Lo scrutatore del Caos

di randomnessUnicorn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L’Occhio che cancella; ***
Capitolo 2: *** Illusione; ***
Capitolo 3: *** La melodia dell’incubo; ***
Capitolo 4: *** Corrispondenza rivelatrice ***
Capitolo 5: *** Verso l’ignoto; ***
Capitolo 6: *** Memorie; ***



Capitolo 1
*** L’Occhio che cancella; ***


 
Lo scrutatore del Caos
 
. L’Occhio che cancella

 
 
“ Io non sono che lo spettro di un’ombra che si contorce in mani che non sono mani e vortica ciecamente oltre le mezzanotti popolate di fantasmi d’un creato putrescente, oltre i cadaveri di mondi morti solcati da piaghe che furono città, oltre i venti sepolcrali che spezzano le stelle evanescenti e ne attenuano il chiarore. Al di là dei mondi, vaghi fantasmi di cose mostruose, indistinte colonne di templi blasfemi che poggiano su massi senza nome al di sotto dello spazio e raggiungono vuoti vertiginosi sopra le sfere della luce e della tenebra.
 
(Citazione di Howard Phillips Lovecraft, da "Nyarlathotep", 1920)


 

La pallida luna piena risplende nel cielo come un bulbo oculare putrescente e marcio, senza più alcuna vita, cadaverica e spettrale, proprio come il pianeta attorno cui ruota. Pare una pazza ballerina ubriaca, senza senso e pietà, che si gode gli ultimi attimi di gloria, e d’ebrezza, prima di lanciarsi nel vuoto e morire sola. Caduta come una stella cadente, andata in fiamme, ora precipita, spegnendosi. Come Lei. Dimenticata nell’abisso dell’effimero. Ispira ora i poeti deceduti del passato, del presente e del futuro, che un tempo l’amarono, si riappacificherà con loro. Nello stesso modo in cui io farò, ma non prima di essermi tolto questo peso dal cuore…
Nessun’anima, sempre se ne siano rimaste, udirà i miei sproloqui confusi e deliranti, riguardo la depravazione insana che mi circonda. La stessa luna lassù, che mi fissa mentre apparentemente ruota, ora sembra paralizzata, una fotografia, mi fa pena. Come io faccio pena a me stesso.
Prima che perda completamente la ragione e mi lasci anch’ io affogare in questo mare di pestilenza, voglio lasciare un’ultima testimonianza di me, del mio anonimato. Ora che tutte le definizioni hanno perso il loro senso originario. Ora che la logica ha perso la propria logica. Tutto è stato perso. Ogni cosa a cui tenevo è scomparsa nel nulla assoluto. Nell’insensatezza. Ah, mi duole la testa al solo ricordo.
 
… Nel frattempo scrivo…
 
Scrivo questo sfogo, parole che nessuno leggerà e che non hanno motivo di esistere, ma ne ho bisogno. Scrivere è l’unico modo che ho per mantenere intatta la mia sanità mentale, per non cadere nel baratro della follia –come qualcuno vorrebbe-. Non cedere alla tentazione è dura, le voci nella mia testa assalgono l’ultimo barlume di ragione che mi è rimasto.
 
***
 
Egli si presentò a noi comuni mortali come Il Salvatore, come colui che avrebbe liberato la razza umana dall’illusione della realtà, facendoci vedere ciò che si nasconde al di sotto del velo dell’inconoscibile e dell’imperscrutabile. La conoscenza assoluta. Chi non l’avrebbe mai desiderata?
Io rimasi a dir poco scettico dai suoi discorsi, intravedevo una malsana luce d’ironia e beffa nell’unico occhio che mostrava, contornato da un’iride dorata, il suo era uno sguardo colorato d’insania e capricciosità, m’ incuteva un certo timore.
Molti lo chiamarono l’Occhio della Provvidenza, che tutto vedeva e sapeva; l’aria di mistero che lo circondava avvalorava la teoria per cui lui non provenisse da questo mondo, ma da una dimensione parallela che la nostra mente inconsapevole non sarebbe nemmeno in grado di concepire. Solamente una volta, una volta soltanto, aveva pronunciato il suo nome – sempre se quello fosse il suo nome reale-. Si presentò come Bill Cipher. Nessuno però lo chiamava in quel modo, come se non si sentissero abbastanza degni di nominarlo. Avevo l’impressione che quell’essere avesse fatto loro il lavaggio del cervello. Il Bulbo Onnisciente, anche così veniva chiamato, con le sue parole piene di ispida saggezza, di contorta benevolenza, riuscì a dominare anche gli animi più inquieti e ribelli. Giurava potere e prestigio a tutti coloro che l’avessero seguito e adorato. Ai fortunati che si fossero sottomessi a lui avrebbe mostrato i segreti del mondo, avrebbe donato ad essi una conoscenza che si spingeva al di là di ogni fantasia terrena, giacché tali conoscenze provenivano dallo spazio cosmico. Un vaso di Pandora che racchiudeva i celati misteri dell’Universo, qualcosa di fin troppo vasto e sconfinato da poter realizzare autonomamente, e non sarebbero bastate vite intere per raccontare, o anche solo spiegare, tali meraviglie e oscurità, dal momento che la mente sarebbe esplosa come un palloncino sovraccarico di elio. Invece lui poteva farlo. Mostrava alle persone ogni genere di cosa, qualunque sogno volessero e bramassero. Peccato che le conseguenze che ne derivano fossero devastanti, fortunato chi riuscì ad uscirne vivo ma, inevitabilmente, cambiato, spremuto come un limone da ogni capacità intellettiva. 
Io non mi lasciai incantare dalle sue promesse d’eternità, che alle mie orecchie suonarono come bugie impacchettate a regola d’arte da sembrare verità. In qualche modo non mi fidavo. Per questa ragione mi allontanai dagli altri che, al contrario mio, erano ceduti alle sue lusinghe.
Non ho la minima idea, e non desidero nemmeno saperlo, cosa quei malcapitati avevano veduto all’interno del suo occhio. In esso era presente l’infinito, la galassia sconfinata della consapevolezza. Il senso dell’esistenza, alcuni dicevano di aver appreso ciò, altrimenti la verità –di quale verità si trattasse, non oso immaginarlo-. Fatto sta che nessuno ne uscì incolume.
Delle voci mi giunsero alle orecchie diverse settimane fa, un mese dopo l’ascesa del Demone, si vociferava che qualcuno fosse riuscito a scappare dalla visione onirica, quella che Cipher mostrava alla vittima, prima di cadere completamente in preda alla follia. Chiunque scrutava all’interno del suo Occhio ne rimaneva imprigionato, incapace di voltare lo sguardo altrove, si veniva immobilizzati da una forza invisibile e micidiale, impossibilitati anche a chiudere gli occhi si andava incontro alla morte. Si guardava la morte in faccia. Il suo occhio era una vera e propria palla di cristallo in grado di rivelare ogni epoca, luogo ed esistenza, così come avvenienti, disgrazie, paure e sogni. Alcune persone avevano visto la loro stessa dipartita al suo interno, altri avevano appreso la morte dei loro cari, oppure fatalità e scene talmente tanto violente che il solo pensarle farebbe salire la nausea anche all’uomo più coraggioso del mondo. Un cinema delle atrocità, uno schermo che proiettava ogni sorta di depravazione, follia e crudeltà.
Quel giorno una persona, non sono sicuro se definirla fortunata o meno, riuscì a fuggire dal proprio sciagurato destino, anche se la sua mente ne era rimasta compromessa, così come il suo corpo.  L’uomo spiegò tra le lacrime, i singhiozzi e gli scatti d’ira ciò che aveva intravisto all’interno dell’occhio che tutto vede, si trattava di quello coperto dalla benda, nascosto e inaccessibile. Evidentemente l’altro occhio era solo un mero oggetto decorativo, che assumeva una normale funzione visiva. Non mi stupisco più di tanto, in realtà. Ormai non mi stupisco più di nulla.
Il fuggiasco si trovava in condizioni misere e disarmanti, pareva che si fosse autoinflitto ferite e lesioni, come se avesse combattuto contro una bestia feroce, e quasi non venne riconosciuto dai propri amici per quanto le sue condizioni erano allarmanti. La sua fronte era aperta da una profonda ferita da cui sgorgavano scie di sangue, il poveretto aveva sbattuto la testa contro il muro talmente tante volte che molti si chiesero come fosse possibile che ancora riuscisse a camminare e parlare, anche se in modo delirante e disordinato. Il suo stesso volto era coperto da grumoli di sangue, aveva detto di essere divenuto cieco, i propri occhi gli bruciavano e non riusciva più ad aprirli. Come se avesse osservato il sole troppo a lungo, o fosse stato colpito da una luce fin troppo radiosa e accecante, tanto che sentiva un fuoco bruciare all’interno della propria testa.
L’unica cosa a cui posso pensare è che il pover uomo avrebbe fatto qualunque cosa pur di dimenticare le atroci visioni che il Demone gli aveva inflitto. Si era martoriato e auto-lesionato perché la propria mente non era più in grado di reggere tale supplizio, tanto valeva farla finita e cercare la pace interiore annullando completamente i propri sensi e la propria vita, che ormai non aveva più senso di essere vissuta e salvata. Quello difatti fu il destino a cui andò incontro quell’uomo; il suo corpo senza vita venne trovato diversi giorni dopo accasciato a terra, in una pozza di sangue rancido, il proprio. Egli si era conficcato due coltelli negli occhi, deduco che quelle visioni continuassero ad essere proiettate nella sua mente anche senza che il demonio gliele mostrasse, le aveva memorizzate, divenendo parte integrante di lui. Inutile dire che il suo gesto portò tutti gli altri a provare una paura indescrivibile, e iniziarono a chiedersi dove potessero nascondersi e cosa avessero potuto fare per surclassare il potere del Demone che pareva essere invincibile e invulnerabile ad ogni tipologia di arma, esplosivo e marchingegno tecnologico, nonostante pochi avessero l’effettivo coraggio di affrontarlo o soltanto parlargli.
Dubito comunque che qualcuno lo avrebbe riconosciuto o trovato così facilmente, in fondo non si trattava di una creatura umana o animale, non apparteneva neppure a questa dimensione. Era indubbiamente un essere superiore dai poteri illimitati e indefinibili.
Qualcuno aveva anche affermato, soprattutto dopo essere stato vittima delle sue visioni oniriche e viaggi verso l’ignoto, che Cipher non possedeva un aspetto fisico effettivo, ma era in grado di mutare le proprie fattezze a suo piacimento in base alle situazioni e alle necessità. La maggior parte delle volte, quando si presentava al cospetto delle persone comuni, appariva come un giovane adulto dalla capigliatura dorata, come la propria carnagione che assumeva delle sfumature bronzee in base alla luce solare che l’accarezzava, dava l’impressione di provenire da un qualche paese esotico e primordiale. I suoi stessi capi d’abbigliamento erano stravaganti ma, al tempo stesso, eleganti e ricercati, di certo non era una persona di cui ci si dimenticava facilmente. Il cilindro che portava sulla testa lo faceva apparire come una sorta di mago, un illusionista, di quelli che fanno uscire i conigli dal cappello o che segano le assistenti in due. Quel genere di maghi che non si prendono sul serio e che si rivelano essere truffatori esperti. Senza alcun dubbio, lui non era esattamente una brava persona, o entità benevola, né tanto meno le sue intenzioni erano caritatevoli, ma di sicuro i suoi trucchi di magia non erano ciarlatanerie qualsiasi né imbrogli, poiché esercitava sulle persone un controllo e un potere reale, portandole a compiere atti di atroce pazzia e violenza sia verso sé stesse che verso gli altri e ciò la diceva lunga su quanto la sua stregoneria fosse pericolosa e concreta. Altri individui lo avevano scorto sotto spoglie differenti e particolari, i loro resoconti su tali esperienze erano ingarbugliati e sconclusionati, visto che faticavano a raccontarli come se la loro stessa memoria li ingannasse. Parlavano di quell’esperienza come fosse un sogno, ovvero qualcosa di non vissuto realmente ma inconsciamente. Tante persone non rammentano i propri sogni, o di essi ricordano solo vaghe sequenze ed episodi, come quando si tenta di evocare un avvenimento di un passato remoto, e con non poca fatica si riescono a mettere insieme i pezzi del puzzle e ricordare per filo e per segno ogni elemento. Queste stesse persone dicevano di aver incontrato Cipher in sogno, che gli era apparso come una specie di divinità mistica e arcana, dai meandri della loro mente tormentata e indifesa.
Gli episodi che descrivevano non erano distinti e chiari, ci sarebbe voluta l’interpretazione di uno psicologo esperto per comprendere al meglio il significato dei sogni di quei soggetti ma, da come la situazione era mutata in peggio, gli stessi professionisti della mente umana avevano bisogno a loro volta di consultare uno strizza cervelli, perché tutta la città sembrava essere caduta nel caos più totale. L’anarchia dominava su tutto e tutti e chiunque poteva essere un amico o un nemico. Non ci si poteva fidare di nessuno, a volte nemmeno di sé stessi.
L’elemento che i sognatori rammentavano più frequentemente, un aspetto comune e su cui ognuno di loro concordava, era la forma attraverso cui la creatura demoniaca si mostrava nei loro incubi, tutti lo avevano definito come una figura geometrica, per essere più precisi come un triangolo. Tali affermazioni equivalgono a mere supposizioni e non a fatti veri e propri, considerando che tutte queste persone fossero mentalmente instabili, e si parla di un mostro in grado di tramutarsi in tutto ciò che desidera. Non mi stupirebbe il fatto che esso volesse prendersi gioco delle loro fragili e malandate menti facendogli vedere ciò che di più insensato esiste al mondo.
Tante furono le vittime di Bill Cipher, coloro che si sono lasciati ingenuamente sopraffare dai suoi incubi e hanno visto la propria sanità mentale spezzarsi giorno dopo giorno.
Il solo pensiero di quelle persone, il dolore e il tormento che hanno passato, mi inquieta e mi demoralizza perché sono consapevole di non potermi nascondere per sempre.
Sono conscio del fatto che potrei essere proprio io il suo prossimo bersaglio, non perché rappresenti una minaccia, non sono nessuno e non penso di essere forte e determinato abbastanza per sconfiggerlo, o anche solo indebolirlo o spaventarlo. Chi voglio prendere in giro?
Ho smesso di contare i giorni, le settimane, che mi hanno separato da lei, da una delle persone più importanti della mia vita. Colei che mi è stata portata via e che ho visto delirare e spegnersi davanti ai miei occhi, infettata dal virus mortale che è quel Demone. Insaziabile e incontentabile, pare che non abbia pietà di niente e di nessuno.
Non conosco neppure il motivo che mi spinge a scrivere queste pagine, forse per mantenere stabile la mia razionalità, per distrarmi dal male che ha preso possesso del mondo. Per non pensare a lei. A loro. Alle persone che ho perduto, che sono state portate via sotto ai miei occhi increduli e spaventati.
Però un po’ è utile, scrivere, malgrado rammentare quei ricordi, gli avvenimenti che sono successi fino a questo momento, mi faccia atrocemente soffrire, è un buon metodo. Un modo per esorcizzare la paura, come se la realtà, se raccontata su carta, sparisse. Come se stessi scrivendo un romanzo di fantascienza o dell’orrore, anche se vorrei che i fatti qui riportati non fossero reali… Un’illusione che è destinata a finire nel momento in cui chiudo questo diario e quelle terribili memorie prendono vita nella mia mente e mi impediscono di dormire, di sognare, difatti tento di non addormentarmi, giacché non voglio ritrovarmi sotto il controllo del demone che è in grado di proiettarsi nei sogni degli uomini. Per questo faccio il possibile pur di rimanere sveglio, anche se è dura e molte volte non ci riesco.
E continuo a scrivere ad un destinatario sconosciuto, al futuro che non giungerà mai, al sole che sorgerà inconsapevole della catastrofe che si sta abbattendo su di noi. Che si è già abbattuta.
Scrivo continuando ad illudermi in un domani migliore, sperando che questo sia solo uno scherzo. Un incubo. Che io possa svegliarmi ora e ritrovarmi nel mio letto, accanto al suo. Che possa alzarmi e vederla ronfare calma e serena, vederla sorridere mentre sogna l’amore, e sarei finalmente calmo, consapevole che tutto questo era solo frutto della mia mente stanca… Purtroppo ciò non avverrà perché nulla di codesto presente è un brutto sogno. Quando la stessa realtà diviene un incubo, qualcosa dal quale non ci si può svegliare, è inutile aggrapparsi alla speranza. Illudere sé stessi fa parte del dolore, del gioco, della vita. Ma continuerò a scrivere finché mi sarà concesso.
A te, lettore dell’ignoto, che sfogli questa mia testimonianza, ti auguro che mai ti capiti quel che è capitato a me e che continuerò a raccontarti fin quando sarò in vita.
 
D.P.



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∆  N.D. A. ~
 
Buon salve,
Lieta che siate giunti fin qua, non me lo aspettavo.
Mi auguro che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un po’, forse è un pochettino diversa dalle solite storie che si leggono qui, uhm… Infatti volevo spiegare alcune cosette, ok…
La storia è liberamente ispirata a uno dei racconti di Lovecraft intitolato Nyarlathotep che consiglio di leggere perché è molto interessante.
Se conoscete l’universo Lovecraftiano avrete capito dove voglia andare a parare, difatti è palese che Bill sia ispirato ai mostri di Lovecraft, soprattutto a Nyarlathotep, difatti ho tentato di essere fedele allo stile dell’autore.
Inizialmente volevo scrivere un solo capitolo auto-conclusivo però forse ne aggiungerò altri due o tre, non saprei. Non dico altro, vi ringrazio ancora per la lettura ~


 


 

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Capitolo 2
*** Illusione; ***


Lo scrutatore del Caos

Ⅱ. Illusione

 
 
 
“Che gli dei misericordiosi, se esistono, ci proteggano nelle ore in cui né il potere della volontà, né le droghe inventate dagli uomini posso­no tenerci lontani dall'abisso del sonno. La morte è compassionevole perché da essa non c'è ritorno, ma chi emerge, pallido e carico di ri­cordi, dai recessi della notte, non avrà più pace. „
 
(Citazione di Howard Phillips Lovecraft, da “Hypnos”, 1922)

 

Le stelle osservano il mondo dall’alto della loro superbia, ma che ne sanno le stelle del male dell’esistenza e della sofferenza degli uomini? Stelle cadenti che promettono sogni di vetro che già da tempo si sono infranti e hanno graffiato la mia pelle pallida e secca come il deserto che la mia anima è diventata. Le osservo di sfuggita, mi nascondo dal loro sguardo accusatore e maligno, perché non voglio alimentare il loro ego. Credo che le stelle siano i corpi celesti più narcisisti che esistano in tutto il cosmo, la loro mania d’ essere oggetto d’ammirazione, desiderio e invidia le rende capricciose e bramose d’ attenzioni. La loro immortalità le presenta quasi come le padrone dell’universo, ma la loro non è un’eternità concreta, perché prima o poi saranno destinate a spegnersi, esploderanno su se stesse, perdendo quegli abiti di luce e calore che hanno sempre sfoggiato con eleganza e vanità.
Alcune di loro cedono a patti con l’oscurità pur di mantenere intatta la loro infinita esistenza, tramutandosi in abominevoli e tenebrosi buchi neri, divenendo mostri insaziabili di luce e di vita altrui. L’unico modo che hanno per essere considerate e ammirate come un tempo è distruggere e divorare chiunque attraversi il loro cammino. Dal possedere tutto si son ritrovate a possedere il nulla. Dall’essere invidiate ora si ritrovano ad invidiare gli altri, rimpiangendo il passato che fu. In fondo le stelle non hanno nessuno a cui rivolgersi, non possono esprimere desideri se già loro sono portatrici di sogni, e l’unico desiderio che espressero le portò all’oblio senza fine. Quale vita beffarda, la loro.
Le cose più meravigliose al mondo sono destinate ad estinguersi oppure a mutare, come succede alle stelle. O sei abbastanza umile da accettare il destino che ti spetta o ti spingi oltre, chiedendo più di quanto ti sia concesso, ritrovandoti con sola morte e distruzione alle spalle e un mare di rimpianti.
Le stelle non esistono solo in cielo ma anche sulla terra, è possibile anche per le persone tramutarsi in buchi neri. Mia sorella era una stella lucente e preziosa, brillava più di qualsiasi altro astro ma, forse, ha chiesto un desiderio di troppo e così ha smesso di splendere.
L’unico suo peccato è stato quello di essere troppo ingenua e buona, una sognatrice distante dalle delusioni e dai difetti della realtà, lei vedeva il mondo in una maniera tutta sua. Il suo sguardo era costellato da colori, meraviglie ed emozioni d’amore e candore. Guardava il mondo attraverso gli occhi di un bambino, riusciva a scorgere il lato positivo in ogni cosa anche quando non vi era nessun motivo di gioire, ella era in grado di ravvivare gli animi altrui come pochi al mondo sanno fare.
Il fatto che lei non sia più qui con me mi demoralizza e mi rattrista ma, vedendo ora come il mondo stia marcendo, il modo in cui peggiora giorno dopo giorno, mi chiedo se lei ne avrebbe sofferto. Un mondo simile non merita persone come lei, pure di cuore, o forse avrebbe combattuto al mio fianco, donandomi la forza necessaria per ribaltare le misere sorti della razza umana e ripulire il mondo da tutto questo caos e tormento. Ma le mie sono solamente illusioni, fantasie che mi donano una gioia passeggera ed effimera perché amo pensare a lei; i ricordi sono l’unica ancora di salvezza che posseggo mentre navigo questo oceano d’oscuro mistero e di sconfinata agonia.
 
