La faccia nascosta della luna.

di Morgana89Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Lily ***
Capitolo 2: *** Un compleanno speciale. ***
Capitolo 3: *** Una nuova casa. ***
Capitolo 4: *** Incontri inaspettati. ***
Capitolo 5: *** Una punizione meritata. ***
Capitolo 6: *** La camera dei segreti. ***
Capitolo 7: *** Il club dei duellanti ***
Capitolo 8: *** Un Natale speciale. ***
Capitolo 9: *** Voci di corridoio. Parte I. ***
Capitolo 10: *** Voci di corridoio. Parte II. ***
Capitolo 11: *** Vacanze di primavera all'insegna delle ricerche. ***
Capitolo 12: *** Il basilisco. ***
Capitolo 13: *** Punizione in compagnia. ***
Capitolo 14: *** Dentro la camera. ***
Capitolo 15: *** Un segreto svelato. ***
Capitolo 16: *** Solitudine. ***
Capitolo 17: *** Una richiesta inaspettata. ***
Capitolo 18: *** Come in una fiaba. ***
Capitolo 19: *** Il dissennatore... ***
Capitolo 20: *** Il nuovo insegnante. ***
Capitolo 21: *** Incontri e comprensioni. ***
Capitolo 22: *** Il momento giusto. ***
Capitolo 23: *** Verità e menzogna? ***
Capitolo 24: *** Dobbiamo parlare... adesso? ***
Capitolo 25: *** Io non ho detto niente. ***
Capitolo 26: *** Abbastanza mezzosangue ***
Capitolo 27: *** Cosa vuoi da me? ***
Capitolo 28: *** Tu sei mia sorella! ***
Capitolo 29: *** Fierobecco. ***
Capitolo 30: *** Sirius Black - parte I. ***
Capitolo 31: *** Sirius Black - parte II. ***
Capitolo 32: *** Un risveglio ***
Capitolo 33: *** La Tana. ***
Capitolo 34: *** Incontri e scontri. ***
Capitolo 35: *** La coppa del Mondo di Quidditch. ***
Capitolo 36: *** Il torneo tremaghi. ***
Capitolo 37: *** I quattro campioni, i quattro draghi. ***
Capitolo 38: *** Inviti me? ***
Capitolo 39: *** Il Ballo del Ceppo ***
Capitolo 40: *** Perché fa male... male da morire... ***
Capitolo 41: *** La prova è la collana. ***



Capitolo 1
*** Prologo - Lily ***


Prologo – Lily.

14 luglio 1981

Mi si sono rotte le acque. È notte. Fortunatamente tu dormi ancora. È da tempo ormai che tra di noi non va più bene. Siamo chiusi in questa casa, da soli, da troppo. Dormo nella stanza con Harry da cinque mesi ed a stento ti rivolgo la parola. A volte mi chiedo se tu ti sia accorto che sono incinta.

Sicuramente non mi hai chiesto nulla, ed io non ti ho detto nulla. Mi sono limitata a nascondere le mie forme, ogni mese più abbondanti, sotto vesti da strega lunghe e sformate. E tu non hai fatto domande. Ed io non ti ho dato risposte.

Forse è stato meglio così. Tanto la mia decisione l'ho presa quando ho capito di aspettare un secondo bambino ed in nessun modo parlarne con te avrebbe potuto cambiarla. Vividi nella mia mente si stagliano i ricordi di quella mattina di sette mesi fa.

 

Sono in bagno da un'ora. La nausea non cessa e la consapevolezza che non si tratta di un'influenza intestinale ormai si è cristallizzata nella mia mente. Sono incinta. Una piccola vita cresce dentro di me. Un vita non voluta e che prepotente è arrivata nella mia quotidianità proprio nel momento più sbagliato.

Ho un bambino di pochi mesi e non sono pronta ad averne un secondo. Non in questa situazione.

Io e James siamo rinchiusi in casa da giorni, sotto la protezione di un incanto fidelis, perché la vita di Harry è in pericolo. Vorrei piangere, vorrei parlarne con qualcuno, ma non posso. James sa che sono in bagno, come ieri, come il giorno prima e probabilmente come domani, ma non ha detto nulla. Lo sa, ma ha ignorato i segnali. Forse anche lui, come me, vorrebbe solo poter chiudere tale consapevolezza in un piccolo angolino remoto e dormire, finché questa guerra non sarà finita.

Mentre realizzo che la piccola vita che porto in grembo potrebbe non nascere, decido che semmai riuscirò a portare a termine questa gravidanza, in questa situazione, il mio bambino non potrà restare in questa casa maledetta. Non posso tollerare l'idea che il frutto del mio grembo rischi di venire brutalmente ucciso da un pazzo.

Ormai ho deciso.

 

È l'una di notte. Esco da questa casa che mi sta stretta da tempo, sperando che tu non ti accorga di nulla, ma so già che non ti alzerai prima delle dieci domattina. Non lo fai da tempo e, d'altronde, perché mai dovresti svegliarti presto.

Ho organizzato tutto. So dove andare e mi stanno aspettando. Porto con me Harry, non vorrei che ti svegliasse, non ha ancora un anno e non sempre dorme tutta la notte.

Mi smaterializzo al monastero. Suono e suor Anna viene ad aprirmi. È una donna gentile ed ormai ho imparato a conoscerla. L'ammiro, perché lei non mi ha mai chiesto nulla. Mi ha ascoltata e compresa, senza giudicarmi. Ha accettato la mia scelta, senza domandare una spiegazione, forse immaginando i miei motivi.

Le sono grata, perché so che se mi avesse chiesto maggiori informazioni, forse, non sarei riuscita a rimanere salda nei miei propositi, e io non posso permettermi di tornare indietro nella mia decisione.

“Cara, è il momento?” mi chiede quando mi vede sull'uscio.

“Temo mi si siano già rotte le acque. Sono arrivata appena in tempo. Ho dovuto portare mio figlio con me” la mia risposta la mette in allarme. Mi conduce immediatamente in una delle camere presenti al primo piano dell'edificio. Mi aiuta a stendermi sul letto e chiama suor Maddalena. Anche lei mi piace ed inoltre è una donna competente e che ispira immediatamente fiducia. È un'ostetrica esperta.

“Devo controllarti. Cerca di rilassarti. Andrà tutto per il meglio” mi rassicura, e prosegue chiedendomi di lasciare il piccolo Harry a suor Anna. Si occuperà lei del mio bambino, fino a quando non sarà tutto finito.

Sono ore interminabili e dolorose. Non ricordavo quanto potesse far male partorire, eppure è passato meno di un anno da quando ho dato alla luce il nostro bambino. Ma quel giorno tu eri al mio fianco, forse per questo non sembrava così dura.

“Un'ultima spinta e sarà tutto finito... coraggio!” mi incita suor Maddalena. Finito. Sarà tutto finito. Ma non mi sento più serena.

Pochi minuti e sento i vagiti di questa nuova vita riempire la stanza. Sono sfinita. Suor Anna si avvicina, tenendo ancora in braccio il mio primogenito, mi sorride e dice “è una bambina”. La guardo per qualche minuto soppesando le sue parole. Poi una lacrima solitaria scorre sulla mia guancia. Una bambina, mia figlia.

“Non voglio vederla. Portatela via!” riesco a pronunciare solo queste parole. Non ho la forza di dir nulla di più. La suora mi guarda qualche secondo, poi fa cenno all'altra di andar via con la neonata.

Resto su quel letto ancora qualche ora. È ancora presto, andrò via all'alba e sarò a casa prima che tu ti accorga della mia assenza.

Non riesco a fermare le lacrime, ma suor Anna non dice nulla e le sono profondamente debitrice per questo. Non sopporterei di dover dare spiegazioni. Dopo ore interminabili e dolorose sento il campanile della cappella suonare sei rintocchi, ognuno dei quali rimbomba nella mia testa come un richiamo disperato.

“Devo andar via. È ora che ritorni a casa” riesco infine a pronunciare queste poche e semplici parole.

“Sicura di non voler restare? Possiamo ospitarti finché non ti sarai completamente ripresa” cerca di convincermi, senza troppa convinzione, la dolce donna seduta accanto al mio letto.

“Non posso. Mio marito mi aspetta...” vorrei aggiungere che non sa che sono qui, ma mi blocco. Guardo la donna per qualche secondo e continuo “vorrei che venisse chiamata Morgana”. Lei soppesa le mie parole per qualche attimo, sorpresa probabilmente per il nome inusuale, dopo annuisce senza aggiungere nulla, ma rassicurandomi tacitamente che il mio desiderio verrà, certamente, esaudito. Tentenno qualche secondo, ed aggiungo “ho delle cose per lei. Vorrei che le venissero consegnate quando compirà undici anni. Fino ad allora, la prego, suor Anna, di custodirle con attenzione”.

“Farò ciò che desideri, bambina. Non ti preoccupare” mi rassicura. Così estraggo dalla mia borsa una lettera, una catenina d'argento con un ciondolo a forma di serpente con gli occhi formati da due piccoli smeraldi ed una chiave d'oro. Consegno tutto alla donna e mi dirigo verso l'uscita del monastero con Harry in braccio.

Nella mia mente una domanda mi si forma prepotente – avrei dovuto dire a suor Anna che la bambina sarà, quasi certamente, dotata di abilità particolari? Diversa? Ma come potevo spiegarle che sono una strega e che anche Morgana lo sarà? È stato meglio tacere. Meno sa e più sarà al sicuro. Almeno per ora -.

Mi allontano da quel luogo con un dolore lancinante al petto. Una piccola crepa nel mio cuore si apre ad ogni passo che faccio. Arrivata in una stradina isolata, mi smaterializzo davanti al portone della mia prigione dorata, salgo le scale di quella casa che non sopporto più ed entro nella cameretta di Harry. Poggio il mio bambino, ancora addormentato, nella sua culla. Mi sdraio, stremata, nel lettino presente in quella medesima stanza e mi addormento dopo pochi secondi, ma solo dopo aver sussurrato “perdonami”.

 

31 ottobre 1981

Halloween è sempre stata la mia festa preferita, sin dal primo anno ad Hogwarts. Anche in un periodo come questo sono felice che, perlomeno, siamo riusciti a riunirci tutti per pranzo e, soprattutto, che tu sia tornato ad essere un po' più sereno. Certo non è come all'inizio del nostro matrimonio, ma mi sembra che tra di noi vada un po' meglio. Una parte di me non può non chiedersi se sia perché ti sei accorto che non porto più in grembo un figlio di cui non ti ho mai detto nulla.

Bussano alla porta e vai ad aprire, sento la tua voce allegra salutare Remus e Sirius, e sorrido con gioia per la prima volta da troppo tempo.

“Lily! Splendida come sempre” Remus mi saluta con affetto ed io lo raggiungo per abbracciarlo.

“Il mio piccolo Harry! Sei cresciuto ometto...” Sirius si avvicina al figlioccio che gli sorride felice, come solo un bambino di poco più di un anno può essere. “Non fare caso a me, Felpato!” lo rimprovero con dolcezza.

“Lils! Tu sei sempre uguale... lui, invece, è nuovo ogni giorno” mi risponde con una smorfia giocosa.

“Se è così che la pensi, allora la torta alla melassa la mangiamo solo io, Remus e James” lo rimprovero fintamente offesa e lui in risposta lascia Harry fra le braccia dell'altro ospite e mi raggiunge in un abbraccio soffocante, per poi chiedermi “mi sono meritato una fettina piccola piccola di torta?”.

“Se la blandisci con quegli occhi così dolci come potrebbe dirti di no?” risponde mio marito ridendo del suo migliore amico.

Pranziamo chiacchierando amabilmente e prendendoci in giro, come se fossimo tornati all'ultimo anno ad Hogwarts, quando sedevamo tutti insieme al tavolo di Grifondoro. Mi mancava quest'atmosfera di festa e di gioia e soprattutto mi mancava il tempo trascorso con voi. Non ci vedevamo da diversi mesi.

Mi perdo a guardare mio marito sorridere, felice come non lo vedevo da troppo tempo e sono felice anche io, o, per lo meno, serena.

Il tempo trascorre veloce e nel primo pomeriggio Remus, sconsolato e titubante si alza. “Dobbiamo andare, Felpato!”.

“Non potete restare ancora un po?” prova a chiedere James, ma infondo sa già che non potete. Dovete incontrare altri membri dell'Ordine per organizzare una missione a nord. Ne siamo a conoscenza entrambi.

“Sai che non dovremmo neanche essere qui, Ramoso” risponde il bel moro tristemente.

Vi accompagniamo alla porta e dopo un veloce abbraccio restiamo ad osservarvi uscire dalla protezione della casa e smaterializzarvi. Sento una dolorosa stretta al cuore quando vi vedo scomparire e resto diversi minuti sulla soglia di casa a fissare il punto in cui vi trovavate poco fa. Una lacrima calda scorre sulla mia guancia ed una sensazione terribile mi stringe il cuore.

Non sapevo, in quel momento, che non vi avrei più rivisti e che la mia vita aveva, ormai, le ore contate.

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Capitolo 2
*** Un compleanno speciale. ***


Un compleanno speciale.

 

14 luglio 1992

 

Il sole scottava in quella mattina d'estate, alto e fiero nel cielo limpido, illuminando coi propri raggi dorati la bella campagna in cui era stanziato il vecchio monastero medievale. L'edificio in pietra grigia contrastava romanticamente col verde brillante dei prati circostanti. Il muro di cinta, alto e fiero, conferiva al palazzo le sembianze di un vecchio maniero, non particolarmente imponente, ma comunque degno di nota.

Nel cortile interno la vita cominciava a svegliarsi dolcemente. Le monache, abituate ad alzarsi al sorgere del sole, erano già in fermento, come piccole formichine laboriose, chi a sistemare l'orto, chi ad accudire gli animali, chi a lavare la biancheria. Nelle camere i cinque ospiti minorenni, due bambini e tre bambine, ancora dormivano tranquilli nei loro lettini, ignari che per una di loro, quella giornata avrebbe portato una sorpresa, quanto meno, inaspettata.

Morgana fu la prima a svegliarsi quella mattina, aveva faticato a dormire, trepidante ed irrequieta. Quel giorno avrebbe compiuto il suo undicesimo compleanno ed era assolutamente intenzionata a trascorrerlo nel migliore dei modi possibili. Si alzò in fretta dal proprio lettino e dopo essersi velocemente vestita, scese nella grande cucina, dove trovò suor Maddalena intenta a preparare la colazione. Il sorriso dolce della donna la raggiunse immediatamente e la bimba non poté fare a meno di sentirsi amata.

“Buongiorno, bambina e buon compleanno. Come ti senti?” al saluto della suora non riuscì a non rispondere con uno dei suoi rari sorrisi e con un laconico “Bene, sorella”.

Dopo aver consumato velocemente la propria colazione, la bimba si alzò con l'intenzione di andare a fare una delle sue solite lunghe passeggiate nel boschetto che si trovava oltre il muro a nord-ovest dell'edificio. Prima di poter imboccare la porta, però venne fermata da suor Anna, la madre superiora, che le chiese di seguirla nel proprio ufficio per poterle parlare.

La donna era nervosa, non poteva di certo negarlo, ed era evidente per chiunque la conoscesse, anche solo superficialmente. Non aveva mai parlato alla bimba della madre e lei non aveva mai chiesto nulla, al contrario degli altri orfanelli, che ponevano frequentemente simili domande. Ma il ricordo della promessa stretta ormai undici anni prima, le impediva di rimandare ulteriormente quel difficile momento.

“Siediti Morgana. Devo parlarti di cose importanti e vorrei che mi ascoltassi senza interrompermi, dopo potrai farmi tutte le domande che vorrai”, assicuratasi che la bimba si fosse seduta, la donna proseguì “undici anni fa sei nata, proprio in questo edificio. E tua madre, prima di andar via, mi chiese di consegnarti alcuni oggetti al compimento del tuo undicesimo compleanno. Pertanto, oggi, sono qui per adempiere alla promessa che le feci allora”. Osservò la bimba per qualche minuto. Non sembra affatto turbata dalle rivelazioni che le erano state fatte. Si aspettava che chiedesse come mai la madre l'aveva abbandonato o, almeno, il nome della donna che l'aveva messa al mondo. Ma non un suono uscì dalla bocca della sua pupilla.

Senza smettere di osservarla, la suora aprì uno dei numerosi cassetti della sua scrivania ed estrasse gli oggetti che quella dolce ragazza, che ancora ricordava con nostalgia, le aveva affidato anni prima. La bimba osserva con curiosità quel miscuglio stranissimo di doni: una collana, una lettera ed una chiave. “A cosa serve la chiave, suora?” chiese non appena i suoi occhi si posano sull'ultimo bene. “Le chiavi servono ad aprire, Morgana. Ma non so che cosa apra questa chiave. Non lo chiesi a tua madre e lei non me lo disse. Immaginai che fosse scritto nella sua lettera”.

“Sono miei, quindi? Posso portarli con me?”

“Certo, bambina!”.

“Posso andare ora, sorella?”.

Al cenno affermativo della donna la bimba uscì immediatamente dalla stanza, portando con se quei nuovi tesori. Era sempre stato una bimba pacata e taciturna, ma mentre la osservava uscire suor Anna si trovò a pensare che si sarebbe aspettata una reazione meno tranquilla da un esserino così giovane.

Morgana percorse velocemente il pavimento in marmo dell'edificio, uscendo immediatamente alla luce del sole e senza esitazione si avviò verso il suo rifugio speciale: una piccola ed ombrosa raduna al centro del boschetto che circondava su tre lati il monastero. Arrivata si sedette sull'erba umida osservando gli oggetti che suor Anna le aveva appena donato, indecisa se aprire o meno la lettere. Dopo qualche minuto, un po' titubante prese in mano la piccola busta. Era fatta di un materiale diverso dai fogli sui quali era abituata a scrivere: più pesante e quasi antico. La aprì timorosa e sfilata la pergamena in essa contenuta iniziò a leggere le parole vergate da sua madre.

 

Caro figlio o Cara figlia,

ancora non so se sarai una femmina o un maschio, ho saputo da poco che stai arrivando.

Ti lascio queste poche parole, nella speranza che quando le leggerai non mi odierai per essere stata codarda e non aver avuto la forza di tenerti con me. Purtroppo temo che non vivrò comunque abbastanza per vederti raggiungere i tuoi undici anni, il perché forse un giorno lo scoprirai da solo, per ora ti basti sapere che io e tuo padre siamo una strega ed un mago ed anche tu, quasi certamente, lo sarai.

Ho chiesto a suor Anna di farti avere queste mie parole solo oggi, perché ad undici anni i giovani maghi iniziano a frequentare una scuola speciale, al fine di apprendere le arti magiche. Nei prossimi giorni sicuramente riceverai la visita di un professore o professoressa della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, che ti spiegherà tutto quanto devi sapere e ti accompagnerà ad acquistare tutto il necessario per la scuola. Non volevo arrivassi impreparata a questo momento e desideravo essere io ad informarti delle tue capacità.

La chiave che ti ho lasciato serve per accedere alla tua camera blindata alla Gringott, la banca dei maghi. Vi troverai il denaro necessario per la frequenza della scuola ed anche qualcosa di più. Non è molto ciò che ti ho lasciato, ma ho fatto il possibile per permetterti di poterti sostenere durante i tuoi studi, senza dover avere restrizioni di alcun tipo.

La collana, invece, spero che ti possa ricordare la tua famiglia, che ti ha molto amata e continuerà a farlo, anche se forse tu ora non lo credi. Era mia ed ora ti appartiene. Se sarai una bambina spero la indosserai, in caso tu fossi un maschio spero comunque che la conserverai con cura.

Ti chiedo ancora perdono per non essere stata forte e coraggiosa per te, anche se credimi: mi è servito molto coraggio anche per lasciarti. Spero vivamente che un giorno mi capirai e che non mi odierai troppo. Ti ho tanto amata, sin da quando ho scoperto la tua esistenza.

Con affetto,

Mamma.

 

Rilesse a lungo quelle parole, cercando ogni volta di carpirne maggior significato. I suoi occhi continuavano, inesorabili, a posarsi sulla parola “mamma”. Non sapeva nulla di lei, se non le poche cose che le aveva raccontato suor Anna. Si rammaricò solo che non si fosse firmata col proprio nome. Suor Anna non lo conosceva, altrimenti certamente l'avrebbe informata.

Non faticò affatto a credere di essere una strega, sapeva di poter fare cose speciali, anche se non aveva mai compreso appieno come mai certi avvenimenti accadessero.

Quando ormai sembrava arrivata l'ora di pranza decise, finalmente di alzarsi e dirigersi verso il famigliare edificio in pietra. Arrivata davanti alla porta del monastero, la bimba vide suor Anna accompagnata ad una donna sconosciuta.

Morgana si avvicinò un po', titubante, poiché la sconosciuta le incuteva timore ed, in qualche modo, sembrava emanare una forte aura di rispetto. “Tu devi essere Morgana. È un piacere conoscerti, io sono la professoressa McGranitt”.

“E' una professoressa della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts?”.

La donna la fissò allibita, evidentemente non si aspettava una domanda del genere dalla bambina. Dopo qualche secondo, le chiese se le andava di accompagnarla nella sua stanza per poter parlare tranquillamente e senza essere disturbate. Solo dopo aver chiuso la porta alle loro spalle, le domandò come facesse a conoscere il nome della scuola. Morgana le parlò della lettera della madre e le disse che sapeva benissimo di saper fare delle cose speciali ormai da qualche anno. Le raccontò di come riusciva a spostare gli oggetti senza toccarli e a fa muover i fiori come se danzassero.

La donna le mostrò una lettera scritta con inchiostro verde, fatta del medesimo materiale di quella della madre, spiegandole che si trattava della sua lettera di ammissione alla scuola di magia e che lei stessa l'avrebbe accompagnata quel pomeriggio a comprare tutto ciò che le sarebbe servito per la scuola, se per lei andava bene, ovviamente.

Così qualche ora e diverse spiegazioni dopo, Morgana seguì la donna sino ad un luogo chiamato Diangon Alley. Quel giorno scoprì molte cose sul mondo magico e comprò tutto il necessario per affrontare al meglio il suo primo anno di scuola, compresa la divisa scolastica, rigorosamente nera, ed una splendida civetta maculata, che nominò immediatamente Maggie.

Prima di lasciarla davanti al monastero, la professoressa le spiegò come arrivare a scuola e le lasciò il biglietto dell'espresso di Hogwarts, rassicurandola che aveva già preso accordi con suor Anna affinché l'accompagnasse a Londra il primo di settembre.

Poche ore più tardi, nel suo letto, Morgana non potè che riflettere sul fatto che effettivamente quello era stato davvero un compleanno speciale.

 

Intanto, a diversi chilometri di distanza, Minerva McGranitt, raggiunta Hogwarts, si avviò immediatamente verso lo studio del Preside, dove, dopo aver ricevuto il permesso di entrare, trovò Albus Silente in compagnia del professore di pozioni, Severus Piton.

“Com'è andata con la piccola orfana nata babbana, Minerva?” la apostrofò l'uomo più giovane, con un accento derisorio che non passò inosservato.

“Direi bene, Severus. Se non fosse che la bambina non è una nata babbana. Ha genitori maghi ed una camera blindata alla Gringott”, la strega si permise un sorrisetto beffardo nel pronunciare tali parole.

L'affermazione della donna venne accolta con stupore dai due uomini. Dopo qualche minuto il preside riprese la parola “Chi sono i suoi genitori, Minerva?”.

“Questo non lo so, Albus. La camera blindata è a nome della bambina, la quale porta il cognome degli orfani del monastero in cui ha vissuto: Morgana Belmont”.

“Com'è la bimba?”, il preside sembrava decisamente interessato e la strega non poté non chiedersi se stesse pensando ad un altro orfano, che il preside aveva conosciuto ormai molti anni prima.

“Non ne sono certa, Albus. Sembra una bambina tranquilla e beneducata, ma anche molto riservata e poco propensa alle esternazioni. Nelle ore che abbiamo passato insieme non ricordo di averla vista sorridere. Inoltre è decisamente molto sveglia. Non è rimasta per nulla turbata quando le ho spiegato che è una strega ed, al contrario, mi ha detto che sapeva di essere speciale”,

“Immagino che potremo farci un'idea più precisa quando sarà qui, fra pochi mesi” con queste poche parole il preside, chiusa la conversazione, li congedò entrambi.

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Capitolo 3
*** Una nuova casa. ***


 

Una nuova casa.
 

1 settembre 1992

 

Suor Anna l'aveva svegliata presto quella mattina ed assicuratasi che avesse tutto pronto, in particolar modo il suo nuovo baule pieno di strani libri ed oggetti inusuali il cui uso le era sconosciuto, e la gabbia della sua nuova civetta, Maggie, l'aveva accompagnata alla stazione King's cross di Londra. Arrivate, aveva ripetuto alla piccola Morgana le istruzioni ricevute, qualche settimana prima, dalla professoressa McGranitt e l'aveva accompagnata fra i binari 9 e 10.

“Può lasciarmi qui, Suor Anna. Penso di poter proseguire da sola. Devo solo salire sul treno.” la bambina sembrava intenzionata a congedarsi da lei in fretta. Non le era ben chiaro il motivo di tale comportamento, ma averla vicina all'inizio di questa nuova avventura sembrava confonderla e metterla a disagio. La donna sembrava aver accolto con serenità la notizia dei suoi poteri magici, ma Morgana non poteva fingere di non scorgere un certo imbarazzo nel suo sguardo, se non addirittura del timore. Sapeva che non aveva detto nulla alle altre sorelle, né tanto meno agli altri bambini ed, inoltre, le aveva chiesto di mantenere anch'ella il massimo riserbo. La bimba concordava con lei su questo punto: meno persone sapevano e meglio era. E d'altronde tra i ragazzi dell'orfanotrofio di sicuro non aveva amici con cui confidarsi o verso i quali sentirsi in colpa nascondendo tale segreto.

“Sei sicura di cavartela da sola?” le parole della donna la risvegliarono dai suoi pensieri. Annuì velocemente e la lasciò con un breve abbraccio. Non le era mai piaciuto soffermarsi in simili atteggiamenti affettuosi, ma le sembra d'obbligo in questo caso, visto che non l'avrebbe rivista sino all'estate successiva. Aveva già discusso di questo con la professoressa McGranitt, la quale l'aveva rassicurata sulla possibilità di rimanere a scuola durante le vacanze natalizie e primaverili.

Lasciandosi la suora alle spalle, senza più voltarsi, si diresse verso la barriera che si trovava tra i binari 9 e 10, come le aveva spiegato la strega durante il loro unico incontro. Ricordò che la professoressa le aveva detto che se fosse stata nervosa avrebbe potuto correre, per raggiungere il treno, ma lei si sentiva tranquilla e, pertanto, si diresse calma, ma sicura verso il muro di mattoni. Fu un attimo, non si rese neanche conto che qualcosa fosse cambiato, finché non vide davanti a se una locomotiva rossa, vagamente somigliante ad un drago (ne aveva visto uno in un'illustrazione di un libro a Diagon Alley), che sputava fumo dalle narici e la sua bellezza e imponenza la attrasse e, contemporaneamente, la spaventò.

Salì velocemente su uno dei primi vagoni. Era ancora presto ed il treno era quasi deserto, così si fermò al primo scompartimento vuoto che scorse. Dopo aver posato il baule, aprì la borsa e prese il libro di testo con cui aveva deciso, qualche giorno prima, di occupare il viaggio: Storia della Magia di Bathilda Bath, e cominciò a leggerlo. Lo trovava affascinante, poiché, non conoscendo quasi nulla del mondo magico, quel testo le permetteva di approfondire la propria cultura sull'ambiente che, ormai, poteva considerare proprio.

Diversi minuti dopo, sentì la porta dello scompartimento aprirsi e si voltò distrattamente verso la stessa: una ragazza biondissima, coi capelli lunghi e lisci, e due enormi occhi azzurri la stava fissando insistentemente. “Ciao!” la salutò. “Ciao”, si sentì rispondere Morgana, “sei al primo anno?”.

“Sì, tu?”.

“Anche io. Sono molto emozionata e non vedo l'ora di arrivare a scuola”, con quest'ultima affermazione la bambina si sedette dinanzi a lei ed iniziò a leggere quello che sembrava essere l'ultimo numero di un giornale. Trascorsero gran parte del viaggio in silenzio, senza più voltarsi l'una verso l'altra, ognuna assorta nei propri pensieri e nelle proprie letture.

Verso l'ora di pranzo una donna con un carrello pieno di cibarie si fermò davanti al loro scompartimento e, dopo aver bussato, fece capolino all'interno chiedendo se desiderassero qualcosa da mangiare. Sembrava gentile e simpatica. Morgana si alzò per prendere del cibo, rendendosi conto solo allora di quanto fosse affamata, ma osservando il contenuto del carrello rimase spiazzata. Non conosceva nessuno di quei dolci. Non che al monastero avessero l'abitudine di comprare dolciumi di alcun genere, ma di quelli non conosceva neanche il nome.

La sua compagna di viaggio doveva aver notato la sua perplessità, ed avvicinatasi chiese alla donna, con aria sicura, alcune cibarie, sorridendole con la sua aria serena e pacata. “Immagino tu non abbia mai mangiato nessuna di queste cose”.

“In effetti no. Non conosco nessuno di questi cibi” le rispose sincera e sconcertata.

Così la bambina bionda le consigliò cosa acquistare e le spiegò cos'erano le gelatine tutti i gusti +1, le cioccorane e gli zuccotti di zucca (che immediatamente diventano i dolci preferiti di Morgana, non essendo eccessivamente zuccherosi).

“Prima non mi sono presentata, il mio nome è Luna”. Il primo pensiero di Morgana fu che quel nome era proprio adatto a lei. La ragazzina era sfuggente ed in un certo senso luminosa, proprio come l'astro della notte.

“Io sono Morgana” le rispose incerta. Non che non le piacesse parlare, solo non era abituata a colloquiare amabilmente con persone della sua età.

Dopo qualche attimo di incertezza la conversazione si svolse con maggior sicurezza e le bimbe chiacchierarono per il resto del viaggio, confidandosi le loro insicurezze ed aspettative, e, qualche ora più tardi, dopo aver indossato le divise nere (su sollecitazione di un ragazzino più grande che, Luna spiegò a Morgana, doveva sicuramente essere un prefetto di Grifondoro), sentirono il treno rallentare.

Fuori l'aria della sera era pungente, e la bambina constatò che certamente il castello doveva trovarsi molto più a nord rispetto a Londra. Insieme a Luna si diresse verso un uomo che stava chiamando a gran voce gli alunni del primo anno.

Quando arrivarono vicino a lui, Morgana rimase a fissarlo a bocca aperta. Era molto più alto di un uomo normale e l'unica parola che le sembrava ideale per descriverlo era selvaggio. Non sembrava, però, pericoloso; al contrario aveva un sorriso bonario e sin troppo dolce per un essere così maestoso.

“Salite sulle barche in quattro, giungeremo a scuola attraversando il Lago Nero”.

Il primo pensiero che la bambina riuscì a formulare fu – Dev'essere pazzo. Salire su quelle barchette pericolanti? Ma saranno sicure? - e non poté evitare di fermarsi qualche secondo ad osservarle con aria scettica. Non che lei fosse paurosa, ma neanche proprio stupida e poi non sapeva nuotare, non avendo mai avuto modo di imparare. E se fosse caduta in acqua?

Luna notò immediatamente la sua inquietudine, perché la prese dolcemente per mano, senza dire una parola, e la aiutò ad issarmi su una barchetta insieme a lei. Dopo di loro vi salirono anche una ragazzina con lunghi capelli rossi e lentiggini su tutto il viso, ed un bambino con capelli castani e sguardo eccitato.

Una parte di Morgana sorrise alla consapevolezza che su quella barchetta vi erano tre bambine, l'una diversa dall'altra: una biondissima e con gli occhi azzurri, una rossa con dolci occhi nocciola e lei, con lunghissimi capelli neri e occhi verde smeraldo.

Ad accogliere i nuovi alunni, nell'immenso ingresso della scuola, vi era la professoressa McGranitt, anche se le ci volle qualche secondo a riconoscerla con quell'abbigliamento particolare, che ormai aveva imparato ad associare al mondo magico. Quando i suoi occhi si posano sulla bimba un impercettibile sorriso le curvò le labbra, come se volesse rassicurarla e tranquillizzarla.

Mentre attendevano che tutti gli studenti più grandi si sedessero nella sala grande, la professoressa spiegò loro che ad Hogwarts esistevano quattro case, che prendevano il nome dai quattro fonatori: Serpeverde, Grifondoro, Corvonero e Tassorosso. E raccontò che ognuna accoglieva studenti con precise caratteristiche caratteriali e che, pertanto, oggi avrebbero dovuto essere smistati. Continuò chiarendo che per loro la loro casa sarebbe stata come una famiglia e che ogni loro azione avrebbe avuto delle conseguenze su di essa, sia in senso positivo che negativo.

Alla fine del discorso della professoressa, alla maggior parte degli alunni non era ben chiaro che cosa distinguesse effettivamente gli appartenenti alle quattro case elencate, la donna non ne aveva fatto che qualche cenno e, pertanto, solo i figli di genitori maghi sapevano cosa aspettarsi quando la seguirono all'interno della sala in cui erano attesi dagli altri studenti e insegnanti.

La professoressa posò un cappello piuttosto antico e consunto su di uno sgabello e quello, con grande sorpresa dei nuovi arrivati, cominciò a parlare in rima. Sembrava decantare una filastrocca, con la quale spiegò che la casa di Serpeverde era caratterizzata da ambizione ed astuzia, Grifondoro da coraggio e nobiltà di cuore, Corvonero da saggezza e intelligenza e Tassorosso da pazienza e lealtà.

Il primo pensiero di Morgana fu che in quel momento non pensava di possedere alcuna di quelle caratteristiche. La bimba lanciò un breve sguardo a Luna, che non appariva minimamente preoccupata, ma, piuttosto indifferente a tutto quanto le accadeva intorno, ed il suo timore, invece che diminuire, parve aumentare.

La professoressa McGranitt intanto cominciò a chiamare, in ordine alfabetico gli studenti del primo anno, affinché indossassero il Cappello Parlante, che, dopo aver scrutato nella loro mente, li indirizzava verso la casa per loro più adatta.

“Belmont Morgana!” quando la sentì pronunciare il suo nome si avvicinò lentamente verso lo sgabello posto al centro della sala, sentendo gli occhi di tutti gli studenti puntati su di lei e, soprattutto, quelli dell'uomo che, ormai, aveva intuito dovesse essere il preside. Poco prima che la bimba si sedesse le sue iridi si incontrano con quelle azzurre di Albus Silente e lui le sorrise dolcemente, continuando a scrutarla a sua insaputa per tutto il tempo dello smistamento, con un misto di curiosità e timore.

Quando la professoressa posò il cappello sulla sua testa, una vocina cominciò a parlare ed analizzare i suoi pensieri. Solo dopo qualche secondo lei riuscì, finalmente, a soffermarsi su ciò che le stava dicendo.

“Vedo molto in te. Molti sentimenti contrastanti. Sei stata costretta a crescere in fretta, non avendo una famiglia a vegliare su di te... certo nel luogo in cui sei stata allevata hai sperimentato l'affetto di persone sincere, ma vedo che ciò non è stato sufficiente ad evitare che il tuo cuore venisse circondato da uno spesso strato protettivo. Non sei una bambina socievole, hai un carattere schivo, poco propenso ad affezionarsi alle persone. Una parte di te ritiene di non poter amare sinceramente e profondamente. Certo sai provare affetto, ma l'amore incondizionato ti sembra eccessivo. Pensi forse che nessuno lo meriti? Non esterni facilmente i tuoi sentimenti. Sei ambiziosa, intelligente e – cosa alquanto strana per una strega così giovane – estremamente consapevole delle tue capacità. Capacità che vedo essere notevoli. C'è del talento in te. Sei abituata ad agire da sola e ciò potrebbe essere sintomo di superbia ed alterigia, ma anche di coraggio. Difficile... sei davvero difficile. Dove posso collocarti?” i minuti si susseguirono inesorabili, mentre lei ascoltava tutti i ragionamenti del cappello parlante, che sembrava veramente in difficoltà nello smistarla.

Cominciò a pensare di non poter appartenere a nessuna delle quattro case di Hogwarts ed a quali potevano essere le conseguenze in tal caso. Mentre pensava a tutto ciò la vocina nella sua testa continuava a rimbombare e gli occhi della sala rimanevano fissi su di lei con sempre maggiore curiosità. Probabilmente non capitava spesso che il cappello ci mettesse così tanto a smistare un'alunna. “Non puoi sbrigarti? Non mi piace per nulla rimanere qui ferma, mentre tutti mi fissano come se fossi un animale allo zoo!”, stizzita non riuscì a trattenersi dal pensare quelle poche parole rabbiose. “Siamo impazienti ed anche piuttosto impertinenti vedo, ambizione, superbia ed impertinenza sono tipiche della casa serpeverde”, l'infida vocina di quel pezzo di stoffa la stava deridendo e, dopo qualche secondo continuò a parlare, distraendola dai pensieri negativi che le affollarono la mente “che dire... penso di sapere quale sia la casa giusta per te e quali siano le qualità preponderanti nella tua anima... sì, ne sono sempre più sicuro...”, trepidante Morgana trattenne il fiato, in attesa del seguito di quelle parole... le sembrava di non respirare più mentre si chiedeva quale sarebbe stata la sua sorte e quasi si spavento quando, inattesa, la vocina uscì dalla sua testa, per informare l'intera scuola della casa in cui avrebbe passato i prossimi sette anni.

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Capitolo 4
*** Incontri inaspettati. ***


 

Incontri inaspettati.

 

“Corvonero” l'urlo del cappello parlante riscosse tutti gli studenti dai loro pensieri. Da un lato della sala, due occhi grigi osservarono quella bambinetta dirigersi impettita ed austera verso il tavolo blu e bronzo. Il loro proprietario non poté non pensare che fosse un peccato, avrebbe voluto che fosse smistata nella sua casa. Era rimasto colpito da quella bambina fin dal momento in cui era entrata nella sala grande, coi suoi lunghi capelli neri, lisci e lucenti come le piume di un corvo, e quegli occhi così verdi e profondi, che sembravano nascondere un'anima tormentata. Non che fosse bella, non particolarmente per lo meno, più che altro intrigante.

“Draco, sei in fissa sulla nuova Corva...” la voce di Blaise interruppe i pensieri che Draco Malfoy, giovane serpeverde ormai al secondo anno ad Hogwarts, stava dedicando alla nuova compagna.

“Ma che dici? Non la sto fissando. Sono solo curioso, visto che è una testurbante. Il cappello parlante ci ha messo quasi sei minuti a smistarla...” rispose piccato il ragazzino. Se c'era una cosa che odiava era essere interrotto e, soprattutto, raggiunto dalle stupide allusioni del suo migliore amico.

“Certo... comunque, come sono andate le vacanze?”, i cambi repentini di argomento di Blaise Zabini erano noti a tutta Hogwarts. Ed erano uno dei motivi per cui lui e Draco erano così amici. Al giovane Malfoy piaceva che lui non indagasse sulla sua vita privata e, soprattutto, che sapesse quando farsi gli affari propri. Blaise sapeva quando doveva smettere di impicciarsi.

La discussione tra i giovani verde-argento continuò per tutta la serata, mentre gli occhi grigi del giovane rampollo Malfoy continuavano, imperterriti a tornare sulla corvonero del primo anno ed egli cercava di ricordare il nome della bambinetta. Inutile. L'aveva rimosso subito dopo essere stato pronunciato dalla McGranitt, il che, ovviamente, poteva significare solo una cosa: non apparteneva ad una famiglia in vista del mondo magico, altrimenti l'avrebbe memorizzato.

 

7 settembre 1992

 

La routine quotidiana a scuola era ricominciata con tranquillità ormai da una settimana. Le quattro case erano già in fibrillazione per il torneo di Quidditch e le squadre si stavano velocemente formando.

“Cosa sarebbe il Quidditch?”, Morgana si trovava in uno dei cortili interni con Luna e la ragazzina che aveva fatto il viaggio sulle barche il primo giorno con loro. La bimba era stata smistata in grifondoro, ma loro avevano molte lezioni in comune e, pertanto, avevano imparato in fretta a conoscersi ed a trascorrere i momenti di tranquillità insieme. Si chiamava Ginevra ed era l'unica femmina in una famiglia di soli maschi, dai quali in compenso aveva imparato “le buone maniere”. In pratica era un maschiaccio, un po' come Morgana, abituata sin da bambina a non distinguere occupazioni femminili da occupazioni maschili, pertanto andavano decisamente d'accordo.

Proprio Ginevra quel giorno aveva tirato fuori l'argomento Quidditch, lamentandosi del fatto che, purtroppo, gli studenti del primo anno non potevano partecipare alle selezioni e dichiarando che, un giorno, lei avrebbe voluto far parte della squadra di grifondoro.

“È lo sport più famoso del mondo magico. Lo seguono tutti. È fantastico”, alla ragazzina brillavano gli occhi mentre si dilungava a spiegare alla nuova amica le regole del gioco.

“In pratica, se non ho capito male, si gioco con quattro palle e su delle scope volanti?”, si rivolse all'amica cercando di sembrare partecipe della spiegazione. Il sonoro sbuffo di Ginny le fece comprendere di non essere riuscita nel suo intento.

“Cioè, fammi capire! Io sto parlando da quindici minuti delle regole del gioco e tutto ciò che tu hai capito è che si gioca con quattro palle su manici di scopa?”.

“Ehm... non erano queste le cose importanti?”, provò a blandirla con una piccola smorfia, ma lo sguardo truce dell'altra la fece desistere da qualsiasi ulteriore tentativo di conciliazione.

“Ora tu vieni con me! Subito”.

“Dove dovremmo andare, Ginny?”, non le rispose neanche, si limitò a prenderla per il polso e trascinarla verso l'esterno del castello, seguita da Luna con la sua solita aria sognante. Ma dovette bloccarsi quasi subito alla vista delle squadre di grifondoro e serpeverde che si fronteggiavano con toni accesi poco oltre il portone d'ingresso.

“Hermione! Che cosa succede?”, Ginevra si era avvicinata ad una ragazzina con lunghi e mossi capelli castani, che stava osservando anch'essa la scena poco lontano.

“Non ho ben capito. Credo che ci siano problemi con la prenotazione del campo. Entrambe le squadre pretendono di allenarsi oggi”, le rispose l'altra con aria di sufficienze, “ovviamente i serpeverde non fanno altro che cercare di mettere i bastoni fra le ruote alla nostra squadra di Quidditch!”.

A quel punto la situazione sembrò degenerare ulteriormente e le due ragazze, seguite dal fratello di Ginevra, Ronald, si avvicinarono alle due squadre per correre in difesa dei loro compagni di casa, dimenticando totalmente Morgana, che ormai sconsolata decise di avviarsi lentamente anche lei verso il luogo dello scontro, niente affatto convinta di volervi partecipare.

“Almeno nessuno dei grifondoro si è comprato l'ammissione, sono stati scelti per il loro talento”, la frase di Hermione sembrava rivolta al membro più giovane della squadra verde-argento, che a quelle parole parve perdere completamente la calma e la compostezza.

“Nessuno a chiesto il tuo parere, lurida sanguesporco”, la sua voce era glaciale e altezzosa, ma Morgana vi lesse qualcos'altro in sottofondo, una nota stridula, che stonava con tutta la sua figura. Non riuscì a comprendere appieno cosa fosse, ma una rabbia cieca la colpì in pieno, senza che riuscisse a comprenderne il motivo.

Furono pochi istanti, un lampo di luce proveniente dalla bacchetta di Ron, delle urla da entrambe le parti e la mano di Ginny che si posò nuovamente sul suo polso, trascinandola all'inseguimento di suo fratello e del suo gruppo di amici, diretti verso la capanna del guardiacaccia. Nel mentre Luna era scomparsa chissà dove, ma la cosa non la preoccupò troppo, la bambina era così.

Li videro entrare nella capanna dell'uomo e, dopo aver bussato alla porta e ricevuto il permesso di entrare, si sedettero anche loro nel piccolo ambiente.

Dopo aver raccontato l'accaduto ad Hagrid, Hermione chiese all'uomo di spiegarle il significato della parola sanguesporco e solo quando l'uomo cominciò a parlare, Morgana si riscosse dai suoi pensieri per ascoltare.

“Sanguesporco è un insulto usato da alcuni maghi per parlare di coloro che provengono da una famiglia di babbani. Sapete, alcune famiglie ritengono di essere migliori di altre, perché sono quello che la gente definisce dei purosangue... in pratica si sono sposati fra maghi per generazioni...”, le spiegazioni del guardiacaccia, vennero interrotte da un gemito disgustato di tutti i presenti.

Morgana si ritrovò per qualche minuto a chiedersi se lei condivideva il loro medesimo disgusto, quando i suoi pensieri vennero interrotti da Hermione.

“Ovviamente i Malfoy sono dei purosangue e Draco non poteva far altro che insultarmi perché non sono come lui. È così odioso, si sarebbe meritato che tu fossi riuscito ad affatturarlo Ron”.

In quel momento la rabbia cieca che aveva pervaso Morgana qualche minuto prima si risvegliò ancora più forte di prima ed in meno di un secondo era scattata in piedi ed aveva cominciato ad urlare contro la ragazza “forse se tu non fossi stata così supponente da dare per scontato che lui non meritasse il suo posto nella squadra di serpeverde, lui non ti avrebbe offeso come ha fatto”. Era livida di rabbia e non le importava affatto che tutti la stessero fissando stravolti.

“Parli così perché sei nuova e non conosci Malfoy, lui è uno stronzo borioso e arrogante. Merita tutto ciò che abbiamo detto, Morgana. Te ne accorgerai presto”, la voce titubante proveniva da un altro dei ragazzi presenti nella stanza. Morgana non lo conosceva di persona, ma aveva sentito spesso parlare di lui, d'altronde Harry Potter era famoso in tutto il mondo magico. Se anche rimase sorpresa dal fatto che lui conoscesse il suo nome non lo diede a vedere, non le parve così strano visto che una sua amica era la sorella del migliore amico del bambino sopravvissuto.

“Parlo così perché ho assistito alla scena ed è stata Hermione ad attaccare Malfoy. Lui non le aveva fatto nulla e lei neanche fa parte della squadra di grifondoro. E comunque se speri di convincermi tu a considerarlo un bamboccio viziato, ti sbagli. Io le persone le giudico solo dopo averle conosciute”, detto questo la ragazzina si diresse furiosa verso la porta, uscendo dalla capanna e lasciandosi dietro un silenzio carico di tensione.

 

Intanto al campo di Quidditch la squadra di serpeverde si stava ormai allenando da più di un'ora, infervorata dalla discussione avuta coi grifondoro poco prima. Il più intenzionato a dimostrare il proprio valore, pur di sputare sangue allenandosi giorno e notte, sembrava proprio Draco Malfoy.

Mentre volava con la sua nuova nimbus 2001, i suoi pensieri continuavano ad andare alla discussione avuta con la squadra avversaria ed i loro amichetti. Non voleva veramente chiamarla sanguesporco, ma lei aveva toccato l'unico tasto dolente che avrebbe dovuto evitare. Non riteneva affatto di essersi comprato il posto in squadra, al contrario l'aveva meritato, ma ovviamente tutti avrebbero pensato il contrario, proprio come lei. In quel momento Draco la odiava come non aveva mai odiato nessuno prima.

Neanche la lunga doccia che si concesse per risciacquare il sudore e la rabbia dopo gli allenamenti riuscì a tranquillizzarlo, ma, se non altro, gli aveva permesso di rimanere da solo, visto che tutti i compagni erano già tornati al castello.

Quando uscì dagli spogliatoi l'aria della sera era fresca e lui non aveva proprio voglia di rientrare, così decise di andare a fare una passeggiata sul lago, ed arrivato sotto ad un salice si sedette con la testa sulle gambe, convinto di essere da solo.

Dopo solo qualche attimo uno scricchiolio vicino gli preannunciò l'arrivo di qualcuno, ma, sperando che chiunque fosse se ne sarebbe andato, si comportò come se non avesse udito alcun suono.

“Non hai fame?” una voce dolce e melodiosa lo raggiunse, prima che la proprietaria si sedette a poca distanza da lui. Alzò gli occhi indeciso se risponderle di farsi i fatti suoi o minacciarla di affatturarla se non si fosse tolta dai piedi, quando scorse due iridi verdi che lo fissano con insistenza. Appartenevano alla piccola corvonero che aveva attratto il suo sguardo il primo giorno di scuola e che non aveva più incontrato da allora.

Per qualche secondo rimase senza parole, combattuto su quale fosse la reazione più adatta, quando lei continuò “immagino che non ti importi nulla di ciò che penso io, ma ho osservato gli allenamenti della tua squadra e, anche se di Quidditch capisco veramente poco, sono convinta che tu ti sia meritato il posto in squadra”. Continuò a fissarla sbigottito. Come faceva a sapere che era proprio questo che lo sta tormentando da ore?

“Infatti, non sono affari tuoi”, il suo orgoglio ebbe il sopravvento, non avrebbe ammesso i propri tormenti, tanto meno con una sconosciuta.

Sorrideva. Che cosa? Stava veramente sorridendo? Draco si ritrovò a pensare che non aveva avuto torto quando aveva pensato che quella ragazza era veramente singolare. Qualsiasi altra persona (soprattutto se di sesso femminile) al suo posto, se ne sarebbe andata offesa, invece lei sorrideva serena.

Rimasero ancora qualche minuto insieme, a fissarsi, forse cercando di decidere se continuare ad insultarsi, finché non sapendo bene cos'altro fare il ragazzo decise di salutarla ed andarsene a cena.

Al tavolo di serpeverde si unì ai suoi amici, e dopo aver mangiato qualcosa, si diressero insieme verso i sotterranei sperando di poter trascorrere una serata tranquilla.

“Sei nervoso questa sera” le osservazioni acute di Blaise come al solito arrivavano nel momento meno opportuno. Teo che stava leggendo gli appunti di trasfigurazione sdraiato sul suo letto, si voltò a guardare l'amico ed aggiunse “Non devi preoccuparti per le selezioni, lo sai bene che non potevi non essere scelto, soprattutto dopo che Lucius ha donato sette nimbus 2001 ai serpeverde. Nessuno avrà da ridire”.

“E' proprio questo il problema, Nott. Non voglio che si pensi che sono stato scelto perché mio padre ha comprato la mia ammissione. Vorrei solo che per una volta si desse peso alle mie capacità e non al mio nome.” rispose il biondo piccato.

Blaise sbuffò. Avevano già fatto quel discorso diverse volte ed infondo lui aveva ragione, quando aveva detto all'amico che non poteva farci nulla: per le persone lui sarebbe sempre stato Draco Malfoy, il rampollo della più potente e ricca famiglia purosangue d'Inghilterra. Prima Malfoy e poi Draco.

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Capitolo 5
*** Una punizione meritata. ***


Una punizione meritata.

 

31 ottobre 1992

 

La mattina di halloween gli studenti si alzarono con un vago senso di trepidazione nell'aria. Morgana e Luna dopo la colazione si diressero verso l'aula di pozioni, dove avrebbero avuto due ore di lezione insieme ai grifondoro. Arrivate davanti all'aula individuarono immediatamente la chioma rossa di Ginevra, con la quale ormai era diventata un'abitudine trascorrere quelle ore in comune.

“Stai sorridendo! Noi abbiamo due ore col pipistrello malefico e tu sorridi... ma come fai?”.

“Uff... Non ti stufi mai di chiedermelo Ginny? Lo fai ogni giovedì mattina, prima dell'ora di doppie pozioni!”, la risposta di Morgana non si fece attendere ovviamente.

“Certo, perché tu ogni giovedì mattina quando arrivi qui dopo la colazione sorridi. E tu non sorridi mai!”.

“Mi piacciono le ore di pozioni, soprattutto questa, visto che è doppia!”.

“A me piacciono le ore di Vitius, lui è così bravo e simpatico”, la voce sognante di Luna interruppe il battibecco fra le due amiche.

“Io, al contrario di voi due non giudico la materia in base alla simpatia del professore, ed anche se Piton è un orribile pipistrello spocchioso ed arrogante, le ore di pozioni mi piacciono comunque”.

“Sono felice che il mio essere un orribile pipistrello spocchioso ed arrogante non rovini la sua passione per la mia materia”, quella frase strascicata e pronunciata con serafica calma, gelò il sangue nelle vene di Morgana immediatamente. Senza voltarsi spostò i suoi occhi su quelli delle amiche, nei quali poteva tranquillamente leggere il terrore che doveva esservi anche nei suoi in quel momento.

“Entrate in classe. Non lei signorina Belmont”, con tutto il coraggio che riuscì non si sa bene dove a trovare, la ragazzina si volto verso l'insegnante, con l'intenzione di scusarsi per la propria affermazione, ma notando lo sguardo gelido con cui egli la stava osservando, ogni sua affermazione le morì in gola, ancor prima di essere anche solo pensata.

Non era mai stata particolarmente coraggiosa, ma neanche troppo pavida. Certo in quel momento sentiva di non poter muovere alcun muscolo e le sue ginocchia stavano tremando impercettibilmente. “Non sprechi il fiato in inutili scuse. Dieci punti in meno alla casa di corvonero per i suoi commenti offensivi ed inopportuni. Ed inoltre l'aspetto questa sera alle cinque, nel mio ufficio, per scontare la sua punizione. Alla fine sono certo che spocchioso ed arrogante non saranno gli unici epiteti con cui desidererà apostrofarmi. Ora in classe e non voglio sentirla fiatare per il resto della lezione”.

Entrando in classe non poté non sentire gli occhi di tutti gli studenti puntati su di sé. Ovviamente tutti avevano udito i commenti del professore.

Si sedette mesta tra le sue due amiche che non ebbero il coraggio di dirle nulla, per non peggiorare ulteriormente la sua posizione. Le tre ragazze cercarono di svolgere i compiti che il professore aveva loro assegnato nel più assoluto silenzio e, considerato che Morgana non disse una sola parola per tutta la lezione, fu l'unica a riuscire a creare una pozione corretta. Lei era l'unica a riuscire veramente bene in quella materia, e solitamente aiutava volentieri le amiche.

Dopo la lezione le corvonero si diressero verso la classe di erbologia, mentre la grifondoro a trasfigurazione, con l'intento di vedersi all'ora di pranzo.

Quando Ginevra, due ore più tardi, si sedette al tavolo blu e bronzo di fianco alle amiche, l'umore più che nero di Morgana non era affatto cambiato.

“Pensa positivo, questo pomeriggio non abbiamo lezioni, visto che alle sette inizia il banchetto di halloween!”, il tentativo di tirarla su di morale venne bloccato sul nascere dal borbottio mesto della ragazza “banchetto a cui io non parteciperò perché sarò occupata a scontare una punizione col pipistrello diabolico!”.

“Ma dai, non penserai che ti farà stare in punizione dalle cinque alle sette? Vedrai che ti lascerà andar via in tempo. Anche lui vorrà partecipare al banchetto, no?”, anche il tentativo di Luna non sortì l'effetto sperato.

“Stiamo parlando di Piton, ragazze! Veramente pensate che sarà così clemente da farmi arrivare in tempo al banchetto? Se anche lui volesse parteciparvi, mi lascerebbe chiusa nel suo ufficio a pulirlo da cima a fondo piuttosto che farmi arrivare in sala grande in orario!”, senza lasciare il tempo alle amiche di ribattere si alzò da tavola, lasciando il piatto praticamente intatto.

Uscita dalla sala decise di dirigersi verso la biblioteca, aveva ancora tre ore prima dell'inizio della sua punizione e visto che non era dell'umore giusto per festeggiare, avrebbe dedicato quel tempo a portarsi avanti coi compiti per la settimana successiva. Aveva da scrivere un tema di pozioni, uno di erbologia ed una ricerca di trasfigurazione da terminare. Alla fine decise di cominciare dalla ricerca, odiava trasfigurazione, quindi meglio togliersi quel peso enorme, prima di dedicarsi a qualcosa di più piacevole.

Si dice che il tempo, quando ti aspetta qualcosa di veramente spiacevole, si muove sin troppo velocemente e Morgana quel giorno scoprì che quel detto era proprio vero. Le sembrava di essere appena entrata in biblioteca quando, con sgomento si accorse che erano già le cinque meno dieci. Fantastico, si ritrovò a pensare, era anche in ritardo per la punizione. Se il professor Piton non l'avesse uccisa quel giorno, probabilmente era solo perché non poteva farlo in una scuola facendolo passare per un incidente.

Giunta dinanzi all'ufficio, con diversi minuti di ritardo, dovette trovare tutto il proprio coraggio per decidersi a bussare alla porta. Una voce dall'interno l'invito ad entrare e non appena varcata la soglia (con la strana sensazione di aver appena firmato la propria condanna a morte), si ritrovò ad osservare con inquietudine gli strani oggetti che arredavano la stanza. Sulle parete a sinistra una grande libreria conteneva volumi dall'aria molto antica e piuttosto pregiata, mentre a destra si trovavano una serie di scaffali su cui erano poggiate pozioni di vario genere ed oggetti dall'aria inquietante.

“Signorina Belmont, mi sta ascoltando?”. Certo che perdersi nei propri pensieri, dopo essere arrivata in ritardo per una punizione col professore più pericoloso di tutta la scuola, non era proprio un bel modo per rimediare.

“Ehm... mi scusi professore, io... b-beh... ecco... veramente...”, il calore che si espanse sul suo viso era segno evidente che le sue guance si erano colorate di porpora. Intanto le sopracciglia dell'uomo che le stava di fronte si stavano pericolosamente alzando ed i suoi occhi erano sbarrati per la rabbia ed il livore.

“Signorina Belmont, lei è qui per scontare una punizione, per aver apostrofato in modo sgarbato e decisamente poco rispettoso un suo professore. Con il suo atteggiamento non sta facendo altro che peggiorare ulteriormente la sua, già piuttosto delicata, posizione”.

“Me ne rendo conto benissimo professore”, con un certo compiacimento notò che la propria voce aveva riassunto un tono tranquillo e pacato, “e prima di cominciare forse sarebbe il caso che io mi scusassi per il mio comportamento poco educato di questa mattina. Non era mia intenzione...”.

“Non mi dica che non era sua intenzione insultarmi. Semmai non era sua intenzione farsi beccare, su questo non ho dubbi”. La stava prendendo in giro, era evidente. E si stava anche divertendo parecchio a terrorizzare quella ragazzina. Se non fosse stato per una strana sensazione alla bocca dello stomaco, si sarebbe divertito molto di più. “Ora... a me dei suoi commenti interessa ben poco. Non creda che una bambinetta arrogante come lei possa offendermi. Al contrario. Ma si da il caso che necessitavo di un aiuto e lei, col suo comportamento sconsiderato, ha fatto in modo di fornirmelo”.

Ora cominciava ad essere leggermente in ansia, ma cercò comunque di mantenere un tono rilassato e beffardo quando ricominciò a parlare “sono contenta di essere d'aiuto, professore”.

L'uomo la fissò qualche secondo, con uno sguardo tutt'altro che rassicurante, prima di tirare fuori da un armadio una scatola contenente diversi quaderni consunti e dall'aria piuttosto vecchia, “questi sono i diari di uno dei pozionisti più famosi del mondo magico: il professor Vindictus Veridian. Come avrà notato sono piuttosto vecchi, essendo stati scritti più di duecento anni fa. Me li sono procurati per poter approfondire alcune ricerche nel delicato campo delle pozioni. Molti di questi non sono mai stati resi noti al pubblico, quindi la maggior parte delle informazioni qui scritte non sono reperibili altrove”, tutto ciò era anche interessante, ma la ragazza non riusciva proprio a comprendere dove volesse arrivare. Invece di continuare, il professore le fece cenno di accomodarsi dalla parte opposta della sua scrivania e le persone uno dei quadernetti.

“Ehm... non credo di aver compreso cosa vuole che io faccia”, lo osservò perplessa mentre si dirigeva nuovamente verso quel mobiletto alla ricerca di alcuni oggetti.

“Quello che voglio, signorina Belmont, è che lei trascriva per me questi quaderni. Potrei certo sprecare il mio tempo a cercare di decifrare la calligrafia di quell'uomo e di superare le difficoltà dovute alla vecchiaia della pergamena, ma come le dicevo prima lei si è gentilmente offerta di farlo al mio posto”. Detto ciò le porse un quaderno nuovo ed una piuma nera, piuttosto elegante, con l'inchiostro.

“In quella scatola ci saranno decine di quaderni...”, lo disse più che altro a se stessa, ma evidentemente il professore la sentì, perché la sua risposta non si fece attendere molto.

“Sono precisamente tredici. E lei lì trascriverà tutti. Non si preoccupi non la farò lavorare tutta notte... sarò anche un pipistrello spocchioso, ma non sono un mostro. La sua punizione continuerà tutti i sabati pomeriggio a partire dalla prossima settimana, sinché non avrà terminato”.

La ragazza rimase impietrita per alcuni secondi, mentre una vocetta nel suo cervello le faceva notare che non era un mostro, ma sicuramente era l'uomo più perfido che avesse conosciuto. Sarebbe andata avanti a scontare la sua punizione almeno sino a natale.

Il silenzio nell'ufficio era terribilmente pesante. Ormai da diverso tempo si sentiva solo il lieve raschiare della penna sulla pergamena. Morgana non aveva idea di quanto tempo fosse passato ed in quella stanza non c'erano né orologi, né tanto meno finestre.

Un lieve bussare alla porta la distrasse dal suo lavoro e mentre il professor Vitius entrava la ragazzina smise di scrivere.

“Severus, abbiamo bisogno di te... è successo qualcosa che devi assolutamente vedere anche tu”, la voce dell'uomo sembrava quasi titubante e spaventata.

“Signorina Belmont, per oggi abbiamo finito. Può andare. Continueremo sabato pomeriggio. Lasci pure tutto com'è ora, così la prossima volta troverà ogni cosa al suo posto. Vada nel suo dormitorio”.

Con un po' di inquietudine, Morgana lasciò l'ufficio del professor Piton e seguì i due docenti su per le scale. Il banchetto doveva essere terminato da molto tempo ormai, poiché sembrava che in giro non ci fosse nessuno. Si diresse verso la torre di corvonero, con una strana sensazione di pericolo nelle vene. Forse avrebbe dovuto seguire i due per comprendere cosa fosse successo, ma considerato che era in punizione per il resto dell'anno, sarebbe stato poco saggio.

Arrivata alla torre, il corvo le pose il suo indovinello: “è tuo ma lo usano quasi solo gli altri, cos'è?”.

“E mio... ma lo usano gli altri...”, adorava gli indovinelli del corvo, trovava geniale il fatto che la sua casa non avesse una parola d'ordine, così semplice da farsi consegnare, “mio... il nome. È il nome”.

La porta della torre si aprì e, contrariamente alle proprie aspettative scoprì che la sala comune era ancora piena di ragazzi e sembravano tutti intenti a discutere di qualcosa. Doveva proprio essere successo qualcosa di grave.

Si guardò intorno alla ricerca di Luna, ma l'amica non sembrava essere lì, pertanto decise di andare nel dormitorio che condividevano, sperando di trovarla sveglia e poterle chiedere spiegazioni.

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Capitolo 6
*** La camera dei segreti. ***


 

La Camera dei Segreti.

 

1 novembre 1992

 

La colazione, quel venerdì mattina, fu più caotica del solito. Al tavolo di corvonero Morgana stava tartassando di domande l'amica.

“Allora, mi spieghi bene cos'è successo ieri sera? Quando sono arrivata nel dormitorio stavi dormendo e, nonostante io abbia cercato di svegliarti non ti sei mossa di un millimetro! Mi hai ignorata!”.

“Forse perché stavo dormendo, Morgana?”.

La sera prima non appena entrata in stanza la ragazzina aveva effettivamente tentato in ogni modo di svegliare l'amica, anche utilizzando metodi poco educati. Aveva desistito solo quando una delle loro compagne di stanza era entrata, lanciandole un'occhiataccia.

“Sì, stavi dormendo. Ma io volevo delle spiegazioni. Insomma... nel bel mezzo della punizione, Piton mi ha spedita nel mio dormitorio, perché era successo qualcosa... di non meglio identificato!”.

“Ecco, dopo il banchetto ci siamo diretti tutti verso i nostri dormitori, ma in un corridoio del primo piano abbiamo incontrato mrs. Purr, appesa ad un muro e pietrificata. Sullo stesso muro c'era una scritta, che sembrava fatta col sangue e recitava: la camera dei segreti è stata aperta, nemici dell'erede temete”.

“La camera dei segreti?”

“Sì, proprio così. Ma non so proprio di cosa si tratti ed i professori non hanno detto nulla...”

“Io so di cosa si tratta”. Se Luna aveva degli occhi grandi già normalmente, non era nulla in confronto alla dimensione che stavano assumendo in quel momento. La stava osservando stralunata, quasi le avesse detto che sapeva come arrivare a toccare il sole senza bruciarsi.

“Sei seria?”, quando l'altra annuì, la prese per mano, senza neanche darle il tempo di finire la propria colazione, fermandosi solo dopo averla sospinta, con ben poca gentilezza, dentro un'aula in disuso del secondo piano.

“Luna, lo sai che abbiamo lezione di incantesimi, vero?”.

“Eri seria prima? Quando hai detto che tu sai cos'è la camera dei segreti?”.

“Sì, ero seria. Perché sei così sorpresa?”.

“L'hai aperta tu? Hai scritto tu sul muro?”.

“Ma che dici? Io ero in punizione, l'hai dimenticato?”, all'espressione scettica dell'amica, rispose col suo solito sarcasmo “Luna... mi ci vedi a chiedere al professor Piton di sospendere qualche minuto la mia punizione, così da poter andare ad aprire la camera dei segreti ed a scrivere col sangue sul muro del corridoio?”.

La risata cristallina della ragazza le fece capire che, ovviamente, non poteva di certo credere che avrebbe osato così tanto. “Ma se non l'hai aperta tu, come fai a sapere di cosa si tratta?”, fermate le sue risa, finalmente, la bionda riuscì a pronunciare queste poche parole.

“Ho letto la leggenda in un libro!”.

“Bene! Pensavo davvero avessi fatto qualcosa di illegale... Morgana... perché fai quella faccia?”, alle sue parole, l'altra ragazza aveva distolto gli occhi in evidente imbarazzo, insospettendo l'amica.

“Beh... ecco... diciamo che, forse... insomma, può darsi che non avessi proprio il permesso di leggere quel libro. Ma ero troppo curiosa. Mi piaceva la copertina e l'ho aperto così, per curiosità. Poi visto che quella sera in biblioteca non c'era nessuno, ho preso il libro e stando attenta a Madama Pince, mi sono acquattata in un angoli a leggerlo”, Luna non poté non notare che mentre l'amica le faceva quella confessione, i suoi occhi scintillavano in modo ambiguo e che, per quanto cercasse di sembrare dispiaciuta per ciò che aveva fatto, in realtà sembrava piuttosto orgogliosa di se stessa.

“Ehm... dove... insomma, dove hai trovato quel libro?”, le domandò di getto, sperando che non le avrebbe dato l'unica risposta che non voleva sentire.

“Nel reparto proibito, è ovvio!”.

“Che cosa?”, l'urlo di Luna, probabilmente, si era sentito in tutto il castello.

“Abbassa la voce, ma sei impazzita?”.

“Io? Tu hai appena ammesso di essere entrata nel reparto proibito della biblioteca ed aver sottratto un libro, che poi hai letto. Spero almeno tu l'abbia rimesso a posto”.

“Quanti melodrammi che fai! Certo che l'ho rimesso apposto, tanto l'avevo già letto. Comunque immagino che non ti interessi sapere cosa ci fosse scritto, quindi possiamo anche andarcene a lezione”, così dicendo si diresse verso la porta.

“Aspetta. Certo che voglio saperlo. Raccontamelo...”, la voce di Luna ora era quasi implorante.

“Non te lo meriteresti, ma siamo amiche, quindi passerò sopra ai tuoi rimproveri. La leggenda narra che dopo un iniziale periodo di pace fra i fondatori di Hogwarts, Salazar Serpeverde cominciò a discutere con gli altri in merito ai metodi di selezione degli studenti da ammettere all'interno della scuola. Egli, infatti, riteneva che la magia dovesse essere insegnata solo a coloro che erano degni di ricevere un'istruzione approfondita, cioè i maghi purosangue... coloro che discendono da famiglie di maghi...”

“So cosa sono i purosangue! Non è necessario che me lo spieghi”.

“Va bene. Io non lo sapevo ed infatti per scoprirlo ho dovuto fare delle ricerche. Sai che esiste un libro che contiene l'elenco delle famiglie purosangue, esistenti ed estinte, e gli alberi genealogici delle stesse?”.

“Sì, Morgana... lo immaginavo. Ma ora vuoi continuare la storia? Che cosa centra la mania di Serpeverde per i purosangue con la camera dei segreti?”.

“Se non mi interrompi, ci posso arrivare. Comunque, la volontà di Salazar Serpeverde di escludere alcuni degli alunni dalla scuola, aveva portato ad enormi contrasti fra i quattro fondatori. La leggenda narra che ad un certo punto egli fu costretto ad andarsene ed abbandonare la scuola. Si dice che prima di far ciò avesse costruito una stanza, nota solo ad egli, nella quale aveva rinchiuso un essere capace di ripulire la scuola da coloro che non erano degni di farne parte, cioè i sanguesporco”.

A quest'ultima parola Luna non poté che rispondere con una smorfia disgustata. Alla ragazzina, infatti, per quanto purosangue, era stato insegnato sin da piccola che certi termini erano offensivi ed ingiusti.

“Che cosa intendi con essere?”.

“Non è molto chiaro, ma si parla di un mostro o comunque qualcosa del genere. Presumo sia un animale in grado di eliminare fisicamente i ragazzi che Serpeverde non voleva nella scuola”.

“Uccidere? Pensi che lui volesse uccidere tutti i nati babbani? Ma lui è morto... come potrebbe farlo?”.

“La leggenda narra che la Camera dei Segreti avrebbe potuto essere riaperta solo dall'erede di Serpeverde. Ma non è chiaro se debba trattarsi di un erede di sangue. Anche perché non credo che esistano discendenti diretti del buon Salazar”.

“Ma è una leggenda, giusto? Solo una leggenda... qualcuno avrà voluto fare un brutto scherzo e farla pagare a Gazza, imbalsamando la sua gatta”.

“Sarà. Ora che ti ho raccontato la storia, che ne dici se andiamo a fare una passeggiata sul lago? Oggi è una così splendida giornata...”.

“Morgana, noi abbiamo lezione di incantesimi!”.

“No, sbagliato. Noi avevamo lezione di incantesimi. Siamo in ritardo di venti minuti. Inventeremo una scusa!”, e senza dar tempo all'amica di ribattere la prese per il braccio e la trascinò verso l'esterno del castello.

 

15 novembre 1992

 

Col trascorrere dei giorni, la paura all'interno del castello era sempre più palpabile, rendendo la leggenda sulla Camera dei Segreti più reale. Quella mattina Morgana stava scendendo con Luna le scale del dormitorio femminile, per dirigersi verso la Sala Grande per la colazione, quando notarono una piccola folla davanti alla bacheca degli annunci.

“Club dei duellanti? Di cosa si tratta, Luna?”.

“Non saprei, ma dal nome sembra interessante, andiamo?”, mentre discutevano dell'argomento le due ragazze furono raggiunte da una raggiante Ginevra proprio davanti alle porte della sala.

“Avete letto l'annuncio? Non sarà fantastico? Insomma... un club per imparare a duellare... non vedo l'ora”, mentre la rossa pronunciava queste parole i suoi occhi brillavano.

“Tu non vedi l'ora di passare altre ore con quell'idiota inetto di Allock!”, alle sue parole le guance dell'amica assunsero il medesimo colore dei suoi capelli e lei non poté trattenere un ghigno divertito.

“Sa, signorina Belmont, qualcuno potrebbe pensare che lei, visto è considerato cosa è accaduto l'ultima volta, abbia imparato a non apostrofare in modo offensivo un insegnate”, la voce strascicata del professor Piton la raggiunse proprio ad un passo dalla sicurezza della Sala Grande. Morgana volse il viso verso l'uomo, giusto in tempo per scorgere il suo ghigno crudele e si sentì sprofondare ancora di più. “Ora, io potrei anche condividere appieno le sue affermazioni, ma purtroppo non mi è possibile evitarle una punizione”, lo disse con un sorriso compiaciuto sul viso, che rendeva praticamente impossibile anche solo pensare che fosse veramente e minimamente dispiaciuto.

“Ma... professor Piton, io sono praticamente in punizione con lei sino alle vacanze natalizie... non può aumentare ancora la mia punizione!”, si rese conto troppo tardi del fatto che protestare e supplicare non avrebbe fatto altro che aumentare la gioia sadica del professore nel attuare i propri propositi.
“Io posso, signorina Belmont. Eccome se posso. E posso anche togliere dieci punti a corvonero per le sue proteste inutili”, il suo viso esprimeva appieno tutto il suo compiacimento, mentre proseguiva, “si consideri mia aiutante ogni sabato pomeriggio, sino alla fine dell'anno, comprese le vacanze natalizie ed estive ovviamente!”.

“Professore, veramente, Morgana potrebbe non essere a scuola durante le vacanze natalizie...”, ad intervenire era stata Ginevra, che per farlo aveva dovuto raccogliere praticamente tutto il suo coraggio ed il suo orgoglio grifondoro.

“Non credo proprio che le sarà possibile non essere presente, signorina Weasley. Dieci punti in meno anche a grifondoro per l'inutile interruzione”, senza lasciare alle ragazze il tempo di ribattere, si voltò in direzione del tavolo degli insegnanti.

“Quell'uomo ti odio...”.

“Grazie, Ginevra. L'avevo capito anche da sola...”, mentre parlavano le ragazze si erano sedute al tavolo dei grifondoro, per fare colazione insieme.

“Chi è che ti odia?”, la domanda veniva da Harry, che probabilmente, insieme ai due amici aveva ascoltato la breve conversazione tra le ragazzine.

“Il professor Piton. Mi detesta. Praticamente mi ha messa in punizione fino alla fine dell'anno”.

L'espressione d'orrore dei tre sarebbe stata anche comica, in una situazione diversa, e sicuramente Morgana avrebbe riso di gusto guardandola, ma in quel caso il suo umore era troppo basso, per lasciarsi andare al divertimento.

“Che cos'hai combinato?”, ecco... ci mancava solo l'accusa della so-tutto-io Grenger. Come se lei fosse perfetta e tutti gli altri degli incapaci. Morgana dovette mordersi la lingua, per non risponderle di andare a farsi i fatti suoi, e non con queste parole probabilmente.

“In realtà nulla di grave. Ha solo insultato lui ed il professor Allock. Solo che entrambe le volte Piton l'ha sentita e messa in punizione per il resto della sua vita”, per fortuna l'intervento di Luna le aveva impedito di rispondere.

“Beh... ha ragione, sai non dovresti insultare un insegnante”, di nuovo lei, Morgana proprio non riusciva a tollerarla.

“Come se tu non avessi mai parlato male di un insegnate! Sei proprio un'ipocrita”, forse dire che non la tollerava era riduttivo. La verità è che proprio la odiava quella ragazzina arrogante. “Io vado in biblioteca a studiare. Magari ci vediamo pomeriggio alla lezione di Allock ragazze. Con te, invece, spero di non avere mai più nulla a che fare!”. Doveva aver urlato più del previsto, perché quasi tutti gli occhi erano ora puntati su di lei.

Mentre si allontanava dalla Sala Grande, lasciando dietro di se un silenzio carico di tensione, il suo sguardo si spostò sul tavolo dei professori e vide il professor Piton che la osservava con un'espressione indecifrabile.

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Capitolo 7
*** Il club dei duellanti ***


 

Il club dei duellanti.

 

La Sala Grande era stata predisposta per la lezione col professor Allock, i tavoli erano spariti, lasciando spazio ad un palco lungo e stretto su cui si trovava, oltre al professore di difesa contro le arti oscure, anche il professore di pozioni. Appena entrata Morgana si chiese il perché, ma prima ancora che potesse avvicinarsi alle sue amiche, il professore aveva cominciato a parlare, spiegando che Piton gli avrebbe fatto da aiutante.

Dopo una disastrosa dimostrazione, costata ad Allock sicuramente qualche livido (il ché fece sorridere soddisfatta Morgana), l'uomo decise di far duellare due studenti, e vennero scelti Harry Potter e Draco Malfoy.

Vedendo i due ragazzi salire sul palco una strana inquietudine colpì la bambina, i loro sguardi sembravano molto determinati, quasi volessero buttar via le bacchette e picchiarsi a sangue per sfogare anni di rabbia repressa. Dopo qualche minuto, Draco, con un incantesimo sconosciuto a Morgana, fece comparire un serpente, che sembrava intenzionato ad attaccare Harry, sentiva Luna e Ginevra in tensione accanto a sé. Quel che accadde subito dopo fu inspiegabile per la ragazza, o meglio, inspiegabile fu la reazione della scuola. Harry aveva parlato col serpente, che a causa di un incidente causato dal professor Allock, sembrava intenzionato ad attaccare un ragazzino di tassorosso che lei non conosceva. Nonostante fosse riuscito ad evitare conseguenze gravi, tutti gli studenti lo fissavano quasi con orrore. Persino il professor Piton sembrava sconvolto.

“Perché sono tutti così sconvolti?”, riuscì a sussurrare a Ginevra, mentre osservava Harry che veniva trascinato via dai suoi due migliori amici.

“Beh... ha parlato con un serpente, non te ne sei accorta?”.

“Sì, è gli ha impedito di attaccare quel ragazzino, dovreste essere sollevati, non spaventati!”.

“Come fai a sapere che gli ha impedito di attaccarlo? Sembrava che volesse aizzarlo contro di lui. Anche se forse hai ragione, Harry Potter è buono, non lo farebbe”, questa volta era stata Luna a parlare.

Morgana fissava le sue amiche, senza riuscire a parlare, né a dir loro altro, chiedendosi se avessero assistito alla medesima scena.

Quella stessa sera, nel proprio letto nel dormitorio di corvonero, la ragazzina continuava a girarsi e rigirarsi, senza riuscire a prendere sonno. Le immagini di quel pomeriggio ancora impresse nella mente e mille domande ad affollare i suoi pensieri.

 

16 novembre 1992

 

La notte insonne sicuramente influì sul suo umore, che la mattina dopo era pessimo e non poté che peggiorare al ricordo di cosa l'aspettava quel sabato pomeriggio.

Con l'aria di una condannata a morte, Morgana si diresse verso i sotterranei poco dopo l'ora di pranzo, pensando che prima avesse cominciato la sua punizione, prima sarebbe potuta tornare a poltrire nel suo letto dalle lenzuola blu notte.

Prima di bussare alla porta dei sotterranei, Morgana si rese conto che dall'interno provenivano delle voci, una appartenente sicuramente al professor Piton, la seconda le era nota, ma non riusciva ad associarla a nessuno volto conosciuto. Non poteva appartenere ad uno studente, però, perché aveva udito quella voce chiamare Piton per nome ed uno studente non l'avrebbe mai fatto. Non sperando di rimanere vivo per lo meno. Non era corretto, lo sapeva, ma era troppo curiosa di scoprire cosa si stessero dicendo quelle persone.

“Ora tutta la scuola pensa che lui sia l'erede di serpeverde, Severus. È questo che mi da fastidio”.

“Strano, ero sicuro che fosse lui a darti fastidio”.

“Beh... questo è ovvio, mi pare”, c'era una nota di ironia e divertimento nella voce, “comunque ora devo andare. Grazie per il tè”.

“Buon pomeriggio, Draco”, detto ciò le persone nella stanza si spostarono verso la porta e Morgana si allontanò anch'essa, non poteva di certo evitare che la vedessero, ma almeno così sarebbe parso che fosse appena arrivata e non che avesse origliato una conversazione privata.

Quando la porta si aprì mostrandole il professori Piton intento a salutare Draco Malfoy, Morgana si sentì terribilmente in imbarazzo e terribilmente stupida.

“Signorina Belmont...”, la voce del professore era carica di domande.

“Professor Piton, io... ho pensato che magari potevo cominciare prima la mia punizione oggi”, mentre parlava Morgana si sentì arrossire terribilmente sotto lo sguardo indagatore di Draco, che, ovviamente, non fece che aumentare il suo imbarazzo.

“Punizione?”, chiede il biondo, rivolgendo uno sguardo al professore.

Piton sembrò soppesare i due ragazzini, prima di rispondere, “sì, signor Malfoy. La signorina Belmont è qui per scontare una punizione con me”.

“Va bene. Non sia troppo severo professore, sono certo che non può aver fatto nulla di male...”, detto ciò il biondo si allontano, senza più degnare i rimanenti di uno sguardo.

Se Piton sembrava sorpreso delle parole pronunciate dal ragazzo non lo lasciò certamente intendere.

“Andiamo, signorina Belmont”.

“Ehm... andiamo dove professore?”.

“Lei mi segua e basta. Magari potrebbe provare a stare zitta per una volta”.

La ragazzina si morse un labbro, per evitare di parlare e seguì il professore sino all'aula di pozioni. Entrata si guardò intorno e vide che la cattedra ospitava un calderone e degli ingredienti. Si mise ad osservare gli ingredienti, senza parlare, li riconobbe immediatamente: bundinum, fegato di drago, streeler, essenza di cicuta acquatica, essenza di cicuta e tintura di tormentilla.

“Doxicida...”, non riuscì a trattenersi ovviamente, e si sentì terribilmente stupida. Il suo era stato solo un sussurro, ma il professore doveva averlo sicuramente sentito, perché si voltò a fissarla. Non riuscì a sostenere i suoi occhi, “mi scusi, aveva detto di stare zitta, ed invece io non sono riuscita a trattenermi. Mi dispiace”.

“E sta continuando imperterrita a parlare, signorina Belmont”, le sue parole la fecero arrossire e la umiliarono ancora di più, “come ha fatto a riconoscere questa pozione?”.

“Dagli ingredienti”, più che una risposta, sembrava un lieve pigolio. Il professore continuò a guardarla scettico.

“Lei è al primo anno. Questo tipo di pozioni non viene neanche studiata ad Hogwarts...”, sembrava quasi sorpreso e forse addirittura compiaciuto.

“Ho trovato un libro di pozioni avanzate nel reparto proibito della bib...”, se possibile diventò ancora più rossa e si sentì stupida; altro che corvonero. Praticamente aveva appena ammesso ad un professore di aver violato le regole della scuola. Sarebbe stata in punizione fino al suo settimo anno, nella migliore delle ipotesi ovviamente.

Non volava una mosca all'interno dell'aula, il professor Piton continuava a guardare la ragazzina indeciso tra lo scoppiare a ridere ed il lasciarsi andare alle urla. Alla fine, forse mosso da pietà, o forse, molto più probabile, stufo del silenzio, decise di rompere quella tensione ormai palpabile.

“Signorina Belmont, mi faccia capire bene. Lei sta ammettendo di essere stata nel reparto proibito della biblioteca, ovviamente senza autorizzazione?”.

“Sì”, avrebbe voluto giustificarsi, dire qualsiasi altra cosa, ma proprio non riusciva ad emettere suono.

“Dovrei punirla per questo. Ma effettivamente lei è già in punizione per il resto dell'anno, quindi penso di non poter infierire ancora...”, stava perdendo l'occasione di sgridarla, se ne rendeva conto fin troppo bene, ma ormai lo aveva detto. Probabilmente era ancora troppo compiaciuto per aver trovato un'allieva intelligente e capace. Anche la ragazzina doveva pensare che questo suo comportamento non era poi tanto normale, ed infatti lo stava fissando sbalordita ed incredula.

“Professore... la ringrazio... e mi dispiace tanto, le assicuro che...”, non poté terminare la frase interrotta dalle parole dell'uomo, “non faccia promesse che non manterrà. Piuttosto, siamo qui per un motivo. Visto che avrà ancora molto tempo per finire di scontare la punizione iniziata ad halloween, oggi mi aiuterà con la pozione doxicida. Ne devo distillare un po', ed il suo aiuto potrebbe semplificarmi la cosa, sempre che lei sia in grado di preparare degli ingredienti... pensa di riuscirci?”. Era finalmente tornato in sé e la stava nuovamente prendendo in giro.

“Sì, professore, penso di poterci riuscire”.

“Bene... mentre io porto avanti i passaggi iniziali della pozione, lei cominci ad affettare il fegato di drago. Deve essere in fettine sottili, tutte uguali”. Pensava che avrebbe protestato, infondo ad una bambina non piace molto maneggiare del fegato di drago, invece Morgana non se lo fece ripetere.

Mentre la pozione si scaldava, si fermò ad osservare la ragazzina. Era concentrata e stava svolgendo il suo compito con attenzione e minuzia. Certo non era perfetta, ed era piuttosto lenta, ma per essere un alunna del primo anno alle primissime esperienze, non poteva negare che aveva delle ottime capacità.

Andarono avanti a lavorare in silenzio per quasi un'ora, lui concentrato sul suo lavoro, non smetteva comunque di osservare la ragazzina; lei cercava di svolgere i compiti che le venivano affidati al meglio ed intanto tentava di osservare il comportamento del professore, per poter apprendere il più possibile.

“Professore... visto che la pozione ora, se non ricordo male, dovrebbe bollire a fuoco lento per circa quaranta minuti, potrei farle delle domande?”.

Non solo aveva riconosciuto gli ingredienti della doxicida, ma ne aveva anche imparato i passaggi. Era sorpreso, veramente e piacevolmente sorpreso.

“Immagino che lei possa farmi qualche domanda. Ha dei dubbi sulla preparazione di questa pozione o su qualcuna che abbiamo svolto in classe?”.

“In realtà no. Volevo chiederle alcune cose in merito ai fatti avvenuti ieri sera”, si fermò giusto il tempo di assicurarsi di avere la sua attenzione, prima di continuare, “vede... non ho ben capito come mai si sono agitati tutti quando Harry ha chiesto al serpente di non attaccare quel ragazzino di tassorosso”.

“Il signor Potter, a quanto pare, parla con i serpenti. Parlare il serpentese viene considerato, da sempre, caratteristico dei maghi oscuri. Inoltre, non potendo comprendere cosa egli abbia detto, immagino che molte persone si siano spaventate, poiché sembrava che stesse incitando il serpente ad attaccare”, si fermò un attimo, poiché lo sguardo della bambina sembrava spaventato, “immagino che lei abbia parlato con Potter e che sia stato lui a dirle cosa ha detto ieri al serpente”.

La sua era un'affermazione, quindi poteva comprendere la mancanza di una risposta. Ciò che non comprendeva era lo sguardo allibito e terrorizzato di Morgana. “Signorina Belmont...?”. Continuava a non rispondere. Forse aveva davvero esagerato questa volta, non era nelle sue intenzioni aizzare la ragazzina contro Potter. La bimba sembrava veramente spaventata e quasi sotto shock. Non avrebbe dovuto, ma in un caso di necessità come quello poteva quasi ritenersi autorizzato ad entrare nella mente della bambina. Voleva capire cosa la turbasse tanto da fissarlo ad occhi spalancati. Vi rimase solo per pochi attimi, il tempo necessario a rivivere gli accadimenti della sera precedente. Lei non aveva neanche notato la sua intrusione.

Ora era lui a fissarla sconvolto e quasi spaventato. Ci mise qualche secondo prima di ricomporsi e riuscire a pronunciare qualche parola, necessaria anche a rimettere insieme le idee.

“Lei ha compreso le parole che Potter stava pronunciando verso il serpente. Non ha parlato con lui, lei ha sentito e capito ogni parola, perché parla serpentese”.

“Ha parlato una lingua diversa?”, lo disse titubante, quasi non volesse sentire la risposta.

“E' così, signorina Belmont. Ha parlato una lingua diversa, sconosciuta ai più”.

“Ma... come può parlare la lingua dei serpenti, se è una lingua diversa dalla nostra, e come posso io capirlo?”.

“Non lo so. È una dote magica, non tutti possiedono questo dono. Si dice che Salazar Serpeverde potesse parlare con i serpenti... ora perché non riprendiamo la pozione?”. Piton sapeva di dover parlare con il preside del fatto che quella ragazzina capiva il serpentese, ma non era sicuro di volerlo fare, non subito almeno. Decise che l'avrebbe tenuta d'occhio e sarebbe intervenuto solo se necessario. Certo il fatto che la ragazzina conoscesse la lingua dei serpenti era a dir poco curioso, doveva scoprire qualcosa di più sulla sua ascendenza, magari poteva ottenere qualche informazione dall'orfanotrofio in cui era cresciuta.

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Capitolo 8
*** Un Natale speciale. ***


 

Un Natale speciale.

 

20 dicembre 1992

 

I giorni trascorrevano veloci e, purtroppo, vi erano stati altri incidenti dopo quello della gatta di Gazza, pertanto il clima all'interno della scuola era teso. L'ammontare delle vittime, ormai, risaliva a quattro, tra cui un fantasma (circostanza che aveva notevolmente spiazzato insegnanti e studenti).

Sempre più spesso Morgana si ritrovava a chiedersi cosa ci fosse nella camera dei segreti e chi fosse stato ad aprirla. Non aveva potuto approfondire le ricerche in biblioteca (neanche sul serpentese e sul collegamento fra questo potere ed i maghi oscuri), poiché con le punizioni di Piton ed i compiti da portare avanti, il tempo libero era quasi inesistente.

Si stavano avvicinando le vacanze di natale, per fortuna, così avrebbe potuto portarsi avanti con lo studio e con le ricerche, anche se le punizioni sarebbero continuate. L'atmosfera di festa nel castello era impagabile e meravigliosa. Le decorazioni, gli alberi di natale in sala grande, persino le armature incantate rendevano l'aria ancora più magica di quanto già non fosse. Per la prima volta nella sua vita sentiva di trovare piacevoli quelle festività che sino a quel momento aveva disprezzato, forse perché, per la prima volta, aveva qualcuno con cui dividerle.

“A cosa stai pensando? Sembri persa nei tuoi pensieri...”.

“Stavo pensando a quanto mi sembra strano, per la prima volta, di essere impaziente che arrivi Natale, anche se tu andrai coi tuoi genitori in Romania da tuo fratello e la cosa mi dispiace molto...”.

“In realtà no, ho scritto a mamma e papà che desidero restare qui a tenerti compagnia, visto che Luna non ci sarà e tu rimarresti sola”, notando lo sguardo stupito e sconvolto dell'amica, Ginevra si premurò di precisare: “non potevo di certo lasciarti da sola col pipistrello”.

Lo sguardo di gratitudine dell'amica, valeva molto di più di qualsiasi parola.

“Visto che non devi partire e che oggi cominciano le vacanze, anche se pomeriggio sarò impegnata con lui, che ne dici se questa mattina andassimo in biblioteca insieme a portarci avanti con lo studio?”.

“Scherzi, vero?”, doveva immaginarlo che non le avrebbe proposto di passare la giornata girovagando per il castello, “perché invece non andiamo coi miei fratelli e Harry ed Hermione a giocare a palle di neve?”.

Alla sua domanda l'amica aveva risposto con un'aria sconvolta così buffa che dovette trattenersi dal ridere, ma per impedirle di scappare la trascinò fuori praticamente di peso. Aveva appuntamento con gli altri nel cortile interno della scuola ed infatti loro erano già lì. Non fece in tempo neanche a salutare che una palla di neve la colpì direttamente sul viso. Volevano la guerra e l'avrebbero avuta.

Fu una mattina strana per Morgana. Non che fosse particolarmente entusiasta di giocare in mezzo alla neve, ma alla fine, mentre si dirigeva infreddolita e stanca verso la sala grande per il pranzo, dovette ammettere di essersi divertita.

I giorni seguenti passarono tranquilli, fra giochi, chiacchiere e qualche ora passata in biblioteca a studiare. Il castello era vuoto, quasi desolato. Pochissimi studenti erano rimasti per le vacanze. A parte la famiglia Weasley, solo Harry Potter ed Hermione Granger di grifondoro; lei ed un paio di corvonero del settimo anno, mentre di tassorosso non aveva visto nessuno. I serpeverde rimasti dovevano essere quattro o cinque, tra cui Malfoy ed i suoi due scagnozzi: Tiger e Goyle. Meno di una ventina in tutto. Praticamente Hogwarts era deserta, ma non le pesava affatto. Al contrario. Le piaceva molto quella tranquillità.

 

24 dicembre 1992

 

Quel mattino i ragazzi, nei rispettivi dormitori, si erano svegliati con un vago senso di aspettativa. Morgana ci mise qualche minuto più del solito a decidersi ad aprire gli occhi. Ai piedi del suo letto vi erano alcuni pacchetti, e sorpresa si accinse ad aprirli. Luna le aveva regalato una collana con la runa Ur incisa sopra ed un bigliettino che oltre a farle gli auguri le spiegava il significato del proprio regalo: “Hai attraversato molte difficoltà e nonostante questo sei piena di forza ed energia”. Era una ragazza così dolce Luna.

Un pacco molto grane attrasse la sua attenzione, vi era un bigliettino da parte di Ginevra. Dentro vi trovò oltre ad un pacco enorme di zuccotti di zucca (i suoi dolci preferiti), anche un maglione blu con tre piccole stelle bronzo davanti. Era stupendo e molto caldo. Le piacque subito. Ginevra, nel biglietto, le spiegava che proveniva da sua madre. Morgana pensò che era stato molto gentile da parte sua farle un regalo senza neanche conoscerla.

Un terzo pacchetto attrasse la sua attenzione. Era rettangolare e non molto grande. Nessun biglietto all'interno. Le parve strano, visto che non conosceva nessun altro che avrebbe potuto farle un regalo, a parte le sue migliori amiche. Lo stava ancora soppesando quando la porta della sua stanza si aprì di botto e Ginevra entrò come un fulmine.

“Sei sveglia. Hai visto il maglione che ti ha mandato mia madre? Ti piace?”. Sembrava molto allegra. In effetti a pensarci bene non la vedeva così allegra da tanto tempo.

“L'ho visto. È stata molto gentile a mandarmelo. Potresti ringraziarla da parte mia?”.

