Nella notte e nel buio

di lithnim222000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Il furto ***
Capitolo 2: *** 1- Dioniso è una brutta statuina e Will fischia come un treno merci. ***
Capitolo 3: *** Selzione OC - Club di Atene ***
Capitolo 4: *** Selezione OC - Club di Sparta ***
Capitolo 5: *** Selezione OC - Sparta ed Esterno ***
Capitolo 6: *** 2- Questa gara non s'ha da fare ***
Capitolo 7: *** 3- Chi scende e chi sale ***



Capitolo 1
*** Prologo - Il furto ***


Tic-tac. Tic-tac.

I secondi sgocciolavano via con una rapidità allarmante, come la sabbia di una clessidra fra le dita. Mollemente abbandonato contro lo schienale della sedia, le braccia incrociate e il cappuccio della felpa calato sulla faccia, Os se li lasciava scorrere addosso, e fluire dietro le proprie spalle.

Davanti a lui, la donna, la sua dea, lo osservava con pigrizia mista a blanda curiosità, un gomito posato sul vecchio tavolo grigio e la mano smaltata a sostenere il capo inclinato. Era vestita in maniera più elegante del solito, quella notte: un lungo abito da sera, di seta rossa, ne fasciava il fisico snello, scendendo fino ai piedi, e un paio di affusolati orecchini d'oro le scendevano sulle spalle magre, coperte da uno scialle di pelliccia scura. I capelli, acconciati in una crocchia artisticamente disordinata, erano dello stesso colore del rame appena lucidato, e si intonavano perfettamente al trucco, sui toni del bronzo. Taceva, e lo guardava.

Il ragazzo non sapeva quanto tempo fosse passato -non riusciva mai a capirlo- ma iniziava a sentire un vago senso di oppressione al petto per quel silenzio che si stava protraendo troppo a lungo.

-Stai bene.- sentì la propria voce pronunciare, alla fine. La sua dea abbassò per un istante gli occhi sul vestito, per poi tornare a rivolgerli a lui.

-L'hai notato?- replicò, senza perdere quell'ombra di sorriso che le increspava le labbra color ciliegia -Volevo mettermi qualcosa di speciale per stanotte. È il nostro anniversario, dopotutto, no?

Suo malgrado, Os sentì la gola seccarsi. Il ticchettio delle lancette si fece più forte e più vicino, ma come al solito non c'era nessun orologio nella stanza semibuia.

-Sì. Un anno esatto dalla prima volta che ti ho chiamata.

-E tre mesi al giorno in cui sarò io a chiamare te.- gli ricordò la dea. Fece una pausa -Sempre che tu non cambi idea. Nel qual caso, però...

-...dovrò pagarti un prezzo. Lo so. Me lo ricordo.

-Ci tenevo solo ad esserne sicura.- si alzò, ergendosi in tutta la sua statura, e gli sorrise un'ultima volta, indietreggiando. Le sue dita tracciarono scie sinuosa nella polvere sul piano del tavolo -Comunque, stanotte il nostro tempo insieme è terminato.

-Ma non è ancora l'alba.

-Altri ti reclamano, prima che sorga il sole.- la dea aprì la porta, ma si fermò sulla soglia -Non dimenticare, semidio: trentun dicembre. Io sarò là ad aspettarti.

La porta si richiuse, e il ritmico scandire dell'orologio si fermò di colpo. Ora il silenzio era totale.

-Che tipa carina la tua amica, Os.- una voce dietro le sue spalle lo distrasse, facendolo balzare in piedi.

-Morfeo!- i suoi occhi si posarono sulla figura snella del ragazzo, appoggiato al muro con le braccia incrociate. Quanto ad aspetto, invece, suo fratello era lo stesso di sempre: un bel ragazzo dai capelli ricci e scuri, premuti sotto un cappellino da baseball. Indossava jeans scoloriti, con più buchi che stoffa, scarpe da ginnastica che si tenevano insieme a dispetto della forza di gravità e felpa rosso brillante, con la scritta in nero “chase your dreams, go to sleep”. Be', certe cose non cambiavano mai.

Morfeo lo salutò mostrando il solito ghigno.

-Ehilà, pulce. Quindi insisti ancora con questo tuo assurdo progetto?

-Non è assurdo.- sospirò debolmente lui. L'avevano già fatto troppe volte quel discorso -E comunque sono affari miei. Che cosa sei venuto a dirmi?

Il ragazzo si staccò dalla parete.

-Dirti, nulla. Ma io e gli altri abbiamo qualcosa da mostrarti.- batté le nocche sull'intonaco scrostato -Fantaso, possiamo andare.

Improvvisamente la terra mancò sotto i piedi di Os. Tutto il fiato gli uscì dai polmoni mentre si sentiva precipitare alla velocità del suono, i vestiti gonfi d'aria. Si era già trovato altre volte in una situazione simile, ma diamine se detestava il modo in cui guidava Fantaso.

-Dove siamo diretti?- riuscì a gridare a Morfeo, al di sopra del vento che gli fischiava nelle orecchie. Quello sorrise, una mano a tenersi in testa il cappellino.

-Lo vedrai, fratellino! Reggiti, sta per frenare!

Aveva appena finito di dirlo che il mondo smise di roteare, e il ragazzo si ritrovò a cadere dal soffitto di una grotta buia, in mezzo ad una nuvola di pipistrelli spaventati. Proprio un attimo prima che la sua schiena si schiantasse contro il suolo, un paio di braccia squamose lo afferrarono al volo.

-Uff.- sbuffò, sollevato, mettendo finalmente i piedi a terra -Grazie, Fobetore.

Il suo salvatore, una lucertola gigante, dagli occhi dorati che luccicavano nell'oscurità, fece guizzare la lingua biforcuta fra le zanne.

-Sssempre un piacere, Osss.

-Ba'.- Morfeo spuntò al loro fianco, rassettandosi gli abiti con le mani -Fantaso, fratello mio, è ora che tu ti decida a dare quell'esame di guida, dico davvero.- disse, rivolgendosi ad una stalagmite che si ergeva lì di fianco. Poi spostò lo sguardo sugli altri due -Sei tutto intero, Os? Bene. Seguimi.

Camminarono in silenzio lungo i cunicoli della grotta, uno dietro l'altro. L'eco dei loro passi si ingigantiva fra le pareti, confondendosi con il suono lontano di acqua che gocciolava in una pozzanghera.

Alla fine, Morfeo li fece fermare. Erano giunti al centro di quello che sembrava un labirinto di roccia, intricato come una ragnatela. A pochi passi da loro, nel buio, qualcosa risplendeva di una luce evanescente.

-Avvicinati.- lo esortò Morfeo, dandogli una spintarella -Guarda bene, ma non toccare nulla.

Il ragazzo obbedì. Passo dopo passo, il chiarore si faceva più intenso, finché i suoi occhi non riuscirono a distinguere chiaramente i contorni di un telaio di legno, a cui erano appesi dodici spessi fili. Erano quelli ad emanare il bagliore azzurrino. Il fiato del ragazzo si bloccò in gola.

-Cosa...?- si voltò verso i fratelli -Sono quello che credo io? I fili della vita, tessuti dalle Moire?

Fobetore annuì. Il suo muso di lucertola cominciò a mutare, finché Os non si rese conto di star fissando un immenso orso grigio, dai denti a sciabola.

-Non è stata colpa nostra.- disse, con voce profonda -Lei ci ha ordinato di rubarli. Non possiamo disobbedire a Lei.

-Non volevamo farlo.- aggiunse Morfeo. Aveva il tono più serio che il ragazzo gli avesse mai sentito usare -Non ne verrà fuori niente di buono. Ma abbiamo dovuto.

Os si voltò di nuovo a guardare il telaio. I fili continuavano a risplendere immobili, ma ognuno di essi emanava un'aura di tale potenza da fargli venire le vertigini.

-Okay.- scandì, cercando di respirare -Di quale Lei state parlando?

-Non possiamo dirtelo, temo.- Morfeo allargò le braccia -Ma era importante che tu vedessi questo.

-Perché? Cosa volete che faccia?

Fobetore cambiò forma di nuovo. Ora era diventato un grosso uccello trampoliere, dagli occhi rossi come il sangue e un becco nero, lungo e affilatissimo.

-Non è chiaro, Os?- gracchiò, inclinando il capo verso di lui -Tu devi ritrovarli. Devi recuperare i fili della vita degli dei.

 

Africa era in riva al lago quando arrivò quel brutto presentimento. Non fu nulla di più che un fremito nella luce dell'alba, un leggero incresparsi del vento fresco di ottobre, ma lei, la figlia dell'intuito, dell'espediente, queste cose era abituata a coglierle.

In meno di un minuto aveva rinfoderato Micros, il proprio coltello, nella guaina che portava al fianco ed era scattata di corsa verso la zona delle cabine.

Non si era ingannata. Quando giunse al campo c'era già una piccola folla assemblata davanti alla capanna dei figli di Ipno. Sopra le teste dei semidei svettava la groppa bianca di Chirone, chino sull'ingresso, con l'arco e la faretra infilati a tracolla sulla schiena. Stava parlando con qualcuno e, anche se la ragazza non riusciva ad udire le parole, dedusse dal rapido gesticolare del centauro che non stesse discutendo del tempo che avrebbe fatto il giorno dopo.

-Scusate, largo.- si tuffò in mezzo al gruppetto di semidei, sgomitando per farsi spazio. Non era certa di cosa stesse accadendo, ma il presagio funesto di poco prima era tornato più forte quando aveva visto la cabina di Ipno. Quella era la cabina di Os. Che lui avesse qualcosa a che fare con quella faccenda?

Raggiunse Chirone proprio mentre il centauro infilava le zampe nella sedia a rotelle, per poter entrare nella capanna. Prontissima, afferrò i manici della carrozzina.

-Ti do una mano, Chirone.- si offrì. Chirone le gettò un'occhiata al di sopra della propria spalla.

-Africa, per fortuna. Ti avevo già mandata a chiamare, ma sei già qui. Clovis!- si voltò verso il capocabina, che nonostante l'orario, notò sorpresa la ragazza, sembrava sveglissimo e anche piuttosto agitato -Va' a dire che non c'è più bisogno di cercarla.

-Che cosa succede?- domandò la ragazza, mentre Clovis correva via con la sua goffa andatura da papera.

-Non riescono a svegliarlo.- sospirò il centauro.

-Di nuovo?

-Di nuovo.

Dall'interno della capanna si levò improvvisamente un grido terrorizzato che fece sobbalzare la metà dei semidei presenti nello spiazzo. Senza perdere altro tempo, Africa spinse la sedia a rotelle di Chirone all'interno e si richiuse la porta alle spalle.

Odisseo era sdraiato nel suo solito letto, quello sotto la finestra, o almeno in ciò che ne restava. Quello che un tempo era stato un piumone era ridotto ora ad un ammasso strappato di stoffa e piume, mentre sul cuscino e sul materasso erano visibili profondi graffi. Il ragazzo si dimenava come un ossesso, nonostante un paio dei suoi fratelli cercassero di tenerlo fermo.

-Africa, per fortuna!- esclamò James, uno dei due, quando la vide arrivare -Inventane una delle tue per svegliarlo, ti prego! È mezz'ora che va avanti così!

