L'amore non esiste, è un ingorgo nella mente.

di VenerediRimmel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando la spesa nel tuo carrello racconta la persona che sei ***
Capitolo 2: *** dirty crossword ***
Capitolo 3: *** Il karma non esiste, ma Harry sì. ***
Capitolo 4: *** Lo strano odore dell'Amortentia ***
Capitolo 5: *** Sineddoche ***
Capitolo 6: *** Di attimi immortalati ***
Capitolo 7: *** Famelici incontri ***
Capitolo 8: *** Di universi alternativi e realtà da far invidia ***
Capitolo 9: *** Nicotina ***
Capitolo 10: *** Super...chiappe ***
Capitolo 11: *** Blu Louis ***
Capitolo 12: *** Kiss Cam ***
Capitolo 13: *** Due milioni di persone. ***
Capitolo 14: *** All I Ask ***
Capitolo 15: *** Dancing Queen ***
Capitolo 16: *** E penso a te ***
Capitolo 17: *** 7 e 40 ***
Capitolo 18: *** Mai per sempre è un buffo ossimoro (zouis) ***
Capitolo 19: *** 28 (tra i colori e i suoi) e sempre tu ***



Capitolo 1
*** Quando la spesa nel tuo carrello racconta la persona che sei ***


Trama: Zayn è un hostess di cassa con una mente selettiva e artistica che si ribella al merdoso lavoro che fa, analizzando i clienti in base al tipo di spesa che fanno. Harry, Louis, Liam e Niall sono i clienti. Che spesa faranno?

 
Quando la spesa nel tuo carrello racconta la persona che sei

 

Zayn ha sempre avuto una mente molto artistica che costretta a fare un lavoro per nulla gratificante si è spesso ribellata, immaginando e fantasticando sui suoi clienti.

Bip. Biscotti al cioccolato. Bip. Crostatine alla marmellata. Bip. Patatine. Bip. Pizza congelata. Bip. Birra. Quella è la spesa tipica della persona depressa che si consola davanti alla tivù con cibo spazzatura. Alza lo sguardo, puntualmente, e un viso fatto per lo più di occhiaie lo fissa con un sorriso mesto. Non ne sbaglia mai una, Zayn sorride e "Ciao, Liam." lo saluta. "Ancora nessun ripensamento da parte di Sophia?" il ragazzo evidentemente giù di morale nega e abbassa lo sguardo mentre cerca la propria carta di credito. "Vedrai, andrà tutto bene" si premura, mentre striscia la carte e pigia tasti velocemente. Liam sospira: "le rose non hanno funzionato". Zayn fa uno sbuffo: "Certo, ti avevo detto calendule, non rose. Idiota!" lo ammonisce, mentre gli consegna lo scontrino con una penna. Liam firma distrattamente e fa spallucce. "Tanto, ormai..."

"Passa da me, stasera, e ne parliamo. Non puoi stare così" lo consola Zayn, sorridendo labilmente. Liam infila tutto nella busta e annuisce. "Devo portare qualcosa?" dice prima di andarsene. "Non le rose, altrimenti potrei fraintendere" risponde sagace. Liam sorride, sinceramente, e annuisce salutandolo pieno di gratitudine.

Bip. Barbabietole. Bip. Nachos. Bip. Bieta. Bip. Salsa yogurt. Bip. Uova freschissime. Bip. Salsa barbecue. Bip. Ricottina di pecora. Bip. Rivista di calcio. Bip. Stivaletti stilosi taglia 44. Bip. Gioco: truccare, che passione! Bip. Costruisci con Barbapapà. Bip. Macchina di Formula1 Bip. Barbie a cavallo. Bip. Crema per pelle grassa. Bip. Preservativi XL. Bip.

Zayn risulta confuso sulla persona che ha fatto quella spesa, a meno che... Alza lo sguardo e sorride divertito. "Louis!" lo chiama, mentre continua a passare altri prodotti biologici e cibo schifezza. "Harry!" segue subito dopo. "Oggi fate la spesa assieme, eh?" li saluta. è il pacato Harry che, poggiando le braccia sul deposito delle carte davanti a lui, gli risponde. Sembra furioso, nonostante la sua voce mascheri bene: "Non sai dove il tuo amichetto voleva portarmi oggi!" afferma, gettandogli un'occhiataccia subito dopo. Louis, il rude, sembra remissivo ma profondamente offeso, quindi sospira e a denti stretti: "ti ho già detto che non ne sapevo nulla, dannazione, quando la smetterai?" lo ammonisce, sorridendo poi a Zayn che, come sempre, con quella coppietta così "freak" e mal combinata, si diverte come raramente accade in quel supermercato. Harry e Louis dovrebbero cozzare, insieme, ma oramai funzionano in quanto coppia da ben cinque anni. Sono l'eccezione che conferma la regola, Zayn lo ha sempre pensato. "Sì, sì, va bene, lasciamo stare" replica Harry, tirando fuori la carta socio. "Mi scali un po' di punti?" Zayn annuisce e sorride ancora: "Soltanto se mi dici dove ti ha portato" gli sussurra, mentre Louis grugnisce rumorosamente per obiettare.

Harry lo guarda serio e annuisce. Mette una mano davanti alla bocca per nascondersi dal compagno e "in un supermercato dell'acchiappo!" dice oltraggiato, col suo tono di voce profondo e nasale che, tuttavia, giunge anche alle orecchie di Louis che subito sbuffa diventando paonazzo. "Ti rendi conto? Pensa se c'e già andato con i gemelli, per rimorchiare! Chi ho sposato, Zayn?" si lagna Harry, ma stavolta con tono ilare, volto ovviamente a prendersi gioco di Louis che, spingendo il carrello contro un fianco di Harry: "Lasciami passare, grr" Io urta, giungendo alla fine della cassa e riempiendo sbrigativo le buste.

Zayn guarda entrambi e "Harry, non potrebbe farlo mail" gli assicura. Harry lo fissa sorpreso. "Cosa?"

"Tradire te, con qualcun altro, e tradire me, scegliendo un altro supermercato!" esclama, finendo per ridacchiare assieme al riccio. Louis grugnisce un'altra volta "Se non la smettete, vi mollo qui e me ne vado davvero a rimorchiare qualcuno." li minaccia. Poi afferra un piccolo contenitore e sussurrando ad entrambi: "E i preservativi me li porto" conclude, provocando altre risa.

Dopo aver pagato, Zayn gli accenna brevemente della situazione di Liam ed entrambi sembrano dispiaciuti.

"Salutacelo, stasera" gli chiedono. Zayn annuisce e poi li osserva mentre vanno via.

Bip. Pane fresco. Bip. Patate alla Boxty;. Bip. Fonduta irlandese cotta in cinque minuti. Bip. Bistecca. Bip.

Salsa piccante. Bip. Spiedini di agnello. Bip. 12+2 in omaggio di birra. Bip. Manzo. Bip. Pizza ancora calda, già

pagata alla rosticceria. Niente bip - controllo dello scontrino, timbro - dolci misti tipici irlandesi. Bip. Tinta

permanente biondo naturale. Bip.

"Oh, ecco il mio raggio di luce!" Lo saluta Zayn. II tipo Io saluta con un sorriso che illumina, veramente, il suo viso. "Zayn!" esclama e sembra canticchiare come un uccellino. "Ancora usi Io stipendio per comprare prodotti che neanche lontanamente ricordano il tuo bel paese, Niall?" gli chiede, mentre quello sospira in

risposta, stropicciandosi il ciuffo di capelli rialzato. Ridacchia, poi, cacciando fuori una melodia sgraziata ma

dolce che Zayn adora sempre sentire. "Che ci vuoi fare, la nostalgia è una brutta bestia!"

"Vieni a cena da me, sono pronto a cucinarti delle vere specialità irlandesi" Io invita. Per l'ennesima volta.

Niall ride. "E a Josh cosa gli racconto?" risponde ilare. Zayn fa spallucce. "Io non sono un tipo geloso, lo sai"

esclama. Niall ride ancora, imbarazzato, mentre cerca i soldi e gli spicci nelle tasche dei pantaloni. "Non mollerai mai, eh?"

"Per te, vale la pena insistere ogni volta" gli promette, da bravo adulatore. E Niall se ne va con la sua risata grassa ma radiosa, salutandolo con due gote rosse per l'imbarazzo delle avance di Zayn che, di volta in volta, si fanno sempre più insistenti. Prima o poi Josh si presenterà al supermercato e gliene dirà quattro, ma Zayn - a dir la verità - è il piccolo segreto di Niall, quindi forse non accadrà mai.

Zayn si lascia andare sulla sedia dietro le sue spalle e sospira: "Che lavoro di merda".

 

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Capitolo 2
*** dirty crossword ***


Breve trama: a Louis si è rotta la macchina ed è costretto a prendere la metro. E Harry, pendolare, ama fare i cruciverba... a modo suo.

 

Dirty Crossword
 

Louis saliva su quella supposta metallica, ormai, solo per un motivo. Ma il primo giorno lo ricordava bene: aveva rotto la sua auto e per arrivare a lavoro aveva dovuto piegarsi al mezzo di trasporto più utilizzato. Lui, sì, che aveva sempre schifato la gente come si faceva con gli appestati nel 1600. 
Quel primo giorno era rimasto in piedi per tutto il tragitto, nonostante la maggior parte delle sedute fossero libere. Di fronte a lui, c'era solo un ragazzetto col viso nascosto dal giornalino che aveva visto distribuire davanti agli ingressi della metro. A quell'orario, tardi rispetto all'ora di punta, c'era relativamente poca gente - per fortuna: ne contò una dozzina in quel vagone. Il suo lavoro gli permetteva di viaggiare nelle ore più tranquille, fiù. 
"Questa è la prima e l'ultima volta" si ripromise convinto, solo per vederla sfumare come cenere al vento, coi giorni a venire. 
Nonostante l'auto riparata, custodita gelosamente nel suo garage, Louis infatti aveva continuato a prendere la metro, per lo stesso tratto, per settimane.
Il motivo? Quel ragazzino con lo zaino tra le gambe e il giornale a nascondere il viso. La prima volta lo aveva notato a stento, ma quel tanto da risultarne incuriosito. Vedeva soltanto i suoi ricci come una montagnola circondata da una cancellata grigia, che erano le pagine del giornalino. E la sua voce: arrochita e smaliziata, appena percepibile, ma che nel silenzio graffiante di quel mezzo in movimento, era più che udibile. La curiosità spiccò la vetta per un 13 orizzontale del cruciverba che il tipetto tutto ricci stava facendo: "Si alza la mattina". Louis ci pensò, distrattamente, perché ormai l'aveva udito. Cosa si alzava la mattina? 
Non ebbe modo di ascoltare i propri pensieri perché quella voce, con espressione d'ovvietà: "ma certo, è facile: erezione" disse, cogliendolo impreparato. Louis, difatti, aveva sgranato gli occhi e si era guardato attorno per constatare se qualcun altro avesse udito, come lui, ma tutti sembravano farsi i fatti propri. 

Ma come potevano riuscirci? Quel tipo non solo aveva dato la risposta sbagliata, ma aveva usato anche uno squallidissimo doppio senso. Vero, ma pur sempre squallido.

"Oh dannazione, avanzano delle caselle" lo sentì, ancora, per poi vederlo tirare su le spalle. "Le annerisco" concluse, prima di guardarsi di sottecchi attorno, per vedere se qualcuno lo stesse cogliendo in fallo mentre imbrogliava. Incrociò gli occhi azzurri di Louis e, piuttosto che sentirsi in imbarazzo, il tipetto tutto ricci gli sorrise da sbruffone, puntellando le sue guanciotte piene con due soffici solchetti. 
A quel punto, però, fu Louis a sentirsi in soggezione, colto in flagrante nello sbirciare nella sua direzione, con interesse, e così guardò altrove, avvicinandosi alle porte automatiche e costringendosi a non curiosare ulteriormente dalla parte di quel ragazzetto. 
Per una settimana aveva preso la metro alla stessa ora, costretto dalla mancanza della sua automobile super accessoriata.

Giovedì: Si mantenne vicino alle porte automatiche, ma il tipo coi ricci era ancora lì, a fare il suo stesso tragitto e a scendere a chissà quante fermate dopo la sua, forse diretto a scuola o all'università.  Seduto scomposto e con le spalle curve fasciate dal suo cappotto, Louis non si accorse quando fosse accaduto, ma a metà viaggio se lo ritrovò nei posti a sedere vicino a lui, ancora con quel giornale davanti al naso e il sorrisetto vispo, che lui poteva osservargli di profilo.
Questa volta, la curiosità di Louis venne spiazzata da un 15 verticale: "affermazione di successo". Louis sentì il sudore freddo correre lungo la schiena. Sperò che la prima volta, il giorno precedente, avesse capito male, ma quando il tipo "Ah, sì, gemito" esclamò estasiato, Louis non ebbe più dubbi: era troppo vicino a lui, per poter cullarsi nella menzogna di aver udito male. Ancora.
Venerdì: Louis si sedette, impegnato a studiare un discorso da fare per la riunione del pomeriggio con i soci. Il tipo tutto ricci, quel giorno, era distante. Ma quando il vagone si fece più vuoto, Louis allungò le orecchie e lo sentì: "35 orizzontale: là, dove non giunge il Sole". 
Alzò gli occhi al cielo. 
"Questa è facile" esclamò il tipo.
Non. poteva. crederci.
Lunedì: si sedettero vicino. Dopo un lungo fine settimana in cui entrambi avevano vissuto la propria, distante, vita. Il ragazzino tutto ricci gli avanzò perfino un sorriso, al quale Louis aveva risposto con un cenno, prima di sedersi accanto a lui. Non che fosse una sua iniziativa, per carità! Quella era l'ultima seduta rimasta libera.
Quel Lunedì, un 32 orizzontale: "finale che non ammette repliche". 
Louis si era torturato le labbra per tutto il tempo in cui attese la risposta maliziosa dell'altro, spizzando con la coda degli occhi il foglio grigio su cui egli scriveva.
Quel cruciverba non aveva nulla di corretto, dove sembrava vigere la regola dell'errore perpetuo. Si morse perfino l'interno delle guance, spazientito da quell'essere vivente che lo esasperava a suon di doppi sensi. 

"Forse... orgasmo?" lo sentì optare, mentre faceva un tentativo puntellando con la penna sul foglio e sillabando la parole. Louis alzò gli occhi al cielo. 

NON CI POTEVA CREDERE.

"Oh, ci sta... però non sono d'accordo!" commentò, girandosi verso di Louis per – forse? – ricevere la sua opinione in merito. Questo, invece, si alzò indispettito e si avvicinò alle porte. Per la sua fermata mancava ancora mezzo tragitto.
Martedì: finalmente ultimo giorno senza auto, per Louis. Entrò nella metro alla stessa ora, sullo stesso vagone, il numero 3. Quel tipo era ancora lì. Come se lo attendesse. Lo vide sedersi compostamente, subito dopo averlo inquadrato vicino alle porte, desideroso forse che Louis gli si sedesse nuovamente vicino e che gli concedesse una seconda possibilità?
Louis sospirò e cadde nel tranello. Si sedette accanto al ragazzo, sistemando la propria valigetta tra le gambe.

Il tipo, in quel giorno autunnale, nascondeva i suoi bei ricci indomabili sotto un cappello di lana. Peccato, perché era l'unica eccezione lì dentro che piacesse a Louis.
Il cruciverba a sfondo sessuale, tuttavia, - cosa che invece detestava perché capace di imbarazzarlo – non si fece attendere molto.
A
 un 16 verticale, però, Louis seppe trattenersi: "Nel mezzo di gambe" che subito fu seguito da un sussurro flebile e udibile soltanto a lui che gli sedeva accanto: "pene". 
Louis strinse i pugni ma rimase seduto. Palesemente stizzito, lo sentì ridacchiare. Quanto gli urtavano le persone, santissimodio!
Fu un 18 verticale, quel giorno: "Non è un lavoro di mano" al quale, tutto contento, il tipo affermò: "fellatio, ci sta! Che fortuna" spingendolo ad alzarsi, frustrato, dopo avergli lanciato un'occhiataccia.
Si sentiva un gran coglione, perché, insomma, era lui che andava a ricercarlo ed era sempre lui a incuriosirsi della sua immaturità imbarazzante.
Prima di scendere, Louis gli lanciò un'altra occhiata che trovò pronta quella del ragazzino. Lo vide chiaramente mentre lo salutava con una mano e un sorriso sghembo dipinto sul viso gioviale. E Louis quasi inciampò tra lo spazio vuoto della metro e il pavimento, a causa sua.
Evitata la caduta, si maledì promettendosi di non prendere mai più quel mezzo infernale, fatto di tipi astuti pagati probabilmente dal Demonio in persona per coglierlo nella dannazione.
Eppure sappiamo benissimo che Louis tornò il giorno dopo in quella metro, in quel vagone, a quello stesso orario. Il motivo lo sappiamo pure. Ma quando si avvicinò al ragazzo e gli si sedette affianco, quel Mercoledì, Louis acciuffò il giornale strappandoglielo dalle mani lunghe e affusolate, come se ci fosse della confidenza tra loro, benché non avessero mai parlato.
Lesse il cruciverba, alla ricerca di qualcosa di utilizzabile.
Ci mise il tempo di un mezzo tragitto da una fermata all'altra, ma quando trovò quel 17 orizzontale, il viso gli si illuminò birichino: "lo fa chi arruffiana il prossimo per i propri scopi". Il tipo tutto ricci, d'altro canto, lo guardava incuriosito e con un mezzo sorrisetto soddisfatto. Louis lo vide con la coda dell'occhio, e si sentì turbato dal modo in cui quelle iridi verdi lo stavano fissando giocose o come quelle labbra increspate, morse dai denti, attendessero la sua mossa.
Poi scrisse: RIMMING. Ovviamente sbagliata. Poi gli riconsegnò il giornale, attendendo col capo dritto e il collo rigido la reazione. Lo sentì ridere di gusto e, senza sapere perché, si rilassò sorridendo divertito e inorgoglito.

"Piacere, Harry" gli avanzò una mano. Louis la fissò: era questo che voleva, no? Ci aveva pensato tutta la notte. "Louis" rispose, stringendogliela e andando finalmente contro a tutte le sue fobie.

"Ti va di aiutarmi con le prossime?" gli chiese Harry. Louis sorrise allietato "Con piacere" soffiò.

Due settimane dopo, in quel tragitto di mezz'ora, loro erano ancora lì. Due settimane dopo, Louis ebbe il coraggio di fare la sua richiesta.

"Se indovini il 15 verticale, ti invito a cena" avanzò, stuzzicando il desiderio di Harry di riuscire a guadagnarsi quell'appuntamento. Quando lesse, però, gli scappò una risata: "Grosso serpente".

E sul giornale, tra quelle caselle, andando oltre quelle consentite, Harry scrisse: "Spero il tuo, Louis".

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Capitolo 3
*** Il karma non esiste, ma Harry sì. ***


Trama: Vivere in bilico tra la puntigliezza e la sindrome di asperger non è vita. Louis lo sa bene. Ogni volta che il campanello trilla, alle 15:59 - un minuto prima dell'apertura pomeridiana della sua fumetteria - la bile di insofferenza cresce. E la colpa è solo di Harry. Che nella vita non ha fatto altro che prendersi una cotta per il proprietario diffidente della fumetteria in cui non è entrato così spesso come in quegl'ultimi sei mesi di esistenza.


 
Il Karma non esiste, ma Harry sì.
 

Vivere in bilico tra la puntigliezza e la sindrome di asperger non è vita. Louis lo sa bene. Ogni volta che il campanello trilla, alle 15:59 - un minuto prima dell'apertura pomeridiana della sua fumetteria - la bile di insofferenza verso quel mondo tondo, quando a lui è sempre piaciuto il quadrato, come forma geometrica, risale per la trachea e il vomito è imminente. Non può credere al karma, ma quel briciolo di normalità che lo contraddistingue rendendolo eccessivamente puntiglioso, e cagacazzi, ogni tanto lo fa cedere e pensa che sia possibile, che esista. 
La presenza di quel ragazzino tutte gambe ( a forma di parentesi tonde, probabilmente per una cattiva postura durante l'infanzia o la passione per uno sport come il calcio) che entra sempre, tutti i giorni, un minuto prima dell'apertura del suo negozio, lo fa crollare in quelle credenze banali. Il Karma non esiste e, dannazione, quanto vorrebbe che anche quel ragazzino non esistesse. 
L'insofferenza è nata per un valido motivo, ovviamente. Così come sa che la figura geometrica del cerchio fa schifo quanto il colore marrone, ha capito dopo due parole pronunciate da quella bocca a cuore e rossa che il ragazzino non sa un cazzo di fumetti e che è lì per tutt'altri motivi - ecco, quelli gli sono sconosciuti. D'altronde, cosa mai ci potrebbe fare un ragazzo completamente ignaro dell'universo nerd, in una fumetteria sconosciuta di quella cittadina altrettanto sconosciuta? 
Louis ha due ipotesi: per torturarlo o per noia. Oppure: per noia, ha deciso di torturarlo.
Insomma, la presenza di quel ragazzo in quel piccolo, lurido, nerdoso ambiente è del tutto fuori luogo. Eppure Louis non ha il diritto di cacciarlo, a meno che non lo becchi a compiere un furto o qualsivoglia illegalità. Ma il ragazzino non fa un beatissimo cazzo. Gira, inciampando di tanto in tanto tra le mattonelle scomposte del suo negozio, e arrossisce quando Louis gli intercetta lo sguardo, spesso impertinente e fastidioso volto verso la sua parte. Lo vede sussurrarsi qualcosa - una volta giura di averlo sentito bestemmiare il nome di Roosevelt. Che poi, quale dei due? E che male potranno avergli mai fatto, considerato che sono morti? Louis non si è mai spiegato nemmeno questo.
Quel tipo, poi, ha passato gran parte dei giorni a girovagare per il negozio e ad uscire senza comprare nulla. Entra un minuto in anticipo, mandandolo al manicomio, e se ne va un quarto d'ora dopo...senza nulla. Non è oltraggioso?
In sostanza, ha capito che quel tipo è lì per altri motivi la prima volta che, con coraggio, gli si è avvicinato al bancone per chiedergli un consiglio. E che consiglio.
"Secondo te, tra tutti i supereroi, chi è fa la migliore dichiarazione d'amore?" Louis lo ha guardato dall'alto verso il basso, stizzito e sulle sue, come un gatto a cui è appena stata pestata una zampa o negata una coccola e... ma che cazzo di richiesta è mai quella?

