The cursed children di fri rapace (/viewuser.php?uid=63184)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
La clinica era una struttura discreta, mattoni scuri e tetto spiovente, identica alle abitazioni circostanti abitate dai Babbani. Circondata da una siepe alta e perfettamente squadrata, accoglieva quelle famiglie di maghi che non potevano servirsi del San Mungo o affidarsi a Guaritori privati per motivi di segretezza.
Quella notte erano state ricoverate due streghe, entrambe si erano presentate all'accettazione con dei documenti fasulli. Il mago che le aveva registrate non aveva battuto ciglio, i Galeoni erano stati incassati prima del ricovero.
La donna più anziana, accompagnata dalla sorella, storse le labbra quando vide il locale dove avrebbe dato alla luce il figlio.
“Questo è un affronto!” esplose, scuotendo con veemenza i lunghi e spenti capelli scuri.
La Guaritrice Scott le sorrise gentilmente.
“Qual è il problema, signora White?”
La strega vagò lo sguardo per il locale: pareti spoglie tinteggiate di bianco, un lettuccio con ai piedi un catino metallico e poco altro.
“L'erede non nascerà in questo squallore,” sibilò alla Guaritrice, contraendosi per le fitte del travaglio.
La donna che l'accompagnava, bionda e col medesimo sguardo altero, le appoggiò una mano sulla spalla, solidale.
“C'è quel che serve. Ce ne andremo il prima possibile.”
Il parto fu veloce e nonostante le premesse la strega si mostrò collaborativa, con una sopportazione del dolore fuori dal comune.
Anche il collega della Guaritrice Scott era stato fortunato. La sua paziente, una giovane donna di colore, era talmente concentrata che nel corso del travaglio si lasciò sfuggire solo qualche gemito.
Il Guaritore Magnus ebbe l'impressione che l'aspetto fisico della strega fosse instabile e a tratti mutasse. Alzando lo sguardo prima dell'ultima spinta, ad esempio, gli era parso che la sua pelle fosse in realtà chiarissima.
I due bambini vennero alla luce un attimo prima che una serie di boati facessero vibrare le pareti della clinica.
“Troll a cavallo di Graphorn!” tuonarono delle voci lungo il corridoio e i Guaritori si armarono.
Bellatrix Lestrange, che si era presentata alla clinica col nome di signora White, respinse il braccio teso dalla sorella Narcissa.
“L'erede, dov'è l'erede?” gridò con la voce arrochita dalle fatiche del parto.
Le pareti si sbriciolarono sotto i colpi delle mazze dei Troll e piovvero come grandine sulle spalle delle due donne.
Bellatrix immobilizzò con due colpi di bacchetta la lurida Creatura Magica che la sovrastava e marciò con addosso solo una tunica bianca macchiata di sangue fino a un giovane infermiere.
“Mio figlio,” gli alitò nell'orecchio, la veste umida incollata alla pelle che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro convulso.
Il giovanotto tremò.
“Non posso dirle dove si trova la nursery, sono vincolato da un Voto Infrangibile.”
La strega gli puntò la bacchetta al centro del petto.
“Allora va' a prenderlo!” gli ordinò con uno sguardo ardente.
Bellatrix avrebbe voluto eliminare di persona i Troll che avevano osato attaccare il luogo scelto per mettere alla luce il figlio del Signore Oscuro, ma era troppo debole e fu costretta a rintanarsi assieme a Narcissa in una nicchia riparata.
L'infermiere tornò zigzagando tra le macerie con un fagotto tra le braccia. C'erano solo due bambini nella nursery e aveva scelto quello che pensava che la pazza avrebbe gradito di più: non c'era stato il tempo di identificare i neonati prima dell'attacco.
Il corpo di Bellatrix vibrò e una sensazione di calore intenso le sbocciò alla bocca dello stomaco.
“È lui,” proclamò, sollevandolo trionfante e con l'aiuto di Narcissa si Smaterializzò, diretta a Villa Malfoy.
L'altro neonato fu tratto in salvo da un lupo mannaro, che riuscì a recuperare il corpicino un attimo prima che il soffitto della nursery crollasse.
Tonks e Remus non ebbero neppure il tempo di vedere il neonato. Avvolto in un lenzuolo bianco, nudo, scoprirono il piccolo solo quando furono al sicuro tra le mura di casa.
“È una femmina,” mormorò Remus commosso.
Buongiorno. E' da un po' che sto scribacchiando questa long, sarebbe stato un peccato non sfruttare The Cursed Child: zia e nipote che partoriscono entrambe poco prima della Battaglia Finale! Un'occasione troppo ghiotta. Questa storia è una What if? naturalmente, e ci saranno diversi cambiamenti rispetto al Canon, primo fra tutti lo scambio di neonati avvenuto in una clinica privata. In realtà al San Mungo non esiste un reparto maternità e Bellatrix ha partorito a Villa Malfoy (Tonks a casa sua, suppongo), ma dovendo scambiare i neonati mi sono inventata questa clinica. Ho una long ancora in sospeso, mi spiace perché era quasi finita quando l'ho abbandonata e spero che rimettendomi a scrivere regolarmente possa tornarmi l'ispirazione per concludere anche quella. Augurandomi che l'incipit vi abbia incuriosito, vi saluto: alla prossima!
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1 FF
Capitolo 1
Remus Lupin si Materializzò a Villa
Conchiglia per informare gli amici della nascita della figlia.
Euforico com'era non prestava
attenzione a dove metteva i piedi e, quando Bill gli permise di
entrare, inciampò sulla soglia di casa.
Il viso pallido, coi capelli grigi
spettinati, si guardò attorno per capire chi fosse presente nella
stanza, poi gridò, allargando le braccia:
“È una femmina! L'abbiamo chiamata
Teddy, come il padre di Dora!”
Hermione strillò, portandosi entrambe
le mani alla bocca.
“Co...? Tonks ha avuto il bambino?”
“Sì, sì, è nata!” urlò Remus,
con un entusiasmo che mai aveva provato in vita sua.
Tutti si congratularono con lui e Ron
esclamò:
“Cavoli, una femminuccia!” come se
non avesse mai sentito niente di simile.
“Sì... sì... una femminuccia,”
ripeté Remus, stordito dalla felicità al punto che aveva
completamente cancellato lo scontro che aveva avuto con Harry mesi
prima a Grimmauld Place, quando aveva deciso di lasciare Tonks e il
bambino. Non notò l'incertezza di Harry né percepì la sua sorpresa
quando lo abbracciò e gli domandò d'impeto:
“Vuoi essere il suo padrino?”
Il ragazzo balbettò, sbigottito.
“Io?”
“Tu, sì, certo... Dora è d'accordo,
nessuno può essere meglio...” gli assicurò. Tonks gli aveva
confidato che aveva pensato lei stessa di proporlo come candidato.
“Io... sì... accidenti...” rispose
Harry, massaggiandosi imbarazzato la nuca.
Remus brindò:
“A Teddy Hope Lupin, che sarà una
grande strega!” Sorrise calorosamente a tutti, sembrava
ringiovanito di anni: a casa lo aspettavano Tonks e la loro
bellissima bambina.
***
Remus rientrò che era ormai buio e
scivolò sotto le coperte. Nonostante i suoi sforzi per non fare
rumore, i vagiti di Teddy si alzarono dalla culla accanto al letto
matrimoniale, svegliando Tonks. L'uomo cercò di rimediare:
sgattaiolò fino alla piccola e prese a cullarla affettuosamente tra
le braccia, ma il volume del pianto crebbe fino a che il viso di
Teddy assunse un'allarmante sfumatura magenta.
Tonks lo osservò ammirata mantenere la
calma ben oltre quello che sarebbe stato il proprio limite. La pazienza
era una delle sue virtù, ma non aveva mai avuto a che fare con un
neonato e si disse che il senso di straniamento che la piccola le
suscitava dipendeva dall'inesperienza. Le pareva che Teddy non fosse
la stessa bambina che percepiva muoversi dentro al ventre, cosa che
la faceva sentire terribilmente in colpa.
Scacciò la sgradevole sensazione e
soccorse Remus.
Teddy si quietò pochi istanti dopo che
Tonks l'ebbe presa tra le braccia e lui incassò la testa nelle
spalle, umiliato. Malgrado i sentimenti negativi di Tonks, non era la
prima volta che riusciva a calmare la figlia prima del padre e l'uomo
si era mostrato ancor più deluso nel constatare che Teddy preferiva
anche la suocera a lui.
“Andiamo, Remus, non fare l'offeso,”
lo blandì, rimettendo Teddy nella culla. “Dalle tempo, presto si
innamorerà di te.”
“Piange ogni volta che la prendo in
braccio,” sospirò lui, abbandonando le braccia lungo in fianchi.
“Dove sbaglio?” si sedette prudentemente a una certa distanza
dalla neonata, in un punto dove la potesse comunque vedere.
“Non sbagli in niente, è solo che le
più grandi storie d'amore spesso iniziano proprio così.”
Remus le sorrise, era così felice che
avrebbe creduto a qualunque cosa gli avesse detto.
I capelli di Teddy virarono dal rosso
al biondo e la culla cominciò a dondolare da sola.
Tonks osservò le mani di Remus,
perplessa. Non stava impugnando la bacchetta.
“Sei stato tu...?”
Lui ricambiò il suo sguardo e aggrottò
la fronte.
“E neppure tu.”
La culla continuò a oscillare
dolcemente e il carillon appeso al letto si caricò e suonò una
dolce melodia.
Entrambi concentrarono
l'attenzione sulla figlia, era al mondo da poche ore soltanto e tutto
quello era...
“Incredibile!” esclamò Remus
sbigottito. “Lo sapevo, sarà una grande strega!”
Tonks represse un brivido e lui se ne
accorse.
“Che c'è?” le domandò con un sorriso
grande e un po' sciocco.
Tonks prese la bacchetta e bloccò con
un incantesimo gli oggetti che avevano preso a vorticare per la
stanza, un calzino le precipitò sulla testa rimanendo lì, in
bilico, come una serpe appiattita.
“Sarà una grande strega,” ribadì
Remus, con un tono che a Tonks parve d'accusa nei suoi riguardi: gli
stava rovinando la festa e neppure a lei piaceva essere tanto
sospettosa, ma non poteva farci niente.
“È terribilmente precoce,”
osservò, sforzandosi di mantenere un tono leggero. “Anche io ho
iniziato subito a cambiare il colore dei capelli, o almeno, così
sostiene mia madre, ma quello che fa Teddy a ventiquattr'ore di vita
in genere alle altre streghe non riesce prima dei tre anni!”
Remus la scrutò con la testa
leggermente reclinata di lato, si spostò vicino a lei e le passò un
braccio attorno alle spalle.
“Non capisco perché sei dispiaciuta,
è una bella cosa.”
Tonks sbuffò.
“È pericoloso, Teddy potrebbe farsi
male, o farne a noi. Aspetta,” si staccò dal marito e lo guardò
in tralice. “Quand'è di preciso che ci siamo scambiati i ruoli?”
Remus sorrise, divertito.
“Sei solo stanca.”
"Mmh..."
Prese in braccio Teddy e accese la
luce: aveva ereditato i suoi occhi scuri e i lineamenti
regolari di Andromeda.
“A chi pensi che somigli?” chiese
al marito.
“A te,” rispose lui senza riflettere.
“Guardala bene,” lo sollecitò lei.
Lui si concentrò.
“Ha i tuoi occhi, Dora. Il viso...
Somiglia a Andromeda, credo. Sarà una donna bellissima.”
Tonks annuì, era d'accordo. Quindi non poteva che essere sua figlia, si disse.
La piccola emise dei suoni stranissimi,
appena udibili. Entrambi si chinarono su di lei, avvicinando
l'orecchio alle minuscole labbra quasi immobili. Da molto, molto
lontano qualcosa, nell'ombra, si svegliò.
***
Bellatrix fremeva mentre il suo Signore
esaminava l'Erede. Marchiò con lo sguardo rovente ogni centimetro
della pelle esposta del figlio e lei immaginò i suoi occhi
percorrere il proprio corpo com'era accaduto nell'intimità. Il
neonato, gli occhi chiusi, lo ignorava e Bellatrix si trattenne a
stento dallo scuoterlo.
“Un maschio,” esalò il Signore
Oscuro, scostando il camicino bianco dell'Erede col lungo dito
pallido.
“Sì, mio signore,” assentì lei,
emozionata. Stava per aggiungere che aveva ereditato i
capelli neri del suo Signore, quando il nido rado e scomposto sul
capo del piccolo virò sul rosso, strappandole un singhiozzo.
Il viso serpentesco del Signore Oscuro
si riempì di ombre.
“Cosa significa?” sibilò.
“Mio Signore...”
I capelli del neonato si arricciarono e sfumarono nel color paglia.
Bellatrix sapeva chi altro, nella sua
famiglia, possedeva quel potere ed era qualcuno che avrebbe dovuto
uccidere da tempo, ma aveva fallito. Una persona che macchiava la
genealogia della nobile Casata dei Black.
“Un Metamorfomagus,” scandì il
Signore Oscuro, scatenando in lei una serie di brividi. “Un potere
rarissimo,” aggiunse compiaciuto.
La tensione si allentò e Bellatrix
sospirò, sollevata.
“Il piccolo è pieno di magia,” disse, guardando timidamente il viso perlaceo del mago.
“Nutrivi forse dei dubbi, Bellatrix?” alluse lui, mellifluo.
Bellatrix avvampò, assumendo uno
sgradevole colorito a chiazze.
“Non ho mai dubitato di lei,”
gli assicurò ed era sincera. Lei stessa sapeva di essere all'altezza
del compito, se qualcosa era andato storto uno solo sarebbe stato
il colpevole: il neonato.
Lo osservò: all'apparenza un bambino
comune, non dissimile dalle sue sorelle e dai suoi cugini da piccoli,
ma non somigliava a nessuno di loro.
Il Signore Oscuro lo prese tra lunghe
mani affusolate e lo levò fino ad avere gli occhi all'altezza dei
suoi. L'Erede ricambiò senza timore lo sguardo rosso
del padre.
“Il tuo nome sarà Delphini!”
annunciò in tono solenne il mago.
Il viso del neonato si accartocciò e
iniziò a strillare a pieni polmoni, quasi non avesse gradito il nome
scelto per lui.
Il Signore Oscuro s'innervosì e lo
consegnò frettolosamente a Bellatrix.
“Riportamelo quando inizierà a fare
qualcosa di interessante,” le ordinò.
La parte iniziale del capitolo ricalca più o meno il brano di
Harry Potter e i Doni della Morte. I primi capitoli sono introduttivi,
la storia sarà ambientata diversi anni dopo, quando Teddy e
Delphi inizieranno a frequentare Hogwarts. PS: Buone Feste :-)
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Capitolo2
Capitolo 2
Un
fruscio, dei sibili. Un lieve spostamento d'aria.
Remus
si alzò a sedere nel letto: era rimasto sveglio ad ascoltare gli
strani suoni emessi dalla figlia e, dopo che si era addormentata, il
suo respiro leggero e regolare. Vide un'ombra strisciare sul
pavimento e allungò svelto la mano per prendere la bacchetta,
pensando che quella notte non sarebbe finita mai.
“Lumos!”
pronunciò. Il lampo di luce illuminò la creatura che si era
intrufolata nella stanza.
“Remus,
che c'è?” borbottò Tonks, strizzando gli occhi per mettere a
fuoco la sagoma ritagliata nel cerchio di luce dell'incantesimo. “Oh,
cazzo!” esclamò, quando riconobbe l'enorme serpente.
Remus
lo Pietrificò.
“Non
è un tipo di serpente che si trova abitualmente in Gran Bretagna,”
osservò avvicinandosi alla creatura che emetteva sibili nonostante
fosse immobilizzata. La sua bocca era sigillata e dura come pietra.
Il
richiamo, scoprì, proveniva da un punto alla sua destra, là dove si
trovava la figlia. Un brivido lo scosse da capo e piedi, come aveva
potuto essere così sciocco da non capire!
Tonks
si chinò su Teddy, il volto pallido e le mani artigliate al bordo
della culla.
“Teddy
parla Serpentese,” mormorò senza guardarlo.
Lo
stomaco di Remus si contrasse e cercò di calmarsi, di ragionare.
Spesso la spiegazione più semplice era quella giusta; non avevano
motivo di preoccuparsi, si disse, sorpreso che Tonks non ci fosse
arrivata prima di lui.
“Provieni
da un'antica famiglia Purosangue, avrà sicuramente ereditato il...
il dono da qualche tuo parente,” disse. Era l'unica
spiegazione possibile.
Tonks
raddrizzò la schiena e si massaggiò l'avambraccio, dubbiosa.
“Io
non ne so niente. È stato Sirius a parlartene?” domandò, la
fronte aggrottata.
“No.
Ma lui non amava parlare della sua famiglia,” giustificò Remus.
Era la verità e non significava che si stesse sbagliando.
“Potremmo chiedere a tua madre,” propose.
Tonks
non se lo fece ripetere due volte, scavalcò il grosso serpente che
occupava quasi tutto lo spazio tra il letto e la parete e uscì prima
che lui potesse fermarla. Non intendeva dire che dovesse
svegliare Andromeda nel cuore della notte! Il suo era stato, al
contrario, un tentativo di prendere tempo... per quanto la presenza
del serpente Pietrificato nella loro stanza sarebbe stata difficile
da ignorare anche solo fino al mattino seguente.
Andromeda
e Tonks tornarono assieme, poco dopo.
La
donna più anziana si strinse addosso la vestaglia, osservando
cupamente il serpente e la culla con la nipotina.
“Nessuno,
che io sappia, ha avuto questo potere da almeno quattro generazioni
di Black,” disse con voce ferma.
Remus
non nascose la delusione. Conosceva una sola persona che parlava
Serpentese e lo faceva grazie alla sua misteriosa connessione con
Voldemort.
“Non
significa niente,” affermò, inginocchiandosi accanto alla creatura
e sfiorandone il dorso con la bacchetta. “Sono un lupo mannaro e
condanno chi giudica in base ai pregiudizi. Se qualcuno avrà
qualcosa da dire in merito, dovrà vedersela con me.”
Tonks
si accucciò accanto a lui e gli strinse una spalla.
“E
con me.” Batté le mani. “Bene. Ora, cosa ne facciamo di questo
coso?”
“Io
so a chi appartiene,” ammise Remus.
Tonks
fece un mezzo sorriso.
“Lo
sappiamo tutti. C'è solo un mago abbastanza squinternato da girare
con un animaletto domestico simile. Oltre a Hagrid, s'intende.”
Tamburellò con le dita sul labbro. “Dobbiamo avvisare gli altri
membri dell'Ordine. Harry sarà ancora a Villa Conchiglia, immagino.”
Remus
annuì e Tonks mormorò: Homenum Revelio. Le sue pupille si
dilatarono mentre osservava con gli occhi della mente quello che
l'incantesimo aveva portato alla luce.
“Avanti,
Remus. Voglio sapere cosa ne pensi,” lo invitò, indicando il
serpente.
Remus vide un
brandello traslucido dibattersi nel ventre del rettile, ripiegarsi su
se stesso e sciogliersi modellando un feto deforme, ibrido
umano-serpente.
“Chiamiamo
gli altri,” disse. Dal suo sguardo, seppe che anche lei aveva
capito.
***
I
membri dell'Ordine della Fenice ancora in vita si erano disposti in
cerchio attorno al serpente. Chiuso in una gabbia recuperata da
Hagrid e trasportato al centro del salotto della casa dei Lupin, si
contendeva l'attenzione generale con Harry Potter.
“Come
siete riusciti a catturarla?” domandò il ragazzo, cercando di
resistere all'impulso di sfiorarsi la cicatrice sulla fronte.
“È
venuta da noi di sua volontà,” spiegò Remus.
Harry
non era convinto.
“So
per certo che Vold- ehm, Tu Sai Chi non si separa mai da
Nagini.”
Tonks
rivolse a Kingsley uno sguardo d'intesa. L'Auror era stato tra i
primi ad arrivare e aveva studiato con attenzione l'animale,
arrivando alla loro stessa conclusione.
“Harry,
tu sai perché tiene così tanto a lei?” domandò con la sua voce
profonda.
Il
ragazzo non ripose.
“Hermione?
Ron?”
Arthur
Weasley strinse le braccia al petto e Molly, percependo la sua
tensione, gli prese una mano. Nagini lo aveva aggredito e quasi
ucciso solo qualche anno prima, Remus poteva immaginare cosa provasse
trovandosela nuovamente davanti.
“Silente
vi ha chiesto di non condividere con noi la natura della vostra
missione. Noi, ora, vi chiediamo di farlo,” proseguì Kingsley,
pacato ma allo stesso tempo risoluto.
“Non
lo faremo,” reagì Harry, cocciuto e leale fino alla fine. Sapevano
che non sarebbe stato facile spingerlo a parlare, ci avevano provato
dopo averlo trasferito alla Tana dall'abitazione dei Dursley, e
avevano fallito. Ora, però, erano avvantaggiati: avevano tutti gli
elementi, quello che cercavano erano solo delle conferme.
“Sappiamo
cosa nasconde questo serpente, Harry.” Intervenne Tonks, andando
dritta al punto. “È un Horcrux.”
Fred e
George si chinarono sulla bestia immobilizzata.
“Andiamo,
Harry, fai giocare anche noi,” lo pregò George. “Per rompere il
ghiaccio puoi spiegarci cosa Merlino è un Horcrux.”
Un
vagito li raggiunse dalla stanza attigua, seguito da sinistri sibili
che fecero agitare il serpente e irrigidire Harry.
“Chi
c'è di là?” domandò il ragazzo, afferrando saldamente la
bacchetta.
Il
cuore di Remus accelerò i battiti. “Andromeda.”
“Tonks...
tua madre... tua madre parla serpentese?” domandò Harry sorpreso.
“Perché sta chiamando Nagini?”
Tonks
fece per rispondere, ma Remus la anticipò. “Sì, è così. C'è
forse qualcosa di male?” lo sfidò un po' troppo aggressivamente.
Harry
abbassò gli occhi. “Certo che no... Insomma, anche io...”
Tonks
pizzicò l'avambraccio di Remus e lui le fece segno di tacere.
“Perché?”
sbottò lei contrariata.
“Tu
pensavi fosse male, potrebbero crederlo anche loro!” le sibilò.
“Oh,
piantala!” risolse lei. “Non è mia madre, è Teddy a parlare
serpentese. Basta segreti, siamo dalla stessa parte, giusto? Ora ti
presenteremo la tua figlioccia o, Remus, pensavi di tenergliela
nascosta per sempre?”
Lui
arrossì. Si stava comportando in maniera
irrazionale, Harry era una delle persone con meno pregiudizi che
conosceva, inoltre parlava serpentese... sapeva che anche gli altri
avrebbero capito, persino Molly, che temeva i lupi mannari ma era lo
stesso sinceramente affezionata a lui.
Ai
gemelli, nel frattempo, era stato spiegato cos'erano gli Horcrux.
“Quindi
è questa la missione che ti ha affidato Silente?” Chiese Fred.
“Eliminare l'Horcrux?”
Harry
si mosse, nervoso.
“Se
fosse solo questo parlerebbero, Fred.”
“Lo
avevo capito, George,” sbuffò il fratello. “Cosa c'è di peggio
di un Horcrux?”
“Tanti
Horcrux,” spiegò Tonks. “Harry, permettici di aiutarti. Io e
Remus abbiamo appena avuto un bambino, vogliamo che viva e se Tu Sai
Chi dovesse vincere nessuno di noi avrà scampo.”
Harry
premette una mano sulla cicatrice, distrutto dalla tensione e dal
senso di colpa e impallidì visibilmente quando Andromeda fece il suo
ingresso nel salotto e gli consegnò Teddy con un'espressione altera.
Remus sapeva che non lo aveva ancora perdonato per averla scambiata
per Bellatrix; più che covare rancore, si sentiva minacciata
dall'eventualità che potesse accadere di nuovo.
Nella
gabbia, il serpente di protese verso di loro.
Harry
si mosse impacciato, non sapeva bene come tenere la neonata, ma lei
sembrò subito a suo agio tra le braccia del giovane. Remus avvertì
la famigliare fitta di gelosia, anche se non era il momento per
quelle sciocchezze non poteva farci niente.
“Questo
è un colpo basso,” mormorò il ragazzo con voce malferma.
“Lo è
eccome,” confermò Tonks.
“Non
infrangerai la promessa fatta a Silente, perché non c'è più nessun
segreto,” lo incoraggiò Kingsley. “Permettici di aiutarti.”
Un
mormorio si alzò nella stanza, anche Ron e Hermione sembravano
concordare con l'Auror.
Teddy
prese una delle dita di Harry con la piccola mano ed emise dei
versetti.
“D'accordo
allora,” cedette. “Silente non ci ha detto più di quello che già
sapete.”
“Qualcosa
ci dev'essere,” intuì Remus. “O non avresti opposto resistenza.”
Fu
Hermione a rompere il silenzio.
“Harry
ha incontrato qualcuno nella foresta, la persona che ci ha consegnato
la spada di Godric Grifondoro...” tirò un profondo respiro. Nel
trio era lei quella col ruolo più gravoso, accettava di rendersi
impopolare per fare ciò che riteneva giusto. Remus l'ammirava, da
ragazzo gli era mancato il coraggio di assumere quel compito. Le
sorrise dolcemente, incoraggiandola a proseguire e Ron le cinse la
vita con un braccio. Harry non tentò di zittire l'amica, in fondo
voleva essere aiutato o forse persino fermato.
Qualunque
cosa Silente avesse in mente per lui, era di sicuro qualcosa di molto
sgradevole.
“Piton,”
disse Ron. “Non volevo crederci neanche io, ma è dalla nostra
parte. Poi vi spieghiamo...”
“...
il punto è che Piton ha condiviso con Harry alcuni ricordi. Harry,”
Hermione lo guardò dritto negli occhi. “Devi dirci cosa Silente
voleva che il professore ti mostrasse.”
Il
ragazzo sembrò rimpicciolirsi sotto i loro sguardi e Remus
resistette a stento all'impulso di abbracciarlo.
“Io...”
iniziò titubante. “Io sono un Horcrux. Voi Sapete Chi non può
morire finché io resto in vita. Dovrete accettarlo, non c'è altro modo...”
Remus
avvertì una violenta stretta al petto, non poteva credere che il
piano di Silente includesse il sacrificio di un ragazzo di
diciassette anni, quello stesso ragazzo che l'Ordine aveva giurato di
proteggere! Lo sconvolgente segreto aveva scosso profondamente tutti
i presenti e fu Molly a dar voce all'opinione generale:
“Non
permetteremo che tu ti sacrifichi!” dichiarò perentoria.
Harry
si guardò attorno, gli occhiali storti sul naso e un'aria allo
stesso tempo vulnerabile e adulta, troppo adulta per la sua età.
“La
scelta è solo mia, e io ho deciso. Dovrete accettarlo... fatelo per
voi, per i vostri figli!”
“No,”
disse Remus, definitivo. “Non accadrà. Mai.”
Ehilà.
Un paio di spiegazioni: ai fini della trama ho bisogno che Voldemort
non muoia, quindi ho trovato questa soluzione. L'Ordine scopre
l'esistenza degli Horcrux, Piton mostra i suoi ricordi a Harry nella
foresta, quando consegna loro la spada di Grifondoro e il ragazzo
viene più o meno costretto ad ammettere quello che Silente si
aspetta da lui. I membri dell'Ordine ovviamente non permetteranno che
si sacrifichi, che poi è il motivo per cui Silente si è guardato
bene dal confidarlo a qualcuno... a parte lui, l'unico a saperlo è
Piton. Altra nota: Teddy prova, ora come ora, una naturale repulsione
per il padre semplicemente perché lui è un lupo mannaro. Ho letto
che i piccoli Purosangue mostrano naturale avversione per i Babbani
(Pottermore)... di conseguenza la proveranno anche per le Creature
Magiche. Ovviamente sono credenze messe in giro dai Purosangue
fanatici, ma nella mia ff fingo che siano vere perché mi fa comodo
che lo siano.
Nel
prossimo capitolo, finalmente, conosceremo Teddy e Delphi un po'
meglio!
Fri
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Capitolo 3
Delphi,
quattro anni dopo.
Bellatrix marciava lungo il corridoio del piano terra di
Villa Malfoy, inseguita dall'eco dei suoi passi sul nudo pavimento di
pietra. Quattro anni di reclusione, quattro!
Con un colpo del capo liberò il viso dalla folta
chioma, il corpo teso e il cuore che scalpitava nel petto.
L'immobilità della sua esistenza presto l'avrebbe fatta implodere:
era una guerriera! Le sue uniche valvole di sfogo erano i duelli che
organizzava con la sorella e il cognato, più raramente col nipote.
L'Erede era ancora troppo piccolo per parteciparvi, sosteneva Cissy,
e più passava il tempo più l'impazienza di Bellatrix cresceva. Da
bambine lei e le sue sorelle non avevano il permesso di prendere in
prestito le bacchette altrui e i loro genitori, pur positivamente
impressionati dal talento delle figlie, tendevano a scoraggiare la
magia di cui a volte si servivano ma che non sapevano bene come
controllare. Tuttavia Delphi non era solo un Purosangue, era il
figlio di Lord Voldemort!
Ricordi dolorosi l'assalirono e fu costretta a fermarsi
con una mano sul petto, il respiro che si accorciava: la Battaglia a
Hogwarts, l'intervento tempestivo dell'Ordine della Fenice, Potter
scomparso e, alla fine, la tragica sconfitta.
Bellatrix
avrebbe voluto essere rinchiusa ad Azkaban assieme al Signore Oscuro,
ma la cricca di Silente aveva scoperto che aveva appena dato alla
luce un bambino e l'aveva costretta agli arresti domiciliari. Quando
le era stata comunicata la decisione, Bellatrix aveva sputato in
faccia al neoeletto Ministro della Magia Kingsley
Shacklebolt, quello sporco Traditore del Suo Sangue!
In
principio aveva soffocato l'impulso di eliminare il bambino per
riunirsi al suo Signore solo ripetendosi che grazie all'Erede sarebbe
tornato libero e al potere, in seguito la situazione si era evoluta
senza che se ne rendesse conto: ora amava Delphi quasi quanto il
Signore Oscuro.
D'accordo
coi Malfoy, Bellatrix aveva lasciato che tutti credessero che il
bambino fosse il figlio di Rodolphus. Ripensare al marito le provocò
una stilettata d'invidia,
a lui era stato concesso di dividere la prigionia con il Signore
Oscuro, mentre lei... lei aveva il privilegio di assistere alla
crescita del mago che lo avrebbe liberato!
Ghignò
quando la raggiunsero le voci scandalizzate dei dipinti appesi alla
rovescia alle pareti. Calpestò i cocci di diversi, preziosissimi
soprammobili sparsi sul pavimento, un pregiato tappeto spinto contro
la parete sembrava sopravvissuto a un incendio.
La
baraonda era opera di Delphi, naturalmente, riusciva a mettere in
difficoltà persino gli efficienti Elfi Domestici dei Malfoy. Lucius
aveva definito il bambino indomabile;
Draco, sosteneva, non era mai stato vivace a tal punto... non che i
due bambini fossero in qualche modo paragonabili, aveva sottolineato
subito dopo, notando lo sguardo tempestoso di Bellatrix.