“Certo. Come mai non hai ancora aperto quel regalo?”.

“Non so chi lo manda... non c'è nessun biglietto”.

“Strano. Insomma. Chi conosci che potrebbe inviarti un regalo qui?”.

“E' proprio questo il punto. A parte te e Luna chi altri mi manderebbe un pacco per Natale?”.

“Beh... aprilo! Dai... sono curiosa”. Si sentì osservata dall'amica, mentre ancora titubante scartava quello strano pacchetto. Era un libro. Un libro molto antico, o almeno così sembrava.

La progenie dei quattro? Che strano... sei sicura non ci sia alcun biglietto?”.

“No. Te l'ho detto. Nessun biglietto.... a giudicare dall'indice sembra che parli della storia dei quattro fondatori di Hogwarts e dei loro discendenti. Che strano”.

“Bah... chi te l'ha regalato doveva pensare che l'avresti trovato interessante. Comunque ora che ne dici se andiamo a fare colazione?”.

Con ancora diverse domande che le ronzavano in testa Morgana si diresse insieme all'amica verso la sala grande, dove decisero di sedersi al tavolo di grifondoro, insieme alla famiglia della ragazzina, i cui componenti indossavano tutti un maglione simile al suo.

“Benvenuta nella famiglia Weasley, Morgana!”, era stato uno dei gemelli a parlare, Fred o George, non riusciva a distinguerli, non che le importasse in realtà.

“Ehm... come?”.

“Indossi un maglione fatto da nostra madre, questo ti qualifica come membro della famiglia Weasley!”, ora aveva parlato l'altro gemello. Si sforzo di sorridere, anche se avrebbe voluto rispondere che non era certa di voler entrare a far parte della loro famiglia, soprattutto dopo aver notato che anche la Granger indossava un maglione simile e lei non avrebbe mai voluto far parte della famiglia di quella insopportabile puritana.

Nel pomeriggio Morgana, desiderosa di rimanere da sola, dopo aver passato la giornata con la famiglia più scapestrata, rumorosa e chiassosa di tutto il mondo magico, decise di andare a fare una passeggiata per il castello. Aveva voglia di uscire, ma fuori c'era una vera e propria tormenta di neve e non aveva alcuna intenzione di congelare.

Era ormai da più di un ora che camminava per i corridoi deserti, quando un rumore alle sue spalle la fece voltare. Si ritrovò a fissare due profondi occhi grigi, così vicini che le sembrava di essere circondata da un mare in tempesta.

“Dì ai tuoi amici che non mi piace affatto che si immischino nei fatti miei. Non ho gradito per nulla la loro visita inopportuna”, mentre parlava Draco Malfoy si era avvicinato ancora di più a lei, costringendola ad indietreggiare sino a trovarsi con le spalle contro il muro di pietra e le mani del ragazzo ai lati delle sue spalle, che le impedivano di muoversi.

“Di cosa stai parlando?”.

“Non giocare con me, Belmont. Sono più pericoloso di quel che pensi e non mi piace che mi si prenda in giro”, sul fatto che fosse pericoloso, non aveva molti dubbi. Ancora ricordava la conversazione origliata tra lui ed il professor Piton, erano troppo in confidenza quei due.

“Non so davvero niente. A cosa ti riferisci? Come faccio a riferire le tue parole, se non so a chi le devo dire”.

“Alla tua nuova famigliola, Potter, Weasley e Granger”, il modo in cui pronunciò quei nomi non lasciò alcun dubbio su cosa pensasse di loro e di sicuro non era nulla di buono. Certo Draco non si sarebbe aspettato la reazione della ragazzina. Era quasi più schifata di lui, soprattutto quando aveva sentito il nome della sanguesporco. “Loro non ti piacciono”, non era una domanda, ma una semplice costatazione.

“Di certo non sono la mia famiglia. Ora se non ti spiace ho meglio da fare che stare qui ad ascoltare i tuoi drammi con quelle persone”. Detto ciò la ragazzina cercò di liberarsi, con scarso successo. Lui era forte, e lei troppo gracile e magrolina per avere la meglio. “Mi vuoi lasciare andare...?”.

“Perché dovrei? Mi piace averti in mio potere”, il modo in cui pronunciò quelle parole la fece impallidire e le vece venire i brividi lungo la schiena, ma non mostrò alcun sentimento.

“E cosa pensi di poter ottenere tenendomi inchiodata a questo stupido muro?”.

“Posso continuare a fissare i tuoi occhi verdi impauriti... e la cosa non mi dispiace affatto...”.

Si fissarono per alcuni secondi, senza dire nulla, ognuno perso nei suoi pensiero o, forse, ognuno perso negli occhi dell'altra. Cercavano di studiarsi a vicenda, cercando di capirsi, senza che nessuno dei due avesse intenzione di lasciarsi vedere veramente dall'altro.

“Cosa ti hanno fatto?”, fu Morgana ad interrompere quel silenzio così carico di tensione da cominciare ad essere estenuante.

“Ad occhio potrei ipotizzare che Potter sia convinto che io abbia aperto la camera dei segreti e che stia cercando le prove per smascherarmi”, non aveva detto molto, non voleva di certo ammettere che si era lasciato fregare da quei due imbecilli e li aveva portati sino alla propria sala comune. Certo dopo poco aveva capito che qualcosa non andava, ma intanto si era fatto abbindolare, almeno all'inizio. E di sicuro non ci voleva un genio a comprendere che di mezzo c'era la Granger; solo lei poteva produrre la pozione polisucco. A parte lui, ovvio. Con un maestro come Severus lui era decisamente molto più avanti degli altri in pozioni.

“Ed è così? Hai aperto tu la camera dei segreti?”, mentre gli poneva quelle domande non sembrava spaventata, ma al contrario sembrava eccitata ed interessata. Draco rimase per qualche secondo troppo perplesso per rispondere. Quella ragazzina era strana. Troppo strana.

“No. Certo che no. Non sono stato io!”, le rispose stizzito, continuando a scrutarla.

“Oh... pensavo... insomma... tu sei un Malfoy, quindi il membro di una delle più antiche ed importanti famiglie di purosangue inglesi”, al suono delle sue parole, un sorrisino soddisfatto si stampò sul viso del ragazzino, “quindi potevi benissimo essere l'erede di Salazar Serpeverde”.

“Tu come fai a conoscere così bene la mia famiglia? Comunque, mi spiace deluderti... ma i Malfoy hanno origini normanne, quindi non abbiamo nulla a che fare con Serpeverde”.

“Giusto... dovevo pensarci... Mal foi... mala fede... forse dovrei ricordarmelo quando parlo con te”, sul suo viso si aprì un ghigno sarcastico che fece quasi sorridere Draco.

“Sai... Sei strana. Dovevi essere smistata in serpeverde, secondo me”, lo disse senza malizia, lasciando la ragazzina un po' sorpresa, ed allontanandosi da lei.

“Lo pensava anche il cappello parlante a dire la verità”, detto questo si allontanò lungo il corridoio quasi correndo, lasciandosi dietro il ragazzo più confuso che mai.

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Capitolo 9
*** Voci di corridoio. Parte I. ***


Voci di corridoio. Parte I.

 

16 gennaio 1993

“Sei strana, da qualche giorno. Sembri pensierosa...”.

Morgana guardò la sua amica di grifondoro, le lezioni erano iniziate da alcuni giorni e quel sabato avevano deciso di pranzare insieme. “Non ho nulla, Ginny. Sono solo un po' stanca”.

“Non è solo oggi. Sei stata silenziosa per tutte le vacanze... è successo qualcosa?”.

Non se la sentiva proprio di raccontare alla propria amica dell'incontro con Draco Malfoy e di quel che si erano detti, ma la verità è che l'aveva scossa molto più di quanto volesse lasciar trapelare. Non ne aveva parlato con nessuno, e non aveva riferito il messaggio del ragazzo. 
Non poteva negare che i suoi modi bruschi l'avevano un po' spaventata ed in quei giorni si era chiesta se avesse detto la verità o meno, quando aveva affermato di non essere lui l'erede di Serpeverde. Non che lui le avesse veramente fatto del male, ma era stato un po' violento.

Inoltre, nonostante fosse passato molto tempo, continuava a pensare anche all'esperienza vissuta al club dei duellanti ed alle parole del professor Piton qualche giorno dopo. Non aveva confessato a nessuna delle sue amiche che lei era riuscita a capire Harry mentre parlava il serpentese. Non ne aveva avuto il coraggio, soprattutto dopo che il professore di pozioni le aveva detto che era una caratteristica dei maghi oscuri.

Pensava ancora a quegli incontri mentre si dirigevano in biblioteca, a studiare e continuò a pensarci per tutto il pomeriggio, senza riuscire a concentrarsi sul tema di pozioni. Piton aveva chiesto un approfondimento sulla pozione riscaldante, e sull'interazione dei diversi ingredienti, ma al momento lei non ricordava neanche quali fossero... 10 grammi di radice di zenzero tritato, 5 gocce di sangue di drago, tre bacche di ginepro... ne mancava uno, ne era sicura, ma non riusciva a ricordare quale ed era almeno mezz'ora che era ferma sulla seconda riga del suo tema.

“Basta. Io me ne vado. Vado da Piton, a scontare la mia punizione, tanto non riesco a concentrarmi. Ci vediamo a cena”. Senza dare alle amiche il tempo di rispondere uscì dalla biblioteca per dirigersi verso i sotterranei.

Uccidere... uccidere...è tempo di uccidere...

Non aveva percorso neanche metà della strada verso i sotterranei, quando si bloccò al suono di una voce, una voce così strana, così particolare. Qualcuno girava per il castello con l'intenzione di uccidere. Non c'era nessuno in quel corridoio, com'era possibile che sentisse una voce senza poterne vedere la fonte. Si guardò intorno, ma non vi erano statue, né quadri.

La ragazzina cominciò a correre giù per le scale. Stava succedendo qualcosa e voleva allontanarsi da quel corridoio e, soprattutto trovare qualcuno con cui parlare. In pochi minuti era arrivata nei sotterranei davanti alla porta dell'ufficio del professor Piton. Senza pensarci entrò nella stanza, senza bussare, trovandosi dinanzi l'uomo, intento a lavorare su di una pozione, in camicia e con le maniche arrotolate. Rimasero qualche secondo a guardarsi l'un l'altra. Il tempo sembrava essersi fermato, poi, come attratti da un campo magnetico, gli occhi della ragazzina scesero, lungo il corpo del professore, per soffermarsi sul suo avambraccio. Fu solo per una manciata di secondi, prima che l'uomo si voltasse e srotolasse le maniche dell'indumento, per coprire quella visione.

Quando si voltò i suoi occhi erano lividi di rabbia, le sue labbra sottili contratte in una smorfia che fece letteralmente tremare Morgana.

“Come osa entrare nel mio ufficio, senza bussare? Si spieghi. Subito”. Non riusciva a smettere di guardarlo negli occhi, impaurita e sconvolta. Continuò a fissarlo anche mentre lui si avvicinava a lei, minaccioso. Era sempre più vicino e lei tremava sempre di più, senza riuscire in alcun modo a controllarsi. “Non aveva alcun diritto di entrare nel mio ufficio in questo modo. Alcun diritto. 100 punti in meno a corvonero ed ora esca di qui e non si faccia vedere più. La sua punizione è finita. Via!”. Era furioso ed era evidente.
La bambina aveva visto cose che non avrebbe mai, mai, dovuto vedere. Era una ragazzina, ma l'uomo aveva capito ormai da diverso tempo che era sin troppo intelligente e non ci avrebbe messo molto a comprendere.

“Fuori”, ora stava urlando e lui non urlava mai. Morgana era sobbalzata dallo spavento al suo della sua voce, e si era girata per correre via. “Signorina Belmont... un'ultima cosa. Se dovessi scoprire che lei ha parlato con qualcuno di ciò che ha visto oggi, le posso assicurare che se ne pentirà amaramente”.

Non si voltò neanche a guardarlo, ma uscì dall'ufficio correndo e fermandosi solo dopo aver raggiunto la propria stanza nei dormitori di corvonero. Si buttò sul letto in lacrime, e cominciò a singhiozzare come non aveva mai fatto prima.

Solo dopo diverse ore riuscì a calmarsi ed a mettersi a sedere sul letto. Non aveva alcuna intenzione di vedere nessuno o di parlare con nessuno, pertanto decise di chiudersi nel proprio letto a baldacchino a leggere. Proprio in quel momento le venne in mente il libro che le era stato regalato per Natale e che non aveva ancora avuto il tempo di leggere.

“Morgana... sei già a letto? Ti senti male?”, la voce di Luna la sorprese proprio mentre stava scrutando uno dei passi più interessanti del libro.

“Sto bene”, le rispose mentre apriva le tende del baldacchino, “stavo solo leggendo...”.

“Non sei venuta a cena e non ti vedo da quando sei uscita dalla biblioteca per andare dal professor Piton”, al suono di quel nome la sua faccia fece una smorfia che fece preoccupare un po' l'amica, “sicura che sia tutto a posto? È successo qualcosa con Piton?”.

Per qualche secondo prese in considerazione l'idea di confidarsi con l'amica, poi però si ricordò del fatto che il professore le aveva proibito di parlarne e la sua minaccia, per nulla velata, la fece rabbrividire.

“Niente affatto. Anzi, al contrario, mi ha detto che posso considerare conclusa la mia punizione”, cercò di sorridere alla ragazzina, mentre pronunciava quelle parole. Avrebbe dovuto esserne felice, ma non era così.

“Quello è il libro che ti hanno regalato a Natale?”.

“Sì, lo stavo leggendo. È interessante. Racconta la storia dei quattro fondatori di Hogwarts e poi si sofferma sulla loro discendenza. Parla anche di Salazar Serpeverde...”.

“Dice qualcosa di utile, che ci possa aiutare a capire chi sia l'erede di serpeverde?”, le chiese l'amica sedendosi sul letto, accanto a lei.

“Non so... dice che la discendenza in linea maschile dei quattro si è estinta da tempo ormai, e che è difficile ricostruire quella in linea femminile, poiché, ovviamente, i cognomi sono diversi. Poi parla di alcune famiglie che, si ritiene, siano discendenti dei quattro fondatori”.

“Davvero? Quali?”, gli occhi di Luna erano eccitati ed interessanti.

“Secondo l'autore è probabile che vi siano più famiglie che hanno dei legami di sangue con i fondatori della scuola, ma solo di alcune si ha la quasi certezza della parentela. In particolare la famiglia Smith sarebbe discendente di Tosca Tassorosso e, si dice, che si tramandi ancora qualche cimelio appartenuto alla strega. La famiglia Peverell, invece, sembrerebbe collegata a Godric Grifondoro”, mentre parlava continuava a fissare la copertina del libro, pensierosa.

“E di Salazar Serpeverde e Cosetta Corvonero non si dice nulla?”.

“Di Cosetta Corvonero se ne parla molto. Si dice che aveva una figlia, Helena... aspetta”, mentre parlava stava sfogliando il libro alla ricerca di un passo specifico, “ecco qua, ascolta: la figlia di Cosetta Corvonero, Helena, era nota per aver ereditato la bellezza della madre, ma non la sua intelligenza. Si narra che la giovane fosse fidanzata con un Barone, ma che non l'abbia mai sposato e non ne fosse innamorata. Al contrario, pare, che ella provasse dei sentimenti per un altro uomo, un esponente della piccola aristocrazia dell'epoca e che da questi avesse avuto un figlio. Si racconta che il Barone, scoperto il tradimento, abbia ucciso la ragazza, ed in seguito, si sia suicidato”.

“E' una storia così triste. Ma il bambino? Era nato? Non si dice nulla?”.

“Sì, dice che...”, venne interrotta da dei colpi leggeri alla porta. Luna si alzò per andare ad aprire, quando si trovò davanti il professor Vitius in persona.

“Buona sera ragazze. Non voglio disturbarvi, ma devo chiedere alla signorina Belmont di seguirmi, il preside vorrebbe parlarle”. La ragazzina seguì il professore senza dire una parola, fuori dalla torre dei corvonero e per diversi corridoi di Hogwarts.

Non riusciva a comprendere cosa volesse il preside da lei e non aveva il coraggio di chiedere al professore, che, nonostante tutto sembrava piuttosto tranquillo. Le immagini del pomeriggio nell'ufficio del professor Piton le balenarono in mente, facendola sentire sempre più in ansia.

“Professore, è successo qualcosa?”, lo disse quando svoltarono nel corridoio dove si trovava l'ufficio di Silente, incapace di rimanere in silenzio ancora.

“Un altro studente è stato trovato pietrificato questo pomeriggio presto. È il quinto ormai... il preside comincia ad essere preoccupato”, lo disse con calma e senza lasciar trasparire alcuna emozione, ma una certa inquietudine avvolse la ragazzina.

“E questo come può avere a che fare con me?”. Erano giunti davanti a due Gargoyles di pietra ed il professore non le rispose, limitandosi a pronunciare la parola d'ordine e facendole segno di entrare. In cima alle scale a chiocciola si trovava una porta imponente ed elegante, in cedro. Dall'interno provenivano delle voci concitare, che si zittirono immediatamente quando l'uomo bussò chiedendo implicitamente il permesso di entrare.

Nella stanza si trovavano il preside, la professoressa McGranitt, Harry Potter, Hermione Granger e Ron Weasley.

“Signorina Belmont, entri pure...”, Silente stava sorridendo, ma stranamente la cosa non la fece sentire meglio, “Minerva, accompagna i tuoi ragazzi nella loro sala comune. Vitius, puoi lasciarci soli?”.

Mentre tutti i presenti si allontanavano, la ragazzina fece qualche passo avanti, titubante.

“Siediti qui, Morgana”. Si avvicinò di qualche passo, senza dare segno di volersi accomodare sulla sedia che le era stata indicata.

“Ti è stato chiesto di sederti...”, quella voce gelida la fece rabbrividire, mentre dall'ombra di uno degli angoli della stanza, la figura del professor Piton prendeva forma. Non lo aveva notato e saperlo lì non la faceva sentire affatto tranquilla.

“Preferisco rimanere in piedi”, riuscì a recuperare il controllo almeno per pronunciare quelle poche parole.

“Non devi preoccuparti, Morgana. Non sei qui per essere punita. Io ed il professor Piton abbiamo solo discusso di una questione che ti riguarda questo pomeriggio”.

“Quale questione, professore?”.

“Il professor Piton mi ha raccontato di aver scoperto che tu riesci a comprendere il serpentese”. Lo disse senza lasciar trasparire alcuna emozione.

“Io non sapevo di capire una lingua diversa. Ho solo capito quello che Harry stava dicendo quel giorno e solo dopo aver parlato col professor Piton ho compreso che lui non stava parlando una lingua normale”.

“Sì, il professore mi ha spiegato le tue perplessità. Immagino che la cosa ti abbia sconvolta”.

“Non è il fatto di saper parlare una lingua che non ho studiato che mi ha sconvolta”, lo disse con sincerità, senza pensarci e, forse, desiderosa di confidarsi con qualcuno”.

“Allora cosa ti ha sconvolta, Morgana?”.

La ragazzina continuò per qualche secondo a fissare quegli occhi azzurri così limpidi, per poi voltarsi titubante verso il professore di pozioni. Non riuscì a sostenere lo sguardo dell'uomo per più di qualche secondo.

“Saper parlare il serpentese è davvero una caratteristica dei maghi oscuri?”, mentre pronunciava quelle parole la sua voce era talmente bassa che i due uomini riuscirono a comprenderla a fatica.

Lo sguardo del professore Piton si addolcì appena, mentre fissava quella bambina impaurita. “Ho detto che è una caratteristica che viene associata ai maghi oscuri, è vero, ma non significa che tu sia propensa alla malvagità”. Sentendo l'uomo rispondere, il preside si voltò verso di lui per scrutarlo con attenzione. Non lo aveva mai sentito rivolgersi ad uno studente, per giunta di una casa diversa dalla propria, con un tono così pacato e rassicurante. La sua sorpresa non fece che aumentare quando la ragazzina si voltò verso l'uomo, con gli occhi luccicanti e pieni di gratitudine. “Quindi Lei non pensa che io sia cattiva, professore?”.

Per qualche secondo anche l'uomo parve sorpreso. “No. Non penso che tu lo sia. Penso che tu sia intelligente e con delle capacità sopra la media. Però, Morgana”, ed al suono di quel nome il preside rischiò sinceramente di avere un infarto, “noi dobbiamo chiederti se tu sei coinvolta con ciò che sta accadendo a scuola”.

“Io non centro niente. Ve lo assicuro”, la sua voce sembrava davvero implorar loro di credergli, “anche perché, professore, la sera di Halloween io ero in punizione con lei”.

“Tranquilla, Morgana. È tutto a posto. Ora perché non vai nel tuo dormitorio a riposare. E ricorda, se dovessi aver bisogno di qualsiasi cosa puoi venire da me”.

Senza dire altro la ragazzina uscì dalla stanza, lasciando i due uomini da soli.

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Capitolo 10
*** Voci di corridoio. Parte II. ***


 

Voci di corridoio. Parte II.
 

Rimasti da soli nell'ufficio del preside i due uomini non parlarono per diversi minuti.

“Non mi avevi detto che fosse in punizione con te la sera in cui è comparso il messaggio sul muro”. Il primo ad interrompere il silenzio fu il preside, che guardava ancora Piton con uno sguardo a metà fra il sorpreso ed il confuso.

“Non sappiamo quando sia stata effettuata la scritta, non mi sembrava dirimente il fatto che si trovasse con me in quel momento. Comunque non penso sia stata lei, Albus”.

“L'hai chiamata per nome”, era una costatazione, non una domanda, ma fu sufficiente a far sollevare un sopracciglio dell'altro che lo fissava confuso.

“Non l'ho fatto. Non chiamo i miei studenti per nome, non essere sciocco”.

“Lo hai fatto... e comunque, lei, tecnicamente, non è una tua studentessa”.

“Dove stai cercando di arrivare, precisamente?”.

“Mi hai sorpreso, ragazzo. È brava?”.

“Sì, ha talento per le pozioni. Molto talento. Durante una delle punizioni che ha trascorso con me ha riconosciuto dagli ingredienti una pozione doxicida e ne ricordava persino il procedimento”. Albus Silente continuava a guardare il suo professore stupito. Vi era orgoglio nella sua voce e non lo aveva mai sentito, in più di dieci anni di lavoro, parlare così di una studentessa, figuriamoci di una corvonero.

“Come mai era in punizione?”

“E' arrogante e parla troppo”, lo disse quasi sbuffando, ma senza riuscire a nascondere un piccolo ghigno divertito, “diciamo che l'ho sentita fare commenti offensivi su alcuni professori e non ho potuto evitare di punirla!”.

“Quali professori?”.

“Cambia qualcosa?”.

“Sembravi divertito più che contrariato, potrei pensare che si tratti di persone che tu non apprezzi molto”. Ora Albus Silente era molto più che confuso. Severus Piton lo stava guardando sorridendo e lui non ricordava di averlo mai visto sorridere prima di allora.

“Diciamo che potrebbe aver definito il professor Allock un idiota inetto”, pronunciò quelle parole con aria compiaciuta e persino Silente non poté evitare di sorridere. Infondo, chi poteva darle torto?

“E di chi altro ha parlato?”.

“Come?”.

“Hai detto di averla sentita fare commenti su più professori... chi altro?”.

“Non credo di aver detto così, ora perdonami, ma devo proprio andare. Buona notte, Albus”.

Lo guardò andar via senza dire più una parola, decisamente allibito. “Hai visto anche tu quello che ho visto io, Funny?”, si rivolse alla propria fenice sconcertato, “Severus è arrossito... cosa sta succedendo in questa scuola?”.

 

7 febbraio 1993

 

Finalmente era domenica e Morgana aveva deciso di trascorrere la giornata girovagando per il parco del castello, lontana dall'aria opprimente di quella scuola e soprattutto dai suoi compagni. Era seduta sotto ad un faggio al limite della foresta proibita, con un libro in mano. La neve non si era ancora sciolta, ma là il terreno era asciutto, poiché riparato dagli alberi.

“Come mai sei tutta sola?”, al suono di una voce, si decise ad alzare gli occhi dal libro. Aveva sentito qualcuno avvicinarsi, ma aveva sinceramente sperato che non si sarebbe messo a parlare con lei, anche perché era stufa di commenti sarcastici sulla sua presunta parentela con Salazar Serpeverde. Alzando il viso incontrò due profondi occhi verdi.

“Harry, sei tu. Che vuoi?”.

“Non hai risposto alla mia domanda. Comunque nulla. Ti ho vista qui da sola ed ho pensato di venire a vedere se era tutto a posto”.

“E' tutto a posto. Ora puoi andartene”.

“Io non credo che tu sia l'erede di serpeverde, se ti può consolare”. Lo disse mentre si sedeva di fianco alla ragazzina. Le dispiaceva vederla così triste e da quando era stata chiamata nell'ufficio del preside dopo l'ultima aggressione tutta la scuola la evitava e l'additava come autrice degli attentati.

“Sei l'unico in tutta la scuola”. Lo disse con un tono di voce così triste e demoralizzato, che al ragazzo quasi si spezzò il cuore a sentirla così abbattuta. Non era sicuro che fosse la mossa giusta, ma in quel momento sentiva che era la cosa giusta da fare, pertanto allungo una mano per circondarla con un braccio e stringerla a sé. La sentì irrigidirsi e poi, pian piano, rilassarsi fra le sue braccia. La cullò così, con tranquillità, cercando di farle capire che qualcuno era dalla sua parte.

Non la conosceva molto bene. Non avevano avuto molte occasioni per parlare ed aveva l'impressione che a lei non piacessero molto i suoi amici, ma una parte di lui era attratto da quella bambina così forte e fiera, che infondo sembrava nascondere molte debolezze. Forse si sentiva legato a lei per il fatto che era anch'ella orfana, o per lo meno era ciò che si diceva a scuola. Con lei non ne aveva di certo parlato.

Rimasero così per diverso tempo. Senza dire nulla. Finché il ragazzo non riprese a parlare. “Non dovresti prendertela tanto per quello che dicono a scuola. Fino a qualche mese fa erano convinti fossi io l'erede di serpeverde. Parlano molto ad Hogwarts. Lasciali parlare. L'unica cosa che sanno è che sei stata convocata nell'ufficio del preside dopo l'ultima aggressione, ma per quel che ne so io le cose non sono neanche collegate, no?”. Era la verità, non sapeva perché lei fosse stata convocata dal preside, visto che lui e i suoi amici erano stati fatti uscire quasi subito dopo il suo arrivo.

“Tu parli il serpentese”, non era una domanda, quella di Morgana era un'affermazione sussurrata contro la sua spalla.

“Sì. A quanto pare io sono un rettilofono. Ma non sono stato io ad aprire la camera dei segreti. Te lo posso giurare”. La guardava con una nota di disperazione così evidente, che le fece quasi tenerezza.

“Io ti credo. Solo... mi chiedevo come mai sai parlare quella lingua”.

“Io, sinceramente, non lo so. Hermione ha fatto delle ricerche e pensa che, magari, ho dei legami di sangue con Salazar Serpeverde. Sai, è molto difficile capire se in qualche modo io discenda o meno da lui, visto che è vissuto moltissimi anni fa”.

“Ma potresti non essere legato a lui, insomma, non è detto che tu discenda da lui solo perché parli il serpentese, no?”.

“In realtà secondo Hermione quasi tutti i rettilofoni conosciuti discendono da Serpeverde. Lei sostiene che si tratta una capacità che si tramanda per via ereditaria... ehi.. stai bene?”, la ragazzina lo fissava allibita, con gli occhi spalancati e sembrava sconvolta.

“Io... sì, sto bene. Sei sicuro che sia una caratteristica ereditaria?”.

“Non proprio. Ma lo ha letto Hermione in alcuni libri e di solito quello che dice lei è attendibile. Ma non sarebbe poi così strano, no? Insomma... Serpeverde è vissuto mille anni fa. Potrei tranquillamente essere un suo parente”.

“Certo... potresti”, il suo sguardo era perso nel vuoto mentre parlava, “scusa ma io ora dovrei andare. Ci vediamo in giro”, prima di allontanarsi si girò un'ultima volta a guardare il ragazzo e chiese, “tu sai qualcosa della famiglia Gaunt? Sono per caso tuoi parenti?”.

“Non credo. Non che io sappia. Perché? Chi sono”.

“No. Nessuno. Ne ho solo sentito parlare. Buon pomeriggio”.

Stava per correre via, quando si girò di nuovo verso il moro, con uno sguardo titubante in volto. Non le piaceva chiedere, aveva sempre fatto tutto da sola, ma quel ragazzino con gli occhiali le ispirava fiducia. E poi era veramente bravo, o almeno così dicevano tutti.

“E' tutto a posto, Morgana?”.

La ragazzina raccolse tutto il suo coraggio e, prima di cambiare idea, pose la domanda che tanto le premeva, “Harry... io... volevo chiederti una cosa. Insomma, Ginny dice che tu sei molto bravo a volare, che sei il miglior cercatore di Quidditch della scuola. Quindi, io mi chiedevo se potessi darmi una mano...”. Lo disse con un filo di voce, quasi temesse di rivelarsi debole.

“Certo, perché no? Vuoi imparare a giocare a Quidditch?”.

“Oh. No! Sei matto?”, a quel punto il ragazzino la fissò stupefatto e sconcertato, “io volevo solo chiederti se potessi darmi qualche lezione di volo. Sono proprio imbranata e rischio di non passare l'esame a fine anno”. Si sentiva così stupida, che quasi si pentì di averglielo chiesto, “comunque se non puoi non fa nulla, non ti preoccupare...”.

“Certo che posso. Facciamo domenica mattina? Ci vediamo al campo da Quidditch verso le 11?”.

“Va bene. Grazie mille... sei gentilissimo”.

Lasciato il ragazzo lì, Morgana si era diretta verso l'interno del Castello. Girava per i corridoi distrattamente. Cercava qualcuno. Alla fine lo vide, in un corridoio del quarto piano, con un gruppo di compagni. Si avvicinò con un'aria spavalda, che sentiva di non possedere veramente.
“Malfoy”, lo richiamo per attirare la sua attenzione, “io dovrei parlarti”.

Lui si girò a guardarla, con la sua aria di superiorità e con un'espressione quasi di disgusto dipinta sul volto.

“L'erede di serpeverde in persona mi ordina di ascoltarla... mmm... è sentiamo: perché la cosa dovrebbe interessarmi?”.

“Non mi sembra di averti chiesto di interessarti, ma solo di seguirmi per discutere di una questione in privato”.

“Hai cinque minuti, muoviti. Non vorrei che mi pietrificassi”, ridendo cominciò ad incamminarsi per il corridoio, per allontanarsi dagli altri e la bambina dovette quasi correre per stargli dietro.

“Allora, Belmont? Che vuoi? E muoviti. Come ti ho già detto non ho tempo da perdere con te”.

“Siamo simpatici oggi”, non riuscì a trattenersi dall'essere sarcastica. Lui la prese per un braccio stringendola sino a farle emettere un lieve gemito di dolore.

“Senti, ragazzina. Non siamo tutti a tua disposizione in questa scuola. Quindi arriva al dunque e subito, che già non sopporto di respirare la tua stessa aria”. Le faceva male, ma lei non disse niente. Aveva bisogno di lui e ormai aveva imparato che quel ragazzo era sin troppo umorale e, soprattutto, difficile da controllare.

“Volevo solo chiederti se potessi darmi informazioni su alcune famiglie di maghi o, per lo meno, se potessi indicarmi dove trovarle”.

“Che genere di informazioni e su quali famiglie?”. Sembrava soppesare la sua domanda, come chiedendosi se valesse o meno la pena di assecondare la sua richiesta.

“Gaunt, Smith, Prince e Peverell”.

Vide il suo sopracciglio sollevarsi, come se stesse cercando di comprendere un senso nascosto della sua domanda.

“Posso dirti che l'unica di queste famiglie a far parte delle sacre ventotto è la famiglia Gaunt”.

“Le sacre ventotto?”, chiese la ragazzina titubante. Non aveva idea di cosa lui stesse parlando.

“Sì, le famiglie di purosangue più antiche e rispettate del mondo magico inglese”.

La ragazzina sembrò soppesare per qualche secondo l'informazione ricevuta, prima di proseguire “mentre delle altre non sai dirmi nulla?”.

“Non molto, in realtà. So che sono nomi di famiglie purosangue note nel mondo magico, per essere estinte nella linea maschile”.

“Estinte nella linea maschile?”, prima di dar tempo al ragazzo di rispondere continuò, “hai parlato delle sacre ventotto, ma hai anche detto che queste famiglie sono famiglie di purosangue. Quindi non sono solo ventotto le famiglie di purosangue esistenti?”.

Il ragazzo scoppiò a ridere sonoramente. Si stava evidentemente prendendo gioco di lei.

“Certo che non sono solo ventotto. Le sacre sono le famiglie considerate veramente pure, ma esistono altre famiglie purosangue, che in passato si sono mischiate con sanguesporco o addirittura babbani e quindi non fanno parte dell'elité”. Qualcosa suggerì a Morgana che la famiglia Malfoy dovesse far parte delle sacre ventotto, ma non riuscì a esternare i suoi pensieri, perché il ragazzo ricominciò a parlare, “comunque, mezzosangue... come mai ti interessa tanto?”. Aveva calcato su quell'epiteto con cattiveria e quasi con disgusto. Si chiese, vagamente, se dovesse sentirsi insultata. Sapeva che sanguesporco era un insulto, ma quel termine non lo conosceva affatto.

“Mi interessa perché ho letto qualcosa su queste famiglie in un libro e sono curiosa”, si chiese se continuare, ma la curiosità ebbe il sopravvento, “perché mi hai chiamata mezzosangue?”.

“E' vero quello che si dice in giro?”.

“Non saprei. Si dicono tante cose. A cosa ti riferisci?”.

“E' vero che sei orfana?”. Vide un'ombra oscurarle il viso solo per qualche secondo.

“Sì. È vero. Non ho mai conosciuto i miei genitori e sono cresciuta in un orfanotrofio”.

“Ed è per questo che ti interessi tanto delle famiglie purosangue? Tranquilla, non sei una di noi”, lo disse quasi con cattiveria, “se anche fossi figlia di un membro di una famiglia purosangue, sicuramente uno dei tuoi genitori sarebbe un indegno babbano o per lo meno un sanguesporco. Altrimenti non saresti cresciuta in un orfanotrofio. Ma d'altronde, parli il serpentese, o almeno così si dice, ed hai un conto alla Gringott, quindi almeno uno dei tuoi genitori deve essere un mago”, a quelle parole a Morgana venne in mente la lettera di sua madre, la donna le aveva detto che entrambi i suoi genitori erano maghi, ma poteva non essere vero, “di conseguenza sei solo una piccola mezzosangue arrogante”.

Lasciò la ragazza sbigottita senza neanche salutarla. Quel ragazzino sapeva essere veramente perfido. Era perfetto come serpe, non vi erano dubbi.



 

+++
 

Non è mia abitudine lasciare commenti al termine delle mie storie, ma oggi volevo avvisarvi che ho pubblicato con un pò di anticipo perché non credo mi sarà possibile farlo nei prossimi giorni, probabilmente sino al 10 luglio.
Visto che ci sono, mi piacerebbe tanto sapere da chi legge e chi ha messo la storia fra le preferite, seguite e ricordate, se vi sta piacendo.
Buona lettura!

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Capitolo 11
*** Vacanze di primavera all'insegna delle ricerche. ***


Vacanze di primavera all'insegna delle ricerche.

 

5 aprile 1993

 

Finalmente erano cominciate le vacanze di primavera. Quei due mesi, per Morgana erano stati terribili. Il professor Piton ostentava indifferenza nei suoi confronti dall'ultimo giorno trascorso nel suo ufficio. La ragazzina aveva sperato che l'incontro successivo, avvenuto davanti al preside, avesse convinto il professore a perdonarle la sua maleducazione, ma non era così. Quella sera era stato gentile, perché non erano da soli, ma in seguito era divenuto sempre più freddo.

Si era trovata più volte a chiedersi cosa avesse fatto di così grave. È vero, era entrata nel suo ufficio senza bussare e lo aveva visto in maniche di camicia, mentre distillava una qualche pozione. Ma non le sembrava un fatto così grave da giustificare un tale comportamento da parte dell'uomo. Più di una volta era stata sul punto di chiedere spiegazioni, ma si era sempre bloccata timorosa delle conseguenze.

Aveva anche svolto delle ricerche sullo strano tatuaggio che il professore aveva disegnato sul braccio. Lo ricordava piuttosto bene, ma non era riuscita a trovare nulla. Eppure, qualcosa, le diceva che quello centrava con l'atteggiamento di Piton. Ricordava ancora l'espressione del suo viso quando aveva visto cosa stesse osservando ed il modo in cui si era voltato per coprire l'avambraccio.

In più, come se tutto ciò non fosse stato sufficiente, Draco Malfoy aveva cominciato a chiamarla mezzosangue in pubblico ed a tentare di umiliarla, soprattutto quando c'erano le sue amiche, o peggio, i grifondoro amici di Potter, nelle vicinanze. Sembrava godere nell'umiliarla. Cominciava a detestarlo.

Certo, non quanto detestava la Granger. Quella sciocca non faceva che mettersi in mostra, almeno sino a quando non era stata trovata pietrificata. E questo, ovviamente, non aveva fatto che ampliare il suo sconforto, perché l'aveva fatta sentire in colpa. Come se fosse causa sua se quella ragazzina era stata vittima di quello strano incidente. Insomma, conoscendola, probabilmente se l'era andato a cercare.

Tra l'altro, a causa della pietrificazione della Granger agli studenti era stata preclusa la possibilità di recarsi fuori dalla scuola non accompagnati dagli insegnati e, soprattutto, fuori dall'orario delle lezioni. Lei, pertanto, aveva dovuto sospendere le ripetizioni di volo con Potter e, a lei, servivano quelle lezioni. Faceva schifo sulla scopa. Riusciva appena a mantenersi in equilibrio, figuriamoci a fare qualche giro del prato della scuola, come sarebbe stato loro richiesto all'esame.

E, come se tutto ciò non fosse sufficiente, la ciliegina sulla torta era il comportamento della sua amica Ginevra. La ragazzina, ultimamente, era sempre triste e mangiava decisamente poco. Nulla di quello che dicevano lei o Luna riusciva a farla stare meglio.

Con tutti questi pensieri in testa, la corvonero aveva accolto con gioia l'arrivo delle vacanze di primavera. Aveva deciso di dedicarle allo studio ed alle ricerche. Infatti, nonostante avesse quasi svaligiato la biblioteca non era riuscita a scoprire altro sull'erede di serpeverde ne, tanto meno, sul mostro contenuto nella camera dei segreti.

Le era capitato ancora qualche volta di sentire delle voci, strane voci, nei corridoi. Ed il suo istinto le diceva che fossero, in qualche modo, collegate al mistero della camera dei segreti. Solo non riusciva ancora a capire come.

 

Un'altra persona aveva deciso di approfittare delle vacanze di primavera per svolgere delle ricerche, ma non all'interno del castello. Per tale motivo il professor Piton, quella mattina si era recato dal preside, per avvisarlo che sarebbe stato via per qualche giorno.

Ed ora si trovava davanti a quello strano edificio. Era un monastero. E non poteva che chiedersi come fosse possibile che quella ragazzina avesse una qualche discendenza magica, se era stata lasciata in un monastero babbano. Nessun mago avrebbe fatto una cosa del genere. O per lo meno lui pensava che nessun mago lo avrebbe fatto.

Si decise ad entrare dopo lunghi attimi trascorsi nell'osservazione di quel luogo. Non poteva dirsi squallido o malandato, ma non doveva comunque essere un luogo felice in cui crescere.

Suonato il campanello si mise in attesa. Una suora dall'aria dolce gli aprì il portone.

“Buongiorno, io sono suor Anna. Cosa posso fare per lei?”.

“Buongiorno, il mio nome è Severus Piton e sono un professore. Una mia alunna è ospite di questo orfanotrofio. Si chiama Morgana. Mi chiedevo se potessi farle qualche domanda sulla bambina”.

Lo disse tutto d'un fiato, senza quasi respirare, quasi intimorito da quella donna che sembrava così serena.

“Certamente. Mi segua nel mio ufficio”, gli fece strada in un lungo corridoio, prima di riprendere a parlare, “ci sono stati dei problemi con Morgana?”. Gli pose la domanda prima di fargli cenno di sedersi in un piccolo ufficio, davanti ad una scrivania ordinata e pulita.

“Nessun problema. È una ragazza nel complesso... direi tranquilla”.

“Sì, Morgana è sempre stata una bambina silenziosa ed, anche, un po' solitaria. Ha un carattere molto particolare”.

“L'ho notato”, sorrise ripensando alla sfrontatezza di quella bambina, così particolare, “non la si vede sorridere spesso. È stata... felice... qui?”. Non voleva che sembrasse che stesse insinuando che fosse vittima di maltrattamenti o altro, ma doveva pur porla quella domanda in qualche modo.

La donna sembrò soppesare la propria risposta, “felice? Non la definirei felice. Forse... serena”, lui alzò un sopracciglio, come chiedendo tacitamente ulteriori spiegazioni, “non ha mai avuto amici qui dentro. Non che si sia comportata male, ma è sempre stata molto solitaria. Soleva passare le giornate nel boschetto vicino al bosco, da sola. È una bambina chiusa”.

“Capisco. Posso chiederle se può fornirmi qualche informazione in più sui suoi genitori?”.

La donna sembrò molto sorpresa dalla domanda, ma dovette decidere che era legittima, perché dopo pochi secondi cominciò a raccontare quanto da lei conosciuto. “A dire la verità non ho molte informazioni. Nessuna sul padre, poiché non l'ho mai visto. La madre, invece, era una donna molto giovane. Ho seguito tutta la sua gravidanza ed ha partorito presso il nostro istituto, ma non conosco il suo nome”.

“Non conosce il suo nome? Ma com'è possibile?”.

“Si è sempre rifiutata di rivelarmelo ed io, dopo un primo momento, non ho più chiesto. Sembrava impaurita e non volevo che scappasse e, magari, partorisse da sola e senza un aiuto”.

“Capisco. Ha detto che era molto giovane, quindi ha lasciato la bimba qui per una questione di età, immagino”.

“No. Niente affatto. Non era una questione d'età”, l'uomo a quest'affermazione la guardò confuso, perciò continuò cercando di spiegarsi, “lei aveva già un altro figlio, di circa un anno più grande della bambina. La prima volta che venne da me era un neonato. Quindi non direi che si sia trattata di una questione d'età. Altrimenti non avrebbe tenuto neanche l'altro bambino”.

“Capisco... ma... allora perché ha lasciato qui la bambina?”.

“In realtà non mi ha mai dato una vera spiegazione. Sembrava impaurita. Mi ripeteva spesso che non poteva tenerla. E mi chiedeva di comprenderla. Ma non ha mai specificato le proprie motivazioni”.

“Posso chiederle quanto giovane era questa donna?”.

“All'incirca direi sui vent'anni”.

“E ha detto che aveva un altro figlio, un maschio?”.

“Sì. Un maschietto. Un bel bambino. Coi capelli neri, come la sorella e due splendidi occhi verdi, come Morgana. È un peccato che non siano potuti crescere insieme...”. Lo sguardo della donna era nostalgico e perso nel nulla, ma lui voleva altre informazioni.

“E la donna, com'era? Mi perdoni se le sembro invadente, ma sto cercando di raccogliere informazioni sulla famiglia di Morgana”.

“Pensa di poter trovare i suoi genitori?”.

“Beh... vede... la nostra scuola è molto esclusiva e magari i suoi genitori l'hanno frequentata in passato”.

“Certo. Capisco... la madre era una donna solare e gentile. Aveva gli occhi dello stesso colore dei figli”, a queste parole il cuore del professore perse qualche battito, perché d'un tratto due occhi verdi proprio uguali a quelli di Morgana riaffiorarono nella sua memoria, ma non poteva essere... non poteva.

“Si sente bene?”, la suora doveva aver intuito il suo turbamento, ma si accontentò di un suo cenno, per continuare, “aveva i capelli rossi, pertanto penso che i bambini abbiano preso il colore dei loro dal padre”.

Il turbamento del professore a questo punto fu sempre più opprimente. Capelli verdi, occhi rossi, circa vent'anni, probabilmente una strega inglese. La descrizione coincideva perfettamente. Ma di sicuro non era così, insomma, lei non era di certo la sola donna con quelle caratteristiche fisiche. Però... un bambino di un anno più grande, la paura di cui parlava la suora... il padre dei bambini coi capelli neri...

“La ringrazio molto per le informazioni che mi ha fornito. Ora dovrei proprio tornare a scuola”. Si congedò velocemente. Doveva uscire da quel luogo, si sentiva quasi soffocare. Necessitava di respirare aria pulita, aria fresca, possibilmente aria gelida, come il pugno che gli stritolava lo stomaco.

Uscito dall'edificio si ritrovò ad espirare come un annegato appena uscito dall'acqua.

Non poteva essere vero, non era possibile. Quella bambina non poteva essere la figlia di Lily e James Potter. Non era assolutamente possibile. Eppure... tutti quei dettagli, non potevano essere solo coincidenze.

Si ritrovò a camminare in mezzo a Diagon Alley, senza sapere come ci fosse arrivato. La confusione della via lo faceva sentire meglio. Pensava e ripensava a tutti i dettagli, alle coincidenze. Lei aveva un fratello di circa un anno più grande e, guarda caso, Potter era nato proprio un anno prima della bambina. I capelli di entrambi erano corvini, come quelli di James, d'altronde. Gli occhi verdi, quegli occhi verdi che, pensandoci bene, accomunavano sia lei che Harry Potter a Lily.

E poi c'era la descrizione della madre: solare, gentile, capelli rossi e occhi verdi come i figli. Se a questo si aggiungeva anche l'età (circa vent'anni), la descrizione di Lily Evans in Potter era praticamente completa.

Poteva calzare perfettamente anche la questione segretezza, visto che di certo la donna non poteva rivelare di essere una strega. E, a pensarci bene, poteva anche capire la volontà di lasciare la bambina in un posto sicuro, visto che i coniugi Potter erano braccati all'epoca del parto.

Persino il talento di Morgana per la sua materia spingeva per una sua parentela con Lily. La donna era veramente portata per le pozioni. Entrambe avevano un gatto, ora che ci pensava; la passione per i felini si poteva tramandare geneticamente? Inoltre, se tutto ciò fosse stato vero, si sarebbe spiegata anche la sua buona disposizione nei confronti della bambina: inconsciamente lui rivedeva in lei la sua amica.

Quello che non capiva è perché non dire nulla ad Albus Silente. Anche questo punto si poteva spiegare, però, se si considerava la poca fiducia che i Potter dovevano riversare su chiunque nel mondo magico in quei difficili mesi.

Doveva accertarsi della cosa. Essere sicuro che quella bambina fosse la sorella di Harry Potter prima di dirlo a chiunque e soprattutto prima di rivelarlo ai due bambini. Non intendeva illuderli. Non poteva illuderli. Entrambi avevano già perso parenti a sufficienza.

Decise che prima di tutto avrebbe trovato un modo per avvalorare la sua tesi. Insomma, se i due ragazzi erano parenti una semplice pozione avrebbe confermato la cosa e, solo in seguito, lui avrebbe messo al corrente il preside ed i due giovani della questione.

Era decisamente più saggio muoversi in questo modo. Doveva tornare al castello ed escogitare un modo per scoprire la verità.



 

***

Sono finalmente riuscita a trovare un attimo per pubblicare (mentre guardo la finale degli europei).
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che leggono ed apprezzano, ed in particolare Bianchina07 che mi ha fatto sapere cosa pensa della mia storia.

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Capitolo 12
*** Il basilisco. ***


Il basilisco.

 

10 aprile 1993

 

Mancava ancora molto alla fine delle vacanze primaverili. Il professor Piton era tornato dal monastero ormai da giorni e si ritrovava sempre più spesso a fissare Morgana, soprattutto durante i pasti. In quegli attimi di attenta osservazione aveva raggiunto un'unica conclusione: lei aveva gli stessi identici occhi di Lily, come Potter. Ma non vedeva altri segni di somiglianza con la sua migliore amica.

La bambina era molto magra, decisamente esile per la sua età. D'altronde anche Potter padre lo era a quell'età a pensarci bene, ed allo stesso modo Harry era mingherlino per essere ormai un dodicenne.

In ogni caso era sempre più sicuro di dover approfondire la conoscenza della bambina, per poter attuare un piano che lo portasse ad avere la certezza di un'eventuale parentela fra i due ragazzini. Per quel motivo quel giorno la stava cercando in tutto il castello. Voleva parlare con lei e costringerla a riprendere le punizioni che avevano bruscamente interrotto per paura che lei scoprisse troppo sul suo passato. Non le aveva perdonato il suo comportamento ed un po' temeva l'idea di trovarsi nuovamente da solo con quella ragazzina impertinente, ma non vedeva altro modo per studiarla attentamente. E lui doveva studiarla attentamente.

Si chiese fugacemente se era interessato a conoscerla per scoprire se era davvero sorella di Potter o se, una parte di lui, non sperasse di ritrovare, almeno un po', la sua migliore amica. Nascose quel pensiero in un angolo, deciso ad ignorarlo.

Ovviamente in quello stupido castello quando si cercava qualcuno, quel qualcuno, guarda caso, non era da nessuna parte. L'unico posto in cui non aveva guardato era la biblioteca, ma insomma, neanche la Granger avrebbe passato quella splendida giornata rinchiusa in mezzo a libri polverosi. Per scrupolo, comunque, decise di controllare.

Con somma sorpresa scoprì la bambina in un tavolo appartato della biblioteca. Non vi era nessun altro in quella parte del castello. Si fermò ad osservarla per qualche secondo, cercando di capire cosa stesse leggendo con così tanta attenzione. Non sembrava affatto un libro di scuola, era molto grosso e decisamente antico. Solo in quel momento si rese conto che la ragazzina sedeva solo ad uno scaffale di distanza dal reparto proibito della biblioteca. Con un sonoro sbuffo le si avvicinò.

“Lei non impara mai, vero, signorina Belmont?”. La vide sobbalzare impaurita e guardarlo con un timore, quasi reverenziale, negli occhi.

“A cosa si riferisce, professore?”, rispose, cercando di coprire, con un gesto goffo e palesemente impacciato il volume che stringeva fra le mani.

“Cosa legge di così interessante?”, si stava facendo beffe di lei. Se doveva sopportarla, almeno lo avrebbe fatto divertendosi.

“Io... stavo solo... insomma... facevo delle ricerche per la professoressa McGranitt. Non sono molto portata per la trasfigurazione, e cercavo di approfondire la materia”.

“Non è portata per la trasfigurazione? Davvero...”, il suo tono era sempre più sarcastico, “allora la professoressa McGranitt deve aver sbagliato studentessa, quando si è complimentata della sua bravura con il professor Silente l'altra sera a cena... ero sicuro che avesse detto che lei non ha alcuna difficoltà nella sua materia, ma devo aver capito male!”. Ora il viso della bimba era color porpora e lei era palesemente in difficoltà. “Facciamo così. Ora lei mi mostra il libro che sta consultando. Dopo mi seguirà nel mio ufficio, dove sconterà la sua punizione, per il resto dell'anno, ovviamente”.

Con un gesto timido e titubante, Morgana si costrinse a sporgere il volume verso l'uomo, che ne lesse sorpreso il titolo: Animali mitologici e poteri oscuri.

“Lettura interessante per una bambina...”. Cercò di scrutarla in viso, sperando di leggervi qualcosa in più rispetto al timore e alla paura. Non voleva leggerle la mente, l'aveva già fatto una volta, ma non gli piaceva utilizzare quella pratica sugli studenti.

“Professore... visto che devo scontare questa punizione e che... insomma... non ho finito di leggere questo libro. Non è che, per caso, lei potrebbe firmarmi il permesso per prenderlo in prestito?”.

Sfacciata era decisamente poco per descriverla, troppo poco. “Sa, signorina Belmont, prima o poi, la sua sfacciataggine potrebbe crearle dei guai seri... andiamo. Non ho tempo da perdere”. Con aria affranta Morgana si mise a raccogliere le sue cose e lo seguì verso l'uscita della biblioteca. Quando l'uomo si fermò davanti alla postazione della bibliotecaria lo guardò perplessa.

“Cosa non le è chiaro della frase – non ho tempo da perdere –? dove ha messo quel dannato libro?”. La bambina sussultò sorpresa a quelle parole e corse verso il tavolo a recuperare il libro che aveva abbandonato convinta che il professore non le avrebbe mai permesso di leggerlo.

Dopo aver convinto la bibliotecaria a dare in prestito alla ragazzina quel tomo così antico e così poco appropriato alla sua età, l'uomo si diresse con Morgana verso i sotterranei.

Solo dopo aver richiuso la porta dell'ufficio alle proprie spalle, si voltò verso la piccola e le pose la domanda che gli ronzava in testa ormai da qualche minuto, “perché stava leggendo quel libro?”.

La ragazzina sembrava titubante, quasi temesse la risposta che doveva fornire all'uomo, ma alla fine, forse memore del fatto che non era mai riuscita a nascondere nulla al professore di pozioni, decise di dire la verità, “facevo ricerche sulla camera dei segreti...”. Disse tutto d'un fiato e con gli occhi bassi. Dopo parecchi attimi di silenzio decise di alzare gli occhi, per osservare la reazione dell'uomo. Lui la stava guardando, senza lasciar trasparire alcun sentimento.

“Come mai questa curiosità?”.

“Molte persone sono state pietrificate da un mostro contenuto in quella stanza e nessuno sembra sapere di cosa si tratti...”.

“E lei pensa di essere più intelligente di tutti i professori di questa scuola? Persino del professor Silente?”.

“Non lo penso. Penso solo di avere un'informazione in più rispetto alle altre persone che stanno indagando su questo mistero”.

“Si sieda. Preparo un tè e discuteremo della questione. Solo per oggi potrà farmi tutte le domande che desidera ed espormi i suoi dubbi. Ma da domani voglio che lei si concentri solo sullo studio e lasci perdere questa storia”. Non si aspettava di certo che gli avrebbe dato retta. Quella ragazzina era oltre che irriverente, anche piuttosto testarda. Certo, quella sua curiosità, quel suo impicciarsi di questioni che non la riguardavano la accomunavano ad un altro ragazzino di sua conoscenza.

“Ha preferenze sul tè?”.

“Ehm... earl grey, se possibile, signore!”. La sua affermazione lo lasciò qualche secondo sorpreso, earl grey... si riscosse, preparò la bevanda e gliene porse una tazza.

“Bene... mi dica cosa sa della camera dei segreti”.

“Non molto, a dir la verità. So che è stata costruita da Salazar Serpeverde, all'insaputa degli altri fondatori della scuola, per epurarla da coloro che, secondo quel mago, sono indegni di studiare la magia, cioè i sanguesporco”, sentendole pronunciare quella parola lui ebbe un leggero moto di sorpresa, non si aspettava quel termine dalla ragazzina, soprattutto visto che era cresciuta in un orfanotrofio babbano.

“Termine curioso sulla sua bocca”, lei lo guardò, sembrava quasi chiedersi se dovesse o meno scusarsi. Aveva capito da tempo che quella parola non era gentile, ma a lei non dava fastidio pronunciarla.

“Malfoy la usa!”, blanda come giustificazione, senza contare che non seppe spiegare neanche a se stessa perché le sembrava una scusante.

“E' vero. Ma il signor Malfoy è un purosangue cresciuto in una famiglia piuttosto tradizionale. Comunque, proceda pure”.

“So che si dice che all'interno della stanza sia nascosto un mostro. So che questo mostro è vissuto per più di mille anni, senza nessuno che si occupasse di lui, quindi deve essere piuttosto longevo e autonomo. So che questo mostro pietrifica le persone e probabilmente non solo, visto che l'intenzione di Serpeverde era di uccidere. So che una ragazza è morta circa cinquant'anni fa, in un bagno, e che probabilmente il mostro in questione è coinvolto”, a queste parole l'uomo si fece più attento. Quella bambina aveva scoperto l'esistenza di quel fastidioso fantasma, quella sciocca Mirtilla Malcontenta. Come poteva essere arrivata sino a quel punto? Doveva ammettere a se stesso di averla decisamente sottovalutata.

“Come fa a sapere di quella morte?”, era curioso di capire come avesse ottenuto quell'informazione.

“Io osservo, signore. E non ho problemi a parlare con chi può darmi informazioni, per quanto fastidiosa possa essere quella persona... si può considerare ancora una persona un fantasma?”.

“Altro?”, era intelligente, non si poteva negare.

“So che il mostro si sposta nel castello, ma nessuno, che possa raccontarlo, lo ha mai visto. So che Mirtilla è morta in un bagno, e che quanto è morta ha sentito qualcuno parlare... una lingua strana... a mio parere serpentese”.

Quest'ultima affermazione fu lo shock più grande per Severus. Lui sapeva chi aveva aperto la camera dei segreti cinquant'anni prima, sapeva chi aveva ucciso Mirtilla, sapeva che tipo di essere era il mostro di serpeverde, ma, purtroppo, non aveva il potere di fermarlo, poiché lui era un rettilofono.

“E' in quel libro, secondo lei, c'è la descrizione di un mostro che potrebbe collimare con le circostanze da lei narrate?”.

“Sì, professore. Potrebbe... io penso che nella camera dei segreti sia stato rinchiuso un basilisco”. Il silenzio carico di tensione che accolse quelle parole era così palpabile che l'aria nella stanza sembrava essere divenuta d'un tratto pesante e rarefatta.

“Un basilisco?”, le fece eco l'uomo, come se fosse convinto che la sua affermazione fosse uno scherzo di cattivo gusto. Come poteva una ragazzina di undici anni essere arrivata alla conclusione che nella camera si trovava un basilisco?

 

12 aprile 1993

 

Quella mattina Morgana si era svegliata presto e girovagava per il castello in attesa dell'ora della colazione. A metà di uno dei corridoi del terzo piano scorse due figure che parlottavano davanti ad una finestra.

“I ragni, hai visto che comportamento strano?”, la voce di Harry era inconfondibile. Lo vide additare una fila di ragni che tentavano di uscire dal castello da un buco nel muro.

I ragni fuggono davanti a lui. Immediatamente le venne in mente la frase che aveva letto nel libro che aveva preso in prestito dalla biblioteca. Mentre rifletteva su queste considerazioni i due ragazzi si voltarono verso di lei. Per qualche secondo rimasero a scrutarsi.

“Cosa ci fai fuori dal tuo dormitorio a quest'ora?”, era stato Harry a rompere quel silenzio carico di tensione.

“Potrei farvi la stessa domanda, non credi?”. Il ragazzo per un attimo pensò che non aveva tutti i torti, ma non si fece per nulla intimidire dal tono sarcastico della bambina.

“Non mi hai detto tutta la verità”. Morgana rimase sconvolta dal tono duro con cui le vennero rivolte quelle poche parole. Harry non era mai stato così freddo con lei. Aveva pensato di essergli simpatica.

“Già. Pare tu abbia mentito a tutta la scuola”, questa volta era stato Ron a parlare, ed anche lui sembrava piuttosto alterato, “non capisco come possa esserti amica mia sorella”. Questo era veramente troppo, perché quei due erano così arrabbiati con lei. Non aveva fatto nulla.

“Si può sapere che cosa vi avrei fatto? Cosa vi prende?”, c'era una nota di disperazione nella sua voce.

“Tu parli il serpentese. Lo dicono tutti”.

“Anche tu. E quindi?”. Non si soffermò più di qualche secondo a chiedersi come potessero a scuola sapere che lei era un rettilofono, avendo ormai capito da tempo che in quel castello nulla poteva rimanere segreto.

“Quindi? Io non sono l'erede di serpeverde, ma non posso dire lo stesso di te...”, quelle parole pronunciate dal grifondoro furono come una pugnalata al cuore per Morgana. Lui aveva detto di crederle solo qualche mese prima, di credere che non fosse lei l'erede di serpeverde, ed ora, solo perché era venuto a conoscenza della sua capacità di rettilofono, aveva cambiato idea.

“Già. E poi... tu sei amica di Malfoy, lo sanno tutti”, la ragazzina si voltò verso Ron con gli occhi sbarrati, incredula.

“Ma che dici? Io amica di Malfoy? Ma se lui non fa che prendermi in giro? E poi questo cosa centra?”.

“Prenderti in giro? Forse davanti agli altri. Ma parlate spesso da soli, e chissà cosa vi dite”, Morgana pensò che al più aveva parlato con lui da sola due o al massimo tre volte, quella situazione era assurda, “magari organizzate le aggressioni. Dovevamo capirlo subito, quando Hermione è stata pietrificata che eri tu l'erede. Tu la odiavi, vero Harry?”. Il ragazzino si limitò ad annuire, ma per Morgana fu troppo.

Quando il professor Piton, che aveva sentito le urla da un corridoi poco distante, arrivò davanti ai ragazzi non era possibile neanche distinguere quali arti appartenessero a chi. Il primo pensiero dell'uomo fu che tre studenti della scuola si stavano picchiando alla babbana. Il secondo fu che lui conosceva almeno due di quei tre studenti.


 

***

Visto che oggi è il mio compleanno, vi regalo un nuovo capitolo in anticipo.
Ne approfitto per ringraziare chi legge e commenta!

 

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Capitolo 13
*** Punizione in compagnia. ***


 

Punizione in compagnia.

 

Nessuno di loro aveva mai visto Severus Piton così livido di rabbia. Li aveva separati ed immobilizzati con la magia. E dopo un sermone durato parecchio aveva detto loro che li avrebbe aspettati quella stessa sera per una punizione esemplare.

Se n'erano andati, i due grifondoro da una parte e la corvonero dall'altra. Per tutto il giorno si erano evitati. Morgana aveva passato la maggior parte della giornata in biblioteca, fingendo di studiare. Non riusciva a concentrarsi in alcun modo. Le parole dei due ragazzi le risuonavano crudeli nella mente. Avevano colpito un nervo scoperto. Lei si sentiva in colpa per quanto accaduta ad Hermione e quei due la ritenevano capace di un atto così orribile nei confronti di una studentessa.

Proprio Ron Weasley, il fratello della sua migliore amica, ed Harry Potter, il ragazzo che l'aveva consolata quando tutta la scuola le dava contro. Li odiava in quel momento. Avrebbe voluto non essere stata scoperta, non tanto per non scontare la punizione, ma perché voleva avere la possibilità di continuare a picchiare i due ragazzi. Se non altro si sarebbe sfogata un po'.

“Belmont... devo farti i miei complimenti”, la voce del ragazzo la riscosse dai suoi pensieri e le fece alzare il viso dal libro che continuava a fissare da un'ora.

“Cosa intendi?”.

“Mi è giunta voce che tu le abbia date allo Sfreggiato e a Lenticchia”, il suo ghigno soddisfatto la fece infuriare ancora di più. Era colpa sua quel che era successo. Tutta colpa di quel ragazzino arrogante.

“Sorridi come se fossi stato tu a picchiarli”, lo disse con voce fredda. Forse più fredda di quanto avrebbe voluto. Lui doveva essersi accorto della sua rabbia, perché la guardava dubbioso.

“Cosa ti ho fatto?”.

“Cosa mi hai fatto? Sei serio? Mi prendi in giro, mi umili ogni volta che puoi... ed ora vieni qui a complimentarti con me”, ora stava urlando, con quanto fiato aveva addosso. I pochi ragazzi presenti in biblioteca la stavano fissando allibiti.

“Fuori. Tutti e due. Immediatamente”, la voce di Madama Pince li raggiunse tagliente e la donna li seguì finché non fu certa che erano usciti dal suo regno.

Si incamminarono per il corridoio insieme, ma appena giunti all'angolo, Morgana, intenzionata ad allontanarsi da Malfoy, svoltò verso il proprio dormitorio, sapendo che il ragazzo avrebbe dovuto svoltare dall'altra parte per andare verso il suo. Solo dopo qualche secondo realizzò che lui la stava seguendo.

“Che vuoi, Malfoy?”.

“Nulla”.

“Allora, per Merlino, perché mi stai seguendo?”.

“Non ti seguo. Ti accompagno”, lo disse con calma, come se fosse ovvio.

“Mi accompagni?”, lei si era fermata a fronteggiarlo. Era incredula.

“Sei per caso diventata sorda, Belmont?”.

Lei continuava a guardarlo, incredula. Per l'ennesima volta si trovò a pensare che quel ragazzo proprio non riusciva a capirlo.

“Perché mi stai accompagnando?”.

“Non è saggio girare per i corridoi da soli, di questi tempi. Dovresti saperlo”.

“Ti preoccupi per me?”, la sua intenzione era di schernirlo, sicura che lo avrebbe messo in imbarazzo e che lui se ne sarebbe andato infuriato.

“Sì. Mi assicuro che tu rimanga viva”, il suo tono era mono tono, non lasciava trasparire alcuna emozione, ma il solo sentirgli pronunciare quelle parole fece scorrere un brivido lungo la schiena della ragazzina.

Fu un attimo ed il giovane rampollo dei Malfoy si ritrovò a sorreggere una bambina singhiozzante fra le braccia. Rimase interdetto per qualche secondo, non si aspettava di vederla piangere in quel modo. Ed inoltre non era proprio capace di consolare qualcuno, nessuno aveva mai consolato lui.

Realizzando cosa avrebbe pensato qualcuno vedendoli in quella posizione, trascinò la ragazza in un'aula vicina e deserta e, dopo aver chiuso ed insonorizzato la porta, si sedette sulla prima sedia trovata, fece accoccolare la ragazzina sulle proprie ginocchia e la ascoltò piangere, sforzandosi di avvolgerla con le proprie braccia, ma incapace di fare altro.

Rimasero in quella situazione per un tempo lunghissimo. Non era mai stato bravo coi sentimenti, forse perché nella sua famiglia non era usuale lasciarsi andare ad esternazioni di quel tipo, ma era evidente che lei fosse distrutta.

Solo quando i singhiozzi di Morgana sembrarono diminuire, la scostò un po' dal proprio petto.

“Si può sapere che ti prende? Che ho detto di sbagliato questa volta?”.

“Veramente ti preoccupi per me?”, lo disse con una vocetta così implorante e dolce da lasciarlo sconvolto. Per un attimo il suo sguardo parve addolcirsi, per poi tornare la maschera impassibile che era solito portare. Nella mente del ragazzo una serie di pensieri si susseguirono veloci e, per l'ennesima volta, si trovò a riflettere sull'effetto che lei aveva su di lui. Riusciva a farlo arrabbiare, a farlo preoccupare, a renderlo ansioso e furioso; tutto questo nel medesimo istante.

“E' quello che ho detto”.

“Perché?”.

La sua domanda era legittima, ma la verità era che lui non si era fermato a riflettere su questo.

“Non lo so. Tu sembri così sola...”, ed almeno in parte era la verità. Lei gli sembrava sola. Non che non avesse amici, girava spesso con la Weasley e la Lovegood. Solo che a lui pareva che ci fosse sempre una barriera tra lei ed il resto del mondo ed, a volte, gli sembrava di riuscire a scalarla quella barriera. Forse in questo gli sembrava simile a lui. Entrambi si stavano nascondendo dietro una facciata da duri.

“Lo sembri anche tu...”, quando le sentì pronunciare quelle poche parole non poté evitare di sorridere, uno dei pochi sorrisi sinceri che si formavano talvolta sul suo viso.

“E' vero che sei cresciuta in un orfanotrofio babbano, Belmont?”.

“Pensavo lo sapessi già questo”.

“Sì, ma non te l'ho mai chiesto, mi sono solo fidato delle voci di corridoio. Com'è stato crescere così?”.

Gli occhi di Morgana, così vicini ai suoi, lo scrutarono attentamente, prima che la ragazzina cominciasse a raccontare, “non è stato male come potresti pensare. Le suore che mi hanno cresciuta sono state molto amorevoli. Ed io sono sempre stata libera di fare ciò che volevo, non mi hanno mai controllata molto”.

“Non hai mai visto i tuoi genitori? Non sai nulla di loro?”.

Non ne aveva mai parlato con nessuno di quelle cose Morgana, non aveva mai mostrato a nessuno la collanina che sua madre le aveva fatto avere, né la lettera.

“Se io ti racconto quel che so dei miei genitori, tu risponderai ad una mia domanda?”, sul suo viso un sorriso furbo si disegno dolcemente, mentre gli poneva questa domanda.

“Sei proprio una serpe mancata, Belmont. Non fai mai niente per niente, vero?”, la sua era una domanda retorica, ma sorrideva nel dirlo.

“Niente affatto. Io sono una corva... intelligente e saggia”, lo disse sbruffando, fintamente indignata.

“Va bene. Chiedi...”.

“Io... beh... tempo fa ho visto una cosa, una cosa che non mi so spiegare”, lui la osservava attento ora, aveva notato il suo tono strano, quasi imbarazzato, e lei gli fu grata che non la interrompesse, “un tatuaggio, per la precisione”.

“Che tipo di tatuaggio?”.

“Sembrava uno scheletro, dalla cui bocca usciva un serpente”, non si era aspettata la reazione del ragazzo. Era impallidito ancor più del solito e la guardava con occhi sbarrati.

“Dove l'hai visto?”, le chiese dopo qualche secondo di assoluto silenzio.

Morgana si chiese se fosse il caso di rivelare l'identità della persona che aveva quel tatuaggio, ma per qualche motivo, forse per la reazione di Draco, decise che era meglio non dirlo.

“Non è importante. Dimmi solo cosa significa, non ho trovato spiegazioni in nessun libro”.

“E' il marchio nero. Il simbolo di colui-che-non-deve-essere-nominato. Tutti i suoi seguaci lo hanno tatuato sul braccio”. Ora fu il turno della bambina di sbiancare. Ovviamente aveva letto molte cose su Voldemort e sui suoi seguaci, detti mangiamorte.

Rimasero in silenzio per diversi minuti, dopo Draco le chiese di onorare la propria promessa.

“Non so molto dei miei genitori e non li ho mai conosciuti. Ma mia madre mi ha lasciato una lettera, in cui mi spiegava che lei e mio padre erano maghi. Penso che siano morti, ma non so come e nella lettera lei non spiegava altro”, era indecisa se continuare o meno, ma in qualche modo parlare di sua madre con qualcuno la faceva sentire meno sola, “inoltre lei mi ha donato questa collana”, mentre parlava tolse la catenina da sotto i vestiti, la slacciò e la porse al ragazzo.

Lui la osservò a lungo, assorto. “E' un Uroboro”.

“Un cosa?”, chiese lei perplessa.

“Un Uroboro. È un simbolo antico. Rappresenta l'unità e la perfezione, ma anche l'immortalità e il potere. Strano come regalo. Un serpente e per di più con gli occhi formati da due smeraldi”.

“A me piace... molto”.

“Dai piccola serpe mancata, andiamo che ti accompagno nel tuo dormitorio”, detto ciò la costrinse ad alzarsi ed a dirigersi verso la porta.

“Temo sia meglio che mi diriga nell'ufficio di Piton”, allo sguardo dubbioso del ragazzo rispose, “sono in punizione per aver picchiato il tuo amico”. Lui rispose con una risata cristallina che fece ridere anche la ragazzina ed insieme si diressero verso i sotterranei.

Arrivati dinanzi all'ufficio del professore vi trovarono i due grifondoro ad attenderli, i quali gettarono loro un occhiata piena d'odio, ma non fecero in tempo a commentare, preceduti dall'arrivo di Piton. L'uomo gettò un'occhiata piena di domande al proprio studente, “non ricordavo di averla convocata nel mio ufficio, signor Malfoy”.

“No, professore. Mi sono solo premurato di accompagnare la signorina Belmont, per assicurarmi che arrivasse sana e salva, ma ora torno nei miei dormitori. Buona sera”.

“Bene. Ora che siamo rimasti soli, seguitemi. La vostra punizione consisterà nel pulire tutta l'aula di pozioni, catalogare gli ingredienti e preparare quelli necessari per le mie lezioni di domani. Il tutto, ovviamente, senza l'uso della magia”.

Lui si sedette alla scrivania, mentre i tre ragazzi cominciavano a lavorare. Non aveva compreso cosa fosse accaduto tra quei tre, ma notò immediatamente che i due ragazzi si misero a lavorare da un lato della stanza e la ragazzina dall'altro. Parevano proprio intenzionati a lasciare la maggior distanza possibile fra loro. Mentre li osservava, progettava come fare a procurarsi gli ingredienti necessari per la pozione che stava preparando ormai da qualche giorno. Probabilmente sarebbe stato sufficiente un semplice incantesimo d'appello, così da ottenere qualche capello di Potter e di Morgana. E quale momento migliore di quello per procurarseli. Erano entrambi nella sua aula intenti a lavorare. Non se ne sarebbero neanche accorti, se utilizzava un po' di cautela.

La pozione “genus inveniet”, infondo era piuttosto semplice da fare e funzionava bene. Domani sarebbe stata pronta e l'unico ingrediente che gli mancava era appunto il dna dei due soggetti da comparare.

Senza farsi vedere, pertanto, riuscì ad appellare dei capelli di entrambi ed a conservarli con minuziosa precisione in piccole bustine di plastica etichettate.

Per il resto della serata non degnò nessuno degli studenti lì presenti di uno sguardo, anche se non pote non notare che per tutta la durata della punizione stettero a debita distanza gli uni dall'altra. Solo in tarda serata li lasciò liberi di tornare nei propri dormitori.

“Signorina Belmont, può rimanere ancora qualche minuto?”, bloccò la ragazza prima di uscire, notando che gli altri due si voltarono giusto il tempo necessario per guardar male la loro compagna.

“Posso sapere cos'è accaduto fra lei ed i suoi compagni?”.

“Nulla, professore. Sono solo così stupidi da essere convinti che io sia l'erede di Salazar Serpeverde, perché parlo il serpentese. Ed a quanto pare oramai tutta la scuola lo sa”, lo disse con amarezza nella voce.

“Invece fra lei ed il signor Malfoy?”, Draco si comportava in modo strano con quella ragazzina. Sapeva che spesso e soprattutto davanti ad altri compagni la maltrattava e la prendeva in giro, aveva assistito lui stesso. Ma più di una volta aveva notato un comportamento quasi premuroso del ragazzino nei confronti della piccola corvonero. Decisamente molto poco usuale per il suo giovane protetto.

“Nulla, professore”, con quelle ultime parole, la ragazzina si diresse verso la porta, uscendo e lasciando Severus immerso nei propri pensieri.

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Capitolo 14
*** Dentro la camera. ***


 

Dentro la camera.

 

25 maggio 1993

 

Morgana si disse che avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava quando quella mattina, a colazione, Ginevra non aveva pronunciato neanche una parola. Era rimasta in silenzio per così tanto tempo che era evidente non stesse bene, ma in nessun modo lei e Luna erano riuscite a farla parlare.

Quando la professoressa McGranitt aveva invitato tutti gli studenti ad andare nei propri dormitori aveva avuto la certezza che fosse successo qualcosa di grave. Così si era diretta verso il bagno di Mirtilla Malcontenta. Doveva scoprire se era successo qualcosa alla sua amica grifondoro. Sapeva, ormai da diverso tempo che l'entrata della Camera dei Segreti si trovava lì ed aveva avuto modo di osservarne l'apertura a lungo durante le sue chiacchierate con il fantasma, anche se non aveva mai tentato di entrare, non avendone la necessità.

“Buon pomeriggio Mirtilla, come stai?”. Aveva parlato diverse volta col fantasma in quei mesi. Non che la trovasse simpatica, al contrario era particolarmente fastidiosa e petulante, ma almeno era così sciocca da darle un sacco di informazioni, senza neanche rendersene conto.

“E' da tanto che non vieni a trovarmi. Mi annoiavo”.

“Mi dispiace, ma sono stata molto occupata con la scuola. A proposito, nessun altro viene a trovarti?”.

“Beh, in realtà sono venute altre persone in questi mesi. Sai, per esempio, Harry Potter. È un ragazzo così carino e simpatico”, solo a sentire quel nome una smorfia di disgusto e rabbia si era dipinta sul volto della fanciulla. Non aveva ancora perdonato al ragazzo la litigata di qualche mese prima.

“Nessun altro?”.

“Questo bagno non piace molto. Comunque una ragazzina piuttosto antipatica è venuta qualche volta. Mi ha sempre cacciato dal mio bagno con cattiveria, sai?”.

“Ma che scortesia! E com'era questa ragazza?”.

“Niente di speciale, magrolina, coi capelli rossi e tante lentiggini”, subito Morgana realizzò che stava parlando di Ginevra. E, pertanto, se, come lei aveva capito ormai da tempo, l'ingresso alla Camera dei Segreti si trovava in quel bagno, doveva essere stata Ginny ad aprirla. Questo spiegava come mai era sempre più magra e stanca. Anche se la sua amica non sembrava proprio il tipo da voler epurare la scuola dai sanguesporco.

“Grazie Mirtilla, sei stata molto gentile”.

Senza fermarsi a riflettere ulteriormente si avvicinò al rubinetto che aveva studiato a lungo mesi prima e pronunciò le parole che le permisero di entrare nella Camera dei Segreti. Si ritrovò in una vecchia tubatura, piuttosto grossa, ma comunque sudicia ed umida. Il percorso che dovette seguire per arrivare vicino alla stanza principale era piuttosto lungo. Numerosi cunicoli secondari erano collegati a quello che stava seguendo. Trovò sul suo percorso persino una pelle di serpente, che per qualche strano motivo non le diede affatto fastidio, né la disgustò in alcun modo.

In fondo vi era una seconda porta, molto antica e piuttosto elegante. Proprio mentre si trovava lì davanti sentì un forte boato provenire dal cunicolo che aveva percorso, come se una parete di pietra fosse crollata. Si fermò ad ascoltare e le parve di sentire delle urla. Decise di nascondersi in una rientranza del muro, in attesa. Era evidente che vi era qualcun altro nelle tubature. Forse un professore ed in tal caso era meglio non farsi trovare là.

Rimase in attesa per pochi minuti, poi vide Harry Potter arrivare. Lo vide avvicinarsi all'ingresso della sala, lo sentì chiedere alla porta, in serpentese, di aprirsi. Lo vide entrare e, poco dopo, lo segui, in silenzio, come un'ombra. Era sempre stata brava a nascondersi. Aveva un talento naturale in quel genere di cose.

Quel che accadde dopo, lo osservò da dietro una delle alte colonne che sorreggevano l'enorme sala della Camera dei Segreti. Ginny stesa ai piedi di Salazar Serpeverde, pallida come una morta, il ragazzo-fantasma-ricordo che affermava di essere Lord Voldermort e che spiegava ad Harry come era stata aperta la Camera, ed il ruolo della rossa, il basilisco che veniva chiamato dal suo padrone e che cominciava a dar la caccia a Potter.

Rimase dietro quella colonna, in attesa, osservando tutto ciò che le accadeva intorno, affascinata. La stanza era stupenda, non poteva negare che Salazar Serpeverde avesse buon gusto. Era attratta anche dal basilisco, quel serpente nato da un uovo covato da una gallina, con dei poteri straordinari. Rimase là dietro ad osservare la scena persino quando arrivò la fenice, quando vide Harry Potter estrarre la spada di Godric Grifondoro dal cappello parlante, quando vide la fenice accecare il basilisco. Rimase là dietro, ad osservare.

Vide il basilisco imbizzarrito, cercare di fiutare o sentire il ragazzino. Nuovamente si chiese se dovesse intervenire per aiutarlo, ma non era certa di poter essere veramente utile.

“Fermo! Lascialo stare”, uscì, proprio mentre il basilisco attaccava nuovamente Harry. Come in un sogno la vita nella Camera dei Segreti sembrò fermarsi per qualche secondo e poi riprendere al rallentatore. Il basilisco si voltò verso la voce che gli aveva ordinato di fermarsi, titubante ed indeciso su come comportarsi. Sembrava quasi intenzionato ad ascoltarla ed a ritirarsi. Vide lo sguardo di Tom Riddle su di lei, confuso.

Harry, seppur distratto dalla voce della compagna, si riprese a sufficienza per attaccare il mostro e trafiggerlo con la lama della spada. Morgana vide quel serpente millenario accasciarsi al suolo, inequivocabilmente morto e ne rimase sinceramente turbata. Per qualche secondo nessuno si mosse e nessuno parlò.

“Lo hai ucciso!”, l'urlo d'accusa verso il ragazzo le uscì dalla gola senza che potesse fermarlo, disperato ed angosciato, “hai ucciso una creatura millenaria e rarissima. Come hai potuto farlo?”.

“Ci avrebbe uccisi tutti!”. Le rispose lui, evidentemente, furioso.

“Non è vero. Avrebbe ucciso solo i sanguesporco. E comunque in tutti questi anni ha ucciso solo una ragazza”.

“Solo? Ti sembra poco?”. Harry era sbigottito. Continuava a guardarla, come se si trovasse di fronte ad un fantasma od un cavallo imbizzarrito; un misto di stupore, terrore ed odio sul suo viso.

Il loro litigio venne interrotto da una voce gelida, tagliente, “lui ti ha obbedito, si è fermato. Si sarebbe ritirato. Com'è possibile?”, il giovane Tom Riddle, stava fissando Morgana soppesandola, “tu chi sei?”.

Per nulla intimorita la bambina si voltò a guardarlo disgustata, “potrei farti la stessa domanda. O forse sarebbe più giusto chiederti cosa sei!”.

“E' un ricordo. Il ricordo di Voldemort. E sta cercando di uccidere Ginny per tornare in vita”.

“Un ricordo....”, la voce di Morgana si perse in un lieve sussurro. Forse spinto dal fatto di aver riassunto alla compagna quel che aveva scoperto, intanto, Harry andò a recuperare il diario di Riddle e consapevole che solo distruggendolo avrebbe potuto salvare la sorella del suo migliore amico, lo trafisse con una zanna di basilisco. Nessuno degli altri due si accorse della cosa, se non troppo tardi. Morgana e Tom Riddle erano troppo intenti a studiarsi l'un l'altro per rendersi conto delle azioni del terzo. L'urlo disumano che scaturì dal diario li riscosse entrambi e li fece voltare verso Harry, ma ormai era troppo tardi, quel misero ricordo sparì molto più velocemente di com'era comparso, lasciando la bambina piena di interrogativi senza risposta.

“Lo hai ucciso!”, per la seconda volta la ragazzina si ritrovò ad urlare quella frase accusatoria.

“Volevi che lo lasciassi risorgere?”.

“Il sarcasmo non ti si addice affatto, Potter. Te l'ha mai detto nessuno?”.

“Sei una sciocca ragazzina odiosa, Belmont. E con dei gusti veramente discutibili!”.

“Senti chi parla. Mr. non ho rispetto per le creature antiche”.

“Ma tu che cosa ci fai in corvonero? Non sei affatto intelligente. Al contrario mi sembra saresti stata fantastica come regina delle serpi. Velenosa, acida, scontrosa, arrogante...”.

“Ti prego, continua. Mi lusinghi”.

“Ehi, voi due! Avete finito di litigare come due fidanzatini?”. La voce di Ginevra riscosse i due ragazzini dal loro bisticcio, poco prima che le loro urla facessero crollare l'intera Camera dei Segreti, o peggio, riportassero in vita il basilisco. Entrambi si voltarono verso l'amica e le corsero incontro, nonostante tutto, felici di vederla cosciente ed in salute.

Aiutati dalla fenice i tre raggiunsero Ron ed il professor Allock, rimasti a metà del cunicolo, e ritornarono nel bagno di Mirtilla Malcontenta. All'unanimità decisero di dirigersi verso l'infermeria, ma appena varcata la porta del bagno incontrarono i professori Piton, Vitius e McGranitt, che accortisi della loro assenza li stavano cercando per tutta la scuola.

Non appena li ebbero raggiunti gli insegnanti li scortarono nell'ufficio del preside, dove trovarono i genitori di Ginevra.

Albus Silente chiese loro di raccontare l'accaduto, ed Harry e Ron cercarono di narrare i fatti degli ultimi mesi e, soprattutto di quella sera. Per tutta la durata del racconto Morgana sentì gli occhi del professor Piton su di sé.

Quando Harry arrivò a raccontare quel che era accaduto dopo la separazione forzata da Ron, venne interrotto dalla voce del professore di pozioni, “cosa significa, Potter, che il basilisco ha obbedito alla signorina Belmont?”.

“Quello che ho detto, professore. Morgana gli ha urlato di fermarsi poco prima che lui mi azzannasse e quel mostro si è bloccato”.

“Smettila di chiamarlo mostro!”.

“E come dovrei chiamarlo, di grazia?”.

“E' un animale mitologico e molto raro ed antico”.

“Sì, questo me lo hai già detto quando mi hai accusato nella camera... grazie di aver chiarito il concetto anche qui”.

“Ora basta”, l'urlo di Ginny interruppe nuovamente i due litiganti, “siete fastidiosi, petulanti e sciocchi. Ma cosa vi prende?”.

“Il mostro si è fermato?”, intervenne nuovamente il professore di pozioni.

“Sì, professore. Perché le sembra strano? Infondo era un serpente ed io gli ho parlato in serpentese”.

“Anche io parlo il serpentese, ma non per questo il basilisco mi avrebbe ascoltato. Anche Riddle era sorpreso...”, terminò pensieroso il ragazzo.

“Sembra tutto piuttosto strano, in effetti...”, a parlare questa volta era stata la madre di Ginevra.

“Hai detto che Riddle era sorpreso, Harry?”, intervenne per la prima volta il preside.

“Sì, professor Silente. Era molto sorpreso. Si è girato verso di lei, chiedendole chi fosse... sembrava che per lui fosse impossibile che il mostro obbedisse ad altri”.

“Non mi sembra così strano... era solo un serpente”, intervenne titubante Morgana. Non le piaceva la piega che stava prendendo la conversazione. La metteva a disagio e la faceva sentire diversa, persino da colui col quale, infondo, condivideva un'abilità magica particolare.

“Immagino che Riddle non si aspettasse che qualcun altro potesse in qualche modo controllare il mostro di serpeverde, poiché la leggenda dice che solo l'erede può farlo”. Il discorso del preside sembrava piuttosto ragionevole.

“Beh... magari è davvero così. Insomma... Morgana potrebbe essere l'erede di serpeverde. Parla il serpentese, ed odia i nati babbani”.

“Io non odio i nati babbani. Non è vero. Come puoi pensare questo, Harry?”. Era di nuovo sull'orlo delle lacrime ed odiava quella situazione. Lei non piangeva mai, perché lui riusciva a farla sentire così piccola ed indifesa?

“Tu non sopporti Hermione!”, Ron si aggiunse all'amico, nell'accusa contro la bambina.

“Non è per il suo sangue!”, rispose stizzita la corvonero.

“Certo... non è per il suo sangue. È per questo che nella camera hai precisato che il basilisco non era pericoloso per altri che per... come hai detto? ah... giusto: i sanguesporco”.

“E' la verità!”.

“La verità è che tu sei come Malfoy. Non mi sorprenderebbe se si scoprisse che siete fratello e sorella. Mi disgustate entrambi”, a quelle parole, Severus ebbe un sussulto e si frappose tra i due, cercando, forse invano e troppo tardi, di calmare gli animi.


 

***

Ringrazio tutti coloro che leggono la mia storia, e soprattutto coloro che la recensiscono, facendomi comprendere quanto viene apprezzata.
Spero che questo capitolo piaccia a voi, quanto a me... e sono curiosa di avere il vostro parere in merito!

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Capitolo 15
*** Un segreto svelato. ***


Un segreto svelato.

 

“Credo che le cose stiano decisamente degenerando. Ora voi andate tutti in infermeria. Vi farete medicare e riposerete lì questa notte, in modo tale che nessuno vi disturbi”, a seguito delle parole di Piton, la signora Weasley, annuendo, spinse tutti i ragazzi fuori dall'ufficio del preside, assicurandolo che si sarebbe presa cura di loro.

Rimasti da soli, Severus Piton si voltò a fissare Abus Silente e Minerva McGranitt. Raccolse tutto il suo coraggio e la sua determinazione, prima di aprir bocca, “dobbiamo parlare”.

Gli occhi degli altri due lo raggiunsero immediatamente e si posarono su di lui, curiosi, con due espressioni tanto simili, quanto distinte.

“Di cosa dobbiamo discutere, Severus? Sembri preoccupato. E devo ammettere che lo sembri già da qualche settimana”.

Non sapeva da dove cominciare, come spiegare tutto quel che aveva scoperto, ma cercò di narrare ai due quel che aveva intuito durante le vacanze primaverili.

“Stai dicendo che la bambina potrebbe avere dei genitori vivi?”, chiese Minerva, “hai scoperto qualcosa di loro? Li hai contattati?”.

“No, Minerva. I suoi genitori sono morti”, almeno questo punto poteva chiarirlo facilmente.

“Ne sei certo, ragazzo mio?”, questa volta era intervenuto Albus.

“Sì, ne sono certo, perché so chi sono i suoi genitori”, ora per lui arrivava la parte difficile, “dal racconto della suora, un dubbio ha cominciato a farsi strada nella mia mente, perciò l'ho verificato”.

“Quale dubbio?”, Silente lo fissava, forse aveva intuito qualcosa, ma stava tacitamente chiedendo conferma a lui.

“Morgana ed Harry Potter sono parenti. Fratelli, per la precisione”. La sua affermazione fu seguita da diversi minuti di agghiacciato silenzio. Né Minerva, né Albus sembravano capaci di articolare alcun suono. Alla fine, comprendendo che non avrebbero parlato, decise di continuare, “ho preparato una pozione, piuttosto semplice, la genus invenient, e qualche settimana fa ho avuto la conferma di ciò che ho detto”.

“Ne sei certo?”, Albus sembrava ancora poco convinto, “la pozione che hai citato non è certo fra le più sicure”.

“E' vero, può sbagliare, ma io sono un abile pozionista. La mia mistura era perfetta ed i capelli che avevo ottenuto erano più che adeguati alla situazione. Quando li ho inseriti nella pozione, la stessa è divenuta quasi immediatamente di un acceso color turchese, che è proprio quello che conferma la parentela”.
“Io non sono un'abile pozionista, ma se non ricordo male quella pozione non può indicare il grado di parentela”, Minerva era sempre stata un'abile strega, non lo si poteva negare.

“Hai perfettamente ragione, la mistura indica solo se fra due persone vi è una parentela entro il quarto grado. Ho deciso di utilizzarla, perché semplice da preparare e perché a me serviva solo dimostrare una legame fra i ragazzi, per avvalorare dei dubbi già piuttosto fondati...”.

“Non hai tutti i torti, insomma, una ragazza sui vent'anni, con quei caratteri fisici e con un bambino di un anno più grande di Morgana. Se i due risultano parenti, non vi è dubbio che si trattasse di Lily e, di conseguenza, che loro siano fratelli”. Il breve riassunto di Albus non faceva una piega.

“Quindi Harry Potter è il fratello maggiore di Morgana Belmont”, intervenne Minerva, “dovremmo avvisare i ragazzi?”.

“Non oggi, Minerva. Hanno già subito molte emozioni. Dovremmo trovare il modo giusto per dirglielo”, Albus non aveva tutti i torti.

“Albus... cosa ci faceva la piccola Belmont nella Camera dei Segreti?”, la frase di Minerva sembrò cogliere di sorpresa il professor Piton. Lui non si era posto quella domanda, perché sapeva che la bambina aveva effettuato delle ricerche piuttosto approfondite ed anche che era a conoscenza del contenuto della camera.

“Non so, Minerva. Probabilmente ha solo visto Harry e Ron entrare ed ha voluto seguirli”, la risposta del preside non sembrò affatto convincere la donna, che pareva intenzionata a ribattere, ma venne interrotta dalle parole del pozionista, “ha veramente importanza, Minerva?”.

“Sì, Severus. Per me ha importanza. Quella ragazzina sarà anche sorella di Potter, come tu ci hai detto e di sicuro non dubito delle tue capacità. Ciò non toglie che sia un soggetto... a dir poco, stravagante. Non vi pare che ci siano molte cose strane in lei?”.

In qualche modo le parole della donna riuscirono solo ad infastidirlo ancor di più. “Cosa ci sarebbe di così strano e poco rassicurante in lei?”, la sua domanda suonava come veleno allo stato liquido e sembrò quasi spaventare la donna, che dovette trattenersi per non fare un passo indietro.

“Severus, la piccola parla il serpentese...”.

“Anche Potter, Minerva!”, si rese conto di star trattenendo la rabbia, ma non riuscì in nessun modo a calmarsi.

“Lui lo parla, perché Voldemort lo parlava. Ne abbiamo discusso e lo sai bene anche tu. Lei, invece, non ha nessun legame con tu-sai-chi. Almeno nessun legame a noi noto. Non ti sembra strano che sia riuscita ad entrare nella stanza da sola? Morgana è una rettilofona naturale, odia i nati babbani e li chiama sanguesporco, senza contare che è molto dotata per la sua età. È decisamente sopra la media. C'è qualcosa di strano in lei. Dovremmo tenerla sotto controllo”, la donna sembrava a disagio, ma non si lasciò intimidire e continuò, “non penso dovremmo dirle la verità. Né a lei, né a Harry. È meglio se, almeno per il momento, teniamo i ragazzi lontani l'uno dall'altra”, la frase della donna fece sussultare il professore di pozioni. Era evidente che neanche lei si fidava della bambina.

“E' soltanto una bambina, Minerva. Albus, non sarai d'accordo con lei?”, non riusciva a non pensare a come avrebbe reagito la piccola quando, saputa la verità, sarebbe venuta a conoscenza del fatto che le era stata nascosta a lungo, magari per anni.

“La signorina Belmont è sicuramente una fanciulla particolare, forse Minerva ha ragione, Severus. Non sono certo che sia una buona idea dire ai due cos'hai scoperto”.

Piton era scioccato. Certo, lui era convinto che la verità andasse detta loro con tatto, ma nascondere ancora qualcosa di così importante era, per lui, fuori discussione. “Anche tu sei diffidente nei confronti della bambina? È soltanto un'orfana con poteri e capacità sopra la media. Non è pericolosa”, la sua voce non riusciva a nascondere una nota di disgusto avverso parole degli altri due.

