Siblings by Chance

di SheDark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** 01. Friends and pizza ***
Capitolo 3: *** 02. Mom's boyfriend ***
Capitolo 4: *** 03. Let's make a truce ***
Capitolo 5: *** 04. Strike ***
Capitolo 6: *** 05. An unexpected new ***
Capitolo 7: *** 06. Live Together ***
Capitolo 8: *** 07. Secrets ***
Capitolo 9: *** 08. Pink hair and colorful eggs ***
Capitolo 10: *** 09. Changes - Pov's Mike ***
Capitolo 11: *** 10. Train ***
Capitolo 12: *** 11. Party's outfit ***
Capitolo 13: *** 12. I'm her brother - POV's Mike ***
Capitolo 14: *** 13. We're the waiting ***
Capitolo 15: *** 14. Like the opposing sides ***
Capitolo 16: *** 15. How to hide a relationship ***
Capitolo 17: *** 16. Let's make a band! ***
Capitolo 18: *** 17. A cannot shutdown smile ***
Capitolo 19: *** 18. New friends ***
Capitolo 20: *** 19. Chat - Pov's Mike ***
Capitolo 21: *** 20. Come out of the closet ***
Capitolo 22: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Guardai l'ora sullo schermo del telefonino tenendolo nascosto sotto al banco, constatando che la campanella sarebbe suonata a breve. Mi stiracchiai leggermente cercando di risvegliarmi dal torpore che la lezione di matematica mi aveva causato e sbattei le ciglia per cercare di riprendermi dalla sonnolenza che i numeri mi provocavano ogni volta, osservai la donna minuta che scriveva qualcosa alla lavagna.
Non avevo mai retto le lezioni di Mrs. Jackson, sarà stato per la voce troppo acuta o per il vizio di parlare troppo veloce, o anche solo per il fatto che, anziché spiegare, urlasse (credendo probabilmente che così avremmo  seguito di più), ma le sue lezioni mi sfinivano. Appena metteva piede in classe, accompagnata dal ticchettio dei suoi tacchi, inserivo il pilota automatico, cercando almeno di ricopiare le spiegazioni che continuava imperterrita a scrivere sulla lavagna, nonostante il caos perenne che regnava a causa di alcuni individui che si presentavano a scuola con l'unico scopo di disturbare, i cui schiamazzi rendevano impossibile sia seguire che spiegare decentemente.
Stavo scarabocchiando sul foglio che avevo davanti, quando una pallina di carta piombò magicamente sul mio banco, l'aprii trovandoci la scritta -LOSER- in lettere cubitali rosse che occupavano tutta la pagina. “Perdente” pensai rassegnata cercando di non dar peso a quella parola.
Seguii con lo sguardo la direzione da cui era stato lanciato, guardando un paio di ragazzi seduti al fondo, uno dalla carnagione scura e le labbra carnose mentre l'altro con la bocca rosea che esaltava sulla pelle diafana; i quali risposero al mio sguardo corrucciato con un'espressione innocente, cercando di convincermi che non ne avevano nulla a che fare, fallendo a causa delle risate concitate che scaturirono poco secondi dopo.
Mi sentii trafiggere dagli occhi color grigio-verdi di uno dei due, mentre un formicolio fastidioso si localizzava alla base del collo: Michael Clifford era capace di mettermi a disagio con la sola sfrontatezza, bastava una parola di troppo o una semplice azione per farmi sentire come un “pesce fuor d'acqua”; era una sensazione che odiavo e con cui allo stesso tempo avevo imparato a convivere, poiché per mia grande sfortuna condividevo con quel ragazzo diverse lezioni e il suo passatempo preferito fosse quello di rendere la mia vita un inferno.
«Qualche problema, Harris?» chiese l'insegnante, forse accortasi che qualcosa mi aveva turbato.
«Nessuno, prof.» risposi voltandomi, cercando di allontanare il fastidio che mi provocavano gli scherzi quotidiani di quei due individui. I miei occhi si posarono nuovamente sulla scritta in rosso, serrai la mandibola ricacciando indietro la lacrima che stava sfuggendo e cominciai a stracciare il foglio. «Crescete bambini!» mormorai a voce ferma ed abbastanza alta che mi sentissero.
 

* * *
 

La campanella finalmente suonò annunciando la fine della giornata scolastica. La professoressa si apprestò ad intimare gli studenti a restare seduti mentre sfogliava freneticamente il libro in cerca di esercizi da assegnarci nel fine settimana.
Riposi il raccoglitore e l'astuccio, gettando anche il foglio su cui avevo scritto i compiti nella tracolla (o come la chiamo io “il buco nero”) consapevole che con molta probabilità sarebbe andato perso; e seguii i miei compagni nei corridoi dove un fiume di adolescenti mi trascinò fuori dai cancelli della scuola.
Dovetti accelerare il passo per raggiungere il bus in partenza ed accaparrarmi anche l'ultimo posto vicino al finestrino. Mi guardai intorno speranzosa di scorgere tra gli studenti la chioma bionda del mio compagno di viaggio abituale, ma a quanto pareva quel giorno non si era presentato a scuola.
In quel momento fui trafitta nuovamente da quegli occhi: Clifford sedeva nella fila di sedili in fondo con il suo solito gruppo di amici e mi osservava con un ghigno sulle labbra. Lo vidi parlottare con loro e riuscì a captare il mio nome nel  discorso (immaginai che gli stesse raccontando la mia reazione in classe), prima che scoppiassero tutti a ridere.
Non sopportavo proprio quei ragazzi che sembrava provassero gusto a farmi innervosire, e io non ero mai riuscita a tenergli testa, alimentando così il loro divertimento. Ma non volli dargli neanche troppo peso, non valeva la pena tormentarsi per individui del genere e sopratutto non volevo abbassarmi al loro livello da “bambini dell'asilo”, così li lasciai fare: come tutte le altre volte bastava che li ignorassi e avrebbero trovato qualcun altro da tormentare.
La scuola era iniziata da appena due settimane e se mi facevo scoraggiare già adesso non sarei resistita per tutto l'anno.
Infilai le cuffiette facendo partire la musica per distrarmi dai commenti che gli amici di Clifford e lui stesso si lasciarono sfuggire appositamente, e spostai l'attenzione al paesaggio cittadino che si snodava al di fuori dell'abitacolo. Il cellulare vibrò ad avviso di un nuovo messaggio:

[ Stasera tu, io, pizza e film.
  Ti passo a prendere alle 7, non farti aspettare! ]

Nessun saluto, una semplice e genuina imposizione.
Sorrisi: Ashton era fatto così e con il tempo avevo imparato ad apprezzare tutti i suoi piccoli difetti. Ci conoscevamo da sempre, era il figlio di una cara amica di liceo di mia madre, eravamo cresciuti insieme e lo consideravo come il fratello maggiore che non avevo mai avuto.
Risposi con un “ok” a quella che durante l'estate era diventata una nostra piacevole routine, e appoggiai la testa al finestrino nel momento in cui un raggio di sole del primo Febbraio filtrò oltre il vetro, chiusi gli occhi assaporando il calore sulla pelle.

 

____________________
ANGOLO AUTRICE

Approfitto di questo spazio per dare alcune informazioni utili su questa storia.
Questa è la prima FF che pubblico, perciò vi prego di essere clementi nelle recenzioni future (sperando di riceverne); premetto anche che non sarà lunghissima e non penso che avrà più di una ventina di capitoli.
Ho già presentato la protagonista femminile - Samantha Harris - che sarà affiancata in questo ruolo dal nostro amato Michael Clifford, nella storia compariranno comunque anche gli altri membri dei 5 Seconds of Summer ma in ruoli secondari. I capitoli saranno narrati in prima persona da Samantha, ma saranno anche presenti un paio di capitoli più corti visti dalla parte di Michael (i POV's Mike) di cui però avviserò nei capitoli che li precederanno.
Credo di avre detto tutto, grazie in anticipo a tutti i lettori.

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Capitolo 2
*** 01. Friends and pizza ***


Se c'era una cosa con cui proprio non riuscivo ad accordarmi era la puntualità.  Mi detti una pettinata veloce per districare i capelli ancora caldi di fohn e corsi nella mia camera, consapevole che erano le sette e che Ashton sarebbe arrivato a momenti, mentre io dovevo ancora prepararmi completamente.
Infilai degli shorts beige e una maglietta bianca che avevo già preparato sul letto e tornai nel bagno per mettermi un velo di trucco, in quel momento il campanello suonò; sentì mia madre andare ad aprire la porta e delle voci al piano inferiore, poi dei passi sulle scale.
Il nostro ospite si annunciò poco dopo spalancando la porta e facendomi prendere un colpo.
«Ehi bionda, ancora a prepararti?» salutò appoggiandosi allo stipite con le braccia conserte, «Speravo di trovarti già pronta, sono andato anche piano per darti più tempo.»
Sbuffai osservandolo dallo specchio, lo vidi sollevare gli angoli della bocca in un sorriso e immaginai fosse divertente vedermi alle prese con il rimmel.
«Tranquillo, ho finito. Possiamo andare.» risposi dando un'ultima occhiata alla mia immagine, sorridendo soddisfatta al mio riflesso.
Un fischio di approvazione accompagnò la mia uscita dalla stanza.
«Che schianto!» commentò Ashton prendendomi una mano per farmi fare una lenta piroetta su me stessa, osservandomi compiaciuto, «Ti sei fatta bella per me?» scherzò.
«Certamente, e per chi altri sennò?!» risposi a tono strizzando l'occhio. Lo adoravo quando mi dedicata quelle piccole attenzioni.
 

*  *  *
 

Finalmente pronta per l'uscita con il mio migliore amico, e salutati mia madre e il mio fratellino Marvin, mi apprestai a seguirlo nella sua auto parcheggiata sul lato opposto della strada.
Mi aprii la porta del passeggero e poi si accomodò alla guida; mentre infilava le chiavi nel cruscotto notai una Rang Rover grigia metallizzata parcheggiarsi davanti alla mia abitazione, ne uscirono due persone (di cui però non riuscii a riconoscere i volti) che si diressero all'ingresso.
«Chi sono quelli?» anche lui li aveva visti.
Ci pensai un po' su prima di azzardare una risposta. «Uno è il nuovo uomo che frequenta mia madre, l'altro credo sia il figlio: mamma aveva accennato qualcosa a proposito. Però non li ho ancora conosciuti, avrebbe dovuto presentarceli stasera.» spiegai poi, senza distogliere lo sguardo dalla porta da cui erano scomparse le due figure.
«Samantha, sei sicura di non volere rimanere? Noi possiamo uscire un'altra sera.» chiese pensieroso, le mani sul volante in attesa che scegliessi.
Dopo un mio dissenso e, sebbene non fosse ancora del tutto convinto della mia motivazione (avevo raccontato che a mia madre non dava fastidio, che anzi preferiva far conoscere all'uomo un figlio alla volta, e che quindi ci sarebbero state altre occasioni), Ashton fece fremere il vecchio motore della sua Holden mezza scassata e partimmo.
Dimenticati completamente dell'uomo e del figlio, io e Ash ci mettemmo a chiacchierare spensieratamente e, come mio solito da quando aveva salvato quella carretta dallo sfasciacarrozze, monopolizzai la radio.
«Allora riccio, quali sono i programmi per stasera?» domandai mentre trafficavo in cerca di una stazione di mio piacimento, «Pizza e film da te?»
«All'incirca, ma non più a casa mia: RJ ci ha invitato tutti da lui. Va bene per te? Gli ho detto che lo chiamavo per dargli conferma.»
«Certamente! Allora lo chiamo io.» dissi prendendo lo smartphone che si accese squillando sulle note di “American Idiot” dei Green Day. «Quando si parla del diavolo...» commentai mentre accettavo la chiamata, portandomi il telefono all'orecchio, «Ehi, RJ. Ash e io siamo in macchina, arriviamo.»
«Un quarto d'ora e siamo li.» si aggiunse Ashton con voce abbastanza alta per farsi sentire dal ragazzo dall'altra parte della cornetta.
Salutai con un “A tra poco” e spensi la chiamata, posando il cellulare nella borsetta.
 

*  *  *
 

Proprio come aveva previsto in mio autista, nel giro di quindici minuti  eravamo arrivati alla nostra destinazione.
Il padrone di casa ci venne ad aprire, le treccine legate sulla nuca da un elastico, e fui travolta dalla solarità che trasmetteva il suo sorriso, i denti bianchi che splendevano in contrasto alla pelle scura. Richard James McGrath (conosciuto da tutti come RJ) era quello che si poteva considerare come il collante del gruppo.
Quella combriccola si era formata e consolidata in diversi anni, tra i banchi di scuola o le panchine del parco in cui eravamo soliti ritrovaci ed aveva visto il via vai di alcuni amici, fino a completarsi definitivamente con quelle sei persone che ora consideravo come una famiglia.
Seguimmo RJ nel soggiorno constatando che c'erano soltanto un paio di  ragazze; Kelsie West e Vanessa Hogan (che venivano considerate da tutti come una sola persona poiché inseparabili) si erano unite a noi qualche anno prima quando Nessa aveva iniziato a frequentarsi con uno del gruppo. La prima era minuta e il suo visino dai lineamenti delicati era incorniciato da lunghi capelli color ciliegia, mentre l'amica era la tipica ragazza “acqua e sapone”.
Mi sedetti sul divano insieme a loro per chiacchierare in attesa che i due fratelli che mancavano all'appello, e che (come appresi subito dopo) erano usciti per prendere le pizze, tornassero. Cosa che non si fece attendere, infatti il campanello suonò cinque minuti dopo annunciando il loro arrivo, il padrone di casa si apprestò ad aprire loro la porta.
Vanessa si spostò una ciocca castana dietro l'orecchio destro, sorridendo,  quando il suo fidanzato entrò nella stanza sorreggendo la pila di cartoni quadrati della pizzeria: Jack Hemmings, un bel ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri che aveva frequentato la Richmon High School insieme ad Ashton ed RJ.
Mi alzai per prendere il cartone che mi stava porgendo, sedendomi poi sul tappeto, lo aprii osservando la pizza con patatine e salsiccia (la mia preferita), felice che i miei amici conoscessero così bene i miei gusti. Mi accorsi ormai troppo tardi della mano che con uno scatto fulmineo aveva afferrato una patatina, facendola sparire nelle fauci del proprietario.
«Come è andata oggi a scuola, Sam?» chiese masticando.
Squadrai le labbra ornate da un labret nero del ragazzo seduto alla mia sinistra, incontrando i suoi occhi color cielo. Risposi con un sorriso tirato e un colloquiale “tutto bene”, ma probabilmente capì che stavo mentendo  visto la domanda che mi fece successivamente.
«Che ha combinato questa volta quell'idiota?» chiese, essendo al corrente degli scherzi che subivo abitualmente da alcuni compagni, ed alludendo ad uno di loro in particolare.
«Nulla, Luke, le solite cose...» dissi prima di raccontargli  brevemente dell'episodio di quella mattina. Vidi sul suo viso passare diverse emozioni - comprensione, rabbia,  colpevolezza -, e quando ebbi terminato si scusò di non esserci stato a scuola per difendermi.
Luke Hemmings (che era la fotocopia del fratello maggiore), da quando ci eravamo conosciuti, scoprendo anche di frequentare lo stesso liceo, era diventato la roccia a cui mi aggrappavo nei momenti in cui la mia fragilità mi imponeva di subire quegli scherni senza il coraggio di reagire, diventando così da subito una specie di protettore. Gli ero riconoscente per tutte quelle volte che mi aveva difeso, grazie a lui gli scherzi si erano alleggeriti sempre di più.
Sorrisi malinconicamente.
Mi resi conto che tutti avevano iniziato a mangiare, così afferrai una fetta di pizza addentandola con gusto, allontanando quei pensieri dalla testa.
 

*  *  *
 

La strada era deserta ed Ashton guidava con calma. La serata a casa di RJ era continuata con la visone di un film, di cui però ero riuscita a vederne solo metà poiché mi appisolai; e fui svegliata solamente sui titoli di coda da Ash che mi proponeva di tornare a casa.
Ero persa a guardare un punto fisso oltre il finestrino, con la testa sovrappensiero, e non mi resi conto che il mio amico mi stava parlando.
«Che ore sono?» ripeté.
«Le 11 e 36.» risposi controllando dal cellulare.
Il silenzio tornò a governare l'abitacolo.
«Tutto bene, Sam? Sei pensierosa stasera.» chiese con una lieve nota di preoccupazione nella voce.
Risposi con un cenno del capo e un “si bene” che sembrò più una specie di grugnito.
«Di chi stavate parlando tu e Luke a cena?» domandò nuovamente, colpendo nel centro.
«Di nessuno.» dissi cercando di non scendere nei particolari, «Cioè, nessuno d'importante. Solo uno che mi da fastidio a scuola.»
«Chi? Sempre quel Clifford?» chiese, rispondendosi da solo, ricordando il nome del ragazzo di cui mi ero lamentata tante volte.
Annuii. «Di solito è lui che prende l'iniziativa, e poi Hood lo segue come un bravo cagnolino.» dissi con sdegno.
«Quindi hanno ricominciato a prenderti di mira?» chiese con apprensione (come mio migliore amico era al corrente di quel che mi succedeva in classe), «Pensavo si fossero stufati.»
«Anche io.» ammisi con un sospiro, «Ma ogni tanto, quando Luke non c'è riprendono con i loro scherzi.» spiegai, raccontandogli poi di quella mattina.
«Non ci pensare, Samantha. Non farti rovinare il week-end da due cretini che vedi solo per poche ore al giorno a scuola. E poi pensa che sei all'ultimo anno, dopo non dovrai nemmeno più vederli.» cercò di tirarmi su di morale.
«Un anno è lungo.» precisai, «Oh povera me!» mi lamentai ancora portandomi le mani sul viso, sapendo che non sarei riuscita a resistere se Clifford avesse continuato prendermi di mira per tutto il tempo.
«Vedrai che passerà in fretta.» commentò, mentre imboccavamo la via in cui abitavo.
Appena arrivammo davanti a casa, vidi la Rang Rover svoltare l'angolo e allontanarsi nella notte. Per quella volta non avrei conosciuto la persona che era stata capace di rubare il cuore a mia madre. Salutai Ashton, ringraziandolo per la serata, e scesi dall'auto felice all'idea che presto avrei abbracciato il mio cuscino.

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Capitolo 3
*** 02. Mom's boyfriend ***


Lessi per l'ennesima volta la lunga espressione aritmetica, incomprensibile, fissando i numeri come se fossero stati dei geroglifici (che forse sarebbero stati più semplici da capire).
«Basta. Mi arrendo!» sbottai, in preda alla disperazione, lanciando la biro sul libro aperto di matematica e facendo sussultare il ragazzo che avevo di fronte.
Luke mi aveva invitato a casa sua per studiare insieme nel dopo scuola, in vista del test che Mrs. Jackson aveva assegnato alla mia classe per la settimana successiva (lui l'aveva invece già fatto qualche giorno prima), e mi ero vista costretta ad accettare sapendo che il biondino mi avrebbe potuto sicuramente aiutare a colmare le enormi lacune che avevo in quella materia: Luke Hemmings infatti era un incredibile e nel contempo improbabile genio della matematica, era come se per lui i numeri non avessero segreti.
«Non ci capisco nulla!» mi lamentai ancora, «Luke, sto impazzendo!»
«Oh, non esagerare, Sam.»  commentò con saccenza, «Forza, da qua: vediamo quanto è “impossibile” quell'esercizio.» Afferrò il tomo, leggendo attentamente la famigerata espressione, «Non è così difficile.» concluse e, vedendo che non ne ero tanto convinta, aggiunse: «Dai, ora te la spiego.»
Si alzò, facendo il giro del tavolo, per sedersi al mio fianco. Il mio sguardo vagò sulla finestra: avrei preferito passare il venerdì pomeriggio in modo differente; poi tornai a prestare attenzione al ragazzo, che con pazienza stava iniziando a mostrarmi la soluzione dell'esercizio.
 

*  *  *
 

Spalancai le braccia lasciandomi cadere sul letto dalla trapunta verde  facendo sobbalzare leggermente il materasso. Ero sfinita: sentivo i neuroni fumare. Avevo passato l'intero pomeriggio a studiare con Luke, e grazie alla sua pazienza ero riuscita anche a capire qualcosa di quella maledetta matematica.
Il mio sguardo vago per la stanza illuminata dalla luce arancione del sole in procinto di tramontare: la scrivania sotto alla finestra, le pareti chiare con qualche poster delle band che ascolto qua e la (dove i Green Day la facevano da padroni insieme ai One Direction), la bassa libreria colma di libri e di svariati DVD, il televisore sopra e il joystick di lato. Sorrisi alzandomi per afferrarlo, accendendo la console, decidendo che avevo bisogno di rilassarmi un po' e che un bel video-game fosse la migliore soluzione.
Avevo appena iniziato la partita salvata quando sentii mia madre chiamarmi a gran voce, io mugugnai qualcosa in risposta senza distogliere lo sguardo dal gioco.  Poco dopo la porta della mia stanza venne spalancata dalla donna in accappatoio che si parò davanti allo schermo con i pugni sui fianchi.
«Ciao mamma.» salutai, sporgendomi per continuare a giocare.
«Samantha! Sono le sette meno venti. Non ti sei ancora preparata?» chiese retoricamente con un accenno di ansia nella voce, «Non te lo ricordi, vero?»
La guardai sorpresa senza capire di cosa stesse parlando. Perché? Cosa dovevo ricordare?
«Stasera siamo a cena da Daryl.» spiegò pazientemente, come se avesse letto i miei pensieri, «Tra mezz'ora vorrei partire.»
Marvin entrò nella stanza tirando la mamma per la cintura dell’accappatoio attirando la sua attenzione.
«Mamma, mi allacci le scarpe?» chiese con quella vocina supplichevole e mostrandole i lacci a terra.
«Certamente.» rispose lei accarezzandogli la guancia, poi si rivolse di nuovo a me con voce autoritaria: «Per favore, va a prepararti e aiuta tuo fratello. Grazie.» mi diede un bacio sulla fronte e corse a finire di agghindarsi.
Spensi la console un po' seccata: non si poteva stare tranquilli un secondo in quella casa. Però la curiosità non ci mise molto a prendere il sopravvento dei miei pensieri: la settimana prima quando l'uomo era venuto a cena da noi non avevo avuto l'occasione d'incontrarlo, chissà che impressione avrei fatto quella sera e cosa avrebbe pensato di me. Sperai di non fare brutte figure.
«Semmy,  mi leghi le scarpe?» la voce di Marvin mi distolse da quelle riflessioni.
«Si, scusa.» mi chinai per fare un fiocchetto al primo paio di lacci.
«Mike è molto simpatico, lo sai?»
«Chi è Mike?» chiesi mentre mi occupavo anche della seconda scarpa.
«Il figlio di Daryl, l'altra volta ha giocato con me. È divertente.»
«Oh. Ma è fantastico, tesoro.» dissi, sinceramente contenta che avesse trovato un nuovo amichetto. «Ecco fatto, ora puoi andare: sei bellissimo!» aggiunsi scompigliandogli i capelli biondicci e ricevendo come risposta una morfia, prima che corresse via.
Decisi di seguire il consiglio di mia madre, così mi recai nella stanza che preferivo di tutta la casa: la cabina armadio, che più che una cabina era una vera e propria stanza essendo grande quasi quanto la mia camera da letto.
Scelsi d'indossare un paio si Jeggins scuri ed una maglietta verde acqua con del pizzo sul retro che lasciava intravedere la schiena, per le scarpe optai invece per il solito paio di Vans basse che lanciai direttamente nella mia stanza approfittando che le due porte si trovassero una di fronte all'altra. Raggiunsi il bagno per truccarmi con una linea di eyeliner e sistemarmi i capelli biondi, che al momento erano legati in un shignon scomposto, in una treccia che ricadeva leggera sulla spalla sinistra. Feci scoccare le labbra scurite dal rossetto tinta malva e sentii mia madre avvisare che era ora di andare, infilai le scarpe e la raggiunsi insieme a Marvin.
 

*  *  *
 

Il “famoso” Daryl ci accolse con un largo sorriso e ci fece accomodare in casa. Marvin (che sembrava avesse già preso confidenza) non esitò a corrergli incontro per saltargli addosso, mentre io rimasi ferma vicino alla porta d'entrata, aspettando che anche mia madre lo salutasse con un leggero bacio sulle labbra.
Quel gesto non mi infastidì, cosa che invece avevo immaginato, lo trovai anzi estremamente dolce; dopotutto mamma meritava di essere felice e quell'uomo sembrava esserne capace. Li vidi arrossire subito dopo essersi accorti che li stavo osservando, lei si aggiustò una ciocca di capelli che era sfuggita dall'acconciatura e il suo volto venne illuminato da uno di quei sorrisi che sembrava non si potessero spegnere mai più.
Mentre sorridevo anche io a quei pensieri, Daryl mi venne incontro stringendomi in un caloroso abbraccio.
«Samantha, finalmente ci incontriamo! Sei ancora più bella di come ti ha descritta tua mamma.» disse, mentre le mie guance si coloravano per via di quella affermazione. «Tu non conosci ancora mio figlio, vero?»
Negai con un cenno del capo.
«Marvin, perché non presenti Mike a tua sorella?» chiese al bambino, che rispose con un movimento energico della testa. «È in salotto, di la.»
Marvin mi prese la mano e inizio a trascinarmi nella direzione indicatogli da Daryl. Notai subito l'individuo con un cappellino da baseball sulla testa che guardava la tv seduto sul divano, constatando delusa e incuriosita allo stesso tempo che non si trattava di un bambino, come invece avevo supposto.
«Ciao Mikey!» salutò mio fratello avvicinandosi, mentre anche mia mamma e Daryl ci raggiungevano. «Vuoi conoscere mia sorella?» chiese poi, indicandomi.
Il ragazzo si alzò voltandosi verso di me. Quando riconobbi il viso che si nascondeva sotto alla visiera mi sentii crollare il mondo addosso: non poteva essere vero!
«TU?» esclamammo all’unisono io e il ragazzo, con gli occhi spalancati.
«Vi conoscete?» chiese Daryl un po’ stupito.
«Si, andiamo in classe insieme.» risposi, fissando lo sguardo torvo e sconvolto del mio compagno di scuola.
«Oh che bello!» intervenne mia mamma con un largo sorriso, poi spostò lo sguardo dal mio a quello di Michael notando forse la leggera tensione che si era creata tra noi. «Samantha, c’è forse qualche problema?»
«Ecco, io…» valutai se dirgli che quello era il ragazzo che mi prendeva di mira a scuola, ma poi ricordai che per lei quella relazione era molto importante e non volevo rischiare di rovinare tutto per una sciocchezza simile, «…io non mi aspettavo di incontrarlo, tutto qui.» ed accompagnai la frase con un leggero sorriso, che la rassicurò.
 

*  *  *
 

La serata stava scorrendo discretamente. Daryl aveva preparato un' ottima cena, e dovevo ammettere che i suoi modi con mia madre erano sempre adorabili. Marvin si stava comportando bene. Mentre con Michael ero anche riuscita ad avere una specie di conversazione, sebbene ebbi l'impressione che fosse una montatura per far felice il padre.
Finito di cenare ci fermammo a chiacchierare un po', poi il ragazzo si alzò dal tavolo e fece per andarsene, ma Daryl lo richiamò.
«Perché non porti Samantha e Marv…?» Mia madre gli diede un colpetto sulla spalla, l’uomo si voltò a guardare mio fratello che si era addormentato con la testa sul tavolo. «Puoi mettere il piccolo in un posto più comodo, per piacere?»
Michael rispose un po’ scocciato con un cenno del capo. Poi prese delicatamente Marvin in braccio per adagiarlo sul divano del soggiorno stendendogli addosso una coperta (gesto che trovai molto insolito rispetto a come ero abituata a vederlo comportarsi in classe) e lo seguii in camera.
«Fa come se fossi a casa tua, ma non toccare le mie cose!» disse mentre accendeva la sua console; io mi misi a spulciare tra i videogame, ignorando le sue ultime parole.
Mi lasciai sfuggire un'esclamazione di sorpresa quando trovai tra le varie custodie in plastica verde quella di un gioco di mia conoscenza: “Halo 5”. Fissai per qualche secondo il video-game, spostai l'attenzione sul ragazzo che teneva gli occhi incollati allo schermo, e poi tornai a fissare la copertina mentre iniziava a frullarmi un'idea in testa.
Dato che dovevo stare li e che mi stavo annoiando a morte a vederlo fare l’associale e ignorarmi, perché non trovare un modo per passare il tempo insieme?
«Michael, per caso hai un secondo joystick? Ti va di fare una partita?» gli chiesi, mostrandogli il gioco.
Il ragazzo mi guardò spalancando gli occhi, incredulo. «Ti piace giocare a questo genere di cose?»
«Mi sembra ovvio: non è unicamente per soli maschi, sai?!» risposi porgendogli la famigerata custodia, «Allora vuoi giocare o hai paura di perdere?»
«Sciocchezze, da qua!» disse con una strana luce negli occhi e uno sguardo di sfida, «Ma non piangere se ti faccio fuori subito.»  aggiunse sicuro di sé.
«Non ci contare troppo.» risposi a tono.
Iniziammo così la partita: l’uno contro l’altra, con insulti gratuiti che volavano ogni volta che uno dei due riusciva ad avere la meglio: che per la “gioia” del ragazzo (o meglio, la mia, visto che mi divertivo un sacco a farlo arrabbiare) ero quasi sempre io.
«Chi è quello che doveva morire subito, eh?» dissi dopo l’ennesima vittoria, punzecchiandolo. «Non ti sei ancora stancato di farti uccidere?»
«Mi sto solo scaldando.» disse lui visibilmente irritato.
«Non dire cazzate!» continuai ridendo, «Farsi battere da una ragazza ben 9 volte su 12, se i tuoi amici lo venissero a sapere.»
«Ma loro non lo sapranno mai!» disse stringendomi il polso sinistro, per ottenere la mia completa attenzione, e avvicinandosi a me puntando gli occhi grigio-verdi nei miei, sussurrando a denti stretti: «Vero, Harris?»
Inghiottii la saliva che mi si era fermata in gola e fissai quegli occhi colmi di astio, mentre il disagio che mi provocava quella situazione si impossessava di me, ricordandomi le angherie (e i successivi pianti)  che dovevo sopportare quasi ogni giorno in classe.
Si sentì bussare e mia madre si affacciò alla porta tenendo in braccio Marvin ancora addormentato. «Samantha? Si è fatto tardi: dobbiamo andare.»
«Ok, arrivo!» posai il joystik, felice di allontanarmi da Clifford; prima di andarmene mi voltai verso di lui salutandolo con un gesto della mano, «Grazie per la partita. Ci vediamo a scuola.»
Poi raggiunsi mia madre e tornai a casa sorridendo ancora per la grande batosta che gli avevo dato: non se la sarebbe dimenticata tanto facilmente!

