Hallucination

di Effem3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° ***
Capitolo 2: *** 2° ***



Capitolo 1
*** 1° ***


Hallucination


[1°]


Esistono tante, svariate forme di dolore, ma il dolore inespresso e latente mi risulta quello più seccante. Esiste, sebbene senza forma, presente ma indefinito. Non puoi vederlo, non puoi affrontarlo, non puoi psicanalizzarlo né sradicarlo dalle terminazioni nervose del tuo cervello. Sta fermo lì, un parassita, risucchia i bei momenti in una morsa continua e li corrompe uno ad uno. Agisce invisibilmente, deviandoti quel tanto che basta a farti percepire una costante sensazione di fuori uso. Danneggiato. Talvolta credo che dovrei sentirmi offeso dalle mie stesse parole. Sarebbe consona reazione inorridire di fronte a certi pensieri. Ahimé, non potrebbe importarmi meno. Credo.
Stavo percorrendo, con l'andatura di chi ha tutto il tempo di farsi gli affari altrui, il viale che portava alla sala conferenze, col cipiglio arrogante di chi sta scrutando ogni singola persona presente. Osservavo divertito tutti quegli esseri umani fatti di carne, ossa e cervello. Cervello forse poco. Loro mi guardavano di rimando, impotenti di fronte al tacito giudizio che trapelava dai miei occhi, attraverso quei cinque sacri secondi che rubavo ad ognuno di essi. A dir la verità, quel preciso lato di me emergeva solo in situazioni come quella che stavo per affrontare. Ogni volta che mi trovavo a dover partecipare ad un evento pubblico, venivo assalito da uno strano senso di claustrofobia che mi spingeva a camminare in modo arrogante, a testa alta, cercando di far percepire alle persone intorno a me che avrebbero dovuto starmi alla larga. Questo perché, sporadicamente, la paura di scomparire tornava a tormentarmi e, se fossi scomparso tra la folla, sarebbe stato terribile. Questo è il demone che sono costretto a portare sulle spalle, ahimé. Potrei svanire. Potrei sparire agli occhi degli altri, nelle loro menti, nelle loro esistenze. Se smettessero di pensarmi, di percepirmi, potrei non esistere più nel loro angolo di mondo. Avrei potuto vederli, avrei potuto parlargli, avrei potuto toccarli, ma loro non avrebbero sentito nulla. Assurdo, direte. Certo che sì. Assurdo per voi.
Salii i tre gradini che conducevano al palco nella totale oscurità e, quando mi trovai di fronte alla folla di studenti cui mi sarei dovuto rivolgere, presi un unico grande respiro e sorrisi. Avrei dovuto parlare per una noiosa manciata di minuti della ricerca che stavo seguendo insieme al mio professore, un ammasso di considerazioni discutibili sull'uso dell'inglese arcaico. Non avrei mai accettato di aiutarlo se non fosse stato per il mio bisogno di restare in quell'accademia. Stavo parlando da ormai dieci minuti quando sentii un familiare senso di panico. Nessuna delle persone di fronte a me sembrava guardarmi, nessuno di loro sembrava prendere appunti, nessuno sembrava essere realmente concentrato su di me. Questo, nella mia mente, fece scattare il fastidioso campanello d'allarme che mi mandava in crisi quando credevo che qualcosa stesse andando storto e, così, chiesi se ci fossero domande da parte degli studenti. Quando vidi tre mani alzarsi tirai un sospiro di sollievo e tutto sembrò tornare in equilibrio. Eccetto la parte più profonda di me. Quella, come sempre, stava urlando.


***



Umidità. Gocce d'acqua che scivolano sulla pelle. Una mano sfiorò il mio collo per poi allontanarsi di scatto nella sorpresa di aver toccato qualcosa di bagnato. Il mio petto era un continuo su e giù frenetico, ma qualcosa premeva più su. Un laccio invisibile mi stringeva forte il collo e stavo combattendo un'orrenda sensazione di soffocamento. Una parte di me riusciva concretamente a percepire il mio corpo, nel dormiveglia, l'altra era in balia dell'incubo che mi aveva catturata. Mi ritrovai a girarmi di scatto alla mia... destra, sì, destra, ed il mare mi travolse. La sensazione di essere sballottata tra le onde mi fece quasi venire la nausea, annaspai agitando le braccia ma, per quanto tentassi di emergere, il mio corpo continuava a sprofondare. Con l'ultimo briciolo di coscienza cui riuscii ad appigliarmi nel sogno, costrinsi a fatica le mie palpebre ad aprirsi. I miei occhi spalancati vedevano perfettamente ciò che mi circondava, le ombre familiari della mia stanza, tuttavia recuperare il senso di reale fu piuttosto faticoso. Gli occhi mi facevano male, avevo la vista sfocata e sentivo nelle orecchie un forte rumore del quale stentavo a trovare l'origine. Quando riuscii a calmare il mio respiro agitato e mi resi conto che, allo stesso modo, il rumore sembrava affievolirsi, capii che quello che mi rimbombava nella testa era il battito frenetico del mio cuore. Il mio corpo si spostò in avanti in un movimento fluido e guardai di fronte a me. Ero seduta. Non attesi di riprendermi dalla confusione neanche un attimo, corsi immediatamente davanti allo specchio a guardarmi. Ero letteralmente ricoperta di sudore, quindi mi asciugai alla meno peggio con la maglia del pigiama e poi sorrisi mesta. Un brutto sogno. Un altro.
Purtroppo, fin da quando ero bambina, non ero mai riuscita a dimenticarne nessuno. Che fossero belli, o brutti, al risveglio ricordavo tutto, il che era sempre stato leggermente spaventoso.
Alcuni di noi nascono con il dono di
ricordare. Ed i miei ricordi, a differenza di quelli del resto del mondo, non svanivano con il passare del tempo mutando in quel vago bagaglio di immagini che sono i sogni passati di tutti. I miei ricordi erano vividi, non un mucchio di scene scollegate, erano sensazioni, emozioni, terrore, che potevo ripercorrere a mio piacimento nella mia testa. Nonostante tutto, avevo imparato a conviverci, non essendo la sola al mondo a possedere quella caratteristica, per quanto strana potesse essere. Ciò che sfuggiva alla me stessa di quei giorni era che, di fatto, ero più sola di quanto potessi anche vagamente immaginare. Sola, vale a dire sola ed unica.
Ci sono milioni di storie che vengono raccontate ogni giorno, indipendentemente dal loro significato profondo, indipendentemente da come esse siano state scritte. Ci sono anche, però, storie che non vengono raccontate, storie che di norma è meglio tacere. La storia del mondo dei sogni è una di queste. Tutti la conoscono, tutti sanno che è meglio non parlarne, tuttavia, fin da quando mi venne trasmessa, non ho mai realmente capito il motivo dietro la segretezza che la imprigionava nel dimenticatoio. Ci insegnano da bambini che se stiamo avendo un incubo è meglio svegliarsi, una delle primissime cose che ricordo di aver imparato da mio padre è stata proprio questa, ogni volta che gli raccontavo di aver avuto un brutto sogno, la sua risata allegra riempiva la stanza ed iniziava a parlarmi di come prendere coscienza di ciò che non fosse reale, di come riemergere dall'effimero ed aprire gli occhi. Mio padre, come tanti altri, ha sempre usato una storia in particolare per distrarmi dai miei incubi e convincermi che avrei dovuto scacciarli. D'altro canto, non si è mai reso conto di quanto non solo non mi spaventassero, ma addirittura mi affascinassero i suoi racconti.
-Si dice-, iniziava sempre, -che alle origini della storia dell'uomo, tutti nascessero con capacità eccezionali, con dei poteri che oggi definiremmo sovrannaturali, le bambine come te la chiamerebbero magia. Tutto ciò che sappiamo è che sono capacità che con l'evoluzione sono state perdute e, la perdita, è stata fondamentale per l'esistenza di questa storia stessa. Con il trascorrere del tempo, infatti, gli umani senza poteri divennero sempre di più, al punto che le caratteristiche sovrannaturali divennero un pregio di pochi eletti, i quali finirono inevitabilmente con l'essere temuti, finché non furono addirittura relegati a vivere alla larga dal resto dell'umanità ed etichettati con l'appellativo di “creature”. Le
creature divennero quindi sempre più ostili, attaccarono gli umani e diedero inizio ad una vera e propria strage che culminò in quella che chiamiamo “la frattura”. Quelle tra loro che non erano divenute ostili ma, anzi, difendevano gli umani, si coalizzarono contro le creature malvagie ed unirono le forze per confinarle in un luogo lontano, dove non avrebbero più potuto attaccare nessuno. Fu così che venne creato il mondo dei sogni, una realtà parallela nella quale le creature potessero esistere, nella quale però persero ciò che le rendeva umane, perché coloro i quali crearono quel limbo, decisero di condannarle ad un'eterna esistenza di dolore-. E' a quel punto della storia che mio padre smetteva di parlare, si fingeva una creatura pronta ad assalirmi per poi iniziare a farmi il solletico e, dopo avermi fatta ridere a crepapelle, mi rispediva a dormire. -Va tutto bene Jud, a volte facciamo bei sogni, altre volte le creature cattive si divertono a spaventarci, l'importante è che tu apra gli occhi-.
Crescendo ho capito che, vera o falsa che fosse la storia, l'umanità era convinta di essersi liberata di una piaga, tanto che il mondo dei sogni rappresentava una leggenda lontana utilizzata per scaramanzia, una storia raccontata ai bambini per insegnargli a non avere paura degli incubi. Conoscevo un bambino in particolare che odiava sentirne parlare, mio fratello. Ogni volta che si parlava di sogni, iniziava a piangere disperato, tanto che, avendo avuto moltissimi incubi quand'ero piccola, finimmo per essere separati in due stanze diverse per dormire. Ci rimasi molto male, al tempo, sia perché eravamo inseparabili, sia perché non capivo come non potesse essere curioso di sentir parlare di sogni, o di averne. Sapevo infatti che lui sognava molto poco, ed ogni singola volta ne era terrorizzato. Capii molto tardi che a ben poche persone interessava perdere tempo dietro a storie e leggende e, mio malgrado, finii con il disinteressarmene anch'io, almeno fino a quella mattina.
Non riuscivo a togliermi i sogni dalla testa, nonostante sapessi che non c'era nulla di strano in quello che era successo, mi ritrovai a rimuginare tutto il giorno, o almeno finché non dovetti uscire per andare all'aeroporto e, una volta salita in auto, la mia mente sembrò svuotarsi per riempirsi d'altro. Nostalgia, principalmente. Stavo osservando la strana danza dell
e gocce che continuavano a colpire il parabrezza ininterrottamente, alcune colavano fino al fondo del vetro, altre restavano semplicemente immobili, in attesa, forse, di essere colpite da altre gocce che le avrebbero portate a scivolare su quella distesa trasparente. La mia impazienza saliva ed il volo proveniente da Washington sarebbe dovuto essere già atterrato, eppure non vedevo nessuno di familiare uscire dalle porte automatiche dell'edificio. Dire che ero emozionata sarebbe stato molto riduttivo. Attendevo di poter rivedere il suo volto da troppo tempo, se fosse stato presente, l’anno passato sarebbe andato decisamente meglio, tanto che quando vidi la sua chioma perennemente spettinata apparire in lontananza fui sull’orlo di uno svenimento. Non era cambiato affatto, non so cosa mi aspettassi. I capelli scarmigliati di quel castano così intenso, l'espressione frustrata alla vista della pioggia ed il solito zaino nero. Sembrò non notarmi finché non percorse qualche metro. Quando vide il volto di una persona che sorrideva come un'ebete sotto la pioggia, anziché continuare ad aspettarlo in auto, inarcò le sopracciglia in un'espressione rassegnata e divertita. Sapevo perfettamente che non voleva venissi a prenderlo. Non aveva apprezzato dovermi salutare, e non avrebbe apprezzato un'accoglienza da reduce di guerra. La persona più coerente che conoscevo, senza dubbio. Sorrise di sbieco e proseguì nella mia direzione, mentre io mossi appena due passi ed iniziai a sentire il mio cuore che palpitava nelle orecchie per la seconda volta in quella giornata. Non mi era mai capitato di sentire le orecchie fischiare a quel modo solo perché ascoltavo il mio cuore che batteva veloce, ma decisi di smetterla di rimuginare e mi bloccai nuovamente, ma senza distogliere lo sguardo da quegli occhi scuri che tanto mi avevano incantata da bambina, tra le parole più stupide e più affascinanti, per quanto potessero esserlo a quell'età, che erano uscite dalla sua bocca. Come prevedibile iniziò a guardarmi scettico ed incrociò le braccia.
-Sorella ingrata- disse.
Scoppiammo a ridere tutti e due. Aiden era tornato. L’essere più sconvolgente ed assurdo dell’universo. Mio fratello.





