La Storia mia con Te. di Lady Aquaria (/viewuser.php?uid=119162)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per te, qualcosa ancora. ***
Capitolo 2: *** Come away with me. ***
Capitolo 3: *** Per il futuro di Lixue, per il nostro futuro. ***
Capitolo 4: *** Nothing can keep me from you. ***
Capitolo 5: *** I'll follow you. ***
Capitolo 6: *** Ossigeno. ***
Capitolo 7: *** Ancora qui. ***
Capitolo 8: *** Ritrovando vecchi amici. ***
Capitolo 9: *** Could i have this kiss forever? ***
Capitolo 10: *** If you don't know me by now. ***
Capitolo 11: *** If i could turn back time. ***
Capitolo 12: *** Non ho mai smesso ***
Capitolo 13: *** Tramonto parigino. ***
Capitolo 14: *** Così ti amo. ***
Capitolo 15: *** Nient'altro che noi. ***
Capitolo 16: *** Written in our destiny. ***
Capitolo 17: *** The things you are to me. ***
Capitolo 18: *** Enough is enough. ***
Capitolo 19: *** Le cose non vanno mai come credi. ***
Capitolo 20: *** Grazie e... disgrazie. ***
Capitolo 21: *** Only time. ***
Capitolo 22: *** Ladies' night. ***
Capitolo 23: *** What you won't do for love. ***
Capitolo 24: *** Un anno in più che non hai. ***
Capitolo 25: *** Da adesso in poi. ***
Capitolo 26: *** Wishin' and hopin'. ***
Capitolo 27: *** Christmas time is here (again). ***
Capitolo 28: *** Love turns you upside down. ***
Capitolo 29: *** Fear (of the unknown). ***
Capitolo 30: *** Embraces the Sky. ***
Capitolo 31: *** Everything. ***
Capitolo 32: *** Love isn’t easy (but it sure is hard enough). ***
Capitolo 33: *** Don't worry, be happy. ***
Capitolo 34: *** Hell is living without you ***
Capitolo 35: *** The way it ends. ***
Capitolo 36: *** How would it be? ***
Capitolo 37: *** It's not right (but it's okay). ***
Capitolo 38: *** Waterloo. ***
Capitolo 39: *** Voulez-vous? ***
Capitolo 40: *** Into the fire. ***
Capitolo 41: *** Memories. ***
Capitolo 42: *** Io che amo solo te. ***
Capitolo 43: *** Forever ***
Capitolo 1 *** Per te, qualcosa ancora. ***
primo capitolo
Disclaimer:
-Shiryu, Shunrei e Camus appartengono a Masami Kurumada così
come tutti i
personaggi facenti parte di Saint Seiya.
Tuttavia Mei-Yin,
Lixue e
i personaggi non inclusi nell'opera originale sono miei (salvo
diversamente indicato).
Ovviamente
questa fic non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro
divertimento.
-La canzone che da' il titolo alla storia e che è citata
nell'intro è di Gianni Morandi.
Lady Aquaria.
˜ La
Storia mia con Te ˜
[...ma c’è una
storia che non trova pace, la
storia mia con te tra buio e luce, che vive
di ogni cosa che fai, è una storia che ci divide e poi ci
prende con sé…
La storia mia con te –
Gianni Morandi]
1.
Per te, qualcosa ancora.
Tra il lavoro, la casa e una bambina di sette anni alla
quale badare, di tempo libero Mei ne aveva poco.
Molto poco.
Appoggiata pigramente al davanzale, si godeva una tazza
di oolong e il silenzio –raro, in quella casa- dei minuti
immediatamente prima
di cena. Momenti rari, quindi preziosi,
quando poteva rimanere sola con sé stessa, quando poteva pensare un po’ senza il
cicaleccio tipico di una
famiglia, e tirare un sospiro di sollievo:
di solito a quell'ora , Shiryu doveva ancora tornare dai campi, dove
amava
tenersi in forma nei pomeriggi dopo gli studi universitari, e Lixue si
faceva il
bagno reduce dalla scuola materna e i giochi. Shunrei, invece, la
maggior parte
del tempo lo trascorreva in giardino, a vegliare
su Shiryu. Anche su di lei gli avvenimenti accaduti sei anni prima
avevano
avuto un brutto effetto: la costante preoccupazione per Shiryu non solo
non si
era placata, era persino aumentata.
"Shiryu! E' tardi, non dovresti rientrare?" la
sentì. Appunto.
C'erano giorni in cui non aveva quasi tempo per
respirare, giorni in cui rimpiangeva quei lunghi nove mesi di
gestazione nei
quali anche Shiryu stranamente si
era
rimboccato le maniche e aveva collaborato al ménage
familiare, quando le aveva
vietato anche solo di alzarsi dal letto –salvo poi tornare a salvare il mondo come sempre, -a suo
avviso una mera scusa per non alzare un dito-:
"Per tutti gli Dèi, Shiryu sono
solo incinta, non sono moribonda!"
"Aspetti un
bambino!"
"Ma sai che
non ci avevo fatto caso?" aveva protestato, e più
di una volta, non
essendo abituata a essere servita e trattata come una bambolina di
vetro, men
che meno dal fratello minore.
"Non puoi fare
sforzi!" aggiungeva di solito Shunrei, spalleggiando Shiryu.
"…ma…volevo
solo farmi un tè!"
"Non fare di
testa tua, siediti e lascia fare a noi."
Lasciare la casa in mano a due ragazzini per tutto quel
tempo era stata una pessima idea, e Mei se n'era accorta troppo tardi.
Quella parentesi era comunque durata troppo poco, ed era
tornata ad occuparsi di tutto non appena si era ripresa dal parto.
"Vado a chiamare Shiryu." la distrasse Shunrei,
lasciando gli attrezzi da giardinaggio a terra.
A proposito di Shiryu.
A ripensarci, aveva il lavoro, la casa, la figlia e due piccioncini
cui badare: da quando il
fratello era tornato dalla guerra contro Hades, i due ragazzi facevano
un
tutt'uno, non si separavano quasi mai.
Non c'erano più Shiryu e Shunrei, due entità
separate,
c'era Shirei.
"Fate con calma, la cena non è ancora pronta." le
disse, controllando l'ora e corrugando la fronte: aveva perso tempo,
doveva
ancora asciugare Lixue e vestirla per la notte.
Lixue intravide Shunrei e Shiryu tornare in casa,
abbracciati e sorridenti.
"Mamma, perché zio e zia sono strani?"
Alzò lo sguardo sulla figlia, mentre le abbottonava la
casacca del pigiama.
"Strani?" ripeté. "Cosa vuoi dire?"
D'accordo, Shunrei e Shiryu non erano proprio due zii
come tanti, ma non erano così strani. Non troppo, almeno.
"La zia lo è, guarda zio in un modo strano."
Lixue le indicò i due con un cenno.
Sì, capiva bene che cosa intendeva sua figlia, conosceva
lo sguardo col quale Shunrei guardava suo fratello.
"Sono strani perché sono innamorati." rispose
Mei.
"E cosa vuol dire?"
Le appuntò i capelli con il suo fermacapelli preferito,
uno spillone intarsiato a motivi di farfalle che Camus le aveva portato
da uno
degli innumerevoli viaggi per conto del Grande Sacerdote, e
sospirò.
"Vuol dire che si vogliono tanto bene." rispose.
"Vuol dire che non possono fare a meno l'una dell'altro."
"Anche tu e papà?"
"…sì."
disse Mei-Yin.
Voler bene era
riduttivo, però.
"Come gli zii?" la distrasse Lixue.
"Non proprio. Ci sono diversi modi per volersi bene,
tesoro, e io e tuo padre…" tentò di spiegarle,
non sapendo come spiegare a
sua figlia qualcosa che non riusciva a spiegarsi nemmeno lei. Le
infilò le
calze antiscivolo quindi aiutandola a scendere dal piano del bagno. Non
era
proprio necessario farle capire che lei e suo padre avevano condiviso
qualcosa
di molto bello, ma che era terminato bruscamente, e che la loro
famiglia non
era esattamente come quelle delle riviste patinate, perfette e senza
problemi.
Lixue la guardò per un tempo che le parve infinito; di
sottecchi
Mei si accorse dello sguardo.
Sua figlia aveva inclinato la testa di lato e continuava
a guardarla con occhi curiosi, con lo stesso sguardo penetrante di suo
padre… ma
stava anche pensando, e a Mei la
cosa, in quel momento, non piaceva particolarmente. Da quando Lixue
frequentava
la scuola, più di una volta era scesa in argomenti che lei
non voleva e non
poteva affrontare.
Si ritrovò quindi a sperare che la figlia non andasse a
parare su un certo argomento. Per
quello, se lo sentiva, non era ancora pronta.
"Ma allora, se non vi volete bene, io come sono
nata?"
Appunto.
"Volevo un
figlio, ma senza troppi coinvolgimenti sentimentali. Tuo padre faceva
al caso
mio e…puff! Eccoti!"
No. Certo non poteva risponderle così, anche
perché non
era affatto vero.
Esortò Lixue a sedersi a tavola, schiarendosi la voce.
"Non è proprio vero, io e papà ci vogliamo ancora
bene…"
"Devi sapere, Lixue, che i bambini non nascono sotto
i cavoli …" interloquì Shiryu che aveva seguito
l'ultimo scambio di
battute fermo sulla porta della cucina. "… e
altresì, non li porta la
cicogna."
Mei trasse un lungo sospiro.
"Shiryu…" l'ammonì. Ci mancava solo che fosse
suo fratello a spiegare a sua figlia le origini della sua nascita.
"Non inizierai con la storia dell'ape e del fiore,
vero? Era una storia poco credibile già ai tempi di Dokho."
disse Shiryu. "Non
ci crede più nessuno, figurati se ci casca Lixue."
Anche fosse, non erano affari suoi.
"Fossi Dokho, ti fulminerei sul posto."disse
Mei, schiarendosi la voce e sperando vivamente che Shiryu si decidesse
a
tacere.
"Hahaha, non può. Vive ad Atene." ribatté
Shiryu.
"E bè, ti invierei un Rozanhyakuryūha
via intercontinentale."
replicò
Mei. "Ne meriteresti uno."
Distratta dalle parole degli adulti, Lixue lasciò cadere
l'argomento, ma si sa, i bambini hanno un'ottima memoria, e Mei sapeva
benissimo che prima o poi sarebbe tornata sulla questione; come il
padre, era
nella sua natura insistere, trovare le risposte a quel che cercava in
un modo o
nell'altro.
Dopo cena, infilò i piatti nel lavello e mise Lixue a
letto.
"Wănān."
sorrise, rimboccandole le lenzuola.
Era arrivata alla porta, quando Lixue la chiamò indietro.
"Mamma…?"
"Sì?" rispose, fermandosi.
"Allora tu e papà vi volete ancora bene, o no? "
Socchiuse gli occhi.
Oh accidenti, ecco il discorso di quella sera, anche se
sapeva benissimo che non se la sarebbe cavata con poco.
Si sedette sulla sponda del letto, carezzandole i
capelli.
"Tesoro… le faccende dei grandi sono tanto difficili
…" iniziò, non sapendo come spiegare. Tra lei e
Camus erano state decisamente
difficili.
"… e quindi? " continuò Lixue, pressante.
"Perché
non potete stare insieme come i genitori dei miei compagni? Non vuoi
più
papà?"
Sospirò, sedendosi più comodamente.
Certo che voleva Camus, dentro di sé non aveva mai smesso
di provare per lui qualcosa di più del semplice affetto;
anche se a sé stessa
lo negava, per Camus provava ancora amore.
"Io e papà ci siamo amati, un tempo." iniziò,
cercando le parole più adatte. "Amare, Lixue, capisci?
È qualcosa di molto
più forte del volersi bene."
"Quanto forte?"
Forte abbastanza da indurre una ragazza nemmeno ventenne
a rivolgere fredde parole cariche di rancore all'altro. Un sentimento
così
intenso da indurla a restare a letto per giorni dopo il suo abbandono,
tanto
potente da spingerla a prendere a pugni il fratello che le aveva
proposto di
abortire.
"Molto forte." rispose. "Non puoi capire
quanto, sei ancora piccola."
"Tanto forte da farmi nascere?"
Mei si schiarì la voce.
"Sì… tanto forte da farti nascere." rispose.
"Lixue,
è tardi, dormi ora."
Spense la luce e uscì dalla stanza.
Troppe domande, accidenti, troppi ricordi risvegliati di
colpo.
"Tutto bene?"
Sobbalzò spaventata, trovandosi Shiryu di fronte.
"Stavo meglio prima!" sbottò, accendendo la
luce del corridoio. "Santi numi, la smetti di comparirmi alle spalle o
no?"
"Qualcosa non va con Lixue?" domandò Shiryu,
dopo aver ridacchiato.
No, andava tutto bene, se si escludeva la mancanza che
Lixue avvertiva nei confronti di suo padre e i ricordi che
ciò aveva
risvegliato in lei.
"A parte la mancanza di suo padre, va tutto
bene." rispose, asciutta. "Tutto bene."
Shiryu sbuffò, levando gli occhi al cielo.
"Ancora con questa storia, Mei?"
"Lasciami passare."
"Non ne avevamo già parlato?"
"Lasciami passare, non te lo chiederò ancora."
replicò,
scocciata. Camus era un nervo scoperto, parlare di lui, soprattutto il
modo in
cui Shiryu ne parlava, le faceva male.
Shiryu alzò le mani in segno di resa.
"Non ti sopporto più, credimi. Ogni volta sempre la
stessa storia!"
"Avevamo già affrontato l'argomento Camus,
ricordi?"
"Sì? Non direi." replicò Mei, mentre il
fratello incrociava le braccia sul petto.
"Non voglio vedere Camus qui." disse Shiryu,
facendola bloccare sulla porta della sua stanza.
"Ah ma davvero? Sai che non sei tu a decidere qua
dentro, e soprattutto non sei tu a decidere se mia figlia
può vedere o no suo
padre?" sibilò Mei.
"Non farmi perdere la pazienza, Mei, fino a prova
contraria sono io l'uomo di casa."
"Sì? Non farmi ridere. L'unico che può definirsi uomo qui è il Maestro, non tu.
Fila a
dormire, hai già detto abbastanza sciocchezze per
oggi."replicò,
chiudendosi la porta della sua stanza alle spalle.
*
Atene, cinque ore indietro.
Camus posò la brocca del caffè, corrugando la
fronte nel
sentire il tipico rumore del vibracall del suo cellulare e chiedendosi
dove
accidenti l'avesse messo.
"Prova a guardare accanto alla tv." suggerì
Milo, bussando alla porta che separava gli appartamenti privati dal
resto del
tempio.
"Uhm… ottima idea." replicò, trovando il
telefonino dove aveva suggerito l'amico.
"Hehe, visto? Ti conosco troppo bene." ridacchiò
Milo. "Problemi?"
Camus corrugò la fronte, guardando il display.
"… è Mei." sussurrò, posando la tazza
sul
tavolino.
"Oh."
sorrise Milo. "Rispondi no?"
Chissà perché lo stava chiamando, non capitava
spesso.
Era forse successo qualcosa a Lixue?
"… Mei?" rispose, cauto.
Dall'altra parte, un attimo di silenzio.
"Papà?"
*
Non parlò a Shiryu per tutto il giorno, l'amarezza e la
rabbia era troppa, e non era affatto capace di dissimulare
ciò che sentiva: aveva
un carattere atroce forse, ma non riusciva a tenersi tutto dentro.
Chi si credeva di essere Shiryu, per parlarle a quel
modo? Ma ancora peggio, per credersi in diritto di poter decidere della
vita di
sua figlia?
Lixue aveva bisogno di suo padre allo stesso modo in cui Camus aveva
bisogno di
lei, non potevano fare a meno l'uno dell'altra, il loro legame era
molto forte.
Già lo sapeva, ma ne ebbe conferma quando, il pomeriggio
dopo, Camus apparve in cucina grazie al teletrasporto.
"Mei." s'annunciò Camus.
Fece un balzo, spargendo zucchero sul ripiano della
cucina.
"Per tutti gli Dei, Camus, che ci fai qui?" esclamò
Mei, girandosi mentre la solita strana sensazione che l'assaliva ogni
volta che
le era vicino si ripresentava. "Non ti aspettavo così
presto!"
Di solito quando arrivava, l'avvertiva per tempo.
"Tu mi aspettavi?!" fece Camus, inarcando un
sopracciglio.
Mei si girò di nuovo, per posare il barattolo e per
nascondere il rossore.
"No." rispose, frettolosa. Se lui era lì, era
per Lixue, non certo per lei.
"Bugiarda." le sussurrò, improvvisamente troppo
vicino.
Non gli permetteva di darle della bugiarda, né di
definirla in alcun altro modo.
Chi, tra loro due, aveva deciso di troncare sul nascere
qualsiasi cosa stesse nascendo tra loro? Chi aveva deciso che no, non possiamo stare insieme, sono un
cavaliere d'oro…?
Nonostante avesse da tempo perdonato Camus per quello,
sapeva che non avrebbe mai dimenticato quei momenti.
"Oh, sta' zitto." replicò, indispettita. "Bugiarda
io? Non ti permettere, non ho mai nascosto ciò che provo nei
tuoi
confronti."
Camus sorrise appena, per l'unica donna che era entrata
nella sua corazza di ghiaccio, Lixue a parte: era vero, non gli aveva
mai
nascosto nulla, tante volte Mei aveva provato a parlargli e s'era
interrotta
prima di dire qualunque cosa.
"Lo so." rispose, facendosi di colpo serio. "Lo
so bene perché è la stessa cosa per me. Sono qui
anche per questo."
Che cosa intendeva dire??!
Chiuse il rubinetto, voltandosi interrogativa.
"Come, scusa?"
"Papà!"
Mei sobbalzò, non sapeva se per via di Camus o
dell'interruzione improvvisa di sua figlia.
Lixue saltò in mezzo alla stanza con le braccia
spalancate, aspettando l'abbraccio del papà, che non si fece
attendere.
"Salut,
ma petite. Ça va?"
Mei ascoltò padre e figlia parlare tra loro, in francese
-non era gelosa, era un bene, per lei, che parlasse anche la lingua di
suo
padre- Lixue che spiegava in dettaglio tutta la sua giornata scolastica
e,
soprattutto, che aveva imparato a leggere e scrivere nuovi ideogrammi,
mentre
Camus l'ascoltava con attenzione.
"Posso farteli vedere?"
Camus le posò un bacio in fronte, mentre gli occhi gli
luccicavano, quindi annuì.
"Certo." annuì. "Frequenta ancora la
solita scuola?" domandò poi, quando la bambina si
assentò un attimo per
andare a prendere il quaderno con i compiti di cinese.
Mei gli mise davanti la tazza di caffè.
"La solita scuola materna, a Pechino." rispose.
"Sì. Dista solo quaranta minuti di auto da qui, e Shiryu
l'accompagna e la
riporta a casa ogni giorno, quando lui va e torna dalla
facoltà."
Camus sorseggiò il suo caffè.
"Shiryu frequenta l'università? Davvero?!"
commentò
Camus, piccato. "Non l'avrei mai detto."
Mei socchiuse gli occhi.
"Va bene. Battuta stupida." concesse lui. "Mi
spiace."
"Ah-hem … filosofia. All'Università di
Pechino." aggiunse Mei.
Gli sfuggì una risatina ironica. Shiryu era sempre stato il
più saccente tra i Bronze Saint, quello che più
si soddisfaceva sciorinando
frasi di Sun Tzu, Confucio o le parole di Dohko.
Aveva di sicuro trovato la sua strada ideale.
"Che c'è da ridere?!" domandò Mei.
"Ehm … nulla, davvero." rispose, ricomponendosi.
Si riavviò i capelli, tentando di darsi un contegno. "Mi
sembra la scelta
più ovvia per tuo fratello."
"Ah, di sicuro." annuì Mei. "Insieme alla
squadra di arti marziali dell'ateneo. Già si credeva Bruce
Lee, da quando
gareggia si crede un Dio del karate. Comunque … che cosa
intendevi, poco
fa?"
Uh, allora l'aveva incuriosita.
Si rialzò, sorridendo, e si appoggiò al piano
cucina, poco distante da lei.
"Riguarda noi, e per la precisione, noi tre. Visto
che la guerra contro Hades è finita da un bel pezzo e che
Atena e Dokho non
prevedono altre guerre per i prossimi anni, ho deciso di tornare a
Parigi." annunciò.
Mei fece per rispondere, ma Lixue irruppe nella stanza
brandendo un quaderno, interrompendo i due.
"Visto, papà? Guarda!"
Camus si lasciò prendere per mano dalla figlia, che lo
scortò al divano.
"Riguarda noi tre?!" ripeté Mei, corrugando la
fronte.
"Une minute,
chérie. Mei, vorrei che tu e Lixue veniste a
Parigi con me."
***
Lady Aquaria's corner.
(Ri-ricontrollato il 18 settembre 2014)
Finora non l'ho mai specificato, ma essendomi tramutata
da lettrice a autrice/lettrice da poco, devo ancora capire bene come
funziona
la cosa....a parte questo…
Ebbene sì. È successo. Camus è OOC.
[schiva per un pelo
un'Aurora Execution] e credo che sarà OOC per tutta la
durata della fic. (e io
ti tumulerò nel ghiaccio, prima o poi… Nd.Camus
Massì, tanto mi vuoi bene lo stesso… n.d Lady
Aquaria)
Poi…essendo trascorsi anni dal diploma, nonostante debba
essere esperta di bambini dato il mio titolo di studi, non ricordo
perfettamente le varie tappe delle età
evolutive…perciò spero di non aver dato
a Lixue comportamenti troppo in là per i suoi sette anni.
-Rozanhyakuryūha, o Colpo dei Cento Draghi Nascenti, tecnica
di Dokho.
P.S. Non volevo cancellare le
vecchie postille, quindi avverto qui che i capitoli sono in fase di
riscrittura. Questo capitolo, invero, era stato pubblicato la prima
volta in
data 3 aprile 2011, e a distanza di un anno e più, ho deciso
di ampliarla e correggerla. Spero
vi
piaccia! :)
Vale^^
Edit aggiunto il
10 febbraio 2016: dopo un incredibile
pastrocchio col titolo, causato da problemini vari, il titolo
è tornato il suo originale :D
Lady Aquaria
|
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Capitolo 2 *** Come away with me. ***
capitolo 2 revisionato
2.
Come away with me.
And i want to
wake up with the rain
falling on a tin roof
while i'm safe there in your arms
So all i ask is for you
to come away with me in the night
come away with me
[Norah Jones – Come away with me]
Mei, vorrei che tu
e Lixue veniste a Parigi con me.
Non poteva crederci. Cos'era quella fretta?
Doveva essere rimasta ferma per un'eternità a guardarlo
con occhi sbarrati e bocca aperta per la sorpresa.
Sette anni prima, innamorata com'era stata, l'avrebbe
seguito ovunque.
Beh, non l'aveva
già fatto?
Sette anni prima, avrebbe dato qualsiasi cosa, persa
com'era per lui, per sentirsi dire quelle parole.
"Sei serio?" gli chiese, quando s'accorse di
poter muovere di nuovo la mascella.
"Bien sur."
ribatté Camus, alzando lo sguardo dal quaderno di Lixue.
"Non scherzo mai
su certe cose. Vi vorrei a Parigi, vorrei avervi vicino e creare una
famiglia. C'est tout."
Mei posò la tazza nel lavello con più forza del
solito.
No, non era tutto.
Non poteva presentarsi lì di colpo e avanzare pretese
assurde che coinvolgevano
lei e sua figlia.
Camus sbirciò il quaderno e un ideogramma particolarmente
articolato.
"Uhm… questo è piuttosto difficile, vero?"
Lixue annuì, sorridendogli.
"Sì."
Si schiarì la voce, per ottenere la sua attenzione.
"Vuoi averci
vicino o vuoi averla vicina?" gli
chiese, incapace di trattenersi.
Camus sollevò lo sguardo, interrogativo.
"Come, scusa?" le domandò. "Cosa vorresti
dire?"
Tirò un sospiro.
Non dovevano certo parlarne davanti alla bambina; dallo
sguardo di Camus capì che aveva appena toccato un brutto
tasto.
"Lixue, tesoro, vorresti per favore… lasciarci soli?
Io e papà dobbiamo parlare." disse Mei.
La bambina guardò prima lei poi il padre, quindi richiuse
il quaderno.
"Lo ritireremo dopo." la esortò Mei. "Coraggio,
vai."
Lixue, obbediente, lasciò soli i due adulti in
un'atmosfera carica di tensione, senza fare domande.
"Spero che tu stia scherzando." sibilò Camus.
"Su mia figlia non scherzo mai."
"Che cosa intendi dire, eh, Mei? Coraggio, sii più
chiara, non parlare per mezze frasi e non obbligare me a cavarti le
parole di
bocca."
D'accordo, allora avrebbe giocato a carte scoperte.
"E sia, parliamoci chiaro, Camus. Sette anni fa non ti
interessava né di me, né di Lixue."
protestò Mei. "E adesso…? Io non
capisco."
"Forse perché di Lixue non ne sapevo niente,
finché
non l'ho saputo per caso, da Shiryu e Mu." obiettò Camus,
acido. "Per caso, Mei. Avevo almeno
il diritto
di saperlo. Da te, e non da tuo fratello."
Mei non cedette pur ricordando la sfuriata che le aveva
fatto quando era andato al Goro-Ho a conoscere sua figlia.
"Touchè."
disse. "Ma ciò non cambia il fatto che di me non ti
interessa niente, sono
solo la madre di tua figlia. Ricordi? Mi dicesti che non potevamo stare
insieme, sono un cavaliere d'oro, Atena
prima di tutto."
Parole che gli erano costate care, che non avrebbe mai
voluto dire. Quando Saga aveva annunciato dell'imminente scalata al
Santuario era
stato costretto a decidere
rapidamente per entrambi; soprattutto per lei, visto che era presa tra
lui e
Shiryu.