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Capitolo 4
*** 03. Let's make a truce ***


Il suono fastidioso della sveglia per la scuola, che avevo scordato di staccare la sera prima, suonò per un po' prima che allungassi il braccio per afferrare il cellulare; mi stiracchiai sbadigliando, fuori dalla finestra splendeva un pallido sole.
Quel sabato mattina mi ero svegliata con una strana sensazione addosso, come se ci fosse qualcosa di importante che dovessi ricordare, ma proprio non sapevo di che cosa si trattasse. Scesi le scale seguendo il profumo e il rumore di pentolame che provenivano dalla cucina, pensando ancora a cosa dovessi ricordarmi.
«Buongiorno mattiniera. Io e Marvin abbiamo fatto i pancakes, fai colazione con noi?» salutò mamma, mentre vi versava sopra dello sciroppo d'acero.
Ringraziai e mi sedetti al tavolo, sorridendo al bambino coperto di farina fin sopra i capelli,  mentre la mamma ci porgeva i piatti.
«Sono contenta che tu e Michael vi conoscevate già.» disse allegra, sedendosi anche lei a tavola.
«Michael?» chiesi tra un boccone e l'altro.
«Il figlio di Daryl. Ieri sera mi hai detto che andate insieme alla Norwest.»
Nella mia testa udì un fragore di vetri schiantarsi al suolo mentre la notizia mi cadeva addosso con il peso di un macigno. Ecco cosa dovevo ricordarmi, non me lo ero immaginato! Ed io che speravo fosse solo uno scherzo della mia mente ancora addormentata: Michael Clifford era veramente il figlio di Daryl!
 

*  *  *
 

Finito di fare colazione mi precipitai a prepararmi e poi uscì di casa, dovevo fare quattro passi per metabolizzare la fatidica notizia.
Presi il cellulare scorrendo la rubrica; avrei voluto chiamare Luke, lui avrebbe sicuramente capito il mio disagio, ma sapevo che quel giorno era via con la sua famiglia e non volevo disturbarlo. Così selezionai il numero di Ashton; quando stavo per perdere la speranza e spegnere la chiamata, finalmente rispose.
«Samantha, hai presente che ore sono?» mi ammonì con la voce impastata dal sonno, Ash era sempre stato un gran dormiglione.
«Le otto passate. È ora di alzarsi, bello addormentato!» risposi allegramente, ma facendomi più seria subito dopo, «Ti devo raccontare una cosa.»
«Non puoi dirmelo più tardi? Stanotte ho fatto tardissimo.»  obiettò. Lo immaginai nel letto con un braccio a coprire gli occhi ancora chiusi, nella speranza che demordessi.
«No, non posso. Sto prendendo il pullman, mezz'ora e sono da te.» ribadì staccando la chiamata.
 

*  *  *
 

Decisi di non bussare, ma di fare il giro della casa e di entrare dalla porta secondaria che sarebbe stata sicuramente aperta. Sul retro trovai la madre di Ash intenta a curare il giardino.
«Buongiorno zia Anne » salutai andandole incontro per darle un bacio sulla guancia. Sebbene non fossimo imparentate fin da piccola l'avevo sempre chiamata così, e lo stesso facevano i suoi figli con mia madre.
«Giorno cara. Ashton è in camera sua, credo stia ancora dormendo.» disse, immaginando il motivo di quella mia visita.
«Grazie, lo andrò a svegliare io allora.»
«Buona fortuna!» scherzò mentre entravo in casa.
Nella cucina trovai Harry e Lauren (i fratelli minori di Ash) intenti a fare colazione, li salutai e raggiunsi la camera del mio amico.
Non accesi la luce e, attraverso il buio nella stanza, osservai il letto su cui giaceva una massa informe di coperte dalla quale spuntavano un braccio e una matassa di ricci. Tirai su le tapparelle, lasciando che i raggi del sole illuminassero la stanza (disordinata come al solito), seguiti dai lamenti sottomessi del ragazzo addormentato.
Aspettai qualche minuto sperando che la luce lo invogliasse ad alzarsi, ma come risposta Ashton si voltò dalla parte opposta alla finestra portandosi i lembi del lenzuolo fin sopra ai capelli. Mi sdraiai allora sul letto, incurante del corpo sotto alle coperte, per arrivare con le labbra all'orecchio del malcapitato.
«Ash, ti alzi?» sussurrai.
«No, lasciami dormire.» rispose in un grugnito, bloccandomi con un braccio nell'intento di tapparmi la bocca con la mano (tutto ciò ad occhi chiusi).
Io mi divincolai alla sua stretta, ritornando in piedi al lato del letto. «Ok, allora non mi lasci altra scelta.» dissi prendendo un lembo del lenzuolo e iniziando un conto alla rovescia, al cui termine tirai via la coperta al ragazzo.
«Samantha sei una merda!» saltò su lui, con indosso solamente un paio di pantaloncini, lamentandosi eccessivamente, «Stavo facendo pure un bel sogno.»
«Io un incubo.» dissi più a me stessa che a lui.
«E tu mi hai svegliato con tanta urgenza solo per un brutto sogno fatto sta notte?» chiese incredulo.
Negai con la testa. «L'incubo è iniziato quando mi sono svegliata.»
Dallo sguardo incuriosito e allarmato che aveva ora capì che avevo tutta la sua attenzione, mi sedetti accanto a lui e iniziai a raccontargli della sera precedente a casa di Daryl: della scoperta di Michael, della nostra partita ai videogiochi (che scaturì in Ashton una risata nel sapere che l'avevo stracciato) e della sua minaccia.
 

*  *  *
 

«Ma perché proprio a me? Perché proprio lui?» mi lamentai lasciandomi cadere sul materasso che sobbalzò leggermente, «Perché mi odi tanto maledetto Destino?» terminai teatralmente puntando il pugno al soffitto.
«Non starai esagerando?» chiese Ashton, che si rimangiò subito la parola dopo che fulminai con lo sguardo. «Era solo per dire.» disse alzando le mani in segno di scuse.
Ci fu un momento di silenzio, dove io continuai a domandarmi del perché la vita ce l'avesse tanto come me e lui che sembrava stesse pensando a come tirarmi su di morale.
«Bhe, prova a pensare positivo: magari la storia tra zia Rose e il padre di Clifford avrà vita breve e si lasceranno presto, così tu non dovrai più avere a che fare con quell'idiota.» ipotizzo Ash.
«Speriamo...» mormorai, anche se nella testa sapevo che era sbagliato desiderare una cosa simile, sopratutto dopo aver visto come Daryl riuscisse a rendere felice mia madre, e non me lo sarei mai perdonato se si fossero lasciati a causa di un mio capriccio. «Però non mi sembra giusto.» dissi dando poi voce ai miei pensieri.
«Allora dovrai provare ad andare d'accordo con Michael.»
«Ci proverò, anche se sarà difficile.» dissi alzandomi per dirigermi alla porta, «Grazie Ash, mi hai tranquillizzata.»
«Figurati.» un lungo sbadiglio, «Vai già via, vuoi uno strappo?»
«No, grazie, non disturbarti. Torno con mezzi.»
«Ok. Che ore sono?» chiese, mentre soffocava un altro sbadiglio.
«Le nove e mezza, più o meno, quasi quaranta.» risposi controllando dal cellulare.
«Io, se non hai altro da raccontare, tornerei a dormire ancora un po'.» disse, mentre recuperava le lenzuola e si sistemava nel letto. «Tu quindi che fai?» chiese poi, vedendo che ero ancora ferma sulla porta, «Vuoi fermarti qui?» continuò, invitandomi a prendere posto accanto a lui.
Valutai la proposta, rendendomi conto che effettivamente non ero ancora del tutto riposata e che un'altra ora di sonno non mi avrebbe fatto certo male.
«Ma si, dai. Aspetta che avviso mamma che sono qui.» dissi inviando un messaggio a mia madre.
Lasciai il cellulare sulla scrivania e raggiunsi Ashton, accoccolandomi al suo torace, come avevo già fatto altre mille volte. Mi lasciò un leggero bacio sulla fronte mentre mi stringeva protettivo con un braccio, il suo respiro regolare sul viso mi rassicurò e chiusi gli occhi.

 

*  *  *
 

Fu una vocina famigliare, unita a dei risolini sommessi, che mi obbligò ad aprire gli occhi. Ashton era ancora addormentato e mi stringeva tenendo la mano calda sul mio addome (probabilmente nel sonno mi ero girata).
«Marvin, che ci fai qui?» chiesi al mio fratellino che mi guardava con i grandi occhioni blu divertiti.
«Zia Anne ci ha invitato a mangiare da lei.»
Gli altri due bambini annuirono quando posai lo sguardo su di loro.
«È pronto!» annunciò Lauren. Diedi un colpetto al ragazzo per svegliarlo, che si strinse ancor di più a me mugugnando infastidito, prima di aprire gli occhi. «È ora di pranzo.» ripeté la sorella.
Lo sguardo di Ashton vagò sui tre ragazzini. «Grazie. Iniziate ad andare, noi vi raggiungiamo subito.»
Aspettai che Ashton si mettesse qualcosa addosso oltre ai pantaloncini e raggiungemmo la sala da pranzo dove erano scappati poco prima i tre bambini, e dove le nostre madri ci stavano aspettando per iniziare a mangiare.
«Buongiorno, piccioncini. Finalmente ci degnate della vostra presenza!» scherzò mia madre appena mettemmo piede nella stanza, scaturendo le risate degli altri e mettendo noi completamente in imbarazzo.
Io ed Ashton non stavamo insieme, mi era persino difficile vederci come fidanzati: non saremmo mai potuti essere tali, anche se a volte  i nostri atteggiamenti e modi di fare potevano far pensare il contrario. Infatti sembrava che le nostre madri (specialmente la mia) si erano convinte che facessimo coppia, ma che glielo nascondessimo per qualche strano motivo. Ma in verità non avevamo proprio nulla da nascondere; eravamo solamente due amici molto, molto stretti.
 

*  *  *
 

Dopo pranzo Marvin rimase a giocare a casa di zia Anne, mentre mia madre andava a fare delle commissioni, fatto che spiegò la loro presenza a casa Irwin. Io ed Ashton ci prendemmo un pomeriggio solo per noi, e così decise di portarmi al cinema per distrarmi dall'idea di Michael.
«Allora, cosa vuoi andare a vedere?» chiese dirigendosi verso la biglietteria.
«The Avengers, può andare?» dissi incerta, scrutando sul tabellone digitale i film in programmazione.
«Perfetto direi. Io prendo i biglietti, tu i popcorn!»
«Va bene.»
Lo raggiunsi poco dopo con il mio bottino e insieme ci accomodammo nella sala multimediale.
Mentre aspettavamo che iniziasse il film mi guardai intorno, inutile dire il mio stupore quando notai che tra il pubblico c'era proprio lui: il mio perseguitatore.
«Ashton,» lo chiamai dandogli dei colpetti sul braccio, «mi è sembrato di vedere Michael Clifford.»
«Ne sei sicura?» glielo confermai annuendo, «Non ci fare caso. Guarda sta anche iniziando il film!»
Mi voltai un ultima volta, Michael mosse impercettibilmente il capo in segno di saluto quando incrociai i suoi occhi indecifrabili.
 

*  *  *
 

«Wow. Fantastico!» esclamò Ashton appena usciti dal cinema,  «Hai visto che bello? Ironman è stato fenomenale! Oh, ed Hulk? “Hulk spacca”!» continuò a commentare animatamente, citando una frase del film appena visto.
Io sorrisi, a volte sembrava di avere a che fare un bambino. Rettifico: Ash è un bambino, solo un po' troppo cresciuto.
Mi sentii toccare la spalla, così mi voltai trovandomi davanti Clifford. «Possa parlarti un secondo?» chiese.
Guardai allarmata il mio migliore amico, che mi spinse con lo sguardo ad andare, prima di acconsentire con un “ok”. Ci allontanammo leggermente e ci fermammo una di fronte all'altro; lo scrutai incuriosita attendendo che prendesse parola e sperando che si dasse una mossa.
«Tregua?» domandò.
Spalancai gli occhi incredula, aveva veramente detto ciò?
«Sembra che la relazione tra i nostri genitori stia prendendo una piega più seria. O almeno è quello che vorrebbe mio padre: non fa altro che parlare di Rose-Anne,» continuò spiegandomi le motivazioni, «e non vorrei che i nostri diverbi possano interferire con la loro storia.»
Quel ragazzo mi stupiva sempre di più.
«Va bene, la penso come te.» dissi semplicemente, dopo aver ascoltato attentamente le sue parole.
«Quindi?» chiese porgendomi la mano destra.
«Tregua!» assenti stringendogliela.
Dopo esserci salutati con un “ci vediamo”, raggiunsi Ashton che mi aspettava vicino alla sua auto parcheggiata, visibilmente incuriosito, e nel tragitto gli raccontai ciò che era appena successo.

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Capitolo 5
*** 04. Strike ***


Afferrai il cellulare per spegnere la sveglia e la mia attenzione cadde sul calendario aperto sul display: Giovedì 14 Febbraio, ovvero San Valentino.
Non riuscì a non sorridere: avevo sempre adorato quella festività, non importava che non avessi un ragazzo con cui passarla, per me era la celebrazione dell'amore, e non solo quello che può esserci per un fidanzato, ma anche per i propri cari e i propri amici.
Il mio sguardo si spostò su un cofanetto sul comodino, lo aprii trovandoci all'interno dei cioccolatini e un bigliettino con la calligrafia di mia madre dove mi augurava un “Felice San Valentino”. Ero davvero contenta, quel piccolo pensiero avrebbe reso quella giornata ancora più bella.
Mi vestì velocemente con la divisa della scuola e scesi in cucina a fare colazione. Abbracciai mamma, ringraziandola per i cioccolatini, e mio fratello, che mi porse un disegno dicendo che era per me. Analizzai l'opera del bambino sorridendo amorevolmente: rappresentava una ragazza e un bimbo coi capelli gialli che si tenevano per mano e tra i due spiccava un grosso cuore rosso, ovviamente eravamo io e Marvin.
«Allora mamma,» iniziai prendendo un biscotto, «stasera tu e Daryl vi vedete?» La donna annuì mentre beveva il suo caffè. «Hai bisogno che guardi io Marvin?» le chiesi gentilmente.
«Ti ringrazio, ma non c'è ne bisogno. Anne si è offerta di portare i bambini alla sala giochi.» rifiutò, «Perché non provi a sentire Ashton?» propose poi ammiccando.
Alzai gli occhi al cielo, sebbene glielo avessi negato più volte lei si era convinta fermamente che io e lui facessimo coppia.
«Mamma, quante volte devo dirtelo? Io e Ash non stiamo insieme.» chiarii per l'ennesima volta, «E poi ieri mi ha detto che per stasera aveva già un altro impegno.»
Mia madre sembrò rimanerci un po' male, ma non potevo farci nulla. Finii di fare colazione e uscii di casa.
 

*  *  *
 

La mattina a scuola stava scorrendo normalmente, se non si faceva caso alle persone con una “F” disegnata sul viso che si incrociavano nei corridoi durante il cambio ora (erano i poveri freshmen). Ricordai quando ero stata anch'io una vittima della “caccia ai primini”: due ragazze più grandi mi avevano chiuso nel bagno e obbligato ad intonare Hakuna Matata de “Il re leone”, ne ero poi uscita con il marchio caratteristico sulla mano (erano state clementi perché avevo cantato bene) che mi era andato via solo dopo due giorni.
Raggiunsi Luke che mi aspettava ad un tavolino nel cortile per fare pranzo insieme.
«Dimmi che almeno tu oggi non mi abbandoni.» disse puntandomi contro il panino.
«Buongiorno anche a te.» salutai sedendomi.
«Togli “buon”.» rispose imbronciato.
«Ma come? Oggi è pure la festa dell'amore!» commentai con occhi sognanti.
«Appunto. Io odio San Valentino!» esordì il biondo.
Fui travolta dalla sua negatività e il mio sorriso si spense. «Non è andata bene con Jessica, vero?» provai ad indovinare.
«Mi ha riso in faccia.» si lamentò.
Come avevo immaginato, poverino. Mi aveva tormentato con la sua cotta per quella ragazza, chiedendomi persino dei consigli, ma lei lo aveva rifiutato ugualmente. Guardai Luke che stava masticando il suo panino con gli occhi bassi e le spalle curve, mamma mia che depressione.
Iniziai anche io a mangiare il mio pranzo quando mi venne in mente un'idea: «Ehi, perché non sentiamo gli altri per andare al bowling stasera?»
«Non c'è nessuno:» rispose, elencando poi le motivazioni: «mio fratello esce con Nessa, Kelsie è a casa con l'influenza, ed RJ deve lavorare.» sospirò, «Siamo solo io, te ed Ash.»
«Ehm, niente Ash.» precisai, «Ieri mi ha detto di avere un appuntamento con una che ha conosciuto in un locale.»
«Perfetto. » commentò sempre più giù, «Allora starò a casa a mangiare gelato e guardare film strappa lacrime, tutto da solo.»
Alzai gli occhi al cielo, a volte quel ragazzo era veramente esagerato. Mi schiarii la voce per ricordargli che c'ero anche io, ma non sembrò capire tanto che mi chiese se mi era andato qualcosa di traverso. Maschi: non capiscono niente, nemmeno se glielo sbatti in faccia.
«Potremmo andare io e te al bowling,» provai a proporgli, «tanto io non ho impegni e tu così non ti deprimi troppo. Ci stai?»
Luke si prese il mento tra pollice e indice e assunse un'espressione pensierosa, fingendo che stesse seriamente valutando quell'idea. Risi mentre accettava.
«Allora ti passo a prendere io alle otto.» dissi facendogli l'occhiolino.
 

*  *  *
 

Alle otto e cinque ero davanti a casa Hemmings, trovai Luke seduto sul marciapiede che mi stava aspettando, fermai la mia Mini Covertibile  celeste proprio di fronte a lui. Mi ammonì di essere in ritardo ma poi i suoi occhi si illuminarono nel notare la fantastica vettura a cui ero alla guida, ne seguirono ovviamente i suoi complimenti mentre vi saliva.
«Non credo di essere mai stato in macchina con te. Ad essere sincero non sapevo nemmeno che avessi la patente.» ammise.
«Lo immagino, non la uso spesso.» dissi partendo.
«Perché no?»
«Bhe, per andare a scuola il bus è comodissimo. Invece quando si esce con gli altri Ash si ostina a voler guidare lui,» spiegai, «e la mia piccolina non la faccio toccare a nessuno.» dissi poi accarezzando il cruscotto e rubando una risata dal mio passeggero.
«Sam, ma il tettuccio si può aprire?»
«Si certo. Aspetta.» premetti un pulsante e la capote si richiuse lentamente alle nostre spalle. Socchiusi gli occhi assaporando il vento tra i capelli.
«Posso fare una cosa?» chiese con gli occhi che gli brillavano. Dopo che gli diedi il premesso Luke si alzò in piedi gridando a braccia spalancate, poi si risedette euforico, «Wow. Fantastico!»
«Lo so.» commentai divertita. Tutti quelli che salivano su quell'auto mi chiedevano se potevano fare quello che aveva fatto Luke.
 

*  *  *
 

Feci manovra per sistemare la Mini nel parcheggio del Bowling e mi assicurai di aver chiuso porte e tettuccio; mentre io e Luke ci dirigevamo all'entrata, una moto sportiva nera ci sfreccio davanti per andare a mettersi nel posteggio riservato alle due ruote. Mi avvicinai al conducente insultandolo per averci tagliato la strada e lo ammonì di fare più attenzione, quello si sfilò il casco scoprendo un viso dalla pelle olivastra e un paio di occhi a mandorla.
«Buonasera ragazzi,» saluto quello, squadrandoci con aria incuriosita, «anche voi due qui?»
«Oh, guarda un po'.» commentò Luke, «Salve Hood.»
«Aspetto ancora le nostre scuse.» gli ricordai, eludendo la sua domanda.
«Si, scusate. Non vi avevo visto.» disse con un sorriso divertito. Alzai gli occhi al cielo: certo, come no.
«Sei da solo?» gli chiese Luke.
«No, c'è anche Michael.» rispose indicando poi un ragazzo con un cappellino da basketball in testa  vicino all'entrata del Bowling.
«Vi va di unirvi a noi?» puntai gli occhi spalancati sul biondo. Perché?
Calum ci pensò un po' su e poi sembrò accettare, dicendo che prima però bisognava vedere che ne pensava anche il suo amico. Così ci incamminammo tutti e tre verso di lui.
«Perché glielo hai chiesto?» domandai a Luke in un bisbiglio per non farmi sentire dall'altro ragazzo, «Lo sai che io e Clifford non andiamo d'accordo!»
«Non ti preoccupare. Sarà divertente, vedrai.» cercò di convincermi, «E poi ricorda che giorno è oggi: non ci prenderanno per una coppia se stiamo in gruppo.» spiegò.
Roteai gli occhi, ma il suo ragionamento non faceva una piega e non potevo dargli torto. Inoltre pensai che, se Mike avesse accettato, quella serata sarebbe servita anche a vedere se la nostra tregua fosse durata ancora o se avremmo dovuto dissotterrare l'ascia da guerra.
«Ehi Bro.» salutò Calum quando ci avvicinammo a Clifford, «Guarda un po' chi ho incontrato,» continuò indicandoci, «mi hanno proposto di fare una partita tutti e quattro; ti va?»
«Ehi Cal! Lucas, Samantha.» salutò il primo con un cinque della mano, mentre noi due con un cenno del capo. Michael puntò gli occhi grigio-verdastri nei miei, soppesando le parole dell'amico, «Si, va bene.» acconsentì poi.
Così prendemmo una pista tutti e quattro, la numero 11. Mi sentivo leggermente a disagio ad essere l'unica ragazza del gruppo, e sopratutto che ci fosse Clifford, avevo il terrore che combinasse qualcosa che mi avrebbe messo in imbarazzo. Allacciai le disgustose scarpe da bowling e mi sedetti in attesa che anche gli altri avessero fatto con le loro; poi iniziammo la partita.
Gli occhi del mio amico si illuminarono quando si accorse che i birilli erano stati verniciati in modo da assomigliare a dei pinguini, cosa che lo aveva fatto andare letteralmente in “brodo di giuggiole” tanto da non perdere l'occasione di farmelo notare più volte nell'intera serata. Io ogni volta alzavo gli occhi al cielo sempre più divertita: Luke e la sua passione  insensata per quel goffi pennuti neri e bianchi.
 

*  *  *
 

Diedi il cinque al biondo che stava tornando a sedersi dopo aver buttato giù otto pinguini-birilli e mi alzai per il mio turno. Scelsi la palla da 7 kg e feci due passi verso la pista, sentivo i commenti dei tre ragazzi, chiusi gli occhi respirando dal naso e la lanciai il più dritta possibile. Dai, dai, forza! pensai mentre la palla rotolava verso i birilli e incrociai le dita mentre quella colpiva il primo provando la caduta di tutti e dieci.
«Si, strike!» esultai tornando al mio posto, era il terzo di seguito.
«Wow. Ottimo tiro Sam!» applaudì Luke.
«Solo culo.» commentò invece Michael che probabilmente non gli andava giù che fossi più brava di lui anche in quel gioco.
«Non dargli retta: Mike è solo geloso.» mi difese Calum alzandosi per prendere il mio posto, «Sei davvero brava.»
Lo ringraziai sorridendo. Ero felice: quella serata stava scorrendo magnificamente e mi stavo divertendo un sacco. Io e il moro ci stavamo dando filo da torcere entrambi, superandoci a vicenda nei punti. Michael se la cavava e ci seguiva a ruota. Mentre Luke era già tanto se non mandava la palla fuori, anche se ero convinta lo facesse apposta perché gli dispiaceva colpire qualunque cosa assomigliasse ai suoi amati pinguini.
In quel momento la musica che si propagava di sottofondo si spense insieme alle luci di tutte le piste, suscitando lo stupore generale, e una voce (immaginai quella di un dipendente) annunciò che si sarebbe fatto un piccolo gioco in onore della notte di San Valentino: avrebbero acceso delle piste a caso e due dei giocatori si sarebbero dovuti dare un bacio. La trovai una pensata molto carina seppure scontata. 
Si accese la prima luce alla pista 18 e due si guardarono per un po' prima di scambiarsi un bacio imbarazzato sulle labbra. Tocco alla seconda, la 5, qui la coppia ci diede dentro con un bacio appassionato, sotto alle grida di approvazione dei vicini. Poi si accese la terza e credetti fosse uno scherzo.
«Tocca alla pista numero undici.» commentò la voce.
Mi guardai intorno imbarazzata incrociando gli sguardi incuriositi degli altri giocatori in attesa. Mi resi conto di essere di fronte a Calum, che prima si era avvicinato per farmi i complimenti per lo “strike”, e notai che le sue guance erano diventate rossissime. Alzai le braccia scuotendo i palmi davanti al torace per far capire che avevano sbagliato pista e che non ci sarebbe stato nessun bacio, e provocando solo commenti di disaccordo dal pubblico momentaneo.
Mi trovai a pensare che se in quel momento ci fosse stato Ashton sarebbe accorso sicuramente in mio aiuto. Puntai gli occhi sul mio amico sperando che trovasse una soluzione, ma inutilmente. Io fissavo Luke e  Calum guardava verso la pista, mentre tutto il locale osservava la scena in attesa.
Poi accadde l'impensabile: Michael si alzò superando il moro e, senza fare una piega, posò le sue labbra a ridosso delle mie in un fugace e veloce bacio, lasciando di stucco non solo me ma anche tutti gli osservatori.
«L'avete avuto il vostro bacio, no?» commentò osservando i vicini che si erano ammutoliti, «Non c'è più niente da vedere.» continuò poi tornando a sedersi, mentre le luci riprendevano ad accendersi inavvertitamente sulle altre piste.
«Grazie.» sussurrai, sedendomi accanto a lui.
«Prego, ma non montarti la testa.» mi avvertì.
Lo guardai stranita, su cosa dovevo montarmi la testa, lui? Siamo seri: non sarebbe mai successo, nemmeno in un milione di anni.
Intanto il gioco dei baci di San Valentino era finalmente finito e il nostro era ripreso. Calum tornò trionfante dopo aver fatto uno “spare” e lasciando il testimone all'amico che raggiunse la pista non prima di aver puntato un'altra volta gli occhi grigio-verdi nei miei.
Alla fine della partita Hood era uscito vincitore, Michael era riuscito a superarmi perché nei lanci successivi mi ero un po' distratta (sono restia ad ammettere che fu a causa dell'azione di Mike, sebbene sappia che sia vero), però lo seguivo a distanza di pochissimi punti, mentre Luke era entusiasta per essere riuscito a fare finalmente uno “strike” a fine serata, ma aveva comunque il punteggio più basso di tutti. “L'importante è divertirsi!” aveva commentato quando glielo avevo fatto notare durante il tragitto del ritorno; sorrisi dandogli ragione: era stava davvero una bella serata.

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Capitolo 6
*** 05. An unexpected new ***


Le settimane volarono con tranquillità, finché Febbraio giunse al termine, durante il quale la relazione tra mia madre e il signor Clifford si rafforzò ulteriormente. Inoltre, probabilmente per abituare le nostre due famiglie alla reciproca conoscenza, iniziammo a passare molto tempo in compagnia.
A scuola io e Michael ci ignoravamo come avevamo sempre fatto fino ad allora, nessuno dei due aveva mai accennato ai compagni della storia tra i nostri genitori (a parte Luke, a cui ovviamente avevo raccontato tutto) e ciò rendeva la mia vita scolastica serena, volevo decisamente evitare tutte le domande sull'argomento e sopratutto che mi associassero a Clifford.
Se a scuola ci evitavamo, quando invece ci vedevamo tra le mura domestiche ci scontravamo per la minima cosa, ma sempre lontano dagli occhi dei nostri genitori: come avevamo deciso in comune accordo non era il caso farli preoccupare per piccolezze insignificanti come i nostri litigi adolescenziali.
 

*  *  *
 

Era l'ennesimo sabato pomeriggio in compagnia dei Clifford, stavo passando davanti al soggiorno dove mamma e Daryl stavano parlando e fui incuriosita dalla loro conversazione così, raggiunta silenziosamente la cucina e nascosta dietro al muro, tesi le orecchie per captare qualche parola.
«… abbiamo tempo fino al ventidue.» stava dicendo Daryl.
«Non puoi rinnovare il contratto?» chiese mia madre, «Se hai bisogno di un prestito per...»
Un prestito, per quale motivo? A cosa doveva servire? Quella faccenda scottava ed era un peccato non essere riuscita a sentire tutto il discorso.
«No, no. Ti ringrazio, Rose-Anne.» la interruppe, «I signori Black mi hanno già detto che hanno intenzione di dare l'appartamento a loro figlio, e  quindi niente rinnovo.»
«Non ti preoccupare, vedrai che la risolviamo.» lo consolò mamma.
Avevo ascoltato abbastanza, avrei dovuto chiedere delle spiegazioni a Michael per saperne di più. Presi il pacco di biscotti che gli avevo promesso e tornai di corsa in camera, salutando con nochalance la coppia mentre passavo nuovamente dal soggiorno.
«Oh, alla buon'ora!» si lamentò il mio ospite, «Ma quanto ci hai messo?»
«Ecco i tuoi biscotti e non rompere!» dissi lanciandogli il pacco addosso, volutamente. Non riuscivamo proprio mai ad avere una conversazione normale;  che lo volessimo o no, prima o poi, si trasformavano sempre in battibecchi o discussioni. «Mi sono messa ad origliare i vecchi.» spiegai mentre mi sedevo recuperando il joystick per riprendere la partita che stavamo giocando.
«Ah, e che dicevano?» chiese sebbene non sembrasse molto interessato.
«Credo stessero parlando del vostro appartamento,» risposi prendendo un biscotto, «e di un contratto che non si può rinnovare. Ma non ci ho capito molto, non ho ascoltato dall'inizio.» conclusi addentandolo.
«Forse io ho capito.»
Aspettai un po' e, dopo aver fatto fuori il suo avatar ed avendo capito che per lui la conversazione era finita lì, continuai io il discorso con la curiosità a mille. «Puoi rendere partecipe anche me dei tuoi pensieri?»
«Viviamo in un appartamento in affitto.» rispose semplicemente.
«E quindi?»
«E quindi, se non ci rinnovano il contratto d'affitto, io e papà verremmo sbattuti per strada.»
«Oh, e dove andrete?»
«Non lo so, cazzo!» sbotto alzando la voce, «Fai troppe domande.»
Fui sorpresa dalla sua reazione e allora mi resi conto di aver toccato un tasto dolente. Dopo aver fissato i suoi occhi freddi nei miei, Michael serrò le labbra propenso a non dire più nulla e tornò con lo sguardo fermo sul monitor del televisore.
Il mio telefono si accese sulle note di “Knifes and pens” dei Black Veil Brides in avviso di una chiamata, salvandomi da quella situazione che era diventata piuttosto tesa. Mi alzai velocemente riconoscendo la canzone abbinata al contatto e risposi uscendo dalla stanza, lasciando Mike da solo con i suoi pensieri.
«Ehi, Ashton. Dimmi tutto.»
«Ciao, Sam. Sono con Luke e sei in viva voce.» annunciò.
«Ciao, Samantha! Come stai?» si intromise Hemmings.
«Con il mio aguzzino.» risposi, riferendomi a Michael.
«Oh bene, allora sono arrivati i tuoi cavalieri a salvarti.» scherzò Ash,  «Hai impegni: vuoi venire a prendere un gelato con noi e gli altri?»
«Non posso, ho avuto lo stesso invito da Honeycut per oggi. Mi dispiace tanto ragazzi.»
«Daniel Honeycut, il quarterback?» chiese Luke visibilmente sbalordito anche attraverso la cornetta.
«Si, lui. Perché?»
«Come “perché?” È uno dei ragazzi più popolari della Nortwest.» continuò il biondo, «Ci devi assolutamente uscire!»
«Decisamente.» assentì Ashton, «Allora buona fortuna, Sam!»
«Grazie!» risposi ridendo, «Salutatemi tutti.»
«Sarà fatto!» promise Ash.
«E tu facci sapere come va!» aggiunse Luke, prima che chiudessero la chiamata.
Sorrisi divertita alzando gli occhi al cielo. Misi il cellulare nella tasca dei jeans ed andai nella cabina armadio per iniziare a preparami per l'uscita.
Mentre ritornavo in camera mia a prendere le ultime cose il telefonò vibrò per un messaggio. Lo aprii: 

[ 5 minuti e sono da te, babe.
                                    Dan xx ]

Stranamente quella volta ero già pronta e non mi avrebbe dovuto aspettare, così mi sarei evitata anche una figuraccia già al primo appuntamento. Recuperai la borsa che avevo abbandonato sulla scrivania e ci misi dentro il telefonino, che andò a fare compagnia a chiavi e portafogli.
«Dove vai?» chiese Michael facendomi fare un salto dallo spavento: mi ero completamente scordata di lui.
«Non sono fatti tuoi.» risposi, dopo essermi un attimo ricomposta.
«Allora, con chi esci vestita così?» ripeté imperterrito indicando il mio vestitino bianco a righe orizzontali rosse.
«Con Daniel Honeycut.» risposi seccata.
«Fai attenzione!»  Lo guardai visibilmente sorpresa.  «Lo sai che cosa vogliono i giocatori di football,» spiegò, aiutandosi con gesti espliciti della mano, «sopratutto dalle ragazze carine come te.»  
Aspetta. Michael Clifford mi aveva appena fatto un complimento? Quel Michael Clifford?  Ero sempre più scioccata.
Il telefono vibrò in avviso di un nuovo messaggio, lo recuperai dalla borsa per leggerlo:

[ Sono fuori, esci.
                 Dan xx ]

«Devo andare.» dissi riponendo il cellulare.
Salutai Michael pregandolo di non fare cazzate con la mia console mentre io ero via, poi scesi le scale salutando anche mamma e Daryl, diedi un bacio sulla fronte a Marvin che stava guardano i cartoni animati, ed uscii di casa.
 