Ha sbuffato, così, e "Spiderman" esclama. E il fatto che la sua risposta sia per qualsiasi richiesta SEMPRE quel supereroe non c'entra nulla. Bugiardo.
"Oh, okay, grazie" balbetta, prima di dirigersi verso la colonna dove sono stipati i fumetti di suddetto eroe. Louis ha un udito affilato quindi sente anche quel "coglione" che Harry dice. Pensa che sia diretto a lui e quindi, irritato, "Ehi" lo richiama. "Che hai detto?" lo minaccia assottigliando lo sguardo. Egli si volta, pallido e con i grandi occhi verdi sgranati per la paura. "N-n-n-iente"
Louis lo guarda con diffidenza, affatto intenerito dall'aria da cucciolo indifeso di quello strano cliente che si sta torturando le mani forse a causa del suo sguardo che lo sta ancora analizzando e "ti tengo d'occhio, ragazzino" gli promette, con lo stesso tono minaccioso che potrebbe avere Batman, ma con un apparecchio per la voce contraffatta assolutamente rotto, considerata la sua voce esile e per nulla mascolina.
Però tuona, cazzo, e funziona perché quel tipo rabbrividisce visibilmente prima di annuire e procedere verso il reparto di Spiderman.
Harry, il tipo poco nerd che ora cerca un qualsiasi volumetto di Spiderman, trema e si pente di ciò che ha fatto. La sua crush da ormai più di sei mesi, che fino ad allora era all'insaputa della sua esistenza, lo ha appena "conosciuto" e già lo detesta. Si morde le labbra e lancia occhiate disperata "43, 44, 45," ai numeri dei fumetti.
Harry non sa nulla di quell'universo nerd, è vero. È sempre stato interessato ad altro, come alla musica o alla fotografia, e detesta le cose non lo appassionano come il calcio, sport che il padre lo ha costretto a praticare perché "voglio che mio figlio diventi un calciatore". Eppure, quando la prima volta, passando accanto a un camioncino, davanti quel negozio, ha sentito la voce delicata di Louis – per scoprire il suo nome ci ha impiegato due mesi! – e ha udito le campane del suo cuore suonare a festa, Harry ha seriamente pensato che per quel ragazzo si sarebbe fatto piacere qualsiasi cosa. Anche i fumetti.
Alla fine opta per cinque volumi e si riavvicina al bancone dove Louis siede dietro la cassa e il computer, con VLC aperto mentre proietta un cartone giapponese – che forse si chiama anime, ma non ne è sicuro.
"Ti pago questi" dice con voce flebile. Louis guarda i fumetti, passa i codici a barre e gli dice il conto. Harry paga, passando le banconote della sua striminzita paghetta settimanale con le mani che gli tremano, e quando tocca appena la pelle candida della mano di Louis, ha la parvenza di cosa sia l'estasi e socchiude gli occhi.
Poi sviene.

Louis non ha la minima idea di cosa si debba fare quando qualcuno perde i sensi, ma l'istinto gli dice di assicurarsi che non abbia sbattuto il capo e che sia ancora vivo. Quindi si avvicina subito al ragazzino, oltrepassando il bancone, e si inchina su di lui. Gli afferra il capo, non c'è traccia di sangue, mette un indice sotto il naso e sente un flebile soffio fuoriuscire. 
Perciò inizia a percuoterlo e a chiamarlo: "Ragazzino, hey, ragazzino. Svegliati!" maledicendo il giorno  in cui ha deciso di seguire i suoi sogni e aprire quel negozio. "Ragazzino, dai." 
Quando Harry apre gli occhi, prima di mettere a fuoco la persona che gli tiene la testa poggiata sulle ginocchia, ci mette un po'. 
"Louis?" lo chiama, ancora confuso. "Sì, è il mio nome, ma tu come lo sai? E soffri di narcolessia, forse?" 
"Troppe domande" premette Harry, con una smorfia sul viso.
"Scusa, rispondi alla prima". Harry nega, ad occhi chiusi. Guardare a quella vicinanza il viso di Louis è davvero difficile, soprattutto se è appena svenuto per una mancanza di zuccheri o per la sua prima ebbrezza esplosiva alla conquista dell'orgasmo – son dettagli. Rispondere a quella domanda: impossibile. Dovrebbe dirgli che gli piace dalla prima volta che lo ha incontrato.
Louis sbuffa. "Allora la seconda, soffri di narcolessia?". Harry nega ancora. "No, solo un problema di... zuccheri."
"Zuccheri, eh?" Harry annuisce. "Vuoi un bicchiere d'acqua? Ho anche le bustine dello zucchero, di là" spiega tranquillamente, trattenendo tra le sue mani ancora il viso di quel ragazzino che, ora, sembra cullarsi nella beatitudine delle sue attenzioni. Harry nega e, malamente, si tira a sedere abbandonando quel paradiso che sono le piccole mani di Louis. Poi si alza e Louis lo segue, dietro di lui, con le mani pronte ad acciuffarlo dovesse cadere di nuovo. Quando il ragazzino si volta a guardarlo, sorridendo appena, e lo ringrazia, Louis fa un cenno col capo e ritorna alla sua postazione. Conta i soldi e prende il resto che deve a Harry. Mette i fumetti nella busta e glieli passa. Tutto con fare professionale. 
Harry acciuffa la busta sgraziatamente. Anche se Louis lo ha toccato per tutto quel tempo ora ha paura che fare l'ennesimo gesto, che lo ha portato a capitombolare, possa fargli lo stesso effetto e Louis lo guarda bieco, non capendo. Harry lo ringrazia di nuovo e poi striscia via verso la porta. Prima di aprirla e uscire fuori, Louis lo piantona sul posto con una domanda: "Quindi non mi dirai come fai a sapere il mio nome, eh, Spiderman?".
Per pura caratteristica di "sfigaggine", un po' glielo ricorda Peter Parker. Harry ridacchia senza voltarsi, si gratta i capelli e alza poi la busta con dentro i fumetti: "Ognuno ha i propri segreti, no?" afferma con l'unica nozione che sa sui supereroi.

Louis ridacchia in risposta, forse per la prima volta grazie ad Harry e "d'accordo, ma se vuoi il fumetto con la grande dichiarazione, dovrò ordinartelo". Harry si volta, gli sorride intenerito e "mi faresti un grande piacere, Louis"

Louis sorride, forse ci ripensa sulle sue ambizioni e sui suoi sogni e ringrazia il karma – a cui continua a non credere – che lo ha reso nerd sfigato e gli ha fatto aprire quel negozio di fumetti. " E allora torna indietro e lasciami i tuoi contatti".

Harry si sente mancare alla consapevolezza che dovrà lasciargli il numero, ma si fa forza e un passo dopo l'altro lo raggiunge di nuovo.

Louis ha già preso carta e penna e lo guarda soddisfatto: "Nome?" gli chiede. Sorride sagace.

"Harry" farfuglia piano. Louis sorride sghembo e ripete, mentre scrive: "Harreh" con la sua voce delicata. Poi alza il capo, guarda fisso negli occhi di Harry e "Numero di telefono, Harreh?" gli chiede.

E Harry mette in conto che d'ora in avanti dovrà assumere zuccheri in grande quantità se vuole sopravvivere a quell'immensa meraviglia di Louis; ma in effetti non gli pesa se questo continuerà a pronunciare così dolcemente il suo nome.

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Capitolo 4
*** Lo strano odore dell'Amortentia ***


Trama: AU!Hogwarts, in cui Louis è disperato, Zayn è un fottuto Corvonero che sa approffittare della disperazione degli altri. Louis e Zayn sono amici di Maria. Ah sì, quando Louis odora l'Amortentia, questa ha un profumo veramente troppo insolito.

 
Lo strano odore dell'Amortentia

 

Zayn ha una sola regola: sì, lui è fottutamente bravo in Pozioni, ma non è il tipo che si limita a vantarsene in giro, no, lui è un Corvonero, questo vantaggio lo sfrutta. Chiunque sa benissimo che essere suo amico non basta e quindi Louis, che è un appassionato di Erbologia, gli ha promesso due piantine di canapa se in cambio lo aiuterà. Zayn non ci ha impiegato molto a convincersi.
"Cosa vuoi che faccia per te, Tomlinson?" gli chiede, senza alzare gli occhi dalla Gazzetta del Profeta. Non capita tutti i giorni che un Serpeverde si avvicini alla tavolata dei Corvonero, certo, ma non per questo bisogna farne una questione di stato. Louis, d'altro canto, si sente fortemente a disagio, guardandosi attorno, e poi si siede, convinto di non essere adocchiato da nessuno. 

"Mi servirebbe il tuo aiuto per una pozioncina" sussurra. Zayn abbozza un sorrisetto a mezza bocca e "ogni cosa ha il suo prezzo, lo sai? Cosa ti servirebbe?"

Louis si fa ancora più vicino al ragazzo e la sua voce delicata è ancora più sottile e sussurrata: "Amortentia". Zayn alza gli occhi, divertito, e lo prende in giro con un solo sguardo. "Non hai l'aria del disperato, lo sai?" dice. "E io ne ho viste tante, te lo assicuro" continua. Louis si fra dritto con la schiena, lo sguardo contrito e "piantala" lo ammonisce. Zayn si illumina. 

"Esattamente, di due piantine di tu sai cosa stiamo parlando, se vuoi la tua pozione d'amo-" afferma a gran voce, fermato poi dalle mani di Louis pronte sulla sua bocca per tappargliela. "Due? Sai cosa significa rubare al professor Paciock?" gli ricorda. Zayn fa spallucce. 

"Ma tu sei il suo ciccino prediletto, o no? A cosa ti serve la sua adorazione se non per questi equi scambi?" Louis lo fissa, per sfidarlo, ma alla fine cede e sospira. "D'accordo. Una piantina stasera come anticipo e una a fine lavoro" e avanza una mano che "affare fatto" Zayn stringe con un sorrisetto compiaciuto.

Una settimana dopo, Louis attende davanti alla porta della sala comune dei corvonero. Ha usato il batacchio incantato per bussare, che gli ha chiesto la parola d'ordine che lui, ovviamente, non sa. "Devo parlare con Zayn Malik" ha detto e dopo cinque minuti il diretto interessato è sbucato per farlo entrare. Nella sua stanza hanno fumato nell'attesa che la pozione fosse pronta e completamente sfatti, quando Zayn gli ha passato la boccetta piena della pozione richiesta, proprio quest'ultimo gli ha chiesto curioso: "Che profumi percepisci?" 

Louis ridacchia, mentre apre la boccetta: adora gli effetti che quella pianta chimicamente lavorata procura a chi la fuma, lo rende felice e ottimista anche se questo poi spesso gli ha procurato seri dubbi: ma la canapa non sarà imparentata alla Felix Felicis?

Louis annusa e "sale e aceto" risponde. Zayn si acciglia. "Associ Harry al sale e all'aceto?" gli domanda confuso. Louis sembra sorpreso, mentre con l'indice davanti alla bocca lo ammonisce. "Zitto! Tu che ne sai che mi piace quel grifotonto?" domanda, ridacchiando impacciato. 

Sale e aceto, in effetti, è un accostamento davvero improbabile. "Perché sei un Serpescemo davvero tanto ovvio?" gli risponde Zayn, ridendo. Louis sbuffa e ridacchia, mettendosi in piedi e stiracchiandosi la schiena. Si avvolge nel mantello e nasconde la boccetta in una tasca interna. "Non dire niente a nessuno, eh? Altrimenti niente più MaryJane" lo avverte. Zayn annuisce e "Parola di Corvetto" ironizza, sdraiandosi per terra e spanciandosi dalle risate. Louis gli volta le spalle e se ne va verso la porta. 

"Hey, lo vuoi un consiglio spassionato da un tuo amico?" Louis si arresta e si volta verso Zayn: "Ah, perché ora siamo amici?" risponde sarcastico. "Amici di Maria!" risponde Zayn. Ridono insieme. "Forza, dimmi quello che vuoi dire, idiota" continua.

"Secondo me non hai bisogno della pozione" premette Zayn. "Con Harry, insomma" continua subito dopo, quando a una mancata risposta di Louis pensa di dover essere più preciso. 

"Dici?" domanda Louis, titubante.

"Io dico che non sei il solo a sembrare parecchio ovvio, ecco. E poi sei sicuro di voler essere amato grazie a una pozione?" Louis fa spallucce e "Non lo so, ci penserò..." risponde. "Ma grazie, Malik" conclude, prima di salutarlo e ritornare verso la sua sala comune. 
Zayn guarda il soffitto e ridacchia ancora: "Ma che cazzo di profumi sono sale e aceto, Tomlinson?" esclama a se stesso.

 

Un mese dopo, Zayn è l'unico tra gli studenti a non essere affatto sorpreso nel vedere un Grifotonto e un Serpescemo passeggiare per Hogwarts scambiandosi sorrisi languidi e battutine sconce, manifestando un sentimento così sincero l'uno verso l'altro che, è certo, non è nato a causa di una pozione ma piuttosto grazie a una magia molto più forte.Si sente soddisfatto in ogni caso, al solo pensiero di quelle due pianticine che crescono giorno dopo giorno nella sua stanza.


 
 

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Capitolo 5
*** Sineddoche ***


Trama: Gli abbracci sono un posto perfetto in cui abitare, ma non dobbiamo farlo capire a nessuno.

 
Sineddoche
 

Gli abbracci sono un posto perfetto in cui abitare, ma non dobbiamo farlo capire a nessuno. Eppure è così difficile fingere. A casa ognuno di noi si sente al sicuro, a volte è soffocante ma è pur sempre il primo posto in cui scapperesti se hai bisogno di aiuto. Ci ho impiegato diverso tempo, ma poi un giorno, scrivendo una canzone, ho dato alla parola casa un valore metaforico. O meglio, la forma di una sineddoche; e le tue braccia sono diventate la mia casa, il tuo petto l'isola in cui abbandonarmi per scappare da tutto ciò che mi fa paura. E tutto questo bisogna non farlo notare. Ma è difficile recitare, quando si è nati pessimi attori. E allora cosa è successo prima? Ieri notte ci ho pensato a lungo, da quant'è che non ti abbraccio? Saprò trattenermi tutto quello che mi porto addosso da quando non percepisco l'odore di casa? Saprò renderti di nuovo essere umano e non la sinnedoche della mia vita? Saprò fingere di aver perso la chiave? E dopo, cosa accadrà? Dopo che ti avrò abbracciato, riuscirò a continuare la mia vita? La prima volta mettere distanza è stato molto graduale. Tutto è partito dal silenzio di mille incomprensioni. Ma ora? Quando tornerò a stringerti e tornerai ad avvolgermi, saprò vivere con la consapevolezza che mi mancherai come l'aria nei polmoni mentre si sta in apnea?
E mentre? Mentre ci abbracceremo davanti al mondo, che succederà?
Quante paranoie. Ma poi ti guardo e la tempesta che ho dentro, diventa un mare calmo in Primavera e tutti mi rinasce dentro con pacata armonia. I tuoi occhi mi fanno sempre lo stesso effetto, così come quando non ci sono a tenermi compagnia di nascosto o di sfuggita. I tuoi occhi si fanno sentire, non sono mai indifferenti né a me né alle mie emozioni. I tuoi sono camomilla e cocaina in due tempi differenti. Ma come fai, santissimo gesù?
Sorrido, faccio spallucce, mi agito dentro ma non ho più paranoie nella testa. Come on, penso, e tu ti avvicini con passo svelto e deciso, quasi irruento. Ci hai pensato anche tu a questo abbraccio? Non deve essere stato semplice nemmeno per te. 
Quando il tuo petto sbatte contro il mio, sto già stretto tra le tue braccia e non cado, non cedo. Le ginocchia quasi tremano. Son così piccolo, ma sono al sicuro. Col mento mi appoggio a una tua spalla e chiudo gli occhi. Ah, il calore. Non è cambiato nulla. Sei sempre tu. E quanto ti amo. Ti amo sempre. 
Sento le urla, poi, e così ti do qualche pacca sulla schiena. Fai lo stesso. Chissà cosa dice il tuo viso. Ti dà fastidio il mio odore? Io, il tuo lo percepisco ancora anche quando non ci sei. Ci dobbiamo separare, questi pochi secondi stanno sembrando ore, ma è sempre troppo poco il tempo che si trascorrere a casa, perciò via, ma prima "Sei ancora nel mio cuore, Harold"e forse non l'ho detto. O forse sì. Poi le tue labbra repentine sul mio orecchio:"e io ti amerò per sempre, lo sai". 
Perciò sei ancora la parte del mio tutto o forse non ricordo cosa significa veramente una sinnedoche. Ma sei ancora la mia casa, Harry.

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Capitolo 6
*** Di attimi immortalati ***


Trama: Harry ha sempre una fotocamera a tracolla, ma non sempre sceglie di fotografare ciò che vede. Louis è un modello che ama sedersi nei corridoi per guardare la gente.

 
Di attimi immortalati.
 

Louis scende dalla macchina e click. Arriccia il naso, ancora confuso dal flash che gli è stato sparato in faccia. Quando riesce a mettere a fuoco il fotografo, fa in tempo a vederlo sorridere e poi fuggire via verso l'ingresso degli edifici. La sua identità: Solo Ricci.
Louis lo rivede per i corridoi, qualche giorno dopo. Anche se lo hanno rimproverato spesso per questo, ha l'abitudine di attendere il proprio turno, seduto a terra in mezzo al luogo più affollato di tutta la struttura. Perché gli piace vedere le persone, leggerle, disegnarle nella sua mente. E questo forse perché è sempre stato incapace col disegno. E con la fotografia. 
Harry passa per quel corridoio e si arresta un paio di metri da lui. Ha sempre a tracolla la macchina fotografica e accade di rado, soprattutto quando ha gli occhi meravigliati come in quel momento, ma a volte gli capita di non usarla. Nella vita sa che non potrà mai spaccare come fotografo perché troppo  spesso preferisce l'emozione del momento all'inganno dello scatto di un obbiettivo, ma fino a quando riuscirà a rimanere sopraffatto cosa può interessargli? I soldi non gli mancano.
Louis intercetta i suoi occhi qualche attimo dopo. Si stranisce e poi lo riconosce, fissandolo con cipiglio. Harry prende la macchina fotografica la mette davanti agli occhi, sistema zoom e messa a fuoco e... non scatta. Posa la macchina e lo guarda ancora. Sorride, sospira e se ne va.
Louis è stranito ma non fa niente. Soprattutto perché Lou, la stylist, gli si avvicina per sistemarlo.
La sera di quello stesso giorno, però, Louis cammina sullo stesso corridoio quando viene attratto da un rumore sordo, come un oggetto caduto sul parquet, alle sue spalle. Si volta e sente qualcuno imprecare. Ridacchia e torna indietro, verso uno dei camerini dove pensa sia giunto il rumore. Apre senza troppi indugi la porta e trova Solo Ricci chinato a raccogliere i pezzi di una macchina fotografica. 
Harry si volta a guardare verso la porta, un po' seccato perché è tanto goffo da aver fatto cadere una delle cose che ama di più al mondo, ma si sorprende nel trovare il famoso modello per cui ha deciso di bloccare un'altra macchina fotografica. Poi guarda quella che è caduta e sa che non può essere un caso.
"Hey" lo saluta Louis. "Mi dispiace per la tua macchina fotog-" ma si interrompe quando nota tutte le altre attaccate al muro di fronte ad entrambi. Una parete intera di macchine fotografiche di ogni tipo. Guarda Solo Ricci e un brivido percuote la sua schiena. Cos'è? Uno psicopatico? Chi mai farebbe una cosa del genere?
Harry segue lo sguardo del modello e si ritrova a ridacchiare, mentre posa sul tavolo i resti di quella fotocamera. "Come vedi ne ho tante altre..." lo rassicura. "Ma non sei qui per dispiacerti" dice. "Cosa ci fai qui, Louis?" domanda, rendendogli noto che lo conosce. Louis indietreggia. è senz'altro uno psicopatico. 
"Hai una domanda per me?" 

Si ritrova schiacciato contro la porta, incapace di andarsene benché Solo Ricci Psicopatico sia ben distante da lui. In realtà avrebbe più di una domanda, ma il suo istinto gli dice di correre via, lontano. Eppure quando mai ha dato retta al suo istinto?