* * *
 
Oggi mi sono domandato perché mi sia svegliato, come sia riuscito ad aprire gli occhi nonostante non abbia la piena sicurezza che sia riuscito a dormire. Non riesco a spiegarmi questa sensazione d’ incoscienza, stranezza ed estraneità, come se avessi camminato durante il sonno o fossi stato vittima di un episodio di sonnambulismo, il che è strano visto che non ho mai avuto problemi di questo genere né tanto meno ho mai accusato nessun disturbo legato a qualche tipo di parasonnia.
Da diverso tempo non riesco a distinguere la realtà dalla fantasia, il giorno dalla notte, i minuti dai secondi e la verità dalla menzogna. Ogni cosa appare irriconoscibile e misteriosa.
Le parole pronunciate da Cipher tempo fa, quando Egli varcò il mondo dell’incubo giungendo fino al nostro, echeggiano nella mia testa. Aveva accennato alla falsità della realtà e di come essa sia un’illusione. Il mondo che noi conosciamo, ciò che percepiamo come “reale”, è solamente una bugia elaborata dal nostro cervello. Pare ci sia un velo, una sorta di muro invisibile, che divide la dimensione del surreale, inteso come ciò che i nostri occhi non sono in grado di vedere, dalla realtà che noi consideriamo tale, ossia ciò che noi effettivamente vediamo.
Le immagini prodotte dalla nostra mente, a detta del demone, sono tutte frottole o, per essere più precisi, non è tutto quello che è possibile osservare, poiché esistono ben altre cose in grado di essere vedute tramite i giusti mezzi. Cose addirittura peggiori degli incubi che lui stesso è in grado di creare. Aveva parlato una sola volta di questa teoria, ma nessuno lo aveva preso sul serio, la follia nella sua voce era talmente evidente che credergli era un’idea folle di per sé, e ancora non eravamo a conoscenza dei suoi poteri o del degrado che da lì a poco si sarebbe presentato.
Ci crogiolavamo nella nostra beata ignoranza, osservando il mondo attraverso lenti a contatto speciali, la maschera delle pie illusioni, per auto-proteggerci dall’altrove, da ciò che è troppo spaventoso da scrutare. La sola consapevolezza che un mondo simile e “invisibile” possa esistere mi raggela il sangue. Le cose che non possiamo comprendere sono quelle più spaventose, per questo motivo diamo un nome a tutto. Le cataloghiamo e le classifichiamo per sentirci sicuri e avere la situazione sotto controllo. L’ignoto intimidisce perché non siamo al corrente della sua esistenza, della realtà oscura a cui accennava Cipher, che non siamo in grado di vedere perché la nostra mente, il nostro stesso cervello, la nasconde per proteggersi. Un comportamento di auto-difesa, ecco cos’è. Saremmo già caduti nell’ abisso della pazzia se fossimo stati in grado di percepire l’altrove, anche senza l’ausilio dei poteri oscuri e diabolici del demone.
Gli esseri umani hanno gli occhi disegnati, così aveva detto prima di addentrarsi in quei complicati discorsi riguardanti l’illusione della realtà, e che per me si rivelarono senza senso, tanto ero sconvolto dagli avvenimenti precedenti non ci rimasi a riflettere più di tanto. Difatti tutto ciò mi era stato riferito dalla mia amica Wendy, una delle poche persone care che mi siano rimaste e che ancora mi confortano, malgrado non se la passi bene poiché anche lei ha perduto la sua famiglia. Combatte contro la dura legge della sopravvivenza ogni giorno. La considererei una sorta di amazzone senza macchia e senza paura, è una delle persone più forti e determinate che conosca e non mi sorprende che non si sia ancora lasciata sopraffare dal maligno potere del demone, che non sia stata catturata o demolita dalla sua insana crudeltà. Ammiro molto il suo coraggio, il fatto che non si arrenda mai di fronte ad ogni pericolo e riesca sempre a sollevarmi il morale anche nelle situazioni peggiori, non mi stupisco affatto che in passato abbia avuto una cotta per lei, ma ormai non penso più a queste cose, ci sono questioni più importanti a cui prestare attenzione, e problemi di portata maggiore da risolvere. Grazie a lei sto apprendendo molte cose sul conto di Cipher, di quello che succede ora nel mondo e del caos che si è creato. Tutte le notizie qui riportate non le avrei potute scrivere senza le sue fedeli testimonianze, visto che io me ne resto la maggior parte del tempo chiuso qui, in questo bunker sotterraneo, tentando di captare dei segnali radio o messaggi in codice provenienti dall’esterno di altri esseri umani che magari hanno bisogno d‘aiuto o che hanno qualche buona notizia, se hanno trovato una miracolosa soluzione per sconfiggere il mostro.

 
* * *
 
Penso che il mio stato attuale, la sensazione di malessere che sento, sia dovuto all’ansia presente in me, come già ho ripetuto più volte non ho avuto bisogno dell’aiuto di Cipher per fare dei brutti sogni, poiché la tristezza che assale la mia anima mi conduce a notti tormentate dagli incubi più letali e angoscianti. Anche sta notte l’ho sognata, inizialmente non era un incubo poiché qualunque sogno in cui lei è presente non può essere considerato tale. Almeno quando sono incosciente posso averla accanto a me, ciò mi basta per illudermi che lei viva ancora. Solo quando mi sveglio ricordo ogni cosa e la delusione che mi assale è inarrestabile, inaccettabile, poiché non ho ancora accettato ciò che è successo. Ciò che le è successo, che è successo ad entrambi.
Non ho ancora la forza per raccontare questa storia.
Mi duole la testa, la mia mano sta tremando e la mia scrittura si sta facendo caotica e illeggibile, ma non voglio smettere di scrivere! Tento con tutte le mie forze di mantenere i pensieri lucidi e puri, di non cadere nel baratro dell’oscuro inconscio che mi porterà alla disfatta dei sensi.
Forse dovrei mangiare qualcosa, oppure bere un bicchiere d’acqua, anche se ormai lo stesso cibo è diventato un bene inaccessibile alle classi medio-basse, considerando la scarsa produzione degli ultimi periodi, come qualunque apocalisse che si rispetti, la vita è complicata e dura mentre le risorse primarie sono rare e difficili da ottenere. Il denaro non è altro che carta straccia malgrado qualcuno ancora tenti di barattare i propri soldi con gli averi altrui, si sta completamente perdendo la ragione e il senso delle cose, dell’intera esistenza, si sta affievolendo.
Ah, le mie palpebre diventano sempre più pesanti ed è come se avessi uno sciame di vespe all’interno della testa che non mi permette nemmeno di ascoltare i miei stessi pensieri.
Ormai scrivere è diventata un’impresa quasi titanica, la penna pesa come un macigno nella mia mano tremante e insicura.
No, non posso più farcela, mi auguro che tutto sia meno indolore possibile, non mi resta che lasciarmi andare alle tenebre anche questa volta e sperare di sopravvivere a me stesso, al mio inconscio traditore. O sperare di non ricordare nulla, nel caso mi svegliassi, di tutto ciò che nel sogno avrò visto, fatto od udito.
Non è ancora il momento per me di andare, di lasciare questa realtà -per quanto fasulla possa essere-. Non è giunto ancora il tempo, per me medesimo, di incontrarla al di là dell’altrove.
 
D.P.

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Capitolo 3
*** La melodia dell’incubo; ***


Lo scrutatore del Caos

Ⅲ. La melodia dell’incubo


 
“ La verità non esiste e la vita come la immaginiamo di solito è una rete arbitraria e artificiale di illusioni da cui ci lasciamo circondare. Sappiamo che esse sono il semplice risultato di accidenti o punti di vista, ma non abbiamo nulla da guadagnare ad abbatterle. E infatti, è straordinariamente insensato voler abbattere con un forcone da stalla un miraggio che non è mai esistito. Penso che all'uomo assennato convenga scegliere le fantasie che più gli aggradano e crogiolarvisi innocentemente, conscio del fatto che, siccome la realtà non esiste, non c'è niente da guadagnare e molto da perdere nel buttarle via. Ancora, non esistono fantasie preferibili ad altre, perché la misura del loro valore dipende dal rispettivo grado di adattamento alla mente che le contiene. „
 
( Citazione di Howard Phillips Lovecraft, da Lettere dall'altrove. )



 
~ ~



“We'll meet again,
Don't know where,
Don't know when
But I know we'll meet again some sunny day”


 
Così i mie occhi inevitabilmente si chiusero ed entrai nel mondo dei sogni, non avrei mai pensato che la mia mente sarebbe potuta diventare una minaccia per la mia stessa incolumità.
Nell’aria echeggiava una musica calda e accogliente, una canzone di speranza verso l’avvenire, considerando la situazione che stavamo vivendo nel mondo reale mi parve una sorta di beffa da parte del mio subconscio, o forse esso stesso voleva dirmi qualcosa attraverso le parole della canzone? In un certo qual modo l’ansia che mi attanagliava e la paranoia stavano scomparendo lasciando spazio a una placida tranquillità, se non sospetta, mi sentivo leggero e meno preoccupato del solito, da parecchio tempo non provavo un tale benessere.
Successivamente, la voce di Vera Lynn si sostituì a quella più familiare e meno intonata di mia sorella, non che in quel momento badassi alla qualità della performance giacché la felicità che provai nel vederla fu immensa e indescrivibile. Apparve davanti a me come una sorta di angelo della buona sorte, al di sopra delle nuvole, sorridente e beata, le sue mani erano giunte all’altezza del cuore, i suoi capelli ondulati e castani ondeggiavano nel cielo mischiandosi con le bianche nuvole di panna, i suoi occhi erano chiusi e la sua espressione manifestava serenità e pacatezza tanto che non potei fare a meno di correre verso di lei sorridendo come un bambino che rincorreva il camioncino dei gelati. Per un solo istante dimenticai di trovarmi in un sogno, che quella dinnanzi a me non era la vera Mabel ma una proiezione del mio subconscio.
Ella continuò a cantare quella melodia di cui le mie orecchie s’inebriarono, sarei potuto rimanere lì ad ascoltarla ed osservarla per l’eternità, non ricordavo quanto le illusioni potessero essere meravigliose…  Oltre che crudeli…
 
“Keep smiling through,
Just like you always do
Till the blue skies drive the dark clouds far away”
 
 
Mabel aprì le braccia verso di me come se mi stesse invitando a volare insieme a lei tra le nuvole e il blu infinito. Tentai di raggiungerla, allungai la mano per poter afferrare la sua fino a quando…
La voce di mia sorella incominciò a stonare, molte delle parole che pronunciava divennero incomprensibili e confuse; la stessa melodia era distorta, stridente, così come la sua voce che iniziò a gracchiare come se fosse quella di un robot che stava andando in corto circuito. Il paesaggio circostante iniziò a perdere la propria pacatezza, tutto diventò improvvisamente cupo, il cielo aveva assunto mille sfumature di marciume e iniziò ad ululare dando vita ad un temporale.
Gli occhi di Mabel si spalancarono, bianchi e vuoti, e mi fissarono senza manifestare la minima emozione, ma io sapevo che stava soffrendo. Il modo in cui mi aveva guardato mi provocò un capogiro e solo allora rammentai che mi trovavo in un sogno. Mi ero lasciato sopraffare da un miraggio come uno sciocco!
Feci un passo indietro, poi un altro e un altro ancora, finché non persi l’equilibro e quasi inciampai, dal momento che la terra aveva iniziato a tremare. L’immagine di Mabel incominciò a frantumarsi, quasi come fosse composta da pixel, si stava sgretolando pezzo per pezzo, fino a che non scomparve del tutto dissolvendosi nel vuoto. Lo stesso accadde al resto del panorama che andò in frantumi. La terra sotto ai miei piedi si sbriciolò, mi voltai tentando di scappare senza sapere dove stessi andando visto che non vi era nessuna via d’uscita. Correvo reggendomi la testa con le mani e urlavo a me stesso di svegliarmi, dicendomi che questo era solo un brutto sogno e che sarebbe terminato al più presto. Bastava desiderarlo ardentemente! Mi pizzicai le guance, mi graffiai, il dolore che percepii era così acuto, più intenso rispetto a quello del mondo reale, ma ogni mia azione fu inutile dato che non mi svegliai.
 

“And I will just say hello to the folks that you know
Tell them I will not be long
They'll be happy to know that as you saw me go
I was singing this song.”
 
 
Nell’aria ancora rimbombava quel canto, però questa volta non era mia sorella a intonarlo ma una voce indefinita, disumana e meccanica, sembrava quella d’un sintetizzatore vocale mal funzionante. Urlai a quella voce di stare zitta, che non la sopportavo e che mi stava facendo impazzire, non ottenni il risultato desiderato dacché il suono divenne ancora più molesto e insostenibile provocandomi un atroce dolore alla testa.
Ad un certo punto anche la terra di fronte a me incominciò a frantumarsi e mi fermai, immobile e confuso, non sapevo cosa fare o dove fuggire. Ero schiavo del mio stesso sogno. Un sogno lucido dove ogni sensazione ed emozione erano intensificate al massimo della potenza, più che sogno lo avrei definito un incubo lucido poiché tutto era fuori dal mio controllo, non potevo fare niente per migliorare la situazione o per svegliarmi. Tutto mi stava sfuggendo di mano!
 

“…W e' l l m e e t … a g a i n…”
 
 
La voce incominciò a tremare e a rallentare come se qualcuno avesse utilizzato un qualche effetto speciale sonoro, un’alterazione che non fece altro che rendere ogni cosa ancora più inquietante e terribile.
Rimasi completamente immobile lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, tremante e rassegnato, mi guardavo intorno in cerca di qualcosa che non conoscevo o comprendevo.
Forse dovevo solo ignorarlo? Fare finta che tutto fosse normale e insignificante per me? Non dare peso a tutta questa follia…?
 
 
“yad ynnus emos
niaga teem ll'ew wonk I tub
nehw wonk t'nod
erehw wonk t'nod
niaga teem ll'ew”
 
 
Improvvisamente, se tutto non fosse già abbastanza assurdo, si sentì il suono del nastro d’una cassetta riavvolto, un rumore meccanico e disturbante che mi fece rabbrividire.
Dopo alcuni secondi la canzone tornò a suonare al contrario lasciandomi completamente basito. Non sapevo se incolpare me stesso, in fondo quello era il mio subconscio, la mia stessa mente stava partorendo delle diavolerie simili? Com’era possibile?
No, non poteva essere colpa mia, qualcuno stava di sicuro manipolando i mie ricordi allo scopo di spaventarmi e farmi impazzire. E sapevo benissimo chi fosse il colpevole o, almeno, potevo immaginarlo. Bill Cipher. Il solo pensarlo mi provocò un senso di malessere interiore, iniziai a tremare come una foglia, incrociando le braccia e tenendomi le spalle con le mani, guardavo intorno a me il mondo che si era completamente cancellato. Dopodiché oscurità. Come se qualcuno avesse spento la luce di una stanza, tutto si colorò di nero. Strano come riuscissi a vedere me stesso, non era un buio normale visto che potevo osservare le mie mani, le mie gambe, il mio intero corpo.  Dall’oscurità più profonda udii una voce che prima non avevo mai sentito, mi apparì buffa e innaturale, sembrava quasi un eco, incominciò a ridere beffardamente:
 
«Allora? Piaciuto lo show, piccolo Pine Tree? AHAHAHA!»


Una voce che non avevo mai udito prima mi stava chiamando e si stava prendendo gioco di me.
Il soprannome che aveva utilizzato mi sembrò bizzarro, se questa non fosse stata la sede sbagliata, oltre che il momento sbagliato, ci avrei riso sopra, ma la mia faccia manifestò tutto tranne che ilarità. Continuai a guardarmi intorno in cerca dell’essere misterioso che mi stava interpellando. Giravo su me stesso come una trottola, e dalla risatina burlona che sentii compresi che a quel mostro avevo dato la medesima impressione, di sembrare una trottola, così mi fermai, alzando i pugni, e urlai al vuoto che mi circondava: «Fatti vedere, Bill Cipher!» dissi con un tono di voce stranamente alto, mi sentii sicuro di me, forse perché mi trovavo in un sogno, di norma non avrei mai alzato la voce in questo modo senza ragionare, soprattutto di fronte ad un demone, ma volevo affrontarlo, il rancore e il dolore che portavo dentro di me mi spinsero a gridare il suo nome, non mi importava più di niente dal momento che l’unica cosa a cui tenevo al mondo mi era stata portata via.
Tutto ad un tratto vidi il vuoto più nero tremare, il che era paradossale. Un fascio di luce immenso invase la stanza come se qualcuno avesse scattato una fotografia col flash, quasi mi sentii accecato e dovetti tapparmi gli occhi con le mani. Solamente dopo mi resi conto che quello non era altro che un occhio che mi fissava intensamente, gigantesco e mostruoso, esso batté la palpebra per poi rispondere, «Oh, ma come siamo audaci qui!», si riferiva al fatto che l’avessi sfidato in modo sfacciato, io, messo a confronto con lui, non ero altro che un essere piccolo e insignificante, una formica ignara della galassia in cui si trovava e dell’universo stesso. Forse nemmeno lui, un demone dal sapere illimitato e dalla potenza indicibile, si sarebbe aspettato una risposta tanto impulsiva e sfrontata da parte mia. Che si fosse sentito mancare di rispetto? Eppure rimanevo pur sempre io l’umano dai pensieri violati, quasi fossi l’ospite della mia stessa mente.
Non gli avrei mai perdonato il modo col quale aveva utilizzato il mio prezioso ricordo di Mabel, la sua immagine, la sua voce, il suo intero essere, allo scopo di raggirarmi e imbrogliarmi, illudendomi che fosse ancora viva.
Come se mi avesse letto nella mente, e forse era effettivamente così, mi disse, «Non portarmi rancore, piccolo Pine Tree, volevo solo giocare con te, non ti sei divertito? Ahahaha!» peccato che non risi insieme a lui, anzi, fissai il suo bulbo oculare con disprezzo e disgusto, successivamente il suo sguardo divenne serio, chiaramente indignato dal fatto che non avessi riso alla sua battuta o che non stessi tremando dalla paura. Risposi prima che potesse aggiungere qualcosa, «Non chiamarmi in quel modo! No, tu non sei reale! Sei frutto della mia mente, sparisci!» posai le mani sulle orecchie, chiudendo gli occhi e mi concentrai al massimo in modo da potermi svegliare e far finire questo supplizio. Il demone non fu contento di sentire le mie parole, tanto che il suo occhio si spalancò assumendo una colorazione rosso sangue, avevo la sensazione che sarebbe esploso da un momento all’altro come un vulcano in eruzione, la voce con cui aveva risposto mi diede quest’impressione, poiché essa sorse roca, ruvida e tremolante, «Ma che arroganza…! Io che volevo proporti qualcosa d’ interessante, è stato maleducato da parte tua, sai? Non hai idea di CHI hai davanti, altrimenti non saresti così insolente.».
Propormi qualcosa d’ interessante? Sentii puzza di imbroglio, non potevo certo credere alle sue parole, si trattava pur sempre d’un demone menzognere avente una forte capacità oratoria e persuasiva. Egli sarebbe stato in grado di vendere gelati ai pinguini del Polo Sud, avrebbe addirittura convinto il più fermo sostenitore terrappiattista che in realtà la terra fosse triangolare né piatta né sferica, e l’avrebbe resa tale pur d’ aver ragione. I suoi erano livelli di follia che superavano ogni concezione d’irreale e pazzesco! Un’indefinibile definizione.
«Perché dovrei crederti…? E cosa vuoi esattamente?» finsi di mostrarmi interessato alla sua proposta nonostante il mio sguardo fosse rimasto perplesso e diffidente, intanto lui era tornato alla sua colorazione originale, appariva come un triangolo giallo, una sorta di parodia d’ una piramide, nessuno avrebbe mai detto che un essere simile potesse essere pericoloso, non incuteva nessuna minaccia se non un senso di simpatia, visto anche il modo in cui era conciato, con quel cappello e il papillon. Com’era possibile prenderlo sul serio? Se non avessi sentito le testimonianze e le storie sul suo conto non avrei mai agito in modo così circospetto, mi sarei lasciato soggiogare dalle sue apparenze come un infante che accetta le caramelle da un gentile sconosciuto e, inevitabilmente, fa una brutta fine. Considerando il suo carattere volubile decisi di calmarmi un tantino, e sentire quello che aveva da dire, magari se ne sarebbe andato autonomamente via dalla mia mente dopo essersi stancato di me e della testardaggine che dimostravo ma, invece, confessò, «Da un po’ che ti osservo, piccolo Pine Tree, dai l’impressione di essere più acuto e intelligente degli altri idio- ehm… Esseri umani, è un peccato che ti nasconda dagli altri, che tu rimanga in questo bunker ombroso e inospitale, non desidereresti qualcosa di più?», mentre parlava con quel tono di voce pacato, oserei dire cortese, dava quasi l’impressione di essere realmente disposto ad aiutarmi o che gli importasse veramente qualcosa di me, il suo modo di fare era così lusinghiero e seducente che ne rimasi ipnotizzato per un lasso di tempo indefinito.
No, non dovevo lasciarmi fuorviare di nuovo! Come avevo fatto prima, mi tappai le orecchie serrando gli occhi, ma invano poiché per qualche strana ragione riuscii a sentirlo e a vederlo lo stesso. Vidi il suo sguardo irritato e annoiato, ai suoi occhi, anzi, al suo occhio, apparivo come un bambino che non voleva ascoltare la ramanzina dei genitori o che non voleva sentire la verità perché troppo dolorosa. La verità si dimostra il più delle volte insostenibile e amara, no? Così fu…
Ciò che ascoltai, dopo quella breve ma lunga pausa di riflessione, mi raggelò il sangue, come se avessi ricevuto una secchiata d’acqua gelida, tanto che spalancai gli occhi e le mie mani caddero verso il basso come pesi morti.
Con un accento piuttosto compiaciuto e ironico, il maledetto Demone dichiarò, «Quindi non vuoi più vedere tua sorella, Mabel…? Quell’adorabile Shooting Star, manca anche a me, sai?»
Rimasi completamente immobile, le mie gambe iniziarono a tremare tant’è che non riuscii più a reggere il mio stesso peso e caddi in ginocchio, osservai all’interno del suo occhio immagini confuse e scolorite di mia sorella, come quando prima di morire si rivedono gli attimi della propria vita, io stavo visionando i momenti che ho condiviso con Mabel. I miei occhi incominciarono ad inumidirsi e piansi, senza nemmeno accorgermene, rimanendo impassibile e non sapendo cosa dire. La mia attenzione venne colta di sorpresa appena Cipher proferì nuovamente parola, dal momento che io non avevo risposto nulla, «Allora? Non vuoi fare un patto con me~? Non desideri riavere la tua sorellina indietro, viva e vegeta?» rimasi a fissarlo per alcuni interminabili secondi, dopodiché scossi il capo a quell’assurda richiesta poiché lui era la causa di tutti i nostri problemi. È colpa sua se Mabel ora non esiste più! Con quale arroganza e insensibilità mi ha chiesto una cosa simile?!
Asciugai le lacrime che mi avevano bagnato il volto anche se continuavano a sgorgare appannandomi la vista e, finalmente, riuscii a formulare una frase più o meno sensata, «No…! Cioè… Non voglio avere nulla a che fare con te. Desidero tanto rivedere Mabel ma non per questo voglio rovinarmi la vita scendendo a patti con il diavolo…» quasi avevo balbettato, ancora tremante, mi guardavo intorno come se non riuscissi a reggere il suo sguardo scrutatore. Egli socchiuse il suo occhio, stranamente non si alterò, posò le mani sui suoi spigolosi fianchi accennando una risatina alquanto fastidiosa e ironica, «Ah, ma io non sono il diavolo, lui non esiste, sei spiritoso quanto cocciuto… Rispetto la tua scelta, per ora. La mia proposta è sempre aperta, quindi pensaci su, ok?». Non mi aspettavo una reazione simile, non comprendevo tale volubilità. Non capivo nulla! Forse il suo era semplicemente un avvertimento, avrei dovuto prestare più attenzione del solito e non trovarmi impreparato di fronte ad ogni avversità. Sarebbe tornato, ciò significava altri incubi e nuovi spaventi, ne ero certo!
In seguito mi sentii stranito, la testa incominciò a girarmi caoticamente, percepivo il mio corpo come leggero, fluttuante, privo di peso. Cipher afferrò il cilindro dalla sua testa a punta ed esibì un buffo inchino, un’azione che mi parve del tutto assurda considerando le cose vissute fino a quel momento. Come se egli si stesse prendendo gioco di me per l’ennesima volta, tutto pareva un crudele scherzo, quel suo modo di agire e di parlare appariva surreale ed estremamente imprevedibile, estraniante, sarebbe stato complicato per me realizzare quest’esperienza… Me la sarei ricordata da sveglio? Avrei rammentato questo incontro? In entrambi i casi la mia ansia non si sarebbe placata, la mia esistenza avrebbe continuato la sua corsa nel medesimo modo di ieri. Nemmeno sta volta gli risposi, né un cenno né uno scuotimento di capo, niente di niente. Mi salutò sparendo nel nulla e, quando mi svegliai di soprassalto, bagnato completamente dal mio sudore, la sua risata malefica fu l’ultima cosa che le mie orecchie udirono.