C'era un piccolo borgo, in centro, dove io ed Aiden amavamo sempre perder tempo, osservando le piccole botteghe che, in completo contrasto con il resto della città, mantenevano un aspetto tradizionale e quasi affascinante. Camminare tra le bancarelle di quel posto era una delle cose che ci ritrovavamo a fare quando avevamo bisogno di sentirci soli, quindi non mi stupii affatto che, da quando eravamo arrivati lì, si fosse ammutolito. Non aveva molto da raccontarmi sul suo viaggio, essendoci sempre mantenuti in contatto, senza contare che quel ritaglio di tempo che ci stavamo concedendo era la calma prima della tempesta, perché a breve avrebbe dovuto fare i conti con mio padre, il quale non aveva preso l'idea di mio fratello di trascorrere un anno all'estero nel migliore dei modi. Credo che gli portasse rancore per aver deciso di partire ed aver rifiutato tanto bruscamente la proposta di iniziare a lavorare con lui. Essendo un uomo affermato, mio padre aveva proposto ad Aiden, una volta diplomato, di iniziare una carriera al suo fianco. Questo principalmente a causa di due fattori: primo, mio fratello non aveva la mia stessa e sacrosanta determinazione nel dire di no a mio padre, il quale prendeva ogni nostra eventuale incertezza come un consenso; secondo, mio padre parlava da anni del futuro perfetto per lui, al suo fianco, e nessuno si era mai permesso, me compresa, di fargli notare che suo figlio aveva tutt’altri interessi. Io ero molto più ferma di lui nell'allontanarmi dai nostri genitori, l'ennesimo aspetto che non avevamo in comune. Nonostante fossimo andati a vivere da soli dopo il diploma, lui ancora non si decideva a rifiutare definitivamente le attenzioni di mamma e papà. Per essere gemelli, eravamo fin troppo diversi nel modo di pensare. Non eravamo la classica coppia che appare in mente a chiunque senta la parola “gemelli”. Per certi versi, non potevamo negare di essere identici. Entrambi avevamo gli occhi scuri, quasi neri, ed entrambi avevamo i capelli castani. Stesso naso, stesse espressioni, stesso impulso di grattarci lo zigomo destro quando eravamo nervosi, e la stessa incondizionata passione per la lettura. Eppure, in questo momento come allora, potrei dire che eravamo differenti in maniera spaventosa.
Comunque, iniziando a percepire il nostro silenzio leggermente pesante, mentre camminavamo, non potei fare a meno di iniziare a parlare.
-A cosa pensi?-
-Perché?-
-Sguardo vacuo, ti mordi il labbro... segni delle tue imminenti contorsioni mentali-
Scoppiò a ridere, ed io con lui.
-Pensavo a te, o mia prode sorella-
-Seriamente!-
-Ma stavo davvero pensando a te. Non so quanto abbiamo rimandato questa conversazione, quindi mi limiterò a dirlo: mi dispiace di averti lasciata qui, sapevo di non dover partire così...-
-Beh, sì, sono rimasta in uno stato di shock per almeno due settimane... - si irrigidì, tentando di non darlo a vedere. Magari avrei dovuto evitare certi commenti. -... sai che per me non è stato un problema- continuai, -solo, avresti potuto avvisarmi prima di presentarti con la valigia pronta ed il biglietto aereo in mano, impedendomi ogni qualsiasi obiezione-
-Non volevo lasciarti sola, Jud-
-Ci credo... - ovvio che ci credessi. In effetti l'unico motivo per cui ero stata un po’ imbronciata, all’inizio, era perché aveva deciso di partire senza dirmi nulla, senza sentire il mio parere.
-Non mi avevi mai urlato contro prima, non è stato piacevole...-
-Tecnicamente eravamo al telefono, non ti ho urlato contro... te lo saresti dovuto aspettare, sai quanto la vita sia impossibile in tua assenza. Te l'ho detto mille volte, mi hai fatta sentire 'tradita' in un certo senso... volevo semplicemente che me lo dicessi in anticipo, tutto qui...-
-Quindi se ti avessi detto che partivo, saresti stata d’accordo?-
-No, però non te l’avrei impedito-
-Si, probabilmente me lo sarei impedito da solo-
-Sei troppo insicuro, hai troppa paura del mio giudizio-
-Perché è l’unico che conta, non credi?-
Non risposi, ma gli regalai un sorriso. Sapeva che ero a conoscenza delle sue ragioni, non serviva a nulla parlarne oltre. Se mi avesse comunicato le sue intenzioni, gli avrei dato contro ma non gli avrei imposto nulla. La persona di cui aveva paura era se stesso. Gli era costato lasciare me più di quanto gli era costato lasciare gli altri, non voleva farlo dal principio. In fin dei conti, se io gli avessi detto che non doveva partire, sarebbe stato il suo perfetto motivo per desistere.
-Devo incontrarmi con papà... ci vediamo a casa?-
Annuii e, dopo avermi abbracciata, lo vidi allontanarsi sconsolato. Sfortunatamente per me, senza la sua presenza a distrarmi, mi ritrovai a percepire di nuovo la strana sensazione di inquietudine che avevo addosso da quando avevo iniziato ad avere gli incubi, questo perché, il borgo in cui mi trovavo, era tradizionale anche e, soprattutto, perché la maggior parte delle persone che ci lavoravano erano grandi sostenitori delle leggende del mondo dei sogni e, come ogni cosa che sia vagamente misteriosa, il mondo dei sogni era un'ottima fonte di guadagno per loro. Molta della merce che si poteva osservare nei piccoli negozi era collegata in qualche modo a quell'argomento, ed in quel momento mi trovavo di fronte ad una signora dai capelli scuri che costruiva acchiappa-sogni personalizzati su richiesta. Quando ero bambina ne avevo comprati un centinaio perché, se non fosse già abbastanza chiaro, ero parecchio suggestionabile. Quello che catturò la mia attenzione, tuttavia, fu notare per l'ennesima volta i quadri su tela del negozio di fronte. L'intera via in cui stavo passeggiando era sempre stata piena di illustrazioni sparse sui muri, ce ne erano di tutti i tipi, su carta, su tela, su fogli piccoli o enormi, a volte erano appese in serie e, osservandole passo dopo passo, si poteva facilmente osservare una storia prendere forma. Il protagonista della storia, nonché il soggetto dei disegni, era sempre lo stesso, un ragazzo dai capelli scuri. Le ambientazioni di ognuno di essi erano sempre strane, inquietanti, come vecchi castelli avvolti nell'oscurità e circondati da quelli che sembravano spiriti. L'altra costante in quel mare di fogli era che cambiavano ogni giorno, non ne avevo mai visti di uguali su nessuna parete. Nessuno dei negozianti sembrava essere contrario a chiunque si prendesse la briga di appenderli e, da piccola, avevo sempre desiderato complimentarmi con l'autore che, pur lavorando proprio nel negozio dal quale venivano venduti, non ero mai riuscita a vedere. Proprio per questo rimasi colpita nel notare un ragazzo che non avevo mai visto chino sul bancone del negozio, impegnato a leggere chissà cosa. Mi stavo avvicinando al vetro della porta nel tentativo di vedere meglio ma, naturalmente, con la mia solita grazia, per poco non ci finii letteralmente contro inciampando. Riuscii a salvarmi dallo schianto solo all'ultimo secondo, reggendomi alla maniglia e ritrovandomi all'improvviso catapultata nel negozio. Il ragazzo alzò la testa e mi rivolse un'espressione palesemente scocciata, ma non disse una parola, tornando a leggere il suo libro come se niente fosse. Indossava abiti eleganti, il che mi sembrò assurdo vista la zona in cui ci trovavamo, sembrava essere appena tornato da un matrimonio, o qualcosa del genere. Non so quale parte psicotica del mio cervello mi spinse ad aprire bocca in quel momento.
-Tu lavori qui?-
Attesi un minuto buono che mi rispondesse ma non alzò nemmeno gli occhi per guardarmi.
-Scusa? Mi hai sentita?-
Non volevo fare la figura della stupida, visto che ormai gli avevo fatto una domanda non potevo andarmene come se niente fosse, ma se avessi potuto, sarei fuggita a gambe levate, visto che mi guardò improvvisamente come se fossi pazza.
-Ti ho sentita, ma tendenzialmente alle domande stupide preferisco non rispondere-.
Ora, non mi ritengo una persona irascibile, ma c'è qualcosa che mi scatta dentro quando qualcuno mi guarda dall'alto al basso che mi trasforma nella paladina della giustizia personale, sono piuttosto timida ma non appena mi attaccano ingiustamente so difendermi più che bene. Immaginate lo sforzo allucinante che mi costò mordermi la lingua, quindi, non volendo litigare con uno sconosciuto in uno dei miei negozi preferiti.
-Stupide? Non ti ho mai visto, dubito che la mia non fosse una domanda lecita-
-Quindi se non riconosci un negoziante, automaticamente, credi di star parlando con una persona a caso?-
-No, la mia era una domanda di circostanza...-
-Una banalità, direi-
Detto ciò, tornò di nuovo alla sua lettura, il che mi irritò ancora di più. Ammesso che lavorasse lì, che razza di trattamento era il suo?
Non so perché la mia indole masochista mi spingesse a continuare a torturarmi in determinate situazioni, ma iniziai a gironzolare nel negozio, sperando di dissimulare l'evidente imbarazzo in cui mi aveva messa dando un'occhiata ai quadri per poi andarmene. A quanto pare, lui non era dello stesso avviso.
-Hai intenzione di comprare qualcosa o stai fingendo di essere ad una mostra?-
-Ehm... no, volevo delle informazioni, diciamo...-
-Prego? Sei qui per iscriverti al contest di disegno?-
E' meraviglioso non avere la più pallida idea di quello di cui si sta parlando.
-Non so disegnare, volevo solo sapere chi...-
-Non sai disegnare? Perfetto. Guarda, siamo pieni di volantini, non ho tempo da perdere a spiegarti il regolamento, prendine uno e torna se scopri un innato talento-
Mi guardò con scherno, mentre mi porgeva uno dei decantati volantini, ed a quel punto ero quasi pronta a prenderlo per appallottolarlo e tirarglielo contro, se non fosse stato che guardando il pezzo di carta notai anche che la mano che me lo stava porgendo era totalmente sporca di pittura nera. Il mio cervello fece un collegamento immediato.
-Sei tu a fare quei disegni che sono appesi fuori? Non c'è mai scritto il nome dell'autore...-
-A volte si omette l'autore per evitare seccature, non lo sapevi? Arrivederci.-
Non so chi delle due lasciò prima il negozio quella mattina, se io o la mia gigantesca forma di irritazione. L'unica cosa certa era che, tornando a casa, osservai ogni singola tela sulla mia strada e l'ormai familiare soggetto dai capelli neri che occupava i disegni, nella mia testa sembrava fin troppo simile al maleducato dagli stessi capelli con cui avevo parlato e, se avessi potuto, li avrei staccati tutti dai muri.




