse indovinato, se così si può definire, la sua identità, dall'altra si torturava sul perché e sul come ne fosse a conoscenza. Intorno a lui orbitavano domande che si intersecavano perfettamente con tutto il trambusto supereroistico quotidiano. 

Poi c'era Adrien.

Adrien, che la faceva sentire in costante e perenne apnea. 

Adrien, che una volta sovrapposto al volto di Chat, incarnava tutte le speranze di Marinette. Che oramai qualcosa non andasse in lei era palese, non faceva che paragonare il suo gattaccio a qualsiasi cosa o persona gli capitasse a tiro.

Stava diventando la sua ossessione. 

Prima che potesse soffocarsi con il materiale della coperta, fu scossa dalla vibrazione del cellulare. Afferrò l'aggeggio dal comodino, illuminando ferocemente delle palpebre abituate al buio notturno. 

 

" Domani incontro? Questo patto mi sta fisicamente uccidendo. Sappilo "

 

Era il suo gatto a scriverle. Digitò i tasti senza far rumore, trattenendo un sorrisetto divertito. 

 

" Lo so, ecco perché te l'ho fatto firmare! Comunque sì, va bene "

 

" Perrrfetto. Ti consiglio di dormire Princess, la notte è fatta solo per gli animali notturni " 

 

Il telefono si illuminò ancora.

 

" Idee per conciliare il sonno? Contare le pecore non funziona. Già provato "

 

" Se sei agitata prova a leggere qualcosa. Non ti dico di pensare a me perché avrebbe l'effetto opposto "

 

E invece Chat si sbagliava di grosso, dato che a Marinette serviva più sostegno che mai. Ci mancava solo che i suoi si separassero per chiudere il quadretto di sfortune.

 

" È un pensiero fisso, Chat. Come la tua malizia o l'amore per le sardine. Vorrei parlarne con qualcuno ma troppe persone ne resterebbero coinvolte "

 

" Parlane con me. Prometto che sarò silenzioso come un ninja" 

 

Marinette boccheggiò, col respiro mozzato e incastrato in gola. 

" Non stai facendo quello che sto pensando tu stia architettando" 

 

Aspettava una risposta con una tale veemenza da poter frantumare lo schermo del telefono a mani nude. 

 

" A tra poco. Mi raccomando, mettiti qualche pigiamino carino "

 

" Piuttosto mi ritiro in convento "

 

O in un manicomio. Di sicuro se Chat avesse continuato a confonderla così, la sua testa sarebbe esplosa per il sovraccarico di troppe informazioni. 

Su di giri posò il telefono dove l'aveva trovato, contando solo i propri respiri come misura temporale. Erano profondi e delicati, come il mareggiare dentro il padiglione di una conchiglia. 

Marinette voleva esporsi. 

Voleva camminare sul filo del rasoio e capire cosa diavolo si nascondeva dentro tutta quella faccenda rumorosa e losca.

Domani sarebbe stato propizio, profetico, determinante per molte delle scelte prese conseguentemente. Di sicuro affrontare una volta per tutte Finn rientrava nel suo immaginario contorto. Non poteva catapultarsi nelle vite altrui, scombinare i tasselli e poi abbandonare alla deriva tutti i pezzi. 

 

Marinette non comprese quando precisamente i respiri all'interno del piumone erano raddoppiati, però di una cosa era certa: Chat Noir sapeva esattamente come silenziarsi fino a sparire. 

La notte era davvero il suo elemento. 

Iniziando dal semplice fatto che si era calato dal balcone usando la chiave di emergenza senza emettere alcun tipo di suono. 

Impressionante. 

In più era persino riuscito a infilarsi sotto le sue coperte completamente incoraggiato da un atteggiamento più che indifferente. 

Più che impressionante, geniale 

 

<< Chat ?>> domandò la giovane, ora rannicchiata verso il lato destro del letto. Intravide solo uno spicchio dei suoi occhi color giada spuntare fuori dal buio notturno, come quando le luci dei fari proiettano i raggi su lunghe distese d'acqua. Aveva delle lunghe ciglia, non l'aveva mai notato prima. 

<< No. Sono Batman >> 

 

Era vicino. Vicinissimo. Così dannatamente prossimo a sfiorarle la pelle che alla giovane vennero i brividi. La vocina nella sua mente, la solita ragione della coscienza, stava giocando a nascondino dentro la sua testa, rendendosi introvabile. Nel momento del bisogno abbandonava Marinette a se stessa, a quei sentimenti che da mesi ormai non facevano che perseguitarla.

Li aveva negati, accantonati, scambiati per affetto, ma non appena qualcosa di elettrico esplodeva nell'aria, tutti i suoi buoni propositi morivano ancor prima di nascere. 

Era ingiusto innamorarsi una seconda volta? 

Soprattutto di una persona senza volto e senza identità, al pari di un fantasma?

 

<< Catwoman ti sembrava troppo ridicolo? >> bisbigliò stuzzicandolo un po'. Coperto dal manto di tenebre, Chat poteva benissimo trovarsi a due centimetri dal suo volto senza che lei lo riuscisse a percepire. 

 

<< Per me ? Princess, ti ci vedrei perrr-fettamente in un costumino di pelle attillata >>

Marinette allungò la mano per colpirlo leggermente, tuttavia si accorse suo malgrado che non dovette fare proprio un lungo viaggio per raggiungerlo.

Chat si trovava effettivamente a distanza estremamente ravvicinata, e la cosa metteva in crisi tutto il suo piccolo mondo. 

Nel momento stesso in cui incontrò lo spandex della sua tuta, il ragazzo le afferrò delicatamente la mano, portandola a toccare il materasso. Manteneva la propria spalmata sopra quella di Marinette, come una sorta di gabbia protettiva, accarezzandole di tanto in tanto le dita affusolate. 

 

" Non va bene. Oh no, non va affatto bene"

 

<< Ti stufi mai di nascondere chi sei? >> domandò la ragazza, pensierosa. 

Forse era una domanda rivolta più a se stessa che non al super eroe. 

Chat fece un grande sospiro che confermò le considerazioni della giovane. Come d'altronde lei detestava vivere nell'ombra di un'altra persona, così anche lui spesso veniva sopraffatto dai lati negativi del mestiere.

<< Non mi infastidisce, amo essere Chat Noir. Libertà, irresistibile fascino, pericolo >> iniziò decantando le sue doti << Però detesto mentire, questo sì. >>

<< E se scoprissi l'identità di Ladybug, cosa faresti? >>

 

Condivideva quel pensiero così profondamente e intensamente che non si rese conto delle parole appena pronunciate. 

Chat aumentò la presa tra le sue dita, affondando i suoi artigli, ora ritirati, nel materasso invernale. 

 

<< Non farei proprio nulla, penso. Anche se mi ucciderebbe trattenere l'istinto, rispetterei la sua segretezza. Se avesse voluto rivelarmelo, l'avrebbe già fatto, non credi ? >>  

 

"Touché" pensò Marinette, ricambiando la stretta del gatto. Sembrava un atto talmente innocente e puro che quasi le diede l'impressione di trovarsi in un sogno. Il gatto sobbalzò sorpreso di quell'inaspettata reazione. 

 

<< E se fossi io a scoprire la tua identità? >> 

Ecco, questa era la domanda tanto temuta che le galoppava sulla labbra da oramai tutto il giorno. 

 

<< Dovresti dirmelo tu ... >> 

 

Malgrado il petto di Marinette si alzasse regolarmente, dentro vi s'affannava un'intera ciurma pronta ad abbandonare la nave. Colava a picco, lentamente verso l'abisso del nulla, dove nemmeno quella furbetta della sua coscienza l'avrebbe ripescata. 

 

<< Non lo so. Ultimamente non so proprio niente >> 

Chat colse quel commento come un trampolino di lancio << Mari, non rivelarti la mia identità è una questione di sicurezza. A maggior ragione se so che per colpa mia ti accadesse qualcosa... >> 

<< Puoi restare finché non mi addormento? >> 

 

Sfiorandole ancora una volta le dita, rispose flebilmente, lasciandosi cullare da un silenzio pacificamente rilassante.

Quella quiete, serena come una melodia suonata al piano, si dimostrava più comunicativa delle stesse parole.

 Era, di fatto, densa di segreti non detti e desideri soffocati, ma ricreava nell'aria un'atmosfera magica, fiabesca, intrappolata nel tempo. 

Non erano due amanti, né tantomeno due meri compagni di avventura. 

Condividevano, però, una connessione che viaggiava attraverso il silenzio e nel silenzio stesso si completava.

 

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Capitolo 11
*** Murphy's theory ***







M
urphy's theory 

 





Adrien si era destato per primo. Impiegò alcuni istanti per tornare con la mente alla sera precedente, alla scappatella notturna in casa Dupain-Cheng e alla cena disastrosa con i Burgeois .

 

Man mano che la vista si rendeva più nitida, Adrien adocchiò una scrivania rosata dove campeggiavano alcuni vestiti femminili e contemporaneamente notò una larga parete di sughero con sopra appese delle fotografie. 

C'era anche lui tra quelle foto e non era niente male: fisico scolpito, ciocche bagnate di acqua salata, carnagione dorata e un sorriso smagliante.

 

Finì di compiacersi e pavoneggiarsi solo una volta percepita la presenza di un peso morto sul proprio petto. Seguì le linee turbinose della sua chioma blu, sparsa sopra la sua camicia sembrando un'onda di mare, per poi osservare un viso disteso e fresco respirare silenziosamente. Marinette aveva affondato il capo nella camicia di flanella ed era così dannatamente adorabile che distogliere lo sguardo gli parve impossibile. 

 

Avrebbe voluto sempre svegliarsi così- si disse Adrien.
Poi l'armonia si ruppe definitivamente nel momento stesso in cui dovette scansarla via per ritrasformarsi in caso si fosse destata.

Fatto questo, poteva riposizionarsi candidamente attorno alla sua presa delicata, godendosi un contatto che in piena coscienza sarebbe stato sostituito con occhiatacce bieche e battutine sarcastiche. 

Passarono alcuni minuti prima che Marinette impastò qualche mormorio sconnesso, aprendo lentamente le palpebre pesanti. 

 

<< Buon giorno principessa >> sussurrò suadente Chat << Mi hai sognato stanotte ? >> 

 

Marinette si ritirò a velocità della luce, sbattendo il capo contro un'asse dura del letto.
Evidentemente stava ancora metabolizzando il fatto di trovarsi nello stesso letto con - a detta di Chat - un Dio greco. 

 

<< Lo so, faccio quest'effetto alle ragazze >> disse ancora stuzzicando sensibilmente l'autocontrollo della giovane. 

 

<< Hai dormito qui. >> asserì a mezza bocca, osservandolo con un pizzico di irritazione. 

 

Chat alzò le sopracciglia << Già. E oggi è lunedì, il sole splende e devi andare a scuola >> 

 

Immediatamente la ragazza controllò l'orario che segnavano le lancette dell'orologio: erano le sette.
Un altro ritardo sul suo curriculum e l'avrebbero spedita a fare i servizi sociali o qualche altro lavoretto faticoso e dispendioso. 

Scalpitò scivolando via dalle coperte come una furia, trascinandosi parte della coperta dietro, mentre un Chat Noir più che divertito la osservava afferrare degli indumenti a caso nell'armadio. Più che prevedibilmente, Marinette aveva rimosso l'annuncio scolastico riguardo il salto della prima ora.
Peccato - si disse - contento di poter ammirare paia di reggiseni e gonnelline svolazzare e ricadere sul pavimento. 

 

<< Beh non stare lì impalato e aiutami!! >> piagnucolò Marinette indicandogli lo zaino vuoto incastrato sotto la scrivania. 

Voleva che Chat leggesse il suo orario e infilasse alla meno peggio i libri necessari a sopravvivere la giornata. 

 

<< Solo se ti cambi qui davanti. >> 

 

Marinette gli tirò contro un reggiseno bianco di pizzo. Avrebbe voluto lanciargli una ciabatta  e invece era stata tradita dalle sue stesse dita << Oh andiamo! Accontentati di questo pervertito del cavolo. Devo correre in  doccia e non ficcanasare nelle mie cose! Intesi? >> 

Chat fece una smorfia beffarda, maliziosa e desiderosa di scoprire cosa effettivamente nascondesse nella sua preziosa camera.
Promise a dita incrociate ed aspettò che la giovane entrasse nel bagno per prepararle la borsa e mettere il naso un po' ovunque. 

Se inizialmente le uniche prove "peccaminose" riguardavano vecchi album risalenti alla terza media ( tempi del temibile apparecchio ), dopo un po' di ricerca approfondita si ritrovò con la testa immersa nel suo armadio. Stava assolutamente invadendo la sua privacy, ma non poteva trattenersi una volta carico come una molla. Soprattutto dopo aver adocchiato dei giornali di alta moda accartocciati sotto un cumulo di giochetti in finta pelle. 

Quelle erano le riviste presso cui posava. 

Freneticamente sfogliò le pagine una ad una, trovandone un paio strappate in prossimità di un suo vecchio servizio fotografico. 

 

"Non ci posso credere" si disse trattenendo una risatina compiaciuta. 

 

Marinette aveva fatto fuori le prove, ma non era stata abbastanza brava a sbarazzarsi delle fonti principali.
Quando la giovane riemerse dal bagno vestita con dei semplici jeans ed una T-shirt rossa, teneva i capelli premuti  attorno un panno soffice che  preveniva lo sgocciolare continuo sul pavimento. 

Chat sedeva ancora stravaccato sul letto, facendo finta di niente.
Quanto avrebbe voluto, però, prenderla in giro.
Aveva una bella cotta per Adrien, ora lo capiva. 

 

<< Che c'è? >> esordì sulla difensiva. 

Chat si strinse le spalle << Bella scelta di intimo. Prossima volta abbinerei al colore della maglia >> 

Il rosso fuoco che stagliava dagli strass della sua t-shirt tinse le sue gote degli stessi toni della maglia. 

 

<< Cosa ci fai ancora qui? Chat, il patto >> 

Quanto le piaceva rimproverarlo. 

<< Ho delle notizie fresche fresche madamoiselle. Direttamente dal passato di Finn >> 

 

Marinette tamponò la chioma bluette lasciando che si asciugasse naturalmente, per poi sedersi accanto al gattaccio con fare concitato. 

 

<< Non chiedere come sia venuto a sapere certe cose, meglio non conoscere i dettagli >> iniziò Chat Noir cercando di dimenticare la volta in cui aveva sfruttato il suo fascino per spillare qualche informazione a niente di meno che Chloè. 

 

I brividi.

 

<< Continua, altrimenti potrei vomitare >> 

Il ragazzo prese un bel respiro, cercando di non farsi coinvolgere dalle emozioni mentre esponeva il racconto in modo riassuntivo.

<< Il dramma che ha costretto il trasferimento di Finn è stato un incidente tra le mura domestiche. Tutte le tubature del gas esplosero magicamente, puff ...! >> fece Chat imitando con le mani lo scoppio << Costando la vita della fidanzata di Finn e mandando in coma la sorella minore >> 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Marinette rimase di sasso, incapace di dire qualcosa di sensato. Non c'era nulla di giusto in quei casi, ma un'infinita serie di azioni completamente sbagliate. 

 

<< Vedi, l'incidente è accaduto magicamente. Le tubature del gas non esplodono così normalmente >> 

 

La giovane tornò alla sua tipica lucidità razionale << Forse perché non sono esplose dall'interno. Hanno manomesso il sistema del gas, oppure rotto a mano le tubature. Strano che nessuno se ne sia accorto ... >>

 

Il supereroe intervenne << Quello che ho pensato anche io. E sono quasi sicuro abbia a che fare con i miraculous. >> 

 

Marinette ripensò alle fotografie che aveva riesumato dai vecchi giornali locali. Riguardavano l'inaugurazione della palestra di Fu, ed all'epoca tutti erano estremamente giovani. 

Adrien aveva circa cinque anni, mentre Finn quasi dieci, o almeno ipotizzava ciò.
Ricollegando il volto del sospetto all'ambiente, subito le trillò qualcosa in testa.

Un campanello di allarme che la fece balzare oltre le coperte, diretta verso i mazzetti di fotografie che teneva nel cassetto della scrivania. 

 

<< Hai un'idea? Amo quando ne hai >> esordì Chat facendo le fusa << Quello sguardo malefico che ti fulmina ... e la vena sulla fronte >> 

Marinette borbottò qualche frase sconnessa in tutta risposta. 

<< Non mi pulsa alcuna vena! >> disse poi sfregandosi la fronte. 

Ok, forse le pulsava, ma non era questo il punto. 

<< Ricordi le fotografie? L'incidente è accaduto più o meno cinque anni fa, ma l'inaugurazione risale a molto prima. E Finn sembra strano, davvero strano. >> cominciò afferrando la foto, indicando poi il viso del ragazzo a Chat << Guarda qui. Non sorride in camera e stringe un bastone. Quand'è che i bambini portano un bastone? >>

Il ragazzo impiegò pochi istanti per arrivare alla stessa conclusione di Marinette.
Le era bastata un'occhiata per trasmettergli le sue ipotesi.
Un semplice guizzo. 

 

<< Era cieco. Mio Dio. Come ho fatto a dimentic- >> tossì leggermente << a non accorgermene prima? >>

<< La domanda è un'altra. Come ha fatto un cieco a riacquistare la vista? >>

Entrambi si guardarono, allibiti, pensierosi, ignorando lo scorrere del tempo. Certe volte organizzare i pensieri in silenzio serviva a qualcosa di produttivo. 

<< Chat, devo andare all'istituto purtroppo. Il dovere chiama! Tu non studi mai? >> 

A dirla tutta Marinette non sapeva nemmeno il suo nome, tantomeno la sua corrente occupazione. 

<< Nahhh >> farfugliò flebilmente << mi applico in altro >> 

La smorfia allusiva con cui pronunciò quelle parole si scagliò contro Marinette come un macigno.
Possibile che non riuscisse a mordersi la lingua? 

<< Sei disgustoso. No, più che disgustoso, repellente>>

Il gatto balzò oltre la scrivania, lanciandole lo zaino con fare fluido. Oramai s'aggirava in camera di Marinette con la stessa familiarità con cui s'annoiava nella propria. 

<< Un rifiuto umano che ti piace >> le strizzò l'occhio, impedendole di replicare con qualche battutina secca 

<< Dovrò rimboccarmi le maniche e sfruttare il mio prezioso genio >> 

Marinette infilò le chiavi di casa nella tasca dei jeans, facendo cenno al gatto di uscire dalla scala antincendio. Meglio prudenti che prede rilevabili.

<< Prova con gli archivi dell'ospedale. Un caso medico del genere deve avere una certa rilevanza >> suggerì poi, facendo per aprire la porta. 

<< Sei così intelligente che potrei baciarti seduta stante!>> 

 

Marinette tremò. Traballò così intensamente che nemmeno una droga potente avrebbe potuto calmarla. 

 

<< Non oserai >> l'ammonì, in procinto di scivolare via. 

 

Chiaramente Chat Noir non era esattamente il tipo che seguiva tutto ciò che gli si diceva di fare.
Mai, praticamente, se ne stava nel proprio spazio,
piuttosto considerava i divieti come delle semplici avvertenze che poteva tranquillamente bypassare. 

E così fu: s'avvicinò velocemente per strapparle un bacio casto sulla guancia, sghignazzando un "L'ho fatto comunque!" mentre il suo corpo precipitava oltre la finestra di casa Dupain-Cheng. 

 

"Idiota"

 

 

***

 

Adrien sedeva composto, dritto come un fuso, mentre alcune infermiere dell'ospedale Saint-Louis s'affrettavano a scribacchiare referti correndo da una parte all'altra della sala.
Quell'ala del posto era piena zeppa di urgenze e richieste: accanto a lui sedeva un bambino col naso rotto, ed a pochi metri di distanza adocchiò un anziano col respiratore artificiale. 

Non se la passavano granché.

Adrien, così sano e forte, sembrava un estraneo in un mare di malattie che col passare del tempo riempivano la sala d'aspetto dell'ospedale. 

L'odore forte di naftalina gli perforava le narici, rendendo quell'attesa una vera e proprio agonia, anche se non poteva proprio lamentarsi delle sue attuali condizioni.
Osservando concitatamente le pareti candide della stanza notò un paio di quadri dal dubbio valore estetico che, però, riuscivano a catturare la sua attenzione in modo inaspettatamente magnetico.

Era la seconda volta che perdeva le lezioni a causa di affari supereroistici, nonostante ciò il fatto stesso di esserci recato in ospedale aveva reso la scusa più plausibile di quanto non lo fosse stata un giro per Parigi.
Gli dispiaceva principalmente aver rifilato una scusa a Marinette, simulando una tosse finta come le sorprese dell'uovo di Pasqua. 

<< Signor Agreste, la prego di accomodarsi dal dottor Jean >> disse poi una minuta infermiera posizionandosi di fronte al giovane. 

Adrien si alzò immediatamente, avviandosi di buona lena verso la prima stanza affacciata su un articolato corridoio buio. Il ticchettio che le sue scarpe emettevano colpendo il pavimento serviva a ricordargli quanto poco tempo gli fosse rimasto per architettare un piano convincente.

Doveva fregare un medico. 

Un medico laureato che sapeva perfettamente distinguere fra malattia ed un corpo sano. 

 

Ancora dubbioso, si fermò ad osservare le varie camere che si profilavano adiacenti allo studio del suo medico, così prima di bussare più energicamente ebbe minuti sufficienti a cogliere con la coda dell'occhio uno stanzino riservato al personale di servizio.
L'archivio si trovava dietro quella porta. 

"Bingo" 

Ora, però, doveva capire come arrivarci lì dentro. 

 

 

Nel momento in cui Jean ebbe finito di ispezionarlo da capo a piedi, ascoltando alla meno peggio i finti dolori allo stomaco accusati da Adrien, si sedette sulla sua simpatica sedia girevole.
Il suo studio non era grandissimo: sempre ammobiliato con toni chiari e rilassanti, dotato di strumenti medici ed un lettino dove faceva stendere i pazienti. 

Quando Adrien era più piccolo adorava giocare col dottore, tirandogli la barba scura con lo scopo di ottenere quante più caramelle possibile.Adesso il manto bianco gli conferiva un'aria meno severa, alla stregua di un nonno con il quale condivideva anni di confidenze e lamentele. 

<< Adrien >> iniziò firmando qualche carta << sei sano come un pesce. Nemmeno un graffio, sai? >> 

Il ragazzo fece un falso sorriso di sollievo, ripiegandosi nella poltrona. 

<< No, dico sul serio. Se volevi saltare la scuola, potevi architettarne una migliore. Sei più furbo di così >>

Il ragazzo aprì la bocca per rispondergli con qualcosa di sensato, ma gli uscì solo un verso gutturale denso di sensi di colpa. Se ancora a diciott'anni suonati gli serviva inventare una scusa per saltare le lezioni, doveva proprio apparire patetico. 

