Hallucination di Effem3 (/viewuser.php?uid=104885)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° ***
Capitolo 2: *** 2° ***
Capitolo 1 *** 1° ***
Hallucination
[1°]
Esistono
tante, svariate forme di dolore, ma il dolore inespresso e latente mi
risulta quello più seccante. Esiste, sebbene senza forma,
presente
ma indefinito. Non puoi vederlo, non puoi affrontarlo, non puoi
psicanalizzarlo né sradicarlo dalle terminazioni nervose del
tuo
cervello. Sta fermo lì, un parassita, risucchia i bei
momenti in una
morsa continua e li corrompe uno ad uno. Agisce invisibilmente,
deviandoti quel tanto che basta a farti percepire una costante
sensazione di fuori uso. Danneggiato. Talvolta credo
che
dovrei sentirmi offeso dalle mie stesse parole. Sarebbe consona
reazione inorridire di fronte a certi pensieri. Ahimé, non
potrebbe
importarmi meno. Credo.
Stavo
percorrendo, con l'andatura di chi ha tutto il tempo di farsi gli
affari altrui, il viale che portava alla sala conferenze, col
cipiglio arrogante di chi sta scrutando ogni singola persona
presente. Osservavo divertito tutti quegli esseri umani fatti di
carne, ossa e cervello. Cervello forse poco. Loro mi guardavano di
rimando, impotenti di fronte al tacito giudizio che trapelava dai
miei occhi, attraverso quei cinque sacri secondi che rubavo ad ognuno
di essi. A dir la verità, quel preciso lato di me emergeva
solo in
situazioni come quella che stavo per affrontare. Ogni volta che mi
trovavo a dover partecipare ad un evento pubblico, venivo assalito da
uno strano senso di claustrofobia che mi spingeva a camminare in modo
arrogante, a testa alta, cercando di far percepire alle persone
intorno a me che avrebbero dovuto starmi alla larga. Questo
perché,
sporadicamente, la paura di scomparire tornava a tormentarmi e, se
fossi scomparso tra la folla, sarebbe stato terribile. Questo
è il
demone che sono costretto a portare sulle spalle, ahimé.
Potrei
svanire. Potrei sparire agli occhi degli altri, nelle loro menti,
nelle loro esistenze. Se smettessero di pensarmi, di percepirmi,
potrei non esistere più nel loro angolo di mondo. Avrei
potuto
vederli, avrei potuto parlargli, avrei potuto toccarli, ma loro non
avrebbero sentito nulla. Assurdo, direte. Certo che sì.
Assurdo per
voi.
Salii
i tre gradini che conducevano al palco nella totale oscurità
e,
quando mi trovai di fronte alla folla di studenti cui mi sarei dovuto
rivolgere, presi un unico grande respiro e sorrisi. Avrei dovuto
parlare per una noiosa manciata di minuti della ricerca che stavo
seguendo insieme al mio professore, un ammasso di considerazioni
discutibili sull'uso dell'inglese arcaico. Non avrei mai accettato di
aiutarlo se non fosse stato per il mio bisogno di restare in
quell'accademia. Stavo parlando da ormai dieci minuti quando sentii
un familiare senso di panico. Nessuna delle persone di fronte a me
sembrava guardarmi, nessuno di loro sembrava prendere appunti,
nessuno sembrava essere realmente concentrato su di me. Questo, nella
mia mente, fece scattare il fastidioso campanello d'allarme che mi
mandava in crisi quando credevo che qualcosa stesse andando storto e,
così, chiesi se ci fossero domande da parte degli studenti.
Quando
vidi tre mani alzarsi tirai un sospiro di sollievo e tutto
sembrò
tornare in equilibrio. Eccetto la parte più profonda di me.
Quella,
come sempre, stava urlando.
***
Umidità.
Gocce d'acqua che scivolano sulla pelle. Una mano sfiorò il
mio
collo per poi allontanarsi di scatto nella sorpresa di aver toccato
qualcosa di bagnato. Il mio petto era un continuo su e giù
frenetico, ma qualcosa premeva più su. Un laccio invisibile
mi
stringeva forte il collo e stavo combattendo un'orrenda sensazione di
soffocamento. Una parte di me riusciva concretamente a percepire il
mio corpo, nel dormiveglia, l'altra era in balia dell'incubo che mi
aveva catturata. Mi ritrovai a girarmi di scatto alla mia... destra,
sì, destra, ed il mare mi travolse. La sensazione di essere
sballottata tra le onde mi fece quasi venire la nausea, annaspai
agitando le braccia ma, per quanto tentassi di emergere, il mio corpo
continuava a sprofondare. Con l'ultimo briciolo di coscienza cui
riuscii ad appigliarmi nel sogno, costrinsi a fatica le mie palpebre
ad aprirsi. I miei occhi spalancati vedevano perfettamente
ciò che
mi circondava, le ombre familiari della mia stanza, tuttavia
recuperare il senso di reale fu piuttosto faticoso. Gli occhi mi
facevano male, avevo la vista sfocata e sentivo nelle orecchie un
forte rumore del quale stentavo a trovare l'origine. Quando riuscii a
calmare il mio respiro agitato e mi resi conto che, allo stesso modo,
il rumore sembrava affievolirsi, capii che quello che mi rimbombava
nella testa era il battito frenetico del mio cuore. Il
mio corpo si spostò in avanti in un movimento fluido e
guardai di
fronte a me. Ero seduta. Non attesi di riprendermi dalla confusione
neanche un attimo, corsi immediatamente davanti allo specchio a
guardarmi. Ero letteralmente ricoperta di sudore, quindi mi asciugai
alla meno peggio con la maglia del pigiama e poi sorrisi mesta. Un
brutto sogno. Un altro.
Purtroppo,
fin da quando ero bambina, non ero mai riuscita a dimenticarne
nessuno. Che fossero belli, o brutti, al risveglio ricordavo tutto,
il che era sempre stato leggermente spaventoso.
Alcuni di noi
nascono con il dono di ricordare.
Ed i miei ricordi, a differenza di quelli del resto del mondo, non
svanivano con il passare del tempo mutando in quel vago bagaglio di
immagini che sono i sogni passati di tutti. I miei ricordi erano
vividi, non un mucchio di scene scollegate, erano sensazioni,
emozioni, terrore, che potevo ripercorrere a mio piacimento nella mia
testa. Nonostante tutto, avevo imparato a conviverci, non essendo la
sola al mondo a possedere quella caratteristica, per quanto strana
potesse essere. Ciò che sfuggiva alla me stessa di quei
giorni era
che, di fatto, ero più sola di quanto potessi anche
vagamente
immaginare. Sola, vale a dire sola ed unica.
Ci sono milioni di storie che vengono raccontate ogni giorno,
indipendentemente dal loro significato profondo, indipendentemente da
come esse siano state scritte. Ci sono anche, però, storie
che non
vengono raccontate, storie che di norma è meglio tacere. La
storia
del mondo dei sogni è una di queste. Tutti la conoscono,
tutti sanno
che è meglio non parlarne, tuttavia, fin da quando mi venne
trasmessa, non ho mai realmente capito il motivo dietro la segretezza
che la imprigionava nel dimenticatoio. Ci insegnano da bambini che se
stiamo avendo un incubo è meglio svegliarsi, una delle
primissime
cose che ricordo di aver imparato da mio padre è stata
proprio
questa, ogni volta che gli raccontavo di aver avuto un brutto sogno,
la sua risata allegra riempiva la stanza ed iniziava a parlarmi di
come prendere coscienza di ciò che non fosse reale, di come
riemergere dall'effimero ed aprire gli occhi. Mio padre, come tanti
altri, ha sempre usato una storia in particolare per distrarmi dai
miei incubi e convincermi che avrei dovuto scacciarli. D'altro canto,
non si è mai reso conto di quanto non solo non mi
spaventassero, ma
addirittura mi affascinassero i suoi racconti.
-Si dice-, iniziava
sempre, -che alle origini della storia dell'uomo, tutti nascessero
con capacità eccezionali, con dei poteri che oggi
definiremmo
sovrannaturali, le bambine come te la chiamerebbero magia. Tutto
ciò
che sappiamo è che sono capacità che con
l'evoluzione sono state
perdute e, la perdita, è stata fondamentale per l'esistenza
di
questa storia stessa. Con il trascorrere del tempo, infatti, gli
umani senza poteri divennero sempre di più, al punto che le
caratteristiche sovrannaturali divennero un pregio di pochi eletti, i
quali finirono inevitabilmente con l'essere temuti, finché
non
furono addirittura relegati a vivere alla larga dal resto
dell'umanità ed etichettati con l'appellativo di
“creature”. Le
creature
divennero quindi sempre più ostili, attaccarono gli umani e
diedero
inizio ad una vera e propria strage che culminò in quella
che
chiamiamo “la frattura”. Quelle tra loro che non
erano divenute
ostili ma, anzi, difendevano gli umani, si coalizzarono contro le
creature malvagie ed unirono le forze per confinarle in un luogo
lontano, dove non avrebbero più potuto attaccare nessuno. Fu
così
che venne creato il mondo dei sogni, una realtà parallela
nella
quale le creature potessero esistere, nella quale però
persero ciò
che le rendeva umane, perché coloro i quali crearono quel
limbo,
decisero di condannarle ad un'eterna esistenza di dolore-. E' a quel
punto della storia che mio padre smetteva di parlare, si fingeva una
creatura pronta ad assalirmi per poi iniziare a farmi il solletico e,
dopo avermi fatta ridere a crepapelle, mi rispediva a dormire. -Va
tutto bene Jud, a volte facciamo bei sogni, altre volte le creature
cattive si divertono a spaventarci, l'importante è che tu
apra gli
occhi-.