Africa mollò i manici della carrozzina di Chirone e si inginocchiò di fianco al letto, prendendo il capo del ragazzo fra le mani. Os aveva i capelli aggrovigliati e la fronte sudata, solcata da profonde rughe. Sotto le palpebre serrate, le sue pupille guizzavano come impazzite.

-Avete provato con la luce? Un bicchiere d'acqua?

-Non funziona niente.- negò Rocky, l'altra sorella -Ho anche provato a connettermi al suo sogno, ma non è servito...Non capiamo proprio quale sia il problema.

Africa sbuffò. Che Os resistesse alla cara vecchia secchiata d'acqua in faccia non era mai capitato. A quel punto, rimaneva solo un unico metodo da tentare.

Aveva già estratto Micros dalla sua guaina e l'aveva avvicinato al braccio del ragazzo, quando improvvisamente, con un grido più forte degli altri, Odisseo si strappò alla presa dei fratelli e scattò a sedere, il respiro affannoso. Gli occhi, aperti e dilatati, saettarono sui volti che lo circondavano, senza avere l'aria di riconoscerli.

-Os?- Africa si alzò in piedi e allungò una mano, ma il ragazzo si scostò. Allora lo afferrò saldamente per una spalla -Odisseo, Os, sono io. Svegliati. Ci sei, Os? Sei con noi?

Lentamente, il ragazzo smise di agitarsi. Annuì, strappandole un sorriso.

-Fantastico. Bene, allora tutto risolto anche questa volta. Certo che dovresti proprio smettere di...

-Tutto risolto un corno, Africa.- la interruppe brusco il ragazzo. La sua voce tremava leggermente, come se avesse appena visto un fantasma -Il sogno che ho fatto...non era solo un sogno.

-Che vuoi dire, Odisseo?- Chirone si fece avanti, spingendo le ruote con le mani -Qualche divinità ti ha contattato?

Os annuì di nuovo. Prese un respiro profondo.

-È successo un disastro. I fili della vita degli Dei Maggiori...qualcuno ha ordinato agli Oneiroi di rubarli.

 

La parola all'autrice

Ehilà! Ebbene sì, sono finita anch'io nel fantastico mondo delle interattive. Va be', in realtà è un po' che quest'idea mi frulla in testa, e oggi ho finalmente trovato un po' di tempo per metterla in pratica. Spero che il prologo vi abbia incuriositi e che partecipiate numerosi!

Passo subito a regole, scadenze e cose varie.

1-I personaggi saranno tutti buoni. Mi servono semidei figli di divinità minori per questa storia, perché, come avrete capito, i Big Twelve sono fuori gioco. Quindi niente figli di Zeus, Poseidone, Ade e compagnia bella. Se vi servono suggerimenti per i genitori divini, digitate “Lista di divinità della mitologia greca” su Google e trovate una pagina di Wikipedia zeppa di nomi. Però niente giganti, titani e originalità di questo genere, perché alla fine si torna sempre sui soliti cliché.

2-I personaggi vanno prenotati prima tramite recensione e inviati solo dopo il mio okay (non è per avere più recensioni, è una questione di praticità). Potete inviarne due a testa, ma vi avverto che voglio solo un figlio per ogni divinità. Se scegliete un genitore divino uguale a quello di qualcun altro, sarò io a decidere quale prendere dei due. Trovate la scheda qui sotto. P.S: non so ancora quanti semidei prenderò, voi intanto inviatemi le schede. Più sono ben scritte (niente liste di aggettivi a casaccio, per capirci) più possibilità avete che il pargolo venga accettato.

3-la scadenza delle iscrizioni è per il 10/03 a mezzanotte. Niente ritardi!

 

SCHEDA PERSONAGGIO

Nome e Cognome + eventuale soprannome:

Età e data di nascita:

Genitore divino e rapporto:

Genitore mortale e rapporto (potete aggiungere una famiglia, se volete, ma formata da soli mortali):

Descrizione fisica (anche cosa indossa di solito, o se c'è qualcosa da cui non si separa. Originalità!):

Prestavolto (voglio il nome, ma accetto anche il link di un'immagine che vi piace, con la clausola che comunque l'ultima parola sull'immagine da inserire ce l'avrò io):

Descrizione caratteriale (tutto quello che vi pare, ma attenti che qui ve la giocate...):

Storia personale(premessa: la storia è ambientata in inverno, perciò trovate un modo per giustificare la presenza al campo dei vostri semidei):

Paure/disturbi psicologici/malattie/allergie (però non sparate cavolate):

Orientamento sessuale+preferenze per fidanzamenti (potete mettervi d'accordo fra voi o indicare solo il tipo di persona. Mi serve qualcuno che si metta temporaneamente con Africa, la quale è etero, quindi se volete prenotatevi):

Arma (facoltativo):

Abilità:

Frase di presentazione:

Altro (sport, amici, aneddoti, tutto ciò che può farmi conoscere meglio il vostro personaggio):


I MIEI PERSONAGGI:


Odisseo "Os" Seawind, figlio di Ipno - 16 anni
"«Solo mi resta un attimo. Vi prego!
Ditemi almeno chi sono io! chi ero!».
E tra i due scogli si spezzò la nave.
"


Africa "Rik/Rikie" Gordon, figlia di Poros - 16 anni
"Teach me how to fight, I'll show you how to win."

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Capitolo 2
*** 1- Dioniso è una brutta statuina e Will fischia come un treno merci. ***


Il Signor D è una brutta statuina e Will fischia come un treno merci.


-Africa, non sono sicuro che sia una buona idea.- la voce di Connor Stoll giunse dal basso, poco più di un sussurro -Ahio!- aggiunse subito dopo, più forte, quando la ragazza gli piazzò un piede sulla testa per raggiungere un punto ancora più in su.

Africa sbuffò, evitando di rispondergli: stare in equilibrio sulle sue spalle, in piedi, mentre cercava di far scattare la serratura arrugginita di una finestra della Casa Grande era già abbastanza complicato, anche senza dover rispondere ai suoi commenti idioti. Accidenti, ma chi aveva messo così in alto le imposte sul retro dell'abitazione?

Con la lingua fra le labbra, concentrata, continuò a ruotare la forcina dentro il buco della serratura, spingendo con tutte le sue forze per vincere l'opposizione degli ingranaggi deteriorati. Alla fine, il tanto atteso clic della finestra che si apriva le strappò un sorriso soddisfatto.

-Ci sono riuscita, Con.- annunciò, sporgendosi un attimo verso il basso -Adesso entro e poi ti tiro su.

-Fa' in fretta!- il tono di Connor era urgente -Mi sa che Hedge sta tornando dalla sua passeggiata quotidiana con il piccolo Chuck, e se mi vede qui...

Africa spinse il vetro e scavalcò il davanzale, atterrando sul lucido parquet del salotto. Immediatamente, un fortissimo odore di mosto le invase le narici, ma non ebbe il tempo di stare a goderselo: si sporse fuori, agganciando la mano del figlio di Ermes e issandolo dentro più rapidamente che poté.

-Hai messo su peso!- si lamentò battendogli un colpetto sul braccio, quando finalmente anche Connor fu dentro la stanza -Che c'è, gozzovigli da quando tuo fratello è via?

-Ma va', sono tutti muscoli.- Connor fletté il bicipite, con aria da atleta -E comunque non mi serviranno a niente se il signor D ci incenerisce per esserci introdotti qui...

-Al massimo ti trasforma in un delfino.- tagliò corto la ragazza, muovendo qualche passo verso il centro della sala. L'interno era completamente rivestito da tralci di vite, da cui pendevano grappoli rossi e verdi dall'aria succosa. Le piante coprivano le pareti e il soffitto e si attorcigliavano, come barbe e capelli, introno ad un'incredibile assortimento di maschere di ogni tipo, appese alle pareti.

-Mi sembra tutto normale.- commentò Connor, incrociando le braccia -Perché hai voluto che scassinassimo una finestra? Oh, carino questo.- agguantò un soprammobile di vetro e se lo intascò con assoluta naturalezza.

-Io l'ho scassinata, tu facevi da scala.- precisò distrattamente la ragazza, avvicinandosi alla libreria lungo una parete. Senza accorgersene, iniziò a picchettare ritmicamente una falange sugli scaffali di legno, mentre scorreva con lo sguardo i dorsi dei libri -Comunque, perché Chirone a quest'ora avrebbe lezione di tiro con l'arco, ma invece di essere nell'Arena si è piazzato sulla veranda della Casa Grande e impedisce a tutti di entrare. E perché il signor D non è lì con lui a giocare a pinnacolo.

-Magari è in gita sull'Olimpo, o in giro qualche ninfa carina, o in bagno...- iniziò ad elencare il ragazzo, spazientito. Poi però si interruppe di botto, trasalendo -...o magari è steso sul divano. Ric, vieni qui, credo che stia male!

La ragazza si era già fiondata al suo fianco.

Connor aveva ragione: il signor D non aveva affatto un bell'aspetto. Sdraiato sui cuscini del divano con la stessa rigidezza di una statua di marmo, la camicia hawaiana a fenicotteri rossi tirata sulla pancetta tonda da bevitore e un rivoletto di bava che gli colava fra la barba dalla bocca spalancata, avrebbe anche potuto sembrare una visione divertente se non fosse stato per gli occhi: il suo sguardo era vitreo e incolore, fisso nel vuoto come quello di un pesce morto. Una morsa di gelo serrò lo stomaco della ragazza: Dioniso era forse...?

Connor si chinò in avanti e piazzò due dita sotto il naso rosso del dio.

-Respira.- annunciò in tono sollevato. La ragazza sentì le gambe diventare molli per il sollievo. Per un attimo aveva davvero temuto il peggio. Si era sempre ritenuta una persona dalla mentalità piuttosto flessibile, ma affrontare il fatto che una divinità immortale potesse trapassare sarebbe stato troppo anche per lei.

Polluce non dovrà mai sapere niente di questo decise, fissando il volto inespressivo del signor D. La morte del fratello Castore, durante la guerra contro Crono, aveva già segnato il figlio di Dioniso in profondità: non osava immaginare come avrebbe reagito se avesse creduto di aver perso anche il padre.

-Bene.- si voltò di scatto e guadagnò di nuovo la finestra, arrampicandosi sul davanzale. Connor la tallonò, con gli occhi sgranati.

-Bene? Cosa c'è di positivo in questa faccenda, me lo spieghi?

-Ora sappiamo perché Chirone faceva la guardia alla porta.

-Ah, okay. Allora è tutto a posto.- ironizzò lui -Rikie, abbiamo visto la stessa cosa? Perché mi sembri un po' troppo tranquilla per una che ha appena trovato un dio semivivo su un divano.

-Non è peggio di te alla tua prima sbronza.- Africa ammiccò, sogghignando -E poi sapevamo già che sono in atto forze potenti. Dopo il sogno che Os ha fatto stamattina...

-Quello per cui Chirone ha convocato un'assemblea?

-Quello. Insomma, qualcosa me l'aspettavo. Anche se...non un dio mezzo morto.- concesse la ragazza. Si sporse e saltò giù, piegando le ginocchia quando toccò terra. Connor la seguì, dopo essere rimasto in bilico sul davanzale esterno per un paio di secondi, per riaccostare l'anta della finestra.

Iniziarono entrambi a camminare verso le capanne, come se non avessero fatto altro che una passeggiata.