“Anche Tom Riddle era soltanto un orfano con capacità sopra la media”, la frase del preside era come un pugno nello stomaco per l'uomo che aveva di fronte. Aveva paragonato una bambina dotata al mago oscuro più potente degli ultimi anni.

“E' soltanto una bambina, Albus!”, sembrava quasi una richiesta di rassicurazioni.

“Lo so. Per questo ti chiedo di continuare a tenerla sotto controllo. Quando sarà il momento diremo loro la verità”.

“E fino ad allora?”.

“Continueranno a vivere le loro vite, come hanno fatto fino ad oggi”.

 

21 giugno 1993

 

Erano trascorse ormai quattro settimane dal giorno in cui i ragazzi si erano scontrati con il basilisco ed il mistero della camera dei segreti era stato svelato, ma tra i giovani grifondoro e la piccola corvonero l'aria era ancor più tesa di prima. Tutta la scuola, ormai, era a conoscenza di ciò che era avvenuto quella notte e, mentre i grifondoro venivano considerati da tutti degli eroi, la bambina veniva osservata con sospetto ed evitata nei corridoi. La discussione avvenuta fra il giovane Potter e la piccola Belmont era ormai nota a tutti, com'era nota la circostanza che la bimba aveva difeso il basilisco nella camera.

Severus, Albus e Minerva si erano ritrovati a discutere diverse volte della questione della parentela tra Harry Potter e Morgana Belmont e, per quanto l'uomo cercasse ogni volta di convincere gli altri due a rivelare la verità almeno ai ragazzi, sostenendo che così la tensione si sarebbe calmata un po', gli altri continuavano ad essere contrari. Albus, in particolare, riteneva che parlare con i due ragazzini in un momento in cui gli stessi neanche si rivolgevano la parola non potesse che incrinare quel rapporto già di per sé fragile che si era creato quell'anno tra i due.

Alla fine, pertanto, il professore di pozioni si arrese e concordò di aspettare almeno la fine delle vacanze estive prima di affrontare nuovamente l'argomento, con la speranza che quel periodo di tempo, trascorso l'uno lontano dall'altra, potesse in qualche modo scalfire l'odio che sembrava ormai essersi consolidato fra i bambini.

L'ultimo giorno di scuola, come sempre, i preparativi per la partenza fervevano e quasi tutti gli studenti erano impazienti di ritornare a casa, dalle loro famiglie.

Mentre l'eccitazione per il ritorno era palpabile nell'aria, una bambina era seduta sotto il medesimo albero presso il quale si era rifugiata qualche mese prima, nel tentativo di isolarsi dal resto della scuola.

“Non sembri affatto felice”, la voce strascicata che aveva pronunciato quell'affermazione le era nota, pertanto Morgana non alzò neanche la testa per vedere chi fosse stato a parlare.

“Vattene”, lo disse con odio e disgusto mal celato. Lo aveva evitato per tutto l'ultimo mese, poiché ogni volta che lo intravedeva nei corridoio sentiva ancora la voce di Harry che le urlava contro “sei come Malfoy”. Sognava quella voce crudele ogni notte ormai. Non riusciva a capire come mai la sua affermazione l'avesse turbata tanto, eppure era così e non voleva vedere il viso appuntito ed i capelli biondi del ragazzo al quale era stata così brutalmente associata.

“Credi che non mi sia accorto che mi eviti?”, lo disse sedendosi accanto a lei. La ragazza percepì il peso ed il calore del biondo accanto a sé e, per la prima volta da un mese, si lasciò prendere dai singhiozzi. Non sapeva come mai, ma era certa che con lui poteva permettersi di piangere, perché non l'avrebbe derisa, né insultata. Non quando erano da soli.

“E' vero, quel che si dice in giro?”, lo apprezzava, perché non dava mai per scontato che le voci di corridoio fossero vere. Andava sempre da lei a chiedere conferma, al contrario di tutti gli altri.

“A cosa ti riferisci?”.

“Hai litigato con Potter e Weasley? È vero che la Weasley femmina non ti rivolge più la parola?”.

“Non è colpa di Ginny. È suo fratello che le impedisce di parlarmi”.

“Quindi è vero”, questa volta la sua era un'affermazione, non una domanda, perciò lei rimase zitta. In qualche modo saperlo seduto accanto a sé la rassicurava e la faceva sentire meno sola. Spero che rimanesse lì, almeno per un po', almeno sino a quando non sarebbero partiti con l'espresso.

“Tornerai in quell'orfanotrofio babbano?”.

“Dove altro dovrei andare?”, gli rispose guardandolo per la prima volta negli occhi. Lui notò subito le occhiaie scure sotto i suoi di occhi ed il rosso del pianto.

“Non saprei. Stai dormendo, Belmont?”.

“Non molto. Faccio sempre sogni orribili”.

“Alzati. Passeggiamo un po'”, sembrava un ordine, ma la bambina si alzò comunque per camminare con lui. Passarono diversi minuti e l'aria fra i capelli la fece sentire più viva, più tranquilla. Le serviva camminare e sfogarsi e lui lo sapeva.

“Sei mio amico?”, non seppe neanche come mai quelle parole le erano uscite dalla bocca, ma non appena le ebbe pronunciate, il suo viso si colorò di un tenue rosa, che risaltava molto sulla sua pelle pallida.

Lui la stava guardando, con gli occhi sbarrati. Colto di sorpresa da una domanda che non si sarebbe mai aspettato. La sentiva ancora rimbombare nella propria testa.

Si avvicinò alla bambina e le prese, fra le sue, la manina. Era così piccola, e così bianca che quasi sembrava quella di un fantasma. Le mise sul palmo un piccolo pezzetto di pergamena arrotolato e le richiuse le dita intorno al foglio.

“Se hai bisogno di me”, con quelle criptiche parole si avvicinò a baciarle la fronte, poi si volto e si allontano col suo solito passo lento e cadenzato, innaturalmente elegante.

La bimba rimase ad osservarlo ancora a lungo. Immobile. E solo quando ormai lui era un puntino vicino al castello decise di aprire quel fogliettino per leggervi poche parole, scritte con una calligrafia elegante e regale.

 

Draco Malfoy, Malfoy Manor, Wiltshire.



***

Prima di tutto un ringraziamento speciale a chi ha recensito l'ultimo capitolo (Justice Solaris, Nhirn 9001, gli, _gaiuccia_), ma un grazie va anche a coloro che leggono in silenzio (mi piacerebbe sapere cosa pensano) e che hanno messo la storia fra le preferite, le seguite o le ricordate.
Spero che questo capitolo non vi deluda troppo!

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Capitolo 16
*** Solitudine. ***


 

Solitudine.

 

14 luglio 1993

 

In una camera del monastero di Belmont, una bambina si era svegliata ancor prima che il sole sorgesse. Forse non si era neanche addormentata quella notte. Erano ormai settimane che Morgana era tornata dalla scuola di magia, che l'aveva accolta per tutto l'anno scolastico e la vita nell'orfanotrofio non le era mai apparsa così monotona e noiosa. Non riusciva a rimanere con gli altri bambini per più di qualche minuto, insofferente alle loro chiacchiere infantili.

L'anno appena trascorso l'aveva cambiata. Persino le suore si erano accorte che vi era qualcosa di diverso in lei. La bimba si sentiva più grande, più matura, ma anche più cattiva e dispettosa. Non riusciva a sopportare l'idea di dover rimanere là ancora a lungo. Non pensava che l'avrebbe mai detto, ma odiava quel luogo. Eppure, prima non le era pesato così tanto stare lì.

Si rendeva conto che vivere in un luogo in cui tutti erano simili a lei, l'aveva, forse per la prima volta nella sua vita, fatta sentire veramente a casa, come se avesse anche lei una famiglia. Certo, una famiglia molto numerosa ed in cui non tutti si sopportavano l'un l'altro, ma pur sempre una famiglia.

Si alzò, anche quella mattina, come le precedenti, non appena i primi raggi deboli del sole raggiunsero il suo letto, e, dopo essersi vestita con una semplice tunica di lino verde (in dotazione agli orfani) ed aver preso un paio di libri di scuola ed il necessario per fare i compiti, si diresse verso il boschetto adiacente al monastero. Ormai passava là le sue giornate, studiando e leggendo.

Le sue amiche le mancavano molto, ma non aveva scritto a nessuna di loro e loro non le avevano scritto. Ginevra probabilmente era ancora condizionata dai fratelli, che alla fine dell'anno scolastico, non la vedevano di buon occhio, mentre Luna era sicuramente in qualche strana località con il padre, troppo intenta a cercare nargilli o altre strane creature per ricordarsi di lei. Con questi pensieri in testa, si sedette sotto un albero di mandragora, ormai divenuto il suo preferito in quella radura. In qualche modo la faceva sentire al sicuro, a casa, come se vi fosse una certa affinità fra la sua anima tormentata e quell'alto ed imponente fusto.

Rimase lì per tutta la mattina, svogliando senza interesse i libri di scuola. Era il suo compleanno, e per quanto non vi avesse mai dato particolare peso, aveva sperato che quel giorno qualcuno si ricordasse di lei. Non si alzò neanche per andare a pranzo, consapevole che le suore non le avrebbero permesso di mangiare in un altro momento. I ritmi del monastero erano piuttosto serrati e precisi.

Amareggiata si rese conto che, neanche suor Anna era andata a cercarla per farle gli auguri. Sempre più arrabbiata e isolata, rimase nel suo piccolo angolo di bosco per tutto il giorno, decidendosi ad alzarsi solo a sera inoltrata.

Solo quando si avvicinò al monastero vide una delle suore dirigersi verso di lei.

“Dove sei stata? Ti abbiamo cercato tutto il pomeriggio”, sembrava arrabbiata e la bimba, già intrisa d'odio e di rancore non riuscì ad evitare di risponderle male.

“Che cosa le importa di dove sono stata, suor Carmela?”.

“Sei sotto la nostra tutela. Tutte noi ci preoccupiamo per te. Avevo detto a suor Anna che mandarti in quella scuola non poteva che portare guai. Non dovresti tornarci l'anno prossimo”.

“Io ci tornerò e lei di certo non potrà fermarmi”, ora la ragazzina urlava in preda alla rabbia ed alla disperazione. La sola idea di non tornare ad Hogwarts la faceva sentire ancora più sola. Sentiva le lacrime pungerle gli occhi, senza aspettare la replica della donna, corse nella sua camera e si butto sul letto, in preda ai singhiozzi. Odiava piangere, lo faceva solo quando era arrabbiata, per sfogare la frustrazione ed il dolore.

Solo diverse ore più tardi si alzò dal letto e si diresse verso la sua piccola scrivania, vi aveva lasciato sotto il suo baule ancora pieno di tutto il materiale della scuola. Vi rimise i libri che aveva preso quella mattina e tirò fuori un fogliettino di pergamena ed una piuma. Dopo aver scritto solo poche parole aprì la finestra in attesa di Maggie. La civetta, forse consapevole che la sua padrona aveva bisogno di lei, arrivò solo pochi minuti dopo. Legato il messaggio alla sua zampetta, la seguì, mentre usciva e la guardò allontanarsi. Dopo si distese sul letto e, per la prima volta da quando si trovava di nuovo nel monastero, si lasciò andare ad un sonno ristoratore.

 

15 luglio 1993

 

In una stanza elegante di un maniero in stile ottocentesco, dall'aspetto lussuoso e regale, un ragazzino stava dormendo beatamente tra ricche lenzuola di seta verde bottiglia. I capelli biondi sparsi in modo disordinato sul cuscino, l'espressione serena, che difficilmente qualcuno aveva scorto sul suo viso da sveglio, la postura scomposta di chi sta riposando tranquillo. Tutto in lui quella notte dava l'impressione di trovarsi dinanzi ad una figura eterea, quasi angelica.

Solo qualche ora dopo il sorgere del sole una figurina bassa e goffa entrò nella sua camera da letto e si avvicinò al baldacchino per svegliare il ragazzo.

“Padroncino Draco, sono le 8.30, la colazione è servita”, parlando si diresse verso le finestre, spalancandole ed aprendo le tende, in modo tale che i raggi del sole entrassero nella stanza illuminandola. Solo quando uno di quei raggi, crudelmente, colpì gli occhi del ragazzino, egli si mosse cercando di schermarsi da quell'intrusione inaspettata.

“Ogni mattina è sempre uguale, padron Draco non vuole alzarsi. È tardi”.

“Etta, sono solo le 8.30 ed io sono in vacanza”.

“Etta esegue solo gli ordini della sua padrona. Lei la manda a svegliare il padroncino ed Etta esegue le direttive”, si scusò l'elfa.

“Va bene. Ora mi alzo”, l'affermazione del ragazzo, forse a causa della voce ancora impastata dal sonno, non parve convincere l'elfa.

“Padron Draco deve alzarsi ora. Etta ha preso la sua vestaglia. La colazione è in tavola”, disse porgendogli una bella vestaglia dello stesso tessuto e dello stesso verde delle lenzuola.

“Non te ne andrai, se non scendo con te, vero?”, non parve interessato ad una risposta, poiché era già in piedi ed aveva già indossato l'indumento che gli era stato porto.

Entrando nella sala da pranzo vide sua madre seduta, come ogni mattina, ad un lato del tavolo.

“Mio padre non c'è, madre?”, si rivolse alla donna che, solo in quel momento, alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo, per osservarlo.

“No. Temo sia dovuto uscire presto”, qualcosa nei suoi occhi lo spinse a porle una domanda, che, raramente, aveva rivolto a sua madre.

“E' successo qualcosa?”, non poté evitare di mostrare apprensione. D'altronde era abituato a conoscere Narcissa Malfoy come una donna gelida e che, solo in occasioni particolari, mostrava i propri sentimenti.

“E' tutto a posto, Draco”.

“Madre, non mentitemi. Vi conosco troppo bene. Si vede che qualcosa vi turba”.

Ad un osservatore esterno il rapporto fra Narcissa e suo figlio poteva anche sembrare freddo e distaccato, ma per i pochi che li conoscevano bene, era chiaro che l'apparenza non corrispondeva alla realtà. Fra di loro vi era un affetto sincero e profondo, che avevano imparato a celare dietro maschere di pietra, anche a causa della loro rigida educazione purosangue.

“Forse dovresti leggere quest'articolo, Draco”, la donna porse al ragazzino il giornale che teneva in mano.

 

FUGA DA AZKABAN

Durante la notte il prigioniero, Sirius Black, recluso per aver combattuto al fianco di Colui-che-non-deve-essere-nominato, dopo dodici anni di prigionia, è scappato dalla prigione di massima sicurezza di Azkaban.

Il Ministero ha, immediatamente, inviato alcune delle guardie della prigione alla ricerca dell'uomo. Non è chiaro come egli sia riuscito a scappare, soprattutto considerato che era uno dei prigionieri più sorvegliati; si sospetta che abbia utilizzato la magia oscura. Solo con magia potente e pericolosa, infatti, avrebbe potuto portare a compimento un'impresa mai riuscita prima.

Il Ministro raccomanda la massima attenzione. L'uomo è pericoloso e senza scrupoli.

 

La notizia era breve e corredata da una fotografia dell'uomo. I segni della prigionia, evidenti sul suo viso, gli occhi di un folle, i capelli lunghi ed incolti, non potevano nascondere una bellezza antica, né tanto meno la somiglianza fra le sue iridi e quelle del ragazzino che fissava la pagina del giornale con sguardo attonito.

“Tuo cugino è fuggito da Azkaban”, era un'affermazione, più che una domanda, “pensi che abbia veramente utilizzato la magia oscura per scappare?”.

“No. Non lo penso, Draco”, un breve sospiro scosse il petto della donna, “conoscevo Sirius. Siamo cresciuti insieme... almeno sino a quando non è scappato a sedici anni”.

“Gli volevi bene?”, la domanda del figlio la colse di sorpresa. Rimase ad osservare quel ragazzo a lungo, chiedendosi, per l'ennesima volta, come fosse possibile che vi fosse così tanto dei Malfoy e così tanto dei Black in lui. Erano due famiglie purosangue, nobili ed in alcuni aspetti molto simili, ma in altri così diverse. E lui sembrava il connubio perfetto fra di esse.

“Sì, volevo bene a Sirius, molto. Quando scappò di casa mi infuriai con lui. Lo odiai... ti sembrerà strano, ma non bastò comunque a farmi smettere di amarlo”, distolse lo sguardo da quello del figlio, prima di continuare “lo conoscevo bene. Lui non sarebbe mai divenuto un mangiamorte e non avrebbe mai usato la magia nera. E, soprattutto, non avrebbe mai commesso l'atto per il quale è stato incarcerato”.

Il ragazzino la guardò per un po', indeciso se porre o meno la domanda che gli era sorta spontanea, “se non sbaglio, lui è stato accusato di aver rivelato a tu-sai-chi la residenza dei Potter ed averlo condotto da loro la notte in cui morirono”, ad un cenno affermativo della donna, proseguì “perché pensi che non l'avrebbe mai fatto?”.

“Lui era un grifondoro e tu sei un serpeverde, ma infondo, non siete così diversi. Riveleresti la residenza di Theodore o di Blaise a qualcuno che li cerca per ucciderli?”. Il ragazzino non si aspettava di certo quella domanda, ma non dovette pensarci a lungo prima di rispondere.

“Morirei piuttosto che consegnare ad un pazzo omicida i miei migliori amici”, lo disse con fervore e con un tono così sicuro che nessuno avrebbe mai potuto pensare che stesse mentendo. Sua madre sorrise, prima di continuare a parlare.

“Non avevo alcun dubbio su quale sarebbe stata la tua risposta. Neanche Sirius avrebbe mai consegnato al Signore Oscuro i suoi migliori amici”.

“James Potter era il suo migliore amico? Il padre di Harry Potter?”.

“Ti sembra così strano che lo fosse?”.

“Lui era un Black, madre. Un purosangue appartenente ad una delle famiglie di maghi più nobili. Era il discendente di una delle sacre ventotto”, Narcissa rise del suo sguardo scandalizzato. Draco era ancora un ragazzo, cresciuto con degli ideali molto precisi, non poteva comprendere. Tutta la sua vita era sempre stata costellata di lezioni sulla purezza del sangue e sulla superiorità della sua famiglia.

“I Potter erano una famiglia purosangue, molto antica. Non fanno parte delle sacre ventotto, perché si sospetta che, in passato, si siano mischiati con babbani, ma ciò non significa che siano così diversi da noi”, il figlio la guardava ancora dubbioso, “Draco... cerca di capire. Sirius Black e James Potter erano due ragazzi cresciuti allo stesso modo: purosangue, ricchi, di buona famiglia. Si conoscevano ancor prima di andare a scuola”.

“Sì, penso di aver compreso. Quindi non è stato lui a consegnare i Potter a colui-che-non-deve-essere-nominato?”.

“No. Ma non so chi sia stato, quindi non chiedermelo”.

“Vado a vestirmi, madre. Dopo credo che andrò a cavalcare”, uscendo dalla stanza, Draco, si rese conto di essere certo che sua madre gli avesse mentito. Lei sapeva chi era stato, ma non voleva che lui sapesse. Altrimenti perché avrebbe dovuto schermare i propri pensieri? Non voleva che lui indagasse.

Entrando nella sua camera da letto, si rese immediatamente conto che vi era qualcosa di diverso, ma solo dopo aver fatto vagare lo sguardo per la stanza si rese conto della civetta maculata che lo osservava appollaiata sul suo comodino. Era un bel animale, di razza e piuttosto elegante, ma non ne conosceva il proprietario. Dopo averle fatto una carezza sulla testolina arruffata, prese il messaggio legato alla sua zampa e lo srotolò con calma. Un tuffo al cuore lo colpì non appena lesse le parole scritte con una calligrafia minuta e spigolosa.

 

Ho bisogno di te. Portami via da qui.

 

Non era firmato, ma a lui non serviva un nome, per comprendere chi fosse il mittente del messaggio. La civetta lo osservava curiosa, ed indecisa su come comportarsi.

“Aspettami qui. Va bene? Torno subito”, le parlò dirigendosi verso la porta, senza guardarsi indietro, convinto che lei avrebbe atteso.


 

***

Grazie a tutti per continuare a leggere la mia storia. Grazie a coloro che hanno commentato lo scorso capitolo, adoro leggere le vostre recensioni positive.
Oggi sono a letto malata, quindi ne ho approfittato per pubblicare un nuovo capitolo.
A presto e aspetto i vostri commenti...

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Capitolo 17
*** Una richiesta inaspettata. ***


Una richiesta inaspettata.

 

“Madre...”, quel sussurro fece quasi spaventare la donna, che ancora sedeva nel medesimo punto in cui il ragazzo l'aveva lasciata.

“Draco, pensavo andassi a cavalcare”.

“Sì, era mia intenzione, prima di leggere questa”, le porse il foglietto di pergamena su cui erano scritte, le poche parole che prima lo avevano tanto colpito.

Sua madre, dopo aver guardato a lungo la scritta, lo fissò confusa, “sai chi ti ha scritto queste parole, Draco? Non c'è un nome”. Quell'ultima frase era un'affermazione, perciò non necessitava di una risposta. Vide il viso di suo figlio colorarsi di rosa, mentre distoglieva lo sguardo da lei.

Intanto Draco si stava chiedendo quanto poteva dirle, e, soprattutto, quante possibilità vi erano che lei accogliesse la sua richiesta.

“E' stata una mia compagna di scuola. Si chiama Morgana”.

“Morgana e basta? Non ha un cognome la tua amica?”.

“Non ho detto che è mia amica”, il broncio offeso del figlio la fece sorridere, “comunque sì, il suo cognome è Belmont, ma non penso sia quello vero”.

“Cosa significa che non pensi sia quello vero?”, la donna era sempre più confusa.

“Ecco... lei... è un'orfana. Vive in un monastero babbano, ed è per questo che porta il cognome del paese dove si trova l'orfanotrofio”. Lo disse tutto d'un fiato, tanto velocemente che neanche aveva preso fiato per respirare, quasi sperasse che in quel modo le parole sembrassero diverse da quel che erano in realtà.

La donna spostò nuovamente lo sguardo sul foglio e su quelle parole che sembravano tanto disperate.

“Intendi dire che la bimba è una nata babbana?”, lo disse quasi titubante, e, forse, sperando che la risposta fosse negativa.

“No. Non penso che lo sia”.

“Draco. Questa Morgana, vive in un orfanotrofio sito in un monastero”.

“Si chiama Morgana”, l'affermazione del figlio la fece sorridere. Certo Morgana era un nome tipicamente magico, ma ormai era diffuso anche fra i babbani.

“Non penso che questo sia dirimente”.

“No, non lo è madre, lo so. Ma lei non è una nata babbana. Ha un conto in banca alla Gringott”.

Quell'affermazione convinse la donna più di qualsiasi cosa Draco avrebbe potuto dire.

“Sarà una mezzosangue, immagino”.

“Sì, lo penso anche io madre. Una mezzosangue va bene, no? Non è come una sanguesporco”, la domanda del figlio la lasciò un po' spiazzata. Avrebbe voluto chiedergli per cosa gli stava chiedendo se una mezzosangue andasse bene, ma non era certa di essere pronta a sentire una risposta.

“Io e tuo padre abbiamo fatto in modo che tu fossi circondato dalle migliori compagnie. Questa bambina non è di sicuro parte di coloro che abbiamo scelto per te”.

“E' una mia amica madre!”. Aveva usato la parola amica, e se ne rese conto troppo tardi. Narcissa vide negli occhi del figlio quei pensieri che stava cercando di nascondere a se stesso.

“Cosa vorresti che facessi?”.

“Potremmo portarla via da quell'orfanotrofio. Insomma... potremmo invitarla al Manor per le vacanze estive”, sospirò sconsolato, prima di proseguire “qui c'è molto spazio, madre. E non sarebbe la prima volta che invitiamo qualcuno”.

“Dammi qualche giorno. Solo qualche giorno per organizzare la cosa e per parlarne con tuo padre. Intanto pensi che potrei parlare con qualche insegnante della possibilità di invitarla qui? Dovrebbero essere informati, visto che è un'orfana”.

“Potresti parlarne con Severus. Certo... dovresti dirlo al professor Vitius, in teoria, ma lei ha un buon rapporto con Severus”, si stava impappinando e se ne accorse. Aveva quasi balbettato parlando.

“Vitius?”, la voce di sua madre sembrava tagliente ora, “intendi dire che è una corvonero?”.

“Meglio che una grifondoro, no?”.

 

16 luglio 1993

 

“Narcissa, non ti aspettavo. Prego, entra...”. L'uomo la guardava con una strana espressione. Non era abituato a vederla comparire alla propria porta. In passato qualche volta era capitato che lei lo andasse a trovare, ma quegli incontri erano terminati col suo matrimonio con Lucius. Certo si erano visti ancora, ma mai da soli e, soprattutto, mai senza un invito ufficiale prima.

“Ti chiederai cosa ci faccio qui”, la frase suonava ovvia alle orecchie di entrambi.

“Sì, in effetti me lo sono chiesto non appena ti ho vista. Immagino tu sia turbata per le recenti notizie apparse sulla gazzetta del profeta”.

“Non sono passate inosservate, ma non sono qui per questo. Sono passata per chiederti alcune informazioni su una tua alunna”, se la visita della donna lo aveva sorpreso, quell'affermazione non aveva fatto che acuire la sua curiosità.

“Informazioni su una mia alunna?”, mentre la guardava l'uomo non poteva che chiedersi se lei gli stesse mentendo, “per caso tu e Lucius siete alla ricerca di una buona moglie per Draco?”, lo disse con ironia mal celata, ma con la convinzione di aver indovinato il vero motivo di quella visita.

“Ovviamente. Questo lo sai bene, ma non sono qui per raccogliere informazioni su una candidata. A dir la verità la ragazzina in questione non penso proprio potrebbe rientrare nella rosa delle prescelte”, sul suo viso si dipinse quasi una smorfia di disgusto nel parlare di quella bambina, che all'uomo non sfuggì affatto, “ho promesso a Draco che sarei venuta e sono qui. Sai che non rifiuterei nulla a mio figlio”.

“Tranne una moglie babbana”.

“Non scherzare, Severus. Non potrei mai tollerare neanche per scherzo una cosa del genere. Mio figlio, con una babbana. Mai!”, l'aveva fatta infuriare e sorrise beffardo guardandola. La prendeva in giro su quell'argomento sin da quando l'erede dei Malfoy era venuto al mondo.

“Te l'ho sempre detto, Narcissa. Devi stare attenta a quel che desideri. Non si può mai sapere cos'accadrà in futuro. Il tuo rampollo potrebbe perdere la testa per un'avvenente fanciulla, incurante della sua mancanza di magia”.

“Temo che il mio rampollo, come lo definisci tu, abbia già perso la testa per una bambina che non dovrebbe in nessun modo interessargli”, la serietà con cui disse quelle parole colpì in pieno l'uomo che, a quel punto, non seppe più che cosa dire.

Pur di allentare la tensione che si era creata nella stanza decise di alzarsi, “desideri qualcosa da bere, Cissy?”.

“Siamo passati ai soprannomi, Sev?”, la sua sottile ironia lo fece sorridere, “gradirei del tè, sempre che tu abbia qualcosa di diverso dall'earl gray, magari qualcosa di meno babbano del tè simbolo dell'aristocrazia inglese”.

Lui sorrise, suo malgrado, “ho una miscela che, ne sono certo, sarà di tuo gusto”, e senza darle tempo di rispondere si diresse verso la propria cucina, a preparare la bevanda.

Solo quando si ritrovò da solo nella stanza attigua si diede qualche secondo per rielaborare le idee e cercare di capire come poteva gestire il seguito di quella bizzarra conversazione.

Qualche minuto dopo, rientrato nel salotto con un vassoio carico di biscotti al miele, si rivolse nuovamente alla sua ospite. Porgendole la tazzina le pose la domanda che ormai gli ronzava in testa da un po', “sei qui per parlare della signorina Belmont, Cissy?”.

Non aveva senso girare intorno alla questione e non voleva mentire a quella donna che, in fondo, poteva considerare sua amica. Sentendo il nome della bambina lei aveva alzato i suoi occhi celesti su di lui, senza nascondere la sua sorpresa.

“Ne posso dedurre che l'interesse di Draco per questa Morgana sia palese?”.

“Solo per chi conosce bene tuo figlio”.

“Quindi la situazione è di molto peggiore di quanto pensassi”, il sospiro della donna lo colse di sorpresa. Narcissa non era come suo marito, ma sicuramente credeva negli ideali del sangue puro, essendo stata cresciuta con alcune idee ben precise sulla sua posizione nella società magica.

“Ah... Black! Sei sempre la solita”, la sua affermazione ebbe effetto immediato, e la donna scoppiò a ridere. Una risata cristallina, che lui un tempo aveva sinceramente amato. Quante volte aveva fatto il possibile pur di farla ridere in quel modo. Era per lui una vittoria, sempre, riuscire ad ottenere quell'effetto. Narcissa era sempre stata, da bambina prima e da donna poi, seria e composta, e si lasciava andare a tali esternazioni raramente.

“Parliamo seriamente, Severus, ho bisogno di informazioni”, la conversazione tornò su toni composti sin troppo in fretta, “cosa sai di quella bambina?”.

Per qualche secondo lui fu tentato di rivelarle tutto. Per fortuna riuscì a trattenersi; rivelare alla moglie di uno dei più fedeli mangiamorte di Lord Voldemort, che quella fanciulla non era altro che la figlia di Lily e James Potter non era di sicuro una mossa saggia. Non poteva fidarsi, non in quel caso.

“So ben poco di Morgana, Cissy”, sentendogli pronunciare il nome della ragazza lei alzò gli occhi per fissarli nei suoi, senza riuscire a celare la propria sorpresa, acuita ancor di più dal vedere le gote dell'uomo arrossarsi leggermente dopo essersi reso conto delle proprie parole.

“Aveva ragione mio figlio, quando ha detto che tu hai un'ottima considerazione della signorina Belmont”.

“E' un'ottima alunna, nulla di più”.

“L'hai chiamata per nome, Severus. Non ti ho mai sentito chiamare per nome un tuo alunno, se escludiamo mio figlio”, lo stava fissando negli occhi.

“Appunto, quindi come vedi non è di certo l'unica che, talvolta, mi capita di chiamare per nome”.

“Mio figlio è il tuo figlioccio. Sei il suo padrino”, l'uomo avrebbe voluto ribattere, era evidente, ma parve non trovare nulla di sensato da dire.

“E' una bambina estremamente intelligente, portata per la mia materia”, sospirò e sorrise, prima di proseguire, “arrogante, sciocca, talvolta ingenua ed impaurita. Insomma, un misto di emozioni contrastanti, che non può non attrarre”.

Se la donna era sorpresa prima, ora lo era ancora di più. Vedere il suo vecchio amico parlare in quel modo della fanciulla la lasciava basita.

“Draco sostiene che non si tratti di una nata babbana”.

“No. Non penso neanche io che lo sia. È vero che è cresciuta in un orfanotrofio, ma alcuni dettagli ci fanno pensare che potrebbe essere figlia di genitori maghi. D'altronde tu stessa sai che nel periodo in cui è nata le perdite nel nostro mondo sono state tante”, non poteva dirle molto, ma almeno quelle informazioni le sembravano adeguate.

“Ha una camera blindata alla Gringott. Una delle più antiche da quel che ho potuto sapere”, l'uomo parve sorpreso dalla sua affermazione, “ho fatto delle ricerche, Severus”.

“E' vero. È una camera blindata molto antica, ma non siamo riusciti a scoprire a quale famiglia appartenga”.

“Tu e chi?”.

“Io e Albus Silente, Cissy. Credi che a lui non importi avere più informazioni su un'alunna orfana?”.

“Oh... ma certo. A lui importa molto dei suoi alunni. Soprattutto di quelli con difficoltà familiari”. L'allusione ad Harry Potter, seppur velata, apparve palese all'uomo, che comunque decise di ignorarla.

“Come mai siamo qui a discutere della signorina Belmont?”.

“Ne parliamo perché un paio di giorni fa ha inviato questo biglietto a mio figlio”, la risposta fu accompagnata dal bigliettino in questione, che finì direttamente nelle mani dell'uomo. Il professor Piton rimase a fissare quelle parole per diversi minuti, prima di rivolgere nuovamente lo sguardo alla donna, alla quale parve evidente la preoccupazione nei suoi occhi.

“Sono qui per capire come comportarmi, Severus. Draco vorrebbe ospitare Morgana a Malfoy Manor per il resto delle vacanze estive”, si fermò, forse per dare il tempo all'uomo di ribattere, ma non ottenne alcuna risposta, “io non sono certa che sia una buona idea. Perciò sono qui... tu cosa ne pensi?”.

“Ospitare la bambina presso il vostro maniero”, nella mente dell'uomo lo scenario appariva tragicomico. La figlia dei Potter ospitata dai Malfoy. Se avesse anche solo immaginato per errore una situazione simile in passato, si sarebbe fatto rinchiudere nel reparto malattie mentali del San Mungo, pensando di essere impazzito. La sorella di Harry Potter che trascorre tutta l'estate col peggior nemico di suo fratello. Il suo lato serpeverde stava quasi gongolando soddisfatto all'idea, soprattutto immaginando la reazione del ragazzino se mai avesse scoperto la cosa. Sorrise involontariamente, senza riuscire a trattenersi.

“A quanto pare la mia idea non ti dispiace”. Avrebbe voluto dirle che era il suo lato peggiore a trovare quell'eventualità interessante, ma si trattenne.

“I due ragazzi hanno sviluppato qualcosa di molto simile all'amicizia in quest'ultimo anno scolastico e forse non sarebbe una cattiva idea permettere loro di stare un po' insieme. Insomma, Draco è sempre da solo in quel castello ed immagino che un po' di compagnia gli farà piacere”, non era una menzogna, e sicuramente era qualcosa di vicino alla verità.

“Bene, allora è deciso. Porterai tu la bambina da noi”, il tono autoritario con cui pronunciò quell'ultima frase fece storcere il naso all'uomo, “non penserai che io abbia l'intenzione di recarmi in un orfanotrofio babbano a chiedere a delle suore il permesso di ospitare una loro bambina presso la mia abitazione”.

“Certo che no, mia cara. Non ho alcuna intenzione di venire a trovarti ad Azkaban, dopo che avrai raso al suolo tutto l'edificio con quelle povere donne all'interno, rapito una bambina e ti sarai data alla macchia per sfuggire alla giustizia”.

“Quanto sei divertente. Una Black non si darebbe mai alla macchia; affronterebbe ogni situazione a testa alta", lo disse con un sorrisino ironico, "sai... è proprio per questo tuo lato che siamo tanto amici”, il sorriso sulle sue labbra, questa volta, era sincero e, quasi, dolce.

“Dammi qualche giorno e porterò da te la bambina. Lucius lo sa?”.

“Beh... immagino che lo saprà quando arriverai con Morgana”, questa volta toccò all'uomo scoppiare a ridere. Già immaginava la faccia dell'amico e non se la sarebbe persa per nulla al mondo.



 

***

Chiedo venia per il ritardo e ringrazio chi legge e commenta. Questo capitolo lo adoro, quindi sono particolarmente curiosa di conoscere le vostre opinioni.
Nel prossimo mese sarò molto impegnata, perciò non so se riuscirò ad aggiornare. In ogni caso tornerò al massimo per i primi di ottobre!

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Capitolo 18
*** Come in una fiaba. ***


Come in una fiaba.

 

1 agosto 1993

 

Erano servite settimane per organizzare la partenza di Morgana dall'orfanotrofio. Albus Silente aveva opposto non poca resistenza all'idea che la bambina andasse a Malfoy Manor, ma alla fine era stato costretto a cedere dinanzi all'insistenza e alle argomentazioni del professor Piton.

Quando quella mattina l'uomo l'aveva incontrata per dirle che sarebbe andata via dall'orfanotrofio la bimba avrebbe voluto abbracciarlo, ma si era bloccata, consapevole che se ci avesse provato, probabilmente l'uomo l'avrebbe schiantata.

“Come mai siamo a Diagon Alley, professore?”, quando si erano trovati nella via che lei conosceva dall'anno precedente, non era riuscita ad evitare di porre quella domanda.

“Ti accompagnerò alla Gringott e poi ad effettuare le compere per la scuola. Dopo ci incontreremo con la signora Malfoy e verrai affidata a lei”, il suo tono era burbero come al solito, ma per lo meno le aveva risposto.

Le compere durarono sino all'ora di pranzo. Morgana aveva compreso presto che girare per negozi con quell'uomo non era per nulla divertente. Lui la rimproverava ogni volta che si attardava presso uno scaffale od una vetrina.

“Professore...”, non era sicura di avere il coraggio di porgli quella domanda.

“Belmont, se devi chiedere qualcosa fallo ed in fretta”.

“Non è che potremmo prendere un gelato? Qui vicino ho visto una gelateria prima”. L'uomo ora la stava guardando come se fosse una pazza, eppure a lei la domanda sembrava legittima.

Dopo un sospiro che sembrava volto ad evitare una sfuriata, si decise a risponderle, “la lascerò libera di andare a comprarsi un gelato. Ci ritroviamo qui fra un paio d'ore. Pensa di riuscire ad evitare di cacciarsi nei guai per un po'?”.

“Ci proverò. A dopo!”, la vide sorridere e per qualche secondo ne fu felice anche lui. Quella bambina riusciva sempre a tirare fuori la parte buona di lui.

“Un cono mirtilli e zucca alla cannella”, il proprietario della gelateria le sorrise radioso porgendole il suo gelato e lei gli rispose felice. Quella giornata sembrava proprio perfetta.

“Belmont...”, non si era aspettata di sentire quella voce, non quel giorno, non in un momento così perfetto. Si voltò con calma, sperando di non vedere quel viso, ma ovviamente rimase delusa.

“Potter. Che ci fai qui?”.

“Sei in un locale pubblico, lo sai, vero?”, la smorfia della bimba lo fece quasi sorridere, “ho pensato molto a te quest'estate”.

“Hai pensato a me? Dovrei sentirmi onorata perché il grande Harry Potter mi ha avuta in mente?”, non voleva essere cattiva, ma il rancore che provava verso di lui era ancora troppo vivido nella sua mente.

“Ti va di sederti al mio tavolo? Potremmo parlare, un po'...”.

“Non infetterò la tua aria?”.

“Per una volta potresti pensare di essere gentile, no?”.

Si guardarono a lungo, scrutandosi, prima che la bambina decidesse di accettare l'offerta. Sedettero vicini, parlando della scuola, dei nuovi libri. Lui avrebbe iniziato cura delle creature magiche e il nuovo professore aveva assegnato ai ragazzi un libro in grado di mordere.

“Davvero morde? Ma non è pericoloso?”, la ragazza era affascinata da quel particolare oggetto, “ed ha dei denti?”.

“Sì, è proprio così. Il proprietario del Ghirigoro è disperato...”, scoppiarono a ridere insieme e per qualche minuto le barriere fra loro parvero dissiparsi. Almeno sinché ad entrambi non tornarono in mente i motivi dei loro contrasti.

“Io non penso che tu sia cattiva...”, nella mente di Morgana quella frase la fece ritornare a qualche mese prima, quando, in una situazione molto diversa, ma simile, lui le aveva rivolto le medesime parole.

“Mi avevi già detto una cosa simile... ma prima delle vacanze estive non la pensavi più così...”, c'era amarezza ora, nella sua voce, e tanta tristezza. Il suo tono colpì molto il ragazzino, che si sentì in colpa per come aveva trattato la compagna.

“Eravamo tutti tesi quella sera. Abbiamo detto cose che non pensiamo”.

“Ronald le pensava”, avrebbe voluto dirle che non era vero, che lui non lo pensava, ma non riteneva che il suo amico si sarebbe rimangiato presto quelle parole.

“Lui è fatto così. Parla prima di pensare, ma non penso che ti creda veramente una persona cattiva, o pericolosa”.

“Stai mentendo... è così evidente”, lei sapeva che lui non pensava che l'amico avrebbe cambiato idea. “Devo andare, Potter. Ci vediamo a scuola”, senza lasciargli il tempo di ribattere si alzò per dirigersi verso l'esterno del locale, alla ricerca del professore.

Lo vide quasi subito e di fianco a lui vi erano due persone: un ragazzino biondo e magro, ed una donna dall'aria elegante ed aristocratica. Morgana rimase ferma a fissare quella signora a lungo. Era bella. Veramente molto bella e raffinata. Non aveva mai visto nessuno con l'aria così regale.

Non si mosse dal suo posto, voleva avvicinarsi, ma veramente non riusciva a farlo. Quella donna la faceva sentire piccola e la metteva in soggezione.

Narcissa Malfoy dovette rendersi conto di essere osservata, perché si voltò verso la bimba e rimase anch'essa ferma ad osservare la piccola. La guardava come se non la vedesse. Per un secondo, quando aveva scorto quegli enormi occhi verdi che la fissavano, un altro incontro era riaffiorato nella sua mente, un incontro risalente a molti anni prima. L'unico pensiero che era comparso nella sua mente era che si stava sbagliando, che quella bambina non poteva avere alcun legame con l'altra persona.

Solo quando scorse suo figlio allontanarsi da lei per raggiungere la figuretta magra così lontana da loro si decise ad avvicinarsi anche lei.

“Morgana, come stai?”, la voce di Draco non lasciava trasparire alcun emozione, ma lei lo conosceva bene e comprendeva perfettamente che suo figlio era sinceramente preoccupato per la salute dell'amica.

“Bene, grazie. Tu?”, lei, al contrario, non era altrettanto brava a nascondere le sue emozioni e la sua voce tremava, anche se impercettibilmente.

“Buongiorno, signorina Belmont”, il suono delle sue parole parve riscuotere la piccola, che si voltò a fissarla quasi spaventata. Con la coda dell'occhio Narcissa notò Severus sorridere compiaciuto. A quanto pareva il suo lato sadico non si assopiva neanche con quella bambina, che tanto sembrava adorare, “io sono Narcissa Malfoy”.

Le porse la mano, che Morgana prese titubante, “buongiorno signora Malfoy. Volevo ringraziarla per l'ospitalità che lei e suo marito mi avete concesso”.

Era educata almeno. Sorrise ironica prima di risponderle, “aspetterei a ringraziarmi, fossi in te. E, soprattutto, aspetterei a ringraziare mio marito”, dopo si rivolse a Severus, lasciando la bimba sconcertata, “ci accompagni al Manor?”.

“Ovviamente”. Senza aggiungere altro i due adulti si diressero verso un vicolo isolato, con i due bambini dietro di loro.

“Si è mai smaterializzata, signorina Belmont?”, Narcissa le si rivolse fermandosi ai lati della strada.

“Non credo. Cosa significa?”, il sopracciglio della donna si alzò in modo quasi innaturale.

“Prenda il mio braccio, chiuda gli occhi e, soprattutto, cerchi di non vomitare”, era stato il professor Piton a parlare. La bimba fece come le veniva detto e dopo quelli che le sembrarono pochi secondi di tortura a cui non era assolutamente preparata si ritrovò dinanzi ad un imponente cancello in ferro battuto. Il suo primo pensiero fu che non vomitare non le era mai sembrato così difficile, ma fu immediatamente surclassato dallo stupore e dall'interesse verso il luogo in cui si erano materializzati. Quel cancello era enorme e l'abitazione, o forse sarebbe stato più corretto il castello, che si ergeva oltre di esso era lussuoso e imponente.

In quel momento, finalmente, Morgana capì come mai tutti i suoi compagni di scuola trovassero normale che Draco Malfoy si comportasse come un borioso arrogante. Lui non era ricco come aveva pensato. Niente affatto. Lui lo era molto di più.

Varcato il portone la ragazzina dovette utilizzare tutta la propria forza di volontà per mantenere il controllo ed evitare di mettersi in imbarazzo. La tentazione di guardarsi intorno con la bocca aperta era veramente molta.

“Dov'eravate finiti? Pensavo avessi parlato di un veloce giro di compere a Diagon Alley”, l'uomo che aveva parlato era la versione più adulta e più imponente di Draco Malfoy e Morgana immaginò trattarsi di suo padre.

“Abbiamo incontrato Severus e lo abbiamo invitato a pranzo”.

“Severus, amico... come stai?”, il viso dell'uomo parve illuminarsi alla vista del professore. Dopo alcuni saluti e qualche frase a cui la bimba non dette particolare peso, l'attenzione degli adulti si spostò su di lei, cogliendola di sorpresa ed impreparata.

“Che cosa significa che la bambina resterà con noi sino all'inizio della scuola?”, l'urlo di rabbia dell'uomo arrivò così imprevisto ed improvviso che Morgana fece un paio di passi indietro, terrorizzata.

“La stai spaventando, Lucius”, era stata Narcissa Malfoy a parlare, con un tono di voce talmente calmo e pacato, che la ragazzina si chiese come poteva, quella donna, mantenere un tale autocontrollo, nonostante la rabbia del marito.

Solo quando sentì una mano gentile poggiarsi delicata sul suo braccio smise di tremare. Non si era resa conto di quanto fosse terrorizzata, prima di quel momento. Con la coda dell'occhio individuò il proprietario di quell'arto gentile nel giovane Malfoy, ma non aveva il coraggio di guardarlo in viso.

“Padre, sono stato io a chiedere a mia madre di ospitare Morgana per qualche giorno da noi. Vi pregherei, pertanto, se lo desiderate, di prendervela con me, in privato, evitando di spaventare ulteriormente la nostra ospite”. Le parole del ragazzo parvero sorprendere tutti. A quel punto la ragazza ormai lo fissava allibita. Lui la stava proteggendo, e nessuno, sino ad allora, lo aveva fatto. Aveva sempre dovuto pensare da sola a se stessa, ma in quel momento si rese conto di quanto fosse bello avere qualcuno che pensa a te, quasi come un familiare. Tutti quei sentimenti dovevano essere evidenti dal suo viso, perché il ragazzino le sorrise comprensivo, prima di voltarsi nuovamente verso il genitore.

“Ne parleremo sicuramente in privato”, la voce dell'uomo sembrava quasi cattiva in quel momento e Morgana dovette fare il possibile per non ricominciare a tremare, “ora accompagna la tua amica nella sua stanza, mentre io parlo con tua madre e Severus”.

Ebbero appena il tempo di chiudere la porta su una stanza immensa e arredata in modo eccessivamente lussuoso, che le urla dal piano di sotto, li investirono come un fiume in piena. Lucius Malfoy decisamente non aveva preso bene la notizia del suo soggiorno in quell'abitazione. Le parole dell'uomo erano quasi incomprensibili, ma la ragazzina riuscì a distinguerne alcune, tra cui “sanguesporco”, “vergogna”, “disonore”... ed altre poco gentili. Decisamente non era la benvenuta per quell'uomo.

“Lascia perdere mio padre. Lui è fatto così. Gli passerà e si abituerà ad averti in giro per casa”.

“Casa? È così che chiami questo posto? Ci potreste tranquillamente far alloggiare tutti gli studenti di Hogwarts”, ringraziò mentalmente il suo sarcasmo, perché le permetteva, almeno un po', di nascondere la paura ed il timore.

Il sorriso sulle labbra dell'amico per una volta le parve spontaneo e sincero.

“Beh... che vuoi che ti dica? I Malfoy sono una famiglia importante ed a cui piace ostentare la propria ricchezza da sempre”.

Solo in quel momento si decise ad osservare la stanza in cui erano entrati. Il letto era a baldacchino e si trovava al centro della camera. Le lenzuola erano di un cupo blu notte, come il resto della tappezzeria. I mobili erano laccati con vernice bronzo e vi erano intagliate delle decorazioni a forma di edera rampicante. Sulla parete di fronte al letto vi era una porta, che la ragazza immaginò portare ad un bagno. Mentre sulla parete di fianco alla porta vi era una bella libreria, dello stesso bronzo, ricolma di libri di ogni tipo. La stanza nel suo complesso risultava accogliente e familiare.

“Ho pensato che ti sarebbe piaciuta questa stanza. La mia è due porte più avanti in questo corridoio, di fronte vi è quella dei miei genitori. Ora se vuoi ti lascio a disfare i bagagli”, senza darle il tempo di replicare uscì dandole le spalle.

Quella giornata era iniziata in modo perfetto e, nonostante la sfuriata del padrone di casa, sembrava indicare l'inizio di una bella avvenuta. Solo in quel momento si rese conto del vaso di fiori poggiato sul suo comodino, un mazzo di glicine blu come il cielo vi era poggiato dentro. Nel monastero aveva letto molti libri sul significato dei fiori e ringraziò mentalmente Draco per il suo gentile messaggio di benvenuto.


 

***
 

Oggi ho la casa invasa dai muratori, perciò riesco poco a concentrarmi sullo studio. Ne ho approfittato per finire questo capitolo e farvelo avere, sperando di fare cosa gradita.
Sono sempre in attesa dei vostri commenti e delle recensioni.
Ringrazio sempre tutti coloro che leggono ed apprezzano la mia storia.

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Capitolo 19
*** Il dissennatore... ***


Il dissennatore...

 

1 settembre 1993

 

La mattina del primo settembre Morgava si era svegliata molto presto e non era riuscita a riaddormentarsi. Ora si trovava nella biblioteca del Malfoy Manor. Adorava quella stanza. Era enorme, probabilmente anche più della biblioteca di Hogwarts. Nelle settimane trascorse con Draco aveva passato molto tempo tra quei libri col ragazzo, a fare i compiti ed a leggere.

Erano molto simili in questo, ad entrambi piaceva molto perdersi fra le pagine di un buon libro. Passavano ore intere, pomeriggi interi, seduto l'uno di fronte all'altra, sulle due poltrone poste dinanzi al camino. Lui con la gamba destra negligentemente accavallata sulla sinistra, il braccio destro a sorreggere il volume e il sinistro leggermente penzolante dal bracciolo. Lei con le gambe piegate ed i piedi nudi poggiati sul cuscino della poltrona, il libro sulle ginocchia e la mano sinistra dolcemente posizionata fra la testa ed il sedile imbottito.

Ora la ragazzina stava vagando tra gli scaffali alla ricerca di un tomo che aveva scoperto solo la sera prima, ma non era riuscita a leggerlo, perché era ormai ora di cena. Non lo trovava, eppure era sicura che si trovava proprio in quel punto e lei lo aveva rimesso al suo posto.

“Cerca questo, signorina Belmont?”, la voce dell'uomo era glaciale, gelida come l'acqua di un ruscello montano. La ragazza fece il possibile per non sembrare spaventata, ma evidentemente non le era riuscito, perché lui la stava fissando con un sorrisetto sarcastico dipinto in volto. Non si era mai trovata da sola con lui ed, in realtà, non erano state molte le occasioni in cui si erano visti. Lui era sempre fuori casa per lavoro e spesso non tornava neanche per la cena. Si era anche chiesta più volte se fosse normale la sua poca presenza o se fosse colpa sua.

“Devo ammettere che lei non ha buon gusto solo in fatto di amicizie, ma anche di letture”, poteva sembrare un complimento, ma alla ragazza parve evidente quanto, in realtà, non lo fosse.

“Ho buon gusto in relazione a molte cose, Lord Malfoy”.

“Non potrai mai sposare mio figlio”. La frase fu seguita da diversi minuti di silenzio, prima che Morgana scoppiasse a ridere.

“Sposare suo figlio? Io ho dodici anni, perché mai dovrei voler sposare Draco”.

“Lui è un Malfoy”, non riusciva a comprendere se si stesse prendendo gioco di lei o se fosse serio. Lei non aveva mai neanche pensato di sposare Draco, erano due ragazzini, “fra pochi anni stipulerò un contratto di matrimonio per mio figlio, con una giovane e degna purosangue di buona famiglia. Sto valutando da anni diverse candidate e lei non si metterà in mezzo”, parlava di quelle bambine come se si trattasse di stalloni che desiderava acquistare, “questo glielo regalo”, le disse buttandole il vecchio tomo, “un piccolo ricordo del suo breve soggiorno in questa casa. Lo consideri un compenso per la sua amicizia”, il suo tono era ancora più crudele ora ed il sorriso più sarcastico.

“Mi teme così tanto, Lord Malfoy? Teme così tanto una ragazzina da doverla minacciare. Non sono a pagamento”, non seppe neanche dove aveva trovato il coraggio di rispondergli in quel modo, né tanto meno la forza di fissarlo negli occhi con quell'aria di sfida e di restituirgli quel libro. Quello le era costato, molto, avrebbe davvero voluto tenerlo. Per qualche secondo il sorriso di Lord Malfoy parve vacillare, i suoi pensieri fissi su quella frase “non sono a pagamento”. Ora la stava guardando con un'espressione indecifrabile ed incomprensibile. Sembrava quasi non la vedesse, era come in trance.

“Morgana, eccoti! Ti stavo cercando. Partiamo fra trenta minuti e se non ti sbrighi non riuscirai neanche a fare colazione”, l'intervento di Lady Malfoy diede alla ragazza la possibilità di uscire dalla stanza.

Solo dopo che si richiuse la porta alle spalle, Narcissa si voltò verso il marito, notando il suo sguardo. Lucius si girò a guardarla, la fissò a lungo, prima di parlare, “hai notato qualcosa in quella ragazza?”.

“Molte cose, Lucius. È riflessiva, studiosa, un po' impertinente... la lista è lunga”.

“Somiglia a qualcuno, Cissy”, non lo aveva previsto. Certo, ci aveva pensato anche lei, ma non pensava che anche suo marito ci sarebbe arrivato.

“Tu dici? Non mi sembra”, non sapeva neanche perché stava mentendo al marito, ma sentiva di non poter fomentare i suoi sospetti. Era rischioso. Lui era pur sempre un uomo imprevedibile e le aveva dimostrato più volte di poter essere veramente pericoloso.

“Madre, noi siamo pronti. Non vorrei arrivare in ritardo”, non si era neanche accorta dell'arrivo di suo figlio, ma lo ringraziò mentalmente per aver interrotto quella scomoda conversazione.

Rimase in silenzio per tutto il tragitto sino alla stazione di King's Cross. Attraversato il binario salutò i due ragazzi e li vide salire sul treno, chiacchierando tranquilli. Solo dopo essersi seduti in uno scompartimento si voltarono per salutarla.

Non rimasero da soli a lungo. Solo dopo pochi minuti Blaise Zabini, Theodore Nott, Pansy Parkinson e Daphne Greengrass entrarono, senza curarsi di bussare, nello scompartimento dell'amico. Il medesimo dell'anno precedente. Se rimasero sorpresi dalla presenza della giovane corvonero non lo diedero a vedere. La salutarono con cortesia e si voltarono a chiacchierare col compagno di casa.

Morgana si sentiva un po' di troppo in quel variegato gruppo di giovani purosangue. Era evidente che si conoscevano da sempre e che avevano molto in comune. Si concesse qualche minuto per osservarli meglio. Non li conosceva, non aveva mai fatto nulla per conoscerli. Si era sempre fermata all'apparenza con loro, li aveva classificati senza approfondire.

“Allora Belmont? Non ti senti in pericolo in un covo di serpi velenose?”, venne riscossa dai suoi pensieri dalla domanda postale da Zabini. Si rese conto che la stavano guardando tutti.

“In realtà non mi sembrate così pericolosi...”, il suo era poco più di un sussurro. Non riusciva a sembrare proprio sicura di sé.

“Oh... non dirlo! Così ci ferisci”.

“Smettila Teo. Non fare lo scemo”, era strano vederli ridere tutti, felici, sereni, uniti, “Nana, lasciali perdere. Sono sempre così, purtroppo... non posso farci niente. Credimi. Sono”, fece una pausa studiata, voltandosi verso i suoi amici, “quanto? Dodici anni... sono dodici anni che cerco di cambiarli, ma non è servito a nulla”.

Vedere Daphne fare la linguaccia al suo migliore amico e Pansy fingere di mettere il broncio alle sue parole, la fece sentire, per la prima volta da mesi, circondata da amici ed in un ambiente famigliare.

Ovviamente la giornata era iniziata in modo troppo tranquillo ed era stata sin troppo serena, almeno sino a quando una ragazzina, dai lunghi capelli rossi, non aprì la porta dello scompartimento. Per qualche secondo l'aria nel piccolo ambiente sembrò congelata. Tutti si erano voltati, come un sol corpo a guardarla. Nessuno di loro sapeva cosa dire, la tensione era palpabile.

“Allora, rossa... sei qui per un motivo? Oppure volevi semplicemente interromperci e mostrarci la tua faccia?”, nonostante il tono di Draco era annoiato ed incolore, Morgana lo ringraziò mentalmente per non aver insultato Ginny.

“Credimi, Malfoy. Non ci tengo affatto a respirare la tua stessa aria. Sto semplicemente cercando di parlare con la mia amica, che, non so bene per quale assurdo motivo, ma si trova qui con te ed i tuoi viscidi compari”.

“Forse, Weasley, se sono qui è perché ci sto bene”, vide distintamente il dolore negli occhi dell'amica, non appena le parole le uscirono di bocca. La rossa non disse nient'altro. Richiuse la porta e se ne andò, forse, uscendo per sempre dalla sua vita. Non sapeva neanche perché aveva detto quelle cose. Non sapeva cosa l'avesse spinta a parlargli in quel modo. Forse sentirla usare quel tono cattivo e sarcastico con Draco, forse il fatto che non si era fatta sentire per tutta l'estate, forse, semplicemente, aveva voluto attaccarla, perché temeva di essere ferita di nuovo da lei.

Il silenzio nello scompartimento ora le sembrava opprimente, ma era grata ai serpeverde per il fatto che, per lo meno, non la stavano fissando. Ognuno sembrava perso nei suoi pensieri e rimasero in quel modo almeno sino a quando non sentirono il treno rallentare, per poi fermarsi.

“Che succede? Non possiamo esserci di già...”, Daphne aveva espresso il pensiero di tutti i presenti. Era ancora troppo presto per essere a scuola ed il paesaggio non era quello di Hogsmeade.

Il freddo arrivò improvvisamente, come se una tempesta invernale avesse colpito il treno. Il gelo aveva pervaso in pochi secondi tutti loro, costringendoli a stringersi l'uno all'altro. Morgana non se ne rese neanche conto, ma stava tremando in modo incontrollato. L'essere che dopo poco tempo aprì la porta dello scompartimento non lo aveva previsto. Era... non sapeva neanche come definirlo. Spaventoso, era un essere spaventoso e terrificante. Il gelo intanto si era intensificato e solo la mano di Draco sulla sua spalla le impediva di urlare dal terrore.

Rimase a fissarli, se così si poteva dire, visto che non potevano vedergli gli occhi, fortunatamente solo per quale secondo, lasciandoli infreddoliti, sconvolti e silenziosi.

Draco continuava a tenere la sua mano sulle sue spalle, dandole quel poco di calore che le impediva di congelare. Il terrore non la lasciava, nonostante fosse trascorso ormai molto tempo da quell'incontro inaspettato sul treno.

Solo diverse ore dopo il treno si fermò di nuovo davanti alla stazione di Hogsmeade. Prima di scendere dal treno si sentì afferrare dal polso. Draco aspettò che i suoi amici abbandonassero il treno, prima di farla voltare verso di lui.

“Perché lo hai fatto?”.

“Fatto cosa?”, non voleva affrontare quella conversazione con lui.

“Lo sai bene. Va da lei e chiedile scusa”, non le lasciò il tempo di replicare. Uscì dallo scompartimento, abbandonandola ai suoi pensieri.

Scesa dal trono si rese conto che la carrozza con Draco ed i suoi amici era già partita verso il castello e che lei era rimasta completamente sola. In quel momento avrebbe tanto voluto essere ancora nello scompartimento col suo amico, se così poteva chiamarlo, per poterlo prendere a schiaffi.

“I tuoi nuovi amici ti hanno già abbandonata, Belmont?”, ovviamente quando le cose vanno male non possono che peggiorare.

“Morgana, eccoti! Ginevra mi aveva detto che eri occupata prima è che non è riuscita a parlarti”, Luna come al solito sembrava non cogliere la tensione e rimaneva tranquilla e serena in qualsiasi momento, “allora sali con noi?”, non le diede neanche il tempo di rispondere. La prese per la mano e la trascinò sulla carrozza, costringendola a sedere vicino a Ginny.

“Non ti ho sentito per tutta l'estate”, non voleva dirlo con quel tono così rabbioso, ma la verità è che avrebbe davvero avuto bisogno della sua amica, ma lei non c'era, non le aveva scritto, non si era fatta viva neanche per il suo compleanno. Neanche un biglietto d'auguri.

Ed ora era arrabbiata con se stessa, perché si stava mostrando debole e non le piaceva mostrarsi debole.

“Lo so. Mi dispiace molto. È stato un anno difficile per me. Sono stata posseduta da tu-sai-chi, ho rischiato di morire in una grotta. Mio fratello era furioso con te, mi ha impedito di parlarti. E non è stato bello sapere che mentre io ero in fin di vita la mia migliore amica si preoccupava di uno stupido serpente”, non aveva previsto che Ginevra avrebbe perso la pazienza in quel modo. Sentirle dire quelle parole la fece star male. Ci mise un po' a comprendere che si trattava di senso di colpa.

Aveva ragione, non poteva negarlo. Non le aveva mai neanche chiesto come stava. Era stata così occupata a compiangersi e ad essere furiosa col mondo da non preoccuparsi della sua migliore amica.

“Io...”, non riusciva neanche a guardarla in viso. Non riusciva a parlare, a giustificarsi.

“Ginevra sa bene che eri preoccupata da altre cose e che non sei riuscita a parlarle in privato ed a chiederle come sta”, come al solito Luna riusciva ad interpretare i sentimenti degli altri, senza problemi e con tale naturalezza da far sembrare normali le sue considerazioni.

“Luna ha ragione. Mi dispiace così tanto, mi sono comportata male con te. Sono imperdonabile”, i suoi occhi ora luccicavano. Le sue lacrime dovettero commuovere l'amica, non avvezza a vederla in quello stato, perché in pochi secondi si ritrovò circondata dalle sue braccia.

Entrando nella sala grande per il banchetto di inizio anno si sentì osservata, ma solo dopo essersi seduta al suo tavolo decise di alzare lo sguardo, incontrando quello di Draco Malfoy ed il suo sorrisino compiaciuto. L'avrebbe pagata per averla manipolata in quel modo.

“Non mi aspettavo che fossi così tenero, Dracuccio”, il ragazzo distolse lo sguardo dall'amica solo al suono della voce di Blaise Zabini.

“Che stai dicendo, Blay?”.

“Hai fatto di tutto per farle riappacificare...”, ghignava ironicamente, almeno sino a quando il pugno dell'amico con lo colpì in piena pancia.

“Ripetilo e questo sarà solo l'inizio. Io, Draco Lucius Malfoy, non sono tenero”.

“Ovviamente”.

Dall'altra parte della sala qualcun altro aveva notato quegli sguardi, ma non ne era altrettanto compiaciuto.

“Harry, mi stai ascoltando?”.

“Sì, sì... certo, Hermione. Scusa”.

“Che hai?”, lo guardava con insistenza. La sua amica riusciva sempre a capire quando qualcosa non andava.

“Ha ragione, sei strano oggi. Sei stato pensieroso per tutto il tempo in treno, almeno dopo essere andato in bagno...”.

“E' vero. È che ho visto una cosa che mi ha sorpreso e fatto preoccupare”, si fermò per qualche secondo, ma i suoi amici continuavano, “questo pomeriggio ho visto Morgana in uno scompartimento con le serpi. Sai, dopo che è arrivato quel dissennatore sono andato a cercarla. Volevo assicurarmi che stesse bene. Era abbracciata a Draco Malfoy... Sembravano affiatati. Non so... la cosa mi ha lasciato un po' sconvolto”.

“Non so di cosa ti sorprendi. Quella ragazza è sempre stata strana, cattiva. È sempre stata amica di Malfoy, no?”, Ronald, come al solito riusciva a dire la frase sbagliata nel momento sbagliato.

 

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Capitolo 20
*** Il nuovo insegnante. ***


 

Il nuovo insegnante.

 

3 settembre 1993

 

I primi giorni di scuola erano trascorsi in modo tranquillo. I dissapori fra Ginevra e Morgana sembravano essere stati superati la sera del primo settembre. Un anno passato insieme e tutte le avventure condivise avevano permesso alle due ragazzine di lasciarsi alle spalle il litigio di prima dell'estate, sempre che di litigio si potesse parlare. La verità era che non vi era stata una discussione fra le due amiche, ma, semplicemente molto di irrisolto. Si erano divise senza darsi la possibilità di una spiegazione, senza urla, senza lacrime, vi era stato solo silenzio. Semplicemente, ognuna delle due era tornata a casa, evitando di affrontare quanto accaduto nella camera dei segreti.

Ed, in realtà, vi era molto di cui discutere ed avevano trascorso la sera precedente parlando, a lungo e senza remore, di tutto ciò che era avvenuto. Così, quella mattina, a colazione, finalmente, erano sedute, entrambe, al tavolo di corvonero, insieme a Luna, concedendosi un'abbondante colazione.

“Belmont, Weasley”, il ghigno dipinto sul viso di Malfoy non era dei più concilianti, e sembrava, al contrario, intenzionato a schernirle, “le due gemelline siamesi sono nuovamente insieme. Ditemi, è una curiosità che mi tormenta dall'anno scorso, oltre che l'aria, voi condividete anche il cervello?”.

“Siamo lusingate, davvero, di sapere che hai passato tutta l'estate a pensare a noi. È evidente che la tua vita è monotona”.

“Credimi, Weasley, la mia estate è stata davvero interessante...”, non aveva aggiunto altro, ma i suoi occhi di ghiaccio, per pochi secondi avevano incontrato quelli di giada della giovane corvonero, prima di allontanarsi dal tavolo blu e bronzo ed uscire dalla sala comune con la sua solita sicurezza ed eleganza.

“Cosa intendeva dire?”, le parole del serpeverde non erano state dimenticate neanche mentre le tre ragazze si dirigevano verso l'aula di difesa contro le arti oscure per la prima lezione con il nuovo professore.

“A chi ti riferisci Ginny?”.

“A Malfoy, Nana... a chi altri? Non riesco a capire cosa voleva dire con quella frase: la mia estate è stata davvero interessante”.

“E' vero. Ci stavo pensando anche io”, Luna, nonostante sembrasse sempre immersa nei suoi pensieri e fuori dal mondo, non si sa bene come, ma riusciva a sentire e tenere sotto controllo ogni cosa che accadeva accanto a lei e, soprattutto, a cogliere anche i dettagli che ad altri spesso sfuggivano, “quando l'ha detto ti ha guardata. Penso che volesse farti capire qualcosa”.

“Non stava guardando me, faceva lo sbruffone come al solito”, nonostante cercasse in tutti i modi di far finta di nulla, alle due compagne non era sfuggito il leggero rossore che aveva imporporato le sue guance pallide al suono delle parole dell'amica.

Senza neanche darsi il tempo di finire la frase, era entrata nell'aula della lezione, nonostante mancassero ancora diversi minuti all'inizio della stessa, lasciando le altre due fuori dalla porta, a lanciarsi un'occhiata sorpresa.

“Pensi che lei centri qualcosa con l'estate interessante di Malfoy?”, Ginevra sembrava quasi disgustata dall'idea che aveva avuto l'ardire di esprimere.

“Non saprei. Lui è un po' strano, non trovi?”. Ginny pensava che strano, rivolto al serpeverde sembrava quasi un complimento. L'amica stava entrando nella classe, quando l'afferrò per il polso per fermarla e costringerla a guardarla.

“Sai quando ti ho detto che Morgana era impegnata, sul treno? Te lo ricordi?”, sembrava ansiosa di concludere la frase in fretta.

“Sì, me lo ricordo. Perché ti è venuto in mente proprio ora?”.

“Ecco... io non ti ho detto tutta la verità. Lei non era da sola. Era in uno scompartimento con le serpi peggiori”, non sapeva neanche perché non lo aveva detto subito, ma per lei non era stata una bella visione, quella della sua amica, nello stesso spazio ristretto di quei ragazzi che, per quanto a lei non avevano mai fatto nulla (ad eccezione di Malfoy, ovviamente), avevano sempre preso in giro suo fratello ed i suoi migliori amici.

“Magari hanno fatto amicizia”, Luna non le lasciò neanche il tempo di replicare, che era già entrata nell'aula, lasciandola fuori, da sola a riflettere su quella laconica frase. Aveva ragione. Forse davvero Morgana e Malfoy avevano stretto amicizia. Infondo, l'anno precedente, si erano parlati più volte, anche se non aveva mai pensato che potessero avvicinarsi tanto in poco tempo. Eppure la cosa che la lasciava più sorpresa era che Luna non sembrava affatto turbata da quella possibilità, ritenendola quasi normale. Certo lei non si lasciava turbare facilmente, quindi forse era troppo pretendere che fosse sconvolta all'idea che l'amica divenisse intima con le serpi.

“Ti spaventa così tanto la mia lezione?”, non si era resa conto di essere ancora ferma nella medesima posizione, né, tanto meno, dell'avvicinarsi del professore.

“No. Mi scusi. Ero solo pensierosa”, si sentì arrossire violentemente nel pronunciare quelle parole ed entrò nell'aula, senza più rivolgergli alcuno sguardo, dirigendosi verso le sue amiche e sedendosi di fianco a Morgana.

“Buongiorno a tutti, ragazzi. Io sono il professor Remus Lupin e vi insegnerò difesa contro le arti oscure”, i suoi profondi occhi verdi sembravano scrutare l'animo dei suoi studenti, come se gli bastasse incontrare le iridi altrui per comprendere appieno i pensieri dell'altro. Prese l'elenco dalla cattedra e con una lenta quiete cominciò a nominarli uno ad uno, con l'intento, forse, di memorizzarne i nomi e di associare facilmente ognuno di essi ad un viso.

Sorrise, cordiale ed amorevole, alla piccola Weasley. Conosceva suo padre e sua madre e non poteva evitare di rivedere in lei i genitori, che con lui avevano sempre mantenuto un rapporto amichevole, soprattutto Arthur. Con un cenno lieve del capo diede segno di riconoscere, forse dalla fama del padre, il cognome di Luna, nonché di alcuni altri studenti i cui genitori rivestivano posizioni di spicco nel mondo magico.

I suoi occhi aveva indugiato a stento sulla piccola Morgana Belmont, il cui cognome non gli era noto. Aveva sentito quel nome da Minerva McGranitt, la quale lo aveva informato delle capacità sopra la media della ragazza e delle sue origini babbane. La donna gli aveva chiesto di prestare attenzione alla fanciulla, poiché preoccupata che la vita in orfanotrofio potesse averla spinta all'isolamento. Ovviamente lui aveva rassicurato l'insegnante, comprendendo appieno il motivo di tale apprensione.

I nuovi maghi provenienti da famiglie babbane potevano avere difficoltà ad ambientarsi e lui lo comprendeva bene, come capiva quanto poteva essere ancor più ostico l'inserimento nel mondo magico per coloro che non avevano una famiglia amorevole alle spalle. Lui stesso, a causa della sua condizione di licantropo, aveva vissuto con ansia e con costante timore i primi anni di scuola, nonostante l'appoggio di cari amici.

“Oggi vorrei testare la vostra preparazione teorica, prima di cominciare con delle lezioni più tecniche, pertanto vi ho portato un piccolo questionario, che dovrebbe, in teoria, comprendere tutto il programma dell'anno appena trascorso”, come aveva immaginato la sua affermazione era stata seguita da un brusio di scontento generale, “dovreste lasciarmi parlare prima di protestare”, sorrise sornione continuando, “ovviamente non solo non saranno giudicati, ma non dovrete neanche scrivere il vostro nome. Saranno completamente anonimi”.

“Perché?”, non si era aspettato un intervento quasi stizzito e i suoi occhi incontrarono quelli verdi di Morgana, che lo fissava incredula ed in attesa di una risposta.

“Perché ho immaginato che non avreste gradito una prova il primo giorno di lezione e, pertanto, ho trovato il modo di farvela trovare meno pesante”, le sorrise cordiale e conciliante, ricevendo in cambio una smorfia da parte della ragazzina. Lo fece sorridere. A quanto pare lei avrebbe gradito iniziare con un vero test, al contrario di tutti i suoi compagni, ovviamente.

“Sta zitta e non fargli cambiare idea”, il sussurro della sua compagna di banco e, immaginò amica, non era passato inosservato alle orecchie del professore che non poté non trovare divertenti quelle due ragazzine così diverse.

I fogli con il test comparvero sui banchi occupati e per i successivi venti minuti l'aula piombò nel più assoluto silenzio. Lupin si chiese se fosse lui ad incutere tutto quel timore e rispetto negli studenti. Aveva avuto l'occasione di conoscere solo poche classi per il momento, ma era rimasto piacevolmente sorpreso scoprendo di riuscire a farsi ascoltare senza grossi problemi. Quando Albus Silente, pochi mesi prima, lo aveva contattato offrendogli quel posto aveva tentato di rifiutare, non tanto per timore di non essere all'altezza, non dal punto di vista della preparazione per lo meno, ma proprio perché dubbioso delle proprie capacità di insegnamento. Non era abituato a trascorrere molto tempo fra le persone, soprattutto in un piccolo ambiente come quello, dove la maggior parte degli individui era a lui estranea.

Un'altra nota d'incertezza, inoltre, si era subito stagliata nella sua mente: Severus Piton. Il professore di pozioni, infatti, era stato suo compagno di scuola e, cosa ancor più preoccupante, non erano mai andati d'accordo. Doveva ammette che almeno questa parte si era rivelata come aveva immaginato, infatti l'astio di Severus nei suoi confronti si era palesato in poco tempo e, doveva ammetterlo, lo aveva anche piuttosto ferito. Non si aspettava certo di essere accolto a braccia aperte, ma neanche di essere odiato e disprezzato come ai tempi della scuola. Sembrava che il tempo si fosse fermato nei rapporti con il vecchio serpeverde e lui avrebbe davvero voluto avere la possibilità di ricominciare da zero.

“Dovreste aver ormai terminato i vostri compiti. Mettete pure giù le piume”, con un lieve movimento del polso raccolse tutti i compiti sulla scrivania, senza lasciare agli studenti il tempo di replicare e protestare per la repentina sottrazione degli elaborati, “ora vorrei che vi metteste a coppie, in modo tale che potremo esercitarci sull'incantesimo di disarmo”.

Mentre parlava gli studenti si stavano alzando e sistemando, secondo le sue indicazioni, al centro dell'aula, dove con un incantesimo non verbale aveva creato uno spazio libero dai banchi.

“Direi che avrei bisogno di un paio di volontari, che si prestino a provare l'incantesimo di fronte alla classe...”, il suo sorriso sereno era, ovviamente, volto a convincere qualche studente ad offrirsi per il gramo compito, ma non ottenne alcun successo. Non che si fosse aspettato di vedere molte mani alzare. Non era giovanissimo, ma gli anni ad Hogwarts li ricordava bene ed, in effetti, probabilmente non si era mai messo, volontariamente, al centro dell'attenzione. Quelli che adoravano mettersi in mostra erano James e Sirius solitamente. Il ricordo dei suoi amici rischiò di oscurargli la giornata, ma, come ormai accadeva spesso, decise di rintanarlo in un cantuccio della sua mente, dove non poteva far male.

“Nessuno?”, non voleva sembrare supplichevole, ma non era neanche sua intenzione imporre a qualche malcapitato di farsi avanti. Quando ormai era chiaro che nessuno avrebbe risposto al suo appello, l'idea di provare a conoscere meglio quella ragazzina che, infondo, aveva promesso di tener d'occhio, fece capolino nella sua mente. Minerva aveva detto che era un'ottima studentessa, soprattutto in alcune materie, tra le quali spiccava proprio difesa contro le arti oscure, “signorina Belmont, che ne dice di venire lei? Potrebbe provare l'incantesimo contro di me, e dopo lo proverò io contro di lei, così ne mostreremo gli effetti alla classe”.

La ragazzina ci mise qualche secondo per comprendere cosa le era stato richiesto. Lei odiava mettersi in mostra; era abituata a stare da sola ed isolarsi dal mondo. Non si era mai considerata molto sociale, né tanto meno desiderosa di attenzioni, perciò fu con l'aria di una condannata che si dirige al patibolo, che percorse i pochi passi che la separavano dal professore.

“Ottimo”, al suono di quella parola, Morgana si chiese che cosa ci fosse di ottimo in tutta quella situazione, ma decise che era meglio stare zitta e sperare che finisse tutto molto in fretta, “ora, la formula dell'incanto che cercheremo di imparare a padroneggiare nelle prossime lezioni è expelliarmus”, il suo sorriso doveva essere rassicurante, ma l'espressione della ragazza sembrava indicare che non aveva raggiunto il obiettivo, “è chiaro Morgana?”.

“Expelliarmus”, il mormorio della giovane era così flebile da essere appena udibile, “sì, credo di aver compreso”.

“Benissimo. Ora spostati a tre metri circa da me. Io terrò la bacchetta ferma e tu cercherai di portarmela via”, il suo sorriso doveva essere incoraggiante, ma sul viso della ragazza non si scorgeva neanche l'ombra di un flebile sollievo, “quando sei pronta, io sono pronto”.

Ci vollero alcuni minuti prima che Morgana si sentisse sufficientemente sicura da tentare di incantare il proprio professore. Il suono dell'incantesimo uscì dalle sue labbra con la stessa sicurezza di una leggera brezza estiva, lo scintillio dei suoi occhi annunciava una fermezza, che in realtà lei non provava affatto.

La bacchetta, nelle mani del professor Lupin ebbe un lieve tremito, come se fosse stata percorsa da una scossa di energia elettrica, ma non si spostò dalle dita dell'uomo, che nonostante tutto parve sorpreso dal risultato ottenuto.

“Brava. Complimenti signorina Belmont”, sorrideva mentre le rivolgeva quelle poche parole d'incoraggiamento.

“Non sono riuscita a toglierle la bacchetta”, il visetto imbronciato della ragazza la fece sembrare ancora più giovane di quel che era.

“Mi sarei sorpreso del contrario. L'incantesimo di disarmo non è così semplice come appare. Il tuo risultato, considerato che era il primo tentativo, è stato notevole”.

“Può farlo lei? Così possiamo vedere come dovrebbe essere”.

Senza risponderle, né darle il tempo di comprendere cosa stesse accadendo, l'uomo le scagliò contro l'incantesimo, facendole volare via la bacchetta, che afferrò con la mano libera. Colta di sorpresa Morgana, anche a causa della potenza dell'incantesimo, perse l'equilibrio, cadendo a terra ed avendo appena il tempo ed i riflessi sufficienti ad attutire il colpo con le mani.

“Ti sei fatta male?”, Lupin le si avvicinò porgendole la mano destra, nel tentativo di aiutarla ad alzarsi. Nonostante l'iniziale resistenza lei si lasciò soccorrere, “nella realtà, chi intende sottrarvi l'arma non vi farà capire le sue intenzioni e non vi avviserà. Dovete essere pronti ed attenti. Hai capito come dovrebbe essere l'incantesimo?”, solo dopo aver ricevuto un cenno affermativo dalla ragazza continuò la sua spiegazione. Intanto Morgana venne affiancata da un compagno di corvonero, Lucas Anderson, con il quale cominciò, insieme al resto della classe ad allenarsi nell'incantesimo di disarmo.

Dopo un'ora di lezione, ancora nessuna bacchetta si era allontanata dal proprio padrone, segno che i risultati ottenuti dalla classe erano scarsi. Ciò non parve affatto turbare il professore, che non si era aspettato nulla di più per la prima lezione.

“Direi che per oggi può bastare”, il congedo dell'uomo precedette il suono della campanella di pochi secondi, “cinque punti a corvonero, per il coraggio dimostrato dalla signorina Belmont, che si è prestata ad una dimostrazione pratica con me. Vedrete che la prossima lezione andrà un po' meglio. Intanto vi chiederei di leggere e riassumere il capitolo sull'incantesimo di disarmo per la prossima volta”.

Mentre i ragazzi si avviavano verso i rispettivi banchi per recuperare il loro materiale, Lupin si diresse verso la cattedra, con l'intenzione di riordinare i propri appunti, in attesa degli studenti dell'ora successiva. In realtà la sua mente continuava a tornare sulla giovane Morgana. Non riusciva a dimenticare le parole di Minerva, mentre gli chiedeva di tenere sotto controllo la ragazza ed, allo stesso tempo, non poteva non pensare che la giovane non sembrava affatto aver bisogno di essere sorvegliata. Nulla sembrava giustificare la richiesta della professoressa McGranitt, pertanto non poté non pensare che qualcosa gli era stato nascosto e che, in realtà, vi fosse un motivo ben più grave se la donna aveva desiderato il suo intervento.

 

La sera, durante la cena, Morgana, Luna e Ginevra aveva deciso, come facevano sovente l'anno precedente, di sedersi tutte insieme al tavolo di corvonero.

“Come primi giorni di lezione non sono stati poi tanto male, no?”.

“No. Direi che è andata bene Ginny, anche se devo ammettere che la nostra mole di compiti sembra essere sempre più alta, o sbaglio?”.

“Cos'è una mole?”, Luna, che sino a quel momento sembrava non aver neanche sentito una parola della conversazione delle amiche, come sempre dimostrava di essere più attenta a ciò che la circonda di quanto lasciasse trapelare. I suoi dolci occhi azzurri si spostarono sulla compagna di casa, in attesa che lei le desse una spiegazione. Morgana si sentiva sempre in imbarazzo quando l'amica la guardava in quel modo; sembrava che la stesse ispezionando, come se di fronte, invece che un essere umano, avesse un raro manufatto antico.

“E' un'unità di misura babbana. Si usa per indicare una quantità di qualcosa. Intendevo dire che abbiamo tanti compiti”.

“Oh... certo. Ora mi è chiaro. Comunque oggi la lezione di difesa contro le arti oscure è stata molto interessante, non trovate?”.

“Verissimo. Il professor Lupin è fantastico, non pensi anche tu Nana?”.

“Sì, sembra bravo. Anche se ancora sono dolorante a causa sua”, la smorfia che si dipinse sul suo viso accompagnando la sua frase fece scoppiare a ridere le sue amiche, “voi ridete, io ho un livido enorme sulla schiena”. Se pensava che avrebbero smesso si sbagliava di grosso. Le due ragazze continuarono a ridere ed a prenderla in giro per tutta la cena, discutendo ancora della lezione e del nuovo professore, che, in un modo o nell'altro, e per motivi diversi, aveva colpito tutte e tre.

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Capitolo 21
*** Incontri e comprensioni. ***


 

Incontri e comprensioni.

 

26 settembre 1993

 

Le prime settimane di scuola erano state tranquille, anche se piene di novità. I dissennatori, posti ai confini della scuola, non avevano creato particolari problematiche, ma comunque gli studenti evitavano di trascorrere troppo tempo fuori dal castello.

Quella domenica mattina la giornata prometteva di essere splendida, probabilmente l'ultima con temperature miti, sino alla primavera. Erano pochi gli studenti che, essendosi svegliati presto, stavano facendo colazione nella sala grande, quando Morgana si era seduta al tavolo di corvonero.

Non le dispiace affatto mangiare da sola, solo in quel modo riusciva a rilassarsi estraniandosi dalla confusione della scuola.

“Belmont. Tutta sola? Come mai?”, non aveva riconosciuto la voce calda che l'aveva raggiunta mentre le sue dita stringevano la tazza del suo tè mattutino con l'intenzione di portarlo alle labbra. Solo dopo essersi voltata per individuarne il proprietario aveva avuto modo di sorprendersi. Mentre il ragazzo si avvicinava per sedersi di fianco a lei, la ragazzina continuò ad osservarlo confusa.

“Ti sembra così strano che ti rivolga la parola? Sbaglio o hai passato l'estate col mio migliore amico?”, sorrideva in modo sincero mentre le parlava. La confusione di Morgana era sempre più visibile sul suo giovane volto.

“Non mi hai più rivolto la parola dal viaggio in treno per arrivare a scuola. Sono passate quattro settimane”, la sua obiezione non parve scalfire l'espressione sicura ed altera del ragazzo.

“Non abbiamo avuto molte occasioni per chiacchierare. Sei anche un anno più piccola di me, quindi non ci vediamo neanche a lezione”. Lo guardava con un sopracciglio alzato, ma dentro di se non poteva non ammettere che avesse ragione.

“Ti va una passeggiata sul lago, Morgana? Oggi è una splendida giornata”.

“Vuoi passeggiare con me, Theodore?”.

“Non fraintendere, sono un amico leale”, fece una pausa dopo quelle parole, come aspettandosi una replica da parte di lei, che voleva davvero chiedergli cosa intendesse, ma, forse, temeva la risposta, “i serpeverde tendono ad alzarsi tardi la domenica mattina, soprattutto dopo un sabato sera impegnativo, e tu mi sei simpatica. Quindi, perché non approfittare della reciproca compagnia, visto che anche le tue amiche non mi sembrano molto mattiniere”.

Le sorrise ancora alzandosi e lei dovette seguirlo, senza possibilità di alcuna replica. Mentre si dirigevano verso l'esterno continuò ad osservarlo. Non si era mai soffermata troppo su Nott, lo aveva sempre visto come un amico di Draco, un membro della sua banda. Nulla di più.

La sorprese notare come, anche lui, allo stesso modo di tutti i serpeverse, sembrava camminare con innata eleganza e sicurezza. Invidiava loro quella capacità di muoversi come se il mondo gli appartenesse, come se fossero i padroni di tutto. Lei non avrebbe mai avuto quella stessa padronanza, quella baldanza quasi inconsapevole. Dentro di se si chiese se venissero educati in un modo particolare per essere in quel modo o se per loro fosse naturale sentirsi superiori.

Theodore era piuttosto alto per i suo quattordici anni, aveva il viso magro, ma l'aria di una persona a cui non è mai mancato nulla. I ricci biondo scuro incorniciavano il suo viso ovale, i suoi occhi marroni ti penetravano l'anima, come se potessero leggere anche i tuoi più oscuri pensieri. C'era qualcosa, però, in quegli occhi. Una luce malinconica, come se, nonostante la sua vita agiata, lui sapesse cosa significa soffrire. Una sorta di malinconia, un dolore sopito dal tempo, una tristezza che il proprietario aveva imparato da anni a nascondere, forse per paura di dimostrarsi debole, o, forse, perché il suo orgoglio purosangue gli impediva di palesare qualsiasi sentimento.

“Intendi fissarmi ancora a lungo?”. Non si era accorta di averlo guardato per tutto il tragitto dalla scuola sino alla sponda del lago Nero.

“Perdonami, non era mia intenzione...”, si sentì arrossire leggermente, colpevole della sua curiosità.

“Non scusarti. Sono consapevole del fatto di essere affascinante e di fare questo effetto sulle donne”, il suo tono era arrogante ora. Il pugnetto debole della ragazza lo raggiunse, imprevisto, ma poco efficace, sul fianco sinistro. Lo fece arretrare di un passo, prima che i suoi occhi si avvicinassero a quelli di lei ed il suo viso sorpreso scoppiasse improvvisamente in una risata fragorosa, sincera, che lo fece sembrare il ragazzino che in realtà era, scacciando l'aria dell'uomo maturo dal suo sguardo.

“Cos'hai da ridere in questo modo? Smettila!”, le labbra della ragazza erano imbronciate e la sua fronte corrucciata, mentre lui continuava a ridere sereno.

“Perdonami”, la sua voce era ancora scossa dal tentativo di trattenere le risa, “è che a volte dimentico che tu sei diversa”.

“Diversa?”, ora la ragazzina sembrava quasi offesa, e, senza lasciargli tempo di replicare aveva ricominciato a camminare lungo la riva.

Dovette correre per raggiungerla e prenderla per un polso, per costringerla a girarsi a guardarlo negli occhi prima di parlare ancora, “non era un insulto, Morgana. Sei diversa dalle mie compagne di casa. Sei sincera, anche se non vorresti. Le tue emozioni ti si leggono in viso, una per una, mentre le provi. Sei spontanea, a volte anche in senso negativo. Sei genuina... non è necessariamente un male. Può essere pericoloso, ma non è un male”.

Rimasero in silenzio a lungo, continuando a percorrere le rive del lago, lasciandosi cullare dalla brezza e scaldare dai tiepidi raggi del sole di settembre.

“Theodore”, al suono del suo nome lui si voltò a guardarla, senza dire nulla, in attesa che lei continuasse, “prima hai detto una cosa...”.

Non sembrava intenzionata a continuare, quasi sperasse che lui capisse da solo dove voleva arrivare, o, forse, incapace di esprimersi, di spiegarsi.

“Ho detto molte cose. Ti riferisci a qualcuna in particolare?”, in un'altra occasione lui si sarebbe divertito dinanzi all'imbarazzo di lei, costringendola a chiedere chiaramente cosa volesse sapere, ma quella volta non era così. Davvero non capiva cosa volesse da lui.

“Hai detto che sei un amico leale”, le sua guance si imporporarono ancora, provocando in lui un moto di tenerezza che raramente aveva provato in passato. Quella ragazzina era così cristallina, per uno abituato alle giovani serpeverdi, sempre rinchiuse dietro la loro corazza di gelido ghiaccio, che non poteva non farsi intenerire.

“L'ho detto”, non era sicuro di poter aggiungere altro, ma non avrebbe negato di aver pronunciato quelle parole.

“Che cosa intendevi dire?”.

“Nulla di più di quel che ho detto, Morgana. Sono un amico leale e sincero. Se sarai mia amica potrai sempre fare affidamento su di me, se sarai mia nemica avrò pochi scrupoli”.

Lei continuava ad osservarlo come soppesando le sue parole, “stai cambiando argomento”, non era una domanda, “ma lo capisco. Non puoi dirmi altro”.

“Complimenti, Belmont! Vedo che stai apprendendo come funziona una serpe”. Ora il suo sorriso sincero era stato spodestato dal tipico ghigno da serpeverde.

“Belmont...”, il suo cognome, uscito dalle sue labbra, sembrava quasi un ringhio. Lo aveva sputato fuori con disprezzo, come se lo odiasse ella stessa, “perché non fate altro che chiamarmi così?”.

“E' il tuo nome”.

“No. Non lo è. È il nome che mi hanno dato nell'orfanotrofio in cui sono cresciuta. Nulla di più”.

“Theodore. Eccoti...”, l'interruzione fu gradita alla ragazza, che si era resa conto solo in quel momento di aver perso il controllo e di aver mostrato, forse per la prima volta nella sua vita, quando odiasse quel nome e quell'orfanotrofio.

La ragazza che correva verso di loro indossava la divisa di serpeverde, ma per qualche motivo Morgana si ritrovò a pensar che non le si addiceva per nulla. I tratti del viso erano dolci e delicati, come quelli di una bambolina di porcellana. La pelle chiara e diafana, che contrastava con i lunghi cappelli castano scuro, acconciati in dolci boccoli che le ricadevano sulle esili spalle. Gli occhi, di un caldo color nocciola lasciavano trasparire una dolcezza che in pochi potevano trasmettere solo con uno sguardo. Le forme di una bambina, ancora acerba, contrastavano con l'altezza del giovane corpo. Morgana non ricordava di averla mai vista a scuola, doveva essere del primo anno, ma sembrava conoscere bene Nott.

“Asteria... posso presentarti Morgana?”, il suo atteggiamento da giovane lord, che si era momentaneamente sopito quando erano rimasti da soli, si era improvvisamente risvegliato.

“E' un piacere conoscerti, Morgana”. La ragazza le porse la mano con fare regale e lei si sentì terribilmente impacciata mentre rispondeva al saluto, “avevi detto che mi avresti accompagnata a fare un giro per il castello questa mattina. Ti ho cercato ovunque”.

Sembrava imbronciata e, per qualche strana ragione, Morgana si sentì di troppo in quel momento, forse a causa dello sguardo gelido che, seppur per un solo secondo, aveva intravisto in quegli occhi di mogano, o forse perché, dopo le parole della ragazzina, un'aria fredda si era espansa intorno a loro.

In quel momento comprese quanto l'apparenza può ingannare. Asteria poteva sembrare inadatta alla casa di serpeverde, troppo dolce, troppo bambola per far parte di quelli considerati come i cattivi, ma dentro nascondeva un animo verde-argento che in pochi avevano.

“Mi ha fatto piacere conoscerti, Asteria. Ora però devo proprio andare. A presto Nott”, dopo un breve sguardo al ragazzo si diresse sicura verso l'ingresso del castello.

Mentre girovagava per i corridoi della scuola alla ricerca delle sue amiche, non poté smettere di pensare, neanche per un secondo, agli avvenimenti della mattina. Theodore Nott che l'avvicinava e l'invitava a fare una passeggiata con lei, facendola sentire quasi accettata, Asteria Greengrass che si avvicinava a loro e le salutava con quella finta aria gioiosa. C'era qualcosa in quella ragazza che la spaventava. Non le era simpatica, era evidente, ma proprio non riusciva a comprenderne il motivo. Infondo neanche si conoscevano, come poteva giudicarla senza darle neanche una possibilità. Anche se, infondo, era quello che facevano tutti in quella scuola.

“Morgana”, era ancora sopra pensiero quando si sentì chiamare per nome e ci mise qualche minuto prima di voltarsi.

“Harry. Ehm... ciao!”, non si vedevano dalle vacanze estive e lei davvero non aveva idea di come comportarsi con lui. L'ultima volta non era propriamente andata bene e, ad essere sincera, ancora si sentiva ferita dal ragazzo e dai suoi amici.

“Ciao. Come stai?”.

“Io bene, tu?”.

“Bene... anche io. Stavo andando in biblioteca a finire una relazione per pozioni. Tu che fai? Magari potresti accompagnarmi, se ti va”.

Si guardarono per qualche secondo l'un l'altra, lui sembrava davvero sperare in una risposta affermativa.

“Veramente, io ho finito i compiti ieri e... ecco... non ho neanche dietro i libri...”, si sentì così impacciata, soprattutto quando notò lo sguardo deluso di lui, “però potrei aiutarti in pozioni. Mi piace molto la materia”.

Harry sembrò sollevato, nonostante l'aria dubbiosa sentendole dimostrare il proprio apprezzamento per la materia. Aveva sentito dire che il ragazzo ed il professore Piton non andavano particolarmente d'accordo, perciò non era affatto sorpresa della sua mancanza di voglia nell'affrontare quel compito.