Trascorsi l'intera settimana seguente ad oziare nel vano tentativo di assumere le sembianze di un bradipo, l'unica cosa di cui davvero mi importava era recuperare il tempo perso con Aiden, fino a che i miei doveri non vennero a bussare alla porta. Eravamo ai primi di Gennaio e sarebbero ricominciati i miei corsi universitari, dovevo andare a seguire un'interminabile giornata di lezioni alle quali non ero neanche poi troppo interessata. Gli sguardi, le nuove conoscenze, il fatto di dover stare in un luogo pubblico. Tutto prevedeva una sola estenuante richiesta da parte mia: essere presentabile. Quantomeno la serenità che era mancata tra i miei pensieri fino a quel momento, era tornata insieme a mio fratello. Senza di lui avevo una certa tendenza ad essere riflessiva e negativa, perché crescendo mi ero resa conto di quanto fossi insofferente alla monotonia della vita di tutti i giorni. Alla fine dei conti mi pesava. Ero uscita troppo presto dal mio mondo di bambina nel quale tutto era bello, l'università era intrigante, ed i miei sogni realizzabili. Avrei avuto bisogno di qualche altra illusione a cui credere prima di rendermi davvero conto di come fosse il resto della mia vita.
Inutile dire che avevo continuato ad avere incubi nei sette giorni precedenti nonostante la mia ritrovata positività, non avevo fatto altro che pensarci e l'unica cosa che mi aveva distratta era stato il viaggio fino all'università. Quando arrivavo in centro, il mio umore si risollevava e mi divertivo a guardare le persone sedute nella metropolitana, a studiare le loro espressioni. Sinceramente ho sempre pensato che se tutti si soffermassero davvero ad osservare i volti degli sconosciuti con un minimo di interesse, potrebbero decifrarne un mondo. Una volta arrivata, però, seduta in aula, non riuscii proprio a concentrarmi minimamente. Mentre cercavo di prendere appunti iniziai a sentire la testa sempre più pesante ed all'improvviso avvertii uno strano senso di vuoto allo stomaco, mi sembrava di essere improvvisamente su delle montagne russe e la vista mi sfumò. Non vidi nulla per qualche secondo, il capo mi scese in avanti e lo risollevai di scatto, per riflesso, un secondo prima che colpisse il banco. Mi agitai immediatamente per quella sensazione, non credevo di avere così tanto sonno da rischiare di addormentarmi di colpo, ma la cosa che mi lasciò interdetta fu udire un forte fischio intermittente nelle orecchie, lo stesso che avevo sentito all'aeroporto giorni prima. Pensai che probabilmente stavo avendo un calo di zuccheri, quindi tentai per qualche minuto di calmarmi e di respirare, e non volendo assolutamente chiedere aiuto a nessuno, uscii dall'aula camminando per i corridoi. L'aria fresca proveniente dalle finestre di fuori mi diede sollievo nel camminare, anche se mi poggiai al muro parecchie volte perché sbandavo. Una volta raggiunto il bagno mi spostai oscillando verso il lavandino ed aprii l'acqua per rinfrescarmi il viso e bere. Solo quando sollevai il capo e mi guardai nello specchio mi resi conto che il mio viso aveva lo stesso colore bianco delle pareti. Ovviamente, come se non bastasse, vidi che nel bagno c'era qualcun altro. Un ragazzo molto alto se ne stava poggiato contro la parete con il volto contuso e sporco di sangue, sussultai spaventata alla vista di tutto quel sangue e mi avvicinai istintivamente. Si stava tenendo in faccia un pezzo di carta sporco e sembrò non notare che mi ero accorta di lui. Fantastico, c'era qualcuno che se la passava peggio di me.
-Stai bene?!-
Non appena realizzai di aver fatto una domanda del tutto stupida, il ragazzo mi puntò gli occhi grigi addosso. Il mio giramento di testa sembrava stare sparendo, perché d'un tratto avevo completamente ripreso l'equilibrio.
-E' una domanda retorica?- chiese, con un tono sprezzante.
-No, perché?-
-Perché l'ultima cosa che chiederei ad una persona con la faccia ricoperta di ematomi è se sta bene...-
-Ti serve aiuto?!-
Neanche il tempo di finire la domanda che il ragazzo si era volatilizzato fuori dalla porta a testa bassa. Non credevo fosse così strano da parte mia reagire così vedendo qualcuno di malmenato in un bagno, delle donne tra l'altro, eppure sembravo aver fatto la figura della stupida con uno sconosciuto, di nuovo. Fermamente convinta di dovermi preoccupare di me, anziché di gente maleducata, e pensando che forse mi ero sentita male perché non avevo mangiato nulla, uscii da lì pronta a procurarmi un'enorme tazza di caffè, per poi tornare a capo chino verso l'aula, con l'ombra di una strana angoscia addosso.



