The Maze Runner - Run

di Inevitabilmente_Dea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38. ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39. ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40. ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41. ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42. ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43. ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44. ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45. ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46. ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47. ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48. ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49. ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50. ***
Capitolo 51: *** Capitolo 51. ***
Capitolo 52: *** Capitolo 52. ***
Capitolo 53: *** Capitolo 53. ***
Capitolo 54: *** Capitolo 54. ***
Capitolo 55: *** Capitolo 55. ***
Capitolo 56: *** Capitolo 56. ***
Capitolo 57: *** Capitolo 57. ***
Capitolo 58: *** Capitolo 58. ***
Capitolo 59: *** Capitolo 59. ***
Capitolo 60: *** Capitolo 60. ***
Capitolo 61: *** Capitolo 61. ***
Capitolo 62: *** Capitolo 62. ***
Capitolo 63: *** Capitolo 63. ***
Capitolo 64: *** Capitolo 64. ***
Capitolo 65: *** Capitolo 65. ***
Capitolo 66: *** Capitolo 66. ***
Capitolo 67: *** Capitolo 67. ***
Capitolo 68: *** Capitolo 68. ***
Capitolo 69: *** Capitolo 69. ***
Capitolo 70: *** Capitolo 70. ***
Capitolo 71: *** Capitolo 71. ***
Capitolo 72: *** Capitolo 72. ***
Capitolo 73: *** Capitolo 73. ***
Capitolo 74: *** Capitolo 74. ***
Capitolo 75: *** Ringraziamenti e Informazioni sul fourquel ***
Capitolo 76: *** Fourquel. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Mi svegliai, sbattei le palpebre, mi sfregai gli occhi e non vidi nient'altro che bianco puro. Nessuna forma, nessun'ombra, nessuna variazione, niente. Solo bianco. Provai un attimo di panico finché capii che forse stavo ancora sognando. Strano, ma di certo un sogno. Percepivo il mio corpo, percepivo le dita contro la pelle. Percepivo il mio respiro. Sentivo il mio respiro e anche il battito del mio cuore. Eppure sapevo che c'era qualcosa che non andava. La paura mi attanagliò le budella. Una paura tremenda, rivoltante, tossica. Scattai a sedere, madida di sudore e con un senso di nausea attaccato allo stomaco. Prima ancora di riuscire a capire esattamente dove mi trovavo, prima che le informazioni viaggiassero attraverso i nervi e le funzioni cognitive della mente, seppi che qualcosa non andava. 
Ero sdraiata su un letto abbastanza comodo, da sola, in una stanza. Mi guardai attorno, sperando di placare il mio senso di smarrimento, ma al contrario, mi accorsi di non sapere dove diamine fossi finita. Portai le gambe fuori dal letto e le appoggiai al terreno che, con mia sorpresa, risultava spugnoso e liscio ma abbastanza elastico da risultare comodo. I miei piedi scalzi fecero leva sul terreno e, con l'aiuto di braccia e gambe, mi tirai in piedi velocemente. Un giramento improvviso di testa mi colse alla sprovvista e cercai un appoggio contro la parete. Dovetti lottare contro me stessa per non vomitare e mi portai una mano sugli occhi, cercando di stabilizzare il mio corpo. Non seppi se quell'improvviso mal di testa fosse dovuto alla luce luminosa e accecante che splendeva da un rettangolo sul soffitto, o al fatto che fosse tutto bianco. Le pareti, il soffitto, il pavimento: era tutto bianco.
La mia mano di strinse a pugno sulla parete e lentamente alzai la testa per osservare meglio quello su cui stavo appoggiata: le pareti erano imbottite, con delle grosse fessure chiuse, a circa un metro l'una dall'altra. Tutt'intorno c'era odore di pulito, di ammoniaca e sapone. 
Guardai in basso e vidi con sorpresa che anche i miei vestiti non avevano colore: una maglietta e pantaloni di cotone. 
Avanzai di qualche passo e alzai lo sguardo cercando di immagazzinare tutti i dati necessari a etichettare quella stanza e capire se fosse sicura o meno. A circa tre metri da me c'era una scrivania marrone. La sola cosa nella stanza che non fosse bianca. Era vecchia, logora e graffiata, con una semplice sedia di legno spinta nell'incavo dalla parte opposta. Dietro c'era la porta, imbottita come le pareti.
La speranza mi disse che forse la porta avrebbe potuto aprirsi se ci avrei provato, ma la cosa era alquanto improbabile. L'istinto mi diceva che avrei dovuto prendere fiato e gridare aiuto. Che avrei dovuto picchiare contro la porta. Ma sapevo che non si sarebbe mai aperta. Che nessuno mi avrebbe ascoltata. 
Ora tutto mi era chiaro, cristallino: ero caduta nuovamente nelle mani della W.I.C.K.E.D. e questa volta non ci sarebbero stati i miei amici a salvarmi. Ero sola.
Una brutta sensazione mi pervase il corpo e tremai involontariamente. Era come se una mano gelida mi accarezzasse la schiena, con un vano tentativo di conforto. 
Poi, qualcosa nella mia mente si aprì e come se nulla fosse, tutto quello che era avvenuto prima di risvegliarmi in quel luogo strano mi piombò addosso come un missile: gli scienziati e David erano riusciti a separarci di nuovo. Newt, Minho, Thomas, Stephen. Non sapevo dove fossero. Magari anche loro si trovavano in una stanza come la mia. Magari...
Come se mi fossi ricordata solo in quel momento della cosa, abbassai lo sguardo sulla spalla. Tirai delicatamente giù la maglietta e notai con stupore che la mia ferita da sparo era stata medicata con cura e ora rattoppata con una larga fascia quasi completamente bianca, se non fosse stato per la macchiolina rossa che giaceva nel suo centro. Stranamente, il dolore che avevo provato dopo lo sparo si era dissipato, sostituito da un lieve bruciore. Almeno per questo potevo essere grata alla W.I.C.K.E.D.: non avrei sopportato di riprovare ancora quel dolore.
Mi morsi il labbro, indecisa sul da farsi e intenta ad affogare quelle negative sensazioni che mi divoravano lo stomaco. Ma tutto sembrava inutile. 
Non ci voleva un genio per capire che lo avevano fatto di nuovo, che ci avevano incastrati, mentendoci spudoratamente, e che ancora un'altra volta saremmo stati i loro topi da laboratorio, le loro... cavie. Ma dopotutto, è questo che sono sempre stata, no? Una cavia. Pensai schifata dal loro comportamento. Mi avevano portato via tutto un'altra volta.
Era come se fossi tornata di nuovo nella Scatola: quella sensazione di nausea, il mal di testa, la claustrofobia, la mancanza di ossigeno, le lacrime e il panico che minacciano di inghiottirti. 
Avrei dovuto saperlo che non era il caso di farsi illusioni. 
Non ti farai prendere dal panico questa volta. Mi ordinai, annuendo come per rispondermi. Doveva essere un'altra fase delle Prove, e questa volta avrei combattuto per cambiare le cose, per mettere la parola fine a tutto quello. Era strano, ma anche solo sapere di avere un piano, sapere di essere disposta a tutto per ottenere la libertà, provocò in me una calma sorprendente. 
Forse non potevo aprire la porta, ma magari potevo buttarla giù o spaccarla. Forse avrei potuto buttarci contro la sedia o abbatterla dando colpi con la scrivania o...
Risi di me stessa e dei miei pensieri illusori. Non avrei potuto fare niente per aprire quella porta che sembrava dannatamente fortificata all'esterno.
Avanzai verso la scrivania, spinta dalla curiosità e una volta raggiunta accarezzai il legno morbido, fino a notare tre cassetti sul suo lato.
Mi misi in ginocchio e portai la mano sul primo, aprendolo di colpo. Niente. Provai col secondo. Niente. Trascinai la mia mano sul piccolo pomello rotondo del terso cassetto e chiusi gli occhi per un attimo, prima di aprire anche l'ultima delle mie speranze.
Feci un profondo respiro e, sempre tenendo gli occhi chiusi, feci scorrere il cassetto verso l'esterno.
Ti prego, ti prego, ti prego. Aprii prima un occhio, poi l'altro. Ti prego, ti...
Sbarrai gli occhi per lo stupore e sentii il mio fiato mancare. Allungai la mano dentro il cassetto, indecisa se afferrare o no quell'aggeggio mortale.
Alla fine, spinta dalla curiosità, feci scorrere le mie dita lungo di esso e poi, tenendolo a devota distanza dal mio corpo, sollevai l'oggetto metallico.
Lo rigirai tra le mani e mi morsicchiai il labbro per il nervoso. Cosa caspio potevo farne io di una pistola? Spararmi? Be' la W.I.C.K.E.D. non avrebbe avuto la mia vita - o ciò che ne rimaneva - così facilmente. Tenni sotto controllo il panico. Non mi lasciai sopraffare dalla paura. Feci un respiro profondo e chiusi il cassetto, alzandomi cautamente in piedi.
Non avevo mai usato una pistola. Come facevo a...
Senza neanche avere il tempo di formulare un altro pensiero, sentii un clic meccanico dietro di me. Mi voltai di scatto, impaurita e con il cuore in gola.
La porta! Era stata la porta a fare quel rumore! Avanzai di qualche passo, ma poi mi bloccai. E se fosse stato anche quello una parte delle Prove? E se fuori da quella porta mi stessero attendendo Dolenti o Spaccati? 
Ora forse iniziavo a capire la funzionalità della pistola. La strinsi nel palmo destro, tremante, poi - per darmi più fermezza - chiusi anche la mia mano sinistra attorno ad essa e la puntai davanti a me.
Silenziosamente feci qualche altro passo, poi - quando fui abbastanza vicina alla maniglia - allungai la mano sinistra verso di essa.
Non appena le mie dita entrarono in contatto con il metallo freddo di cui era rivestito il pomello, la porta si spalancò, lasciando entrare una folata gelida di vento.
Immediatamente riportai la mano sulla pistola e la puntai sulla figura che mi si era materializzata davanti. Dovetti trattenere un urlo quando riconobbi chi fosse.
Capelli biondi, corporatura atletica e abbastanza muscolosa, naso a patata, labbra piegate in una smorfia divertita e il solito carattere strafottente di una volta.
L'unico problema era che... Lui era morto. Lo avevo visto con i miei occhi!
"E' un piacere rivederti, Elena." disse con un ghigno stampato in faccia.
"Z..." prima di riuscire a pronunciare il suo nome, dovetti ingoiare il groppo di panico che mi serrava la gola. "Zart?"

*Angolo scrittrice*
Ehi pive! Da quanto tempo!
Vi sono mancata, eh?
Da dove partire? Be' innanzitutto, vi dico solo che Zart non sarà l'unico ad essere 'tornato in vita', per così dire. Ci sarà anche un'altro personaggio più avanti che si riscoprirà non essere morto, ma non vi anticipo niente!
Vi mancava Zart?
Poi, ultima cosetta: per quanto riguarda le pubblicazioni, penso che manterrò il ritmo del libro scorso, ovvero due giorni di pausa e il terzo giorno aggiorno la storia. Es: dato che ho pubblicato oggi, il prossimo aggiornamento avverrà di sabato sera. Gli aggiornamenti avverranno SEMPRE di sera, ad esclusione di qualche eccezione. Cercherò di essere sempre puntuale, ma purtroppo ci saranno alcune volte in cui dovrò ritardare di un giorno o due, per via degli impegni che prenderò.
Dopotutto, è estate anche per me, no? Ma non preoccupatevi, vi avviserò sempre lasciando un messaggio in bacheca (quindi tenetela d'occhio).
A proposito, come stanno andando le vostre vacanze?
Baci,
Inevitabilmente_Dea ♥

PS: so che il capitolo è abbastanza corto, ma per iniziare il libro ho preferito non aggiungere altro ;)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


"Be', ti pare questo il modo di salutare un vecchio amico? Puntandogli una pistola in faccia?" chiese arricciando la bocca in un sorriso molto lontano dall'essere rassicurante. "Andiamo, abbassa quell'affare."
Alzò la sua mano con fare sicuro e poi la appoggiò sulla canna della pistola, spingendola verso il basso. Non potei fare a meno di rimanere incatenata ai suoi occhi, con la bocca spalancata per l'orrore e lo stupore, ma soprattutto paralizzata dalla paura e la sorpresa.

Che stessi diventando matta? Forse stavo ancora sognando... Forse era solo un miraggio o magari...
"Allora? Che fai? Pensi di rimanere lì a fissarmi come un baccalà? Potresti anche darmi un'abbraccio in onore dei vecchi tempi!" mi schernì, aprendo le braccia e guardandomi con occhi vuoti.
"T-Tu sei... eri... T-Tu..." non riuscii neanche a mettere insieme poche parole per fare una frase, così mi limitai a dire l'indispensabile. "Morto."
"Tu sei eri tu morto? Wow... Ehm, se ho capito bene anche dalla tua espressione, ti stai chiedendo perchè sono vivo, giusto?"
Non riuscii a fare niente se non annuire.
"No, non sono mai morto... E hai le prove, mi pare: sono io, Zart, in carne ed ossa." disse incrociando le braccia e ridendo in modo sinistro.
Aveva ragione, era vivo e vegeto, ma aveva qualcosa di strano e i suoi occhi erano così... diversi. Sembravano spenti ma allo stesso tempo avevano un certo luccichio, come se fossero gli occhi di un automa. Scossi la testa. Come faceva ad essere vivo? Lo avevano preso i Dolenti! Lui era morto! Lui è morto!
"Lo so, sembra incredibile, ma ehi... Sono sempre io!" esclamò girandosi di lato e chiudendo con un tonfo la porta. 

Solo in quel momento mi risvegliai dal mio trans momentaneo. "Cosa diamine fai?" urlai abbandonando la pistola sulla scrivania per fiondarmi poi sulla porta, dandogli una spallata per spostarlo.
Mi attaccai alla maniglia e cercai in tutti i modi di riaprire anche solo una fessura, ma non accadde nulla e la porta non si mosse di un millimetro.

Mi ricomposi e allungai le braccia sui fianchi. Respirai profondamente e dovetti stringere i pugni, conficcandomi le unghie nei palmi, per cercare di contenermi e non saltargli addosso.
Mi girai lentamente e, sempre tenendo lo sguardo basso, bofonchiai qualcosa tra i denti. 
"Cosa hai detto?" chiese lui fingendosi ingenuo.
"Ti ho chiesto perchè caspio lo hai fatto." biascicai, stringendo la mascella quasi come se volessi farmi saltare tutti i denti. 
"Non vedo perchè avrei dovuto lasciarla aperta." disse lui semplicemente.
Alzai lo sguardo di scatto, furente. Uscire dal Labirinto lo aveva incretinito o cosa? "Ma sei idiota? Era la nostra unica via di uscita! Potevamo..." mi interruppi non appena lo vidi con in mano la pistola.
"Zart?" lo richiamai. Lui non mi degnò di uno sguardo e continuò a rigirarsi tra le mani quello stramaledetto affare, con un luccichio di malvagità negli occhi.
"Zart cosa vuoi..."
"Aaah, perchè non te ne vuoi stare zitta, uhm?" chiese alzando lo sguardo spazientito e puntandomi la canna alla testa.

Spalancai gli occhi terrorizzata e chiusi immediatamente la bocca. Alzando le mani in segno di riappacificazione, mi allontanai da lui di qualche passo, incredula di come si fosse ribaltata all'improvviso la situazione.
Lo Zart che conoscevo era già parecchio pericoloso senza armi, figuriamoci con una pistola in mano. Dire che mi aveva in pugno era a dir poco limitativo. Ero proprio incastrata, in trappola, senza via di fuga. O in altre parole: morta. Potevo ritenermi morta e sepolta.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso in lui, era stata la mia parlantina, ma sapevo di dover rischiare per forza e aprire bocca per chiarirmi le idee e cercare di calmarlo.
"Zart, ascoltami." dissi in tono molto calmo e dolce. "Parla con me. Possiamo trovare una soluzione. Non sei obbligato a farlo." 
Lui emise un verso strano, simile ad una risata gutturale e soffocata, ma il suo viso non era segnato neanche da un minimo di divertimento, anzi aveva la mascella serrata e questo conferiva al suo volto ancora più durezza e autorità. "Non sono obbligato, dici? E tu cosa ne sai?"
"Oh, andiamo... Non ce l'avrai ancora con me perchè pensi che tutte le morti dei Radurai siano colpa mia?" dissi esasperata, pentendomi subito dopo delle mie parole probabilmente sbagliate dato la situazione poco favorevole. 
"In realtà lo credo ancora, ma non sono qui per questo." rispose pacato, caricando la pistola con un gesto repentino. Quel suono metallico mi fece rizzare i peli sulla nuca e capii che stavo solo perdendo tempo: non lo stavo di certo facendo ragionare, dovevo concentrarmi!
tentai di nuovo: "Ascolta, Zart. Forse poss..."
"No, no, no e poi no! Tu non sai niente, tu sai solo parlare e non ascoltare! Te l'ho già detto: devo farlo, non ho scelta!" mi urlò contro, le vene ingrossate sul collo e il volto rosso per la rabbia. "O tu o io."
Spalancai gli occhi! Ma certo! Come avevo fatto a non pensarci prima? Era ovvio: la W.I.C.K.E.D. lo aveva costretto a fare questo. Era solo un'altra dannatissima prova e io ci ero cascata come un'idiota. Probabilmente lo avevano minacciato, poi lo avevano mandato dentro la Stanza Bianca dicendogli esattamente come comportarsi. Ma perchè farlo?
Voglio dire, perchè tentare tutto questo, rischiando di perdere almeno uno di due Soggetti? Non che avessero fatto altro fino ad allora, ma eravamo rimasti in pochissimi e non potevano permettersi altre perdite. 
"Zart!" lo richiamai, immediatamente risvegliata dai miei pensieri, come se mi fossi accorta solo in quel momento di avere una pistola puntata alla testa. "Possiamo combatterli! Se ci alleiamo e mettiamo da parte i vecchi rancori, la W.I.C.K.E.D. potrà combatterci, ma non controllarci come ha fatto fino ad ora!"
Lui rise di nuovo, ma questa volta era quasi insofferente, disperato. "Tu non capisci. Se io non uccido te, loro mi faranno fuori. Io sono già quasi morto una volta, non intendo rivivere quel momento."
Mi morsi il labbro inferiore in preda al panico. Sapevo che le mie frasi per convincerlo a non premere quel grilletto stavano diminuendo a vista d'occhio, ma dovevo tentare e ritentare. Questa volta avrei combattuto, magari sarei morta, ma intanto ci avrei provato. 
"Okay, ti lascerò uccidermi. Ma prima ho un'ultima cosa da dire..." ammisi, sperando di prendere il tempo necessario. 
Lui alzò gli occhi al cielo e sbuffò indispettito, ma si vedeva lontano un miglio che era molto più sollevato. "Muoviti allora."
"Voglio che Newt sappia che lo amo e che..." mi fermai per qualche istante e fissai un punto a caso nella parete dietro al ragazzo. Sorrisi come un'ebete al nulla, tenendo sempre d'occhio Zart, e poi annuii, fingendo di stare dando un segnale o cose del genere.

Come stavo sperando, il ragazzo si girò di scatto verso la parete alle sue spalle, puntando la pistola nel vuoto e fu proprio quello il momento in cui gli saltai addosso.
Combattere era istintivo e ormai faceva parte della mia routine quotidiana. Accadde tutto così velocemente che feci tutto quasi meccanicamente, senza neanche pensarci troppo su: gli balzai addosso, incastrando il suo collo tra le mie braccia e attorcigliai le mie gambe al suo busto. Lui iniziò a dimenarsi e con la mano libera cercò di afferrarmi per la maglietta, ma senza riuscirci. Lo vidi puntare la pistola verso una delle mie gambe e fu quello il momento in cui, presa alla sprovvista, affondai i miei denti nel suo collo. Lo sentii gridare, ma non mollò la presa dalla pistola, così strinsi ancora di più la mandibola, impaurita di scoprire che sapore avesse il suo sangue. Tuttavia, nonostante la tenacia con cui stavo lacerando la sua pelle – che stranamente sapeva di gomma–, il suo sangue non arrivò mai a bagnare la mia lingua. Non ebbi neanche in tempo di sorprendermi che sentii la sua mano affondare nella mia maglietta e strattonarmi giù.
Caddi a terra e rotolai due o tre volte prima di riuscire a fermarmi, poi velocemente indietreggiai verso l'angolo del muro. Zart mi venne incontro: aveva uno sguardo furibondo e i capelli arruffati; i muscoli delle braccia erano tesi per la rabbia e le vene ingrossate spiccavano sulla pelle; il suo collo era invece segnato da un grosso morso, profondo e che sembrava stesse per spruzzare sangue da tutte le parti, invece questo non accadde e dalla sua ferita non uscì nulla. Scossi la testa e sbattei le palpebre. Come era possibile che non perdesse sangue? Non ebbi neanche il tempo di riflettere sul da farsi, che Zart mi puntò nuovamente la pistola contro, questa volta molto più motivato a spararmi. Senza aspettare altro alzai la gamba e con un calcio lo disarmai, per poi gettarmi con foga sulla pistola. Non appena saltai in aria per atterrare poi sul pavimento, una fitta alla spalla mi fece mugugnare, ma non mi fermò. Strisciai a terra e allungai la mano per afferrare la pistola. Le mie dita sfiorarono la fredda superficie dell'arma e con uno sforzo la attirai a me.
Feci appena in tempo a girarmi che Zart mi piombò addosso, il doppio più pesante di quanto mi ricordassi. 
Ci azzuffammo tra di noi ed io cercai più volte di colpirlo con il calcio della pistola, ma ogni volta lui schivava il colpo. Non avevo intenzione di sparagli! Lui non era un mio nemico, la W.I.C.K.E.D. lo era.

Dovevo far capire a Zart la stessa cosa. 
Continuammo a lottare l'uno con l'altra, lui col tentativo di riprendersi la pistola, ed io con lo scopo di riuscire ad immobilizzarlo.
Finalmente, dopo quelle che mi sembrarono ore di tentativi, finalmente riuscii a bloccarlo a terra. Mi misi sopra di lui, incatenando le mie gambe alle sue e gli puntai la pistola alla testa.

La situazione si è ribaltata. Pensai.
Lui mi sorrise strafottente, quasi come per lanciarmi una sfida e incoraggiarmi a sparargli. Non sembrava per nulla spaventato o preoccupato che la sua stessa vita potesse scivolargli dalle mani.

"Avanti, fallo. Sparami." disse sogghignando divertito. 

Serrai la mascella. Anche lui sapeva che non avrei mai avuto il coraggio di farlo.
Notando che non avevo intenzione di reagire, il suo volto si fece furioso. "Sparami ora se ci tieni alla tua vita!" mi gridò infuriato.
Chiusi gli occhi e scossi la testa, ma senza smuovere di un millimetro la pistola. 
"Apri gli occhi, guardami e dimmi cosa hai intenzione di fare." ripetè calmo.
Feci come ordinò, ma non dissi nulla e questo lo fece arrabbiare ancora di più. In meno di un secondo mi ritrovai sotto il suo peso, con il suo volto a pochi centimetri dal mio, la pistola schiacciata al petto.
"Hai tre possibilità: puoi prendere quella pistola, puntartela alla tua stessa testa e premere il grilletto; puoi invece passarmi quella dannatissima arma e lasciare che io ponga fine alla tua miserabile vita; oppure puoi decidere di uccidermi, ma dopotutto... Io sono già morto, ricordi?" disse senza lasciar trasparire dai suoi occhi nessuna emozione.
"Io non ho intenzione di morire." dissi fredda. 
"E allora abbiamo ristretto le nostre possibilità. Cosa aspetti, allora? Punta quella pistola alla mia testa e premi quel grilletto." disse prendendo la pistola e sistemandosela sulla fronte. "Che aspetti?"
Scossi la testa nuovamente e cercai di allontanare l'arma da lui, ma tutto fu inutile e Zart continuò ad insistere.

"Se non sai sparare a chi cerca di ucciderti, come speri di riuscire a sconfiggere la W.I.C.K.E.D.?" chiese fissandomi negli occhi.
"Io non..."
"Spara!" gridò infuriato.
"No." replicai.
"SPARA!" urlò lanciando un pugno al terreno, poco distante dalla mia faccia. "SPARAMI!"
Sollevò il pugno per lanciare un altro colpo ed io serrai gli occhi, ma prima che le sue nocche si andassero a conficcare nel terreno, il mio dito scivolò sul grilletto e lo premette, facendo partire un proiettile che fendè l'aria e si andò a conficcare nella testa di Zart con un suono umidiccio. Un suono di morte.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Non appena il frastuono del colpo di pistola si diffuse nell'aria, sentii un peso annidarsi nel mio petto e non era dovuto al corpo di Zart che subito dopo lo sparo si era accasciato senza vita su di me. Senza riuscire più a controllarmi scoppiai a piangere. Piansi per la disperazione, per la paura, per l'ansia, ma soprattutto piansi per aver tolto la vita ad un'altra persona con le mie mani. Le stesse mani con cui sfioravo e accarezzavo quelle di Newt, le stesse dita che un tempo si divertivano ad arricciare i suoi capelli, gli stessi palmi che una volta stringevano il suo viso e lentamente lo avvicinavano al mio. 

Cosa ero diventata? Un mostro? No, peggio. Forse potevo giustificarmi per aver tolto la vita ad uno Spaccato, dato che era stata solamente legittima difesa − nonostante lo ammettessi, ancora non riuscivo a perdonarmelo −, ma dopo quell'istante capii che nulla sarebbe stato più come prima, per me. Avevo ucciso un mio amico! 
Non trovai neanche il coraggio di guardarlo in faccia: aprii gli occhi e subito fissai le mie mani. Me le immaginai macchiate di sangue, macchiate e sporche come la mia coscienza. Anche se in realtà, ora che le stavo guardando, non lo erano. 
Come se mi fossi accorta solo in quel momento di essere ancora ancorata alla pistola con cui avevo fatto quell'orrore, la abbandonai a terra, singhiozzando e frignando come una bambina. L'aggeggio cadde a terra senza produrre rumore, ma quel silenzio mi stava opprimendo, ricordandomi ogni secondo che ero sola e che non avrei potuto rimediare a quell'errore.
Strisciai via dal corpo esanime del ragazzo, improvvisamente spaventata. Ero terrorizzata all'idea di essere circondata dalla morte, per quanto fino a quel punto mi fosse stata sempre familiare. Certo, potevo dare la colpa alla W.I.C.K.E.D., potevo dire che fosse solo opera loro, che io non centravo niente, ma sapevo benissimo che era una bugia. Di certo loro mi avevano tolto tutto: una famiglia, una mia vita, degli amici, la pace e la serenità; ma non potevo allo stesso modo incolparli di avermi tolto l'umanità o quello che mi restava, perchè quella me l'ero strappata di dosso da sola, premendo un semplice grilletto.
E' colpa mia. E' tutta colpa mia. Pensai singhiozzando e ritirandomi in un angolino. Mi portai le ginocchia al petto e rimasi così, con occhi vuoti, a fissare il corpo di Zart. Non emettevo un suono, ma dentro stavo urlando perchè potevo sentire la mia anima lacerarsi lentamente e sgretolarsi sotto il morso infettato della morte. 
I secondi diventarono minuti e i minuti diventarono ore, tuttavia a me sembrava di stare là da un tempo infinito, come se quegli istanti si fossero improvvisamente dilatati. Iniziai a sentirmi sempre peggio con me stessa: avevo la nausea e il mal di testa, dovuto probabilmente al pianto eccessivo, che ancora continuava silenziosamente. 
Riuscii a trattenermi a lungo: legai tutte le emozioni negative insieme e le gettai nel fondo della mia coscienza, accantonandole e mettendole all'ombra; tuttavia dopo qualche istante la mia resistenza iniziò a vacillare e allentai sempre di più il nodo ai miei sentimenti, fino a che essi non si liberarono del tutto, facendomi scoppiare come una bomba a mano.
Senza neanche volerlo veramente spalancai la bocca ed urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Urlai fino a che non sentii il fuoco bruciare nei miei polmoni e quasi mi spaventai nel sentire la mia stessa voce così rotta e... straziante. Quasi disumana.
Dopo aver ricongiunto le labbra e aver ridotto il grido ad un sussurro quasi impercettibile, mi sentii immediatamente meglio, così decisi di farlo di nuovo, ma questa volta volovo buttare fuori proprio tutto, di mia spontanea volontà.
Presi fiato e mi portai le mani sulle orecchie. Poi gettai tutto all'infuori, un po' come si rilascia tutto il respiro che resta, subito prima di riaffiorare dalla superficie dell'acqua.
La mia voce mi arrivò ovattata e soffocata, e la cosa non mi piaceva. Volevo sentirlo, il grido. Volevo sentire il dolore, la disperazione e l'affanno di cui ero fatta. Volevo sentire il panico, l'angoscia. Tutto. Volevo sentirmi pronunciare tutto in un singolo, acuto e perforante grido di liberazione.
Lasciai che le mie dita scivolassero tra i capelli, poi quando sentii che l'urlo era prossimo a terminare, mi portai poche dita sulle labbra e le strinsi tra i denti fino a farmi male.
Singhiozzai per la millesima volta e mi sembrò di sputare l'anima. Mi accasciai sul pavimento, sempre con le ginocchia strette al petto, nel tentativo di un abbraccia che risultasse abbastanza confortante da tranquillizzarmi. Ma nulla in quel momento poteva farlo. 

Quando riaprii gli occhi, sentii nel petto una strana sensazione di leggerezza, che però sfumò poco dopo, quando ricordai tutto. 

Mi guardai intorno, angosciata e terrorizzata all'idea di ritrovarmi davanti il corpo senza vita di Zart, invece la stanza era praticamente vuota se non fosse stato per una figura seduta sulla sedia dietro la scrivania.
J-Janson? Pensai stupita. Senza esitare mi guardai intorno alla ricerca della pistola. Avevo già ucciso qualcuno prima, perchè non farlo di nuovo, uhm? Di certo sarebbe stato divertente vederlo morire ai miei piedi, dopo avermi supplicato di risparmiargli la sua miserabile vita.
Quando mi accorsi che invece era sparita anche quella, la rabbia si impossessò di me. Scattai in piedi e senza neanche rifletterci su, corsi verso l'uomo, che se ne stava beatamente seduto a leggere un libro. Ma quando mancava mezzo metro dal raggiungerlo, andai a sbatterecontro una parete invisibile. Prima il naso, colpendoquello che sembrava una fredda lastra di vetro. Poi il resto del corpo seguì a ruota, andando addossoal muro che mi fece barcollare all'indietro. Istintivamente mi sfregai il naso, mentre strizzavo gli occhiper capire come avessi potuto non accorgermi della barriera di vetro.Ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo a vedere niente. Nemmeno il minimo bagliore o riflesso,né un alone da nessuna parte. Tutto quello che vedevo era aria. 
Nel frattempo, Janson non si erapreoccupato di muoversi o di mostrare il minimo segnale di essersi accorto di qualcosa. Così mi avvicinai di nuovo, questa volta più piano, con le mani tese in avanti. Entrai presto incontatto con il muro fatto interamente di un invisibile... Cosa? Sembrava vetro: liscio, duro, e freddoal tatto. Ma non vidi assolutamente niente che indicasse che lì ci poteva essere qualcosa di solido.
Frustrata, mi spostai a sinistra, poi a destra, continuando a toccare il muro trasparente eppure solido.Si estendeva per tutta la stanza; era impossibile avvicinarsi all'uomo alla scrivania. Alla fine, stanca di quello che sembrava essere un altro dei giochetti della W.I.C.K.E.D. per farmi imbestialire, battei sul muro, producendo una serie di rumori sordi, ma non accadde nient'altro. 
Solo quando urlai il suo nome, Janson alzò lo sguardo e mi rivolse un sorrisetto.
Non mi disse nulla, anzi, aprì uno dei cassetti e tirò fuori qualcosa, poi mise davanti a sé un fascicolo, lo aprì e cominciò a sfogliare le pagine. Una volta trovato quello che stava cercando, si fermò e appoggiò le mani sul foglio. Poi sfoderò un sorriso patetico, posando lo sguardo su di me, ma senza parlare.
"Allora?" gridai esasperata. "Cos'è tutto questo? Uno scherzo?"
Lo guardai in attesa di una risposta e lui, dopo un'attimo di esitazione, pronunciò poche semplici parole. "Pensi che tutto questo ci diverta? Pensi che ci divertiamo a guardarvi soffrire? C'è una ragione dietro a tutto ciò, e molto presto lo capirai." 

La sua voce era cresciuta d'intensità fin quasi a urlare l'ultima parola, il viso adesso era paonazzo. "Wow." sputai, sinceramente stupita. "Datti una calmata e rilassati, vecchio mio. Sembra che ti stia per venire un infarto. E per lo più dovrei essere io quella incazzata." 

L'Uomo Ratto si alzò dalla sedia e si allungò sulla scrivania. Le vene del collo, come corde tese, pulsavano. Si rimise lentamente a sedere e fece dei respiri profondi. "Mi sarei aspettato una cosa del genere da te. Sai, sei sempre stata testarda, ma alla fine abbiamo inquadrato pure te."
La rabbia dentro di me stava aumentando e mi sentivo sul punto di esplodere un'altra volta. Ma mi sforzai di mantenere un tono di voce calmo, con il tempo avevo imparato che non sarei riuscita ad estorcergli niente con la rabbia. "Immagino che anche questo è solo un altro dei vostri test. Allora dove caspio andrò adesso? Mi manderete sulla luna? Mi farete attraversare l'oceano a nuoto in mutande?" Feci un sorriso forzato. "Ho appena ucciso un ragazzo − un mio amico, per giunta − e tutto quello che mi vieni a dire è che ti aspettavi che io facessi così?" 
"Sì." rispose semplicemente lui. "Tutto è andato secondo le aspettative."

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


"T-Tutto è andato secondo le... aspettative?" ripetei, scombussolata e stupefatta dalle sue parole. Ma certo, per la W.I.C.K.E.D. eravamo solo esperimenti da laboratorio, ci studiavano e appuntavano i nostri comportamenti. "Vuoi dirmi che tutto questo..." indicai la stanza bianca, sollevando un braccio per poi lasciarlo ricadere, abbastanza furiosa. "...è stato solo uno stupido test pianificato?"
Lui aprì la bocca per rispondermi, ma non gliene diedi il tempo. "Tutto questo!" gridai infuriata, sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi. "Ho ucciso un mio amico e tu ora mi vieni a dire che era una prova per testarmi?" urlai, ormai perdendo l'ultima briciola di sanità che avevo nella mente.
Iniziai a dare pugni contro la parete di vetro, pur sapendo che non sarei mai riuscita a romperla. "Ci studiate dietro a degli schermi; ci fate passare le peggiori disavventure che possano mai esistere; i vostri test puntano sempre e solo alla morte, e alla sopravvivenza da essa; e quando è ora di affrontarci di persona vi nascondete dietro a muri invisibili! Siete dei codardi! Codardi e psicopatici! Avete preferito usare delle cavie umane, ragazzi e bambini, piuttosto che scendere voi in campo e cercare direttamente quella fottutissima cura! Sono stufa di tutto questo! Noi non siamo delle marionette e voi non siete dei dannatissimi burattinai!"
Durante tutto il mio sfogo, l'Uomo Ratto mi aveva fissata con occhi inespressivi. "Hai finito?"
"No che non ho finito!" Erano giorni che aspettavo l'opportunità di parlare, di dire veramente alla W.I.C.K.E.D. cosa pensavo, e adesso che finalmente l'occasione era arrivata, la mia mente era piena di insulti e parole da usare, ma non scovavo nulla che mi sembrasse utile abbastanza per fargli capire quanto avevamo sofferto tutti noi. "Probabilmente ti starai chiedendo se non sia l'Eruzione a parlare al posto mio. Be' è probabile dato che mi sembra di star diventando sempre più pazza, ma ti assicuro che tutto quello che ti ho detto è perchè lo volevo fare. E prova a dirmi un'altra volta che tutto è andato secondo le aspettative e giuro che ti spacco quella faccia da topo che ti ritrovi!" gridai dando un ultimo pugno contro la parete, facendomi addirittura male.
"Oh, Elena." l'Uomo Ratto parlò con calma, come se stesse per dare una brutta notizia a un bambino piccolo. "Se così ingenua. Pensi davvero che questo basti per smuovermi o per farmi smettere tutto questo? Be', ti darò una notizia flash, dato che ancora − come d'altronde i tuoi amichetti −non sembri averlo capito : tutto questo, lo stiamo facendo per voi, per curare l'Eruzione; tutto questo è per un bene superiore che voi ancora non comprendete. La W.I.C.K.E.D. è buona e voi di certo non intralcerete i nostri piani."
"Di certo non state aiutando noi. Ho l'Eruzione e non ho intenzione di diventare una Spaccata, ma di certo non ho neanche intenzione di continuare ad aiutarvi a mandare avanti questa casa degli orrori. Voi non ci aiutate, voi ci distruggete e io non voglio continuare a fare parte di tutto questo."
Janson rise beatamente e di gusto, come se il mio discorso fosse stato un realtà una barzelletta. "Credi davvero di avere scelta?" chiese poi, tornando spaventosamente serio. "Non stiamo chiedendo il tuo permesso e di certo non hai scelta. O meglio, tu avevi una scelta, ma poi hai deciso di buttarti dentro tutto questo e ora non puoi più uscirne. E poi anche se ti lasciassimo andare, dove ti rifugeresti? Con gli Spaccati? Non dureresti neanche un giorno."
Rimasi spiazzata dalle sue parole. Per quanto fosse difficile, dovevo ammettere che aveva dannatamente ragione. Non conoscevo nulla all'infuori dei corridoi illuminati della W.I.C.K.E.D. e anche se fossi riuscita a scappare con i Radurai, sapevo che non saremmo resistiti abbastanza per fare un secondo tour della Zona Bruciata. Ci serviva un posto sicuro in cui stare, lontano dagli Spaccati e... Era impossibile. Anche se fossimo riusciti ad isolarci dal resto degli infetti, sicuramente con il passare del tempo sarebbe arrivata una nuova minaccia, che questa volta non avremmo avuto la forza di combattere: noi stessi. Avevamo tutti l'Eruzione e tutti lentamente saremmo impazziti, uno dopo l'altro. 
Saremo capaci di combattere tra di noi per evitare di mangiarci l'un l'altro? 
In realtà non era questo che mi preoccupava. Ciò che mi tormentava era il fatto di impazzire: perdere il controllo completamente e fare male alle persone che amavo. Avrei avuto la forza di combattere contro me stessa per evitare che qualcuno si facesse male?
Chissà, magari un giorno mi sarei svegliata, avrei afferrato un coltello, sarei andata in camera di Newt e lo avrei accoltellato al petto, giusto perchè le voci nella mia testa mi avevano ordinato di farlo. Sarei stata capace di difendere gli altri da me stessa? Per quando cercassi di fingere di non sapere la risposta, in realtà ero a conoscenza della verità e non mi piaceva.
Sentii un brivido freddo attraversarmi la schiena, segno che non solo la rabbia aveva iniziato a ribollirmi dentro, ma che ora si stava anche mischiando con il terrore, creando qualcosa che a stento sarei riuscita a controllare. 
C'era stato un momento − dopo tutto quel tempo passato nella Zona Bruciata, insieme a Stephen, circondata dagli Spaccati − in cui mi ero domandata fino a che punto avrei resistito: avrei combattuto la pazzia o semplicemente gli avrei aperto le porte? Mi ero rassicurata dicendo a me stessa che avevo ancora del tempo, che stavo ancora bene. Che ero ancora lucida. Ma era una bugia. Una bugia bella e grossa. Stavo impazzendo lentamente e lo sapevo, lo vedevo e lo percepivo nelle ossa e nella mente. Era come avere delle mosche nella testa. Sentivo la necessità di aprirmela in due per farle uscire tutte.
L'Uomo Ratto sospirò, riportandomi immediatamente alla realtà. "Tu non capisci. Non capisci quello che sono venuto qui a dirti."
"Perché dovrei credere a una sola parola che ti esce dalla bocca? Cosa ti aspettavi? Un abbraccio caloroso?" Avevo il respiro affannato e non sapevo se fosse dovuto ai miei pensieri troppo laboriosi e terrorizzanti, o alla rabbia che mi ribolliva nel sangue. Dovevo riprendere il controllo di me stessa. L'Uomo Ratto mi fissava con sguardo freddo, gli occhi come due buchi neri. Che quell'uomo mi stesse mentendo o meno, sapevo che se volevo uscire dalla stanza bianca avrei dovuto ascoltarlo. Feci uno sforzo per rallentare il respiro. Aspettai. Dopo diversi secondi di silenzio, il mio visitatore proseguì. "So che vi abbiamo mentito. Spesso. Abbiamo fatto delle cose orribili a te e ai tuoi amici. Ma faceva tutto parte di un piano che..."
"Smettila." sentenziai dura, priva di sentimenti e fredda come se lo stessi rimproverando nel peggiore dei modi. "Ti ho detto di smetterla di dire che tutto era stato pianificato."
"Ma è la verità, perchè dovrei nasconderlo o negarlo?"
"Ci avete mentito per tutto il tempo, non credo che tu faccia fatica a smettere di dire quella frase. Ti sto chiedendo di ometterla in mia presenza." dissi in modo calmo e pacato, nonostante sentissi il bisogno pressante di urlargli in faccia. "E in ogni caso, non mi hai risposto. Come puoi aspettarti che io creda a una sola parola di quello che dici?"
"Perché non è vantaggioso tenerti all'oscuro. Non ha senso." disse l'Uomo Ratto. "Non più."
Mi sentii improvvisamente stanca, come se tutta la forza mi avesse abbandonata, lasciandomi senza niente. Sapevo che era dovuto al fatto di non capire nulla di ciò che mi stava dicendo. Ero confusa, stressata, arrabbiata, frustrata. Tutti sentimenti che richiedono uno sforzo, in particolare quando si vogliono mantenere nel tempo per questioni di orgoglio. Scossi la testa. "Non so neanche cosa voglia dire." 
Che senso aveva discutere con qualcuno quando non ci si poteva fidare delle sue parole? L'Uomo Ratto continuò a parlare, ma con un tono diverso: diventò meno distaccato e freddo, più accademico. "Te l'ho detto: tutto quello che abbiamo fatto è stato solo per trovare una cura all'Eruzione e salvare il mondo da questo disastro. Per riuscire a porre fine a tutto questo, abbiamo dovuto fare dei test, analizzare i vostri schemi mentali e da essi realizzare una cianografia. L'obiettivo è usare questa cianografia per creare una cura contro l'Eruzione. Ma tutto ciò richiede un prezzo: le vite perse, il dolore e la sofferenza; tutti conoscevano la posta in gioco quando tutto è cominciato. Ogni cosa è stata fatta per garantire la sopravvivenza della razza umana. E siamo molto vicini. Molto, molto vicini."
Sbuffai: io non stavo capendo lui e lui non capiva me. "Le tue sono solo parole e lo saranno sempre. Tutto sembra semplice quando osservi la cosa da fuori, ma sopravvivere a questo genere di abusi è molto diverso dal concepirli. Quando ci sei dentro è diverso. Quando da una scelta ne dipende della tua vita, è diverso. Non è giusto, punto." spiegai in tono pacato. "E' inutile che provi a spiegarmi che 'è tutto per un bene superiore' perchè tanto non cambio idea. Se ci tenevate tanto a salvare la razza umana, potevate trovare un modo che fosse meno crudele e che non comprendesse lo sterminio di decine di adolescenti innocenti."
L'Uomo Ratto si grattò il naso e cambiò posizione sulla sedia. Dalla sua espressione sembrava quasi che qualcosa in quello che avevo detto, lo avesse colpito. Ma probabilmente era solo un'impressione, una fantasia. "Mi stai dicendo che non vale la pena perdere poche vite per salvarne una quantità infinita?"
"No. Ti sto dicendo che forse, se tutto questo è successo c'è un motivo. Forse è arrivata la fine dell'uomo, è arrivata l'ora di pagare il conto e lasciare il posto ad altri. Cercare di rimediare a tutto questo è un pensiero nobile e degno di rispetto, ma se poi quell'idea si trasforma in un pensiero pazzoide e psicopatico, allora non è più eroismo: è pura pazzia." sentenziai, finendo definitivamente tutte le frasi del mio repertorio.
L'uomo riprese a parlare con passione, allungandosi in avanti, come se in qualche modo volesse farmi arrivare meglio le sue opinioni. "È un assioma molto antico, ma non credi che il fine giustifichi i mezzi quando non c'è altra scelta?" 
Lo fissai e basta. Era una domanda a cui avevo già risposto: no, non c'è giustificazione per quello che avevano fatto, nonostante l'idea iniziale fosse pienamente saggia. Rimasi zitta, a fissarlo, impegnandomi nel mettere negli occhi tutto l'odio che provavo per loro e quello che avevano fatto. Cercando forse di sorridere, l'Uomo Ratto fece un ghigno. Probabilmente era felice nel vedere che ero rimasta priva di parole, probabilmente pensava di avermi zittita. In realtà ero solamente stanca di combattere una guerra in cui sapevo che non ci sarebbe stato nessun vincitore e nessun vinto. Ognuno sarebbe rimasto nelle proprie trincee, a difendere le proprie opinioni. Non ne valeva la pena. Stavo solo sprecando tempo se credevo veramente di potergli far cambiare idea.
L'uomo cominciò a raccogliere i fogli come se stesse andando via, ma non si mosse. "Io sono qui per dirti che è tutto pronto e che i dati di cui disponiamo sono quasi al completo. Siamo sul punto di raggiungere un risultato grandioso. Una volta che avremo la cianografia, potrai andare a piagnucolare dai tuoi amici quanto vorrai e lamentarti di come siamo stati ingiusti."
Improvvisamente il mio cuore ebbe un balzo. I miei amici dove erano?
"Loro dove sono?" chiesi furiosa, ma anche stanca e preoccupata. "Newt, Minho, Thomas e tutti gli altri, dove sono?"
L'Uomo Ratto fece un respiro profondo. "Non posso rivelarti niente, se non che stanno facendo ognuno dei test. Abbiamo scelto per ognuno di voi degli esperimenti differenti, in base ai dati che ci mancavano su di voi. Non posso dirti altro, ma stanno bene."
Scossi la testa, indecisa se fidarmi delle sue parole o meno. "Nel frattempo..." disse l'uomo, alzando il tono di voce e acquistando nuovamente la mia attenzione. "...c'è qualcosa che devi sapere, e potrebbe addirittura farti rinsavire."
"E cosa sarebbe?" chiesi spazientita. 
L'Uomo Ratto si alzò in piedi, diede una lisciata alle pieghe dei pantaloni e si sistemò la giacca. Poi incrociò le mani dietro la schiena. "L'Eruzione vive in ogni parte del tuo corpo, eppure su di te non ha alcun effetto, né lo avrà mai. Tu fai parte di un gruppo di persone estremamente raro. Tu sei immune all'Eruzione."
Spalancai gli occhi e deglutii, ammutolita. "Là fuori, per strada, chiamano le persone come voi Muni e vi odiano perchè avete questo privilegio." proseguì l'Uomo Ratto. "Sarai felice di scoprire che non sei la sola e che altri tuoi amici hanno questa particolare caratteristica."

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Spalancai gli occhi e rimasi senza parole. La notizia che mi aveva sbalordita di più non era quella di essere immune all'Eruzione, ma quella che anche altri dei Radurai lo erano! Newt, Minho, Thomas! Forse erano immuni anche loro!
L'idea di avere avuto parecchia fortuna, mi fece spuntare il sorriso. Forse non avrei dovuto credere alle parole di Janson, ma in quel momento era come se il mio mondo fosse crollato e ne fosse rinato un altro più bello e pieno di speranza. Sapevo che non avrei dovuto illudermi e che probabilmente era tutto una bugia, un test; ma a volte credere a ciò che si vuole sembra più semplice dell'affrontare la realtà.
Ma se quella fosse stata realmente la verità... Forse c'era ancora una salvezza per alcuni di noi! Alcuni di noi... Il fatto che solo pochi potessero avere questo privilegio mi terrorizzava. E gli altri? Li avremmo visti impazzire lentamente? Il loro cervello sarebbe marcito fino a smettere di funzionare?
La cosa che mi preoccupò più di tutte fu che avevo dato per scontato che la brutta sorte di non essere immuni non avrebbe toccato le persone che amavo. E se invece fosse stato così? Se Newt si fosse ammalato, o Minho e Thomas? Io... Io di certo non avrei saputo vivere senza di loro.
Oppure... Oppure avevo semplicemente capito male! Forse eravamo tutti immuni, sia noi Radurai che il Gruppo B. Ma certo, aveva senso: i Radurai e tutti nel Gruppo B erano immuni all'Eruzione e proprio per questo erano stati scelti per leProve. Non faceva una piega. Ma c'era comunque qualcosa che non mi quadrava. Se tutti quelli scelti per le prove erano immuni, allora perchè io non ero stata scelta, nonostante fossi immune? Voglio dire, certo, ora facevo parte dell'esperimento, ma solo perchè mi ero gettata dentro di testa mia. Se non lo avessi fatto avrebbero mandato su per la Scatola... Come si chiama? Ehm, sì, giusto: Teresa. 
"
A quanto vedo mi credi." disse alla fine l'Uomo Ratto, rompendo il lungo silenzio e riportandomi alla realtà.
"Sì, ma... Lo siamo tutti? Intendo, i Radurai e il Gruppo B... siamo tutti immuni?" chiesi speranzosa.
Janson scosse la testa, senza far emergere la minima emozione dal viso. Prima ancora che pronunciasse quelle parole, sentii una fitta allo stomaco. "Dopo aver scoperto che esistevano persone come te − con il virus radicato dentro di loro, ma che tuttavia non mostravano i sintomi − abbiamo cercato i migliori e i più intelligenti di voi. È così che è nata la W.I.C.K.E.D. Ovviamente alcuni del tuo gruppo di Prove non sono immuni, e sono stati scelti come soggetti di controllo. Quando si fa un esperimento ce n'è bisogno. Servono per determinare il contesto in cui si raccolgono i dati e tenere insieme questi ultimi."
Cosa diamine... No, non può essere vero. Pensai terrorizzata. Il panico si stava impossessando di me.
"C-Chi non è..." non riuscivo neanche a fare quella domanda. La risposta mi faceva troppa paura. 
"Chi non è immune?" chiese l'Uomo Ratto, inarcando le sopracciglia. "Oh, penso che dovrebbero essere loro a scoprirlo prima di te, non credi? Ma una cosa per volta, non vorresti prima..."

Lo interruppi immediatamente. "Non mi interessano molti nomi. Newt. Lui è immune, vero?" chiesi speranzosa, ma spaventata comunque della risposta.
A quel punto Janson spalancò gli occhi, come se fosse sorpreso o addirittura sbalordito della mia domanda. Sbattè le palpebre, senza sapere cosa dire, poi scosse la testa. "Te l'ho detto: lo scoprirai tra poco come tutti gli altri. Anzi, dirti che sei immune è stato un privilegio. Gli altri ancora non sanno nulla di tutta questa storia." spiegato questo, prese il fascicolo e si voltò verso la porta. Stava per uscire quando la mia mente si riaccese di nuovo grazie alla rabbia. "Ti ho fatto una domanda!" gridai dando un pugno contro il vetro.
Janson si bloccò proprio quando la sua mano aveva raggiunto la maniglia della porta. Si fermò completamente, ma non si girò a guardarmi. "Penso di averti detto anche abbastanza per oggi. E giusto perché tu lo sappia,siamo osservati. Fai una mossa azzardata e ci saranno conseguenze."
"Una mossa azzardata? Come posso anche solo provarci se c'è questo... coso?" chiesi indietreggiando di un passo e indicando con le braccia il punto in cui avrebbe dovuto esserci la parete. 
"Seguimi." disse freddo e duro, come se non avesse neanche sentito quello che gli avevo detto. Poi, sparì dietro la porta, lasciandola aperta alle sue spalle.
"Aspetta!" urlai facendo un passo avanti e sporgendo le braccia all'avanti per trovare di nuovo la parete, senza però doverlo fare attraverso un'altra botta. "Hai sentito quello che ho detto? Non posso attraversare un..." Mi bloccai quando mi accorsi di non riuscire più a trovare il muro invisibile. Avanzai a tentoni, non ricordandomi di essermi allontanata così tanto dalla parete. Mossi un passo dopo l'altro, sempre attenta a non aumentare la velocità, ma la parete sembrava scomparsa nel nulla.
Come diamine..? Non servì neanche finire il pensiero, che ormai avevo raggiunto la porta. Rimasi lì, fissa a guardare il muro bianco al di là dell'uscita, sbalordita e incredula di quello che era appena successo. Come avevano fatto a toglierla senza che neanche me ne accorgessi?
"Allora, pensi di restare lì tutto il giorno?" chiese Janson con un tono irritato, facendo sbucare nuovamente la testa dalla porta.
"S-Sì..." biascicai, ancora confusa. Lui scomparve nuovamente nel corridoio e alla fine mi mossi anche io, incaricando la mia mente di processare le nuove rivelazioni, nella speranza che si sistemassero da sole in piccoli scomparti da analizzare più tardi. Attraversai la porta e seguii l'Uomo Ratto nel corridoio senza aggiungere nulla, lasciandomi alle spalle la cella dalle pareti bianche. 
Non c'era niente di particolare nell'edificio in cui mi trovavo: un lungo corridoio, un pavimento piastrellato, pareti bianche con quadri di paesaggi − onde che si infrangevano su una spiaggia, un colibrì che volteggiava accanto a un fiore rosso, una foresta avvolta dalla pioggia e dalla foschia −, luci al neon che ronzavano sul soffitto. L'Uomo Ratto fece strada svoltando diverse volte, senza dire una parola e senza girarsi a controllare che lo stessi seguendo.
A parte ritrovare i miei amici, non avevo ancora un piano, ma se non altro sembrava che quello stesse per succedere. Anche se non avevo idea di cosa aspettarmi, ero sollevata di essere almeno uscita da quella stanza. Non avrei sopportato di starci ancora per giorni, tutto quel bianco mi dava alla testa, per non parlare di cosa era successo lì dentro.
"Avrei una domanda." sputai poi tutto d'un tratto. Senza neanche aspettare una risposta da parte di Janson, avanzai la mia domanda. "Dove avete messo il corpo di Zart?"
"Zart?" chiese sinceramente confuso. Aggrottai le sopracciglia, confusa tanto quanto lui. Aprii la bocca per spiegare, quando Janson sembrò avere un'illuminazione e controllò la pila di fogli raccolti ordinatamente in mano. "Ah! Intendi il Soggetto D12, certo, certo..." spiegò leggendo alcune righe e scuotendo la testa come se fosse talmente ovvio. 
"Soggetto D12? Ehm, ma non chiamavate quelli del mio gruppo Soggetti A?" chiesi confusa.
"Sì. Infatti non ho mai detto il contrario." spiegò lui chiaramente, facendomi andare ancora più in confusione. "Lui non era Zart, ecco perchè l'ho chiamato D12."
Gli sorrisi cortesemente, cercando di reprimere la voglia di saltargli addosso e mordergli l'orecchio. "No. Sarà anche passato molto tempo, ma sono sicura di saper riconoscere i miei amici." dissi fredda. Se pensava di potermi mentire o farmi il lavaggio del cervello anche questa volta era un illuso.
"La cosa è un po' complicata, ma vedrò di essere breve e conciso." sputò lui esasperato dalle mie continue domande. "Abbiamo ricreato in laboratorio un robot che avesse la forma del Soggetto desiderato. Anzi, non doveva solo essere uguale di aspetto, doveva essere lui in tutto e per tutto: abbiamo ricreato una voce artificiale che sembrasse la sua, abbiamo inserito in un chip il suo carattere e i suoi comportamenti in modo che sembrasse più umano; poi lo abbiamo spedito dentro la tua stanza per vedere come avresti reagito nel vedere un amico che sapevi fosse morto." spiegò tranquillamente, come se mi stesse esplicando la sua routine quotidiana.
"Frena un secondo. Quindi quello che ho ucciso non era Zart?" chiesi sentendomi improvvisamente sollevata. 
"No. Era il Soggetto D12. Ora che l'esperimento è finito non c'è più motivo di nasconderlo." disse svoltando a destra e imboccando un lungo corridoio.
"Be' il vostro robot ha tentato di uccidermi." spiegai diventando seria.
"Non lo avrebbe fatto." ripetè lui scocciato, come se lo stessi incolpando ingiustamente.
"Non lo avrebbe fatto?" chiesi alzando il tono di voce, scocciata. "Mi ha puntato una pistola addosso!"
"Appunto. Non ti avrebbe mai uccisa con quella pistola." rispose lui, sempre più infastidito.
"Okay, facciamo finta per un secondo che lui non stava tentando di uccidermi. Ma se invece mi fossi uccisa io, come Zar... Come il Soggetto D12 mi aveva proposto?" chiesi fiera di me per quella domanda, ero sicura che non avrebbe saputo rispondere.
"I dati che abbiamo raccolto su di te parlano chiaro: non avresti il coraggio di farlo semplicemente perchè hai ancora qualcuno per cui valga la pena vivere, per il quale preferiresti continuare a vivere nel dolore piuttosto che porgli una fine."
Sta parlando di Newt. Pensai sorridendo al ricordo del biondino. Feci per aprire bocca, ma lui mi anticipò, lasciandomi bruscamente con il fiato sospeso. "E anche in caso ci fossimo sbagliati e tu ti fossi veramente sparata, non saresti morta. Quello che c'era dentro la pistola non era un semplice proiettile: esso non da ferite da fuoco, ma bensì risucchia l'energia. Quindi, quando il proiettile è entrato in contatto con il Soggetto D12, ha iniziato a sottrargli l'energia necessaria per il suo funzionamento. Dopotutto, per quanto possa assomigliare ad un uomo, è pur sempre un robot."
"Quindi su di me non avrebbe avuto effetto." trassi le conclusioni da me, sbalordendomi sempre di più delle capacità della W.I.C.K.E.D. di creare mostri e capolavori per la scienza allo stesso tempo. Finalmente l'Uomo Ratto arrivò davanti a una porta. La aprì senza esitare e la varcò. Entrammo in un piccolo auditorium e a differenza di quanto mi aspettassi, non provai sollievo, ma solo panico e rabbia perchè mi avevano mentito un'altra volta.
La stanza era vuota e dei miei amici non c'era traccia.
"Dove sono gli altri?" chiesi infuriata, girandomi verso Janson.
"Calmati. Arriveranno quando avranno finito i loro test. Avete tutti affrontato tipi di esperimenti diversi per lo Stadio 3 delle Prove. Adesso verrete tutti coinvolti nel progetto, ci aiuterete a perfezionarlo e a scavare più a fondo finché non risolveremo questo rompicapo."
Strizzai gli occhi stupita: se io avevo dovuto uccidere un mio amico − anzi, un robot con le sembianze di un mio amico − chissà gli altri cosa avevano dovuto subire. Speravo quasi di non dover mai scoprire cosa avevano escogitato per i miei amici. 
"In effetti tu sei la prima ad uscire da un esperimento così velocemente. Sbalorditivo..." disse diminuendo parola dopo parola il volume di voce, come se avesse iniziato a parlarsi da solo. "In ogni caso, mettiti pure seduta e aspetta i tuoi amici." 
Annuii indecisa, poi camminai tra le file di tavoli in alluminio disposti ordinatamente tra loro e alla fine mi scelsi una sedia. Portai i gomiti sulla superficie fredda del tavolo e le mani sotto il mento. Espirai profondamente e attesi, ripetendo a me stessa che ora non c'era più nulla da temere e che forse era tutto finito.

{Capitolo non revisionato}

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Janson se ne andò quasi subito, lasciandomi sola nell'enorme stanza. Nei primi istanti tentai di non pensare a niente, lasciando la mia mente vuota e leggera dai problemi e le preoccupazioni, ma dopo qualche minuto i miei sforzi vennero meno e i pensieri iniziarono a defluire velocemente nella mia testa. Senza neanche accorgermene, il fatto di essere sola in una stanza enorme stava influenzando parecchio il mio autocontrollo e in pochi attimi mi ritrovai a dare i primi segno di nervosismo e agitazione: le unghie delle mie dita stavano tamburellando freneticamente sulla superficie di metallo del tavolino, producendo un rumore alquanto inquietante, come quello delle lancette di un orologio. Se non altro rimediai subito, iniziando non solo a mangiucchiarmi il sottile strato bianco delle unghie al di fuori della pelle, ma iniziando anche a sradicare le pellicine. 
Dopodichè iniziarono le domande che mi portarono a fare le solite paranoie mentali. Iniziai lentamente ad ipotizzare cosa stessero facendo, o meglio, che esperimento stessero ancora svolgendo gli altri Radurai. E ovviamente la mia fantasia non perse l'occasione di farmi impazzire di preoccupazione inventandosi le peggiori torture psicologiche e fisiche che potessero mai esistere. Dopo alcuni istanti iniziai anche a pensare a dei probabili test della W.I.C.K.E.D. che lentamente iniziarono a sfuggirmi di mano, diventando veri e propri incubi fuori dall'immaginazione umana.
La mia ansia stava ormai salendo alle stelle quando finalmente sentii la porta aprirsi. Sobbalzai sulla sedia in cui mi ero appollaiata, sperando di non essermi immaginata anche quel rumore tanto atteso.
Mi girai di scatto e quando vidi una chioma bionda spuntare da dietro la porta mi sentii talmente leggera e formicolante che avrei potuto squagliarmi sulla sedia da un momento all'altro. 
Senza attendere oltre scattai in piedi e corsi incontro alla figura che nel frattempo era intenta a richiudere la porta dietro di sè. Quando la raggiunsi le diedi solo il tempo di girarsi verso di me parzialmente, per poi sorprenderla e saltarle al collo. 
"Anche a me fa piacere rivederti, Eli." mi sussurrò lui all'orecchio, la voce ammorbidita sicuramente da un sorriso che però non potevo vedere. 
Sentii il suo corpo farsi man man meno rigido, segno che la sorpresa di quell'abbraccio improvviso si stava trasformando da essere un gesto inaspettato ad uno desiderato. Strinsi ancora più forte la presa e iniziai a dargli piccoli baci sul collo, godendomi poi la sua risata spontanea. Mi allontanò subito da lui e mi guardo ridendo, premurandosi di non farmi allontanare troppo tenendo le mani ben salde sui miei fianchi.
"Lo sai che mi fanno solletico i baci sul collo!" mi spiegò con il sorriso sulle labbra e negli occhi un luccichio di sollievo.
"Baciami e stai zitto, pive." risi per poi far combaciare i nostri due sorrisi. Mi staccai da lui per poi fissarlo negli occhi e adagiarmi sul suo petto lentamente. Circondai il suo busto con le braccia, decisa a non lasciarlo andare finchè non ne avessi avuto abbastanza. Rimanemmo in quella posizione per diversi minuti, l'uno attaccato all'altra, completando i nostri corpi come se fossimo dei puzzle che combaciano alla perfezione. Sembrava quasi che fossimo stati creati per completarci a vicenda, ed era infatti la cosa che ci riusciva meglio, anche se ultimamente i fatti ci avevano fatti separare. 
Il cigolio della porta ci fece sobbalzare entrambi e ci staccammo di poco, giusto il necessario per vedere la testa di caspio che era appena entrata in scena a rovinare quel momento. 
Nella stanza entrò Sonya, che non appena ci vide vicini e avvinghiati l'uno all'altra, si fece rossa in viso e balbettò alcune parole che sembrarono essere delle scuse. 
"Fa niente." mi limitai a dire, tentando di nascondere il fastidio. Presi Newt per la mano e lo trascinai fino a raggiungere lo stesso tavolo in cui mi ero appartata precedentemente. Ci sedemmo vicini, mentre Sonya si mise a debita distanza da noi, per evitare di rovinare altri attimi come quello appena avuto. 
"Allora... Anche tu mi hai visto morire?" chiese lui, di punto in bianco.
Spalancai gli occhi. Quindi era in questo che consisteva il suo test? Uccidermi e vedermi morire?
"Cosa? No... Io sono stata obbligata ad uccidere Zart." spiegai sbigottita dalla sua notizia e inorridita all'idea di quello che sarebbe potuto succedere se il suo esperimento fosse toccato a me. "Cioè... Non era Zart, ma solo un robot con le sue sembianze. Io ovviamente non lo sapevo." mi corressi.
"Woh... Be' vedo che si divertono a farci rincaspiare per bene." disse lui con un debole sorriso sulle labbra. Solo in quel momento notai che aveva gli occhi lucidi e gonfi. Doveva aver pianto tanto e di certo potevo capirlo: io al suo posto avrei fatto di peggio. 
"E tu invece? Cosa hai dovuto fare?" chiesi curiosa, ma anche preoccupata per la risposta. Se nel mio esperimento ci fosse stato Newt al posto di Zart probabilmente mi sarei sparata da sola, lasciandolo vivere. Il pensiero che Newt avesse potuto fare la scelta contraria mi fece rabbrividire, ma d'altronde come potevo arrabbiarmi con lui solo perchè aveva scelto di spararmi invece che sacrificarsi per me?
"Io..." si interruppe per qualche minuto. "Nella mia stanza c'era un televisore. Era spento all'inizio, ma dopo qualche minuto si è acceso e quello che mostrava era... una stanza bianca, identica alla mia, solo che la persona rinchiusa lì dentro eri tu. Eri spaesata e ti stavi guardando intorno quando dalla tua porta sono entrato io −  cioè, una persona con il mio stesso aspetto, probabilmente un robot−, ma tu sembravi stupita e felice di vedermi lì, perchè non avevi notato che non ero io. Mi hai abbracciato e baciato e..."
"E..?" lo incalzai. La sua voce aveva iniziato a tremare, ma cercò di controllarla.
"E poi io ti ho detto delle cose orribili e ti ho dato una pistola. Ti ho detto che era colpa tua, che avevi rovinato tutto sin da quando eri sbucata fuori dalla Scatola. Tu hai iniziato a piangere e mi chiedevi di smetterla. Poi io ti consigliavo di spararti, perchè tutti i problemi sarebbero scomparsi con la tua morte e tu mi hai creduto. Hai ceduto e ti sei puntata la pistola alla tempia, poi hai premuto il grilletto." spiegò tutto d'un fiato. 
Spalancai gli occhi e lo guardai stupefatta. Sentii un brivido percorrermi la schiena quando provai ad immaginare cosa avrei provato io se la cosa fosse capitata a me. Se avessi visto Newt morire davanti i miei occhi, sapendo che non avrei potuto fare niente per cambiare le cose, come avrei reagito? 
"E ora..." chiesi tentennante. "Come ti senti, ora?"
Lui mi rivolse un sorriso sincero e catturò la mia mano tra le sue. Quel contatto caldo e morbido mi fece sentire immediatamente meglio. "Mi sento bene. Voglio dire, sì, è stato scioccante e credo di non aver mai urlato e pianto così tanto in tutta la mia vita." disse grattandosi la testa e arrossendo. "Però quando mi hanno spiegato che era un test e che tu stavi bene, mi sono sentito sollevato, anche se ancora non sapevo se fidarmi delle parole di Janson. Poi ti ho visto qui e..." si interruppe per guardarmi negli occhi e per un istante sembrò perdersi lì dentro. "Sono felice che tu sia viva. Sana, salva e più bella di quanto mi ricordassi." 
Immediatamente un sorriso si fece largo tra le mie labbra e abbassai la testa arrossendo. I capelli mi caddero davanti al viso e per un attimo fui sollevata nel sapere che almeno avrebbero nascosto il rossore eccessivo sulle mie guance.
"Mi mancavano questi complimenti inaspettati." ammisi sincera, guardandolo di sottecchi. "E mi mancavi anche tu."
"Be' ora siamo qui entrambi, quindi non deprimiamoci a vicenda cacchio! Okay?" propose lui mettendo una mano sulla mia coscia e sorridendomi. "Chissà quanto caspio ci metteranno gli altri pive."
"Probabilmente tarderanno ancora un po'..." dissi sovrappensiero, ricordandomi immediatamente di una cosa. "Potremmo approfittare e magari..." mi interruppi, non sapendo come continuare il discorso.
Newt diventò rosso in viso e mi guardò sorpreso. "Vuoi veramente farlo qui? Davanti a Sonya?" mi chiese sbalordito.
"Cosa? Be' credo di sì, tanto è distante e non ci sente." spiegai innocentemente. "No, aspetta! Io non intendevo quello! Io ti devo solo parlare, cretino!" lo sgridai dando una schiaffa alla sua mano, che ancora stava ferma sulla mia coscia.
"Ehi, ehi! Scusami tanto." rise alzando le mani in aria come per arrendersi. "Di cosa vuoi parlare?"
"Lo so che abbiamo già affrontato il discorso, ma mi sento ancora un peso addosso, come se non avessimo chiarito." ammisi mordendomi il labbro. "Hai presente quando nella Zona Bruciata hai scoperto il mio 'tradimento'?"
Lui annuì, cercando di sembrare sicuro, ma si vedeva lontano un miglio che ritirare fuori quell'argomento non gli piaceva. Lo so, era una cosa scomoda da affrontare, ma volevo avere le idee chiare ed era necessario che anche lui sapesse tutto.
"Ti ho già raccontato come stanno le cose − perchè l'ho fatto e come mi sentivo mentre lo facevo−, ma ho bisogno di capire come ti senti tu al riguardo." spiegai con calma, concentrandomi solo sui suoi occhi. "Non mi interessa sapere se mi hai perdonato o meno − so che per quello ci vorrà del tempo−, ma voglio solo capire se hai ancora qualche dubbio e questo è il momento giusto per parlarne."
Lui annuì nuovamente, mordendosi il labbro e tamburellando sulla mia coscia con le sue dita affusolate. "No. Non credo di avere domande o perplessità da chiarire. Insomma, tu hai spiegato tutto sia a me che ai Radurai; hai anche chiesto scusa mille volte e si vede che sei veramente pentita. Non avevi scelta e nonostante tutto ti senti comunque in colpa. Questo a me basta. Forse non comprenderò tutti i ragionamenti complessi per cui lo hai fatto, ma dopotutto sei una ragazza e le ragazze sono più complicate dei maschi − non che io abbia poi così tanta esperienza per affermarlo. Però in un certo senso ti capisco abbastanza da dirti che se fossi stato al posto tuo avrei fatto la stessa cosa." spiegò con calma. "Quindi sì, sei già stata perdonata tanto tempo fa."
Sorrisi sollevata e appoggiai la mia testa contro il suo petto. "Grazie, Newt." sussurrai dolcemente, chiudendo gli occhi. Sentii la sua mano accarezzarmi la testa, poi la lasciò scivolare sulla mia schiena, dove si fermò.
"Newt?"
"Sì?"
"Devo dirti anche un'altra cosa e non so se ti piacerà." ammisi rimettendomi a sedere e irrigidendomi.
"Spara, tanto ormai sono pronto a tutto."
"Quando io e Stephen eravamo nella Zona Bruciata da soli, ci hanno attaccato degli Spaccati e..." mi interruppi, non sapendo come proseguire. Sarei passata da superficiale se gli avessi spiegato il tutto con una semplice frase? Scossi la testa, riconoscendo che le mie paranoie erano alquanto stupide e insensate. "E per difendermi ho per sbaglio... Ehm... Ti giuro che non l'ho fatto apposta... Io ho ucciso uno di loro." sputai tutto d'un fiato.
Lui mi guardò impassibile, come se la mia notizia non lo avesse toccato d un minimo.
Inarcai le sopracciglia, attendendo una sua reazione, che però non arrivò. "Newt?"
"Sì?"
"Hai sentito quello che ho detto?"
"Sì."
"E quindi?" domandai perplessa.
"Quindi cosa?"
"Quindi... Non sei arrabbiato o sorpreso? Deluso, magari?"
"Ehm... No. Perchè dovrei esserlo? E' stata legittima difesa, Eli. E poi non ti ricordi cosa mi hai detto quando io ho fatto la stessa cosa?"
Scossi la testa e lui continuò. "Avevamo appena incontrato Jorge e Brenda; loro ci avevano sfamato e noi in cambio avevamo promesso di portarli con noi al Porto Sicuro; poi però era crollato tutto e Thomas era rimasto sotto con Brenda. Ricordi? Io ero arrabbiato e preoccupato, non dormivo da giorni e il cibo non aveva fatto altro che aumentare la mia fame. Gli amichetti Spaccati di Jorge ci hanno attaccato e io ho ucciso uno di loro." spiegò brevemente. "Quando sono venuto da te, tu mi hai detto di non preoccuparmi e di smetterla di piangere perchè era statalegittima difesa. Mi hai ripetuto che ero stato obbligato a farlo e se non lo avessi fatto probabilmente sarei morto io."
"Wow... Non me lo ricordavo. Ma te lo sei appuntato o cosa?"
Lui rise e poi replicò: "No, me lo sono solo ripetuto per tutto il tempo in cui te ne eri andata."
"Okay, ho un'ultima domanda."
"Spara." disse lui, sinceramente interessato.
"Come ti sei sentito quando ti sei svegliato e hai visto che non c'ero più?" chiesi curiosa.
"Be', ancora prima di svegliarmi ho capito che qualcosa non andava. Ho sentito la tua assenza. E' stato come svegliarsi un giorno senza denti in bocca. Non c'era bisogno di correre allo specchio per sapere che non c'erano più." si interruppe per qualche secondo, come se parlarne ancora gli pesasse, poi continuò. "All'inizio ho pensato che fossi andata a parlare con Minho o cose del genere, poi quando ho chiesto in giro e nessuno ti aveva vista, credo di essere diventato pazzo. Ho iniziato a correre e ti ho cercata, Minho mi urlava di restare calmo perchè probabilmente eri solo andata ad esplorare la zona. Non capivo perchè mai avessi dovuto farlo, ma lì per lì gli diedi ascolto. Ti abbiamo aspettata per ore, poi Minho ha preso le sue cose e ha ripreso a camminare. Non serviva dirlo ad alta voce, perchè tutti infondo lo avevano compreso: te ne eri andata. Sai, credo che Minho stesse peggio di me, in certi momenti." disse l'ultima frase ridendo, come per alleggerire il tutto.
"Caspio, non pensavo che avrebbe reagito così. Cioè, sì, un po' me lo aspettavo, ma non così tanto. Credo che dovrò chiarire di nuovo anche con lui." spiegai grattandomi la nuca. "E dopo? Cosa è successo?"
"In quei giorni ho capito che potevo vivere anche senza di te... Ma sarebbe stata solo una vita miserabile, come se avessi potuto sentirla sulla mia pelle solo per metà. Tu eri la mia famiglia − anzi, lo sei ancora−, ma in quel momento potevo solo pensare che te ne eri andata via, distante da me." si fermò per riprendere fiato. "Sai quanto possa essere stato difficile per me vivere in quei giorni? Trovare la forza di andare avanti, sopravvivere e arrivare a quel maledetto Posto Sicuro solo per poi stare senza di te..."
Newt si fermò qualche secondo, cercando di calmare il tono di voce, che nel frattempo si era alzato ed era diventato teso.
"Ragazzi!" Sonya comparve alle nostre spalle, facendo sussultare entrambi. "Sapete quando arriveranno gli altri?"
La fissai negli occhi, cercando di mettere in quello sguardo tutto l'odio che provavo per lei. 
Proprio in questo momento devi rompere? Pensai scocciata, serrando la mascella.
Vidi Sonya decifrare il mio sguardo per poi arrossire e serrare le labbra. "Momento sbagliato, eh?" chiese mordendosi il labbro e passando con lo sguardo da me a Newt, che nel frattempo aveva abbassato gli occhi sulle sue gambe, come se stesse pensando.
"Momento sbagliato." sputai acida, fingendo un sorriso.
Lei se ne andò rossa in viso, borbottando uno 'scusatemi'. Riportai lo sguardo su Newt e senza bisogno di dire niente, lui riprese: "Dopo alcuni giorni mi sono infilato le mani in tasca perchèà sentivo freddo ed è allora che ho trovato il tuo messaggio. A dire la verità non ci ho capito niente e per quanto mi sforzassi quelle frasi non avevano un senso, ma ora capisco perchè lo hai fatto." si interruppe, probabilmente a corto di parole. "Senti, Eli. So quello cosa ti è successo, so cosa hai fatto e non me ne importa. Quando ero nella Radura e sei arrivata tu, ho capito che eri tutto quello che speravo di avere un giorno, in tutte le tue sfaccettature. Non mi importa neanche se hai ucciso uno Spaccato, d'altronde l'ho fatto anche io. Non devi chiedere scusa a me, ma devi chiedere scusa a te stessa e saperti perdonare, perchè io ti accetterò sempre per quella che sei, anche se cambierai, ma solo se tu saprai accettare me." concluse, prendendomi la mano. "E non provare mai più ad abbandonarmi così, senza dire niente perchè sappiamo entrambi che non sono così forte da riuscire a sopravvivere da solo."
Gli sorrisi, felice di sapere finalmente cosa avesse provato. Mi sporsi leggermente in avanti e gli lasciai un lieve bacio sulle labbra. Quando feci per rimettermi composta, lui mi attirò a sè, stampandomi un'altro bacio, molto meno delicato dei precedenti, ma pieno di passione e amore. Dischiusi le labbra, lasciandomi trascinare dal quelle labbra che tanto mi erano mancate. Quando la sua lingua entrò in contatto con la mia, mi sentii sciogliere tra le sue braccia.
Dio, quanto mi erano mancate quelle labbra che ogni volta mi facevano volare. 

*Angolo scrittrice*
Ehi, pive!
Come va?
Mi volevo scusare con voi per il fatto che ultimamente non sono costante con le pubblicazioni e soprattutto per il fatto che i miei capitoli sono sempre corti e forse anche noiosi. Perciò vi chiedo umilmente perdono! Solo che negli ultimi giorni ho avuto parecchio da fare perchè stavo preparando un cosplay. A proposito, domenica andrò nuovamente al Rimini Comics e sarò vestita da Shadowhunter (in specifico la versione femminile di Alec). Qualcuno ci sarà?
Ah, un'ultima cosetta, poi vi lascio in pace: come penso abbiate notato, questo capitolo è interamente dedicato alla mia coppietta felice aka Newt ed Elena. Siccome era tanto che 'sti pori cristiani non se ne stavano per i cacchi loro a sbaciucchiarsi e a parlare, ho voluto regalarvi un capitolo per celebrare i bei vecchi momenti Newtlena che erano soliti trovare luogo nella Radura.
Hope you enjoyed this chapter!
Bye!

Inevitabilmente_Dea♥

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Trascorremmo i prossimi minuti a parlare e a coccolarci tra di noi, cercando di riempire la mancanza di contatto che entrambi sentivamo ormai pulsare nelle vene da giorni.
Poi,  lentamente, la stanza iniziò a riempirsi di persone e la nostra privacy venne bruscamente invasa. La maggior parte della gente seduta e accomodata ai tavoli era principalmente del Gruppo B, quindi essendo quasi tutte ragazze, nella stanza volava un assordante brusio acuto, non privo di risatine e mormorii probabilmente riguardo ai test appena completati.
Se fossi stata sola sarei sicuramente morta di vergogna, sentendomi fuori luogo dato che, essendo circondata da persone che sono amiche tra loro da anni, non conoscevo praticamente nessuno. Per di più le ragazze del Gruppo B mi avevano marchiata come 'la ragazza fredda e acida che cerca di uccidere i propri amici' e le loro occhiate costanti non facevano altro che ricordarmelo. 
Invece fortunatamente ero con Newt, che nonostante gli sguardi e i bisbigli rivolti probabilmente a noi, non intendeva lasciarmi fuggir via dalle sue braccia. Il tavolo a cui sedevamo era rimasto vuoto perchè le altre ragazze sicuramente avevano preferito andare a sparlare su di noi il più lontano possibile dai diretti interessati, perciò io mi ero stravaccata sulle sedie davanti a me, occupandole con le mie gambe, mentre il resto del corpo era praticamente appiccicato all'addome di Newt, che mi circondava il busto con le braccia e giocherellava costantemente con l'orlo della mia maglietta bianca.
Finalmente arrivarono anche alcuni Radurai e fui più che felice ad ritornare ad occupare solo la mia sedia per far si che si accomodassero al nostro tavolo, soprattutto dato che tra di loro c'era anche Minho. Quando arrivò al nostro tavolo aveva un'aria piuttosto allegra e spavalda. Sperai che fosse dovuto al fatto che il suo esperimento fosse stato leggero e facile da superare. 
Quando il ragazzo ci notò, alzò un braccio in aria, in segno di saluto e si avvicinò con un sorriso spontaneo e sollevato.
"Ehi, piccioncini." ci salutò, facendo un cenno con il mento verso Newt e dandogli una pacca sulla spalla. "Anche voi avete dovuto affrontare dei caspio di Dolenti?" chiese sedendosi vicino a me.
Guardai Newt, sperando che fosse lui a rispondere, ma − come d'altronde mi aspettavo −non intendeva spiccare una parola in merito al suo esperimento, così parlai io: "Ehm, no... Nessun Dolente."
Minho inarcò all'insù un sopracciglio e mi guardò in attesa di spiegazione, ma fortunatamente uno dei Radurai seduto al nostro tavolo− che tra l'altro non sapevo neanche chi fosse− si intromise nel discorso, permettendomi di archiviare il discorso che probabilmente Minho mi avrebbe costretto ad affrontare. "Hai dovuto combattere contro un Dolente?!" chiese sinceramente stupito. "Un vero Dolente? Come quelli del Labirinto?"
"No, faccia di caspio. Mi hanno solo legato ad una sedia e mi hanno rasato i capelli a zero per vedere se ero capace di vivere senza quelli." spiegò Minho, visibilmente sarcastico e scocciato per la domanda stupida. "Ma certo che era un Dolente! Solo che ero in una caspio di simulazione, come se fossi in un videogioco. Devo dire che però era parecchio realistico, con tanto di dolore e fiatone incorporato."
Risi alla sua affermazione: mi erano mancati Minho e le sue battute sarcastiche.
Mi girai verso di Newt, ma lui era completamente distante da tutto quello che lo circondava. Aveva le mani raccolte insieme a sorreggere il mento; lo sguardo fisso in avanti che pende nel vuoto; il corpo immobile, ma non per questo meno rigido e ingobbito. Solo ora mi accorgevo che sembrava parecchio turbato e stanco: sotto gli occhi aveva delle profonde occhiaie e continuava a mangiucchiarsi il labbro, ormai diventato rosso.
"Be', mi fa piacere vedervi tutti sani e salvi." disse spostando lo sguardo da me a Newt. "Ma a quanto pare qualcuno ha deciso di rovinare la festa con il suo muso lungo. Ehi, Newt! Ci sei? La tua ansia arriva fino a qui, sta iniziando ad inglobare anche me. Si può sapere che hai, amico?"
Newt parve riemergere violentemente dai suoi pensieri, tanto che fece un sussulto sulla sedia e ci guardò con aria spaesata e confusa. "Eh? Cosa?"
"Inizi veramente a preoccuparmi." ammise Minho. "A meno che non stavi pensando alla nostra Fagiolina... Magari prima che arrivassimo stavate facendo qualcosa?" chiese alzando e abbassando le sopracciglia, e guardandomi in tono scherzoso.
Arrossii visibilmente e mi girai di scatto verso Newt. Cosa lo turbava così tanto da avere quella faccia stampata in volto? Forse stava ancora pensando all'esperimento che aveva dovuto passare?
"No. Sono solo preoccupato per Tommy. Manca solo lui, ormai." ammise grattandosi sbadatamente la testa e facendo spallucce.
Gli afferrai la mano tra le mie. "Non rincaspiarti, Newt. Manca anche Stephen all'apello, probabilmente perchè hanno dovuto affrontare entrambi prove complicate. Ognuno ha i suoi tempi. In ogni caso, se vuoi possiamo andare a chiedere a Janson, ma non so se ci rivelerà qualcosa." spiegai, cercando di rassicurarlo almeno un pochino.
Lui fece spallucce e poi ricambiò la stretta alla mia mano. "No, hai ragione tu. Sono troppo ansioso, mi devo calmare."
"Ben detto, pive!" esultò Minho. "Certo che la tua piccola Fagiolina sa come trattarti, pive. Una Medicale in tutto e per tutto, non solo per le ferite superficiali." disse ridendo e dandomi una pacca sulla spalla.
Mugugnai per il dolore e mi allontanai da Minho grugnendo. La ferita da sparo alla spalla stava guarendo, ma sebbene il dolore si fosse alleviato, ancora non era sparito del tutto.
"Che hai, bambolina?" chiese Minho preoccupato, perdendo del tutto la sua sfacciataggine e abbandonando il sarcasmo nel tono di voce.
"Mi hanno sparato alla spalla." spiegai brevemente, poi mi abbassai leggermente la maglia, in modo da mostrare agli altri la benda bianca segnata da una macchia di sangue ormai secco. "Ecco le conseguenze."
Minho sollevo le sopracciglia, sinceramente sorpreso e scosse la testa in segno di disapprovazione. "Chi è la testa di caspuio che ti ha sparato? Giuro che se la acciuffo le faccio veramen..."
"Non ti scaldare tanto, pive. Ormai è passato." spiegai calmando l'entusiasmo di Minho che, ogni volta che si presentava l'occasione di pestare a sangue qualcuno, si accendeva come un fiammifero.
"Ma come è successo? Ti hanno sparato durante il tuo test?" chiese curioso.
Feci spallucce e poi iniziai a raccontargli di come era andata sulla Berga. Tralasciai la maggior parte dei particolari dato che raccontarglielo non sarebbe servito poi a molto; gli spiegai invece dettagliatamente il modo in cui gli scienziati avevano agito per addormentarci tutti con quello che era ormai ovvio essere un sonnifero; poi, per concludere il tutto, gli feci capire che− dato che io e Newt eravamo gli unici rimasti svegli e perciò coscienti della situazione− avevamo cercato di fermarli in tutti i modi, rimanendo però feriti noi stessi.
Per tutto il racconto Minho rimase in un silenzio confortante ad ascoltare attentamente, cercando di non perdersi neanche un particolare, poi quando ebbi finito fece un sospiro e si grattò il collo.
"Vi avrei aiutato volentieri se solo non avessi avuto il sonno così pesante da non accorgermi di niente." spiegò battendo il pugno sul tavolo, frustrato. "Ci hanno proprio fregato e noi abbiamo abboccato come dei caspio di pesci."
Feci spallucce e gli toccai il dorso della mano, come per confortarlo. "Non preoccuparti, Minho. In un modo o nell'altro ci avrebbero presi e portati qui, non c'era niente che potevamo fare."
Minho alzò lo sguardo e lo posò sulla mia mano, ancora appoggiata su di lui. Feci per toglierla di lì e posarla contro il mio grembo, improvvisamente imbarazzata e stupita io stessa da quel gesto tanto spontaneo; poi però lui sorrise e senza sfilare la sua mano da sotto la mia, appoggiò quella libera sul mio dorso. "Mi fa piacere riaverti tra di noi, bambolina."
Sorrisi a mia volta, arrossendo dall'imbarazzo e nel momento in cui feci per aprire bocca, un Raduraio al nostro tavolo parlò, scandendo una frase che catturò totalmente la mia attenzione. "Ehi, pive! Ma quello non è Stephen? Che brutta cera, non lo avevo riconosciuto."
Mi voltai di scatto, liberando le mie mani dalla presa di Minho e girando il mio busto totalmente in direzione della porta. Da essa infatti era appena sbucato Stephen che − come già anticipato dal Raduraio − aveva una pessima cera che lo rendeva quasi irriconoscibile: le sue spalle erano ingobbite e ricurve all'avanti, il chè non faceva altro che abbassarlo di altezza e invecchiarlo; le mani e le gambe erano tremolanti su se stesse, come se a stento riuscisse a tenersi in piedi; il volto pallido e prosciugato, con delle occhiaie profonde e nere al di sotto degli occhi, che facevano spiccare l'azzurro dei suoi occhi e allo stesso tempo lo spegnevano; le guance incavate all'interno e proprio per questo, sul suo viso spiccavano gli zigomi, che mi sembravano più pronunciati dall'ultima volta che lo avevo visto, segno che era dimagrito. 
Avanzò per la stanza trascinando i piedi sul pavimento, come se tutte le forze in corpo lo avessero abbandonato. Aveva mosso in avanti solo pochi passi quando si fermò e si guardò intorno con occhi vuoti, probabilmente alla ricerca di un posto in cui sedere.
Non sembrò neanche notarci per la stanza, perciò mi alzai dalla mia sedia e gli feci un ampio segno con il braccio, agitanto la mano in aria e cercando di attirare la sua attenzione. Dopo qualche secondo di troppo lui si voltò verso di me e le sue labbra si serrarono in una linea dritta e bianca, segno che se le stava mordendo. Pensai che si sarebbe voltato dall'altra parte, ignorandomi, ma non lo fece e iniziò a muoversi lentamente nella nostra direzione.
"Perchè diamine lo hai fatto?" mi chiese Minho abbastanza scocciato, tirandomi per la maglietta e cercando di farmi risedere. 
"Hai visto che faccia che ha? Il minimo è farlo sedere!" spiegai arrabbiata oer il suo comportamente infantile. Forse però non conoscendo il motivo che aveva spinto Stephen a tradire i suoi amici, non poteva neanche giustificarlo o perdonarlo per il suo comportamento come aveva fatto con me. 
Guardai attorno al mio tavolo, alla ricerca di una sedia libera, ma non vedendone neanche una decisi di lasciargli il mio posto.
"Medicale fino alla fine." sentii borbottare Minho mentre facevo segno a Stephen di sedersi al mio posto.

Il ragazzo non sembrò neanche vedermi e mi passò di fianco silenziosamente per poi sedersi goffamente sulla sedia.
"Che hai? Sembra che hai appena fatto un tour all'inferno." chiese un Raduraio dall'altra parte del tavolo, sporgendosi all'avanti per guardarlo meglio in faccia.
"Be' come primo tentativo ci sei andato parecchio vicino." biascicò il ragazzo, tornando per qualche minuto sulla terra dei vivi.
"Ci vuoi dire cosa ti hanno fatto o dobbiamo chiederti tutto fino a che non sputi ogni dettaglio?" chiese Minho, premurandosi di immettere in quelle parole tutto l'odio che provava per Stephen. 
"Minho..." lo rimproverai lanciandogli un'occhiataccia di fuoco.
"Che c'è? Viene qui con l'aspetto di una mummia e poi se ne sta zitto pretendendo che non facciamo domande! Come dovrei reagire?" mi chiese scocciato. "Ah, no, aspetta... so già come comportarmi in queste occasioni... Vuoi un dolcetto e una copertina? Magari così ti senti più al sicuro e coccolato, che ne dici?"
"Minho, che ne dici invece se ce ne andiamo a fare due chiacchiere da una parte? Devo parlarti." spiegai sorridendogli incoraggiante, nella speranza che accettasse la mia richiesta.
"Sì. Almeno mi tolgo dalla vista questa faccia di caspio." sputò alzandosi di scatto dalla sedia e andandosene a grandi falcate verso un angolo della stanza.
Mi voltai verso gli altri Radurai e alzai le spalle, poi mi chinai per dare un bacio a Newt nella guancia e gli sussurrai all'orecchio: "Per piacere, trattatelo bene. Non ha la cera di uno che ha voglia di discutere."
Il ragazzo annuì lievemente, dandomi l'okay per andarmene tranquilla e seguire Minho, che nel frattempo aveva raggiunto lo spazio prescelto e mi aspettava paziente.
Camminai velocemente nella sua direzione e quando lo raggiunsi parlai, sorprendendomi quando lo fece anche lui contemporaneamente. 
"Okay, prima tu." propose lui.
Annuii e presi fiato per iniziare un discorso che sapevo non sarebbe stato facile da affrontare. "Vorrei chiarire meglio quello che è successo nella Zona Bruciata."
"Già, anche io volevo parlarti da un bel po' su di questo." ammise lui, con un'espressione fredda e distaccata, come se avesse paura a mostrare quello che provava al riguardo.
"Ti ho già spiegato perchè l'ho fatto e ti ho già chiesto scusa almeno mille volte, ma ho ancora un peso nello stomaco e credo che non mi calmerò finchè la situazione non sarà chiarita del tutto." iniziai imbarazzata.
Okay, Elena. Dì solo quello che pensi e vedrai che andrà tutto bene. Pensai cercando di tranquillizzarmi. 
"Ho bisogno che tu capisca che tutto quello che ho fatto è stato contro la mia volontà. So che mi sarei potuta opporre, ma non volevo rischiare di farvi del male. Janson mi aveva spiegato cosa sarebbe successo se non avessi obbedito e la posta in gioco era troppo alta: o io o voi. Ho preferito che mi odiaste piuttosto che vedervi tutti morti."
"Lo so." disse semplicemente lui, aspettando che continuassi.
"Ma so anche che spiegarti questo non basterà e che neanche le mie scuse saranno sufficienti a riparare il danno. Ed è proprio per questo che ti chiedo di darmi tempo: voglio dimostrarti che puoi ancora fidarti di me, che sono la stessa bambolina della Radura."
Minho annuì e per un attimo mi sembrò soddisfatto, poi però sul suo viso tornò a regnare l'indifferenza. "Okay, te lo concedo."
Feci un sorrisetto e alzai gli occhi al cielo. Sempre lo stesso ragazzo orgoglioso.
"Dai vieni qui, fino a che questa tua dimostrazione non avrà atto, facciamo tregua." disse ridendo e aprendo le braccia. "Già il fatto che tu ci stia provando, mi dimostra molto."
Sorrisi e ricevetti volentieri uno dei suoi solidi e forti abbracci, di quelli che ti sollevano a terra e ti stritolano in una morsa fino a che non hai più ossigeno nei polmoni.
Quando il Velocista constatò che mi aveva torturata abbastanza, mi riappoggiò delicatamente a terra e mi scompigliò i capelli. Gli diedi un pugno sul braccio, ordinando di smetterla di farlo, ma lui scoppiò in una fragorosa risata, ignorando completamente la mia richiesta.
Feci per rispondergli a tono quando una voce possente e chiara irruppe nella stanza, facendoci voltare tutti verso la porta di entrata. "Bene, ora che ci siete tutti vi chiediamo di mettervi seduti e ascoltare attentamente. Vi divideremo in dormitori e non accettiamo discussioni riguardo le stanze o le persone che vi assegneremo."

Janson aveva parlato in modo ben chiaro, con un tono che non ammetteva repliche, ma quello che mi sorprendeva e mi confondeva allo stesso tempo era stata la sua prima frase. Ora che ci siamo tutti. Ripetei. Ma manca ancora Thomas!
Guardai verso il tavolo dei Radurai e incrociai lo sguardo di Newt che aveva avuto il mio stesso pensiero, dato che era scattato in piedi facendo saltare indietro la sedia. 
Cosa avevano fatto a Thomas?

{Capitolo non revisionato}

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Senza neanche bisogno di una parola, io e Newt pensammo la stessa cosa e agimmo di conseguenza. Entrambi ci catapultammo all'avanti, camminando velocemente verso Janson prima che cambiasse discorso ed iniziasse ad ignorarci completamente.
Newt lo raggiunse prima di me e iniziò a fare domande a raffica, spiegando la situazione e pretendendo giustamente delle spiegazioni. Quando raggiunsi entrambi capii che la situazione che si stava andando a creare non era per niente positiva e che Janson non doveva essere dell'umore giusto per discutere un attimo di più.
"Senti, Soggetto A5, te l'ho già detto e te lo ripeto:  siamo stati costretti a isolarlo dal resto dei Soggetti. L'Eruzione è troppo radicata in lui: è diventato pazzo e violento, e perciò pericoloso per voi." spiegò brevemente e senza sentimenti, come se stesse raccontando una favoletta ad un bambino prima della buonanotte.
"Isolato? Non se ne parla. Per quanto mi riguarda, isolarlo non sarebbe la scelta migliore, forse qui con i suoi amici potrebbe..."
"No." sputò secco l'uomo Ratto. "Soggetto A5, obbedisci agli ordini e vatti a sedere oppure..."
"Chiamalo di nuovo Soggetto A5 e giuro che ti spezzo l'osso del collo." sibilai tra i denti, stingendo i pugni e irrigidendo la mascella.
"Come non detto..." disse Janson fingendo di non sentire le mie parole e girandosi a guardare due uomini armati dietro di lui. "Guardie, riportateli a sedere."
I due uomini avanzarono verso di noi e ci misero le mani addosso, costringendoci a girarci e a camminare verso il nostro tavolo. La guardia che aveva scelto me come vittima da punzecchiare mi stava stringendo i polsi in una morsa d'acciaio, sollevandoli più del dovuto e facendomi male. Diedi più volte uno strattone, facendo smorfie di dolore ogni volta che lui aumentava la presa, e cercai di liberarmi. "Posso anche camminare da sola." sputai acida dopo l'ennesimo tentativo fallito.
La guardia, per tutta risposta, mi diede un altro spintone e per poco non caddi all'avanti.
Feci per urlargli di stare più attento quando una mano si fermò sulla mia spalla delicatamente, obbligando la guardia a fermarsi. "Ha detto che può camminare da sola. Lasciala stare." disse una voce fredda e autorevole, con un tono che non ammetteva repliche. La sua voce. 
Alzai lo sguardo per confermare quello che già avevo intuito e mi ritrovai a pochi centimetri dal petto di Stephen che, con uno sguardo d'acciaio aveva incatenato gli occhi della guardia. Nonostante avesse un aspetto debole, sapeva ancora farsi rispettare. Infatti, dopo pochi secondi di scambi di sguardi infuocati, la guardia lasciò la presa dai miei polsi, spingendomi sgarbatamente in avanti.
Non avendo abbastanza terreno per riprendere equilibrio, mi ritrovai catapultata nel petto di Stephen che sembrò riacquistare all'improvviso i riflessi perchè mi afferrò al volo, impedendomi di cadere a terra come un sacco di patate.
"Grazie." sussurrai rialzandomi in piedi e allontanandomi dal ragazzo che ora sembrava tutto meno che malato e debole.
"Ora, immagino che non ci siano altre domande." esordì Janson a gran voce, come se sperasse che qualcuno provasse di nuovo a mettersi contro di lui. Attese qualche secondo e la stanza si riempì di un silenzio disarmante, poi lui continuò. "Come credevo. Mettetevi tutti seduti e attendete il vostro nome. Verrete chiamati per gruppi. La prima persona del gruppo che chiamerò, si alzerà e verrà silenziosamente a prendere le chiavi della propria stanza, poi aspetterà che il resto del gruppo si formi e raggiungerà la stanza scortato da una guardia."
Scossi la testa e cessai di ascoltare le parole pronunciate da quell'essere infimo per concentrarmi su di Newt. Lui era ancora bloccato dalla guardia che lo stava trattando con non poca delicatezza. A forza di spintoni aveva quasi raggiunto il tavolo a cui eravamo seduti prima e probabilmente non lo avrebbe mollato fino a che non si fosse seduto su una delle sedie, ma grazie all'intervento di Minho anche questa guardia mollò, incendiandoli tutti con uno sguardo micidiale.
Mi girai verso Stephen che nel frattempo non aveva smesso di fissarmi, forse per accertarsi che stessi bene. Quando riuscii ad distogliere il suo sguardo dai miei polsi e finalmente riuscii ad instaurare un rapporto visivo, gli feci segno di seguirmi e raggiungere insieme gli altri. "Andiamo?" chiesi indicando i Radurai con il mento.
"I tuoi polsi." disse lui freddo, prendendo le mie mani tra le sue e rigirandole per esaminare meglio i segni rossi che la guardia aveva lasciato.
Sentendomi improvvisamente in imbarazzo e fuori luogo, ritirai le mie mani portandole a grattare il collo, quasi come fosse una scusante per allontanarmi da lui. "Sto bene." sussurrai arrossendo e indietreggiando da lui. "Andiamo?" incalzai nuovamente.
Vidi Stephen irrigidirsi, probabilmente accorgendosi di aver spinto troppo oltre e di avermi messa in imbarazzo, ma poi si rilassò e annuì distratto, seguendomi a ruota verso il tavolino.
Quando raggiungemmo gli altri Radurai mi accorsi che nel frattempo l'Uomo Ratto aveva continuato a parlare e aveva iniziato a chiamare le prime persone delle lista, terminando il primo gruppo. 
"Newt, stai bene?" domandai al ragazzo, vedendolo turbato e arrabbiato. 
"No." rispose lui secco. "Non possono sequestrare le persone in questo modo. Insomma... chissà dov'è Tommy ora. Forse ci stanno mentendo di nuovo e lo stanno sottoponendo ad uno di quei stupidi test!" ipotizzò furibondo, diventando rosso in viso per il nervoso.
"Be' in ogni caso ora non possiamo fare nulla." spiegai. "Ma forse... Questa notte potremmo provare ad andare a cercarlo." proposi fingendomi poco interessata e guardando altrove.
"Sei pazza? E pensi che ci lasceranno uscire dalla porta così semplicemente?" domandò Minho guardandomi con gli occhi a palla. 
"E chi ha parlato di usare la porta?" chiesi io in tutta risposta, ricevendo sorrisetti e occhiolini qua e là. 
"E io che pensavo di conoscerti bene." replicò Minho, sorpreso e fiero di me come se fossi sua figlia. "Mi piaci, Fagiolina. Non finisci mai di sorprendermi."

 

Erano ormai passate ore da quando Janson ci aveva divisi in gruppi. Io ovviamente ero finita in un dormitorio di tutte ragazze ed ero stata l'ultima del Gruppo A ad essere stata chiamata. Mi avevano affidato la chiave della stanza 250 e lentamente le compagne del mio dormitorio mi avevano raggiunta. 

La nostra stanza non era stata semplice da trovare tra tutte, ma alla fine l'avevamo raggiunta scoprendo che in realtà si trovava poco distante da uno spazio mensa che non avevo fino ad ora mai visto. Una volta entrate nella camera, ci ritrovammo inondate da una miriade di colori accesi. Eravamo finite in un enorme dormitorio con una serie di letti a castello allineati lungo una parete. Dal lato opposto c’erano cassettiere e scrivanie. Le finestre coperte dalle tende si intervallavano su ciascuna parete della stanza come in una scacchiera. Osservai il tutto con un silenzioso senso di stupore distante, per quanto la W.I.C.K.E.D. avesse cercato di modellare una stanza in modo che fosse un paradiso tranquillo e ricco di colori allegri, io potevo ancora sentire la tristezza e le menzogne che si nascondevano dietro a quei muri. La stanza era coloratissima e per quanto questo avrebbe dovuto farmi sentire al sicuro e spensierata, in realtà non fece altro che aumentare il mio mal di testa e la nausea. Muri color giallo acceso, coperte rosse, tende verdi. Dopo il grigiore smorto a cui ero abituata – sia nella Radura che nella Zona Bruciata –, era come essere trasportati in un arcobaleno vivente. La vista di quell’insieme di cose – i letti, le cassettiere, tutto fresco e pronto all’uso – mi trasmetteva un senso di normalità quasi opprimente. Troppo bello per essere vero. 
Tutto quel panorama non fece altro che aumentare la mia capacità di vedere meglio attraverso le cose: la W.I.C.K.E.D. stava di nuovo giocando con le nostre menti. Felicità, tranquillità, sapere che tutto era finalmente finito e che eravamo al sicuro. Se credevano che questa volta me la sarei bevuta di nuovi erano solo dei poveri illusi.
"Ehi, intendi restare sulla porta ancora per molto?" 

Una voce acuta perforò i miei pensieri, facendomi cadere nuovamente addosso alla realtà.
"Ehm, no..." biascicai scuotendo la testa e girandomi per chiudere la porta. Quando la mia mano toccò il pomello di essa, una brutta sensazione invase il mio corpo. Avevo il timore di chiuderla. E se poi ci avessero chiuse dentro? Avevamo la chiave, certo, ma se avevo imparato una cosa in quelle settimane era non dare nulla per scontato.
Decisi così di spalancare totalmente la porta e prendere il comodino più vicino per poi trascinarlo fino a incastrare la porta tra il muro e il piccolo mobile.
"Ma che stai facendo?" mi chiese la stessa voce di prima. 
"Sto evitando che ci chiudano dentro." spiegai con tutta la calma del mondo. 
"Lasciala perdere, Avery. Ha vissuto per settimane circondata da dei bestioni in calore con il cervello di un'anatra, non ha idea di cosa sia avere della privacy." rise un'altra ragazza, guardandomi dall'alto verso il basso.

Le puntai contro il dito e poi parlai chiaro e forte: "Non..." mi bloccai e inspirai profondamente. Farmi dei nemici era l'ultima cosa che volevo. "Non parlare male dei miei amici. Non li conosci, ma ti assicuro che sono tutto meno che dei bestioni. E se siamo usciti dal Labirinto come voi, vuol dire che un minimo di intelligenza ce l'hanno."
Senza aggiungere altro mi incamminai verso l'unico letto rimasto libero nella stanza e mi appollaiai sopra di esso, cercando di rilassarmi e di non fare caso a tutti gli occhi puntati su di me.
"Be', se non altro non deve essere stato facile." continuò la ragazza. "Intendo, vivere circondata da ragazzi. Noi ne abbiamo avuto solo uno e credici se ti dico che ci è bastato."
Alzai gli occhi al cielo. Mantenere la calma mi era sempre meno facile. "I miei pive sono bravi ragazzi. Hanno fatto di tutto per proteggermi e farmi sentire a casa, a parte qualche testa di caspio, sia ovvio." spiegai cercando di affogare il pensiero di Glader e Zart.
"Non ho capito neanche una parola di quello che hai detto, ma fingerò il contrario." disse la ragazza. "In ogni caso, mi dispiace se prima ti ho offeso, non era mia intenzione. Ripartiamo dal principio, che ne dici?"
Sospirai e mi alzai a sedere. "Ascoltate. Non ho intenzione di farmi delle nemiche, ma se per questo neanche delle amicizie. L'unica cosa che mi serve ora sono alleati." spiegai tranquillamente. "Non ve ne accorgete? Ci stanno incastrando di nuovo e continueranno a farlo finchè ci berremo le loro cazzate. Dobbiamo trovare un modo per uscire da tutto questo e farlo in fretta." 
"Come se non ci avessimo già pensato. Come pensi di fare?" 
"Innanzitutto devo ritrovare un mio amico poi quando ci sarà l'occasione dovremmo riuscire a prendere il controllo e ribaltare la situazione." dissi grattandomi la testa.
"Un tuo amico? Intendi il biondino?" chiese un'altra ragazza, facendosi improvvisamente più attenta e interessata.

"No, lui è..."
"State insieme giusto? E com'è? Intendo... avere una persona che ti ama e..."
"Livia smettila, la stai mettendo in imbarazzo." replicò la stessa ragazza di prima.
"No, nessun imbarazzo." la corressi, poi mi rivolsi alla ragazzina, che non sembrava avere più di quattordici anni. Ha l'età di Chuckie. Pensai diventando improvvisamente triste. "Sì, stiamo assieme, almeno credo. E, sì, è bello avere qualcuno che ti ama. E' un po' come avere un migliore amico per la pelle."

"Wow..." sospirò lei con occhi sognanti. "Siete carini quando state accoccolati l'uno all'altra."
Arrossi violentemente e distolsi lo sguardo per evitare di farle notare il mio rossore. Biascicai un grazie e poi tornai a concentrarmi su quello che fino a poco fa stavo dicendo.

"Il ragazzo che devo trovare si chiama Thomas e non so perchè l'hanno isolato da noi, ma devo ritrovarlo a tutti i costi." spiegai gesticolando con le mani. "Ed è per questo che ho bisogno del vostro aiuto questa sera."
Alcune ragazze annuirono entusiaste, mentre altre mi guardarono con fare sospetto o titubante. "Dipende da quello che comporta aiutarti." spiegò un'altra ragazza. "Che ne dici Violet?" chiese rivolgendosi alla stessa ragazza con cui stavo parlando precedentemente.
"Dico che non ci costa niente aiutarla." rispose la ragazza chiamata in questione. "Cosa ti serve, ragazza?"
Sorrisi capendo di essere sulla strada giusta e iniziai a spiegare loro il mio piano.

Era ormai mezzanotte passata quando mi alzai lentamente dal mio letto e mi mossi per andare a svegliare le altre ragazze, partendo da Violet. Il suo letto a castello si trovava proprio vicino all'entrata e lo stava dividendo con la ragazza che precedentemente aveva chiamato Livia. Siccome Violet stava dormendo beatamente al piano superiore del letto a castello, decisi di raggiungerla meglio arrampicandomi sulla scaletta. Non appena la scossi leggermente, lei fece un sussulto e mi guardò con occhi assonnati, ma non fece storie e si alzò biascicando alla ragazza sotto di lei di 'alzare il culo'.
Non appena i miei piedi scesero dalla scaletta e toccarono terra, andai dritta all'armadio, aprendo entrambe le ante alla ricerca di qualcosa da infilare sotto le coperte per fingere la mia presenza in caso di un controllo.

Quando le trovai mi rimase solo da cacciarle sotto la coperta del mio letto e cercare di farle assomigliare ad un corpo rannicchiato tra le lenzuola.
Una volta soddisfatta del mio lavoro tornai da Violet e Livia e spiegai loro per la seconda volta il loro incarico, in modo che fosse ben chiaro. "Non addormentatevi per nessun motivo, okay? Chiudete la porta una volta che sono uscita e non la aprite fino al mio ritorno. Barricatela se qualcuno cerca di entrare e se quel qualcuno riesce comunque a fare irruzione, fingetevi addormentate. Se quel qualcuno va verso il mio letto..."
"...Inizio ad urlare e fingere di stare avendo un incubo." concluse Violet, stanca di sentirsi ripetere il piano ancora una volta. "Quando ho attirato la sua attenzione, mi catapulto fuori dal letto fingendo di farmi male per la caduta. Poi mi lamento finchè non si decide a portarmi in infermeria." 
"Giusto." asserii. "E' un piano di sploff, ma è pur sempre un piano."
"Buona fortuna, ti servirà." mi augurò Livia.
"Grazie." le sorrisi. "Violet?"
"Sì?"

"Cerca di non farti troppo male cascando dal letto."
La ragazza fece una risatina e mi ricordò borbottando delle sue micidiali doti da attrice, poi mi seguì fino alla porta, dove mi salutò e mi guardò incamminarmi lungo il corridoio buio e deserto.
Quando sentii la porta chiudersi alle mie spalle, un brivido di freddo mi percorse la schiena. Ora ero sola, inghiottita dal buio più totale.
Mi ero dimenticata di rimettermi le scarpe, perciò i miei piedi erano a contatto con le fredde e dure mattonelle del pavimento.
Feci mente locale e cercai di ricordarmi il numero che Newt mi aveva mimato con le labbra prima di sparire con il resto dei ragazzi, diretto al suo dormitorio. 
Se non mi ricordavo male, la sua stanza era la 368.
Continuai a camminare lentamente fino ad arrivare ad un quadro appiccicato al muro infondo al corridoio che stavo percorrendo. Mi avvicinai incuriosita e notai con sollievo che non si trattava di un quadro, ma bensì di una piantina dell'edificio. 

Rimasi immobile davanti ad essa, dimenticandomi addirittura di respirare finchè non scovai il numeretto 368 e il suo rispettivo corridoio. Cercai di memorizzare la strada che mi divideva da quel dormitorio e poi mi avviai, ripercorrendo lentamente tutte le svolte che dovevo attuare.

Destra, sinistra, di nuovo sinistra e dritta per il corridoio principale, senza svoltare. Arrivata alla fine del corridoio svoltare a destra e subito dopo a sinistra. La stanza è sul lato ovest del corridoio, più o meno verso la fine.
Continuai a ripetermi quella filastrocca mentalmente, cercando di non confondermi e soprattutto di non dimenticare neanche un minimo dettaglio. Il mio senso dell'orientamento era pari a quello di un mammut estinto, figuriamoci in un labirinto di corridoi e svolte.
Ero quasi arrivata a compiere la seconda svolta, quando un rumore alle mie spalle mi fece sussultare e girare di scatto. Una figura nera, alta ed esile mi stava seguendo silenziosamente da non so quando tempo.
Spalancai gli occhi e feci per fuggire, ma le mie gambe si erano paralizzate sul posto, come incollate al pavimento. Vidi la figura accorgersi di essere osservata e bloccarsi di conseguenza, poi dopo un attimo di esitazione riprendere ad oscillare verso di me con un passo felino, ma ora più deciso.
Indietreggiai di un passo e portai le mani in avanti, cercando di frenare la sua avanzata, ma tutto quello che la figura fece fu di prendermi per mano e trascinarmi all'avanti dolcemente.
"Cosa..." sussurrai nel buio. Di certo quella figura non poteva essere quella di una guardia dato che non mi aveva ancora bloccato e riportato al mio dormitorio, ma non poteva neanche essere una ragazza del mio gruppo dato che era troppo alta e priva di forme per essere una donna.
Era anche improbabile che fosse Newt, perchè entrambi eravamo rimasti d'accordo che ci saremmo incontrati nella sua stanza. Anzi, era stato lui a scartare l'idea di raggiungermi assieme a Minho, dato che quest'ultimo era tutto meno che silenzioso. 
"Chi diamine sei?" sussurrai al buio, sentendomi subito dopo una stupida dato che stavo praticamente parlando con il buio. "Non ti vedo."

"Shh, pasticcino, non vogliamo farci scoprire, no?" sussurrò la figura di rimando. Non fu la sua voce profonda o il suo timbro a farmi capire a chi appartenesse quella figura scura, ma più che altro il soprannome che aveva usato.

Conoscevo solo una persona capace di usarlo e dovevo ammettere di essere sorpresa: era l'ultima persona che sospettavo fosse.
"Steph?" domandai sbalordita. "Perchè caspio sei sveglio a quest'ora?"

*Angolo scrittrice*
Ehi stecchi!
Come va?

Scusate tanto per il ritardo, ma questo periodo per me non è dei migliori. Mi sono successe parecchie cose negli ultimi giorni e non sono mai riuscita a trovare un secondo per scrivere. Scusatemi anche per il capitolo schifoso, ma la creatività sembra avermi abbandonata. Spero di riuscire a riprendermi e a ritrovare un minimo di ispirazione. 
Scusate ancora per il ritardo!

Baci,

Inevitabilmente_Dea 

{Capitolo non revisionato}

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


"Sai, Fagio, potrei farti la stessa domanda, ma si da il caso che io sappia già la risposta." sussurrò lui con un tono di voce che mi fece capire che probabilmente stava sorridendo. "All'inizio avevo pensato che non fossi riuscita a sopportare la distanza che ti divideva dal tuo principe, ma poi dato che ti aggiravi per i corridoi furtivamente come se stessi per combinare qualcosa di grosso ho capito che mi sbagliavo."
Sospirai e scossi la testa. "Allora mi hai seguito per tutto il tempo?"
"Sì e no. Sei passata davanti alla mia camera ed io ero a sedere fuori, nel corridoio. Tu non mi hai neanche visto e mi sei passata avanti. Io ho solamente colto l'occasione. Ho pensato che sarebbe stato più divertente vederti cacciare nei guai piuttosto che starmene seduto per terra a far niente." fece una risatina soffocata che trovai a dir poco irritante e poi proseguì, abbassando il volume della voce sempre di più. "Quindi ora mi sembra opportuno che tu mi dica a cosa ho preso parte. Stiamo andando a fare uno scherzo all'Uomo Ratto? Sarebbe fantastico! Lo sai che se gli immergi una mano nell'acqua poi lui si pisc..."
"Stephen! Smettila di parlare a vanvera!" lo sgridai. "Io sto andando nel dormitorio dei ragazzi e tu non verrai con me." 
Diedi uno strattone alla mia mano che immediatamente si tolse dalla sua, facendolo fermare davanti a me. "Cos'è? Ti mancava la puzza dei loro piedi? O forse non riesci ad addormentarti senza tutto quel russare continuo?" chiese visibilmente infastidito.
"Smettila di fare lo scemo e ascolta quello che ti dico." sussurrai fredda e dura. "Io, Minho e Newt andiamo a cercare Thomas e continueremo a farlo tutte le notti fino a che non lo troveremo. Ho bisogno che tu te ne torni in camera tua e fingi di non avermi visto."
Lo sentii ridere lievemente e poi sbuffò. "Mi piace come piano. Okay, andiamo a cercare Thomas."
Mi prese nuovamente per mano e mi trascinò all'avanti. Puntai i piedi a terra e lo obbligai a fermarsi. "Mi hai sentito? Io vado a cercare Thomas, tu torni a dormire, Steph."
"Adoro quando mi chiami in quel modo, pasticcino." replicò lui, fingendo di non sentire la mia frase. Cercai di rimanere impassibile e finsi che il tono di voce che aveva usato per pronunciare quella frase non mi avesse scosso per niente. 
"Stephen, ti prego." bisbigliai, stanca di ripetere le cose un miliardo di volte prima che le afferrasse. Mi stava facendo perdere tempo e se dovevo iniziare a discutere con lui di certo ci avrebbero scoperti.
"E dai, ti prego! Prometto che non ti accorgerai neanche che io sarò lì con voi." mi supplicò, scuotendo la mia mano come farebbe un bambino che fa i capricci.
Mi portai la mano sulla fronte e la massaggiai cercando di ragionare e riprendere il controllo necessario a non urlargli in faccia. Mi stava venendo il mal di testa e sapevo che non l'avrei fatta franca: lui avrebbe potuto continuare a punzecchiarmi all'infinito, fino a che non avrei ceduto e di certo la mia pazienza si stava esaurendo a vista d'occhio.
"E va bene!" sbuffai esasperata, roteando gli occhi al cielo. "Ma fai un passo falso e sei fuori."
Lo sentii esultare silenziosamente, poi riprese a camminare nel buio, silenzioso come un'ombra.
Quando arrivammo nella stanza dei ragazzi, ci fermammo pochi secondi ad osservarla per accertarci che fosse effettivamente la camera 368. Chissà cosa sarebbe successo se avessimo bussato a quella sbagliata!
Dopo aver controllato diverse volte, decisi anche di sbirciare attraverso la serratura per sicurezza. Il mio tentativo fallì miseramente e non vidi altro che buio e alcune macchie più nere di altre. Ma nonostante questo, il forte rumore di respiri intensi e il profondo russare, mi rassicurarono abbastanza da battere le nocche della mia mano destra tre volte sulla porta.
Attesi in silenzio, trattenendo addirittura il fiato. Potevo sentire il corpo di Stephen irrigidirsi ad ogni secondo che passava. Quindi dopotutto era agitato anche lui.
Passarono secondi, che poi si tramutarono in minuti, ma la porta rimaneva sempre chiusa e il silenzio regnava sovrano. Alzai il braccio indecisa e feci per battere il pugno sulla porta almeno un'altra volta, quando però un suono mi fece pietrificare sul posto. Sentii prima un forte rumore, come di un oggetto che cadeva al suolo, e poi una voce profonda e assonnata che imprecava. Nonostante a dividerci ci fosse una spessa parete in cemento e una porta, riuscivo comunque a riconoscere quell'inconfondibile accento nelle parole pronunciate dalla persona aldilà del muro, infatti non mi stupii quando Newt ci venne ad aprire.
Sorrisi e mi godetti per qualche istante la sua faccia assonnata: aveva i capelli arruffati e sparsi da tutte le parti; le occhiaie profonde sotto gli occhi, ancora ridotti ad una fessura; la bocca aperta in uno sbadiglio silenzioso e disegnato sul volto un accenno di sorpresa e confusione.
"Eli?" mi chiese con la voce impastata dal sonno. "Perchè c'è anche lui?" domandò innervosito, sottolineando nella parola 'lui' tutto l'odio che provava verso Stephen.
"Mi ha supplicato che lo portassi con me, dovevi vedere come si è inginocchiato e ha piagnucolato finchè non mi sono decisa ad accontentarlo." spiegai sorridendo soddisfatta e facendo spallucce. 
Newt scosse la testa contrariato, poi però si spostò di lato permettendomi di entrare nel suo dormitorio. Sentii Stephen dietro di me avanzare verso la porta e poi fermarsi per spiegare: "Ti assicuro che non è andata così, io ho solo..."
"Chiudi quella caspio di fogna ed entra prima che io cambi idea." borbottò Newt facendogli cenno con la testa di sbrigarsi. 
Quando Stephen oltrepassò la soglia, Newt chiuse la porta velocemente e silenziosamente, poi si avvicinò a me, che nel frattempo mi ero allontanata per esaminare meglio le differenze tra il mio dormitorio e quello dei Radurai.
Ero sorpresa nel vedere la somiglianza tra le due stanze, ma fui ancora più stupita quando sentii le braccia di Newt circondarmi e attirarmi a sè. Non che mi avesse dato fastidio, ma non capivo perchè mi stesse baciando con così poca delicatezza. Sembrava non lo stesse facendo per desiderio, ma più per... No, forse era solo una mia impressione.
Dopo pochi secondi staccò le sue labbra dalle mie, ma si premurò a lasciare un braccio attorno alle mie spalle. Lo vidi raggiungere Stephen con lo sguardo e sorridergli in modo strano, come se gli stesse lanciando una sfida. Solo in quel momento capii che non mi stavo affatto sbagliando: Newt stava esplicitamente marcando il suo territorio in modo che Stephen capisse come stavano le cose. In quell'istante mi sembrarono due cani rabbiosi che si contendono un osso per la strada. E io di certo non intendevo essere il loro osso.
Sbuffai e mi liberai dalla presa di Newt per avvicinarmi al letto di uno dei Radurai. Non ci fu bisogno di sforzarmi per capire che la sagoma che stava dormendo stravaccata sul letto inferiore a quello di Newt apparteneva all'inconfondibile e inimitabile Minho.
Riconoscerei il puzzo dei suoi piedi tra mille. Pensai, disgustandomi subito dopo dei miei stessi pensieri insensati.
Mi accovacciai vicino al suo letto e iniziai a scuotere il ragazzo nel tentativo di svegliarlo. Quando sentii che aveva smesso improvvisamente di russare, sorrisi e attesi che mi rivolgesse lo sguardo. Vidi la sua schiena inarcarsi all'insù e le sue braccia premere sul materasso per permettere al corpo di alzarsi. Osservai i suoi bicipiti gonfiarsi e tremare, per poi ricadere goffamente sulle coperte, annullando in un colpo la distanza tra lui e il cuscino.
"Minho, alzati." gli ordinai. "Ora."
Lo sentii inspirare ed espirare profondamente per poi grugnire qualcosa che mi sembrò essere un insulto. Iniziai a cercare un modo per farlo alzare: dato che con le buone non si decideva a svegliarsi, forse dovevo ricorrere alle cattive. Ma fortunatamente non ce ne fu bisogno perchè vidi la sua testa girarsi verso di me e i suoi occhi agganciarsi assonnati ai miei.
"Buongiorno anche a te, disturbatrice di sogni." sbuffò per poi allungare una mano sulla mia spalla. "Stavo sognando di baciare una bella mora quando tu sei piombata nel mezzo e mi hai preso a padellate in faccia."
"Mi fa piacere sapere di essere sempre nei tuoi pensieri, faccia di caspio." sussurrai rimettendomi in piedi e sgranchendomi le gambe. "Pensi di alzarti oppure vuoi rimetterti a dormire? Possiamo andare a cercare Thomas anche da soli."
A quelle parole Minho scattò in piedi, fulminandomi con lo sguardo. "Non se ne parla neanche. Senza di me vi perdereste prima di riuscire a dire 'Dolente'."
"Dolente!" rispose Stephen dal nulla, facendomi ricordare solo in quel momento della sua presenza. 
"Ci mancava solo lui." borbottò Minho, fulminandolo con lo sguardo. "Chi diamine lo ha fatto entrare?"
"Anche tu ti ci metti? Perchè nessuno mi vuole tra i piedi?" chiese Stephen, fingendosi offeso.
"Lui viene con noi." spiegai lentamente, pregando che Minho non desse di matto.
"Cosa? No, non se ne parla. Io con questo traditore non ci parlo, figuriamoci collaborarci!" sbottò infastidito.
"Lo so, ma ha detto che sarà come se non esistesse." risposi incrociando le braccia al petto.
L'ex-Velocista cambiò espressione velocemente, passando dalla più totale rabbia e fastidio, ad una semplice espressione interessata, come se le mie parole gli avessero fatto scattare in mente un idea geniale. "Quindi non fiaterai?" chiese Minho dopo una lunga pausa di riflessione, improvvisamente incuriosito.
"No, signore."
"E noi possiamo ignorare la tua presenza?" domandò nuovamente, con un ghigno stampato in faccia.

Conoscevo quel sorrisetto e sapevo che non portava a nulla di buono. Qualsiasi idea avesse in mente, ero sicura che sarebbe andata a danno di qualcuno.
"Esattamente. Sarà come se foste seguiti da un fantasma." asserì Stephen contento, probabilmente ignaro che le sue parole stavano incentivando Minho a coltivare qualcosa di brutto nei suoi confronti.
"Mmm..." mugugnò Minho, alzandosi in piedi e muovendosi di qualche passo verso Stephen. Poi, quando fu a meno di un metro da lui, si fermò ed iniziò a stiracchiarsi.
Inizialmente sembrò un vero e proprio allungamento di muscoli, ma quando Minho iniziò ad abbassare le braccia lungo il corpo mi accorsi che il suo sorriso malefico si stava allargando spropositamene. Infatti, poco prima di abbassarsi del tutto, i pugni di Minho scattarono verso l'esterno velocemente, uno di loro dritto a colpire la mascella di Stephen.
Mi portai la mano alla bocca quando vidi il ragazzo girare violentemente la faccia dall'altra parte, ma non abbastanza velocemente da evitare il colpo. Si sentì un rumore flaccido e sordo, poi il lamento silenzioso di Stephen.
Minho si voltò immediatamente verso di me, osservandomi a bocca spalancata, visibilmente preoccupato. "Oddio, ti senti male? Perchè hai quella faccia?"
Si avvicinò a me e mi circondò le spalle con un braccio. "T-Tu hai..." non riuscii neanche a finire la frase talmente mi aveva colta di sorpresa, così indicai verso Stephen che nel frattempo si era rimesso eretto, mostrando tutta la sua altezza. Il povero ragazzo si stava tenendo la mandibola con entrambe le mani e stava facendo delle smorfie con la bocca probabilmente per capire se quel pugno così inaspettato e forte avesse rotto niente.
"Cosa stai indicando?" chiese curioso. Fissò Stephen, ma sembrò non vederlo. "Newt, mi dici cosa ha visto la tua fidanzata per avere questa faccia preoccupata e pallida? Sembra abbia visto un..." si fermò qualche secondo e sembrò cercare la parola più adatta. Poi con il sorriso di chi aveva appena avuto ciò che voleva, bisbigliò tra i denti una parola: "...fantasma."
Newt fece spallucce, fingendosi ignaro di tutto ciò che era appena accaduto, ma gli sfuggì un sorrisetto. "Non ne ho proprio idea, Minho."
"Be', in tal caso possiamo andare." spiegò felice l'ex-Velocista. "Su, bambolina. Non preoccuparti: qualunque cosa tu abbia visto, ci sono qui io a sorreggerti. Non vorrei che mi svenissi a terra."
Detto questo iniziò a camminare, trascinandomi dietro di lui, seguiti a ruota da Newt. Entrambi avevano un sorriso da ebete stampato sul viso: il sorriso di chi aveva appena fatto un guaio eppure l'aveva scampata.
Sentii Stephen borbottare un 'sto bene, sto bene' e poi affrettarsi a seguirci per evitare di rimanere chiuso dentro la stanza.
Scossi la testa, riuscendo a stento a credere che Minho avesse potuto fare una cosa così infantile e per di più essere appoggiato da Newt.
Non appena la porta della stanza si chiuse dietro di noi, tutta l'allegria e l'ironia che prima ci avevano accompagnati, svanirono nell'aria, rimpiazzate da serietà e silenziosa attenzione. 
"Se fossimo stati pari avremmo potuto dividerci." sibilò Minho.
"Ma noi siamo..." tentò Stephen, subito dopo interrotto da Newt.
"Già, davvero una sfortuna." rispose il biondino.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Continuammo la nostra ricerca al buio per due o tre ore. Ispezionammo attentamente tutti i corridoi, fermandoci ad ogni porta per origliare e ad ogni finestra per sbirciare dentro. L'atmosfera si faceva più deprimente minuto dopo minuto essendo chiaro il fatto che le nostre sfrenate ricerche non stavano portando a nulla.
Nonostante la stanchezza continuavo a seguire i ragazzi di corridoio in corridoio e non osavo lamentarmi. Non volevo assolutamente essere io la prima a rinunciare alla ricerca, anche se sapevo che Minho e Newt non si sarebbero arresi così facilmente.
Durante una delle tante soste per controllare una stanza, mi venne in mente un pensiero poco rassicurante che mi fece congelare il sangue nelle vene. C'era troppo silenzio e tutto stava filando fin troppo liscio. Forse non avevo neanche fatto caso a questo particolare, dato che la maggior parte dei miei pensieri fino a quel momento erano stati rivolti a Thomas e a quanto avevo sbagliato a non indossare un paio di scarpe, ma ora che ci stavo facendo caso, quella sfumatura che prima non avevo notato mi stava facendo sentire scomoda.
Insomma, stavamo gironzolando pur sempre nei corridoi della W.I.C.K.E.D., la quale era stata capace di creare creature mostruose e spingere dei ragazzi nelle braccia della morte. Perchè mai non avrebbe dovuto creare delle telecamere ad infrarossi? 
Mi aspettavo che già a questo punto ci avrebbe beccato qualcuno... Pensai arricciando il naso e controllando se qualcuno ci stava seguendo. Come previsto, dietro di me non c'era proprio nessuno, ma in ogni caso sarebbe bastato fermarsi ad ascoltare per capire che qualcuno ci stava seguendo. 
Fino a quel momento, le uniche cose che le mie orecchie potevano captare erano il frusciare di vestiti, il suono dei respiri profondi, lo scalpiccio dei miei piedi nudi contro le mattonelle dure e il battere del mio cuore.
Lo sapevo che non c'era motivo di essere agitati o sovrappensiero, ma c'era comunque qualcosa che non mi quadrava. Okay, magari la W.I.C.K.E.D. non aveva avuto il tempo per piazzare delle telecamere di sorveglianza, ma per quanto riguardava le guardie? Io come minimo ne avrei messa una ad ogni corridoio per controllare se...
Aspetta. Mi bloccai sul posto. Se una la W.I.C.K.E.D. non ha messo niente a controllare questi corridoi significa che...
"La W.I.C.K.E.D. non ha niente da proteggere!" dissi ad alta voce, finendo il mio pensiero e facendo così voltare di scatto i tre ragazzi che nel frattempo si erano mossi più avanti.
"Shh!" mi sgridò Minho, correndo immediatamente nella mia direzione.
"No, no! Non capisci!" bisbigliai sorridendo fiera di essere arrivata ad una conclusione, ma allo stesso tempo maledicendomi mentalmente per non esserci arrivata prima. "Vi siete accorti di come tutto qui sia tranquillo? Di come non ci siano guardie e neanche telecamere?"
Minho mi guardò spazientito, con un sopracciglio sollevato ad evidenziare il fastidio che quel rallentamento nella ricerca gli stava dando.
"Forse sono solo molto stupidi e..." azzardò Stephen.
"No! Insomma, stiamo pur sempre parlando della W.I.C.K.E.D. e la stupidità è una dote che a loro manca purtroppo." spiegai agitando le mani. "Pensateci su, se la W.I.C.K.E.D. non ha messo un minimo di sorveglianza in questi corridoi significa che non ha nulla da proteggere!"
"Okay..." sputò Minho infastidito. "E allora? Meglio per noi, no?"
"No!" replicai frustrata. "Se non hanno nulla da proteggere significa che..."
"Tommy non è qui." concluse Newt, ricevendo un mio sguardo pieno di apprezzamento.
"Esatto. Abbiamo cercato a vuoto." continuai guardandomi attorno. "Non interessa a nessuno se andiamo a sbirciare nei corridoi, almeno finchè non ficchiamo il naso in quello che non dobbiamo."
"Se non è in questo piano allora forse ce ne sono altri a cui non abbiamo accesso." rispose Minho entusiasta. "Il che significa che dobbiamo trovare il modo di individuare la sua posizione evitando di farci beccare."
"Come pensi di fare, genio? L'hai detto anche tu: sicuramente servirà una chiave di accesso per entrare e si da il caso che noi non ne possediamo neanche una."
"Lo so, genio. Infatti ho un piano." spiegò Minho lentamente. "Innanzitutto dobbiamo riuscire ad individuare la sala di controllo o per lo meno la stanza dove tengono i famosi 'dati' su di noi. Una volta entrati cerchiamo la stanza in cui si trova Thomas e in caso fosse chiusa, rubiamo la chiave ad una guardia e lo liberiamo."
"Il problema è trovare la sala di controllo. Sicuramente devono esserci altri piani in cui cercare oltre a questo." intervenne Newt, grattandosi la nuca con fare stanco.
"Sì, ma in ogni caso non possiamo farlo questa notte. Si sta facendo veramente tardi e non abbiamo abbastanza tempo per intrufolarci in altri piani." spiegai trattenendo a stento uno sbadiglio. 
"Odio ammetterlo, ma hai ragione. Dobbiamo riposare e riprendere le forze per domani." affermò Minho, scrollando le spalle e guardandosi attorno. "Quindi muoviamoci e torniamo ai dormitori."
L'ex-Velocista fece retromarcia e imbucò il corridoio dal quale eravamo venuti, poi continuò il suo cammino con passo sicuro e veloce, come se avesse attraversato quei corridoi mille volte e avesse imparato la strada a memoria. 
Velocista fino al midollo. Pensai affrettando il passo per raggiungerlo. Ormai mi aveva superato anche Stephen, visibilmente contento di poter tornare finalmente a dormire, ed io con le mie gambe corte facevo fatica a star loro dietro. Un loro passo equivaleva a tre dei miei e potevo già sentire il fiatone e il sudore colarmi sul collo. 
"Stanca?" mi chiese Newt, raggiungendomi senza fatica.
"Un pochino." ammisi, continuando ad avanzare per falcate. "Vorrei poter essere veloce come voi, ma si da il caso che la mia pigrizia domini al momento."
Sentii il ragazzo ridere con gusto e poi prendermi la mano dolcemente. "Vuoi che ti prendo in braccio?"
Arrossi violentemente e ritirai la mano. "Sarò pure bassa, ma non sono una bambina! Posso anche farcela da sola." brontolai dandogli uno spintone e sentendolo nuovamente ridere.
"Ehi, la mia era solo una proposta." replicò sorridendomi e circondando le mie spalle con il suo braccio. "Sei divertente quando ti arrabbi."
"Dici così solo perchè ancora non mi hai vista arrabbiata." replicai. 
Continuammo a camminare velocemente, ma dopo qualche minuto le mie gambe iniziarono a tremare per lo sforzo e lentamente iniziai a cedere, arrendendomi ai miei soliti piccoli passi.
Newt non sembrò neanche notarlo e si adattò facilmente alla mia andatura, facendo così aumentare la distanza tra noi e i due ragazzi più avanti, che non sembravano neanche essersi accorti della nostra assenza alle loro spalle.
Mi godetti per qualche istante il silenzioso tepore delle braccia di Newt attorno al mio corpo e lasciai cadere dolcemente la mia testa sul suo braccio.
Tutt'intorno a noi regnava il silenzio e per un attimo mi venne da pensare che una volta quel silenzio mi avrebbe fatto sentire scomoda, fuori posto. Ora invece veneravo quella pace priva di suoni, perchè gli attimi in cui essa regnava erano così pochi che aveva iniziato a mancarmi la sua presenza. Le mie giornate, da quando avevo memoria, erano piene di pericoli e insidie, così come quelle dei Radurai. Avrei dato di tutto pur di ritornare alla pace e calma della Radura: svegliarsi al mattino con il canto degli uccelli; mangiare con i propri amici; lavorare fino a non poterne più e poi coricarsi a letto, tranquilli e felici, con la consapevolezza che il giorno seguente sarebbe tranquillo come quello precedente.
Sì, forse nella Radura eravamo dei topi in trappola, ma almeno eravamo tutti insieme. 
Insieme...
Chissà se avrei potuto usare ancora quella parola senza che suonasse strana. Forse eravamo tutti uniti come prima, o magari anche di più, ma di certo non eravamo gli stessi di una volta. Troppi pericoli da affrontare, troppi problemi da risolvere, troppo peso da sopportare per degli adolescenti. Ma soprattutto: troppe vittime innocenti.
Chuck, la cui unica colpa era stata quella di aver voluto proteggere un proprio amico.
Ben, la cui unica colpa era stata quella di entrare quel giorno nel Labirinto.
Alby, la cui unica colpa era stata quella di essersi voluto sacrificare per qualcosa più grande di lui.
E tanti altri ragazzi innocenti, caduti nelle mani della morte per 'un bene superiore'. 
Gally... Pensai mordendomi il labbro. Ancora non riuscivo a capire se era veramente in sè quel fatico giorno. Tutti non facevano altro che provare odio e ribrezzo nei suoi confronti, e forse avrei potuto provarlo anche io se solo non avessi visto i suoi occhi e avessi capito che qualcosa non andava. Se solo odiarlo fosse così semplice...
Ma nonostante tutto eravamo arrivati fino a quel punto e ce l'avevamo fatta. Un sacco di nostri amici erano morti per farci arrivare fino a quel punto, ed era proprio per quello che non potevamo arrenderci e dovevamo sopravvivere. Sopravvivere per tutti quelli che non ce l'avevano fatta. 
Allora perchè avevo la brutta sensazione che stessimo solo perdendo tempo? Dovevamo velocizzarci e cercare Thomas per poi scappare tutti insieme. Dovevamo andarcene da quel posto, lontano dalle grinfie della W.I.C.K.E.D. e sopravvivere. Sopravvivere ancora. E poi forse smetterla di sopravvivere, per iniziare a vivere.
"Avrei dovuto capirlo prima." dissi dal nulla, uscendo improvvisamente dai miei pensieri. "Intendo... che Thomas non era qui. Avrei dovuto capire che la W.I.C.K.E.D. non è poi così ingenua da mettere i nostri dormitori sullo stesso piano di Thomas e pretendere che non andassimo a cercarlo."
"No, Eli." mi rispose Newt. "Forse avremmo dovuto arrivarci anche noi, ma non lo abbiamo fatto, perchè noi Radurai non siamo come te. Certo, anche noi abbiamo del sale in zucca, ma tu sei diversa, sei risolutiva. Un po' come Tommy. Se non fosse stato per voi due non saremmo usciti dal Labirinto. E se non fosse stato per te, noi saremmo ancora a zonzo a cercare Thomas nel posto sbagliato."
Rimasi in silenzio, non sapendo cosa replicare, poi le parole mi uscirono da sole, senza neanche pensarci su. "Io ho paura, Newt."
"Di cosa?"
"Dopo aver trovato Thomas non dobbiamo perdere tempo e dobbiamo fuggire." spiegai lentamente. "Ma dove andiamo? Possiamo fuggire ovunque e la W.I.C.K.E.D. ci troverà. Probabilmente il chip che abbiamo nel cervello permette loro di localizzare la nostra posizione. Non saremo mai al sicuro! Io ho paura che non saremo mai al sicuro..."
"Lo so, ma è un rischio che dobbiamo correre." mi spiegò dolcemente. "Spaventa anche me, credimi, ma poi quando penso che non affronterò tutto da solo e che voi sarete con me, mi sento meglio. Lo stesso vale per te: non ti lascerò sola, affronteremo tutto insieme come abbiamo sempre fatto."
"E se trovassero un modo per separarci? Come stanno facendo con Thomas..." domandai agitata.
"Allora noi troveremo un modo per ricongiungerci, come stiamo facendo ora." replicò lui con voce ferma. Annuii e mi accoccolai meglio contro di lui. Ecco uno dei tanti motivi per cui mi ero innamorata di Newt: riusciva sempre a calmarmi, come se fosse una medicina alle mie preoccupazioni. Forse Newt avrebbe potuto pensare che io avessi semplicemente preferito lui a Gally, ma non si era trattato di una scelta o magari una preferenza. Di certo non avevo stilato una lista dei difetti e dei pregi di entrambi per scegliere. Era stata una cosa naturale, genuina. Avevo capito che era la cosa giusta da fare, che lui era la persona giusta e così avevo seguito il mio cuore. Da allora non avevo mai cambiato idea e non mi pentivo di come erano andate le cose.
Spesso invece mi ritrovavo a pensare che forse io non ero la persona giusta per Newt, che avevo troppi difetti, che ero troppo debole e semplice per una persona così rara e magnifica. Ma forse era proprio quello il bello del nostro amore: amare i difetti dell'altro e apprezzarli, come se fossero i propri. Erano proprio quelle piccole debolezze a fare di noi chi eravamo, e non c'era motivo di disprezzarle. 
"Finalmente siete arrivati!" disse Minho roteando gli occhi al cielo. "Vi sto aspettando qui davanti da dieci minuti. Se volevate stare da soli per un po' bastava che mi avvisavate."
Scossi la testa e arrossii. Ero talmente assorta nei miei pensieri da non accorgermi neanche di essere arrivata al dormitorio di Newt e Minho.
Quest'ultimo infatti, ci stava attendendo da solo appoggiato contro il muro, con le braccia incrociate e la faccia di chi ha atteso per anni qualcosa. Ma d'altronde come potevo biasimarlo? Eravamo tutti stanchi e forse io e Newt eravamo stati maleducati a prendercela comoda per i fatti nostri.
"Almeno potevi lasciarmi la chiave, pivello." borbottò Minho scocciato, rivolto al biondino. 
"Scusami se ho fatto attendere le tue chiappe flosce." replicò Newt togliendosi la chiave dalla tasca dei pantaloni e lanciandola a Minho. "Entra e vai a riposarle. Poverine, saranno stanche."
"Oh, e stai zitto, testa di caspio." abbaiò l'ex-Velocista, infilando la chiave nella serratura e facendola girare silenziosamente. "Vedi di non metterci tanto a darle la buonanotte, okay?"
"Tranquillo, ci metterò neanche la metà del tempo che tu hai impiegato per dare la tua buonanotte a Stephen. Sono sicuro che questi dieci minuti di attesa per voi due siano stati uno spasso. Ho visto come vi guardavate, non c'è bisogno di nasconderlo, dolce Minuccio." lo punzecchiò Newt.
"Ew! Ma che schifo! Mi hai fatto venire il ribrezzo. Se questa notte ho gli incubi giuro che mi alzo e vengo a prendere a calci le tue chiappe da pony." concluse Minho togliendo le chiavi dalla serratura ed entrando velocemente nella stanza, lasciando la porta socchiusa.
A quel punto tutta l'attenzione di Newt si puntò su di me e il ragazzo incrociò il mio sguardo, sorridendo stancamente. "Allora... Buonanotte, Eli." sussurrò semplicemente, grattandosi la testa con fare nervoso.
"Ehi! Ora che Stephen non c'è non mi vuoi baciare? Ti ho visto prima: mi hai baciata solo per marcare il territorio." dissi visibilmente dispiaciuta e contrariata.
"Ma no, che dici? Io ho solo..." Newt si interruppe e analizzò la mia espressione, che ora era più dura del marmo. Il ragazzo arrossì violentemente, ma poi si riprese. "Okay, è solo che quel tipo non mi piace. Sono un po'..."
"Geloso?" conclusi io, facendo un sorrisetto. "Non ne hai motivo, perchè i miei occhi sono tutti per te."
Mi avvicinai a lui di qualche passo e gli buttai le mani al collo, sollevandomi sulle punte per raggiungere le sue labbra. Quando anche Newt chinò la testa, la distanza tra i nostri volti svanì del tutto, terminando in un dolce bacio.
Mi staccai lentamente da lui e appoggiai i piedi completamente a terra. "Buonanotte, dolce Newtie ." gli feci, imitando il suono della suo voce.
"Buonanotte, dolce Eli." mi fece eco. 
Mi allontanai di qualche passo, poi mi girai giusto in tempo per vedere la sua chioma bionda sparire lentamente dietro la porta.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


Dopo essere rimasta qualche secondo a fissare la porta chiusa del dormitorio di Newt e Minho, decisi che era ora di andarmene e tornare nella mia stanza, prima che il sonno mi cogliesse impreparata e mi facesse addormentare in piedi.
Ripresi così a camminare svogliatamente per i corridoi bui, accompagnata solamente dal rumore dei miei respiri, mischiato a quello dei miei passi. Stranamente mi ricordavo abbastanza bene la strada e per le prime svolte il mio senso dell'orientamento sembrò finalmente voler collaborare, ma dopo poco la memoria di fece confusa e mi ritrovai in un corridoio che non mi sembrava di aver mai percorso prima.
Mi guardai attorno spaesata e spaventata. E se non fossi riuscita a tornare in tempo? Okay, Elena... Calmati. Hai tutta la notte per ritrovare la tua camera. Pensai, respirando pesantemente per tranquillizzarmi. 
Decisa a non perdermi d'animo girai su me stessa e iniziai a ritornare sui miei passi. Continuai così fino a che non trovai un corridoio che mi sembrò abbastanza familiare - cosa alquanto difficile da dire data la somiglianza di tutti i corridoi - e da lì ripresi il cammino. Pensai a tutte le svolte che avevo fatto fino a quel momento e cercai di ricordarmi tutto il percorso che mi ero ripetuta per arrivare fino alla camera dei ragazzi. Da lì sarebbe bastato semplicemente rifarlo al contrario e invertire le svolte a destra con quelle a sinistra.
Mi sembra che fosse qualcosa tipo: destra, sinistra e... di nuovo sinistra? No, no forse era destra. Allora... mi ricordo che alla fine dovevo percorrere tutto un corridoio, senza svoltare. Poi, arrivata alla fine del corridoio dovevo andare a... destra, sì a destra e poi a sinistra. Quindi io in breve ho... Svoltato a destra, poi a sinistra e ho percorso il corridoio. Fino a qui ci sono. Poi? Dove devo andare? Destra? Sinistra? E se le provo entrambe e poi decido? Magari dovrei ricominciare da capo e...
"Ti sei persa?" chiese una voce alle mie spalle, scaraventandomi fuori dai miei pensieri e facendomi saltare sul posto dallo spavento. "Tranquilla, sono solo Stephen!"
Roteai gli occhi al cielo e mi portai una mano al cuore per poi sentirlo battere velocemente contro il mio palmo aperto. "Ma ti sei bevuto il cervello, testa di caspio?" gli sussurrai arrabbiata, agitando in aria un braccio.
"Scusami ma ti ho visto passare di qui tre volte, ho pensato che avessi bisogno di aiuto." mi spiegò lui semplicemente.
"Ma che... Ma tu non eri tornato al dormitorio?" chiesi basita, guardandomi attorno per capire da dove era potuto apparire.
"No. In realtà ho fatto un giretto, non ho ancora sonno." si giustificò, allungando una mano nella tasca.
"In un'altra occasione ti picchierei, ma si da il caso che tu ora mi serva. Quindi prima ti sfrutto e poi ti picchio. Ottimo. Adoro questo piano." borbottai avvicinandomi a lui.
"Be' se la metti così posso sempre..."
"Stavo scherzando." ammisi, sottolineando l'ovvio. "Muoviti perchè io a differenza tua ho sonno."
"Agli ordini, pasticcino." replicò lui, squadrandomi da capo a piedi. Mi rivolse un sorrisetto malizioso e poi mi sorpassò, iniziando a camminare tra le tenebre.
Scossi la testa e mi limitai a seguirlo senza fare domande. Ultimamente si stava comportando in modo strano. Be' a dire la verità anche nella Zona Bruciata era strano e lunatico, ma da quando lo avevo visto in quello stato pietoso nella Sala dei Tavoli, avevo capito che qualcosa non andava.
"Tu che esperimento hai dovuto affrontare?" chiesi dal nulla, accorgendomi solo dopo aver pronunciato l'ultima parola di aver fatto un grosso errore. Lo vidi bloccarsi e irrigidirsi: la sua schiena ora era dritta e potevo vedere i muscoli tremare - non capii se per rabbia o tensione -sotto la maglietta. I suoi pugni si chiusero su sè stessi e anche se una mano era infilata nella tasca potevo capire che si stava conficcando le unghie nella pelle, come se si stesse trattenendo dal fare qualcosa.
Quando alla fine parlò, non si girò completamente, ma voltò solo metà volto nella mia direzione. "Non ho voglia di parlarne." disse a denti stretti, con la mascella serrata.
"Okay, scusa. Era pura curiosità." mi giustificai, temendo che potesse passare da una semplice espressione di rabbia e fastidio ad una vera e propria sfuriata nei miei confronti. "E' solo che dopo l'esperimento ti ho visto... come dire... debole. Ecco, sembrava avessi visto un fantasma e così mi sono preoccupata."
"Non hai motivo di preoccuparti. Ora sto bene." disse secco, per poi continuare a camminare silenziosamente.
Lo seguii nell'ombra, senza proferire parola. Probabilmente il suo esperimento doveva essere stato talmente traumatico da non volerne neanche parlare o forse si trattava semplicemente di una cosa personale.
Sapevo che non avrei dovuto sentirmi ferita, in quella circostanza, ma il modo in cui mi aveva risposto sommato al fatto stesso che non voleva confidarsi con me, in un modo o nell'altro mi aveva scosso e forse anche ferito. Probabilmente per lui non ero un'amica così importante o fidata come credevo di essere. Insomma, credevo che dopo tutto quel tempo passato insieme a lui nella Zona Bruciata ci fossimo avvicinati, che fossimo diventati amici. Di certo avevamo imparato a conoscerci ed io avevo avuto la possibilità di imparare ad apprezzare ogni suo lato -dato che nella Zona Bruciata lui era l'unica compagnia umana di cui disponevo -, persino quelli peggiori, e ad accettarli. Lo avevo perdonato ogni volta che aveva fatto il cretino e anche ogni volta che pensavo che si fosse finalmente aperto con me, quando invece non aveva fatto altro che raccontarmi bugie. Avevo persino dimenticato il fatto che avesse tradito la mia fiducia quando avevo scoperto che in realtà era lui a lanciare tutte le scariche elettriche, perchè sapevo che era stato obbligato a farlo se voleva proteggere le sue sorelle.
Le sue sorelle! Non mi aveva più parlato di loro da quando eravamo tornati alla W.I.C.K.E.D., forse ancora non gli avevano dato la possibilità di incontrarle o forse...
Un'idea mi perforò la mente, facendomi sentire immediatamente stupida e incapace. Avrei dovuto capirlo prima che la sua cera da morto vivente non era dovuta al suo esperimento, ma probabilmente riguardava le sue sorelle. Ma che motivo aveva la W.I.C.K.E.D. di far loro del male? Stephen aveva eseguito gli ordini alla perfezione! 
"Steph?" domandai, accorgendomi solo in quel momento di aver smesso di camminare e di essere perciò rimasta indietro rispetto al ragazzo.
Quest'ultimo infatti si fermò, ma non si voltò a guardarmi, probabilmente perchè aveva compreso a che conclusione ero arrivata.
"Stephen dove sono le tue sorelle?" domandai, andando direttamente al punto.
Lo sentii sospirare pesantemente e poi si grattò il collo. Vidi le sue spalle chinarsi all'avanti, come se stessero cedendo ad un peso portato troppo a lungo. "Non lo so."
"Cosa..?" mi mossi in avanti senza neanche pensarci troppo. In un attimo mi ritrovai davanti al ragazzo, ancora con la testa china al pavimento e una mano sugli occhi. Cautamente portai la mia mano sulla sua e la allontanai dal suo volto delicatamente, come se stessi maneggiando un oggetto di porcellana. "Stephen, guardami. Devono pur averti detto qualcosa riguardo a..."
"No. Te l'ho già detto." mi corresse lui, alzando gli occhi su di me e lanciandomi un'occhiata furibonda. "Credi che non ci abbia provato a cercarle? Credi che le abbia semplicemente dimenticate o che quando Janson ha finto di non sapere di cosa stessi parlando io abbia semplicemente rinunciato? Credi veramente che non abbia tentato in tutti i modi, uhu? Pensavi che me ne stessi veramente fuori dalla mia stanza perchè non avevo sonno? Be' no. Non dormo ormai da giorni perchè ho paura che la W.I.C.K.E.D. abbia fatto loro qualcosa. Non le vedo da settimane e nessuno vuole dirmi dove sono o come stanno." si sfogò. "E per di più si divertono a giocare con il mio cervello." disse ridendo istericamente e puntandosi il dito alla tempia così violentemente che sembrò quasi volesse farsi male. "Vuoi sapere in cosa consisteva il mio esperimento? Bene, te lo dirò. Quando mi sono svegliato mi sono ritrovato in una stanza tutta bianca: le pareti, il pavimento, tutto bianco eccetto un muro ricoperto completamente da una finestra. Non appena mi sono affacciato ad essa ho capito che si proiettava su un'altra stanza ed è a quel punto che le ho viste: tutte e tre stese sui lettini e un branco affamato di scienziati chino sopra i loro corpi; li ho visti cosa stavano facendo, gli stessi esperimenti che facevano su di noi, a quanto pare si sono trovati delle nuove cavie."
Non appena Stephen finì di raccontare, abbassai lo sguardo ai miei piedi, senza sapere cosa dire e sentendomi maledettamente in colpa per averlo obbligato a parlarmene. "Stephen... Io..."
"Io non... Io non capisco dove ho sbagliato." bisbigliò, più a se stesso che rivolto a me. "Ho fatto tutto quello che mi hanno chiesto! Tutto!" parlò alzando sempre di più il tono di voce, fino ad arrivare ad urlare l'ultima parola.
"Steph, calmati..." gli suggerii preoccupata, guardandomi attorno.
"No! No! No!" bisbigliò lui, con il tono di voce incrinato. "E' tutta colpa mia! Loro avevano bisogno di me e io le ho deluse..."
Mi morsi il labbro, non sapendo nè cosa dire nè cosa fare. Mi limitai a fare un passo avanti e attendere in silenzio che si calmasse. Di certo le mie parole fino a quel momento non avevano fatto altro che peggiorare la situazione e forse in certi casi avrei dovuto imparare a starmene semplicemente zitta ad ascoltare.
Vidi il ragazzo portarsi entrambi le mani a coprire il viso e solo dopo alcuni secondi capii che stava cercando di nascondere il fatto che stesse piangendo. Vidi la sua schiena sobbalzare ad intervalli irregolari e sentii il rumore suo respiro strozzato e umido affievolito dai palmi premuti contro la faccia.
Senza pensarci troppo su, agii in modo naturale, così come avrei voluto che qualcuno avesse fatto se fossi stata io la persona in crisi, da consolare. Mi mossi cautamente vicino a lui e allungai le braccia verso il suo busto, ancora titubante della mia scelta. Poi lo circondai con un mio abbraccio, stringendolo delicatamente tra le mie sottili braccia. Ero molto più bassa rispetto a lui e così mi ritrovai ad appoggiare la mia testa sul suo addome. Chiusi gli occhi e attesi in silenzio che si calmasse.
Dopo pochi minuti sentii i singhiozzi affievolirsi per lasciare spazio al suo tirare su col naso. Pochi istanti dopo le sue mani scivolarono via dal suo viso per posarsi pesanti sulle mie spalle. Sentii le sue dita scivolare fino a trovare le scapole sulla schiena e qui aggrapparsi alla mia maglietta, tirandomi di più a sè e facendo del mio debole abbraccio una stretta ferrea.
Rimanemmo così per diversi minuti, senza sentire la necessità di parlarci o di dare spiegazioni. Per la prima volta da quando lo avevo conosciuto, Stephen non stava nascondendo le sue emozioni dietro ad uno spesso strato di orgoglio e distaccata freddezza.

Dopo l'abbraccio con Stephen il ragazzo se ne era rimasto muto per tutto il tragitto, fino ad arrivare alla sua porta di dormitorio, che scoprii essere poco prima della mia. Quando il ragazzo si infilò la mano in tasca e cavò la piccola chiave, io mi fermai ad osservare con freddezza e finto interessamento il piccolo numero nero appiccicato sopra la porta. Tre piccole cifre che rilessi come minimo dieci volte prima che Stephen riuscisse ad infilare per bene la chiave nella serratura - dato il buio persistente attorno a noi non era semplice vedere bene - per poi aprire una fessura nella porta. Solo quando lo vidi togliere la mano dalla maniglia, incrociai titubante il suo sguardo. Cosa dovevo dire a quel punto? Buonanotte? Ci vediamo? Sicuro che sia tutto a posto? O forse un mix? Ad esempio 'spero tu ora stia meglio, passa una buona notte'? 
"Allora..." sussurrò lui, interrompendosi con un colpo di tosse probabilmente per riempire il vuoto di parole tra di noi. "Grazie." sputò fuori alla fine, biascicando con le parole come se non me le volesse far sentire. Osservai attentamente la sua faccia, ma dato il buio non vidi altro che i suoi grandi occhi bianchi. Eppure sapevo che stava arrossendo per l'imbarazzo, si poteva sentire dal modo in cui parlava. 
"Figurati." risposi io, altrettanto imbarazzata, sentendomi fuori posto.
Lui annui e mi salutò con la mano. Mi girai e feci per andarmene, quando decisi che ciò che avevo detto non era abbastanza e che sapevo di poter fare di meglio. Mi voltai all'istante, cogliendolo proprio nell'attimo in cui stava per chiudere la porta.
"Steph?" sussurrai al buio, pregando che non fosse troppo tardi.
Il ragazzo riaprì immediatamente la porta, come se non aspettasse altro che un mio richiamo. "Sì?"
"Le troveremo, te lo prometto." non attesi neanche una sua risposta e decisi di girarmi e andarmene per la mia strada. Forse avevo sbagliato a dirgli quella frase? Forse lo avevo fatto tornare triste o magari...
"Ele!" mi voltai di scatto, sorpresa di sentirlo pronunciare il mio nome in quel modo. "Grazie veramente per tutto. Buonanotte."
Sorrisi nel buio e arrossii. Lo salutai con la mano e poi mi girai, finalmente felice e soddisfatta di come tutto si era concluso per il meglio.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


La mattina seguente, quando tutte le ragazze furono sveglie, mi obbligarono a raccontare loro i dettagli della serata precedente e tutte furono abbastanza deluse quando dissi loro che probabilmente Thomas era in un altro piano e che tirarlo fuori dalle grinfie della W.I.C.K.E.D. non sarebbe stato semplice.
Ovviamente non confidai loro la conversazione avuta con Newt, nè tanto meno quella con Stephen, e decisi inoltre di omettere anche il piano di fuga che intendevamo intraprendere dopo esserci ripresi Thomas. Forse sbagliavo a non avvisarle di una probabile fuga, ma allo stesso tempo sentivo che non potevo fidarmi, almeno non di tutte loro. Sapevo già che molte ragazze non sarebbero state d'accordo ad abbandonare tutto - un tetto sopra la testa, del cibo caldo, un letto e un bagno - e buttarsi alla cieca in un luogo pericoloso e del tutto imprevedibile. Probabilmente anche io avrei avuto dei ripensamenti se fossi stata nei loro panni, ma a differenza loro io avevo capito che quella in cui ci trovavamo al momento non era casa nostra e non avrebbe mai potuto essere chiamata come tale. Quello che ci avevano fatto era imperdonabile e non avevo la minima intenzione di rimanere con quei mostri neanche un secondo di più.
Una voce robotica interruppe violentemente i miei pensieri, proiettandomi di nuovo alla realtà e facendomi drizzare le orecchie in direzione dell'altoparlante che aveva iniziato a produrre suoni. "Attenzione prego: la colazione sarà servita tra dieci minuti alla sala mensa." 
"Sala mensa? E' quella in cui siamo state ieri?" chiese Livia guardandomi con un sopracciglio alzato.
"Non ne ho idea, ma in ogni caso possiamo scoprirlo. Abbiamo ancora dieci minuti per raggiungere la mensa e prendere la nostra colazione. Non vorrei che funzionasse come nella Radura: 'se non arrivi in tempo qualcuno mangerà la tua porzione'." recitai a memoria. "Un classico."
"Funzionava veramente così?" rise Avery, spuntando dal nulla e intromettendosi nel discorso.
"Oh, sì. E ancora non vi ho raccontato di come funzionavano le docce: credo di aver battuto il record mondiale di velocità sotto la doccia per paura che qualcuno entrasse." abbozzai un sorriso nel ricordare delle memorie che sembravano ormai lontane anni.
"Be' se non altro, se sei ancora qui viva e vegeta, vuol dire che hai imparato a farti rispettare." constatò Livia facendo cenno a tutte di seguirla oltre la porta della stanza.
"Credo che sia stato grazie all'affetto che provano nei miei confronti. Sai com'è, essere l'unica ragazza della Radura equivale al diventare la sorellina minore di tutti." spiegai uscendo per ultima dal dormitorio e chiudendo la porta con la chiave.
"Oppure equivale a diventare oggetto di stupro generale." mi sussurrò Livia all'orecchio, facendomi un sorrisetto divertito. La ragazza si gustò divertita la mia faccia colorata improvvisamente di rosso e la mia espressione di imbarazzo, poi fece spallucce e passò avanti, superando le altre ragazze e arrivando in prima fila.
"Ehi, aspetta! Non è vero!" gridai rincorrendola e scrollandomi di dosso la timidezza. 
"Sì, certo, certo." borbottò la ragazza agitando la mano in aria come se non le importassero le mie contestazioni. Mi mise un braccio sopra le spalle e mi circondò la testa, attirandomi a sè e strofinandomi un pugno sui capelli. "La sorellina minore di tutti, eh?"

Dopo aver finito la colazione io, Minho e Newt ci ritrovammo a parlare cautamente riguardo alla ricerca di Thomas. Nonostante il piano di Minho fosse semplice e neanche tanto pericoloso da attuare, il problema rimaneva comunque riuscire a trovare una sala di controllo oppure la stanza degli archivi.
Sicuramente, come ipotizzato da Newt, la W.I.C.K.E.D. doveva aver pure una stanza completamente dedicata ai dati raccolti durante le diverse prove, ma sicuramente sarebbe stata inaccessibile e super controllata. Nonostante tutto l'impegno e la serietà che avremmo potuto mettere in una missione di infiltrazione, rimanevamo solo e comunque tre ragazzi senza armi che cercano di superare decine di schemi di sicurezza, tra guardie armate, telecamere di sicurezza e allarmi efficienti.
L'unica possibilità rimaneva perciò trovare una sala di controllo, sperando di ritrovare tra le tante proiezioni di telecamere, quella che riproduceva il video di controllo della stanza in cui si trovava Thomas.
L'unico problema rimaneva comunque trovare quella sala di controllo e riuscire ad entrarci. Forse questa non era protetta da una guardia, ma sicuramente serviva un codice di accesso o una chiave per poterci entrare. 
Dopo aver ragionato più e più volte sulle stesse ipotesi, capimmo che l'unica soluzione era quella di osservare attentamente l'Uomo Ratto: se non altro, dentro la W.I.C.K.E.D., era un personaggio di vitale importanza e forse anche uno dei più potenti, uno dei capi.
Se esisteva una chiave, ce l'aveva per forza lui. Dovevamo solo stare attenti a come si comportava, se usava delle carte per accedere a delle stanze o se gli bastava un codice. 
Una volta trovata la chiave dovevamo distrarlo e rubargliela senza dare nell'occhio.
Dovevamo essere cauti, delicati, ma soprattutto furbi.
"Si parla del diavolo e spunta la coda." borbottò Minho guardando verso la porta con un sorrisetto stampato in volto, come se la sua preda preferita gli fosse appena apparsa davanti.
Infatti, non appena mi voltai anche io nella direzione in cui stava guardando, scorsi l'Uomo Ratto entrare dalla porta, scortato da due guardie armate fino al collo.
Lo osservai attentamente, ma non aveva niente in mano che assomigliasse lontanamente ad una chiave, a parte un piccolo fascicolo che teneva stretto sotto il braccio destro. Lo sentii schiarirsi la gola e attendere impaziente che il chiasso si attenuasse. Quando questo non accadde, lui si innervosì e iniziò a battere fragorosamente le mani per attirare l'attenzione.
Avrei voluto girarmi ed iniziare ad ignorarlo, ma dovevo attenermi al piano e stare bene attenta.
Quando il silenzio calò e tutti gli occhi furono puntati su di lui, lo vidi sorridere impercettibilmente e poi parlò, riempendo il silenzio: "Bene, ora che avete fato colazione vorrei spiegarvi cosa vi sarà concesso fare in questi giorni. Avete tre giornate di riposo, oggi incluso, perciò potrete stare tranquillamente nei vostri corridoi o dormitori a riposare, ma una volta finiti abbiamo in serbo per voi dei programmi." sfogliò qualche foglio, lesse qualche riga e dopo poco continuò. "Inizierete con fare diversi test. Questa volta non saranno assolutamente fisici o psicologici, ma riguarderanno il vostro intelletto e la vostra capacità di risolvere problemi. Questi richiederanno esattamente una settimana, dopodiché verrete valutati e smistati in rispettivi gruppi lavoro. Vi spiegheremo nei dettagli i dati che abbiamo sull'Eruzione e il modo in cui si manifesta e a quel punto, ogni gruppo si occuperà di terminare una parte della cianografia finale, facendo appello alle vostre capacità intellettuali." fece un'altra piccola pausa e chiuse la cartella di fogli, riponendola nuovamente sotto il braccio. "Sarà un progetto molto difficile, ma vi assicuro che alla fine riuscirete a completare tutto alla perfezione. Vi abbiamo osservati per anni e vi posso assicurare che ognuno di voi ha la capacità di risolvere un problema che neanche i migliori geni del mondo sono riusciti a decifrare. Ora avete tutti gli strumenti per farlo e sono sicuro che non ci deluderete. Il destino dell'umanità è nelle vostre mani. Ci aspettiamo grandi cose, da tutti voi."
Janson si guardò attorno e passò in rassegna tutti i volti presenti nella stanza. Quando si accorse che nessuno intendeva fare domande o parlare, alzò un sopracciglio e riprese a parlare. "Mi sono dimenticato di informarvi che i pasti saranno serviti ogni giorno in questa stanza. Il pranzo a mezzogiorno in punto e la cena alle sette. Potete tranquillamente girare per tutto questo piano e potete utilizzare ogni stanza: troverete dei laboratori, un'infermiera, delle palestre e persino un'area relax. Ogni stanza ha libero accesso, ma vi è severamente vietato accedere ad altri piani oltre a questo. Chiunque trasgredirà questa regola sarà punito di conseguenza e vi assicuro che non sarà un'esperienza da ricordare." ci sorrise falsamente, poi unì le mani dietro la schiena. "Dato che non ci sono domande, vi lascio continuare la vostra pausa."
Detto questo girò i tacchi e oltrepassò la porta, seguito a ruota dalle guardie che impugnarono saldamente i fucili prima di uscire dalla stanza. L'uomo infilò una mano nella tasca del suo camice e tirò fuori una piccola tessera magnetica. Fece qualche passo verso una porta di metallo, che dava l'idea di essere pesante, poi fece passare la tesserina in un dispositivo posto accanto alla porta, facendo scattare una lucina verde che acconsentì l'accesso. Quando la porta di metallo si aprì mi accorsi che in realtà essa non era altro che una parete di un'ascensore. Il più grande ascensore che avessi mai visto, profondo e largo abbastanza da contenere tutte le persone ancora nella mensa.
"Finchè non scopriamo qualcosa dobbiamo solo tenere la testa bassa e cercare di non attirare l'attenzione, okay?" propose Newt, guardando prima me e poi Minho, che annuì impercettibilmente.
Fu nel momento in cui vidi sparire la faccia da ratto dell'uomo dietro le possenti spalle delle guardie, che capii ciò che dovevo fare. All'improvviso scattai in piedi, catapultando la sedia all'indietro e mi lanciai all'inseguimento dell'uomo, seguita da Newt e Minho che, colti alla sprovvista, si limitarono a seguirmi allarmati.
"Che cosa stai facendo?" mi chiese Newt scioccato, tentando di raggiungermi e fermarmi. Continuai a correre, nella speranza di riuscire a fermare l'Uomo Ratto in tempo e uscii dalla stanza, sbattendo la spalla sulla porta per riuscire ad aprirla di nuovo. 
Mugugnai per il dolore quando la botta raggiunse la ferita da sparo che ancora stentava a guarire del tutto e mi schiaffeggiai mentalmente per non essere stata più attenta, ma continuai a correre nella direzione dell'Uomo Ratto. 
"Penso che stia cercando di attirare l'attenzione." rispose Minho con il suo solito sarcasmo, ma potevo sentire dal tono della sua voce che era divertito e non intendeva fermarmi. Lo sapevo che starsene buoni e con la testa bassa non era da Minho ed ero sicura che si sarebbe goduto a pieno la scena che tra poco sarebbe iniziata. Quando riuscii a raggiungere anche io l'ascensore mi catapultai al suo interno, prima che l'uomo potesse premere il pulsante del piano 1.
"Janson!" urlai per attirare la sua attenzione. L'uomo si bloccò con la mano a mezz'aria e si voltò sbalordito nella mia direzione. Anche le guardie ebbero la stessa reazione, ma a differenza dell'Uomo Ratto esse reagirono, bloccandomi il passaggio con i loro fucili per evitare di farmi avvicinare allo scienziato. "Voglio sapere di Thomas. Perchè non ce lo fate vedere?" ordinai lanciando all'uomo uno sguardo arrabbiato.
L'uomo mi guardo con superiorità e alzò un sopracciglio ad indicare il suo fastidio nei miei confronti. Portò il dito su un altro pulsante e lo premette. L'ascensore ebbe uno scossone e poi emise un suono acuto, ma non si mosse, segno che probabilmente lo scienziato aveva deciso di farlo bloccare per evitare che le porte si chiudessero alle mie spalle. "Te l'ho già spiegato, Cavia. Thomas ha..."
"Chiamala in quel modo un'altra volta e giuro che spezzo le gambe a forza di calci." disse Newt con voce ferma e arrabbiata, raggiungendomi immediatamente alle spalle insieme a Minho.
"Okay, ora calmiamoci tutti." asserì l'uomo, facendoci un sorriso falso e alzando le mani in segno di riappacificazione. "Vi ho già spiegato che Thomas è stato isolato perchè malato di Eruzione. Oltre ad essere contagioso è anche pericoloso e inaffidabile."
"Oh, andiamo... Non vogliamo di certo instaurare una chiacchierata come ai vecchi tempi. Vogliamo solo vederlo, anche attraverso uno schermo o una finestra. Non mi interessa come, ma voglio vedere le sue condizioni." insistetti sporgendomi oltre i due fucili e cercando di avvicinarmi all'uomo.
Quando le mie mani si andarono ad appoggiare contro le armi per spostarle, le guardie reagirono e mi spintonarono all'indietro. Inizialmente opposi resistenza, ma dopo poco mi venne in mente un altro piano e sapevo che questa volta avrebbe funzionato.
Indietreggiai di due passi, alzando le mani in segno di ricongiunzione e abbassai lo sguardo cautamente sulla tasca di Janson: ero sicura che la tessera magnetica si trovasse nella destra del suo camice e con un po' di fortuna avrei potuto impadronirmene.
Feci un ultimo passo indietro, senza uscire dall'ascensore, e poi riabbassai le braccia lentamente sui fianchi quando le due guardie si ricomposero, più sollevate e tranquille di prima.
Lanciai un ultimo sguardo di fuoco a Janson e poi girai i tacchi, fingendo di andarmene.
Mossi un passo avanti e subito dopo mi rigirai di scatto verso le guardie, riprendendo a correre come una furia nella loro direzione. Queste, colte probabilmente alla sprovvista, cercarono di difendere lo scienziato che nel frattempo si era allontanato da noi, andando a schiacciarsi contro la parete di fondo dell'ascensore.
Vigliacco del caspio. Pensai andando a sbattere così violentemente contro le due guardie da far perdere l'equilibro a entrambe. Inciampai nei miei stessi passi, ma riuscii comunque a saltare addosso a Janson, che ora teneva le mani ben strette sulle mie spalle tentando di allontanarmi. L'uomo aveva ormai abbandonato la cartella con i fogli a terra e il suo viso si era colorato di rosso per lo sforzo. Quando lo vidi allo stremo delle forze, lo sentii stringere con la mano la mia spalla, conficcando le dita nella ferita.
Urlai dal dolore e per un attimo vidi tutto nero, ma non mi persi d'animo e feci finta di cadergli addosso per colpa delle fitte alla spalla. Solo quando le distanze tra i nostri corpi furono assenti, infilai la mia mano nella sua tasca, giusto un attimo prima che le guardie mi staccassero a spintoni da lui.
Mi trascinarono fuori bisbigliando tra i denti qualche insulto nei miei confronti, poi mi gettarono letteralmente fuori dall'ascensore, tra le braccia dei miei due amici che si erano guardati la scena esterrefatti e impietriti, senza sapere cosa fare.
"E' inaccettabile un comportamento del genere!" sentii Janson urlare. "Credimi, Soggetto C1, pagherai per questa tua azione e ti posso assicurare che non me ne dimenticherò."
Dopo questa frase, le porte dell'ascensore si chiusero silenziosamente, facendomi tirare un sospiro di sollievo.
Mi voltai con il fiatone verso Newt e Minho, che nel frattempo mi avevano rimesso in piedi, guardandomi con un'espressione tra lo sconcerto e la paura.
"Perchè capsio l'hai fatto?" mi chiese Minho allibito.
"Credevi davvero che ci avrebbero portato così semplicemente da Tommy?" mi chiese Newt furibondo, con la faccia di chi voleva delle spiegazioni.
"Certo che no." mi difesi, scuotendo la testa in segno di disapprovazione. "Non sono così stupida."
"E allora perchè..." Newt si interruppe improvvisamente, fissando lo sguardo sulla mia spalla. "Eli, stai perdendo sangue." mi disse allarmato, indicando con il dito la mia maglietta bianca, ora ricoperta da una grossa macchia rossa all'altezza della spalla.
"Merda..." biascicai abbassando lo sguardo alla maglia e scostandola per vedere in che stato era la ferita. Notai che la benda che la ricopriva era totalmente inzuppata di sangue, segno che i punti che mi avevano dato erano probabilmente saltati, facendo riaprire con successo la ferita.
"Non abbiamo tempo per questo." asserii scuotendo la testa e lasciando perdere. Infilai la mano nella mia manica e tirai fuori la piccola tesserina magnetica, mostrandola con orgoglio ai due ragazzi. "Non c'è bisogno che mi ringraziate."
"Ringraziate un corno." esclamò Minho, apparentemente infuriato. "Come minimo ti facciamo una statua!" gridò entusiasta per poi darmi un grosso abbraccio.
"Ehi, ehi, fermo!" ordinò Newt ancora preoccupato e arrabbiato, allontanando Minho con una mano per poi rivolgersi a me. "Come prima cosa, hai fatto un'azione stupida e imprudente. Dovevi parlarcene e poi avremmo deciso insieme. Come seconda cosa, ti sei ferita e stai perdendo molto sangue e quello che dici è che non abbiamo tempo per occuparcene. E come terza cosa, perchè diamine la incoraggi, Minho?" chiese furibondo rivolgendosi all'amico. "Ti sei bevuto il cervello? Avrebbero potuto spararle e ti assicuro che negli occhi avevano tutta l'intenzione di farlo!"
"Ehi, amico. Calmati." propose Minho, mettendogli una mano sulla spalla. "La tua ragazza ci ha appena risparmiato chissà quanti giorni di ricerca. Ha fatto una mossa intelligente e..."
"Avventata!" lo corresse Newt, alzando la voce. Vidi il biondino prendere un respiro profondo per calmarsi e poi parlare con una tranquillità che mi sembrò tutto meno che controllata. "In ogni caso, ormai hai fatto quello che hai fatto. Ora, prima ci occupiamo della ferita e poi di Thomas."
"Ma Newt..." tentai di attirare l'attenzione del ragazzo. 
"Nessun ma! Sono sicuro che Thomas possa resistere ancora qualche ora. Prima ti curiamo e prima possiamo proseguire." ordinò Newt in un tono che non ammetteva repliche.
Mi guardò per qualche secondo e in quegli attimi di contatto visivo, iniziai a sentirmi male. Lui non mi aveva mai guardando in quel modo. Era un misto tra delusione, rabbia e preoccupazione. Mi tolse la carta magnetica di mano e la affidò a Minho. "Nascondila in un posto sicuro, noi torniamo tra poco."
Dopodichè mi prese per il polso e mi trascinò all'avanti con lui, senza proferire più una parola.
L'unica cosa che riuscii a fare in quel momento fu di sentirmi terribilmente in colpa e continuai a seguirlo, in un silenzio assordante che in quel momento mi parlò molto più chiaramente di altre mille parole.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


Il percorso fino all'infermeria fu un inferno totale: Newt aveva continuato a trascinarmi dietro di lui per tutto il tragitto, tenendomi ben stretta per il polso come per paura che scappassi. Non che mi stesse facendo male la sua stretta, ma era come se la mia pelle al contatto con le sue dita affusolate prendesse fuoco, facendomi sentire piccola e in colpa. E poi c'era il silenzio. Quel silenzio che aleggiava pesante sopra di noi. Quel silenzio bastardo e insopportabile che nonostante fosse vuoto di ogni suono e privo di parole, in realtà ti perforava le orecchie come un grido acuto. Sapevo di aver fatto arrabbiare Newt, ma sapevo anche che quello scoppio improvviso non era dovuto solo al mio comportamento imprudente. C'era sotto qualcosa, qualcosa che lo turbava e che aveva represso talmente tante volte che alla fine era scoppiato incontrollato, come un fuoco d'artificio esploso troppo tardi rispetto agli altri, ma che in confronto ad essi era mille volte più potente e distruttivo.
Avrei voluto chiedere, parlargli, ma sapevo che in quei determinati casi gli serviva il suo tempo per calmarsi prima di instaurare una conversazione. 
Quando arrivammo finalmente davanti ad una stanza la cui porta era stata contrassegnata con una croce rossa sopra, capii che finalmente potevo distaccarmi un po' da lui senza subire di nuovo la sua ira.
Fu una cosa alquanto difficile, dato che in quel momento, per quanta paura avessi della sua reazione, l'unica cosa che desideravo era andargli di fronte e abbracciarlo. Era straziante sapere di non poterlo toccare, ma dovevo resistere affinchè si calmasse del tutto.
Newt mi lasciò il polso, rifilandomi però un occhiata che mi ordinava di restare immobile dove ero, e poi bussò pesantemente sulla porta. Attendemmo in silenzio e in quei secondi non potei fare a meno di mordermi il labbro per non scoppiare a piangere.
Il dolore alla spalla per via della ferita era niente in confronto a quello che mi aveva causato il suo sguardo pochi minuti prima. Non mi aveva mai guardata in quel modo prima di allora e sapevo che non sarei sopravvissuta ad un altro sguardo così ricco di delusione nei miei confronti.
Newt bussò di nuovo, impaziente, e finalmente si sentirono dei suoni provenire dall'altra parte della porta. Un suono costante di tacchi sul pavimento anticipò l'apertura della porta. Quando vidi con esattezza la figura alta che si ergeva di fronte a noi, rimasi senza fiato e per poco non piansi veramente, ma questa volta per la felicità.
La signorina che ci stava fissando con altrettanto stupore appoggiata allo stipite della porta era proprio Frances.
"Ciao ragazzi!" esclamò entusiasta. "Cosa vi porta..." la donna si interruppe non appena il suo sguardo si posò sulla mia spalla insanguinata. "Oh, come non detto. Entrate, su."
Newt si girò verso di me e mi fece segno di entrare per prima nella stanza. Senza aspettare oltre feci qualche passo all'avanti e quando oltrepassai la soglia sentii la mano di Newt posarsi delicatamente sulla mia schiena e spingermi altrettanto dolcemente all'avanti. Ignorai i brividi che mi percorsero la schiena, ripetendomi che forse il mio piano stava funzionando e che lui si stava calmando sempre di più.
"Prego, siediti qui e fammi dare un'occhiata." spiegò caldamente Frances, battendo la mano su un lettino posto al centro della stanza. Altri brividi, questa volta di terrore, mi percorsero la spina dorsale quando riconobbi con riluttanza che quel lettino era lo stesso che gli scienziati una volta avevano usato per farmi gli esperimenti. Probabilmente ce ne erano a decine di lettini simili a quello nell'edificio, ma non potei fare a meno di ripensare a tutto il dolore e la paura che quegli attimi di tortura mi avevano procurato. Più pensavo a quel dolore, più la ferita alla spalla iniziava a farmi meno male.
"Tutto bene, tesoro?" mi chiese l'infermiera avvicinandosi a me ed esaminandomi cautamente oltre gli occhiali rossi.
"Ehm, sì..." borbottai ricacciando indietro i pensieri negativi e andandomi a sedere con riluttanza sul lettino. Mentre lo feci lanciai uno sguardo di sottecchi a Newt, per vedere il modo in cui si stava comportando: il ragazzo si era seduto comodamente su una sedia in plastica grigia attaccata al muro, proprio di fronte a me. Nonostante la sua espressione fosse puramente vuota e persa tra le nuvole, potevo vedere la sua tensione nel modo in cui sedeva: le gambe erano allargate, segno che stava cercando di mettersi a suo agio in quel posto, ma le sue braccia, incrociate saldamente al petto, dicevano tutt'altro, dato le vene sporgenti sotto la pelle.
Mi morsi il labbro quando lui si accorse del mio sguardo e incatenò i suoi occhi ai miei, fissandomi con un'espressione vuota e fredda.
Distolsi a fatica lo sguardo e solo quando lo feci mi accorsi che Frances aveva iniziato a parlarmi. "Come scusa?" chiesi confusa, prestandole gran parte della mia attenzione, ma non tutta.
"Ti ho chiesto se per te va bene." rispose lei pazientemente.
"Ehm... Cosa?"
"Va bene se ti taglio la maglietta davanti a lui o preferisci che io lo faccia uscire?" riformulò la domanda.
"Io resto." borbottò Newt scocciato, lanciando uno sguardo di sbieco alla dottoressa, come se avesse appena fatto una proposta inaudita.
"No, lui può restare." parlai ad alta voce, in modo da sovrastare il tono acido di Newt.
"Okay... Allora fammi prendere le forbici." mi rispose allungando il braccio verso un carrellino con le ruote. Afferrò il bordo di esso e lo attirò a sè, permettendomi così di vedere ciò che era contenuto in quello che sembrava un semplice vassoio per la mensa. Dopo un secondo sguardo capii di essermi sbagliata: con tutti quegli attrezzi, tra siringhe, aghi e bisturi, il vassoio era molto lontano dal sembrare un vassoio per il cibo.
Frances impugnò un paio di forbici grigie e le avvicinò alla mia maglietta, per poi cominciare a tagliarla per sfilarmela meglio.
Quando finì con le forbici, mi accorsi che Newt aveva distolto lo sguardo dal mio corpo, imbarazzato e curioso allo stesso tempo. Dovetti mordermi nuovamente il labbro per evitare di sorridere: non era proprio il momento per una risatina.
Sentii le dita calde e delicate di Frances muoversi veloci per riuscire a rimuovere la benda, ormai inzuppata di sangue.
"Ulalà..." sospirò la donna, lasciando cadere le bende nel cestino accanto ai suoi piedi. "Stai perdendo abbastanza sangue per essere una vecchia ferita."
La donna allungò nuovamente le mani sul vassoio e velocemente agguantò e indossò un paio di guanti in lattice. Poi afferrò un pezzo di cotone e lo bagnò con una sostanza trasparente, probabilmente disinfettante oppure alcool.
"Questo ti farà un po' male, tesorino." disse con calma, guardando attentamente la ferita e poi me, come ad aspettare un mio cenno per poter procedere.
Annuii sicura e lei avvicinò il panno alla mia spalla. Avevo sopportato di peggio e di certo una semplice disinfettata non mi avrebbe...
Un mio urlo acuto perforò il silenzio della stanza, facendomi immediatamente ricredere sulla mia sopportazione al dolore. Strizzai gli occhi e puntai le dita sul bordo del lettino, conficcando le unghie nella stoffa dura e fredda.
"Resisti solo un pochino, ho quasi fatto, okay?" sentii Frances sussurrarmi allarmata.
Cercai di annuire di nuovo, ma non ci riuscii perchè un'altra fitta mi infuocò la pelle facendomi gemere dal dolore.
Sentii una mano appoggiarsi sulla mia e senza esitare la strinsi, nella speranza che quel contatto mi desse un po' sollievo dal dolore. Probabilmente stritolare la mano di Frances non era proprio la cosa migliore da fare dato che entrambe le mani le servivano per curarmi la ferita, ma le mie dita avevano bisogno di aggrapparsi a qualcosa e conficcare le unghie nel lettino non bastava più.
"Okay, okay, abbiamo fatto." annunciò sollevata, sospirando. La sentii armeggiare di nuovo con gli attrezzi sul vassoio, ma la sua mano non mi abbandonò, sebbene la mia presa si fosse allentata.
Aprii cautamente gli occhi, sollevata che tutto fosse finalmente finito e quasi immediatamente mi accorsi che in realtà a tenermi per mano c'era Newt. Avrei riconosciuto il suo tocco tra mille altri, ma probabilmente il dolore aveva accecato le mie capacità sensoriali.
Osservai le nostre dita incastrate le une alle altre e sorrisi spontaneamente quando vidi il suo pollice lasciare delle leggere carezze sul dorso della mia mano e non volli nascondere la mia felicità. Era incredibile l'effetto curativo che aveva il contatto con il biondino su di me. Non era neanche lontanamente comparabile ad una dose di anestetico, perchè al contrario non si limitava ad annullare il dolore, ma lo soffocava velocemente perchè oppresso dalle altre mille sensazione positive che non facevano altro che crescere quando ero accanto a lui.
"Cavoli..." sussurrò l'infermiera. "Ci credo che perdevi così tanto sangue: ti hanno sparato proprio su un'arteria. E' un miracolo che tu non sia già svenuta, mia cara."
"Ma si può curare, giusto?" chiese Newt allarmato.
"Ma certo, bastano un po' di punti e un bel cerottone gigante per far tornare questa spalla come prima. Ti consiglio di ritornare a sedere, ragazzino. Non credo che tu voglia sognarti la pelle della tua ragazza che viene perforata più volte da un ago, dico bene?" propose gentilmente Frances.
Il biondino fece un'espressione piena di disgusto, ma non si mosse, anzi cercò il mio sguardo, come a dirmi indirettamente che tutto dipendeva da me. Se gli avessi detto di restare probabilmente lo avrebbe fatto, anche a costo di svenire per colpa di un ago o avere gli incubi per giorni. Perciò, quando gli sorrisi e gli feci cenno di tornare a sedersi, non se lo fece dire due volte.