Rimasero seduti in un tavolo appartato a studiare per tutta la mattina, sino a metà del pomeriggio, completamente dimentichi del pranzo. Morgana talvolta si sorprese a riflettere su quanto fosse semplice trascorrere del tempo con lui e quanto si sentisse bene insieme a Potter, nonostante tutto. Avevano avuto le loro discussioni e qualche incomprensione in passato, ma quella domenica sembrarono essere tornati all'inizio dell'anno precedente, quando ancora non vi erano stati litigi.

“Non mi ero accorto che era così tardi. Perdonami, ti ho fatto saltare il pranzo”.

“Non fa nulla, tranquillo. Che ne dici se andassimo a prendere qualcosa da mangiare nelle cucine e poi facessimo una passeggiata sul lago, visto che hai finito la relazione ed è una bella giornata?”.

“Nelle cucine?”, sorrise all'espressione scettica del ragazzo. Era evidente che non aveva mai messo piede nei sotterranei per andare a sgraffignare del cibo dagli elfi domestici. Non gli rispose, limitandosi a prenderlo per mano e trascinarlo verso le scalinate.

Arrivarono dinanzi ad un quadro raffigurante una natura morta: una bella coppa di frutta, che doveva essere stata dipinta in colori cangianti ed allegri, ma, con il trascorrere del tempo aveva perso parte della brillantezza originale.

Con la coda dell'occhio intravide il ragazzo guardarla con aria sconcertata, mentre lei solleticava con le dita della mano destra la pancia della piccola pera posta al centro del quadro. Solo qualche secondo dopo, una maniglia in ottone comparve nel punto centrare della composizione.

Morgana aprì la porticina nascosta nella parete, come aveva fatto molte altre volte l'anno precedente, entrando nella grande stanza seguita da Harry, che si guardava intorno sorpreso quanto un bambino che si trova per la prima volta in un negozio di balocchi.

Se non avesse conosciuto Dobby l'anno prima, probabilmente ora sarebbe stato sconvolto dalla vista di quelle piccole e buffe creaturine.

Si ritrovarono circondati dagli elfi domestici, tutti ansiosi di poterli servire.

“Scusateci per il disturbo. Potreste, per piacere, portarci qualcosa da mangiare?”. Lo sorprese il tono gentile con cui Morgana si rivolse loro. Era abituato alla sua acidità ed ai suoi modi bruschi, ma gli fece piacere notare che sapeva essere anche cortese. Gli fece capire quanto, infondo, c'era da scoprire in quella ragazzina così strana e dalla corazza spessa. Per la prima volta si chiese se, un giorno, sarebbe riuscito a scalfirla quella gelida armatura che si portava dietro e con cui si difendeva da tutti, compresi i suoi amici.

Presero panini, succo di zucca, torta alla melassa e al cioccolato e si diressero col loro bottino sul lago, per un picnic sulle rive erbose dello specchio d'acqua, in quella che prometteva di essere l'ultima bella giornata dell'anno. Rimasero a lungo a chiacchierare da soli, scoprendo di avere in comune molto più di quel che avevano immaginato.

Lui le aveva raccontato degli anni trascorsi nel sottoscala dei Dursley, delle angherie sopportate dai suoi zii e da suo cugino, della solitudine provata prima di scoprire di essere un mago, di partire per Hogwarts e incontrare prima Ron e poi Hermione. Le aveva narrato le loro avventure al primo anno, la solida amicizia nata con Hagrid, l'affetto della famiglia Weasley (sui racconti delle estati con loro lei aveva un po' storto il naso, ma non aveva fatto alcun commento).

Lei aveva descritto la vita in orfanotrofio, i ritmi frenetici e scadenzati delle suore, le incomprensioni con gli altri bambini, la sua solitudine. Aveva rammentato il suo undicesimo compleanno, i ricordi che Suor Anna le aveva fatto avere da parte di sua madre, l'incontro con la professoressa McGranitt. Per qualche ragione, forse il timore di rovinare quel pomeriggio perfetto non gli aveva detto nulla dell'estate appena trascorsa a Malfoy Manor. Sentiva che lui avrebbe reagito male e non voleva discutere. Stavano bene insieme in quel momento.

“Quindi tua madre era una strega?”, aveva appena terminato il suo lungo racconto.

“E' così. In realtà nella lettera lei mi ha scritto di essere una strega e che anche mio padre è un mago. Quindi entrambi i miei genitori appartenevano al nostro mondo”.

“Non ti ha spiegato come mai non ti hanno tenuto con loro?”, c'era una strana luce nei suoi occhi mentre pronunciava quelle parole. Morgana lo guardò a lungo. Pensava di sapere cosa stava pensando: i suoi genitori erano morti per proteggerlo, mentre sua madre non era stata capace di amarla a sufficienza per tenerla con sé.

“Non mi ha detto perché mi ha abbandonata, ma ha scritto che non sarebbe vissuta sino ai miei undici anni. Mentre di mio padre nella lettera non era scritto altro”.

“Pensi che lei fosse... malata?”, le sembrò quasi che cercasse una scusa per giustificare un gesto così incomprensibile come l'abbandono di un figlio. Lei, infondo, si chiedeva da più di un anno cosa avesse spinto quella donna a lasciarla nell'orfanotrofio, ma non era ancora riuscita a trovare una risposta soddisfacente.

“Sinceramente non ne ho idea, Harry. Forse, semplicemente, i miei genitori non mi volevano...”, era un pensione che l'aveva sempre tormentata, ma dirlo apertamente le aveva creato un nodo in gola. Sentì le dita del ragazzo sfiorarle la guancia, per asciugare un piccola lacrima solitaria che era scesa dai suoi occhi. Neanche si era accorta di aver pianto.

“Non devi pensarlo neanche. Io penso che nessuna madre potrebbe abbandonare volontariamente suo figlio. Lei deve aver avuto una motivazione più che fondata per lasciarti in quell'orfanotrofio”, sembrava che cercasse di convincere se stesso, più che lei.

“Tu sei stato fortunato, Harry. I tuoi genitori sono morti, è vero. Sei cresciuto insieme a persone orribili, ma sei consapevole di essere stato amato. Tua madre e tuo padre sono morti per salvarti”, non riusciva a guardarlo negli occhi, il suo sguardo era perso in un punto lontano del lago, la sua mente rivedeva come se fossero scolpite su una roccia, le parole contenute in quella breve missiva, “mia madre... lei è riuscita solo a chiedermi perdono ed a dirmi che mi ha amata”, si voltò di scatto, per fissare i suoi occhi in quelli di lui, verde nel verde, “tu potresti crederle al mio posto? Potresti perdonarla per non aver avuto la forza di accogliermi nella sua vita?”.

La fissò a lungo, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli di lei. Non sapeva spiegare quella sensazione, ma perdersi nel suo oceano verde lo faceva sentire a casa, come se non stesse guardando una compagna di scuola, ma una vecchia amica di cui si aveva perso, ormai da tempo la memoria. Non riusciva a trovare una risposta alla sua domanda. Lui non lo sapeva. Non sapeva se avrebbe perdonato, non sapeva se avrebbe compreso. Non riusciva neanche ad immaginare di essere abbandonato dai suoi genitori. Era abituato a sentirsi dire che erano persone splendide e che lo avevano amato a lungo e si erano sacrificati per proteggerlo.

“Lei... lei...”, lei cosa? Cosa poteva dirle? Abbassò gli occhi, incapace di sopportare ancora a lungo quello sguardo in cerca di rassicurazioni, “lei deve aver avuto un buon motivo. Deve!”, sembrava una supplica la sua. La stava pregando di credergli.

“Harry. Ti stavo cercando. Sapevo che non eri andato ad Hogsmeade e speravo di incontrarti”, aveva dimenticato la visita al villaggio ed il fatto che lui non aveva il permesso di andarci, preso a chiacchierare con la corvonero, ma fu comunque felice per l'interruzione del professor Lupin, che gli permise di alzarsi e voltarsi verso di lui.

“Buon pomeriggio, professore”.

“Signorina Belmont, c'è anche...”, l'uomo si era bloccato di colpo ed era impallidito, come se di fronte avesse avuto non due suoi studenti, ma due fantasmi sanguinari. Il suo sguardo sconvolto fece preoccupare Harry, che si voltò verso Morgana, rivedendo in lei la sua espressione intimorita.

“Professore, si sente bene?”, al suono della sua voce gli occhi dell'uomo, lentamente, si voltarono verso il ragazzo, ma il suo corpo rimase rigido nella medesima posizione.

Lo videro andare dal viso dell'uno a quello dell'altra, senza dire una parola, per diverse volte.

“Io... perdonatemi. Ho dimenticato una cosa importante”, non diede loro il tempo di replicare che già si era voltato verso il castello, diretto di gran lena all'interno.

“Ma che cosa gli è preso?”.

“Non ne ho idea, Morgana”.

 

Si diresse senza riflettere e senza guardarsi intorno, verso lo studio di Minerva. Non seppe neanche perché stava andando da lei, forse perché era la sua ex capocasa, perché l'aveva ammirata, perché si era sentito un suo alleato.

Entrò nell'ufficio come una furia, senza accorgersi che il suo comportamento aveva destato qualche sospetto in corridoio. Senza curarsi del fatto che la donna non era da sola si avvicinò con aria minacciosa alla sua scrivania.

“Tu... Tu mi hai mentito! Mi hai ingannato, mi hai preso in giro. Come hai potuto?”, non si era neanche accorto di aver perso così tanto la pazienza da aver alzato la voce, probabilmente raggiungendo l'esterno della stanza. Non rivolse neanche uno sguardo a Severus Piton, che senza perdere il controllo si era diretto verso la porta, per chiuderla in modo tale da non attirare ulteriormente l'attenzione degli studenti.

“Credo che tu abbia perso il controllo, Remus”, solo in quel momento si rese pienamente conto che nella stanza erano in quattro: lui, Minerva, Albus e Severus.

“E' meraviglioso che siate tutti qui, così, forse, potrete spiegarmi come mai avete ritenuto di non avvisarmi che la mia migliore amica ha una figlia qui ad Hogwarts”, la sua frase fu seguita da un silenzio così carico di tensione da far quasi rabbrividire i presenti.

“Come lo hai scoperto?”, la voce di Minerva era più dolce di quanto si sarebbe aspettato, quasi temesse un altro scoppio d'ira da parte sua.

“Erano insieme. Lei ed Harry. Erano insieme nel parco. Erano l'uno di fianco all'altra”, tremava ancora dalla rabbia, “è bastato guardarli. Hanno i suoi occhi”.

“Hanno solo quello di lei”, la voce gelida di Severus lo colse alla sprovvista. Ogni tanto dimenticava che lui e Lily erano stati amici a scuola, prima del loro litigio, prima della guerra, prima che lui si avvicinasse ai simpatizzanti di Voldemort.

“Via, via, Severus. Tu ti ostini a fermarti alle apparenze. C'è molto di sua madre in Harry”.

“E in Morgana, Albus?”, non conosceva molto quella ragazzina, ma doveva ammettere che se non fosse stato per quegli occhi, non avrebbe mai immaginato che fosse figlia di Lily.

Il silenzio che seguì la sua domanda era così carico di tensione che fece scivolare il suo sguardo su ognuno dei presenti, in attesa di una risposta che tardava a venire.

“Lei”, era stata Minerva a parlare, “è una ragazza particolare. Non direi che somiglia a Lily. Non caratterialmente, almeno...”. Gli stavano nascondendo qualcosa, ne era certo.

Solo dopo altri venti minuti di discussione e forte insistenza da parte sua riuscì a farsi raccontare ogni cosa. Rimase in silenzio, cercando di assimilare le parole della donna, confermate tacitamente dagli altri due. Non disse nulla per molto tempo, incapace di esprimersi. Aveva bisogno di rimanere da solo, di schiarirsi le idee, di pensare.

“I ragazzi lo sanno?”, pose la domanda mentre si dirigeva alla porta, intenzionato ad allontanarsi da tutti almeno per quella sera.

“No. E pensiamo che sia meglio che non lo sappiano. Almeno per ora”.

Senza replicare uscì dall'ufficio, lasciandosi alle spalle i loro sguardi preoccupati e con in mente solo gli occhi verdi della sua migliore amica.


 

***




Sono un pò in ritardo con gli aggiornamenti, ma spero che apprezziate questo capitolo, di cui io sono piuttosto soddisfatta.
Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate dell'incontro fra Nott e Morgana ed anche del piccolo momento fra la ragazza ed Harry.
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che leggono, anche se in silenzio..

 

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Capitolo 22
*** Il momento giusto. ***


 

Il momento giusto.

 

31 ottobre 1993

 

I professori stavano facendo il possibile per decorare la scuola per halloween, anche senza l'aiuto di un paio di braccia. Il professor Lupin, infatti, era ancora troppo scioccato dalla notizia appresa quasi un mese prima per collaborare coi suoi colleghi e quel giorno, approfittando della prima gita ad Hogsmeade degli studenti, aveva deciso di parlare un po' con Harry. Aveva promesso che non gli avrebbe rivelato la verità sulla sua parentela con Morgana ed intendeva rispettare tale promessa, ma comunque desiderava comprendere quali fossero i rapporti tra lui e la ragazza.

“Harry, ti stavo cercando”, dopo quasi un'ora lo aveva finalmente trovato mentre girovagava all'esterno del castello, forse con l'intento di dimenticare che era l'unico studente del terzo anno che non aveva il permesso di visitare il villaggio.

“Professore, buongiorno. Si sente bene?”, il ragazzo doveva aver immediatamente notato il pallore dell'uomo, che cominciava a sentirsi poco bene, anche se faceva il possibile per non mostrarlo.

“Sto bene. Ti andrebbe una tazza di tè nel mio ufficio? Ti mostrerò in anticipo l'oggetto della prossima lezione di difesa contro le arti oscure”.

Si diressero insieme verso l'ufficio dell'uomo, parlando di quidditch e di scuola. Si sedettero alla scrivania che troneggiava al centro della piccola stanza, e il professore con un colpo di bacchetta fece comparire due tazze fumanti, una zuccheriera ed un piatto di biscotti alla marmellata di fragole (la sua preferita).

“Hai trascorso diversi pomeriggi con la tua compagna di corvonero”, la frase, seppur poteva sembrare casuale, era stata pensata e ripensata dall'uomo, che, approfittando di un momento di silenzio, era riuscito ad arrivare dove desiderava.

Il ragazzo era arrossito visibilmente, “non è affatto come sembra”, e la sua affermazione era evidentemente sulla difensiva.

“Io non penso nulla, Harry. Ho solo notato la vostra amicizia. Sbaglio?”.

“Non sbaglia. Morgana è... simpatica”, non sembrava convinto di quel che stava dicendo e Lupin dovette ammette che quell'aggettivo poco si addiceva alla ragazza, “lei è intelligente”, ecco, questo era molto più adatto e veritiero.

“Tutto qui? Non c'è altro tra di voi?”.

“No. Certo che no. Lei mi piace, ma non in quel senso”, si rese conto tardi di quello che la sua domanda poteva lasciar intendere e dovette ammettere che non era ciò a cui stava pensando.

“No. Io... non pensavo che tra di voi ci fosse attrazione fisica. Mi riferivo al fatto che sembrate buoni amici”, era arrossito e non era proprio da lui. Certo Harry non poteva capire, perché non conosceva la verità, ma certamente non aveva avuto intenzione di insinuare che vi fosse del tenero fra lui e sua sorella.

“Siamo amici. Abbiamo i nostri alti e bassi, ma ci capiamo e stiamo bene insieme”, lo sguardo del ragazzo vagò per qualche secondo intorno, alla ricerca di un appiglio, di un'ancora di salvezza, “a lei non piacciono molto i miei amici. Ron ha parlato male di lei l'anno scorso e non lo ha mai perdonato”, sembrava molto dispiaciuto mentre rifletteva sul difficile rapporto fra Morgana ed i grifondoro.

“Credo sia comprensibile. È stata delusa dalla diffidenza di Ron nei suoi confronti. Anche Hermione ha parlato male di lei?”, cercò di essere gentile, mentre si informava sui dissapori fra le due ragazze, ma non gli sfuggì il lampo di tristezza passato sul volto di Harry.

“No. Loro... non hanno mai litigato. A Morgana lei non piace perché è una nata babbana”, il tono della sua voce era sceso sulle ultime parole, che erano state solo sussurrate. Lupin non seppe cosa rispondere a quella costatazione, soprattutto perché nella sua mente si era stagliata imponente l'immagine della sua amica, unica portatrice di magia nella propria famiglia comune.

Per qualche minuto un silenzio carico di tensione si era sprigionato nel piccolo ufficio. Se erano vere le parole di Harry, cos'avrebbe pensato la ragazza scoprendo che sua madre era una nata babbana?

 

Intanto, dall'altra parte del castello una ragazza dai lunghi capelli neri camminava inquieta nella sua stanza nella torre di corvonero, sotto gli occhi attenti della sua migliore amica.

“Si può sapere che cos'hai? Sono almeno venti minuti che fai avanti ed indietro”.

“Nulla. Non ho nulla. Sono solo inquieta e non capisco come mai. Forse perché non ho mai compreso il senso di festeggiare questa tradizione pagana. La festa di halloween che senso ha?”.

“Che ti importa? È un'occasione per festeggiare, no?”.

“Sarà... ma io di voglia di banchettare in una sala addobbata con decorazioni di dubbio gusto, non è che ne abbia poi molta. Insomma... cosa ci sarà mai di divertente in pipistrelli, zucche intagliate e candele arancioni?”.

“E' una festa. Tu proprio non ti sai divertire, vero?”, lo sguardo truce dell'amica non la turbò minimamente. Al contrario continuò a sorridere serena anche mentre la vide uscire dalla loro stanza come una furia. Era sempre di malumore quando c'erano dei festeggiamenti e lei non aveva bisogno di chiedere nulla per comprenderne il motivo: i suoi genitori l'avevano abbandonata in un orfanotrofio da bambina e di sicuro non aveva mai avuto modo di godersi una festività in famiglia.

Morgana stava percorrendo a passo sostenuto i corridoi del castello senza una meta precisa. La verità è che non sapeva dove andare, ovunque si girasse vedeva solo visi sorridenti e persone intente a pregustare il banchetto di quella sera. L'atmosfera di gioia e di aspettativa che si respirava nella scuola per lei era opprimente e fastidiosa. Voleva solo star lontana da tutta quella frenesia, almeno per qualche ora.

Mentre vagava alla ricerca di una meta che non riusciva ad immaginare, un viso le si presentò nitido nella mente. Sicuramente lui non era avvezzo a tali festeggiamenti, ma era da molto tempo che non rimanevano nella stessa stanza da soli e non era sicura di essere gradita.

Col poco coraggio (non era di certo una grifondoro) in suo possesso, si diresse ostentando sicurezza e determinazione verso i sotterranei. Arrivata dinanzi a quella porta d'ebano rimase in attesa, di cosa neanche lei lo sapeva, forse di un segno, di un qualcosa che le dicesse di poter bussare. Nulla però sembrava sostentarla in quella difficile decisione: poteva rimanere così, a guardare l'uscio immobile, finché dall'interno il proprietario non l'avesse aperto, oppure poteva bussare, rischiando di essere insultata per la sua sfacciataggine. Dopo diversi minuti decise che bussando, almeno avrebbe ottenuto di essere derisa e cacciata e, se non altro, non sarebbe rimasta immobile a congelare per il resto del pomeriggio.

Ci vollero alcuni interminabili secondi prima che la porta si aprisse, rivelando il professor Piton, nel suo solito abbigliamento nero come la pece e col suo sguardo truce ed assassino.

“Signorina Belmont”, la apostrofò mentre si spostava di lato, facendole un cenno per farla entrare nel suo studio.

Morgana, titubante, ma con una certa sicurezza, aveva attraversato la porta dell'ufficio, con la strana sensazione di tornare a casa dopo una lunga assenza. L'anno precedente aveva trascorso così tante ore in punizione in quella stanza, che aveva imparato a conoscerla come se fosse propria. Gli animali galleggianti in strani liquidi verdognoli non la spaventavano più. I viscidi ingredienti delle pozioni, disposti in ordine, sugli scaffali non suscitavano in lei disgusto come i primi giorni.

Si era seduta, senza aspettare che lui le desse il permesso di farlo, sulla poltrona vicino al camino, che l'anno precedente aveva occupato spesso mentre copiava quei quaderni pieni di nozioni, per lo più ancora troppo difficili per lei, ma sicuramente molto affascinanti.

“Faccia pure come se fosse a casa sua, prego”, il tono sarcastico del professore l'aveva riscossa dai suoi pensieri puerili. In effetti era stato piuttosto maleducato da parte sua comportarsi in quel modo. Era saltata in piedi come se fosse stata punta da un porcospino ed ora si stava guardando intorno con gli occhi bassi, imbarazzata ed incapace di chiedere perdono per la propria sfrontatezza.

“Desidera un tè?”, il tono dell'uomo era divenuto stranamente gentile. Forse si era sentito in colpa per come l'aveva trattata. Se lei era lì un motivo doveva esserci, magari era accaduto qualcosa di grave.

“La ringrazio, professore. Se posso scegliere gradire...”.

“Un earl gray”, lui l'aveva interrotta con tono sicuro. L'aveva udita dire tante di quelle volte che avrebbe preferito quella particolare specialità, che non aveva bisogno di sentirglielo ripetere nuovamente.

Preparò con la sua solita dovizia le due tazze di bevanda, quasi fossero una complicata pozione, sotto gli occhi attenti della ragazzina, che lo ammirava perché riusciva sempre ad essere così preciso e misurato. Lei spesso risultava impacciata ed era una cosa che odiava terribilmente, perché la faceva sentire piccola.

“Signorina Belmont, ora può sedersi”, il tono ironico dell'uomo la fece arrossire violentemente. Si sentì ancora più sciocca e imbranata mentre si accomodava sulla poltrona che aveva occupato poco prima.

Mentre poggiava le tazze del tè sul tavolino posto fra le due poltrone, Severus si ritrovò a chiedersi perché stava facendo tutto quello. Era il trentuno di ottobre e lui, solitamente, quel giorno lo passava chiuso nelle sue stanze, sdraiato sul suo letto tra morbide lenzuola di seta nera, cercando di togliersi dalla mente il viso ridente dell'unica donna che aveva amato. Ed era proprio in quella posizione che si trovava quando la fanciulla aveva bussato alla sua porta.

Ora era là, con Morgana davanti, a sorseggiare un tè in silenzio, cercando di individuare in quella ragazzina qualcosa che gli ricordasse la sua migliore amica. Eppure in lei c'era così poco di Lily. Se non avesse già avuto da tempo la conferma che si trattava di sua figlia, se glielo avesse detto qualcun altro, non ci avrebbe mai creduto.

Lily... la sua Lily... lei era dolce, solare, formosa. Sprizzava gioia da ogni poro. Sorrideva sempre, anche nei momenti più difficili ed andava d'accordo con tutti. Era gentile, disponibile ed aperta al dialogo fra le diverse case di Hogwarts. Era una ragazza studiosa, passava molto tempo in biblioteca a leggere ed andava bene in ogni materia. Era rispettosa nei confronti dei suoi compagni e, soprattutto, dei professori. Era amata da quasi tutta la scuola. Adorava ogni festa, ed in quello, forse era un po' frivola; per lei ogni occasione in cui ci si potesse agghindare e fare casino era ben accetta.

Morgana era l'opposto della donna. Era cupa, sorrideva raramente. Non andava d'accordo con molti ragazzi, ma al contrario aveva amicizie selezionate, seppur molto diverse tra loro. Andava molto d'accordo con alcuni serpeverde. Era una bambina piena di sete di conoscenza, talvolta anche in senso negativo. L'aveva vista spesso girovagare per il reparto proibito della biblioteca, cercando di non essere vista. Era solitaria e non amava le occasioni in cui si faceva chiasso.

Sorrise pensando che, se non fosse stato per quegli occhi verdi così simili a quelli di Lily, forse ancora oggi avrebbe dubitato della loro parentela.

La ragazza non lo aveva più guardato in viso, ma continuava a fissare le fiamme del camino, con aria assorta. Era persa in pensieri che lui avrebbe voluto conoscere.

“E' qui per un motivo, signorina Belmont?”.

“Non può chiamarmi solo Morgana?”, si era rivolta a lui con tono stizzito e quasi offeso, come se lui l'avesse insultata.

“Lei è una mia studentessa”, il suo sopracciglio si era alzato pericolosamente, mentre rimarcava l'ovvio.

“Almeno quando siamo da soli...”, non aveva previsto il suo tono lamentoso e, soprattutto, non aveva messo in conto le sue lacrime. Stava piangendo guardandolo negli occhi e lui non capiva cos'avesse fatto per trovarsi in quella situazione.

“E' il suo cognome, cos'ha che non va?”.

“Lo odio. Non è il mio cognome”, aveva distolto lo sguardo d'impeto, “un cognome dovrebbe indicare l'appartenenza di una persona ad una famiglia. Io non appartengo a nessuna famiglia e il cognome che porto indica solo che sono da sola in questa vita”.

Il dolore di quelle parole lo colpì in pieno petto, facendogli capire quanto era difficile per Morgana sapere di essere orfana e non conoscere nulla della sua famiglia. La tentazione di rivelarle la verità era molta. Forse, se le avesse detto che non era sola, che aveva un fratello e che poteva imparare ad amarlo, quella scintilla di amara disperazione si sarebbe cancellata dai suoi occhi. Forse.

Spostò lo sguardo dalla ragazza. Non voleva vederla soffrire in quel modo. Non sapeva neanche perché la sua tristezza lo interessava così tanto. Infondo per lui non era altro che una studentessa. Una studentessa dai profondi occhi verdi.

 

La sala grande, in occasione del banchetto era stata allestita con decorazioni talmente accurate e sfarzose da sembrare innaturali persino in un mondo fatto di magia. I fantasmi che sorvolavano i tavoli rendevano l'atmosfera ancora più tetra e macabra.

Al tavolo dei professori svettava la mancanza di uno di essi. Il posto di Piton, con la sua sedia vuota ed abbandonata, sembrava una nota dolorosa in un quadro di gioia. Quando Morgana aveva lasciato il suo studio, poche ore prima, aveva scorto sul suo viso una luce strana, indecifrabile. Qualcosa che non era riuscita a cogliere e comprendere.

Eppure quando lo aveva lasciato sembrava in salute, almeno fisicamente. Nulla che giustificasse una sua assenza al banchetto, eppure lui non c'era.

Era con questi pensieri ancora nitidi nella sua mente che Morgana si era diretta insieme a Luna verso la torre dei corvonero, stanca e desiderosa solo di allontanarsi dalla folla. Anelava il suo letto caldo, il suo cuscino morbido (ma non troppo) e le sue coperte di lana blu notte. Il dormitorio di corvonero era perfetto, coi suoi colori scuri, per dormire e rilassarsi.

Il fato quel giorno aveva programmi diversi per la giovane corvonero ed aveva deciso di accanirsi, forse per punirla della sua asocialità e della sua incapacità di rimanere a lungo in mezzo alle persone. Non avevano fatto in tempo neanche a bussare alla porta della sala comune, che il professor Vitius (loro capocasa) era arrivato correndo per avvisarli che dovevano tornare nella sala grande.

Luna aveva appreso la notizia con aria eccitata, come una bambina a cui avevano detto che il Natale era arrivato prima quell'anno.

“E' quasi mezzanotte, è stata una giornata orribile. Si prospetta una notte peggiore, per non si sa quale motivo. E tu... sorridi?”, l'aria disgustata di Morgana ebbe solo l'effetto di far gioire ancora di più l'amica.

“E' un'avventura. Sarà divertente!”.

“Divertente? Non ci ha neanche spiegato per quale assurdo motivo dovremmo tornare nella sala grande. Magari al preside è venuta voglia di farci uno scherzo per halloween”.

Lei, al contrario, aveva il viso di una persona a cui hanno detto che il suo compleanno non sarebbe stato festeggiato quell'anno (non che in realtà amasse il giorno della propria nascita).

Giunte nella sala grande vi trovarono l'intera scuola, tutti i ragazzi avevano l'aria spaesata di chi si trova in un posto che non conosce, senza sapere come c'è arrivato.

“Silenzio, per piacere. Vi ho fatti riunire qui per una questione molto importante. Sirius Black si è introdotto ad Hogwarts. Non sappiamo come, né se si trovi ancora all'interno delle mura, pertanto, per sicurezza, dormirete qui questa notte”, mentre il preside parlava Luna osservava il viso sgomento dell'amica, trovandolo quasi buffo, “i caposcuola avranno la responsabilità degli studenti. I professori perquisiranno il castello e useremo i fantasmi per comunicare”. Senza aggiungere altro fece sparire i tavoli delle case e comparire al loro posto centinaia di sacchi a pelo dai colori sgargianti. La faccia schifata di Morgana fece scoppiare Luna a ridere serena, come se non ci fosse un assassino in giro per la scuola, ma semplicemente si fossero trovati tutti lì per un pigiama parti.

Mentalmente Morgana ringraziò solo che avessero scoperto l'intrusione prima che lei ed i suoi compagni avessero avuto il tempo di indossare veramente i propri pigiami.

“Morgana, Luna, tutto bene?”, non aveva notato Ginevra ed i suoi compagni avvicinarsi.

“Tutto bene, voi?”, la voce sognante di Luna le giunse alle orecchie ovattata, troppo intenta a notare due occhi di ghiaccio che la stavano osservando da lontano.

“Sì, tutto bene. Sirius Black è entrato ad Hogwarts, l'avete saputo? Ha tentato di entrare nella torre di grifondoro e ha distrutto il ritratto della Signora Grassa”, era stato Ron a parlare.

“Sirius Black?”, gli occhi scettici della corvonero erano puntati in quelli azzurri del ragazzo, nel vano tentativo di assorbire la notizia.

“Sì, Belmont. Sirius Black, l'assassino”, aveva pronunciato l'ultima parola con una nota di panico nella voce, “e potrebbe essere ancora nel castello”.

“Non essere sciocco, Ronald. Vedrai che non è più qui e, se anche fosse ancora in giro, i professori lo troverebbero e catturerebbero subito”, Hermione cercava di mantenere un tono di voce calmo e sostenuto, ma alla ragazza non era sfuggita la lieve inflessione d'ansia nella sua voce: la grifondoro non credeva alle proprie parole ed era preoccupata almeno quanto l'amico.

“Io, fossi in te, sarei andato a cercarlo, Potter”, la voce strascicata aveva interrotto la loro conversazione. Draco Malfoy si era avvicinato al gruppo di ragazzi, stranamente senza essere accompagnato dai suoi compari.

“Non è colpa nostra, Malfoy, se tu sei stupido ed hai istinti suicidi”, Ron era intervenuto prima che fosse il suo migliore amico a rispondere, con evidente astio nella voce.

“Tutti nei sacchi a pelo, cinque minuti e spegniamo le luci”, la voce di Percy Weasley aveva interrotto lo scambio di battute ed il biondo si era voltato per raggiungere il suo gruppo prima che potessero ribattere ancora.

Le due corvonero, insieme al gruppetto di serpeverde si erano premuniti di trovare dei sacchi a pelo per potersi mettere a dormire. A Morgana non era sfuggito il fatto che i tre avevano colto l'occasione per allontanarsi dalle ragazze ed ora erano in un angolo appartato a discutere vivacemente. Pochi minuti dopo le luci vennero spente, ma lei continuava a fissare il trio, cercando di comprenderne il comportamento. Perché tutto quel mistero e tutto quel timore? Sicuramente Sirius Black era pericoloso e certamente lei non desiderava trovarsi vicino a lui, ma loro davano proprio l'idea di sapere qualcosa in più. La stessa impressione l'aveva data il giovane Malfoy... perché pensava che Harry sarebbe dovuto andare a cercare Black?

Con tutte quelle domande nella mente non poteva proprio dormire. Rimase sveglia mentre tutti i suoi compagni si addormentavano, alcuni anche in modo poco silenzioso. Era sorprendente notare quanti erano a russare e quanto potesse essere snervante quel variegato suono di sottofondo.

Era ormai notte inoltrata quando, stanca di rigirarsi senza sosta nel sacco a pelo, aveva deciso di alzarsi, cercando di non dare nell'occhio, per trovare l'unica persona che poteva rispondere alle sue domande, o, per lo meno, l'unica a cui pensava di poterle porre.

Lo aveva individuato immediatamente. Per fortuna era al margine della sala, leggermente distaccato dal gruppo di amici. Si era accovacciata accanto a lui e lo aveva scosso piano, per svegliarlo.

“Draco... Draco... svegliati”. Le ci vollero diversi minuti per convincere il ragazzo ad aprire gli occhi ed inizialmente lui parve non notarla neanche mentre sbatteva ripetutamente le palpebre nella vana speranza di comprendere cosa fosse successo.

“Nana...”, la ragazza sorrise della sua voce impastata dal sonno. Era quasi dolce in quel momento e sicuramente molto diverso dal solito Malfoy, “è successo qualcos'altro?”. Parve svegliarsi di colpo, al sentore che doveva essere accaduto qualcosa di grave se lei lo svegliava nel pieno della notte.

“Non riesco a dormire. Continuo a pensare...”, non sapeva bene come esporgli i suoi dubbi e rimase bloccata quando, in un impeto di tenerezza a lui solitamente estraneo, la accolse fra le sue braccia, con l'intenzione di confortarla.

“Non devi preoccuparti. Qui sei al sicuro. Black non è così pazzo da attaccare una sala piena di studenti”, nel suo sguardo c'era qualcosa... Morgana non riusciva a capire di cosa si trattasse, ma era qualcosa che non vi aveva mai scorto prima e che la lasciava col fiato corto, persa nell'intensità dei suoi occhi color delle nubi temporalesche.

“Non sono preoccupata. Non per Sirius Black... ho solo l'impressione che ci sia qualcosa sotto che non conosco”, negli occhi di lui era passato un breve lampo di quel qualcosa che non riusciva a comprendere, “e poi... prima... quando hai detto quelle cose a Potter... Draco, perché gli hai detto che se fossi stato al suo posto saresti andato a cercare Black?”.

Il ragazzo aveva abbassato lo sguardo e voltato la testa verso il muro, non voleva guardarla in viso e cercava in tutti i modi di non incontrare più il suo sguardo, “lo sai che mi diverte sfottere Potter”.

Lei lo sapeva, però non era così sciocca da non capire che la sua era solo una scusa. Lui le nascondeva qualcosa. Per qualche minuto si sentì persa. Se anche Draco le mentiva, anche lui che sapeva essere crudele, ma che con lei quell'estate era apparso così diverso, allora di chi poteva fidarsi?

“Mi stai mentendo. Sappiamo entrambi che lo stai facendo”, la sua voce era atona mentre pronunciava quelle poche parole, “pensavo...”, un singhiozzo fece voltare il ragazzo verso di lei, “pensavo che fossimo amici. Ma mi sbagliavo”, la sua voce rotta lo colpì dritto in mezzo al petto. Non fece nulla mentre lei si alzava per andarsene, senza voltarsi indietro. Non cercò di fermarla, perché sapeva di meritarlo. Sapeva di aver detto troppo, ma se n'era reso conto troppo tardi.

Quel senso di vuoto nello stomaco, quella ansia che attanaglia le viscere, quel dolore sordo nel petto... allora era questo che si provava. Era questa la sensazione che colpisce chi si sente in colpa. Per la prima volta nella sua vita Draco Malfoy aveva capito. Aveva capito cosa si prova a perdere una persona a cui si è affezionati. Aveva capito cosa sente chi sa di aver sbagliato. E soprattutto aveva compreso che ogni azione ha delle conseguenze e che non sempre sono prevedibili ed accettabili.

Aveva capito tutto questo mentre la guardava andare via, mentre la osservava allontanarsi da lui.

“Perché non la segui?”, la voce dolce della ragazza di fianco a lui lo riscosse dai suoi pensieri.

“Perché non sono pronto a perderla davvero...”, il suo era poco più che un sussurro, ma Daphne aveva compreso, anche quello che lui, ancora non aveva colto. 


 

***

 

Come sempre ringrazio le centinaia di persone che leggono la mia storia, spero che vi stia piacendo. Ringrazio anche chi, come "gli", mi informa dei suoi pensieri sui miei capitoli.
Aspetto di sapere cosa ne pensate di questo!

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Capitolo 23
*** Verità e menzogna? ***


Verità e menzogna?

 

1 dicembre 1993

 

Le giornate di sole erano ormai sempre più rare e la pioggia che aveva caratterizzato il mese di novembre un ricordo lontano e sbiadito. Erano già tre giorni che nevicava incessantemente sopra i cieli di Hogwarts e gli studenti ne approfittavano per rimanere nelle proprie sale comuni, al caldo e, magari con una bella tazza di cioccolata fumante fra le mani.

Nel dormitorio di serpeverde un ragazzo dai tratti nobiliari e dal portamento fiero, tipici di chi dalla vita ha avuto tutto, fissava il fuoco con le iridi di ghiaccio incatenate alle fiamme. Tra le dita affusolate quello che sembrava un bicchiere di rum, e di fianco a lui i due suoi migliori amici seduti su poltrone identiche ed anch'essi con la stessa bevanda fra le mani.

Visti dall'esterno potevano sembrare freddi e, chiunque, avrebbe dubitato che fossero davvero così intimi come si diceva. Erano pur sempre tre giovani con in mano una bevanda poco adatta alla loro età e l'aria di chi, infondo, da questo mondo non si aspetta più nulla.

Per chi li conosceva veramente, come la ragazza dagli occhi blu ed i capelli d'oro che li osservava da tutto il pomeriggio, erano tre persone a cui la vita, in cambio di fama, ricchezza e potere (che tra l'altro per il momento potevano esercitare solo fra i banchi di scuola), aveva chiesto in cambio un prezzo troppo alto da portare su quelle giovani spalle, seppur non si potessero dire delicate. Lei li aveva sempre ammirati, perché sembravano a loro agio, in qualsiasi situazione. Avevano imparato sin da piccoli a fare buon viso a cattivo gioco. Avevano compreso sin dalla tenera età qual era la loro posizione e quanti sacrifici avrebbe comportato mantenerla.

Erano tre persone diverse, ma tra di loro il legame era così forte che nulla avrebbe potuto spezzarlo. Sapeva che anche se un giorno si fossero trovati a fare delle scelte diverse, se non addirittura a comportarsi come rivali in società, dopo si sarebbero comunque riuniti nel salone di uno dei tre, con quel bicchiere di rum o whisky in mano. Quel bicchiere a cui avevano imparato fin troppo presto ad aggrapparsi. Erano ormai mesi che avevano adottato quest'insana abitudine ed a nulla erano valsi i tentativi delle amiche di dissuaderli dal bere. Ogni tanto si facevano mandare delle bevande alcoliche da qualche negozietto di Diangon Alley, e ne bevevano un bicchiere, insieme, almeno una volta a settimana.

Lei la detestava quell'abitudine. Avevano solo tredici anni e, se già ora, si perdevano nel bere, come avrebbero combattuto la noia e la rabbia più avanti? Come avrebbero sopportato il peso delle responsabilità dopo?

Blaise era cresciuto in fretta e senza nessuno che gli impedisse di divenire grande con così tanta ansia. Suo padre era morto quando era poco più che un bambino, ed anche se sua madre lo adorava e lo viziava, aveva dovuto imparare presto a gestire gli affari di famiglia. Coadiuvato da adulti, certo, ma era lui, ormai, l'ultimo a portare il nome della famiglia Zabini ed il peso che questo comportava.

Theodore... lui aveva una situazione in famiglia che non si augurava a nessuno. I suoi genitori si erano sposati a seguito di un accordo matrimoniale fra le famiglie, ma non erano mai riusciti ad amarsi. Suo padre perdeva spesso il controllo verso la moglie, una donna frivola e senza spessore morale od intellettuale. La picchiava da anni e le urla della donna avevano svegliato il bambino molte volte nel suo letto infantile. Era cresciuto anche lui troppo in fretta, senza possibilità di avere un'infanzia serena.

Draco, infine, era un Malfoy. La maggior parte delle persone con comprendeva cosa volesse dire far parte di quella famiglia, La Famiglia. I Malfoy venivano educati sin dalla tenera età al rispetto dei più profondi valori purosangue. Lui era cresciuto con un padre duro, che aveva preteso il totale controllo e lo aveva punito senza remore. Non gli era permesso giocare, correre, divertirsi, come a qualsiasi altro bambino. Non poteva correre dai genitori per farsi consolare quando era triste od impaurito. Era cresciuto col peso di responsabilità troppo grandi per lui ed una madre che, nonostante lo adorasse, aveva sempre appoggiato i metodi educativi del marito. Non si poteva certo dire che i Malfoy fossero cattivi genitori. Il loro pargolo era sempre stato coccolato e viziato, non gli era mai stato negato nulla, ma come gli si donava qualsiasi cosa desiderasse, così si pretendeva da lui un comportamento degno ed adeguato al suo livello sociale. Non lo avrebbe mai ammesso e non ne parlava, ma gli pesava non avere la libertà di compiere le proprie scelte e di seguire la propria strada. Era difficile vivere su un percorso già scritto da altri.

Erano diversi, ma ognuno a modo suo aveva i propri dolori e le proprie preoccupazioni. E nessuno di loro le mostrava ad altri. Avevano imparato a capirsi e rispettare i silenzi gli uni degli altri. Li si vedeva spesso, insieme, ognuno perso nei propri pensieri, senza dire una parola per ore.

Maggiori erano, invero, le occasioni in cui si mettevano in mostra per i loro scherzi, talvolta anche crudeli, e le prese in giro (solitamente rivolte a coloro che, a loro parere, erano inferiori, per lignaggio, per sangue o solo per minori doti magiche). Lei sapeva che non erano cattivi. Solamente avevano adottato quel metodo, poco ortodosso e difficile da comprendere, per difendersi dal mondo esterno e sopravvivere ai propri problemi riversandoli, in parte, sugli altri.

Quella sera erano di umore nero, tutti e tre. Lo aveva notato immediatamente, anche se non ne conosceva le motivazioni e sicuramente non era andata a chiedergliele. Si erano seduti su quelle poltrone, dopo le lezioni, ognuno con i propri libri ed i propri pensieri e non avevano parlato con nessuno. Blaise era andato a prendere quella bottiglia di liquore e lo aveva distribuito agli amici mezz'ora prima.

Lei si era seduta ad una tavolo da cui poteva controllarli in silenzio, con i propri libri e nel vano tentativo di svolgere i compiti della settimana. Mentre li osservava, cercando di non farsi notare, vide Draco alzarsi, e ne fu sorpresa, come quasi tutta la sala comune. Mancavano solo trenta minuti al coprifuoco e non era da lui rischiare di essere scoperto fuori dai propri dormitori in violazione delle regole.

“Esco. Ci vediamo più tardi”, non aveva aggiunto altro. Semplicemente si era avvicinato all'uscita della sala comune ed aveva atteso che il muro scorresse rivelando il passaggio segreto, prima di attraversarlo senza più guardarsi indietro.

Persino Blaise e Teo erano rimasti spiazzati dalla decisione dell'amico, nonostante non avessero avuto né modo, né tempo per fermarlo.

“Cosa gli è preso?”, aveva atteso solo pochi secondi prima di occupare la poltrona appena lasciata vuota.

“Non ne ho idea. Sai com'è fatto... non è che sia proprio propenso a raccontare a tutti i suoi pensieri”, Blaise, come sempre, dava prova di conoscere l'amico molto bene.

“Non è da lui neanche andarsene in giro per la scuola poco prima dello scattare del coprifuoco”.

“Lo so Teo...”.

Rimasero così. A guardarsi l'un l'altro. Indecisi su come comportarsi, ma consci che andare a cercarlo sarebbe stato inutile se non dannoso.

 

In uno dei corridoi della scuola, intanto, il ragazzo camminava tranquillo, incurante dell'orario e delle regole di Hogwarts. Gli piaceva camminare per il castello quando fuori il cielo era nero e cosparso di stelle d'argento. Adorava fermarsi ad una delle finestre ad osservare gli astri rincorrersi per la volta celeste, riconoscendoli uno per uno. Non aveva mai avuto alcuna difficoltà in astronomia. Lui era un Black e il nome di ognuno di quegli astri lo aveva imparato a memoria molti anni prima, in tenera età. Sua madre passava ore ed ore con lui, nel terrazzo della sua stanza, ad insegnargli i movimenti delle costellazioni, i loro nomi altisonanti, le loro forme.

Quei momenti erano forse gli unici della sua infanzia che ricordava con piacere. In quelle ore poteva stare seduto vicino a Narcissa Black in Malfoy, ascoltarne il profumo fruttato, assorbirne i lineamenti dolci ed assaporare il suono della sua voce melodiosa. Solo in quei pochi attimi riuscivano ad essere davvero madre e figlio ed a dimostrarsi un po' d'affetto.

“Malfoy...”, il suono di quella voce lo aveva riscosso dai propri pensieri. Un moto di rabbia lo aveva invaso, senza che lo potesse controllare. In pochi secondi la sua mano era andata alla bacchetta e si era voltato, veloce come un felino, puntandola alla gola dell'altro. Il ragazzo non era riuscito neanche a muoversi, troppo sorpreso dalla sua reazione.

“Potter... che piacere vederti”, la sua voce sputava veleno da ogni sillaba.

“Vorrei poter dire lo stesso, ma non è così”, gli occhi verdi del ragazzo di fronte a lui per qualche secondo lo distrassero, il tempo sufficiente per permettere all'altro di recuperare la sua bacchetta e colpirlo con una fattura.

In pochi minuti si era trovato dal passare da una tranquilla passeggiata ad una battaglia furiosa fra studenti nel corridoio, con la sola speranza che i professori quella sera non fossero in vena di pattugliare la scuola.

La concentrazione che aveva perso era ritornata più forte di prima, e le sue capacità di duellante stavano avendo la meglio sul compagno, che, al contrario di lui, agiva per impulso, senza alcun calcolo o premeditazione delle proprie mosse.

Non voleva attaccarlo, non era sua intenzione trovarsi in quella battaglia senza senso, ma quando lo aveva sentito, ancor prima di vederlo, per qualche motivo si era sentito invadere da una feroce furia. Non osava pensare di conoscere il significato di quel sentimento. Non voleva ammetterlo neanche a se stesso, ma la verità era che un nome quell'onda di repulsione l'aveva, e lui lo conosceva: gelosia.

Non lo avrebbe ammesso neanche a se stesso. Non voleva ammetterlo. Eppure, mentre cercava di colpire il grifondoro, nella sua mente l'immagine di quel pomeriggio era nitida ed imponente. Lui non parlava con Morgana dalla notte di halloween. Aveva tentato di incontrarla da solo, di unire i loro sguardi per chiederle la possibilità di spiegarsi, ma la ragazza lo evitava e non era mai da sola.

Camminava tranquillamente per il parco del castello, quando aveva intravisto due chiome nere, una di fianco all'altra, camminare e chiacchierare serenamente. Non aveva sopportato quell'immagine, era tornato nella sua sala comune. Si era seduto su quella poltrona davanti al camino, raggiunto poco dopo dai suoi due migliori amici e non aveva detto una parola per il resto della giornata.

“Allora, Potter”, aveva approfittato di un momento di calma per riprendere la parola. Voleva ferirlo e sapeva di conoscere un informazione che avrebbe potuto distruggerlo. Il problema è che sapeva anche che poteva far del male a qualcun altro dicendoglielo, eppure la rabbia verso di lui era così forte che non riusciva a pensare alle conseguenze delle sue parole. Voleva colpire, affondare e distruggere, “ti ho visto con la tua sorellina questo pomeriggio... sembrate affiatati...”. Ecco. Lo aveva detto. Non poteva più tirarsi indietro ed una vocina cattiva nella sua mente gli stava dicendo che se ne sarebbe pentito.

Vide lo sguardo del suo nemico incupirsi, perdersi nel vuoto di pensieri che non riusciva a raggiungere, forse perché in realtà non voleva farlo. Osservò ogni emozione sconvolgerlo, blandirlo, dallo sconcerto, al dubbio, dalla paura alla rabbia.

Si fissarono, senza vedersi, il biondo con quella nuova sensazione appena scoperta nello stomaco, il senso di colpa; il moro con quella difficoltà ad accettare una verità troppo grande che gli veniva sbattuta addosso come una frana che si abbatte sulle case sottostanti il monte morente, senza pietà.

Ci vollero diversi minuti prima che riuscisse a recuperare il dono della parola e rivolgersi nuovamente all'altro, cercando di ostentare una sicurezza che non sentiva di provare.

“Di che cavolo stai parlando, Malfoy? Hai bevuto per caso?”.

Un sorriso ironico comparve sul viso del biondo, che sapeva bene come fingere emozioni che non stava provando in quel momento e nascondere quelle reali, “bevuto? In effetti, Potter, sì... devo ammettere che qualcosina l'ho bevuta, ma non sono così ubriaco da non sapere cosa sto dicendo”, il suo ghigno beffardo non abbandonò per un secondo il suo volto magro, “non mi dire... nessuno ha avvisato il grande Harry Potter del fatto che ha una sorellina? Pensa, Potter, se te la fossi portata a letto...”, dopo quella parola, la sua risata fragorosa riempì il corridoio, impedendogli di schivare il pugno del moro che si abbatté con forza sul suo zigomo. Non aveva mai pensato che un pugno potesse fare così male.

“Sei soltanto un bugiardo. Prima fierobecco... ed ora Morgana”, la sua voce tremava di una rabbia cieca, e desiderosa di esternarsi.

“Eppure... Potter... non ti ho detto il suo nome, ma lo hai capito subito”, non si divertiva a prenderlo in giro. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di indispettirlo, di vedere i suoi occhi pervasi da furia ferina. Aveva la necessità di provocare nell'altro lo stesso dolore che stava provando lui e che non riusciva a placare. Lei non gli rivolgeva la parola da mesi e solo il fatto che lui aveva osato camminarle accanto, parlarle, ridere con lei. Non aveva alcun diritto di farlo.

Forse, la verità era che sapeva che aveva più diritti di lui e che sapeva che rivelargli la verità, quella verità scoperta per caso, quella verità che aveva per qualche secondo distrutto anche lui, la stessa verità che era stata nascosta ad entrambi, non gli sarebbe servito. Al contrario, lo avrebbe fatto odiare ancora di più da Morgana, quando avesse scoperto che lui sapeva e non le aveva detto nulla.

Nel circolo autodistruttivo in cui ormai viveva da anni, conscio del fatto che la sua sofferenza non si sarebbe mai attenuata, ma poteva solo aumentare, il desiderio folle di portare nel suo turbine nero anche altri era così grande, così imponente, da impedirgli di fermarsi.

La sua risata falsa come la gioia nei suoi occhi, era incontrollata. Si beffava del moro, implorandolo senza che l'altro se ne accorgesse, di ferirlo, di fargli male. Voleva provare dolore fisico, quel dolore che solo un nemico può causarti, per attenuare almeno per un po' il dolore della sua anima. Perché, sì, anche Draco Malfoy aveva un'anima. Ed era stata distrutta e lacerata, dalla consapevolezza che Morgana Belmont, altri non era che Morgana Potter, la sorella del suo peggior nemico. L'unica donna con cui aveva stretto, seppur per poco, un rapporto sincero, era anche l'unica con cui non avrebbe mai dovuto farlo.

“Tu deliri...”, la sua voce era implorante. Aveva perso la sicurezza ostentata poco prima.

“Davvero?”, non fece in tempo a dir altro che dei passi lo distrassero.

“Che succede qui?”, la voce dura della professoressa McGranitt li raggiunse non appena ella ebbe varcato il corridoio in cui si trovavano.

Solo in quel momento si resero conto delle condizioni in cui erano: i vestiti stropicciati e strappati in alcuni punti, la polvere sul viso e sulle mani e i capelli arruffati. Era evidente che si erano azzuffati ed anche lo spazio intorno a loro ne recava i segni inconfondibili.

Gli occhi della donna saettarono pericolosamente dal vetro della finestra infranto dietro alle spalle di Draco, sino ai resti di un vaso in terracotta distrutto di fianco alle gambe di Harry.

“Cosa vi è saltato in mente?”, le urla della professoressa fecero sobbalzare entrambi, che non si aspettavano di certo tanta rabbia. Avevano fatto un po' di casino, si erano presi a pugni, ma alla fin fine con un paio di incantesimi si poteva sistemare tutto.

“Seguitemi. Immediatamente. Entrambi”, le sue parole telegrafiche non ammettevano replica e, comunque, nessuno dei due intendeva scontrarsi con la professoressa. Non lo avrebbero mai ammesso, probabilmente, ma quella donna incuteva timore e rispetto, persino nell'algido serpeverde.

Le trotterellarono dietro, sino a quando non raggiunsero l'ufficio della capocasa di grifondoro. Prima di entrare si guardarono con aria di sfida, ma il biondo, con il suo solito ghigno strafottente, impedì all'altro di raggiungere l'interno della stanza prima di lui. Non sarebbe stato secondo a Potter, neanche in quella situazione.

“Avete una spiegazione per il vostro sciocco comportamento infantile?”, senza rispondere, ne aspettare un invito dalla donna, Draco si era accomodato sulla poltrona di destra davanti alla scrivania, osservando il suo compagno titubare prima di seguire il suo esempio.

“Nessuno di voi due ha qualcosa da dire?”, il suono della voce gelida della McGranitt, sembrò risvegliarlo, e con una lentezza irritante (almeno a dire di Potter), si voltò per guardare in viso la professoressa.

“Mi facevo i fatti miei quando lui mi ha provocato”. Il solito tono strascicato, la solita calma serafica, come se non avesse appena ammesso di aver violato le regole della scuola, come se non si trovasse davanti ad una professoressa, come se tutto in quel castello fosse di sua proprietà.

“Non è affatto così”, l'urlo di Harry fece voltare la donna, che con un gesto della mano interruppe il ragazzo e con la coda dell'occhio vide il ghigno divertito del serpeverde.

“Non so neanche perché ve l'ho chiesto. La verità è che non mi interessa. Domani sera sarete entrambi in punizione. Vi voglio qui, nel mio ufficio, alle 19 e passerete la serata a riordinare il mio archivio... senza distruggerlo! Ora andate”, sembrava stanca, mentre le sue dita si posarono ai lati del naso, e i suoi occhi si socchiusero per pochi secondi, in un gesto evidentemente esasperato.

Il biondo non se lo fece ripetere e si diresse verso la porta, senza curare il compagno di uno sguardo, con le mani nelle tasche dei pantaloni ed uno strano senso di benessere misto ad inquietudine. Si era sfogato quella sera e non desiderava altro che tornare nel proprio dormitorio e riposare.

Solo dopo che la porta si richiuse dietro al serpeverde, la professoressa riaprì gli occhi, convinta di essere da sola e di potersi finalmente riposare. Rimase sorpresa, pertanto, constatando che Harry era ancora seduto sulla sedia che occupava poco prima. Le mani poggiate sulle ginocchia, gli occhi puntati sulle dita intrecciate.

“Potter... so benissimo che il signor Malfoy... diciamo che ha un carattere particolare ed adora manipolare il prossimo. Non ho veramente bisogno di ascoltare le tue lamentele al riguardo”, sospirò, dopo aver pronunciato quella frase, sperando che il ragazzo avrebbe capito e se ne sarebbe tornato nel suo dormitorio e nel suo letto in fretta. Infondo era lì che avrebbe dovuto trovarsi ora.

“Un manipolatore... già... è vero”, il sussurro poco convinto del grifondoro davanti a lei la fece preoccupare. Gli nascondeva qualcosa?

“C'è qualcosa che ti turba, Potter?”, il viso del moro si alzò con lentezza, sinché i suoi occhi verdi non incontrarono le iridi attente di lei, che cercava, invano, di scrutare nella sua anima, alla ricerca di qualcosa che non riusciva ad immaginare.

“Lui... ecco... Malfoy, prima... ha detto una cosa”, sembrava così turbato che l'attenzione della donna, che sino a quel momento era stata titubante, si era risvegliata di colpo.

“Si tratta di Sirius Black?”, sapendo della parentela fra la madre di Draco ed il condannato poteva solo immaginare cosa avesse sentito il ragazzo a casa e cosa potesse aver riferito al compagno, col solo gusto di provocarlo.

“No. In realtà no. Non si tratta di Black”, la donna rimase in silenzio, in attesa che il ragazzo davanti a lei continuasse a parlare, trovando il coraggio di farlo. Ci vollero ancora diversi minuti prima che egli si imponesse di dire quel che doveva, lo vide nel suo sguardo il momento che arrivava, quando alzò il viso puntando gli occhi di giada nei suoi e fissandola risoluto e determinato, “si tratta di Morgana...”, il volto della donna perse qualche tonalità di colore, ma lui parve non accorgersene, troppo intento ad esprimere i suoi pensieri, “lui... lui l'ha definita la mia sorellina”, l'ultima parola giunse a Minerva McGranitt come un sussurro, ma fu capace di spezzare, per poco più di un secondo, la sua gelida patina di freddezza e compostezza.

“E per questo che avete litigato?”, per una volta, la donna, non sapeva cos'altro dire.

“No. Lo ha detto dopo il nostro litigio”, lui la scrutava, cercando di vedere in lei qualcosa di più, senza farsi però sfuggire il fatto che la donna non aveva affatto negato, ma si era limitata a porre una domanda qualsiasi, quasi necessitasse di riempire il vuoto del silenzio che si era creato.

Si fissarono a lungo, il ragazzo e la donna, lo studente e la professoressa. Lui cercando di cogliere una risposta negli occhi di lei, lei cercando di comprendere il dolore negli occhi di lui. Ognuno dei due incapace di proseguire quel discorso troppo difficile, ma desideroso di chiarire quella questione, che ormai non poteva più essere accantonata.

“E' vero? Lei è mia sorella?”. La domanda non giunse inaspettata. La verità è che la donna la stava attendendo, con ansia e paura.

Abbassò gli occhi Minerva. Per la prima volta nella sua vita, il suo sguardo di ferro non era capace di sostenere quello di uno dei suoi studenti. Si sentiva colpevole. Colpevole di non aver voluto rivelare una verità che, lo sapevano tutti, non poteva essere nascosta a lungo. Colpevole di aver lasciato che quella notizia, così importante, giungesse alle orecchie del suo studente da parte di quello che, lo sapeva bene, era per lui un nemico. Un nemico a scuola, nel quidditch, un nemico a causa della diversità di colori sulle divise... e, sapeva anche questo, un nemico per il cuore di Morgana, che già ora era scisso fra il serpeverde ed il grifondoro.

Lei non commentava, non diceva, non si intrometteva, ma vedeva. Vedeva ogni cosa che accadeva nella sua scuola. Ed aveva visto la giovane corvonero ridere e scherzare insieme al fratello, come aveva visto la stessa ragazza camminare per i prati del castello, spesso in silenzio, con l'algido serpeverde.

“Sì. È vero”, che senso avrebbe avuto mentire ancora, quando la notizia ormai era arrivata alle sue orecchie?, “lo ha scoperto il professor Piton l'anno scorso. Lei non lo sa”.

“E' vero?”, non si scompose mentre il ragazzo, balzato in piedi, cominciava ad urlare furibondo, “lei è mia sorella, voi lo sapevate e non mi avete detto nulla? E lo avete nascosto anche a lei? Lo sapete da un anno. Un anno e nessuno ha detto niente. Potevamo stare insieme, invece avete spedito lei in un orfanotrofio”, ringrazio mentalmente che almeno questo dettaglio lui non lo conoscesse. A quanto pare Draco non aveva rivelato che la bimba aveva trascorso gran parte dell'estate in casa con lui.

Non disse nulla, non si mosse dalla sua posizione. Lo lasciò urlare, a lungo e con tutto il fiato che aveva in gola, ringraziando che, per lo meno, il suo ufficio era insonorizzato.

Non si mosse neanche quando il ragazzo, preso dalla furia, cominciò a prendere qualsiasi cosa gli capitasse per le mani e scagliarla contro le pareti di quella stanza che, per entrambi, era ormai divenuta troppo stretta.

Non si mosse, perché infondo sapeva che lui aveva ragione e che lei era colpevole, perché si era opposta al rivelare la verità ai ragazzi. Lei aveva voluto tener segreto quel legame così importante, sapendo che avrebbero reagito male quando sarebbe stato loro rivelato.



 

***




Il momento che molti di voi stavano aspettando è finalmente arrivato, almeno in parte. Spero che vi piaccia questo capitolo e come al solito ringrazio i lettori che mi seguono con assiduità, anche se in modo silenzioso.

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Capitolo 24
*** Dobbiamo parlare... adesso? ***


Dobbiamo parlare... adesso?

 

2 dicembre 1993

 

Quella mattina un ragazzo raggiunse il tavolo di serpeverde con l'aria di chi avrebbe tanto voluto trovarsi altrove. Svegliarsi era stato un supplizio, dopo una notte insonne. Era tornato nel suo dormitorio senza incontrare nessun altro, né professori, né studenti. La sala comune era deserta quando aveva attraversato il muro di gelidi mattoni per rifugiarsi in quel mondo di gelido argento. Il fuoco verdastro del camino si stava lentamente spegnendo, poiché non vi era più nessuno per cui riscaldare l'ambiente.

Si era diretto verso il proprio dormitorio ed aveva raggiunto in fretta il suo letto. Con i soliti gesti calcolati e provati e riprovati ogni sera, si era spogliato, per indossare il pigiama di seta verde che utilizzava durante la notte. Si era disteso fra le coperte del suo baldacchino, convinto di meritare una notte di riposo dopo quella lunga giornata, terminata con lo scontro con Potter la sera.

Certo, questi erano i suoi pensieri, ma per qualche strana ragione le cose non erano andate in tal modo. Si era rigirato a lungo tra quelle lenzuola di morbida seta, incapace di addormentarsi e di concedersi il riposo tanto agognato. Aveva osservato per un tempo interminabile il soffitto del baldacchino, chiedendosi se sarebbe mai riuscito a cedere all'oblio quella notte.

Si era addormentato, molte ore dopo ed il suo sonno era stato disturbato da incubi che, seppur ormai sveglio da ore, ancora si mostravano nitidi nella sua mente. Quegli incubi che ogni volta lo facevano sentire tanto inadeguato e così diverso dall'immagine che mostrava di sé

Sedendosi al tavolo verde-argento, fra Blaise e Theo, i suoi occhi si persero in quello di fianco, alla ricerca delle due iridi di giada che lo avevano tormentato durante le ore di veglia notturna. La vide vicina alla sua amica, Luna, chiacchierare con ella, senza curarsi del mondo circostante, senza curarsi di lui, che bramava un po' di quelle attenzioni che concedeva alla ragazzina.

“Dovresti parlarle, Draco”, ci mise qualche secondo più del dovuto, prima di capire che quella voce melodiosa e quelle parole erano rivolte a lui.

“Non capisco a cosa ti riferisci, Daphne”, il suo tono era più duro di quanto avrebbe voluto e, per evitare, di dover guardare la ragazza negli occhi, si concentrò sulla sua colazione.

“Dra...”, alzò il viso al richiamo di lei, così flebile, quanto imperioso, incontrando i suoi inconfondibili fari azzurri, “da quanto ci conosciamo io e te?”.

“Che domanda è? Da molto...”, sbuffò contrariato dai tentativi di manipolazione della ragazza. La conosceva troppo bene per non comprendere dove volesse andare a parare.

“Da quanto?”, il tono di lei ora era duro e non ammetteva una risposta che non fosse quella alla sua domanda.

“Direi più o meno da prima che entrambi imparassimo a gattonare”.

“Già... è un bel po' di tempo, non trovi?”, la adorava anche quando lo prendeva in giro, come in quel momento.

“Sì, un bel lasso di tempo”, incatenò i suoi occhi di ghiaccio a quella cristallini di lei, “Daphne, dove vuoi arrivare? Non giriamoci intorno ed arriva subito al dunque, così la facciamo finita”.

“Tu provi qualcosa per Morgana”, era vero che le aveva detto di arrivare al punto e non girarci intorno, ma quella frase lo colpì in pieno, come un pugno nello stomaco, senza lasciargli possibilità alcuna di replica.

Non le rispose, si perse nella sala, fra la marea di toghe nere, alla ricerca di quegli occhi di giada che ultimamente gli erano così ostili. La ritrovò, di fianco alla famigliare chioma bionda della Lovegood. La guardò, a lungo. E per la prima volta si pose la domanda che aleggiava sopra di lui da così tanto tempo che ormai i contorni delle parole erano quasi sfumati e contorti. Lui provava qualcosa per lei? Le era simpatica, la trovava interessante. Non aveva mai pensato fosse bella, anche se qualcosa in lei catturava l'attenzione. Non era di certo perfetta. Se pensava ad una ragazza bella gli veniva in mente Daphne, con i suoi lineamenti delicati, i capelli sempre in ordine, l'eleganza innata.

Morgana... era tutto il contrario, qualcosa nel suo viso infastidiva, come se ci fosse in lei un miscuglio di caratteri contrastanti. I suoi capelli erano un autentico disastro e si salvavano solo perché, se non altro, erano lisci. I suoi abiti sembravano sempre essere stati stropicciati prima di indossarli, come se li avesse trovati per caso in un corridoio. Però nel complesso, forse proprio l'insieme, la rendevano unica ed attraente. E c'era qualcosa in lei, probabilmente lo sguardo cupo, gli occhi verdi come le pietre più preziose, le labbra sottili e poco propense al sorriso, qualcosa che per lui era come un baratro, una voragine in cui stava lentamente ma inesorabilmente cadendo, senza via d'uscita e con la consapevolezza che nessuno sarebbe venuto a salvarlo, ed avrebbe dovuto sopravvivere da solo.

Forse Daphne aveva ragione, per lei lui provava qualcosa. Il problema a questo punto era solo capire di cosa si trattava.

 

Dall'altra parte della sala qualcun altro stava osservando quegli occhi di giada, quello sguardo intenso. La guardava da quando era entrato nella sala grande, senza riuscire a realizzare che quello scricciolo, quella ragazzina ancora acerba, seduta al suo tavolo blu e bronzo, non era altro che un membro della sua famiglia. Sua sorella. Quella parola suonava ancora così strana alle sue orecchie che faticava egli stesso a comprenderla ed utilizzarla. Non aveva dormito per tutta la notte, ripensando ai pochi momenti trascorsi con lei, ai litigi dell'anno precedente.

Ricordava con un tuffo al cuore quando le aveva urlato contro, quando le aveva risposto male, quando aveva dubitato di lei. Aveva fatto del male all'unico membro della sua famiglia che ancora era in vita ed era colpa di tutti coloro che non gli avevano rivelato la verità.

Sentiva gli occhi di metà degli insegnanti puntati su di lui. Probabilmente la professoressa McGranitt aveva rivelato la sua scoperta anche agli altri ed ora erano tutti là, in attesa della sua mossa. Si stavano chiedendo tutti quanti se sarebbe andato da Morgana a rivelarle ogni cosa. E lui non sapeva cosa fare, perché temeva la sua reazione. E se lei fosse rimasta delusa da quella scoperta così travolgente? Se lei non voleva essere sua sorella? Se lei avesse rifiutato la loro parentela?

Una piccola parte di lui non riusciva a dimenticare le parole che la ragazza aveva pronunciato l'anno precedente nella Camera dei Segreti.

Non è vero. Avrebbe ucciso solo i sanguesporco. E comunque in tutti questi anni ha ucciso solo una ragazza”.

Quelle parole rimbombavano nella sua mente, da tutta la mattina. Sua madre, la loro madre... lei era una nata babbana. Ed era evidente che Morgana aveva qualche problema coi nati babbani (o sanguesporco usando i suoi termini). Come avrebbe reagito scoprendo che sua madre era una di loro?

“Se continui a fissarla la consumerai!”, la voce squillante della sua migliore amica lo distrasse dai suoi pensieri, si voltò giusto in tempo per vedere lei sorridere e Ron accigliarsi.

“Di che stai parlando, Hermione? Sei impazzita tutto d'un tratto?”, debole tentativo di salvarsi, ma che altro avrebbe potuto dir loro?

“Ma certo... come se non fosse evidente... passi un sacco di tempo con lei ultimamente”.

“Già, amico. Non è che ti sei preso una bella cotta?”, il viso del suo amico sembrava implorarlo di negare.

Mentre guardava negli occhi i suoi due migliori amici una fitta lo colpì dritto allo stomaco. Si sentiva in colpa per non aver rivelato loro la verità, ma non era sicuro di sentirsela. Come poteva spiegargli di aver scoperto che quella ragazzina così strana era sua sorella? Cosa doveva aspettarsi da loro? Avrebbero capito? L'avrebbero accettata?

“Harry... è tutto a posto? Sei strano. Sai che se c'è qualcosa che non va puoi parlarcene, siamo tuoi amici”, Hermione, come al solito, dimostrava di saper comprendere sin troppo bene le persone. Qualcosa che non andava c'era eccome, ma doveva parlarne con qualcun altro. Doveva parlarne con lei, prima che con chiunque altro.

La professoressa McGranitt, la sera prima, aveva cercato di convincerlo a tenere il segreto, ma lui era andato via dal suo studio senza dire nulla, dopo aver urlato per quasi un'ora, consapevole però di una cosa sola: ora che aveva scoperta la verità nessuno gli avrebbe impedito di rivelarla a sua sorella, anche a costo di perdere tutti quanti.

Lei, in quel momento, era l'unica cosa veramente importante. Lei sarebbe stata l'unica cosa importante per il resto della sua vita, l'avrebbe protetta, amata, venerata, perché non aveva altro e nient'altro contava di più. Era tutto ciò che gli restava della sua famiglia e non poteva davvero lasciare che qualcuno li tenesse ancora lontani.

“Io... è tutto a posto. Scusate, ma fra mezz'ora iniziano le lezioni ed io prima devo fare una cosa importante. Ci vediamo dopo in aula”, senza più voltarsi a guardarli, si era alzato per dirigersi verso di lei, con il cuore che gli martellava nel petto ad ogni passo e la certezza di essere osservato da metà delle persone presenti in quell'enorme sala o, per lo meno, da metà dei professori seduti al lungo tavolo e da tutti i suoi amici.

“Morgana... scusa se ti disturbo, potrei parlarti?”, non riuscì ad impedirsi di balbettare mentre le rivolgeva quella semplice domanda.

La vide voltarsi ad osservarlo incerta, probabilmente chiedendosi il motivo di quella necessità di parlargli, proprio in quel momento. E mentre aspettava la sua risposta vide con la coda degli occhi alcuni movimenti al tavolo dei professori.

“Certo. Ehm... vuoi che usciamo?”.

“Sì. Lo preferirei, se non ti dispiace”, senza voltarsi ad attenderla si diresse con passo spedito verso l'esterno della sala, intenzionato ad allontanarsi da chiunque avrebbe potuto interromperli.

Smise di camminare solo quando trovò un luogo sufficientemente appartato da renderlo certo che nessuno avrebbe potuto trovarli facilmente.

Rimase immobile, rigirandosi le dita fra le mani, incapace di trovare il modo di dirle quella verità che tanto lo stava opprimendo.

“Harry”, la sua voce lo riscosse dai propri pensieri e dallo stato di trance in cui era, praticamente, caduto, “se devi dirmi qualcosa forse è meglio se lo fai subito. Credo che fra poco dovremo dirigerci verso le nostre classi”.

“Sì... io... ecco... in realtà dovrei proprio dirti qualcosa di importante. È che non so come dirtelo e non voglio che tu prenda male la notizia”, ci stava girando intorno, cercando di recuperare tempo e senza saper bene cosa dire.

“Quale notizia?”, gli occhi di lei esprimevano appieno la confusione che stava provando in quel momento, “Harry... così mi spaventi. È successo qualcosa di grave?”.

“No, non è accaduto nulla, è solo che...”.

Dei passi lo interruppero ancor prima di avere il tempo di comprendere appieno come formulare la frase che stava per dirle. Il professor Lupin si stava dirigendo verso di loro e li osservava attentamente.

“Harry, Morgana... ho parlato con i vostri professori e gli ho detto che mi serviva il vostro aiuto questa mattina. Siete esonerati da tutte le lezioni. Vi andrebbe di accompagnarmi a fare una passeggiata nel parco del castello?”.

“Esonerati da tutte le lezioni?”, gli occhi di Morgana andavano da Lupin al ragazzo, cercando di scorgere in almeno uno dei due qualcosa che desse un senso a tutta quella situazione bizzarra, “che cosa sta succedendo?”.

“Se non volete uscire per il freddo, potremmo andare a bere una tazza di té nel mio ufficio... mi farebbe molto piacere e credo farebbe bene a tutti quanti”, senza dar loro il tempo di replicare si voltò diretto verso la propria aula.

In qualche modo Harry gli fu grato in quel momento, non sapeva come rivelarle la verità e per quanto fosse terribilmente arrabbiato con tutti coloro che la conoscevano e non lo avevano informato, probabilmente sarebbe stato meglio avere l'aiuto di un adulto in quella circostanza. E Lupin, fra tutti, era certamente il più adeguato, visto che conosceva bene i loro genitori.

Morgana camminava di fianco al ragazzo e qualche passo indietro rispetto al professore, continuando a guardarli e chiedendosi cosa fosse accaduto di così grave da esonerarli dalle lezioni di tutta la mattinata. Se avesse avuto dei parenti al di fuori della scuola, probabilmente, si sarebbe preoccupata per loro in quel momento, ma lei non aveva nessuno per cui essere in pensiero.

Era la prima volta che entrava nell'ufficio dell'uomo e non era proprio come se l'era immaginato. Era solare, pieno di libri e di fogli ovunque. Era piuttosto disordinato e si chiese come potesse, Lupin, trovare quel che cercava in quella stanza affollata.

La sua attenzione fu calamitata da una strana creatura che si trovava all'interno di una grande teca di vetro. Sembrava della stessa consistenza di aria molto rarefatta, quasi solida, e trasportava una piccola lanterna con le sue manine. La guardava, con due occhi spenti ed innocenti...

“Oh... sì, quello è...”.

“Un marciotto”, lo interruppe senza remore. Aveva studiato quegli esseri, dopo averne letto qualche riferimento in un vecchio libro preso in prestito in biblioteca.

“Complimenti, signorina Belmont. Come sempre dimostra un'intelligenza sopra la media”.

“Ho solo una buona memoria”, non voleva sembrare brusca, ma non era riuscita a trattenersi.

“Bene... allora... preparo un té? Che ne dite? Vi va?”, i due ragazzi annuirono quasi all'unisono. Harry si era seduto sulla sedia davanti alla scrivania, mentre Morgana, titubante si allontanava dalla teca del marciotto per sedersi anche lei di fianco al ragazzo.

“Io gradire dell'earl gray professore, se le è possibile”, per un secondo, solo uno, ma sufficiente a insinuare un sospetto nella ragazza, lui l'aveva fissata negli occhi, incerto e... non era sicuro di quale fosse la parola adatta a descriverlo, ma avrebbe detto sconvolto, poi le aveva sorriso ed aveva annuito.

 

Mentre i due ragazzi uscivano dalla sala grande osservati da alcune delle persone ivi presenti, un professore si era alzato, ma non per dirigersi verso di loro. Severus Piton era stato informato da Minerva McGranitt quella mattina presto dell'accaduto. La donna gli aveva spiegato che a rivelare la notizia era stato Draco Malfoy ed immediatamente lui si era chiesto quanto sapesse il ragazzo e, soprattutto, da chi lo avesse appreso.

Quando aveva visto Potter dirigersi verso la sorella, sotto gli occhi attenti del giovane serpeverde era intervenuto immediatamente, nel timore che il suo studente perdesse il controllo. Lo conosceva abbastanza bene da notare i suoi occhi fiammeggiare e l'ira divampare da essi, quasi volesse incenerire il compagno.

“Signor Malfoy, le dispiacerebbe seguirmi. Abbiamo alcune cose di cui parlare prima che comincino le lezioni”, si era avvicinato alla schiena del ragazzo con il suo solito passo silenzioso, ma lui non sembrava turbato dalla presenza alle sue spalle.

Attese che si alzasse dal proprio posto, prima di cominciare ad avviarsi, con passi misurati ed una calma che non sentiva di provare, verso il proprio ufficio nei sotterranei. Quella manciata di metri e quei pochi scalini non gli erano mai parsi così lunghi. Sembrava davvero che le distanze si fossero moltiplicate e, più che sentirlo e vederlo, percepiva il passo fermo e strafottente del ragazzo di fianco a lui.

Draco era rimasto un passo indietro rispetto al professore, con le mani nelle tasche davanti dei pantaloni e gli occhi fissi sul pavimento di pietra degli scuri corridoi dei sotterranei, che ormai conosceva come quelli del maniero in cui era cresciuto.

Sapeva di cosa Severus voleva parlare, o, per lo meno, poteva immaginarlo. La professoressa McGranitt doveva avergli raccontato nei dettagli il litigio della sera precedente, e, senz'ombra di dubbio lui era furioso. Sentiva la rabbia permeare dalla mente dell'uomo e, per quanto il professore fosse un occlumante eccezionale, lui rimaneva comunque un legilimens naturale e con delle capacità superiori alla media, soprattutto considerata l'età.

Entrati nell'ufficio del professore, Draco aveva occupato la sedia vicino al caminetto spento, mentre l'uomo si era seduto di fronte a lui. Erano un insegnante ed il proprio allievo, ma anche un padrino col proprio figlioccio. I loro rapporti non erano sicuramente convenzionali.

“Non girarci intorno, Severus. Arriva al dunque, così possiamo tornare tutti e due alle nostre occupazioni”, aveva parlato fissando l'antro vuoto di gelida pietra in cui avrebbero dovuto brillare le fiamme.

“Devo sapere come hai saputo della parentela fra Morgana e Potter”, al ragazzo non era sfuggito l'uso del nome e del cognome, ma non aveva detto nulla, limitandosi ad osservare il proprio professore negli occhi per qualche secondo.

“Ho sentito una conversazione che non avrei dovuto udire”, vide chiaramente che quella risposta per lui non era affatto soddisfacente.

“Tra chi?”, il tono dell'uomo era piatto e non lasciava trasparire alcuna emozione, ma per lui quella era solo una facciata di fragile cristallo. Lui percepiva il timore, la preoccupazione. Lui poteva annusare la paura dietro quelle poche parole, come un segugio può sentire la sua preda anche nell'ombra oscura della notte. Lui sapeva, perché neanche l'esperienza e gli anni di allenamento di Severus potevano nascondergli emozioni così forti. Sapeva anche che le sue emozioni non potevano essere nascoste all'uomo, si erano allenati a lungo loro due, ed erano alla pari in quel campo, perciò non si sorprese quando vide negli occhi dell'altro la consapevolezza che quella stessa paura la condividevano in due.

“Temi che qualcuno nella mia famiglia conosca le sue origini? Non è così. Non è a casa mia che ho scoperto la sua vera identità”, prese un sospiro profondo, prima di narrare ogni cosa all'unico uomo di cui si fidava in quella scuola. In poche parole gli disse di come si trovava nel corridoio del primo piano, quando aveva visto Remus Lupin dirigersi agitato verso l'ufficio della professoressa McGranitt, di come l'uomo gli fosse sembrato in ansia e, per tale motivo avesse deciso di seguirlo, di come si era appostato poco lontano dalla porta socchiusa ed avesse ascoltato ogni parola.

Il flusso delle sue parole parve un fiume in piena, e, forse perché voleva parlarne con qualcuno da molto tempo, forse perché pesavano come macigni, d'un tratto si ritrovò a spiegargli di come avesse custodito quel segreto a lungo. Gli disse che sapeva di Sirius Black e del suo tradimento ai Potter e di come gli fosse sfuggito un riferimento a tali avvenimenti davanti ai due ragazzi, raccontò del litigio con Morgana, della rabbia nel vederla con lui, del dolore del sapere che lui aveva tutto il diritto di stare con lei, sino a parlare di quella sera e di come le parole gli fossero uscite di bocca, senza che riuscisse in alcun modo a fermarle.

Per la prima volta Severus Piton si rese conto di avere davanti a sé un ragazzo, niente più di quello. Un ragazzo particolare, difficile, con la tendenza a nascondersi dietro ad una maschera ghignante. Un ragazzo popolare, ricco, abituato ad avere tutto, almeno dal punto di vista materiale, eppure così solo e diffidente nei confronti del mondo e dei coetanei. Un ragazzo che aveva tenuto dentro di sé emozioni, sentimenti e segreti, sino a scoppiare e ritrovarsi fra le mani una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.

Draco Malfoy non era altro che un giovane uomo, desideroso di dimostrare di essere capace di vivere mantenendo il controllo su ogni singola parte della sua vita, senza fare affidamento su nessuno.

Era stato anche lui così, ed aveva fallito. Ed ora aveva la possibilità di impedire a quel piccolo Lord di fallire anch'egli. Lui ne pagava ancora oggi le conseguenze e sarebbe morto col rimorso di non poter tornare indietro. Si chiese se poteva evitare anche a lui di provare lo stesso dolore.

“Non avresti dovuto dire a Potter la verità, ma ormai lo hai fatto e non puoi tornare indietro. Però, Draco, c'è una cosa che puoi fare...”, lo guardava, cercando il modo migliore per dirgli quali erano le sue possibilità e chiedendosi se non avrebbe detto troppo, magari tradendosi, “devi parlare con Morgana. Spiegarle la verità e tutto ciò che hai detto a me. E devi...”.

“Parlare con lei e dirle la verità?”, lo aveva interrotto, con un tono di voce talmente scettico che si chiese egli stesso se non avesse appena detto una sciocchezza.

“Non mi interrompere. Devi parlare con lei e, soprattutto, non devi dire nulla alla tua famiglia”, respirò, profondamente ed a pieni polmoni, cercando la forza di mantenere il controllo, ma deciso ad andare sino in fondo, “promettimelo, Draco”. Lo stava guardando con un'intensità che poche volte aveva usato, ma i suoi occhi parlavano più delle sue labbra.

“Mi stai chiedendo di pronunciare un voto infrangibile?”, vi era cautela nella sua domanda, e, per quanto non vi avesse pensato neanche per un secondo, per un attimo fu tentato di rispondere affermativamente. Non poteva chiedergli tanto. Di fronte a se aveva solo un ragazzo e non uno qualunque, ma un suo protetto, il figlio di un suo amico.

“No. Non ti sto chiedendo questo. Ti sto dicendo che se davvero tieni un po' a quella ragazza, devi mantenere il segreto”.

“E lei non potrà più trascorrere del tempo a casa mia”, quello non lo aveva detto, ma entrambi erano coscienti che era sottinteso, “non dirò nulla. Ho parlato già troppo. Nessuno saprà altro da me”.

Vi era determinazione in quegli occhi di ghiaccio, ma Severus si chiese comunque se sarebbe stato in grado di mantenere quella promessa.

Lui stesso, un giorno, tanti anni prima, non aveva forse giurato ad una bambina dai capelli rossi che si sarebbe sempre preso cura di lei?

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Capitolo 25
*** Io non ho detto niente. ***


Io non ho detto niente.

 

Mentre il biondo usciva dall'ufficio del suo mentore, una ragazzina era seduta dinanzi ad un altro professore, cercando di comprendere come mai quest'ultimo ed il moro di fianco a lei non facessero che chiacchierare di inutili sciocchezze.

“Non so tu, Harry, ma io ho lezione e sinceramente non ho proprio tempo di star qui a chiacchierare”, vide un lampo di panico passare per gli occhi del ragazzo e, sempre più sconcertata, si chiese che cosa stava succedendo.

“Aspetta...”, non era riuscita neanche a voltarsi per dirigersi verso l'uscite dell'ufficio, che quella voce la raggiunse, lasciandola sempre più sconvolta. La stava implorando di restare, quasi come se ne andasse della sua stessa vita.

“Che succede?”, al professore non sfuggì che ora vi era paura nella voce di lei. Doveva essersi accorta che qualcosa non funzionava, ma, sicuramente, non aveva compreso la portata della situazione. Aveva tentato di creare un ambiente tranquillo, credendo, forse scioccamente, che avrebbe attutito il dolore, ma era sicuro di non esserci riuscito.

“Se volete io esco. Mi troverete qui fuori quando avrete finito”, stava per alzarsi quando la voce del ragazzo lo raggiunse.

“No. Resti. Lei... lei era amico dei... insomma... dei nostri genitori... la prego resti...”, la voce del moro arrivò attutita alle orecchie della ragazzina, che lo guardava come se davanti a lei non vi fosse un ragazzo della sua età, ma un mostro con sembianze umane. Lo guardava senza capire, perché sicuramente uno dei due doveva essere impazzito, perché lui aveva detto parole senza alcun senso o, forse, lei non aveva compreso appieno la portata di queste. “Morgana... io... l'ho scoperto solo ieri, ma è la verità. Io e te... ecco... noi... siamo fratelli”, lo disse senza respirare, quasi pensando che così sarebbe stato meno doloroso per lei, o più facile per lui.

Lo sguardo della bambina non era cambiato affatto, continuava a fissarlo come se lo ritenesse pazzo, come se pensasse che in quella stanza erano tutti ammattiti.

In uno sprazzo di comprensione i suoi occhi si voltarono verso il professore, convinti che avrebbero visto un viso sorridente, una conferma di uno scherzo ben architettato, un gioco che quei due avevano messo in atto per burlarsi di lei. Non poteva essere diversamente, perché lei non poteva essere la sorella di Harry Potter, non poteva avere un fratello di cui non aveva mai saputo nulla. Tutta quella storia era tragicomica, paradossale. Una burla di cattivo gusto. Un gioco crudele. Non poteva essere altro.

“Non è vero. Non è possibile”, l'uomo, che sino a quel momento aveva pensato di rimanere in disparte ed in silenzio, nell'attesa che i due ragazzi si chiarissero, udendo tutta l'incertezza nella voce della giovane donna dinanzi a lui, non poté stare ancora zitto in attesa.

“Non è così, Morgana. È vero ed è possibile”, prese un profondo respiro, prima di continuare, pronto alla rabbia della bambina, che non gli era mai sembrata così piccola, “il professor Piton, l'anno scorso, aveva dei dubbi sulla tua identità ed ha fatto delle ricerche. Per avere la conferma definitiva ha utilizzato dei capelli prelevati da te ed Harry, per testare la vostra compatibilità genetica con una pozione”. Lo disse tutto d'un fiato, come se temesse di essere interrotto. Tutto aveva previsto di vedere nei suoi occhi: dolore, rabbia, confusione, ma nulla di tutto ciò comparve in quelle iridi verdi come quelle del fratello. Non si era aspettato quell'ombra nello sguardo di lei: delusione. Una delusione così forte da oscurare ogni altro sentimento, così potente da rendere i suoi occhi bui come la notte. Aveva incontrato occhi identici a quelli di Morgana ogni giorno della sua vita per diversi anni, ma mai li aveva visti in quel modo.

Per la prima volta Remus Lupin ebbe paura, profonda ed angosciante paura, di perdersi in quell'oceano di giada, che sembrava più un turbine in tempesta, che una tranquilla distesa d'erba com'era solito essere.

Non riuscì a dire nulla, immobilizzato nella sua posizione e perso in quell'antro di terrore, quando vide la ragazzina voltarsi e dirigersi verso la porta, uscendo da quell'ufficio e, forse, dalla sua vita.

Udì il figlio del suo migliore amico richiamare la sorella, con una nota di timore e dolore nella voce, senza che lei desse il minimo segno di averli sentiti.

Rimasero là, l'adulto ed il ragazzo, senza sapere cosa fare, senza conoscere un modo per consolarsi a vicenda. Senza il coraggio di rincorrerla, di cercarla. Entrambi persi nell'oceano sconvolgente di quei bui occhi verdi.

 

Morgana correva, correva come non aveva mai fatto in tutta la sua vita. Correva per non pensare, per non ricordare, per dimenticare. Era delusa. Si sentiva tradita, dall'unica persona di cui si era totalmente fidata in tutta la sua vita. Sentiva di essere stata presa in giro, di essere stata in bilico su un leggero filo di seta per più di un anno, senza sapere che, in realtà, quell'unico appiglio era già stato distrutto diverso tempo prima.

Correva chiedendosi se avrebbe mai potuto perdonare. Correva, senza sapere se la sua vita sarebbe mai potuta tornare ad essere come prima. Non felice. Quello non lo era mai stata veramente. Solo serena.

Si sentiva così stupida per essersi lasciata andare. Lei, che di solito non si mostrava a nessuno. Lei che non aveva amici... ed invece con lui... con lui si era aperta, aveva parlato, si era sentita capita. Non erano amici, quello lo sapeva bene, sarebbe stato sciocco pensarlo, ma se non altro lei poteva affidarsi a lui. Ed invece, ora, non aveva più nessuno.

Sì, aveva scoperto di avere un fratello. E, forse, un giorno avrebbe potuto avvicinarsi ancor di più a lui, ma erano così diversi. Harry era speciale, andavano d'accordo e parlavano e scherzavano spesso, ma non aveva mai pensato a lui come ad una colonna portante della sua vita. Invece lui era proprio quello: la roccia a cui lei poteva aggrapparsi. A modo suo, lui la sorreggeva.

Mentre correva, sentì le braccia di qualcuno fermarla e costringersi a girarsi verso di lui. Nell'impeto della velocità rischiarono di cadere entrambi, e se non fosse stato per la forza e l'equilibrio del ragazzo lei sarebbe sicuramente scivolata al suolo.

“Morgana... cos'è successo?”, la voce di Draco era titubante ed il suo sguardo sconvolto, mentre fissava gli occhi di lei, sull'orlo delle lacrime.

“Io...”, lo guardava senza riuscire a parlare, senza avere la forza di reagire. Si sentiva svuotata, come un calderone dopo aver riempito tutte le bottiglie con la pozione appena preparata.

“Lui... lui te lo ha detto, vero?”, la consapevolezza delle parole appena udite gli cadde addosso, dolorosamente. Per la seconda volta nel giro di pochi minuti si rese conto di aver appena perso una persona che, per un po' era stata importante. Di colpo ogni piccolo pezzo della sua vita negli ultimi mesi prese posto in quel puzzle ingarbugliato.

“Tu... tu lo sapevi...”, vide Draco abbassare lo sguardo e quel gesto, così spontaneo da parte del ragazzo, invece che intenerirla, la fece infuriare. “Tu sapevi”, le urla uscirono dalle sua labbra senza controllo, “sapevi e non mi hai detto nulla. Come hai potuto?”, si scostò da lui con uno strattone, allontanandosi da quelle mani che sino a poco prima erano intorno alle sue braccia. Dal punto in cui i loro due corpi erano in contato un gelido freddo si impossesso di lei, penetrando sino alla parte più profonda del suo essere, sino al cuore, che sino a poco prima aveva considerato solo un muscolo insulso.

Lui non riusciva a muoversi, la guardava senza vederla, consapevole solo del suo movimento di poco prima, di come si era scostata dalle sue braccia, quasi orripilata dalla sua vicinanza. Lei, che per lui era stata quasi un amica, forse di più. Lei che, nonostante la consapevolezza della sua parentela col suo nemico, era divenuta un po' un punto fermo della sua vita, quasi alla pari dei suoi genitori. Lei che in poco tempo era riuscita a fare quel che i suoi migliori amici avevano fatto in lunghi anni. Lei che con i suoi occhi verdi, con la sua pelle candida, coi suoi capelli scompigliati, era entrata come un uragano nella sua esistenza, sconvolgendola ed, al medesimo tempo, facendogli scorgere il sole in fondo al tunnel buio che era sempre stata la sua esistenza. Lei che ora lo odiava per avergli nascosto una parte così importante delle sue origini. Lei che lui non poteva permettersi di perdere.

“Morgana... io...”, lo sguardo della ragazzina si fece ancora più cupo, quando si accorse di come suonassero deboli le sue parole. Sperava che lui si avvicinasse per stringerla contro il suo petto ed allo stesso tempo non voleva vederlo a meno di due metri dalla sua persona.

Rimasero là, l'uno di fronte all'altra, per secondi interminabili. La bambina sperando in un abbraccio ed odiandosi per quello. Il ragazzo desiderando tornare indietro, consapevole che la vita, il tempo trascorso non te lo restituisce più. Rimasero uno di fronte all'altra, entrambi con la chiara certezza che quel giorno li avrebbe allontanati ed entrambi sperando che ciò non accadesse, entrambi cercando una soluzione che non potevano vedere.

Così vicini e così lontani, come due linee parallele che non si incontreranno mai. Forse, loro due, quelle due linee lo erano sempre stati ed avevano solo finto di potersi avvicinare. D'altronde non si erano mai veramente toccati. Avevano trascorso molto tempo l'uno di fianco all'altra, ognuno nei propri pensieri, ognuno con le proprie preoccupazioni, ma seppur i loro corpi si erano sfiorati, le loro anime erano sempre stati distanti.

Con la consapevolezza che in quel modo avrebbe cambiato uno dei pochi rapporti sinceri che aveva avuto sino a quel giorno, Morgana gli volse le spalle e ricominciò a camminare, verso la sua meta e senza voltarsi indietro. Percorse il corridoio del sotterraneo in cui aveva incontrato il ragazzo, sperando in cuor suo che lui la rincorresse e la costringesse a fermarsi, ma consapevole che Draco Malfoy non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Ogni passo lontano da lui, le sembrava uno spillo conficcato dritto nel suo petto, ogni secondo in cui la mano del ragazzo non si posava sulla sua era un pugno nel suo stomaco. Forse se fossero state quel genere di persone che urla, strepita, si fa del male, ma poi si calma e si riappacifica, avrebbero potuto trovare un punto d'incontro, ma loro non erano così, erano due lame di ghiaccio conficcate nella gelida pietra del mondo, e l'unico modo che avevano per unirsi era sciogliersi e divenire la medesima pozza d'acqua, ma per quello, probabilmente, era ancora troppo presto.

Si ritrovò quasi senza accorgersene dinanzi all'ufficio che stava cercando e vi rimase dinanzi ad osservare la porta di mogano, sperando immensamente di non trovarvi nessuno. Quando l'uscio si aprì dinanzi a lei, senza che lei bussasse, le sue flebili speranze s'infransero come un bicchiere di cristallo caduto al suolo.

Entrò senza un rumore, sentendosi, per la prima volta, un'estranea in quel luogo che l'anno prima era stato per lei tanto famigliare.

“Mi stava cercando, signorina Belmont?”.