-Si può sapere che ti prende?!-
Alzai gli occhi dal tavolo solo in quel momento. Io ed Aiden eravamo andati in una pizzeria per cenare insieme, ma a dirla tutta non stavo ascoltando neanche una parola.
-Come scusa?-
-Mi dici che cos'hai?-
-Io? Non ho nulla, perché?-
-Sembri sempre distratta o stanca, da quando sono tornato ti avrò vista incantarti a pensare a chissà cosa un milione di volte… ce l'hai ancora con me?-
-No, non ce l'ho mai avuta con te, lo sai! E' che oggi non mi sento bene. Mi sento parecchio frastornata ultimamente, non so perché...-
-Vuoi che torniamo a casa allora?-
-No no, smettila di fare il paranoico! Allora, che dicevi?-
Cercai di riportare in fretta l'argomento su di lui.
-Niente di importante...-
-Ah sì? Da quando parli di cose non importanti, mister serietà?-
-Ho ceduto alla vita frivola da scapolo americano! Convertiti anche tu, possiamo essere felicemente superficiali e single sorellina! O mi sono perso qualcosa?-
-Sì... ti sei perso i trenta ragazzi adoranti che mi venerano e non aspettano altro che mi conceda a loro, potresti distribuirgli dei numeretti, così si mettono in fila ordinatamente?-
-Che palle Jud, sempre sarcastica! E comunque meglio così perché tanto sono tutti idioti-
-Sì, tu sei l'unico glorioso ragazzo serio in circolazione, giusto?-
-Parole sante!-
Scoppiai a ridere e lui con me, visto che il suo egocentrismo era sempre stato motivo di risate per entrambi. Avrei continuato volentieri a guardare gli occhi scuri e sorridenti di mio fratello ma l'ormai familiare capogiro tornò proprio in quel momento ed un dolore lancinante mi colse alla testa, insieme ad un forte suono martellante. Sentii ciò che mi circondava divenire lontano, mentre il suono che percepivo si trasformava in un battere costante, un battere che in pochi istanti aumentò di intensità e di velocità. Non ricordo cosa avvenne dopo. Sentii le braccia di Aiden che mi afferravano mentre il mio corpo scivolava verso destra, giù dalla sedia, poi udii un tonfo. Chiusi gli occhi, convinta di essere svenuta, eppure vidi qualcosa. Una luce fioca, quasi non percepibile, illuminava una stanza buia che sembrava non avere una dimensione fissa. In quell’attimo mi parve piccola, poi divenne più grande, finché non mi resi conto che era profonda, molto. Stavo sognando? Non saprei dirlo. Ero consapevole di essere sveglia ma non percepivo la realtà. Avevo gli occhi chiusi ma sentivo che fossero aperti.

-Capisci cosa intendo? Capisci perché questa storia mi irrita?-
-Allora fallo. Accetta questa situazione. Smettila di temere ciò
che pensi. Sei troppo abituato ai pensieri degli altri, trascuri i tuoi-

Parole lontane. Quelle che avevo sentito erano voci sconosciute, il mio cervello cercava di elaborare ansioso, chi erano? Perché si trovavano in quella stanza? Perché io mi trovavo lì? Domande senza risposta. Non capivo se ero davvero svenuta, se stavo sognando, se stavo avendo delle allucinazioni. Sapevo solo che quella 'visione' era stata troppo reale per essere un sogno. Finì tutto in un attimo, la conclusione di quello svenimento apparente. Riaprii gli occhi, stavolta per davvero, e tornai alla realtà, ad Aiden che mi sorreggeva il capo, sdraiata su due sedie, con il vociferare altrui nelle orecchie.
-Jud? Judith?! Svegliati!-
Non riuscivo a sentirmi completamente sveglia ed i miei pensieri erano in subbuglio, improvvisamente la mia mente sembrava gridare qualcosa di incomprensibile. L'espressione terrorizzata di mio fratello mi fece mantenere il silenzio su cosa avessi visto, sembrava già fin troppo agitato per quello che agli occhi di tutti doveva essere un normale svenimento. Quindi mi aggrappai alle sue braccia per sollevarmi e mi mi dissi che ero svenuta, punto e basta. Presi un bel respiro e, lunatica, sorrisi. Il mio comportamento non era mai stato così incoerente. Perché sentivo una parte di me così confusa verso quel banale accaduto, ed un'altra che mi ripeteva di non pensarci?
-Sto bene, devo aver avuto un calo di zuccheri-
-Ma se abbiamo appena finito di mangiare?!-
-Non so che dirti… anche perché ora mi sento benissimo-
Aiden sollevò un sopracciglio evidentemente scettico.
-Hai già detto di sentirti debole ultimamente, sei sicura di stare bene davvero? C'è chiaramente qualcosa che non va-
-Certo che sto bene, ci sei tu. Dai, aiutami ad alzarmi...-
Per dimostrargli che era tutto passato tornai in piedi velocemente, ed anche se mi girava la testa lo abbracciai. In quell'istante udii l'ennesimo colpo nelle orecchie, di nuovo quel rumore assordante, che mi fece traballare sul posto. Era lancinante, aumentava di potenza e mi sentii cedere le ginocchia. Rimasi immobile, terrorizzata, con le braccia di mio fratello che mi sostenevano. Tentai di concentrarmi con tutte le mie forze solo ed esclusivamente su quell'abbraccio e poi, per l’ennesima volta, tutto cessò. Il battito rimase, perfettamente udibile ma di volume di colpo attenuato, nella mia testa.