<< Hai discusso con tuo padre ? >> domandò in tono paterno. 

Jean conosceva per filo e per segno l'astio che Adrien provava nei confronti del genitore. 

Rispose affermativamente, cercando di sfruttare la carta del figlio ignorato. Il che non si discostava troppo dalla realtà, ma era qualcosa che detestava ammettere persino ad un confidente come lui.

A mali estremi, estremi rimedi. 

<< Va bene, ragazzo. Ti do' un solo giorno di malattia, ma promettimi che cercherai di risolverlo. Non potrai nasconderti per sempre >> 

 

Quell'uomo era un miracolo, Adrien se lo sentiva.
Accettò di buon grado il responso medico, per poi ringraziare profondamente Jean con una vigorosa stretta di mano. 

<< Ti santificherò un giorno di questi! >> disse prima di richiudere la porta ed infilarsi il certificato nella tasca dei pantaloni. 

Non c'era nessuno nei paraggi.
Era il momento propizio. 

Con uno scatto evocò Plagg, il quale lo avvolse in un manto di nero elettrico immediatamente. La trasformazione gli pizzicava ancora le dita, tuttavia dovette ignorare il prurito per richiamare il Cataclisma prima di venire beccato dal personale.

 

Non era molto legale come cosa: Irrompere in una sala a lui proibita per ficcanasare referti medici teoricamente coperti dalla segretezza sembrava una pensata alla Finn. 

 

Velocemente toccò la maniglia della porta, sciogliendo dall'interno i meccanismi gli impedivano di aprirla. Negli ultimi anni era riuscito a controllare molto di più l'enorme forza che la Distruzione portava con sé. Era un potere immenso e spaventoso, soprattutto se poteva ferire le persone accanto a lui. 

 

In men che non si dica scivolò al suo interno, proseguendo in punta di piedi per non emettere suoni sospetti. Benché non risplendesse un raggio di luce in quel dannato archivio, la vista felina riuscì a guidarlo fra i numerosissimi scaffali impolverati.
Sembrava di essere intrappolati in un cervello: altissimi cassettoni pieni zeppi di fogli perfettamente ripiegati e datati.
Seguì le lettere dell'alfabeto fino alla "L", per poi aprire il cassettone e sfogliare le cartelle della famiglia Lacroix. Cercò di fare in fretta, molto in fretta. Il morso della paura gli solleticava lo stomaco come pochi. 

 

Finn si trovava in fondo agli ultimi documenti riportati.
Non si sorprese più di tanto quando lesse della sua cecità. Marinette aveva capito bene. 

 

A partire da quei dati emerse anche il caso miracoloso della sua riacquisita vista. Finn era nato cieco, un caso impossibile che a soli sedici anni avesse potuto imparare a vedere.
Adrien iniziava a ricordare qualche dettaglio al riguardo, anche se circondato di una strana nebbiolina confusa. 

Era davvero strano il fatto che avesse completamente rimosso una cosa così importante. 

Prestando più attenzione alle notizie riportate su carta, gli capitò di leggere un commento scritto dal medico che lo seguiva nella sua guarigione. C'era scritto che Finn aveva iniziato a recuperare la vista dopo un corso di arti marziali e yoga servito dalla palestra del maestro Fu. 

Ecco perché si conoscevano, ora le cose cominciavano a quadrargli in qualche modo. 

Prima di finire la pagina, rizzò le orecchie captando passi pericolosi, quindi fu costretto a rimettere tutto in ordini ed acquattarsi da qualche parte, affidandosi all'amica oscurità.
Appartenevano all'infermiera della segreteria, quella piccola e veloce, che si maledisse non appena constatò d'aver dimenticato di sigillare l'archivio. 

Infilò le chiavi nella toppa per chiudere la porta, dando a Chat la possibilità di respirare normalmente. 

Era così stancante nascondersi quando la sua stessa natura catturava inevitabile l'attenzione di tutti - si ripeteva mentre usciva dalla stanza. 

Girare la chiave di un meccanismo rotto non era stata una buona mossa per l'infermiera. 

Procedendo con un andamento sicuro, lentamente tornò a vestire i panni umani, dirigendosi verso l'uscita dell'ospedale. 

 

Scese le scalette per prendere l'altra uscita meno trafficata, così da non dover incappare in spiacevoli incontri nel mentre.
Detestava venire braccato dopo aver compiuto qualcosa di sbagliato. 

 

Poi, giunto nei pressi della portineria del locale inferiore, s'apprestò a salutare l'addetto alle pulizie.
Piegato a lucidare il vetro della finestra, non ne riconobbe subito i lineamenti.

Gli ci volle relativamente poco per capire di aver approcciato il sospettato numero uno in persona.
Questo si voltò di scatto, scendendo dalle scalette con un balzo felino. 

 

<< Sorpreso di vedermi ? >> domandò ripulendosi le mani sulla tuta da lavoro. 

 

Adrien non era solo stupito, non poteva credere ai suoi occhi. Che stesse dormendo? Sonnambulismo? 

 

<< Già, devo sbrigare servizi "socialmente utili". Una noia mortale effettivamente, ma sarebbe molto più divertente se chiamassi la tua amica sexy >> 

Sentir chiamare Marinette in quel modo gli fece ribollire il sangue nelle vene. 

<< Stai lontano da Marinette, Finn. Niente di personale, ma sei l'ultimo delle cose che le ci vuole al momento >>

<< Non ho chiesto il tuo parere >> rispose aspramente Finn << Niente di personale >> 

Adrien alzò gli occhi al cielo, sorpassandolo bellamente senza alcun tipo di riguardo per l'educazione. Se le sue orecchie avessero ascoltato una sola parola in più, avrebbe reagito esageratamente. 

<< Hai trovato ciò che ti serviva ? >>

L'andamento da prima spedito del ragazzo, si arrestò rapidamente al sentire una punta di insinuazione nella domanda. 

Quel Finn sembrava sapere sempre tutto. 

Adrien si sentiva in costante competizione: continuamente in gara correndo sulla stessa pista, ma a distanze diverse. Mantenere un andamento veloce gli costava fatica, eppure il giovane Lacroix pareva superarlo sempre di qualche metro, camminando al contrario per deriderlo mentre seguitava ad aumentare il passo. 

 

Era denigrante e irritante. 

 

<< E tu? >> 

 

Finn non capiva dove Adrien volesse andare a parare.

<< Hai trovato quello che cercavi trasferendoti qui ?>>

 

Il ragazzo simulò un leggero applauso, ridacchiando inutilmente mentre Adrien se ne stava praticamente andando via. 

<< Sai, Adrien, ci sono cose che non si cercano, ma si devono trovare comunque. Se sapessi dove iniziare, non lo scoverei mai, ma se ignoro cosa sia, allora verrà da me >>

 

***

 

Marinette camminava avanti e indietro freneticamente, gettando di tanto in tanto lo sguardo all'interno dell'aula deserta.
Era stata così sciocca da dimenticarsi il cambio d'orario, ed altrettanto ingenua da potersi credere in grado di affrontare una situazione possibilmente apocalittica. Sarebbe finita in un girone infernale a parte: quello delle pessime amiche con una più che orrenda tempistica. 

Dopo aver salutato Chat Noir mentre faceva letteralmente il volo dell'angelo dalla finestra di camera sua, compiere il solito tragitto casa-scuola le era sembrato un pellegrinaggio verso il patibolo.
Il colpo di grazia era stato il messaggio di Adrien, unica sua possibile roccia in quel mare di follia.
Se avesse continuato a chiedersi chi si celasse dietro la maschera di Chat Noir, avrebbe perso completamente il senno. 

Impazzita talmente tanto che rinchiuderla in uno di quegli ospedali cinesi per gente speciale sarebbe stata la soluzione migliore. 

Tikki le solleticava il palmo della mano cercando di infonderle tranquillità e coraggio, ma la risposta di Marinette sembrava tutt'altro che calma.
Nel turbine dello stress vide con la coda dell'occhio un ragazzo oltrepassare il corridoio, diretto verso la bacheca degli orari. Se era stato fortunato quanto lei, allora avrebbe dovuto aspettare un'ora piena prima delle lezioni. 

Poi ne riconobbe l'andamento vagabondo, quello simile allo sbandare delle navi in mare aperto, riconducendo i fili delle importanti cuffie direttamente ad un viso etnicamente singolare. 

Nino. 

Quel Nino che avrebbe voluto davvero evitare. 

Lo stesso amico di una vita, fidanzato e tradito da quella che riteneva una sorella. 

 

"E anche questa settimana il karma mi detesta. Grazie, molto maturo da parte tua!" brontolò tra sé e sé, avviandosi di buona lena verso il bagno delle ragazze. Lo spogliatoio femminile era l'unico luogo dove Nino non avrebbe potuto raggiungerla.
Nascondersi stava diventando parte del suo essere.

Certe volte si chiedeva se la sua vera natura fosse stata quella di camaleonte e non di coccinella. 

Poco prima di aprire la porta, tuttavia, fu interrotta da una voce fuori campo. Si voltò lentamente, canalizzando quanta più aria possibile nei polmoni.

<< Ehilà! Tutto bene? >> sputò fuori impacciatamente. Sembrava un criceto con le guance colme di semi. 

Nino abbassò le cuffie alla base del collo, per poi sventolare una mano di tutta risposta.

 

Indossava sempre quel sorriso dolce, spensierato, accompagnato dal suo solito look insolitamente americano: jeans strappati, felpone con scritte in acrilico ed il tipico cappellino dei Lakers. 

 

<< Anche a te ha suonato prima la sveglia ? >> 

Se le fusa di Chat Noir potevano considerarsi una degna sveglia, allora sì, era plausibile rispondere affermativamente. 

<< Già, sono un testa vuota! Pensavo di averla impostata ieri sera ... >> disse Marinette, provando a indirizzare la conversazione verso argomenti sicuri, facili da gestire. 

Come il tempo. O le mezze stagioni. 

Si stava meglio quando si stava peggio.

Insomma, avete capito. 

 

<< Ti capisco! Ieri sera ero troppo occupato a parlare con Alya per preoccuparmene. A proposito, oggi non viene. Ha mal di gola >> 

"Si, Finn le avrà passato i germi della menzogna"

Marinette sospirò silenziosamente.
Le era stato concesso un altro misero giorno di preparazione, quanto meno. 

<< Adrien nemmeno, è andato dal medico. >> farfugliò sovrappensiero, lasciando Nino un po' perplesso. 

Effettivamente lei e Adrien non erano stati mai così stretti da inviarsi messaggi o cose del genere. Ultimamente molto era cambiato. 

<< Uhm, che schifo questo periodo. Spero si riprendano per il festival della musica >> 

"Il festival della che?" 

 

Poi si bloccò. Alcuni mesi prima avevano prenotato i biglietti per un fantasmagorico festival fuori Parigi, pieno di stand, giochi da lunapark e ovviamente un palco dove si alternavano cantanti emergenti. Aveva fantasticato riguardo quell'evento per tutta l'estate precedente, immaginando chissà cosa in compagnia di Adrien.
Si era fatta prendere dall'entusiasmo come una bambina con i regali di Natale.
L'aveva considerata un'occasione perfetta per stare da sola con Adrien e magari coronare i suoi sogni. 

Adesso le sembravano una bolla sul punto di scoppiare. 

Mentire a Nino e Alya ? Uscire con Adrien nonostante tutti i dubbi? Le sarebbe scoppiato il cuore.

<< L'avevo quasi dimenticato! Che sbadata ... >> esclamò grattandosi la nuca. 

Nino le diede una pacca sulla spalla, come se fosse stata un suo "bro" qualunque << Rilassati Marinette, andrà bene con Adrien >> disse << Vi vedo più uniti >> 

"Aspetta, cos?"

Non poteva credere di star assistendo ad una patetica scena motivazionale. Soprattutto quando il suo problema seguiva la direzione diametralmente opposta.
Certo, che ne poteva sapere quel povero di Nino, che l'aveva sempre vista cotta a puntino dell'amico. Alya poi gli aveva spifferato tutto, ovviamente. 

<< Emh, sì, stiamo studiando insieme ultimamente >>
"Andiamo Marinette, so che te la puoi cavare meglio di così. Manco tu ci credi!"

Nino le lanciò un'occhiata eloquente. I suoi occhi nocciola a sembravano molto più grandi se sprovvisti del solito paio di Ray-Ban scuri. 

<< Adesso si chiama studiare ... >> 

Marinette voleva nascondersi, insabbiarsi, cambiare nome e trasferirsi in qualche città del Sud America per commerciare con i narcotrafficanti.
Forse prendendo l'appellativo di Pablo, nessuno l'avrebbe disturbata.
Sentì le sue gambe molli come gelatina, incapaci di sorreggere il suo corpo minuto. 

<< Nino, credimi, tra noi >> 

Peccato che il ragazzo la interruppe subito << Tra voi c'è qualcosa. Hai le spalle coperte Mari, non ti preoccupare. >> disse allontanandosi dalla ragazza << Ti conviene andare in bagno, scusa se ti ho bloccata! >> 

Sì, per andare a rimettere la colazione. 

Lei e il karma dovevano fare una lunga chiacchierata. Giunse alla conclusione che forse le serviva tornare dalla psicologa, anche se era quasi certa che poi l'avrebbe costretta a pagare sua volta un'altra psicologa. Marinette poteva essere stressante. 

<< Marinette ...? >> la richiamò Tikki, la sua attuale psicologa. 

La ragazza era seduta contro la parete dello spogliatoio( quella spoglia dove solitamente appendevamo accappatoi e teli )con la testa completamente vuota.
Le ci volle un po' prima di afferrare le parole di Tikki. 

<< Sento puzza di bruciato. Potresti controllare Il telegiornale? >>

Trafficò su internet utilizzando il cellulare, andando dritta nel reparto delle news giornaliere.
Tikki aveva ragione.
Qualcosa bolliva in pentola, e non era affatto piacevole. 

<< Tikki, c'è un'akuma all'ospedale di Saint Louis. Trasformarmi! >> esclamò risoluta, sfiorando gli orecchini a forma di coccinella. 

Ogni centimetro della sua pelle, ogni fibra del suo corpo, fu avvolta da scosse fortificanti che si insinuavano nelle profondità del suo essere. Il miraculous le aderì perfettamente come uno strato di pelle, culminando con l'apparizione di una mascherina tonda dai pois neri. 

<< E anche oggi si arriva in orario domani. Di bene in meglio >> 

La vita della ragazza stava prendendo una piega sempre più oscura e negativa.
Sembrava che più si affannasse a distendere le increspature, più queste si ritirassero raggrinzendosi maggiormente.
Anche quando accadimenti assurdi avevano una bassissima probabilità di avverarsi, puntualmente si verificavano scombinando le carte sul tavolo. 

Era un po' come la legge di Murphy.

Le cose belle passano esattamente come quelle brutte, tutte tirate lungo il filo del destino. 

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Capitolo 12
*** Locks and old clocks ***



 
 
 
 
Locks and old clocks

 
 
 



Marinette sfondò la porta principale dell'ospedale senza problemi, ignorando completamente i sistemi di sicurezza attrezzati su ogni ingresso del posto. 
A detta della giovane, quella era stata una semplice "spintarella" innocente, dato che nessuno avrebbe potuto fisicamente farla accomodare per bere tea e biscottini al burro. E a lei serviva disperatamente entrare per purificare la nuova cavia di Papillon. 
 
"Dio, è una cosa che direbbe Chat..."
 
Dopo aver ampiamente ispezionato il primo piano della struttura, scivolando fra i corridoi dove si alternavano salette d'attesa e camerate di letti, si rinsaldò in lei la consapevolezza che la maggior parte dei pazienti era stata fatta evacuare. Oppure rinchiusa in qualche zona sicura e blindata. 
In ogni caso se lei non poteva arrivarci, era quasi sicura che l'akuma non aveva alcuna possibilità. 
 
Se inizialmente la frenesia della battaglia l'aveva spinta a correre un po' dappertutto, adesso preferiva rallentare il passo per guardarsi intorno con maniaca scrupolosità. 
Un ospedale vuoto sembrava un corpo senza anima: un involucro piatto e monolitico pronto ad essere riempito di rumori. 
Chiudendo gli occhi poteva perfettamente immaginare i pazienti scorrazzare lungo i corridoi, così come le lettighe ruotate trasportare qualche emergenza. 
Affacciandosi nel reparto dei bambini adocchiò subito qualche mucchio di puzzle ancora sparso a terra disordinatamente, segno di una fuga piuttosto frettolosa. 
Stessa cosa per il reparto cardiologico e locomotorio.
Con la differenza che al posto dei giochi si trovavano vestiti ammassati a terra e flebo ancora attaccate agli strumenti accesi. 
 
Capire da cosa stessero scappando era il suo compito. 
Raccolse da terra un paio di volumi che le impedivano di ispezionare la sala, compiacendosi della scelta del paziente. "Cime tempestose" era un grande intramontabile. 
 
Distratta com'era, percepì solo con la coda dell'occhio il frusciare fugace di un individuo sospetto. Era stato celere come un'ombra nel vento, c'era da ammetterlo, e per quanto Marinette cercasse di rintracciarlo, non riusciva proprio a scovarlo nuovamente. 
 
"Vuoi giocare a nascondino, eh?"
 
Marinette si guardò i piedi: ancora le dolevano dopo la corsa a perdifiato sotto la pioggia. Indossava quella tuta da una vita ormai, sempre il tipico disegno chiazzato ed i pois color pece, ma non le era mai capitato di stufarsene o semplicemente desiderare di liberarsene. 
Anche ora che girovagava in un ospedale a lottare contro i mulini a vento, veniva sempre travolta dallo stesso eroico slancio.
Peccato che paresse un grande buco nell'acqua.
Sentì di aver toccato il fondo quando le mancò da ispezionare solo l'ala dedicata all'urologia. 
 
Non c'era nessuno, non doveva allarmarsi.
O forse doveva preoccuparsi proprio perché non volava una mosca. Solitamente accadeva qualcosa di tremendo subito dopo un momento di intensa calma. 
La quiete prima della tempesta non era rassicurante, piuttosto, era il preludio della fine. 
 
"Che fine ha fatto Chat?" si domandò stringendo lo yo-yo tra le dita. Il filo sottile del miraculous le circondava l'indice e il pollice, ingarbugliandosi man mano che procedeva con l'attenta analisi. 
 
Trascorsa una mezz'oretta buona, Marinette aveva già  passato in rassegna altri due piani dell'ospedale invano. Nessun segno di terribile akuma nei paraggi.
Eppure l'aveva percepita prima: sinistra e rapida, alle sue spalle. 
 
L'orologio posto nella segreteria dell'ultimo piano, proprio vicino alla tromba delle scale che precedeva i vari corridoi simmetrici , segnò le dieci spaccate rintoccando un "dongg" decisamente inquietante. Per tutto il tempo aveva sopportato quel ticchettio fastidioso infilarsi dappertutto si fosse posato il suo sguardo. 
Adesso si fermava a guardarlo meglio: tondo, di metallo e ... sprovvisto di lancette. 
Un orologio meccanico, tecnologico, solo fatto di schermo al plasma, senza alcun impianto che potesse giustificare il tipico rintocco dei vecchi pendoli. 
 
Non se l'era immaginato. Le sue orecchie ancora funzionavano a differenza del suo raziocinio. 
 
Il rintocco solenne doveva pur provenire da qualche parte del piano, ne era sicura. Così perlustrò l'ala dedicata alla neurologia in cerca di un vecchio pendolo ammuffito, invece che dell'akuma a piede libero. 
 
Fu un'analisi piuttosto proficua. Infatti sfruttò pochi secondi per seguire il suono sino alla sua fonte d'emissione. 
Era un grande reparto impiegato per la riabilitazione motoria derivata da traumi cranici. Assomigliava in tutto e per tutto ad una palestra, solo estremamente pulita e senza oggetti pesanti possibilmente pericolosi. Vi entrò rapita dal suono del pendolo, per poi rendersi conto che il rintocco sordo non era l'unico rumore percepibile al suo interno. 
 
"Oh santi numi " 
 
Quello di fronte a lei era Finn Lacroix, riconoscibile per la sua espressione sfacciata e piercing al naso. Il resto del suo corpo, invece, dava l'impressione d'appartenere ad un'altra persona con un minimo di senso estetico. A partire dalla divisa lavorativa dell'ospedale, così sobria ed elegante, per concludersi con delle semplici scarpe da passeggio, a Marinette sembrava un individuo quasi normale. 
 
Se non fosse stato per la sua ridicola posa al momento dell'incontro, avrebbe potuto scambiarlo per un qualsiasi dipendente. E con ridicola posa intendo il fatto che si trovasse nel bel mezzo della sala brandendo una sedia di plastica contro il...nulla.
Esatto, assolutamente zero nemici. Zero umani. 
Solo un ragazzo un po' cresciuto che spazzava via l'aria in modo aggressivo, tendendo la linea dell'autodifesa. 
Era buffo vederlo affannarsi senza sosta con espressione crucciata, perciò Marinette dovette sforzarsi per non singhiozzare una risata.
Non poteva tradirsi ed attaccarlo senza motivo. 
<< Hai bisogno di aiuto? >> domandò poi, stagliando di fronte la sua figura con le mani premute sui fianchi. Non si stava vantando, stava solo cercando di mostrare un briciolo di serietà in quella paradossale barzelletta. 
 
Finn sospirò abbassando le gambe della sedia verso terra, come a voler dichiarare bandiera bianca << Dimmi che l'hai visto anche tu >> 
 
<< Purtroppo non posso farti sentire meglio >> rispose stizzita, fissandolo dritto negli occhi scuri. Il colore torbido delle sue pupille sembrava un groviglio di rami e spine appuntite, fittamente intersecate, che ostruivano il passaggio dei raggi luminosi. 
 
<< Bene, l'ho perso definitamente. Erano ore che cercavo di catturarlo! >> ululò il ragazzo scagliando la sedia contro il muro << C'era una dannatissima akuma proprio qui, ma hai avuto la brillante idea di precipitarti senza riflettere! Complimenti super eroina >>
 
Marinette raccolse i pezzi di plastica in silenzio, lasciando sbollire un furente e ingestibile Finn. Riteneva che avesse fatto uso di sostanze allucinogene, ma affermarlo con certezza avrebbe solo peggiorato il suo umore nero. 
 
<< Ok, ora prendi un bel respiro. Vedrai che tutto si risolv->> 
 
Finn si precipitò ad afferrarle i polsi. Aggressivo, febbrile e animalesco, pareva un selvaggio appena uscito dalla cattività. Le vennero i brividi. 
 