Ovviamente
Lucius venerava Delphi e non aveva mai osato rimproverarlo.
Bellatrix
fece il suo ingresso nel salone principale della villa. Delphi si
stava arrampicando sulla tavola riccamente decorata posta al centro,
dove un tempo sedevano i Mangiamorte in riunione. Il bambino saltò
giù, atterrando sulla schiena dell'Elfo Domestico Ugriz, che si era
tuffato sotto di lui.
Ugriz
grugnì all'impatto e Delphi, divertito dal buffo suono, gli saltò
addosso una decina di volte con violenza crescente e quando l'orrida
creatura fu senza fiato, gli addentò una delle sgraziate orecchie.
Narcissa,
che osservava la scena seduta accanto al maestoso camino di marmo,
intervenne tempestivamente.
“Delphi,
no!” ammonì il nipote. Lo prese per mano e lo allontanò
dall'Elfo.
“Perché?”
chiese lui, leccandosi perplesso le labbra.
La
donna gemette, il naso arricciato. Tolse un fazzoletto merlettato
dalla veste e gli deterse con cura la bocca.
“Potresti
prendere qualche brutta malattia, piccolo,” gli spiegò. “Inoltre
questi giochi scalmanati non si addicono al tuo rango.”
Bellatrix
ne ebbe abbastanza. “Cissy, lui non ha bisogno di... questo!”
Narcissa
sostenne il suo sguardo, Bellatrix le era molto affezionata ma a
tutto c'era un limite.
“Tutti
i bambini hanno bisogno di disciplina, Bella,” replicò sostenuta.
“Forse
volevi dire tutti tranne Draco,” ironizzò lei.
Un
lampo passò nello sguardo della sorella. “Lui non era vivace,
lui...” iniziò.
“So
quello che era: debole.”
Narcissa
avvampò. “Non osare insultare di mio figlio!”
“Tu
non farlo col mio e io non lo farò col tuo.”
Delphi,
che non era abituato a non essere al centro dell'attenzione per più
di dieci minuti, si staccò dalla mano della zia ed esclamò: “Ho
fame. Voglio la mia bistecca.”
Bellatrix
batté le mani e l'Elfo Domestico si affrettò ad alzarsi dal
pavimento, chinandosi subito dopo fino a sfiorarle i piedi col lungo
naso a matita.
“Sì,
mia Signora?”
“Porta
subito del filetto. Al sangue, naturalmente.”
Delphi
l'abbracciò stretta, i capelli color malva.
Bellatrix
si era abituata al potere del figlio, anche se non poteva fare a meno
di collegarlo con quella pervertita della nipote il Signore Oscuro
aveva ragione: era raro, rarissimo, e perciò prezioso.
Narcissa
strinse le labbra ma non si intromise. Ne avevano già discusso:
mangiare carne cruda non avrebbe nuociuto al bambino. Era il suo
piatto preferito e Bellatrix non ci trovava nulla di strano, la
famiglia di Rodolphus aveva origini francesi e in quel paese la
mangiavano solo in quella maniera.
Prese
il figlio per le spalle e lo staccò da sé per studiarlo. Aveva
occhi chiari, obliqui e misteriosi, quasi ferini, unico particolare
di rilievo su un volto piuttosto ordinario. La nobiltà del suo
sangue si sarebbe sicuramente espressa in seguito, dopo aver perduto
le fattezza infantili.
Non
vi era nulla di famigliare in lui ad accezione del naso, che
somigliava al suo; sicuramente Delphi aveva ereditato i tratti dalla
famiglia Gaunt.
L'Elfo
Domestico riapparve e Delphi non gli diede neppure il tempo di finire
di apparecchiare la tavola, si fiondò sul piatto come se non
mangiasse da giorni.
Narcissa
si sedette accanto a lui e gli mostrò come servirsi del coltello.
Bellatrix stavolta non protestò, non aveva nulla contro
l'educazione, era la disciplina che non tollerava, pensava che
avrebbe intralciato il potenziale del bambino. Che sua sorella si
annoiasse pure a insegnargli come stare a tavola, lei si sarebbe
riservata il compito di mostrargli come piantare i coltelli nella
schiena dei nemici, a combattere!
Intercettò
l'Elfo Domestico prima che lasciasse la sala e notò che Delphi non
lo aveva morso solamente all'orecchio.
Avvertendo
lo sguardo della padrona addosso, Ugriz si
rattrappì in un patetico tentativo di sfuggirle.
“Mostrami
il braccio,” gli ordinò imperiosa.
Quello
allungò timorosamente lo stecchino pallido segnato da diversi morsi.
Bellatrix
sorrise compiaciuta. “Portali con orgoglio,” disse.
Narcissa
si avvicinò per studiare la creatura. “Il morso più vecchio a
quando risale?” indagò.
“Un
anno fa, mia signora,” rispose Ugriz, gli occhi bulbosi abbassati e
il corpo scosso da un lieve tremore.
“Non
mentire, sanguinano ancora!” lo aggredì Bellatrix.
“Non
mento, mia signora... non guariscono.”
“Bella,
questo è molto strano,” s'irrigidì Narcissa. “Non ho mai
sentito di nessun mago con un potere simile.”
Strano
significava raro, forse unico, si rallegrò Bellatrix, il Signore
Oscuro avrebbe gradito. Una volta concretizzato il piano per farlo
evadere, l'avrebbe coperta di onori grazie all'Erede. Forse, però,
c'era un modo per avere un anticipo di quanto tanto dolorosamente
agognava.
“Il
Signore Oscuro deve sapere, porterò Delphi ad Azkaban,” decise,
già esaltata e pronta a partire.
Neppure
vide l'espressione inorridita della sorella.
“Non
puoi,” le ricordò con fermezza.
“Non
posso?” rise Bellatrix. “Delphi è abbastanza grande da esprimere
il desiderio di conoscere il padre. Pensi che quelle mammolette di
Potter e di Shacklebolt
si opporranno a
un tenero bimbetto?”
Narcissa
impallidì, le braccia tese lungo il corpo come quelle di una salma.
“Non
oserai... metterai Delphi in pericolo se rivelerai la verità, ci
metterai tutti in pericolo! Ti ricordo che Lucius è scampato ad
Azkaban solo grazie all'intercessione di Potter!”
Bellatrix
si morse la lingua, avrebbe voluto risponderle chiaro e tondo quel
che pensava di quel vigliacco voltagabbana del cognato, ma amava
troppo la sorella e lei, purtroppo, amava Lucius, anche se non aveva
mai capito cosa ci trovasse in lui.
“Lo
porterò da Rod,” la tranquillizzò, sfiorando mentalmente la
bacchetta. “Non sono una sciocca, Cissy. Ti ricordo che Delphi è
un Metamorfomagus, una volta dentro assumerà le sembianze di una
guardia. Sarà facile... anche troppo.”
Narcissa
scosse la testa, preda del panico.
“È
troppo piccolo, si tradirà!”
Bellatrix
aveva già deciso e la ignorò. Ordinò al figlio di posare la
forchetta, perché doveva parlargli immediatamente.
“No!”
le rispose quello. “Sto mangiando, adesso.”
Lo
prese per il polso e lo costrinse a guardarla.
“Hai
carattere, piccolo,” disse orgogliosa. “Ora ascolta. Conoscerai
tuo padre, sei contento?”
Delphi
alzò le spalle.
“Tutto
qui?” domandò delusa.
“Nel
posto dove sta ci saranno altri bambini?”
Bellatrix
sospirò, ancora quella storia!
“Tuo
padre è in carcere e i minorenni non vengono più rinchiusi ad
Azkaban dalla fine della Seconda Guerra Magica.”
Delphi
sporse il labbro inferiore.
“Non
è giusto!” dichiarò.
“Non
lo è e quando il Signore Oscuro tornerà al potere cambieremo questa
assurda regola e le celle si riempiranno di Sanguesporco e Babbani di
ogni età!”
Gli
occhi del bambino brillarono.
“Così
potrò giocare con loro!”
Il
cuore di Bellatrix perse un colpo, mollò il polso del figlio e lo
guardò inorridita.
“Ha
quattro anni, Bella. Se, per miracolo, riuscisse ad arrivare fino
alla cella del Signore Oscuro, vuoi davvero che parli con lui?”
colse al volo l'occasione Narcissa. Per un istante, Bellatrix l'odiò,
ma la delusione stemperò in fretta la rabbia e a malincuore si
dichiarò sconfitta. Delphi non era ancora pronto.
“Mamma?”
la chiamò, strattonandole la veste.
“Cosa
vuoi?” reagì senza preoccuparsi di addolcire il tono e lui non si
lasciò minimamente intimorire.
“Voglio
conoscere altri bambini. Ora,” dichiarò, lo sguardo determinato:
era pronto a dare battaglia, il suo piccolo Erede.
Bellatrix
gli accarezzò la guancia paffuta, indugiando con le dita sulle
piccole labbra. Sentì che stringeva i denti, la mascella era
irrigidita.
“Non
c'è nessuno alla tua altezza e mai ci sarà,” gli disse, spiegando
la mano e afferrandogli saldamente il viso.
Ehilà.
Prevedevo di scrivere in un unico capitolo di Delphi e Teddy
quattrenni, ma poi mi sono fatta prendere la mano e il testo si è
allungato. Nella mia fanfiction Delphi somiglia fisicamente a Remus,
da Tonks ha ereditato, oltre ai poteri, il carattere, che una madre
come Bellatrix e la mancanza di disciplina stanno esasperando. Se le
dinamiche della storia non sono chiare domandate, ho la tendenza a
dare per scontato troppe cose. Nel prossimo capitolo conosceremo
Teddy quattrenne, a presto.
Fri
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Capitolo QUATTRO
Capitolo 4
Teddy,
quattro anni dopo.
Remus passò l'indice sul dorso dei volumi della
libreria nella camera della figlia. Trovò quello che cercava tra una
vecchia copia de Le Fiabe di Beda il Bardo e una ancor più datata
raccolta di storie Babbane dei fratelli Grimm.
Sfilò il libro e quasi gli cadde, quando una famigliare
quanto sgradevole morsa gli strinse le tempie.
“Teddy, ora basta. Sai che non mi piace,” tuonò,
voltandosi per individuare la disubbidiente streghetta.
Lei sporse la testa nella stanza e gli propose con un
sorriso scaltro, per nulla intimorita:
“Se non ti arrabbi ti dico cosa ho visto.”
Era dannatamente sveglia, oltre a essere talentuosa: una
combinazione micidiale in una bambina così piccola.
“Mi
arrabbio se me lo dici,” sospirò lui, mettendo il libro sotto al
braccio. Doveva controllare che la sua bacchetta fosse ancora dove
l'aveva lasciata. L'ultima volta che Teddy aveva sfogliato 'Magia
applicata' aveva tentato un Lumos Solem
alle tre del mattino con quella della madre, proiettando nel cielo
del loro quartiere un'aurora boreale a pois gialli refrattaria ai
controincantesimi. I giornali Babbani avevano parlato di alieni per
un'intera settimana e Tonks aveva ricevuto una lettera di richiamo
dal Ministero.
Teddy imitò il suo sospiro e il risultato fu comico.
Remus sapeva che cedendo la incoraggiava, ma era difficile ignorare
il timore di cosa potesse avergli letto nella mente e i suoi sospiri
non promettevano nulla di buono.
La bambina era una Legilimens naturale, una
Metamorfomagus, sembrava addirittura essere una veggente!
L'entusiasmo iniziale per le sue straordinarie capacità si era
attenuato quando Remus si era scontrato con la realtà: gestirla era
tutt'altro che semplice.
“D'accordo, dimmi,” le concesse, accompagnandola in
salotto. Si sedettero sul divano, abbastanza vicini da toccarsi.
“Tieniti forte,” disse Teddy, entusiasta. “Presto
non sarai più un lupo mannaro!”
Remus non nascose la perplessità. “Ah no?”
“No. Guarito,” Lei si impettì. “Così potrai
diventare Ministro della Magia!”
Remus scoppiò a ridere.
“E questa cosa sarebbe, una profezia?”
Teddy aggrottò le sopracciglia. Remus l'ascoltava
quando lo avvertiva che avrebbe dimenticato di prendere la Pozione
Anti-lupo in tal data, oppure stilava per la madre un elenco degli
oggetti che avrebbe danneggiato o distrutto nel corso del giorno,
perché le sue previsioni erano sempre esatte, ma a tutto c'era un
limite.
“Sì. Ti insegno io,” insistette la bambina,
infastidita dall'insolenza del padre.
La sua espressione era già altera come quella della
nonna, ancora qualche anno e sarebbe riuscita a mettergli soggezione
come Andromeda, pensò divertito.
“Molto allettante,” provò ad addolcirla. “E di
Kingsley cosa ne facciamo? Ci hai già pensato?”
“È mio amico, può restare al Ministero, se vuole,”
decise, serissima.
“Gentile da parte tua.”
Tonks rientrò in quel momento, scalciò gli stivali sul
tappeto dell'ingresso e si bloccò a osservarli per alcuni secondi a
braccia incrociate.
“Ehilà, c'è nessuno?” sventolò infine le mani
verso di loro, dato che né Remus né Teddy le avevano prestato la
minima attenzione.
“Mamma!” si lamentò la figlia. “Papà non mi da'
retta!”
Remus, invece, l'accolse con un sorriso un po' incerto.
Tonks aveva perso tre dita della mano sinistra e una della destra nel
corso di uno scontro con un gruppo di ex Mangiamorte; il suo era un
lavoro pericoloso, lo aveva sempre saputo, ma non era riuscito a
tenere a freno la lingua quando si era precipitato al San Mungo
appena qualche mese prima.
'La
prossima volta perderai la testa,' le
aveva detto arrabbiato: lo era sempre quand'era spaventato a morte.
'Impossibile.
Quella l'ho persa quando ti ho conosciuto, tanti anni fa,' aveva
scherzato lei.
Dopo l'incidente, Remus aveva dovuto ricacciare indietro
le lacrime ogni volta che la prendeva impulsivamente per mano e,
intrecciando le dita con le sue, era costretto a confrontarsi con
l'amputazione.
Tonks aveva introdotto la novità a Teddy come fosse uno
dei suoi giochetti da Metamorfomagus, ma la piccola non si era
lasciata ingannare molto a lungo. La strega strizzò l'occhio alla
figlia e le allungò una pergamena arrotolata.
“Portala alla nonna,” le disse.
Lei fece per discutere, ma le occhiatacce incrociate dei
genitori la convinsero a ubbidire in silenzio.
“Cos'era?” le domandò Remus, osservando la bambina
correre fino alle scale che conducevano all'appartamento di
Andromeda.
“Impiccione.”
“Parla.”
Tonks alzò le sopracciglia.
“Ah beh, se me lo chiedi con questo tono... creperai
prima che io dica anche una sola sillaba!”
Remus si alzò dal divano e, torreggiando su di lei,
calò di tono la voce naturalmente roca. “Molto presto non potrai
più sfidare la mia autorità,” minacciò.
Lei sbuffò una risata silenziosa. “Se intendi
Imperiarmi, sappi che...”
“Assolutamente no.”
“Oh.” Tonks esitò, non riusciva a capire dove
volesse andare a parare. “Quindi in cosa consisterebbe il tuo
piano?”
“C'è una profezia,” disse lui con voce sinistra,
sempre guardandola dall'alto in basso e approfittando della visuale
per controllare che le parti anatomiche della moglie fossero tutte al
loro posto. Durante una delle sue ispezioni passate quella spiritosa
di Tonks si era fatta spuntare un orecchio sul fondoschiena, perciò
ora si muoveva con cautela.
Tonks curvò le labbra e annuì lentamente, pensava di
aver indovinato le sue intenzioni? Remus pensò che era quasi
impossibile che ci fosse riuscita.
“Per caso dice che presto diventerai Ministro della
Magia?”
Remus batté le palpebre, inebetito.
“Sì...
ma solo dopo essere guarito dalla licantrop...” si interruppe,
inutile ostentare nonchalance.
“Come lo hai capito?”
Tonks si strinse nelle spalle.
“Teddy ha predetto la stessa cosa anche a me.”
“Che io diventerò Ministro?”
“Naaa. Che io diventerò Ministro. Un ministro
fantoccio, s'intende, dato che sarà lei a dirigermi.” Tonks
scoppiò a ridere. “Abbiamo una bambina piuttosto ambiziosa. E ha
solo quattro anni!”
Remus non reagì e Tonks allargò le braccia,
meravigliata.
“Tu le avevi creduto?”
“No, naturalmente,” rispose, ed era sincero, anche
se... “ti confesso che la parte che riguardava la guarigione era
allettante e non inverosimile come quella sull'incredibile scalata
sociale di un lupo mannaro. Credo.” Si sentì un idiota, sapeva che
era già tanto poter disporre della Pozione Anti-lupo ogni mese.
Tonks gli stampò un bacio sulle labbra e non si staccò
finché non avvertì quelle di lui abbozzare un sorriso contro le
sue.
“Ho anche io una profezia: Teddy sarà Serpeverde come
Andromeda,” cambiò discorso Remus.
“Oh, lo sarà di certo. Ti spiace?” indagò Tonks e
stavolta fu lui a cercare un bacio.
“L'importante è che sia felice,” rispose quando
ebbero finito, appoggiando la fronte contro quella della moglie.
“Com'è andata al lavoro?” chiese, cercando di non sembrare
troppo ansioso.
“Abbiamo rafforzato le misure di sicurezza di Azkaban.
Voldemort non fuggirà mai da lì.” Si accomodarono sul divano e
Tonks sfilacciò il lembo di un cuscino a forma di Ippogrifo. “Tu
quando torni a Hogwarts?”
“Sei preoccupata,” comprese Remus, la mano di lei si
muoveva nervosamente.
“Ecco... la reputazione dei lupi mannari è in caduta
libera. Ma tu non ti azzardare a mollare. Minerva non ti caccerà,
così come non lo avrebbe fatto Silente.”
Remus guardò il libro che aveva confiscato a Teddy.
“Se non fuggirò... no, non 'se', non fuggirò,
non stavolta. Nostra figlia ha grandi sogni e io non intralcerò il
suo futuro.”
Tonks alzò gli occhi dal cuscino.
“Comunque presto sarai in ottima compagnia. Tu lupo
mannaro, lei moglie di un Mangiamorte...”
Remus la osservò con attenzione.
“Chi...?”
“Mia zia.”
“Cosa? Quale?”
“Narcissa, ovviamente,” sussurrò lei, guardando in
su, verso l'appartamento di Andromeda. “Sai, un'idea per
riabilitare il nome dei Malfoy. Forse non quest'anno, ma sta pur
certo che prima o poi riuscirà a ottenere l'incarico.”
“Quindi Teddy potrebbe averla come insegnante?”
Tonks strappò il filo scucito con un colpo deciso e
puntò gli occhi scuri dritti nei suoi. “Stiamo pensando alla
stessa cosa,” indovinò. “Anche se verrà Smistata a Serpeverde,
anche se, nella peggiore delle ipotesi, Narcissa sarà la sua Capo
Casa... tu sarai là, con lei. Non permetterai...”
Remus le mise le mani sulle spalle e parlò con una
sicurezza che, in realtà, non provava.
“Non lo permetterò,” promise.
Ed ecco la piccola Teddy! Una
streghetta talentuosa, con più poteri di una Mary Sue. Nel
prossimo capitolo ci sposteremo a Hogwarts, con Delphi e Teddy
undicenni :-)
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Capitolo 5
2009,
Hogwarts
Il Vicepreside era un mago poco più
giovane della madre di Delphi*, coi capelli grigi e il viso segnato
da diverse cicatrici. Appariva trasandato nonostante indossasse degli
abiti nuovi e sorrideva troppo, Delphi avvertì un forte disagio
quando i loro sguardi si incontrarono per un istante.
Scrollò via la sgradevole sensazione e
seguì gli altri ragazzi nella Sala Grande, evitando di indugiare
troppo sull'adulto che li precedeva. Non aveva neppure afferrato
quale fosse il suo nome e non gli avrebbe permesso di metterlo in
soggezione, nessuno ci sarebbe riuscito, neppure la preside in
persona.
Delphi attese con impazienza il suo
turno e quando finalmente l'insegnante lo chiamò salì senza alcun
timore sulla pedana e si voltò verso la folla, pronto a calzare il
Cappello Parlante. Stava destando molto più interesse dei ragazzini
che lo avevano preceduto nel corso della Cerimonia dello Smistamento
e come sarebbe potuto essere altrimenti? Delphini Lestrange, che si
vociferava fosse, in realtà, il figlio del Signore Oscuro.
Il ragazzo sorrise. Trovava divertente
che i pettegolezzi su di lui che il Ministero puntualmente smentiva
fossero corretti, lui era il figlio del più grande mago
oscuro di tutti i tempi. Gli era stato ordinato di mantenere il
segreto ma era lo stesso di dominio pubblico e avrebbe potuto
approfittarsene.
Si accomodò sullo sgabello sicuro di
conoscere già l'esito dello Smistamento. Sua madre era Serpeverde,
così come lo era stato suo padre, gli zii e il suo unico cugino.
Il Cappello Parlante prese in fretta la
sua decisione:
“Tassorosso!”
Delphi balzò in piedi.
“No, cosa?!” sbottò con voce
strozzata, rovesciando lo sgabello.
Il Vicepreside, RemQualcosa gli
parve che si chiamasse, gli sorrise dolcemente.
“Tutto bene?” s'informò.
Il ragazzo si fece coraggio, non doveva
mostrarsi debole.
“Certo che sì,” reagì burbero.
Sarebbe stato speciale anche in quello: il primo Black a non essere
Smistato a Serpeverde, si consolò.
I suoi compagni di Casa lo accolsero
con un timido applauso che prese vigore quando si accorsero che la
sua era titubanza, non disprezzo.
“Edwina Lupin!” chiamò il
Vicepreside, dopo aver rimesso in piedi lo sgabello.
Una bambina alta e mora marciò fino
all'insegnante e gli sorrise con eccessiva confidenza quando venne
assegnata a Serpeverde. Alle spalle della scena, Delphi intravide la
tavola dei professori: zia Narcissa era seduta tra un mago piuttosto
giovane dall'espressione gentile e il gigante barbuto che li aveva
accompagnati al castello con le barche.
Il ragazzo si picchiò la mano sulla
fronte, che idiota, era così eccitato da... beh, da praticamente
tutto che si era scordato che anche lei avrebbe trascorso quell'anno
a Hogwarts assieme a lui.
Il viso della zia era tirato, ma quando
incrociò il suo sguardo lei si sforzò di sorridergli.
Delphi raddrizzò la schiena, non
importava qual era la sua Casa, non avrebbe dubitato di se stesso.
Era un Metamorfomagus, inoltre poteva infliggere ferite che non
guarivano mai agli Elfi Domestici e forse anche ai maghi. Se potersi
trasfigurare a piacimento era un potere estremamente raro, il secondo
apparteneva a lui soltanto.
La tavola dei Serpeverde confinava con
quella dei Tassorosso e Edwina Lupin di sedette alle sue spalle.
Ad attrarre l'attenzione di Delphi
furono i suoi capelli, che cambiarono colore un paio di volte mentre
li osservava. La ragazza stava mostrando il suo potere a uno dei
Prefetti e Delphi la prese d'impulso per una spalla: era la prima
volta che incontrava una strega come lui.
“Che vuoi?” ringhiò lei,
scrollandosi di dosso la sua mano.
“Non usare quel tono con me!”
s'indignò Delphi. “Se pensi di potermi maltrattare perché sono un
Tassorosso...”
“Cosa?”
La ragazza era sorpresa e Delphi
aggrottò la fronte. “Beh, mia madre dice che i Tassorosso sono
delle mammolette,” spiegò, ignaro delle occhiatacce che gli
indirizzarono i bambini a portata d'orecchi.
“Mia madre è Tassorosso,”
disse Lupin, gelida. “Quindi, di cosa stiamo parlando?”
“I tuoi capelli,” tagliò corto
Delphi, che iniziava ad annoiarsi.
“Sono una
M-e-t-a-m-o-r-f-o-m-a-g-u-s,” sillabò la ragazza, come se si
stesse rivolgendo a uno stupido. “È un potere molto raro.”
“Lo so cos'è!” protesto Delphi.
“Anche io posso farlo.”
Glielo mostrò allungando e arricciando
i capelli.
Lei sgranò gli occhi, finalmente le
aveva tappato la bocca!
Il tono di Lupin si fece più cauto.
“Allora tu sei... lui.”
“Lui chi? Se intendi il figlio del
Signore Oscuro, è solo una menzogna,” le disse, strizzandole però
un occhio.
“Mi hai presa per una sciocca?
Intendevo dire il figlio dei Lestrange.” Guardò i suoi capelli.
“Noi due siamo parenti.”
Delphi ghignò. “Noi due? Non credo
proprio.”
Lei sbuffò. “Tua madre e mia nonna
sono sorelle. Smettila di giocare coi capelli e guardami, io somiglio
a entrambe, non vedi?”
Il ragazzo la osservò intensamente:
l'espressione altera, gli occhi scuri e scintillanti, il profilo
nobile...
“Le somigli veramente!” esclamò
sbigottito. “Al contrario di me,” borbottò dopo una breve pausa.
Lui non aveva ereditato i tratti di nessuno dei suoi famigliari e la
speranza di aver preso dal padre e dai suoi parenti scemava man mano
che cresceva. Sua madre sembrava aspettarsi un miracolo da un momento
all'altro, ma secondo Delphi l'unica maniera di accontentarla sarebbe
stata quella di servirsi delle Metamorfosi.
“Certo che le somiglio. Mia nonna e
tua madre sono praticamente identiche, una volta Harry Potter le ha
scambiate. Me lo ha raccontato lui stesso.”
Aveva alzato la voce quando aveva
nominato 'Harry Potter', in modo che i ragazzi attorno a loro
potessero sentirla.
Lui non voleva darle corda, ma non
resistette all'impulso di domandarle: “Conosci Potter?”
“Harry Potter è il mio padrino,”
quasi urlò.
Stavolta furono in molti a voltarsi
verso di loro. La ragazza gli doveva un favore, pensò Delphi, e
decise che il suo contributo alla causa di Lupin non si sarebbe
fermato lì.
Saltò in piedi sulla panca, avvicinò
le mani alla bocca e tuonò: “Harry Potter è il padrino di Edwina
Lupin!”
Lei gli rivolse uno sguardo omicida.
“Nel caso che qualcuno non avesse
capito,” ridacchiò lui.
Lupin sfilò la bacchetta dal mantello
e mormorò qualcosa, trasformando la panca in un elastico teso che lo
catapultò in aria, facendolo atterrare dentro al pentolone con la
zuppa al centro della tavola dei Grifondoro.
“Zuppa di Tu Sai Chi?”domandò uno
spiritoso coi capelli rossi, picchiandogli un mestolo sulla fronte.
Delphi gli saltò addosso e ruzzolarono sul pavimento di pietra, a
menar pugni scivolosi di zuppa.
Le nocche dell'avversario stavano per
colpirlo alla mascella quando Delphi si sentì sollevare: la preside
lo aveva appeso in aria con un incantesimo, allontanandolo dal
Grifondoro.
Di fronte al suo sguardo accusatore,
Delphi strinse i pugni, furibondo. “Non è colpa mia, è stata
quella ragazza di Serpeverde, Lupin, a iniziare!”
Lupin si ricordò solo in quel momento
di avere ancora la bacchetta puntata contro la panca, che non non
aveva mai smesso di oscillare nel punto dove era seduto Delphi. Fece
per nasconderla nel mantello, ma era troppo tardi.
“Teddy!” intervenne il Vicepreside,
lasciando il Cappello Parlante in testa a un ragazzo terrorizzato.
“Dieci punti in meno a Serpeverde!”
“E dieci in meno a Tassorosso.”
Sentenziò la preside. “Bel modo di iniziare la vostra carriera
scolastica. Lestrange, Lupin, in punizione.”
Il Vicepreside fece per intervenire di
nuovo, ma la McGranitt scosse il capo. “Remus, non tu. Gazza, per
favore, accompagna fuori dalla Sala Grande questi due discoli, mi
occuperò di loro più tardi.”
Mentre usciva, Delphi vide con la coda
dell'occhio la zia Narcissa discutere brevemente con la preside.
Forse cercava di addolcire la sua punizione ma a lui non importava,
anzi, sperava di essere affidato al Mezzogigante.
“Mio cugino mi ha raccontato che una
volta, per punizione, lo hanno portato nella Foresta Proibita,”
sussurrò a Lupin eccitato. “Ci vivono i lupi mannari, magari ci
permetterà di infilzarne uno!”
Gazza li scortò fino a una squallida
stanzetta senza finestre il cui unico particolare interessante era
una collezione di manette e catene appese alla parete dietro la
scrivania.
“Quando mio padre diventerà preside,
nessuno si permetterà più di parlare così dei lupi mannari,”
sibilò Lupin, abbassando lo sguardo. Gazza li osservava torvo dal
corridoio.
“Tuo padre? Preside? E che c'entra
coi licantropi?”
Lei sbuffò. “Non sai chi è mio
padre? Sei serio?”
“E perché mai dovrei saperlo? Tu non
sei nessuno.”
Lupin lo fulminò con lo sguardo.
“Intendevo dire che non sei famosa,”
spiegò Delphi. Quella ragazzina si scaldava più facilmente di sua
madre.
“Per ora,” borbottò lei.
“Considerando che siamo parenti, pensavo ti avessero parlato di me,
inoltre mio padre è il mago che ci ha accolti all'ingresso del
castello e che ha presenziato allo Smistamento. Visto che abbiamo lo
stesso cognome, non mi sembra così difficile capire che è il
Vicepreside. Ed è anche un lupo mannaro e un giorno sarà preside di
Hogwarts.”
Delphi, che aveva cercato di intervenire in propria difesa quando la
ragazza, Teddy?, aveva cercato di farlo passare per uno stupido,
scoppiò invece a ridere.
“Se è vero che è un lupo mannaro, non accadrà mai. Non capisco
perché gli permettano di insegnare e la nomina a Vicepreside è pura
follia, a dirla tutta.”
“Ah-ah. Permettono di insegnare a tua zia, che era una Mangiamorte.
Mio padre è un eroe, si è guadagnato un Ordine di Merlino, Prima
Classe.”
Delphi aggrottò la fronte. “Non è un lupo mannaro, mi stai
prendendo in giro. Chi si prende gioco degli altri a questo modo di
solito lo fa perché si sente inferior-”
Lo sguardo della ragazza si fece distante, come se gli guardasse
attraverso e di colpo il suo corpo si afflosciò. Delphi la sorresse
a fatica, era più pesante di lui.
“Ehi, tu! Cos'hai?” la scrollò spaventato. Ci mancava solo che
lo incolpassero di quello, certo, se la ragazza era davvero
figlia di un lupo mannaro e sua parente, sua madre sarebbe stata
orgogliosa, ma rischiava l'espulsione e Hogwarts era la sua unica
possibilità di farsi degli amici.