*  *  *
 

Infilai la chiave nella toppa facendo scattare la serratura ed aprendo la porta di casa. «Sono arrivata!» annunciai chiudendola alle mie spalle.
«Oh, bene. Samantha, ti stavamo aspettando.» mi raggiunse la voce ci mia madre.
Erano appena le sette e mezza di sera e li immaginai seduti al tavolo di fronte ad un piatto di pasta fumante, intenti ad attendere che la “principessa di casa” (ovvero io) tornasse. Così li raggiunsi nella sala da pranzo con già l'acquolina in bocca, e mi meravigliai quando sulla tavola non trovai nulla.
«Vieni, siediti.» mi accolse mia madre, «Io e Daryl abbiano qualcosa da dirvi.»
Guardai sorpresa Michael, che alzò le spalle al mio sguardo interrogativo, mentre prendevo posto tra lui e Marvin, che scalpitava sulla sedia chiaramente incuriosito.
«L'appartamento in cui viviamo Io e Michael è in affitto,» iniziò Daryl, dicendo ciò che io sapevo già, «e questo mese ci scade il contratto, senza possibilità di rinnovo.» fece una pausa, guardando la  donna che gli sedeva accanto con un sorriso, «Così io e Rose, abbiamo avuto un'idea.»
Ora quelle parole mi stavano spaventando ed incuriosendo allo stesso tempo. 
«Ne abbiamo parlato molto,» prese parola mia madre, «e abbiamo deciso che inizieremo a convivere.»
«Che cosa significa?» chiese Marvin con la manina alzata.
«Che vivremo tutti insieme, tesoro.» gli spiegò pazientemente mamma.
«Oh. Fico!»
Il bambino sembrava entusiasta dalla notizia, non sapeva che ciò significava avere altre due persone fisse in casa e quindi addio privacy e addio alla nostra solita routine.
«Sappiamo che sarà difficile ambientarsi all'inizio: è un grande cambiamento per tutti.» continuò mia madre, «Ma i tempi stringono!»
«E da quando inizieremo a vivere qui?» chiese Mike, che mi parve poco convinto da tutta quella faccenda.
«Il prima possibile: abbiamo appena tre settimane.» rispose il padre, «Da domani iniziamo a portare già alcune cose.»
Michael serrò le labbra come l'avevo già visto fare altre volte quando qualcosa non gli andava, ma il suo sguardo non esprimeva alcuna emozione.
«Bene ragazzi, andiamo a festeggiare?» propose Daryl attirando l'attenzione, «Che ne dite di una bella pizza?»
Ovviamente la risposta fu positiva da parte di tutti, così andammo a metabolizzare la notizia della nuova convivenza nella pizzeria più buona  della zona, che per nostra fortuna si trovava a pochi chilometri da casa.

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Capitolo 7
*** 06. Live Together ***


Come previsto i Clifford si trasferirono da noi nel giro di qualche giorno, o meglio, Daryl iniziò a vivere a casa nostra da praticamente subito, mentre Michael andava e veniva. Il padre gli aveva affidato le chiavi della precedente abitazione nell'attesa che scadesse il contratto d'affitto e spesso il ragazzo preferiva fermarsi li per restare da solo. Aveva bisogno dei suoi tempi e la coppia gli dava i suoi spazi. Per ora, le poche volte che si era degnato di fermarsi per la notte, aveva dormito su una brandina nella camera del mio fratellino .
Con il passare del tempo tutto sembrò andare a posto e anche Michael iniziò a passare sempre più tempo in nostra compagnia; finché, dopo le tre fatidiche settimane, decise di rimanere definitivamente (ovviamente non aveva avuto altra scelta, a meno che non preferisse dormire sotto ad un ponte).
Inizialmente la convivenza con i Clifford al completo sembrò andare bene: credevo che dopotutto non sarebbe stato così difficile riuscire a sopportare Michael, anche perché di solito  se ne stava tutto il tempo con le cuffie (ipotizzai che quel suo isolamento fosse per evitare contatti con la realtà) e si aggirava per la casa come uno zombie, passandomi davanti senza nemmeno rivolgermi la parola. E a me stava bene così.
A scuola la situazione non era tanto diversa da quella a casa poiché in quel breve lasso di tempo tra i corridoi si era sparsa la voce della convivenza tra  Harris e Clifford (le notizie corrono veloci!). E Michael, dopo tutte le domande che gli venivano fatte e sopratutto le frecciatine sul fatto che ora abitasse proprio a casa della ragazza che aveva sempre preso di mira, si era chiuso a riccio. I suo solito gruppo di amici, probabilmente stufatosi dei suoi comportamenti alquanto lunatici, lo avevano emarginato. Solo uno, Calum Hood, era rimasto nella vana speranza di riuscire ad abbattere il muro che Mike aveva costruito intorno a se. Mi faceva quasi pena a vederlo così giù, non sembrava nemmeno più lui.


*  *  *
 

Mi guardai intorno trovando il cortile della scuola solitamente vuoto, immaginai che molti avevano visto in quell'ultimo venerdì prima delle vacanze di Autunno un pretesto per rimanere a casa. Il mio sguardo si posò su un ragazzo che avevo iniziato a conoscere fin troppo bene negli ultimi tempi; così mi diressi a passo sicuro verso al tavolo più isolato dov'era seduto, notai qualcuno lanciare occhiate incuriosite mentre prendevo posto davanti a lui.
«Mamma ci rimarrebbe male a sapere che non ti piace il pranzo che ti ha preparato.» dissi riferendomi al suo panino mangiato a metà, cercando di rompere il ghiaccio.
«Vattene.» rispose in un sibilo.
Feci un profondo respiro per restare calma ed evitare di insultarlo. «Mike, mi vuoi dire cosa c'è che non va?» continuai imperterrita, posando una mano sulla sua, cercando di dargli conforto.
Non lo avessi mai fatto: Michael tolse subito la mano da sotto alla mia saltando in piedi adirato. «Ho detto vattene!» ripeté, questa volta gridando. Ora avevamo l'attenzione di tutti addosso. Perfetto.
«Se allontani anche le persone che cercano di aiutarti non ti lamentare se poi rimarrai solo!» risposi per le rime alzandomi dal tavolo e andandomene senza voltarmi.
 

*  *  *
 

Era l'ultima ora e Mrs Jackson stava spiegando come suo solito le noiosissime espressioni matematiche che tanto odiavo.
Stavo scarabocchiando su un foglio per passare il tempo quando sentì il telefono vibrare nella tasca dei jeans. Lo presi tenendolo nascosto sotto al banco, era il messaggio di un numero sconosciuto:

[ Michael deve dirti una cosa. ]

Mi voltai verso il suo banco, Calum che gli era seduto accanto alzò la mano in segno di saluto e immaginai fosse suo.  Digitai velocemente una risposta:

[E che me lo dica!
O ha bisogno dell'ambasciatore che parli per lui? ]

Vidi Hood rabbuiarsi nel leggere il mio messaggio. Mi sentì un po' in colpa, quella volta Calum non aveva fatto nulla e io me la stavo prendendo con lui. Poi il mezzo neozelandese diede una gomitata all'amico, Michael un po' innervosito  puntò gli occhi nei miei e con le labbra mimò uno “scusa”.
Gli feci vedere il pollice in su, in modo che capisse che era tutto ok. Sebbene non avessi ancora mandato giù il modo in cui si era girato poco prima, sopratutto dopo che mi ero esposta per aiutarlo nonostante tutti gli scherni che avevo subito da parte sua, ma sapevo che quello era il massimo che potevo aspettarmi da lui.
Mi venne in mentre una cosa, presi il telefono (tenendolo ovviamente nascosto) e cercai il numero di Michael:

[ Sei venuto in macchina oggi? ]

Mi ricordai che quella mattina, quando ero uscita per prendere il bus, Mike stava ancora dormendo, e poi arrivata a scuola me lo ero trovato davanti.

[ Si, perché?]

Proprio come sospettavo.
 

[ Me lo dai un passaggio fino a casa? ]

Tanto dovevamo andare entrambi nello stesso posto.
Guardai Michael che mosse il capo, lo interpretai come una risposta affermativa. Mi voltai verso la lavagna per continuare a “seguire” la spiegazione, in attesa che la lezione finisse.
 

*  *  *
 

Ero fuori dai cancelli della scuola in attesa che Michael passasse per caricarmi in macchina, l'avevo visto fermarsi alla fine della lezione per scambiare due chiacchiere con Hood e io ne avevo approfittato per fare  lo stesso con Luke che invece stava aspettando il bus. Stavamo commentando la giornata quando sentì il rumore di un'auto di mia conoscenza.
«Quello non è Clifford?» chiese Luke.
Mi voltai. Michael stava varcando la cancellata alla giuda di una Mini Covertibile celeste.  Mi sentì avvampare dalla rabbia: Stava guidando la mia Mini! Non la usavo io per andare a scuola, perché doveva farlo lui?!
«È proprio un gioiellino quest'auto.» disse mentre mi passava davanti.
Feci per salire, soffocando un attacco di isteria, ma un'altra ragazza mi precedette saltando nel posto del passeggero approfittando del tettuccio reclinabile.
«Ci vediamo a casa. Ciao!» detto ciò Michael parti senza darmi il tempo di replicare. Mi raggiunse una risata mentre la mia auto si allontanava.
 

*  *  *
 

Entrai in casa livida di rabbia, alla fine avevo dovuto prendere il pullman per colpa di quell'idiota. «Mamma!» chiamai, dovevo assolutamente dirle quello che aveva combinato.
«Non c'è.» la voce di Michael mi raggiunse dal piano superiore.
«Con te non ci parlo. Sei uno stronzo!» gridai in risposta, «Dov'è?»
«È andata a prendere Marvin.»
A passi pesanti lo raggiunsi al piano di sopra: dovevamo fare quattro chiacchiere. «Mi devi minimo delle scuse.» dissi appoggiata allo stipite della porta della camera del mio fratellino. Michael non mi degnò nemmeno di uno sguardo, ma notai che cercava di nascondere un sorriso. «Ti è sembrato divertente?» continuai sempre più incazzata.
«Si, molto!» rispose mentre mi passava vicino superandomi con uno zaino sulle spalle.
«Che stai facendo?»
«Trasloco.» disse mentre si dirigeva verso la mia camera da letto, ma poi si voltò verso la porta della cabina armadio.
Capì solo allora cosa intendeva: si stava spostando in un'altra stanza!  Tutto sembrò muoversi al rallentatore: mi fiondai verso di lui, gridando il mio dissenso, allargando le braccia e piazzandomi davanti alla porta.
«Questa è la mia camera!»
«Tu hai già una camera.» mi fece notare lui, che stava già perdendo la pazienza, indicando la porta alle sue spalle (ovvero la mia stanza vera e propria). Le nostre grida si sentivano in tutta la casa, ma tanto non c’era nessuno. «Fammi passare!» continuò lasciando cadere lo zaino sul pavimento e spingendomi con forza di lato per impugnare la maniglia della porta.
«NO!» urlai io in tutta risposta e lo tirai via, ritornando a difendere il mio territorio, «Torna nella camera di Marvin.»
«Sei un egoista e un’idiota!» gridò il ragazzo, «Levati!»
«Ha parlato quello che mi ha lasciato a piedi,» gli ricordai, «e con la mia auto persino!»
Ci stavamo insultando per bene, quando sentii il rumore della chiave girare nella porta di casa: mamma doveva essere arrivata, lei avrebbe risolto la situazione.
«Mamma, mamma!» gridai a gran voce senza spostarmi di un solo millimetro, mentre il ragazzo mi osservava con la schiena poggiata al muro di fronte, lo sguardo arreso e le braccia conserte.
«Dimmi tesoro.» mio madre ci raggiunse al piano di sopra.
Iniziai così a spiegarle la situazione e di quello che era successo dall'uscita da scuola. Quando ebbi finito, lei prima guardò me e poi posò gli occhi su di lui. «Mike, caro, perché non inizi a mettere a posto le tue cose nella tua nuova stanza?» gli disse amorevolmente.
Allora era stata mamma a dargli il permesso di spostarsi. Traditrice!
«Ma…» iniziai io, quasi balbettando, mentre il ragazzo varcava la soglia guadandomi con gli occhi verdi colmi di trionfo e di sfida. «E non gli dici nulla che ha preso la mia auto senza permesso?!» commentai ancora.
«Gli ho detto io che poteva prenderla, era in ritardo.» spiegò la donna.
Era sempre più sconcertata: come aveva potuto dare il permesso a quel disadattato di guidare la mia macchina. Ancora più traditrice!
«Non fare così, Sam.» cercò ancora di consolarmi mia madre. «Ti ho  spostato i vestiti nel guardaroba in camera tua.»
«Io non ho un guardaroba!» sentenziai.
«Oh che sbadata, mi sono scordata di dirtelo. Mentre eravate a scuola Daryl ti ha montato un suo armadio che aveva nella vecchia casa, spero ti piaccia.»
Non risposi, andai in camera sbuffando e battendo i piedi a terra, la porta sbattè alle mie spalle: il nuovo armadio stava li, appoggiato contro la parete; andai ad esaminarlo constatando che i miei vestiti erano stati stipati tutti là dentro, erano così tanti che per poco non rischiai di finire sepolta dai miei stessi indumenti. Mi fecero quasi pena.
Sotto sotto me lo sarei dovuto aspettare, non potevo pretendere di avere due stanze (una per il letto e l’altra per il vestiario) mentre Michael era obbligato a condividere la stanza con Marvin, quasi come un reietto: mi ero comportata da egoista. Purtroppo i sensi di colpa non erano abbastanza per sovrastare il mio orgoglio, quel ragazzo si stava appropriando pian piano delle mie cose e la cosa non mi andava giù, ma dovevo conviverci, per la felicità di mamma.
Mi stesi sul letto, per cercare di calmarmi un po’ mettendomi gli auricolari. Rimasi così per un’oretta buona con la musica che martellava nelle orecchie, ma l’arrabbiatura non intendeva andarsene: quel ragazzo riusciva a mandarmi su tutte le furie solo con la sua presenza. Decisi che la cosa migliore per calmarmi fosse una doccia rilassante, così senza nemmeno togliermi le cuffiette mi recai al bagno.
Aprii la porta canticchiando e, dando le spalle alla doccia, iniziai a svestirmi. Con le orecchie occupate dalla musica non avevo sentito l’acqua scorrere finché non mi scivolò un auricolare dall'orecchio mentre mi sfilavo la maglietta: qualcuno aveva lasciato il rubinetto aperto.
Lentamente mi voltai, la tenda della doccia era chiusa e il vapore caldo saliva al soffitto, mi avvicinai per andare a chiudere l’acqua. Avevo appena allungato un braccio quando quella smise da sola di scorrere e la tenda si mosse: a quanto pareva non ero l’unica ad aver avuto l’idea di fare una doccia.  Rimasi bloccata così, a fissare la tenda in plastica azzurra che veniva spostata di lato, e mi ritrovai di fronte il viso stupito e bagnato di Michael. Passò un secondo in cui entrambi ci guardammo increduli, prima che iniziassimo a gridare tutti e due.
«Oddio, ma sei nudo!» urlai portandomi una mano per interrompere quella orribile visione, «Copriti!»
«Mica faccio la doccia con i vestiti.» rispose lui secco, tirandosi la tenda davanti per nascondere la sua nudità.
«Non mi guardare!» gli urlai rendendomi conto che ero coll'intimo indosso, così mi avviluppai addosso il primo asciugamano che riuscii a trovare.
«Tranquilla, tanto non c'è nulla da guardare.» disse lui di rimando. Lo fulminai con lo sguardo, offesa. «Che cosa ci fai qui? Non hai visto che il bagno era già occupato?!»
«No! Volevo fare una doccia… perché non ti sei chiuso a chiave?»
«E tu perché non bussi?» chiese di rimando. «Comunque se vuoi possiamo condividerla.» continuò con tono ammiccante.
«Oddio che schifo! Dimmi che non l’hai detto veramente. Ma neanche per sogno!» risposi disgustata.
«Sappiamo entrambi che ti piacerebbe!» mi gridò dietro mentre me ne andavo.
Uscii dal bagno ancora più arrabbiata di prima: non solo Michael si era appropriato della mia casa, della mia auto e della mia cabina armadio, ma ora anche della mia doccia. Questa volta era davvero troppo.

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Capitolo 8
*** 07. Secrets ***


Posai a terra il mio borsone per aiutare Marvin ad allacciarsi le scarpe, Daryl mi passò vicino portando la valigia viola di mia madre e dirigendosi verso la Rang Rover aperta già stracolma di bagagli. La sera prima mamma ci aveva annunciato che avremmo festeggiato la Pasqua nella casa al mare. Lei non aveva appuntamenti di lavoro in quel periodo (è un'agente immobiliare di SweetHouse, un'agenzia fondata da mio nonno), mentre Daryl aveva momentaneamente chiuso il suo negozio di elettronica; quindi ci potevamo permettere una breve vacanza, che equivaleva ad un dozzina di giorni.
Quando ebbi finito con le scarpe del mio fratellino, mi avviai anche io alla macchina analizzando il bagagliaio in cerca di un buco dove infilare il mio borsone (un'impresa alla Tetris); Michael mi superò lanciando il suo e provocando solo una caduta generale delle altre valigie. Imprecai mentre mi adoperavo per rimettere a posto il casino che aveva combinato quel fannullone che, senza nemmeno curarsi di aiutarmi, si era già accomodato davanti.
Daryl lo riprese immediatamente: «Li si siede Rose-Anne, voi tre state dietro.» spiegò mentre accorreva in mio aiuto.
«Io voglio Mikey vicino!» sentenziò il bambino tirando il ragazzo, che sbuffando aveva ceduto il posto a mia madre, trascinandolo verso la porta dietro.
Chiusi la portiera del bagagliaio e raggiunsi gli altri due, prendendo posto accanto a Michael che era stato obbligato al posto al centro. Daryl si sedette alla guida e diede il via ad un noioso viaggio di pressoché due ore. Nel giro di pochi minuti Marvin si era già addormentato. Io cercai di resistere, ma non potevo nulla contro i viaggi in auto che per me avevano da sempre avuto un'azione soporifera fin da quando ero piccola, così alla fine chiusi gli occhi lasciandomi cullare.
 

*  *  *
 

Mi svegliai solo quando il motore dell'auto si spense, segno che eravamo giunti a destinazione ed io non me ne ero nemmeno accorta.
«Buongiorno piccoli dormiglioni.» ci salutò mia madre, sporgendosi dal sedile davanti, «Scusate ma non ho potuto resistere dal farvi una foto mentre dormivate così beatamente: guardate come siete belli!»
Osservai l'immagine racchiusa nel display del telefonino che mamma mi stava porgendo: raffigurava due adolescenti e un bambino profondamente addormentati, mi soffermai su me stessa appoggiata con la guancia alla spalla di Michael. Mi sentii avvampare scoprendo di stare arrossendo.
«Si, proprio belli!» commentai con un sorriso.
«Rose-Anne è mezzogiorno, perché tu e Samantha non iniziate a preparare il pranzo, mentre io e i ragazzi togliamo i bagagli dalla macchina?» propose Daryl che stava togliendo la cintura a Marvin, scrollo poi la spalla del figlio per svegliarlo: «Michael, per te va bene?»
Il ragazzo rispose con un “si” biascicato mentre sbatteva gli occhi confuso.
Scesi dalla macchina seguendo mia madre all'interno del nostro modesto chalet in legno a ridosso della spiaggia, assaporando l'odore di salsedine e ascoltando il suono lontano delle onde.
 

*  *  *
 

A metà giornata avevamo già finito di sistemarci: mamma e Daryl ovviamente si erano messi nella stanza padronale, invece io e Michael finimmo insieme nella piccola mansarda poiché la donna preferiva che il bambino non salisse la scomoda scaletta ed aveva perciò preparato un lettino per lui al piano terra.
Eravamo tutti e cinque sulla spiaggia in riva al mare a goderci il sole di fine Marzo: Marvin e Michael si erano buttati subito in acqua mentre io ero rimasta insieme ai due adulti a guardarli giocare a schizzarsi.  Trovai una scusa per ritornare in casa e mettere così in atto il piano di piccola e sana vendetta che mi ero preparata prima della partenza; non avrei fatto passare liscia a Mike il fatto che avesse preso la mia auto senza il mio permesso e poi, dopo tutti gli scherzi che aveva fatto lui a me, questo se lo meritava proprio.
Raggiunsi la mansarda cercando la boccettina di plastica (uno shampoo colorante comprato tempo prima e mai usato) che avevo nascosto sul fondo della mia borsa, mi recai nel piccolo bagno che condividevo con Michael prendendo dalla doccia il suo shampoo personale (avevo scoperto infatti che il ragazzo era estremamente fissato con i suoi capelli) e vi versai dentro il contenuto della boccettina: quando Mike si sarebbe lavato i suoi amati capelli avrebbe avuto una sorpresa. Sorrisi maliziosamente immaginando già la scena; rimisi tutto a posto e tornai dagli altri come se nulla fosse.
 

*  *  *
 

Alla fine Michael aveva usufruito della doccia presente in spiaggia per togliersi il sale di dosso, quindi avrei dovuto pazientare per vedere i frutti della mia vendetta. Dopo cena si era subito buttato nel letto, sfinito per la giornata passata al mare, e io l'avevo seguito a ruota.
Mi rigirai nel letto avviluppandomi nelle lenzuola in preda ad un brivido di freddo, un soffio d'aria mi accarezzò l'orecchio sinistro. Aprii gli occhi guardandomi intorno, nel buio della stanza riuscì a distinguere il letto disfatto di Michael; spostai l'attenzione all'unica finestra che dava sulla tettoia delle chalet trovandola stranamente aperta.
Mi alzai per andare a chiuderla e sbirciando nella notte scoprii una figura seduta sul tetto, lo sguardo fisso sul mare all'orizzonte. Scavalcai l'infisso e silenziosamente andai a mettermi al suo fianco.
«Ehi, Mike.» salutai sussurrando.
«Ciao Samantha,» spostò lo sguardo su di me, «ti ho svegliato?»
«No, tranquillo.» mentii, «Tutto bene?»
«Si.» gli occhi di nuovo persi oltre l'orizzonte.
«A cosa stai pensando?»
«Che non ho mai fatto il bagno di notte.» disse dopo un breve silenzio. Mi guardò di nuovo sorridendo, un sorriso che trovai comunque estremamente malinconico. Rimasi in silenzio annuendo, sapevo che mi stava mentendo, ma decisi di assecondarlo. «Ti va di andare adesso?» chiese con gli occhi che brillavano come quelli di un bimbo furbetto.
«Dove?» domandai incuriosita.
«A fare il bagno di mezzanotte!» rispose euforico.
«Credo che la mezzanotte sia passata da un po'.» gli feci notare, era probabilmente l'una passata.
«Oh, non prendere tutto alla lettera.» disse mentre rientrava dalla finestra, «Dai, vieni.»
Lo seguii silenziosamente, facemmo attenzione a non svegliare nessuno ed uscimmo di casa. Arrivati sulla spiaggia ci togliemmo i vestiti rimanendo in biancheria intima (mi aveva vietato di mettermi il  costume dicendo che così avremmo perso tempo); passarono alcuni minuti dove osservammo le onde infrangersi sul bagnasciuga.
Poi Michael iniziò ad immersi, quando il liquido scuro gli arrivò sopra alla vita mi invitò a raggiungerlo. Mossi un passo verso di lui rabbrividendo quando il mio piede entrò in contatto con l'acqua fredda, mi feci coraggio e continuai lasciando che il mio corpo si abituasse alla temperatura di quel mare nero.
«Non hai paura che ci siano gli squali?» chiesi quando lo ebbi raggiunto.
«Se rimaniamo nell'acqua bassa no, e poi penso ci siano le reti.» mi tranquillizzò.
«Si, lo credo anche io.»
Notai che Michael mi stava guardando con troppa insistenza, ma per qualche strano motivo non volli farglielo notare. «Hai un bel corpo.» ammise lui subito dopo.
Lo ringraziai sorridendo. Sebbene fossimo entrambi nudi non mi sentivo affatto in imbarazzo, in quel momento non mi sembrava nemmeno che fosse così strana come situazione. Sarà stato per la notte, che mi ero illusa potesse nasconderci nel buio etereo dalla luna nuova e con la sola fioca luce delle stelle a farci compagnia, o per la magia che si era creata tra me e quel ragazzo facendo sembrare tutto solamente uno strano e piacevole sogno; ma decisi di staccare la mente per un momento e di lasciarmi trasportare dalle emozioni.
Michael mi propose di fare una nuotata notturna. Quando ci fermammo per riprendere fiato, cercai con il piede di raggiungere il fondale però mi resi conto che l'acqua era troppo alta e che riuscivo solamente a sfioralo con la punta delle dita.
«Non tocco.» gli dissi muovendo le braccia per tenermi a galla.
«Io si, aggrappati a me.»
Feci come mi aveva detto, cingendogli il collo con le braccia e trovando in lui l'appiglio solido che stavo cercando. In quel momento eravamo davvero vicini, tanto che i nostri nasi quasi si sfioravano e i miei occhi si persero nei suoi, pensai al mare nero come le sue iridi e al cielo blu come le mie che erano un tutt'uno in quel preciso istante.
Tutto accadde così velocemente che mi resi conto delle nostre labbra estremamente vicine solo quando fu inevitabile. Non capii chi dei due fece il primo passo, ma assaporai quel bacio, dapprima timido e maldestro, reclamandone altri ed altri ancora, sempre più appassionati.
Solo quando ci staccammo capì quello che era appena successo e fui sopraffatta dalle domande: Perché? Che cosa significava? Ed ora che sarebbe successo? Come ci saremmo dovuti comportare?
Feci per parlare e dar voce ai miei pensieri, ma Michael mi precedette. «Questo sarò il nostro piccolo segreto,» sussurro sulle mie labbra, appoggiando la fronte alla mia, «Va bene?»
Annui posando nuovamente le labbra sulle sue.  «Sei felice di vedermi?» domandai subito dopo, ridendo e facendo rifermento ad una certa presenza.
Michael sembrò imbarazzarsi. «Ehi è una cosa involontaria, non lo posso controllare.»
«Ti sto prendendo in giro, scemo.» lo tranquillizzai e la sua risata si unì alla mia.
Restammo ancora un po' così, abbracciati in un mare nero, lasciandoci cullare dalle onde e poi ritornammo lentamente a riva. Ci sedemmo sulla sabbia ad aspettare che giungesse l'alba, appoggiai la testa sulla sua spalla assaporando quel momento fino all'ultimo secondo.
«Stavo pensando a miei genitori.» disse Michael rompendo il silenzio, all'inizio non capì subito a che cosa si riferisse così restai in silenzio lasciandolo parlare, «Prima sul tetto, quando mi hai chiesto a cosa stessi pensando, pensavo ai miei genitori.» fece un breve pausa, «Avevo sempre sperato che tornassero insieme, che saremmo potuti essere di nuovo una famiglia. Ma ora, dopo l'inizio di questa convivenza, ho capito che era tutta un'illusione,» poggiai una mano sul suo braccio, Mike si voltò verso si me, «Non mi fraintendere: Rose-Anne è una persona fantastica, ma...»
«Ma non è tua madre.» continuai per lui che annui alla mia affermazione, «Non puoi passare più tempo con lei? Non so, andarla a trovare?»
«Si, certamente. Tra due settimane vado da lei,» spiegò, «ma ora che abita a Melburne le occasioni per vedersi sono sempre poche.»
«Capito.»
«E tu invece?» chiese, «Cioè, vostro padre...»
«È morto.» lo anticipai, Michael si ammutolì all'istante senza sapere più cosa dire. «È stato investito da un pirata della strada cinque anni fa, Marvin non aveva nemmeno un anno allora.» continuai, lo sguardo perso nel vuoto e nei ricordi.
«Mi dispiace Sam, davvero. Io...»
«Non ti preoccupare, tu non potevi saperlo. Non l'ho mai detto a nessuno.» lo tranquillizzai, «Torniamo in casa, inizio ad avere freddo.»
Mi alzai cercando di trattenere le lacrime che provavano sempre a sfuggire quando parlavo di mio padre, tenendomi a Michael mentre ci incamminavamo verso lo chalet ed aggrappandomi alle sue dita per cercare un conforto.