Crescendo ho capito che, vera o falsa che fosse la
storia, l'umanità era convinta di essersi liberata di una
piaga,
tanto che il mondo dei sogni rappresentava una leggenda lontana
utilizzata per scaramanzia, una storia raccontata ai bambini per
insegnargli a non avere paura degli incubi. Conoscevo un bambino in
particolare che odiava sentirne parlare, mio fratello. Ogni volta che
si parlava di sogni, iniziava a piangere disperato, tanto che, avendo
avuto moltissimi incubi quand'ero piccola, finimmo per essere
separati in due stanze diverse per dormire. Ci rimasi molto male, al
tempo, sia perché eravamo inseparabili, sia
perché non capivo come
non potesse essere curioso di sentir parlare di sogni, o di averne.
Sapevo infatti che lui sognava molto poco, ed ogni singola volta ne
era terrorizzato. Capii molto tardi che a ben poche persone
interessava perdere tempo dietro a storie e leggende e, mio malgrado,
finii con il disinteressarmene anch'io, almeno fino a quella mattina.
Non riuscivo a togliermi i sogni dalla testa, nonostante sapessi
che non c'era nulla di strano in quello che era successo, mi ritrovai
a rimuginare tutto il giorno, o almeno finché non dovetti
uscire per
andare all'aeroporto e, una volta salita in auto, la mia mente
sembrò
svuotarsi per riempirsi d'altro. Nostalgia,
principalmente. Stavo
osservando la strana danza delle
gocce che continuavano a colpire il parabrezza ininterrottamente,
alcune colavano fino al fondo del vetro, altre restavano
semplicemente immobili, in attesa, forse, di essere colpite da altre
gocce che le avrebbero portate a scivolare su quella distesa
trasparente. La mia impazienza saliva ed il volo proveniente da
Washington sarebbe dovuto essere già atterrato, eppure non
vedevo
nessuno di familiare uscire dalle porte automatiche dell'edificio.
Dire che ero emozionata sarebbe stato molto riduttivo. Attendevo di
poter rivedere il suo volto da troppo tempo, se fosse stato presente,
l’anno passato sarebbe andato decisamente meglio, tanto che
quando
vidi la sua chioma perennemente spettinata apparire in lontananza fui
sull’orlo di uno svenimento. Non era cambiato affatto, non so
cosa
mi aspettassi. I capelli scarmigliati di quel castano così
intenso,
l'espressione frustrata alla vista della pioggia ed il solito zaino
nero. Sembrò non notarmi finché non percorse
qualche metro. Quando
vide il volto di una persona che sorrideva come un'ebete sotto la
pioggia, anziché continuare ad aspettarlo in auto,
inarcò le
sopracciglia in un'espressione rassegnata e divertita. Sapevo
perfettamente che non voleva venissi a prenderlo. Non aveva
apprezzato dovermi salutare, e non avrebbe apprezzato un'accoglienza
da reduce di guerra. La persona più coerente che conoscevo,
senza
dubbio. Sorrise di sbieco e proseguì nella mia direzione,
mentre io
mossi appena due passi ed iniziai a sentire il mio cuore che
palpitava nelle orecchie per la seconda volta in quella giornata. Non
mi era mai capitato di sentire le orecchie fischiare a quel modo solo
perché ascoltavo il mio cuore che batteva veloce, ma decisi
di
smetterla di rimuginare e mi bloccai nuovamente, ma senza distogliere
lo sguardo da quegli occhi scuri che tanto mi avevano incantata da
bambina, tra le parole più stupide e più
affascinanti, per quanto
potessero esserlo a quell'età, che erano uscite dalla sua
bocca.
Come prevedibile iniziò a guardarmi scettico ed
incrociò le
braccia.
-Sorella
ingrata- disse.
Scoppiammo a ridere tutti e due. Aiden era
tornato. L’essere più sconvolgente ed assurdo
dell’universo. Mio
fratello.
C'era
un piccolo borgo, in centro, dove io ed Aiden amavamo sempre perder
tempo, osservando le piccole botteghe che, in completo contrasto con
il resto della città, mantenevano un aspetto tradizionale e
quasi
affascinante. Camminare tra le bancarelle di quel posto era una delle
cose che ci ritrovavamo a fare quando avevamo bisogno di sentirci
soli, quindi non mi stupii affatto che, da quando eravamo arrivati
lì, si fosse ammutolito. Non aveva molto da raccontarmi sul
suo
viaggio, essendoci sempre mantenuti in contatto, senza contare che
quel ritaglio di tempo che ci stavamo concedendo era la calma prima
della tempesta, perché a breve avrebbe dovuto fare i conti
con mio
padre, il quale non aveva preso l'idea di mio fratello di trascorrere
un anno all'estero nel migliore dei modi. Credo che gli portasse
rancore per aver deciso di partire ed aver rifiutato tanto
bruscamente la proposta di iniziare a lavorare con lui. Essendo un
uomo affermato, mio padre aveva proposto ad Aiden, una volta
diplomato, di iniziare una carriera al suo fianco. Questo
principalmente a causa di due fattori: primo, mio fratello non aveva
la mia stessa e sacrosanta determinazione nel dire di no a mio padre,
il quale prendeva ogni nostra eventuale incertezza come un consenso;
secondo, mio padre parlava da anni del futuro perfetto per lui, al
suo fianco, e nessuno si era mai permesso, me compresa, di fargli
notare che suo figlio aveva tutt’altri interessi. Io ero
molto più
ferma di lui nell'allontanarmi dai nostri genitori, l'ennesimo
aspetto che non avevamo in comune. Nonostante fossimo andati a vivere
da soli dopo il diploma, lui ancora non si decideva a rifiutare
definitivamente le attenzioni di mamma e papà. Per essere
gemelli,
eravamo fin troppo diversi nel modo di pensare. Non eravamo la
classica coppia che appare in mente a chiunque senta la parola
“gemelli”. Per certi versi, non potevamo negare di
essere
identici. Entrambi avevamo gli occhi scuri, quasi neri, ed entrambi
avevamo i capelli castani. Stesso naso, stesse espressioni, stesso
impulso di grattarci lo zigomo destro quando eravamo nervosi, e la
stessa incondizionata passione per la lettura. Eppure, in questo
momento come allora, potrei dire che eravamo differenti in maniera
spaventosa.
Comunque, iniziando a percepire il nostro silenzio
leggermente pesante, mentre camminavamo, non potei fare a meno di
iniziare a parlare.
-A cosa pensi?-
-Perché?-
-Sguardo
vacuo, ti mordi il labbro... segni delle tue imminenti contorsioni
mentali-
Scoppiò a ridere, ed io con lui.
-Pensavo a te, o
mia prode sorella-
-Seriamente!-
-Ma stavo davvero pensando a
te. Non so quanto abbiamo rimandato questa conversazione, quindi mi
limiterò a dirlo: mi dispiace di averti lasciata qui, sapevo
di non
dover partire così...-
-Beh, sì, sono rimasta in uno stato di
shock per almeno due settimane... - si irrigidì, tentando di
non
darlo a vedere. Magari avrei dovuto evitare certi commenti. -... sai
che per me non è stato un problema- continuai, -solo,
avresti potuto
avvisarmi prima di presentarti con la valigia pronta ed il biglietto
aereo in mano, impedendomi ogni qualsiasi obiezione-
-Non volevo
lasciarti sola, Jud-
-Ci credo... - ovvio che ci credessi. In
effetti l'unico motivo per cui ero stata un po’ imbronciata,
all’inizio, era perché aveva deciso di partire
senza dirmi nulla,
senza sentire il mio parere.