Il corpo di Lupin si irrigidì e un attimo dopo, con suo grande
sollievo, si raddrizzò.
“Teddy!” boccheggiò Delphi. “Stai bene?”
Lei si spazzolò con indifferenza le maniche della divisa. “Certo.
Ti ho forse... spaventato?” lo provocò, ma a Delphi non era sfuggita la
prima, fugace occhiata che gli aveva rivolto una volta tornata in sé.
Vedendolo sospettoso, lei aggiunse: “Rilassati, era solo uno
scherzo. Ti aspetto giovedì dopo il tramonto nello studio di mio
padre, potrai rivolgergli direttamente le tue perplessità... se ne
hai il coraggio, naturalmente.”
Delphi annuì, la proposta lo allettava. “Io ho coraggio da
vendere,” dichiarò.
*Remus ha nove anni in meno di
Bellatrix, ma dimostra più della sua età.
A Delphi hanno evitato di fornire un
po' di informazioni, ad esempio non sa di avere una cugina Auror, né
che il marito della cugina è un lupo mannaro. Non sapeva di Teddy,
né sa nulla di Sirius. Riguardo al suo potere di lasciare cicatrici
che non possono guarire, che quella è una particolarità dei lupi
mannari non lo sa nessuno, a parte i lupi mannari stessi e chi li
conosce bene.
Febbraio è stato un brutto mese e
non sono molto lucida (influenze varie, sciò!), quindi se ci sono
imprecisioni fatemelo pure notare, apprezzerò l'aiuto ^^
Al prossimo capitolo,
Fri
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Thecursedchild6
Capitolo
6
Bellatrix lesse la pergamena due volte e le parole
continuarono a fiammeggiarle davanti agli occhi anche una volta che
l'ebbe abbassata, così sfoderò la bacchetta e la ridusse in
coriandoli. Il gufo che gliel'aveva consegnata si salvò riparandosi
dietro al vetro dell'altissima finestra decorata del salone
principale di Villa Malfoy.
La strega colse con la coda dell'occhio la figura di un
uomo che si avvicinava cautamente.
“Brutte notizie?” le domandò Lucius, la fronte nuda
che si increspava e lo sguardo circospetto.
“Il dannato Cappello Parlante,” sibilò lei, il
petto se si gonfiava visibilmente ad ogni respiro. “Lo hanno
Incantato, è un complotto ordito dall'Ordine della Fenice!”
Lucius seguiva con lo sguardo i movimenti del pugno
armato della cognata, tenendosi pronto. La conosceva bene e sapeva
quanto potesse diventare pericolosa.
“Quindi Delphi non è Serpeverde,” intuì, la voce
incolore. “Com'è possibile?”
“Te l'ho appena detto com'è possibile!” lo aggredì
lei. Non gli conveniva provocarla, soprattutto ora che non c'era
Cissy a difenderlo.
L'uomo indietreggiò di un passo con un'espressione che
voleva essere affabile ma che a lei sembrò solo viscida.
“Sicuramente la tua può essere una spiegazione,
ma...” tentò di blandirla.
“Ma tu non credi che sia quella giusta, perciò,
Lucius, pensi che il figlio del Signore Oscuro possa davvero essere
destinato a Tassorosso?”
Il poco colore sul viso dell'uomo svanì, sostituito da
un pallore verdastro.
“Io... io non... Non pensavo fosse andata così male!”
balbettò costernato.
Ugriz piombò correndo nel salone e incespicò sulle
parole per la fretta di parlare.
“Cosa vuoi?” tuonò Lucius. Alzò il bastone da
passeggio e fece per colpirlo, ma la mano di una donna lo intercettò
prima che potesse abbatterlo sul testone calvo della creatura.
“Oh, non di
nuovo, non ora!”
gemette il mago e Bellatrix distolse lo sguardo dal mucchietto
di cenere che sgretolava sotto i tacchi.
Ninfadora Tonks, l'Auror che più spesso le faceva
visita per controllare che non stesse violando gli arresti
domiciliari, le sorrise. Un giovane Auror si fece piccolo dietro le
spalle della donna, quando incrociò gli occhi di Bellatrix.
“Qual è il problema?” domandò la sgualdrina del
lupo mannaro con la solita impertinenza.
Bellatrix scansò il cognato e la fronteggiò.
“Taci, tu dovresti essere morta!”
“Bellatrix...” mormorò Lucius.
La strega raccolse tutto l'autocontrollo di cui
disponeva e provò un dolore fisico quando ingoiò la rabbia, un
boccone che la artigliò all'esofago. Il sapore ferruginoso del
sangue le salì dalla gola.
“Sono reclusa da undici anni. Undici. Chiedo il
permesso di recarmi a Hogwarts,” pronunciò con voce metallica, il
viso ridotto a una maschera.
Il sorriso dell'Auror si trasformò in un ghigno.
“Forse sarebbe stato meglio chiedermelo prima
di ricordarmi che sei ancora dispiaciuta per non essere riuscita a
uccidermi, perché la dice lunga sul tuo recupero... ”
Bellatrix tirò un profondo respiro.
“Devo vedere mio figlio. Prometto che non farò del
male a nessuno.”
L'espressione di Tonks si fece più gentile.
“Cosa gli è successo?” domandò, cambiando
completamente tono.
“Tassorosso,” sibilò a voce bassissima la donna.
Mancò poco che l'Auror scoppiasse a ridere.
“Ha fatto peggio di Sirius!” si fece beffe di lei.
“È un affronto!” perse il controllo Bellatrix. “Lo
hanno Smistato a Tassorosso perché lo temono e vogliono renderlo un
mediocre!”
“Io sono Tassorosso,” osservò divertita Tonks.
Bellatrix indugiò sulle mani mutilate dell'Auror.
“Non fatico a crederlo.”
L'altra non se la prese.
“Remus è Vicepreside. Non c'è nessun complotto, te
l'assicuro.”
Bellatrix si volse come una furia verso il cognato.
“Il lupo mannaro è Vicepreside? Me lo avete tenuto
nascosto! Ritirerò immediatamente Delphi da Hogwarts e lo istruirò
io, a casa.”
“Bella...”
“È un tuo diritto, ma non sarà visto di buon occhio
dal Ministero,” l'avvertì Tonks.
“Delphi si opporrà,” le diede man forte Lucius.
“Inoltre pensa alle ripercussioni su tutti noi.”
“In che mondo crescerà mio figlio...” gemette
Bellatrix.
“In un mondo migliore e sarà una persona migliore di
te.”
Bellatrix rimise mano alla bacchetta, imitata subito da
Tonks. Il collega saettò lo sguardo per la stanza, indeciso se
fuggire o spalleggiare la compagna.
“Rincominciamo da dove eravamo state interrotte,”
propose Bellatrix, sentendosi di nuovo viva come non le capitava da
molto tempo. Anche l'Auror lo voleva, oh, se lo voleva!
'Cedi ai tuoi istinti!' pensò Bellatrix e le sue
labbra si curvarono in un ghigno famelico quando l'altra ordinò al
subalterno di farsi da parte.
Duellarono in un silenzio teso, spezzato solo dai loro
passi che echeggiavano nel salone.
Bellatrix esplose contro l'avversaria una sequenza di
potenti incantesimi che l'altra parò facilmente, rispondendo poi con
maledizioni pressoché innocue, ma grazie alle quali guadagnò
terreno, costringendola spalle al muro. Bellatrix fu costretta a
ripiegare dall'attacco alla difesa.
La strega più giovane era molto migliorata rispetto a
undici anni prima e non c'era da stupirsene, aveva trascorso quel
lungo periodo di tempo lavorando come Auror, mentre lei appassiva
nella dimora della sorella.
Bellatrix fece per colpire Tonks con un Recido per
pareggiarle il numero delle dita delle mani ma fu investita da una
violenta quanto inaspettata folata di vento, che le strappò di mano
la bacchetta.
Il sospiro di sollievo di Lucius decretò la fine del
duello.
Bellatrix aveva le lacrime agli occhi per l'umiliazione
subita.
“Come mi avete ridotta...” gemette, rovesciando il
mobilio della stanza con uno scoppio di magia involontaria. Era fuori
allenamento, ma restava una strega potentissima, una delle migliori
in assoluto e la sua avversaria lo sapeva bene. Solo ora si accorgeva
di quanto pallida fosse Tonks e della stretta spasmodica delle dita
che le restavano attorno alla bacchetta.
“Sei terrorizzata,” sussurrò Bellatrix.
L'Auror abbassò la mano armata ma non lo sguardo.
“È stato poco professionale da parte mia,” mormorò.
“Non accadrà più.”
Bellatrix fu investita da un'ondata di disprezzo.
“Tassorosso,” fece, disgustata.
***
Remus entrò soprappensiero nell'aula insegnanti.
All'inizio dell'anno scolastico aveva accettato il posto di
Vicepreside solo perché era ciò che Teddy desiderava che facesse.
Non si sarebbe esposto tanto, se non fosse stato per lei... era il
primo giorno del suo nuovo incarico ma già capiva che le era
debitore. Aveva soffocato le proprie ambizioni per una vita intera e
ora che aveva trovato il coraggio di cedervi sentiva che il ruolo di
responsabilità, nonostante lo spaventasse, avrebbe portato a
qualcosa di buono. Lo Smistamento di Teddy non lo aveva sorpreso, era
certo che sarebbe stata Serpeverde e, nonostante i pregiudizi
assorbiti nei suoi anni a Hogwarts come Grifondoro, sapeva che quella
Casa l'avrebbe aiutata a diventare una grande strega, che era quello
che si era augurato fin dal giorno della sua nascita. Cercava di non
pensare a quello che sarebbe potuto andare storto, doveva essere
positivo e l'avrebbe tenuta d'occhio come aveva promesso a Tonks.
L'inizio non era stato dei migliori, col litigio con il piccolo
Lestrange, proprio colui che avrebbe preferito che la figlia non
frequentasse affatto e ora erano rinchiusi assieme nell'ufficio di
Gazza.
Remus si chiese come fossero andate le cose tra i due
bambini, forse Delphini l'aveva offesa a causa sua? Bellatrix non
aveva certo dimenticato l'onta di avere nella propria famiglia un
lupo mannaro.
Si chiese se Delphini Lestrange fosse talentuoso quanto
Teddy, poco probabile ma non impossibile, considerando le capacità
della madre.
Remus attraversò la lunga stanza rivestita di legno
senza guardare dove metteva i piedi e finì con l'inciampare in una
delle poche sedie spaiate che non erano occupate da qualche collega.
Nessuno ci fece caso e quando ebbe ripreso l'equilibrio
notò Narcissa Malfoy immobile davanti all'armadio dove, diversi anni
prima, Remus aveva improvvisato la sua lezione sui Mollicci. Comprese
subito che non erano stati i colleghi a emarginarla, quella di
isolarsi era stata una scelta di Narcissa: sentiva di non essere la
benvenuta.
Remus, dispiaciuto, le si avvicinò cautamente.
“Ricordo il mio primo giorno a Hogwarts...”
approcciò in tono gentile.
Narcissa sussultò, ma si riprese immediatamente, una
lieve smorfia sul volto grazioso comunicò più di mille parole: come
osava il mostro rivolgersi a lei?
Remus scrollò mentalmente le spalle, non sarebbe
fuggito avvalorando i suoi preconcetti. Voleva solo aiutarla.
“A undici anni eri già un licantropo,” dedusse la
donna, sottintendendo lo sconcerto per la sua ammissione alla scuola
di magia.
“Intendevo dire il mio primo giorno come insegnante,”
le spiegò, abbozzando un sorriso.
Assorbiti com'erano dal difficile approccio, le
conversazioni degli altri insegnanti li sfioravano appena e non si
accorsero che alcuni li osservavano incuriositi.
La manona che si abbatté sulla spalla di Remus quasi lo
spaccò in due.
“Ehi, Remus! Ma Teddy non ha preso proprio niente da
te?” gli domandò Hagrid con gli occhietti scuri luccicanti di
aspettativa.
Remus avvertì un vuoto allo stomaco, si guardò attorno
e indugiò su Narcissa, che sostenne il suo sguardo. Stava pensando
al nipote rinchiuso assieme a Teddy, un riflesso di quello che aveva
preoccupato Remus stesso solo qualche minuto prima.
“No, non ha preso proprio niente da me,” disse,
alzando la voce. “Non voglio che girino voci tra gli studenti, per
favore. Teddy è una bambina normale... completamente sana.”
“Oh,” esclamò deluso Hagrid.
Quando l'attenzione generale sembrò essersi spostata
altrove, Remus domandò a Narcissa:
“Come prenderà lo Smistamento, tua sorella?”
La donna lo studiò prima di rispondere, probabilmente
si chiedeva dove volesse andare a parare e per un attimo Remus pensò
che gli avrebbe detto che non lo riguardava, invece si limitò a
ignorarlo.
Prese un profondo respiro e lo scostò, posizionandosi a
capotavola, i pugni stretti sul piano di legno consunto:
“Lupin ha pubblicamente difeso la figlia, anche io ho
il diritto di difendere mio nipote,” disse, lo sguardo diretto alla
preside, che aveva appena fatto il suo ingresso nella stanza. “Le
voci che girano su Delphi sono false, ve ne renderete conto. Il
Signore Oscuro non è suo padre e Delphi è un normale mago di
undici anni. Non aspettatevi che parli Serpentese o altro.”
“Da piccolina Teddy Lupin parlava Serpentese!”
esclamò candidamente Hagrid. “Lo sa ancora fare, Remus?”
Remus avvampò, gli unici a non essere sbalorditi erano
i suoi colleghi che già sapevano della particolarità di Teddy:
Minerva e Hagrid stesso. Neville attirò la sua attenzione e gli
sorrise.
“Non lo so,” mentì, odiandosi per l'incapacità di
accettare il potere della figlia per paura di quello che avrebbero
potuto pensare di lei.
Minerva osservò alternativamente lui e Narcissa, soffermandosi alla fine sulla strega.
"Molto bene. Narcissa, Lupin e Lestrange sconteranno la loro punizione assieme a te, raggiungili nel tuo studio."
Prima di lasciare la stanza, Narcissa lanciò un'ultima occhiata a Remus, un'occhiata che non fu in grado di interpretare.
Ehilà. Mi spiace di avervi fatto aspettare tanto per questo
aggiornamento che, tra l'altro, non ha fatto progredire di molto la
storia. Purtroppo ho problemi col pc e il correttore ortografico di
Open Office mi ha abbandonata. Ho già pronto un altro capitolo
ma sarà zeppo d'errori, sono troppo distratta per rinunciare al
correttore, aiuto XD
Vi ringrazio per la pazienza,
Fri
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
The CC cap SETTE
Capitolo 7
Teddy si infilò nella prima stanza del dormitorio di
Serpeverde e scelse il letto vicino a un'alta e stretta finestra che
dava sul Lago Nero, sarebbe stato come dormire vicino a un acquario,
pensò affascinata. Scostò le tende del baldacchino e si sedette,
osservando incuriosita le compagne. Le due ragazze bionde che avevano
preso posto di fronte a lei stavano chiacchierando vivacemente,
mentre quella sdraiata sul letto alla sua destra guardava pensierosa
le alghe ondeggiare sul fondo del lago al di là della finestra.
Aveva un'aria mite, i capelli scuri ed era così minuta che sembrava
ancora una bimbetta.
“Ciao, io sono Teddy,” si presentò, spostandosi per
rientrare nel suo campo visivo. Non aveva mai avuto un'amica, prima.
Ai suoi genitori sarebbe piaciuto farle frequentare una scuola
Babbana ma pensavano che i suoi poteri fossero troppo grandi per
essere controllati da una bambina, l'avrebbero di sicuro scoperta.
L'altra ragazzina mise a fuoco il suo volto battendo le
palpebre. “Parkinson,” rispose non molto convinta.
Teddy alzò le sopracciglia: “Parkinson. Anche mia
madre preferisce essere chiamata per cognome. Non da me, io la chiamo
'mamma' naturalmente, intendo da tutti gli altri.”
La ragazza emise una risatina. “No, scusami, ero
soprappensiero,” si mise a sedere sul letto e le strinse
cerimoniosamente la mano. “Chiamami Scilla. Ti ho vista litigare
con il Tassorosso che ha aggredito mio fratello nella Sala Grande,
quello che dicono sia il figlio di Voldemort.”
Teddy annuì. “Quindi tuo fratello è il Grifondoro
che ha preso a pugni Delphi. Non lo conosco ma mi sta già
simpatico.”
“In realtà è un gran rompiscatole e l'unico della
nostra famiglia a non essere un Serpeverde. Sospetto che le due cose
siano collegate.”
Teddy scoppiò a ridere.
“Tu sei la figlia di Lupin, vero?” le domandò dopo
un momento Scilla.
“Esatto!”
La ragazza si mosse nervosamente sul letto.
“C'è qualcosa che non va?” chiese Teddy.
“No. Certo che no.” Mormorò. “Solo che...”
Scilla abbassò lo sguardo e i capelli le scivolarono
sul viso, dal punto in cui si trovava, Teddy poteva vederle solo la
punta del naso. Probabilmente la ragazza conosceva la natura di suo
padre. Non se la prese, se non altro Scilla non si era eccitata
all'idea di infilzare un lupo mannaro.
“Non fa niente, okay?” la tranquillizzò.
Scilla si stropicciò le mani in grembo. “Mia zia ha
avuto Lupin come insegnante, tanti anni fa.”
“Capisco,” annuì Teddy.
L'altra ragazza trovò il coraggio di alzare lo sguardo
e Teddy le sorrise. Scilla era così gentile e timorosa di ferirla e
forse addirittura si vergognava dei pregiudizi nei confronti di suo
padre.
Una testa ricciuta fece capolino nella stanza.
“Edwina Lupin è qui?” domandò il Prefetto di
Serpeverde accanto a cui Teddy si era seduta in Sala Grande.
Alzò una mano. “Eccomi!”
Lui le fece segno di seguirla. “C'è il piccolo
Lestrange, qui fuori. Hanno deciso la vostra punizione, andiamo.”
Scilla le sfiorò la veste e le sussurrò: “Buona
fortuna!”
Teddy scese la scala a chiocciola con lo sguardo rapito
dall'invitante libreria della Sala Comune e quasi andò a sbattere
contro il passaggio di pietra; aspettò con impazienza che il muro si
aprisse, non vedeva l'ora di togliersi dai piedi la punizione e
ricostruire la propria reputazione da zero.
Delphi l'accolse con un sorriso sghembo. “I miei sono
stati tutti a Serpeverde, sapevo esattamente dove si trovava
l'ingresso,” spiegò.
“Notevole,” borbottò lei. “Quindi hanno deciso
cosa fare di noi?”
Il ragazzo sospirò sconsolato: non aveva gradito la
punizione assegnata loro dalla preside. “Vieni, mia zia ci aspetta
nel suo studio...”
Mentre
percorrevano il corridoio di pietra, Delphi estrasse la bacchetta e
la puntò contro una delle torce, sparando un getto d'acqua. Il fuoco
incantato non solo non si spense, ma emise un nuvolone nero che
inghiottì le loro teste.
“Non puoi fare a
meno di combinare guai ogni due secondi?” Tossì Teddy. Quel
ragazzo era impossibile!
Delphi disperse il
fumo con le braccia. “I corridoi sono il mio parco giochi, a casa,”
spiegò tranquillamente.
La ragazza decise
di sorvolare, forse Delphi cercava solo di scacciare la nostalgia.
Salirono le scale di marmo fino al primo piano, dove c'era l'aula di
Storia della Magia e l'ufficio della professoressa Malfoy. Dopo la
Battaglia di Hogwarts il professor Ruf, il suo predecessore, non
aveva sopportato di tornare alla sua non-vita, tediosa tanto quanto
la sua vita, così aveva deciso di provare con la morte perché più
noiosa non sarebbe potuta essere, ed era andato avanti. Teddy aveva
sentito dire a suo padre che alla preside, pur commossa dalla perdita
dell'ex collega, non era dispiaciuto poterlo sostituire con
insegnanti più validi.
Teddy bussò alla porta dell'ufficio della professoressa
Malfoy.
“Aiutare la zia a mettere in ordine i volumi di storia
della magia, che noia!” si lagnò di nuovo Delphi, che dopo la
bravata con la torcia si era limitato a fare le boccacce ai quadri,
provocando qualche reazioni indignata tra i pochi soggetti dipinti
che ancora non stavano dormendo.
Teddy ci teneva a fare una buona impressione - Malfoy
era la sua Capocasa - e sperò che il compagno non rovinasse tutto.
“Avanti,” disse l'insegnante.
“Teddy Lupin,” si presentò prontamente Teddy,
porgendole la mano. Narcissa Malfoy somigliava tanto alla nonna ma
coi colori sbagliati, era come se Andromeda si stesse divertendo con
i poteri da Metamorfomagus.
L'insegnante le prese la mano ma non la strinse, lo
sguardo sgomento e la bocca appena dischiusa.
“Zia?” chiamò Delphi preoccupato.
“Somiglio molto alla nonna,” disse meccanicamente
Teddy, ancor prima di capire quale fosse l'origine dello sconcerto
dell'adulta.
Malfoy camuffò il disagio portandosi una mano alla
fronte e fingendo di sviare una ciocca di capelli. Delphi,
naturalmente, ci cascò e archiviò immediamente ogni remora:
“Perché non frequentiamo la famiglia di Teddy?”
recriminò stizzito. “Per Merlino, Zia! Non sapevo neppure di avere
una cugina!”
“Non è questo né il momento né il luogo, signor
Lestrange,” lo riprese la professoressa, con la voce che tremava
appena. “D'ora in avanti ti rivolgerai a me come fai con gli altri
insegnanti: sono la professoressa Malfoy, a Hogwarts.”
Delphi fece una smorfia. “Professoressa Malfoy?
Andiamo, non scherzare.”
Teddy rifilò un pizzicotto al compagno e lui la scansò.
“Ahi! Che vuoi?! Proprio tu, che chiami il Vicepreside
'papino'!”
“Non oserei mai davanti agli altri studenti!”
protestò Teddy, accalorandosi. “Ma tu non hai idea di cosa sia il
rispetto, non è vero?”
“Ora basta!”
I due ragazzi sobbalzarono. La professoressa era livida
di rabbia.
“Che spettacolo, zia, non ti ho mai vista così!
Sembri quasi mia madre.”
Malfoy si passò una mano sul viso, Teddy non capiva se
fosse incredibilmente paziente o avesse semplicemente fatto il callo
alla stupidità del nipote. Vivere con quel ragazzino doveva essere
un inferno.
“Tua madre non è qui, signor Lestrange,” disse
gelida. “Un altro 'zia' e ti rimando a Villa Malfoy col primo
Hogwarts Express.”
Delphi aprì la bocca, poi la richiuse.
“Sì, signora,” disse, più confuso che altro.
Si sedettero davanti all'insegnante, che iniziò a
passare loro dei polverosi volumi.
Teddy sgomitò per assicurarsi quello che le parve più
promettente. “Qui c'è la cronaca del duello tra Harry Potter e
Voldemort?” domandò in tono innocente.
Malfoy alzò appena lo sguardo dalle pergamene che stava
esaminando. “È programma dell'ultimo anno, signorina Lupin, per
ora non la riguarda.”
La ragazza notò che la professoressa assumeva una
strana espressione quando pronunciava il suo cognome, come se le
provocasse una fitta da qualche parte.
“Mi interessa perché parla del mio padrino e anche
dei miei genitori,” spiegò, studiando con attenzione la reazione
della strega.
Delphi chiuse di scatto il libro che stava cercando di
riordinare. “C'erano anche i miei genitori e i miei zii, e mio
cugino...” le disse scocciato. “Razza di egocentrica.”
Teddy finse di non aver sentito l'ultima osservazione
del ragazzo. “Certo, ma combattevano tutti dalla parte sbagliata,”
replicò, capendo troppo tardi di aver offeso anche la professoressa
su cui voleva fare colpo. “Mi spiace, non intendevo...” tentò di
rimediare.
“Ci addita come 'cattivi', lei col suo padre lupo
mannaro...” soffiò tra i denti Delphi.
“Pensavo che non credessi che lo fosse davvero,”
osservò Teddy con forzata allegria, felice di poter cambiare
argomento.
“Ora basta!” intervenne l'insegnante. “Lavorate in
silenzio, questa è una punizione, non un'ora di ricreazione.”
I ragazzi chinarono il capo e ripresero a sistemare i
volumi. Mentre cercava di aggiustare la rilegatura di un antico tomo,
Teddy ripensò alla visione che l'aveva colta nell'ufficio di Gazza.
Si trovava in una grande villa, un luogo che non
conosceva e che somigliava più a Hogwarts che a una casa privata.
Teddy era in piedi davanti a uno specchio che rifletteva
il viso di Delphi invece del suo, eppure la ragazza sapeva di essere
lei. Sbirciò il compagno di punizione, i loro destini erano legati e
non le restava che scoprire in che modo.
Eccomi qui, sono stata velocissima per i miei standard :D Avevo
già pronto questo capitolo, così ho deciso di postarlo...
il correttore ortografico di OpenOffice mi ha abbandonata quindi
sicuramente i refusi aumenteranno, d'ora in poi. Purtroppo non riesco a
risolvere il problema. Attenzione, la parte finale del capitolo
è molto importante, sarà quello che darà l'avvio a
tutto ^^
Al prossimo capitolo!
Fri
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
CC CAPITOLO OTTO
Capitolo 8
Delphi tolse il pezzo di pergamena dalla tasca della
divisa, lo rilesse e lo rimise a posto: l'appuntamento era per dopo
cena, fuori dalla Sala Grande. Teddy non aveva indicato un orario
preciso e lui si era stancato di aspettarla. Alcuni compagni di Casa
gli passarono davanti lanciandogli occhiate incuriosite, seguiti da
un gruppo di Grifondoro.
“Voldemort Junior,” esclamò un ragazzo dall'aspetto
famigliare.
Delphi riconobbe lo studente con cui si era azzuffato
durante la cerimonia dello Smistamento.
“Cosa vuoi?” sbuffò annoiato. Se Teddy non fosse
arrivata in fretta avrebbe finito col litigare di nuovo con lui pur
di passare il tempo.
Il ragazzo gli mostrò i lividi e le escoriazioni che
gli aveva procurato Delphi.
“Clarence e Stephan hanno provato a farli sparire con
alcuni incantesimi che in passato avevano sempre funzionato,” disse
accigliandosi.
“Non stavolta, però,” lo anticipò Delphi.
“Esatto,” il Grifondoro lo studiò con grande
interesse. “Dipente da te, vero? È perché sei il figlio di
Voldemort.”
Delphi aveva promesso di non dire nulla sul suo vero
padre, perciò congedò il ragazzo con una scrollata di spalle e
sbirciò nella Sala Grande: i professori stavano ancora cenando,
tutti tranne uno, il Vicepreside. Finalmente vide Teddy alzarsi dalla
tavola dei Serpeverde a dirigersi verso l'uscita.
“Era ora...” disse lui, ma lei gli passò davanti
senza degnarlo di uno sguardo. Delphi stava per protestare, quando la
pergamena che aveva nella tasca gli strattonò la veste. La scritta
era cambiata, ora diceva di seguire Teddy a distanza e senza dare
nell'occhio.
Delphi fece di più, si nascose dietro un'armatura e
mutò il proprio aspetto quel tanto che bastava a renderlo
irriconoscibile. Il secondo piano del castello era deserto, così
Delphi e Teddy accantonarono ogni precauzione.
“Andiamo,” gli disse la ragazza, puntando la
bacchetta sulla porta d'ingresso dello studio del padre e mormorando
un incantesimo che Delphi non conosceva.
Le giornate si stavano accorciando e la sera era calata
già da un po', ma la luna piena illuminava a giorno la stanza.
Delphi avvertì un respiro leggero venire dal basso, c'era qualcuno
steso per terra!
“Teddy...” iniziò, lei si voltò e si premette un
dito sulle labbra. “Non zittirmi! Dove Merlino è tuo padre? Se è
uno scherzo...” taque di botto. Sotto alla scrivania rilucevano
quelle che sembravano due monete. Si spostarono verso di lui e dal
buio sbucò un naso, poi un muso.
“Ecco, lo hai svegliato!” s'indispettì Teddy e
camminò verso quello che sembrava un grosso cane. Quando fu
interamente alla luce Delphi capì di essersi sbagliato: il collo
possente, le enormi zampe, il colore del mantello... la bestia era
sicuramente un lupo.
Teddy grattò l'animale tra le orecchie e l'animale
uggiolò di piacere, senza smettere di annusare l'aria. Presto spostò
la sua attenzione su di lui e Delphi sentì le gambe farsi molli e
allo stesso tempo un'inspiegabile attrazione.
Il lupo sorpassò Teddy e gli si fermò davanti,
scuotendo la strana coda a ciuffo.
“Gli piaci,” sussurò la ragazza, saettando lo
sguardo da lui al lupo con grande interesse. “Di solito è molto
territoriale e diffidente con chiunque tranne me e la mamma.”
Delphi avvicinò la mano alla bacchetta.
“È pericoloso e tu lo sai, vuoi farmi uccidere?”
mormorò con scarsa convinzione, pericoloso o meno quella era la
Creatura Magica più affascinante che avesse mai visto.
“È innocuo quando prende la Pozione Antilupo. Avevo
ragione io sì o sì?” disse Teddy mettendo le mani sui fianchi, ma
anche lei sembrava stesse recitando una parte. Stranamente non le
importava più vincere la scommessa, cosa le interessasse adesso
Delphi non riusciva a immaginarselo.
Il lupo mannaro lo toccò col muso e il ragazzo reagì
d'istinto:
“Lacarnum
Inflamare!” pronunciò: la Creatura Oscura non indossava abiti e
l'unica cosa che prese fuoco fu una pila di pergamene sulla
scrivania.
“Oh, no no!” gemette
Teddy, spegnendo il fuoco con un getto d'acqua. “Mio padre se ne
accorgerà!”
Delphi indicò il lupo.
“Se ne accorgerà? Lui è
qui, ha visto tutto!”
“Non essere sciocco, non
ricorderà nulla di quello che è successo... non fosse stato così
non ti avrei coinvolto!” Si frappose fra lui e il padre. “Cosa ti
è saltato in testa? Sei stato sleale, papà è disarmato.”
Delphi batté le palpebre.
“È un dannato lupo
mannaro! Ha le zanne, e gli artigli e...”
L'animale passò davanti
alla figlia e leccò una mano al ragazzo.
“È simpatico,” borbottò
lui, confuso.
“È davvero strano,
è come se ti conoscesse...”
“Chiederò a mia madre se
me ne prende uno!”
Teddy lo afferrò per il
mantello e lo trascinò di peso fuori dallo studio, richiudendo il
lupo mannaro nell'ufficio con un colpo di bacchetta.
“Chiederò a mia madre se
mi compra un Metamorfomagus,” gli fece il verso in tono aspro.
Delphi avvertì una stretta
al petto.
“Non è la stessa cosa e
tu lo sai, smettila di farmi passare per ipocrita!”
“È la stessa cosa e tu
sei ipocrita!”
“Sei arrabbiata perché
volevi spaventarmi e invece ho fatto amicizia col lupo.”
Lei ci rifletté su.