La voce dell'uomo la costrinse ad alzare lo sguardo, per incontrare gli occhi scuri di lui, così neri da sembrare un pozzo senza fondo, una notte senza stelle.

Lo guardò nelle sue iridi di peltro, senza dir nulla, senza la forza di urlare. L'incontro con Draco l'aveva svuotata. Voleva entrare in quella stanza urlando, ma non ci sarebbe riuscita.

L'uomo voleva leggere i suoi pensieri, ma non ne aveva il coraggio. Non voleva sapere quant'era profondo il risentimento nei suoi confronti, non voleva conoscere il dolore che aveva causato a quella piccola ninfa indifesa. Lui che un cuore di ghiaccio lo aveva veramente, temprato da anni di solitudine, di sofferenza, dai dolori causati ad altri e, persino, dall'omicidio, desiderava solo averla protetta di più.

“Morgana... è successo qualcosa?”.

“Lei sapeva”, la sua non era una domanda e, pertanto, non necessitava di una sua risposta, ma in ogni caso avrebbe voluto poterle dire che non era vero, che lui non sapeva nulla, che era solo stata informata male. Il silenzio, dopo quelle parole, era ancora più opprimente e nessuno dei due sembrava in grado di interromperlo. La ragazza guardava un punto, oltre le spalle dell'uomo, con quegli occhi verdi come il muschio, vuoti, inespressivi. Non vi era odio, né rabbia nelle sue parole, solo muta consapevolezza.

“Sei così diversa dai tuoi genitori, ma hai dei dettagli che non potevano passare inosservati per chi li conosceva. Primi fra tutti gli occhi... tu hai gli occhi di tua madre, Morgana”.

A quelle parole le iridi della ragazza si spostarono su di lui e si incatenarono con le sue, “non osi parlare di mia madre”, il disgusto nella sua voce era così forte che all'uomo venne spontaneo fare un passo indietro. Non riusciva a comprendere cosa fosse successo, ma nelle parole di lei vi era qualcosa che non aveva previsto, qualcosa che non vi aveva mai sentito. Non era rabbia, quella avrebbe potuto capirla, né dolore per ciò che le era stato nascosto. Era qualcosa di diverso, di più forte e forse di maggiormente temibile.

Morgana lo guardava con orrore, come se avesse appena scoperto che ogni certezza della sua vita era ormai distrutta.

“Come si permette anche solo di osare nominarla? Lei non dovrebbe neanche rivolgersi a me, non dovrebbe neanche avere il coraggio di guardarmi negli occhi. Come osa farlo?”, non stava urlando, ma se lo avesse fatto, probabilmente, sarebbe stato meno doloroso per lui ascoltare quelle parole. Non riusciva a comprendere le sue parole, a capacitarsi del loro significato. Lei lo guardava con determinazione, parlando con un tono di voce così basso che si faceva fatica ad udirlo, ma era chiaro che in quel momento lo stava odiando.

“Non capisco...”, Severus Piton stava impercettibilmente tremando, lo sguardo della ragazza dinanzi a lui, lo aveva visto solo un'altra volta: negli occhi del mago oscuro più temibile di tutti i tempi, quando aveva scoperto, tanti anni prima, il tradimento di uno dei suoi uomini più fidati. Due occhi così ghiacciati da far quasi percepire il freddo da loro emanato, come se si stesse diffondendo dalle iridi all'ambiente esterno, uno sguardo così fermo, da far dubitare che appartenesse ad una ragazzina di soli dodici anni.

“Non capisce? Veramente?”, la vide voltarsi con grazia, come se la loro conversazione fosse terminata e si stesse congedando dopo una breve chiacchierata sull'ultimo tema assegnato a lezione, di cui aveva chiesto un chiarimento. Osservo la sua manina delicata, posarsi sulla maniglia della porta, aprirla e muovere un passo verso l'esterno. Prima che attraversasse l'uscio per scomparire alla sua vista, udì poche parole, ma sufficienti a gelargli il sangue nelle vene, “lei è un mangiamorte”.

Dopo che la porta si fu richiusa alle spalle della corvonero, Severus Piton rimase fermo, nella sua posizione, per lungo tempo, senza muovere un muscolo e respirando appena.

Ovviamente ricordava che lei aveva visto il suo tatuaggio, sapeva che lo aveva notato, anche se era stato sotto il suo sguardo per poco più che una frazione di secondo, ma non avrebbe mai potuto immaginare che avesse compreso il significato di quel simbolo scolpito indelebilmente sul suo avambraccio.

Sapeva di essere un mangiamorte, o almeno di esserlo stato in passato. Non negava ciò che aveva fatto negli anni della sua giovinezza e non avrebbe mai potuto cancellare gli orrori commessi, ma per qualche ragione, a lui incomprensibile, sentirle pronunciare quelle parole lo aveva colpito. Era stato un pugno, dritto nel suo stomaco. Eppure lui non era mai stato il genere di persona che si lasciava sopraffare dalle parole altrui, né tanto meno da alcun genere di sentimentalismo. Eppure, Albus Silente, per una volta, aveva ragione. Lei era diversa. Forse perché gli ricordava la sua migliore amica e proprio non riusciva a non rivedere la piccola Lily in quella ragazzina. Lei poteva, in qualche modo, scalfire la corazza d'acciaio che aveva fatto indossare al suo cuore di pietra ed arrivare in fondo a quel muscolo, nell'unico, minuscolo spazio che vi era rimasto.

 

22 dicembre 1993

 

Erano ormai passate settimane da quando aveva rivelato a Morgana la verità, ma Harry non era più riuscito a parlarle. Sembrava che tutto il tempo che non trascorreva a lezione, lo passasse china sui libri in qualche angolo nascosto della biblioteca ed ogni volta che le si avvicinava lei si alzava per andarsene, probabilmente nella propria sala comune, ma non ne era certo. Non parlava più molto neanche con Luna e Ginny. L'aveva vista raramente con loro e persino le sue presenze al tavolo di corvonero erano poche. Si chiedeva in continuazione se mangiasse a sufficienza ed era per lui un'esperienza nuova quella di preoccuparsi per un membro della propria famiglia.

Di una sola cosa era sicuro: tutta quella situazione non era stata gestita nel modo migliore e sicuramente l'esito era stato disastroso. Non solo, infatti, lui e Morgana avevano perso quasi un anno che avrebbero potuto trascorrere insieme, ma ora che potevano recuperare, si vedeva e parlavano meno di quanto facessero prima.

Quella mattina lui si era alzato con una strana sensazione, un senso d'inquietudine che, non era cosciente del motivo, ma era certo essere legato a sua sorella. A tavola continuava a fissare il tavolo della casa blu-bronzo, nella speranza di scorgervi i suoi lunghi capelli neri e quei due occhi uguali ai propri, ma lei non era presente.

“Harry, tutto bene? Continui a fissare il tavolo di corvonero”, la voce del suo migliore amico lo strappò via dai suoi pensieri.

“Sì, tutto bene... tutto bene...”, si rese conto che non avrebbe potuto convincere nessuno coi suoi farfugliamenti, ma non riusciva a dire molto di più.

“Se non vuoi parlarne va bene, ma almeno non mentirci”, Hermione come al solito andava dritta al punto, “sappiamo che qualcosa non va. Sono settimane che sei strano”.

Non aveva ancora detto loro nulla ed un po' si sentiva in colpa per questo. Erano i suoi migliori amici e gli erano stati vicini nelle occasioni peggiori, aiutandolo sempre. Non meritavano così poco rispetto da parte sua, solo che proprio non sapeva come spiegargli tutto quanto e non era neanche certo di volerlo fare. Eppure, prima o dopo, avrebbe dovuto farlo. Forse, era meglio togliersi quel peso ora. Magari loro avrebbero potuto aiutarlo. Ron aveva sette fratelli, infondo, ed era sicuramente molto più esperto di lui nella gestione di una famiglia. Ed Hermione era sempre così saggia, in qualunque situazione.

Si tormentò per diversi minuti, continuando a muovere il suo sguardo dall'uno all'altra. Erano quello che di più vicino ad una famiglia avesse mai avuto, almeno sino a quando non aveva scoperto di Morgana. E comunque, loro la sua fiducia se la meritavano.

“Ci vediamo ad Hogsmeade dopo, e vi racconto tutto”, allo sguardo di disapprovazione di Hermione le fece cenno di tacere, prima di continuare, “per favore, Hermione. È una cosa importante. Ne parliamo dopo, domani iniziano le vacanze di Natale e ho veramente bisogno di uscire da quest'edificio almeno per un po'”.

Lei ci mise un po' a rispondere, ma doveva aver compreso dal suo sguardo quanto fosse importante, perché gli fece un leggero cenno di assenso, che a lui era più che sufficiente. Senza darle il tempo di cambiare idea, si alzò dicendo loro che sarebbe andato a studiare e facendole l'occhiolino.

Prima di uscire dalla sala grande il suo sguardo corse al tavolo di corvonero, ma di lei non vi era ancora nessuna traccia.

 

Raggiunse i suoi amici dentro il negozio di Mielandia, solo dopo più di un'ora. Dopo una breve discussione decisero di andare ai tre manici di scopa a bere una burrobirra. Lui rimase sotto il mantello dell'invisibilità, ed Hermione, dopo aver ordinato, gli fece scivolare sotto un bicchiere di bevanda fumante. In quel momento serviva proprio qualcosa di caldo. Fuori il tempo era pessimo, si stava scatenando una vera e propria tempesta di neve, ma dentro il locale il clima era perfetto, per una tranquilla chiacchierata.

“Allora... ci vuoi dire cosa ti sta succedendo o no?”, Ron come sempre si dimostrava poco paziente, ma aveva ragione, solo che lui non sapeva bene come comportarsi e da dove iniziare il racconto.

Alla fine decise di spiegar loro tutto ciò che era accaduto la sera che aveva incontrato Malfoy nei corridoi, di come lo aveva provocato, di quello che lui aveva detto. Alla fine di quella storia non riusciva più a parlare. Inspiegabilmente, un nodo gli si era formato infondo alla gola, impedendo a qualsiasi altra parola di uscire.

“Lo sai che quello li vuole solo provocarti. Certo che questa volta però ha proprio esagerato. Prenderti in giro su di un argomento così importante, è troppo anche per lui”, la rabbia del suo migliore amico non era imprevista, ma lo sguardo di Hermione lo era.

“Harry”, il tono della sua voce era cauto e persino Ron si era voltato ad osservarla, “c'è altro, vero? Non hai finito di raccontarci”.

“Sì, c'è altro. Quella sera, dopo aver litigato con Malfoy, sono rimasto indietro, per parlare con la professoressa McGranitt”, quella parte era più complicata di quel che aveva pensato, “alla fine lei mi ha confessato che è tutto vero. Morgana è veramente mia sorella”.

La faccia di Ron, in una situazione diversa, sarebbe stata quasi comica. Sembrava che si fosse bloccato a metà nel tentativo di ingoiare un boccone di cibo particolarmente grosso.

“Lei... lei...”, era talmente sconvolto da non riuscire neanche a parlare.

“Ron, ha detto che lei è sua sorella. E chiudi quella bocca e smettila di guardarlo o qualcuno si accorgerà che è qui”, Hermione aveva preso la notizia molto meglio dell'amico. Sembrava quasi che gli avesse semplicemente detto di aver avuto qualche difficoltà con un tema di pozioni.

“Stai bene? Lei lo sa?”.

“Abbastanza. Sì, gliel'ho detto io, ma non ha reagito bene. Non riesco a parlarne da due settimane e...”

“Harry Potter?”, il modo in cui Madama Rosmerta aveva pronunciato il suo nome aveva fatto sobbalzare tutti e tre. Si guardarono intorno confusi, e la individuarono ad un tavolo poco distante, insieme al ministro della magia, Cornelius Caramel ed alcuni professori di Hogwarts.

“Cosa ci fa qui il ministro?”, il sussurro di Hermione espresse appieno i loro pensieri, ma compresero in fretta il motivo della visita. Stavano parlando di Sirius Black, e del fatto che fosse alla ricerca di Harry, per ucciderlo.

Il ragazzo si stava completamente disinteressando al discorso, intenzionato a continuare a parlare della sorella, quando una frase della professoressa McGranitt attirò nuovamente la sua attenzione.

“C'è molto di peggio Rosmerta”.

“Peggio? Peggio dell'aver seguito il più grande mago oscuro di tutti i tempi?”.

L'interesse dei tre ragazzi ora era completamente attratto dalla conversazione degli adulti.

“Ricordi chi erano gli amici di Black a scuola? Chi era il suo migliore amico?”.

“Certo che me lo ricordo. Nessuno aveva mai causato tanti guai. Dove c'era uno c'era l'altro: Sirius Black e James Potter”.

Il silenzio al tavolo di fianco ora era carico di una tensione mai sentita. Ron ed Hermione cercavano con lo sguardo di rassicurare l'amico che non potevano vedere.

“Chi l'avrebbe mai detto che proprio Sirius Black avrebbe tradito i Potter?”, le parole di Hagrid colpirono Harry come un pugno nello stomaco, ma mai quanto quello che disse dopo la professoressa di trasfigurazione.

“E non è finita qui”, lo sguardo di Madama Rosmerta ora era concentrato sulla donna, “Sirius Black era, ed è ancora, il padrino di Harry Potter”.

Il rumore del locale divenne di colpo solo un ronzio nelle sue orecchie. Sentiva appena la voce di Hermione che sussurrava il suo nome, nel tentativo di calmarlo. Lui era il suo padrino ed aveva tradito i suoi genitori, i suoi migliori amici, nel tentativo di raggiungere il potere con un folle. Meritava di marcire in una buia cella di Azkaban, meritava di morire. E lui, in quel momento, desiderava solo vendetta. Persino i problemi con Morgana, dopo quella rivelazione, sembravano meno importanti. Ora la prima cosa che doveva fare era trovarlo e vendicare la morte dei loro genitori, con le sue mani.

Non si accorse, come non se ne accorse nessun altro all'interno del locale, che non era stato il solo ad udire quella conversazione. Non vide i lunghi capelli neri della sorella lasciare di corsa il locale, per tornare ad Hogwarts.



 

***




Con molto ritardo, ma posto un capitolo pieno di novità e di avvenimenti, che spero apprezzerete in tanti.
Aspetto con curiosità i vostri commenti, sperando che mi facciate sapere in tanti cosa ne pensate!
A presto.

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Capitolo 26
*** Abbastanza mezzosangue ***


Abbastanza mezzosangue.

 

10 gennaio 1994

 

Le vacanze di Natale, per Morgana, erano state le peggiori della sua vita. Le aveva trascorse in biblioteca o nel suo dormitorio. Aveva eluso ogni contatto umano, aiutata dal fatto che non erano molti gli studenti rimasti a scuola.

Era stato facile evitare Draco Malfoy, perché era tornato al Manor per trascorrere le festività con i suoi genitori ed i loro amici. Era stata dura la sera precedente, quando tutti gli studenti erano tornati al castello. Non aveva realizzato che giorno fosse, sinché non se lo era trovato davanti, per caso. Era stato imprevisto, sconvolgente e difficile. Si erano guardati a lungo e ad un certo punto era stata quasi sicura che lui intendesse parlarle, ma non gli aveva dato il tempo di farlo, si era voltata ed era tornata sui suoi passi, lasciandolo là, da solo.

Era stato molto più difficile stare lontana da suo fratello ed i suoi amici, ma ogni volta che li intravedeva nei corridoi, lei cambiava strada, spesso, senza che loro se ne accorgessero. Sapeva di comportarsi in modo ipocrita e codardo, ma non aveva la forza di affrontarlo, non riusciva ancora ad adattarsi all'idea che lui fosse parte della sua famiglia.

Aveva evitato per tutte le vacanze anche le sue di amiche, Luna e Ginevra, che in realtà non le avevano fatto nulla e non avevano idea del perché lei le stesse ignorando. Avevano tentato di parlarle, di coinvolgerla nei loro giochi e nei momenti di relax che si erano concesse numerosi, ma ogni volta lei le liquidava con poche battute o con un veloce “devo andare in biblioteca”.

Quella mattina alzarsi dal letto era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto. Non solo avrebbe dovuto affrontare tutta la scuola, seppur in gran parte ignara dei suoi dolori e delle sue preoccupazioni, ma la prima lezione di quel lunedì sarebbe stata un'ora di pozioni, insieme ai tassorosso tra l'altro (la casa che meno tollerava di tutte. Così infinitamente buoni e accondiscendenti).

Il professore di pozioni non si era visto per tutte le vacanze e lei gli era stata grata per essere rimasto lontano dai corridoi ed anche dalla sala grande. Non era così presuntuosa da pensare che stesse evitando lei, infondo, per lui, non era altro che una studentessa come un'altra. In ogni caso lei era stata felice di non doverlo affrontare, ma ormai non poteva più evitarlo.

Aveva anche ipotizzato di darsi malata e di non presentarsi a lezione. Non aveva dormito quella notte, presa dai suoi piani per evitare l'incontro, ma alla fine era arrivata alla conclusione che sarebbe stato tutto assolutamente inutile.

Che senso avrebbe avuto non andare a lezione quel giorno, quando ne aveva altre tre durante la settimana? Non poteva evitare di entrare nell'aula di pozioni per sempre, tanto più che quella era la sua materia preferita, perciò non poteva neanche ipotizzare di lasciare il corso. Cosa che comunque non avrebbe potuto fare sino al quinto anno, quindi non aveva alcun senso stare là a pensarci.

“Morgana”, la voce dolce di Luna la sorprese nel mezzo dei suoi pensieri. Era chiusa nel suo letto a baldacchino, perciò non si era accorta che si fosse avvicinata, “sei sveglia?”.

“Sì, Luna. Ora mi alzo...”, raccolse tutta la sua forza di volontà, prima di scostare le coperte e con un balzo uscire dalla sua prigione blu notte.

“Stai bene? Hai una faccia”, era stata Caty, una delle loro compagne di corvonero a parlare. Non le rispose neanche, non la sopportava. Sempre così allegra, sempre in ordine, sempre cordiale con tutti. Insomma, una perfetta ragazzina di dodici anni. E lei odiava la perfezione. Sbuffando si diresse verso il bagno, per prepararsi, senza degnare di uno sguardo l'altra ragazza, che ormai, dopo quasi due anni di convivenza non badava più alla sua scortesia.

Luna la seguì all'interno del locale e stette ad osservarla mentre si sciacquava la faccia e cercava di farsi forza e svegliarsi.

“So che non sopporti Caty...”.

“Non ho mai detto che non la sopporto”, interruppe l'amica bruscamente, ma lei parve non essersi neanche accorta che avesse parlato e continuò la sua frase ignorando totalmente le sue parole.

“... però ha ragione. Hai una pessima cera. Hai dormito questa notte?”.

Si girò ad osservarla, inchiodando i suoi occhi verdi, con quelli azzurro cielo di lei, “no. Non ho dormito molto. Sono in ansia per la lezione di questa mattina”, decise in un impeto di coraggio, o forse solo di sincerità, di confidarsi con la ragazza.

“Abbiamo pozioni questa mattina. Tu adori quella materia”, il candore di Luna era come sempre disarmante. Riusciva a comprendere appieno i dubbi e le ansie altrui, senza neanche rendersene conto.

“Già. Io adoro quella materia...”, il suo tono piatto fece stringere gli occhi all'amica.
“Ci sono anche i grifondoro, così possiamo stare insieme a Ginny. Non sei felice?”, quando vide gli occhi dell'amica posarsi sul pavimento, tristi e sconsolati, si sedette sul bordo della piccola vasca coi piedini di bronzo presente nel bagno, e decise di indagare oltre. “Senti Morgana, noi ci siamo accorte che qualcosa non va. Ormai ti conosciamo da quasi due anni e... siamo amiche”, su quelle ultime parole aveva avuto qualche secondo di esitazione, che non era sfuggito alla mora, “ci hai evitate per tutte le vacanze di Natale. Si può sapere che cosa succede”.

Non aveva la forza di confidarsi ora. Erano successe così tante cose che non avrebbe neanche saputo da quale cominciare, ma non poteva evitare a lungo di parlare con le sue amiche. Le sue uniche amiche. Se avesse perso anche loro, cosa le sarebbe rimasto?

“Va bene. Però ne parliamo insieme, a colazione. Voglio che anche Ginevra mi possa ascoltare e, soprattutto, non ho intenzione di ripetermi”.

Il sorriso di Luna si fece più grande e radioso, riuscendo persino a contagiarla un po'.

Si diressero insieme verso la sala grande, come non facevano ormai da molto tempo, chiacchierando e ridendo, su argomenti di poco conto.

Si sedettero al tavolo di corvonero ed ebbero appena il tempo di riempirsi il piatto, prima che la chioma rossa della terza componente del loro piccolo gruppo si materializzasse dinanzi a loro.

A quel punto Morgana si rese conto di non poter più tergiversare ed, in realtà, per la prima volta da quando aveva scoperto quella difficile verità, non voleva più star zitta. Così, dopo un gran respiro che le diede un po' di coraggio, cominciò a parlare e raccontare tutto quel che era accaduto o, per lo meno, la parte importante. Le parole, nonostante lei non fosse una gran chiacchierona, le uscirono incontrollate ed incontrollabili, come un fiume in piena che, dopo aver combattuto contro la propria natura, decide di uscire dagli argini. Ogni sillaba che usciva dalla sua bocca era come un barlume di sollievo per i suoi nervi.

I dolorosi ricordi della discussione con quello che ormai non poteva che chiamare suo fratello, sembravano affievolirsi pian piano, come se parlando le proprie ferite venissero sanate da un unguento miracoloso.

Vide il proprio sconcerto riflesso negli occhi di Ginevra, che, scoprendo la verità, aveva sgranato le iridi nocciola ed era rimasta ammutolita, in silenzio e con i pensieri persi chissà dove. La sua vena serpeverde ebbe per un attimo il sopravvento e sorrise ironicamente al pensiero di tutte le volte che l'amica le aveva confidato i propri sentimenti per il grifondoro e, diciamoci la verità, lei un pochino verde-argento lo era e, non per nulla, il cappello parlante ci aveva messo così tanto a smistarla il primo anno.

“Non fare quella faccia, Ginevra. Non ti vergognerai di avermi confidato quanto vorresti che il mio dolce fratellino si accorgesse di te...? e poi, chissà, magari se i nostri rapporti migliorano posso sempre mettere una buona parola in tuo favore”, il suo ghigno sadico non fermò l'amica, che le diede un pugno ben assestato sulla spalla, lasciando, molto probabilmente, un livido della medesima misura.

Ogni tanto dimenticava che la rossa era cresciuta con sei fratelli ed era capace di picchiare duro quasi quanto un ragazzo.

“Mi hai fatto male”, il suo broncio non parve intenerire la ragazza, che si limitò a fissarla con sguardo fermo, come se non le importasse granché del dolore fisico che le aveva procurato.

“Temo che tu te lo sia meritata”, erano le prime parole che Luna pronunciava da quando lei aveva cominciato il discorso di poco prima e, sinceramente, una parte di Morgana sapeva che erano veritiere.

“Quindi Harry è tuo fratello? Lo è davvero?”. Le sue amiche non sembravano particolarmente sconvolte dalla notizie, solo un po' sorprese.

Al suo cenno d'assenso gli occhi di Luna s'illuminarono di gioia, una gioia che, a parer suo era immotivata e senza senso.

“Che hai da guardarmi in quel modo?”, il suo sguardo burbero non parve suscitare alcuna reazione sulla bionda. A volte lei stessa si sorprendeva di quanto fosse imperturbabile l'amica, sembrava sempre in un mondo tutto suo, un luogo parallelo, in cui ogni cosa assumeva una sfumatura di colore diverso da quella che vedevano tutti gli altri, un posto in cui gli occhi azzurri e grandi di Luna potevano vedere il mondo reale da una prospettiva diversa, e, forse, migliore.

“E' una bella cosa!”.

“Certo... bella...”.

“Dai... non fare quella faccia. Ha ragione Luna: dovresti esserne felice. Io farei qualsiasi cosa per essere la sorella del prescelto”.

“Davvero? Perché sinceramente non penso che in Inghilterra sia lecito avere una cotta per il proprio fratello, neanche in quella dei maghi”, si rese conto di aver esagerato troppo tardi, ma per qualche assurda ragione non era riuscita a fermarsi. Non era stata capace di contenere la propria cattiveria ed aveva risposto in un modo così ostile che persino lei si sarebbe offesa se fosse stata in Ginevra.

Vide chiaramente gli occhi dell'altra rabbuiarsi e si alzò, senza darle il tempo di replicare, non voleva ascoltare la sua risposta. Non voleva chiedersi se avrebbe fatto meglio a star zitta per una volta.

“Ci vediamo in aula. Io comincio ad andare”, senza degnarle di un secondo sguardo si alzò dirigendosi verso l'uscita della sala grande e chiedendosi, per la milionesima volta se, forse, il cappello parlante non avesse sbagliato con lei. A volte aveva l'impressione che il suo lato serpeverde fosse molto più forte di quello corvonero e che in lei ci fosse così tanta cattiveria gratuita che fra quelle vipere striscianti non ci sarebbe stata poi tanto male.

Inoltre non aveva raccontato proprio tutto alle sue amiche. Per esempio non aveva detto loro nulla sul suo litigio con Draco, ma, infondo, loro non avrebbero capito, perché non erano a conoscenza del fatto che fra lei ed il biondo ci fosse... cosa? Cosa c'era tra di loro infondo?

Avevano passato l'estate insieme e lei si era sentita privilegiata. Non che trascorrere del tempo a Malfoy Manor fosse proprio la sua massima aspirazione. Quel luogo era tanto lussuoso quanto gelido e, per quanto Narcissa Malfoy si fosse sforzata di essere carina con lei, lo stesso non si poteva di certo dire per il marito, che al contrario non le aveva dimostrato altro che crudeltà. A voler essere totalmente sinceri non era neanche vero che lui fosse stato cattivo (escluso forse quel loro ultimo incontro), semplicemente si era comportato come se lei non esistesse, come se non fosse altro che una parte bizzarra della tappezzeria del castello. E di sicuro quello non le aveva fatto piacere. Però era stata bene quell'estate. In uno strano modo, forse un po' assurdo, si era sentita a casa, quasi più che ad Hogwarts.

E poi aveva avuto l'occasione di leggere decine di libri di storia magica e di informarsi sulle più antiche famiglie di maghi. Era anche riuscita a leggere qualche interessante tomo sulla famiglia Malfoy, che aveva una storia così affascinante e ricca di persone importanti.

Immersa nei propri pensieri non si rese neanche conto di dove stesse andando e solo dopo aver battuto dolorosamente la testa contro qualcosa di duro ed essere rovinata rumorosamente a terra si decise ad alzare lo sguardo, desiderando di non averlo mai fatto.

“Sta attenta a dove metti i piedi”, il suo tono crudele aveva perso di forza non appena si era reso conto di chi fosse stato ad andargli letteralmente addosso. E fu per poco più di un secondo, ma sembro una vita intera: i suoi occhi grigi incontrarono quelli verdi di lei e, per un attimo, parvero spaesati. Fu un solo secondo, ma bastò per farle credere che lui ci tenesse davvero a lei. Un solo secondo, così breve e fumoso, che quasi la ragazza si convinse di averlo immaginato. Un solo attimo, prima che lui le rivolgesse quelle parole che, una volta, tanto tempo prima, aveva già usato contro di lei, ma quella volta non erano sembrate così cattive.

“Non potevo aspettarmi nulla di più da una mezzosangue come te”. Senza aggiungere altro si allontano, seguito dalla sua banda di serpeverde (e pensare che lei aveva anche pensato di poter divenire loro amica), lasciandola là, da sola, seduta scompostamente su quel pavimento di gelida pietra a chiedersi come mai quella prima volta non avesse percepito quel tuffo al cuore al suono di quella parola. Forse lui non l'aveva detta con cattiveria l'anno prima, o forse lei non ne aveva compreso appieno il significato, non essendo certa che si trattasse di un insulto. Certo. Doveva essere così. Quella volta lei non aveva compreso.

La sua parte serpeverde, per la terza volta nel giro di venti minuti ebbe nuovamente il sopravvento, questa volta schierandosi apertamente contro la propria gemella corvonero, ed una vocina subdola, nella sua giovane mente, le disse che lei effettivamente non aveva capito l'anno prima. Perché quella parola non era semplicemente un insulto, ma una condanna: è questo, Lucius Malfoy lo aveva reso ben chiaro durante l'estate. E lei aveva fatto il possibile per dimenticarle quelle parole, ma la verità era che, se anche quando lui le aveva pronunciate lo aveva deriso, ancora le rimbombavano nella testa, e lo facevano sempre nei momenti meno opportuni.

 

Non potrai mai sposare mio figlio”

Sposare suo figlio? Io ho dodici anni, perché mai dovrei voler sposare Draco”.

Lui è un Malfoy. Fra pochi anni stipulerò un contratto di matrimonio per mio figlio, con una giovane e degna purosangue di buona famiglia. Sto valutando da anni diverse candidate e lei non si metterà in mezzo. Questo glielo regalo: un piccolo ricordo del suo breve soggiorno in questa casa. Lo consideri un compenso per la sua amicizia”.

 

Anche ora, le sentiva nella sua testa, come se lui le stesse pronunciando proprio in quel momento. E la verità era che anche se non lo avrebbe mai ammesso con nessuno, anche se era stata sincera quando aveva detto che aveva solo dodici anni ed al matrimonio non ci pensava proprio, anche se lei e Draco non si conoscevano abbastanza ed, a volte, l'avrebbe strozzato, altro che sposato, anche se avrebbe potuto trovarne altri mille di “anche se...”, lei un po', dopo le parole dell'uomo, si era sentita ferita. Perché quel “purosangue” e quel “mezzosangue” aleggiavano fra di loro come un muro di cristallo che nessuno dei due avrebbe potuto distruggere, ma neanche scalare. Perché il cristallo è liscio, come il vetro, e sul vetro non ci sono appigli, puoi solo scivolare.

Non si era mai sentita a casa, in nessun luogo, ma a Malfoy Manor, una parte di lei, quella nascosta che non parlava con nessuno e non si rivelava mai, c'era stata bene e ci sarebbe tornata volentieri, ma era consapevole che non avrebbe mai potuto chiamarla casa, perché Lucius Malfoy aveva ragione: lei non era di certo “una giovane e degna purosangue” e, anche se lei aveva soltanto dodici anni ed al matrimonio non ci pensava nemmeno, una cosa la sapeva: lei e Draco non si sarebbero mai potuti sposare, perché lei non era abbastanza per lui.

Abbastanza cosa, poi... questo proprio non lo sapeva, ma era certa che c'erano molti aggettivi che poteva metterci dopo. Il secondo, dopo abbastanza purosangue, era sicuramente abbastanza bella. E questi due, non si potevano cambiare, in nessun modo.

“Stai bene?”, la voce di un ragazzo più grande di lei la raggiunse come se fossero su due piani diversi del castello e solo in quel momento si rese conto che era rimasta ferma, nella stessa posizione, per tutto quel tempo. Ancora a terra, con le mani sulla pietra fredda dei sotterranei ed il viso abbassato, e lo sguardo perso lungo la fuga di una mattonella, senza rendersi conto di essere in ritardo per la lezione.

Alzò il viso quel tanto che bastava per vedere chi le stava parlando, era sicuramente di qualche anno più grande di lei e, a giudicare dai colori, un tassorosso. Dovette reprimere un moto di disgusto per evitare di offendere il ragazzo che, gentilmente le porgeva una mano. La prese, senza rendersene conto ed ignorando la vocina nella sua testa che le diceva che quei colori non promettevano niente di buono, perché, diciamocelo, i giallo-nero erano decisamente troppo mielosi perché lei potesse tollerarli a lungo.

“Sto bene”, lo disse con voce ferma, sorprendendo persino se stessa.

“Sono Cedric, Cedric Diggory”, si presentò con un sorriso così pieno di dolcezza che per poco non le venne il voltastomaco, ma rimase con la mano a mezz'aria. Lei non la prese, tornata finalmente in sé, lo sorpassò con una grazia che non sapeva di avere e gli rispose con voce gelida.

“Ed io sono in ritardo, per la lezione”, non era minimamente intenzionata a fare amicizia con lui. Non era nei suoi interessi socializzare.

Arrivò davanti all'aula di pozioni con l'impressione di essere tremendamente in ritardo. Non aveva un orologio, non ne aveva mai posseduto uno.

Ebbe la conferma di essere decisamente in ritardo quando, dopo aver aperto la porta dei sotterranei, tutta l'aula si voltò verso l'entrata ed un silenzio pesante si diffuse per la classe. Tutti gli occhi erano puntati su di lei.

“Signorina Belmont”, la voce piatta del professor Piton, che non vedeva da quando era piombata nel suo ufficio piena di rabbia, era così gelida da far rabbrividire tutti i presenti, “pensa di poter entrare nella mia classe quando le pare? Sono passati trenta minuti dall'inizio della lezione”, a quel punto la sua reazione, seppur quasi impercettibile, fu evidente all'uomo. Non si era aspettata che fosse passato così tanto tempo. Doveva essere rimasta seduta su quel pavimento per almeno tre quarti d'ora, “esca immediatamente di qua. Trenta punti in meno per la sua casa, uno per ogni minuto di ritardo. E la voglio nel mio ufficio questo sabato sera per la sua punizione”.

Non se lo fece ripetere due volte. Uscì dall'aula in silenzio, senza dar segno di aver ascoltato una sola parola tra quelle pronunciate dall'uomo. Ripercorse il corridoio al contrario, senza riuscire a vedere veramente le pareti grigie.

Si ritrovò fuori dal castello, rabbrividendo nella divisa di cui non aveva indosso il mantello, ma senza curarsi veramente del mondo circostante. Mentre camminava verso il lago nero, nonostante il vento gelido, i suoi pensieri erano ancora rivolti a quei due occhi grigi e freddi come il ghiaccio dell'antartide.

 

29 gennaio 1994

 

Quel sabato mattina si era svegliata presto e, decisa a dedicare qualche ora solo a se stessa, si era diretta verso la sala grande per la colazione, con l'intenzione di passare la giornata in biblioteca. Era proprio a metà della sua torta al cioccolato, quando un maestoso gufo grigio era entrato e si era diretto verso di lei con eleganza e leggiadria. Si era appollaiato davanti al suo calice di succo di mele (il succo di zucca non le piaceva poi molto. Era così dolce) e la stava guardando con impazienza malcelata. Sembrava quasi la stesse giudicando.

Lei lo osservava incuriosita e scocciata. Sicuramente doveva aver sbagliato il destinatario della sua missiva.

“Senti... gufaccio arrogante, perché non te ne vai? Qualsiasi cosa tu abbia là dentro, puoi star sicuro che non è per me”, l'animale parve contenersi, ma nulla gli impedì di beccarle il dito poggiato sul tavolo. Lo fece con tale velocità che lei neanche riuscì a fermarlo. Vide una goccia di sangue scivolarle dall'indice e finire sul tavolo immacolato, ancor prima di sentire il dolore per quella ferita.

Furiosa, si sforzò di mantenere il proprio autocontrollo. Diciamo che una parte di lei sapeva di esserselo meritato e, pertanto, non aveva alcuna intenzione di prendersela con l'animale, che, infondo, aveva solo reagito alla sua provocazione.

Il gufo fece scattare il becco minaccioso ed, alla fine, nonostante il timore di essere ferita nuovamente, lei si decise a prendere quel pacchetto rettangolare e la lettera che lo accompagnava.

L'animale non le diede neanche il tempo di aprire il biglietto che si era già alzato in volo, allontanandosi da lei con aria sdegnosa, come se non la ritenesse alla sua altezza. Adesso anche i gufi la giudicavano troppo mediocre, pensò con ironia.

Si rigirò quella lettera fra le mani, sempre più sconcertata. Non ne conosceva il motivo, ma anche se non vi erano indirizzi o altri segni di riconoscimento, qualcosa in quella busta d'avorio le era familiare, come se l'avesse già vista in passato. Le tremavano le dita mentre l'apriva, e non riusciva in alcun modo a fermarle. Estraendo la sottile pergamena, un groppo in gola le bloccò per qualche secondo il respiro. Non sapeva di chi fosse il pacchetto, ma in qualche modo una parte di lei aveva visualizzato due occhi grigi, più freddi di quelli cui era abituata.

Non vi erano che poche righe scritte con una calligrafia elegante ed in un pregiato inchiostro verde, ma la sigla della firma non le lasciò alcun dubbio sul destinatario.

 

Questo l'ha dimenticato in casa mia quest'estate. Sono certo che la troverà una lettura interessante. Mi sono permesso di sottolinearle alcuni capitoli che ritengo di vitale importanza.
L. M.

 

Nonostante avesse compreso il destinatario della missiva, sin da quando aveva preso in mano la busta, quel messaggio le risultava comunque oscuro. Poche parole, nessun convenevole. Freddo e razionale, come il proprietario della mano che le aveva stilate.

Rimase concentrata sulle frasi redatte in bella calligrafia, con la speranza che rileggendole assumessero un qualche significato nuovo, che sino a quel momento le era rimasto nascosto, ma non accadde nulla di tutto ciò. Rimanevano parole vuote e senza alcun senso.

Col cuore che le batteva nel petto, come un orologio impazzito, si decise a rivolgere la sua attenzione al pacchettino. Era confezionato con un'elegante carta regalo verde muschio, con leggere linee grigie che formavano arabeschi intriganti ed il cui disegno sembrava cambiare in relazione alla prospettiva con cui lo si osservava. Probabilmente era stregata per sembrare ancora più bella di quanto già non fosse.

Disfare il pacchetto le costò tutta la sua determinazione, perché non era certa di volerne scoprire il contenuto. Quando scostò la carta quel tanto che bastava per intravederne il tesoro nascosto, le sue iridi verdi brillarono per qualche secondo. Riconosceva la copertina di quel libro, che sembrava così antico e così prezioso, che faceva quasi paura tenerlo fra le mani. Con le sue piccole dita pallide ripercorse le parole del titolo, impresse con vernice argentata sulla copertina blu scuro del tomo: “Intrighi di sangue e giochi di potere. Le più antiche famiglie di maghi ed i loro intrecci”. L'aveva affascinata sin dal primo momento in cui ne aveva letto l'indice.

Si fermò solo per qualche secondo a chiedersi come mai Lucius Malfoy le avesse inviato quel... dono? Poteva chiamarlo in questo modo? Nella sua mente l'immagine nitida di lui che le buttava in mano quel tomo e la derideva comparve dal nulla.

Questo glielo regalo: un piccolo ricordo del suo breve soggiorno in questa casa. Lo consideri un compenso per la sua amicizia”.

L'aveva considerata un'offesa, quella frase gelida, detta in quel momento. L'aveva fatta sentire piccola piccola, dinanzi alla maestosità di quel nobiluomo che sembrava avere il mondo ai propri piedi o, per lo meno, comportarsi come se così fosse.

Lo aveva odiato in quel momento, perché lei quel libro lo voleva. Lo desiderava veramente, come aveva desiderato d'avvero poche cose nella sua vita, ma non poteva di certo accettarlo quando le era stato “offerto in quel modo”. Ed ora? Ora poteva accettarlo? La vocina subdola della sua mente si fece sentire di nuovo e lei, nuovamente, la nascose nei meandri più oscuri della sua psiche.

Se la sarebbe posta in un altro momento quella domanda. Ora desiderava solo recarsi in biblioteca, scegliere l'angolo più isolato ed immergersi in quella lettura.

Forse un giorno avrebbe pagato, ed a caro prezzo, quel regalo, ma adesso era suo e non aveva senso porsi domande di cui, davvero, non voleva sapere le risposte.

Infondo, era soltanto un libro: che male poteva mai fare?


 

***


 

Ringrazio tutti coloro che hanno la pazienza di leggere questa storia e di attenderne l'aggiornamento, nonostante la mia discontinuità. Mi fa piacere sapere cosa ne pensate ed avere vostri feedback, ma anche chi legge in "silenzio" è gradito.

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Capitolo 27
*** Cosa vuoi da me? ***


 

 

Cosa vuoi da me?

 

13 febbraio 1994

 

Quella domenica mattina il castello di Hogwarts si era svegliato immerso nella nebbia di una gelida giornata di febbraio. Quell'anno sembrava proprio che la primavera non intendesse arrivare ed il sole era ancora, per la maggior parte del tempo, nascosto dietro nubi grigie e pesanti.

Nel dormitorio di serpeverde due ragazze si erano svegliate molto presto ed ora stavano chiacchierando sdraiate l'una nel letto dell'altra. Lo facevano spesso, come due vecchie amiche che si trovavano sovente anche al di fuori della scuola. Durante le vacanze trascorrevano molto tempo l'una a casa dell'altra ed, in quelle occasioni dormivano nello stesso letto, perciò erano abituate a rimanere vicine in uno spazio così angusto.

“Pansy... devo dirti una cosa...”.

“Che cosa?”, gli occhi neri dell'amica si fissarono con curiosità in quelli azzurri. Al contrario di quel che pensava chi non la conosceva, Pansy era una ragazza molto dolce e sapeva donare tutta se stessa, a chi, a suo parere, lo meritava. La corazza dura che mostrava al mondo non era altro che un modo per difendersi dal dolore, perché lei temeva di soffrire ed era consapevole che, la maggior parte delle volte, quando ti donavi, stavi semplicemente concedendo all'altro la possibilità di distruggerti.

Daphne si accoccolò un po' di più nell'abbraccio dell'amica, prima di decidersi a parlare, senza guardarla in viso, “io... penso di essermi innamorata”.

Lo disse in un filo di voce, così flebile che, se non fossero state immerse nel silenzio, non sarebbe stata udita.

“Daphne... anche io penso di doverti dire una cosa... ma giurami che non mi odierai!”, Daphne non si scompose più di tanto alle parole dell'amica. Era abituata alle sue richieste di giuramenti di questo tipo. Pansy era così insicura che, anche dopo tutti quegli anni (infondo si conoscevano da quando erano bambine), ancora aveva timore che la sua amica potesse allontanarsi da lei.

Daphne, invece, sapeva bene che non avrebbe mai abbandonato nessuno dei suoi amici, per nulla al mondo. Erano cresciuti insieme. Avevano affrontato tutto insieme. Ed avrebbero affrontato molte altre cose, sempre insieme, lottando con le unghie, ma questo ancora nessuno di loro lo poteva immaginare. Ricordava persino il primo giorno sull'espresso per Hogwarts. Lei, Pansy, Blaise, Draco e Theo, seduti composti nello stesso scompartimento, fingendo di essere tranquilli e spavaldi, ma tutti consapevoli che anche gli altri stavano provando la loro medesima ansia e lo stesso timore.

“Lo sai che puoi dirmi tutto”.

“Anche io mi sono innamorata, Daph”, lo disse tutto d'un fiato, come se fosse un disonore provare quel sentimento.

“Di chi?”, era curiosa. Non aveva pensato che anche lei stesse provando quelle strane sensazioni, ma doveva immaginarlo. Infondo loro avevano fatto tutto insieme, almeno sino a quel momento.

“Prima tu... sei stata tu a parlare per prima. Dimmelo prima tu...”.

“Mmm... e va bene... però, non ridere!”, con quell'ultima affermazione si era alzata in ginocchio sul letto, per poter vedere meglio l'amica negli occhi scuri e controllare che, veramente, non avrebbe riso.

Senza alcun avviso e prima ancora che potesse aprire di nuovo bocca, la porta della stanza si aprì, lasciando entrare tre ragazzi che, chissà come riuscivano sempre ad eludere gli incantesimi posti a tutela della virtù delle compagne verde-argento.

“Vi volete alzare o no? Pensavo avessimo deciso di andare insieme ad Hogsmeade”. La voce di Draco poteva sembrare fredda come il ghiaccio a chi non lo conosceva come loro. Non sembrava curarsi minimamente di essere entrato nella stanza di due ragazze, ma d'altronde lui era così: senza pudore. Quella parola proprio non la conosceva. Avrebbero potuto essere nude, ma per lui non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Non si sarebbe scomposto. Non avrebbe mutato espressione.

“Scusate, ragazze... ma come al solito il nostro amico non ha rispetto per niente e per nessuno”.

Non si scompose neanche alle parole di Theo, che, evidentemente lo stava prendendo un po' in giro.

Solo Blaise, per un attimo, parve arrossire leggermente, mentre i suoi occhi scendevano sulle gambe nude di Daphne, ancora accovacciata sul letto.

“Che ne dite di uscire e farci vestire? Dieci minuti e siamo pronte”, lo sbuffo di Draco le fece arricciare le labbra.

“Quando tu riuscirai ad essere pronta in dieci minuti, Pansy, io sarà Ministro della Magia”.

“Bene... allora ci riuscirò presto. Sono sicura che coi soldi dei Malfoy, otterrai quella carica in pochissimo tempo”, irritata per l'interruzione, la ragazza aveva deciso di colpire dove sapeva di fare più male.

Draco, invece, fingendo di non aver sentito, uscì dalla stanza così com'era entrato, seguito dai due amici.

Mezz'ora dopo (i dieci minuti di Pansy, erano sempre ipotetici), erano diretti verso l'uscita del Castello, pregustando un'ottima colazione alla caffetteria babbana, perché loro potevano anche essere snob e purosangue, ma quel localino con sole specialità del mondo non magico, li aveva attratti sin dalla prima gita ad Hogsmeade. E la parte migliore era che nessun altro studente della scuola lo frequentava, essendo in una stradina piccola ed isolata, in cui di sicuro non si capitava per caso.

“Malfoy”, la voce che l'aveva fermato, prima ancora che finisse di scendere i gradini del patio dinanzi al castello era così familiare ed al tempo stesso così sconosciuta, che quasi rischiò di cadere.

Si voltò lentamente, come se per lui non fosse altro che un fastidio darle retta. Non si parlavano da quasi un mese, contemplando quell'ultimo incontro, o meglio scontro.

I suoi occhi verdi lo guardavano, fermi e determinati, tentando di mascherare un'insicurezza che lui non poteva certo fingere di non vedere. La verità era che lei voleva sembrargli forte, ma sin dal primo giorno lui era riuscito a leggerle dentro ogni sfumatura. Lei voleva essere impassibile, forse per somigliargli almeno un po', ma non poteva farlo. Non era stata educata a farlo.

“Che vuoi, Belmont?”, la sua voce uscì più cattiva di quando avrebbe voluto, ed intravide, con la coda dell'occhio, un sopracciglio di Daphne alzarsi pericolosamente. Se avesse potuto, lei, in quel momento l'avrebbe ucciso volentieri.

“Noi andiamo, Draco”, lo disse con cattiveria malcelata, costringendolo a restare, “ti aspettiamo ad Hogsmeade... fa pure con calma”, ed in quell'ultima frase, quasi sussurrata, c'erano tanti significati nascosti, tanti sottintesi. E lui l'avrebbe strozzata se non le fosse stato così affezionato.

E così, in pochi minuti, rimasero da soli. Ancora con gli occhi fissi l'una sull'altro. Immobili. In attesa.

“Se mi hai chiamato solo per farmi perdere tempo, dimmelo subito. Non ho proprio voglia di star qui a guardarti... che poi... a dir la verità, non è che sia proprio una vista così interessante”, va bene, forse quella era stata cattiveria gratuita e avrebbe anche potuto evitarla.

“Vorrei parlarti... in privato, se non ti dispiace”, nella sua voce c'era una nota di supplica che stonava con tutto il suo atteggiamento. Voleva sembrare forte, ma non ci riusciva. Forse, non ci sarebbe mai riuscita.

Ostentando una sicurezza che non aveva, si voltò, sperando che lui la seguisse e cominciò a camminare lentamente per i corridoi del castello.

La tentazione di lasciarla andare era stata forte, ma non poteva ignorare quella preghiera, seppur nascosta dietro ad un viso da dura. Non con lei, almeno. Si incamminò lentamente, seguendola, e chiedendosi se, per caso, lei non lo avesse scambiato per il suo elfo domestico, visto che non sembrava affatto intenzionata a controllare che fosse dietro di lei.

Fortunatamente lui era già molto più alto della ragazza ed in pochi passi riuscì a raggiungerla, sino ad affiancarsi a lei. Con la coda dell'occhio si concesse di osservarla. Per la milionesima volta si ritrovò a pensare che non fosse bella, ma in realtà non era quello che gli interessava in quel momento. Cercava dei punti di contatto fra lei e Potter. Delle somiglianze, qualcosa che facesse presumere che fosse fratelli. Avevano così poco in comune, che se non fosse stato per quel discorso udito qualche mese prima, non ci avrebbe creduto neanche lui.

Certo, avevano gli stessi occhi verdi, ma persino in quelli c'era qualcosa di diverso. Quelli di Potter erano così allegri ed irritanti, mentre i suoi erano cupi, come se il verde di quelle iridi fosse oscurato dalla presenza di un altro colore, in fondo, sotto alla giada. Era assurdo, se ne rendeva conto, nessuno poteva avere gli occhi a strati, di colori diversi, eppure nei suoi c'era qualcosa di buio.

Ed i capelli... certo entrambi avevano i capelli neri, ma erano due neri diversi. Era possibile? Non ne era molto sicuro, infondo il nero è pur sempre nero. Eppure quello di Morgana sembrava più opaco, più spento, in un certo senso più scialbo, come se la luce non riuscisse a raggiungerli, come se ne venisse risucchiata, senza più trovare via di fuga. Inoltre, seppure entrambi li avevano disordinati, quanto un cespuglio di rovi, quelli della ragazza non sembravano così di natura, più che altro era lei che non vi faceva attenzione e non si curava di tenerli in ordine.

Persino la loro carnagione non aveva nulla in comune. Non che Potter fosse particolarmente abbronzato, ma la pelle di Morgana era lattea, candida, e creava uno spaventoso contrasto con i suoi capelli neri. Era quasi più bianca della sua, eppure lui aveva sempre pensato che non fosse possibile essere più chiari di un Malfoy.

Senza contare che il loro carattere era praticamente agli antipodi. Non che uno dei due gli fosse simpatico, quello sicuramente no. Solo che erano diversi. Entrambi ironici, ma mentre l'ironia di Potter lo faceva sorridere, essendo più che altro sintomo della sua impulsività, quella di Morgana, talvolta, era davvero cattiva, come se lei facesse tutto il possibile per evitare di ferire l'altro, ma proprio non ne fosse capace.

La verità era che più volte aveva pensato che Morgana non fosse altro che una serpe mancata e spesso si era chiesta cosa avesse spinto il cappello parlante ad inserirla fra i corvonero. Non che non fosse intelligente e curiosa, solo che sapeva essere veramente cattiva e, nonostante fingesse di essere modesta e tranquilla, spesso aveva visto in lei quella scintilla. La stessa che contraddistingueva la maggior parte dei membri della casa di Salazar. Quella voglia di ottenere di più. Non solo rispetto e timore, ma anche invidia ed ammirazione. Perché, anche se loro erano classificati come “i cattivi”, la verità è che erano solo dotati di pochissimi scrupoli e di rispetto verso poche cose, tra cui, prima di tutto la famiglia ovviamente.

Perso nei suoi pensieri, non si era neanche reso conti di star seguendo la ragazzina per corridoi che gli erano quasi sconosciuti. Non si era mai trovato in quella parte del castello, ma rimase in silenzio, continuando a starle di fianco, come se tutto quel camminare insieme fosse normale.

Forse, la verità, era che un po' gli faceva piacere poterle stare di fianco, come avevano fatto spesso in passato e come non capitata da davvero troppo tempo, perché, se anche non lo avrebbe mai ammesso, neanche sotto cruciatus, la sua presenza a lui mancava. Perché era bello stare insieme senza dir nulla, godendo ognuno della presenza dell'altro, senza bisogno di parlare. Ed era questa una delle cose che più apprezzava di lei.

Svoltato l'ultimo corridoio rimase sconcertato, seppur per pochi secondi, ed, ovviamente, senza che neanche una traccia di quel sentimento trasparisse dal suo viso.

Morgana era rimasta in silenzio, per tutto il tragitto, chiedendosi se lui si fosse reso conto di dove lo stava portando e, soprattutto, domandandosi cosa avrebbe pensato in caso affermativo, ma come al solito, Draco Malfoy non lasciava passar nulla dei propri pensieri. A volte si chiedeva se ne avesse o se la sua mente fosse, semplicemente, vuota, impassibile ed inespressiva come il proprietario.

Arrivati dinanzi alla porta la sua mano si mosse incerta verso il batacchio di bronzo sino a sbatterlo con grazia contro la porta di legno pregiato. Per un secondo lui si domandò se fosse così semplice entrare nella sala comune della casa di corvonero, ma sembrava eccessivo anche per gente strana come loro.

Tutti ne hanno uno solo, alcuni lo hanno uguale, ma nessuno usa il suo. Cos'è?

La voce gracchiante lo sorprese, ma, concentrato com'era sulle stranezze dei corvonero, non si era concetrato su ciò che il corvo aveva detto.

“Non avete una parola d'ordine?”, lei si voltò a guardarlo sorpresa, era la prima frase che pronunciava da quando.

“Ehm... no. Nessuna parola d'ordine”, sembrava quasi imbarazzata, come a volersi scusare per la mancanza di un metodo d'accesso uguale a quello delle altre case (o almeno di grifondoro e serpeverde).

“Quindi bisogna risolvere l'indovinello?”.

“Sì... ed ogni volta è diverso”.

“E se non lo risolvi?”.

“Se non conosci la risposta devi aspettare che arrivi qualcuno che la conosce, è ovvio”.

Ora gli occhi di lui erano pieni di sconcerto, “cioè se non sapete rispondere, rimanete qui fuori in attesa che arrivi uno dei vostri compagni, uno più intelligente?”.

“Non è sempre questione di intelligenza”, lei ora sembrava offesa. Chissà, forse era veramente rimasta fuori in attesa qualche volta.

Reprimendo l'impulso di ridere, Draco le chiese di ripetere l'enigma, ammettendo, suo malgrado, di non aver prestato attenzione.

“Mmm... ognuno ne ha uno solo... alcuni uguale e nessuno lo usa”.

“Non è che potresti pensare in silenzio, Malfoy?”, era scocciata e lui sorrise ironico, pensando che la stava evidentemente distraendo dai propri ragionamenti.

“Non trovi la risposta, Belmont?”, gli occhi di lei dardeggiavano dalla furia, al ché lui non riusì a trattenersi dal gongolare, “comunque direi che la risposta giusta è il cognome”.

A quel punto il corvo si complimentò con lui, lasciandoli passare. E, nonostante dovesse sentirsi fiero di sé per aver trovato una risposta prima di lei, in un luogo, non meglio identificato, là, vicino al suo stomaco, si era aperta una voragine al pensiero che lei, invece, un cognome non lo aveva. Non il suo almeno.

Non era mai entrato prima nella sala comune di un'altra casa. Si guardò intorno incuriosito e dovette ammettere che, anche se forse era un po' troppo luminosa per i suoi gusti, la sala comune dei corvonero era di classe e decisamente elegante. Il blu ed il bronzo si mischiavano con grazia e sembravano fondersi l'uno con l'altro completandosi. Era veramente carina. Certo... lui preferiva la propria, ma quella non era poi tanto male alla fin fine.

Vide la ragazzina dirigersi verso le scale e guardandosi intorno si accorse che, in realtà, la sala non era vuota come aveva immaginato (visto che lei lo aveva portato là con sicurezza).

Al contrario, vi erano molti ragazzi seduti ai tavoli a studiare o sulle poltrone sparse per l'ambiente a leggere o intenti in attività che lui non riusciva, e non voleva, comprendere. Nessuno però parve far caso a loro ed al loro ingresso. Ognuno concentrato su di sé e sui propri impegni.

La seguì incerto su per le scale a chiocciola, cercando di raggiungerla, per fermarla, ma lei non smise di camminare sino a quando non ebbe oltrepassato una piccola porta in elegante ciliegio (perfettamente armonizzata con le parei blu scuro).

Entrando si rese conto, come aveva immaginato, di essere stato praticamente trascinato nella sua stanza. Vi erano quattro letti, quindi dedusse che la condivideva con altre tre ragazze. In quel momento ringraziò di essere un serpeverde: loro avevano solo camere singole o, al massimo da due persone. E ad ognuno era lasciata la massima libertà di scegliersi i propri compagni di stanza. Solo al pensiero di doversi svegliare, ogni mattina, nella stessa camera di gente come Tiger e Goyle, gli veniva mal di testa. Lui era abituato ad avere i suoi spazi.

Chiudendosi la porta alle spalle si chiese se fosse il caso di restare là, con lei. Oltre al fatto che, molto probabilmente, avevano infranto almeno un migliaio di regole della scuola, erano da soli, in terra straniera (per lui ovviamente) ed ultimamente non si erano neanche rivolti la parola.

Per la prima volta in vita sua si rese conto di essere arrossito leggermente sulle guance diafane. Aveva caldo. E tutto ciò era surreale. Un Malfoy non arrossisce, non ha caldo e, soprattutto, ha sempre tutta la situazione sotto controllo.

L'unica nota positiva di tutta quella situazione era che lei, al momento, era talmente rossa, da avere le guance della stessa tonalità dei capelli marchio Weasley. Probabilmente non si era resa conto di quanto quella situazione potesse risultare ambigua, ed ora stava là, al centro della stanza, con gli occhi bassi e spostando il peso da un piede all'altro, come una bambina colta in fallo.

Decise di approfittare un pochino del suo imbarazzo. Voleva prenderla in giro ed un po' punirla per averlo evitato in quei mesi. E poi... lui era pur sempre un serpeverde, no?

Si avvicinò con calma studiata al letto di Morgana, notando di sfuggita che i suoi movimenti avevano catturato l'attenzione della ragazza. Senza distogliere lo sguardo dalle morbide coperte di raso blu notte e dalle tende di seta bronzo, si avvicinò a quel talamo, sino a sfiorare, con studiata lentezza, il legno del baldacchino.

“Avete dei letti piuttosto grandi, voi corvonero. Chissà come mai la cara Corinna ha pensato che vi servissero dei materassi di queste dimensioni”, alle sue parole lei diventò, se possibile, ancora più rossa.

Lui si sedette sul bordo del letto e si decise a fissare i suoi occhi in quelli di lei, “se mi hai portato qui per il motivo che penso io, dovrai avvicinarti...”, lasciò volutamente la frase in sospeso, fissandola nelle iridi ambra. Vide chiaramente il momento in cui il significato delle sue parole divenne chiaro alla ragazza. La vide avvicinarsi come una furia e non fece nulla, nonostante sapesse che lei lo avrebbe colpito.

Il suono dello schiaffo rimbombò come un tuono nella camera sulla torre più alta di Hogwarts. Lei era furiosa, offesa e così imbarazzata da non riuscire ad impedirsi di tremare. Certo non era stupida. Sapeva che portandolo lì avrebbe scatenato la sua ironia, ma non pensava che sarebbe arrivato ad insinuare che il suo scopo fosse quello di farsi trattare come una sgualdrina.

Draco sapeva di aver esagerato, ma infondo ne aveva bisogno. Una parte di lui voleva che lei lo colpisse, voleva sentire il bruciore della sua manina paffuta ed ancora così infantile sulla sua guancia. Ciò che non immaginava era che lo sguardo oltraggiato di lei potesse fargli così male.

La sua ironia forse era fuori luogo, forse esagerata, ma nei suoi occhi leggeva solo disgusto. Ed a quello non era preparato. Perché certo lui non avrebbe alzato un dito verso di lei e di sicuro non intendeva davvero insinuare che l'avesse portato là per quel motivo, ma non poteva neanche tollerare l'idea che lei trovasse così orribile la possibilità che fra loro accadesse qualcosa.

“Sono qui per un motivo, Belmont, o vuoi solo farmi perdere altro tempo?”, la sua voce in quel momento risultò più gelida di quanto avrebbe voluto. Non voleva sembrare così freddo, la lo sguardo di lei era ancora conficcato nel suo petto, come una lama tagliente ed affilata.

Morgana continuava a guardarlo, immobile, senza dir nulla. Ed a quel punto lui si chiese perché era ancora là. Lo aveva portato lei, dicendo che voleva parlargli, ma poi stava ferma, senza emettere alcun suono. E guardandolo come se lo temesse, quando lui, di fatto, non l'aveva mai neanche sfiorata con un dito. Non veramente almeno.

Si alzò, con l'intenzione di andarsene, sempre più furioso, con lei e con se stesso, ma non raggiunse mai la porta, perché la piccola mano di Morgana, con le sue piccole dita morbide, si strinse con forza sorprendente intorno al suo polso. E lui avrebbe potuto scrollarsela di dosso facilmente, ma non voleva farlo. Lui voleva che lei lo tenesse, che continuasse a stringere la sua pelle, come se ne andasse della sua vita da quel contatto.

“Ti prego, resta”, un sussurro, così flebile che, per un secondo, pensò di esserselo immaginato, ma sufficiente per farlo voltare verso di lei e per far incontrare i loro occhi. Ghiaccio fuso quelli di lui, erba fresca quelli di lei.

“Perché mi hai chiesto di parlare, se non hai niente da dire?”, cominciava a mancargli l'aria in quella stanza così solare. Forse era la vicinanza di lei.

“Tu sei l'unico che può sapere qualcosa...”.

“In merito a cosa, Morgana?”, era sempre più confuso.

“Sirius Black”.

Dovette ammettere con se stesso che quella era proprio l'ultima cosa che si sarebbe aspettato. Ma infondo, un po', doveva prevederlo. Infondo era stato lui, mesi prima, ha provocare Potter su quell'argomento, ed ora che lei aveva scoperto di essere sua sorella, era logico che fosse interessata.

“Cosa vuoi sapere su Sirius?”, alla ragazza non sfuggì la circostanza che lui lo aveva chiamato per nome, ma decise di ignorarla, anche se qualcosa nella sua mente stava protestando a gran voce, dicendo che era importante quel particolare.

“Tutto quello che sai”.

“Non ne so molto, Morgana. So che è stato rinchiuso ad Azkaban con l'accusa di omicidio, perché avrebbe ucciso 13 babbani”.

“Era un mangiamorte?”, la sua domanda lo colse impreparato, non si aspettava che lei lo chiedesse e soprattutto non che lo facesse con quel tono. Per qualche secondo la sua mente si rivolse a suo padre. Lui era un mangiamorte, ma Sirius Black? Lui lo odiava e sua madre... lei non aveva detto molto, ma era chiaro che non riteneva il cugino capace di tanto.

“Non credo che lo fosse, ma non ne ho la certezza”.

“Ma se non era un mangiamorte, perché è stato rinchiuso ad Azkaban per così tanto tempo?”.

“Aveva ucciso delle persone. E poi, non è che a quei tempi il ministero si ponesse molte domande. Non facevano dei veri processi, per quel che ne so”.

“Beh... ma...”, lei sembrava proprio confusa mentre lo guardava, eppure non gli sembrava di aver detto qualcosa di poco chiaro, “ma Draco, scusa, come facevano a non sapere se uno era o meno un mangiamorte?”.

“Non è che ci fosse proprio una lista, sai!”. Stava riacquistando un po' della sua ironia.

“Beh, ma il tatuaggio? Se uno non lo ha, non era un mangiamorte, no?”.

“Il tatuaggio?”, ora era lui quello confuso, perché di sicuro lei non poteva riferirsi a quello, perché lei non poteva saperne nulla. Era solo una bambina e non aveva alcun contatto con alcun mangiamorte. Un lampo di comprensione passò per i suoi occhi, quando realizzò che non era così, che lei dei contatti con un mangiamorte li aveva eccome, ma di sicuro lui non era così stupido da mostrarle il marchio.

“Il tatuaggio, quello col teschio... sai... il marchio! Il marchio nero! Me ne hai parlato tu, te lo ricordi?”.

Purtroppo lo ricordava, ma pensava che la sua fosse solo curiosità, dettata da qualche lettura un po' ardita, invece in quel momento comprese che non era così. La sua abilità di legilimens naturale gli permise di entrare nella sua mente, senza che lei se ne accorgesse e di vedere quel marchio, su quel braccio. Ovviamente lui sapeva, ma era convinto di essere l'unico a scuola. E per lui non era un problema, non lo era mai stato. Perché infondo, quando in mezzo al male ci vivi da sempre, come fai a capire qual è il confine fra giusto e sbagliato?

Ed allora perché gli sembrava sbagliato che lei sapesse?

“Morgana, nessuno si è mai chiesto se lui avesse o meno il marchio nero, per il semplice fatto che il ministero non sa che tutti i mangiamorte hanno quel tatuaggio sul braccio”. E d'un tratto la cruda verità le cadde addosso, perché se il ministero non lo sapeva, allora non sapeva neanche che il professor Piton era un mangiamorte. Ed ora lei voleva piangere, ma non poteva, perché sarebbe sembrata debole.

Eppure quel dubbio la tormentava ormai da troppo tempo. E se il professor Piton stesse cercando di aiutare Sirius Black ad entrare nel castello ed uccidere suo fratello? E se l'unico motivo per cui l'uomo era stato gentile con lei, in passato, era che voleva arrivare ad Harry? Lei non era mai stata altro che un mezzo per lui? Eppure aveva creduto che lui, a modo suo, le volesse quasi bene.

“Cosa sai dei Black?”, lo disse solo per cambiare argomento, perché aveva bisogno di sentirlo parlare, per allontanare tutti quei pensieri spiacevoli, ma non poté evitare di vedere, di nuovo, quell'ombra scura passare nei suoi occhi.

“Sono una famiglia di maghi purosangue e molto antica. Perché?”, per qualche strano motivo non riusciva a guardarla negli occhi in quel momento.

“In un libro che ho letto si dice che in quella famiglia, l'abitudine di sposarsi tra fratelli e cugini, abbia in qualche modo provocato la pazzia di molti dei membri della stirpe”, ricordava ancora il paragrafo sottolineato da Lucius Malfoy e si chiedeva come mai l'avesse evidenziato. Probabilmente, sapendo che lei poteva scoprire qualcosa di Black, voleva che sapesse che quasi certamente quell'uomo era pazzo. Eppure era certa che qualcosa gli sfuggiva.

“Credimi, non so cosa tu abbia letto, ma sicuramente nella famiglia Black di pazzia ce n'è fin troppa. Ora se non ti dispiace io dovrei raggiungere i miei amici ad Hogsmeade”.

Non sapeva come mai, ma faceva sempre più caldo in quella stanza. Gli mancava l'aria. Forse non era abituato a stare a lungo a quell'altezza (strano per un ragazzo che gioca a quidditch quattro volte a settimana).

In silenzio si diressero entrambi verso l'uscita e la ragazza lo precedette lungo il corridoio.

“Morgana, ti aspettavo”, gli occhi di Harry Potter andarono dalla ragazza a Draco Malfoy e, per interminabili secondi rimasero fissi in quelli di ghiaccio di lui.

“Beh. Io me ne vado. Vi lascio soli, immagino avrete molto da dirvi”, col suo solito ghigno malefico, si allontanò da loro, consapevole di aver lasciato dietro di sé due persone che, molto probabilmente, avrebbero litigato di nuovo.


 

***

 

Visto che oggi ero a casa malata, e che devo farmi perdonare il ritardo di questo periodo, vi pubblico due capitoli in due giorni. Ci stiamo avviando verso la fine del secondo anno e verso lo scontro con Black ed, intanto, ho aggiunto qua e là qualche "nuovo" personaggio. Infondo ad Hogwarts non c'è solo il magico trio.
Ringrazio Potter_bieber che ha recensito gli ultimi due capitoli, con dei commenti molto graditi. Cercherò di essere più puntuale, lavoro permettendo.
A presto.

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Capitolo 28
*** Tu sei mia sorella! ***


 

Tu sei mia sorella!

 

Non avevano più parlato e la verità era che lei un po' lo aveva evitato. Non aveva il coraggio di guardare in quegli occhi verdi così simili ai suoi. Non era riuscita ancora a capire cosa provasse, dopo aver scoperto di essere sua sorella, sapendo che c'era quel piccolo (se così lo si poteva definire) legame che li univa inesorabilmente.

Ed ora lui era là. Davanti all'ingresso della sua sala comune e la stava aspettando e, cosa ancora più grave, aveva visto Draco Malfoy uscire da quella stessa porta, subito dietro di lei. E non potevano di certo far finta che non fosse successo. Ed ora lei non faceva che chiedersi cosa stesse pensando il ragazzo, e perché non parlava.

“Quindi mi stavi aspettando?”, cercò di sorridere mentre pronunciava quelle poche parole, desiderosa di dimenticare che, in realtà, era appena stata scoperta da suo fratello in un atteggiamento che, almeno in apparenza, poteva davvero sembrare molto ambiguo.

Ed anche se lei non aveva ancora tredici anni e di sicuro al sesso neanche ci pensava (al sesso con Draco poi, men che meno), non poteva di certo fingere che se la situazione fosse stata a parti invertite lei sarebbe subito saltata a conclusioni di un certo tipo.

“Che ci facevi con lui?”. Ecco, doveva aspettarsela quella domanda, ma ora cos'avrebbe dovuto rispondere? Sai non è che io e lui siamo amici, perché in realtà lui è proprio stronzo e sinceramente molto insopportabile, però ecco, forse un pochino ci vado d'accordo. E lo so bene che tu lo odi e che non riuscite a rimanere nella stessa stanza per più di cinque secondi senza insultarvi e progettare almeno venti modi per uccidervi, però non posso farci nulla, io con lui in quella stanza riesco a starci, a volte anche a lungo. Quest'estate, per esempio, abbiamo passato intere giornate insieme, senza litigare e quasi apprezzandoci a vicenda.

No, forse, lasciare libero sfogo al suo subconscio non era proprio una buona idea. Poteva immaginare quale sarebbe stata la reazione di lui ed aveva come l'impressione che sarebbe stata l'occasione perfetta per litigare in modo definitivo.

“Noi stavamo solo parlando”.

“Parlando? Nella tua stanza? Lui non è un corvonero. Non ha alcun diritto di entrare nella tua sala comune”, la sua insinuazione la infastidì parecchio.

“Che cosa te ne importa? E poi chi cavolo ti ha detto che era nella mia stanza?”, non se ne rese neanche conto, ma stava praticamente urlando.

“Tu non puoi parlare con lui. Non puoi!”, questo non avrebbe mai dovuto dirlo, però era troppo tardi quando se ne rese conto.

Lei non aveva mai tollerato troppo le imposizioni. Era sempre stata indipendente e di certo non aveva mai dovuto rendere conto a nessuno, men che meno ad un fratello. E non aveva alcuna intenzione di cominciare quel giorno. Senza lasciargli il tempo di rispondere, si voltò verso il batacchio a forma di corvo. Rispose all'enigma che, stranamente, quella volta le risultò particolarmente semplice e corse fino alla sua stanza. Corse sul suo letto, buttandosi fra le coperte di raso e pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto in quelle settimane. Pianse e si addormentò, sognando di trovarsi in un prato incolto, circondata da piante di menta selvaggia. Non si rese neanche conto che quel profumo di menta lo sentiva veramente ed era qualcosa di nuovo per quella stanza.

 

Harry rimase fermo a fissare la porta chiudersi. Dopo diversi minuti sbuffando decise di tornare verso l'ingresso del castello, Ron ed Hermione avevano detto che sarebbero tornati per pranzare insieme, forse erano già arrivati.

La sua mano destra andò a spettinare i capelli, già di loro indomabili, mentre lui pensava che avere una sorella non era proprio così facile come aveva pensato, né tanto divertente ad essere sinceri.

“Harry. Tutto bene?”, Hermione lo fissava raggiante, coi capelli spettinati e le guance arrossate dal freddo e dal vento.

“Più o meno”, rispose dirigendosi verso il tavolo rosso-oro. Aveva fame, ma non molta voglia di mangiare.

“Che è successo amico?”. Si sedette prima di iniziare a raccontare l'accaduto.

“Beh, ma tu li hai visti uscire insieme? Sei sicuro che fossero insieme?”, Hermione come al solito cercava una spiegazione anche dove non c'era.

“Sì, certo che erano insieme. Ti dico che sono usciti a due secondi l'uno dall'altra”.

“Però non sai cosa ci faceva Malfoy con lei, giusto?”, eccola, la sua voce della verità personale. No, lui non lo sapeva cosa stava facendo e non si era preoccupato di chiederlo, “magari era un incontro del tutto innocente”.

“Con Malfoy?”, per fortuna c'era sempre Ron a supportarlo e non farlo sentire totalmente stupido.

“Loro sono amici. Cioè, conoscenti almeno, no?”.

Già, aveva ragione. Loro erano amici, in qualche modo perverso e strano. Li aveva visti spesso insieme, ma quella volta era diverso. Lui si trovava con sua sorella nella sala comune di lei. E lui sapeva che Morgana era sua sorella. Non avrebbe dovuto neanche avvicinarsi a lei. Se solo avesse osato toccarlo lo avrebbe fatto a pezzetti con le sue stesse mani.

Certo che se l'avesse visto uscire da là qualche mese prima, probabilmente, non gli sarebbe importato, ma questa volta era diverso. Lui non poteva. Non c'era altro da aggiungere.

“Sei geloso”, la sua migliore amica stava sorridendo. Lui era furioso, incavolato con tutto il mondo, avrebbe volentieri distrutto l'intera sala grande e lei sorrideva beata.

Cercò gli occhi di Ron, nella speranza di vedere almeno in quelli un po' di solidarietà, ma con orrore si accorse che anche il suo migliore amico sorrideva, seppur più mestamente.

“Benvenuto nel club, amico”, lo disse dandogli una pacca sulla spalla e lui si sentì solo peggio.

Decisamente avere una sorella non era per nulla divertente, se per il resto della sua vita avrebbe avuto quel senso di inquietudine all'altezza dello stomaco ogni volta che la vedeva parlare con un ragazzo. Con quel ragazzo soprattutto.

 

19 febbraio 1994

 

Quel sabato mattina, Morgana si era svegliata molto presto ed era rimasta stesa sotto le sue lenzuola, racchiusa nel suo involucro di raso, a riflettere. Non le era mai piaciuto molto rimanere ferma, in attesa, ma in quel periodo le sembrava di non essersi mossa di un solo passo. Come se la sua vita fosse in una situazione di stallo che non era in grado di smuovere in alcun modo.

E così era là, nel buio del proprio letto a baldacchino, con le lenzuola tirate, a riflettere su quando la sua vita fosse stata ingiusta con lei. In un barlume di razionalità arrivò persino a chiedersi se fosse la vita ad essere ingiusta con lei, o lei ad essere ingiusta con la vita.

In ogni caso il suo bilancio era decisamente negativo: all'inizio dell'anno aveva rischiato di perdere le sue due migliori amiche; non parlava più con l'unico ragazzo con cui si era sentita libera di essere davvero sé stessa, o meglio, parlavano, raramente ed a monosillabi, ma di sicuro non avevano lo stesso rapporto che si era creato tra loro, anche se per poco, durante l'estate; il professore della sua materia preferita era un mangiamorte; e, dulcis in fundo, aveva appena scoperto di avere un fratello ed era riuscita ad allontanare anche lui.

Forse non era la vita il problema, forse era lei. Insomma, di sicuro non è che fosse proprio brava ad avvicinare le persone ed a tenerle legate a sé. In effetti si era sempre considerata un tipo solitario. Anche all'orfanotrofio, nonostante vi avesse trascorso undici anni della sua vita, non aveva amici. E, ad essere onesti, persino i suoi genitori non erano riusciti a starle accanto e l'avevano abbandonata.

Sì, decisamente doveva essere colpa sua.

In uno scatto di lucidità e di rabbia, si mise a sedere sul letto, si tolse le lenzuola e scese dal baldacchino. Raccattò qualche vestito sparso qua e là sul pavimento e, decisa a dimenticare i suoi problemi, uscì dalla sala comune.

Erano le sei del mattino, sicuramente non vi era nessuno in sala grande ed in realtà non sapeva neanche se a quell'ora fosse già stata servita la colazione.

Senza neanche rendersene conto si ritrovò ad uscire dal castello e dirigersi verso il lago nero. Si sedette sotto un faggio, il suo albero preferito nel parco di Hogwarts. Le piacevamo le sue foglie sagomate, la sua maestosità e la grandezza della sua chioma. Si sentiva al sicuro sotto le sue fronde.

Si sedette, ed il suo sguardo andò verso il lago, che al mattino presto sembrava uno specchio di acqua nera e gelida. Stranamente però quella visione non la preoccupava affatto, semmai l'attraeva, come fosse una calamita di gelido metallo.

 

L'aveva vista avvicinarsi all'acqua del lago e sedersi sotto quel faggio antico. Quell'albero era già là quando lui aveva cominciato a frequentare Hogwarts. Era leggermente rialzato rispetto alle altre piante presenti nel parco della scuola, come se fosse il re di quella piccola radura.

La bambina rimase là, seduta scomodamente sull'erba, la schiena dritta, le gambe incrociate, i gomiti poggiati sulle ginocchia ed il viso sui palmi delle mani, gli occhi fissi sull'acqua scura, come se ne fosse ipnotizzata.

Come poteva rimanere seduta in quella posizione scomoda per così tanto tempo? Avrebbe riso, se avesse potuto. Osservarla gli provocava una stana sensazione, come svegliarsi da un lungo sonno ristoratore e ritornare indietro, nel tempo, ad un giorno molto lontano, in un posto uguale, ma così diverso. Eppure era difficile, per lui, comprendere perché provava quelle strane sensazioni. Doveva pur esserci un motivo, un qualcosa in quella bambina che lo portava in un mondo lontano lontano, senza la possibilità di tornare indietro.

Ed all'improvviso, come un flashback crudele, qualcosa nella sua mente si smosse, portandolo indietro, ad una mattina d'inizio estate di tanti anni prima, quando non era solo, quando con lui c'erano i suoi amici.

Può una mattina d'inverno somigliare ad una d'estate? Può una bambina mai vista ricordarti quella che un tempo consideravi la tua famiglia. E così l'uomo si rivide seduto sotto quel salice, a poche decine di metri dal faggio sotto cui stava la ragazzina. Si rivide ridere e scherzare con gli alti. Rivide il viso di James Potter perdersi rapito dallo sguardo di una ragazzina seduta sotto quello stesso faggio, una ragazzina molto diversa da quella che vi era ora. Una bambina sempre sorridente, sempre in ordine e con due occhi visti ed allegri.

La vide come se l'avesse davanti agli occhi in quello steso momento: vide il suo sorriso solare, i suoi lunghi capelli rossi, le guance arrossate, le braccia esili e gli occhi determinati, che sapevano farti sentire piccolo piccolo, nonostante fossi più grande e grosso di lei.

E la sentì, la voce di James, come se fosse là, di fianco a lui, come se stessero parlando in quel medesimo istante.

 

Come fa la Evans a star seduta in quella posizione? È così scomoda”. I suoi amici risero di quella sua osservazione, non perché non la condividessero, ma perché si erano accorti da tempo che la stava guardando. Perché, in realtà, lui la guardava sempre, da anni ormai, sembrava dissetarsi di lei.

La ragazza invece, spesso, quando incrociava il suo sguardo si voltava dalla parte opposta, come se anche solo incrociare gli occhi nocciola di lui, la scottasse.

Solo lei può riuscirci”, Remus Lupin aveva risposto, consapevole che, infondo, l'amico non l'avrebbe neanche ascoltato, perché quando c'era la Evans, James non era più con loro.

L'amava da quando l'aveva vista il primo giorno del primo anno, durante il viaggio sull'Hogwarts Express. L'amava da quando i suoi occhi nocciola avevano incontrato quelli verdi di lei. L'amava, ma non lo avrebbe mai ammesso, non per quell'anno almeno.

 

E l'aveva amata anche lui, a modo suo, quella ragazzina coi capelli rossi. Si ricordava ancora quando aveva capito che per James lei non era una cotta passeggera. Erano al terzo anno quando aveva deciso che, anche se avrebbe voluto, non l'avrebbe mai sfiorata, neanche con un dito, perché lei era la donna del suo migliore amico, anche se ancora non lo sapeva.

Una morsa allo stomaco, lo colse di sorpresa. Il senso di colpa, per quell'unica volta in cui non aveva mantenuto la sua promessa, era così forte, che per un attimo sentì quasi di svenire. James non lo sapeva, è forse, se lo avesse scoperto prima di morire, non gli avrebbe mai più rivolto la parola. O forse l'avrebbe perdonato, perché lui era così, lui la sua famiglia l'avrebbe sempre perdonata, nonostante tutto, nonostante tutti.

Un rumore lo riscosse dai propri pensieri e, per un secondo, faticò a comprendere che quel ragazzino smilzo che si avvicinava alla ragazzina, non era il suo migliore amico, ma suo figlio, Harry. Per qualche secondo aveva creduto di poter davvero rivedere James.

Si ritrasse più indietro, nell'oscurità, protetto dalle ombre degli alberi, proprio nello stesso momento in cui il ragazzo parlò, rispondendo al viso duro di lei.

“Morgana, ti prego. Non te ne andare, lasciami spiegare. Ti ho visto dalla finestra del mio dormitorio”, nella sua voce c'era una nota d'implorazione che lo fece quasi sorridere, “per piacere. Voglio solo parlare. Tu sei pur sempre mia sorella”.

E l'uomo, nell'ombra, ebbe un tuffo al cuore, mentre loro si guardarono, il ragazzo coi capelli neri e la ragazza coi capelli neri. I loro occhi di giada si incrociarono ed in quelli di lei comparvero due stille d'acqua salata che scesero lentamente lungo le sue guance. Ed il ragazzo, impacciato e goffo, si accovaccio di fianco alla ragazza, che in quel momento sembrava solo una bambina indifesa, e la circondò con le sue braccia, come aveva fatto solo un'altra volta, l'anno prima, in quello stesso luogo.

“Non piangere. Non è successo niente”, la sua mano si muoveva lentamente sulla schiena della sorella ed intanto si chiedeva se fosse veramente capace o meno di consolare un altro essere umano.

D'un tratto la consapevolezza di stringere fra le braccia l'ultimo membro della sua famiglia lo colse in pieno e dovette lottare anche lui per evitare di scoppiare in lacrime. E l'uomo nell'ombra la vide, quella battaglia che si svolgeva all'interno dei suoi occhi.

“Morgana, io... so che ci sono molte cose che dovremo risolvere, tante altre che forse non sapremo mai. So bene di essermi comportato male con te, a volte... e... anche di aver detto cose che, forse non avrei dovuto”, a quel punto la prese per le spalle e la scostò dal proprio corpo. Voleva guardarla in viso mentre le parlava. Rimase turbato, seppur solo per un attimo, dagli occhi di lei, coperti da una patina acquosa, che lo guardavano tentando, invano, di trattenere quel fiume di lacrime che si riversava dagli argini delle sue palpebre senza controllo.

“Affronteremo tutto insieme, se me lo permetti. Tu sei mia sorella”, su quelle ultime parole il tono della sua voce si era alzato notevolmente ed era sembrato così sicuro e determinato che per un secondo la ragazzina si sentì davvero protetta. Non avevano neanche un anno di differenza l'uno dall'altra, ma lui sembrava così maturo e così determinato a proteggerla, come qualsiasi fratello maggiore avrebbe fatto.

Sapeva di avere una sorellina da poco tempo e di sicuro non era esperto in quel genere di rapporti, ma aveva deciso da tempo che avrebbe fatto il possibile per tenerla al sicuro.

“Morgana...”, arrossì leggermente, prima di pronunciare la frase successiva, ma i suoi occhi s'illuminarono di gioia, “senti. Quando ti ho vista qui ed ho deciso di raggiungerti, ho anche portato questo con me”.

Mentre parlava aveva estratto dal mantello un piccolo libricino in cuoio. La ragazza lo guardò dubbiosa, chiedendosi cosa dovesse esserci di così interessante in quel quadernetto.

“Ehm... sinceramente non penso che farmi leggere il tuo diario possa renderci più affiatati, Harry. Insomma, non ti offendere, ma non ci tengo proprio a leggere i tuoi pensieri”. Era tornata un pochino in sé ed il suo solito carattere, fintamente forte, era riaffiorato.

“No. Hai frainteso, non è il mio diario. È un album di fotografie dei nostri genitori. Me lo ha regalato Hagrid alla fine del mio primo anno ad Hogwarts”.

Glielo porse e lei lo guardò a lungo prima di tendere le mani titubante. Lo prese come se si trattasse di un calderone contenente una pozione venuta male, pronto ad esplodere da un momento all'altra.

Harry dovette leggerle in viso l'insicurezza, perché la stava fissando con ansia ed in attesa di scoprire la sua mossa successiva.

“Non sei curiosa di conoscerli?”.

Lei alzò il viso e lui vi scorse un'espressione strana, che lo lasciò un po' sbigottito. Non riusciva a decifrarla, ma non era nulla di positivo.

“Harry... io... sinceramente, non sono sicura di voler vedere queste foto e conoscere il viso dei nostri genitori”, lo disse guardandolo negli occhi, decisa e sicura.

“Perché no? Io morivo dalla voglia di sapere qualsiasi cosa su di loro. Tu no?”.

“E' diverso”.

Non riusciva a capirla.

“Cosa c'è di diverso? Sono i nostri genitori, Morgana...”, sembrava quasi rimproverarla per la reazione difforme da quella che si era aspettato.

Lui non capiva e lei lo sapeva bene. Lui non poteva capire. Lei non poteva mentirgli. Era l'unico membro della sua famiglia e lo sapeva, quindi doveva decidere se fidarsi o meno. Forse lui non avrebbe compreso, non avrebbe accettato, ma doveva essere sincera. Era pur sempre la sua occasione per permettere a quel loro strano rapporto di intensificarsi (o distruggersi, le fece notare quella vocina cattiva nella sua mente).

“Io non provo quello che provi tu, Harry”, lui la guardava, sempre più confuso e smarrito. E Morgana si chiese, per la prima volta, se potesse ferire una persona con le sue parole, se, forse, non fosse meglio restare in silenzio, fingere che andasse tutto bene.

Come puoi spiegare a tuo fratello che quello che lui pensa sui vostri genitori, non coincide affatto con quello che pensi tu di quelle stesse due persone? Come puoi fargli capire che tu, quando pensi a loro, sei piena di odio, rancore e disprezzo? Come puoi far capire ad una persona che sa che metà della sua famiglia è morta per salvarla, che quelle stesse persone non hanno voluto affrontare il medesimo sacrificio per te?

Non che lei fosse stata infelice e, forse, la sua infanzia era stata più serena di quella di lui. Lei era stata ben accolta, apprezzata, riempita di affetto e di calore, persino amata forse. Lui tutti quei sentimenti non li aveva provati da bambino. Non prima di entrare nel mondo magico, almeno.

Però lui sapeva che sua madre e suo padre erano morti pur di salvarlo, pur di saperlo vivo. Quello che sapeva lei era che quei due ragazzi l'avevano lasciata in un orfanotrofio, sperando che fossero altri a prendersi cura di lei. Non erano stati abbastanza forti, o forse semplicemente non l'avevano amata a sufficienza.

Quando alzò di nuovo gli occhi verso di lui, staccandoli da quel quadernino, si rese conto di potervi leggere all'interno, come non aveva mai fatto prima, con nessuno. Solo in quel momento comprese appieno cosa significasse sentirsi parte di una famiglia. E si sa, per la famiglia, a volte, si mente, si inganna, si perde persino se stessi. E lei, una famiglia, l'aveva appena avuta e non era pronta a perderla. Non in quel momento.

Eppure, guardando in quegli occhi come se si stesse specchiando in se stessa, si chiese se un giorno alla sua famiglia avrebbe rinunciato. Si chiese se potesse esserci qualcosa di così importante da farti perdere tutto, da farti litigare con tutti, da farti logorare te stessa. Ed una parte del suo cuore seppe, con certezza, che forse qualcosa c'era e che un giorno avrebbe capito anche cosa.

Ma non era ancora arrivato quel giorno. Non era oggi. Così, senza conoscerne veramente le ragioni, senza chiedersi i perché, Morgana mentì per la prima volta a suo fratello.

“Mi farebbe piacere vederli. Sono solo... spaventata”, e con un sospiro prese fra le mani quelle pagine di cuoio e con dita tremanti decise di aprirle, anche se, forse, un giorno si sarebbe maledetta per quella decisione avventata, “ti va di farmele vedere?”.

E così lui gliele mostrò quelle foto. Le mostrò se stesso, in braccio a Lily e James, le mostrò la foto del matrimonio dei suoi genitori, i loro volti sorridenti e...

“Questa collana...”, era rimasta a lungo ad osservare quel monile, ma non aveva dubbi.

“Sì, è bella, vero? Un po' strana, forse, al collo di nostra madre, ma bella”, le sorrise il fratello, osservando il suo viso concentrato su quella foto in particolare.

Suo padre e sua madre, vestiti con gli abiti del loro matrimonio, erano seduti su una panchina, sotto ad un grande faggio, proprio come quello che ricopriva con le sue fronde ombrose loro in quel momento, sorridevano, ed al collo di Lily risplendeva quella piccola collana, con il suo serpente d'argento ed i due occhi di smeraldo.

Morgana si avvicinò istintivamente le mani al collo, facendo scivolare la catenina al di fuori della camicetta, per mostrare al fratello il ciondolo che portava al collo: lo stesso ciondolo che portava sua madre il giorno del matrimonio con James Potter.

“Dove lo hai preso?”.

“Me lo ha dato una suora dell'orfanotrofio. Mi disse che mia madre l'aveva lasciato a lei affinché lo custodisse sino al giorno del mio undicesimo compleanno”.

“Lei voleva che avessi qualcosa che te la potesse ricordare”, lui sorrise, al pensiero che quella collana simboleggiava l'amore di sua madre per sua sorella.

Lei lo guardò, invece, confusa e soppesando quelle parole. Forse era vero che Lily voleva donarle qualcosa che gliela ricordasse, ma una parte di lei era fermamente convinta che quella non era tutta la verità. Teneva al collo quel monile da quando la suora glielo aveva consegnato, sicura che vi fosse qualcosa dietro quel serpente di smeraldo, qualcosa che un giorno le sarebbe stato chiarito.

“E' un uroboro”.

“Come?”.

Non sapeva come mai lo ritenesse così importante, eppure per Morgana lo era in quel momento, era necessario precisare che quella non era una semplice collana, con un semplice serpente, “è un uroboro”, si sentì ripetere, “un serpente che si morde la coda. Simboleggia un cerchio senza fine”.

Lui la osservò a lungo, come se il senso delle parole di lei faticasse ad arrivargli.

Forse, semplicemente, le parole di lei un senso non lo avevano. Infondo non voleva dirgli nulla di particolare, solo desiderava che lui sapesse il significato di quella collana, come lo aveva scoperto lei l'anno prima.

I suoi occhi si posarono sulla foto successiva a quella che stavano guardando ed ebbe un tuffo al cuore, che, per qualche secondo le impedì quasi di respirare.

“Questo è...”, i suoi occhi erano fissi su un uomo, in piedi, di fianco a suo padre, sempre durante il giorno del loro matrimonio.

“Sirius Black”, il tono di voce di Harry la fece voltare verso di lui. Il suo viso era duro in quel momento, “era amico dei nostri genitori. E li ha traditi. Li ha consegnati lui a Voldemort”, il ragazzo si accorse appena del fatto che lei non aveva avuto alcuna reazione al suono di quel nome, limitandosi a fissare ancora quel viso sorridente.

Intanto nell'ombra, qualcuno si era ritratto ancora di più fra gli alberi, voltando la schiena a quella scena d'affetto fraterno ed inoltrandosi nella foresta.


 

***


 

Come promesso, ecco il nuovo capitolo. Spero di riuscire a continuare la pubblicazione, con regolarità, ogni domenica, ma non prometto nulla.
Spero che questo capitolo venga apprezzato ed aspetto i vostri commenti! A presto.

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Capitolo 29
*** Fierobecco. ***


Fierobecco.

 

20 maggio 1994

 

La primavera era ormai arrivata, e, nonostante gli esami fossero sempre più vicini, gli studenti faticavano a rimanere concentrati su vecchi e voluminosi tomi di incantesimi.

Solo due studentesse sembravano intenzionate ad ignorare il sole splendente e le giornate sempre più calde, rimanendo rintanate in biblioteca su libri ed appunti.

Erano ormai diversi giorni che la biblioteca era occupata solo da quelle due ragazzine, eppure, nonostante fossero nella medesima stanza, sembravano non essere coscienti l'una della presenza dell'altra.

Hermione Granger rimaneva per ore china su pergamene riempite con una scrittura minuta e fitta. Morgana Belmont, al contrario, sembrava intenzionata a sfogliare ogni singolo tomo presente nella biblioteca di Hogwarts. Si aggirava continuamente da uno scaffale all'altro, prendendo volumi che venivano riposti nella loro postazione dopo pochi minuti.

Persino la bibliotecaria era piuttosto perplessa dal comportamento della ragazzina, ma non potendo contestarle alcuna violazione, non aveva potuto rimproverarla, limitandosi, ogni tanto a qualche occhiataccia.

“Li leggi anche, o ti piace la copertina?”, il sussurro proveniente da quella voce calda e rassicurante, la fece sobbalzare e perdere il contatto col manuale che stava tentando di recuperare da uno degli scaffali più alti della biblioteca, col rischio di vederselo rovinosamente cadere in testa, e, considerata la mole di quel librone, avrebbe anche potuto farsi seriamente male. Invece, l'unico risultato che ottenne fu di far cadere il tomo a terra, con un tonfo sordo, e guadagnandosi un'occhiataccia da parte della bibliotecaria.

“Mi hai spaventata”, rispose piccata al ragazzo che la osservava dall'alto, senza muovere un muscolo. Era evidente che non gli era neanche passato per la mente di aiutarla a raccogliere il libro, o, almeno evitarle il rischio di un bernoccolo dolorante.

Attese che lei raccogliesse il libro da terra, prima di seguirla nel tavolo più isolato della biblioteca, dov'era solita rifugiarsi quando intendeva studiare, o leggere, in tranquillità.

“Mi stai seguendo per un motivo?”, arrivata al suo solito posto, la ragazza aveva sbattuto malamente il libro sul tavolo, prima di voltarsi a guardarlo con occhi fiammeggianti.