-Non mi avevi mai urlato contro
prima, non è stato piacevole...-
-Tecnicamente eravamo al
telefono, non ti ho urlato contro... te lo saresti dovuto aspettare,
sai quanto la vita sia impossibile in tua assenza. Te l'ho detto
mille volte, mi hai fatta sentire 'tradita' in un certo senso...
volevo semplicemente che me lo dicessi in anticipo, tutto
qui...-
-Quindi se ti avessi detto che partivo, saresti stata
d’accordo?-
-No, però non te l’avrei impedito-
-Si,
probabilmente me lo sarei impedito da solo-
-Sei troppo insicuro,
hai troppa paura del mio giudizio-
-Perché è l’unico che
conta, non credi?-
Non risposi, ma gli regalai un sorriso. Sapeva
che ero a conoscenza delle sue ragioni, non serviva a nulla parlarne
oltre. Se mi avesse comunicato le sue intenzioni, gli avrei dato
contro ma non gli avrei imposto nulla. La persona di cui aveva paura
era se stesso. Gli era costato lasciare me più di quanto gli
era
costato lasciare gli altri, non voleva farlo dal principio. In fin
dei conti, se io gli avessi detto che non doveva partire, sarebbe
stato il suo perfetto motivo per desistere.
-Devo incontrarmi con
papà... ci vediamo a casa?-
Annuii e, dopo avermi abbracciata, lo
vidi allontanarsi sconsolato. Sfortunatamente per me, senza la sua
presenza a distrarmi, mi ritrovai a percepire di nuovo la strana
sensazione di inquietudine che avevo addosso da quando avevo iniziato
ad avere gli incubi, questo perché, il borgo in cui mi
trovavo, era
tradizionale anche
e,
soprattutto, perché la maggior parte delle persone che ci
lavoravano
erano grandi sostenitori delle leggende del mondo dei sogni e, come
ogni cosa che sia vagamente misteriosa, il mondo dei sogni era
un'ottima fonte di guadagno per loro. Molta della merce che si poteva
osservare nei piccoli negozi era collegata in qualche modo a
quell'argomento, ed in quel momento mi trovavo di fronte ad una
signora dai capelli scuri che costruiva acchiappa-sogni
personalizzati su richiesta. Quando ero bambina ne avevo comprati un
centinaio perché, se non fosse già abbastanza
chiaro, ero parecchio
suggestionabile. Quello che catturò la mia attenzione,
tuttavia, fu
notare per l'ennesima volta i quadri su tela del negozio di fronte.
L'intera via in cui stavo passeggiando era sempre stata piena di
illustrazioni sparse sui muri, ce ne erano di tutti i tipi, su carta,
su tela, su fogli piccoli o enormi, a volte erano appese in serie e,
osservandole passo dopo passo, si poteva facilmente osservare una
storia prendere forma. Il protagonista della storia, nonché
il
soggetto dei disegni, era sempre lo stesso, un ragazzo dai capelli
scuri. Le ambientazioni di ognuno di essi erano sempre strane,
inquietanti, come vecchi castelli avvolti nell'oscurità e
circondati
da quelli che sembravano spiriti. L'altra costante in quel mare di
fogli era che cambiavano ogni giorno, non ne avevo mai visti di
uguali su nessuna parete. Nessuno dei negozianti sembrava essere
contrario a chiunque si prendesse la briga di appenderli e, da
piccola, avevo sempre desiderato complimentarmi con l'autore che, pur
lavorando proprio nel negozio dal quale venivano venduti, non ero mai
riuscita a vedere. Proprio per questo rimasi colpita nel notare un
ragazzo che non avevo mai visto chino sul bancone del negozio,
impegnato a leggere chissà cosa. Mi stavo avvicinando al
vetro della
porta nel tentativo di vedere meglio ma, naturalmente, con la mia
solita grazia, per poco non ci finii letteralmente contro
inciampando. Riuscii a salvarmi dallo schianto solo all'ultimo
secondo, reggendomi alla maniglia e ritrovandomi all'improvviso
catapultata nel negozio. Il ragazzo alzò la testa e mi
rivolse
un'espressione palesemente scocciata, ma non disse una parola,
tornando a leggere il suo libro come se niente fosse. Indossava abiti
eleganti, il che mi sembrò assurdo vista la zona in cui ci
trovavamo, sembrava essere appena tornato da un matrimonio, o
qualcosa del genere. Non so quale parte psicotica del mio cervello mi
spinse ad aprire bocca in quel momento.
-Tu lavori qui?-
Attesi
un minuto buono che mi rispondesse ma non alzò nemmeno gli
occhi per
guardarmi.
-Scusa? Mi hai sentita?-
Non volevo fare la figura
della stupida, visto che ormai gli avevo fatto una domanda non potevo
andarmene come se niente fosse, ma se avessi potuto, sarei fuggita a
gambe levate, visto che mi guardò improvvisamente come se
fossi
pazza.
-Ti ho sentita, ma tendenzialmente alle domande stupide
preferisco non rispondere-.
Ora, non mi ritengo una persona
irascibile, ma c'è qualcosa che mi scatta dentro quando
qualcuno mi
guarda dall'alto al basso che mi trasforma nella paladina della
giustizia personale, sono piuttosto timida ma non appena mi attaccano
ingiustamente so difendermi più che bene. Immaginate lo
sforzo
allucinante che mi costò mordermi la lingua, quindi, non
volendo
litigare con uno sconosciuto in uno dei miei negozi preferiti.
-Stupide? Non ti ho mai visto, dubito che la mia non fosse una
domanda lecita-
-Quindi se non riconosci un negoziante,
automaticamente, credi di star parlando con una persona a caso?-
-No,
la mia era una domanda di circostanza...-
-Una banalità,
direi-
Detto ciò, tornò di nuovo alla sua lettura, il
che mi
irritò ancora di più. Ammesso che lavorasse
lì, che razza di
trattamento era il suo? Non
so perché la mia indole masochista mi spingesse a continuare
a
torturarmi in determinate situazioni, ma iniziai a gironzolare nel
negozio, sperando di dissimulare l'evidente imbarazzo in cui mi aveva
messa dando un'occhiata ai quadri per poi andarmene. A quanto pare,
lui non era dello stesso avviso.
-Hai intenzione di comprare
qualcosa o stai fingendo di essere ad una mostra?-
-Ehm... no,
volevo delle informazioni, diciamo...-
-Prego? Sei qui per
iscriverti al contest di disegno?-
E' meraviglioso non avere la
più pallida idea di quello di cui si sta parlando.
-Non so
disegnare, volevo solo sapere chi...-
-Non sai disegnare?
Perfetto. Guarda, siamo pieni di volantini, non ho tempo da perdere a
spiegarti il regolamento, prendine uno e torna se scopri un innato
talento-
Mi guardò con scherno, mentre mi porgeva uno dei
decantati volantini, ed a quel punto ero quasi pronta a prenderlo per
appallottolarlo e tirarglielo contro, se non fosse stato che
guardando il pezzo di carta notai anche che la mano che me lo stava
porgendo era totalmente sporca di pittura nera. Il mio cervello fece
un collegamento immediato.
-Sei tu a fare quei disegni che sono
appesi fuori? Non c'è mai scritto il nome dell'autore...-
-A
volte si omette l'autore per evitare seccature, non lo sapevi?
Arrivederci.-
Non so chi delle due lasciò prima il negozio quella
mattina, se io o la mia gigantesca forma di irritazione. L'unica cosa
certa era che, tornando a casa, osservai ogni singola tela sulla mia
strada e l'ormai familiare soggetto dai capelli neri che occupava i
disegni, nella mia testa sembrava fin troppo simile al maleducato
dagli stessi capelli con cui avevo parlato e, se avessi potuto, li
avrei staccati tutti dai muri.
Trascorsi
l'intera settimana seguente ad oziare nel vano tentativo di assumere
le sembianze di un bradipo, l'unica cosa di cui davvero mi importava
era recuperare il tempo perso con Aiden, fino a che i miei doveri non
vennero a bussare alla porta. Eravamo ai primi di Gennaio e sarebbero
ricominciati i miei corsi universitari, dovevo andare a seguire
un'interminabile giornata di lezioni alle quali non ero neanche poi
troppo interessata. Gli sguardi, le nuove conoscenze, il fatto di
dover stare in un luogo pubblico. Tutto prevedeva una sola estenuante
richiesta da parte mia: essere presentabile. Quantomeno la
serenità
che era mancata tra i miei pensieri fino a quel momento, era tornata
insieme a mio fratello. Senza di lui avevo una certa tendenza ad
essere riflessiva e negativa, perché crescendo mi ero resa
conto di
quanto fossi insofferente alla monotonia della vita di tutti i
giorni. Alla fine dei conti mi pesava. Ero uscita troppo presto dal
mio mondo di bambina nel quale tutto era bello, l'università
era
intrigante, ed i miei sogni realizzabili. Avrei avuto bisogno di
qualche altra illusione a cui credere prima di rendermi davvero conto
di come fosse il resto della mia vita.