“Ora non più... sono solo
sorpresa. Tu non capisci quanto sia strano quello che è successo lì
dentro, davvero... dovrò pensarci sopra.”
***
Remus
stava spiegando perché era sconsigliabile ridere alle battute di un
Imp, soprattutto se si era in
prossimità di un fiume,
quando lo sguardo gli cadde nuovamente sul piccolo Lestrange.
Non riusciva a capire perché all'improvviso si sentisse
tanto attratto da lui. Si impose di continuare con la lezione, ma gli
Imp non gli erano mai sembrati tanto noiosi.
Delphini stesso ricambiava la sua curiosità o era solo
una sua impressione? Remus colse l'occasione al volo quando il
ragazzino fece un gesto con la mano.
“Vuoi dei chiarimenti, Delphini?” domandò
speranzoso.
“Per Merlino se li voglio!” esclamò quello come se
non aspettasse altro. “Lei sembra così normale, oggi.”
Remus percepì il pericolo, ma mantenne la calma senza
troppa difficoltà.
“Oggi?” ripeté guardingo.
Delphini annuì.
“Sembra uno qualsiasi, mi aspettavo qualcosa di meglio
da un lupo mannaro.”
“Sono esattamente quello che sembro,” gli rispose
gentilmente Remus. Pensava che quella del ragazzo fosse solo genuina
curiosità, non aveva il tono maligno che ci si aspetterebbe dal
figlio di Bellatrix Lestrange.
“Andiamo, non sia ridicolo. Lei mi ha leccato la mano
solo qualche sera fa, è stato così eccitante che non me la sono più
lavata.”
Remus sogghignò tra sé e sé. Era preparato alle
battutine sulla sua condizione, non lo mettevano in crisi come un
tempo.
“A meno che tu non fossi Trasfigurato in un dolce di
Mielandia, escludo di averti mai assaggiato,” replicò serio, ma
ridendo con gli occhi.
“Oh, lo ha fatto, invece. Sono entrato di nascosto nel
suo studio,” replicò tranquillamente il ragazzo.
Nell'aula si alzò un mormorio, l'aria era elettrica.
Remus s'irrigidì. “Ti ho leccato la mano,” ripeté
atono.
Delphini scoppiò a ridere e continuò fino a che le
lacrime gli scesero lungo le guance.
“Lei era in forma di lupo, naturalmente,”
spiegò quando si fu calmato. “Pensavo fosse scontato.”
La vista di Remus si offuscò e tutto si fece
indistinto, tranne il ragazzo.
“Sei entrato nel mio studio con... con la luna piena,”
comprese. “Come? È protetto da incantesimi che tu non puoi...”
Lui no, ma Teddy sì, pensò immediatamente. Lei li
conosceva e sapeva come neutralizzarli, ma non poteva essere stata
sua figlia, non poteva accettarlo.
Delphini non si scompose:
“Incantesimi da principianti, lei non sa chi sono io.”
“Non ti ho fatto del male...” mormorò Remus.
“No. Mi ha leccato le mani come un bravo cane.”
Remus si guardò attorno: le azioni del ragazzo lo
avevano sconvolto abbastanza da fargli scordare che la discussione si
stava svolgendo sotto lo sguardo attento di un nutrito gruppo di
Tassorosso e Corvonero.
“Vai dalla Preside,” ordinò seccamente a Delphini.
Il ragazzo arrossì come se lo avesse offeso.
“Cosa? Perché, non è giusto!”
Remus lo guardò con ferocia e il ragazzino annicchilì,
tutta l'aula piombò in un silenzio teso.
Delphini spinse indietro rumorosamente la sedia, alzò
la mano che sosteneva che l'insegnante gli avesse leccato e lasciò
l'aula tenendola sollevata come una bandiera.
Remus cercò di concludere dignitosamente la lezione e
quando l'ora finì fu con grande sollievo che trovò rifugio nel
proprio studio.
Ricordò che la mattina dopo la luna piena c'era puzza
di bruciato nella stanza e si disse che doveva chiedere a Madama
Chips se avesse notato qualcosa di sospetto.
Prese una manciata di Polvere Volante e si inginocchiò
davanti al camino e dopo qualche istante riaprì gli occhi nel
salotto di casa sua.
Tonks doveva essere appena rientrata dal lavoro perché
aveva ancora addosso il mantello.
“Ehi, Remus, che succede?” esclamò sorpresa quando
vide la sua testa fluttuare nelle braci.
“Dobbiamo rivedere gli incantesimi con cui sigillo il
mio studio,” le spiegò senza preamboli. Teneva alla sua opinione,
ma quello era più che altro un pretesto per sfogarsi con lei.
“Non dirmi che qualcuno li ha violati,” intuì
subito Tonks.
Remus riuscì solo ad annuire.
“Chi?” gli domandò, ma lo disse come se già
sapesse.
“Delphini Lestrange.”
Tonks non nascose la preoccupazione.
“Ti ha fatto del male o tu ne hai fatto a lui?”
“Lui sostiene che io l'ho... ecco... leccato sul dorso
di una mano.”
Tonks si accovacciò davanti al camino sbilanciandosi e
finendo quasi per caderci dentro.
“Oh, andiamo, mentiva!”
La sua certezza lo innervosì.
“Come fai a dirlo? Quanti estranei hai visto
interagire con me sotto pozione Antilupo?”
Tonks taque per un lungo istante.
“Dora?” ringhiò lui, anche se la strega si
nascondeva dietro un'espressione neutra quel silenzio era sufficiente
a tradirla.
“Nessuno. Circa.”
“Circa?”
“Una volta mia madre è entrata nella nostra
stanza...” ammise Tonks.
“Cosa? Perché non me lo hai detto?”
“Ti saresti preoccupato per niente.”
Remus chiuse gli occhi e fece per premerci sopra i
polpastrelli, quando ricordò che le sue mani erano rimaste a
Hogwarts col resto del suo corpo.
“Va bene, sorvoliamo. Qualcun altro?”
“Harry.”
“Ah, bene,” grugnì Remus, che iniziava seriamente
ad arrabbiarsi. “Organizzavi dei party nelle notti di plenilunio?”
“Ma non hai mai leccato nessuno.”
“Questo sistema tutto.”
“Remus...”
“Non avresti dovuto permetterlo, Dora, io mi fidavo di
te!”
“Va bene, chiedo perdono. Teddy aveva paura che tu ti
arrabbiassi e non volevo che ti spaventassi per niente...”
Remus si morse nervosamente il labbro inferiore.
“Quindi è stata Teddy a farli entrare,” constatò.
Tonks aprì e richiuse la bocca.
“Stai pensando che anche stavolta possa esserci il suo
zampino,” intuì. “Se lei e Delphini sono amici, forse...”
Remus provò un'immediata sensazione di sollievo.
“No, non direi che lo sono.”
Tonks non parve convinta.
“Meglio così,” disse pensierosa. “Per sicurezza
non dirle dei nuovi incantesimi, capito?”
Remus si allontanò dal caminetto prima ancora che lei
terminasse la frase: di chi si doveva fidare se non poteva contare
neppure sulla propria famiglia?
***
Delphi
aveva trovato il gargoyle a guardia dell'ingresso dell'ufficio della
Preside ma il professor Lupin
aveva scordato di dirgli la parola d'ordine. Decise che gli avrebbe
concesso dieci minuti per raggiungerlo e porre rimedio all'errore, se
non fosse arrivato in tempo si sentiva autorizzato a tornare a
lezione come se nulla fosse successo. Sicuro che grazie
all'espediente l'avrebbe passata liscia riuscendo oltretutto a far
sentire Lupin un povero idiota, si smontò quando vide Madama
Chips marciare verso di lui.
“Cosa
stai aspettando?” gli chiese bruscamente.
“Il
professor Lupin mi ha mandato dalla McGranitt senza spiegarmi come si
fa a entrare nel suo ufficio...” rispose. Non poteva più sfuggire
alla Preside, ma avrebbe fatto passare Lupin per idiota agli occhi
dell'infermiera della scuola... meglio di niente.
La strega strinse le labbra
fino a farle scomparire.
“Manico di scopa,”
pronunciò rigida e la statua di pietra si spostò, rivelando una
scala che si muoveva verso l'alto.
Delphi masticò un “grazie”.
“Prego,” replicò Madama
Chips, facendo in gesto in direzione delle scale. “Parlerò dopo
con la Preside.”
L'ufficio della Preside era
una stanza molto ampia a base circolare. Delphi si stupì di trovare
tanti cimeli di Quidditch, in una teca c'era persino un antico e
rarissimo Bolide di pietra.
C'erano diversi quadri
appesi alle pareti che ritraevano i Presidi di Hogwarts e stavano
tutti sonnecchiando, tranne uno con un soggetto particolamente brutto
che lo fissava sogghignando.
“L'anno scolastico è appena iniziato e sei già qui.
Tuo padre sarà orgoglioso di te,” commentò con malignità il
dipinto.
Delphi era perplesso.
“Come se lui lo sapesse...” sbuffò. Che ne sapeva
quel tizio di suo padre?
“Se non lo sa, lo scoprirà presto... è un
insegnante, dopotutto.”
Delphi lo guardò storto.
“L'ultima volta che ho controllato era ancora a
Azkaban,” disse al ritratto che probabilmente era stato dipinto
mille anni prima, quando non escludeva che suo padre, Lord Voldemort,
avesse effettivamente lavorato a Hogwarts.
Il quadro fece per replicare quando la zia Narcissa
entrò nello studio.
“Ho saputo,” disse, tradendo una certa ansia.
“Delphi, ti prego, cerca di comportarti bene con la Preside. Quello
che hai combinato... ne parla tutta la scuola...”
Delphi s'impettì, orgoglioso, ma si sgonfiò subito
dopo: lui era già famoso, quello che non voleva era essere espulso.
“Va bene...” mormorò.
***
Narcissa tirò un sospiro: quel bambino era indomabile,
sua sorella avrebbe dovuto essere più severa con lui, o per lo meno
permettere a lei di esserlo. Entrare nello studio dove riposava un
lupo mannaro in una notte di luna piena, come gli era venuto in
mente? Se fosse stato morso... non poteva pensarci, le implicazioni
sarebbero state gravissime. Non solo il ragazzo, ma anche lei e la
sua famiglia sarebbero stati in grave pericolo se il Signore Oscuro
avesse scoperto quello che era successo all'Erede sotto la loro
custodia.
“Perchè ti sta così a cuore quel ragazzo?”
Narcissa sussultò, non era stato Delphi a parlare, il
ragazzo stava studiando un bacile che riconobbe essere un Pensatoio
all'altro capo della stanza. Si girò in direzione della voce e
incontrò con lo sguardo il ritratto di Severus Piton appeso accanto
a quello addormentato di Albus Silente. Piton era un traditore, ma
era ancora in debito con lui: non aveva dimenticato che aveva stretto
il Patto Infrangibile e difeso Draco nel corso del sesto anno
scolastico del ragazzo.
“Potrebbe essere altrimenti? Lo conosco da quando è
nato,” spiegò gentilmente al dipinto.
Severus parve stupido.
“Quindi tu e Andromeda Tonks vi siete riavvicinate,”
constatò.
“Andromeda? Cosa c'entra... non capisco...” balbettò
Narcissa, ancora scossa dall'incontro con Teddy Lupin l'osservazione
la punse sul vivo.
Severus strinse gli occhi, cosa stesse cercando di
capire era per Narcissa un mistero.
“Il piccolo Lupin è il nipote di Andromeda,” le
disse infine come se ritenesse la spiegazione talmente ovvia da stare
dubitando dell'intelligenza della donna.
Narcissa comprese l'equivoco.
“Pensi che Delphi sia il figlio di Lupin e di
Ninfadora.”
“Mi sbaglio, forse?” chiese scettico Severus.
“Non farti ingannare dai suoi poteri di
Metamorfomagus,” lo avvertì Narcissa.
“Fosse solo il colore grottesco dei suoi capelli...
Somiglia molto al licantropo, purtroppo.”
Narcissa avvertì un'unica, violenta fitta al petto, ma
fu solo un fugace attimo.
“Delphi è figlio di Bellatrix e Rodolphus,” tagliò
corto, l'osservazione del ritratto era semplicemente ridicola.
L'espressione di Severus era indecifrabile.
“Ho sentito parlare di lui,” sibilò.
Narcissa si congedò con un cenno del capo e andò
incontro alla Preside che era appena entrata nello studio, sperando
nella sua clemenza.
Con enorme ritardo eccomi tornata ad aggiornare la
ff. Purtroppo non riesco a risolvere il problema con Open Office e
scrivere senza il correttore ortografico è piuttosto stressante per
me XD La storia è molto vicina a una svolta, niente di troppo
scontato, mi auguro.
Ringrazio tutte le persone che stanno seguendo la ff
e in particolar modo quelle che recensiscono. Al prossimo capitolo,
Fri
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
CAPNOVEFF
Capitolo 9
La Preside sobbalzò quando si accorse che il suo
ufficio era già occupato. Prese tempo sistemandosi gli occhiali sul
naso, dando una lunga, torva occhiata a Narcissa e Delphi.
“Delphini Lestrange,” disse, trattenendo le dita
sulle tempie. “Nei guai. Di nuovo.”
Narcissa strinse la spalla al nipote. Cautela, supplicò
mentalmente, sii gentile.
“È successo che...” disse in fretta Delphi, si
fermò di colpo e si mordicchiò il labbro inferiore con aria
ispirata. “... il professor Lupin non mi ha detto la parola
d'ordine per entrare nel suo ufficio, professoressa McGranitt.”
La McGranitt alzò le sopracciglia.
“Imperdonabile,” sibilò, il volto immobile come il
cielo prima di una tempesta. “Il motivo per cui il professore ti ha
mandato da me decade, quindi.”
Delphi spalancò gli occhi.
“Sul serio?”
“Certo che no. Spiega, subito, e senza
divagare.”
Delphi guardò Narcissa e lei si sforzò di sorridergli.
Il volto del ragazzino le aleggiò davanti anche dopo che lui l'ebbe
rivolto in direzione della Preside ed ebbe preso a raccontarle la sua
pericolosa bravata.
Delphi somigliava davvero a Lupin? Aveva scacciato
subito l'idea e anche riflettendoci la risposta era che no, non gli
somigliava, non come Draco con Lucius, comunque.
Forse gli occhi, però...
Notò che la Preside aveva ridotto le labbra a un'unica
sottilissima linea.
“Volevi solo dare un'occhiata? La prossima volta, per
assecondare la tua curiosità, cosa farai? Una gita nella Foresta
Proibita? Un picnic sotto al Platano Picchiatore?”
“Platano Picchiatore? Cos'è? Dov'è?”
La Preside, chissà come, serrò ancor di più la
mascella: le labbra erano scomparse e Narcissa s'immaginò di sentire
i suoi denti digrignare.
“Questi non sono suggerimenti, Lestrange. In questa
scuola abbiamo delle regole e sei tenuto a rispettarle come tutti gli
altri.” Il tono della strega si fece grave, ma lo sguardo le si
addolcì impercettibilmente. “Tua madre non ti ha suggerito...”
“Bellatrix non c'entra nulla, Preside,” s'intromise
Narcissa. “Ha nascosto a Delphi che i Lupin sono nostri parenti.
Mio nipote non sapeva che il Vicepreside è un lupo mannaro, lo ha
scoperto a Hogwarts.”
Delphi annuì con semplicità.
“Proprio così. Me lo ha detto Teddy Lupin e io
neanche le credevo. Per questo poi lei...” si zittì con un
sorrisetto imbarazzato.
Fu in quel momento che Narcissa vide la somiglianza.
Probabilmente se Severus non le avesse messo la pulce nell'orecchio
non se ne sarebbe mai accorta e questa fu la prima obiezione a cui si
aggrappò. Si disse che Bellatrix e Lupin che concepivano un figlio
era un'idea semplicemente folle. Anche se sua sorella avesse
avuto una relazione con un altro mago perché i tentativi col Signore
Oscuro stavano fallendo e con Rodolphus non avevano mai funzionato ed
era inutile provarci di nascosto con lui, la scelta non sarebbe
caduta su un lupo mannaro membro dell'Ordine della Fenice. Ma Delphi
stava ancora sorridendo e lei dovette distogliere lo sguardo per
calmare un insopportabile dolore alle tempie.
“Mi scusi, signora,” si lasciò scappare Narcissa.
“Esistono foto scolastiche degli ultimi anni in cui ho frequentato
Hogwarts?”
La McGranitt aggrottò la fronte.
“Perché questa domanda, Narcissa?”
Anche Delphi la stava guardando, non poteva tradirsi.
“Niente, non ha importanza...”
“Bene. Quindi, Lestrange, sei nuovamente in punizione.
Non tollererò altri colpi di testa, è bene che tu lo sappia.”
“Sissignora,” mormorò lui, contrito.
“Parlerò col professor Lupin. Ora, se volete
scusarmi...”
***
Era un pomeriggio assolato, col Lago Nero mosso da una
brezza che ne increspava la superficie come la carezza di una mano
colossale. Molti ragazzi avevano deciso di trascorrere le ore libere
da studio e lezioni all'aperto e Teddy era una di quelli.
“Hai sentito cosa è successo?” le domando Scilla,
osservandola di sottecchi.
Naturalmente sì, lo sapeva tutta la scuola. Teddy
ancora non riusciva a credere che Delphi fosse stato così stupido da
dire a suo padre che era entrato nel suo studio con la luna piena.
Non l'aveva coinvolta, almeno quello!
“Già...” sospirò.
“Mio fratello dice che Lestrange voleva fare del male
a tuo padre perché odia i lupi mannari.”
Teddy si concentrò sulla punta delle proprie scarpe.
“Ehm... non credo.”
“Oh. Secondo te cosa voleva fare, allora?” domandò
Scilla dubbiosa.
“Una bravata, nient'altro.”
“Sembri così sicura... sai che mio fratello non è
ancora guarito dai lividi che quel ragazzo gli ha lasciato?”
Girarono attorno a un gruppo di salici e Teddy scorse il
padre appoggiato a uno dei tronchi, solo, stanco e arrabbiato e tutte
quelle sensazioni si rovesciarono dentro di lei quando incrociò il
suo sguardo. Non leggeva più nella mente delle persone, era
sbagliato come se li avesse spogliati contro la loro volontà, ma col
padre a volte non riusciva a trattenersi: si ammalava spesso e quando
era debole scivolava dentro la sua mente come un coltello nel burro.
Lui si accorse subito dell'intrusione e la rimproverò
con lo sguardo. Prima di ritrarsi, Teddy vide che suo padre non era
tormentato solo dal motivo più ovvio.
“Hai litigato con la mamma?” sbottò sorpresa,
dimenticandosi della presenza di Scilla.
Lui abbozzò un sorrisetto.
“Possiamo parlarne dopo?”
“Papà! Cosa è successo alla mamma? È ferita?”
L'uomo sorrise rassicurante.
“Sta bene. Sul serio.”
'Lo sai che non devi leggermi la mente', le
comunicò col pensiero, puntando discretamente la bacchetta su di lei
per leggere la risposta. 'Ma se serve a tranquillizzarti guarda
pure. La mamma sta bene.'
'Mi è scappato, non volevo', pensò
Teddy. Avrebbe voluto accogliere l'invito ma si vergognava troppo.
Più cresceva e meno gradiva anche quei momenti in cui perdeva il
controllo del proprio potere; farlo volontariamente, seppur col
permesso altrui, le faceva stringere lo stomaco. Se suo padre la
esortava a leggergli la mente voleva dire che era sincero. 'Ti
credo.'
L'uomo si rilassò, Teddy sapeva che era turbato dalle
sue intrusioni, il che aumentava il proprio disagio.
'Lo hai fatto con altri?' le domandò sempre
mentalmente.
Teddy sbuffò.
'Oh, papà! Certo che no! È solo che tu sei ancora
debilitato dal plenilunio e quando le persone stanno male lo faccio
involontariamente...' le scappò una risatina. 'Ma aspetta che
arrivi l'influenza!'
Suo padre scoppiò a ridere, facendo trasalire Scilla
che non capiva cosa stesse succedendo.
“Oh, scusa Scilla. Ti chiami Scilla, vero?” Lei
arrossì, non si aspettava che ricordasse già il suo nome. “Non
era nostra intenzione escluderti dalla discussione.” Si avviò in
direzione del castello, alzando una mano per posarla sulla spalla
della ragazzina e bloccandosi all'ultimo minuto.
Teddy lo osservò perplessa, suo padre era una persona
affettuosa, era la prima volta che lo vedeva trattenersi... forse era
per via del ruolo di insegnante o, rifletté, temeva che Scilla si
sarebbe spaventata perché era un licantropo.
“N-non fa niente,” balbettò timidamente Scilla,
chinando il capo così che i capelli le nascondessero il viso minuto.
“Vi va' di venire nel mio studio? Ho qualche bottiglia
di succo di zucca.”
Scilla lanciò a Teddy un'occhiata furtiva, era
nell'imbarazzo più totale e lei non capiva bene il perché. Se la
professoressa Malfoy le avesse rivolto lo stesso invito sarebbe stata
ben contenta di accettare, suo padre non era il Capocasa di
Serpeverde, però era il Vicepreside, insomma, anche se fosse stata
allergica agli insegnanti socializzare col Vicepreside non era
affatto male.
Teddy pensò di aiutarla declinando l'invito, ma quella
era un'ottima occasione per smontare la paura di Scilla per i lupi
mannari, perché la sua amica voleva liberarsi dei pregiudizi.
Inoltre a Teddy sarebbe piaciuto invitare Scilla a casa sua durante
le vacanze estive, e sentirsi a suo agio con la famiglia Lupin era
una condizione necessaria affinché il suo desiderio si avverasse,
perciò prese per mano il padre e fece un sorriso d'incoraggiamento
all'amica.
Non le importava se gli altri ragazzi l'avrebbero presa
in giro per quello, al di fuori delle lezioni lui era solo suo padre
e non era così infantile da fare le scenate che di solito facevano
gli adolescenti di fronte alle effusioni dei genitori.
Suo padre le strinse la mano un po' sorpreso ma
contento.
Stavano camminando nel corridoio del piano terra quando
incrociarono la professoressa Malfoy accompagnata da Delphi.
La donna impallidì non appena li vide.
“Tu non eri quella che non chiamava 'papino' il
Vicepreside a Hogwarts, però lo tieni per mano!” ridacchiò
Delphi.
“Tu non dovresti essere in punizione?” replicò
Teddy.
“Va bene, ragazzi, ora basta,” disse suo padre, con
un'occhiata nervosa a Delphi.
Teddy per un attimo si pentì di quello che aveva fatto,
ma aveva intuito che era la cosa giusta e sapeva che le sarebbe
servito a spiegare l'origine della sua visione, anche se ancora non
sapeva in che modo.
La professoressa rivolse una lunga, penetrante occhiata
a suo padre.
“Porgi le tue scuse al professor Lupin,” disse a
Delphi, senza staccare gli occhi dal collega.
Delphi, invece, rimproverò Teddy con lo sguardo e lei
non riuscì a controllarsi: arrossì, suo padre se ne accorse e
ancora sotto lo sguardo insistente della professoressa Malfoy,
avvampò a sua volta.
Delphi aprì la bocca ma prima che potesse parlare la
zia lo prese per le spalle, avanzando di qualche passo.
“Sembra che i colpevoli siano altri,” sibilò
gelidamente, alludendo all'imbarazzo di Teddy e di suo padre.
Li superò col naso alzato in un atteggiamento di
superiorità, affiancata da Delphi che osservò trionfante il
Vicepreside.
Ehilà! Ce ne ho messo di tempo, mi spiace. Che ne
pensate di Narcissa che shippa Bellatrix/Remus? D'altronde, come può
immaginare quello che è accaduto realmente? Anche se credo che
qualsiasi ipotesi sarebbe meno folle di quei due che fanno un figlio
XD
Spero che, anche se breve, il capitolo vi sia
piaciuto.
Nel prossimo vedremo una chiacchierata tra Delphi e
Bellatrix, prima che tutto precipiti voglio almeno un attimo con loro
due assieme.
A presto (più o meno),
Fri
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
Capitolo dieci TCC
Capitolo 10
“Dove stiamo andando, zia?” Delphi si girò appena
in tempo per vedere il professor Lupin e Teddy che, immobili, si
scambiavano un interminabile sguardo. L'insegnante era rosso di
rabbia.
“Nel mio ufficio,” spiegò la zia, guidandolo verso
la scalinata dispettosa che ruotò, portandoli fuori rotta. “Ho
contattato tua madre appena congedata dalla Preside. Ti vuole
parlare.”
“Non vedo l'ora di raccontarle tutto!” disse Delphi
eccitato.
La zia lo fermò e lo guardò dritto negli occhi, la
lunga ciocca di capelli che le era scivolata sulla fronte le divideva
diagonalmente il viso, dandole un'aria sciatta che non le si
addiceva.
“Parlale del professor Lupin,” gli sussurrò tesa.
Nel pronuciare il nome dell'insegnante le sue labbra ebbero un
fremito.
“Ovvio,” ghignò Delphi, insensibile alle emozioni
tradite dalla donna. “Quello sarà il pezzo forte!”
Una volta raggiunto l'ufficio adiacente all'aula di
Storia della Magia, Delphi studiò con attenzione il focolare e
sussultò quando una testa sorse dalle braci pulsanti di calore.
“Mamma!” esclamò, buttandosi con le ginocchia a
terra.
Sua madre storse la bocca quando lo sguardo le cadde
sulla sua divisa coi colori di Tassorosso, ma lui non ci fece caso
perché era così assorbito da quello che voleva raccontarle che era
come se lo stesse vivendo una seconda volta.
“Ho affrontato un lupo mannaro!” le disse tutto d'un
fiato, perdendo quasi l'equilibrio per l'eccitazione.
“Lo so,” rispose sua madre. “La zia me lo ha
scritto.”
Non si stava mostrando orgogliosa come Delphi si era
aspettato, doveva come minimo complimentarsi con lui.
“Sono il migliore, vero?” domandò, un po' titubante
a causa all'innaturale freddezza materna.
Le braci che le illuminavano il viso diedero una vampata
e i suoi occhi scuri brillarono per il riflesso del fuoco.
“Lo sei, piccolo. Non dubitare mai di questo.”
Il cuore di Delphi aumentò di tre misure, ma l'attimo
passò velocemente. Sua madre stava nuovamente studiando i colori
giallo e nero che portava addosso e questa volta lui se ne accorse.
“Quella non è la tua Casa,” sputò disgustata.
Delphi si sentì come se lo avesse colpito con un pugno.
Raddrizzò la schiena e sporse la mascella.
“Il Cappello Parlante ha deciso così,” pronunciò.
Non sulla difensiva, era ferito ma non aveva perso quella sicurezza
di sé che gli era venuta meno quando le aveva parlato dell'incontro
col lupo mannaro.
“È un complotto organizzato dall'Ordine della
Fenice,” sibilò sua madre con odio, i denti rovinati dalla lunga
permanenza a Azkaban esposti in un ringhio silenzioso.
Delphi non si lasciò intimorire, sapeva di avere
ragione!
“Sono Tassorosso, invece. Lo sono davvero.”
Se sua madre non avesse lasciato mani e braccia a Villa
Malfoy a quel punto non gli avrebbe risparmiato un ceffone o peggio,
aveva lo sguardo tempestoso di quando stava per dare in
escandescenze. Delphi avvertì un movimento alle spalle e capì che
si trattava della zia, perché gli occhi ardenti di sua madre non
erano più puntati su di lui.
“Quando suo
padre saprà dello Smistamento, Bella,” intercesse Narcissa. “Dirà
semplicemente che dobbiamo volgere questa situazione a nostro favore,
e tu lo sai bene. Potrebbe addirittura essere un vantaggio, per noi.”
La mascella di sua madre si irrigidì come se stesse
mordendo un pezzo di ferro, Delphi non capiva perché fosse così
difficile per lei accettare il suo Smistamento, che importanza aveva
qual era la sua Casa?
“Hai ragione, Cissy,” ammise la strega dopo una
decina di minuti di cocciuto silenzio. “Delphi, tu puoi brillare
ovunque e tra i Tassorosso la tua luce sarà ancora più forte!”
Delphi sorrise trionfante, era quello che pensava anche
lui. Entrambi dimenticarono con facilità la tensione.
“Ho conosciuto la figlia di mia cugina,” le
raccontò. “La zia non ha voluto spiegarmi perché non so nulla dei
Lupin.”
Sua madre s'incupì e lui pensò di aver toccato un
altro tasto dolente, ma non era arrabbiata o delusa, sembrava più
che si vergognasse.
“Bene, è giusto che tu sappia. Il Signore Oscuro mi
aveva ordinato di uccidere sua madre, ma io ho fallito.”
Delphi, che non si aspettava nulla del genere, si lasciò
sfuggire un gemito.
“Uccidere sua madre? Perché?”
“Una Black che sposa un lupo mannaro, Delphi!” tuonò
l'adulta. “Una delle più nobili famiglie magiche che insozza il
suo sangue, mescolandolo con quello di un lurido ibrido! E non
sapevamo che quella pervertita di tua cugina portasse addirittura in
grembo il figlio di quell'essere...”
Sua madre era afflitta, quasi disperata, ma Delphi non
poteva dire che gli dispiacesse che avesse fallito. Teddy non gli
piaceva granché, ma questo non voleva dire che volesse lei e sua
madre morte.
“Teddy Lupin...” disse piano. “Lei... è identica
a te, mamma, dovresti vederla.”
Sua madre avvampò ma la zia fermò sul nascere la sua
replica.
“Delphi ha ragione, Bella, somiglia ai Black,
purtroppo... e a quanto pare è una rettilofona.”
Delphi provò una bruciante fitta d'invidia. Perché
quella ragazzina somigliava a sua madre e lui no, perché possedeva i
rarissimi poteri di suo padre e lui no? Non aveva nessun senso! Sua
zia riprese a parlare, a Delphi era sfuggita la reazione della madre
a quelle rivelazioni.
“Devi sapere un'altra cosa, Bella. Lupin è attratto
da Delphi almeno quanto Delphi lo è da lui. C'è qualcosa di molto
strano...”
Delphi si rallegrò, qualcosa di speciale che riguardava
lui e non Teddy, finalmente!
“Quando era trasformato mi ha leccato una mano invece
di aggredirmi. Ho sentito dire che non è normale.”
La zia era tutta rigida, con un pugno premuto sul petto.
Delphi non ci avrebbe fatto caso se si fosse trattato di un'altra
persona, perché tutti temevano sua madre ma non la zia Narcissa, lei
mai.
Sua madre, però, la sorprese con un ghigno soddisfatto.
“Davvero non lo capisci, Cissy? Lui è come suo
padre!” disse, felice di poter pareggiare i conti: non aveva
bisogno di lezioni sul Suo Signore dalla sorella, dopotutto. “Anche
il Signore Oscuro affascinava tutti, feccia compresa!”
Da quel momento in poi l'atmosfera si distese, anche se
Delphi non riusciva a smettere di pensare a Teddy e ai serpenti, che
a lui non avevano mai avuto nulla da dire... lui aveva più affinità
coi licantropi.