 

 
* * *

Da quel momento rimasi a fissare il vuoto del soffitto color bianco sporco per diverso tempo, il suono delle lancette dell’orologio mi aiutò a distrarmi dai miei pensieri, non avevo nessunissima voglia di riflettere sull’accaduto.
Il sogno avuto sta notte mi parve reale e irreale al tempo stesso, pur trattandosi solo di un incubo ero consapevole di aver vissuto realmente quell’esperienza, avevo comunicato sul serio con Cipher.
Cosa voleva da me quel demonio? Non avevo ascoltato il suo intero discorso, dunque non potevo sapere quali atroci clausole il suo accordo contenesse, sono certo che non avesse in serbo nulla di buono per me. Pensava d’ ingannarmi con false lusinghe, dicendomi di essere più intelligente degli altri esseri umani, una recitazione da Oscar, la sua. Per un momento gli avrei detto di sì… Non comprendo perché non l’abbia fatto. Non avendo nulla da perdere, il mondo intero è spacciato, e la razza umana stessa è giunta al capolinea, non avrei perso un granché accettando la sua proposta, e forse avrei rivisto Mabel per l’ultima volta. Avremmo osservato insieme, mano nella mano, il mondo disfarsi davanti ai nostri occhi, e noi con lui… Ah, ma a cosa sto pensando? Lei non vorrebbe sentirmi dire queste cose. No! È stato saggio non cedere a patti con lui, eppure… La curiosità ora mi attanaglia… È la stessa sensazione che hai provato anche tu quando ti ha proposto quel desiderio? La curiosità uccise il gatto ma la soddisfazione lo riportò in vita, giusto? Tu non sei tornata in vita, però. È tutta una bugia! Il mondo intero è una menzogna partorita da chissà quale mente sadica e malata. L’esistenza non è nient’altro che una fandonia e noi, insensate e inermi marionette manovrate da un maligno burattinaio, non possiamo fare altro che subire finché non ne avrà abbastanza. Nel suo mondo era il signore supremo ma ciò non gli bastava. Il mondo dei vivi è tutt’altra cosa, una fonte di divertimento assai più spettacolare rispetto alla dimensione che ha lasciato e che, oramai, l’aveva annoiato a morte. Un tempo e uno spazio che non gli procuravano più l’intrattenimento necessario, quello di cui qualunque divinità capricciosa ha bisogno per dilettarsi. La vita d’un essere umano non è niente se paragonata a quella di un dio. Il termine vita è riduttivo, poiché la vita equivale ad una nascita. Una divinità, anche se quel mostro preferiva essere denominato demone, è un essere immortale, non si è certi che sia effettivamente nato. Oppure è sempre esistito? È stato creato insieme all’universo? Addirittura prima del Big Bang? Neppure il quasi infinito ciclo vitale delle stelle potrebbe essere messo a confronto con l’esistenza d’un essere simile. Un periodo di tempo che la mente umana nella sua limitatezza non potrà mai comprendere o arrivare a calcolare. Io stesso mi sorprendo degli assurdi discorsi che sto facendo e che non portano a nulla se non a nuove domande senza risposte e altrettanti giramenti di capo.
La testa, dopo essermi svegliato da quella notte infettata d’incubi, mi doleva in una maniera atroce. Ormai dormire è inutile, dormo e mi ritrovo più esausto di prima, non recupero la minima energia. Concentrare ogni pensiero su quel demone mi demoralizza e sfianca, risucchiandomi ogni piccola particella di vita. E ride, sono sicuro che anche adesso stia ridendo di me e della mia stupidità.
L’unica nota positiva di questa giornata è stata Wendy giunta a farmi visita, vederla mi ha tranquillizzato, mi ha anche portato delle medicine in grado di guarire questo mio mal di testa, ammetto con un certo stupore di sentirmi meglio rispetto a prima, riesco perfino a scrivere.
Avevo proprio bisogno di vedere una persona amica, avrei voluto chiederle di restare un po’ con me, di dimenticarci per un momento del mondo esterno e della sua rovina, ma ho pensato che non fosse il momento adatto, non si è ancora totalmente ripresa dalla scomparsa dei suoi parenti, appare spesso fredda e distante, ma posso comprenderla poiché mi è capitato lo stesso avendo perso anche io delle persone care.
Oltre alle medicine, ella mi consegnò un pacco misterioso, rimasi sorpreso perché non stavo aspettando nulla da nessuno, da parecchio tempo che non ricevevo posta, e dubitavo che qualcuno si ricordasse di me o che desiderasse contattarmi – a parte Wendy, ovviamente-. Ho perso ogni traccia dei miei vecchi amici e dei miei prozii, non ho la più pallida idea di che fine abbiano fatto, ammetto di essere preoccupato per loro ma non dispongo di nessun mezzo per contattarli, loro potrebbero benissimo pensare che sia morto.
In ogni caso è un pacco sospetto, non riporta il nome di nessun mittente e non vi è scritto alcun indirizzo. Suppongo che sia stato affidato direttamente a Wendy, il mittente misterioso le avrà chiesto di consegnarmelo di persona. Lei stessa mi comunicò di non aver riconosciuto quell’uomo giacché indossava una lunga veste scura che gli copriva il volto, la sua stessa voce suonava in maniera strana, pareva camuffata da un qualche marchingegno tecnologico però, senza alcun dubbio, quell’individuo mi conosceva dal momento che non ebbe la minima esitazione nel consegnare il pacco a Wendy. Che fosse uno dei miei amici sotto mentite spoglie? Perché nascondere la propria identità? Una faccenda a dir poco strana, per questa ragione non so se fidarmi o meno… Che sia l’ennesimo imbroglio di Cipher? Oppure la trappola d’un folle qualsiasi? E di folli se ne vedono fin troppi in giro negli ultimi tempi. Non sono sicuro di sapere quale sia la decisione giusta da prendere, Wendy mi ha detto di fare quel che mi sentivo, di seguire l’istinto, e che qualunque decisione avessi preso sarebbe stata quella giusta.
Da quando in qua la vita ti mette di fronte a scelte semplici? E questa non è di certo un’eccezione, tuttora sto fissando quell’enigmatico pacco chiedendomi cosa contenga. Allo stesso tempo, un senso d’inquietudine misto a curiosità prevarica sulla mia ragione…
Pulsa, la mia testa, il dolore sta tornando, più fisso la scatola e più si fa intenso. Devo sapere, venire a capo di questo enigma, succeda quel che succeda!


 

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Capitolo 4
*** Corrispondenza rivelatrice ***


Lo scrutatore del Caos

. Corrispondenza rivelatrice


 
“ Gli uomini di più ampio intelletto sanno che non c'è netta di­stinzione tra il reale e l'irreale,
che le cose appaiono come sembrano solo in virtù dei delicati strumenti fisici e mentali attraverso cui le percepiamo. „ 

(Citazione di Howard Phillips Lovecraft, da La Tomba, 1917)
 
 
~  ~

 
L’orologio appeso alla parete sembra disegnato, un futile ornamento che dona alla stanza un colore vintage e decadente, un fascino antico che, nonostante sia tramontato, non sarebbe mai passato di moda. Le sue lancette puntano sempre e solo le tre, del mattino o della sera, non mi è dato saperlo. Un tempo congelato nel tempo. È come un quadro che ravviva l’ammuffita parete che sta per cadere a pezzi, lo stesso muro si sta sgretolando mentre gli angoli sono stati decorati da ragnatele e polvere rinsecchita. Ormai ho perso la cognizione del tempo poiché, oltre a non sapere che ore siano, non so nemmeno se sia mattina o sera, se stia piovendo o se il sole stia splendendo.
Nel luogo dove mi trovo, in questo bunker inospitale e sotterraneo, non vi è alcuna finestra in grado di permettere ai miei sensi di percepire i cambiamenti atmosferici. Da quante settimane non vedo un’alba, o un tramonto? Da tempo immemore che non sento la pioggia sulla mia pelle, o le carezze del vento, o i brividi di freddo. È come se il mio corpo sia fatto di fredda e arrugginita latta. Ma è solo apparenza, giacché il dolore è qualcosa che distinguo e percepisco indistintamente, non sono insensibile alla sofferenza. Né alla mia né a quella altrui. Ho conservato un’inaspettata umanità in questo folle mondo, al contrario di altre persone che, invece, hanno scoperto una bestialità in grado di superare ogni idea di selvaggio. Quando si tratta di sopravvivenza non c’è valore o benevolenza che tenga. Tutti sono nemici e alleati al tempo stesso –finché fa comodo, almeno-. Un gioco tra prede e predatori in cui si interpretano entrambi i ruoli. Non sono portato per una vita simile; non so combattere, non so cacciare e la mia forza fisica non è eccelsa, ma possiedo un’intelligenza superiore a quella di tutti gli altri ragazzi della mia età, oltre che una pazienza e una forza d’animo massicce, tali qualità mi permettono di non impazzire e di mantenere un certo autocontrollo sugli eventi e sui miei pensieri. È questa la cosa a cui Cipher si riferiva parlando del mio intelletto? Buffo come lui lo abbia capito prima di me. Che un demone senza cuore e immensamente lunatico come lui abbia veduto delle potenzialità che nemmeno io avevo mai scorto in me. Ma non voglio lasciarmi imbambolare dalle sue liete parole, qualunque piano lui abbia in mente, preferisco stargli alla larga il più possibile.
Oggi però si prospetta una giornata ricca di sorprese ed enigmi da risolvere, diversamente da quello che pensavo, grazie alla posta donatami da colui che chiamo Il Mittente del Mistero. Da diversi minuti, forse addirittura un’ora, contemplo quel pacchetto fissandolo come se da un momento all’altro dovesse esplodere. Non potendo più aspettare, mi decido ad aprirlo e svelare l’arcano, comunicherò a breve su queste pagine ciò che al suo interno si cela.
 


 
* * *


Quel che trovai in quel pacco misterioso mi lasciò di stucco, rimasi a fissarlo imbambolato e incredulo. Non potevo credere ai miei occhi! Una reazione che molti potrebbero considerare esagerata considerando le miriadi di stranezze che ho visto e sentito fino ad oggi, basta rammentare l’incubo partorito dal mio cervello la scorsa notte, quando ho incontrato per la prima volta quel demone. Già da tempo la mia razionalità mi avrebbe dovuto abbandonare, lasciandomi vagare nella nebbia della pazzia e del caos che circonda tale pianeta, ma sono ancora qui a raccontarvi i presenti avvenimenti.
Non ho idea di come e da dove incominciare questa storia, se dal mittente, dall’oggetto contenuto nella scatola, da come mi senta nell’aver appreso una verità tanto sconvolgente. C’è un motivo per cui la mia vista in questo momento si sta appannando. Trattengo le lacrime come posso per non inzuppare il foglio e non rendere la mia scrittura illeggibile. Una miriade di emozioni diverse ha preso possesso del mio corpo e, per una volta, l’artefice di questo mutamento emotivo non è nulla di negativo, nessuna paura, o mostro o disgrazia, anzi, percepisco il sapore della speranza. Una delle pazzie più grandi che abbia mai detto: speranza. Esiste una follia più folle di questa?
Una lettera era allegata al dono, ingiallita e vecchia, quasi sciupata, immagino che ne avesse attraversate d’intemperie prima di giungere fino a me. Ho passato diversi minuti a meditarci sopra, osservando ogni sua piega, le macchie d‘inchiostro che si erano formate a causa della pioggia… Avrà quindi piovuto in questi ultimi giorni? Ne sento l’odore. L’odore dell’aria umida e fresca simile al mare. E alle lacrime. Sento concretamente quel sapore sulle mie labbra, ne percepisco la fragranza sotto al mio naso, perché sto piangendo, oppure sto soltanto confondendo la fantasia con la realtà.
Lacrime di nostalgia, di commozione, di tristezza, di tante cose tutte insieme e che non riesco a distinguere. Troppi sentimenti tutti in una volta.
La lettera mi era stata spedita da una persona che credevo sparita nel nulla, una di quelle che entrano nella tua vita come fulmini a ciel sereno e, con la medesima rapidità e sorpresa, se ne vanno senza aver neppure avuto il tempo di salutarle o d’aver realizzato che fossero effettivamente reali e concrete. Uno sconosciuto che non ho avuto il tempo di conoscere, alcuni lo credevano sperduto, mentre mia sorella e io nemmeno eravamo a conoscenza della sua esistenza, lo stesso prozio Stan non ci aveva mai parlato di lui, né ci aveva mai rivelato d‘avere un fratello gemello. Lo shock che provammo fu indescrivibile ed amplificato dalle svariate situazioni che si crearono in seguito, e che portarono ai guai che stiamo vivendo ora. Non abbiamo goduto a pieno della presenza del nostro prozio scomparso. Stanford Pines. Questo è il nome de Il Mittente del Mistero, colui che mi ha spedito questa lettera.