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Capitolo 9
*** 08. Pink hair and colorful eggs ***


Quando mi svegliai il mattino successivo pensai che quello che ricordavo della notte precedente fosse tutto frutto della mia immaginazione, un sogno che era solo sembrato un po' troppo reale. Poi assaporai l'odore di salsedine sulla mia pelle, a conferma che non avevo affatto sognato. Mi portai due dita alla bocca a sforare con i polpastrelli le labbra. E quei baci, anche quelli erano stati veri?
Mi accorsi che Michael non era nella stanza, sentii il rumore dell'acqua scrosciante provenire dalla porta del bagno e mi tornò in mente anche lo scherzo che avevo progettato il giorno prima. Mi salì il panico, ora avevo due scelte: affrontare Mike che sarebbe uscito a momenti dalla doccia o far finta di nulla e negare ogni cosa, in entrambi i casi sarebbe stato furioso. Optai per la seconda. Legai velocemente i capelli in uno chignon scomposto e mi precipitai al piano inferiore, in veranda trovai mamma e Marvin fare colazione mentre  Daryl leggeva il giornale, mi accomodai al tavolo con loro dando a tutti il “buongiorno” e una “felice Pasqua”. Mamma iniziò ad elencarmi il programma della giornata, ma non riuscì a darle molta retta perché nella mia testa avevo solo un pensiero fisso che mi tormentava: lo scherzo a Michael.
Mi accorsi che l'acqua della doccia aveva smesso di scendere e, in attesa del fatidico momento in cui si sarebbe guardato allo specchio, cercai di pensare positivo e sperai che il colore, essendo vecchio lo shampoo,  non avesse attecchito sui suoi capelli castani. Attesi un urlo o almeno un'imprecazione che però non arrivò e così credetti che le mie “preghiere” erano state esaudite.
«'Giorno.» fece Mike raggiungendoci.
Io davo le spalle alla porta, notai solo mia madre fare una faccia strana e Daryl con praticamente gli occhi fuori dalle orbite; iniziai a sudare freddo. Mi girai cercando di mantenere la calma, quando li vidi rimasi schioccata: che cazzo avevo combinato? Il colore non solo aveva preso magnificamente, ma sulla testa di Michael spiccavano dei fantastici capelli fucsia.
«Bhe, perché avete tutti quella faccia?» chiese sedendosi al tavolo e versandosi i cereali in una tazza con del latte.
«Sembri un uovo di Pasqua!» commentò divertito mio fratello, mentre l'aria veniva riempita dalle sue risate.
«Marvin!» cerco di zittirlo mia madre, poi si rivolse al ragazzo che sembrava non capire il motivo della reazione del bambino, «Michael, caro, cosa ai fatto ai capelli?»
«Ai capelli? Nulla, perché?» rispose l'interessato. Iniziai a torturarmi l'interno della guancia mentre Mike afferrava un cucchiaio e osservava la sua immagine riflessa sulla concavità della posata. «Oh porca tr...» commentò  correndo nel bagno per guardarsi meglio allo specchio.
Lo raggiunsi, cercando di trovare una scusa plausibile. Restai ferma sulla porta osservandolo mentre si torturava i capelli visibilmente sconvolto; poi Mike mi notò nel riflesso dello specchio e si voltò imperando su di me. «TU! Sei stata tu a farmi questo?»
Aveva capito tutto, e io non avevo alcuna via di fuga.
«Michael, posso spiegarti tutto.» dissi mettendo le mani davanti per difendermi, «Giuro che non era mia intenzione.»
«Non me ne fotte un cazzo!» era livido di rabbia e ormai mi sovrastava in tutto il suo metro e novanta. «Sarò lo zimbello della scuola ora!»
«Si può sistemare,» cercai di tranquillizzarlo, «ti faccio una tinta del tuo colore.»
«Ormai il danno è fatto!» detto ciò se ne andò facendo intendere che per quella giornata non mi sarei dovuta avvicinare a lui, cosa che comunque avrei fatto per fargli sbollentare un po' la rabbia.
 

*  *  *
 

Nonostante l'episodio dei capelli, mamma ci obbligò a seguire il programma della giornata, così ci sedemmo al tavolino di plastica in veranda mentre lei ci porgeva  un pacco contenente uova di polistirolo e delle tempere per dare via alla nostra “vena creativa”. Marvin afferrò subito un ovetto e con il pennello in mano iniziò a dipingerlo di verde, io feci lo stesso prendendo la tempera rosa ed evitando di incrociare lo sguardo di Michael che sapevo ancora infuriato.
Dopo aver dato un'ultima pennellata finale guardai soddisfatta il mio lavoro: avevo disegnato alla bene e meglio un fiore arancione su sfondo azzurro, posai l'uovo che avevo in mano accanto a quello che avevo decorato poco prima con strisce concentriche rosa e gialle, e ne presi il terzo e ultimo dal pacco.
Guardai sul tavolo difronte a Marvin su cui sostavano due uova già finite: una verde a pois bianchi e una ricoperta da strisce di diversi colori, gli stessi che risaltavano anche sulle mani e sul viso del bambino intento a disegnare un simpatico coniglietto su un altro uovo. Spostai poi lo sguardo su Michael che invece ne aveva decorato uno solo con del rosso sgargiante e una grossa M nera sul davanti, due uova bianche giacevano anonime davanti a lui.
«Avete finito ragazzi?» chiese mia madre avvicinandosi a noi,
Marvin annuì energicamente mostrandole le tre uova che aveva decorato, ottenendo l'apprezzamento della donna. Io posai quello che non avevo ancora iniziato e inspirai a fondo accorgendomi solo all'ora dell'odore di barbecue che riempiva l'aria, mi venne l'acquolina in bocca.
«È ora di pranzo, Daryl ha grigliato tutta la mattinata.» spiegò, «Venite a mangiare?»
Ci alzammo tutti e tre in piedi correndo verso il tavolo apparecchiato sulla sabbia; quasi come dei selvaggi che non mangiano da secoli, pensai.
«Le avete lavate le mani?» ci domandò mia madre ridendo, conoscendo già la risposta.
Così, dopo aver cercato inutilmente di mentire negando l'evidenza, ci recammo con la stessa energia al bagno superandosi a vicenda per poter arrivare primi al tavolo, con la paura che qualcuno potesse finire la quantità industriale di carne che Darly aveva grigliato egregiamente. In quel contesto sembravamo degli animali e immaginai che chiunque avesse visto la scena da fuori avrebbe sicuramente riso di gusto, come appunto stavano facendo i due adulti che ci stavano aspettando per iniziare a mangiare.
 

*  *  *
 

La giornata di Pasqua era continuata con vari giochi sulla spiaggia, mia madre ci aveva severamente vietato di fare il bagno perché tra una chiacchiera e un'altra avevamo finito di pranzare che erano le tre passate, e quindi ci eravamo dovuti inventare altri passatempi, dopo aver ovviamente aperto le tre uova di cioccolato (una grande per Marvin e due più piccole per me e Michael) che la mamma aveva comprato al supermercato qualche giorno prima.
Avevamo fatto una gara di castelli di sabbia con giudice mamma che aveva ovviamente fatto vincere Marvin che era stato aiutato da Daryl, anche perché io e Michael finimmo per distruggerci a vicenda le nostre opere lasciandole così incompiute. Avevamo poi fatto una partita a Beach Volley “maschi contro femmine” mentre il bambino riposava, dove avevamo stracciato padre e figlio. E avevamo continuato con altri giochi come tiro alla fune e ruba bandiera fino al tramonto.
Dopo aver optato di non fare cena, essendo ancora pieni come uova (per restare in tema) dal pranzo, avevamo deciso di continuare la serata con la visione di un DVD. Gli adulti ci avevano mandato avanti per rimane un po' soli e affidandoci l'incarico di scegliere, ma si era accesa una polemica su quale fosse il film più adatto da vedere tutti insieme.
«Io voglio vedere Rise of Guardians!» aveva esordito il mio fratellino  con già la custodia in mano.
«Si, mi piace.» gli diedi corda io. Adoravo quel cartone animato e, sebbene non potessi ammetterlo apertamente, avevo una amore platonico per il personaggio di Jack Frost.
«Ma non c'entra nulla con oggi.» si era lamentato invece Michael per andarmi appositamente contro.
«Ti sbagli!»
«Ma se è un film sul Natale.» continuò, fissando gli occhi verdi colmi di sfida nei miei azzurri che ricambiavano pienamente.
«Errato: si svolge nel periodo di Pasqua. » gli feci notare.
«Ma se c'è Santa Claus.» cercò di ribadire.
Stavo per replicare, ma intervenne mio fratello iniziando ad elencare tutti i personaggi presenti nel lungometraggio. Nel pieno della discussione erano rientrati mia madre e Daryl.
«Non vi possiamo lasciare soli un secondo che già iniziare a litigare voi due.» ci apostrofò l'uomo riferendosi a me e Michael, scuotendo poi teatralmente la testa. Ovviamente non era veramente arrabbiato, più che altro divertito.
«Non riusciamo a scegliere: idee contrastanti.» ammisi, nascondendo il leggero imbarazzo nell'essere stati colti in fragrante.
«Che cosa volevi guardare?» chiese la mamma al bambino, che le mostrò la custodia del DVD stretta tra le manine. «Per me va bene. Daryl?» si voltò verso il compagno che annuì.
Non potei fare a meno di esultare quando alla fine la proposta di Marvin era uscita vittoriosa con addirittura doppio pollice in su da parte dei genitori; ed era ovviamente felice di rivedere il mio adorato “ragazzo del gelo”.
 

*  *  *
 

Mi rigirai tra le coperte, come stavo facendo da quando mi ero coricata, senza riuscire a prendere sonno. Nella mia testa si susseguivano troppi pensieri, troppe domande, troppi ricordi, troppe fantasie per riuscire anche solo a chiudere gli occhi.
Stesa sul letto mi misi a fissare il soffitto inclinato, poi spostai l'attenzione sul mio coinquilino che, a differenza mia, dormiva beatamente dandomi le spalle. Mi rabbuiai nel rammentare che quella sera non mi aveva degnata di un solo sguardo, nemmeno una parola (a parte la piccola discussione sul film), mi aveva evitato per tutta la giornata.
Capivo che Michael fosse arrabbiato con me, ed effettivamente ne aveva tutte le ragioni, ma non credevo arrivasse a togliermi il saluto. Non eravamo mai andati d'accordo, questo è vero, ma da quando era iniziato tutto ci eravamo sempre dati il “buongiorno” e la “buona notte” cordialmente, fingendo di riuscire a sopportarci in  quell'insolita  convivenza forzata. Ora la situazione sembrava essere precipitata al punto di partenza e sapevo di esserne io la causa.
Mi alzai dal mio giaciglio disfatto e sgattaiolai fuori dalla finestra, non ho idea se nell'aprirla feci appositamente rumore ma notai con la coda dell'occhio che Mike si era mosso. Mi sedetti raccogliendo le gambe al petto, assaporando l'odore di salsedine e la frescura della notte sulla pelle, rilassandomi con il suono delle onde nelle orecchie.
Accesi il telefono che mi ero portata dietro e che avevo tenuto spento per tutto il giorno trovandoci diversi messaggi di auguri di “buona Pasqua” che mi adoperai a rispondere ringraziando e ricambiando l'augurio. L'ultima chat era quella di Daniel, l'aprì sorridendo: avevamo fatto diverse uscite passando molto tempo assieme, ma non sapevo se potevo affermare che avevamo una relazione.

[  Buongiorno piccola, e buona Pasqua.
Sabato 6 c'è una festa con la squadra,
ti va di accompagnarmi? ]

Mi rattristai all'astante: ero felice che mi avesse invitato e mi dispiaceva dovergli dire di no essendo ancora in vacanza fino all'undici. Feci per rispondere quando una figura si sedette vicino a me facendomi sussultare.
«Si invertono le parti, eh?» chiese ironicamente Michael senza incrociare il mio sguardo, in pochi secondi il silenzio tornò tra noi.
Detti un'ultima occhiata alla chat aperta, bloccando poi lo schermo e posando il cellulare in grembo. Dan poteva aspettare.
«Tu mi odi, vero?» formulai la domanda che mi frullava in testa da tempo con una semplicità che spiazzò anche me.
Il ragazzo mi fissò a metà tra la curiosità e la sorpresa, «Perché lo pensi?»
Espirai rumorosamente dal naso socchiudendo gli occhi, «Per i tuoi capelli.» risposi ricordandogli che ora sulla sua testa spiccava una chioma  fucsia ben visibile anche al buio, «Giuro, mi dispiace sul serio.» mi scusai nuovamente.
«Non preoccuparti, non è la fine del mondo.» mi rassicurò lui, «E poi, dai, ammetto che me lo sono meritato anche un po'. Mi sono comportato proprio da stronzo.» continuò con un sorriso e facendomi l'occhiolino rubandomi un sorriso.
Sbloccai il cellulare propensa a rispondere a Daniel, e mi accorsi che era appena iniziato il primo giorno di un nuovo mese.
«Bhe, puoi considerarlo un “pesce d'Aprile” in anticipo.» scherzai, «Sai, non ti sta nemmeno così male: ti dona il rosa!»
Michael rise brevemente, poi forse si accorse di come fissavo lo schermo  ed iniziò ad interessarsi al mio smartphone: «Con chi messaggi?»
«Oh, nessuno.» risposi arrossendo bloccando  nuovamente il telefonino.
«Dai, chi è?» chiese visibilmente incuriosito e nella sua voce riuscì anche percepire una leggera nota di gelosia, ma pensai di essermelo immaginato. Michael non poteva essere geloso, sicuramente non di me.
«Daniel Honeycutt.» mi decisi a rispondere, «Mi ha invitato ad una festa, ma tanto non ci posso andare.» sospirai dispiaciuta.
«Perché no?»
«Perché è il sei,» spiegai pazientemente, «e noi quel giorno siamo ancora qui.»
«Non puoi tornare a casa prima?» chiese dando voce a quello che avevo già pensato io.
Scossi la testa: «Non mi sembra giusto farvi fare meno vacanze.»
«Esiste il treno.» suggerì.
Negai di nuovo con la testa, «Mamma non si fiderebbe a lasciarmi andare da sola.»
«Se è questo l'unico problema allora ti posso accompagnare io;» lo guardai sbalordita, «domani parlo con Rose-Anne e cerco di convincerla.» concluse iniziando ad avviarsi verso la finestra.
«Mike,» lo fermai, «perché lo fai?»
«Per cercare di rimediare al male che ti ho fatto.» rispose sinceramente, guardandomi dritto negli occhi, prima di rientrare in casa.
Ero senza parole: Michael mi aveva preso completamente alla sprovvista, non mi sarei mai aspettata nulla di simile da lui.



 

_______________________
ANGOLO  AUTRICE

Hola gente! Uso questo piccolo spazio per rubarvi un pò di tempo, prometto che sarò breve:
Per prima cosa grazie di cuore a chi è arrivato a leggere fino a qui. Chiedo immensamente scusa per eventuali errori di battitura ( alcuni riescono sempre a sfuggire, miseriaccia! ). Mi farebbe davvero molto piacere sapere che ne pensate di questa FF, quindi non "vergognatevi" a lasciare qualche piccola recensione.
Vi lascio al prossimo capitolo che, come avevo già accennato alla fine del prologo, sarà un POV's Michael e quindi molto più ristretto rispetto ai capitoli ordinari.
Grazie ancora e buona lettura!

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Capitolo 10
*** 09. Changes - Pov's Mike ***


Rientrai nella camera dello chalet che condividevo con Samantha passando dalla finestra, senza aspettare che mi seguisse anche lei, e mi chiusi nel piccolo bagno: non volevo darle ulteriori spiegazioni.
Mi guardai allo specchio e i miei occhi si posarono immediatamente sui capelli fucsia, iniziai a tirarmi alcune chiocce sulla fronte analizzandone la tinta e finendo per darle ragione: quel colore non mi stava così male.
Senza che potessi controllarlo, notai un sorriso farsi largo sul mio viso mentre nella mia mente si idealizzava un volto femminile, lunghi capelli dorati ad incorniciarlo e due occhi luccicanti color mare. Pensai a quelle iridi profonde proprio come l'oceano e come esso così colmi di segreti, pochi minuti prima ero riuscito anche a scorgerne le molteplici lacrime salate che erano state versate nel silenzio. Tutte per causa mia

“Ti mi odi, vero?”

Gli angoli della bocca si abbassarono verso il basso mentre le parole di Samantha si ripetevano nella testa come un disco rotto; semplici come il sussurro in cui erano state pronunciate, ma pesanti come un macigno e dure quanto una pugnalata in pieno petto.
Non avevo mai pensato che la malinconia che si poteva scorgere nei suoi occhi fosse in parte colpa mia, non mi ero mai nemmeno reso conto che l'avevo ferita a tal punto. I miei scherzi nei suoi confronti non avevano mai avuto lo scopo di farle del male, ma ripensandoci dovevo ammettere che in alcuni casi avevo esagerato e tante, troppe volte mi ero forse spinto troppo oltre.

“Ti mi odi, vero?”

Eppure, nonostante a come la trattavo a scuola, lei aveva costantemente un sorriso ad illuminarle il volto, mentre magari i suoi occhi venivano invece coperti da una patina liquida.
Samantha aveva una forza formidabile e non lo sapeva nemmeno: poteva cadere tante volte, però si rialzava, forse più ammaccata di prima, ma sempre con la testa alta.
L'avevo vista tante volte e mi ero scoperto ad invidiarla, io non ero altrettanto tenace, tutt'altro: spesso venivo trascinato giù da ciò che non riuscivo a superare o controllare.
Si faceva sempre in quattro per gli amici e aveva una parola di conforto per tutti, era capace di mettere da parte i suoi demoni per aiutare chi le stava a cuore a sconfiggerli, senza mia chiedere niente in cambio. Ricordai quando cercò di consolarmi quel giorno a scuola ed io, invece di ringraziarla per essermi vicina, le avevo gridato di andarsene.

“Ti mi odi, vero?”

L'ultima cosa che volevo era che Samantha credesse che la odiassi. Strinsi i pugni. Avrei dato di tutto per tornare indietro e cancellare ciò che le avevo fatto passare, per poter essere li ad asciugare le sue lacrime e non a causarle.
Mi sentivo un verme, ero stato davvero subdolo! E poi per cosa?

“Ti mi odi, vero?”

Non avrei potuto cambiare il passato, ma avrei potuto combinare il futuro. Quella notte avevo finalmente aperto gli occhi. Mi sarei fatto perdonare, o almeno ci avrei provato con tutto me stesso.
Mi guardai nuovamente allo specchio e annui fermamente dando a me stesso il tacito accordo che quella era una promessa che avrei mantenuto a tutti i costi.
Restai in bagno ancora qualche momento e poi uscii, nel frattempo Samantha era rientrata ed ora dormiva beatamente nel suo letto.  L'osservai in silenzio, quasi trattenendo il respiro per paura che si potesse svegliare, poi mi avvicinai a lei.


«Mi dispiace tanto.» mormorai chinandomi per posare le labbra sulla sua fronte lasciandole un leggero bacio, in quel momento notai che sulla sua bocca di disegnava un impercettibile sorriso. Sorrisi anche io.
Rimasi qualche secondo davanti al suo letto, osservandola mentre dormiva e chiedendomi cosa stesse sognando; poi mi sistemai anche io nel mio giaciglio avvolgendomi nelle lenzuola. Mi addormentai con un nuovo obiettivo in mente e un sorriso sulle labbra.
Da quel momento tutto sarebbe cambiato. Io sarei cambiato: sarei diventato colui che Samantha meritava di avere vicino. Un fratello che l'avrebbe difesa e un amico che l'avrebbe fatta sorridere: il ragazzo che si sarebbe preso cura di lei.

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Capitolo 11
*** 10. Train ***


Mi stiracchiai sbadigliando: alla fine ero riuscita ad addormentarmi. Presi il cellulare e quasi mi prese un colpo quando mi accorsi che ore erano: le 11:46. Non avevo mai dormito così tanto, mi ero sempre alzata abbastanza presto. Perché nessuno mi aveva svegliato?
Indossai una tuta da casa e scesi in cucina dove mia madre era intenta a preparare il pranzo.
«Buongiorno, stai bene?» chiese lei appena mi vide, la fissai dubbiosa. Certo che stavo bene, come sempre. «Mike mi ha detto che ieri non hai digerito qualcosa e che hai dormito male.» continuò, reputando che il mio silenzio significasse una risposta affermativa. Ora si spiegava tutto!
Mi guardai intorno per la stanza che costituiva salotto, cucina e sala da pranzo trovando solamente Marvin impegnato a giocare con le sue macchinine di plastica colorata. «Dov'è Michael adesso?»
«Daryl lo ha accompagnato a prendere i biglietti del treno.» rispose buttando una manciata di sale nella pentola sul fuoco.
«Treno?» ripetei sgomenta senza poter nascondere il mio stupore che si trasformò velocemente in gioia.  Allora era serio quando aveva detto di volermi accompagnare ed io che pensavo quasi fosse un ennesimo scherzo.
Come se avessero sentito di essere chiamati in causa, Daryl e Michael si presentarono sulla porta entrando nello chalet. Senza nemmeno pensarci mi lancia al collo del ragazzo ringraziandolo.
«Oh, ti sei già svegliata: volevo farti una sorpresa.» commentò ricambiando la stretta sotto agli sguardi amorevoli e felici dei nostri genitori: immaginai fossero felici che finalmente andassimo d'accordo.
«Non pensavo fossi serio.» ammisi, imbarazzata per non avergli dato fiducia.
«E invece si!» sorrise sventolandomi davanti alla faccia i due biglietti del treno, «Partiamo venerdì mattina: avvisa Honeycutt.» sussurrò tra i miei capelli in modo che lo sentissi solo io.
Ero sempre più convinta che qualcuno avesse rapito il vero Michael e che lo avesse sostituito con quello che avevo davanti. Fissai i suoi capelli fucsia cercando di nascondere un sorriso: o forse la tinta gli era arrivata fin nel cervello rendendolo più gentile. Ma qualunque fosse la motivazione del suo inaspettato cambio di comportamento non mi importava veramente, lo preferivo mille volte così rispetto a come lo avevo conosciuto alla Norwest Christian Collage.
Iniziai a pensare che probabilmente Michael era sempre stato piacevole e premuroso come si stata rivelando ultimamente, e che invece la faccia da bulletto che indossava a scuola fosse solo una maschera per proteggersi dalla fragilità, quella che avevo colto nei suoi occhi le rare volte che si era confidato con me.
Mi ritrovai a provare compassione per lui. Mike, sei una persona meravigliosa, perché ostini a nasconderti? Sapevo che avrei dovuto aspettare per sapere la risposta, dovevo dare “tempo al tempo” e lasciare che si aprisse con me senza costringerlo altrimenti si sarebbe chiuso a riccio.
 

*  *  *
 

Venerdì mattina arrivò velocemente, Daryl ci aveva accompagnato a “Minnamura Station” mentre mamma era rimasta allo chatel con Marvin, si era raccomandata che avessimo le chiavi altrimenti non saremmo entrati in casa e di chiamarla quando saremmo arrivati.
Appena il terno si fermò al binario uno vi salimmo sopra, dovemmo precorrere tre vagoni interi prima di riuscire a trovare due posti liberi uno di fronte all'altro, fortunatamente ci eravamo portati solo uno zaino a testa con l'essenziale per essere più leggeri poiché le valigie le avrebbero poi riportate i nostri genitori quando sarebbero tornati in macchina. Pochi minuti dopo le porte si chiusero silenziosamente e con un leggero scossone il treno partì, guardai l'ora sul telefonino: le 08:20, in perfetto orario. Saremmo arrivati a destinazione verso mezzogiorno, cambiando due treni, e da li avremmo dovuto prendere un altro mezzo che ci avrebbe scaricato vicino a casa.
«Hai avvisato Honeycut che siamo partiti?» chiese Michael vedendo che avevo il cellulare in mano.
«No, lo faccio ora.» risposi digitando il messaggio, inviai e poi puntai gli occhi sul mio accompagnatore, «Ora mi vuoi dire come hai fatto a convincere mamma?» continuai incuriosita. Tutte le volte che glielo avevo chiesto aveva sviato la domanda con la scusa che la donna avrebbe potuto sentirci mandando in fumo il piano.
«Semplice. Le ho detto che eravamo stati invitati ad una festa di scuola e che non potevamo assolutamente mancare.» rispose compiaciuto.
«Tutto qui, e lei ti ha creduto?» ero sgomenta, se glielo avessi detto io non mi avrebbe sicuramente lasciata andare.
«Certo, guarda che visetto d'angelo che ho. Non ha potuto dirmi di no.» disse con un sorriso furbetto, facendomi ridere.
«Probabilmente ti ha detto di si perché gli facevi pena.» scherzai indicando i capelli tinti che aveva cercato di nascondere (senza però riuscirci) indossando un berretto.
«Può darsi.» rise anche lui.
«Ma Mike, tu domani non mi accompagni veramente, giusto?» chiesi dopo un po', dopotutto lui aveva detto a mamma che saremmo andati insieme.
Da come mi guardò di sicuro aveva capito dove volevo andare a parare. «No, tranquilla. Era solo una scusa per convincere Rose-Anne.» mi rassicurò, «A proposito, ti passano a prendere o ti devo portare io alla festa?»
«No, no. Daniel mi ha appena scritto che viene lui.»
«Oh, ok.» sembrò rattristarsi per un attimo, «Quindi state insieme?» domandò con una leggera nota di gelosia.
Mi morsi il labbro inferiore, non avevo idea di come rispondere a quella domanda. Scelsi di dire la verità: «Sinceramente non lo so. Per ora ci frequentiamo e basta.»
Michael sembrò rilassarsi nel sentire le mie parole, annuì con il capo mentre pronunciava un “capito”.
Durante il viaggio chiacchierammo ancora per un po' finché il ragazzo non si appisolò in una posizione poco comoda, con la fronte sul finestrino che sbatteva leggermente ad ogni sobbalzo del treno. Gli feci una foto con il telefonino e poi tentai di addormentarmi anche io senza riuscirci, così mi infilai le cuffiette selezionando “Live while we're youg” dei One Direction dalla playlist.  Svegliai Michael un paio di ore dopo, quando il treno stava per sostare alla “Richmond Station”; passammo velocemente in rassegna tutti i binari arrivando a quello diciotto, dove l'altra locomotiva ci aspettava per partire. Cercammo due posti vicini e nel giro di un'ora il treno si stava già fermando alla nostra fermata definitiva, la “Rivestone Station”.
Scendemmo dal vagone e mi diressi subito verso la biglietteria, ma Michael mi richiamò: «Samantha, dove stai andando?» domandò con un sorriso divertito e falsa curiosità.
«A fare i biglietti per l'autobus,» risposi guardando l'ora sul telefonino, «dovrebbe partire tra dieci minuti. » 
«Perché? Non dobbiamo mica prenderlo.»
«E come credi di tornare a casa, a piedi?» chiesi ironicamente alzando gli occhi al cielo.
Michael scoppio a ridere e finse persino di asciugarsi una lacrima, lo guardai storto trattenendomi dall'insultarlo. Mi stava prendendo per il culo?
«Allora, la smetti?» chiesi irritata battendo il piede a terra, finalmente si ricompose.
«Si, scusa.» disse sorridendo ancora, «Aspetta un attimo, devo fare una telefonata.» continuò prendendo il cellulare e scorrendo la rubrica.
«Così perderemo il bus!» gli feci notare mentre si allontanava.
«Allora sei proprio testarda:» commentò portandosi il cellulare all'orecchio, «non lo prendiamo!»
Sbuffai infastidita, quel ragazzo non lo riuscivo a capire. Restai ferma ad osservarlo mentre parlava al cellulare con chissà chi. Tornò poco dopo dicendomi di seguirlo, sebbene non ne fossi tanto convinta feci come mi aveva detto e aggirata la stazione ci fermammo in un parcheggio.
«Guarda.» disse indicando un Hammer gialla ferma, riconobbi il conducente.
«Ma quello è Hood. Che cosa ci fa qui?» chiesi sorpresa.
«È venuto a prenderci.» disse alzando il braccio per salutare il suo amico, «Dai andiamo.»  continuò incamminandosi.
Arrivato vicino alla grossa auto Michael fece il giro per accomodarsi nel posto del passeggero. Repressi una risata quando il moro lo guardò malissimo nel notare la capigliatura fucsia, ma non si fece sfuggire alcun commento.
«Ciao Calum.» salutai aprendo la portiera dietro e salendo (praticamente arrampicandomi), «Credevo avessi una moto.» 
«Hey Sam, che piacere vederti!» ricambiò, «Certo, questa è la macchina di mio padre, me l'ha prestata per venirvi a prendere.» spiegò facendo fremere il motore e partendo.
«Sai Cal, potrei amarti: non avevo proprio voglia di passare altri quaranta minuti sul bus.» confessai facendo ridere il mezzo neozelandese, «Grazie per il disturbo, spero solo che Mike non ti abbia fatto scomodare per venirci a prendere.» continuai.
«Nessun disturbo, figurati. Passavo di qui.» disse e io lo guardai stranita: la stazione non era proprio vicina, ci voleva una mezz'ora buona da li a casa mia (ehm, nostra), quindi non gli credetti. Calum capì il mio silenzio e spiegò pazientemente: «Oggi ho dovuto accompagnare qui mia sorella, siete stati fortunati che avevate gli orari dei treni vicini.»
«Quando gli ho detto che saremmo arrivati oggi si è offerto di riaccompagnarci a casa.» si intromise Mike.
«Oh, grazie mille Cal. Sei stato davvero gentile.» lo ringraziai, «Sicuro che non devi fare dei giri in più per riportarci a casa?» chiesi, «Puoi dirlo se Michael ti ha obbligato.» conclusi scherzando (ma non troppo, sapevo che ne sarebbe stato capace).
Calum rise di gusto, poi si voltò verso l'amico: «Bro, ma lei non lo sa?»
Michael scosse la testa sovrappensiero. «Potrei essermi dimenticato di dirglielo.» ammise.
«Che cosa dovrei sapere?» mi intromisi abbastanza incuriosita.
«Calum abita sei case più in la alla nostra, quindi è sulla strada.» spiegò.
Rimasi sorpresa da quella notizia, non avevo idea che io e Hood fossimo vicini di casa, anche se in effetti avrei potuto capirlo se avessi prestato attenzione a quale fermata del bus scendeva/saliva nei giorni di scuola.
Nel giro di mezz'ora eravamo davanti a casa, Calum fermò la grossa auto vicino al marciapiede mettendo le quattro frecce. Lo ringraziammo per il passaggio, ma prima che scendessimo il moro pose una domanda a Michael, ed io non riuscì a trattenermi più dal ridere.
«Bro, mi vuoi spiegare che cazzo hai fatto ai capelli?» chiese, mettendo subito le mani avanti dopo un'occhiataccia dell'amico, «Cioè, nulla in contrario, ti sta bene. Però lo potevi scegliere un colore un po' meno acceso.» cercò di recuperare, facendomi ridere ancora di più
«Chiedilo a quella li dietro che ride come un'ossessa.» rispose Mike scendendo dalla macchina.
Mi zittii subito sentendomi chiamare in causa, arrossì colpevole quando Calum si voltò verso di me in attesa di qualche spiegazione. «Storia lunga.» dissi alzando le spalle e facendogli l'occhiolino mentre raggiungevo il tinto sulla porta di casa.
Hood, che si aspettava una risposta più chiara, commentò che “prima o poi avrei dovuto raccontargliela quella storia” e poi partì con il grosso macchinone giallo di suo padre, mentre io ricominciavo a ridere sotto agli occhi infastiditi e allo stesso tempo divertiti di Michael.