Erano quasi le nove del mattino e, nonostante fosse il primo giorno di ottobre, un timido sole dai raggi ancora caldi faceva capolino fra le nuvole grigie, profumando il vento di un ultimo strascico di primavera. Africa respirò quell'odore di terra ed erba e lasciò che facesse scivolare via dalla sua mente il ricordo degli occhi di vetro del signor D. L'avevano scossa più di quanto avesse fatto intendere a Connor, ma non aveva senso rimuginarci sopra adesso.

-Ehilà, coach.- Connor la distrasse alzando una mano per salutare il coach Hedge, che passava lì vicino con suo figlio Chuck sulle spalle -Senti, Ric, che fai ora? Prima della riunione c'è un'ora buona, potremmo andare al lago insieme, e magari...- tentò poi con aria conciliante.

La ragazza lo fermò subito, alzando una mano.

-Connor, ne abbiamo già parlato.- sospirò -Non sei il mio tipo. Ti ho chiamato oggi solo perché mi serviva il tuo aiuto come amico, non perché stessi cercando una scusa per vederti.

Il ragazzo sembrò deluso per un secondo, ma si riprese subito.

-Mm, sarà...ammettilo che non sai starmi lontana.- scherzò -Come vuoi, comunque. Me ne farò una ragione. D'altra parte l'ho capito che ti piace ancora Os.

La ragazza gli affibbiò uno spintone, a metà fra sorpresa e stizzita.

-Ma cosa dici, se ci siamo lasciati un anno fa!

-Sei arrossita...

-Io non sono...e poi questi non sono minimamente affari tuoi, mi rifiuto di parlarne!- incrociò le braccia, voltando la testa dall'altra parte -Se vuoi saperlo, è che adesso ho da fare. Devo preparare i prossimi allenamenti per la squadra di Sparta.

Connor rise, scuotendo la testa.

-State ancora mandando avanti quegli stupidi gruppetti? Siete rimasti in...quanti, dieci in tutto?

-Undici.- precisò lei -Ma ”Atene” e “Sparta” sono club di tutto rispetto. Mi diverto a mandarli avanti: facciamo gare di tiro con l'arco, di arrampicata, di nuoto, ma ci sfidiamo anche sulla conoscenza dei miti, su chi indovina per primo i nomi dei mostri...è forte. E poi incoraggia il contatto fra cabine diverse, visto che nessun membro delle due squadre ha lo stesso genitore divino. Anzi, un figlio di Ermes ci manca proprio...- aggiunse, lanciandogli un'occhiata che parlava da sé.

Connor ridacchiò di nuovo.

-Oh no, scordatelo. Mi piaci, ma non abbastanza da frequentare i tuoi amici psicopatici.- infilò le mani nelle tasche e si voltò verso l'Arena -Bene, io vado ad allenarmi, allora. Divertiti con Sparta, e...tanti auguri per la tua storia con Odisseo.

Ammiccò e filò via, inseguito dalle maledizioni della ragazza.

 

₪ ₪ ₪ ₪ ₪

 

Odisseo non era mai stato ad una riunione alla Casa Grande. A detta di Clovis, il capocabina di Ipno, non era roba per lui, anche se il ragazzo si era sempre rifiutato di spiegargli perché. Ora Os cominciava a capire come mai Clovis non facesse mai parola di quello che si deliberava durante le assemblee: probabilmente non ne aveva idea. Il suo contributo alla conversazione generale sembrava essere essenzialmente quello di fornire un rilassante sottofondo sonoro: non appena i ragazzi si erano seduti, aveva abbandonato la testa sul tavolo da ping-pong e aveva attaccato a russare beato.

Il ragazzo gli lanciò un'occhiata e storse il naso, disgustato. La sua assoluta mancanza di interesse in qualsivoglia questione lo esasperava. Sapeva che era una caratteristica dei figli di Ipno l'essere costantemente in balia di una sonnolenza latente, ma lui non era mai riuscito a sopportarlo, nemmeno su se stesso. C'era un momento per dormire, ed era la notte: per tutto il resto della giornata il sonno, oltre a gettarlo in uno stato di confusione che detestava, non era che una perdita di tempo, che gli impediva di concentrarsi su quello che giudicava veramente importante, tipo i libri, gli allenamenti, lo studio dei miti. Era arrivato ad uno stato di frustrazione tale da bersi una tazza di caffè all'ora, cosa che, oltre a risultare perfettamente inutile, non faceva altro che aumentare il suo nervosismo.

Per fortuna, da un anno a quella parte, aveva trovato il modo di evitare di cadere addormentato ogni due per tre. Faceva parte del patto con la sua dea, e, nonostante quella piccola, insignificante clausola imposta sul contratto, lui non si era ancora pentito di aver stretto quell'accordo.

Del resto, i sogni sono sopravvalutati meditò fra sé.

A distrarlo da quei pensieri fu Africa che, dall'altro capo del tavolo, lo salutò strizzandogli l'occhio. Il ragazzo notò che aveva Micros, il suo stiletto, appoggiato accanto alle mani che ticchettavano inconsciamente sul legno un ritmo inventato. Nessuno di quei dettagli era una novità: da quando la conosceva, cioè da quando, tre anni prima, era arrivato al campo, non aveva mai visto Africa girare disarmata, né tanto meno starsene in silenzio. Musica di percussioni sparata nelle cuffie a tutto volume, un piede che batteva a terra, una serie di note canticchiate a bocca chiusa, addirittura l'accartocciarsi ripetuto dell'involucro plastificato di qualche merendina: erano tutti rumori con cui dovevi imparare a convivere se avevi a che fare con lei. Diceva che i suoni costanti la aiutavano a mantenere la concentrazione e scaricare l'iperattività. Era irritante, ma ci si faceva l'abitudine. Solo una cosa Odisseo non aveva mai tollerato, di lei: il suo orologio. Era un orologio da polso vecchio stile, dal cinturino in cuoio nero e la ghiera sottile, dorata, ma così chiassoso che potevi sentire lo scandire delle lancette ad un metro di distanza. Secondo, dopo secondo, dopo secondo.

Ora non lo portava, però, e la cosa lo sollevò alquanto. Tecnicamente nemmeno lei avrebbe dovuto trovarsi lì, in quanto non era la capocabina di quelli di Poros, ma tutti i suoi fratelli erano tornati a casa per l'anno scolastico, perciò la ragazza era rimasta l'unica a poter rappresentare la sua capanna. Be', perlomeno c'era una faccia amica nella selva di sguardi torvi che gli altri si stavano scambiando.

Ricambiò il saluto, per poi spostare la propria attenzione su Chirone. Il centauro, nella sua forma umana in sedia a rotelle, aveva la fronte solcata da una ruga verticale, profonda come un solco d'aratro, e gli occhi già stanchi, nonostante fossero solo le dieci del mattino. Con la barba ormai ingrigita, bloccato in quella carrozzina, la sua figura appariva rattrappita e molto meno rassicurante della sua manifestazione a quattro zampe. Tentò lo stesso di sorridere quando si accorse di avere gli sguardi di tutti puntati addosso, ma dovette esserci qualche incomprensione fra il cervello e i muscoli facciali, perché quello che venne fuori era a malapena una smorfia tirata.

-Ci siete tutti?- esordì, spingendo avanti la ciotola di nachos al formaggio -Bene, ognuno prenda del cibo: cominciamo la riunione.

-Perché non c'è il signor D?- domandò Lou Ellen, della capanna di Ecate -Non che la cosa mi dispiaccia, sia chiaro, ma...

Chirone sospirò.

-È proprio di questo che dobbiamo parlare. Il signor D e tutti gli altri Olimpi...temo che saranno fuori gioco per un po'.

-In che senso “fuori gioco”?- indagò allarmato Polluce, il figlio di Dioniso. Il centauro aprì la bocca per parlare, ma qualcuno lo batté sul tempo.

-Rinchiusi sul monte Olimpo per questioni di sicurezza.- Africa rivolse un gran sorriso al ragazzo, allungando contemporaneamente una mano per affibbiare un doloroso pizzicotto sul braccio a Connor Stoll, che, di fianco a lei, si era voltato a fissarla con aria sgomenta -Non preoccuparti, Polluce. Tuo padre sta bene.

Odisseo non ci credette neanche per un secondo. Quando Africa mentiva inclinava sempre la testa un po' di lato, come ora. La cosa gli depositò sullo stomaco un blocco di agitazione: Dioniso era ridotto in condizioni così brutte da non poterne rendere partecipe il suo stesso figlio? La faccenda si prospettava peggiore del previsto.

Anche Chirone osservò per un secondo la ragazza, con aria di rimprovero mista a qualcos'altro di indecifrabile, ma non la contraddisse.

-È così.- confermò lentamente. I suoi occhi scorsero i campeggiatori, fino a fermarsi su Os -Odisseo, raccontaci il tuo sogno.

Il ragazzo si alzò e prese un respiro, ignorando il mormorio che serpeggiò intorno al tavolo quando i semidei lo individuarono. Si era aspettato una reazione simile, d'altra parte. La sua reputazione al Campo...era quella che era.

Il suo resoconto fu stringato ma preciso, come al solito: se c'era una cosa che Odisseo sapeva fare, era parlare. Quando ebbe finito, sull'assemblea calò il silenzio più completo. Si poteva quasi sentire il rumore dei pensieri che si rincorrevano e si agganciavano nella testa dei presenti. Alla fine fu Sherman Yang, figlio di Ares, a spezzare la tensione.

-Cos'è, una specie di scherzo?- sbottò, sporgendosi sul tavolo verso Chirone -Dovremmo credere che Seawind, mister sono-un-figlio-di-Ipno-ma-non-dormo-mai, abbia fatto un sogno del genere quando neanche i figli di Apollo ricevono più messaggi da loro padre? Cos'è, Os, non hai trovato altro modo per stare al centro della scena che usurpare il posto di profeta della cabina sette?

-Apollo è sparito da quest'estate, dopo la fine della guerra contro Gea.- gli fece sommessamente notare Miranda Gardiner -E poi il sogno di Os non veniva da lui. Ha detto che sono stati gli Oneiroi a contattarlo.

Solo una severa occhiata di Chirone impedì a Sherman di sputare per terra.

-Oh, ma andiamo!- il ragazzo allargò le braccia, sprezzante -Secondo voi Ipno invierebbe i suoi figli proprio a lui? Lo sanno tutti che Seawind è stato rinnegato da suo padre!

Os era rimasto immobile fino a quel momento, ma le parole del figlio di Ares gli fecero scattare qualcosa dentro. Balzò in piedi così rapidamente che la sua sedia cadde a terra con un fragore assordante.

-Ipno non mi ha rinnegato.- sibilò glaciale -Semmai, sono io che ho rinnegato lui.

Sherman inarcò un sopracciglio.

-Ah sì? A me sembri solo la volpe che non arriva all'uva.

Lo sguardo di Odisseo si assottigliò pericolosamente. Si era già mosso per aggirare il tavolo e raggiungere il figlio di Ares, con i pugni stretti, nell'utopistico intento di suonarle a quella massa di muscoli, quando un fischio acutissimo, più potente di quello di una locomotiva, costrinse lui e tutti i presenti a piegarsi in due, con le mani premute sulle orecchie.

-Aah, Solace!- gemette Connor Stoll, scrollando la testa come un cane -Era proprio necessario?

Il figlio di Apollo si tolse le dita dalla bocca e incrociò le braccia.