"Mei… trattarti in quel modo non è stato facile
per
me. Potrei giustificarmi in mille modi, potrei anche darti la colpa di
tutto
…" s'interruppe, non appena Mei l'ebbe fulminato con lo
sguardo. "… cosa
che non farò…"
"E vorrei ben vedere!"
"Ero giovane, avevo vent'anni, e … avevo paura."
confessò Camus.
Mei alzò gli occhi al cielo.
"Paura? Hai vissuto in luoghi così freddi dove
dovresti aver paura di addormentarti e non svegliarti più,
hai affrontato
divinità malvagie e sei … morto
due
volte …" cosa questa che le costava troppo dire ad alta voce
"… e hai
avuto paura di me?"
Paura di lei?
No, non di lei. Dei suoi sentimenti, di sé stesso. Paura
di qualcosa che non aveva mai provato e che aveva perso da bambino,
quando era
stato strappato dalle sue radici e trapiantato in un luogo ostile e
privo di
vita.
"Non è mai stata colpa tua. Solo mia." aggiunse
Camus.
Frase tipica di chi, nonostante le parole, voleva
scrollarsi di dosso ogni responsabilità, oppure di chi
celava qualcosa.
Cominciò improvvisamente a sgranare gli occhi, il cuore
che batteva forte.
Aveva sbagliato tutto quel tempo, forse? Aveva ragione
DeathMask? Per anni aveva perso tempo a pensare a un uomo che in
verità… stava
con un altro uomo? Con Milo, magari?
"Oh, aspetta. Ho capito tutto."
Camus inarcò un sopracciglio, interrogativo.
"Capito tutto cosa?"
domandò, confuso.
Le erano chiari molti comportamenti, iniziava a capire
perché Camus si era comportato in quel modo.
"… Milo."
Che cosa c'entrava ora, il suo migliore amico?
"Milo… cosa?"
Mei lo guardò, stranita.
"… tu e Milo… " disse, intrecciando i due
indici delle mani come per dire state
insieme. "Voi due…"
Camus le riservò uno sguardo gelido, uno di quegli
sguardi penetranti, che le mise i brividi addosso.
"Io e Milo che
cosa?"
Mei si pentì di aver tirato in ballo l'argomento. Ci
erano voluti mesi per digerire la
notizia,
e lui adesso mandava all'aria tutto quanto?
"Le notizie corrono veloci. Mi era giunta voce che
tu e Milo… insomma… stavate insieme."
Camus la guardò un attimo.
Non ne voleva parlare, ed era anche piuttosto
comprensibile. Insomma, non doveva certo darle spiegazioni di alcun
genere.
Poi, di colpo, mentre era persa a pensare, Camus scoppiò
a ridere: una risata di cuore, di quelle che partono dal profondo e
che, in
qualche modo, scuotono tutto il corpo.
"Oh bè, le mie preoccupazioni ti fanno ridere, sono
contenta." ribatté Mei, stizzita.
Prese ad apparecchiare la tavola per cena, continuando a
sentire la risata di Camus dietro di sé; non rideva mai, e
quando lo faceva la
prendeva anche in giro.
"Continua a ridere tranquillamente, così, come se io
non ci fossi."
"… Mei … a Milo piacciono le donne."
disse, quando la risata scemò.
"Buon per lui." disse Mei. Stimava Milo come
amico ma sinceramente le importava poco delle sue abitudini sessuali.
"A me
piacciono le donne." proseguì Camus.
"Sono contenta per te." buttò lì, come se non
le importasse.
"E sai anche a chi mi riferisco. Sai,
non ti facevo tipo da credere a delle
voci stupide. Tornavamo da Atene una sera, ubriachi fradici, e
rifiutammo la
compagnia di un paio di… ehm …"
"…donnine allegre?" l'aiutò Mei.
Un paio di passeggiatrici che lavoravano in periferia,
tra le quali due vecchie conoscenze di Mu.
"Già. Qualcuno mise in giro queste voci." concluse.
Facile pensare chi
avesse messo in giro quelle voci.
"Immagino anche chi. Quel becchino
di DeathMask." disse Mei.
"Non lo so, ma la cosa non mi interessa." disse
Camus. "Io sono sicuro di quel che sono e quel che faccio, e le
critiche
mi scivolano addosso."
DeathMask, sempre lui.
"Razza di… scavafosse
che non è altro. Ho giurato di fargliela pagare, quando per
poco non uccise
Shunrei e Shiryu. Devo ancora pensare a come farlo fuori."
Camus la guardò, divertito.
"Tu? Far fuori DeathMask? E come pensi di
fare?"
"Non preoccuparti, in un modo o nell'altro lo
farò."
"Tu vorresti
sconfiggere un cavaliere d'oro?"
Mei lo guardò, indulgente.
"Non c'è veleno peggiore del veleno di un serpente,
non c'è ira peggiore dell'ira di una donna."
ribatté Mei.
Lui s'appoggiò allo schienale del divano.
"Mei. Non arrampicarti sugli specchi." disse. "Non
sei brava a cambiar discorso."
Fu lei a ridacchiare.
"Ci ho provato." ammise.
"Oh sì. E t'è andata male."
Lei si schiarì la voce.
"Dunque... parlavamo di te e Milo."
"No. Parlavamo di noi." la corresse
Camus.
Noi.
Gli diede le spalle, iniziando a trafficare con piatti e
ciotole varie, dalla credenza.
"Ah, perché, c'è mai stato un noi? E quando? Non
me
ne sono accorta." disse Mei.
D'un tratto, le sue mani sui fianchi.
O meglio … i fianchi tra le sue mani -Camus si
stupì di
quanto fosse rimasta snella e nervosa nonostante la gravidanza-, e il
respiro,
il suo respiro, sul collo.
"C'è sempre stato un noi."
le sussurrò contro l'orecchio. "Sei lontana, ti
vedo solo quando vengo a trovare Lixue, ma tu ci sei sempre stata."
Sensazioni che pensava di aver dimenticato, o addirittura
mai provato, l'assalirono prepotenti.
Camus era molto più alto di lei, la superava di quasi
tutta la testa. Abbracciarlo significava trovare l'incastro perfetto;
aveva
sempre adorato stare tra le sue braccia, le era piaciuto sentire il suo
mento
appoggiarsi alla sua testa. Nel suo abbraccio, riusciva sempre a
dimenticare
ogni cosa.
Sei lontana, ma tu
ci sei sempre stata.
Deglutì, sospirando pesantemente e schiarendosi la voce,
pur sentendosi bene, tra le sue
braccia.
"…Cam…sono immune al tuo fascino." disse, per
stemperare la tensione creatasi.
"Bugiarda."
mormorò lui. "Adesso chi ha paura di chi?"
"Non ho paura di te, solo di quello che provo
per te."
Ci stava ricascando e non andava affatto bene.
Camus le sfiorò gli orecchini che portava, degli chandelier con perline di lapislazzuli
che
le aveva portato dall'Egitto, e sorrise. Quegli orecchini li portava
spesso, li
aveva visti più e più volte.
"Allora mi pensi." continuò, sempre a bassa
voce. "Posso ancora sperare."
Si staccò da lei quando sentì passi infantili in
corridoio, seguiti da passi più adulti.
"Mei … on va
en parler." le disse poi, cercando di calmarsi un
po’.
"Ecco dov'eri, peste!! Torna qui, dove pensi di
andare?"
Shiryu, che stava giocando con Lixue; sentire le risa di
sua figlia lo fece sorridere.
Per lo meno Shiryu non odiava la nipotina anche se era
sua figlia, pensò Camus.
"Donna! È
pronta la cena?" scherzò Shiryu, entrando in cucina e
perdendo subito il
sorriso.
"Ciao." disse Camus, per educazione più che per
reale voglia di salutarlo.
"Ciao." ribatté Shiryu, freddo. Il suo sguardo
andò da Mei a lui, e viceversa.
"Wèntí?"
Problemi?
"No."
" Tā
wèihé zài zhè'er?" Perché
lui è
qui?
Lixue saltò ancora in braccio al padre, fornendo una
risposta a Shiryu prima che potesse fornirgliela Mei.
"Parce
qu'il
ést mon papa." Perché
lui è il mio papà.
"Ah ecco. Dobbiamo a Lixue il grande onore di averlo
qui?" commentò Shiryu, tornando al greco.
Assottigliò lo sguardo, nel
cogliere nello sguardo di Camus un certo orgoglio dopo le parole di
Lixue.
Continuò a fissarlo con un atteggiamento di sfida, ma alla
fine non fu Camus a
cedere.
"Smettila." sibilò Mei.
"Allora papà, dimmi… tu e mamma vi volete
bene?"
Camus sorrise, scostando un ciuffo di capelli dalla
fronte di Lixue.
"Era questa la domanda che mi volevi fare, quando mi
hai chiamato?"
Ma allora era davvero stata Lixue a chiamarlo.
"Certo che ci vogliamo bene." le rispose Camus.
"Che domande. Perché me lo chiedi?"
"È per questo che sono nata?"
Shiryu, dalla parte opposta dell'isola di cottura in
mezzo alla cucina, guardò Mei.
"Silenzio. " l'ammonì Mei. "Non darmi un
altro motivo per detestarti."
"No. Lungi da me scatenare la tua ira." disse Shiryu.
Mei sentiva le occhiate di Camus dritte nella schiena, stava
sicuramente aspettando che lei si voltasse.
"… anche per questo, sì." rispose Camus.
"Almeno non ha detto frasi stucchevoli come: sei
nata per amore, tesoro." lo
prese in giro Shiryu, parlando in cinese alla sorella. "Visto che lui
nemmeno sa cos'è l'amore."
"Perché tu sai che cos'è? Non parlare di cose che
non conosci, quello che c'è stato fra me e Camus e i
dettagli riguardanti la
nascita di nostra figlia non li conosci e non ti riguardano. Resta al
tuo
posto, Shiryu." rispose Mei, piuttosto scocciata dalla situazione.
"Pensa
agli affari tuoi."
Finì di sgocciolare la frittura mentre Camus continuava a
parlare con Lixue.
"A tavola. È pronto." annunciò.
"Bene, avevo fame! Papà, rimani a mangiare?" chiese
Lixue. "Mamma fa delle cose buonissime!"
Shiryu la falciò con uno sguardo di fuoco.
"No. Papà ha da fare. Hai da fare, giusto?"
domandò.
Mei sbuffò, mentre Camus riduceva gli occhi a due
fessure.
"Veramente, no." rispose. "Non ho niente
da fare, sono libero come l'aria."
Ah davvero? Strinse i pugni intorno alle posate,
sbuffando come un drago furioso.
"…bè. Comunque a papà non piace la
cucina
cinese." continuò.
Camus si sedette a tavola, prese le bacchette e scoccò a
Mei un sorriso da mozzare il fiato e a Shiryu un ghigno ironico.
"Io adoro
la cucina cinese."
***
Lady Aquaria's corner.
Sembra ostrogoto, ma è
cinese.^^
Non faccio uso del traduttore di Google, sbaglia o dà
risultati … anche imbarazzanti, due volte su tre, ergo, lo
ritengo
inaffidabile. A parte il francese, che conosco in parte grazie agli
studi
svolti al liceo (quindi francese scolastico e non perfetto, ma me la
cavo), per
il cinese mi avvalgo di un dizionario e un frasario. Spero solo che sia
giusto
e ciò che ho scritto significhi quello che avevo in mente,
altrimenti, che
figuraccia…
Shiryu
è protettivo verso la sorella, e lei lo è verso
Shiryu. Ecco spiegato il risentimento verso DeathMask ed ecco
perché Shiryu è
tanto, ma davvero tanto odioso verso Camus.
Se qualche frase di Camus vi suonasse familiare …
sì,
avete ragione. Ho scritto il capitolo in piena fase "Ligabuesca",
in particolar modo mentre ascoltavo "Ci sei
sempre stata."
E l'ho riascoltata anche mentre lo riscrivevo.
Ringrazio chi ha messo la storia tra le seguite, e a
Dew_Drop, miloxcamus e MaikoxMilo per le recensioni e l'incoraggiamento!
Devo aggiungere ai ringraziamenti anche i nuovi
lettori/recensori, grazie :)
Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 3 *** Per il futuro di Lixue, per il nostro futuro. ***
capitolo 3 revisionato
3.
Per
il futuro di Lixue, per il nostro futuro.
I’ve
got you now and
I’m not letting go of you
Never be together long enough
‘Cause every moment I’m with you
It’s like I’m holding on to heaven
[Nickelback – Holding on to heaven]
Aiutata da Shunrei, Mei portò in tavola la cena. Non
voleva essere polemica, ma la vicinanza di Camus, a cena e in casa
propria
oltretutto, la metteva in subbuglio.
Adori la cucina
cinese, eh?
Chissà se dopo
quell'esperienza con la sua cucina
avrebbe pensato la stessa cosa.
Con aria perfida mise proprio davanti a lui il piatto con
la sua famosa salsa rossa, quella che Shiryu chiamava Lavanda
Gastrica: non per il sapore, ma per l'effetto
che faceva.
"Davvero ti piace la cucina cinese?" chiese
Shunrei, a Camus.
"Sì." disse Camus, sincero. "Viaggiando
parecchio in genere sono aperto alle cucine straniere, a quelle
orientali in
particolare … in giro per il mondo per conto del Santuario e
grazie ad alcuni
colleghi, ho imparato ad apprezzare e sperimentare nuovi
piatti… la cucina
indiana grazie a Shaka, la cucina giapponese, la cucina cinese grazie a
Dokho…"
"Dohko che cucina lo immagino benissimo, ma Shaka
no. Questa è nuova." commentò Mei. "Davvero
nuova."
Dokho riusciva a immaginarlo mentre cucinava, l'aveva
fatto più volte quando, appena arrivati al Goro Ho, aveva
dovuto cucinare per sé
e per loro tre; le aveva anche insegnato. Ma Shaka no, assolutamente
no. Quello
non era capace di far nulla senza qualcuno al seguito.
Camus sorrise.
"Bè, è la sua attendente che cucina per lui."
rispose,
facendola annuire.
"Ah, ecco spiegato l'arcano." commentò. Si
ricordava abbastanza bene dell'inquilino della sesta casa e nelle tre
settimane
e mezzo trascorse in Grecia anni prima, non l'aveva mai visto alzare un
dito:
sicuramente si faceva aiutare anche per lavarsi, proprio come i
principi dei
tempi andati.
"Cosa sai della nostra cucina?" domandò quindi
Shunrei, riprendendo il filo del discorso.
Camus chiamò a raccolta tutta la sua esperienza in
merito.
"So che è variegata, ad esempio. So che a seconda
delle cucine ci sono sapori molto forti e un forte uso di aglio oppure
sapori
dolci e consistenze croccanti, carni brasate o affumicate." rispose
Camus.
"La mia pronuncia non è per niente corretta ma credo che i
nomi delle
quattro cucine siano Shandong, Su, Yue
e Sichuan."
Shunrei annuì, mentre Mei sorrideva sorpresa.
"E questo dove l'hai letto, su internet o la tua
esperienza nel settore deriva da qualche scialbo ristorante
pseudo-cinese
parigino?" sbottò Shiryu.
Camus inarcò un sopracciglio.
"Solo una piccola parte di ristoranti asiatici
propone autentica cucina cinese di qualità come quella che
si può mangiare qui
in Cina. Spesso i piatti sono prodotti insipidi e standardizzati e
spesso associati
ad altri tipi di cucine, come quella vietnamita o tailandese che sono
anch'esse
molto buone, se gustate da sole." rispose Camus. "Nei miei frequenti
viaggi in Oriente per conto del Santuario, come ho detto, ho avuto modo
di
assaggiarle tutte."
Mei si schiarì la voce.
"E… quali sono i tuoi piatti preferiti?"
"Preferiti è una parola grossa… diciamo che li ho
apprezzati particolarmente… riso fritto, spezzatino
di capra piccante, ran mian e
budino di riso." elencò Camus. "Si dice ran mian,
giusto?"
Mei annuì.
"Sì. Se avessi saputo del tuo arrivo avrei preparato
quello, per cena." disse. "Purtroppo ti devi accontentare di quello
che c'è."
"Ma no, mi accontento." rispose Camus.
Shiryu si alzò da tavola, per andare a rispondere al
telefono che aveva preso a squillare.
"Chiedo scusa per il suo comportamento." si
scusò Shunrei. "Temo sia irrecuperabile, ormai."
"Lo conosco da una vita intera, Rei. Shiryu è sicuramente
irrecuperabile." la
corresse Mei. "Per un attimo ho temuto una risposta salace, da parte
tua."
Camus sorrise.
"Non è mia abitudine dire parolacce, o comunque
rispondere in malo modo." rispose. "Preferisco di gran lunga
rispondere educatamente a tono e sorridere."
Meglio così. In effetti Camus non lo ricordava affatto
come una persona volgare o dalla parolaccia pronta, ed era un bene.
"Si mangia, mamma? Ho fame." protestò Lixue,
distraendo gli adulti.
"Quanta fretta!" sorrise Mei. "Abbiamo
ospiti, lascia che sia papà a servirsi per primo."
Shiryu tornò in cucina mentre Camus, presa la ciotola dal
piano girevole in mezzo al tavolo, si stava servendo pollo e peperoni;
gli
lanciò un'occhiataccia, quindi si accomodò al
solito posto.
Farabutto.
Comodo comportarsi così, comodo per lui, abbandonare
donna e figlia nel momento meno opportuno e tornare a reclamare assurdi
diritti
dopo anni.
Per lui, Camus era indegno di definirsi padre, quel
diritto l'aveva perso nello stesso momento in cui aveva voltato le
spalle a sua
sorella e alla nipotina che aveva portato in grembo.
"Hai detto che conosci tutto?" chiese Lixue.
"Quasi tutto tesoro, è impossibile conoscere ogni
cosa. Ma tu a che cosa ti riferisci?" chiese Camus.
"Alla cucina."
"Oh. No, so solo qualcosa." si schermì.
Lixue sorrise, poi afferrò una nuvola di drago.
"Allora cos'è questa?" gli domandò.
Camus sorrise a sua volta.
"Questa è facile. È una nuvola
di drago."
"E questo?"
"Uhm… ehm… Wonton
fritti." rispose Camus, spezzandone uno e intingendolo nella
salsa
rossa.
Di riflesso Shiryu si portò una mano alla gola. La malefica salsa di Mei aveva un modo subdolo di agire: di primo acchito,
grazie al pomodoro, sembrava una salsa dolce e gradevole, dal vago
retrogusto
agrodolce. Una volta bruciate definitivamente le papille gustative,
scendeva
come lava lungo l'esofago, liquefacendolo e arrivata allo stomaco,
bastava un
minimo movimento ed esplodeva come un santabarbara.
Camus masticò il boccone con gusto, assaporandolo.
"Buona questa salsa. Forse un pochino speziata,
ma molto buona. Mi ricorda
qualcosa che …" si accorse che Shiryu e Shunrei lo stavano
guardando con
tanto d'occhi, e s'interruppe. "…ho fatto qualcosa di
sbagliato?"
A parte presentarsi a casa loro, niente,
pensò Shiryu alzandosi e andando a prendere una bottiglia.
"Sei sopravvissuto alla lavanda gastrica,
ti meriti la Wei
kwei lo." disse. "Ne offro un bicchierino a tutti quelli che
hanno il fegato di resisterle. E credimi, non sono tanti."
"Tu sei il secondo, dopo Dokho." disse Shunrei.
"Lavanda
gastrica? Magari
Mei non sarà
all'altezza di Alain Ducasse, ma
addirittura definirla così…" disse Camus.
"Assaggiai una salsa
simile, durante una missione, in Malesia…"
"Ti riferisci alla Sambal Oelek?"
chiese Mei. "La mia salsa ne è una
variazione … alla ricetta base ci ho aggiunto diversi
ingredienti."
"Tra i quali, un peperoncino che la gente del luogo
ritiene afrodisiaco."
commentò
Shunrei.
Ancora un sorriso mozzafiato, con tanto d'occhiolino in
sua direzione.
"A quanto pare, non mi aspettava solo Lixue, chérie."
Mei strappò con stizza un pezzo di involtino primavera.
La sua intenzione era stata quella di bruciargli il senso
del gusto, non di risvegliargli la libido.
La cena, a
dispetto delle previsioni di Mei, si rivelò
piacevole; come ricordava, Camus era un ottimo intrattenitore -non si
sapeva se
per dono naturale o per colpa del liquore di Shiryu- e Mei
riuscì anche a
rilassarsi. Per un momento le parve di tornare al breve periodo
trascorso alle
Dodici Case, alle cene a due sul terrazzino dietro la casa
dell'acquario.
Ma la sua mente tornò anche al dopo
di quelle cene, alle sere di fine primavera trascorse dietro
ai cespugli del piccolo giardino dell'undicesima casa.
Non era stato un periodo da romanzetto rosa tutto sospiri
e languide carezze, anzi, a causa di Saga avevano anche litigato -e
quella lite
se la ricordava anche troppo bene- ma tutto sommato, era stato un bel
periodo.
"…tutto bene, Mei?"
Si riscosse di colpo, alla domanda di suo fratello.
"Come?"
"Ti ho chiesto se va tutto bene." ripeté
Shiryu.
"Sì, mi sono solo distratta." sorrise Mei,
incrociando lo sguardo di Camus.
A volte quello sguardo le faceva paura: era come se
riuscisse a leggerle l'anima.
"A-hem… beh, penso che mi ritirerò. Comunque era
tutto ottimo Mei, grazie." disse poi Camus, alzandosi da tavola.
Lixue sbadigliò vistosamente, quindi guardò suo
padre,
che si chinò e le baciò la testa.
"Bonne nuit, ma petite."
"Okay signorina, a letto. Per stasera hai già fatto
tardi." disse Mei, alzandosi da tavola.
"Mamma, papà può stare qui stanotte?" chiese
Lixue.
Camus si schiarì la voce, captando lo sguardo truce di
Shiryu e quello confuso di Mei.
"Non mi sembra il caso, Lixue." disse. "Posso
tornare domani, se vuoi."
Lixue abbracciò il padre, piangendo.
"Ma… ma c'è una stanza in più!"
esclamò. "Ti
prego! Ti lascio il mio letto e dormo con la mamma!" aggiunse,
facendolo
ridere.
"Ma che sciocchina." sussurrò Camus.
Mei non esitò.
"Rimani." mormorò a Camus, sfiorandogli un
braccio. "Mi farebbe piacere."
"Davvero?"
"Davvero Cam. Sono seria." rispose Mei. "Tesoro,
và a infilarti il pigiama e a lavarti i denti,
papà arriva subito."
Appena Lixue lasciò la cucina, Shiryu riprese a far
polemica.
"Come, resta qui?"
"Non c'è alcun problema, c'è una stanza in
più." precisò Mei, decidendo di ignorare Shiryu.
"Stai
tranquillo."
"La camera degli ospiti è occupata." commentò
Shiryu.
Essere sciocco e infantile. Stentava a credere che il
ragazzo che aveva di fronte e che si comportava in quel modo stupido
fosse lo
stesso che aveva sconfitto DeathMask anni prima.
Come aveva fatto Death a
lasciarsi sconfiggere da uno
come Shiryu?
"Mi adatto a dormire anche sul divano." disse
Camus, incrociando le braccia sul petto.
"È un divano a due posti, è troppo piccolo per
te."
Mei assottigliò lo sguardo, furiosa.
"Allora dormirà con me, nel mio letto." sibilò.
"Quello non è troppo piccolo né occupato. O hai
qualche obiezione da fare anche
su questo?"
Shiryu si schiarì la voce, le sopracciglia inarcate.
"La stanza degli ospiti andrà benissimo." rispose,
dopo un paio di minuti.
"Bene." disse Mei.
Camus si chinò leggermente verso Mei, sorridendo.
"Mi andava bene anche la tua stanza." precisò.
Non aveva dubbi a
riguardo.
"… non… non tentarmi." rispose lei.
Lixue ritornò in cucina in pochissimo tempo, con i
capelli sciolti, in pigiama, con Mushu –il suo peluche
preferito- sottobraccio
e un libro di favole in mano, insistendo per essere messa a letto dal
padre.
"Ti… ti sei lavata bene i denti?"
Lixue annuì vigorosamente, prima di prendere la mano di
Camus.
"Vai pure, parliamo dopo." rispose Mei,
sorridendo. "Buonanotte, amore."
Li seguì silenziosamente poco dopo, intravedendoli da uno
spiraglio lasciato dalla porta socchiusa: padre e figlia erano molto
affezionati, Lixue parlava spesso di suo padre e di quanto le mancasse
durante
tutti i giorni e Camus… beh… lui l'adorava, era
palese.
Chi era lei per impedire loro di frequentarsi, o di
interrompere il loro rapporto?
Assolutamente nessuno, non sarebbe stato giusto per
nessuno di loro tre e se il trasferimento a Parigi era
necessario… ebbene, per
loro si sarebbe trasferita.
Tornata in
cucina, ignorò le occhiatacce di Shiryu
addosso e iniziò a scrivere qualche appunto sulla lavagnetta
magnetica del
frigorifero: per prima cosa avrebbe chiamato Wenyan e si sarebbe
dimessa
chiedendogli, se possibile, una lettera di referenze per un altro posto
di
lavoro, poi, avrebbe dovuto pensare ai documenti e tante altre cose,
ritirare
l'iscrizione di Lixue alla scuola primaria…
"Perché devi parlare con Wenyan?" domandò
Shiryu, di punto in bianco.
Mei richiuse il pennarello e lo ripose accanto alla
lavagnetta, incrociando le braccia sul petto.
"Si tratta del mio capo, del mio lavoro… devo
parlargli per questioni private." rispose, tagliando corto.
"Dormirà con
me, nel mio letto. Ahahah. Ma che spiritosa."
borbottò Shiryu,
cambiando discorso.
"Non scherzo mai su queste cose." ribatté Mei.
"Si tratta del padre di mia figlia e anche se la nostra situazione
è
complicata, si tratta pur sempre del mio compagno. E poi se voglio
dormire con
lui, personalmente a te che cosa importa?"
"Beh, Mei ha ragione." intervenne Shunrei. "Io
metterei alla prova la resistenza del materasso con un fusto del
genere."