Alla fine, essere ricucita con un ago non era poi così traumatico come aveva descritto Frances, forse perchè aveva insistito per somministrarmi una dose di anestetico. Newt durante tutto il tempo era rimasto sulla sua sedia, a volte fissando le mani laboriose di Frances cucirmi la pelle con un'espressione terrorizzata e disgustata, a volte guardando altrove o semplicemente cercando il mio sguardo e sorridendomi cercando probabilmente di tranquillizzarmi o di distrarmi - anche se, a dirla tutta, la persona più tranquilla tra noi due ero senza dubbio io.
Mi sforzai più volte di non scoppiare a ridere davanti a lui per via della sua faccia bianca come un lenzuolo e cercai di apprezzare tutti i suoi sforzi di tranquillizzarmi.
Quando le dita di Frances si arrestarono e la donna si alzò tranquillamente in piedi, appoggiando tutti gli attrezzi che aveva in mano, capii che l'operazione di cucito era finalmente terminata. La donna infatti, cavò da un cassetto un enorme cerotto bianco e me lo attaccò delicatamente sopra la ferita, facendolo aderire bene alla pelle.
"Ecco qui, ricucita e tutto. Lascia guarire la tua spalla e la troverai come nuova, ad eccezione di una cicatrice, mi pare ovvio." spiegò Frances togliendosi i guanti e gettandoli nel cestino. "Bene, tesoro. Vado a prenderti una maglietta nuova e in caso tu non voglia uscire in questo stato, ti consiglio di aspettarmi qui."
Annuii sorridendole debolmente e questo le diede l'okay per uscire tranquilla dalla stanza, lasciando me e Newt soli. Sapevo di non dover sprecare quell'occasione d'oro per parlargli, ma ancora non ero sicura che si fosse calmato e di certo non volevo riaccendere la sua ira parlando io per prima.
Mi misi comodamente seduta sul bordo del lettino e iniziai a giocherellare con le dita, evitando così di incrociare lo sguardo del biondino. Attesi in silenzio per qualche secondo e alla fine, quando iniziai a pensare che non avrebbe aperto bocca neanche lui, la sua voce riempì l'aria, facendomi sorridere sollevata.
"Quindi ora stai..." si interruppe e si schiarì la gola, visibilmente imbarazzato. "Come... Come stai ora?"
Alzai gli occhi, senza però muovere la testa e incrociai il suo sguardo. "Bene, suppongo." affermai facendo spallucce. Non appena mossi la spalla, una strana sensazione si diramò sulla mia pelle, partendo dalla ferita e arrivando al collo: era come uno strano formicolio o solletico, tuttavia non era così piacevole come quest'ultimo; mi sentivo tutta la spalla indolenzita eppure non riuscivo a sentire nè dolore nè bruciore, sebbene potessi percepire una forte tensione sulla ferita, come se mi stessero tirando la pelle. Mi portai la mano sul grosso cerotto bianco e lo tastai cautamente. Nulla, non riuscivo neanche a sentire la mia mano fare peso sulla ferita, come se stessi toccando la spalla ad un'altra persona.
Sapevo che era una sensazione del tutto normale dato che Frances mi aveva iniettato una dose di anestetico locale, ma non potevo fare a meno di sentirmi strana, come se mi avessero amputato un braccio, ma senza sentire nessun dolore. Avevo persino il terrore di muovere la mano o il braccio per paura che i punti, sotto l'attività dei muscoli, sarebbero saltati in aria, riaprendo la ferita.
Ero consapevole che una cosa del genere non sarebbe mai accaduta, ma per il momento decisi di evitare di muovere un solo muscolo che fosse collegato con la mia spalla mal funzionante e da una parte sperai anche che l'effetto dell'anestesia sparisse, facendo tornare il dolore. Probabilmente ero diventata pazza, ma preferivo percepire il dolore, sapere di essere ancora viva e avere la sensazione che il mio braccio era ancora lì, attaccato al resto del corpo come doveva essere.
"Eli, mi stai ascoltando?" chiese Newt sventolandomi davanti agli occhi una mano.
Sbattei più volte le palpebre prima di riuscire a mettere a fuoco le sue pupille dilatate e preoccupate. "Ehm... Scusami, devo essermi distratta." mentii, alzando la testa per riuscire a guardarlo meglio.
"Okay, comunque non ti sei persa niente." disse lui in modo vago, come se non gli importasse, ma in realtà sapevo che stava mentendo e che mi ero persa una cosa che Newt avrebbe preferito non ripetere. 
"No. Ora me lo dici. Voglio sapere cosa hai detto mentre non sentivo." lo rimproverai puntandogli un dito contro. "Avanti, spara."
"Nah, credo che la ferita da sparo che hai già collezionato basti." rispose lui, lanciandomi un sorrisetto e guardandomi di sottecchi.
Mi ci vollero un paio di secondi per collegare la sua risposta al mio ordine e dargli un senso logico, ma quando lo feci, comprendendo perciò anche la sua battuta, gli lanciai uno sguardo annoiato e alzai un sopracciglio. "No, ma dico... Fai sul serio?" chiesi scuotendo la testa e sorridendo per la sua battuta deprimente.
"Dai non era così pessima!" si difese lui, alzando le braccia.
"Sì, lo era eccome!" incalzai io, scoppiando a ridere per la sua faccia da idiota.
"Be' se non mi sbaglio stai ridendo. Quindi..." accennò lui, alzando le mani come per difendersi.
"Smettila!" gridai soffocando un'altra risata. Gli puntai nuovamente il dito contro e parlai: "Stai sviando l'argomento, così non vale."
"E ci sarei anche riuscito se solo..."
"Newt." lo richiamai, interrompendolo. "Dico sul serio, non puoi essere così bipolare. Insomma, prima mi fai una sfuriata degna di equiparare l'ira di una donna mestruata, e poi ti comporti da burlone, come se nulla fosse mai successo."
Lui divenne cupo tutto d'un tratto e poi aggrottò le sopracciglia confuso. "Cos'è una 'donna mestruata'?" chiese innocentemente curioso.
"Ah, lascia perdere." dissi agitando la mano. "E non ci provare di nuovo a cambiare argomento, questa volta non ci casco."
"Va bene, va bene." replicò lui, roteando gli occhi al soffitto. "E' solo che prima, quando ti ho vista fare quella cosa pazza... Io ho..."
"Tu hai? Cosa?" insistetti per dargli coraggio. 
"Io ho iniziato a domandarmi come avrei reagito se ti fosse mai capitato qualcosa di brutto." sputò lui tutto d'un fiato. "Ho iniziato ad immaginarmi varie situazioni per cercare di capire come mi sarei comportato e ti assicuro che se non ti dico cosa mi sono immaginato è per una buona ragione. E' per questo che mi sono arrabbiato con te, perchè non vorrei mai che ti succedesse una brutta cosa. Anche una singola ferita." concluse indicando con la mano la mia spalla.
"Newt, ascoltami." ordinai alzandomi in piedi e raggiungendolo a piccoli passi. "Ehi, guardami." dissi quando lo vidi girare il viso dalla parte opposta alla mia per nascondere la vergogna. Quando le mie dita toccarono in suo mento e premettero leggermente per farlo voltare verso di me, lo vidi arrossire, assumendo un colorito vivace, molto oltre il rosa. Mi inginocchiai a terra in modo da far arrivare i nostri volti alla stessa altezza, e poi, guardandolo attentamente negli occhi, iniziai a parlare. "Io sono qui, okay? Sono viva e sto bene. Non mi è successo nulla. Certo, poteva capitare che mi facessi male, ma ehi, non è successo! Non ti devi neanche immaginare quelle brutte cose e so per certo che hai pensato a come avresti reagito se fossi morta, non negarlo. Ma ti ripeto, io ora sono qui, pensa solo a questo."
Lui ingoiò la saliva, facendo così muovere all'insù il suo Pomo D'Adamo. "Sì, ma se un giorno tu..."
"No." lo interruppi bruscamente. "Non mi azzarderei mai a lasciarti solo. Nè ora nè mai. Be', certo, sappiamo entrambi che alla fine, quando saremo vecchi, uno dei due dovrà andarsene per primo, ma ancora abbiamo tempo per quello." spiegai sorridendo all'idea di me e Newt da vecchi. Non sapevo neanche se la W.I.C.K.E.D. ci avrebbe permesso di diventare adulti, come potevo anche solo essermi immaginata una futuro felice con Newt? Invecchiare insieme? Uh, per ora mi sembrava solo una felice utopia.
Newt prese la mia mano tra le sue, spostandola dal suo mento e appoggiandola sulle sue gambe. Incrociò le nostre dita assieme stringendo leggermente e dopo aver accennato un sorriso forzato, ritornò più cupo che mai. "Ma non capisci? Se ti succedesse qualcosa io... io impazzirei! Non voglio che tu rischi la tua vita in questo modo! E se qualcosa dovesse andare storto? Mi dici di non pensarci, ma se veramente morissi? Sappiamo entrambi che non sono abbastanza forte per continuare a vivere una vita senza di te."
Gli accarezzai una guancia delicatamente, usando la mano libera, poi la appoggiai sulla sua spalla. "Neanche io lo sono. Ma se proprio la vuoi pensare così in negativo, devi promettermi una cosa." mi interruppi, in attesa di una sua reazione. Quando lo vidi annuire impercettibilmente continuai: "Se veramente un giorno morirò o comunque sarò lontano da te, promettimi che continuerai a vivere, lottando per entrambi come se fossi ancora insieme a te."
"Io non posso prometterti una cosa del genere, Eli." ammise Newt. "Io non so se sarò abbastanza forte."
"So che lo sarai." replicai tranquillamente, ma sentendo l'angoscia crescere in me. "Ti prego, Newt. Promettimelo."
Il ragazzo mi osservò per qualche secondo, mordendosi il labbro in cerca della scelta giusta da fare, ma alla fine dichiarò: "Okay, lo prometto."
Sorrisi sollevata e gli depositai un piccolo bacio sulle labbra, poi alzandomi in piedi e ridendo leggermente, proposi: "Grazie. Però ora basta parlare di questo, okay? Dopotutto stiamo discutendo sulla mia morte precoce."

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


Dopo qualche minuto di attesa Frances entrò nella stanza, portando con sè una maglia bianca. Quando la donna alzò lo sguardo, chiudendo la porta dietro di sè, trattenne a stento un sorriso, cercando di rimanere professionale e seria. Non seppi se quel piccolo sorriso fosse rivolto a me e Newt, dato che entrambi ci eravamo seduti vicino occupando così tutto il lettino ed io mi ero completamente appoggiata a lui, abbandonando la mia testa sulle sue spalle e tenendogli la mano come farebbe una mamma con il suo piccolo. Oppure semplicemente la faceva sorridere il modo in cui ci guardavamo a vicenda: io alzando gli occhi senza smuovere la testa e lui cercando il mio sguardo sotto la moltitudine di capelli arruffati.
Quelli erano i momenti che per me contavano veramente. Erano quelli più veri: quei momenti che non hanno bisogno di parole per essere riempiti, perchè il silenzio non è altro che una musica dolce che culla gli sguardi limpidi e sinceri; degli sguardi che si spiegano e parlano da sè, senza bisogno di voce.
Purtroppo però, l'unico difetto di quegli attimi era il fatto che si potessero rompere o rovinare facilmente. Non a caso, infatti, non appena Newt sentì la presenza di Frances davanti a lui si drizzò a sedere in modo composto e rigido, interrompendo il nostro contatto visivo, senza però separare le dita incrociate delle nostre mani. Fui costretta ad alzare la testa e rivolsi un sorriso di dispiacere a Frances che nel frattempo aveva cercato di non dare nell'occhio, armeggiando casualmente con degli attrezzi sul tavolo. Si vedeva benissimo che neanche lei sapeva cosa fare o come comportarsi e perciò fu abbastanza sollevata quando sentì Newt schiarirsi la gola e rivolgerle un cenno di saluto. 
Mettendo da parte l'imbarazzo, Frances avanzò verso di noi, porgendomi gentilmente la maglietta pulita. 
Prima di indossarla la portai sotto il naso per annusare il buon odore di detersivo: in qualche modo, quel profumo di vaniglia e orchidea, mi faceva sentire tranquilla, come se stessi passeggiando in un campo di fiori. Chissà se esisteva ancora un posto ricoperto di fiori o magari anche un piccolo prato con qualche margherita qua e là, con il vento che ti scompiglia i capelli e il silenzio che ti riempie le orecchie.
"Come va la spalla?" mi chiese Frances gentilmente, rivolgendomi uno sguardo di puro e sincero interesse.
"Non sento neanche di avere una spalla, quindi direi che va come dovrebbe andare." le sorrisi di rimando.
"Bene, temevo che non funzionasse l'anestetico." ammise l'infermiera.
"Be', perchè non avrebbe dovuto funzionare? Le hai iniettato una dose molto abbondante, sarebbe bastata a stendere un elefante." replicò Newt, scendendo dal lettino in modo da lasciarmi lo spazio necessario ad infilarmi la maglia senza rifilargli una gomitata.
"Oh, lo so. Solo che dopo tutti quei farmaci che le hanno somministrato non ero sicura che il suo corpo avrebbe lasciato agire un semplice anestetico." spiegò Frances. 
"Farmaci? Quali farmaci?" chiese Newt sorpreso, ma allo stesso tempo preoccupato. "Eli di cosa sta parlando?"
Mi portai una ciocca dietro l'orecchio e mi sistemai tranquillamente i capelli dato che, dopo essere passati attraverso lo stretto buco della maglia, si erano arruffati, finendo davanti agli occhi. "Ti ricordi quando ti ho parlato degli esperimenti che mi facevano alla W.I.C.K.E.D.? Ecco, loro mi iniettavano farmaci e speciali anestetici. E' difficile per me ricordare quali farmaci mi dessero e con che frequenza..."
"Be' io me lo ricordo e credimi se ti dico che erano veramente tanti. Esagerati. Sono addirittura arrivati a renderti sterile ed è per questo che pensavo non avrebbe funzionato la dose di anestetico." parlò Frances, con un tono pacato e tranquillo.
Sterile. Ripetei nella mia mente. Mi accorsi solo troppo tardi del peso che quella parola poteva avere su Newt. Insomma, noi non avevamo mai parlato di mettere su famiglia e addirittura il fatto di avere figli mi spaventava. Eravamo ancora troppo giovani e troppo incerti sul nostro futuro per pensare a dei piccoli Newt o a delle piccole Elena. 
Mi tranquillizzai al pensiero che probabilmente neanche Newt voleva mettere al mondo dei figli così presto ed esporli ad un pericolo tanto grande come il mondo malato e rovinato da malattia e morte; ma nel momento stesso in cui incrociai i suoi occhi, mi ricredetti.
Lui mi stava guardando con occhi confusi, in attesa di un chiarimento, ma mi accorsi quasi immediatamente che dietro quella confusione iniziale c'era anche qualcos'altro; non seppi dire se quella che scorgevo era veramente tristezza, celata dalla consapevolezza che per colpa di alcuni stupidi esperimenti io lo stavo privando di uno dei miracoli più belli del mondo.
"Cosa..." si interruppe, visibilmente senza parole. "Io non..."
Lo vidi inspirare profondamente e poi mettersi una mano sugli occhi, sfregando nervosamente come per cercare di svegliarsi da un brutto sogno. Dopo pochi secondi il suo palmo scivolò dal viso e andò a posarsi stancamente sul fianco, mentre con l'altro braccio indicò frettolosamente Frances. "Sta dicendo la verità?" chiese semplicemente, attendendo impazientemente di udire una risposta o di leggerla semplicemente dai miei occhi. 
Incapace di sostenere il suo sguardo, ma soprattutto temendo di fargli leggere nei miei occhi più del dovuto, abbassai la testa osservando le mie scarpe e trovandole improvvisamente interessanti.
Frances si schiarì la voce, avanzando di un passo verso la porta. "Forse è meglio che io vi lasci un attimo da..."
"No." la interruppe bruscamente Newt. "Rimani, per favore." si corresse poi, passando da un tono più duro ad uno più educato e paziente.
Alzai cautamente lo sguardo verso di lui, in cerca di parole che purtroppo sapevo non sarebbero bastate. "E' vero."
Lui mi guardò per qualche secondo, come in attesa di qualcos'altro. Forse si aspettava che scoppiassi a ridere da un momento all'altro, dicendogli che era tutto un gioco, o forse attendeva pazientemente delle spiegazioni, che tuttavia mi mancavano. "E perchè non... Da quanto lo sai?"
Mi schiarii la gola, decidendo solo in quell'istante che riempirgli la testa di bugie non sarebbe servito a mascherare la notizia appena ricevuta, così parlai dicendo solo la verità. "Da dopo che siamo usciti dal Labirinto. Me lo ha detto Frances."
Lui fece una risatina nervosa, poi si morse il labbro e fece un giro su se stesso, come se avesse improvvisamente deciso di uscire dalla porta ma poi avesse cambiato idea. Si grattò la testa velocemente e poi agitando la mano verso di me mi chiese: "Perchè caspio non me lo hai detto prima? Anzi, cambio domanda: avevi intenzione di dirmelo?"
Feci un passo in avanti, incerta sul da farsi e consapevole di essermi ficcata un'altra volta in un guaio senza via di uscita. "Avevo intenzione di dirtelo, ma non ora. Insomma, non avrebbe avuto senso. Non mi vorrai far credere che avevi intenzione di procreare a breve! Newt, guardati intorno! Viviamo in un modo pieno di pazzi cannibali e siamo tutti dei topi da laboratorio."
"Ma cosa..." si interruppe. "No che non avevo intenzione di fare dei figli, diamine. Siamo appena sopravvissuti all'ennesima prova omicida della W.I.C.K.E.D. Creare dei bambini è l'ultima cosa che ho in mente, ma sai, non ti sarebbe costato niente dirmi: 'Ah, ciao Newt. Lo sai che quelle teste di puzzone mi hanno resa sterile?'" sbottò lui, incrociando le braccia al petto.
"Io non..." balbettai, sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi in modo insistente.
"Cosa? Eli, parlami. Ultimamente non lo stai facendo e queste sono le conseguenze."
"Io avevo paura di dirtelo." bisbigliai con voce tremante. "Avevo paura della tua reazione e avevo paura che mi avresti lasciato così come si abbandona un giocattolo mal funzionante."
"Eli, ma cosa stai dicendo?" domandò Newt sbalordito, questa volta addolcendo il tono di voce e avvicinandosi a me. "Tu non sei un giocattolo mal funzionante e io non ti abbandonerei mai."
"Lo so, però non volevo neanche che ti sentissi obbligato a stare con me. Insomma, quale futuro avresti insieme a me?"
"Ne abbiamo già parlato, okay? Anzi ti voglio ripetere quello che mi hai detto tu: 'un giorno invecchieremo, ancora abbiamo tempo per quello'. Ed è veramente così. Non mi interessa se non puoi avere figli, io ti amo comunque. Dove sta scritto che essere felici comporta avere figli? A me basti tu e poi abbiamo già molte teste di caspio a cui pensare." replicò lui accennando un sorrisetto.
"Già, i Radurai spesso sanno essere più bambini del dovuto." concordai cercando di ricacciare indietro le lacrime. "Sei arrabbiato?"
Lui mi sorrise nuovamente e poi scosse la testa. "No, non sono arrabbiato. Sono solo rimasto male, e non per il fatto che tu non possa avere figli, ma perchè lo sapevi e non me lo hai detto. Da quando ci nascondiamo le cose a vicenda?"
"Hai ragione... Io... Mi dispiace." dissi semplicemente. "La prossima volta ti dirò tutto subito."
"Bene così. Anche io farò lo stesso." tagliò corto lui. "Ora però abbiamo una cosa più importante su cui concentrarci."
Annuii convinta, ricordandomi solo in quel momento del povero Thomas. Io e Newt ci eravamo attardati anche troppo in quella stanza e dovevano muoverci a trovare insieme a Minho la sala di controllo prima che arrivasse la notte.
"Perchè i vostri sguardi mi dicono che avete in mente qualcosa di molto, molto stupido e pericoloso da fare?" chiese Frances, guardando con circospezione sia me che Newt.
Il ragazzo, non appena la donna inarcò un sopracciglio in attesa di una risposta, mi lanciò uno sguardo severo e complice, come a ricordarmi di non dire niente sull'argomento. Tuttavia, per quanto anche io condividessi l'idea che meno persone sapevano del piano che riguardava la fuga di Thomas meglio era, sapevo che Frances era più dalla nostra parte che da quella della W.I.C.K.E.D. e in quel momento poteva anche ritornarci utile la sua esperienza all'interno della struttura.
"Newt, di lei possiamo fidarci. Mi ha seguito da quando ero una bambina." dissi contestando lo sguardo del ragazzo. "E poi forse può aiutarci."
Il biondino arricciò il naso e sospirò leggermente, poi si morse il labbro, segno che ci stava riflettendo su e che stava valutando le conseguenze di una possibile confessione. Dopo qualche secondo e qualche occhiata attenta verso l'infermiera, finalmente Newt si decise a parlare. "Bene così. Noi ti diciamo quello che vogliamo fare e tu ci dici quello che sai. Nessuna informazione deve uscire da questa stanza, chiaro?"
Frances mi lanciò uno sguardo tra il preoccupato e il confuso, poi si limitò ad annuire debolmente verso il ragazzo.
"La W.I.C.K.E.D. ha preso un nostro amico e lo ha intrappolato da qualche parte, noi vogliamo raggiungerlo e liberarlo, ma ci serve..."
"Fermo, fermo, fermo." lo bloccò Frances, alzando una mano. "Ti interrompo subito: io non sono autorizzata a sapere dove si trovano i Soggetti."
"Immaginavo, ma quello che ti chiediamo è un'altra cosa." replicò Newt, cercando di farla il più breve possibile. "A noi serve semplicemente sapere dove si trova la sala di controllo più vicina. Questo piano sarà pure privo di telecamere di videosorveglianza, ma gli altri piani devono essere strapieni. Sono sicuro che nella stanza di Tommy ci sia una telecamera. So che lo stanno studiando e per farlo hanno bisogno di osservarlo senza però farsi vedere. Tu dicci dove si trova la stanza in cui si vede ciò che riprendono le telecamere e noi facciamo il resto."

Quando finalmente tornammo nella sala mensa, trovammo Minho seduto ad uno dei tavoli. Inizialmente mi sembrò che il ragazzo fosse solo, ma quando oltrepassai la porta e osservai meglio, mi accorsi che in realtà proprio davanti a lui si era seduto Stephen. Capii immediatamente che Minho era infastidito dalla sua presenza e non mi servì sentire la loro conversazione per comprendere che Stephen si stava divertendo un mondo a farlo innervosire ancora di più.
Infatti, quando insieme a Newt raggiunsi il tavolo, Minho ci rivolse uno sguardo sollevato che subito dopo venne sostituito da uno curioso e infuriato. "Ma perchè caspio ci avete messo così tanto, pive?"
"Abbiamo avuto... delle complicazioni, per così dire." tagliò corto Newt, avvicinandosi all'amico e stravaccandosi sulla sedia. "Se non altro hai avuto compagnia." lo punzecchiò poi, dandogli una gomitata e alzando più volte le sopracciglia.
"Oh, sta zitto testa di puzzone." dichiarò Minho voltandogli le spalle e rivolgendosi a me, che nel frattempo mi ero accomodata a capotavola. "Come va la spalla, bambolina?"
Sorrisi a quella che poteva sembrare una semplice domanda, ma che per me era la dimostrazione che nonostante tutto Minho teneva ancora a me. "Sta bene. Newt stava per svenire mentre mi mettevano i punti di sutura." ammisi, soffocando una risatina.
"Ah sì?" chiese Minho con un sorriso beffardo stampato sulle labbra, voltando la testa per rivolgersi all'amico biondo. "Be' allora forse dovrei chiedere come sta lei, signorina."
Newt rilasciò uno sbuffo e facendo una smorfia di disapprovazione incrociò le braccia al petto e si allungò sulla sedia. "Come sto? Sto per prendere a calci le vostre chiappe flaccide. Da quando vi siete alleati contro di me?"
"Da quando hai paragonato i miei capelli ad uno spazzolino per il cesso." replicò Minho accarezzandosi delicatamente il ciuffo scuro sulla testa.
"Pff, mi stai confondendo con Gally. Lui ti aveva paragonato ad uno spazzolino per il cesso, io invece ti ho paragonato semplicemente ad un gabinetto sporco di sploff. E' diverso." precisò Newt, tamburellando con le dita sul tavolino.
Gally... Quanto mi mancava. Perderlo era stato difficile, ma fortunatamente non avevo avuto modo di pensare alle perdite che tutti avevamo subito, dato che la W.I.C.K.E.D. non ci aveva dato neanche un attimo di tregua e ci aveva buttato dentro un altro esperimento mortale. 
Eppure il fatto di non averlo accanto a me come amico mi rendeva estremamente triste. Era come se con lui avessi perso anche un pezzo di me stessa, creando così un buco che non credevo nessuno sarebbe mai riuscito a colmare. Neanche Newt.
In quel momento però, pensare a tutti quelli che erano morti e piangere dentro per loro, era la cosa più sbagliata e inadatta, ma fortunatamente nè Minho nè Newt si accorsero della mia espressione triste dato che entrambi avevano iniziato una conversazione basata su chi fosse il più bello, ma che in realtà era solamente un gioco per insultarsi a vicenda.
Restai per qualche secondo nei miei pensieri, ma dopo poco venni riportata alla realtà dalla gomitata di Stephen che, senza neanche accorgermene, si era avvicinato a me e ora mi stava parlando. 
"...preso prima?"
"Ehm..." incapace di dire altro e non volendo ammettere di essermi distratta un'altra volta durante un discorso, mi limitai ad annuire incerta, attendendo una sua reazione che però tardò ad arrivare.
"Non mi stavi ascoltando, vero?" chiese dopo qualche momento di scambio di occhiate confuse.
Scossi la testa e arrossii violentemente, essendo stata colta con le mani nel sacco.
"Immaginavo... Comunque ti ho chiesto cosa ti è preso prima. Ho visto tutta la scena, con tanto di minacce da parte di Janson. Se è questo il tuo piano per trovare Thomas, devo deluderti e dirti che non è la via migliore." spiegò lui sottolineando l'ovvio.
Sbuffai sonoramente, stanca che nessuno fosse mai abbastanza intuitivo da leggere tra le righe e capire che non agivo semplicemente per impulso, facendo solo pazzie; poi mi decisi a spiegargli nei minimi dettagli tutto quello che avevamo in mente.
Quando arrivai alla fine del racconto, lui mi guardò entusiasta. "Bene così! Allora, il piano entra in azione questa notte?"
"Questo se tutto fila liscio. Ma..."
"Ottimo, allora questa volta ti raggiungo io e ti porto nella stanza dei ragazzi. Giusto per essere sicuri che tu non ti perda per i corridoi come fai sempre." spiegò lui annuendo tranquillamente.
"Frena, amico. Prima di tutto nessuno ha detto che puoi venire con noi, e seconda cosa... Ehi! Non è vero che mi perdo sempre per i corridoi! Quella dell'altra volta è stata una svista, avevo solo molto sonno e mi sono confusa."
"Sì..." replicò lui, liquidando l'argomento e muovendo la mano. "Comunque io vengo. Ormai so troppe cose e voglio aiutarvi. Non ho niente di meglio da fare." 
"Io non mi esprimo. Questa volta sta a te convincere le due teste di puzzone." replicai alzando le mani in aria. "Se loro accettano, sei in squadra."

*Angolo scrittrice*
*si schiarisce la gola*
*toglie il foglietto dalle tasche e lo apre*
*apre la bocca*
*viene scaraventata a terra da Janson che inizia a sbraitare*
ALLORA, SOGGETTI! PRESTATEMI ATTENZIONE E SMETTETELA DI PARLARE TRA DI VOI COME BAMBINI IDIOTI! DOMANI VI SOTTOPORREMO AD UNA PROVA, SAPETE... SOLITI MOSTRI CHE POTREBBERO UCCIDERVI, CLIMA E CONDIZIONI ATMOSFERICHE A VOSTRO SFAVORE, GENTE PAZZA CHE PROBABILMENTE VORRA' RUBARVI IL NASO, SCONOSCIUTI CHE VI MINACCERANNO... INSOMMA, LE SOLITE COSE INNOCUE. CHI E' PRONTO E' PRONTO, CHI NON E' PRONTO... BE', CHI NON E' PRONTO E' SEMPLICEMENTE E IRRIMEDIABILMENTE MORTO. BUONA FORTUNA, GIOVINCELLI DEI MIEI STIVALI! MUAHHAHAHAHAHAHA
Ehm, ehm... Janson dovevo parlare io in realtà... 
E TU CHI SEI? SEI FORSE UNA SPACCATA? MAGARI POTREI UTILIZZARTI COME CAVIA...
No, no... Fermo. Io in realtà sono solo l'autrice di questa sploff di storia, quindi fammi parlare.
HAI SOLO CINQUE MINUTI PER...
Sì, sì, certo. Allora, innanzitutto volevo scusarmi per l'enorme ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma in questi giorni sono stata via e non avendo il computer mi rimaneva difficile riuscire a scrivere decentemente. 
Ho molte notizie da darvi (in realtà solo due, ma dettagli), perciò bando alle ciance e ciancio alle bande. COMINCIAMO.
1. La gentilissima e pluricolorata -Anna_15 mi ha fatto un trailer pandacornoso per il primo libro (The Maze Runner - Remember). Adesso, molto lentamente le darò le indicazione per fare anche il Book Trailer degli altri libri, ma intanto godetevi questo (questo è il link: https://www.youtube.com/watch?v=EgxXgZW5J1Q). Solo che non so come fare ad aggiungerlo al capitolo... Qualcuno mi può aiutare please?

2. Sto preparando con moooooolta calma un video sulla ship Newtlena (ovvero tra Newt ed Elena). Lo pubblicherò SOLO quando avrò finito questo libro, perchè contiene degli spoiler e non vorrei rovinarvi la fine della storia. Allora vi chiederete, perchè ce lo dici con questo anticipo colossale? Spiego, tranquilli: siccome questa storia è stata scritta da me, ma senza di voi io non sarei niente, mi farebbe tanto piacere (e quando dico questo significa che dovete farlo punto e basta, babbani) se ognuno di voi contribuisse con un piccolo aiutino. Se avete delle frasi che i due piccioncini si sono scambiati e che vi piacciono, o se vi sono rimasti impressi dei pensieri che Elena ha avuto per Newt, o se semplicemente volete vedere un 'momento Newtlena' che ho scritto trasformato in scena nel video, per favore scrivetela qua sotto nei commenti ed io provvederò a riportarla nel video con MOLTO piacere. Perciò commentate, Pive Mondani.
Detto questo mi dileguo.
*corre via trascinando Janson con sè*  

Adiòs, stecchi!
Dalla vostra Inevitabilmente_Dea♥

PS: COMMENTATE PLS!

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


Quando ci ritrovammo tutti insieme per la cena, decidemmo che quello fosse il momento più opportuno per parlare con i ragazzi e organizzare un piano efficace per salvare Thomas. 
Ci volle almeno un'ora per far sì che Minho accettasse Stephen nella squadra e ancora altri dieci minuti per spiegare a tutti il luogo esatto in cui era situata la sala di controllo e trovare un piano che fosse non solo semplice da memorizzare e attuare, ma anche che ci permettesse di fare meno rumore possibile, in modo da non essere notati.
Minho, dopo aver ascoltato attentamente le idee di tutti e averle prese in considerazione, ci informò che probabilmente la nostra idea di passare inosservati sarebbe sfumata in poco tempo dato il grado di sorveglianza. Newt ci mise inoltre al corrente di un altro piccolo dettaglio: per quanto fosse scomodo e pericoloso, avevamo bisogno di armi e per riuscire a trovarle dovevamo senz'altro riuscire a disarmare almeno una guardia.
"E come la mettiamo con le telecamere di videosorveglianza?" chiesi accorgendomi solo in quel momento che ogni nostro piano sarebbe saltato in aria se prima non avessimo rimediato a quel grande ostacolo. 
"Dipende..." mi rispose Stephen allontanando il piatto sul tavolo e incrociando le braccia. "Se la telecamera non è dotata di batteria di backup si può fare."
Arricciai il naso e aggrottai le sopracciglia confusa. Batteria di backup? Non sapevo neanche che una parola del genere esistesse e come faceva Stephen a sapere cosa fosse, per me rimaneva un mistero.
"Che tradotto sarebbe..." intervenne Newt, posando la forchetta al lato del piatto.
Stephen ci rivolse uno sguardo confuso e poi si grattò la testa. Dopo pochi secondi fece un'esclamazione, come se gli fosse venuta in mente una risposta ad un suo dubbio. "Oh, a volte mi dimentico che vi hanno cancellato la memoria."
"Perchè a te non l'hanno tolta?" chiese Minho scocciato, torturando un pezzo rimasto di polpettone. 
"Sì, ma per far sì che l'esperimento del tradimento funzionasse hanno dovuto ridarmi i ricordi. Era fondamentale per loro che mi ricordassi di alcuni dettagli importanti." spiegò sbrigativo per poi stiracchiarsi sulla sedia. "Comunque, stavo dicendo: se la telecamera non è dotata di... pile, per così dire, allora vuol dire che se viene a mancare l'energia elettrica che le serve per funzionare, questa si spegne."
"E come facciamo a sapere se non è dotata di... batteria di backup?" ripetei incrociando i suoi occhi.
"Non lo sappiamo." rispose lui secco. "Però possiamo provare."
Annuii lentamente e decisi di non fare altre domande. Ero già molto agitata del fatto che quella notte avremmo potuto rischiare anche la vita e per quanto mi ripetessi che stavamo facendo tutto quello per Thomas, non riuscivo a tranquillizzarmi. Ero convinta che quella fosse l'occasione giusta per dimostrare a Thomas che poteva ancora fidarsi di me, nonostante la finta del tradimento nella Zona Bruciata, ma allo stesso tempo temevo che qualcosa sarebbe andato storto, facendo così evaporare ogni nostra possibilità di riuscire a salvarlo e di evadere finalmente dalla W.I.C.K.E.D.
La sensazione che tutto sarebbe andato storto non faceva altro che ampliare il buco presente nel mio stomaco, che era arrivato a diventare una voragine, e cenare – a differenza delle mie aspettative – non aveva fatto altro che peggiorare la sensazione. Per quanto il polpettone che mi avevano servito, con tanto di purè incorporato, avesse un aspetto delizioso e un profumo degno del brontolio del mio stomaco, non avevo più ingerito un boccone, dopo averne ingoiato un primo, per paura che si sarebbe andato ad incastrare nella mia gola, soffocandomi lentamente.
"Ma rimane comunque un problema: come facciamo saltare la luce?" chiese Newt sporgendosi sul tavolo.
"Basta trovare un contatore dell'energia elettrica." rispose Stephen, facendo il sorrisetto di chi la sa lunga. "So dove trovarlo quindi a quello ci penso io. L'unico vero problema è che dovete affrettarvi. Una volta abbassata la leva della luce, avete solo pochi secondi, forse minuti, per entrare nella sala di controllo."
"E tu come farai a raggiungerci in tempo?" domandai preoccupata. 
"Non preoccupatevi per me... Ho i miei metodi." rispose lui in modo tranquillo. "La cosa più importante rimane comunque riuscire ad entrare e uscire senza essere scoperti. Anche a questo ci penserò io."
Sentii Minho sbuffare e dopo essermi girata verso di lui lo vidi scuotere la testa. 
"Possiamo veramente fidarci?" mi sussurrò Newt all'orecchio, cogliendomi alla sprovvista e facendomi sobbalzare.
Mi girai verso di lui, ritrovandomi così a pochi centimetri dal suo viso. "Mi ha salvato la vita, in varie occasioni." spiegai convinta. "Non ha motivo di tradirci proprio ora."
"Se sicura? Perchè per quanto ne so, è molto bravo nel tradire gli amici. E anche quello lo ha fatto più volte." replicò il ragazzo, studiando i miei occhi a fondo.
"Lo so, ma... fidati. Se non di lui, almeno di me." risposi prendendogli la mano tra le mie.
Dopo qualche secondo di riflessione il biondino annuì incerto, dandomi così la sicurezza necessaria per alzarmi in piedi e congedarmi dal gruppo di ragazzi. 
"Bene così, se non vi dispiace io avrei un paio di cose da sbrigare prima di partire." annunciai allontanando la sedia e scavalcandola. "Steph, io e te ci siamo organizzati prima. Non venire a prendermi prima di mezz'ora."
Dopo che il ragazzo annuì salutandomi con un cenno del mento, diedi un bacio a Newt e una pacca sulla spalla a Minho, allontanandomi poi velocemente.
Quando tornai nella mia stanza decisi che una doccia sarebbe stata d'aiuto per calmare i nervi e così, dopo essermi accertata di essere sola nel dormitorio, mi infilai nel bagno e chiusi la porta dietro di me.
Dopo essermi spogliata e aver abbandonato i miei vestiti a terra, mi buttai sotto il getto della doccia, stando bene attenta a non bagnare il cerotto sulla spalla. 
Dopo essermi lavata il corpo almeno quattro volte, nel tentativo di buttare via con lo sporco anche le brutte sensazioni, mi decisi di abbandonare il getto caldo dell'acqua e darmi una mossa ad asciugare sia capelli che corpo prima che arrivasse Stephen.
Quando finalmente trovai un asciugamano che fosse abbastanza lungo da coprirmi almeno fino a metà cosce, mi obbligai a correre il rischio di uscire e farmi vedere seminuda dalle altre ragazze. 
Dapprima socchiusi la porta e feci sbucare solamente la testa, poi dopo essermi guardata svariate volte attorno e non aver visto o sentito nessuno, lasciai uscire anche il resto del corpo, saltellando velocemente sui piedi in modo da non risporcarli per attraversare la stanza.
Nel momento stesso in cui raggiunsi l'armadio e aprii le sue ante, sentii una risatina soffocata dietro le mie spalle e subito dopo un colpo di tosse imbarazzato.
Mi voltai di scatto, con gli occhi spalancati e il cuore a mille. Avevo controllato la stanza e non c'era nessuno come era possibile che non avessi visto che c'era già una ragazza nel dormitorio?
Non appena i miei occhi incrociarono quelli dell'altra persona, non solo mi accorsi che non aver notato la sua presenza prima era stato un grosso errore, ma anche che il fatto di aver confuso la voce di Stephen per quella di una ragazza era veramente da stupidi.
Mi portai una mano alla bocca per non gridare dall'imbarazzo e quando vidi i suoi occhi posarsi sulle mie gambe indietreggiai, andando però a sbattere contro l'armadio e cadendo goffamente al suo interno. Solo a quel punto un gridolino acuto uscì dalle mie labbra, soffocato però dalla miriade di vestiti e maglie che mi caddero addosso.
Agitai le braccia come se stessi nuotando nell'acqua per riuscire ad aprirmi una visuale in quella catasta di indumenti e quando ci riuscii vidi sbucare la testa di Stephen proprio sopra la mia.
"Serve aiuto?" chiese ridendo e porgendomi la mano.
Senza pensarci due volte la schiaffeggiai, arrossendo all'istante, e poi mi tirai su a fatica cercando di non far spostare l'asciugamano dal mio corpo. Quando fui in piedi, in equilibrio e dopo aver cercato più volte di allungare invano l'asciugamano sulle gambe, mi tirai su e puntandogli un dito contro gli urlai: "Ti avevo detto di non venire prima di mezz'ora! E in più dovevi aspettarmi fuori!"
Lui sorrise, percorrendo con un ultimo sguardo il mio corpo e poi fissandomi gli occhi, e solo dopo aver alzato le mani in segno di difesa, parlò: "Prima di tutto è passata più di mezz'ora e poi io non ho mai detto che ti avrei aspettata fuori. Eri in ritardo e così sono entrato ad aspettarti." si difese. "E, dato che siamo in argomento, non mi pento di quello che ho fatto. Hai proprio delle belle gam..."
"Stai zitto ed esci!" gli gridai contro, spintonandolo verso la porta. "E guai a te se osi rientrare prima che io abbia finito."
Lo sentii ridere e mugugnare qualche altra parola, prima che la porta del mio dormitorio gli andasse a finire dritta e veloce sul naso.
Mi allontanai velocemente da essa e mi diressi di nuovo in bagno, ma non dopo aver preso i vestiti occorrenti.

"Ce ne avete messo di tempo ad arrivare." sottolineò Minho, guardandoci entrambi con circospezione. Lo vidi appoggiare il braccio allo stipite della porta per poi sistemarci contro la fronte.
"Già, è stata colpa di Stephen: è arrivato in ritardo." grugnii ancora infastidita dal suo comportamento insolente.
Minho fece spallucce e poi sparì dentro la stanza, dandoci indirettamente il permesso di entrare. 
Feci per oltrepassare la soglia della porta, ma la voce indignata di Stephen mi fece frenare. "Ehi, ma io non ho..."
Gli diedi una gomitata nello stomaco e subito dopo, godendomi i suoi lamenti, entrai col sorriso sulle labbra. Mi accomodai su uno dei letti disfatti e mi guardai attorno alla ricerca di Newt. Non trovandolo da nessuna parte, domandai all'ex-Velocista dove fosse finito. 
"Si sta vestendo." mi rispose lui. "Se vuoi puoi andare a controllare a che punto è." mi disse con un sorriso da pervertito, indicandomi la porta giallo acceso del bagno.
"No, passo." replicai. "Ma forse Stephen..."
"Smettila. Te l'ho detto che è stata pura casualità." bisbigliò lui, tenendosi la pancia con le mani e lasciandosi cadere a sedere vicino a me.
Dopo pochi minuti di attesa, la testa bionda di Newt uscì dalla stanza, facendoci cenno di seguirlo fuori e iniziare finalmente il piano di salvataggio e fuga.
"Io e Minho abbiamo preparato degli zaini per fuggire. Dentro c'è cibo, acqua, vestiti e cose del genere." spiegò chiudendo la porta dietro di sè. "Dopo aver ripreso Tommy dobbiamo tornare qui, prenderli e fuggire. Ho notato che ci sono dei condotti di ventilazione abbastanza grandi per contenere almeno una persona. Possiamo passare da lì in caso ci vengano a bloccare la strada."
"Spero che tutto filerà liscio. Non mi va di infilarmi in un buco e gattonare fino all'uscita." borbottò Minho incamminandosi lungo il corridoio. "Allora, Mister Faccio-Tutto-Io. Hai intenzione di farla saltare questa corrente o no?"
"Certo." disse togliendosi dalle spalle uno zainetto che notai solo in quel momento. "Prendete queste, vi serviranno." annunciò lanciando ad ognuno una piccola torcia.
"E queste dove le hai prese?" chiese Newt rigirandosi la sua tra le mani.
"Lavoro mio, affari miei." tirò corto Stephen. "Allora, io vi seguirò fino ai piani superiori, ma quando voi svolterete per andare nella stanza di controllo io mi dirigerò verso il contatore. Una volta che la luce salterà, ricordatevi solo che avete pochi minuti."
"Bene così." annuì Newt, passandosi una mano tra i capelli per sistemarli. "Se sbagli o ci fai scoprire, sei un uomo morto."
Detto questo, il ragazzo girò i tacchi e si incamminò verso la mensa per raggiungere così l'unico ascensore del piano. Una volta trovato, Minho cavò fuori la tessera magnetica e la passò sul sensore a fianco, facendo così aprire le silenziose e pesanti porte dell'ascensore.
Entrammo silenziosamente e cliccammo il terzo piano– così come Frances ci aveva spiegato –, e quando l'ascensore iniziò a salire dovetti tenermi ad una parete per evitare di cadere a terra: non ero abituata a prendere gli ascensori e quella sensazione di vuoto, mischiata ad una forza invisibile e debole che tentava di spingermi in ginocchio, mi faceva sentire strana, come se le mie gambe avessero potuto cedere da un momento all'altro.
L'ascensore ebbe un piccolo scossone, facendomi temere per un attimo che si fosse bloccato, poi però le porte si aprirono lentamente, dandoci la possibilità di uscire da quella gabbia di metallo. Feci un passo all'avanti, ma Minho mi bloccò sbarrandomi la strada con il suo braccio, poi lo vidi spingere cautamente la testa fuori dalle porte dell'ascensore e controllare sia a destra che a sinistra prima di uscire silenziosamente. 
"Okay, amico. Il corridoio è libero e non mi sembra di aver visto telecamere per ora." sussurrò l'ex-Velocista rivolgendosi a Stephen. "A te la prima mossa, quando sei pronto."
Il ragazzo dai capelli bianchi annuì e con un passo felino uscì in corridoio, controllò di nuovo che questo fosse effettivamente privo di telecamere e guardie, e dopodichè sparì imboccando un buio corridoio sulla sinistra.
"Ora, voi due." bisbigliò Minho indicando prima me e poi Newt. "Per arrivare alla nostra stanza dobbiamo prima imboccare questo corridoio andando verso destra e poi svoltare subito a sinistra. State sempre dietro di me e tenete il passo."
Annuii con convinzione e vidi Newt fare lo stesso, poi dopo un profondo respiro, finalmente il biondino uscì dall'ascensore, facendomi cenno con la mano di seguirlo ad ogni passo.
Uno dopo l'altro, in fila indiana andammo a percorrere il corridoio, stando sempre attaccati alla parete e muovendoci in silenzio. Passo dopo passo raggiungemmo la fine della corsia e prima di voltare verso sinistra Minho lanciò uno sguardo verso il prossimo corridoio da percorrere. Gli bastò un'occhiata di pochi istanti per capire che non eravamo soli e quando tornò al suo posto ci fece cenno di stare in silenzio.
Mi morsi il labbro e attesi silenziosamente un nuovo ordine. Quando alla fine Minho parlò, lo fece sussurrando ad un volume talmente basso che persino io, che ero di fianco a lui, stentato a capire.
"Ci sono diverse telecamere, ma l'unico problema al momento sono le due guardie davanti alla nostra porta. Non appena Stephen toglierà la luce dobbiamo eliminarle. E' la nostra unica occasione, perciò dobbiamo essere veloci quando la corrente salterà." spiegò lentamente. "Io e Newt pensiamo ai due bestioni, tu bambolina prendi la chiave e solo quando ti do l'okay vieni ad aprire la porta." 
Annuii lentamente e afferrai la chiave magnetica che Minho mi stava porgendo. L'unica cosa che ci rimaneva da fare ora era attendere che Stephen entrasse in azione.
Nell'attesa mi inginocchiai a terra, stando bene attenta a non fare il minimo rumore, e mi rigirai tra le mani la piccola tessera, cercando di non dare a vedere la mia agitazione per quel piano folle.
Attendemmo in silenzio per dei secondi che mi sembrarono un'eternità e poi, quando iniziai a pensare che forse Stephen ci aveva veramente traditi e se l'era data a gambe, la luce venne a mancare.
Quando rimanemmo tutti al buio, il mio primo istinto fu quello di urlare per la paura, ma mi obbligai a non emettere un suono fino alla fine di tutto. Mi portai una mano alla bocca e una sul cuore, cercando di calmarlo.
Nonostante non riuscissi a vedere nulla, potevo sentire che Minho e Newt erano partiti all'attacco, sia perchè il loro calore corporeo che mi stava rassicurando un poco era improvvisamente sparito, sia perchè – nonostante si fossero impegnati a fare il minimo rumore – li potevo sentire lottare contro le guardie che, colte alla sprovvista, forse non stavano reagendo.
Chiusi gli occhi per riuscire a concentrarmi meglio sui rumori, nonostante fosse comunque tutto buio in entrambi i casi, e inizialmente pensai che i ragazzi se la fossero svignata o che magari avessero sbagliato corridoio, poi però avvertii il rumore di uno sparo e subito dopo dei lamenti.
Iniziai a sentire odore di bruciato nell'aria e mi obbligai ancora una volta a resistere dal guardare cosa stava accadendo.
Un colpo. Poi un altro e un altro ancora.
Dopodichè tutto si fece silenzioso.
Restai in attesa, in silenzio, ad ascoltare il mio respiro e nel frattempo a pregare che Newt e Minho stessero bene.

Silenzio.
Il mio cuore stava martellando nel petto al ritmo di un orologio insistente. Tic, tac, tic, tac.
Passarono i secondi e per quanto mi sforzassi di sentire qualcosa, il silenzio permaneva nell'aria.
Poi presa da un atto di coraggio decisi di alzarmi in piedi silenziosamente. Tolsi la mia mano dalla bocca e la portai lungo il fianco, nascondendola nella tasca alla ricerca della torcia che Stephen mi aveva affidato. Lentamente la sfilai dal suo nascondiglio e la strinsi forte tra le dita, cercando di infondermi coraggio. Attesi ancora e poi, proprio nell'istante in cui la mia mente iniziò a proiettare le peggiori cose riguardo a Minho e Newt, sentii un bisbiglio nel buio.
Senza neanche capire cosa quella voce stesse dicendo, uscii dal mio nascondiglio ed entrai nel corridoio accendendo la mia torcia. La luce illuminò tremolante le pareti, mettendo subito in evidenza le due figure che stava in piedi al centro della stanza.
Sentii il sollievo diramarsi in tutto il mio corpo, come trasportato dal sangue nelle vene, quando riconobbi in quelle sagome sia Newt che Minho, che però ora erano armati con una specie di fucile. Feci un sospiro e trattenendo un sorrisetto corsi nella loro direzione, stringendo tra le dita della mano destra la piccola chiave magnetica.
Illuminai il dispositivo vicino alla porta e velocemente ci passai sopra la tessera, gustandomi il bip elettrico che la macchinetta produsse. Immediatamente si accese una piccola spia verde e poi la porta si socchiuse, emettendo uno sbuffo d'aria.
Senza attendere altro entrammo di soppiatto illuminando la stanza con la luce della torcia e nessuno si stupì quando vedemmo la faccia impaurita dello scienziato che, con una ciambella in mano e del caffè nell'altra, si limitò a fissarci con occhi spalancati. 
Newt si fece avanti e gli puntò il fucile sulla fronte, ordinandogli di rimanere in silenzio e di lasciarci fare il nostro lavoretto, e solo a quel punto l'uomo alzò le mani in aria, come a difendersi, lasciando così cadere a terra sia la ciambella che la tazza, che si sbriciolò in mille pezzi.
Stando bene attenta a non toccare nulla, iniziai ad esaminare la moltitudine di piccoli televisori, i quali trasmettevano ognuno la stessa, identica schermata nera.
"Bingo." bisbiglio Minho. "Ora aspettiamo che rimettano la luce."
"A-Avete f-fat-to saltare v-voi la l-luce?" chiese balbettando l'uomo. Inizialmente non capii a chi si stesse rivolgendo, ma quando lo vidi incrociare i miei occhi, capii che probabilmente io ero l'unica con cui quell'uomo voleva parlare, dato che ero l'unica non armata e che soprattutto non gli stava puntando un fucile alla testa. 
Annuii silenziosamente e ricambiai il suo sguardo cercando di sembrare fredda e distaccata, quando invece l'unica cosa che riuscivo a sentire era angoscia e paura di fallire.
"Ti ho detto di stare zitto." sottolineò Newt incalzando con il fucile e irrigidendosi tutto, facendo così spiccare le vene sui muscoli delle braccia.
Lo scienziato emise un lamento soffocato, probabilmente dovuto alla paura di morire con un colpo di fucile in testa, e per un secondo provai pietà di lui. Ma subito dopo, quando incrociai per la seconda volta i suoi occhi neri, mi venne in mente che era stato lui a prendere parte a tutto quello. Lui, come tutti gli altri, aveva contribuito a tutte le cose orribili che ci avevano fatto e quindi non meritava la pena che stavo provando per lui.
Decisa a non incrociare di nuovo quegli occhi che probabilmente avevano visto così tanti orrori per poi guardare altrove, mi voltai su me stessa, in attesa di trovare qualcosa di interessante da analizzare nell'attesa che la luce tornasse.
Dopo aver passato la luce della torcia su una cianfrusaglia di oggetti inutili, trovai un grande mobile di metallo, fatto di piccoli cassetti posti l'uno accanto all'altro. Mi avvicinai curiosa e notai con sollievo che almeno uno di essi era stato aperto e ora la chiave di esso pendeva tremante fuori dalla serratura, nascondendo di poco l'etichetta appiccicata sul cassetto. Scostai la chiave con le dita e dopo aver puntato la torcia sul fogliettino, lessi nella mente: schede vecchie. Diedi un'occhiata al suo interno e vidi che conteneva tantissime cartelle marchiate "Proprietà WICKED", piene di fogli e numerate, impilate l'una tra l'altra. Senza esitare iniziai a sfogliarle e a caso ne scelsi una, aprendola in fretta e leggendo velocemente che cosa conteneva.
Per prima cosa notai la foto in bianco e nero di un piccolo bambino, con i capelli arruffati, gli occhi grandi e il nasino a patata. Le sue labbra erano una linea dritta, quasi come si stesse forzando di non parlare o di non scoppiare a piangere. Decisi quasi immediatamente di passare lo sguardo dalla foto alle scritte sotto di essa, per evitare di mettermi a piangere: chissà cosa avevano fatto a quel piccolo e innocente bambino, la cui unica colpa era stata quella di essere nato in un mondo tanto crudele.
Con non poca fatica lessi le minuscole frasi battute al computer sotto la fotografia.
GENEALOGIA: padre e madre infetti; sorella minore immune (Soggetto n. 16, Elizabeth)
STATO: non immune
GRUPPO: A
SOGGETTO: A6
"Quindi questo bambino è uno dei Radurai..." bisbigliai tra me e me. Sorrisi e riguardai l'immagine: volevo provare a indovinare chi appartenesse quella foto senza però leggere il nome. 
Probabilmente è la foto di un Raduraio che non conosco, altrimenti l'avrei già riconosciuto. Pensai rigirandomi tra le mani la foto di quel piccolo bambino. 
Dopo diverse occhiate, mi accorsi però di riconoscere alcuni piccoli dettagli del viso del bambino, eppure non riuscivo a collegare il suo volto ad un nome.
Forse avrei potuto semplicemente leggerlo sulla scheda e schiantarla lì. La curiosità stava premendo troppo forte per non essere accontentata.
Mordendomi il labbro abbassai gli occhi sulla scritta "NOME", ma quando feci per avanzare con lo sguardo e leggere, un rumore alle mie spalle mi fece sobbalzare di paura, facendomi cadere così sul pavimento sia la cartella che avevo in mano sia la torcia che non appena toccò terra si spense.
Mi voltai di scatto e mi accorsi con orrore che una figura era appena entrata nella stanza, chiudendosi la porta dietro di sè e avanzando verso Minho che, grazie ai suoi riflessi, gli aveva già puntato la canna del fucile contro.
"Ehi, metti giù quel coso. Sono Stephen." disse il ragazzo fermandosi all'improvviso.
Sospirando di sollievo decisi di chinarmi a raccogliere la mia torcia per poi unirmi agli altri per terminare le ricerche e andarmene da quel posto il più in fretta possibile.
"Tra quanto tornerà la luce?" domandai ansiosa, cercando di far sembrare ferma la mia voce.
Il ragazzo accese la sua torcia e la puntò sul suo orologio, poi dopo un attimo di esitazione alzò la testa e disse: "Esattamente tra tre... due... uno..."
Puntò il dito in aria e come per magia le luci della stanza si accesero all'unisono, accecandomi all'istante. 
"Ve lo avevo detto che sarei stato d'aiuto." sottolineò Stephen, godendosi il suo piccolo momento di gloria. "Be'? Cosa sono quelle facce? Mettiamoci d'impegno e troviamo questo famoso Tommy."

*Angolo scrittrice*
Ehi Pive!
Come va?
Mi scuso per il ritardo, ma per farmi perdonare ho fatto un capitolo di quasi 4000 parole (di solito non supero i 3200).
Sarò molto breve perchè questo capitolo è già abbastanza lungo, quindi: ho fatto una nuova copertina per il libro, perchè quelle che ho ricreato non mi piacevano. Avrò cambiato idea qualcosa tipo venti volte, ma credo che questa nuova sia veramente bella e sono abbastanza soddisfatta.

Cosa ne pensate? Se vi piace creerò anche le altre che saranno più o meno così, ovvero la protagonista in alto, e i personaggi principali in basso

Cosa ne pensate? Se vi piace creerò anche le altre che saranno più o meno così, ovvero la protagonista in alto, e i personaggi principali in basso. 
Fatemi sapere!
Baci,

Inevitabilmente_Dea ♥

PS: volevo un secondo fermarmi a specificare che la frase "Nulla è mai come sembra" ho intenzione di metterla in ogni copertina. Questo perchè ritengo che sia un po' quello che riassume la 'morale', per così dire, di questa storia. Mi piaceva come idea perciò fatemi sapere se anche a voi siete della stessa opinione!

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


La prima cosa che provai quando le luci si riaccesero insieme e illuminarono la stanza di un giallo sbiadito fu sollievo, che però durò solo pochi secondi poiché il mio cervello, come se avesse ripreso a funzionare solo in quell'istante insieme all'elettricità, iniziò a fare diverse ipotesi su quelle che avrebbero potuto essere le conseguenze al calo di elettricità che avevamo causato.
La prima cosa a cui pensai fu che ero stata una stupida a non arrivarci prima. 
La seconda cosa fu che ormai era troppo tardi per tornare indietro e che quindi mi dovevo rassegnare a guardare il fallimento dell'ennesimo piano.
La terza cosa fu invece una piccola speranza: forse la W.I.C.K.E.D. avrebbe potuto scambiare quell'assenza di elettricità come un piccolo incidente, un caso. 
Ma solo dopo aver espresso quel pensiero capii di aver sottovalutato le potenzialità della W.I.C.K.E.D. Innanzitutto perché dopo tutti i giorni passati tra i corridoi, non avevo mai sentito parlare di problemi come 'la luce che viene a mancare spesso' oppure 'blackout casuali dovuti allo sfruttamento eccessivo di energia elettrica'. Dopotutto si parlava pur sempre della W.I.C.K.E.D., quella che era stata capace di creare dei mostri e quella che non aveva battuto un ciglio nel mettere dei ragazzi in un Labirinto impossibile da risolvere per poi spedirli in un deserto abitato da persone impazzite. Perché mai avrebbe dovuto avere dei problemi con delle semplici telecamere di sicurezza? Per di più, se aveva deciso di piazzare delle telecamere senza batteria di backup era proprio perché non aveva mai avuto un blackout totale da farle spegnere! Se la luce fino a quel momento non era mai saltata, avrebbero impiegato pochi attimi a capire che quell'assenza di corrente non era stata casuale.
Senza dare peso all'angoscia mi decisi ad aiutare gli altri ragazzi a trovare la stanza di Thomas, in modo da finire prima quella missione e andarmene una volta per tutte da quel luogo.
Ma non appena mi avvicinai ai piccoli schermi sulla parete per vedere quale tra i tanti stesse trasmettendo direttamente dalla stanza di Thomas, capii che qualcosa non andava.
"Perché cinque schermi sono completamente neri?" chiesi allarmata. La luce era tornata e con essa tutte le telecamere avrebbero dovuto riaccendersi.
"Credo sia merito mio." ammise Stephen digitando qualcosa su una tastiera che prima non avevo notato. "Prima di arrivare qui ho deciso di tagliare i fili a tutte le telecamere di questo corridoio. Non sappiamo per certo se c'è un'altra sala di controllo, ma di sicuro non potevamo rischiare che qualcun'altro vedesse le due guardie uccise qui fuori."
"Be' non è che se vedono tutto nero lasciano perdere." replicò Minho scocciato. "Si chiederanno il perché e a quel punto manderanno qualcuno a controllare. Ben fatto, Genio."
"Senti, Genio..." sputò Stephen acido. "Se non fosse stato per me voi ora non sareste nemmeno qui, quindi al posto di insultarmi potresti ringraziarmi, per cominciare."
Vidi il ragazzo fissare Minho con le sopracciglia alzate e la faccia di chi attende delle scuse, ma al contrario, la faccia dell'ex-Velocista non sembrava promettere niente di simile ad un discorso di scuse. "Faccia di caspio insolente, giuro che se provi a parlarmi di nuovo in questo modo io..."
"Suvvia, finitela." mi intromisi mettendomi in mezzo ai due ragazzi che nel frattempo avevano iniziato ad avvicinarsi l'uno all'altro con fare minaccioso. "Vi ricordo che stiamo facendo tutto questo per Tom e che a nessuno di noi farebbe piacere essere beccato con le caspio di mani nel sacco."
"Ha ragione." convenne Newt. "Pensaci Minho! In ogni caso avrebbero mandato qualcuno a controllare, ma in questo caso abbiamo guadagnato un po' di tempo perché penseranno sia un semplice guasto. Immagina se avessero visto due guardie morte! Si sarebbero precipitati qui, armati fino ai denti, e noi saremmo già morti. Quindi credo che un grazie sia d'obbligo."
"Ehi, ma tu da che parte stai, amico?" domandò Minho, con un tono offeso e la faccia di chi aveva appena ricevuto una pugnalata alle spalle.
"Bene! Finalmente qualcuno che ragiona come si deve!" intervenne Stephen, parlando sopra Minho.
"Non ti montare la testa." borbottò Newt, spegnendo ogni pensiero nella testa di Stephen. "Io continuo comunque ad odiarti. Portaci da Tommy sani e salvi e forse potrei iniziare a vederti come un potenziale alleato."
"Ma io sono un vostro..."
"Oh, andiamo!" lo interruppi scocciata. "Stiamo perdendo tempo! State concentrati su Thomas!"
Senza attendere una risposta dai ragazzi mi misi all'opera, osservando attentamente ogni singolo schermo: molti stavano riproducendo il filmato di stanze vuote e quindi inutili; altri stavano trasmettendo la faccia di alcuni scienziati, sia uomini che donne, che si guardavano attorno spaesati, come se non avessero capito cosa fosse appena successo; altri ancora invece trasmettevano i video di corridoi vuoti e bianchi.
"In queste schermate non c'è." decretai delusa, senza riferirmi a nessuno in particolare.
"Okay, allora cambiamo visuale." concesse Stephen digitando di nuovo sulla tastiera. Quando premette 'invio' tutte le telecamere iniziarono a trasmettere qualcosa di diverso, come per magia. Probabilmente il ragazzo aveva solo acceduto ad altre videocamere di sicurezza, archiviando quelle che avevamo appena esaminato. 
Sentendo la speranza crescere di nuovo dentro di me, iniziai nuovamente la stessa procedura di prima: scegli uno schermo, osserva attentamente per pochi secondi, cambia schermo. Tuttavia il mio ottimismo nel riconoscere Thomas in una di quelle sagome riprodotte dalle telecamere si fece man mano più debole quando finii di esaminare la penultima telecamera. Sospirai scoraggiata, ma decisa a finire ciò che ormai avevo cominciato passai lo sguardo velocemente sull'ultimo schermo e attesi speranzosa che la fortuna mi aiutasse.
Non appena capii che probabilmente quello che i miei occhi stavano vedendo non era solo un'allucinazione, ma la più vera e limpida realtà, dovetti trattenermi dal saltare per la stanza squittendo come un castoro in calore.
"Eccolo!" gridai indicando con il mio indice il piccolo schermo e punzecchiando sulla superficie finchè ognuno dei ragazzi non puntò gli occhi sul bersaglio. "E' qui!"
Persino Newt, che era ancora impegnato a puntare il suo fucile sulla fronte dell'uomo, lasciò perdere il nostro ostaggio e si precipitò a verificare la verdicità delle mie parole con i suoi stessi occhi.
"Porco caspio, è veramente Tommy!" bisbigliò incredulo. "E in che condizioni è ridotto!"
Corrugai le sopracciglia e riportai lo sguardo sullo schermo. In effetti l'esclamazione di Newt era più che vera dato che Thomas aveva l'aspetto di uno che non si lavava da settimane: il ragazzo se ne stava steso a terra, raggomitolato su se stesso come un riccio, con i capelli unti e appiccicati alla testa, come se avesse appena sudato; il volto pallido e scarno, ricoperto di uno strato di sudiciume marrone; la maglietta bianca con chiazze gialle qua e là e due aloni profondi sotto le ascelle. Era come una piccola macchietta di sporco dentro ad una stanza completamente bianca.
Potevo immaginarmi l'odore che quel ragazzo emanava e sapevo che di sicuro non era uno dei migliori. 
"Sarà anche sporco come un ratto, ma a me non sembra così malato come Janson lo ha descritto." ammisi voltandomi dubbiosa verso gli altri ragazzi.
"Probabilmente è stata un'altra delle sue bugie inventate sul momento per tenerci alla larga dal vostro amico." sospirò Stephen digitando veloce sulla tastiera e allargando il video che stava riproducendo Thomas su tutti gli schermi, in modo da farne uno unito e grande. "E sono sicuro che non ha neanche l'Eruzione. Ho visto come avviene la trasformazione in Spaccato e vi assicuro che la sua faccia è solo il prodotto di poco igiene." dopo aver detto ciò il ragazzo indicò sul lato destro dell'immagine, facendomi notare solo a quel punto della piccola scritta incastrata nell'angolino.
"Piano tre. Stanza n. 11." ripetei ad alta voce. "Siamo sullo stesso piano, ma come facciamo a sapere dove si trova esattamente la stanza?"
"Adesso vi apro una piantina." rispose Stephen armeggiando ancora una volta con la tastiera. Dopo pochi secondi sullo schermo apparve in grande una piantina del terzo piano dell'edificio. Tutti ci impegnammo per trovare la stanza 11 e quando finalmente ci riuscimmo, individuando anche il punto in cui eravamo situati noi, Minho si prese l'incarico di memorizzare tutta la strada fino a raggiungere Thomas. "Datemi solo pochi secondi." chiese l'ex-Velocista, prima di socchiudere gli occhi per concentrarsi meglio. Lo sentii sussurrare qualcosa a se stesso, probabilmente ripetendosi tutte le svolte da compiere e i corridoi da percorrere, e così rassicurata, mi voltai verso Newt, che nel frattempo si era avvicinato a me, rivolgendogli un sorriso soddisfatto.
"Non ci posso credere che lo abbiamo trovato." mi disse lui. "Pensavo veramente che forse lo avremmo perso per sempre."
"Sempre in negativo, eh?" domandai scherzosa, pensando solamente a quanto mi sarebbe piaciuto abbracciarlo fino al soffocamento.
Tutta la mia allegria però sparì non appena vidi che l'uomo che avevamo preso in ostaggio era sparito dalla sedia in cui prima si era appollaiato. Mi guardai attorno allarmata, chiedendomi dove fosse finito, e solo quando lo notai in un angolo della stanza, capii che eravamo spacciati: l'uomo aveva appena premuto un pulsante rosso che, dopo pochi secondi, fece scattare delle sirene che riempirono l'aria e distrussero ogni briciola di felicità e sollievo che avevamo creato.
Tutti i ragazzi scattarono nello stesso istante, impauriti e confusi. Ci vollero solo pochi secondi prima che ognuno di loro comprendesse a pieno ciò che era successo, e quando questo accadde Newt si precipitò contro l'uomo che aveva dato l'allarme, puntandogli arrabbiato il fucile contro e facendolo appiattire alla parete. Non appena osservai meglio il volto dell'uomo, compresi che tutta la paura iniziale era stata una messa in scena poichè ora tutto ciò che era presente sul suo volto era solo divertimento insano. Non a caso l'uomo scoppiò a ridere non appena incrociò i miei occhi e sputacchiando qua e là, borbottò: "Non riuscirete mai ad uscire vivi di qui!" urlò alzando le braccia e mostrando solo in quel momento ciò che teneva in mano. Era un fucile, proprio come quello di Newt, e stava per puntarglielo contro. "Ormai siete dei topi in trap..."
Newt non gli diede nemmeno l'occasione di finire la frase che, irrigidendo i muscoli e serrando la mascella, premette il grilletto. Un suono acuto perforò l'aria, aumentando di volume per una frazione di secondo prima che il fucile sparasse e desse il contraccolpo, spingendo Newt all'indietro
Mi portai le mani alla bocca per evitare di urlare. Sapevo che le mie grida non avrebbero rischiato di farci scoprire, dato che si sarebbero subito confuse con le sirene, ma in ogni caso, per quanto mi sembrasse strano, nessun rumore uscì dalla mia bocca. Nè un sibilo, nè una parola. Rimasi lì, immobile, a fissare con occhi spalancati e cuore in gola la figura che si stava contorcendo sul pavimento. Mi aspettai di vedere sangue o almeno il segno profondo di uno sparo, ma tutto quello che riuscii a capire in quel casino fu che mi ero sbagliata: quello che Newt brandiva, la stessa arma che aveva usato per sparare, non era in realtà un semplice fucile, ma un lanciagranate. Infatti, analizzando meglio quello che osservato durante lo sparo, mi ricordavo di aver visto fuoriuscire dall'arma una granata scintillante. Quella non aveva fatto altro che colpire l'uomo al petto, esplodendo, e avvolgendogli il corpo di piccole scariche di luce. L'uomo infatti, ancora colto da spasmi, se ne stava accasciato a terra, come se avesse appena avuto un attacco epilettico, ma stava emanando un cattivo e tenue odore di bruciato.
"Ben fatto, Newt." esclamò Minho precipitandosi a dare pacche sulla spalla all'amico. "Ora svigniamocela." Dopo aver detto ciò, l'ex-Velocista si fiondò verso l'uomo steso a terra, privo di sensi, per prendersi il suo lanciagranate. Inizialmente pensai che lo volesse lanciare a Stephen, ma quando mi guardò negli occhi e mi fece un sorrisetto distorto, capii le sue intenzioni.
"Prendi al volo, bambolina." anticipò prima di lanciare in aria l'arma, facendola finire perfettamente tra le mie braccia. "Non è difficile da usare. Tu premi solo il grilletto e questa fa il resto." concluse dirigendosi a grandi falcate verso la porta e superandomi.
"Cosa? M-Ma io non ho mai..." balbettai, ma venni interrotta dal ragazzo.
"Oh, quasi dimenticavo." borbottò tornando sui suoi passi fino ad arrivare al mio fianco. "Hai presente quella tua parte pazza e istintiva che cerchi tanto di nascondere? Ecco, al momento la sua compagnia ci farebbe molto comodo, quindi se la tieni nascosta da qualche parte, è ora di farla uscire allo scoperto, bambolina."
Dopodichè si precipitò nuovamente verso l'uscita spalancando la porta e oltrepassandola seguito da Newt.
Solo io e Stephen rimanemmo nella stanza. "Tieni." ordinai porgendogli spaventata l'arma.
"Ah-ah, pasticcino." replicò Stephen scuotendo la mano e poi allungandola dietro la schiena per poi cavarne fuori un altro lanciagranate, ma due volte più grande del mio. "Io ho già la mia."
Concludendo così, uscì anche lui dalla stanza, facendomi cenno di seguirlo e ignorando la mia faccia paonazza. Io sparare con un fucile? Ma che si erano bevuti per fare una scelta del genere? Insomma, con l'arco ero brava, ma quella era una cosa diversa! Se Newt aveva avuto un contraccolpo così forte e aveva quasi perso l'equilibrio, io sarei stata scaraventata dall'altra parte della stanza ad ogni proiettile lanciato!
"Oh, andiamo!" mi richiamò Stephen, facendo rientrare velocemente la testa dalla porta. "Vuoi muoverti da sola o preferisci che io venga lì a spingerti fuori dandoti calci sul culetto? Aspetta, forse potrei approfittare della situazione e invece dei calci, darti semplicemente delle pacche. Ma sempre sul culo, chiariamoci."
Senza farmelo ripetere due volte mi precipitai fuori dalla stanza di corsa, stando bene attenta a passargli alla larga dopo aver oltrepassato la porta.
"Lo sapevo che avrebbe funzionato!" esultò Stephen sorridendomi entusiasta. Lo vidi avvicinarsi a me e a quel punto gli feci la linguaccia. 
"Ti conviene tenere le mani a posto: ora sono armata." lo minacciai, ignorando la sua espressione pervertita e correndo per raggiungere Newt e Minho che nel frattempo si erano appollaiati contro il muro del corridoio per controllare che quello successivo fosse effettivamente libero. 
"Be', la te armata mi eccita ancora di più." sibilò il ragazzo, oltrepassandomi e lanciandomi uno sguardo divertito.
Spalancai la bocca e arrossi violentemente, bloccandomi sul posto e fissandolo esterrefatta. Poi, dopo pochi secondi di riflessione, capii che non c'era tempo per quello e che dovevamo salvare Thomas ad ogni costo.

Quando capimmo che non c'era modo di evitare tutte le telecamere di sicurezza piazzate nei corridoi che dovevamo percorrere, ad esclusione di tagliare i fili ad ognuna di esse – cosa che senz'altro ci avrebbe fatto perdere una grossa quantità di tempo prezioso, aumentando inoltre le nostre possibilità di essere catturati prima di raggiungere Thomas –, iniziammo ad infischiarcene e a correre il rischio di venire trasmessi in un'altra possibile sala di controllo.
Minho continuava a guidarci veloce e sicuro, probabilmente mettendo in gioco tutte le sue abilità da Velocista, e neanche una volta si fermò per riprendere fiato o per capire in che direzione dovesse guidarci. La sua sicurezza non fece altro che farmi sorridere, felice di non aver perso un amico come lui, ma soprattutto fiera di averlo ancora in squadra.
Forse dopotutto era ancora un Velocista, nonostante il Labirinto non esistesse più, e quindi avrei dovuto smettere di etichettarlo come ex-Velocista, perchè ero sicura che quel titolo gli andasse stretto.
"State fermi!" ci intimò l'asiatico, facendoci cenno di stare in silenzio. "Guardie in arrivo, preparate i fucili."
Sia Newt che Stephen annuirono pronti e carichi, e anche io probabilmente avrei fatto lo stesso, se solo non mi fossi resa conto in quel preciso istante di cosa significassero realmente quelle parole. Era arrivato il momento di entrare in scena, di testare le mie abilità e forse anche di rischiare la mia vita per riuscire a ripagare finalmente il conto in sospeso con Thomas.
Ero spaventata, certo, anche confusa e agitata poichè non avevo mai usato un'arma distruttiva del genere. Ma in fondo in fondo, ero anche ansiosa di vedere come mi sarei mossa in un combattimento del genere: avrei esitato oppure, come richiesto da Minho, avrei tirato fuori le palle lasciando uscire la me pazza e istintiva?
Non mi ero mai messa in gioco così tanto, ma sapevo che era arrivato il momento di provarci per davvero e riprendere ciò che la W.I.C.K.E.D. ci aveva sottratto senza nessun diritto. 
Sarei stata coraggiosa e forte.
Sarei finalmente stata quella che avrei sempre voluto essere.
Quando Minho diede il segnale e si precipitò per primo nel corridoio da imboccare, sparando poi all'impazzata, probabilmente contro delle guardie, seguito a ruota dai due ragazzi, mi decisi a raccogliere tutto il coraggio che avevo sepolto in qualche angolo dentro di me e a buttarmi nella mischia. Un unico pensiero attraversò la mia mente quando di corsa svoltai nel corridoio, impugnando con presa ferrea il fucile e preparandomi a sparare alle decine di guardie che ci si paravano contro: Thomas stiamo arrivando.

*Angolo scrittrice*
Ehi, pive!
Ho creato la nuova copertina per il secondo libro! Che ne pensate?

E dato che mi annoiavo ho fatto anche quella per il terzo! A dire la verità ne ho fatte due, ma mi piaceva la seconda e quindi ho scelto quella alla fine

E dato che mi annoiavo ho fatto anche quella per il terzo! A dire la verità ne ho fatte due, ma mi piaceva la seconda e quindi ho scelto quella alla fine... A voi quale piace?

 A voi quale piace?

Baci,

Inevitabilmente_Dea ♥

PS: avete sentito il terremoto? Da voi ha fatto danni o cose del genere? Come state?

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


{IMPORTANTE: per favore, leggete l'angolo scrittrice in fondo.}

Non appena svoltai ed entrai nel corridoio, impugnando saldamente il lanciagranate, capii che la guerra tra guardie e Radurai era già cominciata anche prima del mio arrivo: Minho stava sparando dozzine di colpi, senza mai battere ciglio e senza neanche dare il minimo segno di vacillamento dovuto ai forti contraccolpi che quell'arma regalava; Newt invece, nonostante si sforzasse di gonfiare i muscoli e mantenere i piedi saldi a terra, qualche volta si lasciava sfuggire qualche esitazione per tentare di riprendere il dovuto equilibrio; Stephen d'altro canto, era una macchina veloce e precisa, sparava pochi colpi, ma che andavano tutti a segno.
Mi impegnai al massimo per evitare di rimanere fritta prima ancora di cominciare a sparare, ma per quanto cercassi di rendermi utile, tentando di sparare anche io come i ragazzi, dalla mia arma non era partito neanche un solo colpo. Non che mi fossi arresa o non avessi capito come quell'aggeggio funzionasse, ma ogni persona che puntavo dopo cinque secondi era già stramazzata al suolo priva di sensi, colpita da uno dei ragazzi.
Riprovai per la decima volta a rimettermi in gioco: alzai l'arma – che si era rivelata tutt'altro che leggera –, la puntai contro una delle tante guardie, presi bene la mira, spostai il dito sul grilletto e... quella si accasciò a terra, colpita da una granata elettrica che non proveniva dal mio lanciagranate
"Oh, andiamo!" gridai frustrata e stanca di essere così lenta. 
Erano rimaste ormai poche guardie, giusto cinque o sei, e quando quelle due di troppo vennero colpite rimanemmo finalmente equilibrati sul numero, ciò significava che ognuno di noi aveva una guardia da uccidere.
Approfittando di quel momento, desiderosa di entrare finalmente in scena anche io, alzai l'arma e la puntai, senza neanche prendere troppo la mira, sulla prima guardia che mi capitò davanti. Questa volta, senza esitare oltre, premetti il grilletto, facendo partire la granata elettrica che scintillò in aria per una frazione di secondo e poi si appiccicò esattamente in un punto tra le gambe dell'uomo che, urlando e ricoprendomi di insulti, si raggomitolò a terra, colto da spasmi.
Ero stata talmente tanto concentrata per vedere da che parte la granata sarebbe finita, che non mi accorsi neanche di essere stata scaraventata per terra dall'arma. Risi per la mia goffaggine e anche per essere finalmente riuscita a mettere fuori gioco una persona.
Presa dall'entusiasmo mi rialzai felice, rivolgendo ai ragazzi un sorriso da ebete per renderli partecipi del mio piccolo attimo di vittoria, ma quando rivolsi loro il mio sguardo mi accorsi che nessuno dei presenti mi degnava di attenzione, tutti troppo presi dall'ansia.
Mi guardai attorno e cercai di capire quale fosse il motivo di tanta preoccupazione. Insomma, dopotutto le guardie erano rimaste solamente in due, perchè spaventarsi così tanto solo in quel momento?
Ma nell'istante stesso in cui entrambe le guardie mi puntarono i lanciagranate contro, capii che qualcosa non andava. Perchè improvvisamente ero diventata io il loro bersaglio?
"Forza, ragazzina. Quello non è un giocattolo, posalo a terra." mi ordinò uno di loro, agitando il lanciagranate nella mia direzione.
"Non osare chiamarla ragazzina!" gridò Newt correndo in contro alla guardia che aveva appena parlato e usando il lanciagranate come fosse una mazza da baseball, per poi colpirlo in piena faccia, mandandolo al tappeto. 
Ma perchè non ha semplicemente sparat... Oh, hanno finito i colpi, ecco perchè tutti stavano puntando a me! Io ancora ho solo lanciato una granata! Bene! Pensai entusiasta. Aspetta... Non credo che sia una bella cosa...
La voce di Minho mi fece piombare nuovamente sulla terra, riportandomi alla realtà e ricordandomi che ancora la battaglia non era terminata: "Newt! Stai att..."
L'asiatico non ebbe neanche il tempo di finire la frase che una granata partì nell'aria, sovrastando la sua voce. Io venni catapultata nuovamente all'indietro dal contraccolpo del lanciagranate e fu solo quando le mie chiappe toccarono violentemente terra che capii di essere stata proprio io a sparare, senza neanche pensare a prendere la mira.
Eppure avevo fatto perfettamente centro e ora la guardia che aveva cercato di sparare addosso a Newt se ne stava stesa a terra, muovendosi a scatti in preda alle scosse elettriche.
"Woh, bambolina..." bisbligliò Minho esterrefatto. "Hai fatto un centro perfetto! Adoro la tua parte istintiva, caspio!"
Il Velocista corse nella mia direzione e mi porse una mano per aiutarmi a rialzarmi da terra. Gli sorrisi soddisfatta e accettai volentieri la sua proposta di aiuto, stringendogli la mano e premendo con le gambe per rialzarmi.
"Cavoli, amico." disse poi rivolto a Newt. "Tientela bene stretta questa qui, oppure me la prendo io." 
"Sì, provaci e ti sparo una granata elettrica nel posto in cui questa qui l'ha sparata prima." sottolineò Newt indicando la guardia che avevo precedentemente tramortito con una granata dritta in quel posticino in mezzo alle gambe.
"Ehm..." biascicò Minho, dopo aver visto in che condizioni era ridotto l'uomo. "Okay, forse non la voglio più. Tieni è tutta tua." si corresse poi mettendo le sue mani sulle mie spalle e spingendomi in avanti, verso il biondino.
"Ragazzi, non per fare il guastafeste, ma ci conviene fregare le loro armi e poi svignarcela." intervenne Stephen.
"Tu dici, Mister Ovvio?" chiese Minho, usando nuovamente quel suo tono acido. 
Vidi Stephen sbuffare e roteare gli occhi al cielo. Inizialmente pensai che fosse intenzionato a rispondere per le rime come aveva sempre fatto, poi però mi accorsi che il ragazzo in realtà non ne aveva la benchè minima intenzione; anzi, dopo aver scosso la testa e alzato le spalle, lo vidi chinarsi per raccogliere una ad una le armi per poi lanciarle in direzione dei ragazzi rimasti disarmati.
Poi, quando ormai tutte le armi furono distribuite, lo vidi allacciarsi in vita una cintura – anche essa rubata precedentemente da una guardia – ricoperta di munizioni. 
"Hai intenzione di prendere qualche altro souvenir oppure possiamo finalmente andare a riprenderci Thomas e quei suoi piedi puzzolenti?" chiese Minho a braccia incrociate e battendo ripetutamente sul pavimento con il piede.
"Dai, smettila di punzecchiarlo Minho." borbottai alzando un sopracciglio e incrociando gli occhi dell'asiatico. "Sta solo prendendo delle armi!"
"Be' non credi siano abbastanza? Dobbiamo muoverci oppure..." il Velocista si interruppe e rivolse lo sguardo dietro di me, facendo una faccia scocciata. "Ecco, ora pure il coltello."
Mi voltai curiosa e vidi che Stephen si era chinato un'altra volta sopra la guardia stesa a pancia in su poco distante da lui. Lo osservai mentre allungava il braccio e sfilava dalla scarpa dell'uomo inerme un piccolo coltello lucido. Il ragazzo se lo rigirò tra le mani più volte e, allargando bene il collo del suo scarpone, lo lasciò scivolare cautamente al suo interno, per poi rimettere a posto la scarpa e dargli delle pacche veloci, come a ripulirlo dalla polvere.
"Ora possiamo andare." puntalizzò il ragazzo dai capelli bianchi, facendo un amplio gesto con il braccio verso il resto del corridoio, come a dire 'prima voi'. 
Senza aggiungere altro girai su me stessa e mi incamminai, preceduta da Newt e Minho, verso il lungo corridoio, ma nel momento stesso in cui compii il primo passo mi sentii tirare per il polso.
Scossa da quel gesto ritirai immediatamente il mio braccio dal palmo di Stephen e lo guardai confusa. 
"Prima hai fatto dei buoni centri con il lanciagranate, ma se riuscissi a lanciare un po' più colpi sarebbe il massimo." sottolineò serio, facendo passare quella frase più come un ordine che come un consiglio. "Dopotutto siamo qui per il tuo amico, giusto pasticcino?"
Annuii convinta, rassicurandolo dicendogli che sicuramente mi sarei impegnata di più e a quel punto lui mi rivolse un sorrisetto storto, alzando solo un angolo della bocca, poi mi fece cenno di seguirlo lungo il corridoio.
Continuammo a camminare tutti velocemente e sempre in fila indiana, svolta dopo svolta, corridoio dopo corridoio, e nessuno sembrava voler intralciare il nostro cammino. All'inizio interpretammo quell'assenza di guardie come una spudorata fortuna, ma più andavamo avanti più capivamo che c'era qualcosa che non andava. Era ovvio che stessimo andando nella direzione giusta, perciò quello non faceva altro che facilitarci, ma anche solo il fatto che nessuno stesse cercando di fermarci era preoccupante.
O la W.I.C.K.E.D. sperava che ci perdessimo da soli – cosa molto improbabile – oppure stavamo semplicemente andando nella direzione che loro volevano, nella tana del lupo. Ma allora perchè sprecare tanto tempo e impegno per tenerci lontani da Thomas e poi permetterci di arrivare da lui? 
Forse volevano farci credere di aver annientato tutte le guardie per poi sorprenderci con un'imboscata? Pensiero alquanto stupido, certo. Se la W.I.C.K.E.D. ci aveva scelto proprio in base alla nostra intelligenza e alle nostre capacità, doveva evitare di sottovalutarci.
Probabilmente avrei dovuto infischiarmene e continuare a correre liberamente per i corridoi come facevano gli altri ragazzi: Minho aveva addirittura smesso di controllare ogni volta prima di imboccare un nuovo corridoio, usando la scusa che non avremmo incontrato nessuno in ogni caso.
Poi, ad un certo punto, vidi il Velocista girarsi verso di noi, continuando comunque a correre. Dopo pochi secondi ci rivolse un sorriso sollevato e disse: "Bene, ragazzi. Questo è l'ultimo corridoio. La camera di Thomas è l'ultima sulla destra."
Io, incapace di pronunciare qualcosa di concreto con il fiatone, mi limitai ad annuire e a storcere la bocca in un improbabile sorriso, mentre gli altri due ragazzi si limitarono a mugugnare qualcosa e a sospirare sollevati.
Il ragazzo asiatico, essendo a capo della fila, imbucò per primo il corridoio con un sorriso stanco stampato sulle labbra, ma nel momento stesso in cui vidi sparire la sua sagoma dietro l'angolo, seguito a ruota da Newt, sentii uno scoppio e vidi il corpo del Velocista volare in aria per poi schiantarsi a terra con un rumore sordo.
Feci per urlare il suo nome, ma senza neanche avere la possibilità di prendere fiato, vidi la figura di Stephen incombere su di me: il ragazzo si allungò sul mio corpo, buttandomi violentemente alla parete e tappandomi la bocca con una delle sue grandi mani. 
Quell'impatto inaspettato mi tolse il fiato, il quale venne a mancare ancora più del dovuto quando una fitta di dolore mi trafisse la spalla, rendendomi così impossibile trattenere l'urlo ancora incastrato nella mia gola. Senza neanche capire dove il mio corpo avesse trovato l'ossigeno necessario, la mia bocca si aprì leggermente facendo fuoriuscire un piccolo grido che però vene subito smorzato e insonorizzato dalle dita di Stephen che fortunatamente non avevano smesso di premere sulle mie labbra.
Strizzai gli occhi e serrai la mascella, cercando di calmarmi e di schiacciare il dolore tra i denti. 
"Fermi!" sentii urlare una voce rauca. "Fermi, non sparate!" ripetè poi più forte. 
Voce raschiata, timbro acuto e insopportabile, tono acido. Chi poteva mai essere se non Janson? 
"Brutti bifolchi inesperti! Questi Soggetti mi servono!" urlò arrabbiato, rivolgendosi probabilmente alle guardie. "Dove sono le due Cavie, eh?" urlò poi, ancora più innervosito. "Senti, biondino. Vi ho visto arrivare qui insieme e non sono scemo. Dove sono?"
Biondino? Pensai allarmata. Non osare toccarmi Newt. Non gli devi torcere un capello.
Spinta dall'odio verso l'Uomo Ratto mi mossi contro la parete, cercando di liberarmi dalla presa di Stephen, che tuttavia non dava segno di voler cedere. Il ragazzo, al contrario, si appiattì ancora di più su di me, annullando così le distante tra i nostri due corpi, e potei sentire il suo fiato farsi sempre più caldo sul mio collo.
"Shh..." sentii sussurrare il ragazzo. 
"Avanti, parla!" ordinò nuovamente l'uomo sbraitando. "Oh..." disse poi con un tono più calmo. "Be', se tu non vuoi dirmelo, forse dovrei scoprirlo io."
Ci fu un attimo di silenzio che però durò solo pochi secondi, sostituito in seguito dalla sua voce squillante. "Sai cos'è questo? Non credo che lei te ne abbia mai parlato perciò lascia che te lo spieghi io: questo piccolo pulsante è collegato ad un chip che abbiamo innescato nel collo della tua fidanzatina prima di iniziare le prove per la Zona Bruciata. Ora... Se io lo premessi, la tua amica riceverebbe immediatamente una scarica elettrica talmente forte da farla svenire sul posto."
Spalancai gli occhi a quelle parole: me ne ero completamente dimenticata.
"Quindi, o me lo dici oppure premo questo bottone e poi mando qualche guardia a cercarla. A te la scelta." specificò l'Uomo Ratto con un tono di voce che mi fece capire che probabilmente stava sghignazzando sotto i baffi.
Vidi Stephen spalancare gli occhi con me e incrociare il mio sguardo, ora anche lui era visibilmente ansioso.
"Bene." constatò infine Janson, dopo aver atteso qualche istante in silenzio. "David, vai a cercare le due Cavie."
Sentimmo dei passi pesanti lungo il corridoio – come se la guardia stesse pestando i suoi grossi scarponi a terra – farsi sempre più vicini di secondo in secondo.
"Be' credo che la tua fidanzata non ti ringrazierà per questo." disse infine Janson, rivolgendosi ovviamente a Newt.
"Vieni, dobbiamo andarcene." mi sussurrò Stephen all'orecchio.
Non potendo rispondere a parole, mi limitai a scuotere ripetutamente la testa. Io non me ne sarei andata senza Newt, Minho e Thomas. Janson non aveva il diritto di tenerci rinchiusi in quel posto per sottoporci a stupidi test! 
"Muoviti e non fare storie!" bisbigliò togliendomi la mano dalla bocca per poi trascinarla sul polso, fino ad arrivare ad incrociare le sue dita con le mie.
Senza neanche la possibilità di riuscire a controbattere, il ragazzo iniziò a correre lungo il corridoio, trascinandomi con lui.
Ma cosa stava facendo? Noi dovevamo combattere! Non potevamo lasciare tutti indietro e filarcela in quel modo.
"Eccoli!" urlò la guardia dietro di noi. "Stanno scappando!"
Voltai il mio viso di pochi centimetri, giusto il necessario affinchè riuscissi a scorgere la figura della guardia che ci stava inseguendo. Era lo stesso uomo che aveva cercato di buttare giù Brenda sulla Berga che ci era venuta a prendere dalla Zona Bruciata, avrei riconosciuto i suoi capelli rossi e la sua faccia di caspio tra mille.
Come dimenticarmelo dopotutto? Quell'uomo era stata la causa della separazione tra me e Newt, non lo avrei mai dimenticato.
Senza mai smettere di correre impugnai l'arma con la mano libera e, dopo essermi attorcigliata attorno al polso la striscia di stoffa che era stata attaccata ai bordi del lanciagranate –  sicuramente per permettere a chi lo possedeva di tenerlo anche in spalla –, lanciai un proiettile a casaccio nell'aria, sperando di colpirlo, ma l'uomo con agilità si buttò di lato, facendo schiantare la granata nel muro dietro di lui.
Per il primo colpo, riuscii a tenere miracolosamente l'arma tra le mani, nonostante il forte contraccolpo, ma non appena sparai la seconda granata, l'arma mi saltò via di mano, come se fosse stata spinta da una forza  invisibile. Fortunatamente il lanciagranate rimase appeso al mio braccio grazie a quella specie di fascia che mi ero arrotolata sul polso, facendomi sembrare per un attimo una ragazza che porta a spasso il proprio cane per il guinzaglio.
"Janson!" urlò David infuriato. "Premi quel dannato pulsante!"
Ancora prima che David finisse di pronunciare l'ultima parola, sentii una scossa partire dal mio collo e prolungarsi su tutta la testa. Caddi a terra in preda agli spasmi, perdendo così la presa con Stephen e raggomitolandomi su me stessa nella speranza che quel dolore finisse in fretta.
Sentii qualcuno urlare, una voce acuta e perforante, come se mi stessero gridando proprio vicino alle orecchie. Quell'urlo era talmente tanto disumano e pieno di dolore che per un attimo pensai stessero facendo del male a Newt. Quando mi accorsi invece di essere proprio io l'autrice di quel grido, strinsi la mandibola e strizzai gli occhi, cercando con tutte le mie forze di rialzarmi in piedi, poi quando decisi che la cosa era alquanto impossibile, la scossa abbandonò il mio corpo, lasciandomi sulla pelle un bruciore e un pizzichio continuo, come se mille formiche mi stessero mordicchiando.
Nonostante la scarica elettrica fosse terminata, non trovai il coraggio di muovermi dalla posizione in cui stavo. Aprii solamente gli occhi, inspirando profondamente e sentendo dolore anche per quel piccolo e innocuo movimento della gabbia toracica.
Vidi a poca distanza da me la sagoma bianca e confusa di Stephen, e nonostante sapessi che sicuramente il ragazzo stava sparando a raffica contro la guardia, non riuscivo ad udire neanche uno sparo, come se le mie orecchie si fossero tappate del tutto.
Poi sentii una voce offuscata in lontananza, una voce che sovrastò ogni altro rumore, e nonostante non comprendessi nessuna delle parole pronunciate, avevo capito che la persona che aveva parlato – sicuramente Janson – aveva lanciato un ordine chiaro.
Non a caso, dopo che l'uomo finì di urlare, tutti i rumori cessarono all'istante, facendomi capire che la sparatoria era terminata.
Preoccupata per l'incolumità dei miei amici, cercai di allungare il collo e osservare meglio le figure danzanti che si divertivano a confondersi davanti ai miei occhi. Sbattei le palpebre più volte e sgranai gli occhi nella speranza che tutto si facesse più chiaro.
Nonostante tutti i miei tentativi, l'unica cosa che riuscii a scorgere fu una figura che, a passo veloce, si stava avvicinando a me. Credendo che fosse uno dei ragazzi, mi rigirai a pancia in su, mugugnando poi per il dolore che causò quel movimento, ma non appena quella figura balzò sopra di me come un cane rabbioso, piantando una delle sue ginocchia nel mio stomaco, capii di essermi sbagliata.
Sentii quella sagoma parlare, sussurrandomi delle cose probabilmente poco carine, e poi vidi le sue grosse manone piantarsi sulle mie spalle e premere come per farmi restare piantata a terra. Solo quando sentii la mia ferita bruciare capii che in realtà, l'intento della persona sopra di me, era proprio quello di premere le sue dita sulla mia ferita alla spalla, senza però dare nell'occhio.
Quella nuova scarica di dolore, nonostante durò solo pochi secondi, mi permise nuovamente di vederci chiaro, facendomi riconoscere finalmente che la persona che si divertiva a torturami non era altro che David.
Quando l'uomo si accorse che lo stavo guardando con disprezzo, mi fece un sorrisetto malefico e premette ancora più forte sulla mia spalla. Il suo sorriso si allargò maggiormente mentre si gustava i miei lamenti, che cercavo in ogni modo di reprimere e affogare nella gola.
"Vedo che ti fa ancora male, stronzetta." sibilò tra i denti. "Forse non avrei dovuto rimproverare quell'incompetente per averti sparato alla spalla."
"David, muoviti e portala qui! Cosa stai aspettando, imbecille?" urlò Janson, tornato improvvisamente furioso e impaziente.
Senza replicare, la guardia mi afferrò per un braccio e mi trascinò in piedi, iniziando a tirarmi bruscamente all'avanti. Tentai in tutti i modi di stare al suo passo, ma era come se le mie gambe si fossero pietrificate: sentivo tutti i muscoli tirare, come se fossero congelati, e più mi muovevo, più riuscivo a sentire il sangue defluire lento dentro le mie vene, come intorpidito.
Ero talmente concentrata a cercare di mettere un piede davanti all'altro, che non mi accorsi nemmeno di essere arrivata davanti a Janson, finchè David non mi abbandonò a terra proprio vicino a dove giaceva il corpo di Minho. Come prima cosa mi guardai attorno alla ricerca Newt e Stephen e li trovai entrambi con le mani in alto, disarmati e controllati da due guardie vestite in nero. Tutto attorno a loro una distesa di guardie inermi, come foglie secche cadute da un albero.
Decisa a non mostrarmi debole davanti all'Uomo Ratto, mi misi in ginocchio e lo guardai con aria di sfida. Non volevo neanche sporgermi a controllare se Minho stesse bene. Sapevo per certo che per il ragazzo, dopo essere sopravvissuto ad un fulmine nella Zona Bruciata, essere colpito da una granata elettrica era stato come essere colpito da una piuma, e proprio per questo ero sicura che il Velocista fosse semplicemente svenuto.
Janson, senza neanche degnarmi di uno sguardo, diede l'ordine a David di disarmare anche 'l'altra Cavia'. Non appena la guardia si avvicinò a me, capii quello che dovevo fare.
Ora tutto dipendeva da me. Una sola mossa. Semplice ed efficace. Dovevo farcela e se non ce l'avessi fatta, sarei morta provandoci.

*Angolo scrittrice*
Ehi pive! 
Avete visto che capitolo lungo? Eh? Mi sono impegnata tutto oggi!
Anyway... Volevo chiedervi se conoscete un programma per fare video decenti. Il sito online che stavo usando per fare il video Newtlena mi sta facendo impazzire perchè non mi funziona adeguatamente.
Avete perciò qualche programma da consigliarmi (sia online che da installare) che sia semplice per una che non ha mai creato un video in vita sua e che soprattutto funzioni?
Premetto che il mio computer ha un Windows 10, quindi magari datemi dei programmi che siano compatibili con questa versione, ma soprattutto che siano gratuiti (non voglio spendere soldi per fare solo un video e poi disinstallare tutto). Per di più deve essere un programma che mi permetta di creare un video composto da gif!
Fatemi sapere per piacere!

Poi volevo anche ringraziare tantissimo tutti quelli che hanno letto o recensito! Grazie veramente ad ognuno di voi, siete sempre fantastici! E proprio perchè mi avete permesso di raggiungere dei grandiosi traguardi che una volta non avrei neanche sognato volevo dedicarvi un capitolo speciale in cui risponderò ad ogni vostra domanda (sia che le domande siano personali sia che riguardino la storia). Quindi sbizzarritevi! Anche se una sola persona mi farà 394 domande, io risponderò ad ognuna di esse!
Credo che sia un modo per voi di conoscere meglio la personcina qui dietro lo schermo che scrive.
Grazie per aver letto, pive!♥
Baci,

Inevitabilmente_Dea ♥

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


Attesi paziente che David fosse abbastanza vicino e quando la guardia, ingenuamente, si chinò per prendermi e sollevarmi da terra, le rifilai un pugno veloce diretto verso la gola.
Ignorai il dolore che si fece sentire sulle nocche della mia mano destra non appena il mio pugno fece impatto con la sua pelle, e quando vidi David arrancare all'indietro, tenendosi la gola con entrambe le mani e tossendo in cerca di ossigeno, non esitai e afferrai il mio lanciagranate.
Sparai un colpo dritto al suo addome, vedendolo cadere all'indietro in preda alle convulsioni e con gli occhi fuori dalle orbite, poi senza attendere neanche un secondo puntai la canna del lanciagranate contro le due guardie che sorvegliavano Stephen e Newt.
Portai il dito sul grilletto, ma non appena lo premetti, una scossa elettrica ripartì dal mio collo, facendomi cadere l'arma di mano e deviando la direzione la granata elettrica da tutt'altra parte.
Mi portai le mani sulla nuca e mi abbassai a terra dolorante. Serrai la mandibola e cercai in tutti i modi di mantenere gli occhi aperti e fissi sull'Uomo Ratto, che nel frattempo si divertiva a torturarmi con quel piccolo pulsantino che teneva ben stretto tra le dita. Mi sentii urlare e gemere per il dolore che non intendeva cessare, e percepii che il mio corpo, scosso da mille brividi dovuti alle scariche elettriche, era prossimo allo svenimento. Dopo il terzo urlo vidi che il ghigno divertito e malsano di Janson continuava ad allargarsi a dismisura e quando l'uomo alzò in alto il braccio, premendo ancora di più sul pulsante, mi decisi che forse era meglio chiudere gli occhi e lasciarmi andare. E così feci: chiusi le palpebre, cercai per quanto impossibile di rilassarmi e... Un grido eruppe nell'aria, facendomi riaprire di scatto gli occhi. Non ero stata io ad urlare, di questo ne ero sicura.
La scena che vidi davanti a me mi sorprese a tal punto da farmi dimenticare il dolore dovuto alle scariche elettriche: Janson, sempre con il braccio piegato in aria, stava urlando dal dolore; nel centro del suo palmo, al posto del pulsante, c'era impiantato un coltello. Non mi servì guardare i due ragazzi per capire che il coltello proveniva da Stephen, anzi, dalla scarpa di Stephen; e non mi stupii neanche nel constatare che non era stato lo stupore a farmi dimenticare il dolore, perchè questo era svanito con le scariche elettriche non appena il pulsante aveva abbandonato la mano dell'Uomo Ratto.
Sbattendo gli occhi nel tentativo di riprendermi, mi tirai nuovamente in piedi e recuperai il lanciagranate che avevo abbandonato a terra, ma non appena le mie dita di chiusero attorno all'arma, la voce stridula e piena di rabbia di Janson mi fece bloccare sul posto.
"Mettila immediatamente a terra, ragazzina." ordinò furibondo l'uomo. "A meno che non vuoi che i tuoi amici vengano percossi da una scossa tre volte più forte di quella che hai subito tu."
Mi morsi il labbro e con tutta la mia forza di volontà lanciai l'arma a terra, facendola scivolare fino ai piedi di Janson, che la scansò con indifferenza. 
Poi l'uomo si guardò la mano destra con disgusto e con un'unica mossa veloce si estrasse il coltello dal palmo, gettandolo poi a terra con rabbia; con la mano ancora sana invece, cavò dalla sua tasca un woki toki e ordinò che dei rinforzi venissero inviati immediatamente alla stanza 11 del terzo piano. Dopo aver gettato quell'aggeggio nuovamente nella tasca del suo camice, si girò verso Stephen, guardandolo in cagnesco. Prima di raggiungere il ragazzo, si chinò a raccogliere il pulsante ancora ai suoi piedi e lo lanciò più volte in aria, riprendendolo subito dopo nella mano sinistra.
"Stephen, Stephen, Stephen. Quand'è che imparerai, huh?" domandò l'Uomo Ratto, scansando leggermente la guardia che stava controllando il ragazzo. "Pensavo che ci tenessi alle tue sorelle. Se mi ricordo bene, avevi accettato tu stesso di fare tutto quello che volevamo per risparmiarle. Oppure mi sbaglio?"
Sbarrai gli occhi. Janson era proprio un bastardo senza cuore. Ha finto di non ricordarsi delle sorelle di Stephen per settimane e ora se ne esce con questa frase? Pensai disgustata, chiedendomi come facesse Stephen a rimanere così controllato senza scattare e attaccare l'Uomo Ratto. Io lo avrei già ridotto in cenere.
Non appena guardai il ragazzo dai capelli bianchi, capii che anche lui stava pensando esattamente la medesima cosa: il suo viso era contratto in un'espressione che vagava tra lo stupore, la preoccupazione e la rabbia – ovviamente neanche lui si aspettava che Janson tirasse fuori quell'argomento–; i suoi occhi erano colmi dell'odio che provava verso l'Uomo Ratto, ma io potevo percepire che sotto quello strato spesso di rabbia ci fosse anche qualche briciolo di tristezza, segno che era rimasto ferito da quelle parole; la sua mascella era talmente serrata da farmi credere che si sarebbe fatto saltare i denti a forza di stringere; le sue mani erano strette a pugno fino a far diventare le nocche bianche e pallide.
"Avevi detto che le avresti lasciate in pace." sibilò il ragazzo tra i denti.
"Be' allora forse mentivo." rispose acido l'Uomo Ratto.
Vidi Stephen colorarsi lentamente di rosso, segno che forse la sua calma non era poi così infinita. "Tu, brutto topo di fogna..."
L'insulto di Stephen venne interrotto violentemente da Janson che, o per vendetta o per puro divertimento, gli tirò un pugno dritto sul naso, usando però la mano sinistra. Mi portai le mani alla bocca quando vidi del sangue defluire dalle narici del ragazzo, che subito tentò di stoppare l'emorragia premendo forte con le dita. Quando lo vidi piegarsi in due e gemere di dolore mi mossi in avanti, arrabbiata e stanca del comportamento arrogante e infimo di Janson.
"Ah-ah-ah, se fossi in te io non mi avvicinerei più di tanto." disse l'uomo riferendosi a me, ma senza neanche voltarsi nella mia direzione. "Ho ancora questo, ricordi?" chiese mostrandomi il pulsante collegato al mio chip.
Scossi la testa e lo guardai disgustata sebbene consapevole che non potesse guardarmi in faccia. Mi costrinsi a fermarmi e a non avanzare oltre poichè non ero intenzionata a ricevere un'altra di quelle scariche elettriche, ma nulla mi fermó dal parlare. "Sei un bastardo." ringhiai nella sua direzione. Non avevo mai provato tanto odio nei confronti di nessuno prima d'ora e sapevo anche che la voglia di riempirlo di botte fino a farlo svenire o morire non era mai stata così forte. Avevo voglia di corrergli incontro e gettarmi sopra di lui riempendolo di pugni e graffi, potevo sentire il mio sangue ribollire nelle vene per la rabbia, percepivo le mie dita formicolare al desiderio di lanciargli una delle mie scarpe in piena faccia. Ma non feci nulla che potesse compromettere la salute dei ragazzi o la mia. Mi limitai anzi a stringere i pugni e a conficcarmi le unghie nei palmi, fino a sentire il sangue macchiarmi la punta delle dita nella speranza che con esso defluisse anche un po' la rabbia.
"Sapete," continuò l'Uomo Ratto, fingendo di non aver neanche sentito il mio insulto. "mi aspettavo che sareste venuti qui, da Thomas. Insomma, sapevo che eravate stupidi, ma non fino a questo punto." si interruppe per rilasciare una risatina di scherno. "Credevate veramente che vi avrei lasciato raggiungere Thomas? Eravate veramente convinti di poter imbrogliare me?" chiese aumentando il tono della voce, visibilmente irritato. "Sarete anche la cura per questo mondo, ma la vostra stupidità e la vostra testardaggine a volte riescono a farmi venire voglia di uccidervi, uno ad uno."
"Siete stati voi a dare inizio a tutto questo." si intromise Newt, interrompendo il suo discorso. "Se apriste gli occhi e vedeste finalmente tutta la morte che avete disseminato nella speranza di preservare la vita, probabilmente anche voi vi accorgereste che tutto questo è una pazzia."
Janson sollevò un sopracciglio, probabilmente cercando di contenere il suo disprezzo nei confronti del biondino. "Una pazzia? No, questo è l'unico modo per trovare la cura e ci siamo molto vicini. Se solo voi collaboraste come avete fatto fino ad ora, forse..."
"Collaborare?" lo interruppe Newt, visibilmente irritato. "Ci avete buttato prima dentro un Labirinto e poi dentro la Zona Bruciata. Se questo si chiama collaborare allora io sono il re dei caspio di Spaccati."
Janson distorse la bocca e poi la aprì per parlare, ma lo interruppi prima che una delle sue solite cavolate arrivasse a contaminare le nostre orecchie. "Newt ha ragione. Voi ci avete obbligato. Ci avete messo di fronte alla scelta tra morire e combattere per sopravvivere. Come Potete anche solo credere che eravamo d'accordo con tutto questo?"
Janson mi lanciò uno sguardo infuriato, poi una volta ritrovata la calma, riprese a parlare: "D'accordo? Molti di voi prima di perdere la memoria erano d'accordo. Thomas era uno di questi. Mentre tu non hai il diritto di parlare. Tu ce l'avevi una vita al di fuori dell'esperimento eppure hai fatto la tua scelta."
"Una vita? Ma se la sfruttavate come cavia?!" chiese Newt arrabbiato, intervenendo in mia difesa.
"Okay, ora diamoci una calmata." ordinò Janson passando lo sguardo da Newt a me; poi riprese il woki toki dalla tasca, avvicinandoselo alla bocca e premendo un bottone. "Dove diamine sono finiti i rinforzi?!" sbraitò contro il piccolo aggeggio meccanico.
Alla faccia che dovevamo rimanere calmi. Pensai alzando un sopracciglio. Decisi di lasciare perdere: non avrei mai potuto capire Janson e di conseguenza non avrei mai potuto farlo ragionare. Era veramente un'impresa ardua e, come avevo riscontrato, anche impossibile.
Cercando di evitare di pensare a Janson, lanciai un'occhiata verso Newt nella speranza che capisse anche solo attraverso una sguardo che gli ero devota per ciò che aveva detto per difendermi. Sapevo che anche le sue belle e significative parole erano state inutili e non avevano avuto effetto sull'Uomo Ratto, ma per me erano l'ennesima prova che quel ragazzo, nonostante tutto quello che aveva subito e affrontato, continuava ad amarmi incondizionatamente, forse addirittura mettendo il mio bene prima del suo.
Non che questo fosse una cosa positiva, almeno non per lui: sin da quando lo avevo conosciuto avevo capito che era una persona speciale, troppo saggia e con troppo peso sulle spalle da sopportare da solo per la sua poca età. Eppure eccolo ancora lì, di fronte a me, sano e salvo. Spesso quando eravamo nella Radura mi aveva ripetuto che ero stata io a salvarlo, che ero stata la sua ancora di salvezza perchè ero riuscita a riportarlo a galla nella sua marea di problemi e preoccupazioni. E di certo la cosa era reciproca: lui era il mio angelo, la persona che aveva fatto luce sulla mia vita, illuminandola di positività e speranza, nonostante neanche lui ne avesse. 
Il Collante, eh? Pensai accennando un sorriso. Probabilmente chiamarlo in quel modo è l'unica cosa giusta che la W.I.C.K.E.D. abbia mai fatto.
Non sapevo se gli avessero affibbiato quel nominativo riferendosi a me o al gruppo di Radurai, ma ero certa che fosse un appellativo adatto e azzeccato in entrambi i casi: dopotutto era stato lui a tenere in vita e unito il gruppo, proprio come una colla. Se qualcuno perdeva le speranze, lui subito cercava di rianimarle; se qualcuno litigava lui accorreva in aiuto per cercare di sedare ogni sentimento negativo; se qualcuno voleva mollare e arrendersi, lui subito trovava mille motivi buoni per cui valesse la pena rimettersi in gioco.
E lo stesso valeva per me. Era solo merito di Newt se in tutti quei mesi ero riuscita ad andare avanti e ad arrivare nel punto in cui mi trovavo ora. Certo, a volte ero caduta a terra, priva di forze e stanca di combattere, magari anche perchè ero distante da lui e la nostalgia a volte si faceva troppo intensa. Ma alla fine mi era sempre bastato pensare a come si sarebbe comportato Newt, con la sua saggezza e la sua forza d'animo, per riuscire a sentirlo vicino a me. A volte avevo veramente percepito la sua presenza che mi aiutava a raccogliere tutti i pezzetti di me per poi rimetterli tutti insieme accuratamente.
Collante, Ancora... Qualunque nome gli si affibbiasse il concetto era sempre quello: importante e indispensabile. In poche parole, non avrei voluto mai immaginarmi come sarebbe stato vivere senza di lui. Sicuramente tutto sarebbe crollato a pezzi, strato dopo strato, sorriso dopo sorriso, e tutto si sarebbe colorato di un grigio spento, come quello che aveva assunto il soffitto della Radura.
Vivere senza Newt? Anche solo a pensarlo mi sentivo male, come se fosse una bestemmia.
"Sappiamo entrambi che non sono abbastanza forte per continuare a vivere una vita senza di te." Le parole più giuste e più vere le aveva trovate proprio Newt, e tutte si adattavano anche a me. Muore il Collante, muore la Cavia.
Ero talmente tanto immersa nei miei pensieri da non essermi nemmeno accorta che i rinforzi tanto attesi da Janson alla fine erano arrivati e che ora alcuni di loro ci puntavano le armi contro, come a ordinarci tacitamente di non fare nessuna mossa sbagliata.
Prova a ribellarti e io ti faccio esplodere il cervello. Le loro armi sembravano dire proprio questo.
"Bene, ora prendete il Soggetto A7 e seguitemi." ordinò Janson indicando il povero Minho, ancora steso in un angolo del corridoio. "Oh, un consiglio a tutti gli altri, sia guardie che soggetti: un passo falso o un errore e giuro che questa volta vi faccio fuori. Non sono in vena di perdonare."
Roteai gli occhi al soffitto e nel momento in cui sentii la punta del lanciagranate premere sulla mia schiena, capii che era arrivato il mio momento di collaborare ed iniziare a camminare in avanti. Per quanto odiassi quella situazione e l'idea di non essere riuscita a salvare Thomas, sapevo che una mia ulteriore obbiezione non solo avrebbe causato una scarica elettrica mandata da Janson, ma probabilmente avrebbe anche potuto mettere nei casini Newt e Stephen. 
Camminammo per diversi minuti, sempre mantenendo il passo e seguendo l'Uomo Ratto di corridoio in corridoio, poi alla fine l'uomo si fermò davanti ad una porta e si infilò la mano nella tasca alla ricerca di qualcosa.
Lo vidi innervosirsi ogni secondo di più, probabilmente poichè non riusciva a trovare ciò che stava cercando, ma alla fine, preso dalla fretta, tolse la mano e allargò la tasca per guardarci meglio dentro.
In meno di un secondo, la sua espressione mutò dall'innervosito al visibilmente stupito.
"Ma certo. Come ho fatto a non prevederlo prima?" chiese ad alta voce, togliendo la mano dalla tasca e indicandomi. "La mia tessera magnetica l'hanno presa loro. Trovatemela." ordinò alle guardie. Queste ultime si misero le armi sulle spalle e iniziarono la loro ricerca, tastando da ogni singola parte del nostro corpo.
"Ehi, tu." ringhiò Newt, rivolgendosi con un cenno del mento alla mia guardia. "Stai attento a dove metti le mani, chiaro?" 
Dovetti trattenere una risatina. Però alla fine, essere perquisiti non dava proprio gusto. Ogni volta che sentivo le manone della guardia sul mio corpo rabbrividivo, terrorizzata che andassero a perlustrare in zone... per così dire... proibite.
Stanca di quel contatto, mi infilai la mano in tasca determinata a consegnargli io stessa la tessera magnetica, ma nel momento in cui le mie dita si infilarono nel tessuto dei miei pantaloni, la guardia mi puntò l'arma in fronte. "Non ti muovere." mi intimò.
"Ehi, datti una calmata. Io volevo solo darti quella caspio di tessera." bofonchiai. "Mi sembrava fossi in difficoltà, così ho pensato di darti una mano." sputai acida.
La guardia arricciò il naso e mi guardò con disprezzo, poi mormorandomi un 'faccio io' infilò le sue dita nella mia tasca, cavando fuori ciò che cercava.
Con velocità la porse a Janson che, sorridendogli falsamente, gliela strappò di mano, passandola poi sul piccolo dispositivo apposito al lato della porta. Dopo che questa si aprì, l'Uomo Ratto si fece da parte e ordinò alle guardie di portarci tutti dentro.
Con degli spintoni poco graditi i suoi 'soldatini' ci buttarono all'interno della stanza e subito dopo richiusero la porta a chiave.
Non appena la porta si chiuse, Stephen mormorò un insulto, rifilando anche un pugno alla porta, mentre Newt si precipitò preoccupato da me.
"Stai bene? Ti hanno fatto male?" domandò veloce, passando lo sguardo su tutto il mio corpo come per assicurarsi di non trovare ferite.
Annuii lentamente. "Tutto bene, grazie." mormorai lasciandogli un bacio delicato sulla guancia. "E tu?"
"Mai stato meglio." rispose frettoloso. "Sei sicura di stare bene? Tutte quelle scosse..."
"Newt." lo interruppi. "Guardami: sto bene, okay? Quello messo peggio credo sia Minho."
"Ma se è rimasto a dormire tutto il tempo?!" replicò il biondino. 
"Newt! Gli hanno sparato una granata elettrica!" lo sgridai.
"Lo so, ma almeno spero imparerà la lezione. Anche se tutto sembrava tranquillo, non doveva comunque abbassare la guardia." biascicò. "Nulla è mai come sembra."
Feci spallucce e decisi di andare a controllare che il Velocista fosse effettivamente solo svenuto.
Mi avvicinai al suo corpo che era stato abbandonato a terra a poca distanza dalla porta e mi piegai a terra, fino a sedermi accanto a lui.
Mentre gli controllavo il polso, che sembrava essere più che regolare, lanciai uno sguardo preoccupato a Stephen, che ora si era lasciato cadere a sedere davanti alla porta.
Lo osservai mettersi le mani tra i capelli e scuotere la testa, ignorando completamente il fatto che il sangue non aveva smesso di uscire dal suo naso.
"Steph?" lo chiamai, appoggiando il polso di Minho a terra. "Tutto okay?"
"No." rispose lui dopo qualche secondo. "Tutto sta andando a catafascio."
Gattonai a terra e mi misi a sedere di fronte a lui. Portai la mano sulla manica della mia maglia e con gesto netto e deciso la strappai, facendola poi scorrere lungo tutto il braccio, cavandola dalla mia mano. "Almeno premi questo sul naso." dissi passandogli il pezzetto di stoffa. "Il sangue dovrebbe smettere di colare."
Stephen mi guardò per qualche secondo, indeciso sul da farsi, ma alla fine me lo prese di mano, premendolo stancamente sulle narici.
Osservai il pezzo di stoffa bianco tingersi lentamente di rosso e poi decisi di mettermi a sedere appoggiando la schiena contro la parete. Seguii preoccupata con lo sguardo Newt girare per la stanza, forse speranzoso di trovare un'altra uscita. Forse, se non avessi riconosciuto che quella stanza totalmente bianca era tale e quale a quella in cui mi avevano rinchiuso giorni prima, avrei cercato anche io, ma ora sapevo che l'unica cosa che potevamo fare era riposarci e attendere pazientemente che quella dannata porta si riaprisse. Decisi comunque di non dire niente a Newt, perchè ero consapevole che cercando l'introvabile avrebbe potuto distrarsi e non pensare a come avevamo tutti fallito miseramente nel liberare Thomas.
Allungai una mano sulla testa di Minho, alla mia sinistra, e gli accarezzai sovrappensiero i capelli.
Avevamo fallito. Era brutto ripeterselo ogni secondo, ma le cose stavano così. Avevamo fallito e probabilmente avevamo anche sprecato la nostra unica occasione di passare inosservati: sapevamo che la W.I.C.K.E.D. da quel momento in poi ci avrebbe sempre tenuto d'occhio costantemente.
L'unica cosa che rimaneva da fare era aspettare.
Aspettare e pregare che nell'altra stanza, Thomas non soffrisse tanto quanto soffrivamo noi in quel momento.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. ***


Attendemmo nella stanza bianca per quelli che mi sembrarono anni. Probabilmente erano passate solo poche ore, ma quell'attesa era diventata straziante. Nessuno in quella stanza sembrava avere la benchè minima voglia di parlare: Newt – che all'inizio si era impegnato così tanto a cercare una possibile via d'uscita – si era arreso dopo neanche dieci minuti e ora se ne stava steso con la testa appoggiata sul mio grembo, intento a intrecciare le punte dei miei capelli tra di loro; Stephen invece si era appartato in un angolino e – dato che il suo muso lungo non aveva mai lasciato la sua faccia sin da quando la porta si era chiusa – ipotizzai che probabilmente stava pensando alle sue sorelle, e conoscendolo sapevo che si stava torturando dandosi colpe di cui in realtà non era l'artefice; Minho probabilmente era l'unico meno annoiato, in quella stanza, dato che era rimasto svenuto per tutto il tempo.
Sbuffai annoiata e tolsi la mia mano dal petto di Newt per allungarla verso il Velocista e controllargli il polso per quella che mi sembrava la centesima volta. Potevo sentire il suo sangue scorrere nelle vene, pompato dal cuore che percepivo battere costante e vivo.
"Vedrai che tra poco si sveglia." bofonchiò Newt annoiato, afferrandomi la mano e portandosela tra i capelli. Era come se fosse geloso del fatto che il suo amico svenuto stesse ricevendo più attenzioni del dovuto. Sorrisi spontaneamente quando lo vidi muovere il mio palmo sulla sua testa, come ad implorarmi implicitamente di accarezzargli i capelli. Decisi di accontentarlo e iniziai a giocherellare con le sue ciocche bionde, arricciandole e a volte tirandole delicatamente. Lo vidi chiudere gli occhi soddisfatto e al pensiero che se avessi continuato a coccolarlo avrebbe iniziato a fare le fusa come un gattino mi venne quasi da ridere. Tuttavia, per quanto mi sarebbe piaciuto stare in quella posizione per tutta la vita, il mio pensiero restava per il Velocista: sapevo che il ragazzo era molto forte e anche che aveva affrontato cose peggiori rispetto ad una granata elettrica – come ad esempio i fulmini nella Zona Bruciata –, ma per quanto me lo ripetessi, non potevo fare a meno di fissarlo preoccupata. E se fosse entrato in coma? Jeff non mi aveva mai insegnato come trattare una persona in coma, forse perchè neanche lui lo sapeva! Magari il ragazzo aveva bisogno di dormire ancora? Magari avrei dovuto dargli da mangiare delle pappine per il resto della vita? O forse, sapendo che il ragazzo era un patito del cibo – soprattutto se si trattava di quello di Frypan –, sarebbe bastato semplicemente l'odore di esso per farlo rinvenire.
Chissà se Frypan sarebbe stato disposto ad aiutarmi per...
"Ehi, smettila di fissarlo." brontolò Newt mettendo il broncio. "Ti ho detto che si riprenderà presto." 
"E sentiamo, come fai ad esserne certo? Per quanto mi riguarda potrebbe anche essere morto." replicai incrociando le braccia al petto. "E per di più tra noi due sono io la Medicale."
Sentii il biondino sotto di me sbuffare, poi borbottando qualcosa con fare annoiato si alzò a sedere e strisciò a terra fino ad arrivare vicino all'amico. "Dato che non mi farai dei grattini come si deve fino a quando sarai preoccupata per questo pive..." bisbigliò prima di iniziare a smuovere il Velocista bruscamente, come se tentasse di svegliarlo dal sonno.
"Newt, è svenuto, non sta dormendo." annunciai. "Quello che stai facendo è inutile."
"E va bene." replicò il ragazzo mettendosi ben dritto sulle ginocchia e chinandosi verso il viso del Velocista, tenendosi in equilibrio con un solo braccio appoggiato a lato della testa dell'asiatico. "Perdonami amico, ma questo è l'unico modo."
Il biondino portò la mano libera sul mento del ragazzo svenuto e avvicinò lentamente il proprio viso al suo. Non appena capii le sue intenzioni arrossii violentemente in viso. Aprii la bocca e feci per informarlo che una respirazione bocca a bocca non sarebbe servita a nulla, se non a morire di asfissia per colpa dell'alito del Velocista, ma proprio quando la prima parola lasciò le mie labbra, vidi Newt alzare il palmo della mano e schiaffeggiare violentemente Minho sulla guancia.
"Newt! Ma sei paz..." urlai, poi interrompendomi immediatamente non appena vidi uno scatto repentino da parte del Velocista.
Il ragazzo scattò a sedere, guardandosi intorno con fare agitato e confuso, e solo a quel punto Newt gattonò nuovamente nella mia direzione e si accoccolò nuovamente sopra di me. Cercò la mia mano e la appoggiò nuovamente tra i suoi capelli. "Ora posso avere dei grattini come si deve, Miss Sono-Io-La-Medicale?" mi pregò, guardandomi con degli occhioni dolci e sbattendo più volte le palpebre.
Rimasi sconvolta e non sapendo cosa rispondere, semplicemente lo accontentai. 
"Dobbiamo andarcene di qui! Ci sono delle guardie e mi hanno sparato!" gridò Minho in preda al panico, scattando in piedi e guardandoci uno ad uno con il terrore e la confusione stampate sul viso. 
"Ce ne eravamo accorti, Genio." parlò Stephen, per la prima volta da quando eravamo in quella dannatissima stanza.
"Per una volta sono d'accordo con te." concordò Newt, sospirando e chiudendo gli occhi.
"Ma cosa dite? Dovete, anzi dobbiamo scappare. Non possiamo affrontarli tut..." il ragazzo si interruppe, guardandosi attorno confuso. "M-Ma dove sono finite tutte le guardie? E dove siamo?"
"Minho, calmati." cercai di tranquillizzarlo. "Ora è tutto finito, siamo al sicuro. Almeno credo..." ammisi.
"M-Ma dove siamo? Perchè vedo tutto bianco? S-Sono morto?" chiese rivolgendosi a me. "Ho troppe cose da fare ancora! Sono giovane e bello e... Aspetta un secondo. Ma se io sono qua e voi siete qua e io sono morto allora anche voi siete..." il ragazzo si interruppe, spalancando occhi e bocca contemporaneamente per poi portarsi una mano sulla fronte e trascinarla lungo tutto il viso. "Oh caspio, devo aver mangiato troppo polpettone."
"Minho! Smettila di parlare a vanvera e siediti." lo rimproverai con un tono duro indicando il pavimento sotto i suoi piedi.
"Cavoli, anche da morta continui a spaventarmi più dei Dolenti." ammise il ragazzo confuso, lasciandosi cadere a terra. 
"Cosa? E io sarei più spaventosa di un Dolente?" domandai offesa. "Sì, ti sei decisamente mangiato più polpettone del dovuto."
"Ah, smettetela entrambi!" ci rimproverò Stephen, scattando in piedi e raggiungendoci a falcate. "Ascoltami bene, Genio. Nessuno di noi è morto, almeno non per adesso, e tu sei stato colpito da una granata ancora prima che il caspio di combattimento iniziasse e sei svenuto –  a proposito, bell'aiuto che ci hai dato, grazie." spiegò velocemente il ragazzo dai capelli bianchi. "Ci hanno preso tutti e ci hanno buttati dentro questa... prigione bianca. Quindi ora Thomas è ancora rinchiuso e noi pure. Ma se proprio sarò costretto a passare il resto della mia vita in una stanza con te, almeno cerca di rendere questa convivenza più vivibile e smettila di dare di matto."
Minho sbattè le palpebre irritato e domandò confuso: "Caspio santo, e tu da morto sei ancora più odioso."
Stephen gli puntò il dito contro e fece per rispondergli a tono, poi però ritrasse la mano e la portò tra i denti, stringendola a pugno e mordendo con forza. Poi probabilmente trattenendosi dall'inveire contro il Velocista, cercò altre parole da dire: "Anzi, ho cambiato idea: smettila proprio di parlare." disse infine, sputando ogni parola come se fosse veleno puro.
"Senti, Genio. In caso non l'avessi capito io stavo scherzando." rispose Minho a tono. "E comunque non ho capito nulla. Perchè ci hanno messi qui? Ma soprattutto come avete fatto a farvi mettere K.O.? Senza di me siete proprio scarsi."
"Ehi, vacci piano con gli insulti. Io ho cercato di combattere, ma questo pive mi ha abbandonato da solo e si è nascosto chissà dove." si difese Newt, indicando con disprezzo Stephen.
"Be' scusami tanto se ho cercato di proteggere la tua fidanzatina." replicò Stephen scocciato da quel commento. "A proposito, pasticcino. La prossima volta che ti dico di correre, vedi di collaborare."
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai scocciata. "Be' scusami se non avevo intenzione di abbandonare questi due da soli. E comunque ci avrebbero presi anche se aves..."
"Ehi-ehi... Torna un momento indietro." ordinò Newt alzandosi improvvisamente in piedi. "Come diamine hai chiamato la mia 'fidanzatina', scusa?" domandò assottigliando gli occhi.
"Oh, andiamo Newt. Non abbiamo tempo per..."
"Esatto." disse una voce alle nostre spalle. "Non abbiamo tempo per queste chiacchiere da... fidanzatini gelosi."
Ci voltammo tutti contemporaneamente, ognuno di noi sorpreso nel sentire quella voce così familiare e odiosa allo stesso tempo. Nessuno di noi infatti si stupì nel trovare Janson sulla soglia della porta, con il solito raccoglitore di fogli in mano, che ci studiava attraverso le sue occhiate gelide e prive di ogni interesse. "Ora che il Soggetto A7 si è svegliato, posso annunciarvi i cambiamenti che abbiamo deciso per voi."
"Cambiamenti?" domandò Minho. "Io non starò a sentire neanche una del..."
"Come vi ho già detto," lo interruppe l'Uomo Ratto, aumentando il volume della voce e parlando sopra l'asiatico. "in seguito al vostro comportamento inadeguato e meschino, abbiamo deciso di applicare delle nuove regole." L'uomo prese fiato e poi passò lo sguardo sul primo foglio della sua raccolta. "Innanzitutto verrete rispediti ognuno nei vostri dormitori, ma questa volta non vi lasceremo vagare così liberi. Ogni stanza e ogni corridoio saranno muniti di telecamere e questa volta vi assicuro che tagliare la corrente non vi sarà d'aiuto." specificò poi, rivolgendo a Stephen un'occhiataccia di disprezzo. "Le uniche stanze che abbiamo deciso di non riempire di telecamere sono i dormitori e l'infermeria. Sappiamo che la privacy è una cosa importante e noi non siamo dei mostri." specificò.
Dovetti trattenermi dal rifilargli un'occhiata di disprezzo per l'ultima frase pronunciata, ma in ogni caso non ce ne fu neanche il tempo, perchè l'uomo aveva già ripreso a parlare. "Ogni porta verrà sorvegliata da almeno due guardie – compresi i dormitori – e non si entrerà senza permesso. E' vietatissimo ospitare qualcuno nel proprio dormitorio perciò l'unico luogo di ritrovo sarà la mensa. Oh, e ovviamente le nuove regole dovranno essere rispettate da tutti i soggetti, non solo da voi."
"Il cibo è comunque gratis, vero?" chiese Minho ironico, fingendosi preoccupato. 
"Soggetto A7, questo non è un gioco e affinchè voi lo comprendiate, abbiamo deciso di punire ognuno di voi ogni volta che una regola verrà trasgredita." concluse infine Janson, alzando gli occhi dal foglio.
"Frena, Uomo Ratto." continuò Minho. "Questo significa che se questo qui trasgredisce una regola vengo punito anche io?" chiese indicando con un dito Stephen, ma senza neanche rivolgergli uno sguardo.
"Esattamente." rispose Janson con un sorriso, fingendo di non aver sentito il nome con cui Minho lo aveva chiamato.
"Ma questo è ingiusto! Voi non potete!" contestò l'asiatico.
"Be' fino a prova contraria voi avete fatto un affronto alla nostra intelligenza e ai nostri metodi di sicurezza, quindi anche se è ingiusto ve lo meritate." disse acido l'uomo. "Altre domande?" chiese guardandosi velocemente intorno, poi dopo neanche pochi secondi agitò due dita verso di noi e ordinò: "Bene, riportateli ai loro dormitori."

 

Erano ormai passati diversi giorni da quando Janson ci aveva inflitto le nuove regole e molto era cambiato da allora. Tra i corridoi girava una certa aria malinconica e di noia, mentre ogni volta che mi ritrovavo a parlare con gli altri tre ragazzi in mensa, ogni persona ci guardava male, persino il resto dei Radurai. Tutti ovviamente erano stati informati del nuovo piano 'distruggi felicità' e ovviamente nessuno era felice che quella dittatura fosse stata imposta a causa nostra.
Fortunatamente ero riuscita a far ragionare le ragazze del mio dormitorio e ora molte di loro mi avevano assicurato che se fossero state al posto mio, avrebbero agito allo stesso modo. Tuttavia rimanevano comunque due o tre ragazze con cui la convivenza rimaneva difficile, ma alla fine non ci facevo caso. Di certo se mi fossi ritrovata tutto il dormitorio contro ne sarei accorta: sarebbe stato impossibile dormire o anche solo entrare in quella stanza. Se avevo imparato una cosa stando con altre ragazze quella cosa era sicuramente che sono peggiori dei ragazzi: sarebbero capaci di renderti la vita un inferno anche solo perchè hai rotto loro un'unghia e di certo anche se fosse una cosa stupida non te la perdonerebbero mai facilmente, ricordandoti ogni giorno dell'errore che hai commesso e facendoti sentire un esserino infimo.
Ma se non altro, a me non importava di avere ancora delle amicizie all'interno della mia stanza, poichè l'unica cosa che veramente mi mancava e mi serviva più di tutte era Newt. Certo, potevo vederlo tutti i giorni per almeno due volte al giorno – solo durante i pasti ci era permesso stare assieme, perchè non appena finivamo il cibo ci rispedivano ognuno ai rispettivi dormitori – ma quello ancora non mi bastava. Restare l'uno accoccolato all'altra, parlare del più e del meno, o addirittura dormire insieme: questo era quello che mi mancava e di certo pochi minuti spesi a mangiare e a parlare non erano mai abbastanza per me. Anzi per noi. Mi ero confidata con Newt al riguardo e mi aveva assicurato che fosse lo stesso anche per lui.
Non avevamo neanche provato a infiltrarci l'uno nel dormitorio dell'altra perchè sapevamo che ogni nostra trasgressione avrebbe punito anche gli altri.
Perciò le mie giornate passavano lente, fatte solo di dormite qua e là, qualche scambio di parola con ragazzi e ragazze, cibo e soprattutto noia. Spesso me ne stavo distesa sul letto giocherellando con i miei capelli o divertendomi a cercare di tenere in equilibrio il cuscino sui piedi, come fosse una palla da circo. 
Al momento invece me ne rimanevo spaparanzata sul mio letto a pancia all'insù, fissando senza ritegno il materasso sopra la mia testa e cercando di contare quanti buchi avesse.
"Andiamo. Alzati." ordinò una voce vicino a me. Mi voltai di scatto fissando dubbiosa il volto di Violet che al momento non sembrava stare scherzando. 
"Andare? Dove dobbiamo andare?" chiesi inarcando un sopracciglio e guardandomi attorno. "Abbiamo già cenato e non ci lasceranno uscire dai dormitori."
"Prima di tutto, quando ho detto 'andiamo, alzati' non intendevo letteralmente 'andiamo' perchè si da il caso che l'unica persona che debba muovere il suo culo qui sia tu. Secondo, non i sembra di avere mai proposto di uscire dal dormitorio usando la porta." replicò lei, indicando con lo sguardo il condotto di ventilazione posto in un angolo nero della stanza.
"Cosa? Ma di che stai parlando, Violet?" domandai ad alta voce, confusa, alzandomi in piedi e osservando poi con uno sguardo scocciato tutte le ragazze che si erano fermate a fissarci. Abbassai il tono e mi guardai intorno alla ricerca di un luogo in cui potessimo finalmente parlare da sole. Alla fine, non trovando nessun angolo silenzioso e isolato, decisi di trascinarla nel bagno, chiudendo la porta a chiave dietro di me.
"Mi spieghi cosa ti passa per la testa?" domandai asciutta. "Io cerco in tutti i modi di non cacciarmi nei guai e infrangere altre regole, e tu cosa fai? Mi proponi proprio di cacciarmi nei guai e infrangere altre regole?! Ma ti sei bevuta il cervello?"
"Elena, calmati." rise lei appoggiando una sua mano sulla mia spalla e guardandomi alzando le sopracciglia. "Non capisci? Ti sto offrendo l'occasione di andare a trovare Newt, di stare un po' con lui. Non ti interessa questo?"
Spalancai gli occhi e arrossi violentemente. "Ecco, io..."
"Oh, andiamo!" esclamò lei, poi subito dopo continuò a parlare abbassando il tono di voce. "Sono giorni che non fai altro che startene sul letto a far vedere al mondo quanto sei depressa. Sono stanca di vederti così, perciò o ci vai tu dal tuo fidanzato, oppure giuro che me lo faccio io un giretto con lui." ammise la ragazza alzando una mano e annuendo come a confermare la sua scelta. "Non è poi così male, sai? Biondo, occhi magnetici, spalle larghe, alto. Scommetto anche che il suo..."
"Violet!" la rimproverai arrossendo e schiaffeggiandole la mano poco delicatamente. "E va bene! Ci vado! Ma se passo per il condotto di ventilazione, come faccio a sapere dove sto andando?"
"Ah, questo è facile. Devi andare sempre dritto e poi giri a destra per due volte." rispose lei velocemente.
Annuii ringraziandola, ma subito dopo trassi delle conclusioni in seguito alle sue parole e assottigliai gli occhi a due fessure, puntandole l'indice contro e sorridendo maleficamente. "E tu come fai a saperlo per certo, Violet?"
La ragazza spalancò gli occhi, visibilmente colta di sorpresa e poi abbassò la testa, cercando di nascondere il rossore sulle sue guance. "Ecco... Ehm... Forse io ho..."
"Tu hai..?" incalzai.
"Forse..." disse lei vaga. "Forse ho iniziato a vedermi con un ragazzo..." concluse alzando gli occhi al soffitto e facendo spallucce innocentemente.
Spalancai la bocca e subito dopo mi morsi il labbro inferiore. "Oh, guarda te... E quando intendevi dirmelo, monella?"
"Cosa? Non chiamarmi così! E' stato solo per poche notti! E comunque stavamo parlando di te, non cambiare discorso! Questa notte ti aiuterò ad infilarti in quel buco che – detta tra di noi – è veramente stretto e a volte anche sudicio. Ma non credo che il tuo Romeo si scandalizzi per un poco di polvere sui vestiti, no?"

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Capitolo 20
*** Capitolo 20. ***


Ero seduta sul bordo del gabinetto da almeno cinque minuti, attendendo pazientemente che Violet tornasse con una delle sue magliette. La ragazza aveva insistito più volte che non potevo presentarmi a Newt nelle condizioni in cui ero: la mia maglietta era senza una manica – dato che me l'ero precedentemente strappata per donarla a Stephen in modo che fermasse il sangue dal suo naso – e da quando l'avevo rotta, non avevo voluto cambiarla dato che erano passati solo pochi giorni e questa ancora non era stata sporcata.
Quando finalmente la porta si spalancò e intravidi la ragazza, saltai in piedi e mi affrettai per raggiungerla ed esaminare la maglietta che si era gentilmente offerta di prestarmi. Quando lei me la consegnò nelle mani con un sorriso soddisfatto, decisi di non perdere altro tempo e di dispiegarla. La prima cosa che notai fu che quella non era assolutamente una maglietta, ma bensì una canottiera abbastanza attillata e sottile, di un soffice colore bianco. Arricciai il naso ma decisi comunque di non saltare a conclusioni troppo affrettate e di provarmela.
"Okay, la provo." annunciai girandomi di spalle e sfilando per prima cosa l'indumento che avevo ancora indosso. Lasciai cadere la mia vecchia maglietta a terra e poi imbucai la testa dentro la nuova canottiera che profumava di pulito. Quando poi fui sicura che l'indumento avesse coperto tutto ciò che d'era da coprire, mi girai, mostrandomi a lei e alzando un sopracciglio in attesa di un commento.
"Decisamente meglio." constatò lei, scostandosi di lato e permettendomi di vedere il mio riflesso attraverso lo specchio. 
Ma non appena vidi la mia immagine riflessa, arrossi all'istante e spalancai gli occhi. "Violet! Ma..."
"Ma cosa?" chiese lei innocentemente. "Certo, fa vedere un po' più di seno e accentua le tue forme, ma non è mica così scandaloso come credi! Sei bella. Punto."
"No, c'è una grossa differenza tra bella e volgare. E io non sono bella, sono... normale. E poi non mi sento a mio agio: si vede troppo." brontolai incrociando le braccia al petto e distogliendo lo sguardo dal mio riflesso che più guardavo più mi imbarazzava.
"Ti prego!" mi supplicò lei. "Elena, fallo per me! Provala solo per questa sera, poi giuro che non ti romperò più."
Le rivolsi uno sguardo distorto e lei abbassò il labbro inferiore, mettendo il broncio e sbattendo le ciglia velocemente. "Mai più?" chiesi alzando un sopracciglio e valutando la sua offerta.
"Mai."
Sbuffai, scuotendo la testa e continuando a ripetermi che era una pessima idea, ma alla fine le diedi ascolto e in cambio ricevetti un caloroso abbraccio stritola-costole. Fortunatamente dei colpi sordi alla porta del bagno ci fecero sussultare entrambe, dandomi l'occasione di distaccarmi da quello che si stava trasformando in un gesto troppo affettuoso per i miei gusti.
"E' occupato!" urlò Violet acida, alzando gli occhi al cielo e rompendomi un timpano. "Bene, ora sei pronta per andare." annunciò lei, tornando improvvisamente dolce e sorridendomi eccitata.
"Come? Ora?" chiesi sbalordita. "Ma non aspettiamo che ci tolgano le luci? Dopo il coprifuoco non possono entrare le guardie."
"Senti, non sono mai entrate e poi se ci provano possiamo dire di essere nude." mi tranquillizzò lei. "E comunque no, ti conviene partire adesso. Se vai quando non c'è luce rischi di perderti: lì dentro è tutto troppo scuro."
Annuii alzando le spalle e cercando di fidarmi delle sue parole. Ero chiaramente contrariata dal fatto che dovessi partire proprio prima del coprifuoco, perchè l'idea di essere scoperta non solo avrebbe fatto punire i miei amici, ma avrebbe anche cancellato definitivamente ogni mio altro tentativo di incontrare Newt di notte.
Decisi comunque di provare e la seguii fuori dal bagno, dove lei mi condusse verso il condotto di areazione. Mi aiutò a levare la grata fatta di sbarre e poi mi fece l'occhiolino, augurandomi indirettamente buona fortuna. Mi misi a gattoni e feci diversi passi dentro il condotto, quando però mi venne in mente una domanda che precedentemente la ragazza aveva sviato, così mi voltai prima che fosse troppo tardi e mi rivolsi a Violet, che ancora era lì inginocchiata a terra a guardarmi. "Violet? Chi è il ragazzo con cui ti vedi?"
Lei sorrise spontaneamente e arrossì. "Non so se dirtelo..." sussurrò storcendo la bocca. "Però lo conosci." ammise lei arrossendo ancora di più e cercando di nascondere il viso.
Spalancai gli occhi e dovetti trattenere un sorriso quando in mente mi spuntò in mente il nome di Minho. "E' per caso Minho?" domandai alzando un sopracciglio.
"Cosa?" quasi gridò lei. "M-Ma come hai fatto..."
"Be' hai detto che lo conosco: Stephen è in un'altra stanza, Newt non credo ti azzarderesti mai e quindi rimane Minho." risposi tranquillamente.
"Sei stata mesi con tutti loro e conosci solo questi tre? Cavolo, se lo sapevo non te lo davo l'indizio." borbottò lei turbata.
"Sono quelli che conosco meglio!" mi giustificai scuotendo la testa. 
"Uff... Be' faresti meglio a muoverti." cambiò discorso, liquidando quell'argomento con uno sventolio della mano. "Dritto e poi due volte a destra."
"Sì, sì." mormorai lasciando perdere e continuando a gattonare dritto verso il condotto. "E chi l'avrebbe mai detto?" domandai tra me e me. "Minho che è capace di provare dei sentimenti per una persona che non sia lui stesso o i suoi capelli."
"Cosa?" gridò Violet dietro di me.
"Nulla!" mi affrettai a dire, aumentando la velocità e svoltando per la prima volta a destra.
Sbuffai nel momento stesso in cui il mio ginocchio andò a colpire l'angolo di metallo, facendomi stringere i denti e dandomi un buon motivo per insultare la mia goffaggine. Continuai a muovermi all'avanti, stando sempre attenta a non alzare troppo la testa per evitare di sbatterla sul soffitto e tenendo occhi ben aperti per individuare quella che sarebbe stata la mia prossima ed ultima svolta. Solo dopo pochi secondi l'ansia iniziò a prendersi possesso della mia mente e del mio cuore, facendomi subito provare angoscia e senso di smarrimento: il condotto sembrava essere sempre e solo dritto, e sopo il primo angolo che avevo superato, quelle pareti non sembravano volermi far girare a destra un'altra volta. E così continuavo a gattonare silenziosamente lungo quel condotto, guardandomi di tanto in tanto sia a destra che a sinistra nella speranza di scovare un nuovo passaggio. Eppure era impossibile che mi fossi persa anche lì! Insomma, di certo io ed il mio senso dell'orientamento non andavamo d'accordo, ma non ero neanche così stupida da perdermi in una strada che andava sempre e solo dritto.
Cercai più volte di tenere sotto controllo il panico, ma più ci provavo e più il respiro mi veniva a mancare: mi sembrava che in quel condotto l'aria non esistesse e che quella poca rimasta fosse inquinata da polvere e sporco; le pareti, più andavo avanti, sembravano restringersi sempre di più, dandomi l'impressione di essere un topo in trappola; la mia testa, a forza di guardare da tutte le parti, aveva iniziato a girarmi e spesso la fermavo sbattendo per sbaglio sul soffitto; ogni volta che producevo un piccolo rumore, questo si diffondeva in tutto il condotto, ritornando addirittura alle mie orecchie come se fosse un tuono o il lamento di un Dolente; ed infine il buio, che come anticipato da Violet, continuava a diffondersi a perdita d'occhio e questo non faceva altro che aumentare il mio senso di smarrimento. Fu proprio per tutte queste emozioni messe insieme che, quando i miei occhi scorsero una svolta nel lungo condotto, mi sembrò di non aver mai provato così tanto sollievo in vita mia. Senza attendere oltre e con la paura di perdere di vista quella curva, mi precipitai verso di essa e per la fretta mi pestai più volte i capelli sotto le ginocchia. Quella svolta non solo si era rivelata più illuminata della precedente, ma anche più chiassosa! Infatti proprio alla fine di quel corridoio – il quale terminava con una grata di ferro simile a quella che io e Violet avevamo staccato dal muro – notai l'immagine spezzata di tante gambe veloci che giravano per la stanza. Tirai un sospiro di sollievo non appena scorsi tra le mille altre voci quella di Minho. Il ragazzo, almeno per quanto riuscivo a capire, sembrava star raccontando a tutti di come aveva eroicamente salvato Newt e me dal perfido Janson –  non che mi ricordassi che una vicenda del genere fosse mai accaduta. Trattenni una risata e alzai gli occhi al cielo: quel ragazzo non sarebbe mai cambiato e neanche il suo egocentrismo.
Finalmente raggiunsi la grata di ferro che dava sulla stanza dei ragazzi e, afferrandola saldamente, la spinsi violentemente verso l'esterno. Questa purtroppo, volò via più facilmente di come avevo previsto e perciò mi ritrovai ben presto stesa sulla moquette color arancione del dormitorio.
Tutti le voci si fermarono all'istante e tutti gli occhi dei presenti si puntarono su di me. 
Sorrisi imbarazzata e grattandomi la testa mi tirai in piedi, permutandomi di non alzare lo sguardo per qualche secondo, al fine di evitare di arrossire più del dovuto per la mia pessima entrata in scena, con la scusa di essere impegnata a scrollare via di dosso tutta la polvere accumulata nei vestiti per gattonare.
"Eli?" sentii Newt chiamarmi sorpreso e solo a quel punto alzai gli occhi e li passai su tutti i volti che mi fissavano allibiti nella stanza, fino ad incontrare gli occhi nocciola di Newt. "Ma che caspio ci fai qui?"
"Ciao anche a te, Newt." mormorai imbarazzata, chinandomi a terra per rimettere al suo posto la grata di ferro. Con la coda dell'occhio vidi la sagoma del ragazzo biondo correre verso di me e chinarsi.
"Dico sul serio, non dovresti essere qui." mormorò lui preoccupato.
Aggrottai le sopracciglia e dopo aver riposto il pezzo di ferro a posto, lo guardai di sbieco. "Ma io pensavo che ti avrebbe fatto piacere vedermi." brontolai mordendomi il labbro imbarazzata.
"Sì, certo che mi fa piacere, però..." si interruppe e si guardò intorno, osservando con preoccupazione ogni Raduraio. Poi si rivolse nuovamente a me. "Se passano a controllare e ci beccano, sai cosa succede, no?"
Non ebbi neanche il tempo di rispondere che Minho scattò in piedi e ci raggiunse preoccupato. "Bambolina!" mi disse esterrefatto. "Tu non dovresti essere..."
"Ehi-Ehi, anche tu ora? Ho capito di non essere la benvenuta, ma non c'è bisogno di esser così cattivi." ammisi incrociando le braccia e schioccando un'occhiataccia a chiunque si azzardasse a guardarmi storto.
"Ma no! Mi fa piacere vederti..." si corresse Minho, tanto imbarazzato quanto Newt. "Solo che... Ecco non mi aspettavo una tua visita."
"Trovati un'altra scusa." replicai alzando un sopracciglio. "Sentite, me ne posso andare. Non c'è nessun problema."
"No!" gridò Newt, poi spalancando gli occhi e riprendendosi. "Ti prego, resta. Io non intendevo..."
Prima ancora che il biondino potesse finire la sua frase, qualcuno bussò alla porta in modo brusco e tutti sussultarono impauriti, guardandomi poi con ansia e preoccupazione. Newt velocemente mi afferrò per un braccio e mi trascinò sotto uno dei letti, facendomi cenno di stare in silenzio. "Ragazzi, perchè avete improvvisamente smesso di parlare?" chiese la guardia fuori dalla porta. "Ora entro e vedete di non farmi trovare brutte sorprese."
Trattenni il respiro e mi portai una mano davanti a bocca e naso per evitare di fare rumore, poi mi appiccicai contro la parete di fondo, trasformando il mio corpo in una sottile figura nera. Controllai più volte che nessuna parte del mio corpo uscisse da sotto il letto e per la prima volta in vita mia ringraziai la mia statura minuta. 
Sentii la porta cigolare e aprirsi, poi dei passi farsi strada verso il centro della stanza.
"Ehi, amico!" brontolò Minho scocciato. "Stavo raccontando una bella storia e tu l'hai rovinata sul momento più bello."
Sentii la guardia schernirlo con una risatina. "Be' non credo che ai tuoi amici dispiaccia dato le facce pallide che hanno."
"Dici?" domandò Minho alquanto curioso. "Forse a nessuno interessa del mio sogno riguardo ai Dolenti e alle loro viscide interiora. O magari ho solo aggiunto troppi dettagli."
"Disgustoso." constatò la guardia. "In ogni caso, rimangono tre minuti prima del coprifuoco, vedete di essere zitti e a letto per quell'ora. Non mi va di avere noie con Janson."
Sentii i passi della guardia uscire lentamente dalla stanza e non appena la porta si richiuse emettendo un suono sordo, rilasciai un sospiro, accorgendomi solo in quell'istante di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Ci furono pochi secondi di attesa e subito dopo vidi spuntare la testa bionda di Newt che gentilmente mi porse una mano e mi aiutò ad uscire da quel buco.
"Non una parola." ordinò il ragazzo, rivolgendosi a tutti i ragazzi e rifilando loro uno sguardo che non ammetteva repliche. "Continuate a fare quello che stavate facendo." sussurrò poi, tirandomi verso quello che probabilmente era il suo letto e lasciandosi cadere sul materasso ricoperto da lenzuola verdi. Battè la mano sulle coperte vicino a lui, dandomi così il permesso di sedermi.
"Ascolta, dimentica tutto quello che ho detto." si limitò a dire, sorridendomi ora più sollevato. "Sono felice di averti qui. Puoi restare tutta la notte?" chiese poi speranzoso.
Sorrisi felice di quella domanda e annuii abbassando lo sguardo e arrossendo.
"Be' allora mi dispiace annunciarti che non credo dormirai molto, bambolina." si intromise Minho, saltando agilmente sul letto posto sopra le nostre teste, senza neanche toccare con un piede la scaletta posta a lato del letto. "Non sono l'unico che russa qui e di notte facciamo tutti un bel coro." aggiunse poi facendo sbucare la testa oltre il bordo del materasso. "E qualche volta si aggiunge anche un bel rullo di tamburi, non so se sai cosa intendo." concluse poi facendomi l'occhiolino e sventolandosi la mano sotto il naso, come se ci fosse un cattivo odore nell'aria.
Feci una faccia disgustata, ma d'altronde avevo dormito per mesi con il doppio di quei ragazzi e ormai i loro 'rumori notturni' per me erano diventati come il gracchiare delle cicale. 
"Già, forse è meglio se vi trattenete questa sera." consigliò Newt, imbucandosi delicatamente sotto le coperte. Feci altrettanto e mi strinsi a lui, cercando di non cadere fuori dal letto.
"Aspetta." mormorò il ragazzo, scuotendo la testa e sollevandosi a sedere. "Forse è meglio che dormi tra me e la parete. Conoscendoti sono sicuro che domani mattina ti ritrovo a sonnecchiare per terra."
Muovendosi in modo impacciato, ma anche attento, il biondino mi passò sopra, facendo forza con le braccia sul materasso per evitare di cadermi addosso, poi quando io strisciai di più contro il muro, facendogli spazio, lui si lasciò cadere al mio fianco, circondandomi con un suo braccio e attirandomi a sè.
Nel momento in cui le luci si spensero, chiusi gli occhi e inspirai profondamente, sorridendo felice di sentirmi finalmente a casa. Rimasi qualche secondo ad ascoltare tutti i respiri pesanti che a poco a poco si vennero a creare nella stanza e quasi come se quella fosse una ninnananna sentii la stanchezza impossessarsi del mio corpo. Era come se fossi tornata alla Radura, nello sbilenco ma accogliente Casolare. 
Coccolata dalle braccia di Newt e dal suo caldo fiato sul mio collo, mi abbandonai nel mondo dei sogni, che per la prima volta dopo tanto non fu invaso da incubi.

*Angolo scrittrice*
Ehi pive!
Come va?
Allora, ho due buone notizie per voi:
1. Lo so che forse vi aspettavate un po' più di descrizione del momento di intimità tra Newt ed Elena, ma se ho accorciato così quella parte c'è un motivo e credetemi se vi dico che vi piacerà. Ho deciso in questo modo perchè ho pensato che sarebbe stato carino creare un capitolo nuovo tutto interamente (o almeno gran parte) dedicato alla coppia Newtlena. Perciò la prima buona notizia è che quando pubblicherò il prossimo capitolo, dovete essere pronte a vomitare arcobaleni, sclerare come fangirl impazzite e forse anche a morire di colesterolo.
2. La seconda, ma non meno importante notizia è che la scuola sta per cominciare. Non prendetemi per pazza quando vi dico che è una buona notizia. Lo so che la maggior parte di voi (compresa me) avrebbe preferito essere ancora al 15 di giugno, però ora vi spiego il lato positivo: lo so che quest'estate sono stata proprio una frana con gli aggiornamenti (ancora scusatemi) e questo perchè sono quasi sempre stata in giro con i miei amici, però dato che con l'inizio della scuola la mia vita sociale va a farsi fot... Ehm... va a farsi benedire, avrò più tempo per scrivere e quindi gli aggiornamenti torneranno regolari al massimo. Ovviamente vi anticipo che ci saranno delle volte in cui non avrò il capitolo pronto per un motivo o per un altro, ma siate pazienti e non mi linciate, perchè vi assicuro che capiterà poche volte. 
Detto questo mi dileguo!
Baci,
Inevitabilmente_Dea ♥

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. ***


La mattina seguente arrivò troppo presto per i miei gusti e mi sembrò di aver dormito per poche ore, invece dando una sbirciatina sull'orologio di Newt mi accorsi che mancava solo una mezz'oretta alle dieci. Solitamente la sveglia delle ragazze era impostata per suonare alle nove in punto, ma a quanto pare i ragazzi non avevano la benchè minima intenzione di alzarsi. D'altronde non potevo non capirli: non ci era permesso fare nulla fino all'ora di pranzo – che veniva sempre servita alle dodici in punto – ad eccezione che qualcuno avesse il permesso di accedere ad altre stanze. Tuttavia alle ragazze del mio dormitorio non piaceva dormire fino a tardi e poi girarsi i pollici fino all'ora di pranzo, perciò si erano organizzate e ogni mattina alcune di loro andavano a chiedere un tot di permessi per accedere a varie stanze – principalmente sala relax e palestra – in modo da ammazzare la noia in qualche modo. Ammiravo la loro energia, ma quello stile di vita non faceva per me. Nella Radura mi ero abituata a dormire poco e a svegliarmi presto per poter lavorare, ma ora che essa non esisteva più, non mi rimaneva altro che godermi quella specie di vacanza. Le ragazze avevano provato più volte a convincermi ad andare con loro, però senza mai riuscirci perchè l'idea di socializzare quando in realtà avevo ben altro a cui pensare non mi era mai piaciuta più di tanto. 
Sorrisi nel pensare che sicuramente Violet stava impazzendo da sola nella stanza, immaginandosi dove potessi essere e soprattutto cosa stessi facendo. La ragazza mi aveva espressamente chiesto di tornare presto, quindi prima della sveglia, ma non era colpa mia se avevo dormito più del dovuto! Forse dato che in quel momento ero più che sveglia, sarei dovuta andarmene, ma in fin dei conti oramai ero comunque in ritardo e altri dieci minuti non avrebbero di certo nociuto a nessuno: sapevo che la ragazza avrebbe trovato il modo di coprire la mia assenza fino al mio ritorno.
E così richiusi gli occhi e mi accoccolai di nuovo al petto di Newt, godendomi fino alla fine quel piccolo momento di intimità che non avevamo da molto: l'ultima volta che avevamo dormito abbracciati era stato forse nella Zona Bruciata se non addirittura nella Radura. E solo nell'istante in cui mi strinsi di più a lui capii cosa mi ero persa per tutto quel tempo: il suo tepore lieve e gradevole, che per tutta la notte non aveva fatto altro che infilarsi nelle mie ossa tenendomi al caldo, mi causava dei tenui brividi lungo la schiena; il suo respiro lento e profondo, tipico di una persona dormiente, scorreva dal suo naso alla sua cassa toracica, sollevando a ritmi regolari la mia testa; ed infine le sue braccia, calde e pesanti sul mio corpo – una delle cose che mi erano mancate maggiormente in lui – che continuavano a fare pressione sulla mia pelle, nonostante stesse dormendo, come per rassicurarsi che io fossi ancora lì accanto a lui.
Aprii gli occhi e delicatamente alzai la testa per osservare meglio il suo viso. Non seppi perchè in quel momento la mia nostalgia nei suoi confronti aumentò così tanto, ma la paura di perderlo di nuovo, anche solo per un'ora, era riuscita a scavare così tanto a fondo da farmi sentire in ansia, quasi come se Newt sotto di me stesse per sparire nel nulla. Ma nel momento stesso in cui il mio sguardo si posò sui suoi occhi ancora chiusi, capii che nulla di brutto sarebbe accaduto fino a quando eravamo insieme e di conseguenza tutte quelle sensazioni negative erano inutili. Decisi di svuotare la mia mente, di non pensare a niente e di imprimermi nella memoria i lineamenti del suo volto. Feci scorrere i miei occhi su di lui, come una macchina a raggi X, e mi soffermai su ogni minimo dettaglio: prima di tutto i suoi capelli arruffati, ma soffici, di quel color biondo cenere che lo facevano assomigliare ad un angelo caduto per sbaglio tra gli umani; poi le sue sopracciglia – sempre folte e più scure, quasi tendenti ad un castano sbiadito – che quasi sempre erano aggrottate per via del suo eccessivo pensare, invece ora erano ben distese e rilassate, il che gli conferiva un'aria ancora più angelica e delicata; poi le sue ciglia, lunghe e chiare, che gli contornavano gli occhi chiusi come una cornice – quasi automaticamente, nei miei pensieri si formò il disegno delle sue pupille e non ci fu bisogno di fargli aprire le palpebre per ricreare alla perfezione ogni colore e forma dei suoi occhi; poi le sue labbra screpolate, ma sempre morbide e delicate, che giacevano immobili e unite come due petali di rosa appassiti, ma ancora vividi di colore.
Quasi sovrappensiero avvicinai il mio indice sulla sua guancia e disegnai attentamente la linea del suo zigomo. Feci scorrere il polpastrello fino ad arrivare al mento e qui iniziai a scendere, percorrendo con attenzione anche il suo irresistibile Pomo d'Adamo – una delle tante altre cose che amavo di lui – e poi mi fermai su una scapola, depositando sulla sua pelle un piccolo e umido bacio.
Come se quel contatto inaspettato lo avesse disturbato dai suoi sogni, Newt aprì lentamente gli occhi, inspirando profondamente e sbadigliando di conseguenza. Lo ascoltai produrre diversi gemiti mentre si stiracchiava e poi i suoi occhi si posarono stanchi su di me.
"Ciao..." mi disse con la voce impastata di sonno. 
"Ciao a te." sussurrai lasciandogli un bacio su collo che lui immediatamente piegò di lato, sorridendo sinceramente.
"Mi fai solletico." mormorò muovendosi sul materasso e stendendosi di lato, appoggiando la sua fronte sulla mia. 
"Sei bello quando dormi." ammisi, infilando le mie dita tra i suoi capelli e cercando invano di sistemarli.
"Quando sono sveglio non lo sono?" mi domandò chiudendo gli occhi e sorridendo divertito. "Be' allora forse dovrei semplicemente dormire tutto il tempo." continuò in attesa di una mia contraddizione.
Decisi di non smentirlo e continuare a scherzare: "No, mi accontento di un ragazzo più bruttino durante il giorno." 
Lui accennó una risata e poi allungando il collo verso di me depositò un bacio sulle mie labbra, per poi tornare alla posizione iniziale. Lo vidi abbassare le palpebre, segno che stava guardando in basso, poi lo sentii muovere la mano da sotto le coperte e scostarle lentamente fino a farle arrivare all'altezza del mio bacino. 
"Carina questa maglia." mormorò concentrando tutta la sua attenzione sulla scollatura.
Risi imbarazzata e con un movimento veloce riportai le lenzuola fino al mento. "Già, è di Violet."
"Non so chi sia questa Violet, ma caspio, dille che voglio che ti vesta così tutti i giorni." continuò lui facendo scorrere la sua mano sulla mia pancia.
"Ehi, cosa c'è che non va con le mie magliette normali?" sussurrai aggrottando le sopracciglia.
"Be' sono appunto delle magliette normali." rispose lui. "Questa invece..." insistette afferrando il lembo del lenzuolo e facendolo nuovamente calare. "...è speciale."
Sorrisi imbarazzata e lasciai perdere le sue provocazioni.
"E poi cosa l'hai indossata a fare se non per degnarmi di questo spettacolo?" mi chiese alzando finalmente gli occhi dal mio corpo e incatenandoli ai miei.
"Degnarti? E chi ha mai detto che è per te? Io intendevo far ingelosire Frypan." scherzai alzando gli occhi al cielo come se fosse ovvio. Mi gustai per qualche secondo la sua faccia sconcertata e offesa poi quando lui replicò: "Ragazza, così mi ferisci." decisi di ammettere la verità e stuzzicarlo un po' rispondendogli: "Mi pare ovvio il motivo per cui l'ho messa: per torturarti un po'."
"Oh, allora ci stai riuscendo bene." 

 

Ci volle ben un quarto d'ora per convincere Newt a lasciarmi tornare al mio dormitorio, ma quando ci riuscii scoprii con rammarico che in fondo non desideravo altro che restare in quel letto con lui. Dovetti incanalare tutta la mia forza d'animo sulle mie gambe per riuscire a farle muovere e raggiungere la grata silenziosamente, e quando finalmente lo feci mi ci volle altrettanta determinazione per staccarmi dalle labbra di Newt e infilarmi nel condotto.
Il ragazzo prima di lasciarmi andare mi rivelò di avere una sorpresa per me e che me l'avrebbe mostrata quella sera, così passai tutto il giorno a pensare ed immaginarmi cosa questa sorpresa potesse effettivamente essere. Ero talmente tanto concentrata nei miei pensieri che a stento sentii il discorso di rimprovero di Violet quando tornai nel dormitorio, la quale tuttavia non riuscì a rimanere arrabbiata con me neanche per un minuto. Infatti, dopo essersi accorta della mia faccia così sorridente da sembrare stupida, mi bombardò di domande riguardanti la notte trascorsa. Domande che tuttavia non trovarono neanche una piccola risposta.
Mi limitai solo a dirle che avevo tenuto la bocca chiusa riguardo la relazione tra lei e Minho, e che lei in cambio avrebbe dovuto coprirmi anche per la notte che sarebbe venuta.
Violet fu più che felice della mia notizia e promise un patto: lei avrebbe aiutato me nelle mie fughe notturne se io avessi fatto altrettanto.
Senz'altro accettai il patto e, dato che avevo bisogno di sfogare la mia felicità in qualcosa, ma soprattutto sapevo che non potevo restare tutto il giorno sul letto a rincaspiarmi per scoprire cosa Newt aveva in serbo per me, accettai anche il suo invito nel seguirla in palestra per fare un po' di esercizio.
Prima di tutto passammo entrambe dalla guardia addetta ai permessi. Mi sorpresi talmente tanto quando Violet me la nominò, dato che non sapevo neanche della sua esistenza. Insomma, ero a conoscenza che Janson aveva specificato che non potevamo accedere alle stanze senza permesso, ma io avevo sempre creduto che il permesso dovesse essere concesso solo ed esclusivamente da lui. Così, dopo essere passate a ritirare il permesso – che in realtà non era altro che un foglietto di carta con su scritto il numero di persone e la stanza da accedere, con tanto di timbro a lato del foglietto – raggiungemmo le altre ragazze in palestra ed iniziammo a fare la cyclette.
Violet partì subito con una corsa leggera, mentre io mi limitai a camminare alla minima velocità.
"Allora?" chiese dopo poco la ragazza, con voce affannata per la corsa. "Mi vuoi dire cosa avete fatto?"
"No, ti lascerò con la bellezza del dubbio." risposi ridendo. "Però se lo vuoi sapere Newt ha apprezzato la tua canottiera."
"Ah! Lo sapevo!" esclamò entusiasta la ragazza, alzando un braccio in aria. "Quindi suppongo che questa sera ti dovrò prestare un'altra delle mie favolose canottiere."
"Probabilmente." constatai. "Ti ha espressamente ordinato di vestirmi così tutti i giorni." le riferii.
"Oh, mi piace questo ragazzo." ammise Violet agitando la mano. "Un giorno me lo dovrai presentare ufficialmente."
"Be' forse sarà Minho a farlo." la stuzzicai, godendomi poi il rossore sulle sue guance e il suo sguardo arrabbiato. "Andiamo, prima o poi dovrete uscire allo scoperto."
"Meglio 'poi' che 'prima'." replicò lei schiacciando ripetutamente un bottone e diminuendo la velocità della macchina. "In ogni caso, tra poco dobbiamo pranzare, quindi torniamo al dormitorio."
"Ma siamo qui da... quanto? Dieci minuti?" brontolai, in realtà felice di quella sua iniziativa di andarcene.
"Lo so, però non voglio perdere il pranzo e mi voglio anche fare una doccia." replicò lei, spegnendo la mia cyclette e trascinandomi via con lei per il polso.

 

Quel giorno trascorse in fretta e io e Violet lo spendemmo soprattutto tra sala relax – dove ci limitavamo a starcene stese sui divanetti a parlare – e palestra – dove in realtà i miei esercizi consistevano nel stiracchiarmi mentre Violet faticava con le diverse macchine sparse per la stanza. Quasi per tutto il giorno Violet mi chiese della mia Radura e cercò di analizzare quante più differenze possibili confrontandola con la sua. Non capii se quell'argomento fosse un azzardato tentativo di distrarmi dal pensiero di quella sera, oppure un semplice discorso per rispondere ad alcune sue domande, ma in ogni caso la ragazza si era mostrata genuinamente interessata ai miei racconti, il che mi aveva facilitato enormemente per affrontare alcuni discorsi più complicati.
Le parlai del mio arrivo, di come quasi tutti si fossero dimostrati dolci con me, mentre altri avevano preferito affibbiarmi il nominativo di 'guasta-serenità' causandomi non pochi problemi; le raccontai dei ragazzi con cui avevo avuto il piacere di trascorrere la maggior parte delle mie giornate: le descrissi la pazienza e l'attenta delicatezza che Jeff dedicava ai suoi pazienti; le parlai di Alby e della sua austerità e attenzione per le regole; le descrissi di come Frypan si era aperto con me, dandomi addirittura l'opportunità di lavorare nella sua cucina – cosa mai concessa a nessuno prima di me; di Chuck le riferii principalmente i lati più dolci e infantili, delle sue paure e dei suoi sogni, ma soprattutto della sua fame incontenibile e di come in modo impacciato cercasse ogni volta di entrare di soppiatto in cucina per rubare qualcosa. Quando in fine arrivai a confidarmi anche riguardo a Gally, raccontandole della nostra amicizia e di come lui si fosse innamorato di me, per poi riceve in cambio diverse delusioni e rifiuti, capii di aver oltrepassato il limite delle emozioni e riuscii giusto a pronunciare le ultime parole con voce tremante prima di scoppiare a piangere. Pensavo di essermi abituata ad aver perso tutte quelle persone, invece ancora non riuscivo ancora a parlarne senza scoppiare in lacrime.
La ragazza, che forse aveva già avuto esperienza con sfoghi del genere, corse in mio aiuto e cercò di distrarmi ulteriormente chiedendomi di Minho e Newt. Le sorrisi grata per quella domanda e cercando di accantonare l'infelicità che mi ero creata, iniziai a raccontarle anche dei due ragazzi, ma probabilmente lei non comprese granchè dato che ogni parola era seguita da un singhiozzo.
E così passò la mia giornata, tra confessioni, singhiozzi, pianti e sorrisi imbarazzati. Ma alla fine fui felice di aver trovato una persona con cui parlare apertamente di ogni cosa, ed in effetti non fui sorpresa nel sentirmi molto più leggera e sollevata quando finalmente raggiungemmo i tavoli della mensa per la cena. Qui purtroppo io e Violet ci dividemmo raggiungendo ognuna il proprio tavolo. Quando io mi sedetti vicino a Stephen, attendendo pazientemente l'arrivo di Newt, lui mi guardò con aria preoccupata.
"Che hai da fissare?" gli chiesi senza poter fare a meno di sorridere.
"Hai pianto." mi rispose lui serio, analizzando il mio volto attentamente.
"Sì, ho pianto." ammisi senza vergogna. "Dovresti farlo anche tu ogni tanto, dopo ti senti veramente leggero."
"Nah, piangere è per femminucce." replicò lui sorridendomi più sollevato nel vedere che ora stavo bene. 
"Ma tu sei una femminuccia." sottolineò Minho, intromettendosi nel discorso.
Stephen aprì la bocca scocciato e rispose a tono: "Sai, inizia a mancarmi quel giorno in cui avevi deciso di ignorare la mia presenza."
"Oh, tranquillo. Ci saranno altri giorni come quello, non temere, femminuccia." rispose sbrigativo, agitando la mano e perdendo evidentemente tutto l'interesse per quel discorso. Poi si rivolse a me, improvvisamente curioso. "Dimmi un po', bambolina." disse catturando la mia attenzione. "Tu e quella ragazza siete sempre insieme, come mai?"
"Be', gelosone, esistono anche delle amicizie femminili, sai?" lo informai. "Oh, ma che dico? Tu lo sai più bene di tutti qui, dico bene?" lo punzecchiai alzando ripetutamente un sopracciglio. 
Al suo sguardo sorpreso e imbarazzato risposi con un occhiolino, poi ridendo abbassai lo sguardo sul piatto che mi era appena stato servito dall'addetto alla mensa: polpette di carne e zucchine.
Iniziai a mangiare velocemente, senza più alzare lo sguardo, troppo felice e frettolosa di sapere quale sorpresa aveva in serbo per me Newt. Tuttavia le mie preoccupazioni iniziarono a crescere quando il ragazzo però si presentò per la cena: stava forse male?
Attesi per tutto il tempo, fissando impaziente la porta e sperando di intravedere la sua chioma bionda varcare la soglia, ma nulla di questo accadde.
Lentamente finirono tutti di mangiare e ognuno iniziò ad abbandonare la propria sedia per tornare nei dormitori, ma prima che i Radurai al mio tavolo se ne andassero, chiesi più volte a Minho notizie sul biondino, ma lui rispose ogni volta con un'alzata di spalle, confermandomi che quando l'aveva lasciato nella stanza era tutto su di giri e quindi non malato.
Lo ringraziai per l'informazione e salutai tutti i ragazzi con un cenno della mano, poi mi voltai di scatto, alla ricerca di Violet tra tutti i volti ancora presenti in mensa. Mi spaventai quando mi girai sulla sedia e mi ritrovai la faccia di Stephen davanti, molto vicino al mio viso, e proprio per evitare di dargli una testata mi sbilanciai all'indietro perdendo l'equilibrio e rischiando di cascare a terra. Fortunatamente le braccia del ragazzo si allungarono su di me, prendendomi per il polso e sorreggendomi la schiena, poi iniziò a tirare per riportarmi a sedere.
"Mi spieghi cos'hai?" chiese il ragazzo preoccupato, aggrottando le sopracciglia. "E' tutta la cena che sei strana..."
"Ehm, nulla!" mi sbrigai a dire. Non volevo essere scortese, ma in quel momento parlare con Stephen era l'ultima cosa che volevo fare.
"Mh... sarà." disse lui alzando un sopracciglio, probabilmente accorgendosi del mio imbarazzo. "Io me ne vado a dormire. Vedi di non cadere quando non ci sono, okay?"
Annuii frettolosa, accennando un sorriso e seguendolo con lo sguardo fino a che non raggiunse la porta. Non appena varcò la soglia, sparendo dalla mia vista, scattai in piedi e cercai tra le mille facce quella di Violet. Non appena la trovai corsi al suo tavolo, per poi strascinarla con me nel dormitorio. Una volta arrivate nella stanza, la supplicai di prestarmi per un'ultima volta la sua canottiera e quando la ragazza acconsentì la ringraziai felice. Camminai ansiosa verso l'angolo della stanza e poi mi inginocchiai per aprire la grata del condotto di ventilazione con una mossa decisa, nonostante le mie mani stessero tremando dall'emozione. Dopo aver salutato Violet e averle ricordato di coprirmi per tutta la notte, mi infilai nel condotto e mi sorpresi nel scoprire che l'angoscia e il senso di smarrimento, mischiato alla claustrofobia, ora erano del tutto inesistenti. Probabilmente perchè avevo semplicemente vietato alle sensazioni negative di rovinare il mio stato d'animo.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22. ***


Quando arrivai finalmente alla grata del dormitorio dei ragazzi, la scostai silenziosamente e poi fuoriuscii dal condotto salutando con un sorrisetto imbarazzato ma anche impaziente tutti i Radurai.
Non mi sorpresi affatto quando la maggior parte di loro mi ignorò, tornando tranquillamente a fare quello che stavano facendo prima del mio arrivo: ormai vedermi sbucare nella loro stanza tramite un condotto non doveva più essere una novità.
Cercai con lo sguardo la testa bionda di Newt e quando lo trovai dovetti trattenermi dal saltargli addosso dalla felicità. Ancora non sapevo cosa fosse la sua sorpresa, ma la mia impazienza mi stava trasformando in una pazza: dovevo calmarmi e fare un profondo respiro.
E così feci. Inspirai profondamente e camminai diretta verso Newt, che nel frattempo stava armeggiando con una coperta sopra il suo letto.
Quando lo raggiunsi lo salutai con un sorriso e a quel punto lui diventò rosso. Aggrottai le sopracciglia: come mai tutto quell'imbarazzo? 
"Pronta per la sorpresa?" mi chiese facendo un ghigno.
Annuii decisa e mi morsi il labbro.
"Bene così, allora seguimi." ordinò prendendomi per mano e posizionando il suo cuscino e una coperta che aveva precedentemente piegato sotto braccio.
Con mio stupore lo seguii fino alla grata – che per sbaglio mi ero dimenticata di rimettere a posto – e poi con occhi dubbiosi lo osservai inginocchiarsi a terra ed entrare nel condotto.
"Newt?" lo chiamai. "Cosa... Dove stai andando?" domandai inginocchiandomi a mia volta e sbirciando dentro il buco nel muro.
"Ti conduco alla tua sorpresa, madame." rispose lui parlando in falsetto. "Dai, entra e fidati di me." concluse poi tornando al suo normale tono di voce.
Vidi il ragazzo sparire lentamente dentro il condotto, inghiottito dal buio e per paura di perderlo gli corsi dietro, ricordandomi questa volta di attaccare la grata al muro prima di continuare a gattonare. Una volta fatto ripresi a strisciare velocemente lungo il buio e sporco corridoio di metallo, poi mi fermai quando vidi la scarpa di Newt a pochi centimetri dal mio viso, soffocando una risata per la mia sbadataggine.
"Ci sei?" mi sussurrò Newt, voltando solamente la testa.
"Sì." replicai sorridente.
Il ragazzo, ora più rassicurato, riprese a gattonare lungo il condotto e dopo diversi minuti di svolte ed esitazione per capire che via prendere, finalmente si fermò davanti ad una grata di ferro.
"Siamo arrivati." constatò poi, senza girarsi per guardarmi. "Dobbiamo solo aspettare che..." prima ancora che finisse la frase, il condotto di fece totalmente buio, segno che era partito il coprifuoco e le luci erano state staccate. "Esattamente ciò che volevo." disse il ragazzo aprendo silenziosamente la grata e scivolando fuori.
Mi sbrigai a seguirlo, ormai divorata dalla curiosità e quando finalmente uscii dal condotto, mi guardai attorno per capire dove ci trovassimo. I miei occhi si abituarono velocemente al buio, ma nonostante questo, l'unica cosa che riuscii a scorgere fu la croce rossa che era stata disegnata sulla porta chiusa. Non l'avevo mai notata prima, però sapevo cosa significava
"Infermeria?" domandai stupita. "Ma Newt, ci sono le telecamere."
"No." replicò lui e sebbene non riuscissi a vederlo per via del buio capii che stava sorridendo. "Janson ha detto che per la privacy sia i dormitori che l'infermeria sono privi di videosorveglianza." 
"Okay, ma cosa ci facciamo qui?" domandai spaesata.
Attesi una sua risposta – che però non arrivò mai –  per diversi secondi. Spalancai gli occhi maggiormente, nella speranza che si abituassero ancora di più al buio in modo da farmi scorgere anche solo la sagoma del ragazzo o un piccolo movimento che mi facesse capire dove si fosse andato a cacciare. "Newt?" lo chiamai preoccupata, perdendo ormai ogni speranza di riuscire a scorgerlo tra tutto quel nero che aleggiava nella stanza, appannandomi la vista e rendendo la mia testa pesante.
La sua sorpresa é veramente portarmi in infermeria e lasciarmi sola al buio? Pensai confusa. Nel momento stesso in cui finii il mio pensiero, sentii il suo fiato caldo sul mio viso e prima che potessi dire qualsiasi cosa, lui premette le sue labbra contro le mie, per poi attirarmi a sè spingendo le sue mani contro la mia schiena.
Mi abbandonai tra le sue braccia e mi godetti a pieno quel bacio. Un po' mi sentivo strana: era tutto buio e non vedevo niente, era molto bizzarro baciarsi al buio. Ero sempre abituata a vedere cosa –  o meglio chi –  baciavo. E se fossi inciampata da qualche parte?
Come se Newt mi avesse letto nel pensiero mi trascinò con lui attraverso la stanza, guidandomi ad ogni passo ma senza mai staccarsi dalle mie labbra, e poi si fermò, portando la sua mano tra i miei capelli e accarezzandoli dolcemente.
Non potei fare a meno di sorridere quando capii in cosa consistesse la sua sorpresa e proprio perchè condividevo le sue intenzioni, iniziai ad agire anche io.
Passai le mie mani sotto la sua maglia e gli accarezzai la schiena fino a sfiorare i suoi pantaloni, poi gli morsi delicatamente il labbro e quando lo sentii gemere mi affrettai a coprirgli di nuovo la bocca con un bacio. 
Improvvisamente sentii le sue mani premere sui miei fianchi e sollevarmi per poi posarmi delicatamente su quello che presumevo essere il lettino dell'infermeria. Senza esitare oltre serrai le mie gambe sul suo bacino, obbligandolo ad avvicinarsi ancora di più a me e lui approfittò di quel momento per separare le sue labbra dalle mie giusto il tempo necessario a sfilarsi la maglia di dosso. Si fiondò nuovamente su di me, iniziando a lasciare dei baci umidi sul mio collo mentre io feci scorrere i miei palmi su di lui, accarezzando dolcemente ogni millimetro della sua pelle.
Per poco non impazzi quando sentii il suo fiato caldo avvicinarsi al mio collo e le sue labbra stuzzicarmi il lobo dell'orecchio. "Sorpresa." mi sussurrò prima di lasciare un morso delicato su di esso.
Senza esitare oltre mi separai da lui per evitare di colpirlo e mi sfilai velocemente la canottiera di Violet, gettandola a terra. 
"Caspio, mi piaceva quella canottiera." lo sentii ridere.
"Se vuoi me la posso rimettere." asserii, accorgendomi solo in quel momento di esser affannata.
"Assolutamente no." dichiarò lui, per poi prendermi il volto tra le mani.
Ripresi a baciarlo con passione e poi delicatamente mi adagiai sul lettino, obbligandolo a seguire i miei movimenti e a stendersi sopra di me. 
Non appena la mia testa si appoggiò su qualcosa di soffice, capii perchè Newt si era portato dietro sia cuscino che coperta: siccome quel lettino era abbastanza scomodo, il biondino aveva ben pensato di ammorbidirlo per farlo assomigliare ad un vero e proprio materasso.
Portai le mie mani tra i suoi capelli e attorcigliai alcune sue ciocche alle mie dita, per poi tirarle delicatamente e provocando in lui un altro gemito di piacere, che purtroppo si interruppe bruscamente quando il ragazzo per poco non scivolò fuori dal lettino.
Lo sentii imprecare sottovoce e poi soffocare una risatina. "Aspetta un secondo." mi sussurrò con tono divertito.
Sentii il suo tepore scivolare via dal mio corpo, segno che il ragazzo si era alzato in piedi, e poi udii dei suoni metallici –  probabilmente provocati dalla sua cintura –  e il tipico fruscio che provocano i vestiti quando si sfiorano l'uno con l'altro.
Dopo pochi secondi percepii le sue mani accarezzarmi la pancia e scendere verso i lacci dei pantaloni della mia tuta.
"Posso fare io?" mi domandò soffermandosi sul mio bacino.
"Newt, ti ringrazio, ma non c'è bisogno che me lo chiedi ogni volta." lo informai sorridendo. "Sono tutta tua." aggiunsi cercando di assumere la voce più sexy che avevo nel mio repertorio, ma riuscendo solamente a farlo ridere. 
"Non aspettavo altro." mormorò il ragazzo prima di iniziare a sfilarmi i pantaloni. Alzai il bacino per facilitarlo e una volta che il tessuto lasciò la mia pelle, mi ristesi comodamente sul lettino attendendo Newt.
Il ragazzo cercò cautamente di risalire sul lettino, stando attento a non cadere nuovamente, e una volta che trovò il suo equilibrio, si stese delicatamente su di me, facendo combaciare alla perfezione i nostri corpi che iniziarono a scaldarsi a vicenda.
Le sue dita affusolate mi accarezzarono la schiena tremanti, percorrendo con cautela ogni cicatrice come se temesse di farmi male e poi una volta raggiunto il reggiseno iniziò ad armeggiare con il gancetto nel tentativo di slacciarlo.
Dopo diversi secondi, notando che le sue mani tremavano senza sosta rendendogli difficile aprire il gancetto, decisi di aiutarlo con piacere e con una mossa veloce lasciai cadere anche quel pezzo di intimo sul pavimento.
Fui percossa da una serie di brividi di piacere quando il mio petto entrò in contatto con il suo e subito Newt allungò un braccio dietro di sè per riuscire ad afferrare la coperta che si era portato dietro e coprirci entrambi, forse credendo che avessi freddo.
Feci scorrere le mie mani lungo la sua schiena, per poi arrivare al bordo delle sue mutande elasticizzate e calargliele lungo le gambequanto bastava. Il ragazzo ansimò quando le mie dita sfiorarono i suoi glutei per poi risalire lungo la schiena fino ad arrivare alle spalle e cercò di zittirsi muovendo le sue labbra contro le mie, facendo incontrare le nostre lingue. Lo sentii gemere e allungare le mani lungo i miei fianchi, accarezzando la mia pelle come se fosse seta e senza mai staccarsi dalle mie labbra.
Sentii le sue dita infilarsi sotto il bordo del mio intimo e tirare delicatamente per togliermelo. Con il tentativo di facilitarlo, per la seconda volta alzai il bacino, entrando in contatto con il suo, mentre una vampata di calore mi percorreva le gote, ormai infiammate per l'affanno.
Poi con delicatezza Newt iniziò a spingere sul mio basso ventre, facendo combaciare i nostri bacini alla perfezione, come due pezzi di un puzzle. Quando iniziò ad aumentare sempre di più la pressione ed il ritmo conficcai le mie unghie sulla sua schiena, all'altezza delle scapole, e soffocai un gemito premendo ancora più forte le mie labbra contro le sue.
Quando lui staccò affannato il suo viso dal mio per riprendere fiato lo sentii tremare, poi le sue labbra iniziarono a baciarmi il collo, scendendo lentamente fino ad arrivare al mio petto, dove ripresero a salire.
Continuammo a muoverci per un periodo di tempo che sperai non sarebbe mai finito. I nostri respiri iniziarono a confondersi; le nostre bocche, mai sazie di quella dell'altro, si scontravano piene di passione; delle goccioline di sudore iniziarono a depositarsi sul mio corpo, ma lui non ci fece neanche caso quando si appiattì ancora di più su di me, annullando le distanze; i gemiti avevano iniziato a farsi via via più insistenti e cercavamo di soffocarli mordendoci le labbra a vicenda.
Poi, quando l'ennesima ondata di piacere e fuoco esplose nel mio bacino, percorrendomi con un brivido tutto il corpo, Newt si lasciò andare, fermandosi lentamente e stendendosi accanto a me, respirando in modo pesante.
Sorrisi e chiusi gli occhi, accoccolandomi il più possibile a lui e lasciandogli un bacio sul collo. Mi aspettai che il ragazzo piegasse la testa di lato come sempre, colto da un solletico improvviso, invece mi sorprese chinando il viso dalla mia parte e facendo scontrare le punte dei nostri nasi.
Rilasciai una risatina che lui fece tacere sfiorando le mie labbra con le sue. Non mi baciò, semplicemente accarezzò la mia bocca con la sua e ciò mi fece impazzire. Ci eravamo baciati per tutto quel tempo eppure io non ne avevo mai abbastanza.
Fu proprio per questo che gli feci scorrere una mano dietro la nuca, attirandolo a me e incatenando le mie labbra alle sue, sentendo poco dopo il sonno farsi strada nel mio corpo.
Chiudendo le palpebre, ormai diventate pesanti, gli depositai un ultimo bacio a stampo e poi, senza allontanare il mio viso dal suo, gli sussurrai: "Ti amo."
Rimasi immobile, in quella posizione, senza interrompere il contatto, in attesa che il sonno venisse a cullarmi tra le sue braccia e poco prima di addormentarmi definitivamente, lo sentii bisbigliare: "Anche io ti amo. Tanto quanto la luna ama le sue stelle."