-Piantatevela, entrambi.- ordinò, rivolto a Os e Sherman -Yang, i figli di Apollo si difendono da soli e tu, Odisseo, abbi almeno la maturità di ignorarlo.

-Se lo dice il dottore...- il figlio di Ares sbuffò seccato, tornando a sedersi. Anche Odisseo tirò su la seggiola e la riavvicinò al tavolo da ping-pong, abbandonandosi contro lo schienale con uno scatto nervoso.

-Consideriamo che gli Oneiroi abbiano detto la verità.- Africa appoggiò i gomiti sul piano di legno, riprendendo il ragionamento come se nulla fosse successo -Se i fili della vita degli Dei Maggiori sono in mano a questa Lei sconosciuta...come facciamo noi a recuperarli senza nessun tipo di indizio? Os ha parlato di una grotta, ma non abbiamo idea di dove cercarla.

Chirone si passò una mano sul volto, strofinandola sulla barba bruna con un rumore di carta vetrata.

-Senza nessun elemento su cui basarci non possiamo far partire un'impresa. E siccome tutte le fonti oracolari dipendenti da Delfi, compresa la nostra Rachel, sono per il momento precluse, non c'è modo di procurarsi una profezia.- decretò, lapidario.

Odisseo inarcò le sopracciglia. Si era perso il passaggio in cui Chirone tentava di essere incoraggiante, o era il centauro ad averlo saltato a piedi pari? A giudicare dagli sguardi smarriti degli altri, la seconda.

-E quindi?- incalzò Polluce.

-Quindi dobbiamo affidarci a qualcuno le cui capacità profetiche non dipendano da Apollo.- chiarì il centauro, come se fosse ovvio.

-La Sibilla di Cuma?- suggerì Lou Ellen, passandosi una mano fra i ciuffi di capelli verde acido -Era consacrata ad Ecate, oltre che a Febo.

-Era consacrata ad Ecate perché custodiva l'ingresso del regno degli Inferi.- la corresse automaticamente Odisseo -Ma la capacità di prevedere gli eventi le veniva comunque da Apollo.

Africa ridacchiò.

-A che ci servono i figli di Atena, se abbiamo te? Comunque, Lou, sono secoli che nessuno sente più parlare della Sibilla. Se esiste ancora, si tiene ben nascosta.

Chirone annuì.

-Esatto. No, stavo pensando a qualcuno di egualmente famoso, ma più facile da rintracciare. Un indovino la cui fama ha attraversato i secoli...

-Tiresia.- completò una voce funerea, proveniente da un angolo. Nico di Angelo emerse dall'ombra come una sagoma fatta di fumo, sistemandosi il giubbotto da aviatore.

-Nico!- Will saltò in piedi, in faccia un'espressione a metà fra sgomenta e felice -Credevo fossi con Hazel a Nuova Roma!

Il ragazzo si soffiò via una ciocca di capelli neri dagli occhi. Era meno pallido di come Odisseo lo ricordava dopo la battaglia contro Gea, ma sempre magro come un chiodo e dall'aspetto un po' trasandato.

-Ero là fino a stamattina, infatti. Chirone mi ha convocato con un messaggio Iride: scusate il ritardo, a proposito. E, Will, prima che tu attacchi con il solito ritornello,- aggiunse, alzando una mano per frenare le parole del suo ragazzo -No, non ho usato il viaggio-ombra dal campo romano. Frank Zhang aveva delle faccende da sbrigare nei dintorni, mi ha portato ad una cinquantina di chilometri da qui.

Will tornò a sedersi, indicandogli un posto libero al proprio fianco.

-Uhm.- commentò -Non so se sentirmi sollevato per la tua salute o seccato per non poterti tenere in infermeria nemmeno mezza giornata.

Odisseo vide Africa roteare gli occhi con aria esasperata e Sherman far finta di vomitare. Chirone tossicchiò.

-Dicevamo di Tiresia, Nico.

Il ragazzo, che era arrossito come un peperone, sembrò felicissimo di non dover rispondere a Will.

-Giusto.- si sedette, poggiando i polsi sul tavolo e rigirandosi attorno al dito un anellino a forma di teschio -Be', immagino sappiate a chi appartiene questo nome.

-Il celebre indovino della mitologia greca. Citato nell'Iliade, nell'Odissea e in svariati miti.- si lasciò scappare Odisseo, guadagnandosi un'occhiata divertita da Africa. Nico annuì, mostrando l'ombra di un sorriso.

-Precisamente quello. Sai anche perché ci interessa?

Il ragazzo ci pensò su un attimo.

-La capacità di prevedere il futuro gli fu donata dalla dea Atena.- affermò alla fine -Secondo la leggenda, Tiresia capitò per sbaglio nei pressi di un laghetto dove Atena stava facendo il bagno e la vide nuda. Per punizione la dea lo accecò, ma dal momento che Tiresia non l'aveva spiata intenzionalmente gli donò anche la profezia, per compensare la perdita della vista.

-Quindi è un oracolo che non dipende da Apollo.- comprese Miranda Gardiner -Questo è decisamente utile.

-Per niente, invece.- Sherman incrociò le braccia -A quanto ne so, Tiresia è morto da secoli.

Africa si voltò a fissarlo con un sopracciglio inarcato.

-Scusa, ma ti sei accorto o no di essere seduto allo stesso tavolo di un figlio di Ade? Basterà che Nico lo evochi, e...

-No.- la interruppe Nico, nello stesso momento in cui Will Solace balzava in piedi come una molla, gridando: -Non se ne parla nemmeno!

Nico lo tirò giù afferrandolo per il dorso della maglia e gli piantò un gomito in mezzo alle costole.

-Ti calmi?- sbuffò a denti stretti -Li conosco da solo i miei limiti. Comunque,- aggiunse rivolgendosi a tutti -non posso essere io ad evocare Tiresia. È uno spirito molto potente, e tenerlo ancorato al mondo dei vivi per più di pochi minuti mi prosciugherebbe.

-Nel suo viaggio verso Itaca, Odisseo lo evocò tramite un il sacrificio di una pecora e un montone.- fece notare Chirone -Ora, non dico di sgozzare un satiro, ma potremmo...

-Gli Happy Meal funzionano bene lo stesso.- lo interruppe Nico -Ma un sacrificio di quel tipo attira un sacco di anime, non solo quella che si cerca. Rischiamo di richiamare l'attenzione di chi ha rubato i fili della vita. No, quello che serve a noi è un'evocazione individuale.

-E allora siamo daccapo.- Connor Stoll si lasciò cadere all'indietro, sconfortato -Se tu non puoi evocarlo, tutto questo discorso è inutile.

-Invece no.- Nico scambiò con Lou Ellen un'occhiata d'intesa -Io non posso richiamare Tiresia, ma...forse c'è qualcuno che può farlo al posto mio.

 

La Parola all'Autrice

Lo so, lo so, questo capitolo è mastodontico, ma mi sono arrivate le prime schede e avevo troppa voglia di scrivere! Vi ho dato un bel po' di informazioni, a parte tutto. La storia, come avrete capito, è ambientata dopo Eroi dell'Olimpo, ma prima delle Sfide di Apollo. Ah, per chi partecipa all'interattiva, una cosa che mi ero dimenticata di dirvi: se volete potete inserire (come amici, fidanzati, nemici...) anche alcuni personaggi dello zio Rick, come io ho fatto con Connor Stoll. Chi mi ha già inviato le schede può scrivermi di nuovo per precisare. Ciao, al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** Selzione OC - Club di Atene ***


Ehilà, sono Lith. Non uccidetemi per il tempo che ho fatto passare. è un pezzo che ho gli Oc pronti, ma per una serie di sfortunati eventi il mio computer, con tutti gli appunti dentro, è finito nella macchina di mio cugino, che sta a Bologna. Ho potuto riprenderlo solo oggi, in occasione del nostro "pranzo di famiglia". Comunque.
Intanto, grazie per aver partecipato in così tanti. Per ovvie ragioni non go potuto prendere tutti i personaggi, ma ho selezionato i più accurati e quelli che mi erano più utili secondo come si è evoluta la storia che avevo in mente. Non offendetevi se il vostro non è tra questi.
Ed ora bando alle ciance. Pubblicherò tre capitoli per la selezione. Nel primo, presenterò i ragazzi appartenenti al "Club di Atene". Eccoli qui:
 


Lullaby Zariņš, figlia di Imero – Club di Atene

“A volte il silenzio è più eloquente della parola.”


Madison Foster, figlia di Stige – Club di Atene

“Non è ironico? Una persona può amare alla follia una melodia che scaturisce dalle mani di colui per cui però prova un odio innato”.


Noel Kallaghan, figlio di Areté – Club di Atene

“If you believe something enough, it comes true eventually.”


Taras Constantine, figlio di Chione – Club di Atene

“La rabbia è non solo inevitabile, è necessaria. La sua assenza indica indifferenza, la più disastrosa delle mancanze umane.”
 


Tobias Jason Brooks, figlio di Tyche – Club di Atene

“ Sono le scelte che facciamo a dirci chi siamo veramente, molto più delle nostre capacità.”

Yueliang Kongju. Figlio di Phobos – Club di Atene

“La paura è spesso un fatto soggettivo e personale su cui influiscono naturalmente diverse variabili come l'umore, il buio, la notte, l'ignoto e altri ancora. Ma ciò che veramente scatena la paura in modo spesso incontrollabile è la paura stessa, che si autoalimenta in un circolo vizioso che quasi sempre si trova ai confini della realtà.”

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Capitolo 4
*** Selezione OC - Club di Sparta ***


Ehilà! Ecco anche i pargoli di Sparta.



Amelie Montrené, figlia di Ecate – Club di Sparta

“Look, if you had one shot, or one opportunity. To seize everything you ever wanted in one moment. Would you capture it or just let it slip?”


Cameron Keller, figlio di Eris – Club di Sparta

“Loving can hurt sometimes.”




Sophie Peyton Welch, figlia di Iride – Club di Sparta

“Non importa per che cosa è nata una persona, ma ciò che sceglie di essere”




Yumiko Hamada, figlia di Aglaia – Club di Sparta

“Some women choose to follow men, and some women choose to follow their dreams. If you're wondering which way to go, remember that your career will never wake up and tell you that it doesn't love you anymore.”

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Capitolo 5
*** Selezione OC - Sparta ed Esterno ***


Ecco anche un ultimo membro di Sparta, che non ho inserito nel capitolo prima per ragioni di spazio.


Vieri Kovačevićk, figlio di Galene – Club di Sparta

“There is nothing above and nothing below. Heaven and Hell live in all of us and I’ve been cast astray.”
 

E ora, l'ultimo OC, che, come Os, non appartiene a nessuno dei due club (ovvero è entrato di straforo, ma mi piaceva troppo per non infilarlo dentro)

Arthur Carmien, figlio di Erebo - Esterno

“If you have enemies, good, that means you stood up for something.”

Ecco fatto! A breve pubblicherò il primo capitolo della storia.

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Capitolo 6
*** 2- Questa gara non s'ha da fare ***


Questa gara non s'ha da fare

Se hai diciott'anni e ti svegli a mezzogiorno con un'emicrania che la vedi, lì con il suo caschetto da muratore, a trapanarti la testa, nella maggior parte dei casi la deduzione logica è che tu abbia speso la sera prima a scolarti l'intero creato, in una discoteca con una musica così forte da costringere qualche dio degli inferi a picchiare con la scopa sul soffitto, protestando per un po' di pace.