Lui si era limitato ad osservare la copertina del vecchio tomo, “”La dinastia dei Black, dagli albori ai giorni nostri”. Lettura interessante, ma sinceramente dubito che tu possa trovare quel che cerchi in quel libro. È un po' troppo vecchio”.

“Arriva sino alla fine degli anni '70, non credo che sia poi così vecchio”.

“Appunto. Arriva sino alla fine degli anni '70, quindi prima della nascita di tutti noi”. Solo dopo aver parlato, lui si rese conto di aver commesso un errore, perché gli occhi di lei, d'un tratto, furono percorsi da un'ombra nera, senza che potesse far nulla per evitarlo.

“Di cosa stai parlando?”, Morgana sentiva l'aria mancarle nei polmoni, ma si costrinse a rimanere concentrata e a non perdere il controllo del suo respiro, “o forse... dovrei chiederti di chi stai parlando?”.

Aveva letto molto sui Black nelle ultime settimane, cercando ogni informazione possibile su Sirius Black e sulla sua famiglia. Era convinta che per comprendere appieno le azioni di quell'uomo, servisse conoscerlo fino in fondo. Aveva scoperto poco su di lui, era citato in un vecchio manuale, che riproduceva gli alberi genealogici delle più famose famiglie di purosangue. Da quel tomo aveva scoperto che era figlio di Walburga e Orion Black, i quali, a quanto le era parso di capire, erano cugini. Aveva faticato molto ad assimilare questa circostanza, le sembrava così strano, eppure aveva scoperto che nelle famiglie di purosangue, l'usanza di matrimoni fra consanguinei era molto diffusa.

Aveva scoperto che aveva un fratello minore, ma secondo quel tomo, nessuno dei due aveva avuto discendenti, né maschi, né femmine.

In un altro tomo, aveva letto che la famiglia Black era praticamente estinta, almeno nel ramo maschile, visto che il loro ultimo erede era rinchiuso, almeno sino all'estate precedente, nella peggiore prigione di maghi.

“Di chi stai parlando, Nott?”, dalla sua voce trasparivano rabbia e sconcerto, ma anche astio e apprensione.

“Tu chi stai cercando?”, si era reso conto di aver parlato troppo, era convinta che lei avesse scoperto dell'esistenza di un altro membro della famiglia Black, e, soprattutto, non aveva mai neanche pensato che poteva essere interessata a qualcun altro.

Restarono là, a guardarsi, senza muovere un muscolo, in una tacita sfida, ognuno nel vano tentativo di minare la resistenza dell'altra. E mentre si ostinava a fissare quegli occhi scuri che, d'un tratto, le venne in mente l'albero genealogico letto qualche giorno prima. Al momento non ci aveva pensato molto, non aveva collegato quel nome a quella persona. In un attimo si era incamminata alla ricerca dello scaffale giusto.

“Belmont... ehi! Dove stai andando?”, Nott aveva cominciato a seguirla, faticando a starle dietro, troppo sorpreso dal suo comportamento.

Sapeva perfettamente dove andare, aveva osservato quelle pagina a lungo, ed era rimasta affascinata dalla copertina di rigida pelle verde muschio, con quegli intarsi d'argento (molto probabilmente vero), che brillavano persino nella penombra della biblioteca.

Estrasse il libro dallo scaffale, come se stesse maneggiando un prezioso tesoro, lo depose sul tavolo lì di fianco e cominciò a sfogliare le pagine, col cuore che le batteva nel petto, pervasa da una strana ansia. Mentre osservava le pagine muoversi sotto il suo tocco, si chiese come mai si sentisse quasi attanagliata dal terrore, all'idea di rileggere quel nome, scritto in piccole lettere nere, ed in un carattere elegante e tondeggiante.

Ed eccolo lì, proprio di fianco al nome di Sirius Black, c'era quello di sua cugina: Narcissa. La prima volta non ci aveva fatto molto caso, si era limitata a leggere quel nome e sorvolare su cosa significasse veramente, troppo intenta a cercare informazioni sull'uomo, per curarsi di quegli appellativi femminili, scritti proprio accanto al suo.

Solo ora si rese pienamente conto della presenza di un altro ramo della famiglia Black, di cui, prima non si era preoccupata: Andromeda, Bellatrix e Narcissa. Tre sorelle di cui, fosse stato per lei, non avrebbe mai neanche metabolizzato l'esistenza.

Ma ora che fissava quei nomi, l'ultimo in particolare, e li sfiorava con le dita esili, sotto gli occhi attenti di Theodore, che si stava chiedendo quanto avesse fatto male a parlare, alcune frasi le vorticavano nella mente, sempre più forti, sempre più confuse, sempre più piene di significato.

 

non so cosa tu abbia letto”

nella famiglia Black di pazzia ce n'è fin troppa”

 

e poi ancora...

 

Io, fossi in te, sarei andato a cercarlo, Potter”

 

E d'un tratto tutto assumeva un significato nuovo, persino il fatto che Lord Malfoy avesse evidenziato proprio quel paragrafo, sulla famiglia Black. Ora tutto aveva un collegamento, ora finalmente capiva qualcosa di più.

Lui era un Black, ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo. Suo padre, invece, aveva tentato di farlo, ma lei era stata troppo stupida per capire, o, forse, non aveva voluto vedere. Eppure di libri su quella famiglia ne aveva letti molti, infondo non si dice che per sconfiggere il nemico, bisogna conoscerlo? E lei aveva tentato di conoscerli, con tanta attenzione.

 

Io, fossi in te, sarei andato a cercarlo, Potter”

 

Quella frase, detta tanto tempo prima, con una nota di cattiveria, a suo fratello, ora assumeva un significato molto diverso. Lui sapeva, lui sapeva sempre tutto. Sapeva che lei era una Potter e, per tale motivo, non aveva voluto spiegarle il senso di quell'affermazione.

Sapeva che Black aveva tradito i loro genitori, e, perciò aveva insinuato in suo fratello il dubbio, in modo tale che lui avrebbe desiderato di andare a cercarlo e, magari, si sarebbe fatto uccidere nel tentativo di colpire l'assassino. Ma Harry non era così sciocco ed, inoltre, seppur lei lo conosceva poco, in cuor suo sapeva che non lo avrebbe mai fatto, non avrebbe mai ucciso Black, non sarebbe stato capace di farlo. Harry era buono, dolce e sin troppo corretto per pensare di scontrarsi con un criminale di quel calibro.

Harry non avrebbe mai fatto del male a qualcuno, se non vi fosse stato costretto. E lei? Lei avrebbe ucciso Black. E avrebbe ucciso tutti coloro che avevano osato far del male alla sua famiglia.

Una piccola parte del suo cervello si chiese quanto strani potessero essere i suoi pensieri. Infondo lei, ai suoi genitori, non voleva neanche bene, eppure chi li aveva distrutti, meritava di morire. Si chiese, vagamente, se quel pensiero fosse normale per una ragazzina della sua età, ma forse, infondo, non le interessava.

“Tutto bene, Belmont?”, la voce calda di Nott la riscosse dai suoi pensieri. Aveva ancora le piccole dita sul nome di Narcissa. Narcissa Black. Narcissa Malfoy.

Ed in quel momento comprese appieno anche perché Theo le avesse detto che quel libro non poteva rispondere alle sue domande.

“Draco è un Black”, la sua non era una domanda e, pertanto, l'altro non le rispose. Non serviva.

“E' l'ultimo discendente maschio di due delle dinastie di purosangue più ricche e potenti del mondo magico inglese”, si limitò a quella costatazione, con una punta d'orgoglio e, forse, anche d'invidia nei confronti dell'amico d'infanzia. Quell'affermazione che le si conficcò dritta nel cuore, insieme a tutte le altre, che le ricordavano quanto fossero diversi.

Rimase ad osservarla a lungo, chiedendosi se quella notizia l'avesse sconvolta molto, anche se non lo dava a vedere. Pensava che lei lo sapesse, forse perché tutti i loro amici erano a conoscenza della circostanza. Non era di certo un segreto che Narcissa Malfoy fosse una Black.

“E' tutto ok, Morgana?”, non parlava da diversi minuti e continuava a fissare il nome della donna scritto in quel vecchio libro. “Morgana?”, dovette chiamarla di nuovo, per attirare la sua attenzione e costringerla a voltarsi verso di lui.

“Theo”, i suoi occhi erano stranamente inespressivi mentre lo guardava.

“Dimmi”, il ragazzo la guardava, cercando di comprendere se dovesse o meno preoccuparsi.

“E' vero che i purosangue stipulano dei contratti di matrimonio?”, alla sua affermazione lui rispose sgranando gli occhi pieno di stupore.

“Beh... sì, di solito lo fanno”, le guance del ragazzo si colorarono appena di rosso, ma lei non parve farvi caso, “i genitori si accordano qualche anno prima del matrimonio e stipulano un contratto formale, in modo tale che nessuno dei due possa tirarsi indietro”.

“E questi accordi non possono essere sciolti?”.

“Non proprio... cioè... ci sono delle ipotesi in cui si possono modificare o, addirittura, rescindere, ma avviene raramente”.

“E gli sposi?”.

“Che cosa vuoi sapere?”, gli occhi di lui erano confusi, sembrava davvero che il senso della domanda di lei gli fosse sconosciuto.

“Non possono dire nulla? Non possono scegliere?”.

Le sorrise con tenerezza, appena comprese il significato delle sue parole, “no. Di solito loro non hanno possibilità di scelta. I matrimoni fra purosangue sono dei contratti, non si stipulano per amore e, spesso, gli sposi conducono vite parallele e si incontrano solo in occasioni particolari”.

La mano di Morgana si ritrasse dal libro, come se si fosse ustionata, ma i suoi occhi vi ritornarono, seppur per pochi secondi. Con la mente, intanto, era ritornata all'estate precedente, a Malfoy Manor. Aveva avuto pochissime occasioni per vedere Narcissa e Lucius Malfoy insieme, lui non era quasi mai a casa, eppure non le era parso che fra loro ci fossero contrasti. Non erano, probabilmente, l'emblema della felicità, ma sembravano star bene insieme. Eppure, lui quando le aveva detto che avrebbe scelto una moglie per suo figlio, non sembrava intenzionato a giudicarla dall'affetto dimostrato per il ragazzo. Al contrario, aveva parlato di quelle ragazze come si trattasse di pezzi d'argenteria.

“E tu hai una promessa sposa?”, le guance di Nott si colorarono ancor più di rosso, a seguito delle parole di lei.

“Non proprio. Insomma, mio padre ha in mente un paio di candidate, ed una sembra possa essere quella giusta, ma ancora non c'è nulla di ufficiale”.

A quel punto la curiosità prevalse sulla razionalità di Morgana e la ragazza non riuscì a trattenersi, “di chi si tratta?”. Aveva parlato ancor prima di rendersi conto che, probabilmente, la sua era una domanda troppo personale.

“Asteria. Asteria Greengrass”, non c'era nulla nei suoi occhi, mentre pronunciava quelle poche parole. Non vi era emozione, non vi era rabbia, non vi era interesse, ma neanche affetto. Nulla. Erano due iridi vuote. Questo la spaventò enormemente. Ora, però, comprendeva quanto accaduto qualche mese prima. La ricordava quella ragazzina piena di vita, solare e radiosa. Era bella, dolce, ed evidentemente purosangue. Tutto in lei decantava le sue lodi, seppur era ancora poco più che una bambina.

“Morgana, eccoti... ti stavo cer...”, la frase sulla bocca del moro rimase bloccata, non appena il suo sguardo corse oltre la ragazza per posarsi sull'altro. Lei si voltò appena in tempo per vedere lo sguardo di odio e disgusto che suo fratello lanciò al serpeverde, prima di riuscire a nasconderlo dietro i suoi occhi di giada, sempre così pacati.

“Ciao, Harry”. Aveva deciso tempo prima di non farsi condizionare dall'odio del fratello per la casa verde-argento e, per quanto fosse difficile non notare tutto il suo disgusto, lei aveva semplicemente intenzione di ignorarlo. Non voleva smettere di essere cordiale con una parte della scuola, sono perché aveva scoperto di essere una Potter.

Gli occhi di Tehodore Nott scrutarono l'altro ragazzo, senza il minimo turbamento, ma quello che vi vide Morgana fu un lampo di derisione nei confronti dell'altro, che non le piacque affatto.

“Potter, che ci fai in biblioteca? Non è troppo per te?”, non poteva evitare la solita battutina nei confronti del grifondoro, “pensavo che l'unica grifona che usasse il cervello fosse la sanguesporco”.

Senza riflettere Morgana si era messa fra i due, proteggendo con il proprio corpo, seppur forse inutilmente, il serpeverde. Gli occhi del fratello lanciavano saette in quel momento, verso il ragazzo, ma anche verso di lei.

“Voglio parlarti, Nana. Usciamo da qui. Prendi le tue cose”, c'era gelo nelle sue parole e quelle, più che richieste, sembravano ordini.

“Potter, magari la tua ragazza”, Nott aveva calcato in modo esagerato su quella parola, “non desidera venire con te. Forse, lei preferisce la compagnia delle serpi a quella dei leoni”, alla ragazza non era sfuggito l'uso dei termini. Non aveva insinuato che lei apprezzasse la sua di compagnia, ma quella dei verde-argento in generale, lasciando intendere che le sue parole si riferissero a qualcun altro.

E l'allusione non dovette passare inosservata al rosso-oro, perché il lampo di odio che lei vide passare per i suoi occhi era così potente che, per qualche secondo, aveva desiderato arretrare, invece si costrinse a parlare.

“Andiamo allora, Harry. Ho la borsa in un tavolo in fondo alla biblioteca, mi accompagni”, senza aspettare una risposta gli afferrò il polso e, senza salutare l'altro, lo trascinò sino al tavolo che aveva occupato quella mattina.

In silenzio e senza avere il coraggio di guardarlo in viso, raccolse le sue cose e le infilò, senza troppa attenzione nella propria borsa.

Non le era ben chiaro il motivo, ma non voleva incontrare l'accusa negli occhi di smeraldo del fratello. Forse era quello che si provava quando si scopriva di avere una famiglia. La sensazione di essere sempre sotto accusa, sempre controllati e di non voler far nulla per ferire l'altro, anche se con la consapevolezza che, purtroppo, non si poteva evitare di farlo.

E lei, proprio, non riusciva ad evitarlo, perché l'odio che lui provava nei confronti della casa di Salazar Serpeverde, lei non lo condivideva e non avrebbe mai potuto condividerlo.

Mentre con mani tremanti metteva l'ultimo libro nella borsa, una morsa al suo stomaco la colpì in pieno, al ricordo del suo primo giorno di scuola. Suo fratello non lo sapeva, e, ad esser sinceri, non lo aveva confessato a nessuno (salvo Draco Malfoy, forse), ma il cappello parlante aveva preso seriamente in considerazione la possibilità di assegnarla alla casa di Salazar e, ad onor del vero, a lei non era dispiaciuta l'idea.

Ricordava ancora tutto ciò che le aveva sussurrato all'orecchio...

 

Siamo impazienti ed anche piuttosto impertinenti, vedo. Ambizione, superbia ed impertinenza sono tipiche della casa serpeverde. Sei una ragazza particolare. Hai delle capacità sopra la media, un intelletto raffinato. Vedo molto in te di Salazar Serpeverde. La tua ironia, con quella punta di cattiveria era uno dei suoi tratti distintivi. L'impulsività era uno dei suoi peggiori difetti, incapace di tenere a freno la lingua, si pentiva spesso delle conseguenze delle proprie parole. Lui sapeva che solitamente la favella ferisce molto più di una spada. Questo lo distingueva da Godric Grifondoro, che impulsivo lo era comunque, ma con le azioni, non con le parole. Inoltre tu possiedi una qualità che rendeva Serpeverde unico e dotato: parli la lingua degli esseri striscianti”

 

Certo, poi era stata smistata in corvonero ed in quella casa si trovava bene, ma non aveva dimenticato cosa le aveva detto il cappello parlante. Ricordava di essere rimasta sorpresa di quanto, quell'oggetto, all'apparenza inanimato, fosse riuscito a scavarle dentro.

Aveva passato quasi due anni a svolgere indagini sui fondatori di Hogwarts, in modo tale da capire qualcosa di più su di loro e, soprattutto, di comprendere il motivo che aveva spinto quel cappello a paragonarla a Salazar Serpeverde. E poi, l'anno scorso, qualcuno le aveva regalato quel libro: “La progenie dei quattro” e vi aveva trovato molte informazioni che le avevano permesso di conoscerli tutti meglio.

Quel libro l'aveva convinta che, effettivamente, lei col fondatore della casa verde-argento aveva molto in comune, escluso forse quel “piccolo” particolare che lui era pur sempre un purosangue, mentre lei, non era altro che un'orfana, anche se ora sapeva i nomi dei suoi genitori. E, per quanto suo padre fosse il discendente di una lunga famiglia di maghi purosangue, sua madre non era altro che una sanguesporco o, come avrebbe detto suo fratello, una nata babbana.

“Mi stai ascoltando?”.

“Ehm. No, scusami. Ero distratta. Cosa stavi dicendo?”, persa nei suoi pensieri non si era neanche accorta che erano usciti dalla scuola ed ora si trovavano sui gradini di pietra dell'androne principale.

“Ti stavo chiedendo cosa ci facevi con quell'arrogante di Nott”.

Ecco, doveva aspettarselo, ma comunque non voleva rispondergli e un brivido di irritazione le percorse la schiena. Lui non aveva alcun diritto di controllarla o di dirle cosa dovesse fare, chi frequentare e farle il terzo grado ogni volta che lei si trovava con persone a lui sgradite.

Tanto più che gli amici di lui non è che fossero proprio meglio, insomma, a dirla tutta lei la Granger non la sopportava, sempre così convinta di sapere ogni cosa e desiderosa di mostrare quanto avesse studiato. Che poi, ad onore del vero, sarebbero stati tutti capaci di essere così bravi, se avessero studiato quanto studiava quella ragazza. Era sempre in biblioteca.

“Non credo che la cosa ti riguardi, o sbaglio?”, aveva tentato di mantenere un tono cordiale, ma a giudicare dallo sguardo offeso di lui, non doveva esserci riuscita molto. Non riusciva a sopportare che qualcuno si intromettesse nella sua vita, non era abituata a dover rendere conto ad altri delle proprie scelte. Era sempre stata sola con se stessa.

“Mi preoccupo per te...”, il suo era stato poco più che un pigolio, ma lo aveva sentito benissimo ed il senso di colpa era immediatamente penetrato nel suo stomaco, scavandoci una voragine dolorosa e profonda.

“Nessuno si è mai preoccupato per me”, lo aveva sussurrato, evitando lo sguardo del ragazzo ed abbassando gli occhi al suolo, “so che non lo fai con cattiveria, solo che io non so come si fa in questi casi. Non ho mai avuto un fratello”.

“Neanche io ho mai avuto una sorella”, le sorrise con amore pronunciando quell'ultima parola, “potremmo imparare insieme, che ne dici?”.

Potevano imparare insieme e non le servì dirglielo, era bastato il suo sguardo a farlo capire al ragazzo ed il suo sorriso dolce, così dolce che lui quasi se ne sorprese. Era difficile vederla in quel modo. Sorrideva raramente, soprattutto con quella delicatezza e quell'affetto che le traspariva dagli occhi.

Continuarono a passeggiare per il prato del castello, chiacchierando e ridendo. Era una bella giornata e molti studenti ne avevano approfittato per passare un po' di tempo all'aperto ed al sole, nonostante gli impegni scolastici. Ad un certo punto il ragazzo si fermò, interrompendosi nel mezzo di una frase. Morgana ci mise qualche secondo per rendersi conto di aver fatto dei passi avanti da sola. Solo dopo essersi voltata ed aver seguito il suo sguardo comprese cosa l'avesse sconvolto tanto da fermarne il discorso a metà.

“Sembra sconvolto...”.

“Lo è... lui... ha appena ricevuto una brutta notizia”.

“Quale notizia?”, gli occhi di Morgana s'incontrarono con quelli del fratello e vi lesse un'infinita tristezza ed anche quello che le sembrava senso di colpa.

“Il suo ippogrifo è stato condannato a morte. Ed è tutta colpa di Malfoy”, disse quell'ultima parola con così tanto odio che la ragazza si chiese se fosse normale per un ragazzo solo provarlo.

“Perché sostieni che sia colpa sua?”, la voce le tremava mentre gli poneva quell'unica domanda.

Lui le raccontò ogni cosa, come il ragazzo fosse stato ferito a lezione e come si fosse comportato in seguito, fingendo di non riuscire a riprendersi e di aver subito danni maggiori di quelli effettivi. Era evidente la sua necessità di sfogarsi e di accusare l'altro per le malefatte che riteneva avesse commesso.

Lei lo stava ascoltando, senza riuscire a condividere pienamente le sue parole e forse, consapevole, che il colpevole designato dal fratello, nonostante tutti i suoi difetti, non era veramente come si mostrava agli altri.

“Quindi adesso Fierobecco è stato condannato a morte, ed è solo colpa sua”, l'asserzione finale del fratello la colse impreparata e non poté far altro che annuire, senza aggiungere altro, anche perché non sarebbe stata in grado di farlo. La gola le doleva e le si era riarsa al solo sentire la confessione del grifondoro.

Era così evidente l'odio da lui provato nei confronti di Draco Malfoy, che talvolta si chiedeva lei stessa se, forse, non avesse ragione e fosse lei a sbagliare e ad aver visto qualcosa d'inesistente in quel principe che di azzurro aveva solo gli occhi e di certo non l'armatura.

Si voltò verso il guardiacaccia ed i suoi occhi rossi, la disperazione che traspariva dal suo volto e le lacrime trattenute, per quell'amico che stava per perdere, la colpirono. Si sentì male con lui e per lui, perché sapeva cosa significa perdere qualcuno di caro, e sapeva quanto fosse forte il senso d'impotenza che si prova quando ci si rende conto che ha strapparcelo via è qualcuno che potrebbe evitare di farci soffrire, ma desidera vedere la pena nei nostri occhi.

L'idea che tutta quella sofferenza fosse stata causata in modo gratuito da Draco, le faceva male, perché lei quel ragazzo aveva sempre tentato di difenderlo. Aveva cercato di vedere oltre la maschera, oltre l'arroganza, oltre la sua armatura di ghiaccio. In quel momento, però, non vedeva altro che l'algido re delle serpi, con la sua sfrontatezza ed il suo desiderio di provocare dolore gratuito. Forse, in fondo al cuore, sapeva che lui non aveva remore a ferire chi non riteneva degno di essere, se non suo amico, almeno suo pari.

“Harry, scusami, ma non mi sento bene. Ti dispiace se vado nel mio dormitorio? Passeremo del tempo insieme un altro giorno”, non attese la sua risposta, ma si voltò per dirigersi con passo malfermo verso il castello.

Non vedeva il serpeverde da settimane. Non si erano più rivolti la parola dopo quell'incontro con Harry fuori dalla sala comune dei corvonero. Non avevano più avuto modo di discutere in privato e, forse, non avrebbero avuto poi molto da dirsi.

Eppure, ogni volta che sentiva il suo nome, o che intravedeva la sua figura nei corridoi, una vocina cattiva, nella sua mente, le ricordava che non aveva alcun diritto di guardarlo. Lei non era abbastanza.

E forse, ora, sapeva anche cosa non era abbastanza. Lei non era sufficientemente crudele per essere degna di lui, perché non avrebbe mai fatto decapitare una bestia innocente, solo per il gusto di provocare dolore.


 

***




Chiedo venia per il ritardo, sono anche stata via questo fine settimana ed anche se il capitolo era pronto non ho avuto tempo e modo di pubblicarlo.
Siamo sempre più vicini alla fine del terzo anno ad Hogwarts di Harry ed il secondo di Morgana.
Spero che questo capitolo vi sia gradito. A presto.

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Capitolo 30
*** Sirius Black - parte I. ***


 

Sirius Black – parte I.

 

6 giugno 1994

 

I giorni si erano susseguiti sempre uguali, all'interno del castello di Hogwarts l'apatia regnava sovrana. Gli studenti, costretti all'ultimo ripasso prima degli esami annuali, venivano spesso avvistati dagli insegnanti con gli occhi sognanti, persi in un punto non meglio identificato esterno alla finestra davanti alla quale, casualmente, si erano bloccati.

La presenza dei dissennattori, ai confini del parco della scuola stava diventando sempre più pesante da tollerare, soprattutto per coloro che erano più sensibili alla loro influenza. L'effetto negativo da questi causato era amplificato dalla loro necessità, sempre più impellente, di cibarsi.

Il contrasto fra la primavera, che ormai faceva capolino in ogni angolo del grande giardino circostante la scuola, e i visi sempre più tesi degli studenti era palpabile. Come se la presenza di quegli essere quasi demoniaci non fosse di per sé sufficiente, la tensione sui giovani visi era, ovviamente, amplificata dal timore di non riuscire a dare abbastanza agli esami di fine anno.

Erano stati giorni difficili per tutti gli allievi, di ognuno degli anni di scuola, dai più piccoli, sino a coloro che ormai dovevano solo affrontare quell'ultimo ostacolo prima di essere catapultati, senza troppe smancerie, nel mondo degli adulti, alla ricerca di un lavoro e della loro strada.

Quella mattina, prima delle ultime prove d'esame, l'atmosfera nella sala grande, per la prima volta da molto tempo, era diversa. I volti stanchi erano pervasi da un flebile sorriso, segno che, ormai, si era vicini alla fine di quella sottile tortura che aveva causato non poche crisi isteriche, soprattutto fra le ragazze più sensibili.

“Hai una faccia!”, la voce sognante di Luna fece sobbalzare Morgana, che era persa nei suoi pensieri, del tutto estranei, a dir la verità, alle peripezie scolastiche. Le era stato difficile concentrarsi sullo studio e sugli esami, persa com'era nel suo, ormai, pensiero fisso: Sirius Black.

“L'avresti anche tu, se non fossi sempre così fuori dal mondo”, il suo commento era stato, probabilmente, un po' troppo crudele, ma la sua amica non sembrava neanche essersene accorta, troppo intenta ad osservare la sala circostante, con la sua solita aria sognante stampata sul volto. Se non l'avesse conosciuta così bene, ormai, forse l'avrebbe presa in giro, come ogni altro studente di quella scuola, troppo ottuso per andare oltre l'apparenza e rendersi conto che, dietro quello sguardo da svampita, si nascondeva un'attenzione che in pochi altri possedevano.

“Stareste bene, insieme...”, fu riportata alla realtà da quella frase, buttatale addosso come un getto d'acqua gelata, come un fulmine a ciel sereno. Senza spiegazioni, senza null'altro aggiungere, Luna si era alzata, e, prima di uscire dalla sala grande diretta al loro ultimo esame, si era voltata nuovamente a guardarla, “starete bene, insieme...” lo aveva ripetuto, dando questa volta alla frase un'accezione diversa, più forte, più deterministica.

Lasciò l'amica là, da sola, a chiedersi a chi stesse facendo riferimento, a chi si stesse rivolgendo, con quelle parole che, al suo cuore, sembravano sottili minacce. Lei era così, sempre capace di sconvolgere la giornata altrui, con una frase tirata fuori da chissà dove. E solo dopo aver osservato la bionda camminare verso il portone, si rese conto di dove era diretto il suo sguardo sognante.

Con quei pensieri che ancora le frullavano per la mente si diresse anch'essa verso l'aula dell'ultimo esame, desiderando solo di terminare anche quello, e di potersi rilassare un po' al sole del giardino.

La classe di pozioni era afosa e piena dei soliti vapori e lei già si sentiva girar la testa, ancor prima di cominciare a svolgere il compito che il professor Piton avrebbe loro assegnato per la votazione finale in quella materia.

Mentre si apprestava a portare a termine la pozione, il suo sguardo non riusciva ad impedirsi di tornare, continuamente, sull'uomo che con il suo solito passo elegante si muoveva fra i banchi, controllando i diversi miscugli che gli studenti stavano ormai ultimando, per lo più storcendo il naso disgustato.

Era sempre più vicino al suo banco e lei temeva quel confronto, l'ultimo per quell'anno. Non si erano più rivolti la parola, se non per necessità didattiche, da quella volta in cui lei si era recata, come una furia, nel suo ufficio e lo aveva accusato di essere un sostenitore del mago oscuro più temuto dell'ultimo secolo. Si era posta ancora molte volte il quesito se il professore stesse o meno aiutando Sirius Black ad entrare nella scuola, ma non aveva trovato alcuna risposta e non avendo prova alcuna del fatto che i due si conoscessero, non aveva mai potuto accusare apertamente l'uomo. Eppure la tentazione di dirigersi dal Preside e di portarlo a conoscenza dei suoi dubbi era stata veramente forte negli ultimi mesi.

“Signorina Belmont”, la voce dell'uomo la fece sobbalzare. Lo aveva perso di vista per pochi secondi e non si era resa conto che si fosse avvicinato così tanto. Poteva sentire il vago profumo di muschio degli abiti dell'uomo, tanto le si era accostato. Alzò gli occhi su di lui, titubante, sino ad incontrare i suoi, convinta di trovarvi un tacito rimprovero, invece quel che vide la lasciò spiazzata. Lui la stava osservando con aria compiaciuta e orgogliosa. Per un secondo aveva immaginato di avvicinarsi all'uomo e di stringerlo fra le sue braccia. Aveva pensato di accostarsi al suo petto e di appoggiarvisi. Poi il marchio nero sul suo braccio era comparso vivido nella sua memoria, ricordandole chi era l'uomo che aveva dinanzi.

“Complimenti, Morgana”, il suo nome era stato un sussurro, che solo lei aveva udito nell'intera aula, “la sua pozione è perfetta. Come sempre, d'altronde. Non ci sono dubbi sul fatto che, sicuramente, lei otterrà il massimo dei voti nella mia materia”, e senza aggiungere altro si era allontanato dal suo banco, lasciando un vuoto nel petto della ragazzina, che per qualche secondo si era persa nell'ebano degli occhi di lui.

Per il resto dell'esame lui aveva continuato ad osservarla. Quando l'aveva guardato negli occhi, seppur lei non se n'era accorta, lui era entrato nella sua mente e ciò che vi aveva trovato non gli era piaciuto per nulla.

Dopo l'esame lei aveva atteso che Luna terminasse di metter via le sue cose ed insieme si erano diretti verso l'esterno del castello, per sedersi sotto un albero al sole, chiacchierando di quanto erano entrambe felici di aver ormai terminato gli studi per quell'anno e del fatto che avevano ancora qualche giorno da trascorrere insieme, prima di doversi separare per l'estate.

Poco dopo vennero raggiunte anche da Ginevra, con la quale si erano date appuntamento. Morgana si era sdraiata, con la testa poggiata sulla borsa dei libri e si era persa nei propri pensieri, ascoltando solo di sfuggita i racconti frivoli delle amiche.

Era una splendida giornata di fine primavera, un venticello esile si spargeva giocoso per il giardino della scuola, aiutando i ragazzi a rilassarsi dopo settimane che, per tutti, erano state veramente estenuanti e complesse. Il sole, coi suoi flebili raggi, ancora non completamente maturi, li colpiva sul viso e sul corpo, donando ristoro a quelle membra che, per molto tempo, erano uscite poco dall'ombra buia delle gelida mura del castello.

“E' vero?”, il suono della voce di Ginevra la riscosse dai suoi pensieri. La stava guardando, quindi certamente la domanda era rivolta a lei, solo che non aveva idea di cosa avesse chiesto.

“E' vero cosa?”, il leggero rossore delle sue guance fece ridere le amiche, che compresero non le avesse ascoltate minimamente sino a quel momento.

“E' vero che Piton ha lodato la tua pozione?”, sbruffando si limitò ad un cenno affermativo, come se la cosa non avesse alcuna importanza, ma, in realtà era piuttosto orgogliosa delle parole dell'uomo. Lei amava l'arte della composizione delle pozioni ed era felice di essersi dimostrata così capace da meritare un flebile complimento da quell'essere burbero e scontroso.

“Non esserne così tanto entusiasta”.

“Dovrei esserlo?”.

“Andiamo... il pipistrello gigante ha detto che hai fatto una pozione perfetta. Insomma, lo sai... lo stesso uomo che toglie punti a chiunque respiri nella sua aula e che di solito fa evanescere le pozioni della maggior parte dei suoi studenti, considerandole solamente intrugli velenosi”. Allo sfogo della grifondoro, che in quella materia faceva davvero fatica, le altre due scoppiarono a ridere gioiose. Nell'aria si respirava il profumo della libertà dagli impegni scolastici e si leggeva la stessa cosa negli occhi di ognuna delle ragazze che gioivano spensierate sotto quell'albero in mezzo al cortile.

Almeno sino a quando una di loro non intravide un uomo, infondo al parco di Hogwarts, la cui espressione stonava immensamente in quel quadro di serenità e gioia. Quel giorno si sarebbe tenuto l'appello per Fierobecco ed Hagrid, ormai convinto che la bestia sarebbe morta di lì qualche ora stava cercando con tutte le sue capacità di rendergli quelle poche ore di vita rimaste, il più serene possibile.

Sotto gli occhi sorpresi delle amiche, Morgana si alzò in piedi, senza dir nulla e si diresse a passo di marcia verso l'uomo. Da quando con il fratello aveva discusso della questione dell'ippogrifo, si era sorpresa diverse volte a pensare ad un modo per evitare che quel povero animale venisse decapitato.

Era convinta che l'animale non fosse pericoloso e che si potesse dimostrare in qualche modo la sua innocuità. Aveva trovato diverse sentenze della Commissione per le creature pericolose, che dichiaravano l'innocenza di animali che erano stati aizzati ed aveva sinceramente sperato che anche in questo caso avrebbero deciso di non condannare Fierobecco.

“Hagrid”, l'uomo si voltò a guardarla sorpreso, probabilmente incredulo, considerato che era stata proprio lei a parlargli. Non è che si fossero rivolti la parola spesso e ad esser sinceri lei probabilmente non si trovava a meno di qualche metro di distanza dall'uomo da quella volta che, al primo anno, si era recata col fratello ed i suoi amici nella capanna del guardiacaccia.

“Belmont, giusto?”, i suoi occhi scuri erano fissi in quelli di lei, che lentamente annuì alla domanda, “che ti succede? C'hai qualcosa che ti serve?”.

“No. In realtà io volevo solo parlare di Fierobecco”.

Solo sentendo nominare l'anima, gli occhi dell'uomo si riempirono di lacrime e la ragazzina si sentì immensamente colpevole, quasi fosse stata lei a creare tutto quel dolore.

“Una brava bestia, lui. Sempre là a pulirsi le sue penne. Vieni...”, senza aspettarla si diresse a grandi passi verso la sua capanna e lei fu costretta a seguirlo a passo sostenuto.

Arrivati al bordo della foresta lui la condusse dietro alla piccola costruzione in legno, dove si trovava un recinto dentro al quale vi era l'ippogrifo, legato ad un palo. La ragazza rimase così affascinata dalla bellezza dell'animale che, ormai, non stava neanche ascoltando le parole dell'uomo.

Senza rendersene conto si era avvicinata a Fierobecco, che la scrutava coi suoi occhi fieri ed il suo portamento austero. Non capiva che cosa l'attraesse così tanto, a lei gli animali neanche piacevano, e ad esser sinceri l'Ippogrifo non è che fosse proprio una delle bestie più armoniose esistenti, con il suo corpo metà cavallo e metà rapace, i suoi artigli in evidenza.

“Attenta. Non ti avvicinare troppo. Lui non ti conosce”, la mano dell'uomo si era posata sulla sua spalla fermando il suo lento progredire verso l'animale. Morgana non riusciva a spostare i suoi occhi da quelli della bestia. Erano magnetici. E d'un tratto, la consapevolezza che non avrebbero più potuto osservare nessuno con quel loro cipiglio così arrogante, la colpì in pieno ed una rabbia che non riusciva a controllare le invase il petto.

Senza rendersi pienamente conto delle sue azioni e indifferente ai richiami di Hagrid, si era voltata ed aveva cominciato a correre verso il castello. Voleva trovarlo, voleva urlargli contro tutta la sua rabbia, voleva odiarlo e vedere i suoi occhi riempirsi della consapevolezza del suo astio. Correva per i corridoi della scuola, senza guardare in faccia nessuno e si era scontrata con un paio di ragazzini, che avevano tentato di rimproverarla, prima di scappare dinanzi allo sguardo di pura ira che saettava dalle sue iridi di smeraldo.

Lo intravide uscire da un'aula, con il suo solito gruppo d'amici e lo raggiunse come una furia, incontrollabile ed indomabile. Non si rese neanche pienamente conto delle sue azioni, prima di udire lo schianto della sua mano contro la guancia di lui, che non aveva fatto in tempo a spostarsi o reagire. Il silenzio era calato sul corridoio e molti degli occhi degli studenti là presenti erano fissi su di loro, o meglio su di lui. L'attesa era palpabile. Tutti si stavano chiedendo come avrebbe reagito Draco Malfoy all'affronto subito.

Le era bastato un solo secondo per comprendere di aver appena commesso un errore, non solo perché lo aveva colpito, ma soprattutto perché lo aveva fatto dinanzi ad almeno due classi di studenti. Un lampo di cieca rabbia aveva attraversato gli occhi di lui, che, in un pochi attimi, si era mosso fulmineo, sbattendola contro il muro. La mano gelida del ragazzo si era stretta contro il suo esile collo, le dita di lui le stringevano la pelle. Le sentiva una per una, mentre i suoi occhi erano incatenati a quelli di ghiaccio di lui.

Il poco colore che solitamente riempiva la sua pelle candida era scomparso, lasciando spazio ad un bianco innaturale. Voleva abbassare lo sguardo, ma non riusciva a farlo. Come una calamita lui l'attirava a sé, per poi respingerla con la forza dirompente di un magnete.

“Non osare mai più fare una cosa del genere”, la voce del ragazzo era così fredda che sembrava provenire dall'oltretomba e le parole le aveva scandite una per una, sottolineandone ogni singola sfumatura.

Lei lo aveva osservato per tutto il tempo, nonostante il dolore alla gola, che cominciava a farsi più persistente. Draco doveva essersi reso conto di star esagerando, perché le sue dita avevano allentato la presa e l'aria era tornata a riempire i polmoni di Morgana.

“Draco. Andiamo via...”, la voce di Theodore Nott era risuonata stranamente forte, nel silenzio di tomba che aveva riempito il corridoio.

Il ragazzo era rimasto per pochi altri secondi immobile, poi aveva deciso di dar retta all'amico e aveva lasciato la corvonero contro quel muro freddo, dirigendosi verso i sotterranei, senza più voltarsi indietro.

La pietra contro la sua schiena era gelida, ma mai quanto la pelle del suo collo, che le sembrava ghiacciata dove le dita di lui avevano stretto, ed il suo cuore, che si era congelato al suono determinato e crudele della voce di lui.

“Che succede qua?”, la voce che aveva rotto il silenzio era calda e suadente, ma non riusciva ad arrivare sino al suo petto, per scaldarla, “Morgana, che cosa sta succedendo? Ti senti male?”, lui la guardava con apprensione e lei non era riuscita a far altro che portarsi le mani al collo, dove ormai dei lievi segni violacei si stavano espandendo sulla sua pelle lattea.

“Morgana, che cos'hai fatto al collo?”, si stava guardando intorno, alla ricerca di una spiegazione e di un colpevole, ma la voce di lei aveva impedito a chiunque di spiegare cosa fosse successo.

“Non è accaduto nulla. Proprio niente di cui preoccuparsi. Ed io sto bene”, era fredda, come la notte e buia, come l'ombra che aveva avvolto il suo cuore.

“Hai dei lividi sul collo. Non può non essere accaduto qualcosa!”, lui la guardava con apprensione e lei, in quel momento lo stava odiando ancora di più.

“Non sono stata chiara, quando ti ho detto che devi stare lontano da me, Diggory?”, i suoi occhi diventarono quasi d'ebano, mentre lo fissava infuriata, e lui, senza rendersene conto era indietreggiato. Non sopportava quel ragazzo ammirato da tutte e, soprattutto, non riusciva a tollerare le sue attenzioni non richieste.

Lo aveva lasciato senza alcun altra spiegazione e si era diretta nel suo dormitorio. Appena raggiunta la sua stanza aveva chiuso tutte le finestre e si era isolata nel suo letto a baldacchino, incapace di riscaldare il suo corpo, e con ancora la sensazione delle mani gelide di Draco sul collo.

Così l'aveva trovata Luna quando, resasi conto che l'amica non era scesa per pranzo, era andata a cercarla nella camera che dividevano dal primo anno.

Era immobile, seduta con la schiena contro i cuscini e gli occhi fissi sul muro di fronte.

“Perché hai chiuso tutto? È una bella giornata di sole...”, senza aggiungere altro si era diretta verso la finestra ed aveva scostato le pesanti tende blu notte, che impedivano al sole di illuminare la stanza, accogliendo, così i caldi raggi che, incoscienti ed impertinenti, aveva inondato la camera, ferendo brutalmente gli occhi, ormai avvezzi all'ombra, di Morgana. La tentazione di coprirsi le iridi era forte, ma la voglia di sentire la sofferenza causata dalla luce gioiosa di quel pomeriggio di primavera era stata maggiore, e le lacrime le solcarono presto il viso pallido.

“Che cos'hai fatto al collo?”, la voce di Luna era quasi isterica e stonava in modo impressionante con il viso sognante e la normale calma della ragazza.

“Nulla. Non ho fatto nulla. Perché continuate a chiedermelo tutti?”, si era alzata rispondendo all'amica, decisa a scoprire cosa ci fosse di così sconvolgente nel suo collo.

Il riflesso dello specchio, per un attimo, sconvolse lei stessa. Sentiva un leggero dolore subito sotto il mento, ma non pensava di avere dei lividi così evidenti. Il viola contrastava dolorosamente con il bianco latteo del resto della sua pelle, enfatizzando ulteriormente quei segni impressi inesorabilmente su di lei.

Rimase ad osservarli per qualche minuto, senza dir nulla e sentendo gli occhi dell'amica scrutarla. Senza aggiungere una parola prese una sciarpa leggera dal suo baule e l'avvolse intorno alla sua gola, comprendo quei marchi che, infondo, credeva di aver meritato.

“Ho fame. Credo che andrò a prendere del cibo dalle cucina”, lasciò Luna nella stanza, ancora intenta a scrutarla e senza darle il tempo di ribattere.

Percorreva i corridoi della scuola in silenzio, ripensando a quanto accaduto la mattina. Il pensiero di Draco e del suo viso indignato e furioso le riempiva la mente, distraendola dal mondo circostanza. Aveva raggiunto l'ingresso della scuola, con l'intenzione di scendere nei sotterranei e recarsi alle cucine, quando delle voci dall'esterno la distrassero dai suoi pensieri.

Erano voci concitare ed animate. Sembrava vi fosse un litigio in corso. Rimase sospesa sull'ultimo gradino della lunga scalinata, in attesa, di cosa non ne era certa neanche lei.

Li vide entrare velocemente, senza guardarsi intorno e dirigersi verso i sotterranei. Il ragazzo biondo coi due energumeni al suo fianco. Lui neanche si accorse di lei. Udì solo la sua frase, ed un po' la fece sorridere.

“Oggi pare si siano scatenate tutte. Dev'esserci una gara in corso. Vince chi colpisce più forte Draco Malfoy!”. I due ragazzi non gli risposero consci che, probabilmente, se solo avessero osato, lui li avrebbe fulminati con un solo sguardo. Era furioso e, tra i serpeverde, la regola più importante era mai disturbare un Malfoy infuriato.

Mentre osservava il trio dirigersi verso la sala comune di serpeverde, Morgana udì dall'esterno provenire la voce di suo fratello e decise di raggiungerlo.

“Harry, Ron, Hermione...”, li affiancò mentre scendevano lungo il prato del castello, probabilmente diretti verso la capanna di Hagrid.

“Non dovresti essere qua fuori. È pericoloso. Fra poco sarà buio”.

“Neanche voi dovreste. Dove state andando?”, non aveva voglia di litigare anche con lui. Non ne aveva la forza. Quel giorno era già stato sin troppo pieno di emozioni.

“Andiamo da Hagrid. Fierobecco ha perso l'appello e noi vogliamo stare con lui, quando...”, la ragazza non era riuscita a terminare la frase, troppo commossa al pensiero di cosa sarebbe accaduto da lì a pochi minuti.

Aveva dimenticato che ormai l'appello doveva essersi svolto.

“Volete stare con lui quando uccideranno la bestia”. Il suo tono non dovette piacere molto alla grifondoro, che storse la bocca in una smorfia di disgusto al pensiero della morte dell'animale.

“Sì. Quindi torna dentro il castello. Tu non dovresti essere qui ed, in ogni caso, non dovresti assistere”.

“Perché non dovrei? Io verrò con voi”, senza lasciare al fratello tempo di replicare si diresse a passo di marcia verso la capanna del guardiacaccia. Ed arrivata cominciò a bussare con forza, sinché l'uomo non giunse ad aprire la porta.

“Belmont... sei tornata...”, il suo sguardo percorse i ragazzi, “ohh... ci siete venuti anche voi. Non dovevate. Harry non devi stare qui”.

“Vogliamo stare qui. Ti staremo accanto”, tutti e quattro entrarono nella piccola capanna. Morgana si perse ad osservare il piccolo ambiente, che persino la prima volta che vi era entrata l'aveva affascinata. Vi era qualcosa di così caldo ed intimo in quella piccola costruzione.

Il guardiacaccia le porse una tazzona di tè, che lei non toccò neanche. Aveva un odore speziato e lei detestava ogni miscela di quella bevanda, salvo l'earl gray.

Non aveva seguito i loro discorsi, ma si riscosse dai suoi pensieri solo quando Hermione lanciò un urlo.

“Che succede Hermione?”, suo fratello si era alzato e guardava l'amica con apprensione.

“Ron... Ron... io...”, la ragazza balbettava incontrollabile, “non ci crederai, ma... è crosta”.

“Ma che stai dicendo?”, incuriosita la ragazza stava guardando uno ad uno i presenti all'interno della stanza, senza comprendere appieno cosa fosse successo.

Ron Weasley si era alzato sconvolto, dirigendosi vicino all'amica, le aveva preso di mano una brocca per il latte, dal quale aveva estratto un topolino, così spelacchiato e mal ridotto, da far quasi pena, persino a lei, che in un'altra occasione si sarebbe allontanata schifata. Sembrava morente e malaticcio, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Il pelo era rado ed opaco, e, nonostante fosse fra le mani del suo padrone, sembrava intenzionato a scappare appena possibile. Il ragazzo lo infilò in una delle tasche interne della divisa, appena prima che delle voci dall'esterno li distraessero dai loro discorsi.

“Stanno arrivando. Dovete andare via”, senza dar loro troppo tempo per replicare il guardiacaccia lì cacciò, facendoli uscire dalla porta posteriore e spingendoli ad andarsene.

Appena fuori Harry li convinse ad entrare, tutti e quattro sotto al mantello dell'invisibilità ereditato da James Potter. Morgana aveva sentito il fratello parlare di quel manufatto, ma non aveva avuto modo di osservarlo sino a quel momento.

Mentre lentamente, al fine di non farsi vedere, si dirigevano verso il castello, si perse nell'osservazione del tessuto impalpabile del mantello. Così delicato, da sembrare quasi inesistente al tatto. Era evidentemente molto prezioso.

Distratta dai propri pensieri in merito alla fattura perfetta dell'oggetto, non si era resa conto del battibecco che si stava tenendo fra gli altri e venne presa alla sprovvista dalla mossa repentina di Ron, che alle prese col suo topo, si dimenava tentando di trattenerlo e tranquillizzarlo e, senza rendersene conto, l'aveva spinta facendola rovinosamente cadere a terra. Una fitta sorda le fece lacrimare gli occhi, mentre il polso sinistro, sul quale era atterrata, le pulsava dolorosamente.

Non fece in tempo ad alzarsi che gli avvenimenti intorno a lei avevano preso una piega alquanto sorprendente. Ron era alle prese con un enorme cane nero, che tentava di morderlo, mentre Hermione litigava col proprio gatto, Grattastinchi, e suo fratello aveva estratto la bacchetta, ma era titubante ad utilizzarla, timoroso di poter colpire uno dei suoi amici.

In pochi attimi vide il cane sopraffare Ron e trascinarlo attraverso una fessura posta vicino alle radici di un grosso albero, verso le viscere della terra.

Hermione intanto urlava disperata verso l'amico, evidentemente in pericolo e tentata di aggirare i rami di quell'albero impazzito, che sembrava intenzionato a ferirli gravemente tutti quanti.

“Hermione, è il Platano Picchiatore”, la voce tremante di suo fratello la riscosse dall'osservazione di quella scena, che, se non fosse stato per la situazione, avrebbe trovato buffa.

“Il Platano Picchiatore?”, aveva sentito parlare di quell'albero, ma non aveva mai notato ve ne fosse uno all'interno del parco del castello. Era così affascinante.

“Sì. È una pianta pericolosa...”, la ragazza cercava, con poco successo, di trovare un modo per oltrepassare i rami dell'albero, che continuavano a muoversi imbizzarriti dalla loro presenza.

“Morgana”, Harry si era voltato a guardarla con determinazione, “devi andare via da qui. Va al castello e chiama qualcuno. Noi intanto troveremo un modo per raggiungere Ron e salvarlo da quella bestia”.

Per una frazione di secondo si chiese se veramente suo fratello credeva che lei gli avrebbe dato retta.

“Io vengo con voi. Comunque non credo che serva trovare un modo per entrare nel tunnel”.

“Ma certo. Tu sei così intelligente da sapere come aggirare il Platano Picchiatore. Come faremmo senza di te?”, l'ironia della grifondoro la irritava notevolmente, ma decise di risponderle col suo stesso tono.

“Io forse non sono così intelligente, ma il tuo gatto lo è più di te sicuramente”, senza degnarla di un secondo sguardo, le indicò il gatto, che aveva fermato i rami, toccando un nodo dell'albero. Indifferente all'occhiata omicida della ragazza si diresse alla fessura nell'albero e, prima che suo fratello potesse fermarla era già scesa nel lungo tunnel.

Camminarono per quelle che sembrarono ore, ma probabilmente erano stati solo una manciata di minuti, prima di intravedere un'apertura in un muro, che, non appena la oltrepassarono, risultò essere l'ingresso ad una stanza lugubre e polverosa.

Si ritrovarono tutti e tre nella penombra di un ambiente di medie dimensioni, che un tempo doveva essere un salotto, ma attualmente non era altro che un ammasso di mobili coperti da un alto strato di polvere.

“Dove siamo?”, il sussurro di Harry, era sembrato rimbombare nella piccola stanza.

“Sembra... Harry... sembra...”.

“La stamberga strillante”. 


 

***



Chiedo scusa per il ritardo nel pubblicare. Spero che vi piaccia questo nuovo capitolo. Ringrazio tutti coloro che leggono e commentano, apprezzando la mia storia.
A presto!

 

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Capitolo 31
*** Sirius Black - parte II. ***


Sirius Black – parte II.

 

Non era mai stata ad Hogsmeade, ma aveva sentito parlare a lungo di quella costruzione abbandonata, che si diceva fosse infestata dai fantasmi.

Guardandosi intorno dovette ammettere che, di esseri quasi morti non vi era traccia alcuna, però quella stanza non faceva presagire nulla di buono. La carta da parati, che un tempo doveva essere di un tenue lilla a fiorellini, era strappata in più punti e dovevano essere stati degli artigli a rovinarla. La mobilia era spaccata e sembrava essere stata oggetto di torture inimmaginabili. Sul pavimento uno spesso strato di polvere, simile a quello posato su qualsiasi superficie, faceva presagire un lungo periodo di abbandono. Solo una striscia di legname più chiaro indicava un passaggio recente.

“Quel cane è passato da qui e ha trascinato Ron di sopra”, il sussurro di suo fratello era strozzato, dalla paura per l'amico e lei non poté far alto che annuire alle sue parole.

Si diressero in silenzio verso le scale che portavano al piano di sopra e tentando di fare meno rumore possibile cominciarono a salire i gradini impolverati, sino a raggiungere una porta infondo ad un breve corridoio. Doveva essere la stanza in cui quell'animale aveva trascinato il ragazzo.

Nei meandri del suo cervello una vocetta stava cercando di dirle che quel comportamento era piuttosto incomprensibile e che un animale non avrebbe mai trascinato la sua preda per una rampa di scale solo per condurla in un luogo più adatto in cui divorarla.

Il dolore al polso sinistro, intanto, era diventato sempre più pungente e ad un occhio veloce si rese conto che l'osso doveva essere rotto, perché la mano era divenuta violacea e si era gonfiata parecchio. Le doleva, ma faceva tutto il possibile per non pensarci e concentrarsi sulla situazione, aveva un brutto presentimento e, sicuramente, quella circostanza non faceva presagire nulla di buono.

Entrarono nella stanza con le bacchette in pugno, tutti e tre pronti ad attaccare.

“No... Harry... è una trappola”, le parole di Ron, evidentemente in preda al dolore per la gamba che, a giudicare dall'angolatura che aveva preso, doveva essere rotta, li colsero impreparati.

Il suo cervello aveva appena compreso la parola trappola e le implicazioni di questa, prima che la porta dietro di lei si chiudesse di colpo. Si era voltata appena in tempo per sentire il tonfo, quando i suoi occhi di smeraldo si erano incontrati con due iridi grigio tempesta, incastonate in un viso scavato e distrutto dalla sofferenza.

Non riusciva a smettere di guardarlo. Era a meno di mezzo metro da lei, che era stata l'ultima ad entrare, e i loro sguardi erano incastrati ed incapaci di dividersi l'uno dall'altra. Lei non riusciva a smettere di guardare in quei turbini di nuvole e lui la osservava incuriosito.

L'incanto da cui sembravano pervasi si ruppe quando suo fratello si frappose fra loro e urlò all'uomo di non avvicinarsi a lei.

“Non osare toccarla. Ti ucciderò prima che tu riesca ad avvicinarti a lei”, vi era rabbia e senso di protezione nella sua voce, ma Morgana non riusciva ad essergli grata. Aveva distolto quel temporale di ghiaccio da lei ed a lei mancavano quegli occhi grigi.

Solo una parte della sua mente, quella più acuta, si accorse che, in realtà, erano altri gli occhi d'argento in cui desiderava perdersi, ma decise di scacciare quel pensiero infondo alla sua testa, in un angolino remoto. Era meglio fingere di non capire, piuttosto che cadere nel baratro della consapevolezza di quanto in fondo a quel burrone di dolore fosse caduta in soli due anni.

“Solo uno morirà sta notte”, la voce aspra dell'uomo, evidentemente rimasta inutilizzata per troppo tempo, la riscosse dai suoi pensieri. Non vi era gelo in quelle parole, nonostante lui avesse tentato di mettervelo.

Suo fratello e Sirius Black stavano discutendo animatamente, quando la porta della stamberga si aprì da sola, ma nel buio non si vedeva alcun essere, né umano, né animale. L'informazione parve non scomporre minimamente gli altri componenti della stanza, ma lei l'aveva notata, così come aveva avvertito la scia di profumo, lieve, ma profondo che aveva colpito le sue narici. Si beò di quell'odore boschivo che per qualche attimo la fece sentire al sicuro. I suoi occhi andarono alla parete, non poteva vedere nulla, ma una certezza la colse: lui era là.

Intanto nella stanza gli avvenimenti erano precipitati e, nonostante la lotta serrata fra Harry e Sirius Black, lei si sentiva estranea a tutto quello. L'uomo l'aveva colpita in pieno, mandando in tilt il suo cervello. Non aveva immaginato di poter reagire in quel modo.

Negli ultimi mesi aveva coltivato un odio profondo per quel mangiamorte e si era sentita desiderosa di vendetta nei confronti di lui. L'aveva odiato. Aveva progettato mille modi diversi per ucciderlo, non prima di averlo fatto soffrire, come aveva sofferto lei e come avrebbe sofferto lei in futuro. Voleva fargli male, profondamente, voleva sentirlo implorare pietà. Voleva che chiedesse lui stesso di essere ucciso. Voleva che anelasse la morte. Non era certa di riuscire a mettere in atto i suoi piani; non per pietà, quella non la provava, non per lui che meritava il dolore che voleva infliggergli. Erano le sue capacità magiche ad essere messe in dubbio.

Era così concentrata sul suo odio verso l'uomo che non si era minimamente accorta del tumulto che la circondava. Era estranea a tutti gli avvenimenti, alle parole dette. Aveva recepito solo di sfuggita la porta aprirsi nuovamente. E solo la voce di Remus Lupin, che interveniva fra Harry e Sirius la riscosse dai suoi pensieri.

Vide come al rallentatore l'uomo porgere la mano al mangiamorte, aiutarlo ad alzarsi ed abbracciarlo. Udì come se fosse il proprio, l'urlo di Hermione. A quel punto ormai era stata riscossa dai propri pensieri ed era tornata in quella stanza. Solo la vaga sensazione di un forte mal di testa l'aveva pervasa, sino a farle tremare le gambe.

“Io mi fidavo di lei. Io non ho detto nulla”, la grifondoro si era voltata verso i due amici, “lui è un lupomannaro”.

“Da quanto lo sai?”, la voce del professore tremante, fece provare pietà a Morgana. Pietà per quell'uomo che non aveva voluto la sua colpa.

“Da quando il professor Piton ci ha chiesto un tema sulla materia”, a quelle parole la ragazzina non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, come una sciocca, sentendosi un po' stupida in quella situazione, ma senza riuscire a trattenersi.

“Morgna... ehm... ti senti bene?”, suo fratello si era avvicinato a lei, guardandola con occhi sconvolti, come se pensasse che la ragazza era di colpo divenuta matta.

Non riusciva a smettere di ridere e, scossa com'era dagli spasmi dell'eccesso di ilarità, si teneva la pancia dolente con entrambe le mani, quasi accasciandosi su se stessa. Solo dopo diversi minuti e quando ormai gli sguardi di tutti erano puntati su di lei, era riuscita a calmarsi a sufficienza da riprendere a respirare.

“Non credo che il suo intento abbia funzionato, professore”, aveva ansimato ad ogni parola, ancora incapace di esprimersi correttamente.

“Il mio intento?”, Remus Lupin la stava osservando sconcertato, chiedendosi di cosa lo stesse accusando precisamente. Forse anche lei era concorde con la giovane grifondoro, nel ritenere che egli avesse avuto intenzione di aiutare un vecchio amico.

“Oh.. no..”, Morgana si stava ancora asciugando gli occhi, mentre si era voltata ad osservare la parete vicino alla porta, “ non parlavo con lei, professor Lupin, ma col professor Piton”, il silenzio era calato all'interno del piccolo ambiente, “non la facevo così ingenuo da pensare che qualcuno dei suoi studenti avrebbe capito la condizione del professor Lupin, solo grazie allo svolgimento di un compito assegnato. Anche perché, ad esser onesti, ai più intelligenti non servivano di certo delle ricerche per comprendere la verità”.

“Ehm... Morgana...”, suo fratello sembrava sinceramente preoccupato e le si era avvicinato intimorito, “sei sicura di sentirti bene? Con chi stai...ehm... parlando?”.

“Con me, Potter!”, la voce del professore di pozioni fece sobbalzare tutti i presenti e l'uomo, mentre pronunciava quelle poche parole, aveva fatto scivolare il mantello dell'invisibilità del ragazzo, ai propri piedi.

L'atmosfera, satura d'aspettativa, sembrava essersi cristallizzata. Nessuno aveva mosso un muscolo mentre lui si rivelava. Non aveva intenzione di farlo in quel momento, ma non era un vigliacco e non avrebbe finto di non esser lì, tanto più che, a quel punto non avrebbe avuto senso. L'effetto sorpresa a cui aveva puntato era, evidentemente, sfumato.

“Come hai fatto, Morgana?”, i suoi occhi d'onice s'impossessarono di quelli di smeraldo della ragazza, che lo guardavano pieni di un sentimento che non riusciva a decifrare.

“Ti ho sentito, Severus”, quando lui si era mostrato, lei si era sentita riempire da un dolce calore. Ora era al sicuro. E non le importava del marchio nero sul suo braccio, non le importava di chiamarlo per nome davanti ad altri, cosa che sino a quel momento non aveva mai fatto, non le importava degli ultimi mesi passati ad evitarlo. Non le importava della possibilità che lui avesse aiutato Sirius Black ad entrare nel castello. Non le importava più nulla, perché per la prima volta da quando era uscita dal suo ufficio furiosa, finalmente, era tornata a respirare. E si era resa conto di esserci riuscita solo nel momento in cui aveva percepito il suo odore di muschio solleticarle le narici, non appena lui era entrato nella stamberga.

Onice e smeraldo si fusero insieme per pochi secondi, prima che Sirius Black rompesse quella dolce bolla incantata che l'aveva avvolta per pochi attimi. Come una furia, si era precipitato tra di loro ed il suo pugno, inesorabile, si era abbattuto contro lo zigomo del professore, che venne sbalzato con violenza contro il muro della piccola stanza polverosa. Il rumore dell'osso dell'uomo, che s'incrinava sotto la violenza di quel gesto sembrò assordante nel silenzio che ancora pervadeva le mura isolate della costruzione.

“Ma non ti fai schifo da solo?”, il ringhio uscito dalle labbra dell'uomo, fece gelare il sangue di tutti i presenti, “non ti vergogni? Sapevo che sei viscido, oscuro, malvagio. Sapevo che sei senza scrupoli, meschino... ma questo? E Silente che ti permette d'insegnare in questa scuola”. Le parole dell'uomo, appena udibili fra le sue labbra contratte, sembravano sputare veleno ad ogni sillaba.

“Di che cosa mi stai accusando, precisamente, Black?”, se la voce di Sirius sembrava fredda, quella di Piton era ghiaccio allo stato puro. Il disgusto fra i due era palpabile. “Io sarò anche oscuro, malvagio, meschino e senza scrupoli... ma per lo meno, io non mi sono mai tacciato di essere migliore di quel che sono. Io non ho mai finto di essere buono... non ho mai indossato l'armatura del cavaliere errante. Io sarò anche tutto ciò che hai detto, ma almeno di una cosa sono certo: io non ho mai indossato maschere!”, ed era vero, almeno sino a quando non aveva donato la sua vita ad Albus Silente. Lui non aveva mai finto di essere migliore di quel che era. “Quindi, te lo ripeterò una volta sola, Black. Di che cosa mi stai accusando, precisamente?”.

“Che cosa c'è fra te e la mia figlioccia?”, se non fosse stato per il suo tono astioso, sarebbe scoppiato a ridergli in faccia. Come poteva anche solo pensare una cosa del genere. Stavano parlando di una bambina. È vero che nel mondo magico, spesso, la differenza d'età non era un problema, ma fra persone maggiorenni, non in una circostanza come quella.

“Come ti permetti? E poi... da quando lei sarebbe la tua figlioccia?”, i suoi occhi lanciavano saette, tant'erano infuriati.

“Sirius... che dici?”, Remus era intervenuto, con l'intento di calmare gli animi, ma anche lui sembrava essere sconvolto dall'affermazione dell'amico. Persino i ragazzi avevano gli occhi sgranati. L'unica che non pareva aver capito le allusioni dell'uomo era la principale causa di quella discussione.

“L'ha chiamata per nome, Remus. Per nome”, sembrava così infastidito dalla questione, che quasi tremava dal disgusto, “e poi... diciamoci la verità. Non sarebbe la prima volta che le sue attenzioni si rivolgono a persone che non è degno neanche di guardare”. Il solito tono di scherno era comparso nella sua voce, che, questa volta, era proprio intenzionata a ferire.

I tre adulti sapevano a cosa si fosse riferito e Remus era pronto ad intervenire prima che il professore uccidesse l'amico in un raptus di follia, che, ad onor del vero, sarebbe stato giustificato.

Quello che nessuno di loro aveva previsto era che a schiantare Sirius non sarebbe stato Severus Piton, ma Morgana Belmont. La potenza dell'incantesimo travolse tutti quanti. Furono costretti a fare un balzo indietro, mentre l'uomo veniva letteralmente catapultato dall'altra parte della stanza.

La ragazzina tremava con la bacchetta in mano. La scena aveva qualcosa di surreale. I suoi occhi da verdi erano diventati neri, come la pece. I suoi capelli erano elettrizzati, tant'era la rabbia che la pervadeva.

Persino Ron, che per tutto il tempo aveva lottato per tenere il suo topo tranquillo nella sua tasca, in quel momento aveva gli occhi puntati sulla scena. E crosta, che dentro al suo cappotto si era divincolato sino a quel momento, ora era immobile e guardingo. Quasi temesse quel potere che si era sprigionato di colpo nel piccolo ambiente.

“Sei pazzo, Black. Come osi anche solo immaginare una cosa del genere. Non so a cosa tu sia abituato”, la sua voce era corrosiva e tutti erano incantati ad osservarla, senza la capacità di reagire alle sue parole o ai suoi gesti, “ma questo va oltre ogni mia immaginazione. So che nella tua famiglia di scrupoli ve ne sono veramente pochi”, a quelle parole l'uomo aveva fissato i suoi occhi in quelli di lei, “e che la pazzia imperversa come fosse normalità. Ma come hai anche solo potuto immaginare che tra me e Severus vi sia qualcosa di anche solo lontanamente sconveniente?”. A ogni parola si era avvicinata sempre di più a lui, con la bacchetta puntata contro il suo petto.

La sua domanda non richiedeva certo una risposta. Non le interessavano i pensieri di quel pazzo. Gli occhi di Piton non si erano scollati neanche per un secondo da lei e l'uomo aveva estratto, senza una parola, la bacchetta, pronto ad intervenire ove fosse necessario. Tutti nella stanza si erano accorti di quel gesto, tranne la ragazzina, troppo intenta a puntare la sua preda.

La bacchetta di acacia di Morgana, ormai sfiorava il petto dell'uomo, che in tutto quel lasso tempo, non aveva mosso un solo muscolo. Continuava a guardare la ragazza, incapace di articolare anche una semplice parola. Gli occhi di lei lo stavano perforando. Sembravano scrutarlo e sondarlo, come se cercasse di leggergli l'anima, di giudicarlo, di comprenderlo e, alla fine condannarlo.

“Signorina Belmont, abbassi la bacchetta e si allontani”, l'intervento di Piton lo sorprese.

“Perché dovrei, professore”, su quella parola aveva calcato con ironia, “teme che faccia del male al suo amichetto?”, un movimento alle spalle della ragazza distrasse Black, i cui occhi si posarono sull'uomo che era stato suo nemico per tanti anni durante la scuola.

A causa di un riflesso incondizionato il serpeverde aveva sfiorato l'avambraccio sinistro, con la mano destra, in cui ancora stringeva la bacchetta. Per un attimo parve quasi a disagio, come se temesse di essere messo a nudo. Non era uno sciocco. Aveva compreso perfettamente le parole di Morgana. Lui solo in quella stanza le aveva capite sino infondo. Evidentemente la ragazzina credeva che Black fosse un mangiamorte come lui e che fossero, in qualche modo, d'accordo.

“Sono mesi che ti studio. So ogni cosa si possa scoprire sulla tua famiglia di piccoli arroganti purosangue. Conosco a memoria il tuo albero genealogico. Certo... non ho ancora compreso come potessi essere amico dei miei genitori, visto che apparentemente non avete nulla in comune. Ma, infondo, non è così difficile credere che tu li abbia ingannati sin dall'inizio. Voi Black sembrate addestrati a mentire sin dalla nascita”.

“Non ho mai ingannato i tuoi genitori...”.

“Sta zitto”, il suo tono era astioso e, per un secondo, persino lui aveva dimenticato si trattasse solo di una ragazzina.

“Come puoi dire di non averli ingannati? Sono morti per causa tua”, l'intervento di Harry parve distrarre per un secondo la corvonero, che comunque non aveva spostato di un millimetro il suo sguardo da quello dell'uomo.

“E' vero. Sono morti per causa mia”, a quel punto gli occhi di Sirius si erano puntati in quelli del gridondoro ed in essi vi era così tanto dolore che per un attimo il ragazzo parve perdere la sua sicurezza, “ma non li ho traditi. James era il mio migliore amico. Sarei morto piuttosto che tradirlo”.
“Non mentire. Tu li hai uccisi”, la voce di Harry tremava impercettibilmente.

“Non lo nego. Ma non è andata come credete. Se potessi spiegarvi tutto...”.

“Non mi interessano le tue giustificazioni. Non mi interessa se sei stato costretto, se saresti morto o se non hai potuto evitarlo. Sarebbero solo scuse inutili”.

“Non è così Morgana. Io non sono stato costretto a far nulla, perché non sono...”.

“Ti ho detto di stare zitto”, lei non voleva sentirlo. Non voleva ascoltare nessuna delle sue parole. In quel momento lo odiava. Non solo era la causa della morte dei suoi genitori, ma aveva anche osato metterla in ridicolo con insinuazioni meschine.

“Cosa vuol dire che non sei stato costretto a far nulla?”.

“Ti interessa davvero? Veramente vuoi sentire le sue scuse, Harry?”.

“Voglio capire...”. Solo in quel momento gli occhi della ragazza si erano spostati sul fratello. Rimasero ad osservarsi intensamente per una manciata di secondi, prima che la ragazza cadesse verso terra, e probabilmente si sarebbe scontrata col pavimento, se Severus Piton non avesse avuto i riflessi sufficientemente pronti da accoglierla fra le sue braccia.

“Morgana...”, l'urlo di Harry fece riscuotere tutti. Black si era alzato in piedi in quel momento, Lupin si era avvicinato alla ragazza e così Hermione. Ron si era sporto dal letto per vederla meglio.

“Sta bene, Potter. È solo svenuta”, mentre parlava l'uomo aveva adagiato la ragazza sul pavimento e si era impossessato della sua bacchetta.

“Sei stato tu, Mocciosus?”, i ragazzi ci misero qualche secondo per comprendere che le parole di Sirius Black erano rivolte al loro professore di pozioni.

“Si sveglierà fra dodici ore. Starà benissimo, come se nulla fosse accaduto”.

“Severus... ti... sembra necessario?”.

“Anche se potessi tornare indietro, Lupin, e non posso... sì. Era necessario. Lo avrebbe ucciso”, il suo tono non ammetteva repliche e le sue parole lasciarono tutti bloccati, come pezzi di marmo.

“Non lo avrebbe fatto... non è vero”, il balbettio di Harry probabilmente avrebbe commosso un altro uomo, ma lui non si lasciava impietosire.

“E non lo avrebbe fatto perché ti vuole bene ed è dolce e tenera?”, l'ironia della sua voce, forse fuori luogo, parve indignare il ragazzo, che ora lo fissava furioso.

“Lei non lo avrebbe fatto. Non è...”.

“Cosa non è? Crudele? Senza cuore?”, lo stava schernendo, trattandolo come un ragazzino.

“Mia sorella non avrebbe mai ucciso un uomo. A sangue freddo poi...”.

“Lei parla il serpentese...”.

“Anche io, Hermione... allora?”.

“Non è la stessa cosa”, persino Ron, dal suo letto, era intervenuto per attaccare la ragazza, che, purtroppo non aveva modo di difendersi.

“Lei non lo avrebbe fatto. Non la conoscete. La state giudicando tutti senza darle modo di esprimere il suo punto di vista”.

“Te lo ricordi, vero, che stiamo parlando della stessa ragazza che ti ha accusato di aver ucciso un mostro omicida, alla fine dello scorso anno...”.

“Lei non ha neanche tentato di ucciderlo, Ron!”.

“Lo avrebbe fatto”, la voce del professore di pozioni non era mutata di tono, ma era comunque così definitiva che Harry non poté far altro che indietreggiare spaesato, “una persona farebbe qualsiasi cosa per vendetta. Persino perdere se stesso...”.

“Lei è mia sorella...”, si sentì uno stupido a ripeterlo. Era un ingenuo, forse, a credere che sua sorella non si sarebbe mai macchiata di un crimine così grave come l'omicidio.

Lui per primo aveva pensato di uccidere Black. Non poteva di certo negarlo, ma infondo era consapevole che non lo avrebbe mai fatto. Non sarebbe riuscito a causare la morte di un uomo, per quanto spregevole fosse. E non poteva credere che Morgana lo avrebbe fatto. Quell'uomo mentiva. Lei non lo avrebbe ucciso. Era arrabbiata e ferita, era oltraggiata persino, ma non sarebbe mai arrivata a tanto.

“In ogni caso, credo che toccherà a me farlo”, si era avvicinato all'altro, con passo fermo e determinato. “Dì pure addio alla vita Black, perché sta certo che non desidero altro da talmente tanto tempo che neanche riuscirei a quantificarlo ormai”, i suoi occhi si spostarono sul professore di difesa contro le arti oscure, “avrei dovuto immaginare che l'avresti aiutato tu ad entrare nel castello. D'altronde avevo avvisato il preside che non fosse saggio tenere un essere come te a contatto con degli studenti”.

“Non l'ho aiutato ad entrare. E se lo lasciassi spiegare capiresti che lui non è l'uomo che credi che sia”, sospirò profondamente prima di continuare, “in realtà credo l'abbia già dimostrato”.

“Non sprecare fiato a difenderlo. Non ho alcuna intenzione di ascoltare i tuoi vaneggiamenti, Lupin”.

“Non ho ucciso Lily e James. Non sono stato io...”, non lo stava neanche ascoltando. Pregustava solamente la sua vendetta, agognata e bramata per anni.

“Non sprecare i tuoi ultimi attimi di vita inutilmente. Non sai quante volte ho sognato di essere io a trovarti. Potrei ucciderti. Lo farei...”.

“Dagli modo di spiegare, Severus... ascoltalo. Io ho visto la verità. Non è stato...”.

“Stupeficium...”, l'urlo dell'uomo era stato improvviso, così come il suo movimento. Aveva colto l'altro impreparato, ed impedendo qualsiasi reazione. Remus era stato sbalzato contro il muro ed era caduto a terra inerme.

“Dicevo...”, come se nulla fosse accaduto si era voltato nuovamente verso l'altro, con uno sguardo quasi folle in viso, “potrei ucciderti... sarebbe il coronamento ideale della mia vita e mi verrebbe così semplice farlo sembrare un incidente o, persino, un atto di eroismo. Ma perché togliere tutto il piacere ai dissennatori? Ci tengono così tanto a vederti...”. Ormai nei suoi occhi non vi era neanche più un briciolo d'umanità.

Harry lo aveva osservato per tutto il suo discorso. Era persino arrivato a chiedersi se avesse addormentato la sorella perché davvero desideroso di impedirle di commettere un grave errore, o solo per riservarsi il piacere di compiere egli stesso quell'atto.

Senza riflettere si era trovato a portare a termine un gesto che non aveva né previsto, né immaginato di poter effettuare. La sua voce risuonò chiara nella stanza, ma non fu la sola. Tre fasci di luce si sprigionarono da tre bacchette ed andarono a colpire il professore dritto in petto.



 

***




E' stato un capitolo sofferto: sia perché non volevo stravolgere troppo la storia originale, sia perché qui viene fuori un lato particolare del carattere di Morgana, che sino ad ora si è solo intravisto.
Spero che vi piaccia e che non odierete troppo la mia piccolina. Non è cattiva, infondo...
Fatemi sapere  cosa ne pensate.
A presto!

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Capitolo 32
*** Un risveglio ***


Un risveglio “confuso”.

 

7 giugno 1994

 

Il sole brillava sul parco di Hogwarts, mentre all'interno dell'asettico ambiente dell'infermeria, due ragazzine erano sedute di fianco ad uno dei letti, identico a tutti gli altri, se non per la massa di capelli neri che spuntava dalle coperte e ricopriva il cuscino.

Un gufo quella mattina aveva portato un piccolo pacchettino per la ragazza svenuta su quel letto, ma nessuno era riuscito a sfilarglielo dalla zampetta. Era ancora là, appollaiato impettito sul comodino di fianco al letto, sotto l'occhio critico di madama Pomfrey, che aveva fatto il possibile per scacciarlo, rischiando, tra l'altro, che quello le azzannasse più di un dito. Dovette ammettere che si trattava di un animale agguerrito e arrendersi alla sua presenza, nella speranza che la ragazzina si svegliasse presto e lo facesse uscire.

“Madama Pomfrey, che cosa sta succedendo qui? Da quando in qua permette ad un gufo di rimanere all'interno della sua infermeria?”, il preside era entrato in silenzio, accompagnato dalla professoressa McGranitt e dal professor Piton, che si era ripreso perfettamente dalla sera precedente. Tutti e tre erano rimasti sconcertati di fronte alla vista di quell'uccello.

“Mi creda, preside, ho fatto tutto quanto in mio potere per cacciarlo, ma è stato praticamente impossibile. Ha tentato di uccidere chiunque gli si avvicinasse”.

Il professor Silente parve alquanto sconcertato dalle parole della donna e se ne accorsero sia le due ragazzine sedute di fianco al letto di Morgana, che il trio accalcato dal lato opposto della stanza, con al centro un ragazzino, dai capelli rossi, con un lungo gesso sulla gamba e l'aria dolorante.

“Conoscendo il tipo di animale, preside, non fatico a credere che sarebbe pronto ad uccidere, pur di adempiere agli ordini che gli sono stati dati”.

“Conosci quell'animale, Severus?”.

“E' quel che ho detto”, l'anziano preside parve guardarlo in attesa di qualche notizia in più, ma dovette rendersi conto che non avrebbe ottenuto altro dall'uomo e lasciò perdere. La sua attenzione, al contrario, si concentrò sulla ragazzina, che sembrava ancora profondamente addormentata.

“Sei sicuro di non aver esagerato con lei, Severus?”, continuò a guardare il corpicino sdraiato, mentre esprimeva i suoi dubbi, “non avrebbe dovuto svegliarsi qualche ora fa?”.

“Si sveglierà a breve, preside. Non è necessario preoccuparsi per nulla!”.

Forse anche perché avvertiva la presenza di diverse persone intorno al suo letto, ovvero perché ormai l'effetto dell'incantesimo che l'aveva colpita, era svanito, Morgana aprì gli occhi sbattendo le palpebre candidamente e guardandosi intorno con l'aria di chi non ha idea del motivo per cui si trova sdraiata in un letto che, le ci volle poco a comprendere non fosse il proprio.

“Signorina Belmont”, il preside la salutò con un sorriso bonario, che alla ragazza non fece presagire nulla di buono. Si sentiva strana ed intorpidita.

“Avrai la gola secca, Belmont. Ti sconsiglio di parlare. Dovresti bere qualcosa”.

Madama Pomfrey si stava già prodigando intorno al letto della ragazza, per assicurarsi delle sue condizioni psicofisiche.

“Ha giramenti di testa signorina Belmont?”, la ragazza al suono di quelle parole indugiò sulla donna, chiedendosi se dovesse o meno rispondere, ma non fece in tempo a pronunciare una sillaba, che quella le porse un bicchiere di acqua cristallina. Sentire il liquido freddo scorrerle lungo la gola la fece sentire viva di nuovo, quasi quanto un affamato dinanzi ad un buffet di leccornie.

Solo dopo aver assaporato accuratamente il liquido, si voltò di nuovo verso l'infermiera, “non ho alcun giramento di testa, madama, al contrario. Mi sento benissimo. Quasi avessi dormito a lungo”, i suoi occhi indugiarono su tutti i presenti, quasi li stesse analizzando. E si bloccarono sulla figura di Ron Weasley, che la osservava con cipiglio preoccupato. “Che cos'è accaduto?”, lo disse guardando il preside, “ho litigato con Weasley per caso?”, la sua manina esile corse alla testa, “ non ho male, ma non ricordo come mi sono ferita”.

Il silenzio che colpì d'un tratto l'intera infermeria era irreale e così pesante che persino Morgana, intenta ancora a riflettere sull'accaduto, si rese presto conto che qualcosa non andava.

“No, signorina Belmont”, l'intervento di Severus Piton colse tutti di sorpresa. Ogni testa si voltò verso di lui, in attesa di scoprire come avrebbe spiegato tutti gli avvenimenti della sera precedente alla ragazza. “Non ha litigato col signor Weasley. È scivolata nei pressi del lago nero giocando con le sue compagne e ha battuto la testa. Stava per affogare, ma le signorine Weasley e Lovegood hanno avuto la presenza di spirito di aiutarla ad uscire dall'acqua e portarla subito in infermeria”. Le bocche dei presenti si aprirono percettibilmente, dallo stupore per l'affermazione del professore. Tutti gli occhi erano puntati sull'uomo, che rimase impassibile alle attenzioni. Morgana parve non far caso alla reazione dei presenti alle parole dell'uomo, forse interpretando la sorpresa come rivolta al complimento, seppur implicito, che il professore aveva rivolto alle sue amiche.

“Questo spiega perché ricordo solo un gran gelo e null'altro”, alle sue parole il professor Silente si voltò ad osservarla, forse cercando di scrutare qualcosa che solo lui poteva vedere.

“Sarà meglio che la lasciamo riposare, così madama Pomfrey potrà dimetterla entro sera”, il suo sorriso bonario rivolto alla ragazza, non riusciva comunque a nascondere lo sconcerto nei suoi occhi.

“Giusto. È meglio che usciate tutti. Forza...”, e spinse ognuno di loro a lasciare la stanza, consentendo solo al povero Ronald di rimanere sdraiato sul suo letto.

 

“E' normale che non ricordi nulla, Severus?”, il preside si era fermato non appena avuta la certezza che dall'interno non potessero essere uditi.

“Che cosa le ha fatto?”, come aveva previsto la rabbia di Harry era scoppiata ed il ragazzo non aveva intenzione di tenere la voce ragionevolmente bassa. Se non si fossero allontanati Morgana avrebbe udito le urla del fratello.

“Immagino che sia normale...”, senza scomporsi minimamente l'uomo aveva risposto ad Albus Silente, ignorando la presenza del ragazzo.

“Immagina? Ma che cos'ha combinato? Lei non ricorda nulla!”.

“Non ricorda nulla, Potter, perché le ho cancellato la memoria”. L'affermazione dell'uomo, che nel parlare non aveva mostrato il minimo segnale di nervosismo o di rimorso per le proprie azioni, aveva lasciato tutti sbigottiti.

“Le hai cancellato la memoria?”, Minerva McGranitt, che sino a quel momento era rimasta in religioso silenzio, quasi tutta quella faccenda non la riguardasse, ora lo fissava come fosse impazzito.

“Sì. È precisamente ciò che ho fatto”.

“Severus... ragazzo mio... credo tu non ti renda conto delle implicazioni di ciò che dici”. Persino Albus Silente d'un tratto parve perdere il controllo della situazione, incapace di credere che il suo professore avesse veramente cancellato la memoria ad una ragazzina.

“Credimi Albus. È meglio che lei non ricordi gli avvenimenti dell'altra sera. Tu non hai visto ciò che ho visto io...”.

“Non è un gioco, Severus. Stiamo parlando di una ragazzina e dei suoi ricordi. È anche un atto ai limiti della liceità”.

“Minerva... se posso permettermi. Lui ha ragione”, la voce flebile dell'uomo appena sopraggiunto fece voltare tutti. Lo sguardo di disgusto che Severus Piton gli rivolse non parve scalfirlo. “Io c'ero e ho visto con quanto odio Morgana stava guardando Sirius. È meglio che non ricordi”.

“Prima o poi dovrà comunque conoscerlo...”, lo sguardo di Harry, quasi implorante, intenerì l'uomo, ma non gli fece cambiare idea.

“E speriamo che prima di allora abbia smaltito un po' di rabbia, Harry”.

 

Rimasta da sola, Morgana si accorse della presenza del volatile sul suo comodino. Si volse a guardarlo incuriosita, non comprendendo appieno la motivazione della sua presenza, almeno sino a quando i suoi occhi non scorsero il pacchetto legato alle zampe di quest'ultimo.

Si sporse dal proprio letto per slegare il laccetto che teneva legato il pacco alla zampa destra dell'animale, che, dopo quattro ore passate ad attendere di venir liberato, non appena sentì il peso lasciare la sua zampetta si alzò in volo ed uscì dalla finestra, aperta anche a causa della fresca brezza estiva che rendeva più piacevole la degenza ed il lavoro in quel luogo.

La ragazza lo osservò andar via e rimase ad osservare la sua missiva, fra le sue mani. Era un pacchetto lungo, avvolto in una spessa carta verde scuro. Con dita incerte e tremanti cerco di slacciare il fiocchetto con cui era legato, per poter liberare il contenuto, che si rivelò essere una scatola in velluto blu notte, molto elegante e di fattezza pregiata.

Mentre con un dito assaporava tutta la lunghezza dell'oggetto, pregustandosi il momento in cui avrebbe aperto anche quel piccolo cofanetto, un nodo allo stomaco la colpì in pieno. La sensazione che quel dono, se di quello si trattava, le avrebbe cambiato l'esistenza l'aveva avvolta mentre si accingeva a slegare il pacchetto dalla zampa di quel gufo, che le sembrava piuttosto familiare.

La aprì con mano tremante e con trepidante attesa, desiderosa di scoprirne il contenuto ed al tempo stesso, timorosa di svelarne il segreto. Il contenuto di quel piccolo scrigno si rivelò esser un braccialetto in fine argento, con intarsiate quelle che parevano essere le spire di un serpente. L'occhio dell'animale era un piccolissimo smeraldo verde cupo, e la bocca spalancata accoglieva la coda dell'essere, che fungeva anche da fermaglio per l'apertura dell'oggetto.

Le ricordava moltissimo la collana appartenuta a sua madre, anche se, probabilmente, quell'oggetto era molto più prezioso. Il metallo di cui era composto sembrava risplendere di luce propria, doveva essere stato forgiato da un gioielliere molto capace e, sicuramente, molto costoso. Era simile alle famose lavorazioni dei folletti. E la pietra, seppur molto piccola, era incastonata in modo perfetto tanto da parere un tutt'uno con l'argento. Era certamente un oggetto di splendida fattura e meraviglioso alla vista. Importante perché di valore alto, ma di un'eleganza sopraffina.

Non vi era alcun biglietto, ne altro all'interno della scatolina, ma non dovette riflettere a lungo per avere la certezza di chi fosse l'autore di quel dono inaspettato. In pochi potevano permettersi un oggetto come quello, soprattutto alla loro età. E solo uno le avrebbe fatto un dono così prezioso.

Un dono inaspettato, perché certamente non avrebbe immaginato che lui potesse farle un regalo così importante ed oltre tutto senza alcun motivo apparente. Forse, a modo suo, le stava chiedendo scusa, per averla aggredita il giorno prima. Ancora ne portava i segni sul collo.

Inconsciamente la sua mano andò verso quei lividi, che ancora le dolevano un po'.

“Sono solo dei lividi, cara”, madama Pomfrey doveva aver colto il suo gesto, “spariranno in un paio di giorni. Probabilmente te li sei causata quando sei scivolata nel lago. Non escludo che sia stata una delle tue amiche a provocarli, quando ti hanno afferrata per portarti fuori”.

Sorrise all'affermazione della donna, felice solo che nessuno si fosse posta il problema di come si era realmente causata quei lividi, perché proprio non aveva intenzione di spiegarne la provenienza a nessuno.

 

20 giugno 1994

 

Morgana era stata dimessa dall'infermeria da diversi giorni e le sue giornate si svolgevano lentamente fra ozio e chiacchiere con le amiche sulle rive del lago. La fine della scuola era vicina e con essa la sua depressione. Si sentiva sempre più nostalgica prima di tornare a casa, sempre che così potesse definirsi. Alla fine l'unica vera casa che aveva conosciuto era Hogwarts. Il convento in cui era cresciuta non era altro che una sorta di luogo di villeggiatura estivo per lei.

Da quando aveva scoperto, due anni prima, di appartenere ad un mondo diverso e di essere, in qualche modo, speciale, si era sentita viva come mai prima di allora. Ricordava ancora il primo giorno di scuola, l'amicizia iniziata e cresciuta con Ginevra e Luna, con loro, l'estate trascorsa con Draco ed il senso di appartenenza che aveva percepito in quell'abitazione, seppur con l'astio di Lucius Malfoy, il ritorno a scuola, le serpi che aveva imparato ad apprezzare in quel viaggio in treno, che sembrava ormai lontano un secolo, l'anno pieno di novità, di scoperte e persino di odio, che aveva appena finito. Tutto quanto le stava passando per la mente quel pomeriggio, mentre sdraiata sulla riva del lago, coi piedi immersi nell'acqua gelida ed un mano (sulla quale spiccava un piccolo monile prezioso) a coprirle gli occhi.

C'era una sola sensazione che non riusciva ad abbandonare in quegli ultimi giorni prima della fine della scuola, come se avesse dimenticato qualcosa, come se ci fosse qualcosa di fondamentale che le era sfuggito e che, seppur con tutto il suo impegno, non riusciva proprio a riafferrare.

Era persa in quel senso di mancanza con cui ormai stava imparando a convivere, quando il rumore di una rivista caduta di fianco al suo orecchio, la riscosse dai propri pensieri e la costrinse a riaprire gli occhi per guardarsi intorno. Era quasi l'ora di cena, pertanto intorno a lei, non c'era quasi nessuno.

Di fianco a lei vi era effettivamente una copia della gazzetta del profeta e due gambe che si rivelarono appartenere al serpeverde per eccellenza.

“Malfoy, come mai sei da queste parti? E senza la tua combricola velenosa. Ti sei perso?”, non avevano avuto modo di confrontarsi dopo lo scontro di qualche settimana prima.

Il ragazzo, senza risponderle, si sedette di fianco a lei, con la sua solita eleganza ai limiti del trascendetale. Convinta che non fosse mai un bene guardare un Malfoy dal basso (non troppo per lo meno), si mise seduta anche lei ed afferrò il giornale che il ragazzo le aveva, per così dire, passato.

Prima di leggerlo, si soffermò ad osservare lui, che, invece, stava fissando lo scintillio del tramonto sulle acque del lago.

Preso atto che da lui non avrebbe ottenuto nulla, neanche uno sguardo, e sicuramente non una spiegazione, si decise ad osservare il giornale, pensando di dover faticare per comprendere cosa le volesse mostrare. Per una volta si ritrovò a pensare che non aveva mai sbagliato così tanto a comprendere le ragioni di quel ragazzo. Il titolone in prima pagina era inequivocabile.

 

AVVISTATO: IL FAMIGERATO PLURIOMICIDA SI SPOSTA A SUD.

Nella giornata di ieri sono stati tre gli avvistamenti del famigerato pluriomicida Sirius Black, che, solo la scorsa estate era fuggito dalla prigione di massima sicurezza di Azkaban, dopo ben dodici anni di reclusione, a causa della sua affiliazione con il mago oscuro, noto con il nome di Colui-che-non-deve-essere-nominato.

Il fuggitivo, che verso la fine dello scorso anno, era stato avvistato ad Hogsmeade (villaggio di maghi che si trova nei pressi della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts), ha deciso di spostarsi verso sud.

Due sono stati gli avvistamenti del pluriomicida segnalati nelle ultime due settimane: il primo a Weymounth (piccola cittadina nei a sud di Londra) ed il secondo, solo ieri, nel porto di Plymouth.

Il Ministro della Magia, Cornelius Fudge, ha deciso, pertanto, di allontanare le guardie di Azkaban che erano state poste a presidio della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, anche a causa della pericolosità delle stesse che, solo poche settimane fa, hanno aggredito degli studenti che si trovavano nel parco del castello.

 

Rimase a lungo ad osservare la foto in prima pagina. Il viso dell'uomo che aveva imparato a conoscere e ad odiare negli ultimi anni. Sirius Black era la causa della morte dei suoi genitori, eppure scoprire che si era allontanato dal territorio della scuola la faceva sentire stranamente vuota, come se una delle sue ragioni di vita fosse, improvvisamente, svanita.

A lungo restarono in silenzio, entrambi persi nei loro pensieri, entrambi consapevoli della vicinanza dell'altro e della sua presenza imponente. Rimasero in silenzio, perché probabilmente le cose da dire sarebbero state troppe, ma il tempo per farlo non c'era. Rimasero in silenzio, perché timorosi che una sola parola sbagliata avrebbe potuto rovinare un momento che, per qualche strana ragione, serviva ad ognuno di loro. Perché stavano bene insieme. Almeno sinché rimanevano da soli e magari in silenzio. Erano consapevoli, ognuno a modo proprio, che solo la presenza dell'altro concedeva loro la possibilità di respirare. Eppure lei sentiva ancora le mani gelide di lui sul collo e lui percepiva ancora lo schiaffo della ragazza sulla guancia. Due ferite che, purtroppo, non erano in grado di rimarginarsi da sole.

“Fierobecco non è stato ucciso. Pare che Sirius Black si sia allontanato dal territorio della scuola con lui”, la sua frase ad un ascoltatore ingenuo poteva anche sembrare una semplice costatazione, senza alcuna motivazione logica, ma per lei, che sapeva, aveva il suono agrodolce di una richiesta di perdono malcelata.

“Il tuo dono è splendido”, dicendolo sfiorò con le piccole dita paffute (simbolo della sua tenera età ancora evidente), il braccialetto d'argento che da quando le era stato donato, non aveva mai tolto dall'esile polso.

“L'ho fatto fare sulla scorta di un mio disegno abbozzato dal gioielliere di fiducia della mia famiglia. Utilizza tecniche molto simili a quelle elfiche, ma senza le conseguenze spiacevoli che porta comprare un oggetto prezioso da quegli esseri”. Si sorprese nel non sentire neanche una punta di disprezzo in quelle parole, ma la semplice costatazione di chi è abituato, da sempre, a considerare gli elfi esseri inferiori, senza chiedersi mai veramente se lo siano davvero o meno.

Non le diede modo di risponde, che si era già alzato in piedi ed allontanato di qualche passo. Prima di sparire, così com'era venuto, lo udì, quasi in un sussurro, pronunciare le parole che l'avrebbero tormentata per tutta l'estate: “per quel che vale, forse nulla, io avevo chiesto a mio padre di risparmiare quell'animale”.

Lei, invece, aveva dato per scontato che lui avesse lottato per vederlo morire, senza curarsi della vita di un essere innocente e, cosa ancor più grave, non gli aveva chiesto di spiegarsi e non gli aveva dato modo di giustificarsi.

Cadde di nuovo sdraiata sul prato, senza la forza di alzarsi e con gli occhi chiusi, nel vano tentativo di trattenere una lacrima solitaria che le scese lungo la guancia lasciando un solco rovente.