*Angolo scrittice*
Wuh... *si asciuga il sudore dalla fronte* non sapete quanto è stato difficile per me scrivere questo capitolo! Cioè... è stato troppo pieno di emozioni per riuscire a rimanere concentrata. Vi dico solo che ogni due righe mi fermavo perchè mi veniva da ridere (non so perchè).
Ora, ho scritto tantissimo e il capitolo era venuto di 5000 parole, perciò ho deciso di dividerlo in due in modo da non farlo diventare troppo pesante per i prossimi lettori. Però entrambe le parti le ho pubblicate oggi, quindi vi ho fatto un doppio regalo! Felici? 
Comunque –  a parte gli scleri che so già saranno pazzeschi e divertenti da leggere nei commenti – volevo informarvi che se questo capitolo esiste è solo per merito di wedontwannasleep  perchè è dal primo capitolo del secondo libro che insiste affinchè i due piccioncini facciano... Ehm... avete capito :')
Quindi ringraziatela e fatele pure una statua. Io intanto ti ho dedicato il capitolo, Lisi, quindi devi solo amarmi.
Poi, come ultima cosa, ma molto importante volevo dirvi che per far sì che questo capitolo fosse possibile ho dovuto modificare una cosa nei capitoli precedenti. Avete presente quando Janson spiega a tutti le nuove regole che si applicheranno a causa del loro insolente comportamento? Ecco, io inizialmente avevo scritto che le uniche stanze senza telecamere erano i dormitori, solo che per far stare i piccioncini soli e soletti e permettere loro di farlo senza essere spiati dalle telecamere, ho dovuto aggiungere anche l'infermeria.
Ora svanisco nel nulla e niente, shish a tutti.

Inevitabilmente_Dea ♥

Ps: come titolo del capitolo volevo scrivere 'Al mio segnale scatenate gli scleri' poi però ho pensato che spoilerasse di più della gif sopra e ho cambiato idea.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23. ***


Un suono acuto mi fece scattare a sedere sul lettino dell'infermeria e ancora prima di riuscire a realizzare da dove provenisse mi guardai attorno spaesata. Nella stanza era ancora tutto buio ovviamente, ma dato che ogni stanza della W.I.C.K.E.D. era priva di finestre era impossibile capire se fosse giorno o notte. Ancora assonnata e spaesata, mi girai verso destra e feci appena in tempo a sentire il mio equilibrio mancare, percependo il vuoto sotto di me, che due mani mi afferrarono saldamente in vita, tirandomi all'indietro e risparmiandomi da quella che sarebbe stata una caduta dolorosa. "Ehi, vacci piano."
Se non avessi riconosciuto quel profumo inconfondibile e la sua voce probabilmente avrei urlato spaventata. In meno di un secondo la mia mente ricordò cosa fosse successo prima di addormentarmi e sorrisi imbarazzata al pensiero di essere ancora completamente nuda.
Feci per rimettermi a dormire dato che avevo ancora sonno e che quel rumore che mi aveva svegliato aveva finalmente taciuto, poi però mi ricordai di dove ci trovassimo e spalancai gli occhi preoccupata.
"Newt!" lo chiamai. "Dobbiamo andarcene prima che arrivi qualcuno!"
"Lo so." constatò il ragazzo con tono divertito. "Ho messo la sveglia apposta."
Oh, ecco cos'era quel suono. Pensai portandomi una mano sulla fronte e scuotendo la testa. 
"Bene così, allora sbrighiamoci a rivestirci." proposi scendendo dal lettino e chinandomi a terra alla ricerca dei miei indumenti. Forse lasciarli sparpagliati per la stanza non era stata un'ottima idea.
Iniziai a gattonare per terra, sempre tastando il pavimento con le mani e assicurandomi di non andare a sbattere contro nulla che potesse produrre rumore. Continuai a girare per la stanza e ogni volta che le mie ginocchia toccavano il pavimento freddo e duro, un brivido mi percorreva la schiena. Eppure non era così freddo quando io e Newt eravamo entrati il giorno precedente... forse semplicemente mi ero abituata a stare attaccata al corpo del ragazzo che per tutta la notte mi aveva scaldato con il suo tepore, e invece ora che mi ero allontanata tutto sembrava più freddo.
Con mio sollievo le mie dita toccarono qualcosa di soffice e di una forma strana per essere una maglietta o un pantalone, poi mi accorsi che in effetti dovevano essere delle mutande ed essendo troppo piccole per essere quelle di Newt le indossai senza pensarci due volte.
"Eli?" mi chiamò Newt da chissà che parte della stanza. 
"Sì?" risposi alzandomi in piedi e girando la mia testa sia a destra che a sinistra nella speranza di notare la sua sagoma tra le ombre.
"Credo di aver trovato il tuo... non mi ricordo come si chiama." ammise il ragazzo ridacchiando.
"Reggiseno?" domandai imbarazzata.
"Esattamente quello." concordò il ragazzo trattenendo una risatina imbarazzata.
"Okay... muoviti verso... Ehm..." mi interruppi non sapendo neanche io cosa prendere come punto di riferimento per incontrarci. "Muoviti verso il lettino, almeno ci incontriamo e me lo dai."
Sentii il ragazzo mugugnare un 'sì' e poi sentii il fruscio dei suoi pantaloni attraverso la stanza, segno che almeno lui era riuscito a trovare la metà dei suoi indumenti. Presi anche io a camminare titubante verso quella che mi sembrava la via giusta per arrivare al lettino, ma quando diedi una testata contro l'armadio di ferro capii subito di essermi sbagliata.
Un frastuono si proruppe per la stanza, seguito subito dopo dai miei lamenti sia di dolore che di frustrazione.
Subito dopo sentii una mano scivolare delicatamente sulla mia schiena, fino a fermarsi su un fianco. "Stai bene?" mi chiese Newt sussurrando.
"Mh, sì." borbottai attaccandomi al suo braccio per evitare di perderlo di nuovo tra le ombre. 
"E così oltre agli alberi ti piace anche abbracciare gli armadi." disse lui cercando di trattenere una risata. "Me lo devo annotare."
Lì per lì non capii di cosa stesse parlando, ma dopo poco mi rivenne in mente quella volta in cui andai a sbattere contro un albero e per non fare la figura della solita ragazza impacciata, trovai subito dopo la scusa che lo stessi solamente abbracciando. Era incredibile di come Newt si ricordasse di quel piccolo particolare a distanza di così tanto tempo.
"Come diamine fai a ricordartelo ancora?" domandai sbalordita, facendo scorrere la mia mano dal suo braccio al suo palmo per poi sfilargli dalle dita il mio reggiseno.
"Perchè non dovrei ricordarmelo?" mi rispose lui, depositandomi un bacio sulla mia fronte e allontanandosi di qualche passo. "Cerchiamo di sbrigarci, okay?"
Mugugnai in segno di assenso e poi, dopo essermi agganciata per bene la biancheria, ripresi a gattonare a terra, trovando subito dopo i miei pantaloni. Dopo averli infilati ripresi a vagare per la stanza, stando bene attenta a non sbattere più da nessuna parte.
Dopo qualche minuto riuscii finalmente ad entrare in contatto con il tessuto di quella che mi sembrava una maglia, così mi alzai in piedi e senza pensarci due volte me la infilai.
"Io sono vestita." annunciai a Newt. "Tu come sei messo?"
"Ehm... Credo di essermi appena infilato la tua canottiera." ammise il ragazzo, con un tono di voce imbarazzato. "Caspio ma come fai ad entrare in questa cosina? E' strettissima."
Iniziai a ridere, senza riuscire a contenermi, e più mi immaginavo Newt con indosso la canottiera striminzita di Violet, più mi riusciva difficile smettere. Ma nel momento stesso in cui il ragazzo mi zittì, dicendomi di smetterla di deriderlo, le luci si accesero nella stanza, facendo tacere ogni singolo rumore.
I miei occhi si chiusero immediatamente, accecati dall'improvviso sbalzo di luce, ma Newt non perse tempo e in un secondo lo sentii correre verso di me e afferrarmi la mano, trascinandomi di corsa dietro di lui.
Riaprii le palpebre e con terrore capii che c'era qualcuno in corridoio. Sentii delle voci –  maschili se non altro –  che parlottavano riguardo ai giri di controllo da attuare nei vari dormitori. Io e Newt continuammo a correre verso la grata ed il ragazzo si inginocchiò di tutta fretta nel tentativo di staccarla dal muro. Le voci si fecero sempre più vicine, ma fortunatamente il biondino era riuscito ad infilarsi nel condotto di ventilazione senza fare troppo rumore; feci per chinarmi e nascondermi anche io quando notai che non avevamo preso nè il cuscino nè la coperta: sarebbe stato inutile fuggire e lasciare quelli lì, ci avrebbero scoperti comunque e noi avremmo dovuto assumerci la colpa per evitare che qualcun'altro finisse nei guai. Con uno scatto veloce ed istintivo mi buttai nuovamente sul letto dell'infermeria e afferrai i due oggetti, poi ripresi a correre verso la grata, tirandoli dietro di me e nel frattempo buttandomi violentemente in ginocchio per affrettare i tempi. Quanso raggiunsi il muro, infilai prima i due oggetti nel condotto e Newt li tirò in malo modo dietro di sè per farmi più spazio, poi mi fece segno di sbrigarmi e senza esitare oltre gattonai verso l'entrata. Sentii le braccia di Newt passare veloci ai lati del mio corpo per aiutarmi a rimettere la pesante grata a posto e facemmo giusto in tempo ad attaccarla nuovamente al muro che la porta si spalancò, facendo entrare il corpo esile di uno scienziato.
Sia io che Newt attendemmo in quella posizione per minuti, sempre con il fiato trattenuto ed evitando di muoverci per paura di fare rumore. Continuammo a fissare terrorizzati i piedi dell'uomo che si spostavano per la stanza, sperando che non notasse nulla di strano, e più i secondi passavano più il mio corpo iniziava a formicolare per la scomoda posizione in cui ero messa. Avrei voluto stendermi oppure mettermi a sedere con la testa bassa, ma non mi rimaneva che aspettare che l'uomo se ne andasse.
Sentii le labbra di Newt appoggiarsi delicatamente e silenziosamente sulla mia spalla e depositare un bacio muto sulla mia pelle, come se stesse cercando di tranquillizzarmi, poi le sue mani si appoggiarono ai miei fianchi e mi aiutarono a stare immobile in quella posizione per qualche altro minuto. Quel ragazzo forse era veramente capace di leggermi nella mente.
Poi finalmente le gambe dello scienziato si diressero verso l'uscita e quando la porta si richiuse dietro l'uomo, sia io che Newt rilasciammo un grande sospiro.
"Hai sentito cosa hanno detto?" domandai a Newt, girandomi nella sua direzione e finalmente mettendomi in una posizione più comoda. "Stanno andando a controllare i dormitori, dobbiamo muoverci!"
Newt annuì velocemente e iniziò a gattonare lungo il condotto, riconducendomi alla sua stanza dove stranamente nessun Raduraio stava dormendo. Quando entrambi sbucammo dal condotto, tutti ci rivolsero un'occhiata confusa che subito dopo si tramutò in una divertita. Molti ragazzi iniziarono a ridere e ad indicare Newt, bisbigliando tra di loro e mettendosi le mani sopra la bocca per evitare di schernirlo troppo. Non capii il motivo di tutto quello e perciò lanciai un'occhiata al biondino, arrossendo subito dopo imbarazzata per lui: come aveva precedentemente annunciato, Newt si era infilato la mia canottiera bianca che tuttavia gli era rimasta incastrata all'altezza del petto –  sicuramente troppo stretta per calare di più sul suo corpo –  lasciandogli così scoperto tutto l'addome.  "Dobbiamo scambiarci le maglie!" ordinò Newt girandosi verso di me e afferrando i lembi della maglietta che avevo indosso  – ovvero la sua.
"No!" replicai indietreggiando e coprendomi con le braccia. "Io non mi spoglio davanti a tutti loro." bisbigliai poi lanciando occhiatacce al ragazzo.
"Be' sì... hai ragione." ammise lui grattandosi la testa imbarazzato.
"Io me ne torno al mio dormitorio, potrebbero passare a controllare. Tu togliti la canottiera e dammela, che la riporto a Violet." proposi alzando le sopracciglia.
Il ragazzo annuì esitante e dopo aver fatto molta fatica per riuscire a togliersi l'indumento di dosso senza però romperlo, me lo lasciò cadere in mano. "E la mia maglia?" domando poi indicandomi.
"Me la tengo, ovviamente." sottolineai affidandogli sia il cuscino che la coperta tra le braccia e tornandomene nel condotto.
Sentii Newt brontolare riguardo alla mia scelta, ma lo ignorai e continuai semplicemente a gattonare il più veloce possibile per raggiungere in tempo il dormitorio delle ragazze, ma nel momento stesso in cui le mie dita si attorcigliarono attorno alle sbarre della grata che dava sulla mia stanza, capii di essere arrivata troppo in ritardo.
"Dove sono le altre?" domandò la guardia scocciata.
"Un po' in palestra e un po' nella sala relax." rispose una voce fredda, che riconobbi appartenere a Violet.
"Be' cosa aspetti? Valle a richiamare." ordinò l'uomo scocciato. "Janson ha ordinato un controllo."
"Perchè non ci vai tu a chiamarle?" replicò acida la ragazza.
Mi sporsi un po' di più verso la grata, ma senza appoggiarmi ad essa, e poi sbirciai attraverso le sbarre: Violet se ne stava distesa sul suo letto, intenta a mangiucchiarsi le unghie – sicuramente perchè era in agitazione, anche se il suo atteggiamento non lo dava a vedere – e a lanciare occhiate di sfida alla guardia armata.
"La mia non era una proposta, ma un ordine." asserì la guardia a denti stretti, muovendosi repentina verso Violet e facendola alzare dal letto, tirandola per l'orlo della maglietta. "Muoviti, ragazzina."
La rabbia mi ribollì nelle vene: come poteva essere così rude e trattarla in quel modo? Avrei voluto sbucare fuori dal condotto e intervenire per proteggere la mia amica da quell'uomo primitivo, ma capii che quella scelta sarebbe stata tanto stupida quanto inutile: cosa avrebbe potuto fare una persona gracile e disarmata come me contro un mammut pompato e armato fino al midollo?
Mi limitai a serrare le labbra, mordendomi la guancia dall'interno nella speranza di riuscire a calmarmi. 
Violet protestò, ma la guardia la trascinò a forza fuori dalla stanza per poi continuare a spingerla. Fu proprio nell'istante in cui vidi entrambi sparire dalla mia vista che capii che era arrivato il momento di uscire allo scoperto e agire velocemente. Senza neanche aver pensato a cosa fare concretamente mi ritrovai subito fuori dal condotto, intenta a riposizionare la grata attacca al muro, poi con uno scatto repentino mi precipitai in bagno, richiudendomi silenziosamente la porta alle spalle.
Sapevo che se la guardia fosse tornata nella stanza avrebbe subito capito che c'era qualcosa che non andava: se prima nel dormitorio c'era solamente Violet, io non potevo comparire dal nulla e stendermi su un letto come se niente fosse! Dovevo creare un diversivo. Nella speranza che la guardia non avesse controllato nel bagno precedentemente, mi affrettai a raggiungere la doccia e ad aprire l'acqua per bagnarmi solamente i capelli. Una volta fatto, corsi ad afferrare un asciugamano e nel momento stesso in cui mi velocizzai per attorcigliarmelo attorno alla testa, la porta del bagno si spalancò, rivelando la figura tesa della guardia che ancora prima di vedere chi ci fosse nella stanza mi aveva puntato il lanciagranate contro.
"Ehi!" gridai fingendomi imbarazzata. "Ma che diamine credi di fare?!" gli urlai contro, riuscendo persino ad arrossire volontariamente. "Questo è un cacchio di bagno delle signore! Tua madre non ti ha insegnato che è maleducazione piombarci dentro all'improvviso? E addirittura mi punti un'arma contro, come se farsi una doccia fosse un crimine!"
Cercai di incanalare in quelle parole quanta più indignazione e rabbia nei confronti della guardia, poi – per evitare che essa pensasse che stessi mentendo –  mi calai l'asciugamano dai capelli, che mi ricaddero bagnati sulle spalle.
"E se fossi stata nuda?!" continuai imbarazzata, incrociando le braccia al petto. "Bella idea della privacy che avete tutti voi..."
La guardia, probabilmente stanca di sentirmi parlare e sbraitare continuamente, si allungò verso di me e mi trascinò fuori dal bagno per poi gettarmi letteralmente su uno dei letti.
"Stai zitta e aspetta qui." mi ordinò prima di allungarsi a controllare fuori dalla porta. "Muovetevi voi!" ordinò poi, sbraitando verso qualcuno nel corridoio.
In meno di un secondo, le mie compagne entrarono nella stanza, bisbigliando confuse tra di loro e nel momento stesso in cui Violet varcò la porta, i nostri sguardi si incrociarono e la vidi spalancare gli occhi per la paura. Per farla stare tranquilla annuii delicatamente e le feci l'occhiolino.
"Bene, ora che ci siamo tutti..." iniziò la guardia cavando un piccolo aggeggio elettronico dalla tasca e digitandoci velocemente sopra. "Chiamerò i vostri nomi e a turno vi alzerete. Non provate a prendermi per i fondelli: oltre ad avere i vostri nomi ho anche le vostre foto e posso riconoscervi." 
Detto questo, l'uomo iniziò a pronunciare tutti i nomi delle ragazze – compreso il mio – e, quando l'elenco finì, la guardia infilò quel piccolo attrezzo elettronico in tasca e se ne andò felice di non aver incontrato problemi. Nel momento in cui la porta si richiuse dietro le sue spalle, io e Violet ci scambiammo uno sguardo complice, ridendo insieme sollevate che tutto fosse finito per il meglio.



 

Avevamo finito di pranzare da almeno una mezz'oretta, ma Janson si era presentato nella stanza ordinando a tutti di rimanere seduti fino al suo ritorno. Probabilmente l'Uomo Ratto era tornato alla carica con un altro dei suoi discorsetti, ma per un attimo mi volò nella mente la possibilità che avesse scoperto dell'infrazione di me e Newt, ma alla fine scacciai quel brutto pensiero, ripetendomi che non avrebbe avuto senso annunciarlo davanti a tutti.
Passarono ancora diversi minuti, ma nessuno in quella stanza sembrava fare caso al tempo: tutti gli altri avevano iniziato a parlottare fra di loro, felici di potersi trattenere di più a parlare con gli amici, e ben presto anche i Radurai seduti al mio tavolo seguirono quell'esempio.
In quella stanza sembravano tutti felici − parlavano, sorridevano e ridevano − però per quanto anche io mi sforzassi di partecipare, dialogando anche con Newt, Minho, Stephen e gli altri, non riuscivo a non pensare che qualcosa di terribile stava per accadere. Non avevo mai avuto una sensazione del genere −  almeno non da quando eravamo usciti dalla Zona Bruciata −, ma sapevo di non poterla ignorare. Di solito con gli annunci di Jason non arrivava mai nulla di buono eppure questa volta nessuno sembrava preoccuparsene. 
Forse avrei dovuto semplicemente fare come gli altri e fregarmene. Mi fasciavo sempre la testa ancora prima di essermela rotta e forse per una volta avrei potuto alzare le spalle e comportarmi come se nulla fosse.
"Allora..." iniziò Minho dandomi una gomitata e alzando un sopracciglio, facendomi cadere bruscamente dai miei pensieri. "Non mi sembra di aver visto te o Newt questa notte. Come mai?" domandò con un ghigno stampato sulle labbra.
"Cosa intendi?" replicai arrossendo. 
"Oh, hai capito benissimo." rispose il Velocista. "Andiamo, con me ti puoi confidare, lo sai."
Sentii le mie guance prendere fuoco e, spalancando i miei occhi, replicai: "Ma perchè diamine vai a pensare sempre male?" chiesi irritata. "Non tutti sono così pervertiti come te al mondo."
"Ah, dici di no? Be' guarda caso io non ti ho detto niente di sporco, ma tu sei subito andata a pensare che intendessi quello. E ora chi è il pervertito?" rispose divertito il ragazzo, cogliendomi di sorpresa e facendomi venire voglia di strangolarmi da sola per via della mia lingua sciolta. "Quindi non solo mi hai confermato che tu e Newt avete fatto sesso, ma lo hai fatto anche nel tentativo di nascondermelo."
"Tu sei un..." mi trattenni dall'insultare Minho pesantemente e mi morsi il pugno cercando di contenermi.
"Cosa? Un genio? Ah, lo sapevo già." continuò veloce l'asiatico, completando la mia frase.
"No, sei una testa di puzzone." ammisi rifilandogli uno sguardo truce.
"Tranquilla, il vostro piccolo segreto è al sicuro." si affrettò a dire il ragazzo, facendomi l'occhiolino e poi girandosi verso Newt, lasciandogli pacche amichevoli sulle spalle e complimentandosi.
Alzai gli occhi al cielo e mi voltai verso la porta − dando le spalle al resto dei Radurai nel tentativo di evitare Minho − dalla quale erano appena entrate due sagome. Nell'istante in cui i miei occhi si posarono su una delle due figure ancora immobili nella stanza, pensai di stare sognando. 
"Thomas?" domandai tra me e me, sbattendo gli occhi per capire se fossero loro la causa dell'allucinazione che stavo avendo.
In meno di un secondo, sentii la voce di Minho zittirsi e percepii il corpo del ragazzo muoversi vicino a me. "Be', mi sa che sono rincaspiato e finito in paradiso. È Thomas!" gridò il Velocista. Il suoannuncio fu seguito da grida, esultanza e fischi. 
In quel preciso istante capii che non era stata un'allucinazione, ma che il ragazzo che se ne stava sorridente ed immobile davanti alla porta era proprio il vero Thomas, e dello stato in cui lo avevo visto l'ultima volta attraverso lo schermo di quella telecamera non era rimasto nulla: ora era pulito −  probabilmente gli avevano permesso di lavarsi via lo sporco −  e il sorriso che gli vedevo indosso era bastato a farmi dimenticare il pallore e la magrezza del suo viso in quella stanza bianca.
Senza riuscire a contenermi scattai in piedi e sorrisi verso di lui, felice di sapere che lo avevano finalmente lasciato libero. Non sapevo il motivo di quella scelta da parte di Janson, ma alla fine non mi interessava: Tom era tornato, questo era quello che importava. 
Vidi Thomas continuare a sorridere emozionato, poi la sua testa si girò in ogni direzione, probabilmente alla ricerca di qualcuno nella stanza, ma quando il suo sguardo si posò su di me, il suo sorriso si spense, coperto da un'espressione di odio e delusione. 
Sbattei gli occhi, colpita e ferita da quell'occhiata come se fosse un dardo avvelenato, ma non riuscii a distaccare gli occhi dai suoi. Rimanemmo fermi a fissarci, occhi negli occhi per quello che sembrò un minuto, ma che nonpoteva essere più lungo di pochi secondi. E poi vidi Minho e Newt raggiungerlo per accoglierlo, dandogli pacche sulle spalle, porgendogli la mano e trascinandolo dentro la stanza, verso il nostro tavolino, nella mia direzione. 
"Be', cacchio, Tommy, almeno hai tenuto duro e non ti sei lasciato morire." disse Newt,stringendogli forte la mano. Il tono della sua voce era più scontroso del solito,specialmente considerato che non si vedevano da settimane, ma io sapevo che in realtà era felice e sollevato nel riavere l'amico con sè −  dopotutto l'espressione sul suo volto non mentiva; non a me, se non altro. 
Minho invece aveva un sorrisetto piantato in faccia e si vedeva che non sarebbe stato tanto facile smontargli quell'espressione da ebete dal viso. "I vecchi Radurai, di nuovo insieme.Felice di rivederti vivo, faccia di caspio. Scommetto che piangevi ogni sera perché ti mancavo." lo schernì l'asiatico.
"Eh già." mormorò semplicemente Thomas con di nuovo quel sorrisetto sul viso, segno che si era dimenticato la mia presenza.
Poi però un suo movimento mi fece ricredere: il ragazzo alzò la testa nella mia direzione e mi guardò incuriosito, dell'espressione di prima nemmeno l'ombra. Siseparò dagli amici ritrovati e si diresse verso di me. Continuai a fissare ogni suo passo impietrita, non sapendo nè cosa fare nè cosa dire. Dopotutto, l'ultima volta che ci eravamo visti avevo finto di volerlo uccidere, quindi mi sorprendeva vedere che nonostante tutto aveva ancora voglia di parlarmi.
"Ehi." mi disse con un tono di voce imbarazzato.
"E-Ehi." risposi io, incapace di pronunciare altro. "S-Stai bene?" domandai preoccupata, analizzandolo attentamente.
Il ragazzo annuì e poi aggiunse: "Penso di sì. Sono stati dei giorni abbastanza duri."
Non immagini quanto... Pensai tra me e me. 
"Giorni?" domandai confusa. "Tom sono passate quasi due settimane da quando ti hanno preso. Abbiamo provato a cercarti e ci eravamo quasi riusciti, ma..."
Mi morsi il labbro e ricacciai all'indietro tutte le parole che avrei voluto dirgli.
"Aspetta, cosa? Due settimane?" mi domandò lui, aggrottando le sopracciglia. "E-E voi avete... Insomma mi avete cercato?"
"Be' certo, testa di puzzone." si intromise Minho, entrando nella conversazione e allungando un braccio attorno alle spalle del ragazzo. "Non ce ne potevamo di certo andare senza di te. Peccato che abbiamo fallito." 
"Andarvene? E dove?" chiese Thomas, passando lo sguardo da me a Minho.
"Non lo sapevamo ancora, però qualsiasi posto è meglio di questo." gli risposi. "E sì, abbiamo provato a liberarti, ma Janson ci ha fermati e... diciamo che non è stata una bella battaglia." mi limitai a dire, non volendo raccontargli delle scosse elettriche e di come ci avesse trattati. 
"Non è stata una bella battaglia?" replicò Minho. "Caspio no che non lo è stata! Be' certo, abbiamo carbonizzato i culi di alcune guardie, poi però l'uomo Ratto ha carbonizzato noi, quindi..." 
"Fermi..." intimò Thomas. "Non credo di aver capito. Chi ha carbonizzato chi?"
"Janson, idiota." si intromise Stephen, comparendo alle mie spalle con il suo solito tono scocciato. "Abbiamo cercato di liberarti, davvero. Ma loro erano troppi e Janson ha giocato sporco." spiegò brevemente. "A proposito, credo che io ti debba alcune spiegazioni riguardo a ciò che è accaduto nella Zona Bruciata."
"Quando?" ironizzò Thomas. "Ah, giusto! Quando avete cercato di uccidermi."
"Sì, quella parte." annuì Stephen, ignorando la battuta ironica di Thomas. "Janson mi aveva affidato un pulsante che se premuto dava delle scariche elettriche al pasticcino qui presente." annunciò battendo con le mani sulle mie spalle. "Quindi ogni volta che lei si rifiutava di fare qualcosa −  incluso fingere di ucciderti −  io avevo l'ordine di premerlo."
Vidi la faccia di Thomas sbiancarsi per lo stupore, poi i suoi occhi incrociarono i miei in cerca di spiegazioni che tuttavia non avrei saputo dargli. Mi accorsi con orrore che anche Newt, Minho e gli altri Radurai che si erano avvicinati a noi per accogliere Thomas avevano più o meno la stessa espressione sul volto.
Nessuno sapeva di quella storia e se non lo avevo a nessuno detto c'era un motivo: non volevo passare per l'ennesima volta da 'vittima della situazione'.
"Stephen, non c'è bisogno di..." provai a dire, ma il ragazzo serrò la mascella e mi interruppe.
"No, invece è necessario. Sono stanco di vedere tutti che ti trattano come una traditrice, quando invece hai solo salvato loro il culo." ammise serrando la presa sulle mie spalle. "Non capisco perchè tu non glielo abbia detto prima, ma non importa, ora spiego tutto io, una volta per tutte."
"Stephen, smettila." lo pregai abbassando la testa e torturandomi il bordo della maglietta.
"Avete sentito tutti bene!" continuò Stephen, ignorandomi. "Le hanno impiantato un chip per far si che non disubbidisse e poi hanno dato a me il pulsante per controllarla. Se dovete avercela con qualcuno, quel qualcuno può essere solo Janson." 
"C-Cosa?" domandò Newt muovendo un passo verso di me. "Allora è questo quello di cui parlava l'Uomo Ratto? Quando mi ha minacciato di svelare dove voi due eravate finiti durante la sparatoria... Era questo il chip che intendeva?" chiese basito.
"Esattamente." replicò freddo Stephen. 
"Perchè non ce l'hai detto prima, allora?" chiese Frypan intromettendosi nel discorso.
"I-Io non volevo che mi vedeste come una debole, come una vittima." ammisi mordendomi il labbro.
"Ma che..." Newt non fece neanche in tempo a finire la frase che Thomas lo interruppe.
"E tu?" domandò freddo, rivolgendosi a Stephen. "Tu perchè hai accettato di farle una cosa del genere?" chiese infuriato, serrando la mascella e i pugni.
"Non ha accettato." risposi al posto del ragazzo. "Lo hanno minacciato come hanno fatto con me. Hanno preso le sue sorelle in ostaggio e hanno detto che le avrebbero uccise se lui non li avesse assecondati."
Alzai lo sguardo, prendendo un forte respiro ed evitando di osservare le espressioni di tutti. Allungai la mano verso Thomas e presi la sua, stringendola poi forte per darmi coraggio. "Senti, Tom." iniziai. "Mi dispiace per quello che ho  −  anzi, abbiamo −  fatto e mi dispiace anche che tu abbia dovuto subire tutto questo. Non so quanto le mie parole valgano per te, però ti giuro che lo abbiamo fatto per il tuo bene, per quello di tutti voi." presi un altro profondo respiro. "Non mi importa quanto mi ci vorrà, ma voglio provarti che ti puoi ancora fidare di me. Lo farò con tutti voi."
Thomas si guardò attorno, forse in cerca di parole o forse sperando che qualcuno intervenisse. Aprì la bocca e fece per rispondermi quando la voce dell'Uomo Ratto rimbombò nella stanza, distraendoci tutti. "Mettetevi tutti seduti. Abbiamo alcune cose da discutere prima di rimuovere gli effetti del siero Oblitus." disse con una tale nonchalance che quasi non ci feci caso. Poi mi resi conto delle parole che avevo sentito − rimuovere gli effetti del siero Oblitus − e mi si gelò il sangue. Nella mensa non si mosse una foglia mentre l'Uomo Ratto raggiungeva il centro della stanza e si stampava sulla faccia lo stesso sorriso forzato di sempre, poi parlò. "Esatto, signore e signori. State per recuperare la memoria. Ogni singolo ricordo."  

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Capitolo 24
*** Capitolo 24. ***


"Be' forse dovremmo rimandare questo discorso a più tardi." spiegò Stephen sorridendo, come se non avesse neanche sentito l'annuncio di Janson.
Rimuovere gli effetti del siero Oblitus. Ripetei nella mia mente. Quindi intendono far bere il contro siero a tutti per fare riacquistare loro i ricordi.
Thomas, quando Janson aveva pronunciato quelle parole, lo aveva guardato scioccato. Minho invece aveva lanciato un'occhiata preoccupata verso di Newt, che tuttavia era tutto meno che attento a ciò che era appena successo. In preda a mille pensieri, andai a sedermi accanto a Stephen. 
Io avevo riacquistato la memoria tempo addietro e non era stata una bella esperienza. Avrei preferito non ricordare tutte quelle cose − la mia famiglia, il mondo, a mia vita passata −  e l'idea che anche gli altri Radurai fossero costretti a veder riaffiorare alla mente ogni cosa era quasi inconcepibile. L'Uomo Ratto si schiarì la voce. "Come vi è stato già comunicato, le Prove del tipo affrontato finora sono finite. Una volta che la vostra memoria verrà ripristinata, penso che mi crederete e potremo voltare pagina" sottolineò l'uomo. "Ognuno di voi ha ricevuto ragguagli sull'Eruzione e sul perché delle Prove. Siamo a un passo dal completare la cianografia della zona della violenza. Sarà più semplice ottenere quello che ci serve − per perfezionare ulteriormente ciò di cui disponiamo − con la vostra piena collaborazione e la vostra mente inalterata. Perciò, congratulazioni."
"Dovrei venire lì a spaccarti quel naso del caspio." disse Minho. La voce era spaventosamente calma, considerata la minaccia che contenevano le sue parole. "Ti comporti come se fosse tutto rose e fiori, come se più della metà dei nostri amici non fosse morta Mi hai stancato."
"Sarei felice di vedere quel naso da ratto frantumato." sbottò Newt. La rabbia nel suo tono era sconcertante e non potei fare a meno di chiedermi se quella rabbia fosse dovuta in parte alla scoperta del mio chip. Sapevo che ci eravamo accordati sul non nasconder nulla all'altro, ma questo era avvenuto prima di quel patto.
L'Uomo Ratto sospirò con aria di sufficienza. "Prima di tutto, ognuno di voi è stato avvertito delle conseguenze qualora cercaste di aggredirmi. E potete stare tranquilli, non abbiamo smesso di osservarvi. In secondo luogo, mi dispiace per le persone che avete perso, ma alla fine ne sarà valsa la pena."
Con quell'ultima frase, sentii la rabbia accecare anche me, ribollendomi nel sangue fino a farmi male. 
"Ne sarà valsa la pena?" sbraitai alzandomi in piedi. "Vorresti dirmi che non solo avete ucciso delle persone innocenti, ma che ora volete anche far passare la loro morte come qualcosa di buono, qualcosa che serviva?!"
"Il fine giustifica i mezzi, a volte." mi rispose con una calma che non fece altro che farmi arrabbiare ancora di più. "Comunque, quello che mi preoccupa è che a quanto pare qualunque cosa io dica non servirà ad aprirvi gli occhi sulla posta in gioco. Stiamo parlando della sopravvivenza della razza umana."
Minho inspirò come se fosse sul punto di sbraitare, ma si fermò di colpo e chiuse la bocca. Poi sentii le mani di Stephen afferrarmi il polso e tirarmi giù a sedere, vicino a lui. Lo sapevo che come sempre era inutile prendersela con Janson, sia a parole che con le mani, o anche solo cercare di farlo ragionare: ogni volta che ci avevo provato, con le buone o senza, lui aveva continuato a rimanere fisso sulle sue idee, facendomi arrabbiare ancora di più. Per adesso dovevo solo prendere un bel respiro e restare tranquilla e paziente.
Proprio quando l'Uomo Ratto stava per proseguire, Frypan intervenne. "Perché dovremmo fidarci di voi e prendere questo... com'è che si chiama? Il siero... Oblitus? Dopo tutto quello che avete fatto a noi, ai nostri amici, volete farci riacquistare la memoria? Non credo proprio. Preferisco continuare a non sapere nulla del mio passato, grazie tante."
Per quanto fossi d'accordo con le parole di Frypan −  nonostante io avessi già ricevuto i miei ricordi indietro −  mi limitai ad annuire e rimanere in silenzio, mentre nella stanza scoppiava una discussione animata. In tutto quel casino riuscii a riconoscere alcune voci e anche a sentire delle frasi di senso compiuto che mi fecero comprendere che tutti i Radurai erano d'accordo con il cuoco. La cosa non mi sorprendeva affatto, dato che i ragazzi erano sempre stati uniti, sia nelle decisioni che nei fatti − non seppi dire se quella loro caratteristica fosse il simbolo della stupidità di alcuni oppure l'emblema della loro unità −, perchè ciò che mi fece rimanere a bocca aperta fu vedere che quasi tutte le ragazze del Gruppo B stavano scuotendo la testa, opponendosi perciò a tutto quel brusio e alle parole di Frypan.
Non poteva esserci momento peggiore per uno scontro di opinioni. "Silenzio!" ruggì l'Uomo Ratto, picchiando il pugno sul tavolo più vicino a lui. Aspettò che tutti si azzittissero prima di continuare. "Sentite, nessuno vi criticherà per la vostra mancanza di fiducia. Siete stati spinti al limite della sopportazione fisica, avete visto gente morire, sperimentato il terrore nel senso più assoluto del termine. Ma vi prometto, quando tutto sarà finito, nessuno di voi si guarderà indietro..."
"E se noi non vogliamo?" gridò Frypan, insistendo. "Cosa succede se non vogliamo recuperare la memoria?"
L'Uomo Ratto sospirò. "Perché non vi interessa davvero ricordare o perché non vi fidate di noi?"
"Oh, non riesco a immaginare un motivo per cui non dovremmo fidarci di voi." rispose Frypan, ironico. 
"Ancora non vi è chiaro che se volessimo farvi del male lo faremmo e basta?" l'uomo disse quella frase con un tono tra l'annoiato e lo scocciato, come se stesse ripetendo lo stesso concetto da tempo e nessuno lo avesse capito. Poi abbassò lo sguardo sui fogli che teneva in mano e dopo diversi secondi rialzò gli occhi su di noi. "Se non volete prendere il contro siero, non vi obbligheremo. Potete mettervi in un angolo e guardare gli altri."
Dopo le sue parole, non potei fare a meno di spalancare gli occhi e guardarlo per capire se stesse bluffando o stesse facendo sul serio. Una nostra decisione? Pensai. Non ci hanno mai permesso di decidere. 
Dal tono della voce era difficile capire se l'Uomo Ratto ci stesse mentendo di nuovo, tuttavia il suo viso non sembrava tradirlo: era la prima volta che lo vedevo serio al cento per cento, senza quei suoi sorrisetti bastardi o le sue smorfie da topo scocciato e arrabbiato. Ma sapevo anche che − conoscendo la W.I.C.K.E.D. e ciò che era capace di fare, soprattutto se guidata da Janson −  non potevo fidarmi e rischiare di cadere nuovamente nel tranello del diavolo.
Nella stanza calò di nuovo il silenzio, e prima che qualcun altro potesse parlare, l'Uomo Ratto si girò di spalle e si diresse verso la porta di uscita, ma prima di oltrepassarla e andarsene, scomparendo dalla nostra vista, si voltò per guardarci ancora una volta. "Volete davvero trascorrere il resto della vostra vita senza ricordarvi dei vostri genitori, della vostra famiglia e dei vostri amici? Volete davvero perdere l'opportunità di aggrapparvi ai pochi bei ricordi che potreste aver avuto prima che tutto questo cominciasse? A me sta bene. Ma potreste non avere una seconda occasione." 
Detto ciò si fermò qualche istante ad osservarci, come attendendo che qualche voce rompesse il silenzio per fermare la sua uscita di scena, ma quando si accorse che nessuno era intenzionato a parlare, scosse la testa ed uscì dalla stanza a grandi falcate. "Tornerò tra poco per capire chi ha fatto la scelta intelligente e chi no, per procedere di conseguenza. Utilizzate questo breve tempo di mia assenza per pensarci bene. Spero che ognuno di voi alla fine capirà e farà la scelta giusta." disse infine, prima di varcare la soglia e imboccare il corridoio.
Non appena l'uomo sparì dalla nostra vista, sulla stanza scese un brusio animato, ma non assordante, che mi fece capire che ognuno aveva iniziato a pensare a cosa scegliere. Inizialmente mi preoccupai, pensando che probabilmente anche io avrei dovuto riflettere su che opzione intraprendere, poi però mi ricordai che io purtroppo una scelta non ce l'avevo avuta e ne avevo già pagato le conseguenze.
Così decisi di avvicinarmi di più al resto dei Radurai per ascoltare meglio i loro fitti discorsi e valutare i loro ragionamenti e le loro scelte.
"E' vero che mi piacerebbe ricordare belle cose del mio passato, la famiglia e gli amici, ma so anche che con le cose felici ricorderò anche quelle tristi, quindi la cosa non mi attizza più di tanto." parlò onestamente Thomas. "E per di più combatterei fino alla morte prima di permettere a quella gente di giocare di nuovo con il mio cervello."
"Esatto, esatto." confermò Frypan sbattendo la mano sul tavolo. "E poi, ascoltate: come facciamo a sapere per certo che i ricordi che ci restituiscono sono veramente i nostri? Magari non faranno altro che farci il lavaggio del cervello per far si che finalmente collaboriamo."
"Oppure potrebbero semplicemente usare la scusa di ridarci i ricordi, per poi impiantarci qualcosa nel cranio." aggiunse Newt, lanciandomi un'occhiata distorta, come se avermi vicino a lui gli desse fastidio. "Nessuna offesa, ma io non ci tengo ad avere lo stesso tuo chip."
"Non se ne parla neanche di farlo. Nemmeno per sogno." constatò infine Thomas, scuotendo la testa e lasciandosi cadere all'indietro sulla sedia, incrociando le braccia al petto e facendo capire agli altri che aveva preso la sua decisione e non l'avrebbe cambiata. Minho gli strinse la spalla. "Parole sante, amico. Anche se mi fidassi di quei pive, perché dovrei voler ricordare? Guarda che fine hanno fatto Ben e Alby."
Newt annuì. "Concordo pienamente. Io non lo faccio. Voi fate pure quello che volete."
Vidi gli altri Radurai squadrarli attentamente, alcuni insicuri e altri invidiosi che fossero riusciti a scegliere in così poco tempo una cosa così importante.
Quando i Minho, Thomas e Newt videro che gli altri ragazzi avevano iniziato a riparlare tra di loro, non facendo più caso a quelli che avevano scelto, si girarono verso di me, alzando un sopracciglio, come in attesa di qualcosa. "Che c'è?" domandai arrossendo. "Cosa sono quelle facce?"
"Tu cosa scegli?" domando Minho curioso, ma anche preoccupato.
"Ecco..." iniziai titubante. Ecco un'altra cosa che non vi ho detto! Pensai, finendo la mia frase mentalmente. "Io avrei scelto come voi, ma..."
Newt mi interruppe bruscamente, come se non si aspettasse una risposta del genere e fosse rimasto deluso. "Ma cosa?"
"Ma non ho più una scelta, purtroppo." spiegai mordendomi il labbro, agitata. "Ridarmi i ricordi è una delle prime cose che hanno fatto prima che entrassimo nella Zona Bruciata."
Minho e Thomas alzarono le sopracciglia sorpresi, mentre Newt abbassò la testa, assumendo un'espressione tra l'arrabbiato e il deluso, poi senza dire una parola annuì e scattò in piedi, ribaltando la sedia dietro di lui e camminando verso la porta.
I due ragazzi seguirono i suoi movimenti sconcertati, come se non si aspettassero un suo comportamento del genere, poi prima ancora che si lanciassero al suo inseguimento, decisi di darmi una mossa e di raggiungerlo.
Lo vidi arrivare alla porta di ingresso compiendo altre due o tre ampie falcate e proprio quando fece per attraversarla, le due guardie che stavano sui lati gli bloccarono il passaggio, spingendolo all'indietro e ordinandogli di tornare al suo posto.
Prima che succedesse un casino, raggiunsi il biondino correndo e lo trascinai lontano dalle guardie −  non per evitare che loro gli facessero del male, ma per paura che succedesse il contrario − portandolo poi in disparte e obbligandolo ad affrontarmi.
"Newt, che ti prende?" gli chiesi lanciando un'occhiataccia alle guardie che ancora ci stavano puntando i lanciagranate addosso. 
"Che mi prende?" chiese lui, quasi gridando con una voce isterica. "Tu mi chiedi che mi prende!"
"Newt, parlami cacchio." dissi dura. Forse troppo dura. "Ti prego." aggiunsi, tentando di addolcire il mio tono, ma senza risolvere granché.
"Vuoi parlare? Noi non facciamo altro che parlare!" sbraitò lui, allargando le braccia. "E poi mi chiedi cosa mi prende! Dovrei chiederlo io a te, cacchio." mi sgridò, prendendo poi un profondo respiro, cercando forse di calmarsi. "Ogni volta è sempre la stessa storia: io mi incavolo, ne discutiamo, ci promettiamo cose a vicenda e alla fine ti perdono. Ti sei già dimenticata forse dell'ultima promessa che ci siamo fatti? Be', lascia che io te la ricordi." mi propose, con un tono duro. "Non ci nasconderemo più nulla. Questo è quello che mi hai detto. Ti rimangi spesso le promesse oppure ti diverte solamente essere incoerente con ciò che dici?"
Sbattei gli occhi più volte, sia per attutire quel colpo sia per riuscire a rispondere in modo concreto ad una accusa che effettivamente era più che fondata. "Newt, hai ragione." ammisi, mettendomi le mani tra i capelli. "Lo so che sono stata un'ipocrita e che avrei dovuto dirti tutto, sin dall'inizio. Ma io non volevo passare per traditrice più di quello che ero!" parlai confidandogli paure che non pensavo neanche di temere. "Quando mi hanno ridato tutti i ricordi è stato traumatico. Ho visto tante brutte cose tutte insieme e forse è vero, forse non volevo raccontartelo perchè non avevo voglia di parlarne, oppure non volevo semplicemente che mi vedessi in modo diverso, come 'quella che ha saputo tutto dall'inizio ma non ha fatto niente per cambiare le cose'. Io non voglio essere così." spiegai, sentendo la mia voce farsi sempre più debole e meno chiara. "Non ho avuto scelta perchè non mi è stata concessa. Non volevo ricordare tutto eppure sono stata obbligata a farlo. Non volevo tradirvi eppure l'ho dovuto fare. Non volevo litigare con te per questa stupidaggine e invece eccomi qui, che come una cretina ti do sempre le spiegazioni all'ultimo momento."
Newt mi guardò per un po', poi si morse il labbro e inspirò profondamente, sospirando subito dopo. "Dio, io non so se sei tu a farmi questo effetto ogni volta o se sai solo usare bene le parole." disse dandosi uno schiaffo in faccia. "Okay, sono disposto a darti un'altra occasione, ma sappi che è l'ultima. Sono stanco di venire a sapere delle cose da qualcun'altro e in ritardo." ammise alzando le mani in aria. "Perchè diamine lo sapeva quella faccia da culo di Stephen e io no? Se c'è stato qualcosa con lui, be' allora credo che questo sia il momento più adatto per dirmelo."
Spalancai sia occhi che bocca. "Cosa? No!" gridai, subito dopo tappandomi la bocca. "Io... ah, che schifo." blaterai tirando fuori la lingua e facendo una smorfia di disgusto. "Io e lui siamo solo amici. Ci siamo avvicinati molto perchè era l'unica compagnia che avevo nella Zona Bruciata, e sì, ho molte cose in comune con lui ma... Dio, no!"
Sentii Newt ridere e poi mettersi una mano sulla bocca. "Io ti adoro." rise, per poi immediatamente scuotere la testa. "Cioè, no! Sono ancora arrabbiato con te! E smettila di fare quella faccia dolce ogni volta." mi implorò, prendendomi il mento tra le dita e girandomi la testa sia a destra che a sinistra. "Un giorno o l'altro mi farai impazzire, lo sento."
"E' per questo che mi ami, no?" domandai, sfoderando il mio miglior sorriso.
"Sì." sbuffò lui. "Per questo e per altri mille motivi." disse lasciando cadere la sua mano dal mio viso alla mia spalla. "Quindi sei con noi o contro di noi in questa storia dei ricordi?"
"Assolutamente con voi." dissi senza neanche rifletterci troppo. "Io non ho avuto una scelta, ma pretendo che voi la abbiate. Perciò vi sostengo."
"Bene così. Andiamo a dirlo agli altri, allora." propose prendendomi per il polso e trascinandomi al tavolo dei Radurai.


 

"Dobbiamo agire in fretta. E quando lo faremo, per sentirmi meglio spaccherò qualche cacchio di testa." parlò Newt sottovoce, in modo da non attirare l'attenzione degli altri Radurai.
"Non troppo in fretta, però." intervenne Thomas preoccupato. "Non possiamo permetterci passi falsi, dobbiamo trovare il momento migliore." 
Per quanto cercassi di concentrarmi e aiutare i ragazzi ad organizzare un piano concreto, non potevo fare a meno di distrarmi ogni dannatissima volta: era strano ritrovarsi tutti insieme ad escogitare i soliti piani di fuga che ogni volta fallivano o non andavano come avevamo pianificato. Minho aveva proprio ragione:  i vecchi Radurai di nuovo insieme. 
Era passato così tanto tempo da quando mi ero sentita così e non riuscivo a non sorridere come un'ebete al pensiero che finalmente c'eravamo tutti riuniti e che nulla ci avrebbe mai più diviso. Riavere Thomas indietro era stata una bella botta di felicità per tutti, forse perchè alla fine non solo lui era uno di quelli che consideravo leader, una guida, ma anche perchè mi era mancato da amico. Parecchio. E ora riaverlo di nuovo attorno era... esaltante.
Inoltre quella era la fine delle Prove, per sempre. In un modo o nell'altro, non saremmo più stati al gioco della W.I.C.K.E.D. e saremmo scappati alla prima occasione favorevole.
"Ragazzi." li chiamai, accorgendomi solo in quel momento ti aver dimenticato qualcuno. "Ma gli altri? Non possiamo lasciarli qui!"
"Be' gli altri ci seguiranno." mi rispose semplicemente Minho. "Ovviamente solo quelli che decidono di non recuperare la memoria." specificò alzando un dito. "Non possiamo aspettare che tutti gli altri si rimbambiscano nuotando nei propri ricordi: rischiamo di perdere l'occasione perfetta per scappare." 
Per quanto fosse difficile e triste da dire, Minho aveva ragione. Quelli che decidevano di recuperare la memoria non potevano venire con noi. Non potevamo rischiare di perdere il momento giusto per fuggire.
"Allora spero solo che quelli che scelgono di bere il contro siero siano in pochi." bisbigliai tra me e me, sedendomi sulla sedia e osservando attentamente il resto dei ragazzi ancora intento a parlare.
Stephen se ne stava stravaccato sulla sedia di fronte a me, indifferente a tutte le voci nella stanza e probabilmente assorto nei suoi pensieri. Sapevo che fortunatamente lui sarebbe venuto con noi −  Stephen aveva già i suoi ricordi − e non potevo fare altro che essere felice di averlo in squadra con me. Insomma, sia perchè era mio amico, sia perchè le sue capacità ci sarebbero ritornate utili.
Decisi di non prestargli più attenzione e concentrarmi solamente sul resto dei Radurai, che probabilmente erano giunti alle conclusioni. Tesi le orecchie e mi misi ad origliare, fino a quando non capii cosa avessero scelto: non potevo credere alle loro parole. Il resto del gruppo stava ancora parlando, e quasi tutti avevano deciso di recuperare la memoria.
Ero talmente scioccata dal loro improvviso cambiamento di pensiero che non sentii neanche le parole dell'Uomo Ratto che a quanto pareva era rientrato nella sala mensa e aveva iniziato a blaterare come suo solito.  "...la vostra memoria a lungo termine verrà ripristinata e non saremo più in grado di manipolare la vostra mente." concluse l'uomo, squadrandoci uno ad uno. "E state pure tranquilli sulla procedura: dovrete solo bere il contro siero ed ogni ricordo vi tornerà indietro. Di certo nei giorni successivi potreste soffrire di mal di testa, ma non sarà nulla di insopportabile."
"C'è poco da scervellarsi." disse Frypan, guardandoci poi tutti con un ghigno, sperando di ottenere in cambio della sua battuta una risata generale. Quando questo non accadde, il cuoco sottolineò: "Capito? Scervellarsi!" 
Le uniche risposte che ottenne furono un paio di mugugni e alcuni lamenti per la battuta triste che aveva appena detto. 
"D'accordo, chi ha scelto di recuperare la memoria si posizioni a destra nella stanza, mentre gli altri a sinistra." annunciò l'Uomo Ratto, facendo un ampio gesto con le braccia. 
Immediatamente un fruscio di vestiti e passi si diffuse per la stanza. In massa tutte le ragazze del Gruppo B e tutti i Radurai si alzarono e si diressero come mille pecore verso destra.
Allo stesso modo, io e i ragazzi ci alzammo dal nostro tavolo e raggiungemmo il lato sinistro della stanza. Non appena mi accorsi che effettivamente sul lato sinistro eravamo solo io, Newt, Stephen, Minho e Thomas, capii che abbandonare tutti gli altri non sarebbe stato semplice, non solo i Radurai − perchè li conoscevo da mesi ed erano diventati praticamente la mia famiglia −  ma anche Violet e alcune ragazze del Gruppo B −  perchè nelle ultime settimane mi ci ero affezionata talmente tanto che mi sembrava di conoscerle da tutta la vita −  e purtroppo capii l'affetto che provavo per tutti loro solo nel momento in cui i miei occhi si incatenarono ad ognuno di essi.
"Un'ultima cosa, però." urlò l'Uomo Ratto, interrompendo bruscamente il brusio che si era venuto a creare nella stanza. "Una cosa che devo dirvi prima che recuperiate la memoria. È meglio che lo sappiate da me piuttosto che... ricordarvi del test." 
"Di cosa stai parlando?" chiese Minho, rivolgendosi in particolare a me e Stephen, come se credesse che noi sapessimo più degli altri. Feci spallucce e mi concentrai per ascoltare le parole dell'Uomo Ratto, che congiunse le mani dietro la schiena, assumendo di colpo un'espressione seria. Prima ancora che le parole gli uscissero dalla bocca, ipotizzai cosa potesse effettivamente essere questa 'ultima cosa' e non appena nella mia mente si formò un pensiero, sentii una fitta allo stomaco. Come avevo immaginato, Janson spiegò a tutti la notizia che mi aveva riferito nella Stanza Bianca settimane prima: "Alcuni di voi sono immuni all'Eruzione. Ma... altri non lo sono. Adesso leggerò la lista... vi prego di fare il possibile per apprendere la notizia con calma."

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. ***


Nella stanza calò il silenzio, ma io potevo sentire le mie orecchie fischiare e riprodurre il battito del cuore, come se mi stesse battendo dentro la testa. Sentii il mio stomaco contorcersi e mi morsi il labbro per evitare di urlare verso Janson di sbrigarsi a leggere quella dannatissima lista. Io sapevo di essere immune − almeno così mi era stato detto − ma non conoscevo la sorte degli altri. 
"Perché un esperimento possa fornire risultati accurati," spiegò l'Uomo Ratto "è necessario un gruppo di controllo. Abbiamo fatto del nostro meglio per proteggervi dal virus il più a lungo possibile. Ma circola nell'aria ed è altamente contagioso." Si fermò, osservando lo sguardo di tutti. 
"Vai avanti, accidenti" sbottò Newt, leggendomi nella mente per quella che sembrava la centesima volta. "Tanto pensavamo di avercelo tutti quel cacchio di virus. Non ci stai spezzando il cuore."
"Già." aggiunse Violet. "Risparmiaci la sceneggiata e diccelo una buona volta." 
L'Uomo Ratto si schiarì la voce. "D'accordo allora. La maggior parte di voi è immune e ha contribuito a raccogliere dati preziosissimi. Solo due di voi sono considerati Candidati al momento, ma è un discorso che affronteremo in un secondo tempo." spiegò velocemente, poi prese in mano un foglio ed iniziò a leggere ad alta voce. "Passiamo alla lista." annunciò. "Le seguenti persone non sono immuni. Newt..." 
Fu come ricevere un pugno in piena faccia e immediatamente mi sentii come se il mio corpo fosse stato schiacciato tra due pareti. Il fiato mi venne a mancare e con esso anche la stabilità delle mie gambe, che sentii tremare pronte a cedere da un momento all'altro. 
La mia mente andò in tilt e non riuscii a formulare neanche un pensiero per un tempo che mi sembrò infinito. Anche il mio udito e la mia vista sembrarono smettere di funzionare all'istante, come se Dio avesse deciso di privarmi di essi proprio in quel momento. 
Sentii il mio cuore esplodere in mille pezzi, appassire, sbriciolarsi e poi morire, ma il dolore continuava a persistere nel mio petto, come se avessi una freccia impiantata tra le ossa.
Poi, tutto riprese a funzionare improvvisamente: il mio stomaco si trasformò in una voragine di sentimenti, tra cui rabbia e tristezza; la mia mente, nonostante fosse ancora appannata dalla notizia appena ricevuta, iniziò a distruggere senza pietà ogni piccola speranza che avevo conservato con cura; i miei occhi iniziarono a proiettare immagini del futuro, dove Newt continuava a trasformarsi in Spaccato e io continuavo a vivere una vita sana, però senza di lui.
Le mie gambe si spezzarono, così come tutti i piani di un futuro con Newt, colte alla sprovvista e obbligate a sorreggere più peso di quello che riuscissero a sostenere. Tuttavia il dolore della caduta non arrivò mai. All'inizio pensai che il dolore che stavo provando era talmente tanto forte e assordante che non sarei mai riuscita a provare nient'altro da lì in avanti.
Poi però mi accorsi di essere caduta tra le braccia di qualcuno e quando riconobbi l'odore di quella persona, capii di essere arrivata al limite e di averlo sorpassato più del dovuto.
Le lacrime sfociarono incontenibili dai miei occhi, ma quel pianto per me fu diverso dai precedenti: mentre gli altri mi avevano sempre portato un po' di sollievo, quello attuale non faceva altro che incenerirmi l'ossigeno nei polmoni. Piansi lacrime che tuttavia non lavarono via il dolore, anzi lo aumentarono: la mia schiena venne perforata da singhiozzi sommessi, come colpi di pistola impiantati nella spina dorsale; il mio viso, contratto nella peggiore smorfia di tristezza, diventò ruvido e duro come pietra, e come tale lo sentii sbriciolarsi lentamente; il mio petto iniziò a bruciare come se fosse stato trafitto da mille spade e più cercavo di respirare, più queste rientravano nella mia pelle; il fischio nelle mie orecchie aumentò ancora di più, fino a diventare un vero e proprio grido disumano e perforante.
Mi portai i palmi a coprire i lati della mia testa e mi ci vollero diversi secondi per capire che l'artefice di quel suono acuto ero proprio io. Non seppi per quanto tempo avessi urlato, ma mi ritrovai improvvisamente senza voce.
Stordita e accecata dal dolore alzai lo sguardo, accorgendomi solo in quell'istante di essere tra le braccia di Newt. Tra tutte le cose che poteva fare in quel momento, lui aveva scelto di consolarmi, quando in realtà avrebbe dovuto essere il contrario. Percepii la sua mano sulla mia testa e le sue dita attraversarmi dolcemente i capelli, mentre il suo altro braccio era scivolato dietro la mia schiena per sorreggermi. Cercai lo sguardo del ragazzo e, quando lo trovai, tutto intorno a noi sparì: in quella stanza non c'era più nessuno, solo io e Newt, ed intorno era diventato tutto bianco, sfocato. Quel suo sguardo magnetico mi attirò come mai prima, riempendomi di una sensazione indescrivibile e mai provata fino ad allora. Era tutto un miscuglio confuso di emozioni che non riuscivo ad identificare. Fu come sentire l'elettricità scorrere nelle mie vene.
Poi lui mi sorrise.
Nulla più. Solo un sorriso.
Un vero sorriso: calmo e sincero, come se non avesse neanche sentito la notizia dell'Uomo Ratto e come se per lui fosse tutto a posto.
"Newt..." non sentii nemmeno la mia voce pronunciare il suo nome, ma capii di averlo fatto, in qualche modo. Era come se io non fossi realmente lì, non riuscivo più a sentire nulla, nemmeno il dolore. Tutto se ne era andato lasciandosi alle spalle una leggera foschia che mi annebbiava i sensi.
Vidi Newt allungarsi su di me e percepii il suo abbraccio attorno al mio corpo. Poi, all'improvviso, tutti i sensi tornarono come risvegliati da quel tocco.
Quel suo abbraccio mi stava distruggendo e risanando allo stesso tempo: era come se tutte le mie ossa si fossero sbriciolate, divenendo polvere al suo tocco e poi sempre per esso ritornate dolorosamente in vita, per poi ricominciare il processo. Sentendo la necessità di dover percepire Newt ancora più vicino a me di quanto fosse, aumentai la stretta attorno al suo corpo, conficcando le unghie nei suoi vestiti ed aggrappandomi a lui come se fosse l'unica cosa che mi permetteva ancora di restare in vita. Rimasi a fissare il bianco davanti a me e per un attimo non fu solo il mio sguardo ad essere vuoto. 
Poi quel colore accecante e fastidioso divenne qualcosa di più di un semplice bianco: prese una forma, la sagoma di una persona. Anzi, le gambe di una persona. Il che significava che io e Newt eravamo abbracciati sul pavimento, uniti come due rocce, ma frantumati come polvere e cenere. Crollati entrambi privi della forza di sorreggere noi stessi, ma ricchi di energia per sostenere il peso del dolore dell'altro. 
Non volendo più vedere nulla, nascosi il mio volto nella maglia di Newt, che in pochi secondi si bagnò di lacrime. "Dio..." sussurrai, incapace di pronunciare e pensare altro. "Perchè?"
"Eli, calmati." mi bisbigliò dolcemente Newt all'orecchio, depositando poi un bacio sulla mia testa. 
"No." bisbigliai quasi senza voce. "Non ce la faccio. Non voglio. Newt, non voglio." borbottai sentendo ormai la mia voce spezzarsi sotto il peso delle lacrime.
"Shh..." sussurrò Newt al mio orecchio. Percepii il suo fiato caldo sul mio collo e quello bastò a farmi angosciare ancora di più. Cosa succederà ora? Ci separeranno? Pensai aggiungendo un altro macigno al mio petto. 
"Eli, ascoltami." ordinò Newt dolcemente, prendendomi la testa fra le mani e obbligandomi ad alzarla, distaccandomi dal suo petto, e a guardarlo dritto negli occhi. "Io non sono preoccupato per questa maledetta Eruzione, quindi non lo devi essere neanche tu."
"Cosa? Non sei preoccupato?" domandai confusa e troppo angosciata per essere in collera con lui. "Newt, diamine! Si parla della tua vita! Come fai a... a non provare nulla?" 
Lui si sforzò di sorridere e continuò. "Non ho detto che non provo nulla." mi corresse. "L'unica cosa che so è che non sarà una caspio di malattia a distaccarmi da te."
"Ma, Newt..."
"Non dirlo." mi ammonì lui. "So a cosa pensi e so anche che non ti devi riempire la testa con queste brutte cose. Risolveremo tutto, usciremo di qui e poi chissà, potremmo anche costruire un futuro insieme."
Mi morsi il labbro pur di non scoppiare a piangere di nuovo e mi intimai di farmi coraggio. Non era giusto! Non era dannatamente giusto, eppure era la realtà. Dovevo riuscire a sopportare tutto quel dolore, farlo per Newt. Dovevo riuscire ad essere positiva − o almeno fingere di esserlo − in modo da non far pesare quella situazione sul ragazzo. Non era corretto farlo preoccupare quando in realtà lui non lo era affatto.
"Volevo chiudere questo capitolo" disse l'Uomo Ratto, catapultandomi nuovamente alla realtà. "Più che altro essere io a dirvelo e ricordarvi che l'unico scopo di questa operazione è mettere a punto una cura. La maggior parte di voi che non è immune è allo stadio iniziale dell'Eruzione, e sono certo che la cosa verrà risolta prima che degeneri. Ma le Prove necessitavano della vostra partecipazione." 
"E cosa succede se non ci riuscite?" chiese Minho. Già, ora importava anche a me.
Non potevano più permetterci di fuggire: dovevamo restare alla W.I.C.K.E.D. e collaborare per poter riuscire finalmente a trovare la Cura. Non mi ero mai accorta di quanto tutto questo fosse importante fino a quando il problema dell'Eruzione non mi aveva riguardato da vicino, ma per fortuna eravamo ancora in tempo per cambiare piani.
L'Uomo Ratto ignorò la domanda di Minho e spiegò: "Sono sicuro che avrete un milione di domande da farmi, ma a quelle sarete in grado di rispondere voi stessi con i vostri ricordi, perciò aspetterò che la procedura sia conclusa prima di ascoltare ciò che avrete da chiedermi." disse semplicemente per poi rivolgersi quasi subito alle due guardie che se ne erano rimaste immobili all'entrata della stanza. Bisbigliò loro qualcosa e queste annuirono decise. "Bene, ora... Quelli che hanno intenzione di prendere il contro siero verranno scortati dalle guardie in una sala a parte." spiegò facendo un ampio gesto con il braccio per indicare l'uscita. 
Mentre i ragazzi uscivano lentamente dalla stanza notai con tristezza che la sorte di Newt era toccata anche a qualcun'altro: c'era qualche ragazzo ancora chino a terra, con il volto tra le mani e i tipici rumori di qualcuno che cerca in tutti i modi di non piangere; altre due ragazze invece si erano unite assieme e stavano camminando mano nella mano, entrambe con gli occhi gonfi e rossi.
Prima che tutti uscissero dalla stanza, cercai lo sguardo di Violet tra la folla e dopo pochi secondi la scorsi tra tutte le altre ragazze: con mia sorpresa mi accorsi che mi stava fissando con le lacrime agli occhi, ma sembrava solo dispiaciuta nei miei confronti. Incatenai i miei occhi ai suoi e la vidi sorridere in modo forzato per poi muovere le labbra e mimarmi le parole: "Sono immune."
Cercai di ricambiare quel sorriso in modo da mostrarle il piccolo sollievo che mi avevano portato quelle parole, ma nonostante tutti i miei sforzi non riuscivo ad alzare i lati della mia bocca, come se fossero rimasti entrambi bloccati all'ingiù.
La vidi mormorare un 'mi dispiace' prima di sparire anche lei oltre la porta, inghiottita dal resto della folla.
Quando la mensa si svuotò completamente, rimanemmo solo io, Newt, Minho, Thomas e Stephen, e solo dopo qualche attimo mi accorsi che Janson era rimasto in piedi a fissarci con un'espressione strana. Era come se in fondo in fondo, sotto la melma viscida che ricopriva il suo cuore, provasse un piccolo senso di colpa. Quel suo piccolo cambiamento, sebbene fosse durato solo pochi attimi per poi tornare la solita espressione fredda e bastarda di sempre, non fece altro che farmi arrabbiare ancora di più.
Era colpa della W.I.C.K.E.D., solo e sempre colpa della W.I.C.K.E.D.! Se non ci avessero mandati per due settimane nella Zona Bruciata forse Newt non avrebbe mai contratto il virus!
Mi morsi l'interno della guancia dalla rabbia e mi limitai a lanciare all'Uomo Ratto uno sguardo di ghiaccio che per poco non lo fece indietreggiare dalla paura. Per quanto avessi voglia di attaccarlo e picchiarlo fino a farlo svenire, non avevo la benchè minima intenzione di distaccarmi da Newt, neanche per un secondo.
"Voi aspettate qui. Tornerò a breve." ci intimò per poi attraversare la stanza. Il silenzio nella stanza venne rotto solo dal fruscio dei suoi pantaloni bianchi, che poi tacque  non appena lui scomparve dietro la prima porta d'acciaio che si richiuse alle sue spalle. 
"Voi pive sapete e ricordate più cose di chiunque altro." iniziò Minho con voce tesa, rivolgendosi a Stephen e a me. 
Smisi di mordermi l'interno della guancia e mi accorsi solo allora del sapore di ferro amaro che mi aveva pervaso la bocca. Inspirai profondamente, raccogliendo tutto il coraggio e la forza d'animo che mi erano rimasti, poi mi alzai tremante da terra, seguita subito dopo da Newt.
"Stephen, non ne ho mai fatto mistero: non mi piaci. Ma voglio sapere comunque ciò che pensi." spiegò l'asiatico fissando il ragazzo con i capelli bianchi. 
"Io ho già i miei ricordi, perciò non che la vostra scelta mi riguardi più di tanto..." cominciò il ragazzo. "Però se fossi in voi, mi rifiuterei. Ho smesso di fidarmi della W.I.C.K.E.D. tempo fa e credetemi se vi dico che tutto ciò che fanno alla fine non è mai come sembra all'apparenza. Trovano sempre il modo di fregarci." continuò. "Inoltre vi posso assicurare che i ricordi che avete perso non sono granchè. Forse una volta eravate felici, come vi hanno detto. Magari avevate una famiglia. Ma il punto è che avete perso tutto quanto e quello che conoscete ora è quello che vi è rimasto. Non vi rincaspiate e non andate ad aggiungere più infelicità di quanto già non abbiate."
"Mmh, in effetti hai ragione." borbottò Thomas. "Tu, invece?" mi domandò il ragazzo fissandomi. "Cosa ne pensi?"
"Concordo con quello che ha detto Stephen, ma... non credo di essere più di tanto sicura riguardo alla fuga." mormorai, lanciando uno sguardo a Newt.
Quasi come se fosse un riflesso inconscio, dovuto ad una abitudine, intrecciai le mie dita a quelle del ragazzo e gli accarezzai il dorso della mano.
"Aspetta... Cosa?" domandò Minho sorpreso. "Perchè?"
Mi morsi il labbro e inspirai profondamente prima di parlare. Possibile che nessuno avesse preso in considerazione il rischio che correvamo fuggendo? Forse gli altri avrebbero potuto collaborare per una cura e farcela anche senza di noi, ma in ogni caso fuggendo avremmo solamente firmato la nostra condanna a morte, o meglio quella di Newt.
Non potevamo essere così egoisti e pensare solo ad una vita priva della presenza della W.I.C.K.E.D., mentre Newt diventava pazzo lentamente e soffriva. Dovevamo restare e collaborare, farlo per lui.
"Dobbiamo restare e collaborare per trovare la Cura all'Eruzione." dissi semplicemente, dando voce ai miei pensieri. "Dobbiamo farlo, Minho. Non possiamo scappare e mandare all'aria tutto. Anche Janson ha detto che sono molto vicini ad una cura e che l'ultima cosa che serve è il nostro aiuto."
"Da quando in qua credi a ciò che dice l'Uomo Ratto?" chiese scocciato. "E per di più che discorsi sono questi? Fino a pochi attimi fa eri tutta 'sì, evvai, scappiamo!' e ora ti opponi a tut..."
"Lo stai facendo per me, vero?" domandò Newt turbato, interrompendo Minho e girandosi verso di me per guardarmi dritto negli occhi. "Sai che non sono immune e vuoi la Cura per me."
Sbattei le palpebre stupita per la capacità del ragazzo di leggermi nella mente, poi dopo aver trovato le parole adatte, risposi: "Sì. Newt non ti meriti tutto questo eppure ti è capitato. Devi avere la possibilità come noi di vivere tranquilli, senza problemi. Dopo aver trovato la Cura ce ne possiamo anche andare."
"No, ascolta..." iniziò il ragazzo sorridendomi malinconicamente. "Mi fa piacere vedere che sei disposta a rimanere intrappolata qui solo per curarmi, credimi è molto nobile, ma il fatto è che io non voglio."
Indietreggiai di qualche passo, ferita da quell'ultima frase. Aveva la possibilità di curarsi e se ne voleva andare?
"Preferisco vivere una vita libera e malata piuttosto che rimanere qui come un topo in gabbia e trovare il modo di curarmi." aggiunse lui.
"Newt, ti prego..." mormorai preoccupata, mettendo da parte il dolore. "Cerca di ragionare e..."
"Bene così." annunciò Minho intromettendosi, fingendo di non avermi neanche sentita. "Allora siamo tutti d'accordo. Quando ne abbiamo l'occasione, leviamo le tende e ce ne andiamo."

*Angolo scrittrice*
Povere anime, asciugatevi le lacrime e non vi abbattete.
So che tutte voi mi avete chiesto di fare Newt immune e vi assicuro che anche a me sarebbe piaciuto fare tutto così semplice sin da subito.
Però vi prego di accettare la mia scelta, perchè credetemi se vi dico che alla fine di tutto (intendo nel quarto libro − quello che verrà dopo questo) capirete molte cose e alla fine cambierete idea, arrivando addirittura ad appoggiare la mia scelta di un 'Newt non Mune'. 
So che, ora come ora, le mie parole vi sembrano insensate, ma vi prego di attendere con pazienza, perchè tutto alla fine sarà spiegato.
Non so se vi ricordate, ma in un angolo scrittrice o in risposta ad un commento (non mi ricordo neanche io lol), avevo detto una cosa molto importante che perciò vi ripeto: «Per scrivere questa FanFiction ho deciso di ispirarmi sia ai libri che ai film − prendendo ciò che mi è piaciuto da entrambi e mettendoli spesso insieme −, tuttavia in quanto scrittrice di questa storia sicuramente ci saranno alcuni cambiamenti, come ad esempio alcune scene aggiunte, omesse o semplicemente che si scopriranno più tardi rispetto alla storia normale.» 
Non voglio farvi spoiler, ma c'è una frase molto importante che dovete sempre ricordare mentre leggete questo libro e no, non è 'W.I.C.K.E.D. è buono'. 
Non vi dico niente di più... A voi le conclusioni!
Baci,
dalla vostra Inevitabilmente_Dea♥

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Capitolo 26
*** Capitolo 26. ***


Lanciai a Minho uno sguardo ghiacciato che però il ragazzo schivò, fingendo di non essersi nemmeno accorto di avermi interrotto bruscamente. Decisi di lasciar perdere il ragazzo e mi concentrai solamente su Newt. Comprendevo la decisione del biondino, ma non poteva semplicemente buttare all'aria una possibilità così importante per seguire gli amici! 
Sapevo che il suo pensiero non era stato influenzato da altri e che quello che aveva scelto lo aveva fatto solo per sè, ma di certo non era una cosa che si poteva valutare in pochi secondi. Doveva pensarci bene a fondo prima di fare una cavolata di cui avrebbe potuto pentirsi e io di certo non avrei voluto incolparmi quando questo sarebbe successo. Volevo farlo ragionare, non per fargli cambiare idea, ma per cercare di capire se fosse certo al cento per cento della sua decisione, perchè una volta presa non si poteva più scendere dalla giostra e tornare indietro.
"Newt, ascoltami per cinque secondi, per favore." bisbigliai prendendo la mano del ragazzo e tirandolo leggermente in disparte.
Il biondino mi seguì mal volentieri, come se l'idea di distaccarsi anche per pochi secondi dai suoi amici non gli piacesse, poi però mi dedicò la sua più completa attenzione, incatenando i suoi occhi ai miei. "Sei sicuro di quello che dici?" domandai alzando un sopracciglio. "Non per metterti paura o altro, però voglio che tu sia consapevole dei rischi che correrai andando fino in fondo a questa cosa."
"Sì, lo so che ci ho pensato poco, ma sono sicuro." constatò lui, annuendo come a confermare ancora di più la sua scelta.
"Lo sai che una volta usciti di qui non possiamo più tornare, vero?" chiesi. "E sei anche consapevole di tutto quello che ti potrebbe accadere? Non so come funzioni la... trasformazione, però..."
"Eli, ora ascoltami tu." mi interruppe prendendo le mie mani tra le sue ed agitandole lievemente. "Sono consapevole di tutto questo e credimi, mi dispiace di doverti far sopportare tutto questo. Però ti prego di capirmi: se resto qui, siamo infelici entrambi; se ce ne andiamo saremo felici entrambi, ma forse per breve tempo. Non so quanto durerò prima di diventare uno..." si interruppe, come se si fosse reso conto solo in quel momento di cosa significasse effettivamente avere l'Eruzione. "Spaccato. Ma sappi solo che quando inizierò a cambiare – e credimi, succederà – dovrò andarmene. Non posso restare con voi e rischiare di..."
"No!" mi opposi, gridando quasi inconsciamente. "Tu non puoi lasciarmi sola! Lo avevi promesso! Avevi detto che non mi avresti abbandonata." mi lamentai sentendo le lacrime riaffiorare dai miei occhi.
"Non ti lascio sola, Eli: resterai con i migliori Radurai che siano mai esistiti!" mi corresse lui. "Ti ho anche promesso che non avrei mai permesso a nessuno di farti male ed è proprio per questo che non posso rimanere. Non posso proteggerti anche da me stesso, perchè semplicemente non sarò più io."
"Newt, ti prego..." bofonchiai abbassando lo sguardo a terra, non più capace di sostenere il suo. Mi portai le mani sul viso, coprendomi gli occhi con i palmi e trattenendo il respiro nel tentativo di controllare in qualche modo il groppo di lacrime che in realtà non se ne era mai andato dalla mia gola.
Lo sentii avvicinarsi a me e poi percepii le sue braccia attorno al mio corpo. Mi avvicinò a sè e mi strinse forte fino ad obbligarmi quasi a prendere un bel respiro per evitare di rimanere soffocata, poi avvicinò le sue labbra al mio orecchio e solleticandomi con esse mi sussurrò: "Ti prego, vieni con me. Non lasciarmi solo in tutto questo."
Inspirai profondamente, ricacciando all'ingiù tutte le lacrime, poi alzai lo sguardo verso di lui e gli rivolsi un piccolo sorriso. "Mai. Io rimango con te, qualunque cosa accada."


 

L'Uomo Ratto tornò dopo qualche istante, varcando la porta con affanno per poi fissarci allibito.
"Che hai da guardare?" domandò Minho scocciato.
"Niente, è solo che mi aspettavo che avreste inventato un'altra delle vostre stupidaggini per trasgredire le regole." ammise Janson rilassandosi e prendendo un bel respiro. "Be' a quanto pare mi sono sbagliato. Dovete aver finalmente capito che non serve a nulla. Complimenti." 
Poi l'Uomo Ratto passò lo sguardo su tutti noi, fino a quando non incrociò lo sguardo di Thomas e qui vi rimase a lungo, la sua espressione imperscrutabile. 
"Tutto bene, mister Uomo Ratto?" domandò nuovamente Minho, passando lo sguardo da Thomas a Janson.
"Il mio nome è vicedirettore Janson." rispose acido l'uomo, con voce bassa e affannata, come se sistesse sforzando di rimanere calmo. Non staccò mai gli occhi da Thomas. "Impara aportare rispetto a chi è più grande di te."
"Smetti di trattare le persone come se fossero animali e forse ci farò un pensierino." replicò l'asiatico, con la sua solita testardaggine, ma questa volta ero in pieno accordo con lui: ci avevano sempre trattato come cavie, non meritavano rispetto. 
"E perché fissi Thomas in quel modo?" aggiunse Newt, incrociando le braccia al petto.
Alla fine l'Uomo Ratto − Janson − spostò lo sguardo sul biondino. "Perché mi aspettavo una scelta più intelligente da ognuno di voi. Soprattutto da Thomas."
Rimase in silenzio per un attimo, raddrizzando la schiena. "Va bene, vi ho detto che potevate prendere la vostra decisione e lo avete fatto. Ora, per favore, seguitemi in silenzio."
Senza aggiungere neanche più una parola, l'uomo si voltò verso l'uscita, facendoci cenno di seguirlo.
Cercando di far uscire in me tutta la voglia di camminare, mi prestai a seguirlo velocemente per evitare di perdermi nuovamente tra i corridoi.
I ragazzi fecero altrettanto e ben presto ci ritrovammo tutti a marciare dietro Janson compatti e attenti per riuscire a capire dove l'uomo ci stesse effettivamente portando.
L'Uomo Ratto ci guidò lungo diversi corridoi senzafinestre finché non raggiungemmo una grande porta d'acciaio −  sicuramente uno dei tanti ascensori posti nell'edificio. Tuttavia questa era chiusa con molte serraturee sembrava sigillata in modo da non far passare l'aria. L'uomo posizionòuna tessera magnetica accanto a una nicchia quadrata nell'acciaio, e dopo qualchescatto, la grossa lastra di metallo si aprì con un cigolio che per un attimo mi fece ricordare con terrore le Portedella Radura.Dietro di essa c'era un'altra porta; dopo che, uno per volta, entrammo tutti nel piccolodisimpegno, l'Uomo Ratto chiuse la prima, e con la stessa scheda aprì la seconda. 
Ciritrovammo in una grande stanza che non sembrava niente di particolare: lo stessopavimento piastrellato e i muri bianchi del corridoio. Molti armadietti e banconi. E numerosiletti allineati sulla parete in fondo, su ognuno dei quali era steso un Raduraio o una ragazza. Non mi sorpresi quando vidi che c'era almeno uno scienziato per letto, intento ad armeggiare con una fiala contenente liquido violaceo, simile al contro siero che Janson mi aveva fatto bere con forza. Il personale dedito al contro siero indossava una tuta verde un po' ampia conla scritta W.I.C.K.E.D. sul petto.
Non feci neanche ad individuare i miei amici tra tutte quelle figure stese sui soliti lettini, che Newt mi tirò dietro di sè, ricordando sia a me che alle mie gambe che in quel momento non potevamo e non dovevamo rimanere ferme.
Ripresi a camminare malvolentieri e mi ricordai di dover prestare attenzione a ciò che mi succedeva attorno: dovevo cercare di capire da sola quale fosse il momento giusto per entrare in azione ed attuare il nostro piano di fuga, perchè di certo non ci sarebbe stato un avvertimento e nessuno avrebbe detto una parola. Uno scambio di sguardi sarebbe bastato a scatenare l'inferno.
Silenziosamente continuai a seguire gli altri e l'Uomo Ratto fuori dalla stanza e nell'ennesimo lungocorridoio senza finestre, prima di fermarci tutti davanti ad un'altra porta. 
Quando entrammo nella stanza, mi accorsi che essa era identica alla precedente, solo che i volti presenti erano tutti contorti in una smorfia di dolore. Tutti i ragazzi e le ragazze presenti a quanto pare avevano già bevuto il contro siero, e perciò ne stavano subendo le conseguenze.
Proprio nel momento in cui Thomas −  che era improvvisamente diventato il primo della fila, dopo Janson −  fece per oltrepassare la porta e andarsene dalla stanza, una voce irruppe sopra tutti i lamenti dei ragazzi, coprendoli e risuonando molto più che chiara.
"Thomas!" urlò una ragazza vestita allo stesso modo degli altri scienziati, correndo verso il ragazzo e saltandogli addosso prima che lui si fosse completamente girato. 
Thomas rimase tanto sorpreso quanto paralizzato nel ricevere quell'abbraccio inaspettato e solo quando la ragazza si allontanò dal suo addome per fissarlo negli occhi la riconobbi: Brenda.
La fissammo tutti con la bocca aperta, allibiti, ma soprattutto sorpresi di vederla in quel luogo e in quello stato: sembrava molto più giovane di tutti gli altri, i capelli castani e il viso più puliti di quanto non glieli avessi mai visti nella Zona Bruciata. Quando anche Thomas capì di chi si trattasse, riavvolse la ragazza in un'abbraccio, ricambiando quel gesto di affetto.
"Brenda, che ti prende?" le gridò Janson. "Torna al tuo posto!"
Lei non lo sentì nemmeno e si allungò ancora di più su Thomas per eguagliare la sua altezza, in modo che la propria guancia fosse a stretto contatto con la sua, poi mosse le labbra in modo quasi impercettibile. Probabilmente non avrei neanche notato quel particolare se non fosse stato per il fatto che spesso avevo usato anche io la scusa di abbracciare Newt per dirgli in realtà qualcosa che sapesse e sentisse solo lui.
Le sue parole furono molto brevi e vennero quasi subito interrotte da un altro grido di Janson. "Brenda!" sbraitò l'uomo su tutte le furie.A quel punto la ragazza si staccò, allontanandosi. 
"Mi dispiace." mormorò Brenda. "Sono solocontenta di vedere che ha superato lo Stadio 3. Non avrei dovuto." poi tornò alla suapostazione e si voltò di nuovo verso di noi, lo sguardo assente.Janson mosse la mano in aria e poi aggiunse: "Non abbiamo tempo per queste cose. Seguitemi." 
Thomas, che non riusciva a smettere di guardare la ragazza, venne presto spintonato da Minho e fu costretto a proseguire nella stanza successiva. 
Anche io e Newt facemmo lo stesso, ma non potei fare a meno di voltarmi un'ultima volta verso di lei per cercare di capire qualcosa del suo strano comportamento, ma quando mi girai per osservarla lei aveva la testa bassa a riordinare alcuni attrezzi con aria assente e un sorrisetto timido.
Scossi la testa e continuai a seguire il biondino davanti a me, evitando di girarmi un'altra volta.
Non sapevo proprio cosa pensare in quel momento. Rivederla lì, tutta pulita, felice e in ottima salute mi aveva in qualche modo rasserenata, ma da una parte anche fatta arrabbiare.
Era ottimo che la ragazza non avesse subito nessuna cattiveria dalla W.I.C.K.E.D. − sapevo cosa si provava e non avrei mai augurato a nessuno una cosa del genere − , tuttavia non riuscivo a capacitarmi cosa ci facesse effettivamente vestita come uno scienziato.
Da quando in qua collaborava con la W.I.C.K.E.D.? 
Ero sicura che ci fosse qualcosa di più sotto a quello che stava facendo, eppure non riuscivo a non essere arrabbiata con lei: aveva finto di volerci aiutare a tutti i costi, fingendosi addirittura una Spaccata ed implorandoci di portarla con sè. Sapevo che senza lei e Jorge non saremmo mai arrivati sani e salvi al Porto Sicuro, ma il fatto che lei sapesse tutto dall'inizio e avesse deciso comunque di aiutare la W.I.C.K.E.D. in un altro dei suoi esperimenti mi faceva imbestialire.
E sapevo per certo che lei non fosse stata obbligata ad accettare una collaborazione, perchè sennò dopo la fine dell'esperimento avrebbe potuto semplicemente distaccarsi. Ivece se ne stava ancora lì, ad aiutare le persone sbagliate ad uccidere le persone innocenti.
Bel modo di salvare l'umanità.
Ero già certa di non dovermi fidare della W.I.C.K.E.D. e perciò ero anche arrivata alla conclusione che se Brenda collaborava con essa, non potevo neanche fidarmi di lei.
Quella ragazza non mi era mai piaciuta più di tanto, però avevo sempre attribuito il suo brutto e strambo carattere al fatto che avesse l'Eruzione. 
Oh, ma guarda te... Pensai arricciando il naso. Come sempre ci hanno mentito, che cosa inusuale.
Ma la mia domanda restava sempre la stessa: se non aveva l'Eruzione e quindi non le serviva una cura, allora perché collaborava con loro? 
Sentii un brivido lungo la schiena. Forse eravamo ancora dentro un altro test? Forse lei era un Soggetto e stava solo recitando una parte?
Poco mi importava: dopotutto da lì a poco ce ne saremmo andati.
"Cosa ci fa lei qui?" sussurrai a Newt, con tono dubbioso. "Pensavo che fosse una Spaccata."
"Ho smesso di farmi domande del genere tanto tempo fa. Non credo capirò mai la W.I.C.K.E.D. e chi ne fa parte." borbottò il ragazzo osservando le nostre mani intrecciate assieme.
"Credi che facesse parte della messinscena, che sia stata mandata nella Zona Bruciata per far funzionare le cose?" domandai nuovamente, poi accorgendomi che in realtà il biondino non aveva neanche intenzione di rifletterci. "Scusa... E' solo che non mi fido di questa gente e ora neanche di lei. Sto solo cercando di capire il perchè."
"Be', è probabile che sapesse tutto dall'inizio." spiegò Newt facendo spallucce. "Però deve sicuramente provare qualcosa per Tommy. Il modo in cui lo ha abbracciato è stato..."
"Non l'ha abbracciato solo per il gusto di farlo." lo corressi, poi abbassando il tono di voce per riferirgli di più. "Gli ha sussurrato qualcosa. All'orecchio. L'ho vista."
Newt alzò un sopracciglio, sembrando quasi interessato a scoprire cosa Brenda avesse effettivamente detto a Thomas, poi però le sue sopracciglia si abbassarono.
"Lascia perdere, per una volta." mi disse in modo stanco. "Tra poco saremmo fuori da tutto questo. Niente più test, niente più menzogne. Solo noi due."
"E gli altri." aggiunsi sorridendogli.
"Anche." concordò Newt grattandosi la testa.
Continuammo a seguire l'Uomo Ratto di corridoio in corridoio fino a quando non arrivammo in una piccola stanzetta beige arredata solamente con cinque letti, anche essi come la stanza privi di ogni colore. Qui l'uomo −  che era entrato per primo nella stanza − si fermò e si voltò verso di noi, guardandoci uno ad uno con fare distaccato.
Osservai gli altri ragazzi per capire cosa stesse succedendo. Perchè si era fermato improvvisamente e aveva iniziato a fissarci in quel modo? Dovevamo fare qualcosa, tipo sederci ognuno sui rispettivi letti? In effetti ce ne era uno per ognuno di noi, quasi come se quella stanza fosse stata arredata e preparata solo ed esclusivamente per noi.
Vidi Thomas e Minho lanciarsi un'occhiata di intesa e mi ci volle poco per capire cosa frullava nelle loro teste: noi, a differenza dell'Uomo Ratto eravamo più vicini alla porta, quindi ci sarebbe bastato fare retro front velocemente, chiudere la porta alle nostre spalle e lasciare l'uomo rinchiuso in quella stanza.
Sentii di nuovo un brivido lungo la schiena e questa volta fu il segno che, per quanta paura e ansia stessi provando, la voglia di abbandonare Janson per sempre solo in quella stanza, senza cibo nè acqua era un'idea molto allettante. Soprattutto perchè almeno avrebbe imparato cosa significava starsene barricati dentro quattro mura, proprio come eravamo noi nella Radura, ma questa volta senza via d'uscita.
Il nostro momento stava arrivando. Losapevo. E dall'espressione di Newt, lo sapeva anche lui. Vidi Thomas e Minho scambiarsi un piccolo cenno con latesta, ma nel momento stesso in cui l'asiatico fece per voltarsi verso di noi, la voce dell'Uomo Ratto riempì le mie orecchie e, come se avesse letto nel pensiero dei ragazzi, li rimproverò: "Voi ribelli siete tenuti d'occhio. Non pensate nemmeno di provare a fare qualcosa. Delle guardie armate stanno arrivando in questo preciso istante."
"Che mucchio di sploff." sussurrò Minho quando Janson si voltò per pochi secondi a controllare qualcosa nella stanza. "Secondo me dovremmo fare un tentativo, vedere cosa succede."  
Fece appena in tempo a finire la frase che dal corridoio arrivò un rumore di passi frettolosi. Tre uomini e due donne irruppero nella stanza, tutti vestiti di nero, con degli attrezzi dietro la schiena: corde, strumenti, munizioni. In mano avevano tutti un lanciagranate e sebbene avessi già visto ed usato quelle armi in precedenza, non riuscivo a staccare gli occhi da esse. Soprattutto perchè le loro canne erano proprio puntate verso tutti noi. 
Brillavano tutte di una luce azzurra, al centro c'era un tubo trasparente pieno di granate metalliche scintillanti che scoppiettavano e producevano un ronzio carico di elettricità.
"Abbiamo aspettato anche troppo, maledizione." sussurrò Newt, impaziente e con tono duro.
"Ci avrebbero comunque catturato lì fuori." rispose Thomas con calma, muovendo a malapena le labbra. "Dobbiamo solo avere pazienza." suggerì poi.
Janson raggiunse le guardie passando in mezzo a noi come fossimo scarafaggi da evitare, poi si rifugiò dietro le spalle delle guardie. 
"Che significa tutto questo?" chiese Thomas sorpreso. "Ci hai appena detto che eravamo liberi di decidere. Perché questo esercito?"
"Perché non mi fido di voi." Janson rimase in silenzio, come se stesse scegliendo le parole con cura. "Speravamo che una volta recuperata la memoria avreste fatto le cose di vostra spontanea volontà. Sarebbe tutto più semplice. Ma non ho mai detto che non abbiamo più bisogno di voi."
"Che sorpresa." borbottò Minho. "Hai mentito un'altra volta."
"Non ho mentito su niente. Voi avete preso la vostra decisione, adesso ne pagherete le conseguenze."
Janson indicò la porta. "Ora rimarrete qui dentro a riflettere sui vostri errori fino ai test di domani." spiegò velocemente, poi prima che la porta si chiudesse su di noi, sentii l'Uomo Ratto sibilare acido: "Passate una buona notte."

{Capitolo non revisionato.}

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Capitolo 27
*** Capitolo 27. ***


La porta si chiuse producendo un forte tonfo e subito dopo si udì il rumore di diverse serrature bloccarsi. In un istante la sensazione di prigionia mi invase, sostituita quasi subito da un senso di rabbia e frustrazione: ci avevano ingannato un'altra volta. Per quanto mi fossi raccomandata di non cadere più nei loro tranelli, alla fine avevo comunque abboccato, rimanendo rinchiusa per la millesima volta. 
Thomas, probabilmente colto da improvviso terrore o rabbia, attraversò la stanza in un lampo per raggiungere la porta e abbassò la maniglia, la tirò e la spinse usando tutto il suo peso. La colpì con i pugni gridando a pieni polmoni di farci uscire di lì. Continuò ad urlare disumanamente per diversi secondi, mettendomi veramente paura e un senso d'ansia addosso. 
"Calmati, maledizione." sbraitò Newt per sovrastare il casino prodotto da Thomas. "Non verrà nessuno a rimboccarti le coperte." aggiunse poi quando il ragazzo si voltò di scatto, fermandosi all'istante non appena vide l'amico. 
"A quanto pare abbiamo sprecato la nostra chance." intervenne Minho, avvicinandosi ad uno dei letti e lasciandocisi cadere sopra. "Saremo vecchi e morti prima che si presenti di nuovo la nostra magica occasione, Thomas. Non faranno un grande annuncio: 'Adesso sarebbe un ottimo momento per fuggire, perché saremo occupati per i prossimi dieci minuti.' Dovevamo correre dei rischi, anche se prima non sembrava una buona occasione." 
Il Velocista scosse la testa e se la chiuse tra i palmi. 
Odiavo doverlo ammettere, ma Minho aveva più che ragione. Insomma, sì avevo avuto paura di dover fuggire così all'improvviso ed inoltre non ero poi così felice di abbandonare la W.I.C.K.E.D. per via di Newt, ma solo nel momento in cui mi accorsi che probabilmente saremmo rimasti per un bel pezzo in quella stanza, realizzai quanto in realtà mi sarebbe piaciuto essere libera di camminare nella Zona Bruciata. Non che fare un altro tour dell'inferno mi andasse a genio, però avevo capito che −  come ribadito precedentemente da Newt −  era meglio una vita piena di pericoli e ostacoli, ma libera da ogni costrizione, invece di una sana e sicura, ma vissuta nella gabbia di un topo. 
"Mi dispiace. È solo che non mi sembrava ancora il momento giusto. E dopo che ci hanno puntato tutte quelle armi in faccia, ho pensato che fosse inutile sprecare le forze." si scusò Thomas, sembrando quasi un altra persona di quella che precedentemente aveva dato di matto contro una porta. 
"Già, be'" disse semplicemente Minho. "Tu e Brenda eravate proprio teneri quando vi siete rivisti." aggiunse poi, facendo il suo solito ghigno. 
Non appena vidi l'espressione forzata del Velocista, capii che qualcosa non andava in lui. Era strano, più delle altre volte. Di solito erano normali le sue battutacce fuori luogo, ma al momento non mi sembrava molto spontaneo nel fare il suo solito sorrisetto pervertito. Era come se avesse la testa da un'altra parte, appollaiata su un brutto pensiero negativo.
Forse non voleva semplicemente far pesare a Thomas una colpa che infondo non aveva −  dopotutto non era colpa sua se avevamo perso l'occasione di fuggire.
Oppure era preoccupato riguardo a qualcosa che lo...
No. Non era qualcosa. Era qualcuno.
Newt.
Non avevo visto Minho reagire quando la notizia della non-immunità del biondino era stata annunciata. In quel momento ero stata accecata dal dolore e non avevo neanche pensato a come avessero reagito gli altri.
Conoscendo il Velocista potevo ipotizzare che si fosse limitato ad un'espressione dispiaciuta, molto contenuta e frenata. Dopotutto il ragazzo era fatto così, non aveva mai mostrato le sue emozioni più di tanto.
E molto probabilmente quella brutta notizia aveva influito su di lui in modo negativo, rendendolo più triste di quanto lui in realtà si mostrasse.
Thomas fece un respiro profondo. "Mi ha detto una cosa." ammise in ragazzo, raggiungendo un altro letto e sedendosi proprio di fronte a Minho, il quale scattò dritto a sedere, abbandonando l'espressione precedente e mostrandosi sinceramente curioso. "Cosa intendi? Qualcosa cosa?" insistette l'asiatico.
"Mi ha detto di non fidarmi di loro. Di fidarmi solo di lei e di una certa cancelliera Paige."
"Be', lei a che cacchio di gioco sta giocando?" chiese Newt. "Lavora per la W.I.C.K.E.D.? Cosa diavolo significa, che nella Zona Bruciata ha recitato tutto il tempo?"
"Già, a quanto pare è come tutti loro." aggiunse Minho. 
"Sentite, anch'io prima lavoravo per loro, ma di me vi fidate, giusto? Non significa niente. Magari non ha avuto scelta, magari è cambiata. Non lo so." la difese Thomas.
A quelle parole spalancai gli occhi. Magari non ha avuto una scelta. Ripetei nella mia mente.

Quindi se vado giusto Brenda è dalla nostra parte perchè forse, e ripeto forse, è stata costretta, mentre io sono ancora una traditrice per lui.

Brenda era una doppiogiochista e ne aveva dato la prova! Io ero quella che era stata costretta e minacciata! Perchè diamine Thomas era così incoerente?
"Sai, è buffo." dissi a voce alta, non riuscendo più a trattenere i miei pensieri. "Perchè quando io ti ho detto che sono stata minacciata e ricattata pur di farmi fare quello che ho fatto, tu non mi hai creduto." spiegai diventando rossa per la rabbia. Sapevo che con quello che avevo detto avrei perso probabilmente la possibilità di essere perdonata una volta per tutte, ma forse se la pensava così, il suo perdono non valeva tutta la fatica che avevo fatto per ottenerlo. Non mi importava più ormai e così continuai. "Mentre con lei è tutto diverso. Oh sì..." sibilai sentendo la rabbia ribollirmi dentro. "E' bastato che ti abbracciasse per farti capire che è stata costretta? Veramente sei così ingenuo?"
"Eli, smettila." mormorò Newt, guardandomi preoccupato.

"No! Non la smetto." replicai infuriata, voltandomi nuovamente verso Thomas, che ora mi fissava allibito, con il volto paonazzo. "Non solo sei diventato ingenuo, ma ora sei anche incoerente." conclusi, gettandogli un'ultima occhiata di disapprovazione e lasciandomi cadere su un letto a caso. "Pensala come vuoi, però intanto lei non ha fatto nulla per noi, a parte aiutarci nella Zona Bruciata. Quindi io continuo a non fidarmi di lei."
Thomas, Minho e Newt mi fissarono quasi spaventati, senza sapere cosa replicare o anche solo pensare. Non mi era mai capitato di essere così arrabbiata con un mio amico, ma soprattutto non mi era mai capitato di riferire ad alta voce ciò che pensavo in modo così brusco. Eppure quella sfuriata mi era servita per alleggerirmi un po'. Forse ero solo ancora arrabbiata per il fatto che Newt non fosse un Mune come noi.
Stephen invece era rimasto a fissarmi con un sorrisetto nell'angolo della stanza e solo nel momento in cui incrociai i suoi occhi, lui si diede una piccola spinta e si distaccò dalla parete per poi camminarmi incontro. "Concordo pienamente." mormorò in direzione di Thomas, lasciandosi cadere sul materasso affianco a me.

"Fate come vi pare." sbottò acido Thomas, sedendosi arrabbiato e offeso un un letto.
Minho strizzò gli occhi, come se stesse riflettendo, ma non rispose. Newt si mosse sul suo letto, lanciando a Stephen un'occhiataccia e incrociando braccia e gambe, mettendo poi anche il broncio.
Osservai Thomas per qualche altro secondo, per cercare di capire se avesse preso in considerazione le mie parole, ma quando lo vidi scuotere la testa −  quasi come se mi avesse letto nella mente e avesse subito risposto alla mia domanda − e distendersi sul materasso, chiudendo gli occhi e decretando chiusa quella discussione, decisi che almeno per il momento non lo avrei più degnato neanche di uno sguardo.



 

Erano passate ormai diverse ore quando finalmente arrivò una donna con delle costolette di maiale e patate. Non riuscendo più a resistere alla fame mi avventai sulla mia porzione, imitando gli altri ragazzi. Mangiammo i pasti in silenzio e poi passò qualche altra ora, rotta solamente dal ronzio della luce fissata sul soffitto.
Si era da poco fatta sera, stando a quello che avevo sbirciato dall'orologio di Newt, ma non riuscivo a pensare di dormire. Sia perchè il mio letto era ancora occupato da Stephen, sia perchè tutta quella tensione nella stanza mi stava rendendo anche difficile respirare per paura di fare troppo rumore.
Con il passare del tempo mi ero sentita sempre più in imbarazzo per quello che avevo detto, come se fosse mia la colpa di tutto, ma non avevo niente da proporre e soprattutto non volevo essere la prima a rompere quel silenzio.
Minho fu il primo a parlare da quando era arrivato il cibo. "Forse dovremmo assecondare quelle facce di caspio e basta. Fare come vogliono loro. Un giorno ce ne andremo in giro grassi e contenti." 
Per quanto lo sperassi, sapevo che in realtà il ragazzo non era serio. Thomas lo assecondò: "Già, magari potresti trovarti una bella ragazza che lavora qui, sistemarti, sposarti e fare dei figli. Giusto in tempo per vedere il mondo popolato da un mare di pazzi."
Minho fece un ghigno e stette al gioco. "Già, tanti piccoli Minho e Violet." si lasciò fuggire, poi subito dopo lanciandosi uno schiaffo sulla bocca e tappandosela con la mano.

Spalancai gli occhi e osservai gli altri ragazzi irrigidirsi con la schiena e poi affilare lo sguardo verso l'asiatico. Non che per me fosse una sorpresa la loro relazione, solo che pensavo non lo avrebbe mai ammesso. Minho −  come già avevo potuto constatare  − non lasciava facilmente leggere agli altri i propri pensieri e le proprie emozioni.

"Violet, mh?" domandò Stephen. "Oh, è per caso quella ragazza che sta sempre con Elena?" continuò poi il ragazzo.

Ero talmente tanto divertita e imbarazzata per il Velocista che per poco non mi accorsi neanche di come mi aveva chiamata Steph. Era la prima volta che diceva il mio nome per intero, senza nomignoli.
"Cosa?" domandò Minho stupito e arrabbiato. "Come sai che è lei?" chiese, accorgendosi solo dopo di aver peggiorato la sua situazione e perciò riprendendosi. "Volevo dire... No, no. E' solo io primo nome che mi è venuto in mente."
Non riuscii più a trattenere le mie risate e in meno di un secondo scoppiai, riempendo la stanza di rumore. Cercai di fermarmi, ma ogni volta che ero quasi vicina al terminare quella risata inadatta e sgarbata, per quanto divertente, lo sguardo mi finiva sempre sull'espressione buffa del Velocista e a quel punto era impossibile contenere la valanga di altre risate che mi saliva dalla gola.

"Che c'è da ridere?" mi sgridò Minho. "Lo so che voi pive siete tutti segretamente innamorati di me, però ora il mio cuore appartiene ad una sola donzella."
Non appena l'asiatico finì quella frase, la mia risata cessò, sostituita da uno sguardo di serio stupore verso il ragazzo. Aveva detto una cosa talmente dolce da farmi quasi sciogliere sul posto. Insomma, il tono ironico con cui l'aveva pronunciata aveva rovinato l'atmosfera, però sentire il ragazzo dire una cosa del genere era veramente sbalorditivo.

"Ma guarda un po'..." lo stuzzicò Thomas. "Ora lo ammetti pure."

"Anche per forza. Sarei stato un idiota a negare l'evidente." ammise il Velocista, cancellando dal suo viso ogni traccia di vergogna o timidezza.

"Be' allora credo che tu debba fare un corso accelerato di come si tratta una cacchio di ragazza." intervenne Newt divertito. "Credo che Eli ti possa essere d'aiuto in questo caso."

"Sì, guarda un po' il bel lavoro che ha fatto con te." replicò Minho sbuffando. "No, grazie. Passo."
"Ehi!" gridai alzandomi dal letto e avvicinandomi di più verso gli altri. "Guardate che io non ho fatto proprio niente a Newt!"

"Se non sei tu la causa del suo essere pappa-molle negli ultimi tempi, allora io ho corso per anni nel labirinto con un vestito da principessa." rispose a tono l'asiatico. "Andiamo, da quando siete innamorati non fa altro che sbavarti dietro e seguirti. Non si stacca mai da te, neanche fosse un Dolente."
"Aspetta, cosa?" domandò Newt, aggrottando le sopracciglia. "Questo non è vero!"
"Oh, ora capisco cosa vuoi fare." mi intromisi, puntando l'indice contro Minho. "Stai spostando il discorso verso me e Newt in modo da sviare l'argomento di te e Violet. Ci saresti anche riuscito se io non fossi la ragazza intelligente che sono." continuai, fingendomi una saputella e scostandomi i capelli di lato con un gesto della mano.
"E dai, andiamo..." brontolò Minho, incrociando le braccia al petto. "Io non ho mai impicciato negli affari tra voi due." si giustificò indicando sia me che Newt. "Non vi vengo mica a chiedere di tutte le volte che avete fatto sesso. Questi sono affari miei e di Violet."

"Quindi..." iniziò Thomas, assumendo una faccia divertita. "Tu e Violet avete fatto sesso, ma tu non vuoi raccontarci i dettagli."

"Esatto." sbottò Minho, rendendosi conto solo troppo tardi della sua risposta. "No! Diamine, mi state facendo rincaspiare. Volevo dire che gli affari miei e di Violet sono solo nostri. Non ci dovete ficcare il naso."

"Però..." si intromise Newt, allungandosi verso il compagno asiatico, ora imbronciato. "Avete fatto sesso, no?"

"Newt!" lo rimproverai, diventando rossa senza motivo. "Certe cose non si possono chiedere!"
"Scusa, era solo curiosità." si giustificò lui alzando le mani ed indietreggiando sul letto.

"Sentite..." intervenne Stephen, rimasto in silenzio fino a quel momento. "Io non ho intenzione di sorbirmi i dettagli della vostra vita sessuale, perciò propongo di andarcene tutti a dormire e dimenticare questa conversazione una volta per tutte." 
"Concordo." borbottò Thomas a bassa voce, battendo la mano sul cuscino.
"Ma io voglio sapere come si sono innamorati." brontolai, avanzando verso il letto di Minho e sedendomi accanto al Velocista. "Andiamo, spara."
"Non ci penso proprio. Se vuole te lo spiegherà lei più avanti." dichiarò Minho, spingendomi delicatamente lontano da lui.

"Probabilmente lo farò. Una volta usciti da qui andrò a..." mi interruppi accorgendomi solo in quell'istante che non avrei mai più rivisto Violet. 

La ragazza aveva deciso di recuperare i ricordi, perciò non potevamo rischiare di perdere tempo per recuperarla e poi rischiare di perdere il nostro momento buono per scappare.

"Minho, non possiamo lasciarla qui." spiegai dando voce ai miei pensieri.

"Lo so." mormorò il ragazzo, perdendo la sua espressione da sbruffone. "Ma non ci possiamo fare niente. Lei ha preso la sua decisione, ora sta a noi."

"Ma Minho, non..." provai a replicare.

"Troppi discorsi in una sola sera." mi interruppe il ragazzo, spingendomi e costringendomi ad alzarmi dal suo letto. "Buona notte." mormorò sollevando le coperte del suo letto e tuffandosi al suo interno. Lo vidi chiudere gli occhi, girarsi con il viso rivolto verso la parete del muro e produrre un profondo sospiro, poi non si mosse più, neanche di un millimetro, e non disse più nulla.

Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe. Non volevo abbandonare Violet, non potevo. Non l'avevo neanche salutata come si deve! Probabilmente non l'avrei mai più rivista se fossi fuggita con gli altri nella Zona Bruciata, e non lo potevo permettere!
"Forza, Eli." bisbigliò Newt, comparendo all'improvviso alle mie spalle e prendendomi la mano. "Mettiamoci a dormire." propose, iniziando a tirarmi verso il suo letto.
"Posso dormire con te?" domandai mordendomi il labbro.

"Tu non puoi. Tu devi." ordinò tirandomi a lui e depositandomi un bacio in fronte. "Non mi fido di Stephen e non ho intenzione di staccarmi da te." spiegò poi. "Forse Minho ha veramente ragione." borbottò divertito, alzando le coperte e facendomi segno di infilarmici sotto e fargli spazio.

'Non possiamo farci niente. Lei ha preso la sua decisione.' Ripetei nella mia mente.
"Già, forse ha ragione." risposi accoccolandomi sul petto di Newt e chiudendo gli occhi.

 

 

Trascorsi più di un'ora a fissare il buio quella notte, rimuginando su tutto quello che avevo vissuto quel giorno: prima la non-immunità di Newt, il piano di fuga saltato, poi il litigio con Thomas e alla fine il dialogo con Minho riguardo a Violet. Per quanto quella giornata fosse stata piena di colpi di scena e brutte notizie inaspettate, mi sentivo completamente vuota, come se il sileznio che aleggiava nella stanza mi avesse riempito completamente, senza lasciare lo spazio per altro. Però alla fine mi addormentai, colta dalla stanchezza di quel giorno. 

La mattina seguente fummo tutti svegliati da dei forti colpi alla porta. Sentii Newt scattare sotto di me, probabilmente per la paura improvvisa che quei colpi avevano causato in lui, mentre io non feci neanche in tempo a collegare il cervello al resto del corpo che la porta si spalacancò, rivelando le stesse cinque guardie del giorno. Esse entrarono con i lanciagranate sollevati e subito li puntarono contro di noi, neanche fossimo tutti pericolosi e super attivi già di prima mattina. Insomma, ci eravamo appena svegliati! C'era bisogno di tutte quelle armi? Forse Janson aveva talmente paura di noi e dei nostri comportamenti da aver perso l'abitutine di abbassare la guardia in nostra presenza.
L'uomo infatti non tardò ad entrare nella stanza, sbraitando con il suo sorrisetto da ratto come al solito. "Alzatevi, belli addormentati" disse. "Abbiamo deciso di restituirvi comunque la memoria. Che vi piaccia o no."

Ero talmente tanto assonnata, che la stanchezza mi annebbiò la mente, facendomi afferrare a malapena ciò che aveva detto quell'uomo.
"Te lo puoi scordare." rispose Newt, che invece sembrava aver capito chiaro e tondo l'annuncio dell'uomo. 
Feci per richiudere gli occhi per la stanchezza, quando però sentii il peso e il calore del biondino abbandonare il letto, lasciandomi come scoperta e fu a quel punto che il sonno mi abbandonò del tutto.

Il ragazzo era sceso dal letto, con i pugni sui fianchi, e fissava Janson inferocito. Non ricordavo di aver mai visto un tale fuoco nello sguardo di Newt, ma dopo qualche istante le parole dell'Uomo Ratto mi risvegliarono dallo stordimento, facendomi comprendere a pieno l'espressione del biondino.
Vidi Thomas scattare in piedi sul pavimento e contestare: "Ci hai detto che non eravamo obbligati a farlo."
"Purtroppo non abbiamo scelta." rispose Janson. "Il tempo delle menzogne è finito. Non funzionerà niente se voi tre continuerete a brancolare nel buio. Mi dispiace. Dobbiamo farlo. E poi, Newt, tu più di tutti trarrai beneficio dalla cura."
"Non mi importa più niente di me." rispose lui a denti stretti. 
Vidi Thomas osservare Janson con una furia omicida e mi decisi a scendere anche io dal letto, per evitare di perdermi un'eventuale fuga di prima mattina. Dalla tensione che aleggiava nella stanza potevo capire che forse era arrivata l'ora di entrare in azione, se solo non ci fossero stati quei lanciagranate. 

Janson fece un respiro profondo, assumendo un'espressione più calma, come se si fosse accorto del pericolo crescente nella stanza e volesse neutralizzarlo. "Sentite, Newt, Minho, Thomas. Io capisco come vi sentite. Avete assistito a cose orribili. Ma il peggio è passato. Non possiamo cambiare ciò che è stato,non possiamo cancellare quello che è successo ai vostri amici. Ma arrivati a questo punto non sarebbe uno spreco non completare la cianografia?"
"Non potete cancellarlo?" gridò Newt. "È tutto qui quello che hai da dire?"
"Vedi di calmarti." lo avvertì una delle guardie, puntandogli un lanciagranate al petto.
Non appena l'arma sfiorò il petto del mio ragazzo, sentii la rabbia ribollire in me. Serrai i pugni e mi affrettai a raggiungere il fianco di Newt, prendendolo per mano. Poi mi rivolsi alla guardia, incanalando nelle mie parole e nel mio sguardo tutto l'odio che provavo nei loro confronti, nella speranza che capissero che in caso si fossero azzardati a sfiorare anche solo un capelli del biondino, io li avrei ridotti in cenere. "Allontana quella cosa da lui, ora." ordinai serrando la mascella.
Prendendo in un modo diverso i miei ordini, la guardia spostò la bocca del lanciagranate dal petto di Newt al mio, serrando la presa sull'arma.

Nella stanza piombò il silenzio. Poi però Janson riprese a parlare. "Non ci resta più molto tempo. Adesso andiamo oppure si ripeterà la situazione di ieri. Le mie guardie non aspettano altro, ve lo assicuro."
Minho saltò giù dal letto e in un secondo piombò in mezzo a noi, iniziando a parlare come se fosse ancora assonnato. "Ha ragione." disse come se niente fosse. "Newt, se possiamo salvare te − e chissà quanti altri − saremmo degli idioti del caspio a rimanere in questa stanza un secondo di più."
Spalancai gli occhi e gli rivolsi un'occhiata interrogativa−  senza però farmi vedere da Janson. Era la stessa cosa che avevo sostenuto io il giorno precedente e lui mi aveva contestato! Cosa diamine gli prendeva?

La risposta alla mia domanda arrivò quasi immediatamente dato che vidi l'asiatico lanciare un'occhiata a Thomas e fare un cenno verso la porta. "Andiamo, forza." 

Passò accanto all'Uomo Ratto e alle guardie e si incamminò verso il corridoio senza voltarsi. Janson guardò con aria perplessa Thomas, che tuttavia stava fissando il vuoto confuso. La dichiarazione di Minho era così strana e incoerente al suo pensiero che mi venne subito da dubitare della veridicità delle parole dichiarate dal ragazzo. Doveva avere un piano, questo era sicuro. 

Forse era veramente arrivato il momento di attuare la fuga? Magari voleva fingere distare al gioco in modo da guadagnare tempo. Thomas diede le spalle all'Uomo Ratto e alle guardie, e fece velocemente l'occhiolino a me e a Newt, senza che gli altri lo vedessero. 
"Sentiamo solo quello che vogliono da noi." borbottò in modo spontaneo,  talmente sincero da convincere persino me. "Io ho lavorato per queste persone prima del Labirinto. Non posso essermi completamente sbagliato, giusto?"
"Oh, per favore." rispose Newt con aria esasperata, ma si avviò verso la porta, trascinandomi dietro di lui. 
"Quando tutto questo sarà finito, voi sarete degli eroi." disse Janson non appena varcammo la soglia passandogli accanto. 
"Ah, sta' zitto." rispose Thomas, facendo cenno a Stephen di seguirci. Il ragazzo dai capelli bianchi scattò in piedi e senza dire nemmeno una parola ci raggiunse fuori dalla stanza, seguito poi da Thomas.

{Capitolo non revisionato}

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Capitolo 28
*** Capitolo 28. ***


Seguimmo nuovamente l'Uomo Ratto nel labirinto di corridoi, ma questa volta purtroppo il silenzio era venuto a mancare, sostituito dalla fastidiosa voce di Janson che mentre camminavamo descriveva il percorso come fosse una guida turistica. Forse era talmente tanto calmo, felice e sollevato della nostra decisione di 'collaborare' con loro che aveva talmente abbassato la guardia da non considerarci più pericolosi.
Pff, povero piccolo ingenuo. Pensai tra me e me, evitando di ridacchiare di gioia.
Per evitare di scoppiare a ridere per la vendetta che a poco avremmo attuato, mi concentrai sulle sue parole, riuscendo persino a stare attenta ai suoi discorsi.
L'Uomo Ratto spiegò che quella struttura non aveva molte finestre per via del tempo spesso impetuoso e delle gang di persone infette che vagavano all'esterno. Menzionò la violenta tempesta della notte in cui fummo portati via dal Labirinto e raccontò come il gruppo di Spaccati aveva superato il perimetro esterno per osservarci salire sull'autobus. 
Mi ricordavo fin troppo bene quella notte. Il terrore nel vedere Thomas scaraventato via da una donna che anche senza saperlo avevo identificato come pazza o malata, seguito dal desiderio che lei sparisse all'istante e ci lasciasse andare via in pace, e subito dopo la brutta e terribile sensazione che avevo provato quando le ruote erano passate sopra la donna, l'autista che non aveva nemmeno rallentato. 
Stentava a credere che fosse successo solo pochi mesi prima: sembravano anni. "Come vorrei che chiudessi il becco." disse Newt con disprezzo. E con mia sorpresa l'Uomo Ratto lo fece veramente, senza rispondere a tono o rimproverandolo. Stette semplicemente zitto, ma con ancora quel sorrisetto fastidioso dalla faccia. 
Quando arrivammo nell'area in cui eravamo stati il giorno precedente, l'Uomo Ratto si fermò e si rivolse a noi con un'espressione seria. "Spero che oggi collaborerete tutti. Sarebbe il minimo da parte vostra."
Il minimo? Il minimo da parte vostra è che ci lasciaste in pace. Pensai evitando di replicare ad alta voce alla sua affermazione.
"Dove sono gli altri?" chiese Thomas. 
"Gli altri Soggetti sono stati ricoverati..." prima ancora che l'uomo potesse finire la frase, Newt era scattato, abbandonando la mia mano, e aveva afferrato l'Uomo Ratto per il bavero del camice bianco, sbattendolo contro la porta più vicina. 
"Chiamali di nuovo Soggetti e ti spezzo l'osso del collo, carogna!" gli urlò contro.
Spalancai la bocca, incapace di agire in altro modo. Non avevo mai visto il ragazzo così violento e pieno di rabbia. Forse il suo comportamento era dovuto principalmente all'Eruzione, ma prima che Janson gli desse la cattiva notizia, non lo avevo mai visto mostrare così tanto i segni del virus.
Due delle cinque guardie si fiondarono su di lui in un istante, lo allontanarono da Janson e lo scaraventarono a terra, puntandogli i lanciagranate in faccia.
Feci per correre a ripararlo da eventuali granate elettriche, ma la voce di Janson mi pietrificò sul posto. "Aspettate!" gridò l'uomo. "Aspettate." Si ricompose, sistemandosi la camicia e la giacca stropicciate. "Non mettetelo fuori combattimento. Concludiamo quest'operazione una volta per tutte."
Newt si tirò su lentamente, con le braccia alzate. "Non chiamarci soggetti. Non siamo cavie. E di' ai tuoi amici del caspio di calmarsi. Non ti avrei fatto del male." spiegò con un sorrisetto beffardo, indietreggiando e tornando al mio fianco. "Non molto." aggiunse poi, sbeffeggiando le due guardie. 
Lanciai uno sguardo a Newt in modo preoccupato, ma lui non sembrò neanche vedermi perchè continuò a fissare l'Uomo Ratto con odio, per poi fissare Thomas in cerca di un suo intervento.
Il ragazzo era rimasto in disparte rispetto a noi e non sembrava neanche aver visto la scenata che Newt aveva appena fatto dato che se ne stava con lo sguardo abbassato sulle sue scarpe e che il suo pollice era intento ad accarezzare il labbro inferiore. 
Riuscivo sempre a capire quando Thomas era assorto nei suoi pensieri, ma dopotutto non era un mistero, data la sua espressione.
Poi improvvisamente, come se avesse spento l'interruttore del pensiero e avesse acceso nuovamente la realtà, alzò lo sguardo dritto verso Newt e non esitò a parlare: "Ragazzi." ci chiamò con calma, prima che l'Uomo Ratto potesse ricominciare a parlare. "Credo che abbia ragione. Credo sia giunto il momento di fare quello che ci si aspetta da noi." spiegò semplicemente, poi guardando ognuno di noi negli occhi aggiunse: "Ieri sera eravamo tutti d'accordo." 
Non mi ci volle molto per capire che l'ora della fuga era giunta e così annuii. "Sì, dobbiamo restare e trovare una cura." aggiunsi, senza neanche sforzarmi troppo di fingere dato che in fondo ancora pensavo che rimanere e aiutare Newt a guarire fosse una ottima idea. "Newt, ti prego. Accetta." bisbigliai poi, fingendo di essere triste.
Newt si morse il labbro, ma poi parlò. "Se tutti voi pive lo fate, allora sono con voi." affermò annuendo come a confermare la sua decisione, poi si rivolse all'asiatico e lo chiamò. "Minho?"
Quest'ultimo sorrise nervoso, ma annuì, causando subito dopo un piccolo sospiro di sollievo in Janson.
La mano di Newt si strinse attorno alla mia, stringendo come non lo avevo mai sentito fare. Ricambiai la stretta e sentii le mie dita tremare per l'agitazione nonostante fossero incrociate tra quelle del biondino.
Adesso o mai più. Pensai.
Thomas non esitò. Diede una gomitata in faccia alla guardia dietro di lui e un calcio al ginocchio a quella davanti. Entrambe caddero a terra, colte alla sprovvista, ma si ripresero in fretta. Vidi il ragazzo muoversi ancora, ma non prestai attenzione alle sue mosse dato che all'improvviso sentii la mano di Newt abbandonare la mia per gettarsi su un'altra guardia. La scaraventò a terra e la bloccò sul pavimento. Minho nel frattempo ne stava prendendo a pugni un'altra. 
Ma la quinta − una donna − non era stata toccata, e stava alzando il lanciagranate. 
Prima ancora che riuscisse ad usarlo decisi di affrontarla e buttarmi su di lei nel tentativo di evitare che premesse il grilletto. Non appena le mie braccia entrarono in contatto con il suo corpo, dandole una forte spinta, la donna indietreggiò di qualche passo colta alla sprovvista, ma non perse l'equilibrio e dopo qualche secondo mi lanciò un'occhiataccia infuriata.
La vidi muovere il lanciagranate e dopo neanche un secondo mossi le braccia verso l'arma, colpendo la canna di essa verso l'alto, non avevo neanche pensato di voler fare quel movimento, e i miei muscoli avevano deciso al posto della mia testa.
Finalmente iniziavo a prendere la mano nei combattimenti. Se non altro avevo smesso di pensare, affidandomi solamente al mio istinto. 
Tuttavia la guardia riuscì a non mollare la presa sull'arma e in meno di un secondo me la sbatté sulla tempia, causandomi un dolore lancinante alle guance e alla mandibola. Sentii le fitte propagare sul resto del viso, come trasportato dalle vene. 
Persi l'equilibrio e mi ritrovai in ginocchio, con la testa stretta forte tra le mani. Sentii un forte fischio nelle mie orecchie e poi il nulla per qualche secondo, come se avessi perso l'udito. Qualcuno −  sicuramente la guardia contro cui stavo combattendo −  mi diede un forte calcio sulla schiena e quello bastò a farmi abbandonare del tutto l'equilibrio, finendo a terra a faccia all'avanti. Cercai più volte di rialzarmi, ripetendomi che la battaglia non era finita e che dovevo fare quel piccolo sforzo per poi uscire finalmente dalla W.I.C.K.E.D., ma qualcosa di pesante mi atterrò sulla schiena, sbattendomi sulle piastrelle dure e lasciandomi senza fiato. 
Sentii un ginocchio conficcarsi nel centro della spina dorsale, impedendomi ogni movimento e un oggetto metallico premuto contro il cranio.
"Mi dia l'ordine!" gridò la donna sopra di me, facendo tornare il fastidioso fischio alle mie orecchie. "Vicedirettore Janson, mi dia l'ordine! Le friggo il cervello."
Non riuscivo a vedere gli altri, ma nonostante il fischio assordante nelle orecchie riuscivo a percepire i rumori della colluttazione erano ancora in corso.
La donna sopra di me disse qualche altra parola che però venne interrotta bruscamente da un violento impatto ricevuto. Come per magia il suo peso, che ormai stava diventando insopportabile, sparì del tutto e sentii delle braccia tirarmi su forza, ma senza farmi male.
Quando fui in piedi e stabile, riuscii a mettere a fuoco il viso abbastanza vicino al mio che mi stava chiedendo qualcosa con voce alta ma non per questo fastidiosa.
"Grazie, Newt." mormorai, senza neanche capire cosa il ragazzo mi stesse dicendo. Lo stordimento era ancora talmente radicato in me che quasi mi venne voglia di accasciarmi di nuovo a terra e chiudere gli occhi.
Vidi due guardie correre davanti a me e Newt, puntandoci due lanciagranate sfocati addosso e sbraitando qualche ordine. Sentii le mani del biondino spingere su di me e in meno di un secondo mi ritrovai ad appoggiare stanca la testa sulla sua schiena.
Senza che me ne accorgessi il ragazzo mi aveva spostato dietro di lui per farmi da scudo. Per quanto la mia mente mi urlasse di controbattere e cercare anche io di rendermi utile per proteggerlo, la mia bocca e il mio corpo sembravano essersi spenti all'istante, troppo concentrati sul mantenermi almeno in piedi.
Per quanto lo stordimento mi offuscasse i sensi, potei percepire un'assenza di movimento intorno a me e ciò non era affatto una buona cosa, dato che stava a significare che il nostro ammutinamento aveva avuto vita breve: tutti e cinque sottomessi in meno di due minuti. 
Sentii il mio cuore −  che ancora stava pompando all'impazzata sangue mischiato a dolore in tutto il mio corpo − riempirsi di disperazione e non potei fare a meno di corrugare il mio viso in una smorfia di tristezza. Avevo veramente sperato di riuscire a battere la W.I.C.K.E.D. questa volta eppure avevamo fallito miseramente. Di nuovo.
"Cosa vi salta in mente!" il ruggito infuriato di Janson mi riempì le orecchie, sovrastando e facendo un po' cessare quel ronzio che ancora persisteva nel mio cervello, come un insetto incastrato nel cranio . "Pensate davvero che cinque... bambini possano avere la meglio su delle guardie armate? Voi ragazzi dovreste essere dei geni, non degli stupidi e illusi... ribelli. Forse allora l'Eruzione vi ha davvero offuscato il cervello!"
Solo a quelle parole riuscii a trovare la forza per alzare la testa e guardare l'uomo oltre la spalla di Newt. "Sta' zitto!" sentii Stephen urlare con rabbia. "Chiudi quel..."
Qualcosa soffocò il resto delle sue parole. L'immagine di una delle guardie che stava  facendo del male a Stephen mi fece tremare di rabbia e quando voltai la testa in direzione del ragazzo lo vidi steso a terra, bloccato da una guardia il doppio di lui.
"Tirateli su!" sbraitò Janson. "Tirateli su!" ripetè poi, ancora più infuriato.
Vidi le due guardie davanti a noi fare un lungo passo nella nostra direzione. Una di esse afferrò Newt per il colletto della maglia, strattonandolo lontano da me in modo da permettere alla seconda guardia di potermi toccare senza finire con una mano mozzata.
"Non la toccare!" gridò Newt infuriato, cercando di liberarsi dalla presa della guardia che tuttavia non cedette neanche per un secondo. Non appena le mani della donna armata si aggrapparono ai miei vestiti, graffiandomi addirittura la pelle, sentii montare in me un ultimo briciolo di forza e mi dimenai, nel tentativo di raggiungere nuovamente Newt, ma lei mi trattenne con forza. 
Il viso di Janson era rosso fuoco. "È assolutamente ridicolo! Non permetteremo nella maniera più assoluta che si ripeta una cosa del genere." sbraitò rivolvendosi ad ognuno di noi, poi soffermandosi su Thomas.
"Io ero solo un bambino." disse quest'ultimo, fissando intensamente l'Uomo Ratto. "Ero un bambino. Mi hanno fatto il lavaggio del cervello per convincermi a fare quelle cose... ad aiutarli."
"Io non c'ero all'inizio." rispose Janson con voce pacata. "Ma sei stato tu stesso ad assegnarmi questo incarico dopo che i fondatori sono stati eliminati. E se vuoi saperlo, non ho mai visto nessuno, bambino o adulto, così determinato." Sorrise e a Thomas, il quale reagì subito a quell'espressione bastarda, dimenandosi sotto il controllo della guardia che lo teneva fermo. "Non m'importa quello che..."
"Adesso basta!" gridò Janson esasperato. "Portate loro tre dentro." ordinò indicando Minho, Newt e Thomas. Poi fece un cenno di mento verso me e Stephen e aggiunse. "Rimanete qua fuori con i due Soggetti C. E state particolarmente attenti alla ragazzina."  
Le due guardie annuirono e allora l'Uomo Ratto continuò. "Devo andare a controllare una cosa, perciò vi raggiungerò tra poco." 
Non appena l'uomo si voltò di spalle e cominciò a camminare lungo in corridoio, le guardie iniziarono a spingere i ragazzi nella stanza. Quando vidi Newt −  che era l'ultimo della fila −  dimenarsi in preda al panico e sbraitare con pazzo nel tentativo di fermare in qualche modo la guardia che lo spintonava, una rabbia famelica mi divorò dall'interno.
Lo stordimento che prima avevo provato e l'indebolimento del mio corpo sparirono all'istante, sostituiti da una feroce voglia di fare a pezzi qualsiasi cosa toccasse il mio ragazzo.
Grugnendo come un cane rabbioso  mi catapultai verso l'esterno con una forza talmente violenta e improvvisa da riuscire addirittura a sfuggire dalla presa ferrea della guardia. Non ebbi neanche in tempo di stupirmi delle mie capacità che con la coda dell'occhio vidi la donna dietro di me allungare le braccia per acciuffarmi. Feci uno scatto in avanti e per pochi millimetri riuscii a fuggire dal suo controllo, barcollando veloce verso la guardia che stava ancora spintonando Newt in malo modo.
Ancora prima di riuscire a raggiungerla decisi di annullare le distanze ancora prima del tempo, serrando la mano a pugno e colpendo la guardia a caso. Questa purtroppo sembrò non sentire neanche quel colpo e continuò a punzecchiare il biondino.
E fu proprio quando sentii Newt urlare di disperazione che persi totalmente il controllo del mio corpo. Presi la carica, accelerando ancora di più la corsa e come un toro inferocito mi chinai di poco con la schiena, allargando le braccia e spostando leggermente il collo di lato. Mi lanciai come una furia verso la guardia e la placcai con forza, riuscendo addirittura a farla cadere a terra. Non feci neanche caso al dolore che si propagò nella mia spalla in seguito a quel violento impatto, troppo concentrata a far saltare tutti i denti all'uomo sotto di me. Non gli diedi neanche il tempo di prendere un respiro o capire cosa fosse successo che iniziai a riempirlo di pugni, graffi e gomitate senza sosta. Ignorai il dolore sulle nocche e il fiatone, feci finta di non percepire la forza che mi stava abbandonando a poco a poco, indebolendo i miei colpi e la loro intensità.
Ero talmente fuori di me che non sentii neanche il mio corpo sollevarsi e distaccarsi dalla guardia che avevo atterrato. Continuai a tirare calci e pugni fino a che non capii di essere ormai distante dalla mia vittima, ancora una volta stretta nella prigionia delle braccia della donna.
"Non ve lo permetterò!" gridai infuriata, nel tentativo di liberarmi. Nonostante il vuoto sotto i miei piedi, continuai a scalciare nella speranza di toccare terra e correre via. 
Ero in preda ad una crisi isterica. Il pensiero che potessero fare qualcosa a Newt contro la sua volontà non solo mi terrorizzava, ma mi faceva anche imbestialire. 
Vidi la guardia che avevo atterrato rialzarsi da terra come se nulla fosse e lanciarmi un'occhiataccia di sfida. Con un ghigno di chi l'aveva appena avuta vinta si avvicinò nuovamente a Newt e lo afferrò di nuovo, trascinandolo verso la porta, mentre lui strisciava i piedi per terra. "No! No! Lascialo stare!" urlai sentendo le mie corde vocali tremare. "Mollalo!"
Mi dimenai nuovamente, cercando di liberare le braccia, ma le bracia della donna erano come manette di ferro attorno al mio corpo. Non mi importava quanto fosse impossibile riuscire nuovamente a sfuggirle da sotto il naso, sapevo che avevo perso quella battaglia sin dall'inzio, ma non ci davo peso: non volevo e non potevo gettare la spugna così.
Newt non voleva recuperare i ricordi e io non avrei permesso alla W.I.C.K.E.D. di toccarlo anche solo con un dito. 
Questi pensieri non abbandonarono la mia mente fino a che una figura nera e sfocata non mi apparve davanti. Non riuscii neanche ad identificare a chi appartenesse quella sagoma che immediatamente percepii un colpo secco e forte sulla mia tempia.
L'ultima cosa che vidi prima di perdere i sensi fu la scritta "W.I.C.K.E.D." cucita sul petto del mio aggressore.

{Capitolo non revisionato}

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Capitolo 29
*** Capitolo 29. ***


{ATTENZIONE: leggete l'angolo scrittrice in basso. E' molto importante!
}

Quando finalmente ripresi i sensi, un forte mal di testa mi accecò, obbligandomi a portare le mani sulle tempie nel tentativo di calmarlo anche se in minima parte. Sentii una voce parlarmi, ma non capii nè da chi provenisse nè se fosse reale o solo il frutto della mia immaginazione. 
Lentamente aprii gli occhi, sbattendoli poi subito dopo nel tentativo di abituarli alla luce accecante che mi aveva perforato come una spada. Nel frattempo – dopo aver compreso che quel mal di testa non sarebbe sparito così semplicemente –  decisi di mettermi almeno seduta, ma non appena lo feci sentii la terra sotto di me cedere e caddi nuovamente stesa, ma prima che il mio corpo facesse impatto con il terreno sentii delle braccia sorreggermi.
Lentamente riaprii gli occhi e la prima cosa che vidi fu quel bianco accecante che mi ricordava solo una cosa: la Stanza Bianca. Decisa a non confondere i miei sensi più del dovuto, smisi di fissare le pareti incolori e alzai lo sguardo, decisa a capire chi fosse colui che mi stava ancora tenendo tra le braccia.
Non appena vidi quegli occhi azzurri e i capelli inconfondibilmente bianchi, non mi ci volle molto a capire di chi si trattasse. Per un attimo vedere il suo viso dal basso mi riportò indietro ad un flashback, quando eravamo appena entrati nella Zona Bruciata: io ero svenuta e lui mi stava trasportando in braccio senza neanche sapere chi fossi; mi ricordavo di aver alzato lo sguardo e di averlo osservato a lungo, lineamenti del viso ben definiti, pelle pallida con qualche arrossatura qua e là, mento pronunciato, sopracciglia folte e scure, labbra leggermente carnose e capelli stranamente bianchi.
Mi ricordavo ancora della sensazione strana che provavo stando tra le sue braccia, mi ricordavo che il primo sentimento che avevo provato era stato il terrore, poi la confusione e poi di nuovo la paura che potesse farmi del male. In quel momento, invece, l'unica cosa che riuscivo a sentire sopra il mal di testa era sollievo di avere un viso familiare accanto, ma mischiato anche ad un po' di delusione nel riconoscere che quel viso familiare purtroppo non apparteneva a Newt.
Sarebbe stato quasi impossibile vederlo sopra di me, d'altronde l'ultima volta che lo avevo visto era stata prima di svenire ed ero sicura che lo avessero trascinato senza problemi dentro la stanza per fargli riacquistare la memoria.
A questo pensiero chiusi gli occhi e sbuffai delusa di non essere riuscita a salvarlo, a portarlo con me. Me lo avevano sottratto da sotto il naso e non ero riuscita a fare nulla per cambiare le cose. Mi sentivo impotente e inutile.
"Ti sei svegliata, finalmente." constatò Stephen, rivolgendomi un sorriso sollevato.
"Già..." borbottai uscendo lentamente dai miei pensieri. "Da quanto sono svenuta?"
"A dire la verità da poco... Sarà passata solo mezz'ora." spiegò lui spingendomi verso l'alto in modo che riuscissi finalmente ad alzarmi.
Mugugnai per lo sforzo perchè il mio corpo sembrava essere ancora assonnato, ma alla fine riuscii a mettermi a sedere senza cadere di nuovo a terra.
Mi portai la testa tra le mani e la cossi leggermente chiudendo gli occhi e sbuffando.
"Ti fa ancora male?" domandò Stephen. "Ti hanno colpito talmente forte che un elefante al posto tuo sarebbe ancora stordito e svenuto." disse divertito. "Adoro quando fai la matta. Prima sembravi veramente un toro inferocito, hai spaventato pure me." ammise alzando le mani in segno di resa.
Gli lanciai un'occhiataccia furibonda. Come faceva a scherzare in un momento simile? I nostri amici erano chissà dove a contorcersi per il mal di testa e a piangere sui propri ricordi, mentre noi eravamo confinati in una stanza completamente bianca senza poter far nulla per aiutarli.
"Ecco, vedi? Parlavo proprio di questo. A volte mi terrorizzi." continuò lui.
"Smettila." sbuffai cercando di alzarmi lentamente in piedi. Vedendomi con le gambe traballanti e l'equilibrio instabile, il ragazzo accorse in mio aiuto, facendomi appoggiare alla sua spalla e sorreggendomi. "E comunque sì, mi fa ancora male la testa, ma non è questo il punto."
"E allora cosa lo è?" domandò lui corrugando la fronte.
"Il fatto che ci hanno fregato per la millesima volta." spiegai esasperata. "Oh, e anche il fatto che ci hanno di nuovo separato dai nostri amici, che ci hanno di nuovo obbligati a fare qualcosa che non vogliamo e che siamo di nuovo rinchiusi in questa dannatissima stanza."
"Ehi, non avercela con me. Non è mica colpa mia se gli arredatori di questo posto sono dei fanatici del bianco." protestò lui, riuscendo questa volta a strapparmi un sorriso, che tuttavia durò poco.
"Dove credi siano gli altri?" domandai incrociando le sue iridi azzurre.
"Non ne ho idea, ma qualsiasi posto è meglio di dove siamo noi." constatò sbuffando.
"Rassicurante." borbottai accorgendomi solo in quel momento che i miei sensi e la mia stabilità si erano risvegliati, dandomi perciò la possibilità di distaccarmi dal ragazzo senza cadere pericolosamente a terra.
Feci qualche passo per la stanza e mi guardai attorno. 
"Se cerchi una via d'uscita, stai sprecando energie inutili." mi fermò lui.
"C'è sempre una via d'uscita." dissi con poca convinzione. Sapevo che non c'era modo di scappare da quella stanza, ma non mi costava nulla provare a cercare un'eventuale porta nascosta, dato che dopotutto non avevo nulla di meglio da fare per passare il tempo.
"Ehm... No?" affermò lui avvicinandosi a me di qualche passo. "Senti, pasticcino. Hai avuto un forte colpo alla testa e secondo me dovresti riposarti – non che questo possa cambiare la tua insanità mentale, dato che ne eri affetta anche prima di ricevere la botta."
"Huh, simpatico." dissi ironicamente. 
"Ascolta, dico sul serio." continuò lui. "Non è che adesso magicamente si apre una porta e..."
Il ragazzo non riuscì neanche a finire la frase che si sentì un breve sibilo meccanico provenire dalla porta di entrata della stanza, poi la lastra di metallo si aprì. 
Senza che riuscissi nemmeno ad elaborare chi l'avesse aperta e come, vidi due sagome fiondarsi all'interno della stanza e venirci incontro rapidamente. Solo quando queste si buttarono su di noi ed iniziarono a trascinarci con loro capii che fossero le guardie al comando di Janson e che l'uomo ci stava aspettando impazientemente fuori dalla stanza.
Cercai di ribellarmi e di opporre resistenza, ma questa volta –  nonostante le guardie fossero stranamente disarmate – ero troppo debole per riuscire a fare una sfuriata come quella precedente. 
"Sbrigatevi." ordinò l'Uomo Ratto con una punta di ansia e terrore nella voce. "Stanno arrivando." 
Arrivando? Chi sta arrivando? Pensai corrugando la fronte e girandomi verso Stephen che tuttavia non mi stava prestando la minima attenzione, troppo intento a ricoprire Janson e le guardie di insulti. Il primo pensiero che mi balzò in testa fu che gli Spaccati fossero riusciti in qualche modo ad entrare nella W.I.C.K.E.D. e che quindi essa avesse attuato un piano di emergenza per mettere in salvo solo i Soggetti che lei riteneva importanti e fondamentali, ma subito dopo scartai quell'ipotesi: ero sicura che la W.I.C.K.E.D. avesse un sistema di sicurezza super elevato, ma anche se così non fosse, di certo sarebbe scattato almeno un allarme per avvisare tutti.
"Cosa sta succedendo?" domandai terrorizzata nel vedere che non solo l'Uomo Ratto sembrava più impaziente e ansioso del solito, ma che anche le guardie sembravano attendere che qualcosa di terribile stesse per accadere. "Potete per favore rispondere alla mia dannatissima domanda e darmi almeno delle spiegazioni?" domandai esasperata, stanca del fatto che nessuno sembrasse darmi ascolto.
"Senti, ragazzina." iniziò Janson, bisbigliando tra i denti con fare minaccioso, come se fosse sul punto di avere una crisi di nervi. "Ti conviene stare buona e zitta perchè altrimenti..."
La sua frase venne interrotta da un sibilo acuto e pieno di elettricità che riempì l'aria. Prima ancora di riuscire a capire da dove provenisse, vidi una granata elettrica passarmi a due centimetri dal viso e andare a conficcarsi nel petto della guardia alle mie spalle. Non ebbi neanche il tempo per urlare per la sorpresa o per pensare a cosa sarebbe successo se la granata avesse colpito me per sbaglio, che delle sagome ci raggiunsero correndo.
Non mi ci volle molto a capire che quelle sagome appartenevano proprio a Newt, Minho e Thomas, ma quando mi voltai verso di loro, notai con sorpresa che in testa a loro c'era proprio Brenda.
Ero sicura che fosse stata la ragazza a sparare quel colpo con il lanciagranate, ed ero anche certa che non le sarebbe importato più di tanto se per sbaglio mi avesse colpito, e forse era proprio questo che l'aveva spinta a colpire la guardia rischiando di arrostirmi.
"Brenda!" la rimproverò basito l'Uomo Ratto, fissandola con gli occhi fuori dalle orbite e i capelli rizzati sulla testa – il che rendeva molto di più l'idea da topo di fogna. "Cosa diamine stai..."
Le parole dell'uomo vennero nuovamente coperte dal suono di un altro sparo, che questa volta raggiunse il petto dell'altra guardia ed esplose in una nuvola di elettricità. L'uomo si lasciò cadere a terra in preda alle convulsioni tra sprazzi di fumo e piccole scariche elettriche.
Vidi Thomas fiondarsi verso l'Uomo Ratto, il quale assunse un'espressione ancora più terrorizzata della precedente e in preda al panico alzò le mani in segno di resa. 
Senza i tuoi cagnolini che ti proteggono non sei più niente, eh? Pensai sogghignando e godendomi la sua espressione.
"Cosa diavolo state facendo?" sbraitò l'uomo cercando di sembrare meno spaventato di quanto in realtà fosse. 
In tutta risposta Thomas puntò il lanciagranate contro Janson e mise il dito sul grilletto. "Dammi la tua tessera magnetica, poi sdraiati a terra, con le mani dietro la testa." ordinò con voce talmente ferma da farmi sentire in obbligo di obbedire io alle sue parole. 
"È una vera follia." replicò Janson, ma gli porse comunque la scheda. Nonostante il terrore visibile sul suo volto, l'uomo parlava con tranquillità e sembrava sorprendentemente calmo date le circostanze, il che mi fece venire voglia di riempirlo di mazzate in testa. "Le possibilità che avete di uscire da questi edifici sono pari a zero. Stanno già arrivando altre guardie." blaterò l'uomo nella vana speranza che cambiassimo idea.
"Dopo quello che abbiamo affrontato, questo è niente." ribattè Thomas, facendo subito dopo un sorriso soddisfatto.
Parole vere, Tom. Assolutamente vere. Pensai contagiata ormai dal sorriso del ragazzo.
La mia espressione di felicità si allargò ancora di più non appena vidi Newt guardarmi e agitarsi sul posto, come se volesse muoversi e venirmi incontro, ma si stesse trattenendo dal farlo.
Non appena incrociai il suo sguardo, lui non resistette più e corse nella mia direzione, abbandonando velocemente il suo lanciagranate nelle mani di Minho, il quale mi stava fissando con un'espressione rasserenata, come se fosse felice di vedere che stavo bene.
Feci per rivolgere un sorriso all'asiatico, ma l'abbraccio di Newt per poco mi fece cadere a terra, obbligandomi ad aggrapparmi totalmente al ragazzo nella speranza di ritrovare l'equilibrio perduto. Newt invece camminò all'avanti, obbligandomi a muovere velocemente le gambe per seguirlo. Continuai ad arrancare passi sempre meno coordinati fino a sentire la mia schiena appiattirsi contro la parete dura, e solo a quel punto ci fermammo entrambi, rimanendo però nello stesso abbraccio accogliente di prima. Newt rimase per qualche secondo con la testa nascosta nell'incavo del mio collo, inspirando a fondo il mio profumo e lasciandomi qualche bacio leggero. "Grazie al cielo stai bene." sussurrò poi, solleticandomi la pelle con il suo fiato caldo.
"Grazie al cielo tu stai bene." replicai accennando una risata e stringendolo ancora più forte a me. "Come avete fatto a trovarci? Vi hanno ridato i ricordi? Cosa ci facevate con Brenda?"
"Ehi, frena la lingua, cacchio." rise il ragazzo distaccandosi da me. "Risponderò a tutte le tue cacchio di domande dopo che saremmo usciti da questo cacchio di posto."
"Wow..." ammisi rivolgendogli un sorriso sbilenco. "Non pensavo che si potesse usare la parola 'cacchio' così tante volte in una sola frase."
"Smettila." mi sgridò lui con un ghigno divertito, poi indicò Thomas e gli altri, aggiungendo: "Andiamo ad aiutarli a fare fuori quella testa di puzzone. Pare che Tommy non si voglia decidere a premere il cacchio di grilletto." 
Annuii decisa e camminai velocemente in direzione dei ragazzi, cogliendo anche qualche parola della loro conversazione. "Grazie per l'addestramento." borbottò Thomas alzando un sopracciglio. "Adesso, di' un'altra parola e passerai... com'è che avevi detto?"
"I peggiori cinque minuti della tua vita." suggerì Minho facendosi avanti e sorridendo in modo complice a Thomas.
Janson spalancò gli occhi e questa volta parlò senza tentare di nascondere il suo terrore nei nostri confronti: "Come puoi..."
Thomas premette il grilletto. Il suono acuto riempì la stanza, seguito dal lancio di una granata che raggiunse l'uomo al petto ed esplose in uno sfoggio luminoso di elettricità. L'Uomo Ratto gridò mentre cadeva a terra, in preda alle convulsioni, con il fumo che gli usciva dai capelli arruffati e dai vestiti. Un odore tremendo si diffuse per la stanza, una puzza che mi ricordò per un secondo dell'odore che aveva emanato Minho nella Zona Bruciata, dopo essere stato colpito da un fulmine.
"Non dev'essere piacevole." disse Thomas rivolto all'asiatico. 
"Credimi, non lo è." replicò immediatamente Minho ridendo e scuotendo la testa. 
"Ci vorrebbe un cacchio di brindisi." propose Newt in tono calmo. 
"Proprio quello che stavo pensando." replicò Stephen ricordando a tutti della sua presenza nel corridoio. Minho e Newt lo ignorarono completamente, voltandosi verso Brenda, come se fosse stata lei a parlare. La ragazza sollevò il lanciagranate che aveva tra le mani e annuì, aggiungendo poi: "Odio queste persone quanto voi." disse. "Sono dalla vostra parte."
Mi lasciai sfuggire uno sbuffo che doveva assomigliare ad una risata disgustata, ma che mi uscì come un suono di derisione. "Muoviamoci ad uscire di qui." asserii camminando all'avanti e sorpassando le due guardie stese a terra con nonchalance. Poi, arrivata all'altezza del corpo di Janson mi fermai, osservandolo per qualche secondo e provando una profonda sensazione di felicità e divertimento allo stato puro, che mi era rimasto del tutto estraneo nelle ultime settimane.
Lo sfarfallio di elettricità sul corpo dell'uomo stava per cessare, ma lui aveva gli occhi chiusi e aveva smesso di muoversi. Tuttavia respirava ancora. "Questa granata non lo ucciderà purtroppo..." iniziai alzando un sopracciglio. "Ma di certo si sveglierà con un po' di lividi." conclusi poi caricando la mia gamba all'indietro e lasciando poi che il mio piede si andasse a conficcare più forte che potevo tra le sue costole.
"Diciamo che si ricorderà di noi." sghignazzò Minho. "Comunque, la bambolina ha ragione: dobbiamo muovere le chiappe ed andarcene."
"Qual è il piano?" chiese Newt. 
"Ne escogiteremo uno mentre andiamo." asserì Thomas.
"Jorge è un pilota." propose Brenda. "Se riuscissimo a raggiungere l'hangar, la sua Berga..."
Prima che qualcuno potesse rispondere, si sentirono delle grida e dei passi nel corridoio.
"Stanno arrivando." disse Thomas nervoso. 
Stavamo perdendo fin troppo tempo e se continuavamo così saremmo di nuovo stati fermati. Non avevo intenzione di restare un altro giorno tra i corridoi della W.I.C.K.E.D. perciò avevo intenzione di combattere per uscire da quel posto.
Chissà quante guardie avremmo dovuto affrontare. Minho corse verso l'angolo del corridoio e si appiattì contro la parete, con il lanciagranate stretto in mano. "Dovranno tutti passare da qui."
I rumori si stavano facendo più forti, il che significava che le guardie erano vicine.
"Newt." lo chiamò Thomas. "Tu proteggi loro due ed elimina chiunque passi oltre me e Brenda." spiegò il ragazzo indicando me e Stephen, gli unici non armati. 
Minho lanciò velocemente il lanciagranate di Newt nelle mani di Thomas, il quale lo affidò al ragazzo biondo sorridendogli incoraggiante.
Detto ciò ognuno si mise in posizione. 
Per quanto fossi sicura che nessuna guardia avrebbe raggiunto nè me nè Stephen, non potevo fare a meno di pensare ad un'immane sconfitta. Sapevo che i miei amici si erano rivelati molto bravi a sparare, ma non riuscivo a non temere un tradimento da parte di Brenda. Se la ragazza avesse iniziato ad attaccare dall'interno del nostro gruppo, cogliendoci tutti di sorpresa, non saremmo riusciti a fermarla.
Eppure l'espressione della ragazza era uno strano mix di rabbia ed eccitazione, il che mi fece credere che non vedesse l'ora di iniziare a combattere. Thomas si preparò accanto a lei, stringendo il lanciagranate tra le mani. 
Il ragazzo continuava a fidarsi di lei ciecamente, pur essendo cosciente che la ragazza avesse lavorato per la W.I.C.K.E.D. fino a pochi istanti prima. Se voleva correre il rischio di rimanere incastrato e fregato per la centesima volta, per me andava bene. Erano cavoli suoi se poi si ritrovava di nuovo sotto le grinfie della W.I.C.K.E.D.
Io di certo non mi sarei immischiata per andare a rimediare ai suoi errori, rischiando di mettermi nei casini. Ma dopotutto lui non si fidava di me, non lo aveva mai fatto. Perchè avrei dovuto ammattirmi per ricevere il suo perdono? 
Tutti nella W.I.C.K.E.D. ci avevano ingannato e da questo avevo imparato a non sottovalutarla, ma soprattutto a non fidarmi di nessuno che non conoscessi a fondo. 
La prima guardia arrivò, un uomo vestito con la stessa divisa nera di tutti gli altri, ma con un'arma diversa − più piccola e più lucida − e la teneva stretta davanti a sé. 
Minho premette il grilletto e osservai la granata raggiungere scintillante la guardia al petto, spingendolo all'indietro, in preda agli spasmi e alle convulsioni in una ragnatela di scariche elettriche. Altre due persone − un uomo e una donna − entrarono subito dopo di lui con i lanciagranate puntati. Questa volta furono Brenda e Thomas ad agire, lasciando che due colpi perfetti partissero dalle loro armi e andassero ad appiccicarsi esattamente sulle due guardie, mettendole K.O.
Quasi come richiamati da quegli spari, arrivarono in fretta e furia almeno altre cinque guardie.
Una di esse venne messa al tappeto da Minho, ma le altre quattro lo superarono, dando così il compito a Thomas e Brenda di occuparsi della loro eliminazione. Quando le guardie arrivarono abbastanza vicino ai due ragazzi, capii che quest'ultimi non sarebbero riusciti a sparare a tutti e quattro in tempo. Ero sicura che almeno una guardia sarebbe passata.
Non seppi se il destino avesse ascoltato il mio pensiero o se fosse solo una previsione azzeccata, ma in ogni caso, come avevo precedentemente ipotizzato, una guardia riuscì a superare i due ragazzi che tra la fretta ed il panico erano riusciti ad eliminare solo tre uomini.
Mi sorpresi quando notai che la persona dietro la divisa da guardia era proprio una donna, forse la più determinata tra tutti, e stava avanzando verso Newt come un rinoceronte pazzo.
Il ragazzo tuttavia agì con velocità, senza esitare neanche un secondo: afferrò la donna per la camicia e la tirò a sé, poi la scaraventò contro il muro più vicino. Lei sparò un colpo, ma la granata d'argento si infranse a terra senza ferire nessuno e produsse uno scoppio di energia sulle piastrelle del pavimento. Newt la tirò di nuovo verso di sè, poi la buttò contro il muro con forza e le tirò un pugno dritto sul viso. La donna urlò di dolore e abbandonò l'arma a terra per tenersi la bocca sanguinante. Il biondino mise un piede sopra il lanciagranate della donna e con un calcio deciso lo fece slittare all'indietro verso di noi sulle piastrelle.
Stephen si allungò all'avanti, per riuscire a prendere in tempo l'arma e quando lo fece si mise davanti a me per proteggermi da altre eventuali guardie.
La mia attenzione venne catturata nuovamente dalla donna accasciata contro il muro. Lei sollevò lo sguardo verso Newt come se gli volesse dire qualcosa, ma il ragazzo fece un passo indietro e le sparò al petto. Esplodendo a così poca distanza, la granata produsse un rumore terribile che mi fece rizzare i peli delle braccia. Mentre si accasciava a terra, dimenandosi in una ragnatela di pura elettricità, dalla gola della guardia uscì un gemito tremendo.
Non volendo osservare ancora la donna contorcersi per il dolore, mi voltai nuovamente verso Stephen, il quale nel frattempo aveva disarmato un'altra donna e l'aveva costretta a inginocchiarsi. Adesso le stava puntando il lanciagranate alla testa, ma non sembrava voler premere il grilletto. 
"Dobbiamo andarcene di qua o continueranno ad arrivarne." urlò Newt avvicinandosi a me.
Thomas si girò e rivolse il suo sguardo alla donna che Stephen stava tenendo sotto tiro. La bocca dell'arma del ragazzo era a pochi centimetri dalla sua testa. 
"In quanti siete?" le chiese Thomas. "Ne stanno arrivando altri?"
All'inizio lei non rispose e così Stephen si piegò in avanti, finché l'arma non le toccò la guancia. "Ce ne sono almeno cinquanta in servizio." disse velocemente la donna. 
"Allora dove sono?" chiese Stephen. 
"Non lo so." replicò lei.
"Non mentirmi!" gridò il ragazzo. 
"Noi... Sta succedendo qualcosa. Non so cosa. Lo giuro."
Per quanto volessi ottenere maggiori informazioni, dovevo riconoscere che quella donna mi stava facendo pena. La osservai attentamente e vidi che oltre alla paura c'era altro nei suoi occhi.Era frustrazione? Sembrava che stesse dicendo la verità eppure non intendevo cadere nuovamente nel tranello delle bugie raccontateci dalla W.I.C.K.E.D.
"Qualcosa? Di che genere?" insistetti, avanzando di qualche passo. Lei scosse la testa. "So solo che un gruppo di noi è stato chiamato in una sezione diversa, tutto qui."
"E tu non hai idea del perché?" domandò Thomas usando un tono poco convinto. "Faccio fatica a crederlo."
"Lo giuro." mormorò lei. A quel punto Stephen spinse ancora più a fondo la bocca del lanciagranate nella sua pelle e tra i denti stretti chiese: "Allora dimmi dove sono le mie sorelle."
"Loro non..." iniziò, ma poi si bloccò. "Non..."
"Dove!" sbraitò il ragazzo furioso, con le vene ingrossate sul collo.
"Se mi lasci in vita te lo mostro." parlò lei con voce poco ferma, quasi incerta. 
Stephen la sollevò da terra, tenendola per la camicia. "Allora porteremo con noi questa bella signora come ostaggio. Andiamo." annunciò il ragazzo, rivolgendole un sorriso sadico.

*Angolo scrittrice*
Hi shanks!
Allora, parto col dire che ho appena realizzato il Book Trailer per il mio secondo libro e che l'ho appena caricato sul mio canale YouTube ('Inevitabilmente_Dea') ed il titolo del video è 'Book Trailer || The Maze Runner - Survive'. Devo dire che è stato abbastanza difficile anche perchè è il primo trailer in assoluto che creo. Quindi spero vi piaccia! 
Per chi fosse così pigro da non avere voglia di cercarlo (come me) vi metto il link qui sotto:

https://www.youtube.com/watch?v=LSJ2MYG527I    

Poi, ultima cosa in assoluto, ma importantissima: devo sospendere la storia per qualche giorno. Non vi preoccupate, non ho intenzione di cancellarla nè tanto meno di abbandonarla così e non aggiornare mai più. Semplicemente mi voglio concentrare sul creare il trailer per il terzo libro. A questo punto avrete pensato 'il trailer lo puoi fare più avanti!', be' mi dispiace ma non posso: ho scaricato un programma che purtroppo non sapevo essere a pagamento, perciò devo creare questi trailer durante i 30 giorni di prova, e vi dico solo che per fare questo ne ho già impiegati abbastanza e me ne rimangono solo 18 gratis, prima di dover comprare il programma.
Mi dispiace sospendere la storia per pochi giorni (e ripeto pochi giorni, perchè ovviamente non credo che mi servirà più di una settimana per creare il trailer ora che ho capito come funziona il programma!), ma purtroppo non riesco a fare due cose contemporaneamente perchè non ho così tanto tempo libero.
Perciò scusatemi tantissimo, ma almeno sapete che è per una buona causa che riguarda questa storia.
Grazie per la comprensione e baci ♥

Inevitabilmente_Dea♥

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Capitolo 30
*** Capitolo 30. ***


Stephen alzò lo sguardo e lo puntò su Thomas, il quale si mosse di qualche passo e indicò Brenda con lo sguardo. "Ci guiderà Brenda. Lei sa come muoversi in questo posto. Poi vado io, poi Minho, seguito da te e la tua nuova amica, e per ultimo Newt con Elena." annunciò disponendosi subito dietro la ragazza mora.
Quest'ultima corse verso la curva del corridoio e si sporse oltre il bordo per controllare che nessuno arrivasse.  "Non sento nessuno, ma non ci resta molto tempo. Sbrighiamoci." ordinò lei, poi tornò verso di noi e ci fece cenno di seguirla.
Vidi Thomas asciugarsi le mani sudate sui pantaloni, poi stringere il lanciagranate con forza e partire dietro Brenda; Stephen aspettò che il ragazzo fosse poco distante e dopo prese anche lui a correre, trascinandosi dietro la guardia e obbligandola ad accelerare il passo per evitare di cadere a terra; Minho scattò all'avanti, arrivando quasi al pari di Stephen e sempre puntando il suo lanciagranate contro la donna per evitare che facesse brutti scherzi.
Vidi Brenda girare a destra velocemente e sparire nel prossimo corridoio, poi io e Newt partimmo insieme, fianco a fianco.
Sentivo il ragazzo respirare forte dal naso, nel tentativo di riuscire a calmare il fiatone creato e non potei fare a meno di preoccuparmi della sua salute: tutta quell'azione e quella corsa non avrebbero di certo fatto bene alla sua caviglia. Forse avremmo dovuto rallentare il passo in modo da facilitarlo, ma Brenda non avrebbe mai accettato.
Raggiungemmo la fine del primo corridoio e svoltammo anche noi a destra senza fermarci. Il nuovo tratto era identico al precedente: le pareti biancastre proseguivano davanti a noi per almeno una quindicina di metri e terminavano con una porta a due ante. 
Continuammo a correre – diretti probabilmente verso la porta – e ad ogni mio passo potevo sentire la felicità e il sollievo crescere in me: non riuscivo a credere che ce l'avevamo finalmente fatta, che eravamo riusciti a mettere K.O. sia Janson che i suoi stupidi cani da guardia. Non vedevo l'ora di varcare quella porta e gustarmi la libertà di una vita piena di decisioni e priva di controlli e oppressioni, ma prima di cantare vittoria volevo essere sicura che dietro quell'entrata non ci fossero altre guardie pronte a stecchirci come insetti.
Prima di arrivare in fondo al corridoio, Thomas tirò fuori dalla tasca la tessera magnetica dell'Uomo Ratto e la strinse tra le dita, come ad assicurarsi di averla lì e di non perderla. 
"Non lo farei se fossi in te." gli gridò l'ostaggio. "Scommetto che dall'altra parte ci sono venti guardie armate pronte a bruciarvi vivi."
Per quanto le sue parole fossero cariche di avvertimenti, in realtà il suo tono si era rivelato tutto meno che minaccioso. Sembrava quasi disperata, come se non riuscisse a trovare nulla di meglio per convincerci a lasciarla andare. O forse era agitata? Forse aveva capito che saremmo riusciti ad uscire fuori dalla W.I.C.K.E.D. senza troppi sforzi. Dopotutto la donna aveva anche detto che gran parte delle guardie erano state trasferite in altre sezioni, quindi la sorveglianza pronta a fermarci scarseggiava.
In ogni caso dovevamo riuscire a trovare Jorge e la sua Berga in poco tempo. 
Ancora pochi attimi e saremo liberi. 
Nel momento in cui finii quel pensiero, mi vennero in mente tutti i miei amici: Violet, Frypan e tutti gli altri – incluse le sorelle di Stephen. Non li avrei abbandonati così facilmente. Sapevo che eravamo tutti d'accordo sul non perdere tempo per attuare la fuga, ma salvare degli amici non era di sicuro uno spreco di tempo. Ero sicura che Stephen mi avrebbe seguita senza indugio e se agli altri non andava a genio potevano anche andarsene: avremmo trovato un'altra Berga con cui fuggire.
Thomas non appena arrivò alla porta si voltò verso di noi. "Abbiamo solo cinque lanciagranate, e di sicuro ci saranno altre guardie ad aspettarci dietro questa porta. Siamo pronti?" 
Minho si avvicinò al pannello di apertura, poi indicando la donna col mento, parlò: "Questa ce la apri tu, così noi potremo concentrarci sui tuoi amichetti. Resta qui e non fare niente finché non te lo diremo. Non ti conviene scherzare con noi."
"No." disse freddo Stephen, tirando la guardia più a sè.
"Cosa vuoi dire?" chiese Thomas sconcertato. "Eravamo tutti d'accordo sul..."
"No." ripetè il ragazzo, ancora più deciso di prima. "Lei viene con me e andiamo a recuperare le mie sorelle. Non posso lasciarle qui e mi meraviglio del fatto che voi abbiate abbandonato così i vostri amici."
Minho sgranò gli occhi e mentre Thomas rimase a bocca aperta, Newt parlò con tono scocciato. "Noi non abbiamo abbandonato i nostri amici, testa di caspio. Noi..."
"Newt." lo chiamai. Stephen aveva ragione, dovevamo sbrigarci e andare a recuperare tutti prima di andarcene definitamente. "Stephen ha ragione: non possiamo lasciar tutti qui e andarcene." iniziai. "Se volete andarvene, fate pure. Io resto. Almeno finchè non trovo Frypan, gli altri e..." mi bloccai, lanciando uno sguardo preoccupato verso Minho. "Violet." conclusi causando nel Velocista una reazione immediata: lo vidi stringere la mascella per una frazione di secondo, poi i suoi occhi si abbassarono sulla carta magnetica in mano a Thomas, si posarono sulla porta ancora chiusa ed infine mi rivolse un lungo sguardo vuoto, come se fosse assorto nei pensieri. Ma alla fine lo sentii sospirare e poi parlò. "Odio ammetterlo, bambolina, ma hai dannatamente ragione. Dobbiamo trovare gli altri e chi sa meglio dove si trovano della simpaticissima e utilissima guardia qui presente?" domandò ironico, rivolgendole un sorrisetto falso. "Muovi le tue chiappette e mostraci dove si trovano gli altri."
"Prima ci porti dalle mie sorelle." specificò Stephen. "Mi dispiace, ma sono piccole e se dovesse succedere qualcosa di inaspettato mentre salviamo gli altri loro non se la saprebbero cavare da sole." 
Le sue parole erano calme e pacate, nonostante la brutta situazione in cui ci trovavamo, poi però lo vidi rivolgere uno sguardo pieno di suppliche e speranza verso Thomas che, forse non riuscendo a sostenerlo, abbassò gli occhi sul suo lanciagranate. Non avevo mai visto Stephen guardare qualcuno in quel modo: il ragazzo aveva sempre ottenuto ciò che voleva, senza sentire il bisogno di dover supplicare qualcuno, eppure le cose ora erano cambiate.
Tutto era cambiato. 
E nonostante io non conoscessi le sorelline di Stephen, mi sentivo in dovere di dare loro la precedenza, di salvare e di impegnarmi a dare loro un futuro al sicuro dalla W.I.C.K.E.D.
Mi voltai verso Thomas per riuscire a capire cosa avrebbe risposto, poi con mio sollievo lo vidi annuire. "Va bene." concesse il ragazzo. "Ma vediamo di fare in fretta: sento che non ci è rimasto molto tempo."

 

Dopo aver minacciato la donna più volte ed essere riusciti ad estrapolarle a forza di malmenazioni le indicazioni esatte per la camera delle tre bambine, ci mettemmo in marcia per i corridoi.
Stephen, a capo della fila, si muoveva velocemente e a falcate, trascinando dietro di sè la donna e facendole spesso perdere l'equilibrio per via dell'eccessiva velocità di quella che doveva essere una camminata frettolosa.
Svoltammo corridoio dopo corridoio, ma alla fine riuscimmo a raggiungere quella che – se la donna era stata sincera – era la stanza delle sorelle di Stephen.
Quest'ultimo non appena vide la porta che dava nella stanza, sembrò quasi perdere il senno della ragione e ordinò a Thomas quasi gridando di dargli immediatamente la chiave magnetica.
Quando il ragazzo gliela passò con mano tremante, quasi temesse l'ira del ragazzo dai capelli bianchi, Stephen gliela strappò di mano, consegnandogli poi con fretta sia la tessera che la donna.
Non appena si udì il click della serratura, seguito da un suono elettronico, il ragazzo abbassò velocemente la maniglia e si precipitò nella stanza senza neanche emettere un suono.
Troppo curiosa di vedere come fossero fatte le sorelline che mi aveva tanto descritto e che sicuramente amava più di ogni altra persona, feci qualche passo in direzione della porta e sbirciai al suo interno.
Come prima cosa notai le pareti colorate di un rosa fluo, tappezzate qua e là di qualche fiore semplice e banale di colore giallo. Decisa a staccare i miei occhi da quel colore appariscente e magnetico, che sicuramente era la prova che la W.I.C.K.E.D. si era almeno impegnata un pochino per far sentire a 'casa' delle bambine, evitando perciò di utilizzare quel banale e noioso bianco di cui erano ricoperte le altre stanze.
Dopodichè passai lo sguardo sui mobili stranamente bassi, quasi tutti comodini, e sui letti. Tre in tutto, anche essi ricoperti da lenzuola completamente giallo canarino. 
Poi il mio sguardo venne catturato dalla figura esile ed pallida di Stephen che, in tutto quel mix di colori fluo, risaltava come una macchiolina bianca di sporco. Inizialmente non capii perchè il ragazzo si fosse fermato proprio nel centro della stanza, con lo sguardo fisso in un solo letto, ma quando feci qualche passo incerto, trovando il coraggio necessario, compresi il motivo di così poca euforia nel rivedere le sue sorelle.
Avvicinandomi al fianco del ragazzo e guardando nella sua stessa direzione scorsi una piccola e tremante figura rannicchiata su se stessa. Non capii se stesse piangendo o se sentisse solo freddo, ma mi fece così tanta tenerezza da farmi venir voglia di andare li e abbracciarla.
"Hailie?" la chiamò Stephen, muovendo qualche passo in direzione dell'unico lettino occupato.
Vidi la bambina immobilizzarsi e irrigidirsi per qualche secondo, poi si voltò lentamente quasi temendo di vedere nella stanza il mostro di sotto il letto. Ma non appena vide Stephen, i suoi occhi velati da lacrime e paura, si illuminarono di gioia e la bambina scattò a sedere sul letto per poi saltare e gettarsi direttamente tra le braccia del fratello.
"Hailie, dove sono Cathleen e Abigail?" domandò il ragazzo stringendo forte a sè la bambina.
Quest'ultima mormorò qualcosa che purtroppo non colsi poichè le sue parole vennero soffocate dalla maglia del fratello che ora lei stava succhiando.
Osservandola bene, mi accorsi che la bimba non poteva avere più di sei anni, il che significava che quando Stephen era stato mandato nel Labirinto, lei doveva essere ancora un'infante.
"Hailie parlami." sussurrò Stephen dolcemente, mostrandomi un suo lato che non avevo mai visto: era la prima volta che vedevo il ragazzo provare veramente interesse e affetto per qualcuno senza tentare di nasconderlo. "Dove sono le altre?"
"Le persone cattive." bisbiglio la bambina mettendosi la mano al lato della bocca, come se volesse dire quel segreto solo a suo fratello.
"Dove le hanno portate?" insistette Stephen, diventando sempre più pallido in volto.
La bimba in tutta risposta scosse le spalle. "Le hanno portate a giocare. Non mi hanno voluto perchè sono troppo piccola."
"A giocare?" mormorò Stephen, parlando tra sè e sè. "Da quanto non ci sono più?"
La bimba fece di nuovo spallucce, poi prima di mettersi a succhiare il pollice, biascicò: "Molti giorni."
Stephen imprecò, poi si portò una mano sulla fronte e la fece scivolare su tutto il viso, riportandola poi tra i suoi capelli e scompigliandoli nervosamente.
"Amico dobbiamo andarcene." annunciò Minho entrando titubante nella stanza e posando lo sguardo sulla bambina.
"Dobbiamo prima trovare le altre due. Non me ne vado senza loro." protestò Stephen sollevando la sorellina e prendendola in braccio con cura.
Non appena uscì dalla stanza si avvicinò alla guardia e le puntò contro l'indice con fare minaccioso. "Avevi detto che erano tutte qui!"
"Non ho mai detto questo." affermò la donna. "Tu mi hai chiesto di portarti dalle tue sorelle e io l'ho fatto." disse cercando di essere brusca, ma senza riuscirci. Per qualche motivo riuscivo a sentire il suo disagio, ma percepivo che c'era qualcosa sotto, di più macabro, che non riusciva a confessare o per timore o per vergogna. "Non c'è più nessuno da trovare, ragazzo."
Gli occhi di Stephen si sgranarono e il ragazzo diventò talmente tanto pallido da farmi credere che sarebbe potuto svenire da un momento all'altro. "C-Cosa vuoi dire? I-Io ho fatto tutto quello che... Io... C-Cosa ho sbagliato?" domandò iniziando a balbettare. "Dove le hanno portate?" 
"Da nessuna parte, figliolo." pronunciò la donna, ora con un tono quasi materno. "Non sono riuscite a sopportarlo."
"Sopportare? Sopportare cosa?"
"L'esperimento numero 15." disse secca la guardia.
Esperimento numero 15? Pensai sgranando gli occhi e aprendo la bocca. Se la mia mente non faceva cilecca, quello era l'esperimento sulla...
"Risposta incondizionata allo stimolo di dolore." sussurrò Stephen indietreggiando di un passo, come se fosse appena stato colpito o spintonato. "M-Ma... Hanno a mala pena undici anni. C-Come..."
"Sono morte." annunciò la donna con voce tremante, come se in fondo le dispiacesse di aver fatto un'esperimento tanto crudele – di cui io stessa ne avevo subito gli effetti – su delle bambine tanto piccole? Erano forse a corto di altri Soggetti? Pensai sentendo la rabbia ribollirmi nelle vene.
Vidi Stephen tremare, lo sguardo vuoto come forse la sua testa in quel momento. Dalla sua bocca uscì solo un sibilo soffocato, come se volesse pronunciare parole che in realtà non aveva. Poi i suoi occhi si scurirono, nascondendo del tutto l'azzurro delle sue iridi, e una nuvola si abbassò sul suo volto rendendolo ancora più pallido e malaticcio all'apparenza.
In meno di un secondo il volto del ragazzo mutò, passando da un'espressione triste e senza parole ad una cattiva e infuriata. Vidi la sua mascella irrigidirsi, le narici del suo naso ingrossarsi e le vene sul suo collo sporgere sulla pelle, come se volessero uscire da essa per andare a frustrare la donna. Il ragazzo aprì la bocca, ma prima che potesse farlo un allarme cominciò a suonare e le luci si spensero. 

*Angolo scrittrice*
I'm back, bitches!
Allora, parto col dire che vi devo delle scuse:
1) Perchè il capitolo è corto;
2)Perchè ho fatto una pausa per senza niente. Vi spiego meglio: avevo tutte le buone intenzioni di fare il trailer per il terzo libro, ma non appena mi sono messa giù a farlo mi sono accorta di quanto in realtà facesse schifo. Il punto è che non ho pensato prima ad un piccolo dettaglio fondamentale: non avevo elementi su cui lavorare. Nel senso, sì potevo usare le gif di Elena e Newt, magari qualche gif di azione con i Radurai e altro, ma vi assicuro che il video era uscito fuori abbastanza noioso e ripetitivo. Insomma, le cose più belle, ad esempio pezzi di video e audio, non potevo metterle perchè ancora non è uscito il film di The Maze Runner - La Rivelazione. Per fare il book trailer del secondo libro ho utilizzato tantissimi spezzoni del secondo film e perciò è venuto fuori più elaborato e interessante. Perciò scusatemi tanto se vi ho fatto aspettare così tanto per un nuovo capitolo con la promessa di un Book Trailer, arrivando poi a mani vuote. 
Ma...
Se vi può consolare, ho un'ultima notizia: avete presente il video Newtlena che vi avevo promesso avrei pubblicato verso la fine di The Maze Runner - Live (sì, il quarto libro di questa saga si chiamerà così)? Ecco, non mi sono limitata ad un solo video, ma ne ho fatti ben due. Completamente diversi l'uno dall'altro.
Perciò, che ne dite? Sono perdonata?
Attendo con ansia il giorno in cui li condividerò con voi *^*
Baci,
Inevitabilmente_Dea

PS: come vi sembra la sorellina di Steph? Non sono dolciosi insieme?
PPS: di solito evito di fare pubblicità per le mie storie sotto ai capitoli delle mie storie (?), ma questa volta faccio un'eccezione, perchè credo che sia un libro molto utile per chi ha bisogno di essere ascoltato/a. Si chiama 'Agony Aunt || Consigli ai vostri problemi' e come dice il titolo vi do semplicemente dei consigli su qualsiasi cosa voi mi chiediate. Mi è capitato spesso di avere bisogno di aiuto e non avere quasi nessuno che mi ascoltasse con sincerità, perciò se avete bisogno di qualsiasi cosa, sappiate che io ci sono ♥

{Capitolo non revisionato, perdonatemi, ma Percy Jackson chiama}

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31. ***



Dopo neanche un secondo, al frastuono dell'allarme si aggiunsero anche le grida della sorellina di Stephen, probabilmente terrorizzata e in lacrime. Mi portai immediatamente le mani sulle orecchie per cercare di attutire entrambi i suoni acuti e assordanti, poi sentii la mia mente smettere di funzionare all'istante, come se fosse stata spenta anche lei con le luci, e il mio cuore perse di un battito, per poi riprendere a martellare con il ritmo dell'allarme che stava diventando via via più fastidioso. Non potei fare a meno di sussultare quando mi accorsi di essere rimasta completamente inglobata dal buio, senza riuscire a vedere nulla, e il panico mi colse impreparata. Restai in silenzio, con gli occhi spalancati nel tentativo di abituare i miei occhi a quell'oscurità, quando improvvisamente sentii delle mani tastarmi incerte la schiena.
Mi irrigidii immediatamente, incapace di muovermi e di capire a chi appartenessero quelle dita che ora mi stavano stringendo il braccio in modo poco delicato.
Tolsi le mani dalle orecchie, facendo scivolare poi le braccia ai lati del mio corpo, e provai a parlare ad alta voce nel tentativo di sovrastare tutto quel frastuono: "Chi sei?" urlai nel buio.
Sentii la presa sul mio braccio allentarsi velocemente e passare delicatamente sulla mia spalla. "Scusami, pensavo fossi la guardia." esclamò Minho imbarazzato, ma senza togliermi la mano di dosso, forse per paura di perdermi nel buio.
"Ragazzi, la guardia è scomparsa!" gridò l'asiatico, quasi rompendomi il timpano. "Non riesco a trovarla!" 
Non appena pronunciò l'ultima parola, un fischio potente riempì le pause tra uno squillo e l'altro dell'allarme, seguito dallo scoppio di una granata che esplodeva sul pavimento. Le scariche di elettricità illuminarono il corridoio e grazie a quella breve e tremolante luce riuscii a vedere una sagoma allontanarsi da noi e scappare nella direzione da cui eravamo arrivati, scomparendo nel buio. 
"Colpa mia." mormorò Newt, ma si sentì a malapena. Sicuramente il ragazzo non era molto distante da noi.
"Dobbiamo riunirci!" disse Thomas, con voce titubante, come se temesse il peggio. 
Mi affrettai ad afferrare la mano di Minho per paura che il Velocista se ne andasse nel buio a cercare gli amici, abbandonandomi lì da sola, e non appena fui sicura che la mia presa non si sarebbe indebolita o distaccata dal suo palmo, gli dissi di cominciare a camminare a tentoni in modo lento.
Dopo pochi passi sentii il mio dito inciampare e affondare in qualcosa di morbido e liscio. Incapace di capire cosa fosse, mi fermai obbligando anche Minho a restare immobile, ed iniziai a tastare quella cosa nel tentativo di capire cosa fosse.
"Ehi! Smettila!" sentii una voce stridula gridare. "Quella è la mia guancia!" brontolò la bambina, discostando quella che ora sapevo essere la sua guancia dal mio dito.
"Oh, scusami, Hailie." dissi dispiaciuta, iniziando a tastare più in basso nella speranza di riuscire a trovare il braccio di Stephen. Non appena sentii l'osso rotondo e i peli corti delle sue braccia, capii di essere arrivata al suo polso e senza indugio mi ci attaccai.
"Gli altri dove sono?" domandai a Minho sperando che avesse trovato anche lui qualcun'altro.
"Credo di aver trovato Brenda." spiegò il Velocista. "Ah, no, aspetta... E' solo un bidone della spazzatura. Errore mio."
Per quanto avessi adorato il commento di cattivo gusto del ragazzo, non potei fare a meno di scuotere la sua mano in segno di rimprovero. Come faceva ad essere sarcastico anche in momenti così?
"Ragazzi, state fermi. Credo di aver capito dove siete." ordinò Thomas, la sua voce sempre più vicina.
Dopo qualche secondo sentii una mano piazzarsi sul mio seno e cercai in tutti i modi di non urlare per evitare di aggiungere ancora più casino a tutto quel trambusto. Per quanto avessi voluto scrollarmi di dosso la mano di Thomas, non avevo la benchè minima intenzione di abbandonare la presa su Minho e Stephen per paura di perderli nel buio.
"Newt? Credo di aver trovato Elena!" annunciò il ragazzo entusiasta, ma con un pizzico di vergogna nella voce.
"Togli quel 'credo'. Non penso tu possa sbagliarti, no?" replicai sarcastica, ma subito dopo mi accorsi che le mie parole erano assolutamente errate. Thomas avrebbe anche potuto pensare che fossi Brenda, ma non aveva sbagliato. Come diamine ci era riuscito? "Aspetta... come facevi a sapere che non ero Brenda?"
"Ehm..." mormorò il ragazzo, posando la sua mano sulla mia spalla. "Newt, sbrigati!" urlò poi imbarazzato, non sapendo più cosa replicare.
Scossi la testa e lasciai perdere. Eravamo già abbastanza rincaspiati per incasinare le cose ancora di più.
"Perfetto, Brenda, ci sei anche tu?" domandò Thomas, sicuramente dopo aver sentito la presenza di Newt accanto a sè. 
Si udì un sì squittente alla mia sinistra e poco dopo la ragazza parlò. "Per fortuna so la strada a memoria e la so fare anche ad occhi chiusi." annunciò soddisfatta, rincuorandomi un pochino. "Ma purtroppo non so dove tengano i vostri amici. Possiamo solo tornare a dove eravamo prima e sperare che siano abbastanza intelligenti da raggiungerci da soli, dato che è l'unico luogo in cui ci sono le Berghe."
"Va bene, muoviamoci." ordinò Thomas.
Dopo qualche secondo percepii la mano di Minho stringersi ancora di più alla mia e tirarmi all'avanti alla cieca. Continuammo a camminare lentamente in avanti, passo dopo passo, e mi limitai a seguire Minho, confidando piena fiducia in Brenda.
Sapevo che la ragazza poteva star mentendo e che magari ci stava solo riportando in una delle tante Stanze Bianche, ma ad essere sincera, pur di non sentirmi così spaesata e confusa, l'avrei seguita dovunque, anche in prigione.
Dopo un paio di svolte ed esitazioni, finalmente sentii Minho fermarsi e per poco non gli caddi addosso.
"Thomas, ci siamo! Vieni qui davanti con la tessera." ordinò la ragazza.
Sentii il ragazzo staccarsi da me e avanzare all'avanti a tentoni. Attesi qualche secondo, con il fiato in sospeso ed il battito del cuore ridotto al minimo per riuscire a sentire anche il minimo cambiamento in quell'ambiente − come un suono elettronico o il cigolio di una porta che si apre − poi l'improvvisa voce di Thomas mi fece sobbalzare. "Userò la tessera magnetica dell'Uomo Ratto. State pronti!" annunciò.
Subito, la voce di Minho mi raggiunse. "Bambolina, per quanto io sia felice di questo contatto, mi devi mollare ora. Mi servono entrambe le mani per sparare." disse il ragazzo con un tono divertito che mi fece capire che mi stava sorridendo nel buio.
Annuii, anche se consapevole che lui non potesse vedermi e mal volentieri gli lasciai libero il palmo.
Si sentì uno scatto, seguito subito dopo dalla voce ferma di Thomas. "Adesso!" gridò. Minho, Newt, Thomas e Brenda cominciarono a sparare le granate attraverso la fessura nell'oscurità, mirando alla nube di elettricità che danzava nel buio e scoppiettava oltre le porte in lontananza. Tra una scarica e l'altra passavano pochi secondi, sufficienti a creare uno sfoggio accecante di luci ed esplosioni. Chiusi gli occhi aspettandomi che le guardie all'interno della stanza avrebbero presto cominciato a rispondere al fuoco, ma quando nulla accadde, decisi di riaprire le palpebre e sporgermi all'avanti nel tentativo di capire se in quella stanza ci fosse effettivamente qualcuno.
Come avevo già ipotizzato, in quella sala non c'era proprio nessuno e perciò il contrattacco era nullo, con la conseguenza che i ragazzi e Brenda stavano solo sprecando munizioni utili per difendersi dall'aria. Nessuno di loro sembrava essersi accorto di stare effettivamente lottando contro la bellezza del nulla cosmico, perciò mi decisi ad urlare con voce chiara di smetterla. "Fermatevi!" gridai a pieni polmoni. "Non c'è nessuno, non sprecate altre munizioni!"
Minho fece partire un'ultima granata, ma poi rimasero tutti ad aspettare che parte dell'energia si spegnesse per poter entrare nella stanza senza correre rischi. 
Quando sentii il tepore di Minho abbandonare la parte del mio corpo che era rimasta in contatto con lui, mi sbrigai a muovermi in avanti per evitare di perdere tutti nel buio.
Sentii Thomas parlare con Brenda, ma solo poche parole arrivarono alle mie orecchie − memoria, aiutarci, allarme, gli altri, strano −, troppo poche e sconnesse per creare un discorso unico e logico.
Mi mossi ancora in avanti, trascinando Stephen con me, che per fortuna ancora non si era staccato dalla mia presa.
Poi l'allarme si fermò all'improvviso, causandomi come una sordità temporanea. Dopo aver ascoltato quel frastuono a lungo i miei timpani non erano più abituati a percepire altri rumori, perciò iniziarono a produrre un fischio fastidioso. 
"Cosa..!" Thomas aveva iniziato la frase gridando, poi però abbassò la voce. "Adesso che succede?" 
"Probabilmente non ne potevano più di quel rumore." rispose Minho. "Il fatto che lo abbiano spento non significa niente." 
E invece sì. Pensai nella mia mente. E se qualcuno lo ha spento di proposito? Magari qualcuno sta cercando di confonderci. 
Il luccichio delle scariche elettriche era scomparso, ma la stanza aveva delle luci di emergenza che proiettavano un alone rosso su tutto, rendendo quella stanza ancora più inquietante del previsto. Ci trovavamo in un salone ampio con dei divani, delle poltrone e un paio di scrivanie. E come avevo constatato prima, non c'era anima viva. 
"Non ho mai visto nessuno in queste sale d'attesa." disse Thomas, come se di colpo quel luogo gli fosse familiare. "Questo posto è deserto e inquietante."
"Adesso che facciamo, Tommy?" chiese Newt. Non appena sentii la sua voce per la prima volta dopo il blackout mi sentii rassicurata che stesse bene − non che del semplice buio avesse potuto fargli del male, ma non si era mai troppo sicuri di quello che accadeva tra i corridoi della W.I.C.K.E.D.
"Brenda, abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto." annunciò Thomas in modo sicuro, il che significava che aveva un piano. "Dobbiamo raggiungere l'hangar e trovare Jorge, e assicurarci che abbia una Berga pronta per il decollo. Newt, Minho, Stephen ed Elena, voi ragazzi resterete con lui per coprirgli le spalle, mentre io e Brenda andremo a cercare gli altri. Brenda, sai dove possiamo fare rifornimento di munizioni?"
"Passeremo davanti al deposito di armi andando verso l'hangar." disse lei. "Ma probabilmente è sorvegliato."
"Abbiamo visto di peggio." commentò Minho. "Cominceremo a sparare finché non ne rimarrà in piedi nemmeno uno. Di loro o di noi."
"Li faremo a pezzi." aggiunse Newt, quasi con un grugnito, come a confermare l'affermazione dell'amico. "Tutti. Fino all'ultima carogna."
Brenda indicò uno dei due corridoi in fondo dalla sala. "È di là." 
La ragazza ci guidò in un susseguirsi di svolte, con le pallide luci rosse di emergenza che illuminavano il percorso. Non vedemmo nessuna guardia, per tutto il tragitto.
Dopo una quindicina di minuti abbondante a passo sostenuto, raggiungemmo il deposito delle armi. Thomas si fermò nel corridoio, sorpreso tanto quanto me di trovare la porta spalancata. Da quello che riuscivo a vedere oltre la spalla di Newt era che gli scaffali all'interno sembravano pieni.
"Questa è la conferma." disse Minho di punto in bianco. "Non ci sono più dubbi." 
Aggrottai le sopracciglia. Intendeva forse che qualcuno aveva fatto scattare l'allarme di proposito per riuscire a prendere rifornimenti e fuggire indisturbato? Be' speravo proprio di non essere l'unica a pensarlo, soprattutto quando quei qualcuno potevano benissimo essere i nostri amici, animati da un'improvvisa voglia di fuggire dalla W.I.C.K.E.D.
"Qualcuno ci sta tendendo una trappola." mormorò invece il Velocista. "Per forza." aggiunse poi. "All'improvviso sono scomparsi tutti, porte aperte, armi in bella vista pronte per noi."
"Decisamente losco." commentò Brenda.
A quell'affermazione, Minho si voltò verso di lei. "Come facciamo a sapere che tu non c'entri?" le domandò. La ragazza rispose con voce stanca. "Tutto quello che posso dire è che ti giuro di no. Non ho idea di cosa stia succedendo."
"Scusatemi, ragazzi." mormorai facendomi avanti titubante. "Ma forse c'è un'altra spiegazione. Forse i nostri amici sono stati qui prima di noi. Pensateci, ha senso! Si sono ribellati, hanno fatto scattare l'allarme e preso le munizioni aprendoci praticamente la strada e facilitandoci metà del lavoro." spiegai agitando una mano. "E quindi forse ora sono..." mi bloccai, realizzando solo in quel momento che stavamo perdendo del tempo prezioso e che forse gli altri erano già arrivati alla Berga. "Dobbiamo sbrigarci e raggiungere la Berga." ordinai piombando nella stanza, alla ricerca di qualche arma che potesse esserci utile. Non appena mossi il primo passo mi accorsi che c'era già qualcuno dentro, intento a frugare tra gli scaffali: Newt. Non mi ero accorta che fosse entrato prima di me.
"Guardate qui." gridò Newt sorpreso. Allungai il collo e sbirciai oltre la spalla del ragazzo per capire di cosa stesse parlando. Newt stava indicando delle pareti e degli scaffali vuoti. "Guardate i segni della polvere. È piuttosto ovvio che un mucchio di questa roba è stata portata via di recente. Forse addirittura nell'ultima ora o due." 
Feci un completo giro su me stessa, per ispezionare meglio la stanza: era piuttosto impolverata − quanto bastava per provocare degli starnuti se ci si muoveva troppo −, ma i punti indicati da Newt erano completamente puliti. Aveva ragione al mille per mille. 
"Perché è così importante?" chiese Minho, che era dietro di noi. Vidi Newt serrare la mascella ancora prima che il Velocista potesse finire la frase, poi il ragazzo si voltò e con tono scocciato disse: "Per una volta non ci puoi arrivare da solo, razza di pive?"
Minho si accigliò. Sembrava più sbalordito che arrabbiato. "Wow, Newt." si intromise Thomas. "È una situazione da schifo, va bene, ma datti una calmata. Cosa c'è che non va?"
Per quanto odiassi ammetterlo, sapevo che quello sbalzo nel comportamento di Newt non era colpa del ragazzo, ma dell'Eruzione che lo divorava. Stava agendo più in fretta del previsto.
"Te lo dico io cosa c'è che non va, maledizione. Ti comporti da duro senza avere un piano, ci fai andare in giro come un mucchio di polli in cerca di mangime. E Minho non riesce a fare un passo del cacchio senza chiedere quale piede deve usare." borbottò Newt.
Minho si era finalmente ripreso dallo shock dell'offesa. "Senti, faccia di caspio. Sei tu che ti dai delle arie da genio perché hai capito che alcune guardie hanno preso delle armi dal magazzino delle armi. Pensavo di darti il beneficio del dubbio, comportarmi come se avessi scoperto qualcosa di più importante di questo. La prossima volta ti darò una bella pacca sulla spalla per aver affermato una cosa ovvia."
Aprii la bocca per cercare di intromettermi in una conversazione che sarebbe potuta facilmente sfociare in una lite, ma non appena incrociai gli occhi di Newt, sentii le mie ossa frantumarsi assieme al mio cuore, sotto il peso della sua espressione totalmente cambiata:  sembrava affranto, quasi sul punto di piangere. "Mi dispiace." mormorò, poi si voltò e uscì dal magazzino. "Cosa gli è preso?" sussurrò Minho. 
Avevo osservato con occhi tristi la sagoma di Newt sparire dietro l'angolo e senza neanche accorgermene mi sorpresi a camminare verso l'uscita della stanza, pronta a seguirlo per calmarlo e assicurarmi che stesse bene. Non avevo neanche dato l'impulso al cervello che le mie gambe erano già in moto. Feci per uscire dalla stanza, ma una sagoma si interpose tra me e l'uscita che dava nel corridoio. Mi fermai per evitare di andarci a finire contro ed alzai lo sguardo irritata. Stephen mi stava osservando con un'espressione allarmata e dispiaciuta allo stesso tempo e, mentre con un braccio sorreggeva la sorellina che ora mi stava guardando curiosa, alzò la mano libera e la allungò verso di me, come ad intimarmi di starmene ferma.