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Here we go again!
Hello hello :)
E' la seconda volta che provo a pubblicare questa storia qui, ed è la duecentoventisettesima volta che ne riscrivo l'inizio, non essendo mai soddisfatta del risultato, il che è piuttosto irritante considerato che ho finito di scrivere l'intero “libro” da un pezzo (o forse è inquietante, chissà).
Cercherò di aggiornare regolarmente, pubblicarla qui è un'occasione per correggerla, quindi sono apertissima a critiche!
Spero che qualcuno legga :) (non so davvero quanti la stessero leggendo la prima volta che l'ho pubblicata, in ogni caso molte cose saranno diverse, quindi è una nuova lettura per chiunque!)

-Effie

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Capitolo 2
*** 2° ***


[2°]



I ghirigori dei fiori sul muro iniziavano dalla parte bassa delle pareti e si arrampicavano fino al soffitto, confluivano tutti in un unico punto, in cui era dipinto il fiore più grande e dove pendeva l'enorme lampadario. Sembrava quasi la lotta delle piante per la luce. Abbassai gli occhi e tornai a fissarmi le mani, cambiando posizione sulla scomoda poltroncina. Mi trovavo nello studio del mio dottore, gli avevo raccontato quanto accaduto durante il giorno. La parte razionale di me era appena tornata in cima ed avevo cercato di soffocare le brutte sensazioni. Mi ero praticamente convinta di aver avuto un banale malore. Nonostante questo, mentre aspettavo che il medico elaborasse il mio racconto e mi rispondesse, non avevo potuto fare a meno di concentrarmi sui disegni che adornavano le pareti. Quando ero nervosa avevo il vizio di focalizzarmi sempre su qualcosa di piccolo ed insignificante. Mi aiutava a credere che la portata dei miei problemi non fosse poi così grande. Mi ripetevo sempre che se riuscivo a pensare a qualcosa di piccolo nei momenti di caos, allora significava che quel caos non era mai così grande da abbattermi.

-Senti-, la voce improvvisa del dottore mi riscosse, - sei sicura di non aver fatto nulla di particolare negli ultimi giorni? Di anomalo?-
-No, gliel'ho detto. Sono stata a casa, il massimo del mio movimento sono state normali cose che faccio ogni giorno...-
-Niente alcolici?-
-No-
-Judith, io non vorrei chiedertelo, ma hai mai fatto uso di stupefacenti?-
-Cosa?! Assolutamente no! Secondo lei se avessi preso delle sostanze sarei venuta da un dottore?!-
Ottimo, avevo buttato un'ora di attesa per farmi visitare da un tizio che mi dicesse che gli sembravo una drogata.
-Avere visioni non è una cosa normale, non senza una causa. Non hai assunto farmaci, non hai bevuto, non hai fatto uso di sostanze allucinogene, l'unica cosa a cui posso ricondurre tutto questo è la carenza di sonno della quale mi hai parlato ma l'unica cosa che ti posso consigliare è di dormire, appunto. Non me la sento di prescriverti dei sonniferi, potrei consigliarti delle gocce naturali che possano aiutarti a conciliare il sonno e rilassarti. Per la debolezza ti indico degli integratori e per sicurezza dovresti comunque fare delle analisi. Se dovessi continuare a vedere cose irreali ed a credere di avere delle visioni ti faremo fare una tac, che ne dici?-
-Senta, lasci stare. Arrivederci-
Una volta fuori dallo studio tirai un gigantesco sospiro di sollievo. A quanto pare avevo avuto una pessima idea, ma non potevo certo dire ad Aiden che il dottore mi credeva una specie di pazza, così quando salii in macchina gli dissi che mi aveva detto di comprare degli integratori e lui non si insospettì minimamente.
-Sai cosa facciamo adesso?-
-Cosa?-
-Visto che devo ancora rivedere Alex, ce ne andiamo in spiaggia, così lui ci raggiunge lì, che ne dici?-
Alex. Fino a qualche anno prima, non aveva fatto altro che odiarlo ad intervalli regolari di tempo, poi, complice la crescita forse, chissà come avevano iniziato a fare amicizia ed avevano tirato fuori il rapporto più bello che avessi mai visto. Forse lo idealizzavo un po', dal momento che io avevo avuto ben pochi amici degni di tale nome. Essendo sempre stata appiccicata a mio fratello, mi ero convinta che nonostante tutto avrei avuto lui e raramente ho rincorso le mie amicizie, anche quando ero nel torto. L'unico con cui avevo instaurato un rapporto duraturo era appunto Alex, ma semplicemente perché me lo ritrovavo in casa da anni.
-In spiaggia in tre?-
-E allora? Preferisci stare a casa? Dobbiamo festeggiare il mio ritorno!-
-Immagino che i festeggiamenti saranno molto “sobri”...-
Gli tirai un piccolo pugno sul braccio e risi, decidendo di rilassarmi. Osservai la strada scorrere finché non presi sonno; quando Aiden mi scrollò per dirmi che eravamo arrivati, sorrisi rendendomi conto di non aver sognato. Corsi immediatamente verso l'enorme distesa blu che avevamo di fronte e mi sentii in pace almeno per un po', sdraiata alla meno peggio su uno degli asciugamani che avevamo con noi. Alex arrivò poco dopo e non fu difficile notarlo visto che era vestito di tutto punto, aveva tagliato l'ammasso di ricci biondi che ora sembrava quasi ordinato, indossava dei jeans scuri, una camicia ed una cravatta, il che non solo era assurdo per lui, era soprattutto assurdo perché eravamo al mare. Il suo aspetto poteva significare solo una cosa: che aveva finalmente trovato un lavoro decente. Il ragazzo salutò mio fratello con un interminabile abbraccio e poi guardò me regalandomi uno dei suoi tanti sorrisi a trentadue denti.
Considerati i piani di mio fratello, non fu strano ritrovarmi un paio d'ore dopo a cercare di farlo smettere di bere. Io ed Alex eravamo allegri, mentre Aiden mi stava facendo impazzire, aveva avuto la geniale idea di ubriacarsi senza alcun motivo, ed era da circa un'ora che ripeteva una serie infinita di assurdità sulla sua vita da Americano, così quando gli levai il rum di mano e finalmente si accasciò sull'asciugamano, scoppiammo a ridere sollevati.
-Facciamo due passi?-
Sorrisi e guardai per l'ennesima volta la sua cravatta. A quanto pare Alex con il lavoro se l'era cavata, con il nodo un po' meno. Ci avviammo insieme lungo la riva del mare e mi sentii barcollare leggermente. Non avrei dovuto bere neanch'io.
-Allora, vuoi spiegarmi perché sei sparita nell'ultima settimana?-
Sollevai un sopracciglio interrogativa.
-Cosa? Non sono sparita affatto-
-Ah no? Ne sei sicura?-
-Beh...-
Forse lo avevo leggermente evitato perché mi stavo preparando a riaccogliere Andrea. In effetti, ero stata così in fibrillazione nell'attesa che mi vergognavo di parlarne con lui, che mi aveva invece sopportata quando ero relativamente depressa.
-Allora ti dico io cosa hai fatto, Jud. Quando ti sei resa conto che mancavano pochi giorni all'arrivo di Andrea hai iniziato con i tuoi film mentali ad immaginare come saresti stata felice. Quindi ti sei suggestionata, e hai iniziato ad essere impaziente e petulante, gli facevi telefonate ogni due ore, al colmo della gioia. Mia cara ragazzina lunatica. Mi sbaglio?-
Lo guardai fingendomi accigliata e poi scoppiammo a ridere entrambi. Ovviamente non potevo aspettarmi che non lo capisse.
-Non sei felice di esserti risparmiato le mie lagne di contentezza?-
-Eccome se lo sono! Ho avuto una settimana di pace interiore, grazie!-
Lo spinsi divertita mentre proseguivamo a camminare, finché non raggiungemmo un piccolo gruppo di scogli bassi e così finimmo per sederci lì sopra.
-E' bello essere libero dall'onere di proteggerti e controllarti-
-Quando mai ti ho permesso di fare l'una o l'altra cosa?!-
Gli occhi di Alex si addolcirono e mi strinse a se, dandomi un colpetto in testa.
-Io lo faccio sempre e sempre lo farò, inetta-
Mentre ricambiavo la sua stretta, iniziai a sentire il mio cuore nelle orecchie. La cosa strana era che non mi sentivo poi così emozionata, gesti come quello erano all'ordine del giorno per me ed il ragazzo, quindi non aveva senso che il mio cuore battesse così forte da farmi pulsare le tempie. La consapevolezza arrivò troppo tardi. Stavo avendo un altro dei miei attacchi, non era il battito del mio cuore che stavo sentendo, ma il solito rumore pressante, stavolta ben peggiore dei precedenti. Sentii il familiare tremore e mi sembrò che il mondo avesse preso a girare. Il suono stava aumentando di intensità e persi l'equilibrio perfino da seduta, sporgendomi in avanti. Non feci in tempo a riprenderlo, perché scivolai dallo scoglio e finii dritta nell'acqua senza neanche rendermene conto, toccando il fondo con i piedi poco dopo. Subito mi feci prendere dal panico, agitando le braccia in maniera convulsa per tenermi a galla nonostante toccassi perfettamente.
-Jud??!-
Alex si allungò verso di me e mi sollevò, apparentemente senza sforzo, tirandomi fuori dall’acqua e riportandomi sulla superficie sporca dello scoglio.
-Ma che ti prende? Come diavolo hai fatto a scivolare?!-
Non so se fosse stato per merito dell'acqua ma sentii un forte senso di freschezza, come se avessi appena preso una boccata d'aria rigenerante, tutte le orribili sensazioni che avevo provato nell’ultimo minuto svanirono in un battito di ciglia. Tutte tranne il rumore che sentivo ancora nelle orecchie, sebbene affievolito. Aveva nuovamente perso d’intensità e si era ridotto ad un leggero sottofondo. Lasciai che il ragazzo mi trascinasse in spiaggia e che mi avvolgesse con un asciugamano. Aiden si accorse di noi solo quando mi sedetti accanto a lui facendolo svegliare di soprassalto, rimase sbigottito almeno quanto il suo amico di vedermi improvvisamente fradicia, non osavo immaginare di che colore fosse la mia faccia. Se fosse successa di nuovo una cosa del genere sarei impazzita. Fortunatamente, quando Alex gli spiegò che ero praticamente finita in acqua dopo uno sbandamento, mio fratello si rese conto che non era proprio il caso di rimanere, evitò di farmi domande, per una volta, dicendo semplicemente ad Alex di guidare la nostra auto fino a casa, dato che lui era ancora mezzo ubriaco. Ormai eravamo di fronte alla porta dell'appartamento quando lo vidi. Stavo infilando la chiave nella serratura e mi ero voltata per essere sicura che Aiden, barcollante, fosse dietro di me. Il mio sguardo cadde alle sue spalle, verso una figura vestita di nero che perdeva evidentemente sangue da un braccio e camminava chinata in avanti. Scansai immediatamente mio fratello e mi mossi per andare ad aiutare quella persona, ma quando arrivai nel punto in cui l'avevo vista muoversi, mi sentii come se mi fossi improvvisamente riscossa dall’ennesima allucinazione. Non trovai nulla. Neanche una goccia di sangue al suolo, niente. Stavo davvero diventando pazza? Ero arrivata ad immaginare persone che in realtà non esistevano? Assurdo. L'unica cosa che desideravo fare in quel momento era infilarmi il pigiama e buttarmi nel letto, quindi fu esattamente ciò che feci senza, ovviamente, riuscire a prendere sonno. Considerate questo: come vi sentireste e, soprattutto, cosa fareste, se aveste nella testa un battito costante simile a quello di un cuore, a seguito di una visione totalmente priva di senso? Ok, qualcuno non considererebbe minimamente la cosa ed accetterebbe il fatto di poter avere una semplice allucinazione. Qualcuno si sarebbe fatto curare seriamente. Per quanto mi riguardava, avrei voluto pensarla così, ma qualcosa sembrava impedirmelo. Così, rimuginando, iniziò la paura. Paura per tutte le ore successive. Per tutta la notte. Con l'acuto suono nella testa. Quel “tum, tum, tum” mi stava distruggendo ed ero così spaventata che anche volendo non sarei riuscita a pensare razionalmente a cosa potesse essere, ed al perché mi stesse accadendo. Non mi mossi dalla mia stanza e rimasi ben sveglia e tremante nel letto, poi l'alba mi portò conforto e crollai sul cuscino, finalmente senza nessun rumore di fondo.