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Capitolo 12
*** 11. Party's outfit ***


Osservai l'armadio “nuovo” stracolmo di vestiti, era appena uscita dalla doccia ed avevo deciso di prepararmi già l'outfit per quella sera, ma senza avere la più pallida idea di cosa indossare (come al solito d'altronde), ma tanto erano le sei del pomeriggio quindi avevo abbastanza tempo per decidere, la festa della squadra iniziava alle otto e Daniel sarebbe passato a prendermi verso le sette e quaranta.
Passai in rassegna tutti i capi appesi concentrandomi sui vestiti trovandoli più consoni per un party. Troppo corto, troppo lungo, troppo colorato, troppo anonimo. Era davvero un'impresa decidere cosa mettere: volevo fare bella figura; dopotutto Dan mi avrebbe fatto conoscere ai ragazzi della squadra di football della Nortwest, che insieme alle cheerleader comprendevano la fascia più “in” della scuola, quindi dovevo essere impeccabile.  Alla fine riuscì a restringere la mia ricerca su quattro abiti: uno smanicato color pesca con un fiocchetto nero sul davanti e del pizzo dello stesso colore sulle maniche e al fondo, uno con la gonna a palloncino bianco e a fiori azzurri, uno grigio perla con un'unica spallina che cadeva morbido, e uno rosso con lo scollo a cuore.  Ora arrivava il difficile: quale mettere?
Recuperai l'intimo dal primo cassetto e, mentre ci pensavo su, mi recai al bagno per iniziare a prepararmi. Asciugai i capelli lamentandomi per il caldo e quando furono asciutti li legai velocemente per passare al trucco, aspettando che la piastra si riscaldasse. Optai per un make-up semplice in modo che stesse bene con qualunque vestito avessi scelto: ombretto chiaro, linea nera di eyeliner e mascara volumizzante, in fine le labbra illuminate da un semplice glos. Piastrai i capelli biondi finché non furono perfettamente lisci che in quel modo mi arrivavano fino a metà schiena.
«Wow Sam!» commentò una voce alle mie spalle. Michael, che stava passando davanti alla porta aperta del bagno, si fermò a guardarmi.
«Cosa?» chiesi controllando allo specchio che trucco e parrucco fossero a posto.
«Non pensavo avessi i capelli così lunghi.» disse avvicinandosi e prendendo due ciocche tra le dita, ora i suoi occhi erano illuminati da una luce diversa e mi chiesi a cosa fosse dovuto. Sorrisi guardandolo dallo specchio e lui ricambiò. «Allora, cosa pensi di mettere?»
«Non ne ho idea.» ammisi facendolo ridere, «Cioè, ho trovato qualche vestito che potrebbe andare, ma non so quale scegliere.»
«Perfetto, fammi vedere.» commentò offrendosi di aiutarmi con mia grande sorpresa.
Lo seguì nella mia camera dove i quattro vestiti ci aspettavano sparsi sul letto. Michael si sedette sulla sedia della scrivania girandola verso di me mentre io iniziavo a mettere il primo vestito, quello rosa pesca.
«Allora, che ne pensi?» chiesi facendo un giro su me stessa.
«Ti sta bene, ma lo trovo troppo elegante per una festa di liceali.» commentò osservandomi attentamente.
Gli diedi ragione, mi sfilai l'abito ritirandolo nell'armadio e indossai quello bianco e azzurro. Mi girai verso Mike ma evitai di chiedergli come mi stava: la sua faccia parlava da se.
«Oddio Sam, sembri una torta!» disse, e dalla voce non era certo un complimento. Sbuffai levandomelo e mettendo quello rosso, ma non feci in tempo a dire nulla che il ragazzo aveva già sputato il verdetto: «Troppo scollato!»
«Cazzo Mike, così non mi aiuti!» sbottai esasperata. Mi stava facendo perdere tempo, meno male che mi ero già preparata prima.
«Guardati: sei troppo appariscente con quello.» continuò, «Non ti lascio uscire vestita così.»
«Non mi serve il tuo permesso.» replicai indispettita. Chi si credeva di essere?
Michael si limitò a mostrarmi il suo cellulare acceso sul contatto di mia madre facendomi capire all'istante. Sbuffai alzando gli occhi al cielo: ora mi ricattava anche.
«Dai, fammi vedere ancora quell'altro.» indicò il vestito grigio perla, l'ultimo rimasto.
«Non saprei, non mi convince.» dissi pensierosa.
«Tu provalo.» mi zittì lui.
Feci come mi aveva detto, mi scrutai sullo specchio dell'anta dell'armadio con sguardo critico: no, non mi piaceva per niente. Era di una o due taglie più grosse e il tessuto troppo libero formava delle sgradevoli pieghe, mi chiesi quando diavolo avevo comprato una robaccia simile, l'unica cosa che si salvava era la mono-spallina sulla sinistra .
«Mi fa schifo.» ammisi.
«Invece è perfetto.» replicò lui con un sorriso.
«Michael, mi sa che tu hai bisogno di mettere gli occhiali.»
«No, tu ne hai bisogno.» replicò alzandosi, «Manca solo una piccola cosa.» continuò dirigendosi all'armadio aperto e prendendo una stola nera. «Permetti?» chiese avvicinandosi a me; annui incuriosita da quello che aveva intenzione di fare. Me la legò appena sotto al seno facendo due giri e chiudendola con un nodo sul fianco, fece poi un passo indietro lasciando che guardassi la sua opera.
Mi osservai sbalordita: era tutta un'altra cosa. Ora il vestito, grazie alla stola che stringeva sui fianchi magri, cadeva morbido valorizzando le curve, e le pieghe che prima avevo trovato orribili, adesso gli davano uno stile semplice ma allo stesso tempo elegante.
«Allora?» chiese Michael alle mie spalle, sollevandomi i capelli in una coda.
«È perfetto, grazie.» ripetei le sue parole sorridendogli.
Mi fermai ad osservare i nostri due riflessi sullo specchio, gli occhi incollati gli uni agli altri come calamite, un leggero rossore sulle mie guance e un senso di vuoto allo stomaco. Stavo veramente iniziando ad affezionarmi a quello strano ragazzo? Non potevo crederci, ne tentamento ammetterlo.
La suoneria ci raggiunse dall'altra stanza così mi congedai con un leggero imbarazzo e raggiunsi il bagno dove avevo abbandonato il mio cellulare. Risposi a quello che si rivelò Daniel che mi avvisava che sarebbe arrivato a minuti e di farmi trovare pronta. Spensi la chiamata guardandomi allo specchio sopra al lavandino,  recuperai un elastico per legare i capelli in una coda alta: ora si che ero perfetta! (ok, devo ammettere che sono un tantino eccentrica).
Nel frattempo Michael si era spostato nella sua camera da letto, «Ehi Mike, io sto per andare.» gli annunciai appoggiata alla porta della mia ex stanza armadio.
«Va bene, divertiti.» mi salutò. Lo ringraziai e feci per andarmene quando mi richiamo, mi voltai verso di lui chiedendogli con lo sguardo che cosa volesse. «Per qualsiasi cosa hai il mio numero.» disse dopo un breve silenzio, guardandomi intensamente.
Non sapevo a cosa si riferisse esattamente e nemmeno a che cosa fosse dovuta tutta quella sua iper-protettività, gli sorrisi comunque ringraziandolo e prima di andare via gli lasciai anche un bigliettino con l'indirizzo dell'abitazione dove si sarebbe svolta la festa, il suo sguardo si rilassò all'istante. Lo salutai un'ultima volta e scesi le scale.
Aprii la porta di casa e mancò poco che mi scontrassi con un mezzo kiwi di mia conoscenza. «Calum, che ci fai qui?» gli chiesi sorpresa.
«Ehi Sam, bel vestito!» salutò, io arrossii leggermente per il complimento appena ricevuto. «Sono venuto a trovare quel fannullone che abita qui.» continuò rubandomi una risata.
La mia attenzione si spostò altre alle spalle del moro e sull'auto nera che si stava fermando davanti all'abitazione: Daniel doveva essere arrivato. Ebbi la conferma da un colpo di clacson.
«Io sto uscendo.» dissi facendolo passare e scambiando le parti. «Non mettetemi la casa sottosopra, per favore.» scherzai facendolo ridere.
«Non ti preoccupare.» rispose facendomi l'occhiolino. Sorrisi e mi incamminai verso la vettura, «Buona festa, Sam!» mi gridò ancora alle spalle.
Aprii la portiera del passeggero ed entrai nell'auto salutando il conducente. «Chi era quello?» chiese Daniel senza nemmeno ricambiare il saluto.
«Calum Hood.» risposi presa alla sprovvista.
«Sò chi è Hood, vengo anche io alla Norwest.» si intromise con aria seccata scrutandomi con occhi freddi come il ghiaccio, «Intendevo che cosa ci faceva a casa tua.»
«È venuto a trovare Mike.» spiegai, ma non sembrò capire. «Ehm, Clifford. Ti avevo accennato che mia madre e suo padre si frequentano.» gli ricordai cercando di mantenere la pazienza. Trovavo la sua reazione assolutamente esagerata.
Lui annui. «Ah già, non me lo ricordavo.» si scusò.
«L'avevo immaginato.» lo tranquillizzai. «Ora mi saluti?»
Daniel si sporse verso di me appoggiando le sue labbra sulle mie, mi lasciai trasportare da quel bacio, finché provò ad osare a qualcosa di più appassionato e mi vidi costretta a staccarmi. Lui sembrò capire e tornò a sedersi composto al volante mettendo in moto la macchina.
Guardai il ragazzo che guidava al mio fianco: i capelli castani tenuti rasati sui lati, un accenno di barba sul mento squadrato, la corporatura muscolosa tipica di un atleta ed abbronzata di chi passa ore all'aperto ad allenarsi.
«Dan, dimmi la verità: sei geloso?» chiesi dopo un po'. Le immagini di come aveva reagito quando mi aveva visto parlare con Calum mi stavano tormentando, non riuscivo a schiodarmi dalla testa i suoi occhi inquisitori.
Lui voltò la testa verso di me distraendosi dalla guida un secondo, le mani ferme sul volante. «Certo che lo sono:» ammise con sincerità, «tu sei mia!»
A quella affermazione sorrisi spontaneamente mentre le guance si coloravano di un accenno di rosso. Una parte di me si sarebbe dovuta inquietare ad una dichiarazione del genere eppure la trovai estremamente dolce. Lo perdonai all'istante.
 

*  *  *
 

Alla festa della squadra non conoscevo nessuno ma questo non mi impedì di divertirmi ugualmente, quasi tutti gli invitati li avevo ovviamente visti a scuola e alcuni frequentavano anche i miei stessi corsi quindi non fu difficile fermarmi a fare due chiacchiere con loro. Daniel mi aveva presentato ai suoi amici come la sua ragazza, cosa che mi aveva estremamente imbarazzato ma allo stesso tempo reso felice. E le cheerleader, che avevo sempre creduto antipatiche e schiette nei confronti di chi non apparteneva al loro gruppo, mi avevano invece subito invitato ad unirmi a loro sulla pista da ballo rivelandosi gentili e disponibili, cercando di farmi sentire a mio agio.
Mi stavo muovendo a ritmo di musica quando un braccio mi cinse le spalle facendomi voltare verso il viso del proprietario. «Come sta la mia ragazza?» domandò Daniel impossessandosi delle mie labbra e dovetti reprimere il leggero disgusto mentre ricambiavo quel bacio che era un mix di alcol e fumo.  
«Sei ubriaco.» gli feci notare poggiando la mano sul suo torace nel tentativo di farlo staccare da me, ma non potei nulla contro la sua forza e lo ritrovai ancora più avvinghiato a me.
Mi ritrovai bloccata tra le sue braccia da cui cercai inutilmente di liberarmi, più mi svincolavo e più si stringevano intorno a me con prepotenza. Le labbra forzate in quel bacio che stava diventando sempre più spinto da parte sua, obbligate a seguire quelle di Daniel senza che avessi la possibilità di reagire. Le sue mani che si muovevano freneticamente sulla mia schiena, sul collo il suo respiro caldo ed eccitato, poi di nuovo le sue mani sulle mie gambe che tentavano di scivolare sotto alla gonna del vestito.
Non so dove trovai il coraggio e sopratutto la forza per respingerlo nuovamente questa volta facendolo cadere rovinosamente a terra sotto gli sguardi allarmati di tutti, che spostarono subito gli occhi su di me chiedendosi il motivo della mia reazione. Possibile che nessuno si fosse accorto di come si stava comportando Dan pochi secondi prima? 
Presa dal panico e con le lacrime che iniziavano a solcare copiose le mie guance mi precipitai fuori dall'abitazione. Volevo andarmene da quella festa. Mi guardai intorno spaesata, non conoscevo quella zona della città, come avrei fatto a tornare a casa?
Presi il cellulare chiamando Ashton ed imprecando quando mi rispose la segreteria telefonica. Selezionai  il numero della persona che mai prima avrei pensato di chiamare e che ora sembrava la mia unica salvezza.
«Ti prego, vienimi a prendere.» dissi supplichevole senza dare il tempo di rispondere al ragazzo dall'altra parte della cornetta. 
Mi sentì stringere il polso da una mano forte che mi fece voltare, alzai gli occhi impauriti verso Daniel. «Cosa pensi di fare, puttanella?» disse a denti stretti, il viso paonazzo dalla rabbia.
«Fa preso!» riuscì ancora a dire prima che mi trascinasse di prepotenza dentro casa. Il telefono mi scivolò di mano.


 

_________________________
ANGOLO  AUTRICE

Salve popolo di EFP!
Grazie a chi è arriviato fin qui, come state trovando la mia FF? Fatemelo sapere con una piccola recenzione... non siate timidi!
Vi lascio al prossimo capitolo che è un "Pov's Mike".
A presto!

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Capitolo 13
*** 12. I'm her brother - POV's Mike ***


Afferrai il cellulare che squillava fastidiosamente sul comodino: che cosa voleva Samantha a quell'ora della notte?
Stavo per ignorare la chiamata e rimettermi a dormire quando una strana sensazione mi invase il petto all'altezza della bocca dello stomaco: doveva essere successo qualcosa, altrimenti non mi avrebbe chiamato. Cosi accettai portandomi il telefono all'orecchio.

“Ti prego, vienimi a prendere.” mi raggiunse la sua voce rotta dai singhiozzai, stava piangendo.  Inizia a sudare freddo: le miei paure si stavano avverando.
“Cosa pensi di fare, puttanella?” un'altra voce, una maschile.  Come si permetteva a chiamare la mia Sam così?
“Fa preso!” di nuovo la sua voce supplichevole.

«Samantha? SAMANTHA!» provai a chiamarla senza avere alcuna risposta. Mi alzai di scatto lanciando il cellulare in un attacco d'ira: non avrei dovuto lasciarla andare a quella festa.
Indossai le prime cose che trovai a portata di mano mentre i sensi di colpa iniziavano ad impossessarsi di me, presi le chiavi della Mini e mi precipitai fuori casa. Ignorai tutti i semafori rossi che trovai sulla strada, il piede premuto incessantemente sull'acceleratore.  Nel giro di dieci minuti, che mi erano sembrati eterni, fermai bruscamente l'auto davanti all'indirizzo che mi aveva dato Sam prima di uscire. Non mi curai nemmeno di chiudere la macchina, mi limitai a togliere la chiave mettendomela nella tasca della tuta mentre raggiungevo a passi pesanti la casa.
Iniziai a cercare disperatamente Samantha con lo sguardo, incurante delle occhiatacce incuriosite dei presenti. Finalmente la trovai: era in fondo alla stanza messa spalle al muro da un ragazzo che riconobbi come il quarterback della scuola, Daniel Honeycut, ad osservare la scena altri due ragazzi della squadra. Mi precipitai da lei chiamandola e il suo viso si illuminò appena mi vide, gli occhi rossi e le guance umide di lacrime.
«Lasciala stare.» gridai al ragazzo che spostò l'attenzione da lei a me.
«Ehi, chi ha invitato un evidenziatore?» commentò qualcuno alludendo al colore dei miei capelli.
«Lasciala stare, stronzo!» ripetei stringendo i pugni, ignorando le risate.
«Chi ti credi di essere?» chiese Honeycut puntando gli occhi nei miei nel tentativo di intimidirmi. «Gira a largo: l'ho vista prima io.» continuò afferrando le guance di Samantha tra pollice e indice e posando le sue schifose labbra su quelle di lei, che cercò di divincolarsi dalla sua presa. Si voltò nuovamente di me, sorridendo compiaciuto.
Non ci vidi più. Caricai il braccio destro chiudendo la mano e colpendo il viso di quel bastardo con tutta la forza che avevo,  Honeycut indietreggiò preso alla sprovvista. Mi guardai poi la mano: l'avevo colpito forte, mi facevano male le nocche.
«Sono suo fratello!» dissi con orgoglio mentre quello puntava gli occhi furenti nei miei massaggiandosi il naso, da cui stava uscendo un rivolo di sangue. «Vieni Sam, andiamo?» la chiamai. Si precipitò immediatamente tra le mie braccia, iniziando a singhiozzare, la cinsi protettivo con un braccio.
Ancora scossa, Samantha si tenette aggrappata a me mentre si faceva accompagnare docilmente fuori da quell'inferno sotto gli occhi di tutti i presenti che si scostavano al nostro passaggio, ignorando le parole forti che Honeycut ci stava lanciando. Mentre uscivamo notai il suo cellulare abbandonato per terra così mi chinai per raccoglierlo, l'aiutai a salire sulla macchina e mi misi al posto guida.
«Stai bene?» le chiesi.
Lei si voltò verso di me, gli occhi gonfi colmi di gratitudine, annuì impercettibilmente.  «Credo di si.» rispose mentre una lacrima le scivolava su una guancia.
«Mi dispiace così tanto.» dissi posando il dorso dell'indice sul suo viso fermando la corsa di quella lacrima. «Non avrei dovuto lasciarti venire qui da sola.»
«Tu non ne hai colpa,» rispose prendendo la mia mano per farla abbassare delicatamente, «avrei dovuto darti ascolto.» continuò tenendo gli occhi bassi, con il pollice le accarezzai il dorso della mano per rassicurarla. «Io mi fidavo di D...» le parole le morirono in gola sostituite dai singhiozzi.
«Shh, non piangere.» cercai di tranquillizzarla, stringendole la mano.
Lei alzò lo sguardo su di me annuendo, mi tuffai in quel mare che erano i suoi occhi liquidi.

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Capitolo 14
*** 13. We're the waiting ***


Sbattei le palpebre un paio di volte prima di aprire gli occhi, le luci fredde dei lampioni che illuminavano la notte mi scorrevano sul viso ad intermittenza, riflettendo sul vetro del finestrino. Buio. Luce. Buio.
Le strade deserte di Sydney si snodavano sotto al mio sguardo seguendo l'andamento calmo ma sostenuto della macchina, la radio accesa e tenuta ad un volume così basso che mi ci volle un po' a riconoscere la canzone. Il ritmo ovattato delle percussioni e poi l'armonia di una chitarra, cos'era: are we the waiting?

“Starry night city lights coming down over me
Skyscrapers and strangers in my head”

Richiusi gli occhi lasciandomi cullare da quella melodia rilassante e quelle parole che sembravano essere state scritte appositamente per quel preciso istante, per me.
«“Are we we are, are we we are the waiting unknown?”» si unì una voce nell'abitacolo quasi coprendo quella di Billie Joe Armstrong.

“The dirty town was burning down my dreams,
lost and found city bound in my dreams.”

Mi voltai verso il mio autista. Le mani dalla pelle chiara ferme sul volante, i capelli tinti spettinati, gli occhi grigio-verdi fissi sulla strada, le labbra rosee che si muovevano seguendo le parole della canzone.  «“And screaming,”» di nuovo la sua voce sopra a quella registrata, «“are we we are, are we we are the waiting”»
«“And screaming,”» mi unii a lui tenendo la voce un'ottava più alta dalla sua, Michael si voltò verso di me zittendosi. «“Are we we are, are we we are the waiting”» continuai a cantare, sorridendo poi la ragazzo.
«“Forget me nots and second thoughts, live in isolation.”» continuammo insieme, le nostre voci che si armonizzavano l'una con l'altra, «“Hends or tales and fairytales in my mind.”»
«Ehi, ti sei svegliata.» salutò poi sorridendomi mentre i ritornello si ripeteva in sottofondo riempiendo l'abitacolo. Annuii ricambiando il sorriso.
L'auto si fermò ad un segnale di “stop”, sebbene non servisse dato che a quell'ora non c'era nessun altro in strada, e Michael ne approfittò per sporgesi verso di me.  «“The rage and love: the story of my life.”» riprese a cantare guardandomi intensamente, come se quelle parole fossero riferite esattamente a lui e a nessun altro.
Non mi diedi il tempo di pensare, mi avvicinai a lui annullando la distanza tra le nostre labbra. Michael fu preso alla sprovvista e si irrigidì all'istante, mi staccai subito: Che mi era preso?
«Scusa, io...» iniziai a balbettare completamente in imbarazzo.
«Shhh.» mi zittì lui a pochi centimetri dalla mia bocca, le sue mani calde sulle mie guance. Occhi negli occhi. Mi persi in quel cielo tempestoso che erano le sue iridi, le pupille dilatate che si spostavano impercettibilmente dai miei occhi alla mia bocca dischiusa. Michael fece nuovamente combaciare le nostre labbra, le mie dita andarono naturalmente tra i suoi capelli, trovandoli così morbidi al tatto.
Ci scambiammo quel bacio che racchiudeva in se tutto ciò che volevamo esprimere entrambi:  perdono, gratitudine, comprensione, amore. Si, forse era proprio amore quella cosa che mi faceva mancare il respiro; quell'emozione capace di farmi battere così forte il cuore tanto da fermarlo per un brevissimo secondo. In quel preciso istante c'eravamo solo noi, solamente io e Michael in tutto l'universo. Persi per le strade di una Sydney addormentata, in un'auto illuminata dalla luce innaturale dei lampioni, e i Green Day in sottofondo.
Non mi importava che la canzone fosse cambiata. Non mi importava del passato, mi dimenticai gli episodi che ci avevano visto come i due principali protagonisti e ogni lacrima versata fu cancellata da quel semplice bacio. Non mi importava nemmeno del futuro, di quello che sarebbe successo dopo, lasciai solamente che quella nuova emozione si impossessasse di me prendendo il posto di tutto il resto. C'eravamo solo noi, due anime che si erano sempre appartenute senza nemmeno saperlo, e questo era tutto ciò che importava veramente.
«Era da quella notte al mare che aspettavo di rifarlo.» ammisi in un bisbiglio appena ci staccammo, come se fosse un reato rompere quel magnifico silenzio che si era creato.
«Io da tutta la vita.» sussurrò lui di rimando guardandomi negli occhi. Sorrisi e lo attirai nuovamente verso di me reclamando un altro bacio, un uragano di farfalle nello stomaco ed il cuore che martellava nel petto.
«Forse è meglio se ora partiamo.» disse poi Michael alludendo all'auto ancora ferma allo “stop” e facendomi ridere. Annuii mordendomi il labbro inferiore, si avvicinò nuovamente lasciandomi un languido bacio prima di rimettersi alla guida.
Mi voltai verso il finestrino mentre la macchina riprendeva il suo percorso e solo allora mi resi conto che eravamo in una zona della città lontana dal nostro quartiere; va bene che mi ero addormentata ma saremmo già dovuti essere a casa, o perlomeno nei paraggi. «Quanto ho dormito?»
«Circa mezz'ora.» rispose lui.
Presi il cellulare per vedere che ore erano: 02:01.  Com'era possibile che non eravamo ancora arrivati? Spostai di nuovo l'attenzione fuori dal finestrino, forse nel buio della notte non ero riuscita a riconoscere la strada. No, niente: eravamo proprio lontani da casa.
«Ho deciso di allungare un po'.» spiegò Michael come se fosse riuscito a leggere nei miei pensieri. «Una volta a tavola Rose-Anne ha raccontato che da piccola l'unico modo per calmarti erano i lunghi giri in auto.» Gli sorrisi riconoscente. «“So we're taking the long way home 'cause I don't wanna be wasting my time alone.”» iniziò a canticchiare Michael con una melodia che non riuscì a riconoscere, sovrastando i Green Day in radio.
«E questa?» gli chiesi incuriosita sorridendo.
«Me la sono inventata sul momento.» spiegò compiaciuto fermando la macchina ad un semaforo rosso. «“I wanna get lost and drive forever with you.”» canticchiò ancora rubandomi un altro sorriso e facendomi arrossire; si sporse nuovamente verso di me per darmi un bacio.
Sembrava tutto così irreale, avevo tanta paura di svegliami e scoprire che fosse solamente  uno stupido e magnifico sogno.
 

*  *  *
 

Mi sentii chiamare mentre la spalla veniva mossa leggermente e mi costrinsi ad aprire gli occhi; alla fine mi ero riaddormentata, o forse non mi ero proprio mai svegliata. Mi sentii cadere la terra sotto ai piedi: proprio come temevo, era davvero tutto solo un sogno.
Spostai lo sguardo alla mia destra, sul mio disturbatore: Michael teneva la porta della macchina, chinato per portare lo sguardo all'altezza del mio. Tutto ritornò alla mia mente come un flashback: la festa e Daniel ubriaco, Mike che ara apparso come un angelo a salvarmi, poi i nostri baci in auto (sebbene quest'ultimo ricordo sembrava più una fantasia che la verità). I miei occhi si riempirono inevitabilmente senza possibilità di fermare le lacrime.
«Che succede, piccola?» domando allarmato mentre mi lanciavo tra le sue braccia, cademmo goffamente sul pavimento del garage. Iniziai a singhiozzare e Michael mi strinse con delicatezza come se fossi di porcellana e mi potessi rompere da un momento all'altro. «Non pensare più a quel bastardo. Ci sono qua io, stai tranquilla.» continuò sussurrando mentre passava le mani sulla mia schiena, cullandomi per calmarmi.
Strano, pensai, ero tra le braccia del ragazzo da cui mi ero sempre fatta difendere e adesso mi stringeva protettivo rimettendo al loro posto i frammenti di cuore che lui stesso aveva rotto.
«Ti prego, non mi lasciare.» mormorai sulla sua spalla.
Michael mi strinse ancora più forte, «Te lo prometto.» sussurro.  Mi pose una mano sotto al mento invitandomi ad alzare il viso e puntare gli occhi nei suoi, «Me lo fai un sorriso ora?» chiese quasi supplicando.
Annuii obbedendogli, lui posò delicatamente le labbra sulle mie facendo  intensificare quel sorriso mentre le guance iniziavano a bruciare e a colorarsi di una tonalità di rosso. Felicità allo stato puro.
«Sono contenta che non sia stato un sogno.» commentai senza pensarci, Michael mi osservò incuriosito senza capire a cosa alludessi. «Niente.» scossi la testa ridendo e lui fece lo stesso. «Sai, ti preferisco così.» continuai appoggiandomi alla sua spalla e chiudendo gli occhi per assaporare quel momento: alla fine Michael aveva trovato il coraggio di fidarsi e di farsi conoscere per quello che era realmente, e ne ero grata.   «Dove sei stato fino adesso?»
«Mi ero perso in me stesso,» rispose cullandomi lievemente, il pollice che descriveva piccoli cerchi sul mio braccio, «ma ora mi sono ritrovato e non ho nessuna intenzione di tornare indietro.» Sorrisi orgogliosa di lui e della persona che era diventata senza che me ne rendessi conto.
Non sapevo ancora che cosa avesse innescato quel suo radicale cambiamento, cosa lo avesse spinto ad abbandonare la maschera da duro per mostrare la sua vera natura. Forse non lo volevo nemmeno sapere veramente, dopotutto non era così importante (sarei rimasta sempre con la curiosità, certo), ma in verità mi importava solo di essere riuscita finalmente a vedere Michael, il vero e unico Michael Clifford. In fin dei conti ero stata capace di scalfire e a distruggere la sua corazza con il potere di quell'emozione a cui ancora non riuscivo a dare un nome, ma che sentivo scorrere nelle vene e che vedevo riflessa anche nel grigio delle sue iridi. Si era sciolta come neve al sole lasciando posto a quel piccolo germoglio che cercava disperatamente di crescere; bastava solo un piccolo aiuto, un po' di tempo e tanta pazienza, per farlo diventare uno splendido fiore.
Rimanemmo così, stretti sul pavimento del garage, per ancora qualche minuto poi Michael mi accompagnò dentro casa e mi chiese che potesse fare per me, era così premuroso che faticavo ancora a riconoscerlo. Gli risposi che l'unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento fosse un bagno caldo e così mi lasciò sola mentre mi dedicavo a quel momento di relax.
L'acqua ormai tiepida mi cingeva il collo proprio sotto al mento provocandomi un piacevole solletico alla base del collo, mentre le increspature dovute ai miei movimenti facevano ondeggiare leggermente le bolle di schiuma. Sentì bussare e così mi tirai su la testa aprendo gli occhi e pronunciando un timido “si”.
«Tutto bene Sam?» la voce di Michael mi raggiunse da dietro la porta del bagno, «È da un'ora che sei li.»
«Si, certamente. Scusa.» Non pensavo fosse passato così tanto tempo. «Cinque minuti ed esco.»
L'acqua insaponata si mosse rumorosamente mentre mi alzavo tenendomi saldamente ai bordi della vasca, tolsi il tappo sul fondo lasciando che il liquido scivolasse con un gorgoglio nello scarico; nel frattempo mi asciugai e poi indossai il pigiama che mi ero portata dietro.
Trovai Michael che mi aspettava in camera mia seduto sul letto, appena entrai nella stanza si alzò avvicinandosi a me e chiedendomi se stessi bene, gli sorrisi annuendo.
«Questo deve essere tuo.» disse estraendo qualcosa dalla tasca e porgendomela.
Afferrai quello che riconobbi come  il mio cellulare ringraziandolo e chiedendomi mentalmente dove lo avesse trovato, solo allora mi accorsi delle screpolature rossastre sulle nocche, gli afferrai la mano destra analizzando le ferite.
«Ho tirato un pugno ad Honeycut,» spiegò Michael, «era la prima volta che lo facevo.» continuò soddisfatto e sussultando appena vi passai sopra il polpastrello, «Non pensavo facesse male tirare un pugno a qualcuno.» ammise con un sorriso tirato.
«Vieni che ti disinfetto.» dissi ridendo tirandolo verso il bagno; Mike intrecciò le sue dita alle mie facendomi sorridere senza motivo. «Brucerà un pochino.» lo avvertii mentre versavo un po' di acqua ossigenata su un batuffolo di ovatta.
«Non ti preoccupare,» disse coraggiosamente facendomi l'occhiolino, «non sono mica un bambin... Oh cazzo se brucia!» commentò appena appoggiai il cotone sulla ferita.
«Io ti avevo avvisato.» gli ricordai continuando a tamponare le nocche, «Ma cerca di soffrire in silenzio, e sopratutto fermo!» continuai tirandogli la mano che aveva appena cercato di sfilare via.
Michael sbuffò alzando gli occhi al cielo e stringendo i denti, ma rimase fermo e zitto come gli avevo chiesto e pochi secondi dopo lo lasciai andare annunciando che avevo finito. L'orologio digitale sull'armadietto del bagno segnava le 3:42 del mattino, gli proposi di andare a dormire e così ci incamminammo verso le nostre rispettive camere da letto.
«Michael?» lo richiamai, lui si fermò sulla porta della sua stanza osservandomi. Mi guardai i piedi nudi sentendomi inspiegabilmente in imbarazzo, «È strano se ti chiedo di dormire con me per stanotte?» domandai alzando gli occhi su di lui, «Cioè, almeno finché non mi addormento.» mi affrettai a dire mentre le guance iniziavano a bruciarmi.
Michael si avvicinò a me e io mi persi nel verde delle sue iridi mentre lui acconsentiva a quella mia insolita richiesta. Mi sistemai sotto le coperte aspettando che lui facesse lo stesso dall'altro lato del letto da una piazza e mezza, poi mi accoccolai al petto di Mike trovando nel calore del suo corpo la sicurezza che stavo cercando e chiusi gli occhi cullata dal suo respiro.