"Shunrei!" esclamò Shiryu, scandalizzato.
"Oh scusa, mi sono dimenticata che sei gelosa."
ridacchiò Shunrei.
E non immaginava nemmeno quanto.
"Appunto, vedi di ricordarlo." scherzò Mei.
"Hai Shiryu, và a testar materassi con lui."
Shiryu puntò le mani sui fianchi, oltraggiato.
"Per chi mi avete preso, per un bambolotto?"
protestò. "Troppo
Sex and the City, ragazze."
"È tipico degli uomini. Loro possono parlare di
qualsiasi cosa, ma se provi a scendere al loro livello, ti trovano da
dire." disse Shunrei, prima di lasciar soli i due fratelli.
"Che cavolo le è preso?… è stata
posseduta da
Samantha?" domandò quindi Shiryu.
"No, Shiryu. Si sta emancipando, non è la fine del
mondo…"
Camus
uscì dalla stanza di Lixue più tardi; sua figlia,
evidentemente su di giri per la sua presenza, si era addormentata solo
dopo la
seconda favola e dopo avergli strappato alcune promesse, come fare
colazione
insieme, andare in giro per Parigi come avevano già fatto
una volta e un altro
paio di cose che avrebbero richiesto un po’ di tempo: beh, il
giro per Parigi
poteva farlo anche da solo, un fratellino invece era una richiesta
più
complessa.
Nel tornare al piano di sotto, intravide Mei dirigersi in
giardino e decise di seguirla.
"MEI, ASPETTA!" gridò, prima di raggiungerla.
"Cos'hai da gridare? Vuoi svegliare tutto il
villaggio? Ci sento benissimo!" rispose lei, voltandosi.
Ci sentiva benissimo? E come diamine faceva, con la
cascata che emetteva un fragore terribile?
"So a cosa pensi. Ma ci siamo abituati." disse Mei,
indicando la cascata. Si sedette su un masso liscio e batté
più volte la mano
accanto a sé, in un invito a sedersi accanto a lei. "Vengo
qui ogni volta
che devo pensare o voglio stare tranquilla… una volta c'era
quella specie di
anfratto dietro la cascata ma ci sono troppi ricordi legati a quel
luogo."
Le sorrise; sapeva bene a che cosa si riferiva.
"…già."
"Già. Prima che tutto andasse a rotoli." disse
Mei.
Ma a dire il vero, nulla era andato a rotoli, anzi.
Quegli anni erano serviti a entrambi per conoscersi meglio.
"Rotoli? Perché dici così? Nulla è
andato a rotoli,
scherzi?" domandò Camus. "Diciamo che ci siamo conosciuti
meglio."
Mei sorrise.
"In effetti anni fa è stato tutto così
veloce…"
ammise.
"Appunto." convenne Camus. "Questi anni ci
sono serviti comunque, adesso sappiamo più cose l'uno
dell'altra. Posso dire
che è stata una sorta di lungo corteggiamento."
"Beh, corteggiamento un po’ particolare, visto che
abbiamo bruciato delle tappe." ridacchiò Mei, appoggiando la
testa alla
sua spalla. "Comunque sì, come termine può andar
bene."
Shiryu ridusse gli occhi a due fessure, sbuffando
sonoramente quando intravide la sorella e l'uomo dalla finestra.
Finché si limitava ad arrivare per vedere la figlia
poteva ancora andargli bene, ma se pretendeva davvero di prendere
entrambe e
portarsele via, si sbagliava di grosso.
"Che ci fai lì alla finestra, Shiryu? Sei diventato
un guardone?!" l'apostrofò Dohko, comparendo nel corridoio
all'improvviso
e facendogli prendere un colpo.
"Naturalmente no." rispose Shiryu, dopo aver
richiuso la finestra, ignorando l'eccesso di adrenalina scaturito dallo
spavento. "Non facevo niente di che."
"Spiavi tua sorella e Camus, come il solito. Se non
sbaglio hai una ragazza che ti aspetta, pensa a lei."
"Un
kimono?" domandò Camus, guardando
l'indumento che lei indossava. "L'ho notato solo ora. Una cinese con un
costume giapponese?"
"Mai visto Memorie
di una Geisha? Ci sono tre attrici cinesi che interpretano
tre geishe
giapponesi, non è così insolito sai. Comunque
è un regalo di Shiryu di un paio
d'anni fa, di ritorno da Tokyo." spiegò Mei. "Ti aspettavi
qualcosa
kitsch? Qualcosa che mi facesse assomigliare a una bambola cinese?"
Lui sorrise.
"No. Non sarebbe da te." rispose. "È per
questo che mi piaci."
"Perché non indosso solo abiti cinesi?!"
"Ma no. Perché non sei come molte delle donne che ho
visto transitare al santuario o a Rodorio. Perché sei
indipendente, fiera e
forte. Perché hai tirato su nostra figlia da sola e non ti
sei lasciata
travolgere dagli eventi…"
A dire il vero non aveva avuto granché scelta all'epoca:
o si rimboccava le maniche o chissà che fine avrebbero
fatto, lei e sua figlia.
"Cos'altro avrei dovuto fare, Camus? Non potevo fare
diversamente, ti ricordo che sei stato tu a lasciarmi, non il
contrario." disse
Mei. "Ma poi non ero sola, c'erano Shiryu e Shunrei con me."
Camus annuì.
Immaginava che genere di aiuto Shiryu aveva dato a lei e
Lixue: parole dure e cattive nei suoi confronti e polemiche a non
finire.
"A proposito di Lixue, ci sono ancora delle cose che
non so e che in questi anni, in presenza di Shiryu, non ho mai avuto il
coraggio di chiederti… "
"Spara."
"So che ci sono stati dei problemi con tuo fratello,
quando hai scoperto di essere incinta." iniziò Camus,
ricordandosi le
parole di Mu.
"Uhm… sì. Ci sono stati alcuni problemi. Non era
contento di sapermi incinta di un Gold Saint… "
"Soprattutto se quel Gold Saint ero io."
Mei gli strofinò la mano.
"…per farla breve, mi disse di abortire." disse
Mei. "Perché diceva che un bambino mi avrebbe rovinato la
vita e tu non
avresti fatto niente per noi, ci avresti abbandonato."
Camus trattenne il fiato, arrabbiato.
"Che gran bastardo." sbottò. "Per Athena
che bastardo!"
"Lascia perdere, ci ho pensato personalmente con un
pugno ben assestato in faccia, stai tranquillo." lo distrasse Mei.
"Non pensarci."
Sì, forse era meglio per tutti non pensare a Shiryu, era
meglio soprattutto per l'interessato, altrimenti gli avrebbe sfasciato
la
testa.
"Okay, pensiamo ad altro… ad esempio…
com'è andato
il parto?"
Sulle prime lo guardò confusa poi scoppiò a
ridere,
tappandosi subito la bocca.
"Ma guarda che domanda…" scosse la testa.
"…un delirio. Si ruppero
le
acque in piena notte e il travaglio durò tutto il giorno
finché Lixue non si
decise a uscire, la sera dopo."
spiegò,
non riuscendo a trattenere una smorfia.
"Tutto qui?"
"Bè, ti sembra poco? Cosa ti aspettavi?" chiese
Mei. "Il travaglio è durato trentasei ore, mi pare
più che
sufficiente."
"Non so… in tv se ne vedono di tutti i colori…"
Mei ridacchiò, di nuovo.
"…oh, so che cosa intendi… donne isteriche,
urlanti
e sbuffanti come treni a vapore?" domandò. "Ma tu pensi che
in quei momenti, una donna vera possa perdere tempo in cavolate
simili?"
"No, vero?" sorrise lui.
Mei scosse la testa, divertita al ricordo.
"Shiryu sembrava una cavalletta impazzita… andava
avanti e indietro in corridoio… abbiamo quasi cambiato il
parquet per questo
motivo, sai? E Aiolia… fu strepitoso…
è stato lui a far nascere Lixue. La
levatrice che aveva chiamato rimase imbottigliata nel traffico di
Pechino, a
causa della Festa delle Lanterne. Ho sofferto parecchio,
però per me non è
stato affatto terribile come dicono gli altri."
"Per molte donne il parto è un evento traumatico e
orrendo…" disse Camus.
"Dare alla luce un essere umano è forse orrendo?"
fece Mei. "Per me far nascere Lixue è stato bellissimo."
Camus sorrise, sornione.
"Più bello che… crearla?"
"No, certo che no. Mi sono divertita." disse
Mei. "E parecchio, anche."
Silenzio.
"Sai… Lixue mi ha chiesto un paio di cose, prima di
dormire."
"Ah sì? Tipo?"
"Ehm… fare colazione insieme domattina, portarla a
Parigi e…"
"… e?"
"Avere un fratellino, ma questa è una cosa che da
solo non posso fare e sicuramente non è ancora il
caso…" disse Camus.
"Oh."
"Mei?"
Lei si girò, distogliendo lo sguardo dalla volta stellata
sopra di loro.
"Mmh?"
"Posso avere ancora un po’ di salsa rossa?"
"…che stupido." sorrise, dandogli una gomitata.
***
Lady
Aquaria's corner.
Oddeì……ho creato un mostro!!
Anche Shunrei è OOC!
Muahahahahah!!
Colpa della funzione random del mio mp3, che ieri sera mi
ha "sparato", nell'ordine: Just
can't get enough (Depeche Mode), Heartache
every moment (HIM), Get outta my way (Kylie Minogue), Mamma
Mia,
Gimme Gimme
Gimme, Head over heels (ABBA) e Our truth (Lacuna
Coil), colpa del mio telefilm preferito e di Samantha Jones
che s'è impossessata di Shunrei. Già.
ù_ù
-I wonton......nel
ristorante cinese dove sono cliente abituale, i wonton sono pezzi di
pasta
fritta, tirata come se fossero bugie di carnevale, ma salate
anzichè dolci...almeno,
mi hanno spiegato così…
-I Ran mian sono tagliolini fritti serviti con cipolle,
peperoncino, arachidi, erba cipollina e salsa piccante
-Santabarbara…probabilmente tutti sapete
cos'è…ma in ogni
caso, è un deposito adibito a stivaggio di armi, munizioni e
similia
all'interno di una zona militare. Chiamasi così dal nome
della Santa deputata
alla protezione della Marina, dei Vigili del fuoco, delle armi di
Artiglieria e
Genio e in generale di chi fa mestieri a contatto con fuoco e/o
esplosivi…
-Wei kwei lo…(spero che
si scriva
così)…grappa di rosa cinese
-Alain Ducasse…è un famoso cuoco
parigino
-Sambal Oelek….piccantissima
salsa malese ottenuta tritando e pestando i peperoncini piccanti.
Come
sempre, grazie di cuore a: chi ha inserito la storia
tra le seguite/preferite e chi ha recensito.
Lady Aquaria
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Capitolo 4 *** Nothing can keep me from you. ***
capitolo 4 rivisto
4.
Nothing can keep me from you.
No mountain
could ever stand between us
No ocean could ever be that wide
No river to deep to keep your love from me
I swear it's the truth
Nothing Can Keep Me From You
There's no race I would not go to
No distance would ever be too far
To keep me away I'd always find a way to show
you it's true
Nothing Can Keep Me
No, Nothing Can Keep Me from You
[Kiss – Nothing can keep me from you]
"So che Lixue vorrebbe una
sorella, le sole
occasioni che ha per parlare e giocare con i bambini della sua
età si riducono
all'asilo o al parco giochi, quando ce la porto, sai… la
pagoda è piuttosto
lontana dal villaggio." Mei riprese il discorso di poco prima.
"Sinceramente anche io vorrei altri figli, ho l'età giusta,
sono più
preparata… e poi, sono dell'idea che tra due fratelli non ci
debba essere
troppa differenza d'età."
Camus annuì.
"Quindi vorresti altri figli?"
"Oh sì, mi piacerebbe moltissimo."
"E… il tuo compagno, che ne pensa?" domandò
Camus pur sapendo benissimo che Mei, in verità non aveva
alcun compagno... era
ancora sua.
Per qualche strana ragione però, voleva sentirlo
direttamente da lei, voleva avere una seconda conferma.
"Il mio… cosa?" ripeté Mei.
"Il tuo compagno."
"Sai molto bene che l'ultima volta che ho avuto un
uomo è stata durante quell'ultima notte ad Atene."
replicò Mei,
ridacchiando nervosa. "Lo sai bene, visto che quell'uomo sei tu. Non ho
mai avuto altre relazioni."
"Uhm." annuì Camus.
"Ti stupirà saperlo, immagino." disse Mei.
"In questi anni qualcuno ci ha provato, non lo nego.
Perlopiù gente che
non conosce affatto il mio carattere…"
"…e come dargli torto?" scherzò Camus.
"Beh… in effetti…" ridacchiò
velocemente lei.
"…però li ho sempre rifiutati tutti. Non
accettavo neanche un caffè con
loro."
"Perché?" domandò, di getto.
"Semplicemente perché nessuno di loro era te.
Perché
segretamente speravo in un tuo ripensamento, speravo di vederti
tornare, un
giorno, per chiedermi di ricominciare."
"Buffo. Pensavo non volessi vedermi più."
Mei corrugò la fronte.
"Pensavi che
cosa?"
Camus invece si schiarì la voce, un filo insicuro dopo il
tono di Mei.
"Sì, insomma. Dopo quello che è successo fra
noi…"
Scattò in piedi, guardandolo contrariata.
"Perché? Che cosa diamine ti ha fatto pensare
che…
sì, all'inizio ero furiosa con te, ma poi… quando
ti ho visto con nostra figlia
quella volta, tutta la rabbia che provavo se n'è andata."
spiegò Mei.
"Insomma… dopo tutto quello che ho vissuto con te pensi
forse che avrei
potuto rifarmi una vita come niente fosse? Che avrei potuto permettere
a
qualcun altro di occuparsi di Lixue?"
"Mei…"
"Oppure pensi che esista davvero qualcun altro al mondo
in grado di reggere il confronto con te? O che potessi permettermi di
cedere
tra le braccia di un altro uomo dopo essere stata tra le tue?"
"Tesoro, tu mi sopravvaluti un po' troppo…"
Lo fulminò con un'occhiata.
"Okay okay, non arrabbiarti…!"
"Mi arrabbio perché… se solo fossimo stati meno
orgogliosi, se io lo fossi stata di meno, avremmo potuto crescerla
insieme
nostra figlia, essere una famiglia unita già da tempo, ecco
perché." disse
Mei. "Lixue avrebbe avuto suo padre accanto, e io…"
La guardò.
"… e tu?"
"E' tardi, rientro." rispose Mei, schiarendosi
la voce.
"Aspetta." Camus le afferrò la mano e la trasse
a sé. "… e tu? Avanti, finisci la frase."
"Io avrei riavuto il Camus che amavo. Ma non
possiedo un giratempo,
perciò non
posso tornare indietro e rimediare a tutto."
Camus sorrise.
"Sì, è vero, non possiamo tornare indietro, ma
possiamo ancora rimediare. Possiamo sempre costruire la nostra
famiglia, per
questo ti ho proposto di venire a Parigi con me. Pensaci: una casa
nostra, la
scuola per Li… Parigi è piena di palestre, un
lavoro lo troveresti di certo, ne
son sicuro. E se così non fosse, provvederei io per tutti e
tre."
"Quest'ultimo punto scordatelo, ho faticato per
avere l'indipendenza economica, da giovane vivevo sulle spalle di Dohko
e mi è
bastato."
"Che io sappia non si è mai lamentato di
questo."
"Lo so e l'ho sempre ringraziato per l'aiuto che mi
ha dato, ma non mi piace vivere sulle spalle altrui."
La stretta sui fianchi aumentò, così come
l'intensità del
suo sguardo.
"Allora è un sì, questo?" le domandò,
affondando il volto nel suo petto.
"Stai giocando sporco, mascalzone." ridacchiò
Mei, afferrandogli i capelli e tirandogli indietro la testa con
dolcezza. "Vuoi
farmi cedere e usi questi mezzi."
"Direi che questi
mezzi stanno funzionando." le fece notare, avvertendo
chiaramente i
suoi brividi.
Sospirò.
"Non hai idea di quanto autocontrollo ho sviluppato
in anni di arti marziali. Chi ti dice che avrai successo?"
"Lo so, lo so." le rispose Camus, a voce
bassissima. "Ah, lo sai che non riuscirai a dirmi di no."
"Possiamo
parlarne domani? Ora non riesco a ragionare come dovrei." rispose,
tentando di scostarsi.
"Perché siamo così vicini?"
"… beh, la tua vicinanza potrebbe portarmi a
commettere gesti strani."
"Ah sì? Che tipo di gesti?"
Lixue s'era
arrampicata sulla panchetta sotto la finestra
del corridoio e da lì guardava i genitori parlare.
Da quella distanza ovviamente non poteva sentirli, ma
erano vicini come spesso accadeva agli zii e tanto le bastava,
significava che
si volevano bene.
"Piccola birbante." mormorò Dohko, a bassa voce
per non farla spaventare. "Non si spiano i grandi, lo sai."
"Lo so." rispose la piccola, abbassando
colpevole lo sguardo.
"Non importa." disse Dohko, guardando fuori e
vedendo i due ragazzi baciarsi e scompigliandole affettuosamente i
capelli.
"Avevi le tue buone ragioni."
"Visto? Mamma e papà si vogliono bene." disse
Lixue, soddisfatta.
"Ma certo. Lo sapevo già." disse Dohko.
"Ora a dormire, signorina. E' tardi e i tuoi genitori devono
parlare."
Parlare… beh, non era il termine esatto, i gesti dei due
giovani erano diventati piuttosto eloquenti.
"A nanna, su."
"…quella
caverna, dietro la cascata… c'è
sempre?"
Mei riaprì gli occhi, guardandolo qualche istante col
fiato corto.
"Uhm… s-sì. Certo che sì."
"Bene." rispose Camus, la voce spezzata.
Sinceramente non sapeva per quanto ancora avrebbe resistito.
"Preferirei comunque la mia camera, è più comoda,
non trovi?"
Camus annuì.
"Penso proprio di sì."
Dalla pagoda, Dohko si schiarì la voce.
"… e più calda, oserei aggiungere."
s'intromise, facendoli sobbalzare; istintivamente Mei serrò
i lembi del kimono.
Entrambi rimasero zitti per qualche istante, imbarazzati.
"Coraggio ragazzi! Meglio su un letto caldo che su
un sottile futon sulla nuda roccia dietro la cascata."
"Direi di sì." rispose Camus, ad alta voce,
mentre Mei scendeva dalle sue gambe –chiedendosi a che punto
della serata v'era
salita- e si sistemava alla bell'e meglio.
"Bene, Camus. Anche perché una certa bambina, qui,
potrebbe alzarsi di nuovo e vedere cose che vanno al di là
di un semplice
bacio." replicò Dohko. "E' ancora troppo piccola per certe
cose."
"Oh accidenti. Sapeva della grotta?" mormorò
Camus, mentre Mei si stringeva nel kimono.
"La usavo prima di voi, miei cari." disse Dokho,
sornione. "Buonanotte. E cercate di non fare troppo rumore."
"Oddei." fece Mei. "Direi di rientrare, mi
sento già abbastanza imbarazzata."
Camus scosse la testa.
"Inizia a rientrare, mi servirà ancora qualche
minuto." disse, incrociando le gambe.
Quando comprese il perché di quella richiesta,
avvampò e
iniziò a ridere sommessamente.
"Meglio, sì. Ehm… vado a controllare Lixue,
magari
le leggo un altro capitolo… sai, dopo il Voto Infrangibile
non sta più nella
pelle per sapere cosa succede." continuò Mei.
"Oh...
tu leggi Harry
Potter?" domandò Camus, grato per quel diversivo che gli
stava consentendo
di recuperare un briciolo di presentabilità.
"Lo
leggo a Lixue. Lei lo trova bello e
divertente, io lo trovo anche molto educativo." precisò Mei.
"Amicizia,
coraggio, amore. Poche saghe sono così avvincenti."
"Dimentichi il
Signore degli Anelli."
"Non la dimentico
affatto. Una saga per volta, finito Harry Potter la
incoraggerò a leggere del
prode Aragorn. E di Elrond." rispose Mei, aggiungendo una particolare
inflessione sul suo personaggio preferito.
"Draco, Severus,
Elrond… hai mai provato una volta sola a stare dalla parte
dei buoni?"
scherzò Camus. "Credo di potermi alzare adesso."
"Hai citato tre
personaggi che non sono assolutamente cattivi." replicò Mei,
incamminandosi con Camus verso la pagoda. "E comunque hai dimenticato
Loki."
"Oh no, dici sul
serio? Ma dai! Loki? Sei seria?"
"Eh, in questo io e
Lixue siamo diverse, lei adora Thor. Dice che le ricorda Hyoga."
spiegò
Mei. "Comunque dì al tuo allievo che può anche
farsi vivo ogni tanto, se
vuol venire qui a trovare Shiryu o magari Lixue. Non nutro
costantemente
istinti omicidi nei suoi confronti."
"Glielo farò
presente, anche se sulla storia degli istinti omicidi tenuti a bada non
ci
credo nemmeno un po'."
Parlando, erano arrivati alla porta della stanza degli
ospiti e dopo qualche istante di silenzio, Mei si schiarì la
voce.
"… sei deluso o arrabbiato?"
"Scusami?" domandò Camus, corrugando di nuovo
la fronte.
"Per poco fa. Cerchi di dissimulare ma sei ancora
parecchio… come dire… su
di giri."
"Non sono arrabbiato." le rispose, abbassando
la voce di un paio d'ottave. "Certo non ce l'ho con te
perché tanto prima
o poi succederà e riprenderemo il discorso
di poco fa, visto che lo vogliamo entrambi. E tu?"
"Irritata per l'interruzione." rispose Mei,
ricevendo un bacio. "Parecchio irritata."
Camus le baciò la fronte.
"Pazienza, è andata così. Buonanotte chérie."
"Sì, sempre se riesco a
dormire." bofonchiò
Mei, tra sé e sé, facendolo ridere.
Controllò
Lixue, accorgendosi che si era finalmente messa
a dormire, quindi, dopo vari infruttuosi tentativi di prender sonno,
decise di
scendere in cucina e farsi un infuso: erano le due di mattina e ancora
non
riusciva a chiudere occhio.
Sabaka si mosse appena, sollevando la testa e
sbadigliando.
"Minou ti ha di nuovo cacciata dalla cesta,
vero?" le disse Mei, chinandosi ad accarezzarle la testa. "E'
prepotente, non dargli retta."
Shiryu rimase qualche secondo in attesa sulla porta della
cucina, quindi si schiarì la voce mentre Mei accarezzava il
samoiedo di Lixue.
"Mei."
"Eh?"
"Cosa ci fai alzata?"
"Non ho sonno." rispose, evasiva.
"Non è da te."
"Beh, a volte capita." replicò, allungando un
biscotto per cani a Sabaka. "Tu, piuttosto? Perché sei in
piedi?"
"Per il tuo stesso motivo."
Preferì sorvolare su questo, sicuramente Shiryu si era
alzato dopo averla sentita scendere in cucina.
"Ho visto che sei sola."
"Dì un po', che cosa speravi di vedere una volta entrato?
Io e Camus avvinghiati sul piano cucina?" sbottò Mei,
afferrando un
barattolo dalla credenza.
"Speravo proprio di no."
"Anche fosse non sarebbero affari tuoi."
Shiryu vide le mani di Mei tremare e le aprì il barattolo
con l'infuso.
"Cos'hai?"
"Niente, Shiryu, niente. Sono un po’ stanca."
Il fratello posò una mano sulla sua.
"Siediti, dai. Ci penso io."
Lo vide prendere un altro barattolo.
"Posa subito
quel barattolo. Con tutto il bene che le voglio, preferisco tenermi
l'insonnia
che trangugiare un infuso con le erbe di Shunrei."
"Una bella camomilla?" propose Shiryu.
"La camomilla m'innervosisce."
Le si sedette di fronte, mentre l'acqua scaldava nel
microonde.
"È successo qualcosa?"
"No, nulla di particolare." rispose Mei. Anche
fosse, non l'avrebbe certo reso partecipe di ciò che faceva
con Camus.
Shiryu annuì.
"D'accordo." rispose. "Ascolta, mi spiace
essermi comportato male oggi. Scusami."
"Non devi chiedere scusa solo a me, ma a Camus e
Lixue. Io sono abituata al tuo comportamento anche se mi irrita spesso
e per
quanto ti voglio bene ti prenderei volentieri a sberle. Ma Camus non ti
ha
fatto nulla per meritare la tua avversione. Quello che c'è
stato tra me e lui
anni fa riguarda solo noi due, non te, né nessun altro."
rispose Mei.
"E Lixue è piccola e non capisce perché detesti
suo padre."
"Io non lo odio."
"Oh. Pensa se lo odiavi." disse Mei. "Che
avresti fatto in quel caso? L'avresti ucciso?"
"Io mi preoccupo per te, Mei, come ho sempre fatto,
anche se sono più piccolo di te. Mi dispiace averti ferita."
Oh, non l'aveva ferita in quel momento. L'aveva ferita
nel momento in cui le aveva chiesto di abortire. Tutte le altre ferite
che le
aveva inferto erano superficiali rispetto a quella ferita profonda e
ancora
aperta.
"No, non mi hai ferita oggi."
rispose Mei, alzandosi e preparandosi la tisana.
"Lascia perdere Shiryu, davvero. Torna da Shunrei a collaudare
materassi." aggiunse, lasciandolo solo.
Tornò in camera, ma non le riuscì di prender
sonno
nemmeno dopo la sua tisana. D'un tratto capì che la causa
della sua insonnia
era solo una: l'uomo che dormiva nella stanza degli ospiti, lo stesso
uomo che
quella sera aveva baciato in giardino, l'uomo che amava da anni.
Chissà, forse nemmeno lui riusciva a dormire, magari
anche lui stava pensando a quanto successo poche ore prima.
Posò la tazza sul comodino, s'infilò il kimono e
uscì di
corsa, diretta alla stanza degli ospiti. Forse anche Camus era sveglio,
forse
anche lui stava ripensando a quei baci, forse anche lui provava lo
stesso
desiderio.