***


I sogni mi tormentavano da giorni. Ogni volta che andavo a dormire ero costretta a svegliarmi poco dopo aver preso sonno a causa di alcuni incubi, immagini sconnesse in cui vedevo apparire ombre e luce, immagini che come ho già detto non riuscivo mai a dimenticare. Comunque era diventato insostenibile trascorrere la notte a svegliarmi terrorizzata, quindi iniziai davvero a prendere delle gocce prima di andare a letto, ed avevo perfino chiesto ad Aiden di dormire in camera con me un paio di volte. Mi era sembrato di sognare, più di una volta, mentre mi sentivo totalmente sveglia, ed il battito costante che avevo udito inizialmente non si era più presentato con forza. Era come se fosse sempre presente ma si facesse udire solo ad intervalli; i miei incubi erano iniziati prima che iniziassi ad udirlo, ma da quel momento non avevano fatto che peggiorare e naturalmente la cosa mi inquietava. Sognavo spesso una porta e la mia impossibilità totale di aprirla, sognavo di trovarmi in alcune stanze senza uscita, di soffocare, di venire strangolata. Un sogno mi angosciò più degli altri. Mi trovavo sulla sabbia, completamente vestita, ed improvvisamente intorno a me centinaia di persone si sollevavano da terra, come se fossero state dormienti sotto i granelli gialli. Queste persone avevano il viso nero, come se gli avessero gettato in faccia della vernice. All'improvviso, tutte aprivano gli occhi ed io rimanevo allibita dal fatto che fossero vuoti, trasparenti. Poi l'oscurità mi avvolgeva ed iniziavo a gridare. Capite perché per me la notte fosse diventata una nemica? Il sonno anziché portarmi sollievo mi tradiva. Per questo motivo, come sempre negli ultimi giorni, giravo per i corridoi della sede universitaria con un enorme thermos di caffè in mano. Raggiunsi il davanzale della finestra più vicina e mi ci appoggiai per versarmi un bicchiere di quella magica bevanda, mi assicuravo di berne un po’ prima di ogni lezione, ma qualcosa rovinò il mio momento di estasi. Un paio di mani comparvero intorno al marmo del davanzale e non ebbi neanche il tempo di spostarmi. Un ragazzo si arrampicò dalla finestra come se fosse stato una scimmia ed entrò nell'edificio con un salto, facendomi praticamente volare il bicchiere per terra. Non appena si girò verso di me e mi guardò mi accorsi che era familiare. Era il tipo malmenato che avevo visto medicarsi nel bagno. Rendendosi conto che mi aveva praticamente travolta, si piegò a raccogliere il bicchierino di metallo del thermos e me lo porse con uno strano cipiglio sul volto.
-Sei narcolettica?-
-Come scusa?-
-Sai, quella gente che si addormenta di punto in bianco nel bel mezzo della giornata...-
-Non hai mai visto qualcuno bere del caffè senza avere strane malattie?- chiesi, con un tono fin troppo innervosito.
-La quantità di caffeina che ingerisci è impressionante, ti vedono sempre tutti aggirarti con quel thermos, inizi ad inquietarmi.-
Prima di rispondergli non potei non soffermarmi sul suo viso improvvisamente più vicino. Gran parte delle ferite che gli avevo visto in faccia erano sparite senza lasciare traccia. Aveva dei lineamenti duri ma in armonia, gli zigomi alti erano ancora leggermente violacei.
-Tu ti arrampichi dalla finestra come se non ci fosse nulla di strano, vai in giro come il reduce di una rissa da bar, ed io ti inquieto, scusa tanto?!-
-Almeno io riesco a dormire, signorina Grevi...-
Il mio volto perse totalmente colore. Com'era possibile che conoscesse il mio cognome?
-Come fai a sapere che non dormo?! Perché sai come mi chiamo?!-
-Non stavamo parlando del fatto che ti imbottisci di caffè? Mi pare ovvio che tu non dorma, no?-
Senza permettermi di ribattere il ragazzo si voltò e svanì dietro il corridoio più vicino. D'accordo, potevo accettare il fatto che avesse intuito la mia insonnia, ma il nome? Come faceva a conoscere il mio nome? Frequentavamo la stessa facoltà a quanto pare, magari lo aveva sentito in giro? Mi sembrava comunque piuttosto strano, visto che non ero esattamente una persona socievole e parlavo a malapena con un paio di persone del mio corso. Mi promisi che la prossima volta lo avrei trattenuto per farmi dare delle spiegazioni decenti. Forse avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse dai miei incubi e svenimenti, quello sembrava essere proprio il modo migliore di non pensarci. Presi in mano il cellulare per controllare l'orario e mi accorsi che avevo cinque chiamate perse. Proprio in quel momento ricominciò a suonare e lessi un numero sconosciuto prima di rispondere.
-Chi è?-
-Allora te lo ricordi che hai un telefono!-
-Alex?-
-Sì! Ho cambiato numero, non ti avevo avvisata? Dove sei?-
-No. Sono all'università, perché?-
-Ti va se pranziamo insieme? Non puoi andartene di lì?-
-Ma salterei la lezione...-
-E allora? Dai, non puoi fare questo piccolissimo sforzo? Mi sto annoiando!-
-Tu e mio fratello soffrite di una rara forma di egocentrismo…-
-Ci vediamo al solito posto?-
Dal momento che volevo distrarmi, alla fine accettai la sua proposta. Incontrai Alex poco dopo, trovandolo stranamente impaziente e con in mano un’enorme scatola piena di pizza, che a quanto pare stavamo per divorare nel nostro parco preferito. Pensai che, in un modo o nell'altro, una persona allegra come Alex poteva essere un ottimo scudo a tutta la mia negatività. Non aveva il mio stesso vizio di rimuginare, faceva sempre la prima cosa che gli passava per la testa, compreso organizzare un picnic improvvisato.
Eravamo sdraiati sull'erba da poco tempo ed avevo quasi iniziato a rilassarmi, eppure mi sentivo strana. Non saprei spiegare bene perché, ma avevo l’impressione di dimenticare delle cose mentre parlavo con il ragazzo. Scordavo le domande che mi faceva, mi sentivo distratta, cosa per la quale diedi la colpa al sonno, almeno finché non mi resi conto che mi erano sfuggiti interi pezzi di conversazione. Sentivo un assurdo disorientamento e mi ritrovavo a sbattere più volte le palpebre ed a scuotere il capo come se mi fossi appena svegliata da una catalessi.
-Senti, se non volevi venire bastava che me lo dicessi chiaro e tondo...-
A quanto pare ero stata più silenziosa del dovuto, o forse avevo detto qualcosa di sbagliato al ragazzo. Il punto era che non ricordavo assolutamente nulla!
-Ma che stai dicendo?-
-Mi sento abbastanza idiota a parlarti e farti domande se poi tu resti zitta, che ne dici?!-
Quantomeno mi aveva appena fatto capire che non avevo detto nulla di compromettente, ero solo rimasta muta.