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Capitolo 15
*** 14. Like the opposing sides ***


Un raggio di sole filtrò dalle tende illuminandomi il viso, sbattei le ciglia sbadigliando obbligandomi ad aprire gli occhi. Mi stiracchiai rendendomi conto di essere da sola nel letto, probabilmente Michael aveva aspettato che mi addormentassi e poi era andato a dormire nella sua stanza. Mi rattristai sebbene non ne avessi un motivo valido, dopotutto ero stata io a dirgli di tenermi compagnia finché non mi fossi addormentata e lo aveva fatto.
Decisi di alzarmi e di fare colazione, mentre scendevo le scale notai che la porta della stanza di Mike era socchiusa e immaginai che stesse ancora dormendo. Arrivata in cucina notai un bigliettino sul frigo, lo sfilai da sotto la calamita che lo teneva attaccato leggendolo:

- Sono uscito un attimo, dovrei essere di ritorno prima del tuo risveglio, nel caso ci mettessi di più aspettami per fare colazione.  Michael -

Lo posai sul tavolo sorridendo e constatando di essermi sbagliata, decisi di iniziare a preparare il caffè sperando che il mio coinquilino arrivasse presto. La suoneria del cellulare mi raggiunse dal piano di sopra così corsi in camera mia per recuperarlo, sul display una delle tante foto di me e Ashton e nella stanza le note forti di “Knives and pens”, una canzone dei Black Veil Brides che il mio amico si era scelto da solo come sua suoneria.
«Ehi Ash. » salutai portandomi il telefonino all'orecchio.
«Ciao Samantha. Ho visto ora la tua chiamata, scusa se non ti ho risposto. Tutto a posto?»
Pensai alla sera prima, alla festa e a Daniel Honeycut. «Si si, certamente. Grazie.» lo tranquillizzai, non era il caso di raccontargli il perché l'avevo cercato all'una di notte.
«Buongiorno piccola.» sussurrò una voce alle mie spalle mentre due braccia forti si chiudevano con dolcezza su di me facendomi sorridere.
«Sono al telefono.» gli feci notare con un sorriso assaporando il contatto con il suo corpo.
«Spero non con tua madre.» continuò spostandomi i capelli dalla spalla destra e lasciando un leggero bacio sul collo. Voltai la testa verso di lui per incontrare le sue labbra.
«Ehi Sam?» la voce al telefono richiamò la mia attenzione e le mie guance iniziarono immediatamente a bruciare appena mi resi conto di essere ancora al telefono con il mio migliore amico. Colta in fragrante.
«Michael aspetta un attimo.» mi liberai dal suo abbraccio.
«Hai detto MICHAEL?» urlò Ashton tanto che anche il diretto interessato lo sentì, lo capì dallo sguardo incuriosito che mi rivolse subito dopo.
«Con chi stai parlando?» chiese Mike in un sussurro per farsi sentire solo da me. Mimai con le labbra un “te lo spiego dopo” e tornai a prestare l'attenzione al mio cellulare e al ragazzo dall'altra parte della cornetta.
«No, cioè si.» biascicai mentre Ashton mi riempiva di domande, ero completamente in imbarazzo e non avevo idea di come rispondergli.
«Si o no. Non ci sto capendo nulla!» continuò il mio amico.
«Storia lunga. Ora devo andare, ciao.» tagliai corto staccando la chiamata e sentendomi estremamente in colpa per aver nascosto qualcosa ad Ashton per la prima volta in tutta la mia vita.
Tornai in cucina dove Michael mi aspettava con un sorriso sgargiante, sul tavolo due tazze colme di caffè fumante e al centro un piatto con quattro doughnuts farciti con della glassa colorata, mi sedetti davanti a lui ringraziandolo per la colazione.
«Allora, con chi eri al telefono?» chiese addentando una ciambella.
«Ashton, un mio amico.» risposi versando un po' di latte nel mio caffè, «Voleva sapere come stavo.» dissi prendendo un sorso dalla tazza.
«Pensi che abbia capito?» per poco non mi andò di traverso il caffè-latte. Sapevo esattamente a cosa si riferisse ma feci la finta tonta appositamente, Michael continuò credendo che il mio silenzio fosse un'implicita domanda a spiegarsi meglio. «Prima, quando io... cioè noi, ecco...»
«Quando ci siamo baciati?» domandai mettendo fine al suo balbettio, «Si, è possibile.» conclusi mentre la rabbia mi montava dentro, alimentata dal silenzio snervante del mio interlocutore che non accennava ad aprire bocca. «Allora, dov'è il problema?» sbottai alzandomi di scatto e facendo cadere la sedia, i suoi occhi fissi su di me. «Cosa c'è di sbagliato, COSA?» le lacrime che iniziavano a pizzicarmi gli occhi.
«Lo sai, Samantha.» Mike fece per avvicinarsi ma io lo allontanai, non volevo ascoltare una parola di più. Stava andando così bene, perché rovinare tutto?
Mi chiusi in camera mia, non volevo guardare in faccia alla realtà: sapevo che la relazione che mi ero immaginata tra me e Michael era solamente un'utopia, ma non potevo accettarlo sopratutto dopo essermi fatta miseramente illudere dai baci che c'erano stati tra me e lui. Michael busso diverse volte alla porta pregandomi di aprirgli per poter parlare, ma lo avevo sempre respinto dicendogli di lasciami da sola e dopo un po' di tentativi si era arreso.
Verso ora di pranzo era tornato alla carica dicendo di scendere a mangiare, ma io non gli avevo nemmeno risposto, lo sentì trafficare con la maniglia e poi allontanarsi; aspettai di essere sicura che non fosse nei paraggi per aprire la porta trovandovi appesa una busta del McDonald  contenente un cheese-burger, delle patatine e una bottiglietta d'acqua. Quando ebbi finito il mio pranzo poco salutare decisi che stare li con le cuffiette a tutto volume ad ascoltare canzoni che mi deprimevano ancora di più non fosse la cosa migliore, avevo assolutamente bisogno di parlare con qualcuno che avrebbe potuto consolarmi e dirmi che cosa fare.
Scrissi così un messaggio ad Ashton chiedendogli se quel pomeriggio potevamo vederci. La sua risposta non si fece attendere, ma non era quella che mi aspettavo: si scusava dicendo che doveva uscire con Violet; mi sentì tradita: da quando stava con quella ragazza sembrava non avesse più tempo per me. Stavo per iniziare nuovamente a deprimermi quando il cellulare vibrò in avviso di un nuovo messaggio, era di Luke che mi chiedeva come stavo.  Lo ringraziai mentalmente: a volte quel ragazzo aveva un tempismo da far mancare il fiato. Sorrisi nel leggere il nome che gli avevo affibbiato nella rubrica.
 

   Penguin Man:
[ Ehi Sam, come va? ]

[ Non lo so... ]

[ Che succede? ]

[ Tante cose... Ho litigato con Clifford. ]

[ Mi dispiace. Ne vuoi parlare? ]

[ Ne avrei proprio bisogno... ]

[ Il tempo di prepararmi e sono da te ]

[ Grazie mille Luke. Ti voglio bene ]

 

Come sempre Luke era la mia ancora di salvezza. Sapevo che non avrei dovuto raccontargli quello che era successo tra me e Michael, che non avrebbe sicuramente approvato, ma non potevo più tenermi tutto dentro. Sperai che anche lui fosse capace di mantenere il segreto.
Il campanello suonò una decina di minuti dopo: Luke era stato veloce!
Mi precipitai al piano di sotto per aprirgli, fortunatamente Michael era chiuso in camera sua così non avrei dovuto parlargli. Sulla porta di casa trovai un paio di occhi scuri come anche i capelli e non riuscì a nascondere la delusione.
«Aspettavi qualcun altro?» domandò Hood mentre lo facevo accomodare, notai che sulle spalle portava la custodia di una chitarra.
«Si nota così tanto?»
«Un po'. Mike è su?» Annuii. Calum si diresse alla scale ma si fermò sul secondo gradino voltandosi verso di me, «Tutto bene?»
Fui sorpresa dalla sua domanda. «Si, grazie.» mentii.
Il campanello suonò nuovamente, immaginai che questa volta fosse veramente chi stavo aspettando e lo stesso pensò il moro dando voce ai suoi pensieri accompagnandoli ad una risata, mi salutò e raggiunse il suo amico al piano di sopra mentre io mi adoperavo ad aprire la porta a Luke.
 «Allora, ora vuoi dirmi che cosa è successo?» domandò dopo aver fissato gli occhi azzurri nei miei, in attesa di una risposta. Da quando ci eravamo seduti in camera mia, lui su una sedia ed io sul letto, non avevo proferito parola.
Spostai l'attenzione sulla stanza cercando in tutti i modi di non incontrare i suoi occhi azzurri. Volevo raccontargli tutto, confidarmi, sperare in qualche consiglio; ma ora qualcosa mi bloccava: non potevo dirgli nulla, non avrebbe approvato e sopratutto non avrebbe potuto capirmi né aiutarmi, non sarebbe rimasto imparziale. Ora riuscivo a comprendere le insicurezze di Michael: quella tra noi era una relazione illusoria, effimera, che non aveva possibilità di esistere e coesistere con chi ci circondava e ci conosceva.  
«Samantha guardami per favore.» la voce di Luke mi riscosse dai miei pensieri, finalmente alzai lo sguardo su di lui mentre le lacrime iniziavano a sgorgare. Si alzò immediatamente dalla sedia e mi abbracciò, io mi abbandonai ad un pianto silenzioso. «Che hai? Mi fai preoccupare così.» sussurrò accarezzandomi la schiena.
«Scusa...» mormorai con la voce rotta dai singhiozzi, «Scusami.» Mi staccai da lui per guardarlo, «Non posso dirtelo.»
«Non importa, stai tranquilla: non ti obbligo.» mi confortò.
«Invece si che importa: ti ho fatto venire qui per niente.» mi portai le mani sul viso sentendomi in colpa, «Ti sto facendo perdere tempo.»
Luke mi prese i polsi facendomi abbassare le mani, «Non lo pensare nemmeno: sono qui perché ne hai bisogno, che io sappia o no il motivo. Non è una perdita di tempo.»
«Grazie Luke, sei un vero amico.» lo abbracciai.
«Tu faresti lo stesso per me.»
 

*  *  *
 

Quando mi fui calmata io e Luke decidemmo di passare il pomeriggio a cazzeggiare al computer così ci mettemmo a guardare vari video su you-tube.
«Hai sentito?» chiese, io negai con la testa. «Metti in pausa.» feci come mi aveva detto e tesi le orecchie, e lo sentii: sembrava una chitarra. «È  una chitarra!» Luke confermò i miei pensieri.
Entrambi ci alzammo dimenticandoci del video che stavamo guardando, aprì la porta e il suono si fece più forte: veniva dalla camera di Michael. Sempre più incuriositi ci avvicinammo senza far rumore ed io accostai un orecchio sulla porta chiusa senza però riuscire a capire che canzone fosse. Probabilmente mi appoggiai troppo pesantemente, o forse la porta era solo socchiusa, ma ad un certo punto mi mancò  il sostegno dell'infisso e caddi rovinosamente a terra all'interno della camera.
«Ciao ragazzi.» salutai Michael e Calum che avevano smesso di suonare ed ora mi osservavano dall'alto. Sapevo di essere arrossita e cercando di nascondere la vergogna mi alzai velocemente. «Ehm scusate... Vi abbiamo sentito e non siamo riusci a resistere.» ammisi.
«“Siamo”?» domandò Michael.
«Si, c'è anche Hemmings.»
«Ehi ragazzi!» Luke fece capolino dalla porta sentendosi chiamare in causa, «Complimenti, suonate davvero bene.»
«Grazie Lucas.» era stato Hood a parlare. Michael era rimasto in silenzio scrutandomi con gli occhi indecifrabili.
«Posso?» Luke si avvicinò a Calum prendendo la chitarra che gli stava porgendo e si sedette accanto a lui iniziando a strimpellare qualcosa.
«Anche tu non sei male.» ricambiò il moro riprendendo la sua chitarra, Luke lo ringraziò con un cenno del capo.
Ci fu un attimo di silenzio: io e Mike continuavamo a guardarci senza parlare, gli altri due si voltarono verso si noi percependo la tensione che si era creata.
«Scusate se vi abbiamo disturbato. Luke?» dissi rompendo il silenzio e dirigendomi verso la mia stanza.
«Nessun problema.» finalmente Mike parlò, «Anzi, vi va di rimanere: potremmo suonare un po'.»
Luke accettò entusiasta senza darmi il tempo di rispondere, così Michael gli prestò una sua vecchia chitarra ed iniziarono a suonare tutti insieme seduti sul pavimento, io invece mi accomodai sul letto e restai in silenzio ad ascoltarli: non erano per niente male. Dopo un po' si accorsero che io ero ancora li, si guardarono tra di loro e poi smisero di suonare tutti insieme guardandomi con curiosità.
«Hai qualche richiesta?» mi chiese Calum.
«Io non saprei...» dissi imbarazzata.
«Che ne dici qualcosa dei One Direction, li ascolti vero?» continuò Luke conoscendo già la risposta.  Annuii con un sorriso cercando si nascondere l'euforia. Se li ascoltavo: li adoravo! «Va bene per voi?» si voltò verso gli altri due che acconsentirono.
Mike diede il via iniziando a suonare quella che riconobbi come One Thing. La prima strofa la cantò Calum mentre i Muke lo accompagnavano con gli strumenti; io non riuscivo a staccare gli occhi da Michael: ero come ipnotizzata, le sue dita che si muovevano sicure sulla chitarra. La seconda strofa la cantò lui come anche il pre-ritornello, poi sul ritornello si unirono anche le voci di Luke e Cal e il modo in cui si armonizzavano a vicenda mi lasciò senza parole: era impossibile credere che fosse la prima volta che suonassero e cantassero insieme. Alla fine mi lasciai prendere dall'entusiasmo pure io e sul secondo ritornello mi misi a cantare con loro cercando di tenere il tempo battendo le mani.
Se prima avevo ancora qualche linea di arrabbiatura verso Michael, in quel momento e con quella canzone mi era completamente passata. Dopotutto era più forte di me: non riuscivo ad essere arrabbiata con lui, sopratutto per come mi guardava mentre cantava, dritto negli occhi. Ci immaginai come due calamite che si attiravano una verso l'altra, due poli opposti che nonostante tutto si completavano.
«Wow ragazzi, siete stati bravissimi!» mi complimentai applaudendo quando ebbero finito.
«Oh esagerata!» commentò Luke, lo vidi girarsi scambiando uno sguardo d'intesa con Calum che annuì: quei due stavano complottando qualcosa. «Qualcuno ha fame?» continuò posando la chitarra, il moro alzò la mano facendo lo stesso, «Sam, possiamo servirci da soli?» mi chiese alzandosi e facendomi l'occhiolino, senza aspettare la risposta i due uscirono dalla stanza lasciandomi sola con Michael.
Ci guardammo in silenzio aspettando che l'altro prendesse parola, lui si torturata il labbro inferiore mentre io mi mordevo l'interno della guancia. Finalmente Mike decide di parlare: «Scusami.» Una parola che racchiudeva in se tutto, lo perdonai (cosa che in realtà  avevo già fatto). «Non volevo litigare.» ammise mentre si alzava tendendomi le braccia.
«Nemmeno io.» dissi buttandomi nel suo abbraccio.
«Però lo sai che dovremmo poi parlarne...» mi ricordò.
Mi staccai un attimo da lui, «Lo so, ma non adesso.» ritornai con la testa sul suo petto «Per favore.»
«Va bene.» ricambiò stringendomi più forte.
«Michael?» alzai gli occhi su di lui.
«Mhm.»
Guardai verso la porta assicurandomi che non stesse arrivando nessuno, «Me lo dai un bacio ora?» sussurrai arrossendo pensando che fosse una domanda stupida.
Michael non sembrò invece stupirsi e si chinò facendo combaciare le nostre labbra.  Due calamite dai poli opposti.

 

*  *  *

 

Tornai al piano di sotto raggiungendo la sala da pranzo dove i tre ragazzi erano rimasti a chiacchierare mentre io ero andata a prepararmi, Ashton mi aveva proposto di vederci la sera per scusarmi di avermi “paccato” nel pomeriggio. Mi sporsi sulla porta salutando i ragazzi ringraziandoli per la giornata, sul tavolo c'erano ancora i cartoni vuoti delle pizze che avevamo ordinato per cena, e Michael si alzò seguendomi all'entrata, vidi Luke e Calum scambiarsi uno sguardo d'intesa: quei due avevano già capito tutto.
«Non era il caso che mi accompagnavi alla porta.» gli feci notare sorridendo.
«Lo so. Ma poi non avrei potuto fare questo.» sussurrò chinandosi dandomi un bacio sulle labbra.
Mi spostai da lui senza ricambiare come avrei fatto in altre circostanze e  Michael sembrò rimanerci male, «Ci possono vedere!»
Si voltò in direzione della sala da pranzo. «Nha.» fece un passo azzerando le distanze e mi attirò a se, «Ora posso avere il mio bacio?»
Sorrisi arrossendo e mi alzai sulle punte per portarmi all'altezza delle sue labbra. Tutto quello era troppo bello, troppo perfetto. Mi chiesi per quanto sarebbe durato.

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Capitolo 16
*** 15. How to hide a relationship ***


Ashton mi portò a prendere un frappè da Starbucks e ci restammo fino ad orario di chiusura chiacchierando del più e del meno (avevo cercato di evitare di toccare l'argomento Clifford) e, dopo essere stati sbattuti fuori dai commessi, ci eravamo seduti su una panchina a finire i nostri discorsi quando mi era arrivato un messaggio da Michael che mi chiedeva quando sarei tornata essendo passata la mezzanotte, solo allora mi accorsi che si era fatto tardi e così chiesi al mio amico se poteva riaccompagnarmi a casa.
«Sam, ma tu non eri al mare?» chiese ricordandosi solo in quel momento che non sarei dovuta essere a Sidney.
«Si, ma io e Mike siamo tornati un po' prima.» dissi mentre guardavo fuori dal finestrino dell'auto, decisi di rimanere vaga e non dirgli il motivo.
«Michael?» sembrò stupirsi, «Ero rimasto che non andavate molto d'accordo.»
Aveva ragione: non gli avevo più raccontato niente. Mi spostai una ciocca dietro l'orecchio arrossendo, «Sono cambiate un po' di cose... non è così male se lo conosci meglio.» dissi ricordando i nostri baci.
«Mhm, capito...» Ashton tornò a prestare l'attenzione alla guida. Ora che avevamo iniziato l'argomento non potevo tirarmi indietro: era il momento di raccontargli qualcosa in più e sperare in qualche consiglio, presi coraggio ma prima che potessi parlare, lui mi precedette lasciandomi di stucco. «Sam, mi stai nascondendo qualcosa, per caso?»
Oddio quel ragazzo mi conosceva fin troppo bene!  «Bhe, effettivamente sei rimasto un po' indietro.» cercai di scherzare, «Adesso andiamo abbastanza d'accordo. Molto d'accordo oserei dire, il più delle volte.» Ash mi guardò sapendo che non avevo detto ancora tutto così continuai, «Ecco, in verità io e Michael...» non sapevo come spiegarlo: non avevamo una relazione amorosa, ma non eravamo nemmeno soltanto amici, era qualcosa a metà tra le due. «Io e Michael ci siamo baciati.» dissi a bassa voce sperando che non mi sentisse.
Ashton frenò di colpo arrestando l'Holden in mezzo alla strada deserta e si voltò verso di me sconcertato: aveva sentito perfettamente. «COSA?» gridò senza nascondere lo stupore di quella notizia. Ok, l'aveva presa peggio di quanto mi aspettavo.
«Io e Michael ci siamo baciati... e anche un po' di volte se devo essere sincera.» ripetei con voce più ferma mentre le guance iniziavano a diventare ancora più rosse per l'imbarazzo.
«Com'è successo? Cioè, davvero, perché?» l'avevo sorpreso a tal punto che non riusciva nemmeno a formulare frasi di senso compiuto, «Aspetta, oggi quando eri al telefono con me, voi...» iniziava a capire.
«Si, ci stavamo baciando.» ammisi, «E poi dopo abbiamo avuto da ridire perché potevi averci sentito, ma è lui cretino: aveva solo da non baciarmi mentre ero al telefono. Pensa se fosse stata mia madre: sarebbe stato un guaio!» continuai con i miei pensieri.
«Capisco. Cioè no, non capisco...» disse dubbioso, un'auto ci sorpassò suonando il clacson incitando Ashton a rimettere in moto.
«È per questo che volevo vederti... avevo bisogno di qualche tuo consiglio. Che dovrei fare?»
«Non lo so. Dovrei sapere di più, se è successo dell'altro...» continuò cercando di nascondere la curiosità, «Voglio sapere tutto. Ecco:  raccontami tutto... per poterti consigliare meglio, ovviamente.»
Alzai gli occhi al cielo sorridendo: Ashton non era mai stato capace a mentire.
«Ci siamo baciati e basta, nient'altro.» lo tranquillizzai raccontandogli brevemente delle situazioni in cui avevo ceduto alle sue labbra purpuree. «Ma un paio di baci non significano nulla, vero?»
«Chiamali un paio!» scherzò ricevendo una mia occhiataccia. Non era il momento di essere ironici: era una cosa seria!
Ci furono alcuni minuti in cui il silenzio governò la vettura, Ashton prestava attenzione alla strada mentre io cercavo di reprimere i pensieri che si affollavano nella testa senza che riuscissi a fermarli né tanto meno ascoltarli.
«Quindi?» chiese il mio amico.
«Quindi cosa?»
«State insieme?»
«NO, no. Assolutamente no.» risposi senza pensarci, arrossendo nuovamente.
«Sam...» alzai gli occhi al cielo, «lui ti piace, vero?» era andato dritto al punto prendendomi alla sprovvista. Aprii la bocca per negare, «Non dire di no, lo si vede da come ne parli: ti luccicano gli occhi.»
Deglutii rendendomi conto che non potevo mentire ad Ashton, e tanto meno a me stessa.  «È ovvio che mi piace, non mi limono mica con il primo che capita!» cercai di sdrammatizzare.
«E allora non capisco dove sia il problema?»
«Dov'è il problema?» risi amaramente, «Lui è Michael Clifford: il ragazzo che ha reso la mia vita un inferno, quello che provava gusto a farmi sentire perennemente sbagliata, il motivo delle mie insicurezze e la causa di mille pianti e altrettante notti in bianco. Ecco dov'è il problema.»
mi sfogai esprimendo tutta la rabbia che avevo represso negli anni.
«Le persone cambiano.» mi fece notare Ash tentando di consolarmi.
«E se questo fosse un nuovo modo per prendersi gioco di me? Ci hai pensato? No, non riesco a fidarmi, ho il terrore che sia tutto uno scherzo e che appena abbasserò la guardia mi pugnalerà alle spalle.»
«Samantha non puoi permetterti di vivere con questa paura, sopratutto non adesso che abitate sotto allo stesso tetto. Prendi coraggio e affrontalo, parlate, chiaritevi e dai una risposta ai tuoi dubbi. Pensa che in qualunque modo vada ti toglierai un peso; dopo saprai se puoi fidarti o se devi prepararti a difenderti.» nel frattempo eravamo giunti davanti a casa, «Questo è l'unico  consiglio che posso darti. Mi spiace non poterti essere più d'aiuto, ma è una cosa che devi fare da sola.»
Lo abbracciai riconoscente: Ashton era sempre stato bravo a trovare le parole giuste.  «È il migliore consiglio che potessi darmi, grazie.»
«Buona fortuna.»
Scesi dall'auto ringraziando ancora il mio migliore amico e mi diressi verso la porta determinata ad affrontare Michael, era un discorso che entrambi sapevamo che avremmo dovuto fare prima o poi ed ora era giunto il momento di farlo.
A passi pesanti salii le scale mentre l'ansia mi montava dentro, avevo paura di come sarebbe andata la conversazione ma non potevamo rimandare ancora, se non lo affrontavo in quel momento non l'avrei più fatto. Ringraziai mentalmente Ashton per avermi fatto aprire gli occhi e per i suoi preziosi suggerimenti. Raggiunsi la camera di Michael decisa a dare una svolta a tutto quello, volevo dare un nome a quello che c'era tra noi, dovevo sapere se faceva sul serio o se era un altro dei suoi giochetti per divertirsi a spese mie, dovevo capire se potevo finalmente fidarmi come avrei voluto fare da sempre.
Mi fermai davanti alla porta chiusa stringendo i pugni, combattendo contro il desiderio di lasciare perdere e filare in camera mia per dormirci sopra. No, se ora mi tiro indietro domani sicuramente la situazione non migliorerà, dissi a me stessa facendo un lungo respiro per calmare i nervi e prendere coraggio, finalmente aprii la porta. Michael mi venne incontro per salutarmi, ma io mi ritrassi evitando il suo bacio e implorando mentalmente che mi perdonasse per tutto quello che sarebbe potuto succedere nei secondi successivi; lui puntò gli occhi allarmati nei miei senza capire il motivo della mia reazione brusca. Ti prego fa che capisca.
Feci un altro profondo respiro per allentare la tensione prima di prendere parola. «Dobbiamo parlare.» dissi con voce ferma, il suo viso sbiancò ulteriormente (e la credevo una cosa impossibile dato la carnagione  diafana) facendo risaltare ancora di più la capigliatura colorata e le labbra rosee, quelle labbra che avrei baciato ogni secondo. Allontanai quel pensiero: Samantha Harris contieniti!
«È successo qualcosa?» chiese allarmato.
Gli feci segno di sedersi sul letto e mi accomodai accanto a lui voltandomi per poterlo guardare negli occhi. «Dobbiamo parlare...» ripetei cercando di mantenere la voce più ferma possibile, «...di me e di te. Emh, di quello che sta succedendo tra noi. Ti prego lasciami finire!» continuai zittendolo appena lo vidi aprire bocca, lui annui. «Non mi fraintendere: sto bene con te, davvero... non pensavo che l'avrei mai ammesso. Se qualcuno, qualche mese fa, mi avesse detto che saremmo andati più che d'accordo gli avrei dato del pazzo.» sorrisi a quel pensiero. Mi resi conto che mi stavo divagando così lo guardai attentamente negli occhi andando dritta al punto: «Però Michael, io ho bisogno di sapere quali sono le tue reali intenzioni.»
Nei secondi successivi analizzai il viso del mio interlocutore cercando di capire cosa gli stesse passando per la testa ed aspettai in silenzio una risposta. «Non capisco che cosa vuoi sapere.» disse semplicemente.
«È tutta una messinscena?» sbottai alzando la voce e mettendomi in piedi di fronte a lui.
Lo osservai in un silenzio snervate: teneva gli occhi bassi, la labbra erano serrate e la fronte corrucciata, capii che si sentiva tremendamente offeso. «Come puoi solo pensarlo?» chiese con calma puntando gli occhi indecifrabili nei miei. Inghiottii il groppo di saliva che mi si era fermata in gola mentre anche lui si alzava. «Come puoi solo pensare che io ti stia prendendo in giro? Che io ti possa fare del male?»
«Lo sai perché: è già successo,» lo fronteggiai coraggiosamente, «mi hai  ferito per anni. Perché ora dovrebbe essere diverso?»
«Perché non ero in me, ma ora sono cambiato. Ho sbagliato lo so, ti prego di perdonarmi. Pensavo che l'avessi capito, che mi avessi accettato.» fese un passo verso di me, «Non lo capisci? Sei l'unica ragazza a cui mi sono mostrato per come sono veramente.» mi posò una mano sulla guancia ed io alzai gli occhi, che avevano iniziato a pizzicare, nei suoi. «Samantha, io voglio stare con te.»
L'osservai non del tutto convinta pensando che stesse ancora mentendo, ma in ogni lineamento del suo volto lessi che era la verità. Mi buttai tra le sue braccia scusandomi per non essermi fidata, e mi tranquillizzai all'istante quando le sue braccia si chiusero sulla mia schiena.
Una cosa era stata chiarita, ora toccava alla seconda e sapevo che non sarebbe stato semplice parlarne e trovare un accordo. «Cosa pensi che diranno i nostri genitori su tutto ciò?» domandai allontanandomi.
Michael rimase in silenzio con aria pensierosa, notai una strana luce illuminargli il viso mentre sorrideva: aveva in mente qualcosa. «Non penso siano obbligati a sapere di noi.»
Lo guardai sbalordita: «Dobbiamo mentire ai nostri genitori?»
«Non mentire: evitare di dare certe informazioni.» chiarì facendomi l'occhiolino.
Sebbene fossi stupita dal suo ragionamento non gli diedi torto. «E se dovessero scoprirci o accorgersene?»
«Faremo attenzione» disse intrecciano le dita alle mie, «e quando ci sono anche loro in casa ci comporteremo come abbiamo sempre fatto, senza destare sospetti.»
«Dovremmo nasconderci anche dai nostri amici?»
Michael spostò lo sguardo sovrappensiero, «Non saprei. Sembra che Hood ed Hemmings abbiano capito.»
«Anche Ashton lo sa.» ammisi.
«Bene, allora faremo così: a scuola nessuno deve sospettare di noi, come anche Daryl e Rose-Anne. Quindi gli unici con cui possiamo abbassare un po' la guardia sono Calum, Lucas e quel tuo amico, nessun altro. Ok?»
Annuii. Pensavo che sarebbe stato difficile ma ero così emozionata che lo presi come un gioco: tenere nascosta la nostra relazione rendeva tutto più eccitante. Glielo dissi mentre posavo le labbra sulle sue, chiudendo gli occhi alla scarica di adrenalina che mi dava la vicinanza con il suo corpo.

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Capitolo 17
*** 16. Let's make a band! ***


Nei giorni successivi io e Michael approfittammo di essere totalmente soli in casa per comportarci come una vera coppia, cosa che sarebbe stata più difficile in presenza dei nostri genitori ai quali avevano deciso di nascondere la relazione credendo che non avrebbero approvato. Eravamo felici però sapevamo entrambi che presto le cose sarebbero cambiate, ma non volevamo preoccuparci prima del dovuto godendoci così quegli ultimi giorni senza troppe ansie.
Aprii gli occhi e mi voltai verso il ragazzo che dormiva al mio fianco, finalmente la tinta dei capelli aveva iniziato a diminuire di intensità, gli sorrisi quando aprii gli occhi e mormorò “Buongiorno” con voce rauca, mi allungai per dargli un leggero bacio e poi mi alzai lasciandolo sonnecchiare ancora un po'. Michael mi raggiunse in cucina una decina di minuti dopo per fare colazione insieme.
«Dovremmo andare a fare la spesa prima che arrivino i vecchi.» gli feci notare porgendogli una scatola quasi vuota, «I cereali sono finiti.» Mike mi diede ragione versando quel poco che rimaneva nella scatola in una tazza con troppo latte. «Anche oggi vengono qui Cal e Luke?» chiesi sedendomi al tavolo sorseggiando il mio caffè-latte; in quei tre giorni i due ragazzi si erano fermati da noi ed immaginai che quel giorno non sarebbe stato diverso, Michael me lo confermò con un cenno del capo.
 