"Cosa stai facendo?" domandai scocciata, cercando di evitare di fare una scenata proprio davanti ad Hailie. "Lasciami passare, Stephen."
"Eli..." mormorò lui. "Non dovresti..."
"Non decidi tu cosa devo e non devo fare." tagliai corto, interrompendolo bruscamente. "E non mi chiamare 'Eli'." ordinai rifilandogli un'occhiataccia.
Solo una persona poteva chiamarmi in quel modo, e di certo non era lui. 
"Ti prego di ragionare." mi supplicò lui. "Non credo che Newt voglia parlarti, ora. Non credo voglia parlare con nessuno."
Come si permetteva di dirmi cose del genere? Come faceva lui a sapere cosa Newt desiderava? Stephen non lo conosceva tanto quanto me.
"Cosa?" quasi gridai. "Non venirmi a dire cosa vuole Newt, perchè sono sicura che tu non lo conosca abbastanza da fare supposizioni del genere. Tu non sai niente, quindi levati di mezzo e lasciami passare." ordinai irrigidendo la mascella.

La voglia di prendere a pugni il suo bel faccino iniziò a crescere dentro di me, ma sapevo che non avrei mai potuto fare una cosa del genere, soprattutto quando rischiavo di colpire la sorellina e di spaventarla. Ma non gli avrei comunque permesso di frenarmi dal raggiungere Newt per aiutarlo. Nessuno ci aveva mai separati. Nessuno ci era mai riuscito veramente. Perciò se Stephen pensava che avrei gettato la spugna così facilmente si sbagliava. Dio, come si sbagliava. Aveva visto con i suoi occhi cosa ero capace di fare a chiunque avesse cercato di dividermi da Newt, soprattutto quando in ballo c'era la sua sanità mentale e fisica.
"Stephen." dissi a denti stretti e stringendo forte i pugni per evitare di scoppiare. "Te lo dico per l'ultima volta. Spostati e lasciami passare." ordinai fredda, lanciandogli uno sguardo di ghiaccio.
Il ragazzo mi rifilò uno sguardo pieno di compassione e tristezza, che non fece altro che farmi arrabbiare di più. Ancora non lo aveva capito? Tutto quello lo stavo facendo per Newt, non per me. Newt aveva voluto fuggire dalla W.I.C.K.E.D. e io lo avevo assecondato. Newt aveva voluto andare fino in fondo, rischiando di oltrepassare i limiti concessi, e io lo avevo lasciato fare, pur sapendo di stare sbagliando. E ora mi accorgevo dei miei errori: se lo avessi costretto a restare e collaborare per trovare una cura, forse tutto quello non sarebbe successo. Per colpa mia, Newt aveva oltrepassato il limite del sostenibile e non a caso i suoi sbalzi d'umore e i suoi schizzi di rabbia stavano aumentando oltre misura ultimamente.
Troppo stress, troppa rabbia repressa e troppi pensieri negativi lo stavano distruggendo. Se andava avanti così, questi lo avrebbero disintegrato totalmente in breve tempo. Sentivo che qualcosa di pessimo stava per accadere, qualcosa di orribile e purtroppo irreparabile.
Lo sentivo penetrare nella pelle, trasportato dalle vene ed assorbito dalle ossa.
Sapevo che era solo una sensazione negativa, una delle tante. Forse avrei dovuto ignorarla, ma al momento pensai che sarebbe stato solo stupido. Decisi per una volta di fidarmi delle mie sensazioni e cercare di prevenirle.
"Stephen. Ti prego." mormorai in fine, cercando di convincerlo a lasciarmi passare con le buone.
Il ragazzo si morse il labbro e mi fissò per qualche istante, come ad accertarsi che una volta oltrepassata quella porta non mi sarei pentita e non sarei tornata indietro. Ma alla fine il suo sguardo si addolcì e i suoi muscoli si rilassarono. Osservai la sua mano calare sul fianco e i suoi occhi incupirsi probabilmente per via di un pensiero negativo. Non appena il ragazzo si decise a farsi da parte e lasciarmi passare senza più aggiungere una parola, mi fiondai nel corridoio e presi ad inseguire Newt.

*Angolo scrittrice*
Hey bei pive!
Volevo solo informarvi che, per finire di scrivere questo capitolo (di ben 3200 parole), ho rinunciato a leggere The Maze Runner - Il Codice (pensate a quanto vi amo). Il libro mi è arrivato proprio questa sera, perciò penso che ora mi dileguo e vado a leggere. Passate una buona nottata e preparatevi ad un prossimo capitolo che sarà devastante. Ora vi ho reso tutti più positivi e sereni, vero?
Bene così.
Baci,
Inevitabilmente_Dea ♥

PS: l'immagine ad inizio capitolo è il primo photoshop che creo :') quindi fatemi sapere cosa ne pensate, se ne volete altri o se preferite le gif normali :3 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32. ***


Feci appena in tempo ad uscire nel corridoio per vedere la sagoma di Newt entrare velocemente in una stanza. Il ragazzo non si era neanche preso la briga di abbassare la maniglia per entrare e aveva optato per una violenta spallata alla porta, che la fece aprire di scatto facendola poi sbattere contro il muro. Sentii un toc sonoro e dopo poco vidi la porta richiudersi leggermente su se stessa, ma senza chiudersi del tutto. Probabilmente non era stato il ragazzo a richiudere la porta, ma la botta che aveva dato contro di essa era stata abbastanza forte da farla aprire, sbattere contro il muro e farla socchiudere di nuovo da sola.
Mi morsi il labbro, accorgendomi solo in quel momento che i miei piedi si erano bloccati sul pavimento, come se fossi entrata in del cemento fresco, allora decisi di scuotere la testa per liberarmi da quell'intorpidimento e mi mossi in avanti senza attendere oltre.
Camminando a passi veloci finalmente raggiunsi la stanza, ma non entrai subito. Rimasi lì davanti, a fissare la vernice bianca con cui era stata ricoperta la porta, poi passai lo sguardo sulla fessura tra essa ed il muro. Allungai una mano titubante, ma dopo aver preso un bel respiro profondo entrai nella stanza, richiudendo la porta dietro di me.
Fissai per un'ultima volta la maniglia, poi mi decisi a voltarmi. Non appena lo feci sentii Newt parlare.
"Vattene, Eli." mormorò. Il ragazzo era seduto per terra cinque o sei metri più in là, con la schiena contro il muro e la testa tra le mani. 
Aggrottai la fronte e aprii la bocca per parlare, ma Newt mi interruppe subito, non alzando neanche lo sguardo per guardarmi in volto. "Non dire una parola." grugnì.
Bell'inizio. Pensai incerta sul da farsi. Dopo aver riflettuto qualche minuto mi decisi ad agire e a comportarmi come ero sempre solita fare. Essere spontanei era la cosa migliore, ne ero certa.
Mossi qualche passo nella direzione del ragazzo e solo quando gli fui davanti, mi spostai di lato e mi sedetti a terra, con la schiena e la testa appoggiate contro il muro, proprio vicino a lui, tanto vicino che potevo sentire il suo calore dal contatto delle nostre spalle.
Non dissi nulla e non feci nulla −  ad eccezione di fissare le luci di emergenza sul soffitto −, nemmeno quando con la coda dell'occhio lo vidi alzare la testa e voltarsi verso di me.
"Cosa stai facendo?" mi domandò scocciato. "Ti ho detto di uscire."
Feci spallucce e solo dopo qualche secondo lo guardai negli occhi. "Non mi andava." dissi semplicemente, alzando un sopracciglio e cercando di capire cosa lo stesse rattristando così tanto.
L'espressione che gli avevo visto addosso nel magazzino era stata come un colpo al cuore. Era strano vederlo triste. Certo, spesso era nervoso o preoccupato, ma di rado mostrava la sua tristezza agli altri, come se avesse paura di renderli infelici.
"Be', non mi interessa. O esci da questa stanza con le tue gambe oppure ti ci porto io a calci." spiegò aggressivo, ma sapevo che non sarebbe mai riuscito a fare una cosa del genere. Poteva anche impazzire, ma lui sarebbe sempre rimasto Newt. Il mio Newt. E io ero la sua Elena. Sapevo che Newt non avrebbe permesso all'Eruzione di cancellare il mio ricordo, i nostri ricordi.
"Come stai?" chiesi ignorando palesemente la sua 'minaccia'.
"Ma che..." sbottò lui confuso. "Io ti dico di uscire e tu mi chiedi come sto." lo sentii sbuffare e subito dopo scattò in piedi infuriato. "Sai benissimo come sto, Eli. Gli occhi ce li hai anche tu, no?"
Feci un profondo respiro. Sapevo che non dovevo rimanerci male, che non era lui a parlare, o che magari era lui, ma quelle cose non le pensava veramente.
Facendo pressione sul pavimento mi alzai in piedi anche io e lo fronteggiai con voce ferma e sguardo duro. "Newt, so cosa ti sta succedendo. Non sono nè cieca nè stupida. Voglio solo aiutarti." spiegai.
Lui allungò il collo verso di me, aprendo la bocca e aggrottando le sopracciglia come se non credesse alle parole che avevo appena pronunciato. "A-Aiutarmi?" domandò frustrato. "Questa è bella. Come pensi di aiutarmi, sentiamo?"
"N-Non lo so..." balbettai colta alla sprovvista. "Forse potrei..." 
Venni bruscamente interrotta dal ragazzo, che avanzò di un passo verso di me, sempre più arrabbiato di prima. "Non lo sai. Ecco il punto." sbottò. "Non sai come mi sento, non sai cosa mi succederà, non sai come aiutarmi e a quanto pare non sai neanche ascoltare. Ti sto chiedendo di lasciarmi solo." 
"Hai ragione." ribattei alzando le mani in segno di resa. Per quanto mi stessi ripetendo che era la malattia a parlare al posto di Newt, quella situazione stava diventando insostenibile. Ogni parola del ragazzo era un proiettile nel petto, ed ero sicura di averne collezionati abbastanza, perciò dovevo riuscire a calmarlo prima di crollare del tutto. "Non so niente di tutto questo, ma mi puoi insegnare ad aiutarti. E allora forse potrò capire come ci si sente, potrò capire tutto quello che c'è da capire."
"No, tu non..."
Questa volta lo interruppi io. "No." sputai secca. "Mettiti in testa che io non ti lascio. Non me ne vado da questa stanza e di certo non me ne vado dalla tua vita." spiegai chiaramente, scandendo parola per parola nella speranza che smettesse di chiedermi di abbandonarlo.
"Okay." sibilò lui grattandosi il collo. "Se non te ne vai tu, me ne vado io."
Detto ciò il ragazzo si mosse in avanti, compiendo qualche passo, ma velocemente mi buttai all'avanti afferrandolo delicatamente per il polso e impedendogli di allontanarsi ancora da me.
"Newt, ti prego." mormorai implorandolo di restare. "Io ho biso..."
Smisi di parlare non appena vidi il ragazzo muoversi velocemente e gettarsi su di me ad una velocità strabiliante. Non capii nè come nè perchè, ma ben presto sentii il mio corpo entrare violentemente in contatto con il muro, togliendomi il respiro e facendomi battere la testa. Mugugnai più per la sorpresa che per il dolore e abbassai gli occhi ai miei piedi nella speranza di riprendermi dallo stordimento. Tutto stava diventando sfocato e traballante, ma dopo qualche battito di ciglia tutto tornò normale, come per magia, così rialzai la testa e la appoggiai lentamente al muro, respirando profondamente.
Solo quando cercai di far entrare l'aria nei miei polmoni e mi accorsi di non riuscirci neanche minimamente, capii che qualcosa mi stava bloccando la gola. Non appena abbassai gli occhi sul mio collo, compresi che la mano di Newt stava cercando di soffocarmi. Spalancai le palpebre, improvvisamente spaventata. Ciò che mi terrorizzava però non era il fatto che sarei potuta morire senza ossigeno, ma che era proprio il ragazzo − quello che mi aveva sempre protetta e quello che mi amava − a farmi del male. Non sapevo se ne fosse consapevole o se fosse stato colto da un attacco di poca lucidità, ma in ogni caso vederlo lì davanti a me, con gli occhi infuocati e fuori dalle orbite che mi fissavano dritto in faccia, dove però non riuscivo a vedere niente che non fosse rabbia, mi spaventava.
"Newt..." sibilai portando entrambe le mie mani sul suo polso e facendo pressione nel tentativo di allontanarlo anche di poco per riuscire a rigenerare i miei polmoni ormai in fiamme. "...smett... fa male..." cercai di dire, ma le mie parole vennero soffocate dalle sue dita che, stringendo sempre di più, mi fecero sentire debole come una spiga di grano.
Sentii la mia faccia infuocarsi e il mio corpo indebolirsi sempre di più, i miei sensi diventarono sempre più torbidi e la stanza iniziò ad offuscarsi, poi quando pensai di essere veramente arrivata alla fine, sentii la sua presa allentarsi velocemente, ma la sua mano non abbandonò mai la mia gola.
Iniziai a tossire e a prendere tutto l'ossigeno che potevo, poi nonostante il sangue mi stesse pulsando nelle orecchie, sentii Newt pronunciare qualche parola. "Io... n-non volevo."
Sbattei gli occhi e li incrociai ai suoi. "V-Va bene." mormorai sentendo la mia stessa voce debole e rauca.
"No!" gridò lui dando un pugno sul muro di fianco a me. "Non va bene!" sbraitò lasciando un altro pugno sulla parte a pochi centimetri dalla mia testa.
Chiusi gli occhi, paralizzata dalla paura e attesi un'altra scarica d'ira.
Quando sentii il suo fiato avvicinarsi al mio collo sussultai e mi irrigidii, ma non feci nulla per allontanarlo. Nonostante tutto quello che era successo non ci riuscivo. Sapevo che Newt era lì dentro, nascosto da qualche parte in attesa di esser liberato. Eppure non riuscivo a non provare paura, anzi terrore, perchè forse quella parte del ragazzo non sarebbe più riemersa, divorata dall'Eruzione e cancellata dalla pazzia.
"So che non è colpa tua." sussurrai aprendo di nuovo gli occhi. 
A queste parole sentii la testa del biondino abbandonarsi sulla mia spalla, stanca di sorreggersi da sola, e vidi la sua schiena gonfiarsi per accogliere più fiato. Senza riuscire a trattenermi feci scivolare le mie braccia sul suo corpo, abbracciandolo e avvicinandolo a me.
"Non dovresti starmi vicino." disse lui in modo calmo. Troppo calmo da far suonare quella frase in modo dannatamente inquietante. "Hai visto cosa ho fatto. Non mi controllavo, non ci riuscivo. Sento che potrei scoppiare e impazzire in ogni momento."
"Non mi importa."
"Dovrebbe. Posso proteggerti dagli altri, ma non posso proteggerti da me."
"Newt, io non ti lascio. Senti, mi dispiace. Non avrei dovuto forzarti a parlare." bisbigliai sollevata che il Newt che avevo sempre conosciuto fosse tornato a galla.
"E allora ti prego di andartene." mi supplicò lui, distaccandosi da me e incrociando i suoi occhi ai miei.
Li osservai attentamente, nella speranza di trovare qualcosa che mi aiutasse a decifrarlo, e quando mi accorsi del velo scuro che era calato sul suo sguardo, ogni mia piccola speranza si frantumò e volò via, come sabbia al vento: il ragazzo non era solo triste e frustrato, ma sembrava aver perso ogni speranza, e la cosa mi provocò un senso di disperazione.
Era come se Newt si stesse spegnendo lentamente. Il mondo della Radura sembrava lontano millenni. Lì, il ragazzo era sempre stato quello calmo, controllato, saggio. Lui era Il Collante, quello che teneva insieme il gruppo, quello che mi permetteva di non crollare e quello che sapeva sostenersi da solo. Rimane in piedi anche se il mondo gli crolla addosso. Era questo quello che avevo sempre pensato su di lui. Era sempre stato un ragazzo forte, ma la sua forza e la sua fermezza lo stavano distruggendo dall'interno.
"Mi hai sentito? Vattene prima che perda di nuovo la lucidità." ordinò in modo molto più brusco del precedente avvertimento.
"Non parlerò, non dirò nulla, ma ti prego, non mi cacciare." mormorai implorandolo non solo con le parole, ma anche con lo sguardo. Non volevo perderlo eppure non c'era niente che potessi dire o fare per ritrovare il ragazzo ragionevole che conoscevo.   
E fu proprio quando lui si allontanò all'improvviso da me, obbligandomi a distaccare le braccia dalla sua schiena, che capii quanto avessi peggiorato la situazione. Di nuovo.
Newt girò su sè stesso più volte, tenendosi la testa tra le mani e guardandosi in giro per la stanza, poi si avvicinò ad una piccolo tavolo di legno e lo afferrò bruscamente, lanciandolo poi in modo aggressivo contro la parete. Qui, l'oggetto si frantumò in mille pezzi, producendo un fracasso assordante, che mi fece sussultare. Il mio cuore prese a battere ancora più forte quando lo sentii gridare contro di me.
"Stai zitta!" sbraitò agitando le braccia come un forsennato. "Stai zitta ed esci!" urlò di nuovo, quando mi vide paralizzata e schiacciata contro il muro. 
Spalancai gli occhi e sentii le mie gambe tremare, ma non riuscii a trovare la forza di muovermi e uscire come mi aveva chiesto. Perchè dopo tutto quello ancora non riuscivo ad accettare il fatto che Newt non mi volesse con sè? Che per lui ero solo un impiccio, un peso ulteriore da sopportare? Ero stata io la causa di tutto. Se stava impazzendo era colpa mia, della mia lingua lunga e della mia cacchio di testardaggine.
Sentii le lacrime inumidirmi gli occhi  e il cuore smettere di battere. Perchè faceva così male?
Aprii le labbra tremanti per parlare, ma prima che anche una sola parola potesse uscire dalla mia bocca, la porta della stanza si spalancò, catturando l'attenzione di entrambi.
Thomas era balzato dentro la stanza allarmato come non mai, passando lo sguardo da me, a Newt e poi di nuovo a me. Ci guardò entrambi con la bocca spalancata, non sapendo cosa dire, eppure la sua espressione parlava da sè: non aveva assistito a ciò che era successo, eppure sapeva benissimo come era andata e non riusciva a crederci.
"Cosa..." mormorò facendo un passo dentro la stanza.
"Tommy, portala fuori per piacere." domandò Newt, facendo sembrare quel favore un ordine.
Thomas puntò lo sguardo su di me, ma non disse nulla.
"Portala fuori." ripetè Newt con un sospiro, camminando verso la parete opposta alla mia e abbandonandosi contro di essa.
Thomas fece qualche passo verso di me e solo a quel punto mi decisi a muovermi: alzai una mano in direzione del ragazzo, come ad intimarlo di fermarsi, poi mi staccai dal muro e trascinai le mie gambe verso l'uscita.
Non avevo più motivo di rimanere dentro quella stanza e di certo non mi sarei lasciata toccare da Thomas. Avevo capito. Tutto era chiaro. Io ero di peso. Newt aveva già Thomas come spalla, non aveva bisogno di me.
Prima di varcare la soglia, mi fermai e rivolsi un ultimo sguardo a Newt. Quest'ultimo non mi degnò neanche di un'ultima occhiata, troppo intento a fissarsi le scarpe con un'aria dura e le braccia strette al petto.
Sentii le lacrime inondarmi gli occhi, ma le trattenni e mi morsi il labbro. Poi, finalmente, mi decisi ad abbandonare per sempre quella stanza.
Come Newt mi aveva chiesto.
Entrai nel corridoio e mi sentii improvvisamente vuota, come se avessi lasciato tutta me stessa in quella stanza, ma nonostante questo tutto il mio corpo era più pesante che mai. Trascinai i miei piedi lungo il corridoio, inspirando profondamente per trattenere le lacrime, passo dopo passo, respiro dopo respiro. Perchè? Quella era l'unica domanda che assillava la mia mente come un orologio che continua a battere rumoroso i secondi, senza tregua. Newt non era così. Quello che avevo visto nella stanza, quello che aveva dato di matto, era... diverso, ma in qualche modo anche dannatamente simile a quello che conoscevo da tempo. Era come se fosse in continua lotta contro se stesso. L'Eruzione stava avanzando molto velocemente dentro lui, più velocemente di quanto avevo previsto −  o meglio, sperato. Sapevo che non mi dovevo lasciar condizionare dalle sue parole perchè tutto ciò che aveva detto era stato solo la brutta conseguenza di troppo stress e rabbia. Eppure... eppure sentivo che le frasi da lui pronunciate avevano un fondo vero, come se per la prima volta mi avesse detto tutto ciò che pensava senza censure. Forse credeva veramente a tutto ciò che mi aveva detto.
Se era veramente così...
Dio, non voglio neanche pensarci. Mi dissi nella mente, chiudendo per un secondo gli occhi nella speranza di cacciare quelle brutte sensazioni.
Continuai a camminare, sempre impegnata a tenere la mia mente bianca, priva di ogni pensiero che potesse distruggermi ancora di più. 
Passo dopo passo, respiro dopo respiro, mi mossi in quel corridoio che all'improvviso mi sembrava così lungo e vuoto, fino a quando nel mio campo visivo entrò un altro dettaglio che risaltava sulle mattonelle bianche come una macchia di sporco. Attraverso il velo di lacrime che mi aveva ricoperto gli occhi, riuscii a mettere a fuoco quel dettaglio fino a che non diventò una forma definita: un paio di scarpe.
Alzai lentamente la testa e solo quando lo feci mi accorsi di quanta fatica quell'azione implicasse. Era come se il sangue mi si fosse pietrificato nelle vene, rendendomi doloroso e impossibile quasi ogni movimento, persino muovere il collo.
Mossi perciò gli occhi all'insù e osservai con sguardo distante la figura che mi si ergeva davanti. Mi ci volle più del solito a riconoscere che la persona che mi stava di fronte, con occhi preoccupati e allo stesso momento arrabbiati, era proprio Stephen. 
"Elena..." sussurrò lui dispiaciuto, come se non fosse effettivamente sorpreso di vedermi in quello stato. 
Tentai di accennare un sorriso, ma questo purtroppo mi uscì come una smorfia di dolore a stento trattenuta. "Avrei dovuto darti ascolto." mormorai debolmente, sentendo la mia voce spezzarsi proprio sulle ultime parole.
Il ragazzo aprì la bocca per parlare, assumendo un'espressione di nuovo piena di compassione e tristezza nei miei confronti. Non riuscendo più a sostenere quello sguardo, abbassai la testa e mi mossi di lato, riprendendo a camminare senza meta e superando il ragazzo che mormorò qualcos'altro − probabilmente il mio nome − nel tentativo di fermarmi.
Presi un altro profondo respiro e poi imboccai un altro corridoio, svoltando a destra. Qui le gambe mi cedettero, obbligandomi ad aggrapparmi al muro per evitare di cadere a terra.
Mi appoggiai ad esso con tutto il corpo e stringendo la mano a pugno mi lasciai scivolare fino a toccare delicatamente il pavimento. Mi girai verso destra e mi rannicchiai contro la parete, come se questa potesse darmi qualche tipo di affetto che riuscisse ad alleviare il dolore anche solo in parte. 
Chiusi gli occhi, stanca di vedere il mondo informe e vuoto che mi circondava, e mi abbracciai stringendo le mani all'altezza delle spalle.
Era una sensazione orribile, come se stessi sprofondando e non riuscissi a fermarmi. Tanto debole quanto vuota, spenta. Nonostante il dolore opprimente, nemmeno una lacrima abbandonò i miei occhi, come se fossero tutte rimaste incastrate dietro alle mie palpebre. Per quanto lo desiderassi, per quanto volessi scoppiare, urlare e prendere a pugni il muro, rimasi lì immobile, ad ascoltare il mio respiro interrompersi, trattenuto dai polmoni. Forse era per questo che mi sentivo come se avessi una trave conficcata nel petto, così dolorosa e pesante, e impossibile da togliere.
"Fa male." sussurrai nel buio dei miei occhi. "Fa un male infernale."
Tutte quelle fitte erano incontenibili, insopportabili, opprimenti. Sentivo che l'ossigeno veniva a mancarmi, come se non riuscissi a respirare. Me ne restavo in apnea tra la disperazione e la tristezza, ricoperta da un velo di frustrazione.
Per fortuna nessuno era venuto a cercarmi. Chissà cosa avrebbero detto se mi avessero vista in quello stato. Non volevo sembrare debole, e mi ripetevo che non lo ero, eppure quando non ce la facevo più crollavo. Crollavo e rimettevo insieme tutti i pezzi, per poi cadere di nuovo. E ora che avevo perso Il Collante, la mia ancora di salvezza, con cosa mi sarei rimessa in piedi? 
Sentii la mia gola intopparsi sempre di più di lacrime, ma non riuscii ad esternarle. Era come se il dolore fosse intrappolato dentro di me, nel profondo delle ossa. Forse era diventato parte di me, o forse ero stata io a diventare parte di lui. Dopotutto lo avevo fatto entrare io: mi ero lasciata distruggere un'altra volta e la cosa peggiore era che io avevo contribuito alla mia distruzione.
Poi all'improvviso sospirai, sollevata di riuscire finalmente a prendere un bel respiro, e una gradevole sensazione di leggerezza di mi invase, come se parte del dolore mi fosse uscito traspirando dalla pelle.
Aprii gli occhi e mi sorpresi a mordere la mia stessa mano, con così tanta cattiveria e rabbia, che quasi mi spaventò. Non me ne ero neanche accorta... Come avevo potuto? Ma soprattutto perchè mi dava così tanto sollievo dal dolore? Insomma, era un controsenso. Dolore per calmare altro dolore? Allontanai immediatamente la mano dai miei denti, atterrita da quello che avevo appena fatto. Non mi sorpresi quando mi vidi la mano ricoperta di sangue nella zona in cui l'avevo morsa. Se osservavo attentamente potevo vedere le ferite piccole ma profonde sotto quella macchia rosso scarlatto. Ora che ci facevo caso potevo sentire il sangue dentro la mia bocca, quel suo sapore così metallico e disgustoso era inconfondibile.
Scossi la testa, risvegliandomi dai miei stessi pensieri. Non era quello il modo di reagire. Cosa stavo facendo? 
Non volevo essere debole? E allora perchè me ne rimanevo stesa a terra a piagnucolare e a mordermi per alleviare un dolore insopportabile? Ero patetica. Era giunto il momento di affrontare la situazione per come era. 
L'equilibrio mentale di Newt veniva divorato velocemente e io non potevo fare nulla per aiutarlo −  o meglio, non potevo fare nulla per migliorare o curare la sua malattia  −, però forse avrei potuto semplicemente stargli accanto. 
Sapevo che forse lui non voleva ed ero anche consapevole che me lo avesse detto pochi attimi prima, ma non mi arrendevo. Una stupida malattia non poteva di certo cancellare tutto quello che ci eravamo costruiti, ricordo dopo ricordo, esperienza dopo esperienza, sempre mano nella mano.
Newt non sembrava intenzionato a lottare per se stesso, perciò lo avrei fatto io al posto suo.
Per tutte quelle volte che lui aveva parteggiato per me.
Per tutte quelle volte che lui c'era stato per me.
In memoria dei vecchi tempi.
In memoria del vecchio Newt.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33. ***


Mi decisi finalmente ad alzarmi da terra, così presi un bel respiro e sforzai le mie gambe a sorreggermi in modo saldo, senza tremare. Mi portai alcune ciocche di capelli dietro le orecchie, poi mi passai i palmi sulla faccia, come per svegliarmi da quello stato di depressione, ed infine indugiai le dita sulle labbra, stuzzicandole e allungandole titubante. Ero veramente pronta ad affrontare tutto quello? O meglio, ero sicura di riuscire a sopportare tutto, senza crollare più? Questa volta mi ero concessa di lasciarmi andare, ma sapevo che, una volta girato l'angolo, avrei dovuto reprimere ogni sentimento o pensiero negativo.
Una volta girato l'angolo avrei dovuto cavare fuori tutta la forza ed il coraggio, che ero sicura si fossero intanati in qualche luogo nell'ombra della mia anima. Una volta girato l'angolo, non si tornava più indietro.
Annuii chiudendo gli occhi e rilasciando alcuni sospiri. Non mi sentivo pronta, ma sapevo di doverlo fare, di doverlo a Newt. Perciò spalancai le palpebre e mi asciugai per un'ultima volta il sangue che ancora insisteva a colare dalle ferite da me stessa inflitte sulla mano, poi mi voltai e a testa alta svoltai nel corridoio da cui ero venuta.
Il tragitto di ritorno sembrò tre volte più veloce di quanto lo avessi percorso in precedenza e questa cosa non mi piacque, poichè arrivai ben presto all'entrata del magazzino delle armi e fui costretta a fermarmi accanto al muro, colta da un'improvvisa mancanza di coraggio.
Perchè mi sentivo così in imbarazzo a mostrarmi ai miei amici –  soprattutto a Stephen, considerato lo stato in cui ero quando lo avevo abbandonato in corridoio–?
Cercai di riflettere su cosa mi stesse trattenendo dall'entrare in quella stanza, ma non appena udii delle voci all'interno di essa, non riuscii a trattenermi dall'origliare.
"...altro." disse una voce, inconfondibilmente quella di Brenda. "Pensa all'inferno che ha passato Newt. A tutte le decisioni che ha dovuto prendere. Per forza nel suo caso l'Eruzione sta avanzando così rapidamente. È stato stimolato troppo, molto più di una persona qualunque che vive la propria vita giorno per giorno."
Corrugai le sopracciglia. Ecco il vero motivo per cui l'Eruzione stava avanzando così velocemente in lui... Era ovvio, perchè non ci avevo pensato prima? L'Eruzione si sviluppava nella Zona di Violenza che coincideva con il cervello, perciò più questo si utilizzava – sforzandolo per risolvere problemi, prendere decisioni e anche cercare costantemente di trattenersi dallo scoppiare in una crisi isterica –, più la malattia si faceva strada in esso.
Nonostante avessi individuato il problema principale, ovvero l'eccessivo utilizzo celebrale di Newt, non potevo fare nulla per cambiarlo. Insomma, come si poteva chiedere ad una persona di smettere di pensare? Soprattutto in una situazione tale a quella in cui ci eravamo cacciati noi! Al momento la concentrazione e il pensiero critico erano fondamentali, se volevamo uscire dalla W.I.C.K.E.D. sani e salvi. Forse però la situazione sarebbe potuta migliorare una volta raggiunto un posto più sicuro e calmo. Lì ero sicura che il ragazzo avrebbe potuto rilassarsi e perciò riacquistare, anche in piccola parte, l'equilibrio mentale che ultimamente aveva perso.
Sospirai quando però mi accorsi che per il momento non eravamo nè al sicuro nè lontano dalla W.I.C.K.E.D. e che perciò la situazione di Newt non sarebbe migliorata.
Ripensando a ciò, per poco non provai la stessa tristezza che mi aveva straziato il cuore poco prima, ma per fortuna riuscii a ricacciarla giù in gola. Proprio per evitare di ricadere in pensieri simili, mi decisi finalmente a fare la mia entrata in scena nella stanza, comportandomi come se nulla fosse mai successo.
"Be', non potremo farci niente finché non saremo in un posto più sicuro." mormorai non appena misi piede nel magazzino.
Gli occhi di tutti si piazzarono immediatamente su di me, ma feci finta di non notarlo. Stephen mi guardò con occhi sbarrati, come se avesse appena visto un fantasma; Minho mi lanciò un'espressione preoccupata, che senza bisogno di parole, mi spiegò chiaramente che anche il ragazzo aveva sentito il frastuono e le grida provenire dalla stanza dove eravamo io e Newt; Brenda invece aveva la bocca aperta, probabilmente con l'intento di pronunciare qualcosa, ma si vedeva lontano un miglio che dopo il mio intervento, non avrebbe più parlato per lo stupore.
"Il tuo collo è..." iniziò Stephen, appoggiando la sorellina a terra e prendendola per mano.
"Allora, siete riusciti a risolvere il mistero delle casse?" lo interruppi, non volendo parlare di quello che a stento ero riuscita a mettere da parte per fare spazio a sentimenti di speranza e positività.
"Ehm, supponiamo ci siano degli Spaccati all'interno della W.I.C.K.E.D." spiegò Minho titubante, infilandosi un lanciagranate in spalla.
"Spaccati? Veramente?" domandai confusa. "Quindi non avete minimamente preso in considerazione la mia opinione?" chiesi sforzandomi di sorridere.
"Be', noi pensavamo che forse è per questo che sono scattati gli allarmi." aggiunse Brenda.
"Mmh, non mi sembra avere molto senso. Secondo me, se veramente degli Spaccati avessero invaso l'edificio non ci sarebbe tutta questa calma. Sono Spaccati, ragazzi, gente pazza e scatenata. Non credo che siano tanto delicati da aggirarsi per i corridoi della W.I.C.K.E.D. in punta di piedi, no?" spiegai gesticolando. 
"E quindi cosa proponi?" domandò Brenda, sempre più curiosa.
"Secondo me, i nostri amici hanno trovato il modo di ribellarsi e ora, come noi, stanno cercando di scappare. L'unica via d'uscita è prendere una Berga, giusto? Quindi mi sembra ovvio che loro siano proprio nell'hangar." spiegai con calma. "Perciò muoviamoci e raggiungiamo quel posto. Portiamo con noi anche le munizioni e quante più armi possibili, in modo che, se gli Spaccati hanno veramente invaso questa base, possiamo difenderci senza problemi."
"Mi sembra ragionevole." constatò Brenda. "Diamoci una mossa."
Annuii soddisfatta, felice che finalmente qualcuno stesse prendendo in considerazione le mie ipotesi. Vidi la ragazza voltarsi e prendere in mano due lanciagranate e metterseli in spalla, poi allungò il braccio dentro una scatola ed estrasse due pistole, che si infilò velocemente in tasca.
La mia attenzione però fu catturata da Stephen che, dopo qualche secondo, aveva mosso il primo passo nella mia direzione. Allarmata, feci un passo all'avanti e mi misi a frugare dentro una scatola nella speranza di sembrare indaffarata e perciò impossibilitata a parlare, ma il ragazzo non ci fece neanche caso e quando mi si avvicinò con passo silenzioso, sperai che non intendesse instaurare un discorso su quello che era successo poco prima.
Presi tra le mani una pistola e me la portai dietro la schiena, alzando la maglietta e infilandola nei pantaloni.
"Hai almeno messo la sicura?" domandò il ragazzo, improvvisamente vicino a me. Quando mi voltai per rispondergli per poco non sbattei nel suo petto: la distanza tra noi due era così minima che allungando il naso di pochi millimetri sarei riuscita a toccare la sua maglietta. Sobbalzai e feci un passo indietro, sentendomi a disagio, poi alzai lo sguardo su di lui.
"C-Cosa?" chiesi arrossendo dimenticandomi della domanda che il ragazzo mi aveva posto.
"Hai messo la sicura nella pistola?" ripetè lui, facendo un piccolo passo avanti e annullando nuovamente le distanze.
Il ragazzo non mi diede neanche il tempo di rispondere che allungò una mano dietro la mia schiena e con cautela mi estrasse la fredda pistola dai pantaloni. Si rigirò l'arma tra le mani, poi trovò una piccola leva e facendo pressione con un dito la sollevò di poco, dopo me la restituì.
Afferrai la pistola e corrugando le sopracciglia la rimisi al suo posto.
Si era veramente avvicinato a me per chiedermi se avessi messo la sicura ad un'arma o era solo una scusa per iniziare una conversazione indesiderata?
"Cosa ti ha fatto alla mano?" domandò Stephen in modo freddo, quasi come se fosse arrabbiato, ma non con me. 
"Ha fatto?" ripetei confusa. "Semmai ho fatto. Diciamo che senza accorgermene mi sono morsa la mano e mi sono fatta uscire il sangue." spiegai nascondendola dietro la schiena e tornando con l'attenzione alla scatola delle munizioni per le armi.
"Oh, quindi immagino che anche i segni rossi sul collo siano opera tua." mormorò infastidito.
Inspirai profondamente e scossi la testa, ignorando la sua domanda ed evitando di rispondergli. Continuai a frugare imperterrita dentro la scatola delle munizioni fingendomi impegnata nella speranza che Stephen se ne andasse, ma era evidente che non stessi cercando nulla in particolare.
Quando sentii qualcosa scivolare sul lato del mio collo mi irrigidii, congelandomi sul posto. Cercai in tutti i modi di nascondere che quel contatto –  anche se in modo leggero –  mi aveva fatto male. Non era stato un dolore percepibile in modo chiaro, bensì un bruciore lieve, si cui non mi sarei neanche curata se non fosse stato improvviso e se non mi avesse colto impreparata.
"Smettila." mormorai a Stephen, schiaffeggiando la sua mano e allontanandola dalla pelle arrossata del mio collo.
"Ti fa male?" chiese lui, appoggiandosi con una spalla contro l'armadio e guardandomi con la testa leggermente inclinata e le braccia conserte.
"No." dissi secca, sbuffando poco dopo, per fargli comprendere il mio fastidio.
"Non sei brava a mentire, sai?"
"E tu invece sei molto bravo ad infastidire la gente, sai?" replicai acida, smettendo di frugare a caso dentro quella scatola che avevo perlustrato per almeno quattro volte e fissandolo dritto negli occhi.
"Perchè?" mi chiese lui dopo diversi attimi di silenzio. "Perchè continui a tentare nonostante tutto? Perchè sei così positiva e speranzosa, anche quando tutto va male?"
Corrugai la fronte e lo guardai confusa, poi aprii la bocca per rispondere, ma lui mi anticipò. "Perchè continui ad amarlo quando lui ti dice di uscire dalla sua vita?"
Aprii la bocca sconvolta, colta alla sprovvista dalle sue domande del tutto inadeguate. Come gli venivano in mente cose del genere?
"Perchè continuo ad amarlo, Stephen. Ti sei già risposto da solo." replicai scorbutica, alzando gli occhi al cielo.
"Lo so, ma... Perchè? Ci sarà pur qualcos'altro a spingerti. A volte l'amore non basta." replicò lui alzando un sopracciglio.
"Cosa?" domandai stupefatta. "Credimi, l'amore basta eccome. Ma se proprio vuoi altri motivi, te li darò." continuai convinta, accettando la sua sfida e preparandomi a rifilargli una sfilza di motivi, che alla fine si racchiudevano tutti in uno solo. "Innanzitutto glielo devo. Newt ha fatto tante cose per me, c'è sempre stato e anche quando era a pezzi faceva di tutto per consolarmi. Mi ha sempre aiutato ad affrontare i miei problemi, mi ha insegnato a tirare avanti, a vedere le cose da una prospettiva migliore. Potrei continuare all'infinito..." spiegai lentamente. "E proprio per questo voglio ripagarlo. Voglio dimostrargli che può contare su di me. Non mi importa quanto mi faccia male vederlo in questo stato, non mi importa quante volte mi urlerà contro, quante volte cercherà di farmi male per allontanarmi da lui: io non mollo. Sono a pezzi? Sì. Sento che potrei crollare da un momento all'altro? Sì. Lo permetterò? Assolutamente no. Devo essere forte per aiutarlo a sorreggere tutto il peso ha sulle sue spalle. Glielo devo."
Stephen alzò un sopracciglio e mi guardò per qualche secondo dritto negli occhi. Non disse nulla, semplicemente mi fissò con un'espressione talmente strana e indecifrabile da farmi diventare quasi matta. Aveva avuto la sua risposta, no? E allora perchè sembrava così... sorpreso? Forse quello era l'aggettivo più adeguato per la sua espressione facciale.
Poi, quando fui sul punto di dirgli qualcosa pur di farlo parlare, lui mosse le labbra e pronunciò qualche parola, che mi echeggiò nelle orecchie, riportandomi dietro ad un flashback. "Non devi essere sempre forte, non ce n'é bisogno. Continuando così ti farai solo male, credimi."
Senza neanche volerlo, la mia mente iniziò a proiettare davanti ai miei occhi un ricordo, uno di quelli complicati, profondi, frutto di un mix di emozioni contrastanti che andavano dalla felicità alla tristezza: ero di nuovo nella Radura ed era sera; potevo percepire perfettamente l'aria gelida che mi accarezzava la pelle, insinuandosi perfino nelle ossa, dopo che le Porte del Labirinto si erano chiuse, lasciando Minho, Alby e Thomas alla mercè dei Dolenti; mi ricordavo di essermi girata e di aver visto l'espressione stupita, arrabbiata e allo stesso tempo dannatamente triste di Newt; potevo ancora vederlo correre zoppicante verso il bosco e riuscivo ancora a sentire le dita calde di Gally prendermi per il polso, per evitare che io lo seguissi; se facevo un piccolo sforzo potevo ancora udire le sue parole risuonare nella mia mente, come un eco in lontananza.
Ti avevo detto di non tenerti tutto dentro, ma é quello che stai facendo ora. Ripetei nella mia testa, come per incentivare il suo ricordo ad inondarmi la mente. Non devi essere forte, non ce n'é bisogno. Facendo così ti distruggerai da sola e basta.
Dio, quanto avrei dato per riavere anche solo un giorno nella Radura, lontano dal mondo reale. Avrei preferito affrontare un Dolente piuttosto che la situazione reale. 
Non mi ero resa conto di quanto le cose fossero cambiate in peggio, di come tutto stesse diventando sempre più difficile e insostenibile. Nella Radura eravamo tutti assieme, felici per quanto possibile, e l'unica preoccupazione che avevamo era uscire dal Labirinto sani e salvi. Quel rompicapo, ripensandoci adesso, non era poi così complicato. Bastava solo un po' di ingegno, di astuzia e di occhio critico. 
Il mio flashback poi mi svanì dalla mente, lasciandosi dietro una scia di malinconia: mi mancava Gally; mi mancavano i suoi abbracci e le sue facce stupide; mi mancava anche il suo broncio e i suoi tentativi vani di rimanere arrabbiato con me.
Poi mi mancava anche Chuck. Il piccolo ed indifeso Chuck, con le sue guance paffutelle e la sua instancabile allegria.
E poi Jeff, con i suoi insegnamenti e la sua pazienza. E Alby. Clint. Perfino Zart mi mancava. 
"Ehi, mi stai ascoltando?" mi richiamò Stephen, facendo schioccare due dita davanti ai miei occhi.
"Eh, sì... Scusa mi ero distratta." ammisi scuotendo la testa e cancellando definitivamente le ultime tracce di ricordi dalla mia mente.
"Ho detto che a volte, essere forti a tutti i costi, ci rende solo più deboli." ripetè il ragazzo con pazienza. "Ma se proprio lo vuoi fare, io non ti fermerò. La vita è la tua. Solo..."
"Solo?" insistetti, cercando lo sguardo del ragazzo che aveva improvvisamente abbassato a terra.
"Solo non permettergli di farti di nuovo una cosa del genere." sussurrò accarezzandomi il collo e causandomi di nuovo quel bruciore lieve e fastidioso. "Anche se non era in sè, non va bene. Sia per te, che per lui."
Detto ciò il ragazzo alzò di poco un angolo della bocca, formando un improbabile sorriso, poi si girò di spalle e tornò dalla sorellina, che nel frattempo di era messa e disegnare forme col dito sul pavimento sudicio di polvere.



 

Uscii dal deposito delle armi con una scatola piena di munizioni, seguita da Minho e poi da Brenda. Stephen era rimasto dentro la stanza, nella speranza di riuscire a trovare un modo per prendere le armi ed usarle, e nel frattempo tenere in braccio la sorellina.
Newt e Thomas ancora non erano usciti dalla stanza, il che non solo mi fece infuriare – pensando che Newt avesse dato di matto affinchè io lo lasciassi da solo per poi rimanere assieme a Thomas–, ma mi rattristò anche, dato che il biondino pareva preferire l'amico a me.
Scossi la testa e accelerai il passo non appena passammo davanti alla stanza dove i due piccioncini erano ancora rinchiusi. 
Al contrario, Minho, che era dietro di me, si fermò arrabbiato sulla porta e poi, prendendola a pedate, urlò con tono scocciato ai due ragazzi di uscire e darci una mano.
Io continuai a seguire Brenda, temendo di dover incrociare lo sguardo di Newt una volta uscito dalla stanza, e non appena sentii il cigolio della porta, mi irrigidii e continuai imperterrita a camminare dietro la ragazza.
"Andate a prendere le armi che riuscite nello stanzino." disse Minho. "Poi ci avviamo verso l'hangar, e intanto continuiamo a tenere gli occhi aperti. Non si è mai troppo sicuri."
Camminammo per i corridoi per qualche minuto, tutti in fila indiana, e la quiete che ci accerchiava era insopportabile. Era come se tutti all'interno della W.I.C.K.E.D. fossero spariti nel nulla. L'Uomo Ratto e le guardie che ci eravamo lasciati alle spalle erano scomparsi, e la caffetteria, i dormitori, i bagni e le sale riunioni erano tutti deserti. Non c'era nessuno, neanche degli Spaccati. Ero terrorizzata all'idea che fosse successo qualcosa di orribile, e di scoprirlo ancora una volta quando ormai era troppo tardi. 
Qualche attimo prima di svoltare in quello che mi sembrava l'ennesimo identico corridoio, Minho mi afferrò il braccio, strattonandomi all'indietro e obbligandomi a fare lo stesso con Brenda. Mi girai infuriata verso di lui, dato che aveva quasi rischiato di farmi cadere di mano tutta la scatola di munizioni, ma non appena notai la sua espressione tutta la mia rabbia svanì, rimpiazzata da ansia e paura.
Il Velocista si stava indicando l'orecchio, spiegandomi in modo silenzioso che aveva appena sentito qualcosa che ovviamente a me e agli altri era sfuggito. Era difficile vedere, perché il corridoio era illuminato solo dalle luci rosse di emergenza, ma forse se rallentavo il respiro e mi concentravo sarei riuscita a sentire anche io qualcosa. 
Tentai e non appena lo feci straordinariamente quel rumore arrivò anche alle mie orecchie: un debole lamento, un suono che personalmente mi fece venire la pelle d'oca. Arrivava da una delle poche vetrate nel corridoio che davano su una grande stanza, a qualche metro da noi. Dal punto in cui mi trovavo, la stanza sembrava completamente al buio. Il vetro era stato rotto dall'interno, sulle mattonelle del pavimento sottostante c'erano frammenti sparsi.
Come diamine ho fatto a non notare tutto questo casino prima? Pensai aggottando le sopracciglia. Non appena finii di formulare il mio pensiero, il lamento si sentì di nuovo, questa volta in modo più chiaro. 
Terrorizzata mi voltai verso Minho, che senza neanche accorgermene aveva abbandonato il mio braccio. Colta da un'improvvisa paura, mi allungai verso il ragazzo e mi attaccai al suo bicipite, stringendolo nel tentativo di confortarmi. 
Non mi ricordavo di essere diventata così timorosa e cacasotto negli ultimi tempi, ma probabilmente dopo tutto quello che avevamo passato, potevo permettermelo. 
Vidi l'asiatico mettersi un dito sulle labbra, poi, piano e con molta cautela, appoggiò i due lanciagranate di scorta a terra, affrettandosi poi a prendere la cassa dalle mie mani, per paura che appoggiandola da sola avrei prodotto troppo chiasso. Vidi Thomas, Brenda, Newt e Stephen fare la stessa cosa, poi tutti e cinque ci affrettammo a seguire Minho verso il rumore, camminando sempre lentamente ed in silenzio. 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34. ***


{Leggete l'angolo scrittrice, per favore!}

Continuammo ad avanzare silenziosamente, tutti con il fiato in sospeso ed il cuore in gola. Io ero rimasta attaccata al braccio di Minho e per fortuna il ragazzo non mi aveva detto nulla per farmi distaccare da lui. Forse gli stavo dando fastidio, e molto probabilmente gli stavo fermando la circolazione sanguigna, ma finché l'asiatico non mi avesse detto qualcosa, io sarei rimasta in quella posizione.
Avanzammo nel buio, illuminati solo dalle luci di emergenza rosse, che non facevano altro che rendere il tutto ancora più inquietante di quanto in realtà fosse. Più ci avvicinavamo alla stanza con il vetro rotto, più i rumori si facevano chiari. Se prima potevo sperare di avere solo le allucinazioni, ora era chiaro che non stavo sognando.
Sembrava il verso di un uomo che cercasse di risvegliarsi da un incubo terribile. Ad ogni passo, potevo sentire l'apprensione e la paura aumentare in me. Ero terrorizzata al pensiero di ciò che stavamo per scoprire. 
E se i ragazzi avessero ragione riguardo agli Spaccati? 
Magari quei lamenti provenivano da una guardia ferita... O peggio: da uno dei nostri amici.
Eppure sembrava quasi che fosse un verso soffocato, come se qualcuno stesse cercando di parlare, ma la sua voce fosse attutita da una mano sulla sua bocca.
Minho si fermò, con la schiena contro il muro, subito prima dell'intelaiatura vuota e io feci lo stesso, felice di potermi finalmente fermare per concedere al mio tremore di sfogarsi per un attimo.
La porta della stanza oltre la vetrata era chiusa. Ovviamente qualcuno aveva preferito rompere la finestra per passare piuttosto che cercare di abbattere la porta.
"Al mio via." sussurrò Minho. 
Cosa? Pensai terrorizzata. Cosa diamine devo fare al via?
Prima ancora che potessi chiederlo al ragazzo, lui aveva parlato. "Adesso." bisbiglio, poi si girò su sé stesso e puntò il lanciagranate nella stanza buia.
Presa alla sprovvista afferrai con mano tremante il lanciagranate e imitai Minho.
Vidi Thomas posizionarsi alla mia sinistra e Brenda alla mia destra, con le armi pronte a sparare. Newt ci copriva le spalle assieme a Stephen, che aveva appoggiato la sorellina a terra e con una mano la teneva dietro di sé. Hailei si stava stringendo alle gambe del fratello, come un piccolo koala impaurito. Se non altro Stephen avrebbe potuto usare l'arma senza problemi, ma per quanto riguardava i movimenti, il ragazzo era praticanente impossibilitato.
Avevo il dito poggiato sul grilletto, pronta a premerlo al minimo segnale di pericolo, ma grazie al cielo non si mosse una foglia. 
Anche i rumori sembravano essersi attutiti, perciò decisi di concentrarmi su ciò che riuscivo a scorgere tra tutto quel buio. 
Il bagliore rosso delle luci di emergenza non rivelava molto, ma tutto il pavimento sembrava coperto di mucchietti scuri. Che si muovevano lentamente. A poco a poco miei occhi si abituarono al buio, e cominciai a distinguere delle sagome e dei vestiti neri. E delle corde.
"Sono guardie!" disse Brenda, squarciando il silenzio e togliendomi le parole di bocca. Ansiti soffocati risuonarono nella stanza, come rianimati dalla voce della ragazza, e finalmente riuscii a vedere i visi, molti visi. Bocche imbavagliate e occhi spalancati pieni di panico. Le guardie erano legate dalla testa ai piedi e sdraiate a terra, l'una accanto all'altra, e ricoprivano l'intero pavimento. Alcune erano immobili, ma la maggior parte si agitava cercando di liberarsi. 
Mi ritrovai a fissarle incredula, con il lanciagranate abbassato e la bocca spalancata. Sembrava quasi che stessero cercando di dirci qualcosa, ma per quanto mi riguardava tutto pareva essere una brutta scena dei film horror, dove la vittima si ritrovava a parlare con qualcuno di imbavagliato. La cosa che mi ricordavo da quei tipi di film, era che chi si fermava troppo in un luogo, soprattutto a fissare qualcuno che era stato imbavagliato, moriva.
"Dunque è qui che sono tutte." disse Minho sottovoce. Quel suono mi fece rabbrividire lentamente.
"Dobbiamo interrogarli e scoprire cos'è successo." ordinò Brenda, rimettendosi il lanciagranate in spalla e muovendosi in fretta verso la porta. Per quanto fossi desiderosa di sapere cosa fosse accaduto – soprattutto quando avrei potuto estorcere alle guardie qualche informazione sui miei amici –  scossi la testa incerta. Non mi sembrava una bella idea, e a quanto pareva non ero l'unica a pensarlo. Thomas infatti afferrò la ragazza velocemente, obbligandola a girarsi verso di lui.
"No." disse il ragazzo convinto, frenandola.
"Cosa vuol dire no? Perché no? Possono dirci tutto!" domandò lei confusa, poi si liberò dalla presa del ragazzo, ma non se ne andò e attese in silenzio di scoprire cosa avesse da dire.
"Potrebbe essere una trappola, o chiunque sia stato potrebbe tornare presto. Dobbiamo andarcene da questo posto e basta." spiegai in modo agitato, dando finalmente voce ai miei pensieri e anticipando Thomas che già sapevo essere della mia stessa opinione.
"Già." disse Minho. "È fuori discussione. Non mi interessa se ci sono degli Spaccati, dei ribelli o dei gorilla in giro. Al momento queste guardie del caspio non rappresentano un problema per noi."
Brenda scrollò le spalle, come se alla fine non le importasse più di tanto cosa decidevamo. "Va bene. Pensavo solo di riuscire a scoprire qualcosa." 
Rimase in silenzio per un attimo, come se attendesse che qualcuno cambiasse idea e la appoggiasse, ma nessuno osò parlare. Ovviamente eravamo tutti della stessa opinione: dovevamo arrivare in fretta all'hangar e andarcene da quel posto diventato strano e spaventoso.
Dopo aver aspettato diversi secondi, la ragazza scosse la testa e con fare stanco indicò una direzione. "L'hangar è da quella parte." sbuffò iniziando a muoversi senza neanche aspettarci.
Dopo aver raccolto le armi e le munizioni, ci incamminammo a passo svelto per i corridoi, tenendo gli occhi ben aperti nel caso ci fossimo imbattuti in chi aveva sottomesso tutte quelle guardie. Poi Brenda si fermò davanti a un'altra porta a due battenti. Quest'ultima era socchiusa, e lasciava passare un venticello che mi faceva svolazzare i vestiti. 
Mi sorpresi quando vidi Minho e Newt prendere posizione ai lati della porta, con i lanciagranate pronti, senza che nessuno glielo dicesse. Probabilmente erano entrati in modalità combattimento ed ero sicura che anche io avrei dovuto fare lo stesso.
Brenda mise la mano sulla maniglia, puntando la pistola nella fessura. Dall'altra parte non arrivava nessun rumore, ma sapevo per certo che non si era mai troppo sicuri di qualcosa senza prima averlo affrontato faccia a faccia. Perciò appoggiai la cassa delle munizioni silenziosamente a terra e mi preparai ad affrontare con mano ferma le eventuali guardie con il mio lanciagranate.
"Elena, prendimi Hailie, per favore." mi bisbiglio Stephen nell'orecchio, passandomi in braccio la bambina.
Colta alla sprovvista mi buttai il lanciagranate sulle spalle e afferrai la piccola ragazzina, tenendola ben salda tra le mie braccia e premurandomi di non farle male, ma soprattutto di non farla cadere. Hailie stava tremando, ed ero sicura che non fosse per il freddo, ma non appena incrociò le gambe al mio busto, sembrò in parte tranquillizzarsi. Sentii la sua testolina leggera e piena di soffici capelli appoggiarsi sulla mia spalla, con il nasino freddo in contatto con il mio collo e il suo respiro caldo e affannato sulla mia pelle. Non si era lamentata quando il fratello maggiore me l'aveva lasciata in custodia e questo un po' mi rasserenò: non avevo mai avuto a che fare con un bambino così piccolo, dato che l'unico ragazzino più giovane che avevo conosciuto era stato Chuck, e perciò se lei si fosse messa a piangere, probabilmente sarei andata nel panico anche io.
"Senza offesa, pasticcino," bisbiglió Stephen. Non potevo vedere il ragazzo, ma ero sicura stesse sorridendo. "ma credo di essere molto meglio di te a sparare."
Scossi la testa e non risposi, concentrandomi solamente sulla bambina che ero sicura si fosse messa il pollice in bocca dato che potevo sentirla succhiare. Portai una delle mie mani sulla sua testolina e la accarezzai, come per farle capire che ora era al sicuro e che lo sarebbe stata, e non appena i miei polpastrelli entrarono in contatto con i suoi capelli morbidi, sentii le dita della bambina giocare con il lobo del mio orecchio.
"Apri." sentii la voce di Thomas riempire il silenzio, che mi fece balzare il cuore in gola.
Mi ero totalmente dimenticata di essere in quella situazione e mi ero anche scordata la paura che avevo provato fino ad un momento prima. Era come se la bambina avesse assorbito ogni mia insicurezza, rimpiazzandola con la calma e un forte senso di protezione nei suoi confronti.
Brenda spalancò la porta e Thomas si fiondò dentro. Avanzò muovendosi in piccoli cerchi, mentre agitava il lanciagranate a destra e a sinistra. Il ragazzo continuò ad avanzare, perlustrando l'hangar mentre gli altri si sparpagliavano intorno a lui. Ben presto arrivò anche il mio turno, ma prima di entrare nella stanza, per precauzione, sbirciai oltre la porta. Di certo se c'erano delle guardie io sarei stata solo d'impiccio e avrei messo Hailie in pericolo.
L'immenso hangar doveva essere stato costruito per ospitare tre di quelle enormi Berghe, ma solo due si trovavano nella loro area di carico. Somigliavano a gigantesche rane, con il metallo arrugginito e i bordi usurati, come se avessero trasportato soldati verso centinaia di violente battaglie. Il resto dell'area, a parte delle casse per il trasporto merci e quelle che sembravano postazioni per riparazioni meccaniche, era un unico spazio aperto. Non si muoveva una foglia. Rassicurata da questo fatto entrai tranquillamente nell'hangar raggiungendo i miei amici che nel frattempo stavano ammirando la vastità di quella stanza.
"Ehi!" gridò Minho, attirando l'attenzione di tutti. "Venite qui. C'è qualcuno sul..."
Non finì la frase, ma si fermò accanto a una grossa cassa con l'arma puntata contro qualcosa lì dietro. Thomas fu il primo a raggiungerlo, seguito subito dopo da me e gli altri.
Rimasi alquanto sorpresa nel vedere che dall'altra parte della cassa di legno c'era un uomo sdraiato a terra che si sfregava la testa lamentandosi. Non c'era sangue tra i capelli scuri, ma a giudicare dalla fatica che faceva per mettersi seduto ero certa che avesse ricevuto una grossa botta.
"Piano, amico." lo avvertì Minho, privo di delicatezza. "Lentamente, niente movimenti improvvisi o ancor prima di accorgertene sentirai odore di pancetta bruciacchiata."
L'uomo era appoggiato su un gomito, e quando lasciò cadere la mano che gli copriva il viso, Brenda fece un grido e corse da lui, stringendolo tra le braccia.
Jorge. Pensai nella mia mente. In effetti non lo vedevo da quando eravamo usciti dalla Zona Bruciata, ma da quando avevo scoperto che Brenda lavorava per la W.I.C.K.E.D. avevo subito ipotizzato che anche lui ricoprisse lo stesso ruolo. Ora potevo attestare che non mi ero sbagliata e che i miei presentimenti erano del tutto fondati, ma fui comunque felice e sollevata di vederlo, dato che lui era il nostro biglietto di uscita da quel posto.
Avevamo trovato il nostro pilota e stava bene, anche se era un po' malconcio. Brenda non sembrava dello stesso avviso. Controllò se aveva delle ferite mentre lo riempiva di domande. "Cos'è successo? Chi è stato a farti questo? Chi ha preso la Berga? Dove sono tutti?"
Jorge si lamentò di nuovo e la allontanò con delicatezza. "Calmati, hermana. Mi sento come se degli Spaccati mi avessero camminato sulla testa improvvisando un balletto. Dammi un secondo per rimettermi in sesto."
Brenda gli lasciò un po' di spazio e si mise seduta senza protestare, rossa in viso, l'espressione preoccupata. Anche io avevo mille domande da fargli, –  soprattutto riguardanti i nostri amici improvvisamente scomparsi – ma sapevo bene cosa significava ricevere un colpo in testa e il silenzio al momento era il miglior regalo che potessimo fargli. 
Lo osservai riprendersi lentamente, strizzando gli occhi un altro paio di volte, poi cominciò a parlare. "Non so come abbiano fatto, ma hanno preso possesso del complesso, si sono sbarazzati delle guardie, hanno rubato una Berga, e sono volati via con un altro pilota. Io mi sono comportato come un idiota e ho cercato di convincerli ad aspettare finché non avessi scoperto cosa stava succedendo. E la mia testa ci è andata di mezzo."
"Chi?" domandai senza riuscire a trattenermi. In realtà sapevo già la risposta, ma non volevo crederci. Non poteva essere come pensavo. "Di chi stai parlando? Chi è che se n'è andato?"
"Il Gruppo B e gli altri Soggetti. Be', tutti tranne voi, muchachos."
Non capii subito cosa avesse detto il pilota, ma non appena le sue parole oltrepassarono le mie orecchie, arrivando al cervello, sentii il mio cuore perdere di un battito.
Sbattei le palpebre incredula, tentando di riprendermi dallo shock, e indietreggiai di un passo, barcollando verso la parete e appoggiandomici contro per evitare di cadere.
Sentii una morsa al petto, come se la mano di qualche ombra mi avesse afferrato il cuore, iniziando a tirarlo senza pietà. Se non fosse stato per Hailie mi sarei probabilmente lasciata cadere a terra, ma decisi di resistere. Mi ero ripromessa di dover essere forte e non intendevo cedere così facilmente, ma nonostante la mia determinazione quella notizia era stata molto difficile da assimilare.
Aris, Harriet, Sonya, ma soprattutto Violet e Frypan come avevano potuto farci questo? Sebbene ci fossimo divisi durante la scelta per il recupero della memoria, restavamo comunque un gruppo. Non si lasciava indietro degli amici!
Elena, reagisci. Pensai – o meglio urlai – nella mia mente. Sbattei di nuovo le palpebre e scossi la testa, spingendo contro la parete per rimettermi stabile in piedi.
Pensa in positivo. Pensa in positivo. Mi ripetei. Almeno sai che sono sani e salvi da qualche parte fuori dalle grinfie della W.I.C.K.E.D.
Sì, sani, salvi e soli. Aggiunsi poi in seguito, sentendo la rabbia rimpiazzare la tristezza e la delusione.
Ora sapevo benissimo cosa era successo, anche se ancora certe parti erano difficili da spiegare:  i ragazzi avevano lottato per scappare, sottomesso le guardie, e se n'erano andati a bordo di una Berga. Come fossero riusciti a fare tutto quello in un solo tentativo rimaneva ancora ignoto, assieme al fatto che avessero deciso di fare tutto quello senza me e gli altri. C'erano così tanti elementi in quello scenario, e nessuno aveva senso nella mia testa. 
"Chiudete il becco!" gridò Jorge contro Minho e Newt che lo stavano riempiendo di domande. La voce dell'uomo arrivò dritta nella mia testa come una freccia infuocata, bucandomi i pensieri e incenerendoli. "Mi state facendo scoppiare la testa. Smettetela... di parlare per un attimo. Qualcuno mi aiuti a tirarmi su."
Newt gli prese la mano e lo aiutò a mettersi in piedi. "Sarà meglio che cominci a spiegarci cosa cavolo è successo. Dall'inizio."
"E fallo in fretta." aggiunse in fretta Minho. Chissà come si sentiva il ragazzo. La persona che –  probabilmente – amava più di quanto volesse ammettere se ne era andata senza di lui. Nessuna spiegazione. Nessun avviso. Solo la loro assenza e ciò che quest'ultima aveva creato.
Jorge appoggiò la schiena alla cassa di legno e incrociò le braccia, ma a ogni minimo movimento faceva una smorfia di dolore. "Senti, hermano, ti ho già detto che non so molto. Quello che ti ho raccontato è quello che è successo. Mi sembra di avere la testa..."
"Sì, abbiamo capito." sbottò Minho. "Hai mal di testa. Dicci solo quello che sai e ti troverò una caspio di aspirina."
Jorge fece una risatina. "Che parole coraggiose, ragazzo. Se ricordo bene, sei stato tu a doverti scusare e a supplicarmi che non ti uccidessi quando eravamo nella Zona Bruciata."
Minho aggrottò le sopracciglia e arrossì. "Be', è facile fare il duro quando ci sono un mucchio di svitati armati di coltelli a proteggerti. Adesso le cose sono un po' diverse."
"Ah, state zitti!" sbottai all'improvviso, senza volerlo veramente. Senza neanche riuscire a fermarmi mi distaccai dalla parete e raggiunsi gli altri tenendo sempre tra le braccia la piccola bambina. "Per quanto mi piacerebbe rievocare i vecchi tempi, questo non mi sembra il momento più adatto. Quindi, Jorge, ti saremmo tutti grati se ci raccontassi nel dettaglio tutto ciò che sai." mi ripresi, tentando di attutire l'ordine acido che avevo precedentemente urlato.
"Sì, vai avanti." mi appoggiò Newt, indicando con un cenno della testa Jorge. "Parla, così sapremo che cacchio dobbiamo fare."
Per quanto l'appoggio del biondino fosse una cosa che avevo sempre dato per scontato, per un attimo mi sentii strana, come se all'improvviso non fossi più a mio agio in quel luogo. Mi sentivo confusa, felice, stressata e triste allo stesso momento. Era possibile provare così tante emozioni tutte insieme?
Dal tono che il ragazzo aveva usato per appoggiare la mia richiesta, sembrava quasi che non fosse successo nulla tra di noi, che fosse tutto a posto, come sempre.
Ero ancora sotto shock. Rimasi lì ad ascoltare Jorge, Newt e Minho, ma era come se stessi osservando la scena attraverso uno schermo, come se non stesse accadendo davanti a me veramente. 
"Sentite." disse Jorge in modo paziente. "Io passo la maggior parte del tempo in questo hangar, d'accordo? Ho iniziato a sentire grida e avvertimenti di ogni tipo arrivare dagli edifici, poi le luci dell'allarme hanno iniziato a lampeggiare. Sono andato a indagare e per poco non mi hanno fatto saltare il cervello." Jorge si fermò per qualche secondo, per riprendere il fiato o semplicemente per trovare le parole giuste. "Poi è saltata la luce e io sono tornato qui di corsa a cercare la mia pistola. Un attimo dopo, il gruppo dei vostri amichetti sono venuti qui correndo come se stesse arrivando la fine del mondo, e hanno portato via il vecchio Tony per fargli pilotare una Berga. Quando mi hanno puntato al petto sette o otto lanciagranate, ho lasciato cadere la mia pistola del cavolo, poi li ho pregati di aspettare, di spiegarmi cosa stava succedendo. Ma una biondina mi ha colpito sulla fronte con il calcio della sua pistola. Sono svenuto, e quandomi sono risvegliato c'erano le vostre brutte facce che mi fissavano e una Berga sparita. È tutto quello che so."
Ascoltai tutto ma mi resi conto che, in realtà, tutto ciò che aveva detto non aveva fatto altro che confermare le mie ipotesi. I dettagli non avevano importanza. 
C'era solo una cosa che emergeva da tutta quella storia, e non solo mi lasciava perplessa, ma mi feriva anche. "Ci hanno lasciato qui." constatai quasi in un sussurro. "Non posso crederci."
"Eh?" chiese Minho. 
"Alza la voce, Eli." aggiunse Newt. Sbattei le palpebre quando quel soprannome mi entrò nel cervello, facendomi però sobbalzare il cuore.
Ma era improvvisamente bipolare?
La mia testa stava andando in tilt. Troppo cose tutte insieme. 
"Ho detto che ci hanno lasciato qui. Almeno noi volevamo tornare indietro a cercarli. Loro ci hanno lasciato qui infischiandosene di quello che la W.I.C.K.E.D. ci avrebbe fatto." spiegai scambiando una lunga occhiata ad entrambi i ragazzi e decidendo di archiviare l'argomento 'bipolarismo di Newt' almeno fino a che la situazione non si fosse sistemata.
Nessuno dei due disse niente, ma dai loro sguardi era chiaro che pensavano la stessa cosa. "Forse vi hanno cercato." suggerì Brenda "Magari non sono riusciti a trovarvi. O magari lo scambio a fuoco è degenerato e hanno dovuto andarsene."
Minho fece una risata ironica e prima ancora che io potessi replicare, lui parlò. "Tutte le guardie sono legate in quella cavolo di stanza! Avevano tutto il tempo di venire a cercarci. No. Ci hanno lasciato qui."
"Apposta." disse Newt a bassa voce. Niente di tutto quello aveva senso. 
"Oh, e mi sono dimenticato di un dettaglio." annunciò Jorge all'improvviso, come rianimato da un pensiero fuggente. "Non che vi interessi, ma c'era un'altra persona assieme ai vostri amici quando sono fuggiti. Sembrava quasi che tutti facessero affidamento su di lei, come se fosse lei a dirigere il tutto."
"E chi è?" domandò Thomas impaziente, parlando per la prima volta dopo molto.
"Mi ricordo di averla vista qualche volta in giro per i corridoi e mi ricordo anche che aveva un ruolo importante, prima che qualcuno decidesse di soffiarglielo." spiegò, temporeggiando nel tentativo di ricordare il suo nome.
"Il suo nome quindi è..." insistette Newt.
"Diamine, ero sicuro di ricordarmelo!" bofonchiò Jorge, massaggiandosi le tempie. Poi, all'improvviso, come se qualcuno lo avesse appena pungolato con uno spillo nel collo, alzò lo sguardo, diventando rigido e spalancando gli occhi. "Ce l'ho!"
"E parla, diamine!" intervenne Minho.
"Teresa." disse Jorge con voce chiara. "La ragazza si chiama Teresa." 

*Angolo scrittrice*
Dite la verità... Non ve lo aspettavate, eh?
Quindi, surprise madafaka!
Dai, a parte gli scherzi. Voglio anticipare che Teresa non sarà sempre presente. Ancora sono addirittura indecisa se metterla dentro la storia fisicamente (nel senso che farà qualche apparizione) oppure se sarà presente in qualche capitolo solo per nome (ad esempio quando qualcuno la citerà o parlerà di lei). 
Perciò non vi aspettate nulla, pive!
Detto ciò, voglio chiedervi un parere su un'ultima cosa molto importante: oggi una ragazza mi ha scritto, dandomi la sua idea in merito ad una cosa. Ora, io non voglio farvi nessuno spoiler, perciò siete avvisati: se continuate a leggere potreste rovinarvi qualche parte di The Maze Runner - La Rivelazione. Ma, tranquilli perchè non sono spoiler che riguardano il mio libro
Avete presente la pagina 250? Ecco, questa ragazza mi ha chiesto se potevo scrivere qualche capitolo spiegando che Newt in realtà non era morto e che intraprendeva un viaggio insieme ad una Spaccata. Credetemi, ci sono molti dettagli che lei ha accennato, ma non ve li sto a dire, sennò non la finiamo più. Ora, parto col presupposto che nessuno sa come questa mia storia andrà a finire, quindi questo non vuol dire che Newt morirà per forza! La ragazza è partita dal presupposto che io lo avrei fatto morire, ma diciamo che c'è il 50% di possibilità che questo accada, come il 50% che non succeda. Quindi non vi fate prendere dal panico!
Arrivando al punto... Le ho risposto che non era possibile perchè la mia storia è narrata interamente dal punto di vista di Elena, quindi non avrebbe senso raccontare anche di Newt. Ma se vi sta bene come idea posso fare un quinto libro (che scriverò solo dopo il quarto obv) dove raccoglierò un po' tutti i pensieri di Newt. Ancora è solo un'idea, quindi esprimetemi le vostre opinioni! In ogni caso non penso sarà lunghissimo come libro, perchè saranno degli spezzoni di pensieri e momenti che nella storia principale non ho accennato. Quindi potrei saltare dalla Radura, alla fuga dalla W.I.C.K.E.D. nel terzo libro, poi andare a parlare di Stephen, e poi magari tornare di nuovo ad un ricordo del Labirinto. E magari anche di qualche piccola memoria prima del Labirinto!
Cosa ne pensate? Vi piacerebbe?

Baci, 
Inevitabilmente_Dea♥

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Capitolo 35
*** Capitolo 35. ***


Teresa. Ripetei nella mia mente. Inizialmente quel nome mi rimaneva indifferente, come se lo sentissi per la prima volta, poi però un ricordo mi accecò la vista, e un flashback mi trasportò indietro nel tempo, riportandomi a prima che il Test della Zona Bruciata cominciasse.
"L'idea iniziale, era quella di spedire un'altra ragazza, poco dopo Thomas. Il suo nome è Teresa, non so se tu l'abbia conosciuta, ma non ha importanza. Ma poi tu hai deciso di fare di testa tua, credendo di scappare da noi e cercare di dimenticare." Potevo ancora sentire le parole di Janson risuonare nitide nella mia mente. 
Teresa! Ripetei nella mente, sentendo quel nome ora più familiare. Ma certo... Come ho fatto a dimenticarmela?
Ma soprattutto... Perchè era scappata dalla W.I.C.K.E.D.? Lei non aveva preso parte agli esperimenti, perciò forse la sua vita era stata migliore della nostra, a meno che la W.I.C.K.E.D. non si fosse inventata un'altra delle sue per far soffrire le persone.
Perchè i miei amici avevano fatto affidamento su di lei per fuggire? Come facevano a dare così tanta fiducia ad una persona che non conoscevano minimamente? Soprattutto sapendo che lavora per la stessa associazione che si è appropriata della nostra vita, riducendola ad un orribile esperimento.
"...hermana?" 
La voce di Jorge mi arrivò ovattata. Non mi ero neanche accorta di essermi bloccata: probabilmente ero rimasta a fissare il vuoto con gli occhi sbarrati e lo sguardo perso per chissà quanto tempo.
"Come?" domandai scuotendo la testa e cercando di nascondere la mia precedente reazione.
L'uomo aprì la bocca per parlare, ma Stephen lo anticipò. "Tu la conosci, vero?"
Spaesata dalla domanda del ragazzo, alzai le sopracciglia. "Cosa?" domandai.
"La tua faccia. Sembra quasi che per te sia una sorpresa sentir nominare Teresa." spiegò il ragazzo.
"No. Cioè, sì sono sorpresa." blaterai non riuscendo neanche a collegare i miei pensieri con la lingua. "Ma non la conosco. Voglio dire, Janson una volta mi ha parlato di lei."
Newt sgranò gli occhi e mi guardò confuso. "E perchè non me lo hai mai detto?" chiese, assumendo quasi uno sguardo deluso.
"Cosa?" domandai io di rimando, ancora più confusa e scocciata di lui. "E perchè mai avrei dovuto parlarti di una cacchio di persona che ho sentito nominare solo una volta nella mia vita?"
"Be' forse perchè è un dettaglio importante." spiegò lui agitando una mano. "O perchè forse ci siamo ripromessi di dirci tutto."
Spalancai la bocca, sorpresa e confusa dal suo comportamento anormale. Ora era anche colpa mia? Come diamine facevo a sapere che questa caspio di Teresa fosse importante?
"Sei serio?" domandai cercando di trattenermi dallo scoppiare in lacrime di frustrazione. "Come caspio potevo sapere che era importante? Se lo avessi saputo te lo avrei detto senz'altro, non credi?"
"Oh, andiamo ragazzi." si intromise Minho, interponendosi tra me e il ragazzo biondo. "Non voglio assistere alla vostra prima lite amorosa."
Magari fosse la prima... Pensai affranta, scuotendo la testa e indietreggiando di qualche passo. Nell'ultimo periodo Newt trovava ogni minima cosa per darmi contro e ferirmi. Non sapevo se fosse dovuto alla sua malattia, al suo tentativo di allontanarmi da lui o a tutto lo stress a cui era sottoposto, ma in ogni caso non era affatto divertente.
Perchè continuavo a scaldarmi e a dargli corda? Tra i due dovevo essere io a rimanere calma, a sopportare ogni cosa per evitare di aggiungere più peso sulle sue spalle. Glielo dovevo. Me lo ero ripromessa.
Feci un profondo respiro e chiusi gli occhi per un attimo cercando di ritrovare la calma e seppellire l'orgoglio.
"No." bisbigliai riaprendo gli occhi e rivolgendo a Minho un accenno di gratitudine. "Newt ha ragione. Importante o no, dovevo dirvelo. Scusatemi." 
Buttai fuori ogni parola, sentendo la mia rabbia marcire sotto il peso di quella frase. 
Vidi Stephen guardare prima me, poi Newt. Su quest'ultimo il suo sguardo si posò più a lungo, come ad analizzare ogni minima espressione facciale per capire come avrebbe reagito alla mia risposta.
Osservai anche io il biondino e lo trovai con gli occhi sbarrati, come se fosse sorpreso di capire che gli avevo appena dato ragione. Tutta la rabbia che prima avevo visto sul suo volto era magicamente sparita. Poi il suo sguardo si puntò su Stephen e in modo scontroso gli fece un cenno con il mento, come per intimargli di smettere di fissarlo, e il ragazzo dai capelli bianchi alzò gli occhi al cielo, puntando nuovamente lo sguardo su di me.
"Comunque, il punto è: perchè la conosci?" chiese Stephen.
"Non la conosco!" lo ripresi. "L'ho sentita nominare, che è diverso. Ma in ogni caso, doveva essere mandata lei nella Radura, poi io ho fatto di testa mia e mi ci sono buttata dentro, mandando all'aria i piani dei Creatori."
"Perchè allora stava capeggiando la fuga?"
"Non ne ho idea. Ma proprio adesso che ci penso, mi ricordo di aver visto molto spesso una ragazza parlare con Thomas, prima che tutto cominciasse, prima del Labirinto. Mi ricordo che era strana la loro amicizia, che spesso rimanevano a fissarsi in silenzio per diversi attimi, sorridendo come se si stessero leggendo nel pensiero." aggiunsi. "Ma probabilmente Tom non si ricorda nulla."
A quelle parole, Thomas, che era rimasto in silenzio e con lo sguardo basso per tutto il tempo, alzò il volto pallido e ci fissò spaesato.
"C-Come?" balbettò, tornando nel mondo reale.
"Ti ricordi di una ragazza di nome Teresa?" domandò Newt impaziente.
"I-Io non sono sicuro." bisbiglio il ragazzo moro, grattandosi la nuca. "I ricordi che ho recuperato sono... strani. Sembrano quasi a spezzoni, sfocati e spesso confusi. Ma questo nome non mi suona del tutto estraneo."
"Bene così. Quindi ora abbiamo ancora più domande da farci e nessuna risposta." asserì Newt, con un tono turbato.
Sbuffai scocciata. Newt aveva completamente ragione: nulla aveva senso. Era come se tutti avessero deciso di comportarsi in modo strano per farci impazzire lentamente. Osservai gli altri ragazzi, chiedendo loro con lo sguardo cosa intendessero fare, poi incrociai per sbaglio gli occhi di Brenda e la vidi scuotere la testa, come se non fosse d'accordo.
"Brenda." la chiamai, attirando la sua attenzione. "Tu hai detto a Thomas di fidarti solo di te e..." cercai di ricordare il secondo nome, ma purtroppo non mi venne in mente, così continuai. "In ogni caso... Perchè? Devi sapere qualcosa per forza. Parla."
Brenda mi guardò accigliata e con un lo sguardo di chi era appena stato accusato di qualcosa che non aveva fatto. "Io? Ne so tanto quanto voi, ragazzi. Ve l'ho già detto almeno un miliardo di volte, perchè stentate ancora a credermi?"
Aprii la bocca per rispondere, ma prima che potessi dire qualcosa, Minho si lasciò fuggire una risatina nervosa. "Lasciami pensare." borbottò intromettendosi nella conversazione. "Forse perchè sei l'ennesima persona che ci ha tradito. Pensavamo ci volessi aiutare ad uscire dalla Zona Bruciata, invece ci hai solo riportato nelle mani della W.I.C.K.E.D. Se avessi voluto aiutarci a fuggire lo avresti fatto prima, quando avevamo una possibilità, non adesso."
Brenda arricciò il naso e assunse un'espressione infastidita. "Come, scusa? Vi ho portato fino a qui e l'unica cosa che ci rimane da fare è mettere in moto la maledetta Berga. Non che io mi aspetti un grazie, ma almeno non mi venire ad accusare."
"Sì, ci hai portato fino a qui, ma come facciamo a sapere che possiamo fidarci?" domandai, cercando di ristabilire la calma tra i due ragazzi che sembravano volersi prendere a pugni a vicenda. 
Nel momento in cui la ragazza mi rivolse la sua attenzione, rivolgendomi un'occhiata scocciata e stupita, pensai che probabilmente avrei dovuto rimanere nel mio e non intromettermi. Brenda si rivolse di nuovo a Minho con tono accusatorio, ignorando la mia domanda e indicandomi con un dito. "Di lei vi fidate però, non è vero? Vi ha tradito eppure vi state fidando. Perchè dovrebbe essere diverso con..."
"Non la mettere in mezzo." grugnì Minho tra i denti, sembrando un cane rabbioso. "E' stata costretta da voi, dalle persone che come te lavorano per la W.I.C.K.E.D. Lei fa parte della famiglia e ha dimostrato di tenere ad ognuno di noi. Tu invece sei apparsa dal nulla, fingendoti la migliore amica di Thomas e poi ci hai traditi." spiegò il Velocista, facendomi arrossire senza motivo. "E quindi sì, le cose sono parecchio diverse."
Abbassai il viso, cercando di evitare che qualcuno mi vedesse sorridere. Il discorso di Minho mi aveva colto talmente di sorpresa che non ero riuscita a contenere la mia felicità. Da quando mi ero riunita i Radurai nella Zona Bruciata mi ero sempre sentita di troppo, come se fossi un peso per loro, un insetto fastidioso da spiaccicare. E non aveva senso nascondere a me stessa che dopo l'espressione che avevo visto sul volto di ognuno di loro −  disgusto mischiato a rabbia − non ero più riuscita a sentirmi una parte dei Radurai come lo ero un tempo. Dopo la Zona Bruciata le cose erano cambiate, peggiorate a dire la verità, e sentire quel discorso da parte di Minho −  uno di quelli che erano rimasti più feriti dal mio tradimento − in qualche modo mi rivitalizzò, dandomi la carica e la sicurezza necessaria.
Mi ricordavo ancora di quando avevo 'chiarito' con lui e sapevo che in quel giorno lui mi aveva espressamente richiesto di dargli una prova, qualcosa che gli facesse capire che poteva ancora fidarsi di me. Ed era proprio questo che mi spingeva a chiedermi cosa gli avesse definitivamente fatto cambiare idea su di me, portandolo a prendere le mie parti addirittura quando neanche Newt ci aveva provato. Aveva avuto la prova che gli serviva? E se sì, cosa era stata? Non mi sembrava di avergli salvato la vita o di aver compiuto qualcosa di simbolico o significativo per lui.
"Smettetela di comportarvi da bambini."
La voce di Newt mi riportò alla realtà, polverizzando i miei pensieri in un secondo, alzai la testa di scatto. 
Nel sentire la parola bambini mi ricordai improvvisamente di Hailie, che se ne era rimasta per tutto il tempo in un silenzio di tomba. Quella bambina era talmente leggera e calma che mi scordavo spesso della sua presenza. Una tipetta completamente diversa da Chuck. Pensai sorridendo nel guardarla giocare con i miei capelli. Per la prima volta, sorprendentemente, riuscivo a pensare al ragazzino in modo sereno. Di certo, potevo sentire ancora la pressione nascere nel mio stomaco ogni volta che lui o gli altri Radurai morti venivano nominati, ma forse ero riuscita a sovrapporre la serenità delle belle memorie che mi avevano lasciato alla tristezza nel ricordare le loro morti tragiche.
Quasi sovrappensiero portai un dito sulla guancia paffuta e rosea della bambina e la accarezzai dolcemente. Aveva una pelle così morbida che sarei rimasta volentieri a coccolarla per l'eternità. La bambina a quel tocco inaspettato, mi rivolse il suo sguardo e i suoi occhietti azzurri e stanchi si incatenarono ai miei. Le sorrisi incoraggiante e lei, dopo qualche secondo di tentennamento, mi fece la linguaccia e poi scoppiò a ridere.
Non potei fare a meno di sorridere per il suo buffo comportamento. Era proprio vero che i bambini sapevano divertirsi con tutto. 
Almeno Hailie era ignara della situazione grave in cui ci trovavamo. La invidiavo un po' la per questo, insomma, sarebbe stato bello ignorare tutto e rifugiarmi in un mondo tutto mio fatto di rose e fiori proprio come i bambini. Pensare che tutto fosse un gioco, sapere di essere sempre al sicuro perchè protetti da persone più grandi...
I miei pensieri vennero interrotti da un allarme che cominciò a suonare, tanto acuto e perforante quanto l'ultimo che avevo udito pochi attimi prima.
Sentii Hailie gridare per lo spavento e tapparsi le orecchie terrorizzata. Sentii la sua testa intrufolarsi tra il mio mento e il collo, come per cercare riparo, così la rassicurai −  per quanto fosse possibile tranquillizzare una persona quando si è in panico − e cercai di far calmare il mio cuore che nel frattempo aveva deciso di cambiare posto, finendomi in gola.
Nell'hangar il rumore sembrava persino più forte che nel corridoio: riecheggiava tra i muri e gli alti soffitti. Brenda e gli altri ragazzi spalancarono gli occhi verso la porta da cui eravamo arrivati, e così mi voltai anche io, tentando di capire cosa avesse attirato la loro attenzione.
Almeno una decina di guardie vestite di nero stavano entrando nell'hangar, con le armi puntate. Cominciarono a sparare.
Qualcuno mi afferrò da dietro, tirandomi velocemente per la maglietta e obbligandomi a muovere le gambe −  rimaste pietrificate −  all'indietro per non cadere.
Quasi inciampai, e se non fosse stato per Hailie probabilmente mi sarei lasciata cadere a terra spaesata, e mi lasciai trascinare alle spalle della cassa davanti a me. Mi inginocchiai a terra, cercando di ripararmi dietro di essa e appoggiai Hailie a sedere per evitare che qualcuno la colpisse.
Numerosi archi di luce passarono sopra e ai lati della cassa, infiammando l'aria. Si erano appena spenti quando una serie di proiettili rimbombò contro il legno, facendomi sussultare ogni volta che questi venivano sparati dalle pistole.
"Chi li ha liberati?" gridò Minho vicino a me. 
"Che cavolo di importanza ha adesso?" rispose Newt. 
Senza poter fare altro, mi rannicchiai accanto alla bambina che nel frattempo si era raggomitolata su se stessa, tremando come una piccola foglia. Presi la bambina tra le braccia e la strinsi forte a me. Anche il resto del gruppo si rannicchiò, i nostri corpi stretti l'uno all'altro. Sembrava impossibile che potessimo contrattaccare da una posizione simile.
"Da un momento all'altro ci attaccheranno ai lati." gridò Jorge. "Dobbiamo cominciare a rispondere al fuoco!"
"Significa che sei dalla nostra parte?" chiese Thomas sorpreso.
Il pilota guardò Brenda, poi alzò le spalle. "Se lei vi sta aiutando, lo farò anch'io. E in caso non te ne sia accorto, stanno cercando di uccidere anche me!"
"Qual è il piano?" gridai, cercando di sovrastare tutto quel casino. 
"Dobbiamo raggiungere la Berga." urlò Stephen vicino a me. 
L'attacco violento si era arrestato per un momento, e riuscii a sentire dei passi e qualcuno che impartiva brevi ordini a gran voce. Se volevamo guadagnare un vantaggio, dovevamo agire in fretta.
"Sì, ma come ci muoviamo?" chiese a Thomas, poi si rivolse a Minho. "Sei tu a dare gli ordini stavolta." 
Il suo amico gli lanciò un'occhiataccia ma annuì all'istante. "D'accordo, io sparo a destra, Newt a sinistra. Thomas e Brenda, voi fate fuoco da sopra la cassa. Jorge, tu trova un modo per raggiungere la tua Berga del caspio e porta con te anche Hailie ed Elena. Stephen, tu vai con loro e coprile anche con il tuo stesso caspio di corpo se è necessario. Colpite qualunque cosa si muova o sia vestita di nero. Preparatevi."
Annuii, prendendo più saldamente la bambina tra le mie mani e preparandomi a scattare al primo accenno di ordine. Lanciai uno sguardo verso Stephen e quando lo vidi osservare la sorella preoccupato, capii all'improvviso di come si dovesse sentire: non solo era terrorizzato all'idea che la bambina potesse farsi male, ma aveva anche paura che quella brutta esperienza avrebbe potuto segnare la sua vita innocente.
Incrociai gli occhi azzurri del ragazzo e gli feci un cenno con il mento, annuendo subito dopo come per rassicurarlo che nulla sarebbe successo alla sua sorellina.
"Okay!" gridò Minho. "Ora!"
Al segnale del ragazzo, ci muovemmo tutti insieme. Io scattai in piedi più velocemente di quanto credessi fosse possibile e presi a correre velocemente, intenta a seguire Jorge e a tenere saldamente Hailie, proteggendola con il mio corpo.
Vidi Stephen scattare e mettersi al mio pari, puntando il lanciagranate in modo dritto e saldo nonostante stesse correndo anche lui. Non passarono neanche pochi secondi prima che il ragazzo iniziasse a sparare verso le guardie con una mira e una destrezza incredibili.
Lanciai un rapido sguardo alle mie spalle, senza mai fermare le mie gambe che ormai avevano iniziato quasi a muoversi meccanicamente da sole, sfiorando il pavimento e dandosi subito dopo la spinta per scattare all'avanti. Thomas si era alzato in piedi, sollevando il lanciagranate sopra la cassa. Un uomo stava strisciando verso di loro e Thomas prontamente prese la mira e fece fuoco. La granata scoppiò e quando colpì l'uomo al petto si trasformò in un fulmine, sbattendolo sul pavimento in preda agli spasmi. Newt invece stava lanciando una granata dopo l'altra urlando e premendo il grilletto come se stesse sfogando tutta la sua rabbia in quell'azione, mancando il bersaglio solo rare volte. Minho invece era molto più preciso ed efficace, non lo avevo visto sbagliare un colpo. Mentre Brenda aveva preferito usare le sue due pistole e anche lei non stava scherzando, mirando alle gambe di ogni guardia e facendola cadere rovinosamente a terra.
Spari e grida riempivano l'hangar, insieme al rumore di scariche elettriche. Le guardie cadevano una dopo l'altra, stringendosi le ferite. Rassicurata da come i miei amici stessero svolgendo il piano, ritornai con l'attenzione davanti a me, giusto in tempo per vedere una cassa bloccare il mio cammino. Ero troppo vicina per poterla schivare di lato, perciò, quasi meccanicamente, decisi di saltarla, atterrando poco dopo di essa.
"Jorge, qual è la tua Berga?" urlai rivolgendomi all'uomo davanti a me. 
"Quella." mi rispose l'uomo, indicò l'angolo a sinistra dall'altra parte dell'hangar. 
Lanciai un rapido sguardo al punto da lui indicato: il grosso portellone della Berga era aperto, in attesa che dei passeggeri salissero sulla rampa di metallo appoggiata a terra. Non avevo mai visto niente di così invitante e rassicurante in vita mia. 
"I lanciagranate possono danneggiare la Berga?" urlai presa da un improvviso terrore.
Jorge scosse la testa. "Non molto." gridò senza voltarsi. "Sono abbastanza resistenti. Coraggio, muchachos!"
Presa da una scarica di adrenalina fortissima accelerai la corsa, sentendo i miei polmoni bruciare per l'eccessivo sforzo. 
Sentii due o tre proiettili sfiorarmi le gambe e conficcarsi nel pavimento, mancandomi di un soffio. Accelerai ancora di più, sentendo addirittura di poter prendere il volo.
Ai nostri lati le granate scoppiavano in un'esplosione di vetro e luce.
"Correte!" gridò Stephen. 
Con le gambe che mi bruciavano, mi sforzai di mantenere la velocità che ero riuscita a raggiungere, ma con la bambina in braccio, tutto iniziava ad essere abbastanza complicato.
Lame di luce volavano sul pavimento da tutte le parti; i proiettili tintinnavano contro le pareti dell'hangar; il fumo volteggiava come spirali di nebbia nei punti più strani. Mi concentrai sulla Berga, ormai a quattro metri di metri di distanza, nella speranza di infondermi coraggio e speranza, poi però sentii una granata esplodermi vicino e un grido agghiacciante si diffuse in aria.
Ce l'avevamo quasi fatta, mancava pochissimo, ma vidi Stephen crollare a terra, colto da spasmi.
Il ragazzo stava urlando di dolore, sbattendo il viso sul cemento mentre sul suo corpo si formava una ragnatela di elettricità. Mi fermai solo dopo poco, riuscendo a rallentare le mie gambe, e urlai il suo nome. Mi voltai verso Jorge, che aveva continuato a correre, piena di panico e terrore. Ripresi a correre più velocemente di prima e chiamai l'uomo a gran voce. Lo vidi voltarsi e rallentare di poco, il che mi rese più semplice raggiungerlo.
Una volta al suo pari, gli lasciai tra le braccia la bambina, senza dargli troppe spiegazioni, lo avrebbe capito dopo. "Corri. Pensa a correre e a mettere Hailie in salvo." urlai poco prima di girarmi e correre verso il ragazzo che era rimasto ancora steso a terra, scattando sotto la potenza delle scariche elettriche.
Sentii un formicolio e un rumore di elettricità avvicinarsi a me, e senza neanche guardare dove fosse diretto, mi buttai a terra, battendo forte le ginocchia e strisciando per un poco, poi quando sentii la granata che era destinata a me, infrangersi nel pavimento, mi rialzai di scatto e continuai a correre verso il ragazzo.
"Elena!" sentii una voce urlare. Lanciai una veloce occhiata verso i Radurai e Brenda e vidi che Newt aveva smesso di sparare, capace solo di fissarmi con un'espressione molto oltre il terrore.
"Lascialo lì!" mi urlò in preda al panico. "Mettiti in salvo!" sbraitò.
Scossi la testa. Mancavano solo due metri per raggiungere il ragazzo e di sicuro non lo avrei lasciato lì dopo che lui mi aveva salvato tante volte.
Vidi Newt uscire fuori dal suo riparo e correre nella mia direzione, sparando le granate con ancora più ardore di prima.
Ora anche Minho, Thomas e Brenda − che avevano ovviamente assistito all'esito disastroso del piano −  si erano messi a seguire Newt, senza mai smettere di sparare. 
Mi girai velocemente e vidi che anche Jorge aveva raggiunto la Berga, era scomparso in cima alla rampa con la bambina, ma poi era uscito di nuovo, e stava sparando con un'arma diversa: nell'urto le granate esplodevano trasformandosi in getti infuocati. Molte delle guardie urlavano mentre venivano avvolte dalle fiamme, altre indietreggiarono un po' davanti alla nuova minaccia.
Riportai l'attenzione su Stephen e mi accorsi di essergli ormai arrivata vicino. Mi buttai nuovamente sul suo corpo che ancora era scosso dal'elettricità. Il suo viso era completamente sbiancato, perdeva sangue dal naso e dalla bocca, le braccia e le gambe erano in preda agli spasmi, e il busto si sollevava a scatti. Gli occhi erano spalancati, pieni di angoscia e terrore. Senza attendere oltre afferrai Stephen per le spalle. Nel giro di un secondo sentii la potenza di mille saette scoppiare tutte insieme. Urlai per il dolore, ma non mi staccai dal ragazzo. Dovevo riuscirci. Vidi numerose scariche di luce gli percorrermi le braccia tese per lo sforzo. L'energia fortunatamente si era ridotta in modo notevole e riuscii comunque a rimanere in piedi. Urlando per lo sforzo e per infondermi coraggio, cominciai a trascinarlo all'indietro, obbligando le mie gambe a muoversi veloci.
Sentii una granata scoppiettare vicino al mio orecchio e gridai per la paura, abbassando la testa di scatto, poi ripresi a trascinare il ragazzo verso la Berga. L'hangar era un inferno di rumori, fumo e luci lampeggianti. 
Un altro proiettile passò a bruciapelo sulla mia gamba e questa volta non riuscii ad evitarlo: un dolore incandescente, poi il sangue prese a colare. Mi sfogai con un grido furioso incolpando mentalmente tutti quelli vestiti di nero di avermi sparato.
Poi guardai in alto, vedendo che gli altri ragazzi mi avevano ormai raggiunto. 
Newt e Minho furono i primi ad arrivare. Minho si eresse come una montagna davanti a noi, proteggendoci dalle granate elettriche e rispondendo vigorosamente al fuoco, mentre Newt si buttò accanto a Stephen e gli afferrò i piedi, alleggerendomi un po' di tutto il suo peso e aiutandomi a spostarlo. 
Raggiungemmo finalmente la base del portellone. Jorge si liberò della grossa arma all'istante e scese velocemente dalla rampa per afferrare un braccio di Stephen. Continuai a trascinare il ragazzo sulla rampa, più stanca che mai, con i  suoi talloni che sbattevano contro le giunture sporgenti della rampa. Newt abbandonò la presa sul ragazzo e girandosi verso l'apertura della Berga ricominciò a sparare le granate, finché non finì le munizioni. Thomas fece fuoco ancora una volta e anche il suo lanciagranate si scaricò. Le guardie nell'hangar ovviamente si erano rese conto che gli restava poco tempo, e si misero a correre in massa verso l'aeromobile, aprendo il fuoco ancora una volta.
"Andiamocene!" sentii Minho urlare, facendo cenno a Brenda, Thomas e Newt di mettersi al riparo. Poi si voltò e con uno scatto si fiondò sulla rampa. Newt lo seguì all'istante, imitato da Brenda. Thomas invece fece appena in tempo a mettere un piede sulla Berga quando una granata lo colpì alla schiena ed esplose, facendolo stramazzare a terra.

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Capitolo 36
*** Capitolo 36. ***


"Tom!" gridai. Mi precipitai verso di lui, ma prima che potessi raggiungerlo mi sentii prendere in vita e qualcuno mi alzò in aria, tenendomi ben stretta e impedendomi di avanzare.
Mi sorpresi quando, girandomi, mi ritrovai il volto di Newt a pochi centimetri dal mio. Il suo sguardo era preoccupato e attento, come se stesse maneggiando un oggetto di porcellana, poi quando vide che lo stavo osservando il suo volto si indurì e mi lanciò un'occhiata indifferente. "In caso non l'avessi visto, Tommy è pieno di elettricità. Se lo tocchi ti trasformerai in una cacchio di fetta di bacon bruciata." spiegò con tono duro.
Annuii e strinsi la mascella per evitare di chiedergli quale diamine fosse il suo problema. Quel ragazzo mi faceva impazzire. Prima minacciava di farmi del male, poi mi dava contro, poi faceva il geloso e dopo ancora non voleva neanche che aiutassi un amico per evitare di finire abbrustolita. Insomma, ce l'aveva con me veramente o stava solo recitando, prendendosi di tanto in tanto una pausa?
Newt annuì a sua volta e mi appoggiò lentamente a terra, per poi prendere le distanze e avvicinarsi a Thomas con cautela. Dopo aver osservato l'amico contorcersi e mugugnare dal dolore, il biondino si voltò per la stanza, alla ricerca di qualcosa. Probabilmente non trovando nulla che gli fosse utile, Newt fece un cenno a Minho che, prontamente, non brontolò.
"Jorge metti questa caspio di Berga in moto. Ora." urlò Minho, nella speranza che il pilota − ora rinchiuso nella cabina di pilotaggio assieme a Brenda − lo sentisse.
Quasi come se Jorge lo avesse letto nel pensiero, si sentì il rombo di un motore accendersi e delle fiamme azzurre uscirono dai propulsori soffiando forte e lanciandoci addosso una vampata di calore. 
"Non c'è più tempo, tiriamolo dentro!" urlò Newt cercando di sovrastare il rumore del motore che tremava sotto i nostri piedi.
Senza aspettare che le scariche elettriche si attenuassero ancora, Newt e Minho afferrarono Thomas rispettivamente per le braccia e i piedi, poi grugnendo e cercando di resistere alle scariche elettriche passate anche sui loro corpi, lo trascinarono maldestramente dentro la Berga, permettendo a Jorge di chiudere così il portellone.
Si sentì un forte clic, e poi la rampa cominciò a sollevarsi, con i cardini che cigolavano. I propulsori dell'aeromobile ronzavano acquistando potenza, facendo vibrare l'intero affare, compreso il pavimento sottostante. Mi sentii improvvisamente instabile e mi dovetti attaccare al muro, cercando appiglio su qualcosa. Quando mi sentii abbastanza in equilibrio, mi voltai verso il portellone e vidi che mancava ancora molto alla sua completa chiusura. 
Vidi Minho e Newt accasciati a terra, non molto distanti dal corpo apparentemente inerme di Thomas. Avanzando cautamente e cercando di non perdere l'equilibrio mentre l'aeromobile si sollevava da terra, arrancai verso i ragazzi e quando fui abbastanza vicina, mi inginocchiai vicino a Thomas.
Il ragazzo emanava puzza di bruciato. Un odore sgradevole e che mi fece da subito venire la nausea. Le scariche bianche incandescenti si erano fatte molto meno forti e frequenti, ma per sicurezza attesi fino a quando queste non cessarono del tutto, poi mi allungai su di lui e lo girai a pancia in su.
Thomas respirava ancora, ma a scatti, come se ogni piccolo movimento − persino quello della gabbia toracica − gli lanciasse fitte di dolore ovunque. Lo vidi incrociare il mio sguardo e muovere impercettibilmente le labbra forse per dirmi qualcosa, ma l'unica cosa che gli uscì dalla bocca fu un grugnito misto a un gorgoglio. Sembrava guaire come un cane ferito. 
Lo vidi chiudere gli occhi e sospirare frustrato, poi smise di muoversi completamente, eccetto per il torace che continuò a fare su e giù a ritmo costante. Forse si era addormentato o forse − cosa più probabile − era svenuto.
Rilasciai un forte sospiro, poi feci per allontanarmi dal ragazzo, quando una voce acuta alle mie spalle mi fece voltare di scatto. Vidi Hailie con le guance rigate dalle lacrime correre in modo instabile verso il fratello steso a terra a pochi metri dall'entrata. Pensai che la bambina sarebbe caduta, dato che era difficile per tutti rimanere in equilibrio sopra un pavimento che si muoveva e si inclinava, e per prevenire ciò decisi di chiamarla per nome. Ma proprio quando aprii la bocca per parlare, la Berga ebbe uno scossone, seguito da un vuoto d'aria che ci fece sobbalzare tutti, e la bambina inciampò nei propri piedi, cadendo a terra ed iniziando a rotolare pericolosamente verso il portellone che ancora non si era serrato del tutto.
Mancava solo un metro alla chiusura definitiva della cacchio di rampa, ma non si sarebbe mai chiusa così velocemente da sottrarre Hailie dalla brutta caduta nel vuoto.
Spalancai gli occhi terrorizzata e urlai il nome della bambina, poi dando ascolto al mio istinto mi lanciai in aria, atterrando poco distante da Hailie. Quell'impatto violento con il pavimento della Berga mi tolse il fiato, facendomi poi mugugnare per il dolore, ma ignorai le fitte ed iniziai a strisciare verso la bambina che nel frattempo aveva continuato a rotolare pericolosamente verso l'uscita.
Mi mossi velocemente a terra, sbattendo e sbucciando ginocchia e gomiti, e quando fui sul punto di afferrare la piccola manina di Hailie, lei venne catapultata fuori dalla Berga, urlando spaventata.
Senza dare ascolto all'equilibrio che minacciava di abbandonarmi da un momento all'altro mi diedi un altro slancio all'avanti, finendo con mezzo busto fuori dalla rampa, e afferrai saldamente il braccio della bambina, poi aggrappandomi di conseguenza ad una giuntura sporgente del portellone. Provai a tirarla su con la sola forza di una mano, ma sembrava quasi che Hailei fosse aumentata di peso negli ultimi secondi, rendendomi difficile ogni tentativo di metterla in salvo sollevandola solo con un braccio. Così allungai anche l'altro arto, abbandonando l'appiglio a cui mi ero aggrappata, ed iniziai a sollevarla, sentendo le mie mani inumidirsi sempre di più per il sudore. Non mi ero mai sentita così instabile e sul punto di cadere in vita mia. Soffrivo di vertigini e quella non era la posizione più sicura e stabile del mondo. Mi vedevo precipitare nel vuoto e il mio cervello continuava ad urlarmi di abbandonare tutto e rintanarmi in un angolo isolato dentro la Berga. Avrei veramente voluto farlo, ma quella bambina era troppo piccola e innocente per morire così. Avrei dato la mia stessa vita pur di mantenerla in salvo, soprattutto quando sapevo che Stephen non avrebbe sopportato il dolore della perdita di un'altra delle sue sorelline. Lei era la sua unica famiglia, l'unica cosa rimasta del suo passato, e io avrei fatto di tutto pur di restituirgliela sana e salva, perché sapevo cosa si provava a non avere nulla.
Digrignai i denti e quasi ruggendo per lo sforzo, canalizzai la poca forza rimasta nelle braccia. Tirai i muscoli, sentendo ogni parte del mio corpo tremare a scatti, e fui quasi sul punto di tirarla completamente in salvo, quando la Berga ebbe un altro forte scossone e senza neanche accorgermene mi ritrovai anche io fuori dall'aeromobile. La terra era improvvisamente venuta a mancare sotto il mio corpo e non potei fare a meno di urlare quando realizzai che se non trovavo un appiglio alla svelta, ci saremmo entrambe spiaccicate al suolo.
Allungai il braccio velocemente contro il bordo del portellone e dopo aver sbattuto violentemente il polso, mi ci aggrappai velocemente, sentendo le mie dita umidicce per il sudore tremare per la fatica. Purtroppo la mia presa resistette solo per pochi secondi perchè i miei polpastrelli − ormai colorati di viola e madidi di sudore − si stavano staccando più velocemente del previsto. Cercai di rianimare la presa, ma ogni movimento non fece altro che peggiorare la situazione: non riuscivo a sostenere sia il peso del corpo della bambina che il mio, e per di più non potevo neanche azzardarmi a tentare una mossa per cercare di mettere in salvo almeno la piccola.
Le mie dita sarebbero resistite solo per pochi altri secondi.
Senza sapere cosa altro fare, abbassai lo sguardo verso la bambina e la vidi pallida come un morto, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta in un continuo e agonizzante urlo. "Hailie!" gridai. "Andrà tutto bene, okay?" gridai, sentendomi improvvisamente bugiarda. "Non ti lascio, non ti lascio." le ripetei fingendomi calma e speranzosa.
La bambina serrò la bocca, ma continuò a piangere silenziosamente. Poi la vidi annuire.
"Brava, così Hailie." mormorai tra me e me. "Sii solo coraggiosa e vedrai che tutto finirà presto." le dissi, sorridendole incoraggiante.
Non appena terminai la frase, sentii le mie dita abbandonare la struttura. Serrai la bocca per non urlare e chiusi gli occhi, attendendo l'immanente impatto con il suolo.
Poi improvvisamente sentii una mano afferrare saldamente la mia e dopo pochi secondi, mi sentii sollevare lentamente e a fatica.
Alzai gli occhi e vidi Newt sporgersi oltre il bordo del portellone, con la faccia rossa e le vene del collo visibili a causa dello sforzo. Le sue braccia erano allungate e tese, e per quanta forza il ragazzo stesse impiegando queste continuavano a tremare per la fatica.
"Prendi Hailie prima!" gridai al ragazzo, implorandolo con lo sguardo.
Newt aveva la bocca serrata ed ero sicura che non riuscisse neanche a parlare per lo sforzo eccessivo, ma dal suo sguardo capivo che non era affatto contento della mia richiesta, ma senza brontolare la assecondò velocemente, annuendo impercettibilmente.
Senza attendere oltre, presi un profondo respiro e sforzandomi al massimo, riuscii a tirare la bambina al mio pari, poi lasciando a Newt il resto del lavoro.
Il biondino allungò velocemente una mano vero Hailie e la afferrò al volo, poi la tirò con lui dentro la Berga, senza mai abbandonare la presa su di me. Da quando Newt aveva iniziato a sorreggermi con una sola mano, tutto il mio corpo aveva iniziato a tremare e la mia mente mi stava urlando 'tanto adesso cadiamo'.
Accantonai i pensieri negativi, ripetendomi più volte che Newt non mi avrebbe mai lasciata cadere nel vuoto, ma quando sentii l'altra mano del ragazzo tornare a sorreggermi, non potei fare a meno di impazzire di sollievo. Ora se non altro aveva più possibilità di salvarmi.
Urlando per la fatica, il biondino iniziò a sollevarmi, sbattendo i piedi sui cardini ogni volta che indietreggiava e finalmente, dopo diverse spinte, riuscì a mettere almeno la metà del mio corpo sulla rampa.
A quel punto fu semplice per me spingermi da sola. Lanciai uno sguardo all'indietro e mi paralizzai non appena vidi quanto mancava alla completa chiusura del portellone: se non mi fossi data una mossa, sarei rimasta schiacciata.
Iniziai a scalciare, sentendo i miei vestiti impigliarsi qua e là. Il mio corpo aveva continuato a tremare fortemente e ciò non mi aiutava affatto. Mancavano meno di cinquanta centimetri alla chiusura e ancora i miei polpacci erano fuori dalla Berga.
Tirando un forte strattone e scorticandomi la pelle con le giunture sporgenti, riuscii ad entrare totalmente nell'aeromobile, ma anche dopo che il portellone si chiuse del tutto, continuai a strisciare all'indietro fino a che delle braccia non mi strattonarono all'indietro.
Mi sentii abbracciare, ma nonostante questo continuai a fissare terrorizzata un punto nella rampa ormai chiusa, realizzando solo in quel momento dell'enorme pericolo a cui ero scampata.
"Sei al sicuro, sei al sicuro." sentii una voce sussurrare alle mie orecchie. Ancora scioccata da quello che era appena successo, girai il collo e alzai lo sguardo. Questi perlomeno erano gli unici movimenti che riuscivo a compiere, dato che il resto dei muscoli sembrava essersi staccato all'improvviso dal mio corpo, rimpiazzato da una fastidiosa leggerezza. Era come se fossi sotto anestesia.
"Sei al sicuro." disse per l'ennesima volta. Osservai per qualche secondo il volto che mi stava parlando, senza riconoscerlo, poi quando capii che si trattava di Newt, sospirai e abbandonai la mia testa sul suo torace, respirando profondamente nel tentativo di calmarmi.
Era come se i miei polmoni si fossero trasformati in cemento, impedendomi di prendere fiato, e li potevo sentire tremare per la fatica di inalare almeno un po' di ossigeno.
"Ci sono io qui. Sei al sicuro." ripetè Newt, allungando una mano sul mio fianco e l'altra sulla testa, lasciando le dita libere di vagare tra i miei capelli. Il ragazzo iniziò a fare avanti e indietro con il corpo, cullandomi in quella che poteva essere la ninnananna più muta ma anche più efficace del mondo.
Mi accoccolai a lui e rimasi così per diversi minuti, chiudendo gli occhi e concentrandomi solo sul suo odore, poi all'improvviso mi ricordai di Hailie e scattai rigida a sedere.
"Hailie!" dissi a Newt. "Dov'è?"
"Calmati, io l'ho tirata dentro." mi disse il ragazzo, guardandomi imbronciato per essermi distaccata così bruscamente da lui.
"Scusami Newt." mormorai. "Mi hai salvato la vita e non ti ho nemmeno ringraziato." spiegai portandomi una mano sulla fronte e scuotendo la testa.
"Tranquilla. Ho visto quanto tu ti sia affezionata a quella bambina e capisco la tua preoccupazione." mi rassicurò, togliendo delicatamente la mia mano dal volto. "Noi possiamo stare assieme dopo, quando avrai finito con la bambina."
Annuii rassicurata e mi alzai in piedi, prima toccando la spalla a Newt e poi raggiungendo la bambina che trovai inginocchiata affianco al fratello ancora privo di sensi.
Mi avvicinai cautamente e mi sedetti al suo fianco. "Hailie." sussurrai.
Lei non si voltò neanche verso di me, rimanendo con lo sguardo fisso verso il fratello. "E' morto, vero?" domandò, lasciando uscire una lacrima che si andò ad aggiungere alle altre.
"No, Hailie." mi sbrigai a dire. "E' solo svenuto."
"Io voglio che si sveglia." brontolò la bimba, trattenendo a stento un singhiozzo.
"Va bene. Vediamo che posso fare." mormorai avvicinandomi di più al ragazzo e allungando una mano sul suo volto.
Aveva i capelli dritti per aria e puzzava di bruciato, ma a parte quei dettagli sembrava in ottime condizioni. "Stephen." lo chiamai, ottenendo nessuna risposta e nessun movimento. "Stephen!" dissi ancora, con voce più forte. Nulla.
Arricciai naso e bocca, poi alzai una mano in aria e lo colpii violentemente sulla guancia, urlando il suo nome. Finalmente il ragazzo balzò a sedere, gli occhi sbarrati che giravano per la stanza e il volto macchiato dal segno rosso di una mano, poi il suo sguardo si posò su di me e mi incenerì. "Perchè diamine lo hai..."
Non finì neanche la frase che Hailie gli balzò addosso, dandogli una testata sulla bocca e abbracciandolo senza neanche curarsi delle smorfie di dolore del fratello.
"Sono felice di rivederti anche io, Hailie." bisbigliò Stephen, ignorando il dolore e nascondendo il volto tra i capelli della sorellina. Vidi le braccia del ragazzo allungarsi enormi dietro la bambina e poi attorcigliarsi attorno al suo busto, stringendola forte a sè.
Stephen si alzò in piedi senza fatica e solo quando lo vidi in perfetto equilibrio su due gambe, con la sorella in braccio, senza sentire il bisogno di aggrapparsi al muro, mi accorsi che in realtà la Berga si era stabilizzata, evitando gli scossoni e i vuoti d'aria che prima erano stati la causa di tutto quel trambusto.
Vidi Stephen abbassare poi gli occhi e rivolgermi lo sguardo. Il ragazzo mi accennò un sorriso strano, poi allungò una mano per aiutarmi ad alzarmi. Sorpresa da quel gesto, decisi di accettare la sua offerta di aiuto, ma non appena le mie dita sfiorarono i suoi polpastrelli, lui ritrasse la mano e mi mostrò il dito medio. "Questo è per lo schiaffo di prima."
Spalancai la bocca sorpresa e scandalizzata, ma non riuscii ad evitare la risata spontanea che mi uscì dalla gola. Quel ragazzo non smetteva mai di sorprendermi.
"Cosa vuol dire quel... gesto che hai fatto?" domandò la bambina incerta, cercando di ricreare in modo maldestro e aiutandosi con entrambe le dita il gesto appena compiuto dal fratello.
"No, no, no, no..." mormorai balzando in piedi e racchiudendo le piccole mani della bambina tra i miei palmi. "Questo è un brutto gesto, non si fa mai."
"In realtà si può fare." mi corresse Stephen, ma dopo aver recepito la mia occhiataccia di fuoco, si corresse: "Voglio dire, la puoi fare solo alle persone che sono cattive con te."

Scossi la testa e trattenni un'altra risata. Stephen era irrecuperabile. Non c'erano speranze.
"In ogni caso, dovresti farti una bella dormita, Caccola." spiegò il ragazzo, rivolgendosi alla sorellina.
"Okay, Capitan Caccone." rispose fiera la bambina, posando una mano sulla guancia del fratello e mostrandogli la linguaccia.

"Io non sono Capitan Caccone." brontolò Stephen, fingendo una bizzarra espressione offesa che fece ridere di gusto la sorellina.
"Allora è lei Capitan Caccona." rispose Hailie indicandomi con la mano.
Aggrottai le sopracciglia e scossi la testa. 'Capitan Caccona' era il nomignolo più strano e ridicolo che mi era stato affibbiato fino ad ora, arrivando persino il prima classifica e superando il soprannome di 'Pasticcino'. 
"Sì, mi sta bene. Pasticcino, sei eletta Capitan Caccona." esclamò Stephen battendo sulla mia spalla come a consolarmi, poi tornò con l'attenzione sulla sorellina. "E ora si va a nanna senza storie. Sarà un viaggio lungo."





 

Io e Stephen eravamo rimasti a sedere per terra, vicino al divanetto rosso posto nel corridoio centrale della Berga, e per tutto il tempo nessuno dei due aveva spiccicato una parola, troppo presi ad osservare il visino angelico e dolce di Hailie che si era addormentata non appena era entrata in contatto con il cuscino.
Poi per un attimo mi ritrovai a osservare Stephen con la coda dell'occhio, intenta a godermi la sua espressione pacifica che mostrava solo quando c'era la sorellina in giro: conservava quegli sguardi solo per lei e ora capivo il perchè. Non lo avevo mai visto così rilassato, sereno, felice e privo di ogni preoccupazione da quando lo avevo conosciuto. Mi era sempre sembrato assente e diffidente, freddo con qualsiasi persona avesse cercato di insinuarsi anche di poco dentro il suo cuore che una volta credevo essere fatto di ghiaccio, quasi come se odiasse il mondo e se stesso, quasi come se si sentisse talmente incompleto e a pezzi da non riuscire a fare spazio ad altro nella sua vita.
Ora invece era una persona totalmente diversa.
"Perchè prima lo hai fatto?" domandò Stephen di punto in bianco, cogliendomi di sorpresa.
"Ehm..." mormorai schiarendomi la gola imbarazzata. "F-Fatto cosa?"
"Ti sei scusata. Lo hai fatto anche quando non avevi colpe." spiegò il ragazzo, incrociando il mio sguardo. "Come facevi a sapere che Teresa fosse importante? E' stato Newt ad aver sbagliato."
"L'ho fatto perchè Newt non ha bisogno di assumersi più colpe di quante ne abbia già. Il suo comportamento non è colpa sua."
"Mmh..." mormorò lui poco convinto. "Se lo dici tu."
"Lo dico io." spiegai. "E poi senti da quale pulpito arriva la predica."
"Cosa intendi?" mi chiese confuso, aggrottando le sopracciglia.
"Be' ti ricordi di come mi trattavi nella Zona Bruciata, no? E tu non eri affetto da Eruzione."
"No, infatti. Stavo recitando una parte." si difese lui, nella voce una punta di offesa.
"Lo so. Intendo solo dire che... Per un periodo sei stato bipolare, proprio come lo è Newt adesso, quindi forse dovresti capirlo un po' meglio. Non so cosa giri nella testa di voi ragazzi: insomma, un giorno siete tutti carini e coccolosi, e il giorno dopo offendete e attaccate come belve." spiegai.
"A meno che Newt non ti consideri come una sorella, non posso aiutarti." mormorò sovrappensiero Stephen.
Spalancai la bocca e lo guardai assottigliando gli occhi. "Come hai detto?"
"Nulla." disse sbrigativo Stephen, tossendo e grattandosi la nuca.
"Ormai lo hai detto e io l'ho sentito chiaro e tondo. Fatti avanti e spiegati." ordinai alzando un sopracciglio, curiosa di sentire la sua spiegazione.
"Ecco... Pensavo lo avessi capito, ormai." borbottò lui fingendosi distaccato. "Mi hai sempre ricordato le mie sorelle. Piccole, indifese..."
"Io non sono indifesa!" lo corresi, fingendomi offesa.
"Sta' zitta e fammi parlare." disse lui secco, rivolgendomi un volto imbronciato. "Dicevo..." riprese dopo che mi vide serrare la bocca stizzita. "Mi hai sempre ricordato loro in qualche modo e ho iniziato a sentirmi in dovere di proteggerti, sempre. Ma allo stesso tempo non volevo far vedere che mi ero attaccato a te. Sai qual è la filosofia della W.I.C.K.E.D.: 'affezionati a qualcosa e io te la toglierò'. Ecco, avevo paura che potessero farti del male solo perchè avevo dimostrato di tenere a te."
Dopo che il ragazzo finì il suo discorso, mi ritrovai a fissarlo con un sorriso spontaneo e il corpo mollo sciolto dalla tenerezza delle sue parole.
Per la seconda volta nello stesso giorno, avevo scoperto un'altro lato di Stephen. Non solo quel ragazzo era un pozzo senza fine di sorprese, ma era anche l'unico capace di non deludermi mai.

*Angolo scrittrice*
Hey guys!
Come va? State tutti bene in seguito al terremoto?
Volevo rubarvi solo qualche secondo per dirvi che non so tra quanti giorni aggiornerò il prossimo capitolo, perché devo lavorare ad un cosplay che dovrà essere pronto per il 1 novembre, dato che andrò al Lucca Comics.
Qualcuno di voi ci sarà? E se sì, che cosplay portate? Io mi vesto da Lara Croft!
Baci, 
Inevitabilmente_Dea ♥

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Capitolo 37
*** Capitolo 37. ***


"Che hai da fissare?" mi domandò Stephen, rivolgendomi un'occhiataccia e obbligandomi ad uscire dai miei pensieri. Mi ero dimenticata di essermi fermata ad osservarlo con un'espressione compiaciuta e addolcita, ma quello sguardo da parte mia era inevitabile. Il suo discorso era stata una sorpresa inaspettata e mi aveva reso non solo felice, ma anche rassicurata: almeno ora sapevo che il suo comportamento bipolare non era dovuto al fatto che mi odiasse.
"Scusami, ma..." sospirai e distolsi lo sguardo. "Sei stato così carino che non sono riuscita a trattenermi." 
"Io non sono carino." obbiettò lui. "Chiamai carino un'altra volta e ti spezzo le ossa."
"Ma hai appena detto che per te sono come una sorella!" replicai, incrociando le braccia e fingendomi offesa.
"Posso cambiare idea velocemente." ribattè Stephen, rivolgendomi uno sguardo serio, ma storcendo le labbra in quello che sembrava un sorriso trattenuto. Poi i suoi occhi oltrepassarono le mie spalle, andando a posarsi su qualcosa dietro di me. Lo vidi cambiare espressione totalmente: il divertimento prima dipinto sul suo volto era sparito del tutto, i suoi occhi erano pieni di rabbia e gelosia, le sue mascelle serrate mi facevano capire che si stava trattenendo dal dire qualcosa di brutto o cattivo. Poi tutto sparì all'improvviso, così come era apparso, e Stephen mi rivolse nuovamente la sua attenzione e mi parlò in tono rilassato, ma con ancora una punta di irritazione: "Il tuo amoruccio ci sta fissando. Anzi, mi sta fissando."
Feci per voltarmi ad osservare Newt, ma Stephen mi afferrò la spalla, obbligandomi a rimanere immobile. "Non ti voltare, credo sia meglio per te se non vedi l'occhiataccia assassina che mi sta rivolgendo. Se gli sguardi potessero uccidere, io sarei morto e sepolto a quest'ora."
"Buono a sapersi." borbottai sconsolata. Non sapevo se essere felice o triste riguardo all'espressione che Newt aveva rivolto a Stephen: da una parte mi sentivo sollevata nel sapere che il biondino teneva ancora a me e che l'Eruzione non aveva cambiato i suoi sentimenti nei miei confronti −  come invece avevo creduto −,  facendolo rimanere il solito fidanzato geloso dei tempi della Radura; d'altro canto però ero anche dispiaciuta, perchè il suo sguardo significava anche che forse non si fidava a pieno di me, dato che gli avevo sempre ripetuto che il mio amore era solo per lui e non aveva motivo di essere geloso degli altri.
"Credo che faresti meglio a tornare da lui, pasticcino." mi consigliò Stephen, squadrandomi da capo a piedi e poi facendomi l'occhiolino. 
Alzai l'angolo destro della bocca, formando un improbabile sorriso, poi mi voltai ad osservare per un'ultima volta Hailie. La bambina dormiva ancora come un angioletto, ma ora aveva cambiato posizione sul divano, rimanendo a pancia all'insù, con la bocca aperta e un braccio penzolante fuori dal divano.
"A lei ci penso io, tranquilla. Hai fatto abbastanza per lei." spiegò lui, allungando un braccio in direzione della sorellina e portandole delicatamente il braccio sul bordo del divanetto.
"Sei un bravo fratello, sai?" mormorai velocemente prima di alzarmi in piedi e camminare in direzione di Newt. Quest'ultimo, non appena vide che mi stavo avvicinando a lui, distolse lo sguardo e incrociò le braccia con disinvoltura, fingendo di non essersi accorto di me.
Solo quando mi sedetti accanto a lui, appoggiando la mia testa sulla sua spalla, mi degnò della sua attenzione. "Cos'è? Il tuo fidanzatino non ti vuole più?" domandò acido, rivolgendo un'occhiataccia a Stephen che ora stava sistemando distrattamente i capelli di Hailie.
"Oh, quindi ora parli anche di te in terza persona." risposi sarcastica, tentando per una volta di scherzare sulla questione, evitando di arrabbiarmi e di prenderla troppo sul serio.
Grazie al cielo, il mio goffo tentativo di battuta funzionò e vidi il volto biondino assumere lentamente una smorfia −  un vano tentativo di nascondere un sorriso −, poi parlò. "Ti odio." sbuffò, appoggiando la sua testa alla mia.
Quel gesto −  che una volta avrei dato per scontato, per quanto fosse semplice − mi provocò un'emozione piacevole, come un batticuore, che mi riportò ai primi tempi nella Radura, quando le farfalle iniziavano a volare dentro il mio stomaco ogni volta che vedevo Newt o che gli stavo accanto. Solo quando provai quella strana e indescrivibile sensazione, capii quanto mi fosse mancato il ragazzo. Insomma, dopo la Zona Bruciata credevo di aver imparato cosa fosse vivere ogni giorno distante dalle persone che ami, ma solo ora comprendevo il mio errore: la distanza più insopportabile in realtà, era solo quella psicologica ed emotiva, non quella fisica. Avere la persona che ami accanto, ma non sentire comunque il suo amore e la sua vicinanza, è la cosa peggiore di tutte: l'angoscia di averle a due palmi dal naso, ma non provare nulla all'infuori del dolore e della pena. Era come se Newt fosse stato via per tanto tempo e fosse tornato solo da pochi istanti. 
La malinconia iniziò a crescere dentro di me, accompagnata dal sollievo di sentirlo finalmente vicino. Avrei potuto piangere dalla felicità: il mio Newt era tornato e mi amava ancora come prima.
"Che tu stia scherzando oppure no, ultimamente mi sembra proprio che tu mi odi." spiegai attorcigliando le mie mani attorno al suo braccio e incatenandolo a me, per paura che quella frase avrebbe potuto distaccarlo.
Lo sentii sospirai, ma non capii se fosse per fastidio o se per dispiacere. "Già, a proposito di quello..."
"Scusami. Non volevo obbligarti a parlarne. Posso attendere il giorno in cui ne avrai voglia." aggiunsi velocemente, stringendomi ancora di più a lui e inspirando il suo buon odore.
"No. Io mi dovrei scusare. Mi sono comportato malissimo negli ultimi giorni. So che non merito il tuo perdono, anzi mi faccio schifo da solo." spiegò lui, portando una mano sulla mia guancia e facendola rimanere ferma lì.
"Newt, non devi per forza..."
"Sì, invece. Ti devo delle spiegazioni." mi interruppe. "Non nascondo che l'Eruzione abbia influito su di me più del dovuto, ma questa non è comunque una giustificazione al mio comportamento. Ti ho attaccata e se non fossi tornato in me all'ultimo momento ti avrei uccisa strozzandoti. Da quando ho perso definitivamente il controllo, ho compreso di essere pericoloso, non solo per te, ma anche per tutti gli altri. Ho cercato di distaccarmi, di evitare ogni contatto per paura di abbandonare il senno, ma..."
"Io insistevo." conclusi, realizzando solo in quel momento che i miei tentativi continui di rimanergli accanto in realtà avevano peggiorato la situazione. "Scusami, non pensavo di farti un torto standoti accanto."
"Non è colpa tua, non lo potevi sapere."
"Però tu hai cercato di spiegarmelo. Me lo hai detto e ridetto, ma io ho fatto comunque di testa mia." sospirai frustrata.
"Sì, ma non è comunque colpa tua. Insomma, come fai a stare distante anche solo un secondo da un pezzo di figo come me?" domandò lui, cogliendomi di sorpresa. Da quando in qua Newt faceva battute tristi in stile Minho durante i discorsi seri? "Scusa, cercavo di alleggerire la tensione." borbottò lui imbarazzato, schiarendosi la gola e scuotendo la testa. Poi, senza aspettare una mia risposta, continuò. "Comunque, ti stavo dicendo: ho pensato sarebbe stata una buona idea tentare di metterti paura, di attaccarti continuamente con le parole, di ferirti e di farti sentire odiata, in modo che avessi scelto autonomamente di distaccarti da me. E a quanto pare ha funzionato."
Aprii la bocca per controbattere, ma il ragazzo non me ne diede il tempo e continuò con il suo discorso. "Ma quando ti ho visto cadere fuori dalla Berga... Sono impazzito. All'inizio mi sono gelato sul posto, non riuscivo a muovermi e continuavo a pensare che ormai eri morta, e che non avrei potuto fare niente per rimediare a tutto il casino che avevo fatto: te ne eri andata senza sapere che in realtà ti amavo ancora e che tutto era stata una messa in scena per proteggerti. Poi però ho visto la tua mano e mi sono sentito rianimato. Solo quando ti ho tratta in salvo ho capito che la mia recita finiva lì e non sarebbe mai più iniziata. Chissà quanto tempo mi rimane su questa Terra, ma di sicuro non lo voglio sprecare fingendo di odiarti."
Non potei fare a meno di alzare la testa e di fissarlo negli occhi. "Non lo dire mai più. Farò tutto il possibile per aiutarti e di sicuro non morirai. Non te lo permetterò. Solo quando sarai vecchio potrai andartene, ma fino ad allora, non voglio sentir parlare della tua morte."
"Eli, io sono già morto nel cervello, e se ancora non lo sono del tutto, credimi se ti dico che manca poco. Non voglio che tutti voi vediate la mia trasformazione, perciò quando sarà ora..."
Interruppi la sua frase, non volendo sentire il continuo, e mi fiondai sulle sue labbra. Dopo tanto tempo, le nostre bocche si incontrarono ed ebbi quasi l'impressione che lo stessi baciando per la prima volta. Ciò non dipendeva dal fatto che le sue labbra fossero screpolate o che avessero un sapore amaro e metallico, quasi di sangue, ma al contrario dal fatto che il ragazzo sembrava essere improvvisamente cambiato. 
Inizialmente lo sentii opporre resistenza, quasi come se fosse ancora restio dal baciarmi o dallo starmi troppo accanto per paura di farmi male, poi però ogni sua forza di desistere lo abbandonò, inondandolo di passione.
Sentii la sua lingua accarezzare il mio labbro inferiore, come a chiedermi l'accesso, e quando dischiusi le labbra lui non esitò. Portai una mano sul suo petto, attorcigliando le dita alla sua maglietta, sentendo le cuciture di questa, e riuscii a percepire il suo cuore battere forte dentro il petto. Sembrava quasi andare a ritmo con il mio, che pompava altrettanto velocemente, animato dal sentimento. Li sentivo battere entrambi insieme, mentre lo nostre bocche giocavano armoniosamente tra di loro. 
Gli morsi il labbro inferiore, sentendolo mugugnare, poi il suo volto si riavvicinò al mio, annullando in un battibaleno la piccola distanza che avevo creato. Sentii il suo palmo sfiorare la mia guancia ormai bollente e poi la sua mano scivolò sulla mia nuca, spingendola delicatamente all'avanti e obbligandomi ad avvicinarmi a lui. Lo sentii distaccarsi per una frazione di secondo al fine di riprendere il fiato e poi annullò nuovamente le distanze, causandomi un brivido lungo la spina dorsale.
Mossi la mia mano dietro la sua schiena ed iniziai a far scivolare le mie dita verso il basso, accarezzandolo delicatamente, e quando giunsi alla fine della maglietta, lasciai che le mie dita entrassero in contatto con la sua pelle calda.
La sua lingua accarezzò la mia per la millesima volta, eppure ogni volta aveva l'effetto devastante della prima. Mi sentivo leggera, priva di affanni, come se quel bacio fosse l'unica cosa importante ed esistente in quel momento. Era bello sentire le nostre labbra sfiorarsi e giocare tra di loro come una volta. Sembrava che nulla fosse cambiato dal primo bacio, eppure era tutto così diverso da allora.
Solo una cosa ero sicura che fosse rimasta invariata: ogni volta che baciavo Newt, tutto diventava dannatamente perfetto.
"Ehi, prendetevi una cacchio di stanza voi due!" brontolò Minho, passandoci accanto strascicando i piedi a terra e dandomi una leggera spinta sulla testa, che mi obbligò a spiaccicare il naso contro la guancia di Newt per evitare di dargli una testata.
"Ottima idea." rispose Newt, con un sorrisetto sul volto.
"Newt!" lo rimproverai, arrossendo involontariamente per ciò che quella frase avrebbe potuto significare.
"Cosa hai capito?" mi domandò lui, fingendosi offeso. "Io intendevo dormire, ho un gran sonno. Se poi tu vuoi fare altro, per me va sempre bene, questo lo sai!"
"Newt!" lo richiamai per la seconda volta, cercando di non urlare troppo per evitare di svegliare Hailei e arrossendo a dismisura per la vergogna.
"C'è una stanza, lì a sinistra. Ci sono due divani, una brandina e qualche poltrona." spiegò Brenda, intromettendosi nella conversazione che stava diventando fin troppo imbarazzante per i miei gusti. "Non è un camera da letto vera e propria, ma è meglio che dormire sul pavimento."
"Allora io mi prendo la brandina!" annunciò Minho, affrettandosi a raggiungere la stanza.
"Fermo lì, Velocista." intimò Brenda, lanciandogli un'occhiataccia. "La brandina è per Thomas che, in caso non ti ricordassi, è svenuto. Quindi vieni qui ad aiutarmi."
Minho sbuffò, poi però senza fare altre storie tornò sui suoi passi e aiutò Brenda a sollevare il povero ragazzo privo di sensi dal pavimento. 
"Dovremmo andare a dormire." proposi, alzandomi da terra e sgranchendomi le gambe formicolanti.
"Quindi... sei sicura di voler solo dormire?" mi punzecchiò Newt, sorridendomi alzando solo un angolo della bocca.
"Pervertito." dissi secca, dandogli una debole gomitata nel fianco.
"Mi ami anche per questo, no?" 
"Per questo e tutto il resto." risposi senza indugio.




 

Mi svegliai assonnata, destata da un improvviso rumore. Lanciai uno sguardo a Newt, che si era accoccolato al mio fianco e stava dormendo come un angioletto con i capelli arruffati. Sbattei gli occhi più volte, voltandomi verso il resto della stanza, e quando la mia vista si fece meno offuscata riuscii a identificare la figura di Minho, stesa sul pavimento.
Mi irrigidii e sbattei nuovamente le palpebre. Stava male? No, molto probabilmente era solo caduto durante il sonno.
Scossi la testa quando vidi il ragazzo girarsi a pancia all'insù, mugugnando parole e bascicando ogni lettera, rendendo quel suono una specie di lamento incomprensibile. 
"Stai bene?" sussurrai, cercando di non svegliare Newt.
"Sono caduto, ho sbattutto la testa e le chiappe, e ho interrotto il mio bellissimo sogno. Mai stato meglio." rispose ironico il Velocista.
Mi stropicciai gli occhi e sbadigliai. L'ironia dell'asiatico alla mattina era la cosa più bella che mi potesse mai capitare.
"Comunque, volevo ringraziarti." mormorò Minho fingendosi distaccato, alzandosi lentamente da terra e scrullando gli abiti.
"Minho che mi ringrazia... A cosa devo questo onore?" mormorai appoggiando nuovamente il mio volto al petto rilassato di Newt.
"Per l'effetto che hai su di lui." spiegò il Velocista, ignorando la mia battuta e indicando il biondino vicino a me. "Quando è con te, sembra più calmo. Anzi, non sembra, lo è."
"Be' si, faccio questo effetto a tutti." bisbigliai allegra, buttandola nuovamente sullo scherzo.
"Dico sul serio, bambolina." mi riprese Minho, quasi spaventandomi per quanto il suo volto e la sua voce risultassero seri. "Hai effetti miracolosi su di lui, perciò ti devo pregare di non lasciarlo mai. Anche se lui ti dirà di stargli distante, non ascoltarlo: non capisce neanche lui quanto bene gli fai, perciò se lui ti allontana, tu lotta per stagli accanto."
"Spero di non dover mai lottare. Spero che mi voglia accanto a sè per sempre." replicai assonnata.
"Lo spero anche io per te, ma credo proprio che dovrai." borbottò lui, sistemando il cuscino del divanetto e lasciandosi cadere nuovamente su di esso. "Ma fino a quando non arriverà il momento, non ci rincaspiamo." concluse il Velocista, mettendosi le braccia incrociate dietro la testa. "Buona notte, bambolina."
"Buona notte, spazzolino per il cesso." mormorai alludendo al soprannome che una volta Gally aveva usato per definire Minho. Con il ricordo del ragazzo e cullata dal respiro di Newt, lentamente scivolai tra le braccia del sonno.




 

Il mio risveglio fu tutt'altro che delicato e leggero: Stephen, approfittando del fatto che si fosse svegliato prima di me, era entrato nella stanza silenziosamente, per poi raggiungere il divano su cui dormivo in punta di piedi e schiaffeggiarmi ripetutamente sul volto. Non mi aveva fatto male, ma di sicuro mi aveva innervosito a tal punto che avevo provato a mordergli un dito, purtroppo non riuscendoci. 
Newt sotto di me, mugugnò di stanchezza e non appena vide il volto di Stephen, ogni traccia di sonno abbandonò il suo volto, rimpiazzata da un'occhiataccia furibonda, gelosa e infastidita.
"La tua faccia di prima mattina è il miglior buongiorno di sempre, principessina." disse acido il biondino, riferendosi all'altro ragazzo.
"Sì, be', anche tu sei sempre il mio primo pensiero quando mi sveglio. E' brutto iniziare le giornate figurandosi la faccia di chi si odia, non è vero?" rispose Stephen, rivolgendogli un sorriso falso e poi sgattaiolando fuori dalla stanza senza più dire una parola.
Mi stropicciai gli occhi e lentamente mi misi a sedere sul bordo del divano, osservando la stanza attorno a noi: c'erano solo un mucchio di mobili mal assortiti e una piccola cassa chiusa, contenente chissà cosa; Minho e Thomas si stavano godendo il meritato riposo rispettivamente su un divano e una brandina, entrambi sotto una coperta tirata su fino al mento. 
Ebbi il vago sospetto che Brenda c'entrasse qualcosa, dato che la ragazza si era appisolata su una poltrona vicino al lettino di Thomas. I due si stavano addirittura tenendo per mano −  o meglio, Brenda teneva stretto tra le dita il palmo di Thomas, come se avesse paura che il ragazzo avesse potuto fuggire da un momento all'altro.
Sembravano quasi dei bambini piccoli, tutti vicini, raggomitolati e al caldo. 
"Abbiamo dormito per quasi dieci ore." constatò Newt, lasciando cadere il suo polso munito di orologio su un fianco e rivolgendomi un sorriso stanco.
"Sul serio?" domandai in modo spontaneo. Mi sembrava di aver dormito neanche per due ore.
Newt annuì stanco, poi appoggiò il mento sulla mia spalla e inspirò forte, per poi rilasciare il fiato caldo sulla mia pelle, facendomi rabbrividire.
"Stiamo volando da così tanto? Dove stiamo andando, sulla luna?" borbottai, lasciandogli un lieve bacio sullo zigomo.
"No. Ci siamo allontanati di circa centocinquanta chilometri, poi siamo atterrati in una grande radura. Anche Jorge sta dormendo adesso. Non conviene avere un pilota stanco." si intromise Brenda, improvvisamente sveglia. Magari non stava dormendo quando la osservavo, ma semplicemente aveva chiuso gli occhi.
"E dove siamo diretti?" domandò Newt, la voce impastata ancora dal sonno. 
"A Denver." sentenziò la ragazza, senza esitazioni.
Il biondino si grattò i capelli scompigliati, annuendo e sbadigliando. A quanto pare, per lui era abbastanza sapere quello, ma a me non bastava: "E' lì che sono andati i nostri amici?" chiesi dubbiosa. Non mi sarei meravigliata se la ragazza avesse scelto la meta più lontana possibile dai nostri amici.
Tuttavia, la risposta di Brenda mi stupì, facendomi comprendere che almeno per una volta era stata sincera e leale nei nostri confronti: "Jorge ha controllato il sistema di monitoraggio delle Berghe. I vostri amici sono andati proprio là, a Denver."

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Capitolo 38
*** Capitolo 38. ***


Sentii Newt irrigidirsi vicino a me, il che mi fece preoccupare, dato che la notizia di Brenda era stata ottima. Che motivi aveva di essere agitato? 
"Questo significa che la W.I.C.K.E.D. sarà in grado di trovarci?" chiese il ragazzo, esponendo le sue preoccupazioni che immediatamente contagiarono anche me.
"Non conosci Jorge." rispose prontamente la ragazza, senza indugio, il che mi rassicurò un po'. Poi, con un sorrisetto stampato in volto continuò: "È incredibile come riesca a manipolare il sistema. Dovremmo riuscire a rimanere un passo avanti almeno per un po'."
"Bene così." contastai, alzandomi dal divanetto e stiracchiandomi la schiena. "Denver..." mormorai tra me e me, cercando di associare a quel nome qualsiasi possibile collegamento con le informazioni sul mio passato. Dopo l'errore di aver sottovalutato il nome di Teresa, stavo bene attenta ad analizzare qualsiasi cosa potesse rilevarsi fondamentale. Denver era una di queste cose, ma per nostra sfortuna quel nome suonava strano e nuovo nella mia mente. "Dove si trova?" domandai, cercando di accumulare maggiori informazioni nella speranza di accendere qualche lampadina.
"Nelle Rocky Mountains. A un'altitudine elevata. Una scelta ovvia per una zona di quarantena, perché il tempo lì si è riassestato in fretta dopo le eruzioni solari. Un posto come un altro." spiegò Brenda, lanciando uno sguardo a Thomas per assicurarsi che il ragazzo stesse ancora dormendo beato. Non mi ero nemmeno accorta che lui e Brenda non si erano distaccati, nonostante la ragazza fosse ben cosciente che li stessimo fissando. A quanto pareva non le interessava nascondere i suoi sentimenti per Thomas.
O magari sta recitando e vuole che notiamo la sua parte da dolce innamorata per poi fregarci un'altra volta. Aggiunsi pochi secondi dopo nella mia mente, accorgendomi di quanto non mi fidassi ancora della ragazza.
Feci spallucce e scossi la testa. In ogni caso per ora eravamo al sicuro. Dovevamo solo farci portare fino ai nostri amici, dopodichè lei e Jorge potevano anche sparire nel nulla, come dei granelli di sabbia spazzati via dal vento.
Sentii Newt chiedere a Brenda come fosse questa città, ma per quanto forte fosse la mia curiosità di sentire la risposta, le mie orecchie decisero comunque di spegnersi per lasciare posto ai pensieri nella mente. La prima cosa su cui riflettei fu il primo incontro tra noi e i nostri amici dopo la separazione: domande, accuse, risposte, abbracci... Ancora non mi capacitavo di come avessero potuto abbandonarci così semplicemente! Insomma, noi volevamo cercarli e almeno ci avevamo provato, mentre loro se l'erano semplicemente data a gambe, senza neanche prendersi la briga di avvisarci. Per la prima volta mi riuscì difficile esaminare altre possibilità all'infuori del loro tradimento, anche se dovevo riconoscere che Brenda poteva avere ragione sul fatto che magari i nostri amici avevano incontrato ostacoli −  come sparatorie o una situazione di vita o morte −  e avevano dovuto per forza andarsene senza rischiare di venirci a cercare. Magari avevano anche pensato che ci saremmo arrivati da soli e che li avremmo raggiunti, come di fatto era successo.
"...i vostri amici non sono l'unica ragione." quelle parole pronunciate da Brenda catturarono nuovamente la mia attenzione, riportandomi alla realtà. "Laggiù c'è qualcosa di ancora più importante."
"Cosa intendi?" chiesi impaziente, rianimandomi e distogliendo lo sguardo dal vuoto.
"Nei vostri cervelli la W.I.C.K.E.D. ha impiantato un chip che le permette di controllarvi ovunque andiate." spiegò Brenda con fare eccitato come se ci stesse per dare una notizia stratosferica.
"Sì, be' questo lo sapevamo già." replicai, incrociando le braccia e alzando un sopracciglio.
"Lo so, ma il punto è che conosco una persona, un tizio di nome Hans che si è trasferito a Denver ed è immune come noi. È un dottore. Ha lavorato alla W.I.C.K.E.D. finché non ha avuto una divergenza di opinioni con i pezzi grossi sulle procedure relative agli impianti cerebrali." spiegò la ragazza con pazienza, sistemandosi meglio sulla poltrona. "Pensava che quello che stavano facendo fosse troppo rischioso. Che stessero esagerando, che si stessero comportando in modo disumano. La W.I.C.K.E.D. non gli permetteva di andarsene, ma è riuscito a fuggire."
"E..?" domandai, ancora incerta sulle conclusioni.
"E... Hans è un genio.Conosce ogni singolo dettaglio dell'impianto che voi ragazzi avete nella testa. So che è andato a Denver perché mi ha mandato un messaggio in rete subito prima che mi portassero nella Zona Bruciata." continuò la ragazza. "Perciò se riusciamo a trovarlo, lui potrà togliervi quell'affare dalla testa. O almeno disattivarlo. Non so come avvenga esattamente, ma se c'è qualcuno in grado di farlo, è lui. E lo farebbe con piacere. Quell'uomo odia la W.I.C.K.E.D. quanto noi."
Alzai un sopracciglio. "E come facciamo ad essere sicuri che non sia un altro dei tuoi giochetti?" domandai tranquillamente, ma la mia voce risuonò acida. 
"Be' se vuoi puoi lasciarti quell'affare nella testa." disse Brenda semplicemente. "O ti fidi di me o ti lasci controllare dalla W.I.C.K.E.D., a te la scelta."
Lasciarsi controllare... Quelle parole mi riportarono ad un flashback: nella mia mente rividi Gally fuori dal Labirinto, la sua figura avvolta in una felpa enorme che non faceva altro che sottolineare il suo viso scarno e privo di espressione; riuscivo a sentirlo biascicare alcune parole confuse, che peró risuonarono come un tentativo di dirci che lo stavano controllando; poi il luccichio della lama e il suo fruscio tagliente nell'aria, durato pochi istanti, ma anche un'eternità, con il tempo scandito a suon di respiri trattenuti e di sussulti; poi la figura di Chuck, l'unica persona a muoversi nell'unica direzione che non doveva prendere; per ultimo il suono umidiccio della lama del coltello contro la pelle del bambino e poi l'ira di Thomas sfogata contro Gally, dopo essere stato ad osservare il ragazzino morire tra le sue braccia, con gli occhi sporgenti e le guancie umide.
Questo era uno dei ricordi più sconvolgenti che avevo e che ero sicura non sarebbe mai passato.
Una cosa era certa: non volevo finire ad essere controllata come Gally.
"Be', a quanto pare abbiamo diverse ragioni per andare aDenver. Sentiremo cosa ne pensano Minho e Thomas quando si svegliano." conclusi, evitando di dare una risposta.
Brenda annuì e mi sembrò soddisfatta della mia decisione di attendere le opinioni degli altri. "Mi sembra una buona idea." sentenziò alla fine. 
"Già..." mormorai tra me e me. "C'è un bagno in questo caspio di aggeggio?" domandai guardandomi attorno e cambiando discorso.
"Sì, esci dalla stanza e vai dritto, c'è un bagno sulla destra." disse la ragazza indicando con il braccio libero l'uscita.
Annuendo spaesata uscii dalla stanza e mi diressi lungo il corridoio, pensando solamente al farmi una bella e calda doccia.




 

Minho chiamò la nostra riunione un'Adunanza, in nome dei vecchi tempi. Quando giungemmo finalmente al termine avevo la testa che mi scoppiava: il dolore era così martellante che pensai che mi sarebbero saltati gli occhi fuori dalle orbite. Minho fece l'avvocato del diavolo su ogni singola questione −  contrastando ogni opinione e mettendola in dubbio − e lanciò diverse brutte occhiatacce a Brenda per tutto il tempo. Da una parte ero felice di avere qualcuno come me che diffidasse della ragazza, ma d'altro canto, nemmeno io che ero così pessimista e paranoica analizzavo ogni minima conseguenza negativa di ogni dettaglio.
Alla fine, dopo un'ora di discussioni e decine di ripensamenti per poi tornare al punto di partenza, decidemmo − all'unanimità − di andare a Denver. 
Il piano era di atterrare in un aeroporto privato e di raccontare che eravamo degli immuni in cerca di un lavoro nel settore dei trasporti pubblici. Per fortuna la Berga non era contrassegnata. A quanto pareva, la W.I.C.K.E.D. non si faceva pubblicità quando andava nel mondo reale. Ovviamente saremmo stati sottoposti al test dell'Eruzione e schedati come immuni, il che ci avrebbe consentito l'accesso in città.
E qui, per me, arrivava il problema principale: Newt, essendo infetto, sarebbe dovuto rimanere sulla Berga finché non ci fossimo inventati qualcosa.
La cosa non mi piaceva più di tanto, perciò decisi di testa mia di voler rimanere insieme a lui. Non lo avrei lasciato per nessun motivo dentro una Berga da solo. Non volevo e non potevo. Non mi importava quanto il ragazzo avesse insistito per cacciarmi via: io sarei rimasta, anche a costo di finire di nuovo strozzata o con qualche osso rotto. Perciò, ormai presa la mia decisione, mi ripromisi di rimanermene zitta e di non dire a nessuno del mio piano, in quanto ero sicura che tutti mi avrebbero contraddetto. Pensai che sarebbe stato migliore dare la notizia all'ultimo momento, come se fosse ovvia, in modo che nessuno avrebbe potuto ribattere più di tanto. 
Se necessario mi aggrapperò con le unghie pur di non uscire da questa Berga. Giuro che questa volta do di matto se qualcuno mi contrasta. Pensai, rendendomi improvvisamente conto di essere arrabbiata. Il fatto era che non mi capacitavo di come gli altri potessero semplicemente abbandonare Newt in una Berga, solo e malato, per andare ad esplorare una città alla ricerca dei nostri amici −  che tra l'altro ci avevano anche lasciato, andandosene senza dire nulla. Non  sapevamo quanti giorni di sanità mentale fossero rimasti a Newt e soprattutto non potevamo calcolare quanti giorni avremmo impiegato nel trovare i nostri amici e riuscire a togliere il chip. Stavamo correndo troppi rischi tutti insieme e ciò era pericoloso. Perchè non potevamo semplicemente pensare ad un altro piano? O magari far rimanere qualcuno con Newt! Come ad esempio io...
I miei pensieri vennero interrotti bruscamente da un buon odore di cibo. Sbarrai gli occhi e le narici, voltandomi a destra e a sinistra per cercare di capire da dove arrivasse quel buon odorino, e solo quando mossi la testa in basso sentii del formaggio conficcarsi sulla punta del mio naso. Riportai la testa all'indietro e per poco non diedi una testata contro la parete: Stephen −approfittando del fatto che mi fossi incantata a fissare il buio per la millesima volta −  aveva avuto la brillante idea di darmi fastidio, mettendo sotto il mio naso un pezzo di formaggio per notare quanto tempo ci avrei messo a rianimarmi.
Senza muovere la testa lanciai un'occhiataccia di sbieco al ragazzo che nel frattempo se la stava ridendo di gusto.
"Non è divertente." mormorai ancora arrabbiata per i miei pensieri, pulendomi il naso. 
"Oh, invece lo è eccome!" disse il ragazzo, appoggiando il pezzettino di formaggio su un lato del suo piatto. Spalancai gli occhi e mi guardai attorno allibita, accorgendomi solo in quel momento che tutti erano intenti a mangiare. Be' tutti tranne io.
"Dove hai preso il..." feci per dire, ma Stephen mi interruppe.
"Anche tu hai ricevuto un piatto con un panino, lo hai sulle gambe." mi fece notare il ragazzo, poi osservandomi arrossire divertito. "Vorresti dirmi che non ti sei accorta nemmeno di quello? E a cosa stavi pensando, scusa?"
"Non sono affari tuoi." sibilai afferrando il panino e mordendolo con ferocia.
"Woh la ragazza è scontrosa." bisbigliò Stephen alzando le mani in segno di resa. "E' per caso colpa dello scherzo di questa mattina?"
"No."
"Qualcosa mi dice di sì, invece..."
"Ti dico di no." sbottai, appoggiando il panino sul piatto e lanciandogli uno sguardo infuriato che, tuttavia, non lo fece rimanere zitto.
"Okay, in ogni caso faresti meglio a mangiare, dato che tra poche ore arriviamo e poi usciamo."
...Poi uscite. Lo corressi nella mia mente scuotendo la testa e cercando di sfogare la mia rabbia nel cibo.
Il resto del pasto passo fortunatamente in silenzio, poi Jorge ci lasciò per far partire l'aeromobile. Disse di essersi riposato a sufficienza e suggerì a noi altri di dormire un po' visto che ci sarebbero volute alcune ore per raggiungere la città. 
Anche Thomas se ne andò subito, sostenendo di avere mal di testa e di doversi riposare, infatti il ragazzo si rintanò in un angolo della stanza, rannicchiandosi su una piccola poltrona reclinabile che dava le spalle al grande spazio aperto. 
Vidi Newt e Minho avvicinarsi a parlare sommessamente, mentre Brenda stava mostrando ad Hailie un piccolo giochetto da fare con le dita.
Io e Stephen eravamo gli unici a non esserci mossi e, per quanto volessi alzarmi e andare a a dormire, rimasi immobile, riflettendo sulla mia pigrizia.
Magari potevo dormire lì per terra. Di certo non sarebbe stato comodo, ma era meglio che alzarsi.
Lanciai un ultimo sguardo a Stephen prima di appoggiare la testa alla parete e chiudere gli occhi: il ragazzo stava osservando con occhi sereni e tranquilli la sorellina. 
Rassicurata del fatto che non sembrava voler accennare ad una conversazione, lasciai che le palpebre portassero ombra sui miei occhi, rilassandomi e accoccolandomi alla parete.
Nel momento stesso in cui mi circondai le braccia con le mani, Stephen parlò, facendomi salire in corpo la voglia di cucire la sua bocca.
"Perchè lo hai fatto?" mi domandò il ragazzo, dandomi una leggera spinta sulla spalla, come per svegliarmi.
Riaprii gli occhi. "Steph, non leggo la tua mente. Di cosa stai parlando?"
"Hailiei mi ha raccontato di come ti sei buttata fuori dalla Berga per salvarla." spiegò il ragazzo. "Perchè lo hai fatto?"
Feci spallucce e risposi: "Perchè non avrei dovuto farlo?" gli ripiegai la domanda.
"Lo so, ma perchè andare a rischiare la propria vita per una bambina che non si conosce nemmeno?" 
"Pensa se non lo avessi fatto: tu ora saresti depresso e io avrei i sensi di colpa." chiarii.
"Andiamo... Deve esserci qualcos'altro che..." provó a ribattere il ragazzo, subito interrotto dalla mia voce.
"Steph, non c'è un motivo preciso per cui l'ho fatto. E' stata una cosa istintiva, non ci ho pensato, non ne avevo tempo. Tu eri svenuto e lei stava precipitando di sotto." continuai. "Ho visto morire tante persone. Amici, nemici, sconosciuti... Sono stanca della morte e di essere impotente di fronte ad essa. Perciò se mi capita un occasione in cui posso fare effettivamente qualcosa per salvare le altre persone lo faccio senza pensarci troppo. E fino ad ora sono riuscita a salvare solo tua sorella." 
"Solo?" domandò incredulo Stephen, facendo una risatina. "O sei modesta o sei cieca. Salvando Hailie hai salvato anche me; sei riuscita a far tornare Newt in sè, evitandogli così una brutta caduta nelle braccia della pazzia; hai protetto persino tutti i tuoi amici quando hai recitato la parte della Traditrice. Se questo non è salvare tante persone, be' allora dimmi cosa lo è."
"Ho salvato meno persone di quante avrei voluto." replicai affranta.
Lo vidi sorridere incoraggiante, ma nel suo volto c'era anche un po' di malinconia. "Non tutti riescono a fare quello che fai tu." mi disse dandomi una leggera spinta sulla spalla con il proprio corpo. "Hai salvato quante più persone hai potuto." 

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Capitolo 39
*** Capitolo 39. ***


Aprii gli occhi lentamente, svegliata dal dolore alla schiena che il dormire per terra aveva causato. Sapevo fin dal principio che non era poi una così ottima idea rimanermene seduta sul pavimento, aspettando che il sonno venisse a prendermi, ma la mia pigrizia aveva cancellato ogni mia voglia di alzarmi e stendermi su un divano qualsiasi.
Sbadigliai e quando sollevai le mani per stropicciarmi gli occhi, mi accorsi di essere avvolta in una coperta calda e morbida. Alzai gli occhi e mi guardai attorno con occhi assonati per riuscire a capire chi fosse stato l'autore di quel gesto: Minho stava dormendo nel divano con le braccia incrociate e le gambe stese oltre il bordo del divano, coperto anche lui da una coperta corta, che gli riscaldava solo metà corpo; Thomas era ancora recluso al suo piccolo angolino, rannicchiato nella sua poltrona; di Brenda non c'era traccia, quindi potevo ipotizzare che fosse semplicemente andata a dormire nella stanza dove avevamo sonnecchiato il giorno rpecedente; Newt invece se ne stava seduto a terra, non molto distante da me, con la bocca leggermente aperta e le braccia incrociate al petto, come a proteggersi dal freddo. 
Non mi ci volle molto a capire che l'autore di quel gesto poteva essere solamente lui che pur di ripararmi dal freddo, aveva rinunciato a coprirsi. La cosa che mi stupì più di tutte fu che fosse rimasto a dormire per terra come me, nonostante nell'altra stanza ci fossero almeno altri due divani a disposizione. Sapevo per certo che il ragazzo non era malato di pigrizia come me, perciò se aveva preferito dormire su un suolo duro e scomodo invece che su un soffice e accogliente cuscino, un motivo ci doveva essere.
Sorrisi quando lo vidi muovere il naso, arricciandolo e distorcendolo come se qualcosa lo stesse infastidendo, dandogli prurito. Dopo pochi secondi il volto del ragazzo si rilassò nuovamente, distendendosi in una pura espressione di calma e tranquillità.
Distolsi lo sguardo e sbadigliai nuovamente, muovendo la testa da un lato all'altro nel tentativo di scrocchiare le ossa del collo e far sparire il dolore e la rigidità dei miei muscoli almeno in parte. Mi grattai la testa distrattamente, ma non appena feci per alzare il braccio sinistro, mi accorsi di un peso sopra la spalla. Mi voltai lentamente e notai che anche Stephen si era addormentato accanto a me, ben pensando di utilizzare la mia spalla come cuscino e il mio braccio come peluche da abbracciare e stritolare fino alla morte.
Sbattei gli occhi stanca e raddrizzai lentamente la schiena nel tentativo di liberarmi un po' dalla sua presa ferrea, ma ottenendo l'effetto totalmente contrario.
Forse era per questo che Newt era rimasto a dormire nella stessa nostra stanza, a quanto pareva non si fidava ancora del ragazzo dai capelli bianchi perciò preferiva dormire per terra invece che su un divano, pur di riuscire a controllarlo. 
Sbadigliando un'altra volta per la stanchezza, decisi di abbandonare ogni mio altro tentativo di distaccarmi da Stephen e semplicemente di tornarmene a dormire, dato che sembravo l'unica ad essere sveglia ad eccezione di Jorge che però era intento a pilotare la Berga. 
Sbadigliai per l'ennesima volta, accorgendomi che ogni volta che chiudevo gli occhi facevo sempre più fatica a riaprirli: ero talmente tanto stanca da riuscire a malapena a pensare lucidamente. Sentii la mia testa farsi pensante lentamente e senza neanche accorgermene mi accorsi di averla appoggiata su quella di Stephen. Avrei voluto alzare il collo ed evitare di utilizzare il ragazzo a mia volta come cuscino, ma per quanto mi sembrasse strano, la sua testa risultava essere abbastanza morbida e soffice − probabilmente a causa dei suoi capelli folti.
Proiettando nella mia mente la pacifica immagine di un Newt dormiente e cullata dal suo leggero russare in lontananza, mi lasciai cadere nell'ombra dei miei sogni.

Sentii chiamare il mio nome in lontananza, ma decisi comunque di ignorarlo. Sbuffai e sbadigliai, aspettando di riaddormentarmi, cosa che però non accadde mai, dato che qualcuno iniziò a scuotermi, obbligandomi ad aprire gli occhi una volta per tutte.
Spalancai le palpebre, pronta ad insultare chiunque avesse osato svegliarmi dal mio bellissimo sonnellino, ma non appena vidi il suo volto a due palmi dal mio, la mia rabbia sparì, come se fosse stata portata via dal vento.
Newt mi stava osservando con un'espressione addolcita, come se avesse appena visto un cagnolino sbadigliare per la prima volta. Mi sorrise alzando solo un angolo della bocca, facendomi venire in mente solo di quanto sarebbe stato bello baciarlo, senza mai riprendere fiato.
Il mio sole... Pensai sorridendo. 
"Forse è un po' troppo mieloso dirti questo dopo averti appena svegliata, ma a chi importa?" mormorò nervoso, ridacchiando. "Dopo tutto questo tempo, vederti aprire gli occhi di prima mattina è il modo migliore in cui le mie giornate possano iniziare."
"Be' forse la giornata potrebbe migliorare ancora di più." aggiunsi alzando un sopracciglio e rivolgendogli uno sguardo complice. "Se solo tu ora mi bac..."
Un vigoroso colpo di tosse mi interruppe, ricordandomi che sfortunatamente io e Newt non eravamo soli in quella stanza, e fece distaccare di corpo il ragazzo, che si guardò attorno scocciato per quell'interruzione.
Alzai lo sguardo, decisa a non far vedere agli altri quanto avrei voluto prenderli a pugni per aver rovinato quel bel momento perfetto, e sorrisi in direzione di Minho che ora mi stava fissando, sghignazzando divertito. "Pensate di prendere parte all'Adunanza oppure dobbiamo semplicemente ignorare le vostre effusioni fino a che non vi risucchiate l'anima a vincenda a forza di baci?" domandò il ragazzo, ricordandomi che nonostante tutto quello che avevamo passato, il ragazzo non aveva perso il visio di prendere per i fondelli qualsiasi cosa si muovesse o respirasse.
"Se sei geloso e vuoi donarmi anche tu la mia anima mi posso adattare." mormorai scostando la coperta dal mio corpo e alzandomi a fatica da terra.
"Be' in quel caso dovrai subire la furia di Violet." replicò Minho, iniziando la frase con un'espressione divertita e poi terminandola con la faccia da cane bastonato.
Non potevo neanche immaginare quanto gli potesse mancare la ragazza e di sicuro non volevo aumentare la sua tristezza contestando quella frase. 
Ero sicura che Minho non fosse abituato a provare dei sentimenti del genere nei confronti di qualcuno in particolare ed era proprio per lo stesso motivo che per lui era stato difficile accettare il fatto che la ragazza se ne fosse andata con gli altri così tranquillamente, senza prendersi la briga di avvisarlo. Il ragazzo non aveva mai detto nulla riguardo ai nostri amici sin da quando questi ci avevano abbandonato e non lo biasimavo: era stato un colpo duro per tutti.
"Okay..." mormorai riprendendomi dai miei pensieri e cercando di sciogliere la brutta aria che si stava creando nella stanza. "Di cosa parleremo in questa Adunanza? Se volete discutere sulla puzza dei piedi di Minho allora io propongo di tagliarglieli." cercai di scherzare, tuttavia non ottenendo nessun segno da parte del ragazzo in questione che, al contrario, si era seduto sulla poltrona più vicina, portandosi i pugni sulla bocca e fissando il vuoto in modo assente.
"Tommy ha fatto dei sogni alquanto... strani, diciamo." spiegò Newt, intervenendo in mio aiuto. "Sono molto simili al genere dei tuoi sogni, quindi pensiamo siano dei ricordi da cui possiamo attingere, anche se in realtà non centrano molto con la nostra situazione." continuò il ragazzo. "Insomma, sono momenti della sua infanzia, nella maggior parte dei quali è presente Teresa."
"Oh..." mormorai. "E... E quindi?" mormorai sentendomi stupida per quella domanda. 
"E quindi volevamo darti maggiori informazioni su di lei per due motivi: innanzitutto speriamo che queste nuove nozioni possano sbloccare qualche tuo ricordo racchiuso dentro quella bella testolina; secondo: in caso la incontrerete a Denver, saprete se fidarvi o meno di lei."
"Be' sarò sincera: fino ad ora quella ragazza non mi ispira grande fiducia. In fin dei conti lavora per la W.I.C.K.E.D. e io non mi fido di queste persone." ammisi, giocherellando con una ciocca di capelli.
"Ehm, io lavoro per la W.I.C.K.E.D. eppure vi fidate di me. Perchè dovrebbe essere diverso con lei?" domandò Brenda, alzando un sopracciglio e guardandomi come se avessi appena detto la cosa più incoerente del mondo.
"Ehm, no?" le risposi scocciata. E chi aveva mai detto che io mi fidavo di lei? "Forse loro si fideranno anche di te..." mormorai indicando i presenti nella stanza. "Ma io sono ancora restia."
"Come vuoi tu, io continuerò a ripeterti all'infinito che odio la W.I.C.K.E.D. e che quindi dovresti fidarti di me perchè siamo dalla stessa parte." specificò la ragazza, lasciandosi cadere con le braccia conserte sul divano dietro di lei. Mi squadrò con un'espressione infastidita, come se mi avesse ripetuto quella frase per un miliardo di volte e si aspettasse che le dessi ragione.
Roteai gli occhi al cielo e decisi di lasciarla perdere, archiviando la mia voglia di prenderla a pugni fino allo sfinimento. 
"Quand'è che sei cambiata?" scoppiò Minho, catturando immediatamente l'attenzione di tutti. A quanto pareva il ragazzo si era rianimato, ma la rabbia che provava era ancora visibile sul suo volto, mischiata al disgusto e alla delusione, il che rendeva il ragazzo ancora più spaventoso e infuriato. 
"Eh?" chiese Brenda confusa, distogliendo gli occhi da me e puntandoli sul ragazzo.
"Da quand'è che ti è venuta questa rabbia del caspio nei confronti della W.I.C.K.E.D.? Hai lavorato per loro, hai fatto tutto ciò che volevano nella Zona Bruciata. Eri disposta ad aiutarli a metterci in bocca quel caspio di siero della memoria e a trattarci di nuovo come cavie. Quando e perché hai deciso di stare dalla nostra parte con tanta convinzione?" domandò il ragazzo, scandendo ogni parola come per insinuare il fatto che Brenda avrebbe probabilmente risposto aggirando l'argomento.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e sospirò; aveva l'aria stanca, ma nelle sue parole si percepiva della collera. "Io non sono mai stata dalla loro parte. Mai. Non ho mai condiviso il loro modo di operare, ma cosa avrei potuto fare da sola? O anche con Jorge? Ho fatto quello che dovevo per sopravvivere. Ma poi sono stata con voi nella Zona Bruciata e quell'esperienza mi ha fatto capire... be', mi ha fatto capire che abbiamo una chance."
Spalancai gli occhi. Veramente pensava che ce la saremmo bevuta così facilmente?
Feci per aprire la bocca e controbattere, ma Thomas mi anticipò, visibilmente a disagio, iniziando un altro discorso e archiviando l'argomento passato: "Brenda, credi che la W.I.C.KE.D. inizierà a obbligarci a fare delle cose? A confonderci, a manipolarci, o roba del genere?"
"È per questo che dobbiamo trovare Hans." spiegò la ragazza, tornando stranamente calma, come se la voce di Thomas l'avesse appacificata. "Posso solo immaginare quello che farà la W.I.C.K.E.D. Ogni volta che li ho visti usare il dispositivo impiantato nella testa di qualcuno per controllarlo, quella persona si trovava vicino e sotto osservazione. Ma dato che voi state scappando e non hanno modo di sapere esattamente quello che state facendo, non correranno il rischio."
"Perché no?" chiese Newt. "Perché non ci costringono a darci una coltellata in una gamba o a incatenarci a una sedia finché non ci trovano?"
"Come ho detto, non siete abbastanza vicini." rispose Brenda. "Ovviamente voi gli servite. Non possono rischiare che vi facciate male o che moriate."
"Come hanno fatto fino ad ora, ovviamente. Sì, sono proprio certa che la nostra salute e sopravvivenza gli stia proprio a cuore." ribattei scuotendo la testa e smontando la sua teoria assurda. La W.I.C.K.E.D. non era nè premurosa nè attenta nel rispettare le vite altrui, non lo aveva mai fatto e avevo imparato che non sarebbe mai potuta cambiare.
"Scommetto che hanno mandato uno stuolo di persone a cercarvi. Quando saranno abbastanza vicini per osservarvi, allora forse inizieranno a manipolarvi. E ho la netta sensazione che lo faranno; è per questo che dobbiamo assolutamente andare a Denver." continuò Brenda, ignorando la mia riflessione.
"Ci andremo e basta. E suggerirei di aspettare un centinaio d'anni prima di fare un'altra riunione." propose Thomas, lanciando uno sguardo a Minho.
"Bene così." rispose Minho. "Sono con te." 
Scossi la testa, ma alla fine accettai anche io, subito seguita da Stephen. Ero stanca di discutere su cose che alla fine avevamo già deciso.
Tutti guardammo Newt, proiettando la nostra attenzione su di lui in attesa della sua presa di iniziativa. "Io sono uno Spaccato." disse il ragazzo più grande, con una tale calma e leggerezza che mi sconbussolò.
Da quando in qua si definiva uno Spaccato? Lui non lo era! Non ancora, almeno. E per di più era ancora nostro amico e lo sarebbe stato a lungo, perciò quale cacchio di scusa era quella? Sono uno Spaccato, perciò non decido? 
"Newt cosa..." feci per iniziare, ma il ragazzo mi rivolse uno sguardo di fuoco, per poi riprendersi subito e aggiungere: "Quello che penso io non conta un accidente." mormorò lasciandosi cadere a terra e assumendo un'espressione dura, come se lo avessimo appena insultato o offeso.
"Possiamo farvi entrare in città." si intromise Brenda, ignorandolo. "Almeno abbastanza a lungo per dare a Hans il tempo di lavorare sulla vostra testa. Dovremo solo stare molto attenti a tenervi lontani da..."
Newt si alzò in piedi di scatto e colpì il muro dietro la poltrona con un pugno, spaventandomi e allarmandomi a tal punto che riuscii a sentire il mio cuore fermarsi per un attimo per poi riprendere a battere ancora più velocemente. 
"Prima di tutto, non ha nessuna importanza se io ho quel cacchio di affare nel cervello, tra non molto avrò comunque superato l'Andata. E non voglio morire sapendo di essermene andato in giro per una città popolata di gente sana e di averla contagiata."
"Newt, non essere così negativo..." mormorai facendo un passo verso di lui. 
"E tu non essere così positiva, diamine. Ho la cacchio di Eruzione, accettalo e basta." controbatté duro.
Sbattei le palpebre, sentendomi improvvisamente ferita, ed indietreggiai di un passo. Sentii gli sguardi di tutti fissi su di me e le mie guance presero fuoco, facendomi sentire ancora di più a disagio. Newt intervenne subito a rimediare anche quella situazione, lanciando uno sguardo di fuoco a tutti e aggiungendo. "Be', voi invece non svenatevi per cercare di convincermi a venire con voi." disse con un grugnito, facendosi sempre più scuro in volto.
Era triste da dire, ma Newt non sarebbe mai potuto entrare a Denver con noi perchè, come aveva spiegato Brenda, la città imponeva sia ai cittadini che ai nuovi arrivati numerosi test per capire chi fosse infetto e chi no, quindi anche se fossimo riusciti a farlo entrare in qualche modo, il ragazzo probabilmente non sarebbe stato al sicuro neanche all'interno della città. Quindi l'unica soluzione era quella di lasciarlo dentro la Berga. Ed era ovvio che io sarei rimasta con lui, dopotutto che problema c'era? Minho e gli altri erano abbastanza intellingenti e indipendenti per riuscire a trovare da soli i nostri amici, non gli serviva mica il mio aiuto!
"Rimarrò sulla Berga mentre voi andate in città." continuò Newt, riempendo nuovamente il silenzio di imbarazzo che si era venuto a creare nella stanza.
Sentii un'altra fitta al cuore. Io non lo avrei abbandonato così semplicemente. Non così, non ora che aveva bisogno dei suoi amici più che mai.
Poi, rivolgendo a tutti un'ultima fredda occhiata, il ragazzo si voltò e se ne andò come una furia, scomparendo dietro l'angolo che portava all'area comune.
"È andata bene." mormorò Minho. 
Alzai un sopracciglio e lo guardai con disgusto. Come faceva a scherzare anche per cose del genere? "Minho, non..."
"Mi pare di capire che l'Adunanza è finita." constatò Thomas in modo freddo, quasi scocciato.
Scossi la testa e mi morsi il labbro. L'ultima volta che Newt aveva reagito così e avevo provato ad andare a parlargli la situazione era peggiorata più di prima, quindi forse non era saggio seguirlo per andare a chiarire alcune cose.
Brenda aggrottò le sopracciglia, poi si rivolse a Thomas. "State − stiamo − facendo la cosa giusta."
"A me invece non pare." mormorai scocciata. Di certo gli altri erano convinti che lasciare Newt da solo in una Berga per chissà quanti giorni sarebbe stata un'ottima idea. Ma erano cechi o solo rincaspiati? Abbandonarlo da solo, dentro ad un affare sconosciuto, era l'equivalente di dirgli 'Ehi, Newt. Ora che sei uno Spaccato non ci sei utile. Meglio che rimani qui dentro da solo a riflettere su come la tua mente ti stia lentamente abbandonando.'
Come caspio faceva Brenda a dire che stavamo facendo la cosa giusta? Abbandonare un amico per andare a cercare coloro che ci avevano abbandonato in una città sconosciuta.
E poi che senso aveva andare per farci rimuovere il chip quando Newt non poteva farlo con noi? Lui sarebbe stato comunque controllabile, come facevamo a prevedere con sicurezza che la W.I.C.K.E.D. non lo avrebbe usato come strumento per riuscire a catturare tutti noi?
"Non credo che si possa più parlare di giusto o sbagliato." disse Thomas, in modo apatico. "Solo di orribile, e di non così orribile."
Detto ciò si alzò in piedi con le mani infilate dentro le tasche e, strascicando i piedi a terra, lasciò la stanza.




 

"Siete pronti?" chiese Brenda, squadrandoci tutti. 
Ci siamo. Pensai nella mente. E' arrivato il momento.
Tutti erano schierati davanti al portellone della Berga, ancora chiuso, frementi di uscire; tutti tranne me e Newt, che eravamo rimasti in disparte.
Il ragazzo biondo non aveva parlato tanto dopo il suo attacco di rabbia, ma ci eravamo scambiati diversi sguardi ed ero riuscita a capire che si era calmato abbastanza, ma non aveva ancora voglia di parlarne. Presi un profondo respiro e quasi automaticamente presi la mano di Newt, incrociando le mie dita alle sue e sentendomi immediatamente meglio quando il ragazzo ricambiò la stretta.
Potevo sentire il mio cuore battere forte nel petto, come se volesse uscire; avevo la gola secca, con la lingua tremante per la notizia che stavo per annunciare; ero sicura di avere il volto rosso per la timidezza, in quanto non mi ero mai distaccata dal gruppo di mia iniziativa, evitando di prendere parte ad una avventura con loro. 
Dopo pochi secondi, il portellone della Berga emise un suono metallico e poi iniziò ad aprirsi lentamente, lasciando entrare dei fili di luce accecanti e caldi.
Dovevo ammettere che il caldo secco della Zona Bruciata non mi era mancato affatto. Pensavo che sarebbe stato bello rivedere il sole dopo tante settimane passate tra i grigi corridoi della W.I.C.K.E.D., ma ora che effettivamente potevo sentire le onde solari battere potenti a poca distanza da noi, subito cambiai idea.
Quando la rampa calò abbastanza, Brenda mosse il primo passo, avanzando sicura su di essa e una volta arrivata al bordo fece un piccolo balzo per arrivare a terra. Thomas fu il secondo ad uscire, seguendo la ragazza come un cagnolino in cerca di cibo.
Sentii i passi di Jorge uscire dalla cabina di pilotaggio e raggiungerci in fretta, poi anche lui balzò fuori dalla Berga.
Vidi Minho lanciarmi uno sguardo strano, quasi come se fosse triste, ma stesse fingendo divertimento, poi mi disse: "Forza, piccioncini." poi aggiunse. "Bambolina, dagli il bacio di addio che si merita e poi usciamo."
Raccogliendo tutto il coraggio e la sicurezza in me, scossi la testa in modo fermo, riuscendo a sostenere lo sguardo dubbioso che si creò sul volto del ragazzo asiatico. "Oh, andiamo. Non fare storie. Dobbiamo entrare a Denver."
Scossi nuovamente la testa, ora sentendo anche lo sguardo di Stephen puntato su di me. "Voi dovete entrare a Denver." specificai, parlando con voce più ferma di ciò che credevo. "Io resto qua, con Newt." aggiunsi, aumentando la stretta attorno alla mano del ragazzo.
"Aspetta cosa?" domandó Newt confuso.
"Esatto..." concordò Minho. "Cosa?"
"Ho detto che potete andare anche da soli a Denver. Io voglio restare qui." ripetei, sentendo l'ansia montare in me.
"Non se ne parla neanche." borbottò Newt preoccupato. "Io non..."
"Io non ti lascio da sola con lui." lo interruppe Stephen. "Nessuna offesa, amico, ma so cosa è successo l'ultima volta che è rimasta da sola con te in una stanza, e questa volta non ci sarà nessuno a fermarti."
Spalancai gli occhi, scioccata dalle parole del ragazzo. Newt aveva reagito in quel modo brusco perchè io lo avevo fatto innervosire e di certo ora che sapevo ciò che lo aveva infastidito, sarei stata molto più attenta a come mi comportavo con il biondino. "Stephen, come puoi dire una cosa del..."
"No, ha ragione." intervenne Newt. "Eli, te l'ho già detto: non posso proteggerti da me stesso. O meglio, non posso proteggerti dallo Spaccato che è nella mia testa."
"Non mi interessa. Mi so difendere da sola, caspio." replicai dura, stringendo ancora più forte la mano di Newt.
"Oh, sì, ho visto." ribatté Stephen sorridendomi ironico. "E le impronte rosse che avevi sul collo ne sono la prova."
Strinsi la mascella, rivolgendo al ragazzo uno sguardo di fuoco e allargando le narici per la rabbia. "E' la mia decisione. Non potete costringermi a venire."
"Oh, invece sì che possiamo." controbattè Stephen, facendo un passo in mia direzione.
Di conseguenza indietreggiai, obbligando così Newt a seguirmi. Lo avevo giurato. Avevo giurato che chiunque avesse provato a toccarmi per trascinarmi fuori dalla Berga sarebbe morto. 
"Non osare." dissi fredda, stringendo la mano libera in un pugno.
Stephen mi osservò a lungo, con un'espressione indifferente, come se mi stesse anallizando a fondo, poi si accovacciò accanto alla sorellina che teneva per mano e le circondò le spalle. "Hailie, fai la brava bambina e vai fuori. Io ti raggiungo subito, okay?" mormorò sorridendole incoraggiante.
Approfittando di quel momento di distrazione da parte del ragazzo, lanciai uno sguardo implorante verso Minho. Era stato lui stesso a dirmi di non lasciare Newt da solo. Era stato lui! Lui aveva capito la situazione e aveva compreso i miei sentimenti, ora non poteva rimangiarsi tutto e permettere a Stephen di allontanarmi da Newt. 
"Mi dispiace," mormorò il Velocista, con un tono basso, quasi come se si sentisse in colpa nel dire quella frase. "ma devi venire. Stephen ha ragione e anche Newt ne è consapevole. Credimi è per la tua sicurezza."
La mia sicurezza? Urlai nella mia mente, sentendo il sangue ribollirmi nelle vene. E quindi preferite lasciarmi impazzire lentamente di preoccupazione perchè abbiamo abbandonato Newt in una caspio di Berga da solo?
"Non puoi." mormorai sentendo le lacrime raggiungere i miei occhi. Le ricacciai indietro bruscamente e aumentai il volume della voce. "Hai presente il discorso che mi hai fatto ieri, vero? Quindi ora ti rimangi tutto così semplicemente? No, bello mio, così proprio non funziona." lo attaccai, sentendo un grido di rabbia salirmi lungo la schiena, raggiungendo la mia gola dove però lo soffocai a fatica.
Alzai lo sguardo verso Newt e lo vidi teso, combattuto. Sapevo che anche lui mi voleva accanto a sè, ma allo stesso tempo era spaventato all'idea di perdere il controllo e farmi male. "Newt, ti prego." lo implorai, sentendo i miei occhi farsi umidi di nuovo. "Ti prego, ti prego, ti prego, lasciami rimanere qui insieme a te. Prometto che non succederà di nuovo quello che è già accaduto."
Lo sguardo del ragazzo si addolcì e sentii la sua mano appoggiarsi delicata sulla mia guancia, accarezzandola con premura. "Non dipende da te, Eli. E neanche da me." spiegò dolcemente. "E' una cosa che purtroppo non riesco a controllare e non voglio che tu mi veda in questo stato o che peggio tu ne subisca gli effetti." aggiunse. "Ma sia chiaro, questo non è un vero e proprio addio. Andrete a Denver, troverete i nostri amici, toglierete dai vostri cervelli quel caspio di chip e poi tornerete qua da me."
"Ma... Ma si tratta di giorni o... o settimane! Non sappiamo quanto staremo lì dentro. Io non posso lasciarti qui da solo." ribattei. "Non voglio."
"Oh, andiamo. Non mi annoierò di certo!" replicò il ragazzo biondo, ridacchiando genuinamente. "Al massimo posso leggermi le modalità d'uso del caspio di telecomando per aprire la Berga. Sono sicuro che sia una lettura molto interessante e ricca di colpi di scena."
Soffocai un sorrisetto e abbassai lo sguardo. Sentii le mie lacrime spingere contro le palpebre per uscire e mi fiondai sul corpo di Newt, abbaracciandolo e stringendomi a lui. 
Non volevo andarmene, non volevo... 
Affondai il mio volto nella sua maglietta ed inspirai a fondo il suo buon odore, riuscendo almeno in parte a calmare il mio affanno. Sentii la sua mano posarsi velocemente sulla mia testa ed iniziare ad accarezzare i miei capelli, come per tranquillizzarmi, poi mi lasciò un bacio silenzioso sulla fronte e mi allontanò delicatamente da lui.
"Sono solo pochi giorni." mi rassicurò. "Sono sicuro che soppravvirai."
Non è la mia sopravvivenza che mi importa. Pensai sentendo un groppo in gola.
Poi il biondino guardò qualcuno dietro le mie spalle e gli fece un cenno veloce con il mento. Senza neanche avere il tempo di girarmi, sentii delle mani afferrami per i fianchi e sollevarmi da terra. Spalancai gli occhi, improvvisamente confusa, e passarono diversi secondi prima che mi rendessi conto di cosa fosse effettivamente successo: Minho, utilizzando la sua abilità da Velocista, si era avvicinato silenziosamente a me e poi mi aveva messo in spalla, come un sacco di patate, camminando in modo veloce e sicuro verso l'apertura della Berga.
"No!" gridai iniziando a scalciare e a spingere per liberarmi dalla sua presa. "Minho, no! Ti prego, no!"
Mi dimenai con tutte le forze, urlando e scalciando come una forsennata. Sentii il sole bruciarmi i vestiti e capii che mancava poco all'uscita per il portellone. Strinsi la mascella e facendo forza con le mie braccia sulla schiena di Minho, mi spinsi oltre la sua spalla, riuscendo per miracolo a scivolare via dalla sua presa.
Caddi violentemente a terra, sbattendo la testa su una delle giunture sporgenti del portellone e sentendo la fitta propagarsi immediatamente sul resto del collo, raggiungendo persino la schiena, che si contorse in un brivido. Accantonando il dolore mi misi a gattoni e provai a fare qualche passo in avanti, ma subito delle mani mi afferrarono per le braccia, trascinandomi nuovamente all'indietro. Gridai e mi dimenai nuovamente, cercando in tutta quella confusione lo sguardo di Newt. Quando finalmente lo incrociai, rimasi delusa: il ragazzo non aveva mosso un muscolo, e nonostante fosse visibilmente preoccupato per me, non accennava a voler far nulla per aiutarmi. Sarebbe bastata anche solo una parola o una frase, ma lui non fece nulla. Osservò la scena e basta.
Abbassai lo sguardo e puntai i piedi a terra, convinta di non voler demordere e sentii i miei talloni battere forti su ogni giuntura della rampa. Gridai il nome di Newt e quando sollevai nuovamente gli occhi vidi la sagoma del ragazzo muoversi dentro la stanza. Una piccola speranza si accese in me, rendendomi fiera di non essermi arresa del tutto. 
Sapevo che non mi avrebbe lasciata andare così semplicemente. Pensai sollevata, ma quando osservai meglio la sua figura, capii di essermi sbagliata: il ragazzo non si stava muovendo verso di me, ma nella direzione opposta. Quando il suo corpo scomparve oltre l'angolo del corridoio, giurai di aver sentito il mio cuore esplodere: Newt mi aveva voltato le spalle e se ne era andato.
Se ne era andato.
Sentii la tristezza invadermi il corpo e ferita da ciò che avevo appena visto smisi di opporre resistenza e mi lasciai trascinare fuori dalla Berga, ora grata a quelle braccia che mi stavano sorreggendo poiché erano l'unica cosa che mi impediva di cadere a terra.