"Lavori per l'equipe?" Harry nega. "Sono il figlio del tuo fotografo, ma non è questa la domanda". Louis manda giù un boccone graffiante di saliva e "perché mi hai fotografato l'altro giorno?" domanda, quindi, senza muoversi. Harry abbozza un sorriso, alza il volto verso la parete e "mi piaceva il tuo sorriso naturale e l'espressione dei due occhi, affilati ma addolciti al tempo stesso. Ho scattato senza pensarci". risponde. "Ora l'altra domanda?" Louis si morde l'interno della guancia. "E perché oggi non mi hai fotografato?" dopotutto non è abituato a qualcuno che preferisce non scattargli una foto. Anzi, questo lo fa risentire un tantino. 
Harry si volta a guardarlo e gli sorride dolcemente. L'istinto di Louis gli dice che non è pericoloso e forse stavolta gli dà un po' retta e si rilassa. "Certe volte non scatto, se mi piace il momento, piace a me, a me soltanto, non amo avere la distrazione dell'obbiettivo, voglio solo restarci, dentro.(*)" spiega. "E ogni volta che accade, fermo quella fotocamera attaccandola su questa parete. è il mio modo di rendere immortale quel momento. Non so se ha senso, per me lo ha..." conclude facendo spallucce. Louis guarda la fotocamera rotta sul tavolo. "E quando una di queste accidentalmente si rompe, che succede?" domanda, avvicinandosi. Ora è per lo più curioso. Harry si volta verso di lui, sembra colto dalla tristezza: "Succede che l'immortalità non esiste e c'è solo l'adesso. Non è un caso, infatti, che tu sia qui." Louis si mette nuovamente sulla difensiva, ma stavolta usa elegamente la sua ironia: "E quindi cosa farai? Attaccherai me sulla parete?" Harry ride. Poi - fortunatamente - nega. "No, ma mi devi un momento immortale, Louis" lo provoca in un sibilio. Louis ridacchia ancora. "Che ne dici, per ora, di una stretta di mano?" e ne avanza una. 
Harry annuisce e ricambia. "Harry" si presenta. Solo Ricci un po' Psicopatico, detto più comunemente Harry. Okay, gli piace quel nome. "Piacere" risponde Louis. "Ora mi spiegheresti perché hai scelto me come tuo non scatto di questa fotocamera?" le mani ancora intrecciate in una presentazione che ha molte parole non dette. 
Harry sorride malizioso, si morde un labbro, e ripensa al desiderio provato nel vederlo seduto in quel corridoio e, tirandolo per quella stretta, decide che è meglio mostrarglielo.
Click. E nessuno scatta una foto, ma specchiati dal riflesso di uno specchio, i due si baciano tenendosi ancora per mano. 
Quel bacio resta immortale, tra le diverse fotocamere di quella parete che non ha spazio per qualcosa di così grande.






(*) citazione "i sogni segreti di walter mitty"

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Capitolo 7
*** Famelici incontri ***


Trama: In una casa fatta di echi, due persone si ritrovano mangiando torte e mangiandosi a vicenda. (Ispirata da questo vine: https://vine.co/v/OtDhrbh5Iu6 )
 
Famelici incontri
 

Una casa vuota lascia sempre un eco. Se si sposta il vento, per quella finestra che lasciamo sempre socchiusa, lo senti, e sono le nostre voci sommesse a chiamarci dolcemente, quando facciamo l'amore.
Una casa vuota resta piena di tutto ciò che ci nascondiamo dentro. Ci siamo noi, i nostri fantasmi come ricordi, quando siamo lontani. Una casa vuota è come la pellicola di un film che parla dei nostri segreti: un nastro consumato, con tutte le nostre parole taciute l'uno all'altro. Un film probabilmente fuori dalla portata di tutti, perché dentro questa casa siamo noi stessi e a noi è sempre piaciuto fare l'amore.
Nella nostra casa c'è un frigorifero quasi sempre vuoto, ma ora c'è quel pezzo di torta che ho portato dalla festa di un mio amico, un po' di birra e qualche schifezza che tanto detesti. Tu la riempirai di roba bio e sana, ma giuro che stavolta non ti prenderò in giro. Ho solo tanta voglia di averti di nuovo qui, dove ci basta essere noi e dove non dobbiamo essere nessun altro. Soprattutto io. Ho messo anche la felpa che ti piace tanto. A me piace perché mi ricorda i tuoi occhi: oh, cosa sarei disposto a fare, a causa dei tuoi occhi. 
Sentire i nostri odori per questa casa, percepire quel che sono i nostri ricordi, in ogni angolo di queste pareti mi fa solo venire una gran voglia di averti. Nostalgia, anche se stai per arrivare. Ma quando arrivi? Ti aspetto sul divano, la malinconia è un brutto affare. La torta è in frigo: ho già un'idea su come fartela assaggiare. Se mi addormento non significa che non ti sto aspettando.

La porta si chiude e con i tuoi passi lunghi sei già in cucina a riempire il frigo, inserendo tutti i tuoi alimenti sani, tra cui la macedonia di frutta che detesto. Ti detesto quando cerchi di ingozzarmi di roba buona, perché io, con te e col cibo, amo soltanto una cosa: le schifezze. Come quella torta che noti e che con un mezzo sorriso smaliziato prendi, lasciandola fuori dal frigo. Forse mi leggi nel pensiero e sai cosa voglio farci, o forse anche a te stuzzica l'idea delle mie stesse porcate.Arrivi sul divano e mi trovi mezzo assopito, lasci il piatto e ti prendi qualche secondo per ammirarmi, così silenzioso e calmo. Mi lasceresti dormire pensandomi stanco se non sapessi che non te la perdonerei mai un'altra notte senza averti. Acciuffi la punta del mio piede, carezzando la pianta con un pollice e le tue dita gelide mi svegliano. Quando ti metto a fuoco "ciao" e ti sorrido con gli occhi socchiusi e già non sono più quel me stesso che tutti conoscono e che conosco anche io, ma non tu; e sono al tuo collo per come mi conosci, pronto a stringerti e a portarti in questa isola di beatitudine assieme a me. Mi sei mancato. Ti sono mancato. La tua pelle ha cercato la mia tra le lenzuola di seta di chissà quanti alberghi. E io ho cercato il tuo profumo in chissà quante città, ma ora siamo di nuovo qui. Lontano da tutti, vicini a noi. Tra pelle e odore. Noi. E gli echi tornano a non distinguersi più.

Con i nostri corpi così diversi, trovare una forma non è stato facile. "Sei dimagrito troppo" mi hai detto quando persi tutti quei chili. Mi hai messo all'ingrasso solo per tornare a sentirti comodo, schiacciato contro il mio petto. Tu sei sempre stato scomodo per me, con le tue gambe lunghe e il tuo addome immenso, difficile da stringere tutto. Tu, che vuoi sempre essere un little spoon. Ma la scomodità tra le tue braccia mi è sempre sembrata un lusso a cui difficilmente avrei fatto fatica a rinunciare. E le tue labbra, sono farinose come una mela che risucchiano le mie, così sottili. Siamo così complementari, come le tue affusolate mani con le mie, piccole e mangiucchiate, che tu baci sempre, dopo aver fatto l'amore. Come fossero il piccolo e prezioso diamante di un inestimabile tesoro. "Sei il mio tutto" mi sussurri. "Per questo non ho niente quando non sono con te" e io non posso far altro che sentirmi coccolato e amato come non merito. Perché io tutte queste stucchevolezze, Harry, non so dirtele. Te le ho scritte e cantate, ma lì mi nascondo dietro una voce, che infatti trema quando si tratta di te, e dirti perché ti amo, guardandoti negli occhi, oh no, non sarei capace. Per i tuoi occhi, però, proverei.
Le nostre pance brontolano. Non abbiamo fame solo di noi, e ridiamo per questo. Ti allunghi verso il piccolo tavolino e solo in quel momento mi rendo conto della torta. Ho voglia di far l'amore, non di mangiare. Anche se è la torta millefoglie per cui vado ghiotto. Quindi mugugno e mi lanci un'occhiataccia. Sei minaccioso quanto un orsacchiotto di peluche, lì, accoccolato tra le mie gambe e poggiato sul mio addome. Ma sono in trappola, quindi non posso fare nulla di ciò che voglio, e facciamo ciò che vuoi tu. Ti vedo prendere un po' di panna con l'indice e assaggiarla. È così erotico vedere semplicemente un tuo dito avviluppato in quelle labbra che indurisco i glutei e trattengo un fremito di eccitazione. Mi distraggo con quell'idea che vedo balenarti in testa e passare per quegli occhi che ti si illuminano. Voglia maliziosa. La vedo. Mi piace. E quel dito carezza un labbro e vorrei essere io, a toccarti.
Ti alzi mettendo la torta dov'era. Accendi i riscaldamenti e inizi a spogliarti lanciandomi uno sguardo che, senza parole, dovrebbe incitarmi a fare lo stesso. E così salto sul posto come una molla, perché denudarsi significa fare ciò che non faccio altro che desiderare da mesi. Ti avvicini che i pantaloni non li hai più e stai sfilando quella tua ridicola camicia, lasciandomi modo di ammirare quel morbido corpo tatuato, che è più mio di quanto possa essere tuo. 
Io, per conto mio, sono già in mutande. Come mi riduci, Harry?

Ti insinui famelico come un gatto tra le mie cosce, guardandomi sghembo, pregustando un antipasto di me con i tuoi occhi vispi.

Ti guardo mordendomi un labbro e poi, capriccioso come un bimbo che non sa aspettare, ti afferro per la nuca e ti spingo verso di me. Voglio farti perdere in me, come capita a me quando ti guardo. Perché solo con tutto me stesso posso riuscirci, io invece solo con uno sguardo. 
Ti mordo la bocca come un bastardo e mi stringi come se volessi ringraziarmi. Le tue labbra sanno di latte.
Rotoliamo su questo divano, ridiamo quando come due masochisti non facciamo altro che far lievitare le nostre eccitazioni, sfregando i nostri corpi nel peggior petting della nostra vita. Perché ci riduciamo così tanto, quando possiamo averci, finalmente? Passo mesi a toccarmi pensandoti, come se per settimane non facessi altro che preliminari. Perché devo subirli anche quando sei nella mia bocca? Ah, già, perché amiamo farlo. Quanto detesto questi atroci paradossi. 
Mugugno quando l'insofferenza è troppa e te ne rendi conto perché fermi le mie mani, intrecciando le nostre dita, sopra le nostre teste. E ti muovi in quel modo in cui le nostre gambe non possono fare a meno di allacciarsi per sentirsi di più.
Mi farei prendere all'instante perché ci sono giorni in cui più che volerti mio, voglio che sia tuo ma poi ti qualifichi come il vero bastardo tra noi due e ti fermi. Io sto già pensando alla tua bocca sul mio sesso, alle mie labbra nei tuoi glutei. A te, dentro di me. E tu ti arresti.
Mi lamento con voce sottomessa mentre strusciandoti su di me ti allunghi verso il pezzo di torta... e giuro che la sto odiando così tanto da pentirmi quasi di averla portata. Assisto di nuovo alla visione della panna sul tuo dito e poi nella tua bocca e non resisto più. Faccio la medesima cosa. La panna è buona. Ripeto, sotto il tuo sguardo ammaliato e al tuo corpo arreso all'evidenza di quanto ti piaccia quando io tento a mali estremi di attirare la tua attenzione. Lascio un po' di panna su due dita e mi avvicino al tuo viso, le insinuo e mi lasci fare, inerme. Sei sotto il mio comando ma io voglio solo toccarti e così finisco per spalmarti la panna sulle labbra e concludo col farmi avviluppare le dita dalla tua bocca. Succhi ed entrambi ci pensiamo, ma non agiamo. Percepisco la tua lingua, ghiotta, ed entrambi impazziamo. 
Faremmo di tutto, in quel momento, anche finire quella torta o continueremmo come masochisti con quei fottuti preliminari... se solo non ne avessimo abbastanza. La torta nel piatto cade a terra quando di slancio ti issi mettendoti carponi, mi fai girare a pancia in giù, aiutandomi con famelica irruenza.

"Ti voglio" Mi farei baciare il c*lo e accoglierei il tuo sesso nella mia bocca se solo avessi la pazienza. Abbiamo tempo, ma abbiamo atteso e giocato fin troppo.

"Scopami, cazzo" diciamo le solite porcate che fuoriescono in questi momenti senza condizione di causa (perché con un minimo di razionalità, risparmieremmo fiato per andare dritto al sodo). E parliamo scoprendo come anche le parole hanno la forza erotica di farti eccitare più di quanto già non sei.

Ti sento prepararti, poi scacciarti sulla mia schiena e infine, finalmente, insinuarti in me, spingerti dentro di me, strisciare su di me alimentando una fame dentro che si alimenta come un uragano col vento. "Oh Louis" gemi, strofinandoti addosso. Schiacciato così sul divano è una sofferenza, il dolore bruciante lo è, anche, ma averti finalmente dentro di me, ah, mi arresta quella guerra che ho dentro quando non ci sei e che mi fa tornare in pace con me stesso. Perché ci sei. Ti sento. E il tempo si arresta. Ci siamo solo noi, che creiamo echi nuovi per questa casa quasi sempre vuota.

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Capitolo 8
*** Di universi alternativi e realtà da far invidia ***


Trama: AU in cui Harry e Louis sono sempre stati solo migliori amici e nessuno ha mai pensato a qualcosa di più. Tutto questo fino a quando Louis non incomincia ad avere delle strane visioni su un universo alternativo in cui le cose vanno in maniera decisamente diversa.

 

Ormai non sapeva più distinguere la realtà dalle sue fervide visioni. Erano incominciati come sogni, dai quali si svegliava intontito, con un nome sulle labbra e un rigonfiamento nelle mutande. E quel nome, lo sapeva, lo stava mandando al manicomio. Perché se erano iniziati a esserci solo nella notte, poi si erano tramutati in strane visioni simili a dejàvù che, però, lui viveva a pieno, come se contemporaneamente fosse qui ma anche lì. Un nome, che portava con sé sempre una bocca. E che bocca, ormai non riusciva nemmeno più a guardarla senza pensare a come l'aveva vista muoversi chiamando il suo nome o venerando il suo corpo.
Stava impazzendo, probabilmente se ne avesse parlato ad alta voce lo avrebbero rinchiuso in una casa di cure. Perché perfino lui sentiva di averne bisogno.
Harry Styles, in quel mondo sul quale viveva ormai da ventitrè anni, era sempre stato solo il suo migliore amico ma in quelli che vedeva soltanto lui, era il suo sogno erotico che lo combinava dentro e fuori un disastro. Ormai era quasi quotidiana l'esclamazione "Che tu sia dannato, Harry Styles" e se inizialmente aveva preso sottogamba questa... cosa... poi Louis aveva iniziato a preoccuparsi sul serio. E più si sentiva vestire i panni di un pazzo, più si allontanava dal suo migliore amico. 
Harry, d'altro canto, ignaro della situazione, spesso si era domandato cosa gli stesse accandendo e perché si rifiutasse di parlarne con lui. In realtà, si rifiutava di fare tante cose: ormai evitava il suo sguardo, non tornava più nella casa che avevano preso in affitto assieme, non rispondeva alle sue chiamate perché "la tua voce mi infastidisce, così nasale, così calda..." aveva commentato in un farfuglio, quando ancora la situazione era soltanto delicata e non ancora vulnerabile. Ma, poi, era accadduto: per scrollarlo e ottenere la sua attenzione, l'ultima volta che si erano visti Harry lo aveva afferrato per un braccio, delicatamente, senza irruenza. Gli occhi vitrei di Louis si erano fatti prima confusi e poi irati, quando lo avevano messo a fuoco. Ed era stato motivo di lite, quel momento. Lo aveva solo toccato e Harry aveva giurato di sentirlo fremere, come un gatto spaurito dell'avventura stessa di osare. Si era aggrappato a quell'esile polso e l'aveva chiamato, soltanto questo, per cercare di farsi trovare da quelle iridi azzurre che non erano più capaci di guardarlo con la loro solita ironia: "Loueh" una volta, "Hey, Louis" e quando i loro sguardi si erano incrociati, per un attimo era perfino sembrato trovassero la pace e Harry, infatti, gli aveva quasi accennato un sorriso, poi Louis fu ben saldo con i piedi su quella terra, e si strattonò da quella presa, quasi facendosi male: "Lasciami in pace e non toccarmi mai più" gli aveva detto, sbattendo forte la porta di casa. 
Quella volta, in chissà quale mondo, Harry gli aveva confessato di essersi innamorato di lui e Louis, in questa realtà, non aveva più idea di quali fossero i suoi veri sentimenti. 
Non era più Louis. Non era più Harry, il suo migliore amico. Entrambi avevano preso forma di quegli esseri che non erano in quel mondo ma in altri infiniti universi. 
Stava impazzendo e forse sarebbe tornato sano ben distante dal suo migliore amico. Il guaio era, ora, che non sapeva più se fosse capace di tenersi a debita distanza da Harry. 
Trenta giorni. Trenta giorni di dannazione perché nonostante la lontananza, nulla era cambiato o appassito. E, anzi, quelli che non riusciva più a ridefinire si erano intensificati: sentimenti. No, le visioni erano rimaste sempre uguali: stessa intensità.
Harry lo chiamava, ma lui non rispondeva. Eppure Louis lo ricercava ovunque e, ora, lontano da lui, vederlo in altri mondi era quasi come una medicina alla sua malattia, quella che si era inferto da solo. Vederlo amarlo così forte, in quei sogni che non erano semplici sogni, e fare con lui cose che non avrebbe mai potuto immaginare, non era più una condanna alla sua inevitabile follia ma una pace illusoria e un distaccamento dalla realtà dalla quale scappava. Perché era tutto, solo, nella sua testa. Harry non lo aveva mai toccato in quel modo, Harry non aveva mai confessato di avere una crush per lui, Harry non aveva scritto una canzone in cui lo pregava di non lasciarlo andare. Harry non aveva cercato di renderlo geloso uscendo con altri uomini. Harry non si era tatuato quei tatuaggi che in risposta ai suoi, parlavano di loro. 
Harry non aveva mai fatto l'amore con lui. Ma Louis, in chissà quale luogo, lo aveva fatto. Tutto questo. E non poteva più cambiare, né dimenticare. Perché una volta visitato quel corpo, come fosse un luogo, la sua isola che non c'è, non aveva le forze di scordarsene o abbandonarla. Peter Pan non lo aveva fatto, era ovvio che non potesse farlo neppure lui.
Doveva solo restarsene lontano. Per il bene di Harry, che era ancora ignaro di tutto ciò.
Tuttavia, Harry non era d'accordo. A modo suo amava Louis e non avrebbe permesso a nessuno, tantomeno a un diretto interessato come Louis, di dividerli. Era il suo migliore amico, sapeva che qualcosa non quadrava e doveva farsi avanti per aiutarlo. Anche se Louis si rifiutava di accettare la sua mano. 
Si organizzò con Niall, che fece in modo di incastrare Louis in casa sua, una sera, e quando finalmente tornò a incrociare le sue iridi azzurre, sospirò mentre Louis continuava a dire "questo è solo un sogno, questo è solo un'altra visione. Tipica di quel Niall, incastrarmi con quel Harry. Questo è solo un'altra vivida immaginazione. Prima o poi svanirà". 
Harry si era avvicinato, quindi, stringendo le sue forti mani sulle braccia dell'altro e "Louis, cosa stai dicendo?"
"Tu non sei il mio Harry, tu sei un altro, sempre uguale, sempre magnifico, ma un altro... non il mio migliore amico"
Harry aveva negato, preoccupato, con il desiderio di stringerlo forte, ma aveva poi esitato. "Louis...? Calmati, perché tremi?"
E a quelle parole, sembrò quasi che Louis tornò con lucidità a vedere e con la stessa velocità, a detestarlo. A Harry bastarono gli occhi. Quelli sapevano sempre esprimere ogni emozione. "Perché sei qui? Ti ho detto che devo starti lontano, che non va bene, che non possiamo-" e si divincolò di nuovo dalla presa delle mani di Harry per indietreggiare, ma questa volta Harry non desistette e avanzò col suo passo lungo. "Calmati, sono preoccupato... non sei più in te, che ti sta succedendo? Parlami, cristo santo, sono il tuo migliore amico!"
"NO! Tu non-" urlò, poi guardò in basso e fissò il vuoto. In un sussurro: "Tu non sei semplicemente il mio migliore amico, sei...sei- la mia anima gemella" gli uscì in un singhiozzo. Harry lo guardò accigliato ma non esitò quando lo afferrò stringendolo al suo petto per permettergli di sfogarsi. Non capiva, ma poteva aspettare che si calmasse per conoscere la verità. Si inginocchiarono sul pavimento, Louis aveva ancora esitato in quelle braccia, tentando di divincolarsi, ma poi si era arreso e lo aveva abbracciato con più forza dell'altro, piangendo e inebriandosi con quell'odore che sapeva essere di quell'Harry e di tutti gli altri per cui aveva perso la testa. Si era innamorato del suo migliore amico in altri universi, ma i suoi sentimenti non erano mai stati tanto reali come per quella persona. Non aveva mai amato così tanto ed era successo in un folle atto di alienazione. Come avrebbe mai potuto spiegarlo a Harry? Così pianse. Pianse perché non era possibile far passare per sensato qualcosa di tanto folle.
Pianse perché amava una persona che non avrebbe mai potuto amarlo allo stesso modo, perché di lui aveva visto un solo, insignificante Louis che per lo più non aveva fatto altro che scappargli. 
Quando si svuotò di tutte le lacrime non poté fare a meno di calmarsi e le mani di Harry nei suoi capelli e sulla sua schiena aiutarono di molto. Quando fu pronto di raccontargli tutto e farsi dare del matto, si allontanò da quel morbido addome e, dopo trenta giorni, lo guardò negli occhi. Harry gli sorrise, sarebbe rimasto in silenzio ad ascoltarlo. Perché era il suo migliore amico, avrebbe fatto questo e altro.
Così Louis gli sbrodolò tutto. Dalla prima volta in cui si erano toccati, sotto il cielo stellato in montagna, e come confusi avevano deciso di rimanersene in silenzio fingendo di dimenticare. Di come erano stati felici di vivere il sogno della loro vita e si erano abbracciati e lui gli era saltato in braccio. Di come avevano poi confessato i propri sentimenti, l'uno per l'altro, e si erano baciati per ore, consumandosi labbra, cuore e mani. Di come avevano fatto l'amore, silenziosamente, appasionatamente, in ogni luogo dove fosse possibile. E di come Niall li aveva scoperti, uno sopra all'altro a scopare come ricci. 
Tutto. Anche di come si erano lasciati e ripresi. Delle follie d'amore, del matrimonio in gran segreto e dei tentativi mal riusciti di divorziare. Degli sguardi di perdono e dell'amore che era sempre rinato. Ogni minimo particolare. 
"Ora dammi del pazzo, tanto lo so già da me. Ma non sono solo sogni. Io credo che accadano davvero, chissà dove. Sono troppo veri, Harry. Io li ho sentiti. Ho sentito tutto, dalla tua bocca sulla mia, al sapore della tua saliva. Ti ho sentito dentro di me e ho sentito quanto fosse armonioso e meraviglioso stare dentro di te. Ho percepito ogni attimo di tutti gli orgasmi che ho avuto con te e mi sono innamorato tutte le volte che ti ho detto di esserlo, tutte le volte che mi hai confessato di esserlo anche tu. Ad ogni bacio, ogni carezza, ogni sguardo... io- io ti ho amato e ti amo ancora..."
Abbassò lo sguardo incapace di guardarlo dopo ciò che aveva detto. Si era aspettato in quel momento che Harry si alzasse per abbandonarlo perché stanco e impaurito del grado della sua follia. Invece Harry aveva alzato una mano per incontrare la sua guancia, l'aveva accarezzata dolcemente, intrecciando le punta delle dita nei soffici capelli spettinati e quando Louis aveva nuovamente incontrato i suoi occhi, l'aveva visto sorridere, prima di... accostarsi alla sua bocca per baciarlo.
E stavolta, in quell'universo, quello reale, quello in cui vivevano quel Harry e quel Louis, si erano baciati veramente. Louis erano rimasto con gli occhi sgranati, tremante, incastrato tra la mano di Harry e le sue labbra, mentre il cuore ballerino inventava nuove danze. Quando il migliore amico insinuò la lingua capitolò totalmente abbandonandosi a lui, nuovamente su quell'addome tornito. E Harry l'aveva stretto forte, dolcemente. 
Poi si era allontanato appena, col proprio naso aveva accarezzato quello di Louis e gli aveva sorriso. "Perché lo hai fatto?" domandò Louis. Harry sorrise e "ero geloso di tutto ciò che hai potuto provare, volevo rimediare in qualche modo" esclamò ironico. 
"Oh Harry, non va bene..." e Harry lo baciò di nuovo. "Harry, smettila, non devi... io sto solo- impa-" ma Harry gli impedì di continuare. "Taci, ripetimi un po' come era quella sensazione di sentirmi dentro di te e stavolta fammi provare l'invidia" si burlò.
Era tutto complicato, certo, ma Harry aveva creduto sempre in un Destino birichino e Louis non era stato del tutto in torto quando aveva parlato di anime gemelle. Non poteva dirlo con certezza, ma aveva sempre amato Louis come migliore amico e ora che Louis aveva parlato di amore non si era sentito molto al di fuori di quell'argomento. C'era dentro, non sapeva come, ma chi era lui per mettersi contro il volere del Destino?