<< Non andrà tutto bene. Lo sai meglio di me, Ladybug. Devi fidarti di me in questo, l'akuma va catturata prima possibile o ... >> 
 
<< Oppure ? >> 
 
Il tono candido e spaurito con cui sussurrò quelle parole fu sufficiente perché si allontanasse da lei senza ricorrere alla forza. Marinette avrebbe potuto spezzargli il collo dopotutto. 
 
<< Lascia perdere. Dobbiamo purificarla >> farfugliò sfregandosi le mani contro la tuta da lavoro. 
 
Marinette non si stupì delle sue conoscenze sui miraculous, sapeva che Finn nascondeva qualcosa al riguardo, tant'è che le foto rinvenute lo provavano in modo schiacciante. 
 
<< Bene, mettiamo che ti creda. Ipoteticamente parlando, come faccio a catturare una cosa che solo tu vedi ? E poi perché non riesco a percepirla ? >> 
 
<< Ipoteticamente parlando, dovresti fidarti del mio istinto. >> rispose freddamente.
 
<< Ti aspetti che segua le indicazioni di uno sconosciuto schizzato senza uno straccio di spiegazione ? >> 
 
Alzò il sopracciglio adirata, stanca dei suoi giochetti mentali. 
 
<< Non sono uno sconosciuto >> asserì a gran voce, mostrando un'estrema fiducia nelle sue movenze. 
 
Marinette indietreggiò provando a soffocare qualsiasi suono intendesse valicare i suoi padiglioni auricolari. 
 
Non voleva sentire, benché se lo aspettasse dopo il commento fatto durante la cena dagli Agreste. 
 
<< Vero, Buttercup? Smettiamola con le farse >> 
 
Marinette si sentì appassire lentamente, marcire fin dentro gli organi. Aveva un saporaccio amaro che le inaspriva la bocca, uno di quei veleni mortali che uccidono le persone all'interno della loro gabbia protettiva. La stessa sensazione di smarrimento e vuoto che provava quando i genitori partivano per la Cina lasciandola a casa degli zii. 
 
Scosse il capo velocemente, cercando di riprendersi.
Con quegli occhi grandi, abbaglianti e completamente inondati di panico, tornava immediatamente alla sua infanzia. 
Non era più una bambina fragile, però. 
 
Finn sbuffò imitando l'espressione stupita di Marinette << Ma come fai a saperlo? Mi hai spiata ? Hai venduto la tua anima a qualche setta satanica ? >> esclamò il ragazzo in tono sarcastico.
 
 La stava prendendo in giro proprio in un momento del genere.
 
<< Nessuno spionaggio e patto col diavolo. Credo che mi odi, o mi temi. Beh, non fa molta differenza effettivamente... >> 
 
Marinette si schiarì la gola finalmente capace di comporre frasi di senso compiuto << Tu mi devi molte spiegazioni Finn. Non ti lascerò in pace finché non sputerai il rospo e sappi che posso diventare davvero insistente >> 
 
<< Ah, quindi adesso le posizioni si rovesciano, interessante ... >> iniziò farneticando qualche allusione maliziosa << Quanto insistente hai detto di diventare ? >> 
 
La super eroina trattenne un conato << Tanto da strozzarti per averci provato con la mia migliore amica, ma sorvoliamo. Tu mi servi per catturare un'akuma  >> 
 
<< Il tuo micetto non è nei paraggi? >> 
 
"Già, dov'è Chat?"
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Adrien non stava semplicemente correndo a perdifiato: annaspava letteralmente infondendo una tale forza alle gambe da permettersi slanci sovra umani. S'allungava come un felino pronto ad azzannare la preda, mostrando nei movimenti una ferocia animalesca che non gli apparteneva affatto. 
Sotto la maschera nera sentiva montare una rabbia ignota, indecifrabile e intramontabile, che non poteva in alcun modo soffocare. 
Non era da lui lasciarsi andare così.
Sapeva essere impulsivo e incosciente, ma in definitiva riusciva comunque a controllarsi prima di mandare tutto all'aria. 
 
Questa volta, però, era diverso. 
Un diverso sbagliato, più sinistro e infinitamente indomabile. 
 
Non capendo neppure la sua destinazione, Adrien dovette lottare duramente contro se stesso per impedire una sopraffazione. Il suo lato oscuro, quello abbandonato a marcire nella sua testa, era stufo di starsene con le mani in mano senza poter intervenire.
Il suo ruolo da mero spettatore doveva terminare. 
Ciò significava, tuttavia, avvelenare completamente una morale sana, dignitosa, pura. 
 
Adrien provava terrore delle cose nel suo cervello. Scorrazzavano dappertutto infilandosi persino tra i bei ricordi e, come rampicanti invadono le facciate degli edifici, non lo lasciavano più stare. 
 
Inaspettatamente arrestò la sua corsa impazzita nei pressi di quello che ipotizzava fosse un giardinetto di quartiere. 
Era fin troppo confuso per riconoscerne i dettagli. 
Sbandava da una parte all'altra respirando profondamente tutta l'aria fredda parigina possibile, congelando solo il suo petto dolorante. I pensieri torbidi, infatti, continuavano ad aggrapparsi alla sua sanità mentale.
Preso dalle paure, notò solo successivamente l'arrivo silenzioso di una ragazza col costume da coccinella. 
Se Marinette si fosse avvicinata oltre, non era sicuro di potersi controllare completamente.
Così urlò, gridò talmente tanto forte da sconquassarsi le tempie e la gola, provando ad arrestare l'inevitabile tempesta d'odio che dilagava nella sua testa. 
Quando Marinette fu abbastanza vicina, tuttavia, era troppo tardi. Chat conteneva nel palmo di una mano un cataclisma elettrico che scoppiettava attorno alle sue dita come fuochi d'artificio, aspettando impazientemente di essere liberato. 
Per quanto si torturasse, tentando persino di graffiarsi con i suoi stessi artigli, oramai il suo corpo non gli apparteneva più. Rispondeva solo a vecchi richiami malvagi intenti a distruggere e intaccare la purezza degli innocenti. 
 
La ragazza non parlava. Se ne stava in silenzio ad osservarlo avanzare verso la sua figura. Gli bastò un semplice passo per raggiungerla e sfiorarle il volto. 
Poi il nero. Atroce e perverso, quel cataclisma travolse la ragazza incatenandola in un fuoco tenebroso che si spense solo quando di lei era rimasto unicamente il miraculous. 
Aveva mantenuto quella quiete persino sul punto di morire. 
Adrien voleva morire. Nel cuore sentiva voragini allargarsi avidamente, come buchi ritagliati sulle vesti di una bambola per bambine. 
Lo strazio insostenibile sembrava interminabile. 
 
<< Adrien! Ti ho detto che il formaggio è finito! Leggi il labiale? F-I-N-I-T-O >> ululò la voce stridula di Plagg. 
 
Improvvisamente si destò dal suo pisolino, scattando in piedi manco gli avessero versato addosso una tinozza d'acqua gelida. Si sentiva già fin troppo scosso. Plagg fluttuava candidamente, analizzandolo con occhio investigativo. 
 
<< Hai fatto di nuovo quell'incubo? >> 
 
Adrien annuì amaramente. Gli era capitato altre tre volte di compiere un sogno del genere, ed anche se possedevano forme diverse, tutti erano provvisti della stessa fine. Si concludevano sempre con la morte di Ladybug causata non di meno dalla sua indomabile oscurità.
 
<< C'è qualcosa di molto sbagliato nella mia testa, Plagg. Da quando Finn è arrivato non sono più me stesso >> borbottò il ragazzo, asciugandosi la fronte imperlata dal sudore. 
 
Era vero. Quegli episodi terrificanti lo perseguitavano da quando il cugino di Chloé aveva cambiato casa. 
<< Sono solo sogni! Anche io immagino spesso di trovarmi in una piscina piena di ... di ... broccoli >> farfugliò Plagg disgustato << Ciò non vuol dire che mi capiterà veramente >> 
 
<< Sognare di uccidere una persona ti sembra normale? Uh? E provare piacere nel farlo? >> tuonò di tutta risposta, affondando le dita nella folta chioma bionda. I baffi di Plagg si muovevano vispi, incorniciando un volto dispiaciuto e leggermente colpevole.
 
<< So che mi nascondi molte cose, ma devo sapere se c'è la possibilità che accada. Plagg, ho bisogno di capirlo. Sognare la stessa cosa tre volte non è solamente terrore, sembra quasi un avvertimento >>
 
Plagg fece per dire qualcosa, Adrien ne era sicuro, peccato che il suono assordante delle sirene della polizia lo aveva bloccato prima di dargli una risposta. 
I loro sguardi si incrociarono sapendo esattamente cosa doveva essere fatto. 
 
<< Ne riparliamo. >> 
 
Fu categorico e brusco, ma non poteva permettersi di rimanere velato dall'ignoranza. Non quando rischiava di bruciare via la cosa più bella che gli era capitata ultimamente. 
Dopo la morte della madre certe sensazioni aveva preferito chiuderle in un forziere senza chiave e buttarle nello sprofondo dell'oceano. Sarebbe diventato il fantasma di se stesso se non fosse stato per le amicizie all'accademia e la avventure in compagnia della sua lady. 
Il solo pensiero di poterla ferire accresceva in lui un odio viscerale verso la sua persona.
Come avrebbe sopportato tutti ricordi e sarebbe sopravvissuto a se stesso dopo di quello? 
 
 
***
 
 
 
<< Quindi fammi capire bene, come è successo? >> 
 
Marinette si lasciava guidare per le sale dell'ospedale tenendo tese le orecchie nel caso avesse percepito rumori sospetti. Non si fidava dei suoi sensi, figurarsi di uno come Finn. Tuttavia quel criminale conosceva verità indispensabili per concludere la propria missione e catturare l'akuma. 
 
Malgrado l'astio inevitabile, non esitò a bombardarlo di domande scomode alle quali lui non aveva la minima voglia di rispondere. Si limitava a concentrarsi sui dettagli insulsi e a cambiare totalmente discorso in ballo.
Abile con le parole, Finn sapeva esattamente come filtrare delle mezze spiegazioni poco sostanziose che di fatto rendevano insoddisfacente ogni sua risposta. 
 
<< Chiariamo fin da subito una cosa Caramel. Non risponderò alle tue domande... cosa ci guadagnerei altrimenti? Però potrei casualmente dire qualcosa senza alcuna pretesa. Intesi? >> 
 
Svoltarono verso la segreteria del secondo piano, dove si trovavano i distributori di merendine. Se Marinette avesse potuto, certamente scagliargliene uno contro sarebbe stata la più grande gioia della sua vita. Detestava stare ai suoi giochi e letteralmente dover continuare ad abbassare il capo dopo ogni tirannico ed arrogante commento. 
 
<< Ah certo, dimenticavo che per te compiere buone azioni in modo disinteressato sia uno spreco di tempo.  Cosa vado a domandarmi? >> disse in tono sarcastico, affiancandosi alla macchinetta illuminata che vendeva bibite fresche. 
 
Finn inserì una moneta indugiando nella scelta del prodotto. 
 
<< Amo quando mi leggi nel pensiero. Ad esempio, cosa dovrei prendere qui? >> domandò indicando le bibite impilate nella macchinetta. 
Roteando gli occhi con fastidio, la giovane non accennò ad una risposta concreta. 
 
<< Una Doctor Pepper andrà bene >> esordì finalmente afferrando la dannata bottiglietta di plastica. Sembrava un misto fra cola e qualche succo rosso. 
 
<< Mi hai portato fin qui solo per dissetarti ? >> sbottò Marinette, mordendosi la lingua per la rabbia. 
Finn le strizzò l'occhio stappando la bibita << No, avevo sentito un rumore e ne ho approfittato. Però sarebbe stato da me, hai ragione >> 
 
<< Sono stufa di girare senza meta Finn. Almeno dimmi ciò che mi serve e giuro che smetterò di tormentarti >> provò ad intavolare un compromesso inutile. Sotto sotto la stessa Marinette sapeva che a Finn la sua presenza giovava parecchio. 
 
<< Chi ha detto che mi dispiaccia? E poi non ho molto da dirti. Avevo un miraculous e l'ho perso. Ne sto pagando ancora i conti, fine >> riassunse deglutendo qualche sorso di quel disgustoso beverone marrone. 
 
Marinette quasi gridò per la frustrazione << Ok, capisco che tu non mi voglia rivelare i dettagli. Non mi interessa sapere come hai riacquistato la vista, né scoprire quale fosse il tuo miraculous, ma devi dirmi come faccio a scovare Papillon. È di vitale importanza >> 
 
Ok, probabilmente le interessava, però doveva agire secondo precise priorità. Una volta conclusa la storia di Papillon avrebbe sfruttato tutto il tempo per capire il perché di molte cose. 
 
<< Dovresti prenderti una pausa Candy, ti vedo agitata >> 
 
"Guarda come ti agito una sberla..."
 
Lo sguardo iniettato di veleno di Marinette riuscì a rinsavirlo parzialmente. 
 
<< Bene, ti dirò una cosa, ma non dire non sono magnanimo, okay? >> affermò asciugandosi gli angoli delle labbra sporche di residui di liquido << Se Fu non vi dice nulla è perché teme scopriate troppo. Quello che cerchi non si trova fuori, in giro, nelle mie parole o in quelle del maestro. Puoi benissimo trovarlo dentro te stessa. Ti ricordo che i miraculous sono eterni, perciò ... >> 
 
La supereroina saltò immediatamente << Conservano le memorie dei proprietari precedenti? >> 
 
<< Oh, non le conservano solamente. Parte di loro vive in te. Sono come nastri avvolti nella tua testa >> 
Marinette prese a riflettere con più intensità << E come farei a recuperarli ? >> 
 
Prima che Finn potesse dirle di cavarsela da sé, uno scoppio proveniente dal reparto delle radiografie interruppe lo svolgersi della conversazione. 
 
<< Andiamo coccinella, potrai fare meditazione dopo >>
 
 
 
Arrivarono nella stanza delle radiografie cercando di minimizzare i suoni nel modo migliore, per poi gentilmente spingere la porta che li separava dalle macchine senza emettere scricchiolii sospetti.
Marinette fece avanzare Finn per primo e, utilizzandolo come una bussola, aspettò un suo responso. Il ragazzo le fece cenno di entrare in pochissimo tempo, pregandola di fare silenzio nel mentre. 
Quando la supereroina riuscì a valicare l'entrata la luce non le giocava a favore: tapparelle abbassate e pochissimi spicchi luminosi provenienti dal corridoio erano le uniche fonti visive. Quantomeno non sarebbe toccato a lei individuare l'akuma. 
Finn le mimò in labiale qualcosa riguardo il grande macchinario alle sue spalle ( quello a forma di bara dove solitamente venivano distesi i pazienti prima di effettuare una radiografia ), peccato che non avesse capito granché del suo sproloquio.
Candidamente, il ragazzo compì un balzo in avanti, braccando con le braccia un alone apparentemente vuoto ma evidentemente denso di materia.
L'akuma lottava contro la presa di Finn, tuttavia riusciva a gestirla bene sebbene fosse un essere sovrannaturale.
 
Dopo essersi lasciata imbambolare, Marinette richiamò a sé il proprio lucky charm, sperando in qualche idea fulminante. 
Le piombò in mano un sacco di borotalco pesante come un macigno. 
 
<< Prima che mi stacchi le braccia, grazie >> borbottò divincolandosi ferocemente. Sembrava un folle in preda alla schizofrenia con tutti quei volteggi meccanici. 
 
Aprendo il pacco di borotalco, fu colpita dall'illuminazione divina. Il suo lucky charm non la deludeva mai dopotutto.
Marinette versò la polvere ricoprendo Finn e l'akuma della sostanza bianca, causando un polverone caotico che confuse l'atmosfera circostante. 
Per un po' sentì solo tossire qualcuno a gran voce, era frustrante non capire da dove provenisse. Malgrado ciò, la vista tornò nitida contro le sue aspettative. 
L'akuma era fuggita, su questo non ci pioveva, inoltre ricondusse la tosse a Finn, il quale stava lottando aspramente contro i suoi polmoni. 
 
<< Inseguila adesso che è riconoscibile! >> la intimò il giovane, premendo una mano sulla gola. Gli usciva un filo di voce rauca e bassa. 
 
Marinette non se lo fece ripetere due volte. Sfrecciò oltre la stanza, seguendo le orme polverose che i passi dell'akuma avevano presumibilmente creato a terra. Una pista efficace -  si disse - che l'avrebbe condotta direttamente dal malcapitato. 
E così fu: la massa bianca sedeva nella saletta d'aspetto che precedeva il corridoio principale, ignara della presenza della supereroina. 
Prima di buttarsi in uno scontro corpo a corpo, però, provò a individuare l'oggetto che custodiva l'akuma. 
Con tutta quella compattezza bianca non riusciva proprio a capire le forme del nemico, figurarsi rintracciare un oggetto possibilmente maledetto. 
 
<< Gli ho visto un orologio nella tasca dei pantaloni. Prova con quello >> suggerì Finn alle sue spalle, arrancando come un beduino nel bel mezzo del deserto. Marinette annuì energicamente, avanzando lentamente verso il nemico. 
Di soppiatto allungò una mano in direzione della tasca, tuttavia l'akuma non aspettò molto prima di reagire. Rispose all'attacco rendendo il mobilio intorno invisibile, così rivelando il suo potere alla giovane. Peccato che ricoperti di borotalco fossero entrambi visibili, quindi poco importava se faceva sparire il mobilio da un momento all'altro. 
Non era un avversario forte, forse un bambino, e ne ebbe la conferma quando, afferrando l'orologio, notò dei dinosauri sul cinturino di plastica. L'unico oggetto rimasto visibile ovviamente. Le dispiacque molto romperlo, ma era necessario per purificare la farfalla. In men che non si dica chiamò il potere del miraculous intrappolando la maledizione della farfalla direttamente nel suo yo-yo, per poi riconvertirla in un' esplosione di brillante energia positiva. 
 
Tutto tornò alla normalità. Compreso il bambino che ora piangeva disperato a terra. Era un paffutello discolo che la ragazza conosceva di vista: veniva sempre in pasticceria con la madre, la quale puntualmente se ne infischiava per stare al telefono. Forse si sentiva talmente invisibile agli occhi del genitore che aveva desiderato rendere tutti così. 
Comprensibile. 
Il bambino scacciò la mano di Ladybug quando tentò di consolarlo. Era devastato. Si infilò sotto il tavolo imbronciato, irremovibile e innervosito. 
 
<< Mi duole ammetterlo, ma non sei niente male come supereroe. Bella mossa quella dell'orologio >> 
 
Finn fece una smorfia compiaciuta << Te l'ho detto, me la cavavo piuttosto bene. E poi ho mantenuto qualche asso nella manica >> 
 
Ergo poteri speciali che terrorizzavano Marinette. 
 
<< Riuscivi a vederlo grazie ai tuoi vecchi poteri >> pensò ad alta voce << Scommetto che hai manipolato così Alya, sfruttando qualche tecnica >> 
 
Lo stava palesemente accusando, era ovvio. 
 
<< Alya dici ... >> disse Finn perplesso << Ahh certo! Sì, un errore nei miei calcoli, troppa persuasione >> 
 
"Quindi Finn riesce a indurre le persone a fare tutto ciò che gli passa in mente ..."
 
Quantomeno fu sollevata nel sentire che Alya non era stata propriamente se stessa durante quegli incontri clandestini. Solo una marionetta intrappolata nelle maglie di un burattinaio scaltro e indifferente. 
 
<< Un errore? Hai idea del disastro? Alya è fidanzata da anni con Nino! >> scalpitò Marinette su di giri. 
 
Finn non sembrava particolarmente interessato ai danni causati, piuttosto preferiva osservare la ragazza bollire di rabbia e diventare di un rosso vermiglio. 
 
<< Gelosa ? >> alzò le sopracciglia ignorando completamente gli ammonimenti da lei fatti. 
Marinette si costrinse a stringere i pugni sfogando la propria ira contro se stessa, altrimenti gli avrebbe lasciato un nell'occhio nero. 
 << Giusto, tu hai altre gatte da pelare >> aggiunse Finn abbassando il tono, rendendolo scuro e voluttuoso, quasi cupo. Indicò poi l'ingresso della stanza, dove stagliava ansimante uno Chat Noir sorpreso. 
 
La supereroina sospirò nel vederlo sano e salvo. Lui, invece, sembrava più occupato ad interpretare la scenetta di fronte ai suoi occhi. 
 
<< L'akuma aveva reso invisibile Pont Neuf. Ho impiegato ore per convincere la folla fosse un'illusione. Non la smettevano di scattarmi foto!  >> si giustificò riprendendo fiato.
 
<< Non preoccuparti Chat, ce la siamo cavata! >> esordì la giovane mostrando un segno di vittoria. Le restavano pochi istanti prima della ritrasformazione, doveva affrettarsi. 
 
Quando utilizzò il pronome al plurale, subito Finn spuntò da dietro la ragazza, salutando superbamente il super eroe con fare compiaciuto. 
 
<< Finn ... >> sbuffò Chat Noir lievemente infastidito. 
 
La tensione si tagliava sul filo di un rasoio. 
Avvicinandosi al gatto, Finn strizzò consapevolmente un occhio verso Marinette << Com'è che tutti mi conoscono, milady? >> 
 
Ed ecco che il filo si trasformava in una bomba nucleare pronta ad esplodere. L'aveva chiamata come Chat solitamente si divertiva a fare. Detto da lui, però, suonava infinitamente sbagliato, stonato. 
Lo preferiva sicuramente al mucchio di patetici soprannomi che puntualmente le affibbiava. 
 
<< Non sono la "tua lady", Finn >> s'affrettò a dire prima di assistere ad una rissa << Sei stato molto d'aiuto. E tu Chat, per favore occupati del bambino, deve trovare sua madre >> 
 
Chat Noir annuì mostrando un sorriso più che radioso << Sì, milady >> 
 
Marinette sapeva perfettamente che rispondere impiegando il suo nomignolo era stata un'abile mossa per rendere invidioso Finn. Conosceva Chat come le sue tasche. 
 
<< Devo scappare! Non azzuffatevi >> 
 
Difficile dire se effettivamente si fossero scontrati una volta corsa via dall'edificio. Marinette aveva altro cui pensare, in ogni caso. Finalmente alcuni pezzi della storia stavano prendendo forma, così come altri sbandavano alla deriva. Nella sua testa c'era un universo pieno di segreti che doveva solo raggiungere. Intendeva sfondare quel portone ed immergercisi dentro. Detestava vivere guardando attraverso il buco di una serratura, d'altronde aveva speso un'intera esistenza cercando di allargarlo in qualche modo. 

Ora poteva farlo. 

Doveva capire come, però. 
 