Se hai diciott'anni e sei un semidio, invece, facile che all'alcool si sia aggiunto anche qualche mostro da affettare, mix che, se possibile, garantisce un risveglio ancora più assassino del mostro stesso.

Ma nel caso di Tobias Jason Brooks, diciottenne, semidio e attualmente in preda ad un mal di testa peggiore di quello di Zeus alla nascita di Atena, le ragioni di una sveglia in tarda mattinata erano fondamentalmente sempre riassumibili in un nome: James Logan Brooks.

-Pa'...pa'...

Tobias si rivoltò assonnato a pancia in sotto, mentre un molesto, acuto rumorino gli si insinuava nelle orecchie, nonostante il cuscino premuto in faccia fin quasi a impedirsi di respirare

-...Pappa!

Io non sono sveglio. Io sto dormendo fu la prima cosa che il ragazzo pensò, ancora per metà nel mondo dei sogni. La seconda: Forse se mi fingo morto prima o poi lascerà perdere.

Ma figurarsi, era di suo figlio Jamie che si stava parlando. Tempo mezzo secondo, e un peso improvviso sul fianco, e poi sulla schiena, lo informarono che il bambino era passato alle maniere forti. Se lo sentì gattonare lungo la spina dorsale, le manine e i piedini a premere fastidiosamente sui muscoli indolenziti dall'allenamento del giorno prima.

-Papà!- lo strillo questa volta era troppo vicino alle orecchie per poter essere ignorato. Tobias iniziò suo malgrado a riemergere dal morbido stato di tenebra e incoscienza in cui aveva fluttuato fino a quel momento. Un altro paio di acuti del piccolo despota appollaiato sulle sue scapole, ed era completamente, irreparabilmente sveglio.

Buongiorno anche a te, Jamie sospirò mentalmente, rassegnato, decidendosi finalmente ad aprire gli occhi.

-Pa'!- esultò il bambino, quando lo vide stropicciarsi la faccia con una mano. Il grugnito inarticolato che ricevette in risposta non sembrò scoraggiarlo minimamente -Pappa!- tornò a reclamare, battendogli i piccoli palmi sulla schiena nuda.

Tobias gettò un'occhiata alla sveglia elettronica di fianco al letto a due piazze, sbadigliando. Mezzogiorno meno dieci...e tanti saluti ai suoi tentativi di imprimere a James un ritmo sonno-veglia decente. Erano tornati da pochi giorni dalla visita fatta alla famiglia del ragazzo, e le cinque ore di fuso orario fra casa sua e il Campo Mezzosangue si facevano drammaticamente sentire su suo figlio: non c'era verso di farlo addormentare prima delle due di notte, con risultato che la giornata seguente iniziava più o meno all'ora di pranzo.

Annaspò alla cieca con un braccio torto all'indietro, agguantando James per il dorso del pigiama. Si ritrovò di fronte i suoi occhioni carichi di aspettativa, e assolutamente privi di qualunque segno di rimorso.

-Pa': pappa.- scandì di nuovo, come se l'abbinare quei due elementi facesse parte dell'ordine naturale dello cose. La sua determinazione strappò a Tobias un sorriso dal sapore un po' agrodolce: ogni tratto di quel bambino, dal colore degli occhi a quella testardaggine che gli era caratteristica, non faceva altro che ricordargli sua madre. Harriet, figlia di Apollo, era stata esattamente così: un treno in corsa, un uragano inarrestabile che era impossibile arginare. L'aveva amata più di qualsiasi altra persona al mondo, e quando era morta l'estate prima, a causa del veleno di una manticora, si era aggrappato a James, loro figlio, come ad un'ancora, per evitare di annegare nel dolore.

-Pappa.- concesse, alzandosi dal letto. La cabina di Tyche assomigliava alla stanza che aveva a casa, cosa che gliel'aveva sempre fatta sentire familiare: era un ambiente non troppo grande, dall'aspetto moderno, adatto al suo unico occupante.

Mentre scaldava il latte per James su un fornelletto da campo -non c'era speranza che al Padiglione trovassero ancora qualcosa da mangiare- l'occhio gli cadde sul calendario appeso alla parete. Quasi si rovesciò su una mano il contenuto bollente del pentolino: era il primo di ottobre, il giorno della gara di nuoto contro Sparta! I suoi compagni del club di Atene lo avrebbero squartato se fosse arrivato in ritardo: Yueliang, il figlio di Phobos, lo aveva già minacciato di fargli rivivere uno per uno i peggiori traumi della sua infanzia se non si fosse trovato in riva al lago a mezzogiorno preciso. Peccato che fosse già mezzogiorno e uno.

Stava giusto meditando se fosse meglio barricarsi nella propria cabina o correre all'aeroporto e prendere il primo volo per Honolulu -sperando che l'ira di Yueliang non lo inseguisse fin laggiù- quando qualcuno bussò.

-Will!- aprire la porta, trovarsi davanti il capocabina di Apollo e piazzargli fra le braccia un James ancora in pigiama fu tutt'uno -Grazie agli dei! Me lo tieni fino a pranzo? E dagli la colazione, è pronta dentro. Grazie mille, davvero! Jamie, fa' il bravo con lo zio Will!

Uno scatto per agguantare il costume da bagno ed era già partito a tutta birra verso il lago. Non fece minimamente caso alla voce di Will Solace che gli gridava alle spalle.

-Tobias, aspetta! Aspetta!

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Era una mattinata splendida. I caldi raggi del sole di mezzogiorno si infrangevano sulle onde frastagliate del lago, creando giochi di luce sull'acqua, così che la superficie sembrava composta di miliardi di minuscoli frammenti di vetro in continuo movimento. Il cielo, di un azzurro intenso e abbacinante, si stagliava in netto contrasto con le cime degli alberi della foresta, fra i cui rami iniziavano a distinguersi sfumature rossastre e dorate, avvisaglia dell'autunno imminente e insieme monito a godersi le ultime belle giornate. Gli uccellini cinguettavano e i satiri suonavano fra l'erba i loro zufoli, riempiendo l'aria di una gaia musica, che sembrava il canto della natura stessa.

E, tanto per cambiare, Tobias era in ritardo.

Yueliang sbuffò forte dal naso, allungandosi per toccare con le mani le punte dei piedi nudi. I membri delle squadre di Sparta e Atene erano già tutti schierati sulla spiaggetta di ghiaia che circondava lo specchio d'acqua, in costume e pronti per dare inizio alla gara: perfino quello sventato di Noel Kallaghan era riuscito ad arrivare puntuale -il che aveva dell'incredibile- possibile che il figlio di Tyche dovesse sempre farsi desiderare in quel modo?

Oh, ma vedrai appena arriva quante gliene dico...pensò, passando a sciogliere i muscoli delle braccia con movimenti circolari. Se Atene avesse perso per colpa sua, Tobias poteva dire addio al quieto vivere per tutto ciò che fosse restato della sua esistenza, cioè non molto.

Eppure glielo aveva ricordato almeno due volte al giorno, per tutta la settimana precedente: "ehi, Toby, c'è la gara di nuoto! Non hai dimenticato la gara di nuoto, vero?" "Chi, io? Ma quando mai!"

E invece c'era riuscito lo stesso.

Fece scorrere lo sguardo sulla riva ciottolosa del laghetto: la squadra di Sparta era già schierata. In prima linea, come al solito, c'era quello scricciolo di Sophie Peyton Welch, la figlia di Iride, che naturalmente stava già saltellando sul posto. Quella ragazzina sembrava avere un paio di molle al posto dei piedi: su e giù, su e giù, non riusciva mai a stare ferma un attimo, il che, oltre ad essere seccante, faceva sempre venire a Yue un leggero mal di mare e un urgente bisogno di andare in bagno. Tutti i semidei, lui compreso, avevano i propri problemi con l'iperattività, ma Sophie...Sophie era l'iperattività, fatta persona e compressa in un soldo di cacio con l'apparecchio da denti. Il ragazzo non sapeva molto di lei, ma da quando era arrivata al campo, l'estate prima, si era subito fatta notare: oltre ad iscriversi all'stante al club di Sparta e partecipare alle competizioni con una grinta che non era stata minimamente sminuita dal fatto che tutti gli altri la superassero in età, si era guadagnata sin dalla prima settimana il nomignolo di "Scricciolo l'Ammazzamostri". A soli dodici anni, infatti, aveva già affrontato più bestie della maggior parte dei semidei veterani. Sembrava che si trovasse sempre nei guai: anche ora, per esempio, era al Campo a causa di un incidente con tre karpoi impazziti, che aveva costretto Chirone a intervenire personalmente nella sua scuola per modificare la Foschia e farle ottenere l'esenzione dalle lezioni per un'intera settimana. Roba che non era riuscita nemmeno a Percy Jackson, il che era tutto dire.

Anche Cameron Keller, il figlio di Eris, era un ricettacolo naturale per ogni genere di calamità, naturale e non, ma per ragioni diverse: lui i guai se li cercava proprio. Era un tipo abbastanza belloccio, dai capelli castani e un modo di muoversi disinvolto e affascinante, ma con quel suo perenne atteggiamento di sfida e la faccia da schiaffi che si ritrovava, pareva avesse appiccicato in fronte un cartello con su scritto "Punchball". Yue gli aveva rivolto la parola sì e no due volte, ed aveva sempre finito per allontanarsi con le mani che gli prudevano e la faccia paonazza per la rabbia. Dopodiché aveva accuratamente cercato di evitare un terzo incontro, perché non era sicuro di avere abbastanza autocontrollo per relazionarsi con un tipo del genere. Solo questo bastava a dare un'idea di quanto insopportabile Keller sapesse rendersi: l'autocontrollo di Yueliang Kongju era una leggenda al Campo Mezzosangue.

Cameron sembrò accorgersi del suo sguardo malevolo fisso sulla propria schiena, perché alzò di colpo gli occhi dal coltello a serramanico con cui stava giocherellando e incrociò il suo sguardo, sogghignando. Yue iniziava davvero a chiedersi se la sua perpetua espressione sarcastica non fosse frutto di una deformazione facciale. Che avesse avuto un incidente da piccolo?

Prima che il ragazzo potesse apostrofarlo con un commento pungente, spostò la propria attenzione sul terzo membro degli spartani, ovvero Yumiko Hamada, figlia di Aglaia. La ragazza fissava il vuoto con aria torva, e la bocca corrucciata e le sopracciglia aggrottate avrebbero messo in soggezione chiunque non avesse saputo che quella era la sua espressione tipica. Non era una musona, Yumiko, però tendeva a rimanersene sulle sue, e quel cipiglio serio che il suo volto sapeva assumere non incentivava le persone a disturbarla. Yueliang l'aveva osservata parecchio, ed era quasi sicuro che si trattasse di una tecnica studiata: alla ragazza non piacevano i seccatori. Era un tipo deciso, concentrato sui propri obiettivi, e per questo l'avversario che lui temeva di più, fra gli spartani.

Ultimi del gruppo erano Amelie Montrené e Vieri Kovačevićk. I due erano già entrati in acqua ed erano impegnatissimi a spingersi l'un l'altro la testa sotto la superficie, tentando di annegarsi a vicenda. Certo, per quanto fosse possibile affogare la progenie di una nereide, quale era Vieri: da figlio di Galene aveva un'affinità naturale con l'acqua e, da coinquilino di Percy Jackson nella cabina di Poseidone, un discreto allenamento come nuotatore.