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Capitolo 9
*** Nicotina ***


Harry pensa che Louis sia peggio della nicotina. ( Ispirato da questo https://vine.co/v/enHIa9MIU51 e questa canzone https://www.youtube.com/watch?v=LkBxcmxWKAA )
 
Nicotina
 

Nascosto, come lo eravamo noi, una volta ho fumato. I sensi di colpa mi hanno fatto vedere nella nube intensa di quel fumo buttato fuori dalla mia bocca, indovina? Noi. Noi qualche anno fa, che sapevamo ancora parlarci col cuore in mano. 
Lo sai, sì, che di dieci cose che ti ho confessato, due sono sempre state una bugia e una invece era il mio cuore vestito sotto mentite spoglie?
Ho detestato ogni bacio che ti ho dato, quando il tuo sapore sapeva di tabacco. E ora, invece, che lo assaggio di nuovo mi ritrovo a volere che il sapore mi dicesse ancora qualcosa su di te. Invece è solo fumo. Ti maledico per la stregoneria che mi hai fatto, con un solo bacio.
Quella volta in cui ti ho detto che mi sarebbe bastato quello che potevi darmi e poi abbiamo fatto l'amore, ho visto ciò che potevi offrirmi, il paradiso, e mi son pentito di aver giurato così presto qualcosa che ero certo di poter mantenere. Perché con te, non mi sarebbe mai bastato soltanto un tiro di sigaretta. Avrei sempre voluto di più. Perché sei peggio della nicotina. Ti senti sgraziato e sei insicuro, ai miei occhi sei sempre stato la sirena che se avesse cantato anche solo per un briciolo d'istante, mi avrebbe attirato in qualsiasi luogo della terra. Anche in fondo a una cascata.
E quando ho capito il potere che avevi su di me, ho giurato a me stesso che ogni notte sarebbe stata l'ultima volta. Ma un drogato non smette fino a quando qualcuno non lo salva e l'unico che poteva farlo eri tu, colui che aveva segnato la condanna fin dal primo incrocio di sguardi.
Così ho rinunciato alle evidenze delle mie debolezze, siamo cresciuti, fatto errori, passi falsi, imprezziosito briciole d'amore... ho accettato i tuoi difetti amandoli più dei tuoi pregi. Ho iniziato a masticare gomme, per non sentire sempre il sapore aspro e amaro della tua bocca. Vorrei non averlo fatto, ora avrei un ricordo più nitido di quelle notti in cui ti baciavo, studiando e memorizzando ogni centimetro della tua gola.
Quella volta in cui facemmo l'amore e ti dissi che mi andavano bene le tue mosse tattiche, beh, intendevo solo il modo in cui sinuosamente ti eri infilato tra le mie gambe, con le tue mani avevi toccato la mia pelle carezzandomi l'anima e brutalmente ti eri introdotto in me, arrivando a distruggere tutte le forze che mi ero assicurato per il giorno in cui sarei stato capace di andarmene. 
E quando mi hai finito, ho rivisto quel paradiso che potevi offrirmi, che usavi per illudermi che sarebbe stato mio, un giorno, senza nascondigli o bugie. Siamo venuti e ho pianto. "Ti odio" e mi baciavi le guance e stringevi forte. Ma non potevi essere tu, al tempo stesso demonio e angelo dei miei incubi. Non potevi, anche se l'ho desiderato.
Una cosa per cui non ho mentito mai, sei tu. Vorrei potessi mancarti quanto manchi a me quando non ci sei. Vorrei che questa lontananza, ora, ti facesse capire che non c'è nessun luogo dove ci si sente abbastanza costretti in quelle catene in cui ogni uomo, per paura, si costringe a vivere. Vorrei che togliessi quel velo sulla tua testa, che indossavi anche quando ti avevo dentro di me, e fossi ciò che sei. La meravigliosa, fragile, persona che sei. Perché mi sono drogato di te, fino a quando ho potuto, e al tempo stesso mi avvelenavo con quel te che non sei. Ti prego, torna. Ti ho visto. Eri il ragazzino nudo sotto le coperte di un letto striminzito che stringeva il mio sesso come fosse il trofeo di una gara vinta per sola passione. Eri il ragazzo malizioso che mi guardava con provocazione, facendomi capire anche la punteggiatura dei tuoi pensieri. 
Eri l'uomo che ha bruciato la cena e si è fatto amare per una pizza surgelata. Sei. Lo sei, perché il tuo cuore è ancora nel mio e lo sento palpitare, gridando di voler essere sincero, almeno una volta, almeno per sempre da ora in poi, con me. Sei quel ragazzo che mi bacia le mani prima di stringerle al petto, la notte, ad occhi chiusi, prima di dormire.
Sei più di un tiro di sigaretta, ma ti sforzi di essere solo questo. E, caz**, non lo sei. Non lo sei più per me. 
E allora non è vero che odio il sapore della tua bocca, anche se te l'ho gridato e ho sputato a terra prima di andare via. Non è vero che mi fa schifo averti dentro di me se ti ostini ad essere uno sconosciuto. Perché anche se ti nascondi, io ti vedo per ciò che sei, e potrebbe bastarmi, se non sapessi che questo fa del male solo a te stesso. 
Non è vero che non ti amo più, ma te l'ho detto perché vorrei imparassi ad amarti, per potermi amare come sei capace e per poterti amare senza più ostacoli.
Non è vero che me ne sto andando per sempre, ti sto lasciando tutto di me. Perciò torno. Non lo sai, ma torno. 
Senti la mia mancanza, provala, soffrila. Privati di tutto ciò di cui non hai più bisogno. E tornerò. Perché ne ho bisogno anch'io. Ho bisogno che tu sia cura dello stesso malanno che tu hai causato. 
Ho bisogno del sapore di tabacco mischiato alla tua saliva.

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Capitolo 10
*** Super...chiappe ***


Trama: Di tre superpoteri che Louis ha usato fallendo e dell'unico con cui poteva conquistare il cuore di Harry.

 
Superchiappe

 
Louis si era impegnato per possedere il potere di lanciare ragnatele, soltanto per impressionare Harry tessendo un enorme cuore, dal quale penzolava a testa in giù, aspettandosi il fantomatico bacio. Ma, niente, il riccio lo aveva guardato, sorpreso ovviamente, ma poi aveva negato ed era andato via, lasciandolo solo a se stesso, con un cuore in più, entrambi spezzati. 
Perciò Louis aveva comprato un enorme martello, la copia perfetta e costosa di quello di Thor, e si era vestito da vichingo perché chi poteva resistere a una Divinità immortale?
Ma Harry, ancora una volta, l'aveva guardato e "Per Halloween c'è ancora tempo, non trovi? E Loki non mi è mai piaciuto, scordatelo" l'aveva liquidato, chiudendogli la porta, della casa in cui coabitavano, in faccia.
Ma Louis era testardo e difficilmente si dava per vinto. Perciò aveva optato per Dart Fener, perché insomma Harry aveva resistito a una Divinità ma nessuno, nessuno, poteva desistere dalla bellezza della Forza Oscura, no? Questa volta, aveva avuto la premura di indossare tale abito per Halloween. Si era avvicinato a Harry con un pacco di biscotti e il ragazzo dalle gambe lunghe e le fossette sulle guance aveva sorriso, divertito, e "non nascondere i tuoi meravigliosi occhi, pumpkin, sono la cosa che più apprezzo di te" aveva affermato, ammiccando, prima di defilarsi col suo costume da cheerleader.
Louis poteva dirsi soddisfatto, e sotto quella maschera nera era perfino arrossito. Ma "apprezzare", pf, non aveva detestato mai così tanto un verbo, come quel 31 Ottobre. 
Una sera si era ritrovato a parlare col suo migliore amico, Zayn, che sembrava essere l'unico a s(o)upportarlo in quel piano "come conquistare il cuore di Harry". In realtà, taceva e quindi Louis poteva sbrodolare tutte le sue strategie, crogiolandosi all'idea che l'altro le ascoltasse tutte quante. 
"... Perciò pensavo a qualcosa come-" ma a quel punto Zayn lo interruppe alzando una mano davanti al viso dell'amico. "Ma essere te stesso, no?"
Louis rimase in silenzio a guardarlo. In effetti, non ci aveva mai pensato. Ma il motivo era chiaro: "E io cosa potrei mai offrirgli? Non sono un supereroe, non potrei arrivare mai a conquistare il suo cuore essendo... solo... me stesso". 
Zayn, allora, lo guardò bieco. "Ti fidi di me?" l'altro annuì: "certo, bro" affermò subito. "E allora provaci. Conquista Harry Styles come farebbe Louis Tomlinson". Louis rimase in silenzio a pensarci. Zayn lo guardò perdersi in chissà quale farneticazioni e andò dritto al punto: "Cosa farebbe Louis Tomlinson?"
Una fiammeggiante idea passò per quelle iridi chiare e un sorriso smaliziato si fece spazio sul suo viso.
Due sere dopo, quando Harry tornò a casa dopo una giornata nello studio, ebbe una piacevole sorpresa.
Louis non sapeva mettere mani in cucina, ma senz'altro sapeva metterci impegno e originalità. Seduto a pancia in giù sul tavolo, era completamente nudo e metteva in mostra le due meravigliose collinette che formavano il suo fondoschiena perfettamente divino. 
Lo spettacolo che aveva davanti era qualcosa di indescrivibile se non in parte: i gomiti a sorreggere metà busto, i muscoli delle braccia tesi e tonici e il viso con gli zigomi perfetti accentuati da una mascherina bianca che copriva lo sguardo ma non gli occhi, perché quel blu chiaro riempiva e illuminava la cucina. Sul suo corpo esile ma definito, dalla pelle candida e nivea, vi era del cibo, a una prima occhiata sembrava essere sushi. Sicuramente comprato. 
Harry era senza parole e guardava quell'essere meraviglioso gustandosi ogni parte del corpo. Poi la meraviglia parlò: "Ciao, Harry Styles. Sono il tuo supereroe personalizzato e sono venuto qui per conquistare il tuo cuore." la sua voce delicata era parsa candida, in un soffio erotico e lussurioso.
Harry trattenne una risata coprendosi con una mano, perché sapeva che quella vera e piena sarebbe arrivata subito dopo la sua innocua domanda: "Tu chi sei?"
Louis, infatti, gli sorrise malizioso e avrebbe potuto ammiccare se la mascherina non gli avesse coperto quello strano di viso. "Sono Superchiappe, mangiami".
E quel giorno Harry capitolò dinnanzi al suo eroe preferito. D'altronde, con quel potere non aveva molte possibilità di rimanere impassibile. 
Louis Tomlinson era riuscito a farlo suo. E Harry se lo mangiò: tutto.

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Capitolo 11
*** Blu Louis ***


Trama: Tutto è blu, a ricordargli la sua assenza. (Ispirato da questo vine: https://vine.co/v/e2Jil9PlZet)

 
blu Louis
 
 

Sua figlia ha il colore degli occhi dell'uomo che l'ha lasciato, e questo Harry non potrà mai perdonarselo. La guarda, pettinandole i capelli la mattina, riflessa nello specchio, e pensa a quanto sia ilare il destino, quando si impegna. Sua figlia, di sangue, biologica, ha gli occhi di una persona con la quale non condivide nulla, solo un pezzo di cuore, lo stesso posto in cui nasconde gli affetti che prova quando è troppo tardi. Soltanto che la bimba resterà per sempre, in quel piccolo posticino un po' sgualcito, perché è un patto indelebile che ha fatto con lei quando è venuta al mondo e l'ha tenuta in braccio per la prima volta, con un solo sguardo e un sorriso. Nessun bisogno di parlare, e si era già accomodata, riscaldandolo con amore incondizionato. Lui, invece, ha lasciato solo la sagoma. Come quando si è seduti per troppo tempo e si lascia una impronta. Ora è fredda, spoglia, quasi scomoda, ma c'è. Vuota. Nessun altro la riempirà. 
Se la immagina ogni tanto, Harry, e gli occhi si accecano di blu. Perché tutto è blu, da quando lui ha messo piede nelle loro vite. Blu come tutte le magliette comprate quando voleva indossare i suoi occhi e che ora sta buttando, per tentare di dimenticare. 
Blu, il colore della dipendenza, che anche se si tenta di buttare via, resta, come quella brutta impronta sul suo cuore.
Blu come gli occhi di lei e come i suoi occhi. Delle isole dove avrebbe voluto per sempre naufragare. 
Blu Louis, se esiste. Perché Harry pensa che debba, visto che con lui ha conosciuto quel tipo di tonalità; e sempre con lui ci ha dipinto il mondo. 
Odia amare lui quanto quel colore che gli crea un pizzico al cuore ogni volta che osserva orgoglioso la sua bimba, che gli somiglia anche se è impossibile. Perché tutto è blu ma di un blu Louis soltanto gli occhi di sua figlia, che gli ricordano chi non c'è più e chi ha lasciato consapevolmente una dipendenza.


 

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Capitolo 12
*** Kiss Cam ***


Trama: Harry e Louis sono dei tifosi. E la kiss cam ha già scelto chi inquadrare per quella giornata sportiva.


 
KissCam e robe gay
 
Harry è fuori di sé perché quello non è il posto che aveva preso e la visuale della partita da lì non è ottimale come lo sarebbe stato due file più in là, ma non ha fatto casini perché non è il tipo. Avrebbe voluto farlo, però, quando per tutto il primo tempo ha dovuto sopportare un tipetto tutto allegro e probabilmente già ubriaco nel posto accanto al suo. Avrebbe voluto dirgli di darsi una calmata, ma è sempre stato un tipo paziente e quindi lo ha sopportato in tutti i cori di incitamento, per le imprecazioni quando hanno subito due gol e per gli esulti vigorosi e affatto controllati quando la loro squadra è riuscita a recuperare lo svantaggio; e lo sopporta anche adesso, mentre dal maxi schermo inquadrano gente random per la kiss cam. È distratto, o almeno cerca di esserlo, perché alla fine ogni commento di quel ragazzo riesce a perforargli i timpani. Si domanda come gli amici riescano a sopportarlo, un tipo così scalmanato, e adocchia un ragazzino della loro stessa età, presume, dai capelli rasati ai lati e un ciuffo colorato di rosa, gli occhi da cerbiatto di un marrone intenso e profondo, che, ogni tanto, afferra l'amico per un braccio, lo fa sedere e lo ammonisce: "Louis, fermati un momento, non tutti sono abituati ai tuoi cazzo di casini".
Harry lo ringrazia tacitamente, quando attorno a lui la platea inizia a urlare incitamenti che lo confondono. Per cosa stanno facendo tanto baccano? La partita non è ancora cominciata. Si guarda attorno accigliato e si stupisce quando l'unico a non far casino è proprio il tipo vicino a lui che, in effetti, ora che ci fa caso, lo sta fissando con un sorriso vispo. C'è gente che, incontrando il suo sguardo confuso gli indica il maxischermo, ma Harry si gira verso di esso soltanto quando quegli occhi blu, che torna a osservare, glielo indicano con labile divertimento.
"Oh, cazzo" esclama in un sussurro:  Stanno. Inquadrando. Proprio. Lui. E il tipo.
"Oh cazzo" ripete, tornando a guardarlo. Quello fa un sorriso più ampio, ha denti bianchissimi, mentre il tipo dietro di lui ha una mano davanti al viso, come se fosse disperato. Perché è disperato? Forse sa che l'amico ha la faccia tosta di-
Troppo tardi per farsi quel tipo di quesiti: un paio di labbra si fiondano sulle sue, gli si schiudono impertinenti sopra le sue e si sente punzecchiare da una lingua.
Quel tipo sa di birra, o meglio, quel bacio ha il sapore di birra.
E perché riconosce quel sapore? “Oh, cazzo” pensa, chiudendo gli occhi con forza. Anche lui ha aperto leggermente le labbra. Anche lui sta usando la sua fottuta lingua. Porca puttana, quello è un vero e fottutissimo bacio e quelli che sente sono dei cori di sorpresa ed eccitazione. Una mano giunge alla sua guancia, è fredda ma delicata.
Il tipo fa schioccare le loro labbra quando si allontana e Harry riapre gli occhi, incantandosi in quelle iridi lucide e ancora smaliziate a pochi centimetri da lui. Si passa involontariamente la lingua sulle labbra che l’altro gli fissa impertinente: ci trova ancora un po' di birra.
Louis, intanto, si distanzia totalmente ridacchiando con l'amico che col gomito ha iniziato a punzecchiarlo. Guarda lo schermo e si vede rosso come un pomodoro, mentre attorno a lui tutti urlano il bis, nonostante la camera abbia inquadrato subito altri volti.
È ancora agghiacciato sulla propria seduta quando proiettano i migliori baci di quel giorno e sprofonda nella vergogna quando ha modo di rivedersi e non si riconosce. Perché quel Harry sembra uno che gradisce e che risponde di buon grado. Sgrana gli occhi senza il coraggio di guardare al suo fianco la reazione dello sconosciuto che ha appena baciato. Sente il ragazzo dai capelli rosa provocare l’amico e vorrebbe coprirsi con qualcosa, ma non ha niente, nemmeno un fottuto cappello.
Vorrebbe alzarsi e andarsene con una scusa, ma le chiappe sono ancorate al posto che non sarebbe dovuto essere il suo – ma che grazie a dio lo è - come se esse si aspettassero qualcosa.
Ma esattamente cosa? Non è nemmeno gay, o perlomeno non gli è mai passato per l’anticamera del cervello di poterlo essere. No?
Liam compare con un sorriso divertito. Ha visto. Lo prenderà per il culo per un’eternità che la vita non gli concederà, per fortuna. Che bastardo. “Harry, si è liberato un posto, vuoi venire?”
No, cazzo, no, che non vuole andare. Ma Harry si alza, sembra un robot: perché ciò che vorrebbe, come sempre, non conta.
Non guarda il ragazzo che ha baciato e che, a quanto pare, ha scombussolato la sua vita in 20 secondi ed è pronto a dimenticarselo, anche se probabilmente tornerà a pensarci ogni volta che… beh… dovrà compiacersi.
Ma cosa? Ma è possibile fottersi la testa con un bacio? A lui, poi, che la birra fa pure schifo. E che, soprattutto, dovrebbero piacere le ragazze. Dovrebbero. Vorrebbe. Ah, che si fotta il condizionale!
La partita finisce, alla fine sono perfino riusciti a vincere ma a Harry sembra non importare più. Continua a mordersi le labbra, quel sapore è scomparso, e i suoi amici parlano e pensano al campionato. E, per la prima volta, Harry pensa che il calcio potrebbe perfino andare a farsi fottere assieme a una coniugazione del verbo che lo sta torturando subdolamente.
Fuori dallo stadio, cerca un paio di occhi blu che non trova. Ad ogni urlo che sente, il cuore lo obbliga a voltarsi alla ricerca, battendo così forte da giungergli in gola; ma ogni volta è deluso perché quelle urla non appartengono a Louis.
Ringrazia perfino l’amico del ragazzo che ha baciato, perché a quel volto e a quelle labbra può associare un nome grazie a lui. Ma non gli basta.
Liam e gli amici lo prendono ancora per il culo, mentre si avvicinano alla macchina, ma Harry riesce solo a rispondere con un sorriso sghembo. Vorrebbe dirgli che gli è piaciuto da morire, ma tace perché ancora una volta porta pazienza e ciò che vorrebbe resta solo qualcosa di taciuto.
Poi, come se qualcuno per una volta voglia esaudire i suoi desideri, “hey” sente alle spalle e riconosce la voce. Si gira – salta sul posto, in realtà - assieme a tutti i suoi amici che, però, affatto divertiti, cadono in un silenzio imbarazzante.
Harry si imbatte in Louis che gli sorride imbarazzato. “Posso sapere almeno il nome del mio miglior bacio gay?”
Harry sgrana gli occhi e si sente avvampare. Gli amici dietro di lui, ora, non hanno le palle per beffeggiarlo. Coglioni.
Louis ride e Harry riconosce quel suono come se l’avesse sentito per anni, e mentre cade nel baratro dell’imbarazzo, vede Zayn con uno sguardo addolcito spuntare dalle spalle del biondino. Lui, a differenza dei suoi amici, sembra compiaciuto.
“Che idiota! Io sono Louis” continua questo per riempire i silenzi di Harry. Forse Louis ora sta pensando di aver fatto una cazzata a tenerlo d’occhio da quando si è spostato e a seguirlo, poi, non appena la partita è finita, sotto consiglio di Zayn che, prima di lui, ha sempre capito dove i suoi pensieri vogliano andare a parare.
“Lo so” risponde Harry. Zayn ridacchia e Louis è in un forte e visibile imbarazzo, e forse per la prima volta in vita sua non sa cosa dire. Lui, che non è mai senza parole. Assurdo. “Harry” si presenta finalmente, e sta sudando freddo. Che cosa gay.
Louis sorride. Anzi, gli sorride. Poi gli offre una mano che Harry si affretta a stringere quando Niall, alle spalle, lo spinge per avvicinarsi. “Beh, la tua ragazza sarà fortunata: baci veramente bene, Harry.” Dice. Quando le mani si dividono, Harry si ritrova un bigliettino in mano che finisce subito nella tasca dei tuoi jeans. “Anche la tua” conviene Harry. Ma che cazzo…?
L’amico dai capelli rosa afferra Louis per una spalla, perché sa che senza il suo aiuto difficilmente se ne andrà di lì. Harry lo vede continuare a sorridere compiaciuto come se sapesse come andranno a finire le cose. E Harry vorrebbe davvero sapere. Si sente afferrare da Liam, anche se quest’ultimo è probabilmente ignaro del sottotesto di quell’incontro. Lo è anche Harry, che guarda Louis salutarlo con una mano e poi sparire tra la folla. E mentre sale in macchina con gli amici che non discutono affatto di quanto è successo, pensa: o quel bigliettino sta bruciando nella tasca dei suoi pantaloni oppure qualcuno è contento per tutto ciò che è successo… Che imbarazzo, meno male che ha una felpa con cui coprirsi.
Quando è a casa, Harry può finalmente tirare fuori quel bigliettino. C’è un numero, il cuore esulta di gioia e si ferma quando legge le poche parole: “Per un secondo bacio, se vuoi, chiamami”
Harry non esita nemmeno un momento, ha smesso di dirsi cosa vorrebbe fare e, piuttosto, agisce.
"Ciao, sono il tuo miglior bacio gay, ricordi?"