 
 

 
 

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Capitolo 13
*** Je vois la vie en Noir ***


                            


 
NB: Saaaalve mie coccinelle di primavera (?), oggi sono in vena di cambiamenti.
Vi assillo anche a inizio capitolo ( lo so che sotto sotto mi volete bene comunque ),
perchè accadranno cose
interessanti. Non vi scandalizzate ;)
E non abbiate paura, non sono
così sadica.
Non ancora.
Buona lettura



Je vois la vie en Noir
 
 
 
 
 
 



Sulla carta rovinata da macchie di carboncino, Marinette premeva ferocemente alcuni gessetti colorati, costruendo un vero e proprio groviglio di fitti rami intersecati. Più aggiungeva colori sulla carta, sporcandosi completamente le palme delle mani, più pregava che l'idea l'avrebbe finalmente convinta. 
Ma non lo faceva mai.
Non riusciva a darle quel senso di completezza e sincera soddisfazione che solitamente le sue bozze rievocavano. 
Così, invece di gettare l'ennesimo foglio nel cestino, era stata capace di continuare a scarabocchiare senza meta, riproducendo nero su bianco quello che le urlava nella testa. 
Quando veniva colta da troppi pensieri contemporaneamente traduceva la frustrazione in ampi disegni circolari dal segno pastoso e grossolano. 
Ammettere che la sua scrivania ne fosse piena, non la spaventava neppure un po'.
Se quella medicina le alleviava anche solo apparentemente il turbine di questioni irrisolte, opprimenti, allora preferiva macchiarsi le dita ed impegnarsi a sfogare lo stress su qualcos'altro. 
 
Aveva passato una settimana infernale
Dopo l'ultima assenza strategica dall'accademia, i genitori l'avevano praticamente chiusa in casa con l'obbligo di lavorare alla pasticceria durante il suo tempo libero. Ergo niente Alya, niente Adrien e niente Chat. Ciò significava provare, però, a riconnettersi con le memorie delle precedenti proprietarie del miraculous in santa pace, senza distrazioni esterne. 
Le erano bastati venti minuti per capire che la meditazione non faceva per lei e che possedeva la pazienza delle persone anziane in fila alle poste. 
Confinata in casa non poteva nemmeno minacciare o supplicare Finn di aiutarla un altro pochino. Sapeva che il prezzo sarebbe stato molto alto, ma non poteva farne a meno.
Papillon doveva essere fermato ad ogni costo
 
In tutto questo quadretto disperato, Marinette non riceveva visite "feline" da un tempo che le pareva interminabile. 
Da una parte non le dispiaceva acquistare secondi utili ad inventare una scusa plausibile per le scoperte appena pervenute, dal momento che solo Ladybug aveva conversato con Finn. Infatti non poteva dirgli proprio tutto considerando cosa ci fosse in ballo, ma nemmeno nascondergli bellamente la realtà dei fatti ignorandone le conseguenze. 
Se la meritava quanto lei. 
Forse qualcosa gli era capitato - si ripeteva spesso scarabocchiando delle orecchie da gatto sui bloc-notes. Finiva sempre per ricoprirle con strati di nero indelebile, per poi scriverci qualcosa con la tempera bianca. 
 
Le dava l'illusione di poter cancellare i suoi sentimenti esattamente come ricopriva le pagine scure di bianchetto. Certo che continuare a pensarci ancora e ancora rendeva fallimentare ogni suo tentativo. 
Tentativi che affondavano come la sua meditazione e la speranza di cavarne qualcosa. Tikki d'altro canto aveva fatto questo segretissimo voto del silenzio inviolabile, astenendosi dal commentare persino quando la ragazza si faceva prendere da raptus di rabbia fulminei. 
 
Dopo venti minuti buoni a graffiare praticamente sulla tela, Marinette si decise a buttare finalmente il tenebroso quadretto realizzato. Non era particolarmente articolato, solo estremamente buio: una foresta in contro luce che spezzava i raggi creando a terra pozze di ombre dense come sangue. 
 
Armandosi di pazienza, scese le scale che conducevano nella pasticceria di famiglia, lavandosi prima accuratamente le mani inzaccherate di colore. 
Oggi era la volta del bancone, se lo sentiva nelle vene. 
La madre le rifilava le ordinazioni tutte le volte che Marinette si cacciava disgraziatamente nei guai. Questo perché sapeva perfettamente le difficoltà nell'approcciare i clienti senza compiere un disastro dopo l'altro, soprattutto se si trattava della figlia. 
 
Quando si infilò il grembiule rosa sopra la tuta da ginnastica si sentì improvvisamente agitata. Dovette, tuttavia, simulare un tenero sorriso ai genitori, i quali nel frattempo si preparavano per fare acquisti al mercato della frutta. 
L'avrebbero abbandonata a se stessa. 
Non appena il campanello attaccato alla porticina trillò rumorosamente, Marinette poté buttare via una quantità di fiato inimmaginabile. Era rimasta in apnea per tutto il tempo di attesa, sperando che i genitori non avessero notato quell'evidente immobilità.
 
Sembrava uno spaventapasseri mosso dal vento. Tentennava e indugiava se qualcuno si soffermava davanti l'insegna del negozio, pregando segretamente che avesse di meglio da fare che torturarla. 
Peccato che i clienti abituali si fecero sentire praticamente subito, richiedendo pacchi e pacchi di dolciumi e paste da portar via. Gestire tutto quel lavoro da sola iniziava a scombinarle i pensieri, rischiando di indurla a perdere di vista qualche dettaglio fondamentale.
Doveva velocizzarsi e mantenere una qualità alta, lo sapeva. Nonostante ciò, il suo cervello funzionava come un velocista su pista: rendeva il massimo per una quantità di tempo limitata, come un corridore fa nelle gare di velocità, perdendo lo smalto quando si trattava della resistenza. 
Al lavoro non poteva permettersi di essere Usain Bolt, doveva procedere con cautela e stringere i denti.  
 
Servì una fila di clienti infinita, pesando e incartando vassoi colmi di colori e profumi diversi. 
Non aveva ancora distrutto mezza cucina, perciò poteva ritenersi abbastanza soddisfatta, e poi lavorare la strappava via dalle solite questioni incomplete. 
 
Verso l'ora di pranzo iniziò a pulire il bancone da capo a fondo, lucidando il vetro che esponeva i prodotti della pasticceria. Immersa nel meticoloso processo anti-germi, non prestò molta attenzione a chi fosse entrato nel negozio. 
 
<< Posso fare qualcosa per lei? >> domandò tirando fuori il muso dagli scaffali. La cordialità si spense volteggiando come foglie nude al vento quando un paio di pupille color pece incontrarono il suo sguardo.
Se avesse tenuto chiusi gli occhi forse si sarebbe risparmiata un incontro del genere. 
 
Finn picchiettò le dita sul bancone, sistemandosi la felpa scura per cercare un accendino. 
 
<< Buttercup, che casualità!  >> 
 
Il ghigno di piacere che gli si dipinse in faccia le ricordava le indecifrabili e pericolose smorfie tipiche dei super cattivi. Tipo Joker, o il Dottor Octopus. 
Doveva smetterla di rimanere sveglia per leggere i fumetti dei supereroi - si ripeté. 
 
<< Ma tu non hai nient'altro da fare? Tipo persuadere gente a caso? >> 
 
In quell'esatto momento, quando la scortesia fuoriusciva dalla sua bocca come un fiume in piena, rientrarono i genitori pieni di buste e sacche pesanti. 
"Ma una Cristo di volta che mi aiuti, no eh? " gridò Marinette a se stessa, ingoiando l'orgoglio con estrema difficoltà. Non poteva permettersi altre tre settimane di reclusione perché qualcuno non le andava a genio. 
Finn era un cliente. Sgradevole ed egoista, ma pur sempre un cliente. 
 
<< Dovresti aver capito ormai che non agisco senza un movente valido >> bisbigliò fingendo di dover scegliere uno dei prodotti esposti. 
Marinette prese a mostrargli meccanicamente tutti i dolci impilati, sperando che i genitori le dessero campo libero ora che le serviva davvero. 
Rimasero ad ispezionarla salutando il cliente gentilmente, per poi ritirarsi nelle camere al piano di sopra. 
 
<< Definisci "valido", perché non trovo alcuna spiegazione giustificabile >> sputò non appena si ritrovò da sola col diavolo. 
 
Finn si sentiva come un giovane Dio che volava sopra le strade osservando la gente correre e disperarsi.
 
<< Sai Creamy, non sei esattamente nella posizione per parlare di segreti e scuse legittime >> 
 
Marinette si slacciò il grembiule sospirando a fondo. La testa le pesava manco l'avesse ripescata dal fondo dell'oceano. 
 
<< Vuoi ricattarmi? Manipolarmi? Parla, perché sto iniziando davvero ad avere le tasche piene delle tue apparizioni. >> 
 
<< La persuasione non funziona con tutti Sugar, ci sono alcune menti difficili da piegare >> spiegò osservando la silhouette della ragazza << E poi se avessi voluto, l'avrei già fatto, non ti pare ? >> 
 
Non aveva tutti i torti - si disse affliggendosi la pelle delle braccia. Quando proprio non ce la faceva a sopportare una situazione, spingeva forte le unghie contro qualsiasi cosa le capitasse a tiro. Che questa volta fosse stata se stessa non cambiava la sostanza. 
 
<< Sono stanca, Finn. Sii diretto >> 
 
<< Sono venuto per comprare, nessuna minaccia velata. Però mi fa piacere tenerti così sulle spine >> ammise osservandole sta volta i capelli mossi << Come va con la meditazione a proposito? >> 
 
L'alzata di spalle che ne conseguì fu abbastanza significativa. 
 
<< Potrei darti una mano. Ad un giusto prezzo >> 
 
"Ah, ecco perché sei venuto."
 
<< Non ci tengo ad essere in debito con un losco ricattatore >> rifiutò prontamente << Ora puoi dirmi cosa vuoi dal bancone? >> 
 
Sorridendo sotto i baffi, Finn sembrava sicuro che prima o poi Marinette avrebbe ceduto alla sua proposta. 
 
<< Cambierai idea, sono un tipo paziente >> 
 
"Io non proprio"
 
 


***
 
 



 
 
Gli scatti vivaci dei flash, così come le lampade accecanti poste intorno al telone bianco, intontivano la mente già annebbiata ed assonnata di Adrien, il quale  posava per una campagna di profumi da uomo, senza maglietta e cosparso di un liquido a tratti insopportabile. Sembrava gli avessero gettato addosso un intera tinozza di fragranza tanto era il prurito che gli causava. 
Le narici sature di profumo non distinguevano più le sfumature di odori circostanti, cosa che lo affaticava persino nelle pose più confacenti al suo fisico. 
 
Il padre dirigeva il servizio gridando ogni tanto qualche consiglio sulle espressioni che Adrien doveva rievocare. Lo spingeva a concentrarsi come se tutta la sua vita fosse dipesa da quegli scatti per la TV. 
Niente di meno veritiero. 
Soprattutto detto da un uomo scarno di emozioni, asettico e privo di qualsiasi spinta paterna. 
Dopo ogni scatto veniva ricoperto di attenzioni e lusingato per la sua forma fisica, senza essere interpellato riguardo la sua salute. 
A nessuno importava cosa pensasse una bella testolina famosa e ricca. 
A nessuno fatta eccezione per Marinette. 
La sua preziosa perla fortunata che sicuramente avrebbe visitato una volta conclusa quella sessione interminabile di photoshooting. 
Nei momenti in cui ripensava alla giovane in compagnia di Finn, la camera riusciva a catturare i suoi sguardi più intensi e feroci: bucava lo schermo trasmettendo una scia di sentimenti quasi folgoranti. 
Adrien s'asciugò il volto con una bottiglietta d'acqua prima di vedere il risultato finale. 
Non erano per niente male considerando il suo stato d'animo e poi tutti ne parevano ampiamente entusiasti. Escludendo il padre, che annuiva meccanicamente senza dar peso al talento indiscutibile del figlio. Dubitava avesse conservato un minimo di coscienza in quell'abito elegantemente tirato a lucido. 
 
<< Per oggi è finita, Adrien >> annunciò la segreteria sorridendogli con gli occhi. Il suo sguardo contornato dalla montatura degli occhiali la rendeva molto più matura della sua effettiva età, benché non fosse tanto più vecchia di Finn. 
 
<< Sono finalmente libero? >> 
 
La speranza con cui pronunciò quelle parole scaldò il cuore della segretaria. 
 
<< Cerca di rientrare in orario, non posso coprirti per sempre >> continuò abbassando il tono di un'ottava. Adrien annuì energicamente, ringraziando come meglio poteva l'unica presenza gradevole della casa. 
 
Ora doveva solo raggiungere la sua lady. 
 
 
 
 
Marinette lavorava dietro il bancone della pasticceria sistemando qualche carta nella cassa laterale. Intravederla dietro le trame delle tende ricreava un'atmosfera vellutata che ricordava i vecchi bistrot degli anni venti. L'ambientazione del locale in sé, così delicato e ordinato in linea perfettamente parigina, contribuiva a renderla una fata irraggiungibile. 
 
Indossava una tuta, nessun abbigliamento che potesse sorprenderlo un po', tuttavia sapeva vestire un'aria completamente ammaliante. 
Se avesse continuato ad osservarla in quel modo l'avrebbe stropicciata, ne era certo. E poi la gente si sarebbe fatta qualche domanda dato che indossava un costume nero in lattice. 
 
Aprì la porta ruotando il cartellino verso la scritta "Désolé, nous sommes fermés.", così da evitare qualsiasi intrusione poco desiderata. 
La ragazza non l'aveva proprio visto entrare, tant'è che se ne stava di spalle a contare accuratamente le monetine guadagnate. 
Chat allora richiamò l'attenzione su di sé tossendo veementemente. 
 
 << Finn, ti ho detto di levarti dai->> 
 
Il fiato le si spezzò in gola, sostituito da un saluto silenzioso. 
Quel Finn non la smetteva di perseguitarla persino a lavoro e ad Adrien non piaceva assolutamente. La pasticceria era l'unico posto dove sperava non avrebbe avuto coraggio di mettere piede e invece bazzicava persino su campo minato.
Non voleva chiamarla gelosia:  lui era Chat Noir, non poteva invidiare qualcuno palesemente al di sotto dei suoi livelli. 
 
<< Nahh, sono quello bello >> rispose raggiungendola dietro il bancone. Nei panni di Adrien si sarebbe sognato certe avventatezze. 
 
Marinette allungò un braccio per inserire le ultime banconote nella cassa, finendo con l'avvicinarsi un po' troppo al super eroe. Tutt'un tratto l'aria delicata di face tesa ed elettrica. 
 
<< Pensavo che le clausole del patto fossero chiare, Chat. Non puoi piombare qui così! Ti rendi conto del rischio che corriamo? >> tuonò Marinette a braccia conserte, esasperata. 
Adrien avrebbe voluto tanto agire d'istinto. 
Avrebbe desiderato più di qualsiasi altra cosa dimenticare le circostanze e fare quello che ultimamente gli ronzava nella testa costantemente. Poi però ripensava alla fragilità di Marinette, alla faccenda delle identità e soprattutto agli strani sogni che lo tormentavano, ridimensionandosi volontariamente. 
 
<< Mi togli tutto il divertimento principessa >> 
 
Adrien vide Marinette tentennare, traballare appesa ad un filo. Non era solo una sua sensazione, lo sapeva. Benché spesso avessero condiviso qualche stretta di mano, un paio di abbracci amichevoli ed anche qualche tocco fuggevole, niente li aveva mai spinti ad una tale vicinanza. 
Una distanza misurata tramite l'eco dei respiri. 
 
<< Andiamo su. Stare qui è pericoloso >> ordinò la ragazza allontanandosi di scatto. 
Ogni lasciata è persa - gli ripeteva in testa una vocina sgradevole e perversa. 
<< Avrei comunque la pausa pranzo ... >> aggiunse indicandogli le scale. 
Dovevano fare piano, molto piano per scampare l'eventualità di incappare nei genitori della giovane. 
Fortunatamente sonnecchiavano entrambi appollaiati sul divano, senza quindi prestare riguardo ai galeotti che s'accingevano a salire le scalette.
 
Una volta entrati, Chat cadde sul materasso della ragazza in posizione supina, mentre Marinette scelse di rannicchiarsi sulla sedia girevole antecedente la scrivania.
 
<< Che fine avevi fatto? >> domandò flebilmente Marinette, nascondendo il viso tra le gambe. 
Il modo supplichevole con cui lo disse stupì Adrien immediatamente. Non era da lei comportarsi così. 
 
<< Dovevo sbrigare delle cose. È tremendamente difficile essere così irresistibili >> ammise concedendosi un pizzico di umorismo. 
 
Lanciandogli un cuscino dritto in faccia, Marinette rese chiara la sua posizione.
 
<< Hey, prenditela con la genetica, non posso farci niente! >> 
 
<< Ed io che mi ero persino preoccupata. Come non detto, sei il solito egomaniaco >> borbottò ruotando assieme alla sedia. 
 
<< Preoccupata? >> domandò di getto << Non mi dire che ti stai veramente affezionando a un randagio! >> 
 
<< Sono animalista. E poi non mi hai più fatto sapere nulla riguardo le ricerche >>
 
Ah giusto - si disse Chat sedendosi a quattro di bastoni - doveva proprio renderla partecipe delle ultime scoperte.
Cosa aveva esattamente scoperto? 
Beh, nulla di troppo eclatante dall'ultima conversazione prima dell'attacco all'ospedale. 
Sapeva che Finn aveva perso il suo miraculous, conservandone qualche potere sparso quà e là, ma il resto delle informazioni ancora viaggiava sospeso in un vuoto sorprendentemente vasto. 
Cercò di spiegarle ciò che aveva intuito, aspettandosi una sua interpretazione geniale dei fatti.
Eppure Marinette non parlava, annuiva confermando le tesi di Chat senza aggiungere chiarimenti o semplici puntualizzazioni. 
"Evidentemente Finn ha spifferato qualcosa"
Perché non dirglielo? 
Poi ricordò il minuscolo dettaglio riguardo la trasformazione della ragazza, ipotizzando che Finn avesse sputato il rospo con Ladybug e non con la giovane stilista che  lui fingeva di conoscere. 
 
Mantenere salde le identità stava diventando un compito arduo. Un nido ingarbugliato di menzogne che si ricollegavano le une alle altre creando una gabbia fitta e oscura impossibile da districare.
 
Forse doveva parlarne con Ladybug.
Certo, sembrava assurdo trattare la stessa persona come se avesse posseduto due cervelli, ma era il massimo che poteva fare per agevolare la sua situazione.
 
<< Credo che Alya sia stata persuasa dai suoi poteri. Non credo che affrontarla porterà a qualcosa, non era in lei >> 
 
Chat Noir concordò fin da subito. Ringraziava il cielo che non avessero ancora fatto esplodere la bomba a scuola, altrimenti sarebbe andato tutto in fumo inutilmente. 
 
<< Devo avvisare Adrien! >> esclamò poi toccando lo schermo del cellulare. 
Sentire il suo nome carico di entusiasmo stuzzicò il suo appetito felino. Era tremendamente piacevole ascoltarla parlottare ed interpellarlo come se lui non si fosse trovato proprio di fronte a lei. 
<< Compagni di classe, uh?> domandò Chat tornando alla comoda posizione precedente. Gli piaceva guardare gli adesivi a forma di stelle attaccati alle pareti della stanza. Lo facevano sentire tanto piccolo e insignificante, quanto illuminato di immensa eternità. 
 
<< Sono la mia famiglia >> ribattè la fanciulla con decisione << Anche se ultimamente li sento distanti. Hai presente quando sai che qualcosa non va ma fingi di ignorarlo ? >>
 
Il supereroe stava per ribattere con qualcosa di troppo personale. Mantenere un distacco emozionale anche quando si riferiva direttamente a lui non si era rivelata un'idea fattibile. 
 
<< Parlagliene. Schiarisciti le idee Principessa, non puoi affrontare Papillon se prima non risolvi i tuoi demoni >> 
 
Così come lui avrebbe dovuto fare con i suoi sogni. 
Predicava bene e razzolava male, questo era il problema principale di Chat Noir. 
 
<< Vado a farmi la doccia. Devo riflettere >> dichiarò come se fosse rimasta sola con i propri pensieri. << Cerca di non ficcanasare nel mio armadio, sta volta >> 
 
"Beccato al quadrato"
 
 
 
Sta volta non s'azzardò a violare la privacy di Marinette, era troppo preso a combattere con i sensi di colpa per concentrarsi su altro. Sarebbe mai arrivato il fatidico momento di togliersi la maschera e mettersi completamente a nudo? 
Teoricamente non gli era consentito nemmeno di pensarle certe cose viste le restrizioni imposte dal miraculous, però in pratica gli piaceva sperare. 
Sperava di poterla osservare senza rimpianti, senza venire puntualmente interrotto da qualche lontano eco fastidioso. Così avrebbe fatto tutto ciò che si torturava a trattenere continuamente.
Chat si sentiva ferocemente frustrato e confuso: delle volte vedeva tutto di Marinette, altre solo la maggior parte, pochi stralci, oppure il nulla. 
Non esisteva una via di mezzo per loro.
Potevano cambiare anche faccia e voce, atteggiamenti ed espressioni, tuttavia conoscevano l'altro come melodie incise nel flusso delle loro coscienze, e ciò non sarebbe mutato. 
 
Imbottigliato tra le infinite riflessioni, s'accorse troppo tardi di un suono cadenzato in procinto di varcare l'entrata. Riconosceva il rumore di tacchi quando ne sentiva ( era immerso nel mondo della moda quotidianamente dopotutto), e quello sembrava proprio il tipico ticchettio appartenente a bassi tacchi. 
 
Scattando in piedi ad una velocità impressionante, cercò di adocchiare un posto plausibile dove nascondersi senza rischiare la denuncia per molestie sessuali. 
Peccato che la camera di Marinette fosse dannatamente spoglia per ritagliarsi una nicchia abbastanza grande. L'armadio, tra l'altro, custodiva mille scatole di ricordi ammassate le une sulle altre che occupavano tutto lo spazio disponibile. 
Pensò di potersi infilare sotto il letto, ma era troppo basso perché potesse impiegarlo come nascondiglio. 
L'unica soluzione celere che gli venne in mente fu quella di precipitarsi in bagno, incrociando le dita che Marinette non si trovasse in condizioni imbarazzanti. 
Beh, una parte di lui desiderava tutt'altro, ma non era il caso esternarlo quando rischiava una ciabattata in pieno volto. 
L'affanno con cui si catapultò nel bagno fu sufficiente ad allarmare la ragazza, la quale massaggiava la folta chioma bluette ribelle con una buona dose di shampoo.
Chat vide solo la sua testa insaponata  sbucare da dietro la tenda che separava la vasca con il resto del bagno, ma gli bastò per sentirsi trafitto da parte a parte.
 