Bussò appena e aprì la porta, muovendo qualche
passo
verso il letto.
"Mei?!" mormorò Camus, girandosi appena.
"… il discorso di prima. Vorrei riprenderlo ora."
disse Mei.
"… Mei…"
"Fammi finire. Non riesco a dormire per quello che è
successo in giardino, continuo a pensarci."
Camus ridacchiò appena.
"Desidero riprendere quel discorso quanto te, ma…
non siamo da soli."
"Come?!"
Lui si girò sulla schiena, rivelando Lixue che dormiva
placida accanto a lui, stringendo Mushu tra le braccia.
"Oh." Cavolo.
Lixue s'era svegliata di nuovo, evidentemente troppo su di giri per la
presenza
di Camus; decisamente una cosa non prevista.
"Ehm… niente, non importa." rispose,
arretrando.
"Ma aspetta…"
"Credo che andrò a farmi una doccia fredda."
disse Mei. "Ci vediamo a colazione."
Camus si scostò da Lixue facendo attenzione a non
svegliarla e la rincorse in corridoio.
"Perché diamine non hai detto niente prima?"
"E quando parlavo? Quando c'era Dohko alla
finestra?" ribatté Mei. "Per me è già
stato imbarazzante."
Camus sorrise.
"Se può esserti d'aiuto, è stato difficile anche
per
me cercare di dormire, sai?"
"Oh, bene. Senti, credo che andrò a dormire o
almeno, ci proverò." disse Mei. "Buonanotte."
Ci sarebbero state altre occasioni per riprendere il loro
discorso.
***
Lady Aquaria's corner.
Orbene, quest'oggi -23/05/2013- nuova versione del capitolo
4, a distanza di due anni :)
Cos'è cambiato? Beh, anzitutto è ampliato e,
spero più
maturo della prima stesura. Nella prima versione c'era una curiosa e
simpatica
scenetta di Camus che, sotto effetto della salsa piccante, immaginava
sé stesso
e Mei in una certa situazione un po' piccante.
Anche le note sono cambiate, qui. Comunque, passo a
spiegare qualcosa qua e là.
-Giratempo, Voto Infrangibile, Draco, Severus, Elrond,
Loki: beh, immagino sappiate tutti a che cosa mi riferisco, giusto?
-Mushu: il pupazzo di Lixue è il drago di Mulan (capitan
ovvio…)
-Minou e Sabaka: il primo è il Maine Coon Blue Tabby di
Shiryu (un maschio con un nome da femminuccia, dato da Lixue) e la
seconda è la
cucciola di Samoiedo di Lixue (citata nella drabble
n°19,
Bianco della mia raccolta "Memories").
Credo sia tutto :)
Alla prossima!
Vale^^
Lady Aquaria
|
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Capitolo 5 *** I'll follow you. ***
capitolo 5 rivisto
5.
I'll follow you.
I’ll
follow you down to where forever lies
Without a doubt
I’m on your side
There’s
nowhere else that I would rather be
I’m
not about to compromise, give you up to say
goodbye
I’ll
guide you through the deep I’ll keep you close to
me.
[Shinedown -
I'll follow you]
Scendere in cucina quella mattina
fu parecchio
imbarazzante.
Shiryu e Shunrei non dovevano essersi accorti di nulla
–anche perché avevano avuto ben altro cui pensare-
mentre Dohko s'era accorto
eccome.
"Zǎo
ān." Buongiorno.
"Buongiorno cara." la salutò Dohko;
quest'ultimo non proferì parola sull'accaduto e lei fece
altrettanto, tenendo accuratamente
la conversazione su un piano neutro: il tempo di quella mattina
–maledetta pioggia!-, la
colazione –Mei, saresti
così gentile da prepararmi del
tè bianco?-, i prezzi del mercato –impossibili,
ormai siamo arrivati a dei livelli che…- …
"…dovremmo provare a cambiare banco, il solito ha
aumentato i prezzi di frutta e verdura a livelli incredibili!" stava
dicendo Shunrei, prendendo appunti per la prossima spesa sulla
lavagnetta
appesa al frigo.
Mei non aveva molta voglia di parlare, tuttavia era grata
alla ragazza che con le sue chiacchiere distraeva Dohko e Shiryu.
"Basterà far spesa altrove per qualche tempo: quando
perderà abbastanza clienti, riabbasserà i
prezzi." convenne Shiryu,
pratico, allungando la mano a un contenitore di vimini. "Che abbiamo
qui? Taiyang Bing e Yuebing.
Ottimo!"
Mei gli tolse il
cestino di mano, indicandogli l'abbondante colazione che aveva messo in
tavola:
riso congee dolce, riso fritto, latte di soia e ravioli misti.
"Hai già
abbastanza cibo col quale fare colazione, questi non li ho preparati
per
te." disse, ancora arrabbiata per il giorno prima.
"Volevo
qualcosa di dolce." si giustificò Shiryu, corrugando la
fronte.
"C'è il
congee. Fattelo bastare." replicò Mei, acida.
"Ma come sei
acida stamattina." la riprese l'altro, inarcando un sopracciglio e
servendosi una tazza del tè bianco che Mei aveva preparato
per Dohko.
Lo ignorò, preferendo troncare sul nascere ogni possibile
discussione, per evitare a Camus e Lixue un'altra sequela d'improperi:
era
acida? Beh, era il minimo, con tutto ciò che aveva sempre
sopportato e aveva
dovuto ingoiare grazie a lui.
"Ciao mamma!"esclamò Lixue, lasciando la mano
di Camus e andando a salutarla.
Non si stupì di vederli arrivare insieme; Cam era sempre
stato un padre presente e attento, e Lixue dimostrava ogni giorno di
più il suo
attaccamento a lui.
"Ciao, tesoro. Siediti, è pronta la colazione."
la salutò con un abbraccio e un bacio in fronte e le
scostò la sedia, quindi
andò a spegnere il fornello sotto la moka, incrociando lo
sguardo penetrante di
Camus, che si era avvicinato.
"Come stai?" le domandò, a voce bassa.
"Insomma…" gli rispose, reprimendo uno
sbadiglio. "Non ho praticamente chiuso occhio e stamani mi sono alzata
presto per scendere in paese e cucinare."
"Scendi sempre così presto? Sono appena le nove, a
che ora ti sei alzata?"
Stavolta non riuscì a reprimere lo sbadiglio.
"Alle sei." rispose Mei. "Come facevamo in
Grecia, ricordi? Non sai quanto mi mancano le nostre colazioni in
giardino con
vista Porto. A Rodorio c'è ancora quel fornaio che faceva
le… ehm… come si
chiamavano… quei biscotti di pasta frolla con le mandorle,
quelli che sanno di
rosa?"
Camus annuì.
"I Kourabiedes?"
"Sì! E il frappè… quanto mi manca la
Grecia, e
quanto mi manca una cena con i ragazzi."
"Potremmo organizzare una sera, che dici?"
domandò Camus.
"Mi piacerebbe molto, mi mancano."
"Ti mancano."
ripeté Camus.
"Milo in particolar modo. Mi mancano le sue battute
e il suo modo di fare."
Lui sorrise.
"Non farti sentire da Milo o il suo ego crescerà
ancora." rispose Camus. "Comunque vorresti farmi credere che ti mancano
tutti?"
Tutti proprio no. DeathMask le stava simpaticamente sullo
stomaco, Shaka non era mai stato uno di gran compagnia e
Saga… beh, in un certo
senso anche lui aveva contribuito alla loro rottura, anni prima, e
certo non le
stava simpatico. Anzi.
"Non proprio." si corresse.
"Ah, ecco. Mi pareva strano."
Camus si sedette tra Mei e Lixue,
l'attenzione tutta
reclamata da quest'ultima che continuava a parlare della scuola
materna, degli
ideogrammi del cinese tradizionale più complicato di quello
semplificato -che preferiva-,
fino ad arrivare agli argomenti più disparati, come la mensa
scolastica -che
spesso non era buona- e la cucina.
Nel giro di qualche minuto Camus scoprì che Mei era una
discreta cuoca con una predilezione particolare per i cibi piccanti e
le spezie
-ne aveva avuto una prova la sera prima- e che amava preparare e
mangiare dolci
come moji e fengli
su. A tal
proposito, gli mise davanti la tazza col caffè e il piatto
con i dolcetti preparati
per lui.
"Sciacquato
e senza zucchero, come piace a te." disse, posandogli una mano sulla
spalla,
sulla quale Camus posò un bacio dopo averla presa nella
propria.
Lixue guardò la scena, felice. Scese dalla sedia, prese tra
le proprie manine la mano destra del padre e la sinistra della madre e
se le
portò al viso, lasciando i due genitori di stucco.
"Vorrei che fosse sempre così. Non andare via,
papà,
non andare via." disse poi, al padre. "Ti prego papà,
rimani."
"Tuo padre ha da fare." commentò Shiryu
piccato, guardando Camus in cagnesco, con un tono che fece intristire
la
nipote.
"Ho parlato con papà." rispose Lixue, un po'
sgarbata.
"Ti ho risposto io, è lo stesso." replicò
Shiryu.
"Gòule. Tíngzhǐ
tā."
Basta, smettila,
interloquì Mei. "Non parlare così a mia figlia."
"Sta parlando con me
e nessuno ti ha interpellato." aggiunse Camus, iniziando a perdere le
staffe mentre Mei partiva in quarta col cinese, come
faceva spesso
quando era arrabbiata; un paio di volte era successo anche anni prima,
ad
Atene. Per certi versi era un bene non conoscere ancora bene la sua
lingua, Mei
parlava troppo svelta per permettergli di comprendere che cosa, in quel
momento, stesse dicendo a Shiryu: livido di rabbia, il ragazzo
lasciò la tavola
sbattendo stizzito il tovagliolo sul tavolo e afferrando un raviolo di
carne.
"Va' fuori a mangiare, non voglio raccogliere in
giro il cibo che semini per casa!" gli ordinò Shunrei.
Guardando sua figlia sul punto di piangere aggrappata
alla camicia di Camus, la decisione che doveva prendere le venne
spontanea.
"Lixue, tesoro… d'ora in poi sarà
sempre così…" iniziò Mei. Come
previsto, Camus la fissò,
a metà tra l'interrogativo e lo speranzoso. "…la
mia risposta è sì."
Camus si alzò, con la bambina stretta
a sé.
"Sì?"
"Decisamente
sì."
"… sì a cosa?" chiese Lixue.
"Andiamo a Parigi con papà."
"… per le vacanze?"
"Se tuo padre sarà capace di sopportarci, resteremo
con lui per un bel po’ di tempo." disse Mei.
"…per sempre?" propose Lixue.
Più tardi, Mei decise
di approfittare della presenza di
Camus in casa per andare in città a sbrigare alcune
commissioni mentre padre e
figlia trascorrevano altro tempo insieme: aveva così tante
cose da sbrigare
prima della partenza…
"Dov'è Parigi?" chiese Lixue, prendendo il
mappamondo dalla sua stanza e portandolo fuori.
Camus si sedette a terra e incrociò le gambe come aveva
fatto la figlia.
"Noi siamo qui." disse, indicando un punto
sulla Cina. Indicò un altro punto. "E qui c'è
Parigi."
"È lontanissimo!" esclamò Lixue.
"Prenderemo l'aereo?"
Camus sorrise.
"Più o meno." rispose.
"Allora inizierò la scuola a Parigi?"
"Sì."
"… così prenderò la laura
come te?"
"… sì, tra una quindicina d'anni o giù
di lì."
"E non dovrò più studiare il cinese difficile?"
"Mi piacerebbe che continuassi a studiare cinese, chérie."
disse Camus. "Il
legame con la terra di mamma, dove sei nata, è molto
importante."
"Ma devo studiare anche quello difficile?"
Shunrei seguì la scena, divertita.
"Forse Lixue intende il cinese tradizionale, che è
più difficile di quello semplificato." spiegò,
sperando che Shiryu, che
aveva insistito per accompagnare Mei, non ne combinasse una delle sue.
"Pensi di parlarmi e dirmi almeno qualcosa o hai
intenzione di restare in silenzio tutto il tragitto?" disse
Shiryu.
"…"
"Okay. Inizio io." disse Shiryu. "Come va
oggi?"
Un sospiro.
Sii superiore, sii
superiore.
"Bene."
"E… lui e Lixue?"
"Bene."
Shiryu sbuffò.
"Bene.
Possibile che non riesci a rispondermi con altro?"
"Stronzo."
sbottò Mei. "Contento
adesso?"
"Preferivo bene.
Dai Mei… per quanto tempo ancora pensi di non parlarmi?"
"Dipende."
"Da cosa?"
"Dipende se mi va o no di parlarti."
"Mi stai già parlando." obiettò Shiryu.
"No. Ti sto rispondendo, è diverso." rispose
Mei. "Perché mi hanno insegnato che è educazione
rispondere. Ma non
chiedermi di fare conversazione perché non ne ho voglia."
Shiryu tamburellò le dita sul volante, nervoso, iniziando
a canticchiare un motivetto che Mei trovò irritante.
"Uh, menomale, ci siam lasciati alle spalle il
traffico… non sopporto le ore di punta…"
"Se prendevi la statale invece della tangenziale, a
quest'ora eravamo già alla palestra." rispose Mei, acida.
Shiryu sbuffò.
"A proposito di palestra, se non ricordo male oggi
non avevi lezione."
"Non sbagli. Anzi, credo che qui non avrò più
alcuna
lezione da dare." rispose Mei, criptica.
"Lasci la palestra?"
"Sì e no."
Shiryu scalò in quarta con un gesto secco.
"Potresti essere più chiara? Non sono dell'umore
adatto per gli indovinelli."
"Sì, lascio
la palestra qui e no, non lascio
l'insegnamento dell'Aikido." spiegò Mei.
Shiryu frenò all'ultimo momento a un semaforo nei pressi
di Piazza Tien En Men.
"E dove vai?!"
La vide aprire e chiudere il cassetto del cruscotto, poi
cercare qualcosa tra i piedi.
"Cosa cerchi?"
"… il mio cuore. Devo averlo vomitato poco fa,
durante la frenata." rispose Mei.
"Ma… te ne vai? Hai ricevuto un'altra offerta di
lavoro?" proseguì Shiryu, incredulo.
"No, nessuna offerta. Seguirò Camus a Parigi."
Shiryu svoltò di scatto.
"Oddèi… Shiryu
al volante, pericolo costante. Voglio scendere." disse Mei,
alzando la
voce per farsi sentire dal fratello sopra il coro di clacson che Shiryu
aveva
scatenato.
"… Mei… non penso sia una buona idea."
"Lasciarti la patente, dici? Nemmeno io penso sia
una buona idea, bisognerebbe ricoverare chi te l'ha data! Io ho una
figlia a
casa!"
"Non penso sia una buona idea andare a Parigi."
puntualizzò Shiryu ignorando la battuta
ironica della sorella.
"Ho preso la mia decisione."
"E io la rispetto, Mei."
"Ah sì? Non mi sembra."
"Mi ricordo benissimo come stavi, sette anni fa. Soffrivi,
anche se sei così orgogliosa
che non lo ammetterai mai. Soffrivi, quando hai sentito il suo cosmo
spegnersi,
alle Dodici Case." rispose Shiryu. "Lui non merita tutto
questo."
"Ah no, non rivangare il passato, non ti conviene. Ho
visto Shunrei soffrire come e più di me, in quel periodo.
Camus è
l'ultima persona cui puoi far la predica." ribatté Mei,
più aspra di
quanto volesse. "E tutto per cosa? Per salvare una… ragazzina con più vizi che
anni."
Shiryu fece per aprire bocca.
"…ti ricordo che ho ragione." lo interruppe
Mei.
"Senti, non è mia intenzione fare il polemico o fare
il geloso. Ma…ci hai pensato bene? È per questo
che è venuto qui? Per portarvi
via?"
"Non ci sta portando via. Lo sto seguendo di mia
iniziativa, perché sono io a volerlo. E poi per
Lixue. Hai visto
com'è affezionata a suo padre?"
sbottò Mei. "Lo faccio per lei e per me. Perché
voglio riprendere da dove
abbiamo interrotto."
Lui sbuffò ancora.
"Ne vale la pena, almeno?"
"Sì. Non ho mai avuto dubbi in merito. Mi trasferirei
anche in Siberia, se me lo chiedesse." asserì Mei.
"Addirittura."
"Ma taci, pensa a guidare."
"Credo davvero che non sia una buona idea,
altrimenti non starei qui a metterti in guardia."
"Shiryu, faresti bene a non elargire le tue perle di
saggezza se non sono espressamente richieste."
"Ti stai licenziando da un posto di lavoro sicuro,
stai lasciando la tua casa e il tuo Paese per trasferirti in Francia, a
fare la
casalinga? Pensavo avessi più amor proprio."
"Intanto non farò la casalinga. Ed è appunto per
preservare il mio amor proprio che seguo il mio compagno e fare la vita
che
merito di fare con lui e nostra figlia piuttosto che rimanere a casa a
fare la
zitella impegnata a servirti e riverirti. Mia figlia merita un padre e
io
merito la mia fetta di felicità: non voglio morire con il
rimpianto di aver
gettato all'aria l'amore della mia vita e Parigi per stare ad ascoltare
uno
sciocco ragazzino geloso e arrogante."
"E sia! Allora sappi che al contrario della volta
precedente non sarò qui pronto a consolarti se qualcosa va
storto!"
"Preferirei morire piuttosto che chiederti ancora
aiuto."
Mei afferrò la borsa, sganciò la cintura di
sicurezza e
scese dall'auto approfittando del fatto che Shiryu fosse fermo al
semaforo.
"CHE DIAVOLO FAI?!" sentì il fratello
dall'auto. Lo ignorò, infilandosi in uno dei tanti Starbucks
che stavano
nascendo come funghi.
Il tempio delle mega calorie e dell'ipercolesterolemia,
fantastico.
Poteva almeno scegliere una caffetteria meno calorica.
Sentì un coro di clacson e infine vide l'auto di Shiryu
ripartire; quella via era un senso unico e avrebbe dovuto fare un gran
girotondo per tornare indietro, cosa che, sapeva, non avrebbe fatto.
Ignorò la coda chilometrica e il bancone con le invitanti
fotografie dei dessert in vendita e si mise un po' in disparte,
prendendo il
cellulare per chiamare il suo capo.
Quando
Camus e Shunrei videro Shiryu rientrare a casa
dopo nemmeno un'ora e senza Mei, si guardarono contrariati e curiosi,
curiosità
accentuata dal fatto che il ragazzo, oltretutto, parlava da solo.
"Shiryu? Non dovevi accompagnare Mei alla
palestra?" domandò Shunrei, dando voce ai dubbi di entrambi.
"Quella è fuori di testa! E' scesa dalla macchina e
s'è messa a correre in
un bar come se avesse avuto il diavolo alle calcagna!"
sbraitò Shiryu
rispondendole volutamente in cinese così da escludere Camus
dalla conversazione.
"Di sicuro stavate litigando… me lo sentivo,
io!" esclamò Shunrei.
Nello stesso tempo squillò il suo cellulare.
"Allô?"
"Ti supplico, portami via da qui prima che faccia
strage di calorie."
"Iniziavo a preoccuparmi. Dove sei?" rispose,
sentendo in sottofondo il tipico cicaleccio di un locale seguito da
rumore di
stoviglie.
"In un luogo di perdizione dove l'ipercolesterolemia
sguazza felice e indisturbata. Ho avuto la bella idea di infilarmi in
uno
Starbucks."
"Brava." non poté fare a meno di sorridere.
"Dal mega finestrone riesco a vedere la Città
Proibita. Buffo. Mi sento una turista a casa mia."
Camus adocchiò dei mazzi di chiavi appesi nell'ingresso e
guardò l'orologio.
"Dammi venti minuti e vengo a prenderti."
Impossibile
non notare l'edificio dove la popolare catena
americana si era insediata: un tripudio di lacca rossa, vernice verde,
tetti
spioventi e il tipico kitsch locale; Camus prestò attenzione
a dove
parcheggiare per non prendere multe con il fuoristrada di Mei e la
raggiunse
nel locale.
Anche in quel caso impossibile non notare Mei, almeno per
lui, in mezzo agli altri avventori: capelli intrecciati e portati di
lato,
trucco appena accennato che esaltava gli occhi.
Riuscì a scorgere un lampo di sollievo nel suo sguardo
non appena lo vide, seguito a ruota da un paio d'occhiate di brace in
direzione
di un paio di ragazze al bancone che si erano voltate a guardarlo.
"Eccoti." le disse, accomodandosi di fronte a
lei.
"Grazie agli Dèi sei arrivato. Stavo per cedere al
richiamo dei dolci che ho preso per te." commentò Mei,
riprendendo a
spiluccare la frutta fresca che aveva ordinato per sé.
Camus guardò la brocca di tè verde e la frutta a
pezzettoni davanti a Mei e sbirciò nella scatola di cartone
take away che gli
aveva riservato: un Cinnamon Roll,
un
Brownie al caramello e un pain au chocolat. Nel bicchierone da mezzo
litro in
polistirolo accanto, un tè alla menta.
"Ancora non hanno l'Assam." spiegò Mei, ricordandosi
del suo tè preferito. "Ho optato per uno Zen… se
non ti piace, puoi
prendere il mio tè verde. Per il dolce mi ricordavo che
apprezzi la cannella ma
non ne ero certa… puoi sempre fare a cambio con la mia
frutta, comunque."
L'attenzione di Camus, però, fu tutta per il dolce alla
cannella.
"…non contarci." replicò lui.
"Peccato, almeno ci ho provato." ridacchiò Mei,
facendolo ridere a sua volta. Camus le allungò il dolce e,
dopo averne preso un
morso, Mei lanciò una lunga occhiata al bancone. "Mah
sì, cosa m'importa
della linea, vale la pena fare la coda per questo."
"Prendine metà del mio." rispose lui.
"Quel che è mio è anche tuo. Shiryu è
arrivato a casa imprecando come una
furia. Non ho capito un accidenti di quel che è successo, ma
non ti ho vista e
ho iniziato a preoccuparmi."
Mei gli raccontò l'accaduto, evitando di scendere nei
particolari che lo riguardavano.
"…finché non ha toccato me e non hai
più ragionato."
concluse Camus per lei.
"Finché non ha toccato te e non ho più
ragionato." ripeté Mei.
Ci fu un attimo di silenzio.
"Non m'interessa cosa può o non può dire di me,
purché lasci stare te." mormorò Mei. "Portami
via."
Lui si schiarì la voce.
"Da qui o da casa? Perché nel primo caso preferirei
prendere un frappuccino stracarico di panna prima di uscire."
scherzò
Camus, per sdrammatizzare. "Dai, fammi un sorriso. Non vale la pena
arrabbiarsi."
"Vai a prendere il tuo beverone, dai. Ho ancora
molte cose da fare prima di partire." rispose Mei, sorridendo
nonostante
tutto.
Lo seguì con lo sguardo, soffermandosi sul suo posteriore
–e sentendosi come una ragazzina che sbava sulle fotografie
dei suoi attori
preferiti su internet per questo- fasciato dai jeans neri; sopra, una
maglia grigio
antracite a maniche lunghe arrotolate al gomito.
Distolse lo sguardo, accorgendosi di non essere l'unica
ad apprezzare Camus: non passava ovviamente inosservato con i suoi
capelli
rossi e l'altezza più elevata rispetto alla media dei
giovani locali; per
quanto non gradisse certe attenzioni, poteva anche sorvolare sulle
occhiatine
fugaci, ma su certi commenti no.
La ragazza che poco prima era stata al bancone , una
turista che identificò come italiana –erano anni
che non parlava italiano ed
era un tantino arrugginita, ma capiva perfettamente che cosa stesse
dicendo la
giovane morettina-, seduta a un paio di tavoli rispetto a loro insieme
a un
gruppo di amiche, dopo aver commentato un turista –russo o
svedese,
probabilmente- era passata al bel rosso e alle sue grazie: il suo
sguardo si
era incollato al didietro di Camus dal momento in cui si era alzato.
"Ti va di dividere anche questo? Non ti lascerò
uscire da qui se prima non avrai assaggiato questa cosa libidinosa."
scherzò Camus, tornando a sedersi di fronte a lei con un
gran sorriso sulle
labbra. Corrugò la fronte quando la vide sporgersi per
guardare oltre le sue
spalle, negli occhi uno sguardo assassino. "Mei,
qīn'ài de, yīqiè dōu hǎo ma??"
Tesoro,
va tutto bene?
Sgranò gli occhi nel sentirlo parlare in cinese, quindi si
rivolse a qualcuno dietro di lui.
"Scusa, quando
hai finito di fare la radiografia a mio marito potresti gentilmente
farmi avere
i risultati?" domandò Mei, in italiano.
Non poté trattenere una risatina, che mascherò
dietro il
bicchiere.
"Mei!"
"Cosa, Mei? Il commento meno volgare che ha fatto
nei tuoi confronti dopo averti squadrato come un manzo è
stato: con un sedere così,
chissà il resto."
sussurrò Mei. Camus si girò discretamente,
adocchiando la ragazza e captando le
occhiatacce che stava lanciando a Mei.
"Potesse, ti fulminerebbe con lo sguardo."
"Tsk… tutti arroganti finché non si accorgono di
quel che può fare una
judoka yodan." rispose Mei, allegra. "Yǒu
duōjiǔ
nǐ
shuō zhōngguó huà?" Da quanto tempo sai
parlare cinese?
"Come, scusami?"
"Wǒ
shuō…nín jiǎngle
wǒ
yòng zhōngwén, yīncǐ
wǒ
rènwéi nín hěn hǎo
dǒng
wǒ
de yǔyán."
vedendo che continuava a non risponderle, tornò al
francese. "Ho
detto… dato che mi hai parlato in cinese, credo tu sia in
grado anche di
capirlo molto bene."