 

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Capitolo 13
*** Due milioni di persone. ***


Trama: Due milioni di persone credono a un amore che noi abbiamo messo da parte. È ridicolo, no? (Ispirato da questo fottuto tweet: https://twitter.com/louis_tomlinson/status/120620074301267968?lang=it )

 
Due milioni di persone.
 

Due milioni di persone credono a un amore che noi abbiamo messo da parte. È ridicolo, no? 
In fondo cosa è un numero? E che cos'è un'idea? Il mondo non ha smesso di girare attorno al Sole solo perché tanta gente, forse tutta, credeva diversamente. Eppure è bastata una sola persona per dimostrare la verità. Così come per noi due, che siamo bastati per farci smettere di credere.
Perché io ci credevo. Tu, lo so, lo facevi più di me. E le nostre famiglie. E le persone che ci conoscono. Tanta, tanta gente. Una stima: due milioni di persone. Eccetto me e te, ora.
Possibile che abbia ragione la massa e abbiamo torto noi? Abbiamo la forza di costringerci a pensare che la Terra sia piatta e che non giri intorno al Sole? Possiamo o è troppo tardi? 
Non lo chiedo a te. Lo chiedo a me stesso, se ho la forza di essere tanto ignorante sulle ragioni e tanto consapevole sui sentimenti. Perché ti amo ancora. Perché ti amo sempre. Ma l'amore non basta, e lo dico io. Quei due milioni di persone non sanno cosa significa vestire i nostri panni e vivere la nostra storia. Eppure ci credono molto più di noi. Anche se hanno visto solo una piccola percentuale, un trenta percento, di ciò che siamo. Ancora numeri. Si tratta sempre di loro: dei numeri in classifica, di quanti ascolti e vendite facciamo, di quante citazioni e di quante cazzate. Di inganni, di soldi, il numero di barbe... Non ti stanchi mai? Ti stanchi nel vederti su una rivista? Ti stanchi a non sapere più chi sei leggendo una intervista che non hai mai fatto? Io tutti i giorni, ma per la musica questo e altro, no? 
Per te, invece? Cosa ero disposto a fare e cosa non sono più disposto a fare? Per te... Non a vederti con un bambino tra le braccia e pensare che non è nostro, ad esempio. Non sai quanto ha fatto male. E chiamarti e chiederti il nome, il peso e come fosse sentirsi padre... È stato solo un attentato a me stesso. Tu hai risposto e il tuo silenzio incastrato tra quelle parole voleva dirmi che mi volevi lì con te. Ma non è mio figlio, è solo tuo. Non è nostro, come nei nostri sogni. È tuo. Solo tuo.
Due parole che ti ho detto spesso mentre facevamo l'amore "solo tuo". Lo ero. Non immaginavo allora che avrebbero fatto così male ripeterle in un nuovo contesto. Solo tuo. Ma non io, e nemmeno mio. 
E torniamo a quei due milioni di persone che credono in noi, anche se un noi non esiste più, anche se noi non crediamo più. E mi domando come facciano a crederci se non passiamo più insieme nemmeno il Natale, che io amo tanto e che amo trascorrere con le persone della mia vita. Come fanno a credere, se tu continui per la tua strada di bugie mentre io continuo la mia, senza sentirmi in bisogno di usarle, quelle stesse bugie.
Eppure ce l'hai scritto sul petto, che è quel che è... Ma forse non lo è mai stato, visto che hai solo avuto il coraggio di tatuartelo e non di vivertelo. Di vivermi. 
C'eravamo promessi tanto, senza il bisogno di scriverlo su carta. Ma non ne abbiamo mantenuta nemmeno una, di promessa, e quel che ci resta sono solo canzonette. Tu ed io, a diciotto anni volevamo spaccare il mondo e tutto ciò che abbiamo fatto è stato spaccarci il cuore a vicenda. Tu ed io. Nelle piccole cose, felicemente forti. E giusto adesso, che la notte è cambiata tanto velocemente, mi chiedo se fosse tutto vero o se fosse solo il frutto di quei due milioni di persone... Siamo così diversi, che ho perso quello che ero io con te e viceversa.
Ma la colpa è anche mia, lo so. Non mi sono imposto. Non ti ho detto che, no, non mi andava bene che fingessi di essere chi non sei, o che io fingessi delle relazioni invernali o che noi dovessimo accontentarci dell'ombra di una stanza senza il grande fratello a spiarci. Avrei dovuto ammetterlo e non l'ho fatto. Ma, dimmi, se ti avessi pregato, le cose sarebbero andate diversamente? Se invece di dirsi addio facendo l'amore, ti avessi pregato donandoti me stesso, saresti restato? Saremmo qui, come due sconosciuti che si guardano e non si riconoscono più o saremmo quello che due milioni di persone si ostinano a vedere? E sarei qui a domandarmi come facciano due milioni di persone a credere a qualcosa che non esiste più da tempo o lo vedrei con i miei occhi riflessi nei tuoi cobalto? Sono solo domande, come sono solo dei numeri. 
Due milioni di persone credono che siamo anime gemelle. Eccetto me e te.
Eppure perché dopo tutto questo tempo sono ancora qui a pensare a te, sentendomi ancora aggrovigliato a quel filo rosso che mi riconduce sempre sulla nostra strada, Louis? Perché incontro tante anime, ma voglio ancora solo la tua? Perché non passi, se ci siamo fatti tanto male? Perché ricomincerei, nonostante tutto? Mi impongo di non venire a cercarti, di non vederti, di non sentirti... Ma è difficile quando l'impronta delle tue dita bruciano come un marchio nel mio cuore. E allora forse è vero, hanno ragione loro... Anche se mi sento come Galileo di fronte all'inquisizione: la terra è tonda e gira attorno al Sole. E tu non sei il mio Sole, Louis. 
E se stavolta sono io a dirti che si sbagliano, e non tu. Se sono io a urlare che non esistiamo, e ti domando: da che parte stai? Tu come risponderesti? 
Che la Terra è piatta? Vorrei lo facessi. Sì. Hanno ragione loro. 
Bruciamo tutte le prove e dimmi che se anche fossi tu, il Sole, gireresti attorno a me senza più paura delle conseguenze... Senza più paura della fine del mondo.
E se lo scrivo, è perché sì, mi sto imponendo. Ed è tardi, ma quei due milioni di persone mi hanno fatto pensare. Quei due milioni di persone ti convingono a far qualsiasi cosa... Anche scriverti questa lettera. 
È tardi? Se non lo è per loro, come può esserlo per noi? È tardi?
E anche se lo fosse, chi lo dice che non si può correre cercando di riconquistare il tempo? 
Come sarebbe bello dire: due milioni di persone, compresi io e te? Provaci. Ripetilo. Due milioni di persone... Poi io e te.

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Capitolo 14
*** All I Ask ***



Trama: A volte servono dieci anni per toccare il fondo, perché si sa, ci si rialza solo dopo essere precipitati. A volte serve l'innocenza pura di un figlio che si innamora, per liberarsi di tutte le paure e chiedere finalmente scusa per i propri sbagli. A volte servono solo parole scritte indelebilmente nere sul bianco di un foglio, per chiudere una vecchia fine e chiedere un nuovo inizio.
 


All I Ask





In dieci anni sono stato capace di mandare avanti la mia vita, illudendomi che noi non fossimo mai esistiti. I primi tempi ha funzionato, quando sei troppo impegnato a mantenerti a galla e a sistemare i vari casini, ma poi... poi c'è un momento in cui rimani da solo con te stesso, nulla conta più se non quello che hai perso. E io ho perso te, e me lo ripeto ogni giorno. Da dieci anni. Ho perso te e non ho fatto nulla, se non peggiorare le cose, se non allungare la distanza dei tuoi passi dal mio sentiero.

Tutto ciò che ho finto non esistesse mi accompagna malinconicamente da quel giorno. Ricordi, li chiamano. Per me resteranno sempre sussurri. Sussurri improvvisi quando pensi di esserne fuori. Tornano, ti ingannano con un nome, quel nome, il tuo, in un soffio nelle orecchie, confuso con il vento e, allora, a quel punto, ripetendolo sulle labbra, quel nome, non faccio altro che affondare nelle sabbie mobili dei pensieri che ti riguardano.

Ci sei ancora, ci crederesti? In un battito di ciglia la mattina, in ogni mio risveglio. Ricordo i nostri, macchiati da quella innocente spavalderia di far l'amore in faccia al sole.

A volte mi succede di restare a letto per giorni, senza far nulla, scrollando la rubrica del telefono senza chiamare nessuno. C'è anche il tuo numero, è quello che ho consumato di più a guardare senza la forza di chiamarti.

Non so nemmeno perché te lo sto scrivendo. In quei giorni sento tutto il vuoto del mio presente, un vuoto che non ha passato e, a quanto pare, nemmeno un futuro. Poi arriva Freddie, spalanca la porta con la sua allegria e i suoi modi puri e innocenti di fare, e mi faccio forza per tornare in carreggiata.

Le tue parole sono sempre state come un atto di fede, "tuo figlio merita il meglio di te"; e ogni volta che penso che a te, invece, ho donato solo il mio peggio e tu lo hai difeso e confortato come se fosse ciò che più di prezioso avessi, mi sento sempre uno schifo. Meritavi di più.

Mi ricorda te, mio figlio. Ma mi ricorda anche noi e una vita che abbiamo solo sognato. Col senno di poi, avevi ragione tu a non essere visionario come me. Lo sapevi già, che avrei fatto un gran casino. Lo immaginavi anche quando mi hai conosciuto? Lo sapevi anche quando ti sei innamorato di me?

"Sapevo che avresti fatto male, ma ne valevi la pena". Mi guardo allo specchio e non trovo alcun motivo per cui valga la pena di essere amato. Forse perché, dopo aver amato te, sapevo che non avrei mai più avuto modo di amare ancora, amare diversamente, amare altrove.

Avevi ragione tu, quello che avevamo era unico e noi abbiamo solo saputo sgualcirlo, renderlo comune. Lo abbiamo gestito come facevano tutti, per cosa poi? Una notorietà che dopo un anno di pausa è svanita. Come la nostra voglia di cercarci.

La tua scusa era mio figlio, e avevi ragione. Ma la mia? Perché non ti sono venuto a cercare? Perché non ho lottato? Perché non l'ho fatto mai? Avrai pensato che non ne valessi la pena, forse... Ma no, non lo hai fatto, lo so, perché tu mi conosci come nessun altro. Avrai pensato che, ancora una volta, era troppo codardo per venire da te.

E ogni volta che ci vedevamo, un pugnale dritto nel cuore. Perché tu dimenticavi noi, mentre io mi ci incastravo dentro, silenziosamente. Sei andato avanti con il tuo passo lungo, mentre io indietreggiavo a piccoli passi, inciampando, senza farlo capire a nessuno.

Ed è stato così, sai? Con te ho finito l'amore. Ho occupato spazio libero con la tua assenza, lasciando un posto vuoto sperando in una tua venuta. In qualsiasi altra persona cercavo un po' di te e la mandavo via quando capivo che poteva darmi tanto, ma non poteva darmi te. Volevo te, anche se sapevo che tornando non sarei comunque stato pronto a darti ciò che meritavi.

Che grande sbaglio, cercarti negli altri. Tu sei irripetibile, anche se so che un po' di quell'amore che provavo per te mi è scappato rifugiandosi in Freddie. Ed ecco perché ti rivedo in lui. Quando sorride, e lo fa per una mia battuta, due preziose fossette punzecchiano quel viso, e per me è sempre un colpo al cuore. Penso a te, amo profondamente lui, e lo stringo forte. In qualche modo, tengo in mano, in quei momenti, le mie gioie più grandi. In qualche modo, in quei momenti, ci sei anche tu.

Mi chiede spesso di te. Della nostra avventura. Dei concerti e delle canzoni. Dei viaggi in giro per il mondo e delle emozioni vissute. Ci sono pomeriggi che sfogliamo foto, giornali e ascoltiamo la riproduzione casuale del suo telefono. Le sue canzoni preferite sono quelle che hai scritto tu. Sono quelle che parlano di me, di noi.

E invece quando ci sei, parlate come foste grandi amici e a volte guardandovi mi immagino una vita assieme. Una famiglia, un po' allargata, un po' complicata... ma sarebbe bello. Quando ci sei, Freddie è completamente rapito dai tuoi modi di fare, come lo ero io. Come lo sono io.

Quando ti guardo, capita ancora, sorrido anche se sono triste o turbato. Sorrido perché ti rivedo sedicenne, e mi innamoro di nuovo. Non che io lo voglia, ma accade senza che io decida nulla. Accade, come è accaduto la prima volta. Sorrido, mi trattengo, e faccio quell'espressione idiota che prenderei a schiaffi. Accade, tu mi guardi, fai un sorriso e scivoli via. Scivoli sempre, come se fossi olio e io l'acqua. Come se, ormai, fossimo del tutto incompatibili. Come se, è vero, ti facessi pena. Anch'io mi son fatto pena, come darti torto...

Ma poi due settimane fa ho venduto la nostra casa. Ho firmato sotto la tua firma. Ho camminato per l'ultima volta in quello spazio vuoto e mi sono perso. Sono arrivato in camera, quella che era nostra, e Freddie è venuto poco dopo, a cercarmi.

"Babbo, andiamo?" mi ha detto. Ho annuito e camminare, uscire da quella casa è stato come attraversare l'inferno. Mi ha bruciato dentro. Le cicatrici hanno aperto quelle vecchie ed è stato inevitabile guarire.

Ho realizzato in quel momento, chiudendo la porta, che era finita. Sì, dopo dieci anni. Come se in tutto quel tempo ti avessi messo in stand bye e mi fossi crogiolato nel dolore, ma con la consapevolezza che saremmo tornati. Ma la pausa dal gruppo sarebbe dovuta essere la prova che non si può tornare, che un vaso rotto non torna mai come prima, che mancherà sempre un pezzo e che quel pezzo può bastare per buttare tutto nella pattumiera.

Dieci anni ho guardato quel vaso, fingendo di non accorgermi di quella mancanza. Saresti tornato comunque, prima o poi. Saremmo tornati ad essere noi, anche con un fantasma. Un click e un "vendesi" su un cartello, invece, son bastati per interrompere quella falsa credenza.

A questo punto, arriviamo al senso di queste mie parole scritte, arriviamo a noi. Non sono bravo con le parole, il meglio di me lo davo con un po' di erba e l'emozione acerba di viverti giorno dopo giorno. Ma scrivere canzoni è un po' come scrivere lettere, non devi cercare nemmeno la rima. Forse non avrai capito il fine di tutto ciò, ma è molto semplice. Il fine è la fine. Quando ho realizzato che non abbiamo più nulla a legarci, nemmeno quattro pareti e un tetto, ho provato l'ebbrezza di precipitare a fondo. Mi hanno sempre detto che da qui sotto, ci si può solo rialzare. E, ancora una volta, voglio farlo parlando di te. Della prima cosa bella che ho avuto dalla vita.

La casa, tuttavia, è stato solo il principio.

Freddie, ieri, mi ha detto di essersi innamorato. Si chiama Danny.

Già. Ha dieci anni, ma i suoi sentimenti erano sinceri. Ci ho rivisto te e me, anche se eravamo più grandi e più realisti. L'amore non ha età e ho preso mio figlio sul serio. Perché dopotutto ciò che ho fatto, non sono nessuno per permettermi di sentenziare cosa sia giusto o sbagliato. Il suo amore, ha risvegliato in me tante cose. Me lo ha detto con una semplicità che mi ha spiazzato. In un primo momento mi sono sentito in colpa, ho avuto paura. Lui mi ha raccontato del suo compagno di banco e io pensavo a te, a noi. Che avrebbe rivissuto tutto come fosse una mia colpa riversatasi su di lui. Poi ho capito. Era la paura, Harry! La paura...

Ho capito dove ho sbagliato. Ho sbagliato ad avere paura. Freddie non ne ha, forse perché è un bimbo innocente, forse perché dovrà ancora vivere il peggio, ma... cosa mi dice invece che per lui sarà tutto più facile proprio perché non ha paura? Io ho avuto paura, forse molta di più di quanto ti abbia amato. E ad oggi penso che sia stato questo, quello che mi ha portato a fare solo errori. L'ultimo, mio figlio, mi ha salvato la vita, mi ha teso la mano da baratro, e mi ha dato consapevolezza di tutti gli altri sbagli commessi. Era la paura...

Perciò, eccomi qui, che tento di non darle più tutto quel potere che gli concedevo e tutto ciò che ti chiedo, con coraggio, è di perdonarmi per aver avuto paura. Tutto ciò che voglio dirti, adesso, è di scusarmi per non essere stato coraggioso.

Ora ti amo molto più della paura che sento quando il cuore batte pensandoti, nutrendosi di sentimenti che non cambieranno mai, non nei tuoi confronti.

E non pretendo di essere ricambiato, non dopo dieci anni, non da te che non hai mai avuto paura e che quindi hai amato ancora, hai amato altrove.

Volevo solo dirtelo, perché era giusto che tu lo sapessi. Era giusto, per me, che riprendo a salire da questo fondale che non sa più trattenermi.

Ti vedrò alla fine della salita? Non sorridere, il tempo mi ha portato consiglio ma non sono cambiato. Sono ancora quel visionario. Non ho più paura, e questo mi fa credere che potrei riuscire a spaccare il mondo, solo per regalartene la metà che ti meriti.