<< Che diavolo stai facendo?!?!!>> esclamò Marinette silenziando un urlo di estrema incredulità. 
Chat deglutì provando a dosare le parole << C'era tua madre. Sono entrato nel panico! >> 
 
Marinette era furiosa e decisamente paonazza. 
 
<< Non potevi uscire dalla finestra? >> replicò aspramente, coprendosi il corpo con ossessiva scrupolosità. 
<< Mi avrebbe visto. Giuro che me ne andrò non appena... >>
 
Ma la conclusione della frase si spense esattamente come la sua rabbia al suono di una voce femminile.
 
<< Tesoro ti sistemo i panni puliti sul lavandino! >> annunciò la madre della fanciulla, sembrando tremendamente prossima alla porta. 
 
Marinette allora guardò Chat accettando di fare probabilmente la cosa più sconsiderata che non avesse mai compiuto in diciotto anni di vita. 
 
<< Lanciami quell'asciugamano ed entra >> gli ordinò in tono irrevocabile. 
 
Per quanto Adrien ne rimase piacevolmente colpito, non aspettò un altro secondo ed obbedì agli ordini della regina coccinella. Riuscì a chiudersi la tenda alle spalle poco prima arrivasse la madre di Marinette a sistemare il bagno. 
 
Ora respirava a tratti, distando pochi millimetri da una Marinette mezza svestita e  completamente fradicia. 
Per quanto fosse bella e distraente, Chat non poteva permettersi certi pensieri 
Piccole goccioline d'acqua le ricadevano sulla fronte, lungo il collo, sotto il busto precariamente avvolto da un asciugamano destinato alla pulizia delle mani. 
Ora respirava ? 
Cercava di guardarla negli occhi il più possibile, benché ogni centimetro del suo corpo lo richiamasse a sé come una falena schianta sulla luce delle lanterne. 
Marinette era una dolce creatura che lo spingeva contro il suo buon senso, contro la ragione. 
<< Shhh ... >> lo intimò la giovane, tenendo le orecchie ben aperte per capire gli spostamenti della madre. 
 
Ancora maneggiava in bagno evidentemente. 
 
La sua lady lo avrebbe reso folle. 
Malgrado Adrien fosse un bravo ragazzo, perdere un tantinello la ragione in certe circostanze era inevitabile. D'altronde alla sua età alcuni chiodi fissi non potevano non toccarlo. 
 
Il colpo di grazia arrivò solo quando un lembo dell'asciugamano sostenuto da Marinette rischiò di scivolarle dalla presa. Chat lo recuperò prontamente, contribuendo a mantenere coperto il suo corpo minuto ( sebbene avesse preferito altre dinamiche ). 
Doveva darsi una regolata e zittire la vocina della sua maliziosa coscienza. Quello era il suo giorno fortunato, alto che gatto nero!
Se per lui era difficile trattenersi in quelle condizioni, chissà per lei cosa doveva essere stato. 
 




 
***
 



 
 
 
Marinette non sentiva più il sangue affluire in molte zone: a partire dai piedi, fin sopra le gambe, le braccia e persino in testa. Solo pompate massicce che dalle arterie sembravano ricacciare il liquido nuovamente nel cuore senza ossigenare il resto del corpo. La cassa toracica sembrava una stanza vuota dove l'eco dei battiti tuonava ferocemente seguendo il ritmo delle gocce sopra di lei. 
Aveva chiuso il soffione della doccia, ma ancora perdeva qualche residuo d'acqua che s'affaticava a scivolarle lungo il collo nudo. 
Tremava, lo percepiva, eppure cercava di rallentare il respiro entrando di tanto in tanto in apnea. 
Chat le faceva quest'effetto. 
Non era il semplice imbarazzo della scena a mandarle in tilt i circuiti, ma la paura che i suoi battiti selvaggi avrebbero potuto raggiungere le sue orecchie in qualche modo. Erano così forti e netti. 
 
<< Hai finito ? >> le parole le uscirono di bocca come un soffio leggero << Posso sistemare io mamma >> 
 
Mentre parlava si trovò ad osservare Chat più intensamente di prima. Aveva lottato per evitare il suo sguardo e purtroppo dovuto alzare bandiera bianca.
Non poteva evitare di incastrarsi fra i suoi pensieri. 
Reggeva il panno in sacro silenzio, comunicando a Marinette emozioni che neppure lei stessa riusciva a decifrare. 
Più che per eccessiva intimità, Marinette si sentiva fuori luogo a causa dell'estrema vulnerabilità. Dipendeva totalmente dal suo volere, dalla sua presa e dai suoi occhi. 
In quel momento avrebbe voluto prenderlo a calci e picchiarlo con qualche oggetto contundente, ma un'altra parte di se stessa sarebbe rimasta piacevolmente in quelle condizioni ferme nel tempo.
 
"Marinette non farti venire strane idee. Lui è Chat "
 
Proprio perché lui era Chat non se ne vergognava. Sentirsi sul punto di sciogliersi rientrava nelle controindicazioni del patto firmato. Non avrebbe mai pensato che una volta speso tutto quel tempo insieme, poi sarebbe effettivamente caduta nella trappola. 
Chat si era ricucito uno spazietto fra le toppe di mille delusioni, fungendo da collante a pezzi quasi sbrindellati. 
 
<< Si, e poi useresti lo spazzolino di tuo padre! Anzi, già che ci sei ti aspetto così pulisco la doccia per bene >> obiettò in vena scherzosa.
 
Non c'era nulla di divertente nelle sue battute. 
Voleva davvero sciogliersi come la strega cattiva del Mago di Oz, almeno l'avrebbe scampata.
Chat non riusciva a mantenere una faccia seria dopo quell'ennesima botta di sfortuna sfacciata. Se ne stava lì, praticamente capace di sentire il suo respiro su pelle, a sorridere beffardamente.
 
<< Ti taglierò la coda >> ringhiò mimando con le labbra.
Chat puntò lo sguardo verso il lembo dell'asciugamano che teneva stretto fra le dita. Le sue intenzioni erano chiare: mai minacciare qualcuno che sta salvando il tuo bellissimo di dietro dal diventare una luna scoperta. 
 
<< Laverò tutto io prima di pranzo. Sto... riflettendo! >> disse ancora cercando di sembrare più convincente. 
Allora la mamma ridacchiò divertita << Non starai mica pensando ad un certo compagno di classe biondo? Adrien ? >> 
 
Gli occhi di Marinette si congelarono come ghiacciai. Non le stava accadendo davvero. 
 
<< Ho capito! Ti lascio fantasticare >> borbottò poi aprendo la porta del bagno << Ahh la gioventù! >> 
 
Così, quando furono certi della sua sparizione, rimasero a fissarsi sbigottiti. La ragazza non riusciva a pensare una singola cosa sensata, era totalmente kaputt. Out. K.O. Hasta la fiesta. 
 
<< Infierire sarebbe molto crudele >> iniziò Chat sotto voce << Ma se volevi trascinarmi nella doccia con te, avresti potuto chiedermelo prima >> 
 
Marinette gli tirò uno schiocco in fronte con la mano disponibile << Dammi quel lembo ed esci dalla doccia, maniaco >>
 
 
Passarono alcuni istanti di incertezza, ed alla fine Chat s'avvicinò leggermente all'orecchio di Marinette per sussurrarle qualcosa( stando attento a non scivolarle sopra ovviamente ).
 
<< Ringrazia che sia un gatto per bene. È davvero difficile allontanarti così... stai contraddicendo le tue parole con sottili espressioni >> 
 
Sganciata la bomba atomica, Marinette poté solo accettare di buon grado l'altra estremità dell'asciugamano senza fiatare. 
 
<< T-ti sbagli. Forse il vapore della doccia ti fa salire meno ossigeno al cervello. Si chiama scienza >> sentenziò osservandolo uscire egregiamente dalla doccia dove lei ancora tremava tutta. 
Balzò a terra con grazia, mettendo ancora una volta in mostra le sue grandi abilità. 
<< Si chiama inutile negazione, Princess, ed hai anche arricciato il naso >> cominciò raddrizzandosi del tutto << Non lo dirò al misterioso compagno di classe, rilassati. >> 
 
Marinette aprì la bocca per rispondere, ma le uscì solo un rantolio senza senso.
 
<< Mi spieghi perché quando sono con te il karma mi detesta ? >> 
 
<< Per la stessa ragione che lo fa girare dalla mia parte. >>
 
Quando poi Marinette ebbe finito di sistemarsi, Chat si trovava ancora a girovagare nella sua stanza senza meta, completamente preso dai gingilli che decoravano le pareti della sua stanza. Coperta da un velo di imbarazzo si piazzò di fronte al gatto ignorando i mille avvertimenti che le perforavano le tempie. 
 
<< Peccato >> disse Chat voltandosi di scatto << Quasi ti preferivo prima >> 
 
<< Esci dalla finestra. Adesso >> asserì tradita da uno sguardo impacciato. Sentiva che avercelo ancora tra i piedi le avrebbe causato danni permanenti alla corteccia celebrale. Non riusciva più a guardare direttamente quei fari verdi, quelle iridi tanto intense quanto indecifrabili.
 
Un comportamento inusuale che determinò una risposta altrettanto atipica. Chat le scompigliò la chioma mantenendo in vita quel gioco del silenzio così frustrante per Marinette, saltando poi oltre il balcone come un'ombra notturna. Al suo posto solo il ricordo del tocco e un vuoto simile ad un fantasma ricalcante le sue sembianze. 
 
<< Tikki, dobbiamo parlare di molte cose. Basta nasconderti >> 
 
Il piccolo kwami svolazzò scivolando fuori le coperte del letto, leggermente assonnato e affaticato dalle ultime trasformazioni. 
 
<< Finn mi ha detto dei ricordi. È possibile oppure devo considerarla come una grossa balla? >> 
 
La confusione che aveva provato poco prima verso Chat era stata convertita in determinazione per concludere ciò che si era imposta. Se nulla nella sua vita andava per il verso giusto, sarebbe stata lei a guidarla secondo la strada corretta. 
 
Nemmeno Tikki, destabilizzata dalla sua richiesta, avrebbe potuto dissuaderla completamente. 
 
<< Marinette ... >> iniziò il kwami, dosando le parole con le pinze << Non credo sia una buona idea >> 
 
Scattò come una molla << Sono arcistufa di questa storia. Finn è un criminale bugiardo dalle tendenze perverse; Chat mi nasconde qualcosa sul suo passato, ma come biasimarlo? Non faccio che mentirgli anche io. E Adrien? Lui non riesco proprio a capirlo >> scivolò a terra contro la parete di poster << Basta bugie. Voglio la verità Tikki, e se non sarai tu a dirmela proverò con tutti i mezzi a disposizione >> 
 
<< Ho fatto un giuramento che non posso sciogliere, Marinette. Inoltre penso che certe cose passate debbano rimanere tali >> 
Schivando lo sguardo apprensivo di Tikki, la super eroina si strinse le ginocchia al petto passando in rassegna le mille battaglie che avevano già segnato parte della sua adolescenza. Quanti segni e cicatrici avrebbe dovuto ancora sopportare per dire basta? 
 
<< Farò a modo mio. Tikki, trasformami! >> 
 

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Capitolo 14
*** Radici ***








Ebbene sì, eccomi back from the dead...
Sono così fiera di questo capitolo e spero davvero possa
piacervi e trasmettervi il più possibile!
Buona lettura mie little bugs






Radici
 



Sfrecciare per le strade di Parigi ancorando il proprio miraculous ai tetti delle case, ai lampioni nelle piazze e ancora ai parapetti dei balconi alimentava l’illusione di un controllo totale della situazione. Marinette avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenere viva quella fantasia, lottando contro il suo buon senso e quelle le forze che animatamente l’allontanavano dal suo obiettivo.
Tutto nell’aria presagiva l’arrivo di un temporale: gravide di pioggia e rigate da luci elettriche, le nuvole cavalcavano il cielo sovrastante contribuendo a rendere l’atmosfera oscura. Forte dell’adrenalina crescente, la ragazza sopprimeva gli avvertimenti allarmanti sostituendoli che fulmini di energia travolgente.
In realtà l’idea di rendersi fautrice della propria discesa infernale non rientrava nella lista di cose da fare durante la pausa pranzo, ma ormai aveva preso la sua decisione e non poteva tornare indietro. Non ora che aveva elaborato una scusa convincente ai genitori sul perché stesse nuovamente ignorando i suoi doveri. Ancora non capiva perché quando si trattava di concludere una consegna personalmente la madre reagiva senza fiatare. Fatto sta che le offrì l’occasione di uscire dall’appartamento limitando i danni alla vita sociale.
Determinata a superare l’ultimo quartiere residenziale prima della villa Burgeois, immaginò la faccia soddisfatta di Finn nel vederla arresa e volontariamente a sua completa disposizione. Aveva impiegato poco per cedere, lo sapeva, ma ostinarsi a mantenere il suo orgoglio sarebbe solo stato una perdita di tempo. Al mondo serviva un ambiente pacifico senza Papillon, non un’adolescente orgogliosa. Forse se ne sarebbe pentita, però un tentativo lo doveva provare.
Parigi pullulava di gente smarrita, diretta al posto di lavoro o semplicemente intenta a godersi uno stralcio di sole prima del temporale. Nessuno, però, prestava attenzione all'ombra che sferzava l'aria tra i tetti delle case. Marinette raramente tentennava quando si trattava di compiere il proprio dovere di supereroina, eppure nel completare l'ultima tappa del viaggio quasi fu tentata di retrocedere e tornarsene a casa. 
 
Una soluzione magari più sicura, glielo concedeva, ma di fatto inconsistente. Tra le mura della sua camera non avrebbe di certo magicamente imparato a riesumare le memorie del miraculous: né Tikki, Chat o Fu sembravano disposti a darle una mano. Chi per una ragione, chi per un'altra, l'avevano obbligata a mettersi nei guai - così continuava a giustificarsi - perciò tornare sui propri passi era un qualcosa che doveva sparire dal suo vocabolario. 
 
Pronta a scendere in picchiata sul balconcino di casa Burgeois, preparò i muscoli già sufficientemente riscaldati per il salto verso il vuoto.
Tempo pochi istanti ed atterrò immediatamente sulla superficie lucida del balcone, decorata da magnifiche magnolie colorate. 
Sporgendosi dalla porta-finestra vide un Finn indaffarato a sventrare l'interno di una valigetta nera, la stessa che aveva visto durante l'ultimo depistaggio. 
 
Marinette si ricordò improvvisamente del messaggio scritto ad Adrien: era stata l'ennesima balla della settimana, quella di avere scambiato Alya per un'altra ragazza. Insomma, era la sua migliore amica, che razza di persona non riconosce la propria quasi sorella accusandola di una cosa tanto meschina? 
In una condizione del genere temette che Adrien avrebbe potuto prendersela con lei per aver scatenato un polverone inutile, ma il messaggio rassicurante del ragazzo non presagiva nulla del genere.
Forse perché sperava solo di non dover distruggere le proprie amicizie, o forse perché ... 
No - si martellava Marinette - quella questione sospesa doveva accantonarla momentaneamente. Riteneva altamente improbabile che fossero la stessa persona, però ci sperava. Ci sperava e continuare e sognarlo non faceva che alimentare la fantasia. 
 
Le bastò un colpetto leggero alla porta per attirare l'attenzione del proprietario, il quale non perse tempo per infilare le scartoffie nuovamente nella valigetta e calciarla sotto le assi del letto. 
Ed ecco che altri misteri si infittivano intrecciandosi con una trama fortemente ingarbugliata. 
Indossando una smorfia di piacere incontenibile, le aprì la porta facendo scattare la serratura dall'interno.
 
<< Guarda un po' chi abbiamo qui! Il figlio e il prodigo >> salutò Finn divertito della faccenda come previsto dalla giovane << Hai impiegato molto meno tempo del previsto. Ti davo un paio di giorni massimo >> 
 
Marinette sistemò lo yo-yo nel cinturino, raccogliendo tutto l'autocontrollo possibile << Come se ti dispiacesse, Finn. È ancora valida l'offerta?>> 
 
Una risata echeggiò per il perimetro della stanza. 
 
<< Non è questa la giusta domanda >> 
 
" Ora ti diverti anche a fare giochi di parole, andiamo!"
 
<< Qual è il prezzo? >> riformulò Marinette stavolta sopprimendo un velo di astio evidente. La risposta di Finn fu abbastanza ovvia: si spalmò sul divanetto a due posti indicandole lo spazio vuoto accanto a lui. 
 
<< Diciamo che mi devi un favore >> 
 
"È uno scherzo ?"
 
Sedendosi nella posizione opposta rispetto alle sue aspettative, Marinette preferì il pavimento duro piuttosto che il divano.
 
<< Dov'è il trucco? L'hai detto tu prima, non fai cose senza uno schema preciso >> obiettò sulla difensiva. 
 
L'atteggiamento passivo-aggressivo del ragazzo rendeva ancora più confuso un piano già altamente rischioso. 
 
<< Potrebbe servirmi in futuro l'appoggio di Ladybug, ma per ora non preoccupartene, sarà solo una piccola controindicazione alla mia bontà >> 
 
<< Come fai a sapere che manterrò la parola? >> 
 
Finn guardò oltre la finestra << Sei Ladybug no? A costo di sporcarti le mani non ti tireresti indietro dalle promesse >>
 
Dopo alcuni minuti di silenzio, preziosi affinché Marinette potesse convincersi della scelta presa, Finn si liberò da quell'aura pensierosa e malinconica sfruttando ancora una volta l'arma del sarcasmo. 
 
<< Forza Sugar, procediamo. Non voglio rischiare di vederti tornare "brava ragazza" ora che si è risvegliato il tuo lato oscuro. Sarà divertente assistere al tuo gioco di menzogne >> 
 
Una morsa atroce le strinse lo stomaco, colpendola come un pugno di pieno volto. Voleva perdonare se stessa per la decisione compiuta. << Dimmi, essere stronzi è una professione oppure sei solo naturalmente dotato? >> 
 
Finn predispose un tappetino a terra raggiungendo Marinette a gambe conserte, per poi accendersi una sigaretta di quelle pesanti dall'odore nauseabondo. 
Si passava il vizio tra le dita aspirando il fumo come un nobile d'altri tempi, senza sembrare teatrale o forzato. 
 
<< È una procedura che richiede tempo. Viene svolta durante la trasformazione e funziona come un viaggio astrale nei tuoi ricordi. Devi immaginarti viva nella tua testa, pensala come una grande libreria visto che ti piace tanto, e cercare negli scaffali le memorie delle precedenti proprietarie. C'è un rischio bello grosso da tenere in contro prima di iniziare, però  >> spiegò Finn.
 
<< Ovvero? >> 
 
"Perché le parole rischio/Finn sono sempre così legate?"
 
<< Perdersi nei meandri della mente. Potresti non tornare più cosciente, ecco perché ti serve una guida. Hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a scegliere i ricordi giusti, quelli utili alla tua ricerca. Papillon è un cattivo nato solo ultimamente, perciò andare troppo indietro nel tempo confonderebbe ulteriormente le tue idee >> 
 
Altro che rischio bello grosso, Marinette poteva finire col cervello insardinato nelle memorie di qualche tomba vecchia secoli. Sapeva che oramai non poteva che scendere sempre più in basso: una volta valicato l’inferno si può soltanto proseguire.

<< Quindi dipenderei da te in tutto e per tutto. Ergo possedere una grande fiducia nei tuoi confronti >> constatò tentennante.
Finn spense la cicca su un pezzo di carta, ascoltando lo scrosciare denso della pioggia con profonda attenzione.<< Sono uno stronzo, perché dovresti? Beh, un altro rischio che dovresti correre >>
Il tono con cui lo disse, la vena così maledettamente ironica che nascondeva nelle sue parole, fece scattare qualcosa nei ragionamenti della ragazza. Per capire qualcuno come lui, doveva imparare a pensare come lui, per quanto complicato e oscuro fosse.

<< Io ti servo in qualche contorto modo che solo la tua testolina malvagia può comprendere, ma comunque non butteresti all’aria una mia promessa >>

<< Cominci a ragionare come me >> commentò soddisfatto << Ottimo.>>

Con un balzo iniziò ad impartire assurdi ordini a Marinette, preparandola alla posizione evidentemente adatta per un salto nel passato. Le disse di mettersi comoda, rilassare i muscoli ed incanalare grosse quantità d’aria direttamente nei polmoni. Un’operazione pressoché impossibile considerando la tensione che pulsava sotto le vene della ragazza.

<< Cupcake, devi calmare i nervi. Prova ad immaginare la circolazione dell’aria dalle cavità nasali fino alla pancia. >>
In pratica era come parlare con un cucciolo di cane affamato. Marinette non si sentiva solo estremamente stupida, ma anche infastidita delle sue continue pretese. Si aspettava che dettando qualche regola qua e là sarebbe stata capace di capire precisamente il meccanismo da seguire.

Invece più il tempo passava, più i muscoli si irrigidivano sotto il peso delle sue parole. E Finn ne spendeva un fiume per contestare qualsiasi tipo di atteggiamento dimostrato. Se respirava troppo poco non andava bene per isolarla dal mondo, ma se boccheggiava profondamente allora la tensione accresceva contemporaneamente vanificando comunque gli sforzi.

<< Sei rigida come un manico di scopa! >> si lamentò Finn ancora una volta.
Marinette ne aveva le scarpe piene.
<< Magari se la smettessi di gridarmi contro di continuo >> sbuffò aprendo leggermente un occhio. La stanza era sempre la stessa ordinata, spoglia camera di prima, compresa la disgustosa compagnia. Aver tentato una pseudo meditazione di circa mezz’ora non era servito a plasmare la realtà attorno a Marinette, oramai incerta sulla validità dell’esperimento.                                           

Riflettere, staccare la spina e immergersi tra i suoi pensieri funzionava solo se frutto del naturale ed imprevedibile flusso di coscienza. Doveva essere completamente indipendente dal volere. Non era un muscolo che poteva controllare, che poteva veicolare a fare ciò che Finn seguitava a pretendere.

<< Posso cercare di spiegartelo, Buttercup. Non posso mica capirlo al posto tuo >> tuonò di tutta risposta. Il tatto di Finn vagava sulla linea che separava la totale incapacità empatica dalla sociopatia più completa. Tentò persino di mettere della musica di sottofondo per calmare le acque: erano toni blues suonati al piano risalenti agli anni venti.

<< Se proprio devi sentire qualcosa, non scegliere sinfonie preistoriche! Nei paesi Scandinavi non vi siete modernizzati ? >>
Il ragazzo fermò il CD con un pizzico di risentimento.

<< Noi abbiamo conservato il buon gusto >> rispose falsamente adirato <<  Le note del jazz aiutano a svuotare la mente >>

L’ego di Marinette si affievolì sensibilmente, limitandosi a riversare tutto quell’astio all’interno della sua testa. Dubitava che potesse contenere la quantità di insulti e cattive parole che stava trattenendo da mezz’ora, però una cosa l’aveva capita forte e chiara: stava diventando davvero brava ad inventare imprecazioni creative.