-Scusa, mi sento la testa ovattata, è come se fossi fuori dal mondo. Lo so che è strano da dire, ma sono notti che non chiudo occhio e ho gli incubi, e sento sempre questo disorientamento nel cervello che mi impedisce di comportarmi da persona normale-
Sinceramente non so perché decisi di aprirmi proprio con la persona che in quel momento mi era più vicina. Ho sempre pensato che, quando si dice che è più semplice parlare dei propri problemi con chi non si conosce, sia vero. Quando ne parli ad un familiare, o ad un amico, sai per certo che farà dei commenti. Che si preoccuperà, o che cercherà di aiutarti. Certe volte invece hai solo bisogno di dire a qualcuno che stai male e poi andartene, non vuoi assolutamente essere aiutata. Vuoi aprirti, ma non condividere. Eppure, lo dissi ad Alex.
-E' per questo che bevi tutto questo caffè? Jud guarda che non puoi continuare a non dormire ad oltranza solo per colpa degli incubi. Hai provato con qualche infuso? Un sonnifero?-
-Francamente non mi pare il caso di usare sonniferi-
-A me non pare il caso di non dormire invece. Sembrava davvero che tu non fossi qui, mi sembrava di parlare con un manichino. Quindi se non hai sentito una parola di quello che ti ho detto prima, allora c'è davvero qualcosa che non va...-
-Mi stai dicendo che non sono normale? Perché credo di averlo già capito da sola-
Avevo appena usato un tono stizzito senza motivo. Alex mi guardò comprensivo, anziché arrabbiarsi della mia risposta, e poggiò il capo sul telo che avevamo steso sotto di noi.
-Perché non provi a dormire?-
-Adesso?-
-Eh già. Non hai sonno? Prova a farti almeno un sonnellino, io me ne starò qui buono a vegliare su di te come un tipico bravo ragazzo-
Non riuscii a non guardarlo almeno un po' scettica. L'idea di dormire non mi dispiaceva, eppure mi sentivo in imbarazzo. Iniziai a tormentarmi mentre fissavo un punto indefinito del terreno sotto di me. Volevo solo alzarmi ed andarmene via, nascondere a chiunque il mio problema.
-Di cosa ti vergogni?-
-Come?-
-Sei nervosa, ti si legge in faccia. Ho detto qualcosa di male? Non vuoi dormire?-
-Non hai detto nulla di male, è solo che odio aver bisogno di aiuto-
-Ma dai Jud, io non ti sto aiutando affatto. Se potessi aiutarti troverei una soluzione per il tuo star male, invece ti sto solo dicendo di riposarti un po'. Avanti, giuro che tra massimo un'ora ti sveglio-
E così alla fine gli diedi retta. Quanto strano poteva essere alla fin fine? Non dovevo sentirmi giudicata da Alex. Chiusi gli occhi e mi sdraiai il più comodamente possibile, sentendo immediatamente l'arrivo della sonnolenza.

Aprii gli occhi nel vuoto. Il mio sguardo cadeva su una distesa desertica immensa, color terra di Siena, senza neanche una casa o un edificio. Il cielo sopra di me era di un intenso color blu petrolio, con un leggero velo d'arancio ad indicare che era da poco passato il tramonto. Stavo sognando ovviamente, ma per la prima volta mi sembrava così reale. Come se fossi cosciente nel sogno. Continuando a guardare l'orizzonte, mi resi conto del fatto che stavo osservando tutto da una postazione alta e, finalmente, mi guardai i piedi. Ero su un'enorme roccia, di un colore più scuro rispetto a quello del deserto. Come accidenti ero finita lì sopra?! Mi vennero le vertigini appena mi sporsi verso il basso, mi trovavo a chissà quanti metri dal suolo.
“Fantastico”, pensò la me stessa del sogno, sarcasticamente. Un altro stramaledettissimo incubo. Sentii un risolino sommesso provenire dalle mie spalle e mi voltai di scatto, scorgendo una figura con le mani sui fianchi che mi guardava con un sorriso ironico. Quel sorriso era più che riconoscibile per me, sembrava quello del ragazzo con cui mi ero scontrata all'università, eppure aveva un aspetto diverso da quello che ricordavo. Il suo viso era ombrato, quasi come se gli avessero tirato in faccia della fuliggine. Indossava abiti completamente neri e l'unica cosa che mi confermò, oltre al ghigno, che fosse proprio lui, furono i suoi occhi grigi che spiccavano in mezzo a tutta quell'oscurità che gli aleggiava intorno. Evidentemente il mio subconscio aveva già elaborato quella persona in maniera negativa, altrimenti perché me lo sarei ritrovato in uno dei miei incubi?
-Subconscio? Un po' sorpassato, non pensi?-
Com'era possibile che avesse sentito tutto quello che avevo pensato? Volevo svegliarmi. Non avevo la pazienza di sopportare un incubo in maniera così cosciente, con un pazzo scriteriato che mi leggeva nella mente.
-Vuoi svegliarti? Ti ho portata in Australia, Ayers Rock, hai presente? Sai quando rivedrai un panorama del genere?-
Ayers Rock, ma certo. Quella mattina, mentre stavo andando a lezione, avevo notato un manifesto riguardante l’Australia sulle pareti del corridoio, aveva come sfondo proprio quella enorme distesa sabbiosa. La mia mente stava elaborando anche quello, a quanto pare.
-Va bene, continua pure a credere al tuo subconscio, ammettiamo che tu stia sognando. Allora io cosa dovrei essere? Una specie di misterioso ragazzo di cui ti sei invaghita? Sei rimasta stupita dall'episodio del caffè e dalla mia fantastica ironia?-
-Certo che no-
-E allora cosa sono?-
-Una rielaborazione mentale della pura irritazione-
Il ragazzo chiuse la bocca, facendosi morire in bocca le parole che stava per dirmi, per poi scoppiare in una fragorosa risata.
-Ottima risposta! In effetti potrei diventare la tua nemesi...-
Perché non riuscivo a svegliarmi? Era proprio necessario continuare quel sogno privo di senso?! Di solito quando avevo un minimo di coscienza onirica e desideravo di svegliarmi, ci riuscivo.
-Non ti sveglierai solo perché lo desideri. Questo sogno è mio, signorina Grevi, quindi ti conviene approfittarne, sei molto fortunata-
Forse era meglio ignorarlo e aspettare di svegliarmi, così mi sedetti a gambe incrociate dandogli le spalle ed iniziai a fissare la landa desolata che si estendeva sotto di noi. L'unica cosa su cui quel ragazzo aveva avuto ragione, era il paesaggio suggestivo, e quasi mi dispiaceva non apprezzarlo, ma chiusi comunque gli occhi iniziando a ripetermi di svegliarmi. Mentre mi rassegnavo al fatto che non ci fosse verso di uscire da quel sogno, sentii uno strano calore sul viso. Quando sollevai le palpebre mi ritrovai di fronte un enorme cerchio di luce bianca che si estendeva verso il cielo. Era quella luce a scaldarmi il viso, luce che portò il mio intero corpo in allerta. Sobbalzai quando il ragazzo dagli occhi grigi si fece accanto a me ed iniziò a guardare il cielo con degli occhi che non promettevano nulla di buono.
-Che cos'è?- chiesi, vivamente curiosa.
-E' ora di svegliarsi Judith-