E tu, Harry? Tu sei ancora quello pragmatico che prevedeva i miei sbagli? Sei ancora l'uomo che amava farsi stringere nella notte, anche in posizioni scomode? Perché stavolta posso proteggerti, posso stringerti, posso riempire il vuoto di quel letto che detestavi occupare da solo. Perché adesso sono pronto. E lo so che dieci anni son tanti, ma meglio tardi che mai, no?

Hai aspettato come mi scrivesti in quella lettera? O son veri i tuoi occhi che mi guardano ma non mi vedono più come prima?

A volte penso che tu abbia deciso di vendere quella casa, solo per darmi una svegliata. È un discorso sconclusionato ma è proprio per questo che penso sia molto da te.

Beh, se ti conosco ancora e ho avuto ragione, ha funzionato. E ti ringrazio. Se ti conosco, e ho ragione, posso tornare a camminare al tuo fianco?

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Capitolo 15
*** Dancing Queen ***


AU in cui Harry e Louis sono catapultati negli anni 80 e nelle discoteche passano di regola gli Abba e il loro famosissimo successo, Dancing Queen.

Si consiglia l'ascolto della canzone, rende tutto più TRASHHH: https://www.youtube.com/watch?v=xFrGuyw1V8s

 

Come una Regina danzante
 
Louis l'aveva notata subito, quando era entrato nella discoteca, tra le luci psichedeliche che la illuminavano a fasce muovendosi sul suo corpo snello e slanciato. E, ammaliato dalla visione, non aveva prestato attenzione ad altro, se non a quella meravigliosa creatura.
I suoi occhi brillavano di già e, come gli diceva sempre la migliore amica, quello era un segno dall’ambivalente significato: il primo, alcolico, come lo era la maggior parte delle volte, in cui doveva semplicemente smettere di bere; il secondo, innamorato, in cui doveva decidere se la freccia scoccata nel suo cuore fosse da sradicare e ignorare oppure seguire a briglia sciolta. E ora che ci pensava, la seconda opzione non accadeva da... Hannah.
“È una Regina danzante” si disse ed era l'unico pensiero che riusciva a metabolizzare.
"Ti piace la musica?" gli chiese Elle, in estasi, ma Louis negò velocemente, sorseggiando dalla cannuccia il liquido arancione.
La Regina, intanto, stava continuando a danzare ancheggiando col suo sinuoso corpo, ma non solo, perché quando poi cominciò a muoversi anche col capo, facendo così in modo che i suoi ricci andassero a ritmo con le note di quella canzone, ondeggiando sulla sua nuca e sulle sue guance con una dolcezza da far invidia alle carezze di una mano, Louis non si perse nemmeno questa visione.
-Puoi ballare! Puoi scatenarti! Goderti la tua vita!- Tre incitazioni alle quali mai, prima di allora, avrebbe dato ascolto. E anche se gli Abba non erano mai stati i suoi preferiti, per quella sera Louis avrebbe potuto mentirsi un pochino, grazie a quella ragazza che faceva venire voglia di fare tante cose nuove; cose per cui un abitudinario come lui, erano addirittura impensabili.
"Ma ti pare che gli piace questo tipo di musica, bamboccia" rimbeccò Zayn, il terzo del trio che sembrava perfino seccato di trovarsi lì, privo della compagnia di qualcuno col quale divertirsi.
"Non è bellissima?" intervenne poi Louis, ormai talmente ammaliato dalla visione di quell'angelo danzante che non aveva nemmeno ascoltato la replica del migliore amico. "Cosa?" domandò Zayn, spaventato: non dire la musica o ti pianto in asso con la bamboccia. "Capelli ricci, bandana blu tra di essi, sta danzando al centro della pista. Corpo sinuoso e...hai visto le gambe? Da paura, le bacerei per tutta la notte" disse, facendo sospirare Eleanor e ululare Zayn, eccitato di non aver perso l'amico dietro a della banalissima musica da discoteca. "Ma chi? Quella vestita da uomo?" domandò l'amica. Louis si concentrò, distogliendo l’attenzione dai suoi modi di danzare e da quelle poche volte che riusciva a intravederle il viso, sui vestiti: jeans a vita alta e a zampa di elefante, una camicia a quadri, rossi e neri, legata in vita lasciando scoperto un pezzo di pancia, e un paio di stivaletti marroni a punta, con quattro centimetri di tacco.
Si rassicurò, però, perché nonostante l'evidenza maschile, quello era il corpo femminile più bello che avesse visto nei suoi ventotto anni di esistenza.
"Non male, ma, lo sai, io non faccio testo" gli disse all'orecchio. Louis lo spinse ridacchiando. "Ma i due tipi che le ballano accanto non sono niente male"
Louis li inquadrò immediatamente e subito ne fu geloso. Come osavano ballare accanto alla sua Regina? Eleanor sbuffò per attirare l’attenzione su di sé: "Nessuno mi inviterà a ballare, vero?" disse, seccata.
Ogni volta si pentiva di uscire con quei due; soprattutto con Zayn che sembrava provare diletto nel rubarle gli uomini. Anche se probabilmente la colpa era sua: aveva il terribile difetto di invaghirsi di tipi, seppur interessanti e con cervello, sempre fin troppo confusi in merito alla loro preferenza sessuale e che, puntualmente, finivano per snobbarla preferendo le cosce dell’amico del suo migliore amico.
A quella sua esclamazione, però, fu Louis a sorprenderla: "Possiamo ballare, Elle! Scateniamoci e godiamoci la vita" afferrandole la mano e intrecciandola alla sua per poi trascinarla verso la pista. Zayn rimase un momento piantato lì, ad osservali, mentre nella testa si domandava chi tra "ragazzo snello, ciuffo biondo e ragazzo possente e naso a patata" fosse più di suo gradimento; ma aveva tempo per decidere, così seguì i suoi amici e deviò verso i due, con la chiara intenzione di intromettersi nella loro danza; questi, ben felici, lo accolsero ballandogli e strusciandosi a lui. “Decidere? Perché non divertirsi con entrambi, piuttosto?” Dopotutto Louis lo aveva conosciuto proprio grazie a un menage a trois, quindi non sarebbe stata nemmeno la prima volta. "Zayn"
"Niall", "Liam" risposero all'unisono. "Piacere di conoscervi, ragazzacci" esclamò, sentendosi come una prostituta. Stava decisamente rivalutando quella serata.
Louis le si era avvicinato alle spalle, mentre Agnetha e Frida cantavano "see that girl, watch that scene, diggin the Dancing Queen" fomentandolo nella sua decisione di avvicinarsi a lei e concedersi il privilegio di avere un ballo con quella Regina meravigliosa. L'aveva intravista da lontano in viso, nel suo angelico sguardo da fanciulla innocente e dolce, ma quando lei si voltò, Louis aggiunse alle poche caratteristiche un paio di iridi verdi che brillavano sotto la palla luminosa della disco, impreziosite da un paio di ciglia lunghissime e incurvate probabilmente da un po' di rimmel. La prima cosa che la Regina danzante fece, notandolo, fu sorridergli, causando al cuore di Louis un primo attacco di adrenalina che lo condusse a danzarle attorno, come fosse un pavone in procinto di mettersi in mostra per corteggiarla. La fissò per tutto il tempo: aggiunse un paio di gote paffute che facilmente potevano imporporarsi di un tenue imbarazzo e due fossette ai lati della sua perfetta bocca a cuore, rossa come se ci fosse depositato sopra la migliore qualità di rossetto.
Quanta voglia aveva di baciare quelle labbra, Dio!
Quando fu lei ad avvicinarsi a lui, ballandogli addosso col chiaro invito a fare di lei qualsiasi cosa volesse, Louis si sentì fortunato come avesse vinto alla lotteria e, al tempo stesso, onorato di essere riuscito a conquistare una tale meraviglia.
Continuarono a ballare per tutto il tempo di quella canzone e Louis fu un gentiluomo a non approfittarsi di lei. Si godette anche Night Fever di Bee Gees, con la quale dimostrò tutta la sua abilità nella danza e Zayn, se solo non fosse stato troppo impegnato a limonare sia il biondino sia l'orsacchiotto eccitato, avrebbe potuto dargli del coglione, come aveva fatto la prima volta che, per avvicinarlo, gli aveva mostrato la sua mossa da conquista e che, ancheggiando a ritmo a destra e a sinistra, aiutandosi con un braccio prima teso verso l'alto e poi in basso, ora stata usando su di lei, nonostante fosse palese che non ce ne fosse più bisogno. La Regina rise divertita, facendo dondolare la sua chioma e ipnotizzando il ragazzo, avvicinandosi ancora una volta e agguantandolo per le spalle, che circondò per stringersi a lui. "Ciao" lo salutò, prima che Louis le pestasse un piede e "Ops" replicasse, facendola sorridere scioccamente.
"Qual è il nome di questo meraviglioso ballerino?" domandò lei, mangiandoselo con gli occhi e mordendosi un labbro per dimostrargli palesemente il suo interesse. "Louis, babe" replicò, troppo assuefatto per rendersi conto di quel suo tono di voce così basso. "E il tuo?"
Zayn nel frattempo aveva preso a ridere abbracciato ai corpi dei due ragazzi e tutte e tre sembravano ora più interessati alla situazione di Louis che nel loro amoreggiare senza freni inibitori. Come se Zayn avesse scoperto qualcosa di interessante e non vedesse l'ora di vedersi realizzare tale scoperta davanti ai propri occhi. Ma Louis era troppo impegnato ad ammirare la ragazza che stringeva in vita, così tanto impegnato che quando questa "Harry" gli rispose, pensò di non aver capito. "Come, scusa?"
"Harry, il mio nome è Harry" gli urlò in uno orecchio, con la sua voce chiaramente maschile.
La musica non aveva più la stessa potenza di prima, nonostante il volume fosse lo stesso. Sentiva le risa di Zayn, divertito dall'espressione di Louis che aveva appena scoperto che la sua Regina in realtà non era altro che un Re. Era perfino curioso, ora, di scoprire come Louis uscisse da quella situazione imbarazzante, qualora avesse voluto.
Louis ponderò sull'idea, mentre la Regina Danzante, o meglio Re, Re Harry, lo guardava scettico a causa del suo improvviso mutismo. "C'è qualcosa che non va?" domandò Harry, con la sua voce ora chiaramente nasale e virile.
Quando Louis pensò di adorare perfino quella, un tratto di quella personalità chiaramente maschile, nonostante l’apparenza e i tratti femminili, le rispose con una negazione e un sorriso.
"Perdonami, sono così affascinato dalla tua bellezza da essermi perso nel tuo sguardo, posso offrirti da bere?” ammiccò. Harry ridacchiò imbarazzato e annuì, mentre veniva scortato fuori dalla pista da ballo e le loro mani si intrecciavano teneramente, legando quei due corpi che, nonostante le similitudine, ambivano già ad appartenersi profondamente.
 

 
 
 
 

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Capitolo 16
*** E penso a te ***


E penso a te
 


 
 
Sai cosa significa avere un'ossessione?
Perché io, in questi ultimi anni, sto imparando il suo significato, nonostante non abbia richiesto a nessuno alcun tipo di insegnamento. E lo sto imparando a mie spese, nostre in realtà, e spesso mi domando quanto questa sia simile alla tua, anzi, se in qualche modo sia simile alla tua.
Non credo, però.
Perché, vedi, io lavoro e penso a te.
È vero, non lo dimostro, a volte perfino tu hai avuto dei dubbi e spesso il tuo broncio è stato il mio unico compagno, ma, sai, se entrassi nella mia testa troveresti una sola costante.
E non è lei, come vuoi credere.
Perché anche quando torno a casa la situazione non cambia e penso a te.
In giro per il mondo siamo sempre insieme, il lavoro ci unisce, una volta anche la vita. Non so da quanto in realtà – non lo ricordo davvero, sono un distratto e se non hai dimenticato proprio tutto, sai che è vero, visto che amavi anche questo di me – ma da un po' di tempo, quando torniamo a casa, ci perdiamo in due strade parallele, tu per la tua e io, qui, a casa, a fare il testardo, pensando che vada tutto bene.
Strade parallele, capisci l'eresia? Quelle sembrano non incontrarsi mai, sembrano, eh, precisiamo il dubbio perché in geometria ho sempre preso una E e quindi non ne sono sicuro; ma prendiamo le rotaie di un treno, quelle non si incontrano mai, nemmeno in stazione, si intersecano di rado con un altro paio di rotaie, estranee, ma tra loro mai; e forse è così che ci siamo incontrati, tempo fa, perché facevamo parte di un paio di rotaie diverse, che si sono incrociate in un punto, diventando una cosa sola, per poi scivolare via, come dei passeggeri che abbandonano la stazione di mezzo, dimenticandosi e tentando invano di incontrare la propria compagna, quella che ci sarà sempre, ma che non si raggiunge mai, che non si tocca mai.
Non la voglio pensare così, perché significherebbe averti perso per sempre. Preferisco saperti l'altra metà di me irraggiungibile, per sempre, piuttosto che un incrocio inevitabile. Perché ti avrei qui, con me, prima o poi.
Avrei la speranza che un giorno tornerai a farmi compagnia lungo il viaggio.
Eppure tu sembri a tuo agio ovunque, in ogni luogo della Terra, tranne che qui, a casa, quella che un tempo condividevamo, e mi domando da quando sia così.
Da quando c'è lei, forse, o prima ancora?
Così le telefono...
Penso che sia molto ingiusto il trattamento che mi riservi a volte, ma taccio, perché dimostrarti quanto io tenga a te è sempre stato ciò che mancava tra noi. Di tanto in tanto fai il sostenuto, ma ciò che mi fa sentire peggio è quando ti mostri indifferente a me, perché un tempo non riuscivi a farlo. Un tempo, dovevamo toccarci, altrimenti ci sentivamo a metà. Un tempo, dovevamo guardarci, altrimenti eravamo persi.
Oggi, mi guardi e non mi vedi sul serio. Getti il tuo sguardo su di me e mi parli come se nulla fosse,  io di tanto in tanto provo a ricercare quella luce che avevi solo con me, ma non sembra esserci. Così come il tuo tocco, non c'è.
A volte mi avvicino distrattamente e ti sfioro, mi sento una strada a senso unico, perché tu non sembri nemmeno più accorgertene della mia pelle su di te.
E tu un tempo ti accontentavi di me e delle mie insufficienze, sai? Poi, in silenzio, così come sei arrivato al cuore, te ne sei andato lasciando solo spazio, ma nessun vuoto.
Ci sei, ti sento e ti vivo ancora, così come il tuo profumo che è ovunque; hai disegnato te stesso dentro di me, creando e allargando spazi che nella mia reticenza credevo di non avere, e poi a lavoro compiuto, sei andato via con la scusa di una mancata risposta. Ma la sai una cosa? Se non  hai capito i miei occhi, il modo in cui ti guardavo, o quello in cui ti parlavano così palesemente, nonostante il mio sarcasmo e i miei soliti silenzi, dubito potessi capire quanto in realtà ti amassi.
...E intanto penso a te.
Perciò la chiamo, perché la vita è una ripicca perpetua e io gioco a scacchi con lei da quando sono nato.
Lo è stata nel farci incontrare, nel farci condividere una vita, nel farci amare quando tutti credono che fosse sbagliato, e lo è stata nel giorno in cui è arrivata lei e tu sei andato via.
Un punto fisso, quello eri tu, tracciato su un foglio, io, accartocciato e messo in un cestino, ecco cosa  siamo. Tu sei ancora su di me, ma cestinati insieme.
Una dannazione perché “Come stai?” le chiedo, senza voler sapere realmente la risposta, mentre la testa è in altri luoghi, anzi, solo uno, sempre lo stesso: e penso a te.
Lei sorride al telefono, e penso a quando lo facevi tu. Lo sentivo e sorridevo di conseguenza, perché c'ero riuscito, io, a far sorridere quel faccino sempre troppo assonnato e perduto. Io, con una sola parola. Tu, il mio chiodo fisso, che se sorridevi mi rendevi l'uomo più felice al mondo.
Un tempo era così semplice.
Dove andiamo? mi domanda quando arrivo da lei, e io sospiro, mentre una tentazione, sulla punta della lingua vorrebbe risponderle: “Hey, partiamo, andiamo dall'altra parte del mondo. Quando? Ora. Se non vieni, non importa, basta che parta io”.
Per quale motivo, mi chiederebbe poi, e non potrei più risponderle. E penso a te.
Sospiro ancora, le sorrido, abbasso gli occhi e accantono l'idea stupida di correre da te e abbandonare lei. Lei, che nella vita non ha fatto nulla di male per non essere amata, lei che sta soltanto lavorando e cerca di fare l'amica; non ci riesce.
E io, che sono così egoista, lascio correre; semplicemente lascio, tutto, come ogni volta. Anche te.
Giriamo senza meta, una sosta per prendere qualcosa da bere in quella caffetteria che le piace tanto e poi alcuni scatti, all'uscita, che ci immortalano insieme e che tu vedrai, lì, ovunque tu sia, soltanto per fraintenderli.
E penso a te.
Non lo noti, vero, quanto sia distratto assieme a lei e quanto, invece, sia attento quando in quelle stesse foto ci capiti tu nel mezzo?
Non la vedi la differenza?
La mamma spesso mi chiama per domandarmi se ci sia qualcosa che non vada, lei mi conosce, ma le sue chiamate non arrivano mai quando in quelle foto ci siamo noi. E c'è la scusa del gruppo, della felicità di un sogno che dividiamo assieme ad altri ragazzi, c'è la finzione della nostra amicizia alla quale anche lei crede, ma quando i miei occhi si posano su di te, c'è tutto, probabilmente troppo, così tanto che non te ne accorgi, assurdo.
Hanno aperto gli occhi, in tanti, ma tu continui a darmi dell'attore.
Io, che per quanto nella vita avessi sempre voluto recitare, ammetto di non saperlo fare, non quando poi si tratta di te.
È una forza più forte dell'ipocrisia, più di ogni ignoranza, di ogni orgoglio e di ogni pregiudizio. È amore, capisci? Quello che mi hai sempre costretto a tirar fuori prima di chiudere una telefonata, quello che ti rassicurava e per il quale provavi timore, se anche per un giorno non te lo ricordavo. Amore, quello che per troppe volte non ti ho gridato. Ma c'era, c'è sempre stato, mai un'assenza.
Tu non lo vedi più. Lo fraintendi, non so da quando.
Eppure sei uno sciocco, lo sono tutti coloro che ci mettono in dubbio, perché non faccio altro che pensare a te e se mi sei vicino, si nota.
Su una cosa so fingere, però, ho imparato abbastanza bene: fingere di non impazzire, ora che non so dove tu sia.
Impazzisco dentro, mentre imparo l'allegria e la naturalezza, assieme a lei. Impazzisco, sì, con mille interrogativi perché non so con chi adesso sei, non so che cosa fai...
Ma so di certo a cosa stai pensando, perché voglio credere, dentro di me, che tu mi stia pensando nello stesso modo in cui lo faccio io. Perché sei così distante che questo è l'unico pensiero che mi manda avanti. Infatti sorrido, mentre un altro scatto ci immortala mano nella mano, e magari non sei nemmeno troppo lontano, forse proprio dietro quell'angolo, che ci spii, che attendi il mio arrivo per “Hey, eccomi qui” dirmi.
Accelero il passo, attraversiamo la strada e arriviamo proprio in quel punto che ho fissato con bramosa felicità, accecato da una speranza; lei non domanda, non lo fa mai. Ma la nota, la mia disperazione mischiata a quei tratti di delusione, quando giriamo e tu non ci sei. Che sciocco sono stato, è troppo grande la città, per due che come noi non sperano però si stan cercando.
Mi guardo attorno, disperso, come un matto ho il cuore il gola, ci ho creduto davvero, soltanto per questi folli pensieri che mi portano sempre a te.
Un'altra foto e mi domando a che velocità arrivino da te, mentre le sorrido timidamente e ci avviciniamo alla macchina.
Ti fanno ancora soffrire? Ci riescono ancora a ferirti un po'? Perché le tue, da solo o in compagnia, sono capaci di condurmi alla follia di un pazzo che rifiuta le cure. Implodo dentro, ogni giorno, nella paura che ti stia dimenticando di me tra le braccia di qualcun altro.
E poi, per rincuorarmi un po' e mandare via quei brutti pensieri, mi pongo una domanda: ci speri ancora in noi? Almeno un po', almeno una briciola? Mi basterebbe...
Scusa è tardi” le dico, perché voglio solo tornare a casa, ora. Con la testa sto già preparando la mia cena, in solitaria, perché lei non sarà con me, non è il suo lavoro stare in mia compagnia senza nessun faro a illuminarci.  E penso a te, perché l'ombra era il nostro luogo.
Ti accompagno” lei annuisce e mi sorride dolcemente, saliamo in macchina. Durante il viaggio, osservo distrattamente fuori da finestrino e penso a te.
Non son stato divertente” le dico, una volta giunti sotto casa sua. Lei fa spallucce, mi carezza una mano e penso a te, perché lo sta facendo anche lei e in silenzio mi sta dando speranza.
Un “tornerà” al quale mi aggrappo, nonostante sappia che non sarà affatto così. Perché non mi hai lasciato nulla per cui sperare e io non ti ho dato nulla per spingerti a tornare da me, soltanto risolutezza, professionalità, ciò che si deve fare e ciò che non si può per il sogno.
Oh, quanto ci ha dato e quanto ci ha tolto.
Sono al buio, sul pianerottolo di casa con una chiave in mano e penso a te, come un disperato. Ancora quella speranza anima ogni strato di pelle, anche quello più in profondità, rendendomi di nuovo stranamente felice. Ma tanto non ci sei, che spero a fare?
Entro in casa e non ho sorprese, sbuffo e mi gratto il capo; mi sento uno stupido. Mi preparo la cena, ma non la mangio. Mi butto sul letto, guardo il soffitto e sospiro. È un letto troppo grande, ora. Freddo anche in piena estate. Vuoto, anche se cosparso di vestiti, i tuoi, quelli che non hai mai ripreso, quelli che spesso mi ostino ad indossare – chissà se lo noti, chissà se ti fa sorridere.
Chiudo gli occhi, e sento il rumore del mio cuore pulsare sangue in tutto il corpo. Lo trovo inutile e fastidioso, soprattutto nelle mie orecchie.
Mi rigiro nel letto e penso a te, perché da quando non ci sei tu è diventato tutto scomodo. Questo materasso, sul quale dormivano abbracciati e facevamo l'amore; la doccia, sempre troppo fredda in assenza delle tue soffici attenzioni; la cucina, sempre sporca e priva di quei piatti che mi cucinavi... In realtà questa casa è scomoda da quando non ci sei più a riempirla di te, dei tuoi capelli ricci, dei tuoi occhi verdi, della tua bocca, corposa come una fragola matura, delle tue gambe spesso nude e dei tuoi piedi lunghi, magri e scalzi che lasciavano le impronte per tutta casa e mi facevano impazzire.
Apro gli occhi e ci rinuncio, anche questa notte sarà come tutte le altre.
Perché io non dormo e penso a te, Harry.
 