Camus frugò nel chiodo di
pelle che aveva appeso alla sedia, tirandone fuori un libriccino, che
posò sul
tavolo per spingerlo verso di lei: un frasario Lonely Planet - Guides de conversation Mandarin
dall'aspetto estremamente vissuto; la copertina era rattoppata con lo
scotch in
più punti. Certo, sicuramente l'aveva usato in passato, ma
la costruzione e la
pronuncia della frase non derivavano solo da quel frasario.
"Uhm. Affronteremo quest'argomento più avanti,
sappilo. Ora ti va di fortuna che devo passare dal mio capo." rispose
Mei.
"Non sei in ritardo, vero?"
"No, no. Prima di chiamare te l'ho avvisato che
sarei passata più tardi per questioni legate al
lavoro… gli avevo già mandato
una mail, comunque."
Uscirono dallo Starbucks mano nella mano, diretti
all'auto di Mei: era strano, pensò lei, andare a parlare con
Wenyan insieme a
Camus, ma quel giorno segnava la fine della sua vita a Pechino in
favore della
sua nuova vita a Parigi, e la sua presenza aveva un che di rassicurante.
"Andiamo."
***
Lady
Aquaria's corner.
-Cinese tradizionale e
semplificato: dunque… la differenza tra cinese tradizionale
e semplificato sta
nella forma grafica, che nel primo caso è estremamente
articolato. Il cinese
semplificato fu introdotto da Mao per poter permettere a tutti di
imparare a
scrivere, ed è graficamente meno impegnativo.
-Sciacquato e con poco
zucchero….che papà non me ne voglia, ma per il
caffè di Camus mi sono ispirata
alla sciacquatura di piatti che si
ostina a chiamare caffè e che consuma regolarmente.
Lady
Aquaria.
|
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Capitolo 6 *** Ossigeno. ***
capitolo 6 rivisto
6.
Ossigeno.
E' per te, per
te, perdutamente,
che farei
dell'impossibile, e dei sogni la realtà,
e dei miei
pensieri, sei tu il punto fermo,
sei nel
cuore oppio, fuoco e ossigeno.
[Raf - Ossigeno]
Dopo quello che a Camus parve un
fin troppo breve giro
per Pechino, Mei costeggiò un lungo muro di cinta e, preso
un badge dal
cruscotto, lo infilò in un lettore che le
consentì di aprire un cancello.
"Tu lavori qui?" domandò Camus, affascinato dal
luogo: superato il muro di cinta, Mei aveva imboccato un lungo viale
costeggiato da un laghetto artificiale costruito secondo i dettami
della moda
Han, diretta verso un secondo muro dal caratteristico portone rotondo.
"Sì. C'è pace e tranquillità.
Ovviamente, c'è anche
lo spettro dello smog della città, ma che vuoi farci?"
rispose Mei. Parcheggiò
sotto una pensilina in bambù poco distante dal portone e si
guardò intorno.
"Mi mancherà questo posto." sussurrò.
"Wenyan è stato uno dei pochi che mi ha trattata alla pari e
mi ha sempre
fatto sentire bene al lavoro. In altre palestre volevano relegarmi a
fare
quelli che ritenevano lavori scomodi, come insegnare alle donne o ai
bambini o,
peggio, a fare le pulizie. Questo è un tempio piuttosto
antico, secondo le
leggende che ama raccontare Wenyan qui si è fatta la storia
del Taijiquan."
Superato un breve tratto a piedi in mezzo a un giardino
in stile cinese che Camus trovò stupendo, entrarono
finalmente nel tempio, dove
vennero accolti direttamente da Wenyan.
Sulla cinquantina, un po' più alto rispetto alla media
nazionale e secco come un'acciuga; la tenuta tradizionale dalla casacca
senza
maniche metteva in evidenza una fibra muscolare che lasciava ampiamente
intuire
una potenza non indifferente.
In ultimo, cosa che lo fece sorridere, una certa
somiglianza con Jackie Chan.
"Maestro, vi
presento Camus, mio marito. Ma vi devo avvertire… parla
molto poco
cinese."
I due uomini si strinsero la mano con una vigorosa
stretta, quindi Wenyan li invitò a entrare nel proprio
ufficio. Mei si disse
estremamente rammaricata nel dover lasciare quel lavoro che le piaceva
moltissimo e che le aveva permesso di conoscere persone straordinarie,
le
dispiaceva anche doverlo lasciare senza preavviso, ma Wenyan si
dimostrò
comprensivo: si commosse quando vide Mei piangere dispiaciuta, e le
disse che era
felice per la sua nuova opportunità e che avrebbe sentito la
sua mancanza in
quanto in lei aveva sempre trovato un'ottima collaboratrice e una buona
amica. Prima
di lasciarla andare le disse di aspettare qualche minuto per dargli
modo di
scrivere una lettera di referenze.
"Tutto a
posto?" le domandò Camus, porgendole
il fazzoletto che teneva sempre in tasca.
"Più o meno, adesso passa."
"Posso guidare io, se ti va."
Annuì, lasciando che Camus le aprisse la portiera e
guidasse al posto suo.
"E' curioso… sai che Wenyan assomiglia a
quell'attore…?"
"Chéng Lóng…?
Sì, gliel'han detto spesso." gli rispose, soprapensiero.
Camus corrugò la fronte.
"Chi? Io parlavo dell'attore di Rush Hour, il cinese…
Jackie Chan."
"Sì beh, l'avevo appunto intuito… l'altro attore
è
di colore." fece Mei. "Chéng Lóng è il
nome d'arte con il quale
Jackie Chan è conosciuto da noi."
"Comunque mi è sembrato giovane per essere già un
decimo dan di cintura nera ed essere a capo di un tempio del genere."
"Perché, quanti anni credi che abbia?"
"Quarantacinque, massimo quarantasei? "
Mei sorrise.
"Ne ha cinquantasette."
"Li porta benissimo!"
"Beh, le arti marziali ti tengono giovane."
*
"…bellissima
città, non lo metto in dubbio, ma la
prossima volta ti lascerò ben volentieri il volante." stava
dicendo Camus,
allegro, entrando in casa.
"Sfido io, gli abitanti di Pechino sono dieci volte
tanto quelli di Parigi… il traffico è atroce."
Mei entrò in casa subito dopo, perdendo il sorriso non
appena ebbe posato lo sguardo sul fratello.
"…sembri arrabbiata." osservò Shunrei,
andandole incontro in corridoio.
"…sono arrabbiata."
precisò Mei, in risposta. Cambiò espressione
quando vide la figlia correre
verso di loro. "Tesoro, perché non vai di sopra a preparare
le tue cose?
Il tempo di prendere il necessario e andiamo a Parigi… si?
Shunrei, potresti
per favore aiutarla? So già che metterà a
soqquadro l'intera stanza…"
Quando la vide saltare in braccio a suo padre, e
soprattutto vide le loro espressioni felici, seppe più che
mai di aver preso la
decisione giusta.
"Tu viens avec
moi?" Vieni con me? domandò poi a Camus,
prendendogli la mano.
"Temo di no, Mei. Vorrei scambiare quattro
chiacchiere con Camus, da buoni vecchi amici. Non vi dispiace, vero?"
"No, no. Ci mancherebbe." annuì Camus, dopo
aver scambiato un'occhiata con Mei.
"Tranquilla mia cara, avrai ancora il tuo fidanzato
intero, quando avremo finito di parlare." sorrise Dohko, aprendo la
porta
che dava sul giardino in un muto invito a seguirlo. "Guarda che faccia!
Stavo scherzando."
Shiryu mosse un paio di passi per seguirli e Mei gli
arpionò la spalla.
"Stanne fuori o questa volta nemmeno Athena in
persona riuscirà a restituirti la vista."
"È
arrabbiata."
"Sai, credo di averlo notato anche io." rispose
Shiryu, ironico.
"Non mi hai raccontato la verità. Cosa le hai detto davvero
per farla arrabbiare così?" sbottò Shunrei.
"…io?!" fece Shiryu. "E' lei che ha
frainteso le mie parole!"
"…imbecille!
" tuonò Mei, dal piano di sopra.
"Ho solo espresso la mia opinione!" si difese
Shiryu.
"E non t'è venuto in mente che forse non era
richiesta?"
Richiesta oppure no, anche lui aveva il sacrosanto
diritto di esprimerla e di dire a gran voce che quel trasferimento gli
sembrava
un'enorme sciocchezza.
"Ha lasciato il suo lavoro per trasferirsi dall'altra
parte del mondo, potevo dire la mia o no?"
Shunrei posò le mani sui fianchi in un gesto di stizza.
"E allora? È con l'uomo che ama, con la loro bambina,
potresti almeno far finta di essere contento per lei!"
"Lo sono!"
"Ah sì? Non si direbbe."
Shiryu ignorò il commento ironico.
"Questa storia non mi convince!"
"Ma cosa c'è che non ti convince? Preferivi
rimanesse zitella?"
"Certo che no, ma…"
"…ma basta!"
lo zittì Shunrei. "È giusto che quei due stiano
insieme e che Lixue stia
con suo padre e sua madre e che abbia una famiglia felice come tutte le
bambine
della sua età."
"Era felice anche qui, aveva già due figure maschili
di riferimento." ribatté Shiryu, riferendosi a sé
stesso e a Dohko.
"C'è solo un piccolo particolare, Shiryu… Lixue
non
è nostra figlia e non è con noi che deve stare."
interloquì Dohko, uscendo
e raggiungendo Camus in giardino.
"Appunto. Shiryu, ti avverto. Se per colpa tua
cambia idea…"
"Che mi fai, sentiamo?" Shiryu incrociò le
braccia sul petto.
"Ti mando a dormire sul divano."
*
Da quando
aveva detto a Lixue di preparare le sue cose
per la partenza, sua figlia s'era letteralmente messa l'argento vivo
addosso,
diventando più iperattiva di prima, incapace di star ferma
anche solo per un
minuto, tutta impegnata a correre avanti e indietro per casa a
raccogliere le
sue cose. Dal canto suo, sulle prime aveva avuto la tentazione di
appostarsi
alla finestra per spiare Dohko e Camus in giardino, ma poi aveva
desistito,
preferendo di gran lunga fare le valigie. Di tanto in tanto le
arrivavano le
risate di Dohko e la voce di Camus, e fu contenta di non sentire, per
una
volta, la voce di suo fratello.
"Fai con calma o finirai per dimenticare
qualcosa." sorrise Shunrei, ferma sulla sua porta.
"Oh, sicuramente dimenticherò qualcosa." Mei
sorrise in risposta. "Calma o no."
La ragazza l'aiutò a piegare i vestiti che aveva
sistemato sul letto.
"Sei felice."
"Sì. Non succedeva da troppo tempo." ammise Mei. L'ultimo
slancio di
vera felicità, di quel tipo di felicità che nasce
nel cuore per irradiarsi in
tutto il corpo, l'aveva avuto anni prima, quando aveva rivisto Camus,
sano e
salvo, dopo la guerra contro Hades.
"E' un bravo ragazzo e un buon padre." disse
Shunrei. "Vi siete ritrovati e sono felice per voi… anche se
mi dispiacerà
non avere più te e Lixue intorno."
"Mi mancherai parecchio anche tu, sai?" mormorò
Mei, abbracciandola.
"Mei, posso?"
"Se sei tu, Shiryu, voltati e sfracellati giù per le
scale!" sbraitò Mei, scostandosi da Shunrei.
Camus si sporse appena, sventolando un fazzoletto.
"Sono io… vengo in pace."
"Oh! Avanti. Non devi nemmeno chiederlo, il permesso
per entrare nella mia stanza." Mei spense lo stereo e spostò
un mucchio di
panni dalla poltrona per permettergli di sedersi, mentre Shunrei usciva
dalla
stanza per lasciarli soli.
"Sbaglio o stavi ascoltando gli Aerosmith?"
Mei sorrise.
"Ehm… sì. Questa è una delle tante
canzoni che
adoro."
"Love in a
elevator piace anche a me."
"Camus dell'Acquario ha un'anima rock? La cosa si fa
sempre più interessante, perché se non ricordo
male prendevi in giro me e Milo
quando parlavamo di musica!"
"Solo perché su certi punti Milo è un
tantino… esaltato."
"Solo un tantino?" sorrise lei. "Di
cos'avete parlato tu e Dohko?"
Lui fece spallucce.
"Di… varie cose. L'università, il
lavoro…" le
rispose, evasivo.
"Ho capito." annuì Mei. "Non ti va di
parlarne... ti andrebbe di darmi una mano?"
"Sì. Dimmi cosa devo fare." rispose lui,
rimboccandosi le maniche.
"Sai, per il momento mi porto via solo i vestiti e
le cose strettamente necessarie… non vorrei che
all'aeroporto ci facciano
pagare una fortuna per l'eccedenza di peso."
"Non ho mai menzionato un aereo." la informò.
"… oh, giusto… il teletrasporto. Non me lo
ricordavo." Mei si diresse a quello che Camus immaginò come
un enorme
armadio a muro. "Sentito, piccine
mie? Posso portarvi via subito!"
Aprì le ante, scoprendo scaffali e scaffali di…
"…scarpe!
" esclamò Camus, rimanendo imbambolato a guardare
l'assortimento di scarpe
più vasto che avesse mai visto. "...è una
scarpiera?!"
"Perbacco Cam, che intuito!" lo prese in giro
Mei.
"…e sono tutte tue?"
"Certo non sono di Shiryu…" ridacchiò lei. "Anche
se sarebbe interessante vederlo con quipao e un tacco dodici ai piedi."
aggiunse ricevendo uno sguardo disgustato in risposta. "Ripensandoci,
forse no."
Camus prese una décolletée a stiletto e la
guardò con
aria interrogativa.
"Mon
dieu." commentò. "Sono
tutte Louboutin originali?"
Mei sospirò.
"No, magari. Dovrei essere milionaria per avere tutte Loubie
autentiche. Ne ho solo due paia originali, appartenevano a
mia madre e le custodisco come un tesssssoro."
rispose, imitando Gollum sull'ultima parola.
"Oh, capisco."
"Per le rimanenti… siamo in Cina, no? Sono tutte
perfette –o quasi- imitazioni create da una famiglia di
artigiani che ha un
negozio in città. Ogni tanto me ne concedo un paio,
nell'attesa di accumulare
abbastanza denaro per regalarmene un paio che sogno da tempo."
"Allora devo ricordarmi di tenerti lontana da Rue du
Faubourg Saint-Honoré quando usciremo insieme." rispose
Camus. "Non
vorrei invecchiare mentre ti provi ogni tipo di paio possibile."
"In realtà non devo cercare per chissà quanto:
una
volta nel negozio mi basterà chiedere quello specifico paio
sul quale sbavo da
anni."
"…ovvero?"
"Un paio di classicissime Pigalle
nere di vernice, tacco nove." rispose Mei.
Camus sorrise.
"Annuisco anche se non ho la più pallida idea di che
cosa tu stia parlando." rispose.
"Ma come? Conosci l'indirizzo dell'atelier e non sai
di che cosa parlo?"
"Ci passo davanti spesso per recarmi al lavoro, ma
non mi fermo a guardare le vetrine. Sarebbe strano, no?"
domandò Camus.
"Perché? I passanti vedrebbero un uomo intento a…
che so… scegliere un ipotetico regalo per la fidanzata."
"Ah no, mi sentirei più a mio agio in un negozio di
lingerie."
Mei ridacchiò.
"Non credo proprio, Cam, non tu."
"E perché no?"
"…perché tu diventeresti rosso fino alle punte
dei
tuoi già rossi capelli."
Trascorsero
le successive due ore a riempire valigie e
borsoni, finché tutto non fu pronto da portar via, sistemato
ordinatamente ai
piedi del letto.
"Saranno necessari più viaggi per portar via tutto,
e poi dovremo passare prima da Atene, devo prendere ancora qualche
cosa." disse
Camus.
"Certo." rispose Mei. "Ancora non mi hai
detto cosa fai in quel di Parigi."
"Sono un traduttore." rispose Camus.
"Simultaneo?"
"No. Traduco libri e testi dall'italiano,
dall'inglese, dal greco e dal russo in francese e viceversa." rispose
lui.
"Non appena comincerà il nuovo anno accademico
inizierò a frequentare
nuovi corsi di lingue per ampliare il mio campo di lavoro."
"E così ti sei laureato in lingue, come avevi detto."
"Già. Un lavoro che unisce l'utile al dilettevole:
di solito, insieme all'assegno, ricevo anche i libri che ho tradotto
prima che
vengano distribuiti nelle librerie."
"Già solo per questo potrei sposarti qui sul
momento."
Lixue li interruppe prima che Camus potesse risponderle.
"MAMMA!!"
"… andiamo a controllare cosa sta combinando." propose
Mei. "Prima che devasti casa. Non sembra, ma sarebbe capacissima di
farlo."
Camus la prese per un braccio.
"Aspetta… a proposito di Lixue... grazie per aver
accettato il trasferimento con così poco preavviso e per
avermi dato questa
possibilità… non sai cosa significhi per me
sapere che potrò avervi accanto
tutto il giorno, ogni giorno."
"Posso immaginarlo. Lixue è una bambina adorabile,
sa farsi amare subito… in questo ha preso da te."
ridacchiò Mei. "E
credimi, visti gli sviluppi delle ultime ore, mi dispiace davvero tanto
non
averti detto che l'aspettavo e averti costretto a vederla
così poco, senza
vivere appieno la tua condizione di padre."
Camus ricambiò l'abbraccio.
"Ho intenzione di recuperare il tempo perso, sia per
Lixue, che per noi." le prese il viso tra le mani. "Je
t'aime, Mei."
Il bacio che seguì quelle parole fu Mei a cercarlo.
"Wo ie ai ni, Camus."
***
Lady Aquaria's corner.
*capitolo rivisto e corretto in
data 07 ottobre 2013*
E anche questa sera, buonasera, ragassuole!! ^^
Wo ie ai ni: anche
io ti amo
Lady Aquaria
|
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Capitolo 7 *** Ancora qui. ***
capitolo 7 rivisto
7.
Ancora
qui.
Non è mai
facile un ritorno
Non è impresa
da niente
Ma finalmente
arriva il giorno che tu fai pace con te
Capire il
vento, la ragione, il momento
Spogliarsi di
ogni incertezza, inseguire un canto
Anche se per
gli altri sarà follia
[Renato Zero –
Ancora qui]
Nel giro di pochi secondi, Camus
accompagnò Mei e Lixue ad
Atene, dalla parte opposta del loro mondo: avrebbe lasciato loro del
tempo per
riposare e nel mentre sarebbe andato a prendere anche i loro bagagli.
"Bello!!!" esclamò Lixue.
Mei barcollò un attimo.
"Non ricordavo fosse così." disse, un po’
sottosopra per il teletrasporto. "Ma come fate a non sentirvi il cuore
rimbalzare in gola?"
"Abitudine?" scherzò Camus.
Lixue invece, iniziò a saltellare, contenta.
"Lo rifacciamo?"
"Magari un'altra volta, tesoro. La mamma non ha più
l'età per questo genere di cose…" rispose Mei,
guardandosi intorno: il Santuario
risplendeva della luce quasi magica che l'aveva sempre caratterizzato,
nonostante più d'una volta fosse stato teatro di guerre e
morte.
"Mamma, posso fare un giro?" domandò Lixue,
incuriosita.
"Sì, ma non ti allontanare." rispose Mei.
"E soprattutto sta' lontana dalla terza e dalla quarta casa."
aggiunse, soprapensiero.
"Perché?"
Perché erano le case di DeathMask e di Saga; il primo
aveva quasi ucciso due volte suo fratello, il secondo, beh…
la sola e ultima
volta che aveva messo piede in quel luogo, era stata accusata di essere
una
spia e in un certo senso processata come tale.
"Perché te l'ho detto io." replicò ferma,
corredando la risposta con un'occhiata ammonitrice. "Se ti avvicini a
quei
due posti, stasera andrai a letto senza aver guardato la tua solita
mezz'ora di
tv, intese?"
"…ma…"
"Niente ma,
Lixue."
Non aveva mai trattato sua figlia in quel modo e
l'indomani, con calma, le avrebbe spiegato la ragione di quell'ordine:
si
sentiva in colpa ma era necessario che Lixue si tenesse il
più possibile
lontana da quei due.
"Sì, mamma." capitolò Lixue, lasciandola sola.
Probabilmente avrebbe girovagato per la prima casa; non
conoscendo ancora il luogo non avrebbe percorso tutte le dodici case da
sola…
in un secondo momento pensò che, forse, aveva fatto male a
parlarle in quel
modo, riversando su di lei tutta la sua agitazione.
Ormai è fatta.
S'avvicinò al parapetto del cortile, che si affacciava
sul Pireo e regalava un'incantevole scorcio della città e
cercò di rilassarsi
almeno un poco: non c'era alcun pericolo, si disse, sentiva anche la
presenza
di Mu, quindi era tutto a posto.
Cercò quindi di concentrarsi su ciò che la vista
le
offriva: l'odore del mare, il sole -più intenso di quello
cui era abituata a
Pechino-, il profumo di salmastro e anice che permeava il luogo e
l'accecante
bagliore dei marmi del Santuario… d'improvviso le pareva
d'esser tornata
indietro nel tempo, a quelle pochissime settimane e a come s'era
sentita bene,
all'undicesima casa, quando tutto le sembrava perfetto, almeno
finché qualcuno
non aveva presentato il conto di quella felicità
e… ho sbagliato a portarti qui,
non avrei dovuto… sono un guerriero, la
mia fedeltà ad Athena viene prima di tutto… anche
prima di te.
Parole che le avevano scavato l'anima, lasciando ferite
apparentemente non rimarginabili.
Tentò di scacciare quei pensieri cercando di ricacciarli
indietro, al passato al quale appartenevano: stavano insieme ora, no?
Non era
quello che contava?
Camus la raggiunse e le cinse la vita, abbracciandola da
dietro e facendola sobbalzare.
"Hey, tutto bene?" le domandò, strappandola ai
suoi pensieri.
Annuì, esibendo un sorriso tirato –e sperando che
Camus
non se ne accorgesse-.
"Benone." rispose, nel suo miglior tono
allegro.
Lui assottigliò lo sguardo, mentre cercava di capire che
cosa, rispetto a quella mattina, fosse cambiato.
"Qualcosa non va? A cosa pensi?"
Mei sospirò.
Decise di non sciupare la bella giornata raccontandogli
dei pensieri che aveva avuto non appena aveva rimesso piede in quel
luogo, di
Saga e le sue azioni e le conseguenze che esse avevano avuto sulla loro
vita,
decise di non raccontargli che era tornata a pensare ai giorni
successivi al
suo ritorno in Cina, di come s'era sentita svuotata e di quanto
intensamente
aveva provato a odiarlo, senza mai riuscirci.
"… a un periodo felice della mia vita, dove tutto
ciò che amavo e amo, aveva questo profumo." rispose invece,
lottando con
sé stessa per chiudere quel cassetto della memoria che si
era aperto poco prima
e che ora pareva divertirsi a restare in sospeso così, un
po' aperto e un po'
chiuso.
Date tempo al
tempo, quello guarisce ogni cosa…
Voltò lo sguardo all'undicesima casa, che s'intravedeva
in mezzo alle altre case, chiedendosi se Degél fosse ancora
lì o avesse
trovato, finalmente, pace.
Nel
frattempo Lixue stava proseguendo il suo giro per il
Santuario, dopo aver visto l'arena degli allenamenti e parte della
spiaggia,
quando si era fermata davanti la prima casa, mentre scrutava curiosa un
giovane
dai capelli rossicci che la guardava a sua volta.
"Ma tu da dove spunti?" esclamò, di punto in
bianco.
Kiki le girò intorno.
"Tu da
dove spunti!" domandò a sua volta, usando la telecinesi per
sollevare la
bambina fino alla sua altezza. "Mi ricordi una persona, ma…
non ricordo di
averti mai visto da queste parti, come hai fatto ad arrivare fin qui?"
"Sono arrivata con mio padre." spiegò Lixue,
pratica, mettendosi poi a fissare i due puntini sulla fronte di Kiki.
"Come
sei buffo!" aggiunse ridendo.
"Anche tu sei buffa, sei appesa come un sacco di
patate." ribatté Kiki, rigirandola sottosopra. "Allora, ti
ha portato
qui tuo padre?"
"Sì."
"E chi sarebbe tuo padre?"
Mu uscì di casa, attirato dalle risa di Lixue.
"Cosa succede, Kiki?"
"L'ho scovata mentre si aggirava per il
Santuario…" iniziò a spiegare il fratello.
"…e hai pensato bene di appenderla come uno
straccio." concluse Mu, facendo scendere Lixue da quella posizione
scomoda.
"È la figlia di Camus."
Kiki corrugò la fronte.
"…ecco chi
mi ricordava."
Mu si chinò verso Lixue.
Il taglio degli occhi, il colore dei capelli, il modo che
aveva per guardare una persona, non potevano che ricordargli suo padre.
"Ciao!" sorrise con dolcezza.
"Ciao." rispose Lixue, guardando anche Mu con
attenzione.
"Tu devi essere Lixue."
"Come sai il mio nome?"
"Conosco il tuo papà, che mi ha parlato tanto di
te." disse Mu. Le porse la mano. "Piacere di conoscerti, io sono
Mu."
"…
rilassati, magari è andata già all'undicesima
casa, le ho mostrato la strada."
"Non credo, le ho detto espressamente di aspettare,
prima che si cacci in qualche guaio." rispose Mei.
"E in che guaio potrebbe mai cacciarsi? Siamo al
Santuario, uno dei posti più sicuri del mondo."
asserì Camus,
guadagnandosi un'occhiataccia.
"Permettimi di dissentire in merito." la terza
e la quarta casa non sono per niente sicure." rispose Mei, guardandosi
intorno.
"Mei, molte cose sono cambiate dall'ultima volta che
sei stata qui." disse Camus, seguendola verso la prima casa.
Ne dubitava seriamente. Persone come DeathMask
difficilmente cambiavano.
"Chi nasce
Satana non muore Madre Teresa, ricordalo. In ogni caso,
quando dico a Lixue
no, rimane un no.
Deve rimanere alla larga da certe case." ribadì,
ostinata.
"Punto."
Camus la intravide in lontananza, davanti la prima casa.