Anche Amelie però sapeva il fatto suo. Oltre ad essere una figlia di Ecate piuttosto potente, era una persona solare e piena di risorse, di quelle con le batterie sempre cariche. A vederla era facile scambiarla per un membro della cabina undici: aveva lo stesso sguardo furbo dei figli di Ermes, gli stessi tratti un po' efebici, da elfo, e una zazzera di capelli biondi sempre arruffati, che, insieme alla silouette longilinea e ossuta, le conferivano un po' l'aspetto di un canarino. D'altra parte era nota a tutti la sua amicizia di lunga data con Connor Stoll e con Africa. Fino all'estate prima i tre avevano formato un mix esplosivo, al punto da venire soprannominati "il Triangolo delle Bermuda": se ci finivi in mezzo, eri fregato.

All'inizio di quell'anno, però, l'armonia fra di loro si era un po' spezzata: Africa era precipitata in un periodo di malumore a causa della rottura con quel figlio di Ipno -Odisseo Seawind, se Yue non ricordava male, e lui non ricordava mai male-, Connor si era dato una calmata con la partenza del fratello Travis per il college, e la stessa Amelie si era fidanzata con Vieri, allontanandosi un po' dagli altri. La storia fra lei e il figlio di Galene era stata complicata, principalmente per il timore di Vieri nell'intraprendere una relazione fissa, ma alla fine era stata Amelie a prenderlo per il colletto e baciarlo, e lui...be' l'aveva lasciata fare. Yue non riusciva a pensare a due persone più adatte l'una all'altra di loro: erano entrambi iperattivi cronici, drasticamente privi di peli sulla lingua e testoni come muli, ma con un animo dolce, in fondo.

Africa, l'ultima componenete della squadra di Sparta e capitano indiscusso, mancava, ma li aveva già avvertiti quella mattina che avrebbe potuto non arrivare in tempo. A quanto pareva Chirone aveva indetto un'assemblea straordinaria fra i veterani del campo. Il motivo era sconosciuto, ma la ragazza era sembrata meno vivace del solito mentre lo comunicava loro, e non erano molte le cose che riuscivano a spegnere il suo buonumore. Yue aveva il presentimento che c'entrasse di nuovo quel Seawind, ma non aveva chiesto: Africa era piuttosto sensibile all'argomento, per quanto si rifiutasse di ammetterlo, e lui non aveva poi tutta questa confidenza con lei, per potersi permettere domande del genere.

Senza contare che aveva già i suoi problemi di cui occuparsi. Spostò lo sguardo sulla propria squadra e sospirò, così profondamente da spostarsi una ciocca di capelli dagli occhi: gli ateniesi erano drasticamente pochi. Dei cinque membri della squadra, solo lui, Noel e Taras erano in costume e pronti per la gara. Per quanto riguardava le altre due ragazze, Lullaby e Madison, la prima non si vedeva, mentre la seconda se ne stava sdraiata sotto un albero con le gambe incrociate, giocherellando con un ciondolo che portava al collo, in un atteggiamento di menefreghismo assoluto. Yueliang l'aveva già redarguita cinque o sei volte, ma con Madison non serviva a niente: era già tanto che la figlia di Stige fosse venuta a far presenza, con le tendenze misantrope che si ritrovava. Yue si chiedeva spesso perché facesse parte del club di Atene, visto che Madison sembrava preferire enormemente la tranquillità e il silenzio della solitudine a qualunque genere di interazione sociale, ma la risposta era, come al solito, sempre la stessa: Africa e la sua capacità di coinvolgere chiunque. La figlia di Poros non poteva assolutamente lasciare che l'unica figlia di Stige del Campo snobbasse i suoi club, e non c'era nessuno in grado di sfuggirle. Madison non aveva avuto scelta: dopo tre mesi di pressing serrato da parte della ragazza, aveva dovuto arrendersi, anche se le sue apparizioni nel gruppo di Atene rimanevano soltanto sporadiche.

-Perché Lullaby non c'è?- domandò, spostando lo sguardo su Noel e Taras.

-È per il costume.- rispose istantaneamente Taras, il figlio di Chione, alzando gli occhi dal bastoncino che si stava rigirando fra le dita. Quando Yue inarcò un sopracciglio, arrossì -Insomma, il fatto che voi indossiate il costume. Cioè noi, volevo dire noi. Non voi nello specifico, non c'è niente che non va con i vostri costumi. Anche se il tuo è parecchio stretto, Yue.- sobbalzò, come rendendosi conto di cosa aveva appena detto, e le sue orecchie divennero rosso fuoco fra i riccioli biondi -M-ma...quello che intendevo è...i costumi...in generale...a Lullaby non piacciono.

Il figlio di Phobos non si spiaccicò una mano sulla faccia soltanto perché temeva che un gesto così esplicito di esasperazione avrebbe finito per mandare completamente in tilt quel povero ragazzo. Taras era un tipo a posto, davvero, ma non era bravo con i rapporti sociali. Per niente. Il suo celebre sangue freddo, che gli permetteva di centrare con millimetrica precisione qualsiasi bersaglio ad una distanza minima di cento metri, evaporava come per magia non appena si ritrovava ad aprire bocca. Nelle sue giornate migliori i suoi commenti fuori luogo erano riusciti a mettere a disagio addirittura Chirone, e Yue avrebbe potuto giurare di aver visto perfino il signor D arrossire, quando Taras si era lasciato scappare una certa osservazione sull'accoppiamento dei delfini.

-Intendi che la imbarazza stare in mezzo a persone in costume?- intervenne gentilmente Noel. Taras esitò per una frazione di secondo, prima di annuire vigorosamente.

-Sì.- sputò fuori, per poi chiudere la bocca e porre termine alla propria penosa performance, tornando a concentrarsi sul suo pezzo di legno.

Yue tirò un sospiro di sollievo. Per fortuna c'era Kallaghan, in situazioni come quelle. Il figlio di Areté sapeva sempre dire la cosa giusta per rimettere tutto a posto. Gli indirizzò in silenzio uno sguardo grato, ricevendo in cambio un sorriso a trentadue denti.

Poteva dire senza mezzi termini che Noel fosse il suo migliore amico, il che era strano, visto che quanto a carattere erano sostanzialmente agli antipodi. Noel Kallaghan era quel tipo di persona che esce in pigiama alle cinque del mattino per inseguire una farfalla, e nel tentativo di acchiapparla inciampa nei propri piedi e va a sbattere contro un tronco. Lui, in particolare, all'albero in questione gli chiedeva pure scusa, prima di rendersi conto della sua natura inanimata. Yueliang, soprannominato Terror per l'estremo puntiglio che lo caratterizzava, non avrebbe mai immaginato di poter legare con un tipo del genere, visto che generalmente la sua disposizione d'animo verso la gente con la testa fra le nuvole era la stessa che si ha verso le zanzare ad agosto.

Però il figlio di Areté non era solo uno sventato. Era una persona buona, leale, e forte, oltre quell'apparenza da ragazzino ingenuo. Fortissima. Uno dei proverbi preferiti di Yue era sempre stato il detto "mi spezzo ma non mi piego". Lo diceva con fierezza, consapevole della propria forza: non era uno facile da spezzare, lui. Noel invece era l'esatto contrario: per abbatterlo non ci voleva davvero niente. Una parola crudele, uno sguardo cattivo. Ma tenerlo a terra...non ci sarebbe riuscita nemmeno un'incudine attaccata alla schiena. Lui semplicemente si rialzava, sempre con quel suo sorriso. Avrebbe sorriso anche a chi gli avesse puntato una pistola addosso, di questo Yue era sicuro, e per qualche motivo la cosa lo affascinava.

-Ehi...Yue?- uno schioccare improvviso di dita davanti alla propria faccia lo riportò bruscamente alla realtà. Si ritrovò davanti gli occhi divertiti di Noel, appostati sopra i suoi zigomi lentigginosi.

-Mi stavi fissando.- spiegò semplicemente il ragazzo -Finalmente sono io a svegliare te, e non il contrario!

-Che ore sono?- si limitò a chiedere lui, evitando il discorso. Gettò un'occhiata all'orologio da polso: mezzogiorno e dieci. Oh sì, avrebbe decisamente fatto a pezzi Tobias.

-Mad, forse dovresti mettere tu il costume e gareggiare al posto di Toby.- azzardò Noel.

Madison si limitò ad alzare gli occhi dal proprio ciondolo, fissandolo in silenzio. Con i capelli corvini, il giubbotto nero chiuso sopra la maglia del campo e la gonna morbida di pizzo, sempre nera, stonava in mezzo al prato come avrebbe fatto un grosso ragno. L'unica cosa che staccava dalla monocromia dei capelli e dell'abbigliamento era il volto, il cui funereo pallore aumentava però l'impressione di trovarsi di fronte ad un cadavere tornato in vita. D'altra parte, dalla figlia di uno dei fiumi infernali, non c'era da aspettarsi niente di diverso.

Noel resse quello sguardo inquietante solo per una manciata di secondi, prima di ritirarsi con la coda fra le gambe.

-Era solo un'idea, eh.- bofonchiò avvilito.

-Ehi, ateniesi!- Yumiko si avvicinò a grandi passi. La sua pazienza doveva essersi esaurita, dedusse Yueliang. Non che potesse darle torto: fosse stato al posto suo, l'avrebbe persa molto prima. Tuttavia si voltò a fronteggiarla, frapponendosi fra lei e la propria squadra, perché, sebbene il ritardo di Tobias e l'assenza di Lullaby non fossero colpa sua, rimaneva pur sempre il capitano di Atene e per amor di lealtà non poteva lasciare che tutta la colpa venisse scaricata sui propri compagni.

Yumiko si arrestò a pochi passi da lui, incrociando le braccia.

-Abbiamo aspettato abbastanza, ora si inizia.- annunciò coincisa, andando dritta al punto. Lanciò alla loro misera squadra un'occhiata un po' dubbiosa, poi aggiunse -A meno che non preferiate dare forfait.

Yue storse il naso, ingoiando la rispostaccia che avrebbe voluto darle. Yumiko non voleva essere scortese, era troppo corretta per farlo, semplicemente le mancava il tatto per evitare di rimarcare quanto la squadra di Atene fosse mal messa. Per un istante indugiò lui stesso sull'idea di lasciar perdere e concedere agli altri una vittoria per abbandono: a parte Noel, che aveva fatto nuoto per parecchio tempo prima di trasferirsi al campo, né lui né Taras erano tutto questo granché, in acqua.

Per fortuna, a risolvere i suoi dubbi, anticipata da un fragoroso schianto di legno che si spezza, arrivò una frana.

 

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Quando l'inconfondibile ed assordante rumore di un grosso ramo che cede ruppe il tranquillo sciabordio delle onde del lago, la prima reazione di Madison fu l'irritazione. Non era già abbastanza dover presiedere alle gare di quella banda di idioti? Dovevano toglierle anche il suo amato silenzio? Poi avvistò Tobias, che rotolava giù dal pendio erboso sovrastante la spiaggia puntando dritto verso di lei, e non ebbe più molto tempo per pensare.

Si gettò di lato, atterrando poco elegantemente sullo stomaco, proprio mentre Noel Kallaghan si frapponeva fra lei e palla-da-bowling-Tobias. Il risultato fu che entrambi i ragazzi finirono a terra al suo fianco, in un bizzarro groviglio di gambe e braccia.