Inutile dire che avevo
continuato ad avere incubi nei sette giorni precedenti nonostante la
mia ritrovata positività, non avevo fatto altro che pensarci
e
l'unica cosa che mi aveva distratta era stato il viaggio fino
all'università. Quando arrivavo in centro, il mio umore si
risollevava e mi divertivo a guardare le persone sedute nella
metropolitana, a studiare le loro espressioni. Sinceramente ho sempre
pensato che se tutti si soffermassero davvero ad osservare i volti
degli sconosciuti con un minimo di interesse, potrebbero decifrarne
un mondo. Una volta arrivata, però, seduta in aula, non
riuscii
proprio a concentrarmi minimamente. Mentre cercavo di prendere
appunti iniziai a sentire la testa sempre più pesante ed
all'improvviso avvertii uno strano senso di vuoto allo stomaco, mi
sembrava di essere improvvisamente su delle montagne russe e la vista
mi sfumò. Non vidi nulla per qualche secondo, il capo mi
scese in
avanti e lo risollevai di scatto, per riflesso, un secondo prima che
colpisse il banco. Mi agitai immediatamente per quella sensazione,
non credevo di avere così tanto sonno da rischiare di
addormentarmi
di colpo, ma la cosa che mi lasciò interdetta fu udire un
forte
fischio intermittente nelle orecchie, lo stesso che avevo sentito
all'aeroporto giorni prima. Pensai che probabilmente stavo avendo un
calo di zuccheri, quindi tentai per qualche minuto di calmarmi e di
respirare, e non volendo assolutamente chiedere aiuto a nessuno,
uscii dall'aula camminando per i corridoi. L'aria fresca proveniente
dalle finestre di fuori mi diede sollievo nel camminare, anche se mi
poggiai al muro parecchie volte perché sbandavo. Una volta
raggiunto
il bagno mi spostai oscillando verso il lavandino ed aprii l'acqua
per rinfrescarmi il viso e bere. Solo quando sollevai il capo e mi
guardai nello specchio mi resi conto che il mio viso aveva lo stesso
colore bianco delle pareti. Ovviamente, come se non bastasse, vidi
che nel bagno c'era qualcun altro. Un ragazzo molto alto se ne stava
poggiato contro la parete con il volto contuso e sporco di sangue,
sussultai spaventata alla vista di tutto quel sangue e mi avvicinai
istintivamente. Si stava tenendo in faccia un pezzo di carta sporco
e sembrò non notare che mi ero accorta di lui. Fantastico,
c'era
qualcuno che se la passava peggio di me.
-Stai bene?!-
Non
appena realizzai di aver fatto una domanda del tutto stupida, il
ragazzo mi puntò gli occhi grigi addosso. Il mio giramento
di testa
sembrava stare sparendo, perché d'un tratto avevo
completamente
ripreso l'equilibrio.
-E' una domanda retorica?- chiese, con un
tono sprezzante.
-No, perché?-
-Perché l'ultima cosa che
chiederei ad una persona con la faccia ricoperta di ematomi
è se sta
bene...-
-Ti serve aiuto?!-
Neanche il tempo di finire la
domanda che il ragazzo si era volatilizzato fuori dalla porta a testa
bassa. Non credevo fosse così strano da parte mia reagire
così
vedendo qualcuno di malmenato in un bagno, delle donne tra l'altro,
eppure sembravo aver fatto la figura della stupida con uno
sconosciuto, di nuovo. Fermamente convinta di dovermi preoccupare di
me, anziché di gente maleducata, e pensando che forse
mi ero sentita male perché non avevo mangiato nulla, uscii
da lì
pronta a procurarmi un'enorme tazza di caffè, per poi
tornare a capo
chino verso l'aula, con l'ombra di una strana angoscia addosso.
-Si
può sapere che ti prende?!-
Alzai gli occhi dal tavolo solo in
quel momento. Io ed Aiden eravamo andati in una pizzeria per cenare
insieme, ma a dirla tutta non stavo ascoltando neanche una parola.
-Come scusa?-
-Mi dici che cos'hai?-
-Io? Non ho nulla,
perché?-
-Sembri sempre distratta o stanca, da quando sono
tornato ti avrò vista incantarti a pensare a
chissà cosa un milione
di volte… ce l'hai ancora con me?-
-No, non ce l'ho mai avuta
con te, lo sai! E' che oggi non mi sento bene. Mi sento parecchio
frastornata ultimamente, non so perché...-
-Vuoi che torniamo a
casa allora?-
-No no, smettila di fare il paranoico! Allora, che
dicevi?-
Cercai di riportare in fretta l'argomento su di
lui.
-Niente di importante...-
-Ah sì? Da quando parli di cose
non importanti, mister serietà?-
-Ho ceduto alla vita frivola da
scapolo americano! Convertiti anche tu, possiamo essere felicemente
superficiali e single sorellina! O mi sono perso qualcosa?-
-Sì...
ti sei perso i trenta ragazzi adoranti che mi venerano e non
aspettano altro che mi conceda a loro, potresti distribuirgli dei
numeretti, così si mettono in fila ordinatamente?-
-Che palle
Jud, sempre sarcastica! E comunque meglio così
perché tanto sono
tutti idioti-
-Sì, tu sei l'unico glorioso ragazzo serio in
circolazione, giusto?-
-Parole sante!-
Scoppiai a ridere e lui
con me, visto che il suo egocentrismo era sempre stato motivo di
risate per entrambi. Avrei continuato volentieri a guardare gli occhi
scuri e sorridenti di mio fratello ma l'ormai familiare capogiro
tornò proprio in quel momento ed un dolore lancinante mi
colse alla
testa, insieme ad un forte suono martellante. Sentii ciò che
mi
circondava divenire lontano, mentre il suono che percepivo si
trasformava in un battere costante, un battere che in pochi istanti
aumentò di intensità e di velocità.
Non ricordo cosa avvenne dopo.
Sentii le braccia di Aiden che mi afferravano mentre il mio corpo
scivolava verso destra, giù dalla sedia, poi udii un tonfo.
Chiusi
gli occhi, convinta di essere svenuta, eppure vidi qualcosa. Una luce
fioca, quasi non percepibile, illuminava una stanza buia che sembrava
non avere una dimensione fissa. In quell’attimo mi parve
piccola,
poi divenne più grande, finché non mi resi conto
che era profonda,
molto. Stavo sognando? Non saprei dirlo. Ero consapevole di essere
sveglia ma non percepivo la realtà. Avevo gli occhi chiusi
ma
sentivo che fossero aperti.
-Capisci
cosa intendo? Capisci perché questa
storia mi
irrita?-
-Allora fallo. Accetta questa situazione. Smettila di
temere ciò che pensi. Sei troppo
abituato ai pensieri degli
altri, trascuri i tuoi-
Parole
lontane. Quelle che avevo sentito erano voci sconosciute, il mio
cervello cercava di elaborare ansioso, chi erano? Perché si
trovavano in quella stanza? Perché io mi trovavo
lì? Domande senza
risposta. Non capivo se ero davvero svenuta, se stavo sognando, se
stavo avendo delle allucinazioni. Sapevo solo che quella 'visione'
era stata troppo reale per essere un sogno. Finì tutto in un
attimo,
la conclusione di quello svenimento apparente. Riaprii gli occhi,
stavolta per davvero, e tornai alla realtà, ad Aiden che mi
sorreggeva il capo, sdraiata su due sedie, con il vociferare altrui
nelle orecchie.
-Jud? Judith?! Svegliati!-
Non riuscivo a
sentirmi completamente sveglia ed i miei pensieri erano in subbuglio,
improvvisamente la mia mente sembrava gridare qualcosa di
incomprensibile. L'espressione terrorizzata di mio fratello mi fece
mantenere il silenzio su cosa avessi visto, sembrava già fin
troppo
agitato per quello che agli occhi di tutti doveva essere un normale
svenimento. Quindi mi aggrappai alle sue braccia per sollevarmi e mi
mi dissi che ero svenuta, punto e basta. Presi un bel respiro e,
lunatica, sorrisi. Il mio comportamento non era mai stato
così
incoerente. Perché sentivo una parte di me così
confusa verso quel
banale accaduto, ed un'altra che mi ripeteva di non pensarci?
-Sto
bene, devo aver avuto un calo di zuccheri-
-Ma se abbiamo appena
finito di mangiare?!-
-Non so che dirti… anche perché ora mi
sento benissimo-
Aiden sollevò un sopracciglio evidentemente
scettico.
-Hai già detto di sentirti debole ultimamente, sei
sicura di stare bene davvero? C'è chiaramente qualcosa che
non
va-
-Certo che sto bene, ci sei tu. Dai, aiutami ad
alzarmi...-
Per dimostrargli che era tutto passato tornai in piedi
velocemente, ed anche se mi girava la testa lo abbracciai. In
quell'istante udii l'ennesimo colpo nelle orecchie, di nuovo quel
rumore assordante, che mi fece traballare sul posto. Era lancinante,
aumentava di potenza e mi sentii cedere le ginocchia. Rimasi
immobile, terrorizzata, con le braccia di mio fratello che mi
sostenevano. Tentai di concentrarmi con tutte le mie forze solo ed
esclusivamente su quell'abbraccio e poi, per l’ennesima
volta,
tutto cessò. Il battito rimase, perfettamente udibile ma di
volume
di colpo attenuato, nella mia testa.