"Visto? Non s'è cacciata nei guai, è con Mu.
LIXUE!"
la chiamò Camus.
Mu si rialzò.
"Ciao, Camus." disse. "Stai tranquillo,
tua figlia è qui."
Intravide Mei.
"Dopo tanto tempo, rivedo una vecchia amica." aprì
le braccia in un abbraccio cui Mei rispose. "Sono contento di
rivederti."
"Anche io " sorrise Mei "l'ultima volta
che ci siamo visti, Lixue a malapena si reggeva in piedi…"
"Lo ricordo bene." rispose Mu, con affetto.
"Entrate se vi va, ho appena preparato il tè."
La notizia
del ritorno di Mei al santuario si sparse a
macchia d'olio, e in breve la prima casa divenne affollata.
"Mei!" la prima ad abbracciarla fu Marin. "Quanto
tempo! Ci mancava una presenza femminile al Santuario!"
"Anche voi mi siete mancati, ragazz-…argh!
"
"…Mei!" esclamò Aldebaran, corredando il saluto
con un abbraccio spaccaossa.
"…i tuoi abbracci non mi mancavano affatto, Ald…"
disse Mei.
"E' un segno d'affetto." asserì Aldebaran.
"Ah bè, pensa se mi volevi male." ridacchiò
Mei.
Shura si chinò appena verso Lixue.
"Certo che non si capisce proprio che è tua
figlia." scherzò, guardando i capelli rosso scuro della
bambina e il suo
sguardo tanto simile a quello di Camus. "Occhi a parte è la
tua copia."
"Ma anche no, povera creatura." intervenne
Milo. "Ciao Mei! E ciao anche a te, dolcezza."
Lixue gli regalò un sorrisone da trentadue denti,
facendosi poi prendere in braccio.
"… yasou thio!" rispose, passando al greco.
"L'altra volta mi hai promesso un giro ad Atene, andiamo?"
"Tesoro, siamo appena arrivati, non sarebbe il caso
di riposare?" intervenne Camus.
"Ha tutto il tempo del mondo per riposarsi, dopo."
disse Milo. "Posso
portarla con me in moto?"
"In moto?" ripeté Mei.
"Hai il seggiolino?"
"Ehm… no."
"Allora prendi la mia." sospirò Camus, frugando
in una tasca del chiodo e lanciando a Milo le chiavi della moto. "Se le
fai un solo graffio…"
"Oh ma rilassati, non è la prima volta che guido una
moto."
"Non parlavo della moto. Visto che è la prima volta
che ci porti mia figlia, attento a quello che fai."
Un intenso puzzo di fumo anticipò l'arrivo di DeathMask.
"Cos'abbiamo qui? Toh, la nipote del lucertolone… salve,
mostriciattolo."
"DeathMask…" lo redarguì Aphrodite.
Mei lo fulminò con lo sguardo, ma a sorpresa, fu Lixue a
parlare, usando una parola che aveva tanto sentito usare da lei.
"…becchino! "
DeathMask inarcò un sopracciglio.
"…che fa la gagna? Sfotte?" berciò. "Ma
guarda, c'è anche mammina."
"Ma guarda, c'è anche il beccamorti."
ribatté Mei.
"Come sta il fratellino?"
"Meglio, da quando alla quarta casa ti ha spedito
all'inferno." ribatté Mei.
Certo era che la lingua lunga non le mancava, in quello
non era affatto cambiata.
"Niente che non abbia già visto, all'inferno sono
uno di casa."
"E allora perché sei di nuovo sulla terra? Potevi
rimanerci."
"Noto che non hai perso la linguaccia biforcuta e velenosa."
osservò DeathMask.
"No, e non immagini neanche quanto può esserlo."
DeathMask proruppe nella sua solita agghiacciante risata.
"Ora ridi, ma mi son giunte voci secondo le quali di
fronte all'abisso dell'Ade eri ridotto a una gelatina piagnucolosa."
disse
Mei. "Quanto avrei voluto esserci, per divertirmi un po'."
Prima che DeathMask avesse tempo per rispondere,
Aphrodite l'afferrò e lo trascinò verso la
propria auto.
"Okay gente, abbiamo un paio di cose da fare prima
di cena… a dopo!"
"Cena?" ripeté Camus.
Aldebaran riapparve come per magia, armato di grembiule e
mestolo.
"Sì. Voi vi fermerete a cena." disse.
"Mah, noi avevamo intenzione di…" iniziò Camus.
"…di fermarvi
a cena. Ragazzi, stasera cena alla seconda casa!"
annunciò Aldebaran.
"Athena, ti ringrazio, stasera niente
surgelati." Aiolia alzò le braccia in direzione della statua
di Atena Nike
dietro il tredicesimo tempio.
"Cosa vorresti insinuare?" sbraitò Marin.
"Io? Niente!"
*
L'ultima
volta che aveva visto l'undicesima casa si era
sentita afflitta e tremendamente arrabbiata, e in quel momento,
rientrarci, era
stranissimo: eppure pareva la stessa, nulla sembrava mutato, nemmeno il
ritratto di Degél che col suo sguardo serio vigilava sul
corridoio e
sull'intera casa.
"…il ritratto c'è ancora." sorrise.
"Certo" fece Camus dietro di lei "non è
cambiato nulla da allora… la casa è
così come te la ricordi."
Mei s'avvicinò al ritratto di Degél e
sfiorò la cornice
istoriata.
"Bon
après-midi, monsieur." sussurrò.
"Non l'ho mai più… sentito
qui, da quando te ne sei andata." le disse Camus,
oltrepassandola per portare le valigie in camera.
"A dire il vero Cam, tu non l'hai mai sentito
realmente, perché non hai mai creduto negli spiriti. Sotto
sotto credo che in
tal senso mi consideri ancora una sottospecie di svitata che parla con
cose che
non esistono." sorrise Mei. "Un po' come i bambini col loro amico
immaginario."
"… io non…"
"Cam, guarda che non me la prendo… non ho mai detto
di essere del tutto normale." aggiunse Mei, ridacchiando. "Beh, io
vado a macerare un po' sotto la doccia… casomai avessi
bisogno sai dove
trovarmi."
Camus restò a guardare la porta del bagno per qualche
istante, pensoso, quindi s'avviò in camera appena prima di
sentire un assolo di
chitarra elettrica provenire dal bagno, seguito dalla voce non proprio
–per niente- intonata di
Mei che cantava
sopra la voce di Paul Stanley:
"…she
looked good, she looked hotter than
hell, all dressed in satins and lace!!!"
"… a quel pover'uomo staranno fischiando le
orecchie…" pensò ad alta voce, prendendo il
beauty di Mei e dirigendosi in
bagno. "Mei! MEI!"
Lei aprì la porta della doccia e sporse la testa fuori.
"…sì?"
"Ho pensato potessi aver bisogno di questo…" le
disse, posando il beauty accanto al lavandino.
"Ah, grazie. In effetti non mi entusiasmava troppo
l'idea di dovermi lavare con lo shampoo al sandalo." rispose Mei,
storcendo il naso. "Puoi aprirlo, sai? Non corri il rischio di finire
in
un'altra dimensione…"
"Sicura? Non c'è da fidarsi di questi aggeggi
infernali…" replicò Camus, aprendo la valigetta e
trovandoci una
maglietta, la sua maglietta,
accuratamente piegata e stirata. "Ecco dov'era finita! L'ho cercata
come
un matto."
Mei si voltò, guardando Camus dispiegare la maglietta
dell'Hard Rock Cafè blu notte e posarsela addosso.
"Non pensarci nemmeno, Cam, è mia adesso."
"Ladra di magliette."
"Cam, ti taglio le mani se non la rimetti a
posto."
"Okay, okay… tanto a me basta quella dei Kiss."
rispose Camus, aprendo la porta della doccia e posando i flaconi di Mei
sul
ripiano.
"Quale maglietta?"
Camus sogghignò.
"Nera, scritta gialla Alive 35…"
la descrisse. "Te la ricordi?"
Sgranò gli occhi.
"Ridammela!"
"Vieni a prenderla, se ci riesci."
"Ti sei appena cacciato nei guai, Camus, questa è
una dichiarazione di guerra!"
Camus alzò il volume del lettore mp3.
"You better
watch out, 'cause i'm a war machine!" le rispose, prima di
uscire dal
bagno.
*
Nel tardo
pomeriggio Dohko andò a prendere Shiryu e
Shunrei, che arrivarono alla cena per Mei e Lixue poco dopo l'arrivo
degli
altri Bronze Saint.
"Mia sorella?" chiese Shiryu, a Mu.
"È su con Camus, a cambiarsi per cena."
"E mia nipote?"
"Ah, lei è in gironzolo per Atene con Milo, sono
fuori da tutto il pomeriggio." spiegò Mu.
"Ah." fece Shiryu.
"Guarda che è con Milo, non con DeathMask."
s'intromise Hyoga.
Shiryu sogghignò.
"E ci mancherebbe solo. Quello deve solo provarci ad
avvicinarsi a Lixue."
"A proposito di Lixue e Mei… ehm… vi è
sembrata
tranquilla?" chiese Hyoga.
"In che senso?" lo interrogò Shiryu.
"Con tua sorella non c'è mai da star tranquilli…
sto
all'erta da quando mi ha minacciato di rifarmi i connotati…"
disse Hyoga.
"Peccato che non te li abbia rifatti, magari ti
avrebbe rifatto meglio di come sei…" intervenne Ikki.
"Dovrebbe essersi sfogata abbastanza per oggi,
stamattina ha battibeccato con DeathMask." l'informò Mu,
facendo sbuffare
Shiryu.
"Ma perché non ci sono mai quando c'è da
divertirsi?!"
Hyoga guardò in tralice l'amico.
"Se per te vedere tua sorella che s'arrabbia è un
divertimento, significa che non l'hai mai vista arrabbiata. E intendo
sul
serio." disse, interrompendosi non appena ebbe intravisto l'interessata
arrivare.
"Mei!!!!" esclamò Shaina, quando vide l'amica
arrivare. Le due donne s'abbracciarono. "Come stai? Direi bene, ti vedo
in
forma…!"
"Eeeh…" commentò Hyoga, sarcastico.
Mei gli rivolse un'occhiataccia.
"Rispetto a qualche anno fa sono ingrassata Hyoga, è
vero. Ma io ho partorito… la tua scusa qual è?"
"Hai partorito sette anni fa, tesoro,
la tua scusa non regge."
"Invece tu sei esattamente come sempre, il solito."
fece Mei.
"Attraente, provocante, piacevole e tremendamente
sexy?" fece Hyoga.
"…odioso."
Hyoga sogghignò.
"… ammettilo, ti piaccio proprio perché sono
odioso."
Mei si tolse la sua mano dalla spalla.
"Puah, nemmeno fossi l'ultimo uomo rimasto sulla
terra!"
Poco distanti da loro, Ikki e Shun si scambiarono
un'occhiata interrogativa.
"Scusa Shiryu, da quando in qua quei due vanno
d'accordo? Non fraintendermi, è una bella cosa,
solo… è un tantino strano, non
trovi?" domandò Shun.
"Si vede che l'apocalisse è vicina." replicò
Ikki, con un'alzata di spalle.
***
Lady Aquaria's corner.
Okay, nuova stesura del capitolo (in data 10 novembre
2013), nuove note.
Rispetto a quell'inutile perdita di tempo che sono stati
gli ultimi 30 mesi, all'incirca, questa nuova stesura non tiene conto
del
vecchio bashing, ovvero, niente più bashing su Hyoga (non
troppo almeno), né su
Saori, né su Seiya. Per il resto, buona lettura.
-La canzone che Mei "canta" si intitola
"Hotter than Hell" e quella che invece menziona Camus è "War
Machine". Entrambe, sono dei Kiss.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 8 *** Ritrovando vecchi amici. ***
capitolo 8 rivisto
8.
Ritrovando
vecchi amici.
"All'inizio la faccenda ha sconvolto anche me, devo
ammetterlo." convenne Shiryu, mentre Mei e Hyoga continuavano
simpaticamente a prendersi in giro. "Sapete, quando hanno iniziato a
vedersi per quelle lezioni, ho pensato fosse uno stratagemma di Mei per
avvicinarlo e trucidarlo con le sue stesse mani, e invece…"
"Quali lezioni?" volle sapere Seiya, incuriosito.
"Uno… scambio
d'arti marziali." spiegò Mei, ignorando Shiryu. "Lui mi ha
insegnato
qualcosa di systema, e io in cambio
qualcosa di judo. Alla fine dei conti ho capito che poteva tornarmi
più utile
da vivo che da morto, anche se mi son presa qualche rivincita contando
sul
fatto che non poteva usare il cosmo per difendersi."
Hyoga d'istinto portò le mani a schermarsi la zona
intima.
"Sì, ehm… rivincite che come effetto avevano
interi
pomeriggi trascorsi piegati in posizione fetale piangendo per il
dolore, ma
sono meri dettagli, no, Mei?" rispose Hyoga, ironico.
"Esagerato, ti avrò centrato un paio di volte al
massimo, dai." rispose Mei. "Non ti ho mica tolto la
capacità
riproduttiva…"
"Questo ancora non lo so." obiettò Hyoga.
"Beh, dai. Mi spiace per Freya ma alla fine il mondo
mi sarà grato per averti impedito di avere una discendenza.
Vi immaginate altre
teste di rapa come lui, in giro? Questa povera Terra ha già
avuto troppe
catastrofi." proseguì Mei.
"In effetti poteva anche andarti peggio." interloquì
Ikki. "Un mio compagno di corso è diventato impotente a
causa dei ripetuti
colpi subiti col krav maga."
Hyoga fece una smorfia.
"Ahia. Fortunatamente non ho questi problemi,
funziona ancora tutto a dovere."
"Puah! Avrei preferito non saperlo."
Shiryu indicò entrambi.
"Mi fate paura voi due. Credetemi. Paura."
ripeté.
"A proposito di Freya… devo andare a prenderla e
sono anche in ritardo." fece Hyoga consultando l'orologio.
"Povera ragazza."
"Ti ho sentita!"
"L'ho fatto apposta!" replicò Mei, intravedendo
Milo e Lixue rientrare in quel momento, sulla Norton di Camus. "Oh,
ecco
che rientra la mia ragazza."
"Mei, possiamo parlare?"
"Quale parte di lasciami
in pace non ti è chiara, Shiryu? Quando
avrò sbollito la rabbia forse
potrai parlarmi."
Lixue le corse incontro brandendo un paio di sacchetti
che Milo aveva preso dalle sacche laterali della moto.
"Questi sono per te!" le disse, piazzandole in
mano un sacchetto e correndo poi di gran fretta su per le scale,
diretta
all'undicesima casa.
"…potevi almeno darmi un bacio!" protestò Mei.
"Ha saltato tutto il pomeriggio e ha ancora forza
per correre? Come la invidio." commentò Milo, il chiodo
posato con
nonchalance su una spalla e il solito gran sorriso sulle labbra.
"Dovresti
ringraziarmi, ve l'ho cotta per benino: son sicuro che dopo cena
crollerà tra
le braccia di Morfeo fino a mezzogiorno di domani… if you know what i mean…"
Mei trattenne uno sbadiglio.
"Mi sa che non sarà la sola a crollare…"
commentò, aprendo poi il sacchetto di carta. "Kourabiedes!
Se inizio con questi non finisco più di
mangiarli!"
"Non farti vedere da Alde, si offende da morire se
poi non mangi perché hai perso appetito." disse Milo.
"Oh, allora sarà meglio chiuderli in alto nella
credenza."
Tornò all'undicesima casa trovando Lixue nella sua stanza
intenta a pescare qualcosa dalla propria valigia ancora da disfare e
Camus,
scalzo e in accappatoio, tutto concentrato a sgranocchiare biscotti a
suon di
musica appoggiato al piano cucina. Non appena la vide, fece per
abbassare il
volume.
"No, lasciala… è una delle mie canzoni
preferite…"
disse Mei.
Ingoiò un biscotto.
"Ti piacciono i Simply Red?!"
"Sì. A quanto pare, sono attratta dagli uomini con i
capelli rossi, che ci vuoi fare?" commentò Mei, guardandolo
mangiare un
ennesimo biscotto. "Sai, mi han detto che Alde s'offende da morire se a
cena non abbiamo fame…"
Camus sorrise, scostandosi un ciuffo bagnato dagli occhi.
"Sai bene che non saranno certo due biscotti a
togliermi l'appetito."
Mei posò il proprio sacchettino sul piano.
"Ah già, dimenticavo che sei un pozzo senza fondo come
il tuo compare." rispose.
"Fai male a dimenticartene. Se non stai attenta mi
finisco anche i tuoi." replicò Camus indicandole il
sacchetto con uno
sguardo.
"Ti taglio le mani se ci provi."
"Allora levali da lì o mi faranno cadere in
tentazione… e sai, come diceva Oscar Wilde, il
solo modo di liberarsi di una tentazione è cedervi…"
Osservò i suoi capelli ancora bagnati e sciolti sulle
spalle e l'accappatoio allentato sul petto, quindi prese un gran
respiro.
"In questa stanza ci sono tante cose che mi tentano,
ma se dovessi cedervi, Alde avrebbe da ridire."
"Oh. E parli di me o dei biscotti?"
"A te la scelta." rispose Mei.
"Volendo manca ancora un po' alla cena di Alde…"
disse Camus, sottintendendo qualcosa.
Un altro gran respiro.
"Dopo tutto questo tempo preferirei qualcosa di più
di… cinque minuti sul
piano
cucina." rispose Mei. "Mi pareva d'avertelo fatto capire, ieri
sera."
"Non intendevo certo una volgare sveltina, ma
comunque okay. Ci penseremo dopo."
promise Camus.
Mei s'incamminò verso la camera da letto, ma
tornò
indietro subito dopo afferrando i biscotti.
"E comunque mettiti le pantofole, vuoi mica…"
"…prender freddo?"
completò Camus. "… dì un po', ci
conosciamo?"
"… deformazione professionale da mamma, chiedo
scusa." mormorò Mei. "Io… ehm… vado a
prepararmi."
In camera, Mei accese il lettore mp3 e trascinò sul letto
una delle sue valigie –maledicendosi per il peso…
come diamine aveva fatto a
caricarla così tanto, poi…- e vi frugò
alla ricerca di qualcosa da indossare: un
semplice vestito estivo di cotone poteva andar bene, decise, dopo una
rapida
occhiata.
"…e ora dove accidenti avrò messo le scarpe??"
*
"Mei?"
Camus sentì ancora il vago -e molto stonato- canticchiare
dal bagno; inarcò un sopracciglio e si fermò
sulla porta, guardando Mei ancora
svestita che ancheggiava.
Si accorse di Camus solo quando Jennifer Lopez smise di
cantare dai suoi auricolari.
"Uh?"
"E' mezz'ora che ti chiamo." fece Camus.
"Se ti avessi sentito, avrei risposto. Vedi questi?
Si chiamano auricolari e servono per ascoltare la musica." rispose Mei,
ironica.
"Dovresti smetterla di cantare, i randagi di Atene
potrebbero non apprezzare gli infrasuoni che produci. Comunque tra
dieci minuti
a casa di Alde."
"Tra dieci minuti saremo già lì, ci metto poco a
prepararmi."
O almeno sperava: posò l'eyeliner sulla mensola, senza
capire perché stesse tremando a quel modo, di solito aveva
la mano molto ferma… ma di solito
non c'è Camus in casa con te,
le ricordò una vocina.
"Molto carini i tuoi slip." la prese in giro.
"Malefica ha sempre il suo fascino. Trovate in un Disney
Store, qualche tempo fa… graziose, vero?"
"Assolutamente."
"Spiritoso." replicò Mei. "Bello mio, se
ti aspetti lingerie di pizzo, hai sbagliato indirizzo con me."
"Nah, non sono quel genere di uomo."
"Lieta di saperlo."
Camus rimase fermo sulla porta del bagno.
"Ho come l'impressione che ci sia qualcosa di
diverso in te…"
Mei rise nervosamente.
"Sì, si chiamano pancetta
e smagliature. A differenza della
bellona che stavo ascoltando, ne ho in abbondanza." rispose, urtando la
pochette sul lavandino e spargendo tubetti ovunque.
"Inizi a sparpagliare le tue cose in giro, mi
piace." sorrise Camus, raccogliendo un paio di tubetti da terra. "Extra Volume Black Intense. Come fate a
sopportare certe torture, mi domando…"
"Cerco di farmi bella con qualche piccolo
aiutino."
"Non ne hai bisogno." rispose Camus, facendola
arrossire appena.
"Dovresti farti controllare la vista, secondo me. Ma
comunque… grazie."
L'arrivo di un messaggino riscosse Camus.
"Andrà a finire che per colpa tua arriveremo
tardi." lo provocò Mei.
Lui s'avvicinò alla cassettiera liberandosi
dell'accappatoio, quindi si chinò per prendere qualcosa.
"Ascolta… hai visto Hyoga?"
"Sì." rispose Mei distogliendo lo sguardo dalla
sua schiena e dal suo posteriore.
"… ed è ancora vivo?"
"…non comprendo lo stupore nelle tue parole ma
sì,
tranquillo… non l'ho ancora freddato."
"Benone. Mi dispiacerebbe povero ragazzo, è come un
figlio per me, gli voglio un gran bene." Pur avendo imparato a provare
affetto per Hyoga, ancora non riusciva a perdonargli certe cose. Una
tra tutte,
l'esito dello scontro in quella stessa casa.
"So a cosa stai pensando."
"Ne dubito."
"A-ha Mei, no. Temo che tu dimentichi troppo spesso
e troppo in fretta che a differenza di tanti altri ti conosco troppo
bene. Hai
iniziato a pensare al passato non appena ho accennato a Hyoga."
Annuì, posando definitivamente l'eye-liner nel beauty,
incapace di frenare il tremito.
"E' un argomento ancora troppo delicato per
me."
"Suvvia, Mei. Sono qui. Siamo insieme, e Hyoga ha
solo fatto il suo dovere."
"…okay…" rispose Mei. "Ehm… ho
impiegato
anni per vedere Hyoga con i tuoi stessi occhi dopo aver provato per lui
sentimenti contraddittori… tuttavia ci sono ancora momenti
nei quali lo
strozzerei con le mie stesse mani, perciò al posto tuo ne
parlerei ben poco,
soprattutto con me…"
Camus le carezzò una guancia.
"Non diventare cattiva, Mei. Il rancore non porta
mai a niente di buono."
Hyoga tornò insieme a Freya dopo circa venti minuti,
durante i quali aveva, come sempre, sopportato le raccomandazioni
più che
materne della sorella maggiore.
"Stiamo insieme da un paio d'anni e ancora adesso
Hilda mi ripete di fare attenzione e… riportarla
a casa sana e salva." sospirò, facendo un tiro
dalla sigaretta di
Ikki.
"Dalle tempo, prima o poi smetterà di essere così
apprensiva per sua sorella." interloquì Mu.
"Spero." replicò Hyoga, lanciando un'occhiata
alla fidanzata che si stava avvicinando curiosa a Shiryu, sicuramente
attirata
da Lixue, che l'amico teneva in braccio. A Freya piacevano molto i
bambini e
pur essendo molto legata alla figlia di sua sorella, sapeva che ne
voleva di
propri.
"Che bella
bambina! Ma… è tua? Sinceramente Hyoga non mi ha
mai detto che…" la
sentì chiedere, come aveva previsto, a Shiryu.
"Ma no, è mia
nipote." sorrise Shiryu in risposta. "E'
la figlia di mia sorella, si chiama Lixue e una volta rotto il
ghiaccio, non smette più di parlare."
"Io adoro i
bambini!"
"Anche tu adori i bambini o ricordo male?"
Hyoga si riscosse di colpo, guardando Camus che si era
accomodato accanto a lui.
"Quando diavolo sei arrivato? Non ti ho
sentito."
"Molto bene, significa che il mio addestramento
ninja ha raggiunto ottimi livelli." scherzò Camus. "Tornando
seri,
quando hai intenzione di chiederglielo?"
"Chiederle cosa? Dalle mie parti prima
ci si sposa, poi si fanno figli.
Mamma si rivolterebbe nella tomba se facessi il
contrario, le ho promesso di non deluderla per nessuna ragione al
mondo."
"Parlavo appunto di chiederle la mano, i figli
arriveranno col tempo, anche se io forse sono il meno indicato per dei
consigli… alla tua età ero padre già
da due anni. Comunque, due anni di
fidanzamento mi sembrano abbastanza, non credi?"
Hyoga annuì, poco convinto.
"E' che non ho abbastanza denaro per darle la vita
che merita… prima di chiederle la mano volevo sistemarmi...
continuo a cercare
un posto di lavoro migliore, spero in bene."
"Per sistemarti come tu meriti e
trovare un lavoro degno di te, devi prima finire
l'università, ne avevamo già parlato."
"Sì… e io sono stanco di gravare sulle tue
spalle. Anche
di questo avevamo già parlato." ribatté Hyoga.
"Hai ragione, ma ti avevo detto che non avremmo più
discusso di quest'ultimo argomento, perciò discorso chiuso." concluse Camus. "Occhi aperti
comunque,
ricordati che c'è anche Mei nei paraggi."
"A proposito di Mei… anche per voi sette anni sono
sufficienti, quand'è che farete il grande passo?"
"Bella domanda." convenne Camus. "Quando
entrambi saremo pronti, suppongo."
Mei decise di non disturbare i due uomini che stavano
parlando tra loro, quindi si accomodò contro la balaustra
della prima casa con qualcosa
di fresco mentre i profumi delle opere culinarie di Aldebaran
cominciavano a
farsi sentire nell'aria.
"Posso assicurarti che non è avvelenato."
Distolse l'attenzione dalla bevanda che stava annusando e
la dedicò all'uomo che le aveva appena rivolto la parola.
"Come?"
Shaka le indicò il bicchiere.
"Asha non è abituata a drogare o avvelenare ciò
che
offro ai miei ospiti."
"Asha magari no." rispose Mei.
"Mei, puoi rilassarti, non l'ho preparato io."
proseguì Shaka. "Se devo uccidere una persona lo faccio
direttamente senza
mezzucci simili e poco affidabili."