***
Teddy individuò facilmente la testa color magenta di
Delphi tra quelle comuni dei ragazzi seduti nella Sala Grande e prese
posto accanto a lui.
“Devo parlarti,” gli bisbigliò furtivamente. Due
compagni di Casa del ragazzo, che sedevano al lato opposto della
panca, allungarono il collo incuriositi, ma lui fece loro segno di
lasciarli soli.
“Vuoi unirti a me e al tuo papino così ne parliamo
tutti e tre assieme? In fondo la punizione toccherebbe anche te!”
provocò Delphi sottovoce.
Lei fece finta di non averlo sentito:
“C'è un bagno al primo piano del castello, ha un
cartello con scritto 'guasto' appeso alla porta. Ci vediamo là dopo
le lezioni.”
Teddy all'ultima ora aveva Erbologia e appena fuori
dalla serra corse via prima che Scilla potesse fermarla, non voleva
mentirle e non poteva neppure raccontarle come intendeva trascorrere
il resto del pomeriggio.
Conosceva il bagno di Mirtilla Malcontenta perché
gliene avevano parlato Harry, Ron e Hermione, soprattutto Ron. Le sue
storie erano le sue preferite perché erano sempre divertentissime.
Mirtilla era seduta sulla cassetta dello scarico
dell'ultimo water in fondo allo squallido e sporco locale.
“Tu chi sei?” le domandò con voce lagnosa.
“Ciao, Mirtilla. Sono Teddy, la figlioccia di Harry
Potter... Harry ti manda i suoi saluti,” mentì, intuendo che le
avrebbe fatto piacere.
Un debole sorriso baluginò sul volto traslucido, ma
s'incurvò subito verso il basso.
“Non è più venuto a trovarmi,” disse cupa. “Lo
aveva promesso!”
“Io... sto aspettando un amico,” tentò Teddy.
“Dobbiamo fare delle prove e mi chiedevo se possiamo farle qui.
Sono per una sorpresa, sai, una cosina che stiamo organizzando per
Harry a Hogwarts.”
Mirtilla svolazzò fuori dal gabinetto e atterrò di
fronte a lei.
“Verrà a trovarmi, quindi?”
“Sì, verrà di sicuro.”
Teddy in genere non era una bugiarda, ma all'occorrenza
non aveva difficoltà a inventare storie su due piedi.
Delphi arrivò mezz'ora dopo di lei ed entrò nel bagno
senza registrare, apparentemente, che fosse quello delle ragazze.
“Sono in punizione,” giustificò il ritardo,
distratto subito dopo da Mirtilla Malcontenta, che planò su di loro
con un lungo lamento.
“Quella chi è?” domandò sorpreso.
“Quella? Sono una ragazza, un po' di rispetto!”
Teddy gli scoccò uno sguardo d'avvertimento.
“Saluta gentilmente Mirtilla, Delphi.”
“Oh. Ehm, ciao, Mirtilla. Grandioso il tuo gabinetto.”
Il fantasma cercò tracce d'ironia nella voce del
ragazzo e, non trovandone, annuì malinconica, per poi tuffarsi in
uno degli scarichi del lavandino.
“Forza, scusati velocemente che ho da fare,” tagliò
corto Delphi non appena Mirtilla fu sparita. “Devo anche studiare,
oltre a scontare la punizione.”
“Sei tu che dovresti scusarti. Cosa Merlino pensavi di
fare quando hai raccontato tutto a mio padre? Durante una lezione,
per di più!” gli rinfacciò Teddy, stufa delle sue frecciatine “E
dopo che mi hai dato quell'occhiataccia davanti a lui temo che abbia
capito tutto!”
Il ragazzo non si scompose minimamente.
“Lo ha capito perché tu sei arrossita. Se non sai
mantenere i segreti che colpa ne ho, io?”
Teddy avvertì un pizzicore alla base del collo,
l'osservazione di Delphi era così ingiusta che per un attimo temette
di avere uno scoppio di magia involontaria. Prese un paio di profondi
respiri: suo padre non l'aveva accusata esplicitamente, ma il suo
atteggiamento era cambiato. Aveva accompagnato lei e Scilla nel suo
ufficio, ma aveva finito in fretta la sua Burrobirra, un chiaro
segnale del fatto che voleva essere lasciato solo.
Ora stava a Teddy trarre qualcosa di utile da quel
pasticcio, perché il lampo che le aveva schiarito la mente quando
aveva visto l'affinità tra suo padre in forma di licantropo e Delphi
non si era ancora spento.
“Okay, siamo pari,” disse ingoiando il disappunto.
Era inutile o peggio controproducente discutere con quel ragazzo. “Ho
un'idea.”
Delphi inarcò le sopracciglia.
“Un'altra?” chiese incuriosito.
“Già. Tu passerai le vacanze di Natale a casa mia e
io a casa tua.”
Delphi emise una risatina per la sorpesa.
“Non so se è il caso.”
Sembrava stranamente preoccupato, Teddy non aveva
previsto che potesse succedere, insomma, non sembrava il genere di
persona che si preoccupava, dato che era necessario pensare,
per arrivare a provare determinati sentimenti.
“Cos'è che ti spaventa?” gli domandò, dando un
pizzicotto al suo orgoglio.
“Dovresti essere tu a essere spaventata,” le disse
con voce grave. Era quasi irriconoscibile.
“E perché mai?”
“Se mia madre ti scopre...” Delphi si massaggiò il
collo, a disagio.
“Se i miei genitori ti scoprono... corriamo gli stessi
rischi, mi pare.”
“Tu non sai... mia madre...” borbottò nervosamente
l'altro.
Teddy si sforzò di comprendere quale fosse il problema.
Bellatrix Lestrange era stata una pericolosa Mangiamorte, ma se fosse
stata in pericolo la Profezia glielo avrebbe mostrato. Era sicura che
stava facendo la cosa giusta, anzi, era quasi certa che non seguendo
il proprio istinto sarebbe accaduto qualcosa di male, non il
contrario!
“Senti, Delphi, ti dirò la verità. Io sono una
Veggente.”
Il ragazzo spruzzò saliva nel tentaivo di non scoppiare
a ridere.
“Lo sono veramente!” protestò lei. “E se ti
chiedo di fare questo scambio è perché il primo giorno di scuola,
quando ti sono svenuta addosso nell'ufficio di Gazza, ho avuto una
visione.”
L'espressione di Delphi cambiò immediatamente,
ricordava bene quello che era successo quel giorno, lui si era
spaventato parecchio.
“Se non lo facciamo potresti essere in pericolo,”
constatò Delphi.
Non era una domanda e lui era molto serio, Teddy non
capì il perché ma andava bene così.
“Sì, penso di sì.”
“Se ci sarà di mezzo almeno un Plenilunio ci sto,”
ghignò il ragazzo ancora non del tutto tranquillo, ma desideroso di
buttarsi in una nuova avventura. Aveva voluto accettare fin da
subito, in fondo.
Teddy annuì.
“Puoi giurarci!”
Delphi aveva il suo giochino e con sua madre a
controllarlo non sarebbe accaduto nulla di male con il padre, quanto
a lei finalmente avrebbe scoperto a cosa avrebbe portato la sua
visione: guardandosi allo specchio aveva visto il volto di Delphi e
alle sue spalle il riflesso di quello che pareva essere un castello,
che era probabilmente Villa Malfoy. Ci doveva essere qualcosa che
doveva fare nei panni del ragazzo, qualcosa che non sarebbe successa
in nessun'altra maniera.
“Dovremmo fare delle prove, ora,” propose a Delphi.
“Prima dimmi tutto quello che non so di te.”
La bambina si fece sospettosa.
“Cioè?”
“Beh, sei una Veggente. Cos'altro?”
“Ah, giusto. Sono anche una Legilimens naturale.”
Delphi la fissò senza dir niente, con un sorrisetto
strano.
“Che c'è?”
“Andiamo. Dimostralo,” la invitò, picchiettandosi
l'indice su una tempia.
Teddy sbuffò, c'era da aspettarselo.
“Caccola di Troll,” lesse, ruotando gli occhi al
soffitto.
Il ragazzo ridacchiò soddisfatto.
“Mi piace come lo dici!”
Teddy pensò che imitarlo sarebbe stato una delle cose
più degradanti dell'universo.
“Prova fare me,” lo invitò.
Delphi alzò il naso e la guardò da sotto in su.
“Sono la figlioccia di Harry Potter! Guardatemi! So
cambiare aspetto con una strizzata d'occhi, oh, professoressa Malfoy,
posso leccarle la suola delle scarpe?”
Teddy strinse la bacchetta nel pugno con una gran voglia
di scaraventarlo di testa in uno dei gabinetti.
“Intendevo con il tuo potere, testa di rapa.”
Delphi strizzò gli occhi ma non successe niente, non
era concentrato.
“Basterà che cambiamo le nostre facce e modelliamo un
po' il corpo, non serviranno altri... dettagli.”
Teddy non aveva pensato a quello. Annuì vigorosamente,
non meno imbarazzata di lui.
“Certo. Ovvio. Ma... quando vai in bagno chiudi sempre
a chiave, i miei genitori non hanno molto chiaro il concetto di
privacy...” lo avvertì. “Non vorrei venisse loro un colpo.”
“E tu occhio agli Elfi Domestici! E... beh, non dovrei
dirlo a nessuno, ma non vedo come tu possa non farti scoprire se non
lo sai... Il Signore Oscuro è davvero mio padre.”
Teddy alzò le sopracciglia.
“Stai scherzando?”
Lui la guardò dritta negli occhi.
“No.”
Quel no definitivo e l'innaturale serietà fecero
vacillare le certezze della ragazzina.
“Tu... tu sei una rettilofona,” proseguì lui un po'
titubante. “Dovresti farmi un piacere. Quando sarai me, mostra
questo potere a mia madre.”
“E tu come lo sai?”
“Tuo padre lo ha detto a mia zia.”
A Teddy sembrava strano che suo padre ne avesse parlato
con degli estranei, quel potere lo metteva molto a disagio, anche se
lei non capiva il perché.
“Perché dovrei farlo?” chiese perplessa.
“Fallo e basta.”
Rimasero a guardarsi in silenzio, dritti uno di fronte
all'altra, consapevoli che quello scambio di segreti aveva fatto di
loro due qualcosa di più che semplici compagni di scuola. Qualunque
cosa fosse accaduta, non potevano più tornare indietro.
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
Nuovo capitolo Cursed Children
“Andiamo, Teddy, la mamma ci aspetta a Hogsmeade.”
La figlia lanciò un'ultima occhiata alla Sala Grande,
dove alcuni ragazzi sedevano accanto alle rispettive valige,
aspettando l'orario di partenza del treno che li avrebbe riportati a
Londra. Remus vide Teddy e Delphi scambiarsi un lungo sguardo. Si era
rassegnato all'idea che fosse lei la responsabile della violazione
del suo ufficio nella notte di luna piena. Non ne aveva ancora
parlato con nessuno e non credeva che l'avrebbe fatto, ormai, se non
con la diretta interessata. Delphi aveva trascorso un'ora di
punizione assieme a lui per un intero mese, nonostante il compito
assegnato al ragazzo fosse tutt'altro che gradevole non erano state
ore spiacevoli. Il ragazzo era stranamente interessato a lui, poneva
domande a raffica mentre infilava nei barattoli le interiora di
ratto, tanto che Remus si era trovato a suo agio a parlare della
licantropia perché non percepiva in Delphi repulsione o paura, ed
era singolare considerando da chi era stato cresciuto.
Teddy finalmente sciolse lo sguardo con l'amico e
ubbidì. Camminarono in silenzio per un po', col freddo che pizzicava
il viso e i pensieri che entrambi tenevano ostinatamente per sé.
“Mmm... papà?” provò Teddy quando erano ormai alle
porte del villaggio magico.
Remus si sentì sollevato, la figlia aveva il tono di
chi stava per fare una confessione.
“Sì, Teddy?”
“Uhm, niente. Volevo solo sentire che effetto faceva
dirlo.”
Deluso, Remus cercò lo sguardo della figlia sotto il
cappuccio del mantello, ma vide solo gote e punta del naso arrossati
dal gelo.
“Che effetto ti ha fatto?” chiese incuriosito.
Teddy lo stava mettendo alla prova, ne era certo. Lo
aveva tradito per un motivo preciso, anche se non riusciva a intuire
quale fosse.
La bambina in risposta corse in avanti, sollevando coi
piedi nuvole di neve ghiacciata. Fendette i capannelli di maghi e
streghe davanti ai negozi e superò senza dar segno di averla
riconosciuta la propria madre. Tonks l'afferrò per la manica del
mantello prima che sparisse lungo la strada affollata.
“Ehi, piccola!” l'attirò a sé, stringendola forte.
“Sei dimagrita. Com'è possibile dimagrire a Hogwarts?”
“Non sono dimagrita,” borbottò Teddy,
divincolandosi dall'abbraccio e studiando il viso della madre e i
suoi capelli rosa. “Sei piuttosto giovane,” osservò perplessa.
Tonks aggrottò la fronte.
“Questo è un complimento. Credo.”
La bambina scrollò le spalle.
“È solo che è da un pezzo che non ti vedo, mamma.
Sono contento... contenta che nel frattempo tu non sia
diventata uhm... anziana, come ad esempio papà. Insomma,
avrei dovuto immaginarlo, ma magari avrebbero anche potuto
informarmi...”
“Per me niente complimenti...” borbottò
scherzosamente Remus, ma Teddy non colse il tono giocoso e la sua
espressione s'incupì.
“Voglio togliermi subito questo peso dallo stomaco,”
dichiarò, annuendo lentamente. “Non ti ho tradito, papà, è stato
Delphi che mi ha costretto a entrare nel tuo studio.”
Remus non le credette neppure per un istante.
“Ah, sarebbe andata così, quindi? Sei una strega
molto più potente di lui, Teddy, non mentire.”
La ragazzina sussultò come se l'avesse offesa
profondamente.
“E tu come lo sai?” chiese impermalita, incrociando
le braccia al petto.
“Sono il vostro insegnante di Difesa Contro le Arte
Oscure, Teddy!” esplose Remus. Dopo il lungo silenzio e le
menzogne, ecco altre menzogne. Sua figlia pensava davvero che fosse
tanto sciocco? “Non c'è un solo allievo del primo anno che sia
lontanamente al tuo livello e tu lo sai bene. Con il tuo potere non
potrebbero competere neppure i ragazzi più grandi!”
Ora anche Teddy era sul punto di esplodere, coi pugni
stretti e le lacrime agli occhi il suo viso vibrò. A causa
dell'emozione i suoi lineamenti sbiadirono, mostrando sotto di essi
l'ombra di tutti i volti possibili, le centinaia di maschere di cui
la ragazzina disponeva.
Remus prese un respiro profondo, essendo l'adulto
spettava a lui mantenere la calma.
“Sei molto arrabbiata,” disse pacato. “Andiamo ai
Tre Manici di Scopa, su. Potremmo prendere qualcosa di caldo.”
Tonks, spettatrice neutrale della discussione, premette
le mani ai lati del cappuccio.
“Ottima idea, mi stanno cadendo le orecchie.”
Teddy si rilassò un poco.
“Va bene, per iniziare. Dopo possiamo fare un giro di
Hogsmeade? Non voglio tornare a casa, voglio vedere il mondo!”
concluse con aperto entusiasmo.
Tonks lanciò uno sguardo interrogativo a Remus.
“Abbiamo visitato assieme Hogsmeade migliaia di
volte.”
“Ma per me è come se fosse sempre la prima,” tagliò
corto Teddy, trotterellando davanti a loro.
Tonks prese con la mano guantata quella nuda e gelata di
Remus e rallentarono per restare un po' indietro rispetto alla
figlia.
“Cosa sta complottando? Deve vedersi con qualcuno qui
a Hogsmeade?” domandò.
Remus guardò la testa incappucciata di Teddy con una
gran voglia di frugarci dentro, se fosse stato un Legilimens naturale
come lei probabilmente non avrebbe resistito alla tentazione di
farlo.
“Non ne ho idea. Si comporta in modo strano da quando
abbiamo lasciato il castello.”
“Beh, qualunque cosa sia lo scoprirò: investigare è
il mio lavoro,” gli promise lei.
***
Delphi sedeva al
tavolino della piccola e affollata locanda di Hogsmeade e osservava
la cugina da dietro un boccale di Burrobirra calda. La strega non
aveva un aspetto famigliare, solo le metamorfosi e gli occhi scuri
tradivano il legame di parentela che li univa.
Era molto più
giovane del professor Lupin, di sua madre e degli zii Narcissa e
Lucius, Teddy non lo aveva avvisato ma essendo la cugina di Draco,
Delphi avrebbe potuto intuire che come età sarebbe stata più vicina
a lui che agli altri.
Alle mani che la donna cercava di scaldare stringendole
attorno al boccale fumante mancavano alcune dita, ricordò che Teddy
gli aveva spiegato che sua madre era un'Auror.
“Perché parlo Serpentese?” chiese a bruciapelo ai
Lupin. Era un'ottima domanda, qualcuno gli doveva spiegare perché
quel potere era toccato a Teddy invece che a lui. “C'è un solo
altro rettilofono, oltre a me: il Signore Oscuro.”
Il professor Lupin e la moglie cambiarono espressione,
come se avesse detto qualcosa di osceno.
“Il Signore Oscuro?” ripeté la donna stringendo gli
occhi.
“Stai cercando di cambiare argomento, non è vero?”
borbottò Delphi, che non riusciva a spiegarsi altrimenti il brusco
cambio di tono della conversazione.
“Da quando in qua chiami Voldemort a quel modo?” lo
interrogò lei, ignorando il suo intervento.
Il professor Lupin le coprì una mano con una delle sue.
“Lo hai sentito da Delphi?” domandò.
Delphi non aveva idea di cosa avesse sbagliato e decise
che era prudente annuire.
“Ora volete rispondermi, per favore?”
“Anche Harry
parla Serpentese, come tu ben sai,” osservò l'insegnante.
“Oh. Ehm... Giusto,” esclamò il ragazzo, sorpreso
ma deciso a non arretrare di un passo anche se stava commettendo
molti errori. “Perché?”
“Quando Voldemort ha provato a ucciderlo tra di loro
si è creato un legame...”
“Quindi dipende da Voldemort, non è nato con la
capacità di parlare coi serpenti.”
L'uomo si prese una pausa per riflettere.
“No. Non lo ha mai fatto prima che James e Lily...
beh, prima dell'aggressione.” Ritirò la mano da quella della
moglie e abbassò il capo, la fronte aggrottata.
“Voldemort ha cercato di uccidere anche me?” domandò
Delphi. “Bellatrix ci ha provato, forse dipende da quello?”
Ora anche la madre di Teddy era tutta rigida.
“È stato Delphi a raccontarti di Bellatrix?”
“Sì, sì, colpa sua. Voi lo sapete che lui, invece,
non lo sa parlare? Vi sembra giusto?”
Il professor Lupin sospirò.
“Teddy, il tuo potere non ha nulla a che fare con
Voldemort e qualunque cosa abbia insinuato, Delphi o altri tuoi
compagni, come amava dire Albus Silente: non sono le nostre capacità
che dimostrano chi siamo davvero, sono le nostre scelte. Prova a
metterti nei panni del tuo amico. Il padre di Delphi è rinchiuso a
Azkaban, la madre è agli arresti domiciliari. Nella sua breve vita è
stato spesso vittima del pregiudizio... come se la realtà non fosse
già abbastanza complessa, gira voce che il suo vero padre sia
Voldemort. Se ti ha confidato che trova sia ingiusto che tu, la
figlia di un, beh, di un lupo mannaro, sia una strega molto più
potente di lui... dal suo punto di vista è comprensibile. Non devi
sentirti in colpa, il problema non sei tu, o lui, siamo noi adulti.”
Delphi avvertì un gradevola calore al petto, nessuno
prima d'ora gli aveva parlato a quel modo, era come se Lupin lo
conoscesse meglio della sua stessa madre, forse persino meglio di se
stesso. L'idea di Teddy era grandiosa, lo aspettavano le vacanze di
Natale migliori della sua vita!
***
Era stata una lunga giornata: Teddy aveva insistito per
restare fuori il più a lungo possibile ed era come se vedesse ogni
cosa per la prima volta.
Rientrati finalmente a casa, Tonks si chiuse nel suo
studio e si liberò degli scarponi: con tutto quel camminare le erano
venute le vesciche ai piedi.
Si sedette dietro la scrivania e si prese la testa tra
le mani. Per quanto si ripetesse che era una follia, non riusciva a
scacciare la sensazione che la bambina con cui aveva trascorso il
pomeriggio fosse un'estranea, una sensazione che non provava da molto
tempo ma che, ora lo sapeva, non l'aveva mai abbandonata
completamente. I primi tempi dopo la nascita di Teddy erano stati una
lotta continua contro quel lacerante senso di distacco, perché il
disagio era tornato a galla proprio ora?
Perché qualcosa era cambiato, non era più solamente
una sensazione, era qualcosa di più concreto: un sospetto.
Il gufo Gomma dormiva appollaiato sul suo trespolo e a
Tonks venne un'idea. Scrisse velocemente su una pergamena e liberò
il rapace.
“Portala al Ministero, Gomma!”
Al di là della porta sentiva Teddy e Remus
chiacchierare.
“Qui è tutto così piccolo!” esclamò la ragazzina
ancora eccitata per la giornata trascorsa a Hogsmeade.
“Il confronto con Hogwarts è schiacciante,” scherzò
Remus. “Quando rientro a casa per le vacanze per diversi giorni ho
l'impressione di essere un gigante.”
“Perché quella smorfia, cosa stai bevendo?”
Una pausa.
“La... la Pozione Antilupo. È disgustosa.”
Tonks, che si era fermata a origliare, abbassò gli
occhi: le dita fantasma le formicolavano.
Andò alla scrivania e cercò freneticamente tra le
pergamene che l'ingombravano, poi ricordò di essere una strega, si
fece quasi sfuggire la bacchetta di mano e finalmente Appellò i
documenti della clinica dove aveva dato alla luce la figlia.
Non sapeva cosa stesse cercando di preciso, ma la
risposta era lì, da qualche parte. La clinica era stata smantellata
alla fine della guerra e al Ministero erano registrati i nomi di chi
vi aveva lavorato e di chi si era servito del servizio clandestino
perché non poteva recarsi al San Mungo.
In salotto ora c'era silenzio. Dopo un lasso di tempo
indefinito qualcuno bussò alla porta dello studio ed entrò prima di
avere il permesso di farlo.
Remus si appoggiò alla parete di fronte a Tonks.
“Quindi?” domandò.
“Quindi cosa?” replicò lei stizzita.
Remus accennò un piccolo sorriso.
“Secondo te cosa sta succedendo?”
Tonks fu travolta da un'ondata di sollievo, quindi non
era l'unica a nutrire dei sospetti!
“Qualcuno ha colpito Teddy con un Incantesimo di
Memoria?” buttò lì con noncuranza.
Ora che lo aveva detto ad alta voce non le sembrava più
così ridicolo.
“Per cancellare qualcosa che ha scoperto?” ipotizzò
Remus.
Tonks colpì la scrivania con entrambe la mani.
“Forse... forse è stata lei,” disse a denti
stretti.
“Lei?”
“Narcissa. Delphi non è in grado di produrre un
incantesimo del genere, immagino.”
Remus annuì.
“Cosa può aver scoperto?” rifletté Tonks,
muovendosi nervosamente per la stanza. “Il Serpentese... il
discorso di Teddy era sensato.”
Remus staccò le spalle dalla parete e fece per
protestare, ma quando Tonks alzò le mani tacque.
“No, Remus, sta' a sentire. Alla clinica, undici anni
fa, qualcosa è andato storto...”
Remus sbuffò.
“Quindi non ti è sfuggito il branco di Troll che ha
fatto irruzione, abbattendo le pareti e cercando di ammazzare noi e
chiunque si trovasse in quel dannato posto.”
Tonks non trattenne l'irritazione.
“Oh, ma quanto sei spiritoso! Sarcasmo sprecato,
taglia corto e dimmi qual è il problema.”
Lui cambiò completamente atteggiamento, da rigido e
collerico qual era tornò ad afflosciarsi contro la parete.
“E se fosse... se fosse colpa mia?”
Tonks fece un passo avanti ma si fermò quando lui si
ritrasse.
“Cosa, Remus?”
Lui scrollò le spalle.
“Non so, il punto è che non conservo un ricordo
nitido di quanto è successo dopo l'arrivo dei Troll, è accaduto
tutto talmente in fretta...” alzò timidamente lo sguardo. “Non
ti fermerai, vero?”
“No, Remus, non lo farò.”
Tonks gli sbatté un fascicolo contro il petto.
“Devo andare al Ministero. Subito.”
***
Teddy arricciò il naso davanti alla bistecca che un
Elfo Domestico timoroso le stava facendo scivolare nel piatto.
La madre di Delphi la osservò intensamente, batté le
mani e il servitore si affrettò a portare via il piatto.
Alla tavola sedevano anche la professoressa Malfoy col
marito, un uomo dall'aspetto aristocratico con dei capelli
chiarissimi, quasi bianchi.
“Ti senti male?” le domandò la signora Lestrange,
appoggiando la forchetta d'argento nel piatto ma non il coltello, che
sollevò davanti al viso. Il metallo lucidato a specchio riflesse una
striscia di luce sulla tovaglia che puntava come una freccia verso
Teddy.
“Io...” balbettò la ragazzina, concentrandosi per
trattenere le fattezze di Delphi. Sotto pressione aveva la sensazione
che le gocciolassero via. “Ho un po' di mal di stomaco,” pigolò.
“Stai mentendo,” accusò schiettamente la strega.
Teddy torse le mani sotto la tavola, lanciando una
fugace occhiata alla professoressa Malfoy che per ovvie ragioni non
poteva aiutarla.
Tirò un profondo respiro e si rivolse alla madre di
Delphi. Somigliava così tanto alla nonna che era sciocco provare
soggezione.
“Hai ragione, madre,” disse, pensando velocemente a
cosa avrebbe potuto dire quella peste del figlio. “Ma la carne
cruda la mangiano i lupi mannari, non i maghi... i maghi, ecco... non
i maghi per bene.”
Era certa che quello fosse un test, probabilmente
sospettavano di lei, era necessario rinnegare le sue origini se non
voleva farsi buttare subito fuori a calci.
L'insegnante e il marito si scambiarono un'occhiata, ma
la signora Lestrange non le tolse gli occhi di dosso.
“Come lo sai?” domandò.
“Me lo ha detto Teddy Lupin.”
La donna fece una smorfia che si ammorbidì in un
sorriso compiaciuto. I denti irregolari non erano l'unico particolare
che distingueva il suo sorriso da quello della sorella Andromeda,
quella donna aveva qualcosa di famelico che, inspiegabilmente,
l'attraeva.
“Hai disgusto di quella feccia, com'è giusto che
sia.” Guardò la sorella. “Ti avevo detto che era pronto. Ora è
disposto a rinunciare al suo piatto preferito per una nobile
ragione!”
Teddy provava disprezzo per ciò che aveva detto ma
l'intensità dell'orgoglio della donna la contagiò.
L'Elfo Domestico era tornato portando nel vassoio una
portata sapientemente composta in un delicato piatto di porcellana
dipinto a mano, quel genere di raffinatezze che con attorno sua madre
non sarebbero durate più di una cena.
Il salone in cui sedevano era antico quasi quanto
Hogwarts, Teddy ci avrebbe scommesso, si respirava un'aria nobile, lì
dentro.
La madre di Delphi le aveva rivolto una domanda,
distratta dallo splendore che la circondava fu costretta a farsela
ripetere.
“Stai pensando al ruolo di Prefetto,” ripeté la
donna. “E a un posto di rilievo nella squadra di Quidditch. Per
cominciare, intendo.”
Teddy stavolta non dovette mentire.
Harry l'aveva introdotta allo sport preferito dai maghi
fin da piccolissima e sapeva di avere un talento naturale che a
quanto pareva non aveva ereditato dai genitori. Secondo il padrino
sarebbe stata un'ottima Cacciatrice. Quanto alla nomina di Prefetto,
lo era stato anche suo padre e nonostante lui sostenesse che era
stato un distrastro in quelle vesti, lei era tagliata per quel ruolo
che sarebbe certamente stato suo.
“Prefetto e poi Caposcuola,” disse elettrizzata. “E
seguirò tutti i corsi facoltativi a partire dal terzo anno. Sono
l'alun... l'alunno migliore, ho sempre saputo che sarebbe
stato così, perché sono speciale. E grandioso,” si ricordò di
aggiungere per fedeltà al personaggio che doveva ricordarsi di stare
interpretando.
Quando faceva discorsi simili sua madre si innervosiva e
suo padre, pur mostrando un certo entusiasmo, concordava con la
moglie che sarebbe stato meglio non esagerare, insomma, quando
avrebbe trovato il tempo per divertirsi? Ma lei voleva essere la
migliore! Loro non capivano, suo padre aveva accettato la promozione
a Vicepreside per far contenta lei, e sua madre aveva lavorato sodo
per diventare un'Auror ma da lì non era più salita, non le
importava della carriera, non aveva ambizioni più elevate!
La signora Lestrange si sporse verso di lei.
“Devo ammettere che frequentare Hogwarts ti ha
giovato.” Si rivolse alla sorella, che dopo un attimo d'incertezza
prese la parola.
“Delphi, a scuola non mi hai mai parlato delle tue
ambizioni...” disse lentamente la professoressa Malfoy. “Mi
sembravi più interessato a divertirti e a metterti nei guai che allo
studio.”
Teddy si mordicchiò il labbro inferiore, forse aveva
esagerato.
“Mi stavo semplicemente allenando,” tentò. “Le
lezioni non bastano, sono a un livello superiore degli altri ragazzi,
ho bisogno di sfide più impegnative del far levitare una piuma.”
Aveva conquistato la madre di Delphi, ma la zia sembrava
ancora dubbiosa.
“E riguardo a Teddy Lupin?”
Teddy deglutì.
“Cosa vuoi sapere?”
“Ha talento, un incredibile talento...”
La signora Lestrange si rivolse con un'espressione
feroce verso la sorella.
“Stai insinuando che è migliore del figlio del
Signore Oscuro?”
La professoressa sostenne il suo sguardo.
“Lo è, Bella. È la strega più dotata che abbia mai
conosciuto, considerando che ha solo undici anni.”
Il cuore di Teddy le fece una capriola nel petto per la
gioia. Per un attimo credette che la madre di Delphi sarebbe esplosa,
ma non successe niente.
“Bene. È per questo che la frequenti, non è così?”
“Io... sì, sì, certo.”
“Troverai i suoi punti deboli e, a tempo debito,
l'annienterai.”
Teddy avvertì una secchiata di acqua ghiacciata
scorrerle lungo la schiena.
“Sì, madre,” mormorò con tutte le ossa che
tremavano. Delphi avrebbe dovuto farlo davvero? Non aveva paura di
lui, ma la prospettiva la spaventata ugualmente: erano solo due
bambini!
La donna mise una mano nella veste e la ragazzina
trattenne il fiato, stava per estrarre la bacchetta perché l'aveva
smascherata!