___________________________
Here
we go again!
Hello hello :)
E' la seconda volta che provo a
pubblicare questa storia qui, ed è la duecentoventisettesima
volta
che ne riscrivo l'inizio, non essendo mai soddisfatta del risultato,
il che è piuttosto irritante considerato che ho finito di
scrivere
l'intero “libro” da un pezzo (o forse è
inquietante, chissà).
Cercherò
di aggiornare regolarmente, pubblicarla qui è un'occasione
per
correggerla, quindi sono apertissima a critiche!
Spero
che qualcuno legga :) (non so davvero quanti la stessero leggendo la
prima volta che l'ho pubblicata, in ogni caso molte cose saranno
diverse, quindi è una nuova lettura per chiunque!)
-Effie
|
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Capitolo 2 *** 2° ***
[2°]
I ghirigori dei fiori sul muro iniziavano dalla parte bassa delle
pareti e si arrampicavano fino al soffitto, confluivano tutti in un
unico punto, in cui era dipinto il fiore più grande e dove
pendeva l'enorme lampadario. Sembrava quasi la lotta delle piante per
la luce. Abbassai gli occhi e tornai a fissarmi le mani, cambiando
posizione sulla scomoda poltroncina. Mi trovavo nello studio del mio
dottore, gli avevo raccontato quanto accaduto durante il giorno. La
parte razionale di me era appena tornata in cima ed avevo cercato di
soffocare le brutte sensazioni. Mi ero praticamente convinta di aver
avuto un banale malore. Nonostante questo, mentre aspettavo che il
medico elaborasse il mio racconto e mi rispondesse, non avevo potuto
fare a meno di concentrarmi sui disegni che adornavano le pareti.
Quando ero nervosa avevo il vizio di focalizzarmi sempre su qualcosa di
piccolo ed insignificante. Mi aiutava a credere che la portata dei miei
problemi non fosse poi così grande. Mi ripetevo sempre che
se riuscivo a pensare a qualcosa di piccolo nei momenti di caos, allora
significava che quel caos non era mai così grande da
abbattermi.
-Senti-, la voce
improvvisa del dottore mi riscosse, - sei sicura di non aver fatto
nulla di particolare negli ultimi giorni? Di anomalo?-
-No, gliel'ho detto.
Sono stata a casa, il massimo del mio movimento sono state normali cose
che faccio ogni giorno...-
-Niente alcolici?-
-No-
-Judith, io non vorrei
chiedertelo, ma hai mai fatto uso di stupefacenti?-
-Cosa?! Assolutamente
no! Secondo lei se avessi preso delle sostanze sarei venuta da un
dottore?!-
Ottimo, avevo buttato
un'ora di attesa per farmi visitare da un tizio che mi dicesse che gli
sembravo una drogata.
-Avere visioni non
è una cosa normale, non senza una causa. Non hai assunto
farmaci, non hai bevuto, non hai fatto uso di sostanze allucinogene,
l'unica cosa a cui posso ricondurre tutto questo è la
carenza di sonno della quale mi hai parlato ma l'unica cosa che ti
posso consigliare è di dormire, appunto. Non me la sento di
prescriverti dei sonniferi, potrei consigliarti delle gocce naturali
che possano aiutarti a conciliare il sonno e rilassarti. Per la
debolezza ti indico degli integratori e per sicurezza dovresti comunque
fare delle analisi. Se dovessi continuare a vedere cose irreali ed a
credere di avere delle visioni ti faremo fare una tac, che ne dici?-
-Senta, lasci stare.
Arrivederci-
Una volta fuori dallo
studio tirai un gigantesco sospiro di sollievo. A quanto pare avevo
avuto una pessima idea, ma non potevo certo dire ad Aiden che il
dottore mi credeva una specie di pazza, così quando salii in
macchina gli dissi che mi aveva detto di comprare degli integratori e
lui non si insospettì minimamente.
-Sai cosa facciamo
adesso?-
-Cosa?-
-Visto che devo ancora
rivedere Alex, ce ne andiamo in spiaggia, così lui ci
raggiunge lì, che ne dici?-
Alex. Fino a qualche
anno prima, non aveva fatto altro che odiarlo ad intervalli regolari di
tempo, poi, complice la crescita forse, chissà come avevano
iniziato a fare amicizia ed avevano tirato fuori il rapporto
più bello che avessi mai visto. Forse lo idealizzavo un po',
dal momento che io avevo avuto ben pochi amici degni di tale nome.
Essendo sempre stata appiccicata a mio fratello, mi ero convinta che
nonostante tutto avrei avuto lui e raramente ho rincorso le mie
amicizie, anche quando ero nel torto. L'unico con cui avevo instaurato
un rapporto duraturo era appunto Alex, ma semplicemente
perché me lo ritrovavo in casa da anni.
-In spiaggia in tre?-
-E allora? Preferisci
stare a casa? Dobbiamo festeggiare il mio ritorno!-
-Immagino che i
festeggiamenti saranno molto “sobri”...-
Gli tirai un piccolo
pugno sul braccio e risi, decidendo di rilassarmi. Osservai la strada
scorrere finché non presi sonno; quando Aiden mi
scrollò per dirmi che eravamo arrivati, sorrisi rendendomi
conto di non aver sognato. Corsi immediatamente verso l'enorme distesa
blu che avevamo di fronte e mi sentii in pace almeno per un po',
sdraiata alla meno peggio su uno degli asciugamani che avevamo con noi.
Alex arrivò poco dopo e non fu difficile notarlo visto che
era vestito di tutto punto, aveva tagliato l'ammasso di ricci biondi
che ora sembrava quasi ordinato, indossava dei jeans scuri, una camicia
ed una cravatta, il che non solo era assurdo per lui, era soprattutto
assurdo perché eravamo al mare. Il suo aspetto poteva
significare solo una cosa: che aveva finalmente trovato un lavoro
decente. Il ragazzo salutò mio fratello con un interminabile
abbraccio e poi guardò me regalandomi uno dei suoi tanti
sorrisi a trentadue denti.
Considerati i piani di
mio fratello, non fu strano ritrovarmi un paio d'ore dopo a cercare di
farlo smettere di bere. Io ed Alex eravamo allegri, mentre Aiden mi
stava facendo impazzire, aveva avuto la geniale idea di ubriacarsi
senza alcun motivo, ed era da circa un'ora che ripeteva una serie
infinita di assurdità sulla sua vita da Americano,
così quando gli levai il rum di mano e finalmente si
accasciò sull'asciugamano, scoppiammo a ridere sollevati.
-Facciamo due passi?-
Sorrisi e guardai per
l'ennesima volta la sua cravatta. A quanto pare Alex con il lavoro se
l'era cavata, con il nodo un po' meno. Ci avviammo insieme lungo la
riva del mare e mi sentii barcollare leggermente. Non avrei dovuto bere
neanch'io.
-Allora, vuoi
spiegarmi perché sei sparita nell'ultima settimana?-
Sollevai un
sopracciglio interrogativa.
-Cosa? Non sono
sparita affatto-
-Ah no? Ne sei sicura?-
-Beh...-
Forse lo avevo
leggermente evitato perché mi stavo preparando a
riaccogliere Andrea. In effetti, ero stata così in
fibrillazione nell'attesa che mi vergognavo di parlarne con lui, che mi
aveva invece sopportata quando ero relativamente depressa.
-Allora ti dico io
cosa hai fatto, Jud. Quando ti sei resa conto che mancavano pochi
giorni all'arrivo di Andrea hai iniziato con i tuoi film mentali ad
immaginare come saresti stata felice. Quindi ti sei suggestionata, e
hai iniziato ad essere impaziente e petulante, gli facevi telefonate
ogni due ore, al colmo della gioia. Mia cara ragazzina lunatica. Mi
sbaglio?-
Lo guardai fingendomi
accigliata e poi scoppiammo a ridere entrambi. Ovviamente non potevo
aspettarmi che non lo capisse.
-Non sei felice di
esserti risparmiato le mie lagne di contentezza?-
-Eccome se lo sono! Ho
avuto una settimana di pace interiore, grazie!-
Lo spinsi divertita
mentre proseguivamo a camminare, finché non raggiungemmo un
piccolo gruppo di scogli bassi e così finimmo per sederci
lì sopra.
-E' bello essere
libero dall'onere di proteggerti e controllarti-
-Quando mai ti ho
permesso di fare l'una o l'altra cosa?!-
Gli occhi di Alex si
addolcirono e mi strinse a se, dandomi un colpetto in testa.