*Angolo scrittrice*
Woh, capitolo abbastanza lungo.
Evito di aggiungere altre 3000 parole e mi limito a scusarmi per il ritardo della pubblicazione. Spero che questo capitolo sia valso l'attesa (l'ho fatto più lungo proprio per farmi perdonare).
Baci dalla vostra
Inevitabilmente_Dea ♥

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Capitolo 40
*** Capitolo 40. ***


Sbattei le palpebre più volte, scossa da ciò che era appena accaduto. Sentii il respiro mancarmi nei polmoni e la mia vista si annebbiò; inizialmente pensai che fosse per colpa della luce del sole, dato che quest'ultimo ci stava inondando con i suoi raggi caldi, ma solo quando sentii qualcosa di umido bagnarmi le guance, allora capii che il merito per quella vista così sfocata andava solamente alle mie lacrime. Come era possibile che Newt se ne fosse andato semplicemente così? Non potevo crederci.
Continuai a fissare il portellone della Berga a lungo con occhi e mente vuota, anche dopo che questo si chiuse definitivamente. Non riuscivo a pensare ad altro che non fosse il modo in cui Newt se ne era andato, abbandonandomi nelle braccia dei suoi amici come se fossi comportata da bimba capricciosa. Perchè non capiva che volevo rimanere per lui, che aveva bisogno di me per non restare solo?
Percepii le lacrime scorrere dentro il mio corpo, raggruppandosi tutte dietro agli occhi e dentro la gola, impedendomi anche di respirare, e solo quando sentii delle braccia attorcigliarsi attorno alla mia schiena per sorreggermi venni riportata bruscamente alla realtà. Distolsi lo sguardo dalla Berga e mi focalizzai sul volto che si era situato a nemmeno un palmo di distanza dal mio. Sbattei le palpebre per la millesima volta, cercando di cancellare le lacrime e l'offuscamento che queste avevano causato, ma non appena capii di chi fosse quel viso familiare, mi rimase semplice cancellare la tristezza e rimpiazzarla con della pura rabbia.
Serrai la mascella, allargando le narici ed espirando profondamente.
"E' per il tuo bene." mi sussurrò Stephen, utilizzando il suo zigomo per asciugare una lacrima ancora umida sulla mia guancia. Non appena entrai in contatto con la sua pelle, non riuscii più a contenermi: mi distaccai immediatamente e lo spintonai all'indietro in modo brusco, suscitando un urletto da parte di Hailie; gli lanciai un'occhiataccia di disgusto e scossi la testa.
"Tu non sai cosa sia bene o male per me. Tantomeno per Newt." replicai furiosa e, non volendo neanche ascoltare la sua risposta, mi voltai di spalle, aumentando il passo per superare tutti e starmene un po' per i fatti miei in modo di calmarmi.
Sentii i richiami da parte di Stephen e di Minho, ma li ignorai entrambi dato che era anche e soprattutto colpa loro se ora Newt impazziva lentamente da solo dentro una Berga. 
Ormai non c'era modo di rientrare dentro quell'aggeggio meccanico, perciò ero decisa a non sprecare tempo ed entrare a Denver il più velocemente possibile: prima avremmo risolto le nostre questioni dentro la città, prima saremmo tornati da Newt.
Continuai a camminare a grandi falcate e in pochi secondi mi ritrovai sotto l'ombra causata dal grande muro di cemento che isolava Denver. Alzai lo sguardo su di esso, per ammirarne l'immensità ed ebbi un attimo di esitazione, frenata dal mio pessimo presentimento: quelle mura mi ricordavano quelle del Labirinto e tutte le cose brutte che lo avevano riguardato.
Scossi la testa, scacciando quella brutta immagine dalla mia testa: ero già troppo di pessimo umore per pensare alle bellissime e serene memorie che avevo dei Dolenti.
Assottilgliai gli occhi e solo allora notai le gigantesche porte che si ergevano davanti a me e che davano accesso alla città.
Sentii i passi dei miei compagni raggiungermi in fretta e quando finalmente arrivarono al mio pari, si sentì un ronzio elettronico, seguito da una voce femminile. "Dichiarate il vostro nome e la professione."
Alzai un sopracciglio, ricordandomi immediatamente di non sapere cosa rispondere: Jorge non ci aveva informato riguardo alle nostre false identità.
Come se mi avesse letto nel pensiero, il pilota di Berga mi afferrò un braccio e mi trascinò dietro di lui, facendosi avanti e prendendo la parola: "Mi chiamo Jorge Gallaraga, e questi sono i miei collaboratori: Brenda Despain, Thomas Murphy e Minho Park. Siamo qui per raccogliere delle informazioni e fare dei collaudi. Io ho il brevetto da pilota di Berghe. Ho tutta la documentazione con me, ma può controllarla lei stessa." detto ciò con voce molto alta, l'uomo tirò fuori delle tessere dalla tasca posteriore e le sollevò verso la telecamera nel muro. "Loro invece..." aggiunse subito, indicando me, Stephen e Hailie. "Sono Stephen e Hailie McLaren, mentre lei é Elena Reed. Li abbiamo incontrati durante una sosta e li abbiamo accompagnati fino a qua. Prima di perdere il lavoro a causa dell'Eruzione esercitavano la professione di infermieri. Sono immuni, ma questo lo potrete constatare voi stessi."
"Attendete, prego." ordinò la voce. Trattenni il respiro e rimasi in silenzio ad ascoltare il mio cuore battere vivace e pensate dentro le mie orecchie. Ero sicura che qualcosa sarebbe andato storto come sempre, magari quella donna avrebbe potuto far scattare l'allarme da un momento all'altro; delle guardie sarebbero corse fuori e ci avrebbero rispedito alla W.I.C.K.E.D. con tanta velocità che avremmo solo avuto il tempo di dire 'Dolente' prima di ritrovarci rinchiusi nella stanza bianca, o peggio. Aspettai per diversi secondi, infastidita dal sudore che scendeva a gocce sul collo, ma troppo ansiosa e terrificata di quello che sarebbe potuto accadere per riuscire ad asciugarlo.
Una serie di scatti, seguiti da un potente tonfo, scossero l'aria, facendomi sussultare di paura, poi una delle porte di ferro si aprì verso l'esterno, con i cardini che cigolavano. Thomas sbirciò attraverso la fessura che si allargava a poco a poco e tirò un sospiro di sollievo: probabilmente si aspettava come me di trovare qualche brutta sorpresina al di là della porta.
"Andiamo." ordinò Jorge, muovendosi per primo oltre la porta, come se fosse una cosa ormai quotidiana per lui. Seguii gli altri ragazzi con passo titubante, ma non appena varcai la soglia capii che in realtà non c'era nulla di cui preoccuparsi: lo stretto corridoio dall'altra parte era deserto e in fondo c'era un altro muro enorme con un'altra porta a due battenti, che però sembrava più moderna, e diversi schermi e pannelli incassati nel cemento alla nostra destra.
Sentivo i passi rumorosi di Jorge, Thomas, Minho e Brenda davanti a me, mentre il respiro pesante di Steph mischiato a quello veloce e leggero della sorellina mi stavano seguendo da poca distanza. 
Continuai a camminare lungo il corridoio fino al muro successivo, dove mi fermai imitando gli altri. Da vicino, gli schermi e i pannelli che avevo visto da lontano sembravano complessi.
Jorge premette un pulsante su quello più grande e iniziò a inserire i nostri nomi e i numeri identificativi falsi. Digitò altre informazioni, poi inserì le tessere con i nostri dati in una grossa fessura. 
Attendemmo in silenzio mentre i minuti passavano, e l'ansia di tutti cresceva secondo dopo secondo. Cercai di nascondere la mia agitazione, ma più i minuti di attesa passavano, più capivo che qualcosa doveva essere andato storto e che restare lì ad aspettare era stato un grosso errore. Saremmo dovuti andare in un posto con meno controlli, o avremmo dovuto provare a entrare in città di nascosto. Quelle persone si sarebbero comunque accorte che stavamo mentendo. Forse la W.I.C.K.E.D. aveva già avvertito le autorità di cercare dei fuggitivi.
Poi, la voce femminile parlò ancora, facendomi tornare immediatamente attenta e rigida: "I documenti sono in ordine. Raggiungete la postazione per il test virale, per favore."
Jorge si spostò a destra e sul muro si aprì un pannello, da cui vidi uscire un braccio meccanico. Era uno strano congegno con delle specie di orbite oculari. Jorge si piegò in avanti tranquillamente e, come se fosse una pratica da tutti i giorni, premette il viso contro l'apparecchio. Non appena i suoi occhi si allinearono alle orbite, spuntò un sottile filo metallico che gli punse il collo. Si sentirono diversi sibili e qualche clic, poi il filo si ritrasse e Jorge si spostò. L'intero pannello ruotò rientrando nel muro, e il dispositivo che aveva usato Jorge scomparve, rimpiazzato da uno nuovo esattamente identico.
"Il prossimo." annunciò la donna. Brenda si scambiò uno sguardo preoccupato con Thomas, poi si avvicinò all'apparecchio e ci si appoggiò. Il filo le punse il collo, il dispositivo emise un sibilo, fece un clic, ed era finita. La ragazza si spostò e fece un sospiro, visibilmente sollevata.
"È passato molto tempo dall'ultima volta che ho usato uno di quegli affari." sussurrò a Thomas. "Mi rendono nervosa, come se di colpo potessi scoprire di non essere più immune."
"Il prossimo." disse di nuovo la donna. Minho si sottopose alla procedura. Poi Thomas. 
Quando l'affare metallico spuntò per la millesima volta dal muro e la donna annunciò di procedere, mi sentii abbastanza sicura di avanzare e sottopormi a quel test. Mi avvicinai al pannello per il test, mi chinai in avanti e posizionai gli occhi nello spazio apposito, imitando passo per passo i movimenti compiuti precedentemente dai miei amici. Ero terrorizzata dal fatto che se avessi sbagliato qualche passaggio il test sarebbe risultato positivo all'Eruzione. Mi preparai mentalmente al dolore del filo, ma mi accorsi a malapena della puntura sul collo, tanto ero più concentrata sul controllare la mia ansia.
L'unica cosa che vidi nel dispositivo furono dei lampi di luce colorata, poi sentii uno sbuffo d'aria che mi fece chiudere gli occhi e quando li riaprii era tutto buio.
Dopo qualche secondo, indietreggiai e lasciai il posto a Stephen e alla sorellina, sentendomi immediatamente più sollevata nell'essere riuscita a concludere qualcosa di importante senza fare guai.
Quando sia Stephen che Hailiei conclusero il test, la donna parlò di nuovo. "Siete risultati tutti negativi all'M.C.V. e la vostra immunità è stata confermata. Siete consci del fatto che le opportunità per persone come voi qui a Denver sono immense. Ma non fatevi troppa pubblicità per strada. Tutti qui sono sani e desenti dal virus, ma sono ancora in molti a non vedere di buon occhio gli immuni."
"Cos'è un M.C.V.?" sussurrò Thomas a Minho, che in cambio fece una smorfia e rispose: "E io come faccio a saperlo?"
"Minaccia di Contagio Virale." rispose Brenda prima che Thomas potesse chiederglielo. "Ma abbassa la voce. Chiunque non lo sa sembrerà sospetto qui."
Thomas aprì la bocca per dire qualcosa, ma un forte segnale acustico attirò l'attenzione di tutti, ricordandomi per un attimo il fastidioso allarme della W.I.C.K.E.D.
Le porte davanti a noi si spalancarono, mostrandoci un altro corridoio, con le pareti di metallo. In fondo c'era un'altra doppia porta chiusa. A quanto pareva a Denver piaceva creare infiniti corridoi, l'uno dietro a l'altro. Quanto ci sarebbe voluto ancora prima di entrare finalmente nella città e non in un altro stupido corridoio?
"Entrate nel detector uno alla volta, per favore." ordinò la donna. La sua voce sembrava averci seguiti anche lì. "Prima mister Gallaraga."
Jorge entrò nel piccolo spazio e le porte si chiusero dietro di lui. Alzai un sopracciglio e dato che nessuno sembrava voler fare la domanda che al contrario io mi stavo ponendo, decisi di chiederla ad alta voce: "Cos'è il detector?" 
"Serve a rivelare delle cose." tagliò corto Brenda, lanciandomi un'occhiataccia, come se la stessi infastidendo a tal punto che avrebbe preferito tagliarsi le corde vocali piuttosto che rispondere ad un'altra mia singola domanda.
Feci per risponderle a tono o per punzecchiarla, ma non ne ebbi il tempo dato che più velocemente di quanto mi aspettassi, sentii un altro segnale acustico e le porte si aprirono nuovamente. Jorge non c'era più.
Spalancai gli occhi e sbirciai all'interno della stanza. Dove diamine era finito?
"La prossima è miss Despain." annunciò la donna con tono ormai annoiato. Brenda fece un cenno a Thomas ed entrò nel detector. Circa un minuto dopo fu il turno di Minho. Il ragazzo guardò Thomas intensamente, poi me. "Se non ci vediamo dall'altra parte," disse contono sdolcinato, come se stesse recitando la parte di addio in un film. "ricordatevi che vi voglio bene." poi lanciò uno sguardo a Stephen e aggiunse. "Quello che ho detto non riguarda ovviamente te."
Stephen gli lanciò un'occhiataccia, ma nel suo volto non c'era traccia di fastidio o di disagio, solo un piccolo sorrissetto che mi fece capire che forse alla fine dei conti l'odio tra Minho e il ragazzo era più un gioco che una realtà. Minho oltrepassò le porte con un sorrisetto stampato in faccia e poco dopo, la donna fece il nome di Thomas.
Io e Stephen attendemmo in silenzio, senza spiccicare una parola. Poi la voce del ragazzo ruppe il silenzio. "Sei agitata?" mi domandò.
"No." mormorai scocciata, cercando di sembrare ancora arrabbiata per ciò che mi aveva fatto.
"Oh, allora sei ancora arrabbiata." continuò lui, ridacchiando.
"No." mormorai cercando di controllare la furia che stava ribollendo nuovamente dentro le mie vene. Quanto ci metteva quella cacchio di donna a chiamare il mio nome o quello di Stephen?
"Be' a vederti non si direbbe. Dovresti esprimere meglio le tue emozioni." mi punzecchiò, godendosi poi il mio viso contrarsi in una smorfia di disgusto.
"E tu dovresti imparare a farmi finire le frasi, pasticcino." sputai acida, incrociando le braccia al petto. "Io non sono ancora arrabbiata. Io sono furiosa, che è diverso."
Non appena finii di pronunciare quelle parole, si sentì un altro segnale acustico e la donna pronunciò il mio nome. Entrai immediatamente, senza esitazioni, cercando di evitare ogni altro commento da parte di Stephen, che invece si era limitato a fissarmi con occhi sbarrati, come se non si aspettasse una mia reazione del genere. Forse veramente non pensava che fossi arrabbiata? Be' se era stata una sorpresa per lui, probabilmente doveva imparare a capire meglio le emozioni altrui prima di agire e fare di testa sua incasinando tutto.
Non appena entrai, le porte mi si chiusero alle spalle, lasciandomi completamemnte al buio. Una folata di vento mi investì mentre diversi segnali acustici risuonavano a volume basso; poi le porte davanti si aprirono e vidi gente ovunque. 
Per un attimo mi sentii smarrita, ma non appena vidi i miei amici che mi aspettavano mi rilassai. Mentre li raggiungevo rimasi colpita dalla confusione intorno a me. Una folla di uomini e donne indaffarati - molti dei quali con un fazzoletto premuto forte sulla bocca − riempiva un enorme atrio con i soffitti alti in vetro, da cui si riversava abbondante la luce del sole. In un angolo intravidi le cime di molti grattacieli, anche se non somigliavano affatto a quelli della Zona Bruciata. Questi brillavano sotto la luce del sole ed erano in uno stato quasi perfetto, come se fossero stati costruiti da poco. 
Non avevo mai visto un paesaggio del genere e le memorie della mia vita prima della W.I.C.K.E.D. erano molto poche, quasi del tutto assenti, perciò per me era un panorama totalmente nuovo. Ero talmente impressionata e presa da tutto quello che c'era da guardare che quasi mi dimenticai di quanto, solo un attimo prima, fossi nervosa.
Sorrisi e feci un giro completo su me stessa, alzando il mento e ricevendo occhiate confuse dalle persone che mi passavano accanto. Non mi interessavano tutti quegli sguardi di disapprovazione e di certo non avrei smesso di fissare tutti quegli edifici solo perchè sembravo strana agli occhi degli altri, ma sfortunatamente la mia libertà di decisione durò poco, poichè sentii una mano afferrarmi il braccio.
Sussultai per un attimo spaventata, ma non appena vidi che si trattava solamente di Stephen – che con un braccio mi stava trascinando verso i nostri amici e con la mano libera teneva quella della sorellina –, passai ad una smorfia di fastidio.
"Non è stato poi così tremendo, vero muchachos?" chiese Jorge quando fummo tutti insieme.
"A me è quasi piaciuto." disse Minho ridacchiando.
"Cos'è questo posto?" domandò Thomas, interrompendo i pensieri di tutti. "Chi sono tutte queste persone?"
"Ehm, siamo a Denver e questi sono i cittadini." risposi scuotendo la testa e sottolineando l'ovvio. 
"No, intendo... in che parte della città siamo?" ripetè Thomas, allungando il collo verso le mura che avevamo appena oltrepassato.
Feci spallucce e guardai verso Brenda e Jorge in attesa di una loro risposta. Questi due sembravano quasi imbarazzati di trovarsi con noi, ma l'espressione di Brenda cambiò di colpo, lo sguardo le si velò di tristezza. "Continuo a dimenticarmi che avete perso la memoria." mormorò, poi allargò le braccia per indicare lo spazio intorno. "Si chiama centro commerciale. In pratica si estende lungo tutto il muro che circonda la città. Ci sono per la maggior parte negozi e altri esercizi pubblici."
"Non ho mai visto così tanti..." mormorò Stephen davanti a me, interrompendosi quasi subito e guardando qualcosa oltre la mia spalla con occhi preoccupati. Anzi, terrorrizati.
"Ehi!" sussurrò subito dopo Thomas, facendo un segno con la testa nella stessa direzione che stava fissando Stephen.
Spalancai le palpebre e feci per voltarmi fiutando odore di guai, curiosa e allo stesso tempo spaventata di scoprire ciò che aveva attirato l'attenzione di tutti, ma prima ancora che riuscissi a farlo qualcuno mi mise una mano sulla spalla, facendomi allarmare immediatamente. 
Senza neanche sprecare del tempo per capire chi fosse stato a fare quel gesto, mi voltai di scatto, con il pugno ben serrato e fermo in aria, pronto ad essere sganciato.
"Woh-woh-woh frena, ragazzina." disse allarmato lo sconosciuto. Alzai un sopracciglio e lo osservai attentamente, senza mai abbassare il pugno sollevato: l'uomo che mi stava parlando aveva indosso una giacca blu e il suo volto era privo di ogni espressione all'infuori del fastidio per la mia reazione affrettata. 
Scossi la testa e abbassai il pugno, rilassando e aprendo nuovamente le dita della mano. Nonostante quell'uomo sembrasse scontento e infastidito, non rappresentava una minaccia per noi, almeno non per ora. 
Infatti l'uomo, non appena si rese conto che avevo abbassato la guardia, perse ogni minimo interesse nei confronti dei miei amici e si rivolse solamente a me, parlandomi con voce bassa e uno sguardo serio che non fece altro che aumentare la mia curiosità. 
"Sappiamo che alcune persone sono fuggite dalla W.I.C.K.E.D. E a giudicare dalla Berga con cui siete arrivati, direi che voi fate parte di quel gruppo. Vi suggerisco vivamente di accettare il consiglio che sto per darvi. Non avete niente da temere, noi chiediamo solo un aiuto, e al vostro arrivo riceverete protezione." dichiarò con serietà, facendomi salire il cuore a mille. Feci per aprire la bocca e chiedere spiegazioni, ma l'uomo mi allungò un foglietto di carta ingiallita, porgendomelo, poi girò i tacchi e se ne andò senza aggiungere altro.
"E questo da dove salta fuori?" chiese Minho. 
"Cosa dice il biglietto?" domandò Stephen, prendendo Hailei in braccio e allungando il collo sopra la mia spalla per vedere meglio.
Senza attendere altre domande decisi di aprire quel bigliettino e leggerlo ad alta voce. "Dobbiamo incontrarci immediatamente. Faccio parte di un gruppo chiamato il Braccio Destro. All'angolo tra la Kenwood e la Brookshire, appartamento 2792." presi un piccolo respiro e poi passai lo sguardo sulla piccola parola scritta in modo maldestro nell'angolo inferiore del fogliettino. "Firmato, G..."
Spalancai gli occhi, sentendomi mancare l'aria. Se quello era uno scherzo, non era affatto divertente. 
"Firmato?" insistette qualcuno alle mie spalle. 
Mi portai la mano sulla bocca, sentendo gli occhi inondarsi di lacrime, poi alzai lo sguardo e fissai Minho, sentendo il mio volto perdere di colore. "È da parte di Gally."

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Capitolo 41
*** Capitolo 41. ***


Sentii la mia mente annebbiarsi assieme alla mia vista. Come era possibile? 
Gally era morto! Lo avevo visto io stessa esalare il suo ultimo respiro, avevo visto il suo corpo afflosciarsi, privo di vita. Non potevo essermi sbagliata e i miei ricordi non potevano essere sbagliati, una cosa del genere non si dimenticava facilmente. Se mi concentravo abbastanza, chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro, potevo ancora sentire l'angoscia di quel giorno, il rumore dei pugni di Thomas che si scagliavano furiosi contro il volto ormai sfigurato di Gally, l'odore pesante del suo sangue che cadeva a terra, macchiandola come inchiostro.
Anche se fosse sopravvissuto all'attacco furioso di Thomas, come avrebbe potuto sopravvivere anche solo un giorno in un posto del genere? Lontano da tutti e senza cibo né acqua: era un'impresa impossibile.
Forse stavo saltando qualcosa... Ero sicura che ci fosse una casella mancante in tutto quel casino. 
Nulla é mai come sembra... Mi venne da pensare. Dopo anni e anni passati sotto il controllo della W.I.C.K.E.D. avevo imparato a non fidarmi di nessuno, neanche di me stessa e dei miei sensi, perché ogni cosa poteva essere ingannevole.
Quindi forse Gally non era morto, era sopravvissuto in qualche modo.
Oppure... Pensai spalancando gli occhi terrorizzata. Forse tutto questo é merito della W.I.C.K.E.D. Forse é un altro dei loro stupidi test. 
Ci avevano già trovato? E se sì, perché non ci catturavano semplicemente? La W.I.C.K.E.D era talmente tanto attrezzata che ingegnare una trappola per prenderci era quasi banale.
Doveva esserci qualcosa... Qualcosa che non stavo prendendo in considerazione.
"Ehi, stai bene?" mi domandó Stephen, guardandomi con occhi preoccupati. "Sei molto pallida, sembra che tu stia per svenire da un momento all'altro."
Chiusi gli occhi e feci un debole cenno con la testa, non sapendo nemmeno io cosa questo significasse, poi scostai la mano di Stephen che si era appoggiata sulla mia spalla e camminai. Camminai semplicemente, abbandonando il foglietto nelle mani di Minho, che cercó di trattenermi senza però riuscirci.
Mi allontanai dal gruppo di pochi passi e fui sollevata quando notai che nessuno sembrava avere l'intenzione di seguirmi.
Dovevo stare un attimo da sola, senza nessuno che mi facesse domande o che cercasse di leggermi nella mente per capire cosa provassi dopo quel biglietto.
Ora la cosa più importante era decidere se andare o meno a quell'incontro.
Avevo direttamente scartato l'idea che fosse una trappola, dato che non era nello stile della W.I.C.K.E.D e non avrebbe avuto senso dato tutti i mezzi che avevano per catturarci.
Peró forse poteva essere un altro test, una prova o Variabile... Forse volevano testare come avrei reagito ad una cosa del genere e come il gruppo si sarebbe comportato di conseguenza. Tutti mi erano sembrati scossi dopo che avevo letto la firma nell'angolo dei biglietto, eccetto Brenda e Jorge che probabilmente non sapevano nemmeno chi fosse Gally.
Quindi forse saremmo dovuti andare? Se era veramente un test della W.I.C.K.E.D avrei probabilmente dovuto comportarmi in modo non prevedibile. Se non avessi saputo che fosse un test, cosa avrei fatto?
Probabilmente sarei andata all'incontro senza tanti problemi, quindi forse era questo che si aspettava la W.I.C.K.E.D da me e di conseguenza avrei dovuto agire al contrario e non andarci.
Ma sono talmente curiosa... Pensai mordendomi il labbro e analizzando il peggiore dilemma che fino ad ora mi ero posta. E poi se non é un test, ma é veramente Gally? Come diamine é venuto a sapere che eravamo a Denver? 
'Il Braccio Destro' recitava il foglietto.
Cosa diamine era un Braccio Destro? Una specie di associazione o... Un gruppo di ribelli?
Conoscendo Gally, potevo dire con certezza di quanto il ragazzo fosse determinato nel cacciarsi nei guai.
"Ehi, bambolina..." mormoró Minho alle mie spalle. Potevo sentire i suoi passi avvicinarsi a me, ma non mi girai per guardarlo in faccia. "Stai bene?"
Scossi la testa, mordendomi il labbro e girandomi finalmente verso il ragazzo. "No, Minho. Non sto bene per niente."
Il ragazzo storse la bocca e allungó una mano sulla mia spalla, battendoci sopra più volte. "Forse é solo uno scherzo." mormoró il ragazzo. "Non ti angosciare per nulla."
"E se fosse vero? I-Io l'ho visto morire, Minho." replicai sentendo le lacrime annebbiarmi gli occhi e ricacciandole indietro per la millesima volta.
"Tutti lo abbiamo visto." ribatté Minho, con un tono dolce, tranquillo, che non avevo mai sentito sulle labbra del ragazzo. "Ma dobbiamo andare in questo appartamento e scoprire la verità."
Distolsi per un attimo lo sguardo dagli occhi del ragazzo e li puntai distrattamente sul resto del gruppo, che nel frattempo stava dialongando in modo tranquillo.
Incrociai lo sguardo di Stephen e lo vidi pieno di preoccupazione e confusione. 
Cosa era giusto fare? Cosa era sbagliato?
Puntai nuovamente la mia attenzione su Minho e questa volta annuii senza esitazione, sbattendo gli occhi ripetutamente con l'intento di cancellare le ultime tracce di lacrime.
"Andiamo a scoprirlo." concessi, rivolgendo un debole sorriso a Minho, che ricambió con uno sguardo sollevato e mi circondó le spalle con un suo braccio.
"Questa é la mia ragazza." mormoró scompigliandomi i capelli e stritolandomi a lui in una morsa affettuosa che non ricevevo da tempo.
Quando raggiungemmo il resto del gruppo, Stephen mi rivolse un sorrosetto dubbioso. Annuii come a confermargli che ora stavo meglio, che la crisi che avevo avuto mi era passata e lui si dipinse di sollievo.
Ci mettemmo in marcia quasi subito, evitando di attirare troppo l'attenzione su di noi e per tutto il viaggio ognuno di noi restò in silenzio, tutti troppo presi dai propri pensieri e dubbi. 
Alla fine non ci fu bisogno di spiegare a Brenda e Jorge chi fosse Gally, poichè i due fecero più volte presente che - avendo lavorato alla W.I.C.K.E.D abbastanza a lungo - conoscevano ormai il nome di tutti i Radurai, specialmente quello di Gally che – secondo le parole dei due – 'aveva impersonato un ruolo di fondamentale importanza durante l'ultima prova del test del Labirinto'.
Non ci voleva un genio per capire che entrambi si stessero riferendo alla morte di Chuck e già il fatto che ritenessero quel ruolo di 'importanza fondamentale' non faceva altro che far accrescere il mio odio nei loro confronti. L'unica cosa di 'rilevante importanza' era solo che dopo quell'episodio, nessuno di noi Radurai era stato più lo stesso. 
L'unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento era l'immagine di Gally, privo di espressione e sentimenti, che scagliava il pugnale che aveva ammazzato Chuck, facendolo morire dissanguato sul pavimento mentre Thomas lo stringeva tra le braccia. Venni quasi risucchiata da tutti quei ricordi negativi, ma fortunatamente le immagini nella mia testa si fermarono a quando Thomas aveva perso la testa e si era scagliato su Gally, poichè vennero interrotte dalle parole di Brenda, che mi lasciarono spiazzata. 
"Non è possibile che sia lui." disse la ragazza.
"Perché no?" domandò Thomas con voce abbastanza angosciata. "Cosa gli èsuccesso dopo che ci hanno portato via? È..."
"Morto? No. Ha trascorso circa una settimana in infermeria, per rimettersi da uno zigomo rotto." 
Nel sentire quelle parole smisi di respirare e trattenni il fiato. Allora forse dopotutto poteva essere veramente Gally! 
"Ma quello non era niente in confronto ai danni psicologici." continuò Brenda. "Lo hanno usato per uccidere Chuck perché gli strizzacervelli pensavano che gli schemi potessero essere preziosi. Era tutto studiato a tavolino. Hanno spinto Chuck a farti da scudo." spiegó la ragazza rivolgendosi a Thomas.
Sbarrai gli occhi. Lo sapevo! Lo avevo sempre saputo eppure nessuno mi aveva mai dato ascolto. Sapevo che Gally non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, che quel giorno non era in sè.
Brenda proseguì. "La mente di Gally non è riuscita a sopportare quello che aveva fatto." disse Brenda. "È uscito completamente di testa e sono stati costretti ad allontanarlo. Di sicuro avranno pensato che nessuno avrebbe mai creduto alla sua storia."
"Allora perché pensi che non possa essere lui?" domandai, parlando per la prima volta dopo diverso tempo e interrompendo Thomas che ero sicura stesse per fare una delle sue domande. 
"Magari si è ripreso, qui ha trovato la sua strada." mormorò Brenda scuotendo la testa. "Senti, tutto è possibile. Ma io l'ho visto: era come se avesse l'Eruzione. Cercava di mangiarsi le sedie, sputava e urlava e si strappava i capelli."
"L'ho visto anch'io." aggiunse Jorge. "Un giorno ha eluso la sorveglianza. Si è messo a correre per i corridoi nudo, gridava a squarciagola di avere gli scarafaggi nelle vene."
Dopo quelle parole, sentii la saliva mancarmi in bocca. Come aveva potuto la W.I.C.K.E.D. causare una cosa del genere ad un povero ragazzo innocente e poi abbandonarlo come un cane randagio solo perchè ritenuto malfunzionante?
Chissà quanto aveva sofferto Gally nei mesi dopo il Labirinto. Potevo immaginarmelo rintananto in un angolino di una stanza spoglia, con le ginocchia al petto e le mani sulla testa, tormentato dalle colpe di ciò che era stato obbligato a fare, angosciato per il fatto di essere solo ad affrontare tutto quel pasticcio.
Purtroppo avevo constatato io stessa quanto dei semplici pensieri negativi potessero influire sulle persone, in particolare se si trattava di sensi di colpa. Uccidere un proprio amico contro la propria volontà e non avere la forza di opporsi al burattinaio... non potevo nemmeno immaginarmi come si sentisse il ragazzo.
"Chissà cosa intende per Braccio Destro." mormorò Minho sovrappensiero. 
Questa volta fu Jorge a rispondere. "Se ne parla ovunque. Si dice che sia un gruppo clandestino determinato a smantellare la W.I.C.K.E.D."
"Okay, sentite: questo non è il posto migliore in cui parlarne." annunciò Brenda. "Che ne dite di toglierci velocemente questa cosa dell'incontro con Gally e poi andarcene da Hans?"
"Be', in caso tu non l'abbia notato ci siamo già messi in marcia." puntualizzai. "Non ci possiamo mettere a correre per arrivare prima, daremmo troppo nell'occhio."
Brenda fece un sospiro esagerato. "Hai mai sentito parlare dei taxi?"


 

Il viaggio in taxi fu abbastanza breve. Non seppi dire se fosse per il fatto che me ne ero rimasta assorta tra i miei pensieri per tutto il tempo o se semplicemente la strada da percorrere era relativamente breve. In ogni caso non che mi importasse più di tanto: l'unica cosa che ora volevo fare era bussare alla dannata porta di quell'appartamento.
L'autista del taxi svoltò in un vicolo deserto e, dopo pochissimi metri, si fermò davanti a un palazzo di cemento alto almeno venti piani. 
Senza neanche aspettare che gli altri si muovessero, mi fiondai fuori dalla portiera, camminando veloce verso le prime scale che vidi collegate al palazzo. Non attesi nemmeno che gli altri mi raggiungessero e continuai a salire imperterrita, scalino dopo scalino. 
Arrivai ben presto al secondo piano e qui iniziai a contare.
2788, 2789, 2790... Lessi nella mente ogni numero di ogni porta, soffermandomi solo il giusto necessario e poi continuando la mia ricerca. 2791, 2792...
Dopo aver superato di poco l'ultima porta, frenai di colpo i miei piedi e tornai immediatamente sui miei passi, ritrovandomi da sola di fronte alla fatidica porta numero 2792.
Strinsi la mascella e mi accorsi improvvisamente di non riuscire a trovare il coraggio per bussare. E se fosse tutto uno scherzo o un test?
Sentii i passi dei miei amici raggiungermi in fretta, e i loro respiri affannati si accumularono alle mie spalle. "Vai veloce, hermana." borbottò Jorge strofinandosi via il sudore con il lembo della sua manica. 
Minho fischiettò, poi disse: "Che posticino accogliente."
Annuii incerta: ero pienamente d'accordo con il ragazzo, quel luogo era decisamente poco invitante e i mattoni grigiastri coperti di graffiti ai lati della porta, mi rendevano nervosa.
Brenda mi diede una leggera spintarella da dietro, facendomi sussltare invano. "Avevi tanta fretta, no? Ora bussa." 
Deglutii a fatica e, sentendo il mio respiro venire a mancare, tornai con l'attenzione sulla porta di legno dell'appartamento che era piena di crepe e sembrava fosse stata montata secoli prima, dato che le rimaneva solo qualche traccia sbiadita della vernice verde usata.
Sollevai la mano in aria, stringendola a pugno e conficcandomi le unghie sul palmo. Serrai gli occhi quando mi accorsi di quanto avrei voluto mettermi a piangere in quel momento. Tutto lo stress, l'ansia e la curiosità di scoprire chi c'era dietro quella porta –  se il vero Gally o una trappola.
"È una follia." sussurrò Jorge. "Una vera follia."
Sentii Minho ridacchiare, poi con sarcasmo disse: "Thomas gli ha fatto sputare sploff una volta, può farlo di nuovo."
"A meno che non esca come una furia." rispose Jorge. 
Roteai gli occhi al cielo. Non ci sarebbe stata nessuna lotta questa volta, non lo avrei permesso. "Vi dispiace chiudere la bocca?" ringhiai nervosa.
Poi, senza aggiungere altro, allungai la mano sulla porta e presa da un attimo di coraggio bussai due volte sul legno.
Distolsi immediatamente la mano, portandomela al petto e pensando a quello che avevo appena fatto: una cavolata. Cosa ci facevamo lì? Era stata una pessima idea presentarci all'incontro... Era ovvio che dentro quell'appartamento non ci fosse Gally! Lui era morto, lo avevo visto esalare l'ultimo respiro.
Trattenni il fiato e rimasi a fissare la porta chiusa, ascoltando il rumore del mio cuore che ora batteva forte contro il mio petto, aumentando la mia angoscia. Serrai nuovamente gli occhi e strinsi la mascella, impiegando tutta la mia forza di volontà per non scoppiare a piangere.
Non ero pronta. Non...
La porta si aprì e quando incrociai gli occhi del ragazzo che se ne stava davanti a me, con uno sguardo strano, illeggibile, mi sentii mancare.
"G-Gally..." mormorai sbattendo le palpebre e indietreggiando di un passo.
Era senza dubbio il ragazzo, o meglio, aveva le sue sembianze. Ma cosa mi diceva che non era un altro robot creato dalla W.I.C.K.E.D., come quello di Zart? Un altro Soggetto D che era stato programmato per confonderci e farci credere ancora una volta che gli amici che credevamo fossero morti erano in realtà in vita.
Rimasi immobile, a fissare il ragazzo alto e robusto, incredula a ciò che i miei occhi stavano osservando: il volto del ragazzo era completamente ricoperto di cicatrici in rilievo come sottili lumache bianche; l'occhio destro era gonfio e non sembrava una cosa momentanea; il naso era completamente storto.
Sbattei gli occhi più volte e continuai a pensare che tutto quello non fosse possibile e che il ragazzo che mi si poneva davanti non era affatto Gally, ma solo una copia rovinata.
Eppure quelle cicatrici sul suo volto erano così reali...
"Sì," rispose il ragazzo con voce roca, rivolgendomi un sorrisetto stanco. "sono proprio io." mormorò poi. "Mi fa piacere vedere che sei sana e salva."
"Gally?" domandai, sentendo la mia stessa voce tremare, sempre più incapace di contenere le mie emozioni. "C-Come..." feci per dire, ma il ragazzo mi interruppe subito: "Come sono vivo? Oppure come faccio ad essere qui?" chiese osservando uno ad uno tutti i compagni alle mie spalle. "Tutte domande utili, certo, a cui però sarò felice di rispondere una volta che sarete entrati. Qui fuori è troppo pericoloso." spiegò guardandosi attorno in modo sospetto e poi facendosi da parte e spalancando completamente la porta, dandoci così il permesso di entrare.
Sentii il mio cuore battere all'impazzata e i miei occhi farsi sempre più appannati. Non era possibile. Io lo avevo visto... Lo avevo visto morire, ne ero sicura!
Come facevo a sapere che la persona che mi si poneva davanti era il vero Gally, quello della Radura, il mio migliore amico? 
Rivederlo davanti a me dopo tutto quel tempo passato con la convinzione che fosse morto era un vero colpo al cuore. Solo in quel momento mi resi conto di quanto mi fosse mancato e di quanto avessi bisogno di un abbraccio da parte sua, in memoria dei vecchi tempi.
Ma sapevo anche di non poter fare ciò, dato che ogni mia mossa azzardata avrebbe potuto far scattare una possibile trappola ingegnata dalla W.I.C.K.E.D.
Con la coda dell'occhio vidi Thomas fare un passo in avanti, con l'intento di entrare nell'appartamento, ma sollevai immediatamente un braccio e lo fermai, impedendogli così di proseguire.
"No." mi opposi in modo freddo, ricacciando indietro le lacrime e sforzandomi di non tremare mentre squadravo Gally e cercavo invano di leggere il suo sguardo. Ci ero già caduta una volta in quel tranello, non intendevo farlo di certo due volte. "Come faccio a sapere che sei veramente tu?"
Lui sollevò le sopracciglia, sinceramente sorpreso dalla mia domanda. "Come, scusa?"
Presi un profondo respiro. Avevo bisogno di sapere subito se era il vero Gally. Non riuscivo più a resistere, a contenermi. "Ho detto: come faccio..."
"Sì, quello l'ho capito." mi interruppe lui. "Io intendevo... perchè mi domandi una cosa del genere? Voglio dire, sono io Gally! Quante altre persone hai visto con questa faccia?" mormorò indicandosi con un dito tutto il viso pesantemente sfregiato.
"Oh, credimi." sorrisi in modo sforzato, mordendomi il labbro e sentendo la mia voce diventare sempre più traballante ad ogni parola. "Ho visto un robot prendere le sembianze di Zart nonostante lui sia morto, quindi voglio essere sicura che tu sia veramente tu." ribattei incrociando le braccia, nella speranza che nessuno notasse il tremore delle mie mani, e attendendo una risposta da parte del ragazzo. "Dimmi qualcosa... Qualcosa che sappiamo solo io e te."
Il ragazzo si guardò attorno imbarazzato, poi sollevò un braccio dietro la testa e si grattò la nuca, schiarendosi la gola. "Ehm... Okay." bisbigliò tra sè e sè, prendendosi qualche attimo di silenzio per pensare. "Ce l'ho: la prima volta che ci siamo incontrati tu mi sei venuta a sbattere addosso."
"Troppo semplice." sentenziai immediatamente. "Dimmi altro."
Gally sollevò un sopracciglio, poi aprì la bocca e si leccò le labbra screpolate, pensando a qualcos'altro da riferirmi. Quell'attesa mi stava divorando. Feci per incitarlo a dirmi qualcosa, qualsiasi cosa, poi vidi il suo sguardo illuminarsi e la sua espressione farsi più divertita, quasi come se stesse per dire qualcosa che era sicuro mi avrebbe dato fastidio, quindi decisi di tacere. "Quando ti ho baciata per la prima volta tu mi hai respinto e io me ne sono andato imbronciato come un bambino." sentenziò il ragazzo, facendomi arrossire violentemente. 
Dopo che lui finì di parlare, sentii un singhiozzo salirmi in gola e questa volta non mi trattenni più, gettandomi immediatamente tra le braccia del ragazzo e prendendo a piangere come una mocciosa. Serrai le labbra tra di loro, cercando di contenermi almeno un po', ma ogni mio tentativo fu vano. Ora che sapevo per certo che fosse Gally, non aveva più senso trattenermi o cercare di nascondere il sollievo che provavo nel rivederlo così vivo.
Era una sensazione così lacerante, un mix tra felicità per riaverlo di nuovo insieme a me, sollievo nel sapere che stava bene e che non si trovava in pericolo ed infine disperazione per non aver scoperto tutto ciò prima. Stritolai il ragazzo tra le mie braccia, sentendolo indietreggiare di qualche passo per non perdere l'equilibrio, poi le sue grosse mani da Costruttore si posarono sulla mia schiena, lasciando al loro passaggio delle dolci e leggere carezze che non fecero altro che aumentare la mia angoscia.
Avrei voluto parlargli, dirgli di quanto mi fosse mancato e di quanto mi fosse dispiaciuto lasciarlo lì da solo. Avrei voluto spiegargli che non era stata colpa sua la morte di Chuck e che non doveva più sentirsi male per quello. Avrei voluto chiarire mille cose, ma decisi di non farlo, troppo terrorizzata dal sapere che anche una singola parola avrebbe potuto rovinare tutto.
Il volto del ragazzo affondò tra i miei capelli e quando sussultai ancora una volta per il milionesimo singhiozzo, Gally mi attirò a sè, soffocando una risata.
"Mi sei mancata anche tu." bisbiglio al mio orecchio e solo quando sentii la sua voce roca e tremolante, capii che in realtà il ragazzo non stava soffocando una risata, bensì un pianto.
"M-Mi disp-piace." singhiozzai distaccandomi da lui e asciugandomi velocemente le lacrime troppo copiose sulle mie guance. Gli presi il volto tra i palmi e mi sollevai sulle punte dei piedi per riuscire a recuperare qualche centimetro in altezza. "Mi dispiac-ce per tut-to." ripetei, lasciandogli un bacio umido sulla fronte.
"Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace..." continuai a ripetere, tornando ad appoggiare tutta la pianta del piede a terra.
Sentii Gally tirare su col naso e poi mi rivolse un sorriso malinconico. "Smettila di dire quella frase, okay?" ridacchiò, cercando di nascondere il fatto che avesse pianto, anche se per poco. "Ora sei qui e siamo insieme. Questo è ciò che conta." spiegò il ragazzo, raccogliendo una mia lacrima e sorridendomi incoraggiante.
"Hai ragione, s-scusami." borbottai imbarazzata, distaccandomi di un solo passo dal ragazzo.
"Facciamo che abolisci anche quell'ultima parola, eh?" specificò, facendomi spuntare un sorriso sulle labbra.
Mi morsi il labbro e ricacciai indietro le ultime lacrime che aspettavano ansiose di uscire dai miei occhi, poi, schiarendomi la voce, acconsentii: "D'accordo, Capitan Gally." 

*Angolo scrittrice*
Gally's back! Hell yeah!
Scusate se il capitolo fa un po' schifo, ma non riuscivo a fare di meglio...
Vi era mancato Capitan Gally? A me un sacco :')
Passate una buona serata!
Per sempre vostra,
Inevitabilmente_Dea ♥

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Capitolo 42
*** Capitolo 42. ***


Indietreggiai di qualche passo e presi un profondo respiro che mi aiutò a calmarmi e a ricacciare al buio i miei sentimenti. Mi guardai attorno nell'appartamento, cercando di distrarmi un po' per evitare di scoppiare nuovamente a piangere per l'emozione di rivedere Gally vivo. 
Eravamo in una stanza buia ma ordinata, senza mobili, e c'era odore di bacon. Una coperta gialla, appesa davanti a una grande finestra, gettava su quel luogo una luce sinistra.
"Sedetevi." disse Gally imbarazzato dopo essersi schiarito la voce.
Mi guardai attorno alla ricerca di qualche sedia o poltrona e non trovando niente mi lasciai cadere sul pavimento, seguita a ruota dagli altri.
Mi morsi il labbro e scambiai diversi sguardi con gli altri ragazzi. Ero sicura che stessero tutti pensando a come aveva fatto il Braccio Destro a sapere che ci trovavamo a Denver e cosa voleva da noi, eppure nessuno sembrava voler fare quella domanda. 
Quando incrociai lo sguardo di Stephen lo vidi per nulla imbarazzato, come se si sentisse perfettamente a suo agio, ma nonostante questo stava lanciando diverse occhiate di circospezione a Gally. Sapevo che quel suo sguardo poteva stare a significare solo una cosa: Stephen non si fidava di lui, oppure semplicemente era geloso.
Scossi la testa e puntai la mia attenzione su Hailie che nel frattempo si era accucciata tra le gambe del fratellone, ciuccandosi il pollice e fissando con occhi spalancati e terrorizzati il ragazzo che era rimasto in piedi davanti a noi.
Mi schiarii la voce, poi decisi di prendere la parola. "Ehm, Gally..." mormorai distogliendo l'attenzione da Hailie e puntandola su di lui. "Non so se conosci Stephen, ma lui è stato nel Labir..."
"Sì, lo conosco. Ma mi sembrava che fosse morto." disse con tanta leggerezza, cosa che mi fece capire che tra i due ragazzi non ci dovesse essere un buon legame. Ma chi, dopotutto, riusciva a farsi amico una persona con un caratteraccio scorbutico ed egocentrico come Stephen? D'altra parte anche Gally era parecchio testardo e si intrometteva spesso in affari che non lo riguardavano. Sicuramente due personalità non compatibili. 
"Sì, come vedi sono vivo e vegeto." mormorò Stephen con freddezza.
"Ehm, sì... dicevo..." mormorai cercando di smorzare la brutta atmosfera che si stava creando. "Lei si chiama Hailie." spiegai indicando la bambina che sentendomi pronunciare il suo nome mi rivolse un sorrisetto divertito, come se l'avessi nominata in modo buffo. "Mentre loro sono Brenda e Jorge. Lavorano per la W.I.C.K.E.D." 
"Conosco anche loro." constatò il ragazzo, parlando nella penombra. Il suo viso era terribile nella luce fioca e l'occhio destro gonfio aveva i capillari rotti. "Quelle teste di caspio alla W.I.C.K.E.D. mi hanno restituito il mio passato. Senza chiedere, tra l'altro."
Il suo sguardo poi si concentrò su Minho. "Ehi, mi fa piacere rivederti Minho." disse in modo freddo, quasi sibilandolo tra i denti. "Tu sei stato molto carino con me durante la nostra ultima Adunanza. Ti ringrazio." il suo tono ora era decisamente sarcastico. 
Lì per lì non capii a cosa il ragazzo si stesse riferendo, poi però mi rivenne in mente il giorno in cui i Radurai avevano indetto un'Adunanza a cui io non ero stata invitata. Ciò ovviamente non mi aveva impedito però di origliare le loro discussioni e di capire che quel giorno Minho e Gally se le erano date di santa ragione. Era incredibile di come Gally si legasse al dito avvenimenti accaduti mesi prima, io me ne ero completamente dimenticata.
"Avevo avuto una brutta giornata." replicò Minho, senza che dalla sua espressione si capisse se era serio o minimamente dispiaciuto.
"Già, be'," disse Gally. "buttiamoci il passato alle spalle, giusto?"
Dal suo sorrisetto era chiaro che non la pensava affatto così. 
Per la prima volta dopo tanto, sentii la voce di Thomas interrompere quella conversazione che si stava facendo via via più pesante. Per un attimo gli fui anche grata per il suo intervento, ma dopo essere rimasta a sentire l'argomento di conversazione, cambiai completamente idea. "Mi dispiace per quello che ho fatto, Gally." mormorò il ragazzo, mordendosi il labbro e guardando Gaally dritto negli occhi, come se stesse cercando di ignorare le ferite sul volto del ragazzo per paura di ricordarsi che era stato proprio lui l'arteficie. 
"Dispiace a te?" chiese Gally sinceramente stupito. Poi rilasciò una piccola risata nervosa e si grattò i capelli con una mano tremante, come se fosse agitato. "Io ho ucciso Chuck. Lui è morto. Per colpa mia."
"No." mi opposi, stringendo la mascella e facendo risultare il mio tono più duro di quanto in realtà avrei voluto. "Gally non è assolutamente colpa tua. Lo sappiamo tutti che ti stavano controllando e non potevi fare nulla per evi..."
"Questa è una sploff bella e buona." mi interruppe il ragazzo scuotendo la testa e grattandosi il collo. "Se avessi avuto fegato avrei potuto impedire che mi controllassero." spiegò poi con voce tremolante, premendosi un dito su una meninge. "Ma gliel'ho lasciato fare perché pensavo che avrei ammazzato Thomas, non Chuck. Non avrei mai permesso a me stesso di uccidere quel povero ragazzino, mai nella vita."
"È così generoso da parte tua." disse Minho. Spalancai la bocca, sorpresa dalle parole del ragazzo e offendendomi io al posto di Gally. 
"Chiudi quella caspio di fogna, Minho." lo rimproverai scocciata. Come poteva dire una cosa del genere? Come riusciva ad essere così sarcastico anche in situazioni così delicate? Quelli erano i momenti in cui spaccargli la faccia a suon di schiaffi sarebbe stato limitativo per la mia rabbia.
"Quindi mi volevi morto?" chiese Thomas, sinceramente sorpreso dall'onestà di Gally. 
Quest'ultimo fece un sorrisetto beffardo. "Non metterti a piagnucolare con me. Io ti odiavo più di quanto abbia mai odiato qualcuno in vita mia. Ma quello che è successo nel passato non conta più un accidente. Dobbiamo parlare del futuro."
"Aspetto un momento, muchacho." intervenne Jorge. "Prima di tutto, ci dirai ogni singola cosa successa da quando ti hanno allontanato dalla W.I.C.K.E.D. fino al momento in cui sei finito seduto lì dove sei adesso."
"E come facevi a sapere che stavamo arrivando." aggiunse Minho, ignorando del tutto la mia espressione ancora arrabbiata. "E quando. E chi era quello strano tizio che ci ha consegnato il messaggio?"
Gally sorrise di nuovo in modo beffardo, il che rese il suo aspetto ancora più inquietante e preoccupante. "Immagino che stare alla W.I.C.K.E.D. non porti esattamente ad avere fiducia nel prossimo, giusto?"
"Già, non proprio." mormorai, giocherellando con il bordo della mia maglia.
"Abbiamo il diritto di sapere, Gally." disse Thomas. "Devi dirci cosa sta succedendo. Soprattutto se vuoi il nostro aiuto."
"Il vostro aiuto?" chiese Gally alzando le sopracciglia. "Non so se la metterei così. Ma sono sicuro che abbiamo gli stessi obiettivi."
"Senti," disse Thomas "ci serve un motivo per fidarci di te. Parla e basta."
Dopo una lunga pausa, Gally iniziò a raccontare. "Il tizio che vi ha dato il messaggio si chiama Richard. È membro di un gruppo che si chiama il Braccio Destro. Hanno gente in ogni città e in ogni Paese rimasto su questo schifo di pianeta. La loro missione è annientare i nostri vecchi amici − usare i soldi e l'influenza della W.I.C.K.E.D. per cose che contano davvero − ma non hanno le risorse per annientare un'organizzazione così grande e potente. Vogliono agire, ma gli mancano ancora delle informazioni."
"Usare quelle informazioni per cose che contano davvero?" domandai titubante. "E cosa sarebbero queste cose che contano?"
"Purtroppo, per quanto vorrei dirti di più, non posso." si giustificò il ragazzo. "Soprattutto quando avete ancora un collegamento con la W.I.C.K.E.D. dentro il vostro cervello. Non posso rischiare di spifferare cose che dovrebbero rimanere segrete."
"Abbiamo sentito parlare di loro, del Braccio Destro." si intromise Brenda. "Ma tu come sei finito a farne parte?"
"Hanno un paio di spie nella sede principale della W.I.C.K.E.D., e mi hanno avvicinato, mi hanno spiegato che se avessi finto di impazzire sarei stato allontanato. Io avrei fatto qualunque cosa per andarmene da lì. Ad ogni modo, il Braccio Destro voleva qualcuno che avesse accesso a informazioni riservate, che sapesse come funzionano le cose all'interno dell'edificio, che conoscesse i sistemi di sicurezza, questo genere di sploff." spiegò paziente. "Così hanno attaccato l'auto che mi scortava e mi hanno prelevato. Mi hanno portato qui. Riguardo al fatto che sapessi del vostro arrivo, abbiamo ricevuto un messaggio anonimo in rete. Ho pensato che lo aveste mandato voi."
Aggrottai le sopracciglia. Un messaggio anonimo in rete... Chi avrebbe potuto fare una cosa del genere? Delle persone che conoscevo solo Stephen era abbastanza bravo con i computer e cose varie per fare una cosa del genere. Per riuscire a rispondere alla mia domanda, lanciai uno sguardo al ragazzo che tuttavia mi rispose con un'alzata di spalle, segno che anche lui ne sapeva quanto me.
"Quindi non siete stati voi." mormorò Gally incerto, come se fosse sorpreso anche lui da quella scoperta. "Allora forse era qualcuno dal quartier generale che voleva mettere all'erta i cacciatori di taglie o roba simile." disse molto semplicemente, concludendo quell'argomento e passando ad altro. "Comunque, una volta che l'abbiamo saputo, si trattava solo di violare il sistema aeroportuale per vedere dove fosse atterrata una Berga."
"E tu ci hai fatto venire qui per discutere di come smantellare la W.I.C.K.E.D.?" chieseThomas.
Alzai le sopracciglia e rivolsi al ragazzo che aveva appena parlato uno sguardo stupito. Non stava correndo troppo? Era già molto difficile mandare in aria qualche piccolo piano di quell'associazione, figuriamoci smantellarla o annientarla per sempre. Era un progetto utopico e impensabile. 
Gally annuì lentamente, cosa che mi sorprese e mi colse alla sprovvista, inondandomi di un senso di stupore e di speranza. "La fai sembrare così semplice la cosa. Comunque sì, diciamo che in parole povere si tratta di questo. Ma abbiamo due grossi problemi da risolvere."
"Aspetta... Smantellare la W.I.C.K.E.D.? State parlando della stessa W.I.C.K.E.D. che crea creature biomeccaniche e Labirinti immensi? Andiamo, saranno anche senza cuore, ma stupidi e disarmati non lo sono di certo!" borbottai, pensando immediatamente che quell'impresa sarebbe stata più suicida che di salvataggio.
"Oh, credimi..." replicò Gally, trattenendo a stento un sorriso soddisfatto. "Abbiamo pensato a tutto, nel minimo dettaglio."
Brenda si intromise un'altra volta nella nostra conversazione, evidentemente non stava più nella pelle, cosa che volentieri le avrei strappato di dosso in quel momento. "Quali? Sputa il rospo."
"Calma, ragazzina." disse freddo Gally, visibilmente scocciato dall'ennesima intromissione della ragazza. 
"Che problemi?" insistette Thomas, ovviamente sostenendo Brenda.
Gally roteò gli occhi al cielo e dopo aver scoccato un'occhiataccia sia a Thomas che alla ragazza, scosse la testa e sospirando continuò a spiegare con pazienza: "Prima di tutto, gira voce che in questa città del caspio l'Eruzione stia dilagando, e che stiano corrompendo chiunque per tenere segreta la cosa perché a essere malati sono pezzi grossi del governo. Nascondono gli effetti con il Nirvana, che rallenta il decorso dell'Eruzione così chi ce l'ha riesce a confondersi tra gli altri, ma intanto il virus continua a diffondersi. A parer mio, è così in ogni parte del mondo. È semplicemente impossibile tenere fuori quella bestia."
Nirvana... Ripetei nella mia mente, aggrottando le sopracciglia e cercando di afferrare una piccola memoria che mi era spuntata in testa dopo aver sentito pronunciare quel nome, ma che stava già svanendo nel dimenticatoio. Se i miei ricordi non erano errati il Nirvana era una droga ideata per rallentare il processo di diffusione dell'Eruzione nel cervello delle persone. Da quanto potevo ricordarmi, quella droga agiva direttamente sulla Zona di Violenza, riducendo l'attività celebrale e rallentando così la malattia. Tuttavia era veramente costosa e solo i più ricchi potevano permettersela. 
"Qual è l'altro problema?" chiese Minho impaziente, stringendo la mascella e taburellando con le dita sul suo ginocchio destro.
"La gente come noi." mormorò Gally in risposta, assumendo un'espressione seria, grave, quasi preoccupata.
"La gente come noi?" ripeté Brenda, confusa. "Intendi gli immuni?"
No, intende le persone che interrompono sempre prima di finire di ascoltare. Pensai nella mia mente facendo un grosso sospiro e reprimendo i miei istinti omicidi. Certo che intende gli Immuni, cervello di Dolente. 
"Già." Gally si piegò in avanti. "Stanno scomparendo. Vengono rapiti o scappano, scompaiono nel nulla; non si sa. Un uccellino mi ha detto che li raggruppano e li vendono alla W.I.C.K.E.D., così loro possono continuare le Prove. Ricominciare tutto da capo, se necessario. Che sia vero o no, la popolazione di immuni di questa e di altre città negli ultimi sei mesi si è dimezzata, e la maggior parte sta scomparendo senza lasciare traccia. La cosa sta provocando diversi grattacapi. La città ha bisogno di loro più di quanto la gente non si renda conto."
Un uccellino, uhm? Pensai sorridendo e scuotendo la testa. Era inutile provare a chiedere al ragazzo chi fosse il suo fidato riferitore dato che non me lo avrebbe detto neanche sotto tortura per paura che la W.I.C.K.E.D. avrebbe potuto intercettare quella comunicazione. Eppure non si era fatto problemi a parlare dei suoi piani per smantellare quella associazione...
"Ma la gente odia i Muni... non è così che ci chiamano?" mormorò Thomas, grattandosi la fronte con disattenzione, cercando di pensare ad una possibile soluzione. "Forse li stanno ammazzando, o roba del genere." spiegò in un tono talmente calmo e ovvio che mi fece venire i brividi lungo la schiena.
Perchè le persone malate avrebbero dovuto uccidere quelle sane? Dopotutto noi 'Muni' eravamo le uniche persone a poter elaborare un'eventuale cura e in ogni caso eravamo le ultime speranze del mondo, la parte sana di quest'ultimo. Perchè mai avrebbero dovuto condannare tutti allo stesso terribile destino? 
Non sapevo dire neanche io se il fatto della scomparsa dei Muni attribuita a degli omicidi da parte di gente malata era meglio o peggio rispetto al fatto che poteva esserci la W.I.C.K.E.D. dietro a quelle scomparse. Ero sicura però che entrambi fossero dei destini alquanto crudeli. Non avrei augurato a nessuno di passare ciò che io e i miei amici avevamo vissuto, forse solo ai membri della W.I.C.K.E.D., per fargli provare come ci si sentisse ad essere dall'altra parte dello schermo.
"Ne dubito." disse Gally. "Il mio uccellino è una fonte attendibile, e questa storia puzza di W.I.C.K.E.D. fino al midollo. Questi problemi creano una brutta combinazione. L'Eruzione è ad ogni angolo della città, anche se il governo sostiene il contrario. E gli immuni si stanno volatilizzando. Qualunque cosa stia succedendo, non rimarrà nessuno a Denver. E nelle altre città chi lo sa."
"Allora questo cosa c'entra con noi?" chiese Jorge. 
Gally sembrò sorpreso. "In che senso? Non ti importa che la civiltà stia per estinguersi? Le città si stanno sgretolando. Ben presto ci sarà solo un mondo di psicopatici che vogliono mangiarti per cena."
"Certo che ci importa." rispose Thomas. "Ma cosa vuoi che facciamo?"
"Ehi, tutto quello che so è che la W.I.C.K.E.D. ha un solo motivo di esistere: trovare una cura. Ed è piuttosto ovvio che non succederà. Se noi avessimo i loro soldi, le loro risorse, potremmo usarle per dare un aiuto reale. Per proteggere chi è sano. Pensavo che lo voleste anche voi." spiegò Gally, assumendo un'espressione quasi stupita, come se non si aspettasse un comportamento o una reazione del genere da parte nostra.
Era inutile nascondere che io condividevo a pieno l'idea di utilizzare le risorse della W.I.C.K.E.D. per aiutare la parte sana del mondo, ma d'altro canto mi sentivo in debito con le persone affette da Eruzione. Come potevamo lasciarle sole al proprio destino? Avremmo potuto fare qualcosa anche per loro, magari vendere a tutti del Nirvana, anche a coloro che non se lo potevano permettere. E poi Newt... Come avevo fatto a dimenticarmi di Newt? Se cancellavamo per sempre la W.I.C.K.E.D. –  probabilità ancora molto utopica, secondo la mia opinione – allora ciò significava che avremmo anche cancellato definitivamente ogni possibilità di trovare una cura.
Sapevo che Newt mi aveva già accennato riguardo a quest'ultima, ripetendomi più volte che anche se fosse esistita non avrebbe accettato di prenderla, ma io non potevo abbandonarlo così! Non ci riuscivo...
"Eli, stai bene?" domandò Gally, sventolandomi una mano davanti agli occhi. Sbattei le palpebre e, dopo aver messo a fuoco il suo viso lontano neanche un palmo dal mio, aggrottai le sopracciglia sorpresa.
"Ehm... cosa?" domandai confusa e disorientata.
"Sembrava che stessi per svenire, sei anche molto pallida." spiegò il ragazzo, sfiorandomi la fronte con una mano, come per accertarsi che non avessi la febbre.
"No, sto bene." constatai, scuotendo la testa e cercando di fingermi tranquilla.
"Gally," lo richiamò Thomas, creando nel ragazzo una reazione quasi di fastidio, come se avesse odiato quell'interruzione. "tu sai qualcosa di Teresa e di un altro gruppo di persone che è scappato come noi dalla W.I.C.K.E.D.?" 
Gally mi fissò intensamente negli occhi, come se stesse ancora cercando di capire a cosa fosse dovuta la mia reazione di prima, ma dopo diversi secondi, si distaccò da me, indietreggiando di qualche passo. Probabilmente dovevo averlo convinto di stare bene.
"Sì, abbiamo trovato anche loro, e gli abbiamo dato lo stesso messaggio che sto dando a voi. Chi pensavi che fosse il mio uccellino?"
"Teresa." sussurrò Thomas. 
Teresa? Come facevano a conoscersi Gally e Teresa?
"Esatto. Ha detto che non poteva essere d'accordo con la W.I.C.K.E.D. nel riniziare il ciclo da capo. E anche qualcosa riguardo al fatto che sperava di trovarvi." spiegò il ragazzo.
"Teresa?" domandai confusa. "Sei sicuro che sia proprio lei?"
Gally annuì convinto, così passai alla prossima domanda. "Cosa sai su di lei? Perchè è scappata dalla W.I.C.K.E.D.? Non ha preso parte agli esperimenti come noi. O meglio, lei doveva..."
"Sì, lo so..." mi interruppe Gally. "Teresa doveva essere spedita nel Labirinto, ma tu hai preso il suo posto. La W.I.C.K.E.D. non lo aveva calcolato e non ha potuto farci niente." mi spiegò il ragazzo. "Me lo ha riferito lei stessa. Mi ha detto che dopo che sei entrata nel Labirinto lei è stata quasi accantonata. Le davano i lavori più banali al computer e ogni tanto le facevano programmare qualcosa che sarebbe servito dentro il Labirinto."
"Lei ti ha detto tutto questo?" domandò Thomas stupito. "E... E ti ha parlato di me?"
Gally sollevò le sopracciglia. "No, non ha accennato nulla, perchè? La conosci?"
Thomas fece spallucce, evitando in modo evidente di rispondere a quella domanda. Probabilmente in realtà neanche lui sapeva trovare una risposta certa e sperava che qualche informazione riguardo alla ragazza lo avrebbe aiutato.
"Ma c'è un'altra cosa." continuò Gally, tornando immediatamente serio.
Spalancai gli occhi e mi sporsi in avanti, prestando più attenzione.
"A uno dei nostri che stava cercando il vostro gruppo è arrivata una strana voce. Ha detto che riguarda tutte le persone che stanno scappando dal quartier generale della W.I.C.K.E.D. Non so se siano in grado di rintracciarvi o meno, ma a quanto pare si erano comunque immaginati che sareste venuti a Denver." spiegò Gally, incrociando le braccia al petto.
"Perché?" chiese Thomas. "Qual è questa voce?"
"C'è una grossa taglia su un tizio di nome Hans che lavorava lì, e che vive qui adesso. La W.I.C.K.E.D. pensa che siate venuti qui per lui, e lo vogliono morto."

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Capitolo 43
*** Capitolo 43. ***


Senza neanche che avessi il tempo di formulare ciò che Gally aveva detto, vidi Brenda alzarsi di scatto, come se fosse stata piccata con un ago. "Ce ne andiamo. Subito." ordinò dirigendosi con foga verso la porta. Jorge e Minho si tirarono su da terra, seguiti lentamente da Thomas e Stephen. Solo io rimasi a fissare Gally titubante. 
Eravamo appena arrivati, dovevamo per forza andarcene? Sapevo che era un pensiero immatuto da parte mia, dato che non solo c'era in ballo la vita di un uomo, ma anche la nostra separazione definitiva dalla W.I.C.K.E.D. tramite l'estrazione del chip che solo quell'uomo poteva attuare.
Ma d'altro lato non avevo visto Gally per così tanto tempo, credendolo morto, che ora non riuscivo a buttare giù il fatto che ci dovessimo separare anche solo per qualche giorno o settimana.
"Forza!" sbraitò Brenda agitando le braccia in modo arrabbiato e lanciandomi un'occhiata impaziente e di rimprovero.
Mi alzai in piedi a malavoglia, rilasciando un forte sospiro, poi lanciai uno sguardo malinconico a Gally, che mi sorrise incoraggiante. "Devi andare." mormorò lui, non sapendo che altro dire.
"Già, devo andare." replicai schiarendomi la voce e sentendomi improvvisamente in imbarazzo. "Ma..." ripresi dopo pochi secondi di silenzio. "Torneremo. Ti prometto che torneremo. Io tornerò..." spiegai in modo agitato. "Io tornerò sempre." colcusi in fine, non sapendo che altro aggiungere.
"Gally, mi giuri che tutto quello che ci hai detto è vero?" si intromise Thomas, fissando il ragazzo negli occhi. 
"Ogni singola parola." replicò l'altro. "Il Braccio Destro vuole agire. Stanno organizzando qualcosa in questo preciso istante. Ma hanno bisogno di informazioni sulla W.I.C.K.E.D., e chi meglio di voi può aiutarci? Se riuscissimo a convincere anche Teresa e gli altri, sarebbe fantastico. Abbiamo bisogno di più gente possibile."
Annuii come a confermare il discorso di Gally e quando vidi l'espressione sicura sul volto di Thomas, capii che anche il ragazzo ora si fidava di lui e delle sue parole. Di certo, Thomas e Gally non si erano mai piaciuti e non avevano neanche mai provato ad andare d'accordo, ma avevano un nemico in comune, e questo significava che erano nella stessa squadra. Tutti eravamo nella stessa squadra, proprio come ai tempi della Radura: tutti uniti contro la stessa minaccia. 
"Cosa dobbiamo fare se decidiamo di unirci a voi?" chiese alla fine Thomas, riempendomi di sollievo. "Tornare qui? Andare da un'altra parte?"
Gally sorrise, probabilmente soddisfatto di quella scelta. "Tornate qui. A qualunque ora prima delle nove, nove e un quarto della mattina, entro una settimana. Dovrei essere nei paraggi. Non credo che faremo nessuna mossa prima di allora."
Thomas annuì sicuro, poi tornò indietro di qualche passo e si avvicinò a Gally, porgendogli la mano come simbolo di alleanza. Quando l'altro la strinse in modo deciso, scuotendo il braccio due volte, mi sentii carica di energia e anche un po' felice.
Vedere Gally abbassare il suo orgoglio per collaborare con qualcuno mi riempiva di sollievo e gioia. Il ragazzo che avevo conosciuto nella Radura era cresciuto e maturato abbastanza da capire cosa fosse giusto, sbagliato e stupido da fare.
"Non ti porto nessun rancore." disse Thomas in fine, lasciando la mano di Gally, ma continuando a guardarlo negli occhi. "Durante la Mutazione hai visto quello che avevo fatto per la W.I.C.K.E.D. Nemmeno io mi sarei fidato di me. E so che non volevi uccidere Chuck. Solo, non aspettarti che ti abbracci ogni volta che ci vediamo."
"Il sentimento è reciproco." concordò Gally, rivolgendogli un sorrisetto storto, ma sincero. Rassicurato da ciò, Thomas si voltò verso la porta, ma prima di incamminarsi di nuovo, mi rivolse uno sguardo neutro, quasi come se stesse cercando di capire qualcosa. Poi si morse il labbro e sorridendo di sottecchi raggiunse Brenda e gli altri.
"Andiamo, ragazzi." incitò gli amici, poi si voltò e mi lanciò uno sguardo complice. "Ele, ti aspettiamo in fondo alle scale."
"Cosa?" brontolò Brenda. "Non abbiamo più tempo!"
"Oh, cammina e basta. Non morirà nessuno se ci impieghiamo trenta secondi più del previsto." replicò secco Thomas, andandosene senza aspettare gli altri, causando nella ragazza un'espressione stupita, arrabbiata e offesa. Brenda si colorò di rosso e mi rivolse uno sguardo furioso, poi girò i tacchi e se ne andandò via camminando a falcate e con la testa alta. 
"Andiamo, guastafeste." mormorò Minho prima di afferrare Stephen per il gomito e trascinarlo fuori dall'appartamento, ignorando ogni minima obbiezione del ragazzo che insisteva per non lasciarmi sola con Gally.
Quando anche Jorge varcò la soglia della porta e sparì dietro di essa, tirai un sospiro di sollievo e mi voltai verso il ragazzo, scoprendolo a fissarmi con un sorrisetto pacifico e sollevato.
Nel momento in cui si accorse di essere stato sorpreso, arrossì all'istante, distogliendo gli occhi e grattandosi la nuca con fare imbarazzato.
Aggrottai le sopracciglia e arrossi anche io quando riuscii ad interpretare quel suo sguardo: forse era solo una mia impressione – oh, come speravo per lui che lo fosse –, ma mi sembrava quasi che Gally provasse ancora qualcosa per me. Forse non riusciva ad ammetterlo o forse non voleva semplicemente accettarlo, ma Gally mi aveva guardato in quel modo per tante volte, e ogni volta aveva sempre lo stesso significato, su questo non potevo sbagliarmi.
"Gally..." mormorai facendo un passo in avanti, sentendomi ancora in colpa per averlo ferito nella Radura e per fargli ancora del male. "Nonostante tutto..." mi bloccai, schiarendomi la gola e facendo un altro passo avanti, attirando così l'attenzione del ragazzo. "Dopo tutto questo tempo, tu sei ancora..."
"Forse dovremmo semplicemente salutarci." mi interruppe lui, diventando ancora più rosso ed evitando di incrociare il mio sguardo.
Abbassai lo sguardo, sentendomi un po' delusa, ma senza capire il perchè. Era ovvio che avrebbe evitato il discorso. Dopotutto, come potevo pretendere da lui una confessione dopo che la prima volta che si era esposto era andata a finire male? Da un lato era anche un sollievo per entrambi, dato che se nessuno dei due voleva ammettere ciò che invece era ovvio, magari sarebbe stato più semplice incontrarci e parlare senza sentire imbarazzo. Era un modo meschino e codardo per affrontare la realtà, certo, ma a nessuno dei due servivano i problemi che sarebbero nati da una confessione del genere. 
"Sì, hai ragione." confermai, buttandomi alle spalle l'imbarazzo e accostandomi a lui per abbracciarlo. Fui sollevata quando, avvicinandomi a Gally, lo vidi rianimarsi e non tirarsi indietro come invece avevo temuto. Il ragazzo aprì le braccia e mi circondò, affondando il viso tra i miei capelli.
Solo in quel momento mi resi conto di quanto sentissi il bisogno di un abbraccio: non un abbraccio delicato, come quelli femminili, ma uno forte e deciso che mi facesse sentire sorretta e stabile; un abbraccio che facesse sparire per un istante tutte le preoccupazioni che mi circondavano come un tornado; un tipo di abbraccio che mi facesse dimenticare per un attimo il mondo reale, trasportandomi in un mondo fantastico e pacifico.
Da quando avevo scoperto che Newt aveva l'Eruzione era stato difficile per me riuscire a prendere anche un solo piccolo respiro in quel mare di caos e problemi. 
E in quel momento, l'abbraccio sincero da parte di Gally era la cosa migliore che mi potesse capitare, il miglior regalo.
"Tornerò, te lo prometto." sussurrai distaccandomi da lui e sorridendogli sincera.
Gally annuì e mi portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Ti aspetterò, te lo prometto."
Lanciandogli un ultimo sguardo felice e sollevato, mi girai e mi mossi verso la porta, ma prima che potessi raggiungerla, Gally mi afferrò la mano, bloccandomi per pochi secondi.
"Ci resta poco tempo. Ma possiamo ancora fare qualcosa." spiegò lui in tono preoccupato.
"Cercherermo di fare il più presto possibile. Ce la faremo, torneremo tutti in tempo." dissi sbrigativa, ma in modo sincero. Gally annuì convinto e poi mi lasciò andare, seguendomi con lo sguardo per tutto il tragitto, con le braccia incrociate al petto.
"Torneremo." sussurrai a me stessa, poco prima di chiudere la porta dietro le mie spalle e iniziare a scendere le scale con un po' di energia e coraggio che avevo esaurito da tempo. 

 

 

 

 

Non trovammo Hans fino al giorno seguente. Dopo aver comprato dei vestiti e qualcosa da mangiare, Jorge riuscì a rimediare una stanza in un alberghetto a buon mercato. Mentre Jorge e Brenda facevano decine di telefonate a persone di cui non avevo mai sentito parlare e Thomas stava vagando per la rete insieme a Minho usando il computer della stanza, io mi ero piazzata sul letto tentando invano di fare un riposino e venendo continuamente interrotta dalla voce squillante di Hailie che non faceva altro che chiedermi di giocare a 'salta marmocchietta' insieme a lei. 
Alla fine decisi di cedere alle richieste asfisianti della bambina e di accontentarla. Mi pentii della mia decisione quando scoprii che il gioco 'salta marmocchietta' consisteva nel farla saltare sul letto fino a che non vomitava il pranzo di tre anni prima o fino a che non mi si staccavano le braccia per la stanchezza. Non a caso quel gioco era stato ovviamente inventato dal fratello che, per tutto il tempo, ci guardò giocare, ridendo sotto i baffi ogni volta che cercavo di svignarmela o che tentavo di riposarmi –  senza riuscirci minimamente.
Finalmente, dopo più di un ora di gioco, Hailie decise di avermi sfruttata abbastanza e mi lasciò per andare a giocare a fare la cantante usando come microfono una lampada appoggiata su un comodino scheggiato. 
Gattonai sfinita sul letto e mi lasciai sprofondare tra le coperte, non riuscendo nemmeno più a sollevare le braccia di un centimetro, e quando pensai di potermi finalmente riposare, a Stephen venne in mente la brillante idea di instaurare un discorso.
"Non essere egoista e fammi un posto sul letto." ordinò freddo, con un tono che non ammetteva repliche.
Mugugnai una qualche parola, ignota persino a me, ma che in breve gli imponeva di andarsene e lasciarmi stare. Ovviamente il ragazzo non parve coglierla, perchè dopo pochi secondi sentii le sue mani spingere sul mio fianco per spostarmi di lato.
"Togliemi le tue zampacce di dosso." mormorai scocciata, schiaffeggiando i suoi palmi.
"Be' allora mi stenderò sopra di te." spiegò il ragazzo, poi senza neanche darmi il tempo di reagire a quella sua affermazione si lasciò cadere di peso sopra di me, togliendomi il respiro.
"Non sei leggero, Steph!" tentai di gridare, ma la mia voce venne soffocata dalle lenzuola a cui ora ero appiccicata.
"Cosa dici? 'Quando sei bello, Steph'?" domandò ingenuo, fingendo di non aver sentito.
"No, testa di puzzone, ho detto che ti devi spostare!"
"Mi vuoi sposare? Be' non pensi di stare correndo un po' troppo?" chiese di nuovo, con un tono talmente divertito che non potei fare a meno di sorridere come un ebete.
Decisi di smettere di supplicarlo e agire per cambiare quella situazione che si stava rivelando non solo alquanto scomoda, ma anche imbarazzante. Mi mossi sotto di lui, cercando di spostarmi in qualche modo e solo dopo diversi minuti riuscii a girarmi a pancia in su, prendendo un profondo respiro e lasciando che la mia faccia ormai diventata rossa per lo sforzo si calmasse. Tuttavia il fuoco sulle mie guance aumentò quando mi accorsi di essere a pochi centimetri di distanza dal volto di Stephen, che stava ridendo in modo genuino, gustandosi a pieno la fatica che avevo compiuto per liberarmi di lui.
"Steph..." mormorai senza riuscire a non sorridere. "Dico sul serio: mi togli il respiro."
"Oh, sì..." replicò lui tornando serio e agitando la testa. "Faccio questo effetto alle ragazze."
"Stephen!" lo rimproverai, dandogli una schiaffa sul petto e premendo per allontanarlo.
"E va bene, va bene." acconsentì lui, premendo con le mani sul materasso ai lati della mia testa per spostarsi da sopra di me. 
Mormorai un 'grazie' e mi sistemai meglio sul letto, cercando di ignorare la presenza del ragazzo davanti a me e tornare a dormire. Rilassai il corpo e mi portai entrambe le mani al petto, poi incrociai le gambe e presi un bel respiro, chiudendo le palpebre. Non passarono nemmeno tre secondi che il ragazzo dai capelli bianchi riprese a parlare.
"Ho visto come ti guarda." disse all'improvviso, cogliendomi alla sprovvista.
"Stephen, devi perdere questo vizio di iniziare i discorsi nella tua testa e poi dire solo l'ultima frase a voce alta, pretendendo che io capisca." mormorai assonnata, evitando di aprire gli occhi.
"Sì, hai ragione." si riprese lui. Lo sentii muoversi sul letto, poi si schiarì la gola. "Mi riferivo a Gally. Il modo in cui ti ha guardata è stato... diciamo molto chiaro per me. Non so se te ne sei accorta, ma credo che lui prov..."
"Sì." lo interruppi di colpo, rilasciando un sospiro, ma rimanendo sempre con le palpebre serrate. "Me ne sono accorta e so anche cosa quello sguardo significa."
"Allora non sei così ingenua come credevo." sussurrò lui, più a se stesso che a me, con un tono talmente stupito che quasi mi ferì.
"Oh, grazie tante!" sbottai scocciata.
"E' un piacere." pronunciò lui, ignorando del tutto il sarcasmo nella mia voce. "E anche nel Labirinto era così?"
"Sì, era così anche lì."
"Però tu hai scelto Newt e lui è rimasto ferito. Vero?"
"E tu non la smetti mai di fare domande. Vero?" replicai veramente stanca.
"Non mi hai risposto."
"Sì." borbottai, cedendo alle sue richieste nella speranza che se fosse stato soddisfatto delle mie risposte mi avrebbe lasciato in pace. "Vuoi sapere altro?"
"Per te va bene? Intendo, il fatto che lui ti ami... Non vorresti che ti dimenticasse o smettesse di provare ciò che prova nei tuoi confronti?" aggiunse, con tono sinceramente interessato.
"Non sono io a decidere, Steph. Neanche lui può. A certe cose a volte non si può sfuggire e questa è una di quelle volte." spiegai, trattendo uno sbadiglio. "Mi dispiace di averlo fatto soffrire e mi sento ancora più in colpa per il fatto che anche dopo tutto questo tempo, lui continui a sentirsi male per un amore non ricambiato." Poi aggiunsi: "E io non ho scelto Newt." precisai. "Non è una cosa che si può scegliere, come si fa con il cibo o i vestiti. E' qualcosa che provi e che non puoi negare, non qualcosa che decidi di sentire. Un giorno ti svegli e capisci di essere innamorato. Questa cosa vale sia per me che per Gally. E forse sarà anche un pensiero egoistico, ma io ho bisogno di lui più di quanto io voglia ammettere. Se mi dimenticasse o mi mettesse da parte probabilmente sarebbe per me come perderlo una seconda volta, e non ci tengo a provare la stessa angoscia di quando lo avevo dato per morto."
Ci furono diversi attimi di silenzio che quasi mi fecero temere che il ragazzo si fosse addormentato durante il mio discorso. Ero quasi tentata di aprire gli occhi e controllare, quando però la sua voce mi arrivò in modo chiaro. "Okay." disse semplicemente. "Se allora per te va bene, vorrà dire che dovrò tollerare la sua presenza. Non mi piace Gally, non mi è mai piaciuto, ma finchè si limita a starti accanto e a non farti soffrire, prometto che starò buono e non farò nulla per interferire."
"Cos'è?" ridacchiai. "Ora fai il geloso?" 
"No." rispose lui serio, tuttavia un pizzico di indecisione nel suo tono mi fece dubitare delle sue parole. "Okay, lo ammetto: un po' lo sono." borbottò imbarazzato. "Ma tu sei mia sorella e non..."
A quelle parole spalancai gli occhi, arrossendo all'istante. Mi riteneva veramente al pari delle sue sorelle? Probabilmente anche lui fu stupito di aver pronunciato quelle parole, poichè si interruppe e mi fissò allibito.
Solo in quel momento mi resi conto di quando il rapporto tra me e Stephen fosse diventato solido. Era incredibile di come il nostro odio reciproco si fosse trasformato in una tenera e profonda amicizia, tanto che lui aveva iniziato a comportarsi come un fratello maggiore senza neanche che me ne accorgessi.
"Ehm..." si riprese lui, arrossendo senza riuscire a trattenersi. "Io volevo dire che..."
"Shh..." mormorai avvicinandomi con il corpo al suo. "Non rovinare quello che hai detto." lo supplicai, chiudendo nuovamente gli occhi e nascondendo la mia testa sotto il suo mento.
Mi rannicchiai accanto a lui, cercando di rubargli quanto più calore corporeo possibile. 
Mossi la testa leggermente, come a lasciargli sotto il mento una carezza, poi inspirando il suo buon profumo mi accoccolai di più a lui, sentendo il suo braccio scivolare sulla mia schiena e depositarsi lì. 
"Non intendevo farlo." rispose lui, strofinando la sua mandibola contro i miei capelli, restituendomi la carezza ricevuta ed affidandomi tra le braccia del sonno.




 

Il mattino seguende venni svegliata dal rumore ticchettante di una doccia e quando aprii gli occhi scoprii di essere rimasta sola sul letto. In realtà mi accorsi solo dopo della piccola figura rannicchiata tra le coperte del letto, la sua testolina bionda sul cuscino non molto distante da me. Ma nonostante Hailie mi stesse dormendo accanto, di Stephen non c'era traccia. Rilasciai un grosso sbadiglio e mi stropicciai gli occhi. Non mi capitava spesso di passare delle nottate così tranquille e rilassate, dato che fino ad ora l'unica persona in grado di farmi addormentare in modo pacifico era Newt. 
Probabilmente il mio corpo aveva sentito la necessità di usufruire del corpo di qualcun'altro –  in questo caso Stephen –  per rilassarsi un po' la notte, almeno fino a che io e Newt non ci fossimo ricongiunti. 
Mi alzai cautamente dal letto, cercando di non svegiare la bambina che tuttavia sembrava dormire così pesantemente che dubitavo un terremoto l'avrebbe svegliata.
Camminai a piedi nudi per la stanza, ancora con gli occhi ridotti a fessura, sentendo le mie gambe riprendere un po' di energia e svegliarsi. Fortunatamente il sonno non mi privò dei riflessi che, non appena mi accorsi di stare per calpestare il corpo di Minho steso vicino a quello di Thomas, mi evitarono una brutta caduta sopra di loro. Probabilmente la Radura e il suo Casolare strapieno di corpi accalcati l'uno all'altro mi avevano allenata abbastanza da riuscire a girare per la stanza senza spiaccicare qualche mano. 
Feci per scavalcare entrambi quando una voce alle mie spalle mi fece quasi urlare per la paura. "Hermana, finalmente sei sveglia." disse Jorge.
"Sì," biascicai con la voce impastata di sonno, voltandomi verso l'uomo seduto sulla poltrona dietro di me. "avete scoperto niente riguardo l'indirizzo di Hans?"
"Claro que sì." replicò lui con tono ovvio. "Ci abbiamo impiegato delle ore, ma alla fine 'l'amico di un amico del nemico di un nemico' ci ha dato un indirizzo. Spero sia quello vero."
"Be', bene così." borbottai grattandomi la testa.
"Puoi dirlo forte, hermana." concordò lui, alzandosi stancamente dalla poltrona. "Il tuo amico Stephen si sta facendo una doccia. Non appena ha finito ti conviene prepararti: tra poco partiamo."

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Capitolo 44
*** Capitolo 44. ***


{ATTENZIONE: leggete l'angolo scrittrice in fondo alla pagina, please, é importante.}

Dopo aver fatto la doccia e aver mangiato, decisi di indossare i nuovi vestiti che mi ero comprata i giorni precedenti. Poi prendemmo un taxi e ci recammo subito nel posto in cui Jorge ci aveva detto che viveva Hans: un palazzo in condizioni di poco migliori rispetto a quello di Gally. Salimmo le scale fino al quarto piano e bussammo ad una porta grigia di metallo. La donna che aprì disse di non aver mai sentito parlare di Hans, ma Jorge insistette. Poi, dietro di lei, spuntò un uomo brizzolato con la mascella larga. "Lasciali entrare." disse con voce roca.
Un minuto più tardi, eravamo tutti seduti intorno al tavolo traballante di una cucina, e la nostra attenzione era tutta rivolta all'uomo burbero e freddo di nome Hans. "Sono contento di vedere che stai bene, Brenda." disse. "Anche tu, Jorge. Ma non sono in vena di rimpatriate. Arriviamo al sodo e ditemi quello che volete."
"Credo che tu conosca il motivo della nostra visita." rispose Brenda, poi fece un cenno con la testa verso noi Radurai. "Ma abbiamo anche sentito dire che la W.I.C.K.E.D. ha messo una taglia sulla tua testa. Dobbiamo fare questa cosa in fretta, e poi dovrai andartene di qui."
Hans sembrò ignorare la seconda parte, intento a scrutare ognuno di noi, come a capire su cosa avesse dovuto operare, poi alla fine dopo averci squadrati in modo freddo, proprio come facevano i dottori della W.I.C.K.E.D., parlò. "Fatemi indovinare: avete ancora l'impianto." 
Thomas annuì per tutti noi, si vedeva lontano un miglio che era nervoso, come tutti noi d'altronde. Per quanto mi riguardava non mi piaceva che altre persone giocassero con il mio cervello, ma in ogni caso non avevo scelta. Prima ci toglievamo quel disgustoso chip, prima saremmo tornati da Gally e da Newt.
"Voglio solo sbarazzarmi del dispositivo con cui mi controllano. Non voglio recuperare la memoria." specificò Thomas in modo da evitare fraintendimenti. "E prima voglio sapere come si svolge l'operazione."
Hans fece un'espressione disgustata. "Che razza di idiozia è questa? Brenda, chi è questo bamboccio codardo che hai portato in casa mia?"
"Non sono un codardo." disse Thomas prima che lei potesse rispondere. "È solo che hanno armeggiato in troppi nella mia testa."
Hans lanciò le mani verso l'alto, poi le sbatté sul tavolo, facendomi sussultare impaurita da quel gesto. Perchè quelli che lavoravano o avevano lavorato per la W.I.C.K.E.D. erano tutti o lunatici o freddi? "Chi ti ha detto che avrei fatto qualcosa alla tua testa? Chi ti ha detto che mi piaci abbastanza da volerlo fare?"
"Esiste qualcuno di gentile a Denver?" mormorò Minho all'orecchio di Thomas, facendo però sentire quel commento a tutti.
"Tempo tre secondi e vi sbatto fuori da casa mia." spiegò Hans infuriato.
"State tutti zitti un attimo!" gridò Brenda. Poi si chinò verso Hans e parlò con voce più tranquilla. "Ascolta, questo è importante. Thomas è importante, e la W.I.C.K.E.D. è disposta a fare qualunque cosa per mettere le mani su di lui. Non possiamo correre il rischio che si avvicinino quanto basta per cominciare a controllare lui, o anche Minho, o Stephen o... Elena." disse il mio nome con fare distaccato, come se il mio nome per lei non avesse importanza.
Hans fissò Thomas, scrutandolo come uno scienziato esamina un esemplare raro. "A me non sembra importante." poi però scosse la testa e roteò gli occhi al cielo, alzandosi. "Datemi cinque minuti per preparare tutto." disse, poi scomparve dietro una porta laterale senza altre spiegazioni. 
Brenda si rimise seduta e fece un sospiro. "Non è andata poi tanto male."
Per ora... Pensai mordendomi il labbro agitata. Non sapevamo ancora se l'operazione fosse stata dolorosa e non eravamo al corrente di come quell'uomo intendeva procedere per togliere quel chip, perciò neanche volendo ci saremmo potuti preparare psicologicamente.
Da una parte ero sollevata che Hans ci avrebbe aiutati, ma guardandomi in giro il mio nervosismo non faceva che aumentare. Stavo per lasciare che uno sconosciuto mettesse le mani nel mio cervello in un vecchio appartamento sporco.
Minho accanto a me rise sotto i baffi, poi mi diede una gomitata. "Ehi, Eli, hai l'aria spaventata." borbottò il ragazzo , lanciandomi un'occhiata di sfida, come se si aspettasse una mia frecciatina.
"Già, e tu sei stupido a non avere paura. Non pensare di essere coraggioso solo per questo." mormorai in cambio, accontentadolo e rilanciandolgi la sfida a controbattere. 
"Oh, questo è tutto da vedere." replicò lui stiracchiandosi con fare disinvolto.
"Non ti dimenticare, muchacho," si intromise Jorge "che lo devi fare anche tu. Quel nonnetto dai capelli brizzolati ha detto cinque minuti, quindi preparati."
"Prima è meglio è." rispose Minho pronto.
Scossi la testa e feci per lanciare uno sguardo a Stephen per capire se anche lui fosse agitato o meno, ma prima che potessi raggiungere i suoi occhi, la mia attenzione venne catturata da Thomas che, dopo aver mugugnato in modo percettibile, si tenne la testa fra le mani, spingendo fino a far diventare le dita bianche, come se volesse far uscire qualcosa da dentro.
"Tom, stai bene?" domandai sinceramente preoccupata, sporgendomi verso di lui.
"Thomas?" lo richiamò Brenda. 
Solo allora il ragazzo sollevò lo sguardo, osservandoci con occhi lucidi. "Ho solo bisogno di..."
Le parole gli si bloccarono in gola mentre si inarcava all'indietro, come se qualcuno lo avesse appena pugnalatò alla schiena. Lo vidi aprire la bocca per urlare o chiedere aiuto, ma dalle sue labbra uscì solo un sibilo. Poi all'improvviso raddrizzò la schiena, allarmato, guardandosi intorno in modo agitato. Dopo neanche cinque secondi ebbe uno spasmo e si mise a scalciare, lanciando un urlo e buttandosi a terra. Qui iniziò a rotolare, contorcendosi e tremando visibilmente.
"Tom!" gridai allarmata, gettandomi a terra accanto a lui e cercando di bloccargli il busto a terra, ma senza riuscirci. "Minho, Stephen... Qualcuno!" gridai. "Venite ad aiutarmi!"
I due ragazzi si fiondarono sul corpo dell'amico e fecero del loro meglio per bloccargli le gambe che sbattevano contro il tavolo e i piedi contro il pavimento.
"Che gli succede?" urlò Brenda, mettendosi dalla mia parte opposta e spingendo la spalla sinistra del ragazzo a terra.
"Non lo so! Sembra che abbia le convulsioni!" spiegai in preda al panico. Cosa dovevamo fare? Ero una Medicale ma non ero preparata a quelle cose!
Vidi il viso di Thomas contrarsi in una smorfia, poi le sue labbra si aprirono come per parlare, ma da esse uscì solo della saliva.
"Riesci a sentirmi?" gridò Brenda, piegandosi su di lui. "Thomas, che ti succede?"
Improvvisamente gli arti del ragazzo si bloccarono, le gambe si distesero e si fermarono, le braccia caddero sui fianchi a peso morto, come se avesse perso conoscenza.
Eppure i suoi occhi erano ancora aperti e si muovevano da qualsiasi parte con fare agitato.
"T-Tom?" domandai preoccupata. Cosa gli era successo? Perchè non si muoveva più?
"Thomas?" lo chiamò Brenda, con il volto paonazzo.
Poi di colpo il ragazzo riprese a muoversi, quasi in modo meccanico: le braccia e le gambe si spostarono, poi si rimise in piedi, sottraendosi dalla presa di tutti.
"Stai bene?" chiese Minho, osservando l'amico con occhi preoccupati e confusi.
Thomas non diede segno di aver sentito, dato che si voltò da tutta altra parte, ignorando ogni tentativo di conversazione. La sua testa si mosse a scatti, poi si girò verso la porta dietro la quale era scomparso il padrone di casa. Dalla sua bocca iniziarono a uscire delle parole, ma anche se stava parlando con la sua voce, potevo percepire che qualcosa non andava, che in qualche modo... non era lui. "Non posso... lasciarvelo... fare."
Spalancai gli occhi sorpresa. Era ovvio! Come avevo fatto a non arrivarci prima? A Thomas stava capitando la stessa cosa che era successa a Gally: la W.I.C.K.E.D. lo stava controllando.
"Thomas, ti stanno manovrando!" gridò Brenda. "Reagisci!" continuò, avanzando di qualche passo verso il ragazzo.
La scena che poi mi si parò di fronte mi fece raggelare: Thomas aveva sollevato la sua mano in aria e senza battere ciglio o dare segno di coscienza, fece volare il suo palmo sul volto della ragazza che – sorpresa, terrorizzata e raggelata tanto quanto me – ricevette passiva lo schiaffo e cadde a terra. A quel punto Jorge si rianimò, alzandosi dalla sua sedia e avvicinandosi a falcate alla ragazza per proteggerla, ma Thomas allungò il braccio e lo colpì con un pugno dritto sul mento. La testa dell'uomo si piegò all'indietro e un piccolo schizzo di sangue fuoriuscì dal labbro. 
"Non posso... lasciarvelo fare!" urlò nuovamente il ragazzzo, sempre più convinto delle sue parole.  
Brenda si era rimessa in piedi; Minho era inebetito, se ne stava lì in piedi con un'espressione scioccata; Jorge si stava pulendo il mento dal sangue, lo sguardo pieno di rabbia; Stephen aveva portato la sorellina dietro di sè e aveva appoggiato una mano sulla sua testolina per assicurarsi che lei non se ne andasse; e per quanto riguardava me, mi sentivo di avere il ghiaccio nelle vene, incapace di muovermi o anche solo pensare.
Vidi Thomas fermarsi per qualche istante, come in attesa di nuovi ordini, e dopo poco il ragazzo riprese a camminare, spintonando via Minho, che nel frattempo gli aveva sbarrato la strada, e avviandosi barcollando verso la porta. 
Solo allora capii le intenzioni del ragazzo –  o meglio, della W.I.C.K.E.D. che stava controllando il ragazzo –  e sentii una scarica di adrenalina nel corpo, che mi riscaldò come una giornata di sole in pieno inverno: se Thomas, o quello che ne rimaneva, intendeva uccidere Hans per impedirgli di rimuoverci il chip dal cervello, allora avrei cercato di fermarlo a tutti i costi.
Quel dannatissimo chip era una delle maggiori ragioni per cui avevamo viaggiato fino a Denver, era il nostro biglietto di salvezza, di liberà, e proprio per questo non gli avrei permesso di oltrepassare quella porta.
Mi lanciai immediatamente all'attacco, provando un po' di paura, ma accantonandola nell'ombra del mio cuore, e riuscii per miracolo a raggiungere la porta prima del ragazzo che ancora stava avanzando traballante.
Quando Thomas mi vide, mi lanciò un'occhiata indifferente, come se in fondo non mi avesse nemmeno vista, poi tornò sui suoi passi e girò lievemente il volto verso destra, afferrando qualcosa di luccicante. Solo quando capii che l'oggetto che il ragazzo stringeva con mano forte era un coltello ben affilato, capii di aver commesso un gravissimo errore ostacolando la sua strada, ma ormai non potevo più tirarmi indietro.
Mi guardai attorno agitata, cercando alla svelta un oggetto che mi avrebbe potuto proteggermi da un probabile attacco, e quando non notai nulla che mi potesse tornarmi utile entrai nel panico. E ora come diamine facevo? Non ero di certo intenzionata a picchiarlo o a fargli del male, perchè infondo, anche se era controllato, Thomas rimaneva pur sempre nel suo corpo e non volevo rischiare di ferirlo quando in realtà lui non aveva commesso nulla.
"Thomas!" gridai in preda al panico, aggrappandomi all'unica speranza che avevo: quella di farlo ritornare in sè utilizzando le parole. "Reagisci, accidenti! Sbatti fuori quella gente del caspio dalla tua testa!"
Vidi Thomas inclinare la testa di lato e fermarsi per pochi secondi, come ad ascoltarmi. Spalancai gli occhi, sorpresa io stessa che i miei tentativi stessero funzionato, ma quando lo vidi riprendere a camminare come se nulla fosse, ogni mia piccola gioia andò in frantumi.
"Thomas, ti prego." mormorai, appiattendomi alla porta. "Pensa... Pensa a qualcuno che possa farti tornare in superficie, qualcuno che ti possa far riemergere!" suggerii. "Ricordati di Newt, d-di Chuck, di Minho e Frypan! Ricordati di me e delle nostre memorie prima del Labirinto. So che te le hanno resistuite, solo quelle belle... Aggrappati a qualcosa, diamine!"
Il ragazzo non diede nessun segno, nessuna risposta, continuò a camminare impassibile, accorciando sempre la distanza tra di noi.
"Mi ucciderai, testapuzzona?" chiesi poi, sentendo crescere in me la rabbia per non essere riuscita a smuoverlo. "Mi lancerai quell'affare proprio come Gally ha fatto con Chuck? Fallo, allora. Lancialo." 
"Non... posso... lasciarvelo... fare." bofonchiò lui.
"Thomas!" gridai. "Reagisci, testa di caspio! So che ce la puoi fare!" 
Thomas questa volta parve aver sentito le mie parole, in quanto per tutta risposta aumentò il passo, arrivando a meno di un metro di distanza da me.
Lo vidi alzare il coltello in aria e fissarmi con quell'espressione vuota. Strinsi la mascella e mugugnai per la paura che ora si era completamente impossessata del mio corpo. Lo avrebbe davvero fatto. Mi avrebbe ucciso senza battere ciglio.
Thomas abbassò il coltello verso di me e quando fui sicura di morire, una sagoma mi schizzò davanti, proteggendomi e bloccando l'attacco di Thomas. Rilasciai un urletto e senza smettere di provare terrore, misi a fuoco la chioma bianca di Stephen.
"Oh mio dio..." mormorai senza fiato. Cosa aveva fatto? Perchè lo aveva fatto?
Terrorizzata dall'idea di vedere fiotti di sangue uscire dal petto di Stephen, ma allo stesso tempo sentendo la necessità di capire come Thomas avesse infierito su di lui, mi sporsi in avanti: Stephen stava tenendo in modo saldo un vassoio circolare di acciaio all'altezza del suo volto; quest'ultimo era rigido e puntato verso l'alto, con il mento sollevato e le vene che schizzavano fuori dalla pelle per la tensione; il coltello era impiantato proprio al centro del vassoio che il ragazzo aveva utilizzato per difendersi, ma quest'ultimo non si era rivelato abbastanza resistente, dato che l'arma aveva perforato la sua superficie, andandosi a conficcare in parte nella pelle tra il collo e la mandibola del ragazzo, poco distante dalla gola, creando un rivolo di sangue scuro.
"Steph..." mormorai sottovoce, poi lo richiamai alzando il tono. "S-Steph..."
"Andiamo, Thomas." disse il ragazzo ignorandomi, parlando con voce ferma e con un sorriso sghembo sul volto. "Sappiamo tutti che la W.I.C.K.E.D. non ha le palle per ucciderci. Siamo troppo importanti... troppo utili."
"Non posso... lasciarvelo... fare." ripetè Thomas, estraendo con uno strattone il coltello dal vassoio e facendo mugugnare di dolore Stephen che mollò la sua difesa per tenersi la gola.
Vidi Thomas rialzare il braccio, pronto per rilasciare un secondo attacco e a quel punto decisi di reagire. 
"Non ci provare neanche!" gridai infuriata. Non mi importava se Thomas avesse sentito male dopo essere tornato in sè, ero sicura che avrebbe capito il motivo per cui lo avevo fatto, perciò balzai in avanti lanciando un calcio dritto tra le gambe del ragazzo, che senza emettere nessun suono abbandonò il coltello a terra e si piegò su se stesso, diventando lentamente rosso in volto.
"Mi dispiace, Tom." borbottai sclaciando il coltello lontano dalla sua presa e spingendo il ragazzo in modo da buttarlo a terra. Questo tuttavia barcollò soltando e si rimise dritto con la schiena, ergendosi in tutta la sua statura che era di gran lunga superiore alla mia. Lo vidi allungare un braccio sopra di me e senza nemmeno mostrare troppo sforzo mi spinse all'indietro, catapultandomi a terra e facendomi slittare sul pavimento.
Proprio in quel momento vidi la sagoma di Hans spuntare dalla porta e rimanere scosso dalla scena che gli si parava davanti, Thomas, approfittando di quell'occasione d'oro, si voltò verso di lui. 
"Cosa diavolo succede?" chiese Hans sbigottito.
"Non posso... lasciarvelo... fare." rispose Thomas.
"Temevo una cosa del genere." mormorò Hans, poi si voltò verso il gruppo. "Venite qui ad aiutarmi!" 
Senza neanche aspettare che gli altri agissero per primi, mi rialzai in piedi e serrando la mascella iniziai a correre come una furia verso Thomas, ora girato di spalle. Poco prima di raggiungerlo abbassai il busto e aprii le braccia ai lati del mio corpo, spostando la testa da parte e preparandomi all'impatto. 
Non appena le mie spalle entrarono in contatto con la parte bassa della schiena di Thomas, sentii le mie ossa scrocchiare, ma non ci feci caso e con tutta la mia forza rimasta mi buttai sopra il ragazzo, cercando di farlo cadere a terra per completare il mio placcaggio.
Dovetti trattenermi dall'esultare quando vidi il mio piano funzionare alla grande e mi concentrai solamente sul riuscire a mantere il ragazzo in quella posizione per quanto più tempo necessario. Fortunatamente i miei amici accorsero immediatamente in mio aiuto, dividendosi ognuno una parte da bloccare del corpo di Thomas: Minho gli aveva bloccato le gambe contro il pavimento; Jorge le braccia; Brenda la testa e le spalle.  
"Lasciatemi!" gridò Thomas infuriato. 
"Non mi toglierò finché non se ne saranno andati dalla tua testa." spiegai con il fiatone e le goti rosse per lo sforzo. 
Sentii il ragazzo scuotersi cercando invano di liberarsi e a quel punto mi fissai ancora più saldamente al suo corpo in tensione, accavallando le mie gambe alle sue e premendo con tutto il mio peso sulla sua schiena.
"Andrà avanti così finché Hans non interverrà." disse Brenda, aumentando la forza sulla testa del ragazzo e tenendola appiccicate a terra. 
"Hans?" chiamò Jorge con fare nervoso. L'uomo senza attendere altro si inginocchiò accanto a Thomas. "Non riesco a credere di aver lavorato per quelle persone. Per te." pronunciò quell'ultima parola quasi sputando, guardandolo dritto negli occhi. 
Sentii il corpo di Thomas tremare sotto di me, quasi come il motore di una macchina quando va su di giri, e in meno di un secondo mi sentii sollevare di poco. Rincarai la forza sulle mie gambe e braccia, spingendo nuovamente giù il ragazzo e tremando io stessa per lo sforzo.
"Stai zitto e fai quello che devi fare!" gridai spazientita all'uomo barbuto che, in tutta risposta, mi lanciò un'occhiataccia.
"No!" urlò Thomas. "No!" 
"Non posso farlo qui, ragazzina!" mi gridò di rimando l'uomo.
"E allora dicci dove, diamine, ma sbrigati!"
"Là." disse semplicemente l'uomo indicando una porta bianca in un remoto angolo della stanza che prima non avevo notato.
Okay... Mi dissi nella mente preparandomi psicologicamente e fisicamente a trasportare di forza il ragazzo verso la stanza.
"Pronti?" gridò Minho, lanciando uno sguardo intenso ad ognuno.
Mi spostai di lato e afferrai una delle gambe di Thomas, mentre Hans continuava a tenere fermo il ragazzo puntando le sue ginocchia sulla schiena dell'altro.
"Ora!" urlò Minho alzandosi di scatto e tirando Thomas per una gamba. Ognuno di noi si alzò velocemente, tenendo in modo saldo un arto del ragazzo che aveva continuato ad urlare come un ossesso, dibattendosi da ogni parte con una forza bestiale, ma grazie al cielo quattro contro uno era troppo. 
Thomas continuò ad urlare, ancora e ancora, fino a che non raggiungemmo la piccola stanza bianca che Hans aprì con una pedata.
Entrammo in un laboratorio angusto, con due tavoli pieni di strumenti e un letto. "Mettetelo sul letto!" gridò Hans. 
Senza attendere ulteriori informazioni, sbattemmo Thomas giù di schiena, mentre lui continuava a dimenarsi. Si sentì un forte rumore di ferri mentre Hans rovistava in un cassetto per cercare qualcosa; poi tornò. "Tenetelo il più fermo possibile!" 
Come se quelle parole avessero accesso in Thomas una collera ancora più superiore di quella che già dimostrava, il ragazzo inziò ad inarcare la schiena, sbraitando e agitando le braccia. Una di queste scivolò via dalla presa di Brenda e Jorge ci andò di mezzo, beccandosi un pugno in faccia. 
"Smettila!" gridò Brenda allungando una mano. 
Thomas inarcò di nuovo il torace. "Non posso... lasciarvelo fare!" 
"Tenetelo fermo, accidenti!" gridò Hans. 
In qualche modo Brenda riuscì a riafferrare il braccio e ci si appoggiò sopra con il busto. 
Fu a quel punto che Hans, senza sprecare altro tempo, si mosse velocemente e conficcò l'ago della siringa sul polpaggio della gamba destra di Thomas premendo sullo stantuffo per far entrare tutto il liquido.
Vidi il corpo di Thomas perdere sempre più movimento, fino ad arrivare ad una sana e tranquilla immobilità totale, ma prima che il ragazzo chiudesse del tutto le palpebre, lo sentii biascicare: "Odio quelle teste di caspio." 
Poi perse i sensi.

*Angolo scrittrice*

Ehi, pive!

Volevo solo avvisarvi di una piccola realizzazione che ho avuto giorni fa: probabilmente questa storia avrà moooolti capitoli (credo molti più del primo libro che se non sbaglio ha in totale 51 capitoli).

Mi dispiace di tirare troppo per le lunghe questa storia perché forse potrebbe risultare noiosa o senza fine.

Sto cercando di sbrigarmi e di scrivere tanto in ogni capitolo in modo da ridurre il numero di totale di parti della storia, ma più di questo non posso fare.

Cosa ne pensate voi?

Avete qualche consiglio per aiutarmi? Oppure preferite che la storia duri molto?

Fatemi sapere la vostra opinione!

Bye!

Inevitabilmente_Dea ❤

PS: scusate se ieri non ho aggiornato, ma lo ammetto, sono stata tutta la sera a scrivere qualcosa che non so nemmeno definire. Ho semplicemente iniziato a buttare giú due pagine che mi erano venute in mente e siccome mi intriga un casino il modo in cui sono uscite, forse trasformeró quelle due pagine in un'altra storia, che peró non riguardano il tema Maze Runner.
In ogni caso ancora non so ancora a che trama collegare quelle due pagine scritte a caso, ma appena mi verrà in mente qualcosa vi faró sapere. Intanto cosa ne pensate? Se pubblicassi un'altra storia (ovviamente senza abbandonare questa) la leggereste?

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Capitolo 45
*** Capitolo 45. ***


Dopo che Thomas aveva perso i sensi era piombato sull'appartamento un silenzio imbarazzante. Nessuno voleva accennare a nulla, perciò Hans semplicemente procedette nel rimuovere anche i chip nella testa di noi altri. 
L'operazione fu alquanto veloce e priva di dolore, dato che uno ad uno Hans ci sedò con un'iniezione locale. 
Dopo esserci sottoposti all'operazione decidemmo di cogliere quell'occasione di tranquillità per fare un pisolino: Minho si sistemo su una poltrona posizionata a poca distanza dal lettino su cui era steso Thomas e gli ci volle ben poco per cadere tra le braccia del sonno, dato che dopo pochi minuti era già possibile sentirlo russare con insistenza; Brenda e Jorge invece chiacchierarono un po' con Hans e poi si appisolarono su un divano mezzo rotto, ma abbastanza spazioso per contenere entrambi; io e Stephen invece, sembravamo gli unici a non voler cedere alla stanchezza, nonostante questa si stesse lentamente impossessando di noi, e continuammo a rimanere in silenzio per diverso tempo, come eravamo soliti fare, seduti vicini e fissando il vuoto.
"Sei sicuro di non sentire male?" domandai corruciandomi e alludendo alla sua ferita sulla gola.
"Sì, sono sicuro. Smettila di chiedermelo." mormorò il ragazzo, lasciando l'ennesima carezza sulla testolina di Hailie che si era appisolata sulle sue gambe.
"Perchè lo hai fatto?" chiesi, curiosa della risposta.
"Oh, ancora? Mi sembra di averti già risposto." disse secco, soffocando uno sbadiglio. "Ci sono tanti motivi: hai salvato Hailie, hai salvato me..." si interruppe, arrossendo leggermente.
"E...?" lo incalzai, aspettando quella frase con ansia.
"Ti piace proprio sentirtelo dire, non è vero?" rise lui, lanciandomi un'occhiata divertita. "Ti ho salvata anche perchè mi sono affezionato troppo a te. Sai, quella storia della sorella..." disse in modo vago.
"Oh, andiamo, Steph. Sai fare di meglio." lo stuzzicai, dandogli una leggera gomitata sul braccio.
"Vuoi veramente risentire tutto il discorso?" chiese sbalordito, sbuffando.
"Non ce n'è bisogno." lo informai. "Sai, ci sono tre semplici parole che riassumono tutto."
"Quali? Puzzi come un cesso?" disse in modo serio, causandomi una risata.
"Prima di tutto, quelle sono quattro parole. Secondo, no, non intendevo quelle. E terzo, io volevo semplicemente sentire un 'ti voglio bene'." spiegai. 
"Oh, grazie." mormorò lui, portandosi una mano sul cuore e imitando la mia voce senza successo.
"Non me lo dirai mai, vero?" domandai ridacchiando.
"No. Prima mi dovranno torturare." constatò lui.
"Bene così." bisbigliai sentendo le mie palpebre diventare pensanti. "Vorrà dire che lo prenderò come un suggerimento." mormorai, appoggiando la mia testa sulla sua spalla.

 

Sentii il mio corpo muoversi lentamente e quando aprii gli occhi in modo stanco misi a fuoco il volto di Thomas che mi stava squadrando con occhi quasi sollevati.
"Tom?" mormorai con la voce ancora impastata dal sonno. "Come stai? Senti ancora male a..."
"No, no..." bisbiglió lui ridacchiando. "I miei amici là sotto sono a posto."
"Oh..." borbottai schiarendomi la gola e mettendomi a sedere contro la parete. "Senti mi dispiace per..."
"Grazie per averlo fatto." mi interruppe lui. "Voglio dire, sì, suona ambiguo, ma ti ringrazio per avermi fermato e mi volevo anche scusare per aver cercato di tagliarti la gola." spiegó imbarazzato, grattandosi il collo.
"Tom, ti stavano controllando." lo giustificai. "Non potevi fare nulla per cambiare quella situazione, purtroppo. Quando la W.I.C.K.E.D. vuole che tu faccia qualcosa, non hai scampo."
"Ecco, a proposito di questo: ora ho capito." mi informó. "Ho capito perché hai fatto quello che dovevi fare nella Zona Bruciata, ho provato sulla mia pelle cosa significa essere obbligati a fare qualcosa contro il proprio volere, e ho anche realizzato che mi sono comportato da vero stronzo." spiegó con calma, guardandomi con la testa bassa e facendo così risaltare le occhiaie presenti sotto i suoi occhi.
"Mi fa piacere che alla fine tu abbia capito tutto." risposi sincera. "Insomma, non é semplice ammettere i propri errori e proprio per questo ti ringrazio."
"Be' se non li avessi ammessi, avrei negato la realtà." borbottó ridacchiando, poi tornando serio aggiunse: "Quando mi controllavano avresti potuto fregartene e lasciare che uccidessi Hans, realizzando i piani della W.I.C.K.E.D. Invece non lo hai fatto. Questa dimostrazione mi basta per capire che sei ancora una di noi: una dei Radurai."
Sorrisi a quell'affermazione, fiera di me stessa per essere riuscita a dimostrargli la mia lealtà e amicizia, ma anche fiera di lui perché era riuscito a superare l'orgoglio e la testardaggine per chiedere umilmente scusa e riconoscere i suoi errori.
"Bene così." mormoró poi sorridendomi incoraggiante e concludendo la discussione. "Amici come prima?" chiese porgendomi la mano.
"Amici piú di prima." replicai afferrando il suo palmo e scuotendolo due volte in segno di ricongiungimento.
"Forza pive, svegliate quello scemo e venite a senire cosa ha da dire questo Dolente barbuto." urló Minho guardandoci con un sorrisetto storto.
Scossi la testa e aiutata da Thomas mi alzai in piedi, poi mi chinai su Stephen e delicatamente gli scossi il braccio, facendolo svegliare immediatamente. "Cosa?" mi domandò confuso, spalancando gli occhi e guardandosi attorno confuso.
"Io non ho detto nulla." mormorai divertita per la sua  espressione assonnata. "Hans deve dirci qualcosa, vedi tu se vuoi svegliare Hailie oppure no."
Non appena vidi il ragazzo annuire, passandosi una mano sul volto per togliersi di dosso la stanchezza, gli sorrisi e poi seguii Thomas nella cucina, dove Hans ci stava aspettando impaziente, appoggiato contro il lavandino vicino ad un bancone. Mi sedetti con gli altri al tavolo e attesi pazientemente l'arrivo di Stephen, che non tardò a raggiungerci senza la sorellina.
Non appena il ragazzo prese posto al tavolo, Hans si diede una piccola spinta per distaccarsi dal suo appoggio e si mosse verso di noi con lo sguardo rivolto verso il basso. "Vorrei poter venire con voi e aiutarvi, ma ho una moglie e lei è la mia famiglia. Devo pensare a lei prima di tutto. Volevo augurarvi buona fortuna. Spero che riusciate a fare quello che io non ho il coraggio di provare." spiegò l'uomo in modo sincero. Il suo improvviso cambio di comportamento mi aveva destabilizzato un pochino, aumentando la mia confusione. Forse vedere di cosa era capace la W.I.C.K.E.D. aveva ridimensionato la arroganza nei nostri confronti?
"Grazie." mormorò Thomas, annuendo come a confermare quella semplice sebbene sincera parola. "E se fermeremo la W.I.C.K.E.D., torneremo a cercarti."
"Ci penseremo poi." rispose l'uomo ricambiando il sorriso e incrociando le braccia al petto. "Sono molte le cose a cui dovremo pensare." dopo aver detto ciò si voltò e raggiunse di nuovo la sua posizione vicino alla lavandino. 
"E adesso che si fa?" chiese Brenda impaziente, rivolgendosi principalmente a Thomas.
Infatti, poco dopo quest'ultimo le rispose: "Troviamo i nostri amici e li convinciamo a unirsi a noi. Poi torniamo da Gally. L'unica cosa che ho concluso nella mia vita è stata aiutare a mettere in piedi un esperimento che è fallito e ha afflitto un mucchio di ragazzi. È arrivato il momento di aggiungere qualcos'altro alla lista. Fermeremo l'intera operazione prima che facciano la stessa cosa a dei nuovi immuni."
Dopo essere rimasto in silenzio per un po', Jorge intervenne. "Noi? Cosa vuoi dire, hermano?"
Thomas rivolse lo sguardo verso di lui, sempre più determinato. "Dobbiamo aiutare il Braccio Destro." spiegò in modo secco, convito, senza nessun alone di insicurezza.
Rimanemmo tutti in silenzio, poi alla fine Minho prese la parola. "Va bene, ma prima mangiamo qualcosa." propose, dicendo a parole ciò che il mio stomaco aveva espresso brontolando per la fame.

Andammo in un bar lì vicino, consigliato da Hans e sua moglie. Non appena entrammo nel piccolo edificio, un buon odore di caffè – una piccola memoria che avevo recuperato prima della Zona Bruciata – mi riempì le narici, tranquillizzandomi un po' e restituendomi un senso di pace che tuttavia durò ben poco: non mi ci volle molto a notare la figura di un uomo vestito con una tuta unica di un colore rosso abbagliante che fissava in modo attento ogni persona all'interno del bar, tenendo stretto in mano uno strano aggeggio metallico. L'uomo in sè non dava l'idea di essere una minaccia per noi, tuttavia la sua smorfia attenta e burbera sembrava intenzionata a voler creare delle situazioni spiacevoli che ci avrebbero sicuramente causato guai.
Eppure i clienti che si mettevano in fila al bancone non sembravano preoccuparsi più di tanto di quella figura, troppo ansiosi di prendere un caffè o un dolcetto per poi andarsene o sedersi ad un tavolo. 
Seguii il resto del gruppo che si sistemò comodamente in un tavolino nell'angolo della stanza e fui pienamente felice nel sedermi sulla sedia in legno e dare le spalle all'uomo. 
Thomas si sedette davanti a me assieme a Minho e Brenda, mentre Stephen ed Hailie erano al mio fianco. Mi guardai attorno curiosa di vedere a che punto della fila fosse arrivato Jorge – che nel frattempo si era offerto per andare a comprare qualcosa da bere e da mangiare – e non appena mi voltai notai qualcosa di molto particolare: ogni persona in quella stanza aveva una mascherina ospedaliera appiccicata al volto e premuta sulla bocca. 
Probabilmente io e i miei amici avremmo dato nell'occhio dato che eravamo gli unici a non indossarla, ma sinceramente non me ne preoccupai più di tanto, dato che potevamo semplicemente passare per dei ragazzi incoscenti a cui non importava prendere l'Eruzione.
Jorge tornò ben presto con dei panini e delle tazze fumanti di caffè, e ci mettemmo tutti assieme a mangiare e bere senza dire una parola. 
Cercai di divorare lentamente la mia porzione, ma alla fine mi ritrovai a mangiare quel panino in due morsi e decisi di concentrarmi sul caffé bollente che sicuramente sarebbe sopravvissuto più del suo amico panino.
Dopo aver soffiato per l'ennesima volta sulla tazza fumante e aver strofinato i palmi attorno ad essa per riscaldarmi, ebbi l'impressione che qualcuno mi stesse fissando. Alzai lentamente lo sguardo e la mia attenzione venne attirata da Thomas che, al contrario di ciò che avevo pensato, stava fissando qualcosa alle mie spalle con occhi turbati.
Decisi di seguire il suo sguardo e mi voltai lentamente, riuscendo solo dopo alcuni attimi a capire il soggetto che aveva suscitato la sua curiosità: un uomo, sui trentacinque-quarant'anni, era seduto su una panchina non lontana da noi, davanti alla grande vetrina che si affacciava sulla strada; davanti a sé l'uomo aveva una tazza colma di caffé da cui non si sollevava più fumo, quindi probabilmente se ne era stato in quella posizione per parecchio tempo senza voler finire la sua bevanda; se ne stava lì con le spalle ricurve, i gomiti sulle ginocchia, le mani leggermente intrecciate, a fissare un punto dalla parte opposta del locale; c'era qualcosa di inquietante nel suo sguardo, era vuoto, con gli occhi che quasi galleggiavano nelle orbite, eppure si intravedeva una punta di piacere.
Mi voltai nuovamente verso il resto del gruppo, decisa a non guardare per nemmeno un secondo di più il volto dell'uomo, e lanciai uno sguardo a Thomas, dicendogli in modo implicito di smettere di fissare così quella figura. Perlomeno il ragazzo mi ascoltò e dopo aver fatto spallucce si concentrò sulla sua tazza di caffè, riprendendo ad ignorarmi.
Dopo diversi minuti tutti avevamo finito di mangiare, così ci alzammo e ci preparammo ad uscire, ma Brenda afferrò il polso di Thomas, trattenendolo e osservandolo con un'espressione preoccupata. "Aspetta, Thomas." disse al ragazzo, poi si rivolse a noi. "Vi dispiacerebbe aspettare fuori per qualche minuto?" 
"Scusa?" rispose Minho con tono esasperato. "Altri segreti?"
"No. Niente del genere, giuro. Mi serve solo un attimo. Voglio dire una cosa a Thomas." si giustificò la ragazza, scuotendo la testa e fissando il Velocista dritto negli occhi.
Thomas lanciò uno sguardo indifferente all'amico e si rimise seduto vicino alla ragazza, rivolgendosi a noi dopo poco. "Andate, tranquilli." poi guardò Minho e gli disse: "Sai che non ti nasconderei mai niente. E lo sa anche lei."
Il suo amico borbottò, ma alla fine uscì con noi altri e decidemmo di aspettare i due sul marciapiede accanto alla vetrina più vicina. Minho fece a Thomas un sorriso a trentadue denti e lo salutò con la mano; dal suo sarcasmo era evidente che non fosse esattamente felice. Thomas ricambiò il saluto, poi rivolse l'attenzione a Brenda, iniziando a parlarci.
"Minho, andiamo..." mormorai dando una gomitata al ragazzo che fissava in modo scrupoloso entrambi i ragazzi seduti all'interno del bar. "E' solo una chiacchierata."
"Già, ma Thomas è talmente stupito da bersi ogni caspiata che esce dalla bocca di quella..." il ragazzo si interruppe, la sua attenzione attirata da uno sguardo furente di Jorge a cui ovviamente non piaceva sentir parlar male dell'amica. "...di quella figlia della sploff." concluse Minho usando il gergo dei Radurai che Jorge non avrebbe sicuramente compreso. "Non mi dirai che ti fidi di lei, ora?"
"Io?" domandai stupita. "Se potessi la evitere come se fosse un Dolente in stagione ormonale, ma purtroppo siamo nella stessa avventura insieme e posso solo limitarmi ad ignorarla." spiegai. "Quindi no, direi che sono molto lontana dal concetto di fiducia."
"Buono a sapersi, bambolina." borbottò Minho avvicinandosi a me e mettendomi un braccio attorno alle spalle. "Vedo che hai ereditato la mia intelligenza." affermò convinto, bussando sulla mia testa.
"Ehm, Minho..." lo richiamai, decisa a spegnere il suo entusiasmo. "Tu non sei mio padre e tanto meno mia madre, quindi non posso aver ereditato la tua intelligenza, che tra l'altro – perdonamise te lo dico – è molto inferiore alla mia."
"Porco caspio, sai essere proprio spietata." replicò il ragazzo distaccandosi. "E per di più, il mio era solo un modo di dire. 'Ereditato' nel senso che ti ho insegnato bene a ragionare: quando sei arrivata nella Radura eri una caspio di ingenua checca."
"Fingerò di non aver sentito." concessi, rivolgendogli un sorriso amichevole e scuotendo la testa. Cercare di avere ragione con Minho era come affrontare duecento Dolenti in una volta: impossibile.
Feci per voltarmi verso Stephen e domandargli se voleva che tenessi la sorellina in braccio per un po' in moso da riposarsi, ma non appena mi girai un grido ruppe il silenzio nell'aria, facendomi sussultare sul posto. "Abbiamo un infetto! Evacuare l'edificio!" gridò una voce.
Senza neanche avere un attimo per elaborare tutto ciò che mi ero persa, nel bar scoppiò il pandemonio: le urla riempirono l'aria mentre tutti si riversavano verso l'unica uscita, bloccando la porta. Spalancai gli occhi e cercai disperatamente Thomas tra tutta quella folla, ma era alquanto impossibile scorgerlo tra tutti quei visi impazziti dalla paura, poi però quando vidi la figura di Brenda correre senza fiato verso di noi, sentii una pessima sensazione nascermi in corpo.
"Dov'è Thomas?" le domandai secca, senza neanche darle il tempo di riprendere fiato.
"Non lo so! E' rimasto lì dentro!" spiegò con fare agitato.
"Lo hai voluto trattenere e quando è scoppiato il pandemonio te la sei data a gambe?" gridai infuriata. Quella ragazza era veramente un'oca egoista e falsa. Thomas non si era nemmeno reso conto del rischio che stava correndo rimanendose dentro quel bar: se qualcuno avesse scoperto che era Immune lo avrebbero sicuramente preso e forse venduto o segnalato alla W.I.C.K.E.D.
Senza attendere altro mi precipitai verso il bar, ignorando i continui richiami da parte di Stephen e Minho, ma quando mi resi conto che sarebbe stato impossibile attraversare quel fiume di gente che si riversava impazzita fuori dal bar, decisi di buttarmi su una delle tante vetrate che davano la visuale dell'interno del bar.
"Thomas!" gridai a squarciagola battendo i pugni sul vetro. "Thomas!"
Solo dopo diversi richiami il ragazzo si voltò verso di me con un'aria impassibile. Ma cosa gli era preso? Perchè se ne era rimasto seduto come uno scemo a fissare la scena?
"Thomas esci di lì!" gridai, indicandogli l'uscita che ormai iniziava ad essere sempre meno affollata.
Il ragazzo non si degnò nemmeno di rispondermi, e si voltò nuovamente a fissare la scena davanti a sè. Inizialmente pensai che stesse osservando le persone uscire come forsennate dall'edificio, ma solo dopo poco compresi che in realtà ciò che aveva attirato la sua attenzione era uno scenario completamete diverso: l'agente vestito di rosso che avevo scorto diversi attimi prima dentro il bar si stava azzuffando con l'uomo apparentemnete privo di vitalità che Thomas era rimasto a fissare mentre mangiava. 
Fu in quel momento che mi resi conto che tutta la folla era uscita e il bar era vuoto, eccetto che per i due uomini e Thomas. Provai nuovamente ad attirare l'attenzione del ragazzo.
"Thomas esci dannazione!" gridai a squarciagola, dando un calcio contro la vetrata.
Questa volta il ragazzo mi rivolse uno sguardo preoccupato, probabilmente rendendosi conto del terribile sbaglio che aveva fatto rimanendo lì dentro, ma purtroppo ormai era troppo tardi.
Vidi l'uomo vestito in rosso rivolgersi a lui, tenendo a terra l'altro uomo che nel frattempo aveva iniziato a piangere, e dalla mimica facciale non sembrava per niente contento di vederlo ancora lì seduto.
Scossi la testa e corsi verso l'entrata dell'edificio, venendo però fermata da Minho che tenendomi ben salda per un braccio mi tirò verso di sè impendendomi di camminare. "Ferma lì, bambolina. Così peggiorerai solo la situazione." mi avvisò il ragazzo.
"Ma Thomas..."
"Lo so, è un maledetto idiota e io avevo maledettamente ragione nel non volerlo lasciare lì dentro." spiegò il ragazzo prendendomi per mano e trascinandomi dietro di lui verso l'entrata dell'edificio.
Venimmo seguiti anche dagli altri e per un attimo fui sollevata nel vedere che tutti sembravano determinati nell'intervenire in quella situazione tanto quanto me, ma non appena raggiungemmo la soglia Minho si bloccò, facendomi segno di starmene zitta.
Lanciai uno sguardo a Thomas e lo vidi seduto per terra, non molto lontano dalla guardia che ora gli stava dicendo qualcosa, sputacchiando qua e là, e dopo aver incontrato il mio sguardo il ragazzo scosse la testa, come a pregarmi di non entrare ed immischiarmi.
L'agente ci ignorò completamente e si concentrò solo su Thomas. "Se sei così sicuro di essere un Mune, allora non ti dispiacerà fare il test per provarlo, giusto?"
"No." replicò il ragazzo sicuro.
Stupido, stupido, stupido Thomas. Pensai, serrando la mascella. Non solo era rimasto dentro l'edificio mettendo a repentaglio la sua vita, ma aveva anche confermato alla guardia che era un Immune. Bel lavoro, Tom, davvero. 
"Allora facciamolo." disse l'agente, infilandosi una pistola nella fondina e tirando fuori l'apparecchio che gli avevo visto in mano precedentemente. L'uomo si piegò in avanti per appoggiarlo sul viso di Thomas, gli disse qualcosa che non riuscii a comprendere e poi premette un tasto su quell'aggeggio.

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Capitolo 46
*** Capitolo 46. ***


L'agente riprese l'apparecchio e controllò il risultato su un piccolo schermo. "Be', chi l'avrebbe detto. Sei davvero un maledetto Mune. Ti dispiacerebbe spiegarmi come sei finito a Denver e come fai a non sapere un accidente del Nirvana o come riconoscere un drogato quando ne vedi uno?"
Oh, quindi l'uomo che sembrava privo di vitalità era sotto l'effetto del Nirvana. Pensai spalancando gli occhi sorpresa. E ciò voleva dire che... L'uomo ha l'Eruzione.
Ma certo... come avevo fatto a non arrivarci prima! La guardia aveva anche gridato di evacuare l'edificio perchè c'era un infetto, ma probabilmente non avevo dato peso a quelle parole perchè in quel momento ero concentrata sul tirare fuori Thomas da quella pessima situazione.
"Io lavoro per la  W.I.C.K.E.D." disse il ragazzo senza neanche rifletterci sopra.
Senza riuscire a trattenermi mi poetai una mano sulla fronte e la trascinai sul volto. Come poteva essere così stupido e ingenuo?
Fortunatamente la guarda fece una smorfia divertita e lo sbeffeggió: "Credo a questa cavolata tanto quanto credo che i problemi di quel tizio non abbiano niente ache fare con l'Eruzione. Tieni il sedere incollato dov'è o comincerò a sparare."
Davvero una bella situazione. Pensai. Ci mancava solo questo... Ma alla fine abbiamo tutto il tempo del mondo, giusto? Newt non é da solo dentro una cavolo di Berga da giorni e Gally non ci sta di certo aspettanto per ricevere una risposta sul Braccio Destro. Come ho detto: tutto va perfettamente e possiamo permetterci di sprecare tempo!
Non mi accorsi di aver serrato i pugni almeno fino a che non sentii una fitta di dolore ad entrambi i palmi. Solo allora decisi di nuttare giú tutta la rabbia e lo stress e di rilassarmi almeno finché non fossimo usciti da quella pessima situazione: presi un profondo respiro e impiegando tutta la mia forza di volontà rilassai i muscoli, flettendo le dita e distaccando le unghie dai palmi.
Proprio in quel momento sentii dei passi correre veloci nella nostra direzione e feci appena in tempo a voltarmi per notare quattro figure entrare nel bar di fretta, tutte vestite con una tuta di plastica verde che li copriva dalla testa ai piedi, tranne che per il viso, che era nascosto da dei grossi occhialini, sotto i quali c'era una maschera. 
"Cos'è questa storia?" chiese uno di loro, quasi con una voce meccanica. "Ne hai presi due?"

"Non proprio." rispose l'agente. "Ho trovato un Mune, pensa di voler restare a godersi lo spettacolo."

"Un Mune?" l'altro uomo sembrava non credere alle proprie orecchie. 
"Un Mune." confermò l'uomo. "È rimasto immobile mentre tutti gli altri sono schizzati fuori di qui, sostiene che voleva vedere cosa succedeva. E come se non bastasse, dice che sospettava che il nostro futuro Spaccato qui fosse sotto l'effetto del Nirvana, e non l'ha detto a nessuno, ha continuato a bere il suo caffè come se niente fosse."
Mi morsi il labbro e mi impegnai con tutto il mio spirito a tenere la bocca chiusa e a non intervenire, ma quella situazione stava diventando veramente insostenibile, come se ogni parola pronunciata la peggiorasse attimo dopo attimo, aumentando il vortice di guai che girava senza sosta attorno a tutti noi.
L'agente fece un passo indietro mentre i quattro operatori sotto il telo di protezione circondavano l'uomo infetto che stava ancora singhiozzando, rannicchiato su un fianco per terra. Uno dei nuovi arrivati stringeva tra le mani un oggetto azzurro di plastica spessa con uno strano ugello e lo stava puntando verso l'uomo sul pavimento come se fosse un'arma. Per quanto piccolo fosse quell'aggeggio aveva un aspetto minaccioso, ma per quanto mi sforzassi di ricollegarlo a qualche nome o alla sua funzionalità, più mi rendevo conto di stare pensando al nulla. Se non mi ricordavo cosa fosse quello strano strumento probabilmente la W.I.C.K.E.D. lo aveva inventato e poi tenuto nascosto, oppure semplicemente quando lo avevano inventato io ero già dentro il Labirinto. 

"Devo chiederle di stendere le gambe, signore." disse il capo degli operatori. "Tenga il corpo fermo, non si muova, cerchi di rilassarsi."
"Non lo sapevo!" piagnucolò l'uomo. "Come facevo a saperlo?"
"Sì che lo sapevi!" gridò l'agente da un lato. "Nessuno prende il Nirvana tanto per prenderlo."
"Mi piace la sensazione che mi dà!" spiegò l'uomo piagnucolando. La voce dell'uomo mi fece provare una tristezza incredibile. Perchè lo dovevano trattare in quel modo? Non aveva aggredito nessuno e perciò meritava di essere trattato come essere umano, non come animale.
"Ci sono molte droghe più a buon mercato di quella. Smettila di mentire e chiudi il becco." continuò l'agente con la camicia rossa, poi agitò la mano come se stesse scacciando una mosca. "Chi se ne frega. Impacchettate quell'idiota."
Sentii la rabbia aumentare di nuovo dentro di me, obbligandomi a serrare la mascella e ad irrigidirmi sul posto, puntando i piedi a terra nella speranza di non lasciare che la mia furia prendesse il sopravvento su di me. Se solo la guardia non fosse stata di spalle le avrei almeno tirato un'occhiataccia. Di certo non avrebbe risolto nulla, ma almeno avrei espresso la mia disapprovazione.
Osservai impotente l'uomo infetto rannicchiarsi ancora di più, stringendosi le gambe al petto con le braccia. "Non è giusto. Non lo sapevo! Sbattetemi fuori dalla città e basta. Giuro che non tornerò mai. Lo giuro. Lo giuro!" scoppiò in un altro straziante pianto a dirotto, che mi fece venire ancora più voglia di mandare all'aria tutto ed intervenire.

"Oh, ti manderanno via, tranquillo." disse la guardia, tuttavia, questa volta, essa fissò Thomas e anche il ragazzo sembrò accorgersene poichè si irrigidì. "Continua a guardare, Mune. Ti piacerà."
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Senza neanche pensarci due volte mi mossi in avanti, ma venni immediatamente bloccata da Stephen, che senza farsi troppi problemi mi sollevò da terra e mi stritolò a lui, permutandosi anche di mettermi una mano sulla bocca per far sì che non parlassi.
Come potevano tutti rimanere semplicemente a guardare quella scena? A cosa si erano ridotti quegli uomini? Quale livello avevano raggiunto per riuscire a provare piacere dalla disgrazia di altri uomini? Era inconcepibile. Per anni ero stata a contatto con ingiustizie e aggressioni di ogni tipo, tanto che forse avevo sviluppato una particolare insofferenza ogni volta che ne vedevo o ne subivo qualcuna.
"Stenda le gambe," ripeté una dellepersone in verde. "o le farà un male terribile. Le stenda. Subito!"

"Non ci riesco! Per favore, lasciatemi andare!" 
A quel punto l'agente camminò a passo deciso verso l'uomo, spingendo via uno degli operatori, poi si chinò in avanti e gli puntò la pistola alla testa. "Stendi le gambe, o ti beccherai una pallottola nel cervello e farai un favore a tutti. Sbrigati!"
Spalancai gli occhi, sentendo le mie gambe tremare forse per la rabbia, forse per la triastezza o lo stupore. Era troppo. Non poteva comportarsi così.
Iniziai a dimenarmi e appena riuscii a liberare anche solo un braccio tirai una forte gomitata sulle costole di Stephen che non esitò a lasciarmi andare per portarsi le mani sulla parte dolorante del corpo. Mi scusai mentalmente con lui, dato che l'unica colpa del ragazzo era stata trattenermi dal fare una cosa stupida che tuttavia avrei comunque fatto.
"La smetta!" ordinai con voce chiara, avanzando a falcate verso il gruppo di insensibili.
La guardia si voltò immediatamente verso di me, puntandomi la pistola addosso, quasi come se fosse stato un suo riflesso, poi quando si accorse che la persona ad aver parlato era stata solamente una ragazzina esile, abbassò l'arma e mi lanciò uno sguardo scocciato.

"Ti conviene lasciarci fare il nostro lavoro, signorina. Non abbiamo tempo da perdere, quindi torna dai tuoi stupidi amichetti e stai zitta." disse radddirzzando la schiena e puntando nuovamente la pistola addosso al povero uomo che ora mi fissava con aria implorante.
"Stia zitto lei!" replicai infuriata. "Non so cosa vogliate fare a questo povero uomo, ma di certo questo non è il modo." spiegai avanzando senza paura.
"Mi sto stancando di te, perciò giuro che se non torni da dove sei venuta ti sparo un proiettile proprio dentro quella bella testina." mi minacciò l'uomo, allungando la pistola nuopvamente verso di me e togliendo la sicura all'arma.

Alzai un sopracciglio, sorpresa di non sentirmi per nulla impaurita o minacciata, ma quando vidi una figura striscare veloce verso di me non potei fare a meno di sobbalzare e perdere la mia rigidità espressiva. Senza che nessuno si accorgesse l'uomo infetto aveva gattonato verso di me e ora mi si era aggrovigliato attorno al polpaccio, stringendolo come se fosse la sua ancora di salvezza.
Abbassai lo sguardo verso di lui e quando vidi i suoi occhi ricolmi di lacrime e terrore, per un attimo mi sentii male: solo in quel momento notai che l'uomo aveva dei capelli color biondo spento, quasi cenere, che mi proiettarono all'immagine del volto di Newt. Se solo pensavo che quell'uomo poteva essere il mio ragazzo se mai lo avessimo portato con noi a Denver mi si stringeva al cuore. 
"Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego..." continuò l'uomo, in una cantilena continua. "Digli che non ho fatto niente di male."
"Smettila immediatamente di piagnucolare e torna al tuo posto!" gridò la guardia infuriata. "Torna al tuo posto o ti sparo!" continuò ad urlare infuriato, sputacchiando qua e là.
Solo allora riuscii a sentire il panico e il terrore della morte, che però questa volta non puntava a me, ma all'uomo rannicchiato ai miei piedi. Se gli avessero sparato non me lo sarei mai perdonata.
"Mi ascolti, signore." dissi dolcemente, ma con voce chiara, attirando lo sguardo. "Ora lei deve tornare dove era prima, stendersi tranquillamente a terra e chiudere gli occhi. Ripensi a qualcosa di bello, qualcosa che la fa sorridere. Le assicuro che tutto finirà molto presto e che questi signori la la porteranno in un posto più... adatto a lei."

"No, no, no, no, no, no..." continuò lui. "Tu non capisci, tu non capisci, non capisci."
"La prego di ascoltarmi. Se non fa come le dico le faranno del male e io non potrò fare più niente." continuai, convinta e ferma.
L'uomo mi guardò per qualche altro attimo, poi vidi i suoi occhi pieni di speranza e lacrime spegnersi lentamente, colmati da un senso di tristezza e di rassegnazione. Poi sentii le mani dell'uomo farsi sempre più deboli attorno alla mia gamba e lentamente lasciarmi andare. Quasi strisciando a terra l'uomo sgattaiolò lontano da me, tornando come gli era stato chiesto al suo posto originale. Poi piagnucolando, con gli occhi pieni di terrore, l'uomo infetto lasciò andare lentamente le gambe, le allungò e si stese a terra mentre tutto il suo corpo tremava. 

L'agente indietreggiò quasi sorpreso, riponendo la pistola nella fondina. La persona con lo strano oggetto azzurro si spostò immediatamente sistemandosi dietro la testa dell'uomo, poi gli piazzò l'ugello sopra la nuca, spingendolo tra i capelli.
"Cerchi di non muoversi."  a parlare ero sicura fosse stata una donna, e, se possibile, la sua voce filtrata dalla maschera mi sembrava ancora più inquietante di quella degli uomini. "O perderà qualcosa."
Ebbi a malapena il tempo di chiedermi cosa volesse dire, prima che la donna premesse un pulsante e una sostanza simile a un gel schizzasse fuori dall'ugello. Era azzurra e densa ma si espandeva velocemente, sulla testa dell'uomo, poi giù verso le orecchie e sul viso. Il tizio si mise a gridare, ma l'urlo venne soffocato dal gel che gli coprì la bocca, per poi scendere verso il collo e le spalle. Mentre colava la sostanza si solidificava, trasformandosi in una specie di guscio trasparente. Nel giro di pochi secondi,metà del corpo dell'infetto era rigida, coperta da uno strato avvolgente di quella roba, che penetrava in ogni cavità della pelle e tra le pieghe dei vestiti.
Solo quando mi obbligai a distogliere lo sguardo dall'uomo, sentendomi morire dentro al pensiero che quella sorte avrebbe potuto toccare a Newt, sentii gli occhi della guardia fissi su di me e alla fine, a malavoglia, incrociai il suo sguardo.
"Che c'è?" chiesi brusca, soffocando le lacrime che sentivo premere dietro i miei occhi.

"Uno spettacolo niente male, eh?" rispose quello. "Goditelo finché dura. Quando sarà finito, tu e il tuo amichetto verrete con me."
Sentii immediatamente un tuffo al cuore: c'era qualcosa di sadico negli occhi dell'agente. Distolsi lo sguardo non appena lo fece anche l'uomo e mi voltai verso i miei amici che ora mi stavano guardando preoccupati.
"Ehi!" urlò Stephen, stringendo la sorellina che nel frattempo era voluta salire in braccio al fratello. "Cosa centra Elena in tutta questa storia?" domandò abbastanza arrabbiato.
L'agente si voltò nuovamente e fissò il ragazzo dai capelli bianchi in modo curioso. "Perchè è ovvio che sia una Mune, sennò non avrebbe lasciato che l'infetto la raggiungesse." spiegò in modo semplice. "Aspettate un attimo..." si interruppe poi, spalancando gli occhi e avanzando di un passo indicando contro i miei amici.

Quasi in modo meccanico indietreggiai, ma l'uomo non sembrò notarlo, tutto concentrato sugli altri. 

"Anche voi sieteMuni?" domandò l'uomo portandosi una mano dietro la schiena, probabilmente alla ricerca della pistola.

Senza neanche riuscire a capire cosa stesse succedendo qualcuno mi afferrò il polso e mi trascinò velocemente all'indietro, obbligandomi a girarmi e a correre per non incespicare sui miei spessi piedi. Quando Minho mi vide stabile, aumentò la presa sul mio polso e scattando all'avanti prese a correre talmente veloce che pensai di dover volare per riuscire a stargli al passo.

"Fermi tutti!" gridò l'agente. Probabilmente dopo me e Minho se l'erano data tutti a gambe.
Continuai a correre a perdifiato, lottando contro la voglia di voltarmi per vedere effettivamente chi ci stava seguendo e chi no, poi svoltammo un angolo in fretta e furia, quasi rischiando di scivolare a terra per aver preso la curva troppo velocemente.

Una volta riacquistato l'equilibrio ripresi a correre ancora più velocemente di prima, sentendo il fiato scarseggiare dentro i miei polmoni. 
Passo dopo passo, respiro dopo respiro, continuai a muovermi per attimi infiniti, sentendo il mio cuore battere forte. Sapevo che questo non stava pulsando all'impazzata per via della fatica, bensì per l'immagine dell'uomo infetto e per la facilità con cui lo avevo associato a Newt nonostante le loro diversità.

Forse in fondo avevo accettato il fatto che il biondino avesse l'Eruzione.
Forse invece non mi ci ero abituata per niente.

{Capitolo non revisionato//scusate se è corto, ma non sono riuscita a scrivere di più}

 

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Capitolo 47
*** Capitolo 47. ***


Continuammo a correre a perdifiato per diversi minuti e quando alla fine capimmo che nessuno ci stava inseguendo, rallentammo il passo fino a svoltare un'altro angolo ed accasciarci al suolo stremati per la fatica.
Minho mi mollò il polso e si piegò all'avanti, appoggiando le mani sulle ginocchia e respirando pesantemente; Jorge si accasciò direttamente al suolo, portandosi una mano sul petto e prendendo grosse boccate d'aria; Brenda si stava asciugando il sudore dalla fronte e si era seduta contro la parete, con la testa rivolta verso l'alto e gli occhi chiusi; io invece mi ero gettata subito contro il muro freddo, premendo il viso contro di esso nel tentativo di placare le mie guance in fiamme; Stephen invece appoggiò la sorellina a terra e strascicando i piedi e respirando sonoramente mi si avvicinò, puntandomi addosso un dito ancora prima di parlare.
"Tu." buttò fuori a gran fatica, fermandosi contro il muro e mettendosi una mano sul fianco. "Mi spieghi..." prese un bel respiro. "cosa ti è... saltato in testa?" domandò poi, cercando di battere il fiatone.
Mi limitai a scuotere la testa, incapace di trovare il fiato per una sola parola e allo stesso tempo non sapendo nemmeno rispondere a quella domanda. Perchè ero intervenuta? Alla fine quello era solo uno sconosciuto, avrei potuto fregarmene come avevano fatto tutti, ma avevo comunque deciso di mettermi in mezzo, attirando i guai.
"Be', la prossima volta... avvisami." spiegò il ragazzo facendo una smorfia. "E non... darmi più... gomitate... donna pazza."
"E tu non... mi fermare... la prossima volta." replicai scocciata, strusciando la mia guancia contro il muro.
"Non ci sarà una prossima volta." disse Minho normalmente, guardandomi severo. A quanto pareva il ragazzo sembrava non sentire per niente la fatica, ma dopotutto lui era un Velocista, era abituato a correre dato che era la sua stessa salvezza dai pericoli. "Mai più. Sai quante legnate mi prenderei se Newt sapesse cosa ti abbiamo lasciato fare?"
Solo dopo aver pronunciato quelle parole il ragazzo si fermò di colpo, come se si fosse ricordato solo in quel momento del biondino. "Dobbiamo sbrigarci. Forza, muovete quelle chiappe. Dobbiamo trovare quella testa puzzolente di Thomas." ordinò l'asiatico, girandosi di spalle e prendendo a camminare verso una direzione qualsiasi.
"Ehi!" gridai distaccandomi dal muro e tentando di raggiungerlo. "Come facciamo a sapere dove lo portano?"
"Be' non lo so. Limitiamoci a..."
Il suono della voce del ragazzo venne improvvisamente interrotto da un forte rumore di spari continui. Sussultai sul posto e quasi come se temessi che questi arrivassero da dietro e fossero diretti a noi mi voltai di scatto allarmata.
Quell'attimo di terrore passò velocemente poichè gli spari cessarono nello stesso istante in cui incrociai nuovamente lo sguardo di Minho. Vidi il ragazzo fissarmi in modo assente, come se stesse riflettendo, e quasi senza volerlo mi venne da collegare quegli spari a Thomas. Magari era in pericolo.
Minho sembrò pensare la mia stessa cosa dato che spalancò gli occhi preoccupato e ordinò agli altri di seguirlo, per poi prendere a correre velocemente, come se non sentisse per nulla la stanchezza della corsa di pochi attimi prima.
Per la prima volta la mia pigrizia venne vinta dalla preoccupazione e dal terrore che quegli spari potessero aver coinvolto in qualche modo anche Thomas, perció ripresi a correre – anche più velocemente di prima – senza fare troppe lagne.
Seguii Minho e anche quando gli altri dietro di noi iniziarono a rallentare sempre più per la stanchezza, io continuai a correre, urlandomi di dovercela fare a tutti i costi.
Chissà come avrebbe reagito Newt se avesse perso il suo migliore amico. Come minimo sarebbe impazzito e io non lo avrei mai permesso.
Svoltammo per due volte a sinistra e dopo diversi minuti di corsa – che a me sembrarono un'eternità – iniziai a pensare che Minho non sapesse nemmeno dove fossimo diretti. Svoltammo a destra, poi a sinistra e nuovamente a destra.
Fui quasi tentata di chiedere al ragazzo se fosse certo di portarci nella direzione corretta, ma non appena l'asiatico svoltó l'ennesimo angolo, entrando in una strada abbandonata, capii di aver sbagliato a dubitare di lui. Dopotutto Minho aveva corso per anni, stando attento ai rumori dei Dolenti per capire da dove arrivassero e cercando di aggirarli, perció non avrei dovuto sottovalutare le sue abilità da Velocista.
Infatti il ragazzo era riuscito a trovare Thomas che se ne stava fermo, immobile, davanti ad una macchina e fissava in alto, ma non appena ci scorse avanzare correndo verso di lui ci rivolse un sorriso sollevato, raggiungendoci veloce.
Solo quando il ragazzo si spostó dalla sua postazione notai il corpo vestito di rosso che giaceva a terra, che indubbiamente apparteneva all'agente che aveva cercato di sequestrarci nel bar.
Mi bloccai immediatamente, frenando sul posto senza riuscire a distogliere gli occhi dal corpo inerme steso a terra a non poca distanza da Thomas. Che fosse stato il ragazzo ad ucciderlo?
Minho continuò a correre verso Thomas, ma anche lui ebbe la stessa mia reazione quando si accorse della guardia morta. "Porca... E a questo cosa gli è successo?" Poi, rivolgendosi direttamente a Thomas. "E tu? Stai bene? Sei stato tu?"
Thomas assunse un'espressione allibita, poi divertita e con un tono sarcastico disse: "Già, ho tirato fuori il mio mitra e l'ho ridotto un colabrodo."
Scorsi Minho alzare un sopracciglio, poi si girò verso di me e indicando Thomas mi disse: "Vedi? Non sono l'unico che fa sarcasmo nei momenti meno opportuni! Perchè a lui non dici mai niente?" mi rimproverò scocciato.
In tutta risposta gli rifilai un'occhiataccia e decisa a distogliere lo sguardo dalla guardia accasciata al suolo, mi concentrai su uno dei tanti manifesti attaccati sui muri della città accorgendomi che la maggior parte di essi rappresentavano la stessa cosa: alcuni mettevano in guardia dall'Eruzione, altri erano cosparsi di immagini della cancelliera Paige, ma quasi tutti erano macchiati e rovinati da scritte e disegni fatti con bombolette spray.
Poi il mio sguardo si posò su un manifesto più piccolo, ma che spiccava più di tutti gli altri in quanto era l'unico rimasto immacolato, senza scarabocchi nè pieghe. Aguzzai la vista e cercai di mettere a fuoco le frasi scritte su di esso per riuscire a leggerle: 

ANNUNCIO DI PUBBLICO SERVIZIO
FERMATE LA DIFFUSIONE DELL'ERUZIONE!!!
Aiutate a fermare la diffusione dell'Eruzione. Riconoscete i sintomi prima di contagiare i vostri vicini e i vostri cari. L'Eruzione è il virus Flarevirus (VC321xb47), una malattia infettiva altamente contagiosa creata dall'uomo, che si è propagata accidentalmente durante il periodo catastrofico delle eruzioni solari. 

Accidentalmente? Ripetei nella mia mente. Se le mie memorie non erano errate, quando il contagio si diffuse io ero ancora piccola, ma mi ricordavo ancora perfettamente cosa era successo ed ero certa che la diffusione della malattia non era avvenuta accidentalmente − come invece avevano sempre voluto farci credere. 
Dopo le Eruzioni Solari tutto aveva iniziato a scarseggiare, dal cibo ai luoghi sicuri. Le persone erano spaventate −  anzi, terrorizzate −; quando guardavano al loro futuro vedevano solo una landa desolata e bollente; quando invece si guardavano intorno, nel presente dei loro giorni, vedevano solo distruzione e caldo. Era ovvio a tutti quello che sarebbe successo dopo: quando l'uomo è spaventato, diventa cattivo, violento; è disposto a fare di tutto per sopravvivere, addirittura uccidere.
E fu proprio questa la scelta intrapresa. Nacque ben presto la C.P.E.: un'associazione volta a monitorare i danni causati dalle Eruzioni Solari per cercare di trovare qualche rimedio a quest'ultime, e quando capirono di non avere una soluzione, decisero di creare una malattia infettiva mortale. Lo scopo era diffondere tale virus solo in alcune zone, in modo da gestirlo nel migliore dei modi e liberarsi solo di una certa percentuale della popolazione. Nessuno aveva visto nulla di male in ciò: diminuire il numero della popolazione per riuscire a controllarla in modo migliore, cercando di riuscire a sfruttare le ultime e poche risorse rimaste tra pochi.
Tuttavia, il loro obbiettivo venne totalmente mancato: ben presto il virus divenne insostenibile; nessuno fu più in grado di controllarlo, di schivarlo; solo alcuni – una piccolissima percentuale della popolazione – riuscì in qualche modo a sviluppare gli anticorpi adatti per fronteggiare quella malattia, risultando immuni e riuscendo a scamparla e a sopravvivere.
La C.P.E., dopo essere stata ad osservare impotente il caos che aveva causato, decise di insabbiare tutto, cancellando ogni singola prova che avesse potuto incastrarli, svelando la loro colpa in tutto ciò. Ogni file venne distrutto, solo pochi rimasero reperibili. 
Quando la W.I.C.K.E.D. mi prese con sè, sfruttandomi come Cavia, ebbi la possibilità di indagare ancora più da vicino la questione sull'Eruzione: riuscii per caso a trovare diversi file racchiusi in un computer, ma molti di essi erano protetti da password o inaccessibili, mentre altri fortunatamente erano liberi da ogni protezione. Riuscii a raccogliere abbastanza dati per capire che la diffusione dell'Eruzione non era stata un caso e che la sua propagazione in tutto il mondo era sfuggita di mano. 

Ed era proprio per questo che la W.I.C.K.E.D. si era attivata per cercare una Cura: anche coloro che avevano dato la loro approvazione per spargere il virus si erano ammalati.
Decisi di smetterla di vagare nei ricordi e di concentrarmi nuovamente sul manifesto ataccato al muro, continuando a leggere:

L'Eruzione causa danni al cervello progressivi e degenerativi, provocando la perdita di controllo dei movimenti, disturbi emotivi e deterioramento mentale. Questo ha portato alla pandemia dell'Eruzione. Gli scienziati sono giunti alle fasi finali degli studi clinici, ma al momento non esiste una terapia standard. Il virus di solito è letale e può diffondersi per via aerea. In un momento come questo, i cittadini devono unirsi per impedire l'ulteriore diffusione della pandemia. Imparando ariconoscere voi stessi e gli altri come Minaccia di Contagio Virale (M.C.V.), compirete il primo passo nella battaglia contro l'Eruzione*.
*Qualunque individuo sospetto deve essere segnalato alle autorità immediatamente.

 

Il manifesto proseguiva parlando del periodo di cinque-sette giorni di incubazione e dei sintomi, che in uno stadio iniziale si manifestavano sotto forma di irritabilità e problemi di equilibrio, seguiti da demenza, paranoia e successivamente forte aggressività. 
Avevo potuto constatare io stessa gli effetti che l'Eruzione aveva sulle persone: avevo incontrato gli Spaccati in più di un'occasione e avevo assistito a tutte quelle manifestazioni in prima persona. Eppure non avrei mai potuto abituarmi ad una situazione del genere, soprattutto quando ci ero dentro fino al collo: Newt aveva l'Eruzione e lentamente sarebbe passato attraverso ogni stadio, perdendo sempre di più la sanità mentale e trasformandosi in qualcosa che non gli apparteneva.
Era proprio lui il motivo della mia fiducia nella W.I.C.K.E.D.: seppur non condividendo i suoi metodi, avrei desiderato collaborare con lei per poter trovare una Cura e liberare Newt da un morbo che aveva ingiustamente contratto. 
Quando per l'ennesima volta mi ritrovai a pensare al ragazzo, venni violentemente catapultata fuori dai miei pensieri da un nome: ero sicura che Thomas avesse appena pronunciato il nome dell'Uomo Ratto.
"Aspettate." ordinai, scuotendo la testa e tornando al mondo reale, muovendomi verso Thomas. "Cosa hai detto?"

"L'Uomo Ratto." ripetè lui paziente. "E' comparsa la sua brutta faccia su uno schermo. Mi ha invitato a tornare dalla W.I.C.K.E.D."
"E ovviamente non ti ha convinto, giusto?" domandai incerta. 
"Oh, ma perchè tutti mi fanno la stessa domanda?" chiese il ragazzo, tuttavia rivolgendosi a Minho. "Ma per chi mi hai preso?" gridò Thomas parlando vero di me. "Non ci penso neanche a tornare lì, ma forse il fatto che hanno tanto bisogno di me prima o poi potrebbe tornarci utile. Quello di cui dovremmo preoccuparci è Newt."
A quell'affermazione spalancai gli occhi e colsi l'occasione per avvicinarmi ancora di più al ragazzo. 
"Janson pensa che stia soccombendo all'Eruzione più velocemente del normale. Dobbiamo..."
"Aspetta..." ordinai scossa. "C-Cosa hai... Cosa ti ha detto?"
"Quello che vi ho riferito." rispose Thomas in modo agitato.
Senza neanche volerlo indietreggiai di un passo, sentendo il mio corpo tremare e le ginocchia farsi deboli.
"L'ha detto davvero?" domandò incredulo Minho.
"Sì." rispose Thomas. "E su questo gli credo. Hai visto come si stava comportando Newt."
Le parole di Thomas non fecero altro che aumentare il mio dolore. Lo sapevo. Sapevo che era una cattiva idea abbandonarlo da solo dentro una Berga, ma tutti ovviamente non si erano presi la briga di ascoltarmi. Perchè nessuno mi stava a sentire per una buona volta?
Sentii il mio cuore restringersi sempre di più, stritolato dal dolore e dal panico. Mi morsi il labbro e cercai in tutti i modi di tranquillizzarmi, di recuperare la calma e la stabilità, ma più mi urlavo di non andare nel panico, più la mia agitazione diventava insostenibile.
"Non mi importa cosa pensate." dissi secca, facendo risultare la mia voce quasi arrabbiata. "E non mi importa nemmeno cosa avete in mente di fare." continuai alzando lo sguardo e fissando dritto negli occhi Thomas. "Ora io esco da questa caspio di città e torno alla Berga per vedere come sta Newt."
"Si sta facendo tardi." si intromise Brenda. "E non si può entrare o uscire dalla città di notte, è già abbastanza difficile tenere a bada la situazione di giorno."
Mi voltai di scatto verso la ragazza, sentendo la rabbia ribollirmi nelle vene, e le puntai un dito contro, iniziando a parlare con un tono di voce ancora più alto e deciso. "Tu ora stai zitta. Ti sono stata a sentire per troppo tempo. Non mi importa se dovrò scalare tutto il caspio di muro di Denver con le mie stesse mani, io-uscirò-da-questa-città." spiegai fissandola dritto negli occhi, scandendo ogni parola e cercando di far trasparire tutto il mio odio nei suoi confronti solo attraverso lo sguardo.
"Hermana, calmati." intervenne Jorge, mettendo una mano avanti in segno di riappacificazione.
"Oh, stai zitto anche tu, testa di caspio." sbottai agitando una mano in aria. "Vi avevo avvisati: avevo detto ad ognuno di voi che lasciare Newt da solo sulla Berga era una pessima idea. Vi ho implorato di lasciarmi lì con lui, ma voi avete voluto a tutti i costi trascinarmi qui con voi. Quindi ora, per una cacchio di volta, state tutti muti e mi lasciate fare quello che voglio fare." ordinai decisa, con un tono che non ammetteva repliche. "E se non volete venire con me, be' allora potete anche andare a farvi..."
"Bambolina, ehi, calmati." mi interruppe Minho, mettendomi una mano sulla spalla. "Chi ha mai detto che non vogliamo venire con te? Queste teste di caspio possono fare quello che vogliono, ma io sono con te."
Per un attimo temetti che il ragazzo stesse scherzando, ma quando lo fissai dritto negli occhi, lessi in essi un profondo senso di tristezza, che mi fece rendere conto di tutto il suo dolore: Minho e Newt si conoscevano da tanti anni, perciò il Velocista probabilmente soffriva tanto quanto me nel vedere il suo amico ridotto in quelle condizioni.
"Questo è il minore dei problemi." disse Jorge con un tono talmente calmo che mi diede sui nervi. "Sta succedendo qualcosa di strano in questo posto, muchachos."
"Cosa intendi?" chiese Thomas, che era stato zitto fino a quel momento. "Sembra che nell'ultima mezz'ora siano svaniti tutti, e i pochi che ho visto non mi piacevano per niente."
"Quella scena al bar ha fatto scappare tutti." fece notare Brenda.
Jorge scrollò le spalle. "Non lo so. Questa città mi dà la pelle d'oca, hermana. Come se fosse in fermento e si stesse per scatenare qualcosa di terribile."
Thomas intervenne di nuovo, chiedendo dopo tanto tempo la prima vera domanda utile e intelligente: "Possiamo andarcene da qui se ci sbrighiamo? O uscire di nascosto?"
"Possiamo tentare." disse Brenda. Il suo cambio improvviso di pensiero mi turbò: ora che anche Thomas voleva uscire dalla città le sembrava tutto un'ottima idea. "Ma dobbiamo augurarci di trovare un taxi... siamo all'estremità opposta a quella da cui siamo entrati."
"Ci proveremo." proposi ferma, facendo sembrare quella parola più come un ordine.
Senza attendere oltre ci incamminammo e per tutto il percorso rimasi vicino a Minho, condividendo con lui l'espressione di chi aveva appena ricevuto una pessima notizia.
Sperai solo che essa non ne portasse altre dietro di sé. 

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Capitolo 48
*** Capitolo 48. ***


Camminammo per un'ora e per tutto il tragitto non vidi nemmeno una singola automobile, men che meno un taxi. Incrociammo solo qualche persona qua e là, che camminava in modo veloce, come se avesse paura di rimanere in strada per troppo tempo.
In lontananza si sentivano spesso dei suoni che per qualche motivo risvegliavano in me i ricordi della Zona Bruciata: qualcuno che parlava a voce troppo alta, un grido, una strana risata. Mentre la luce soccombeva al buio, ero sempre più agitata: a quell'ora avremmo già dovuto essere fuori dalla città, invece stavamo ancora camminando in mezzo al nulla.
Alla fine Brenda si fermò e si rivolse a tutti: "Dovremo aspettare domani." disse. "Non troveremo nessun mezzo questa sera, e siamo troppo lontani per arrivarci a piedi. Dobbiamo dormire per essere riposati domani mattina."
"No." ribattei convinta. "Deve esserci un modo per uscire da qui ora. E credetemi: non mi importa se l'unica via d'uscita è scalare a mani nude tutto il caspio di muro di protezione."
"È inutile, hermana." replicò Jorge, dandomi una pacca sulla spalla che mi fece solo innervosire ancora di più. Forse non tutti i presenti lo sapevano, ma quando ero agitata o arrabbiata volevo essere lasciata da sola in pace, senza avere contatti fisici e senza dover dare nessuna spiegazione. Questo ovviamente non si adattava a Newt: lui era l'unico a cui permettevo di entrare nei miei spazi personali e privati, soprattutto perchè fino ad ora si era dimostrato l'unico in grado di calmarmi e farmi ritrovare la ragione.
"L'aeroporto è a più di quindici chilometri di distanza. E dall'aria che tira in questa città, ci deruberanno o spareranno o picchieranno a morte prima di arrivarci." spiegò l'uomo.
"Senti, ho affrontato i Dolenti, mi sono fatta tutta la Zona Bruciata a piedi, ho corso nel mezzo di diverse sparatoie e ho affrontato più mostri che uomini. Non saranno di certo dei cavolo di criminali a fermarmi." mormorai, iniziando tuttavia ad essere incerta, ma senza mostrarlo. Sarei veramente riuscita ad affrontare un pazzo o un malvivente da sola? In tutte le avventure che avevo passato – o almeno nella maggior parte – non ero mai stata da sola, o perlomeno quando lo ero stata non era mai andata a finire bene.
"Eli, ritrova il senno della ragione." mormorò Stephen avanzando di qualche passo tenendo la sorellina per mano. "Sono sicuro che poche ore non cambieranno nulla per Newt, ma per te sì. Puoi decidere se raggiungerlo domani integra, oppure farlo adesso, ma solo con lo spirito." spiegò il ragazzo in tono talmente tanto gentile e calmo che quasi mi sorprese, poi però il mio stupore svanì quando lo sentii pronunciare un'ultima frase: "Andiamo! Sappiamo tutti che non riuscirai mai a difenderti, sei troppo sensibile ed ingenua per riuscire a fare del male a qualcuno." 
Alzai un sopracciglio scocciata. Era forse una sfida?
Minho lesse il mio sguardo e subito si mise nel mezzo per riparare il danno fatto da Stephen. "Ehi!" mi richiamò, dando una spinta a Stephen e avanzando. "Non ascoltarlo, non intendeva dirtelo, okay? Semplicemente siamo preoccupati per te." spiegò l'asiatico, afferrandomi per le spalle e obbligandomi a fissarlo negli occhi. "Credimi, anche io voglio raggiungere quel Pive al più presto, e di certo ti sosterrei in qualsiasi impresa tu voglia compiere per tornare a quella Berga. Ma non questa. Questo piano è il risultato di un pensiero suicida, perciò mi ritengo obbligato a frenarti, bambolina."
"Ma Newt ci sta..."
"Sì, lo so: ci sta aspettando. Però ti giuro che non vorrebbe mai che rischiassi la vita per tornare da lui. Lui ci tiene troppo a te e se ora io ti lascio andare, ti assicuro che non la prenderà bene." continuò Minho, aumentando sempre di più la presa sulle mie spalle.
"Okay." concessi rilasciando uno sbuffo. Abbassai lo sguardo sconfitta, pensando che in ogni caso non sarei riuscita a dormire per niente al pensiero di Newt, solo e annoiato  nel centro della Berga.
"Bene così." mormorò Stephen lanciando uno sguardo di rimprovero, ma anche di gratitudine a Minho. "Torniamo all'albergo?"
"Certo." disse subito Jorge. " E' solo a pochi isolati da qui."
"Questa volta però il letto è mio." spiegò Minho indicando sia me che Stephen.

Quella notte, come promesso a me stessa, non dormii gran chè e di certo sentire Minho e Thomas russare come rincaspiati non aveva aiutato il mio sonno.
Rimasi tutto il tempo a pensare a Newt e ad un modo per raggiungerlo al più presto, ma ogni cosa mi sembrava inutile. Minho e Brenda –  per quanto odiassi ammetterlo –  avevano ragione: eravamo in una città enorme, in un posto che non conoscevamo affatto, e che tra l'altro ultimamente si stava rivelando alquanto strano e inquietante; eppure non riuscivo a darmi pace, continuando a pensare che fosse tutta colpa mia se Newt era rimasto da solo, perchè se forse avessi insistito di più ora ci sarei anche io insieme a lui dentro quella Berga.
Stephen quella sera, prima di andarsene a dormire, mi disse che Newt avrebbe potuto superare un'altra notte da solo e che non avevo motivo di angosciarmi, dato che il ragazzo era abbastanza forte e intelligente per cavarsela da solo.
Anche Minho si era fermato ad augurarmi la buona notte, ripetendoni parole incoraggianti che tuttavia non sentii nemmeno, già tutta presa dai miei pensieri come sempre negativi.
E se gli fosse successo qualcosa mentre eravamo a Denver? Era questa la domanda che più cercavo di ricacciare nel buio, più si esponeva alla luce. Sapevo che alla fine tutti quei pensieri mi avrebbero fatto stare solo più male, ma come potevo non preoccuparmi? Negli ultimi giorni avevo avuto una pessima sensazione riguardo al biondino, e già il fatto che anche l'Uomo Ratto ci avesse implicitamente consigliato di tenere d'occhio Newt mi faceva impazzire. Forse la W.I.C.K.E.D. gli aveva fatto qualcosa in nostra assenza? Dopotutto Newt aveva ancora il chip e tutto era possibile.
Quella sera iniziai persino ad odiare la notte, che mi separava da lui, impedendomi momentaneamente di vederlo di nuovo. E detestavo il fatto di non avere scelta e di dover aspettare che si facesse giorno prima di poter andare da Newt. 
"Ehi, sei pronta ad uscire?" domandò Minho scuotendomi la spalla e strappandomi dai miei pensieri.
"E' tutta la notte che sono pronta." replicai, finalmente entusiasta di uscire da quella dannata stanza d'albergo.
"Già, le tue occhiaie parlano chiaro." mormorò il ragazzo cercando di fare una battuta, ma senza riuscire a nascondere la sua preoccupazione. "Andiamo?" domandò porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.
"Andiamo." concessi afferrando il suo palmo e lasciandomi tirare in piedi.
Jorge insistette nel fermarci solo per poco tempo in modo da fare una doccia e mangiare qualcosa prima di partire e, nonostante tutte le obbiezioni mie e di Minho, alla fine fummo costretti a restare in albergo fino alle otto, fissando gli altri mangiare come maiali.
Non riuscivo a concepire la loro fame dato che il mio stomaco al momento era talmente tanto pieno di preoccupazione e ansia che ero sicura non ci sarebbe stato spazio neanche per una briciola di pane. 
Quando finalmente i signori si decisero ad alzare il loro bel culetto dalle loro rispettive sedie, io e Minho li trascinammo fuori dall'albergo, obbligandoli a sostenere un passo abbastanza veloce. Una cosa che avevo imparato durante il corso delle prove a cui la W.I.C.K.E.D. ci aveva sottoposto era che il tempo non era mai abbastanza, soprattutto quando si doveva fare qualcosa di importante.
Sia io che il Velocista ignorammo del tutto le richieste dei nostri compagni di viaggio e continuammo con la nostra velocità: avevamo già spiegato loro che non erano tenuti a venire con noi, ma dato che avevano insistito tanto – facendoci anche perdere tempo prezioso – ora dovevano stare alle nostre regole. 
Quando entrammo in strada vedemmo delle persone qua e là, ma molte meno del giorno prima nelle ore di punta, inoltre Thomas ci fece notare diversi rumori strani che avevamo sentito la sera prima durante la lunga camminata, suoni che tra l'altro io non avevo nemmeno percepito, forse troppo concentrata sul pensiero di Newt e del tepore delle sue braccia di nuovo attorno al mio corpo.
"Sta succedendo qualcosa, ve lo dico io." disse Jorge, mentre imboccavamo un'altra strada in cerca di un taxi. "Dovrebbe esserci più gente in giro."
"Be' grazie per averlo detto." pronunciai, lanciandogli uno sguardo di sbieco, ma senza rallentare minimamente la mia camminata veloce. "Ora si che sono molto più tranquilla."
Mentre dicevo ciò notai con la coda dell'occhio una donna che osservava un manifesto sull'Eruzione proprio come quello che avevo letto il giorno prima quando l'agente aveva sequestrato Thomas. Vedere quell'immagine mi fece venire in mente la faccia dell'uomo infetto che lo stesso agente aveva maltrattato nel bar: chissà che fine aveva fatto, ma soprattutto, chissà se un giorno quell'uomo avesse potuto essere Newt. 
Quel solo pensiero mi spaventò a morte, spingendomi ad aumentare maggiormente la velocità del mio passo, ignorando del tutto l'indolenzimento delle gambe, il fiato corto e i giramenti di testa. Forse avrei dovuto fare colazione o almeno cercare di riposare un pochino.
"Sbrighiamoci, raggiungiamo questo caspio di aeroporto." mormorò Minho, notando la fatica degli altri a mantenere il passo. "Questo posto mi dà i brividi."
"Credo che dovremmo andare da quella parte." disse Brenda, con un gesto della mano. "Devono esserci dei taxi vicino a quegli uffici."
Attraversammo la strada e ne imboccammo una più stretta che passava tra un'area apparentemente dismessa e un vecchio palazzo fatiscente. Solo in quel momento Minho si discostò dal mio fianco e si avvicinò a Thomas, iniziando una conversazione che tuttavia non riscii a sentire dato che i due ragazzi stavano praticamente parlando a bassa voce. Decisi perciò di cercare di leggere loro il labiale, ma anche questa azione mi fu impedita da Stephen che mi si pose davanti interrompendomi la visuale.
"Che vuoi?" chiesi scocciata spingendolo da parte. 
"Lo sai che è da maleducati spintonare una persona che tenta di iniziare una conversazione?" rispose lui fingendosi offeso e irritato. "E... sì, soprattutto origliare le conversazioni altrui è sbagliato. Che problemi hai con le conversazioni tu? Le eviti quando ti riguardano e ti impicci quando invece ne devi stare fuori."
"Be', si da il caso che in questo momento io sia annoiata." spiegai brevemente, trovando la prima scusa che mi capitò a tiro.
"Oh, un motivo in più per fare conversazione con me, pasticcino." spiegò lui. "Non credi?"
"Ehm, no." risposi secca. "Tu sei noioso nelle conversazioni."
"Mi ritengo enormemente offeso." pronunciò lui. "Hailie, anche tu trovi che io sia noioso?"
A quel punto, curiosa della risposta della bambina, voltai la testa verso il ragazzo, distogliendo l'attenzione da Minho e Thomas e puntandola sulla sorellina. Quest'ultima – che era in braccio al ragazzo – scosse le spalle, fissò per qualche secondo il fratello, poi me e mi rivolse un sorriso. "A volte..." mormorò la sorellina, rompendo quella frase e scoppiando in una risatina genuina.
"Ragazze, voi sì che sapete rompere il cuore di un nobile e simpatico cavaliere che cerca solo di tenervi compagnia." spiegò Stephen mettendosi una mano sul cuore e facendomi sorridere sbadatamente.
"Nessuno ha richiesto la tua compagnia, Capitan Caccone." replicai sbuffando e facendo un occhiolino alla sorellina di Stephen. "Esatto!" replicò quest'ultima entusiasta.
"Messaggio recepito, Caccola." rispose Stephen, quasi sussurrando alla sorellina. Lo vidi sollevarla in aria, poi me la porse, lasciandomela direttamente tra le braccia e sgranchendosi la schiena.
"Aspetta, cosa?" mormorai confusa. 
"Be', avete deciso di fare comunella? Ora fate comunella." spiegò semplicemente il ragazzo, facendomi un occhiolino.
Stando bene attenta a non farlo vedere alla sorellina, alzai il dito medio e lo puntai contro il ragazzo che indietreggiò sorridendo, alzando le mani in segno di difesa. Poi, sorprendedomi e prendendomi alla sprovvista, il ragazzo alzò un sopracciglio e mi lanciò un bacio in aria che mi fece inevitabilmente arrossire.
Fu a quel punto che mi voltai di nuovo all'avanti e continuai a camminare imperterrita, stando attenta a sorreggere la bambina in modo stabile. Quest'ultima dopo diversi secondi si appoggiò sulla mia spalla, facendo sporgere le braccia oltre di essa e giocando con i miei capelli sulla mia schiena. "Sono lunghissimi." bofonchiò lei, con un tono sinceramente meravigliato.
"Già, forse dovrei tagliarli." le risposi.
"Ma le principesse hanno i capelli lunghi." replicò lei, abbastanza scandalizzata dalla mia risposta.
"Ma io non sono una principessa." spiegai sorridendo senza riuscire a trattenermi.
"Anche mio fratello lo dice sempre." mormorò sovrappensiero. "Dice che sei troppo impacciata per essere una principessina come me."
"Tuo fratello è sempre dolce con le parole." bisbigliai tra me e me.
"Secondo lui tu sei una guerriera." continuò poi la bambina, soprendendomi e facendomi arrossire nuovamente.
"Dici che le guerriere possono avere i capelli corti?" chiesi senza neanche sapere da dove era uscita quella domanda.
"Sì, le guerriere possono." annunció la bambina.
"Ehi, voi due." ci interruppe Minho, correndo preoccupato verso di noi. "Restate dietro." ordinò mettendosi davanti a noi e dandoci le spalle. 
Sentii le mani del ragazzo allungarsi all'indietro e aggrapparsi ai miei fianchi, come per essere certo che non mi sarei mossa da quella posizione. "Minho, cosa sta..." non feci neanche in tempo a finire la frase che lo notai: dietro ad un grosso pezzo di muro, che si ergeva proprio al centro, c'era un uomo a petto nudo, di spalle, era piegato in avanti e stava scavando con le mani come se avesse perso qualcosa nel fango e stesse cercando di ritrovarlo; aveva le spalle coperte di strani graffi e una lunga crosta che attraversava la sua spina dorsale; i suoi movimenti erano convulsi e disperati; i gomiti continuavano a scattare all'indietro come se stesse strappando qualcosa dal terreno, ma fortunatamente le erbacce alte mi impedivano di vedere su cosa fosse puntata l'attenzione spasmodica di quell'uomo.
"Non ci fermiamo." sussurrò Brenda da dietro, facendomi quasi sussultare. Non mi ero accorta che anche gli altri si erano fermati. 
"Quel tizio è malato." rispose Minho, anche lui sussurrando. "Com'è possibile che se ne vada in giro liberamente?"
"Cosa succede?" chiese Hailie, risvegliandosi solo in quel momento dai suoi pensieri fantasiosi e agitandosi tra le mie braccia.
"Shh..." sussurrai accarezzandole la testa. "Non è niente, però devi stare in silenzio e vedrai che presto tutto tornerà normale." spiegai in modo tranquillo, cercando di nascondere la mia agitazione, evidentemente riuscidendoci, dato che la bambina annuì e si appoggiò alla mia spalla. "Chiudi gli occhi, okay? Così il tempo passa più veloce."
La bambina mugugnò un lieve 'sì', così mi voltai nuovamente verso Brenda e le feci cenno di muoversi. "Andiamo." ordinai.
Il gruppo ricominciò a camminare, ma per quanto ci provassi non riuscivo a staccare gli occhi da quella scena inquietante, troppo agitata e terrorizzata all'idea che quell'uomo avesse potuto accorgersi di noi e attaccarci come un animale famelico.
Tutto stava andando perfettamente e l'uomo sembrava troppo impegnato a fare ciò che stava facendo per accorgersi di noi, fino a quando non vidi un suo movimento improvviso che mi fece totalmente dimenticare cosa volesse dire essere calmi. Velocemente l'uomo si fermò e si alzò di scatto, girandosi verso di noi e regalandoci uno spettacolo orrido: aveva il naso e la bocca coperti di sangue, e quando incrociò il nostro sguardo sorrise in modo sinistro, quasi come se fosse totalmente fuori senno, poi sollevò le mani insanguinate come se volesse farne mostra. Fui quasi sul punto di spintonare Minho all'avanti e dirgli di continuare a camminare ignorando l'uomo, ma quest'ultimo si stancò velocemente di noi, piegandosi di nuovo all'avanti e rimettendosi al lavoro.
"Questo sarebbe un buon momento per andarcene." disse Brenda. 
"Concordo pienamente." mormorai posando uma mano sulla testa di Hailie per assicrarmi che la bambina non alzasse la testa per sbirciare. Non potevo permettere che la bambina avesse gli incubi per giorni e che rimanesse traumatizzata per anni.
Ci voltammo tutti e ci mettemmo a correre, senza rallentare, per due isolati. 

Impiegammo un'altra mezz'ora per trovare un taxi, ma alla fine ci riuscimmo. Dopo aver visto quella scena, tutto era tornato alla normalità e non avevamo più incontrato nessuno svitato per strada, tuttavia il ricordo della figura dell'uomo china su qualcosa –  o peggio qualcuno –  continuava a tormentarmi, riempendo i miei pensieri.
"Quel tizio stava mangiando una persona. Ne sono sicuro." disse Minho rompendo il silenzio in modo macabro.
"Minho..." lo ripresi. "Hailie non dovrebbe..."
"Forse..." cominciò Brenda, cercando di rimediare all'errore del ragazzo. "Forse era solo un cane randagio."
Bel modo di rimediare, genio. 
"O forse stava solo mangiando del pomodoro." intervenne Stephen, deliziandoci tutti con una delle sue perle di saggezza.
"Già, in ogni caso è meglio non parlarne, non ora perlomeno." mi intromisi. "Pensiamo solo ad uscire da Denver e a tornare da Newt."
Nessuno rispose. Rimanemmo in silenzio per il resto del tragitto fino all'aeroporto. Non ci volle molto per superare i controlli e uscire dagli enormi muri che circondavano la città. A dire il vero, il personale con cui avemmo a che fare sembrava contento che ce ne stessimo andando.
La Berga era esattamente lì dove l'avevamo lasciata, ad aspettarci sul cemento arroventato e fumante come il guscio abbandonato di un insetto gigante. Intorno non si muoveva una foglia.
"Muoviti, diamine!" gridai senza riuscire a contenermi. "Apri quest'affare." ordnai a Jorge, affidando Hailie di nuovo nelle braccia del fratellone.
Jorge non sembrò infastidito dal tono brusco di quel comando –  non che me ne importasse più di tanto –  e tirò fuori il piccolo telecomando dalla tasca, per poi premere alcuni pulsanti. La rampa si abbassò lentamente, tra il cigolio dei cardini, ma non attesi nemmeno che questa toccasse terra che impiegando tutte le forze rimaste balzai all'interno della Berga.
Per un attimo aspettai con il fiato in sospeso, sperando di vedere la figura di Newt correre verso di me con un grosso sorriso stampato in faccia, felice del nostro ritorno.
Mi sarei aspettata di vederlo stravaccato sul divano della Berga, con le gambe accavallate e lo sguardo annoiato, ma nell'atrio non c'era nessuno e non ci fu nessun movimento. Sentii l'ansia crescere in me, accompagnata dal terrore e dalla preoccupazione, ma continuai a ripetermi che forse il ragazzo stava dormendo in una della stanze.
Rassicurata da questo pensiero mi addentrai nella Berga buia e soffocante, ignorando il calore che aleggiava in quell'aggeggio: sicuramente Newt aveva spento tutti i sistemi, niente aria condizionata, niente luci, niente di niente. Non capii il motivo per il quale il ragazzo avesse dovuto fare ciò, ma non mi importava: dovevo solo trovare Newt.
"Newt!" gridai sentendo la mia stessa voce vibrare ed echeggiare nella stanza, produncendo un suono tremolante che mi fece accapponare la pelle.
Sentii in lontananza la voce degli altri, che forse nel frattempo erano entrati nella Berga, ma ignorai tutto, concentrandomi solo sui miei sensi per riuscire a catturare anche un piccolo suono, ma tutto rimase silenzioso e il ragazzo biondo non sembrava volersi far vedere.
"Newt!" gridai nuovamente, sentendo la mia voce riempirsi sempre più di frustazione e panico.
Dove era?
Sentii le lacrime salire dentro di me e continuai a ripetermi che la mia reazione era stata esagerata e che forse il ragazzo era solo... impegnato. Ma sapevo anche che a volte delle stupide bugie non potevano proteggerti dalla realtà e che dovevo riconoscere che in quel momento c'era veramente qualcosa che non andava, qualcosa che era andato storto.
"Newt!" urlai terrorizzata, aprendo l'ennesima porta e rimanendo pietrificata davanti alla stanza dopo averla vista vuota. Aprii la porta del bagno, poi la camera, poi di nuovo la sala di controllo e stanza dopo stanza ebbi come la sensazione che dentro di me si fosse aperto un vuoto, e più i secondi passavano, più quel vuoto cresceva, portandomi via la speranza.
"Newt, ti prego..." mormorai tra me e me, abbandonandomi all'agonia e alle lacrime, che affogarono del tutto la mia speranza.
Presi a correre, sentendomi sempre più male, corridoio dopo corridoio, stanza dopo stanza. Presa dalla frustrazione e dal panico tornai nuovamente nella stanza principale, dove notai la figura di Minho seduta su uno dei divani.
Perchè non stava cercando Newt? Cosa c'era di così importante?
Mi avvicinai correndo, pronta a urlargli contro, ma quando gli vidi in mano un bigliettino di carta mi pietrificai sul posto, non riuscendo a muovermi.
"C-Cos'è?" domandai incerta, non essendo sicura di volerlo veramente sapere.
Minho non rispose. Continuò solo a fissare il pezzo di carta.
"Cosa succede?" quasi gridai, sentendo il groppo in gola aumentare sempre più, impedendomi quasi di respirare.
Solo allora Minho alzò lo sguardo verso di me e i suoi occhi vuoti e lacerati dalla disperazione mi colpirono come un proiettile. Il ragazzo non disse nulla, troppo scosso anche solo per pronunciare una sillaba, e mi porse il foglietto con mano tremante.
Lo afferrai velocemente, sentendo il mio petto bruciare e il mio cuore battere all'impazzata, forse perchè già sapevo cosa fosse contenuto in quel biglietto.
Quelle poche righe scritte velocemente con un pennarello nero mi fecero crollare il mondo addosso, ditruggendo tutte le mie certezze. I miei occhi si appannarono, riempendosi di lacrime, come se neanche loro volessero leggere cosa quel messaggio diceva, poi però alla fine cedetti e presi a scorrere lettera dopo lettera, leggendola ma non capendola veramente.