"Il latte allo zafferano di Asha! A questo non posso
dire no. Sentirai, ti piacerà un sacco."
interloquì Aphrodite, raggiungendo
Mei. "Ho interrotto qualcosa?"
"No, assolutamente niente." rispose Mei, rivolgendosi poi a Shaka.
"E comunque non mi pare di avere così tanta confidenza con
te da
autorizzarti a parlarmi come se fossimo amici. Non lo siamo e non lo
saremo."
Anni prima l'aveva considerata una volgare ragazzetta
stupida e qualunque -e l'aveva trattata come tale-, e ora voleva fare
l'amico?
Eh no, non funzionava così con lei.
"E così Hyoga ce l'ha fatta, a conquistare la bella
principessa." la distrasse Aphrodite.
"Così pare. Povera ragazza, non sa in che guaio
s'è
cacciata." commentò Mei, assaggiando il latte allo zafferano
e decidendo
che sì, Aphrodite aveva ragione: le piaceva.
"Ma smettila, che in fondo anche tu gli vuoi
bene." la riprese l'amico.
"In fondo." precisò Mei. "Ma molto, molto
in fondo."
Dopo aver parlato ancora qualche minuto con Hyoga, Camus
lo lasciò con gli amici e decise di cercare Mei; non l'aveva
ancora vista
scendere e magari, pensò, aveva cambiato idea.
"...scusa la curiosità, ma sei incinta?"
"Direi di no." sentì Mei rispondere, appena
fuori dalla prima casa. "Perché?"
"E' che questo vestito…"
Mei si schiarì la voce.
"E'… è un vestito premaman, infatti, ma no, non
sono
incinta."
Doveva ammettere con sé stessa che le sarebbe piaciuto
parecchio avere altri bambini, ma non era ancora il momento adatto.
"Non ancora."
commentò Aphrodite, sibillino.
"Beh, probabilmente succederà… ehm… in
futuro…"
balbettò Mei. "Ehm… più
a-avanti… quando… ci saremo sistemati
e…"
"Ehi, guarda che faccia…! Guarda che non ti ho mica detto
di farlo qui, seduta stante!" esclamò Aphrodite,
ridacchiando. "Amico,
una tazza di latte e zafferano anche per te?"
Sobbalzò e arrossì come una ragazzina non appena
incrociò
lo sguardo di Camus: quanto aveva udito di quella conversazione?
"Perché no? Senza pistacchi però, li detesto."
Mei cercò di controllare il rossore che continuava ad
avvertire sulle guance e continuò a bere.
"Per un attimo ho pensato avessi cambiato idea e che
preferissi rimanere su a casa."
Scosse la testa.
"No, no. Mi sento bene." rispose Mei.
"Okay, è che mi sembravi un po' strana."
proseguì Camus, sfiorandole una guancia. "Mi sembri un po'
calda.
Influenza?"
"Avanti, sappiamo benissimo entrambi che mi hai
visto arrossire, altro che febbre. E diciamo che hai anche sentito
tutto."
"Il necessario." replicò Camus.
"…"
"Come mai indossi un vestito premaman se non sei
incinta?"
"Come mai il mio modesto vestito di cotone scatena
tutta questa curiosità?" domandò di rimando Mei.
"Ho comprato questo
vestito quando ero incinta di Lixue, ma non ho mai potuto indossarlo,
visto che
pare essere stato progettato su una stangona nordica e senza zeppe mi
finisce
sotto i piedi. Non ho mai messo scarpe troppo alte col pancione,
perciò ecco
che l'ho riadattato per poterlo indossare quando ho voglia." aggiunse,
scoprendo i piedi infilati in due zeppe vertiginose. "E con queste
zeppe."
"Cosa… sono quelle?" domandò Camus con la
stessa espressione dell'Ade di Hercules, guardando i due sandali rosso
fuoco.
"Scarpe, Cam. Sai, quelle cose che indossi per non
dover camminare a piedi nudi…"
"Sono trampoli.
Prevedi di lavorare nel Cirque du Soleil, in futuro? Ti stai allenando
per
questo?"
"Cam, se vuoi andare d'accordo con me, non criticare
mai le mie scarpe o i miei gusti letterari o musicali. Mai."
borbottò Mei,
scendendo dalla balaustra sulla quale era seduta. "Voilà,
possiamo
andare."
A cena, Mei ritrovò quel senso di
amicizia e relax che al
Goro Ho non provava da tantissimo tempo: come anni prima c'era chi era
più
amichevole e chi totalmente indifferente alla sua presenza o chi
cercava in
tutti i modi di provocarla sperando di scatenare una qualche reazione;
tuttavia
sembrava prospettarsi piacevole.
Camus prese Lixue sulle proprie ginocchia e iniziò a
tagliarle
a pezzettini il petto di pollo che Aldebaran le aveva riservato;
tuttavia
quest'ultima pareva preferire la carne speziata del suo piatto.
"Mei, tua figlia cosa mangia? Il pollo può andar
bene?"
"Di tutto, è una buona forchetta." rispose Mei.
"Perché?"
"Anche il piccante? Perché credo di aver calcato un
po' troppo la mano con la paprika, nelle fajitas." spiegò
Aldebaran.
"E visto che preferisce il manzo piccante al pollo che le avevo
dato…"
"Mia nipote mangia soprattutto il piccante. Mei ha
mangiato così tanta roba del genere quand'era incinta, che
mi stupisce il fatto
che Lixue non sia venuta su indemoniata." commentò Shiryu.
"Non c'è problema, a casa cucino spesso il pollo
kung pao e Lixue spazzola anche la pentola." rispose Mei. "Come suo
padre, è un pozzo senza fondo."
Lixue allungò la forchetta alla fajitas nel piatto di
Camus e prese un pezzo di peperone.
"La tengo io mentre mangi?" disse Mei,
offrendosi di prendere in braccio Lixue.
Lui diniegò, avvicinando il proprio piatto alla figlia.
"Prendi quello che vuoi." propose a Lixue,
sorridendole.
Sì. Le era mancato tutto quello: le risa, la compagnia,
gli amici.
Un po' meno i pettegolezzi a suo carico, ma faceva in un
certo senso parte del gioco.
"Camus ci ha detto che siete di partenza per la
Francia." asserì Shura.
"Già." sorrise Mei.
"Un bel salto di qualità dal Goro Ho a Parigi."
commentò Saga, che fino a quel momento era rimasto in
silenzio.
"Come sarebbe a dire, salto di
qualità? Il Goro Ho non è mica una
topaia!" protestò
Dohko, ridacchiando. "Mei, ti sei mai sentita a disagio alla pagoda?"
"A dire il vero, Maestro" iniziò, rispondendo a
Dohko e soppesando bene le parole per evitare di trasformare in uno
schifo
quella serata cominciata così bene "…è
il solo posto in cui ho vissuto
fin'ora nel quale mi sono sentita a mio agio e al sicuro. Parigi devo
ancora
visitarla, più avanti potrò esprimere anche un
giudizio a riguardo."
Saga ascoltò la risposta quindi continuò a
guardare Mei.
"Hai vissuto anche qui per un certo tempo, non ti
sei mai sentita al sicuro tra le mura del Santuario?"
Avrebbe desiderato tanto rispondergli per le rime ora che
Saga non era più il Grande Sacerdote e che non era lui a
governare sul
Santuario, ma il lieve colpetto di tosse di Camus e il cenno di Hyoga,
seduto
davanti a lei, la fecero desistere.
"Beh, come rispondere… ora che sento la presenza
della vostra Dea posso anche evitare di dormire con il pugnale sotto il
cuscino." rispose con uno strano sorriso, facendo ridacchiare i
presenti.
"Ti senti a disagio anche adesso, quindi?"
proseguì Saga.
"Un pugnale sotto il cuscino?!" domandò Milo,
nello stesso momento.
Il colpetto di tosse si trasformò in una leggera stretta
sul suo braccio, e Mei preferì rispondere a Milo piuttosto
che a Saga.
"Un kubikiri
giapponese appartenuto a mio padre." spiegò Mei, alludendo
alla specie di spada
corta a lama leggermente curva che Shiryu le aveva dato per difendersi.
"Questa non la sapevo." Milo corrugò la fronte.
Hyoga si portò una mano alla gola.
"Io sì." interloquì, deglutendo.
Camus arricciò il naso.
"Non voglio nemmeno sapere perché lo sai." disse,
facendo ridacchiare l'allievo.
"Perché quando si parla di certe cose ci sei sempre
tu di mezzo?" domandò Freya, guardando Hyoga.
"Che colpa ho io se mi trovo spesso nel posto
sbagliato, nel momento sbagliato?"
Entrambi si ricordavano bene cos'era successo; appena
dopo Hades, Mei aveva iniziato ad avere degli incubi particolarmente
strani e
delle notti piuttosto agitate. Durante una di queste, lui s'era
precipitato a
vedere se stesse bene o meno, per ritrovarsi quasi sgozzato da Mei che
l'aveva guardato
fuori di sé qualche istante convinta di trovarsi di fronte
chissà quale nemico,
prima di rendersi
conto di essere solo
ruzzolata giù da letto con le gambe incastrate nelle
lenzuola aggrovigliate.
L'avrebbe ucciso se solo fosse stato meno veloce nel tirarsi indietro:
la lama
l'aveva graffiato appena e una volta resasi conto dell'accaduto, a Mei
quasi
era preso un colpo.
Anche a distanza di anni, riusciva a sentire la lama a
diretto contatto con la gola.
"Va beh. Vi sposerete?" chiese poi Freya, decidendo
di cambiare totalmente discorso.
"Ogni cosa a suo tempo." rispose Camus.
"Se ci sarà l'occasione, vi assicuro che sarete i primi a
saperlo."
Mei corrugò la fronte.
"Voglio farti notare che non me l'hai ancora
chiesto..." sussurrò per non farsi sentire da nessun altro.
"Ogni cosa a suo tempo." ripeté lui,
sorridendo.
"Comunque avvertimi, che ho già in mente l'addio al
celibato perfetto." disse Milo. "Un bel viaggio on
the road sulle nostre moto costellato qua e là da
esperienze
estreme."
Mei si sporse verso Milo, seduto accanto a Camus.
"Esperienze di che tipo?"
"Non posso parlartene adesso, c'è un paio d'orecchie
di troppo, qui."
Camus li guardò.
"Lorsignori desiderano parlare da soli senza
l'ingombrante presenza del sottoscritto?"
"Si grazie." replicò Milo.
Camus inarcò un sopracciglio e si alzò da tavola.
"Bene, dunque ne approfitto per mettere a letto
Lixue, mentre voi progettate il mio omicidio."
"Esagerato."
Spossata dalla giornata ricca di avvenimenti, Lixue si
era addormentata subito dopo aver toccato il letto, tanto che Camus era
riuscito a metterla a dormire senza troppe storie; la cena intanto era
praticamente finita e tutti parlottavano tra loro a gruppetti, come
succedeva
spesso.
Mei era ancora al suo posto, a chiacchierare con Milo e
Hyoga –che ascoltava, più che parlare-.
"…la prima
volta a dire il vero non è stata granché. Ho
sentito solo un leggero fastidio
ma questione di pochi minuti ed era finita… niente di
così eclatante come mi
avevano detto." stava dicendo, mentre con una matita che
Lixue aveva
lasciato sul tavolo si sistemava i capelli in uno chignon improvvisato.
"E poi tutto
liscio come l'olio vero? Che ti avevo detto?"
interloquì Milo.
Rimase qualche istante ad ascoltare a pochi passi da
loro, la fronte corrugata: Mei aveva bevuto?
E quanto, se raccontava al suo
migliore amico cose di natura troppo intima per esser divulgate?
La vide sfilarsi un sandalo e mostrare a Milo il piede
sinistro.
"…poi c'è stato quello sulle costole e questo sul
piede, per i quali ho visto letteralmente
le stelle. Per quello sul fianco ho pianto
anche se è una frase su due righe scritta sottile."
"Confermo." interloquì Hyoga. "Mi ha quasi
rotto la mano a furia di stringerla."
"Esagerato."
"Coraggiosa.
Sulle ossa fa sempre un po' male, anche se dipende da quanto riesci a
reggere
il dolore." commentò Milo.
Mei piegò la testa di lato.
"Ho superato dolori peggiori di un
tatuaggio, credimi."
Tatuaggi. Ecco di che cosa stavano parlando: gli era
parso strano che Mei si sciogliesse in discorsi privati.
Le arrivò alle spalle, posandole addosso lo scialle che
aveva lasciato a casa.
"Ho pensato potesse servirti." le disse.
"In effetti cominciavo a sentire un po'
freddino." sorrise Mei. "Grazie."
Milo si raddrizzò dopo aver esaminato il piede
dell'amica.
"Per Aspera ad
Astra." ripeté. "Carino è carino, ma
perché all'interno del piede
e non verso l'esterno? Oh, ciao Cam, ben tornato!"
"Quasi tutti i tatuaggi che ho sono piccoli e in
posti nascosti ai più, non li ho fatti per esibirli, credo
siano… come dire… privati."
spiegò Mei, mentre Camus
si sedeva dietro di lei, scambiando qualche rapida parola in russo con
Hyoga e
iniziando a seguire la conversazione.
"E al mare come fai, t'infili un burqa per non
farteli vedere?" scherzò Camus.
"No, basta un bel costume intero."
"Sono curioso di vedere quello sulle costole. Prima
o poi mi farai dare un'occhiata?" domandò Milo.
"Purché sia alla luce del sole e fuori dall'ottava
casa, ho sentito dire che il thunder claw
di Shaina è piuttosto doloroso." ridacchiò Mei.
"Anche l'aurora
execution, fidati." tossicchiò Hyoga, alzandosi.
"Io raggiungo la
mia bella, ci vediamo domani."
"Vado anche io. A domani, ragazzi." li salutò
Milo.
"Non fate troppo casino, c'è anche mia figlia in
casa." l'ammonì Camus, prima di chinarsi verso Mei. "Tu hai
sonno?"
"No."
"Bien. Ti
va di passeggiare un po’ con me?"
"Hai intenzione di portarmi giù alla spiaggia per
sedurmi?" mormorò Mei.
"Uhm… prima sì, ma ora che hai scoperto le mie
intenzioni, ci accontenteremo della passeggiata."
"Okay, anche se fossi in te, sarei estremamente
preoccupato per la tua virtù."
Camus attese pazientemente che Mei si sfilasse anche
l'altra zeppa –sospirando di sollievo- e la scortò
fino alla baia nascosta del
Santuario.
"A saperlo, non ti avrei disturbata."
"Mh?"
"Fino a poco fa parlavi molto e ora sei
silenziosa."
"A dire il vero pensavo e... mi stavo godendo
l'atmosfera." rispose Mei, semplicemente.
"Quindi non stavi ripensando sulla scelta di venire
a Parigi?"
"No, no. Rilassati. Non è stata una decisione presa
di fretta, ci ho riflettuto bene e non mi tirerò certo
indietro." disse
Mei. "Del resto, non potrei fare questo a Lixue."
Camus si fermò.
"E se Lixue non ci fosse stata? Ti saresti tirata
indietro?"
"Se Lixue non ci fosse stata, ci sarebbe stato tutto
questo? Ci sarebbe stato un noi?"
ribatté Mei. "Ti sei offeso quando ti ho chiesto se era lei
che volevi
vicina o noi. Eppure… perdonami, ma il dubbio c'era, date le
basi del nostro…
come definirlo? …rapporto?
Ho sbagliato a portarti qui, non avrei
dovuto. Sono un guerriero, la mia fedeltà ad Athena viene
prima di tutto…
soprattutto viene prima di una ragazzina che al suo confronto
è insignificante."
Capì d'aver toccato un tasto molto dolente quando
notò
l'espressione ferita di Camus, ma decise ugualmente di proseguire.
"…parole tue, non mie. Parole che sono scolpite
nella mia mente, vive come se le avessi appena pronunciate."
"Le ricordo bene."
"Bene." disse Mei. "Le parole sono spade,
possono uccidere. Non ho mai preteso d'essere
bella perché non lo sono né lo sarò
mai, ma… insignificante, no. Quella è stata
la goccia finale. Ma ho fatto di tutto per rimettermi in piedi e
recuperare la
mia vita… poi arrivi tu e me la sconvolgi. Domando scusa, ma
il dubbio era più
che legittimo."
"E se ti dicessi che lasciarti andare è stata la
cosa più difficile che abbia mai fatto?"
Stavolta fu Mei a fermarsi.
"Se questo fosse un film melenso, ora io avrei le
lacrime agli occhi e tu staresti per baciarmi." ribatté Mei.
"Non so…
quanti film romantici hai guardato, in mia assenza? Non ti facevo tipo
da
commedie romantiche visto che per convincerti a portarmi al cinema per
guardare
The Lakehouse ho dovuto sudare sette
camicie..."
Ancora ricordava le storie che aveva fatto per andare a
vedere quel film.
"So perché
vuoi vedere quel film, è solo per Keanu Reeves…"
"Veramente, no. Ho visto il film coreano dal quale è stato
tratto e sono
curiosa."
A quelle parole erano seguite un paio d'occhiate dubbiose.
"Eddai. Vorrai
mica dirmi che hai visto Tomb Raider per l'Archeologia e non per il
fisico
della Jolie…"
Camus la riscosse.
"Dai, Mei, sono serio. Credi sia stato facile per me
dirti quelle cose e lasciarti andar via? Ero in giardino quando stavi
preparando le tue cose e quando Milo ti ha riportato a casa, non hai idea di quanto mi sia costato
ignorarti e lasciarti andar via come nulla fosse successo."
"Se è stato così difficile, perché non
ci hai
ripensato e non mi hai fermata?"
"Non potevo. E in tutta sincerità, saresti rimasta
dopo le mie parole?"
"…io…"
"No, perché eri e sei troppo orgogliosa. C'è che
ho
dovuto scegliere e ho dovuto farlo alla svelta per proteggerti."
"Beh, non avresti dovuto scegliere al posto mio! Se
avessi avuto la possibilità di decidere della mia vita,
avrei scelto te, avrei
scelto l'undicesima casa!"
"…e saresti morta anche tu."
"Questo non puoi saperlo."
"Oh no, credimi quando ti dico che saresti morta.
Assiderata, come minimo." la corresse Camus. "E poi come avresti
fatto con tuo fratello?"
"Shiryu alla fine avrebbe capito la mia scelta, non
avrebbe potuto odiarmi nemmeno se ci avesse provato."
replicò Mei,
sollevando l'orlo del vestito e affondando le dita dei piedi nella
sabbia
bagnata della battigia. "Magari l'esito di quella battaglia sarebbe
stato
diverso."
"Sì, sarei morto subito continuando a pensare a te
invece che a Hyoga. Avresti sentito in diretta tutto e avresti
sofferto."
Mei strinse i pugni.
"Perché così non ho sofferto vero? Non ho
sofferto
nel sentire il tuo cosmo spegnersi, non ho sofferto quando ti ho sentito morire, vero? Tu forse non lo
sai, ma ho urlato così forte quel giorno da rimanere senza
voce per giorni
interi. Ogni notte ho avuto incubi dove tu morivi e mi svegliavo di
colpo
gridando il tuo nome! Quando sono venuta qui al Santuario a vedere il
tuo corpo
così gelato da sembrare uno Jötunn, sono stata
così male che ho ardentemente desiderato
raggiungerti! Se Lixue non ci fosse stata, io mi sarei lasciata andare
fino a
morire per te!" prese un gran respiro mentre lui la fissava con uno
strano
sguardo negli occhi, quindi proseguì. "Dèi, a
volte detesto me stessa per
il patetico modo in cui mi permetto di espormi…
ehm… fa' come se non avessi
detto nulla okay?"
"..."
"Eccola qui, la tua piagnucolosa donna cinese."
sorrise Mei, pochi istanti dopo. Si strinse nello scialle, ma non
sapeva se per
il freddo o per qualche altro motivo. "Ti prego, di' qualcosa, mi sento
patetica in questo momento."
"Non so cosa dire." mormorò Camus,
improvvisamente a corto di parole.
"Per una volta sono riuscita a zittirti."
ridacchiò Mei, nervosa. Raccolse le scarpe e
guardò il sentiero che conduceva
alle Dodici Case. "Dovresti farmi strada, non vorrei infilarmi qualcosa
nei piedi."
Le si avvicinò, silenzioso, e la strinse a sé
mentre si
avviavano all'undicesima casa.
*
Uscì dal bagno dopo un tempo che le era parso infinito;
dopo essersi lavata via il trucco e un po' della tensione accumulata
durante la
sera con una veloce doccia, si era infine decisa ad andare in camera,
trovando
Camus che armeggiava nell'armadio.
"Beh? Dove vai?" gli chiese, quando vide un
lenzuolo e il suo cuscino posati sul letto.
"Ti lascio il letto e vado a dormire sul divano."
"Questo lo vedo. Ma perché?" domandò Mei.
"Perché c'è un letto solo."
"Ho notato anche questo. Non mi sembra il caso, però,
il letto è grande abbastanza per dormirci comodamente in due."
"…non scherzare, Mei. Se rimango a dormire qui
potrei non rispondere di me." disse Camus. "E tu non mi sembri nella
disposizione d'animo adatta."
"Non sono… cosa?
Ieri sera per poco non facevamo l'amore all'addiaccio col rischio di
essere
visti da chiunque al Goro-Ho e adesso fai così?"
Che cos'era successo, così d'improvviso? Durante la sera
appena trascorsa erano stati bene insieme, perché
ora…?
Lo seguì in salotto, incapace di capire perché si
stesse
preparando un giaciglio sul divano quando potevano dormire entrambi nel
letto.
"Ieri sera." ripeté lui.
"Oh no, non dirmi che è per quello che è successo
prima in spiaggia. Ho detto qualcosa che ti ha offeso, non è
così? Maledizione,
parlo sempre troppo. E' successo qualcosa di particolare che non ho
compreso?
In tal caso ti chiedo scusa, davvero."
"Non hai fatto nulla per cui scusarti. Perciò
tranquilla, è tutto a posto."
"Allora vieni a dormire."
"Santi numi, Mei! O sei davvero così ingenua da non capire o mi stai deliberatamente
provocando." le rispose. "Padroneggio il ghiaccio e forse davvero
sono fatto della stessa materia, ma fino a un certo limite,
dopodiché prendo
fuoco anche io."
"Avevamo un discorso in sospeso noi due, se ben
ricordo. Ma se sei così codardo da non volerlo riprendere,
beh… non è affar
mio. Buonanotte, allora."
***
Lady Aquaria's corner:
-Capitolo revisionato in
data 4 febbraio 2014-
-Systema: è un'arte marziale
russa, così come la Krav Maga è israeliana.
-Kourabiedes: buonissimi
biscotti greci fatti con pasta frolla e mandorle;
-Asha: non ricordo se l'ho
già o no specificato, ma Asha è l'attendente
femminile che si occupa della
sesta casa e di Shaka, in un certo senso;
-Kubikiri: è un'arma
giapponese a lama appena ricurva usata anticamente per…
ehm… sgozzare, come
dimensioni è lunga più o meno una trentina di
centimetri;
-Per Aspera ad Astra: aforisma
attribuito al filosofo Ferdinando Arcà, letteralmente: attraverso le asperità alle stelle;
-Le parole sono spade,
possono uccidere: è un bell'aforisma di Hegel;
-The LakeHouse: film del 2006
con Sandra Bullock e Keanu Reeves remake di un film coreano del 2000
circa. Lo
consiglio, è davvero bello;
-Jötunn: nella mitologia
nordica, sono i giganti, i quali si dividono in due categorie, i
giganti di
brina (gli Hrímþursar) e i giganti di fuoco (i
Múspellsmegir). Ovviamente Mei si
riferisce alla prima categoria.
"Suvvia, Mei.
Sono qui. Siamo insieme, e Hyoga ha solo fatto il suo dovere."
….non ci credevo nemmeno io, mentre lo scrivevo. Hyoga
per certi versi continuerà a starmi simpaticamente sullo
stomaco. XD
Grazie come sempre a chi legge e quant'altro, al prossimo
capitolo :)
Vale^^
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 9 *** Could i have this kiss forever? ***
capitolo 9 rivisto
9.
Could i have this kiss forever?
Could I hold you for a
lifetime?
Could
I look into your
eyes?
Could
I have this
night to share this night together?
Could
I hold you close
beside me?
Could
I hold you for
all time?
Could
I, could I have
this kiss forever?
(Could I have this kiss forever,
Enrique
Iglesias & Whitney Houston)
"Buonanotte?"
la fermò, voltandola verso di sé. "Eh no. Nessuna
buonanotte adesso, dove pensi di
andare?"
"A dormire. Quando poi inizierai a lanciarmi dei
segnali che mi faranno capire che cosa vuoi esattamente da me, allora
potremo
parlarne. Ma fino ad allora…"
"Te lo dico un'ultima volta, per farti capire che
cosa intendo dirti visto che la cosa non ti è chiara." la
interruppe
Camus, il cuscino che si frapponeva come un muro tra loro. "Con te
vicina,
a pochi centimetri da me, io non riuscirei a dormire, non riuscirei a dominarmi. Quando succederà
qualcosa tra
noi stanotte, o domani, o dopodomani, o quando sarai in condizioni di
farlo,
Mei, perché so che
succederà, io non mi
fermerò per nessuna ragione al
mondo. Potrebbe accadere qualunque cosa, non ci sarà niente che potrà fermarmi. Ti
è chiaro questo?"
Le diede le spalle e ritornò in salotto.
"Nessuno ti ha chiesto di farlo." asserì Mei. "E'
assurdo come tu mi faccia sentire una ragazzina in piena tempesta
ormonale
quando questa è una cosa che vogliamo fare entrambi! Ecco
perché ti ho definito
codardo."
Lui gettò il cuscino sul divano, emettendo un sospiro. Le
si avvicinò fino a intrappolarla fra sé e il muro
togliendole ogni possibile
via di fuga.
"…perché lo vogliamo entrambi, vero?"
mormorò
Mei.
"Regarde
moi." le impose, sollevandole gentilmente il volto.