<< Vado a fumarmi un’altra sigaretta. Sopportarti è più difficile del previsto >>
Finn s’alzò lentamente, facendo scivolare il pacchetto di Malboro dalla tasca dei pantaloni. Guardò  Marinette intensamente, mentre lei si indispettiva animatamente dei suoi commenti, per poi spingere la porta-finestra ed agevolare il passaggio d’ossigeno nella camera.

<< Puoi ripetere? No hablo la lingua degli stronzi >>
 



***
 

<< Adrien, dobbiamo farla finita. Ho i piedi in fiamme e devo uscire con Alya sta sera … >>

Era la voce sconsolata di Nino a parlare, ora seduto a guardare il molo che s’affacciava sulla zona meno trafficata della Senna. Il sole stava ritirando i suoi ultimi raggi caldi, proiettando varie ombre sinistre sul corso dove Adrien si ostinava a nascondersi. Occultato dalle volte di un ponte di raccordo, analizzava di tanto in tanto il tratto conseguente per cercare di capire cosa stesse effettivamente accadendo.

Non lo chiamava spiare quello. Per lui si trattava di una semplice ricerca a fin di bene: il suo bene. Il tragico spionaggio ossessivo era iniziato il weekend precedente, quando viaggiando a bordo della Agreste mobile ( sì, gli piaceva credere di emulare Batman ), aveva adocchiato dal finestrino due individui sospetti passeggiare in atteggiamenti più che intimi. Prima che la macchina potesse sfrecciare via dall’incrocio, ero riuscito ad abbassare i vetri e riconoscere le figure incriminanti: fu uno shock paralizzante. Peggio della volta in cui era stato cosparso di piume ( per lui fortemente allergizzanti ) o quando era stato obbligato a indossare i tacchi a causa di quell’akuma fuori di testa.

I suoi occhi dovevano aver preso una sbandata, confondendosi sicuramente con qualche altra persona simile alla sua Lady. Questo perché Marinette non avrebbe mai potuto coscientemente passeggiare con quel criminale doppiogiochista di Finn Lacroix.
Non era vero.
Non poteva essere vero, o quantomeno Adrien sperava che esistesse una spiegazione più che valida a giustificare quella scena.

Perché ultimamente quando ho un bastone in mano tutti sembrano subito delle pignatte?”

Sapeva che Finn le avesse rivelato qualcosa di grosso durante l’attacco all’ospedale ( lo aveva parzialmente capito grazie all’atteggiamento schivo di Marinette ), ma non riusciva proprio a spiegarsi per quale caspita di motivo la sua lady avesse deciso di frequentare lui, il sociopatico persuasore per eccellenza.

Era furioso e corroso dalla gelosia? Indubbiamente.
Voleva sfogarsi comportandosi come un teenager in preda ad una crisi isterica ? Chiaro che sì.

Ad aggravare la situazione poi, contribuiva il fatto che Marinette non si fosse confrontata con Chat in merito. Lui  era il suo partner da più di una vita, la sua palla al piede, il suo gatto un feelino fastidioso, perché mentirgli  riguardo i suoi ultimi spostamenti?

Attraversato da sentimenti contrastanti, Adrien aveva scarrozzato  Nino per tutta Parigi seguendo i percorsi dei giovani, ritrovandosi a spiarli persino nascosto i luoghi decisamente ostili e maleodoranti ( come le fogne del centro ). Chiaro che sottoposto a certe condizioni, anche un’anima pia come il suo migliore amico iniziava a cedere sotto il peso della stanchezza.

<< Altri cinque minuti… credo stia per succedere qualcosa >> sussurrò Adrien in totale concentrazione. Appiattito contro i mattoncini della volta, riusciva non solo a percepire la risacca e l’ingresso dei battelli al molo, ma anche qualche frasetta qua e là di poco conto.                              
 Marinette non sembrava possedere atteggiamenti che presagivano ad un’eventuale relazione amorosa, però Finn non la smetteva di ridacchiare e stuzzicarla senza dignità.
Quello era il suo compito preferito, per tutti i santi.

<< Amico, è da mezz’ora che ripeti questa cosa. Accettalo! Marinette sta uscendo con quel tipo ormai. Potresti ancora recuperare punti se le dicessi finalmente ciò che provi. >>

Adrien immediatamente premette una mano sulla bocca di Nino, temendo che le loro voci potessero arrivare direttamente nelle orecchie dell’interessata.
A pensarci bene, perché Adrien si trovava lì? Non poteva permettersi la gelosia quando nei suoi sogni ancora immaginava di strangolare l’unica persona in grado di smuovergli l’anima. Plagg gli aveva detto di non preoccuparsene, ma tentare di accantonare quella questione sembrava più difficile del previsto. Soprattutto se Marinette intraprendeva piani folli senza avvertirlo.

<< Non è quello che pensi Nino >>

Nino scacciò la mano dell’amico emettendo una sonora risata << Andiamo, la guardi impaziente come guardo io un cheeseburger durante la pausa pranzo! >>

In tutta risposta il biondo s’accovacciò a terra di peso, rinunciando a mantenere un profilo basso. Nino era il suo migliore amico da anni ormai, ovvio che avesse intuito qualcosa di così naturale ed evidente. Ultimamente poi riconosceva di aver intensificato gli sguardi: si fissavano  per un lasso di tempo interminabile, troppo per potersi chiamare solo “amici”.

<>

<< Dovresti dirglielo bro. Prendi un po’ di coraggio, tanto ti muore dietro da quando ti conosce! Alya pensa che dentro ognuno di noi ci sia un supereroe come Chat Noir, vale anche per te. >>

Adrien si irrigidì. Il suo migliore amico stava addirittura cercando di infondergli coraggio paragonandolo a se stesso. Prima che potesse rispondere con qualcosa di allusivo, fu interrotto dal rumore di passi provenienti dalla zona adiacente.

<cheeseburger si sta spostando >> dichiarò balzando in piedi << Divertiti sta sera! Non capita spesso di avere casa libera … >>

Mentre Nino tornava sui suoi passi, trascinato dall'infrangersi della Senna contro il cemento del molo, Adrien provava ad individuare l'esatta posizione del soggetto d'interesse, ormai diretto verso chissà quale meta. 
Sapeva di essere patetico e leggermente incoerente, però non poteva evitarlo. 
Inoltre, si domandava sempre se tutta quella preoccupazione non dipendesse dalla pericolosità del nemico, ma da quel sentimento piccolino, invadente, che gli martellava tra i pensieri. 

Detestava Finn. 

Non solo gli stava causando parecchi problemi nelle profondità dei suoi sogni, non solo si comportava come se sapesse qualsiasi cosa; ma s'azzardava persino a manipolare la sua lady. 

Marinette possedeva una volontà ferrea per cadere nella sua trappola come era capitato con Alya, però temeva di sbagliarsi. 
E se un tale pallone gonfiato  - raggio di sole sarcastico - provava il minimo dubbio al riguardo, allora la faccenda si faceva più che allarmante: era una catastrofe. 
 
La settimana trascorsa aveva consolidato in lui la certezza che forse qualcosa nel suo piano era andata storta. 
Va bene coinvolgerla perché ritenesse opportuna la partecipazione della supereroina, ma addirittura mettere in ballo la vera identità ora gli sembrava un rischio davvero terrificante. 

Era tutta colpa sua - gli echeggiava rumorosamente in testa. 

Si sentiva contemporaneamente leggero come una di quelle farfalle nere che gli svolazzavano attorno e pesante tanto da doversi fermare per prendere fiato. 
 
"Aspetta... akuma ?"
 
Era proprio uno dei servetti di Papillon ad approfittare della sua delusione e sensi di colpa.
Adrien si scrollò di dosso la negatività, schizzando come una furia oltre il molo. 
Quando l'odore di pesce fu abbastanza lontano, constatò suo malgrado di aver completamente perso di vista il target. 

<< Finalmente lontano dai merluzzi! Sai quanto quella puzza debiliti il mio sistema immunitario ?? >> esclamò Plagg divincolandosi dalla tasca interna della giacca. 

<< Non oso immaginare >> borbottò Adrien sovrappensiero << a meno che non odori di piedi, tutto "debilita il tuo sistema immunitario" >> 

Plagg notò una punta di acidità nella voce di Adrien. Non sembrava solamente stanco dei continui servizi fotografici: soffriva di una vera insonnia sfibrante. 

In realtà la volontà di rimanere sveglio dipendeva unicamente dalla paura di addentrarsi nei meandri sporchi della sua testa, ai danni del suo stato fisico. 

<< Non mi dire che stai spiando ancora Marinette... >> Plagg parlò esasperato, afflitto per le condizioni del proprietario. 

<< Oggi è una giornata purrrrfetta per lasciarmi da solo Plagg. Ho bisogno di pensare >> 

<< Detesto ammetterlo >> borbottò il kwami << Ma te l'avevo detto che sarebbe andata a finire così. Mai mischiare lavoro con amore >> 
Il ragazzo alzò lo sguardo verso il cielo, dove,  inquadrata in un bellissimo azzurro caldo, stagliava la punta della Tour Eiffel. 
Quasi gli si chiusero le palpebre nel vedere una tale calma sfilare di fronte i suoi occhi. 
 
<< Secondo te è davvero interessata a quel tipo? >> 

Plagg roteò gli occhi indietro << Mi rifiuto di partecipare al tuo melodramma. Ora tu fili a dormire, altrimenti in queste condizioni non sopravvivresti ad un'akuma. O peggio, sfamarmi >>

Il ragazzo si guardò intorno un'ultima volta per assicurarsi dell'assenza di Marinette: niente principessa. Solo turisti giapponesi e strane persone con indosso calzini bianchi appaiati a sandali estivi. 
Nel tempo che impiegò a percorrere la strada di casa, ricevette un messaggio dal telefono di Chat. 
La musichetta squillante gli suggerì immediatamente il mittente. 

" Hey, sei vivo ? Ti avrò inviato una montagna di messaggi, mi devo preoccupare? " 

Richiuse accuratamente il telefono, ignorando il contenuto del messaggio. 
Non ce la faceva a risponderle quando dentro sentiva così tante emozioni contrastanti.
Marinette sarebbe stata la sua morte
Lei era maledettamente speciale: il tipo di ragazza che vedeva il fuoco nei suoi occhi e nonostante tutto provava comunque a giocarci. A discapito del calore, della bruciatura e della sofferenza, lei nel fuoco avrebbe potuto danzarci. 

<< Prima la pedini e poi non rispondi?? Voi umani siete così strani >> commentò il kwami, interdetto. 

<< Adrien la sta seguendo. Chat è-è complicato. >> 

Prima di varcare l'ingresso della villa, Plagg gli tirò il lembo della giaccia. Lo guardava con una strana apprensione. 

<< Tu sei Chat. >> 

<< Ma questo Marinette non lo sa. Quando è con Chat cambia completamente. Non posso permettermi di rovinare tutto >> 

Il cancello elettrico si aprì non appena Adrien suonò al campanello. Emise uno stridio fastidioso, quasi agghiacciante, segno che qualcosa nell'aria non andasse per il verso giusto. 

Adrien se lo sentiva su pelle: l'insopportabile presagio che un altro fulmine sarebbe piombato a ciel tutt'altro che sereno. 
<< Non vorrei deprimerti, ma potresti già averlo fatto >>
 
Casa Agreste  sembrava avvolta da una rete di tensione camuffata in un silenzio alquanto glaciale, a tratti conturbante. Anzitutto nessuno l’aveva accolto alla porta con lo sguardo esaminatore di chi deve compiere una radiografia ( cosa assolutamente inusuale date le premure ossessive del padre ), e poi non sentiva alcuna agghiacciante telefonata di lavoro risuonare per le pareti delle stanze.
Varcando la soglia dell’ingresso, appena dopo il salone, percepì degli scricchiolii stridenti sotto la suola delle proprie scarpe, dove, a guardar meglio, vide sparsi alcuni cocci di cristallo.

Immediatamente gli occhi di Adrien vennero catturati dal mosaico di vetri caoticamente ammassati sul pavimento: disseminati ad opera d’arte, circondavano il comodino che precedeva l’enorme ritratto di famiglia appeso a muro.
Qualcuno aveva sfondato il vaso di fiori riversando l’acqua dappertutto, persino alla base del dipinto.
 
Fortunatamente il quadro non aveva subito danni permanenti, infatti l'acqua non era riuscita a raggiungere i volti dei soggetti. 
Sua madre era ancora lì, seduta composta e felice con Adrien in grembo e suo padre alla destra. 
Rapito dal suo passato, accantonò momentaneamente la storia dei vetri rotti. 
 
Quel ritratto aveva la capacità di parlargli in modo sorprendentemente chiaro. Un tempo la sua vita era carica e inondata di sfumature brillanti, mentre adesso gli sembrava rivestita da inanimati strati  monocromatici . 
Il mondo di Gabriel Agreste non accettava, non contemplava, l'idea di riappropriarsi del colore: bianco o nero, luce ed ombre, non esisteva alcuna possibilità oltre i paradossi. 
 
<< Tuo padre Adrien. Vai a cercarlo >> trillò il kwami lasciandogli un lasso di tempo sufficiente per ammirare il ritratto di famiglia. 
 
Adrien se ne allontanò malincuore, schivando poi i cocci a terra come un equilibrista e dirigendosi verso l'androne delle scale. 
Se prima la quiete presagiva ad uno scenario terrificante, adesso il rumore che le sue scarpe emettevano spaccando a terra i residui di cristallo rimasti attaccati alla suola sembrava la colonna sonora di un film dell'orrore. 
 
Plagg sbadigliava contro la sua giacca scura senza mostrare un minimo di legittima curiosità nei confronti di quella bizzarra situazione. 
 
<< Credi che sia entrato un ladro ? >> domandò il ragazzo salendo la tromba delle scale. 
 
I gradini parevano dilatarsi ed allungarsi quando Adrien tentava di "scalarli" per raggiungere il secondo piano. 
 
<< Credo che tuo padre l'avrebbe spaventato. Senza offesa >> 
 
<< Nessun'offesa >> 
 
Giunto in corridoio si sentì  decisamente più vuoto e leggero del previsto. 
Natalie, la segretaria del padre, camminava avanti e indietro con il suo favoloso smartphone di ultima generazione, organizzando incontri e interviste varie per chissà quale testata giornalistica. Ormai aveva perso il conto. 
 
Salutò la donna intimando il kwami di restare in silenzio << Dov'è papà? Ho visto i vetri rotti e ... >> 
Natalie lo allontanò con prontezza dalla porta che sanciva l'ingresso per la stanza di Gabriel. 
Concluse la chiamata subito dopo. 
 
<< La nuova domestica ha rotto accidentalmente il vaso. È inesperta e non credeva fosse così importante per il Signor Agreste ... >>
 
Adrien immaginò la reazione del padre dopo aver visto il ritratto parzialmente rovinato: peggio di cerbero contornato da fiamme. 
 
<< Quanti ne ha licenziati? >> 
Natalie sospirò guardando lo schermo del telefono << Tutti. Stavo cercando di sostituirli proprio adesso >> 
 
Tutti.
Li aveva cacciati e licenziati senza un minimo di tatto ed empatia. Gente a cui Adrien si era affezionato, con la quale aveva condiviso la sua interiorità, ora si trovava disoccupata perché suo padre soffriva di qualche serio disturbo psichiatrico. 
 
<< Da quanto tempo è chiuso nella Bat caverna? >> 
 
<< Un paio d'ore. Non vuole vedere nessuno, ha detto di voler rimanere da solo >> rispose abbassando i toni. 
 
Il ragazzo lanciò uno sguardo verso la porta, come se lui avesse potuto effettivamente sentirlo parlare. 
 
<< Classico. Sono quasi commosso che ci abbia messo più di un mese per dare di matto nuovamente >> 
 
<< Non essere così duro con lui, Adrien. È ancora difficile gestire il dolore >> lo rimproverò Natalie, massaggiandosi la nuca contratta. 
Quella donna passava davvero le pene dell'inferno per sopportare il padre da mattina a sera. 
 
<< Perché io giustamente l'ho superato. >> rispose, manifestando un pizzico di risentimento. 
 
"Adrien, cerca di calmarti" continuava a ripetersi invano. 
 
<< Gli passerà come al solito, vedrai. >> bofonchiò tentennando << Ha anche detto che domani ti vuole per un servizio sulla collezione primaverile >> 
 
Adrien era convinto che il padre non si interessasse minimamente alla sua vita, se non quando si trattava di esercitarne il controllo. Nel campo della moda diventava il suo progetto più ambizioso. 
 
<< Puoi dirgli di contattarmi al telefono? Sembra che gli piaccia far finta sia un suo sottoposto. >>
 
Fu così che uscì di scena più furibondo di quanto non lo fosse precedentemente. 
Entrò nella sua stanza sbattendo violentemente la porta, per poi lanciare lo zaino contro la parete e gridare qualcosa di incomprensibile al muro. 
Plagg non sapeva nemmeno se il suo sarcasmo sarebbe riuscito a consolarlo sta volta. 
 
<< Vai a dormire. Hai bisogno di lasciare questa testa calda riposare >> 
 
Ma la sua testa calda non voleva riposare.
La sua testolina malvagia voleva vagabondare per le strade di Parigi senza meta, finché non si fosse trovata vuota e leggera come aria. 
 
<< Dormire? Dormire è per le persone che trovano pace nel sonno. Io divento caos distruggendo tutto ciò che tocco >> 
 
Plagg sapeva cosa Adrien gli avrebbe chiesto di lì a poco. Non gli piaceva affatto come idea.
 
 
<< Plagg, trasformami! >> 
 
 
 
Nei panni di Chat Noir tutta quella rabbia diventava una grande matassa in espansione. 
Forse era stata una cattiva idea, ma certe volte sopportare la propria testa lo rendeva pazzo. 
Seguendo la scia del suo istinto balzò oltre la finestra della camera, usando poi il suo bastone per saltare da un tetto all'altro con agilità. 
Gli era già capitato che a causa dell'atteggiamento del padre avesse perso un tantinello la ragione, però questa volta pareva diverso. 
Questa volta doveva affrontare troppi problemi contemporaneamente, troppi sentimenti contraddittori, troppi misteri dannatamente indecifrabili. 
 
Così l'unica soluzione plausibile consisteva nella fuga più totale. 
Ignorare Marinette, i suoi doveri e i suoi sogni sembrava un gesto estremamente egoista da parte sua, soprattutto perché sapeva quanto avrebbe inciso sull'emotività altrui, però preferiva un sano egoismo piuttosto che la follia completa. 

No, non stava bene

Correva sotto la pioggia scrosciante bagnandosi da capo a piedi, rischiando di scivolare durante uno dei suoi spettacolari salti felini. Le ciocche bionde, ora attaccate al viso sudato, rendevano la sua espressione quasi disperata. 
Sapeva che il punto di rottura prima o poi sarebbe arrivato. 
Nella frenesia della corsa si ritrovò ad osservare qualche passante girovagare mano nella mano per gli Champs D'Élysées, adesso ricoperta di fiori rossi e cioccolatini a forma di cuore. 
Beh, poteva ritenersi originale, lontano dei soliti cliché : passare il San Valentino da solo a guardare una sfilza di ristorantini fatti su misura per due fu il colpo di grazia.
 
Parigi era una stupenda città per le camminate in contemplazione, sotto il bagliore dei lumini ottocenteschi ed perdersi tra le meraviglie dell'architettura gotica. Peccato che non appena le luci si spegnessero, la magia si consumasse immediatamente. 
Sapeva che Marinette non avrebbe mai accettato di stare con Finn, però allo stesso tempo era consapevole che fosse innamorata del se stesso detestabile. 

Adrien brillava troppo violentemente per permetterle di vedere anche Chat? 

Forse avrebbe potuto imbrogliare ancora un po' la città dell'amore immaginando cosa avrebbe potuto accadere con lei al suo fianco.
 
"Non posso sopravvivere ad una bugia che non riesco a sopportare " 
 
Mentre si scrollava un po' di pioggia dalla chioma, atterrò sulla strada dove un uomo paffuto vendeva qualche ombrello. 
Proseguì come se non l'avesse visto, continuando a lasciarsi inzuppare per bene. 
Le persone sembravano riconoscerlo finalmente, ma nessuno si azzardava ad avvicinarsi più di tanto considerando l'aria miserabile e cupa che emanava. 
In definitiva aveva raggiunto il suo obbiettivo principale: immergersi nella folla sentendosi completamente abbandonato a se stesso. 
Ora capiva perché Marinette avesse corso a perdifiato sotto la pioggia dopo la storia di Alya. 
Il rumore dell'acqua scrosciante e la sensazione di freddo riuscivano ad alleviare quella sofferenza che altrimenti l'avrebbe sopraffatto. 
 
<< Hey randagio, penso proprio ti serva un riparo >> sentì una voce delicata alle sue spalle. 
 
Nel voltarsi, la folla lo spinse direttamente sotto l'ombrello della dolce Marinette Dupain Cheng. 
 
"Ma questo è il mio ombrello..." 
 
Marinette tremava per il freddo, eppure seguitava a stringere il manico munita di assoluta determinazione. 
Su una scala da uno a un milione di volt, Adrien sentiva scariche elettriche invadergli il patto come l'impatto d'un fulmine sulla superficie. 
 
<< Sono in ritardo >> disse poi con una freddezza che non gli era mai appartenuta. 
La voce di Chat prendeva una direzione opposta rispetto a ciò che realmente sentisse. 
Marinette sgranò le pupille, mantenendo saldo l'ombrello persino quando il supereroe aveva oramai superato la sua persona. 
 
Andare in pezzi volontariamente

Ecco cosa aveva fatto Adrien. 
 
Spostandosi contro corrente provava ad allontanarsi il più possibile da lei e la sua maledetta abilità di renderlo trasparente come acqua. 
Sfortunatamente per lui, Marinette non si faceva problemi a sguazzare nella pioggia. 
In men che non si dica lo raggiunse passandogli poi l'ombrello senza accettare obiezioni , mentre un morente acquazzone iniziava a bagnare anche le sue gote. 
 
<< A me non dispiace la pioggia >> disse candidamente, abbozzando un sorriso timido. 
 
Chat sfiorò le sue iniziali incise sopra il manico appena offertogli, concedendosi di accettarlo. Silenziosamente, accolse Marinette al suo fianco, scortandola fino alla pasticceria dove lavoravano i genitori.  Non era distante da dove si trovavano, ma il percorso sembrò durare una vita intera. 
Nessuno dei due osò pronunciare una singola parola di troppo. 
Arrivati sotto il telone che riparava l'ingresso del locale, Chat le porse l'ombrello intento a sparire come niente fosse accaduto. 
 