 
Poi un tonfo, sembra quello di una porta. E mentre il coro nananananana canta, mi alzo. Un'altra fottuta speranza mi sussurra che è stato proprio il rumore di una porta chiusa.
Scalzo e infreddolito mi dirigo al piano di sotto e “nananananana” mi sussurro, abbracciandomi, mentre dovrei pensare che forse è qualche ladro.
E, invece, penso che sia tu.
Ironico, no? Probabilmente finirò steso a terra da un piede di porco o, peggio ancora, dal colpo di una pistola e stupidamente penso che sia tu; penso alla speranza che finalmente sei tornato, piuttosto che alla situazione peggiore. Perché quella che vivo quotidianamente è peggiore di ogni altra prospettiva. Perché se devo vivere la mia vita come parte di una rotaia che è stata assemblata con quella sbagliata, Harry, io non voglio vivere.
Perciò quando arrivo in salone, nel buio, chiudo gli occhi, prendo un po' d'aria e sento ancora un po' l'odore che c'è di te in questa casa.
Sorrido, in ogni caso, in ogni luogo dove ora io sono destinato, tu ci sarai.
Perché continuerò a pensare a te, sempre.
 
“Louis...?”
 
Sorrido, perché il mio corpo lo sapeva da stamattina, ti sentiva nell'aria di Londra. Eri qui, forse proprio dietro quell'angolo, ma ti eri nascosto troppo bene per i miei occhi stanchi e delusi.
Sei tornato. Mi hai chiamato per davvero con la tua voce, ora più matura.
Era solo una questione di tempo, dovevo aspettare, essere paziente nella mia lenta agonia.  Dovevo soltanto continuare a pensarti.
 
“Harry...” sospiro e apro gli occhi. Bam, la luce accesa, ci hai pensato tu, e ti vedo. Sei sempre stato così bello?
Mi sorridi e sei bello più di sempre, anche con quelle brutte valigie che sanno di partenze, anche con quei pantaloni neri, stracciati, che adori indossare, perfino con quella fascia nei capelli che un giorno ti ruberò.
Apro le braccia e tu ti avvicini in due grandi falcate e quelle due linee destinate a incontrarsi una volta soltanto sovvertono le leggi e si ritrovano ancora. Ci ritroviamo ancora, noi, sempre. A casa.
Stavolta sarò migliore, però. Stavolta non ti lascerò andare più via. Me lo riprometto, mentre cerco e trovo le tue labbra.
“Sei tornato…” dico, perché non ci credo, ma il tuo profumo, quello disperso in ogni angolo di questa casa, quello che non c’è più ma che ho immaginato per farmi compagnia, in assenza di te, è proprio sotto il mio naso, ora, già riempe i polmoni e tutti gli spazi che hanno il tuo nome come firma.
“… Per restare” mi rispondi e io ti amo ancora di più.
 
Non penso a te, Harry, perché non ce n'è più bisogno visto che sei qui ad abbracciarmi. Ma penso di non essere stato in errore quando mi dissi nell’inutile e ingenua speranza che anche tu dovevi star cercando me, ovunque fossi.
Mi hai trovato, non sono andato da nessuna parte; sono qui, in noi, nell'ombra di ciò che fingiamo di essere, l'unico posto dove non recitiamo, ma viviamo chi siamo.
E non so se le mie promesse sono mosse dall'entusiasmo di riaverti qui, di sapere che mi ami ancora, ma non sarà così per sempre.
Presto molleremo quelle maschere e vivremo noi con un faro puntato addosso a illuminarci.
 
"Nananana, nananana, nananana", canticchiamo felici, mano nella mano, insieme, mentre andiamo a letto.
Non dormiremo stanotte e penseremo a noi.
 
 
 
 *Le parti in corsivo sono il testo della canzone "E penso a te" di Lucio Battisti
 




Angolo VenerediRimmel
 

Cos'è questa cosa, vi starete domandando. Ebbene, se dovete dar la colpa a qualcuno, datela a Battisti.
No, poverino, quello sta in grazia di Dio, lasciamolo in pace. Quindi, mh, diamo la colpa ai Larry che mi vengono sempre in mente in casi poco opportuni come questo.
E penso a te è una delle tante canzoni che mi hanno fatto plottare, in macchina, spesso mentre andavo all'Università, canticchiando e sclerando come mai.
Perciò abbiate pietà di me; avevo accantonato l'idea di scriverle sul serio queste cose, nonostante le idee fossero nate per 23 canzoni (P A Z Z A, lo so.) ma ieri avevo bisogno di sfogare dei pensieri e Louis si è affacciato (?) e mi ha detto “scegli me! Scegli me! Please” e così ho fatto.
Perciò è colpa di Louis u.u
E, quindi, niente, questa sarà una raccolta, senza tempo, né spazio, nel senso che non so quando le scriverò, probabilmente quando sarò particolarmente ispirata, come ieri e oggi.

 
Un abbraccio,
VenerediRimmel

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Capitolo 17
*** 7 e 40 ***


7 e 40
 






L'Inghilterra è grande e tu vuoi percorrerla in treno per tornare nella tua città e ti darei dello stupido se non avessimo litigato e non avessi paura di allontanarti ancora di più.
Vuoi partire, allontanarti da me, da noi, perché sta per arrivare lei, e io non posso chiederti di restare, non posso sapendo di farti del male.
Mi sono informato, c'è un treno che parte alle sette e quaranta” ti dico distrattamente nella nostra camera d'albergo – che poi chissà perché non siamo tornati a casa nostra, ieri sera.
Perché nessuno lo sa, certo, ma tutti lo pensano: ne condividiamo ancora una, di casa.
E questa notte abbiamo dormito assieme, nel nostro solito modo, nella nostra dolce abitudine, abbracciati stretti, senza alcuna possibilità di cercare altro ossigeno perché ci bastano i nostri respiri divenuti un tutt'uno; ma poi ti ho detto, svegliandomi con le mie paure, che “oggi arriva lei” e tu “io vado via” hai risposto, alzandoti per farti una doccia.
In realtà, lo so, volevi fare l'amore con me, nonostante l'avessimo fatto poche ore prima, subito dopo la fine del concerto, e io ti ho allontanato nell'unico modo in cui faccio sempre.
Tornerai ancora una volta da me anche se cercherai sempre di andar via?
 
Quando sei venuto fuori, mi hai trovato seduto vicino al tavolo, con un giornale tra le mani; quelle hanno continuato a tremare finché i miei occhi, fingendosi distratti, si sono posati sul tuo petto, timorosi di incontrare quel verde delle iridi splendenti e ora tristi che ogni tanto, soprattutto appena sveglio, si nascondono sotto i tuoi ricci.
Fisso quel petto dove sostano quei due teneri uccellini, il terzo è con me e mi volto a cercarlo, sul mio braccio, per non dover ritrovarmi impudicamente a fissarti. E lo guardo, mentre in un sussurro, per non farti render conto della mia voce tremula “non hai molto tempo, il traffico è lento nell'ora di punta” ti dico.
Perché hai deciso di partire, lei sta per arrivare, e io non posso fermarti. Tu annuisci e queste parole “ti bastano dieci minuti per giungere a casa, la nostra” mi muoiono in gola con la stessa velocità con cui si è spento il tuo sorriso.
Perché hai dato a me questo brutto affare, Harry? Perché fra tante persone solo io sono capace di far nascere i tuoi sorrisi più belli, più miracolosi, accompagnati da quelle stupide fossette che mi hanno fottuto anima e cuore? E perché, allo stesso tempo, ho il potere di spezzartelo? Perché mi hai insegnato a farti del male? Perché mi hai concesso questo dannato e terribile privilegio?
Sei come un fiore tra le mie mani, appena colto, ancora vivo che piano, piano appassisce. Poi miracolosamente, come ogni lieto fine, tu torni a sorridere di gioia, senza che io mi capaciti di come tale fortuna sia potuta accadere; e ogni volta mi domando se questo miracolo sia l'ultimo e se un giorno finalmente ti stuferai della tua vita da fiore, custodito inopportunamente nelle mie mani. Perché io ti renderei eterno solo per non farti più morire, solo per tenerti al sicuro tra le mie mani, e cullarti, e accarezzarti, e darti tutto l'amore possibile; ti renderei immortale solo per la rassicurazione di non doverti far più del male, solo per far in modo che tu risplenda sempre, Harry...
Eppure è impossibile, perché, vedi?, ora stai appassendo. Ancora. E io muoio assieme a te, ed è colpa mia. È colpa mia anche quando, in realtà, non lo è. Perché ti avevo promesso che nulla avrebbe potuto farti del male, nulla, ma non avevo pensato a me: ci sono io, sempre pronto a procurarti altro dolore.
Dimmi, Harry, ci riuscirò tutte le volte a fare in modo che tu non muoia a causa mia?
 
Giro un foglio con le mani ormai sporche di nero e “la chiave ricorda che è sempre lì, lì sulla finestra” vorrei ricordarti, ma è inutile farlo; ce l'hai messa tu in quel nascondiglio e lo ricordo ancora, assieme al bacio che mi donasti, afferrandomi frettolosamente lungo la vita e ridendo tra le mie labbra.
“Lo sapremo solo noi” mi dicesti prima di mordermi un labbro, ma poi un uccellino fu il primo a scovarla, quella chiave, facendoci ridere mentre lui in silenzio continuava a guardarci come fossimo degli idioti.
Ti muovi e ti vesti, riportandomi alla cruda realtà del presente; quanto era bella l'ingenuità del nostro passato? Quando credevamo che nessuno sapesse realmente cosa fossimo e quando, invece, per inesperienza, credevamo che potessimo vivere insieme, felici, giovani per sempre... Sospiro.
 
Non hai voglia di parlare e ti rinchiudi nel tuo maledetto silenzio, custodito in quella faccia assonnata e malinconica che spezza ogni parte di me, anche la più immutabile.
Ti osservo ancora e le parole mi muoiono di nuovo sulla bocca dello stomaco, proprio a me che ne ho sempre una con cui ribattere.
Ma tu mi spiazzi, come sempre, come quando mi dicesti di esserti innamorato di me e io, come un idiota, non potevo credere che ti fosse successa la stessa cosa che era accaduta a me. E ricordi come ridevo? Ridevo facendoti credere il contrario e umiliandoti.
Tu mi spiazzi come quando, poi, nonostante ti sentissi rifiutato, mi baciasti e mi costrinsi a ricambiare.
“Io ti amo, spicciati a farlo anche tu” mi dicesti sulle labbra e io ero troppo sconvolto dopo quel bacio violento – e tanto, tanto bello, Harry -  per dirti che già lo facevo, che già t'amavo da un po', seppur in silenzio.

Inizi a preparare le poche cose che hai qui e vorrei urlarti per rabbia e frustrazione “e nel far le valigie ricordati di non scordare, qualche cosa di tuo che a te poi mi faccia pensare” ma taccio, perché qualcosa di te, sulla mia pelle, ci sarà sempre, anche quando sarai andato via.
A volte mi pento di questi tatuaggi, perché è proprio per questo motivo che sono stato tanto restio nel farli inizialmente. Sarebbero rimasti per sempre, anche nel caso in cui tu o io, invece, avessimo deciso di cambiare quell'unione, quel noi.
E ogni volta che scappi in America, ogni volta che giri il mondo senza di me, una parte di me si ricorda di quell'incerto “per sempre” al quale ci siamo aggrappati, per il quale spesso ci hanno criticato, non credendoci, e, sai?, inizio a crederci anch'io: un giorno finirà, perché io ti farò male  e tu ti stancherai di me. Definitivamente. Magari lo farai tra le braccia di qualcun altro. Magari qualcuno finalmente ti farà credere quanto io non sia poi così tanto speciale, come tu ti ostini a voler credere.
E di te non mi resterà nient'altro che il ricordo sussurrato di questi tatuaggi. Farà male, Harry, e fa male ora perché tutte le volte che scappi via, spero come un fottuto egoista che non sia questa, la volta definitiva.
Ma prima o poi arriverà.
 
Dilaniato da questi pensieri, perdo le speranze di fare una buona colazione, perdo le speranze per noi, e mi alzo. “Buon viaggio” esclamo, “ma torna” penso, mentre dentro di me la mia voce, ormai fattasi flebile e insicura ti prega “ora basta non stare più qui. Ti rendi conto anche tu? Che noi soffriamo di più, ogni istante che passa di più...”
Ma no, non devo piangere. No, non piangere nemmeno tu, non guardarmi con quegli occhi, ti prego Harry, perché non ti lascerei andare, comportandomi da egoista.
Presto, presto vai... o farai tardi” te lo dico, mentre ti supplico con lo sguardo; una mano si posa sul tuo braccio, quello dove c'è una nave a ricordarmi che io ho una bussola, per te.
E penso: punta a Nord, Harry, tutte le volte che deciderai di tornare con la tua nave. Perché è qui che mi troverai ad aspettarti.
Perché tornerai, non è così?
 
Mi chiudo in bagno, quando non solo la mia porta sbatte ma anche quella della stanza d'albergo che abbiamo condiviso, prima per amarci come folli, poi per abbandonarci ragionevolmente.
 
Sei andato via.
 
Da un minuto sei partito e sono solo, sono strano e non capisco cosa c'è. Ho quel magone nella pancia, quella paura che ormai col tempo ha mangiato insaziabile ogni parte di me. E ora la mia pelle non sa a cosa appigliarsi per rimanere stabile, per non impazzire.
Sui miei occhi da un minuto è sceso un velo, ora lo sento benché ci fosse da quando, alzandoti, mi hai detto che saresti andato via. Forse è solo suggestione o paura o chissà che; lo sento tutte le volte che succede, ma stavolta è così diverso, così smanioso. Questa volta non riesco a trattenere le lacrime.  
È possibile che abbia fin da ora già bisogno di te?
E la risposta è una soltanto, quella che mi fa mettere in piedi e agire senza pensare con razionalità.
Che si fotta la ragione! Non posso perderti fingendo di non essere malato. Io sono un pazzo, assieme siamo sempre stati perfetti per questo motivo e ora che la paura ha fame e potrebbe avere la meglio su di me, come su di te, io devo fare in modo di impedire, a tutto ciò che non siamo noi, di vincere questa battaglia.
Perché, Harry, a costo di perdere tutto per tutto ciò che riguarda me e te, vinciamo noi.
 
Controllo sul computer la tua prenotazione, per poi fare la mia. Tu vuoi girare in treno, perché sei un masochista e vuoi farti del male con i tuoi pensieri, mentre ti allontani da me. Io, invece, ho bisogno di un mezzo più veloce e se ci fosse il teletrasporto sarei lì da te ad asciugare ogni lacrima che stai versando, ma devo accontentarmi di un aereo e per consolarmi all'idea di un Harry disperato, devo sforzarmi di pensare che rimedierò a tutto il dolore che gli sto causando.
Ti sorprenderò, Harry. E vinceremo noi.
Mi sono informato c'è un volo che parte alle otto e cinquanta; non mi interessa dell'arrivo di lei, non ho cura del nostro lavoro, né della nostra copertura. Per vincere c'è bisogno di correre dei rischi e io non ho molto tempo, il traffico è lento nell'ora di punta. Se non manderemo tutto a rotoli, se qualcosa si salverà, penseremo dopo ai guai che sto per combinare.
Mi bastano dieci minuti per giungere a casa, la nostra, e appena arrivo, nella mia testa riecheggiano i passi che hai fatto per giungere nel nostro nascondiglio. C'è il ricordo del tuo passaggio, come le impronte sul fango bagnato, che mi consola e che mi sprona ad insistere in quella follia. Perché è Destino che io debba farla, considerata la fortuna che ho avuto nel seminare i body guard in albergo e tutto lo staff. Grazie, soprattutto, all'aiuto complice di Niall, prima o poi lo ripagherò per tutto quello che ha fatto per noi.
La chiave l'hai messa senz'altro lì, lì sulla finestra. Ma non è nella stessa posizione di prima, la polvere lo sussurra dolcemente ai miei occhi. Sei passato a casa per prendere alcune cose e chissà se lo hai fatto davvero, chissà se hai portato via tutto ciò che mi avrebbe fatto pensare a te.
Quando entro, però, mi investe il tuo odore di fiore ancora vivo, ancora speranzoso, ancora rigoglioso e, forse, non ancora scivolato del tutto dalle mie dita. Lo respiro a pieni polmoni e nel far le valigie stavolta non devo scordare di mettere un fiore che adesso ti voglio comprare.
Sorrido e faccio tutto di corsa, ho poco minuti a disposizione e devo arrivare da te in tempo per sistemare tutto, per non perderti. Con l'aereo in un ora son lì, spengo il telefono altrimenti inizieranno a chiamarmi per scoprire dove sono finito. Ci riusciranno comunque e sarà un casino, ma non ci penso, l'unica cosa che importa al mondo sei, e sarai sempre, tu.
Tutto ciò per cui vale la pena sperare, credere, far follie non sei altro che tu, e se manderò tutto a puttane, sarà per un valido motivo che, benché stenteranno a credere, tutti saranno obbligati a capire.
In viaggio qualcuno mi riconosce, ma non presto attenzione a nessuno, mentre osservo fuori il paesaggio e lascio che la mia gamba picchietti freneticamente a terra.
Mi vorrai? Mi respingerai quando mi ritroverai di fronte a te a chiedere di essere tuo nonostante tutto?
Sono ancora tuo, benché di mio non sia rimasto nulla più se non il mio amore per te?
 