*  *  *
 

Analizzai la lista che avevo scritto per ricordarmi le cose che mancavano in casa e tirando una linea sopra a quelle che avevamo già preso; ero riuscita a convincere Michael ad accompagnarmi al Market per fare la spesa in modo che i nostri genitori, al loro ritorno il giorno successivo, non trovassero la dispensa vuota.
«Signorina Harris?» disse qualcuno al mio fianco, avevo riconosciuto la voce ma non riuscivo ad associarla a nessun volto.
Distrattamente alzai gli occhi dal post-it, «Oh, buongiorno Mrs. Jackson.» salutai cordialmente la mia insegnate di matematica senza riuscire a nascondere lo stupore nel trovarla li.
Una voce alla spalle della donna chiamò il mio nome attirando la sua attenzione e distraendola (per mia fortuna) dalla noiosa conversazione che avevamo iniziato a proposito delle lezioni. «Sam,» Michael sbucò da dietro uno scaffale mostrandomi due pacchi diversi di cereali, «quali devo prendere: ColorLoops o AlphabetSoup?»
Arrossii notando l'espressione sorpresa della professoressa e mi scusai per prestare attenzione al ragazzo: uno conteneva piccoli anelli colorati mentre l'altro delle letterine, «la prima direi, sennò Marvin al mattino perde tempo per formare delle parole anziché fare colazione.»
«Perfetto, ColorLoop sia.» sentenziò posando nel carrello il pacco prescelto e notando solo in quel momento la donna al mio fianco. «'Giorno prof.» salutò mentre le passava davanti dirigendosi da dov'era arrivato.
«Allora le voci che girano a scuola sono vere,» disse Mrs. Jackson facendomi arrossire ulteriormente, nel frattempo Michael ci aveva raggiunto, «i vostri genitori vivono insieme?»
«Esatto, attualmente è così.» risposi in imbarazzo.
«Chi l'avrebbe mai detto: Clifford ed Harris fare la spesa insieme senza  causare problemi, ora le ho viste proprio tutte.» scherzò la donna, «Vi auguro una buona giornata ragazzi, e godetevi gli ultimi giorni di vacanza: al ritorno ci sarà una verifica!» si allontanò ridendo lasciandoci senza parole, sentì Michael farfugliare qualcosa tipo “va al quel paese, tu e la tua matematica” e dovetti cercare di non ridere troppo forte.
 

*  *  *
 

Luke e Calum erano arrivati dopo pranzo per suonare con Michael come succedeva da diversi pomeriggi;  Luke, che inizialmente nutriva seri dubbi sulla possibile amicizia con i due ragazzi da cui mi aveva sempre difeso a scuola, sembrava rilassato in loro compagnia e si divertiva mentre strimpellavano con le loro chitarre. Io ogni tanto mi fermavo ad ascoltarli complimentandomi con loro trovandoli veramente bravi e poi tornavo a fare altro, come le faccende di casa in modo che non dovessi fare all'ultimo sapendo di non poter contare sul quel fannullone di pseudo-fratellastro.
Li raggiunsi in soggiorno dove avevano deciso di suonare approfittando del sole caldo che si rifletteva sulla porta a vetri, osservai oltre la grande vetrata che dava sul giardino sul retro l'acqua della piscina che veniva increspata lievemente dal vento e le foglie del melo che avevano cominciato ad ingiallire segno che l'autunno era ormai iniziato.
Stavano suonando “I miss you” dei Blink 182 così aspettai che avessero finito, «Fate una pausa?» chiesi posando un piatto di biscotti sul tavolino davanti ai due divanetti ad angolo, «Ho anche preparato del tè, ne volete?»
I tre ragazzi mi ringraziarono e Michael si allungò per afferrare un biscotto, «Venite voi in cucina o ve lo devo portare di qua?»
«Ehm, ce li porteresti tu? Per favore.» chiese il biondo.
Annuii alzando gli occhi al cielo: fannulloni. «Come volete padroni.» scherzai.
«Aspetta, ti do una mano.» si propose Mike prendendo un altro biscotto prima di raggiungermi.
Notai gli altri due scambiarsi un sguardo complice e Calum si lasciò sfuggire un'osservazione su me e il tinto, l'interessato si voltò verso l'amico facendogli l'occhiolino e un “ok” con la mano facendo ridere tutti. Michael mi seguì in cucina e quando fu sicuro che non ci potessero vedere mi attirò a se per baciarmi; non gli avevamo detto esplicitamente che stavamo insieme però credevamo che lo avessero capito, ma comunque anche con loro cercavamo di mantenere il segreto.
«Quei due sanno già troppo.» gli feci notare e lui ovviamente mi diede ragione ma senza preoccuparsi più di tanto: non era un problema che Cal e Luke sospettassero di noi, l'importante era che non lo andassero a spifferare in giro e senza avere delle prove certe non lo avrebbero sicuramente fatto, in oltre sapevamo che non avrebbero mai messo in imbarazzo due amici.
«Inizio a portare queste, tu porta la mia e la tua.» disse Mike dopo aver versato il tè fumante in due tazze e tornando dagli altri; versai il restante contenuto della teiera in altre due e lo raggiunsi.
«Sapete ragazzi, potreste mettere su una band!» scherzai scavalcando una chitarra abbandonata sul pavimento e sedendomi vicino a Michael porgendogli la sua tazza.
«Non sarebbe una cattiva idea!» si illuminò Calum.
«Già, non siamo così male. Vero Sam?» gli fece eco un Mike sorridente voltandosi verso di me, io annuii senza trovare il coraggio di dirgli che non ero seria.
«Però tre chitarre...» iniziò Luke pensieroso, «Non si è mai visto un gruppo di sole tre chitarre»
«Luke ha ragione,» lo ringraziai con lo sguardo per aver capito i miei dubbi, «dovrebbero esserci anche altri strumenti.»
«Altri strumenti?» chiese Cal.
«Si, tipo la batteria.» spiegai.
«In effetti non hai tutti i torti.» mi diede ragione il moro.
«Ma quante ne sai?» si intromise Michael stringendomi con un braccio ma ritraendosi prima che gli altri due potessero notarlo.
«Il compagno di mia zia suona la batteria in un gruppo e una volta sono andata a vederli in sala prove.» dissi timidamente per rispondere a Mike, «Oppure anche il basso elettrico.»
«Il basso potrei suonarlo io!»
«Sai suonare il basso Calum?» chiese retorico Luke.
«No, ma non penso sia così difficile: è tipo una chitarra a quattro corde.» tornò alla carica il moro.
«Allora hai un basso?» chiese ancora il biondo nel tentativo di far tornare con i piedi per terra l'amico.
«Ehm. No, nemmeno...» rispose Cal tristemente ma senza però perdere il sorriso furbetto, «Però se non sbaglio a scuola c'è una stanza adibita a sala prove e sicuramente un basso ci sarà. Potremmo chiedere il permesso di suonare lì dopo le lezioni, così provo a vedere come mi trovo con il basso e se va bene poi me ne posso procurare uno mio.»
«Ci sta, grande idea Calum!» mi congratulai con lui, e anche Luke e Mike fecero lo stesso.
«E per la batteria che facciamo?» continuò Luke, «Nessuno di noi la sa suonare e poi io preferirei suonare la chitarra, come credo anche Michael.» il tinto annuii dandogli ragione.
«Una cosa per volta ragazzi! Iniziate così, in modo che Cal si abitui con il basso, e poi cercherete un batterista.»
«Quindi l'unico che si sacrifica sono io?» chiese il moro.
«Si!» rispondemmo in tre ridendo.
«E non puoi nemmeno più tirarti indietro!» lo punzecchiò Michael, «Ti ho registrato col telefono.»
«Sei serio?»
«Ovviamente.» fece partire la registrazione dove si sentiva Calum dire che il basso lo avrebbe suonato lui. Scoppiamo tutti e quattro in una fragorosa risata.
«Congratulazioni ragazzi: avete appena messo su una band!»
 

*  *  *
 

Mi arrampicai sul mobile della cucina per arrivare al pensile più in alto, imprecando mentre cercavo di prendere il pacco di marshmallow che ovviamente si trovava dietro tutto, esultai quando riuscii ad afferrarlo. Raggiunsi il soggiorno dove Michael mi aspettava con il telecomando in una mano e una lattina di birra nell'altra. Luke e Calum si erano fermati a mangiare una pizza tutti insieme e poi erano andati via, così io e Mike avevamo deciso di passare il resto della serata a mangiare altre schifezze e a guardare la televisione.
«Tutto a posto?» guardai confusa il ragazzo che cercava di trattenere il sorriso, «Ti ho sentito dalla cucina.»
«Si si, non riuscivo a raggiungere i marshmallow.» spiegai lanciandogli il pacco delle caramelle gommose.
«Potevi chiamarmi, te lo prendevo io.» posò sul tavolino la lattina che immaginai ormai vuota.
«Così avresti potuto sbattermi in faccia la tua altezza, Mozzarella?» Micheal si divertiva un sacco a prendermi in giro perché ero bassa chiamandomi “Puffa” e io facevo lo stesso con il suo colorito (o meglio “non-colorito”) «No grazie, come vedi ce l'ho fatta da sola.» Mi sedetti sul divano accoccolandomi a lui, «Che guardiamo di bello?»
«Danno il Signore degli Anelli, per te va bene?» indicò con il telecomando la tv andando avanti con i canali fino a raggiungere quello che cercava, «Inizia tra dieci minuti.»
«Va bene. Tanto non penso che lo seguirò molto.» dissi con innocenza guardandolo.
«Hai ragione, come potresti con un figo come me vicino? Avresti occhi solo per me, anche io starei tutto il tempo a guardarmi. Dopotutto la mia bellezza è disarmante.» scherzò alzando il mento.
«Anche il tuo senso dell'umorismo.» risposi a tono ridendo. «Intendevo che molto probabilmente mi addormenterò.» Mi conosco troppo bene, so che sarebbe finita sicuramente così!
«Vuol dire che dovrò tenerti sveglia io.» sorrise maliziosamente  passandomi un braccio dietro la schiena e io appoggiai la testa sulla sua spalla.
Il film era iniziato da un po' e differentemente a come credevo lo stavamo seguendo senza distrarci troppo. Sorrisi mentre gli rubavo di mano un  marshmallow, sottratto proprio da sotto il naso.
«Quello è mio, ridammelo!»
«Troppo tardi.» dissi con la bocca piena e facendogli un smorfia subito dopo, lui ricambiò alzando gli occhi al cielo.
Quando feci per prenderne un altro (giusto per istigarlo) Michael alzò il braccio per tenere il pacchetto fuori dalla mia portata, così mi allungai su di lui per cercare di raggiungerlo e quando stavo per riuscirci lui mi piazzò una mano in piena faccia per farmi allontanare.
«Non toccare il mio tessooro!» scherzò cercando di imitare la voce di Gollum e scoppiando poi a ridere entrambi.
Continuammo a guadare la televisione senza disturbaci ulteriormente e senza che quell'ingordo di Michael condividesse le caramelle gommose, ci eravamo anche messi più comodi sul divano sdraiandoci per tutta la sua lunghezza e Mike mi abbracciava con un braccio mentre con l'altro si teneva su la testa per vedere meglio lo schermo,  sorrisi quando mi cadde l'occhio sul pacco di marshmallow che giaceva ormai vuoto sul pavimento.
Riuscii a non addormentarmi per tutto il film e solo sui titoli di coda mi voltai verso Michael per nascondere il viso nel suo torace, lo sentii allungarsi per pendere il telecomando e spegnere la televisione, poi chiusi gli occhi rilassandomi ascoltando il battito lento del suo cuore.
 

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ANGOLO  AUTRICE


Ed ecco il sedicesimo capitolo. Spero abbiate apprezzato i nuovi sviluppi e che in generale vi stia piacendo questa storia, mi rattrista solo dire che la ff è quasi al termine...
Anyway... pian piano la nostra amata band autraliana si sta formando, ma non averrà completamnte in questa storia (piccolo spoiler su un futuro sequel). Povero Calum che si è dovuto sacrificare per suonare il basso, "o chitarra a 4 corde" (ammetto che da bassista mi sono sentita un pò male a scrivere una cosa del genere), ma qualcuno doveva pur farlo, no?
Ammetto che questi ultimi quattro capitoli sono stati un pò troppo pucciosi per i miei soliti standar (viva le carie), ma un pò più di dolcezza ogni tanto ci sta, giusto?
Ok, sto parlando più del solito, quindi, al prossimo capitolo e grazie mille a chi sta leggendo, mi riempite il cuore di gioia

 

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Capitolo 18
*** 17. A cannot shutdown smile ***


Sbattei le palpebre infastidita da un rumore sconosciuto che aveva osato turbare il mio sonno e mi resi conto che alla fine io e Michael ci eravamo addormentati sul divano, sentivo contro la fronte il suo torace alzarsi ed abbassarsi seguendo il suo respiro calmo e nelle orecchie il battito del suo cuore. Non avevo nessuna intenzione di aprire gli occhi ne tanto meno alzarmi per andare a controllare così mi strinsi di più a lui pensando di essermelo solo immaginato e continuai a dormire.
O almeno ci provai: pochi secondi dopo quel rumore, che riconobbi come il suono di una serratura che scattava, si fece sentire di nuovo seguito dalla porta d'entrata che veniva aperta. Il suono delle scarpe sul pavimento e delle rotelle delle valigie che venivano trascinate dentro casa, una luce lontana che veniva accesa e dei piccoli passi in corsa verso il soggiorno.
Spalancai gli occhi allarmata; solo in quel momento mi resi conto che i miei genitori erano tornati dalla vacanza al mare ed io e Michael stavamo dormendo l'uno attaccato all'altra sul divano: quello non era il miglior modo per iniziare a “tenere nascosta la nostra relazione”. Mi prese il panico e iniziai a scrollare il ragazzo nell'inutile tentativo di svegliarlo (quello non si svegliava nemmeno con le cannonate) sperando di essere ancora in tempo per evitare di essere scoperti.
La luce innaturale mi colpii in pieno viso svegliandomi del tutto così cercai di alzarmi per farmi trovare in condizioni più accettabili, e sopratutto meno plausibili, però le gambe mi cedettero facendomi cadere sul divano e sul malcapitato Michael che si svegliò in un sussulto, lo vidi mettersi a sedere strabuzzando gli occhi. Abbracciai il bambino che nel frattempo mi si era buttato al collo salutandomi con allegria.
«Buongiorno ragazzi!» disse Daryl divertito raggiungendoci e notando i cartoni di pizza abbandonati in un angolo della stanza e le lattine di birra sparse qua e la, «Fatto baldoria ieri sera, eh?»
«Ehm, sono venuti dei nostri amici.» risposi arrossendo completamente mortificata, «Ma ora mettiamo tutto a posto, promesso.»
«Sarà meglio.» commentò mia madre affacciandosi dall'entrata.
«Bravi bravi, date i festini in casa mentre gli adulti non si sono!»
«Sono venuti solo Calum e Luke.» cercai di spiegarmi.
Daryl scoppiò a ridere «Tranquilli lo facevamo anche noi alla vostra età.» Mi sentii offesa dal fatto che non mi credesse ma in fin dei conti non si era arrabbiato, tutt'altro, quindi ci passai sopra. «Meglio se ora però ripulite tutto sennò...» continuò ammiccando ed indicando la direzione dove mia madre si era diretta.
«Sennò ve la vedrete con me!» ci raggiunse la sua voce (quella sentiva tutto: faceva paura!), Daryl fece una smorfia come se fosse stato scoperto con le mani nel sacco facendo scoppiare a ridere il mio fratellino ancora stretto a me, poi si allontanò.
«Ehi piccolo koala,» dissi rivolgendomi a Marvin, «sono andate bene le vacanze?»
Il bambino mosse energicamente la testa, «Mi siete mancati.» aggiunse con innocenza.
«Anche tu mi sei mancato tanto!» ammisi abbracciandolo, «Che ne dici se però ora ti stacchi così io e Michael iniziamo a mettere a posto questo disastro?»
«Ok, vi posso aiutare?»
«Certamente,» dissi facendolo scendere, «Mike. Mike? Michael!» non potevo crederci: si era rimesso a dormire, quel ragazzo era impossibile!
«Eh, co-cosa c'è?» chiese con voce impastata. Adoravo Michael appena sveglio: per i primi cinque/dieci minuti sembrava che nella sua mente ci fosse il vuoto più totale e guardava fisso davanti a se assumendo un'espressione che avrebbe fatto invidia ad uno zombie.
Sorrisi vedendolo in quello stato sebbene ne fossi ormai abituata, «Devi aiutarmi a pulire.» spiegai pazientemente, lui annuii ma io sapevo perfettamente che non aveva capito una sola parola di quello che avevo appena detto.
Mi alzai sospirando lasciandolo nel suo stato di catalessi ed iniziai a raggruppare i rifiuti sparsi per il soggiorno facendomi aiutare da Marvin, quando finalmente il ragazzo diede segni di vita si unì a noi e riuscimmo a finire abbastanza in fretta; diedi a Michael il compito di andare a buttare il sacco della spazzatura fuori e lui provò anche a protestare perché i cassonetti si trovavano lontani da casa nostra, ma gli feci notare che il grosso del lavoro l'avevamo fatta io e il mio fratellino e che quindi non poteva lamentarsi così dovette obbedirmi.

 

*  *  *


 

Mi stavo rilassando stesa sul mio letto quando mi parve di sentire Michael inveire contro qualcosa così incuriosita mi avvicinai alla sua stanza e sbirciai dalla porta leggermente aperta.
«Maledetta borsa di merda, perché non ti vuoi chiudere? Cazzo!»
Viva la finezza. Sorrisi spingendo ancora un po' la porta per osservare il ragazzo litigare con una valigia troppo piccola per il proprio contenuto.
«Perché invece di stare li a ridere non vieni ad aiutarmi?» disse accorgendosi di me.
«Che stai facendo?» chiesi reprimendo un sorriso e chiudendo la porta alle mie spalle.
«Non riesco a chiudere la valigia.»
«Questo lo vedo anche io. E io che dovrei fare?»
«Vieni qui e siediti sopra.»
«Non pensi che ci sia troppa roba per una sola settimana?» chiesi sedendomi sulla malcapitata valigia. Il mattino seguente Michael sarebbe partito per Melburne per andare dalla madre.
«È solo l'essenziale.» disse facendo scorrere la cerniera ed esultando quando finalmente riuscii a chiuderla del tutto. «Ecco fatto, ora puoi alzarti.» mi ringraziò porgendomi la mano ed attirandomi a se per baciarmi.
Cazzo se mi erano mancate le sue labbra, pensai tra me e me. Era tutto il giorno che io e Mike non riuscivamo a stare completamente soli: a pranzo Daryl e mamma hanno voluto sapere come era stata la festa e come avevamo passato quei giorni senza i genitori (ovviamente mentimmo) e poi Marvin ci supplicò di giocare con lui perché gli eravamo mancati (e non potemmo dire di no).
«Quando torni?»
«Il prossimo venerdì.»
«Mi mancherai.» ammisi abbracciandolo. Mi ero così abituata alla sua presenza che ora l'idea che non l'avrei visto per un'intera settimana mi sembrava inconcepibile.
«Anche tu mi mancherai,» disse accarezzandomi i capelli, «forse...»
«Come forse?» domandai offesa staccandomi, lo vidi ridere sommessamente. «Sarò clemente: ti do la possibilità di correggerti.» scherzai afferrando il suo cuscino e quando scosse la testa lo colpii iniziando a ridere.
Micheal si rannicchiò sotto ai colpi morbidi del cuscino e cercò di tentare una fuga ma si inciampò nella valigia per terra schiantandosi sul letto. «Ok ok.» si arrese voltandosi a pancia in su ed alzando le mani, «Mi mancherai anche tu.»
«Sarà meglio...oh.» Mike mi tirò per un polso facendomi cadere sopra di lui. Ridemmo entrambi.
Mi persi nel profondo dei suoi occhi verdi ammirandone le sfumature grigiastre, poi mi spostai sulla bocca inspiegabilmente rosa (le prime volte che l'avevo visto credevo che mettesse il lucidalabbra) sorrisi e Mike fece lo stesso prima di farla combaciare con la mia in un leggero bacio; poi osservai i capelli strategicamente spettinati e il loro innaturale colore.
«Che dirai a tua madre a proposito dei tuoi capelli?»
Michael sembrò pensarci un attimo, «Bhe, se dovesse chiedermelo gli dirò che avevo voglia di cambiare stile.»
«Magari quando torni ti posso fare una tinta così non ti fai vedere a scuola con i capelli fucsia, » proposi,«a meno che non vuoi essere preso per gay.»
«Ma io non lo sono.» commentò abbassando lo sguardo sul mio decoltè e assumendo un'espressione tutt'altro che casta.
«Direi proprio di no.» dissi ridendo e richiamando la sua attenzione con un bacio, «Ma ti ricordo che nessuno a scuola sa di noi.»
Lui annuii stringendomi ancora di più e io mi crogiolai nel calore e nelle sicurezza che mi trasmettevano le sue braccia. Finalmente mi sentivo felice e avrei voluto gridare a tutto il mondo quanto Michael Clifford fosse un ragazzo meraviglioso però ero consapevole che non potevo farlo, che nessuno avrebbe dovuto sapere di noi, ma in fin dei conti era una cosa di cui potevo fare a meno: non era importante che tutti sapessero chi fosse la causa del mio sorriso, ma il fatto che ora il mio sorriso non si poteva spegnere.
«Ragazzi la cena è pronta, scendete?» la voce di mia madre mi riscosse dai miei pensieri così io e Michael ci avviammo alla cucina, il mio fratellino si unì a noi e sorrisi quando il ragazzo giocò a rincorrerlo e, tra le risate del bambino, se lo caricò sulle spalle come un sacco di patate per scendere le scale.

 

*  *  *

 

Fissavo il soffitto della mia camera stesa sul letto mentre le note di “We are the waiting” si ripetevano per l'ennesima volta nella mia testa. Quella canzone mi ricordava dei momenti felici ed avevo iniziato ad ascoltarla ad oltranza, come d'altronde succedeva ogni volta che scoprivo una nuova canzone che mi piaceva a tal punto da ascoltare solamente quella fino quasi ad odiarla.
La porta della mia stanza si aprii leggermente, accesi lo schermo del telefono e luce fioca illuminò una testa fucsia che faceva capolino dallo spiraglio, velocemente disattivai la ripetizione dalla play-list (non volevo che vedesse che ascoltavo solo quella canzone).
«Sam, sei ancora sveglia?» sussurrò Michael e dopo avermi visto alzare sui gomiti richiuse la porta alle sue spalle proseguendo a tentoni e imprecando quando il mignolo di un suo piede si imbatté nello spigolo della scrivania, poi si fermò vicino al mio letto.
«Michael che fai?» chiesi togliendomi una cuffietta.
«Ho aspettato che i vecchi e Marvin dormissero,» spiegò, «volevo stare un po' con te dato che sarò via per una settimana e anche salutarti come si deve visto che domani in aeroporto non potrò farlo.» si abbasso per baciarmi e poi indicò il letto, «Posso?»
«Certamente, ma fai attenzione.» dissi riferendomi al fatto di non farsi trovare con me dai nostri genitori.
«Tranquilla, ho messo la sveglia nel caso mi dovessi addormentare.» alzai gli occhi al cielo perfettamente consapevole che l'unica che avrebbe sentito quella sveglia sarei stata io, Mike posò il cellulare sul comodino e si infilò sotto alle coperte. «Cosa ascolti?» si portò la cuffietta vagante all'orecchio e sorrise quando riconobbe i Green Day, «Oh, we are the waiting: la nostra canzone!»
Arrossi visibilmente quando lo sentii dire quelle parole. Ascoltammo insieme la fine della canzone e poi spensi il telefonino posandolo accanto al suo; mi strinsi al suo torace posando la testa nell'incavo tra il mento e la spalla, Mike mi accarezzava dolcemente i capelli e io mi addormentai confortata dal suo tocco.

Un paio di ore dopo la fatidica sveglia si fece sentire buttando giù dal letto me e senza smuovere di un centimetro il suo proprietario proprio come avevo previsto, maledissi il ragazzo che dormiva beatamente avvinghiato al mio fianco e, dopo essermi liberata dalla sua stretta, mi alzai per spegnere la sua sveglia. Spostai lo sguardo su di lui sbuffando all'idea dell'arduo compito che avrei dovuto compiere: svegliarlo!
«Mike ti devi alzare, sono le quattro del mattino.» sussurrai scrollandolo per la spalla, lui grugnì infastidito ma dopo un paio di forti scossoni riuscii a fargli aprire gli occhi. Gli sorrisi «Michel è meglio se vai a dormire nella tua stanza ora.»
Lui annuii biascicando un “ok”, mi baciò sulla fronte mormorando “ti voglio bene” e “mi mancherai” poi scivolò fuori dal letto, lo seguii con lo sguardo mentre di allontanava verso la sua camera con passo strisciante.

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Capitolo 19
*** 18. New friends ***


Mi affacciai sulla lavanderia dove mia madre stava svuotando la lavatrice per avvisarla che sarei uscita e di non contarmi per la cena, sulla porta incontrai Daryl che rincasava dal lavoro così salutai pure lui e uscii. Mentre raggiungevo l'Holden rossa parcheggiata dall'altra parte della strada mi strinsi nella giacca di jeans constatando che negli ultimi giorni il clima aveva iniziato a farsi meno caldo.
Appena una settimana prima Michael era partito per andare a trovare la madre che viveva a Melburne, quel venerdì mattina ci eravamo svegliati tutti presto e l'avevamo accompagnato all'aeroporto, li io e Mike ci eravamo salutati solo con un cenno della mano di cortesia per non destare sospetti nei nostri genitori, ma ci eravamo poi sentiti al telefono subito dopo che era atterrato.
Dovevo ammettere che mi mancavano le lunghe partite ai video game fino a tarda sera; come mi mancava non vederlo girare in casa come un fantasma, con i pantaloni della tuta sgualciti e il vizio di tirare le maniche della felpa a nascondere le mani. Ricordai una notte che mi ero alzata per andare a bere e mi ero spaventata a morte quando me lo ero trovato davanti con un pacco di biscotti in mano e la scusa del “non riuscivo a dormire perché avevo fame”.
«Cosa ti fa tanto ridere?» domandò Ashton quando salii in macchina, notando il sorriso da ebete che avevo sicuramente assunto in quel momento.
«Niente, pensavo.» risposi arrossendo cercando di scacciare quei pensieri.
«Fammi indovinare...» Ash finse di pensarci su, «a Michael?» annuii sapendo che non c'era bisogno che rispondessi. «Da quando state insieme non fai altro che pensare a lui.» scherzò.
Si, Ashton sapeva che io e Michael ci eravamo messi insieme come sapeva che volevamo tenere la relazione nascosta, era stato l'unico a cui l'avevo raccontato.
«Possibile.» feci una breve risata, annunciando poi felice: «Torna domani, sai?»
«Si, me l'avevi già detto.» rise.
Arrossii rendendomi conto che forse avevo esagerato. Decisi di cambiare discorso «Allora, quali sono i programmi per stasera?» come sempre Ashton era rimasto vago sul perché mi aveva chiesto di uscire.
«Andiamo dal giapponese con gli altri. »
«“All you can eat”?» Ash annuii ed io esultai al pensiero di tutto quello che avrei potuto mangiare.
Dopo una ventina di minuti Ashton fermò la macchina ma mi resi conto subito che non ci trovavamo vicino al ristorante giapponese, pensai anche che avesse deciso di parcheggiare li perché aveva trovato un posto più comodo però era impossibile perché era in tutt'altra zona. Senza dire una parola Ash aprii la portiera e scese lasciandomi da sola.
«Dove stai andando?» chiesi affacciandomi dal finestrino abbassato mentre faceva il giro dell'auto.
«Vado a chiamare Violet, ho invitato anche lei.» disse indicando il palazzo alle sue spalle.
Ashton si voltò dirigendosi verso il portone di vetro e ferro, lo vidi suonare uno dei tanti campanelli senza neanche il bisogno di cercarlo  come se ormai fosse abituato (cosa molto probabile), si chino per rispondere al citofono e sparì oltre il portone che nel frattempo era stato aperto.
Erano oramai passati più di una decina di minuti e per tenermi compagnia mi ero messa ad ascoltare un CD che avevo trovato già nella radio, era X di Ed Scheeran e sebbene non conoscessi le sue canzoni la maggior parte di quelle le avevo già sentite così avevo potuto anche mettermi a canticchiare indisturbata. Dopo aver finito di cantare a squarcia gola la terza canzone - Sing - decisi che Ashton sarebbe già dovuto tornare da un pezzo così presi il telefono per dirgli di darsi una mossa.
«Che cazzo state facendo?» chiesi esasperata appena rispose. Ero stufa di essere messa da parte da Ashton per quella ragazza.
«Stiamo arrivando, scusa.» disse chiudendo la chiamata prima che potessi dire altro. Dalla voce mi era sembrato concentrato su qualcos'altro e non potei non incazzarmi ulteriormente: poteva fare tutto quello che voleva con la sua ragazza, ma non mentre la sua migliore amica era in macchina ad aspettarlo!
Incrociai le braccia al petto sbuffando mentre posavo il cellulare nella borsa, fortunatamente poco dopo il portone del palazzo si aprii e ne uscirono Ashton seguito da due ragazze - una aveva i capelli molto chiari mentre l'altra scuri, sembravano i due opposti - una delle due ovviamente doveva essere la ragazza di Ash mentre l'altra non avevo idea di chi fosse. Scesi dalla macchina, rendendomi conto che stavo facendo la maleducata, e li raggiunsi per andare a presentarmi.
«Ciao, piacere Samantha.» salutai porgendo la mano alla bionda che si era avvinghiata al braccio del mio migliore amico. Lei doveva essere Violet.
«Violet, piacere mio,» disse stringendomi la mano «Ashton mi ha parlato tanto di te.»
Sorrisi a quelle parole, non credevo che Ash mi avesse tenuto in tanta considerazione. «Spero bene.» scherzai.
«Certamente.» rispose chiudendo uno dei due grandi occhi scuri ridendo, e pensai che non era così male e che saremmo potete anche essere amiche. Violet si voltò verso l'altra ragazza, «Lei è la mia coinquilina, Gwendolyn. Spero non sia problema se viene anche lei.»
Osservai la ragazza che era rimasta un passo indietro alla coppia, teneva  lo sguardo basso e si tirava i lembi della felpa tormentandosi le mani, sembrava tremendamente spaesata. Mi chiesi a cosa stesse pensando e perché fosse così diffidente, quando si accorse che la stavo guardando alzò gli occhi chiari nei miei e io le sorrisi per salutarla. 
Ci incamminammo alla macchina e Violet mi prese sottobraccio per essere a portata del mio orecchio probabilmente per non farsi sentire dagli altri, «Ecco vedi, Gwen sta passando un brutto momento,» iniziò a spiegare parlando a bassa voce, «e non mi va di lasciarla da sola a casa.»
«Tranquilla, non c'è problema.» Buttai un occhio alle mie spalle e vidi Ashton che l'accompagnava tenendole un braccio dietro alla schiena. «Mi dispiace.»
«Anche a me. È una fortuna che c'è Ash,» disse voltandosi verso al ragazzo che le sorrise, «mi sta aiutando molto con lei.»
Annuii voltandomi verso Gwendolyn, guardava a terra e sembrava stesse dicendo qualcosa ad Ashton che scosse il capo sfregandole la schiena con la mano. Mi chiesi mentalmente che cosa fosse successo a quella ragazza silenziosa.
Ci sistemammo in auto, Violet aveva insistito di stare dietro con la sua coinquilina e così mi era toccato il posto davanti (non che mi lamenti, anzi, ma pensavo che avrebbe voluto sedersi vicino al suo ragazzo); come prima impressione mi era sembrata una brava persona ed ero sicura che saremmo diventate buone amiche.
Nel giro di una decina di minuti eravamo arrivati a destinazione, Ashton aveva bruciato un paio di semafori dato che eravamo in ritardo, e trovammo l'allegra combriccola già dentro ad aspettarci. C'erano proprio tutti: Kelsie e Vanessa, RJ, e i due fratelli Hemmings.
Essendo in tanti ci dividemmo in due tavoli vicini e mi illuminai osservando le coppette colorate contenenti ogni ben-di-dio  che scorrevano sul rullo che passava tra i due tavoli, Ashton si mise a capotavola con Violet e Gwendolyn ai lati mentre io e Luke fummo incaricati del difficile compito di distribuire il cibo, dall'altra parte del rullo Jack e RJ avevano seguito il nostro stesso esempio con Nessa e Kelsie ai rispettivi fianchi. Non ebbi nemmeno il tempo di posare la giacca sulla sedia che gli altri “animali” avevano già iniziato ad accumulare valanghe di coppette, sorrisi sbuffando e iniziai ad analizzare il rullo in cerca di qualcosa che fosse di mio gradimento.
«Ragazzi, la coppetta verde!» Ashton richiamò l'attenzione indicando il rullo, «Cosa c'è dentro?».
«Riso alla cantonese, mi sembra. Lo vuoi?» chiese Luke mentre osservava il piatto che si avvicinava.
«No, mi divertiva sbracciarmi come uno scemo per distrarvi.»
«Oh ok»
«Certo che lo voglio!» sbottò Ash.
«E dillo subito!» Luke si sporse per afferrare la fatidica coppetta verde.
Mi portai il palmo della mano sulla fronte ridendo seguita da Violet che mi sedeva accanto, mentre Gwen abbozzò un sorriso e solo in quel momento mi accorsi che aveva uno “Smiley” le cui due palline argentate cadevano sugli incisivi superiori.
«Ne prenderesti uno anche per me, per favore.» gli chiese poi Violet, lui l'accontentò e le porse entrambe le coppette. «Grazie Luke.»
«Tu invece cosa prendi...?» il biondo si rivolse alla ragazza al suo fianco, «Scusa ma non ricordo il tuo nome.»
«Gwen, ehm, Gwendolyn Penguin.» rispose abbassando lo sguardo mentre arrossiva lievemente, mi sembrò che gli occhi di Luke si illuminarono per un secondo ma se aveva qualcosa da dire non lo fece.
«Allora Gwen, qualche richiesta?» chiese invece indicando il rullo.
La ragazza guardò per un po' le varie coppette, «Ehm, gli spaghetti?»
Luke allungò il braccio per prenderli posandoglieli davanti, ne presi una coppetta anche io mettendola insieme alle altre e iniziai finalmente a mangiare.