 
* * *


 
“ Caro Dipper,
 
Non ho idea se questa lettera ti giungerà in tempo e se mai ti verrà recapitata.
È di vitale importanza che tu conosca cosa si cela dietro la realtà, non so più a cosa aggrapparmi o di chi mi possa fidare in questo mondo infernale.
Tu non mi conosci così bene e penserai che sia un folle qualsiasi, uno scienziato pazzo dissociato dal resto dell’umanità, ma la storia è più complicata e ingarbugliata di quel che sembra.
Quello che si sta scatenando nel mondo ora è la conseguenza d’ un frutto maturato da un seme piantato tanto tempo fa proveniente dall’albero della follia. Per te le mie parole, le metafore che uso, sembreranno senza senso oppure completamente ragionevoli. Immagino che non ti debba nemmeno spiegare chi sia Bill Cipher, poiché avrai ascoltato i suoi sproloqui di nonsense e stravaganza, ne avrai sentito parlare e, forse, avrai anche avuto il dispiacere d’interagire con quell’essere nella Mindscape, il luogo dove si manifesta, una sorta di “mondo dei sogni” in bianco e nero dove egli è il Re. Mi auguro che mi stia sbagliando e che tu non lo abbia mai incrociato sulla tua strada. E che, soprattutto, tu non abbia stipulato nessun accordo con lui. Non fidarti! Giocherà qualunque carta pur di raggiungere il suo obbiettivo, promettendoti castelli tra le nuvole, immortalità e ogni sorta di ricchezza sfrenata. Non ascoltare nessuna delle sue proposte, udirai solo menzogne e te ne pentirai quando sarà troppo tardi.
Io, purtroppo, ho avuto a che fare con lui fin troppe volte, questo mi ha portato ad isolarmi dal mondo e a vagare nelle dimensioni spazio-temporali come un fuggiasco. Ma ora non ho tempo di spiegarti per filo e per segno la mia storia, soprattutto i dettagli che sono sicuro desteranno il tuo interesse.
Nella posta che ti ho inviato è presente una mia invenzione, una macchina su cui ho lavorato per anni, sospettavo che un giorno sarebbe servita. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato prima o poi, ma ho sempre illuso me stesso di essermi sbagliato e che i miei calcoli per una volta fossero errati, ma, aimè, non è stato così.
Il Mind-Block è un marchingegno che agisce sulla mente umana ed è in grado di annullare l’attività cerebrale, o, per meglio dire, illudere e far sembrare che non ci sia alcuna attività cerebrale. È una sorta di ombrello ma, invece di ripararti dalla pioggia, ti ripara dalle frequenze subliminali che Bill usa per manipolare a piacimento le menti umane. Come avrai scoperto da te egli fa uso del controllo mentale per assoggettare gli individui al suo potere, donando loro incubi e, tramite essi, fargli vivere ogni paura e qualsiasi indicibile visione di sofferenza. Grazie al Mind-Block il tuo cervello sarà protetto dall’influsso malefico del demone ed egli non sarà più in grado di controllarti, abusare di te e invadere i tuoi sogni o perseguitarti in qualsivoglia modo. Non potrà nemmeno osservarti, captare la tua posizione o leggere nella tua mente. Come se la tua coscienza fosse oscurata, nascosta in una cupola invisibile e inarrivabile. O, per dirla in una maniera più brusca ma più comprensibile, come se tu fossi morto e, di conseguenza, la tua attività cerebrale avesse smesso di funzionare.
È decisamente un metodo più comodo e pratico di una lastra d’acciaio impiantata nel cranio, un’operazione che non avrei potuto comunque fare perché richiede una dose enorme di tempo, pazienza e sarebbe troppo pericoloso. Non voglio metterti in pericolo ulteriormente, meglio che rimanga l’unico in famiglia con questo problema… In ogni caso non è tutto, il Mind-Block possiede altre potenzialità e qualità che a breve ti esplicherò, ma prima debbo parlarti di un’altra cosa molto importante: la realtà reale, o la reale realtà… Sto rendendo tutto più complicato, eh?
Come avrai già sentito dalle storielle che racconta Bill, avrai ben compreso che la realtà in cui viviamo è un’illusione. In verità questo non è un termine propriamente corretto visto che tu esisti, io esisto, così come il resto degli esseri umani, sono persone in carne ed ossa, non ologrammi o proiezioni fantastiche. La realtà è più complessa di quel che appare. Tu in che modo percepisci il mondo intorno a te? Esatto! Tramite i sensi. Attraverso essi conosci e interagisci con il mondo, quello che tu vedi, tocchi, annusi, gusti e ascolti viene percepito dal tuo cervello come “realtà”. Purtroppo i sensi umani sono limitati e alcune cose non possono essere recepite correttamente -specialmente a causa della loro natura occulta e terrificante-.
Ora avviene la parte più difficile della spiegazione, per questo prenderò come esempio una famosa opera cinematografica in modo che tu possa capire quel che intendo. Hai mai visto quel film di John Carpenter, Essi Vivono? È uno dei suoi capolavori e spiega molto bene l’idea di “realtà” a cui mi riferisco. Nel film il protagonista scopre un mondo subliminale alieno, che ogni essere vivente ignora tranne le classi dominanti che, appunto, vogliono assoggettare la popolazione mondiale. Tramite degli occhiali da sole speciali il ragazzo riesce a leggere e a identificare i messaggi subliminali presenti ovunque nella città. Il Mind-Block funziona nel medesimo modo poiché tramite esso sarai in grado di recepire quei “messaggi subliminali”, ma non sono veri e propri simboli, scritte o immagini. Vedrai una dimensione parallela ma estremamente vicina alla nostra. Riuscirai a scrutare l’Altrove, le creature e i mostri che lo abitano. Il nostro pianeta è popolato da abomini e bestie immonde, ma, fortunatamente, loro non hanno la capacità di interagire con gli uomini visto che quest’ultimi non sono in grado di vederli e sono inconsapevoli della loro esistenza. Un velo sottile li separa l’uno dall’altro. Solamente la consapevolezza, una vista onirica e potenziata, potrà spazzare via quel velo. Indossando quel marchingegno e vedendo attraverso la sua visiera, ti sembrerà di trovarti all’interno di una realtà virtuale, vedrai il mondo circostante in una maniera del tutto nuova e inaspettata.
In onor del vero ho il dovere di avvertirti delle problematiche e degli effetti collaterali che subirai se deciderai di usare questa macchina. Non sarà trascurabile il trauma che patirai alla sola vista di creature simili, il timore dell’ignoto è una delle paure più primordiali dell’essere umano. Nei secoli l’uomo è arrivato persino a inventare divinità e miti pur di spiegare l’inspiegabile e i misteri che si sono rivelati essere soltanto reazioni chimiche ed avvenimenti dimostrabili scientificamente. Non è questo il caso, e se, addirittura io, un uomo di scienza, sto qui a parlarne con serietà, vuol dire che il problema è grave a tutti gli effetti.  La seconda questione riguarda la consapevolezza dello sguardo, nel momento in cui tu sarai capace di vedere quelle mostruosità, e interagire con l’altra faccia della realtà, loro potranno fare lo stesso. Sono esseri completamente differenti da noi uomini, possono essere definite vere e proprie creature d’Incubo (o sono gli incubi stessi?). I sensi di cui dispongono sono altri, il loro aspetto può ingannarti ma ti consiglio di non fissarli a lungo, ciò potrebbe irritarli e portarli ad attaccare. Non guardano attraverso gli occhi ma hanno una sorta di “visione termica” –non è affatto corretto usare questa definizione, anzi, è totalmente sbagliato! La paura è l’elemento che alimenta questi mostri, è la loro massima fonte di nutrimento, infatti riescono a percepire ogni sorta di emozione negativa partorita dalla mente umana, in questo modo possono scovarti e apprendere la tua posizione.
Non hanno abitato il nostro mondo da sempre, infatti questo non è il loro habitat naturale, sono stati liberati diverso tempo fa quando è successa la disgrazia che mi riguarda in prima persona. Forse è anche a causa mia che hanno avuto l’occasione di giungere nella nostra dimensione. Se non mi fossi fidato di Bill e non gli avessi permesso di manipolarmi… E se non gli avessi lasciato aprire quel varco… Perdonami, sto delirando, non è il momento di rimuginare sul passato.
Ora che ci penso bene, utilizzare la mia invenzione ti permetterà di vedere il mondo come lo stesso Bill lo vede, considerando il fatto che quelle creature sono originarie della sua dimensione. Non disporrai della sua medesima visione onnisciente ma ti renderai conto di quanto il mondo sia divenuto pericoloso e caotico. Semmai riuscissimo a cacciare via Bill dalla nostra Terra o a distruggerlo completamente dovremmo fare altrettanto con quelle creature, esse non sono completamente dipendenti da lui –alcune di esse si trovano sulla terra a causa di certe alterazioni spazio-temporali che hanno agito come uno Star-Gate unendo le due dimensioni tra loro. Tutto ciò ha alterato l’equilibrio e l’ecosistema dell’universo danneggiando la vita stessa.
In conclusione, se vorrai utilizzare il Mind-Block dovrai assicurarti di agire con circospezione, senza lasciar trasparire nessun dubbio e timore giacché loro avvertiranno le tue insicurezze e paranoie, dovrai operare con più sangue freddo possibile. Però c’è un lato “positivo” in tutto questo, da quando Bill è arrivato in questa dimensione la maggior parte dei mostri sono divenuti visibili agli uomini, sono liberi di vagare nella realtà portando spavento e devastazione. Non tutti loro però sono completamente individuabili ad occhi nudo, il potere di Bill non è ancora abbastanza esteso qui, il “download” non è ancora completo, e se pensavi che fosse tutto qui ti sbagliavi poiché il Weirdmageddon non ha ancora raggiunto l’apice della sua follia. Alcuni di quei mostri si trovano nei posti più strani, dove mai immagineresti, perfino negli ambienti domestici, soprattutto quelli turbolenti dove non esiste armonia e unità. Luoghi simili equivalgono a banchetti per i mostri, per questo ti consiglio di evitare di fare pensieri auto-distruttivi, rabbiosi o paurosi, qualunque pensiero nocivo che possa alterare la tua psiche.
Ah, è importante che tu sappia che il Mind-Block è in fase sperimentale, non ho avuto modo di provarlo su me stesso, avendo una lastra in testa che mi funge già da protezione non avrebbe avuto senso né utilità. Vorrei che tu prendessi in considerazione l’idea di usarlo, in questo modo potrai avere una protezione da Bill –anche se ciò comporterà la consapevolezza dell’Altrove. È una scelta complicata, lo so, ma non c’è altro modo per sopperire al potere del demone se non rischiare e affrontare il male minore. Almeno potrai avere sogni tranquilli poiché la protezione permane anche durante il sonno e so quanto dormire sia diventato complicato.
All’interno del pacco potrai trovare una mappa, ti condurrà al luogo dove attualmente abito –ormai cambio residenza spesso-. Se vorrai potrai venirmi a trovare ma, senza l’ausilio della mia macchina, sarà difficile perché saresti troppo allo scoperto e rischieresti di essere individuato da Bill. Io stesso non posso essere localizzato, sempre a causa di ciò che ho nel cranio, dunque egli stesso è inconsapevole che sia stato io a spedirti ciò, ma potrebbe sospettare qualcosa vedendoti compiere azioni diverse dal solito.
La decisione spetta solo a te, ma cerca di prenderla in fretta.
E, come ultima richiesta, ti chiedo di bruciare questa lettera e ogni pezzo di carta contenente informazioni divulgative di quel che ti ho detto. Non parlare a nessuno dell’Altrove, i nemici là fuori sono più di quanto pensi. E non mi riferisco solamente ai mostri inter-dimensionali e a Bill Cipher.
Quello che deciderai di fare in seguito con la mia invenzione sarà a tua discrezione, non porterò alcun tipo di rancore nel caso decidessi di non utilizzarla.  
Avrei potuto venire di persona ma sono preso da questioni complicate, e non ho intenzione di obbligarti a seguirmi né ad aiutarmi a sventare i piani di Bill. La vita è già difficile così com’è e non ci vorrebbe tanto a renderla più tediosa.
 
Mi auguro che un giorno potremmo incontrarci, spero in circostanze più gradevoli.
Buona fortuna, tuo prozio,

 
 
Stanford Pines


 
* * *
 


Rilessi la lettera almeno cinque volte come se non avessi recepito il messaggio.
Quelle informazioni ebbero l’effetto di una bomba su di me, quasi mi venne un capogiro per la confusione, la contemplai per un tempo lunghissimo realizzando troppo tardi quel che vi era scritto nella parte finale, ovvero di bruciarla, così la strappai in mille pezzi e la gettai nel fuoco, avevo memorizzato ogni dettaglio e spiegazione benché non fossi sicuro a pieno se utilizzare o meno quell’invenzione considerando quel che comportava. Sembrava così pericoloso ma, al tempo stesso, necessario. Una possibilità per sconfiggere Bill Cipher! Per vendicare mia sorella! Come potevo lasciarmi sfuggire un’occasione simile? Il pensiero di vedere creature d’incubo del genere e di scontrarmi con la crudele realtà mi terrorizza, però, come ha detto anche il prozio Ford, rappresenta il male minore, non sono nulla se paragonati alla minaccia di Cipher. Quest’ultimo mi ha promesso che sarebbe tornato per propormi una seconda volta l’accordo –dubito che accetterà di nuovo un no come risposta-. Non ho molto tempo per pensare e valutare come si deve la situazione, forse dovrei solo calmarmi, fare un bel respiro e rilassarmi, togliermi di dosso quest’ansia e ogni paura, non è semplice ma non impossibile.
Ho superato problemi ben peggiori, e ora come ora non posso permettermi d’abbassare la guardia per nessun motivo o lasciare che i nocivi sentimenti surclassino la mia volontà. Il prozio Ford ha ragione! Egli stesso si sta impegnando al massimo per migliorare le cose e ha piena fiducia in me malgrado mi conosca da non più d’alcuni mesi. E sono stufo di rimanere chiuso qui, inerme e abbandonato, in mezzo al nulla. Pensavo di essere rimasto solo ma, invece, mi sbagliavo, e non ho intenzione di perdere altre persone care –specialmente ora che l’ho ritrovato-. E lo stesso prozio potrà istruirmi maggiormente riguardo il demone, i suoi piani e su come sconfiggerlo, pare che la sua conoscenza sull’argomento sia molto vasta, lui ha perfino detto d’ aver avuto a che fare con quel demonio in passato, che fosse stato ingannato –immagino fosse sceso a patti con lui per chissà quale incomprensibile ragione, ma non mi sento in dovere di giudicarlo o di sospettare di lui. Ho potuto percepire i suoi sensi di colpa e la sua amarezza attraverso la scrittura precisa ma spigolosa che aveva usato, come se non fosse in grado di trovare le parole giuste e che gli fosse dispiaciuto avermi messo in mezzo alla questione –inconsapevole che io ci fossi già immischiato fino al collo, e più di chiunque altro-.
No, il tempo sta scorrendo e ne sto perdendo fin troppo!
Il suono delle lancette fantasma mi rimbomba nella testa, ne riesco a sentire i ticchettii, mi stanno facendo impazzire. È inutile che mi copra le orecchie con le mani giacché il rumore rimane lì, limpido e perfettamente udibile. Devo prendere una decisione alla svelta… Prima che prenda sonno. Prima che cada nella sua trappola, e che perda ogni opportunità di salvezza.
 
D.P.

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Capitolo 5
*** Verso l’ignoto; ***


Lo Scrutatore del Caos
 
. Verso l’ignoto
 
 
“Arrivato ai miei ultimi giorni, e spinto verso la follia dalle atroci banalità dell'esistenza che scavano come gocce d'acqua distillate dai torturatori sul corpo della vittima, cercai la salvezza nel meraviglioso rifugio del sonno.
Nei sogni trovai un poco della bellezza che avevo invano cercato nella vita e m'immersi in antichi giardini e boschi incantati.
Una volta che il vento era particolarmente dolce e profumato sentii il richiamo del sud e salpai languido, senza meta, sotto costellazioni ignote. „
 
(Citazione di Howard Phillips Lovecraft, da “Ex Oblivion”, 1921)
 
~  ~


Non avrei mai pensato che dormire, un’azione così naturale e spontanea, potesse divenire una delle più grandi fobie esistenziali. Guardando la mia indistinta figura su ciò che era stato uno specchio, una superficie riflettente logora e piena di macchie e polvere, non riconobbi me stesso. Gli occhi d’ un estraneo scrutavano i miei, la figura che mi si palesò davanti pareva provenire da un’altra galassia, in un primo istante pensai fosse uno di quei mostri ultra dimensionali ma, aggrottando maggiormente la vista, compresi che l’essere riflesso allo specchio non ero altro che io. Io che, come una parodia di me stesso, tentavo d’ imitare quel che ero sempre stato. Usurato dal tempo e dalla sofferenza, avevo perso ogni barlume di vita nello sguardo, e la mia pelle, dello stesso colore della polvere, pallida e grigiastra, pareva essere invecchiata prima del tempo, facendomi apparire come uno zombie. Un non morto in decomposizione che faticava persino a tenersi in piedi. Strisciando ad ogni passo, a mala pena, riuscii a raggiungere la sponda del letto, ossia la tomba dove pensavo di giacere fino alla fine dell’eternità.
Decretai infine che fosse giunto il momento di dormire, fu una decisione sofferta e combattuta. Qualcuno dei miei amici e parenti, se mi avesse visto in queste misere ma, al tempo stesso, paradossali condizioni, avrebbe certamente riso di me, conoscendo il ragazzo vispo e sveglio che ero solito essere, e che ora si dimostrava indeciso perfino nel prendere una decisione tanto semplice come dormire. Le opzioni a mia disposizione non erano molte e faticai non poco ad addormentarmi, continuavo a fissare il soffitto dipinto da ragnatele e fili di polvere che cadevano verso il basso somigliando a delle vecchie decorazioni di Halloween… Ah, da quanto tempo che non festeggiavo Halloween o qualunque altra festività. Strano come ogni cosa dapprima scontata ora fosse divenuta un sogno ad occhi aperti. Un sentimento di nostalgia prese possesso del mio cuore mentre rivivevo nella mia memoria quegli spensierati giorni che trascorsi con mia sorella, quando ancora eravamo anime innocenti e inconsapevoli del degrado del mondo. Mi preparai così a chiudere gli occhi e aspettare che il sonno prendesse possesso di me. Ero già pronto a vivere l’incubo più terribile della mia vita, a fronteggiare quel demone maligno, a dimenarmi e lottare per la sopravvivenza, invece… Qualcosa di diverso avvenne.
Per la prima volta dopo tanto tempo ho sognato, Morfeo ha avuto oggi pietà di me.
Ho sognato paesaggi sconfinati ricchi di fauna, flora e beltà, un luogo indefinito ma affascinante, diverso dagli scenari di tenebra che i miei occhi pigri e afflitti erano ormai abituati a vedere. Attraversando verdi e rigogliosi prati, un’aura di pace e armonia intinse il mio spirito in un abbraccio caldo e affettuoso, mi ritrovai in una valle incantata. Intorno a me volavano farfalle colorate e vivaci, il loro battito d’ali leggiadro carezzò la mia pelle provocandomi solletico, le mie infantili risa iniziarono ad echeggiare nell’aria. Il suono delle risate, sentirmi ridere, quanti mesi erano trascorsi dall’ultima volta che udii quel suono. Si trattava solo d’un sogno, ne ero ben consapevole, ma ciò mi permise di distrarmi e di portare la mente altrove permettendo al mio spirito di rilassarsi e percepire un minimo di felicità, anche se illusoria.  
Un ruscello, simile ad un sentiero d’acqua limpida e azzurrina, proseguiva il proprio cammino verso il vasto e infinito oceano dove, finalmente, avrebbe trovato la propria dimora di pace e quiete. Ogni elemento nel sogno, dagli alti alberi al brillante cielo, sembrava essere il risultato dell’ispirazione d’un abile pittore che, con mano esperta e aggraziata, aveva dipinto ogni dettaglio di questo paesaggio, io stesso facevo parte di codesto meraviglioso e idilliaco quadro.
 Forse avrei dovuto pensare che fosse un trucco, l’ennesimo inganno d’un demone beffardo e ingordo d’attenzioni, difatti il mio sguardo cauto, seppur incantato e incuriosito dalle meraviglie che scrutava di fronte a sé, non abbassò un attimo la guardia poiché l’inaspettato si sarebbe potuto presentare in ogni momento nella sua più totale crudeltà. Non avvenne nulla di tutto ciò. La pace continuò a regnare nel reame dei sogni. Il mio sonno proseguì tranquillo e ristoratore, ne fui talmente lieto che ringraziai il cielo.
Pensai che fosse merito del marchingegno ideato dal mio prozio, il cosiddetto Mind-Block. L’avevo indossato immediatamente dopo aver bruciato quella lettera e aver riflettuto abbastanza a lungo, arrivando alla conclusione che usarlo pareva essere l’alternativa più corretta e saggia da fare - considerando che non esistevano altre alternative-.
Cosa avevo da perdere ormai? Mi si era presentata un’opportunità e sarebbe stato sciocco non coglierla nonostante le problematiche che comportasse. Che le conseguenze si abbattano su di me! Non ho intenzione di arrendermi! Combatterò fino alla fine, malgrado la fine l’abbia già vista fin troppe volte negli occhi delle persone che mi circondano. La vita ha perso il proprio colore, è una tela spoglia e impiastrata di macchie di vernice scura e nauseante, come il veleno di un serpente che circola nel sangue portando l’organismo ad una morte istantanea e agonizzante. Ma un poco riesco ancora a scorgere la figura di quel malandato dipinto, e per ogni veleno esiste un antidoto, per questo ho deciso di combattere al fianco del mio prozio Ford. Illusione? Vane speranze? Probabile.
Non posso neppure mentire a me stesso dicendo di non aver paura perché ne ho, ne ho parecchia!
Il viaggio si prospetta arduo e ricco di difficoltà, non sapendo quello che mi aspetta e che genere di mostri mi ritroverò a fronteggiare, o se giungerò a casa di Ford sano e salvo. Incognita dopo incognita, lo scoprirò a mio rischio e pericolo.
Una nota positiva c’era, avevo finalmente dormito, oltre ad aver fatto un incantevole sogno, riprendendo molte delle energie che mi erano state sottratte. Non so quante ore siano passate, se già sia domani, non mi è dato conoscere nulla di tutto ciò, dovrei provare ad uscire per scoprirlo. Al solo pensiero di rivedere il mondo esterno, sensazioni contrastanti s’impossessano del mio corpo: eccitazione, ansia, curiosità, paura, gioia e malinconia. Ognuna di esse mi accompagnerà in quest’avventura inaspettata ma necessaria.
Per me non resta altro che preparare le valigie e incamminarmi verso l’ignoto.
Verso mondi sconosciuti e inesplorati, dimensioni parallele alla nostra, abitate da mostri insani e spietati che si nutrono della paura umana. Bestie fameliche e immortali arrivate qui a causa d’ un errore fatale, un’umana debolezza, dovrò essere forte e non ripetere gli stessi sbagli del mio prozio Stanford. Sento di avere una possibilità, qualcosa a cui aggrapparmi e, più di ogni altra cosa, di non essere solo in quest’impresa perché lui sarà con me.
Vorrei confidare queste mie emozioni, le mie consolazioni o illusorie gioie, a qualcuno, per ora posso solamente limitarmi a scrivere giacché nessuno deve essere a conoscenza dei piani del mio prozio Ford, della sua invenzione e di quel che si nasconde al di là della realtà nota. Potrei raccontarlo a Wendy ma non ne sono sicuro, non perché non mi fidi di lei, anzi, è una delle poche persone in cui riponga ogni fiducia e stima, ma non ho nessuna intenzione di metterla in ansia e farla preoccupare. Non posso neppure sparire nel nulla, senza alcuna spiegazione, le procurerebbe ancora più spavento vedermi scomparso senza aver lasciato alcuna traccia o lettera di delucidazioni. Potrei fare così: scriverle una lettera in modo da farle sapere che sono partito di mia spontanea volontà –senza però informarla riguardo le ricerche del prozio Ford, dubito anche che si conoscano di persona-. Almeno non penserà al peggio o che sia stato catturato da Cipher o da qualche altro manigoldo scellerato. Dovrò essere chiaro, convincente ma, al tempo stesso, vago e non far trapassare troppe informazioni, non penso comunque che lei rivelerebbe certi segreti a qualcuno, è una delle persone più affidabili della città e, sono sicuro, capirà il mio punto di vista.
Mi appresto ora a scrivere tale lettera Wendy, che le lascerò nella mia cassetta della posta che è solita controllare al posto mio ogni qualvolta mi viene a trovare.
Caro Diario –strano, non ti ho mai chiamato in questo modo- non so quando tornerò –e se tornerò- visto che partirò immediatamente dopo aver scritto la lettera, ma riflettere ancora su questa situazione mi porterà alla follia, quindi è meglio che io mi muova il prima possibile.
 
Addio…?
D.P.