Appena arrivo, corro senza attendere, prendo la valigia e poi di corsa un tassì, mi fermo per quel fiore e compro un grande mazzo di rose; mi perdonerai subito, certo, e la speranza inizia a fomentarmi, perché sei buono di cuore e di anima, perché mi ami, forse come non sarò mai capace di fare io, arrendevole e fiducioso. Ma è raro che io ti compri qualcosa per dimostrarti ciò che provo e, nonostante questa pazzia, so che non basta, non bastano nemmeno i fiori, né tutto me stesso, né tutto il mondo perché, Harry, tu sei spettacolare, sei meraviglioso e nulla esiste che possa essere comparata a te. Ma io, da sciocco uomo follemente andato per te, ti do tutto ciò che posso donarti: quel mazzo di rose che seccherà, presto o tardi, e tutto me stesso, assieme alla follia che mi ha fatto volare da te non appena sei andato via; perché sono certo così, ti basterà, per questa vita, senza chiedermi nulla più in cambio.
Perché, io lo so, l'ho sempre saputo anche se spesso sembra che io me ne dimentichi... Io so che Harry Styles ha scelto Louis Tomlinson per la vita.
E per quanto possa valere, Harry, ti porterò sempre nel mio cuore, perché sono tuo, e lo sarò sempre.
E con quei propositi mi metto ad aspettarti davanti al binario. Le stazioni mi ricordano tutti gli Addii che ci siamo dati, nonostante spesso siano accaduti fra quattro mura. I treni che partono sono l'essenza della malinconia, ma in questo momento sono euforico e speranzoso, davanti a due rotaie con un mazzo di rose fra le mani. Un idiota – commenterei se non fossi troppo agitato ad attendere il tuo arrivo.
La gente mi adocchia e mi sorride. “Aspetta la sua fidanzata” si sussurrano, ma non li ascolto.
Sorprenderemo anche loro. E quando arrivi col treno, io sto lì a cercarti tra mille volti spenti e mille gambe che camminano frettolosamente.
Ti trovo grazie ai tuoi capelli ricci, alzandomi sulle punte: hai il capo chino, uno zaino a tracolla e quelle mani lunghe e affusolate calate verso il basso, inermi. Ti ho permesso di perdere tutto, ma mi aggrappo alla speranza di quel miracolo. Sei ancora un fiore tra le mie mani, Harry? Posso ancora prendermi cura di te?
Così quando alzi gli occhi, come attratto dai miei che ti si sono piantati addosso senza più avere voglia di guardare altrove e mi vedi, io ti sorrido ma non solo con la bocca, con tutto me stesso.
Faccio un passo e tu mi osservi ancora, ti togli i tuoi occhiali da sole, mi squadri e te lo leggo negli occhi, stai pensando “mi sono rincoglionito o quello è il mio ragazzo, folle, che si è fatto trovare in stazione con delle rose in mano, pronto a chiedere scusa?” e allora rido, questa volta solo con la bocca, e quando  quella che tu descrivi “limpida e delicata”, la mia voce, arriva alle tue orecchie, ci credi. Ci credi che un pazzo rincoglionito ha fatto tutto questo per raggiungerti e... “non piangere,” ti sussurro quando ti avvicini, tentando invano di arrivare alle tue gote rosee per asciugartele, ma non riesco a dire altro perché tu mi travolgi, come è tua abitudine, per abbracciarmi e stringermi. E mi togli il fiato, mi togli le paure, ricomponi tutto ciò che è andato perduto, come per magia, in un attimo; scacci via il dolore e infiammi la speranza. Lasci intatto l'amore, il nostro, mentre ti stringo anch'io e affondo il capo nell'incavo del tuo collo. “Ti amo, spicciati a perdonarmi” ti dico mentre sento di nuovo il tuo odore travolgermi; sei ancora un fiore, e mi stringi, e ti stringo e ridi per quel che ti ho detto. Mi hai perdonato, siamo felici.
Ti cullo e ti terrò ancora tra le mie dita, preservando la tua bellezza, custodendoti con profonda gelosia e possessione. E con ossessione farò in modo che tu non appassisca mai più, Harry.
Perché forse non avevo bisogno soltanto io di credere in questa battaglia, non avevo creduto solo io che fossimo arrivati alla fine di tutto, agli sgoccioli della nostra storia.
E allora non ho sbagliato a mandare tutto all'aria, né a voler vincere con tutto me stesso, apparendo il pazzo in mezzo ad una folla di persone ordinarie.
Avevi bisogno di questo. Abbiamo bisogno di crederci ancora.
E vinciamo, Harry. Noi vinciamo sempre.
Mi guardi  e “presto, presto” mi sussurri. “Nascondiamoci, magari dietro una colonna, e baciami” sembra che tu voglia dirmi.
Presto, presto” dici ancora.
“Andiamo a casa a far l'amore, andiamo nell'unico luogo dove è possibile farlo” i tuoi occhi mi pregano in silenzio.
Ma io nego col capo e tu crucci la tua fronte, facendomi sorridere. Ti accarezzo una guancia e mi mordo un labbro. “Presto, presto vai...” insisti, ma ti faccio tacere poggiando l'indice sulle tue labbra gonfie e rosse.
Abbiamo vinto, Harry.
E mentre i miei occhi azzurri si mischiano nei tuoi verdi ancora un po' lucidi – e forse lo sono anche i miei – mi alzo sulle punte, come ho sempre detestato fare, e ti sorprendo.
Ti bacio, posando le mie labbra fra le tue; ti avvolgo e tu ti arrendi come hai sempre fatto, nonostante per un attimo ti sia mostrato spaventato delle mie azioni, come io al nostro primo bacio.
Ci baciamo, allora, schiudendo le labbra, sciogliendoci in quel calore e abbracciandoci ancora più forte.
Ci baciamo perché siamo nati per farlo e perché anche se così non fosse stato, avremmo fatto in modo di peccare pur di concedercelo. Ti bacio perché sei mio, mi baci perché sono solo tuo. Ti bacio e fanculo a tutto l'odio che la gente ci riversa contro. Mi baci e mandi a farsi fottere tutte le persone che ora ci guardano stupiti, curiosi e scioccati.
Ti bacio perché abbiamo vinto, Harry, ancora una volta, quindi facciamolo sapere a tutto il mondo.
 
 
*Le parti in corsivo, come sempre, fanno parte del testo della canzone usata.

 
Angolo VenerediRimmel
 
Dico subito che mi sono dovuta adattare un po' al testo della canzone, i Larry sono in una stanza d'albergo e poi vanno a casa, la loro (aw ♥) e fanno tante cose assurde, ma la canzone era troppo bella per non poter scrivere una tale follia.
Quando l'ho ascoltata per la prima volta in macchina pensando ai Larry, e quindi plottando automaticamente, mi sono messa a piangere. Sul serio, il cuore è partito stracolmo di emozioni e gli occhi hanno fatto tutto il resto.
Stasera sentivo la nostalgia dei miei Larry, del mio Louis paranoico, maledettamente melodrammatico e quindi ho permesso alle mie dita di scrivere e alla mia mente di snodare la matassa.
Spero che il risultato di questa song fic vi piaccia! E niente ringrazio tutti coloro che mi hanno lasciato un commento e tutti quelli che hanno preferito/ricordato/seguito questa raccolta.

 

 
VenerediRimmel

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Capitolo 18
*** Mai per sempre è un buffo ossimoro (zouis) ***


 

E penso che eravamo solo passi piccoli 
Che vanno in due diverse direzioni 
E se per caso tu domani ti trovassi qui 
Sarebbe bello dirti in fondo va bene così.


Louis non fuma più erba, anche solo l'odore lo getta in una insofferenza che non vuole descrivere se non quando la affoga nei suoi nuovi amici, Whiskey e Vodka.

Zayn fuma più erba del solito, l'odore che annusa avido, ma piano, lentamente, solo per far durare ogni percezione il più a lungo possibile, lo fa sorridere. Ogni suo sorriso, in quei momenti, è capace di descrivere una tonalità diversa di malinconia. Per un tempo che fu. Per una persona che non è più.

Hanno due modi di dimostrarlo, ma lo stesso fottuto orgoglio. Si mancano. Spesso. Tanto. E non se lo comunicano vicendevolmente.

Liam ci ha provato con entrambi, ma uno l'ha maltrattato e l'altro lo ha confuso seviziandolo. A voi stabilire chi gli ha fatto cosa.

Niall non ci ha provato nemmeno. Le iridi verdazzurre di Louis sanno esprimergli bene quella mancanza a cui lui tenta di non pensare, scappando in giro per il mondo.

Harry è arrabbiato. Ancora. Per molto. Con entrambi.

Louis e Zayn cercano ancora in altri volti, altri corpi e altre anime quanto hanno perso. Ma quel quanto, un'amicizia, non lo trovano mai. È irriproducibile altrove, se non nel modo sbagliato. Louis e Zayn, altrove, fanno incontri con persone decisamente sbagliate.

Anche insieme erano sbagliati, diversi e simili, ma sapevano darsi il giusto. Quanto di più giusto ci fosse in loro. Ed è per questo che non è durato. Le cose belle, soprattutto se sono giuste, non durano mai per sempre.

Mai per sempre. Che buffa figura retorica, l'ossimoro.

Una sera a Los Angeles, Whiskey e Vodka se ne sono andate via fin troppo presto. E Louis ricorda di avere ancora un po' di quel pakistano nel cassetto delle mutande. Sa anche che fumarlo significa permettere a sé stesso di provare qualsiasi tipo di emozione, ma forse Whiskey e Vodka hanno fatto il loro lavoro e, quindi, non ci pensa.

Quella sera è da solo, con tutte le sue fragilità, a fumare dopo un anno di astinenza. L'odore lo investe, lo respira a pieni polmoni. Anche nei suoi occhi, ora, ci sono diverse sfumature di malinconia.

La stessa sera, Zayn è a letto, al telefono. Con Liam. Immerso nella cappa di quell'odore, suo compagno di sempre.

Il ragazzo dall'altro capo del telefono «lo sai che se non lo fai tu, lui non lo farà mai» gli dice. E parlano di primi passi.

Zayn resta in silenzio, guarda il soffitto e si lascia scappare un sospiro mentre tira fuori l'ennesimo sorriso abbozzato per metà del suo viso bruno. «l'ho già fatto, tu sei l'unico ad aver risposto» replica con voce arrochita. Liam sorride, Zayn lo sente. «Era ancora troppo presto. Per lui, intendo. Lo sai com'è fatto» replica. In realtà non dovrebbe essere Zayn, ma Liam sa che tra i due è quello più ragionevole.

Lo sa anche Zayn.

Sa che Louis potrebbe provare anche il dolore più grande, ma per orgoglio non tenta. Non tenta mai. Sa che Louis è capace di farsi scappare dalle dita anche l'amore della sua vita, perché lo ha fatto. E sta ancora in piedi. Sa che Louis è forte quanto basta da fingere di non essere debole. Sa che Louis dopo aver perso Harry, è in grado di perdere qualsiasi altra persona.

E questa verità a Zayn non sempre ha fatto bene saperla. «Va bene, ci proverò» dice. «Davvero? Lo chiamerai?» Liam è speranzoso. Fin troppo. Liam, la sua innocenza lo spiazzerà sempre. «No» e ridacchia, mentre l'amico sbuffa.

«Ti torturerei, se fossi lì» ribatte fingendosi contrito, con tono smaliziato. Zayn sorride ancora. «Se fossi qui, mi farei torturare» conclude.

Dopo qualche altra battuta erotica, che rischia di farli cedere all'ennesima scopata al telefono, interrompono la chiamata.

Liam è in grado di renderlo spensierato, ma appena resta da solo con se stesso e tira su col naso, Zayn ha di nuovo un paio di occhi azzurri davanti a sé, che gli sorridono meschini mentre gli comunicano quanto, dopo un anno, riescano ancora a mancargli.

Il telefono tra le mani, ancora, e la voce di Liam a incoraggiarlo.

Davvero? Lo chiamerai?

La risposta stavolta è affermativa, nella sua mente.

Louis è sulla veranda, seduto su una sdraio con l'aria sfatta di chi è appena entrato in una indistinta fase contemplativa.

La puzza di cloro della piscina non la percepisce più, mentre l'odore di fumo per una volta non lo detesta, ma ci si culla. Le mani a stringere un telefono che vorrebbero abbracciarsi. Perché gli manca essere abbracciato.

Ricorda quindi le sere nelle camere d'hotel a fumare affacciati a un balcone discorrendo sconclusionatamente sul senso della vita. Ricorda, poi, le ore perse nei voli da un continente all'altro a strafogarsi di patatine e a dormire l'uno sulla testa dell'altro in quei sogni di solo buio. E anche di quei risvegli con un'arsura a farli ridere e affogarsi mentre bevono litri e litri d'acqua.

Ricorda le cazzate e le risate che non avevano un motivo per nascere, ma ne hanno uno ora per farsi ricordare. Ricorda le frasi non dette e le pacche d'affetto. Ricorda gli sguardi, che solevano comunicargli più delle parole. Perché Zayn lo capiva con un solo sguardo e Louis stava bene in quegli occhi scuri. Non più solo. Non più in errore.

Sorride senza rendersi conto di star piangendo. Non gli manca solo un amico, ma anche il tempo. Quel tempo. E si rende conto nuovamente di una grande verità: ora tutto non ha più senso, ma cazzo se era bello.

Il telefono tra le mani ha lo schermo nero da qualche minuto. Lo riattiva, mentre una foto gli sbatte in faccia con la stessa forza di uno schiaffo. Quei sorrisi. È raro che ce ne siano di simili, ora.

Un numero e un nome sopra che vorrebbe ma non riesce a cliccare. C'è l'orgoglio di sentirsi abbandonato e ferito, ancora, che lo trattiene, ma tutto un altro modo a spingerlo a cedere.

Cedi, Louis. Cedi. L'orgoglio non serve a nulla, solo a nascondersi. E tu lo hai fatto abbastanza, con troppe persone.

Cedi, Louis. Cedi. Mostrarsi deboli non è sempre una sconfitta, ma anche un'umile vittoria.

E così cede.

Occupato. Zayn riattacca sbuffando seccato. Non è destino. L'odore è svanito, così come la malinconia. O per quest'ultima, finge un po'.

Occupato. Louis rimane immobile, mentre ascolta quel "tututututu" ininterrotto. Un magone nello stomaco, che gli ribalta gli organi scombussolando tutto il suo essere, lo fa restare lì sdraiato a guardare il vuoto e a domandarsi che senso abbiacedere alle mancanze se poi non è destino. E l'orgoglio tira su l'ennesimo muro, mentre si asciuga le lacrime e torna a detestare quell'odore irritante che, ora, riversa verso il cielo, abbandonandolo assieme alla malinconia.

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Capitolo 19
*** 28 (tra i colori e i suoi) e sempre tu ***





Siamo ancora bravi ad immaginare
Che ci basti un'ancora per riposare
Dagli attacchi del mare in tempesta
Questa è la certezza che ci resta*

Harry scrive: (ore 7:56)

Ti guardo dormire.
Bianche, le lenzuola. Rossi, i graffi e i segni sul tuo corpo. Quelli che ti ho lasciato. 
Rosa, il tuo braccio abbandonato sul cuscino, e marrone, la tua barba su quel viso placido e sereno. Azzurro, il colore delle tue iridi che le tue palpebre, ora, mi stanno nascondendo. 
Me li hai donati tutti tu, come fossero regali. Perché senza te, conoscevo soltanto il grigio. 
Ma ora che ti sto guardando dormire, dopo così tanti anni, non so più se tutte queste nuove sfumature del mondo possano essere dei doni che mi hai fatto. 
Dopo questa notte, ci pentiremo entrambi. Io, perché ti amo ancora. E tu, perché non saprai perdonarti del dolore che mi hai inferto. 
Ti scrivo, mentre ti guardo dormire, perché soltanto così posso cercare di lenire i tuoi sensi di colpa. Perché quando aprirai gli occhi, incrociando il verde delle mie iridi, quest'ultime ti racconteranno tutt'altro e io non sarò in grado di impedirlo. Gli occhi sono il portale dell'anima e lei ti ha scelto il primo istante in cui ti ha incrociato sulla sua strada. Una scelta o forse un'inevitabile fatto. Perché le anime gemelle non si scelgono, loro sono prima ancora che tutto fosse, prima ancora che tutto esistesse su questo mondo. E tu sei la mia. Lo sei stato, e lo sei tuttora.
Per un po' ho creduto di avere la fortuna che potesse essere lo stesso per te. 
Perché ti raccontavo della bellezza del giallo, il colore del Sole. E quella del blu, il colore delle cose infinite: il mare, il cielo e i tuoi occhi.
Sembrava tu mi comprendessi. Sembrava che i tuoi occhi li vedessero. Grazie a me, sapevi che il colore dei miei occhi scaturiva fuori dall'unione del Sole e delle cose infinite, come fosse grazie a te, in parte.  E sembravi parlare la mia stessa lingua, perché dalla nostra, di unione, pensavo venisse fuori il rosso. Ma era un inganno, perché tu non capivi. Tu non vedevi.
Non te ne faccio una colpa, perché ero io quello impreparato. Quello che, con la vista offuscata di colori, ero cieco davanti alla tua cecità. E sono stato sempre io, stanotte, a permetterti di illudermi ancora. Non fartene una colpa, basto io per rimproverarmi di non aver saputo andare avanti, dopo tutti questi anni. Basto io, a colpevolizzarmi nel non saper dire alla mia anima di rinunciare alla tua, perché non potrà mai completarla come desidera.

Ti guardo dormire, sulla mia bocca il colore intenso della passione che abbiamo consumato. Me la farò bastare, per tutto il tempo che impiegherò a rialzarmi. Ti evito l'inevitabile dolore nel incrociare il mio sguardo, e vado via prima che ti svegli. 
Tu, però, non odiarti.

 

Ci si accorge sempre tardi
Delle cose andate via.
Delle favole da grandi
Senti sempre nostalgia.
Ma adesso lo so, adesso lo so
Che a volte quello che senti
Per qualcuno è chiaro solamente
Quando poi lo perdi.**

Louis scrive: (ore 10:10)

Harry.
Mi odio, invece, e sai perché? Perché mi sono svegliato e già non c'eri quando potevi restare, perché i tuoi occhi non mi avrebbero ferito. Perché dopo la notte trascorsa, quello che mi è rimasto sono queste tue parole, e io non ero venuto alla ricerca di questo.
Lo sapevo che avremmo dovuto parlare, ma mi eri mancato così tanto che ho dovuto dare la precedenza al bisogno di risentirti parte di me. 
Ci sono tantissime cose che vorrei dirti e tantissime cose che vorrei spiegarti, ma non posso iniziare dicendoti una bugia.

È vero. Per gran parte del tempo ci siamo illusi che ti amassi come tu amavi me. Il tuo amore era così totalizzante da farmi credere che dentro ce ne fosse abbastanza anche del mio. 
Tu mi hai narrato dei colori e per me era come se li vedessi, lì, a rendere la mia esistenza rilucente di sole bellezze. Ma non era vero, perché io non ti amavo abbastanza. I miei occhi non erano come i tuoi. Credimi se non l'ho fatto per ingannarti, ma è inutile anche soltanto che te lo dica, perché tutto questo già lo sai.
Ciò che non sai, però, è quello che è successo dopo. Durante la tua assenza.
All'inizio ho creduto che andasse bene così, perché se non avevo avuto il coraggio di amarti allo stesso modo in cui lo facevi tu, doveva per forza andare a finire così. Sono andato avanti, ho cercato altrove. Ma sembravo un errante senza destinazione. Un nomade che ha rinnegato la casa in cui aveva abbandonato tutti i suoi più preziosi oggetti. L'ho capito in questo viaggio ma ne ho avuto la certezza soltanto dopo stanotte, che le anime gemelle possono riconoscersi all'istante, come è successo a te, ma che, a volte, quelle già disilluse dalla vita, ci mettano un po' di più. E non solo, lo sai quando queste anime tardive lo capiscono? Quando è il momento esatto in cui ne prendono coscienza? Quando perdono la propria metà e ne subiscono lentamente l'assenza. Sì, Harry, credimi, alcune anime si ridestano soltanto una volta che le proprie essenze hanno toccato, stretto, cullato e assaggiato la felicità e poi, d'un tratto, l'hanno persa. Tu non c'eri, e io iniziavo ad ascoltarti. Ascoltarti, sì, non vederti.
Io non ho iniziato a vedere a colori, quando te ne sei andato. Ma c'erano note, melodie, suoni. Io, con la tua assenza, ho smesso di essere sordo. E ciò che ascoltavo, era la tristezza di averti perso. Forse per sempre.
Sei la prima cosa bella che ho perso, ma sono stato assordato dal rumore della più bella canzone al mondo quando ho perso tutto. Quel tutto che ti ha fatto tornare da me, senza pretendere nulla in cambio. Ho perso tutto e mentre mi cullavo nel suono di quella nostalgia che mai mi avrebbe lasciato, sei tornato tu a portare altri suoni, altre melodie. Che meraviglioso dono.
Stanotte sono tornato finalmente a vedere con i tuoi meravigliosi occhi. Sono tornato nel vortice totalizzante del tuo amore. E posso dirlo, del nostro amore.
E me ne faccio una colpa, sì, se invece io non sono riuscito a fartelo capire. Se stanotte, non ti ho fatto ascoltare la canzone del mio cuore.
Ma tu hai anni di esperienza, o forse sei sempre stato più bravo di me. Io ho soltanto bisogno di imparare. Puoi darmi la possibilità di farlo con te?
Dove sei? 
Se torni indietro, vorrei dimostrarti che essersi ritrovati non è stato uno sbaglio. Che quella di stanotte è solo l'inizio. 
Se torni, vorrei farti ascoltare quello che sei per me.

Cambia il mondo
Cambiano i colori
Cambia la sorgente delle tue emozioni
Cambiano che quasi ti confondi
Siamo la domanda a cui non rispondi*

Harry scrive: (10:23)

Vorrei davvero tornare indietro nel tempo, Louis. A quando eravamo due estranei, pronti a far collidere le nostre vite per la prima volta.
Quanto vorrei amarti di nuovo da capo. Così, non so se ne sono capace. Non so se potrei riscommetterci con la stessa incoscienza di un tempo.
Ti amo, ma ho paura che la tua sia solo una influenza di ciò che ho visto in noi e non di ciò che hai sentito con la mia assenza.


Non ci è dato
Mai di riprendere
Le stagioni del passato
Non puoi riaverle indietro
Neanche se tu lo vuoi.
Trattenerle a noi non si può.**

Louis scrive: (11:10)

Sii coraggioso, Harry. Non ci vuole incoscienza.
28 mesi. È il tempo che mi ci è voluto per capire da quanto ti avessi scelto.
28 canzoni a canzonarmi per la stupidità di non riconoscere la mia musa.
28 volte sempre e solo tu.
Dove sei? Non perdiamoci di nuovo. Non c'è bisogno di dimenticarci, per amarci di nuovo. Anzi, tutto il contrario. Bisogna ricordarsi chi siamo, l'uno per l'altro, per farlo più forte di prima. Perché siamo sempre io e te, e dopo stanotte so che non è cambiato nulla in noi.
E se non mi hai sentito, prometto di sussurrarti all'orecchio tutto ciò che provo, fino a quando non mi udirai.
Se non accadrà mai, non importa. Funzioneremo anche come io, il cieco, e tu, il sordo. Perché tu mi hai visto, Harry. E io ti ho sentito.
Ma le nostre anime, diverse e complementari, si sono scelte.


Harry scrive: (11:30)

Non mi hai mai parlato così, ma di parole me ne hai dette tante. Voglio crederci. Voglio crederti. In nome dei colori. Sono curioso di scoprire se queste melodie sono all'altezza di ciò che hai saputo regalarmi. 
Sto tornando indietro, per posare i miei occhi su di te. Stavolta, non mi obbligherò a guardare altrove.

 

Louis scrive: (11:31)

E io ti sentirò arrivare.

 

Cambiano le strade, i tuoi rimpianti
Cambiano i motivi per andare avanti
Cambiano i vestiti addosso ai tuoi pensieri
E l'amore di oggi non è come ieri.*

 

* Cambia, Michele Bravi

** Diamanti, Michele Bravi



 

_____________________
 

Se è un po' stucchevole, sappiate che sono diventata zia da qualche giorno e non ho potuto fare a meno di far finire così qualcosa che voleva essere angst liquido. 
Sono Harry e Louis. Non so di quale universo. Forse il nostro?

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