Sono riusciti a entrare. Mi stanno portando a vivere con gli altri Spaccati. È meglio così. Grazie per la vostra amicizia. Addio.

Quelle parole all'improvviso mi entrarono nel cervello, facendomi cadere a pezzi.
Mi portai la mano sulla bocca e lasciai cadere il foglietto a terra, poi incapace di sostenermi mi lasciai crollare, divorata dall'angoscia e dal terrore che sgretolarono il mio cuore come fosse una foglia appassita. Chiusi gli occhi con le mani e mi piegai all'avanti, distrutta dal dolore, permettendo così alle ombre di tristezza di avvolgermi con le loro gelide braccia. 

*Angolo scrittrice*Ehi, Pive!Innanzitutto mi dispiace veramente per aver fatto questa scelta (credetemi, é stato difficile anche per me), ma da questo punto di vista voglio seguire il libro   

 

*Angolo scrittrice*
Ehi, Pive!
Innanzitutto mi dispiace veramente per aver fatto questa scelta (credetemi, é stato difficile anche per me), ma da questo punto di vista voglio seguire il libro.
So che non tutti saranno contenti di questa svolta nella storia, ma ricordatevi che nulla é mai come sembra. L'ho sempre detto e sempre continueró a dirlo: non vi dimenticate mai questa frase, soprattutto d'ora in poi nel libro. Ora come ora forse per voi non avrà senso, ma quando arriverà il momento, capirete tutto.
So che l'immagine a fine capitolo fa schifo, ma volevo mettere qualcosa di speciale per questa parte (non ho voluto metterla all'inizio per evitarvi uno spoiler).
Eh nulla... Vi mando un abbraccio ❤
Dalla vostra Inevitabilmente_Dea ❤

Ps: scusate per il ritardo della pubblicazione, ma ho preferito prendermi un po' più di tempo per scrivere e correggere questo capitolo!

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Capitolo 49
*** Capitolo 49. ***


É incredibile il modo in cui la tua vita possa cambiare in meno di un secondo: prima sei ansiosa di quello che ti attende e piena di speranza, mentre un attimo dopo ti ritrovi in ginocchio a terra, incapace di fronteggiare a testa alta ciò che ti sta distruggendo.
E nel mio caso era molto peggio di così.
Era come se qualcuno mi avesse strappato via tutto di colpo, lasciando un vuoto incolmabile dentro di me, che ora si stava trasformando in una vera e propria voragine che mi stava risucchiando lentamente ogni sentimento, eccetto la tristezza.
Non mi ero mai sentita così tanto distrutta, forse solo quando avevo scoperto che Newt non era immune, ma in quell'occasione ero insieme a lui, ed era stato proprio il ragazzo ad aiutarmi a rimettermi in piedi.
Ora invece ero sola.
Newt se ne era andato ed io ero sola.
Quella lettera che aveva lasciato non aveva fatto altro che aumentare la mia angoscia.
Grazie per essere stati miei amici. Addio. 
Quelle parole mi rimbombavano in testa, producendo un eco struggente che oramai andava a ritmo con il battito del mio cuore, che mi sembrava sempre più debole.
Tutto nel mio corpo sembrava aver smesso di funzionare: da quando avevo letto il biglietto le mie braccia e gambe non avevano mai smesso di tremare e per quanto avessi cercato di controllarle e rilassarle tutti i miei sforzi si erano rivelati vani; il mio petto si alzava e si abbassava senza sosta alla ricerca di ossigeno, che sapevo sarebbe presto venuto a mancare, lasciandomi in apnea; potevo il mio viso bruciare, riscaldato eccessivamente dai singhiozzi e dagli inutili sforzi per trattenere le lacrime, che ora al contrario si lasciavano cadere abbandonate per poi affogare calde e salate tra le mie labbra tremanti; i miei occhi bagnati e appannati non riuscivano a rimanere aperti, troppo pieni di dolore per riuscire a vedere nitidamente e troppo stanchi per continuare a provarci.
Perchè? Perchè era successo? Era questa la domanda che mi percorreva di più la mente. Cosa diamine avevo fatto per meritarmi ciò? Ma soprattutto, cosa aveva fatto Newt? 
L'unica sua colpa era di essere rimasto isolato fuori dalla città, dentro una caspio di Berga da solo. Non aveva fatto nulla di male, perchè lo avevano portato via?
Se n'è andato. Pensai, causando in me un'altra scarica di singhiozzi perforanti. Se n'è andato. Continuai a ripetermi incessantemente. 
"Se n'è andato." sussurrai biascicando ogni lettera, incapace di limitare quella frase ai miei pensieri. "Newt..." lo chiamai, con voce roca e piena di dolore. 
"Eli..." sentii la voce di Stephen parlarmi dolcemente, poi la sua mano si posò sulla mia spalla, facendomi rabbrividire.
Non poteva chiamarmi così, non con quel soprannome, Stephen non era lui
"Ti prego..." singhiozzai allontanando la sua mano da me. "Lasciami stare." lo pregai.
Fino a quel momento mi ero sempre vergognata a mostrare le mie emozioni agli altri, soprattutto quando si trattava di piangere, poichè avevo paura di essere etichettata come fragile, ma in quell'istante capii che in realtà non poteva fregarmene di meno.
Lascia pure che pensino che tu sia debole. Lascia pure che pensino che tu stia esagerando. Lascia pure che provino compassione per te. Mi ripetei nella mente, lasciando liberi i singhiozzi di perforarmi la schiena. Non mi importa. Pensai, quasi urlando nella mia testa.
Non mi importa.
Questa volta non avrei messo su un falso sorriso, comportandomi come se tutto stesse andando per il verso giusto, mentre dentro stavo cadendo a pezzi. Non mi sarei comportata diversamente da come stavo facendo solo per sembrare una persona che in realtà non ero, non mi importava mostrarmi forte o dura in quel momento solo per convincere gli altri che stavo bene e che non si dovevano preoccupare per me. Tutto quel tempo che avevo passato a fingere di stare bene non aveva fatto altro accumulare la tristezza dentro di me, che alla fine era sfociata in una vera e propria crisi di panico. Non avrei finto di accettare quella situazione come una persona matura, quando invece dentro desideravo che tutto potesse cambiare, non l'avrei accettata e basta.
Non mi importa. 
"Elena." sentii una voce accanto a me, anche questa rotta e tremante, ma che cercava inutilmente di sembrare ferma per dare conforto. 
Alzai lo sguardo e dopo aver asciugato ripetutamente le lacrime dagli occhi misi a fuoco la figura di Minho, a poca distanza da me. 
"Ti prego..." mormorai nuovamente, cercando di contenere i singhiozzi. "Lasciami sola."
Vidi gli occhi del ragazzo diventare lucidi, quasi come se stesse per piangere, poi si lasciò cadere vicino a me e nonostante gli avessi ordinato il contrario, lui mi si inginocchiò dinanzi e senza attendere obbiezioni mi abbracciò.
Quel contatto fisico non fece altro che aumentare la mia angoscia che sfociò in un'altra ondata di lacrime e singhiozzi. "Perchè?" gli domandai affondando il viso nella sua maglietta.
Il Velocista non rispose, semplicemente aumentò la presa su di me, stringendomi talmente forte da togliermi il respiro e in qualche modo riuscendo a farmi percepire la sua energia e forza d'animo che anche se per poco mi donarono un lieve sollievo da tutti quei sentimenti negativi.




 

Era passata un'ora, forse due, non ne ero certa. Io e Minho eravamo ancora seduti a terra e per tutto il tempo il ragazzo non si era voluto distaccare da me, continuando a tenermi stretta a lui.  Le mie lacrime si erano ormai dissipate, lasciando sul mio volto innumerevoli strisce umide e appiccicose che tuttavia non avevo il coraggio di togliere; ma i singhiozzi erano durati più a lungo, facendomi capire di aver ormai terminato le lacrime, ma non il pianto. I miei occhi bruciavano come se fossero stati esposti al fuoco e li potevo sentire asciutti e gonfi come non mai. Il mio sguardo era perso, vuoto, incapace di distogliersi dalla parete di fronte a me, che stavo ormai fissando da troppo tempo.
Mi sentivo vuota, come derubata, e il continuo calore corporeo che Minho mi donava non era abbastanza per riscaldare il mio cuore, che sembrava essersi congelato al suo posto, smettendo forse per sempre di scandire i secondi passati in solitudine.
"Voglio che voi tutti mi ascoltiate." parlò Minho con voce roca, ma ferma. Il tipico tono di chi aveva un piano ed era determinato ad attuarlo. Un tono di voce che, tra l'altro, non sentivo da tanto sulle labbra del ragazzo. Non riuscii neanche in questa occasione ad incontrare il suo sguardo, ma per quanto fosse possibile, gli prestai la mia attenzione. "Da quando siamo scappati dalla W.I.C.K.E.D., ho accettato praticamente tutto quello che voi testepuzzone avete detto che dovevamo fare. E non mi sono lamentato. Non molto." si interruppe per qualche istante, poi continuò. "Ma proprio qui, in questo preciso istante, io sto prendendo una decisione e voi farete quello che dico io. E se qualcuno si rifiuta, per me può andare al diavolo. So che abbiamo obiettivi più importanti in mente..." spiegò Minho. "dobbiamo metterci in contatto con il Braccio Destro, decidere cosa fare riguardo alla W.I.C.K.E.D. Tutta quella sploff di salvare il mondo." si interruppe e per un attimo sentii il suo sguardo puntato su di me. "Ma prima troveremo Newt. Non voglio sentire discussioni, quando lo ha proposto lei non siete stati proprio favorevoli, ma ora vi obbligo ad esserlo. Noi quattro − tutti e quattro − voleremo ovunque sia necessario e porteremo Newt fuori da lì."
Solo a quel punto riuscii a lanciare uno sguardo a Minho, cercando, nonostante le difficoltà, di fargli trapelare la mia gratidutine. Il ragazzo mi rivolse un sorrisetto appena accennato, ma sicuramente sincero.
"Lo chiamano il Palazzo degli Spaccati." disse Brenda. "Dev'essere il posto di cui parlava Newt. È probabile che alcune di quelle guardie con la camicia rossa siano riuscite a entrare nella Berga, lo abbiano trovato e abbiano capito che era infetto. Devono avergli permesso di scriverci un biglietto. Non ho dubbi che le cose siano andate così."
Sapevo che non dovevo avercela con Brenda per quello che era successo: lei non centrava niente e di certo dalla sua espressione non avrei di certo potuto dire che non fosse dispiaciuta; eppure nel suo tono di voce c'era qualcosa che mi faceva infuriare.
Aprii la bocca per lanciarle un insulto o qualsiasi altra cosa che l'avrebbe potuta ferire, troppo accecata dalla tristezza e dalla rabbia per riuscire a comprendere quanto fossi nel torto: far soffrire altre persone non avrebbe alleviato la voragine nel mio stomaco.
Minho fortunatamente mi interruppe, parlando per primo. "Sembra un posticino elegante" disse Minho. "Ci sei stata?"
"No. Ogni grande città ha un Palazzo degli Spaccati, un luogo dove mandano gli infetti per cercare di rendere sopportabile la situazione prima che raggiungano l'Andata. Non so cosa gli facciano a quel punto, ma non è un bel posto dove stare, a prescindere da chi sei, almeno per quello che posso immaginarmi. Sono gli immuni a comandare lì, e vengono pagati profumatamente perché un non-immune non rischierebbe mai di prendersi l'Eruzione. Se vuoi andarci, prima dovremmo pensarci a fondo e a lungo. Siamo totalmente sprovvisti di munizioni, perciò saremo disarmati."   
"No." parlai per la prima volta dopo la crisi di pianto, facendo risuonare la mia voce roca, ma anche più forte di quanto avevo previsto. "Non aspetterò nemmeno un secondo di più. Io ho preso la mia decisione, vi consiglio di prendere la vostra ora."
"Ben detto." confermò Minho. "Non abbiamo tempo per valutare quanto sia rischiosa questa impresa, dato che in ogni caso la intraprenderemo. Si tratta di Newt. Lui farebbe lo stesso per noi, per tutti noi." specificò il ragazzo, stringendomi a sè.
"Sapete dove si trova il palazzo più vicino?" domandai senza nemmeno attendere che gli altri si esprimessero.
"Sì" rispose Jorge. "Ci siamo passati venendo qui. È dall'altra parte della vallata, proprio ai piedi delle montagne verso ovest."
Sentii Minho agitarsi vicino a me, poi fece schioccare la lingua e decretò: "Allora è lì che andremo. Jorge, fai decollare questo pezzo di sploff." 
Per qualche motivo mi aspettavo almeno un po' di resistenza o qualche discussione, soprattutto da parte di Jorge e Brenda, o forse ci speravo, magari per poter finalmente avere una scusa per ricoprirli di insulti e sfogarmi, ma grazie al cielo nessuno disse una parola per contraddirci. 
"Mi fa piacere un po' di avventura, muchacho." disse Jorge, alzandosi in piedi. "Arriveremo tra venti minuti." Detto ciò l'uomo si diresse verso la sala di comando e vi entrò, sparendo dalla vista di tutti.
Ben presto la Berga iniziò a sollevarsi da terra, donandomi quella tipica sensazione di vuoto. Per un attimo ebbi paura di finire di nuovo intrappolata nella gabbia dei miei pensieri negativi, senza avere tuttavia la chiave per liberarmi, così mi voltai verso Minho cercando di distrarmi.
Quando il ragazzo si accorse del mio sguardo puntanto su di lui si voltò lentamente e incatenò i suoi occhi stanchi ai miei, poi mi sorrise debolmente, come se si stesse sforzando. ricambiai l'espressione e abbassai lo sguardo, appoggiando la testa sulla sua spalla e attorcigliando le mie mani attorno al suo braccio.
Inspirai profondamente e sentii l'aria bruciare nei miei polmoni, riaccendendo così in me il ricordo di ciò che era appena accaduto. Sentii una lacrima tentare di uscire dai miei occhi, ma la ricacciai velocemente all'indietro, continuando a ripetermi che non c'era più motivo di piangere: sapevamo dove era Newt e lo stavamo andando a prendere. Tutto sarebbe tornato come prima.
"Cosa hai provato quando Violet se ne è andata?" domandai di punto in bianco, sentendo la mia voce affievolirsi.
Passarono diversi secondi prima che Minho rispondesse, il che mi fece temere di aver fatto una domanda troppo personale in un momento troppo sbagliato, poi però sentii la voce del ragazzo sussurrare a poca distanza da me e prima che appoggiasse la sua testa sulla mia, disse: "Mi sono sentito come ti senti tu ora." 



 

Jorge fu fedele alla parola data e in meno di venti minuti la Berga era atterrata in una radura appena fuori una foresta che si estendeva sul fianco di una montagna sorprendentemente verde. Circa la metà degli alberi era morta, ma l'altra metà sembrava aver cominciato a riprendersi da anni di ondate di caldo terrificante. 
Non mi ci volle molto a recuperare la forza necessaria per alzarmi e camminare, bloccando temporaneamente il tremore lieve che ancora persisteva sulle mie gambe, così scesi dalla rampa e osservai con attenzione la recinzione che circondava quello che doveva essere il Palazzo degli Spaccati, a un centinaio di metri di distanza: era fatta di pesanti assi di legno e il cancello più vicino stava cominciando ad aprirsi, mostrandoci così due persone, entrambe con un enorme lanciagranate. Sembravano esausti, ma si misero comunque in posizione di difesa e puntarono le loro armi; ovviamente avevano visto o sentito la Berga avvicinarsi. 
"Non cominciamo bene." disse Jorge. Una delle guardie gridò qualcosa, ma non ero riuscita a sentire cosa avesse detto. 
"Andiamo lì a parlare con loro. Devono essere immuni se hanno quei lanciagranate." propose Thomas.
"A meno che gli Spaccati non abbiano assunto il comando." suggerì Minho, ma poi mi guardò con uno strano sorriso. "In ogni caso, noi entreremo, e non ce ne andremo senza Newt." 
Il ragazzo stava forse cercando di rassicurarmi? 
Ci incamminammo lentamente verso il cancello a testa alta, stando bene attenti a fare nulla che potesse allarmare le due guardie, dato che un qualsiasi movimento affrettato o improvviso avrebbe potuto scatenare una vera e propria sparatoria a cui non volevo partecipare.
Mentre ci avvicinavamo, notai che le due guardie avevano un aspetto peggiore di quanto non sembrasse da lontano: erano sporche, sudate e piene di lividi e graffi. 
Noi cinque − Stephen aveva deciso di rimanere dentro la Berga con Hailie, insistendo sul fatto che non avrebbe permesso alla sorellina di vedere orrori simili, ma neanche di rimanere da sola dentro il veicolo  − ci fermammo davanti al cancello e uno dei due uomini fece un passo avanti. 
"Voi chi diavolo siete?" chiese. Aveva i capelli neri e i baffi, e superava il suo collega di diversi centimetri. "Non somigliate molto a quegli scienziati cretini che ogni tanto vengono qui." 
Fu Jorge a parlare, come aveva fatto all'aeroporto quando erano arrivati a Denver. "Non potevi sapere che saremmo venuti, muchacho. Siamo della W.I.C.K.E.D., e uno dei nostri è stato catturato e portato qui per errore. Siamo venuti a prenderlo." 
Per un attimo fui sorpresa dell'affermazione dell'uomo: aveva detto quelle parole con così tanta leggerezza e destrezza che aveva convinto persino me. A pensarci bene, quello che aveva detto Jorge tecnicamente era vero, ma la guardia non sembrava troppo impressionata. "Pensi che me ne freghi qualcosa di voi e del vostro bel lavoro alla W.I.C.K.E.D.? Non sei il primo spocchioso che si presenta qui e si comporta come se questo posto fosse suo. Volete venire a passare un po' di tempo con gli Spaccati? Siete i benvenuti. Soprattutto dopo quello che sta accadendo ultimamente." detto ciò si spostò di lato e con un gesto esagerato ci fece segno di entrare. "Vi auguro un buon soggiorno al Palazzo degli Spaccati. Non è previsto nessun risarcimento o sostituzione in caso di perdita di un braccio o di un occhio." spiegò velocemente, rivolgendoci un sorrisetto, come se la cosa lo divertisse
Per quanto mi riguardava, trovavo l'ironia della guardia eccessivamente fuori luogo. Forse per lui era semplice scherzare su quelle cose, dato che potevo ipotizzare passasse la maggior parte delle sue giornate in un posto che pullulava di Spaccati, ma per me era umorismo veramente macabro e decisamente disgustoso.
"Cosa intendi per 'quello che sta accadendo ultimamente'? Cosa sta succedendo?" intervenne Thomas con fare agitato.
Il tizio scrollò le spalle. "Diciamo solo che non è un posto molto allegro, è tutto quello che vi serve sapere." Non ci fu bisogno di altre spiegazioni per capire che l'uomo non era affatto contento di quella situazione e che alla prima occasione ci avrebbe buttati nel posto da cui eravamo arrivati. 
"Be'... sapete se sono stati portati qui dei nuovi..." intervenne Thomas, vacillando sulle parole da usare. "delle nuove persone negli ultimi giorni? Avete un registro?"
L'altra guardia − bassa e tarchiata, con i capelli rasati − si schiarì la voce, poi sputò. "Chi state cercando? Uno o una?" 
"Uno" rispose Thomas. "Si chiama Newt. Un po' più alto di me, capelli biondi... Zoppica." 
Il tizio sputò di nuovo. "Forse so qualcosa. Ma sapere e parlare sono due cose diverse. Voi ragazzi sembrate pieni di soldi. Me ne volete dare un po'?" 
Che testa di caspio... Pensai irrigidendomi e innervosendomi. Poi però mi ricordai di Newt e me lo immaginai inginocchiato a terra, pieno di graffi e lividi, circondato da Spaccati o forse infastidito da una guardia, e allora la voragine dentro il mio stomaco riprese a girare vorticosamente. Non mi importava cosa volevano in cambio quelle guardie per parlare, se me lo avessero chiesto, avrei donato loro anche il cuore.
Desideravano denaro? Glielo avremmo dato volentieri.

Mi voltai verso Jorge, il cui viso era contratto dalla rabbia, e gli feci un cenno, come per dirgli implicitamente di intervenire, ma prima che l'uomo potesse parlare, Minho si intromise. "Di soldi ne abbiamo, faccia di caspio. Adesso dicci dov'è il nostro amico." 
La guardia puntò il lanciagranate verso di lui con un po' più di ferocia. "Fatemi vedere le carte di credito o questa conversazione si chiude qui. Voglio almeno mille." 
"Lui ce li ha tutti." si giustificò Minho, indicando Jorge con il pollice mentre il suo sguardo si fissava sulla guardia. "Avida testapuzzona." 
Jorge tirò fuori la carta e la agitò nell'aria. "Dovrai ammazzarmi per prenderla, e sai che non ti servirà a niente senza le mie impronte. Avrai i tuoi soldi, hermano. Adesso portaci da lui." 
"Va bene, allora." disse l'uomo. "Seguitemi. E ricordatevi, se qualche parte del corpo dovesse staccarsi a causa di uno sfortunato incontro con uno Spaccato, vi consiglio caldamente di lasciarvi la suddetta parte alle spalle e correre come schegge. A meno che non si tratti di una gamba, ovviamente." 
Quando la guardia girò i tacchi e varcò il cancello aperto, non esitai a seguirla, trascinandomi dietro Minho per un braccio.

*Angolo scrittrice*
Heilà, Pive!
Come va? 
Da me −  lo ammetto − non tanto bene. Ultimamente non so cosa mi sia preso, ma non riesco proprio a trovare le parole giuste per descrivere i momenti che invece aspettavo da tanto. Forse è per il fatto che non sempre mi piace scrivere queste parti così tristi, perchè spesso mi metto a piangere io stessa, immaginandomi come si possano sentire i personaggi. 
Quindi, scusatemi se questo capitolo non è il massimo, ma ho veramente cercato di fare del mio meglio. 
E volevo anche scusarmi se il prossimo capitolo arriverà in ritardo. Il fatto è che ultimamente ho avuto molti ripensamenti su questa storia e forse voglio modificare qualcosina riguardo il corso che i prossimi capitoli prenderanno. Per farlo ovviamente mi ci vorranno un po' di giorni, ma al massimo due in più rispetto al normale.
Ma a parte questo... Voi cosa mi dite?
Come pensate sia questa storia? Ne siete ancora affascinati o vi sta un po' annoiando?
Sapete che sono sempre aperta ai commenti e di solito mi diverto veramente a rispondere ad alcuni di voi, quindi che altro dire? Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete qualche consiglio (sia su come superare questo blocco, sia sulla storia).
Baci,
Inevitabilmente_Dea ♥

Ps: mancano 9 giorni a Natale... I'm so excited!  ^.^

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Capitolo 50
*** Capitolo 50. ***


Il Palazzo degli Spaccati era un posto orribile, sudicio. La guardia più bassa si dimostrò molto loquace e, mentre attraversavamo il caos di quel luogo spaventoso, ci fornì più informazioni di quante ne volessimo. Descrisse il villaggio degli infetti come una serie enorme di anelli concentrici, con tutte le aree comuni − caffetteria, infermeria, spazi ricreativi − situate al centro, e intorno file su file di alloggi squallidi. I Palazzi erano stati concepiti come un gesto di umanità, un rifugio per gli infetti finché non avessero raggiunto il punto in cui la follia avrebbe preso il sopravvento. In seguito venivano mandati in luoghi remoti che erano stati abbandonati durante le fasi peggiori delle eruzioni solari. Chi aveva costruito i Palazzi lo aveva fatto con lo scopo di dare agli infetti un'ultima chance di vita decente prima della fine. Erano sorti progetti vicino alla maggior parte delle città rimaste del mondo. Ma l'idea nata con le migliori intenzioni si era rivelata pessima. Riempire un luogo di persone senza speranza e consapevoli di essere destinate a una spirale di follia terribile, putrida, aveva portato alla creazione di alcune delle zone anarchiche più abiette mai esistite. Essendo i residenti ben consci del fatto che non potevano esserci vere punizioni o conseguenze peggiori di quella che già stavano affrontando, il tasso di criminalità era cresciuto a livelli astronomici. E così i progetti edilizi erano diventati il paradiso della depravazione.
Mentre superavamo una fila di case − baracche ridotte allo sfacelo, niente di più −, non riuscivo a non pensare a come stesse Newt. Se non altro quello era un luogo orribile in qui vivere, ma la sporcizia e il costante pensiero della morte imminente erano nulla rispetto al dover convivere con altri Spaccati, altrettanto malati e sull'orlo della pazzia. Ero sicura che Newt avesse incontrato diverse teste calde e il terrore che avessero potuto fargli qualcosa di male mi faceva venire la nausea. Era solo un ragazzino, non aveva nemmeno diciotto anni, eppure le guardie non avevano battuto ciglio mentre lo spedivano in quel luogo da incubo.
Mi strinsi a Minho, cercando di scacciare i cattivi pensieri, poi mi concentrai sull'ambiente intorno. Molte delle finestre delle abitazioni accanto a cui passavamo erano rotte e la guardia spiegò come permettere la presenza di vetro in quelle città fosse stato un errore enorme, dato che era diventata l'arma più usata. La spazzatura inondava le strade, e benché non avessi ancora visto nessuno avevo la perenne sensazione che qualcuno ci stesse osservando. Sentii qualcuno urlare delle oscenità in lontananza; poi, da un'altra direzione, arrivò un grido che mi inquietò a tal punto da obbligarmi a stringermi ancora di più al braccio di Minho, il quale ancora non si era lamentato della mia stressante vicinanza.
"Perché non lo chiudono e basta?" chiese Thomas, il primo del gruppo a parlare. "Insomma... se è ridotto così male." 
"Ridotto così male?" chiese la guardia. "Ragazzino, male è un termine relativo. Le cose stanno così, punto. Cos'altro vorresti fare con queste persone? Non puoi lasciarle gironzolare in mezzo alla gente sana nelle città fortificate. Non puoi semplicemente mollarle in un posto pieno di Spaccati ben oltre l'Andata e lasciare che le mangino vive. E nessun governo è ancora così disperato da cominciare a uccidere la gente appena si è presa l'Eruzione. Non ci sono alternative. Ed è un modo per noi immuni di fare bei soldi, visto che nessun altro è disposto a lavorare qui."
Solo in quel momento mi resi conto di quanto il mondo fosse precipitato in uno stato pietoso. La W.I.C.K.E.D. −  a differenza da ciò che avevo sempre pensato −  si stava rivelando quasi un paradiso in cui vivere, lontano dal mondo esteriore. Certo, avevamo affrontato dei mostri orribili, perso tante vite in imprese quasi impossibili, ma alla fine eravamo al sicuro dai pericoli esterni come Spaccati e malattie infettive. Se solo la W.I.C.K.E.D. non ci avesse mandato nella Zona Bruciata, forse Newt sarebbe ancora sano.
Era buffo come la W.I.C.K.E.D. fosse la causa della malattia del ragazzo, ma allo stesso tempo anche la speranza di curarlo. Se solo fossimo tornati indietro per collaborare alla Cura, forse non saremmo finiti a cercare Newt in un palazzo di Spaccati.
Sapevo che il ragazzo non sarebbe mai stato d'accordo con la mia iniziativa di tornare alla W.I.C.K.E.D. per la Cura e me lo aveva addirittura spiegato in modo molto chiaro, dicendomi che anche se essa fosse esistita veramente, lui non l'avrebbe mai presa. Non sapevo il motivo di questa sua decisione −  forse non voleva essere in debito con la W.I.C.K.E.D., forse non voleva pregare la stessa associazione che lo aveva strappato dalla sua vita passata per riceverne una nuova, forse aveva paura di essere ingannato di nuovo − , ma in ogni caso speravo che ci ripensasse, che lo facesse per me. Forse ero egoista nel pensare ciò, ma avrei fatto di tutto pur di riavere Newt nuovamente al mio fianco.
Brenda intervenne, con quell'espressione disgustata che l'accompagnava da quando avevamo messo piede nella città. "Perché non dici le cose come stanno? Lasciate che gli infetti se ne vadano in giro per questo posto dimenticato da dio finché non sono ridotti così male da potervi sbarazzare di loro senza che vi rimorda la coscienza." 
"Questo più o meno è il succo della questione." rispose la guardia con distacco. 
Continuammo a camminare, superando file e file di case, tutte malmesse, fatiscenti e sporche. 
"Dove sono tutti?" chiese Thomas. "Pensavo che questo posto fosse pieno zeppo di gente. E cosa intendevi prima quando hai detto che sta succedendo qualcosa?" 
Questa volta fu il tizio con i baffi a rispondere. "Alcuni − quelli fortunati − se ne stanno in casa a rilassarsi con il Nirvana. Ma la maggior parte è nella Zona Centrale, a mangiare o giocare, o se ne va in giro con brutte intenzioni. Ce ne stanno mandando troppi, e più velocemente di quanto possiamo mandarli via. Aggiungeteci il fatto che stiamo perdendo immuni a destra e a manca senza sapere che fine facciano, restando sempre più in minoranza, e alla fine era inevitabile che la situazione si scaldasse. Diciamo solo che stamattina il termometro si è alzato abbastanza."
"State perdendo immuni a destra e a manca?" ripeté Thomas. 
A quanto pareva la W.I.C.K.E.D. stava attingendo a ogni risorsa possibile per proseguire con le Prove. Anche se questo aveva conseguenze pericolose, ma dopotutto da quando alla W.I.C.K.E.D. era mai importato qualcosa su come si sentissero le altre persone? Non mi stupiva il fatto che il loro motto fosse 'il fine giustifica i mezzi'.
"Già, quasi la metà dei dipendenti sono scomparsi nell'ultimo paio di mesi. Senza lasciare traccia, in modo inspiegabile. Il che rende il mio lavoro mille volte più duro." sbuffò la guardia, causando in me un pizzichio di fastidio.
Poverino... Pensai alzando gli occhi al cielo. E' Immune, ha deciso di fare questo lavoro per soldi e ora li lamenta pure. Sono sicura che accanto all'arroganza sulla sua faccia ci stia benissimo uno dei miei pugni, gli donerebbe sicuramente.
Thomas sospirò. "Teneteci solo lontani dalla folla e metteteci in un luogo sicuro finché non trovate Newt." 
"Mi sembra un'ottima idea." aggiunse Minho, rifilandomi un'occhiata come per assicurarsi di avermi ancora accanto.
La guardia scrollò le spalle. "Okay. A me basta intascarmi i miei soldi."
Finalmente, a due anelli di distanza dalla Zona Centrale, le guardie si fermarono e ci dissero di aspettare lì, così ci posizionammo all'ombra di una delle baracche, l'uno vicino all'altro. 
Il rumore era aumentato di minuto in minuto, e adesso che eravamo vicini alla maggior parte della popolazione del Palazzo, era come se fosse scoppiata un'enorme rissa proprio dietro l'angolo. 
Per l'ennesima volta mi avvicinai a Minho, ma quando fui sul punto di afferrargli il braccio esitai, sentendomi improvvisamente in colpa per stargli sempre così appiccicata. Decisi perciò di limitarmi alla vicinanza dei nostri corpi, senza tentare nessun contatto fisico per evitare che il ragazzo si stancasse di me, e appoggiai le mani sul mio grembo, iniziando a torturarmi le dita.
Mi morsi il labbro e cercai di cacciare tutti i pensieri negativi che mi stavano volando per la mente come grosse nubi nere, ma ogni mio sforzo sembrava essere vano. Nonostante mi impegnassi a pensare positivo o semplicemente a non pensare, la mia immaginazione continuava a proiettarmi l'immagine di Newt, steso a terra tremante, ricoperto di lividi, graffi e sangue secco, e accerchiato da un branco di Spaccati pazzi e pronti a mangiare la propria cena.
La mia mente poi decise che l'orrore che mi stavo immaginando non era abbastanza, e allora iniziò persino a farmi credere che le urla e le grida che stavo sentendo provenivano dal biondino.
Quando l'ennesimo urlo lacerò l'aria, mi sentii sussultare e desiderai con tutto il cuore di tapparmi le orecchie, ma per non far notare ai miei amici la mia paura, mi limitai a serrare gli occhi, abbandonandomi al buio e sperando di trovare in esso un po' di conforto.
Odiai ogni secondo che passai seduta lì, in attesa, a sentire quei suoni orribili, chiedendomi per tutto il tempo se le guardie sarebbero mai tornate insieme Newt. Continuai a stritolarmi le dita, allungandole, schiacciandole, piegandole nei modi più improbabili, fino a quando sentii una mano intrufolarsi lentamente tra le mie e solo a quel punto spalancai gli occhi, sorpresa e per un attimo spaventata da quel gesto.
Alzai lo sguardo e quando compresi che era solamente Minho a tenermi per mano mi rilassai, incontrando lo sguardo preoccupato del ragazzo e trasmettendogli tutta la mia gratitudine.
Rassicurata dal gesto del ragazzo mi lasciai andare, incrociando le mie dita alle sue e godendomi ogni carezza che il Velocista mi stava lasciando con il pollice sul dorso delle mie mani.
Dopo una decina di minuti che le guardie se ne erano andate, da una piccola abitazione sul lato opposto della viuzza rispetto a dove ci trovavamo, uscirono due persone. 
Sentii il mio cuore fermarsi per un attimo e le mie gambe fremere e tremare, vogliose di alzarsi e correre, tuttavia rimasi immobile, attirata da un dettaglio: quelle due persone erano in realtà una coppia, un ragazzo e una ragazza abbastanza giovani e visibilmente innamorati.
Le loro mani infatti erano intrecciate e unite, quasi come se fosse proprio quel contatto a mantenerli sani di mente e a non lasciarli cadere nella pazzia.
Per un istante rividi in quella coppia l'immagine di me e Newt ed ebbi un tuffo al cuore.
Desideravo ardentemente che il ragazzo fosse immune, ma dato che ció non era possibile, allora avrei preferito perdere la mia immunità e contrarre l'Eruzione, solo per stargli più vicino di quanto in realtà potessi.
Sapevo che questo mio desiderio potesse risultare irrispettoso per tutte quelle persone che si erano ammalate e sapevo anche che se Newt avesse saputo il modo in cui stavo ragionando si sarebbe di sicuro arrabbiato, ma non potevo fare a meno di rendere tale desiderio l'oggetto maggiore del mio tormento.
Se solo non fossi stata immune forse Newt non avrebbe dovuto affrontare tutto ció da solo.
Se solo non fossi stata immune forse io ed il biondino avremmo potuto tenerci per mano, fronteggiando insieme la nostra sorte, proprio come stava facendo la coppia.
Se solo non fossi stata immune non mi sarei dovuta preoccupare di trovare un senso alla mia vita dopo Newt e non mi sarei dovuta abituare alla sua assenza.
"Quando siete arrivati?" chiese la donna, interrompendo i miei pensieri e catapultandomi nella realtà. Non mi ero accorta che nel frattempo la coppia si era avvicinata, e ora, osservandoli da poca distanza, potevo constatare che sembravano abbastanza sani, a parte il fatto che fossero un po' sporchi e vestiti con abiti spiegazzati e logori.
Brenda prese la parola. "Siamo arrivati con l'ultimo gruppo. In realtà stiamo cercando un nostro amico che era con noi. Si chiama Newt, ha i capelli biondi, zoppica. Lo avete visto?"
L'uomo rispose come se fosse la domanda più stupida che avesse mai sentito. "Ci sono molte persone con i capelli biondi da queste parti. Come potremmo sapere chi è chi? E comunque, che razza di nome è Newt?" 
Minho aprì la bocca per rispondere, ma il rumore che arrivava dal centro della città aumentò e ci voltammo tutti in quella direzione. La coppia si scambiò uno sguardo preoccupato. Poi, senza proferire parola, tornarono di corsa in casa. Chiusero la porta e si sentì il clic di una serratura che scattava. Pochi secondi dopo, una tavola di legno comparve sulla loro finestra, coprendola; un piccolo frammento di vetro cadde a terra. 
"Sembrano felici di essere qui più o meno quanto noi." disse Thomas. 
Jorge grugnì. "Molto socievoli. Credo che tornerò a trovarli." 
"È chiaro che non sono qui da molto." disse Brenda. "Non riesco a immaginare come debba essere. Scoprire che sei infetto, essere spedito a vivere con gli Spaccati, avere davanti agli occhi quello che stai per diventare." 
Dopo aver ascoltato le parole di Brenda non potei fare a meno di mordermi la parte interna delle guance, fino a sentire il sapore metallico del sangue invadermi la bocca. Già il fatto che una persona sapesse di aver contratto una malattia mortale e di avere a disposizione poco tempo prima di diventare pazzo era la cosa più spaventosa e terribile che potesse capitarle, in più mettere quella persona a vivere con altri infetti era come regalarle una visione anticipata di ciò che sarebbe diventata.
Non volevo nemmeno immaginarmi come si sentisse Newt. Dire che fosse terrorizzato e triste era probabilmente limitativo.
"Dove sono quelle guardie?" chiese Minho, con tono chiaramente impaziente. "Quanto ci vuole a trovare qualcuno e dirgli che i suoi amici sono qui?" 
Dieci minuti più tardi, le due guardie ricomparvero dietro un angolo. Tutti saltammo immediatamente in piedi, con il cuore in gola e la speranza in mano.
"Dov'è Newt?" domandai impaziente, stritolando la mano di Minho.
La guardia più bassa mi stava osservando con uno sguardo irrequieto, quasi agitato, come se avesse perso la sfrontatezza di prima e per un attimo il terrore mi invase: qualcosa doveva averlo terrorizzato a tal punto da fargli perdere tutta l'arroganza e il pessimo sarcasmo che fino a quel momento ci aveva mostrato. Ma il punto era: cosa?
Fu il suo collega a rispondere. "Abbiamo dovuto chiedere in giro, ma credo che abbiamo trovato il vostro amico. Era proprio come l'avete descritto, e si è voltato verso di noi quando l'abbiamo chiamato per nome. Ma..." Le guardie si scambiarono un'occhiata, come se fossero in difficoltà. "Ma cosa?" li spronò Minho. 
La guardia più bassa fece un sospiro, poi ci riferì: "Ha detto − molto chiaramente, oserei aggiungere − di dirvi di andare al diavolo."
Quelle parole mi arrivarono dritte al cuore come un dardo avvelenato, rompendolo in mille pezzi e trafiggendolo con crudeltà. La prima cosa a cui pensai fu che non fosse possibile che Newt avesse detto una cosa del genere, che le guardie stessero mentendo e che lo stessero facendo per non avere troppi problemi.
"C-Cosa?" domandai sentendo la mia voce cedere. 
"Vi abbiamo solo riferito quello che ha det..."
"Fateci vedere dov'è." ordinò Minho senza giri di parole, aumentando la presa sulla mia mano, come se fosse arrabbiato e non riuscisse a contenersi.
Sentii le mie gambe tremare, ma cercai di rimanere forte e strinsi i denti, ricambiando la stretta di Minho. Ero sicura che ci fosse qualcosa sotto l'affermazione delle guardie e, sia che stessero dicendo la verità sia che stessero mentendo, la questione non finiva lì.
La guardia sollevò le mani. "Non hai sentito quello che ho appena detto?"
"E tu non hai sentito quello che ha appena detto lui?" domandai facendo risuonare la mia voce più tesa del solito. "Il tuo lavoro non è finito." sibilai tra i denti, impegnandomi a mantenere il contatto visivo con le guardie.
Anche se quello che i due ci avevano riferito su Newt era vero, non mi importava. Non sarebbe stato di certo uno stupido messaggio recapitato a fermarmi o ad accontentarmi. Avrei attraversato tutta la folla di Spaccati da sola pur di arrivare a Newt e parlarci.
La guardia più bassa scosse la testa con ostinazione. "Non esiste. Voi ci avete chiesto di trovare il vostro amico e noi l'abbiamo fatto. Dateci i nostri soldi."
"Ti sembra che sia qui con noi?" chiese Thomas con un tono infastidito. 
"Nessuno vedrà un centesimo finché non siamo tutti insieme." aggiunse Jorge, puntando un dito contro i due. 
Le due guardie non sembravano affatto contente, e si misero a discutere tra loro, a bassa voce.
"Ehi!" sbraitò Minho. "Se volete quei soldi, andiamo!"
"Va bene." disse alla fine la guardia con i baffi, ricevendo dal suo collega un'occhiata esasperata. "Seguiteci."
I due poi si voltarono e ripresero a camminare nella direzione da cui erano venuti. In meno di un secondo io e Minho gli fummo dietro, partendo quasi all'unisono e camminando velocemente, entrambi impazienti di vedere il biondino. Non mi serviva girare lo sguardo per constatare che tutti gli altri fossero dietro di noi, dato che potevo sentire la loro presenza subito dietro le mie spalle.
Mentre ci addentravamo nel cuore di quel complesso notai che le abitazioni erano più malandate e le strade più sporche. Vidi diverse persone sdraiate sui marciapiedi, con la testa appoggiata su borse sudice o vestiti appallottolati. Ognuna di loro fissava il cielo con occhi vitrei, un'espressione di puro piacere, indubbiamente sotto l'effetto del Nirvana. 
Le guardie marciavano in testa al gruppo, spostando i loro lanciagranate a destra esinistra verso chiunque si avvicinasse a meno di tre metri. Ad un certo punto sentii la mano di Minho tirare la mia, segno che mi dovevo fermare, e quasi senza capire lo accontentai, rallentando il passo e voltandomi vero di lui.
Il ragazzo stava fissando con espressione stupefatta un uomo dall'aspetto devastato − i vestiti a brandelli, una sostanza nera e appiccicosa tra i capelli arruffati, la pelle piena di sfoghi − che era intento a picchiare un ragazzino strafatto di Nirvana, steso a terra, che non sembrava voler fare niente per difendersi.
"Minho, non credo che..." iniziai, ma subito venni interrotta da una guardia.
"Non pensarci nemmeno." disse quella. "Cammina."
A quel punto rispose Thomas, con le sopracciglia aggrottate. "Ma il vostro compito non è..."
L'altra guardia lo interruppe. "Chiudi il becco e lasciaci fare le cose a modo nostro. Se ci intromettessimo in ogni bisticcio e litigio che vediamo, non finiremmo mai. Probabilmente saremmo morti. Quei due possono risolvere da soli i loro problemi."
"Portateci da Newt e basta." disse Minho con tono distaccato, scuotendo la testa e riprendendo a camminare, trascinandomi con lui e obbligando le guardie ad aumentare il passo per tornare in testa al gruppo.
Per un attimo mi domandai cosa fosse passato per la testa del ragazzo. Insomma, aveva cambiato espressione in una frazione di secondo, passando dallo stupore ad una freddezza che non avevo quasi mai percepito dal ragazzo. Non mi ci volle molto a capire ciò che Minho doveva aver visto, in realtà. Conoscevo abbastanza il ragazzo da poter affermare con certezza che la scena che si era svolta davanti ai nostri occhi, lui l'aveva vista in modo diverso: ero sicura che lui, come me ultimamente, aveva iniziato a vedere l'immagine di Newt in ogni ragazzino infetto che incontrava per caso.
E la cosa mi spaventava.
Perchè era così semplice associare Newt ad ogni infetto malmenato che vedevamo? Bastava veramente quella singola caratteristica in comune per compararli?
Continuammo a camminare e cercai di ignorare in tutti i modi le urla e le frasi sconcie che iniziavano a sollevarsi al nostro passaggio.
Finalmente poi raggiungemmo un muro alto con un passaggio ad arco che portava a un'area piena di gente. In cima all'arco c'era un cartello che annunciava a chiare lettere che quella era la Zona Centrale. Solo a quel punto le guardie si fermarono e si voltarono verso di noi, poi l'uomo con i baffi si rivolse al gruppo. "Ve lo chiederò solo una volta. Siete sicuri di voler entrare?"
"Sì." rispondemmo io e Minho all'unisono, amplificando la nostra decisione ed estendendola a tutto il gruppo. Ora non avrei permesso a nessuno di tirarsi indietro, perciò volenti o nolenti avrebbero oltrepassato quell'arco con noi.
"D'accordo allora. Il vostro amico è nella sala da bowling. Non appena ve lo indichiamo, voglio i nostri soldi."
"Muoviamoci." grugnì Jorge.

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Capitolo 51
*** Capitolo 51. ***


Le guardie si girarono decise e varcarono l'arco. Presi un bel respiro e mi lasciai trascinare da Minho, che non sembrava minimamente intenzionato a sciogliere le nostre mani ancora incrociate l'una all'altra. Seguimmo le guardie attraverso l'arco ed entrammo nella Zona Centrale, poi queste si fermarono un attimo per guardarsi in giro. 
Colsi quell'occasione di pausa per guardarmi attorno e subito desiderai di non averlo fatto: c'erano Spaccati ovunque. Vagavano senza meta in un'area circolare di qualche centinaio di metri delimitata da quelli che un tempo dovevano essere negozi, ristoranti e teatri, quasi tutti chiusi e in uno stato di abbandono. La maggior parte degli infetti non sembrava proprio andata quanto il tizio con i capelli arruffati che avevamo visto prima, ma quei gruppi di persone avevano un'aria concitata, un misto fra eccitazione, affanno e agitazione, dato che ognuno stava camminando in modo frenetico, facendo risultare ogni movimento esagerato.  
Alcuni ridevano in modo isterico con una luce folle negli occhi, mentre si davano pesanti pacche sulle spalle a vicenda. Altri piangevano a dirotto, singhiozzando da soli per terra o mentre camminavano in cerchio, con il viso tra le mani. Altri ancora −  proprio come avevamo visto negli anelli più esterni−  erano annebbiati dagli effetti del Nirvana, seduti o sdraiati per terra, sorridenti e ignari del caos. Ovunque erano scoppiate piccole risse, e qua e là c'erano uomini e donne fermi in piedi che gridavano a squarciagola, con il viso rosso e le vene fuori dal collo. C'era anche chi si stringeva in gruppo, con le braccia incrociate e la testa che scattava a destra e sinistra come per paura di essere attaccato da un momento all'altro. Qualche guardia girava con le armi pronte a sparare, ma erano decisamente in minoranza.
"Ricordami di non acquistare nessun immobile da queste parti." disse Minho dandomi un colpetto sulla spalla e scuotendo la mia mano. Probabilmente il ragazzo aveva notato la mia espressione spaventata e aveva cercato di distrarmi in qualche modo, tuttavia senza riuscirci. Ammiravo i suoi sforzi per farmi sorridere, solo che in quel momento non ci riuscivo proprio. Se quel posto aveva avuto un tale effetto su di me in così poco tempo, non volevo immaginarmi come si sentisse Newt dopo averci vissuto per diversi giorni. 
Nonostante tutti i miei sforzi per rimanere calma e rilassata, quella vista mi aveva fatta agitare irrimediabilemente, facendomi desiderare di raggiungere Newt e andarmene da lì il prima possibile.  
"Dov'è la sala da bowling?" chiese Thomas, con fare agitato. 
"Da questa parte." rispose la guardia più bassa, poi si diresse a sinistra, restando vicino al muro mentre noi altri lo seguivamo.
La maggior parte degli Spaccati, vedendoci passare, interruppe la propria attività frenetica e si mise a fissarci, facendomi sentire sempre più vulnerabile e in pericolo.
Era una sensazione terribile avere i loro sguardi puntati su di noi e per quanto mi obbligassi a rimanere il più rigida possibile, evitando ogni piccolo movimento che avrebbe potuto farli innervosire, o dargli l'occasione di attaccarci improvvisamente, il mio corpo stava tremando.
I miei occhi tuttavia non riuscirono a rimanere altrettanto fermi e lentamente iniziarono a distaccarsi dal suolo, puntandosi in modo indiscreto sugli infetti che ci osservavano in modo curioso. Tutto il coraggio e la forza che avevo cercato di dimostrare fino a quel punto cessarono nell'istante in cui per sbaglio incrociai lo sguardo di un uomo malconcio: aveva i capelli tutti arruffati, sporchi e con tracce di sangue secco qua e là; la sua pelle −  specialmente quella del viso −  era ricoperta di graffi, lividi e ferite che mi sembrarono anche abbastanza gravi e, visto l'igiene di quel posto, inevitabilmente infettate; i suoi occhi rossi e quasi fuori dalle orbite, prima di incrociare il mio sguardo, si erano mossi frenetici, passando di persona in persona come impazziti; la sua bocca tremava visibilmente, come se l'uomo stesse sussurrando qualcosa, ed era sporca di sangue −  inutile dire che speravo di non scoprire mai se quel sangue fosse il suo o appartenesse a qualcun'altro, senz'altro sfortunato.
Non avrei nemmeno voluto incrociare il suo sguardo e di certo se per sbaglio fosse capitato lo avrei distolto subito, ma proprio quando fui sul punto di tornarmene a fissare il pavimento un dettaglio sul volto dell'uomo catturò la mia attenzione, rendendomi persino impossibile sbattere le palpebre. 
Proprio nel centro del suo volto, nel punto in cui avrebbe dovuto esserci il naso dell'uomo, era situata una grossa macchia rossa e nera di sangue grumoso che contornava e riempiva in modo disgustoso un profondo taglio. Inizialmente pensai di aver visto male, ma dopo una seconda profonda occhiata constatai la cosa più orribile che mi fosse mai apparsa di vedere: quell'uomo non aveva un naso, o perlomeno gli era stato tagliato via in malo modo.
Mi sentii rabbrividire e cercai in tutti i modi di distogliere lo sguardo dal volto dell'infetto, tuttavia senza riuscirci, così impiegai tutta la mia forza nelle gambe, obbligandole ad aumentare il passo.
Quando l'immagine dell'uomo uscì dal mio campo visivo mi sentii riempire di sollievo, ma ciò che venne dopo fu peggiore. In meno di un secondo rividi l'uomo comparire di fianco a me e, nonostante si stesse tenendo a debita distanza, quando mi accorsi che fosse talmente concentrato sul mio sguardo da seguire ogni mio movimento per non perdermi d'occhio, mi sentii mancare.
A quel punto mi fu impossibile riuscire a controllare ancora il terrore e quando anche l'uomo si accorse della mia paura sorrise in modo sinistro, rivolgendomi un'occhiata psicopatica e di puro divertimento insano.
Sapevo che dovevo continuare a mantenere la calma ed ero anche consapevole che in quel momento dovevo rimanere concentrata sui miei movimenti, dato che ora più che mai la mia vita dipendeva da quelli: anche un solo piccolo scatto avrebbe potuto causare nell'uomo una risposta ed ero sicura che non c'era da aspettarsi nulla di buono.
Presi un profondo respiro e pensai molto accuratamente a cosa fare per prima cosa: innanzitutto distolsi lentamente lo sguardo, puntando gli occhi sul terreno, ma continuando comunque ad osservare con la coda dell'occhio i movimenti dell'uomo in caso di un attacco improvviso; aspettai pochi secondi per assicurarmi che l'uomo stesse continuando a camminare come prima, seguendomi senza accennare a nessun cambiamento di velocità; poi strinsi più forte la mano di Minho in modo da attirare impercettibilmente la sua attenzione e senza attendere altro mi appiattii di più al suo fianco, sussurrandogli a voce talmente bassa che a riuscii a stento a sentirmi io stessa.
"Minho..." bisbigliai cercando anche di limitare il movimento delle mie labbra. "Un uomo mi sta seguendo."
Sentii il ragazzo irrigidirsi, segno che aveva probabilmete afferrato le mie parole, e per rassicurarmi aumentò la stretta sulla mia mano. Poi, lasciandomi totalmente esterrefatta e spaventata, lasciò la presa e allontanò il suo braccio dal mio.
Fui presa da un attimo di panico e quando fui sul punto di alzare gli occhi verso di lui e trucidarlo con lo sguardo mi bloccai, sentendo il suo braccio scivolare delicatamente sulla mie spalle e stringermi in modo ferreo a sè.
A quel punto, senza riuscire a trattenermi, rilasciai un piccolo sospiro e mi rannicchiai ancora di più contro il suo corpo, afferrando nuovamente la sua mano che ora penzolava sulla mia spalla. Inspirai profondamente e sentii le mie guancie raffreddarsi lentamente, lasciando uscire tutto il terrore e la rabbia che avevo accumulato all'improvviso quando la mano del ragazzo mi aveva abbandonata, poi socchiusi gli occhi non volendo vedere le conseguenze che il movimento azzardato di Minho avrebbe potuto causare.
Mi abbandonai nel buio e non vedere cosa successe dopo mi mise addosso un senso di ansia mista a terrore che mi fece quasi venir voglia di riaprire gli occhi. Continuai a rimanere fedele alla mia decisione e mi affidai completamente a Minho, il quale ero sicura non mi avrebbe mai fatto inciampare.
Mi strinsi ancora di più al ragazzo, sentendolo di colpo respirare profondamente: ero sicura che, nonostante il coraggio che Minho aveva sempre dimostrato, anche lui fosse agitato e spaventato in quel momento, tanto da aver trattenuto il fiato da quando gli avevo dato quel pessimo annuncio.
Presi anche io un grosso respiro, inalando l'odore del Velocista e sperando con tutto il cuore che questo potesse calmarmi così come aveva sempre fatto il profumo di Newt.
Mentre continuavamo a camminare, si sentivano grida e fischi, e molte battute e oscenità indirizzate a noi. 
"Voglio baciarti." sentii una voce roca ed eccessivamente acuta squarciare il silenzio, sorprendendo sia me che Minho e facendoci sussultare entrambi. Senza riuscire più a tenerli chiusi, spalancai gli occhi, ma non vidi nulla di strano. Presa dal panico mi guardai attorno, ma quando constatai che l'uomo che prima mi aveva seguita fosse sparito, mi rilassai: in effetti la voce era troppo femminile per appartenere a lui.
"Cosa ne dici, Mune?" disse nuovamente la voce, scoppiando poi in una risata folle e piena di grugniti. 
Mi voltai velocemente verso Minho, ma, dopo aver capito che anche il ragazzo stava bene e che non era stato attaccato da nessun infetto, compresi che la voce dovesse arrivare da dietro di noi.
"Continua a camminare." mi bisbigliò Minho, anticipando la mia mossa e impendendomi di girarmi a controllare.
Per quella volta decisi di ascoltarlo e continuai a camminare, cercando di ignorare persino le parole di Brenda −  sicuramente rivolte a Thomas −  che mi arrivarono in un sussurro.
"Finora questa è forse la cosa più raccapricciante."




 

La sala da bowling era priva di porte e a giudicare dagli strati di ruggine formatisi sui cardini esposti, erano state tolte da molto tempo. Sopra l'entrata era appeso un grosso cartello in legno, ma qualunque cosa ci fosse stata scritta era sparita, lasciando solo qualche sbiadito graffio colorato.
"È qui dentro." disse la guardia con i baffi. "Adesso pagateci."
Per la prima volta dopo tanto tempo passati attaccati, Minho mi lasciò la mano e avanzò di qualche passo, poi arrivò all'entrata e si sporse, allungando il collo per guardare all'interno. 
Dopo diversi secondi lo vidi voltarsi nuovamente verso di noi, poi si rivolse a Thomas. "È lì in fondo." disse, con un'espressione tesa. "È buio, ma è lui di sicuro."
Quelle parole scaturirono in me una sorta di ansia, mista a panico e a frustrazione: ero terrorizzata all'idea di incontrare Newt in mezzo a tutta quella gente, nonostante sapessi che l'Eruzione non poteva cambiare una persona in modo drastico in così poco tempo; ero tesa e preoccupata perchè non avevo la più pallida idea di cosa dirgli e di come parlargli, dato che sarebbe stata la mia capacità di persuasione a convincerlo a tornare sulla Berga con noi; ma allo stesso tempo ero anche ansiosa di rivederlo, desiderosa di buttarmi nuovamente tra le sue braccia ed inspirare nuovamente il suo buon odore rassicurante.
"Vogliamo i nostri soldi." ripeté la guardia.
Jorge sembrava infischiarsene completamente. "Vi darò il doppio se ci farete tornare alla Berga tutti interi."
Le due guardie si consultarono, poi fu quello più basso a rispondere. "Il triplo. E vogliamo la metà adesso come garanzia che non ci state prendendo per i fondelli."
"Affare fatto, muchacho."
Mentre Jorge tirava fuori la sua carta e la appoggiava su quella della guardia per trasferire il denaro, decisi di raggiungere Minho e sporgermi anche io per constatare se le parole del Velocista fossero vere o false. Non che non mi fidassi di lui, ma la mia ansia stava diventando talmente tanto incontenibile che vedere la sagoma di Newt, anche da lontano, sarebbe servito a placarla.
Minho mi osservò sporgermi e non disse nulla, nemmeno una delle sue battute sarcastiche che una volta era solito sfornare ad ogni minuto, poi silenziosamente puntò il dito in una direzione, facendo focalizzare la mia attenzione sull'ultima pista a sinistra, a una trentina di metri da noi. 
Lì non c'era molta gente − la maggior parte sembrava radunarsi nelle piste centrali −, e nonostante la luce scarsa riconobbi Newt all'istante. Bastarono i capelli biondi arruffati che splendevano al bagliore del fuoco e la sagoma familiare del suo corpo dalla postura cadente. Era girato di spalle. 
"Vi aspetteremo qui." disse la guardia facendomi sobbalzare.
Feci per girarmi, ma Minho non me ne diede occasione e, prendendomi nuovamente per mano, mi trascinò con sè dentro l'edificio, ordinando a tutti di seguirci con un tono che non ammetteva repliche.
"Hai paura anche tu?" domandai a Minho, cercando di distrarmi e di non far scoppiare il mio cuore che ora aveva iniziato a battere all'impazzata.
"Degli Spaccati o di Newt?" chiese il ragazzo, guardandomi con la coda dell'occhio.
"Della decisione che prenderà Newt." spiegai, concentrandomi totalmente sul Velocista per evitare di incrociare lo sguardo di altre persone malate, come avevo già fatto precedentemente.
"No." rispose secco il ragazzo, guardando dritto di fronte a sè, con la testa alta e lo sguardo pieno di forza. "Newt verrà con noi, come portebbe scegliere il contrario? Ha ancora degli amici e ha te."
Annuii debolmente e abbassai lo sguardo a terra, decidendo di non parlare più fino a che non avessimo raggiunto Newt. Tentai di consolarmi con le parole che Minho aveva pronunciato, ripetendole all'infinito dentro la mia testa, ma nulla riuscì a cancellare la pessima sensazione che avevo.
Da una parte era vero che Newt avesse tante cose per cui tornare con noi nella Berga, ma d'altra parte, se mi mettevo nei panni del ragazzo, potevo notare anche tanti altri aspetti negativi del farlo.
Mi morsi il labbro e decisi di spegnere anche la mia testa, mettendo immediatamente a tacere tutti i pensieri negativi che non avevano fatto altro che peggiorare la situazione, e mi concentrai sull'ambiente che mi si parava davanti, stando bene attenta a non incrociare lo sguardo di nessuno: le piste in cui un tempo le persone avevano provato a fare strike erano completamente distrutte, la maggior parte dei pannelli in legno strappati o rotti; adesso quegli spazi erano occupati da sacchi a pelo e coperte, con gente che schiacciava un pisolino o se ne stava sdraiata a fissare il soffitto in uno stato di stordimento; nelle nicchie in cui si posizionavano i birilli bruciavano molti falò, il che non poteva essere una cosa molto sicura, ma c'era almeno una persona seduta vicino a ogni fuoco a occuparsene; nell'aria si sentiva l'odore di legna bruciata, e una nebbia di fumo soffocava il buio.
"È una partita persa in partenza." sentii Brenda sussurrare dietro di me, scatenando in me una rabbia bestiale.
Certo, anche io avevo un pessimo presentimento, ma almeno i miei pensieri me li tenevo per me! Cosa guadagnava nell'esprimere quel pensiero ad alta voce? Ma soprattutto, chi cacchio aveva chiesto la sua opinione?
Se solo non fossi stata in un luogo pericoloso e pieno di Spaccati pronti a saltarmi al collo al minimo movimento azzardato, mi sarei di certo girata per tirarle uno schiaffo in faccia.
Guardandomi cautamente attorno mi accorgevo che nessuno sembrava interessato a noi, e tutti sembravano troppo impegnati a girare su se stessi o a fare cose strane per infastidirci. 
Così ci destreggiammo con cautela nel labirinto di persone che sonnecchiavano avvolte nelle coperte, finché non raggiungemmo la pista in fondo. 
Eravamo a circa tre metri da Newt quando di colpo lui parlò a voce così alta che le sue parole riecheggiarono tra le pareti buie della sala da bowling. "Razza di pive del cacchio, vi ho detto di andare al diavolo!"
Senza neanche volerlo sentii le mie gambe tremare e fui costretta a fermarmi. Quelle parole mi avevano colto così alla sprovvista che sentii il mio cuore perdere di un battito per poi riprendere a pompare ancora più velocemente di prima. Minho si fermò di scatto accanto a me e mi strinse forte la mano, cercando di darmi coraggio o forse cercando di darsi forza.
Sentire quelle parole pronunciate da Newt mi fece sentire inutile e d'intralcio: Newt non ci voleva lì e ciò stava a significare che non avrebbe ceduto facilmente al nostro tentativo di portarlo assieme a noi. Forse era veramente una partita persa in partenza, forse era veramente tutto inutile, ma a me non importava: avrei provato e riprovato fino a che avessi potuto.
Potevo a stento immaginarmi come si sentisse Newt e sapevo che non poteva essere contento di vederci, dato che ero sicura non avrebbe voluto che i suoi amici avessero assistito al cambiamento drastico che lo attendeva. 
Ciò era inevitabile e per quanto avessi potuto insistere, sapevo che Newt non mi avrebbe dato retta, troppo demoralizzato dai giorni bui che gli si prospettavano davanti.
"Dobbiamo parlarti." disse poi Minho, prendendo per primo la parola e infondendomi un po' di coraggio. Senza lasciarmi la mano, il Velocista fece un passo in avanti, scavalcando una donna magra sdraiata su un fianco.
"Non ti avvicinare." rispose Newt. La sua voce era calma, ma il tono molto minaccioso. "Quei criminali mi hanno portato qui per un motivo. Hanno pensato che fossi un cavolo di immune nascosto in quella Berga del caspio. Immaginate la loro sorpresa quando hanno capito che l'Eruzione mi stava divorando il cervello. Hanno detto che era un loro dovere civico mollarmi in questa topaia."
Mi morsi il labbro e seguii Minho nelle sue azioni, facendomi avanti di qualche passo.
"Newt..." lo chiamai, sentendo la mia voce tremare per l'agitazione. "Siamo qui per questo. Siamo tornati a prenderti per questo. Sapevo che lasciarti da solo sulla Berga era una pessima decisione e siamo venuti per rimediare: vieni con noi, Newt. Qui non importa una sploff a nessuno di chi va e chi viene."
Mentre parlavo, la mia voce risuonava nella stanza sempre più rotta e tremolante, ma mi sforzai al massimo pur di riuscire a trattenermi e di non correre verso di lui per abbracciarlo.
Newt si voltò lentamente verso di noi e quando vidi le condinzioni in cui era sentii una morsa nel petto: non avevo mai visto il ragazzo con addosso un'aria così debole e stanca, era come se avesse corso e lottato e fosse caduto da un dirupo per tre giorni di fila. 
Era a pezzi e nonostante gli occhi lucidi, rossi e gonfi − tipici di chi ha pianto da poco o di chi cerca di trattenere le lacrime − potevo leggere nel suo sguardo anche della frustrazione e della leggera rabbia.
"Wow, vacci piano." disse Minho, facendo mezzo passo indietro e mancando di un soffio la donna ai suoi piedi. Inizialmente non capii a cosa si stesse riferendo il ragazzo, poi però le sue parole successive mi chiarirono tutto. "Calmati. Non c'è bisogno di puntarmi in faccia un caspio di lanciagranate mentre parliamo. E comunque, dove hai preso quell'affare?"
Solo dopo aver seguito le parole del ragazzo notai un altro dettaglio fondamentale che caratterizzava Newt: tra le mani teneva ben stretto un grosso lanciagranate e lo stava stringendo talmente forte da far diventare le sue nocche bianche.
"L'ho rubato." rispose Newt. "L'ho preso a una guardia che mi ha... fatto arrabbiare."
Le mani di Newt tremavano leggermente, il che mi rese nervosa; le dita del ragazzo erano sopra il grilletto. "Non sto... bene." disse Newt. "Davvero, apprezzo che voi pive del cavolo siate venuti a cercarmi. Dico sul serio. Ma questa storia del cacchio finisce qui. Questo è il momento in cui voi vi voltate e uscite da quella porta per tornare alla vostra Berga e volare via. Mi avete capito?" 
Potevo percepire la fatica con cui Newt fosse riuscito a pronunciare quelle parole e apprezzavo i suoi sforzi nel trattenersi e risultare gentile, ma in quel momento non ce n'era veramente bisogno. 
"No che non capisco, Newt." disse Minho sempre più frustrato, aumentando la presa sulla mia mano. "Abbiamo rischiato la pelle per venire in questo posto e tu sei nostro amico e ti porteremo a casa. Vuoi piagnucolare e gridare mentre impazzisci, va bene. Ma lo farai con noi, non con questi Spaccati del caspio."
Spalancai gli occhi e li puntai dritti su Minho. Sapevo che non era colpa sua e che quello era solo il suo modo di fare, ma di certo dire quelle parole con quel tono aveva solo peggiorato la situazione.
Mi voltai nuovamente verso Newt, giusto in tempo per vederlo saltellare di colpo in piedi, in modo così improvviso che rischiai di inciampare veramente sulla donna stesa a terra e di cadere all'indietro. Newt spostò il lanciagranate puntandolo contro Minho ad una velocità sorprendente. "Io sono uno Spaccato, Minho! Io sono uno Spaccato!" urlò il ragazzo su tutte le furie, diventando rosso in viso e facendo rilsatare le vene sul collo. "Perché non riesci a fartelo entrare in quella testa del cavolo? Se tu avessi l'Eruzione e sapessi cosa sta per succederti, vorresti avere i tuoi amici accanto che ti guardano? Eh? Lo vorresti?"
Pronunciò le ultime parole urlando con voce rotta, come se stesse sul punto di perdere la voce e di scoppiare a piangere, e tremava ogni secondo di più. 
Minho non disse nulla, probabilmente perchè nemmeno lui sapeva più cosa dire, proprio come me.
Lo sguardo di Newt si spostò su di Thomas. "E tu, Tommy." disse, abbassando la voce. "Hai un bel coraggio a venire qui per chiedermi di andarmene con voi. Un bel coraggio. Mi viene il vomito solo a guardarti."

 

 

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Capitolo 52
*** Capitolo 52. ***



Sentendo le parole del ragazzo rimasi stupita dalla cattiveria con cui Newt pronunciò quella frase. Quale era la causa di quelle brutte parole? Non feci nemmeno in tempo a chiedere spiegazioni a Thomas che sentii una mano sfiorami il collo ed accarezzarmi i capelli.
"Finalmente ti ho trovata di nuovo, tesorino." mi sussurrò una voce rauca nell'orecchio. Spalancai gli occhi e mi irrigidii sul posto, sentendo un brivido percorrermi la schiena. Il mio pensiero andò subito all'uomo che mi aveva pedinata quando ero accanto a Minho e l'attimo seguente mi ritrovai a sperare che non fosse veramente lui a parlarmi.
Poi tutto accadde velocemente. Prima che potessi girarmi per capire chi fosse stato a parlarmi, sentii l'uomo infetto muoversi velocemente dietro di me e afferrarmi il collo con una mano in modo molto brusco, stritolandomi e obbligandomi ad appiattirmi a lui per non soffocare.
Portai subito le mani sul suo braccio con l'intento di cercare di liberarmi, ma nel momento in cui le mie mani entrarono in contatto con le sue, sentii una forte fitta sul palmo destro che mi obbligò a rititare la mano con un urletto soffocato.
Osservai il mio palmo colorarsi di rosso e gocciolare sangue a terra, ma non ebbi nemmeno il tempo di mugugnare per il dolore che percepii la punta di qualcosa di freddo e affilato appoggiarsi sul mio collo.
"Ops..." mormorò l'uomo dietro di me, inondandomi con il suo alito fetido e facendomi rabbrividire. Poi sentii il suo volto muoversi e il suo mento si puntò sulla mia spalla, premendo e appiccicando la sua tempia alla mia guancia. "Sai chi sono?" sussurrò con un tono totalmente divertito, come se stesse facendo la cosa più buffa della sua vita.
Con la coda dell'occhio riuscii a mettere a fuoco la sagoma del volto dell'uomo e non appena vidi la grossa macchia di sangue sul suo viso, lo riconobbi all'istante.
Incapace di parlare per via della sua stretta ferrea sulla mia gola, mi limitai a scuotere la testa debolmente.
"Ma come?" domandò lui con un tono deluso. "Prima non riuscivi a togliermi gli occhi di dosso, tesorino!" concluse con una risata malata ed eccessivamente acuta. "Be' se le cose stanno così, lascia che sia io a dirti chi sarai tu per me."
"Lasciala andare!" sentii Newt urlare, con un tono chiaro e arrabbiato.
"Tu per me sarai il biglietto di uscita da questo posto." continuò l'uomo infetto, ridacchiando ed ignorando completamente le parole del biondino.
"Ehi! Dico a te!" gridò nuovamente Newt, agitando il suo lanciagranate. "Lasciala andare."
"Sennò cosa succede?" gridò di rimando l'uomo, strattonandomi all'indietro per i capelli e aumentando la stretta sulla mia gola, che ora aveva iniziato a bruciare. "Se spari potresti per sbaglio beccare la tua amichetta."
"Lei è la mia ragazza e ciò significa che non ti devi azzardare a toccarla." sibilò il ragazzo tra i denti, avanzando a falcate verso di me.
"Io non lo farei se fossi in te." borbottò ridacchiando l'uomo, staccando la mano dai miei capelli e portandola davanti ai miei occhi. Solo in quel momento notai il lungo pezzo di vetro affilato che l'uomo teneva talmente stretto nel pugno che dalle sue dita colava del sangue. L'infetto fece oscillare quell'arma improvvisata come se la stesse esponendo con fierezza. "Sono io quello con la parte del manico del coltello." continuò l'uomo, diventando improvvisamente serio ed inquietante.
Newt si fermò improvvisamente, passando lo sguardo terrorizzato e preoccupato da me al vetro in mano all'uomo. "Ho detto coltello?" chiese l'uomo tornando a ridacchiare. "Ops, volevo dire vetro." mormorò sputacchiando qua e là e puntandomi nuovamente l'arma al collo. "In ogni caso, se ti avvicini ancora taglio la gola alla tua ragazza. Capito?"
Vidi Newt serrare la mascella e rivolgermi uno sguardo attento e preoccupato, come se stesse riflettendo sul da farsi.
"Capito?" gridó ancora piú forte l'uomo, sempre più arrabbiato e fuori di sé. In meno di un secondo sentii le sue dita stringersi sempre di più alla mia gola, facendomi male e impedendomi definitivamente di respirare. 
Quando Newt non rispose, l'uomo andó su tutte le furie e lanció un grido talmente acuto che mi perforó il timpano. "Hai capito, razza di stupido ragazzino?" sbraitó scuotendomi in malo modo e facendomi mugugnare, sia per il dolore che per la paura.
"Ho capito, diamine! Ho capito!" urló Newt di rimando. 
Sentii l'uomo irrigidirsi improvvisamente, poi dal nulla scoppiò in una risata rauca e fastidiosa, allentando la presa sul mio collo e lasciandomi finalmente respirare.
"Cosa vuoi da lei?" domandò Minho facendo un passo avanti ed entrando nel mio campo visivo. Il ragazzo era serio e stava guardando con un'espressione totalmente infuriata l'uomo infetto che ancora si stava sbellicando dalle risate.
"Cosa voglio da lei?" chiese ridendo, come se Minho gli avesse fatto una domanda buffa. "Cosa voglio da voi!" lo corresse poi, iniziando a far scorrere la punta del vetro sul mio collo, senza però mai premere. "Dato che il vostro amichetto stupido non vuole venire via con voi, io prenderò il suo posto. Mi porterete fuori da qui."
"Non ci pensare nemmeno." ribattè Minho. "Newt viene con noi e tu resti qui."
L'uomo smise immediatamente di muovere il vetro sul mio collo e lo puntò sulla pelle, questa volta iniziando a premere più forte, ma senza ancora ferirmi. "Sei sicuro?" domandò serio, passando per l'ennesima volta da uno stato di divertimento ad una serietà sorprendete e preoccupante. "Hai una pelle così bella, tesorino..." aggiunse poi, tornando con l'attenzione su di me. "Così calda, profumata, liscia..." sentii qualcosa di caldo e viscido passare sulla pelle del mio corpo, lasciando dietro di sè una scia umidiccia. Quando compresi che lo Spaccato aveva avermi leccato feci di tutto pur di trattenere i conati di vomito che avevano iniziato a salirmi in gola sin da quando ero entrata in contatto con il suo pessimo odore. 
"Sarebbe veramente un peccato rovinartela con un profondo taglio, non credi anche tu?" ridacchiò, puntando la punta fredda del vetro sulla parte del collo che aveva appena leccato. "Ma se proprio devo, io inizie..."
"No." mormorai, ritrovando improvvisamente la parola e cercando di non sprecare troppo ossigeno. "Facciamo... un patto." continuai, sibilando quelle parole e sentendo l'aria venire a mancare sempre di più.
"Eli cosa stai..." intervenne Newt, ma subito lo interruppi.
"So cosa... sto..." mi interruppi all'improvviso, sentendo le dita dell'uomo infetto premere sempre di più sulla mia gola. 
"Se mi stai mentendo, giuro che te la farò pagare." sibilò l'uomo, sussurandomi all'orecchio.
"Se lasci in pace me ed i miei amici..." spiegai tutto d'un fiato, cercando di trovare quanto più ossigeno possibile per riempire i miei polmoni ormai a secco. "sono disposta a fare tutto."
"Allora affare fatto, tesoruccio." ridacchio lo Spaccato, allentando la presa sul mio collo e permettendomi di prendere finalmente una bella boccata d'aria. Iniziai a tossire e sentii il sangue riprendere a fluire sul mio volto che aveva iniziato lentamente a pizzicarmi.
Non sapevo se il piano che avevo in mente avrebbe funzionato e non volevo nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se il tutto avesse preso una piega totalmente negativa. Speravo solo che Newt fosse abbastanza sveglio per capire il mio intento e prendere a volo l'occasione che gli stavo offrendo.
"Non mi bastano le tue parole." dissi dura, sentendo lo Spaccato irrigidirsi dietro di me, segno che quella notizia non doveva avergli fatto molto piacere. "Come so che rispetterai il patto?"
"Ti conviene farlo, perchè altrimenti potrei accidentalmente pezzarti l'ossicino del collo." mormorò divertito lo Spaccato, rilasciando poi dei suoni alquanto strani, come se stesse cercando di imitare il rumore di ossa che si spezzano, ma senza riuscirci.
"E a te conviene darmi retta, perchè se mi ucciderai potrai scordarti di uscire da questo posto." ribattei dura, stringendo i denti e maledicendo la mia folle idea. Forse mi stavo spingendo troppo oltre, forse osare così tanto avrebbe solo peggiorato la situazione, ma in quel momento ero talmente sicura di volermi liberare della presa di quell'uomo disgustoso che avrei perfino sfidato il diavolo in persona. 
"Sei intelligente, tesoruccio." ammise l'uomo, sputacchiando sulla mia spalla. "Ma non abbastanza. Di certo non posso ucciderti, ma nulla mi impedisce di tagliuzzare la tua bella pelle."
"Andiamo, Elena." mi rimproverò Minho, risuonando alle mie orecchie abbastanza scocciato dal mio comportamento. "Accontentati di una cavolo di stretta di mano. Non vale la pena rischiare la pelle..." l'asiatico si interruppe, poi si schiarì la gola. "Ehm, intendo... la vita, per una cosa così stupida." 
Dovetti trattenermi dal sorridere, quando compresi appieno cosa intendesse farmi capire Minho con quel finto rimprovero: il ragazzo aveva afferrato il mio piano e stava cercando di aiutarmi.
"E va bene." concessi, fingendo di essere offesa e arrabbiata. "Una stretta di mano e poi usciamo di qua. Ne ho abbastanza di questo posto e ne ho abbastanza di cercare di convinerti, Newt." mormorai, rivolgendomi verso il ragazzo nel tentativo di attirare a pieno la sua attenzione. "Vuoi rimanere in questo posto invece di venire via con me? Bene così, sono affari tuoi. Sono stanca di correrti dietro come un cucciolo affannato."
Per pronunciare quelle orribili frasi misi tutta la mia forza, ma parola dopo parola potevo sentire il mio cuore perdere sempre più velocità, fino a ridursi ad un battito stanco e zoppicante, come se mi stesse implorando di smetterla. Per quanto avessi voluto starmene zitta sapevo che dovevo tentare di tutto pur di riuscire a convincere l'uomo a darmi la mano.
Sentii lo Spaccato ridacchiare, poi la sua presa si allentò ancora, ma non completamente. "Bene, bene... Vedo che ci sono problemi in paradiso, ma dopotutto questo è l'inferno!" annunciò a voce alta, come se volesse che tutti lo sentissero, e poi scoppiò a ridere. "E va bene, ti concedo la mia parola ed una stretta di mano, tesoruccio caro."
Detto ciò lo Spaccato mollò immediatamente la presa sul mio collo e non appena lo vidi spostarsi al mio fianco e tendermi la mano il mio cuore accellerò, improvvisamente terrorizzato. Mi morsi il labbro e sperai con tutto il cuore che Newt avesse veramente afferrato al volo quell'occasione d'oro per colpire l'uomo, ma più i secondi passavano, più iniziavo a perdere le speranze.
"Allora?" domandò l'uomo impaziente, scuotendo la sua mano in modo frenetico.
Strinsi ancora di più i denti sul mio labbro e solo quando sentii un lieve bruciore e subito dopo una striscia di sangue sulla lingua, mi decisi a porgere anche la mia mano tremolante.
Ti prego, Newt... Pensai terrorizzata. Ti prego... 
La mia mano si avvicinò pericolosamente a quella dello Spaccato. "Ti do la mia parola, tesoruccio." Il rumore elettrico del lanciagranate che veniva caricato riempì l'aria e in meno di un secondo sentii una zaffata di ozono bruciato, ma l'uomo parve non sentirlo, e continuò: "Una volta fuori da questo posto, lascerò in pace sia i tuoi amici sia te, tesor..."
Poi Newt spinse il grilletto. Una granata colpì al petto lo Spaccato che cadde a terra, il corpo avvolto da scariche di corrente mentre si contorceva, le gambe rigide, la bava alla bocca. 
Non potei fare a meno di rilasciare un sospiro e schiaffeggiarmi mentalmente per aver dubitato anche solo un momento di Newt: era ovvio che sarebbe intervenuto alla prima occasione.
"Odiavo il modo in cui ti chiamava." borbottò Newt, la sua voce improvvisamente vicina a me. Mi voltai di scatto e trattenni il respiro quando vidi il ragazzo a pochi passi da me, con il lanciagranate fumante in mano e un'espressione mista tra preoccupazione e sollievo: le tipiche smorfie contradditorie che ero solita vedere sul suo volto.
"Stai bene?" mormorò il ragazzo, facendo un po' di passi indietro come se temesse la nostra vicinanza.
A quel gesto non potei fare a meno di sentirmi ferita: Newt non mi aveva mai allontanata così tanto. Perchè era tanto spaventato dall'idea di essere salvato ed aiutato per una volta? Perchè non poteva semplicemente lasciarmi essere l'eroe per una volta? Se esisteva un modo per ripagare Newt di tutto quello che aveva fatto per me, quella era di sicuro l'occasione giusta per farlo.
"Newt, ascoltami per..." 
L'espressione sul volto del ragazzo mutò improvvisamente e tutta la preoccupazione per me che avevo letto prima sul suo volto svanì in un secondo, come se non fosse mai esistita, rimpiazzata da uno spesso strato di rabbia e fastidio.
"Dovete andarvene prima che le cose prendano una pessima piega." spiegò in modo duro, facendo passare quella frase più come un ordine che come un consiglio.
Vidi Minho fare un passo in avanti e mettersi al mio pari. "Pive, noi..."
Improvvisamente Newt puntò l'arma contro Minho, ma non riusciva a tenerla ferma perché gli tremavano le braccia. Quel movimento bastò a farmi saltare il cuore in gola.
Dove era finito il mio Newt?
"Adesso voi andatevene. Senza discutere. Mi dispiace." 
Minho sollevò le mani. "Vuoi spararmi? Vecchio amico mio?" 
"Andatevene" disse Newt. "Ve l'ho chiesto gentilmente. Adesso ve lo sto ordinando. È già abbastanza difficile. Andatevene."
"Newt, usciamo..." 
"Andatevene!" urlò Newt, facendomi accapponare la pelle. Poi il ragazzo fece un passo verso Minho e gli puntò il lanciagranate contro con più ferocia. "Fuori di qui!" 
In meno di un secondo mi ritrovai davanti a Minho, pronta a fargli da scudo, ma senza neanche sapere quando e perché avevo ordinato al mio corpo di muoversi. Improvvisamente mi sentivo piena di coraggio, forte e sicura. Tutto ciò di cui avevo bisogno, che avevo sempre cercato senza mai trovare e che ora mi era finalmente stato donato.
"Newt." lo chiamai, tentendo una mano all'avanti. "Fino ad ora sono stata troppo zitta per i miei gusti e tu che sai come sono fatta puoi capire a pieno la fatica che ho fatto pur di trattenermi." spiegai con calma. "E non sto parlando solo di oggi, ma anche di quando hai preso la tua decisione alla W.I.C.K.E.D., decidendo di scappare e di non partecipare all'elaborazione della Cura." mormorai sicura, avanzando di un passo.
Vidi le braccia di Newt tendersi ancora e sistemare nuovamente la sua presa sul lanciagranate, puntandomelo contro con più decisione e ferocia, ma il ragazzo non disse nulla e così continuai: "Non mi sono pronunciata nemmeno quando hai decisio di rimanere sulla Berga da solo. Be' certo, ammetto di aver fatto abbastanza casini e di essermi comportata da bambina capricciosa, ma alla fine ho accettato la tua decisione e non ho cercato di tornare da te, almeno non subito." Feci un altro passo avanti e questa volta vidi Newt vacillare e sul suo muro di falsa indifferenza, che si era tanto impegnato a mostrare, si creò una crepa.
Ma il ragazzo rimediò subito. "Stammi lontano!" gridò facendo tremare le mie ginocchia solo con la sua voce tremante.
Ormai solo pochi passi mi separavano da lui e non intendevo mollare in quel momento. "Ma adesso permettimi almeno di provarci, Newt." continuai, fingendo di non aver sentito ciò che il ragazzo mi aveva appena ordinato. "So che quello che ti aspetta sarà doloroso e terrificante – o meglio, posso a stento immaginarmelo–, ma non sei costretto ad affrontare tutto da solo, anche se credi di essere convinto del contrario. Non c'è nulla di male nel mostrare le proprie debolezze agli altri e tu sei stato il primo ad insegnarmi ciò." spiegai, sentendo la mia voce farsi sempre più debole, segno che le lacrime erano prossime ad uscire. Per infondermi coraggio feci un altro passo avanti. "Ti meriti il meglio della vita, Newt, anche se questo il destino sembra non averlo capito. Ed è proprio per questo che non posso rimanermene zitta o ferma davanti ad una tale ingiustizia che ti stai autoinfliggendo. Se per te va bene passare l'ultimo periodo di..." la mia voce cedette e chiusi gli occhi, prendendo un bel respiro per calmarmi, poi a fatica cacciai fuori quella parola e continuai: "...vita da solo, allora non siamo d'accordo. Ti ricordi cosa mi hai detto quando eravamo insieme nell'infermeria di Frances? Eh? Ti ricordi?"
"Fermati o... o io sparerò." continuò Newt mordendosi il labbro, sul viso gli occhi lucidi. 
"So che non lo farai, Newt." mormorai decisa, facendo un altro passo avanti e annullando quasi del tutto le distanze tra di noi. Solo la punta del suo lanciagranate, ora premuta sul mio petto, mi impediva di avanzare ancora. "Quando eravamo nell'infermeria tu mi hai parlato della morte per poi dirmi che se mai fossi venuta a mancare tu non saresti stato abbastanza forte per continuare a vivere una vita senza di me." spiegai, guardandolo dritto negli occhi.
Solo ora che ero così vicina a lui potevo notare sul suo volto i diversi graffi e lividi sparsi sulla sua pelle pallida, ma se non avessi saputo della situazione del ragazzo non avrei mai potuto affermare che fosse infetto solo guardandolo, dato che ancora non c'era nessun accenno dell'Eruzione su di lui. Eppure alcune sue caratteristiche spuntate dal nulla rispetto a quando lo avevo visto l'ultima volta mi spaventarono: era dimagrito talmente tanto che ora le sue guance erano più incavate e i suoi zigomi risaltavano come scogli nella superficie piatta del mare; inoltre le sue occhiaie profonde sotto gli occhi e il vuoto attanagliante in questi ultimi mi perforava come un proiettile. Da vicino sembrava ancora più esausto e giù di morale di quanto lo sembrasse da lontano.
"Come pensi che farò io senza di te, huh?" domandai abbassando il tono della voce, cercando di crearmi quanta più privacy possibile. "Se tu ora mi allontani di nuovo, io..." sentii la mia voce spezzarsi di nuovo e questa volta non riuscii a riprendermi. Parlare è così difficile quando si ha il cuore a pezzi.
Senza neanche che me ne accorgessi il peso del lanciagranate sul mio petto era svanito e in meno di un secondo mi sentii stringere in un abbraccio. Tirai un sospiro di sollievo e fui totalmente grata a Newt per quel gesto. Se non fosse stato per le sue forti braccia attorno a me, probabilmente mi sarei ritrovata con le ginocchia a terra, incapace di sostenere per un secondo di più il peso sulle mie spalle.
Cercai di godermi ogni singolo istante di quell'abbraccio, imprimendo nella mia mente ogni singolo dettaglio: era come se ogni parte del suo corpo si incastrasse perfettamente con il mio, formando un solo corpo compatto; le sue mani calde sulla mia schiena erano come un sollievo per me, dato che mi stavano sciogliendo da ogni affanno e riempendo di calore; sentire il suo profumo rassicurante di nuovo su di me mi facevano sentire al sicuro, protetta, come se tutto attorno fosse sparito ed esistessimo solo io e lui.
Quell'abbraccio mi mise davanti una dura verità: per quanto fosse difficile da ammettere, senza gli abbracci di Newt non sarei durata ancora a lungo. Come poteva il destino privarmi di una cosa così essenziale ed unica e poi pretendere che rimanessi in piedi come una roccia? 
"Dovevi essere la mia colla e invece sei diventato colui che mi ha fatto a pezzi più di chiunque altro." sussurrai, nascondendo il viso nel petto di Newt e ricacciando indietro le lacrime. 
"Mi dispiace..." bisbigliò Newt, poi sentii le sue mani spostarsi sulle mie spalle e fare leggermente pressione per distaccarmi da lui. Quando lo feci a malincuore, osai alzare lo sguardo a lui e ciò che vidi mi distrusse: i suoi occhi erano appannati dalle lacrime ed il suo sguardo era pieno di rimorsi. "Mi dispiace farti soffrire, ma non posso fare niente per fermare tutto quello che sta per arrivare. Però forse posso allentare il tuo dolore, ma l'unico modo possibile per fare ciò è di lasciarmi andare, Eli." spiegò con voce bassa, tesa e labbra tremanti. "So che per te sarà difficile, ma questa è l'unica soluzione che vedo davanti ai miei occhi in questo momento. Se io non posso scampare al mio destino, almeno posso evitare che tu ne venga investita. Non ti sto allontando per farti un torto, ma per aiutarti ad abituarti alla mia assenza. Non voglio che tu mi veda impazzire lentamente, sentendoti continuamente in colpa perchè non puoi fare nulla per aiutarmi – e credimi, questa volta la tua acuta dote da dolce Medicale non ti servirà." continuò il ragazzo, rendendomi sempre più difficile trattenere le lacrime. "Perciò ti prego, finiamola qui. Dammi il tuo addio e lascia che io ti dia il mio."
"Ma Newt..." cercai di controbattere.
"E lascia che ti rigiri una promessa:" annunciò il ragazzo, prendeno il mio viso tra le sue mani. "promettimi che continuerai a vivere, lottando per entrambi come se fossi ancora insieme a te." mi chiese, usando le mie stesse parole e facendomi capire che si ricordava perfettamente di quando avevo preteso da lui la stessa cosa mentre eravamo nell'infermeria di Frances.
Solo ora che la richiesta di promessa era rivolta a me riuscivo a capire quanto Newt avesse faticato a dirmi quel 'lo prometto' quella volta.
Una vita senza Newt... Quella frase suonava ancora assurda alle mie orecchie, come potevo promettergli una cosa del genere?
"Non riesco a prometterti questo, Newt." ammisi, rifilandogli un debole sorriso, dietro al quale celavo la mia tristezza. "Io non sono abbastanza forte."
"Sì che lo sei. Io ti conosco, okay?" mi rassicurò lui rispondendomi con un sorriso genuino, ma appena accennato. "Io mi sono innamorato di te proprio per questo – e non fraintendermi, amo anche quando cancelli la faccia da dura sul tuo volto e mi permetti di proteggerti –, ma dove è finita l'Elena che teneva testa ai Radurai, quella che non si dava mai per vinta?"
E' morta da tempo, Newt. Pensai, rievoncando tutti gli amici che mi ero vista morire davanti. Non ero pronta a dover tentare di colmare invano un altro vuoto nella mia vita. 
"Tu sei coraggiosa, forte, bella, audace, intelligente... Non permettere ad una cosa del genere di incupirti, okay?" mi incoraggiò lui, guardandomi profondamente negli occhi. 
Sentii le lacrime spingere dentro la mia gola, rendendomi impossibile respirare.
"Allora, me lo prometti, abbracciatrice di alberi?" domandò un'altra volta Newt, avvicinando il suo volto talmente tanto al mio che i nostri nasi si sfiorarono.
Chiusi gli occhi e mentii: "Te lo prometto, idiota."

*Angolo scrittrice*
Hey pive! 
Scusate se il capitolo arriva in ritardo, ma in questi giorni ho festeggiato anche io e le cene infinite con i parenti mi hanno tenuto abbastanza occupata!
Detto ciò, come vi è sembrato il capitolo? Vi piace il photoshop ad inizio capitolo? Ancora sono alle prima armi con queste cose, perciò so che non è perfetto ^.^"
Inoltre, per chi fosse particolarmente curioso o semplicemente smemorato, in questo capitolo ho rievocato due particolari momenti, citando alcune frasi che ho messo in corsivo appositamente:
₪ quando Newt ed Elena si scambiamo la promessa ho voluto riutilizzare le frasi del capitolo 13 di questo libro (Run);
₪ Newt chiama Elena "abbracciatrice di alberi" riferendosi al nomignolo che é nato dopo il capitolo 33 del primo libro (Remember);
₪ Elena chiama Newt "idiota" riferendosi al nomignolo che gli ha affibbiato nel capitolo 8 del secondo libro (Survive).
Passate una buona serata!
Sempre vostra,

Inevitabilmente_Dea ♥

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Capitolo 53
*** Capitolo 53. ***


Dopo aver detto quelle parole sentii la mia voce rompersi e le lacrime farsi sempre più prepotenti, riempendomi gli occhi ed offuscandomi la vista. Abbassai immediatamente lo sguardo, non volevo che Newt mi vedesse in quello stato, dato che l'unico che doveva essere consolato era solamente lui e non io, e cercai in tutti i modi di ricacciare indietro le lacrime –spalancai gli occhi, presi dei grossi respiri, serrai le palpebre per qualche secondo –, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu aumentare il groppo nella mia gola.
"Eli." mi chiamò Newt dolcemente, con un tono quasi divertito. "Non cercare di nasconderti. Ti conosco abbastanza bene da capire quello che provi, non devi sentirti in imbarazzo. Soprattutto di fronte a me, Fagiolina."
Quando lo sentii chiamarmi con quel soprannome non riuscii più a trattenere le lacrime, ma per fortuna solo poche di quelle che avevo in serbo riuscirono a fuggire, subito catturate e cancellate dal palmo della mia mano. Sapevo che l'intento di Newt era quello di farmi sorridere o per lo meno di alleviarmi un pochino di sofferenza, ma sfortunatamente per lui nulla che fosse uscito dalle sue labbra sarebbe riuscito a farmi spuntare un sorriso genuino, almeno non in quel momento.
"Okay, ho rovinato tutto, vero?" domandò incerto, ogni pizzico di divertimento cancellato per sempre dalla sua voce.
"No, no." mormorai, alzando lo sguardo e rivolgendogli il sorriso più sforzato che avessi mai fatto. "Tu non potresti rovinare nulla." 
"Be' intanto ho rovinato l'ultimo momento che ho con te." borbottò, evidentemente in collera con se stesso. A quelle parole spalancai gli occhi e incatenai il mio sguardo al suo.
"No, diamine." replicai, attirando immediatamente tutta la sua attenzione. "Questo non è... l'ultimo momento. I-Io tornerò a trovarti."
Questa volta fu Newt a spalancare gli occhi, invaso da una paura improvvisa. "No. Assolutamente no, non lo farai." sussurrò, mettendomi le mani sulle spalle ed avvicinandomi a lui, poi iniziò a parlare ancora più basso, come se non volesse far sentire agli altri le sue parole. "Eli, non puoi. Non starò qui per molto. Ho incontrato un gruppo di persone molto simili a me e stanno progettando di scappare e andare a Denver oggi stesso. Io andrò con loro."
Feci per aprire la bocca e ribattere, ma Newt mi interruppe subito. "Lo so che ti sembra di non capire, ma ora non ho più tempo per spiegartelo. Te ne devi andare, ti prego."
Mi morsi il labbro. Era veramente arrivato il momento? Così presto? Sentii le lacrime spingere nella gola.
Quello era l'ultimo istante che potevo veramente passare insieme a Newt e non avrei permesso a delle cavolo di lacrime di rovinarlo. Volevo ricordare Newt come 'il ragazzo biondo della Radura' ed ero sicura che anche lui volesse così, ma non ci riuscivo. Cancellare le brutte memorie o i pessimi ricordi che avevo affrontato insieme a Newt era impossibile, ma non era questo che mi spaventava, no. 
Io ero terrorizzata all'idea di dimenticare il punto forte e centrale della mia vita: avevo paura di dimenticare Newt. Sapevo che la mia memoria non era di ferro ed inevitabilmente, passato qualche anno, questa avrebbe iniziato cancellando i primi dettagli del suo volto, come le sopracciglia, il naso o le orecchie. Poi lentamente avrei anche iniziato a dimenticare il colore dei suoi occhi o il modo in cui ogni volta, nel mezzo di un luogo pieno di persone, questi cercavano solo me, ed invece il modo in cui ogni volta, soli io e lui in una stanza, questi analizzavano ogni minima parte del mio corpo, facendomi sentire bella e desiderata. Trascorsi altri anni il mio naso si sarebbe dimenticato il suo buon odore ed il mio cuore avrebbe cancellato per sempre la sensazione di tranquillità e serenità dopo un suo abbraccio. Altri anni ancora e se ne sarebbero andati anche il sapore e la borbidezza delle sue labbra sulle mie, la sensazione di essere al sicuro tra le sue braccia, il suo modo di stringermi a sè e di baciarmi ogni volta come se fosse l'ultima. E alla fine non mi sarebbe più rimasto nulla di lui, solo un vecchio e sbiadito ricordo di chi era per me e di cosa avevamo fatto insieme, se non nemmeno quello.
"P-Posso..." iniziai, sentendo la mia voce rompersi subito. Mi schiarii la gola e continuai. "P-Posso darti un..." 
Chiedere una cosa simile era talmente tanto imbarazzante quanto difficile: non avevo mai chiesto un bacio a Newt, glielo avevo sempre dato e basta, ma forse in quel momento non poteva. Forse non ne sentiva il bisogno. Forse non voleva. Forse non...
Quando le sue labbra incontrarono le mie, sentii una scintilla scoppiare dentro di me. Le sue mani si mossero veloci, ma delicate, ed una si spostò dietro la schiena, attirandomi a sè, mentre l'altra si appoggiò con cura sulla mia guancia in fiamme.
Senza riuscire a tenere le mani sui miei fianchi, come pesi morti, le appoggiai dietro il suo collo e lo spinsi ancora di più verso di me.
Le sue labbra sapevano di metallo, o forse erano le mie, ancora intrise di sangue per colpa del morso che mi ero data precedentemente. La sua lingua era calda contro la mia e i suoi baci veloci e affannati, quasi come se sentisse la necessità di quel contatto.
Le nostre bocche si muovevano all'unisono, come se avessero imparato a memoria cosa fare, eppure per me fu come un primo bacio: sentii nascere dentro di me un'emozione indescrivibile, che scoppiava nel cuore e raggiungeva in un secondo tutto il resto del colpo, bombardandolo di piccoli brividi e scintille di fuoco. Mi sentivo sciogliere tra le sue braccia, come se quel bacio mi stesse logorando, eppure mi sentivo più viva che mai. Era come se in quel momento Newt fosse la mia ancora di salvezza, ma allo stesso tempo mi stesse facendo affondare in un abisso buio e senza fine.
Sentii una lacrima scendere sul mio viso ed affogare nelle nostre labbra, lasciando dietro di sè un sapore salato. Serrai gli occhi ancora di più e portai una mano tra i capelli di Newt, accarezzandoli delicatamente e sentendolo sospirare leggermente. Poi lui si staccò, lasciando le mie labbra tremanti al freddo e depositò un bacio leggero sulla mia guancia, proprio nel punto umido in cui la mia lacrima era scesa.
"Questo è il momento in cui io mi allontano ed esco da questo posto senza voltarmi indietro, giusto?" domandai sussurrando, senza voler aprire gli occhi per paura di scoprire la tristezza sul suo volto.
Newt mormorò un 'sì' poco convinto, poi appoggiò la sua fronte contro la mia ed espirò. 
"Ho così paura di dimenticarti, Newt." ammisi, stringendo la sua maglietta tra le mie dita, per non farlo scappare via.
"Non importa se ti dimenticherai di me." parlò lui, sorprendendomi. "L'importante è che ti ricorderai il modo in cui ti ho amata, in ogni singola, piccola sfumatura, con tutto me stesso. Per sempre."
Allentai la presa sulla sua maglietta. Era arrivato il momento. Se non lo facevo ora, non ne sarei più stata capace. 
Alzai lo sguardo su di lui e non fui sorpresa di ritrovarlo con addosso gli occhi più tristi che avessi mai visto, ma l'espressione di chi cerca in tutti i modi di risultare sereno per semplificare ogni cosa.
Newt mi prese il volto fra le mani e ne approfittai per depositargli un ultimo piccolo bacio sulle labbra. "Ti amo." Furono queste le ultime parole che lasciarono la mia bocca, prima che mi allontanassi per sempre da lui, tornando dai miei amici con lo sguardo basso, sulle guance il triste freddo temporaneo che di solito ti percorre dopo esserti distaccata da un contatto.
Questa volta, però, mi accorsi che il freddo che ero convinta di sentire sulle guance, in realtà si era propagato in tutto il corpo, risucchiandomi ogni energia e donandomi un senso di vuoto. 
E sapevo che quel freddo che mi aveva persuaso era arrivato per restare.
Raggiunsi i miei amici e li superai senza dire una parola, imboccando la strada di uscita.
Continuai a camminare fino a che non raggiunsi l'ingresso e oltrepassai la porta, uscendo nella Zona Centrale, tra la folla caotica degli Spaccati. 
Via da Newt. Via dal mio Collante. Via dall'unica persona su cui avevo basato la mia vita. 

Non c'era traccia delle guardie che ci avevano scortati lì, ma c'erano ancora più Spaccatidi quando eravamo entrati nella sala da bowling. E la maggior parte sembrava ci stesse aspettando. Probabilmente avevano sentito il rumore della granata e le grida del tizio che era stato colpito. O forse qualcuno era uscito a raccontarglielo. Comunque stessero le cose, avevo la sensazione che ogni persona che mi stesse guardando avesse superato l'Andata e volesse pasteggiare a carne umana. 
"Guardate che burloni." gridò qualcuno. 
"Già, quanto sono carini!" rispose un altro. "Venite a giocare con gli Spaccati. O stateper unirvi a noi?"
Ingoiai il groppo di saliva che avevo in gola, abbassai lo sguardo e continuai a camminare con la testa bassa per tutto il tragitto. Aumentai di poco il passo, continuando ad ascoltare attentamente i passo dei miei compagni per assicurarmi che mi stessero seguendo, e quando vidi una figura accostarsi a me mi spaventai a morte, pensado di aver nuovamente attirato l'attenzione di uno Spaccato.
Non appena alzai lo sguardo però rilasciai un sospiro di sollievo, constatando che fosse solo Minho. Lo guardai con un'espressione piena di gratitudine per avermi affiancato e cercai di sorridergli, ma senza riuscirci: gli angoli della mia bocca erano troppo pesanti e neanche volendo sarei riuscita ad alzarli.
Per quanto fosse rassicurante la presenza di Minho accanto a me, avrei voluto mettermi a correre, ma avevo la sensazione che se lo avessi fatto, la folla intera mi avrebbe attaccato come un branco di lupi.
Raggiungemmo l'arco e lo attraversammo senza esitare. Sentii la mano di Minho intrufolarsi nella mia e mi lasciai guidare con piacere lungo la strada principale, attraversando gli anelli di case fatiscenti. Sembrava che la confusione nella Zona Centrale fosse ripresa adesso che ce n'eravamo andati, e i versi inquietanti delle risate folli e delle grida selvagge ci accompagnarono nel cammino. 
Più ci allontanavamo dal rumore, più la tensione in me si allentava, facendomi perciò tornare a quello stato vegetativo tra la tristezza e la disperazione.
La paura aveva per un po' nascosto quella brutta senzasione di vuoto, ma ora che anche quello strato di terrore se n'era andato, non potevo fare a meno di rassegnarmi. Provare quelle brutte sensazioni non era nuovo per me, tuttavia non mi ero mai abituata. Come avrei potuto riuscirci?
Non osai chiedere a Minho come stesse. E poi, conoscevo già la risposta: bastava guardarmi allo specchio per capire i suoi sentimenti. Questa volta, dire che mi ero messa nei panni di Minho era limitativo.
Stavamo superando un altro agglomerato di case ridotte a pezzi quando si sentirono un paio di grida, poi dei passi. 
"Correte!" gridò qualcuno. "Correte!"
Mi fermai immediatamente sul posto e feci per voltarmi e scoprire chi stesse urlando con così tanto panico nella voce, ma non ce ne fu bisogno dato che proprio nel momento in cui alzai lo sguardo, le due guardie che ci avevano abbandonati spuntarono da un angolo sbandando. Invece di rallentare, proseguirono a tutta velocità verso l'anello più esterno della città e verso la Berga. Nessuno dei due aveva più il lanciagranate. 
Cos'era successo?
"Ehi!" urlò Minho, facendomi sussultare. "Tornate qui!"
La guardia con i baffi si voltò. "Vi ho detto di correre, idioti! Forza!"
A quanto pare Minho afferrò alla svelta il concetto e senza pensarci due volte si fiondò dietro di loro, trascinandomi velocemente.
Inizialmente pensai che fosse una rottura totale dover correre, nonostante sapessi che era l'unica cosa da fare se volevo continuare a vivere. Ma era questo il punto: ero talmente tanto triste che la frase 'corri e sopravvivi' mi faceva ridere.
Avevo da poco fatto una promessa a Newt e già la stavo infrangendo...
Sentii i passi affrettati di Thomas, Jorge e Brenda dietro di me, ma per sicurezza mi voltai per assicurarmi che ci stessero seguendo: non avevo intenzione di perdere un altro amico in quel posto. Quando mi guardai alle spalle fui sollevata di constatare che nessuno era rimasto indietro, ma il mio apparente sollievo sparì non appena notai un gruppo di Spaccati che ci inseguiva; erano almeno una dozzina di uomini e donne dai capelli arruffati, facce sporche di fango e vestiti tutti con abiti a brandelli. Sembravano dei forsennati, come se fosse scattato un interruttore e avessero superato l'Andata tutti contemporaneamente.
Senza pensarci due volte mi voltai nuovamente all'avanti, questa volta con tutta l'energia per correre ed uscire da quel posto il prima possibile.
"Cos'è successo?" chiese Minho ansimando. 
"Ci hanno trascinato via dalla Zona Centrale!" gridò quello più basso. "Giuro su dio che ci avrebbero divorato. Siamo scappati per un pelo."
"Non smettete di correre!" aggiunse l'altra guardia. 
Improvvisamente i due presero un'altra direzione, verso un vicolo nascosto, mentre Minho continuò a trascinarmi dietro di sè verso l'uscita che portava alla Berga. Boati e fischi si sollevarono dietro di noi, facendomi venire voglia di girarmi ancora e calcolare la distanza che ci stava separando da loro, ma proprio quando feci per voltare il viso, la voce di Minho mi raggiunse. "Non voltarti! Continua a correre!" gridò con il fiato corto, strattonandomi ancora di più a lui ed aumentando la velocità della corsa nonostante la stanchezza.
"Non possono raggiungerci!" urlò Thomas dietro di noi, rassicurandomi un po', ma non abbastanza.
Decisi di lasciare perdere e continuai a stare dietro a Minho, proprio come il ragazzo mi aveva chiesto. Poi, proprio mentre il cancello esterno spuntava davanti a noi, mi sentii riempire di sollievo e tenacia, che mi diedero la forza di correre ancora più veloce di quanto avessi mai fatto, superando addirittura Minho, invertendo i ruoli ed iniziando persino a trascinarlo dietro di me. 
"Non vi fermate, ci siamo quasi!" urlai a squarcia gola, sentendo la mia voce rauca e piena di affanno, riconoscendo però che quell'incitamento era più rivolto a me stessa che agli altri.
Accogliendo volentieri il mio aumento improvviso nella velocità, Minho si diede una grossa spinta e riprese a correre ancora più veloce di prima, arrivando al mio pari. 
Ora capivo come avevano fatto i Velocisti per tutti quegli anni nel Labirinto: quando la propria vita dipende dalla corsa, non c'è più spazio per la stanchezza, ma solo per il coraggio e la tenacia.
Nel Labirinto erano stati i Dolenti a spingerci a correre, mentre in quel momento era il pensiero di essere catturati da quegli Spaccati che ci inorridiva a tal punto da spingerci a non mollare.
In meno di un secondo ci ritrovammo fuori dal cancello e lo superammo senza rallentare e senza preoccuparci di chiuderlo, poi ci fiondammo verso la Berga.
Jorge probabilmente premette il pulsante sul suo telecomando, poichè il portellone cominciò ad aprirsi. 
Arrivammo alla rampa e Minho fu il primo a fiondarcisi dentro, poi comparendo di nuovo sul bordo per darmi una mano a salire. 
Dopo essermi ritrovata all'interno mi voltai verso il portellone, vedendo i miei amici scivolare sul pavimento intorno a me, mentre la rampa cominciava a risalire tra i cigolii. Il branco di Spaccati che ci inseguiva non ce l'avrebbe più fatta, ma continuava a correre, gridando e pronunciando assurdità. Uno di loro si piegò e raccolse una roccia, poi la lanciò, mancandoci di cinque o sei metri.
Proprio mentre il portellone si richiudeva, la Berga si sollevò nell'aria. Jorge mantenne l'aeromobile sospeso a una quindicina di metri da terra mentre raccoglievamo le idee. Gli Spaccati da lì sotto non erano una minaccia, nessuno di loro era armato. Perlomeno nessuno di quelli che ci avevano seguiti fuori dal cancello.
"Ehm... Ciao?" mormorò una voce turbata alle mie spalle. "Come mai tutta questa corsa?"
Mi voltai lentamente e non mi sorpresi a trovare Stephen. Il ragazzo si stava rivolgendo a tutto il gruppo, eppure aveva lo sguardo fisso solo su di me e mi stava studiando con braccia incrociate ed un'espressione crucciata. Mi sporsi di poco per riuscire a vedere oltre la spalla del ragazzo, in attesa di vedere la sorellina spuntare dietro il corpo del fratello da un momento all'altro, ma ciò non accadde.
Siccome ancora avevo un gran fiatone e di parlare non ne avevo proprio voglia, indicai al ragazzo la piccola finestrella circolare, a cui Thomas e Brenda erano già incollati.
"Guardateli..." disse Thomas avvicinandosi ancora di più all'oblò sulla parete della Berga per guardare meglio di sotto. "Chissà cosa stavano facendo pochi mesi fa. Magari vivevano in un bel palazzo, lavoravano in qualche ufficio. Adesso inseguono la gente come bestie feroci." spiegò, osservando gli Spaccati e attirando la curiosità di Stephen, che si affrettò a raggiungere il ragazzo per contemplare anche lui il panorama.
Nel frattempo mi lasciai cadere a terra e tentai di riprendere fiato, senza però riuscirci. Mi sentivo soffocare e sapevo che non era solo per la lunga e pesante corsa.
"Te lo dico io cosa stavano facendo pochi mesi fa." rispose Brenda. "Erano infelici, spaventati a morte di prendere l'Eruzione, consapevoli del fatto che fosse inevitabile."
Minho alzò le mani per aria. "Come fate a preoccuparvi per loro? Non eravate con me pochi minuti fa? Con il mio amico? Si chiama Newt." 
"A proposito..." mormorò Stephen, scollandosi dall'oblò come se avesse perso ogni interesse negli Spaccati. "Dov'è Newt?" mi domandò, avvicinandosi a me, ma mantenendo una certa distanza che senz'altro apprezzai.
Mi morsi il labbro, poi spalancai di nuovo la bocca, ma solo per riprendere fiato, non parlare. Osservai gli occhi di Stephen farsi sempre più cupi, segno che anche senza una risposta, il ragazzo era riuscito ad arrivare da solo alle conclusioni.
Scossi la testa e mi portai le ginocchia al petto, appoggiandovi sopra i gomiti e sostenendo il capo con i palmi. Chiusi gli occhi e continuai ad inspirare profondamente, ma senza trovare nemmeno una piccola briciola di ossigeno. I miei polmoni stavano scoppiando. Per che cacchio di motivo avevo ancora il fiatone?
"Non c'era niente che potessimo fare." gridò Jorge dalla cabina di pilotaggio. 
Quelle parole piene di indifferenza e carenti di compassione non fecero altro che aumentare la rabbia in me e, nonostante sapessi che la cosa migliore da fare sarebbe stata quella di restarmene a terra, zitta ed immobile, in attesa di calmare sia il mio fiato sia i miei bollenti spiriti, in meno di un secondo mi ritrovai in piedi. Senza nemmeno ordinarlo veramente al mio corpo, mi avvicinai furente al divano e gli diedi un forte calcio, scagliandolo violentemente contro la parete opposta della Berga e facendomi anche male al piede. Per un attimo, prima che svanisse del tutto, quel dolore fu un sollievo.
Minho si voltò verso Jorge e abbaiò: "Chiudi il becco e fai volare quest'affare, faccia di caspio."
"Farò del mio meglio." disse Jorge con un sospiro. 
Rilasciai un sospiro di disperazione e mi portai i capelli dietro le orecchie con mani tremanti, poi lanciai uno sguardo al resto del gruppo che mi stava guardando allibita e spaventata. Tutti tranne Minho, che invece si era accasciato a terra con la schiena contro la parete della Berga. Probabilmente lui era l'unico a comprendere a pieno le mie emozioni ed il mio stato d'animo in quel momento.
Un'altra improvvisa rabbia crebbe dentro di me, facendomi venire voglia di prendere a pugni il muro fino a lasciare le ossa della mia mano senza più pelle, ma questa volta mi trattenni e mi limitai a mordermi forte il palmo della mano.
"Eli, smettila." mormorò Stephen sbalordito, avvicinandosi a me.
Lasciai cadere il mio palmo e strinsi i denti pur di non rifilare al ragazzo una sfilza di insulti che tuttavia non si meritava. Poi, senza aspettare altro, me ne andai dall'atrio alla ricerca di un posto tranquillo in cui rimanere.
Il mio fiatone era aumentato a dismisura dopo quell'attacco di rabbia, ma non mi importava. Per quanto mi riguardava sarei anche potuta morire per asfissia.
Attraversai a falcate la stanza e nel momento in cui girai l'angolo ed imboccai il piccolo e scuro corridoio, la voce di Minho mi giunse, distruggendomi del tutto:  "Cosa succederà quando finirà le munizioni del lanciagranate?"  

*Angolo scrittrice*
Pive! Innanzitutto buon anno nuovo!
Scusatemi per il ritardo, ma ehi, dopotutto anche io merito di festeggiare il capodanno, no?
Anyway, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero anche che lo abbiate atteso con pazienza. 
Che dite... l'attesa è valsa il capitolo?
Passate una buona serata!
Baci,

Inevitabilmente_Dea ♥

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Capitolo 54
*** Capitolo 54. ***


Erano passati appena dieci minuti quando sentii bussare alla porta. 
Mi ero rinchiusa nel bagno e per tutto quel tempo ero rimasta seduta in un angolo, nel pavimento freddo, con le ginocchia al petto e il volto rosso, bagnato e pieno rabbia.
Ben presto avevo capito che quel fiatone non era dovuto alla corsa che avevo fatto, ma ad un attacco di panico leggero. Non mi agitai più di tanto e mi ci volle poco per calmarmi: come prima cosa avevo bagnato il volto con dell'acqua ghiacciata, dato che sentivo che qualcosa di freddo mi avrebbe sicuramente aiutata a respirare meglio; poi mi ero rintanata nell'angolino vicino alla piccola doccia, con la faccia ancora bagnata e gocciolante, e lì ero rimasta in attesa che l'attacco di panico si calmasse del tutto. Nonostante sapessi che un bel pianto di sfogo mi avrebbe aiutata senz'altro, non riuscivo a trovare le lacrime. Era come se mi sentissi talmente tanto male da essermi abituata a forza a tutto quel dolore, in modo da conviverci pacificamente. 
Oppure non volevo semplicemente piangere, nonostante non volessi ammetterlo. Odiavo piangere. Non mi piaceva nulla di quell'azione: avere gli occhi rossi, gonfi e che bruciano come se fossero esposti ad un fuoco ardente; sentire le guance in fiamme, appiccicose e umide, bagnate continuamente da piccole gocce calde; avere il fiato corto e spesso interrotto da continui e svervanti singhiozzi, incontrollabili e instoppabili; iniziare a fare versi di agonia e di dolore, che non fanno altro che aumentare la tua angoscia; mani tremanti che non riescono a rimanere ferme e che perciò cercano un appiglio tra i capelli, tirandoli e scompigliandoli.
Perchè avrei dovuto piangere se sapevo ciò che mi aspettava?
Sentii qualcuno bussare di nuovo alla porta e questa volta decisi di scattare in piedi arrabbiata e raggiungere a falcate la porta. Non si poteva avere un po' di cacchio di privacy in quel posto, dannazione?
In malo modo feci girare la serratura e spalancai la porta verso l'interno, rivelando la figura corruciata di Stephen.
"Che vuoi?" domandai arrogante, rivolgendogli un'occhiataccia che speravo gli avrebbe fatto capire che non era il momento più adatto per parlare.
"Come stai?" domandò il ragazzo, guardandomi con un'espressione priva di sentimenti, come se non gli importasse di meno della mia risposta, ma si sentisse comunque in obbligo di chiedermelo.
"Vaffancaspio, Stephen." sibilai tra i denti, afferrando la maniglia della porta e cercando di sbattergliela in faccia. Il ragazzo tuttavia fu più veloce e mi spintonò all'indietro, entrando dentro il bagno velocemente e chiudendo la porta dietro di sè. "Che diavolo fai?" gridai arrabbiata. "Esci."
Come si permetteva? 
"Ti ho fatto una domanda." rispose lui duro.
"E io ti ho dato un ordine. Fuori." ribattei furiosa, indicando la porta alle sue spalle.
Stephen alzò un sopracciglio, rifilandomi un'espressione annoiata, poi incrociò le braccia e scosse la testa, rimanendo immobile ed ignorando completamente ciò che gli avevo appena detto.
"Oh, e va bene!" gridai esasperata. "Me ne vado io, allora." borbottai infilandomi nel piccolo spazio tra lui ed il muro e cercando di sgattaiolare fuori dalla porta.
Ovviamente Stephen pensò bene di intercettare le mie mosse e di bloccarmi la strada, infatti fece un passo indietro e muovendosi veloce mi incatenò al muro, tenendomi ben salda per le spalle e guardandomi fisso negli occhi con la stessa, snervante espressione facciale.
"Ti odio." mormorai digrignando i denti. "Perchè non te ne torni da Hailie, huh?"
"Sta dormendo ora, quindi vedi di non fare casino, grazie." ribattè lui, rivolgendomi un piccolo sorriso, che tuttavia durò poco.
"Okay... Cosa vuoi?" mormorai, abbassando lo sguardo e grattandomi la fronte.
"Voglio sapere come stai."
Scossi la testa e rilasciai una risatina nervosa. Come stavo? Stavo bene, a parte il fatto che mi sentissi totalmente vuota, come se ogni felicità fosse sparita nel nulla, come se non avessi mai più potuto sentirmi sollevata o gioiosa, come se quell'agonia fosse arrivata dentro di me per restarci per sempre. "Sto bene." mormorai sbattendo le palpebre e per un attimo desiderai non dover più aprire gli occhi.
"Non mentirmi."
Spalancai gli occhi e alzai di scatto la testa, rivolgendo a Stephen un'occhiata di ghiaccio. "Cosa vuoi che ti dica? Eh? Vuoi sapere come sto? N-Non so nemmeno dirti... Non so nemmeno come..." mi morsi il labbro. Non gli dovevo nessuna spiegazione, volevo solo che se ne andasse. 
"Parlami..." mormorò Steph mettendo due dita sotto il mio mento e sollevandomi il volto.
Presi la sua mano e la spostai, scuotendo la testa. "Solo... Lasciami in pace."
"Parlami."
"Cosa vuoi sentirti dire Stephen!?" gridai, spintonandolo all'indietro. "Vuoi sentirmi dire che mi sento come se la mia vita fosse stata strappata a pezzi, huh? Vuoi sentirmi dire che sto male e che non mi sono mai sentita così prima d'ora? Mi sento come se... come se il mio corpo stesse urlando di dolore. E io non posso fare niente per... Io non..." mi fermai per pochi secondi, cercando di trovare le parole adatte, che tuttavia non esistevano. "Com'è possibile che una persona possa diventare così importante in così poco tempo? E' una sensazione orribile... Senza Newt io non posso farcela. Senza di lui mi sento come se tutto fosse in grado di distruggermi da un momento all'altro. Mi sento afflitta, senza speranze e sento che nessuno può capire veramente come mi sento. Nessuno può capire quanto male faccia fino a che non lo ha provato sulla propria pelle." spiegai agitata. "E' come un attacco di panico: non riesci a respirare, come se stessi annegando e non ci fosse una superficie da cui riemergere; le tue mani tremano e non c'è modo di fermarle; senti sul petto un dolore lancinante, come se stessi per essere schiacciata nel mezzo di due muri, come se la tua gabbia toracica, il tuo cuore e i tuoi polmoni avessero assunto lo spessore e la fragilità di un foglio di carta; ti senti senza via d'uscita, come se fossi in gabbia e non esistesse una chiave per scappare, e non c'è nulla che tu riesca a pensare o a dire che possa farti sentire meglio, devi solo rimanere stesa a terra finchè quell'attacco di panico non se ne va... E credimi quando ti dico che non penso che ci sia sollievo questa volta per me. Newt è sempre stata la mia ancora, il mio collante. E' sempre stato lui l'artefice delle mie belle giornate, ma ora non c'è più e con lui è sparita anche la speranza. Non c'è più nessuno a salvarmi, è solo un continuo annegare e non c'è più nessuno che possa riportarmi a galla per farmi respirare."
"Jorge mi ha raccontato come è andata." disse semplicemente il ragazzo. "Se sapevi che ci sarebbe stato solo dolore e agonia, allora perchè lo hai lasciato andare? Perchè non lo hai obbligato a venire con voi?"
"Tu non capisci..." mormorai abbandonandomi contro il muro e portandomi le mani sul volto. "Non puoi capire." continuai. "Non potevo semplicemente trascinarlo via da lì. Non potevo..." mi interruppi. "Quando ami qualcuno non puoi semplicemente decidere per la tua felicità e fregartene dell'altro. Quando ami qualcuno, non esiste più un 'io', ma solo un 'noi. Ho amato Newt con tutta me stessa e proprio perchè lo amo ancora ho deciso di lasciarlo andare. Ho amato Newt a tal punto che ho iniziato a mettere il suo bene davanti al mio e se lui soffre, io soffro con lui e forse più di lui. E per quanto possa odiare ammettere una cosa del genere, posso dire di capire perchè Newt ha deciso così, perchè mi ha chiesto di andarmene: pensava che non ci fosse più nulla che potesse darmi per farmi felice, pensava che se lo avessi visto trasformarsi in uno Spaccato, ne sarei rimasta distrutta."
"E aveva ragione?" domandò semplicemente.
Scossi la testa. "Non lo so... Non so cosa sia peggio, se questo dolore o quello che Newt mi ha evitato." mormorai rilasciando un sospiro. "So solo che non riesco a vedere nemmeno uno spiraglio di sollievo da questo casino. Nemmeno una piccola luce infondo al tunnel."
Sentii Stephen sospirare, poi il ragazzo incatenò il suo sguardo al mio. "Mi è successa la stessa cosa quanto Cathleen e Abigail sono morte. Non le ho nemmeno salutate, ho fatto di tutto pur di salvare loro la vita, e un attimo dopo tutto era svanito. Tutta la mia fatica, tutto il coraggio e tutte le cicatrici che ho collezionato, non sono servite a nulla se non a farmi sentire peggio quando ho scoperto che era tutto inutile. Ciò che mi aveva spinto a combattere per tutti quegli anni, la mia ancora di salvezza, era svanita nel nulla. Avevo perso tutto. Poi però è successa una cosa strabiliante. Mi sono reso conto che mi sbagliavo, che avevo ancora qualcosa per cui vivere, qualcosa per cui lottare. Una... Una nuova ancora di salvezza è apparsa davanti a me e ho voluto aggrapparmi ad essa per sostenermi e allo stesso tempo proteggerla per non permettere a nessuno di strapparmela di dosso: Hailie." il ragazzo si fermò per qualche secondo, poi continuò. "Per quanto possa sembrare buio là fuori, ti assicuro che tornerà la luce. Devi solo trovare una nuova ancora di salvezza, che sia una persona o un ricordo non importa. Trova qualcosa che ti rende forte e combatti per mantenerla viva."
Non avevo idea di cosa rispondere e così decisi semplicemente di restarmene zitta. Era già molto per me riuscire ad affrontare tutto quel dolore da sola, non ero sicuramente pronta per trovare una nuova ancora qualsiasi altra cosa che mi avrebbe fatto stare meglio, perchè sentivo che qualsiasi cosa avrei trovato, non sarebbe stata in grado di adempire al suo compito. Essere felice e sollevata non rientrava nella routine dei miei prossimi giorni.
Avevo spiegato a Stephen come mi sentivo e anche se aveva cercato di aiutarmi, raccontandomi persino di qualcosa che fino a quel momento aveva sempre tenuto nascosto, in realtà non poteva capire come mi sentissi. Certo, anche lui aveva perso qualcuno di importante nella sua vita, ma ognuno manifesta e gestisce il dolore in un proprio modo, perciò non c'era modo per me o per lui di capire come si sentisse veramente l'altro.
"E se non lo trovassi? Se non avessi più nulla per cui... combattere?" domandai, alzando lo sguardo sul ragazzo, trovandolo a fissarmi con occhi stanchi, come se quella conversazione gli avesse risucchiato via tutta l'energia dal corpo. 
"Continua a cercare." mormorò semplicemente. 
Rilasciai uno sbuffo e sforzai un sorriso. Era così semplice da dire, eppure mi sembrava la cosa più assurda che avessi mai sentito. Spendere il resto della mia vita per cercare di rimpiazzare Newt con qualcun'altro? Era impossibile. Newt non c'era più e non ci sarebbe mai più stato uno come lui. 




 

 

Ero rimasta seduta a terra nel bagno, cercando di non pensare e Stephen era rimasto con me per tutto il tempo, ma stranamente non mi aveva più parlato. All'inizio quel silenzio fu tutto quello che stavo cercando, ma più i minuti passano, più capivo che se continuavo così, ben presto il silenzio mi avrebbe uccisa. Avere un momento per sè, un momento di pace, non era così bello come pensavo. O almeno, lo era... Lo era fino a che tutti i pensieri mi piombavano addosso all'improvviso, come un macigno caduto dal cielo, ed iniziavano a trasportarti con loro, come un mare in piena tempesta. E non c'era via d'uscita, perchè ero stata io stessa a saltare su quel treno di ombre e brutti pensieri; avevo permesso a me stessa di pensare e di credere in quelle cose e ora non ero più capace di fermarmi e tirarmene fuori. Perchè una volta che il treno lascia la stazione, una volta che ti abbandoni a te stessa ed inizi a vivere in un ricordo, perchè la realtà è troppo difficile da afforntare, non c'è più modo di tornare indietro. 
L'idea di non rivedere Newt mai più mi terrorizzava a tal punto da desiderare di essere morta e il pensiero di non poterlo più avere al mio fianco era insopportabile. Sapevo che non era morto e che era solo in un luogo lontano e distante dal mio, ma forse così era anche peggio. Io e Newt, da quel giorno in poi, saremmo stati come due linee parallele: costretti a continuare la nostra vita senza mai più poterci toccare. E vivere una vita lontana da Newt era insopportabile.
"A quanto pare siamo arrivati." mormorò Stephen, risvegliandomi dai miei pensieri. Sbattei gli occhi, rendendomi conto solo in quel momento di quanto fossero secchi, come se non li stessi sbattendo da secoli. Forse avevo veramente smesso di sbattere gli occhi, troppo intenta a fissare un punto indefinito della mattonella davanti a me.
"Andiamo?" domandò Stephen, allungandomi una mano.
Distolsi lo sguardo dal suo e accettai il suo aiuto, incrociando le mie dita alle sue e sentendomi tirare in piedi, cercando nel frattempo di resistere alla voglia di buttarmi nuovamente a terra per restarci per sempre.
Mi sentivo vuota, assente, come se vedessi tutto quello che mi stava attorno, ma non lo percepissi veramente. Trascinai i miei piedi lungo tutto il corridoio, che ora era dieci volte più lungo di quanto mi fosse sembrato all'inizio, e ad un certo punto sentii la voce di Stephen sussurrarmi qualcosa all'orecchio, qualcosa che tuttavia riuscii a sentire solo dopo che il ragazzo se ne fu andato: "Vado a vedere come sta Hailie."
In qualche modo arrivai nell'atrio e per la prima volta mi sembrava di sentire tutti distanti, come se stessi fissando la scena davanti a me attraverso uno specchio: Minho bofonchiava qualcosa a Thomas, mentre quest'ultimo fissava Brenda con occhi spenti; lei invece stava parlando e Jorge fissava il pavimento senza dire nulla.
La voce della ragazza mi arrivò ovattata: "So che è dura, ma dobbiamo pensare a cosa fare adesso."
Io non voglio fare nulla... Pensai. Solo tornare da Newt. 
Minho si alzò di scatto e le puntò un dito contro. "Tu puoi pensare quanto ti pare a tutto quel caspio che vuoi, signorina. Noi abbiamo appena lasciato il nostro amico con un mucchio di psicopatici." detto ciò se ne andò sbattendo i piedi. 
Brenda spostò lo sguardo su Thomas. "Scusa."  mormorò.
Lui scrollò le spalle. "Non fa niente. Minho è stato con Newt per..." il ragazzo si interruppe quando vide la mia sagoma nell'angolo della stanza. "C-Come stai?" chiese, ponendomi la domanda più stupida del secolo.
Sorrisi a malapena e scossi la testa, muovendomi all'avanti. "Non credo ci sia una risposta a quello che mi stai chiedendo." spiegai lasciandomi cadere sul divano e sentendo tutta l'energia abbandonare il mio corpo all'improvviso. 
"Già..."
"Siamo davvero esausti, muchachos." disse Jorge. "Magari dovremmo prenderci un paio di giorni per riposare. Riflettere bene su cosa fare."
"Già..." mormorò di nuovo Thomas. Brenda si avvicinò e gli strinse la mano. Per qualche motivo, quella scena mi fece venire il voltastomaco e fui costretta a distogliere lo sguardo. "Ci inventeremo qualcosa."
"Non ce n'è bisogno." sussurrai. "C'è solo un posto da cui iniziare. Andreamo da Gally e chiuderemo questa storia."
L'idea di rimanere sola con i miei pensieri mi terrorizzava. Dovevo fare qualcosa, dovevo tenermi impegnata o almeno provarci, provare a non pensare a Newt.
"Da Gally..." ripetè Thomas. "Forse hai ragione."
"Forza, Jorge. Prepariamo qualcosa da mangiare." propose Brenda, poi lasciò la stanza con il pilota.
Lanciai uno sguardo a Thomas percependo in un istante che anche il ragazzo provava il mio stesso dolore, poi lo abbassai nuovamente, incapace di fare altro. 
Rimanemmo soli per diversi minuti, in attesa, poi finalmente Brenda fu di ritorno con un pasto d'orribile aspetto. Quando fui sul punto di rifiutarlo, mi ricordai improvvisamente di Stephen e decisi di prendere la mia porzione e portarla a lui.
Mi alzai dal divano e camminai fino alla stanza da letto, dove la sua sorellina stava ancora dormendo pacificamente. Superai silenziosamente la porta e quando Stephen mi vide arrivare mi lanciò uno sguardo stanco e spento, come se non dormisse da giorni.
"Tieni." sussurrai porgendogli il piatto. "Hai un aspetto terribile, mangia qualcosa."
"Senti chi parla." borbottò lui rivolgendomi un piccolo sorriso e accettando il cibo.
Mi inginocchiai a terra, vicino alla brandina su cui Hailie era rannicchiata, e allungai lentamente una mano verso la sua testolina bionda. "Come vorrei essere come lei in questo momento." spiegai accarezzando lievemente i suoi capelli. "Ignara di tutto, inghiottita da dei bei sogni." 
"Forse dovresti semplicemente provare a dormire." consigliò Stephen inghiottendo un pezzo di cibo. 
"Non credo che una semplice dormita possa risolvere tutto." spiegai alzandomi in piedi. "Perchè domani sarà ancora peggio. E dopodomani sarà ancora molto peggio del giorno precedente." 

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Capitolo 55
*** Capitolo 55. ***


"Non ci posso credere... Ti sei addormentata di nuovo!" mormorò una voce, una voce familiare.
Non potevo crederci... Perchè Newt era lì? 
"Avanti, apri gli occhi dormigliona! Jeff ha bisogno del tuo aiuto per curare Chuck: Zart gli ha di nuovo dato fastidio e non ne vuole sapere di farsi toccare da nessuno, ma credo che per te farà un'eccezione." spiegò nuovamente Newt.
Jeff? Chuck? La Radura? Dovevo stare sognando. Per quanto fossi ansiosa di vedere Newt di nuovo e di stringerlo tra le mie braccia, impedivo a me stessa di aprire gli occhi. Avevo paura che se lo avessi fatto il sogno sarebbe finito all'istante, lasciandomi con una tristezza e un dolore laceranti.
"Oh, ho capito..." sussurrò il ragazzo, la sua voce talmente tanto vicina a me che potevo sentire il suo fiato caldo sul mio orecchio. Sorrisi. "Fingi di dormire, eh? Be' vediamo se questo ti sveglia." 
In meno di un secondo sentii il corpo del ragazzo premere sul mio in modo delicato e la sua mano accarezzare dolcemente i miei capelli, come se stesse toccando una bambola di porcellana e avesse paura di romperla. Poi le sue labbra si appoggiarono lievemente alle mie e percepii la sua bocca incresparsi, come se stesse sorridendo. Senza riuscire più a resistere, aprii gli occhi e me lo ritrovai sopra: il suo volto era così vicino al mio che dovevo impegnarmi al massimo per non baciarlo subito. I suoi capelli biondi e arruffati mi accarezzavano la fronte e le guance. La sua bocca, proprio come mi ero immaginata, era increspata in un sorriso genuino, carico di gioia e tranquillità che non vedervo da tempo sul suo volto. I suoi occhi erano talmente tanto espressivi e brillanti che mi era difficile persino distogliere lo sguardo, troppo concentrata sulla luce che essi emanavano. Il suo naso era stretto contatto con il mio e il suo respiro caldo e lento mi solleticava la pelle.
"Ti ho beccata." sussurrò il ragazzo, sfiorando le sue labbra contro le mie mentre parlava. "Ora che ne dici se ci alziamo e andiamo da Jeff?"
"No..." brontolai, ritrovandomi ad accarezzare i suoi capelli ribelli e soffici. "Ti prego no..."
"E da quando sei diventata così pigra, Eli?" ridacchiò lui, dandomi un colpetto con il suo naso.
"Non è pigrizia, credimi. E' nostalgia." gli spiegai, sentendo le lacrime iniziare a spingere dietro ai miei occhi. Perchè la mia mente mi stava facendo ciò? Era già difficile per me abituarmi alla sua assenza durante il giorno, soprattutto se di notte mi capitava di sognarlo.
"Nostalgia? Ma se ci siamo visti appena dieci minuti fa per colazione?" domandò lui, visibilmente perplesso. 
"Già, lo so." lo assecondai, gustandomi con tutta me stessa il suono della sua voce. Era così bella, profonda, rilassante, melodica... Amavo la sua voce. 
"Che ti prende, Eli?" chiese preoccupato, facendo forza sui suoi gomiti e sollevandosi leggermente da me. 
"No, ti prego, non andartene. Ti prego." mi affrettai a dire, allungando le braccia verso di lui con una fatica incredibile, come se le mie mani fossero ancorate al terreno. 
"Okay, okay." si scusò lui, riappoggiandosi delicatamente a me e accarezzandomi una guancia. Mi lasciai trasportare totalmente da quel suo gesto, sciogliendomi al suo tocco come se la sua mano fosse in fiamme. Come avrei fatto senza Newt? Se avessi potuto vivere in quel sogno, lo avrei fatto sicuramente. "Questa vicinanza mi rende impossibile resisterti." ammise il ragazzo.
"E allora non cercare di resistere." proposi, desiderando ardentemente che il contatto tra le mie e le sue labbra non fosse più semplicemente un lieve tocco, ma che si tranformasse in una vera e propria passione ardernte.
"Mi arrendo con piacere, abbracciatrice di alberi." borbottò divertito, causandomi una piccola risata, prima di annullare totalmente le distanze tra di noi e premendo con forza, ma pur sempre con attenzione, le sue labbra sulle mie.
Questa volta, come se le catene che tenevano le mie mani incollate al terreno si fossero polverizzate, fui libera di trasportare le mie dita tra i suoi capelli e tirare delicatamente alcune delle sue ciocche, causando a Newt un piccolo gemito che mi premurai di soffocare con un altro dei miei baci.
Velocemente, senza che me ne accorgessi, quel piccolo bacio dolce e premuroso si stava trasformando in qualcosa di più. Non era nemmeno un bacio passionale, come i baci che Newt era solito lasciarmi quando aveva necessità di quel contatto, come se la sua vita dipendesse da esso, ma quasi... aggressivo. E poi tutto accadde velocemente, seguito dalla sensazione di inadeguatezza: la lingua del ragazzo varcò le mie labbra, inondando la mia bocca di un sapore disgustoso, totalmente diverso da quello a cui ero abituata; le sue labbra si muovevano sempre più veloci e ad ogni bacio sembrava che mi togliesse sempre più ossigeno nei polmoni; le sue mani, precedentemente appoggiate in modo delicato alle mie guance, ora mi stavano stringendo con forza, e potevo persino sentire le sue unghie scalfire la mia pelle.
Mugugnai di dolore quando, senza un motivo apparente, il ragazzo morse forte il mio labbro inferiore, tirandolo e ferendomi.
"Newt!" gridai in preda al terrore. Cosa gli stava succedendo? Senza aspettare oltre portai le mie mani sul suo petto e lo spintonai all'indietro, riuscendo a distaccarlo per il tempo necessario ad allontanarmi di un poco da lui, ma non del tutto.
"Sorpresa!" grugnì il ragazzo, cavando da dietro la schiena un coltello corto, ma affilato. Mi bastò un veloce sguardo sul volto di Newt per capire che quello che prima era un bellissimo sogno, si stava trasfomando in un incubo da cui desideravo uscire: la faccia del ragazzo era totalmente ricoperta di sangue scuro, ancora fresco e colante, e non c'era più traccia del suo naso, proprio come l'infetto che avevo incontrato nel Palazzo degli Spaccati.
"Cosa stai facendo, Newt?" domandai terrorizzata, indietreggiando di poco. Senza che riuscissi a porgli un'altra domanda, il ragazzo si fiondò sopra di me come una belva famelica, agitando il coltello in aria come un forsennato. Era totalmente pazzo. "Smettila Newt! Sono io, sono solo io!" urlai, cercando di riportarlo in sè, ma senza riuscirci minimamente.
"Lo so chi sei, tesoruccio." sibilò Newt, rivolgendomi un sorriso sinistro e mostrandomi i suoi denti ricoperti di sangue. "Sei la causa di tutto questo, Eli. Non lo vedi? Se ho l'Eruzione, è tutta colpa tua." 
Proprio nel momento in cui il ragazzo finì la sua frase, una goccia di sangue mi cadde sul viso, facendomi gridare di terrore. 
"Lascia che io ti ripaghi il favore." annunciò Newt, alzando il coltello in aria e abbassandolo immediatamente su di me con una velocità pazzesca. Riuscii a malapena ad alzare un braccio per coprirmi, che la lama della sua arma andò a conficcarsi sulla mia mano, facendomi gridare nuovamente di dolore. 
"Prova a rifarlo, se ci riesci." gridò Newt, scoppiando in una risata malefica. Altre gocce di sangue caddero sul mio volto, scivolando sulle mie guance e mancando di poco la mia bocca.
Sentii la nausea crescere in me senza sosta, accompagnata dal terrore e dal panico. Poi vidi il coltello alzarsi nuovamente in aria, la sua lama illuminata dalla luce del sole, la sua punta intrisa di sangue e più affilata che mai. 
"No!" gridai a pieni polmoni, cercando di strisciare via da sotto il ragazzo, ma prima che potessi anche solo chiudere gli occhi per la paura, Newt conficcò il pugnale dritto nel mio petto, impedendomi il respiro e regalandomi un dolore atroce.

I miei occhi si spalancarono all'improvviso, ma il dolore mi accompagnò per diversi secondi. Ero sveglia e stavo ancora urlando, con la schiena arcuata in una posizione scomoda e il sudore sulla pelle. Alzai lo sguardo terrorizzata e riuscii solo a vedere una ciocca di capelli chiari, che mi spaventò all'istante, ricatapultandomi in modo brusco nel mio sogno. Mi mossi di scatto, spintonando via il mio aggressore e indietreggiando a fatica, trattenuta dalle numerose coperte.
"Calmati, diamine!" gridò una voce, riempendomi di sollievo. Quella voce non era di Newt. Non stavo più sognando. Ero sveglia. Ero al sicuro.
"Sei sveglia, ora, sei sveglia." borbottò la stessa voce.
Sbattei gli occhi più volte e misi a fuoco la figura di Stephen. "Sei sveglia, okay?" mi disse di nuovo, come per assicurarsi che lo avessi compreso a pieno. 
Annuii, incapace di fare altro, ancora scossa per ciò che avevo visto nel sogno. Era stato tutto talmente reale che mi ero dimenticata di stare dormendo. Mi ricordavo ogni singola cosa nei minimi dettagli: il volto di Newt, i suoi gesti dolci e poi come tutto aveva preso una pessima piega, con armi e sangue. Nonostante sapessi che era tutto un sogno, sentivo ancora il dolore sulla mia pelle, dal labbro, alla mano, al petto. Percepivo persino il sangue sul mio volto.
"Stai bene?" mormorò Stephen, vedendo la mia faccia, probabilmente paonazza. "Ti ho sentita urlare e sono corso. Pensavo che ti fosse successo qualcosa."
"No..." mormorai con voce rauca. "Sto bene ora, grazie." 
Mi portai una mano sul viso per asciugare il sudore sulla fronte e mi accarezzai la guancia distrattamente, poi lo sentii. Le mie dita entrarono in contatto con qualcosa di umido e caldo.
Sangue. Pensai subito. Allora non stavo sognando.
Spalancai gli occhi terrorizzata e mi portai lentamente la mano davanti agli occhi. Nulla. Il mio indice era solo bagnato di acqua. Forse avevo pianto senza accorgermene o forse era solo l'eccessivo sudore.
"Oh, scusa per quello." mormorò Stephen. Solo quando il ragazzo si alzò in piedi mi resi conto che fosse quasi totalmente nudo. Nudo e bagnato. Aveva solo un asciugamano bianco in vita. "M-Mi stavo facendo una doccia e quando sono venuto a svegliarti devo averti bagnata con qualche gocc..."
Il ragazzo si interruppe, colorandosi di rosso sotto il mio sguardo totalmente inopportuno. Sapevo che dovevo distogliere lo sguardo eppure non ci riuscivo: non mi ero mai resa conto di quanto fosse pallido il ragazzo, ma in realtà quella pelle diafana gli donava, dandogli quasi l'aspetto di un angelo; i suoi capelli, zuppi di acqua, erano tirati all'indietro e solo un piccolo ciuffo ribelle era riuscito a cadere all'avanti, continuando a perdere goccioline d'acqua che lentamente scendevano sul suo corpo, attraversando il petto e affogando infine nell'asciugamano; il suo addome era leggermente scolpito e i suoi pettorali erano ben definiti, in linea con le spalle che facevano risaltare. Forse ero talmente ipnotizzata da lui perchè l'unica persona che avevo mai visto nuda o seminuda era Newt, e Stephen aveva un corpo totalmente diverso da quello del ragazzo che non avevo potuto fare a meno di analizzarne i dettagli.
"Scusami..." mormorai imbarazzata, fissando il mio sguardo a terra. "Io non... non so cosa mi sia preso." 
"Fa nulla." mi rassicurò lui, avvicinandosi di poco a me e scostandosi quel ciuffo ribelle dalla fronte. "Mi hai messo paura, ad essere sincero."
"C-Come?" chiesi incontrando di nuovo il suo sguardo e sentendomi arrossire. 
Lui parve notarlo, perchè cercò di trattenere un sorriso e subito iniziò a parlare. "Mentre stavi sognando, intendo. Hai iniziato a... ad agitarti. Sembrava stessi avendo un attacco epilettico: avevi i pugni stretti e tremavi tutta."
"Oh..." mormorai mordendomi il labbro per l'imbarazzo e subito sentendo una fitta. Mi portai le dita sulla bocca e non mi sorpresi quando trovai del sangue sulle mie labbra. Non era stato Newt a mordermi, ero stata io stessa. Ora che non ero più annebbiata dal sonno riuscivo a ragionare in modo lucido, senza farmi trasportare troppo dal sogno che avevo avuto e dalla paura che esso aveva causato in me.
"Senti, io ho finito di fare la doccia. Andiamo in bagno e ti aiuto a... pulire il sangue e medicarti, okay?" propose lui, lanciandomi un'occhiata preoccupata e parlandomi in modo lento e tranquillo. Per un attimo mi sentii una bambina piccola e l'attimo successivo odiai quella sensazione. Apprezzavo il suo aiuto, veramente, ma un labbro tagliato non era così grave da dover essere medicato.
"Tranquillo, il mio labbro guarirà presto, non c'è bisogno di curarlo." spiegai, scuotendo la mano.
"Uhm, io stavo parlando di quella, veramente." mi corresse, indicando con il mento il mio palmo.
Corrugai le sopracciglia e abbassai lo sguardo. Stephen aveva ragione: la mia mano era sporca di sangue e un profondo taglio risaltava sulla pelle arrossata. Per un attimo mi rivenne in mente il sogno e il modo in cui mi ero riparato dalla pugnalata di Newt, ma subito dopo, scartando immediatamente ogni ipotesi che riguardasse quell'incubo, mi ricordai dello Spaccato nel Palazzo e di come mi ero tagliata con il suo vetro quando avevo cercato di staccarlo da me.
Stephen aveva detto che nel sonno avevo stretto i pugni talmente tanto da sembrare in piena crisi epilettica, quindi era probabile che le mie unghie avessero riaperto in malo modo la ferita, causandomi il dolore che avevo sentito nel sogno.
"Okay, credo che la tua sia un ottima idea." mormorai allontanando lo sguardo dalla mia mano e tenendola ben distante dal mio corpo, per paura di sporcare l'unica maglietta che avevo. "Andiamo in bagno."
Feci appena in tempo ad alzarmi in piedi che la porta si spalancò all'improvviso, andando a sbattere sul muro e rivelando la figura di Minho, con solo una maglietta e dei boxer indosso, che stava facendo passare lo sguardo da me a Stephen. I suoi occhi, sebbene si stessero muovendo veloci e attenti, sembravano ancora addormentati e in shock, come se fosse piombato in una stanza di Dolenti e non se lo aspettasse.
"Stai bene?" chiese in fine, rivolgendosi a me con una voce rauca e impastata di sonno che subito provvedè a schiarire. "Ti ho sentita urlare: sembrava che ti stessero squarciando viva."
"S-Sì." mormorai indecisa. "Ho solo fatto un brutto sogno, tutto qua."
Minho inarcò un sopracciglio, intendo a capire se gli stessi mentendo o se quella che gli avevo detto fosse la pura e candida verità. "E tu cosa ci fai qua mezzo nudo?"
"L'ho sentita urlare e sono corso qua, come te." si giustificò Stephen, non notando - o forse solo ignorando - il tono d'accusa con cui Minho gli aveva parlato.
Vidi Minho lanciargli un'occhiata sbilenca, come se fosse sul punto di dirgli qualcosa di veramente cattivo o di ironico - come suo solito -, ma alla fine il Velocista stistolse velocemente lo sguardo da lui e lo posò nuovamente su di me con fare stanco. "Bene così. Allora io me ne..." il ragazzo si interruppe e aggrottò le sopracciglia. "Perchè caspio stai perdendo del sangue?" domandò preoccupato, avvicinandosi veloce a me e prendendomi il palmo tra i suoi. A confronto delle sue mani, la mia era due volte più piccola.
"Stavamo andando a medicarlo, prima che entrassi qua dentro come un forsennato." puntualizzò Stephen, incrociando le braccia al petto. Inizialmente scambiai quel gesto come un tentativo di riscaldarsi, dato che stare bagnato dentro una stanza fredda era il modo migliore di prendersi una polmonite, ma subito dopo capii che in realtà Stephen era solo seccato dal quella brusca interruzione.
"Lei non va da nessuna parte insieme a te da sola. Soprattutto non in un caspio di bagno." lo zittì subito Minho, tutto intendo ad esarminarmi la ferita. "Torna pure a fare la tua cavolo di doccia, Pive." 
Stephen rilasciò un sospiro e scosse la testa, alzando gli occhi al cielo e abbandonando le braccia lungo i fianchi. Lì per lì pensai che il ragazzo volesse rispondere a tono, al contrario, invece, lasciò semplicemente perdere la questione, agitando una mano in aria come se volesse scacciare un insetto fastidioso. Poco prima di sparire oltre porta, mi fece un cenno con il mento, che io interpretai come un saluto.
"Vado a prendere il necessario e torno. Tu siediti." ordinò il ragazzo con un tono burbero, che quasi mi offese. Minho non mi si era mai rivolto con quel tono scocciato, quasi come se preferisse essere veramente dentro una stanza di Dolenti piuttosto che con me, ma da una parte sapevo che dopo quello che era successo con Newt non potevo pretendere da lui il suo solito sarcasmo.
Passai pochi minuti da sola, seduta sul divano dove avevo dormito, nell'attesa che Minho tornasse con l'occorrente e quando lo fece sentii l'ansia montare in me. Perchè avevo paura di stare con Minho? Era come se non sapessi più come comportarmi con lui, come se non lo conoscessi veramente, ma non avevo motivo di pensare ciò: in fondo, era sempre il solito Minho, vero?
Il Velocista si avvicinò a me ed appoggiò l'occorrente a terra per poi inginocchiarsi di fronte a me e prendermi la mano tra le sue. Con una delicatezza che non credevo Minho potesse avere, il ragazzo mi disinfettò il taglio con cura e poi passò alle bende, arrotolandole non troppo strette attorno al mio palmo.
"E pensare che la persona che lavorava come Medicale tra noi due sono io." mormorai sorridendo, cercando di smorzare quell'aria così tesa.
"Be' se non ti sta bene puoi farlo da sola." replicò secco Minho, fraintendendo ciò che volevo dire ed ignorando totalmente il sarcasmo nella mia voce.
Quella risposta mi spiazzò, facendomi spalancare occhi e bocca per lo stupore. 
"Minho..." lo chiamai, cercando di mantenere un tono di voce stabile e fermo. "Non l'ho detto per criticarti, volevo solo fare una battuta, tutto qua." borbottai, cercando di non essere troppo insistente.
Minho rimase un attimo in silenzio, come se stesse meditando sulle ciò che aveva appena fatto, poi annodò la benda finendo la medicazione, ma non lasciò subito la mia mano. Vidi il suo sguardo sollevarsi e i suoi occhi velati di stanchezza mi mostrarono anche un po' di tristezza. "Scusami." borbottò il ragazzo, stringendomi delicatamente la mano. "Non volevo risponderti male. E' solo che l'ironia non è il mio forte in questi giorni."
"Già, ti capisco." mormorai. "Io non sono mai stata brava nel tirare su il morale alle persone, soprattutto quando ci provo attraverso l'ironia." 
Minho annuì debolmente, poi si alzò da terra e si mise a sedere vicino a me, spostando con un piccolo calcio le bende avanzate. Rimanemmo così, seduti l'uno accanto all'altra, per diversi minuti e nessuno dei due osò parlare. 
Dopo diversi attimi, finalmente il Velocista ruppe il silenzio: "Stavi sognando Newt, vero?"
Boom.
Un altro colpo al cuore. 
Pensavo di essermi abituata. Insomma, riuscire ad ascoltare o a pronunciare il suo nome senza sentire il mio animo affogare in uno scuro lago di lacrime. 
"Sì, è vero." risposi a bassa voce, iniziando a giocare con le mie dita, come ero solita fare nei momenti di ansia. "E credo anche che questo incubo sia solo il primo di una serie."
Altri attimi di silenzio invasero quella stanza, poi un'altra domanda da parte di Minho causò un brivido sulla mia schiena. "Come hai fatto?" 
Aggrottai le sopracciglia e alzai il volto verso di lui, trovandolo tuttavia con lo sguardo puntato sui suoi piedi. "Quando eravamo nel Palazzo degli Spaccati, insieme a Newt, tu ti sei voltata e te ne sei andata senza battere ciglio. Pensavo che saresti crollata a piangere, invece non lo hai fatto. Come ci riesci?"
Quella domanda mi turbò un poco, ma subito dopo compresi che quello che Minho mi aveva confessato, non era un'accusa nei miei confronti, ma una semplice domanda a cui però io non avevo una risposta. "Non lo so." replicai, scuotendo la testa. "A volte spero veramente di scoppiare a piangere e buttare fuori tutto, ma non ci riesco. Semplicemente non ce la faccio." continuai. "Hai mai... Ti senti mai come se stessi precipitando? Quella sensazione fastidiosa e continua nel tuo stomaco, come se avessi un vuoto d'aria? Ecco, io sto precipitando e l'unico paradute che avevo l'ho abbandonato."
"Sì." rispose semplicemente lui. "So di cosa stai parlando. Sembra che tutti quelli che mi stanno vicino si divertano a lasciarmi indietro. Per quanto io possa correre non trovo una via d'uscita, non questa volta. Prima Violet, adesso Newt... Mi chiedo perennemente chi sarà il prossimo. Thomas? Tu?" domandò a se stesso, rilasciando una risatina nervosa, che subito troncò. "Alla fine mi siete rimasti solo voi due pive."
"Per quanto mi riguarda, io non ti lascio." lo rassicurai, prendendo una delle sue mani e incrociando le mie dita con le sue. "Sei uno dei pochi di cui ancora mi fido e proprio per questo ti devo chiedere un favore."
"Spara, bambolina."
"Convinci gli altri o almeno supportami quando io tenterò di fare lo stesso. Non penso resisterò un altro giorno tra questi muri del caspio di questa caspio di Berga. Ho bisogno di uscire, distrarmi, impegnare la mia mente in qualcosa." spiegai guardandolo dritto negli occhi e cogliendo nelle sfumature marroni delle sue iridi una piccola luce, come se il ragazzo non aspettasse altro da sentire.
"Sono completamente d'accordo." acconsentì alzandosi in piedi e facendomi cenno di fare lo stesso. "Seguimi, andiamo a convocare una veloce Adunanza."

*Angolo scrittrice*
Hello, it's me!
Allora, innanzitutto scusate se pubblico in ritardo, ma avevo perso il conto dei giorni :'D
Comunque, domani inizia la scuola e io non sono pronta. Avete presente quando fate tanti progetti per le vacanze (tipo: finiró tutte le serie tv, finitó tutti i libri, scriveró con piú frequenza, mi metteró in pari con lo studio...), ma alla fine vi ritrovate a mangiare patatine sul letto da quattro giorni, meditando sul perché gli struzzi mettono la testa sotto la sabbia e gli umani no.
Vabbé a parte questo...
Ho dedicato questo capitolo a @rossella_rose perché da tempo mi chiedeva una scena di Stephen a petto nudo e quindi, da brava autrice che sono (anche per farmi perdonare per averti rovinato il progetto per il matrimonio), ti ho accontentata volentieri. A proposito, ti ho anche aggiunto delle immagini a fine capitolo, quindi finisci di leggere questo angolo scrittrice e poi vattele a gustare.
Passate una buona serata e che la fortuna possa sempre essere a vostro favore (in particolare domani a scuola)!
Baci,
Inevitabilmente_Dea ♡

Quindi se siete interessati correte a leggere la sua bellissima storia e fatele sapere cosa ne pensate!Passate una buona serata e che la fortuna possa sempre essere a vostro favore (in particolare domani a scuola)!Baci,Inevitabilmente_Dea ♡

 

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Capitolo 56
*** Capitolo 56. ***


L'Adunanza che io e Minho avevamo convocato si era rivelata abbastanza tranquilla. Sia io che il Velocista avevamo esposto la nostra necessità di dover uscire da quelle mura e solo all'inizio Jorge e Brenda contestarono – entrambi sostenendo che ci serviva riposo. Dopo diverse obiezioni avevo deciso di prendere quella conversazione in mano e di spiegare chiaramente che non erano obbligati ad accettare, ma che se restavano sulla Berga allora io non sarei rimasta con loro. Che senso aveva sprecare un altro giorno? Tutti avevamo dormito e mangiato, se proprio volevano prendersela comoda io e Minho potevamo anche aspettare che si facessero una doccia, un riposino o uno spuntino, ma di certo non avremmo aspettato un altro giorno.
Finalmente, dopo aver convinto tutti, iniziammo a raccogliere informazioni su ciò che dovevamo fare in ordine di importanza. Nessuno di noi sapeva molto della città né aveva dei veri e propri contatti, ma alla fine le nostre conversazioni tornavano sempre su Gally e il Braccio Destro. Il Braccio Destro voleva fermare la W.I.C.K.E.D. E se era vero che la W.I.C.K.E.D. stava per ricominciare da capo le Prove con nuovi immuni, allora noi tutti avevamo gli stessi obiettivi del Braccio Destro.
Gally. Dovevamo tornare da Gally. 
Deciso ciò, decidemmo di aspettare due ore precise, in modo che ognuno potesse spendere quel tempo a disposizione in modo saggio. Io, ad esempio, approfittai facendomi una doccia e mangiando –  o meglio buttando giù del cibo a fatica, dato che la fame non sembrava ancora essermi tornata. 
Passate velocemente quelle due ore, iniziammo a muoverci.
Il piano era di recarci nell'appartamento di Gally e da lì decidere il da farsi. Quello che aveva detto Newt − che alcuni Spaccati stavano progettando di scappare dal Palazzo e andare a Denver − aveva sollevato qualche preoccupazione, dopo che io stessa lo avevo annunciato al gruppo, ma mentre eravamo in volo non avevamo visto nessuno. 
Quando fummo tutti pronti ci radunammo davanti al portellone.
"Lasciate sempre che sia io a parlare" disse Jorge. Brenda annuì e così l'uomo continuò: "E una volta entrati, prenderemo un taxi."
"Bene così." mormorò Minho. "Adesso basta con tutte queste chiacchiere del caspio. Andiamo."
Jorge premette un pulsante e l'enorme rampa cominciò ad abbassarsi. Il portellone si era aperto solo a metà quando vidi tre persone proprio fuori dalla Berga. Neanche il tempo che la rampa toccasse terra con un tonfo che sentii nell'aria odore di guai. Guai belli grossi.
Due uomini. Una donna. Indossavano le stesse maschere metalliche di protezione dell'agente con la camicia rossa del bar. Gli uomini avevano una pistola e la donna un lanciagranate. I loro visi erano sporchi di terra e sudati, e sui vestiti c'erano degli strappi, come se avessero dovuto lottare contro un esercito per arrivare lì. 
"Che storia è questa?" chiese Jorge, visibilmente sorpreso come tutti noi. 
"Chiudi il becco, Mune." disse uno dei due tizi, con quella voce meccanica che rese le sue parole ancora più sinistre. "Adesso scendete lentamente, o le conseguenze non vi piaceranno. Non ci provate." 
Per un attimo mi venne la brillante idea di guardare otre le spalle dei nostri aggressori, ma quello che vidi mi bastò per capire che quelle guardie stavano facendo sul serio: entrambi i cancelli per entrare a Denver erano spalancati e nel corridoio stretto che portava in città c'erano due persone riverse a terra senza vita.
Jorge fu il primo a rispondere. "Spara con quell'affare, hermano, e ci scaraventeremo su di te come delle sanguisughe. Forse riuscirai a colpire uno di noi, ma noi vi colpiremo tutti e tre, razza di idioti."
Immediatamente pensai che quella fosse la minaccia più stupida che avessi mai sentito. Era vero, eravamo in maggioranza, ma quelle persone avevano delle armi, ciò significava che ci avrebbero stesi in un batter di ciglia.
"Non abbiamo niente da perdere" rispose l'uomo. "Provaci. Sono abbastanza sicuro di riuscire a beccare due di voi prima che possiate fare un solo passo." 
Sollevò la pistola di qualche centimetro e la puntò al viso di Jorge. "E va bene" mormorò quest'ultimo, prima di alzare le mani in segno di resa. "Avete vinto voi, per adesso."
Minho grugnì. "Sei proprio un duro, testapuzzona." Inizialmente temetti che il ragazzo avesse voglia di causare altri guai, ma alla fine sollevò anche lui le mani. Io e Stephen seguimmo l'esempio di Minho, mentre Hailie si limitò a nascondersi dietro la gamba del fratellone, tenendosi a lui con il terrore visibile sul volto. Fortunatamente le guardie non sembrarono fare caso a lei, o più probabilmente la ignorarono, non ritenendola un soggetto pericoloso.
"Vi conviene non abbassare la guardia. Lo dico per voi." ci avvisò ancora una delle guardie.
Thomas si mosse per primo: alzò le mani e si incamminò per giù dalla rampa. Noi altri lo seguimmo a ruota e, non appena tutti toccammo terra, fummo portati alle spalle della Berga, dove ci aspettava un vecchio furgone malandato con il motore acceso. Al volante c'era una donna con la maschera di protezione, e due tizi armati di lanciagranate erano seduti dietro di lei.
Uno degli uomini aprì la porta laterale, poi con un cenno della testa ci fece segno di salire. "Dentro. Fate un passo falso e cominceranno a volare proiettili. Come ho detto, non abbiamo niente da perdere. E mi vengono in mente cose molto peggiori di un mondo con un paio di Muni in meno."
Il primo a salire sul retro del furgone fu Thomas. Fui quasi sorpresa dal suo comportamento docile, dato che lui e Minho erano sempre stati la coppia combina guai. Probabilmete il ragazzo aveva semplicemente capito che ogni nostro intervento avrebbe solo peggiorato la situazione, invece di toglierci dai guai, e perciò se ne era fatto una ragione, ma nonostante ciò non riuscivo a restare tranquilla. Non potevamo rischiare di causare una sparatoria, soprattutto quando c'era anche Hailie con noi. Ma in caso fosse successo, le possibilità sarebbero state due, ma entrambe disastrose: o le guardie ci uccidevano tutti, lei compresa, oppure decidevano di risparmiare solo la bambina per trascinarla di nuovo alla W.I.C.K.E.D. In ogni caso, non avevo intenzione di mettere in pericolo la sua vita e se Thomas o chiunque altro avesse provato a scappare o fare qualcosa di insensato, sarei intervenuta a danno di chiunque si fosse messo sulla mia strada.
Ci trovavamo in una situazione in cui ogni nostra mossa sarebbe stata superflua o, in caso contrario, ancora più devastante: era come cercare di liberarsi da delle corde che ad ogni strattone diventano sempre strette. 
"Chi vi paga per rapire gli immuni?" chiese Thomas, mentre noi altri ci mettevamo seduti accanto a lui. Non mi stupii quando, dopo aver chiuso la portiera del furgone, nessuno rispose. Le tre persone che ci avevano accolti alla Berga entrarono nell'abitacolo e chiusero gli sportelli. Poi si girarono e puntarono le armi verso il retro. "Ci sono dei cappucci neri nell'angolo." disse il capo. "Indossateli. Non sarei contento di beccarvi a sbirciare durante il viaggio. Ci piace tenere i nostri segreti al sicuro." 
Sollevai un sopracciglio e lanciai uno sguardo alla guardia, che tuttavia sembrò ignorarmi totalmente. Dovevamo veramente metterci dei caspio di cappucci in testa? 
Decisi di non protestare come mio solito, e pur di non rispondere a tono alle guardie mi morsi la lingua. Continuai a farlo fino a che la mia testa non entró completamente sotto il cappuccio nero, donandomi un'intero panorama di buio, con qualche gioco di luci ed ombre qua e là, mentre il furgone partiva a strattoni con un ruggito del motore. 
Fu un viaggio senza intoppi, ma sembrò durare all'infinito. E per tutto il tempo ero rimasta a sentire le lamentele o le continue frasi provocatorie di Minho che tuttavia le guardie ignorarono in modo intelligente.
Cercai, per quanto possibile, di mantenere la mente impegnata e di non pensare a Newt. Soprattutto perchè iniziava veramente a mancarmi l'aria. Non sapevo perchè, ma più pensavo al fatto che avessi effettivamente infilato la testa dentro un sacco abbastanza stretto, più potevo sentire l'ossigeno venire a mancare nei miei respiri. Mi sembrava di inalare polvere o solo aria calda, che di certo non mi aiutava per niente. 
Continuai a prendere profonde e silenziose boccate d'aria, ripetendomi che fosse solo il mio cervello a condizionarmi e che in realtà stavo inalando ossigeno.
Ad un certo punto del viaggio però, le cose peggiorarono ancora, perchè alla costante sensazione di soffocamento si era aggiunta anche la nausea ed ero arrivata a sentirmi talmente male che quando sentii l'auto fermarsi e la porta laterale del furgone aprirsi, mi catapultai fuori di tutta furia, ansiosa di cavarmi il cappuccio dalla testa.
"Fermati immediatamente, ragazzina." ordinò una guardia. Feci come disse e mi impegnai al massimo per non muovere nessun muscolo, dato che non ci tenevo a riceve una bella granata elettrica sul polpaccio. Sentii dei passi avvicinarsi a me e subito dopo delle mani mi furono addosso, impedendomi di avanzare persino di un passo.
"Non togliete il cappuccio." sbottò il capo, disintegrando con poche parole ogni mia speranza di riprendere a respirare di nuovo. "Non vi azzardate a toglierveli finché non lo diciamo noi. Adesso uscite, con calma. Fateci un favore e restate vivi." 
"Sei proprio un pive tosto." sentii dire da Minho, apparentemente non molto distante da me. "È facile quando si è in sei con delle pistole. Perché non..." La sua voce venne bruscamente interrotta dal tonfo di un cazzotto, seguito da un forte grugnito. 
Digrignai i denti e chiamai il nome del Velocista, cercando di piegarmi in avanti per raggiungerlo e constatare che stesse bene, ma ovviamente la guardia non mi permise quel movimento e mi strattonò a sè, tirandomi in modo violento per le braccia, come se me le volesse staccare dal corpo. Poi l'uomo iniziò a tirarmi e trascinarmi dietro di lui, nonostante facessi fatica a restare in piedi. Era così difficile camminare senza vedere nulla, soprattutto quando non conoscevi affatto la persona che ti stava guidando e di conseguenza non avevi fiducia.
Tuttavia decisi di rimanere in silenzio a pregare di non cadere come una stupida nel tragitto e rimasi attenta per capire dove stessimo andando. Inizialmente la guardia mi fece scendere per una rampa di scale, poi mi guidò lungo un corridoio. Si fermò dopo diversi istanti e sentii la strisciata di una tessera magnetica, lo scatto di una serratura, poi il cigolio di una porta che si apriva. A quel punto, un mormorio riempì l'aria, come se dall'altra parte ci fossero decine di persone. L'uomo che mi stava trattenendo mi diede una spinta all'avanti che mi fece perdere l'equilibrio, obbligandomi a barcollare all'avanti alla cieca. Ebbi quasi il terrore di cadere, ma ciò che accadde dopo fu in un certo senso peggiore di una caduta, dato che ben presto sentii la mia faccia spiaccicarsi contro qualcosa di abbastanza duro. Pensai inizialmente di aver fatto un bel frontale con un muro, ma quando la 'cosa' su cui ero andata a sbattere si mosse di poco, producendo dei gemiti, capii in realtà che si trattasse di una persona. Non attesi altro tempo e afferrai velocemete il cappuccio che ancora avevo sulla testa, togliendolo e accecandomi con la luce dell'ambiente esterno per pochi secondi.
Quando riuscii a recuperare la vista finalmente misi a fuoco la figura davanti a me e non fui sorpresa di trovarmi davanti Minho che, con ancora una smorfia sul viso, si stava massaggiando lo stomaco ed il petto.
"S-Scusami..." mormorai gettando a terra il cappuccio e scalciandolo via da me con una piedata.
"Fa niente." borbottò Minho, non proprio convinto.
Curiosa di scoprire il 'luogo segreto' in cui quelle guardie molto poco gentili ci avevano portato mi guardai velocemente attorno: ci trovavamo in una stanza enorme piena di gente, perlopiù seduta per terra. La luce fioca del soffitto illuminava decine di facce che ci fissavano, alcune sporche, la maggior parte con graffi o lividi. Una donna avanzò verso Thomas, il viso deformato dalla paura e dall'ansia. "Com'è lì fuori?" chiese. "Siamo qui dentro da qualche ora, e stava andando tutto a scatafascio. La situazione è peggiorata?"
Altre persone cominciarono ad avvicinarsi al nostro gruppo, ansiosi di sentire la risposta che venne enunciata da Thomas. "Noi eravamo fuori dalla città, ci hanno catturato ai cancelli. Cosa vuol dire che stava andando tutto a scatafascio? Cos'è successo?"
La donna abbassò lo sguardo. "Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, senza nessun genere di preavviso. Poi la polizia, le macchine-sbirro, i controllori dell'Eruzione: sono scomparsi tutti. Tutti insieme, a quanto pare. Noi siamo stati portati via da queste persone mentre cercavamo di andare a lavoro negli edifici comunali. Non abbiamo nemmeno avuto il tempo di capire cosa stesse succedendo o perché."
"Noi eravamo guardie al Palazzo degli Spaccati." intervenne un uomo. "Altri come noi erano scomparsi a destra e a manca, perciò alla fine abbiamo lasciato il lavoro e qualche giorno fa siamo venuti a Denver. Anche noi siamo stati catturati all'aeroporto."
"Come mai la situazione è peggiorata così tanto, così all'improvviso?" chiese Brenda. "Noi eravamo qui tre giorni fa."
L'uomo scoppiò in una risata brusca, amara, che io trovai completamente fuori luogo. "L'intera città è piena di idioti che pensano di tenere il virus sotto controllo. È stato come un brontolio lungo e continuo, ma alla fine ci è esploso in faccia. Il mondo non ha speranze, il virus è troppo forte. Alcuni di noi l'avevano previsto parecchio tempo fa."
Quelle parole, senza alcun motivo apparente, mi ricordarono l'immagine di Newt. Chissà come stava e chissà se era arrivato a Denver. In ogni caso, almeno sapevo che non era stato catturato dalle guardie, non essendo un Mune. Però forse c'era qualcosa di peggio dell'essere catturati... Forse le guardie avevano deciso di puntargli contro il lanciagranate e semplicemente premere il grilletto.
A quel pensiero, sentii l'ansia crescere in me e non potei fare a meno di abbassare lo sguardo sulle mie scarpe e di sperare che quella pessima sensazione se ne andasse presto, insieme a tutti i pensieri negativi.
"Ehi..." mormorò Stephen vicino a me, dandomi una leggera gomitata sul fianco. 
Alzai lo sguardo immediatamnete, cercando di non fargli vedere la mia espressione crucciata e preoccupata, ma lui parve non notarla nemmeno, troppo concentrato ad indicarmi con il mento qualcosa davanti a sè.
Seguii le sue direzioni e quando vidi il gruppetto di persone che si stavano avvicinando a noi rimasi pietrificata. Le ragazze del Gruppo B e altri ragazzi si stavano avvicinando a noi, in testa alla fila c'era Aris, con un grosso sorriso sulle labbra. Dietro di lui, con un'espressione totalmente diversa da quella del ragazzo, c'erano Violet e altre due ragazze di cui però non conoscevo il nome. 
Il mio primo istinto fu quello di farmi spazio tra la marmaglia di gente e buttarmi su Violet, riempendola di baci e abbracci, felice di rivederla finalmente sana e salva, poi però mi ricordai di ciò che aveva fatto e della delusione che avevo provato quando lei se n'era andata lasciando me e Minho.
Aris raggiunse Thomas e si fermò davanti a lui come se stesse per abbracciarlo, poi invece gli porse la mano. Thomas la strinse. "Sono contento che stiate bene." disse il ragazzo. 
"Lo stesso vale per me." borbottò Thomas.
Ignorai totalmente ogni parola che seguì quella conversazione e mi concentrai su Violet. Lei, con occhi lucidi e tremendamente tristi, fissava Minho.
Minho! Mi ero completamente dimenticata di averlo accanto. 
In modo cauto, senza sembrare troppo invasiva o ficcanaso, gli rifilai un'occhiatina discreta che tuttavia bastò a farmi comprendere come si dovesse sentire il Velocista: aveva le mascelle rigide ed evidentemente serrate; i suoi occhi erano imperturbabili, ma nonostante tutti gli sforzi del ragazzo, potevo ancora percepire nel suo sguardo rancore, rabbia, delusione, tristezza e malinconia, stupita io stessa che un solo sguardo potesse dire così tanto dello stato emotivo di una persona; le sue mani erano strette a pugno, lungo i fianchi, rigide come non mai; le vene sulle braccia sembravano quasi schizzare fuori dalla pelle.
Passai nuovamente lo sguardo su Violet e la vidi ancora più triste di quando l'avevo osservata un attimo prima. Vidi la sua bocca schiudersi e le sue labbra aprirsi, come se volesse dire qualcosa, ma prima ancora che la ragazza riuscisse a parlare, un nome pronunciato da Thomas attirò tutta la mia attenzione. "Teresa?" domandò il ragazzo insicuro.