-Io lo faccio sempre e
sempre lo farò, inetta-
Mentre ricambiavo la
sua stretta, iniziai a sentire il mio cuore nelle orecchie. La cosa
strana era che non mi sentivo poi così emozionata, gesti
come quello erano all'ordine del giorno per me ed il ragazzo, quindi
non aveva senso che il mio cuore battesse così forte da
farmi pulsare le tempie. La consapevolezza arrivò troppo
tardi. Stavo avendo un altro dei miei attacchi, non era il battito del
mio cuore che stavo sentendo, ma il solito rumore pressante, stavolta
ben peggiore dei precedenti. Sentii il familiare tremore e mi
sembrò che il mondo avesse preso a girare. Il suono stava
aumentando di intensità e persi l'equilibrio perfino da
seduta, sporgendomi in avanti. Non feci in tempo a riprenderlo,
perché scivolai dallo scoglio e finii dritta nell'acqua
senza neanche rendermene conto, toccando il fondo con i piedi poco
dopo. Subito mi feci prendere dal panico, agitando le braccia in
maniera convulsa per tenermi a galla nonostante toccassi perfettamente.
-Jud??!-
Alex si
allungò verso di me e mi sollevò, apparentemente
senza sforzo, tirandomi fuori dall’acqua e riportandomi sulla
superficie sporca dello scoglio.
-Ma che ti prende?
Come diavolo hai fatto a scivolare?!-
Non so se fosse stato
per merito dell'acqua ma sentii un forte senso di freschezza, come se
avessi appena preso una boccata d'aria rigenerante, tutte le orribili
sensazioni che avevo provato nell’ultimo minuto svanirono in
un battito di ciglia. Tutte tranne il rumore che sentivo ancora nelle
orecchie, sebbene affievolito. Aveva nuovamente perso
d’intensità e si era ridotto ad un leggero
sottofondo. Lasciai che il ragazzo mi trascinasse in spiaggia e che mi
avvolgesse con un asciugamano. Aiden si accorse di noi solo quando mi
sedetti accanto a lui facendolo svegliare di soprassalto, rimase
sbigottito almeno quanto il suo amico di vedermi improvvisamente
fradicia, non osavo immaginare di che colore fosse la mia faccia. Se
fosse successa di nuovo una cosa del genere sarei impazzita.
Fortunatamente, quando Alex gli spiegò che ero praticamente
finita in acqua dopo uno sbandamento, mio fratello si rese conto che
non era proprio il caso di rimanere, evitò di farmi domande,
per una volta, dicendo semplicemente ad Alex di guidare la nostra auto
fino a casa, dato che lui era ancora mezzo ubriaco. Ormai eravamo di
fronte alla porta dell'appartamento quando lo vidi. Stavo infilando la
chiave nella serratura e mi ero voltata per essere sicura che Aiden,
barcollante, fosse dietro di me. Il mio sguardo cadde alle sue spalle,
verso una figura vestita di nero che perdeva evidentemente sangue da un
braccio e camminava chinata in avanti. Scansai immediatamente mio
fratello e mi mossi per andare ad aiutare quella persona, ma quando
arrivai nel punto in cui l'avevo vista muoversi, mi sentii come se mi
fossi improvvisamente riscossa dall’ennesima allucinazione.
Non trovai nulla. Neanche una goccia di sangue al suolo, niente. Stavo
davvero diventando pazza? Ero arrivata ad immaginare persone che in
realtà non esistevano? Assurdo. L'unica cosa che desideravo
fare in quel momento era infilarmi il pigiama e buttarmi nel letto,
quindi fu esattamente ciò che feci senza, ovviamente,
riuscire a prendere sonno. Considerate questo: come vi sentireste e,
soprattutto, cosa fareste, se aveste nella testa un battito costante
simile a quello di un cuore, a seguito di una visione totalmente priva
di senso? Ok, qualcuno non considererebbe minimamente la cosa ed
accetterebbe il fatto di poter avere una semplice allucinazione.
Qualcuno si sarebbe fatto curare seriamente. Per quanto mi riguardava,
avrei voluto pensarla così, ma qualcosa sembrava
impedirmelo. Così, rimuginando, iniziò la paura.
Paura per tutte le ore successive. Per tutta la notte. Con l'acuto
suono nella testa. Quel “tum, tum, tum” mi stava
distruggendo ed ero così spaventata che anche volendo non
sarei riuscita a pensare razionalmente a cosa potesse essere, ed al
perché mi stesse accadendo. Non mi mossi dalla mia stanza e
rimasi ben sveglia e tremante nel letto, poi l'alba mi portò
conforto e crollai sul cuscino, finalmente senza nessun rumore di fondo.
***
I sogni mi
tormentavano da giorni. Ogni volta che andavo a dormire ero costretta a
svegliarmi poco dopo aver preso sonno a causa di alcuni incubi,
immagini sconnesse in cui vedevo apparire ombre e luce, immagini che
come ho già detto non riuscivo mai a dimenticare. Comunque
era diventato insostenibile trascorrere la notte a svegliarmi
terrorizzata, quindi iniziai davvero a prendere delle gocce prima di
andare a letto, ed avevo perfino chiesto ad Aiden di dormire in camera
con me un paio di volte. Mi era sembrato di sognare, più di
una volta, mentre mi sentivo totalmente sveglia, ed il battito costante
che avevo udito inizialmente non si era più presentato con
forza. Era come se fosse sempre presente ma si facesse udire solo ad
intervalli; i miei incubi erano iniziati prima che iniziassi ad udirlo,
ma da quel momento non avevano fatto che peggiorare e naturalmente la
cosa mi inquietava. Sognavo spesso una porta e la mia
impossibilità totale di aprirla, sognavo di trovarmi in
alcune stanze senza uscita, di soffocare, di venire strangolata. Un
sogno mi angosciò più degli altri. Mi trovavo
sulla sabbia, completamente vestita, ed improvvisamente intorno a me
centinaia di persone si sollevavano da terra, come se fossero state
dormienti sotto i granelli gialli. Queste persone avevano il viso nero,
come se gli avessero gettato in faccia della vernice. All'improvviso,
tutte aprivano gli occhi ed io rimanevo allibita dal fatto che fossero
vuoti, trasparenti. Poi l'oscurità mi avvolgeva ed iniziavo
a gridare. Capite perché per me la notte fosse diventata una
nemica? Il sonno anziché portarmi sollievo mi tradiva. Per
questo motivo, come sempre negli ultimi giorni, giravo per i corridoi
della sede universitaria con un enorme thermos di caffè in
mano. Raggiunsi il davanzale della finestra più vicina e mi
ci appoggiai per versarmi un bicchiere di quella magica bevanda, mi
assicuravo di berne un po’ prima di ogni lezione, ma qualcosa
rovinò il mio momento di estasi. Un paio di mani comparvero
intorno al marmo del davanzale e non ebbi neanche il tempo di
spostarmi. Un ragazzo si arrampicò dalla finestra come se
fosse stato una scimmia ed entrò nell'edificio con un salto,
facendomi praticamente volare il bicchiere per terra. Non appena si
girò verso di me e mi guardò mi accorsi che era
familiare. Era il tipo malmenato che avevo visto medicarsi nel bagno.
Rendendosi conto che mi aveva praticamente travolta, si
piegò a raccogliere il bicchierino di metallo del thermos e
me lo porse con uno strano cipiglio sul volto.
-Sei narcolettica?-
-Come scusa?-
-Sai, quella gente che
si addormenta di punto in bianco nel bel mezzo della giornata...-
-Non hai mai visto
qualcuno bere del caffè senza avere strane malattie?-
chiesi, con un tono fin troppo innervosito.
-La
quantità di caffeina che ingerisci è
impressionante, ti vedono sempre tutti aggirarti con quel thermos,
inizi ad inquietarmi.-
Prima di rispondergli
non potei non soffermarmi sul suo viso improvvisamente più
vicino. Gran parte delle ferite che gli avevo visto in faccia erano
sparite senza lasciare traccia. Aveva dei lineamenti duri ma in
armonia, gli zigomi alti erano ancora leggermente violacei.
-Tu ti arrampichi
dalla finestra come se non ci fosse nulla di strano, vai in giro come
il reduce di una rissa da bar, ed io ti inquieto, scusa tanto?!-
-Almeno io riesco a
dormire, signorina Grevi...-
Il mio volto perse
totalmente colore. Com'era possibile che conoscesse il mio cognome?
-Come fai a sapere che
non dormo?! Perché sai come mi chiamo?!-
-Non stavamo parlando
del fatto che ti imbottisci di caffè? Mi pare ovvio che tu
non dorma, no?-
Senza permettermi di
ribattere il ragazzo si voltò e svanì dietro il
corridoio più vicino. D'accordo, potevo accettare il fatto
che avesse intuito la mia insonnia, ma il nome? Come faceva a conoscere
il mio nome? Frequentavamo la stessa facoltà a quanto pare,
magari lo aveva sentito in giro? Mi sembrava comunque piuttosto strano,
visto che non ero esattamente una persona socievole e parlavo a
malapena con un paio di persone del mio corso. Mi promisi che la
prossima volta lo avrei trattenuto per farmi dare delle spiegazioni
decenti. Forse avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse dai miei
incubi e svenimenti, quello sembrava essere proprio il modo migliore di
non pensarci. Presi in mano il cellulare per controllare l'orario e mi
accorsi che avevo cinque chiamate perse. Proprio in quel momento
ricominciò a suonare e lessi un numero sconosciuto prima di
rispondere.