Si piegò per evitare di essere colpita
dall'incantesimo, ma poco prima di sparire sotto alla tavola vide che
quello che la signora Lestrange brandiva era un'innocua pergamena
arrotolata. Fece finta che le fosse caduto un boccone di carne in
grembo, fatica sprecata dato che la strega stava stendendo il foglio
senza degnarla di uno sguardo.
“Il tuo regalo di Natale,” le disse, porgendoglielo
sollennemente.
Teddy prese la pergamena.
“Questa è la firma di Kingsley,” osservò confusa.
La signora Lestrange alzò le sopracciglia.
“Kingsley?”
“Il cognome è illeggibile,” cercò di rimediare
Teddy. Delphi non conosceva Kingsley, non lo avrebbe mai chiamato per
nome!
“È la firma del Ministro della Magia. Sai cosa
significa?” chiese e senza darle il tempo di rispondere proseguì,
troppo eccitata per aspettare. “Quello è il permesso per visitare
tuo padre a Azkaban!”
Teddy le restituì la pergamena con un lancio, come se
scottasse.
“I-io?” balbettò confusa. Avrebbe incontrato
Voldemort oppure il marito della donna? Ancora aveva difficoltà a
credere che il padre di Delphi fosse in realtà il più grande mago
oscuro di tutti i tempi.
“Noi,” scandì la strega, alzando il mento.
“Non devi avere timore, sei esattamente come dovresti essere e lui
sarà orgoglioso di te.”
Teddy si guardò attorno a labbra strette, nervosa,
cercando disperatamente di ragionare.
“Quindi è questo...” comprese alla fine.
“Cosa?”
Fu allora che fissò gli occhi in quelli della madre di
Delphi e entrambe furono scosse da un violento brivido.
“Il mio destino,” concluse la ragazza.
Finalmente sono riuscita a pubblicare questo
capitolo! Grazie al NaNoWriMo ho finito di plottare la storia, che è
conclusa, devo solo sistemare i capitoli restanti, avendoli buttati
giù di getto avranno bisogno di più di una revisione ma, ehi, la
storia ha un finale :D
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, finalmente sta
succedendo qualcosa xD
Alla prossima, sperando di non dovervi più far
attendere così a lungo.
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12 TCC
Tonks entrò nel Quartier Generale degli Auror e raggiunse rapidamente il proprio cubicolo.
Il viso pallido della sua collega Mared spuntò da dietro la parete confinante.
“Ho ricevuto il tuo gufo, non era necessario che venissi,”
osservò, gli occhi che le brillavano di curiosità.
“Hai avuto il tempo di...” iniziò Tonks. L'altra
prese la bacchetta e fece fluttuare una pila di pergamene,
depositandole tra le sue braccia.
“Non tutti, solo quelli relativi al periodo che ti
interessa,” le spiegò Mared. A piccoli passi si era
intrufolata nel cubicolo di Tonks e la guardava con aperto interesse.
Tonks non ci fece caso, troppo presa dalla ricerca e timorosa com'era
di perdere il filo si era completamente estraniata. Rovesciò
sulla scrivania le pergamene e le studiò con attenzione
febbrile. Dalla parete di fronte Remus e Teddy la salutavano da una
fotografia scattata qualche anno prima nella Londra Babbana. Sua figlia
indossava degli occhiali da sole di plastica verde.
“Si tratta degli ultimi mesi di apertura della Clinica,”
constatò Mared alle sue spalle. “Il periodo in cui
è nata Teddy, giusto?”
“Hai visto il mio nome, vero?” sbuffò Tonks. Non era
in vena di chiacchiere, ma capiva che, succedendo assai di rado, la
collega non avesse neppure preso in considerazione che ciò fosse
possibile.
“Come avrebbe potuto sfuggirmi?”
Tonks sfilò una pergamena dal plico e la mostrò all'altra
Auror. Mared si grattò pensierosa la fascia sulla cavità
dell'occhio che aveva perso in una delle sue primissime missioni per
conto del Ministero della Magia.
“La notte in cui è nata Teddy nella clinica sono entrate
altre due donne,” disse Tonks. Non ci fu bisogno di ulteriori
spiegazioni: Mared prese il foglio e uscì per controllare se
c'era traccia di quelle persone nei registri dell'anagrafe.
Tonks rintracciò i nomi dei Guaritori e degli infermieri di
turno allora. Controllò su un'altra pergamena l'elenco del
personale della clinica, li trovò e segnò i loro attuali
recapiti. Decise che avrebbe iniziato con l'interrogare il mago che si
era occupato di lei.
Una mano si intrufolò nel suo campo visivo, strappandole un sussulto. Era Mared che le restituiva il foglio coi nomi.
“Non ho trovato corrispondenze.”
“I nomi sono falsi, quindi,” constatò Tonks, non abbastanza sorpresa da essere delusa.
Mared annuì.
“C'era la guerra, probabilmente si trattava di Nate Babbane in fuga.”
Tonks ripensò mestamente al destino del padre, Ted non le aveva
incontrate durante la clandestinità, comunque, quando era nata
la nipote era già morto da diversi mesi.
Nel corridoio s'alzò un gran fermento, un promemoria si
staccò dalla flotta che volava sulle loro teste, planò
nel cubicolo e salterellò con insistenza sulla testa di Tonks,
che lo afferrò con scarso interesse. Spiegò l'aeroplanino
di carta violetta:
“Stasera ci sarà una riunione,” vide. “Io non penso che ci sarò, Mared... coprimi.”
Mared aggrottò la fronte.
“Harry Potter sceglierà le persone che dovranno scortare i
Lestrange madre e figlio a Azkaban, pensavo ti interessasse...”
“Mmm,” fece Tonks, pescando dalle tasche del mantello
qualche moneta Babbana: avrebbe raggiunto il San Mungo con la
metropolitana. Uscì dall'ufficio con Mared che le urlava dietro:
“Bellatrix domani andrà a Azkaban!”
Al banco informazioni del San Mungo indirizzarono Tonks al quarto piano
e lei si fece strada tra maghi e streghe con chiome carnivore, arti
piegati dalla parte sbagliata che li facevano sembrare dei fenicotteri
e orecchie fumanti. Trovò Magnus in una stanzina adiacente a uno
degli ambulatori, l'uomo si stava strofinando le mani sotto l'acqua
corrente di un piccolo lavello. Il Guaritore che l'aveva assistita
durante il parto era pressoché identico a undici anni prima...
lo stesso non si poteva dire di lei, naturalmente.
“Sono nei guai?” domandò, guardando il distintivo che Tonks gli stava mostrando.
Tonks si concentrò sul viso che aveva replicato alla clinica, fu
facile, aveva preso in prestito quello della sua migliore amica ai
tempi di Hogwarts.
Il Guaritore reagì alla trasformazione con un sussulto.
“Si ricorda di me?” gli chiese Tonks con impazienza.
L'uomo si massaggiò la fronte nascosta da un ciuffo di capelli scuri.
“Metamorfomagus?” chiese cautamente. Non ottenendo risposta
di concentrò sul suo viso e dopo qualche istante annuì.
“Ricordo quella notte come fosse quella appena trascorsa.
L'irruzione dei Troll nella clinica è stata probabilmente
l'esperienza più terrificante della mia vita.”
Tonks soffocò un'esclamazione di trionfo e gli mostrò la lista di nomi che aveva preso al Ministero.
“Ottimo. Quindi ricorderà anche queste donne,” proseguì, sempre più sulle spine.
“Erano due sorelle,” disse Magnus. “Una bionda e l'altra mora. La mora ha dato alla luce una bambina.”
La mano con cui Tonks reggeva la pergamente tremò, si stava avvicinando sempre più alla verità.
“Non ricorda altri dettagli?”
“Mmmh... avevano un'aria altera... La donna mora aveva circa
cinquant'anni e quello era il suo primo figlio. Non è una cosa
comune.”
“Interessante. Pensa fossero davvero sorelle?”
“Credo di sì. Colori a parte, si somigliavano.”
Mentre Tonks prendeva appunti sul retro della pergamena con i nomi delle donne, il Guaritore le chiese gentilmente:
“E il suo piccolino come sta? Ormai sarà un maghetto in età da Hogwarts!”
Tonks quasi si lasciò sfuggire penna e pergamena e sbarrò
gli occhi con una sensazione di terrore che soffocò a fatica.
“Una strega, vorrà dire. Mia figlia è una femmina.”
Il Guaritore la osservò in tralice.
“Oh no, era un maschietto. Le ho detto che ricordo quella notte
come fosse appena trascorsa, ma vedo che lei non mi crede. Non
c'è alcun bisogno di mettermi alla prova con delle domande
trabochetto, perché dovrei mentirle?”
***
Remus aveva trascorso una giornata tranquilla in compagnia di Teddy. La
figlia sembrava molto incuriosita dalla loro casa, come se non ci fosse
mai stata prima d'allora, il che rafforzava l'impressione che qualcuno
le avesse fatto un Incantesimo di Memoria. A un certo punto, mentre
Remus correggeva una pila di compiti dei ragazzi del terzo anno, un
frastuono lo fece saltare dal divano. Individuò l'origine del
rumore e corse verso il ripostiglio, dove trovò Teddy seppellita
sotto al mucchio di scatoloni pieni di cianfrusaglie che lui e Tonks
avevano sistemato sugli scaffali.
“Questa stanza è davvero piccolissima!”
esclamò la bambina, alzandosi a sedere. “Non che le altre
siano granché, ma questa è ridicola!” e
scoppiò a ridere.
Sempre più perplesso, Remus decise di aspettare il ritorno di
Tonks per decidere sul da farsi, forse era il caso di portare Teddy al
San Mungo.
“Sistema questa roba,” ordinò alla figlia, Appellando una scala e appoggiandola agli scaffali.
Tornò in salotto e aveva appena ripreso in mano la pergamena che
stava correggendo quando Teddy sbucò dal corridoio, si sedette
accanto a lui e prese a osservarlo con insistenza.
“Sei molto pallido,” disse, sprofondando nei cuscini. “E hai delle occhiaie terribili.”
“E tu sai benissimo il perché, giusto?”
commentò Remus, senza distogliere lo sguardo dal compito di
Difesa Contro le Arti Oscure.
Vide con la coda dell'occhio la figlia che si stringeva nelle spalle.
“Non lo sai?”
Teddy aggrottò la fronte.
“Suppongo che c'entri la luna piena.”
Remus sospirò e posò la pergamena sulla scrivania.
“Cosa ti sta succedendo, Teddy?”
Lei si drizzò subito, all'erta.
“Niente, perché?”
“Ti comporti come se per te fosse tutto nuovo. La nostra casa, tua madre... io.”
La bambina fece saettare lo sguardo per la stanza, come se cercasse una via di fuga.
“Ora calmati,” le disse dolcemente Remus, posandole una mano sul braccio.
“So qual è il problema,” buttò fuori Teddy in
fretta. “Sei arrabbiato perché io e Delphi siamo entrati
nel tuo studio e ti abbiamo visto trasformato in lupo. Ti vergogni
peggio che se ti avessimo visto nudo!”
Remus avvertì un fastidioso calore alla base del collo.
“Questo non ha niente a che vedere...”
In quel momento la porta d'ingresso sbatté.
Tonks arrivò in salotto e si lasciò cadere sul divano
accanto a Remus, distogliendo con un gesto repentino lo sguardo da
Teddy. Il suo viso era livido e gli occhi gonfi e arrossati.
I battiti del cuore di Remus accelerarono e spinsero su, contro la sua gola.
“Cosa ti è successo?” domandò. “Stai... stai bene?”
Tonks sembrava scioccata. Si mise una mano sugli occhi ed emise diversi tremuli sospiri.
“Accompagna Teddy da mia madre,” ordinò debolmente e
Remus era abbastanza spaventato da obbedire senza porre domande. Teddy,
dal canto suo, sembrava felice di potersela svignare.
Remus bussò alla porta di Andromeda e quando la suocera
aprì spinse dentro la figlia, ansioso di tornare nel suo
appartamento.
“Oh mamma!” sentì esclamare Teddy, prima di scendere al pian terreno.
Tonks era nella stessa identica posizione in cui l'aveva lasciata.
“Dora?” la chiamò, abbracciandola stretta e
lasciandola andare solo quando sentì che i suoi muscoli si
rilassavano un pochino.
“Remus,” disse lei, asciugandosi il naso nella manica del
mantello. “Ho scoperto qualcosa... qualcosa riguardo a quello che
è successo la notte in cui è nata Teddy.”
Lui tremò, doveva trattarsi di qualcosa di molto spiacevole per ridurla in quello stato.
“Lo sapevo, Remus, avrei dovuto seguire l'istinto! I primi tempi,
con Teddy... mi sembrava che non fosse mia... ma mi vergognavo... mi
sentivo in colpa... perciò ho taciuto e presto ho
dimenticato...”
Lui le chiuse le povere mani mutilate nelle proprie.
“Non capisco di cosa stai parlando, Dora...” supplicò.
“Noi abbiamo avuto un figlio, Remus, un figlio maschio,”
dichiarò Tonks, facendosi forza. La sua voce non tremava
più, e neppure le mani.
Remus emise un suono a metà tra una risatina e un singulto.
“Un maschio? Ma Teddy...”
“Teddy non è la nostra figlia biologica.”
Remus balzò in piedi come se fosse stato morso da uno dei cuscini e chiuse gli occhi, scostandosi un po' dalla donna.
“Quando ho salvato nostra figlia non c'erano altri neonati nella
nursery, perciò non ho preso il bambino sbagliato, perché
se è di questo che mi stai accusando...”
Tonks lo costrinse a sciogliere un pugno, gli prese la mano e lo tirò di nuovo a sedere.
“Non ho detto che è stata colpa tua,”
dichiarò energicamente. “Ho parlato con il Guaritore che
mi ha assistita, ricordi? Ha detto che ho avuto un maschio.”
“È passato troppo tempo, come puoi credergli!”
sbottò Remus. Non poteva accettare che Tonks mettesse in
discussione l'identità di Teddy affidandosi a quello che un uomo
ricordava di un fatto avvenuto oltre un decennio prima!
“Non ho parlato solo con il Guaritore,” Tonks lo
fissò senza battere ciglio. “Ho interrogato anche
l'infermiere che ha preso uno dei bambini che ha trovato nelle nursery
e l'ha consegnato all'altra donna che, quella notte, ha partorito nella
clinica. Ho dovuto calcare un po' la mano, ma alla fine ha confessato
che ha scelto il neonato che pensava che la donna avrebbe gradito di
più, Remus.”
Remus accusò una forte vertigine e si aggrappò ai bordi
del divano per non cadere; si trattava di un incubo, non vedeva altra
spiegazione.
“Come hai stabilito che non ha preso il bambino giusto?
Come...” tentò disperato. “Teddy è una
Metamorfomagus, ed è un potere così raro che deve per
forza essere tua figlia!”
“Ho parlato con entrambi i Guaritori di turno quella notte, e
sono entrambi d'accordo sul sesso dei bambini, Remus, è
terribile anche per me, sai...” si interruppe e spostò lo
sguardo nel punto dove poco prima era seduta Teddy. “Però
è un ottimo argomento, il tuo. Quante possibilità ci sono
che una Metamorfomagus non sia mia figlia?”
“Lo vedi?” esclamò Remus speranzoso. “È solo un grosso equivoco.”
Ma nessuno dei due era convinto.
Teddy venne riaccompagnata dalla nonna quando erano ormai sera inoltrata.
“Vi siete dimenticati di lei?” domandò, guardando
perplessa Remus e Tonks che, pallidi come fantasmi, sedevano uno
accanto all'altra sull'orlo del divano. “Questo plenilunio avete
intenzione di trasformarvi entrambi in lupi mannari? Avete lo stesso
colorito verdognolo...”
“Grazie, mamma,” sbottò Tonks, ancora incapace di
guardare la figlia. Remus, al contrario, si alzò e strinse Teddy
in un abbraccio, prima di dirle di andare a dormire.
Quando se ne fu andata, Andromeda riprese a parlare.
“Voi siete strani, ma Teddy non è da meno.”
“Cosa intendi dire?” domandò Tonks.
“Tralasciando il fatto che non ricordava dove fosse il bagno e
che si è fatta battere per ben tre volte agli scacchi magici, mi
ha chiamato per sbaglio 'mamma' altrettante volte.”
“Mamma?” ripeté Remus, aggrottando la fronte.
Un'idea gli balenò nella testa: conosceva un altro
Metamorfomagus che, guardacaso, aveva una madre che somigliava
moltissimo ad Andromeda ed era coetaneo di Teddy.
“Dora...” mormorò, prendendola per il gomito.
“Tu sapevi che Delphi Lestrange era un Metamorfomagus?”
Il respiro di Tonks accelerò.
“Credo... credo fosse scritto nella sua scheda... A Villa Malfoy
l'ho visto solo qualche volta di sfuggita, non... non
ricordavo...”
Remus pensò a Teddy e Delphi che combinavano guai assieme a
Hogwarts e ora Teddy tornava a casa per le vacanze e sembrava aver
dimenticato la sua vita prima della scuola. Non era stata colpita da un
incantesimo, non ricordava niente perché quella non era Teddy!
Si alzarono contemporaneamente e irruppero nella camera della figlia.
Svegliandosi, lei – o meglio, lui – si sfregò gli occhi e per un attimo il suo viso sembrò sfocato.
“Forza Delphi, vestiti. Ti riportiamo a casa,” gli disse
Remus con la certezza di aver indovinato. Tutto quadrava: la gelosia
per i poteri di Teddy, il 'Signore 'Oscuro'...
Il volto del ragazzino vibrò e Tonks alzò la bacchetta.
“Posso costringerti a riaquistare le tue fattezze o puoi farlo da
solo. Fossi in te sceglierei la seconda opzione. Molto meno
dolorosa.”
“Non so di cosa...” tentò lui con un sorrisetto storto.
“Delphi!” disse Remus in tono perentorio.
Delphi sbuffò.
“E va bene...”
Strizzò gli occhi e i capelli si schiarirono e accorciarono, il
viso si fece più tondo e gli occhi sbiadirono dal nero al verde.
Tonks guardò il bambino e poi Remus.
“Questo è il suo vero aspetto?” domandò, lasciando trasparire un certo disagio.
“Sì, è Delphi,” confermò lui e si
rivolse in tono duro al ragazzo. “Nostra figlia è a Villa
Malfoy, non è vero?”
Tonks si aggrappò alla manica del suo maglione.
“Per Merlino, Remus!” gemette. “Stanno portando Teddy a Azkaban!”
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
Capitolo 13 TCC
Narcissa bussò alla porta della camera di Delphi. Era
nervosa: continuava a credere che portare il ragazzo a Azkaban non
fosse una buona idea, ma Bellatrix era stata irremovibile.
Era l'alba di una notte che lei aveva trascorso in bianco e dal viso
pallido e stanco pareva che lo stesso Delphi non fosse riuscito a
chiudere occhio.
“Ti stai preparando,” constatò, sedendosi sul letto
a baldacchino disfatto. “Oggi sarà un grande giorno per
te, immagino che sarai molto emozionato.”
Delphi, che stava sistemando il mantello da cerimonia, annuì
meccanicamente; Narcissa notò che il suo portamento era
notevolmente migliorato.
“Pensi di essere pronto per seguire le direttive di tua madre?” lo interrogò in tono neutro.
Lui si tormentò una manica e sembrò sul punto di fare una
confessione, ma l'attimo passò lasciandolo muto e con lo sguardo
determinato.
“Devo farlo e lo farò al meglio delle mie
capacità,” affermò. “Vorrei solo... ecco...
parlare con Teddy Lupin, prima.”
Il cuore di Narcissa accelerò i battiti, tutto si era aspettata
fuorché quello: perché proprio quel nome? Pochi altri
sarebbero stati altrettanto fuoriluogo.
“Per quale motivo?”
Delphi scosse la testa e sospirò.
“Se non vuoi parlarne con me, puoi confidarti con tua madre,” lo incoraggiò.
“Parlo Serpentese,” disse invece il bambino e quando lei
fece per obiettare, aggiunse in fretta. “L'ho scoperto da poco.
Il Signore Oscuro ne sarà felice.”
In undici anni non aveva mai mostrato predisposizioni da Rettilofono e
le occasioni non erano mancante: Bellatrix gli aveva regalato un pitone
come animale da compagnia per il suo quinto compleanno. Il bambino gli
dava ordini per gioco e il rettile restava immobile a osservarlo,
oppure strisciava a nascondersi in qualche angolo.
“Se è la verità, immagino che ne sarà
felice,” osservò Narcissa, studiando attentamente
l'espressione del nipote, che non tentennò. Era dunque sincero?
Narcissa lo lasciò solo e raggiunse Lucius, che stava sfogliando
nervosamente la Gazzetta del Profeta seduto davanti al monumentale
camino di marmo del salone principale della villa.
L'uomo alzò gli occhi dalla pagina e si sforzò di sorriderle.
“Sei ancora turbata,” vide. “Lo sono anch'io,
naturalmente. Ma se andasse bene...” Lucius accennò un
sorrisetto compiaciuto.
Tra di loro non c'erano segreti e anche se non erano persone che
esprimevano volentieri le proprie emozioni, avevano iniziato ad aprirsi
l'uno con l'altra dopo qualche anno di matrimonio, perché
ciò rendeva tutto più semplice.
“Non è solo la visita a Azkaban a preoccuparmi,”
confidò Narcissa. “Temo che la situazione degeneri per un
motivo che pare folle a me per prima.”
Lucius la invitò a spiegarsi meglio e a lei arrivò, improvvisa, un'idea. Perché non ci aveva pensato prima?
“Potrei servirmi del Pensatoio!” rifletté ad alta voce.
“A che scopo?”
Narcissa si diresse verso il locale dove custodivano il raro manufatto
magico e mentre procedeva spiegò: “Lupin era amico di mio
cugino Sirius, a scuola,” arricciò il naso. “Quella
feccia,” sibilò, alludendo a entrambi.
“E con questo?” domandò Lucius.
Erano entrati in una saletta, i raggi del sole nascente dividevano le
pareti di pietra in spicchi di luce-ombra e l'aria era satura di
pulviscolo.
Narcissa prese la bacchetta ed estrasse dalla tempia il ricordo dello
Smistamento dei ragazzi della classe del 1971 e scivolò insieme
ad esso all'interno del bacile di pietra coperto di rune. Lo stava
facendo solo per scrupolo, si disse, sicuramente Piton si era sbagliato.
Quando le si schiarì la vista scoprì di trovarsi in piedi
accanto a una versione sedicenne di se stessa. Era seduta al tavolo dei
Serpeverde in una Sala Grande eccheggiante degli applausi dei
Grifondoro: una ragazzina dai capelli rossi stava prendendo posto
accanto a suo cugino Sirius, lo riconobbe e gli voltò la schiena
sprezzante. Lily Evans: erano arrivati alla lettera 'E'.
Narcissa si allontanò dalla sua versione giovanile e si
accostò alla professoressa McGranitt. Voleva vedere il viso dei
ragazzi ancora da Smistare, ma c'era una grande confusione e
nell'agitazione non riuscì a trovare Lupin fino a che non fu la
Vicepreside a chiamarlo:
“Lupin, Remus!”
Un bambino gracile con i capelli chiari e il volto pallido si sedette
sullo sgabello e quasi sparì sotto al Cappello Parlante.
Narcissa sentì la stretta che aveva al petto allentare la presa:
non c'era nulla nell'atteggiamento di Lupin che le ricordasse Delphi.
Poi il cappello gridò: “Grifondoro!” e il ragazzo
alzò il mento, l'aria eccitata e stupefatta e lei vide i suoi
occhi.
“Questo cosa Merlino dovrebbe significare?” domandò
la voce di Lucius alle sue spalle: Narcissa non si era resa conto che
il marito si era immerso con lei nel Pensatoio.
Si voltò verso Lucius e disse:
“Significa che dobbiamo fermare Bellatrix!”
***
Le griglie dorate dello sferragliante ascensore si aprirono, Narcissa
uscì e si diresse con passo sicuro alla porta a due battenti di
quercia che dava sugli uffici degli Auror. Il caos che regnava in
quella sezione del Ministero contribuì a rendere la sua visita
ancora più spiacevole di quanto già non fosse. Stava
verificando l'identità dell'Auror che sedeva scompostamente nel
cubicolo alla sua destra quando qualcuno la investì con violenza.
Narcissa si aggrappò alla parete del cubicolo, mentre la donna
che l'aveva colpita finì a terra. “Proprio tu!” le
sibilò, riconoscendola.
Ninfadora Tonks fece per scansarla con un movimento brusco, ma si fermò all'ultimo momento.
“Resta qui. Dovremo parlare, dopo.”
Narcissa prese l'arrogante strega per un polso.
“Ora. Bellatrix è al Ministero con Delphi...”
Quando lei e Lucius erano riemersi dal Pensatoio avevano scoperto con
orrore che Bellatrix e Delphi erano già usciti. Si erano quindi
affrettati a raggiungere il Ministero della Magia: Lucius aveva ancora
amici che lo avrebbero ascoltato nei ranghi più alti del Mistero
ed era andato a parlare con un membro del Wizengamot di sua conoscenza,
mentre lei cercava la figlia di Andromeda.
Tonks si divincolò e infilò svelta lo stretto spazio tra
i cubicoli, ma Narcissa non aveva intenzione di arrendersi.
“Devi ascoltarmi!” le ordinò. “Bellatrix e
Delphini devono essere fermati, vogliono vedere l'Oscuro Signore e il
ragazzo... il ragazzo non è suo figlio!”
Tonks si girò indietro senza fermarsi.
“Il Ministero ha espresso ufficialmente la sua opinione su questo
argomento: tutti sanno che Delphini non è il figlio di
Voldemort! Perciò dimmi qualcosa che non so oppure levati dai
piedi, Narcissa.”
Narcissa soppresse a fatica l'istinto di replicare con veemenza,
quell'arrogante donna sposata con un mostro che osava parlarle con quel
tono!
“Tu non sai molte cose, sciocca. A cominciare dal fatto che Delphi somiglia a Lupin!”
La donna più giovane finalmente si fermò ma non parve sorpresa.
“Lo hai notato anche tu? E, dimmi, cosa si prova ad avere cresciuto il figlio biologico di un lupo mannaro?”
Narcissa si bloccò, era senza fiato. Quindi lei sapeva... era
tutto vero? E la madre chi era? non poteva essere Bellatrix, era
impossibile!
Vide l'Auror andare incontro al Ministro della Magia.
“Dobbiamo annullare la visita a Azkaban dei Lestrange!” gli
disse ed era esattamente ciò che voleva Narcissa, che quasi non
riusciva a crederci.
Kingsley Shacklebolt la osservò perplesso.
“Mi spiace, Tonks, ma sono già partiti.”
Tonks scosse con ira la testa.
“Allora dobbiamo intervenire immediatamente, mio... mio figlio è in pericolo!”
Narcissa avvertì la terra sotto ai piedi spostarsi.
***
Teddy stringeva spasmodicamente la mano della madre di Delphi,
controllando l'espressione del suo volto con la coda dell'occhio.
Presto sarebbe arrivato il segnale per dare il via al piano che la
donna si aspettava che eseguisse.
I corridoi di Azkaban, piantonati dalle guardie che si sommavano agli
Auror della loro scorta, erano oscuri e spaventosi. I potenti
incantesimi che tenevano maghi e streghe intrappolati nelle celle ne
facevano scintillare le sbarre di metallo, lampi improvvisi affollavano
i lugubri tunnel di ombre distorte e le fiammelle delle torce sulle
mura influivano così poco sull'oscurità che sembravano
dipinte. La madre di Teddy le aveva spiegato che Kingsley aveva
licenziato i Dissennatori e ai prigionieri potevano togliere le
bacchette ma non la loro magia che, Teddy lo sapeva bene, era
incontrollabile e distruttiva senza i preziosi strumenti di Olivander,
perciò le celle era ben sorvegliate e sigillate con complicati
incantesimi.
La ragazzina aveva già scelto la guardia a cui avrebbe rubato
l'identità: sotto al mantello ben abbottonato indossava una
divisa cucita dagli Elfi Domestici dei Malfoy con una stoffa incantata
che si sarebbe adattata a ogni sua metamorfosi.
La signora Lestrange le fece un cenno col capo e si fermò davanti a una cella.
“Traditore! Feccia!” apostrofò l'uomo recluso, spingendo gli Auror della scorta a intervenire.
Non appena l'attenzione fu tutta concentrata sulla strega, Teddy
strizzò gli occhi e il bambino che avevano scortato fin
lì scomparve, lasciando dietro di sé solo il suo mantello.
La signora Lestrange, che come da accordi aveva mentalmente contanto
fino a dieci prima di reagire, si guardò attorno con gli occhi
spalancati e un pugno sul cuore:
“Delphi!” gridò. “Bambino mio! Dov'è finito? Dovete trovarlo immediatamente!”
Teddy sgattaiolò lungo il corridoio sforzandosi di ignorare il trambusto che si lasciava alle spalle.
Sapeva che la signora Lestrange avrebbe convinto gli Auror che lei era
corsa avanti per poter parlare da sola col padre. Rodolphus, s'intende.
Teddy era terrorizzata, ma ricordava chiaramente dove si trovava la sua
destinazione. Chissà come, il marito della professoressa Malfoy
possedeva una copia delle mappe del carcere di massima sicurezza.
“Ehi, Phil!” la apostrofò un uomo sulla cinquantina.
“Ti sei perso? Oggi sei turno un piano più sotto!” e
scoppiò a ridere.
Teddy si asciugò le mani nei pantaloni della divisa, rallentando senza fermarsi.
“Ehm... c'è un gran caos laggiù,”
improvvisò con una voce che le era estranea. “Si sono
persi un ragazzino e io... io sto reclutando alcune guardie per dargli
la caccia.”
“Scommetto che si tratta del piccolo Lestrange,” disse la
guardia. “Comunque sia, io di qui non mi muovo. Sai che dobbiamo
essere sempre in sei a piantonare questa cella.”
Teddy trovò chissà dove il coraggio di guardare nella
grotta tenebrosa sigillata da tre file di sbarre, due delle quali erano
formate da pura magia.
Su una panca sedeva una figura lattiginosa, calva, con degli occhi
simili a piccole braci che rilucevano al buio e il volto privo di
lineamenti.
Teddy non poté sottrarsi a quello sguardo infuocato, a mala pena si rese conto che il mago stava violando la sua mente.
“Sei qui,” le eccheggiò nel cranio una voce senza
volto. Una luce accecante le fece strizzare gli occhi e quando li
riaprì vide sua madre, la sua vera madre, fare irruzione nel
corridoio.
Teddy, ancora accecata, fece un passo avanti e sbatté il naso
contro le sbarre: si trovava all'interno della cella, realizzò,
e là fuori, accanto a sua madre, c'era un bambino... no, una
bambina! Lei era in trappola e Voldemort aveva acquistato il suo
aspetto, il suo reale aspetto, ed era libero!
“Mamma!” gridò disperata, ma Tonks guardò
nella cella con profondo disprezzo e prese Voldemort/Teddy per le
spalle, aprì bocca col viso paonazzo per la rabbia, si
piegò su di lui e lo strizzò in un abbraccio con le
spalle che sussultavano.