*Angolo scrittrice*
Hey, pive! 
Scusate se aggiorno così in ritardo, ma mi ero totalmente dimenticata di pubblicare il capitolo :'D il capitolo purtroppo non é lungo come gli altri, perchè quando l'ho scritto avevo un gran mal di testa, perció scusatemi ❤
Passate una buona serata!
Baci,
Inevitabilmente_Dea

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Capitolo 57
*** Capitolo 57. ***


Sollevai immediatamente il volto, curiosa di vedere finalmente questa famosa Teresa. Non mi servì seguire lo sguardo di Thomas per capire dove fosse la ragazza, dato che gli occhi ansiosi e allo stesso tempo pieni di sollievo di quest'ultima parlavano da soli.
La osservai attentamente: la sua pelle – sebbene fosse macchiata qua e là da chiazze di sporco – era molto chiara, quasi diafana, e priva di difetti, ma nonostante il pallore era veramente bella; i suoi capelli erano setosi, un po' mossi sulle punte e scuri come la pece; i suoi occhi erano di un azzurro limpido, e il suo sguardo magnetico era capace di attirare in una sola occhiata milioni di sguardi; le sue labbra rosee e delicate, con un piccolo taglietto coperto di sangue secco nel lato della bocca, erano arricciate in una piccola smorfia, probabilmente il frutto dell'ansia; era vestita in modo semplice, con dei pantaloni scuri e una maglia che forse una volta era stata di un bianco puro, ma che ora aveva perso ogni traccia di quel colore, ricoperta di sporco e polvere.
"T-Thomas?" domandó lei, i suoi occhi pieni di nostalgia e lacrime appena nate.
"Come fai a sapere come mi chiamo?" domandó il ragazzo aggrottando le sopracciglia.
"Oh..." mormoró lei triste, come se con quelle parole il ragazzo le avesse frantumato davanti agli occhi tutte le sue speranze. "Quindi non ti ricordi di me..."
"I-Io..." borbottó Thomas incerto. "Mi dispiace, ma non mi ricordo."
"Come hai fatto a sapere che mi chiamavo Teresa? Forse hai... Ti sembro familiare?" chiese la ragazza, nuovamente  piena di speranza.
"No, mi dispiace." si scusó Thomas, per poi indicare Aris e continuare. "É stato lui a dirmi chi eri."
"Ah..." sospiró la ragazza, stringendosi forte le mani, segno che stava andando in tensione. "A volte mi dimentico che vi hanno tolto la memoria."
Pensai che Teresa avrebbe continuato a parlare con Thomas, invece con mio stupore la ragazza si voltò verso di me e mi sorrise amichevole, facendo un passo verso di me. "Finalmente posso conoscerti, Rebeca." mormorò la ragazza, stupendomi sinceramente.
"C-Come..."
"Oh, io so praticamente tutto su di te. Dopotutto, mi hai sostituito." spiegò con un sorriso sincero, in totale disaccordo con le sue parole. 
"Io... M-Mi dispiace, io non sapevo che tu... Cioè, sì lo sapevo. Forse... I-Io non mi ricordo se..." balbettai, sentendo l'ansia montare in me. Teresa sembrava una ragazza gentile e di certo il fatto di averle rubato un ruolo così importante nelle prove ideate dalla W.I.C.K.E.D. non mi faceva partire con il passo giusto.
"Oh, no, no..." mi interruppe immediatamente, avanzando verso di me con le mani sollevate in segno di riconciliazione. "Non intendevo essere sgarbata, non era un'accusa." sottolineò immediatamente. "Intendevo solamente dire che quando mi hanno avvisato di come le cose erano andate, ho iniziato a fare ricerche su di te e ho sempre sperato di conoscerti un giorno. Sai, ti ho osservato in tutti i tuoi giorni nella Radura."
"V-Veramente?" mormorai imbarazzata, pensando subito alla prima volta in cui io e Newt avevamo fatto l'amore, arrossendo di conseguenza.
"Be', ovvio, non sempre. Non sono così scrupolosa come lo erano quei topi da laboratorio nella W.I.C.K.E.D." ridacchiò nervosa. "Però ti volevo ringraziare. Ho visto quello che hai fatto, per tutti loro." spiegò indicando con il mento i miei amici. "Sia nel Labirinto, sia nella Zona Bruciata."
"Oh, be', g-grazie?" dissi incerta, grattandomi nervosa la nuca e abbassando di poco il volto ormai rosso come un peperone. 
"Sono felice di vedervi tutti salvi." concluse Teresa, passando lo sguardo su ognuno di noi, con un sorriso cordiale e sincero sul volto. Non c'erano più dubbi: quella ragazza mi piaceva. "Forse potremmo sederci e..."
Teresa si interruppe non appena Minho, dando quasi una spallata ad un uomo vicino a lui, oltrepassò tutti noi, continuando a camminare senza dire nulla e senza mai voltarsi. 
Sgranai gli occhi e seguii con lo sguardo la sagoma del ragazzo pensando a quanto dovesse soffrire per Violet e Newt. Affrontare tutte quelle cose insieme non era semplice e per quanto il ragazzo fosse dotato di coraggio e forza d'animo, sapevo di dovergli lasciare lo spazio necessario per pensare e stare solo. Se fossi intervenuta, correndogli dietro e obbligandolo a parlarmi, avrei solo peggiorato le cose e di certo non era quello che cercavo di fare. Di certo gli avrei parlato, ma solo una volta che si fosse calmato.
"O forse no..." sussurrò Teresa, ogni traccia di speranza sul suo volto cancellata.
"Tranquilla," la rassicurai. "non ce l'ha con te, credimi. E' solo che ultimamente non abbiamo avuto delle belle giornate."
"Ah, sì, sì, certo, capisco." mormorò la ragazza. "E' solo che... Non so quanto tempo abbiamo per parlare. Sarei molto felice se uno di voi potesse dedicarmi un po' di tempo, in modo che io possa spiegarvi cosa..."
"Vengo io." si offrì Thomas, con un tono curioso, suscitando in Brenda parecchio affanno.
Infatti non passò molto tempo prima che la ragazza, ancora attaccata al braccio di lui, sgranò gli occhi e controbattè: "Ma Thomas, noi..."
"No." replicò secco il ragazzo, poi il suo tono si addolcì di poco, come se si fosse accorto di essere stato troppo duro. "Sento che è importante, voglio parlarle."
Brenda sollevò un sopracciglio e fissò il ragazzo per qualche istante, come se si aspettasse che da un momento all'altro lui scoppiasse a ridere, dicendole che stava solo scherzando. Inutile dire che mi gustai ogni secondo di quell'espressione di turbamento e incredulità sul volto di Brenda.
Sì, Teresa mi piaceva un sacco. Decisamente un sacco.
Senza aggiungere altro, Thomas si staccò di poco da Brenda, tirando via dalle sue mani il povero braccio che la ragazza stava ancora stritolando, e poi seguì allegro Teresa, felice di potersi liberare un po' della sua sanguisuga personale.
La mia gioia tuttavia durò poco dato che, non appena i due si allontanarono dal gruppo, per sbaglio incrociai nuovamente lo sguardo di Violet, decisamente più vicina di quando l'avevo osservata pochi attimi prima. Mi morsi il labbro e per la seconda volta mi ritrovai a dovermi trattenere con tutte le forze per non saltare addosso alla ragazza.
"Ciao." parlò lei, facendo un passo avanti e riducendo la distanza tra i noi.
"Ciao." replicai con un tono neutro, risultando fredda e insensibile persino a me stessa. Non avrei mai pensato di riuscire a sembrare così distaccata da una situazione che in realtà mi scombussolava talmente tanto. 
"Be'?" domandò lei aggrottando le sopracciglia e fissandomi con un'espressione incredula, come se si aspettasse altro da me. "E' tutto qui quello che hai da dire?"
"Come, scusa?" ribattei, portandomi una mano sul cuore e spalancando gli occhi. Cosa si aspettava da me? Un abbraccio, forse un saluto più caloroso? Come diamine poteva chiedermi una cosa del genere dopo come si era comportata? Non ce l'avevo con lei per avermi lasciato alla W.I.C.K.E.D. ed essersene andata senza neanche prendersi la briga di cercarmi. No, assolutamente no. Se la cosa avesse riguardato solo e soltanto me, la cosa non mi avrebbe dato così fastidio e di certo sarei riuscita a sopportarla o almeno a guardare oltre, ma nel momento in cui il casino si espandeva anche sui miei amici non esisteva perdono. Non riuscivo a capire come Violet avesse potuto fare una cosa del genere a Minho e non l'avrei mai perdonata per averlo ferito così profondamente.
"Certo che hai proprio una bella faccia tosta, eh." replicò lei basita. "Mi aspettavo almeno delle scuse per il tuo comportamento." 
"Io dovrei scusarmi?" domandai alzando il tono della voce, ancora più offesa e incredula di lei. "Non sono io quella che ha abbandonato i propri amici per scappare a gambe levate dalla W.I.C.K.E.D., tesoro."
"Sì, invece!" ribattè lei con voce acuta, puntandomi un dito contro il petto. 
"No, invece!" negai spostando velocemente la sua mano da me. "Siete scappati senza venirci a cercare!"
"Ma di che cavolo stai parlando?" gridò lei, con l'espressione di chi ha appena ricevuto uno schiaffo. 
"Di cosa stai parlando tu." domandai di consenguenza, ammettendo di essere alquanto confusa. 
"Non vi abbiamo lasciati lì! Siamo venuti a cercarvi. Siete stati voi a lasciare lì noi!" quasi gridò con voce rotta per la rabbia o per la delusione. 
"Non può essere, Violet." le risposi, squotendo la testa. Loro ci avevano lasciato lì, se ne erano andati con la Berga.
"L'unica cosa di cui tutti parlavano alla W.I.C.K.E.D. era che tu, Newt, Minho e Stephen eravate scappati e che eravate da qualche parte nella foresta lì intorno. Vi abbiamo cercato ma non c'era traccia di voi." spiegò la ragazza, con voce più controllata di prima. Probabilmente anche lei aveva capito che c'era qualcosa che non andava.
"Non ci posso credere..." mormorai. "Noi non siamo andati nella foresta, siamo venuti a cercarvi. N-Noi... Vi abbiamo cercato, ma non c'era traccia di voi e quando siamo arrivati all'hangar una Berga era sparita. Avete colpito Jorge!" le raccontai, cercando di risolvere al più presto quella situazione.
"Oh, quindi era vostro amico?" domandò lei sorpresa.
"Quindi ammetti di essere fuggita con Teresa e gli altri."
"No, no, diamine santissimo." negò subito lei. "Noi ce ne siamo andati da lì perchè la situazione si stava veramente mettendo male e non riuscivamo a trovarvi. Se avessi saputo che foste ancora dentro la W.I.C.K.E.D. non me ne sarei andata di certo, Elena! Come ti vengono in mente certe cose?"
"Cavolo, non posso crederci." mormorai sorridendo, portandomi una mano sulla fronte e scuotendo la testa. Non potevo fare a meno di provare sollievo per quella situazione. La rivelazione di Violet cambiava tutto e per me non c'era più motivo di odiarla.
Nel momento in cui la delusione e la rabbia se ne andarono via, sentii la tristezza e la malinconia aumentare in me e non riuscii più a contenerle.
Mi gettai tra le braccia di Violet, cogliendola di sorpresa e abbracciandola con affetto. "Mi sei mancata così tanto." borbottai affondando il mio volto tra i suoi vestiti e godendomi con tutta me stessa la forza che le sue braccia mi stavano dando. Era così rilassante potersi abbandonare su qualcuno a volte.
"Ehi, mi sei mancata anche tu, tesoro." sussurrò lei. Nonostante non la potessi vedere, potevo scommettere che stesse sorridendo. 
"Dove sono gli altri?" chiesi allontanandomi da lei.
Il viso di Violet, prima illuminato da un sorriso, si spense velocemente e mi rivolse uno sguardo preoccupato e rassegnato. "Molti del nostro gruppo sono stati catturati da altri cacciatori di taglie ieri. Probabilmente sono già stati portati via e venduti alla W.I.C.K.E.D. Compreso Frypan. Mi dispiace." 
Come animata dalle sue parole, nella mia mente comparve l'immagine del cuoco, intento a cucinare uno sei suoi soliti intrugli nella sua cucina della Radura. Non sapevo perchè, ma quella era l'unica immagine che riuscivo a farmi di lui. Forse perchè era talmente attaccato alla sua cucina e a tutto quello che la riguardava che mi rimaneva difficile distaccarlo da essa anche solo nel pensiero. Ma una cosa che sapevo per certo era che non sarebbe stato poi così semplice affrontare la perdita di un altro amico. 
"E Newt?" domandò Violet guardandosi attorno, come a cercare la chioma del biondino.
Mi morsi forte il labbro e scossi la testa, facendo nascere nel suo volto un'espressione dubbiosa e preoccupata allo stesso tempo.
"Okay, ascoltami, che ne dici se ci sediamo e mi racconti con calma cosa è successo durante la mia assenza?" domandò la ragazza, accarezzando con fare premuroso le mie braccia e fissandomi dritta negli occhi.
"Sì, credo sia la cosa migliore da fare." concessi schiarendomi la voce nella speranza di riuscire a trattenere il più possibile le lacrime che non avrebbero tardato ad arrivare. Probabilmente Violet si accorse del mio banale tentativo di mascherare la mia infelicità e sul suo volto si dipinse un'espressione altrettanto dispiaciuta che non fece altro che aumentare la mia rabbia e la mia disperazione. Odiavo quando le persone provavano pena per me. Cercando di distogliere lo sguardo dal suo volto mi voltai di poco in modo da riuscire a vedere Stephen. Non appena il ragazzo si accorse del mio sguardo, si finse indifferente, come se non lo avessi beccato a fissarmi, e si mise a parlare con la sorellina.
"Ehi, Steph." lo chiamai con voce più tremante di quanto volessi, fingendo di non aver notato il suo sguardo indiscreto. "Credi di riuscire a non combinare guai in mia assenza?"
"Certo, mammina." mi scimmiettò lui, tirando fuori la lingua e recitando perfettamente la parte di un bambino assillante, cosa che ogni tanto era. Nonostante il suo vano tentativo di fingersi tranquillo e totalmente estraneo a ciò che mi era appena successo con Violet, avevo perfettamente capito che poteva percepire il mio umore e ciò che provavo in quell'istante.
"Hailie, mi raccomando, se il tuo fratellone fa qualcosa di stupido prendilo a calci, okay?" proposi, rivolgendomi con un tono più dolce alla bambina che ora mi stava guardando con occhi illuminati dal divertimento. Accennai ad un piccolo sorriso sforzato, che tuttavia non mi riuscì benissimo.
"Ehi, chi tra i due è il fratello maggiore?" ribattè Stephen, forse cercando di tirarmi su di morale. "E poi non dirle queste cose che se poi ci crede veramente sono io a pagarne le conseguenze."
Sorrisi lievemente e poi lo guardai alzando un sopracciglio. "E chi ha detto che io stavo scherzando?"
Come ero patetica...
Cercare di nascondere un'ondata di lacrime in arrivo con del sarcasmo per non fare preoccupare gli altri e non dare nell'occhio. Sentivo che quella recita stesse andando avanti anche da fin troppo tempo e temevo che non sarei riuscita a sostenere l'ombra che da giorni mi seguiva, strappandomi via ogni energia e voglia di sorridere e lottare. Non diedi nemmeno il tempo a Stephen di replicare, che mi voltai e trascinai Violet dietro di me, senza una meta ben precisa. 
In fine trovammo un piccolo angolino, distante abbastanza da tutti gli altri perchè non ci sentissero, e fu lì che firmai la mia condanna a morte.
Raccontai a Violet di tutto, a partire da cosa era successo alla W.I.C.K.E.D. quando ci avevano separato per i ripristinare i nostri ricordi. Le parlai di come Newt avesse avuto un crollo e di come mi avesse attaccato senza riuscire a controllarsi e persino di cosa fosse successo a Stephen quando aveva scoperto che delle tre sorelle che aveva sempre avuto, solo una era uscita viva dalle grinfie della W.I.C.K.E.D. Parlai per diversi minuti e ad ogni parola potevo sentire il mio petto perdere sempre più peso e lasciarsi alle spalle ogni brutto pensiero che avevo tenuto nascosto a tutti per tutto quel tempo. Le parlai di come mi fossi sentita ogni volta che Newt mi dava contro e ogni volta che, di conseguenza, si era scusato con me; le spiegai di quanto fosse stato difficile per me lasciarlo da solo sulla Berga e di come mi fossi subito pentita di averlo fatto; le raccontai di Gally e del suo piano, dell'uomo malato di Eruzione in quel bar e di come il mio cervello lo avesse subito paragonato a Newt. 
La resi partecipe di tutto quello che mi passava per la testa e pensai di non potermi sentire meglio di come fossi in quel momento, libera di ogni preoccupazione.
Ma ovviamente mi sbagliavo.
Mi sbagliavo perchè la parte peggiore doveva ancora venire. Fu proprio per questo che, prima di iniziare a parlarle di ciò che era successo nel Palazzo degli Spaccati, presi un profondo respiro.
Prendendomi tutto il tempo che mi serviva per calmare la voce e ricacciare indietro le brutte sensazioni e memorie che mi avevano assalito all'improvviso, le dissi tutto. Dallo Spaccato che mi aveva minacciata, alla decisione finale di Newt.
Alla fine del racconto, Violet aveva gli occhi lucidi e mi fissava con l'espressione più afflitta e dispiaciuta che avessi mai visto. La vidi mordersi il labbro e subito dopo si strofinò il volto con entrambe le mani, come per scacciare via tutta la tristezza. "Wow..." mormorò infine, abbassando lo sguardo e scuotendo la testa. Violet fece una lunga pausa di silenzio, sicuramente per chiarirsi le idee e trovare qualcosa da dire, poi alla fine parlò. "Lui ti amava." disse semplicemente, sorprendendomi e spiazzandomi per un attimo.
Ero convinta che avrebbe tirato fuori una delle solite frasi, come 'mi dispiace' oppure 'spero che starai meglio', insomma, quel tipo di frasi che non ti aiutano per niente. 
"C-Cosa?" mormorai incredula. 
"So che a volte capita di dare per scontato l'amore che una persona ha nei nostri confronti, ma voglio che tu lo sappia." spiegò la ragazza. "Voglio che tu sia convinta, convinta veramente dell'amore che Newt aveva nei tuoi confronti."
"Sì, lo so." sussurrai, abbassando lo sguardo.
"No, tu invece non lo sai, Elena." ribattè la ragazza, prendendo il mio viso tra le mani e obbligandomi a fissarla dritta negli occhi. "Lui ti ama, ti ama veramente."
"Se mi ama così tanto come dici tu, allora perchè mi ha allontanata? Perchè mi ha abbandonata con tanta facilità?" replicai scuotendo la testa.
"Perchè se una persona si ama, la si lascia andare e le si permette di vivere la propria vita." spiegò Violet, prendendomi per mano.
"Ancora non capisco." ammisi. "La mia vita è con lui. Perchè mi ha cacciata via quando sapeva che non sarei stata felice senza di lui?"
"Perchè spera ancora che tu possa trovare la felicità da qualche altra parte, magari con qualcun altro."
"Ma io non voglio trovare qualcun altro."
"Lo so, non sto dicendo che tu lo debba fare per forza, ma sono sicura che lui vorrebbe che tu ci provassi." mormorò la ragazza, accarezzandomi il dorso della mano con il pollice. "Quando si ama qualcuno si impara ad andare oltre a se stessi, Elena. E Newt questo lo sapeva perfettamente. Pensi che per lui sia semplice ora, senza di te? Pensi veramente che sia stato semplice per lui lasciarti andare via? No e no. Se ci fossi stata io al posto di Newt, ti avrei tenuta egoisticamente con me e tu avresti dovuto osservarmi cambiare, mutare in qualcosa di diverso e terribile, qualcosa che non mi appartiene e qualcosa che non sono. Se Newt ti avesse permesso di restare con lui, tu saresti distrutta, costretta a vedere la morte sempre più vicina, pronta a strapparti dalle mani ciò che ami più di ogni altra cosa; e lui nel frattempo sarebbe rimasto lì, intrappolato in un corpo che oramai non risponde più dei suoi comandi, obbligato a vedere e sentire tutto, ma senza riuscire a reagire perchè è qualcosa di troppo grande per lui da affrontare. Veramente avresti voluto questo per entrambi?"
Sentii le lacrime premere sempre più e cercai in tutti i modi di ricacciarle indietro, riuscendo solo ad aumentare il peso sul mio stomaco.
"I-Io non ci riesco, Violet." bisbigliai con voce rauca. "Non ho ancora il coraggio di pensare che tutto sia cambiato, che devo cominciare a costruire la mia vita daccapo, ma senza di lui." spiegai. "Come faccio a mettere su una nuova vita quando mi manca ciò che la tiene salda, unita, forte? Lui era il mio collante, ciò che mi permetteva di non crollare e ora sono a pezzi."
"Sarà difficile, lo so." borbottò lei. "Quando perdi qualcuno è difficile, molto difficile. Soprattutto se perdi qualcuno che senti che non potrai rimpiazzare, perchè sai che nessuno potrà mai farti sentire in quel modo, farti sentire come lui ti faceva sentire. E credo che sapere che il motivo della tua felicità è ancora vivo ed che è da qualche parte, là fuori, sia la cosa peggiore. Sapere che esiste, ma non poterlo avere."
Ad ogni sua parola potevo sentire il mio stomaco contorcersi su se stesso e il mio cuore appesantirsi. Era come se l'ombra che mi aveva sempre seguita avesse deciso di toccarmi, di entrare in azione e di non rimaere una semplice brutta sensazione. Potevo sentire la sua mano nera infilarsi sotto la mia pelle e scavarsi un varco verso il mio cuore, per poi strattonarlo e schiacciarlo senza pietà. E più io soffrivo, più quell'ombra cresceva, come nutrita dal piacere di vedermi in quello stato.
Dolore.
Era quella l'unica cosa che riuscivo a provare, come se le energie nel mio corpo avessero deciso di abbandonarmi tutte nello stesso istante, lasciandomi sola, come un mucchietto di ossa e carne con uno straccio di anima.
"Fallo smettere..." la pregai, chiudendo gli occhi e sentendo le lacrime crescere dentro di me. "Questo dolore... Toglimelo... Fallo smettere..."
Mi piegai in due e mi dondolai su me stessa, non riuscendo quasi più a respirare per lo sforzo di trattenere tutto dentro, come avevo sempre fatto.
Sentii la mano di Violet accarezzarmi la schiena. "Devi solo buttarlo fuori, tesoro." mi sussurrò lei, continuando a coccolarmi. "Non devi sopportare tutto questo da sola. Lascia uscire tutto."
"Io non..." sentii la mia voce incrinarsi e spezzarsi, ma resistetti per poco.
"Devi riuscirci." disse lei. "Devi riuscirci o tutto non farà altro che peggiorare."
"Non voglio... Non andrà mai meglio." 
"Questo non significa che tu non ci debba provare." mi corresse lei. "Newt vorrebbe che ci provassi."
Quelle parole segnarono per me la fine dei miei tentivi di trattenermi. Disegnarono proprio davanti a me un burrone ed io mi ci lasciai cadere dentro, inghiottita dalla mia ombra che sembrava essersi moltiplicata, ricoprendo tutto lo spazio intorno a me e impedendomi di vedere la luce tra tutto quel nero vischioso che mi soffocava.
Le lacrime iniziarono a rigarmi le guance, più veloci e infuocate di quanto credessi. Ad ogni tratto sentivo la mia pelle bruciare, come se fosse entrata a contatto con del fuoco vivo.
E fu proprio in quel momento che capii il motivo per cui non ero riuscita a piangere per tutto quel tempo: non ero riuscita a trovare la persona adatta su cui abbandonarmi completamente. Violet era stata la mia barca in quel mare di lacrime. Era stata capace di farmi scoppiare, ma senza lasciarmi affogare. Forse era proprio questo quello che stavo cercando. Mi serviva qualcuno che fosse in grado di farmi crollare a terra, ma che poi avesse anche la forza di farmi rialzare ancora più indistruttibile di prima.
Fino a quel momento mi ero sentita come se stessi urlando, ma nessuno potesse sentirmi. E in fondo mi sentivo anche arrabbiata con me stessa. Arrabbiata perchè avevo permesso a qualcuno di entrare nella mia vita. Arrabbiata che qualcuno avesse potuto diventare talmente tanto importante per me da farmi sentire vuota senza. E fino a quel momento avevo pensato che nessuno potesse comprendere a pieno quanto facesse male soffrire per qualcuno che una volta mi aveva solo regalato felicità.
E quando il dolore sarebbe sparito avrei desiderato di riaverlo indietro, così che poi avrei potuto avere solo il meglio dalla vita. Avrei preferito soffrire per giorni, ma per l'ultima volta, piuttosto che sentirmi in quel modo in altre mille occasioni. Ma sapevo anche che la cosa era alquando impossibile, perchè una volta che lasci entrare il dolore, quello non se ne va più. 
Avrei continuato a vivere la mia vita ogni giorno, avrei continuato a tirare avanti e a combattere per me stessa anche quando avrei voluto semplicemente crollare a terra e rimanere lì. Ogni giorno mi sarei alzata, consapevole che non avrei mai più toccato Newt, che non avrei più sentito la sua voce, che non avrei più avuto la sua prensenza accanto a me. Consapevole che per quanto potessi desiderarlo, nulla lo avrebbe riportato da me.
E la cosa mi avrebbe distrutto lentamente. Smontandomi pezzo dopo pezzo.
Perché non sei qui, Newt?

*Angolo scrittrice*
Ehi pive!
Vi chiederete il motivo della mia assenza, ma purtroppo questa volta non posso dirvi il perchè!
Credo che ve lo dirò tra qualche settimana, perchè ancora non è tutto sicuro. Alcune ragazze che leggono la mia storia sanno già quale sarà la notizia che vi darò, ma vi prego di non dire nulla per ora. Intanto, per rassicurarvi, è una bella cosa. Be', almeno per me lo è, non so per voi, sinceramente :'D
Okay, credo di aver detto decisamente troppo!
In ogni caso, scusate per il ritardo, veramente. Spero che la lunghezza di questo capitolo mi farà perdonare ♥
Vi auguro una buona serata, pive!
Bacioni,

Elena ♥

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Capitolo 58
*** Capitolo 58. ***


Io e Violet eravamo rimaste sedute per un tempo indefinito, senza mai parlare, ma rimanendo pur sempre l'una appiccicata all'altra. Ognuna di noi due era assorta nei propri pensieri e la cosa, per quanto mi riguardava, non mi faceva tanto piacere. Rimanere da sola con la mia mente mi aveva sempre spaventata. Ma dopotutto non avevo più nulla da temere, dato che ormai avevo buttato fuori tante di quelle lacrime da sentirmi disidratata e quindi nulla mi avrebbe fatto più piangere.
Mi ero concessa di crollare per una volta e lasciare che tutti i pensieri negativi mi inghiottissero come un'ombra, inondandomi come acqua ghiacciata e togliendomi il respiro. E la cosa più stupefacente era il modo in cui ne ero venuta fuori, più forte e determinata di prima. Mi sentivo come se nulla potesse più scalfirmi ed era una bella sensazione. Tuttavia non sapevo quanto sarebbe durata.
"Forse dovremmo tornare dagli altri, che ne dici?" propose Violet, alzando finalmente lo sguardo su di me.
"Sì, è una buona idea." acconsentii, felice di potermi finalmente muovere un po' e tornare con gli altri.
Senza dire altro ci alzammo e camminammo nella direzione da cui eravamo venuti, trovando con nostro stupore tutto il gruppo riunito in cerchio, intento a parlare. C'era persino Thomas.
"Mi sono persa qualcosa?" domandai lasciando per un attimo la mano di Violet e facendo un passo avanti.
"Niente di che, Thomas ha appena cominciato a spiegare cosa gli ha detto Teresa." mi aggiornò Stephen, sistemandosi la sorellina sulle spalle.
"Non c'è problema, posso riniziare." acconsentì Thomas, facendosì da parte e permettendomi così di entrare nel cerchio che si era venuto a creare. "Teresa mi ha spiegato bene il motivo per cui se ne sono andati senza di noi. In realtà c'è stato un problema di comunicazione: loro ci hanno cercato, ma non trovandoci hanno pensato che fossimo stati noi ad abbandonarli e ad andarcene senza di loro. La ragione principale per cui Teresa ha deciso di prendere parte ai nostri amici e aiutarli a fuggire è stata che hanno scoperto che la W.I.C.K.E.D. sta progettando di ricominciare tutto da capo se lo riterrà necessario. Che sta radunando gli immuni, proprio come ci ha riferito Gally." il ragazzo si interruppe per qualche secondo, giusto il tempo per osservare tutti con un'occhiata soddisfatta, poi continuò. "Perciò sono con noi e sono disposti ad aiutarci."
"Be' è una buona notizia." mormorò Stephen. "Più siamo meglio è."
"Odio dover smorzare il vostro entusiasmo, muchachos." disse Jorge. "Potete parlare tutto il giorno di queste cavolate, ma non serve a un tubo se non riusciamo ad andarcene da questo bel posticino. A prescindere da chi sta dalla parte di chi." 
Proprio in quel momento la porta della stanza si aprì, e tre dei nostri sequestratori entrarono con dei grossi sacchi pieni di qualcosa. Ne seguì un quarto, armato di un lanciagranate e di una pistola, che si mise a osservare la stanza per controllare che non si verificassero problemi, mentre gli altri cominciavano a passare quello che c'era nei sacchi: pane e bottiglie d'acqua.
"Mettetevi tutti a sedere per ricevere la vostra porzione di cibo." ordinò l'uomo con il lanciagranate, agitando la sua arma come a minacciarci. Sollevai le sopracciglia, domandandomi effettivamente il motivo per cui avessero corso il rischio di finire aggrediti pur di sfamarci. Dopotutto, nonostante quell'uomo fosse armato, era sempre e solo uno, mentre noi eravamo a decine e di certo lo avremmo assalito con facilità. Forse erano a corto di sicurezza? E se era così, forse le persone che avevano catturato – noi compresi – gli servivano con così tanta necessità da rischiare la loro vita pur di non farci morire di fame.
Senza attendere oltre decisi di mettermi a sedere contro la parete e di trascinare i miei amici a terra, nonostante non tutti loro fossero d'accordo sull'eseguire gli ordini di quell'uomo.
"Come facciamo a cacciarci sempre in questi casini?" chiese Minho parlando per la prima volta da quando ero arrivata. "Almeno prima potevamo incolpare la W.I.C.K.E.D. per ogni cosa."
Mi faceva piacere sentire Minho parlare in quel modo e di certo non intendevo smorzare la sua calma pronunciando il nome di Violet. Gli avrei parlato piú tardi e tutto si sarebbe sistemato per il meglio.
"A dire la verità io ho sempre incolpato Thomas." ammisi ridacchiando e lanciando al ragazzo in questione un'occhiata divertita.
"Lo riterrò un complimento." mormorò lui ricambiando il mio sguardo e ricevendone uno storto da parte di Brenda, la quale era seduta a diversi metri da noi, ma che aveva seguito ogni piccolo movimento di Thomas come se gli fosse accanto. "Ma credo che sia un po' di tempo che non ci azzuffiamo con qualcuno, vero Minho?" mormorò Thomas lanciando uno sguardo complice al ragazzo, che sorrise di conseguenza. 
"Parole sante, amico. Parole sante." borbottò sottovoce Minho, mentre i rapitori giravano per la stanza. Per un attimo mi sembrò quasi che una cupola invisibile fosse calata su di me perchè all'improvviso tutti smisero di parlare e un silenzio carico di apprensione calò sulla stanza. Ero sicura che il motivo di tutta quell'assenza di suoni, che fino a quel momento non avevano avuto un limite, fosse dovuto al cibo, dato che quasi tutti erano intenti a mangiare le loro porzioni. Con la coda dell'occhio vidi Minho dare un colpetto con il gomito sul braccio di Thomas. Quest'ultimo, incuriosito dal gesto dell'asiatico, si sporse sull'amico, tendendo l'orecchio e ascoltando con attenzione le parole sussurrate dal Velocista, che tuttavia non riuscii a capire.
I due si scambiarono un paio di battute veloci e sussurrate in modo che nessuno potesse sentirli, poi Minho fece un occhiolino a Thomas, che rispose con un sospiro. 
Non avevo sentito i loro discorsi e a dire la verità non ci avevo neanche provato più di tanto, ma conoscevo i due abbastanza da sapere che ciò di cui avevano parlato non avrebbe portato a nulla di nuovo. Se la mia memoria non mi ingannava, ogni volta che si erano messi a farneticare riguardo a qualcosa sottovoce, nulla era mai andato liscio. Ero sicura che i guai fossero nascosti da qualche parte in quella stanza, in attesa del momento giusto per sbucare fuori e assalirci come belve affamate.
I rapitori si avvicinarono a Thomas e Minho e si fermarono. Vidi Thomas prendere un panino e una bottiglia d'acqua, ma quando uno dei due rapitori provò a passare del pane a Minho, lui lo allontanò con una manata. 
Ecco che ci risiamo... Pensai tra me e me. 
"Perché dovrei accettare qualcosa da voi? Probabilmente è avvelenato."
"Se vuoi restare a digiuno, non ho niente in contrario." rispose il tizio, proseguendo il giro ed evitando tante discussioni in un modo che io ritenni alquanto astuto.
L'uomo poi si avvicinò a me e mi porse una bottiglietta d'acqua, ma prima ancora che riuscissi ad afferrarla un movimento alla mia sinistra mi fece bloccare: Minho, con uno scatto, saltò in piedi e si scagliò sull'uomo con il lanciagranate, lasciando tutti a bocca aperta. 
Spalancai gli occhi e trasalii quando l'arma scivolò dalla presa del tipo e un colpo partì verso il soffitto, esplodendo in mille scariche di luce. Il rapitore era ancora a terra e Minho cominciò a prenderlo a pugni, mentre con la mano libera cercava di portargli via la pistola.
Come se il tempo si fosse fermato all'improvviso, nella stanza tutti si immobilizzarono, come colti di sorpresa e troppo storditi per ricordarsi perfino di respirare, ma un attimo dopo, come se il tempo si fosse riavviato, scoppiò l'inferno.
Gli altri tre rapitori si mossero contemporaneamente, compreso quello davanti a me, ma questa volta io fui più veloce. Prima ancora che l'uomo potesse muovere anche solo un passo, afferrai il suo polso approfittando del fatto che mi stesse ancora porgendo la bottiglia d'acqua e con uno strattone lo attirai a me, facendogli perdere l'equilibrio.
L'uomo barcollò in avanti e senza esitare scattai in piedi, muovendomi agile e saltando sulla sua schiena. Mi aggrappai al suo collo e l'uomo abbandonò a terra il sacco per aggrapparsi alla parete davanti a sè. Velocemente portai i piedi in avanti, appoggiandoli sul muro e dando una grossa spinta che catapultò sia me che l'uomo all'indietro. Stritolai il suo collo a tal punto che fu obbligato ad inclinarsi all'indietro pur di riuscire a respirare, ma quel movimento peggiorò solo le cose, dato che il mio peso sbilanciato dietro di lui gli fece perdere totalmente l'equilibrio, facendolo cadere su di me.
Sentii il fiato venirmi a mancare, ma decisi di fare un ultimo piccolo sforzo per ribaltare la situazione. Spingendomi con i piedi e inarcando la schiena riuscii con difficoltà a rotolare a terra, finendo così sopra la schiena dell'uomo.
Senza sentirmi minimamente in colpa e anzi animata da una scarica improvvisa di adrenalina, spiaccicai la faccia dell'uomo a terra, il quale mi rispose con un grugnito.
Colsi quell'istante di tregua temporanea per guardarmi attorno, accorgendomi così che anche altre persone avevano avuto la mia stessa idea. Infatti sei persone si erano buttate sugli altri rapitori e li avevano scaraventati a terra proprio come avevo fatto io. Jorge nel frattempo aveva aiutato Minho a tenere fermo il suo uomo e gli stava calpestando il braccio in modo disumano, al fine di fargli mollare la pistola che il tipo aveva tirato fuori dalla cintura. Quando questo successe Minho la allontanò con un calcio, e una donna la raccolse, puntandola immediatamente sull'uomo.
Forse mi ero sbagliata e forse dopotutto il piano di Minho non avrebbe portato troppi guai.
Ma il sorriso sulle mie labbra si spense quasi immediatamente quando, cogliendomi alla sprovvista, l'uomo sotto di me riuscì a sollevare il suo corpo con ferocia, catapultandomi a terra senza che riuscissi ad aggrapparmi ai suoi capelli.
L'impatto con il pavimento duro mi tolse il fiato e sbattei talmente tanto forte la testa che mi sembrò quasi che il mio cervello si fosse capovolto. I miei sensi si appannarono all'improvviso, invasi da un dolore soffocante che si espanse veloce lungo il mio corpo. La mia vista iniziò a diventare sfocata e riconobbi a stento la figura del rapinatore su di me, la quale aveva iniziato a duplicarsi confondendomi ancora di più. La stanza aveva preso a girare troppo velocemente per riuscire a tenere sotto controllo la nausea.
"Ci hai provato, ragazzina." sentii l'uomo parlare, senza però riuscire a cogliere la sua bocca muoversi. "Pensavi veramente di riuscire a bloccarmi a terra?"
Sbattei gli occhi e la mia vista si stabilizzò per il tempo necessario a farmi distinguere il suo pugno alzarsi nell'aria e mirare dritto alla mia faccia.
Non feci nemmeno in tempo a chiudere gli occhi o a prepararmi al dolore che l'uomo sganciò il suo destro, intontendomi ancora di più e regalandomi un'altra scarica di dolore che risvegliò magicamente quello alla testa.
Il suo pugno si rialzò nuovamente, facendo nascere in me un terrore mai provato prima.
Un pugno solo non era abbastanza?
Colta alla sprovvista mi ritrovai a pregare che qualcuno venisse in mio aiuto. Speravo che Newt sbucasse dal nulla, come richiamato dal mio dolore, e corresse nella mia direzione per poi lanciarsi contro l'uomo e atterrarlo lontano da me.
Perchè Newt non arrivava?
Vidi l'uomo assumere un ghigno diabolico e inarcare un sopracciglio pronto a gustarsi le mie smorfie di dolore, ma prima che potesse rilasciare il suo secondo pugno vidi l'uomo sparire da sopra il mio corpo.
Spalancai gli occhi stupita e mi godetti tutto il sollievo che seguì la sparizione di quella brutta faccia dalla mia vista, ma l'attimo dopo un'altra sensazione mi entrò in corpo.
Chi aveva atterrato l'uomo?
Il primo nome a comparire nella mia testa fu quello di Newt.
Come aveva fatto?
Era veramente tornato per me?
La curiosità mi fu di grande aiuto quando buttai da parte il dolore lacerante e mi sollevai a sedere, ignorando persino la continua sensazione di terrore di cadere a terra e venire inghiottita da un buco nero. Nonostante fossi già seduta, tutto stava tremando e girando sotto di me, facendomi sentire perennemente instabile.
I miei occhi, rallentati esageratamente dalla botta alla testa, si spostarono su tutte le figure presenti nella stanza prima di fermarsi sulla sagoma di un ragazzo intento a riempire di pugni qualcuno sotto di lui.
Sorrisi sollevata e continuai a fissare quella scena. Newt era lì. Newt era veramente lì per me.
Sentii qualcuno gridare, ma non ci feci caso e continuai a fissare la scena fino a che una sagoma si interpose tra me e Newt, impedendomi di guardare ancora.
"Stai bene?" domandò una voce inconfondibile. Minho si mise in ginocchio davanti a me e questa volta fu semplice per i miei occhi metterlo a fuoco.
"Mai stata meglio." risposi, probabilmente finendo per suonare ironica alle orecchie del ragazzo per via del mio aspetto esteriore. Ero sicura che il mio naso stesse perdendo sangue, dato che potevo sentire il suo sapore in gola, ma non mi importava. Newt era tornato per salvarmi era questo tutto quello che contava per me in quell'istante.
"Forza, ti aiuto ad alzare le chiappe da terra." mormorò il ragazzo prendendomi il braccio e appoggiandolo delicatamente sulle sue spalle. Il Velocista contò fino a tre e poi distese le gambe, alzandomi in piedi e sostenendomi con la sua forza.
La stanza nel frattempo aveva smesso di girare, o almeno mi sembrava che avesse rallentato, ma lo stordimento continuava a persistere, facendomi sentire debole, come se le mie ossa avessero potuto spezzarsi in qualsiasi momento.
"Non pensavo che fossi così pazza, bambolina." ammise Minho con un tono divertito. "Farti riempire di pugni pur di aiutarmi... E chi l'avrebbe mai detto, eh?"
"Era solo un pugno, testa di caspio." borbottai alzando di poco l'angolo della bocca e sentendo fitte in tutto il volto.
"Sì, certo. Come se non sapessi contare." disse il ragazzo sbuffando e guardandomi attentamente in volto.
Ma stava scherzando? Io avevo ricevuto un solo pugno dall'uomo. Solo uno.
"Aspetta... Pensavi veramente di..." il ragazzo si interruppe e mi fissó preoccupato per qualche istante. "Sei sicura di stare bene?"
"Portami da Newt." bisbigliai stanca di parlare ancora. 
"Cosa?" chiese sbalordito il ragazzo, impallidendo all'istante.
"Newt." ripetei con voce più chiara. "Dov'è finito?" domandai ancora, guardandomi attorno.
Come se il ragazzo fosse stato richiamato dal mio sguardo, la sua figura comparve all'improvviso davanti a me, riempendomi di sollievo.
Nonostante la mia vista fosse ancora leggermente sfocata, giurai di aver visto dipingersi sul suo volto un'espressione disgustata e preoccupata. "Oddio, Eli..." mormorò appoggiando un dito sotto il mio mento e sollevandomi il volto con fare delicato.
Sentii le lacrime pizzicarmi gli angoli degli occhi e per la prima volta dopo tanto fui felice di lasciarle libere di scorrere sulla mia pelle. Non avevo mai pianto di gioia, ma era una sensazione così magnifica...
Senza voler sprecare altro tempo, scivolai dalla presa di Minho e mi gettai su di Newt, buttandogli le braccia al collo e nascondendo il volto ancora pulsante di dolore nell'incavo del suo collo. Le sue mani si mossero insicure sulla mia schiena, ma alla fine anche lui ricambiò l'abbraccio.
Avevo sempre pensato che i nostri corpi fossero stati creati per completarsi a vicenda come un puzzle.
"Mi sei mancato così tanto..." sussurrai rilasciando un piccolo bacio sulla sua pelle e sentendo il sapore delle lacrime mischiarsi a quello del sangue. "Perchè ci hai messo tanto, Newt?"
All'improvviso sentii il corpo del ragazzo irrigidirsi. "Di cosa stai parlando, Eli?" domandò Newt mentre le sue mani percorrevano la mia schiena, appoggiandosi sui miei fianchi e spingendo delicatamente per farmi allontanare da lui.
Sebbene non ne avessi mai abbastanza del suo contatto caldo e rassicurante decisi di seguire i suoi movimenti e di distaccarmi di poco.
Nel momento in cui incontrai lo sguardo del ragazzo, una consapevolezza si insinuò nella mia mente, facendomi sentire spaesata. 
"Ma cosa..." mormorai incredula, fissando con occhi spalancati il volto del ragazzo.
Qualcosa si ruppe dentro di me, aprendo così una fessura per far entrare tutte le cattive sensazioni che si mischiarono al dolore, aumentandone così l'intensità.
"Eli, sono io..." borbottò il ragazzo, il suo volto sempre più sfocato e confuso. "Sono Stephen."
E fu proprio in quel momento che mi accorsi di aver oltrepassato il limite. Il limite di tutto.
La mia mente mi aveva giocato un brutto scherzo e non potevo non sentirmi male per averglielo permesso.
Pur di colmare il vuoto che sentivo dentro avevo iniziato a vedere Newt ovunque anche quando non c'era. Non riuscivo proprio ad abituarmi alla sua assenza e al fatto che non facesse più parte della mia vita in nessun modo, che non ci sarebbe mai più stato per me. Ed era una sensazione ed una consapevolezza così devastanti da stringermi il cuore.
Come potevo archiviare i migliori anni della mia vita e buttarli nell'angolo buio della mia mente sperando che la polvere passi presto a ricoprirli? Come potevo ignorare quella agonizzante sensazione di vuoto? Come potevo continuare a vivere fingendo che la mia ragione di vita non fosse la cosa più importante per me, senza la quale non avrei voluto e non avrei potuto continuare a combattere?
"Stephen?" domandai sconsolata.
"Sì, sono io." rispose il ragazzo preoccupato. "Come ti senti, Elena?" chiese aggrottando le sopracciglia e circondando il mio volto con le sue mani e obbligandomi a fissarlo dritto negli occhi.
"Mai stata meglio." borbottai per la seconda volta, mentendo spudoratamente.
Il ragazzo mi scrutò con uno sguardo attento per qualche secondo, poi un'espressione triste si dipinse sul suo volto e il suo tono di voce si addolcì: "Vieni qui."
Senza attendere una risposta da parte mia il ragazzo mi attirò a sè in un abbraccio che, a differenza del precedente, mi distrusse riducendomi a cenere. 
Mi sono immaginata tutto. Pensai chiudendo gli occhi e abbandonandomi a quella stretta, senza avere la forza di ricambiare l'abbraccio.
Newt non era venuto a salvarmi.
Newt non mi aveva abbracciata.
Newt era rimasto nel Palazzo degli Spaccati.
Avevo immaginato tutto.
Avevo perso la percezione di ciò che era reale e ciò che era una proiezione della mia mente malata.
Avevo perso Newt e questa volta era per sempre.

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Capitolo 59
*** Capitolo 59. ***


"Dobbiamo farli parlare." disse Thomas sbattendomi violentemente fuori dai miei pensieri. "E in fretta, prima che arrivino i rinforzi." 
Tornare alla realtà fu abbastanza difficile, ma in un certo senso mi aiutò a distrarmi e dimenticare ciò che era appena accaduto. Come avevo fatto ad immaginarmi tutto? Non mi sarei mai perdonata per aver permesso alla mia mente di giocarmi uno scherzo così brutto, perchè in un certo senso era come se mi stessi facendo del male da sola ed era ovvio che il dolore che avevo già fosse abbastanza.
Non avevo intenzione di ricadere in quell'oblio di tristezza.
Ne avevo parlato con Violet, Minho e persino con Stephen. Non era abbastanza? Pensavo di aver sfogato tutto aprendomi con gli altri, ma a quanto pare per me non era mai abbastanza.
E sapevo anche che non avrei dovuto rimanerci così male perchè era una cosa normale, a cui avrei dovuto semplicemente abituarmi. Purtroppo tutto quello che era successo con Newt non sarebbe passato così semplicemente ed ero certa che per superare tutto ciò avrei avuto bisogno di tempo. Tanto tempo.
Come potevo pretendere di dimenticare qualcuno che mi aveva dato così tanti motivi per cui ricordarlo? Insomma, la mia vita, prima che iniziassi a recuperare la memoria, era iniziata con il volto di Newt. Era stato lui la prima cosa che avevo visto dopo aver aperto gli occhi nella Scatola ed era stato lui il mio punto fermo nella Radura, il ragazzo adatto a cui rivolgersi in qualsiasi occasione. E ora a chi avrei chiesto aiuto? A chi avrei chiesto un abbraccio quando ne avessi avuto bisogno?
Il problema era che Newt aveva sostenuto un ruolo così importante nella mia vita che era impossibile che qualsiasi altro avesse potuto sostituirlo. 
E forse la cosa più triste di tutte era il fatto che ben presto Newt sarebbe diventato solo una memoria, come una piccola goccia in un oceano. Non volevo che ciò succedesse, ma alla fine era inevitabile il fatto che nonostante Newt mi avesse dato i migliori ricordi, alla fine sarebbe diventato uno di essi.
"Mettiti a sedere." mormorò Stephen, muovendosi vicino al muro e trascinandomi con sè, cercando costantemente di sostenermi. "Alle guardie ci pensiamo noi, non preoccuparti."
Annuii debolmente e mi lasciai trascinare delicatamente a terra. "Solo..." il ragazzo aggiunse, guardandomi attentamente dopo essersi distaccato. "Non ti addormentare, okay?" 
"Tranquillo, Steph. Starò bene e non perderò i sensi, se è questo che ti turba." spiegai al ragazzo, rivolgendogli un piccolo sorriso che per la seconda volta mi causò una piccola fitta sul volto.
"Sì, be' tu non chiudere comunque gli occhi." continuò lui allontanandosi lentamente e poi raggiungendo gli altri.
Rimasi a guardare la scena da lontano e decisi per una volta di non intervenire in nessun modo, fingendo semplicemente di non esistere e sperando che gli altri smettessero di fissarmi come se fossi una Spaccata oltre l'Andata e si dimenticassero di me.
Brenda aveva preso il lanciagranate e lo stava puntando contro i rapitori. La gente stava già trascinando le altre tre guardie per sistemarle sul pavimento accanto al loro compagno, mettendole tutte e quattro in fila sdraiate di schiena. 
"Dovremmo sparargli in testa e basta!" urlò un uomo. "Sparargli e andarcene da qui."
Sì, certo... Così arriveranno altre dieci guardie ad ammazzarci. Pensai scuotendo la testa. Se proprio volevano ucciderli, tanto valeva interrogarli per maggiori dettagli.
Altri gridarono la loro approvazione. Thomas, forse improvvisamente allarmato, si alzò in piedi, raggiunse la donna con la pistola e la convinse a consegnargliela; poi si avvicinò al tipo che a quanto pareva mi aveva rifilato più di un solo pugno e gli appoggiò la pistola alla tempia. "Conterò fino a tre. O mi dici cosa intende fare la W.I.C.K.E.D. con noi e dove dovevate incontrarvi, o premerò il grilletto. Uno." 
L'uomo non esitò. "La W.I.C.K.E.D.? Noi non abbiamo niente a che fare con la W.I.C.K.E.D." 
"Stai mentendo. Due."
"No, lo giuro. Questa cosa non c'entra niente con loro. Almeno a quanto ne so."
"Oh, davvero? Allora vuoi spiegarmi perché ve ne andate in giro a rapire un mucchio di gente immune?" 
Per un attimo l'uomo spostò lo sguardo sui suoi amici, ma poi rispose, fissando Thomas dritto negli occhi. "Noi lavoriamo per il Braccio Destro."
"Che intendi per lavoriamo per il Braccio Destro?" chiese Thomas sbalordito dopo un attimo di esitazione, continuando quell'interrogatorio. 
In effetti non aveva senso... Lo scopo del Braccio Destro era quello di salvare gli Immuni e di boicottare il progetto della W.I.C.K.E.D., ma sembrava proprio che stesse facendo il contrario.
Forse era una tattica? Una strategia nuova? Forse il Braccio Destro prendeva gli Immuni prima che lo facesse la W.I.C.K.E.D. in modo da metterli in salvo? E se era veramente così, allora perchè ci avevano trattato come prigionieri?
"Cosa vuol dire che intendi?" disse l'uomo, nonostante l'arma puntata alla testa. "Che lavoro per il cavolo di Braccio Destro. Perché è così difficile da capire?"
Thomas tirò via la pistola e si mise seduto, visibilmente confuso. "Allora perché dovreste andare in giro a catturare immuni?" domandò Thomas, ricevendo un ringraziamento speciale dalla mia curiosità.
"Perché ci va." disse l'uomo con un tono infastidito, osservando l'arma abbassata. "Il resto non sono affari tuoi."
"Sparagli e passa al prossimo!" gridò qualcuno tra la folla. 
Thomas si riavvicinò, puntandogli di nuovo la pistola alla tempia. "Sei estremamente coraggioso, considerato che sono io quello armato. Conterò di nuovo fino a tre. Dimmi perché il Braccio Destro dovrebbe volere degli immuni o dovrò dedurre che stai mentendo. Uno."
"Sai che non sto mentendo, ragazzino."
"Due."
Il mio cuore salì in gola. Thomas era veramente capace di sparare ad un uomo? Sarebbe veramente stato in grado di sopportare tutto il dolore e il senso di colpa che avrebbero seguito quell'azione?
"Non mi ucciderai. Te lo leggo negli occhi." pronunció la guardia.
Arrendendosi troppo presto per i miei gusti, Thomas sospirò e allontanò la pistola. Non che avessi voluto che Thomas lo uccidesse, ma ero certa che un proiettile conficcato nel polpaccio avrebbe schiarito le idee nella mente dell'uomo senza causare troppi problemi nella coscienza di Thomas.
"Se lavori per il Braccio Destro, allora dovremmo stare dalla stessa parte. Dimmi solo cosa sta succedendo."
Il tizio si mise seduto, lentamente, lamentandosi per lo sforzo e lo stesso fecero i suoi tre amici. Ora che vedevo in modo diretto la faccia dell'uomo, potevo notare che fosse totalmente ricoperta di sangue e punti rossi, segno che Stephen gliene aveva date tante e potenti.
"Se vuoi delle risposte," disse uno "allora dovrai parlare con il capo. Noi non sappiamo niente, davvero."
"Già." aggiunse l'uomo accanto a Thomas. "Noi non contiamo niente."
A quanto pare sono tutti desiderosi di ricevere una pallottola nel braccio. Pensai stupita dalla loro stupidità. Veramente pensavano che li avremmo lasciati andare con tanta facilità?
Brenda si avvicinò con il lanciagranate. "E come facciamo a trovare questo vostro capo?"
L'uomo scrollò le spalle. "Non ne ho idea."
Ma figurati... Pensai alzando gli occhi al cielo. Adesso viene pure fuori che non sapevano di vivere sulla Terra. 
Minho grugnì e strappò la pistola dalle mani di Thomas, rendendomi in parte fiera di quel gesto che, se fossi stata al suo posto, avrei già fatto da diverso tempo. "Ne ho abbastanza di questa sploff." 
Puntò l'arma contro la punta del piede di quel tizio. "D'accordo, non ti uccideremo, ma se non cominci a parlare entro tre secondi quel dito comincerà a farti un male bestiale. Uno."
"Ve l'ho detto, io non so niente." rispose secco l'uomo, nero di rabbia in viso.
"Bene così." rispose Minho indifferente, assumendo un'espressione neutra, come se non si aspettasse altra risposta. Fece fuoco.
Osservai rallegrata l'uomo prendersi il piede, strillando per il dolore. Minho gli aveva sparato proprio al mignolo: una parte della scarpa e il dito erano completamente andati, al loro posto solo una ferita sanguinante.
Così si fa, Minho. Pensai evitando di ridacchiare per attirare nuovamente l'attenzione su di me.
"Come hai potuto?" gridò la donna seduta accanto, mentre si spostava per aiutare l'amico. 
"Ho potuto così come il tuo amico ha potuto fare quello." spiegò Minho visibilmente arrabbiato, indicandomi con un dito.
La donna mi osservò per pochi secondi e poi abbassò lo sguardo, forse intimorita dalla mia occhiata, forse troppo debole per osservare ancora a lungo ciò che il suo amicone senza un mignolo aveva fatto. La donna si limitò ad abbassare la testa e a tirare fuori un mucchio di fazzoletti dalla tasca, premendoglielo poi sul piede.
Minho persistette. "Bene, mentre lei si occupa del suo povero piede, qualcuno farà meglio a cominciare a parlare. Diteci cosa sta succedendo o perderemo un altro dito." Agitò la pistola davanti alla donna, poi verso gli altri due uomini. "Perché rapite la gente per conto del Braccio Destro?" 
"Te lo abbiamo detto, non sappiamo niente." rispose la donna. "Ci pagano e noi facciamo quello che ci chiedono."
"E tu?" chiese Minho, puntando l'arma verso uno dei due tizi. "Tu vuoi dire qualcosa, tenerti tutte le dita?"
L'uomo alzò le mani. "Ti giuro sulla vita di mia madre che non so niente. Ma..."
Oh, ecco la parolina magica che stavo aspettando. Pensai sentendo la curiosità accendersi nuovamente dentro di me.
L'uomo a quanto pare si accorse del suo grosso errore, perchè subito sgranò gli occhi e il suo sguardo si spostò di colpo sugli amici, impallidendo all'istante.
"Ma cosa? Sputa il rospo, lo so che stai nascondendo qualcosa."
"Niente."
"Dobbiamo davvero continuare con questo gioco?" Minho gli appoggiò la pistola sul piede. "Sono stanco di contare."
"Fermo!" gridò il rapitore allarmato, tirando dietro il piede e tenendoselo con le mani come se in qualche modo avesse potuto fare da barriera contro il proiettile. "D'accordo, ascolta. Potremmo accompagnare un paio di voi da loro, così glielo chiederete voi stessi. Non so se vi lasceranno parlare con chi comanda, ma potrebbero. Non mi farò sparare al piede senza motivo."
"Bene allora." disse Minho, indietreggiando e facendo segno all'uomo di alzarsi. "Visto, non era poi così difficile. Andiamo a trovare questo vostro capo. Io, tu e i miei amici."
Di colpo nella stanza scoppiò un gran fracasso. Nessuno voleva restare lì e nessuno era disposto a tenerselo per sé. La donna che stava ancora aiutando il suo amico si alzò e cominciò a gridare. La folla si zittì. "Qui siete molto più al sicuro! Credetemi gente, è la verità. Se provassimo ad andarci tutti insieme, posso garantirvi che la metà non arriverebbe a destinazione. Se questi ragazzi vogliono vedere il capo, lasciate pure che rischino la pelle. Una pistola e un lanciagranate non serviranno a un bel niente là fuori. Ma qui la porta è chiusa a chiave e non ci sono finestre." 
Quando concluse il suo discorso, si sollevò un altro coro di lamentele. La donna si rivolse a Minho e Thomas parlando a voce alta per via del rumore, ma non abbastanza alta perchè la potessi sentire a distanza. Il fracasso era talmente tanto alto che decisi di rinunciare persino a leggere il labiale, rimanendo in silenzio ad aspettare che i miei amici prendessero una decisione e venissero a comunicarmela.
Dopo diversi momenti, vidi Minho puntare la pistola verso il soffitto e subito capii le sue intenzioni, condividendole e odiandole allo stesso momento. Poco dopo, infatti, il ragazzo fece fuoco facendomi saltare sul posto per lo spavento, nonostante fossi già al corrente di quello che sarebbe successo. Il rumore della folla si trasformò in un silenzio di tomba, ma Minho non disse nulla, limitandosi ad osservare tutti nella stanza con uno sguardo omicida, come a sfidare chiunque ad aprire ancora bocca.
Quando si assicurò che nessuno stesse più parlando, fece segno alla donna di parlare, colmando per la seconda volta la mia curiosità sfrenata. "Lì fuori è l'inferno. È successo tutto molto in fretta. Come se fossero rimasti nascosti in attesa di un segnale o roba del genere. Questa mattina la polizia è stata sopraffatta e i cancelli sono stati aperti. Alcuni Spaccati arrivati dal Palazzo si sono uniti agli altri. Adesso sono ovunque."
Newt... Pensai sentendo una fitta al cuore. Chissà se anche lui era arrivato a Denver.
Fece una pausa e si prese il tempo di incrociare alcuni sguardi. "Vi assicuro che non vi conviene andare lì fuori. E vi assicuro che noi siamo i buoni. Non so cosa stia progettando il Braccio Destro, ma quello che so è che parte del piano include portarci fuori da Denver."
"Allora perché ci state trattando come prigionieri?" gridò qualcuno, portando alla luce lo stesso pensiero che avevo avuto poco prima.
"Io sto solo facendo quello per cui mi hanno ingaggiato." si giustificò la donna alzando le mani in segno di scuse, poi si rivolse a Thomase proseguì. "Credo che sia un'idea stupida lasciare questo posto, ma come ho detto, se volete farlo, dovete essere al massimo in due. Se quegli Spaccati notano un bel po' di carne fresca in giro per le strade, è tutto finito. Armi o non armi. E il capo potrebbe non gradire l'arrivo di una folla di persone. Chi dei nostri è di guardia potrebbe cominciare asparare vedendo un furgone pieno di sconosciuti."
"Andremo io e Brenda." disse Thomas, facendomi subito perdere le staffe. Thomas aveva sempre avuto questa pessima abitudine di prendere le decisioni per tutti senza parlarne prima con il gruppo e questa cosa mi faceva impazzire. Quando era ancora nella Radura forse era una cosa avventata, ma non così pericolosa come era la situazione in cui ci trovavamo al momento. Voleva veramente uscire là fuori e tirarsi dietro Brenda? Insomma, non che mi importasse più di tanto di Brenda, ma forse Minho era più adatto per una missione del genere. Dopotutto Thomas era un ragazzo molto impulsivo, ma nel momento del bisogno spesso si tirava indietro per paura, e poi c'era Minho che era totalmente l'opposto, pieno di coraggio, forza e soprattutto intelligenza. Forse erano delle caratteristiche sviluppate principalmente nel Labirinto, dove aveva dovuto adattarsi e imparare a ragionare sempre prima di fare qualcosa per evitare di causare guai o di peggiorare la situazione, abilità che invece Thomas non aveva, nonostante anche lui fosse un Velocista.
"Non se ne parla." disse Minho scuotendo la testa. "Tu e io."
"Io e lei. Ce la siamo cavata piuttosto bene nella Zona Bruciata. Possiamo farcela."
"Non se ne parla, Thomas!" ribattè Minho con un tono veramente ferito, come se Thomas lo avesse tradito. "Non dovremmo separarci. Dovremmo andarci tutti e quattro, è più sicuro."
"Minho, ci serve qualcuno che resti qui a controllare la situazione." disse Thomas, forse cercando di sistemare il suo errore o forse semplicemente riferendo ciò che pensava. "E poi, detesto doverlo dire, ma se ci succedesse davvero qualcosa?Resta qui e assicurati che i nostri piani vadano in porto. Hanno preso Frypan, Minho. E chissà chi altro. Una volta hai detto che avrei dovuto essere io l'Intendente dei Velocisti. Be', lasciamelo fare per oggi. Fidati di me. Come ha detto la donna, meno siamo, più possibilità abbiamo di passare inosservati."
Thomas guardò l'amico negli occhi in attesa di una risposta, la speranza in mano e la fiducia nell'altra. Minho rimase a lungo in silenzio. "Va bene." concesse alla fine. "Ma se muori io non sarò felice e giuro che troverò un modo per resuscitarti in modo da ucciderti con le mie stesse mani."
Thomas annuì con un sorrisetto, sollevato dal fatto che Minho non l'avesse presa tanto sul personale, accettando in modo maturo la scelta del ragazzo. "Bene così."
Alla fine, fu l'uomo che aveva detto di poterli portare dal capo ad accompagnarli. Si presentò come Lawrence e a prescindere da come fosse la situazione all'esterno, sembrava impaziente di uscire da quella stanza piena di persone arrabbiate. Aprì la grande porta e fece segno a Thomas e Brenda di seguirlo; Thomas con la pistola e Brenda con il lanciagranate.   
Feci appena in tempo a vedere le loro sagome attraversare la porta che questa si chiuse immediatamente dietro di loro con un tonfo.
Pregai con tutto il cuore di rivederli di nuovo sani e salvi. Non avrei mai sopportato la perdita di un altro amico.

 

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Capitolo 60
*** Capitolo 60. ***


{ATTENZIONE: leggete l'angolo scrittrice in fondo, per favore, è MOLTO IMPORTANTE}

Era passata ormai un'ora abbondante da quando Thomas e Brenda avevano varcato la soglia, firmando forse la loro condanna a morte.
Le persone presenti nella stanza si erano subito messe a discutere tra di loro, continuando a ripetere quando fossero in disaccordo con la scelta effettuata dai miei amici ed insistendo con le guardie sulla necessità di uscire da quel posto e in quel momento, forse per la millesima volta, mi ritrovai a riflettere sulla stupidità umana. Era possibile che continuassero a blaterare quando sapevano per certo che nulla si sarebbe mai risolto con delle lamentele? Le guardie avevano spiegato più volte quanto fosse pericoloso uscire di lì eppure nessuno sembrava credere loro.
Dopo aver continuato a discutere con tutti nella stanza, le guardie avevano deciso di mettersi in disparte rispetto al resto della folla, attendendo forse il momento migliore per sgattaiolare via.
I miei amici, invece, si erano presto raccolti in gruppetti e solo pochi – come Minho, Stephen ed Hailie – avevano deciso di raggiungermi e sedersi accanto a me.
"Questa è veramente una situazione del caspio." borbottò Minho, con ancora in mano la pistola.
"Credo che per Brenda e Thomas sia ancora peggio." spiegò Stephen, lanciando un'occhiata preoccupata alla sorellina. "Il destino di tutti ora è nelle loro mani. Spero solo che usino il cervello prima di prendere ogni decisione."
"Sono sicuro che quella testapuzzona di Thomas alla fine farà qualcosa di stupido e non mi stupirei se quella caspio di doppiogiochista di Brenda lo stecchisse con una botta in testa e lo trascinasse da qualche parte per poter vivere l'eternità con lui." continuò Minho, ignorando del tutto ciò che Stephen stava cercando di dirgli.
"Oh, andiamo, Minho." lo rimproverai. "Stai pur sempre parlando di Thomas..."
"Appunto."
"Be', forse non hai tutti i torti a preoccuparti." mormorai ricordandomi di tutte quelle volte in cui Thomas aveva fatto una scelta alquanto stupida, trascinandoci tutti in ballo.
"E poi quella sanguisuga di Brenda gli annebbia il cervello." aggiunse Minho grattandosi la fronte. 
"Riguardo a lei," aggiunsi, alzando di poco gli angoli della bocca. "posso solo dire che mi sono gustata a pieno la sua faccia quando Thomas ha deciso di lasciarla per andare a parlare con Teresa."
"Oh, caspio sì!" esclamò Minho ridacchiando. "Teresa è proprio una gnocca, come si fa a non tifare per lei?"
Spalancai gli occhi e lanciai uno sguardo di rimprovero a Minho. Non poteva dire certe cose quando Violet era a pochi metri di distanza.
"Minho, credo di doverti parlare." dissi rivolta al ragazzo, poi mi girai verso Stephen e la sorellina. "Ti dispiace lasciarci un attimo da soli?"
Stephen annuì comprensivo e, dopo aver preso sulle spalle la bambina, si incamminò verso il Gruppo B, saltellando ogni tanto per far ridere la sorellina.
"Ti prego, dimmi che non mi dovrò sorbire una ramanzina per aver sparato a quell'uomo." disse Minho immediatamente, ancora prima che potessi parlargli.
"Cosa? No, anche io avrei fatto lo stesso." lo rassicurai, iniziando a giocherellare con le mie dita per l'ansia. Quello di cui volevo parlargli era un argomento abbastanza complicato e delicato, e persino una parola detta al momento sbagliato poteva rovinare tutto, perciò dovevo stare molto attenta e procedere per gradi. "Minho, ti ricordi quando Thomas ha detto che gli altri ci hanno lasciato alla W.I.C.K.E.D. perchè pensavano che ce ne fossimo già andati senza di loro?"
Immediatamente il ragazzo voltò lo sguardo e mi lanciò un'occhiata sbilenca, probabilmente intuendo dove stavo andando a parare.
"Okay, ascolta..." continuai ancora più decisa di prima, voltandomi completamente verso di lui e fissandolo dritto negli occhi. "So come sei fatto e perciò so che sarà difficile convincerti, però ti prego di ascoltarmi."
"Me ne starò zitto fino alla fine solo perchè ti sei beccata tutto questo pur di difendermi." concesse il ragazzo, indicando con una smorfia il mio volto dolorante, probabilmente pieno di sangue secco.
"Bene così." annuii. "Tu ti fidi di me, vero? E sai anche che la mia fiducia negli altri è spesso traballante, proprio per questo credo solo alle persone che conosco bene, non è vero?"
Minho annuii neutro, come se non capisse perchè gli stessi facendo un discorso del genere.
"E di conseguenza, se io credo che una cosa sia vera e non una caspiata, anche tu dovresti crederci se ti fidi di me, vero?" domandai di nuovo, poi interpretando il silenzio del Velocista come un'affermazione, decisi di continuare. "Minho, ti assicuro con tutta me stessa che Violet non ci ha lasciati lì di proposito. Lei ti ama, Minho, quando parla di te le si illuminano gli occhi!"
"Sì, è una cosa che capita a tutti, soprattutto quando si parla di me." ribattè il ragazzo, facendo del sarcasmo che tuttavia decisi di soffocare. Stavo parlando di una cosa estremamente seria e avevo bisogno della totale concentrazione da parte del ragazzo.
"Avevi detto che saresti rimasto muto." brontolai incrociando le braccia al petto.
"Okay, okay... Scusami, mammina." borbottò lui ancora più infastidito di me.
"Quando hai scoperto ciò che avevo fatto nella Zona Bruciata, ti sei sentito tradito, no? Ferito, giusto?" chiesi tendando un nuovo approccio e, questa volta, senza attendere una sua risposta, continuai a parlare. "Però hai comunque deciso di darmi una seconda possibilità. Hai deciso di farlo perchè nonostante tutto sapevi che fosse la cosa giusta da fare e che ti potevi ancora fidare di me." presi un bel respiro e poi continuai. "Perciò credo che anche Violet meriti una seconda occasione. Come pensi che si sia sentita lei quando le hanno detto che ce ne eravamo andati senza di lei, huh? Anche lei ha provato le stesse cose che hai sentito tu, Minho, ma lei ha reagito diversamente. Hai visto la sua espressione quando ti ha rivisto per la prima volta? Hai notato che sul suo volto non c'era traccia di rabbia o di delusione? Aveva un'espressione talmente tanto triste che..."
"Lo so." mi interruppe lui. "E' stata proprio la sua espressione da cane bastonato a farmi arrabbiare ancora di più. Ho pensato che non fosse lei quella che era stata abbandonata e che perciò non dovesse comportarsi come la vittima della situazione. Ma adesso mi rendo conto di quanto mi sia sbagliato."
Feci un piccolo sorriso sollevato, ma subito Minho accorse per smorzare il mio entusiasmo. "Frena, bambolina. Se mi conosci bene come dici, dovresti sapere che..."
"...che non cederò così facilmente, dovrà fare qualcosa per conquistare la mia fiducia, bla bla bla, bla bla bla..." finii la sua frase con tono annoiato.
"Ehi, detta così fa male! Sei perfida."
"E tu sei testardo." ribattei facendogli la linguaccia. "Parlando seriamente, Minho..." mi ripresi, schiarendomi la voce. "Credo veramente che dopotutto quello che avete costruito insieme valga la pena andarle a parlare. Insomma, è una cosa che dovete chiarire e, detta tra di noi, lei non sta aspettando altro che te."
Minho annuì, convinto finalmente dalle mi parole, poi si alzò in piedi e mi sorrise. "Vado ora, prima che tu inizi a picchiarmi per essermi comportato come una testa di puzzone." mi avvisó il ragazzo, iniziando a camminare in direzione del Gruppo B con passo deciso.
Continuai a fissare i movimenti del ragazzo e quando questo si fermò all'improvviso, facendo marcia indietro e tornando correndo da me, il cuore mi salì in gola. Aveva veramente il timore di andarle a parlare? Dov'erano finiti i suoi atteggiamenti da duro?
Quando il ragazzo fu al mio pari, si piegò verso di me e mi sussurrò: "Veramente le si illuminano gli occhi quando parla di me?" domandò curioso, quasi titubante.
"E le trema anche la voce." scherzai ridacchiando per il comportamento insolito del ragazzo. Sorprendendomi ancora di più, vidi formarsi sul volto di Minho un sorriso spontaneo e due fossette spuntare all'improvviso sulle sue guance. Era ovvio che il ragazzo non avesse colto il sarcasmo nella mia voce.
Decisi di non smorzare il suo entusiasmo e lo osservai nuovamente allontanarsi e dirigersi verso il gruppo di ragazze.
Ora i suoi movimenti erano ancora più veloci e decisi, come se ciò che gli avevo dato avesse acceso in lui un coraggio incomparabile. Mostrandosi sicuro di sè, Minho si buttò nel mezzo del gruppetto, interrompendo ogni discorso e puntando lo sguardo su Violet, che subito arrossì imbarazzata.
Sotto lo sguardo attento delle compagne, la ragazza venne trascinata via da Minho e poco prima di scomparire dalla mia vista, Violet mi rivolse uno sguardo grato, stupito, contento e ansioso allo stesso tempo. 
Li osservai andarsene con sguardo attento. Ero così felice che almeno per loro le cose stessero andando al meglio. Se lo meritavano dopo tutto quello che avevano dovuto passare.
"Mi hanno detto che qualcuno qui è specializzato in cura di cuori." borbottò una voce accanto a me, cogliendomi di sorpresa. Ormai avevo persino smesso di sussultare ogni volta che Stephen mi appariva alle spalle mostrandomi sempre quel suo lato misterioso – e per quanto mi riguardava, odioso – del suo modo di fare.
Era così che apparivo ai suoi occhi? Come una persona capace di aiutare chi aveva problemi sentimentali? Come facevo a riparare il cuore degli altri se il mio era rotto in mille pezzi?
Era una cosa così... triste.
"Diciamo che ci provo." replicai facendo una smorfia e voltandomi verso il ragazzo che, con uno sguardo totalmente preso, mi fissava dritto negli occhi.
"Mi spieghi il motivo di questo?" domandai agitando il mio indice davanti ai suoi occhi e toccando per sbaglio il suo naso.
"Sembra che ti sia passata sopra la faccia una mandria di mammut." 
"Oh, che cosa carina da dire ad una ragazza. Andando avanti così le conquisterai tutte, stai attento." borbottai scocciata, rifilandogli un'occhiataccia. Non c'era motivo di sottolineare le condizioni del mio volto, inoltre stavo iniziando a non sopportare più tutte le occhiate che mi arrivavano per questa cosa.
"Intendevo dire che dovresti darti una pulita: hai sangue dappertutto." mi spiegò Stephen, facendo una smorfia e lanciando uno sguardo alle mie spalle.
"Stavo giusto per farlo... Guarda: ho proprio qui disinfettante e bende, vedi?" mormorai ironica, cercando di ricatturare il suo sguardo ma senza riuscirci. Cosa lo attirava così tanto alle mie spalle da distrarlo da una conversazione che lui stesso aveva iniziato?
Mi voltai curiosa e non mi servì seguire il suo sguardo per capire a chi fosse rivolto. Hailie stava ridendo talmente tanto forte che mi stupii di non averla sentita prima. La bambina stava volando in aria, tenuta ben salda dalle mani di Teresa, improvvisando quello che mi sembrava un aereo in attesa di precipitare. Era proprio vero che l'allegria di quella bambina era impossibile da smorzare, in qualsiasi situazione si trovasse, e da questo punto di vista la invidiavo. Quando avrei voluto che tutto quello che stavo vivendo fosse solo un brutto gioco pericoloso, ma sfortunatamente per me era la pura e distruttiva realtà di sempre. Una realtà a cui ancora non mi ero abituata.
"Aspetta un attimo qua." ordinò Stephen lanciando un ultimo sguardo al mio volto e scattando in piedi. Lo osservai confusa raggiungere il punto della stanza in cui erano stati abbandonati i sacchi con cibo e acqua delle guardie, poi il ragazzo allungò un braccio dentro uno di essi, cavando una bottiglia in plastica.
Il ragazzo si riavvicinò a me con passo spedito, ma prima di chinarsi nuovamente su di me lo vidi abbandonare la bottiglietta ai miei piedi e afferrare il bordo della sua maglietta. Rimasi a fissarlo con occhi spalancati, non riuscendo a distogliere lo sguardo, troppo presa dai suoi movimenti strani. Stephen portò il lembo della sua maglia biancastra tra i denti, lasciando scoperto metà del suo busto, e poi con uno strattone rubò al suo indumento una striscia di stoffa abbastanza ampia.
"Che cavolo fai?" borbottai stupita, osservando la sua maglia ricadere sgualcita sul suo corpo.
"Era comunque troppo lunga per me." mormorò il ragazzo arrotolando accuratamente il pezzo di stoffa su se stesso e sedendosi proprio di fronte a me. "Mi dispiace, ma non riesco a concentrarmi quando ti parlo se hai sangue sparso ovunque." si giustificò svitando il tappo della bottiglia con i denti e sputandolo tra le sue gambe. Con un gesto rapido il ragazzo versò l'acqua sul panno, rendendolo così gocciolante, poi appoggiò la bottiglia di lato e alzò lo sguardo sul mio viso, allungandosi verso di me.
"Frena, amico." lo bloccai mettendogli una mano sul petto. "E' già molto che io riesca a parlare senza fare smorfie di dolore, non ti lascerò strofinare quello sulla mia pelle."
"Oh, andiamo..." replicò Stephen. "Prometto che sarò delicato."
"E io prometto di tranciarti un dito a morsi ogni volta che sentirò male."
"Esagerata." mi sbeffeggiò lui, scostandosi una ciocca di capelli ribelli dalla fronte con uno sbuffo. "Devo persino supplicarti per far sì che ti lasci curare? Ti ricordo che se non fosse stato per me a quest'ora il tuo cervello sarebbe ridotto ad una pappa molliccia e grumosa che..."
"Ho afferrato il concetto, grazie." lo interruppi, scuotendo la testa. "La mia risposta è ancora no, però."
Stephen mi fissò per qualche attimo, con un'espressione totalmente contrariata e stanca delle mie lamentele, poi alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Cogliendomi di sorpresa il ragazzo mi afferrò la mano e la appoggiò sul suo polso, facendo sì che le mie dita si stringessero in modo delicato attorno alla sua pelle chiara e morbida. 
"Se ti faccio male tu stringi, così al massimo soffriamo in due." spiegò brevemente. "Ora accetti?"
Lo osservai incuriosita per qualche istante e non potei fare a meno di sorridere. Mi piaceva il suo modo di fare: non era dolce, forse un po' premuroso, ma aveva nel tono sempre quella punta di aspro e fastidio tipica del ragazzo, che speravo non perdesse mai. Era come un piccolo particolare che lo distingueva dagli altri.
"Accetto, razza di pive che non sei altro." borbottai fissando il mio sguardo nel suo e assicurandomi che la mia mano non sarebbe mai scivolata dal suo polso.
Il ragazzo accennò un sorriso e poi si concentrò sul mio volto, avvicinando il panno bagnato alla mia pelle in fiamme. Quando questi si toccarono, provai un immediato sollievo, come se quell'acqua avesse spento l'incendio che fino a quell'istante aveva corso su tutta la superficie della mia testa, ma quando il ragazzo iniziò a spingere sul mio zigomo una scarica di dolore mi perforò il cranio.
Senza neanche volerlo fare veramente, quasi come se fossi stata guidata da un riflesso innato, serrai gli occhi e strinsi le dita attorno al polso di Stephen, il quale si fermò subito.
"Scusami..." mormorò il ragazzo, poi allontanò il palmo per qualche secondo e soffiò sul punto che aveva appena toccato, donandomi un po' di sollievo dal dolore. "Va meglio?"
Annuii stupita. Dove aveva imparato a fare una cosa del genere? Anche a me era successo di soffiare su una ferita più volte, ma non avevo mai pensato che qualcun'altro potesse sapere di quel piccolo trucchetto.
Riaprii gli occhi e feci cenno a Stephen che poteva continuare con quella tortura.
Il ragazzo colse il messaggio al volo e senza farselo ripetere più volte riprese la sua attività. 
Quelli furono i minuti più lunghi della mia esistenza, segnati dalle fitte di dolore come lancette di un orologio. Ben presto i miei occhi avevano iniziato a lacrimare, ma quando qualche goccia era fuggita dalle mie palpebre scivolando sulle mie guance, infuocando la pelle al suo cammino, Stephen non aveva detto nulla. Ero sicura che anche lui stesse male con me, dato che per quanto cercassi di contenermi, alla fine mi ritrovavo a dovermi obbligare ad allentare la presa su di lui per non ferirlo. Sapevo che il ragazzo desiderasse staccarmi le unghie delle dita a morsi per far terminare quel dolore, ma non si era mai lamentato e sul suo volto nemmeno per un attimo si era formata mai una smorfia.
All'ennesima fitta di dolore chiusi gli occhi ed emisi un gemito soffocato.
Fai finire presto questa tortura. Pensai tra me e me.
"Guardami negli occhi." ordinò Stephen cogliendo la mia attenzione. 
Feci ciò che disse e cercai di concentrarmi sulle sue iridi azzurre nonostante la mia vista fosse offuscata dalle lacrime. 
Stephen mi afferrò la mano libera e la appoggiò sul suo petto. 
"Senti l'aria che passa attraverso il mio torace quando respiro?" domandò il ragazzo. "Concentrati su di quello. Guardami negli occhi e respira quando respiro io. Okay?"
Annuii incerta e dopo aver tirato su col naso decisi di provarci.
All'inizio fu semplice concentrarsi sui battiti del suo cuore e pensare all'aria nei suoi polmoni come fosse la mia, ma ben presto il dolore iniziò a ripresentarsi − soprattutto quando Stephen iniziò a strusciare il panno contro il mio naso −  prevaricando su tutte le altre sensazioni e annebbiando ogni cosa. Avevo sempre pensato al dolore come ad una foschia che si estende per miglia, in modo lento ma persistente, che occulta ogni cosa dalla tua vista e ti confonde gli altri sensi.
Cercai di concentrarmi nuovamente sulle iridi azzurre di Stephen e dopo diversi secondi riuscii a ristabilire una sorta di equilibrio con il mio corpo, come se riuscissi in qualche modo a controllare le sensazioni emergenti dentro di me.
Inspira. Pensai percependo il suo petto sollevarsi sotto il mio palmo. Espira. Mi ripetei quando questo tornò al suo livello iniziale.
Continuai così per diversi minuti, poi finalmente Stephen si distaccò da me con un sorriso sulle labbra.
"Allora?" domandai fissando incerta il suo sguardo. Mi stava valutando come se fossi la sua opera d'arte.
"Allora Hailie si sarebbe lamentata di meno." borbottò lui ridacchiando, rivolgendomi un'occhiata soddisfatta.
"Simpatico come la sploff."
"Bella come nuova." ribattè lui abbandonando il panno insanguinato da una parte. "Voglio dire, non che tu sia bella di solito, ma quel rossore sparso sul viso ti dona." mormorò allungando la mano verso la bottiglia e portandosela alle labbra, scolandosi le ultime dita di acqua rimaste.
"Sei testa puzzona del caspio." brontolai dandogli un pugno sulla spalla e causando in lui una risatina.
Il ragazzo si sedette accanto a me e rimanemmo spalla contro spalla per diversi istanti, senza mai dire nulla.
Colsi quell'occasione per guardarmi attorno alla ricerca di Minho e Violet e con mia sorpresa li ritrovai accoccolati l'uno all'altra in un angolino appartato, distante da tutti. Si stavano sussurrando qualcosa a vicenda, ma nonostante non capissi le loro parole, sapevo per certo che le cose tra di loro si stavano risolvendo in fretta. Forse Minho aveva allentato un po' i suoi dubbi e alla fine aveva deciso di fidarsi completamente di Violet, il che ritenevo un'ottima cosa dato che il ragazzo non si fidava facilmente.
Vederli abbracciati in quel modo causò in me una certa malinconia, una nostalgia degli abbracci caldi di Newt, e per un attimo desiderai di essere accoccolata anche io tra le sue braccia.
Poi all'improvviso, forse leggendomi nel pensiero, forse seguendo il mio sguardo e leggendo la mia espressione, sentii Stephen allungare un braccio sulle mie spalle e attirarmi a sè in un abbraccio amichevole che tuttavia riuscì a farmi percepire un calore totalmente soddisfacente e rilassante.
Non mi interessava sapere il motivo per cui Stephen aveva fatto quel gesto, ma lo apprezzai in modo sincero. Chiusi gli occhi e mi accoccolai sul petto di Stephen, ascoltando il rumore dei suoi battiti e ripetendo al mio corpo di essere tra le braccia di Newt.
Rimasi così in bilico su un filo tra realtà e sogno, gustandomi ogni piccola goccia di quella pace temporanea.
Dopotutto anche io ogni tanto mi meritavo un sollievo dal dolore.

*Angolo scrittrice*
Hey pive!
Scusatemi tantissimo per il ritardo, ma mi si è rotto il computer e sul cellulare è veramente scomodo scrivere un capitolo.
Purtroppo devo darvi una cattiva notizia...
Devo stoppare la storia per un po' (fino all'8 febbraio), ma prima di rifilarmi un sacco di minacce riguardanti Dolenti e visitine di notte fatemi spiegare bene il motivo di questa scelta.
Il fatto è che mia sorella partirà per andare a lavorare all'estero e non la potrò vedere per ben 1 anno e 6 mesi, il che è mooolto tempo. Credetemi, so che può sembrare una cosa un po' stupida, però ho deciso di abbandonare alcune cose fino all'8 (data della sua partenza) per stare un po' di più con lei, e dato che al pomeriggio devo sempre studiare (cosa che purtroppo non posso rimandare), ho dovuto proiettare il tempo da spendere assieme durante la sera (quando scrivo i capitoli). Mi dispiace molto darvi questa notizia, perchè non solo vengo meno ad un incarico che mi sono affibbiata, ma anche perchè per me non scrivere per diversi giorni è quasi una tortura. Però credo che passare del tempo prezioso con mia sorella sia molto più importante di scrivere qualcosa che posso rimandare di qualche settimana. 
Forse durante questo periodo scriverò qualcosa, ma non credo di riuscire a pubblicare nulla, e forse quello che scriverò sarà un po' depresso perchè lasciare andare via mia sorella (con cui ho un legame veramente forte) è veramente una cosa difficile da fare. Credo che ognuno di voi capisca la mia situazione e in caso contrario mi dispiace, ma vi prego di accettare la mia decisione.
Dopotutto non è mica un addio! Tornerò in azione tra meno di due settimane!
Scusate per l'inconveniente e scusate anche per l'angolo scrittrice immenso che ormai è più lungo del capitolo stesso.
Baci,

per sempre vostra Inevitabilmente_Dea ♡

PS: quella tanto temuta notizia che dovevo riferirvi, credo che sarà rimandata anch'essa, quindi pazientate ancora un poco!

PPS: avrei voluto creare un photoshop riguardo Violet e Minho, ma purtroppo dato che ho il computer rotto non riesco ad usare l'app per fare ciò. Qualcuno per caso è disposto a crearmi un photoshop tra i due piccioncini? Ancora non ho deciso l'attrice per Violet, ma sono aperta a tutte le idee. Io pensavo a qualcuna tipo Crystal Reed (la tizia qua sotto).

 Io pensavo a qualcuna tipo Crystal Reed (la tizia qua sotto)

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Capitolo 61
*** Capitolo 61. ***


 

{ATTENZIONE: leggete l'angolo scrittrice in fondo, please!}

Passarono diversi giorni, tutti spesi nella monotonia di quelle quattro pareti grigie e rovinate. Nulla di importante era successo − anzi, proprio nulla − ed il fatto di non entrare in contatto con delle novità mi annoiava, donandomi un senso di tranquillità e calma a cui non ero abituata.

Da quanto mi ricordavo la mia vita era sempre stata un subbuglio di avvenimenti, di cose che capitano all'improvviso e ti scombussolano la vita, di fatti a cui ti devi abituare anche se ti hanno ridotto in cenere ogni certezza che avevi. Vivere in quella tranquillità assoluta era quasi come soffocare.
Sentivo il bisogno di distrarmi con qualcosa, qualsiasi cosa, ma il pensiero di Newt era costante e non cessava di annebbiarmi la mente. Mi ero accorta che sempre più spesso avevo dei vuoti nella memoria: aprivo gli occhi, mi guardavo attorno e spaesata mi chiedevo come fossi arrivata a quel punto, come se stessi vivendo a metà. Era come se il mio cervello andasse in stanby, come se iniziassi a dormire all'improvviso, perdendomi ciò che stava succedendo.
Eppure ero sveglia. Respiravo, parlavo, camminavo. Facevo tutto, ma allo stesso tempo per il mio cervello era come se non facessi nulla.
Magari prima ero seduta a terra e l'attimo dopo mi ritrovavo a parlare con Minho dall'altra parte della stanza, senza ricordarmi come fossi arrivata lì o il perchè lo avessi fatto.
Ero assente, perennemente. Mi sentivo un corpo senza anima, un contenitore vuoto.
Forse era il mio cervello l'artefice di tutto ciò. Forse aveva sviluppato un metodo per non pensare troppo a tutte le cose brutte che erano solite saltarmi addosso come belve affamate. Forse ero sull'orlo del precipizio e per evitare di lasciarmi cadere in una crisi di panico e depressione, il mio cervello aveva deciso di cancellare tutto.
Magari però avevo sbagliato a pregare che qualcosa succedesse veramente, perchè quando questo avvenne, all'adrenalina si aggiunse anche la paura e quel senso di smarrimento che si prova quando non si sa cosa succederà.
Dopo ben tre giorni di paziente attesa, la porta si spalancò, ma non per portare cibo o bevande.
La maggior parte delle persone iniziarono a muoversi per mettersi a sedere, come eravamo soliti fare per ricevere i pasti, ma solo dopo qualche secondo tutti ci accorgemmo che non erano le guardie con i sacchi.
Tre uomini armati fino ai denti stavano avanzando nella stanza con grandi passi rumorosi. A stento mi accorsi della figura − decisamente più piccola rispetto alle altre tre − che camminava con sicurezza dietro i bestioni.
Non appena riconobbi il suo volto scattai in piedi.
"Rimettiti seduta!" mi gridò in faccia uno degli uomini armati, spaventandomi più del dovuto.
"Lasciala stare, Nate." mormorò una voce familiare, che non fece altro che confermare ciò che avevo visto prima. "La ragazza è con noi."
Sorrisi sollevata e mi voltai verso il ragazzo che mi lanciò un cenno con il mento, in segno di saluto.
Rimasi alquanto sorpresa dalla sua rigidità e serietà, ma decisi di abbatterle entrambe avanzando verso di lui e incastrandolo in un delicato abbraccio.
"Che bello rivederti, Gally." mormorai affondando il volto sulla sua maglietta. "Non sai che gran casino che è successo. Stavamo venendo da te quando..."
"Lo so." ribadì il ragazzo guardando le tre guardie alle nostre spalle. "Sono venuto per questo."
Per la seconda volta, la severità della sua voce mi colpì, non solo sorprendendomi, ma anche ferendomi in parte. Perchè usavo quel tono distaccato con me?
Mi distaccai dal ragazzo in fretta, sentendo il mio corpo diventare freddo all'istante. Non seppi se il brivido che mi percorse nell'attimo immediatamente successivo fu la causa del rigore inaspettato di Gally o per il fatto che non avesse ricambiato il mio abbraccio.
"Ascoltatemi tutti!" urlò il ragazzo, alzando le mani in aria e agitandole per attirare l'attenzione di tutti.
Incrociai le braccia al petto e lo guardai crucciando lo sguardo. Subito dopo una mano si appoggiò sulla mia schiena.
"Ehi." mormorò Stephen sporgendosi oltre la mia spalla e osservando anche lui con occhi dubbiosi la figura del ragazzo. "Che succede?"
"Ne so quanto te, pive." mormorai alzando le mani e scuotendo la testa. 
"Per favore, fate silenzio." ci zittì subito Gally, lanciandoci uno sguardo truce che non fece altro che offendermi ancora di più.
Misi il broncio, incrociai di nuovo le braccia e lo ascoltai mal volentieri, attendendo con ansia delle spiegazioni plausibili per il suo comportamento.
"Sono venuto qui per farvi una proposta." cominciò il ragazzo rivolgendosi a tutta la folla. "Noi lavoriamo per il Braccio Destro e siamo venuti per portarvi con noi e collaborare. In breve abbiamo un piano per mettere i bastoni fra le ruote della W.I.C.K.E.D., ma ci serve il vostro aiuto."
"Perchè mai dovremmo aiutarvi?" urlò un uomo dalla folla, senza che riuscissi a vedergli il volto. "Voi ci avete buttato qua dentro, ci avete rapiti."
"Non vi abbiamo rapiti, vi abbiamo salvato la vita." replicò svelto Gally, assumendo un tono scocciato, come se fosse stanco di ribadire quel concetto. "La W.I.C.K.E.D. stava raccogliendo nuovi Immuni per iniziare altre prove; noi siamo stati più veloci e vi abbiamo messo in questo rifugio temporaneo, lontano dalle grinfie della W.I.C.K.E.D. Vi chiediamo di restituirci il favore."
"Qual è il piano?" domandò Stephen vicino a me, appoggiando una sua mano sulla mia spalla e sorreggendosi in parte su di essa.
"Non sei tenuto a saperlo." mormorò Gally, dopo aver lanciato un'occhiataccia al ragazzo e aver osservato attentamente la nostra vicinanza. 
"Come puoi pretendere che combattiamo per la tua causa senza sapere quale sia?" controbattè arrabbiato Stephen, ricevendo il mio appoggio.
"Non credo abbiate tanta scelta. O rimanete qui senza cibo o vi aggregate a noi." aggiunse Gally. "Non capisco poi perchè non dobbiate accettare. Il piano non riguarda nessuno di voi, dato che sarà svolto da poche persone già scelte e preparate. Voi dovrete solamente fare da sentinelle, controllare che nessun topo della W.I.C.K.E.D. venga a darci problemi, non so se mi spiego."
In poco tempo nella stanza si diffuse un mormorio fastidioso che durò per diversi minuti, fino a che una voce spiccò tra tutte.
"Sarà anche una scelta stupida, ma sempre meglio che rimanere in questa topaia." urlò un uomo facendosi largo tra la folla e raggiungendo a fatica le tre guardie armate.
"E' un ottima scelta." borbottò Gally con un'aria falsa, quasi annoiata. Mi sembrava quasi di rivedere l'Uomo Ratto negli atteggiamenti del ragazzo e di certo non era una bella cosa.
"Vengo anch'io!" urlò una donna, facendosi avanti tra la folla che, lentamente, iniziò a seguirla.
Passarono diversi attimi e alla fine ci ritrovammo solo in pochi ad essere rimasti in disparte.
Minho, Violet, Teresa, Jorge, Aris e le altre ragazze del Gruppo B si avvicinarono a me e Stephen, il quale fece un cenno alla sorellina di staccarsi dalla mano di Teresa e raggiungerlo.
"Posso assicurarvi che è meglio che prendiate parte a questa spedizione." spiegò Gally e per un secondo vidi sul suo volto una traccia di preoccupazione, che però svanì subito. Era come se per lui fosse necessario che accettassimo, ma d'altra parte la sua voce e la sua indifferenza dicevano tutt'altro.
Che diavolo stava facendo? Perchè si comportava in modo così strano?
E poi accadde tutto velocemente, talmente tanto veloce che per un attimo pensai di aver sognato o di essermi sbagliata. Proprio nel momento in cui le tre guardie distolsero gli occhi da Gally, quest'ultimo mi fissò dritto negli occhi, guardandomi con un'espressione talmente tanto intensa e significativa che per un attimo mi sembrò di essere stata una stupida a dubitare di lui.
Poi il ragazzo abbassò lo sguardo, come se avesse paura di essere stato visto dagli altri e si fissò le scarpe per qualche attimo, prima di ritornare alla rigidità che era stato capace di distruggere con un solo sguardo.
Aggrottai le sopracciglia, ma non ci pensai due volte.
"Io vengo." annunciai, facendo un passo avanti e voltandomi verso i miei amici, tutti sbalorditi dalla mia scelta.
Quello sguardo dovrà pur significare qualcosa. Pensai.
"Cosa?" domandò Stephen scioccato, allungando una mano verso di me e prendendomi il polso come ad assicurarsi che non me ne sarei andata. "Pensaci su, Elena. Non puoi prendere questa decisione così, su due piedi."
"Ehi, lasciala stare." intervenne subito Gally, con un tono che intimorì persino me. "Ha fatto la sua scelta."
"Sì, certo. Perchè decidere di prendere in mano un'arma e sparare quando non si sa come fare è una decisione ben presa. Non sa neanche come si tiene in mano un lanciagranate, figurati combattere contro la W.I.C.K.E.D." ribattè Stephen aumentando la stretta sul mio polso e tirandomi leggermente indietro, come ad allontanarmi di più da Gally.
"Imparerà." assicurò quest'ultimo.
"Sì, certo. E poi si farà ammazzare. Bel piano, ma no, grazie." 
"Stephen!" richiamai il ragazzo, attirando il suo sguardo su di me. "Lo so che sembra una decisione sbagliata, ma fidati di me per una volta, ti prego." sussurrai avvicinandomi al ragazzo e cercando di far trapelare dai miei occhi tutta la sicurezza che avevo. "Ho visto qualcosa nei suoi occhi. C'è... Sento che c'è qualcosa che non ci sta dicendo, qualcosa di più. Gally è mio amico, non ci chiederebbe mai di entrare in una missione suicida senza avere la certezza che ne usciremo fuori vivi."
"Be', allora forse il Gally che conosco io è un po' diverso." borbottò Stephen, lanciando un'occhiata alle mie spalle e poi chinandosi ancora di più sul mio volto. "Lui è meschino, scontroso e totalmente testardo. Non di certo uno di cui ci si può fidare."
"E' cambiato, te lo assicuro." spiegai. "E comunque, se non vuoi venire, non devi farlo per forza. E' una mia decisione, non anche tua."
Detto ciò scivolai lentamente dalla sua presa e mi avvicinai verso Gally che, senza più far trapelare nulla dal suo sguardo, mi osservò attentamente mentre mi posizionavo di fianco a lui.
Gli occhi delle guardie non lasciarono mai un momento la figura di Gally, come se stessero aspettando ordini da lui o come se lo stessero controllando, poi si rivolsero verso i miei amici, puntando le armi contro di loro.
"E voi cosa avete deciso?" domandò un uomo armato.
"Io mi aggiungo a te, bambolina, in fede del discorso che mi hai fatto prima. Non mi hai mai deluso con le tue scelte, perchè dovresti farlo ora?" domandò Minho, abbandonando lentamente la mano di Violet e avvicinandosi a me.
"Io ho già collaborato con Gally e mi sembra uno a posto. Vengo anche io." spiegò Teresa, aggiungendosi.
"Non ho nulla da perdere, perciò..." mormorò subito dopo Violet, muovendosi nella nostra direzione.
E così, uno dopo l'altro, il gruppo dei miei amici si sfoltì sempre di più, fino a che non rimase solo Stephen con la sorellina vicino. Forse alcuni avevano accettato sulla fiducia, forse altri perchè avevano paura di rimanere soli, ma di certo a Stephen non importava più di tanto.
"Sai cosa? Io potrei anche prendere e andarmene per la mia strada, sicuramente riuscirei a sopravvivere meglio senza di voi." spiegò Stephen con un tono quasi alterato, stringendo a sè la sorellina, poi si rivolse a me. "Però poi penso che ti cacceresti troppo nei guai senza di me, quindi al diavolo tutto: vengo anche io, brutte teste puzzone."
"Finto cavaliere albino che non sei altro..." mormorò Minho ridacchiando. "Sappiamo tutti che la bambolina è abbastanza tosta da sapere badare a sè stessa." 
"Questo lo dici tu." controbattè Stephen avanzando assieme ad Hailie, sul volto un'espressione di fastidio. "E per la cronaca, io non sono albino." precisò passando accanto a Minho e regalandogli una spallata poco amichevole.
Gally decise di dividere tutti in gruppi da dieci persone ciascuno, spiegando che avrebbe mandato un elicottero a prendere ogni gruppo. Precisò più volte che l Braccio Destro poteva mettere a disposizione solo un elicottero per quel trasporto e che quindi ogni gruppo avrebbe dovuto aspettare che l'elicottero caricasse dieci persone, le portasse alla base e poi venisse a prendere il gruppo seguente. Molti brontolarono, ma Gally non ammise repliche, dicendo chiaramente che la zona era troppo pericolosa per essere attraversata a piedi o anche solo in furgoncino e che quindi ognuno avrebbe dovuto attendere con pazienza il proprio turno.

Ci vollero diversi minuti perchè tutti ci decidessero ad appartarsi in gruppi compatti e a stare in silenzio e quando questo accadde, Gally si girò verso il gruppo di dieci persone in cui mi ero messa mi indicò. "Il tuo gruppo viene per primo con noi." annunciò come se stesse parlando con un perfetto estraneo, poi si rivolse al resto della folla. "Dato che ci sono cinque gruppi e noi siamo solo in quattro, io andò con il primo gruppo e una volta arrivato andrò a chiamare un'altra guardia, facendola venire qua." detto ciò si girò verso le guardie. "Rimanete qui e assicuratevi che nessuno faccia qualcosa di stupido. Conosco le persone con cui sto andando e so che non causeranno problemi, in caso contrario ho la mia pistola con me." 
Uno dei tre uomini annuì con fare incerto, poi osservò Gally tirare fuori un aggeggio dalla tasca e infilarselo nell'orecchio.
"Vince, siamo pronti." parlò all'auricolare, premendoselo dentro l'orecchio. "Fai partire HRH."

 

 

Erano passati neanche venti minuti e già mi trovavo accovacciata vicino all'uscita, in attesa che Gally mi desse il segnale per uscire fuori e correre fino all'elicottero per poi saltarci sopra.
I miei amici erano ormai usciti tutti, uno alla volta e con cautela − ad eccezione di Stephen al quale venne permesso di portare la sorellina in spalle −, ma muovendosi velocemente.
Il rumore dell'elicottero aveva di sicuro attirato molta attenzione, ma speravo che almeno il vento che le pale di quell'aggeggio causava avrebbe tenuto lontano gli Spaccati per almeno il tempo necessario a salire a bordo.
Ero sicura che l'idea di chiamare il più rumoroso e vistoso dei mezzi di trasporto non fosse stata la scelta più intelligente di Gally, ma di certo il ragazzo non aveva altra scelta: di andare a piedi non se ne parlava, dato che camminare in gruppo avrebbe attirato troppa attenzione, in più solo una persona su undici era armata e quindi impossibilitata di affrontare un'eventuale orda di Spaccati; il furgoncino invece era troppo piccolo per contenere dieci persone più una alla guida e di certo troppo lento per scappare in caso di attacco.

L'unico rischio che correvamo con l'elicottero era infatti solo al momento della partenza, perchè una volta in volo nulla avrebbe potuto ostacolarci.
La fila davanti a me diminuì alla svelta e in meno di un secondo mi ritrovai da sola con Gally, l'ultima della fila.
Feci per fissare il ragazzo negli occhi e attendere impaziente il suo segnale, ma il ragazzo mi anticipò, afferrandomi il polso e attirandomi a sè per farsi sentire meglio sopra il rumore dell'elicottero. "Sei pronta?" urlò sovrastando quel suono fastidioso. 

"Quando vuoi tu." replicai, gridando e riuscendo a stento a sentire la mia voce.
"Ora!" gridò il ragazzo dandomi la spinta per uscire fuori dal mio nascondiglio.
Non appena misi un piede di fuori, mi sentii catapultata all'indietro. I miei capelli iniziarono a svolazzarmi ovunque, frustandomi senza pietà; i miei vestiti sembravano volermi lasciare nuda, tanto tiravano contro il mio corpo; la polvere sembrava stesse fluttuando attorno a me, finendomi nei polmoni, facendomi tossire, e negli occhi che non avevano mai lacrimato così tanto.

Feci un passo avanti e mi obbligai ad iniziare a correre come Gally aveva ordinato, ma ad ogni passo mi sembrava di stare per perdere l'equilibrio, cadere in avanti ed essere trasportata al punto di partenza dal vento sollevato dalle eliche.
Riuscii ad appoggiare il mio piede in avanti quattro o cinque volte, ma per ogni metro che conquistavo, mi ritrovavo sempre più lontana di quanto sarei voluta essere.
Il vento era più forte di me e di sicuro il fatto che pesassi poco e che fossi gracile non mi aiutava in quella situazione. C'era la possibilità di essere spazzata via in qualsiasi istante dal vento, e non avrei potuto far nulla per impedirlo.
Proprio quando pensai di tornarmene in dietro e chiedere aiuto a Gally, delle mani si appoggiarono sui miei fianchi, facendomi spaventare. Il mio cuore salì in gola e mi trattenni dall'urlare solo per non inalare altra polvere.

Alla fine era successo: uno Spaccato mi aveva raggiunta e la cosa che mi disperava di più era che non lo avevo nemmeno visto arrivare!
Mi voltai lentamente, sentendo già la nausea montare in me per la paura di trovare un altro Spaccato senza naso, ma non avvenne nulla del genere. Non appena il mio sguardo si puntò su due occhi marroni, sentii il sollievo riempirmi. Nonostante tutto il volto del ragazzo fosse coperto da un velo bianco, mi bastò scorgere quell'intensità nel suo sguardo per capire che quello che avevo dato per Spaccato in realtà era solo Gally.
"Forza!" gridò lui, iniziando a spingermi in avanti.
Sentendomi più salda con le sue mani a sostenermi, iniziai a camminare di nuovo, questa volta sentendo di meno la fatica, ma più ci avvicinavamo più diventava difficile avanzare.
Una folata di vento mi catapultò quasi a terra, ma Gally fu abbastanza veloce da afferrarmi al volo e velocemente piazzò di nuovo le sue mani sui miei fianchi, questa volta stringendo più di prima per essere sicuro che non me ne volassi via.
Sentendomi instabile appoggiai le mie mani sulle sue e feci altri due passi, poi finalmente, una sagoma nera apparve davanti a me.
Altri due passi e potevo distinguere a pieno tutte le forme dell'elicottero − o HRH, come lo aveva chiamato Gally − e la confusa sagoma di un braccio teso verso di me. Senza pensarci due volte lo afferrai e, come se si fossero messi d'accordo, Gally mi spinse in avanti nell'istante in cui quel braccio mi tirò con forza all'interno.

Pensai di cadere stesa sul pavimento dell'elicottero, ma questo non accadde perchè Stephen mi tenne stretta a sè fino a che non riuscii ad aggrapparmi ad una sporgenza pendente dal soffitto.
Quando fui abbastanza stabile e tranquilla mi guardai attorno alla ricerca di Gally, sentendomi sollevata nel vederlo salire senza fatica e senza nessun aiuto sull'elicottero.
Non si prese nemmeno il tempo di aggrapparsi a qualcosa che avanzò verso la porta della cabina di pilotaggio e battè due volte con il pugno chiuso sulla finestrella sporca, attraverso la quale riuscii solo a scorgere una figura scura.
"Diamoci una mossa, Ern!" urlò Gally, per poi distaccarsi dalla porta e avviarsi verso l'uscita dell'elicottero. Si sporse appena fuori e allungò un braccio nel vuoto, poi richiudendo con forza lo sportello e portando dentro l'elicottero una quiete incomparabile.
Il ragazzo si voltò verso di noi e si tolse tranquillamente il cappuccio dalla testa, rivelando il suo volto con un ghigno divertito.
"Finalmente siamo soli." borbottò con sollievo, ricevendo sguardi perplessi da chiunque. "Mi fa piacere rivedervi, brutti pive del caspio."

*Angolo scrittrice*
Hey, piccole bestioline del mio cuore!

Oddio, e sto soprannome da dove mi è uscito?
Vi sono mancata? A me sì, tanto. Non sapete che tristezza provavo alla mattina quando, alzandomi, non avevo nessuna notifica dei vostro messaggi!
Comunque, volevo solo dirvi che d'ora in poi la storia proseguirà senza altre interruzioni (spero).
E... Siete pronte per la grande notizia che vi avevo preannunciato?

 

 

 

 

 

Il prossimo anno vado in America, bei pive! Eh sì, non sto scherzando! 

Praticamente ho vinto una borsa di studio per andare negli Stati Uniti per un anno intero e quindi partirò questo agosto per tornare a giugno del prossimo anno (sono 10 mesi, in pratica).
Credetemi, è la realizzazione di un sogno! Non posso ancora crederci!

Ve l'ho detto non solo perchè volevo rendervi partecipi di questa mia fortuna, ma anche per spiegarvi ciò che questo comporterà.
Innanzitutto vi prometto che mi impegnerò al massimo per finire questo libro in tempo, anche a costo di scrivere ogni minuto della mia vita, perchè non voglio partire ad agosto senza aver almeno scritto l'ultimo capitolo di Maze Runner - Run.

Ma il problema si presenta con il quarto libro (Maze Runner - Live), perchè non so quanto tempo avrò in America per scrivere.

Il fatto è che non sono là per fare una vacanza, ma per studiare! Vivrò con una Host Family (una famiglia ospitante) e frequenterò una High School, quindi per me non sarà una passeggiata: dovrò studiare, aiutare in casa, ecc...
Perciò ho paura di dover sospendere la storia fino a quando tornerò in Italia.

Ripeto: quando parlo di storia intendo Maze Runner in generale, quando parlo di libro lo specifico. Mi raccomando non confondente o si rischiano delle incomprensioni.
Un altro problema è che avevo intenzione di scrivere un'altra storia (quando avrò tempo) là in America. Una sorta di diario di viaggio o forse racconterò ciò che mi succederà, romanzando un po' per fare il tutto più interessante.
Perciò la mia domanda è:

Preferite che io mi concentri su Maze Runner, scrivendo qualche pezzo quando ho tempo?

Preferite che io mi concentri sulla nuova storia, aggionandovi così di ciò che mi capita?

Ricordo, di nuovo, che non intendo abbandonare Maze Runner, quindi quando tornerò in Italia mi rimetterò a scrivere!
Cosa ne pensate?
Baci,

Inevitabilmente_Dea

Ps: questo capitolo non è revisionato!

 

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Capitolo 62
*** Capitolo 62. ***


"Mi fa piacere vedere che stai bene." disse poi Gally rivolgendosi a me con un sorriso sincero, che mi spaesò del tutto. Prima si comportava da testa di caspio e poi faceva il premuroso?
"Be' non si direbbe dal modo in cui ti comporti." replicai acida, incrociando le braccia al petto e traballando su me stessa per colpa dell'ennesimo vuoto d'aria.
"Stai parlando di prima?" domandò il ragazzo, con uno sguardo divertito. Avrei pensato che avrebbe reagito in tutti i modi, magari provando rabbia, magari provando sconforto, ma mai divertimento. "Oh, andiamo... Pensavo che mi conoscessi meglio."
"Come scusa?" domandai ferita. Io conoscevo Gally, meglio di chiunque altro. Era stato il mio migliore amico nella Radura, ma a quanto pare lui non ricambiava più quell'affetto. Non era nemmeno stato capace di ricambiare un semplice abbraccio. "Sei tu quello bipolare! Prima fai lo schivo e ora ti comporti come se nulla fosse mai successo."
"Già odio i vostri litigi. Facevate sempre così nella Radura? No, perchè se la risposta è sì allora sono contento di essermene andato prima che accadesse." intervenne Stephen, urtando la mia pazienza e calma.
Mi voltai di scatto verso il ragazzo, lanciandogli un'occhiataccia e alzando un sopracciglio come a sfidarlo a parlare di nuovo. Quello di cui stavo discutendo con Gally era una cosa importante e a me non piaceva essere interrotta.
"Stai zitto." ordinammo sia io che Gally allo stesso momento, senza nemmeno volerlo.
Stephen ci guardò confuso e sentii Gally ridacchiare per quella coincidenza. Mi voltai nuovamente verso il ragazzo, lanciandogli un'occhiata di rimprovero.
"Eli, era tutta una recita." mi rassicurò Gally, tornando serio. "Vince non vuole che..."
"Chi è Vince?" si intromise nuovamente Stephen.
"Stattene zitto!" gridammo io e Gally, nuovamente insieme.
"Dicevo: Vince crede che voi possiate essere una distrazione per me." borbottò Gally e proprio quando fu sul punto di dire un'altra frase si bloccò, mordendosi il labbro e arrossendo imbarazzato. Dopo un attimo di pausa, forse leggendo il mio sguardo esigente, capì di dover continuare la frase. "Soprattutto tu." mormorò indicandomi con un cenno del mento. "Pensa che tu mi possa distogliere dai miei compiti."
"Cosa diamine centro io in tutto questo?" domandai confusa. "Come fa Vince a conoscermi?"
"Non ti conosce." replicò svelto Gally. "Thomas quando è arrivato al quartier generale ha parlato di tutti voi e quando Vince ha sentito il tuo nome ha capito chi eri."
Mi morsi il labbro, costretta a scegliere tra le due domande che più mi premevano nella mente.
Come sta Thomas?
Quindi hai parlato a Vince di me?
"Come sta Thomas?" domandai infine, facendo un sospiro e abbandonando le mie curiosità per avere delle risposte a domande più importanti.
"Quell'idiota se la saprà cavare." mormorò Gally abbozzando un sorriso, segno che tutto l'odio tra i due ragazzi era cessato nettamente.
La sua reazione così spensierata mi sorprese, riempendomi anche di sollievo. Questo però, durò ben poco, perchè presto elaborai le sue parole e sgranai gli occhi. "Cosa intendi dire con 'se la saprà cavare'?"
Gally impallidì all'istante, come se si fosse appena accorto di aver detto la cosa sbagliata. Il suo volto si fece scuro all'improvviso e il ragazzo tornò serio come prima, acquistando nuovamente rigidità.
"Fareste meglio ad aggrapparvi a qualcosa. Stiamo per atterrare." ordinò prima di aggrovigliare il pezzo di stoffa bianco ad una specie di tubo sul soffitto dell'elicottero ed utilizzare quello come appiglio.


 

L'elicottero era atterrato velocemente e dopo averci lasciato davanti ad un garage, si rialzó in volo, tornando nella direzione da cui eravamo arrivati. Rimasi in silenzio mentre Gally ci conduceva dentro il garage, poi su per due rampe discale di metallo usurate, attraverso una porta di legno malconcia, giù per un corridoio sporco con una sola lampadina e della carta da parati che si staccava dai muri, e finalmente in un grosso spazio che cinquant'anni prima avrebbe potuto essere una bella sala conferenze. Adesso le uniche cose rimaste erano un grande tavolo segnato dalle crepe e delle sedie in plastica disposte a caso nella stanza.
In fondo al tavolo era seduta una sola persona: un uomo enorme, più grasso che muscoli, il girovita a malapena contenuto dai braccioli della sedia di plastica bianca su cui era seduto. "Questo è il quartier generale del Braccio Destro?" chiese Stephen deluso. "Mi sento un po' scoraggiato." 
L'uomo non rispose e Stephen venne decisamente ignorato mentre Gally si avvicinava al tavolo e sussurrava qualcosa all'uomo.
"Bene." mormorò l'uomo annuendo sollevato. Aveva una con voce profonda, tonante. "Portali nel Salone."
Gally annuì deciso, impegnandosi a non mostrare alcun tipo di emozione all'infuori della severità e della rigidità. Ci rivolse un solo sguardo, privo di significato, e ci fece cenno di seguirlo.
Attraversammo un lungo corridoio tappezzato da diverse porte mal ridotte, dopo qualche minuto il ragazzo svoltò verso sinistra, iniziando a percorrere velocemente delle scalinate in metallo.
Non appena toccammo nuovamente il pavimento, Gally fece due o tre passi per poi aprire una porta bianca ed entrare dentro una stanza.
Lo seguimmo curiosi di vedere questo Salone e non mi sorpresi quando, entrando anche io dalla porta, vidi che quella non era altro che una stanza grande e spaziosa, piena di sedie, divani rotti o sporchi e qualche tavolo qua e là. Sul soffitto erano presenti tante lampade a neon, ma solo un quarto di esse era funzionante, mentre le restanti erano spente oppure che si accendevano a intermittenza, dando a quella stanza una sfumatura ancora più spaventosa di quanto fosse l'igiene in quella stanza. Il pavimento era cosparso di cartacce, orme e pezzetti di terriccio o di sabbia, grumi di polvere e grossi sacchetti neri traboccanti di spazzatura.
Solo dopo aver notato tutta la sporcizia e lo stato pessimo della stanza, mi resi conto di essere rimasta indietro rispetto al gruppo che, continuando a seguire Gally, aveva raggiunto il centro della stanza. Mi aspettai che tutte le persone presenti nella stanza avessero puntato l'attenzione sui miei amici che probabilmente erano stati etichettati come nuovi arrivati, ma non appena feci scivolare lo sguardo su qualche uomo, mi accorsi che in realtà molti occhi erano incollati su di me.
Gally se ne accorse quasi subito e, mentre valutavo se quegli sguardi fossero dovuti al fatto che me ne stavo immobile e separata dagli altri o al fatto che Gally avesse parlato a tutti di me, non solo a Vince, il ragazzo si affrettò a raggiungermi, abbandonando così i miei amici.
"Puoi venire un secondo? Devo parlarti." domandò il ragazzo portando una mano sulla mia schiena e spingendomi delicatamente verso la porta.
"Certo." mormorai seguendolo titubante. Prima di voltarmi e camminare verso l'uscita osservai il ragazzo, trovandolo intendo a lanciare occhiate di fuoco agli uomini che, dopo aver incontrato il suo sguardo, distolsero l'attenzione da me.
Il ragazzo mi condusse con lui fuori dalla stanza e richiuse la porta dietro di sè, per poi rivolgermi la sua totale attenzione.
"Quello che ti dirò deve assolutamente rimanere tra di noi, chiaro?" mormorò il ragazzo, parlando a bassa voce e guardandosi attorno con il timore che qualcuno fosse lì per ascoltarlo.
Annuii per rassicurarlo e mi avvicinai di più, in modo da riuscire a comprendere ogni sua parola.
"Quello che mi hai chiesto oggi nell'elicottero, la domanda riguardante Thomas... Ecco, non dovrei dirtelo, ma credo che tu debba saperlo." bisbigliò il ragazzo appoggiando una mano sulla mia spalla e causando in me non poca preoccupazione.
Perchè avevo una pessima sensazione?
Thomas si è ferito, vero? Pensai mordendomi il labbro. Oppure è morto.
"Parla dannazione, mi sto preoccupando." ammisi, lanciando uno sguardo supplichevole a Gally.
"Ha voluto tornare alla W.I.C.K.E.D. E' stata una sua decisione." rivelò il ragazzo.
"Cosa?" dissi ad alta voce, causando subito nel ragazzo una reazione allarmata. "Come avete potuto lasciar..." Gally non mi fece finire la frase e si sporse in avanti, tappandomi la bocca con la sua mano e spiaccicandomi contro il muro per poi guardarsi attorno.
Continuai a parlare, cosciente del fatto che il ragazzo non avrebbe comunque colto le mie parole.
Ciò che Thomas aveva fatto era molto peggio del morire. Perchè mai avrebbe dovuto fare una scelta così stupida? Facevo bene a non fidarmi a lasciarlo andare via con Brenda. Ero sicura che fosse stata quest'ultima a spingerlo tra le braccia del diavolo.
"Smetti di parlare e fammi finire, caspio." mi ordinò Gally lanciandomi uno sguardo di rimprovero e senza distaccarsi da me.
Con la sua mano premuta ancora sulle mie labbra non potei fare altro che tacere e aprire bene le orecchie, nella speranza di ricevere notizie migliori.
"Tutto questo, la conversazione, le informazioni... Eli, devo essere sicuro che non dirai mai nulla. Se ti scappasse qualcosa, Vince mi..."
Annuii, incapace di fare altro, e appoggiai una mano sulla sua spalla come a rassicurarlo.
"Quello che Vince sta attuando è un'operazione sosia: stiamo raccogliendo immuni per copiare la W.I.C.K.E.D., ma al contrario di questa, noi li useremo come alleatai e ci apriranno la strada nel quartier generale della W.I.C.K.E.D." spiegò Gally guardandosi attorno di tanto in tanto. "Vince è riuscito a stringere un contatto con qualche membro all'interno della W.I.C.K.E.D., qualche vecchia conoscenza di cui si fida e che è rimasta dentro quell'organizzazione solo per fare da spia." continuò poi il ragazzo. "Teresa era una di quelle, ma è stata impiegata per fare uscire alcuni di voi dalla W.I.C.K.E.D. Abbiamo altri uomini, intelligenti e pronti perfino a morire per questa causa. Ci apriranno le porte, ma poi dovremmo entrare in gioco noi."
Presi la mano di Gally e la abbassai lentamente, iniziando a sussurrare. "Cosa centra questo con Thomas? Lo avete mandato alla W.I.C.K.E.D. per fare da spia? E se la W.I.C.K.E.D. lo capisse e lo eliminasse? Non avete pensato a questo, vero?"
"Certo che ci abbiamo pensato." mi corresse Gally, assumendo un tono quasi ferito. "Noi non siamo la W.I.C.K.E.D., Eli: siamo il Braccio Destro. La maggiore differenza tra noi e loro è che a noi importa della razza umana e che, se per salvare l'umanità dobbiamo sacrificare qualche vita, ci pensiamo più volte e cerchiamo di trovare altre soluzioni che non comportino la morte di innocenti." spiegò il ragazzo. "Thomas per la W.I.C.K.E.D. è fondamentale. E' il tassello mancante per terminare il loro folle e impossibile piano di sviluppare la Cianografia Finale e terminare la Cura."
"Credi che la troveranno?" domandai.
"Se lo credessi non sarei qui a discutere con te dei piani su come distruggere la W.I.C.K.E.D., no?"
"Hai ragione, domanda stupida." ammisi sentendomi in imbarazzo. "Continua pure."
"Noi del Braccio Destro non siamo in molti. Abbiamo iniziato a incontrarci e mettere insieme le forze qualche anno fa. Allora eravamo più di mille, ma gli unici rimasti fino ad ora sono pochi, qualche centinaia, forse." spiegò Gally. "Ma anche se i numeri non sono dalla nostra parte, abbiamo un asso nella manica."
"Se mi dici che avete un sacco di armi potenti e sofisticate con cui annientare quei bastardi, allora giuro che impererò ad usare anche quella più complicata." mormorai, ripensando al commento poco educato di Stephen riguardante la mia incapacità nel tenere in mano un lanciagranate.
"No, Eli. Ammiro la tua determinazione, ma ti assicuro che è qualcosa infinitamente meglio delle armi." borbottò con un sorriso sulle labbra, guardandosi attorno per un'ultima volta. "Noi abbiamo un modo per assicurarci che nessuno possa usare le armi."
"Senza armi?" domandai confusa, sgranando gli occhi. "Come pensate di combattere senza armi? Ma soprattutto, come pensate di fare per sottrarre tutti gli armamenti della W.I.C.K.E.D.?"
"Okay, ora cerca di seguirmi attentamente." anticipò il ragazzo, con una scintilla di piacere negli occhi, come se avesse atteso tutta la vita per spiegarmi quel piano.
Annuii curiosa e focalizzai tutta la mia attenzione sulle sue parole.
"Bene così. Pensa al Braccio Destro, okay?" disse Gally. "Queste persone," mormorò indicando la porta bianca vicino a noi.  "non sono soldati. Sono ragionieri, custodi, idraulici, insegnanti. La W.I.C.K.E.D. in pratica ha il suo piccolo esercito, addestrato peró con gli armamenti più costosi e sofisticati. Anche se potessimo trovare la più grande scorta di lanciagranate e di tutto il resto che usano, saremmo ancora in netto svantaggio."
"Ed è per questo che avete pensato di togliere dalle loro mani l'unica sicurezza di difesa e attacco che hanno, giusto?" mormorai, facendo capire a Gally che avevo compreso e che poteva continuare con la spiegazione.
"Esattamente, piccola."
"Ma come pensate di fare?"
A questa domanda, Gally si illuminò come un bambino emozionato. "Non si tratta di quante persone puoi reclutare per la tua causa, ma di chi. Tra tutti quelli che il Braccio Destro ha coinvolto, una donna è la chiave."
"Chi?" domandai curiosa. 
"Si chiama Charlotte Chiswell. Era l'ingegnere capo per il più grande produttore di armi del mondo. Almeno per gli armamenti avanzati che usano tecnologia di seconda generazione. Ogni pistola, lanciagranate, granata − quello che vuoi − usato dalla W.I.C.K.E.D. arriva da lì, e per funzionare si avvalgono tutti di sistemi elettronici e computerizzati avanzati. E Charlotte ha trovato un modo per rendere le loro armi inutilizzabili."
"Veramente?" domandai stupita. "Cos'è? Una sorta di chip da inserire nell'arma? Un qualcosa che neutralizza o assorbe l'energia?"
Gally annuì. "Tutte le armi che usano hanno un chip in comune, e lei ha passato diversi mesi a cercare un modo per riprogrammare quegli affari a distanza, per bloccarli. Finalmente c'è riuscita. Dopo che l'avrà avviato ci vorranno poche ore, e perché possa funzionare un piccolo dispositivo dovrà essere posizionato all'interno dell'edificio."
"Ed è per questo che avete lasciato andare Thomas, giusto?" mormorai, ancora più preoccupata di prima. "Si é offerto lui e voi non lo avete fermato."
"Esattamente. Ed è anche per questo che siamo sicuri che la W.I.C.K.E.D. non farà nulla di male a Thomas. Anche se dovesse sospettare qualcosa riguardo alla sua improvvisa collaborazione, non potrebbe fare nulla. A loro serve Thomas più di ogni altra cosa, e gli serve vivo."
"Ma una volta che Thomas avrà attivato il dispositivo e una volta che le vostre spie vi avranno aperto le porte, come pensate di procedere? Voglio dire, nemmeno voi avrete le armi, certo, ma come pensate di combattere?"
"Le guardie e il servizio di sicurezza della W.I.C.K.E.D. vengono talmente addestrati a usare quelle armi che ormai fanno parte di loro, ne sono certo. Ma scommetto che trascurano il combattimento corpo a corpo. La lotta vera. L'allenamento con coltelli, mazze e badili, bastoni e sassi, e pugni." fece un sorrisetto malizioso. "Sarà una rissa vecchio stile. E credo che potremmo batterli. Se non facessimo così, se potessero usare le loro armi, verremmo distrutti prima ancora di cominciare."
Annuii convinta e determinata. "E' un piano ottimo, senza una piega." mi complimentai. "Mi servirà un arco e delle frecce. Puoi procurarmeli?"
"Certo che posso, ma non è abbastanza." spiegò il ragazzo, confondendomi. "L'arco è un arma che deve essere utilizzata a distanza, ma come pensi di proteggerti quando ti ritroverai di fronte qualcuno? Non avrai nè il tempo nè la possibilità di incoccare una freccia."
Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo. "Non ho intenzione di rimanermene qui senza fare nulla. Non ti lascerò andare a combattere da solo. Nè te nè i miei amici."
Avevo già perso Newt perché al posto di stargli vicino, ero andata con i miei amici a Denver. Non avevo intenzione di farmi da parte questa volta. Non me ne sarei rimasta con le mani in mano, mentre gli altri combattevano per una causa che riguardava anche me.
"Non ti ho chiesto di farlo, infatti." borbottò il ragazzo, negli occhi una scintilla di divertimento. "Sei la persona di cui mi fido di più e so che le mie spalle saranno ben protette se avrai in mano arco e frecce. Non hai mai sbagliato un tiro ed è per questo che se devo scegliere qualcuno con cui combattere fianco a fianco, allora quel qualcuno saresti sicuramente tu." mi rassicurò Gally. "Ma devo anche essere sicuro che anche tu saprai come difendere te stessa in caso di attacchi ravvicinati."
Il ragazzo smise per un secondo di parlare, poi, con un sorrisetto divertito sul volto, pronunciò un'ultima frase. "Ti insegnerò a combattere corpo a corpo."

*Angolo scrittrice*
Hey pive!
Scusate il ritardo, ma in questi giorni sono stata sommersa da moduli da compilare, firmare, fogli su fogli da leggere e altre cose burocratiche di cui non mi intendo.
Non avrei mai pensato che i preparativi per un viaggio studio fossero così tanti e complicati.
In ogni caso spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Un bacione,

Elena ♥ 

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Capitolo 63
*** Capitolo 63. ***


"Tu sai combattere?" domandai stupita. "Quando hai imparato? L'ultima volta che ho combattuto contro di te nella Radura hai perso."
Gally mi rivolse un sorriso sghembo, poi si allontanó leggermente. "Da quando sono entrato nel Braccio Destro non ho avuto molto da fare. Dovevo pur trovare qualcosa con cui riempire il mio tempo, no? Vince mi ha dato qualche dritta, ma per lo piú ho fatto da solo." spiegó tranquillamente. "E poi quella volta nella Radura ti ho lasciato vincere." sbuffò poi, con un tono quasi offeso.
"Giusto... Qualcosa mi dice che te la sei legata al dito." borbottai sorridendo leggermente. "Quando iniziamo?"
"Anche ora se vuoi." 

 

Gally mi aveva condotto lungo una serie di corridoi e scale, ma alla fine eravamo arrivati in un luogo abbastanza appartato rispetto al resto delle stanze maggiormente utilizzate. Il ragazzo si sporse in avanti e allungò la mano verso la maniglia di una porta, spalancandola e rivelando solo delle ombre nere. Gally mosse velocemente il braccio verso la parete destra e con le dita toccò qualche interruttere, che subito fece accendere tutte le luci nella stanza con un soffice ronzio. La stanza si rivelò molto più ampia di come me l'ero immaginata, ma d'altronde pensai che fosse normale la sua grandezza, dato che per allenarsi a Gally necessitava uno spazio così vasto e sgombro. Infatti, questa volta la stanza era vuota di ogni tipo di arrendamento e più pulita del Salone. Forse proprio per il fatto che nessuno l'avesse quasi mai utilizzata aveva comportato l'assenza di cartacce e altre tracce di oggetti utilizzati, anche se il pavimento aveva raccolto la sua bella collezione di polvere.
Gally si mosse con sicurezza verso l'interno della porta e con noncuranza si tolse di dosso la felpa, lanciandola su una sedia in plastica che prima non avevo notato, e rimanendo così solo con una maglia a maniche corte.
"Pronta?" domandò il ragazzo, correndo a chiudere la porta e subito dopo tornando al centro della stanza. Gally saltellò su se stesso, mettendomi un forte senso d'ansia e allo stesso tempo di nostalgia. I suoi movimenti mi ricordavano troppo della mia prima notte nella Radura, quando i Radurai avevano organizzato una festa in mio onore. Credo che il primo passo per conquistare i Radurai fosse stato proprio il fatto di aver battuto Gally dentro il cerchio con una mossa così semplice e allo stesso tempo intelligente. Da lì la strada per stringere amicizia con i Radurai si era rivelata sempre più semplice, a parte i soliti problemi con quelle due o tre teste di caspio.
"Pronta a fare cosa, scusa?" ribattei facendo un passo indietro e incrociando le braccia al petto.
"Combattere ovviamente." spiegò Gally come se fosse la cosa più ovvia. 
"Ma tu devi insegnarmi. Io sono qui per imparare a combattere, non per combattere e morire subito." ribattei preoccupata. Veramente voleva che combattessi contro lui senza nemmeno sapere da dove partire e cosa fare?
Se era vero che Gally aveva avuto tutto quel tempo per allenarsi, dubitavo che la mia resistenza avrebbe superato i cinque secondi.
"Per insegnarti devo prima capire a che livello sei, quali sono i tuoi punti deboli e quali quelli forti, come ti muovi e la prontezza dei tuoi riflessi. Devo capire cosa devo migliorare in te, e cosa devo invece potenziare o soffocare del tutto." spiegò il ragazzo facendo un passo verso di me. "Non avrai mica fifa, vero?"
"Io fifa? Di te?" sbuffai sgranando gli occhi. "Mai."
"E allora dimostralo. Fatti avanti, pivella." propose il ragazzo, lanciandomi uno sguardo pieno di desiderio e fierezza. 
Inghiottii il groppo di saliva che si era venuto a creare e, mettendo da parte l'insicurezza e la preoccupazione di non essere capace, mi concentrai al massimo, cercando di focalizzarmi su tutte quelle volte in cui ero stata capace di affrontare un nemico.
Non poteva essere poi così diverso, giusto?
Ripensai ai movimenti che avevo attuato nel primo combattimento nella Radura, ben consapevole però, che Gally non sarebbe caduto due volte nello stesso tranello.
Gally é forte, ma non veloce. Sfrutta questa cosa a tuo favore nel combattimento. Risentii le parole di Newt nella mia testa e ciò mi creò un senso di stordimento e improvviso dolore. Ricordare di un periodo così lontano, ma allo stesso tempo vivido come fosse ieri era distruttivo se mischiato alla consapevolezza che non avrei più potuto costruire ricordi così belli e significativi con Newt.
La mia mente entró in uno stato di trans momentanea e mentre sentivo il tocco di Newt scivolare via dal mio viso e la sua mano abbandonare la mia, una tristezza incontenibile mi avvolse il petto.
"Ehi, cos'era quello?" sentii Gally chiedere, la sua voce distante come se fossimo divisi da un vetro infrangibile. "Stai bene?"
Chiusi gli occhi, sperando di riuscire a soffocare il dolore che quel ricordo aveva causato e allo stesso tempo nascondere la mia tristezza. Presi un profondo respiro e poi, quando sentii la mano di Gally sulla mia spalla, spalancai nuovamente gli occhi, fuggendo però il suo sguardo.
"Benissimo." pronunciai quasi sottovoce. "La polvere che c'è in questa stanza mi da solo un po' fastidio." mormorai sfregandomi il volto e sperando che l'intorpidimento se ne andasse con il ricordo.
"Sicura?" domandò Gally scettico. "Se vuoi possiamo anche rimandare l'allena..."
"No." ribattei, forse troppo dura. "Sono pronta, cominciamo."
Gally mi rivolse uno sguardo preoccupato e non sembrò affatto convinto dalle mie parole. Lentamente un'ombra scura coprì la gioia nei suoi occhi e vidi morire quella scintilla di fierezza e desiderio che prima erano tanto visibili nel suo sguardo. Forse aveva capito cosa mi era successo e forse era consapevole di non poter far nulla per aiutarmi, se non evitare quell'argomento per il resto dell'eternità. Sapevo che in quel caso, parlarne avrebbe solo peggiorato le cose. Avevo solo bisogno di un silenzio rilassante che speravo con il tempo si sarebbe posato sull'argomento 'Newt', rendendolo sempre meno dolorante.
Chissà se Gally sapeva cosa era successo a Newt. Di certo io non glielo avevo detto, ma forse era stato abbastanza intelligente da dedurlo da solo. Speravo solo che continuasse a fare scelte sagge e a non chiedermi nulla in merito a ciò che era successo, dato che già sapevo che non avrei saputo dare alcuna spiegazione senza prima scoppiare a piangere.
"Come vuoi tu." borbottò Gally con un tono più dolce, allontanandosi da me di poco. "Okay, la prima cosa che devi fare è..."
Non gli feci nemmeno finire la frase che mi abbassai di scatto, muovendo veloce la gamba verso i suoi piedi e calciando forte su di essi. Gally, forse colto alla sprovvista, forse troppo preso a parlare per difendersi, perse l'equilibrio e cadde a terra con un tonfo, portando un braccio a terra per attutire la caduta, ma sbattendo comunque il fianco.
"Woh... Questo è giocare sporco, pivella." borbottò lui, mezzo ridacchiando mezzo tossicchiando per la botta appena ricevuta.
"Hai detto che dovevi testare come mi muovevo prima di iniziare a spiegarmi ogni tecnica, no?" ribattei rialzandomi in piedi e cercando di sembrare divertita. In realtà, quella mia mossa improvvisa non era stata completamente il frutto di un'azione programmata, ma piuttosto la conseguenza della rabbia e della frustrazione che avevo accumulato in quei giorni. Avevo pensato di aver sfogato tutte quelle emozioni negative quando avevo pianto sulla spalla di Violet, ma a quanto pareva per me non era mai abbastanza. Era come se fossi sotto una maledizione, come se senza Newt non potessi essere felice. Se in qualche modo riuscivo a creare una bella sensazione di spensieratezza e quiete, subito accadeva qualcosa di brutto oppure un ricordo dei bei vecchi tempi veniva a trovarmi, distruggendomi più del dovuto. Ero stanca di essere così debole, sempre alla mercè delle mie emozioni e incapace di gestirle.
Proprio quando mi accorsi di essermi lasciata sopraffare dai pensieri, vidi una sagoma muoversi veloce davanti a me. Fortunatamente i miei riflessi furono abbastanza pronti e attivi da portarmi a scattare verso destra.
Evitai per miracolo il pugno di Gally e subito gli lanciai un'occhiataccia. "Ehi! Ma tu mi vuoi uccidere!" quasi gridai.
Gally ridacchiò tra sè e sè e fece spallucce, visibilmente divertito dalla mia faccia sorpresa.
"Se proprio la vuoi mettere così..." borbottai mettendomi nuovamente in posizione d'attacco.
Questa volta pensai attentamente alla mossa da fare: mi sentivo in colpa a colpirlo forte, ma allo stesso tempo sentivo la rabbia accrescere in me e − anche se non era colpa di Gally − sapevo che non sarei riuscita a controllarla a lungo e che ben presto l'avrei riversata su di lui.
Presi un profondo respiro e mi mossi in avanti velocemente, allungando con tutta la forza che avevo il mio pugno destro. Pensai veramente di riuscire a colpirlo e quando capii che forse avevo esagerato con la forza, mi sentii in colpa. Ma nulla di quello che avevo pensato accadde, infatti Gally, con noncuranza, come se facesse quella mossa tutti i giorni, schivó il mio gancio e mi afferrò il polso, tirandomi verso di lui e facendomi praticamente sbilanciare all'avanti.
Pensai di dovermi preparare ad attutire l'impatto con il pavimento, ma non ce ne fu bisogno, dato che in meno di un secondo mi ritrovai tra le braccia di Gally che, con una mano sulla mia schiena e una sul mio polso, non intendeva lasciarmi via di scampo.
"Troppo lenta e poco stabile." commentò il ragazzo, abbassando il volto in mia direzione e sorridendomi come a confermare ciò che già sapeva.
Sbuffai dal naso e con uno spintone mi distaccai dal ragazzo che, invece di mettersi in guardia, ridacchiò divertito nel vedermi così impegnata in qualcosa di cui non ero nemmeno capace.
Strinsi la mascella, decisa a dimostrargli che sapevo fare meglio di così. Senza attendere troppo come avevo fatto per il colpo precedente, mi lanciai all'attacco, questa volta provando con un calcio. Non appena la mia gamba raggiunse il suo fianco − tra l'altro facendomi male anche da sola −, Gally me la bloccò, senza nemmeno smuoversi di un millimetro. Tirai la gamba all'avanti e all'indietro, ma la presa del ragazzo era talmente salda che dovetti presto rinunciare. Lanciandomi un'occhiatina divertita, Gally mi girò la gamba, obbligandomi a saltellare per voltarmi e non farmi male. Nonostante io fossi di spalle riuscivo a percepire il suo ghigno su di me.
Decisa a non dargliela vinta, tirai la gamba verso di me il più possibile e quando sentii Gally tirare verso di sè per riportarla alla posizione iniziale, decisi di accompagnare il suo movimento lanciandogli un calcio verso l'addome. Finalmente il mio calcio, sebbene combinato alla forza che il ragazzo aveva impegnato per attirarlo verso di sè, fece il suo effetto e Gally fu costretto a lasciarmi per arretrare e non perdere l'equilibrio.
Senza perdere quell'occasione d'oro mi voltai di scatto e corsi verso il ragazzo, saltandogli addosso e cogliendolo alla sprovvista. Gli buttai le braccia al collo e, attorcigliando le mie gambe al suo busto, impiegai tutta la mia forza per buttarlo a terra, sperando che quell'impatto lo facesse almeno traballare.
Fortunatamente per me, al momento dell'impatto il ragazzo era ancora piegato in due per il calcio e perciò fu semplice per me fargli perdere l'equilibrio, dato che, non riuscendo a gestire anche il mio peso all'improvviso, ben presto si ritrovò con il sedere per terra.
"Ora ti arrendi?" borbottai soddisfatta, concedendomi un sorriso sollevato.
"Mi hai battuto, non c'è che dire." rispose Gally drizzando la schiena e sembrando due volte più alto di me perfino da seduto.
"Hai altro da contestare riguardo i miei movimenti?" chiesi curiosa, come a sfidarlo a commentare ancora le mie mosse. "Prima che tu risponda: ti ricordo che le mie braccia sono ancora attaccate al tuo collo e perciò potrei spezzartelo senza volerlo." sorrisi, rivolgendo uno sguardo a Gally, che tuttavia non sembrava prestare minimamente attenzione alle mie parole. Forse gli stavo pesando? Dopotutto ero praticamente seduta su di lui, perciò non dovevo essere proprio una piuma. "Sai, sono cose che possono accadere quando si insulta il modo di combattere di una..."
Non feci in tempo a finire la frase che sentii le labbra di Gally appoggiarsi sulle mie. Spalancai gli occhi e sentii le mie guance prendere fuoco quando le sue mani scivolarono dietro la mia nuca, e mentre le sue dita si intrufolavano tra i miei capelli, i suoi palmi mi spingevano a lui.
Percepii il mio cuore mancare di un battito e poi riprendere a pompare ancora più forte e veloce di prima. Sbattei più volte le palpebre e solo quando percepii la lingua di Gally tra le mie labbra rielaborai ciò che era successo ed uscii dal mio stato di trans momentanea.
Non avevo nemmeno realizzato ciò che il ragazzo aveva fatto, o meglio, il mio corpo si era subito acceso al suo tocco, ma la mia mente era rimasta intorpidita dallo stordimento.
Le mie mani abbandonarono velocemente la nuca del ragazzo e si posero tremanti sul suo petto, premendo per discostarlo. Gally fece appena in tempo a rubarmi un ultimo bacio prima di allontanare il suo volto dal mio.
I suoi occhi si puntarono veloci su di me e per un attimo li vidi colmi di pace e serenità, come se quel bacio fosse stato per lui un respiro tra mille problemi, mentre l'attimo dopo tali emozioni vennero offuscate dalla consapevolezza. Mi stava guardando con un'espressione talmente incredula che sembrava che nemmeno lui si fosse reso conto di ciò che ero successo fino a quell'istante.
Senza che lo ordinassi al mio corpo sentii il mio braccio muoversi e le mie dita si appoggiarsi sulle mie labbra. Non sapevo se quel gesto mi fosse venuto spontaneo per la sorpresa o per il fatto che quel bacio mi aveva colto talmente alla sprovvista che mi sentivo in colpa per non aver reagito prima. Non potevo più rimediare a ciò che era successo. Mi sentivo come se avessi appena tradito Newt. Anzi, era una sensazione peggiore del tradimento, come se avessi colto la sua assenza come un'occasione per dimenticarlo.
Come avevo potuto acconsentire ad una cosa del genere?
Come aveva potuto Gally credere di poter approfittare dell'assenza di Newt per provarci con me?
Per evitare di ripetere quell'enorme sbaglio mi alzai immediatamente da sopra il ragazzo, causando in lui una risposta veloce, come se fosse stato il mio distacco a toglierlo dal suo stordimento. Infatti vidi la bocca del ragazzo muoversi a pronunciare qualche parola che però non riuscii a sentire.
Mi mossi veloce verso l'uscita e, senza mai guardarmi indietro, uscii dalla porta e mi misi a percorrere il primo corridoio che trovai.
Continuai a camminare per diversi minuti, senza mai sapere in quale direzione stessi andando. La mia testa era ancora troppo concentrata sul bacio per pensare ad altro. La cosa che però mi aveva spiazzata più di ogni altra era stata il modo in cui avevo reagito. Lì per lì non me ne ero accorta, ma ero consapevole di aver provato una sensazione precisa e di non poterla ignorare.
Quando le labbra di Gally erano entrate in contatto con le mie avrei dovuto capire subito che era sbagliato e che sarei dovuta andarmene subito.
E allora perchè avevo esitato?
Avevo trattenuto il respiro e per un attimo mi ero sentita veramente leggera, come se tutte le mie preoccupazioni fossero svanite nel nulla. Era una sensazione strana, non di piacere, ma allo stesso tempo nemmeno di disgusto o fastidio. 
Aver ricevuto un bacio da qualcuno che fosse Newt era così strano e allo stesso tempo sbagliato. E allora perchè non ero riuscita a trovare le forze per distaccarmi? 
Per quanto odiassi ammetterlo, sapevo già la risposta.
Fino a quel momento non mi ero mai accorta di quanto mi mancasse essere baciata, ma non un bacio indifferente, statico: mi mancavano quei baci passionali e pieni di sentimenti che solo Newt sapeva regalarmi; mi mancava percepire il modo in cui il mio corpo reagiva ogni volta che veniva sfiorato da lui, quella sensazione di fuoco mista a leggerezza e calma interiore, come se potessi volare ma allo stesso tempo sprofondare tra le sue labbra; mi mancava sentirlo talmente vicino da poter condividere la stessa aria; mi mancava il suo buon odore e il modo in cui mugugnava ogni volta che giocavo con i suoi capelli.
E invece ricevere quel bacio da Gally era stata come una boccata d'aria fresca. Il mio cervello era stato nuovamente capace di trarmi in inganno e questa volta aveva perfino cercato di cancellare ciò che aveva fatto.
Ero riuscita a scambiare Gally per Newt e la cosa non mi piaceva.
Sentivo veramente così tanto il bisogno di averlo accanto da proiettare la sua immagine su altri?
Forse era proprio per questo motivo che avevo percepito quella soddisfacente sensazione che provavo solo quando ero vicino a Newt. Una sensazione sublime, come se all'improvviso fossi completa e non desiderassi altro che stare con lui.
E la cosa che mi faceva stare ancora più male, era il fatto che Gally continuasse a provare dei sentimenti per me, mentre io, da egoista, non riuscivo a distaccarmi da una persona che ormai avevo perso, ma che continuavo comunque ad amare nel ricordo.
Forse era proprio questo il mio unico rimpianto: non essere stata capace di vivere ogni momento con Newt fino in fondo, a volte dando persino per scontato ciò che c'era tra di noi.
Avrei dovuto apprezzare di più ogni singolo istante ed imprimerlo nella mia mente come fosse l'ultimo.
Forse avrei dovuto imparare ad amare ciò che avevo, prima che la vita mi insegnasse ad amare ciò che avevo perso.

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Capitolo 64
*** Capitolo 64. ***


Stavo ormai camminando senza meta da minuti quando, senza neanche sapere come avessi fatto ad arrivarci, mi ritrovai davanti la porta del Salone.
Esitai un poco davanti alla maniglia, indecisa se incrociare nuovamente le braccia e tornarmene a passeggiare oppure entrare e riunirmi ai miei amici.
Solo nel momento in cui sentii una grassa risata provenire al di là della porta, mi decisi ad aprire quest'ultima e ad entrare. Dopotutto ero sicura che passare un po' di tempo in allegria con i miei amici prima che il piano contro la W.I.C.K.E.D. venisse attivato non era poi una cattiva idea.
Chiusi la porta alle mie spalle e questa volta, a differenza della prima, nessuno mi degnò di uno sguardo. Solo una persona si era girata e aveva puntato lo sguardo su di me: Stephen.
Il ragazzo era seduto su una poltrona mal conciata, completando la cerchia che si era venuta a formare tra i miei amici. Minho, seduto a terra, stava raccontato qualcosa probabilmente di divertente perchè dallo sguardo degli altri potevo leggere allegria e gioia, al contrario di Violet che, presa dall'amore sfrenato per il Velocista, non riusciva a distaccare gli occhi dalle sue labbra perdendosi così ogni parola che usciva da queste.
Solo Hailie sembrava non trovare divertente l'aneddoto che l'asiatico stava narrando, dato che il suo volto era corrucciato in un'espressione annoiata. La bambina ben presto si stancò di prestare attenzione al Velocista e prese a saltellare attorno a Teresa, alzando le braccia in aria ed emettendo suoni e parola senza alcun senso apparente.
Stephen catturò nuovamente la mia attenzione quando, alzandosi dalla poltrona, si mosse in mia direzione. Decisi di muovermi anche io per non rimanere immobile nel punto in cui ero e ben presto io e il ragazzo ci riunimmo.
"Dove eri finita?" domandò lui come prima cosa, analizzandomi come se già cercasse di trovare una risposta da sè.
"Ciao anche a te." ribattei, cercando di sviare quella domanda.
"Eri con Gally?" continuò lui, come se non avesse nemmeno sentito ciò che gli avevo appena detto.
Sospirai e incrociai le braccia al petto. "Sì, ero con lui."
Pensai che a quella mia risposta Stephen avrebbe dato di matto, ripetendomi quale persona immatura e superficiale fosse Gally, ma al contrario il ragazzo reagì in modo totalmente diverso. Il suo volto rimase impassibile, come se non avesse nemmeno sentito quel nome, e il suo corpo non si irrigidì per niente. Sembrava quasi che non gli importasse di quell'informazione.
O forse la risposta che gli avevo dato non era ciò a cui voleva arrivare? Forse voleva che gli dicessi altro? 
Rimasi in silenzio in attesa di ascoltare le altre tipiche domande che il ragazzo era solito rifilarmi quando necessitava delle spiegazioni, ma in quel caso, Stephen non aprì bocca e rimase a fissarmi con un'espressione di attesa. "Allora?" domandò il ragazzo dopo un po', alzando un sopracciglio. "E' tutto qui?"
"Tutto qui cosa?" mormorai, ripetendomi che era impossibile che sapesse ciò che era successo. D'altronde come poteva saperlo o anche solo immaginarlo? 
"Oh, andiamo, pasticcino." sbuffò lui, alquanto scocciato dal mio comportamento. "Devo veramente tirarti fuori parola per parola oppure mi concedi di sapere cosa è successo?"
"Cosa credi che sia successo?" risposi io, ponendogli un'altra domanda.
"Ho domandato prima io." ribattè lui secco. "Cosa è successo?"
"Nulla." borbottai scocciata. Non poteva rispondermi in modo così acido. Odiavo quando si comportava da superiore, come se sapesse tutto di tutti, come se mi stesse facendo un favore parlandomi. Era lui che si era alzato e che era venuto a cercarmi! Io non avevo nulla da raccontargli, o meglio non volevo, perciò non poteva pretendere di sapere tutto sul mio conto, soprattutto quando lo chiedeva con un tono del genere.
Se era così scocciato da me, allora perchè continuava a cercarmi?
"Pensi veramente che io sia così stupido?" domandò il ragazzo, con un tono quasi offeso. "Pensavi che me la sarei bevuta così facilmente come tutti gli altri, non è vero?" continuò poi ridacchiando. "Be', tesoro, no. Io non ci casco."
"Smettila." lo rimproverai, offendendomi io questa volta. Chi si credeva di essere? Lui non sapeva nulla di me. Nulla. Non poteva permettersi di rivolgersi a me così e pretendere persino che gli dessi delle risposte. "Ti stai comportando da bambino viziato." continuai, esasperata dalla sfumatura soffocante che aveva preso quella conversazione. Non intendevo litigare con qualcun'altro. Avevo già troppi problemi a cui pensare e, anche se ero convinta che la mia mente si sarebbe divertita volentieri a stuzzicarmi con un'altra cattiva situazione, non intendevo aggiungerne di altri.
Senza proferire altro feci un passo indietro e mi spostai al lato del ragazzo, cercando si superarlo, ma quest'ultimo fu più veloce e mi afferrò la spalla, obbligandomi a tornare sui miei passi.
"Smettila tu di comportarti come una bambina capricciosa." ribattè scocciato. "In caso non si fosse notato sto cercando di aiutarti."
"Aiutarmi?" mormorai nervosa, ridacchiando per la frustrazione. "Ma se non fai altro che accusarmi e darmi contro ogni volta che ci parliamo?"
"Quindi preferisci che io mi comporti come gli altri?" chiese lui stupefatto. "Vuoi veramente che al tuo solito 'sto bene' io mi beva le tue cazzate e il tuo sorriso finto? Vuoi veramente che me infischi di cosa provi e di come stai, perchè tanto ti vedo sempre sorridere?" domandò, poi si schiarì la voce e riprese a parlare con un tono più dolce. "Eli, si vede che c'è qualcosa che non va. E' vero: sei sempre sorridente e serena, ma nessuno rimane mai così forte, non dopo tutto quello che hai passato. Ci sono dei momenti, numerosi momenti, in cui ti vedo persa nel vuoto, come se ti stessi estraniando dal mondo. Ti vedo inghiottita dai tuoi pensieri talmente tanto che se qualcuno ti prendesse a calci non ti accorgeresti di nulla. E poi ci sono gli occhi." spiegò. "Quegli occhi che se si sentono osservati fingono allegria, ma che quando sanno di essere soli si offuscano di tristezza. Forse non te ne accorgi, ma quando sei triste si forma quel velo nero che in un certo senso ti rende estranea agli occhi degli altri. Forse è perchè sono abituato a vederti sorridere e non a trovarti con le lacrime agli occhi che ogni volta fai sempre più fatica a nascondere."
Mi morsi il labbro e sentii il mio cuore far male, come se un'ombra nera mi avesse trapassato il petto con la sua mano viscida e ora mi stesse stritolando il cuore. Sentivo i miei occhi pizzicare e le mie ciglia battere sempre più veloci, già attive per prepararsi a combattere le lacrime imminenti. "Forse voglio semplicemente rimanere sola." ribattei dura, assumendo un tono più distaccato e freddo di quanto avrei voluto. "Ci hai mai pensato a questo?"
"Come credi di essere stata fino ad ora? Circondarsi di gente non vale, Elena. Tu hai bisogno di qualcuno a cui appoggiarti, qualcuno che sia lì per te veramente. Qualcuno che ti faccia provare la sensazione di essere leggera, come se..."
"Come se tutti i tuoi problemi fossero svaniti in un attimo." lo interruppi, completando la sua frase e lasciandolo perplesso.
"Esatto." concluse lui. "Sai cosa si prova... Quindi hai un'ancora." 
"No." lo corressi. "Io avevo un'ancora."
"Oh..." mormorò lui, improvvisamente in imbarazzo. "Scusami, io non volevo andare a finire lì."
"Però lo hai fatto, no?" borbottai. "Volevi parlare? E allora parliamo." concessi, di già sfinita per quella conversazione. "Da dove vuoi partire? Dal fatto che ho dovuto abbandonare l'unico punto fisso della mia vita? Dal fatto che probabilmente non vedrò più Newt e che l'ultimo nostro momento è stato in un caspio di palazzo pieno di Spaccati? Oppure vuoi sentirti dire che sono stufa di sentirmi ogni giorno stanca, come se fossi scarica? Forse ti farebbe piacere sapere che ormai ho fatto amicizia con l'ombra pensate fatta di cattive sensazioni e di dolore che non mi abbandona da quando ho scoperto che Newt non é immune. Sai cosa significhi puntare tutto su una persona e sentirsi smarriti quando la si perde? Non credo, perchè se lo sapessi veramente non saresti qui a chiedermi di parlarne e non saresti qui a rinfacciarmi il fatto che non sono abbastanza forte." continuai, sentendo nascere nella mia gola un groppo di lacrime e percependo tutto il dolore e la fatica a buttarlo giù. "Tu non sai cosa si provi a vedere che tutti sembrano aver dimenticato ciò che è successo. Sembra quasi che ha nessuno importi nulla dell'assenza di Newt. Tutti sono così felici e dannatamente spensierati e..." mi bloccai. "Perchè non posso semplicemente essere come loro, huh?" domandai indicando con lo sguardo il gruppetto di amici che ancora stava ridendo. "Mi da perfino la nausea sapere che qualcuno approfitta di questa situazione per provarci con me."
Stephen spalancò gli occhi e all'improvviso la scia di tristezza nei suoi occhi si fece più lieve. "Cosa hai detto?"
"Quello che volevi sentirti dire fin dall'inizio, mi pare." ribattei secca. "Gally mi ha baciata."
Il ragazzo divenne pallido in un istante e i suoi occhi si ridussero a due sottili fessure. Vidi le sue labbra inarcarsi e aprirsi per dire qualcosa, ma prima che lo facesse parlai di nuovo. "Fammi indovinare... Ora mi farai una delle tue solite ramanzine incentrate sul fatto che mi avevi avvisata e che me la sono andata a cercare?"
Il ragazzo abbassò lo sguardo su di me e la tristezza nei suoi occhi tornò ad essere vivida in un secondo. "Davvero pensi questo di me?"
"Non hai fatto altro che comportarti da insensibile ultimamente. Perchè dovrei pensarla diversamente?"
La sua espressione mutò, passando da uno stato di tristezza a uno di delusione. "Tutte le volte in cui ti ho stuzzicato o rimproverato, tutte le volte in cui mi sono arrabbiato sembrando insensibile, non lo facevo per farti male, Eli. Stavo cercando di aiutarti a buttare fuori quello che custodivi con tanta fatica. Speravo che se ti avessi portata al limite della sopportazione allora saresti scoppiata."
"Be' allora congratulazioni." borbottai ferita. "Ora, se non ti dispiace, vorrei finalmente essere lasciata sola." 
"No." ribattè Stephen secco.
"Stephen, smettila di..."
Senza nemmeno che riuscissi a finire di pronunciare la frase, mi ritrovai incastrata nell'abbraccio del ragazzo e per la prima volta, dopo tanto tempo, riuscivo a percepire quell'appagante sensazione di precaria leggerezza. E questa volta non era seguita dalla paura di perderla da un momento all'altro. Stephen mi stava stringendo a sè con forza, ma senza sfociare in una sfumatura violenta, semplicemente mi teneva stretta a sè, permettendomi di abbandonarmi completamente su di lui, senza preoccuparmi di sorreggermi da sola.
Avevo bisogno per un attimo di andare in apnea e in quel momento avevo smesso di respirare perchè mi sembrava di non averne bisogno. Fino a quel momento stavo annegando e non me ne ero accorta. Ogni respiro che avevo preso mentre ero avvolta dai problemi era stato come inalare acqua. Ed era una sensazione peggiore dell'annegare, perchè quando si sta affogando, ad un certo punto si deve morire e tutto il dolore e l'affanno devono cessare. La mia invece era una tortura perpetua, senza fine, e Stephen in quel momento era stato capace di riportarmi in superficie.
Chiusi gli occhi e appoggiai la testa sul suo petto, abbandonandomi completamente e concentrandomi sul suo battito cardiaco, così rilassante. Ero talmente avvolta a lui che potevo perfino percepire l'aria attraversare il suo petto e annidarsi nei polmoni.
Era una sensazione così sublime che per un attimo mi dimenticai come ci si sentisse quando tutto il mondo ti cade addosso, distruggendoti ogni certezza e ogni speranza.





 

"Dobbiamo parlare." disse Gally, mettendosi proprio davanti a me e bloccandomi il passaggio.
Era passato un giorno da quel bacio eppure Gally mi aveva tempestivamente cercato dopo l'accaduto, nonostante Stephen riuscisse ogni volta ad intromettersi e a portarmi via utilizzando qualche scusa. Il ragazzo infatti, dopo la nostra particolare chiacchierata, non aveva lasciato il mio fianco nemmeno per un secondo. 
A quanto pareva Gally doveva essersene accorto, poichè aveva scelto proprio l'occasione giusta per parlarmi dato che Stephen era seduto su una sedia pericolante a parecchia distanza da me, mangiucchiando la sua scarsa porzione di cibo e lanciando occhiate di fuoco a chiunque cercasse di sedersi sulla sedia accanto a lui. 
"Non credo che sia il momento più adatto per parlarne, Gally." replicai. "Se non ti sei accorto stavo andando a sedermi per mangiare." mormorai, facendo un passo di lato e cercando di superarlo. I miei piani di fuggire quella pessima situazione si polverizzarono nel momento in cui la figura del ragazzo si pose nuovamente davanti alla mia.
"Sono giorni che mi eviti, perciò credo che il tuo stomaco possa aspettare un po' prima di mangiare almeno questa volta." ribattè secco, con un tono che non ammetteva repliche. "Ti prendo solo due minuti."
"Ho iniziato a fare il conto alla rovescia." lo avvisai, indossando un sorriso falso.
"Ehi, io ti ho baciato e ho sbagliato, è vero, ma non merito di essere trattato così." brontolò lui. "Mi dispiace di averlo fatto, ma ti assicuro che non lo volevo veramente, è successo prima che potessi accorgermene, ma ti chiedo comunque scusa. So che non ricambi ciò che provo nei tuoi confronti e lo rispetto, ma non sempre io riesco a controllare ciò che sento. Ma in ogni caso sono consapevole del fatto che tu stia con Newt e non voglio crearti problemi, voglio solo farti sapere che non farò da ostacolo alla vostra relazione, tutto qui."
Spalancai gli occhi e indietreggiai confusa. "Come hai detto?"
"C-Cosa?" chiese lui leggendo la mia espressione e arrossendo imbarazzato. "Ho detto qualcosa di sbagliato?" domandò lui, ancora più confuso di me.
"Hai detto che sto con Newt." ripetei, iniziando a collegare tutto.
"Perchè non è così, forse?"
Alzai le sopracciglia e scossi la testa. "Mi stai prendendo per stupida, per caso?" 
"C-Cosa?" domandò lui stupito, sbattendo le palpebre come ferito dalle mie parole. "Io non capisco..."
Sentii le mie gambe tremare e una consapevolezza farsi strada nella mia mente. Quindi Gally non sapeva ciò che era accaduto. Avevo pensato che fosse al corrente di tutto e che ne avesse approfittato, invece mi ero sbagliata.
Ora riuscivo a ricollegare tutto.
Mi sentivo una stupida ad aver dubitato del ragazzo. Come avevo potuto anche solo pensare che fosse caduto così in basso solo per rubarmi un bacio? Era ovvio che Gally non sapesse nulla dal momento che io non gli avevo accennato l'accaduto.
Senza riuscire a trattenerla, rilasciai una risata, gustandomi poi la faccia terrorizzata e confusa del ragazzo.
"C-Cosa c'è da ridere? C-Che ho fatto?" domandò insicuro, alternando lo sguardo da me alle persone nella stanza.
Per mia fortuna tutti erano troppo impegnati a fare la fila per ricevere la loro porzione di cibo e a parlare tra di loro per notarmi.
"Oh, non sai che sollievo sapere tutto questo, Gally." mormorai riprendendomi e tornando seria, con un piccolo accenno di sorriso. "Devi scusarmi, sono stata proprio una stupida a pensare male di te."
"Di cosa stai parlando? Mi sono perso qualcosa?"
"Gally, quindi non sai nulla, non è così?" mormorai, tornando distrattamente triste.
"Cosa dovrei sapere? E' successo qualcosa?"
"Non ti sei chiesto il motivo per cui quando sei venuto a prenderci per portarci qui Newt non era con noi?" domandai curiosa.
"Io pensavo che lo avesse preso un altro gruppo o che magari la W.I.C.K.E.D. lo avesse rapito." rispose Gally con un'espressione confusa. "N-Non è così?"
Scossi la testa lentamente e abbassai lo sguardo. "Newt non è Immune, Gally."
Newt non è Immune. 

 

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Capitolo 65
*** Capitolo 65. ***


"C-Cosa?" domandò Gally, facendo un passo avanti e corrugando la fronte. 
Mi morsi il labbro e alzai l'angolo destro della bocca, abbassando lo sguardo e cercando qualcosa da dire.
"Ma quindi..." continuò Gally, senza parole. "Dov'è ora?" 
Sollevai lo sguardo titubante e incrociai quello del ragazzo che ora era velato di tristezza e preoccupazione. "Non lo so. L'ultima volta che l'ho visto era in un Palazzo degli Spaccati." riferii. "Mi ha detto che sarebbe andato a Denver con altri Spaccati. Inutile dire che speravo di rivederlo... Ci speravo veramente, o almeno era così prima che mi portassi qua." 
"Caspio, Eli... I-Io non so cosa dire." borbottò il ragazzo allungando una mano verso di me e accarezzandomi una spalla. 
"Non ho bisogno che tu dica niente. Solo... Per favore, evita di tirare fuori questo argomento altre volte, okay?" mormorai con un filo di voce. 
Il ragazzo si morse il labbro inferiore e mi guardò a lungo, cercando forse di trovare qualcosa nei miei occhi, poi abbassò lo sguardo. "Va bene... Ma sappi solo che per qualsiasi cosa ti serva io ci sono."
Accennai un sorriso e appoggiai la mia mano sulla sua che, ancora attaccata alla mia spalla, non aveva smesso un attimo di accarezzarmi. "Ti ringrazio, ma credo che l'unica cosa che mi serva al momento sia andare a spaccare il culo a qualche topo della W.I.C.K.E.D." precisai, cercando di cambiare argomento.
"Be' allora sei fortunata." aggiunse il ragazzo, il suo volto improvvisamente illuminato, come se si fosse ricordato solo in quel momento di dirmi qualcosa. "Abbiamo avuto un problema con Thomas. A quanto pare la W.I.C.K.E.D. si sta muovendo più in fretta di quanto avevamo calcolato. Partiamo tra due ore."

Dopo che Gally aveva dato l'annuncio della battaglia imminente a tutti, un'euforia generale si era sparsa per tutta la sala mensa. Molti avevano iniziato ad urlare ed esultare, gridando insulti e minacce verso la W.I.C.K.E.D., altri invece si erano limitati ad agitare il pugno in alto, emettendo suoni e acclamazioni. Non mi sorpresi tanto di quel casino, ma piuttosto della velocità con cui tutti si calmarono, tornando seri e mettendosi a lavorare per partire. 
Prima che potessi muovere anche solo un passo, Gally mi chiamò da lontano, facendomi cenno di raggiungerlo.
Mi mossi sulla sedia, voltandomi verso Stephen e, sotto il suo sguardo scocciato, gli mollai il mio piatto ormai vuoto sulle gambe.
"Quindi ci hai veramente fatto pace?" domandò velocemente il ragazzo prendendomi una mano e chiedendomi tacitamente di aspettare un secondo. 
"Già, ti ho spiegato il malinteso, no? Smettila di essere perennemente preoccupato. So badare a me stessa." lo rimproverai.
"Sì, certo." mi sbeffeggiò il ragazzo, sbuffando e lasciandomi la mano.
"Ti ricordi la conversazione che abbiamo avuto ieri, giusto? Quindi credo sia il momento di smetterla di rimproverarmi ogni volta. Sarebbe carino da parte tua, non credi?" domandai incrociando le braccia al petto e attendendo curiosa le sue scuse.
Stephen si stravaccò sulla sedia e allungò le gambe, poi mise un braccio dietro lo schienale e alzò lo sguardo, fissandomi con sufficienza. "Sai badare a te stessa." bofonchiò lui stanco, come se dire quelle parole gli fossero costate tutta l'energia in corpo. "Sbrigati a raggiungere il tuo ruba-baci, potrei anche cambiare idea e obbligarti a restare con me, pasticcino."
"Come sei gentile e concessivo, fratellone geloso." lo sbeffeggiai, sottolineando quell'appellativo.
Il ragazzo sbuffò e mi fece cenno con mento di andarmene, ma persino nel momento in cui mi girai continuai a percepire il suo sguardo attento su di me, che scommisi non mi abbandonò fino a quando non raggiunsi Gally che, con un sorrisetto sulle labbra mi attendeva impaziente.
"Allora sei pronta?" domandò lui eccitato.
"Alla battaglia? Credo di sì." mormorai facendo spallucce.
"Bene così. Perchè ho un regalino per te..." borbottò il ragazzo, muovendosi di lato e cavando da dietro la sua schiena un arco. "Ben sessantasei pollici. So che è molto grande rispetto a quello che avevi nella Radura, ma questo è l'unico che ho trovato. Il suo proprietario é morto diversi mesi fa, si chiamava Ethan, è per questo che sul lato trovi incisa la E."
"Wow... E' bellissimo!" quasi gridai per la gioia, affrettandomi subito a sottrarlo dalle mani di Gally per provare l'ebrezza di percepire qualcosa di pericoloso di nuovo sotto il mio controllo.
Era una sensazione così bella tornare a maneggiare qualcosa di così familiare che mi aveva salvato la vita in diverse situazioni, e anche se ero consapevole che quell'arma fosse appartenuta ad un'altra persona lo sentivo comunque una parte di me, un prolungamento del mio braccio. Finalmente avrei potuto mostrare a Stephen di cosa ero capace, magari facendo tacere per sempre le sue lamentele su quanto fossi impacciata con le armi. 
Mi passai l'arco tra le mani, analizzandolo in ogni singolo dettaglio: l'arma era totalmente nera e priva addirittura di ogni graffio, in condizioni talmente perfette che sembrava non essere mai stato usato.
Decisi di tendere l'arco per testare la sua rigidità e, a parte qualche sforzo iniziale per tirare la corda − decisamente più tesa del mio arco precedente − sembrava essere perfetto per me.
"Be' credo che un arco sia inutile senza queste..." disse Gally, ricordandomi della sua presenza e attirando nuovamente la mia attenzione.
Il ragazzo prese da terra una faretra lunga e fatta probabilmente di cuoio nero, piena di almeno una trentina di frecce. Il ragazzo me la porse fiero e senza esitare la buttai dietro la schiena, aiutandomi con una mano per sistemare la fascia sul petto che teneva la faretra incollata a me.
"Quaranta frecce in tutto." mi informò il ragazzo ammirando con orgoglio l'arma addosso a me.
"Spero di usarle tutte." risposi sorridendo, sentendomi sempre più carica e determinata per la battaglia.
Gally mi guardò sorridendo per qualche attimo, dai suoi occhi trapelavano fierezza e allo stesso tempo paura, poi il ragazzo si schiarì la voce e dopo essere uscito dal suo stato di trans momentanea indicò qualcosa alle mie spalle.
"Vai a chiamare i tuoi amici." mi ordinò. "Voi verrete con me nel primo furgoncino, saremo insieme a Vince come prima scorta."
Annuii decisa e feci per voltarmi, quando il ragazzo bofonchiò di nuovo qualcosa, probabilmente parlando tra sè e sè. "Spero solo che il viaggio non sarà troppo movimentato."
Decisi di ignorare le sue parole, troppo spaventata per chiedere cosa intendesse, e presi a camminare in direzione dei miei amici.
Il primo che raggiunsi fu Stephen che, dopo avermi squadrata a lungo e aver lanciato diverse occhiatacce alla mia arma, alzò un sopracciglio e prese subito a commentare. "E tu sapresti usare questo coso?" domandò incredulo.
"Vuoi vedere?" domandai a mia volta, assumendo un sorriso sadico e lanciando uno sguardo veloce sul suo piede, l'obbiettivo perfetto.
"Volevo dire..." il ragazzo si alzò immediatamente dalla sedia e con fare teatrale si schiarì la voce. "So che non mancherai nemmeno un bersaglio." 
"Se fossi in te spererei il contrario." ribattei ridacchiando e lanciando un'ultima occhiata alla sua scarpa, giusto per mettergli addosso la paura necessaria a farlo tacere. "Dove sono gli altri?"
Stephen ignorò la mia affermazione e indicò con il mento il piccolo gruppetto di amici che si stavano già muovendo in nostra direzione.
"Che bello!" gridò Hailie da lontano non appena notò l'arco, scappando subito dalla presa di Teresa e dirigendosi correndo verso di me. "Posso provare?" domandò guardandomi con due occhi grandi e pieni di suppliche.
La battaglia fu la prima cosa che mi venne in mente quando vidi la bambina. Mi ero completamente dimenticata di lei e non avevo pensato per niente ai rischi che Hailie avrebbe potuto correre seguendoci nel trambusto che si sarebbe venuto a creare. Era ovvio che non avrebbe potuto stare al nostro fianco durante il combattimento e di certo era anche esclusa la scelta di lasciarla da sola nella base del Braccio Destro. 
"Mi dispiace, Hailie, ma credo che non sia possibile." le risposi, osservando la sua espressione curiosa mutare in una di delusione.
"Oh, okay." mormorò arretrando e mettendosi vicino al fratello, il quale le prese la mano e annuì in mia direzione, come a confermare il mio rifiuto nei confronti della bambina.
Non appena incrociai nuovamente lo sguardo di Hailiei mi venne in mente un'idea, non una delle migliori di certo, ma neanche così pessima e banale da scartare.
Partendo dal presupposto che la battaglia avrebbe inevitabilmente coinvolto tutti − rendendo perciò impossibile a chiunque isolarsi o mettersi in disparte per proteggere Hailie −, e anche analizzando il fatto che ognuno avrebbe combattuto a mani nude − quindi tutti avrebbero sentito la necessità di muoversi continuamente, ma con un peso addosso ciò non sarebbe stato possibile −, avevo finalmente trovato una soluzione. Se c'era qualcuno che avrebbe potuto permettersi di rimanere abbastanza fermo e di non entrare nel cuore della battaglia, allora quella persona ero solo e solamente io. Di conseguenza, il compito di proteggere la bambina spettava a me. Sapevo che non potevo lasciare Hailie a terra, obbligandola a seguirmi velocemente ad ogni spostamento, ma sapevo anche che mi sarebbero servite entrambe le mani per tirare con l'arco. Non potevò nè tenerla per mano, nè tenerla in braccio, ma forse... Se avessi trovato qualcosa con cui legarla a me forse avrei potuto tenerla sulla schiena. Mi serviva qualcosa di resistente da legarmi attorno al busto, qualcosa come lenzuola o delle cinghie.
"Ehi, bambolina... Ci sei?" domandò Minho scuotendomi la mano davanti agli occhi.
Scossi la testa e mi ripresi dai miei pensieri. "S-Sì, certo." mormorai, poi mi schiarii la voce. "Noi partiamo subito come primo gruppo di scorta insieme a Gally e Vince." annunciai. "Perciò seguitemi."
"Agli ordini, bambolina." disse Minho deciso, ridacchiando e seguendomi senza fare storie.
Senza dire altro mi mossi velocemente verso Gally, il quale ci attendeva paziente fuori dalla Sala Mensa.
Quando raggiungemmo il ragazzo decisi di prenderlo in disparte e di portare insieme a me anche Stephen per riuscire a decidere cosa fare con Hailie. Sapevo che Stephen non sarebbe stato proprio d'accordo con la mia decisione, ma non avevamo scelta.
"Stephen." lo chiamai, voltandomi verso il ragazzo e ignorando per un attimo l'espressione preoccupata di Gally. "Ho avuto un'idea su come proteggere Hailie."
"Cosa? Intendi portarla con noi nella battaglia?" rispose il ragazzo con un tono sorpreso.
"Certo, non può rimanere qua da sola." replicai ancora più confusa di lui.
"Ma non sarà sola: lei starà con..." 
Ma prima ancora che Stephen potesse finire la frase, Gally si intromise, parlandogli con un tono scocciato. "Con te? Abbiamo bisogno di tutti gli uomini possibili in battaglia, non puoi restare qua."
Stephen corrugò la fronte e lanciò al ragazzo uno sguardo di fuoco, poi allargando le narici e prendendo un bel respiro, gli rispose a tono. "E' per questo che l'hai costretta a prendere parte a questa battaglia?" chiese indicandomi. "O è meglio chiamarlo suicidio?"
"Cosa? Sono stata io a..." provai ad intervenire, ma i due ragazzi non mi sentirono nemmeno, continuando a litigare come due bambini.
Gally avanzò in direzione di Stephen e, quasi gridandogli in faccia, iniziò a puntargli il dito contro il petto. "Credevi di scamparla facilmente tirando in ballo lei, eh? Sei proprio un codardo."
Stephen, con le vene sporgenti sul collo e il volto rosso di rabbia, spintonò Gally all'indietro, rifilandogli subito un'altra occhiataccia. "Non darmi del codardo, brutta faccia di caspio. Lo sanno tutti che è una missione impossibile. Sono stato per anni dentro la W.I.C.K.E.D. e ti assicuro che non c'è modo di aggirarla. Qualunque cosa tu possa fare, sarai sempre un passo dietr..."
Questa volta fu Gally a spintonare Stephen, interrompendolo nel bel mezzo del discorso. "Questa non è una buona ragione per gettare la spugna, faccia di sploff! Ammetti di non voler combattere perchè hai paura!"
"Non mi importa un caspio delle tue insinuazioni." sibilò Stephen a denti stretti, avvicinando il volto a quello di Gally, come ad avanzare una minaccia. 
A quel punto, ciò che feci mi venne automatico e prima ancora che potessi accorgermi di cosa stessero combinando le mie braccia, mi ritrovai con la freccia tesa sulla corda dell'arco, puntata dritta sulla fessura tra i nasi dei due ragazzi.
"Smettetela entrambi!" gridai piena di rabbia, sentendo la mia voce tremare. Nessuno dei due volle ascoltare il mio ordine ed entrambi continuarono a fissarsi negli occhi come se volessero accecarsi a vicenda. "Separatevi ora o giuro che spacco il naso ad entrambi. Mi basta lasciare la corda e vi ritroverete a frignare sanguinanti come due bambini in meno di un secondo." minacciai nuovamente, riuscendo questa volta a percepire qualche risposta nei due ragazzi, improvvisamente meno sicuri.
Con uno sbuffo dal naso, Stephen si distaccò da Gally, spintonandolo all'indietro per un'ultima volta. 
"Stephen! Calmati, diamine." lo rimproverai, lanciandogli un'occhiata di fuoco e puntandogli la freccia addosso.
"Impara a stare al tuo posto, pivello." mormorò Gally con puro odio.
"E tu chiudi quella bocca, per l'amor di Dio." continuai decisa, passando con l'arco da Stephen a Gally.
Quando entrambi mi sembrarono abbastanza calmi, riposi la freccia nella faretra e abbassai l'arco, inspirando profondamente. "Bene così, ora ascoltatemi." ordinai, schiarendomi la voce e portandomi un ciuffo ribelle di capelli dietro l'orecchio. "Starò io con Hailie. Io sono l'unica che può distaccarsi dalla battaglia e colpire a distanza senza correre rischi, perciò mi caricherò la bambina sulla schiena. Mi serve solo qualcosa per legarla, tipo delle lenzuola. Pensi di potermele procurare?" domandai rivolta a Gally, già più rilassato rispetto all'attimo precedente. 
"Certo, nessun problema, ci sono un sacco di coperte qua dentro, suppongo che dopo la battaglia non ci serviranno più per dormire." spiegò il ragazzo. "Vado subito a cercarle."
"Perfetto." mormorai più sollevata e facendo un cenno verso Gally, ringraziandolo e osservandolo allontanarsi. "Steph..." mormorai poi rivolgendomi verso il ragazzo e toccandogli un braccio.
Al mio tocco il ragazzo sussultò, staccandosi da me con uno scossone e lanciandomi un'occhiataccia. "Come puoi decidere questo per lei, eh?" chiese, più ferito che arrabbiato. "Ho già perso Abigail e Cathleen, non intendo veder morire anche Hailie." sussurrò il ragazzo.
"Lo so, credimi. E io non intendo essere la causa di ciò, la proteggerò con il mio stesso corpo se sarà necessario. Io ho perso la mia ancora, so cosa si prova, e non permetterò a nessuno di strapparti via la tua, chiaro?" lo rassicurai.
Il ragazzo spalancò gli occhi. "Come sai che lei è..."
"Non sono cieca nè stupida, Steph. So quanto tieni a lei." parlai dolcemente, sorridendo sincera al ragazzo, il quale ora sembrava più tranquillo, ma non totalmente.
Stephen annuì, forse comprendendo di non avere altra scelta, poi si allontanò da me strisciando i piedi a terra e, dopo aver raggiunto la sorellina, la prese in braccio, abbracciandola forte come se quello fosse il suo ultimo saluto.




 

"Vince!" gridò Gally, attraversando un corridoio e poi sbucando in una stanza arredata solamente da un tavolino in plastica e due o tre sedie sparse qua e là. "Siamo pronti, possiamo partire."
Non era stato semplice posizionare Hailie dietro la mia schiena, ma alla fine ci eravamo riusciti in poco tempo. Il problema non era stato tanto il peso della bambina, piuttosto sistemarla nella posizione migliore che non mi avrebbe intralciato l'uscita delle frecce dalla faretra. Ma ora la bambina, avvolta stretta tra delle strisce strappate dalle lenzuola che Gally era riuscito a recuperare, se ne stava appiccicata a me, immobile e in silenzio. Se non fosse stato per il suo peso mi sarei presto dimenticata della sua presenza.
Sentii qualche rumore provenire da uno stanzino nella parete in fondo e solo dopo qualche secondo Vince uscì, portando dietro di sè una spranga e una mazza da baseball. Solo quando fu abbastanza vicino lanciò quest'ultima a Gally, il quale la afferrò sorridendo e iniziò a rigirarsela tra le mani. "Bene, muovetevi verso il garage." ordinò Vince, lanciando un veloce sguardo a Minho che era capo fila.
Gli altri davanti a me iniziarono a muoversi velocemente e ben presto mi ritrovai a seguire la fila, con Gally dietro di me. Stavo quasi per iniziare a scendere la rampa di scale in metallo, quando qualcuno mi afferrò il braccio, tirandomi all'indietro.
"Ehi, dove credi di andare ragazzina? Quello non è un giocattolo." ringhiò Vince, lanciando un'occhiata sprezzante alla mia mano chiusa attorno al corpo dell'arco.
"Lo so, vecchio." replicai acida, strappando il mio polso dalla sua presa con uno strattone.
"Vecchio?" ripetè lui arrabbiato. "Con chi credi di star parlando?"
"Ehi, ehi..." mormorò svelto Gally, mettendosi tra me e Vince e posando una mano sul petto di quest'ultimo, spingendolo delicatamente per spostarlo da me. "Ti assicuro che lo sa usare fin troppo bene. Non ha mai mancato un colpo. Le ho insegnato ad usarlo io stesso." spiegò il ragazzo lanciandomi un'occhiata come a consigliarmi di sbrigarmi e raggiungere gli altri. 
"Se ci rallenti," iniziò Vince, puntandomi il dito addosso. "troverò il modo per sbarazzarmi di te, ragazzina."
Alzai un sopracciglio e lo squadrai dalla cima ai piedi, poi ignorando del tutto le sue parole mi allontanai dai due, scendendo le scale velocemente e seguendo gli altri.
"Quell'uomo non mi piace." constatò Hailie, sussurrando quelle parole al mio orecchio.
"Già, nemmeno a me." le risposi senza esitare, portando una mano dietro la spalla e accarezzando la sua testolina morbida. 

*Angolo scrittrice*
Ehi, pive!
Scusate il ritardo della pubblicazione, ma ultimamente ho avuto parecchio da fare!
Spero che il capitolo vi piaccia piú di quanto piace a me. Non mi sembra proprio uno dei migliori, ma vi assicuro che presto tutto si incasinerà, perció sarà meno noioso da leggere :3
Baci, 
Elena  ♥

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Capitolo 66
*** Capitolo 66. ***


"Bene." mormorò Gally una volta sistemato sul sedile anteriore del furgone. "Il piano in breve è questo." 
Il ragazzo si voltò verso di noi e ci guardò attentamente, poi iniziò a parlare. "Brenda ci ha detto che avete lasciato la vostra Berga fuori dai cancelli di Denver, è vero?" domandò il ragazzo.
Annuii sicura e a quel punto parlò Jorge, muovendosi nella fila di sedili dietro alla mia. "Aspetta... Brenda?" domandò subito, allarmato come non mai. "Dov'è? Non mi sembra di averla vista."
"Be' ultimamente è stata molto impegnata per la modifica degli ultimi particolari del piano, ma stai tranquillo: ci raggiungerà." spiegò Gally in modo calmo. "Allora, la Berga?"
"Sì, l'abbiamo lasciata fuori dai cancelli di Denver. E sempre escludendo che degli Spaccati l'abbiano distrutta è ancora là."
"Perfetto. Allora andremo a recuperarla e poi, torneremo qua a caricare gli immuni. Noi abbiamo tre Berghe, con la vostra quattro. Entreremo con un'ottantina di persone, le più forti che siamo riusciti a trovare nel nostro gruppo. Il piano principale è nascondersi tra la folla di gente, fingere che le guardie vi abbiano catturati insieme agli altri. Una volta arrivati alla W.I.C.K.E.D. consegneremo gli immuni al nostro contatto all'interno. A questo punto entrate in azione voi, o meglio, due di voi. Sicuramente verrete portati in qualche laboratorio per fare qualche test, dovrete per forza dividervi ed è a quel punto che ti muovi tu, Teresa. Devi trovare il modo per sgattaiolare via ed entrare nella sala di controllo per disattivare le telecamere dell'Hangar, usa il taser che ti ho dato se è necessario. Sei la piú brava con i computer e sono sicuro che non avrai problemi se mai dovesse essere necessario inserire un codice."
Vidi Teresa annuire vicino a me, con un'espressione determinata. "Posso entrare in ogni computer che voglio." rassicuró la ragazza.
"Una volta che Teresa avrà disattivato le telecamere, avviserà Vince tramite l'auricolare che le ho dato e a quel punto entri in scena tu." spiegò Gally, indicandomi e cogliendomi di sorpresa. "Tu dovrai restare all'interno della Berga e nasconderti. Tieni questi." ordinò Gally, allungandomi due cose e lasciandole cadere nella mia mano. Quando osservai meglio i due oggetti nel mio palmo, capii che si trattasse di una mappa e di un piccolo auricolare grigio e graffiato. Non esitai ad indossarlo, trovando quell'aggeggio particolarmente scomodo, mentre per quanto riguardava la mappa la infilai accuratamente tra le lenzuola strette al mio addome, così sarei stata sicura di non perderla durante il tragitto. "Quando Teresa ti darà il segnale dovrai uscire dalla Berga e fare fuori con l'arco tutte le guardie presenti nell'Hangar. Una volta fatto ciò dovrai recuperare le armi presenti nella Berga e correre verso il primo laboratorio che trovi. Fai irruzione e libera tutti gli Immuni, distribuendo le armi ad ognuno. Usa la mappa per fare ciò, poi facendoti aiutare da tutte le persone armate prosegui con tutti i laboratori indicati, liberando ogni singola persona. Vince nel frattempo troverà il modo di creare una breccia nel muro con un'esplosione per far entrare tutti gli altri. Dopo aver preso il comando di tutto il complesso, Charlotte ci aiuterà a far funzionare di nuovo un numero di armi sufficiente per restare al comando." il ragazzo si interruppe per un secondo, poi mi guardò nuovamente. "Credi di riuscirci?"
Annuii determinata e a quel punto Gally mi sorrise soddisfatto, per poi rivolgersi agli altri.
"Le ragazze del Gruppo B che hanno recuperato la memoria e Brenda hanno dato un grande contributo alla costruzione di questo piano. Vi assicuro che ogni cosa è pianificata nei minimi dettagli, voi pensate solo a fare fuori quanta più gente possibile."
"Lo farò con piacere." rispose Minho scrocchiandosi le dita e assumendo un'espressione alquanto sadica. 
"Bene così." asserì il ragazzo, annuendo all'asiatico. "Possiamo partire, Vince." disse poi, dando due pacche sulla spalla dell'uomo al volante.
Il furgone si mise in moto con uno sbuffo a dir poco rassicurante e per quanto Vince continuasse a ripetere che quel mezzo fosse il migliore all'interno del Braccio Destro, non riuscivo a non pensare che avrebbe potuto spegnersi con un tonfo da un momento all'altro, lasciandoci a piedi in una landa desolata.
Una volta usciti dal garage, un sole accecante invase il furgone che prese a sfrecciare a tutta velocità.  Quella luce, per quanto potesse essere abbagliante e fastidiosa, aveva donato alla città intorno a noi un'aspetto abbastanza rassicurante.
Nessuno aveva detto nulla dopo la spiegazione di Gally, ma potevo percepire il malessere di Stephen che, seduto accanto a me, mi stava ancora tenendo il broncio per aver preso quella decisione riguardante Hailie. Sapevo che il ragazzo non approvava, ma purtroppo in quell'occasione non avevo saputo trovare un altro modo per sistemare le cose. 
Inondata dal silenzio, non mi rimaneva altro che ascoltare i suoni prodotti dal motore e dagli ammortizzatori sulla strada accidentata. Un momento come quello ovviamente non mi lasciò scampo e subito sentii nascere in me quella cattiva e insopportabile sensazione che era solita annunciare l'arrivo dei pensieri negativi. Per primo mi venne da pensare a tutte le cose che sarebbero potute andare storte in quel piano, a partire dal mio compito. Sapevo che il dispositivo riguardante le armi della W.I.C.K.E.D. era stato attivato e che quindi nessuna guardia avrebbe potuto sparare a distanza, ma allo stesso tempo temevo che qualcosa sarebbe andato storto. Non temevo per la mia incolumità, dato che in fin dei conti non avevo più nessuno per cui vivere veramente, ma per quella di Hailie. Non potevo sbagliare nulla o la bambina avrebbe pagato per i miei errori.
Mi sforzai di non pensare, di concentrarmi sulla città devastata che mi passava davanti agli occhi. Fino a quel momento avevo visto solo qualche persona qua e là, la maggior parte in lontananza. Il sole risplendeva sulle finestre alte dei grattacieli; gli edifici altissimi sembravano allungarsi in ogni direzione per l'eternità. Il furgone attraversò proprio il cuore della città, percorrendo una strada ampia piena di auto abbandonate. Vidi qualche Spaccato nascosto dentro le macchine, che sbirciava fuori dal finestrino come se stesse aspettando di tendere una trappola o come se avesse paura di essere attaccato. Dopo un paio di chilometri, Vince svoltò per imboccare una lunga statale dritta che portava verso uno dei cancelli della città circondata dalle mura. Sapevo che stavamo per arrivare alla Berga e sapevo anche che sarei dovuta sentirmi sollevata dal non aver incontrato nessuno Spaccato pericoloso nel tragitto, ma in realtà tutto ciò che potevo sentire era il vuoto più totale.



 

Erano passati pochi minuti dal nostro arrivo sulla Berga eppure tutti si stavano muovendo in modo quasi febbrile, come se stessimo perdendo tempo prezioso. Se avessi saputo qualcosa riguardo Berghe e nascondigli perfetti all'interno di esse avrei aiutato volentieri, ma sfortunatamente l'unico supporto che potevo dare al momento era rimanermene in disparte per non intralciare il percorso degli altri. 
Vince aveva deciso di parcheggiare il furgoncino all'interno dell'ingresso della Berga, sottolineando la vitale importanza di riportarlo alla base del Braccio Destro, costringendo così Stephen e Minho a spostare tutti i divani e le poltrone presenti in quello spazio.
La notizia positiva se non altro era che la Berga non era stata danneggiata in alcun modo da Spaccati. La notizia negativa era che, dopo essere rimasta inutilizzata sotto il sole cocente per parecchi giorni, il motore rischiava di essersi surriscaldato.
Jorge era riuscito se non altro ad accendere quell'aggeggio volante, ma per non rischiare di precipitare una volta in volo, l'uomo aveva preferito aspettare qualche minuto con le ventole di raffreddamento accese.
Nel frattempo Gally si era messo a cercare nascondigli efficaci sia per nascondere me sia per nascondere le armi.
"Elena puoi venire un secondo?" domandò Gally da qualche stanza. Mi scostai dal muro e raggiunsi il corridoio principale, poi guardai sia a destra che a sinistra per scoprire dove si fosse cacciato il ragazzo.
Notando solo una stanza con la luce accesa, mi diressi in quel luogo, scoprendo uno spazio che non avevo mai visto prima su quella Berga. 
La stanza era di un grigio spento, piena di polvere e priva di arredamenti, fatta eccezione per il piccolo armadio, il tavolino in legno − vecchio e scheggiato − e il letto a baldacchino tutto rotto e con tanto di coperte ammuffite.
Entrai scostando leggermente la porta e mi sorpresi quando trovai il ragazzo frugare dentro l'armadio.
"Eccoti..." mormorò il ragazzo facendo uscire per un secondo la testa da tutte le cianfrusaglie presenti in quel mobile e dedicandomi attenzione. "Credi di riuscire ad entrare qui dentro?"
"Come?" domandai stupita, raggiungendolo a grandi passi e osservando con attenzione il piccolo spazio che il ragazzo mi stava indicando.
L'armadio senz'altro era spazioso, ma purtroppo per me occupato da mille oggetti diversi e indefinibili. Gally si era almeno premurato di ricavarmi uno spazio che tuttavia mi sembrava più che insufficiente a contenere sia me che Hailie.
"Credo che con Hailie sarà difficile entrarci, ma posso provare. E' solo una cosa temporanea tanto... Dico bene?" domandai mettendo un piede dentro l'armadio e annusando subito il cattivo odore di chiuso.
Chissà da quanto tempo non aprivano quel mobile del caspio.
O meglio, chissà da quanto tempo non aprivano la porta di quella stanza.
"Esatto." mi rassicurò Gally, allungandomi una mano per aiutarmi ad infilarmi in quel buco.
Contro ogni aspettativa ogni centimetro del mio corpo riuscì perfettamente ad adattarsi a quello spazio ristretto senza soffrire troppo. Persino Hailie sembrava non essere tanto scomoda così spiaccicata contro la parete finale dell'armadio. "Perfetto..." borbottò Gally con un sorriso sollevato, ammirando la mia figura incastrata in quel buco. "Vieni, puoi uscire." mi concesse poi, camminando verso il tavolo scheggiato e raccogliendo qualche arma.
"Quelle dove le hai prese?" domandai curiosa, uscendo lentamente dall'armadio. 
"Vince le ha caricate sul furgone prima che salissimo." spiegò il ragazzo. "Le nascondo qua, sopra queste cianfrusaglie. Ricordati di prenderle prima di uscire dalla Berga."
Annuii sicura e lo aiutai a caricare le ultime armi nell'armadio. Feci appena in tempo a chiudere gli sportelli dell'armadio con un calcio che sentii il pavimento sotto di me tremare e muoversi lentamente. 
La Berga si era alzata in volo.





 

Il viaggio fino alla sede centrale del Braccio Destro si era rivelato molto veloce e privo di complicazioni. Avevamo scaricato il furgone e caricato gli Immuni, poi una volta riacceso il motore dell'aeromobile, il tempo sembrava essersi dilungato all'infinito.
Ci avevamo impiegato ben due ore per arrivare e nel frattempo molti ne avevano approfittato per dormire o almeno sonnecchiare. Io invece mi ero messa a parlare con Teresa, impiegando quel tempo per capire di più la sua storia.
La ragazza mi aveva spiegato nel dettaglio tutto quello che era successo nel momento in cui mi ero buttata di mia spontanea volontà dentro la Radura, rubandole così quel ruolo fondamentale; ma soprattutto ci tenne a sottolineare quanto fosse disperata nel vedere Thomas da solo, a contatto con tanti pericoli. Teresa mi spiegò che i due si conoscevano da quando erano bambini e che addirittura la W.I.C.K.E.D. aveva inserito nel loro cervello un dispositivo particolare che permetteva loro di parlare telepaticamente, ma che poi era stato disattivato nel momento in cui l'aiuto di Teresa nelle prove del Labirinto non era più stato ritenuto necessario.
La ragazza quasi si commosse ripensando a tutto il rapporto che aveva costruito con il ragazzo e all'affetto che nutriva nei suoi confronti, per poi comprendere che nessuno dei due avrebbe potuto vedersi dentro il Labirinto o durante il resto delle prove. Era proprio per via di Thomas che Teresa era fuggita dalla W.I.C.K.E.D.
Era stata accantonata e non avendo più vitale importanza nel progetto della W.I.C.K.E.D. era stata esclusa da tutto ciò che riguardava Thomas, per paura che la ragazza potesse boicottare qualcosa per riuscire a comunicare con il ragazzo. Ed era a quel punto che Teresa aveva iniziato a sfruttare a suo favore quel disinteresse della W.I.C.K.E.D. nei suoi confronti: era riuscita in poco tempo ad intrufolarsi in archivi e schede privati, trovando persino file che erano rimasti sepolti per anni, troppo pieni di orrori e disumanità per tornare alla luce. 
E per quanto fossi curiosa di sapere tali informazioni, mi trattenni dal farle mille domande. Se Teresa non mi aveva accennato niente poteva essere solo per due motivi: o non voleva rendermi partecipe di tale orrore, temendo per la mia reazione, o semplicemente non aveva il coraggio di parlare ad alta voce di informazioni da lei definite come disumane e inimmaginabili.
In ogni caso, anche se Teresa non l'aveva specificato o detto apertamente, potevo capire il motivo per cui si era spinta così fuori dalla W.I.C.K.E.D., esponendosi a mille rischi solo per poter rivedere Thomas. Ed ora potevo anche comprendere il dolore che doveva aver provato una volta constatato di persona che Thomas non si ricordava di lei.
Insomma, era una cosa ingiusta: gli unici ricordi che Thomas aveva della sua vita passata erano quelli passati con me, quando, ancora sotto il controllo della W.I.C.K.E.D., eravamo riusciti a creare una relazione che riuscisse a farci evadere almeno con la mente.
Mi sentivo in colpa per non aver notato prima il rapporto che era nato tra Thomas e Teresa.
Quando ero ancora alla W.I.C.K.E.D. avevo sempre pensato che la loro fosse una relazione forzata dalla W.I.C.K.E.D. per permettere loro di lavorare meglio in coppia, e invece mi ero sempre sbagliata.
Se solo lo avessi capito prima mi sarei sicuramente messa da parte, evitando di innamorarmi di Thomas.
E a quel punto non sarei mai stata costretta ad abbandonare tutto ed entrare a far parte delle prove per colpa di una relazione non condivisa dalla W.I.C.K.E.D.
E a quel punto non avrei mai conosciuto Newt.
E chissà, forse sarei stata costretta a rimanere a lavorare come cavia alla W.I.C.K.E.D. per sempre.
Dopo aver parlato per ore con Teresa, sentendomi improvvisamente felice di essere stata la prima con cui la ragazza aveva condiviso tutti quei dettagli, finalmente Gally era venuto ad avvisarci dell'imminente atterraggio, facendomi perciò intendere che era arrivata l'ora di nascondermi dentro il caro, vecchio e puzzolente armadio.
"Non dovrebbero fare dei controlli, ma sai com'è... Non si è mai troppo prudenti." spiegò Gally accompagnandomi nella stanza ammuffita e aiutandomi poi ad entrare nello spazio ristretto dell'armadio. "Ricorda:" continuò poi il ragazzo, appoggiando il braccio su un anta. "aspetta che Teresa ti dia il segnale, poi entra in azione. Se esci prima che abbia spento le telecamere va tutto in fumo. Domande prima che me ne vada?"
Mi morsi il labbro e osservai attentamente il ragazzo.
Forse la storia di Teresa mi aveva ricordato qualcosa. Una lezione che sapevo già da tempo e che avevo imparato a mie spese, ma che tuttavia preferivo dimenticare ogni volta.
"Stai attento, okay?" mormorai guardandolo seria dritto negli occhi e causando nel ragazzo una risatina.
"Questo dovrei dirtelo io, dato che sarai tu a liberare tutti quanti." spiegò il ragazzo grattandosi il collo, leggermente in imbarazzo.
"Gally, dico sul serio." spiegai. "Non fare nulla di stupido, o insensato, o incosciente. D'accordo?"
Il ragazzo mi sorrise e inclinò la testa leggermente di lato. "D'accordo."
"Sei una delle poche persone che mi rimangono. Vedi di non farti uccidere." aggiunsi poi, prima che il ragazzo indietreggiasse di un passo.
"Sì, la stessa cosa vale per te." decretò lui. Poi lo vidi allungare il braccio verso di me e tendermi il mignolo. "Prometto di difendermi come se ti stessi proteggendo."
Sorrisi sollevata e allungai il mignolo, ancorandolo poi al suo. "Prometto di difendermi come se ti stessi proteggendo."
Il ragazzo scosse la mano due volte, poi si distaccò da me, mollando la presa e chiudendo lentamente l'anta dell'armadio.
Prima che il buio invadesse sia me che Hailie ripetei nella mente quella lezione tanto odiata quanto veritiera.
Ricorda, Elena: impara ad amare ciò che hai prima che la vita ti insegni di nuovo ad amare ciò che hai perso.