 

La trovarono così, dopo quasi due ore, le sue migliori amiche. Ferma in quella posizione. Immobile in una posa innaturale e forzata.

“Morgana? Ti senti bene”, la voce di Ginevra la colse impreparata. Non si era accorta fosse così tardi, “ci siamo preoccupate non vedendoti arrivare a cena”.

“Sto bene”, si rese conto persino lei stessa che la sua voce era innaturale e le sue parole poco credibili, ma non aveva la forza di impegnarsi a mentire.

“Non si direbbe”, Luna non poteva certo farsi ingannare dalle sue parole.

“Avete mai la sensazione che la vostra vita scorra su un binario, come un treno ad alta velocità, e che sapete di doverla fermare e di dover fare qualcosa per impedire lo schianto, ma non riuscite a far nulla?”, le due ragazze la guardavano confuse, ed anche un po' preoccupate per lei. Si alzò in piedi, per poterle guardare negli occhi, prima di proseguire, “sono destinata a schiantarmi contro un muro e nulla di ciò che io faccio può impedirlo”.

“Sei solo triste e nostalgica perché stiamo per tornare a casa ed il nostro secondo anno in questa scuola è ormai finito”, il sorriso di Luna di solito riusciva a farle tornare un po' di buon umore, ma quella sera sembrava aver perso tutto il proprio potere.

“Ti tiro su io di morale. Qualche giorno fa ho scritto a mia madre e proprio oggi è arrivata la risposta”, ora era lei a guardare l'amica confusa.

“Che cosa le hai scritto? E soprattutto... tutto ciò come potrebbe tirarmi su di morale?”.

“Beh. Ho chiesto a mamma di ospitarti per le vacanze estive e lei ha acconsentito...”, alle parole dell'amica la sua bocca si aprì leggermente.

“Vuoi dire che non devo tornare all'orfanotrofio?”, almeno qualcosa di buono da quella proposta ne sarebbe venuto fuori.

“Neanche per un giorno. Hanno già avvisato le suore che non rientrerai”, il sorriso radioso della rossa riuscì a far distendere leggermente anche i suoi lineamenti. Ed era con un viso più rilassato che si stava dirigendo verso la scuola, sperando di trovare ancora qualcosa di commestibile.

“Dovrò sopportare tuo fratello per tutta l'estate”, al suo borbottio le amiche risposero con delle risatine decisamente poco incoraggianti, “ti rendi conto, vero, che sarà praticamente impossibile che uno dei due non ne esca decisamente malconcio? E che se sarò educata con lui sarà solo per rispetto nei confronti dei tuoi genitori?”.

“Se sarai educata con chi?”, la conferma a quel vecchio detto babbano che aveva sentito spesso dalle suore (quando parli del diavolo, spuntano le corna), l'ebbe per l'ennesima volta quel giorno, quando venne raggiunta dalla voce del grifondoro, che lei proprio non poteva tollerare.

“Con te, fratellino”, l'intervento di Ginevra fu provvidenziale. Non sarebbe stato carino iniziare le vacanze con una rissa, “Ho chiesto alla mamma di poter invitare Morgana a casa nostra per l'estate e lei ha accettato. Partirà con noi subito dopo la scuola”.

Alle parole della ragazza il rosso rimase imbambolato, e con uno sguardo decisamente sconvolto. Era come se gli avessero detto che il Natale, quell'anno, era stato cancellato e che avrebbe dovuto frequentare un anno in più di scuola.

“Tra l'altro stavo giusto per avvisarla dell'altra novità”.

“Quale novità?”, ed ovviamente i mali non vengono mai da soli. Si era chiesta dove fosse finita la sanguesporco e come mai non fosse incollata al suo fido compare.

“Ma come? Mio fratello non vi ha avvisati?”, Hermione ed Harry, anche lui appena comparso, si voltarono in direzione del terzo ragazzo del trio, nella muta proposizione del quesito, “uff... faccio io!”, non che a Ginevra sembrò dispiacere essere lei a dare la notizia,”quest'anno la finale della coppa del mondo di Quidditch si terrà in Inghilterra e papà ha già comprato i biglietti per tutti quanti. Sarà una settimana prima dell'inizio della scuola. Non vedo l'ora!”.

Per qualche strano motivo Morgana non riuscì a condividere appieno l'eccitazione dell'amica, “la coppa del mondo di Quidditch?”, una parte di lei sperò vivamente che il nome dello sport magico per eccellenza fosse solo un appellativo strano per qualche evento innocuo che, ovviamente, non prevedesse l'uso di una scopa.

“Ovviamente, è la più importante competizione magica di Quidditch. Vi partecipano tutte le nazioni mondiali. E quest'anno l'Irlanda è la favorita”.

“Che bello”, il suo tono ironico sarebbe stato evidente anche se si fosse impegnata a fingere di trovare eccitante la possibilità di assistere ad una partita dello sport che più di tutti detestava. Lei che, tra l'altro, non riusciva a stare a cavallo di una scopa per più di quindici minuti e sotto la stretta sorveglianza di un professore.

“Sarà divertente incontrarci tutti per la competizione dell'anno... quindi tuo padre ha messo all'asta la vostra catapecchia per comprarsi i biglietti”, quando ormai si era convinta di aver toccato il fondo dovette ricredersi. Ci mancava solo Draco Malfoy e la sua cricca di serpeverde per alleggerire la tensione.

“Perché non ti tappi quella tua stupida boccaccia, Malfoy?”, lo vide nello sguardo che rivolse al fratello. Vide chiaramente quella scintilla di perfidia e si ritrovò a pensare che sarebbe stato meglio andarsene subito. Scomparire, eclissarsi. Invece rimase ferma, a pochi passi da Harry, guardando, come vedendolo al rallentatore il biondo avvicinarsi al moro, guardandolo fisso negli occhi. Lo vide sorpassare il ragazzo, avvicinarsi a lei. Sentì la mano gelida di lui posarsi suo fianco, mentre i suoi occhi si posavano sui loro gemelli di smeraldo. Il viso del biondo si accostò al suo, tanto da sentire i capelli di lui sfiorarle la guancia ed il suo respiro accarezzarle l'orecchio.

Il sussurro dell'altro, così flebile da sembrar detto per essere udito solo da lei, ma potente come un tuono nel silenzio dell'ingresso, “se dovessi decidere che ti senti troppo stretta a dormire nella stessa stanza con tutta la ciurma dei Weasley, ricordati che la tua camera al Manor è rimasta come l'hai lasciata l'estate scorsa. Solo le lenzuola di seta blu del tuo letto, sono state sicuramente lavate dai miei elfi e rimesse al loro posto”, il modo in cui aveva calcato sulle parole tua e tuo, le aveva gelato il sangue.

Era così evidente la sua intenzione di lasciar intendere qualcosa che, in realtà, sapevano entrambi non essere accaduto. Lo vide allontanarsi da lei e rimase immobile a contemplare lo sguardo di suo fratello ed i sentimenti susseguirsi veloci nei suoi occhi: sconcerto, confusione, consapevolezza, rabbia.

Vide il momento in cui le parole del serpeverde si impressero nella sua anima, instillando in lui il dubbio che quel fragile rapporto che avevano creato non era costruito su nulla di più che sulla menzogna.

E lei, anche volendo, non avrebbe potuto negare, perché veramente gli aveva taciuto di aver passato l'estate con il suo acerrimo nemico. E non lo fermò quando lo vide salire le scale infuriato e seguito dai suoi due amici.

Solo diversi minuti più tardi, quando si chiuse le cortine del letto a baldacchino intorno, nella torre di corvonero, si accorse di stringere fra le mani un piccolo giacinto giallo.


 

***

 

Sono terribilmente in ritardo e mi dispiace moltissimo, ma non ho davvero avuto un secondo per finire il capitolo prima di oggi. 
Spero che leggendolo lo apprezzerete e mi perdonerete per avervi fatto attendere. 
Ringrazio tutti coloro che mi leggono e soprattutto chi perde un pò del suo tempo a lasciarmi un commento. A presto!

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Capitolo 33
*** La Tana. ***


La tana.

 

26 giugno 1994

 

La mattina della partenza dalla scuola, Morgana si era svegliata con una strana inquietudine. Il suo baule era pronto, lo aveva preparato la sera prima insieme alle compagne di stanza, per non ritrovarsi a dover rincorrere i propri beni personali in ogni angolo della camera la mattina presto.

Solo il piccolo fiore giallo che le aveva regalato Draco, ancora giaceva immobile sul comodino di fianco al suo letto a baldacchino, monito inconsapevole degli avvenimenti di qualche sera prima.

Non aveva più avuto modo di parlare con Harry, dopo quel che aveva rivelato il serpeverde a lui ed ai suoi amici. Lei lo aveva evitato, tentando in ogni modo di passare meno tempo possibile camminando per i corridoi, aiutata dalla fine delle lezioni, che limitava di molto i suoi obblighi scolastici.

Aveva avuto, però, l'impressione che anche lui la stesse lontano. Un giorno che, per caso, stava percorrendo uno dei lunghi corridoi del terzo piano le era sembrato di intravedere la capigliatura nera e disordinata del fratello in fondo al medesimo ambiente, ma era stata solo una frazione di secondo, dopo di ché era sparito dalla sua visuale e non aveva mai avuto conferma che si trattasse veramente di lui.

Non sarebbe stato facile continuare a stare lontani, soprattutto considerato che avrebbero trascorso parte delle vacanze nel medesimo luogo. Sapeva che suo fratello sarebbe tornato dagli zii solo per qualche giorno, per poi trascorrere il resto dell'estate nella casa di Ron.

Aveva anche pensato di dire a Ginevra che non avrebbe trascorso l'estate con lei, ma non aveva alcuna intenzione di passare altro tempo nel convento presso cui era cresciuta. Non che fossero stati anni infelici, al contrario aveva avuto un'infanzia piuttosto serena. Eppure non era mai riuscita a considerare quel posto la sua casa e le persone che vi vivevano la sua famiglia.

Persa nei suoi pensieri si stava dirigendo verso la sala grande per l'ultimo pasto a scuola, prima della partenza. Le si strinse il cuore al pensiero che la attendevano tre mesi lontani da quel luogo, che, forse, era l'unico che poteva chiamare veramente casa.

“Morgana...”, si sentì chiamare da una voce calda e piena di dolci sentimenti. Si voltò senza sapere cosa, o meglio chi, si sarebbe trovata di fronte. Non riconosceva quel timbro vocale.

Osservò con sconcerto ed un po' di irritazione il bel ragazzo che le si avvicinava sempre di più, con passo sicuro e deciso. I suoi capelli leggermente mossi, gli occhi nocciola che sembravano riscaldare l'ambiente circostante solo osservandolo, il corpo longilineo, ma muscoloso.

Non lo aveva mai osservato a lungo, ma doveva ammettere che oggettivamente si trattava di un bel ragazzo. Non ricordava il suo nome, anche se era sicura che si fosse presentato una volta, qualche mese prima.

“Ciao...”, arrivato a pochi passi da lei, l'aveva salutata, continuando a guardarla negli occhi chiari, “sei sparita dalla circolazione. Da quando è finita la scuola non ti si vedeva più in giro. E pensare che desideravo parlarti...”, lasciò la frase in attesa, quasi sperasse che lei sarebbe intervenuta in quel discorso.

La ragazza, da parte sua, si chiese come mai l'uomo intendesse parlare con lei. Non che si fossero incontrati molte volte, però lui sembrava sempre intenzionato ad avvicinarla. Più di una volta le aveva sorriso, nei corridoi, e lei non aveva mai risposto. Era certa di non avergli mai lasciato intendere di voler approfondire la sua conoscenza, eppure lui sembrava deciso ad avvicinarla.

“Perdonami, ma non mi ricordo il tuo nome”, il suo tono era falsamente gentile, e chiunque si sarebbe accortao che, in realtà, non le dispiaceva affatto.

“Sono Cedric. Cedric Diggory”, l'espressione delusa del suo viso lasciò la ragazzina completamente indifferente. Sapeva di averlo ferito, ed anzi, era proprio quella la sua intenzione. Personalmente lo trovava un inutile scocciatura e davvero non desiderava più averlo attorno. “Ci siamo incontrati, anzi... a dir la verità scontrati, nei sotterranei una volta. Non te lo ricordi?”.

“A dir la verità no”, il suo tono, questa volta, era gelido come il mar glaciale artico in pieno inverno, e sembrò sortire l'effetto sperato, perché lui a quel punto rimase paralizzato e, senza attendere, il disgelo del corpo dell'altro, lei si allontanò dal ragazzo, dirigendosi decisa verso le sue amiche che l'attendevano dinanzi alla porta della sala principale di Hogwarts.

“Stavi parlando con Cedric Diggory?”, gli occhi di Ginevra brillarono inconsapevolmente mentre pronunciava il nome del ragazzo.

“E quindi?”.

“Siamo acide di prima mattina...”, Luna come sempre interveniva coi commenti peggiori, ma facendoli suonare estremamente normali.

“Come – e quindi? -”, Ginevra la osservava come se fosse impazzita, “stiamo parlando di uno dei ragazzi più belli della scuola... è così affascinante”.

“Sarà.... ma a me sembra così scialbo”, lo disse mentre si sedeva al tavolo di corvonero e, nello stesso momento, i suoi occhi andarono a posarsi dove sapevano di trovare occhi di ghiaccio a rispondere al loro tacito saluto.

“Certo... tu sei persa per il principe delle serpi...”, l'insinuazione dell'amica grifondoro la lasciò sbalordita. Non avrebbe mai immaginato che lei potesse pensare una cosa del genere.

“Che cosa stai dicendo?”, si rese conto di essere arrossita violentemente mentre parlava, ma cercò comunque e con tutta la sua dignità di non abbassare lo sguardo.

“Non ti biasimo mica... se non fosse per il fatto che è uno spocchioso, arrogante, bastardo, sarei d'accordo con te. Non solo è un gran figo, ma è davvero affascinante quella sua aura da cavaliere nero. Certo... io non riuscirei a sopportarlo per più di cinque minuti”.

Ancora con le parole dell'amica nella mente, Morgana si diresse, quasi fosse un'automa, verso le carrozze che l'avrebbero portata in stazione. Era combattuta fra l'eccitazione, al pensiero che avrebbe trascorso un'altra estate lontana dall'orfanotrofio in cui era cresciuta ed il disgusto all'idea di dover passare quei giorni con il fratello di Ginevra, che non era mai riuscita a sopportare.

Inoltre le parole delle compagne le avevano lasciato un po' d'amaro in bocca. Come potevano pensare che tra lei e Draco Malfoy ci fosse qualcosa (che poi di cosa si trattasse non lo aveva ancora capito)? E d'avvero Ginevra lo trovava un “gran figo”? Ed ancora, perché al pensiero che lei credesse veramente in quelle parole, il suo stomaco si contorceva dolorosamente?

Salite sul treno si erano rifugiate nel solito scompartimento, loro tre da sole, desiderose di poter trascorrere un po' di tempo insieme tranquille.

“Magari potremmo vederci durante l'estate...”, le parole di Luna la riscossero dai propri pensieri.

“Veramente? Pensi che potremmo, Ginevra?”, per la prima volta da quando si era alzata quella mattina, stava sorridendo sinceramente.

“Certo... Luna e suo padre non abitano molto lontano da noi... e comunque puoi sempre venire con la metropolvere, no?”, all'assenso dell'amica sorrise gioviale anche lei.

“Che cos'è la metropolvere?”, Morgana si sentì un po' sciocca a chiederlo, però effettivamente non sapeva di cosa le amiche stessero discutendo.

“E' un mezzo di trasporto, che permette di muoversi fra le abitazioni di maghi, attraverso il collegamento dei caminetti delle case o di altri luoghi frequentati da maghi”, la spiegazione di Ginevra come al solito la lasciò un po' perplessa. Per l'amica sembrava tutto così semplice e piuttosto normale, ma lei non ci trovava nulla di normale nella decisione di una persona di gettarsi tra le fiamme di un camino acceso, per spostarsi da una parte all'altra del paese.

Concentrata sulle sue riflessioni si era completamente estraniata dai discorsi delle sue amiche, che chiacchieravano allegre e felici, all'idea che presto avrebbero raggiunte le loro famiglie e che avrebbero trascorso con loro i successivi tre mesi, in quasi totale relax e senza il pensiero dei compiti per la scuola da portare a termine.

Il pomeriggio era trascorso lentamente e l'arrivo a Londra colse Morgana di sorpresa. La ragazza si era addormentata scompostamente sul proprio sedile, quando il treno aveva cominciato a rallentare. Con un po' di ansia e qualche dubbio si preparò per scendere e seguire Ginevra che la condusse verso due persone dall'aria gioviale.

L'intera famiglia Weasley poteva tranquillamente comporre una squadra di calcio (sport molto diffuso nel mondo magico). Quando la madre di Ginevra l'accolse con un caloroso abbraccio rispose un po' impacciata a quella manifestazione d'affetto cui non era certamente avvezza.

Anche il sig. Weasley la salutò con un sorriso gentile ed una calorosa stretta di mano. Osservando quel piccolo clan unito e gioioso si ritrovò a pensare che forse, se le cose fossero andate diversamente avrebbe potuto passare anche lei l'infanzia in una famiglia numerosa e felice. Proprio mentre era persa in quei dolci pensieri una mano gentile si appoggiò sulla sua spalla.

“Morgana...”, la voce di suo fratello la colse di sorpresa. Si volse a guardarlo preoccupata. Non si trovavano così vicina da troppo tempo. “Non ci parliamo da giorni...”.

I loro occhi s'incontrarono in un baluginare di luci smeraldine, e per Morgana fu come ritornare a casa, in un ambiente familiare. Il calore che l'avvolse la colse di sorpresa. I suoi occhi si riempirono di lacrime salate, senza che potesse far nulla per evitarlo.

Harry la prese per un braccio, sotto gli occhi attenti di tutta la famiglia Weasley, la maggior parte dei componenti della quale si convinse che fra quei due dovesse esserci stata una storia tenere a travagliata. Solo quando ormai erano lontani da orecchie indiscrete, si convinse ad incatenare nuovamente le sue iridi alle sue. “Stiamo imparando insieme questa cosa. È nuova per tutti e due... e sicuramente non sarà facile. Insomma, credo che sia normale che litighiamo e che ci siano alcune cose che io non so di te e tu non sai di me... praticamente ci conosciamo appena...”, a quel punto, forse consapevole di aver cominciato a farneticare si era interrotto, guardandola negli occhi, quasi implorandola di venirgli incontro, ma senza ottenere alcun cenno di assenso o di comprensione da parte di lei.

Aveva pensato a lungo a quella situazione. Il fatto che lei gli aveva mentito per tutto quel tempo l'aveva fatto sentire tradito. Il rapporto che legava Morgana e Malfoy lo mandava fuori di testa. Non riusciva a capirlo e, sinceramente, non voleva neanche provare a comprenderlo. Una parte di lui temeva che vi fosse qualcosa di troppo forte fra loro e che ne sarebbe uscito sconfitto.

E poi aveva riflettuto a lungo durante quei giorni lontano dalla sorella ed il peso del segreto che sapeva di nasconderle era troppo grande, per riuscire ad ignorarlo. Le avevano tolto un'intera serata di vita e quando lei l'avesse scoperto avrebbe provato la stessa delusione che aveva attanagliato lui quando aveva capito che lei non gli aveva mai rivelato con chi aveva trascorso l'estate precedente.

“Cerchiamo solo di essere tolleranti l'uno verso l'altra, ti va?”, questa volta il tono della sua voce non aveva avuto alcun cenno di tremore o di cedimento.

E mentre quelle parole uscivano dalla sua bocca, le braccia della sorella l'avevano avvolto, incrociandosi dietro la schiena, in un abbraccio che non avevano mai veramente condiviso. La strinse a sé, consapevole che l'ultimo baluardo della sua famiglia era strettamente incastrato fra le sue braccia. Per la prima volta si perse nel profumo dei capelli di Morgana, che lo accolse come il profumo di una famiglia che non aveva mai avuto.

Non vide gli occhi di ghiaccio che gli perforarono la schiena, andando ad incastonarsi con quelli di smeraldo della ragazza. Non lesse nello sguardo di Morgana il desiderio di allontanarsi da lui e correre a rifugiarsi fra quelle altre due braccia, così diverse e così poco ospitali per chiunque. Non vide e non capì che, mentre lui si beava del dolce aroma di casa, qualcun altro si stava facendo una promessa.

A loro non servivano parole, non servivano segni d'affetto, ma quella fu la prima volta in cui capirono entrambi che, qualsiasi cosa avesse rivelato loro il futuro, qualsiasi sfida avrebbero dovuto affrontare, qualsiasi insidia si fosse scontrata col loro cammino, avrebbero sempre potuto contare l'uno sull'altra. Mentre stringeva convulsamente la schiena di suo fratello, consapevole che non avrebbe potuto mai capirla, Morgana stava promettendo a Draco che ci sarebbe sempre stata per lui e, per la prima volta, ebbe anche la conferma che sarebbe valso anche il contrario.

Quant'è amaro il fato, quando fra le braccia della tua famiglia, stai giurando in silenzio fedeltà a colui che dovrebbe solamente essere un tuo nemico?

Con quella domanda in mente i due ragazzi distolsero gli sguardi l'uno dall'altra e continuarono per la loro strada, consapevoli che si sarebbero incontrati molto presto e che, probabilmente, avrebbero dovuto compiere scelte difficili, non per loro, ma per chi si sarebbe dovuto sforzare di capirle.

Harry, inconsapevole di quel muto dialogo prese la sorella per mano e la riaccompagnò dalla famiglia Weasley, che, intanto, non aveva perso un solo momento di quel tenero incontro, convinta di aver capito tutto, ma senza in realtà sapere la verità.

“Bene... Harry caro, temo che dovremo salutarci qua. Tu dovrai andare dai tuoi zii per qualche settimana”, Molly non riuscì a trattenere una smorfia e lo sconcerto all'idea che il ragazzo dovesse passare del tempo con quelle persone che pareva odiare, ma purtroppo il professor Silente era stato irremovibile.

“Comunque verremo a prenderti presto...”, la voce di Ron era flebile e molto dispiaciuta.

“Sopravvivrò finché non arriverete”, il sorriso di Harry parve rassicurare l'amico, “intanto voi cercate di fare i bravi”, a quelle ultime parole, pronunciate appena usciti dalla barriera magica e mentre si dirigeva dagli zii, due smorfie identiche si dipinsero su due volti diversi.

In silenzio Morgana seguì la famiglia che l'avrebbe ospitata sino al paiolo magico e da lì, con la metropolvere, si diressero a casa. Non aveva mai usato prima quel mezzo di trasporto, ma seguendo attentamente le istruzioni di Ginevra non ebbe grosse difficoltà. Con un briciolo d'ansia rimase per un secondo ferma e con le palpebre serrate, prima di aprire gli occhi sulla cucina più strana che avesse mai visto.

Per qualche attimo si guardò intorno stupita e perplessa, chiedendosi se anche le cucine del Malfoy Manor fossero in quel modo. Vi aveva passato un'estate intera, ma non era mai entrata nel regno degli elfi domestici di casa Malfoy. Ebbe comunque la certezza che non potesse essere in alcun modo paragonabile. Le cucine del Manor dovevano assomigliare a quelle di Hogwarts: ordinate ed asettiche. Sicuramente i padroni di casa non avrebbero tollerato nulla di diverso.

La cucina della Tana, invece, era... un disastro. Non c'era altro modo per descriverla. Eppure, incasinata com'era, dava l'aria di essere accogliente e... una casa piena d'amore.

C'erano oggetti che si muovevano da soli, pile di piatti accatastate sui mobili. Riviste e libri di magia ovunque. Un lungo tavolo al centro, che aveva l'aria di essere molto vecchio, ma ben tenuto e pulito. Sorrise guardandosi intorno. Non aveva mai visto sulla del genere. La sua attenzione fu attratta da uno strano orologio sulla parete. Si avvicinò all'oggetto e notò che su ogni lancetta era scritto il nome di uno dei componenti della famiglia Weasley ed in quel momento si mossero tutte insieme per posarsi sulla scritta “Casa”.

“Vieni Morgana... ti mostro la nostra stanza... così ti faccio posare le tue cose”, parlando Ginevra la prese per mano e la trascinò letteralmente su dalle scale, sino ad una porticina in legno, che aprì un po' titubante, su di una stanza che di femminile aveva solo il color pesca sulle pareti.

I muri erano coperti da poster di una squadra femminile di quidditch, il letto matrimoniale che vi era stipato, aveva un copriletto di un cupo color prugna e la mobilia, seppur datata, era veramente ben tenuta ed ordinata. La libreria posta al di sopra della scrivania era piena di manuali di scuola posti in ordine alfabetico per materia.

“Non è molto grande e sicuramente non è lussuosa come quella in cui hai dormito la scorsa estate...”, il rossore sulle guance di Ginevra la colse di sorpresa.

“Ho dormito per quasi tutta la mia vita in un dormitorio con altre dieci bambine... e comunque la tua casa è bellissima e la tua famiglia si vuol bene ed è legata. È l'unica cosa che conta”.

“Però hai sentito cos'ha detto Draco Malfoy. A casa sua c'è sempre la tua stanza pronta...”, sorrise amaramente, poi si volse a guardarla negli occhi e le si avvicinò, “io ho visto”.

“Hai visto cosa?”, decise di ignorare la stretta allo stomaco e di sostenere lo sguardo dell'amica.

“Non prendermi in giro. Ti conosco da due anni ormai. Io ho visto come vi siete guardati prima. Puoi nasconderlo a tutti, ma non a me”.

“Non nascondo nulla a nessuno...”.

“Nascondi la verità, Morgana. Soprattutto a te stessa. E non ti serve a niente. Prima o poi dovrai affrontarla e se non ti sarai preparata sarà solo peggio. Mia madre lo dice sempre: nascondere la testa sotto la sabbia non ti salverà, non da te stessa di sicuro”.

“Sembrate sapere tutti qualcosa che io non so. Perché la verità, Ginevra, è che io non ci capisco niente. Non nascondo la testa sotto la sabbia. Sono sommersa di sabbia sin sopra ai capelli”, quelle ultime parole le aveva pronunciate quasi urlando e l'amica ne era rimasta colpita. Era evidente che quella situazione la stava dilaniando dentro, ma che non riuscisse a vedere una via d'uscita.

“Sembri proprio disperata. Non pensavo lo fossi così tanto”, parlando la rossa si sedette sul letto, facendo cenno all'amica di raggiungerla. Quando furono l'una di fianco all'altra, le prese la mano fra le sue e guardandola negli occhi continuò a parlare, cercando di rassicurarla, “non c'è nulla di male ad essere attratta da lui. Te l'ho già detto una volta. Se non fosse per il fatto che è un Malfoy, io ci farei anche più di un pensierino”.

“Tu non lo conosci. Non hai idea di quel che dici. Non è semplicemente attraente. Lui... lui è l'unica persona con cui posso essere veramente me stessa, senza il timore di venir giudicata. Lui ha visto il peggio di me e non è fuggito. Ed io... io ho visto il peggio di lui, e non riesco ad esserne orripilata”, parlando, non si rese conto di aver avvicinato la mano al collo e del fatto che il suo gesto non era stato perso dall'amica. “Ho passato un mese in casa sua l'anno scorso. E non è come si mostra a scuola. In quei giorni abbiamo condiviso tutto. Siamo stati bene. Lui mi ha salvata... stavo morendo in quell'orfanotrofio. Ero distrutta. Non ha titubato un secondo, ed ha fatto il possibile per farmi uscire da là, seppur consapevole di andar contro a tutto ciò che gli era stato insegnato dalla sua famiglia”, sorrise, amaramente, al ricordo degli avvenimenti dell'anno prima, “con lui è come stare all'inferno ed in paradiso allo stesso tempo”.

“Ne sei innamorata...”, le parole di Ginevra la colsero impreparata. Sapeva che prima o poi l'amica avrebbe posto quella domanda, ma sperava di non doverla mai udire. Come un'ingenua aveva pensato che fingere di non provare nulla potesse cancellare dei sentimenti. Come se nascondersi dietro ad un dito fosse sufficiente. Eppure, se non dici di provare dolore, lo senti lo stesso. Se non guardi il sole, quello splende comunque. Se non vedi la luce, il giorno arriva implacabile.

Lei aveva semplicemente sperato che non porsi quella domanda avrebbe cancellato dal suo cuore ogni dubbio su quello strano sentimento.

“Vorrei saper rispondere, ma non posso. Non ne sono capace. Io non so cosa provo per lui. Non so se si possa definire amore...”, sospirò, tristemente, e a Ginevra parve davvero inconsolabile, “si può amare qualcuno ed odiarlo allo stesso modo?”, pose la domanda quasi più a se stessa che all'amica, ma lesse nei suoi occhi che non poteva darle una risposta.

Rimasero in quella stanza a parlare di altro, come se riempire il silenzio di parole potesse esorcizzare i loro pensieri e nascondere i loro dubbi. Rimasero nascoste dal resto della famiglia, sino a quando non vennero chiamate per la cena.

Ritornare in quella cucina affollata fu quasi un sollievo per Morgana, non riusciva più a restare chiusa in quella piccola stanza con Ginevra, sapendo che, nonostante facesse il possibile per nasconderlo, in realtà in fondo ai suoi occhi leggeva ancora quella domanda che aleggiava infelice sul suo cuore.

I giorni seguenti furono pieni di novità e di serenità, ed aiutarono la ragazza a dimenticare quella conversazione o, per lo meno, a nasconderla in un piccolo e remoto spazio della sua mente. La verità è che non voleva una risposta. Non in quel momento. L'estate era calda e serena e lei desiderava solo godersela. E poi non era un po' troppo giovane per pensare all'amore? Aveva solo tredici anni, infondo, e non era neanche una donna ancora. Aveva tempo per porsi tutte quelle domande. Aveva tempo per disperarsi e per struggersi in un sentimento che non poteva avere soddisfazione.

Preferiva fare lunghe passeggiate nei campi adiacenti alla tana, perdersi in un libro letto sotto ad un albero nel giardino, passare ore ad osservare quei buffi gnomi che cercavano ogni modo possibile per ritornare nelle loro tane, dopo che erano stati brutalmente cacciati. Si sentiva felice. E, nonostante qualche difficoltà iniziale, aveva imparato anche a sopportare Ronald, e persino Hermione, che era arrivata un paio di settimane dopo l'inizio delle vacanze. Avevano trovato un loro equilibrio e quella sera di metà agosto erano tutti seduti in un lungo tavolo in giardino, a godersi l'ottimo cibo della signora Weasley, quando Arthur aveva annunciato l'intenzione di andare a prendere Harry l'indomani. Sorrise felice, aveva voglia di vedere suo fratello, ed il suo attimo di felicità non era passato inosservato.

Era estate e, per quella volta, ogni problema poteva aspettare. Sarebbero state settimane fantastiche anche le seguenti. Finalmente potevano vivere per un po' come una vera famiglia.


 

***

 

Sono assolutamente imperdonabile, lo so... mi dispiace per questo enorme ritardo, ma sono stata molto presa con questioni personali ed in più avevo anche un problema al computer (oggi pubblico dal mio pc nuovo :D). 
Spero comunque che apprezzerete questo capitolo, che tira un pò il punto della situazione sino ad ora.
A presto! Aspetto i vostri commenti numerosi!
 

 

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Capitolo 34
*** Incontri e scontri. ***


Incontri e scontri.

 

21 agosto 1994

 

Quella mattina Morgana si era svegliata con una strana inquietudine, che non aveva compreso appieno. Le ci erano voluti diversi minuti per comprendere che l'ansia che la pervadeva era dovuta solo alla consapevolezza che da lì a poche ore avrebbe rivisto suo fratello.

Si erano salutati tranquillamente dopo quell'incontro alla stazione, ma non poteva certo pensare di aver chiarito le cose. Le sembrava più che altro di aver raggiunto una sorta di tregua, in nome del sangue che li accomunava.

La sera precedente il signor Weasley le aveva chiesto se voleva unirsi a lui ed alcuni dei ragazzi quando sarebbero andati a prendere Harry a casa degli zii. Una parte di lei avrebbe voluto rifiutare quell'invito, l'altra, quella curiosa, quella che desiderava conoscere la zia aveva accettato. Si era pentita subito di quell'assenso, ma ormai non poteva più tornare indietro.

Ed ora era sveglia di prima mattina in una calda domenica d'agosto, ed in ansia. L'idea di vedere per la prima volta alcuni dei pochi parenti di sua madre ancora in vita le procurava uno strano disagio. Inoltre era consapevole del fatto che suo fratello non si trovava affatto bene con loro e questo la faceva sentire ancora peggio. In un certo senso, forse un po' assurdo ed incomprensibile, era come se avere il desiderio di conoscerli, fosse una sorta di tradimento nei confronti di Harry, che avrebbe tanto preferito evitare.

Con quei pensieri ancora in mente ed attenta a non svegliare Ginevra, che aveva scoperto adorava dormire sino a tardi in vacanza, si era diretta in cucina, dove aveva trovato solo i coniugi Weasley intenti a discutere davanti alle loro colazioni.

Non appena aveva fatto il suo ingresso nella piccola stanza affollata, Molly si era precipitata a riempirle il piatto di ogni leccornia preparata personalmente. Ormai aveva capito che l'intento della donna era di farle venire una forte indigestione, perché tentava sempre di imbottirla di cibo, convinta fermamente che la sua magrezza fosse un insulto all'umanità. Inizialmente aveva cercato di farle capire che lei non riusciva ad ingurgitare quella quantità industriale di cibo, ma la donna non l'aveva neanche ascoltata.

“Sei agitata per l'incontro con Harry?”, le parole del sig. Weasley la colsero di sorpresa. Inizialmente aveva pensato che lui fosse a conoscenza del loro rapporto, ma dovette ricredersi presto, quando vide quel luccichio malizioso nei suoi occhi.

“Abbiamo delle questioni in sospeso da risolvere... e temo un po' lo scontro”, sorrise a quell'uomo che la faceva sentire parte della famiglia. Era così strano essere accolta in quel modo da persone che neanche la conoscevano.

Certo anche Narcissa Malfoy era stata molto gentile con lei, l'anno prima, ma era stata una gentilezza cordiale ed educata, almeno inizialmente. Solo col tempo si era trasformata in una sorta di tiepido affetto, quasi materno in certi momenti.

Molly ed Arthur, invece, erano completamente diversi. Sembravano aver deciso di accoglierla come membro permanente di quella loro stramba famigliola, senza porsi alcun problema, senza chiedere, senza remore. Essere amica di una Weasley dava una sorta di lascia passare per entrare in quella che, bonariamente, aveva ormai soprannominato “la gabbia di matti”. Si trovava bene là. C'erano amicizia, affetto, dolcezza, ma anche divertimento, ironia, ed un pizzico di regole, che ovviamente la signora Weasley cercava di far rispettare.

“Vi dispiace se vado a fare una passeggiata? Andremo a prendere Harry alle 17, giusto?”, al cenno di assenso dei coniugi si diresse verso la porta, varcandola con ansia. Aveva bisogno di camminare. Non le sfuggi, però, appena uscita dall'ambiente, la signora Weasley che si lamentava della circostanza che non aveva mangiato quasi nulla.

Adorava il cibo di quella donna, era veramente un'ottima cuoca, ma non era mai stata una gran mangiona. Non era da lei riempirsi di cibo e di leccornie. Lei mangiava per sopravvivere, quel tanto che bastava a farla stare in piedi per il resto della giornata. Era sempre stato così.

Sapeva di essere troppo magra e quello la faceva sentire inadeguata ed anche un po' bruttina talvolta. Le venne in mente l'incontro con Astoria Greengrass, qualche mese prima. Si era sentita così infantile in confronto alle curve ben formate di quella bambina, che sembrava una bambola di porcellana.

Al confronto con le altre ragazze si sentiva sempre inadeguata. Non era bella e non era così sciocca da credere di esserlo. Non si curava neanche di esserlo, ad esser sinceri. I suoi capelli erano un cespuglio nodoso, e non come quelli della Granger. Quelli della grifondoro lo erano per natura, perché erano crespi e folti. I suoi lo erano perché non si curava di tenerli curati. Non era vanitosa. Non lo era mai stata e preferiva di gran lunga l'intelligenza alla bellezza. Solo che quando pensava a tutte quelle ragazze perfette, con le curve al punto giusto e con i capelli sempre in ordine e ben pettinati, lei si sentiva piccola ed indifesa.

Anche Ginevra, che pure non si truccava e non si preoccupava troppo del suo aspetto, era sempre più bella e sempre più donna, coi suoi folti capelli lisci e ramati. Avevano un colore che sapeva ammaliare, come i suoi occhi nocciola, così profondi ed intriganti che più di una volta aveva notato qualche ragazzo perdervisi incantato.

Immersa in quei pensieri non si rese conto che ormai era più di un'ora che camminava e si stava avvicinando ad un villaggio di babbani. Indecisa se proseguire o meno, si fermò qualche minuto ad osservare quel paesaggio quasi medievale. Doveva essere un paese molto antico e, per lo più, ancora manteneva la struttura di una volta. Certo c'erano macchine, semafori ed insegne luminose, però le piccole case erano ancora in pietra e ad un piano e sopra a tutte spiccava il vecchio campanile, come un nonno che veglia sui propri nipoti.

Ansiosa di perdersi nelle vite di altri si spinse sino a percorrere le stradine strette e diroccate di quel luogo. Ancora, qua e là vi erano piccole viuzze che sarebbe stato impossibile imboccare in macchina. Si guardava intorno, meravigliandosi di tutto e di tutti.

“Morgana... sei proprio tu?”, distratta ad osservare quel posto incantato, ci mise qualche minuto prima di accorgersi di essere stata chiamata da qualcuno.

Si volse in tempo per ritrovarsi davanti, nuovamente, quegli occhi d'ambra che la scrutavano con ammirazione, e, cercando di non sembrare sgarbata e sbuffare impertinente, si decise a rispondere al saluto.

“Non pensavo di incontrarti qui, Cedric”, si compiacque con se stessa per la propria abilità, per aver rammentato il nome del ragazzo e per essere riuscita ad evitare di sembrare infastidita dalla presenza di lui. Infondo lui non le aveva fatto nulla di male, solo che lei non riusciva proprio a sopportarlo. Era sempre stata incapace di giudicare in modo ponderato e ragionevole le persone. O le piacevi o ti odiava. Non aveva vie di mezzo.

Suor Anna una volta, dopo averla rimproverata per la propria maleducazione, le aveva detto di ricordare che, oltre al bianco ed al nero, non solo esisteva il grigio, ma anche un'innumerevole serie di altri colori. Ci aveva provato, per anni, ma era inutile. Lei tutti quei colori non riusciva a vederli.

“Non sapevo abitassi da queste parti”.

“Non abito qua. Io sono cresciuta in un orfanotrofio inglese. Sono qui ospite dai Weasley. Stavo solo facendo una passeggiata”.

“Ospite dei Weasley?”, eppure Ginevra ne parlava come di un ragazzo intelligente. Ed allora che bisogno aveva di ripetere ogni frase da lei pronunciata? Non gli rispose neanche, limitandosi ad un leggero cenno del capo, “ma da quanto tempo stai camminando Morgana?”.

La ragazza continuò a guardarlo scetticamente e chiedendosi se fosse davvero necessario impicciarsi così dei fatti suoi.

“Sarà un'oretta più o meno”, cogliendo l'occasione al volo riprese, “ora però devo andare, sai... Molly mi aspetta per pranzo e mi ucciderebbe se facessi tardi”.

“Se torni indietro a piedi non arriverai mai per pranzo...”, lo disse indicandole l'orologio sul campanile. E lei rimase ad osservarlo a lungo chiedendosi se funzionasse bene. Era uscita di casa che non erano neanche le nove ed ora le lancette segnavano le undici e venti del mattino. Possibile che avesse camminato così tanto?

“Vieni con me...”, non le lasciò neanche il tempo di replicare che si era già avviato lungo una di quelle stradine sottili e tortuose. In pochi minuti furono fuori dal villaggio.

“Ehm... Cedric?”, cercò di richiamarlo, ma lui si limitò a voltare il viso per assicurarsi che lo stesse seguendo, “dove mi stai portando?”.

“A casa mia...”, alle paralo del ragazzo lei si bloccò di colpo. Indecisa se continuare o meno a camminare continuò ad osservare il tassorosso, finché lui non si accorse di non essere più seguito e si voltò tornando indietro.

“Da là potrai entrare in uno dei camini e tornare a casa Weasley in tempo per il pranzo. Così la signora Weasley non si preoccuperà e tu non farai tardi...”, la vide ancora scettica, perciò continuò a parlare nel tentativo di rassicurarla e di farsi seguire, “non ho intenzione di aggredirti Morgana. È solo che da qui alla Tana ci vogliono ore. Non riuscirai ad arrivare in tempo altrimenti. Ci vogliono solo pochi minuti per arrivare a casa mia. E ci sono i miei genitori in casa, quindi puoi star tranquilla. Non ho intenzione di attentare alla tua virtù...”, quell'ultima parte la sussurrò guardandola negli occhi, “salvo che non lo voglia anche tu...”, a quel punto la sua mano andò a sfiorarle la guancia, ma quella della ragazza la fermò a poco meno di un centimetro dal suo viso.

“Vengo con te solo perché non voglio che i Weasley si preoccupino. Sono stati molto gentili con me. Non accetterò mai questa tua proposta. Sappilo. Io non sono interessata a te, Cedric. Non so perché per te sia il contrario, visto che ci conosciamo appena, ma non ho intenzione di approfondire la nostra conoscenza”, pronunciò quelle ultime parole tutte d'un fiato, guardandolo negli occhi e sperando che non cambiasse idea e l'accompagnasse comunque a casa sua.

“Ti convincerò prima o poi... ora seguimi”, era più testardo di quel che avrebbe mai immaginato.

Lo aveva seguito, più per timore di far infuriare Molly che per desiderio di assecondarlo. Aveva scoperto che abitava in una bella villetta immersa nella natura ed in un bosco. Elegante ed indice sicuramente di una disponibilità economica non indifferente, ma per qualche ragione le parve scialba e sinonimo di media borghesia desiderosa di mostrare la propria ricchezza.

La casa, ovviamente, non aveva nulla a che fare con Malfoy Manor, ma la sua mente perversa le aveva rimandato immediatamente alla mente l'immagine dell'immenso maniero che, per qualche assurda ragione, le era sembrato meno opulente e più discreto.

Erano due edifici completamente diversi. Draco viveva nel lusso, senza ostentazione, senza necessità di mostrare la propria ricchezza. Era evidente che quel castello era antico e pieno di magia e di tesori, ma che si considerava troppo superiore agli altri per mostrarlo.

Villa Diggory, al contrario, era la classica abitazione di chi non era avvezzo a vivere nel lusso e dopo averlo ottenuto, desiderava in tutti i modi rendere edotti tutti gli altri della portata dei propri possedimenti. I dettagli la rendevano... troppo. Troppo sfarzosa, troppo ricca, troppo evidente.

Entrarono in silenzio e Cedric si diresse verso il salotto. Le aveva detto che i suoi genitori si trovavano in casa, ma nessun adulto era presente in quel momento.

“Immagino tu voglia andar via subito”, aveva pronunciato quelle parole con una sorta di malinconica tristezza nella voce. Non ne capiva le motivazioni, ma Morgana ebbe un fremito a quel suono, quasi di avvertimento.

“Sì, credo sia meglio. Molly si starà già chiedendo dove sono finita.

Cedric le porse un vasetto pieno di polvere volante e prima che lei potesse prenderne un pizzico ed entrare nel camino si avvicinò alla sua guancia e la sfiorò con le labbra.

Non disse nulla, la guardò semplicemente andar via, ma per qualche assurda ragione, quelle labbra scottarono sulla pelle della ragazza per tutto il resto della giornata, quasi l'avesse ustionata col suo respiro.

La sfuriata di Molly l'accolse non appena mise piede all'interno della cucina della Tana. Non era mai stata sgridata, neanche dalle suore del convento in cui era cresciuta. Si sentiva mortificata per il dispiacere che aveva arrecato alla donna, che con tanto affetto l'aveva accolta in casa propria. Era stata sciocca a non rendersi contro del trascorrere del tempo, perciò rimase in silenzio ad aspettare che la donna si sfogasse.

Rimase in silenzio per il resto del pranzo, pronunciando solo le poche parole necessarie per non risultare maleducata e scortese, cercando di ignorare i gemelli Weasley che tentavano in ogni modo di coinvolgerla nelle loro battute e nei loro scherzi, probabilmente anche con l'intenzione di tirarla su di morale.

Dopo pranzo si rifugiò in giardino, sotto un albero e con un libro di pozioni, l'unico che riusciva a farla stare un po' meglio quando era triste. Si perse nella lettura di una pozione complessa, che ancora non avevano imparato, ma di cui stava cercando di memorizzare i passaggi, quando sentì dei passi avvicinarsi.

“Morgana, è tutto a posto?”, il signor Wealsey, col suo viso rubicondo e solare le si era avvicinato ed ora si stava sentendo sul prato accanto a lei.

“Certo, signor Weasley, è tutto a posto”.

“Sai... Molly a volte si arrabbia molto, ma solo perché si preoccupa facilmente. Si è affezionata a te in queste settimane e ti considera come uno dei ragazzi. Ed in più si sente responsabile. Tu le sei stata affidata e non hai dei genitori. Non è cattiva, è solo molto ansiosa”.

“Non penso affatto che sia cattiva. Al contrario, sono certa che avesse ragione. Ho sbagliato. Sarei dovuta stare più attenta e tornare prima. Mi dispiace tanto per averla fatta preoccupare. Non era mia intenzione”.

“Sei una ragazza molto responsabile. Lo sappiamo bene che è stato solo un errore. E siamo felici che tu abbia incontrato il figlio di Amos Diggory e che lui ti abbia aiutata a tornare a casa”, alle parole dell'uomo Morgana avvertì di nuovo quelle labbra calde sulla sua belle, che parve scottare come infuocata. Dovette anche arrossire, perché vide un sorrisino malizioso dipingersi sul viso dell'uomo.

“Ora che ne dici di andare a cambiarti? Così partiamo per andare a prendere Harry? Pensavamo di usare la metropolvere e dobbiamo essere là fra quaranta minuti circa”. Le sorrise di nuovo, questa volta più dolcemente e dopo un lieve cenno d'assenso la ragazza si alzò per seguire l'uomo sino all'interno della Tana dirigendosi poi nella stanza che attualmente divideva oltre che con Ginevra anche con Hermione.

Dopo pochi minuti era tornata di sotto, vestita e pronta per andare insieme al signor Weasley.

“Verranno anche Ronald ed i gemelli, Morgana. Io direi che vado prima io, poi mi seguite voi, va bene?”.

Ad un cenno affermativo di tutti, il signor Weasley buttò un po' di polvere magica nel camino, da cui immediatamente scaturirono delle fiamme verdi, “ho chiesto momentaneamente di collegare il camino con quello della casa degli zii di Harry”, sorrise incoraggiante a tutti prima di sparire nelle fiamme.

Uno dopo l'altro anche gli altri si accinsero a seguirlo. Morgana rimase per ultima, un po' titubante. Non era sicura di voler davvero conoscere la verità sulla sua famiglia. Aspettò qualche minuto prima di seguire gli altri, sempre più incerta ed ansiosa. Quando trovò il coraggio di seguirli si ritrovò catapultata per terra in un salotto che aveva l'aria di essere stato oggetto della seconda guerra mondiale. Vi erano calcinacci ovunque ed un gran polverone ancora riempiva l'aria.

“Ehm... abbiamo dovuto far scoppiare la parete, perché il caminetto era murato”, le parole di George le arrivarono come un sussurro, mentre il ragazzo l'aiutava ad alzarsi dal pavimento, sul quale era ancora accovacciata.

Ancora sbalordita ed un po' frastornata, non appena si fu rimessa in piedi, decide di guardarsi intorno. Individuò immediatamente gli occhi del fratello, che, sorridendo la raggiunse e l'avvolse in un caldo abbraccio.

Da sopra le spalle del fratello vide il viso di quella che doveva essere sua zia contrarsi in una smorfia di disgusto. I loro occhi s'incontrarono e, per un momento, ebbe la netta impressione che quella donna l'avesse in qualche modo riconosciuta.

Harry la prese per mano, e senza darle il tempo di pensare si avvicinò al centro della stanza e si rivolse ai tre babbani che li fissavano tra il terrorizzato e l'orripilato.

“So che non te ne frega assolutamente, zia Petunia, però volevo presentarti Morgana...”.

“Se pensi che ci importi qualcosa della tua fidanzatina deviata sbagli di grosso, ragazzo...”, l'uomo che era intervenuto (il marito di sua zia sicuramente), sembrava un tricheco con i baffoni. Era disgustoso, grasso e sudaticcio, ma la ragazza dovette metterci tutta se stessa per non prenderlo a calci... o peggio.

Sentiva la magia che cercava di scoppiare fuori dal suo corpo, ma non poteva lasciarla andare. Non poteva permettersi di farsi scalfire da quelle persone.

“Non è la sua fidanzata, giusto?”, l'intervento della zia colse anche Harry di sorpresa. Non si aspettava che lei avrebbe detto qualcosa. Pensava che non si sarebbe minimamente preoccupato di dargli retta. Invece sembrava quasi interessata.

Tutti i Weasley, intanto, seguivano la scena senza perdersi un solo attimo di quello che, a tutti, seppur inconsapevoli, sembrava un momento degno di nota e da ricordare a lungo negli anni seguenti.

“No, zia... Morgana è mia sorella. È figlia di tua sorella...”, se si era aspettato una qualche reazione da parte della donna si era sbagliato di grosso. In compenso il momento di panico seguente fu quasi comico.

Zio Vernon proruppe in un'esclamazione decisamente poco elegante e che sarebbe meglio non ripetere, Duddly cadde a terra, come un sacco di patate, guardando la cugina sconvolto, i tre Weasley (quelli che non conoscevano la verità) guardavano la ragazza con occhi fuori dalle orbite.

“Somigli molto a tuo padre...”, le parole della donna, atono, senza alcuna inclinazione, furono quasi inudibili nel caos della stanza. Morgana volse lo sguardo verso la donna, guardandola negli occhi, cercando di scorgervi qualche altro commento, ma non ebbe null'altro da lei.

La baraonda venne solo amplificata dal fatto che al cugino intanto era spuntata un'orribile lingua viola e nei minuti successivi non ci fu più modo di parlare, anche se probabilmente non avrebbe ottenuto altro dalla donna.

Eppure quelle poche parole le risuonarono in mente anche mentre, su richiesta del signor Weasley, si infilava nel camino, per ritornare a casa. Era sempre stata convinta che quello somigliante al padre fosse Harry. Lei da quando si era scoperta membro della sua famiglia, in realtà, aveva pensato di essere completamente diversa da tutti loro, se non per gli occhi identici a quelli della madre e del fratello.

Ritornare alla Tana fu un sollievo. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto entrare in quella casa. Infondo le persone che l'abitavano era, in qualche modo, la sua famiglia. Eppure erano stati attimi difficili. E se non fosse stato per quel fratello che ormai aveva imparato ad amare, probabilmente, non avrebbe desiderato conoscere la famiglia di sua madre.

“E' vero?”, George si era voltata a guardare lei ed Harry non appena avevano fatto ritorno a casa. Ed ora continuava ad osservarli attento, come il fratello di fianco a lui.

“E' vero cosa? Ragazzi che succede?”, l'intervento della signora Weasley permise a Morgana di staccare le iridi da quelle del ragazzo che continuavano ad osservarla insistenti.

“Morgana non è la fidanzatina di Harry... almeno questo è un sollievo”, Fred era intervenuto per placare la curiosità della madre.

“Che significa che è un sollievo?”, suo fratello, probabilmente fraintendendo le parole del ragazzo, era subito passato in assetto da guerra e fissava minaccioso i due ragazzi.

“A giudicare dal suo atteggiamento direi che è vero George!”, Fred non aveva perso tempo per deridere l'amico.

“Amico... da fratello... a fratello... dovresti tener d'occhio quel damerino di tassorosso!”, alle parole del gemello Morgana era arrossita violentemente. Ci mancava solo che insinuassero nella testa del fratello certe sciocchezze.

“Di chi stai parlando?”, ovviamente lo sguardo assassino di Harry non si fece attendere ed il ragazzo si voltò repentinamente verso la sorella, chiedendo tacite spiegazioni.

“Parla di Cedric Diggory... ma sta solo esagerando. Tra noi non c'è assolutamente nulla...”.

“Come no... certo... proprio nulla”, ovviamente mancava solo la sua migliore amica. O per lo meno lei si spacciava per tale, perché in quel momento avrebbe desiderato solo prenderla a schiaffi. Lei cercava di tenere a bada la tigre infuriata che aveva davanti e Ginevra decideva di peggiorare la situazione.

“Non vedo come la cosa possa interessare ad Harry, ragazzi. Certo, Morgana è ancora una bambina e non dovrebbe avere interesse per alcun ragazzo, soprattutto uno più grande, come il figlio di Amos”, parlando Molly si era voltata a guardarla, quasi desiderasse ammonirla per un comportamento sbagliato, che, in realtà lei non riteneva di aver tenuto, “in ogni caso se tra lei ed Harry non c'è una relazione affettiva, non vedo come la cosa possa riguardarlo”.

Arthur Weasley era arrivato giusto in tempo per ascoltare le parole sagge, seppur errate in quel contesto, della moglie, e, continuando ad osservare i due ragazzi, entrambi evidentemente imbarazzati, aveva deciso di intervenire, per chiarire la situazione.

“Pare, Molly cara... che, in effetti, Morgana abbia una relazione affettiva con Harry. Solo che non del tipo che immaginavamo noi”, allo sguardo sconcertato della moglie rispose con pochi e semplici parole, “sono fratello e sorella”.

Lo sguardo della signora Weasley rispecchiò a pieno quello dei figli e del marito poco prima. Guardava i due ragazzi allibita e sconcertata, come se li vedesse per la prima volta e desiderasse cercare conferma di quanto detto dal marito nei loro visi. Il suo sguardo si fermò, implacabile, sulle iridi identiche dei due ragazzi, che non potevano mentire in relazione al rapporto esistente fra essi.

Al sorriso della donna Harry si sentì sollevato da un peso che, sino a quel momento, non aveva immaginato di avere. Non desiderava nascondere la sua parentela con Morgana con nessuno, ma soprattutto non tollerava di farlo con quella che per lui, ormai, era divenuta una famiglia a tutti gli effetti.

Si lasciò abbracciare dalla donna, commossa dalla novità ed osservò questa stringere fra le braccia anche un'impacciata Morgana che, ancora, faticava a comprendere come, una persona che neanche la conosceva, potesse essere così affettuosa con lei. 


 

***


 

Capitolo nuovo, per farmi perdonare della mia assenza in questo periodo. Il nuovo computer mi fa scrivere molto più velocemente, quindi spero di aggiornare presto.
Attendo come sempre i vostri commenti.

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Capitolo 35
*** La coppa del Mondo di Quidditch. ***


La coppa del Mondo di Quidditch.

 

22 agosto 1994

 

La mattina seguente dovettero alzarsi prima dell'alba, per dirigersi verso il luogo di ritrovo per i maghi della zona che desideravano recarsi alla coppa del mondo di Quidditch. Il signor Weasley aveva loro spiegato che, trattandosi di un evento di fama mondiale, il Ministero aveva dovuto trovare un luogo adatto ad ospitare migliaia di maghi senza che il mondo babbano avesse alcun settore della loro presenza. Ci stavano lavorando ormai da mesi ed, a sentir l'uomo, era stato un lavoro difficile che aveva coinvolto molti degli uffici del governo magico.

Morgana sorrideva felice mentre, insieme ad Harry, Ron, Hermione e Ginny seguiva il capo famiglia in una lunga passeggiata in mezzo a prati e boschi.

“Si può sapere perché stai sorridendo?”, il brontolio assonnato del fratello ebbe il solo effetto di farla ridere, “a te neanche piace il Quidditch”.

“No. In effetti non mi piace per nulla, però cerco di cogliere almeno il meglio che questa gita mi riserva”.

“E quale sarebbe il meglio?”.

“Ovviamente questa passeggiata, Ronald!”.

“Harry lo sai che tua sorella è pazza, vero?”.

“Sorella?”, come al solito quel ragazzo riusciva ad arrivare nei momenti meno opportuni ed ad intervenire con le affermazioni più stupide. Con un sono sospiro Morgana si volse a guardarlo. Di fianco a lui un uomo che non poteva che essere suo padre, osservava il gruppetto con un sorriso bonario.

“Amos!”, il saluto gioviale del signor Weasley interruppe i pensieri della ragazza, che stava facendo il possibile per trattenersi dal rispondere male a Cedric.

Mentre i due adulti discutevano tra di loro, la ragazza si ritrovò nel mezzo di un accesa guerra di sguardi, fra suo fratello ed il nuovo arrivato. Quando il tassorosso di avvicino per salutarla, fece istintivamente un passo indietro.

“Perdonami. Non intendevo metterti in imbarazzo. Davanti a tuo fratello soprattutto”.

“Diggory, noi non siamo amici, ma neanche nemici... però se ti avvicini a mia sorella, ti faccio pentire di essere nato”, il sibilo strozzato di Harry fu udibile solo a loro tre, ma sembrò sufficiente a frenare il ragazzo, che con una lieve alzata di spalle si allontanò dal gruppetto per ritornare di fianco al padre.

Il gruppo, ora più numeroso, riprese il cammino verso la metà, ai più sconosciuta. Prima di riuscire a fare anche solo pochi passi verso gli altri, Morgana avvertì la presa di suo fratello sul polso. La mano di Harry stringeva forte sulla sua pelle delicata.

“Che cosa stai facendo?”.

“Io non faccio nulla, Harry. E lui che continua ad avvicinarsi a me e a cercare in tutti i modi di parlarmi... io non lo sopporto neanche!”.

“Hai delle pessime amicizie...”, il grugnito del fratello la fece infuriare.

“Senti chi parla!”, con quelle poche parole si allontanò dal ragazzo senza dargli il tempo di pronunciare anche solo un'altra sillaba.

Camminarono ancora a lungo, senza rivolgersi alcuna parola, un po' perché la strada diveniva sempre più impervia e difficoltosa, un po' perché la tensione era ormai palpabile nel piccolo gruppo variegato. In molti avevano capito che doveva esserci stato un litigio familiare, perché i due ragazzi stavano alla massima distanza possibile.

Dopo l'ultimo sforzo per giungere in cima, si trovarono tutti intorno ad un vecchio e logoro stivale, che, a detta del sig. Weasley avrebbe dovuto fungere da passaporta e trasportarli vicino al luogo in cui si sarebbe tenuta la coppa del mondo. La sensazione provocata da quell'oggetto nel momento in cui si attivò fu orribile, Morgana si sentì risucchiare e schiacciare in un ambiente fin troppo piccolo e stretto.

Ebbe la sensazione, seppur per una frazione di secondo, che sarebbe morta soffocata e che non avrebbe mai più rivisto la luce del sole. Stranamente in quel momento ebbe la chiara visione di un mare in tempesta. Ci mise qualche attimo per capire di non essere più schiacciata nel nulla, ma di trovarsi seduta su di un prato, tentanto, con difficoltà, di riprendere a respirare. Aprire gli occhi, che per qualche assurdo motivo, aveva chiuso, le costò moltissimo. Il sole, ormai alto in cielo, seppur era ancora molto presto, sembrò ferirle le iridi, che si erano adattare in fretta al buio completo.

Riuscì ad alzarsi grazie all'aiuto di Harry, che le porgeva la mano, dimentico di tutto quel che si erano detti poco prima.

“Ti senti bene?”, al suo cenno d'assenso il ragazzo parve rassicurato.

“La prima volta è sempre la più terribile. Non sai cosa ti aspetta e come reagire. Vedrete che tutte le altre saranno migliori”, al suono di quelle parole, la ragazza non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto, che fece sorridere bonariamente il patriarca. Ricordava ancora il suo primo viaggio con una passaporta, era stato orribile. Ed aveva giurato che non ne avrebbe mai più utilizzata una. Ovviamente quel giuramento era durato poco e solo pochi mesi dopo si era ritrovato, nuovamente, ad utilizzare il medesimo mezzo di trasporto.

“Dovete spostarvi. Ne arriverà un'altra fra poco”, a chieder loro di muoversi era stato un uomo sulla quarantina, con un'aria molto professionale. Morgana si allontanò dal luogo in cui erano giunti, seguendo gli altri.

Poco tempo dopo dovettero salutare Cedric e suo padre, con suo enorme sollievo e si diressero lungo un sentiero sterrato verso l'ingresso di quello che doveva essere un campeggio babbano. Harry dovette aiutare il signor Weasley a pagare l'ometto che si trovava all'ingresso e che, probabilmente, era il gestore del luogo. Dopo di ché si diressero tutti insieme verso la loro piazzola.

Morgana dovette trattenersi dal ridere, quando l'uomo cominciò a sembrare un bambino dinanzi ad un negozio di dolciumi solo perché ebbe la possibilità di montare le tende senza l'uso della magia o di accendere il fuoco con i fiammiferi.

Rimase ad aiutarlo, mentre Harry, Ron ed Hermione si allontanarono per andare a prendere dell'acqua per il pranzo. Aveva il timore, molto probabilmente fondato, che se lasciato da solo sarebbe riuscito a creare qualche casino.

La giornata proseguì fra chiacchiere con membri del ministero, alcuni a detta di Ron anche piuttosto famosi. L'eccitazione generale venne alimentata dalla comparsa di un uomo corpulento e leggermente sovrappeso, il quale indossava una divisa da Quidditch nera e gialla.

Non ricordava il nome, ma venne presentato come un noto giocatore di una qualche famosa squadra inglese. Ex giocatore ad esser sinceri. Il che spiegava come mai ora fosse decisamente fuori forma e sicuramente poco atletico.

Stanca di rimanere immobile dinanzi alla folla e di tutto quel trambusto convinse il signor Weasley a lasciar andare lei e Ginevra a fare una passeggiata in mezzo alla folla di tende, con la promessa che sarebbero tornate al più per le cinque di quel pomeriggio, in modo tale da avere tutto il tempo di prepararsi e recarsi allo stadio.

Camminarono per qualche minuto in silenzio, troppo intente ad osservare le tende che si ergevano fiere nelle diverse postazioni. Molte erano per lo più tende normali, il cui interno era stato modificato con la magia per essere più confortevole ed adeguarsi alle esigenze di chi le abitava.

Altre erano costruzioni così bizzarre che, ovviamente, non potevano essere che magiche. Morgana si chiese come potesse, il ministero, tollerare la presenza di costruzioni evidentemente non babbane, visto che, seppur gli ospiti fossero solo magici, i gestori dei campeggi non lo erano certamente.

“Guarda quella tenda!”, l'amica la riscosse dai propri pensieri indicandole una delle tante tende che non sarebbero potute passare per babbane. Non era particolarmente grande, non molto di più di alcune di quelle che si trovavano in commercio nei negozi non magici.

Era di un acceso giallo limone (e già questo poteva sembrare un po' strano), ma era la grande luna che si ergeva in cima alla tenda ad essere, evidentemente, fuori luogo.

“Dev'essere la tenda del padre di Luna”, Ginevra parve convinta di quell'affermazione e Morgana si chiese se non stesse un po' esagerando. Insomma, poteva capire l'amore di un padre per la propria figlia, ma faticava a credere che anche il genitore più amorevole potesse mettere in mostra in quel modo l'affetto per la propria bambina.

“Ehm... ne sei certa?”.

“Secondo me è la sua... vieni... andiamo a vedere...”, la prese per mano, come da sua abitudine, trascinandola verso quell'imponente astro che, man mano che si avvicinavano si dimostrava sempre più grande.

Mentre si avvicinavano a quella che, ben presto avrebbe scoperto essere veramente la tenda della famiglia Lovegood, un'altra costruzione attirò l'attenzione di Morgana. Era enorme ed imponente. Non poteva in alcun modo passare inosservata, non solo a causa dei colori, ma soprattutto per colpa dei pavoni albini che vi erano appostati davanti. Sembrava che ogni cosa in quella tenda fosse stata costruita col solo ed unico intento di attirare l'attenzione.

“Ginevra... Morgana...”, Luna doveva essersi accorta che stavano arrivando e le aveva precedute. Come al solito l'entusiasmo dell'amica era dirompente e la ragazza era saltata loro al collo, abbracciandole e dando ad ognuna un bacio sulla guancia.

Morgana si ritrovò a sorridere serena, mentre l'altra corvonero offriva ad entrambe una tazza di tè. Si erano viste qualche volta durante l'estate, ma erano stati incontri sporadici e non particolarmente duraturi.

Si sedettero sull'erba a chiacchierare, ma ad un certo punto lei smise di ascoltare i racconti delle amiche, troppo intenta ad osservare la tende che aveva attirato la sua attenzione poco prima.

Il padre di Luna dovette accorgersene, perché non si fece attendere con i suoi commenti in merito, “come al solito i Malfoy devono mostrare al mondo la loro ricchezza ed il lusso che possono permettersi”.

“I Malfoy?”, Ginevra, sino a quel momento non aveva degnato la costruzione che di qualche sguardo sbalordito.

“La tenda con i pavoni, appartiene alla famiglia Malfoy. Lucius adora mettersi in mostra e dimostrare a tutti coloro che lo circondano che è più ricco e più potente”.

“Probabilmente adora farlo, perché può permetterselo”, la voce gelida che rispose alle parole dell'uomo lo fece sobbalzare, come un bambino colto con le mani nella marmellata.

Narcissa Malfoy si ergeva alle spalle di Xenophilius Lovegood, algida e fredda come sempre. L'uomo, che era in piedi di fianco alla figlia, si volse al suono di quelle parole ed i suoi occhi azzurri incontrarono quelli di ghiaccio della donna.

Non potevano essere due persone più diverse. Lei bella come il sole e fredda come il ghiaccio, elegante nel suo abito blu notte, altera e sicura di sé, come solo una donna che non teme il confronto con niente e con nessuno può essere.

Lui, un uomo segnato dalla vita, che cerca ancora di alzare la testa, ma che non ha la forza di ergersi fiero ed indomabile. Un uomo che nasconde dietro alla sua eccentricità le proprie insicurezze e le proprie paure.

Morgana vide tutto questo in quelle due persone che si osservavano l'un l'altra. E vide altro. Vide uno sguardo nell'uomo che non lasciava alcun dubbio. Un dolore così profondo che non può che venire da un sentimento molto potente. Non seppe mai cosa le avesse dato quella certezza, ma ebbe la chiara sicurezza che Narcissa Malfoy avesse creato una ferita indelebile e profonda nell'animo di Xeno Lovegood.

Non poté cercare una certezza negli occhi di diamante di lei, perché nulla sembrava poterla scalfire. Durò tutto poco più di una manciata di secondi.

La donna prima di andarsene si volse verso la ragazza, salutandola cordialmente ed assicurandola che sarebbe stata sempre la benvenuta per lei. Dopo con la sua innaturale eleganza si diresse verso la tenda del marito, senza più voltarsi indietro.

Quell'incontro lasciò in Morgana una strana inquietudine, che l'accompagno per tutto il tragitto di ritorno verso la tenda che avrebbe condiviso con Ginevra ed Hermione. Presto l'ansia ed il turbamento vennero scacciati dall'eccitazione che l'imminenza della partita aveva fatto scoppiare nell'aria. Persino lei, che di Quidditch capiva ben poco ed a cui che vincesse o meno l'Irlanda non importava minimamente, si ritrovò ad essere impaziente, come una bambina, in attesa dell'inizio dello scontro.

Per arrivare allo stadio dovettero camminare lungo un sentiero in mezzo ai boschi. Il signor Weasley spiegò loro che lo avevano nascosto per evitare che qualche babbano vi capitasse per sbaglio.

Arrivati dinanzi all'edificio i ragazzi volsero lo sguardo verso l'alto, ammirati ed estasiati dall'imponenza di questo. Morgana dovette ammettere che si trattava di una costruzione, non solo enorme, ma anche piuttosto intrigante. Le luci che brillavano per l'illuminazione dello stadio lo rendevano ancor più magico di quanto già non fosse.

Non aveva mai visto dal vivo un'arena babbana, ma era sicura che non avesse nulla in comune con quella che aveva davanti agli occhi in quel momento. Era qualcosa di spettacolare, che difficilmente avrebbe potuto dimenticare.

Salirono fino in cima alle gradinate, per raggiungere le loro postazioni nella tribunale d'onore. I ragazzi erano estasiati dalla possibilità di poter vedere la partita da quella postazione e persino la giovane corvonero dovette ammettere che se proprio doveva prender parte a quella manifestazione, per lo meno quelli sembravano dei posti piuttosto buoni da cui farlo.

Si perse nell'osservazione di tutti gli spettatori, seduti come formiche negli spalti. La folla era immensa; dovevano esservi diverse migliaia di persone, se non addirittura centinaia di migliaia. Colse vagamente Ron dire ad Harry che qualche anno prima la finale era durata una settimana e sperò con tutta se stessa che non fosse così anche questa volta.

Venne riscossa dai suoi pensieri solo quando il silenzio si fece assordante nella tribuna d'onore. Si guardò intorno incuriosita dal cambiamento ed i suoi occhi di smeraldo incontrarono quelli di ghiaccio della persona che più di tutte le era mancata in quei mesi. Narcissa le sorrise brevemente, ma lei appena se ne accorse, troppo intenta ad osservare Draco. Non seppe neanche cosa la spinse a farlo, ma ad un tratto si alzò dal proprio sedile, come trascinata da una forza imponente e si ritrovo a stringere il ragazzo fra le braccia, sotto gli occhi attoniti della famiglia Wealsey e quelli disgustati di Lucius Malfoy, che sembrava aver appena ingoiato qualcosa di terribilmente amaro.

Non si era aspettata una reazione dal ragazzo, ma ad un certo puntò avvertì le lunghe braccia di questo circondarle la vita ed il suo respiro sfiorarle l'orecchio, mentre, senza farsi udire da altri, le sussurrava “scricciolo... ti sono mancato così tanto?”. Non rispose, ma ebbe la certezza che lui non aveva bisogno di altre parole.

Così come si era alzata, ritornò al suo posto, sotto gli occhi attenti di una madre che ancora si chiedeva quanto quell'unione fosse positiva, ma consapevole che ormai non vi era più alcun modo di fermare quella ruota.

Lucius Malfoy non disse nulla, deciso a fingere che quella scena fosse solo frutto della sua immaginazione e la ragazza tornò a sedersi, impettita e fiera, decisa ad ignorare la presenza dell'uomo, che, purtroppo, non avrebbe mai apprezzato la sua presenza.

Rimase immobile in quella posa sino all'inizio della partita, ed anche per il resto della contesa. Si concesse un attimo di tregua solo nel momento in cui comparvero le mascotte delle due squadre, e solo per poter ridere di gusto alla vista di Harry e Ron che davano di matto tentando di attirare l'attenzione delle Weela (donne bellissime dai lunghi capelli argentei), che parevano avere uno strano potere sugli uomini presenti. Mentre decideva se risvegliare o meno quei due da quello strano incantesimo che li stava mettendo in enorme imbarazzo, i suoi occhi si posarono sulla figura di Draco, che sembrava immune dall'incanto e continuava ad osservare il campo come in trance. I suoi occhi non parevano vedere veramente quel che vi accadeva.

Per il resto della partita, più volte, le sue iridi tornarono al serpeverde (anche perché sinceramente trovava davvero poco interessante lo spettacolo che aveva davanti), ma lo videro sempre nella medesima posizione e sempre assorto in pensieri che sembravano averlo portato molto lontano da quello stadio.

Mentre tutti gli altri osservavano i quattordici giocatori in campo, ebbe modo di guardare a lungo il biondo. Era cambiato. Se ne rese conto quasi subito. Non lo vedeva da un paio di mesi, ma parevano passati anni. Era più alto, di almeno dieci centimetri. Il suo viso era più appuntito e meno infantile. I capelli leggermente più lunghi e molto più spettinati del solito. Non erano acconciati rigidamente, come al solito. Le guance erano sempre pallide, ma si vedeva che non erano più quelle di un bambino, ma di un ragazzo. Era magro come sempre, ma muscoloso e ben proporzionato.

Si vergogno del suo corpo in quel momento. Lei non era cambiata affatto. Era sempre uguale. Le sue forme ancora acerbe ed infantili la facevano sentire ancora piccola. E la sua statura non era cambiata di molto, al più si era alzata di un paio di centimetri. Quando l'aveva stretto al petto, prima, si era accorta di non arrivare neanche alle sue spalle con la cima della propria testa. E lui l'aveva chiamata scricciolo.

D'un tratto si sentì triste, come non era da giorni ormai. Era stata così bene durante quelle settimane di vacanza, che quel sentimento, per una volta, la colse impreparata. Vide Narcissa osservarla con una strana espressione sul viso e decise di tornare a guardare la partita, senza in realtà vederla.

*

Dopo la vittoria dell'Irlanda erano tornati nelle proprie tende ed i festeggiamenti erano duranti a lungo, almeno sino a quando il signor Weasley non li aveva obbligati tutti ad andare a letto.

Morgana non era riuscita a chiudere occhio, pertanto avvertì immediatamente il mutamento. Le voci, prima allegre e gioiose, d'un tratto parvero spaventate e strozzate. Le grida erano sempre più forti. La ragazza ci mese pochi secondi a svegliare le compagne e ad indossare un maglione sulla camicia da notte leggera che indossava.

Senza pensarci uscirono dalla tenda, dove incontrarono i ragazzi ed il signor Weasley. L'uomo, dopo una breve spiegazione li spinse a dirigersi verso i boschi ed a scappare, raccomandandosi di restare tutti uniti. Camminarono a lungo, sin nel profondo della foresta, in un gruppo compatto, almeno sino a quando non si trovarono in mezzo ad un gruppo, piuttosto ampio, di bulgari, che anch'essi si dirigevano verso la protezione che il folto degli alberi offriva loro.

A causa di una frazione di secondo si trovò da sola, isolata dal resto del gruppo. L'ansia che pervadeva quei luoghi era palpabile e ben presto avvolse l'intero essere della ragazza. Non era mai stata timorosa e pavida, si era sempre vantata di non temere in modo eccessivo il mondo circostanza, ma quella notte sperimentò sulla sua pelle il significato della parola terrore. Per qualche secondo rimase paralizzata in mezzo al folto degli alberi.

Nei dintorni non riusciva a scorgere nessuno, né di amico, né di nemico. In sottofondo le urla provenienti dall'accampamento erano ancora forti e le risa di scherno degli aguzzini sempre più vicine. Non riusciva a distinguere le parole pronunciate da quegli uomini, ma ebbe la sensazione che si trattasse di una nenia oscura.

Si accovaccio di fianco ad una quercia, nella speranza di confondersi con le ombre del bosco e nella speranza di svegliarsi da quello che, in quel momento sembrava solo un terribile incubo. Era da sola, in un luogo in cui non conosceva nessuno, aveva perso la cognizione dello spazio e del tempo. Non sapeva dove si trovasse la sua famiglia e riusciva a pensare solo che in quel momento si stava comportando come una vigliacca.

Non si rese neanche conto di aver freddo, finché non avvertì il lieve fruscio di un mantello che veniva poggiato sulle sue gambe, per coprirle dall'aria frizzante della notte. Alzò gli occhi, giusto il tempo di capire chi le avesse fatto quella gentilezza e scorse due iridi di un caldo nocciola. Il ragazzo si sedette di fianco a lei e le mise un braccio intorno al corpo, un po' per scaldarla, un po' per rassicurarla.

La bambina (perché di quello si trattava in quel momento), scoppiò a piangergli sulla spalla. I singhiozzi rimbombavano nella foresta, ma nessun essere, né umano, né animale, parve accorgersene. Come se il tempo si fosse fermato, attorno a loro, i due rimasero accoccolati l'uno all'altra, nel vano tentativo di rendere quella serata un po' migliore.

Non seppe neanche per quanto tempo rimasero fermi in quella posizione, mentre lei tentava inutilmente di calmare le lacrime e di tranquillizzarsi. Sentiva così freddo che, ormai, non poteva più essere fuori, ma doveva venire dall'interno del suo corpo. Era un gelo che ghiacciava l'anima. Il terrore provato poco prima si era solo affievolito, mentre anche i rumori circostanti sembravano sempre più blandi ed ovattati.

Non si rese conto di essersi mossa, sinché non fu troppo tardi. Non seppe perché né cosa l'avesse spinta a farlo. Un attimo prima avvertiva la mano di lui che le accarezzava dolcemente i capelli, un secondo dopo l'unica cosa che sentiva erano le labbra calde del ragazzo contro le sue. I suoi occhi erano serrati, nel vano tentativo di racchiudere i ricordi delle ultime ore in un angolo buio della sua mente.

I suoi pensieri si concentrarono su quella sensazione. Era stata lei a muoversi. Lo sapeva. Aveva congiunto lei la sua bocca con quello di lui. Ed allora perché sembrava tutto così sbagliato? Perché non riusciva a sentire il calore di quelle labbra? Perché non poteva bearsi di quel gesto per molti così familiare?

Aveva tredici anni e stava baciando un ragazzo per la prima volta. Ed allora perché le sembrava di aver appena commesso l'errore più grande della sua vita così giovane?

Sentì le braccia di lui allontanarla e si costrinse ad aprire gli occhi. Non voleva che lui la ricordasse come una vigliacca. Lo fissò nello sguardo di cioccolato che la osservava spaesato. E gli fu grata. Gli fu grata perché lui non disse nulla. Non l'accusò. Non fece domande. Si limitò ad alzarsi in piedi, prenderla per mano e ricondurla sul sentiero che l'avrebbe portata verso la tenda che aveva diviso con Ginevra ed Hermione.

Non le disse una parola, sin quando non fu il momento dei saluti. Ed a quel punto, l'unica cosa che uscì dalle sue labbra fu un flebile “questa sera non è accaduto proprio nulla”, a cui Morgana non rispose.

Non ricordò come giunse alla tenda. Non ricordò nulla dei giorni seguenti. Nei mesi seguenti avrebbe ricordato solo le labbra calde di lui, che sembravano così sbagliate contro le sue.


 

***



Oggi è il compleanno di Draco (sicuramente uno dei miei personaggi preferiti), perciò non potevo non regalarvi un capitolo nuovo. Mi sono impegnata molto per finirlo entro questa sera, pertanto spero che lo apprezzerete e che commenterete numerosi. Sono curiosa di sapere cosa pensate... soprattutto della parte finale. 

 

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Capitolo 36
*** Il torneo tremaghi. ***


 

Il torneo tremaghi.

 

1 settembre 1994

 

Morgana si era diretta alla stazione con la famiglia Weasley quel primo settembre ed era una bella giornata di sole, forse una delle ultime prima dell'arrivo dell'autunno, ma sicuramente già meno afosa di quelle estive. I raggi caldi l'avvolgevano e le riscaldavano il cuore, come se volessero lasciare un segno del loro passaggio in ogni persona, forse consci anche loro che li aspettavano tempi duri e difficili.

Il turbamento si poteva leggere in molti dei volti adulti sulla banchina, i genitori erano preoccupati, forse per la prima volta da tanto tempo, all'idea di lasciar partire i loro figli per la scuola, e la loro paura contrastava in modo sorprendente con i visi sorridenti dei ragazzi, che non vedevano l'ora di tornare tra i muri di Hogwarts, nonostante le lezioni, i temi e gli esercizi che li attendevano, consci che vi avrebbero ritrovato gli amici.

I saluti della famiglia Weasley furono calorosi ed intensi, anche con la ragazza che, nell'ultima settima passata alla Tana si era isolata da tutti. Non aveva ancora parlato con nessuno di quel bacio e forse non desiderava davvero condividerlo con qualcuno. L'aveva nascosto nell'angolo più profondo della sua anima, non per dimenticarlo (si sa che il primo bacio non si scorda mai, nonostante tutto), ma per fingere che si era trattato solo di uno strano sogno. Forse, infondo, la sua paura più grande era che parlarne con le amiche lo avrebbe reso più reale e lei non era sicura di volere che lo divenisse

Non aveva dimenticato le parole del ragazzo. Le aveva detto che non era successo nulla. Avrebbe nascosto anche lui quel piccolo segreto, nei meandri più oscuri della sua anima, ma la ragazza si chiese, ormai per la millesima volta, se sarebbe bastato.

Non che fosse stato orribile o disgustoso. Semplicemente... lei non aveva provato nulla. Ed era sicura che non sarebbe dovuto essere così un bacio. Doveva dare emozioni. Doveva farti sentire viva e felice. Doveva farti sentire amata. Tutte cose che lei non aveva in alcun modo sentito.

Mentre la signora Weasley le scoccava un dolce bacio sulla guancia, dentro di sé sorrise all'idea che quel saluto le stava donando più emozioni di quelle che avrebbe dovuto darle il momento più importante della sua adolescenza.

Persa in quei pensieri, seguì la sua amica quasi senza rendersene conto, verso lo scompartimento in cui avrebbero trovato anche Luna e si sedetti di fronte alla bionda nel posto più vicino al finestrino, le piaceva avere la possibilità di guardare all'esterno e di seguire il passaggio del treno lungo i diversi paesaggi.

Quel giorno, probabilmente, non avrebbe goduto di quel piccolo pribilegio. Aveva un gran mal di testa ed appoggiò la testa al vetro freddo, alla ricerca disperata di un po' di sollievo. Dopo pochi minuti si era addormentata e forse era meglio così. Almeno non vide quegli occhi di ghiaccio scrutarla dal vetro dello sportello, freddi come mai li aveva visti prima.

*

Draco, aveva visto le tre ragazze entrare in quello scompartimento e non aveva resistito. Doveva vederla. Quando i suoi occhi si erano posati su di lei, quel che aveva provato era solo un enorme ed insormontabile rabbia. Un sentimento che era riuscito a controllare appena e che lo aveva accompagnato sino al proprio scompartimento. Non aveva mai pensato di poter sentire tanto sdegno nei confronti della ragazza. Una collera simile l'aveva provata solo l'anno precedente, quando lei lo aveva schiaffeggiato dinanzi a molti dei loro compagni.

Si era lasciato cadere su uno dei sedili, l'unico rimasto, fra Pansy e Blaise. Si era appoggiato alla ragazza e, mentre lei gli carezzava i capelli come faceva quando erano bambini, si era addormentato. Al contrario di quello che potevano pensare gli altri, loro erano amici da una vita, non c'era mai stato nulla di più, né da parte sua, né da quella di lei.

Era un'amicizia sincera, di quelle che ti resta dentro, anche quando litighi, anche quando vorresti odiare l'altro. Era una di quelle che, anche se tu non ci sei, anche se non ci vediamo da una vita, anche se viviamo in due parti contrapposte del mondo, comunque sai che io ci sarò sempre per te ed io so che tu ci sarai sempre per me.

Lei lo faceva sentire al sicuro, e ci riusciva con poco, anche solo con qualche carezza sui capelli. E così si era addormentato Draco, dopo che aveva faticato a farlo per più di una settimana. Solo perché Pansy gli stava accarezzando i capelli.

Si era addormentato sotto gli occhi attenti dei suoi amici, soprattutto di quelli di Theo, che aveva letto la sofferenza nelle iridi di ghiaccio del biondo. E sentiva il dolore dell'amico come se fosse proprio. Perché potevano anche essere la corte del principe di ghiaccio di serpeverde, ma nessuno di loro era un diamante inscalfibile. E loro lo sapevano. Solo loro lo sapevano.

Solo quando erano ormai giunti nei pressi del castello, Pansy aveva svegliato il ragazzo, scuotendolo dolcemente per le spalle. Dovevano ancora indossare tutti la divisa e non potevano di certo permettersi di far tardi. Loro non lo facevano.

Non disse nulla Draco, troppo intento a rimembrare qualcosa che nessuno dei suoi amici aveva avuto modo di conoscere. Non aveva quasi proferito parola da quando si erano rivisti quella mattina. Gli incontri estivi erano stati sporadici, soprattutto nelle ultime settimane. Tutti in quello scompartimento avevano compreso che fosse successo qualcosa, ma nessuno aveva avuto il coraggio di chiedere conferma di cosa si trattasse. Forse perché, infondo, pensavano di sapere di cosa si trattasse. Tutti erano a conoscenza degli avvenimenti che avevano turbato la felicità ed i festeggiamenti dopo la coppa del mondo di Quidditch. Tutti in quello scompartimento sapevano che a capo del gruppo di mangiamorte c'era Lucius Malfoy. Lo sapevano perché conoscevano la storia dell'uomo, e soprattutto perché alcuni dei loro genitori erano con lui quella sera.

E, soprattutto, tutti sapevano che Draco non approvava il comportamento del padre e lo disprezzava per essersi fatto abbindolare da un pazzo anni prima, anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente (perché un Malfoy fa solo quello che gli viene detto di fare). Quello era l'unico punto di scontro fra il ragazzo ed il padre.

Lucius sapeva che il figlio non avrebbe mai approvato le azioni dei mangiamorte, anche se non ne avevano mai parlato, anche se non avrebbe mai chiesto la sua opinione. Lo vedeva nel suo sguardo quando quando si posava sul marchio nero impresso sul suo braccio. Era abituato a vedere quel tatuaggio, ma non riusciva a comprenderlo. Lo guardava sempre come se per lui fosse qualcosa d'inconcepibile e di inaudito sulla pelle candida di un purosangue.

Anche l'uomo, inizialmente, aveva pensato la stessa cosa, ma poi si era fatto affascinare dal desiderio di potere e di supremazia. Infondo, cos'era un marchio, in confronto a tutto quello che avrebbe potuto ottenerne? Si trattava solo di un piccolo sacrificio che avrebbe potuto sopportare. O almeno era quello che aveva pensato quando si era convinto ad unirsi a Voldemort.

Con lo sguardo di chi avrebbe voluto essere ancora immerso nell'oblio del sonno, Draco si diresse, seguito dalla sua piccola banda di amici, a cui si erano uniti anche Tiger e Goyle, verso le carrozze che li avrebbero portati a scuola.

“Guarda, guarda chi si vede... Weasley... ho saputo che tuo padre si è dovuto vendere la casa, per comprare i biglietti per la coppa del mondo...”, la voce di Pansy lo riscosse dai suoi pensieri. E così la recita aveva inizio. Il palcoscenico si era alzato ed ognuno di loro aveva ripreso il suo posto in scena. Come un copione già letto e riletto.

E solo in quel momento si rese conto di avere di fronte la famiglia Weasley intera, con annessi amici, ovviamente.

Vide anche lei, ed i suoi lunghi capelli neri scomposti, il suo corpicino acerbo e non riuscì a rispondere al suo sorriso. Sapeva di avere gli occhi freddi di chi voleva far male. Sapeva che avrebbe creato solo dolore nel cuore della ragazza. Lo sapeva, ma per una volta Draco Malfoy voleva ferire Morgana Belmont. E così non rispose con un sorriso al suo saluto. Non rispose con dolci parole, ma la guardò negli occhi, mentre le faceva del male. Perché lui non era un vigliacco e, forse, un po' voleva vedere il dolore che le avrebbe provocato.

“Che peccato, mezzosangue... pare che l'anno prossimo dovrai tornare in quella gabbia per bambini abbandonati durante le vacanze”. La sua voce era ghiaccio fuso e persino i suoi amici sembrarono sorpresi.

Non le rivolse un secondo sguardo, mentre saliva nella carrozza più vicina... eppure gli parve di sentire il sonoro crack del suo cuore che si spezzava.

 

29 settembre 1994

 

Da quando il Preside aveva annunciato all'intera scolaresca durante il banchetto d'inizio anno che quell'anno si sarebbe tenuto il torneo Tremaghi e che Hogwarts ne sarebbe stato lo scenario, il collegio sembrava in fibrillazione.

Non erano solo gli studenti ad essere eccitati per la novità, anche gli insegnanti si comportavano in modo diverso dal solito: pretendevano più disciplina, più ordine e s'innervosivano maggiormente per gli errori dei loro discepoli. Persino il custode, mastro Gazza era più scorbutico e meno tollerante nei confronti della confusione che, com'è normale quando molte persone si trovano in uno spazio relativamente piccolo, regnava sovrana nel castello.

Addirittura il professor Piton si dimostrava ancor più severo ed intollerante verso i fallimenti dei propri discenti e durante quell'ora di lezione, condivisa fra corvonero e grifondoro, aveva già rimproverato una decina di ragazzi, ed un paio era ormai sull'orlo delle lacrime.

L'unica che non veniva minimamente scalfita dai suoi insulti era Morgana Belmont, probabilmente anche perché lui non aveva mai nulla da rimproverarle. Il lavoro della ragazza era perfetto ed impeccabile, come sempre nelle ore di pozioni.

All'ennesimo calderone da cui vide uscire fumo nerastro, l'uomo perse anche l'ultima goccia di calma e, dopo averne fatto evanescere il contenuto con un pigro colpo di bacchetta, iniziò a dettare agli studenti una mole di compiti così elevata che la maggior parte di loro avrebbe preferito cenare con un branco di troll, piuttosto che doverli affrontare.

“Signorina Belmont, lei ovviamente è esonerata dai primi tre temi, essendo l'unica in grado di leggere le istruzioni scritte alla lavagna”, per qualche secondo l'acidità parve dileguarsi dal suo viso.

Il commento del professore non colse impreparato nessuno. Per quanto fosse strano, da parte di Piton, la sua predilezione per Morgana, nonostante fosse una corvonero e non appartenesse alla sua casa, era ormai nota a tutti, com'era evidente la bravura di lei nella materia. Nei corridoi della scuola si vociferava che l'odio esistente tra lei e la Granger fosse dovuto all'invidia della seconda, che non tollerava di essere seconda a nessuno, in nessun campo.

Mentre percorreva, insieme a Luna, i corridoi diretta all'aula di trasfigurazione, Morgana si sorprese nuovamente dell'aspetto che la scuola aveva assunto nell'ultimo periodo. Era molto più ordinata e pulita. Alcune piccole crepe nei muri, che erano state lasciate a loro stesse, ora erano sparite, riparate da un breve colpo di bacchetta. I pavimenti scintillavano e la pulizia dei saloni era stata effettuata in modo quasi maniacale.

Gli studenti sembravano meno attenti alle lezioni, perché troppo eccitati all'idea di conoscere ragazzi provenienti da altre scuole di magia. Lei, personalmente, trovava solo irritante la necessità di condividere i propri spazi con altre persone e non riusciva a comprendere l'aspettativa che avevano tutti nei confronti del torneo. Trovava assurdo che delle persone dovessero mettersi in gara solo per dimostrare quale delle tre scuole era migliore. Ed inoltre era convinta che una competizione di quel tipo non potesse essere totalmente pulita.

Le lezioni pomeridiane proseguirono una dopo l'altra, ripetitive come sempre, in una routine che lei, infondo, trovava confortante, abituata com'era ai ritmi cadenzati del convento in cui era cresciuta.

L'unico avvenimento degno di nota di tutta la giornata la colpì in pieno petto verso sera, in modo quasi ironico e decisamente inaspettato. Si stava dirigendo verso la sala grande, insieme alle sue amiche quando lo vide. Poggiato ad un muro, nel corridoio del terzo piano, in un angolo relativamente tranquillo. Per un secondo sentì di non poter proseguire, ma decise che non aveva senso farsi bloccare come una bambina da quella visione.

Sorpassò Draco, fingendo di non averlo neanche notato, ma senza potersi togliere dalla mente le labbra di lui incollate a quelle di una ragazza, che non riconobbe, anche perché non era riuscita a vederla in viso. Ed in realtà dovette ammettere che neanche le importava.

Non aveva mai pensato di poter provare un dolore così sordo, solo vedendo una scena come quella. E si accorse solo in sala grande, mentre si sedeva al proprio tavolo, delle parole che le continuavano a rimbombare nella testa, pronunciate con quella voce glaciale e sicura di sé.

 

Non potrai mai sposare mio figlio

Non potrai mai sposare mio figlio

Non potrai mai sposare mio figlio

Non potrai mai sposare mio figlio

 

“Morgana... mi stai ascoltando?”, no. Non la stava ascoltando, aveva intravisto le sue labbra muoversi. Aveva capito che probabilmente stava dicendo qualcosa e che si stava rivolgendo a lei, ma non la stava ascoltando.

“Certo. Hai ragione, Luna. Sono totalmente d'accordo con te”, vide il viso dell'amica rilassarsi in un sorriso sincero e capì di essere stata convincente. Non seppe mai da dove trovò la forza di farlo, ma in qualche remoto angolo del suo corpo doveva essercene ancora a sufficienza. Ed anche se si sentiva stanca e svuotata decise, in quel momento, che nessuno avrebbe mai dovuto capirlo. Decise, senza rendersi conto delle conseguenze, che avrebbe finto di star bene.

E fu in quel momento, grazie o per colpa di Draco Malfoy, che Morgana Belmont imparò a fingere ed a nascondere i propri sentimenti in un piccolo spazio remoto della sua mente. Ed in futuro, un giorno lontano, gli sarebbe stata grata per quello.

Ricordava ancora quando il ragazzo le aveva detto che lei non sapeva mentire, che le si leggevano in viso tutti i propri pensieri. E decise che non sarebbe stato più così.

E sotto gli occhi sognanti di Luna, che non si accorse del cambiamento, riuscì a far nascere sul suo viso un sorriso sereno, che non rispecchiava affatto quello che provava nel profondo della propria anima, ma che le avrebbe permesso di sopravvivere al dolore.

 

30 settembre 1994

 

La mattina seguente Morgana si svegliò con una strana sensazione di vuoto. Non era dolore e si sorprese nello scoprire che non stava affatto soffrendo. Era più che altro la consapevolezza di non avere più nulla. Nulla da perdere, nulla per cui valesse la pena combattere. Nulla per cui valesse la pena sorridere e gioire. Eppure, quando arrivò in sala grande per la colazione, chiunque l'avesse vista, non avrebbe notato alcuna differenza nel suo umore. La maschera che portava incisa sul viso era sorridente e quasi felice.