 
 
* * *
 

Cara Wendy,
 
Sono Dipper, spero che troverai questa lettera, è di vitale importanza che tu la legga e che comprenda le scelte che ho dovuto fare, non è stato semplice neppure per me.
Non so proprio da dove cominciare, come farlo, è così difficile…
Avrai ben notato la mia assenza, non avendomi trovato nel mio luogo abituale, poiché sono partito, non posso parlarti della mia destinazione, ma ho fatto una scoperta incredibile –in senso positivo o negativo, non mi è dato ancora saperlo-. Purtroppo non posso rivelarti nemmeno quale sia questa scoperta pazzesca, dal momento che non voglio mettere in pericolo la tua vita, per questo me ne sono andato da solo, in compagnia solamente della mia paura e del mio coraggio che, in un modo o nell’altro, sono riuscito a ritrovare dopo macchinose riflessioni e spiacevoli tormenti interiori. Non so quanto tempo passerà dalla mia partenza a quando tu leggerai questo messaggio, non posseggo più orologi funzionanti e dovrò orientarmi basandomi sulla posizione del sole e delle costellazioni come gli antichi saggi usavano fare, o come mi hanno insegnato nei boyscout non troppi anni fa, quegli insegnamenti finalmente potranno rivelarsi utili.
Sono stanco di restarmene qui con le mani in mano senza far nulla, vorrei essere anche io d’aiuto alla comunità, nonostante sia consapevole che non esista una soluzione valida che possa fronteggiare la situazione complicata che stiamo vivendo. È l’ignoto il nostro principale nemico, qualcosa che noi esseri umani dalle menti limitate non possiamo apprendere. Bill Cipher rappresenta il mistero inconoscibile dello spazio cosmico inesplorato e interminabile. Così come sono senza fine i miei dubbi ma, non per questo, ho intenzione di dargliela vinta.  
Tu sei l’unica e la sola che sia in grado di capire i miei sentimenti, sei stata al mio fianco questi ultimi interminabili mesi, la gratitudine che provo verso di te è immensa. Forse anche per questo sono partito, desidero sdebitarmi con te, cercare un modo –sempre se esista- per migliorare le cose, una via d’uscita da questa agonia che la vita è diventata. Voglio provarci per te, per i cittadini di Gravity Falls, per mia sorella e per tutti coloro che stanno soffrendo o che in futuro dovranno patire le nostre medesime pene. Quel demone è al pari d’un morbo, è un cancro che si propaga nel tempo e nello spazio, infettando ogni vita e dimensione. Combatterò per il futuro o, almeno, potrò dire d’averci provato.
Mi sto dirigendo in un luogo dove forse potrò apprendere qualcosa in più riguardo al demone… Non posso dirti altro, vorrei tanto ma non posso. E, mi raccomando, non preoccuparti per me. Ti prometto che, appena avrò scoperto qualcosa d’interessante, tornerò qui e ti renderò partecipe delle mie ricerche, ammeto d’ avere immensi dubbi su tutto ciò ma fa il tifo per me.
Grazie mille per avermi supportato fino ad oggi, d’essermi stata accanto ogni giorno, sei l’unica amica che mi sia rimasta e la migliore che abbia mai avuto in tutta la vita.
 
Sii forte come sempre, ci rivedremmo prima di quanto pensi,
Dipper.


 
 
* * *


Un mondo diverso da quel che conoscevo, ciò che trovai appena varcai la porta di quella che era stata la mia casa fino a quel momento, sembrerebbe anche strano definire casa un bunker spoglio e inospitale. Mi parve tuttavia più confortevole del panorama catastrofico che trovai all’esterno.
La realtà, vista attraverso la visiera del Mind-Block, comparve completamente diversa e compromessa da come me la ricordavo.
Un brivido percorse ogni mio lembo di pelle non appena alzai lo sguardo in cielo, ammaliato e stupefatto da quel che vidi, ossia la pallida e tetra luna piena che splendeva sopra la mia testa. Essa era gigantesca e fantasmagorica, somigliava ad uno spettro, diversa dall’astro decantato dai poeti del passato. Addolorata e diafana come una sposa abbandonata sull’altare, osservava lo scadente spettacolo dell’esistenza umana che ben presto sarebbe giunta al suo termine.  Sotto al suo pallido sguardo m’incamminai verso il mistero, inconsapevole di ciò che avrei scoperto.
Le tenebre non resero affatto semplice la mia ricerca, ogni direzione mi sembrava quella sbagliata, il mio senso d’orientamento fu messo a dura prova. Come se vagassi per una città fantasma, non vi era alcuna traccia di vita intorno a me. Di vita, appunto, poiché quello che avrei incontrato da lì a poco sarebbe potuto essere definito in qualunque modo tranne che “vivo”, o “umano”. Sentii dei passi in lontananza di qualcuno che mi stava seguendo, non erano veri e propri passi visto che si trattava d’un suono viscido, strisciante, qualcosa che scivolava sul terreno, così velocizzai la mia marcia girando l’angolo in modo da depistare l’inseguitore. Le raccomandazioni del prozio Ford fecero breccia nel mio cervello ricordandomi che non dovevo fissarli a lungo ma, soprattutto, non dovevo provare una benché minima emozione negativa. In quel momento ero spaventato, confuso e interdetto, me ne resi conto troppo tardi, erano state proprio codeste sensazioni ad attirare la creatura. Terminai la mia corsa, continuando a sentire quei rivoltanti rumori sempre più vicini a me, strinsi i pugni e chiusi gli occhi, esalando un profondo respiro, e concentrai i miei pensieri su qualcosa di positivo e confortante. Con gli occhi della mente visualizzai il volto sorridente di Mabel, lei ed io che giocavamo sulla spiaggia lanciandoci gavettoni, ridendo e scherzando, e facevamo a gara su chi si tuffava per primo in acqua. Dopodiché apparve il rassicurante volto di Wendy, ridevamo prendendo in giro il prozio Stan, quelli sono stati i momenti più belli passati con lei durante questa estate. Rammentare questi ricordi mi provocò un senso di nostalgia, non tristezza o rammarico, nulla di negativo, mi resi conto che dovevo continuare a combattere per essi, oltre che per tutte quelle persone che avevano creduto in me. Il fastidioso rumore cessò improvvisamente. Pian piano riaprii gli occhi, tutto pareva essere tornato calmo e silenzioso come prima. La misteriosa creatura se ne era andata senza lasciare alcuna traccia di sé, come se fosse tutto avvenuto nella mia testa o come se avessi avuto delle allucinazioni uditive.
Dopo aver ripreso il controllo delle mie emozioni, tornai a percorrere il cammino che mi avrebbe condotto da Ford. Concentrandomi al massimo delle mie possibilità, raffigurai nella mente la mappa che il prozio mi aveva dato e che fui costretto a bruciare. Fortuna che avessi una memoria ben sviluppata, l’unica cosa che non mi confortava affatto era l’oscurità che regnava incontrastata. Non avevo nessuna torcia o fonte d’illuminazione a portata di mano, dunque dovevo affidarmi agli unici pali della luce funzionanti, oltre che alla pigra e bianca luce della luna che continuava ancora a scrutarmi dall’abissale e oscuro spazio cosmico. Imboccai la via che mi parve quella giusta quando successe qualcosa di strano, sentii dei rumori non troppo lontani da me, così tornai sui miei passi nascondendomi dietro a un bidone dei rifiuti. I miei occhi, oramai abituati alle tenebre, videro due uomini armati di fucile passeggiare verso una destinazione a me ignota, non volendo attirare la loro attenzione rimasi in silenzio e ben nascosto. Gli sguardi dei due uomini vennero attirati, però, da qualcos’altro, da qualcuno –o qualcosa- sbucato dal buio della notte. A causa dell’oscurità non fu per me facile definire i lineamenti di quella creatura, immaginai comunque che fosse mostruosa e disumana anche dai ruggiti abominevoli che accompagnarono la sua entrata in scena, tanto che mi tappai le orecchie e chiusi gli occhi immediatamente. Il prozio Ford mi aveva informato sul fatto che molti mostri fossero visibili ad occhio nudo anche senza l’ausilio del Mind-Block. Gli uomini caricarono i loro fucili, pronti ad attaccare la belva che continuava ad emettere dei suoni assordanti, pareva avere una bocca enorme da cui usciva della bava fluorescente dello stesso colore delle scorie radioattive, un verde luminescente, non ero sicuro però se quello fosse materiale esistente sul nostro pianeta –probabilmente no-. Inutile dire che le pallottole non scalfirono nemmeno un po’ la pelle di quel mostro che, tramite tentacoli uscitegli dalle fauci, afferrò uno degli uomini da entrambe le sue estremità tirandolo con brutale forza, si poterono udire le articolazioni e le membra dell’uomo strapparsi e stritolarsi, poi lo sbatté a terra finendolo del tutto. I gemiti del mostro si mischiarono alle urla di dolore di quel pover’uomo creando una melodia assordante d’atroce agonia. La vittima non riuscì a resistere un minuto di più dopo tutte quelle torture giacché morì prima che il mostro potesse sbranarlo, intanto l’altro uomo era rimasto paralizzato dalla paura, solo dopo incominciò a scappare ma venne braccato da un’altra entità maligna, togliendogli ogni possibilità di fuga, il suo fato era ormai segnato.
Io, non avendo intenzione di rimanere lì un minuto di più e, soprattutto, non volendo fare la loro medesima fine, gattonai silenziosamente verso un altro vicolo e dopo corsi, corsi più in fretta che potei finché non fui abbastanza lontano da fermarmi e riprendere fiato. Rievocai altre memorie rassicuranti della mia famiglia che mi permisero di tranquillizzarmi e recuperare un minimo di raziocinio. Dedussi con dispiacere che quella strada ormai fosse piena di mostri e pericolosa da percorrere. Ricordavo più o meno la direzione, dunque non dovevo fare altro che cercare un’altra via parallela a quella, magari più nascosta e deserta. M’incamminai nuovamente verso un altro ignoto sentiero. Quella sarebbe stata la notte più lunga e tortuosa della mia esistenza.
Ad un certo punto, dopo un immenso vagare, le strade iniziarono tutte ad assomigliarsi, il mio senso d’orientamento era ormai scomparso e potevo dire d’essermi completamente perduto. Il mio stesso sangue freddo incominciò a scaldarsi, iniziai a sudare, la paura mi circolava in tutto il corpo mentre immaginavo ogni sorta di paesaggio catastrofico e possibile fine che avrei fatto. In quell’istante mi definii spacciato, soprattutto a causa di alcuni suoni sospetti provenienti dall’oscurità più nera, sembrava più buio di prima, non sapevo se fosse effettivamente un’ora più tarda oppure se fossi io ad essere impressionato. Non mi sentivo affatto tranquillo e calmo in quella nefanda situazione. In seguito mi voltai e compresi bene perché il buio apparisse ancora più buio, difatti dietro di me vi era un mostro gigantesco, copriva ogni cosa con la sua abominevole ombra. Sbigottito e tremolante, feci diversi passi indietro preparandomi al peggio, speravo che almeno sarebbe stata una morte veloce e indolore. Gli stessi ruggiti, quelli che avevo già sentito prima quando quella bestia inter- dimensionale aveva frantumato le ossa di quell’uomo, venivano riprodotti dalla creatura qui presente. Essa possedeva dei denti affilati e abnormi, dalla sua bocca fuoriusciva un gas dalle sfumature violacee e dall’odore immondo, pensai che fosse veleno così, immediatamente, mi tappai il naso incominciando a tossire. La bestia infernale iniziò ad avvicinarsi minacciosamente a me, la sua stazza coprì l’intera visuale e non riuscii a vedere più nulla. Mi ero già definito condannato quando improvvisamente udii un rumore molto strano provenire dalla creatura, non era un boato, si trattava d’ un tonfo metallico, qualcosa d’indubbiamente artificiale e innaturale. Del fumo denso e bianco fuoriuscì dalla pancia del mostro, quelle nubi vennero accompagnate da una voce gracchiante di qualcuno che non riuscii a riconoscere dal momento che ero preso totalmente dal panico. Quella voce divenne più chiara e limpida, mi diceva di raggiungerlo e di salire a bordo, non compresi esattamente cosa significasse tutto ciò. Continuò a ripetermi di andare lì e di non avere paura, che non c’era tempo da perdere, non avendo altra scelta e considerando le pessime alternative che mi attendevano là fuori decisi di fidarmi e di “salire a bordo”, difatti c'era una botola, quindi dedussi che quella bestia non era altro che una macchina dalle fattezze mostruose. Una lampadina mi si accese proprio in quel momento, comprendendo chi fosse il misterioso individuo che mi aveva salvato, lo riconobbi già prima di vederlo in volto: il vecchio McGucket. Lo scemo del villaggio mi aveva appena tirato fuori dai guai! Egli mi parlò, «Hey, ragazzo… Ce ne hai messo di tempo per salire, eh…?» gracchiò con quella sua vocina stridula per poi rimettersi ai comandi, chiudendo la botola e blaterando, «Sei dentro la mia invenzione, sai come si dice, no?» si grattò il capo rimanendo in silenzio per alcuni secondi, la sua bocca era spalancata, «Non me lo ricordo come si dice!», il robot tremò e iniziò a muoversi, tanto che dovetti aggrapparmi alle pareti per non cadere, immaginai che tutte le rotelle che aveva nel cranio le avesse usate per edificare quest’ assurda macchina. Non avevo nemmeno il diritto di lamentarmi dato che era venuto in mio soccorso, e non avevo ancora detto una parola sull’accaduto né l’avevo ringraziato, «Uhm… Grazie per avermi salvato, già… Ma cosa ci fa qui e perché ha costruito questo gigantesco robot?», mi sedetti a terra perché i movimenti confusi e sbilanciati della vettura mi stavano facendo venire il mal di mare, «Mimetizzazione!» rispose e dopo fece una risata beffarda, azionando una leva, da un monitor era possibile vedere l’ambiente esterno circostante, ci stavamo dirigendo fuori città, lontano dal punto segnato dalla mappa dove doveva trovarsi la casa del prozio Stanford, «Ma dove stiamo andando, scusi…?» iniziai a provare un certo timore, perché non avevo idea se questo strano tipo avesse intenzioni buone o cattive, ed era considerato un pazzo già da prima che si abbattesse la catastrofe su Gravity Falls, continuò a dire cose senza senso come da copione, «Se non puoi batterli unisciti a loro, no? Ecco cosa diceva quel detto!» alzò l’indice in aria come fosse una bacchetta magica, intanto la foresta diventava sempre più fitta. «Di che cosa sta parlando…? Dove stiamo andando?», quasi urlai, la confusione mi annebbiò l’intelletto, iniziai a torturare le maniche della mia maglietta per il nervoso, «Non preoccuparti, ragazzo, quelle bestiacce viscide non ci raggiungeranno. Sei al sicuro qui.» in fondo aveva parlato di mimetizzazione, ed era proprio quel che aveva fatto, persino io l’avevo scambiato per un mostro reale, non che fossi così esperto di mostri, s’intende.
Gli risposi tornando al mio tono di voce pacato, «Ah, quindi può girare sicuro per la città senza essere attaccato da loro? È un carro armato quest’affare!» bussai sulla parete che emise un rumore metallico, emisi una risatina nervosa. Dalla bocca di McGucket uscirono dei gargarismi bizzarri, tossì alcune volte e dopo disse, «Esattamente, è come il cavallo di Troia… Anche se non è un cavallo! Nemmeno un carro armato, in realtà…» ridacchiai a quella sua considerazione anche se non aveva ancora risposto alla mia domanda precedente, ovvero: dove stavamo andando? Non ebbi il tempo di richiederglielo che parlò, «Ti sto portando da un vecchio amico, ah…Sì, sì…», egli annuì dando l’impressione che stesse parlando con se medesimo. Non compresi chi fosse il suo amico ma, senza alcun dubbio, ora mi sentivo meglio e lui era di certo una migliore compagnia rispetto a quelle creature aliene e terribili.
Successivamente il vecchio McGucket disse qualcosa che mi lasciò di stucco, «La cosa che stai indossando adesso, quella buffa visiera, è una sua invenzione!», i miei occhi si spalancarono e rimasi a bocca aperta. L’amico di cui parlava era il prozio Ford? Mille domande fecero capolino nella mia testa ma non riuscii a formularne nemmeno una.
Il robot continuò il proprio cammino percorrendo tutta la vegetazione esistente, qui non vi erano tracce di mostri o creature aliene né tanto meno di esseri umani, in fondo quelle bestie si nutrivano di paura, sarebbe strano trovarle in un luogo simile, morirebbero di fame, le uniche persone presenti qui eravamo noi due anche se io, grazie al Mind-Block, non potevo essere localizzato da loro, che fosse lo stesso per il vecchio McGucket? Come se mi avesse letto nella mente, spiegò, «Questo affare è circondando da un campo magnetico, siamo invisibili ai loro sensi, ah… Ci credono uno di loro, capisci?!» quasi urlò oscillando le braccia in tutte le direzioni, «Sì… Ma non sarebbe più semplice creare un esercito di robot e battere tutti i mostri?» chiesi con un infantile entusiasmo, apparendo abbastanza ingenuo, «No, non dispongono di armi queste macchine e poi sarebbero completamente inutili contro di loro. », mi aspettavo una risposta del genere e sono stato abbastanza stupido a chiederlo, ma ero particolarmente curioso, ho sempre trovato interessante la fantascienza, nonostante tutto, sembrava proprio di trovarsi all’interno di un film del genere!
Cambiai argomento, ponendo un’altra domanda, «Ma ti ha mandato il prozio Ford a salvarmi? Come sapeva che fossi in pericolo…?», lui poi mi guardò in modo strano, scrollando le spalle, «No! Passavo di lì per puro caso, in realtà…Sei stato fortunato, ragazzo…», ne rimasi un poco dispiaciuto, però sarebbe stato strano il contrario, e non avevo voglia di preoccuparmi, ora che stavo per incontrare il prozio Ford sentivo che nulla mi avrebbe più fermato. La speranza verso un avvenire migliore si stava man mano concretizzando, divenendo una tangibile realtà.
Per quel tempo indefinito in cui viaggiammo, rimasi a contemplare la fitta foresta, un paesaggio naturale affascinante e ancora rigoglioso, un mondo selvaggio e primordiale e, sorprendentemente, non ancora infettato dal morbo della follia.  Nemmeno la luna ora mi trasmetteva più inquietudine, anzi, l’avrei quasi considerata una compagna di viaggio, seppur eccentrica, sempre vigile e presente.
 

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Capitolo 6
*** Memorie; ***


Lo scrutatore del Caos
 

ⅤⅠ. Memorie
 
 
“Perché lavorate? Non potreste limitarvi a vivere ed essere contenti? E se vi affaticate solo per potervi affaticare di più, quando troverete la felicità? Voi dite di lavorare per vivere, ma la vita non è fatta di bellezza e canzoni? E se non sopportate fra di voi un cantore, dove vanno i frutti di tanto lavoro? Lavorare senza divertirsi è come fare un viaggio interminabile senza meta. Non sarebbe meglio morire? „
 
(Citazione di H. P. Lovecraft, da La Ricerca di Iranon.)
 