-Chi è?-
-Allora te lo ricordi
che hai un telefono!-
-Alex?-
-Sì! Ho
cambiato numero, non ti avevo avvisata? Dove sei?-
-No. Sono
all'università, perché?-
-Ti va se pranziamo
insieme? Non puoi andartene di lì?-
-Ma salterei la
lezione...-
-E allora? Dai, non
puoi fare questo piccolissimo sforzo? Mi sto annoiando!-
-Tu e mio fratello
soffrite di una rara forma di egocentrismo…-
-Ci vediamo al solito
posto?-
Dal momento che volevo
distrarmi, alla fine accettai la sua proposta. Incontrai Alex poco
dopo, trovandolo stranamente impaziente e con in mano
un’enorme scatola piena di pizza, che a quanto pare stavamo
per divorare nel nostro parco preferito. Pensai che, in un modo o
nell'altro, una persona allegra come Alex poteva essere un ottimo scudo
a tutta la mia negatività. Non aveva il mio stesso vizio di
rimuginare, faceva sempre la prima cosa che gli passava per la testa,
compreso organizzare un picnic improvvisato.
Eravamo sdraiati
sull'erba da poco tempo ed avevo quasi iniziato a rilassarmi, eppure mi
sentivo strana. Non saprei spiegare bene perché, ma avevo
l’impressione di dimenticare delle cose mentre parlavo con il
ragazzo. Scordavo le domande che mi faceva, mi sentivo distratta, cosa
per la quale diedi la colpa al sonno, almeno finché non mi
resi conto che mi erano sfuggiti interi pezzi di conversazione. Sentivo
un assurdo disorientamento e mi ritrovavo a sbattere più
volte le palpebre ed a scuotere il capo come se mi fossi appena
svegliata da una catalessi.
-Senti, se non volevi
venire bastava che me lo dicessi chiaro e tondo...-
A quanto pare ero
stata più silenziosa del dovuto, o forse avevo detto
qualcosa di sbagliato al ragazzo. Il punto era che non ricordavo
assolutamente nulla!
-Ma che stai dicendo?-
-Mi sento abbastanza
idiota a parlarti e farti domande se poi tu resti zitta, che ne dici?!-
Quantomeno mi aveva
appena fatto capire che non avevo detto nulla di compromettente, ero
solo rimasta muta.
-Scusa, mi sento la
testa ovattata, è come se fossi fuori dal mondo. Lo so che
è strano da dire, ma sono notti che non chiudo occhio e ho
gli incubi, e sento sempre questo disorientamento nel cervello che mi
impedisce di comportarmi da persona normale-
Sinceramente non so
perché decisi di aprirmi proprio con la persona che in quel
momento mi era più vicina. Ho sempre pensato che, quando si
dice che è più semplice parlare dei propri
problemi con chi non si conosce, sia vero. Quando ne parli ad un
familiare, o ad un amico, sai per certo che farà dei
commenti. Che si preoccuperà, o che cercherà di
aiutarti. Certe volte invece hai solo bisogno di dire a qualcuno che
stai male e poi andartene, non vuoi assolutamente essere aiutata. Vuoi
aprirti, ma non condividere. Eppure, lo dissi ad Alex.
-E' per questo che
bevi tutto questo caffè? Jud guarda che non puoi continuare
a non dormire ad oltranza solo per colpa degli incubi. Hai provato con
qualche infuso? Un sonnifero?-
-Francamente non mi
pare il caso di usare sonniferi-
-A me non pare il caso
di non dormire invece. Sembrava davvero che tu non fossi qui, mi
sembrava di parlare con un manichino. Quindi se non hai sentito una
parola di quello che ti ho detto prima, allora c'è davvero
qualcosa che non va...-
-Mi stai dicendo che
non sono normale? Perché credo di averlo già
capito da sola-
Avevo appena usato un
tono stizzito senza motivo. Alex mi guardò comprensivo,
anziché arrabbiarsi della mia risposta, e poggiò
il capo sul telo che avevamo steso sotto di noi.
-Perché non
provi a dormire?-
-Adesso?-
-Eh già.
Non hai sonno? Prova a farti almeno un sonnellino, io me ne
starò qui buono a vegliare su di te come un tipico bravo
ragazzo-
Non riuscii a non
guardarlo almeno un po' scettica. L'idea di dormire non mi dispiaceva,
eppure mi sentivo in imbarazzo. Iniziai a tormentarmi mentre fissavo un
punto indefinito del terreno sotto di me. Volevo solo alzarmi ed
andarmene via, nascondere a chiunque il mio problema.
-Di cosa ti vergogni?-
-Come?-
-Sei nervosa, ti si
legge in faccia. Ho detto qualcosa di male? Non vuoi dormire?-
-Non hai detto nulla
di male, è solo che odio aver bisogno di aiuto-
-Ma dai Jud, io non ti
sto aiutando affatto. Se potessi aiutarti troverei una soluzione per il
tuo star male, invece ti sto solo dicendo di riposarti un po'. Avanti,
giuro che tra massimo un'ora ti sveglio-
E così alla
fine gli diedi retta. Quanto strano poteva essere alla fin fine? Non
dovevo sentirmi giudicata da Alex. Chiusi gli occhi e mi sdraiai il
più comodamente possibile, sentendo immediatamente l'arrivo
della sonnolenza.
Aprii
gli occhi nel vuoto. Il mio sguardo cadeva su una distesa desertica
immensa, color terra di Siena, senza neanche una casa o un edificio. Il
cielo sopra di me era di un intenso color blu petrolio, con un leggero
velo d'arancio ad indicare che era da poco passato il tramonto. Stavo
sognando ovviamente, ma per la prima volta mi sembrava così
reale. Come se fossi cosciente nel sogno. Continuando a guardare
l'orizzonte, mi resi conto del fatto che stavo osservando tutto da una
postazione alta e, finalmente, mi guardai i piedi. Ero su un'enorme
roccia, di un colore più scuro rispetto a quello del
deserto. Come accidenti ero finita lì sopra?! Mi vennero le
vertigini appena mi sporsi verso il basso, mi trovavo a
chissà quanti metri dal suolo.
“Fantastico”,
pensò la me stessa del sogno, sarcasticamente. Un altro
stramaledettissimo incubo. Sentii un risolino sommesso provenire dalle
mie spalle e mi voltai di scatto, scorgendo una figura con le mani sui
fianchi che mi guardava con un sorriso ironico. Quel sorriso era
più che riconoscibile per me, sembrava quello del ragazzo
con cui mi ero scontrata all'università, eppure aveva un
aspetto diverso da quello che ricordavo. Il suo viso era ombrato, quasi
come se gli avessero tirato in faccia della fuliggine. Indossava abiti
completamente neri e l'unica cosa che mi confermò, oltre al
ghigno, che fosse proprio lui, furono i suoi occhi grigi che spiccavano
in mezzo a tutta quell'oscurità che gli aleggiava intorno.
Evidentemente il mio subconscio aveva già elaborato quella
persona in maniera negativa, altrimenti perché me lo sarei
ritrovato in uno dei miei incubi?
-Subconscio?
Un po' sorpassato, non pensi?-
Com'era
possibile che avesse sentito tutto quello che avevo pensato? Volevo
svegliarmi. Non avevo la pazienza di sopportare un incubo in maniera
così cosciente, con un pazzo scriteriato che mi leggeva
nella mente.
-Vuoi
svegliarti? Ti ho portata in Australia, Ayers Rock, hai presente? Sai
quando rivedrai un panorama del genere?-
Ayers
Rock, ma certo. Quella mattina, mentre stavo andando a lezione, avevo
notato un manifesto riguardante l’Australia sulle pareti del
corridoio, aveva come sfondo proprio quella enorme distesa sabbiosa. La
mia mente stava elaborando anche quello, a quanto pare.
-Va
bene, continua pure a credere al tuo subconscio, ammettiamo che tu stia
sognando. Allora io cosa dovrei essere? Una specie di misterioso
ragazzo di cui ti sei invaghita? Sei rimasta stupita dall'episodio del
caffè e dalla mia fantastica ironia?-
-Certo
che no-
-E
allora cosa sono?-
-Una
rielaborazione mentale della pura irritazione-
Il
ragazzo chiuse la bocca, facendosi morire in bocca le parole che stava
per dirmi, per poi scoppiare in una fragorosa risata.