-Strike.- fu il commento di Yueliang, prima che i suoi occhi virassero su Madison...su un punto particolare del corpo di Madison. Non appena si rese conto di dove il figlio di Phobos stesse guardando, lei avvampò e aprì bocca per rimetterlo al suo posto, ma il ragazzo cinese la prevenne.

-Ti si è alzata la gonna.- annunciò con calma serafica -Perché hai dei pantaloni, sotto?

Ah, era questo allora. Forse non era un pervertito, dopo tutto.

-Perché mi piacciono i vestiti lunghi e sono una semidea.- replicò, rialzandosi e pulendosi le mani -Le due cose possono stare insieme solo se metto in mezzo un paio di leggins.

Nel frattempo, anche il resto della squadra di Sparta li aveva raggiunti. Vieri, Amelie e Yumiko stavano già separando Tobias e Noel, mentre Cameron si era fermato qualche passo indietro. Non appena incrociò gli occhi della ragazza, sogghignò.

-Bel culo.- fu il suo commento. Madison serrò le labbra e gli mostrò il dito medio, per poi ignorare la sua reazione e andare a vedere se Tobias fosse intero.

Sembrava di sì. Come al solito, la sua immensa fortuna da figlio di Tyche aveva fatto sì che, nella caduta, evitasse tutti i sassi aguzzi che affioravano dal terreno, e l'impatto con Noel gli aveva anche impedito di terminare il suo volo sulla ghiaia della spiaggetta, arrestandolo sull'erba morbida al confine del prato.

-Il ramo a cui mi ero appoggiato per scendere si è schiantato.- si giustificò con aria imbarazzata -Uh...grazie Noel.- aggiunse. Il figlio di Areté, nonostante fosse piegato in due per aver ricevuto un calcio allo stomaco, riuscì in qualche modo a fargli il pollice alto.

-Sei irrecuperabile.- sentenziò Madison, incrociando le braccia, e riuscì quasi a sorridere mentre lo diceva. Con Tobias le succedeva spesso. Quel ragazzo era uno strano mix di gentilezza, lealtà e senso dell'umorismo, sia volontario che, come in quel caso, accidentale. Forse era per lui che, anche se Africa non la stressava più, la ragazza continuava a frequentare il gruppo di Atene. Per lui e per quel piccolo ranocchio di suo figlio James, che era l'unico bambino al mondo ad esserle mai piaciuto. La prima volta che l'aveva vista, il piccolo le aveva scaricato sulle gambe una manciata di fiorellini. Okay, molti di essi avevano ancora le radici attaccate e le avevano sporcato il vestito di terra, ma l'idea generale c'era. E poi Toby, per sdebitarsi, aveva chiesto a Tracy della cabina di Afrodite un abito nuovo per lei.

-Scusate il ritardo.- stavolta lo sguardo di Tobias era rivolto verso Yueliang, che sbuffò, ma non fece commenti -Comunque, ce l'ho fatta. Mi pareva di aver sentito la parola "forfait", ma mi sbaglio, vero?

-Suppongo di sì, a questo punto.- Yumiko si fece scappare un sorriso -Facciamo che dimenticheremo il tuo ennesimo ritardo se sarai in acqua entro...

-No.- la voce di Africa echeggiò chiara e netta, stroncandole la frase. Gli sguardi costernati di tutti si fissarono sulla ragazza, che era comparsa al limitare della foresta, nello stesso punto da cui era rotolato giù il figlio di Tyche.

-Che significa no?- si intromise Vieri -Atene non può gareggiare senza di lui.

-Non ci sarà nessuna gara.- Africa fece qualche passo avanti. Aveva i lineamenti contratti in un cipiglio serio -Vengo adesso dall'assemblea.

-Com'è andata?- si informò Yueliang, aggrottando la fronte. Madison dedusse dalla sua espressione che ancora gli bruciava il fatto di non essere stato convocato: d'altra parte, da quando il numero delle cabine era aumentato, con l'inserimento di quelle per gli dei minori, Chirone aveva deciso di aprire le riunioni solo ai veterani storici del Campo. Yue, nonostante vivesse lì già da quasi cinque anni, non veniva chiamato quasi mai.

-È andata.- sospirò la figlia di Poros, in risposta -Non so ancora quanto posso dirvi, Chirone ha chiesto di mantenere il silenzio stampa in merito. Ma sono venuta a prendere Amelie.

La ragazza sobbalzò e fece un passo avanti, sorpresa.

-Me? Perché?

-Ci serve il tuo aiuto per un'evocazione.- spiegò concisa Africa -Avevamo mandato Will Solace a cercarti, ma non si trova più.

Madison vide che Tobias si grattava la nuca con aria colpevole, ma decise di non fare domande.

-Quindi la sfida è annullata?- gemette Sophie, con la testa piegata di lato per lo sconforto. Cameron si limitò ad alzare le spalle.

-Tanto avremmo vinto noi. Abbiamo Vieri, ragazzi, non c'è gara.

-See, come no.- replicò subito Tobias, guardandolo di traverso -Fai poco lo sbruffone, che tu sai a malapena nuotare.

-Ha parlato la sirenetta!

In un attimo la discussione aveva già coinvolto tutte e due le squadre. Africa fece spallucce e si limitò ad andarsene, tallonata da Amelie. Madison le guardò allontanarsi, e sentì nello stomaco una stretta poco rassicurante. Solo il giorno prima, la figlia di Poros aveva solennemente dichiarato che solo la caduta dell'Olimpo avrebbe potuto impedire che la loro sfida avesse luogo...il fatto che ora l'avesse disdetta, perfino per lei, non era affatto una prospettiva incoraggiante.

Angolo Autrice:
Ciao, sono io. Ok, 'sto capitolo non è un gran che, ma è già stato un parto così. Perdonatemi la prolissità, ma dovevo presentare i personaggi (e non sono nemmeno tutti!!). Ci vediamo alla prossima!

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Capitolo 7
*** 3- Chi scende e chi sale ***


Chi scende e chi sale


Quando era piccola, una volta, Amelie aveva dovuto partecipare ad una recita scolastica senza aver minimamente provato la propria parte. Non era stata colpa sua, per la verità: la protagonista si era ammalata all'improvviso, e all'insegnante era sembrata una buona idea piazzare le tredici pagine di copione in mano ad una ragazzina di sette anni e spedirla sul palco, infagottata in un vestito da principessa di due taglie più largo e troppo corto.

La tensione che aveva provato in allora, in piedi di fronte alla platea di genitori silenziosi, adesso le sembrava appena la punta di un iceberg, in confronto all'ansia che le divorava le viscere in quel momento.

Aveva scoperto di poter avocare anime dall'Ade un anno dopo essere arrivata al Campo. Credeva che fosse un'abilità tipica dei figli di Ecate, ma quando ne aveva parlato a sua sorella Lou Ellen lei era corsa subito ad avvertire Chirone. Il centauro non si era mostrato sorpreso -probabilmente ci era nato con la faccia da poker- ma si era accarezzato la barba con aria pensierosa.

-Sembra che tu abbia ereditato da tua madre il suo potere più raro.- era stato il verdetto -Che io sappia, non si è mai sentito di un figlio di Ecate in grado di evocare le anime dei morti. È un'abilità che di solito riceve la stirpe di Ade, ma chissà. Prima o poi potrebbe anche tornare utile.

Quel giorno era arrivato, a quanto pareva. L'unico problema? Lo spirito che doveva evocare era quello di Tiresia, il celebre indovino cieco. Amelie non si sarebbe mai tirata indietro di fronte ad una richiesta di aiuto, soprattutto quando ad averne bisogno era il Campo, la sua casa, però la sola idea dell'energia che le ci sarebbe voluta per far emergere dall'Ade uno spirito così potente le faceva girare la testa.

-È tutto okay?- una mano le si posò sulla schiena ossuta e il volto corrugato di Vieri entrò nel suo campo visivo. Le labbra di Amelie si piegarono in un istantaneo sorrisetto. Africa aveva tentato di impedire al figlio di Galene di seguirle all'interno della Casa Grande -era arrivata perfino a tirarlo per la maglia nel tentativo di spostarlo- ma non c'era stato niente da fare: Vieri aveva agganciato la mano a quella di Amelie e non l'aveva lasciata nemmeno sotto lo sguardo severo di Chirone e quello inquietante di Nico di Angelo. In condizioni normali, forse, la ragazza lo avrebbe trovato fastidioso, ma era grata che qualcuno le stesse accanto in un momento come quello.

-Ce la farò.- rispose solo, sollevando il mento con aria decisa. Vieri le rivolse un accenno di sorriso.

-Su questo non ho dubbi. È che ti sei ferita a furia di morderti il labbro.

Amelie si leccò le labbra e sentì sulla lingua il sapore ferroso del sangue. Mordicchiarsi le labbra era un'abitudine che aveva da sempre e che non riusciva a controllare, e diventava piuttosto imbarazzante quando le capitavano inconvenienti come quello. Grazie agli dei, Vieri le passò automaticamente un fazzoletto.

-Sono un po' nervosa.- ammise, premendolo sul piccolo taglio -Se poi Odisseo continua a fissarmi in quel modo...

Lanciò uno sguardo al ragazzo, seduto dall'altra parte della stanza in compagnia di Africa, e trovò immancabilmente i suoi occhi scuri fissi su di lei. Da quando era entrata, il figlio di Ipno non aveva fatto altro che osservarla imbronciato, come se ce l'avesse con lei. Amelie non si era mai data troppo pensiero di cosa la gente la pensasse nei suoi confronti, ma iniziava a trovarlo irritante.

-Quel ragazzo è mezzo andato di testa. Non farci caso.- tagliò corto Vieri. Quando lei lo guardò storto, roteò gli occhi con aria plateale -Okay, lo so! Non dovrei giudicare così nettamente le persone prima di conoscerle. Ma resta il fatto che su di lui girano un sacco di storie assurde.

-Le ho sentite quelle storie.- Amelie arricciò il naso -Secondo alcuni ha venduto la sua anima a Minosse in cambio di chissà quale privilegio, altri dicono che sia una spia, o che sia stato maledetto da suo padre stesso...mi sembrano i soliti pettegolezzi da figli di Afrodite.

-Però qualcosa di vero deve esserci.- Vieri abbassò la voce -Ti ricordi com'era, prima? Nemmeno Clovis aveva poteri grandi come i suoi. Ogni volta che ti addormentavi, Os era lì che girava nella tua dimensione onirica, e quelle rare volte che lo beccavi con gli occhi aperti poteva raccontarti per filo e per segno come stesse tua nonna, dall'altra parte del mondo. Da un anno a questa parte, invece, è tutto sparito. Ora riesce perfino a stare sveglio per una giornata intera, e nessuno lo incontra più nei propri sogni. È inevitabile che la gente si faccia qualche domanda.

-Io mi ricordo che prima i suoi incubi ci buttavano giù dal letto quasi tutte le notti.- ribatté Amelie -Adesso invece non ne fa più. Forse per questo ha voluto liberarsi dei suoi poteri. Noi non ne sappiamo nulla e non abbiamo il diritto di giudicarlo.