Fu Marinette a parlare.
 
<< Chat, smettila di ignorarmi. Sta diventando frustrante questa "cosa".>>
 
Il petto del ragazzo fece capolino. 
 
<< Frustrante? Da che pulpito ...>> sputò fuori,  animato da un risentimento evidente. 
 
Marinette aprì bocca per dire qualcosa, ma finì per indicargli la terrazza dove solitamente si svolgevano i loro incontri clandestini. 
 
<< Ti aspetto su. Vedi di muovere il tuo meow-raviglioso di dietro >> 
 
 
Ancora titubante della scelta, Adrien promise alla giovane di aspettarla nel loro posto. 
Stravaccato sul muretto della terrazza, cominciava a sentire dei leggeri brividi di freddo scorrergli lungo la schiena fradicia. 
Marinette nel frattempo aveva cambiato i vestiti zuppi con qualcosa di asciutto e pienamente nel suo stile: uno di quei maglioni colorati e lunghi tanto da diventare vestiti. 
A discapito della sua ira, i pensieri di Adrien vagavano indipendentemente verso la contemplazione della ragazza. Scappavano dal suo controllo, suggerendogli insistentemente di fare quello che avrebbe dovuto fare molto tempo prima. 
 
Era così umano
 
<< Avanti, spara. Ti vedo carico di colpe da scaricarmi >> sentenziò la giovane raggiungendolo nei pressi del muretto. 
Adrien era concentrato ad  osservare alcune nuvole scure che lentamente venivano sostituite dall'incombere della notte. 
 
<< Nessuna colpa, Marinette >> mormorò in tono accusatorio << quella è solo mia. Non avrei mai dovuto coinvolgerti, ho sbagliato. >> 
 
L'odore della pioggia fresca contribuiva a rendere l'aria più malinconica e spenta del previsto. 
 
<< E se io lo volessi? Avrei anche un libero arbitrio, giusto per rinfrescarti la memoria >> protestò di tutta risposta. 
 
Adrien si incendiò rapidamente. 
 
<< << È proprio questo che mi preoccupa! Ti sei imbarcata in un'impresa suicida da sola. Violi persino il tuo stesso patto >> 
 
Sconvolta, Marinette calpestò ferocemente le accuse del supereroe rilanciando la questione. 
 
<< << Ahh quindi è di questo che stiamo discutendo!? >> replicò a braccia conserte << Disse quello che lo rispetta sempre, no? >> 
 
Il sangue le affluiva così intensamente alle gote che sembrava sul punto di esplodere. 
 
Adrien voleva fermarsi, frenare la lingua e ricominciare il discorso con il piede giusto. Ma quella era la giornata del piede sbagliato, anzi a pensarci bene non aveva nemmeno dormito per essersi alzato male.
 
<< Non è il mio punto. La questione qui è che stai frequentando una persona pericolosa. Non sarò disposto a fare compromessi sta volta >> 
 
La ragazza sbuffò come una stufa a pressione, scalpitando contro il muretto. Si trovava prossima al viso di Chat, eppure continuavano ad urlarsi in faccia piuttosto che approfittare di quella vicinanza. 
 
<<  Che vorresti fare? Impedirmi di rendermi utile? Era l'unica via d'uscita al problema e lo sai tanto quanto me! >> 
 
Chat scattò velocemente, trovandosi a pochissimi centimetri dai suoi profondi occhi oceanici.
Era tremendamente difficile respirare quando l'acqua sembrava così alta tanto da trascinarlo a fondo.
<
 
Si vide riflesso nelle sue pupille: era fragile ed al contempo pericolosamente tagliente, quasi interamente se stesso se non fosse stato per la maschera. 
 
<< Adesso sarebbe colpa mia? Guarda che ti ho nascosto le mie intenzioni perché temevo una reazione del genere. Ci tieni così tanto a proteggermi che mi impedisci di essere >> ansimò un istante <<  me stessa.  >> 
 
In quel momento l'immagine rispecchiata nelle pupille della ragazza si ruppe in piccoli frammenti scomposti. Chat strinse i denti cercando precariamente di cucire delle toppe sopra quelle parole dolorose. 
Resasi conto della situazione, Marinette si fece subito piccola piccola. 
Stavano andando alla deriva
 
<< Chat, io non-non intendevo quello >> balbettò sottovoce, rigata da un senso di colpa che però ebbe come risposta una fredda alzata di spalle. 
 
<< Ho capito perfettamente, principessa. Evidentemente ti soffoco nelle mie stupide premure >> disse profondamente ferito << Bene, farò finta che di te non mi interessi >> 
 
Senza indugi, fece per saltare via dal balcone, preparandosi a scendere in picchiata verso la notte più buia. Gli stava piovendo dentro al cuore, lo sentiva perfettamente.
Marinette allora entrò nel panico, affrettandosi ad afferrargli un polso in modo concitato << Chat, per favore, ho esagerato. Non te ne anda->> 
 
<< Andare ? >> incalzò furente << È proprio questo il problema Marinette >> 
 
Tornò su due piedi in men che non si dica, avanzando prontamente verso la giovane, la quale si trovò praticamente con la schiena premuta contro il muretto e il volto allineato a quello del gatto. 
 
<< Potrai anche strillarmi in faccia e cacciarmi dalla stanza perché credi sia un maniaco, ma torno sempre qui. E dannazione quanto vorrei cercare di impedirmelo! >> continuò esasperato, decisamente senza fiato. 
Adrien sentì un improvviso terremoto scuotergli il cranio, aprendosi una voragine tra i suoi pensieri. Non ce la faceva più a trattenere le parole, ormai. 
 
<< Non mi scuserò per metterti al primo posto. È più forte di me >> aggiunse infine. 
 
Privato di qualsiasi inibizione, incatenò il suo sguardo in quello della ragazza. 
Marinette non batteva ciglio. Deglutiva lentamente, cercando di prendere più aria possibile. 
 
<<  Bene, allora non mi scuserò nemmeno io! >> balbettò dando voce ai suoi pensieri.
Chat rimase sospeso in attesa.
 << Non mi scuserò di averti curato le ferite, di essere la tua spalla, di-di sentire la tua mancanza tutte le volte che esci da quella maledetta finestra ... >> disse quasi gridando a squarcia gola. 
 
Adrien non sapeva né come, o perché, però la mezza dichiarazione di Marinette scatenò in lui una risata incontenibile: era felice, calda e rasserenante, come se tutta la sua oscurità fosse stata improvvisamente imbottigliata e gettata chissà dove. 
 
<< Adesso mi prendi pure in giro? >> scalpitò la giovane, battendo i pugni contro il petto di Chat. 
Quest'ultimo reagì afferrandola per la vita, cingendole delicatamente i fianchi con una naturalezza disarmante. 
 
<< Ti do' tre secondi per picchiarmi >> sussurrò sommessamente. 
 
Adrien l’osservava con inaspettato desiderio: la curva delle clavicole, la luce della luna che ravvivava quelle delicate lentiggini come polvere brillante, le lunghe e carezzevoli ciglia, ma non vedeva solo quello: studiava le sue rosee labbra semichiuse, la sua carnagione così chiara come piume al vento e il modo in cui arricciava il naso quando si sentiva sotto pressione.
Non si era mai sentito così in vita sua.
Certo, aveva già sperimentato il desiderio prima di quel momento, ma niente poteva considerarsi così consumante e vivo quanto quello.
Adrien si piegò in avanti, lentamente, fino a premere le sue labbra contro quelle di Marinette.
La ragazza rispose con sorpresa, balzando leggermente, senza però ritirarsi dal contatto.
I palmi del ragazzo scivolarono lungo la sua schiena. Poteva sentirla respirare, approfondire il bacio aderendo alle sue labbra con più coraggio.
Si  separarono solo un istante – per quanto tremendamente travolgente fosse – fondendosi nuovamente in un contatto impetuoso come fiammelle ardenti.
Marinette sapeva di vaniglia e zucchero caldo, di un sapore che rendeva Adrien insaziabilmente impaziente. Le sue mani, ora intrecciate nella la sua bagnata chioma bionda, conferivano ai movimenti una disinvoltura che Adrien non avrebbe mai immaginato potesse appartenerle.
A corto di ossigeno, s’allontanarono malvolentieri.
 
Adrien osservava le sue mani fasciate dalla tuta nera cercando di imprimere la sensazione che aveva provato sfiorando la pelle morbida della ragazza. Dopo  il bacio – quel bacio – nulla sapeva più allo stesso modo di prima.
 
Alzò un sopracciglio in modo irriverente << Non mi hai ancora tirato un ceffone >>
Marinette si sfiorò le labbra meccanicamente, incapace di esprimere quello che le frullava in testa senza blaterare un mucchio di versi sconnessi. Ancora arrossate dal contatto, cercavano di comporre una risposta quantomeno comprensibile.
 
<< Oh-oh, mi sa che ho rotto Marinette. Spero che ad Adrien non dispiaccia >> disse poi, prendendole il mento tra le mani.
Sorrise infine con estrema contentezza, tenendosi a debita distanza dalle sue labbra.
<< Cc-hiudi il becco >> borbottò impacciatamente la ragazza, tirandolo verso di sé come una calamita attratta al metallo.

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Finn's Memoirs ***





Giuro che non mi sono dimenticata di voi mie little bugs,
ma ho superato una sessione estiva che mi ha completamente presa...
Anyways, malgrado questo capitolo sia una mera parentesi,
lo reputo estremamente importante in vista dei futuri!
( ch arriveranno entro l'anno :P)

Buona lettura little bugs
 
 

Finn's memoirs





Sin da quando ne possedeva memoria, Finn aveva sperimentato e vissuto a pieno la sensazione di completo vuoto.
Non era una semplice mancanza emozionale che si affiancava a lui passo dopo passo: era un vasto e interminabile buco nero.
Finn si svegliava solitamente molto presto; infilava i piedi nelle ciabatte di star wars che la madre gli aveva regalato per il quinto compleanno e poi finalmente cercava di sollevarsi dal materasso pur frenato dalla costante paura di poter crollare a terra.

Un bambino nato con la vista, ma progressivamente condannato a perderla poteva solamente imparare a conviverci giorno dopo giorno.
Spesso si chiedeva se non sarebbe stato meglio nascere con quella privazione così crudele piuttosto che assaggiarne un po' l'esperienza per poi vedersela scivolare fra le mani senza poter letteralmente fare nulla per cambiare la situazione.

L'ignoranza forse gli avrebbe concesso una parvenza di pace.
E invece era stato condannato: inesorabilmente aveva cominciato a perdere i colori della vita, dovendo affidarsi a tutt'altri sensi per poter sopravvivere.
Era una maledizione doversi appigliare continuamente all'immaginazione per sentire almeno parzialmente la presenza di oggetti fisici attorno a lui.

Durante le prime fasi di destabilizzazione frequentava un gruppo di sostegno nell'ospedale dove poi avrebbe lavorato una volta cresciuto.
Lì i pazienti sembravano così solari, così contenti di poter quantomeno fingere una vita normale, mentre lui si paralizzava al solo sentirli parlare.
Raccontavano con voce divertita le volte in cui le persone tentavano di spiegare loro cosa fossero i colori.
Come si fa a spiegare ad un cieco l'intensità del rosso? O l'enigmatica profondità del blu?
Semplicemente favolette.
E i dottori - a detta sua - si compiacevano di quegli spettacolini vittimistici.
Poi toccava a lui ed ovviamente le carte in tavola cambiavano segno.

Finn era sempre stato quel bambino brillante, pungente e acuto che non si inibiva nell'esprimere esplicitamente i suoi pensieri negativi. Ogni singola volta che gli domandavano cosa fossero i colori, rispondeva sempre che per lui non erano altro che una perfida punizione divina.

L'unica luce che reputava meritasse un minimo di preservazione abitava a pochi metri dalla sua villetta, proprio oltre la staccionata che delimitava il giardinetto inglese tanto voluto dalla madre una volta rimasta incinta di Finn.
Era una bambina dai lunghi capelli corvini e le pupille grigiastre come blocchi di ghiaccio artici che frequentava la sua stessa scuola.
La conosceva da sempre: uno dei pochi visi di cui ricordava veramente le fattezze senza doversi servire dell'immaginazione.

Aveva imparato a usare la memoria come filtro al posto degli occhi.

Céleste non si comportava come una bambina qualunque, né sembrava condividerne l'età: era saggia e responsabile, ma estremamente diretta e cinica. L'unica che non cercava di addolcire la pillola con lui pur rimanendo comunque gentile.
Lo trattava per quello che era senza sconti e senza particolari attenzioni, facendolo sentire anche per pochi istanti ancora ... normale.
Per questo credeva di aver iniziato ad amarla fin da subito.
Anche lei viveva una situazione problematica con la propria famiglia e non se ne vergognava affatto a dispetto delle altre persone.
Gli piaceva perché non si sforzava di essere perfetta, ma si accettava per tutte quelle sue debolezze e lati scheggiati dal tempo.

All'ospedale erano soliti ricordargli che "casa" significasse un posto sicuro dove nessuno avrebbe mai potuto fargli del male, ma Céleste la pensava in modo completamente opposto. Un modo che a Finn piaceva da impazzire.

"Casa qualche volta è dove si ha la cicatrice più profonda"

Non si vedevano proprio tutti i giorni, soprattutto dopo essere stato trasferito in un liceo destinato a persone come lui, ma le volte che potevano sgattaiolare nel giardino altrui si ritrovavano a passare intere nottate a discutere e sentire la musica attraverso quei vecchi stereo anni novanta.

Le giornate finivano così, senza grandi pretese e aspettative.
Finn non era il tipo smielato che si riduceva a venerare la ragazza come un povero cagnolino - non faceva per lui - però sentiva comunque un legame intensamente profondo che si spiegava solo nei termini del suo strano carattere oscuro e penetrante.
Era la sua natura disfattista e catastrofica a parlare la maggior parte delle volte, mentre in Céleste viveva ancora un briciolo di speranza verso il genere umano.
L'idea di confessarle i propri sentimenti - o quantomeno quella massa informe di confusione che gli imperava in testa - emerse nel momento stesso in cui Céleste iniziò ad uscire con una lunga serie di ragazzi della sua scuola.
Se inizialmente aveva creduto che la questione non lo toccasse minimamente - dopotutto "occhio non vede, cuore non duole" - una volta precipita con le proprie orecchie la possibilità di perderla per qualche idiota gli sembrava una tragedia greca.

Fu così che Finn si decise di presentarsi di punto in bianco nel giardino della ragazza, dove solitamente si incontravano, aspettando che rincasasse dal l'ennesimo appuntamento andato male.

<< Mi ha portato a vedere la sua collezione di palloni da calcio firmati nel garage, così pensavo che fosse una scusa per fare altro... e invece ha parlato ore e ore di quelle stupide sfere rotolanti! Perché non ha fatto nulla? >> gli aveva raccontato lei prima di dargli la possibilità di parlare.

La scena andò più o meno così: Finn, stanco di sentirla lamentarsi di quanto i suoi coetanei fossero poco interessanti e superficiali, aspettò di percepirla abbastanza vicina per coglierla di sorpresa definitivamente.
Era un ragazzo molto bello, o almeno era quello che dicevano tutte le ragazze quando aggiungevano anche che non avrebbero mai perso la testa per un menomato.
Certo non tutte, non lei.
Céleste perse completamente il senno per lui.

<< L'avrei fatto io se non l'avessi fatto tu >> gli confessò tra un bacio e l'altro.

<< E io che pensavo volessi vedere la mia collezione di bastoni per ciechi! >> Céleste rideva sempre alle sue battute auto ironiche: erano quel tipo di comicità nera e arida che faceva parte delle sue ossa, del suo intero essere.

Poi un giorno Finn incappò nel vecchio dogio del maestro Fu, presso il quale aveva tenuto varie lezioni per imparare a controllare meglio il proprio corpo in assenza della vista.


Fu lì che si verificò la catastrofe.

 




"Non ti fidare dell'uomo nascosto dietro le tende.
È un oscuro e familiare estraneo,
pronto a offrire una bellissima scatola di menzogne e sogni infranti"

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Capitolo 16
*** Lies: Warnings and Side effects ***






 
Buonsalve mie splendide little bugs,
sono finalmente tornata yay! Mi merito solo
insulti dopo questa interminabile assenza, lo so...
Spero comunque vi sia di gradimento :) 
don't kill me pls

 



Lies: Warnings and Side effects
 
 
 
 












<<Marinette Dupain Cheng?>>
 
Marinette pensava. S'arrovellava il cervello riempiendolo di mille impulsi differenti ed estremamente piacevoli. 
Il suo era un organo elastico : una macchina efficiente quando si trattava di fare l'eroe, ma completamente incapace di gestire situazioni al di fuori del proprio controllo. 
Subordinata al cuore, oramai anche la materia grigia si preparava a venire totalmente trascinata dagli eventi. 
Non poteva fisicamente trattenere quei continui sorrisi genuini che le dipingevano il volto ogni qual volta pensasse alla sera precedente. 
Le labbra di Chat, roventi contro le sue,  e lo sguardo malizioso - quello sguardo intensamente imprigionato nelle sue iridi azzurre - animavano un tamburellare secco che le galoppava nel petto senza sosta. Più tentava di comportarsi secondo la norma, più l'ipotesi di rivederlo si concretizzava attraverso espressioni ebeti. 
 
Non l'aveva previsto. 
Non da lui, non così.
 
L'idea di provare qualcosa nei suoi confronti non era certo una novità: Marinette era testarda, ma non stupida. Quello che la sconvolgeva del gesto riguardava tutto ciò che aveva risvegliato nella sua testa: un'alluvione, un cataclisma di emozioni primitive e incontrollabili. 
Marinette non poteva credere di bramare così tanto uno dei suoi baci come se ne fosse dipesa la sua intera esistenza. 
 
Intossicante.
La serata trascorsa era stata la conferma definitiva che Chat avesse creato una sorta di dipendenza in Marinette, di cui lei non intendeva liberarsene. 
 
L'aveva baciato.
 
Non una, ma una serie di volte che erano state interrotte solo con lo scoccare  della mezzanotte. 
Lasciarlo entrare nella sua stanza era stata una scelta assolutamente incosciente e decisamente impulsiva - riconosceva tutto e niente in quei momenti - però non avrebbe potuto confinarlo al gelo della terrazza così fradicio. 
 
Per questo motivo cambiava la location, ma non la sostanza del loro incontro. 
Marinette aveva buttato tutto il suo autocontrollo fuori dalla finestra, finendo per concedersi una serata di innegabile gioia. 
Chat l'apprezzava nella sua interezza, con o senza maschera, e ciò rendeva quel sentimento ancora più speciale di quanto già non lo fosse. 
 
I problemi attorno a loro, tuttavia, non s'erano dissolti magicamente, tutt’altro! La ragazza quindi sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto destarsi dal sogno ed affrontare la cruda realtà.
Una realtà che adesso aveva assunto le sembianze della sua insegnante di storia, intenta a richiamare Marinette affinché rispondesse all'appello. 
Era rimasta in tranche - occhi sgranati e viso portato sul palmo di mano - mentre il resto della classe la fissava con fare divertito. 
 
Alya, la sua vicina di banco, le tirò una gomitata bella forte. 
 
"Ahio..." si disse Marinette sfregandosi il braccio.
 Nonostante la febbre appena superata, Alya vantava di una forza notevole. 
Ancora dolorante, Marinette guardò l'amica, che le indicò prontamente l'insegnante dall'espressione spazientita. 
Quest'ultima sventolò una mano salutando l'alunna con un pizzico di ironia. 
 
Si era imbambolata nel bel mezzo della classe. 
Voleva sprofondare ed infilare il capo sotto terra come gli struzzi. 
 
Alya la punzecchiò vivacemente, rivolgendole un sorrisetto alla "ora sputi il rospo monella". 
Ma non fu la sola a indirizzarle uno sguardo bizzarro in quel frangente. 
Nino, infatti, sembrava abbastanza sconsolato, mentre Adrien non si degnava di voltarsi. 
 
Marinette temeva di avergli inconsapevolmente rivolto un torto: attorno a lui compiva sempre disastri ingestibili, perciò l'eventualità di averne fatta una delle sue non la tranquillizzava affatto. 
Inoltre, se già parlare con Adrien diventava difficile quando si trattava di normale routine, adesso che sembrava così distaccato si trasformava in una vera e propria impresa titanica. 
 
<< Mari, tu sei cotta a puntino. Ora devi vuotare il sacco a zia Alya, sono settimane che non ci sentiamo ... >> sentenziò l'amica abbassando il tono di voce. 
 
Lo sguardo truce dell'insegnante subito investì le due giovani, che dovettero tagliare corto la loro blanda conversazione appena intavolata. 
 
Marinette sospirò.
Sapeva che non ne sarebbe uscita indenne:  Alya era una tipa abbastanza insistente e paradossalmente intuitiva per certe cose. 
In più, guardarla negli occhi con estrema trasparenza le creava ancora qualche problema. 
Certo, era davvero contenta non avesse realmente tradito Nino in ogni caso, però di tanto in tanto le capitava di ricordare il famoso incontro peccaminoso con Finn accompagnata da un leggero sapore amarognolo.
Adrien, dal canto suo aveva ricevuto un messaggio di spiegazioni settimane prima. 
Marinette era stata responsabile e tristemente abile nel rifilargli una balla colossale: il giovane sapeva che si era trattata di una svista grossa quanto un tir, tutto qui. 
Niente drammi o schiamazzi, solo il solito falso allarme di quell'imbranata di Marinette. 
Nonostante ciò, la situazione peccava di un non so che di irrisolto.
Probabilmente la ragazza si sentiva solo sporca di mentire continuamente… eppure sembrava esserci di più, molto di più.
 Quella faccenda si stava gradualmente trasformando in partita a scacchi di cui lei non sapeva nemmeno muovere un pedone. 
 
Ad aggravare la questione ci si metteva pure Adrien, che neanche le rivolgeva parola.
Nemmeno un "ciao" balbettato, oppure un "hey, anche oggi ho sacrificato me stesso facendo del volontariato agli orfanelli di Parigi". 
 
Nada. Pas de réponse.
 
Così, quando la lezione terminava per la pausa pranzo, Marinette si ritrovò immediatamente con un paio di occhi nocciola puntati addosso manco avesse compiuto chissà quale crimine. 
Alya l'analizzava indispettita, provando a cavarle qualche informazione. 
 
<< Terra chiama Marinette! >> brontolò poi << Anche se i tuoi ti hanno esclusa dal festival, potresti quantomeno rendermi partecipe della tua vita...>> 
<< Aly, è tutto a posto. Sono solo un po' più d-distratta, tutto qui >> 
 
Scuotendo il capo, Alya ignorò le parole rassicuranti dell'amica. La loro conversazione stava inevitabilmente attirando l'attenzione di Nino ed Adrien, i quali provavano a captare le loro parole con nonchalance. 
Marinette si guardava attorno cercando una via d'uscita. 
 