-Ottima
risposta! In effetti potrei diventare la tua nemesi...-
Perché
non riuscivo a svegliarmi? Era proprio necessario continuare quel sogno
privo di senso?! Di solito quando avevo un minimo di coscienza onirica
e desideravo di svegliarmi, ci riuscivo.
-Non
ti sveglierai solo perché lo desideri. Questo sogno
è mio, signorina Grevi, quindi ti conviene approfittarne,
sei molto fortunata-
Forse
era meglio ignorarlo e aspettare di svegliarmi, così mi
sedetti a gambe incrociate dandogli le spalle ed iniziai a fissare la
landa desolata che si estendeva sotto di noi. L'unica cosa su cui quel
ragazzo aveva avuto ragione, era il paesaggio suggestivo, e quasi mi
dispiaceva non apprezzarlo, ma chiusi comunque gli occhi iniziando a
ripetermi di svegliarmi. Mentre mi rassegnavo al fatto che non ci fosse
verso di uscire da quel sogno, sentii uno strano calore sul viso.
Quando sollevai le palpebre mi ritrovai di fronte un enorme cerchio di
luce bianca che si estendeva verso il cielo. Era quella luce a
scaldarmi il viso, luce che portò il mio intero corpo in
allerta. Sobbalzai quando il ragazzo dagli occhi grigi si fece accanto
a me ed iniziò a guardare il cielo con degli occhi che non
promettevano nulla di buono.
-Che
cos'è?- chiesi, vivamente curiosa.
-E'
ora di svegliarsi Judith-
Percepii il calore del
sole sul volto nonostante non avessi ancora riaperto gli occhi e, prima
che potessi percepire qualsiasi altra cosa, sentii pian piano un suono
farsi sempre più forte nella mia testa. Il battito aveva
finito la sua pausa ed era tornato a tormentarmi, guarda caso proprio
dopo un altro sogno che mi sembrava più una visione. Solo
quando mi girai sul fianco notai che qualcosa mi tratteneva
all’altezza della schiena, precisamente il braccio di Alex,
il quale mi stava non solo stringendo ma soprattutto fissando
preoccupato; non sapevo se avevo parlato mentre sognavo, se
semplicemente mi ero agitata, o se era allarmato dal mio respiro
affannoso e dall’improvviso tremore che mi scuoteva. Affondai
il viso sul suo petto e mi ritrovai a sperare che mi abbracciasse senza
fare domande in attesa che tutto il resto scomparisse.
Il destino volle che
il mio orecchio destro finisse proprio sul punto del suo torace dove
potevo sentire battere il suo cuore. Il sangue mi si raggelò
quando sentii che quel battito era identico a quello che pulsava nella
mia testa. In quel momento non sapevo che doveva essere un presagio.
Non mi rendevo conto che potesse essere qualcosa di più che
la mia semplice immaginazione. Nonostante pregassi di starmi
sbagliando, i due suoni si fusero in uno solo. Pensai che fosse solo
una suggestione data dall’agitazione e cercai di riprendere
sonno. Quanto mi sbagliavo. Nonostante avessi chiuso gli occhi sentivo
ancora pulsare, le tempie iniziavano a farmi sinceramente male. Non
capivo cosa stesse accadendo, era questo che mi succedeva ogni volta
che ero stata male negli ultimi giorni? La mia mente si era, non so
come, messa in sintonia con il cuore di qualcuno?
Il mio istinto di
difesa continuava a farmi sbagliare, a farmi credere che fosse tutto
frutto di un’allucinazione. Mi sentii scindere in due parti.
Una gridava che sapevo cosa mi stesse succedendo, che non era normale
sentire il cuore di qualcuno. L'altra continuava a placarmi ed a
ripetermi che non stava succedendo nulla, che avevo avuto qualche
mancamento a causa dello stress e confondevo i miei incubi con la
realtà. Fu questa parte a prendere il sopravvento. A farmi
regolarizzare il respiro, a farmi calmare. Forse, se non avessi avuto
quel rifiuto, se avessi ammesso che tutto stava davvero succedendo,
sarei impazzita, perciò fui grata di avere ancora
così tanto autocontrollo, seppur discutibile, dentro di me.
-Qualcosa non va?-
-Non lo so…
no. Mi fa solo male la testa-
Alex mi
sollevò il viso, passandomi una mano sotto al mento e
facendola scorrere fino alla fronte. Era davvero il suo cuore che
sentivo? Le tempie... era come se mi ci avessero appena conficcato due
lame, ed il dolore dalla testa sembrava propagarsi fino al collo.
-Se non mi dici
cos'hai davvero non posso aiutarti…-, disse il ragazzo poco
dopo.
-Te l’ho
detto, ho mal…-
-Finiscila. Hai sempre
avuto mal di testa, ma di certo non hai mai tremato così,
come se stessi per avere un attacco di panico. Sembri sul punto di
piangere, e non capisco perché tu non mi stia dicendo quale
sia il problema! Ho fatto qualcosa di male?-
-No,
davvero… è la testa, è come se me la
stessero martellando dall'interno. È da quando è
tornato Aiden che non sto bene, ti giuro che non so cosa mi stia
succedendo ma non ha nulla a che fare con te-
-Mmm...-
Alex si
passò una mano tra le ciocche bionde e fece un profondo
sospiro, in evidente difficoltà su come prendere la
situazione.
-Forse ti sta facendo
allergia il tatuaggio che ti sei fatta? Perché non me
l’hai detto, tra l’altro?!- Sollevai un
sopracciglio perplessa e lo guardai in attesa di una spiegazione che
non arrivò.
-Tatuaggio? Quale
tatuaggio?- chiesi, interdetta.
-Sarà anche
coperto dai capelli ma si vede, se volevi farne uno nascosto avresti
dovuto scegliere un altro punto…- rispose Alex e, detto
ciò, mentre procedeva a passarmi una mano sul collo,
iniziò a ridere. Il suo indice si soffermò sul
punto in cui, a quanto pare, avevo un presunto tatuaggio, sotto
all’orecchio destro, verso la nuca; sembrerei pazza se vi
dicessi che a quel punto iniziavo ad aver voglia di ridere
anch’io? Istericamente, ovvio.
Scansai la mano del
ragazzo e feci per mettermi seduta, prendendo poi il cellulare ed
aprendo la fotocamera interna per usarla come specchio. Quando
finalmente riuscii ad inquadrare il tratto di pelle che Alex aveva
toccato, notai che c'era una strana macchia rossa fin troppo definita.
Che fosse il segno che stavo davvero manifestando una qualche malattia?
Sperai che fosse davvero una reazione allergica, magari qualcosa mi
aveva punta nei giorni precedenti, tuttavia non potevo negare a me
stessa che quella macchia fosse particolarmente simile ad un simbolo;
il ragazzo accanto a me l’aveva scambiata per un tatuaggio
perché, di fatto, sembrava uno strano segno a forma di cuore
rovesciato che mi ricordava vagamente il simbolo di picche. Allungai la
mano per toccarlo e non sentii nulla di particolare, non sembrava in
rilievo, ma sottopelle. Se ciò non fosse stato abbastanza
inquietante di per sé, immaginate la mia faccia quando,
togliendo la mano, notai che la presunta macchia era improvvisamente
scomparsa.
-Dovresti andare da un
dermatologo. Comunque, perché te lo sei fatto?-
Mantenere un respiro
regolare quando ti stanno facendo domande e non hai la più
pallida idea di cosa stia succedendo, è un’arte
rara.
-No, non è
niente, tranquillo, devo essermi graffiata… mentre lo
grattavo, sì. Non significa nulla…-, risposi in
fretta ed iniziai ad alzarmi, -senti, forse è meglio che
vada, devo provare a seguire almeno mezza lezione-
Benché
l’espressione di Alex non sembrasse neanche vagamente
convinta delle mie parole, si limitò a fare un altro dei
suoi sorrisetti.
-Immagino che la mia
compagnia non sia più interessante di quella dei tuoi
professori, accidenti, che affronto, il mio povero ego, mi sento
male…-
Con un improbabile
talento recitativo, scoppiai a ridere e diedi una spinta al ragazzo,
fingendomi divertita e salutandolo poco dopo. Mi dispiaceva reagire in
quel modo, ma ero troppo nervosa per parlare civilmente con qualcuno,
perfino con lui, così non appena gli voltai le spalle e mi
allontanai, tirai un sospiro di sollievo. Avevo due
possibilità davanti a me: tornare a casa, disperarmi e
sfogarmi con Aiden, sperare che trovasse una soluzione e che non si
spaventasse troppo; oppure ignorare il panico appellandomi alla nuova
ma ben accetta Judith capace di autocontrollo, distrarmi e poi tornare
a casa una volta calma. Puntai verso il mio tanto amato borgo e mi
augurai che rifugiarmi in quello, di mondo dei sogni, fosse la scelta
giusta.
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