 
~  ~
 
 
L’estate quest’anno si sarebbe rivelata diversa dal solito per noi due gemelli.
L’avremmo trascorsa all’insegna della scoperta e di nuove avventure nella piccola cittadina di Gravity Falls dove viveva il nostro prozio Stan. Egli teneva un’attività particolare –per non dire di dubbia legalità considerando gli ideali che abbracciava ed i suoi trascorsi poco felici con la legge-. Scoprimmo ben presto, e con travolgente sorpresa, che fosse il gestore d’una trappola acchiappa turisti, chiamata “Mistery Shack”: il Regno del Mistero. La sua casa era una specie di museo degli orrori dove si potevano ammirare artefatti e oggetti misteriosi provenienti dai più enigmatici luoghi di Gravity Falls. In realtà la natura di tali manufatti non era affatto occulta, poiché erano comuni cianfrusaglie e oggetti vari dalla forma bizzarra, rielaborati da Stan allo scopo di renderli stravaganti. Il prozio metteva a punto una sorta di “Ready-Made” su qualunque cosa trovasse in giro, modificando e mescolando gli oggetti tra loro fino a che non ne creava di nuovi. Essi assumevano così un aspetto strambo e, appunto, oscuro oltre che un significato del tutto diverso dall’originario. Non che fosse un inventore, il suo talento artistico era ben altra cosa e toccava aspetti differenti dalle arti convenzionali però, senza alcun dubbio, possedeva una fantasia smisurata. La sua immaginazione sfrenata non si limitava solo a creare artefatti fasulli, difatti era un vero e proprio genio delle truffe- tale definizione non è da considerarsi per niente un eufemismo. Lui stesso si vantava della propria abilità in questo ambito, tanto che si faceva chiamare il mago indiscusso del raggiro. Tutti, stranamente, sembravano cascarci, ciò mi portò a dubitare delle capacità deduttive dei suoi clienti. Oppure, semplicemente, svolgeva bene il suo “lavoro”.
C’era però qualcos’altro che attirava i turisti qui, difatti non decidevano di trascorrere le vacanze in un posto simile solo per far visita al Mistery Shack. Le ragioni erano ben altre e le avrei scoperte da lì a poco. Era la stessa città ad emanare un’aura insolita e, al tempo stesso, paradossale. Ogni elemento appariva normale, ma spesso le cose non sono quel che sembrano. La realtà è come un iceberg che al di sotto della superfice del mare nasconde abissi di segreti e oscurità. Avevo avuto già da prima, mentre attraversavo il confine che separa il mondo reale da Gravity Falls, l’impressione che la stessa cittadina racchiudesse dei misteri e nascondesse un arcano segreto che nessuno però aveva il coraggio neppure di evocare alla mente. In quell’ attimo un brivido mi percorse la schiena ma credetti che fosse solo un colpo di freddo improvviso, ed ignorai la cosa fino a questo momento.
I cittadini, malgrado le loro bizzarre personalità, sembravano persone per bene. Loro apparivano del tutto ignari delle presunte stranezze che avvolgevano le loro vite. Forse ero solamente io colui che continuava a riempirsi la testa d’ inutili paranoie, elaborando le più assurde e stravaganti teorie su Gravity Falls degne del più folle cospiratore. Chissà, magari anche io, come tutti quei turisti, mi ero lasciato abbindolare dalle storielle fasulle del prozio Stan. La passione che avevo per la fantascienza e il sovrannaturale aveva avuto la meglio sulla mia razionalità, ispirandomi a tal punto da farmi illudere che qualcosa di straordinario e anomalo potesse esistere sul serio.
Il mio flusso di pensieri sconclusionato venne poi interrotto dalla voce stridula e pimpante di mia sorella. Ella mi stava chiamando da un pezzo dall’altra parte della sala, muovendo le sue braccia come due bandiere. Erano circa le 8:00 di mattina e tra mezzora il negozio avrebbe aperto. Stavamo facendo le consuete pulizie mattutine, io ero intento a spolverare uno scaffale su cui erano riposte delle fedeli –e inventate- riproduzioni di teschi di gnomo e alcuni barattoli contenenti dei denti di vampiro sotto vuoto. Non sapevo se stupirmi dal fatto che i loro prezzi fossero esorbitanti o dal fatto che queste ciarlatanerie andassero letteralmente a ruba. Forse questi erano gli unici reali misteri su cui dovevo interrogarmi.
Le penetranti urla della mia gemella si intensificarono, giacché le sentii veramente vicine alle mie orecchie. Infatti mi stava letteralmente strillando a pochi centimetri di distanza dall’ apparato uditivo, frantumandomi così i timpani, «Dipper!!! Sveglia! Hey!», dopo si perse in una delle sue solite buffe e allegre risate, mentre io mi stavo riprendendo dallo stupore, e raccogliendo lo spolverino che avevo distrattamente fatto cadere a terra. Sospirai afflosciando le braccia lungo i fianchi, «Sì, ci sono. Potevi però evitare di urlarmi nelle orecchie in quel modo!?», lei non si tolse quel sorrisino dalla faccia, anzi, mi diede una pacca sulla spalla, consolandomi –anche se in realtà si stava soltanto prendendo gioco di me-, «Ah, fratellino! Da ore che ti chiamo. Pensavo fossi diventato sordo così ho voluto verificare di persona.», alzò le spalle ridacchiando. I suoi comportamenti non mi erano certo nuovi, in fondo era mia sorella e la conoscevo meglio di chiunque altro, «Eri sul punto di riuscirci, povere mie orecchie.», tentai di apparire sarcastico eppure dal mugolio che uscì dalle mie labbra diedi l’impressione di essere allarmato.
Non mi ero nemmeno reso conto del tempo che passava, difatti fu il vocione dello zio Stan a ricordarci che tra cinque minuti avrebbe aperto le porte del negozio. Il tempo è denaro, aveva ribadito. Mia sorella non gli prestò attenzione e incominciò a parlarmi di tutt’altro argomento, «Lo sai che ho conosciuto un ragazzo molto simpatico? Al primo sguardo ho capito che eravamo fatti l’uno per l’altra.», lei unì le mani all’altezza del cuore assumendo l’espressione d’una sognatrice a tempo perso. I suoi occhi puntavano verso il soffitto come se il suo nuovo presunto fidanzato fosse appeso lì, il che mi fece scappare una piccola risata. Non avevo nessuna voglia di alimentare le sue illusioni visto che non era la prima volta che diceva di essersi innamorata ed aver trovato la sua anima gemella. Ero consapevole che il periodo pre-adolescenziale fosse pieno di dubbi e di stati emotivi alterati dunque, proprio per questa ragione, era necessario prestare la dovuta attenzione e non costruirsi castelli tra le nuvole destinati ad essere soffiati via dal vento della realtà.
Lei mi apparse più presa del solito da questo nuovo ragazzo, ciò quasi mi fece credere che fosse una cosa seria. Ma non dovevo giungere a conclusioni affrettate senza nemmeno conoscere questo ragazzo, essendo il fratello di Mabel era ovvio che provassi verso di lei un innato senso di protezione.
I clienti iniziarono ad affluire all’interno della struttura, ma Mabel aveva deciso di continuare a parlare di quel tipo, dicendo quanto fosse meraviglioso, simpatico, anche se un po’ timido e silenzioso, «Ah, Dipper! Dovresti proprio vederlo. È alto, affascinante. E così romantico!», emise una manciata di quei sospiri che di solito le ragazze fanno quando vedono qualcosa che fa battere loro il cuore. Un po’ come quelle persone che amano i gatti e quando ne vedono uno iniziano a parlare in falsetto producendo versetti isterici e per nulla comprensibili.
Cercai di farle presente che dovevamo metterci a lavorare, o lo zio Stan si sarebbe lamentato ma, in fondo, non eravamo incentivati da nessuno stipendio dunque una chiacchierata più lunga potevamo concedercela, nonostante l’argomento ragazzi non ispirasse molto la mia fantasia.
 «Il suo nome è Norman. Usciremo domani sera, sono troppo emozionata! Penso proprio che sia quello giusto!», mi mostrò addirittura una fotografia che raffigurava lei abbracciata ad un ragazzo, dedussi che fosse il Norman di cui parlava. Egli appariva alto, castano, la sua fisicità mi era difficile da dedurre dal momento che indossava una felpa veramente molto larga, era anche incappucciato e un ciuffo gli copriva un occhio anch’esso castano; sembrava essere circondato da un’aura misteriosa e cupa. C’era qualcosa in lui che non mi convinceva.
Tentai di dissuaderla da quel suo atteggiamento irrazionale. Ma in risposta ricevetti solo uno sguardo torbido, «Come fai a dirlo? Da quanto lo conosci? Da un giorno? Un’ora?», lei, del tutto contrariata, gonfiò le guance socchiudendo lo sguardo, «Ah, sii un po’ meno scontroso. Prova ad appoggiarmi una volta tanto.», allargò le braccia sbuffando talmente forte da sputarmi in faccia, così mi pulii con la manica la saliva del suo sputo, che si era attaccata al mio viso, disgustato risposi, «Ah, ti sto soltanto dicendo che dovresti tenere a freno gli ormoni, e di conoscere bene le persone prima di dire di esserne innamorata, e di girare meno film mentali in quella tua testa irrazionale!», lei posò le mani sui fianchi oscillando come quei pupazzi a molla che si attaccano al cruscotto dell’auto. Sembrava che stesse facendo roteare un ulaop intorno alla sua vita. Ma lei era solita assumere comportamenti carichi d’assurdo od esagerati –per non dire infantili-. Spesso i suoi modi risultavano talmente tanto teatrali che era difficile prenderla sul serio.
«Ma i tuoi discorsi sono irrazionali, sei veramente noioso quando fai così, Dipper! Secondo me dovresti lasciarti più andare e non pensare che tutto sia un complotto! Vivi la vita con più flow!», alzò le braccia e le spalle, scuotendo la testa, ma non smise di oscillare come un budino di gelatina, poi continuò con la sua solita vocina acuta, «Non dobbiamo mica sposarci domani… Cioè, non è detto. E ti ricordo che sei anche tu un adolescente. Nemmeno il prozio Stan è così paranoico. Ed è lui il vecchio, qui.», i suoi movimenti oscillatori per fortuna cessarono mentre il suo sguardo si fece più serio.  Presi una boccata d’aria e ribattei, «Lui è un caso a parte, e non si tratta di essere anziani, o di avere flow. Ma di essere prudenti! Ti sto solo dicendo di usare di più il cervello, e valutare le persone prima di costruirti tutti quei castelli in aria. La tua impulsività ti farà cacciare nei guai. In fondo quel Norman potrebbe essere benissimo un individuo poco raccomandabile, che ne sai tu?», mentre parlavo gesticolavo nervosamente. Lo sguardo di Mabel si fece duro e di ghiaccio, raro che il suo viso assumesse un’espressione simile. Perfino la sua voce uscì secca e dura dalle sue labbra asciutte, «Dipper, è quello che stai facendo anche tu, adesso. Stai supponendo come lui potrebbe essere. E non l’hai mai nemmeno visto in faccia.», oscillò una mano in aria come se dovesse mostrare qualcosa, anche se non c’era nulla da mostrare se non il suo scontento. Il mio ovviamente era solo un esempio, non stavo di certo supponendo nulla riguardo quel ragazzo, se fosse buono o cattivo. «Mi stai mettendo in bocca cose che non ho detto!», la indicai, e mi resi conto di stare alzando la voce un po’ troppo. Dei clienti che gironzolavano accanto a noi si erano addirittura voltati guardando nella nostra direzione allarmati. Successivamente uno di essi mi si avvicinò chiedendomi delle informazioni riguardo il tour del Mistero. Risposi con professionalità e chiarezza a tutte le sue domande, congedandomi poi con un cordiale sorriso e augurandogli una buona permanenza nel Regno del Mistero. Mi accorsi solamente dopo che nel frattempo mia sorella era sparita. Aveva approfittato della mia distrazione per darsela a gambe e non affrontare la conversazione da persona matura. Ma lei non era una persona matura, rammentai.
Per distrarmi decisi di continuare il lavoro dando spiegazioni ai clienti, accompagnandoli nelle sale del museo, improvvisandomi una guida turistica. Tutto quel che dicevo era inventato di sana pianta, ma in quel momento non mi importò molto di risultare un ciarlatano o un imbroglione. Pensavo solo a Mabel e alla sua reazione. Sospettavo d’averla offesa profondamente, soprattutto perché le ho urlato contro. E le persone mature dovrebbero discutere e non alzare la voce l’una sopra l’altra. Ma ormai non è più solo una questione di maturità, di non essere in grado d’accettare una critica o un parere contrario al proprio, è diventata una faccenda personale. Ammetto di aver agito con troppa severità.
Non era la prima volta che noi due avessimo una conversazione simile riguardo quest’argomento.
Era quasi una routine che Mabel si prendesse una cotta per qualcuno, dunque mi ero abituato a sentire i suoi discorsi rispetto al romanticismo e al colpo di fulmine. Ma il colpo di fulmine non può essere qualcosa di frequente, perderebbe anche il proprio senso se lo fosse. Lei continuava a ripetermi che io non capivo nulla perché non mi era mai successo. Iniziò a praticare su di me una psicologia inversa allo scopo di farmi credere che, visto che io non mi ero mai innamorato tramite un colpo di fulmine, non avevo il diritto d’ esporre nessun giudizio razionale e cosciente su questa tesi. Le mie deduzioni sarebbero apparse superficiali per via della mia mancanza d’ esperienza sul campo. Ma ciò non aveva alcun senso.
Una delle caratteristiche più rilevanti di mia sorella era proprio la testardaggine: se si metteva in testa qualcosa era difficile farle cambiare idea. Per me era come parlare al vento, sotto questo aspetto mi dimostravo testardo quanto lei poiché ero determinato a farle comprendere che essere un po’ più razionali e meno impulsivi non era tanto terribile, anzi, l’avrebbe aiutata a rendere la sua vita più semplice. In questo modo avrebbe smesso di correre dietro a ogni ragazzo, costruendosi illusioni di carta che l’avrebbero solo fatta soffrire. Alle mie critiche, con tutto ciò, continuava a rispondere in malo modo, accusandomi di parlare come un adulto e di essere noioso. Non mi stavo godendo gli anni migliori della vita, mi diceva. E io le ripetevo che non era affatto vero, che vivevo la mia esistenza in maniera equilibrata e sana. A volte si tappava addirittura le orecchie pur di non ascoltarmi. Tutto ciò non faceva altro che aumentare la mia frustrazione.
Oltre alla testardaggine vi era un’altra sua peculiarità che la rendeva una personalità fuori dal comune. Ella era un’inguaribile sognatrice. Non si poneva nessun ostacolo e tentava anche le soluzioni più improbabili e bislacche pur di raggiungere il proprio obbiettivo. Non ho mai conosciuto una persona con un’immaginazione abbondante come la sua –e il prozio Stan non conta poiché egli pur di guadagnare soldi farebbe di tutto ma, pensandoci bene, avrebbe senso pensare che Mabel avesse ereditato questo talento fantasioso proprio da lui.  
Il giorno dopo Mabel avrebbe avuto un appuntamento con quel tale, e io non sapevo cosa fare per riappacificarmi con lei. Forse dovevo solo dare tempo al tempo, aspettare qualche giorno che le acque torbide tornassero placide e navigabili. Continuava a guardarmi con quello sguardo duro e offeso da farmi sentire in colpa. Mi ignorò per tutta la mattinata.
Per passare il mio tempo decisi di fare una scampagnata all’aria aperta, ne approfittai per visitare meglio la zona intorno al Mistery Shack. Presi la mia telecamera e mi avventurai per la foresta di Gravity Falls, o ovunque mi portasse l’intuizione, in cerca di nuove emozioni e avventure.
Non mi aspettavo di trovare mostri o creature mitologiche o paranormali, magari qualche animale particolare o insetto raro. Quasi mi sentivo un documentarista con la telecamera in mano, uno di quelli che si vedono in televisione che affrontano la natura selvaggia e tutte le sue insidie. Non potevo dire di trovarmi in un film horror visto che era mezzogiorno e il sole splendeva alto nel cielo. I suoi raggi dorati attraversavano i rami e si specchiavano sulle foglie creando piccoli arcobaleni di luce gialla. L’atmosfera sembrava quasi quella d’un sogno, come se mi trovassi all’interno di una fiaba per bambini. Non mi sarei stupito di trovare gnomi o fatine, sarebbe stato molto bello. Scrutavo il mondo dinnanzi a me con l’occhio dell’obbiettivo. Zoomai su un alto ramo sui cui vi era uno scoiattolo che sgranocchiava una ghianda e mi guardava incuriosito. Dopodiché ne apparvero altri, le loro testoline sbucavano da dietro le chiome degli alberi o dei cespugli. Uno stormo d’uccelli blu poi volò via, diretti chissà dove. Sembrava si fossero accorti di me visto che fuggirono via spaventati. La mia presenza però non era tanto molesta, non avevo fatto alcun rumore, facevo attenzione ad ogni mio passo.
Dal fitto della foresta provenivano dei suoni ambigui e sospetti, proprio quelli che avevano preoccupato i volatili tanto da farli scappare. Curioso di scoprire di che cosa si trattasse, mi avvicinai lentamente con passo felpato e circospetto. Nascosto dietro un cespuglio, con ancora la telecamera in mano, iniziai a spiare quel che accadeva davanti a me. Dovetti trattenere un sussulto di sorpresa, e mi tappai la bocca con le mani, per quel che vidi. Trovai Norman. Il ragazzo di cui Mabel si era innamorata. Mi chiesi che diavolo ci faceva nei meandri più oscuri di una foresta. Rimasi inebetito.
Ebbi l’impressione che stesse parlando con qualcuno malgrado non ci fosse nessun altro lì con lui. Soffriva di un qualche disturbo psicofisico, ne ero certo. Forse i miei sospetti, anche se erano più che altro battutine provocatorie indirizzate a mia sorella, non erano così infondati. Fino ad ora non avevo mai veduto nessuno parlare da solo nel bel mezzo d’una foresta. A meno che non fosse una specie di ambientalista che parlava con gli alberi. Questa alternativa mi provocò una sensazione di disagio difficile da tollerare –preferii di gran lunga scartare questa ipotesi-. Dunque scrollai il capo togliendomi quell’assurdo pensiero dalla mente. Intanto quel ragazzo continuava a parlare da solo ma non avevo la più pallida idea di cosa stesse farneticando giacché lo spazio che ci separava era esteso e il terreno era ricoperto da rovi e piante. Come avevo fatto prima per osservare gli animali della foresta, utilizzai lo zoom della telecamera per inquadrare meglio l’ambiente circostante, magari avrei compreso le sue parole tentando di decifrare i movimenti delle sue labbra. Leggere il labiale non era una delle mie specialità, però potevo provarci.  Ma questa non si rivelò per niente una soluzione vincente.
In seguito Norman smise di parlare da solo e si allontanò sparendo poi al di là della fitta vegetazione. Il suo passo era lento e quasi innaturale, sembrava quello di una macchina, ma non di una macchina funzionante se non rotta e arrugginita. I suoi piedi strisciavano sul terreno, e le sue braccia sembravano essere sorrette da uno scheletro di cartone, sembrava dovesse spezzarsi da un momento all’altro. L’impressione che ebbi nel vederlo non sono in grado di spiegarla. I suoi movimenti parevano quelli di una persona passata a miglior vita e poi risorta. Erano i movimenti d’ uno zombie. Subito provai una sensazione d’inaspettato terrore e confusione, non perché credessi nell’esistenza dei non morti, ma iniziavo a pensare seriamente che quel ragazzo nascondesse qualcosa e fosse un tipo del tutto insano. Dopo aver costatato ciò me ne tornai a casa per rivelare a Mabel quel che avevo visto.
Giunto al Mistery Shack non ebbi il tempo di dare spiegazioni a mia sorella che mi ignorò, non avevo nessun dubbio sul fatto che mi avesse negato il saluto. Mi avvicinai a lei, afferrandole una spalla, «Mabel! Non fare finta di ignorarmi, vorrei parlarti!», lei si voltò donandomi un’espressione scocciata, come se l’avessi disturbata o non fossi degno di riceverla; il suo atteggiamento ricordava quello d’ una principessa che aveva ben altre faccende a cui prestare attenzione, invece di badare ai commenti sconclusionati di un servitore qualunque quale ero io. «Sì, Dipper?», posò le mani sui fianchi aspettando che io parlassi.
Lei conosceva già l’argomento della discussione, non c’era bisogno di girarci intorno, «Riguarda Norman, cioè… Non ho intenzione di dirti quel che devi o non devi fare, ma ho la sensazione che quel ragazzo nasconda qualcosa, questa mattina l’ho visto nel bosco, parlava da solo e si comportava in maniera singolare, per non dire sospetta, e…», lei posò il suo indice ossuto e magro sulle mie labbra, reprimendo le mie ultime parole, «Ancora con questa storia? E che ci facevi nel bosco? Non dirmi che lo stavi pedinando!?», fece cadere le braccia lungo i fianchi chiudendo le mani a pugno. Io, in tutta risposta, scrollai la testa mantenendo comunque un tono deciso ma inalterato, non volevo apparire arrabbiato o innervosito dai suoi atteggiamenti immaturi, «Stavo facendo una normale passeggiata quando l’ho visto per caso…», ma venni nuovamente interrotto, «E hai deciso di spiarlo, eh?», tentai di spiegarle che mi trovavo lì per sbaglio e ho accidentalmente assistito a quella particolare scena che lo riguardava: l’avevo veduto interagire con la vegetazione circostante senza un minimo di senso e scopo. I suoi atteggiamenti ricordavano quelli di una persona in preda alla follia, per non parlare del suo strano modo di camminare e muoversi. Quel ragazzo sembrava non aver nulla che ricordasse un essere umano sano.
Dopo averle raccontato la mia testimonianza, lei emise un profondo sospiro, difatti le mie parole non la scossero neppure un poco, anzi, sembrava ancora più curiosa di conoscerlo, di scoprire quel lato della personalità di Norman. Ciò non mi stupì per niente visto che mia sorella aveva un debole per le cose bizzarre, ella stessa era una ragazza eccentrica e definita “stramba”, forse, sotto questo punto di vista, Norman poteva rivelarsi sul serio l’anima gemella di Mabel.
Completamente sconfitto e amareggiato, me ne tornai in camera a leggere e scrivere qualcosa per distarmi un poco. Un lungo e asfissiante pomeriggio mi attendeva e non avevo concluso completamente niente. L’ultima cosa che sentii fu lo sbattere della porta, Mabel uscì di casa per andare all’appuntamento con Norman e io rimasi vinto e solo.
 