"La finestra, forse? "
Gettandosi dal quarto piano sarebbe finita spiaccicata come la lattuga negli hamburger. Non era proprio il caso. 
 
"La scala antincendio!"
 
Sì, nemmeno Superman avrebbe superato l'interrogatorio di Alya in quello stato.
Era senza scampo, doveva accettarlo. 
 
<< Avanti, come si chiama ? >> incalzò << Arricci il naso quando menti >> 
 
Doveva proprio smetterla di muovere quelle narici lentigginose, stava diventando un punto a suo sfavore.
 
La giovane boccheggiò leggermente, colta da un brivido di freddo che le corse lungo tutta la schiena. Da cosa dipendeva ?
Adrien la stava guardando, ma non una semplice occhiata insignificante: la stava fissando. 
Marinette non poté fare a meno di studiarlo altrettanto.
Quelle dita affusolate, intrecciate nella chioma biondo grano ed una smorfia ricurva all'angolo delle labbra; la pelle delle braccia tesa mentre sollevava lo zaino… sembravano l’ombra di una visione già vissuta. Le ricordavano qualcuno di familiare. 
A Marinette piaceva ancora Adrien, come negarlo, però le cose avevano preso una piega totalmente inaspettata da quella che aveva previsto. Nei suoi sogni si era sempre immaginata schiava di un sogno irraggiungibile, non la protagonista indiscussa della fiaba.
 
E poi... 
 
"Non è lui, Mari. Sono due persone completamente diverse… credo" si ripeté risoluta.
 
<< Si chiama disturbo ossessivo compulsivo >> rispose soprappensiero. 
Impiegare il sarcasmo in classe non era precisamente nelle sue corde, tant'è che suscitò immediatamente qualche occhiata interdetta. 
 
Marinette scivolò oltre i banchi, trascinando la sacca dove teneva i suoi bloc-notes e qualche matita da disegno. Appesantita, strinse l'oggetto al petto con fare goffo. 
 
<< È-è meglio che un attimo fuori andar-uscire >> si ammutolì ricostruendo l'ordine delle parole nella propria testa << È meglio che esca fuori un attimo >> sputò fuori con estrema difficoltà. 
Alya tamburellò le dita contro il legno del banco, indirizzando al fidanzato uno sguardo preoccupato. 
Annaspando ancora, la supereroina scese i primi gradini ignorando completamente come camminare senza sfracellarsi in grande stile: inciampò nei suoi stessi piedi, venendo però recuperata da un paio di braccia avvolgenti. 
 
Fu travolta da due meravigliosi occhi color giada, contornati da una cascata di lunghe ciglia illuminate.
Adrien Agreste risvegliava in lei quella timidezza che credeva di aver ampiamente superato. Diversamente da Chat, con il quale tirava fuori un lato istintivo e naturale, accanto ad Adrien si sentiva ancora vulnerabile e continuamente sul punto di versarsi addosso chili di imbarazzo gratuiti. 
In sua presenza voleva sempre fuggire il più lontano possibile, soprattutto dopo lo spiacevole episodio della cena in compagnia di Finn. 
Se aveva acquisito un minimo di sicurezza durante quelle circostanze, adesso la consapevolezza di avergli mentito  spazzava via ogni mattone blandamente ammassato. 
 
<< Je suis désolé! >> balbettò allontanandosi leggermente.
Il ragazzo le rivolse un candido sorriso << No problem >> disse << però credo che ti manchi qualcosa >> 
 
"Il coraggio? La verità?"
 
Marinette lo guardò perplessa, mentre il giovane si chinava a terra intento a raccogliere qualcosa. In un battibaleno le prese la mano libera, porgendole ciò che aveva fortunatamente visto sul pavimento.
 
<< Fai più attenzione >> bisbigliò << altrimenti non ti porteranno più fortuna >> 
 
Marinette strinse uno dei suoi orecchini da coccinella col cuore in gola. 
Stava per perdere il suo kwami
Poi Adrien le strizzò un occhio, rischiando di farla cadere nuovamente.
 
La ragazza si diresse in fretta e furia verso il cortile interno dell'Accademia, cercando di non voltarsi indietro neppure una volta. Temeva potesse incontrare Alya o qualunque essere vivente in grado di metterla in crisi. Ci sarebbe riuscito persino un moscerino data la fragilità emozionale.
 
Camminando come un gendarme, a testa bassa e denti stretti, finì dritta nella trappola del topo: urtò la schiena di una ragazza bionda che stava gridando al cellulare.
Il tono stridulo, acido al pari di uno yogurt scaduto, calzava a pennello alla persona che Marinette aveva accidentalmente travolto. 
 
"Oh no... ci risiamo" 
 
Chloé sbandò un istante per poi ritrovare l'equilibrio su quei trampoli che si ostinava a chiamare scarpe. Emise un versetto derisorio non appena realizzò chi fosse la solita sbadata che si era permessa di sgualcire il suo cardigan giallo canarino. 
 
<< Tontonette! Oltre a truccarti come il circo degli orrori, aspiri anche ad attentare alla mia vita? >> esclamò a gran voce, attirando l'attenzione di un gruppetto di studenti nei paraggi << Non che la tua vista sia più gradevole ovviamente >> 
 
Marinette strinse i libri a sé, cancellando per un istante tutta l'insicurezza che Adrien le aveva scatenato. Quella lì era sempre lei, sempre la solita vittima cosciente di essere troppo impaurita per liberarsi dell’etichetta. E lei voleva liberarsi di quell’etichetta così tanto.
 
<< Visto che ti piace tanto il make-up, perché non ne mangi un po'? Saresti almeno bella dentro, Chloé >> 
 
Le parole le erano uscite di bocca come un flusso quasi inarrestabile. Forse ci era andata pesante, però detestava quella sensazione di impotenza quasi quanto l’idea di dargliela vinta.
Specialmente quando già si trovava in una situazione abbastanza critica. 
La folla accanto rispose fischiando qualche acclamazione nei confronti di Marinette, mentre Chloé sbatteva i piedi contro l'erba, fumando di rabbia e qualche altro profumo sicuramente ultra costoso. 
 
Doveva andarsene da lì ed isolarsi almeno un'oretta. 
 
<< Ti renderò la vita un inferno Marinette Dupain Cheng !>> ululò la bionda, increspando le labbra in una smorfia satanica. 
 
Stanca delle sue continue minacce, Marinette si portò una mano alla bocca fingendo di sbadigliare << Come se non lo stessi già facendo ... >> 
 
Chloé piagnucolò, scuotendo il capo così tanto da far vibrare i grandi cerchioni d'oro che le pendevano dalle orecchie. Ignorando - per quieto vivere - la sua favolosa scenetta melodrammatica, la supereroina aggirò il cortile dirigendosi nel cuore della mensa. 
Questa pullulava di studenti affaccendanti che correvano da una parte all'altra trasportando vassoi colmi di portate calde. 
Malgrado la capienza della sala principale, i tavoli schierati a file alternate non contavano un solo posto libero, se non quello accanto all'ingresso dei bagni maschili. 
Non si sarebbe martirizzata talmente tanto. 
Sussurrandole all'orecchio timidamente, Tikki individuò il tavolo che ospitava la sua solita combriccola di amici. 
Gli avevano lasciato un posto accanto ad Adrien, prevedibilmente. 
 
Marinette quasi stava per mordersi le unghie: la coppietta sedeva mano nella mano discutendo animatamente su qualche cosa di ignoto, mentre Adrien era buttato sul tavolo con la testa infossata tra le braccia. 
Gli schiamazzi degli altri studenti, mischiati al rumore del caffè appena uscito dalla cucina, diede a Marinette il tempo utile per cambiare ala.
Aggirando dal retro la sala, scalpitò verso il secondo cortile interno, quello dove avevano impiantato alcuni tavoli per il pranzo a sacco. 
Con la schiena premuta sul muretto che separava la mensa dalla sua postazione, scartò un croissant ripieno guardandolo senza un briciolo di appetito. 
 
Sembrava avesse dei grossi massi ad appesantirle lo stomaco. 
Prima di costringersi a pranzare, afferrò il telefono dalla sacca colorata - ora inzaccherata di qualche strato terroso - che aveva steso sull'erba. 
 
"Probabilmente me ne pentirò, però dimmi qualcosa di idiota. Ti prego" scrisse con una mano, mentre con l'altra si portava il cibo alla bocca. 
 
Non ci volle molto perché Chat le rispondesse al messaggio. 
 
"Principessa, io non dico cose idiote. Il sarcasmo è un'arte" 
 
Marinette sorrise, impaziente di toccare lo schermo luminoso.
Aveva temuto che dopo l'incontro del giorno precedente le dinamiche tra di loro fossero cambiate, invece si comportavano esattamente come prima. 
Andava bene, molto bene. 
 
"Che ne dici se sta sera te e la tua arte veniste a fare una partita a Battlefield?"
 
Aspettava quel momento dall'istante stesso in cui aveva aperto gli occhi quella mattina. Non vedeva l'ora di prenderlo un po' in giro, mentre lui accidentalmente faceva le fusa. 
Dovevano ancora discutere della storia di Finn però, dato che erano stati troppo occupati a mangiarsi la faccia tutta la serata. 
 
Marinette non era sicura di saperla gestire. 
Non poteva troncare le visite con quel teppista, perché le serviva conoscere la realtà dei fatti, tuttavia non se la sentiva nemmeno di sparare qualche altra menzogna a Chat. 
Tra tutti, lui era quello che non voleva assolutamente deludere. 
Certo, rassicurarlo che quegli incontri si trattassero solamente di puro interesse informativo non bastava a placare la sua irrequietezza. 
Perché Marinette non era Ladybug nell'immaginario di Chat, e a lei non serviva sapere proprio tutto tutto. 
 
Per un momento le balenò in testa l'idea di rivelargli chi fosse. Sarebbe stato molto più semplice per entrambi, dopotutto niente losche mezze parole, ma solo trasparenti verità. 
Allo stesso tempo pensare di togliersi la maschera le procurava forti ondate di panico crescenti. 
Significava mettersi completamente a nudo.
Significava ammettere i propri errori e cercare di scusarsi e scusarla. 
Significava passare sotto la scure delle mille aspettative che sicuramente Chat s'era costruito attorno a lei. 
 
Non ne era pronta. 
Peccato che tra l'essere sicuri e il doverlo sembrare, ne passasse di acqua sotto i ponti. 
 
"Bien sûr que oui, Princesse! Saremo lieti di stracciarla senza pietà" 
 
La ragazza trattenne una risata increspando le labbra. 
Se era riuscita a stracciare Adrien, un patito dei videogiochi, quanto tempo avrebbe impiegato per distruggere l'orgoglio del suo gatto? 
 
"Sarà un piacere umiliare il tuo ego, Chaton" 
Quando si decise a chiudere la conversazione, la pausa pranzo stava quasi per terminare. Controllò l'orologio: mancava ancora una decina di minuti buoni prima di tornare all'interrogatorio di Alya. 
Contro le sue aspettative, le pareti che dividevano le varie sale dell'Istituto non erano state costruite in modo tale da impedire il passaggio del suono. 
Così fu sorpresa di riuscire a capire ogni singola parola blaterassero oltre il muretto.
Probabilmente la conversazione con Chat l'aveva talmente estraniata da renderla addirittura meno sveglia del solito. 
 
<< Ve lo dico io, qui c'è qualcosa sotto! Prima sorride, poi s'ammutolisce manco le fosse morto il cane. Fa la schiva, dopo ritorna all'allegria. Si contraddice di c-o-n-t-i-n-u-o >> gridava Alya col suo solito tono energico. 
 
Marinette rizzò le orecchie. 
Non stava facendo stalking. Si chiamava "investigare" accuratamente. 
 
Fu Nino poi a prendere posizione. 
 
<< Alya, io e Adrien dobbiamo dirti una cosa... >>
Tesa come un fuso, Marinette si acquattò cercando di captare ogni singolo respiro di quella conversazione. 
 
<< L'abbiamo vista con Finn. Più volte >> 
 
"Oh merda" risuonò nella testa di Marinette come un kong appena suonato. 
Possibile che qualsiasi cosa facesse si rivelasse controproducente? 
<< Mi rifiuto di crederlo! Conosco Marinette come il palmo della mia mano, me l'avrebbe detto... >> replicò Alya sulla difensiva. 
 
Si sentì immediatamente sporca. Sporca di menzogne come una tela imbrattata dall'inchiostro nero. 
Nessuno di loro si meritava quel trattamento. 
 
<< Aly, ultimamente è molto chiusa con tutti. Persino con te >> incalzò Nino addolcendo i toni. 
 
<< Sì, ma non si farebbe del male. Lo so, la conosco okay? E poi come fate a sapere che non siano stati incontri casuali? Mica l'avete pedinata! >> obiettò rafforzando le sue posizioni.
 
Le speranze di Alya si frantumarono così come il buon senso di Marinette. 
Evidentemente quel silenzio eloquente significava solo una mera conferma delle sue divertenti supposizioni. 
 
<< Adrien, mi rivolgo a te perché so che Nino non c'entra niente in questo. Perché l'hai seguita? È da un po' che ti vedo strano almeno tanto quanto lei >> 
 
L'aveva seguita. 
Bon Dieu, s'il l'avait fait!
 
Quell'inaspettata svolta ebbe solo l'effetto di renderla più nervosa e curiosa. 
 
<< Ero preoccupato. Finn non è un bel tipo e lei si merita di meglio >> rispose << Comunque la penso come te Aly. Marinette se la sa cavare >> 
 
Marinette non volle più sentire altro.
Si lasciò trasportare dal trillare della campanella fino alla classe ancora deserta, aprendo poi qualche libro per convincersi di poter pensare agli argomenti da studiare. 
 
"Se guadagnassi un euro per ogni disastro che mi capita, sarei milionaria" 
 
 
 
La lezione sembrava interminabile. La giornata sembrava infinita .
Così quando finalmente terminò l'ultima ora, Marinette cercò di evitare eventuali discussioni con la solita combriccola di amici. 
C'era riuscita bene durante le ore di inglese e scienze, che cosa poteva ancora capitarle di così assurdo? 
Quando scese le scalette che precedevano l'imponente ingresso della struttura, una mano amica le si posò sulla spalla imbottita da un pesante felpone invernale. 
Riconosceva perfettamente le unghie smaltate di celeste e quella carnagione medio orientale. 
 
<< Siccome sei in reclusione, ti scorterò a casa Mari! Dobbiamo recuperare il tempo perso >> annunciò Alya elettrizzata. 
 
Con lo zaino in spalla e una dose invidiabile di allegria, seguì Marinette verso la strada della pasticceria, allungando il percorso che l'avrebbe altrimenti portata a casa. 
Era chiaro come il sole che volesse parlare di quella cosa. 
Marinette ce l'aveva messa tutta in quei venti minuti di passeggiata a portare  la conversazione  verso argomenti sicuri e distanti dai problemi che l'accerchiavano. 
Quando non sapeva più cosa dire iniziava una lunga parlantina riguardo i gossip più inutili e stupidi che le venissero in mente. 
 
Mentirle era sempre stata un'impresa ardua. 
<< Allooora a proposito di ballo. Ci andrai vero? >> domandò Alya sventolando la foto del suo lungo vestito color cobalto. 
 
Marinette s'irrigidì. 
 
Se era riuscita a evitare festival della musica, non poteva proprio fuggire dal ballo dell'ultimo anno. Non perché le importasse così tanto - detestava avere le luci puntate addosso nei panni di Marinette - piuttosto si sentiva vincolata alla reazione di Alya. L'avrebbe strangolata. 
O peggio. Costretta a proporsi come accompagnatrice di Adrien. 
 
<< Affermativo >> annuì la giovane << Dopotutto qualcuno dovrà occuparsi delle decorazioni ... >> 
 
Alya alzò gli occhi al cielo << Andiamo! Sta volta lascialo alle matricole. Dovrai solo divertirti, intesi? Niente lavoro, niente studio e soprattutto niente broncio. Ti scatenerai in pista con un bel ragazzo e ... >> 
 
Il blaterare dell'amica fu interrotto dal suono di un clacson. Davanti a loro si snodava una lunga fila di macchine in coda a causa di un incidente stradale. 
Marinette perse immediatamente l'attenzione per le parole di Alya. La confusione contribuiva a chiuderla nel suo mondo fantastico pieno di drammi e unicorni rosa. 
 
<< Mari, c'è qualcosa che devi dirmi? >> 
 
Eccolo, quel tono allarmato. Lo aspettava, sentiva che prima o poi sarebbe emerso dalla conversazione. 
 
<< Riguardo al ballo ? Hai ragione, devo pensare a divertirmi! >> 
 
Alya fermò la giovane prima che potesse attraversare e superare l'ingorgo. 
Allungò un braccio intrappolando Marinette in uno sguardo che poteva parlare. Il colore terroso delle pupille sembrava lava sul punto di solidificarsi: la sua determinazione era evidente quanto la preoccupazione per l'amica. 
 
<< Mari >> la richiamò sta volta con più decisione << Dicono che ti stia vedendo con il cugino dell'arpia. Ti sta dando fastidio? Perché posso stenderlo con le mie arti marziali ... >> 
 
La testa di Marinette ormai traboccava di suoni e fischi assordanti, tutti volti a confonderla ulteriormente. 
<< Risparmia il Karate per il tatami. Nessuno infastidisce nessuno, qui >> balbettò << Non ho intenzione di mettermi con quel sociopatico di Finn >> 
 
Proprio quando ebbe terminato le ultime parole sante, un'ombra minacciosa capitolò dietro la figura dell'amica. 
Immediatamente rese visibile il suo viso pallido e irrequieto dai tratti taglienti ed un paio di zigomi alti. Puntò alla supereroina come un cacciatore mira alla preda: concentrò il peso del suo corpo sulla spalla di Alya, trattandola come fosse stata la sua più grande confidente. 
 
"Questo qui è la versione umana delle intossicazioni alimentari"
 
Alya reagì con stupore << Ma chi ti credi di essere?! >> 
 
“ Quanto meno non vuole gettargli le braccia al collo per mangiarli la faccia : è un passo avanti “ pensava Marinette.
 
Finn guardò di sottecchi Marinette << Il sociopatico >> 
 
La ragazza roteò gli occhi così tanto da procurarsi un'emicrania insopportabile. 
Poi Finn s'avvicinò senza considerare minimamente la presenza di Alya alla sua sinistra. 
 
<< Ti aspetto al solito posto Applepie. Cerca di farmi un sorriso, ok? >> 
 
Marinette lo fulminò rabbiosamente: stava completamente gettando all'aria tutte le scuse rifilate ad Alya in un'ora di passeggiata, facendola passare per una bugiarda irresponsabile.
Cosa che probabilmente era, ma non nel modo che intendeva Finn Lacroix. 
Nemmeno il più esperto telepatico avrebbe potuto risollevare la situazione: ormai Alya sembrava animata da qualche spirito demoniaco in cerca di vendetta. 
Non poteva credere ai suoi occhi. 
 
<< Il vostro solito posto ? >>  sbottò caricando una furia allarmante << Mi hai presa in giro? Eh ?! >> 
 
Marinette cercò di scansarsi dal ragazzo, ma fu tutto assolutamente inutile. Per quanto provasse a spiegare e inventare una serie di scuse plausibili, Alya sembrava non disposta a crederle nemmeno un secondo. Anzi, più tentava di riparare l'irreparabile, più si rafforzava la rabbia nelle sue iridi castane. 
 
<< Perché continui a prendermi in giro? Ti sembro stupida, Marinette eh?? >> gridò tutt'un tratto facendo tremare la terra sotto i piedi di Marinette. 
Per lei il tempo, a quel punto, parve congelarsi. 
Perdere Alya sarebbe stato il colpo di grazia in quel minestrone di sfortune che si era trasformata la sua vita. 
Finn, lontano pochi metri, s'intromise blandamente tra le due ragazze, voltandosi verso Alya con fare annoiato. 
 
<< Credo che tu debba andare a casa Alya >> disse senza troppi giri di parole << Vai a casa >> continuò con più determinazione. 
 
L'ira della ragazza svanì così come era sopraggiunta: in un battibaleno girò i tacchi e forzata dal suo stesso fisico, si avviò verso il marciapiede opposto.
Non guardò Marinette neppure una volta. 
 
Trafitta da mille aghi dolorosi, la ragazza lasciò cadere la sacca a terra per la frustrazione. 
 
<< Sei la reincarnazione del pessimo tempismo tu, eh!? >> borbottò trattenendo un singhiozzo. 
 
Se avesse continuato fingere che niente la toccasse, avrebbe potuto sentire ancora qualcosa? 
 
Finn cambiò completamente espressione. Per un istante accantonò la tipica smorfia beffarda sostituendola con un sorriso quasi ... sincero. 
Non che a Marinette servisse la sua compassione, ovviamente. 
Una piccola fossetta apparì proprio all'angolo delle sue labbra ricurve, rendendo innaturale e spettrale un gesto che altrimenti sarebbe stato persino altruistico. 
 
<< Non pensavo che frequentarmi ti procurasse tutti questi problemi. Solitamente sono io stesso a crearli >> si giustificò aiutandola a raccogliere qualche foglio ancora sparso sul ciglio della strada. 
 
Marinette ingoiò un altro singulto che le torturava la gola. Ogni fibra del suo corpo le stava gridando di abbandonarsi ad un pianto rumoroso e ricostituente. Doveva solo resistere fino a casa. 
 
<< Lascia perdere. Oggi passo la meditazione, non sono nelle condizioni di concentrarmi >> bofonchiò infilando gli ultimi libri nella sacca. 
 
<< Solo oggi? >> sfuggì alla bocca di Finn << Ti avevo avvisato delle conseguenze del nostro giusto scambio  >> s'affrettò ad aggiungere.
 
Marinette si lasciò versare una piccola lacrima prima di scaricare definitivamente Finn e il suo super ego. 
 
<< Se questa la chiami giustizia, allora abbiamo due percezioni completamente diverse >> disse duramente << Bonne journée, Finn. Continua a tramare qualcosa di terribile >> 
 
Lei avrebbe fatto altrettanto.
Avrebbe escogitato un modo semplice per affogare nelle proprie lacrime. 
Sarebbe rincasata appesantita, ignorando gli schiamazzi della madre, per poi buttarsi di peso sul materasso morbido, così affondando il volto rigato dal pianto sul cuscino. 
Dopo avrebbe asciugato le lacrime annaspando, forse non riuscendo a coprire del tutto le pupille arrossate e la tremarella convulsa, avviandosi dietro al bancone senza fare storie. 
Sarebbe stata protetta da una maschera di marmo immobile e perfettamente armoniosa tutto il giorno: dietro lo stucco c'erano sempre le crepe, però. 

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