Eppure le sue amiche, che la conoscevano ormai piuttosto bene, si accorsero che qualcosa non era come prima. Non sarebbe stato evidente a nessun altro, ma loro la videro quella luce strana negli occhi, quell'incertezza nascosta dietro la sicurezza del suo sguardo. Tentarono per tutto il giorno di capire cosa le fosse accaduto, ma la ragazza non sembrò essere minimamente turbata dalle loro richieste di spiegazioni.

Tra una lezione e l'altra tentarono di scoprire cosa la turbasse, ma da lei ottennero solo cambi di argomento e sorrisi che, se non fosse stato per quel qualcosa che solo loro riuscivano a vedere, sarebbero sembrati più che sinceri.

Con la preoccupazione ancora nello sguardo si diressero verso il giardino della scuola per l'attesa delle delegazioni di Durmstrang e Beauxbatons. L'attesa era palpabile nel grande parco e diversi ragazzi si guardavano intorno in cerca di un segnale che indicasse l'imminenza dell'arrivo.

Morgana trovava tutta quell'eccitazione alquanto scontata e sinceramente poco elegante. Era certa che le due scuole avrebbero fatto il possibile per fare un'entrata plateale e memorabile. Infondo, quello era il primo passo sul palco di uno spettacolo che lei trovava discutibile.

E non venne disattesa né dai francesi, che si presentarono su un'enorme carrozza azzurra, come quella di cenerentola nelle fiabe babbane, trainata da cavalli giganti; né dai bulgari, che arrivarono in un turbinio di acqua, dal centro del lago nero, con un vascello che avrebbe fatto invidia a quello dei peggiori pirati.

Entrarono subito dopo, forse appena in tempo affinché la maggior parte di loro non congelasse, a causa della temperatura inclemente di quel penultimo giorno d'ottobre. Il banchetto che li attendeva all'interno della sala grande era il più sontuoso a cui avesse partecipato da quando frequentava la scuola. Gli elfi domestici, nelle cucine, dovevano aver dato il fondo alla loro fantasia ed alle loro capacità culinarie. C'erano cibi di ogni tipo e di ogni nazione, la maggior parte dei quali lei non li aveva mai visti prima.

Vide Luna servirsi una generosa dose di un piatto a base di pesce che lei sinceramente non avrebbe neanche avvicinato, preferendo di gran lunga le classiche patate al forno. Mentre giocherellava col cibo nel suo piatto, chiacchierando con le sue compagne di casa, i suoi occhi tornarono verso la porta del suo personale inferno. Draco la stava osservando e sembrava vedere dentro la sua anima, nonostante si fosse promessa che non gli avrebbe mai più dato quella soddisfazione. I loro occhi s'incatenarono come avevano già fatto molte altre volte ed ebbe l'impressione che quelli di lui la stessero rimproverando.

Ringraziò l'intervento provvidenziale di Albus Silente, che alzandosi e richiamando l'attenzione degli studenti, la costrinse a voltarsi verso il tavolo degli insegnanti. Si sorprese di come le parole dell'uomo le sembrarono quasi provenire da un mondo parallelo, lontano, a cui lei non riusciva ad accedere.

Quando il preside fece comparire il calice di fuoco, lo strumento o, come l'aveva chiamato lui, il giudice imparziale, che avrebbe scelto i campioni delle tre scuola, rimase affascinata da quell'oggetto, che sembrava antico e impregnato di potenza magica. Le ricordò vagamente il cappello parlante. Non che avesse molto in comune, ma entrambi erano strumenti che incutevano rispetto in chi vi si trovava davanti, nonostante le fattezze poco eleganti ed anche decisamente dismesse.

Il calice era in legno grezzo, rozzamente intagliato e sicuramente molto antico, eppure non avrebbe mai potuto dubitare della sua forza e del potere che lo permeava. Ne rimase affascinata e per tutto il resto della serata, ormai quasi volta al termine, non riuscì a togliergli gli occhi di dosso.

Persino la sera, tornata nel suo letto nel dormitorio, faticò a prendere sonno, troppo intenta a rimembrare le fattezze di quell'oggetto così poco elegante, ma tremendamente affascinante. Solo diverse ore dopo essersi rintanata fra le proprie coperte si addormentò, ancora con la luce azzurrognola di quell'oggetto negli occhi.

 

31 ottobre 1994

 

Per la prima volta nella sua vita, quella mattina Morgana si svegliò con la consapevolezza che quel giorno era l'anniversario della morte dei suoi genitori. Ebbe una stranissima sensazione a quel pensiero, che per qualche ragione l'accompagnò per gran parte della propria giornata.

Si era alzata molto presto e non aveva atteso che le sue compagne si svegliassero. Era corsa in sala grande per una colazione veloce e solo pochi minuti dopo era seduta su uno scalino dell'ingresso, dal quale riusciva a vedere il calice e tenerlo d'occhio. Doveva essere veramente molto presto, perché nessun altro era in vista. Rimase ad osservarlo affascinata per un tempo che parve infinito, prima di sentire il fruscio lieve di un mantello, che presagiva l'arrivo di qualcuno. Si volse verso le scale che portavano ai sotterranei e solo qualche attimo dopo scorse Severus Piton salirle, con la solita aria burbera e poco amichevole.

L'uomo non la vide subito, anche lui troppo concentrato sull'oggetto magico, per curarsi di quel che vi era intorno. Solo quando volse lo sguardo verso la ragazza la riconobbe e rimase interdetto per un momento, indeciso su come comportarsi. Erano mesi che non si trovavano da soli, l'uno di fianco all'altra. Era da quando lei gli aveva detto di conoscere il suo segreto che non aveva più avuto modo di vederla al di fuori delle lezioni e, magari, di spiegarle. Anche se forse non avrebbe mai potuto spiegarle nulla. Come poteva? Era così giovane e non c'era in quegli anni. Non poteva capire, non poteva spiegarle. Non poteva giustificarsi.

 

Lei è un mangiamorte.

 

Quelle parole ancora gli rimbombavano nella mente talvolta. Le si avvicinò, con un coraggio che non sapeva di possedere.

“Non si illuda, signorina Belmont, lei non può attraversare la linea dell'età tracciata dal preside. E comunque non sopravvivrebbe alle prove del torneo”.

“Cosa le fa credere che io sia interessata a partecipare ad una gara così sciocca ed inutile? Non mi interessa mettermi in mostra”.

“Cosa sta facendo qua allora?”.

“Mi piace quel calice. È affascinante, non trova?”.

“Lo è...”, non riuscì a trattenere un gemito di dolore, che non sfuggì agli occhi della ragazza, come non gli sfuggì che la mano dell'uomo corse al braccio sinistro.

Si guardarono in silenzio, per qualche attimo.

“Le fa male?”, non era certa di volere veramente una risposta. Non voleva essere interessata ad un uomo che si era venduta ad un mostro, eppure, per la prima volta, si chiese perché lo aveva fatto.

“Saltuariamente...”.

Non seppe perché lo aveva fatto, ma ultimamente erano molte le occasioni in cui agiva senza pensare e senza ponderare le conseguenze delle proprie azioni. Semplicemente si era alzata e sorprendendo l'uomo che non ebbe il tempo di reagire, gli alzò la manica dell'abito e poggiò la sua manina, così piccola in confronto a quella di lui, sul braccio dolorante. Il marchio bruciava e persino lei ne sentì il potere oscuro e terrificante.

Se lei, che vi aveva solo poggiato la mano sopra, lo sentiva così bollente, quanto dolore doveva causare all'uomo, che lo portava incastonato sulla pelle candida?

I suoi occhietti di smeraldo si alzarono sino ad incontrare il viso di lui e per quei pochi secondi lui vi lesse la pietà che lei provava per lui, ma non ne fu disgustato come lo sarebbe stato con chiunque altro. Lei era preoccupata e questo un po' lo lusingava.

“Non fa così male. Dopo un po' ci si abitua...”, si staccò dalla bambina, posandole la mano lungo il fianco, quasi con dolcezza, e si allontanò, lasciandola lì, da sola, a chiedersi quanti segreti nascondeva quell'uomo dal viso severo quanto il suo nome.


 

***

 

Lo so. Sono in ritardo, come sempre. Però non di molto...
Questo capitolo è un pò veloce, me ne rendo conto, ma ho voluto inserire molte situazioni diverse e dovevo arrivare in fretta al momento della scelta dei tre/quattro campioni del tremaghi.
Intanto ringrazio tutti coloro che mi leggono e soprattutto chi mi fa sapere cosa ne pensa della mia storia. 
A presto!

 

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Capitolo 37
*** I quattro campioni, i quattro draghi. ***


 

I quattro campioni, i quattro draghi.

 

Per tutta la mattina Morgana si chiese se quelle parole fossero rivolte al marchio nero sul braccio o ad altro. Quando il professore le aveva detto che al dolore ci si abitua, aveva avuto la netta impressione che non si riferisse a quello fisico.

Non conosceva quell'uomo, non abbastanza da sapere cosa avesse passato nella sua vita. Sapeva che tutti i suoi studenti ne erano terrorizzati e che molti lo consideravano crudele, come se desiderasse far del male agli altri. E, a voler esser sincera, qualche volta, aveva dimostrato di essere veramente crudele con alcuni ragazzi. Insomma, quando durante le lezioni li sbeffeggiava e scherniva solo perché non erano sufficientemente portati per la sua materia, sembrava davvero che ci provasse gusto.

Eppure non le era mai parso cattivo. Non veramente. Non vi era quella nota di follia nello sguardo che si poteva intravedere in chi, nel dolore altrui, trovava il proprio piacere. Eppure quel marchio sul braccio qualcosa doveva significarlo.

Ormai era sufficientemente matura da aver compreso che chi si era unito a Voldemort durante la prima guerra magica, doveva averlo fatto per diverse motivazioni. In quegli anni di scuola, imparando a conoscere il mondo magico e leggendo parecchio di quel periodo particolare che era stato il tentativo di dominio del Signore Oscuro, aveva imparato a classificare quelle persone in diverse categorie.

C'erano i folli, coloro che desideravano il potere di fare del male al prossimo, per puro gusto e per diletto personale. Erano i peggiori, quelli che volevano far male e che si divertivano a provocare dolore ed a ferire il prossimo. Quelli che non potevano essere controllati, perché coi folli non si ragiona. Mai.

C'erano gli ingenui, quelli che si lasciavano incantare dalle belle parole di un uomo che, ormai lo aveva capito, doveva essere stato affascinante nella vita giovanile. Lo aveva visto nella Camera dei Segreti. Un ragazzo di bell'aspetto, brillante e con modi raffinati. Doveva essere riuscito ad aggirare molte persone con le proprie capacità dialettiche.

Era convinta che lui non era stato parte né del primo, né del secondo gruppo di persone. Non era crudele, non si divertiva a veder soffrire il prossimo. Al contrario sembrava che la sofferenza altrui lo irritasse, come se considerasse troppo debole chiunque era capace di provare sentimenti così abietti e di mostrarli ad altri.

Non era neanche così stolto da farsi convincere a prender parte ad una causa così assurda come l'epurazione della stirpe dei maghi da tutti coloro che non appartenevano ad un ristretto gruppo di purosangue. Non era così ingenuo da farsi convincere da un uomo ad iniziare quella che sarebbe stata una battaglia inutile e persa in partenza. Non era così sciocco da ritenere che i maghi con ascendenze babbane non siano degni di far parte del mondo magico.

Lui doveva essere appartenuto al terzo gruppo, o forse, peggio ancora, al quarto. Sicuramente i più pericolosi, perché lucidi e interessato alla causa per motivi personali e non per mere convinzioni ideologiche. Del primo di questi erano parte tutti coloro che nella causa di Voldemort avevano intravisto la possibilità di ottenere potere e successo. Del secondo, coloro che vi avevano visto la possibilità di attuare una vendetta personale. Verso chi o cosa non lo sapeva. Eppure era convinta che molti dei sostenitori del Signore Oscuro appartenevano a queste due categorie.

Continuo a chiedersi cosa avesse spinto il professore a quella scelta, tanti anni prima, tanto più straordinaria se si pensava che all'epoca lui non era altro che un ragazzo, poco più grande di quanto lo era lei. Provò ad immaginare di poter fare anche lei una scelta simile e le sue aspettative vennero deluse. Si era aspettata di provare ribrezzo alla sola idea di vendersi ad un mostro come Voldemort.

Eppure si rese conto che forse, nel più profondo del suo cuore e della sua anima, un motivo, uno solo, per cui avrebbe potuto fare una scelta che altrimenti avrebbe considerato impossibile, poteva esserci. Perché lei sapeva che non erano le idee dell'uomo che disprezzava, seppur non le condividesse appieno, ma la possibilità di assoggettarsi completamente ad un altro essere umano che non avrebbe mai avuto rispetto per lei.

Si chiese se, nel caso quella remota possibilità di unirsi a Voldemort si sarebbe verificata, ne sarebbe valsa la pena, ma si accorse di non saper rispondere ad una domanda come questa. Non conosceva il futuro, non poteva prevederlo, ma in quel momento sentì il suo stomaco contorcersi dolorosamente, perché non poteva escludere nessun'alternativa.

*

L'eccitazione febbrile che pervadeva i corridoi e tutti gli studenti era sempre più forte. Ovunque si voltasse vedeva visi sorridenti e persona che bisbigliavano in piccoli gruppi. Si diresse insieme alle sue amiche verso la sala grande, dove si sarebbe tenuta la cena conscia che quella serata sarebbe stata difficile da sopportare. Lei odiava la confusione.

All'ingresso lei e Luna si separarono da Ginevra, che avrebbe raggiunto i suoi compagni al tavolo di Grifondoro. Ovviamente quel giorno ogni studente di Hogwarts avrebbe tifato solo ed unicamente per la propria casa. Si chiese distrattamente quanti corvonero si erano candidati per divenire campioni della scuola e si rispose che non erano molti probabilmente. Una sfida come quella li avrebbe distratti dai loro studi e la maggior parte di loro non sarebbe sicuramente stata felice all'idea. Lei per prima non avrebbe mai messo il proprio nome nel calice di fuoco.

Mentre pranzava ascoltando distrattamente i discorsi delle sue compagne di stanza e le loro congetture, i suoi occhi raggiunsero il tavolo dei professori e si sorprese ad osservare il professor Piton.

Quando lui incrociò lo sguardo della ragazza, l'ossidiana, che sino a quel momento era rimasta cupa e spenta, per un attimo ebbe un luccichio, quasi d'affetto. Lei gli sorride, senza aspettarsi nulla in cambio ed infatti lo sguardo dell'uomo non ebbe nessun cambiamento. Rimase impassibile, come sempre. Eppure lei ebbe la certezza che quegli occhi bui le stessero dicendo qualcosa.

Si sorprese a pensare che, in un modo o nell'altro, aveva sempre trascorso il giorno di Halloween in compagnia dell'uomo. Il primo anno era in punizione con lui ed aveva passato la serata in silenzio a trascrivere vecchi appunti di pozioni nel suo ufficio. L'aveva odiato in quel momento, ma da quelle parole aveva imparato molto sulla materia. Il secondo anno, avevano bevuto un tè insieme nell'ufficio dell'uomo e, forse per la prima volta, aveva tentato di farsi accettare da lui. Quell'anno... lui era la prima persona che aveva incontrato quella mattina e, infondo, ne era felice.

Per la prima volta nella sua vita era conscia del significato che quel giorno avrebbe dovuto avere per lei. Quello stesso giorno, ormai 13 anni prima, i suoi genitori erano morti. Si ritrovò a pensare a come sarebbe stata la sua vita se sua madre e suo padre non fossero morti. Forse non sarebbe cambiato nulla. Infondo sua madre non si era liberata di lei non appena ne aveva avuto l'occasione?

Con una strana nostalgia si ritrovò a pensare alle parole che la donna le aveva lasciato, in una calligrafia minuta, in quell'unica lettere che le rimaneva di lei.

 

Ti chiedo ancora perdono per non essere stata forte e coraggiosa per te, anche se credimi: mi è servito molto coraggio anche per lasciarti. Spero vivamente che un giorno mi capirai e che non mi odierai troppo. Ti ho tanto amata, sin da quando ho scoperto la tua esistenza.

 

Ora che sapeva la verità non riusciva comunque a perdonare pienamente sua madre e suo padre. Sapeva che loro erano destinati a morte certa, eppure continuava a chiedersi se abbandonarla in un orfanotrofio fosse stata davvero l'unica scelta a loro disposizione.

Era certa che volendo avrebbero potuto trovare una soluzione, che magari avrebbe permesso a lei e ad Harry di trascorrere la loro infanzia insieme. Ora che aveva scoperto di avere un fratello si sentiva tradita, per non aver potuto passare tutto il tempo possibile con lui.

Se l'aveva amata davvero, allora perché le aveva tolto la possibilità di vivere un infanzia serena? Non riusciva a trovare una spiegazione a tutto quello che aveva subito.

“Morgana... stai bene?”, la voce di Luna la riscosse dai suoi pensieri. Ormai il banchetto era iniziato da tempo e lei aveva appena toccato il suo arrosto. A dir la verità non aveva fame, per nulla. Ed una strana sensazione le attanagliava lo stomaco, come se stesse per succedere qualcosa... qualcosa di sbagliato.

Rispose con poche sillabe all'amica e nel tentativo di allontanarsi dai suoi occhi indagatori, il suo sguardo cadde sulla casata di serpeverde, dove incontrò per un secondo l'unica persona che riusciva ad infonderle sicurezza.

Per una frazione di secondo le parve di leggere preoccupazione negli occhi di Draco, ma subito dopo divennero di ghiaccio e lo sguardo che ultimamente le rivolgeva la colpì in pieno. Non avevano più niente e questo la faceva soffrire terribilmente.

Non avevano avuto modo di parlare per nulla in quegli ultimi mesi e si chiedeva cosa fosse successo per portarlo ad odiarla così tanto, ma non riusciva a darsi una spiegazione. Forse non avrebbe dovuto abbracciarlo davanti ai suoi genitori alla coppa del mondo di Quidditch.

Tutto era partito da quel giorno... e lei avrebbe solo voluto dimenticarla quella sera. Aveva commesso troppi errori in poco tempo. Due occhi color cioccolato le tornarono prepotentemente in mente, troppo vicini.

Venne riscossa nuovamente dai suoi pensieri, ma questa volta dalle parole di Albus Silente, che avvisava gli studenti che finalmente il calice di fuoco sembrava pronto ad emettere il suo verdetto.

L'ansia all'interno della sala era palpabile e l'eccitazione aveva permesso ciò che nessuno degli insegnanti otteneva facilmente: l'assoluto silenzio di tutti gli studenti presenti. Sembravano respirare tutti in contemporanea, come fossero una cosa sola e quasi nel tentativo di provocare ancor meno rumore di quello che avrebbero causato esprimendosi tutti singolarmente.

I nomi dei campioni vennero letti dall'uomo, provocando gelosie in chi era rimasto escluso dalla gara ed acclamazioni calorose solo nel caso del campione di Hogwarts, Cedric Diggory, che per motivi diversi aveva reso felice tutta la scuola per la sua scelta.

Morgana lo osservò dirigersi verso il tavolo dei professori, memore del loro ultimo incontro e non poté evitare di arrossire sotto il suo sguardo intenso, che sembrava sottintendere parole che lei non era riuscita a cogliere. Eppure continuò a fissare a lungo il punto in cui era scomparso alla vista, chiedendosi ancora cosa intendesse dirle con quegli occhi così espressivi.

“Harry Potter”, il nome del fratello la colse di sorpresa e si ritrovò a voltarsi verso Albus Silente, che lo aveva chiamato con una nota di incertezza e di ansia mal celata nella voce. Il trambusto che scoppiò nella sala parve assordarle le orecchie.

Vide distrattamente gli occhi di Luna, posarsi preoccupati su di lei, mentre senza rendersene conto si alzava in piedi e si voltava ad osservare il fratello, che sotto la spinta incoraggiatrice della sua migliore amica aveva iniziato a dirigersi verso la porta che avevano da poco attraversato tutti gli altri.

Rimase ferma, immobile come una statua di pietra, per un tempo che le parve infinito, senza curarsi dello sguardo di molti, che si erano voltati ad osservarla, inconsapevoli del suo stato d'animo ed incuriositi dal suo comportamento.

Era bloccata, come fosse in un limbo, con la consapevolezza che l'unica cosa che avrebbe potuto scalfire la corazza gelida che si era creata da qualche mese, era successa. Suo fratello, l'ultima parte della sua famiglia, ritrovato da poco, era appena finito in un casino gigantesco.

 

9 dicembre 1994

 

Quella mattina si era svegliata inquieta e dopo una notte tormentata. Nella mente continuavano a scorrerle le immagini della sera prima e le poche conversazioni avuta con il fratello in quell'ultimo mese e mezzo.

Avevano avuto poco tempo per parlare, lui era impegnato ad esercitarsi con tutti gli incantesimi che potevano rivelarsi utili per la prima prova del torneo, e lei non se l'era sentita di distrarlo, conscia che aveva bisogno di tutta la sua concentrazione.

Il giorno dopo che il calice di fuoco aveva sputato il suo nome, come una condanna, lo aveva atteso dinanzi alla sala comune di grifondoro ed erano andati a fare una passeggiata da soli in cortile. Ricordava quella mattina come se l'avesse vissuta solo il giorno prima.

 

Camminavano in silenzio ormai da diversi minuti, ognuno dei due perso nei propri pensieri e desideroso di trovare qualcosa di adeguato da dire.

Anche tu pensi che abbia messo io il mio nome nel calice di fuoco?”, il tono con cui aveva pronunciato quella frase l'aveva lasciata perplessa. C'era tanta amarezza in quelle poche parole.

No, Harry. Io sono preoccupata per te. Questo torneo... è pericoloso”.

Lui parve quasi illuminarsi alle sue parole e le rivolse un sorriso splendente, prima di stringerla in un abbraccio mozzafiato.

 

I mesi successivi erano stati duri, soprattutto perché la scuola sembrava essersi coalizzata contro di lui, quasi come se avesse fatto un torto a tutti loro. Nessuno sembrava curarsi del pericolo che stava correndo.

Quella mattina, con l'ansia che le pervadeva ogni singolo muscolo, Morgana si era diretta verso la foresta proibita con il resto della scuola. Al margine degli alberi erano state allestite delle gradinate per gli studenti e gli ospiti. Quasi nessuno conosceva l'entità della prima prova ed in molti avevano tentato di fare congetture e scommesse su ciò che sarebbe stato richiesto ai campioni. Lei, invece, che sapeva, sedeva rigida, in attesa del termine di quel tormento, con al fianco Ginevra e Luna, che sembravano intenzionate a far di tutto per proteggerla da ciò che sarebbe potuto accadere.

Sapeva che era sbagliato, ma nella sua mente vi era un solo pensiero che si ripeteva continuamente, la paura di perdere l'unico membro della propria famiglia che aveva da così poco ritrovato.

Sentì, senza ascoltare, la voce di uno dei membri del ministero che spiegava al resto della scuola qual era la prova che i quattro ragazzi avrebbero dovuto affrontare, e si accorse solo vagamente che la stretta delle due amiche sulle sue mani si era fatta più forte ed intensa.

Non riusciva a non estraniarsi dal resto degli studenti, come se vi fosse un velo invisibile a racchiuderla dal resto della scolaresca ed a tenerla in un universo parallelo, dove lei era l'unica a capire veramente qual era la posta in gioco.

Venne riscossa dalla sua apatia solo dal boato di gioia che aveva attraversato lo stadio improvvisato, quando il primo dei ragazzi era riuscito, finalmente, ad accaparrarsi l'uovo d'oro che era loro compito sottrarre ai draghi.

Solo con enorme sforzo cercò di concentrarsi su ciò che stava accadendo nell'arena e tremo impercettibilmente, quando Cedric Diggory venne colpito dal fuoco del drago sul viso, ma solo dopo essere riuscito a prendere il suo premio. Il ragazzo venne immediatamente accolto da madama Chips che si occupò delle sue ferite, medicandole con cura. Riusciva ad intravedere le attenzioni della donna, nella tenda che era stata allestita come infermeria.

Sospirò di sollievo insieme agli altri quando vide il ragazzo uscire dalla tenda con le sue gambe, per accertarsi del punteggio che gli era stato concesso.

Dopo di lui toccò alla ragazza francese, di cui non ricordava il nome, che sembrò piuttosto in difficoltà e purtroppo riuscì a prendere l'uovo solo causando dei danni anche alle altre della covata, e, per tale ragione, venne penalizzata con un punteggio basso.

L'ultimo ad affrontate il drago sarebbe stato Harry e Morgana avrebbe tanto voluto poter chiudere occhi ed orecchie, come una bambina, e chiedere alle sue amiche di svegliarla solo quando tutta quella situazione orrenda fosse terminata.

Eppure non poteva permettersi di farlo, perché non si sarebbe mai perdonata se non fosse riuscita a controllare suo fratello, assicurandosi che arrivasse vivo al termine di quella prova.

Furono momenti terribili, forse più per lei che per il ragazzo, che sembrava troppo concentrato per rendersi realmente conto dei pericoli che stava affrontando. Rimase ad osservare con insistenza ogni movimento del fratello ed ogni reazione del drago, troppo spaventata, dall'idea che potesse accadere qualcosa di male, per staccare anche solo per un secondo gli occhi dalla scena che le si parava davanti.

Non si era resa conto di aver trattenuto il fiato per tutta la durata della prova, almeno sino a quando non riprese a respirare regolarmente. Non appena Harry fu condotto verso la tenda dell'infermiera, perché le sue condizioni fisiche venissero controllate, la ragazza si alzò in piedi e si diresse verso il medesimo luogo, col solo pensiero di abbracciarlo ed assicurarsi personalmente che stesse bene.

Si bloccò poco prima di entrare nella tenda, rendendosi conto che all'interno stava accadendo qualcosa di troppo importante perché lei interrompesse quei tre amici che, finalmente, si erano ritrovati insieme. Non sopportava Hermione Granger e Ron Weasley, ma era pienamente consapevole di quanto loro contassero per Harry e non sarebbe intervenuta in quel momento, come non lo aveva fatto in quei mesi, seppur consapevole di quanto fosse stato duro per suo fratello sopportare la lontananza dal suo migliore amico.

“Morgana...”, una voce calda la colse di sorpresa, mentre incerta su come comportarsi continuava ad osservare da lontano le ombre che si muovevano in quella tenda.

Si volse consapevole di chi si sarebbe trovata davanti, ma incerta su come comportarsi.

“Come stai?”.

“Non dovrei chiedertelo io, visto che sei appena stato ferito da un drago?”, non intendeva rispondergli in modo così acido, eppure non era riuscita a controllarsi.

“Io sto bene... fa un po' male, ma madama Chips sostiene che mi riprenderò in poche ore”, vedeva nei suoi occhi il tentativo, seppur malamente celato, di sembrare di nascondere l'amarezza che gli aveva causato con le sue parole.

“Ne sono felice”, sperò vivamente che lui non notasse quanto le sue parole erano dettate unicamente dal desiderio di farsi in qualche modo perdonare per la cattiveria di qualche secondo prima.

“Tuo fratello mi ha avvisato della prova, per fortuna... altrimenti credo che avrei rischiato un infarto e perso ancor prima di entrare in campo”, il suo era un evidente tentativo di allentare la tensione che si era creata.

“Morgana... mi aspettavi?”, ringraziò Harry di essere arrivato proprio in quel momento, poiché non aveva proprio idea di come rispondere e si ritrovò immediatamente fra le sue braccia, dimentica di quel ragazzo che, al contrario, stava odiando il moro per averlo interrotto. 

 

***

 

Lo so, sono imperdonabile. Vi chiedo immensamente scusa per l'enorme ritardo. Ci provo ad essere più puntuale, ma gli impegni si sovrappongono in continuazione.
Spero comunque che il capitolo possa farmi perdonare dell'attesa, anche se penso non sia uno dei migliori!
Aspetto come sempre i vostri commenti. A presto!

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Capitolo 38
*** Inviti me? ***


Inviti me?

 

15 dicembre 1994

 

L'annuncio che quell'anno si sarebbe tenuto il ballo del Ceppo venne fatto dal Preside in un uggiosa sera di dicembre, prima della solita cena. L'eccitazione fu immediatamente palpabile e tutte le ragazze della scuola iniziarono a fantasticare su abiti, acconciature ed inviti. Persino Hermione Grenger sembrava essere stata travolta dall'atmosfera festosa che si era sparsa per la sala grande durante quella sera.

L'unica che sembrava non essere stata toccata dalla notizia era Morgana Belmont. Dopo le affermazioni di Silente i suoi occhi non si erano mai spostati dal tavolo dei professori e la ragazza non sembrava aver sentito una sola parola di quanto pronunciato da Luna. La bionda non faceva che parlare di quel che avrebbe indossato per la cerimonia, ma non ottenne dall'amica nessun segno di vita e parve non farvi minimamente caso.

“Signornina Belmont, mi segua visto che ha terminato di cenare. Ho bisogno di discutere con lei del suo ultimo compito”, venne riscossa dal suo stato di torpore e vide come attraverso un velo l'uomo che le stava dinanzi, senza comprendere veramente le sue parole.

Si alzò seguendolo quasi fosse guidata da fili trasparenti e rabbrividì impercettibilmente scendendo le scale del castello in direzione dei sotterranei freddi e bui. Le parole del professore raggiunsero i suoi neuroni con un notevole ritardo e si ritrovò a realizzare che non aveva ancora consegnato il suo compito di pozioni, solo quando l'uomo le aprì la porta del suo ufficio, facendole segno di seguirla all'interno.

Indecisa su come comportarsi, Morgana rimase sulla porta sinché l'uomo non le indicò la poltrona vicino al caminetto. La stessa in cui soleva sedersi quando i rapporti con l'uomo erano più tranquilli.

“Morgana, cosa succede?”, Severus le stava porgendo una tazza di tè, col suo solito cipiglio austero ed il viso tranquillo di chi ha troppo da nascondere alla vita per mostrarsi anche solo per un secondo.

La ragazza rimase ad osservare il professore per diversi minuti, senza proferire parola e ringraziandolo di non essere insistente nelle sue richieste di motivazioni. Guardandolo si rese conto di quanto, in realtà, fosse giovane l'uomo seduto dinanzi a lei. Talvolta, quando hai di fronte un professore, non ti soffermi a chiederti quanti anni abbia in quel momento, senza renderti minimamente conto che non tutti sono anziani e vetusti come il professor Silente (che ormai probabilmente neanche ricordava egli stesso, il giorno della propria nascita).

“Quanti anni ha, professore?”, la domanda le sorse così spontanea che non ebbe neanche il tempo di pentirsi della propria asserzione o di vergognarsi della propria sfacciataggine.

L'uomo rimase qualche secondo ad osservarla e la ragazza si stava mentalmente preparando ad una sfuriata coi fiocchi, ma dovette decidere che non era una richiesta così tanto inopportuna, perché le rispose con voce atona e senza, apparentemente, alcun rimprovero, “Ne compirò 35 a breve. Perché me lo chiedi?”.

“Ho realizzato che lei è molto giovane. Forse dimostra qualche anno in più rispetto a quelli che ha veramente, ma credo sia comprensibile. Lei deve aver sofferto molto”, aveva bisogno di parlare con lui. Se ne rendeva conto sempre di più ad ogni parola pronunciata. Aveva bisogno di rinsaldare quel rapporto che il primo anno le era stato così d'aiuto, perché Severus Piton poteva essere odiato dalla maggior parte degli studenti, ma per lei era stato un'ancora di salvezza, o forse un porto sicuro cui approdare nei momenti di necessità. E lei, ora, aveva bisogno di lui.

Parlava, Morgana, con gli occhi rivolti a terra, senza accorgersi dell'espressione dell'uomo, che alle sue parole era mutata. Un'ombra scura aveva percorso quel viso affaticato dagli anni che non aveva ancora vissuto.

“Quanti anni pensava che avessi?”, non vi era nessun emozione in quella domanda posta alla giovane donna dinanzi a lui.

“Non saprei. Non mi ero mai posta il problema. Per questo le ho posto la domanda. Ero curiosa di capire quanti anni lei avesse... trentaquattro non sono poi molti. È questa l'età che avrebbero i miei genitori oggi, giusto?”, all'ultima parola alzò il viso, incontrando gli occhi d'ebano di lui, che non avevano mai smesso di osservarla.

“Sì. I tuoi genitori avrebbero la mia stessa età, se fossero vivi”, questa volta non poté non notare una punta di dolore in quelle parole sussurrate. Sembrava quasi che l'uomo dinanzi a lei si vergognasse di dover pronunciare tale frase.

“Quanti anni aveva quando decise di seguire Voldemort?”, non aveva preventivato neanche quella di domanda e, di sicuro, il professore non aveva immaginato che lei gliela ponesse. Eppure le era sembrato così giusto chiederlo. Infondo lei sapeva che lui era un mangiamorte. Lui sapeva che lei era a conoscenza di quel segreto. Quindi perché continuare a fingere ed evitare l'argomento.

Era stato quello il motivo principale del loro allontanamento e Morgana non riusciva a non pensare che se avessero discusso dell'argomento avrebbero potuto evitare ulteriori incomprensioni.

“Ero poco più grande di te oggi quando iniziai a farmi attrarre dalle idee di quell'uomo”, le parole di Severus le parvero misurate, quasi stesse cercando di pronunciarle correttamente.

“Era solo un ragazzo”, non ero una domanda, ma non sapeva neanche lei se fosse un tentativo di giustificare le azioni dell'uomo o meno.

“Non è una scusa per quel che ho fatto”, per la prima volta da quando erano entrati in quella stanza, l'uomo fu costretto ad allontanare lo sguardo dalla bambina che aveva dinanzi, quasi ne temesse il giudizio.

“Deve aver fatto cose terribili per ordine del Signore Oscuro”, lo disse candidamente, quasi stesse leggendo un manuale di pozioni e non accusando un uomo di crimini efferati.

“Ho compiuto azioni di cui mi pentirò per il resto della mia vita”, tornò a guardarla negli occhi, “ma in quel momento mi sembrava giusto ed in alcuni casi ho provato piacere della sofferenza altrui”, quello che vide nelle iridi verde cupo di lei lo lasciò perplesso e sconvolto. Non vi era dolore, disgusto o dispiacere, ma comprensione e, forse, ammirazione. Non poteva esser vero, eppure gli parve di leggere apprezzamento in quella bambina troppo giovane per comprendere appieno le sue parole.

“E adesso?”, quella domanda se l'era posta anche lui molte volte e, probabilmente, non era pronto a dare una risposta. Cosa provava ora non lo sapeva. Sicuramente il motivo per cui si era allontanato da quella vita non era cambiato. Molte altre cose lo erano. Lui era cambiato. Non era più il sedicenne che smaniava per entrare nell'esercito dell'oscuro. Non era più il bambino solo ed abbandonato dai propri genitori. Non era più il giovane uomo distrutto dal dolore che era quando, ormai molti anni prima, aveva perso l'unica donna che aveva amato.

“Adesso sono un insegnante di Hogwarts”, per un momento ebbe un attimo d'esitazione prima di pronunciare quelle poche parole. Infondo era la verità. Lui adesso era un insegnante ed aveva la responsabilità di molti ragazzi.

“E non è più un mangiamorte?”, non vi era più odio in quella parola, pronunciata da Morgana. La prima volta che l'aveva rivolta a lui, era intrisa di rabbia e di dolore. Ora non era più così. Severus Piton si ritrovò a chiedersi cosa fosse cambiato e perché, solo un anno dopo, la bambina aveva smesso di pensare che l'essere mangiamorte fosse la peggiore delle condizioni umane.

 

17 dicembre 1994

 

Erano passati due giorni da quella conversazione, ma ancora Morgana si chiedeva quali fossero i crimini che Severus Piton era stato costretto a compiere e di cui, ancora dopo diversi anni, sentiva di dover chiedere perdono.

Era persa in questi pensieri, mentre camminava lungo la riva del Lago Nero, in una gelida mattina di dicembre. La neve era caduta fitta durante la notte e la superficie cristallina delle acque era completamente ghiacciata, eppure la ragazza non trovava spiacevole la temperatura inclemente.

“Congelerai se continui a passeggiare lungo la riva. Non è la giornata adatta per stare all'aria aperta”, non lo aveva sentito arrivare, probabilmente i suoi passi erano stati attutiti dal manto candido che ne aveva assorbito la pesantezza.

Morgana si volse a guardarlo. Era dalla prima prova che non aveva modo di restare da sola con lui e, ad esser sincera, non desiderava affatto ritrovarsi in quella situazione. Non sapeva mai cosa dirgli ed aveva sempre l'impressione che lui la stesse studiando, quasi analizzando ogni sua minima mossa.

“Anche tu stai passeggiando nel parco...”.

“In realtà ti ho visto da una delle finestre del Castello e sono venuta a cercarti”, si soffermò ad osservarne la reazione, solo per qualche secondo, prima di decidere di proseguire, “non ho avuto modo di parlare molto con te in questi giorni, però volevo chiederti una cosa...”.

“Allora chiedimela”, si rese conto che il tono della sua voce era stato più duro del necessario. Eppure non riusciva ad essere gentile con lui.

“Volevo chiederti se vuoi venire al ballo con me?”, rimase ad osservarlo, senza proferire parola per diversi secondi, osservando come la mancanza di una risposta stesse portando il ragazzo ad essere sempre più nervoso, quasi si sentisse studiato e controllato dagli occhi penetranti della ragazza.

“E perché dovrei voler venire al ballo con te, Diggory?”.

Lo vide arrossire violentemente e, prima ancora che potesse trovare un modo per rispondere alla domanda, s'incamminò verso la scuola, lasciandolo da solo, sulla riva di quel lago ghiacciato.

Per il resto della giornata, non riuscì a non pensare a quell'incontro. Da quando il preside aveva annunciato che vi sarebbe stato quel ballo, tutta la scolaresca sembrava impazzita. Le ragazze non facevano che parlare di cosa indossare, con chi andare, come acconciarsi i capelli. Trovava tutti quei discorsi assolutamente sciocchi ed inutili.

Non aveva alcuna intenzione di andare al ballo del Ceppo, vestirsi elegante, acconciarsi i capelli e costringersi a fingere di divertirsi per qualche ora con un ragazzo di cui non le importava nulla.

Immersa in questi pensieri, stava camminando per i corridoi del castello, senza un vera meta, nel tentativo di trascorrere il tempo che, in quel pomeriggio d'inverno, la separava dalla cena.

“Adoro i tuoi capelli ed i tuoi occhi così chiari...”, venne distratta dai propri pensieri da una voce fievole di ragazza, che proveniva da dietro l'angolo che stava per superare.

Rimase immobile, in ascolto, interessata al prosieguo di quella strana conversazione, senza sapere d'avvero quale motivo la stesse spingendo ad interessarsi a tale dialogo.

“Credi che mi interessino le tue stupide moine?”, il suo cuore perse un battito nel momento in cui riconobbe la voce del ragazzo che aveva risposto alla serpeverde. Aveva già riconosciuto Pansy Perkinson dalle parole dette poco prima, ma non ebbe alcun dubbio quando ascoltò il prosieguo del dialogo.

“Verrai al ballo del Ceppo con me?”, la ragazza non sembrò minimamente turbata dalle parole che aveva appena pronunciato il compagno, nonostante fossero state espresse con evidente disprezzo.

“Ti ho già detto che verrò al ballo con te. Perché continui a chiedermelo? Vuoi davvero che cambi idea?”.

“Volevo solo esserne sicura. Tutto qui”.

Morgana ci mise qualche minuto a rendersi conto che stava camminando lungo il corridoio nella medesima direzione dalla quale era venuta. Aveva ascoltato quella conversazione, e, senza sapere il perché il suo stomaco si era contorto in una morsa atroce al solo pensiero di ciò che aveva udito, sino a spingere il suo corpo ad allontanarsi dai due ragazzi. Non voleva sentire altro di ciò che avevano da dirsi ed, inoltre, temeva di essere scoperta ad origliare, ben consapevole di aver udito qualcosa di privato.

 

20 dicembre 1994

 

L'eccitazione febbrile dovuta al ballo del Ceppo aveva ormai raggiunto livelli di incontenibile follia. Le sue compagne di stanza ormai passavano tutte le sere ad escogitare un modo per potervi partecipare. Essendo loro solo al terzo anno, infatti, avrebbero potuto prendere parte alla cerimonia solo se accompagnate da uno studente più grande.

“Non sembri molto interessata al ballo...”, Luna aveva, come sempre, espresso la sua domanda in forma di affermazione e Morgana non poté far altro che fare un cenno d'assenso, troppo concentrata a leggere un libro sulle pozioni ricostituenti, per seguire appieno il discorso che si stava svolgendo all'interno della loro camera.

“Potresti chiedere ad Harry Potter di accompagnarti”, era stata Emma ad intervenire, un corvonero dai corti capelli di un dolce castano “voi sembrate così affiatati”.

“Perché dovrei?”.

“Beh... dicono che lui non abbia ancora una compagna e comunque è uno dei campioni, e dovrà aprire le danze... e poi così tu faresti un gran figurone”.

Tralasciò volutamente di rispondere alla domanda, cercando di riprendere la lettura dal punto in cui si era fermata quando l'altra l'aveva distratta, se non ché le parole della compagna le avevano fatto realizzare che Harry non aveva una compagna. Eppure, il giorno dopo l'annuncio, le aveva detto che sapeva già chi invitare. Le tornò subito in mente la loro conversazione.

 

Hai sentito del ballo del Ceppo?”, erano seduti in riva al lago nero, nonostante la gelida giornata invernale, con un fuoco che aveva fatto apparire lei a scaldare entrambi, mentre lui faceva i compiti di trasfigurazione e lei leggeva lo stesso libro che aveva tra le mani in quel momento.
“Certo che ho sentito, Harry! Silente lo ha annunciato di fronte a tutta la scolaresca”, sospirò rassegnata all'idea che non avrebbe finito il capitolo. “Non vorrai chiedermi di venire con te?”.

No, non era mia intenzione...”, stranamente a quelle parole era arrossito, “so già chi invitare al ballo”.

Lei aveva sorriso, senza indagare oltre, convinta che lui non intendesse dirle altro.

 

Si alzò di scatto, e tutte le sue compagne si voltarono al suono del libro che veniva chiuso con un tonfo. Era ora di indagare a quanto pare.

“Non vorrai davvero chiedere ad Harry Potter di venire al ballo con te?”, ovviamente Luna sapeva che non vi era alcun interesse sentimentale fra loro, essendo lui suo fratello.

“Magari lo farò”, lasciò le ragazze a chiedersi se stesse scherzando o meno e corse fuori dalla loro sala comune alla ricerca del griffondoro.

Dopo solo una decina di minuti lo trovò a girovagare con aria assente per il corridoio del quarto piano, e gli corse incontro fiondandosi fra le sue braccia. Non erano molte le volte in cui era stata dolce ed affettuosa con lui, ma ormai aveva imparato ad accettare il fatto che lui era pur sempre la sua famiglia e che con lui poteva abbandonare la propria freddezza ed aprirsi senza remore.

“E' tutto a posto, Morgana? Stai bene?”, il suo gesto doveva averlo spiazzato e preoccupato.

“Io sto bene, Harry... e tu?”, gli occhi del ragazzo vagarono su tutto il corridoio, prima di posarsi nuovamente su di lei.

“Certo, sto bene anche io”, persino agli occhi di qualcuno che non lo conosceva affatto il suo sorriso sarebbe apparso forzato.

Lo prese per mano e s'incamminò lungo il corridoio con lui, prima di voltarsi ad osservarlo nuovamente. Non ci aveva pensato, ma se davvero Harry aveva avuto intenzione di chiedere ad una ragazza di andare con lui al ballo, come le aveva confessato giorni prima, ed ancora non aveva un'accompagnatrice, poteva voler dire soltanto che chiunque ella fosse, aveva rifiutato.

“Non ti conosco come Ron ed Hermione, ma sono pur sempre tua sorella, abbi almeno un po' di rispetto per me e non prendermi in giro. Tu non stai bene. Come mai non hai un'accompagnatrice per il ballo del Ceppo?”.

Come aveva sospettato, lo sguardo del ragazzo si scurì improvvisamente e le sue guance s'imporporarono.

“Non mi sembra proprio il caso di fare la gelosa...”, cercava forse di sviare il discorso?

“Non sono affatto gelosa. Voglio solo sapere chi è la donna a cui devo spezzare le ossa”.

Il ragazzo la osservò a lungo, continuando a camminare con lei, incerto se ridere o prenderla sul serio.

“Non è una serpeverde, vero? I tuo amichetti non ti perdonerebbero mai se ti mischiassi coi purosangue”, il suo sorrisetto divertito parve tranquillizzarlo e convincerlo che, infondo, stava solo scherzando.

“Ron è un purosangue”, a quelle parole Morgana non poté evitare un espressione disgustata, che lui, opportunamente, parve ignorare, “comunque no, non si tratta di una serpeverde. Avevo chiesto a Cho di venire con me, ma pare che abbia già un accompagnatore”.

“Cho Chang?”.

“Ne conosci altre?”.

“Ehi... non serve fare l'ironico. Se sei arrabbiato con Cho prenditela con lei”.

“Non sono arrabbiato. È un suo diritto scegliere un altro ragazzo. Sono solo deluso... poi... sai... lei mi ha detto che se non avesse già detto di sì a quell'altro, sarebbe venuta volentieri con me. Insomma... è tutta colpa mia. Se solo mi fossi svegliato prima!”.

“E chi sarebbe lo sfortunato?”, non le era molto simpatica la Chang e non avrebbe di certo finto il contrario con suo fratello. In ogni caso lui parve sorvolare sul suo commento acido.

“Ci va con Cedric... Cedric Diggory”.

Non si era accorta che chiacchierando erano arrivati in Sala Grande. Appena varcate le porte si separarono velocemente e lei cercò di rincuorare il fratello con un sorriso caloroso (o almeno sperava che lo fosse).

Quindi Diggory si era subito fiondato da Cho Chang, per farsi consolare da lei del rifiuto all'invito. Ovviamente non aveva perso tempo. Si era buttato senza indugio fra le braccia di un'altra ragazza, eppure le aveva praticamente confessato i propri sentimenti, evidentemente solo con l'intento di convincerla ad uscire con lui.

E lei che si era quasi sentita in colpa per il modo in cui lo aveva trattato. Che stupida che era stata.


 

***

 

Non vi farò perdere tempo con inutili scuse. Sappiate solo che cercherò di essere più presente da ora in poi, ma non prometto nulla, sarebbe inutile.
Grazie comunque a coloro che leggeranno e commenteranno.

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Capitolo 39
*** Il Ballo del Ceppo ***


Il ballo del Ceppo.

 

25 dicembre 1994

 

Quella mattina di Natale, Morgana si era alzata senza il minimo entusiasmo per quella celebrazione o per i regali che da lì a pochi minuti avrebbe scartato. Nella mente l'unico pensiero che lampeggiava insistente era che quella sera ci sarebbe stato il Ballo del Ceppo.

“Sei sveglia?”, una delle sue compagne la stava osservando con insistenza. “Ci vuoi dire finalmente con chi andrai al ballo questa sera?”.

La ragazzina storse il naso a quella domanda. Era ormai da diversi giorni che le sue amiche continuavano a chiederle chi l'avrebbe accompagnata e lei si ostinava a tacere su quel dettaglio. La verità è che avrebbe voluto dimenticare anche lei com'erano andate le cose.

 

Faceva freddo sulle rive del lago quando si era avvicinata al ragazzo. Era da solo, come lo aveva intravisto diverse volte negli ultimi giorni, sempre sotto quell'albero a fissare il centro della distesa azzurra.

Verrai al ballo con me”, era sembrato più un ordine che una richiesta persino alle sue orecchie. Lui non l'aveva sentita arrivare e l'aveva guardata a lungo prima di sorridere ed annuire brevemente.

Morgana non aveva atteso altro, si era voltata ed era andata via, com'era arrivata.

 

Sentiva che si sarebbe pentita della sua scelta, ma non della decisione per la quale l'aveva presa.

Lo studio di quella giornata insieme a Luna ed alle altre, sembrò particolarmente noioso ed interminabile alla ragazzina, che aveva per la testa solo la serata che l'attendeva e stava già escogitando un modo per riuscire a renderla meno lunga possibile.

Certo, quando l'orologio scoccò le cinque del pomeriggio e lei e le sue amiche tornarono nel loro dormitorio, l'ansia per l'inizio del Ballo le stava facendo attorcigliare lo stomaco. Meditò per qualche minuto di non presentarsi affatto, ma sarebbe stato sin troppo meschino da parte sua e non si riteneva una persona inaffidabile.

Luna, che purtroppo non avrebbe partecipato alla serata, l'aiuto ad acconciarsi i capelli in un elegante chignon, che le evidenziava le spalle, lasciate scoperte dall'abito di sera indaco che aveva scelto, lungo sino alle caviglie e leggermente svasato. Il color pastello del vestito contrastava deliziosamente con i suoi capelli neri.

Non indossava alcun gioiello, salvo il braccialetto che le aveva donato Draco anni prima e che, nonostante i rapporti con il ragazzo non fossero dei migliori, aveva tenuto al polso. Per qualche secondo meditò di toglierlo, ma non aveva la forza di farlo, sarebbe stato come ammettere che la sua amicizia con lui era finita. Erano mesi ormai che non si parlavano, ma finché quel filo d'argento le brillava al braccio, sentiva di non averlo perso del tutto.

“Sei bellissima...”, la sua migliore amica le sorrise con la sua solita aria serena, e la spinse a risponderle con la stessa espressione. Allo specchio vide riflesso il volto di una giovane donna nel pieno della sua adolescenza, e, seppur solo per un attimo, si compiacque di se stessa. Non che il suo corpo fosse cambiato molto, ma per lo meno adesso le sue curve, appena accennate, cominciavano a farsi più evidenti. Si disse che, comunque, rimaneva troppo magra per essere attraente.

Mentre scendeva le scale che l'avrebbero portata alla sala grande, si sentì osservata, ma non ebbe modo di alzare il viso per capire chi era a guardarla con tanta insistenza, troppo occupata a reggersi sui tacchi che indossava e a non cadere dalla scalinata. Non dovette attendere il suo cavaliere, Cedric era già ai piedi della scala ad attenderla.

“Sei bellissima”, il suo sorriso sincero le fece dimenticare che di fronte a lei vi era un ragazzo che non aveva nulla che l'attraesse. Mentre congiungeva la sua mano con quella di lui e si accingeva ad entrare nella sala grande, dove tutti gli studenti li aspettavano, Morgana decise che per quella sera sarebbe stata solo una ragazza di tredici anni e che si sarebbe divertita come non aveva mai fatto prima di allora.

Con quello spirito sorrise al moro, che, d'un tratto, parve gioire ancor di più, come se le labbra incurvate fossero l'unica cosa importante esistente al mondo.

Si sedette al tavolo dei campioni, per la cena, insieme agli altri, e, si ritrovò fra Cedric ed Harry, che, sembrò studiarla attentamente per qualche secondo, prima di sorriderle e decidere che l'argomento ragazzo poteva attendere, forse non il giorno dopo, ma per lo meno il termine del banchetto.

Passò l'ora successiva a sbocconcellare qualche pezzettino di costoletta d'agnello, sempre con la strana sensazione di essere costantemente sotto le attenzioni di qualcuno che, purtroppo non riusciva ad individuare. A fatica rispondeva alla conversazione del ragazzo seduto al suo fianco, che, comunque, era troppo intento a raccontare qualche prodezza a quidditch per rendersi conto che lei non lo stava realmente ascoltando.

Qualche sprazzo della conversazione la convinse che il tassorosso era più vanitoso e vanesio di quanto dimostrasse, o, forse, semplicemente era lei a metterlo in imbarazzo non partecipando attivamente all'intrattenimento.

Dopo il dolce il Preside fece alzare tutti e spostare i tavoli. Quando la pista da ballo comparve al centro della sala, Morgana si rese conto di aver, convenientemente, dimenticato quella parte del ballo. Avrebbe dovuto aprire le danze e lei non era assolutamente capace di farlo. Si sarebbe tranquillamente definita un pericolo ambulante, incapace di mettere due passi l'uno davanti all'altro, senza rischiare di cadere rovinosamente sul pavimento.

Si chiese se il nervosismo le avrebbe impedito di muoversi, proprio nel momento in cui il suo accompagnatore le prendeva una mano per cingersela lungo il fianco.

Si accorse di arrossire, mentre parlava, “Cedric! Io non so ballare”.

Lui le sorrise brevemente, ignorando il panico ormai dilagante nei suoi occhi, “tranquilla. Segui me. Ti guido io. L'importante è che non lasci mai le mie mani”.

Le prime note musicali, le strinsero lo stomaco in una morsa. Quei cinque minuti furono i più lunghi della sua vita. Certo seguire Cedric non si rivelò poi tanto difficile, anche se sospettò che il ragazzo ne approfittasse per stringerla a sé, ma stare al centro dell'attenzione non le era mai piaciuto e, sicuramente, le piaceva ancor meno quando faceva qualcosa in cui non era brava.

Al termine della canzone, il ragazzo le strinse le mani, impedendole di allontanarsi come avrebbe voluto, magari uscendo da quella sala ed andando ad affogarsi nel lavandino del bagno.

“Non scappare...”, le sorrise guardandola dritta negli occhi, “è la mia canzone preferita e mi piacerebbe ballarla con te”.

“Io non so ballare, Cedric!”, le sembrò di dover spiegare l'ovvio ad uno stolto, ma il ragazzo parve non notare la sua frustrazione.

“Fino ad ora te la sei cavata piuttosto bene...”.

“Sei stato tu a trascinarmi sulla pista”.

“Continuerò a farlo...”, non le diede il tempo di ribattere che ricominciò a muoversi, portandosi dietro le sue mani, ed al resto del suo corpo non restò che seguirlo.

“Ti ho già detto che sei molto bella?”, aveva promesso di divertirsi, ma mentre guardava il sorriso smielato di Cedri si chiese per quale motivo si era ritrovata in quella situazione e, soprattutto, come ne sarebbe uscita. Non aveva pensato che, ovviamente, il suo cavaliere si aspettava di passare tutta la serata con lei.

L'unica nota positiva era che, essendo lei del terzo anno, il suo coprifuoco sarebbe scattato prima di quello degli studenti più grandi.

Era così intenta a pensare ad una soluzione, da non rendersi neanche conto che la musica era cambiata e che lui la stava ancora trascinando con sé.

Solo dopo diverse canzoni, una decina di piedi pestati ed aver rischiato di cadere almeno due volte, la ragazza riuscì ad allontanarsi dal moro con la scusa di andare a prendere qualcosa da bere. Prima che si allontanasse lui, ovviamente, le aveva fatto promettere di tornare da lui in fretta. Morgana decise che il concetto di “in fretta” era piuttosto relativo e che, pertanto, non aveva una scadenza.

Mentre si versava un bicchiere di succo di zucca si volse verso il tassorosso e lo trovò assorto in una conversazione con altri ragazzi della sua casa, probabilmente un gruppo di suoi amici. Meglio così, gli ci sarebbe voluto più tempo per accorgersi della sua assenza.

“Sembri assorta in pensieri piuttosto profondi...”.

“Dici? Non li definirei profondi. Piuttosto mi fanno male i piedi, sono stanca e non vorrei neanche essere qui”, il suo piccolo sfogo partì come un fiume in piena, senza che lei facesse il minimo sforzo per frenarlo.

“Allora come mai sei venuta?”, quella domanda sembrava sottintendere che il suo interlocutore, in realtà, conoscesse sin troppo bene la risposta. A quel punto Morgana non poté che voltarsi per incontrare quegli occhi tanto simili ai suoi.

Rimase immobile a guardare le iridi di suo fratello per diversi secondi, prima di trovare la forza di rispondere alla sua domanda.

“Credo che tu sappia perché sono qui...”, la sua voce uscì flebile quasi fece fatica persino lei stessa ad udirla.

Harry non disse nulla, continuando ad osservarla e facendola sentire ancora di più in imbarazzo.

“Harry, io... mi dispiace così tanto...”, a quel punto la ragazza non poté che abbassare gli occhi, in preda alla vergogna.

“Perché ti dispiace? Quello che hai fatto è stato molto dolce...”, era pronta alla sfuriata ed a sentire l'odio uscire dalle sue parole, invece lui le aveva appena detto che era stata dolce.

Si ritrovò ad osservarlo ancora, piuttosto titubante e senza la forza di alzare completamente il viso, “sono stata una stupida...”, il suo era più che un sussurro, “ho detto a Cedric di venire al ballo con me, perché sapevo che in questo modo lui avrebbe scaricato Cho Chang e lei sarebbe venuta a chiedere a te di farle da cavaliere. Non mi sono preoccupata molto dei sentimenti della mia compagna di casa, e non ho riflettuto a sufficienza sulle conseguenze”.

“Mi dispiace che tu ne stia pagando le conseguenze...”.

“Harry, non è di me che mi preoccupo. Non voglio creare problemi a te... o ad altri...”.

“Lui ti piace?”, più che una domanda sembrava quasi una minaccia, come se la sola idea di una sua risposta positiva fosse oltraggiosa.

“Posso essere sincera?”.

“Sei mia sorella, devi essere sincera...”.

“Io non lo sopporto... è così sdolcinato... così dolce, tenero, pieno di attenzioni nei miei confronti...”.

“Affascinante, carino...”.

“Questo lo dici tu!”.

“No. Lo dicono tutte le ragazze della scuola”.

“Sarà... ma a me proprio non piace!”, incontrò gli occhi dell'altro per un solo secondo, prima di spostare lo sguardo di nuovo, “e poi... non so proprio cosa ci trovi in me”.

“Cosa vorresti dire?”.

“Beh... proprio perché è così affascinante, non capisco come mai sia interessato da una ragazza come me”.

“Cos'avresti tu che non va?”, sembrava sinceramente sconvolto dalle sue parole, ma Morgana non ebbe il tempo di ribattere, che un braccio le avvolse le spalle.

“Potter! Non ti dispiace se mi riapproprio della mia dama. Aveva promesso di tornare da me, ma pare che si sia dimenticata la strada”. Il sorriso di Cedric era sin troppo entusiasta, ma Harry Potter non ebbe neanche tempo di reagire, che l'altro campione aveva già trascinato via la ragazza.

Troppo sorpresa per opporre resistenza, Morgana si accorse solo dopo diversi secondi che Cedric stava uscendo dalla sala grande.

“Dove andiamo?”.

“Ho bisogno di prendere aria. Ci sono troppe persone lì dentro. Ti va di andare a fare una passeggiata nel parco?”.

Camminarono l'uno di fianco all'altra, senza che le loro mani, ormai divise, si sfiorassero. Morgana sentiva crescere dentro di sé l'imbarazzo. L'ambiente che la circondava era piuttosto romantico e lei sentiva che la loro coppia stonava in quella specie di mondo fatato creato per l'occasione dai professori di Hogwarts.

Solo dopo essersi addentrati a lungo nel parco del castello, Cedric parve decidere di essere troppo stanco per continuare a camminare, e si sedette su una panchina facendo accomodare la compagna di fianco a sé.

Per lunghi istanti i due ragazzi rimasero in silenzio, persi ognuno nei propri pensieri. Morgana si rammentò di non aver guardato l'orario, forse era ora di tornare nel proprio dormitorio. Non ne era sicura, ma sembrava essere trascorso molto tempo.

“Tu mi piaci molto...”, le parole di Cedric la colpirono in pieno petto, quasi quanto un macigno, mentre era assorta ad osservare il volo sgraziato di una fatina, che sembrava aver perso tutta la propria magia.

“Mi conosci appena. Non sai molto di me. Come puoi dire che ti piaccio?”.

“So che mi piaci. Non è abbastanza?”, volse lo sguardo verso di lei e Morgana avrebbe voluto urlare che no, non era abbastanza. Non poteva semplicemente piacergli, perché non era bella, non era attraente. Lui non poteva semplicemente essere attratto da lei, e neppure la conosceva a sufficienza per poter sostenere di aver intravisto in lei qualcosa di buono. Sempre che fosse davvero esistente poi quel qualcosa di buono.

Infondo se neanche sua madre aveva visto in lei qualcosa di sufficientemente buono da volerla tenere con sé, come poteva lui, che non aveva alcun legame con la ragazza, sostenere che lei gli piacesse. Avrebbe davvero voluto urlare tutte queste cose, ma gli occhi di Cedric erano troppo vicini per permetterle di ragionare, la mano del ragazzo le sorreggeva la nuca con troppa forza per poter avere la lucidità sufficiente ad evitare che le sue labbra si scontrassero con quelle di Morgana.

Il bacio di Cedric era diverso dal suo primo bacio. Era più rude e sapeva di menta e, forse, di alcol. In un lampo di comprensione la ragazza comprese che lui aveva bevuto, forse troppo per essere pienamente consapevole delle proprie azioni.

Lo spostò con forza, premendo le mani sul suo petto e, per un secondo, le iridi marroni di Cedric vennero sostituite da due occhi di ghiaccio. Durò solo un secondo, prima che il ragazzo che si trovava qualche metro dietro il tassorosso, voltasse le spalle alla scena che aveva di fronte, allontanandosi in fretta da quella panchina.

Morgana si rese conto di essersi alzata di scatto, pronta ad inseguire il serpeverde, apparentemente senza motivo. Per un secondo i suoi occhi incontrarono quelli del moro e sentì di doversi almeno scusare.

“Mi dispiace... io... devo andare...”, biascicò poche parole, incespicando nella sua stessa lingua. Non si voltò indietro mentre il suo cavaliere, forse non proprio senza macchia, la richiamava.

Si rese conto di star correndo solo perché l'aria gelida della sera dicembrina le sferzava il viso. Si ritrovò a contare senza motivo le scale che l'avrebbero condotta all'entrata del castello prima, e quelle che portavano nei sotterranei dopo. Il silenzio ovattato di quella parte del castello la colse alla sprovvista. Solo il rumore dei passi del biondo echeggiava nel corridoio deserto.

“Draco... Draco... aspetta!”, il suo tono perentorio la sorprese, non pensava di avere la forza di imporsi, ma la sorprese ancora di più il fermarsi del ragazzo, non credeva che lui l'avrebbe ascoltata.

“Tu l'hai baciato”. Non era una domanda, non vi era sorpresa in quelle parole. Non si voltò neanche a guardarla.

“Non ho avuto modo di fermarlo, mi ha colta di sorpresa”, le sue parole erano appena udibili tanto si sentiva debole. Non sapeva neanche perché si stesse effettivamente giustificando. Infondo non aveva motivo per farlo. Lui non le parlava da mesi.

“Non Cedric”, le spire di un serpente parvero avvolgersi intorno al suo stomaco all'udire di quelle parole. Morgana chiuse gli occhi, in attesa del seguito e scoprendo di non voler sentire altro. “Theo. Tu hai baciato Theo. Alla coppa del mondo. Quest'estate”, avrebbe potuto fermarsi alla prima parola. Non serviva che aggiungesse altro.

Il gelo della sua voce sembrò irrompere nell'anima di Morgana ed, in qualche modo, spezzarle il cuore. Non disse altro. Proseguì per la sua strada, verso la propria sala comune.

Morgana, invece, rimase immobile nella stessa posizione per quelle che le parvero ore, con gli occhi chiusi e acqua gelata che le fluiva nel corpo al posto del sangue.

Una consapevolezza: lui li aveva visti.

Una voce che le inondava la mente: “Questa sera non è accaduto proprio nulla”.

Ma non era la verità...


 

***

 

Pubblico subito, senza neanche rileggere, perché voglio un vostro riscontro. Ho sofferto questo capitolo, lo ammetto. Ed è sicuramente uno dei miei preferito.
C'è un piccolo colpo di scena, che aiuta a comprendere come mai Draco sia così crudele con Morgana. 
Dite che ha ragione?

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Capitolo 40
*** Perché fa male... male da morire... ***


Perché fa male... male da morire...

 

9 gennaio 1995

 

Erano passate settimane dal Ballo del Ceppo, ma la sofferenza di Morgana non era diminuita ed ancora non riusciva a darsi pace per quel che era accaduto, né a spiegarsi come mai sentire Draco pronunciare quelle parole le avesse fatto così male. Infondo loro erano stati amici, in qualche strano modo, forse un po' perverso, ma ormai erano mesi che non avevano contatti.

La verità era che scoprire che lui li aveva visto le impediva di nascondere, soprattutto a se stessa, che quel bacio vi era stato.

Dopo mesi si ritrovava finalmente a riflettere sui motivi che l'avevano spinta a baciare Theodore Nott, quella notte, nel mezzo di quel bosco, isolati dal mondo, o almeno così pensava.

Il problema era che, ancora, non aveva trovato una motivazione logica per il suo gesto. Certo Theo era veramente un bel ragazzo e, per essere un serpeverde, era anche carino e gentile. Con lei, inoltre, non aveva mai mostrato il minimo segno di disprezzo o di superiorità per le sue condizioni di sangue. Al contrario, sembrava quasi intenzionato a diventare suo amico.

Anche quella sera, nel bosco, durante l'attacco dei mangiamorte, si era dimostrato gentile. Morgana ricordava ancora come si fosse sentita isolata dal resto del mondo in quel momento, nonostante i rumori, seppur ovattati, provenienti dal campeggio.

Per la prima volta aveva avvertito un forte senso di solitudine e non le era piaciuto. In passato era rimasta isolata molte volte, anche nel convento, ma aveva sempre sentito di poter essere finalmente in pace in quei momenti. Invece quel giorno aveva sentito lo sconforto invaderle l'anima e Theo, con un semplice gesto, era riuscito a riscaldarla ed a non farla sentire abbandonata. Per quel motivo, forse, si era spinta verso il suo viso e l'aveva baciato.

Eppure ricordava benissimo le sensazioni provate dopo quel bacio ed era ben consapevole di quanto fossero sbagliate. Non si era sentita affatto come una ragazza alla sua prima cotta, ed infatti sapeva bene di non provare nulla per lui, neanche attrazione.

Non che fosse cieca, insomma, sapeva bene quanto fosse attraente, solo che non poteva neanche immaginare di provare qualcosa per il ragazzo.

Ed allora, infondo, il problema era sempre lo stesso: perché lo aveva baciato. Di sicuro non per ringraziarlo di averla coperta col proprio mantello. Non era un gesto sufficiente per spingerla a tanto.

Ma poi... forse... non era neanche così importante sapere perché l'aveva fatto.

Mentre osservava il soffitto del suo baldacchino, consapevole che prima o poi avrebbe dovuto alzarsi ed affrontare il nuovo giorno, la ragazza si rese conto di quanto, infondo, il problema fosse un altro.

Perché faceva così male? Perché il gelo nelle parole di Draco Malfoy l'aveva sconvolta in quel modo? Perché l'idea di rivedere il ragazzo, di perdersi nell'odio dei suoi occhi, la terrorizzava in quel modo?

Non si erano più incontrati. Non che lei avesse creato occasioni perché ciò avvenisse. Al contrario. Aveva evitato per settimane tutti i luoghi in cui avrebbe potuto trovarlo, limitando al minimo anche la sala grande, recandovi solo per i pasti e solo in orari in cui era poco frequentata.

Ma quel giorno era lunedì e sarebbero riprese le lezioni, dopo le vacanze di natale.

Così, dopo aver raccolto tutto il suo coraggio (non era mica una grifondoro lei!), e si era alzata, preparata ed ora stava percorrendo i corridoi del castello, con la strana sensazione di star camminando lungo una linea immaginaria che l'avrebbe condotta al patibolo.

“Finalmente ti si rivede”, la voce della sua migliore amica l'aveva colta talmente tanto di sorpresa da provocarle uno spavento enorme. Doveva aver fatto un salto di almeno mezzo metro, a giudicare dallo sguardo allibito dell'altra.

“E' tutto a posto, Morgana?”.

“Sì, certo. Perché non dovrebbe? Sto benissimo. Non vedi”, va bene. Forse iniziare a parlare a raffica, come una ladra colta sul fatto non era stata una grande idea. Vide gli occhi della rossa farsi sempre più grandi.

“Cos'è successo?”.

“Nulla. Ti ho detto che è tutto a posto. Perché mi fai tutte queste domande”, vide lo sguardo dubbioso dell'amica e per impedirle di parlare ancora, si recò quasi a passo di marcia verso il proprio tavolo, senza neanche guardarsi attorno.

Ma si sa che al destino piace particolarmente farsi beffe di noi, e Morgana ne ebbe la certezza proprio quel giorno, e precisamente nell'attimo in cui il suo corpo andò a scontrarsi con qualcosa di duro.

“Non guardi mai dove vai, mezzosangue?”.

Ovviamente quel qualcosa di duro era la schiena dell'unica persona che non avrebbe mai voluto incontrare e, forse il destino quel giorno era particolarmente incavolato con lei, perché di fianco al biondo si ergeva in tutta la sua tranquilla compostezza il motivo per il quale il serpeverde la disprezzava così tanto, niente meno che Theodore Nott.

Nott e Malfoy, ma che coppia vincente!

Il cervello di Morgana diede momentaneamente forfait e, proprio quando aveva estremamente bisogno di tutta la sua intelligenza, quella decise di andare in vacanza, probabilmente alle Hawai.

Le sentì, le sue guance. Le sentì tingersi di un rosso acceso, segno della vergogna che stava provando, proprio mentre i suoi occhi incontravano quelli nocciola del ragazzo bruno. Gli unici occhi che aveva il coraggio di guardare in quel momento, perché la forza di leggere l'odio ed il disprezzo in quelli argenti dell'altro non l'aveva per nulla.

“Perché non la smetti di trattare ogni altro essere umano come se fossero feccia, Malfoy?”.

“Lo faccio solo con chi lo è, Weasley...”, sapeva che la stava guardando mentre pronunciava quelle parole, come a sottolineare che erano rivolte solo ed esclusivamente a lei. Colse solo di sfuggita lo sguardo incerto di Theo, che sembrava chiederle, in silenzio, cosa fosse accaduto per provocare una tale reazione.

Non si fermò, neanche sentendo la voce di Harry che la chiamava, stava correndo. Correndo via da quella sala, via dai suoi amici, da suo fratello, da Draco...

Correva per allontanarsi il più possibile da lui. Da tutti. Dal dolore. Sì, correva per allontanarsi dal dolore che il suo cuore stava provando in quel momento. Si fermò solo raggiunta la torre di astronomia, stranamente deserta quella mattina.

Si fermò solo quando pote aggrapparsi al parabrezza di quelle alte finestre. Solo in quel momento si decise ad ascoltare il battito forsennato e sordo dell'organo che le troneggiava nel petto.

Faceva male. Un male atroce. Non la voce di Draco, non la sua derisione, non il suo odio. Tutte queste cose erano dolorose, ma non così tanto da dilaniarle l'anima.

Faceva male la consapevolezza che Lucius Malfoy avesse capito molto più di quanto lei stessa aveva intuito. Era terribilmente dolorosa la consapevolezza che lui era diversi passi più avanti rispetto alla ragazza.

Le parole che l'uomo le aveva rivolto anni prima le entrarono prepotentemente in mente.

 

Devo ammettere che lei non ha buon gusto solo in fatto di amicizie, ma anche di letture”.

Ho buon gusto in relazione a molte cose, Lord Malfoy”.

Non potrai mai sposare mio figlio”.

Sposare suo figlio? Io ho dodici anni, perché mai dovrei voler sposare Draco”.

Lui è un Malfoy, fra pochi anni stipulerò un contratto di matrimonio per mio figlio, con una giovane e degna purosangue di buona famiglia. Sto valutando da anni diverse candidate e lei non si metterà in mezzo”.

Mi teme così tanto, Lord Malfoy? Teme così tanto una ragazzina da doverla minacciare. Non sono a pagamento”.

 

Credeva ancora a quel che gli aveva detto quel giorno. Lei non era a pagamento e di certo non pensava di voler sposare Draco, erano così giovani.

Però, forse, Lord Malfoy aveva visto qualcosa di cui lei non si era neanche accorta. Forse quell'uomo subdolo e spietato aveva capito i suoi sentimenti molto meglio di quanto lei era stata capace di fare in tutti quegli anni.

Realizzare che i suoi sentimenti per Draco andavano ben oltre l'amicizia era stato come una coltellata dritta al cuore, come cadere nelle acque gelide del lago nero in pieno inverno e sentire, centimetro dopo centimetro, i suoi polmoni riempirsi di liquido e portarla all'annegamento. Le mancava l'aria. Ormai da settimane sentiva di non riuscire più a respirare normalmente.

Con quei pensieri sempre fissi nella propria mente si sedette vicino alla finestra, sul gelido pavimento della torre. Il freddo sotto le gambe le sembrò quasi un sollievo, perché almeno in parte riusciva a distoglierla dai propri contrastanti sentimenti.

Avrebbe voluto tornare indietro, a pochi mesi prima, quando la sua vita era molto più semplice e lei, infondo, era felice.

Si trovò a riflettere su quanto fosse strano il genere umano. Si rende conto di ciò che ha perso solo quando ormai è troppo tardi.

“Sembri piuttosto pensierosa...”, quelle parole, pronunciate da quella voce piatta, quasi atona, la sorpresero. Non aveva sentito arrivare l'uomo e non aveva la forza neanche di alzare il viso verso i suoi occhi.

Temette per qualche secondo che fosse là per punirla. Doveva essere già a lezione, ed invece si trovava su quella torre deserta, nel vano ed inutile tentativo di scomparire dalla faccia della Terra.

“Qualsiasi sia il problema, puoi trovare una soluzione...”, alzò d'istinto e senza riflettere i suoi piccoli occhi verdi, sino ad incontrare quelli d'onice del professore meno amato di Hogwarts.

Si chiese, d'istinto e per chissà quale numero di volta, come mai nessuno fosse capace di vedere al di là dell'aspetto e della maschera di cattiveria che indossava l'uomo, ogni giorno.

“Non intende punirmi?”. La sua vocetta era appena udibile, ma lui l'aveva sentita, ne era certa.

“No”, il sospiro dell'uomo la distolse dai suoi cupi pensieri, “non voglio punirti. Non so cosa sia accaduto, né cosa ti tormenti, ma sono certo che tu stia già soffrendo abbastanza”.

Quel moto d'umanità la sorprese. Forse era il modo dell'uomo di chiederle cosa fosse accaduto.

“Non ha lezione?”.

“Il lunedì mattina sono libero...”, la guardò negli occhi, sedendosi accanto a lei sulla gelida pietra, “inoltre, oggi è il mio compleanno e pensavo di andare a fare una passeggiata al villaggio, per... festeggiare”. Il tono con cui pronunciò l'ultima parola sembrava presagire tutto, fuorché l'intenzione di festeggiare.

“Non sapevo fosse il suo compleanno... auguri professore”.

Le parole che seguirono sembrarono sorprendere persino l'uomo, la cui faccia incerta era quantomeno esilarante, “ti andrebbe di raccontarmi cos'è accaduto davanti ad una tazza di tè ed una fetta di torta, nel locale di madama Rosemary?”.

“Chi è madama Rosemary?”.

“Una strega di mezza età, con un'assurda propensione per i dolciumi e l'abitudine di spettegolare”, la ragazza si ritrovò a pensare che, anche se l'uomo sembrava voler dimostrare disprezzo per quella donna, i suoi occhi erano colmi di una strana dolcezza, mentre parlava di lei.

Non si rese neanche pienamente conto di essersi alzata entusiasta e di aver seguito l'uomo per i corridoi del castello ed il grande prato sino ai cancelli di Hogwarts ed infine lungo i viottoli del villaggio, troppo intenta a parlare con lui entusiasticamente, di tutto ciò che le passava per la mente.

Non si soffermò, neanche, a pensare a quanto fosse strana quella situazione. Infondo era il suo professore di pozioni, e lei si stava comportando con lui come una bambina al parco con lo zio preferito.

Era tutto così assurdo che il giorno dopo, probabilmente, si sarebbe chiesta se non era stato forse solo uno stranissimo sogno.

Si ritrovo seduta al tavolino di un minuscolo e grazioso locale, arredato in stile Luigi quindicesimo, nelle tonalità pastello dell'azzurro carta da zucchero e del rosa confetto.

Decisamente l'ultimo luogo sulla faccia del globo terrestre in cui si sarebbe aspettata di incontrare Severus Piton.

Non riuscì ad evitare una risata quando si rese conto che, se avesse raccontato a qualcuna delle sue amiche di quella mattina, certamente l'avrebbero condotta senza esitazione al San Mungo, per farla ricoverare nel reparto dedicato alle malattie mentali.

“Cosa ci sarebbe di così esilarante in questo locale?”, la voce burbera dell'uomo la riscosse dalla visione di se stessa legata ad un letto con corde magiche, circondata da uomini in camice bianco.

“Nulla professore...”.

“Sa... miss Belmont. Credo che sia mia dovere metterla al corrente di una circostanza piuttosto rilevante”, l'improvvisa formalità nella parole dell'uomo le fece pensare che si fosse trattata di una trappola e che la sua intenzione non era altro che di trovare una scusa per farla espellere, “no. Non voglio farla espellere”, gli occhi della ragazza si dilatarono per la sorpresa, “ma forse dovrebbe essere consapevole che sono un legilimens eccezionale e che mi viene ancor più semplice comprendere i pensieri di chi sta provando emozioni particolarmente forti”.

“Lei non dovrebbe entrare nella mia mente!”, la voce indignata della ragazzina richiamò l'attenzione di un paio di avventori del locale, che immediatamente distolsero lo sguardo ad un'occhiata particolarmente gelida dell'uomo.

“Non dovrei neanche portare una studentessa in un locale per mangiare una fetta di torta, ma non mi sembra si sia lamentata di ciò...”, gli occhi dell'uomo brillavano di malizioso divertimento. Per una volta sembrò dimostrare la sua reale età e non molti più anni di quelli che aveva realmente.

“Ora vuoi dirmi cos'è accaduto, Morgana?”. Era passato ad un tono meno formale e lei gliene fu grata.

“Perché non legge la mia mente per scoprirlo”, alla parola lettura l'uomo aveva risposto con un'espressione di disgusto, ma parve comunque intenzionato a non approfondire la questione.

“Non voglio farlo. Se desideri parlarne dovrai essere tu a farlo”, la guardò negli occhi con un'intensità che sorprese la ragazzina.

“Lei è mai stato innamorato di qualcuno che non avrebbe mai potuto avere?”.

L'uomo parve soppesare la domanda, come se neanche lui sapesse la risposta da darle. Era stato innamorato, certo. Aveva perduto la donna che amava ancor prima di poterla avere. Eppure non sapeva se avrebbe mai potuto costruire con lei quel rapporto che aveva tanto desiderato.

Solo incontrando quegli occhi verdi che ancora lo tormentavano nei propri sogni, si rese conto che, infondo, sapeva bene quale risposta dare a quella giovane donna, appena giunta alla vita e già così piena di dolore.

“Morgana, io non penso che esista qualcuno che non si possa avere a priori. Sono stato innamorato, di una donna che non mi ha mai amato o, forse, non lo ha mai fatto nel modo in cui io avrei voluto. Eppure, credo che se io avessi fatto delle scelte diverse e mi fossi comportato in modo diverso, avrei potuto avere di più”. Sperò che non gli chiedesse altro, perché non era certo di voler ulteriormente approfondire l'argomento. Non poteva di certo dirle di essere stato innamorato di sua madre...

“E se fosse la vita stessa ad impedire un amore? La famiglia o gli amici?”, la ragazza sembrava terribilmente triste in quel momento, “a volte non possiamo avere quel che vogliamo... non pensa anche lei?”.

Non seppe risponderle. Forse aveva ragione lei. Forse d'avvero a volte non possiamo far nulla per cambiare il nostro destino.

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Capitolo 41
*** La prova è la collana. ***


La prova è la collana.

 

24 febbraio 1995

 

Il tempo si susseguiva veloce per gli studenti della scuola di magia. Le giornate erano scandite dalle lezioni e dai pasti. L'una simile all'altra, abitudinarie e ripetitive.

Morgana era riuscita ad evitare, per quanto possibile, Draco Malfoy, eppure non poteva impedire al proprio sguardo di dirigersi, ogni giorno, verso il tavolo del ragazzo, alla ricerca dei suoi occhi di ghiaccio. Incontrare i suoi occhi, seppur pieni di odio e di rancore, la faceva sentire stranamente tranquilla, come il ritorno a casa, seppur una casa in cui non si era mai sentita accettata.

Aveva ormai accetta i suoi sentimenti per lui e deciso, senza porsi troppe domande, di rinchiuderli nel proprio cuore e fingere che non esistessero. Certo non era facile, ma la possibilità di venir ferita ancora più a fondo era troppo forte e troppo presente per non spingerla a rimanere lontana da lui.

Aveva evitato anche Cedric Diggory, seppur per altri motivi. Non voleva vedere il tassorosso, ma non poteva purtroppo evitare di incrociarlo nei corridoi della scuola. Le sue labbra calde e prepotenti ancora premevano sulle sue labbra se chiudeva gli occhi. Quel bacio rubatole non le era piaciuto e non voleva dover affrontare di nuovo il ragazzo.

Tutti questi pensieri affollavano la sua mente quella sera, o forse sarebbe stato più corretto dire mattina, visto che era da poco passata la mezzanotte, mentre sostava, al fianco di Hermione Granger e di una ragazzina bionda sconosciuta, nell'ufficio del preside Silente, sotto lo sguardo attento del professor Piton.

“Avete capito bene?”, la voce del preside aveva pervaso l'aria, monotona e senza inflessione alcuna, per diversi minuti e lei non aveva ascoltato neanche una sillaba di quel suo lungo discorso. Quindi no. Non aveva capito nulla, ma non poteva di certo ammetterlo.

“Vi addormenterete qui in quest'ufficio e vi sveglierete al termine della prova. Non avrete nessun ricordo delle ore trascorse nel lago e non vi accadrà nulla. Avete la nostra parola”, a parlare era stato Severus Piton, con una nota quasi paterna nella voce che non era sfuggita a nessuno ed aveva provocato degli sguardi piuttosto scettici fra gli studenti ed i professori presenti.

Lui sapeva che non aveva ascoltato una sola parola ed aveva voluto rassicurarla. Gli sorrise furtiva, sperando che nessuno notasse quel suo sguardo rivolto all'uomo.

Aveva capito che era là perché per suo fratello era piuttosto importante, e non seppe davvero se ringraziarlo o meno di tanto affetto, ma decise di soprassedere per il momento.

“Perfetto. Ora che abbiamo chiarito che non correte alcun pericolo, credo sia il caso di assicurarci che neanche i vostri beni preziosi non vengano distrutti o perduti. Vi chiedo, pertanto, di togliere qualsiasi gioiello o altro oggetto di valore che avete addosso e lasciarlo in custodia al professor Piton”, la smorfia dell'uomo a queste parole fu impagabile e Morgana dovette far leva su tutto il proprio autocontrollo per non ridere di gusto, “che ve li restituirà al termine della prova”.

Morgana non si mosse. Non disponeva di alcun oggetto di valore. Aveva tolto il braccialetto donatole da Draco qualche giorno prima, perché era troppo doloroso continuare ad averlo al polso e rammentare l'odio nei suoi occhi durante il loro ultimo incontro da soli. Solo dopo che vide Hermione sfilarsi una fine catenina d'oro dal collo, si ricordò d'indossare ancora il monile donatole dalla madre per i suoi undici anni. Non l'aveva mai tolto da allora, perciò fu con mani quasi tremanti che slaccio la chiusura dell'oggetto per poterlo consegnare al professore.

Troppo concentrata sulla collana e sul significato che aveva per lei, non si accorse del lampo indecifrabile comparso negli occhi dell'uomo, se lo avesse visto, probabilmente sarebbero sorte spontanee delle domande nella sua mante. Non vide neanche lo sguardo con cui lui la osservava mentre, ritornata al proprio posto, veniva fatta addormentare insieme agli altri “tesori” dal Preside.

“Bene. Ora possiamo portare i ragazzi nel Lago Nero, ed attendere ansiosi domani, quando si risveglieranno sorretti dal rispettivo campione”, solo in quel momento Albus Silente volse lo sguardo verso i professori della sua scuola e colse l'aria preoccupata sul viso di Minerva McGranitt. Seguendo lo sguardo della donna non gli fu difficile comprendere il motivo di tale ansia. Severus Piton sostava nella medesima posizione in cui lo aveva lasciato diversi minuti prima, con la mano ancora aperta su uno dei monili consegnato dagli studenti e con la pelle, già solitamente bianca, cerea come quella d'un cadavere.

“Severus...”, la sua voce dolce parve riscuotere l'uomo dal proprio torpore e riportarlo alla realtà.

Non ebbe il tempo di comprendere il perché di quello strano comportamento, che l'uomo ebbe ricomposto la sua solita aria austera ed impassibile e già stava dirigendosi verso la porta, con gli studenti che lo seguivano fluttuando leggeri come l'aria, su barelle invisibili.

*

La mattina seguente tutta la scuola era in fermento. La seconda prova del Torneo Tremaghi si sarebbe svolta a minuti ed ormai non era più un segreto che lo scenario della sfida fra scuola sarebbe stato il Lago Nero.

Gli studenti ascoltarono in religioso silenzio la spiegazione di come si sarebbe svolta la prova e di cosa (o meglio chi) avrebbero trovato i quattro campioni ad attenderli in fondo alle acque acquitrinose del lago.

Harry ebbe un tuffo al cuore quando comprese che aveva un'ora sola per salvare la propria sorellina dalle grinfie delle sirene. L'aveva appena ritrovata e già rischiava di perderla. Non fu certo con animo tranquillo che si accinse ad immergersi nelle acque gelide in quella mattina di tardo febbraio.

L'acqua lo accolse come una vecchia amica non appena l'effetto dell'alga branchia iniziò a farsi sentire e l'euforia di sentirsi un tutt'uno con l'elemento che meno aveva amato sino a quel giorno, gli fece dimenticare tutta l'ansia ed il timore provato in precedenza.

Ansia e timore che, al contrario, Severus Piton non riusciva a scacciare dal proprio animo, ormai dalla notte appena trascorsa. Nulla appariva dai suoi occhi o dalla postura del suo corpo, eppure dentro di lui vi era un turbinio di emozioni che non pensava di poter provare nuovamente.

Non poteva negare che la vista di quella collana lo aveva sconvolto, ma ciò che più di tutto lo aveva turbato era non riuscire a comprendere come quella ragazzina ne fosse venuta in possesso. La teneva nella tasca del proprio mantello dalla sera precedente. Non aveva dormito, non si era cambiato e, soprattutto, non aveva smesso neanche per un secondo di stringere convulsamente le dita della propria mano destra (quella che non gli serviva per utilizzare la propria bacchetta) da quel ciondolo. In qualche modo perverso sentire il gelido acciaio contro le proprie dita, sembrava ancorarlo alla realtà ed aiutarlo a mantenere la propria maschera.

Il tempo, per coloro che aspettavano sugli spalti, parve trascorrere lentamente, quasi si fosse cristallizzato ed attendesse che uno dei campioni rifiorisse dall'acqua per ricominciare a scorrere. L'unica cosa che smentiva tale sensazione era il lieve ticchettio dell'orologio che scandiva la durata della prova: dieci minuti, tic toc, trenta minuti, tic tac, cinquanta minuti...

L'ora era quasi volta al termine ed ancora nessuno dei ragazzi era tornato in superficie. Più di una persona parve impaziente e nervosa sugli spalti. Severus ancora stringeva il monile consegnatogli da Morgana, Ginevra e Luna fissavano impietrite le acque, seppur consapevoli che i professori non avrebbero mai messo veramente in pericolo degli studenti, non potevano evitare al nervosismo di sopraffarle.

Persino fra gli studenti di serpeverde vi era qualcuno che, apparentemente impassibile, in realtà era invaso da sentimenti che non avrebbe mai ammesso neanche sotto maledizione cruciatus.

“Smettila. Non ti sopporto più”, lo sbuffò stanco di Theodore Nott distolse Draco Malfoy dalla superficie del lago, “ti conosco troppo bene per non capire che sei nervoso”.

“Non sono affatto nervoso”, l'eccitazione ed il chiacchiericcio generale coprivano il loro discorso, rassicurando entrambi in merito al fatto che non sarebbero stati uditi.

“Senti... Draco... io...”, si conoscevano da una vita, forse da quando erano ancora entrambi due neonati in culla, avevano avuto alti e bassi, battibecchi, litigi seri, ma Theo sapeva che quella ferita sarebbe stata più difficile da rimarginare, e sapeva di aver atteso troppo per discutere dell'argomento. Aveva ormai compreso che lui sapeva. Non era a conoscenza di come ciò fosse accaduto, ma lui sapeva.

“Lascia perdere. Sprechi fiato”, con lui Draco non poteva fingere, non aveva senso. Sapeva benissimo che lui conosceva il motivo del suo litigio con Morgana e, ad esser sincero, era stanco di fingere che andasse tutto per il meglio.

“Non lo farò un'altra volta, ma lascia che ti chieda scusa”, aveva raccolto molto del suo coraggio e nascosto gran parte del suo orgoglio per pronunciare quelle parole, “mi dispiace davvero per quello che è accaduto l'estate scorsa. Non era mia intenzione ferirti... e non era neanche intenzione di...”.

“Non mi hai affatto ferito”, il tono duro dell'amico nascondeva la falsità di quell'affermazione, ma non era sufficiente ad ingannare Theo, “non vedo cosa potrebbe mai importarmi di quello che è accaduto. Certo i tuoi gusti sono notevolmente peggiorati”. Voleva essere una provocazione o forse solo uno sfogo rivolto a chi non poteva rispondere perché assente.

“Non sono i miei gusti ad essere in discussione qui”, con quella frase era riuscito a far volta l'amico ed ora si stavano fissando negli occhi, consapevoli entrambi che il muro di cemento che sorreggeva le proprie maschere stava crollando inesorabilmente al suolo. “Non mentire. Non a me, Draco. Non ti giudicherei”.

L'altro a quelle parole non poté che abbassare lo sguardo verso il lago, anche solo per poter evitare il peso di quegli occhi nocciola puntati nei propri. Non voleva mentire ad un amico, ma la verità era che per non farlo avrebbe dovuto smettere di nascondere la verità a se stesso.

Fortunatamente il primo campione decise di riaffiorare dall'acqua proprio in quel momento. Fluer Delacour, purtroppo, dovette ritirarsi dalla prova, poiché era stata bloccata da uno sciame di Avvincini particolarmente aggressivo.

Qualche minuto dopo risalirono in superficie prima Cedric Diggory, e subito dopo Viktor Krum, il cercatore bulgaro, ognuno con il proprio ostaggio. Mancavano solo Harry Potter e Morgana ed il passare dei minuti, portava ad un crescendo dell'ansia fra gli spalti.

Quando i due ragazzi, accompagnati ad una bambina bionda, riaffiorarono dalla superficie del lago, diverse persone poterono sospirare di sollievo, e tornare a fingere di non essere affatto interessati alla sorte dei tre, ed in particolare della ragazza.

*

Morgana vagava nel castello, senza decidersi a dirigersi verso il proprio dormitorio, era ormai vicino il coprifuoco, ma sentiva ancora di essere sommersa dalle emozioni della giornata. Era stato tutto molto frenetico, l'uscita dall'acqua, le cure di Madama Chip, la decisione sui punti da attribuire ad ogni campione ed infine i festeggiamenti con le amiche ed il fratello, nella sala comune dei griffondoro.

Era uscita dalla torre da quasi un'ora, stanca di tutto quel vociare e di tutti quei colori accesi e brillanti. Eppure ancora non riusciva a tornare verso i propri alloggi e vagava, senza meta, per i corridoi.

Aveva ancora in mente gli occhi di Draco, che la guardavano poco dopo essere uscita dall'acqua.

 

La coperta che le aveva passato Madama Chip le infondeva un dolce calore sul corpo ancora umido. Non si sarebbe sorpresa se avesse scoperto che era impregnata di qualche strana magia.

Attendeva di avere l'autorizzazione della donna a tornare al castello, quando i suoi occhi avevano incrociato quelli grigi che popolavano i suoi sogni, o meglio i suoi incubi, ormai da diversi mesi. Non si erano detti nulla, d'altronde lui era troppo distante e non sembrava intenzionato ad avvicinarsi, ma le era parso di leggere sollievo nelle iridi di lui, e, forse, si era illusa che quello sguardo potesse significare che, almeno in parte, lui l'aveva perdonata.

 

“Non dovrebbe essere qui, signorina Belmont”, l'aveva vista da lontano e non aveva potuto evitare di avvicinarla e di parlarle.

“Mi dispiace professore, stavo tornando verso i miei dormitori”.

“Strano, mi era parso lei stesse andando nella direzione contraria agli alloggi dei Corvonero. Ha per caso cambiato casa?”, non voleva sembrare così acido, ma il nervosismo lo rendeva ancor più intrattabile, “in ogni caso non intendo punirla, ma mi assicurerò che lei raggiunga la torre giusta in breve tempo”.

Percorsero i corridoi in silenzio, incapaci di parlare ed intavolare una qualsiasi conversazione. Non avevano più trascorso del tempo insieme e da soli da quel pomeriggio ad Hogsmeade ed ancora la conversazione avuta quel giorno sembrava aleggiare tra loro.

“Prima che raggiunga il suo dormitorio, credo di doverle restituire questa”, le porse la collana con il ciondolo a forma di uroboro, “è un monile piuttosto interessante”. Non aveva avuto il coraggio di dire altro.

“Me lo ha regalato mia madre”, lo sguardo sconcertato dell'uomo doveva essere evidente, perché la ragazza continuò la sua spiegazione, “lo ha lasciato ad una suora del convento in cui sono cresciuta ed in una lettera mi ha spiegato che era un dono per me e che mi avrebbe ricordato la mia famiglia”.

A quell'ultima parola gli occhi dell'uomo s'incupirono in modo strano, “la sua famiglia?”, la sua domanda parve stupida persino alle proprie orecchie.

“Così diceva nella lettera... immagino che appartenesse a mia madre. Forse era un cimelio di famiglia. Non saprei”.

Lui sapeva che quello era un cimelio di famiglia, ma non certo della famiglia di Lily Evans. Si trattava di un monile magico piuttosto antico.


 

***

 

Grazie a tutti coloro che leggeranno e che vorranno commentare, lasciandomi un loro parere sulla storia.

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