 

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Capitolo 67
*** Capitolo 67. ***


Io ed Hailie eravamo rimaste chiuse dentro l'armadio per diverso tempo ad ascoltare in silenzio tutto il trambusto proveniente dallo spazio comune e per poco non avevamo urlato entrambe quando le ante del mobile si erano aperte all'improvviso, rivelando la figura accigliata di Stephen.
Il ragazzo mi aveva costretta ad uscire, continuando a ripetere che non se ne sarebbe andato fino a che non avesse salutato la sorellina. Hailie d'altronde era sempre rimasta silenziosa e calma, come se non fosse preoccupata, ma dato che non riuscivo a vederla in faccia volevo evitare di trarre conclusioni troppo affrettate: magari era troppo spaventata per riuscire a dire anche mezza parola.
Stephen parlò con la bimba per pochi minuti, riempendola di carezze, parole dolci e rassicurazioni. Tentò più volte di fare qualche battuta per farla sorridere, ma con la faccia pallida e preoccupata che aveva non era risultato molto credibile. 
Alla fine Stephen aveva pronunciato gli ultimi saluti e si era allontanato dalla sorellina. Inizialmente pensai che avrebbe semplicemente varcato la soglia e che sarebbe sparito nel corridoio, ma al contrario il ragazzo si mosse in mia direzione, ponendosi davanti a me. Mi guardò profondamente per qualche secondo, probabilmente indeciso sulle parole da dire o sui gesti da compiere, ma alla fine si sciolse in un piccolo sorriso spento, di rammarico. "Mi dispiace per quello che ti ho detto." pronunciò infine. "Non è che non mi fido di lasciarla con te... E' solo che sono iperprotettivo e l'idea di poter perdere una delle poche persone care a me rimaste mi fa impazzire. Soprattutto quando c'è anche in ballo la possibilità di perderne due contemporaneamente." specificò poi, facendomi arrossire.
"Chi l'avrebbe mai detto, eh?" ridacchiai, cercando di smorzare l'atmosfera. "La prima volta che ti ho visto mi sembravi insopportabile."
"Già. E ora non puoi fare a meno di me, pensa un po' come gira il mondo." ribattè, sorridendo sinceramente questa volta. 
"Ehi, ora non ti fare strane idee, bamboccione." 
"Certo che no, pasticcino." mormorò dandomi un buffetto sulla spalla. "Cerca di non farti male con quelle frecce. Sono appuntite in caso non lo sapessi."
"Ah-ah... Simpatico. Ti conviene ridere prima che una mia freccia impiantata nel tuo collo te lo impedisca." risposi a tono, godendomi la sua espressione divertita e fiera.
Il ragazzo si mosse in avanti velocemente e mi abbracciò per pochi secondi, lasciandomi stupita e felice allo stesso tempo, poi sparì dalla stanza.



 

Dopo che la Berga era atterrata e tutti erano scesi, tutto sembrava essere stato invaso dal silenzio. Potevo perfino percepire il mio cuore battere all'impazzata per timore che qualcuno fosse entrato a controllare.
Probabilmente anche Hailie doveva sentirsi spaventata o forse semplicemente era ancora troppo piccola per comprendere a pieno il rischio che stavamo correndo, ma in ogni caso decisi di allungare dietro la schienauna mano, prendendo dolcemente la sua. Ero sicura che quel contatto avrebbe rassicurato entrambe, o per lo meno avrebbe almeno consolato me.
Passarono diversi minuti e non c'era traccia nè di passi di guardie della W.I.C.K.E.D., nè della voce di Teresa attraverso l'auricolare.
Inutile specificare che la cosa non mi piaceva affatto.
Stare in quell'armadio si era rivelato molto frustrante, non per lo spazio ristretto, ma piuttosto per il fatto che eravamo inondate dal buio soffocante, fatta eccezione per uno spiraglio sottile di luce che almeno mi permetteva di vedere una piccola parte del letto mezzo rotto.
Poi all'improvviso, quando fui tentata di spostarmi leggermente per cambiare posizione dentro l'armadio, sentii delle voci in lontananza. Spalancai gli occhi e mi pietrificai sul posto.
Erano scesi tutti, quindi non poteva di certo essere una voce amica.
"Io a destra e tu a sinistra, controlla ogni spazio. Se qualcosa si muove, spara." urlò una voce, accompagnata da dei passi fitti.
"Ricevuto." borbottò un'altra voce con un tono piuttosto annoiato.
Sentii Hailie agitarsi dietro di me, causando in me più agitazione del dovuto. "Shh..." sussurrai a voce talmente tanto bassa che a stento mi sentii. Accarezzai il braccio della bambina e questa sembrò calmarsi, ma solo in parte.
Poi, stando bene attenta a non fare nessun rumore, allungai a fatica il braccio su una delle frecce e, afferrandola con decisione, mi divincolai silenziosamente in ogni direzione, cercando di non andare a sbattere da nessuna parte. Sudando e tremando per la paura di essere scoperta, alla fine riuscii a portare davanti una freccia, che subito incoccai nell'arco.
Sapevo che non potevo agire prima del segnale di Teresa, ma avere una freccia caricata e pronta era una sicurezza che volevo comunque permettermi.
In più sapevo che se fosse stato necessario, avrei anche potuto uccidere quelle guardie dentro la Berga, a patto che non facessi troppo chiasso, dato che ero sicura che le telecamere dell'Hangar non avrebbero di certo inquadrato la scena.
L'interno della Berga era un punto cieco e potevo sfruttare la cosa a mio favore.
Mi concentrai intensamente sulla fessura di luce e, nonostante potessi vedere solo una striscia in tutta la stanza, già mi sentivo più sicura.
Trattenni il fiato non appena sentii i passi farsi sempre più vicini. Non passò molto che vidi una sagoma passare davanti all'armadio, senza però soffermarsi davanti.
Assottigliai gli occhi e mi sporsi ancora di più sull'anta dell'armadio senza mai appoggiarmi per paura di muovere qualcosa, poi quando notai la figura della guardia accovacciata a terra, intenta a sbirciare sotto il letto malandato, mi sentii gelare il sangue nelle vene.
Ora lo sapevo per certo e non potevo più ignorare quella pessima sensazione che percepivo: era inevitabile che la guardia prima o poi sarebbe venuta a controllare anche dentro l'armadio e non c'era nulla che potessi fare per impedirlo.
Dovevo pensare in fretta.
Come facevo ad uccidere un uomo senza fare chiasso? Doveva essere un colpo veloce, secco. Quell'uomo non doveva emettere un sibilo o ben presto io ed Hailie saremmo state circondate di guardie e l'ultima cosa che volevo attirare era proprio l'attenzione.
Osservai l'uomo rialzarsi da terra e pulirsi con un gesto veloce le ginocchia, poi si mise dritto e si guardò intorno, stringendo a sè il lanciagranate.
Perchè Teresa non si sbrigava?
Nel momento in cui l'uomo fermò il suo sguardo sull'armadio il mio cuore smise di battere. Sentii i suoi passi farsi sempre più vicini e il mio respiro venire a mancare secondo dopo secondo. Strinsi il pugno attorno all'arco e sentii le mie mani sudare e tremare. 
Non c'era più tempo dovevo agire.
Vidi le braccia dell'uomo allungarsi in direzione dell'armadio e le sue dita cercare di afferrare la maniglia, poi, nel momento in cui si aprì il primo spiraglio di luce, ogni paura abbandonò il mio corpo, sostituita dalla fermezza e da un senso di protezione nei confronti di Hailie.
Nel momento in cui l'armadio si aprì, alzai l'arco e scagliai la freccia che con un suono umidiccio andò a perforare la trachea dell'uomo, spruzzando sangue sulle coperte del letto malandato.
Vidi la guardia lasciar cadere a terra il lanciagranate e portarsi le mani alla gola, poi indietreggiò con gli occhi fuori dalle orbite. Nemmeno un lamento uscì dalle sue labbra.
Sentii Hailie sobbalzare nel momento in cui allungai velocemente la mia mano dietro la schiena per afferrare un'altra freccia. In meno di un secondo avevo già scoccato un secondo colpo, questa volta mirando al cuore.
A questo punto l'uomo fece un ultimo passo indietro, spinto dalla forza di impatto che la freccia aveva avuto sul suo petto, poi le sue braccia si abbassarono e i suoi occhi, ancora spalancati, si spensero lentamente.
Vidi il suo corpo cadere all'indietro e fu a quel punto che mi fiondai all'avanti per afferrare l'uomo ed evitare che cadesse a terra con un tonfo. Non avevo fatto tutta quella fatica per non farlo urlare per poi attirare l'attenzione delle altre guardie con un grande tonfo.
Riuscii a mettere le mani su di lui poco prima che si sbilanciasse troppo all'indietro e così, nonostante il suo peso, riuscii a trascinarlo sul letto. Qui, lo abbandonai sopra il materasso, facendo volare qualche batuffolo di polvere.
Sentii la bambina agitarsi dietro la mia schiena e solo in quel momento mi ricordai della sua presenza. La sentivo più rigida rispetto a prima ed ero sicura che stesse tremando.
Senz'altro quella era la prima uccisione che la bambina vedeva con i propri occhi.
Non avrei mai voluto sporcare la sua innocenza con tanta brutalità, ma sapevo di non avere scelta. Ancora mi ricordavo la prima volta che avevo visto morire qualcuno, ma quell'esperienza non mi aveva shoccata così tanto come la volta in cui avevo dovuto uccidere.
E sapevo benissimo che certi ricordi non si limitano ad esistere nella mente, ma invadono anche il corpo come un veleno nero.

Lo stavo constatando anche io, proprio in quel momento. Non era un caso se la pelle sul mio corpo si era raggrinzita, invadendomi di un freddo a me così familiare. Rabbrividii, cosciente che quell'azione non avrebbe risolto gran chè.
"E' tutto okay, Hailie." sussurrai lentamente, rimettendomi dritta e inspirando profondamente. Mi portai una mano tremante tra i capelli e li risistemai con fare nervoso. Solo quando abbassai la mano mi accorsi che fosse piena di sangue.
Inorridii a quella vista e velocemente strofinai il palmo sul pantalone. "Va tutto bene..." ripetei ad Hailie, anche se il messaggio era più rivolto a me stessa. 
Indietreggiai dal corpo dell'uomo di qualche passo e osservai ciò che avevo fatto. 
Dov'era finita tutta la grinta e la sete di vendetta?
Perchè provavo pietà per delle persone che si erano divertite a torturarmi per anni?
Pensa a Newt. Mi suggerì il mio inconscio. Si è ammalato per colpa loro.
"Lui non vorrebbe questo. Non vorrebbe che mi sporcassi le mani di sangue." sibilai, sentendo un brivido percorrere la mia schiena, come se qualcuno stesse facendo scivolare la lama congelata di un coltello su di me. "Lui non ha mai voluto..."
"...controllare." 
Una voce mi giunse alle orecchie troppo tardi.
"A che punto se..." l'altra guardia varcò la soglia e interruppe la frase nel momento in cui mi vide.
Subito mi puntò addosso il lanciagranate e spinse il dito sul grilletto, ma nulla uscì dalla sua arma. "Ma che diamine..."
Non fece in tempo a finire la frase che una delle mie frecce gli perforò il cranio, spruzzando sangue sulla parete e facendolo inarcare all'indietro. Questa volta mi mossi in anticipo e riuscii ad afferrarlo quasi subito, prima che cadesse a terra, stando bene attenta a non toccare il sangue che sgorgava senza sosta dal retro della sua testa. Con una fatica immane lo trascinai a scossoni verso il letto e una volta che fui abbastanza vicina ad esso, feci un ultimo enorme sforzo per gettarlo sopra il materasso, insieme all'amico.
"Andiamo, Teresa..." bisbigliai sentendo già il fiatone.
Come se la ragazza mi avesse sentito, una voce parlò attraverso l'auricolare. "Ascoltami attentamente, ho poco tempo per spiegare." ordinò Teresa con una voce più preoccupata del solito. "Ci sono sei guardie, due per ogni entrata nell'Hangar. Prima fai fuori quelle nella porta a nord, subito davanti alla Berga; poi procedi con est e ovest che sono più distanti. Se segui questo ordine dovresti accumulare abbastanza tempo prima che le guardie ti arrivino."
La ragazza fece una pausa e, per quanto avessi voluto ringraziarla, purtroppo quell'auricolare non era dotato di microfono. Teresa rimase in silenzio per diverso tempo, ma potevo ancora sentire il ronzio del microfono acceso, segno che era indecisa se dire qualcos'altro o ometterlo.
"Ho disattivato le telecamere ora. Buona fortuna, Rebeca." disse in fine la ragazza, poi la sua voce scomparì all'istante dal mio orecchio.
Presi un profondo respiro e immediatamente mi sentii nuovamente carica di energie. Le mie mani avevano smesso di tremare e già questo era un buon segno.
Feci qualche passo ed uscii dalla stanza, poi attraversai silenziosamente il corridoio, nel frattempo allungando un braccio dietro la schiena per afferrare una freccia. Quando mi trovai in prossimità della fine mi fermai contro la parete.
Facendo attenzione a non sporgermi troppo, allungai il collo e sbirciai velocemente. Nello spazio comune della Berga non c'era nessuno, ma se guardavo oltre, verso la porta nord suggerita da Teresa, potevo vedere le due guardie immobili stringere i loro lanciagranate.
Avendo avuto la conferma necessaria, mi ritirai indietro, incoccando la freccia sulla corda dell'arco.
"Chiudi gli occhi, Hailie." bisbigliai alla bambina che fino a quel momento non aveva mai fiatato. La sentii muoversi leggermente, segno che stava annuendo. "Non li aprire fino a che non te lo dico, okay?"
La bambina annuì di nuovo e ciò mi rassicurò.
Sapevo che Hailie sarebbe stata una vedetta perfetta e avrebbe potuto guardarmi le spalle in tutti i sensi, ma utilizzarla in quel modo mi sembrava sbagliato. Era troppo piccola e aveva già visto due uomini morire davanti ai suoi occhi. Era abbastanza, non volevo rischiare di aggiungere altro orrore.
Presi un profondo respiro poi riflettei attentamente sulle azioni da compiere. Sapevo che se avessi percorso lo spazio comune della Berga le guardie mi avrebbero visto senz'altro, sottraendomi così quel piccolo vantaggio di distanza che avrei potuto sfruttare, perciò dovevo per forza scoccare la freccia da quel punto.
Stando bene attenta a non dare nell'occhio mi sporsi leggermente dalla parete e sbirciai verso l'esterno, poi tesi l'arco e puntai la freccia su uno dei due uomini.
Mi portai la corda a lato della bocca e socchiusi un occhio per assicurarmi di prendere una mira migliore, poi lasciai partire la freccia. 
Non attesi nemmeno che questa di scagliasse sull'uomo che già ne incoccai un'altra. Presi la mira sulla guardia restante proprio nel momento in cui l'uomo al suo fianco cadeva a terra.
Fu allora che scoccai la freccia.
Subito scattai all'avanti, uscendo dal mio nascondiglio e percorrendo a grandi falcate lo spazio comune della Berga.
Sfilai dalla faretra un'altra freccia e la incoccai. Dopo che entrambe le guardie erano cadute a terra prive di sensi, delle voci confuse si erano animate all'interno dell'Hangar.
Raggiunsi il portellone aperto dell'aeromobile e senza paura lo varcai, subito puntando l'arco contro le guardie della porta est. Queste erano rimaste piazzate sull'uscita, probabilmente troppo confuse per aver compreso da dove fossero arrivate le due frecce precedenti. Approfittando perciò della loro confusione temporale, scoccai la freccia, colpendo la guardia a destra. L'altra scattò all'avanti immediatamente, come se fosse stata risvegliata dalla freccia precedente, e si mise a correre nella mia direzione.
Nel momento in cui allungai il braccio dietro la schiena per afferrare un'altra freccia, mi permisi di dare una veloce occhiata alla situazione della porta ovest: anche quelle due guardie stavano correndo nella mia direzione.
Presa dal panico mi affrettai ad incoccare la seguente freccia e nonostante il tremore costante delle mie mani, riuscii ad atterrare anche l'ultima guardia della porta est.
Nel momento in cui questa cadde a terra sentii qualcosa volare vicino al mio orecchio e poi conficcarsi nella parete della Berga. Sbattendo gli occhi per la sorpresa misi a fuoco l'oggetto che si era incastrato nel metallo: un coltello.
Spalancai gli occhi terrorizzata. Gally non mi aveva parlato di coltelli, ma solo di lanciagranate!
Feci per voltarmi di scatto e prendere un'altra freccia, ma i miei movimenti furono troppo lenti: una fitta improvvisa alla coscia mi fece urlare di dolore.
Caddi in ginocchio e abbassai lo sguardo sulla mia gamba: la lama di un coltello era completamente affondata nel mio muscolo, ma ero sicura che non avesse toccato l'osso dato che il coltello era tutto spostato verso sinistra.
Un'altro urlo agonizzante lasciò le mie labbra e la mia vista si fece sempre più sfocata.
Ben presto il dolore si diramò ovunque, come inondandomi di scariche elettriche. Le mie orecchie si chiusero, peggiorando la situazione e facendomi girare la testa.
Portai le mani sul manico del coltello, ma non appena lo sfiorai con un dito il bruciore e il dolore ripresero a regnare su di me, oscurando la mia razionalità.
Sentii un altro coltello fendere l'aria, ma per fortuna questo si conficcò sul pavimento. Almeno il fatto che non avessero un'ottima mira mi rassicurava.
Senza esitare e accantonando a fatica il dolore presi una freccia e la scoccai immediatamente sulla prima guardia che mi capitò a tiro. Mancai il bersaglio.
La mia testa stava scoppiando e la mia coscia non smetteva di darmi una fitta di dolore dopo l'altra. Il mio corpo era nel caos più totale e in tutta quell'agonia non riuscivo a concentrarmi.
Riprovai nuovamente, cercando in tutti i modi di tirare fuori la grinta. Scoccai la freccia e questa volta la guardia cadde a terra priva di vita.
Ne manca solo una. Dissi a me stessa.
Scoccai un'altra freccia e questa volta fu la guardia, ormai a sei metri di distanza a schivare il colpo per un pelo.
"Oh, andiamo!" gridai frustrata, sentendo la mia gamba tremare di dolore. Decisa a finire ciò che avevo iniziato, mi portai un braccio dietro la schiena e afferrai una freccia.
Nel frattempo mi feci coraggio e, urlando di dolore, mi alzai in piedi per riuscire a prendere meglio la mira.
La guardia era ormai a quattro metri di distanza, pronta a lanciarmi addosso un altro coltello.
Scagliai la freccia e rilasciai un grido di rabbia.
La punta dell'arma si conficcò nel cuore dell'uomo e, data la vicinanza con cui avevo cagliato la freccia, la guardia venne catapultata all'indietro.
Abbassai l'arco e presi a respirare velocemente. Tutta l'adrenalina lasciò il mio corpo in un istante, permettendo così al dolore di prendere il sopravvento.
Allungai una mano verso il coltello e questa volta afferri decisa l'impugnatura, serrando le labbra per non urlare ancora. Dovevo cavarlo, dovevo farcela.
Inspirai profondamente più volte e più mi decidevo a cavare dal mio muscolo la lama, più il mio respiro diventava affannato. Quando pensai di raggiungere l'iperventilazione, mi decisi a cavare con una mossa secca l'arma.
Urlai di dolore e osservai la mia mano intrisa di sangue sdoppiarsi e farsi sempre più sfocata. La mia mente riprese a girare senza sosta, dandomi un forte senso di nausea e svenimento. 
Mi sentii cadere all'avanti e per fortuna riuscii in tempo ad afferrare una parete della Berga, per poi appiattirmi su di essa. Sentii in lontananza il suono della lama del coltello battere contro la rampa metallica della Berga, poi le mie orecchie si stapparono con forza, iniziando però a ronzare in modo fastidioso.
Solo dopo qualche istante quel rumore venne sopraffatto dai singhiozzi di Hailie che, forse ancora con gli occhi chiusi, aveva capito cosa era successo dopo aver ascoltato le mie grida.
"Va... tutto... bene..." biascicai, cercando di mantenere il tono di voce fermo, senza però riuscirci.
Devi farcela. Sentii una voce parlare nella mia mente, una voce che non mi apparteneva, ma che allo stesso tempo percepivo come familiare. 
Chiusi gli occhi e appoggiai la testa sulla parete della Berga.
Fallo per me. Ripetè quella voce, ora indubbiamente più chiara. 
Spalancai gli occhi e presi a respirare profondamente. Newt? 
Devi continuare a lottare, me lo hai promesso. Parlò nuovamente il ragazzo. 
Alzai di scatto la testa e mi guardai attorno, peggiorando solamente la situazione. Ero da sola, Newt non c'era.
La mia mente era impazzita definitivamente.
Rimasi in silenzio per diverso tempo, sempre attaccata al muro della Berga, ansiosa di risentire nuovamente la sua voce. Anche se avevo sognato tutto non mi importava. Volevo sentirlo ancora.
Volevo...
Ma la voce di Newt sembrava essersi dissolta, lasciandomi addosso una sensazione di freddo e vuoto.
"Ho paura..." sentii Hailie singhiozzare dietro di me. Come se la voce della bambina mi avesse rianimato, mi staccai dalla parete. 
Cosa diamine stavo facendo? Non potevo permettermi di perdere tempo.
"Non è successo nulla." mormorai con voce roca, facendo un passo all'avanti e sentendo le fitte percorrermi nuovamente il corpo.
Mi morsi la parte interna della guancia e decisi di muovere anche la gamba ferita, procurandomi così un dolore accecante. Non potevo permettermi di mollare, dovevo continuare a camminare, prendere le armi e liberare gli altri.
Mossi un altro passo, poi usai di nuovo la gamba ferita, cercando di non appoggiare troppo peso. Riuscii a non urlare e così continuai a camminare, passo dopo passo dopo passo.
Dopo quello che mi sembrò un tempo infinito riuscii a raggiungere nuovamente la camera in cui mi ero nascosta e afferrai con decisione il malloppo di armi che Gally aveva nascosto con me nell'armadio.
"Hailie, apri un attimo gli occhi." dissi alla bambina, accantonando il dolore e iniziando lentamente ad abituarmici. "Devi riuscire a..." per sbaglio la bambina mosse il piede e andò a colpirmi la gamba ferita. Mugugnai dal dolore e sentii la bambina agitarsi in preda al panico. "Shh, non è successo niente. Ora devi solo afferrare queste e tenerle ben salde, okay?" domandai allungando dietro la schiena il malloppo si armi.
"Stai attenta a non ferirti." pronunciai poi, sentendo le sue manine posarsi sulle mie per afferrare meglio tutte quelle armi. "Mettile nell'incavo tra me e te. Assicurati che siano ben piazzate e che non cadano lungo il tragitto."
"V-Va b-bene." singhiozzò la bambina, tirando su col naso.
Sentii subito le armi entrare in contatto con la mia schiena e da subito mi sentii scomoda, con un peso in più da trasportare. In ogni caso, percepire quel fastidio dietro la schiena era nulla in confronto al dolore della mia gamba.
Dovevo trovare in fretta qualcosa con cui fasciarmi la ferita o avrei lasciato strisce di sangue al mio passaggio, rischiando così di mandare in area il piano di passare inosservata. 
Ero sicura che nella Berga ci dovesse essere un kit di pronto soccorso, così decisi di partire dalla cabina di pilotaggio, sperando di trovarlo lì. Il tragitto fino alla stanza fu abbastanza difficile, ma ad ogni passo riuscivo sempre più a controllare il peso che mettevo su ogni gamba, riducendo leggermente il dolore ogni volta che appoggiavo il piede della gamba ferita a terra.
Quando spalancai la porta della cabina e notai la scatoletta bianca con una croce rossa stampata sopra, il mio sguardo si illuminò e improvvisamente mi sentii più sollevata nel comprendere che non avrei dovuto percorrere altre stanze per cercare quella maledetta scatola.
La tirai giù in malo modo e questa cadde sul pavimento, aprendosi e riversando ovunque gli oggetti al suo interno. Imprecai e faticai per abbassarmi e raccogliere il rotolo per fasciare la ferita. Ignorai il resto degli oggetti, ma in particolare evitai di usare il disinfettante. Sapevo che usandolo la ferita non si sarebbe infettata, ma in quel momento aggiungere altro dolore alla mia gamba non era la cosa che avevo più voglia di fare.
Dopo essermi fasciata la ferita e aver dato tre o quattro giri mugugnando di dolore tra uno strattone e l'altro, finalmente legai con un nodo la fascia e la osservai tingersi lentamente di rosso.
Mi pulii le mani insanguinate sui pantaloni e ripresi in mano l'arco che avevo abbandonato temporaneamente accanto alla parete, poi uscii dalla cabina di pilotaggio, stringendo i denti e continuando a ripetermi che dovevo farcela.
Raggiunsi lo sportello della Berga più velocemente di quanto avessi immaginato e mi fermai un secondo per sfilare la mappa dal lenzuolo che teneva Hailie attaccata a me.
La aprii attentamente e ben presto individuai tutti i laboratori in cui i miei amici e non erano stati smistati. Con il dito percorsi la strada da compiere per arrivare al laboratorio più vicino e con sollievo mi accorsi che era solo a qualche metro di distanza, forse cinque o sei, e che per raggiungerlo non dovevo passare su delle scale.
Era ora di andare a liberare i miei amici.
Era ora di iniziare veramente la lotta contro la W.I.C.K.E.D.
"Pronta, Hailie?" domandai riponendo la mappa dentro il lenzuolo.
"Andiamo a prendere Stephen, vero?" chiese la bambina di rimando, con una voce molto più calma rispetto a poco prima. 
"Sì, andiamo a liberarlo insieme agli altri." risposi scendendo lentamente dalla rampa della Berga.
"Allora sono pronta."

*Angolo scrittrice*
Hey, pive!
Scusate per il ritardo della pubblicazione, ultimamente non sono mai puntuale :') Spero che la lunghezza del capitolo sia un buon modo per farsi perdonare!
Baci, 

Inevitabilmente_Dea

{Capitolo non revisionato}

 

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Capitolo 68
*** Capitolo 68. ***


Dopo essere arrivata a fatica all'uscita nord dell'Hangar, aprii cautamente la porta e sbirciai nel corridoio per assicurarmi che non ci fosse nessuno. Dopo essere rimasta qualche secondo in attesa di udire qualche suono di voci o passi e dopo aver constatato che il corridoio fosse vuoto, uscii dalla porta e cercai di muovermi quanto più velocemente possibile, senza però fare troppo rumore. Ogni passo era una fitta di dolore, perciò mi era impossibile non zoppicare.
Per la prima volta potevo constatare cosa provava Newt ogni volta che camminava e al suo pensiero il mio petto non faceva altro che comprimersi, come se un macigno mi fosse caduto addosso.
Chissà se il biondino se la stava passando meglio di me.
Individuai ben presto la porta del primo laboratorio che si trovava a soli tre metri da me, così continuai a camminare e nel frattempo cavai una freccia dalla faretra e la posizionai sull'arco. Nonostante il corridoio fosse vuoto non avevo intenzione di abbassare la guardia, tenendomi sempre pronta a combattere.
Una volta arrivata alla porta del primo laboratorio attesi per qualche secondo davanti ad essa, prendendo dei profondi respiri per riuscire a ritrovare la concentrazione necessaria a combattere. Accantonai il dolore per quanto possibile e cercai di concentrarmi sul piano che mi era stato affidato. Iniziai ben presto a pensare come avrei agito e a pianificare le mie mosse: sapevo che non avrei potuto aprire la porta con un calcio dato che non avrei fatto altro che aumentare il dolore alla gamba, ma ero anche consapevole che non potevo usare la maniglia ed entrare tranquillamente come se nulla fosse. Doveva essere un attacco a sorpresa, inaspettato.
Riflettei anche sulla probabile presenza di alcune guardie che − considerando i modi maniacali e perfezionisti della W.I.C.K.E.D. − non potevano mancare quando si trattava di qualcosa di fondamentale come degli Immuni.
Decisi perciò di aprire la porta di scatto con una spallata e subito caricai l'arco verso il primo uomo in camice che mi capitò davanti. Non ebbi nemmeno il tempo di osservare il luogo in cui avevo piantato la freccia che una guardia mi si scagliò addosso, tentando invano di usare il suo lanciagranate. Cercai di non farmi distrarre dall'espressione buffa e stupita che assunse nel momento in cui realizzò che l'arma non funzionava, e immediatamente lo spintonai all'indietro per riuscire a guadagnare lo spazio necessario ad incoccare una freccia. Non persi nemmeno tempo a prendere troppo bene la mira, data la sua vicinanza, e subito scagliai la freccia, colpendolo al petto. L'uomo urlò e cadde a terra dolorante, contorcendosi e perdendo sangue. Tentando di distogliere lo sguardo da quella sostanza scarlatta decisi di guardarmi attorno per cercare gli altri scienziati che nel frattempo avevano inziato a correre per la stanza cercando di nascondersi, ripararsi o almeno di trovare qualcosa con cui difendersi. Con mio stupore mi accorsi perfino di un'altra guardia che, inerme, era stata catapultata al suolo da cinque o sei immuni che ora la stavano riempendo di calci e pugni.
Solo quando il mio sguardo venne catturato da tutti gli Immuni presenti mi accorsi della grandezza della stanza: c'erano almeno una ventina di lettini da operazione, uguali a quelli che infestavano i miei incubi e i miei ricordi del periodo in cui la W.I.C.K.E.D. mi utilizzava come cavia. Decisi di distogliere immediatamente lo sguardo per evitare che la paura di ciò che mi era successo prendesse il sopravvento su di me.
Anche quello era un ricordo che purtroppo non si era limitato ad esistere nella mia mente, ma aveva invaso anche il mio corpo, facendolo rabbrividire ogni volta alla vista di qualsiasi oggetto che fosse collegato anche lontanamente ad una sala operatoria.
Decisa a non perdere altro tempo cavai un'altra freccia dalla faretra, scoccandola poi in direzione di uno scienziato che aveva cercato invano di ripararsi sotto una scrivania in metallo.
Quando anche quest'uomo cadde a terra privo di vita, estrassi un'altra freccia, determinata a fare fuori anche l'ultimo scienziato presente nella stanza.
Mi guardai attorno alla ricerca dell'ultimo uomo  da eliminare, ma quando mi accorsi di averlo perso di vista una paura improvvisa mi invase le viscere.
Percepii un movimento alle mie spalle e riuscii a malapena a girarmi per capire che si trattasse dell'ultimo scienziato. Non ebbi nemmeno il tempo di realizzare cosa stava succedendo che mi ritrovai ad indietreggiare: l'uomo stava correndo verso di me con in mano un estintore e prima ancora che potessi cavare una freccia dalla faretra lo vidi agitare l'oggetto in aria, pronto a scagliarmelo addosso con tutta la sua forza.
Quando ormai pensai di ricevere una botta in testa, qualcuno si buttò sullo scienziato, atterrandolo violentemente su un carrello dotato di ruote e pieno di attrezzi di chirurgia che caddero a terra, rompendosi e sparpagliandosi per la stanza.
Solo dopo qualche secondo mi accorsi che l'Immune che aveva atterrato lo scienziato era proprio Gally. Non feci nemmeno in tempo a finire di osservare la scena tra i due che tutto il gruppo di Immuni mi circondò, bloccandomi la vista e spingendo gli uni sugli altri per raggiungermi.
Vidi decine di mani allungarsi verso di me e mi spaventai a morte. Anche Hailie non tardò a rendersi conto della situazione: ben presto infatti, iniziò ad urlare terrorizzata, stringendosi a me il più possibile.
Solo dopo qualche secondo realizzai che in realtà gli Immuni non erano impazziti, ma stavano solamente cercando di afferrare ciascuno un'arma. Fu a quel punto che reagii alla loro mancanza di delicatezza. Tutti sembravano fremere per la battaglia imminente e nessuno aveva un occhio di riguardo per la bambina.
Chi mi spintonava qua e là, chi mi piegava in ogni modo per riuscire ad afferrare le armi, chi mi colpiva per sbaglio nel tentativo di ritrarre il braccio. Le mie grida e le mie parole erano risultate più che vane alla frenesia della folla che, ignorandomi come se fossi un oggetto, ben presto si diradò. Dopo aver ottenuto ciò che desideravano infatti, gli Immuni uscirono dalla stanza, lasciandola vuota.
Subito allungai una mano dietro la schiena per lasciare qualche carezza ad Hailie, la quale aveva smesso di urlare nel momento in cui l'ultima persona aveva varcato la porta, sparendo nel corridoio. La bambina, nonostante fosse più tranquilla rispetto all'attimo precedente, era ancora rigida e spaventata a morte per ciò che era accaduto e non appena la mia mano entrò in contatto con la sua, Hailie si irrigidì. Poi, accorgendosi che ero solamente io, si rilassò, ricambiando le carezze.
"Va tutto bene, Hailie?" domandai preccupata, sentendola tremare un pochino.
"S-Sì." ripose lei poco convinta. "Dov'è Stephen?" chiese poi con voce preoccupata.
"Non lo so, ma ora riprendiamo a cercarlo, okay?" la rassicurai, sentendola poi muoversi leggermente, segno che probabilmente stava annuendo.
Alzai lo sguardo proprio nel momento in cui Gally mi stava raggiungendo. Il ragazzo aveva il volto rosso e il fiatone, e mi bastò lanciare una veloce occhiata allo scienziato - svenuto a terra con il volto ricoperto di sangue e graffi - per capire il motivo di tanto affanno.
"Perchè ci hai messo tanto?" domandò il ragazzo preoccupato, portandosi una mano tra i capelli e sistemandosi alcune ciocche che erano ricadute sulla sua fronte. Il ragazzo poi allungò delicatamente una mano dietro la mia schiena, afferrando una mazza da baseball che probabilmente era l'ultima arma rimasta. 
Non ci fu bisogno di spiegare al ragazzo il motivo del mio ritardo, perchè Gally, abbassando per sbaglio lo sguardo a terra, notò la mia coscia sanguinante e sgranò gli occhi.
"Cosa diamine..." il ragazzo non finì nemmeno la frase e alzò lo sguardo su di me, puntandolo nei miei occhi e fissandomi con l'espressione di chi attende spiegazioni. "Cosa è successo?" domandò poi, impaziente di ricevere una risposta che però tardava ad arrivare.
"Coltelli." risposi semplicemente. "Le guardie hanno iniziato a lanciarmeli addosso."
"Coltelli?" domandò lui sgranando gli occhi incredulo. "Non sapevo che..."
"Non fa niente." lo interruppi, cercando di non farlo preoccupare troppo. "Poteva anche andare peggio."
"Andare peggio?" mi rimproverò lui. "Dio, Eli, stai perdendo un sacco di sangue."
Abbassai lo sguardo sulla mia coscia e in effetti la situazione era peggiorata: il sangue che sgorgava dalla mia coscia ormai aveva macchiato totalmente la parte superiore dei miei pantaloni. 
"Riesci a camminare?" domandò nuovamente Gally, ricatturando la mia attenzione. 
Feci spallucce e gli lanciai uno sguardo indifferente, cercando di essere più convincente possibile. "Diciamo di sì." risposi titubante.
Gally alzò lo sguardo su di me con un'espressione che lasciava indendere che non mi credesse affatto. Senza aggiungere altro il ragazzo sis posstò dietro di me e lo sentii afferrare Hailie che subito si mise a gridare spaventata. "No." lo fermai immediatamente, appoggiando una mano sulla sua spalla e tirandolo verso di me.
"Come pensi di riuscire a camminare con..."
"Non pesa tanto, non preoccuparti." risposi velocemente, interrompendo il ragazzo. 
Il ragazzo mi guardò per qualche secondo con un'aria del tutto indecisa, poi scosse la testa e si mise al mio fianco. "Mi ero dimenticata di quanto fossi testarda, fagiolina." borbottò Gally continuando a scuotere la testa e prendendo il mio braccio.
"Cosa stai facendo?" domandai stupita, osservandolo armeggiare con il mio braccio e porlo alla fine sulle sue spalle.
"Ti aiuto." spiegò sbrigativo lui. "Non che tu ci sia abituata, vero?"
Questa volta decisi di non replicare e lasciarmi aiutare dal ragazzo che senz'altro stava facendo del suo meglio. Mi sentii riempire di sollievo nel momento in cui Gally, appoggiando una mano sulla mia e l'altra sul mio fianco, mi attirò a sè, sorreggendomi e diminuendo così il peso sulle mie gambe.
"Andiamocene da qui." mormorò poi Gally, guardandosi attorno con un'espressione crucciata. 
Annuii senza proferire parola e, trascinata in parte dal ragazzo, iniziai a muovermi, cercando di mantenere un'andatura veloce per non risultare un peso al ragazzo. Mi sentivo in colpa nell'intralciare o rovinare sempre i suoi piani, perchè dovevo sempre essere così impacciata e combinare guai?
Se solo avessi prestato più attenzione tutto quello ora non sarebbe stato necessario e Gally avrebbe potuto prendere parte alla battaglia come prestabilito, senza dover badare a me e alla mia gamba ferita.
Camminammo lungo il corridoio, ma ad un certo punto mi ritornò in mente il piano e mi bloccai di colpo. "Gally, dobbiamo andare a liberare gli altri." ricordai al ragazzo.
"Non preoccuparti, ci penseranno gli altri." mi rispose semplicemente il ragazzo, tirandomi in avanti e obbligandomi a continuare a camminare.
"M-Ma Stephen e..."
"Se la saprà cavare." mi rassicurò il ragazzo. 
Aprii la bocca per aggiungere altro, ma un allarme squillante cominciò a risuonareper tutto l'edificio, lasciandomi a bocca aperta. 
Gally si bloccò immediatamente e si guardò attorno con un'espressione totalmente preoccupata. "Dobbiamo sbrigarci!" gridò poi cercando di sovrastare quel baccano.
Il ragazzo iniziò a camminare ancora più velocemente e potevo comprendere che si stesse trattenendo dal non correre solo per facilitarmi. "Devo solo trovare un posto sicuro in cui tu possa stare fino..." il ragazzo si interruppe immediatamente, come se avesse corso il rischio di dire qualcosa di proibito.
"Aspetta..." gridai, riuscendo a percepire a stento la mia voce. "Nascondermi? Non se ne parla. Io partecipo alla battaglia, che tu lo voglia o no."
"Come credi di..." il ragazzo si bloccò di nuovo. "Lasciamo stare, so già che alla fine farai quello che vuoi. E' inutile discutere con te."
"Esattamente." borbottai scocciata. Non mi ero beccata un coltello nella coscia per poi rimanere in disparte durante la battaglia. 
Ben presto l'allarme tacque e nonostante il fastidioso fischio nelle orecchie, continuai a camminare, cercando di mantenere l'andatura di Gally. Il ragazzo svoltò in un nuovo corridoio, trascinandomi dietro di lui. Dopo aver percordo alcuni metri, il ragazzo decise di girare a destra, ma prima che potesse farlo, una figura alle nostre spalle attirò la mia attenzione.
Senza volerlo lasciai che il mio istinto prendesse il sopravvento su di me e in meno di un secondo mi ritrovai a gettare tutto il mio peso su di Gally per farlo cadere a terra.
Con una precisione e una tempistica micidiali, un rumore troppo familiare quanto fastidioso mi passò vicino all'orecchio. Gally perse l'equilibrio e cadde a terra colto di sopresa e io sopra di lui. Solo dopo aver alzato lo sguardo compresi di essere riuscita a schivare un coltello senza nemmeno averlo visto. Se non altro avevo imparato la lezione...
Mentre Gally era impegnato ad imprecare e a cercare di spostarmi da sopra di lui, io mi focalizzai sulla guardia che aveva preso a correre in nostra direzione. "Alzati, dobbiamo andarcene!" mi rimproverò Gally, prendendomi per i fianchi e cercando di sollevarmi.
"Stai zitto e lasciami fare." risposi secca, lasciandolo senza parole.
Velocemente sollevai l'arco e presi una freccia dalla faretra, la incoccai e dopo aver preso la mira la scagliai contro l'uomo che cadde a terra privo di vita.
"Vedi?" mormorai, abbassando l'arco e voltandomi verso Gally che mi stava fissando con un'espressione stupita. "Hai bisogno di me. Ti salvo sempre le chiappe."
"Pff, certo."
Ignorai il suo commento e a stento riuscii a rimettermi in piedi. Mugugnai e strinsi i denti, ma alla fine riuscii ad appoggiarmi al muro più vicino e a tirarmi su. Osservai poi Gally fare pressione sulle braccia per mettersi a sedere e sollevarsi.
"Sbrigati, dobbiamo raggiungere gli altri." lo rimproverai, facendogli segno di venirmi di fianco per aiutarmi.
"Ma sentila." borbottò lui scrocchiandosi la schiena. "Prima mi butti a terra e poi mi dai anche gli ordini."
"Sei tu che hai voluto aiutarmi." brontolai, mettendo un braccio attorno alle sue spalle e riprendendo la posizione iniziale.
Gally pose una mano sul mio fianco e come la volta precedente mi sollevò leggermente, muovendosi poi in avanti. 
Camminammo per qualche altro minuto e ogni volta che ci trovavamo di fronte ad un bivio o a delle svolte, Gally non si fermava nemmeno un secondo per decidere che strada prendere. Sembrava quasi che sapesse esattamente cosa fare, come se avesse studiato la mappa della W.I.C.K.E.D. per mesi. Presi fiato e aprii la bocca per domandarglielo di persona. "Sei sicuro di sapere dove..." 
Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che un boato fortissimo fece tremare tutto il corridoio, facendo perdere l'equilibrio sia a me che a Gally. Mi sentii instabile, come se la terra stesse crollando sotto di me e dovetti aggrapparmi al muro per non cadere. Di certo fare forza sulle mie gambe per rimanere in equilibrio non mi aiutava a far passare il dolore.
Mi voltai verso Gally di scatto e lo guardai per ricevere qualche sorta di conforto. Il ragazzo al contrario aveva un'aria piuttosto seria, ma non sembrava affatto sorpreso da quell'esplosione, come sapesse già che sarebbe accaduto.
Perchè sembrava che mi stesse nascondendo qualcosa?
Non appena la terra si stabilizzò di nuovo e così anche il mio equilibrio, mossi qualche passo incerto verso Gally, guardandolo in attesa di spiegazioni. Il ragazzo si accorse in tempo della mia espressione e si spostò verso di me.
"Cosa diamine è stato?" domandai allarmata, guardandomi attorno e ignorando momentaneamente i piagnucolii della bambina dietro di me.
"Vince." disse semplicemente Gally. "Ha creato una breccia per far entrare il resto dei nostri." pronunciò con un tono più teso del solito.
Di nuovo quell'espressione. Pensai aggrottando le sopracciglia. C'è qualcosa che non mi sta dicendo. 
"Perchè lo dici in quel modo?" domandai. "C'è qualcosa che non va?"
Gally si fermò e mi guardò per qualche istante. "No va tutto bene, possiamo continuare."

 

Dopo essere riuscita a consolare Hailie, io e Gally avevamo ripreso il lento cammino, percorrendo corridoi su corridoi. La mia gamba non aveva smesso di fare male neanche per un secondo e la cosa era frustrante: se prima avevo creduto di poter convinvere con quelle fitte, arrivando perfino ad abituarmici, ora mi rendevo conto delle fandonie che raccontavo a me stessa dato che ad ogni passo il dolore sembrava aumentare a dismisura.
Ben presto al dolore si erano anche aggiunti la stanchezza e i giramenti di testa. Mi sentivo sempre più svuotata, come se tutte le energie che avevo so fossero disperse nell'aria.
Più volte mi accorsi di non riuscire a percepire le parole di Gally, accorgendomi che stesse parlando solo quando ormai aveva finito di pronunciare la frase. I suoni arrivavano ovattati alle mie orecchie, ma diedi la colpa di tutto ciò all'esplosione, pensando che probabilmente era stata quella a scuotermi più del dovuto. 
Costrinsi però la stanchezza ad abbandonarmi nel momento in cui io e Gally svoltammo nell'ennesimo corridoio, ritrovandoci praticamente nel mezzo della battaglia. Lo spazio era occupato da due schiere, confuse e mischiate tra di loro: gli Immuni muniti di spranghe, bastoni, piedi di porco e altre armi indefinibili, combattevano con grinta contro le guardie della W.I.C.K.E.D. che cercavano di combattere o corpo a corpo o lanciando coltelli. 
Mentre la battaglia infuriava davanti a noi mi girai verso Gally, trovandolo a fissare con espressione seria il combattimento.
Il ragazzo ben presto incrociò il mio sguardo e con un'espressione preoccupata mi rivolse una domanda tacita. "Non preoccuparti per me." risposi ben presto, anticipandolo ancor prima che aprisse bocca. "Me la saprò cavare da sola." mormorai facendogli poi cenno di raggiungere la grande battaglia.
"Ma Eli..." 
"Non discutere, vai." lo rimproverai, facendogli un cenno con il mento e distaccandomi da lui con un sorriso.
Il ragazzo mi guardò per qualche secondo poi spostò delicatamente il mio braccio dalle sue spalle e mi guardò per un'ultima volta con un lungo sguardo preoccupato. Poi si voltò e prese a correre verso la battaglia.

*Angolo scrittrice*
Hey Pive!
Ho aggiornato finalmente in tempo!
Questo capitolo probabilmente farà un po' schifo, ma non sapevo come altro migliorarlo...
La storia sta quasi giungendo al termine, ma non sono pronta :'( Non so perchè ma mi fa sempre brutto finire di scrivere un libro.
Spero che la storia vi stia piacendo fino ad ora!
Grazie a legge e a chi recensisce. Non ve lo dirò mai abbastanza, credo, ma è comunque importante esprimervi la mia gratitudine. Tranquilli, la storia ancora non è finita e questi di certo non sono i ringraziamenti finali!
Ma intanto, nell'attesa, vi ridico grazie perchè ringraziare non fa mai male.
Baci,

sempre vostra Inevitabilmente_Dea (o Elena, come preferite)♥

Ps: capitolo non revisionato!

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Capitolo 69
*** Capitolo 69. ***


Come prima cosa decisi di mettermi in disparte, riparandomi dietro un muro in modo da non essere un bersaglio facile, poi mi concentrai sui personaggi della battaglia. Volevo individuare i miei amici in modo da essere sicura che non fossero rimasti indietro.
Fu semplice trovare Minho dato che, come al suo solito, era pieno di energie e si buttava da una parte all'altra attaccando ogni guardia che gli capitava a tiro, senza mai fermarsi un attimo. Non mi sorpresi quando lo vidi disarmato: sapevo che il ragazzo era specializzato nello fare a pugni dato che da quando lo avevo conosciuto aveva sempre cercato di azzuffarsi con qualcuno. Ma dovevo ammettere che, anche se non aveva un'arma con sè, se la stava cavando quasi meglio degli altri armati: i suoi pugni erano sferrati continuamente, senza mai lasciare spazio alle sue vittime; i suoi calci erano più radi, ma non per questo meno potenti; e poi c'erano le testate che il ragazzo sganciava solo quando era in difficoltà, ma che mi sembrava segnassero il colpo di grazia in molti combattimenti che il ragazzo aveva affrontato.
Spostai lo sguardo a destra del ragazzo e quasi non notai la figura di Stephen che, con mia sorpresa, si stava muovendo con un'agilità felina. Il ragazzo non era muscoloso come Minho, ma più secco e alto, e questo Stephen sembrava averlo capito. Aveva sfruttato quelle sue caratteristiche per cogliere di sorpresa i suoi avversari: infatti il ragazzo non tirava pugni assidui come Minho, ma saltava letteralmente sopra le guardie.
Una sua mossa in particolare mi spiazzò definitivamente: dopo aver finito uno dei suoi avversari il ragazzo cercò tra la folla la prossima vittima e una volta scelta, iniziò a correre nella sua direzione. Quando fu poco distante dalla guardia − circa un metro o poco più − il ragazzo saltò in aria e si gettò con i piedi sul petto dell'uomo, usandolo come un vero e proprio trampolino per catapultarsi verso la guardia accanto. Questa volta però il ragazzo divaricò le gambe e si aggrappò con esse alla testa dell'uomo, ribaltandolo all'indietro. Quando la guardia cadde a terra battendo forte la testa, il ragazzo ne approfittò per colpirlo con due o tre pugni dritti sul naso che non fecero altro che far battere nuovamente la testa all'uomo, facendolo così svenire.
Poi, senza nemmeno attendere un secondo, Stephen mosse velocemente la sua gamba in direzione dell'uomo che precedentemente aveva utilizzato come appoggio per slanciarsi in aria e, colpendolo forte alle gambe, lo fece ricadere a terra. Stephen aspettò che l'uomo fosse completamente steso a terra per colpirlo sulla trachea con il proprio piede, lasciandolo così senza fiato.
Mi meravigliai dell'agilità e della facilità con cui il ragazzo era riuscito ad atterrare ben due avversari nel giro di pochi secondi, ma purtroppo il mio stupore durò ben poco, perchè la mia attenzione venne catturata da una figura femminile poco distante da Stephen.
Violet stava combattendo contro una guardia, ma la ragazza sembrava molto in difficoltà: nonostante si stesse proteggendo con le braccia, la ragazza continuava a prendere calci e pugni senza riuscire a reagire e la cosa mi fece infuriare. 
Nessuno poteva fare male ai miei amici.
Senza esitare uscii dal mio nascondiglio ed estrassi una freccia. Mi avvicinai velocemente alla folla di combattenti, riuscendo perfino ad ignorare il dolore alla coscia, e quando riuscii a puntare l'arco sul mio bersaglio rilasciai la freccia che si infilzò nel cranio dell'uomo, facendolo cadere a terra in un batter d'occhio. Violet si guardò attorno spaesata, ma quando incrociò il mio sguardo mi sorrise sollevata e poi si ributtò nella mischia del combattimento.
Cavai un'altra freccia, decisa a prendere parte a tutto quel trambusto, e questa volta uccisi una donna che, con in mano un coltello, stava per pugnalare un uomo.
Un'altra freccia, un'altra guardia morta.
Un'altra freccia, un'altra guardia morta. 
Un'altra freccia, un'altra guardia morta. 
Le cose sembravano andare fin troppo bene per me ed infatti, solo dopo che ebbi perforato il collo di una guardia con una freccia, facendola stramazzare al suolo, tre uomini si decisero a corrermi incontro, pronti ad affrontarmi.
Data la loro momentanea lontananza riuscii a farne fuori uno senza problemi, piantandogli una freccia nel cuore, ma nel momento in cui feci per estrarne un'altra dalla faretra, realizzai che non avrei avuto tempo di scagliarla. Mi mossi così in avanti e con tutta la forza che avevo in corpo agitai l'arco in aria, riuscendo a colpire la testa di una guardia che, stordita, cadde a terra.
Sorrisi soddisfatta del mio colpo, ma ben presto mi accorsi di non avere nulla da festeggiare. Senza che fossi riuscita a schivare il colpo o a reagire, mi ritrovai stesa a terra dolorante: l'ultimo avversario rimasto era riuscito a regalarmi un forte calcio allo stomaco, facendomi volare a terra di schiena e facendomi perdere la presa sull'arco.
Sentii Hailie urlare e mi si strinse il cuore. La bambina era rimasta schiacciata tra me e il pavimento e sicuramente aveva ricevuto una bella botta. Animata dalle grida della bambina mi alzai in ginocchio e sperai di riuscire a gattonare verso l'arco che giaceva a poca distanza da me. Riuscii a muovermi solo di qualche passo: la guardia mi raggiunse velocemente e mi assestò un calcio dritto nelle costole, facendomi cadere nuovamente a terra, questa volta di petto.
Mugugnai dal dolore e mi portai istintivamente le braccia sul volto: se la guardia mi avesse affibbiato un altro calcio, ma questa volta alla testa, sarei sicuramente svenuta, lasciando Hailie senza protezione.
Come avevo previsto, il piede della guardia raggiunse anche le mie braccia, tentando di farmi male in modo che levassi quell'ultima protezione rimasta.
Mi obbligai a pensare in fretta. Non potevo resistere ancora tanto sotto quell'attacco.
Continuando a tenere le braccia ben alzate sollevai lo sguardo e lo puntai sull'arco. Se solo fossi riuscita ad allungare una mano lo avrei sicuramente afferrato. Dovevo solo sbarazzarmi temporaneamente della guardia.
Aspettai che questa caricasse la gamba all'indietro per muovermi: battendo la guardia in velocità, riuscii a tirare un calcio sulla sua caviglia e, dato che l'uomo aveva puntato tutto il suo equilibrio su una sola gamba, per me fu semplice atterrarlo.
Senza esitare mi gettai sull'arco e saltando in piedi con una forza che non credevo di avere, caricai una freccia e colpii l'uomo dritto al petto da una distanza molto ravvicinata.
Sentii dei passi veloci e pensanti dietro di me e senza che riuscissi a girarmi sentii qualcuno placcarmi le gambe da dietro, facendomi ribaltare all'avanti e regalandomi un dolore immane alla coscia ferita.
Fortunatamente i miei riflessi furono abbastanza veloci da farmi portare le mani all'altezza del petto, permettendomi così di fare leva su di esse e di non sbattere la testa, ma purtroppo il mio assalitore rimediò subito: sentii la sua mano intrufolarsi tra i miei capelli e tirarli all'indietro con aggressività, poi, lasciandomi sorpresa e incapace di reagire, spinse la mia testa all'ingiù, facendomi sbattere con violenza il volto sul pavimento.
Gridai di dolore e subito sentii il flusso caldo e veloce del sangue sgorgare dal mio naso.
Accecata da quel dolore improvviso a stento sentii l'urlo di battaglia che infuriava di fronte a me.
Percepii dei passi veloci davanti a me e quando credetti che l'attacco di due guardie contemporaneamente mi avrebbe sicuramente messa K.O., il peso della guardia ancora sopra di me sparì in un secondo.
Mi voltai appena in tempo per riuscire a vedere la figura di Stephen ingobbirsi sul mio aggressorre, questa volta riempendolo di pugni talmente forti e infuriati da spaventarmi.
Il ragazzo continuò a colpire la guardia fino a che questa smise di porre resistenza e solo alla fine ridusse il numero dei pugni. "Nessuno. Tocca. Le. Mie. Sorelle." gridò infuriato il ragazzo, scandendo quelle parole a ritmo di pugni.
Le mie sorelle. Ripetei nella mia mente, sentendomi invadere da una stupida allegria che mi causò un lieve sorriso sulle labbra.
Stephen si staccò dall'uomo assestandogli un ultimo calcio sulle costole, ma ormai la guardia era svenuta se non morta. Il ragazzo si precipitò verso di me e mi porse una mano per aiutarmi a rialzarmi.
"Stai bene?" domandò preoccupato, notanto la mia difficoltà nel mantenermi in piedi. 
"Più o meno." ammisi, asciugandomi il sangue sul volto con una manica.
Il ragazzo volse lo sguardo alla mia gamba insanguinata e sgranò gli occhi. "E questo?"
"Storia lunga." risposi secca, impegnandomi a non assumere un'espressione troppo contorta dal dolore.
"Hailie come sta?" chiese poi il ragazzo, mantenendo quello sguardo terribilmente preoccupato.
"Chiediglielo direttamente." consigliai, voltandomi di spalle e mostrandogli Hailie che, alla vista del fratello, squittì di gioia. Stephen, altrettanto felice di vedere che la sorellina era sana e salva, iniziò a sciogliere i nodi delle lenzuola attorno al mio busto, in modo da poter liberare Hailie per poterla prendere nuovamente in braccio. Decisi di lasciarlo fare e di non oppormi. Dopotutto la parte peggiore del piano era passata e sapevo che Hailie sarebbe stata più al sicuro tra le braccia del fratello. 
Mentre Stephen era intento a parlare con la sorellina io avevo deciso di guardarmi attorno per essere sicura che nessuna guardia ci avrebbe attaccati, ma con mia sorpresa la battaglia si era calmata parecchio. Solo dopo qualche secondo capii che il merito di ciò andava ai 'rinforzi' che Vince aveva fatto entrare e che erano arrivati solo da poco, portando con sè corde, armi e altri oggetti strani che non riuscii ad identificare. La maggior parte delle guardie della W.I.C.K.E.D. infatti erano state catturate e legate per gruppi di tre o quattro in modo che non dessero troppo fastidio, solo alcune stavano ancora combattendo, ma era visibile come fossero in difficoltà.
Ben presto ci ritrovammo ad essere i piloti di quella situazione che, contro tutte le mie aspettative, si era rivelata più semplice e meno distruttiva di qua avessi pensato.
Ma nonostante vedessi davanti ai miei occhi decine e decine di guardie messe al tappeto e tenute sotto controllo, il mio cuore non poteva non dolere per tutte le persone del Braccio Destro che erano morte per rendere possibile quella situazione.
Cercai di ignorare la distruzione che mi circondava e il sangue che macchiava indelebile il pavimento, sfiorando i corpi morti come una macabra carezza, ma per quanto mi impegnassi non facevo altro che sentirmi colpevole per aver preso parte a quel massacro. Per quanto fosse difficile da ammettere, provavo pena anche per le guardie della W.I.C.K.E.D. che, forse mosse dal dovere, forse obbligate da un ordine superiore, avevano perso la vita per una causa che in fin dei conti non li riguardava direttamente. Era vero: in tutti gli anni passati alla W.I.C.K.E.D. avevo capito che questa, senza i suoi soldatini, non sarebbe durata più di tanto e che forse, se non ci fossero state tutte quelle guardie a difendere e proteggere gli scienziati, molti progetti e molti orrori non sarebbero stati attuati. Ma ciò non significava che fossero proprio le guardie la mente del piano: loro avevano solo eseguito gli ordini.
Janson. Era lui a dover pagare per i suoi sbagli. Lui e i suoi cavolo di collaboratori.
Dove si era nascosto quel topo?
"Statemi tutti a sentire!" urlò Vince, sbucando tra la massa di gente e alzando le braccia in aria in modo che tutti potessero vederlo. "La situazione è sotto controllo ora, ma per sicurezza vi chiedo di seguirmi in un luogo meno in vista."
L'uomo sembrava totalmente soddisfatto del lavoro che avevamo svolto e il fatto che non avesse preso parte alla battaglia mi faceva infuriare. Era stato lui a creare quell'esercito e a guidarci in quel luogo, perchè non aveva difeso con noi la sua causa?
Quell'uomo non mi piaceva affatto e per quanto avessi aderito a quella missione, ancora non riuscivo a fidarmi di lui. C'era qualcosa, qualcosa che non riuscivo a capire nel suo modo di comportarsi, nel modo in cui dava gli ordini. Era riuscito a mutare in parte il comportamento di Gally e la cosa mi preoccupava, perchè sapevo che il ragazzo non era uno che si lasciava riempire la testa di fandonie così facilmente.
Da quando Gally aveva iniziato a lavorare per il Braccio Destro e in particolare per Vince, le sue ideologie erano cambiate e così anche il suo modo di agire. Era diventato più freddo, duro, come se in qualche modo Vince fosse riuscito a togliergli ogni singola distrazione, accantonando così anche quella piccola sfumatura che lo rendeva uno di noi, uno dei Radurai, che lo rendeva Gally.
Sebbene Gally avesse sempre avuto uno spirito combattivo e ribelle, sapevo che quello che aveva in testa e quello in cui credeva non era frutto di un suo pensiero. Conoscevo Gally meglio di me stessa e sapevo che quella sete di vendetta immane non era normale in lui.
"Muoviamoci." mormorai a Stephen, senza mai perdere di vista Vince. Avevo intenzione di scoprire cosa stava tramando, perchè sapevo che c'era qualcosa da scoprire su di lui.
Prima il comportamento strano di Gally. Poi il comportamento strano di Vince. 
Era ovvio che entrambi ci stessero nascondendo qualcosa di grosso.
Ed era anche ovvio che Gally non avrebbe spifferato nulla per paura della reazione di Vince.
Dovevo scoprirlo da sola.
Ma nel momento in cui mi mossi in avanti, il mio occhio cadde per sbaglio su una telecamera al lato del corridoio e improvvisamente mi ricordai di Teresa.
Dove era finita la ragazza?
Non mi sembrava di averla vista durante la battaglia.
E Thomas? Il ragazzo avrebbe già dovuto essere insieme a noi.
Possibile che Teresa fosse andata alla ricerca di Thomas?
Senza sprecare altro tempo mi mossi in avanti e istintivamente puntai in direzione di Vince che, ancora intento a parlare con alcuni dei suoi non mi aveva vista.
Solo quando mi piazzai davanti a lui e lo fissai negli occhi riuscii ad ottenere la sua attenzione. "Che vuoi, ragazzina?" ruggì alquanto seccato.
"Teresa e Thomas." risposi semplicemente, cercando di assumere un tono distaccato. "Dove sono?"
"Teresa doveva già essere qui a combattere, forse ha avuto qualche contrattempo. Mentre Thomas... Be', non ho la minima idea di dove si sia infilato quel ragazzo." mi informò poi con un sorriso sghembo, causando una risatina ai suoi compagni.
"Be' mi pare che entrambi siano stati fondamentali per mettere in piedi il tuo fottutissimo piano. Perchè non hai mandati nessuno a cercarli?" domandai arrabbiata, incendiandolo con lo sguardo, ma peggiorando solo la situazione.
Il sorrisetto sul volto dell'uomo sparì all'istante, sostituito da un'espressione totalmente furiosa e seccata. "Io non prendo ordini da una ragazzina. Bada bene a come ti rivolgi a me." mi minacciò l'uomo, puntandomi il suo grosso dito addosso.
Serrai la mandibola e sentii la rabbia infuriare in me, ma sapevo di dovermi mantenere calma, perchè non avrei risolto nulla prendendolo a pugni. Presi un profondo respiro e, dopo avergli lanciato un'ultima occhiata di fuoco, indietreggiai, sentendolo ridacchiare con i suoi compagni per la mia resa.
"E' già molto che non ti abbia piantanto una freccia su quella faccia di sploff che ti ritrovi." borbottai tra me e me, allungando il passo e allontanandomi da quella massa di teste vuote.
Avrei trovato da sola Teresa e Thomas, non mi serviva l'aiuto di Vince e i suoi burattini.
Mi mossi velocemente verso il gruppo dei miei amici, notando che nessuno di essi sembrava particolarmente contento di quella situazione, ma prima che potessi raggiungerli, una figura emerse dal corridoio vicino a me, spaventadomi a morte.
Sussultai e d'istinto indietreggiai, ma ben presto capii che la mia paura fosse del tutto inutile. Teresa stava camminando distrattamente lungo il corridoio e la vidi particolarmente indaffarata a sistemarsi qualcosa dentro le tasche dei suoi pantaloni. Non appena la ragazza alzò lo sguardo e incrociò i miei occhi, la sua espressione si dipinse di sorpresa e poi di sollievo.
"Vedo che sei viva." mormorò la ragazza con un tono distaccato.
"Merito delle tue indicazioni." borbottai, indecisa se interpretare le sue parole come un insulto o come una semplice affermazione.
La ragazza sembrò accorgersi del mio tono perplesso e subito rimediò. "Scusami, non sono brava a..." si interruppe per poi schiarirsi la gola. "Non ho mai avuto degli amici, ecco. Ma sono felice che tu sia salva, volevo dire questo. A volte mi dimentico di non stare più parlando con quei topi della W.I.C.K.E.D., devi scusarmi."
"Fa nulla." risposi, sinceramente tranquillizzata. "Dove eri finita?"
"Io, ehm..." la ragazza arrossì leggermente e poi si guardò intorno. Il suo sguardo si rabbuiò immediatamente e impallidì velocemente. "Dov'è Thomas?" domandò allarmata.
Aggrottai le sopracciglia e la guardai perplessa. "Thomas? Non lo so, pensavo che fossi andata a cercarlo."
"Cosa?" domandò lei, impallidendo sempre più. "N-No, i-io... Mentre ero nella sala di controllo non l'ho mai visto attraverso le telecamere. Pensavo che fosse già con voi."
"Okay... Non andiamo nel panico." mormorai, insicura delle mie stesse parole. "Sono sicura che troverà il modo per raggiungerci, è un ragazzo intelligente."
Che però fa scelte stupide. Aggiunse la mia mente.
"Ma se non ci raggiunge entro poco tempo, allora andremo a cercarlo, intesi?" domandò Teresa, guardandomi con degli occhi talmente lucidi e preoccupati che non potei fare a meno di annuire immediatamente.
Sbrigati, Thomas. Sussurrai nella mia testa.




 

Vince ci aveva obbligato a seguirlo attraverso i corridoi della W.I.C.K.E.D. alla ricerca di una stanza più nascosta rispetto al resto della struttura. Sotto la guida e il consiglio di Jorge e Brenda, che sembravano gli unici a conoscere a memoria ogni singola stanza, alla fine ci eravamo appartati in una saletta che personalmente non avevo mai visto.
Mentre camminavamo per i corridoi eravamo rimasti tutti in silenzio e così avevo colto quell'occasione per guardarmi attorno e memorizzare ogni singolo dettaglio in modo che, se mai avessi dovuto percorrere quella strada per andare a cercare Thomas, sapevo già come tornare dagli altri senza perdermi. Fu proprio quando passai lo sguardo su un muro in particolare che notai una voragine buia, sicuramente creata da Vince per far entrare i riforzi, e mi stupii della sua grandezza. Sicuramente doveva essere parecchio profonda come cavità, dato che di luce esterna non c'era traccia.
Mi limitai a distogliere lo sguardo e a proseguire in fretta per mantenere il passo. Continuai a camminare in silenzio, facendo ben attenzione a ciò che potevo trovare ogni volta che giravamo un angolo. Sapevo che avevamo catturato una grande quantità di guardie, ma la W.I.C.K.E.D. non era mai disarmata totalmente e sapevo che sicuramente qualche topo armato stava ancora girando per i corridoi nel tentativo di trovarci e annientarci.
Il corridoio che stavamo percorrendo era abbastanza buio per colpa delle luci sul soffito che, a causa dell'esplosione avvenuta lì vicino, si erano frantumante in mille pezzi. Dopo un po' la luce aumentò e alla fine notai una porta in fondo al corridoio che era stata lasciata aperta. La raggiungemmo abbastanza in fretta ed entrammo tutti, assicurandoci che nessuno fosse rimasto indietro.
Quella in cui ci trovavamo era una grande e luminosa stanza con dei tavoli sparpagliati sul pavimento. Dall'altra parte della stanza c'era una grande porta a due battenti e sul lato sinistro c'era invece un piccolo ufficio. 
Solo dopo aver osservato la stanza a fondo, assicurandomi che non ci fosse nessuna guardia presente, mi accorsi che Vince aveva iniziato a parlare e a dare ordini.
Ben presto il gruppo di combattenti si sparpagliò per la stanza. La maggior parte delle persone si mosse in direzione dei tavoli, trasportandoli vicino alla porta a due battenti e ribaltandoli su un fianco, poi alcuni si rannicchiarono dietro i tavoli, usandoli come scudo, mentre altri si distaccavano e raggiungevano a passo veloce il piccolo ufficio in fondo alla stanza.
Ad esclusione di un piccolo gruppo di uomini che ancora stavano parlando con Vince, solo io ed i miei amici eravamo rimasti immobili al nostro posto.
"Cosa stanno facendo?" domandai confusa a nessuno in particolare.
"Vince, non vuole che abbassare la guardia. Ha paura che qualcuno attacchi da un momento all'altro." rispose Gally distaccato, lanciando qualche occhiata in direzione dell'uomo, ancora intento a bisbigliare con quel gruppo di uomini.
Seguii lo sguardo di Gally e indicai con un cenno del mento gli uomini rimasti in piedi. "E loro?"
La mia domanda tuttavia non ebbe una risposta e Gally si limitò ad ignorarmi, continuando a guardare Vince con occhi spenti. Probabilmente il ragazzo non voleva rispondere.
"Posso parlarti?" domandai al ragazzo, mettendo una mano sulla sua spalla e attirando la sua attenzione. "In privato." mi affrettai poi ad aggiungere.
Gally mi fissò per qualche istante, guardandomi con quegli occhi spenti e senza accennare a qualche emozione, poi annuì, incamminandosi poi verso l'uscita della stanza.
Una volta sorpassata la porta, mi premurai di chiuderla bene in modo che nessuno potesse sentire ciò di cui stavamo discutendo, poi mi voltai verso Gally e feci qualche passo per raggiungerlo.
"Come va la gamba?" domandò il ragazzo, finalmente tornando un po' in sè e regalandomi un'espressione preoccupata.
"Potrebbe andare meglio." risposi secca, stanca del suo comportamento, ma allo stesso tempo confusa e arrabbiata. "Perchè ti comporti così?" domandai poi, arrivando subito al sodo.
"Così come?" mi chiese lui, alzando un sopracciglio e appoggiando la schiena alla parete per poi guardarmi attentamente.
"Così come se al tuo interno vivessero due persone completamente diverse." lo aggiornai, frustrata e stanca più del dovuto. La battaglia contro le guardie mi aveva proprio sfinita. "Prima sei lo stesso Gally di sempre. Quel ragazzo dolce, premuroso, preoccupato e deciso che ho conosciuto nella Radura. L'attimo immediatamente successivo invece sei freddo, diffidente, severo e ti comporti come se nulla ti interessasse all'infuori della vendetta."
Il ragazzo mi lanciò un'occhiata ferita, come se lo stessi accusando ingiustamente, poi appoggiò la testa al muro e sospirò, chiudendo gli occhi per un attimo. "Le persone cambiano, Eli. Dopo tutto quello che è successo..."
"Lo so." lo interruppi subito. "Lo so che le persone cambiano. Credimi, io sono la prima ad ammettere di non essere la stessa ragazza indifesa della Radura. E puoi stare anche certo che non ti sto affatto chiedendo di tornare ad essere quello di prima, perchè non voglio e non posso pretendere una cosa del genere da te." lo rassicurai, attirando nuovamente la sua attenzione. "So che quello che abbiamo passato è assurdo, impensabile per dei ragazzi che dalla vita vogliono solo la tranquillità e che invece vivono tra sangue, morte e pericoli. Io ho visto tutto quello che hai visto tu e so che non si può uscire da tutto questo senza perdere una parte di sè nel percorso."
"Senti, mi fa piacere che tu ti preoccupi per me, ma non ce n'è bisogno, davvero." mi fermò il ragazzo, appoggiando una mano sulla mia spalla e sorridendomi in modo stanco, ma sincero. "In piú questo non è il momento migliore per parlare."
"Oh, certo." borbottai, indietreggiando di un passo e facendo sì che la sua mano scivolasse via da me. "Vince ha altri ordini da affibbiarti, giusto?"
Gally aggrottò le sopracciglia e mi guardò perplesso. "Vince?"
"Sì, Vince." ripetei. "Non fai altro che seguirlo come un cagnolino. Quando sei vicino a lui, tu... tu non sei più tu. Da quanto tempo hai questa sete di vendetta immane, eh? Da quando abbassi la testa e ti fai comandare o ti fai mettere in testa idee non tue?"
"Non so di cosa tu stia parlando." concluse velocemente il ragazzo, distaccandosi dalla parete e incamminandosi verso la porta. Mi affrettai a sporgermi in avanti e ad afferrarlo per un braccio.
"Non credere che io sia stupida, Gally." mormorai poi, cercando di abbassare il mio tono che forse era diventato troppo alto. "So che sta per succedere qualcosa di grosso. Altrimenti non mi spiego questo tuo comportamento." lo informai, tirandolo indietro e obbligandolo a prestarmi ancora attenzione.
A quelle mie parole la sua espressione mutò per un secondo, ma quella frazione di tempo minima mi bastò per capire che avevo fatto centro.
Era ovvio, d'altronde, che il ragazzo stesse facendo tutto quello perchè sapeva che di lì a poco sarebbe successo qualcosa. Ero sicura che fosse qualcosa che centrava con Vince, altrimenti non si sarebbe comportato come se fosse d'accordo con lui su ogni cosa.
Lo sapevo, la mia era un'ipotesi azzardata e forse molto pericolosa, ma era l'unica pista che avevo: Gally sapeva cosa aveva in mente Vince e stava cercando di mostrarsi quanto più docile e fidato possibile pur di estirpargli informazioni fondamentali; e a quanto pareva, Vince stava abboccando all'amo.
"Non ho intenzione di dirti nulla al riguardo." mi informò Gally, alzando una mano e scuotendo la testa. 
"E io non ho intenzione di obbligarti." risposi sincera. "So che in qualche modo stai cercando di proteggerci, ma ti comporti in modo strano perchè non vuoi che Vince lo sappia."
"Come..." il ragazzo aprì la bocca per parlare, poi la richiuse, rinunciando alla parola. 
"Gally, non mi interessa sapere cosa succederà, perchè so che troverai un modo per proteggerci tutti quanti. Mi fido di te. Mi sono sempre fidata e non me ne sono mai pentita, quindi pensa solo ad attuare il tuo strano piano di protezione e a cavarci tutti da questo casino."
Il ragazzo rimase zitto a fissarmi con un'espressione sollevata. Nei suoi occhi potevo leggere fiducia e gratitudine, offuscate da un sottile velo di malinconia e paura, che però subito il ragazzo si premurò di nascondere.
"Dimmi solo se sono sulla pista giusta e giuro che mi fiderò ciecamente di te." lo pregai, sentendo la necessità di capire se tutto ciò su cui avevo basato i miei pensieri fosse vero o no.
Il ragazzo abbozzò un sorriso, poi mi mise una mano sulla spalla, come a confortarmi. "Lo sapevo che ci saresti arrivata, Eli. Non ho mai pensato il contrario."

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Capitolo 70
*** Capitolo 70. ***


Dopo la discussione con Gally, avevo deciso di tornare dai miei amici che, nel frattempo, si erano posizionati dentro l'ufficio. Avevo cercato di persuadere Gally a venire lì dentro con me, ma il ragazzo aveva continuato ad insistere nel voler tornare da Vince dato che aveva ancora delle cose di cui discutere con lui. 
Raggiunsi così da sola lo stanzino e qui trovai i miei amici, tutti raccolti in piccoli gruppetti, intenti a parlare in modo fitto. Prima ancora che mi avvicinassi e sentissi i loro discorsi avevo capito qual era l'argomento di discussione per la maggior parte di essi: Thomas.
Lo avevo già notato con Minho che, dopo aver combattuto contro le guardie della W.I.C.K.E.D., non si era mai tolto quel muso di dosso. Anche Brenda non sembrava tanto contenta di quella situazione, ma stentavo a credere che le importasse veramente di Thomas. Mentre Teresa... be' Teresa era semplicemente la preoccupazione e l'ansia fatta a persona: il suo volto era pallido e stava fissando il vuoto con un'espressione vuota. Nonostante non l'avessi mai vista aprire bocca da quando ero entrata nella stanza sapevo perfettamente come doveva sentirsi nei riguardi di quella situazione, dato che il suo corpo rigido e stretto in quella posizione quasi rannicchiata parlava da solo. Ma in fin dei conti non potevo essere sorpresa da quella situazione: dopo che la ragazza mi aveva spiegato tutta la storia era stato semplice capire i suoi sentimenti nei confronti del ragazzo.
Teresa amava Thomas. Era un sentimento così palpabile in lei che era difficile non notarlo quando la si conosceva bene. Era incredibile il fatto che dopo tutto quel tempo passato lontano da lui, i sentimenti della ragazza non erano cambiati.
"Non ho intenzione di muovermi fino a che non torna Thomas." borbottò Minho incrociando le braccia al petto.
"Allora è arrivato il momento di alzare le tue chiappe da pony. Smettila di trovare scuse per nascondere la tua pigrizia." dichiarò una voce maschile alle mie spalle.
Mi voltai di scatto nel momento esatto in cui Minho alzò lo sguardo sorpreso.
Il sorriso mi invase spontaneo il volto quando vidi la figura snella di Thomas stare davanti alla porta, con una mano ancorata al braccio di Gally che si guardava intorno con fare vergognoso.
"Grazie al cielo stai bene." mormorai sollevata, muovendo un passo in avanti e circondando il ragazzo con le mie braccia, incastrandolo per pochi secondi in un abbraccio delicato che il ragazzo ricambiò felice.
Decisi di spostarmi velocemente da lui per dare anche agli altri la possibilità di salutarlo e mi posi davanti a Gally, osservando il suo volto tinto leggermente di rosso per l'imbarazzo.
Come avevo fatto a non capirlo? Il ragazzo era stato abbastanza vago quando mi aveva detto di dover parlare con Vince, come avevo fatto a non capire che era solo una bugia? La verità era che il ragazzo era semplicemente imbarazzato di stare insieme agli altri ed era proprio per questo che ultimamente non lo avevo mai visto stare insieme al gruppo con gli altri Radurai.
Non capii la causa del suo imbarazzo, ma ipotizzai che fosse per via di ciò che era successo quando eravamo usciti dal Labirinto. Era vero, il braccio di Gally aveva lanciato il coltello che aveva ucciso Chuck, ma non era stato Gally a volerlo ed era questo quello che contava.
"Altre cose da discutere con Vince, huh?" mormorai ridacchiando e dando un buffetto al ragazzo che evitò il mio sguardo, arrossendo ancora di più.
Feci per prenderlo per un braccio e tirarlo con me insieme agli altri, ma Thomas non me ne diede tempo.
Nonostante gli altri lo stessero tempestando di domande, il ragazzo sembrava non avere orecchie per sentirle. "Non posso spiegarvi tutto adesso. Dobbiamo andare a cercare gli immuni che ha rapito la W.I.C.K.E.D., poi trovare il Pass Verticale della porta secondaria di cui sono venuto a conoscenza. E dobbiamo sbrigarci, il Braccio Destro sta per far saltare in aria questo posto."
Quelle parole mi colpirono talmente inaspettate come la pioggia in un giorno di sole. Immuni, Pass Verticale, saltare in aria... Di cosa diavolo stava parlando?
Erano troppe informazioni tutte insieme. Informazioni troppo grandi per essere elaborate in pochi secondi.
"Frena, frena..." lo interruppi subito. "Saltare in aria? Di che diamine stai parlando?" domandai partendo dalla domanda più grande.
Lanciai uno sguardo a Gally e lo osservai di traverso per capire la sua reazione. Quindi è questo quello che Vince ha in mente? Domandai a me stessa, cercando di trovare una risposta negli occhi di Gally. Era questo quello che Gally cercava di evitare?
Dato che il ragazzo non sembrava volermi accennare nulla decisi di prendere io la parola. "Vince non può far saltare in aria questo posto!"
E fu proprio nel momento in cui dissi quella frase che realizzai ciò che fino a quel momento avevo solo ipotizzato, sperando di sbagliarmi. Dopotutto avrei già dovuto capirlo dal modo in cui il Braccio Destro ci aveva trattati nel furgone dopo averci presi in ostaggio alla Berga. Vince non era altro che un altro fanatico, proprio come Janson, disposto a tutto pur di arrivare al suo scopo finale. E se Vince era veramente un personaggio importante all'interno del Braccio Destro, allora non avevo intenzione di conoscere altri componenti. Il Braccio Destro non era altro che la brutta copia della W.I.C.K.E.D. e proprio come tale, sapevo che non si sarebbe fermato davanti a nulla, nemmeno se glielo avessimo impedito con tutti i mezzi.
Quel posto sarebbe saltato in aria proprio come secondo i piani e non c'era nulla che potessimo fare se non andarcene prima che questo accadesse.
"E gli Immuni?" domandai. "Dove sono? Dobbiamo andarli a prendere ora, prima che sia troppo tardi."
"Già, cos'hai scoperto?" aggiunse Minho, affiancandomi e fissando Thomas in attesa di risposte. Quest'ultimo esitò un po', il suo volto diventò leggermente paonazzo e i suoi occhi si dipinsero di tristezza, quasi come se stesse pensando o ricordando qualcosa di brutto. Poi, solo dopo diversi attimi di silenzio, il ragazzo pronunciò delle parole che non avrei mai pensato di sentire di nuovo. "Dobbiamo tornare nel Labirinto."
Spalancai gli occhi e sbattei più volte le palpebre, colpita profondamebnte da quelle parole. Il Labirinto? Sembrava passata un'eternità da quando avevamo lasciato quel posto.
Quella parola aveva acceso in me troppo ricordi, che purtroppo sembravano essere per la maggior parte tristi. Mi ricordavo tutto come se fossi salita dalla Scatola da pochi giorni: i volti dei Radurai la prima volta che mi avevano vista; il modo in cui avevo cercato di fuggire; la prima festa in mio onore; il primo istante in cui avevo pronunciato una delle parole del gergo dei Radurai; i Dolenti e i Velocisti...
E Newt.
Per quanto avessi cercato di nasconderlo, era stato proprio il nome del ragazzo a riempire i miei pensieri per primo quando Thomas aveva pronunciato la parola 'Labirinto'. 
Quello di Newt era stato il primo volto che avevo visto all'inizio della mia nuova vita. Ero passata dal puntargli un coltello alla gola all'essere disposta a dare la vita per lui. Lo avevo amato con tutta me stessa e lo avevo perso. E se prima all'udire del suo nome avvampavo, sorpresa a sorridere e a pensare a quanto lo amassi, ora, anche solo il suo ricordo mi faceva bruciare. E purtroppo ero consapevole che quello che sentivo sotto la mia pelle non fosse un fuoco di passione, ma di rabbia e tristezza. 
L'avevo amato e l'avevo perso. Ed era inutile nascondere quanto facesse male.
Uscii bruscamente dai miei pensieri quando Thomas mi mise un foglio sotto al naso, obbligandomi a prestargli attenzione e a leggere ciò che c'era scritto.

Caro Thomas, è mio convincimento che le Prove siano finite. Abbiamo dati più che sufficienti per creare una cianografia. I miei collaboratori non sono d'accordo con me a tal proposito, ma sono riuscita a fermare questa procedura e salvarti la vita. Adesso è nostro compito lavorare con i dati che già abbiamo e mettere a punto una cura per l'Eruzione. Il tuo contributo, e quello degli altri soggetti, non è più necessario. Ora hai un grande compito davanti a te. Quando sono diventata cancelliera, ho capito l'importanza di realizzare una specie di porta secondaria in questo edificio. Ho sistemato questa porta secondaria in uno sgabuzzino inutilizzato. Ti sto chiedendo di allontanare te stesso, i tuoi amici, e il numero consistente di immuni che abbiamo raccolto. Come di certo saprai, la tempistica è inderogabile. Sulla mappa che ho allegato sono segnati tre percorsi. Il primo mostra come lasciare questo edificio attraverso un tunnel; una volta fuori, sarai in grado di trovare il punto in cui il Braccio Destro ha ricavato un'entrata in un altro edificio. Lì, potrai unirti a loro. Il secondo percorso mostra come raggiungere gli immuni. Il terzo come trovare la porta secondaria. È un Pass Verticale che ti trasporterà a quella che mi auguro sarà una nuova vita. Porta via tutti e andatevene.
Ava Paige, cancelliera

Sbattei gli occhi sbigottita e alzai lo sguardo su Thomas. Il ragazzo non mi disse nulla, guardandomi con un'espressione di attesa, quasi come se stesse aspettanto una mia risposta, così mi limitai a girarmi e a passare la lettera alla persona che avevo più bisogno di sentir parlare: Stephen. 
Ava Paige. Ripetei nella mia mente. Il suo nome mi suonava molto familiare, eppure non mi ricordavo di averla vista durante il mio soggiorno alla W.I.C.K.E.D. come cavia.
Ma solo perchè io non l'avevo mai incontrata, questo non significava che anche per Stephen dovesse essere lo stesso.
Mi voltai verso Stephen e gli lanciai un'occhiata, proprio nel momento in cui il ragazzo alzò lo sguardo dal foglio, con un'espressione talmente sorpresa e colpita che per me fu semplice capire che quel nome non gli era sconosciuto.
"Perchè quelle facce?" domandò Minho scocciato, strappando la lettera dalle mani di Stephen e leggendo a voce alta, rendendo così partecipi tutti del suo contenuto.
Io continuai a guardare Stephen negli occhi, in attesa che il ragazzo mi desse qualche segnale o mi dicesse qualcosa.
"Sai chi è, non è vero? Ava Paige... Suona familiare?" mormorai a bassa voce, avvicinandomi al ragazzo.
Questo mi rivolse la sua attenzione, poi parlò. "Sì. Quando siete usciti dal Labirinto e dovevate iniziare la prova della Zona Bruciata è stata lei a spiegarmi ciò che dovevo fare. Prima di allora non l'avevo mai vista o per lo meno non me ne ricordo."
"E come ti è sembrata?" domandai curiosa.
"Non so... Si è limitata a darmi degli ordini, ma rispetto agli altri sembrava avere più tatto. Credo che sia una delle poche persone ad avermi trattato come un umano invece che come una cavia."
"Quindi ci possiamo fidare?" chiesi ancora, accorgendomi che Minho aveva ormai finito di leggere.
"Non abbiamo scelta." intervenne Thomas, facendo un passo avanti. "Non possiamo rimanere con il Braccio Destro."
"E se fosse un'altra trappola della W.I.C.K.E.D.?" ipotizzò Minho, con un'espressione schifata.
"E se non lo fosse?" propose Thomas. "Abbiamo veramente intenzione di lasciar morire decine e decine di persone innocenti solo perchè abbiamo paura che sia una trappola?"
"Io so come arrivare al punto qua segnato." si intromise Teresa, indicando sulla mappa con il dito. "L'ho percorso centinaia di volte."
"E io so che il tempo scarseggia." si intromise Gally, assumendo un'espressione seria e preoccupata. "Vince non aspetterà i nostri comodi. Quando ne avrà l'occasione farà saltare in aria questo posto, anche a costo di uccidere gente innocente."
"Allora?" domandò Thomas ascoltando le parole di Gally e guardandoci tutti in attesa di una risposta definitiva. "Venite con me?"
Mi morsi il labbro e ci pensai su, ma alla fine la decisione fu semplice da prendere.
Dopotutto anche io avrei voluto che qualcuno fosse venuto a prenderci tutti quando ancora eravamo nel Labirinto. Perchè avrei dovuto lasciare che altri affrontassero le mie stesse terribili esperienze?
"Io ci sto." decretai immediatamente, sorridendo a Thomas che, sollevato dalla mia risposta, annuì in mia direzione.
"Anche io." aggiunse Minho, subito seguito da Gally e Teresa. 
Mi voltai verso Stephen e non potei fare a meno di lanciare uno sguardo alla sua sorellina. Il pensiero che quel piccolo fiorellino avrebbe messo piede nella Radura mi spaventava a morte.
Anche il ragazzo sembrò pensare la stessa cosa e infatti riflettè parecchio prima di dare una risposta. "Non ho intenzione di lasciare la parte divertente dell'azione tutta a voi, quindi vengo."
Ben presto anche Brenda e gli altri si aggiunsero a quella risposta e in meno di due minuti tutti fummo d'accordo nell'abbandonare il Braccio Destro e proseguire da soli. 
Proseguire verso il Labirinto. 
Teresa guardò Thomas e sorridendogli gli passò un coltello, che il ragazzo accettò volentieri, stringendolo forte nella mano destra e osservando intensamente la lama sottile.
Lasciammo lo stanzino laterale e ci avviammo verso la porta a due battenti mentre Vince e gli altri inveivano contro di noi, chiamandoci pazzi e dicendo che saremmo stati uccisi nel giro di pochi minuti. 
Per la prima volta non mi sentii la sola a provare l'odio nei confronti di Vince che, spiazzato dalla nostra indifferenza nei confronti delle sue parole e dei suoi ordini, alla fine si zittì.
E in quel momento, mi sentii fiera di aver ignorato ogni singolo suono che era uscito dalla boccaccia di quell'infimo uomo.
Thomas si mise in testa al gruppo, affiancato da Teresa, e una volta che il ragazzo arrivò alla porta socchiusa, uscì e subito si accovacciò a terra. Inizialmente non compresi la causa del suo movimento, ma poi realizzai che probabilmente il ragazzo si stava preparando ad un eventuale attacco, tenendosi sempre pronto a combattere e senza mai abbassare la guardia.
Poi, una volta accortosi che nel corridoio non era presente nessuno, decise di abbandonare ogni sorta di prevenzione e continuare ad avanzare con velocità in modo da perdere meno tempo possibile.
Io lo seguii tranquilla, ma decisi comunque di tenere una freccia sempre caricata sull'arco, in modo che, in caso qualche guardia ci avesse attaccato, sarei stata pronta a rispondere.
Camminare non fu semplice per me, ma cercai comunque di resistere, stringendo i denti e tenendomi dentro il dolore, ma nel momento in cui Thomas si mise a correre, presi veramente in considerazione l'idea di gettare la spugna.
Il dolore alla gamba stava diminuendo sempre di più, ma non per questo quella ferita faceva meno male quando camminavo. Ed ero stanca. Molto stanca... Quasi come se tutte le energie che avevo in riserva avessero abbandonato il mio corpo, uscendo come il sangue dalla mia ferita. Anche questo infatti non aveva mai avuto tregua, continuando a scorrere lungo la mia gamba, in parte assorbito dalle bende che mi ero attorcigliata sulla coscia.
Dato che la forza fisica mi aveva abbandonata ormai da tempo, decisi di impiegare la mia forza d'animo che, almeno in quella situazione, non poteva mancare. Sapevo che quello che io ed i miei amici stavamo andando a fare era probabilmente la cosa più importante e significativa che avessimo mai fatto. Finalmente, dopo tanto tempo, avevamo la possibilità di intralciare i piani della W.I.C.K.E.D., salvando però anche molte vite umane.
Ed era proprio per questo che sapevo che se mi fossi arresa allora, non me lo sarei mai perdonata.
Dovevo correre con gli altri. Dovevo riuscirci.
Strinsi la mascella ed iniziai ad aumentare il passo, subito percependo la fatica e il dolore su tutto il mio corpo. Mi sentivo come se le mie ossa fossero fatte di carta, pronte a spezzarsi in qualsiasi momento.
Anche la mia testa non mi era di grande aiuto in quel momento: da quando avevo combattuto contro le guardie della W.I.C.K.E.D. non aveva mai smesso di girare su se stessa e di pesare, come se l'avessi piena d'acqua torbida, che non mi permetteva nemmeno di pensare in modo chiaro.
Sentivo il sudore scivolarmi sul volto e sulla schiena ed ogni passo che compivo con la gamba ferita era una vampata di calore accompagnata da una fitta che cercavo di sopportare silenziosamente. Anche la mia vista si era fatta leggermente appannata e lenta. Ed ero consapevole del fatto che non mi sarei sorpresa se all'improvviso avessi iniziaro a vederci doppio.
Ma la cosa peggiore venne quando, forse per aver chiuso le palpebre un secondo di più, forse per uno scherzo del mio cervello, feci un passo e mi sentii in caduta libera, come se il pavimento sotto i miei piedi fosse scomparso.
Mi sentii cadere, ma non percepii nessun impatto, forse troppo stordita e confusa. Udii solo delle voci, in lontananza. Voci ovattate e poco chiare.
E poi per un attimo ci fu pace. Il bianco più assoluto mi avvolse, così candido come le lenzuola dopo un bucato. Tutto il dolore era sparito, ma così anche ogni cosa che mi legava all'ambiente in cui mi trovavo prima: le voci, i suoni, l'affanno, i pensieri... Tutto era svanito in quel bianco infinito che...
Come se una voragine nera avesse inghiottito tutto quel bianco, venni ricatapultata alla realtà che mi spiazzò come uno schiaffo sul volto. All'improvviso la vista mi venne ridata e così anche la capacità di sentire suoni e provare dolore. Vidi il volto di Minho, chino sul mio. Poi scorsi anche la chioma bianca di Stephen e gli occhi attenti di Gally. E anche se non potevo vedere gli altri, sapevo che erano lì con me.
"Mi senti?" mormorò Minho, con una voce alquanto lenta e storpiata.
E' solo nella tua mente. Pensai, sbattendo gli occhi che all'improvviso si erano fatti più pesanti.
Degli schiamazzi e delle grida mi perforarono i timpani, donandomi un senso di confusione e smarrimento. Cosa stava succedendo?
Alzai lo sguardo su di Minho e lo vidi in procinto di alzarsi e allontanarsi da me, ma poi qualcuno pronunciò una frase che non riuscii ad assimilare e allora il Velocista tornò con tutta l'attenzione su di me.
"Adesso ci penso io. Tu pensa solo a guardarmi, okay?" domandò Minho, la sua voce leggermente più normale della volta precedente.
Socchiusi appena gli occhi, ma la voce allarmata del ragazzo me li fece spalancare nuovamente. "Concentrati su di me. Guardami. Non perdermi di vista, neanche per un secondo." mi ordinò il ragazzo. Non capii il perchè delle sue parole, ma feci come disse. Puntai il mio sguardo su un punto a caso, ritrovandomi a fissare la mascella del ragazzo che, totalmente in tensione, non faceva altro che risaltare le forme aguzze e i lineamenti del suo volto.
La mia attenzione però venne meno quando una fitta lancinante mi percorse la spina dorsale, obbligandomi ad inarcare la schiena per riuscire a sopportare quella scarica di dolore. "Lo so, lo so..." mormorò il ragazzo in modo distratto.
Cercai di ripristinare il mio sguardo sulla sua mandibola, ma non ci riuscii, così puntai i miei occhi su quelli del ragazzo, cercando un po' di conforto. Minho aveva le pupille talmente dilatate che le sue iridi erano praticamente nascoste. Il ragazzo era talmente concentrato da non sbattere nemmeno le palpebre e la cosa mi spaventava.
"Vedi?" disse poi Minho, voltando il viso nella mia direzione e sorridendomi quasi forzatamente. "Non era così difficile guardarmi, no? Dopotutto sono un bel panorama."
"Già..." sussurrai, sentendo un sorriso solcare sulle mie labbra. "Cosa è successo?" domandai stordita, sentendomi peró meglio rispetto all'attimo precedente.
La mia testa aveva lentamente ripreso a funzionare e potevo sentire che anche i miei sensi stavano tornando al loro stato iniziale.
"Tu non preoccuparti di nulla, bambolina." mi rispose lui, questa volta con un sorriso sincero, rassicurante. "Hai fatto abbastanza, ora ci penso io a te." 
Quelle furono le ultime parole del ragazzo prima che mi circondasse tra le sue braccia e mi sollevasse in piedi. Non capii come o quando, ma all'improvviso aprii gli occhi e mi ritrovai aggrappata al collo del ragazzo. Mi sentivo sobbalzare, ma alla fine era una sensazione piacevole, come se fossi cullata. E per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii al sicuro, come se nulla e nessuno potesse farmi del male.

*Angolo scrittrice*
Hey, pive!
Probabilmente vi starete chiedendo: "Ma cosa cavolo è successo ad Elena?" Tranquilli, so che non è abbastanza chiaro, ma lo spiegherò meglio nei prossimi capitoli.
Scusatemi inoltre se ci sto mettendo un sacco ad aggiornare ultimamente, ma spero che mi perdoniate. Non voglio sfidare la vostra pazienza, nè rischiare di stancarvi.
Perciò mi scuso con ognuno di voi e spero che possiate tenere duro fino alla fine di questo libro!
Passate una bella serata,
Elena :3

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Capitolo 71
*** Capitolo 71. ***


Da quando Minho mi aveva caricata sulla sua schiena dovevo ammettere di sentirmi meglio. La testa aveva lentamente smesso di girare e la mia vista si era fatta più chiara, permettendomi di distinguere le sagome dei miei amici che si muovevano veloci davanti e di fianco a noi.
Anche la gamba aveva smesso di farmi male per il momento, limitandosi ad un leggero bruciore che, per quanto fastidioso, era più che sopportabile. 
Essere traspostata di peso da Minho, dovevo ammetterlo, era molto comodo e piacevole, ma allo stesso tempo mi sentivo in colpa per il ragazzo che doveva fare il doppio della fatica a correre con il mio peso addosso. Ma nonstante questo non avevo intenzione di dirgli nulla, nemmeno per proporgli di appoggiarmi a terra: non volevo essere un peso per gli altri e sapevo che con la mia gamba ferita li avrei rallentati e basta.
Durante il tragitto fortunatamente non avevamo trovato compagnia e il gruppo stava procendo sicuro, con passo veloce. Di certo, con Teresa alla guida e tanti occhi concentrati in caso di attacchi, non avremmo dovuto avere grossi problemi. Con Teresa che indicava la via, svoltammo diverse volte e scendemmo una rampa di scale. La ragazza ad un certo punto si bloccò, fermandosi per un attimo e decise di imbucare quella che chiamò 'piccola scoricatoia' attraverso un vecchio sgabuzzino che ci portò in un altro lungo corridoio. 
Poi altre scale. Destra e poi sinistra.
Nonostante il grande fiatone − quello di Minho soprattutto − il gruppo non aveva mai rallentato il passo, restando sempre all'erta. Non facemmo mai una sosta, non ci fermammo mai per riprendere fiato, non lasciammo nemmeno spazio alle esitazione nel seguire le indicazioni di Teresa. Tutti volevamo arrivare al più presto al Labirinto ed uscire velocemente da quel posto.
Arrivammo in fondo a un altro corridoio e vidi Teresa e Thomas in testa al gruppo girare a destra. Anche Minho raggiunse ben presto gli altri due ragazzi, ma fece appena in tempo a fare tre passi e a notare che qualcosa non andava che qualcuno, sbucato dal nulla all'improvviso, gli saltò addosso, afferrandolo per le spalle e buttandolo a terra.
In meno di un secondo mi ritrovai anche io a cadere dal ragazzo. Ruzzolai a terra senza riuscire a fermarmi e quando tentai di puntare i piedi a terra per tentare di rialzarmi, una fitta si impossessò della mia gamba, facendomi mugugnare dal dolore. Mi misi a sedere e strisciai lentamente contro la parete, portandomi i palmi sopra la ferita, ma senza osare toccarla troppo. Alzai lo sguardo offuscato temporaneamente dal dolore e mi guardai attorno cercando di capire cosa fosse appena successo. Delle grida e dei versi irruppero nella stanza e, anche solo ascoltando quelli, riuscii a capire che delle guardie ci avevano attaccati. 
Era abbastanza buio e vedevo a malapena la sagoma Minho che, a pochi metri da me, si divincolava a terra nel tentativo di togliersi l'uomo − o donna − che lo aveva attaccato.
Afferrai titubante l'arco che avevo in spalla e cavai una freccia, puntandola immediatamente sulla corda, ma questa voltai esitai prima di scoccarla.
La mia vista non era delle migliori e inoltre il buio non mi aiutava. Avevo veramente intenzione di scagliare quella freccia nella speranza di beccare la persona giusta? Come facevo a sapere che non mi stavo sbagliando e che la figura che credevo appartenesse a Minho, in realtà fosse della guardia? Non potevo semplicemente tirare a sorte.
Poi un lampo di genio mi colpì. "Minho!" gridai in direzione del ragazzo. "Sei sopra o sotto?" chiesi semplicemente.
Il ragazzo ci mise un po' a rispondere e per un attimo temetti che non mi avesse sentito, ma nel momento in cui aprii nuovamenta la bocca per parlare, il ragazzo urlò: "Sotto!"
A quel punto non ebbi più motivo di starmene ferma: sollevai l'arco, presi bene la mira verso l'ombra che si muoveva a scatti sopra di Minho e scagliai la freccia. 
Non sentii il suono di questa incastrarsi nella pelle della guardia, ma la vista della figura che si accasciava a terra mi bastò a capire che avevo centrato il segno.
Vidi Minho mettersi subito in ginocchio e gattonare qua e là in cerca di qualcosa, poi lo vidi strisciare fino alla guardia che avevo colpito. Non capii le intenzioni del ragazzo e inizialmente elaborai due ipotesi: o Minho stava controllando se la guardia era morta o meno, o aveva intenzione di riempirla di pugni solo per sfogarsi. 
Ben presto però dovetti ricredermi sul Velocista, dato che dopo pochi secondi si riavvicinò a me velocemente e mi porse qualcosa. Incuriosita e turbata allo stesso tempo afferrai l'oggetto che il ragazzo mi lasciò cadere sul ventre e seguii le sue parole. "Mettitelo in testa, sugli occhi." mi spiegò velocemente, con voce affannato. "Serve per vedere al buio. Dimmi chi e dove devo colpire."
Senza perdere tempo a rispondere indossai quell'aggeggio e tutto si colorò fastidiosamente di verde, ridandomi la vista. Vedere il mondo da quel punto di vista era una cosa alquanto strana e scomoda, ma almeno ora potevo vedere erattamente dove si trovavano i nemici.
Scossi la testa e mi concentai solamente sulle sagome delle guardie per riuscire ad essere utile a Minho che ancora stava aspettando paziente inginocchiato davanti a me. 
"Alla tua destra." lo informai. "Violet sembra essere in difficoltà." aggiunsi poi, riuscendo ad animare subito il ragazzo che, con uno scatto felino, non mi fece nemmeno finire la frase e balzò alla cieca sull'uomo che stava infastidendo la sua ragazza.
Nascondendo un sorrisetto compiaciuto, mi concentrai nuovamente sulla battaglia che ancora continuava ad infuriare. Estrassi un'altra freccia e questa volta la scagliai contro la donna che stava combattendo contro Stephen. Poi toccò alla guardia che stava prendendo a calci la schiena di Gally. Mi divertii particolarmente a trafiggere questa proprio alla fine della spina dorsale, resituendogli così il dolore che aveva inflitto al ragazzo.
Un'altra freccia e anche la guardia che aveva cercato di prendere Hailie − che correva alla cieca per la stanza urlando spaventata − era accasciata al suolo.
Sfilai un'altra freccia dalla faretra, puntandola verso l'uomo che lottava contro Jorge e Brenda, ma un urlo poco distante da me mi distrasse, facendomi voltare appena in tempo verso una guardia che, accortasi della mia presenza, mi stava correndo in contro.
Feci appena in tempo a scagliarle la freccia contro e a vederla morire a terra che mi sentii tirare all'indietro violentemente.
Non feci nemmeno in tempo a capire come fosse potuto succedere, ma qualcuno aveva avuto la bella idea di arrivarmi alle spalle in modo silenzioso e di attaccarmi. Sentii le braccia della guardia scivolare sul mio collo e prima ancora che potessi reagire questa inizió a tirare verso di sè, togliendomi il fiato e dandomi una sensazione di panico mai provata prima.
Cercai di urlare il nome di uno dei miei amici, in modo che qualcuno potesse correre in mio soccorso, ma il fiato era talmente poco che a stento riuscii ad inalare il poco ossigeno che avevo in bocca. La testa inizò ben presto a farsi pesante ed il mio volto sembrava cosparso di fiamme. Non potevo continuare a rimanere aggrappata alle braccia della guardia, nel tentativo di tirarle dalla parte opposta, perchè era palese la differenza di forza tra di noi.
Colta alla sprovvista e sentendo i miei polmoni bruciare per l'assenza di ossigeno, afferrai l'arco e alla cieca cercai di colpire l'uomo dietro di me. La prima volta mancai l'obbiettivo, ma la seconda lo centrai in pieno.
Fui soddisfatta di ciò, ma la mia felicità duro poco dato che ben presto mi accorsi che, oltre ad un leggero lamento, l'uomo non si era mosso nemmeno di un millimetro.
Riprovai più volte a colpirlo, ma senza mai avere successo, e quando pensai che oramai sarei morta nella sua stretta, qualcuno intervenne, strappandomi l'uomo vi dosso e lasciando finalmente che l'aria mi entrasse nei polmoni.
Inghiottii tutto l'ossigeno che potevo, prendendo grandi boccate d'aria, ma questo sembrò solo peggiorare la mia situazione dato che iniziai a tossire fino a farmi lacrimare gli occhi. Mi piegai in avanti e mi portai le mani al collo, continuando a sputare fuori perfino l'anima. Quando la scarica di tosse sembrò attenuarsi un poco mi voltai in cerca del mio salvatore.
Immediatamente riconobbi la sagoma snella e veloce di Thomas che, anche lui con indosso la mia stessa maschera che gli ricopriva totalmente gli occhi, stava pugnalando al petto il mio assalitore. Il ragazzo dopo aver calciato un'ultima volta la guardia che mi aveva attaccata, si mosse veloce verso di me e mi porse la mano. 
"Stai bene?" domando, urlando un poco per sovrastare il frastuono che ci cicrconadava.
"Sì, grazie." risposi con voce debole, afferrando la sua mano e lasciando che il ragazzo mi tirasse in piedi per poi farmi appoggiare alla sua spalla.
"Riesci a camminare?"
"Camminare sì." risposi immediatamente. "Correre no."
"Va benissimo." rispose entusiasta Thomas, portando una mano dietro la mia schiena e sorreggendomi. "Teresa dice che manca poco. Più avanti c'é una rampa di scale e per quelle ti porto in braccio io. Non appena siamo sistemati ti faccio scendere e ti aiuto a camminare, okay?"
"Va bene." risposi convinta, guardandomi un'ultima volta intorno per vedere in che condizioni erano i miei amici.
Mi accorsi con sorpresa che la maggior parte di questi erano in piedi, guardandosi attorno con occhi sbarrati e un'espressione smarrita, altri invece stavano camminando all'avanti portando le mani sul muro, in modo da riprendere fiato. Solo due stavano ancora combattendo contro delle guardie, ma era palese che stessero avendo la meglio.
Sollevata da ciò seguii Thomas, continuando a guardarmi attorno per paura di subire altri attacchi.
"Forza!" gridò Thomas. "Minho, lascialo!" aggiunse poi, facendo un cenno in direzione dell'amico che ancora stava riempendo di pugni una guardia inerme. Il Velocista sferrò un altro paio di pugni per non correre rischi, poi si alzò, dando a quel tizio un ultimo calcio. "Ho finito. Possiamo andare."
Vidi Thomas annuire in direzione dell'amico e poi si chinò in avanti, mostrandomi la schiena e chiedendomi così di salire in groppa. Non feci tanti complimenti e con un balzo gli montai sopra, stando attenta a non posizionare le braccia troppo attaccate al suo collo in modo da non soffocarlo.
Il ragazzo, per quanto fosse gracile, non sembrò fare fatica a sostenere il mio peso, anzi subito si mise a correre, superando alcuni e tornando senza problemi in testa al gruppo.
Scendemmo un'altra lunga rampa di scale e ci ritrovammo, uno dopo l'altro, nella stanza lì sotto. Quando Thomas, come me, capì dove ci trovavamo, rimase pietrificato, irrigidendosi immediatamente. Allungai una mano sulla maschera che avevo ancora indosso e me la cavai immediatamente, gettandola a terra e sperando che ció avevo davanti fosse solo un brutto incubo. Anche Thomas fece la stessa cosa, abbandonando la sua maschera per vedere al buio a terra.
Quella in cui eravamo capitati non era una stanza qualunque e di certo non si dimenticava facilmente. Era la stanza che ospitava le capsule dei Dolenti, la stanza in cui eravamo arrivati dopo essere fuggiti dal Labirinto attraverso quello scivolo viscido. Le finestre dell'osservatorio erano ancora rotte, frammenti di vetro erano sparsi su tutto il pavimento. Le lunghe capsule, circa una quarantina, in cui i Dolenti si riposavano e si ricaricavano, sembravano essere state sigillate dopo che ce n'eravamo andati settimane prima. La superficie bianca, che brillava l'ultima volta che l'avevamo vista, adesso era coperta da uno strato di polvere. 
Poi all'improvviso un ricordo che aveva tormentato i miei incubi più profondi per giorni tornò a galla, riempendomi di lacrime e tristezza. Quasi come se la mia mente avesse deciso di proiettare quella scena davanti a me, riuscii a ripercorrere tutto come se fosse successo solo pochi giorni prima: lo sguardo di Gally velato dalle lacrime, la sua espressioe spenta in modo strano, la voce della donna che lo avevo accompagnato e poi il mulinare del pugnale nell'aria. Potevo ancora vedere Chuck gettarsi sul corpo di Thomas e...
Quel suono. 
Non avrei mai potuto scordare il suono che si creò nel momento in cui la lama perforò il petto del povero bambino, ferendolo mortalmente.
"Perché non c'è nessuno?" chiese Minho destandomi dai miei pensieri e salvandomi da quello che sarebbe potuto diventare un incubo ad occhi aperti. Il Velocista fece un giro su sé stesso, osservando quel posto. "Se tengono delle persone lì dentro, perché non ci sono guardie?"
Thomas ci pensò su prima di rispondere. "Perché usare dei soldati per tenerle lì dentro se c'è un Labirinto a farlo per te? Noi ci abbiamo messo molto tempo per capire come uscire."
"Non lo so." disse Minho. "C'è qualcosa che mi puzza."
Thomas scrollò le spalle. "Be', starcene qui seduti non ci aiuterà. A meno che tu non abbia qualcosa di utile, andiamo lì sopra e cominciamo a farle uscire."
"Utile?" ripeté Minho. "Io non ho niente."
"Allora andiamo." disse Thomas, ma subito mi sentii in dovere di fermarlo.
"Io non vengo." annunciai, lasciando la presa su Thomas e scivolando lentamente dalla sua schiena.
"Come?" domandò Minho accanto a me.
"Sarei solo un peso, vi rallenterei. Non riesco a correre e credo che abbiate abbastanza vite da salvare per pensare anche a me." spiegai brevemente. "Io resto qua, almeno se qualcuno entra e cerca di boicottare il nostro piano posso ucciderlo."
"Ma..."
"Minho, va bene." si intromise Thomas, lanciandomi un'occhiata d'intesa. "Rimane qua anche Hailie." ordinò poi, guardando Stephen che, ancora con la sorella in spalle, sembrava alquanto preoccupato per quella situazione. 
Detto ciò Thomas si arrampicò su per una scala e gli altri lo seguirono.

 

 

 

Era ormai da una venita di minuti che me ne stavo seduta a terra, con la schiena appoggiata su un muro freddo e le gambe stese a terra. Hailie aveva corso un po' per la stanza, aprendo le braccia verso l'esterno e fingendo di essere un aeroplano, poi alla fine si era stancata e mi era venuta vicino, stendendosi accanto a me e appoggiandomi la testa in grembo senza proferire parola. Da quel momento la mia mano non aveva mai smesso di accarezzare i suoi capelli biondi con una dolcezza quasi distratta e la bambina aveva iniziato a succhiarsi il pollice, canticchiando una melodia probabilmente inventata, ma che almeno mi teneva compagnia.
Restare in quella stanza non era la cosa più bella che mi fosse capitata, dato che ogni ricordo che era collegato a quei muri sembrava essersi rintanato nell'ombra, aspettando il momento giusto per attaccarmi.
Eppure se non volevo abbassare la guardia dovevo rimanere lucida nella realtà, senza navigare nei miei pensieri.
Per tutto il tempo non feci altro che osservare turbata le bare in cui una volta giacevano i Dolenti, ponendomi sempre la stessa domanda angosciata a cui però non volevo trovare una risposta. I Dolenti erano stati riposti lì dentro dopo che eravamo usciti dal Labirinto? E se sì, potevano essere rimessi in funzione?
Di certo volevo che le mie domande rimanessero irrisolte, dato che non volevo rischiare di ricevere una risposta sgradevole di cui poi mi sarei pentita.
Quel tempo a disposizione mi diede anche la possibilità di riflettere parecchio su tutto quello che era successo ultimamente e, per quanto odiassi me stessa per aver dato la possibilità alla mia mente di parlare, sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento di affrontare in faccia la realtà. Ripercorsi mentalmente tutto ciò che era successo da quando eravamo scappati dalla W.I.C.K.E.D. con la Berga di Jorge e inevitabilmente i miei pensieri andarono a finire su una persona in particolare: Newt.
Mi sorpresi nel momento in cui, al posto del solito dolore, provai solo una straziante malinconia, accompagnia da morsa al petto che tuttavia riuscii a gestire con mano ferma, controllando quella sensazione di soffocamento e panico che si impossessava di me ogni volta che pensavo al biondino. E subito dopo, quasi come una rivelazione, mi resi conto che avevo mentito, sia agli altri che a me stessa.
Perchè non avevo voluto entrare nel Labirinto?

Sapevo che la cosa non dipendeva totalmente dalla mia gamba ferita, eppure non avevo avuto esitazioni nell'affibbiare la colpa di quella mia mancanza ad essa. Una volta non mi sarei mai permessa di gettare la spugna davanti a questi ostacoli; una volta sarei andata oltre in ogni caso, rischiando il tutto per tutto per salvare anche solo una vita umana. E ora che ce n'erano tante in ballo? Come avevo potuto abbandonare un mio dovere nei loro confronti con così tanta leggerezza?
La mia mente continuava a ripetermi che ero solo debole e che non avrei potuto essere d'aiuto in quelle condizioni, che mi stavo sbagliando e che non dovevo sentirmi in colpa per aver detto di no in un'occasione.
Il mio cuore invece, che mi conosceva profondamente e che aveva toccato le mie paure e le mie debolezze più nascoste, mi aveva messo davanti ad un muro di verità che mi aveva spiazzato più di ogni altra cosa. Perchè non ero rientrata nel Labirinto?
Semplice, non avevo il coraggio di mettere un passo in quel posto senza di Newt.
Lui era il primo volto che avevo visto all'inizio della mia nuova vita. Erano sue le labbra che avevo baciato prima di lasciare quel posto.

Come potevo anche solo sfiorare nuovamente l'erba della Radura senza rabbrividire al suo pensiero. Certo, avrei camminato per un bel pezzo persa ad ammirare i muri del Labirinto che, chissà, magari ora mi sarebbero sembrati più alti, o al contrario meno imminenti e temibili, ma una volta che avrei puntato lo sguardo sul Casolare cosa mi sarebbe successo?
Avrei rivisto l'immagine di me e Newt abbracciati l'un l'altro, intenti a difenderci a vicenda dagli incubi che ogni notte venivano a bussare alla nostra porta.
Tu dormi, ti proteggo io dai tuoi incubi. Ripetei nella mia mente.

E nel momento in cui, nel tentativo di distogliere lo sguardo dal Casolare, mi sarei ritrovava a guardare l'infermeria dei Medicali cosa mi sarebbe successo?
La mia pelle sarebbe rabbrividita al solo ricordo dei palmi di Newt sul mio corpo e i suoi occhi attenti e premurosi che percorrevano ogni mia curva la prima volta che avevamo fatto l'amore. 
E cosa sarebbe successo quando per sbaglio avrei osservato ciò che restava degli Orti?
Avrei rivisto il suo sguardo pieno di amore e dolcezza infinita che il ragazzo rivolgeva solo a me, fissandomi come se dal momento che i suoi occhi si erano puntati sui miei, per lui non esistesse altro al mondo da ammirare a tal modo.
E se invece mi fossi inoltrata nel bosco, inciampando su quella che credevo essere una radice e invece mi fossi ritrovata a camminare sulle Facce Morte, cosa avrei sentito?
Credo che non mi sarei limitata a sentire il dolore o l'affanno nei confronti delle persone che giacevano sotto terra, ma avrei percepito la paura riafforare in me nel momento in cui il pensiero di Newt morto o in pericolo avesse divorato la mia mente, togliendomi la capacità di pensare razionalmente.
E poi sarei passata al Muro. Quanti nomi avrei dovuto sbarrare?
Troppo numerosi per essere ricordati. Troppo unici per essere dimenticati.

Newt era stato una parte insostituibile della Radura e così lo era stato anche nella mia vita.
Mi chiesi come sarebbe stata la mia vita senza di lui.
Mi chiesi come avrei fatto a mantenere tutte quelle promesse che ci eravamo scambiati e che ora suonavano più infattibili che mai alle mie orecchie.

Mi chiesi se avrei mai avuto la possibilità di vederlo di nuovo.

Mi chiesi come sarebbero andate le cose se non avessimo mai lasciato quel Labirinto.

 

 

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Capitolo 72
*** Capitolo 72. ***


I miei pensieri vennero interrotti bruscamente da un rumore violento, simile a quello della pietra che si spacca, che mi rimbombò nelle ossa. Spalancai gli occhi e mi guardai attorno spaesata, cercando di capire da dove fosse arrivato quel suono. Mi alzai in piedi e feci scomodare Hailie, la quale sembrò aver sentito il mio stesso suono dato che non appena cavai una freccia dalla mia faretra per sentirmi più sicura, la bambina si nascose dietro di me, abbracciandomi la gamba sana.
Feci per aprire la bocca e tranquillizzare la bambina, ma nel momento in cui lo feci ci fu un altro rumore, poi un altro ancora. Un rimbombo cupo, prima leggero poi sempre più intenso attraversò la stanza, dandomi la sensazione di avere le orecchie tappate. Prima ancora che potessi realizzare ciò che stava succedendo, la terra sotto i miei piedi cominciò a tremare, e sembrava che il mondo stesse per crollare.
Un terremoto fu la prima cosa a cui pensai e d'instinto zoppicai verso il centro della stanza, lontana da tutto ciò che cadendo sarebbe potuto risultare un pericolo. Hailie mi seguì tremante, tenendosi sembre ben stretta a me come se avesse paura di perdermi per strada.
Continuai a guardarmi intorno spaesata cercando di capire da dove arrivasse quel rumore e mi chiesi se anche gli altri avessero sentito lo stesso rumore dalla Radura. Chissà come stava andando lassù...
Il panico si diffuse lentamente in me e d'un tratto mi ritrovai a pentirmi della mia decisione di rimanere in quel posto da sola. 
Cosa avrei dovuto fare di preciso? Correre dentro il Labirinto per avvisare i miei amici di quello che stava succedendo? Tornare a sedere e fingere che nulla fosse successo? Uscire dalla stanza a controllare che nulla di preoccupante stesse succedendo?
Nessuna di quelle mi sembrava un'ottima idea. Forse sarei semplicemente dovuta rimanere in attesa dei miei amici, cercando di mantenere la calma e la concentrazione.
Non appena mi convinsi di fare ciò e provare a controllare la mia paura, la terra tremò di nuovo, questa volta con maggiore vigore. Le mie gambe si fecero improvvisamete deboli e sentii la necessità di gettarmi a gattoni per riuscire a mantenere meglio l'equilibrio, ma decisi di rimanere ferma in piedi per far sì che a Hailie non mancasse un'appoggio a cui tenersi.
Un'altra scossa ancora più volenta e la bambina soffocò un urlo, aumentando la stretta attorno alla mia gamba. I rumori − di tuoni e della roccia che si sgretolava − si amplificarono e io non potevo fare a meno di domadarmi cosa stesse succedendo, quando all'improvviso mi ricordai di una cosa.
Thomas aveva parlato di esplosivi e del fatto che il Braccio destro aveva intenzione di far saltare in aria la W.I.C.K.E.D.
Che avessero di già iniziato a far saltare in aria gli esplosivi?
Era l'unica ipotesi più vicina al possibile e per quanto sperai di sbagliarmi, sapevo che c'erano alte probabilità che saremmo tutti morti sotto le macerie prima di riuscire a mettere un solo passo fuori da quel posto.
Presi un profondo respiro e dissi a Hailie di non preoccuparsi. Le mentii spudoratamente spiegandole che era una cosa normale ciò che stava accadendo e che presto sarebbe tornato suo fratello che l'avrebbe portata fuori da quel posto. "Ti va di fare un gioco?" domandai con voce tremante. "Facciamo che io penso ad una cosa e tu devi indovinare, ti va?" le proposi, cercando di arrangiarmi come meglio potevo per non far morire di paura quella povera e innocente bambina.
Hailie, con mio sollievo, annuì incerta e mi fissò intensamente.
Stephen. Fu la prima cosa che mi venne in mente guardando gli occhi grandi e azzurri della bimba.
"E' un animale?"
"No." risposi sorridendole nel modo più spontaneo possibile.
"Oh, bene. Non conosco molti animali." ammise la bambina, il terrore sul suo volto cancellato dal sollievo. "E' una persona?"
"Sì." risposi distrattamente, continuando a guardarmi intorno con un'aria preoccupata e pregando con tutta me stessa che i miei amici arrivassero in fretta.
"E' uno scienziato?"
"No."
"E' una persona che conosco?"
"Sì e anche molto bene direi." le spiegai, rivolgendole un altro sorriso.
"Oh, forse ho capito. Questa persona puzza?" chiese la bambina ridacchiando.
"Moltissimo." 
"Allora è Stephen, vero?" domandò entusiasta, come se avesse appena fatto una scoperta esorbitante.
"Vero." borbottai, preoccupata e allo stesso tempo felice che quel gioco fosse finito.
"Ancora, ancora!" gridò di gioia la bambina, saltellando su se stessa, ma rimanendo ancorata alla mia gamba.
"Okay, fammi pensare." dissi distratta, mettendomi a fissare la scala a pioli affiancata allo scivolo viscido.
Perché Thomas e gli altri ci stavano mettendo così tanto?
La mia mente, cercando di distrarsi dalla sensazione che qualcosa fosse andato storto, iniziò lentamente a pensare a qualcosa da far indovinare alla bambina quando, all'improvviso, un vociare e delle grida mi destarono dai miei pensieri e una sagoma affannata apparve in cima alle scale, saltando letteralmente sullo scivolo.
"Teresa!" gridai felice, sentendo il sollievo montare in me.
"Ma no! Non vale se mi dici già dall'inizio quello che devo indovinare." brontolò la bambina sotto di me, guardandomi con un'espressione divertita, come se avessi fatto l'errore più buffo di sempre.
Prima che potessi rispondere alla bambina, la voce di Teresa catturò nuovamente la mia attenzione. "Il Labirinto sta crollando su se stesso. Gli altri sono ancora dentro, stanno cercando di far uscire tutti." spiegò la ragazza con il fiatone non appena scese dallo scivolo, poi immediatamente si voltò verso dove era venuta e inizio a gesticolare verso la gente in modo che tutti la seguissero senza timore. "Forza! Non abbiamo molto tempo!"
All'improvviso apparve Brenda che, senza esitare nemmeno un secondo, si lasciò a peso morto sullo scivolo, seguita da una fila di persone interminalbile. Alcuni prendevano le scale, arrancando gli uni sugli altri, altri si gettavano all'impazzata sullo scivolo, pestandosi e spingendosi a vicenda. 
In quella stanza regnava il caos più totale, ma non fu quello a sorprendermi: tra tutte quelle centinaia di persone c'erano persino dei neonati e dei bambini. Provai orrore nel constatare che se non fossimo intervenuti noi, probabilmente la W.I.C.K.E.D. avrebbe usato anche quelle povere creature, così come era toccato alle sorelle di Stephen. E al solo pensare che anche i volti che avevo davanti sarebbero potuti morire sotto tortura mi si contorcevatorceva lo stomaco.
Teresa si precipitò immediatamente verso le persone che iniziavano a scendere dallo scivolo, aiutandole a rialzarsi e dando istruzioni sulla direzione da prendere per uscire da quella zona e passare attraverso il Pass Verticale. Anche Brenda fece lo stesso e così decisi di darmi da fare anche io. Riposi la freccia nella faretra e mi avvicinai a Teresa proprio mentre iniziava a spiegare ad un nuovo gruppo di persone i corridoi da prendere e il percorso da utilizzare. Memorizzai in fretta la sequenza di passaggi e camminai veloce verso le persone che stavano scendendo dalla scala a pioli, mettendomi di lato e iniziando anche io a gridare istruzioni.
Fortunatamente Hailie mi rese il lavoro più semplice dato che, probabilmente capendo che quella situazione era abbastanza critica, si era staccata dalla mia gamba, ma mi era comunque rimasta vicina, senza mai fiatare.
Gli immuni, invece, non fecero altrettanto. Tra grida, schiamazzi e pianti, la mia voce si sentiva a stento e così mi ritrovai a ripetere la stessa cosa ad ogni piccolo gruppo che mi capitava davanti, nella speranza che almeno uno avesse compreso la strada e potesse fare da guida per gli altri.
La folla iniziò a sciamare velocemente fuori dalla porta, ma il ciclo sembrava non finire mai: tante persone se ne andavano, altrettante ne arrivavano.
Poi, proprio mentre stavo finendo di spiegare la strada ad un gruppo di immuni, sulla cima della rampa di scale, trovai un volto familiare. Rimasi spiazzata e smisi di parlare, rimanendo a bocca aperta senza avere parole da dire. Sbattei gli occhi e fissai quel volto che non vedevo da tanto.
Frypan si stavano guardando attorno spaesato, poi si limitò a seguire il gruppo di gente sulle scale e ben presto arrivò a terra, proprio di fronte a me.
Senza avvisarlo e ancora prima che mi notasse, mi gettai su di lui, facendolo indietreggiare sorpreso.
"Fagiolina!" esclamò il cuoco sorpreso, prendendomi per le spalle e allontanandomi leggermente. "Sei viva!" gridò gioioso, ritirandomi immediatamente a sè e stritolandomi in un abbraccio.
"Come è stato tornare nella Radura?" domandai poi, felice di rivederlo ma anche curiosa di sentire come si era sentito nei confronti di quell'improvviso ritorno al passato.
"Che dire... Casa dolce casa? Nah, ci hanno rispedito là dentro, ma nulla è come prima." brontolò il cuoco, distaccandosi da me ed esprimendosi con una smorfia di disgusto. "Pensa che non mi lasciavano nemmeno cucinare! Ci mandavano solo un mucchio di cibo confezionato nella Scatola tre volte al giorno. La cucina non funzionava neanche, niente elettricità, niente di niente."
"Be' è un peccato che gli altri si siano persi i tuoi piatti." risposi ancora incredula di vederlo tutto intero.
"Comunque non che ci sia rimasto qualcosa, ora come ora." borbottò preoccupato il cuoco, guardandosi indietro e ricordandomi all'improvviso della situazione grave in cui eravamo. Per quanto fossi felice di rivedere il ragazzo, sapevo che stavamo perdendo tempo prezioso. 
Mi scusai con Frypan e presto tornai a concentrarmi sulla massa di gente che non aveva mai smesso di sciamare attorno a me, creando un flusso continuo e un caos senza precedenti.
Ripresi ad urlare e a spiegare la strada, mentre Frypan decise direttamente di radunare un gruppo enorme di immuni e, dopo essere stato ad ascoltare precisamente le mie istruzioni, accompagnò il gruppo verso la salvezza.
"Ci penso io!" gridò una voce alle mie spalle. "Prenditi un gruppo e portali al Pass Verticale!"
Mi voltai di scatto e vidi Thomas, tutto sudato e affannato, puntare il dito contro la porta a due battenti spalancata, attraverso la quale passava il fiume di persone.
Aprii la bocca per rispondergli, ma la mia attenzione venne catturata da qualcosa che si stava muovendo alle spalle di Thomas. Il mio primo pensiero fu quello di non sbirciare oltre la spalla del ragazzo, ma il mio terrore era talmente forte che sperai fino all'ultimo con tutta me stessa di aver visto male.
Ma proprio quando focalizzai l'immagine alle spalle del ragazzo, mi resi conto che le mie ipotesi non potevano essere più vere: numerosi coperchi delle capsule impolverate dei Dolenti si stavano sollevando, ruotando sui cardini come bare che si aprivano.
Il terrore si impossessò di me. Iniziare un'altra battaglia contro i Dolenti non era la cosa che mi allettava di più. Dovevamo andarcene da lì prima che fosse troppo tardi.
Spalancai gli occhi, esprimendo talmente bene il mio terrore che perfino Thomas si voltò preoccupato, assumento la mia stessa espressione.
Proprio quando feci per dire a Thomas che dovevamo scappare di lì, Teresa ci raggiunge correndo e si mise a dettare ordini a Thomas in modo preciso e chiaro.
"Ascoltami!" gridò la ragazza cercando di sovrastare tutto quel baccano. Lo afferrò per le spalle e lo girò perché la guardasse in faccia. "Nella parte inferiore dei Dolenti," indicò la capsula più vicina "quella che i Creatori hanno chiamato il fusto, dentro la massa unta, c'è un interruttore, simile a una maniglia. Devi attraversare la pelle e tirarla via. Se ci riesci, quegli affari moriranno."
Thomas annuì pallido. "D'accordo. Voi proseguite!"
"No!" gridai. "Resto qui ad aiutarti! Ho arco e frecce, serviranno." spiegai in fretta, per poi zoppicare veloce verso la bara di Dolenti più vicina a me, senza neanche lasciare a Thomas il tempo per rispondere. Mentre percorrevo quella minima distanza, individuai Stephen e chiamai il suo nome, indicandogli la sorellina che era rimasta spaesata dove l'avevo lasciata. Il ragazzo annuì in mia direzione, come a ringraziarmi, poi corse verso la sorellina.
Raggiunsi velocemente la capsula che stava continuando ad aprirsi e mi feci forza per guardare all'interno. L'enorme corpo informe del Dolente vibrava e si contorceva, risucchiando una sostanza umida e del carburante da dei tubi collegati ai fianchi. Inghiottendo un groppo di saliva corsi all'altra estremità e mi arrampicai a fatica sul coperchio del contenitore, stringendo i denti per il dolore alla gamba, poi allungandomi mi piegai verso il Dolente. Infilai la mano nella pelle viscida per cercare quello che Teresa aveva descritto. Grugnii per lo sforzo e per il disgusto, spingendo finché non trovai una maniglia dura, poi tirai più forte che potei. L'intero arnese si staccò e il Dolente ricadde in una massa molliccia di gelatina sul fondo della capsula. Buttai la maniglia sul pavimento e corsi verso la capsula successiva, dove il coperchio stava per toccare terra. Questa volta mi ci vollero pochi secondi per salire sul bordo, affondare la mano nel grasso e tirare via la maniglia.
Mentre correvo verso la capsula successiva, lanciai un'occhiata veloce verso Thomas. Il ragazzo si stava muovendo più veloce di me e sembrava avesse già messo fuori gioco diversi Dolenti. Raggiunsi la capsula, il coperchio completamente aperto, i tubi che collegavano il Dolente al contenitore che si stavano staccando uno a uno. Mi tirai su, spinsi la mano nella pelle di quell'affare e strappai la maniglia. Scesi a terra e mi voltai, notando che Thomas stava correndo proprio verso la penultima capsula aperta. Dopo quella ne mancava una e il gioco era fatto. Iniziai a zoppicare velocemente verso quest'ultima, che però si trovava a parecchia distanza da me, e nel frattempo osservai Thomas, troppo presa da ciò che stava succedendo per guardare dove mettevo i piedi.
Inorridii alla vista di ciò che mi si parò davanti: il Dolente si stava muovendo, la parte superiore sollevata oltre il bordo, le appendici che spuntavano dalla pelle per aiutarlo a cambiare posizione. Thomas arrivò appena in tempo, con un salto si lanciò sul fianco della capsula. Spinse la mano nella pelle unta, afferrò la maniglia. Un paio di cesoie si scagliarono verso la sua testa; trattenni il fiato, ma Thomas si abbassò per schivarle mentre tirava il pezzo di metallo. 
Rilasciai il respiro solo nel momento in cui la creatura si spense, la massa trascinò con sé la maniglia dentro il contenitore simile a una bara.
Sollevata dal fatto che tutto fosse finito per il meglio, mi riconcentrai sull'ultima bara rimasta, aumentando per quanto possibile il ritmo della leggera corsa. 
Fissai lo sguardo sulla capsula e continuai ad avanzare, sapendo però che forse era troppo tardi per fermare l'ultimo Dolente prima che uscisse. Frenai all'improvviso quando vidi il coperchio rovesciarsi sul pavimento. La creatura stava già esaminando l'area con una piccola orbita che si estendeva dalla fronte; poi quella cosa si chiuse su sé stessa come una palla, e mentre degli spuntoni fuoriuscivano dalla pelle, si mise a rotolare in avanti, accompagnata dal ronzio dei meccanismi dentro lo stomaco. Il cemento si staccò saltando verso l'alto, strappato dagli spuntoni del Dolente, ed io non potei fare a meno di rimanermene pietrificata sul posto ad osservare quella creatura atterrare su un piccolo gruppo arrivato dallo scivolo, senza poter fare niente. 
Gridai di paura nel momento in cui vidi il Dolente tranciare di netto diverse persone con le lame protese, ancora prima che si accorgessero di quello che stava succedendo. Poi, la vista di Minho e Gally che scendevano a tutta velocità proprio mentre guardavano la scena mi rianimò e subito seppi cosa fare.
Cavai una freccia dalla faretra e la puntai sul Dolente. Scagliai la freccia, poi un'altra. Un'altra ancora e ancora, ma nulla sembrava fermare quell'innarrestabile creatura. Mi guardai attorno e vidi che Thomas stava correndo nella mia direzione, agitando in aria un pezzo di tubo lungo quanto il suo braccio. Quando mi voltai di nuovo, pronta a scagliare un'altra freccia, vidi che Minho aveva già raggiunto il Dolente e lo stava prendendo a calci con una ferocia quasi spaventosa.
Lasciai la freccia libera di vibrare in aria e proprio quando questa si conficcò nella pelle del Dolente, vidi Thomas sfrecciarmi accanto, scagliandosi poi sul mostro e gridando a tutti di farsi da parte. La creatura si girò verso di lui come se avesse sentito il comando, e si impennò appoggiandosi sulla parte inferiore bulbosa. Dai lati spuntarono due appendici e Thomas si arrestò bruscamente; un nuovo braccio metallico vibrava con una sega rotante, l'altro con un artiglio inquietante, che si ramificava terminando con quattro lame.
Senza esitare caricai un'altra freccia e la puntai su una delle appendici, prendendo bene la mira e tirando la corda dell'arco come non avevo mai fatto prima. Mi concentrai al massimo, poi trattenendo il respiro lasciai la freccia che, come speravo andò a sbattere contro l'appendice, storcendola vistosamente e rendendo il Dolente impossibilitato ad usarla.
La creatura distolse l'attenzione da Thomas e la puntò su me, rifilandomi un ruggito mostruoso, più di rabbia che di dolore, ne ero sicura.
"Minho, lascia che lo distragga!" gridò. "Prendi Elena e conducete gli ultimi rimasti nello sgabuzzino!" gridò Thomas al Velocista, il quale smise subito di infastidire il Dolente e si voltò nella direzione.
Annuii decisa e mi misi a correre verso di lui, cercando di non zoppicare troppo e di sopportare il dolore. Ma proprio mentre correvo, vidi un uomo cercare di strisciare per togliersi dalla traiettoria del Dolente. Inorridii quando vidi la creatura alzare in aria un artiglio, pronta ad uccidere quella persona innocente.
Gridai a squarciagola per attirare l'attenzione del mostro e sfilai una freccia, puntandola e scagliandola nel tentativo di ottenere lo stesso risultato precedente.
Anche questa volta la mia tattica funzionò e riuscii addirittura a far saltare l'artiglio − facendolo atterrare non molto distante −, probabilmente grazie alla vicinanza alla creatura.
Quest'ultima, ruggì di nuovo, ma non si limitò a ciò. Prima ancora che potessi notarlo e schivarlo, vidi una delle appendici del mostro muoversi veloce verso di me. Riuscii appena a muovermi in avanti ed evitai di essere infilzata a pieno, ma purtroppo non riuscii a sottrarmi dall'impatto. Sentendo una forte fitta al fianco, venni sbalzata dall'altra parte della stanza, atterrando contro la parete e sbattendo violentemente sia la schiena che la testa.
Gridai per il dolore e mi accasciai a terra. Il mio corpo doleva ovunque e le mie gambe tremavano, ma non seppi se per dolore o per paura.
Strizzai gli occhi e sentii la mia testa farsi pesante. Una forte fitta si diramò lungo la mia schiena, obbligandomi ad inarcarla.
Sentii delle mani appoggiarsi sulle mie spalle e ben presto mi ritrovai a guardare il soffitto.
"Forza, dobbiamo andarcene!" gridò una voce, quella di Minho indubbiamente.
Cercai di annuire, ma non fui sicura di averlo fatto. In ogni caso, aiutata dal Velocista, riuscii a rialzarmi in piedi.
La mia testa girava senza sosta e ad ogni movimento il mio corpo gridava di dolore. Strinsi i denti e credetti che probabilmente mi sarei fatta saltare anche quelli prima o poi, ma non mollai.
Eravamo così vicini alla salvezza...
Non mi premurai nemmeno di tornare indietro a prendere l'arco, troppo accecata dal dolore per pensare lucidamente.
Zoppicando e mugugnando continuai ad avanzare, facendomi praticamente condurre da Minho per tutto il tempo.
Sentii il ragazzo urlare qualcosa, ma prima che potessi comprendere le sue parole, un profondo boato arrivò da qualche parte, da ogni parte. La stanza tremò per qualche secondo, rendendomi ancora più instabile di quanto non fossi in realtà, poi si fermò.
Non ci restava molto tempo.

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Capitolo 73
*** Capitolo 73. ***


Mi aggrappai ancora di più a Minho e sentii il ragazzo irrigidirsi. I muscoli delle sue braccia guizzarono e lo sentii aumentare la presa sulla mia vita per sorreggermi. "Forza!" gridò il ragazzo, riprendendo a camminare più veloce di prima e trascinandomi dietro di lui.
Strinsi i denti e feci tutto il possibile per stargli dietro e non essere totalmente un peso.
Minho mi condusse verso l'uscita e subito imboccò un corridoio, continuando a camminare senza nemmeno un'esitazione. Nel frattempo, nella mia testa stava accadendo di tutto: sembrava che qualcuno si divertisse ad accendere e spegnere l'interruttore della mia mente, lasciandomi vedere ciò che stava succedendo solo a pezzi. Le mie palpebre si erano fatte molto pesanti e ogni volta che le chiudevo dovevo tirare fuori tutta la mia forza per riaprirle e quando finalmente ci riuscivo tutto intorno a me era cambiato, come se fosse passata un'eternità e il mondo attorno a me fosse mutato.
Sentii il mio respiro farsi sempre più calmo e lento, come se il mio corpo stesse dormendo e la mia mente fosse prossima ad accompagnarlo nel sonno. Percepivo il fiato calarmi in gola, caldo e rilassante, per poi arrivare ai miei polmoni.
Mi sentivo come avessi potuto spiccare il volo da un momento all'altro, se solo la mia testa e i miei arti non fossero stati così pesanti da sostenere. Appoggiai una tempia alla spalla di Minho e continuai a trascinare i miei piedi all'avanti, stanca come se avessi corso una maratona.
Il Velocista urlò qualcosa e all'improvviso mi sentii sollevare da terra. Terrorizzata spalancai gli occhi, ma il corridoio che stavamo percorrendo era ancora più buio di prima, le poche luci funzionanti erano fioche e andavano a intermittenza. 
Portai una mano davanti a me e tastai qualcosa di duro, caldo e bagnato.
"Resisti ancora un pochino, okay?" sentii Minho parlare con una voce affannata. Non lo avevo mai sentito così affaticato, ma ben presto capii che tutta quella forza che il ragazzo stava spendendo era colpa mia: il ballonzolare del mio corpo tra le braccia del ragazzo era il chiaro segno che il Velocista stesse salendo delle scale e dire che stava correndo era limitativo.
La gente che superavamo era accaldata e in panico, ma tutti sembravano essersi calmati da quando erano usciti dal Labirinto. Nessuno gridava più, nessuno piangeva. Tutti si erano limitati a prendere per mano gli amici o i propri cari e a correre in silenzio, seguendo i miei amici come se fossero il loro unico punto di riferimento. 
Quel silenzio, per quanto mi fosse d'aiuto, non aveva fatto altro che aumentare il mio senso di smarrimento. Mi sentivo chiusa in una sfera di vetro, isolata dal mondo e dai suoi suoni.
Ma ben presto, anche la mia piccola bolla di vetro si ruppe, quando, in lontananza, si sentì un altro scoppio rimbombare nell'aria e l'edificio tremò. Le esplosioni sembravano ancora abbastanza distanti, ma non seppi dire se fosse per le mie orecchie tappate o se fosse realmente così. 
Appoggiai la testa sul petto di Minho, sudato e ansimante come non mai. Poi il ragazzo si fermò e mi appoggiò delicatamente a terra, nel tentativo di riacquistare le energie e le forze.
Un'altra figura si mosse veloce al mio fianco e mi si parò davanti, iniziando a parlare con Minho.
"Lascia che la porti io, adesso." mormorò una voce. 
Gally. Pensai senza avere dei dubbi al riguardo.
"Non ci penso nemmeno, amico." bofonchiò scocciato Minho, attirandomi ancora di più a sè.
Puntai una mano sulla spalla di Minho e feci per replicare, ma dalla mia gola uscì solo un suono rauco. Tossii e parlai di nuovo. "Posso camminare da sola." mormorai stanca, muovendo un passo avanti e sentendomi alquanto instabile.
Cosa mi stava succedendo?
Se guardavo in basso potevo vedere i miei piedi diventare improvvisamente quattro e poi sei. Le mattonelle bianche del pavimento erano alquanto sfocate e ogni cosa sembra confondersi con le altre, diventando sfocata e traballante.
Strinsi con la mia mano la spalla di Minho e non appena riuscii ad avanzare di un altro passo, mi sentii cadere. Mi accorsi che fosse solo una sensazione nel momento in cui mi trovai tra le braccia di qualcuno, salda, stretta e soprattutto non a terra.
"Quante sono?" domandò Gally, alzandomi una mano davanti al volto e sollevando due dita.
Scossi la testa e aggrottai le sopracciglia. "Due." constatai, confusa per la domanda del ragazzo che, alla mia risposta, aumentò la presa sulla mia schiena.
"Ehm, sì." borbottò lui abbastanza preoccupato. Poi si voltò verso di Minho e gli rivolse un sorriso di vittoria. "Ho vinto la scommessa, tocca a me."
Sentii il Velocista brontolare, ma non capii nemmeno una delle sue parole. In meno di un secondo mi ritrovai tra le braccia di Gally.
"Cosa..."
"Minho non ti voleva lasciare." rispose il ragazzo, iniziando subito a correre. "Abbiamo fatto una scommessa: se tu rispondevi due ti avrei portata io e se rispondevi tre ti portava lui."
"E le dita quante erano?" domandai, attaccata da un'improvvisa scarica di sonno e stanchezza.
Mi appoggiai al petto di Gally e inspirai a fondo il suo buon odore, trovandomi improvvisamente calma e rilassata, come se nulla fosse successo ed io fossi al sicuro.
"Un solo dito." disse secco il ragazzo, abbassando lo sguardo su si me e lanciandomi un'occhiata preoccupata. "Devi promettermi che non chiuderai gli occhi, Eli."
"Mmh..." mormorai, sentendomi talmente stanca da non riuscire a rispondere.
Sbattei gli occhi e quell'istante di buio che precedeva la loro completa riapertura fu il lasso di tempo più lungo della mia vita. Gally se ne accorse e subito mi rimproverò. "Parlami di qualcosa."
"Cosa?" risposi sospirando.
"D-Di... Stephen." rispose veloce, come se stesse cercando di trovare un argomento di conversazione a tutti i costi. 
"E' un bravo ragazzo." risposi con un sorriso, alzando gli occhi su Gally e osservando una piccola goccia di sudore scivolare lentamente sul suo zigomo e morire nel suo collo.
"Eh?" mi incalzò lui. "Ho visto che avete costruito un bel rapporto."
"Già. Lui mi vede come una delle sue sorelle." 
"Sorella? Mh, avrei detto diverso."
"Cioè?" domandai io, questa volta.
"Be', a volte ho notato che si perde in te quando ti guarda." rispose con un tono leggermente irritato. "Assume quell'espressione di cane bastonato e quando ti giri verso di lui si fissa le scarpe come uno scemo."
"Non avercela con lui." borbottai, sentendo la stanchezza montare sempre più in me. "Le sue sorelle sono morte per colpa della W.I.C.K.E.D. Pensavo che Hailie fosse l'unica cosa che gli era rimasta, ma a quanto pare ha aggiunto anche me sulla lista."
"Ha paura di perderti?" domandò quindi il ragazzo.
"Forse." mugugnai. 
"Be' senz'altro tiene alla tua felicità. Quando ha visto che avevi perso l'arco ha insistito per tornare indietro. Non c'è stato modo di fermarlo, si è trascinato dietro la sorellina."
A sentirlo dire ciò, sulle mie labbra si increspò un leggero sorriso e i miei occhi si chiusero leggermente. "No!" si affrettò subito il ragazzo. "Apri gli occhi."
"Scusami." mormorai, spalancando nuovamente le palpebre. "Perchè è così importante che tenga gli occhi aperti?" domandai stanca. 
"Perchè sei già svenuta e non ho intenzione di morire di infarto vedendoti perdere conoscenza di nuovo." 
Aggrottai le sopracciglia e alzai lo sguardo a fatica, osservando la sua mascella contrarsi per lo sforzo e il suo volto riempirsi di piccole gocce di sudore. "Svenuta?"
"Sì, quando ci siamo separati da Vince." mi informò. "Hai perso un sacco di sangue e anche se non sono un caspio di Medicale sono sicuro che è un miracolo che tu sia ancora viva."
"E' per questo che sia tu che Minho state correndo come pazzi?"
"Già." rispose Gally. "Prima arriviamo, prima ti curiamo."
"Prima arriviamo, prima mi metto a dormire." replicai sentendo la mia testa pensante annebbiarsi di nuovo.
Ci fu un'esplosione da qualche parte sopra di noi che scosse l'intero edificio, e Gally traballò su se stesso, ma non si fermò e scattò all'avanti. Mi sporsi leggermente e guardai oltre il suo braccio riuscendo appena in tempo a vedere un gruppo di piastrelle staccarsi dal soffitto e cadere a terra con un tonfo, fortunatamente senza ferire nessuno.
L'aria si riempì di rumori di cose che cigolavano e si rompevano. Alla fine, dopo aver tremato per diversi secondi, tutto si fermò e ripiombò il silenzio. 
"Continuiamo a muoverci! Ci siamo quasi!" gridò Teresa da qualche parte. La sua voce mi arrivò ovattata, ma riuscii almeno a comprendere il significato delle sue parole.
Sentii un brivido scuotermi la schiena e mi accoccolai ancora di più su di Gally. I miei piedi avevano iniziato ad essere abbastanza congelati, così come le mie gambe e le mie mani. 
Feci scorrere i miei palmi sul petto del ragazzo e li intrufolai nella fessura tra il mio corpo ed il suo, nel tentativo di scaldarli.
Pensavo di essermi abituata a quella sensazione di freddo che ultimamente mi aveva circondata come una nebbia fitta, ma a quanto pareva quello era un freddo più reale. Da quando io e Newt ci eravamo separati le mie giornate erano invase dal gelo proveniente dal mio cuore. Mi mancava il tepore di Newt, in grado di scaldarmi con solo un tocco.
E invece ora mi ritrovavo a dover provvedere da sola a quel freddo, a fare in modo che non invadesse altri luoghi del mio corpo, come la mia mente. Eppure ultimamente era stato sempre più difficile cacciare quelle ombre nere e fredde che ogni volta, sempre con più forza e ardore tentavano di avvelenarmi. Ma sapevo che in realtà non erano le ombre a diventare più forti, ma io a diventare più debole. Perchè continuare a combattere per qualcosa che prima o poi mi avrebbe divorata? Perchè sforzarsi tanto per mantenere in piedi i tasselli che componevano la mia vita se tanto mi sarebbero crollati addosso una volta finire le energie? 
Ero allo stremo delle forze.
Ero stanca.
Tanto stanca.
Erano esplose molte altre bombe, ognuna più vicina della precedente, ma per me quel suono era come una ninna nanna. 
Sentii Gally chiamare il mio nome e il mio corpo venne spostato lentamente. Solo in quel momento mi accorsi che il ragazzo doveva essersi fermato. Con una fatica immane aprii gli occhi e mi guardai attorno. Senza nemmeno essermene accorta il ragazzo mi aveva messa in piedi, continuando però a sorreggermi con le sue braccia.
Sollevai lo sguardo e mi ritrovai proprio davanti allo sgabuzzino che Teresa aveva descritto.
All'interno di quella stanza erano ormai entrate un sacco di persone e a stento riuscivo a vedere ciò che era presente all'interno. Lo sgabuzzino era situato dietro un enorme magazzino. File ordinate di scaffali di metallo pieni di scatole erano allineate lungo il muro di destra. Thomas era entrato e stava facendo segno a tutti di avanzare nella stanza. 
C'era solo una porta sul retro di quello spazio, doveva per forza essere quella dello stanzino che stavmo cercando.
"Continuate a farli entrare e preparateli." disse a Brenda; poi corse verso la porta. 
"Andiamo." constatò Gally, stringendomi forte a lui e camminando all'avanti, seguendo Thomas. Potevo sentire la fatica del ragazzo nei suoi respiri: brevi e continui, come se non avesse mai abbastanza ossigeno a disposizione.
Se la cancelliera Paige avesse mentito riguardo al Pass Verticale, o se qualcuno della W.I.C.K.E.D. o del Braccio Destro avesse intuito quello che stavamo per fare, saremmo stati spacciati. Non avevamo altre via d'uscita, perciò o morivamo sotto le macerie o trovavamo quel dannatissimo Pass Verticale. 
Gally mi condusse verso la porta sul retro e ci ritrovammo vicino a Thomas. Lui la spalancò ed entrò nella stanza successiva, piena di tavoli coperti di attrezzi e rottami di metallo e pezzi di macchinari. Sulla parete in fondo era appeso un grande telo. Thomas lo raggiunse di corsa e lo strappò. Dietro trovò un muro grigio luccicante, incorniciato da un rettangolo d'argento lucido, e, accanto, una centralina.
Era il Pass Verticale. La cancelliera aveva detto la verità.
A quel pensiero sentii un sorriso spiccare tra le mie labbra. Eravamo salvi. Ce l'avevamo fatta.
E pensare che proprio il capo della W.I.C.K.E.D.− l'associazione che ci aveva torturato per anni − alla fine ci aveva dato la chiave per uscire da quel labirinto di orrori.
Thomas fece un profondo respiro, poi senza dire nulla alzò un piede ed entrò nella lastra, scomparendo dalla vista di tutti.
Rimasi a fissare quella parete grigia con la bocca aperta e il fiato sospeso. Sicuramente Thomas stava controllando se quel posto era effettivamente sicuro per poi far entrare tutti, ma avevo comunque paura che fosse una trappola.
I secondi passarono lenti e l'unica cosa che riempiva quel silenzio era il rumore dei respiri affannati di Gally affianco a me. Le mie palpebre, nonostante fossero pesanti, erano rimaste aperte da quando Thomas aveva varcato quel Pass Verticale e, per quanto sentissi la stanchezza affiorare in me come un uragano, ero decisa a non chiudere gli occhi fino a quando non avrei visto ricomparire il ragazzo.
Un altro scoppio scosse quell'edificio e il mio cuore perse di un battito. Mi aggrappai alla spalla di Gally nel momento in cui tutto prese a tremare, dandomi la solita sensazione di instabilità e confusione.
Rilasciai un respiro profondo e ripresi a fissare ardentemente la grande porta. 
Dopo quella che mi sembrò un'eternità, finalmente vidi la testa di Thomas apparire nuovamente, poi il suo intero corpo.
"Andiamo!" gridò. "Fate entrare tutti qui dentro. Funziona! Presto!"
Un'esplosione sbatacchiò i muri e gli scaffali di metallo. Polvere e detriti cominciarono a piovere dal soffitto. "Presto!" ripeté.
Sentii Gally spingere sulla mia schiena, ma non appena capii le sue intenzioni, puntai i piedi a terra. "No." mi opposi, voltandomi e rivolgendo al ragazzo un'occhiataccia. "Non entro qua dentro fino a che Stephen non è tornato."
"Cosa?" rispose il ragazzo sollevando le sopracciglia. "Sei ferita, devi passare per prima."
"No." mi opposi nuovamente. "Ferita qui o ferita dall'altra parte non cambia."
"Quanto sei..." il ragazzo scosse la testa e si morse il labbro, reprimendo l'istinto di uccidermi. "Ritiro ciò che ho detto. Se fossi svenuta tutto sarebbe più semplice."
"Già, peccato che le cose non siano mai semplici." replicai abbozzando un sorriso. "Usciamo da qui? Sicuramente gli altri sono tutti fuori."
"Non provo nemmeno a dirti di no." bofonchiò il ragazzo facendo spallucce e aiutandomi ad attraversare quella stanza per poi arrivare alla porta dello sgabuzzino.
Teresa stava già facendo muovere la gente, indirizzandola verso di Thomas, che stava lì sulla porta. Quando arrivò la prima persona, la prese per un braccio e la condusse verso il muro grigio del Pass Verticale, iniziandole a spiegare qualcosa che tuttavia non riuscii a sentire.
Nel frattempo io e Gally attraversammo la porta e tornammo nel magazzino. La gente si era messa tutta in fila e stavano entrando uno alla volta nello sgabuzzino. In fondo a tutta quella gente c'erano Minho, Brenda, Jorge, Teresa, Aris, Frypan e qualche altro membro del Gruppo B. Io e Gally avanzammo verso il resto del gruppo e ben presto ci raggiunse anche Thomas.
"Sarà meglio che si sbrighino lì davanti." bofonchiò Minho indicando con il mento la fila davanti a noi. "Le esplosioni si stanno avvicinando sempre di più."
Stephen, dove sei?
"Questo posto crollerà." aggiunse Gally. Vidi Thomas osservare il soffitto come se si aspettasse che accadesse proprio in quel momento. 
Stephen, dove diamine sei? Il pensiero del ragazzo intrappolato sotto le macerie era l'unica cosa che impediva di cadere a terra e svenire una volta per tutte. Volevo che quell'incubo finisse. Volevo che tutto tornasse normale, come ai vecchi tempi. Volevo avere di nuovo Newt, i miei amici, la felicità. Volevo poter tornare a sorridere senza sentirmi stupida o ingenua. Perchè doveva esistere tanta cattiveria nel mondo? Prima la W.I.C.K.E.D. e poi il Braccio Destro. Cosa ci avrebbe atteso una volta aldilà del Pass Verticale?
Thomas annuì verso Gally, poi parlò "Lo so. Gli ho detto di fare presto. Saremo fuori di qui in un..."
"Bene bene, cosa abbiamo qui?" gridò una voce dall'altra parte del magazzino. 
Ancora prima che riuscissi a capire a chi appartenesse quella voce, il mio corpo rabbrividì, anticipando la paura e il disgusto che provai non appena voltandomi trovai Janson avanzare nella nostra direzione.
Sentii i miei amici sussultare insieme a me, e Gally mi trasse a sè istintivamente, come a proteggermi. L'Uomo Ratto era appena entrato dalla porta che dava sul corridoio, e non era solo. Era circondato dalle guardie di sicurezza della W.I.C.K.E.D., sette in tutto.
Janson si fermò e si mise le mani intorno alla bocca per gridare sopra il boato di un'altra esplosione. "Strano posto per nascondersi quando tutto sta per crollare!"
Pezzi di metallo caddero dal soffitto, sferragliando sul pavimento."Tu lo sai cosa c'è qui!" gli rispose Thomas. "È troppo tardi... lo stiamo già attraversando!"
Janson tirò fuori un lungo coltello e glielo fece vedere come una tacita minaccia. E come se fosse un segnale, gli altri mostrarono armi simili. "Ma possiamo salvarne qualcuno." disse Janson. "E a quanto vedo, abbiamo i più forti e più intelligenti proprio davanti a noi. Persino il nostro Candidato Finale, nientemeno! Quello che ci serve di più, ma che si rifiuta di collaborare!"
Mi morsi il labbro e all'improvviso mi sentii nuovamente carica di energie, quasi come se il disprezzo per quell'uomo fosse talmente elevato da superare il senso di stanchezza e il dolore acuto.
Senza esitare mi portai una mano dietro la schiena e tastai il vuoto alla ricerca del mio arco. Poi ricordai.
Stephen. Stephen era tornato a prendere il mio arco.
"Oh, speravo che lo facessi." mormorò Janson notando il mio gesto e sorridendomi in modo sinistro. "Stavi cercando questo?" domandò quella specie infima di uomo, facendo un cenno a qualcuno fuori dalla stanza.
All'improvviso dal corridoio apparve un altra figura. Una guardia stava trattenendo Stephen puntando un coltello affilato alla sua gola.
Spalancai gli occhi non appena notai il volto pieno di sangue e graffi del ragazzo, ma il mio cuore smise di battere nel momento in cui la guardia che lo teneva fermo gli affibbiò un calcio nello stomaco, facendolo cadere a terra in ginocchio. Non appena il ragazzo lasciò la presa sull'arco, facendolo cadere a terra, un urlo si diffuse per la stanza. Solo allora notai la piccola figura esile e indifesa di Hailie, tenuta ferma a stento da una guardia. La piccola si stava dimenando tra le sue braccia, piangendo e cercando di raggiungere il fratello che, mugugnando dal dolore, aveva appoggiato la fronte a terra.
Se solo avessi potuto raggiungere il mio arco...
"Come puoi..." iniziai, ma subito dopo mi zitti, capendo che parlare era l'unica cosa da non fare in quel momento. Janson era un uomo malvagio, senza scrupoli nè coscienza, incapace di provare sentimenti e di ascoltare le parole degli altri. Non importava cosa fosse uscito dalla mia bocca, lui non si sarebbe fermato.
Mi guardai attorno in cerca di sostegno e mi sorpresi quando vidi i miei amici schierati in formazione uno accanto all'altro a fare da barriera tra i prigionieri, sempre meno numerosi, e le guardie, ognuno con un'arma improvvisata in mano: tubi, viti lunghe, il bordo appuntito di una griglia metallica, un grosso pezzo di cavo ricurvo che terminava con una serie di fili elettrici.
Rialzai lo sguardo da terra proprio quando un'altra esplosione scosse la stanza, sbattendo una grossa parte della scaffalatura di metallo sul pavimento. 
"Non ho mai visto un mucchio di delinquenti tanto minaccioso!" gridò l'Uomo Ratto con una faccia da pazzo, la bocca distorta in un ringhio selvaggio. "Devo ammettere di essere terrorizzato!"
"Chiudi quella bocca del caspio e risolviamo questa cosa una volta per tutte!" gli gridò Minho. Janson concentrò il suo sguardo freddo, folle, sui ragazzi che aveva davanti. "Volentieri." disse. Per quanto fossi ansiosa di dare sfogo alla rabbia repressa per tutta la paura e il dolore e la sofferenza che avevano segnato la mia vita e quella delle persone a me care così a lungo, sapevo che Stephen ed Hailie avevano la precedenza.
Non appena Thomas gridò di andare all'attacco e i due gruppi caricarono, mi voltai verso Gally e lo fermai, supplicandolo con lo sguardo di restare. Le grida di battaglia vennero ben presto soffocate dall'improvvisa e violenta esplosione che scosse l'intero edificio intorno a noi, ma feci del mio meglio per trattenere il ragazzo che sembrava voler entrare in azione il più presto possibile.
"Ti prego, aiutami a liberare Stephen e Hailie." lo supplicai, tenendo una mano ben ancorata al suo bicipite in modo che il ragazzo non fuggisse dalla mia presa. "Devi solo aprirmi la strada fino all'arco."
"Eli, non credo che tu riesca a..."
"Ti prego." ripetei senza farlo finire. "Ti prego aiutami."
Fissai il ragazzo negli occhi, supplicandolo con lo sguardo e pregando che capisse la mia necessità. Stephen aveva rischiato la vita per tornare a prendere il mio stupido arco, non potevo lasciarlo in mano a quei bastardi senza fare nulla.
Non mi importava se riuscivo a stento a camminare.
Non mi importava se la mia testa girava all'impazzata, confondendomi e dandomi un senso di nausea.
Non mi importava quante frecce avrei dovuto tirare prima di beccare una guardia.
Volevo essere io ad uccidere quei bastardi. A tutti i costi.
"Vedi di non farti ammazzare però." mormorò infine Gally, rivolgendomi un piccolo sorriso di soddisfazione misto a preoccupazione. "Perchè ti assicuro che sei veramente l'unica cosa che mi rimane."  

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Capitolo 74
*** Capitolo 74. ***


Riuscii miracolosamente a rimanere in piedi, nonostante quella serie di esplosioni, vicine come non mai, stesse facendo tremare tutto. La maggior parte degli scaffali si rovesciò, e diversi oggetti volarono da una parte all'altra del magazzino. Vidi Thomas schivare un pezzo di legno appuntito, poi saltò per evitare l'ingranaggio rotondo di una macchina che passò sotto di lui.
Puntai la mia attenzione nuovamente su Gally, che mi era accanto, e gli feci un cenno con la testa. Il ragazzo annuì e fece un passo avanti, ma nel momento in cui io feci lo stesso, appoggiai un piede su un tubo mezzo rotto e caddi a terra con un tonfo.
Gally velocemente si piegò verso di me e, nonostante fosse anche lui alquanto instabile, riuscì a tirarmi in piedi senza cadere. I miei amici si erano già scagliati contro le guardie come la prima linea di soldati in un'antica battaglia ed io non avevo intenzione di inciampare qua e là per tutto il tempo. Io e Gally non potevamo permetterci di perdere ancora tempo, così lo ringraziai per avermi aiutata e lo spronai a continuare ad avanzare.
Il ragazzo mise un passo davanti all'altro e io rimasi sempre al riparo dietro di lui. Lo sentii muoversi in fretta nel momento in cui una guardia gli si piazzò davanti e cercò di attaccarlo, ma il ragazzo fu più veloce e con un solo colpo al mento lo atterrò.
Continuammo ad avanzare, sempre più vicini a Stephen e al mio arco. Schivai un paio di guardie intente a combattere contro i miei amici e Gally colpì un'altra guardia, spingendola nelle braccia di Minho che, senza fare troppe domande, iniziò ad assestargli diversi colpi.
Eravamo ormai sul punto di raggiungere i prigionieri quando, senza che nessuno dei due se ne accorgesse, un uomo armato di coltello si fiondò su Gally, atterrandolo e iniziando a cercare di pugnalarlo. Spalancai gli occhi e feci per gettarmi sull'uomo, ma Gally, dopo aver afferrato il polso dell'uomo e aver impedito che la lama entrasse nel suo petto, mi urlò chiaramente di continuare ad avanzare. Dovetti impiegare tutta la mia forza di volontà per voltare le spalle ad un amico in difficoltà e, quando lo feci, mi sentii subito un verme.
Zoppicando ed evitando di inciampare nuovamente sugli oggetti sparsi qua e là continuai ad avanzare, con lo sguardo sempre fisso sul mio arco. Schivai una donna intenta a lottare insieme ad un'altra guardia contro Brenda e, proprio quando pensai di essere passata inosservata, sentii qualcuno gettarsi su di me.
Gridai più per la sorpresa che per il dolore e subito iniziai a divincolarmi per riuscire a girarmi a pancia in su e combattere faccia a faccia col mio aggressore.
Feci appena in tempo a fare ciò che sentii la lama fendere l'aria dritta verso la mia testa. Mossa più dall'istinto che dai miei riflessi, feci scattare la testa di lato, evitando per un pelo la punta del coltello e facendola conficcare per terra, tra i miei capelli.
Spalancai la bocca non appena notai che la donna sopra di me mi aveva tagliato una grossa ciocca nera. "Brutta testa di..." sibilai tra i denti, voltandomi immediatamente verso la donna e dandole una gomitata nello stomaco. Nel momento in cui questa crollò su di me, mollando la presa sul coltello, afferrai l'arma vicino alla mia testa e gliela conficcai sulla schiena. Spostai il suo corpo da sopra di me e subito strisciai a terra, intenta a raggiungere l'arco ormai a pochi centimetri dalle mie dita.
Riuscii a toccarlo con appena due polpastrelli quando, la guardia a cui era stato affidato il pieno controllo di Stephen, calò un piede sul mio palmo, spiaccicandolo senza pietà e godendosi i miei strilli di dolore. Stephen subito sembrò animarsi e, nonostante fosse tenuto stretto dalla guardia, iniziò a calciare la caviglia dell'uomo nel tentativo di liberare la mia mano dalla sua presa. La guardia subito si attivò per far cessare quella ribellione da parte del ragazzo e, approfittando della sua temporanea distrazione, allungai il braccio libero dietro la schiena, arrivando ad afferrare una freccia dalla faretra. Una volta sfilata, non esitai: con tutta la forza che avevo in corpo conficcai la punta dell'arma sul polpaccio dell'uomo, causando in lui grida di angoscia e sorpresa e liberando finalmente la mia povera mano.
Quest'ultima, sebbene tremante e ancora rigida per colpa del dolore, si affrettò ad estrarre un'altra freccia e a caricarla sull'arco. Mi voltai immediatamente a pancia in su e, dopo aver preso la mira, lasciai la presa sulla corda, vedendo la mia freccia conficcarsi proprio sotto il mento dell'uomo e perforargli il cranio dal basso.
Vidi il volto di Stephen essere invaso da un'espressione scioccata, ma il ragazzo non perse tempo ad esprimersi in giudizi sulla brutalità delle miei uccisioni e mi aiutò a rialzarmi per poi indirizzare la mia attenzione sulla sorellina ancora tenuta in ostaggio dalla guardia.
Senza che il ragazzo me lo chiedesse esplicitamente, puntai un'altra freccia contro la testa dell'uomo e senza battere ciglio la scoccai. Fu Stephen a quel punto ad accorrere verso la sorellina in modo da prenderla in tempo prima che la guardia, cadendo a terra, la abbandonasse nel vuoto. Poi il ragazzo tornò sollevato da me, scoccandomi però un'occhiata preoccupata. Era incredibile la sua capacità di esprimere due emozioni discordanti allo stesso tempo.
"Stai bene?" domandò lui, ignorando completamente la battaglia che infuriava attorno a noi.
"Non tanto, ma questa lotta mi sta donando lucidità." ammisi, sorridendogli incoraggiante. "Grazie per l'arco, a proposito." 
Il ragazzo mi restituì il sorriso e annuì verso di me, come a dirmi che non c'era problema.
Preoccupata delle sorti che quella battaglia avrebbe potuto prendere, mi voltai alla ricerca dei miei amici. Thomas stava combattendo proprio con l'Uomo Ratto, che era alto almeno quindici centimetri più di lui; vidi la lama che l'uomo brandiva tra le mani scendere verso la spalla del ragazzo compiendo un arco, ma lui gettò in avanti con un cavo rigido in mano e riuscì a colpire Janson all'ascella. L'uomo urlò e lasciò cadere il coltello mentre il sangue sgorgava a fiotti, poi indietreggiò usando l'altra mano per tenersi la ferita, e rivolse a Thomas uno sguardo pieno d'odio. Presa da una rabbia improvvisa mi sentii cavare fuori una freccia dalla mia faretra e incastrarla sull'arco per poi puntarla su Janson. Portai la corda della mia arma vicino al mio labbro e presi un profondo respiro prendendo bene la mira. Finalmente era arrivata la resa dei conti. Finalmente potevo ripagare l'Uomo Ratto per tutto il male che mi aveva fatto, che ci aveva fatto.
Pensai attentamente al punto che una volta colpito avrebbe causato all'uomo un dolore immane, senza peró ucciderlo. Janson meritava una morte lenta. Volevo sentirlo pregarmi di ucciderlo. Volevo che soffrisse proprio come lui aveva fatto soffrire tutti in quella stanza.
Mi presi il mio tempo, approfittando del fatto che l'uomo fosse di spalle, e assaporai il sapore della vendetta affiorare in me.
Poi, quando mi sentii finalmente pronta a colpire, l'urlo di Thomas mi destó dai miei pensieri. "No!" gridò il ragazzo, fissando terrorizzato il mio arco. "Voglio essere io a farlo." continuó, attirando di conseguenza anche l'attenzione di Janson su di me. 
Mi morsi la parte interna della guancia nel momento in cui l'uomo mi rivolse un sorriso sghembo, pieno di soddisfazione e cattiveria. Sapeva che non lo avrei colpito se era Thomas a chiedermelo.
Inspirai profondamente e dovetti impiegare tutta la mia forza d'animo per non scagliare quella freccia, ma alla fine, reprimendo la rabbia e la sete di vendetta, puntai l'arco su una guardia poco distante da Janson e senza battere ciglio la uccisi.
Thomas mi rivolse un cenno come a ringraziarmi, poi i due continuarono a combattere.
Alla mia destra e alla mia sinistra stavano lottando tutti. I rumori del metallo che sbatteva sul metallo, le grida, le urla, i gemiti riempivano la mia testa, restituendole quel senso di confusione e annebbiamento.
Minho se la stava vedendo con una donna che sembrava forte il doppio di qualunque uomo del suo gruppo. Brenda era a terra, impegnata in un corpo a corpo con un uomo esile, e cercava di togliergli il machete dalle mani. 
Un'altra esplosione scosse il pavimento sotto di noi ed io inciampai all'avanti, finendo dritta tra le braccia di Stephen che, pronto come non mai, riuscì ad afferrarmi in tempo e nel frattempo a sorreggere la sorellina con l'altro braccio.
Lo ringraziai con lo sguardo e mi distanziai immediatamente, tornando a concentrarmi sulla battaglia per vedere se qualcuno aveva effettivamente bisogno del mio aiuto.
La situazione si era perfino calmata dopo l'esplosione: sicuramente i miei amici avevano approfittato di quel momento di distrazione per attaccare, dando così il colpo finale. Anche Gally aveva smesso di combattere e ci stava raggiungendo pieno di sangue in viso e nel collo.
Spalancai gli occhi e allungai le braccia verso il ragazzo ancora prima che arrivasse davanti a me. Gli presi delicatamente il volto tra le mani e lo feci voltare sia a destra che a sinistra per analizzare le sue ferite.
Il ragazzo mi disse qualcosa, ma non capii nemmeno una delle sue parole, troppo accecata dalla paura che fosse stato ferito gravemente in testa, ma con mio sollievo notai che a parte un lungo taglio sullo zigomo, fortunatamente poco profondo, il sangue non sembrava appartenere a lui.
"Tranquilla, sto bene." mi ripetè Gally, appoggiando una mano sul mio fianco e avvicinandosi ancora di più a me. "Il sangue non è mio." disse poi, confermando l'ipotesi che avevo precedentemente avanzato. Il ragazzo prese la mia mano e delicatamente la tolse dal suo volto, abbassandola all'altezza del suo fianco, ma una volta arrivata qui, Gally non staccò il suo palmo dal mio, mantenendo i contatti.
Ero troppo spaventata dall'idea di uscire da quel luogo lasciando indietro qualcuno per avere la forza di distogliere la mano. In più il ragazzo sapeva piuttosto bene quali fossero i miei sentimenti nei suoi confronti ed era chiaro ad entrambi che quel gesto da parte sua non poteva stare a significare nulla che non fosse equilibrato dall'amicizia.
Ritornai con lo sguardo sulla battaglia e con sollievo vidi che solamente Thomas stava ancora combattendo con l'Uomo Ratto: rotolavano uno sopra l'altro, e quando per una frazione di secondo sembrava che uno dei due stesse avendo la meglio, l'altro riusciva a invertire la posizione. Janson graffiava e mordeva. Thomas lanciava gomitate e cazzotti a tutto spiano, cercando di beccare il volto dell'uomo. Continuarono a rotolare, colpendosi a vicenda fin quasi a svenire. Finalmente Thomas trovò il giusto angolo per tirargli una gomitata sul naso; l'uomo fu colto di sorpresa e si portò le mani sul viso. Vidi un'energia improvvisa esplodere dentro il ragazzo quando questo, dopo essere saltato su Janson, gli mise le mani intorno al collo, cominciando a stringere. L'Uomo Ratto scalciò, agitò le braccia, ma Thomas continuò con una rabbia feroce, senza mollare, spingendo in avanti tutto il suo peso per tenerlo fermo mentre stringeva sempre di più. Gli occhi di Janson saltarono quasi fuori dalle orbite; la lingua uscì dalla bocca.
Ancora pochi secondi e Janson smise di agitarsi.
Janson era morto.
Ma a quanto pareva Thomas sembrava non averlo capito, perché continuó a stringere la presa sul collo dell'uomo.
La situazione si fece alquanto strana e Minho decise di intervenire, parlando e avvicinandosi al ragazzo, dandogli poi una leggera manata sulla testa.
"Ehi, Thomas!" gridò di nuovo il Velocista, stupito dal fatto che il suo amico sembrava non sentirlo nemmeno. Il ragazzo decise così di invadere il campo visivo di Thomas, continuando a gridargli parole. "E' morto!"
Thomas si sfregò gli occhi sulla manica e tornò a concentrarsi sul viso di Janson, ignorando completamente le parole dell'amico. 
L'uomo era morto da tempo, immobile, pallido e pieno di contusioni.
"È morto!" gli stava gridando Minho. "È morto!"
Thomas, come se le parole dell'amico gli fossero finalmente giunte al cervello, tolse le mani, poi scese dal corpo strisciando carponi e Minho lo tirò su.
"Li abbiamo messi tutti fuori combattimento!" gli urlò nell'orecchio. "Dobbiamo andare!"
Due esplosioni scossero le pareti del magazzino contemporaneamente, e i muri sembrarono cedere, scagliando pezzi di mattoni e cemento in ogni direzione. La terra prese a tremare e senza che potessi muovermi, sentii Gally piegarsi sopra di me, obbligandomi ad abbassarmi. All'inizio pensai che il ragazzo avesse perso l'equilibrio e fosse caduto sopra di me, ma quando sentii le sue braccia circondare il mio corpo e le sue mani posizionarsi sulla mia testa, compresi di essermi sbagliata. Non capii subito il motivo del gesto del ragazzo, ma nel momento in cui lo sentii gemere mi spaventai. Feci per alzarmi e sfuggire da sotto la sua presa, ma la mia attenzione venne catturata  da dei detriti che, rotolando, caddero a terra.
Una realizzazione nacque in me.
Ecco cosa stava facendo Gally: mi stava proteggendo in modo che nulla potesse cadere su di me. Senza esitare ancora mi sollevai di scatto, obbligando il ragazzo ad alzarsi con me e poi gli rivolsi un'occhiata di rimprovero. "Perchè lo hai fatto?" domandai arrabbiata più con me stessa per averglielo lasciato fare che ne con lui. "Avresti potuto ferirti."
"Se non lo facevo avresti potuto ferirti tu."
"Be' io sono già ferita e basta una persona a rallentare il gruppo, non servi anche tu." risposi, afferrandolo per le spalle e obbligandolo a girarsi di schiena.
Sulla sua maglietta non c'era traccia di sangue o di tagli, perciò lasciai andare il ragazzo che tornò ben presto a guardarmi negli occhi. "Sei sicuro di stare bene?" domandai poi, assumendo un tono più dolce.
Gally annuì e mi sorrise, poi con lo sguardo superò le mie spalle. Mi voltai anche io e vidi Minho intento a dare ordini. 
Senza neanche che riuscissi a capire cosa il ragazzo stesse dicendo, iniziai ad avanzare, zoppicando e mordendomi il labbro per il dolore. Non volevo che Gally mi aiutasse, ero stata abbastanza un peso per lui ed era giunto il momento che facessi da sola. Prima che il ragazzo potesse raggiungermi avanzai velocemente verso Thomas e Minho e gli feci cenno di cominciare a muoversi per raggiungere lo sgabuzzino. Blocchi di soffitto cadevano a terra spaccandosi ed esplodendo. Il rumore era orribile, assordante. Il pavimento tremava con violenza; le bombe continuavano a scoppiare, era come se fossero ovunque. 
La mia gamba non aveva smesso di farmi male nemmeno per un secondo, ma la paura di rimanere schiacciata da qualche masso attenuava il dolore fisico. Continuai a camminare riuscendo sempre a mantenere un certo equilibrio. Mi stupii quando dopo l'ennesima scossa riuscii a mantenermi in piedi senza problemi: a quanto pareva mi stavo abituando velocemente e ciò era un'ottima cosa.
Thomas tuttavia non fece altrettanto. Senza riuscire a rimanere in equilibrio, il ragazzo cadde. Mi gettai immediatamente su di lui, afferrandolo per le ascelle e aiutandolo a ritirarsi su. Anche Minho si era fermato per premurarsi che non mi servisse aiuto e una volta che mi vide ancorata al braccio di Thomas si voltò e riprese a guidare il gruppo. 
Io e Thomas facemmo un bel lavoro di squadra, sostenendoci a vicenda e continuando ad avanzare.
Finalmente potevo reggermi a qualcuno senza sentirmi in colpa dato che Thomas era visibilmente in difficoltà quando si trattava di mantenere i suoi piedi saldi a terra.
Qualche secondo dopo, fu Minho a cadere e questa volta fu Gally a tirarlo su e trascinarlo. All'improvviso Teresa comparve davanti a noi, con lo sguardo terrorizzato. Gli sembrò di vedere anche Stephen lì vicino; avanzavano cercando di non perdere l'equilibrio. 
Qualcosa andò in pezzi, frantumandosi, e il rumore fu così forte che mi voltai di scatto istintivamente, seguita a ruota da Thomas. Alzai lo sguardo: un'enorme parte del soffitto si era staccata. 
Poi tutto accadde all'improvviso.
Non seppi se in quell'occasione a decidere per me fosse stato l'istinto, l'affetto che provavo nei confronti di Thomas o la consapevolezza che, alla fine, ero io quella che non aveva nulla da perdere. Eppure lo feci.
In quel momento tutta la scena sembrò rallentare, diluita in un tempo che all'improvviso iniziò a dilatarsi all'infinito. Osservai il masso cadere verso me e Thomas, ipnotizzata, terrorizzata e pietrificata. Poi qualcosa accadde nella mia mente: se prima i miei pensieri erano una nube scura e insignificante, piena di confusione e terrore, l'attimo dopo era tutto in perfetto ordine, chiaro come la luce del sole al mattino. C'era una sola cosa da fare e non ci pensai neanche due volte a dare ascolto al mio istinto.
Vidi mentalmente il piccolo Chuck scagliarsi su di Thomas. Vidi il pugnale perforare il suo petto. Sentii il dolore e il terrore del bambino, li percepii sulla mia pelle. Poi, come se avessi fatto quella cosa milioni di volte, il mio corpo iniziò a muoversi da solo.
La mia bocca si aprì in un grido e le mie braccia afferrarono Thomas. Mi voltai di scatto e spinsi il ragazzo più in là che potevo, indirizzandolo verso lo sgabuzzino. Poi, sperando di avere abbastanza tempo a disposizione, scattai anche io all'avanti, gettandomi in aria senza una meta.
Poi la situazione si capovolse.
Il tempo riprese a scorrere velocemente, correndo come non aveva mai fatto; la confusione tornò a regnare sovrana nella mia mente, accecandomi perfino gli occhi e permettendomi di vedere solo a pezzi; il mio respiro si fece pesante e un'ondata di panico si impossessò di me.
Tutto ciò fu solo l'anticipo di tutto quello che venne dopo: il mio corpo venme scagliato a terra; scariche di dolore mi perforarono ovunque come mille spilli intrisi di veleno; la mia testa si accasciò a terra, troppo pesante per essere sostenuta; i miei occhi si chiusero e non riuscii a riaprirli tanto era il dolore che provavo; la mia bocca si aprì in un grido disumano che suonò estraneo e terribile perfino alle mie stesse orecchie; i miei timpani sembrarono scoppiare e le uniche cose che riuscii a percepire furono le grida e i tonfi delle continue esplosioni; la mia gamba sembrava essersi disintegrata sotto il peso del masso, ma era difficile capire quale parte di essa in particolare, dato che praticamente tutto il mio corpo era sotto convulsioni per via del dolore.
I minuti si dilungarono in eternità e fui sicura di essere svenuta almeno una decina di volte, addormentata e risvegliata allo stesso modo dal dolore. Ogni volta che riaprivo gli occhi vedevo la nebbia davanti a me e poi cadevo nuovamente nel sonno, accompagnata perennemente da quel senso di smarrimento e dolore. 
Solo dopo l'ennesimo ritorno alla realtà mi sentii improvvisamente leggera, come se qualcuno mi avesse tolto tutto l'affanno e il dolore che avevo appresso.
Mi sentii sollevare ed immediatamente capii che l'unica cosa che mi era stata tolta di dosso era il masso.
Terrore. Confusione. Dolore.
Furono queste le ultime sensazioni che provai.
Poi solo il buio.

*Angolo scrittrice*
*si schiarisce la voce*
Attenzione, attenzione!
Sono lieta *tira su con il naso e si asciuga le lacrime* di annunciarvi che questo è l'ultimo capitolo di questo libro. Esatto bellissimi e carissimi Pive.
The Maze Runner - Run finisce con questo capitolo.
Non sto a dilungarmi troppo, perchè tra poco pubblicherò i ringraziamenti e credo che dirò tutto ciò che ho da dire lì.
Perciò mi limito a dirvi che ho il cuore a pezzi e che sto seriamente rivalutando la mia decisione di stoppare questa storia per scrivere un altro libro.
Be' si vedrà...
Ci vediamo nei ringraziamenti, miei cari amici.
Con tutto il mio amore,
Elena ♥

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Capitolo 75
*** Ringraziamenti e Informazioni sul fourquel ***


Quindi dovrei scrivere i ringraziamenti, huh? Seriamente ho finito anche il terzo libro?
Vi giuro che non me ne sono resa conto fino a che non ho scritto l'ultima riga.
Questo libro è stato veramente divertente da scrivere, ancora più del primo e del secondo (a mio parere, obv). Ancora non riesco a credere di aver completato ben tre libri in un anno e poco più e devo ammettere che è stato merito vostro se ho continuato a scrivere e a pubblicare, senza mai abbandonare la storia. Perciò mi sembra ovvio che un ringraziamento a tutti voi sia necessario! 

Poi ringrazio anche la mia amica di penna (o di tastiera), che mi ha seguito sin dai primi istanti su EFP, lasciandomi meravigliose recensioni e continuando a leggere la mia storia perfino su Wattpad, dove i commenti dolcosi/sclerotici non sono mancati: rossella_rose grazie mille per il supporto e la sincerità delle tue parole ♥

Vi ringrazio veramente per tutto, cari Pive! ♥ Questa storia è stata fantastica da scrivere, sia perchè adoro i libri di Maze Runner sia perchè ho ricevuto continui commenti pieni di complimenti, scleri e minacce (utili come sempre).

 

Ora, cambiando un po' discorso e andando ad analizzare qualcosa che vi piacerà, iniziamo a parlare del quarto libro!
Ho pensato attentamente a cosa fare e penso di aver trovato una soluzione che credo vi piacerà. Io vi propongo tre opzioni, poi sarete voi a decidere :3
➤ OPZIONE 1: Stavo pensando di continuare il quarto libro immediatamente.
*YEYYY!*
Mi prenderó una pausa di una o due settimane per raccogliere a fondo le idee e poi inzieró subito a scrivere.
Continueró a pubblicare un capitolo dopo l'altro fino a che non dovró partire per l'America (Luglio o Agosto, ancora non lo so).
Qui faró un po' di pausa giusto per avere il tempo per ambientarmi e organizzarmi.
Poi, una volta che mi sentiró finalmente stabile in quella nuova realtà vedró come continuare. 
Purtroppo non posso dirvi con certezza se continueró il libro oppure no mentre sono là. Il fatto é che non so quanto tempo avró a disposizione e soprattutto dipende dalla famiglia: se vogliono che alla sera io stia con loro non posso prendere il computer, isolarmi in camera e scrivere come faccio qua in Italia.
In ogni caso forse credo di aver trovato una soluzione anche per il problema 'poco tempo a disposizione' una volta che sarò negli USA.
La mia migliore amica si è offerta di aiutarmi a ricopiare al computer tutto quello che scriverò su Maze Runner - Live (sì, è questo il titolo del quarto libro). Facendo così userò di meno il computer e potró scrivere tranquillamente a mano trovando la scusa di star facendo i compiti, magari. 
Tuttavia, questo non significa che una volta arrivata in America riuscirò ad aggiornare regolarmente come qua in Italia. Probabilmente ci saranno periodi in cui pubblicherò tre capitoli alla settimana, periodi in cui lo farò solo una volta e altri periodi ancora in cui sparirò per settimane.
Credetemi, essere incostante con le pubblicazioni è una cosa che odio e (a meno che non si tratti di giorni) evito sempre di farlo, ma in questo caso non vedo altre soluzioni e spero che, se accetterete questa opzione, comprendiate ciò e abbiate pazienza.
Ps: ovviamente a rispondere alle recensioni sarò sempre io, ma a orari diversi! Stessa cosa vale per i messaggi privati (se avete voglia di scrivermi mentre saró là non potró che essere felice di ció ♥).

➤ OPZIONE 2: Continuo il quarto libro dopo una pausa di una o due settimane per raccogliere a fondo le idee e poi inzieró subito a scrivere.
Continueró a pubblicare un capitolo dopo l'altro fino a che non dovró partire per l'America (Luglio o Agosto, ancora non lo so).
Una volta arrivata alla data della mia partenza, indipendentemente dal punto in cui sono arrivata con la storia, stoppo tutto per un anno.
Quando ritorno in Italia continuo a scrivere regolarmente il quarto libro.

➤ OPZIONE 3: Stoppo The Maze Runner per un anno e quando torno continuo a scrivere regolarmente. Ovviamente prima di partire appunteró ogni cosa in modo da non dimenticarmi ció che ho in mente.

Cosa ne pensate? Quale opzione scegliete?

Grazie ancora per tutto, Pive e Fagio ♥ non sarei mai nulla senza di voi!
Da sempre e per sempre vostra,
Elena ♥

 

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Capitolo 76
*** Fourquel. ***


Ehilà, bei pive!
Sorpresi? Spero che questo aggiornamento vi abbia fatto salire il cuore in gola, perchè è quello che provo io al momento.
Sono fiera di annunciarvi che ho appena scritto e pubblicato il quarto libro "The Maze Runner - Live". 
Per ora sono solo due capitoli, uno dei quali riguarda la spiegazione alla copertina che risponderà a tutte le domande che vi sorgeranno guardandola. 

Sono ancora più emozionata nel dirvi che ha vinto l'opzione 1 con la maggioranza dei voti (su Wattpad, qui non mi avete degnato di una risposta, praticamente)!
Quindi, per riassumervi un pochino ciò che farò, vi propongo una scaletta:
➤ D'ora in poi le pubblicazioni dei nuovi capitoli ci saranno ogni tre giorni (o quattro, dipende) fino a luglio o agosto;
➤Ad una settimana dalla mia partenza le pubblicazioni smetteranno (per permettermi di organizzarmi al meglio per il viaggio) e non riprenderanno prima di un mese dal mio arrivo in America per avere il tempo di ambientarmi (ps: l'ho messo in neretto per specificare che la settimana prima della partenza non rientra nel mese);
➤Una volta passato un mese (forse meno, forse più, dipende da quanto tempo mi ci vorrà per ambientarmi e sentirmi pronta per tornare a scrivere) riprenderò a pubblicare capitoli, ma non so se le pubblicazioni saranno continue, quindi pls abbiate pazienza.

Vorrei inoltre specificare che in questo periodo chiunque volesse contattarmi sarà ben accolto! Risponderò a tutti anche se sono nel mese di pausa! 
Mi fa piacere ricevere dei vostri messaggi perchè è un modo per rimanere in contatto con tutti, quindi non esitate.

Vorrei anche dirvi che vi terrò in aggiornamento riguardo alle date della mia partenza (quando ovviamente la saprò, obv), in modo da non sparire nel nulla senza prima aver avvisato. 

Inoltre ci tengo ad informarvi che non farò il diario di bordo. Credo che mi limiterò a scrivere un diario personale (senza perció renderlo pubblico) e chissà, magari in futuro ci scriverò sopra un libro.
Non credo che avrò il tempo di scrivere due cose contemporaneamente e Maze Runner in questo caso ha la precedenza!

Come ultima cosa, ma non meno importante, spero che il quarto libro vi piacerà. Di certo io mi divertirò a scriverlo perchè questa volta non ho nulla su cui basarmi e sarà tutto di mia invenzione!

Perciò che ci fate ancora qua? Correte a leggere il quarto libro e che possiate trascorrere un'altra magnifica avventura insieme a me!
Arrivederci, Pive ♥

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