Teddy la chiamò ancora ma non servì a nulla, sua madre si
allontanò con Voldemort e lei restò lì, a
rannicchiarsi e piangere... cosa aveva fatto?
Ehilà :D procedo velocemente finché posso: come ho
già scritto la storia è finita, devo solo revisionare i
capitoli ma con mio figlio malato a giorni alterni è complicata
anche la semplice revisione. Va beh, l'inverno finirà. Il piano
di Delphi e Teddy si è tradotto in un gran pasticcio, non poteva
essere altrimenti, essendo loro due undicenni... spero che il capitolo
vi sia piaciuto e che gli sviluppi non siano stati troppo prevedibili ^^
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Capitolo 15 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
Voldemort lasciò la cella in cui aveva trascorso gli ultimi
undici anni della sua vita scortato da due streghe: la Black sposata a
un lurido ibrido che avrebbe dovuto essere giustiziata da tempo e
Narcissa Malfoy.
Voldemort aveva conosciuto l'Erede neonato prima della sconfitta, ma
quella che si era presentata al suo cospetto sotto mentite spoglie era
una femmina.
Poco gli importava del sesso dell'Erede, naturalmente. Prima di
effettuare lo scambio di persona aveva setacciato la mente della
ragazzetta, perciò sapeva che era stata allevata dai Lupin, ma
non il motivo per cui ciò era accaduto, né perché
la sua fedele serva Bellatrix gli avesse presentato un altro moccioso
al posto dell'Erede.
Quello di cui era certo era che la bambina chiamata 'Teddy' era sua
figlia, non sarebbe stato possibile eludere gli incantesimi che lo
seppellivano nella fetida cella di Azkaban e effettuare lo scambio
senza un legame di sangue... scambio che, doveva tenere bene a mente,
sarebbe stato di brevissima durata. Doveva lasciare quel luogo e doveva
farlo subito.
Avevano già disceso un piano e Voldemort tenne sott'occhio la mano armata che oscillava alla sua destra.
La donna dai capelli viola avvertì il suo sguardo e gli sorrise.
“A casa parleremo,” promise; di cosa, non era dato sapere.
Non che a Voldemort importasse. “Entrando siete passati dagli
uffici delle guardie, Kingsley ci sta aspettando lì. Dovrai
spiegare parecchie cose, signorina.”
Spiegare? Voldemort non aveva tempo da perdere, presto l'incantesimo si
sarebbe esaurito e non intendeva riprendere le proprie fattezze in un
ufficio stipato di Auror, guardie e il Ministro della Magia pronti ad
assalirlo.
Voldemort allungò la mano infantile fingendo di voler prendere
quella dell'Auror e con un gesto repentino le sfilò la bacchetta
dal pugno mutilato.
“Imper...”
“Ragazzina!” intervenne Narcissa, sollevandogli in aria la mano armata. “Sei impazzita?”
Voldemort la guardò con occhi ardenti, non aveva pensato che
Malfoy, invece di dargli man forte, potesse ostacolarlo. La bambina di
cui possedeva il corpo era molto potente, ma acerba.
“Cosa volevi fare?” sussurrò l'Auror inorridita.
Voldemort si divincolò dalla presa di Malfoy e fuggì
lungo il corridoio, Schiantando le guardie che gli bloccavano il
passaggio. Da un angolo sbucarono due mani che lo trattennero per il
busto, un'altra lo strattonò per i capelli: aveva dimenticato di
avere quell'inutile intralcio, ora. Scalciò, morse e con la
bacchetta creò un'onda d'urto che scaraventò le guardie
in tutte le direzioni e che fece franare in parte la parete del carcere
che dava sul mare.
Una strega elegantemente vestita arrivò dal fondo del corridoio,
accompagnata da quelli che sembravano Auror, lo prese per i dannati
capelli e lo sollevò di peso.
“Chi diavolo sei, mocciosa?” sibilò.
Voldemort la riconobbe: era Bellatrix.
“Delphi, se sei tu, riprendi subito il tuo aspetto!” gli
ordinò minacciosa. Era certa che il suo piano fosse andato
storto, le lesse nella mente, pur non avendo la minima idea di come
l'Erede avrebbe liberato il suo Signore; si era affidata al caso,
quella sciocca!
“Sono Lord Voldemort,” sussurrò all'orecchio di
Bellatrix un attimo prima che le guardie la separassero da lui.
“L'Erede mi ha liberato. Devi farmi uscire di qui,
immediatamente!”
Le pupille della donna si dilatarono.
“Mio Signore,” lesse sulle sue labbra. Subito dopo gemette: “Dov'è Delphi? Il mio ragazzo...”
Nel frattempo l'Auror Black e Narcissa li avevano raggiunti.
“La ragazzina!” disse Narcissa. “È sfuggita a noi!”
Ninfadora Tonks puntò la bacchetta in faccia a Bellatrix.
“Cosa hai fatto a mia figlia?” le chiese furibonda.
“Quale figlia? Questa mocciosetta?” domandò Bellatrix, recitando diligentemente la sua parte.
Tonks sospirò.
“Narcissa mi ha detto che tu non sai nulla...”
“Ed è così,” confermò Narcissa.
“Cosa non so, Cissy?” chiese Bellatrix, ma non sembrava
fosse realmente interessata. “Dov'è Delphi? È
importante che lui sia al sicuro.”
Tonks continuò a tenerla sotto tiro.
“Sta bene, è a casa mia.”
Voldemort rilfetté velocemente: Bellatrix stava perdendo tempo,
doveva andarsene da Azkaban e doveva farlo subito, a costo di farsi
accompagnare dalla sgualdrina del licantropo.
“Scusa, mamma,” le disse, passandosi una mano sul viso. “Non so cosa mi sia succ...”
Non poté concludere la frase: Bellatrix lo sollevò di peso.
“Spero che Delphi capirà,” scandì, prima di
gettarsi con lui giù dalla torre, attraverso la breccia aperta
da Voldemort stesso.
***
Tonks era corsa al Ministero per impedire che Bellatrix portasse la
loro bambina a Azkaban e a Remus non restava che fare la guardia a
Delphi e aspettare.
Dato che sua madre non era a Villa Malfoy avevano deciso di far restare
il ragazzino per la notte ed era riuscito a convincerlo con qualche
insistenza a rimettersi a letto.
Remus si trascinò in cucina con l'intenzione di preparare del
tè. Si sentiva molto debole, ma di stendersi a riposare non se
ne parlava... quello che riuscì a fare fu far cadere a terra il
bollittore, salvò per miracolo la tazza che gli aveva regalato
Teddy agguantandola al volo.
Andromeda, della cui presenza si era completamente scordato, gliela sottrasse e lo spinse da parte.
“Faccio io,” disse, indicando con un cenno una sedia.
Poco dopo erano seduti entrambi dietro a una tazza di tè fumante.
“Ti dirò cosa ho capito,” disse Andromeda, schietta.
“Mia nipote e il ragazzino che sta domendo nel suo letto,
entrambi Metamorfomagus, hanno fatto una bravata: si sono scambiati le
identità. Chi è quel ragazzo che ha anch'esso il
rarissimo potere di mia figlia e mia nipote? Pare ti somigli...”
Remus si prese la testa tra le mani.
“A quanto pare,” gemette.
Non voleva parlare dell'indagine di Tonks, si rifiutava anche solo di pensarci.
Dei passi si avvicinarono alla cucina e una chioma viola attraverso la
porta: Delphi entrò senza chiedere il permesso e si buttò
scompostamente sulla sedia tra quella di Remus e quella di Andromeda.
“Non riesco a dormire,” spiegò.
“Siediti composto e presentati,” gli ordinò Andromeda.
Il ragazzo le porse la mano.
“Delphini Lestrange,” disse e subito dopo sbadigliò.
Andromeda esitò, s'irrigidì... ma alla fine ricambiò la stretta.
“Teddy mi aveva detto che sua nonna somigliava da morire a mia
madre, e Merlino se aveva ragione!” commentò il ragazzino
con un sorrisetto sfacciato.
Andromeda lo fissò intensamente, poi guardò Remus.
“Non capisco come sia possibile che questo ragazzo, figlio di
mia... della Lestrange, somigli a te,” disse in tono accusatorio.
Remus avrebbe preferito tacere, ma la suocera non aveva alcuna
intenzione di lasciar perdere, perciò fece uno sforzo e scelse
con cura le parole:
“Tonks sostiene che c'è stato un altro scambio, molti anni
fa. Undici, per la precisione. Lei... lei ha controllato, ha raccolto
prove...” pronunciò l'ultima parola come se gli suscitasse
repulsione.
Controllò la reazione di Delphi, forse sapeva qualcosa... no,
era improbabile, se Bellatrix avesse sospettato la verità non
avrebbe cresciuto il ragazzo, lo avrebbe ucciso quand'era ancora in
fasce.
“Ho una fame...” borbottò Delphi, spiazzando
entrambi gli adulti. Possibile che il discorso gli fosse indifferente?
“Prima che mi svegliaste stavo sognando una bistecca al sangue,
ho ancora l'acquolina!” Si rivolse a Remus. “Amo la carne
cruda.”
“Ah sì?”
“Mia madre dice che piaceva molto anche a Rodolphus, ma a Azkaban
difficile che gliela servano... Ho sentito che mia madre è
andata là... a incontrare... lui,” abbassò gli
occhi. “Teddy avrebbe dovuto avvertirmi, spero che Tonks riesca a
fermarla, spettava a me, non a lei, come il potere di parlare ai
serpenti!”
“Lo speriamo tutti,” mormorò Remus e il silenzio
calò sulla cucina. Provava simpatia per quel bambino, ma non era
lui che aveva amato alla follia fin dal suo primo respiro, quello che
gli aveva dato la gioia più grande della sua vita. Sarebbe stato
felice di amare anche lui, lo spazio non gli mancava, dentro di
sé, ma non avrebbe permesso che gli portassero via Teddy.
Tonks rientrò in tarda mattinata, quando Remus e Andromeda
stavano preparando il pranzo e Delphi sedeva incantato davanti alla
televisione, novità che non gli era ancora venuta a noia.
Quando sentirono la porta sbattere accorsero tutti e tre all'ingresso. Tonks non era sola, era in compagnia dei coniugi Malfoy.
“Cosa...” iniziò Remus, ma la voce gli venne meno e Delphi strillò:
“Zii! Cosa ci fate qui? Dov'è la mamma?”
Nessuno dei due parlò.
Andromeda e Narcissa, che da quanto ne sapeva Remus non si vedevano da
quando la sorella maggiore era stata diseredata, evitarono di
incrociare gli sguardi.
Tonks aveva l'aria distrutta, fece un cenno generale di seguirla e,
quando furono in salotto, buttò le braccia al collo di Remus.
“Cos'è successo?” la interrogò lui, cercando
di tenere a bada la paura. “Perché Teddy non è con
te?”
Tonks lo lasciò e disse ai Malfoy:
“Accomodatevi... vi lasciamo soli con il ragazzo,” e indicò al marito e alla madre la cucina.
Si spostarono nuovamente e Tonks restò in piedi all'ingresso del locale, le spalle che tremavano.
“Non siamo arrivati in tempo,” mormorò.
Remus si lasciò cadere sulla sedia dove prima era seduto Delphi, mentre Andromeda si resse al piano della cucina.
Tonks si morse il labbro, le lacrime agli occhi.
“La tenevo sotto tiro, e lei...” avvampò. “Lei
ha preso Teddy e si è buttata giù da Azkaban... un volo
di diversi metri...” le sue parole li avevano ammutoliti e non le
restò che spiegare: “Bellatrix, è stata lei,”
Andromeda gemette, un suono carico di sofferenza e di ira.
“Stanno setacciando il mare, per ora non hanno trovato nulla.
Teddy aveva la mia bacchetta... forse è riuscita...
probabilmente è riuscita a proteggersi quando sono
precipitate...”
Remus annuì, doveva essere andata così, la loro bambina
era talentuosa e pronta come e più di una strega adulta!
Si alzò e strinse Tonks, accarezzandole la schiena.
“Ne sono certo,” mormorò. “La troveranno presto.”
“Non resterò un secondo di più qui con i Lupin!” urlò Delphi dal salotto.
Sbirciarono dalla porta.
“Andiamo ad aspettare la mamma a casa,” supplicò e
si avvicinò agli zii, che si ritrassero istintivamente. Fu un
movimento minimo, ma che non sfuggì al ragazzino.
“Cosa significa?” domandò, corrugando la fronte.
“Hai capito quello che ti abbiamo detto? I Lupin sono i tuoi veri
genitori,” disse Lucius Malfoy, senza tradire nessuna emozione.
Remus pensò che fosse meglio così, dato che probabilmente
ciò che provava era ribrezzo.
Delphi si guardò alle spalle e scosse risoluto il capo.
“Ho capito che quella donna,” disse tra i denti, alludendo
a Tonks. “Ha spinto mia madre a buttarsi giù da un
edificio!”
“Non è andata così, Delphi,” cercò di spiegare Narcissa.
Remus sentì Tonks tremare, non aveva mai smesso di farlo da quando era ritornata a casa.
“Dici così perché pensi che io sia figlio di un
lupo mannaro e non vuoi più avere niente a che fare con
me...” la voce di Delphi si ruppe, supplicò ancora:
“Voglio solo tornare a casa ad aspettare la mamma!”
Remus provò un profondo disprezzo per i Malfoy, anche se
ricordava quello che lui e Tonks avevano pensato degli strani poteri di
Teddy... tuttavia per loro l'idea di averla persa era intollerabile che
fosse o meno la figlia biologica di Bellatrix Lestrange.
Narcissa scambiò uno sguardo con il marito e fece per mettere
una mano sulla spalla del ragazzo, ma quello all'ultimo si ritrasse.
“Non mi volete più... va bene. Allora portatemi in un...
in un orfanotrofio, ovunque, ma non resterò in questo posto un
secondo di più!”
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Capitolo 16 *** Capitolo 15 ***
TCC Capitolo 15
Dall'altezza da cui
si erano gettati la collisione con il mare sarebbe stata letale, ma
il suo Signore l'aveva protetta con un incantesimo e prontamente
Smaterializzato entrambi altrove, al sicuro.
Bellatrix riaprì
gli occhi su una spiaggetta invasa dalle erbacce: ciuffi di
capigliatura grigiastra di un bitorzoluto lungomare. Il
Signore Oscuro le indicò una grotta drappeggiata dalle alghe, un
nascondiglio di fortuna.
Entrarono nella
bocca di pietra e si spinsero per qualche metro all'interno, dove la
luce era tenue ma ancora sufficiente a distinguere i rispettivi
volti. Bellatrix si gettò smaniosa ai piedi del suo amato Signore,
poco importava che avessero la forma di quelli di una ragazzina
sconosciuta.
“Bella,” sibilò
lui, con una voce di bambina. Le sollevò il mento con una mano.
“Perché la ragazza non vive con te?”
Bellatrix arrossì,
capì confusamente di aver sbagliato qualcosa.
“La ragazza...
quale ragazza?” chiese.
“Giaci ai suoi
piedi, Bella.”
La strega non
riusciva ancora a capire, aveva bramato quel momento ogni giorno
della sua vita per undici anni e ora stava rovinando tutto facendo la
figura della sciocca.
“Mio Signore,
perdonami...” gemette, afflitta.
Il Signore Oscuro
le lasciò bruscamente il mento.
“La ragazza di
cui ho assunto le sembianze è l'Erede, non il moccioso che hai
portato al mio cospetto anni fa.”
“Delphi è
l'Erede,” reagì Bellatrix con violenza, le fu impossibile
controllarsi.
Dietro agli occhi
della ragazzina lampeggiarono quelli infuocati del Signore Oscuro.
“Osi
contraddirmi?”
“Io... ma...
Delphini...”
“Hai cresciuto il
bambino sbagliato!” tuonò con voce infantile il mago, poi le sue
fattezze iniziarono a mutare, i contorni si sciolsero e con un lampo
riaquistò il suo corpo.
Bellatrix
rabbrividì di piacere, avrebbe voluto baciargli le mani ma si
trattenne. Il Signore Oscuro era molto deluso da lei e lei era
turbata a causa di Delphi. Come poteva essere il bambino sbagliato?
Non poteva crederci
e ciò la riempiva d'angoscia: fino ad allora la parola del suo
Signore era stata la Verità, l'unica possibile.
Un pensiero le si
insinuò nella mente: non era esattamente così... lei, ad esempio,
non si era mai fidata di Severus Piton e a ragione.
“Non ho mai visto
quella ragazzina, non so chi sia,” pronunciò lentamente. “Delphi
mi è stato consegnato alla clinica dove ho partorito e lei lì non
c'era,” concluse, non senza una traccia di sarcasmo.
Il Signore Oscuro
compresse i bordi della bocca priva di labbra.
“Ho letto nella
mente della ragazzina, che è stata consegnata alla peggior feccia,
mentre l'impostore che hanno portato a te...” il volto serpentesco
si rilassò. “Per ora, cresciuta come Erede o meno, la bambina ha
assolto al suo scopo: io sono libero e lei è in trappola, ad
Azkaban, ma presto scopriranno l'inganno. Discuteremo più tardi dei
dettagli, ora dobbiamo mettere più strada possibile tra noi e gli
Auror.” La guardò intensamente, sapeva che non l'aveva convinta.
Sfiorò il Marchio Nero con la punta del dito lungo e scarno.
“Richiamerà i
Mangiamorte?” domandò Bellatrix.
“Lo farò.”
“E Delphi?”
“Non so chi sia
quel ragazzo, non è l'Erede, ma potrebbe comunque esserci utile.”
Bellatrix si accese
come se fosse un tizzone e le parole del Signore Oscuro un soffio
rigeneratore.
“Lo
sarà, lo sarà certamente!”
***
Per Tonks, Remus e
Andromeda quelle che seguirono furono ore difficili.
Fino a quel momento
Delphi aveva mostrato simpatia nei loro confronti, ma quando si era
congedato assieme ai Malfoy si era rifiutato persino di salutarli,
mostrando avversione soprattutto per Tonks, a cui attribuiva la colpa
della sparizione della madre. Narcissa aveva provato a rimediare dopo
aver istintivamente respinto il nipote, tentando di convincerlo a
tornare a Villa Malfory, ma Delphi ormai aveva deciso. Alla
fine si erano accordati col ragazzo, che avrebbe trascorso il resto
delle vacanze natalizie a Hogwarts, assieme agli altri studenti che
non erano potuti rientrare a casa.
Gli insegnanti
avevano promesso che lo avrebbero sorvegliato giorno e notte.
Tonks continuava a
rivivere nella mente il momento in cui Bellatrix e Teddy si erano
gettate dalla prigione, purtroppo non era riuscita a vedere se c'era
stato o meno l'impatto col mare.
Un ticchettio
proveniente da una finestre del salotto la fece scattare in piedi
contemporaneamente a Remus: era un gufo che bussava col becco contro
il vetro, uno di quelli del Ministero.
Tonks prelevò e
srotolò la pergamena a lei indirizzata, la rilesse almeno venti
volte prima di esclamare incredula:
“Teddy è ad
Azkaban, sta bene!”
Tonks presenziò
all'interrogatorio della figlia, che a causa della gravità della
situazione non poteva essere rinviato. Teddy raccontò in lacrime del
piano che aveva architettato con l'aiuto di Delphi e di quello che la
signora Lestrange le aveva chiesto di fare ad Azkaban: camuffarsi e
raggiungere la cella di Lord Voldemort. Giustificò la sua
collaborazione con la strega adulta raccontando una visione che
avrebbe avuto all'inizio dell'anno scolastico: era una Veggente,
spiegò alla commissione.
Riportarono a casa
Teddy quando era ormai pomeriggio inoltrato.
“Delphi dov'è?”
domandò la ragazzina. “Dovrebbe essere qui.”
Tonks si sedette
sul divano accanto a lei, ancora incredula ed emozionata per averla
riavuta con sé con tanta facilità.
“Non è voluto
restare,” spiegò.
“Oh. È tornato a
casa coi Malfoy?”
Tonks scambiò una
rapida occhiata con Remus.
“No,” disse
semplicemente, sperando che lei non pretendesse ulteriori
spiegazioni, ma naturalmente non fu così.
“È a Hogwarts?
Perché?”
Tonks tirò un
sospiro e fece per parlare, ma Remus fece segno di no con la testa.
“Dobbiamo dirle
la verità, Remus. Delphi sa tutto e presto si vedranno a scuola...
vuoi che l'apprenda da lui?”
“No, certo che
no,” si arrese lui.
“Teddy,
ho ascoltato con attenzione quando hai raccontato la tua 'visione'.
Non è importante quello che vedi, ma l'interpretazione che dai...
penso che tu ti sia sbagliata.”
La ragazzina si
tirò a sedere, era attenta, curiosa, ma nella sua espressione c'era
anche sfida con una buona dosa di arroganza: non pensava che la madre
potesse saperne più di lei.
“Quello che hai
visto nello specchio era... ecco...” Tonks chiuse gli occhi per un
istante, le orecchie le ronzavano fastidiosamente. Tutto combaciava,
i poteri della figlia erano, da qualunque verso li si guardasse,
un'ulteriore conferma alle proprie intuizioni e ricerche, essi stessi
avevano provato a comunicare con Teddy! “Era la tua vera identità,
piccola, nient'altro che quello.”
Teddy emise una
risatina esausta.
“Cosa? Io non
sono Delphi!” e rise ancora, come se le avesse detto qualcosa di
molto sciocco.
Tonks pensò di non
avere la forza di proseguire quella conversazione, ma l'aveva voluta
lei e non poteva chiuderla né chiedere a Remus di aiutarla.
Lui prese
l'iniziativa a la sostenne, come se le avesse letto nel pensiero:
“Delphini
Lestrange è la tua vera identità, piccola.”
Teddy pensò che
fosse tutto uno scherzo.
“Tu e Delphi
compite gli anni lo stesso giorno, non è vero?” insistette Remus,
anche se si vedeva che non ne aveva voglia, che avrebbe preferito
mille volte lasciare le cose come stavano.
“Sì,” fece lei
cautamente.
“Tua madre e la
madre di Delphi hanno partorito lo stesso giorno, nella stessa
clinica... i bambini nati sono stati... siete stati, tu e
Delphi, scambiati per errore.”
Teddy era
incredula, il riso le morì sulle labbra.
“Non state
scherzando. Voi... voi... non siete i miei veri genitori?”
Tutto nel suo
piccolo corpo si tese, gli occhi sbarrati ma asciutti. Tonks fece per
abbracciarla, ma lei si divincolò, fuggì via anche dal padre e si
chiuse in camera, tenne i genitori lontani per ore. Doveva pensare,
urlò, che la lasciassero in pace.
Uscì dalla stanza
solo quando Tonks e Remus rinunciarono a presidiare la porta della
sua cameretta e si rifugiarono nel salotto, in un lugubre silenzio.
Teddy entrò, diede
un bacio sulla guancia a testa, e disse sottovoce, ma con uno sguardo
deciso:
“Siete i miei
genitori, non dimenticherò mai quanto mi avete voluto bene.”
“Te ne vogliamo
ancora,” le disse Remus con calore. “Te ne vorremo sempre.”
Teddy sembrò
angosciarsi per quell'interruzione, voleva dire qualcosa d'altro,
qualcosa che, pensava, li avrebbe feriti. Tonks si preparò a
ricevere un brutto colpo.
“Volevo dire che
anche se mi piacerebbe conoscere meglio la signora Lestrange, quando
la troveranno, non significa che non voglio più essere vostra
figlia.”
Anche
se l'aveva previsto, Tonks si sentì comunque ferita. Delphi non
voleva avere nulla a che fare con lei, peggio, la odiava apertamente,
e Teddy voleva rimpiazzarla con quella psicopatica di sua zia, la cui
ultima impresa era consistita nel liberare Voldemort da Azkaban
servendosi del figlio. Con addosso tutta la stanchezze delle ultime
quarantotto ore, si sentì sul punto di scoppiare in lacrime.
“Non
te lo impediremo, Teddy,” disse esausta. “Ma quando gli Auror
troveranno Bellatrix, stavolta verrà chiusa ad Azkaban, come
Voldemort.”
“Oh,”
disse solo Teddy. Possibile che non l'avesse immaginato? La ragazzina
si strinse nelle spalle ed esclamò, con un entusiasmo forzato:
“Facciamo una partita a SparaSchiocco?”
***
Narcissa
sedeva di fronte al marito, nel salone della sua principesca
abitazione eccheggiavano i passi dell'Elfo Domestico che aveva
servito loro del Vino Elfico d'annata. Festeggiavano il ritorno del
Signore Oscuro. Di nuovo.
Con
addosso la sgradevole sensazione di essere vittima di una GiraTempo
maneggiata da un pazzo, si chiese cosa provasse realmente, ma non
ammise neppure a se stessa il risentimento che ancora provava nei
confronti del Signore Oscuro per i pericoli a cui aveva esposto il
suo unico, adorato figlio. Draco era, suo malgrado, di nuovo
coinvolto. Il suo Marchio Nero si era acceso, come quello del padre,
ma non si era Smaterializzato prontamente come aveva fatto lui, non
voleva più avere nulla a che fare con i Mangiamorte; allo stesso
tempo, però, non se la sentiva di andare dagli Auror a denunciare
l'accaduto, frenato dall'obbligo morale di tutelare Lucius.
“Dobbiamo
proteggere nostro figlio,” chiarì Narcissa. “Mi ha detto che non
intende rispondere alla chiamata. A nessuna chiamata.”
Lucius
tirò aria tra i denti, era irritato.
“Lui
deve. Non è più un ragazzo, Cissy, è un uomo.”
“Un
uomo che ha fatto una scelta!” lo difese lei.
Lucius
fece ruotare il liquido sanguigno nell'elegante calice, rifletteva.
Narcissa attese paziente, aveva fiducia nel marito e sapeva che amava
Draco quanto lei.
“Presto
tornerai a Hogwarts,” disse. “Il Signore Oscuro ritiene che il
tuo ruolo sia della massima importanza. Inoltre, Bellatrix è nelle
sue grazie più che mai. È stata lei a liberarlo,” posò il
bicchiere senza portarlo alle labbra. “Bellatrix potrebbe
intercedere per Draco.”
“Non
lo farà,” disse Narcissa. “Non riesce a capire.”
“Lo
capirà nel momento in cui la minaccerò di rivelare al Signore
Oscuro la vera identità di Delphini.”
Narcissa
ricordava quando, molti anni prima, la sorella le aveva sussurrato
con invidia che, se avesse avuto un figlio, sarebbe stata ben felice
di donarlo al Signore Oscuro. Non dubitava delle sue parole, era
certa che Bellatrix avrebbe accettato e forse addirittura gioito se
Delphi si fosse immolato per la causa, ma non avrebbe permesso che
venisse umiliato e ammazzato in quanto ibrido.
“Funzionerà,”
approvò, facendo tintinnare il calice contro quello di Lucius.
Villa
Malfoy era stata messa sotto sorveglianza dagli Auror e loro erano
quasi sicuramente pedinati, perciò i Malfoy decisero di incontrare
Bellatrix in un luogo insospettabile e caotico: Diagon Alley.
Narcissa e Lucius finsero di dover acquistare del materiale
scolastico per Delphi. Avevano pregato i Lupin di non diffondere la
notizia dello scambio dei neonati per non urtare la sensibilità dei
ragazzi e loro si erano detti d'accordo: oltre agli Auror e ai
diretti interessati, solo alcuni insegnanti erano a conoscenza dei
fatti, quelli che stavano tenendo d'occhio Delphini in quegli ultimi
giorni di vacanza. Era stata Narcissa a comunicarlo al lupo mannaro,
presto sarebbero stati di nuovo colleghi di lavoro, almeno finché il
Signore Oscuro non fosse intervenuto a mettere un po' d'ordine.
C'era
un gran folla in quei giorni. Si fermarono davanti alla vetrina del
Ghirigoro e qualcosa di invisibile urtò la spalla di Narcissa. Seppe
subito di chi si trattava, l'incantesimo di Occultamento era stato
eseguito alla perfezione: era come se Bellatrix indossasse un
Mantello dell'Invisibilità.
La
sorella maggiore le sussurrò all'orecchio in quella forma di
fantasma, come fosse già morta:
“Andiamo
in quell'angolo, prima che qualcuno mi urti. Non sono incorporea.”
Si
spostarono, rifugiandosi in un angolo meno affollato e Lucius e
Narcissa si disposero in modo da dare l'impressione di parlare tra di
loro.
“Noi
aiutiamo te, e tu aiuti Draco. Prometti,” le disse spiccia
Narcissa.
“Io
non ho bisogno di alcun aiuto,” la schernì Bellatrix.
“Ne
hai, se ti importa della vita di Delphi.”
“Il
Signore Oscuro lo accoglierà tra i Mangiamorte anche se crede che
non sia nostro figlio,” replicò la strega invisibile, trionfante.
Era certa di avere messo fine alla discussione.
“Non
lo farà quando saprà chi sono i suoi veri genitori,” disse
Narcissa rivolgendosi a Lucius, che fece un mezzo, scaltro sorriso.
“Io
sono sua madre, io!” ringhiò Bellatrix a voce un po' troppo
alta.
“Metti
forse in dubbio la parola del nostro Signore?”
“No,
io...”
“Abbiamo
le prove, Bella. Tu e Ninfadora Tonks avete partorito lo stesso
giorno, nella stessa clinica. Poi c'è stata l'irruzione dei Troll e
nella confusione i neonati sono stati scambiati... perciò Delphi è
figlio di colei che tu avresti dovuto eliminare e di un licantropo,”
le spiegò velocemente Narcissa, cercando di non mostrare il
nervosismo. Tra il fiume di gente che si accalcava nella via qualcuno
li stava spiando, anche se non avrebbe saputo dire chi di preciso.
Bellatrix
rise, una risata isterica che sembrò provenire dal muro di mattoni
accanto ai coniugi.
“Sei
pazza.”
“Il
Signore Oscuro ti ha spiegato che la vera Erede è stata cresciuta
proprio dai Lupin, Bellatrix. Dovresti prenderci sul serio, anche
perché, come sappiamo entrambe, Teddy Lupin è identica a te.”
La
risata da fantasma si trasformò in un singhiozzo e poi svanì.
“Stai
mentendo, Cissy, e il Signore Oscuro è stato tratto in inganno,
com'era accaduto con Piton,” parlò come se stesse facendo a pezzi
le parole tra i denti. “Mi state facendo perdere tempo.”
“Continua
a raccontarti menzogne, se preferisci, ma i fatti parlano
chiaramente. È Delphi il ragazzo che ama la carne cruda, amico dei
lupi mannari che dà morsi che non si rimarginano, ricordi? Ma se ti
fa stare meglio... ricorda però che se queste voci arrivassero
all'orecchio del Signore Oscuro, Egli non sarà tenero col ragazzo
che macchia come mai prima d'ora l'albero genealogico dei Black,”
sibilò tutto d'un fiato Narcissa. “Forse chiederà proprio a te di
eliminarlo, quale dimostrazione di fedeltà sarebbe più grande?”
Seguì
un lungo silenzio. Narcissa era in allerta, temeva che Bellatrix
approfittasse dell'invisibilità per compiere qualche pazzia, non la
temeva, semplicemente la conosceva fin troppo bene.