Percepii il calore del sole sul volto nonostante non avessi ancora riaperto gli occhi e, prima che potessi percepire qualsiasi altra cosa, sentii pian piano un suono farsi sempre più forte nella mia testa. Il battito aveva finito la sua pausa ed era tornato a tormentarmi, guarda caso proprio dopo un altro sogno che mi sembrava più una visione. Solo quando mi girai sul fianco notai che qualcosa mi tratteneva all’altezza della schiena, precisamente il braccio di Alex, il quale mi stava non solo stringendo ma soprattutto fissando preoccupato; non sapevo se avevo parlato mentre sognavo, se semplicemente mi ero agitata, o se era allarmato dal mio respiro affannoso e dall’improvviso tremore che mi scuoteva. Affondai il viso sul suo petto e mi ritrovai a sperare che mi abbracciasse senza fare domande in attesa che tutto il resto scomparisse.
Il destino volle che il mio orecchio destro finisse proprio sul punto del suo torace dove potevo sentire battere il suo cuore. Il sangue mi si raggelò quando sentii che quel battito era identico a quello che pulsava nella mia testa. In quel momento non sapevo che doveva essere un presagio. Non mi rendevo conto che potesse essere qualcosa di più che la mia semplice immaginazione. Nonostante pregassi di starmi sbagliando, i due suoni si fusero in uno solo. Pensai che fosse solo una suggestione data dall’agitazione e cercai di riprendere sonno. Quanto mi sbagliavo. Nonostante avessi chiuso gli occhi sentivo ancora pulsare, le tempie iniziavano a farmi sinceramente male. Non capivo cosa stesse accadendo, era questo che mi succedeva ogni volta che ero stata male negli ultimi giorni? La mia mente si era, non so come, messa in sintonia con il cuore di qualcuno?
Il mio istinto di difesa continuava a farmi sbagliare, a farmi credere che fosse tutto frutto di un’allucinazione. Mi sentii scindere in due parti. Una gridava che sapevo cosa mi stesse succedendo, che non era normale sentire il cuore di qualcuno. L'altra continuava a placarmi ed a ripetermi che non stava succedendo nulla, che avevo avuto qualche mancamento a causa dello stress e confondevo i miei incubi con la realtà. Fu questa parte a prendere il sopravvento. A farmi regolarizzare il respiro, a farmi calmare. Forse, se non avessi avuto quel rifiuto, se avessi ammesso che tutto stava davvero succedendo, sarei impazzita, perciò fui grata di avere ancora così tanto autocontrollo, seppur discutibile, dentro di me.
-Qualcosa non va?-
-Non lo so… no. Mi fa solo male la testa-
Alex mi sollevò il viso, passandomi una mano sotto al mento e facendola scorrere fino alla fronte. Era davvero il suo cuore che sentivo? Le tempie... era come se mi ci avessero appena conficcato due lame, ed il dolore dalla testa sembrava propagarsi fino al collo.
-Se non mi dici cos'hai davvero non posso aiutarti…-, disse il ragazzo poco dopo.
-Te l’ho detto, ho mal…-
-Finiscila. Hai sempre avuto mal di testa, ma di certo non hai mai tremato così, come se stessi per avere un attacco di panico. Sembri sul punto di piangere, e non capisco perché tu non mi stia dicendo quale sia il problema! Ho fatto qualcosa di male?-
-No, davvero… è la testa, è come se me la stessero martellando dall'interno. È da quando è tornato Aiden che non sto bene, ti giuro che non so cosa mi stia succedendo ma non ha nulla a che fare con te-
-Mmm...-
Alex si passò una mano tra le ciocche bionde e fece un profondo sospiro, in evidente difficoltà su come prendere la situazione.
-Forse ti sta facendo allergia il tatuaggio che ti sei fatta? Perché non me l’hai detto, tra l’altro?!- Sollevai un sopracciglio perplessa e lo guardai in attesa di una spiegazione che non arrivò.
-Tatuaggio? Quale tatuaggio?- chiesi, interdetta.
-Sarà anche coperto dai capelli ma si vede, se volevi farne uno nascosto avresti dovuto scegliere un altro punto…- rispose Alex e, detto ciò, mentre procedeva a passarmi una mano sul collo, iniziò a ridere. Il suo indice si soffermò sul punto in cui, a quanto pare, avevo un presunto tatuaggio, sotto all’orecchio destro, verso la nuca; sembrerei pazza se vi dicessi che a quel punto iniziavo ad aver voglia di ridere anch’io? Istericamente, ovvio.
Scansai la mano del ragazzo e feci per mettermi seduta, prendendo poi il cellulare ed aprendo la fotocamera interna per usarla come specchio. Quando finalmente riuscii ad inquadrare il tratto di pelle che Alex aveva toccato, notai che c'era una strana macchia rossa fin troppo definita. Che fosse il segno che stavo davvero manifestando una qualche malattia? Sperai che fosse davvero una reazione allergica, magari qualcosa mi aveva punta nei giorni precedenti, tuttavia non potevo negare a me stessa che quella macchia fosse particolarmente simile ad un simbolo; il ragazzo accanto a me l’aveva scambiata per un tatuaggio perché, di fatto, sembrava uno strano segno a forma di cuore rovesciato che mi ricordava vagamente il simbolo di picche. Allungai la mano per toccarlo e non sentii nulla di particolare, non sembrava in rilievo, ma sottopelle. Se ciò non fosse stato abbastanza inquietante di per sé, immaginate la mia faccia quando, togliendo la mano, notai che la presunta macchia era improvvisamente scomparsa.  
-Dovresti andare da un dermatologo. Comunque, perché te lo sei fatto?-
Mantenere un respiro regolare quando ti stanno facendo domande e non hai la più pallida idea di cosa stia succedendo, è un’arte rara.
-No, non è niente, tranquillo, devo essermi graffiata… mentre lo grattavo, sì. Non significa nulla…-, risposi in fretta ed iniziai ad alzarmi, -senti, forse è meglio che vada, devo provare a seguire almeno mezza lezione-
Benché l’espressione di Alex non sembrasse neanche vagamente convinta delle mie parole, si limitò a fare un altro dei suoi sorrisetti.
-Immagino che la mia compagnia non sia più interessante di quella dei tuoi professori, accidenti, che affronto, il mio povero ego, mi sento male…-
Con un improbabile talento recitativo, scoppiai a ridere e diedi una spinta al ragazzo, fingendomi divertita e salutandolo poco dopo. Mi dispiaceva reagire in quel modo, ma ero troppo nervosa per parlare civilmente con qualcuno, perfino con lui, così non appena gli voltai le spalle e mi allontanai, tirai un sospiro di sollievo. Avevo due possibilità davanti a me: tornare a casa, disperarmi e sfogarmi con Aiden, sperare che trovasse una soluzione e che non si spaventasse troppo; oppure ignorare il panico appellandomi alla nuova ma ben accetta Judith capace di autocontrollo, distrarmi e poi tornare a casa una volta calma. Puntai verso il mio tanto amato borgo e mi augurai che rifugiarmi in quello, di mondo dei sogni, fosse la scelta giusta. 

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