Il pomeriggio trascorse in maniera lenta e pigra senza Mabel, di solito svolgevano una miriade di attività insieme. Siamo sempre stati dei gemelli molto uniti e affiatati, riuscivamo a comprenderci a vicenda anche solo con uno sguardo. Il nostro legame è sempre stato profondo e unico nel suo genere. Ma, in fondo, non era nemmeno un mio dritto immischiarmi nella sua vita privata, né tanto meno farle delle stupide scenate come fossi un fidanzato geloso. Anche se lei avrebbe dovuto capire e ascoltarmi senza la necessità di alzare nessuna barriera comunicativa su di me come aveva fatto. Ora non dovevo fare altro che aspettare il suo ritorno così mi sarei scusato e avremmo chiarito questo disguido comunicativo.
Le ore passavano e ancora Mabel non faceva ritorno a casa, forse mi stavo facendo prendere un po’ troppo dall’ansia come mio solito e immaginavo le più improbabili catastrofi quando non ce ne era affatto bisogno. Decisi, quindi, per distrarmi da questi pensieri pessimistici, di andare a vedere la TV giù di sotto in salone in compagnia del prozio Stan. In televisione stavano dando Duck-Detective, uno dei nostri show preferiti. Eravamo soliti guardarlo tutti insieme, ma oggi sarebbe stato diverso.
L’orologio segnava le undici di sera e Mabel ancora non si era fatta viva, e nemmeno aveva mandato un messaggio o fatto una chiamata per avvertirci del suo ritardo. Tra le tante cose, mi accorsi che fuori stava piovendo, strano che non me ne accorsi prima; la mia mente era talmente distratta da non reagire nemmeno ai fenomeni esterni o a quello che capitava intorno a me. Per questo decisi di andare a cercarla, montai in sella alla mia bicicletta e pedalai verso una destinazione ignota. In realtà non avevo idea di dove dirigermi o dove cercarli, immaginavo si trovassero da qualche parte in città, in un ristorante o in un locale a cena. Non mi era dato sapere il posto preciso né la via da percorrere. Giravo completamente alla cieca e, sotto la pioggia, era difficile orientarsi e mantenere il mezzo in equilibrio senza rischiare di scivolare sulla stradina bagnata. Ad un certo punto sentii dei suoni molto forti provenienti dalla foresta, inizialmente pensai che fossero dei tuoni –anche se non avevo visto lampi o bagliori-, ma erano dei suoni sospetti e difficili da descrivere, allora decisi di seguirli malgrado fosse rischioso. Perdersi nel bosco con questo tempaccio non era una delle alternative più magnifiche del mondo, le probabilità di smarrirsi erano altissime.
La foresta appariva tetra e surreale, non sembrava la stessa che avevo varcato questa mattina. Pedalai ancora più veloce urlando invano il nome di Mabel come se fossi sicuro di trovarla nei paraggi. Come se avessi una sorta di sesto senso che mi guidava, giunsi fino ad una sorta di radura dove non c’era assolutamente nulla. Solamente dopo mi resi conto che quello era lo stesso posto dove stamane avevo visto Norman. Dunque avevo percorso lo stesso identico tragitto.
Decisi di parcheggiare lì la mia bicicletta, giacché era un luogo che più o meno conoscevo avrei rammentato dove ritrovarla. Così m’incamminai verso l’ignoto seguendo principalmente il mio istinto. La pioggia non batteva forte poiché il suo flusso veniva deviato dalla fitta vegetazione, le foglie fungevano da piccoli ombrelli che mi riparavano dalle intemperie climatiche. Sembrava come trovarsi sotto ad una tettoia naturale.
Dopo aver camminato per non so quanto tempo mi sentii chiamare, era più che altro un sussurro che invocava il mio nome. Guardai in ogni direzione in cerca del destinatario di quella voce finché non riconobbi mia sorella che si era nascosta all’interno d’un tronco d’albero aperto, ricoperto di rami e foglie. Corsi subito da lei che mi fece cenno di entrare all’interno dell’albero cavo.
Nel momento in cui entrai compresi che qualcosa di terribile le era successo: la trovai sconvolta, confusa e in lacrime. Non potevo immaginare lontanamente quel che le era accaduto, nemmeno sforzandomi con tutta la buona volontà avrei mai potuto concepire qualcosa di tanto assurdo. Si trattava di qualcosa al di fuori della mia concezione e visione del mondo.
Tornati a casa lei non mi parlò e se ne andò subito a letto. Era fin troppo abbattuta da riuscire a concepire anche una sola frase sensata. Non ebbi il coraggio di chiederle nessuna spiegazione a proposito del suo appuntamento né che fine avesse fatto Norman.
Una cosa mi lasciò del tutto stupito, ossia le uniche frasi che pronunciò appena mi vide venire in suo soccorso. Mabel continuava a ripetermi: “Portami in salvo, per favore. Prima che loro tornino, portami via da qui”. Queste parole sconnesse erano state accompagnate da un tono di voce spaventato e attonito, e da uno sguardo completamente sfatto e terrorizzato. Come se avesse visto un fantasma, o un mostro spaventoso. Non riconoscevo più mia sorella perché da quel giorno cambiò in maniera radicale. La Mabel che conoscevo era completamente scomparsa e non l’avrei più rivista se non nei miei sogni.
Mi interrogai a lungo su quelle misteriose parole visto che erano state le uniche che aveva rivelato da quando l’avevo trovata nel bosco infreddolita e impaurita. Dentro di me provavo un’infinità di emozioni diverse tra loro tra cui rabbia, dolore, un sentimento di impotenza inaudito misto ad un senso di colpa per non essere riuscito ad aiutarla prima, o a dissuaderla ad andare a quell’appuntamento. Non so cosa quel Norman le abbia fatto o mostrato per terrorizzarla così, ma io stesso sentivo di esserne colpevole per non aver indagato abbastanza sul suo conto. Ma era decisamente troppo tardi per piangersi addosso e, senza conoscere neppure il motivo del suo stato sofferente, sarebbe stato difficile risolvere la faccenda. L’unica cosa che avevo dedotto, ricordando le parole da lei pronunciate, era che un gruppo di persone voleva farle del male. A quel punto la mia mente incominciò a vagare tra angoscianti pensieri, pensando che fosse stata aggredita da un gruppo di brutti ceffi, probabilmente l’avevano attirata con l’inganno. Ma in quel momento non avevo il coraggio necessario di pensare cosa le avessero fatto poiché la mia rabbia sarebbe esplosa e sarei uscito di senno.
Il prozio Stan era andato a letto da un pezzo, decisi di non svegliarlo per non metterlo in ansia, vedere Mabel in quelle condizioni l’avrebbe reso nervoso e, conoscendolo, non ci avrebbe pensato due volte ad andare in quella foresta in piena notte in cerca di quei loschi individui per conciarli per le feste. Era meglio rimandare la faccenda al giorno successivo, dopo aver sentito le spiegazioni di Mabel in merito all’accaduto. Malgrado fossi nervoso e arrabbiato non avevo intenzione di rendere le cose più difficili. Domani, insieme e con più calma, avremmo meditato sulla questione e riflettuto sul da farsi contattando anche la polizia se fosse stato necessario.
Però, prima di andare a letto, la mia attenzione venne attirata da un oggetto che fuorusciva dallo zaino di Mabel, lasciato a terra accanto al suo letto. Avvicinandomi per scrutare meglio di cosa si trattasse, notai che era solo un libro, un diario, per l’esattezza. Era un diario molto strano e sembrava particolarmente vecchio. Mi colpì la sua rilegatura e il disegno stampato sulla copertina: una mano a sei dita che ricordava vagamente la mano di Fatima ma ciò era solo frutto della mia suggestione. Su questo simbolo vi era riportato il numero 2 –ciò mi fece intendere che fosse il secondo di non so quanti altri-. Non avevo mai visto mia sorella leggere questo libro, neanche sapevo che lo possedesse. Forse era semplicemente il suo diario segreto e non avevo nessun diritto di sfogliarlo.
Senza perdere altro tempo, me ne andai a dormire, consapevole che domani sarebbe stata una giornata pesante e piena di faccende complicate sulle quali riflettere.
 
La mattina dopo mi alzai prima di tutti gli altri, ammetto di non essere riuscito a dormire un granché bene, ho addirittura avuto degli incubi ma non ricordo nessun dettaglio riguardo essi.
Mabel era ancora rannicchiata sotto le coperte e sembrava tranquilla, ne fui lieto. Speravo che il sonno l’avesse rinvigorita, permettendole di recuperare le energie perse ieri sera. Essendo molto presto decisi di svolgere un po’ di faccende domestiche e di preparare la colazione per tutti, questo mi aiutò a distrarmi, la mia mente ancora vagava verso imprecisati e oscuri pensieri. Successivamente, udii dei passi pesanti provenire dalle scale, immaginai fosse il prozio Stan, non l’avevo riconosciuto solo dai suoi movimenti pachidermici ma dai grugniti che ogni mattina emetteva, il risveglio non era mai lieto per nessuno. Rimase alquanto sorpreso di trovare la tavola imbandita e la colazione pronta, non ci pensò due volte a tuffarsi sul buffet e gustare i piatti che avevo preparato. Mabel si trovava ancora tra le braccia di Morfeo, non ero sicuro se svegliarla o meno, però andai a controllare che stesse bene e che dormisse serena come prima. Gli avvertimenti di cui mi aveva parlato ieri riaffiorarono nella mia memoria: se qualcuno fosse stato sulle sue tracce sarebbe stato mio dovere proteggerla e non lasciarla sola, soprattutto durante il sonno quando la mente e il corpo si trovano in uno stato d’ invulnerabilità. Entrato nella camera che condividevamo, fui felice di vederla ancora dormire nel medesimo modo di prima; appariva così calma e innocente che, per un momento, dimenticai tutte le preoccupazioni che mi assillavano. Durante il sonno si muoveva fiocamente, i suoi respiri erano regolari e flebili, e il mio sguardo incantato da quella visione non si mosse dalla sua figura dormiente. Per svegliarla, la chiamai dolcemente per nome scrollando piano la sua spalla. In risposta borbottò di voler dormire per altri cinque minuti, quella era la Mabel che conoscevo. Mi illusi che tutto fosse tornato alla normalità, ma dovevo ancora venire a conoscenza della verità che nascondeva il suo volto calmo e affabile. Una maschera di quiete e spensieratezza che ingannava il mio sguardo, abituato da sempre a rimanere vigile e attento in ogni circostanza.
Mabel abbandonò il mondo dei sogni e rimase a contemplare il mio volto come mai l’avevo vista fare prima. Sembrava persa tra i propri pensieri, non mi stava vedendo sul serio, la sua mente vagava verso mondi a me sconosciuti. «Mabel?», la chiamai sventolando la mia mano davanti al suo volto in modo da attirarne l’attenzione, «Oh, Dipper… Ciao…», la sua espressione era la medesima, distante e contemplativa, non vi era nessuna sfumatura interrogativa nella sua voce ma parve stupita di vedermi. Come se non mi avesse riconosciuto e volesse domandarmi se io fossi realmente suo fratello.
«Stai bene? È ora di alzarsi, dormigliona!», chiusi le mani a pugno parlando con un tono di voce frizzante e allegro come lei spesso faceva con me. La sua reazione non fu quella che mi aspettavo, mi accontentai, «Uhm… Sì, penso di sì.», non mi disse null’altro. Avevo la sensazione che non volesse confidarsi con me di quel che le era accaduto ieri. Non avevo idea di come introdurre l’argomento, non era mia intenzione forzarla o farle rievocare brutti ricordi. In fondo si era appena svegliata ed era normale essere un poco storditi e insonnoliti di prima mattina. «Ho preparato la colazione, i pancakes che tanto piacciono a te. Quindi è meglio che ti dia una mossa se non vuoi che il prozio Stan se li pappi tutti quanti!», dissi con quel tono gioioso che avevo deciso di adottare, dopo mi diressi verso la porta, per poi sentirmi tirare nella direzione opposta. Mabel aveva afferrato il lembo della mia maglietta, «No, non andare, per favore. Non voglio stare qui da sola…», mi guardò con uno sguardo illuminato di una luce malsana, pieno di spavento, la sua stessa voce era roca e tremolante. Mi voltai e mi sedetti sulla sponda del suo letto, «Ehm… Ok, è successo qualcosa? Ieri sembravi stravolta…», pensavo che fosse arrivato il momento giusto per introdurre l’argomento. Si mise a giocherellare con il lenzuolo guardando in basso, mugolando, in cerca delle parole giuste da utilizzare. Evidentemente era difficile anche per lei parlarne, «Beh… Tu credi nel paranormale, Dipper?», i miei occhi si spalancarono e balbettai qualcosa di incomprensibile. Qualunque genere di domanda mi aspettavo tranne che questa. Che Mabel avesse vissuto un avvenimento soprannaturale nella foresta? Trovandomi in una città come Gravity Falls questa teoria non mi apparve così folle e infondata e mi ritrovai incuriosito. Alla sua domanda io annuii, senza dire nient’altro, le feci un altro cenno con il capo esortandola a continuare, «Avevi ragione tu, Norman non era affatto la persona che pensavo… Si è rivelato essere tutt’altro…», la interruppi, «Eh? Davvero? Oh, mio Dio. È colpa sua allora… Quel…», poi tornai ad ascoltarla, borbottando il resto della frase tra i denti, «Sinceramente non so come sia successo. Tutto mi sembrava così perfetto, fin troppo da poter essere reale. Sono stata una vera sciocca e ti ho anche trattato male, mi dispiace molto…», mi confessò dispiaciuta, non c’era nessun motivo di scusarsi visto che io stesso desideravo chiederle perdono per primo.
I fatti che Mabel visse in quella foresta ieri notte erano degni di qualunque film dell’orrore tanto che credetti mi stesse raccontando la trama di una pellicola di Sam Raimi. All’inizio ebbi difficoltà nel seguire il suo discorso poiché mi parve fin troppo assurdo e irreale da poter essere definito veritiero. Superava di gran lunga le mie fantasie –e quelle erano già abbastanza catastrofiche e stravaganti-.
Come avevo previsto, Norman non era una persona come tutte le altre dal momento che pareva non essere nemmeno umano. Mia sorella lo descrisse come “un gruppo di gnomi mascherati da adolescente”. Stentai a credere ad un’idea tanto strampalata, mi sembrò fin troppo pazzesca anche per una cittadina misteriosa come Gravity Falls. Eppure non sembrava che mia sorella stesse mentendo, il trauma che aveva subito era concreto come la paura che ieri le avevo letto nello sguardo. Quella notte, grazie anche al favore delle tenebre e della tempesta battente, Mabel era riuscita a nascondersi e a pedinare i suoi aggressori –di qualunque entità si trattassero-. Essi infatti le avevano proposto di diventare la loro regina e di sposarli –il che mi provocò un sentimento di disagio indescrivibile e rimasi scioccato più di prima.
Lei, ovviamente, rifiutò la loro proposta ma, non accettando un no come risposta, i cosiddetti gnomi decisero di usare le maniere forti minacciandola e seguendola per tutto il bosco. Lei corse per la fitta vegetazione in cerca di una via d’uscita finché non scoprì un albero cavo dove rintanarsi. Al suo interno trovò uno strano diario, per quale motivo si trovasse lì era un mistero. Fatto sta che Mabel rimase nascosta all’interno dell’albero fino al mio inaspettato arrivo.
In lontananza, mentre Mabel era ancora nascosta, era in grado d’ udire le urla degli gnomi iracondi che le giuravano di tornare a prenderla e renderla la loro regina. Ecco spiegato il significato di quelle frasi sconnesse che ad un primo approccio sembravano non avere nessuno senso, anche se, considerando la situazione, continuavano a non averne poiché si trattava di una storia fin troppo fuori dal normale.
Io stesso mi ritrovai spaesato e attonito da questo racconto che oltrepassava i confini della realtà –e forse anche dell’irrealtà-. Mia sorella ha sempre posseduto un’immaginazione florida e vivace, tant’è che pensai si fosse inventata tutto. Non credevo mi avesse mentito o si stesse prendendo gioco di me, non in questa occasione, almeno, credetti che avesse avuto delle allucinazioni visive. La mia mente incominciò a razionalizzare l’evento tentando di trovare una soluzione logica a tutto ciò. Non esistevano prove tangibili dell’esistenza degli gnomi –e le cianfrusaglie che vendeva il prozio Stan non erano reali oggetti magici-. Non confessai a Mabel il mio scetticismo perché lei si fidava di me e aveva bisogno di una spalla su cui piangere e le avevo promesso che l’avrei aiutata a sconfiggere quei mostri, e l’avrei protetta anche a costo della mia stessa vita, il che era la verità. Se esisteva qualcuno là fuori intenzionato a fare del male a mia sorella se la sarebbe vista con me.
Giunsi alla conclusione che Mabel fosse stata ingannata da Norman e attirata verso il bosco dove nessuno li avrebbe trovati e scoperti. Con qualche sotterfugio le avrà fatto ingurgitare qualche sostanza allucinogena in modo da renderla mansueta. Saranno poi giunti suoi amici ma, fortunatamente, lei è riuscita a fuggire in tempo. Forse quegli individui erano talmente bassi da poter essere confusi con degli gnomi, oppure si saranno finti tali per confonderla, aiutati anche dal fatto che lei avesse assunto delle droghe, rendendole in questo modo difficile distinguere la realtà dalle illusioni ottiche. Un sentimento di nausea prese possesso del mio corpo al solo pensiero di ciò che avrebbero potuto farle ma, per fortuna, non sembrava aver subito lesioni o ferite.
Questa fu la teoria più logica che mi venne in mente rispetto a ciò che le era successo, la mia mente si rifiutava categoricamente di credere alla storia degli gnomi travestiti da adolescente.
Mi disse anche d’aver avuto degli incubi questa notte, ma non era in grado di definire quei sogni poiché le sensazioni che le avevano evocato erano particolari, quasi fossero emozioni da lei mai sperimentate prima. Quegli incubi le erano parsi più reali del reale, per questo non era sicura se la parola “sogno” fosse esatta, oppure erano dei semplici sogni lucidi dove una persona ha il pieno controllo dell’esperienza onirica e manovra il sogno a suo piacimento. Ma non ci pronunciammo troppo su questo dettaglio visto che non lo ritenemmo importante ai fini della risoluzione del problema “gnomico”.
Questo è tutto ciò che Mabel mi raccontò riguardo quella disavventura nel bosco, neanche quel ragazzo, Norman, si era fatto più vedere, e lei sembrava essersi ripresa e, pian piano, stava tornando la ragazza allegra e vivace di sempre. Il suo sguardo era però ancora oscurato da un’ombra di preoccupazione, nella sua mente continuava ad udire gli avvertimenti che quei malintenzionati le avevano lanciato. Avevo la sensazione che questa fosse solo la suddetta quiete dopo la tempesta e i problemi grossi sarebbero dovuti ancora arrivare. Oltre a questo, ella di rado si allontanava dal Mistery Shack, di solito mi chiedeva di accompagnarla, soprattutto quando aveva necessità di dirigersi in luoghi deserti o fuori dall’area sicura di casa; ciò era molto strano dal momento che lei era sempre stata una ragazza curiosa e piena d’iniziativa. Nella sua mente si annidava un trauma che sarebbe stato difficile cancellare.
Il pomeriggio dopo quell’avvenimento avevamo fatto rapporto alla polizia raccontando loro ogni dettaglio sulla questione, parlandogli anche di Norman. Quei due strambi poliziotti ci risposero di non essere la CIA o l’FBI e che nessun cittadino corrispondeva a quella descrizione. Non c’erano stati altri casi simili, anzi, nell’ultimo periodo aveva regnato una pace quasi innaturale e sospetta su questa città. Setacciarono anche il bosco e interrogarono alcuni abitanti della zona, ma nessuno aveva assistito a nulla di scandaloso o fuori dal normale.
Dopo questo deludente approccio con le autorità, la frustrazione di Mabel sembrava essersi amplificata, ma lei aveva deciso di non mollare nella ricerca dei colpevoli. Ma seguitava ad impuntarsi sulla storia degli gnomi, allora le rivelai la mia personale idea, come mi ero immaginato fossero andate realmente le cose, che quelli erano solo loschi individui e non veri gnomi.
Averle raccontato quel che pensavo davvero di tutta questa faccenda la rese ancora più paranoica, mi disse che lei non aveva affatto mentito su quegli esserini che l’avevano aggredita e minacciata. Il mio scetticismo l’innervosì ulteriormente tanto che decise di chiudere la conversazione prima di rischiare di cadere in preda alla collera. In realtà ero stato io ad illuderla fin dall’inizio, annuendo ad ogni suo discorso fantastico e facendola sentire una povera sciocca. Però non avrei mai potuto credere ad una storia simile. Qualunque essere umano dotato di raziocinio avrebbe storto il naso nell’ascoltare una vicenda così surreale.
Per di più i suoi incubi sembravano essere peggiorati tanto che, pur di non addormentarsi, aveva cominciato a bere una quantità industriale di caffè, si teneva sveglia con ogni mezzo.
Le uniche cose che rammentava dei suoi sogni erano figure indistinte e psicodeliche, entità poco riconducibili al mondo umano poiché sognava paesaggi surrealisti, figure geometriche complesse o semplici, oppure sognava di nuotare nello spazio sconfinato come fosse una sorta d’astronauta onirica. Sentiva addirittura delle voci che la chiamavano, le stesse dei suoi assalitori che le rammentavano che, prima o poi, sarebbero venuti a catturarla e renderla la loro regina. Altre voci echeggiavano il suo nome o si sovrapponevano fra di loro fino a creare panorami sonori inquietanti e sinistri. Oltre al fatto che passava la notte a sfogliare le pagine di quello strano diario come fosse una sorta di confidente, malgrado non scrivesse nulla al suo interno, si limitava a leggicchiarlo e guardare le figure. Mabel non era mai stata un’assidua lettrice di romanzi a causa del suo basso livello di concentrazione, non era per nulla portata per certe attività intellettuali, al massimo leggeva riviste o fumetti, volumi che non richiedevano un così grande sforzo mentale. Era la prima volta che la vedevo così presa dalla lettura d’un libro, tanto che le domandai di cosa si trattava e se voleva condividere con me le sue idee e riflessioni riguardo quegli argomenti. Tentava sempre di raggirare le mie domande dicendo che non stava realmente leggendo quel diario, lo sfogliava e ne osservava le figure senza soffermarsi troppo sul significato delle immagini o delle parole. Non sapeva perché lo facesse, non provava un vero e proprio interesse nei confronti di quel volume.
“È come se quel diario leggesse me, non il contrario”, mi aveva confessato, “come se scrutasse all’interno della mia anima e fosse in grado di percepire ogni mio pensiero ed emozione. Ciò mi inquieta ma, al tempo stesso, mi affascina a tal punto da non riuscire a scollare lo sguardo da esso”.
Su di lei quel diario aveva come un effetto ipnotico, quasi sovrannaturale. Il suo stesso tono di voce era distante ed enigmatico ogni volta che accennava ai suoi effetti su di lei.
A quel punto la mia curiosità divenne talmente grande da non poter resistere: dovevo leggere quel diario e scoprire il motivo per cui Mabel ne fosse tanto suggestionata.
Approfittando di un suo momento di distrazione, non volevo farmi scoprire e dubitavo me lo avrebbe lasciato sfogliare liberamente, raccolsi il misterioso volume dalla sua scrivania incominciando a leggere. Rimasi a dir poco sorpreso perché non avevo mai visto nulla di simile. Al suo interno vi erano riportate descrizioni accurate, oltre che una notevole raccolta di disegni e foto, di creature straordinarie. Alcune di esse evocavano miti e leggende delle più svariate culture popolari terrestri, come vampiri e lupi mannari, mentre altre di quelle creature mi furono del tutto nuove. Ogni cosa mi comparse così interessante e sorprendente che non potei fare a meno di continuare a leggere, la mia sete di conoscenza su quel mondo ignoto e di mistero era incontentabile. Ogni pagina descriveva con una minuziosità quasi maniacale creature che nessuno avrebbe mai immaginato potessero esistere al mondo. E alcune di esse erano parecchio strane, sembravano delle vere e proprie figure geometriche, le stesse che Mabel aveva visto in sogno. Forse era stata influenzata a tal punto da queste illustrazioni da fare apparire tali mostri nei propri sogni.
Nel manoscritto vi erano riportate addirittura formule esoteriche in grado di evocare entità ultra dimensionali che abitavano lo spazio cosmico inesplorato. Molte delle parole riportate lì appartenevano a una lingua arcaica sconosciuta ai terrestri.
Quel diario sembrava essere una vera e propria enciclopedia del mistero, era scritto interamente a mano, dunque quella doveva essere l’unica copia esistente. Pareva che l’autore avesse realmente avuto a che fare con gli esseri descritti, non compresi se fosse tutto frutto della sua fantasia o se esistesse un fondo di verità a queste storie.
All’improvviso, una voce squillante mi fece sobbalzare, era quella di mia sorella che mi aveva beccato a leggere il suo diario. Non la prese per niente bene, anzi, era sconvolta. Forse non dovevo leggerlo senza il suo permesso, dunque lo riposai sulla scrivania scusandomi con lei. Nel suo volto permaneva quell’espressione di fastidio misto a sconcerto che mi provocò un imbarazzo inspiegabile. Nemmeno avessi letto il suo personale diario segreto. Però non mi disse nulla, neppure una parola, anche se quello sguardo mi aveva comunicato in una maniera molto eloquente il suo pensiero di disapprovazione, e che non avrei dovuto leggere di nascosto nulla di quel che c’era scritto lì sopra. Il suo comportamento, man mano che passavano i giorni, peggiorò in una maniera irreversibile. Durante la notte dormiva veramente molto poco, alcune volte l’avevo sentita parlare da sola o con chissà quale entità invisibile in una lingua straniera mai udita prima; dalla sua bocca fuoriuscivano versi senza significato, del tutto inventati e che mi inquietarono parecchio.
Non mi confessò nulla riguardo i suoi pensieri, mi aveva detto che non l’avrei capita e che avrei giustificato qualunque cosa lei avesse detto con il mio solito modo di fare del “so tutto io”. Ogni fiducia che riponeva in me era stata perduta per sempre.
 