 

*  *  *

 

«Sono piena come un uovo.» sbuffai osservando a malincuore il piattino con ancora due ravioli al vapore, «Qualcuno mi aiuta a finirli?»
Guardai speranzosa i miei amici sperando che qualcuno si offrisse ma a quanto pareva eravamo tutti sulla stessa barca: come ogni volta che si andava al “All you can eat” ci ritrovavamo a strafogare piatti su piatti “come se non ci fosse un domani” e così a nemmeno metà serata eravamo già stremati e con le cinture che chiedevano pietà.
Iniziai a fissare insistentemente RJ sperando di convincerlo: era la fogna del gruppo, non poteva rifiutarsi!
«No Sam, sono pieno anche io.» disse il ragazzo di colore scuotendo il capo.
«E dai, ti prego!»
Lui scosse ancora la testa ma io continuai imperterrita a guardarlo con gli occhi da cucciolo: avrebbe ceduto!
«E va bene. Da qua!» sbottò.
«Grazie.» sorrisi passandogli il piattino.
Facemmo una breve pausa prima di riprendere a mangiare qualche dolce (ovviamente c'è sempre posto per il dolce!) ed Ashton si esibì nell'imitazione di un tricheco mettendosi due bacchette sotto le labbra scaturendo una risata generale, Luke intanto era riuscito a rompere il ghiaccio con Gwen che ora sembrava un po' più a suo agio ed io invece avevo avuto modo di conosce meglio Violet, nel mentre Ash aveva iniziato a tamburellare le stesse bacchette sopra al piano del tavolo tenendo un tempo tutto suo. Passammo  il resto della serata a chiacchierare finché non decidemmo di levare le tende.

 

*  *  *
 

«Grazie mille per la serata!» mi salutò Violet abbracciandomi: eravamo già diventate buone amiche. Gwendolyn alzò timidamente la mano in un saluto mentre l'amica la trascinava  verso il portone di casa.
«Allora come ti è sembrata?» chiese Ashton subito dopo aver messo in moto, senza riuscire a nascondere l'euforia nella voce.
«È una ragazza a posto, mi ha fatto una buona impressione.» dissi sinceramente.
«Sapevo che saresti subito andata d'accordo con Violet.» ammise contento.
«Invece mi chiedo che cos'ha la sua amica...» continuai pensierosa sperando che il mio amico mi potesse dare qualche informazione in più.
«È una storia un po' complicata e non credo nemmeno di essere la persona più adatta a raccontarla, non conoscendola nemmeno tutta. Devi sperare che Gwen si fidi a tal punto di te e che te lo dica lei stessa.»
Ashton fece un sospiro stanco come se quella situazione lo toccasse in prima persona, sapeva molto più di quello che voleva farmi credere ma decisi di non stressarlo ulteriormente: c'era di sicuro un motivo se non voleva dirmi altro e a costringerlo non avrei sicuramente scoperto di più.
Quando arrivai a casa regnava il silenzio ed immaginai che tutti fossero già andati a dormire, salii il più silenziosamente possibile le scale, indossai il mio amato pigiama con un orsetto sul davanti e mi infilai anche io sotto le coperte mandando un messaggio di “Buona notte” a Michael.

 

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ANGOLO  AUTRICE

Ed ecco un altro capitolo, come state trovando la FF? Mi piacerebbe conoscere le vostre impressioni, non siate timide... spero comunque che sia di vostro gradimento.
Vi lascio ad un Pov's Michael, che sarà solo un capitolo di passaggio.
Grazie di cuore a chi è arrivata a leggere fini a qui!
 

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Capitolo 20
*** 19. Chat - Pov's Mike ***


Non riuscivo a prendere sonno.
Mi tirai su appoggiando la schiena alla testiera del letto e vagai con lo sguardo sulla stanza: mamma aveva preparato una camera per me nella sua nuova casa a Melburne, non era tanto grande ma per il tempo che ci avrei passato lo era persino troppo. Il cellulare sul comodino vibrò ad avviso di un messaggio catturando  la mia attenzione, lo presi e per poco non mi accecai con la luce prodotta dallo scremo, abbassai l'illuminazione.
 

 Puffetta:

[ Buona notte Mike ] 

 [ Ehi Sam, che ci fai ancora sveglia? ]


[ Infatti sto andando a dormire, sono uscita con Ash e gli altri,
Luke mi ha detto di salutarti ]

 [ Capito, ti sei divertita? ]


[ Molto, siamo andati all'all you can eat e ho mangiato da far schifo! ]
 

Stavo per rispondere che mi sarebbe piaciuto esserci stato anche io, ma lei inviò un altro messaggio.
 

[ Sai, è un peccato che non c'eri anche tu, ti saresti divertito... ]

 [ Sarà per la prossima volta, vorrei conoscere i tuoi amici ]


[ Ti troveresti bene con loro! ]
 

Non ero assolutamente geloso, non avrei mai voluto essere come quei fidanzati appiccicaticci e gelosi di chiunque, però mi dispiaceva non poter partecipare con lei a serate così, per vedere com'erano i suoi amici e come si comportava con loro. Ok, forse un po' geloso lo sono, però mi sembra il minimo quando si sta con una ragazza bella come Samantha, mi chiedo ancora che cosa ci veda in un coglione come me, sopratutto dopo tutto quello che gli ho fatto passare a scuola: sono stato un vero idiota!
Un altro messaggio mi distrae dai miei pensieri.
 

[ Sai? Ho convinto mamma a prendermi un nuovo letto ]

 [ Ah si? ]
 

Era da un po' che Samantha chiedeva a Rose-Anne di comprarle un nuovo letto per la sua stanza.
 

[ Yep, e tutto grazie a te!
Ho fatto notare che tu dormivi ancora nel divano letto, così tu ora hai il mio materasso, mentre io uno nuovo: ed è matrimoniale! ]

 [ Grande! Allora dobbiamo poi inaugurarlo... ]


[ Pervertito! ]

 [ Tanto lo so che ti piace ]


[ Mai detto il contrario ahahah ]
 

Risi anche io alla sua affermazione. Iniziai ad immaginare a quello che avremmo potuto fare nel nuovo letto matrimoniale e a come mi sentissi bene a svegliarmi accanto a lei i mattini successivi.
 

 [ Mi manchi... ]


[ Anche tu mi manchi Mike, non vedo l'ora che torni ] 
 

Guardai l'orologio digitale sullo schermo del cellulare, segnava le 12:54.
 

 [ Mancano poco più di 12 ore al mio volo ]


[ Sono troppe, ma aspetterò...
Sto crollando, buona notte Michael, ci vediamo domani in aeroporto ]

 [ Ti mando un messaggio quando parto. Buona notte, a domani ]


Ancora solo più dodici stupide ore e sarei tornato a casa dalla mia Samantha.
Spensi il cellulare riponendolo sul comodino e mi rimisi a letto  trovandolo estremamente scomodo e freddo senza il corpo caldo di lei vicino, chiusi gli occhi obbligandomi ad addormentarmi.

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Capitolo 21
*** 20. Come out of the closet ***


Stavo decidendo come vestirmi per quando saremmo andati a prendere Michael. Ero eccitata all'idea di rivederlo, quella settimana senza di lui era stata lunga e noiosa e non vedevo l'ora di potermi buttare tra le sue braccia.
«Samantha, Marvin» la voce di Daryl mi raggiunse dal corridoio, «vi state preparando? Tra mezz'ora dobbiamo essere fuori casa!»
Cazzo! Non pensavo fosse così tardi.  Cominciai a fissare l'armadio in cerca di ispirazione, non avevo la minima idea di cosa indossare, come al solito d'altronde.
Il mio telefono iniziò a squillare attirando la mia attenzione e così mi precipitai a rispondere. «Ehi Michael, come va?».
«Ciao Sam, mi sono seduto ora, appena finiscono di salire gli altri passeggeri partiremo.» si bloccò e lo sentì parlottare con qualcuno, «Scusa, l'hostess mi ha chiesto di spegnere il cellulare. Ci vediamo tra un'ora e mezza, ti voglio bene!»
«Anche io te ne voglio, ci vediamo dopo!» Chiusi la chiamata posando il telefono sulla scrivania e iniziai finalmente a vestirmi.
Eravamo partiti da appena una ventina di minuti quando la canzone che stava passando alla radio venne improvvisamente sospesa per lasciare posto alla voce dello speaker radiofonico.
«Ci scusiamo per l'interruzione, abbiamo appena saputo di una tragica notizia: il volo aereo “Y O S M” da Melburn diretto al Sydney Airport delle ore tredici e cinque ha incontrato una turbolenza che ha portato i piloti a perdere il controllo del veicolo che è precipitato. Sul luogo dello schianto sono accorsi subito vigili del fuoco e paramedici, non si  hanno ancora notizie dei danni e dei sopravvissuti...»
Ci misi qualche secondo per elaborare le informazioni date dalla voce alla radio,  la notizia mi colpii come una fucilata, smisi di ascoltare mentre la testa iniziava a pulsare isolando i rumori intorno e le parole successive diventarono mute. Iniziai a sperare che non fosse lo stesso volo di Michael.

I sopravvissuti al disastro aereo erano stati ben pochi e purtroppo Michael non aveva avuto questa fortuna.
Maledissi il cielo senza una nuvola chiedendomi come potesse essere così sereno difronte a tanto dolore, sembrava burlarsi della nostra perdita. Mi strinsi ad Ashton che era venuto al funerale anche se non aveva mai realmente conosciuto Mike e lo ringraziai per il suo sostegno, mi guardai intorno osservando i presenti che si erano raccolti nel camposanto dove si stava tenendo la funzione: la scomparsa prematura di Michael aveva  lasciato un grande vuoto in tutti quelli che lo conoscevano.
Luke e Calum mi stavano accanto, il primo cercava di mantenere uno atteggiamento distaccato ma gli occhi gonfi e umidi lo tradivano, il secondo invece aveva lo sguardo perso nel vuoto; quando si accorse che mi ero voltata ad osservarlo mi posò una mano sulla spalla per darmi conforto ed io mi sforzai di fargli un sorriso per ricambiare.
Tornai a guardare verso Daryl e la donna che si aggrappava alla sua spalla; la madre di Michael era accorsa appena aveva saputo della tragica notizia ed ora piangeva insieme all'uomo che un tempo aveva amato, uniti dal dolore della morte del loro unico figlio. 
Professori e compagni di scuola, amici e parenti si avvicinavano un po' alla volta ai genitori distrutti per fare le loro condoglianze e, dopo essersi congedati, si raccoglievano in gruppi ristretti per scambiare due parole sull'accaduto oppure si dirigevano verso l'uscita del cimitero senza neanche voltarsi.
Mi avvicinai al buco rettangolare nel terreno e mi sforzai di guardare giù, verso la bara di legno lucido, e mi si formò un groppo alla gola, al suo interno c'era il mio amato Michael (o almeno quello che erano riusciti ad estrarre dalle macerie dell'aereo), la testa iniziò a girarmi mentre un saporaccio aspro mi risaliva in gola e dovetti distogliere lo sguardo per non rischiare di vomitare. Mi voltai con uno scatto senza riuscire a stare li un secondo di più ed andai anche io da Daryl e l'ex-moglie abbracciando entrambi, mia madre mi raggiunse ed io mi lasciai stringere tra le sue braccia cominciando a singhiozzare.  

Presi un biscotto, il primo cibo che toccavo in tutta la giornata, e lo mandai giù a forza mentre Ashton si sedeva accanto a me sul letto, Luke e Calum erano rimasti a tenermi compagnia fino a mezz'oretta prima  mentre lui aveva deciso di fermarsi anche per la notte per non lasciarmi da sola neanche un minuto.  Mi ritenni fortunata ad avere amici come loro.
Ashton mi porse una tazza fumante, «Tieni, bevi: ti aiuterà a calmarti. Hai bisogno di riposare.»
«Ho solo bisogno di piangere, di nient'altro.» obiettai tirando su col naso e sfregandomi gli occhi già arrossati, «Grazie» obbedii comunque prendendo la tazza ed iniziando a bere la camomilla calda.
«Vuoi che rimanga qua con te o che vada a dormire sul divano?»
Sospirai e gli porsi la tazza mezza vuota, «Puoi restare qui?»
«Va bene, vado a posare questa e torno subito.»
Mentre aspettavo che Ashton tornasse mi misi sotto le coperte di quel letto troppo grande per una sola persona, dove la fredda mancanza di un altro corpo mi faceva sentire ancora più persa, e senza che potessi controllarmi iniziai nuovamente a piangere. Alle mie spalle il materasso si abbassò sotto al peso del mio migliore amico che si sdraiava sopra le lenzuola  iniziando a fregarmi la schiena con la mano per farmi calmare, riuscendo nel suo intento, e finalmente mi addormentai.

 

*  *  *


 

Mi svegliai in un sussulto, sotto alle tende socchiuse spuntava la leggera luce rosaa dell'alba; mi sentivo le ciglia appiccicaticce e le guance umide, serrai le palpebre cercando di sopprimere il pianto ma quando le riaprii una lacrima scivolò solitaria sulla guancia aggiungendosi alla macchia umida sul cuscino. Il respiro tranquillo alle mie spalle indicava che Ashton stava dormendo beatamente, almeno lui.
Mi tormentava il pensiero di non avere più Michael al mio fianco o che non avrei più sentito la sua voce come quando si metteva a cantare per me, non lo avrei mai più rivisto.
«Michael perché te ne sei andato?» mormorai prima di riprendere a singhiozzare.
Un braccio si strinse intorno alle mia spalla e quel contatto riuscì a farmi calmare leggermente, poi un leggero bacio si posò sulla mia tempia.
«Non vado da nessuna parte.» sussurrò una voce al mio orecchio.
Mi voltai senza riuscire a nascondere lo stupore: davanti a me c'era Michael, Michael con i suoi stravaganti capelli rosa, Michael dagli occhi magnetici grigio-verdi , il mio Michael!
«Pensavo di averti perso!» dissi stringendomi al suo torace cercando di non piangere. «Ho fatto un terribile incubo.»
«Lo so, ma era solo un sogno, sta tranquilla. » cercò di consolarmi sfregandomi la schiena.
Ero così sollevata che tutto fosse solamente un brutto sogno!
Ci furono alcuni minuti di silenzio e pensai che Mike si fosse riaddormentato.
«Sai, anche io ho avuto un incubo...» riprese invece, lo guardai incuriosita, «tra due ore dobbiamo alzarci per andare a scuola.»
«Scemo!» risi dandogli uno scappellotto sul braccio.
«Almeno ti ho fatto ridere. Che ne dici se dormiamo ancora un po'?»
Sbadigliò e chiuse gli occhi senza nemmeno aspettare una risposta, posai la testa sulla sua spalla e mi addormentai anch'io.

 

*  *  *

 

Il primo giorno di scuola dopo le vacanze autunnali stava passando con snervante lentezza e appena la campanella annunciò la pausa pranzo mi precipitai fuori dall'aula. Assaporai l'aria fresca del cortile dirigendomi verso uno dei tavolino, pochi secondi dopo Luke si sedette di fronte a me e poi anche Calum e Michael ci raggiunsero unendosi a noi.
«Come stai?» mi chiese premuroso Michael, che aveva preso posto al mio fianco, posandomi una mano sulla gamba.
«Bene, credo.» risposi incerta e quando lo vidi rabbuiarsi gli sorrisi per tranquillizzarlo.
«Buon appetito ragazzi!» Calum attirò l'attenzione, tutti ci voltammo a guadare l'enorme panino che teneva avidamente tra le mani, ci fissò per un po' aggiungendo: «Che c'è? Dovrò pur crescere no?» prima di dargli un morso degno di uno squalo.
«Cal devi crescere di altezza non di larghezza.» lo punzecchiò Michael.
Scoppiammo a ridere mentre il diretto interessato rispondeva con una smorfia, poi iniziammo anche noi a mangiare.
«Come mai stamattina non vi ho visto sul bus?» ci domandò Calum voltandosi verso me e Mike.
Arrossi per essere stati scoperti, «Ehm, abbiamo preso la mia macchina.»
«Perché? Mi avevi detto che non ti piace venire a scuola con l'auto.» si intromise Luke.
«Perché qualcuno, non faccio nomi, » indicai il ragazzo seduto accanto a me che assunse subito l'aria del “non so di cosa parli” «ha voluto dormire più del dovuto.»
«Ah si? E allora chi era quella che ronfava accanto a me?» rispose a tono Michael.
«Mi sembrava solo brutto lasciarti fare tutta quella fatica da solo, mi sono sacrificata.» scherzai dandogli un buffetto sulla guancia paffuta.
«Che sacrificio.» aggiunse non abbastanza sottovoce Calum scambiando uno sguardo d'intesa con Luke.
Io e Michael ci voltammo all'unisono fulminando con gli occhi entrambi.
«Comunque ragazzi, visto che abbiamo la macchina, volete vi diamo un passaggio?»
Sia Luke che Calum accettarono riconoscenti. La campanella di ripresa delle lezioni suonò richiamando la nostra attenzione, Luke ci salutò dandoci appuntamento nel parcheggio mentre io, Michael e Calum ci dirigemmo tutti e tre al laboratorio di chimica.
 

*  *  *

 

Michael aveva deciso di fermarsi da Calum per il resto del pomeriggio; parcheggiai la Mini nel garage accanto alla macchina di mia madre, segno che era tornata prima dal lavoro, salutai Marvin che guardava i cartoni in soggiorno e mi ritirai in camera mia.
Scossi la testa arresa notando che dall'anta socchiusa dell'armadio spuntava il lembo di tessuto, mi avvicinai per mettere a posto ma appena la toccai quella si spalancò facendomi cadere addosso tutto il suo contenuto. Era arrivato il momento di fare un po' di pulizia. Mi rimboccai le maniche e iniziai a dividere i vestiti in tre mucchi.
«Buongiorno mamma.» la salutai vedendola passare nel corridoio.
«Ciao Samantha,» si affacciò sulla porta incuriosita, «che stai facendo?»
«In quell'armadio non ci stanno tutti questi vestiti,» spiegai, «così ho deciso di buttarne alcuni.»
«Tu che butti di tua spontanea volontà degli indumenti? Chi sei e dove hai messo mia figlia?» scherzò sapendo quanto io ci tenessi.
«Ho solo pensato che cambiare ogni tanto fa bene, e poi così avrò spazio per nuovi vestiti.»
«Ecco, mi sembrava troppo strano.»
Risi, «Ti va di darmi una mano? Su quelli sono indecisa: non so se tenerli o darli via.» dissi indicando il mucchio più grande.
Annui e io iniziai a mostrarle i vari vestiti. Alla fine ne escludemmo solo un paio che andarono a fare compagnia agli altri da buttare, mamma si propose di aiutarmi anche a ripiegare tutto il resto e a rimetterlo a posto.
«Come è andata oggi?» chiese mentre piegava una maglietta, «Ho visto che avete preso la Mini. Che hanno detto i vostri compagni?»
«Niente, non è la prima volta che vado a scuola in auto...» 
«Non intendevo della macchina, ma su di te e Michael.» si corresse.
«Bhe, credo che a scuola lo sappiano da un po' che tu e Daryl convivete.»
«E sanno anche di voi?»
«Di...noi?» non riuscivo a capire a cosa si riferisse.
«Che state insieme.» spiegò pacatamente.
Mi limitai a guardarla sbalordita chiedendomi com'era possibile che lo sapesse, pensai anche di negare tutto e dirle che aveva preso un granchio, ma mentire non sarebbe più servito.
«Era solo un sospetto, ma la tua faccia e la scena muta me lo stanno confermando.» continuò sorridendo e non riuscii a trovare neanche una linea di rabbia o sconcerto nella sua voce come invece mi sarei immaginata. «Pensavate davvero che non ce ne fossimo accorti?»
«Come lo avete capito?»
«Avete completamente smesso di discutere, trovavate sempre scuse per rimanere da soli, vi chiudevate a chiave in camera...» iniziò ad elencare e ad ognuna io mi vergognavo sempre di più, «e poi un mattino Daryl ha beccato Michael uscire dalla tua camera e tornare nella sua, il poverino era così assonnato che non si è nemmeno accorto di lui. Persino un cieco lo avrebbe capito.» terminò ironicamente.
«E non siete arrabbiati?»
«Cielo, no! Perché dovremmo?» disse posando l'ultimo vestito e richiudendo l'armadio, «L'importante è che non ci facciate diventare nonni prima del previsto.» scherzò uscendo dalla camera lasciandomi attonita.
Daryl rincasò qualche ora dopo ma per la vergogna decisi di restare in camera, uscendovi solamente verso ora di cena. Appena scesi l'ultimo scalino la porta dell'entrata si aprii e si richiuse annunciando l'arrivo di Michael, mi buttai tra le sue braccia baciandolo prendendolo alla sprovvista.
«Che fai, ci possono vedere!»
Ovviamente lui non sapeva che mia madre e suo padre sapevano già tutto. Sorrisi dandogli un altro bacio, «Non c'è più bisogno di fingere: i vecchi lo sanno.» mi guardò sconcertato e fece per parlare ma lo precedetti «E no, non solo arrabbiati.»
«Quando poi avete finito verreste a preparare la tavola?» ci raggiunse la voce di Daryl confermando le mie parole.
Qualche secondo dopo iniziammo entrambi a ridere. Eravamo stati davvero due stupidi a tenere segreta una cosa che era già stata scoperta. Fortunatamente i nostri genitori avevano preso bene la notizia della nostra relazione, non sarebbe potuta andare meglio. Non avremmo più dovuto nasconderci.

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Capitolo 22
*** Epilogue ***


Era passato un mese da quando la relazione tra me e Michael era uscita allo scoperto, subito dopo che mia madre ci aveva confessato che lei e il padre del ragazzo sospettavano qualcosa. Il giorno seguente abbiamo deciso di dirlo anche a Luke e a Calum che in realtà sapevano già tutto, e così abbiamo iniziato a comportarci come una vera coppia anche a scuola dove i nostri compagni e i nostri insegnanti ne erano invece rimasti stupiti (almeno loro ci hanno dato una soddisfazione...).
Sebbene ai nostri genitori non dispiaceva che i loro figli fossero fidanzati in casa ci avevano chiesto di rispettare una sola regola, quella di non dormire insieme durante i giorni scolastici, ma per il resto ci lasciavano i nostri spazi; noi comunque per rispetto cercavamo di non esagerare troppo con le manifestazioni d'affetto in loro presenza.

 

*  *  *

 

Mi allungai prendendo il cellulare sul comodino accendendo lo schermo che segnava le 8:54 di sabato 1 Giugno.  La mia sveglia sarebbe dovuta suonare sei minuti dopo, decisi di disattivarla e mi alzai facendo attenzione a non svegliare Michael.
La casa era completamente silenziosa, fatto alquanto strano poiché di solito a quell'ora mamma e Marvin sarebbero dovuti essere già svegli. Scesi in cucina trovando un biglietto attaccato sul frigo: a quanto pareva mia madre era andata ad un incontro con dei clienti mentre Daryl aveva deciso di portare il bambino con se nel suo negozio. Ritornai al piano di sopra con l'intenzione di fare una bella doccia rilassante, attesi che l'acqua si riscaldasse e poi entrai nella vasca assaporando il flusso di acqua calda sulla pelle.
Passarono appena cinque minuti che la tenda di plastica venne spostata e il mio ragazzo si unì a me.
Non mi voltai nemmeno a guardarlo, «Mike che fai? Non vedi che sto facendo la doccia?» gli feci notare.
Michael richiuse la tenda e si avvicinò a me posandomi le mani sui fianchi, io spostai su una spalla i capelli che poco prima stavo insaponando e lui si chinò per lasciarmi leggeri baci sul collo. «Anche io voglio fare una doccia.» mormorò sulla pelle umida del mio collo.
«E non puoi aspettare che io finisca?»
«Possiamo condividere la doccia,» continuò obbligandomi a voltarmi, «in due è più divertente e poi facciamo prima...»
«No che non facciamo prima.» cercai di puntualizzare puntando l'indice sul suo petto facendolo allontanare un po', per quanto le dimensioni della vasca lo permettessero. Non mi sarei lasciata convincere tanto facilmente
«Dai Sam, prometto che farò il bravo bimbo.» tentò ancora.
Alzai gli occhi al cielo sapendo che non sarebbe successo, lui si avvicinò di nuovo a me nell'intento di farmi cedere: mi guardava con le palpebrale abbassate con un espressione adorabile e allo stesso tempo provocante mentre l'acqua gli scorreva sul viso bagnandogli le ciglia e le labbra rosee. Cercai di impormi e dirgli di lasciami finire di fare la doccia da sola, ma alla fine dovetti arrendermi alle sue insistenze.
«Eh va bene.» sospirai, delusa con me stessa per non essere riuscita a dirgli di no.
«Sapevo che non avresti detto di no.» disse sorridendo e annullando la distanza tra le nostre bocche per baciarmi.
«Posso ancora cambiare idea.» gli feci notare prima di mordergli il labbro inferiore.
Notai una strana luce passare negli occhi di Michael prima che ricominciasse a reclamare le mie labbra, le sue mani scesero dalla schiena ai glutei fino a fermasi all'altezza delle cosce, poi mi sollevò ed io avvinghiai automaticamente le gambe intono alla sua vita, tutto ciò senza mai staccarci dal lungo e profondo bacio.  Ed ecco che la precedente promessa di comportarsi bene andava definitivamente a farsi benedire.
«Meno male che dovevi fare il bravo.» lo punzecchiai.
«Lo dovresti sapere che sono un grandissimo bugiardo.»
«...anche un grandissimo coglione.» scherzai, sorrisi subito dopo aver ricevuto un'occhiataccia di finta offesa. «Ed è per questo che ti amo.» ammisi ricominciando a baciarlo con foga. In fin dei conti forse fare la “doccia” insieme non era poi una così cattiva idea.

 

*  *  *

 

Guardai il riflesso di Michael sullo specchio che, come un bravo servetto ubbidiente, mi stava asciugando i capelli; era così adorabile con un pettine incastrato su un orecchio e una pinza tra i denti. Mi soffermai sui suoi capelli strategicamente scompigliati che ormai avevano perso il colore fucsia ed erano tornati nel loro castano chiaro naturale, solo alcuni riflessi rosati ricordavano la tinta precedente. Mi sorrise quando si accorse che lo stavo osservando dallo specchio, posò il phon annunciando che aveva finito.
«Sai ti preferivo con i capelli colorati.» dissi mentre lui iniziava a pettinarmi cercando di domare la mia chioma bionda.
«Stavo giusto pensando di colorarli di nuovo...»
«Wow! E come?»
«Rullo di tamburi:» picchiettò la pinza e il pettine per aria in una esibizione di air-drum, poi annunciò: «Universo!» ed era serio.
Mi mostrò anche una foto sul cellulare: i capelli della ragazza in questione (si, proprio una ragazza) erano un'esplosione di sfumature di blu, viola e azzurro.
Ero allibita, «Eh?»
«O magari solo blu, oppure verdi.»
«Magari un solo colore è meglio.»
Un suono, (tipo i bip-bip dei veicoli grossi quando fanno manovra) ci distrasse dai nostri discorsi; incuriositi ci affacciammo entrambi alla finestra che dava sulla strada: un grosso camion rosso dei trasporti per i traslochi si stava parcheggiando su un lato della via, notai un'auto nera ferma sul vialetto privato della villetta di fronte, ne scesero una coppia e una ragazza seguita da due simpatici cagnolini. Finalmente nuovi vicini, ero stufa di vedere quella casa sempre vuota, pensai mentre mi incamminavo verso le scale.
«Dove stai andando?»
«A fare la buona vicina!»


 

__________________________
ANGOLO  AUTRICE
 

Salve popolo di EFP, e grazie di cuore a voi che state leggendo.

Ebbene si: con mia grande tristezza devo annunciare che la FF è giunta al termine.
In verità avrei potuto considerarla completata già al capitolo precedente, ma ho voluto scrivere questo epilogo per fare un omaggio a Michael e Samntha: mi sono affezionata molto a loro e mi dispiace dover lasciarli andare... cosa che infatti non ho intenzione di fare!

Ora vi spiego:
Ho in mente di scrivere cinque fanfiction sui 5 Seconds Of Summer (una per ogni componente più un'altra con tutti e quattro) dove i nostri amati musicisti saranno quindi sempre presenti, ma con ruoli differenti. Perciò non si tratterà di un vero e proprio sequel, ma di una serie di FF che si chiamerà: 5 Stuff Of Season o 5SOS (tanto per restare in tema).
Ognuna di esse sarà una storia a se, così non ci sarà il bisogno di leggere obbligatorialmente le precedenti o le successive, però molto spesso avranno dei collegamenti tra di loro e nuovi personaggi man mano che questi si aggiungengeranno all'interno della storia.

5 Stuff Of Season_serie:
La prima FF della serie 5SOS era appunto questa con Michael Clifford e Samantha Harris. La seconda, che è attulamente in fase di scrittura e che inizierò a pubblicare entro la fine del prossimo mese, avrà come protagonista la lnuova vicina - Sophie Todd - che dovrà scegliere tra la sua cotta secolare e un ragazzo conosciuto invece da poco, che saranno Calum Hood e Luke Hemmings (lascio a voi scoprire chi sarà chi).
Il titolo sarà "Dark and Light" e ci saranno sicuramente: risate, colpi di scena, suspance, risate, amore, gelosia, risate, litigi e... l'ho già detto risate? 
Se non si fosse ancora capito sarà abbastanza comico. Scoprite che cosa succederà!
 

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