-No, ma per caso ora ti sembra più felice?- Vieri accennò con il mento al ragazzo, che aveva preso a tormentarsi gli orli delle maniche con le dita. Teneva lo sguardo basso e il cappuccio della felpa calcato sulla testa -Dammi retta: qualunque cosa abbia fatto, non è stato niente di buono.

-Comunque Africa gli vuole bene.- Amelie si strinse nelle spalle -Sono stati insieme fino all'anno scorso e lei non mi ha mai detto nulla di male su di lui. Quindi non sarò io a parlarne male.

Il figlio di Galene sembrò sul punto di replicare qualcosa, ma proprio in quel momento Chirone e Nico di Angelo rientrarono nella stanza. Il centauro stringeva fra le mani un grosso libro incartapecorito. Quando lo posò sul tavolo da ping-pong e lo aprì, dalle pagine si levò una nuvoletta di polvere.

-E quello?- William Solace interruppe la propria conversazione con Lou Ellen e Connor Stoll e si sporse in avanti. Sherman Yang storse il naso con aria schifata.

-Io non lo leggo.

-Perché, sai leggere?- lo apostrofò sarcastico Connor. Nico li gelò entrambi con un'occhiataccia.

-Non è per voi. Io e Chirone abbiamo solo ripassato un paio di cose sulle evocazioni e i culti misterici in onore di Ecate.

-Ci metteremo tuniche scure e cappelli a punta?- ridacchiò Katie Gardner.

-No.- la smontò Chirone -Però Amelie avrà bisogno di una torcia.

-Non mi è mai servita.- fece notare la ragazza, aggrottando la fronte -Di solito mi basta cadere in trance.

-Tiresia non è come gli altri. Ci vuole più potere per lui.- spiegò il centauro -Perciò...

Tirò fuori un bastone da una sacca che aveva a tracolla. Non era niente più che un lungo pezzo di legno secco, ma attorno alla punta era arrotolato uno straccio imbevuto d'olio. Lo passò alla ragazza, che lo prese, non senza una lieve esitazione.

-Come volete che la usi?

-Basterà che tu la tenga accesa. Lui verrà. - Nico si appoggiò ad una parete ed incrociò le braccia -Quando vuoi, Amelie.

Alla ragazza sembrò che la temperatura nella stanza si fosse abbassata di qualche grado mentre l'attenzione di tutti si catalizzava su di lei. Sentì Vieri stringerle la mano un'ultima volta.

-Ce la farai.- le ricordò sottovoce il ragazzo, prima di lasciarla e indietreggiare di qualche passo.

Amelie prese un respiro profondo mentre Africa fregava un accendino dalla tasca di Connor Stoll e dava fuoco allo straccio. La torcia avvampò immediatamente, vomitandole in faccia un calore improvviso e uno sbuffo di denso fumo nero, dal profumo inebriante.

-Madre Ecate, tu che accompagni le anime nell'Ade, proteggi la mia strada e dammi la tua forza.- sussurrò a bassa voce. Aspirò a pieni polmoni le esalazioni della fiamma, poi chiuse gli occhi. L'ultima cosa che vide prima di sprofondare giù fra le ombre fu lo sguardo fisso e indecifrabile di Odisseo Seawind, il figlio maledetto di Ipno.

 

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L'I-pod, per Cameron, era una di quelle cose che nessuno poteva toccare. Se l'era comprato da solo, a undici anni, con soldi guadagnati un po' rubando e un po' tagliando il prato a tutte le vecchiette del quartiere, le stesse a cui vuotava il portafoglio. Gli piaceva: piccolo, sottile, rosso e lucido. Non si capacitava di come un affarino così minuscolo potesse contenere tanta musica, tanti sentimenti tutti insieme. La musica, a suo parere, era la cosa più vicina al cuore che potesse esistere, e vaffanculo ai compagni di classe che, quando aveva fatto l'errore di dar voce a quel pensiero, gli avevano simpaticamente sventolato sotto il naso il libro di scienze, consigliandogli un ripasso.

Si era comprato l'I-pod quando aveva capito che gli serviva una via di fuga, e forse quello era stato il primo passo che lo aveva portato a fuggire per davvero.

Le fasi della sua vita erano ognuna legata ad un oggetto. La fase felice, ovvero da quando riusciva a ricordare fino a sei anni, era quella in cui ancora c'erano il sorriso della nonna, le mani macchiate ma salde del nonno, il portachiavi a coltellino svizzero che lui cercava sempre di fregargli. Il nonno poi era morto, la nonna pure -fuga di gas, era la versione ufficiale, e nessuno aveva dato retta ad un bambino traumatizzato che parlava di un cane con la coda da foca, che aveva deliberatamente manomesso i tubi. Il portachiavi era finito chissà come nella sua tasca, mentre l'assistente sociale lo portava via da casa per affidarlo a suo padre.

Per un mese era andata bene. Poi erano arrivati il primo licenziamento dal lavoro, la prima bottiglia di birra. La prima di vodka. Le prime botte, la confusione (cosa c'entro io? Perché picchi me?), la vergogna, l'insicurezza, la certezza di essere sbagliato, perché papà forse aveva ragione, forse, in qualche modo che lui non capiva, era colpa sua. Il cappello grigio trovato sotto un banco di scuola sempre calato sulla faccia, sugli occhi, non sapeva neanche lui se per non vedere o per non essere visto.

A dieci anni, i mostri l'avevano trovato di nuovo. A dieci anni aveva dovuto decidere se soccombere o lottare. Era stato un attimo: il coltellino sfoderato, che per pura fortuna centrava l'occhio del Cinocefalo. La lama, per qualche miracolo, era di bronzo celeste. Il nonno allora sapeva tutto, ancora prima di lui? Non era mai riuscito a scoprirlo, ma intanto il mostro era esploso in una nuvola di polvere dorata.

Quell'uccisione aveva smosso qualcosa. Era stato un cambiamento minimo, un sassolino, ma poi era cresciuto, con ogni altro mostro che eliminava: grinta. Voglia di non mollare, di non arrendersi, di non morire. E questo aveva iniziato a farlo reagire anche nei confronti di suo padre. Di qui, l'I-pod, il suo primo tentativo di crearsi un proprio spazio, un posto da chiamare casa, nella musica. La prima fuga. E alla fine la seconda, lo stesso giorno -27 gennaio- in cui aveva compiuto sedici anni.

Al campo si era aspettato un nuovo inizio. Non era stato proprio così. Le cose erano di nuovo normali (nel limite del possibile per un semidio), ma lui non lo era più: era aggressivo, sfuggente, ombroso, e non aveva legato con nessuno. Dopo un anno e mezzo dal suo arrivo lì, l'unica cosa che riusciva a farlo sentire veramente in pace era ancora solo la musica.

You know I could have been with you
Been with you, done what you been through
I had a chance to choose
When enough's enough will you know it
When you reach your goal will you hold it...”

Aveva le cuffie nelle orecchie anche in quel momento, mentre costeggiava il bosco nella sua corsa giornaliera, anticipata a prima di pranzo per rifarsi della mancata gara di nuoto. Era quasi giunto in prossimità delle stalle dei pegasi quando la scossa di gelo lo attanagliò all'improvviso, attraversandolo da capo a piedi e mozzandogli il fiato. Per un secondo non vide più niente se non un bianco abbacinante, poi, appena i suoi neuroni si scongelarono abbastanza da permettergli di ragionare, il suo pensiero corse subito a Taras del Club di Atene -anche se nella sua testa suonò più come “piccolo, maledetto, fottutissimo scarto della progenie di Chione!” .

Ma non c'era Taras nei paraggi. In compenso, appoggiato di schiena al tronco di un pino come se si fosse ripreso un attimo prima di cadere, scorse una ragazzo magro, basso come un folletto, infagottato in una felpa nera di almeno due taglie troppo grande, come denotavano i polsi bianchissimi, resi ancora più sottili dall'ampiezza delle maniche. Aveva la testa reclinata e una zazzera di capelli scuri gli copriva il volto, ma Cameron lo riconobbe ugualmente come Arthur Carmien, l'unico figlio di Erebo del Campo. Non ci aveva mai parlato direttamente, ma l'aveva incrociato un paio di volte nell'Arena e sapeva che era amico di Sophie Welch, la bimba prodigio della squadra di Sparta, il che automaticamente glielo fece catalogare come tipo a posto.

Neanche a dirlo, cambiò parere un attimo dopo. Arthur tese una mano verso di lui e un blocco di ghiaccio si depositò di nuovo sullo stomaco di Cameron. Il ragazzo si piegò in due, solo vagamente consapevole che l'I-pod gli era caduto a terra, sul sentiero.

-Che accidenti stai facendo?- esclamò, la voce strozzata dal dolore e dalla sorpresa -Ehi! Carmien, ehi!

Il figlio di Erebo alzò la testa: i suoi occhi erano due pozzi di inchiostro, completamente neri anche dove avrebbe dovuto esserci il bianco, come quelli di una creatura dell'ombra. La faccia, terrea, sembrava quella di un cadavere, e i lineamenti erano distesi in una calma piatta e inespressiva che stupidamente, per un istante, gli ricordò Madison.

-Non sono Arthur Carmien.- la voce che uscì dalle labbra incolori era così inadatta a quel corpo sottile che Cameron ci mise un attimo a capire che stava parlando. Era la voce di un vecchio, un vecchio piuttosto rauco, e c'era qualcosa, in essa, che assomigliava ad un ringhio.

-Come ti chiami, semidio?- continuò imperturbabile il qualcuno-nel-corpo-di-Arthur -No, aspetta...Cameron Keller, diciassette anni, figlio di Eris. Lingua ammaliatrice piuttosto potente.

Abbassò la mano e il gelo svanì, lasciando Cameron ad ansimare, ormai steso carponi.

-Cosa...- biascicò lui, alzando lo sguardo. Arthur di avvicinò, lo afferrò per un braccio e lo tirò in piedi. Era insospettabilmente forte, per essere così piccolo.

-Temo di essermi perso mentre salivo in superficie.- disse di nuovo la voce del vecchio -Stavo seguendo una ragazza, mi pare...aveva una torcia molto luminosa. Ma poi il vento l'ha spenta e sai, con questi occhi...

Si agitò una mano davanti al volto, con una smorfia rassegnata.

È cieco comprese Cameron, e immediatamente le parole di Africa gli risuonarono in testa “Amelie, ci serve il tuo aiuto per un'evocazione.” Evidentemente qualcosa doveva essere andato storto, se lo spirito uscito dall'Ade si trovava ora dentro il corpo di Arthur Carmien.

-Chi sei?- si azzardò a chiedere. Il ragazzo sorrise.

-Aiutami ad arrivare dal centauro, Chirone, e lo saprai.- gli afferrò un polso con le dita gelide. Cameron riuscì a malapena a reprimere un brivido, avvertendo quella stretta viscida come le squame di un pesce.

-Da questa parte.- articolò con la gola secca, muovendo qualche passo in direzione della Casa Grande. Arthur lo assecondò con un po' di fatica, come se avesse male alle ginocchia.

Nessuno dei due si accorse che l'I-pod rosso era rimasto abbandonato sul sentiero, la musica ancora accesa che continuava ad andare, impercettibile, fra l'erba.
 



Angolo autrice
Ehi. Scusate il ritardo. Nuovo capitolo per voi, e un nuovo pg inserito, anche se ancora solo a metà. Aki_and_Amy, perdonami/perdonatemi l'uso improprio, ma era un male necessario. Ci vediamo al prossimo capitolo!

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