 
Era passata circa una settimana da quell’avvenimento e dal cambiamento radicale di mia sorella.
Mentre mettevo in ordine la nostra stanza, notai dei fogli sparsi in giro, sembrava fosse passato un ciclone di volantini dalla finestra e li avesse sparsi per tutta la camera. I fogli erano tutti gettati sulla scrivania e sul letto di Mabel, dunque era lei l’artefice del misfatto, nessun altro abitava questa camera oltre a noi. Su quei fogli erano raffigurate le più svariate immagini: triangoli di diverso tipo; degli occhi aventi delle orbite scure e vuote; linee rette, a zig zag o ondulate; numeri e codici incomprensibile; e delle vere e proprie frasi scritte al contrario che non avevano nessun senso logico poiché rimandavano alla solita lingua a me sconosciuta. Tutto ciò sembrava essere stato disegnato in una condizione emotiva alterata, infatti molti di quei fogli apparivano graffiati o bucherellati; aveva utilizzato la matita come un coltello per pugnalare la carta. Quei disegni somigliavano a quelli di una bambina turbata e traumatizzata da qualcosa di oscuro e spaventoso che aveva vissuto o visto, un po’ come quelle bambine che dicono d’aver avuto un incontro ravvicinato con l’uomo nero e descrivevano l’esperienza tramite una rappresentazione visiva.
Un disegno in particolare mi lasciò piuttosto turbato: sulla parte sinistra del foglio vi era disegnata la sagoma di una bambina che puntava lo sguardo verso un’entità misteriosa, questa era un’altra sagoma dalla forma pseudo-triangolare, sembrava una di quelle creature presenti in quel diario misterioso, mentre quella bambina era senza ombra di dubbio Mabel. Lei stava tendendo la sua mano verso questa ambigua entità, la creatura triangolare stava facendo lo stesso con lei. Non seppi ovviamente interpretare questo disegno malgrado rimasi ad osservarlo a lungo.
Alla fine decisi di buttarli nella spazzatura, fu un gesto istintivo che compiei a causa del disagio che quelle illustrazioni mi provocarono. Avevo come la sensazione di essere osservato.
Mabel in ogni caso non disse nulla al riguardo e non si arrabbiò neppure del fatto che li avessi gettati via senza il suo permesso, forse non se ne era neanche accorta.
 
Quella stessa notte mia sorella si comportò in modo strano, più strano del solito. Si alzò e uscì dalla camera diretta chissà dove. Prima di aprire la porta e di scomparire nel buio più tenebroso, come se si fosse accorta del mio sguardo scrutatore, mi disse sottovoce di non preoccuparmi perché stava solo andando in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. La sua voce innaturale nascondeva altre intenzioni ed ebbi l’impressione che tenesse qualcosa in mano ma, a causa dell’oscurità, non riuscii a comprendere di quale oggetto si trattasse. Non le risposi e finsi di dormire. Non mi mossi da lì, completamente bloccato da una paura che non ero in grado di dominare. Ella poi varcò la porta della nostra camera da letto e scese le scale fino in cucina. Un fitto silenzio, quasi sacrale e mistico, incombeva quella notte; qualsiasi suono veniva soffocato per poi essere disperso nel nulla fino a divenire esso stesso silenzio. La paura legava ogni mio arto come una corda stretta e soffocante, i miei movimenti erano limitati e i miei stessi respiri divenivano man mano sempre più pesanti. Tentai di svuotare completamente la mente, infatti quelle catene si trovavano solo nella mia mente. Non erano reali! Riuscii infine a liberarmi in parte dal terrore che mi controllava e scesi le scale con cautela. All’improvviso, da quel silenzio imprescindibile, udii il tonfo secco della porta che si chiudeva. Chiamai Mabel con voce tremolante, incamminandomi verso la cucina dove non trovai nessuno. Mi affacciai alla finestra ma, oltre alle chiome degli alberi mosse dal vento e a qualche animaletto che correva lungo il prato, non c’era assolutamente nulla. Dov’era finita mia sorella, rimase per me un mistero. Le mie furono solo mere domande poste al vento visto che Mabel, la ragazza che conoscevo e con la quale avevo condiviso la mia intera vita, era già scomparsa, mutata in qualcosa di estraneo o sovrannaturale.
 
La mattina seguente mi risvegliai sul divano dolorante ed inerme.
L’orologio appeso alla parete segnava le sette di mattina, quasi mi ero dimenticato di quel che era successo la scorsa notte, la testa mi doleva a tal punto da rendere la formulazione d’ogni pensiero un’immane fatica.  Rimasi a contemplare il soffitto per cinque minuti realizzando solamente dopo la realtà. La mia coscienza si svegliò insieme ai mille dubbi che la sera prima mi avevano reso difficile riposare. Subito scattai in piedi come una molla e corsi fino in camera mia alla ricerca di Mabel che ieri era scomparsa nel nulla lasciandomi completamente solo e senza spiegazioni. Il letto di mia sorella era sfatto, la camera interamente vuota, regnava una calma sospetta e placida, che venne poi interrotta da una voce acuta, assordante, e familiare, «Hey, hey! Dippy!», mi voltai e vidi il volto sorridente e paffuto di Mabel. La fissai incredulo, sentendomi anche piuttosto sciocco, poiché quella sembrava essere la Mabel di sempre. La mia Mabel. Era dunque guarita da quel cupo stato mentale che l’aveva colpita negli ultimi giorni? Tentai di parlare ma dalla mia bocca uscirono solo dei balbettii, «M-mabel? S-stai bene?», lei ridacchiò e mi pizzicò una guancia, «Oh, ma quanto sei carino quando balbetti. E non sono mai stata meglio.», sorrisi imbarazzato di fronte al suo atteggiamento che, nonostante tutto, mi pareva quello della vera Mabel.
Dentro di me, però, si celava una sensazione strana e di dubbia interpretazione. Lo sguardo di lei era uguale ma, allo stesso tempo, differente. Il suo comportamento era mutato dal giorno alla notte in una maniera incredibile, quasi innaturale. Avrei desiderato anche venire a conoscenza di ciò che era successo ieri notte, «Sicura? Questi giorni ti sei comportata in modo a dir poco strano. E dove sei stata ieri notte? Sei uscita di casa?», mi scrutò come se quelle domande le avessero provocato fastidio, ma senza togliersi quel beffardo sorrisino dalla faccia, «Ah, non mi sono sentita un granché bene, hai presente? Quel particolare periodo del mese?», allargai lo sguardo emettendo un sospiro di sorpresa di chi aveva compreso qualcosa all’ultimo momento, la mia reazione ritardata la fece ridere, «Oh, scusami…», abbassai lo sguardo nascondendo il rossore del mio viso grattandomi una guancia, «Ah, non c’è di che, piccolo Pine—Ehm…», spalancai gli occhi spostando lievemente il capo da un lato, «Cosa?», lei scrollò la testa mantenendo la sua aria allegra, «Niente, volevo dire che sei un piccolo sciocchino, ti preoccupi per ogni singola cosa. Tuttavia ieri sera non sono andata da nessuna parte, ho preso solo una boccata d’aria fresca in giardino, poi me ne sono tornata in camera mia, tutto qui.», non risposi alle sue parole. Eppure quella brutta sensazione non scomparve e non c’entravano solo le mie ansie.
 
Qualcosa nel comportamento di mio sorella non tornava, non era in lei.
Quella ragazza condivideva l’aspetto di Mabel ma non lo era veramente. Come fosse la parodia di sé stessa, i suoi gesti, le sue parole e i suoi pensieri appartenevano ad un’identità altrui. Tutti avrebbero detto che fosse realmente lei, tranne io. Io che la conoscevo meglio di chiunque altro, in fin dei conti ero il suo gemello, un legame profondo e indissolubile univa le nostre esistenze. Come se le nostre menti fossero congiunte da comuni pensieri e da un destino che, malgrado la lontananza che avrebbe potuto dividerci, non avrebbe mai ostacolato il nostro rapporto. Dentro di me percepivo qualcosa di sbagliato, un errore che non riuscivo a scorgere. Un codice che ancora dovevo decifrare.
Non avevo confessato a nessuno questo mio presentimento, avrebbero pensato che fossi uscito di testa semmai l’avessi rivelato a qualcuno. La mia vita ormai era all’insegna di dilemmi e congetture, la realtà stava prendendo forme incomprensibili e insane. Ciò che doveva essere solo fantasia non lo era affatto, non più. Le regole che governavano questo mondo avevano subito un mutamento radicale in un tempo impercettibile, di cui non avevo conoscenza e controllo.
Tra le tante cose, quel diario misterioso, che Mabel leggeva ogni sera, era scomparso. Avendomi incuriosito in modo particolare, avevo intenzione di leggerlo in maniera più approfondita (avevo la sensazione che avrebbe potuto darmi delle risposte in merito alla metamorfosi di mia sorella). Lo cercai dappertutto, ma invano. Quel volume esplicava segreti e formule utili per decifrare la realtà assurda di Gravity Falls. La scomparsa del diario non era solo una mia impressione poiché la stessa Mabel mi disse di non sapere dove fosse finito. Lei non mi stava prendendo sul serio, lo compresi dal solito sguardo beffardo che aveva stampato in faccia. Disse che quel libro era stupido e al suo interno c’erano scritte una miriade di sciocchezze complottistiche senza alcun fondo di verità. Mi avrebbe reso stupido leggere tali idiozie, aveva detto, e che non erano letture intellettuali adatte ad un ragazzo intelligente e razionale come lo ero io.
Il destino che era stato riservato a quel libro, rimase un mistero, ma non lo sarebbe stato per molto, proprio come quello di mia sorella. Rapita e portata chissà dove e in balia di forze oscure inimmaginabili. Divorata dalla follia, assistevo alla sua completa disfatta, compieva azioni assurde e che da lei non mi sarei mai aspettato. Comportamenti autolesionisti e del tutto fuori di testa, inaspettati da una persona come Mabel che era sempre stata una ragazza amante della vita e dell’amore. Inconcepibile che una come lei assumesse un atteggiamento tanto violento: Si conficcava delle forchette nella pelle delle mani; rideva estasiata cadendo –volontariamente- giù per la rampa delle scale; sbatteva più volte la testa contro il muro come fosse la cosa più divertente al mondo; saltava dal letto e poi si lanciava a terra gridando “Banzai”, come se cadesse su un tappeto elastico e non sul pavimento freddo e duro.
Più volte le chiesi per quale motivo si comportasse così, di smetterla e che il suo modo di agire non era per niente sano e normale. Le consigliai di parlarne con qualcuno che avrebbe potuto aiutarla in qualche modo, se non voleva confidarsi con me. Lei non faceva altro che ridere di fronte alle mie preoccupazioni, come se fossi io il pazzo, qui. Il dolore è così spassoso, diceva. Il suo era vero e proprio masochismo, se pensava che il dolore recasse divertimento e gioia agli esseri viventi. La sua empatia si era persa insieme a tutto il suo individualismo. Ormai non era più nemmeno un essere umano.
Mabel trascorreva le sue intere giornate all’insegna dell’assurdità, oppure se ne andava in giro per il bosco o per la città a svolgere commissioni misteriose o ad incontrare persone di dubbia morale. Liquidava le mie domande dicendo che non mi sarei dovuto intromettere nei suoi affari perché non ne avevo nessun diritto, né lei aveva il dovere di informarmi riguardo ogni aspetto della sua vita. Quello che anche la vera Mabel mi avrebbe detto. La difficoltà comunicativa non era mutata affatto, anzi, era addirittura peggiorata. Non parlò nemmeno più degli gnomi e della loro minaccia, come fosse acqua passata, e non avesse mai subito alcun trauma. In risposta ai miei quesiti sul suddetto argomento lei rideva a crepapelle come se le avessi raccontato una barzelletta. Tra l’altro, aveva iniziato a frequentare uno strano individuo di nome Gideon Gleeful, una sorta di mago da strapazzo bambino nonché acerrimo nemico di nostro prozio Stan. Quest’ultimo, inizialmente, aveva pensato di rendere Mabel una talpa, un' agente sotto copertura che avrebbe appreso una grande quantità d’informazioni sulla losca attività di Gideon dimostrandosi interessata romanticamente a lui, per finta. Non era un ragazzo che la vera Mabel avrebbe mai frequentato. Mia sorella era completamente cambiata, ogni sua scelta di vita era priva di logica -all’apparenza-, dunque anche il fatto d’uscire con quello svitato si dimostrò “normale”. Mabel aveva un piano in mente. Quella follia l’aveva resa subdola e maniacale, il suo stesso sguardo, quando incrociava il mio, mi metteva i brividi. Quando non rideva e non scherzava la sua espressione era sinistra ed enigmatica.
I fatti sconvolgenti capitati in seguito mi fecero supporre ci fosse dietro il suo zampino e che lei avesse messo a punto quel suo diabolico piano.
Un giorno, tutto d’un tratto, non si sentì più parlare del piccolo Gideon, come se i riflettori su di lui si fossero spenti all’improvviso e la sua fama si fosse dissipata dal giorno alla notte. Solo una confessione era stata rilasciata alla stampa da parte del padre del bambino prodigio, aveva dichiarato che il figlio era caduto nel “blocco del mago”, dunque non era più in grado di esibirsi. Poteva anche trattarsi di una mancanza d’ispirazione -ogni artista prima o poi affronta una fase simile-, ma la verità era ben altra. A quanto pare qualcuno gli aveva sottratto un oggetto a lui molto caro, si trattava dell’oggetto che gli donava i poteri sovrannaturali e lo rendevano il magico Gideon, ma ora era solamente Gideon, il solito ragazzino ricco, viziato e paffutello. Aveva così deciso di andare via da Gravity Falls per un tempo indeterminato. Scappare da Gravity Falls fu la decisione più saggia e sicura che avrebbe mai potuto fare. Molte persone avrebbero dovuto prendere il suo esempio e darsela a gambe finché erano ancora in tempo. Un’aura ancora più oscura circondava la cittadina e il conto alla rovescia che ci avrebbe portato alla catastrofe aveva già iniziato a rintoccare.
Alcuni giorni dopo Mabel scomparse nel nulla portando con sé ogni mia speranza, illusione o gioia.
 
 
***
 
Come un disco rotto che suonava al contrario, nella mia mente si sovrapposero suoni e immagini insensate. Rumori assordati e dalla difficile comprensione mi provocarono conati di vomito e un profondo malessere interiore. Paranoie che non riuscivo a vincere. Problemi a cui non riuscivo a porre rimedio.
Nel mio stomaco un fuoco divampava come un incendio, i miei torbidi pensieri ne alimentavano la consistenza e l’ardore come carburante. Le maestose fiamme salivano sempre più in alto, annebbiandomi la vista e soffocando ogni mio respiro. Un calore si propagava per tutto il mio corpo. Lo sentivo nel cervello, nelle viscere, nel petto. In ogni cellula che plasmava l’essere umano che ero. Ma, ormai, sentivo di non essere più nulla di tangibile, se non un ricordo effimero di me stesso.
 
«Hey…», un saluto echeggiò dall’aldilà delle mie memorie. Memorie che pensavo fossero morte e sepolte avevano ripreso vita, «Ci sei?», tentai di divincolarmi in modo da scorgere il volto di colui che mi stava chiamando, «Dipper!», una voce familiare mi riportò alla realtà.
In risposta a tutti quei richiami, aprii gli occhi rimanendo a fissare il soffitto rivestito di metallo sopra di me, che venne poi coperto dal faccione confuso di McGucket, «Ben svegliato!», in risposta alle sue parole, mugolai strofinandomi gli occhi ancora insonnolito.
Quel viaggio era stato più lungo del previsto, siamo stati anche costretti a fermarci per ricaricare la batteria del robot, forse era stato in quel momento che mi addormentai, ancora scosso dalle visioni di quella notte insonne e drammatica.
 Il mio cuore seguitava a battere all’impazzata a causa di quelle emozioni, ormai lontane, ma sembravano così reali. Come se fossi andato indietro nel tempo, quei ricordi, vissuti nel sogno, erano così vividi e dettagliati da farmi credere che fossero accaduti un istante fa. Il vecchio McGucket mi guardò con quei suoi occhietti vispi, «Hai avuto un incubo, ragazzo? Eh?», abbassai lo sguardo, a voce bassa dissi, «No, non proprio. Ho rievocato delle memorie del passato, è strano… Sembrava tutto così reale.», mi grattai il capo, non sapevo esattamente il perché avessi sognato quegli avvenimenti, forse era un modo che usava il mio inconscio per comunicarmi quanto ancora quello shock fosse in me indelebile. L’uomo emise un sospiro che si tramutò poi in un pesante sbuffo, «Ah, i sogni. Che mondo affascinante! L’ultima volta che ho sognato ho rischiato di venire ucciso… Da un armadillo gigante a tre teste…», il suo sguardo si perse nella contemplazione di qualcosa d’invisibile-forse nella mente gli era apparsa la figura di quell’armadillo, il che mi lasciò perplesso-. Scrollai la testa ricordando il motivo per cui mi trovavo qui: per vedere il prozio Ford, «Ma ci manca ancora molto per arrivare a casa del prozio Stanford?», il vecchio alzò le spalle, fissandomi, per poi dire col tono di chi diceva un’ovvietà, «Ma siamo già qui. Siamo qui da un bel pezzo.», io, sobbalzando, risposi, «Cosa? E da quando?», egli si grattò il capo pensandoci su come se gli avessi posto una domanda troppo complessa, «Aaaah. Da più di un’ora.», più scioccato dissi, «Come da più d’un ora? Perché non mi ha svegliato prima?», lui scosse la testa parlando con tono più calmo, mettendosi un dito nel naso, «Hai mai assaggiato la zuppa d’armadillo? Non è male, meno saporita di quella d’opossum ma accompagnata da delle verdurine ti assicuro che è una prelibatezza.», rimasi senza parole da quel commento, scossi il capo agitandomi, la mia voce tremeva, «Ah, ma cosa sta dicendo? Basta perdere tempo qui. Andiamo dal prozio Ford!», lui, come se nulla fosse, con quel tono calmo, proclamò, «Ma potevi dirlo subito!», decisi di non rispondere perché ciò avrebbe comportato l’ennesima perdita di tempo.
Una botola si aprì al centro della camera di comando dove ci trovavamo, la stessa da cui eravamo entrati, il vecchio fece cadere una scala e scese giù per primo, io lo seguii, impaziente di poter finalmente incontrare il mio misterioso prozio Stanford e di poter apprendere i più arcani segreti di Gravity Falls.


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{ Grazie mille per aver letto questo nuovo capitolo.
Non avrei mai pensato di riuscire a dedicarmi in modo costante ad una long, di solito non le prediligo. Scrivere questo capitolo è stato particolarmente ostico perché ad un certo punto l’ispirazione è venuta meno. È stata una fatica immane. Ma spero sia stato di vostro gradimento.
Molti degli avvenimenti qui descritti sono diversi da quelli della serie, in fondo è un AU, poi ho pensato fosse più interessante inserire qualcosa di nuovo. Se qualcosa non è chiara potete chiedere -non spoilers sul continuo, ovviamente-.
Sarei felice se lasciaste una recensione, pareri e consigli di ogni tipo, ogni pensiero è gradito.
 
Grazie e alla prossima~ }

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