“La
protezione di Draco per quella di Delphi,” cedette infine
Bellatrix. “Draco è fuori, Narcissa. Ma Delphini, lui
sarà grande
tra i Mangiamorte, dimostrerà a tutti chi è
veramente!”
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Capitolo 17 *** Capitolo 16 ***
Capitolo 16 TCC
Teddy oltrepassò la barriera del binario 9 e ¾ coi
suoi genitori, erano diretti al treno che l'avrebbe ricondotta a
Hogwarts. Era stato il Natale più strano della sua vita: dopo
che era stata liberata dalla cella dove, chissà come, Voldemort
l'aveva rinchiusa, nulla era più stato lo stesso.
Faceva molto freddo: nuvolette di condensa le si formavano davanti al
naso a ogni respiro e la pelle del viso le pizzicava fastidiosamente.
Il treno stava già sbuffando quando sua madre si accucciò
davanti a lei e le sistemò premurosamente il mantello.
“Dopo vacanze di Natale come queste, Hogwarts
ti sembrerà noiosa,” cercò di sdrammatizzare in un
tono un po' forzato. Sua madre non aveva mai mostrato tante insicurezze
come in quei giorni, lei che in genere era diretta e scanzonata era
paralizzata dalla paura di perderla.
Teddy provò a rassicurarla:
“Stavo pensando che noi due, anche se non siamo davvero madre e figlia, siamo comunque parenti. Credo che tu sia... ehm... mia cugina. Giusto?”
Sua madre balzò in piedi come se l'avesse punta.
“Volevo dire che... insomma, mamma,” Teddy sospirò.
“Ti vorrò sempre bene, nonostante tutto.”
“Suona tanto come un addio, questo,” ridacchiò
nervosamente l'adulta. “Declassarmi da madre a cugina per non
ubbidirmi più è una trovata intelligente, ma ti avverto
che non funzionerà.”
“Dora...” l'avvertì il papà: l'Hogwarts
Express stava per partire, lui e Teddy avrebbero viaggiato assieme, sua
madre, invece, era attesa al Ministero della Magia.
“Forza, salite a bordo,” disse allegramente la donna,
spingendoli sulla vettura su cui il marito aveva già caricato i
loro bauli. Stampò un bacio sulle labbra dell'uomo e strinse
Teddy in un abbraccio stritola ossa.
Teddy ricambiò con altrettanta forza, la lasciò solo
quando fu costretta a farlo: sua madre aveva ragione, quello sembrava
davvero un addio.
Corsero nella loro cabina e si sbracciarono sporti dal finestrino fino
a che sua madre si ridusse a un puntino lontano e infine svanì.
Teddy si sedette di fianco al padre, sapeva che avrebbero avuto lo
scompartimento tutto per loro perché a nessun ragazzo piaceva
l'idea di viaggiare in compagnia di un insegnante.
“Come ti senti?” le domandò lui con gli occhi e il naso arrossati dal freddo e, forse, anche dall'emozione.
“Come se stessi per spezzarmi,” ammise Teddy.
L'adulto le passò un braccio sulle spalle e lei gli appoggiò il viso sul petto.
“Il sangue... sai, il sangue non ha alcuna importanza. Sono stato
discriminato per gran parte della mia vita a causa di una malattia che
ha a che fare col sangue ma ho sempre pensato che fosse una questione
sopravvalutata, buona solo per ferire le persone.”
“Questo significa che tu non provi niente per Delphi?”
domandò Teddy con genuina curiosità. “Ti somiglia,
anche se devo ammettere che non l'avevo notato, prima di scoprire chi
fosse davvero.”
I battiti del cuore del padre che accelerarono contro la sua guancia anticiparono la sua risposta.
“Non esiste una sola persona al mondo nei confronti di cui io non provi niente,” le disse.
“Dì la verità, papà. Qualcosa è cambiato.”
“Qualcosa. Ma poco, Teddy,” l'abbracciò stretta
stretta, quasi con la stessa forza della madre. “Ma tu sei la mia
bambina, tu, non dimenticarlo mai.”
Suo padre, ancora debilitato dall'ultimo plenilunio, si
addormentò presto, cullato dallo sferragliare ipnotico del
treno. Era così diverso dal suo padre biologico, nonostante la
natura di licantropo molto più umano. Teddy aveva visto
Voldemort di sfuggita prima che le entrasse nella testa e avvenisse lo
scambio, ma ricordava ogni particolare. La spaventata e attraeva
assieme, ma cos'era quel padre che invece di volere il suo bene si era
servito di lei per fuggire? Cos'era quella madre, la signora Lestrange,
che l'aveva usata in un modo altrettanto spregevole?
Eppure nel breve periodo che aveva trascorso a Villa Malfoy Teddy aveva
sentito un forte legame con la signora Lestrange, come se loro fossero
in qualche modo simili. Aveva pensato, pur con un pizzico di vergogna,
che se fosse cresciuta in quel luogo, con quelle persone, avrebbe avuto
più possibilità di diventare una strega potente,
perché qualsiasi sua ambizione sarebbe stata non solo ben
accolta, ma applaudita. Sapeva che gli Auror stavano dando la caccia
alla signora Lestrange e a Voldemort, per ora senza successo. Non
credeva che sarebbero riusciti a trovarli tanto facilmente, anche se si
erano mossi in fretta. Forse sarebbe scoppiata un'altra guerra, e a lei
e a Delphi sarebbe stato chiesto di schierarsi,
doveva parlarne al più presto con lui.
***
Delphi aveva trascorso le vacanze di Natale tra i morbidi contorni
della Sala Comune di Tassorosso, coi raggi del sole che l'inondavano
quando c'era bel tempo, il fuoco sempre acceso e le piante che
danzavano per lui. Il professor Paciock gli faceva compagnia
nell'attesa dell'arrivo degli altri ragazzi, che sarebbero rientrati a
breve.
“Adoro questa Sala Comune,” gli disse, sprofondando in uno dei morbidi Puf.
“Lei era a Tassorosso?” gli domandò Delphi,
giocherellando con una pianta di cui non ricordava il nome, i cui fiori
blu imitavano le sue smorfie.
Il professore scosse la testa.
“Avrei voluto, ma non sono riuscito a convincere il Cappello Parlante.”
“Davvero? Mia madre non...” Delphi si interruppe, quale
madre? Quella scomparsa che lo aveva ripudiato, o quella che aveva
costretto l'altra a buttarsi da un edificio?
Fece la smorfia più orribile che riuscisse a immaginare, sapeva
che qualunque cosa Bellatrix avesse fatto lo aveva scelto, non era
stata affatto costretta da quell'altra, la madre di Teddy. Aveva
liberato il Signore Oscuro ed era fuggita, che le importava di lui, che
dicevano fosse il figlio del professor Lupin il lupo mannaro? Anche gli
zii non lo volevano più, a nessuno importava più di lui,
aveva undici anni ed era solo al mondo.
“Io sono cresciuto con la nonna,” gli confidò il professor Paciock, come se avesse intuito i suoi pensieri.
“Io non ho nonni,” Delphi si interruppe. “O forse
sì, non lo so più...” sospirò. “Che
fine hanno fatto i suoi genitori?”
“Loro... “ l'insegnante deglutì. “Sono stati
torturati poco dopo la fine della Prima Guerra Magica.” Era
turbato, ma non abbassò lo sguardo. “Sono ricoverati da
allora al San Mungo. Ventotto anni, mese più mese meno. Li vado
a trovare spesso, ma loro non mi hanno mai riconosciuto... ma io so chi
sono loro e so chi sono io.”
Delphi capiva cosa intendeva dire. Se fosse stato davvero il figlio dei
Lupin avrebbe continuato a essere se stesso, ma aveva comunque paura e
si vergognava di confidarlo all'insegnante.
“Chi è stato a far del male ai suoi?” domandò.
Paciock esitò.
“Tu somigli al professor Lupin. È buffo che non me ne sia accorto prima...”
Delphi mosse una mano, come per scacciare un insetto molesto.
“Le ho fatto una domanda,” disse aspro.
“D'accordo,” cedette l'uomo senza discutere. Forse aveva
voluto parlare di quello fin dall'inizio. “Sono stati tre
Mangiamorte. Bellatrix Lestrange. Lei, suo marito e un altro uomo,
Barty Crouch jr.”
Delphi sapeva da chi era stato cresciuto, ma solo a larghe linee.
Nessuno gli aveva mai raccontato nei dettagli quello che avevano fatto
i suoi zii, suo cugino... suo padre, sua madre. Avrebbe potuto
chiedere, lei sarebbe stata felice di raccontarglielo, ma per
superficialità non ci aveva mai pensato, a malapena sapeva cosa
fossero, i Mangiamorte. Era storia vecchia e lui era giovane.
“Ha detto che somiglio a Lupin per addolcire la pillola?”
domandò Delphi, come se quello che gli aveva confidato su sua
madre non lo avesse minimamente toccato. “So cosa volete lei e
gli altri insegnanti, e anche la preside. So che volete tirarmi dalla
vostra parte, se ci sarà una guerra...”
“Ce n'è bisogno, Delphi?” domandò Paciock sorpreso. “Tu sei qui, non coi Malfoy, mi pare.”
“Perché loro non mi vogliono più, pensano che io
sia mezzo lupo mannaro!” buttò fuori come un conato.
“Se si è trattata davvero di una loro scelta, sappi che
allontanandoti ti hanno protetto. I Lestrange, Voldemort, i Mangiamorte
tutti, vorrebbero morto il figlio del professor Lupin e di una degli
ultimi due eredi della casata Purosangue dei Black.” Delphi era
paonazzo e tremava tutto. “Qualcuno doveva dirtelo, Delphi.”
Il ragazzo ricordò le parole di sua madre:
“Una Black che sposa un lupo mannaro, Delphi! Una delle
più nobili famiglie magiche che insozza il suo sangue,
mescolandolo con quello di un lurido ibrido! E non sapevamo che quella
pervertita di tua cugina portasse addirittura in grembo il figlio di
quell'essere...”
“Lo sapevo già,” disse in tono di sfida al professore. “Mi ha preso per uno stupido?”
Per precauzione gli voltò la schiena, non voleva che vedesse
quanto era sconvolto: probabilmente era così che si stava quando
ci si Spaccava nel mezzo di una Smaterializzazione.
La zia Narcissa lo convocò nel suo ufficio non appena mise piede
a Hogwarts e applicò dei complicati incantesimi prima di
invitarlo ad accomodarsi.
Delphi si sedette, rigido, furibondo.
“Ho incontrato tua madre,” disse senza preamboli la zia.
“Così tu e Ninfadora Tonks siete diventate amiche,”
la provocò il ragazzo, che non si era ancora ripreso dal dialogo
con il professore di Erbologia.
La strega gli lanciò un'occhiata di avvertimento.
“Sai bene di chi sto parlando.”
“Sei stata tu a dirmi...”
“Taci e ascolta! Questo non è un gioco, stiamo rischiando molto per te.”
Delphi serrò la mascella.
“Tua madre ha intercesso per te, ti vuole al suo fianco, Delphi.
Sarai il più giovane Mangiamorte della storia,” lo
lusingò astutamente la strega.
Delphi era sbalordito.
“Lei... lei mi vuole lo stesso?”
“Lei non crede che tu sia il figlio dei Lupin. Non può, ti
ama troppo. Perciò ti consiglio di non insistere su questo
punto, la strategia migliore sarebbe quella di fingere di non
sapere.”
“Ma io chi sono, zia?” gemette Delphi, prendendosi la testa
tra le mani. “Non so più chi sono...” si alzò
in piedi, voleva fuggire dall'ufficio, dalla scuola, soprattutto
fuggire da se stesso.
La zia provò a calmarlo ma lui si divincolò e corse lungo
i corridoi, gli occhi pieni di lacrime. Corse fino al bagno dei maschi
del secondo piano, senza vedere le persone che superava sfrecciando
loro accanto. Si mise di fronte a uno degli specchi e sentì un
vuoto alla bocca dello stomaco quando mise a fuoco l'immagine riflessa,
come se stesse precipitando nel vuoto.
La porta del bagno si aprì, Delphi si accorse appena che
qualcuno lo aveva seguito e non era la zia, era Lupin, lo vide nello
specchio, alle sue spalle.
Il ragazzo sollevò lo sguardo, gli occhi dell'uomo erano
spalancati e non capiva il perché. Quando riportò
l'attenzione sul riflesso la sua espressione ricalcò quella
dell'insegnante, per la prima volta vide quanto simili fossero l'uno
all'altro.
Siamo agli sgoccioli, il prossimo capitolo sarà l'ultimo :D Cosa
decideranno di fare Delphi e Teddy? Da quale parte si schiereranno?
Spero che la risposta che ho trovato non vi sembrerà troppo
scontata.
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Capitolo 18 *** Capitolo 17 ***
Capitolo 17 TCC
Le
lezioni erano riprese da diversi giorni, ma Teddy e Delphi non erano
ancora riusciti a vedersi in privato. Scilla la tallonava ovunque
andasse e Teddy si chiese se ci fosse lo zampino di suo padre dietro
l'ostinazione dell'amica che, interrogata, si era rifiutata di
ammettere un suo coinvolgimento.
Teddy
cambiò posizione sulla sedia, aveva le gambe incrociate strette al
punto che avevano iniziato a formicolarle. La lezione di Storia della
Magia si trascinava ormai da mezz'ora e lei non riusciva a
concentrarsi, le parole dell'insegnante erano un ronzio d'insetto che
non poteva scalfire il suo cupo rimuginare.
Lo
sguardo le cadde per la millesima volta su Delphi: seduto assieme ai
compagni di Casa nell'altra metà dell'aula, fissava a occhi stretti
la professoressa Malfoy.
Teddy,
all'improvviso ispirata, fece scattare in alto la mano col braccio
ben teso, sentiva che era il momento giusto per porre quella domanda
che non era riuscita a fare ai propri genitori, spaventata all'idea
di ferirli.
“Professoressa,”
chiamò senza aspettare di essere interpellata. “Ci parli dei
crimini commessi da Bellatrix Lestrange.
Nel dettaglio, per favore.”
La
strega saettò gli occhi pallidi nella sua direzione: come osava
interromperla a quel modo? Teddy s'immaginò cacciata dalla classe
con cinquanta punti sottratti a Serpeverde per punizione... non che
le importasse più granché della Coppa delle Case, ma si sarebbe
comunque trattato di un'ingiustizia.
“È
argomento del settimo anno,” rispose invece gelida l'insegnante,
senza aggiungere altro. Riprese il resoconto delle prodezze di Uric
Testamatta, ma dopo alcuni secondi Delphi saltò in piedi e disse:
“Io
ne conosco due, di quei crimini. Beh, uno dei due lo sarebbe stato,
se mia m... la signora Lestrange non avesse fallito.”
“Dieci
punti in meno a Tassorosso,” sibilò stavolta la professoressa
Malfoy, punizione che non servì a fermare il ragazzo.
“Ha
torturato fino alla pazzia i genitori del professor Paciock,”
informò la classe, scatenando diversi gemiti e sussulti tra i
compagni. Delphi si rivolse a Teddy, che si era portata una mano alla
bocca e sentiva lo stomaco in subbuglio. Conosceva bene Neville... o
almeno, era quello che credeva. “E ha tentato di uccidere tua
madre, Teddy,” le disse il ragazzo. “O mia madre.” Si accarezzò
il mento con la mano, gli occhi rivolti in alto in una grottesca
imitazione di una persona pensierosa. “Tu come lo diresti, zia?”
“Avrai
una punizione esemplare, Delphini, ecco quello che dico. Interrompi
nuovamente la lezione e io...”
“Chiami
mia madre?” la sfidò lui. Mise la bacchetta sul banco, come fosse
tentato dall'idea di provare qualche incantesimo sulla zia.
Anche
Teddy si alzò in piedi, prese la bacchetta e la mise ben in vista
davanti a sé. Non intendeva servirsene, pensava più a un atto
intimidatorio.
“O
mia madre?” lo spalleggiò dimenticando ogni remora, la sensazione
di potere che le diede parlare in quel modo a un'insegnante le
scatenò un brivido di piacere così intenso che si chiese come
avesse fatto a vivere fino ad allora senza averlo provato mai: quanto
era stata grigia la sua vita? Avrebbe fatto di tutti pur di poter
sentire di nuovo quella sensazione.
La
classe assisteva attonita e confusa alla scena, nessuno dei ragazzi
sapeva cos'era successo tra le famiglie Lupin e Lestrange.
La
professoressa Malfoy lanciò un'occhiata sprezzante alle bacchette
dei ragazzi, per nulla intimorita nonostante conoscesse la vera
identità del padre di Teddy. Infastidita, la ragazza impugnò
l'arma, ma le venne strappata di mano e scagliata in fondo all'aula
prima di avere il tempo di formulare un incantesimo. Alzò lo sguardo
sbigottita: l'adulta l'aveva disarmata con un gesto fulmineo e senza
pronunciare formule ad alta voce. Teddy pensava che solo gli Auror,
suo padre – entrambi i suoi padri – e Harry Potter ne fossero in
grado.
“Fuori.
Tutti e due,” ordinò la professoressa Malfoy, Appellando entrambe
le loro bacchette, che sfrecciarono attraverso l'aula fino alla
cattedra.
Teddy
si chiuse la porta dell'aula alle spalle, scombussolata ma
soddisfatta, in fondo avevano ottenuto ciò che voleva: lei e Delphi
erano soli.
“Finalmente,”
sospirò. “Ma non durerà a lungo, presto qualcuno verrà a
prenderci... hai pensato cosa fare? Verrai a vivere con noi?”
Delphi
si appoggiò alla parete di pietra. Era gennaio e il corridoio era
gelido.
“I
tuoi mi prenderebbero?”
Teddy
non aveva dubbi.
“Certo.
Sei tu quello che hanno coccolato nella pancia di mia madre per nove
mesi. Cioè tua madre. Insomma, hai capito.”
Delphi
fece una smorfia.
“Scommetto
che non erano esattamente entusiasti quando hanno scoperto di me...”
“E
perché mai?” chiese Teddy confusa.
“Lupin
è un lupo mannaro, Teddy.”
“Credo
di essermene accorta,” si indispettì lei, ma Delphi non si lasciò
scoraggiare dal suo sarcasmo.
“I
Mangiamorte non avevano l'esclusiva del disprezzo per quelli come
lui, ti sei mai chiesta perché ha insegnato un solo anno a Hogwarts,
prima della guerra?”
Teddy
sentì un moto di rabbia nei confronti del ragazzo, la stava facendo
sentire stupida e superficiale, perché no, non ci aveva mai pensato
o chiesto spiegazioni in merito. Harry, Hermione e anche Ron dicevano
che lui era stato il miglior insegnante che avessero avuto, ma lei
non aveva mai pensato che era strano che un professore con tanto
talento fosse stato allontanato dalla scuola dopo solo un anno di
lavoro.
“È
dovuto scappare,” spiegò Delphi.
“Scappare?”
“Hanno
scoperto che era un lupo mannaro e si è volatilizzato prima che i
genitori degli alunni gli facessero la pelle,” spiegò
tranquillamente Delphi.
“Tu
come lo sai?” chiese lei, scettica.
“Me
lo ha raccontato il professor Paciock. Era uno degli alunni,
all'epoca.”
“Questo
lo so!” disse lei, sempre più irritata.
Teddy
sapeva che i lupi mannari erano discriminati, suo padre aveva
accennato a quel problema anche sul treno, pochi giorni prima.
Ma
le sue erano state sempre allusioni generiche, diluite in discorsi
che presto avevano cambiato rotta, a volte anche bruscamente, e lei
non aveva mai pensato a quanto fosse sospetto, né indagato oltre.
“Quindi,
secondo te, loro non mi... non ti volevano?”
“Sarebbe
stato folle il contrario, Teddy! C'era la guerra e i Mangiamorte mi
avrebbero di sicuro ammazzato, e se invece l'avessi scampata, che
razza di vita avrei avuto?”
“La
mia è stata una vita splendida!” protestò Teddy. “Molto meglio
della tua, se è per questo.”
Delphi
sbuffò.
“Perché
l'Ordine della Fenice ha vinto la guerra, ma loro che ne sapevano che
sarebbe andata così? Neanche tu, che sei una Veggente, ci capisci
niente del futuro. I miei veri genitori non mi hanno voluto per il
poco tempo che ho trascorso con loro, e quella che considero ancora
mia madre non mi vuole se sono un Lupin...” grugnì, alzò il viso
e pronunciò con la voce tremante di rabbia:
“Mentre a te, ti vogliono tutti: i Lupin, i Malfoy ci scommetto, e
perfino il Signore Oscuro!”
Teddy,
che stava provando risentimento nei confronti dei Lupin e pena per il
ragazzo, ebbe un sussulto di protesta.
“Voldemort
mi ha usata e abbandonata in una cella di Azkaban!”
“Mia
madre mi vuole al suo fianco,” buttò lì Delphi.
Era
troppo occupato ad autocommiserarsi per starla a sentire, perciò
Teddy decise di non insistere e limitarsi ad ascoltare, per il
momento.
“Come.”
“Non
sente ragioni, è convinta che io sia suo figlio. Se tacessi, se
fingessi di non sapere...”
“Diventeresti
un Mangiamorte. È questo che vuoi?”
“Forse
sei tu a volerlo, le somigli talmente!” reagì violentemente
Delphi.
“Io
non torturerei mai nessuno fino alla pazzia,” disse Teddy,
assolutamente certa della propria posizione. Immaginava che chi
subisse torture da altri maghi non provasse meno dolore di quello che
sentiva suo padre quando si trasformava con la luna piena, e lei
aveva uno stretta allo stomaco solo a pensarci.
“E
allora cosa faresti?” domandò Delphi, lasciandosi andare a un tono
supplichevole che Teddy non gli aveva mai sentito usare. “Cosa
facciamo?”
Teddy
ci pensò. Pensò fino a che non furono costretti a separarsi e non
smise fino a che non ebbe trovato una soluzione.
“Partiremo
da dove tutto è iniziato,” informò Delphi, diversi giorni dopo.
***
Tonks
entrò senza bussare in quella che ora era la stanza dei suoi due
figli. Quando Delphi aveva accettato la loro offerta di ospitalità
si era sentita subito ottimista, sollevata ed euforica, ma pur
concordando sul fatto che era normale che ci fosse bisogno di un
periodo di assestamento, le cose tardavano a prendere la svolta tanto
agognata da lei e Remus.
“Mamma!”
protestò Teddy, facendo sparire qualcosa sotto al letto.
“Ehi!
Pensa se entrassi io in camera tua in questo modo,” disse Delphi
con un sorrisetto furbo.
“Sto
uscendo,” li informò tranquillamente Tonks. “Mi hanno chiamata
al Ministero.”
I
due ragazzi si scambiarono un'occhiata d'intesa.
“Bene.
Ciao, allora.”
“Prima
di lasciarvi soli a struggervi di nostalgia a causa della mia
assenza, posso sapere cosa state combinando?”
“I
compiti delle vacanze.”
“Nascosti
sotto al letto? Avanti, fuori il malloppo.”
Teddy
le consegnò quello che riconobbe essere l'album di fotografie della
loro famiglia.”
“Oh,”
mormorò Tonks, intuendo quale fosse il problema. “Sapete cosa
potremmo fare? Alla prossima gita a Londra faremo degli scatti
assieme a Delphi, così ci sarà anche lui in quest'album.”
I
due ragazzini distolsero contemporaneamente lo sguardo, imbarazzati.
“Se
ti va', naturalmente, Delphi,” lo tranquillizzò Tonks.
“Mmmh,”
emise lui, tenendo gli occhi rivolti verso il pavimento.
Teddy
sembrò sul punto di dire qualcosa, aprì la bocca, la richiuse e la
aprì di nuovo, dopo aver preso un lungo respiro.
“Ora
posso riavere l'album?” sembrava sulle spine.
Tonks
lo sfogliò velocemente, poi lo chiuse senza indagare oltre: era
tardi.
Si
richiuse la porta alle spalle e origliò.
“Il
regalo per l'anniversario di matrimonio di mamma e papà verrà
benissimo!” esclamò Teddy entusiasta.
“Ah...
ehm, sì, non se lo aspettano di sicuro, sarà una sorpresona,”
replicò Delphi.
Tonks
ebbe un tuffo al cuore: quindi era quello il motivo del continuo
complottare dei due ragazzi? Era da quando erano rientrati a casa per
le vacanze estive che si isolavano per ore, facendo preoccupare sia
lei che Remus. Era più di quello che avesse sperato e fu col cuore
carico di gioia che si recò al Ministero per una nuova, estenuante
giornata di lavoro.
***
“Psst,
secondo te se ne è andata?”
Teddy
tese l'orecchio, un dito premuto sulle labbra. Si udì in lontananza
il suono della porta d'ingresso che veniva chiusa.
“Via
libera,” disse. Impugnò la bacchetta e chiese a Delphi:
“Di
che colore erano i capelli di mia madre nell'ultima fotografia che ti
ho mostrato?”
“Rosa,”
disse lui.
“Oblivion!”
scandì Teddy concentratissima: sapeva bene che un Incantesimo di
Memoria utilizzato scorrettamente poteva causare danni irreparabili.
Abbassò la bacchetta e ripeté la domanda.
“Non
ne ho idea,” disse Delphi con occhi vacui. “Non posso certo star
dietro a tutti i suoi cambi di colore.”
“Oh,
andiamo, era il suo preferito, è facilissimo!”
Delphi
sorrise.
“Sarà...
ma io non lo ricordo, mi spiace.”
“Erano
rosa e tu lo sai.”
“Fossero
stati rosa me lo ricorderei, immagino,” insistette Delphi con
estrema tranquillità.
Teddy
si accorse di aver trattenuto il respiro. La paura di sbagliare era
tanta, anche se pareva padroneggiare l'Oblivion quasi alla perfezione
non voleva causare danni permanenti a qualcuno. Fortunatamente lo
scambio tra lei e Delphi neonati era noto solo a un gruppo molto
ristretto di persone che erano abbastanza sensibili e discrete da non
parlarne mai e comunque lei avrebbe provveduto a eliminare le prove,
perciò sarebbe stato sufficiente cancellare il ricordo dello scambio
dalle menti dei Lupin e di Andromeda. Delphi sosteneva che i Malfoy
sarebbero stati ben felici di liberarsi di lui e comunque, in caso di
necessità, anche il ragazzo era in grado di usare l'incantesimo.
Quello
che lei e Delphi desideravano era essere di nuovo loro stessi: Teddy
LUPIN e Delphini LESTRANGE. In un futuro non molto lontano sarebbero
tornati in patria come l'alternativa all'Ordine della Fenice e ai
Mangiamorte. Teddy sapeva di essere all'altezza di quel compito.
***
“Lo
abbiamo trovato che vagava per Diagon Alley, non ricordava più dove
era diretto né perché si trovasse lì.”
L'Auror,
un giovane arrivato da poco al Ministero, fece un cenno a un collega,
che accompagnò nel cubicolo di Tonks un mago dall'aria rilassata,
con un aspetto che le era vagamente famigliare.
Tonks
girò attorno alla scrivania per ispezionarlo e l'uomo collaborò con
un sorriso sognante sul viso, non sembrava affatto turbato per la
perdita di memoria.
“Avete
scoperto di chi si tratta?”
“Dice
di essere un Guaritore, lavora al San Mungo, il suo nome è Magnus
Change. Florian, dopo avergli visto percorrere la via senza meta per
il quarto giorno di fila, gli ha chiesto se poteva essergli d'aiuto.
Ha chiamato noi dopo aver intuito quello che gli era accaduto. Un
particolare interessante: alla fine degli anni novanta ha lavorato in
una clinica segreta su cui Mared ci ha detto che hai indagato...
forse le due cose sono collegate,” concluse l'Auror con una certa
eccitazione. Sperava di essere incappato in qualcosa di grosso.
"Ah, sì, una falsa pista,” fu
costretta a deluderlo Tonks, che aveva un ricordo confuso del perché
si fosse buttata in quell'infruttuosa ricerca e con Voldemort in
libertà aveva ben altro di cui occuparsi.
"Gli hanno fatto sicuramente un
Incantesimo di Memoria,” la informò Phil. “ E abbiamo trovato
traccia di magia fatta da minorenni!”
"Cosa non infrequente a Diagon
Alley...”
"Ma solo nei pressi della
bottega di Ollivander.”
Tonks
alzò lo sguardo sulla fotografia attaccata alla parete di fronte:
Remus e sua figlia Teddy la salutavano dalla Londra Babbana, la
piccola indossava degli occhiali da sole di plastica verde. Si chiese
come si trovasse a Castelobruxo.
Esattamente quattro giorni prima lei, Remus e Teddy si erano recati a
Diagon Alley per comprare le ultime cose prima della partenza e le
avevano dato il permesso di fare un giro da sola. Ormai era grande e
presto sarebbe andata senza di loro in Sud America, cos'era Diagon
Alley a confronto? Aveva argomentato per convincerli a concederle un
po' di libertà.
Quando aveva espresso il desiderio di partecipare a uno scambio di
alunni con la scuola di magia sudamericana lei e Remus non erano
stati molto entusiasti all'idea, con Voldemort in libertà sapevano
che lei era in pericolo e che Bellatrix l'avrebbe inseguita ovunque
per ucciderla, sporcava l'albero genealogico dei Black come mai prima
d'allora... ma c'era un altro ragazzo in pericolo, il piccolo
Delphini. I Malfoy erano decisi a mandarlo lontano, avevano
assicurato che Bellatrix non sarebbe mai andata fino a là per
riprenderselo, non con una guerra da programmare in Gran Bretagna al
fianco di Voldemort. E così Teddy era partita, con lui. Quasi
sicuramente era più al sicuro di quanto non lo sarebbe stata in Gran
Bretagna con loro.
Tonks si accorse che il collega le
stava ancora parlando.
"Mi spiace di non poter essere
d'aiuto alla tua indagine, Phil,” disse. “Ora, se vuoi scusarmi,
ho un mucchio di roba da fare.”
Si sedette alla scrivania e tra le
carte sui possibili spostamenti di Voldemort e Bellatrix rinvenne la
fotografia che Teddy aveva inviato dal Sudamerica: lei e Delphi in
posa davanti a un edificio di pietra dorata, più simile a un tempio
che a una scuola. Indossavano delle vesti verde brillante e avevano
un'aria molto solenne per due dodicenni.
Tonks appese la fotografia accanto
a quella di Remus e Teddy a Londra, i visi dell'uomo e quello del
ragazzo che si toccavano.
"Che buffo,” mormorò tra sé
e sé. “Sembra che si somiglino.”
Ed
eccomi qua! Ho riscritto questo finale mille volte, ma sono quasi
certa che ci sia ancora qualcosa che non quadra a cui non ho pensato
e probabilmente anche qualcosa che ho dato per scontato e che perciò
non si capisce. Per suggerimenti o domande di chiarimento io sono qui
^^
Ringrazio
tutti quelli che mi hanno seguita nonostante i ritardi nella
pubblicazione dei capitoli, spero che la storia vi abbia
piacevolmente intrattenute.
Alla
prossima :-)
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