Le prese una mano e se la posò sul petto; Mei lo
sentì
tremare a quel contatto: sotto la sua mano il cuore di Camus batteva
furiosamente e per qualche istante furono i loro sguardi a parlare.
"Selon toi?"
Il respiro affrettato, l'adrenalina che scorreva nelle
vene…
Nessun'altra parola, non ce n'era bisogno.
"Secondo me sì." sorrise, tirandolo verso di sé
e affondando le mani nei suoi capelli, prima di baciarlo.
Dal canto suo Camus strinse la presa sui suoi fianchi, rispondendo
al bacio.
Quei gesti le erano così mancati... le erano mancate le
mani di Camus addosso, l'odore della sua pelle, il suo respiro... come
aveva
fatto a rimanergli lontana per così tanto tempo?
Percorse la sua schiena con due lunghe carezze che
terminarono sui suoi glutei.
Camus si bloccò, riaprendo gli occhi e guardandola.
"Forse sono troppo audace?" sussurrò Mei, sulle
sue labbra, stringendo le mani e facendolo gemere appena. "Preferisci
altro? Non hai che da dirlo..."
"..."
Incoraggiata dal suo silenzio, spostò le mani davanti,
slacciandogli i pantaloni e iniziando lentamente a calarli
giù per i fianchi.
"La mia disposizione d'animo è abbastanza adatta per
te?"
Piacevolmente colpito da quel gesto, Camus si era
abbandonato alle sensazioni che stava provando, lasciando da parte la
lucidità;
le mani di Mei vagavano possessive sul suo corpo, e ad ogni carezza, un
pezzettino di ragione andava a farsi benedire.
Prima di lasciarsi andare del tutto a quel momento, usò
un poco di ragione rimasta per afferrare Mei e spingerla in camera.
Qui è molto meglio
pensò, togliendole il kimono e facendoglielo scivolare
giù dalle spalle. Appena
iniziò ad armeggiare con la giacca del pigiama, la
sentì tremare e si fermò.
"Se devi, fermami adesso." sussurrò.
"Niente da fare. Perché dovrei fermarti?"
Perchè l'intimità che avevano condiviso tempo
prima non
c'era più, ad esempio. Perchè i loro corpi, nel
frattempo, erano cambiati e
perchè la spensieratezza dei vent'anni era svanita col tempo.
"Perché stai tremando."
Lo guardò, confusa. Certo che tremava, ma per il
nervosismo, non per altro, perché le sembrava di essere
tornata ai suoi diciassette
anni e alla sua prima volta.
"Non pensarci, va tutto bene." sorrise,
incoraggiante. Si levò i pantaloni e li scalciò
via, quindi restò in attesa
della mossa successiva. "Devo ammettere che siamo stati più
audaci e pieni
d'iniziativa quella famosa volta dietro la cascata…"
aggiunse, liberandosi
del restante pigiama e abbracciandolo. "Wǒ yào
ràng ài nǐ."
Rispose all'abbraccio, stringendole i fianchi e godendosi
la sensazione del suo corpo nudo contro il proprio: da quanto tempo non
si
sentiva in pace con sé stesso come in quel momento?
Lei iniziò a indietreggiare e lo tirò con
sé fino al
letto, sedendosi poi sul bordo, le mani ancora strette nelle sue.
"Wǒ
yěshì."
Mei ridacchiò sommessamente.
"...anche questa l'hai letta sul frasario?"
Non ottenne altre risposte.
*
La guardò dormire, del sonno rilassato che segue l'amore:
il lenzuolo appena sopra il fondoschiena, il volto sereno, sulle labbra
un
sorriso.
Camus passò le dita sulla guancia e fra i suoi capelli,
scendendo
pian piano lungo la spina dorsale e soffermandosi sui tatuaggi che
durante le
ultime ore aveva solo intravisto.
E Mei commise l'errore di rabbrividire.
"Ma allora sei sveglia."
Ridacchiò.
"…accidenti, mi hai scoperta." mormorò.
Di nuovo una risata bassa che Mei trovò incredibilmente
sexy.
"…le tue
labbra possono concludere quanto le dita hanno iniziato." disse
Mei,
aprendo gli occhi.
"…questa l'ho già sentita, da qualche parte."
le fece notare Camus, facendola sorridere.
"La regina Gorgo la sapeva lunga."
"Noto che ci stai prendendo gusto, ma belle."
"Perché devo aver letto da qualche parte che il
sesso apporta benefici all'organismo."
"Sì, eh?" ribatté Camus, divertito. "Non
sarà invece il mio corpo perfetto e libidinoso la causa di
tanto interesse?"
"Anche."
"Lusingato." sussurrò, allungandosi verso di
lei e baciandola, a lungo.
"È stato bello, stanotte." sussurrò Mei, dopo
qualche istante di silenzio.
"Così mi stai davvero lusingando."
Mei rise.
"Sciocco. Se mi ricordavo che era così, t'avrei
chiamato io al posto di Lixue. E molto prima, anche."
"Se continui facciamo il secondo round."
Lei si alzò sui gomiti.
"Ah sì? Perché, ci riusciresti di nuovo?"
"Tu mettiti comoda."
"Ma smettila." ridacchiò, colpendolo con un
cuscino.
*
Hyoga si svegliò per primo, anche se non si trattava
proprio di svegliarsi, essendo rimasto sveglio gran parte della notte
appena
trascorsa.
Un caffè, decise. Per non soccombere al sonno e dedicarsi
ai libri, gli ci voleva una tazza di caffè forte e almeno due ciambelle.
"Accidenti a voi, la prossima volta fate
insonorizzare la stanza prima di ripassare il kamasutra."
sbottò, a bassa
voce, passando davanti alla camera di Camus.
I due erano andati avanti per un bel po' prima di cedere
alla stanchezza.
Per un po' aveva fatto finta di non ascoltare, gli
auricolari nelle orecchie con gli Abba a tutto volume mentre invidiava
Freya e
il suo sonno pesante, poi aveva seriamente iniziato a innervosirsi,
pensando
con sgomento all'esame imminente.
Poi erano lui e
Freya quelli che avrebbero dovuto far piano per non svegliare tutti,
giusto?
Sentì Mei ridere, avvertì un tonfo sordo e infine
la
risata di Camus attutita da qualcosa e levò gli occhi al
cielo.
"Vai col terzo round. Evviva. Ma beati voi, vorrei
averla io tutta questa resistenza." commentò, funereo, prima
di finire a
terra lungo e disteso, in corridoio: nella penombra che aleggiava in
casa
intravide che era inciampato in un paio di pantaloni, che sul pavimento
facevano compagnia a un paio di boxer.
Almeno hanno avuto
la decenza di chiudersi in camera.
"'fanculo."
aggiunse, tastandosi il naso dolorante.
"Hai detto una parolaccia."
Levò gli occhi su Lixue, accovacciata accanto a lui, e fece
una smorfia.
"Lo so." ammise, rialzandosi. "Non le dirò
più. Tu però fai finta di non aver sentito."
"Però l'ho sentita. E per ogni parolaccia devi
mettere una moneta nel tuo barattolo in cucina." asserì.
Hyoga corrugò la fronte.
"Come, scusa?"
Lixue lo precedette in cucina e gl'indicò una grossa
scatola di latta dietro l'anta intagliata di un pensile, dentro la
quale erano
sistemate diverse scatoline, ognuna recante un'etichetta scritta in
cinese.
"Hai davvero
un barattolo per le parolacce? Pensavo scherzassi."
"Ti faccio vedere."
Hyoga la sollevò e la sedette sul tavolo, accanto alla
latta che le aveva tirato giù; guardando meglio vide un
foglietto plastificato
e iniziò a leggerlo incuriosito.
"Quello l'ha scritto papà."
Una specie di tariffario: cinquanta centesimi per parole
di "poco" conto come cretino,
imbecille e idiota,
uno, due e cinque euro per le altre, a seconda della
gravità della parolaccia, fino ad arrivare a ben dieci euro
per le cose
irripetibili.
"Posso guardare?" domandò, prima di curiosare
nelle varie scatoline. Ne prese una praticamente vuota, con una sola
monetina
da cinquanta centesimi. "Di chi è questa?"
"Papà."
Hyoga ridacchiò.
"E che ha detto di così grave per meritarsi ben
cinquanta centesimi di punizione?"
"La parola che inizia per emme."
"Ah. Toglimi una curiosità, cosa fai con questi
soldi, poi?"
"Alla fine dell'anno chi ha più soldi nella sua
scatolina e ha detto più parolacce è costretto a
darmi il doppio così che nel
nuovo anno non ne dice più."
"Ingegnoso. E come li usi?"
"Mamma li raccoglie e li mette via per quando sarò
grande." spiegò Lixue.
"Sai che se conti di arricchirti con le parolacce
che dice tuo padre sei destinata a diventare povera, sì?"
Hyoga posò la
scatolina di Camus e ne prese una che conteneva anche delle banconote.
"Quattrocento
yuan? Sono tanti!"
Lixue fece spallucce.
"Non lo so."
Chissà che improperi aveva udito per guadagnarsi quasi
cinquanta euro.
"Chi te li ha dati?"
"Zio Shiryu."
"Davvero? E cos'ha detto?"
"Non posso dirlo!" esclamò la bambina.
"Però mi aveva detto che era molto arrabbiato
perchè a scuola il suo
maestro non l'aveva interrogato e lui era uscito di casa per niente."
"E questo quand'è successo?"
"Al mio compleanno."
Se si riferiva all'esame che Shiryu non aveva dato perchè
il professore non si era presentato in facoltà, allora
poteva capirlo.
"Vedi, sei ancora piccola per capirlo, ma a volte si
dicono le parolacce perchè si è così
arrabbiati che non puoi fare altro e il
solo modo che hai per sfogarti è dire una cosa che non
dovresti dire."
"Mamma e papà dicono che le parolacce non si devono
mai dire."
"Lo so. Ma se l'alternativa a una brutta parola è un
pugno in faccia?"
Lixue ci pensò su.
"Allora è meglio la parolaccia."
Mei entrò in cucina poco dopo.
"Rispetto a cosa è meglio la parolaccia?"
"Lixue dice che è meglio una brutta parola rispetto
a un pugno in faccia."
"Mah, non ne sono così sicura, spesso è
più
esplicativo un bel pugno rispetto a un insulto." disse Mei. "Ma
comunque è una mia opinione. Ciao tesoro." aggiunse,
sbadigliando.
"Sonno?"
"Sì, un po'."
"Immaginavo." rispose Hyoga, acido. "Fare
le ore piccole stancherebbe chiunque."
"Noto una puntina di acidità nella tua soave e
gentilissima voce." Mei inarcò un sopracciglio.
"C'è qualche problema
relativo alle mie attività notturne col mio compagno?"
"Da vero signore non volevo affrontare direttamente
l'argomento ma sì, qualche problema ci sarebbe. E' da un po'
che la notte non
chiudo occhio, e a breve avrei un esame."
Mei si schiarì la voce.
"Peccato che sono qui solo da una notte, non potevo
disturbarti prima. Potevi infilarti due tappi d'ovatta nelle orecchie e
studiare, anziché origliare quello che abbiam fatto io e
Camus in camera
nostra." disse. "Lixue, va' a infilarti la vestaglia, andiamo
dall'inquilino del piano superiore a chiedere un po' di latte."
"Sì." disse subito Lixue.
"Guarda, sarà mia premura esternare di meno i miei
sentimenti d'ora in poi, ma… ti sfido a trascorrere una
notte intera alla
pagoda con mio fratello e mia cognata nella stanza accanto. Allora sì che avresti di che
lamentarti."
Hyoga spillò una tazza d'acqua dal samovar e v'immerse
l'infusore con le foglie di assam.
"Ho già trascorso varie notti alla pagoda, se
ricordi."
"Ma all'epoca Shunrei aveva tredici anni e Shiryu
appena un anno in più. Se solo avesse provato a pensare a
Shunrei in quel modo
Dohko non gli avrebbe permesso di arrivare alla maggiore
età. E credimi, tu non
hai mai visto Dohko arrabbiato, minimo gli avrebbe spezzato le ossa una
per
una."
"Dev'essere una prerogativa dei maestri. Camus mi disse
la stessa cosa."
"Sì eh?"
"Anche se sono sicuro che non mi avrebbe mai
intenzionalmente colpito… ma la sola minaccia verbale
è bastata a tenermi buono
finché non ho compiuto diciotto anni."
Mei sorrise, stavolta di un sorriso triste.
"Sì, Camus non è capace di far male fisicamente
alle
persone. Ma a parole… con quelle ha un talento naturale.
Riesce a uccidere
l'animo di una persona con poche semplici frasi se vuole." scosse la
testa, come per scacciare quelle ultime parole. "Bene, vediamo di
preparare la colazione."
"Mi sa che non prepari proprio nulla, la dispensa è
vuota." disse Hyoga. "Colpa mia, devo ammetterlo. Avrei dovuto fare
la spesa e invece ho trascorso il pomeriggio con Freya."
Mei guardò sconsolata il solitario pacchetto di gallette
di riso che aveva portato con sé la sera prima, mentre il
suo stomaco reagiva
con forza.
"Non c'è niente?"
"No."
"Oh, bene. Vorrà dire che andrò a tediare
l'inquilino della dodicesima per vedere se ha da prestarmi del latte e
qualche
fetta biscottata."
Hyoga aprì il frigorifero e le porse un involto.
"C'è ancora la tua porzione del dolce di ieri
sera." le disse.
Mei serrò il kimono prima di uscire.
"C'è una ragione se ieri non l'ho nemmeno
guardato."
"Fammi indovinare… sei a dieta?" la prese in
giro.
"No, testa vuota… se non contenesse i pinoli avrei
mangiato anche la tua parte."
Hyoga fece un mezzo ghigno.
"E così… sei allergica ai pinoli." disse,
strofinandosi le mani. "Beeeene, ora so come farti fuori e farlo
passare
come un incidente domestico."
Stavolta fu Mei a ghignare.
"Bravo. Sei
divertente e simpatico. Per questo ti ammazzerò per ultimo."
"Schwarzenegger." riconobbe Hyoga.
"Complimenti per la battuta. Non è tra le più
carine dei suoi film ma…
caruccia."
Mei gli scoccò un occhiolino.
"Ne ho un paio di MrFreeze che potrebbero raggelarti."
"Oh, avanti, puoi fare di meglio."
"Lo so. Prepara le tue battute migliori mentre vado
a procacciarmi la colazione, che dopo ti stendo come un cencio."
Hyoga si accomodò, allungando i piedi sulla sedia
accanto.
"Ne rimarrà solo
uno."
***
Lady Aquaria's corner.
-Capitolo modificato in data 15
marzo 2014-
Quando tre anni fa ho iniziato a scrivere la mia fic,
avevo difficoltà nel descrivere scene come quelle del
capitolo, cioè avevo idea
di come si svolgeva la scena nella mia mente ma al momento di
trascriverlo,
puff! spariva. Nel corso del tempo, ho provato a sviluppare le scene
d'amore in
modo da farle sembrare romantiche e veritiere e comunque il meno
descrittive
e volgari
possibili. Rimane comunque il
rating arancione. :)
Spero di esserci riuscita XD
By the way, parto con le note.
-Regarde moi / Selon toi = secondo il francese che
ricordo: guardami e secondo te?
-"Wǒ yào ràng ài nǐ" e "Wǒ yěshì" secondo il traduttore Babylon
del mio pc (e il mio frasario), si traducono con: "Voglio amarti"
(anche se la mia idea era quella di far dire a Mei una cosa esplicita
tipo:
"Voglio fare l'amore con te" ma va beh, prendo per buona questa) e
"anche io".
-Le tue labbra possono concludere quanto le dita hanno
iniziato: come non capire la bella Gorgo di fronte a uno come Gerard
Butler
Leonida?
-Bravo, sei divertente e simpatico. Per questo ti
ammazzerò per ultimo. (Schwarzenegger, Commando)
-Ne rimarrà solo uno. (Lambert, Highlander)
Alla prossima!!!! ^^
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 10 *** If you don't know me by now. ***
decimo capitolo rivisto
10.
If you don't know me by now.
We've all got
our
Own funny moods
I've got mine,
Woman you've got yours too
Just trust in me like I trust in you
As long as we've been together
It should be so easy to do
[If you don't know me by now - Simply Red]
"Come sarebbe a dire che a colazione Freya mangia aringhe
affumicate e pomodori?" domandò
Mei, sgranando gli occhi e guardando Hyoga che, seduto a tavola,
frugava tra le
cose che Aphrodite le aveva prestato per colazione.
"Esattamente ciò che ho detto." rispose,
assaggiando la marmellata di pompelmo rosa e storcendo il naso.
"Speravo scherzassi."
"No no. Anzi, quando siamo ad Asgard, la cuoca di corte prepara
appositamente
un dolce tipico che lei adora e che gli asgardiani ritengono una
prelibatezza
da offrire solo agli ospiti di riguardo." spiegò Hyoga,
affondando il
cucchiaino nella monoporzione di Nutella e sospirando deliziato.
"Cioccolato fondente, frutta secca, un paio di ingredienti che nessun
asgardiano rivelerebbe mai nemmeno sotto tortura e… sangue
di maiale."
Mei proruppe in una smorfia di disgusto.
"So che non si deve dire che schifo
riguardo il cibo, ma… che schifo!!! Insomma, mangia
queste cose a colazione?? E a pranzo o a cena che cosa mangia?"
"Guarda che all'isba Camus ci faceva mangiare più o
meno le stesse cose... la colazione come la intendi tu, dolce,
era rara. Solo ai compleanni e a Natale ci faceva trovare la
cioccolata, come regalo."
Mei si grattò la testa, pensierosa.
"…e Camus continua a fare colazione in questo
modo?"
"No, di solito solo in Siberia. C'è stato anche un
periodo... beh, più di uno, a dire il vero... nel quale io e Isaak abbiam fatto colazione con tè e
trota."
"Oddèi."
"Sì, perché a causa di una slavina la via
principale che collegava Kobotec con la città più
vicina si era interrotta. Abbiamo mangiato trota a pranzo e cena per un buon quindici giorni e per un paio di
giorni
anche a colazione, quando le scorte alimentari all'isba erano
finite."
ricordò Hyoga. "Gallette e trota in tutti i modi possibili e
immaginabili:
al cartoccio, alla griglia, scottata in padella, all'alloro…
credimi, ogni
volta che Camus dice che cucina trota mi vengono i brividi."
"…miei Déi, lo credo bene." replicò,
guardando
Hyoga spazzolarsi la seconda monoporzione di Nutella. "Quelle erano
mie."
"Erano tue."
puntualizzò Hyoga. "Chi tardi arriva…"
Mei assottigliò lo sguardo.
"Questa me la paghi."
"Beh, ti staccherò un assegno."
"Hyoga, tu non capisci. Potrei uccidere,
in nome della Nutella."
Camus si risvegliò insolitamente più tardi quella
mattina, sentendosi quasi stanco
dal
troppo dormire; si levò a sedere stropicciandosi gli occhi e
guardando un po'
frastornato i bolli rossi che aveva un po' dappertutto sul corpo,
ricordandosi
subito dopo della notte appena trascorsa, sorridendo.
Mei doveva essersi alzata da un po', visto che il letto
dalla sua parte era freddo; sentì la sua voce in cucina
mentre parlava con
Hyoga e decise che era ora di alzarsi.
"Hyoga, tu non
capisci. Potrei uccidere, in nome
della
Nutella."
Sì, era decisamente l'ora di alzarsi.
Lixue tornò dalla propria stanza dopo essersi cambiata e
iniziò a parlare con Hyoga, in russo, come faceva quando il
ragazzo la portava
con sé e Freya in giro.
"Potresti parlare in una lingua che posso comprendere
anche io?" disse Mei, strapazzando le uova. "E' da maleducati
escludere una persona da una conversazione parlando in una lingua che
non
comprende. E non ti ho insegnato a essere maleducata."
"Scusa mamma. Adesso posso andare a svegliare
papà?"
Mei guardò l'ora. Le nove.
"…sì." concesse. "Ma prima di entrare bussa alla porta."
Se si ricordava bene, Camus non usava pigiami, non ne
aveva mai usati salvo rare eccezioni.
Lixue saltò giù dallo sgabello e saltellando
allegra corse
verso l'unica porta chiusa, bussando come le era stato detto.
"Non sarai un po' troppo severa con lei? In fondo è
ancora piccola."
Mei si schiarì la voce.
"Hyoga, ti considero un buon amico e un bravo
ragazzo, davvero. Apprezzo le nostre chiacchierate e le battute, gli
scherzi e
i momenti allegri dove andiamo d'accordo. Ma non venirmi a dire come
trattare o
educare mia figlia." replicò. "Perché non lo
permetto nemmeno a
Shiryu."
"…niente terzo round, Mei, sono stanco morto." disse
Camus, distendendosi prono. Ma non era Mei, quella che stava facendo
capolino
in attesa del permesso di entrare. Si tirò le lenzuola fino
al mento, quindi si
schiarì la voce. "Ah… tesoro, puoi aspettarmi un
attimo fuori? Arrivo
subito."
Si gettò alla ricerca della biancheria e del pigiama,
certo non poteva andare nudo in cucina. Tastò il letto
finché non afferrò i
boxer e, a terra, intravide i pantaloni.
"A-arrivo." disse in direzione della porta,
dietro la quale Lixue l'aspettava.
Mei si sporse dalla cucina.
"Li, se non risponde lascialo dormire ancora un
po'."
Camus s'infilò boxer e pantaloni alla velocità
della
luce, quindi aprì la porta.
"Salut! Scusa se ti ho fatto aspettare." disse,
scompigliando i capelli della figlia. "Ça va?"
Mei lo vide arrivare poco dopo, Lixue abbarbicata sulla
sua schiena mentre rideva allegra.
"Arriva l'uomo
del ghiaccio!" esclamò Mei, lanciando un'occhiata
d'intesa a Hyoga,
che colse al volo la citazione.
"Oh,
eccolo, e io che pensavo si fosse sciolto."
"Nah, era solo in
ibernazione." disse
Mei, mentre Camus continuava a guardare lei e Hyoga, a turno, la fronte
corrugata. "Si è sciolto solo stanotte."
"Sai, tuo
fratello aveva ragione. Voi due mi fate paura."
Hyoga scoppiò a
ridere.
Si si, ridi pure,
ridi finché riesci,
pensò Mei, versando le uova strapazzate in
un piatto e posandolo sul tavolo insieme al tè.
"Come hai fatto a metter su una colazione? Avevo
lasciato il frigo vuoto e una certa persona qui s'è anche
dimenticata di far
spesa…!" disse Camus.
"Non è stata chissà quale fatica... un pacchetto
di gallette in un pensile, qualche
fetta
biscottata in un altro… io sarei capace
di trovare cibo anche a casa di Gandhi." ribatté Mei. "Ero
qui che
pensavo a cosa cucinare con le poche cose a disposizione, finché dal mezzo di queste tenebre una
luce improvvisa mi illuminò, una
luce così brillante e portentosa, eppure così
semplice: cambiare la mattina da
negativa a positiva… io sola sono riuscita a scoprire il
segreto di infondere
la vita, macchè… anche di più: io,
proprio io, sono divenuta capace di
rianimare nuovamente una colazione apparentemente morta!! e ho pensato: ... SI... PUÒ… FARE!!"
Hyoga si coprì il volto con le mani, scuotendo la testa
mentre Camus, entrambe le sopracciglia inarcate, guardava la compagna
con
un'espressione interrogativa in volto.
"Oddio no. No!!! Non puoi citarmi Gene Wilder in
questo modo atroce e rimanere impunita! Non puoi, mi rifiuto!"
esclamò
Hyoga.
"Mei… stai bene, sì?" domandò invece
Camus.
"Ma sì! Ho chiesto latte e marmellata all'inquilino
del piano di sopra ed ecco la colazione. Dopo scenderò a
fare spesa e
restituirò quanto prestato."
Camus arricciò il naso in un gesto di disgusto.
"Ah. Marmellata e latte da Aphrodite?" ripeté,
ricordando che Aphrodite beveva solo latte scremato
-che del latte aveva solo il nome e basta-, e consumava marmellata di
pompelmo
rosa.
"Anche a te ha sciorinato tutta la filippica sulle
proprietà del pompelmo?"
"Sì…" sorrise Mei.
"Prende sul serio il suo lavoro, è un bene. No?"
disse Freya.
"No, non è il suo lavoro… ringraziando il cielo
non si
sta specializzando in dietologia." la corresse Hyoga.
"Ah no? E che cosa sta studiando?"
"Chirurgia d'emergenza." rispose Camus, al posto di Hyoga,
spiluccando una galletta di riso.
"Come Owen Hunt."
commentò Mei trasognata.
"Come chi?"
"Owen Hunt, il traumatologo di Grey's Anatomy. Camus,
non dirmi che non sai di che cosa sto parlando."
"Non ne ho la più pallida idea."
"Ah, bene. Peccato che tu non lo conosca, l'ho
subito associato a te."
"…?"
"Ma Camus non ha problemi di sonnambulismo o legati
all'Iraq come Owen." la corresse Freya. "Insomma, che io sappia non
ha mai tentato di strozzarti nel sonno."
"No, si è limitato a strapparmi il cuore dal petto e
farlo in tanti piccoli pezzettini." replicò Mei. "In ogni
caso io
parlavo del suo carattere, capelli rossicci e gnoccaggine a parte, di
come si
muove in ospedale, di come affronta le situazioni. Perché
Camus l'avrei visto
bene in sala operatoria, con i suoi nervi d'acciaio e la sua faccia
gelida e
inespressiva a comunicare ai parenti in sala d'attesa: Sono–desolato-signora-suo-marito-è-deceduto-durante-l'operazione."
rispose Mei, imitando la voce senza intonazione di un robot sulle
ultime
parole.
"Io non sono inespressivo." obiettò Camus.
"E nemmeno insensibile."
Mei gli si avvicinò, scompigliandogli i capelli.
"Sto scherzando, permalosone." sorrise.
"Prova a mettere un po' più di zucchero nel tè,
sei un poco acido
stamani."
Le rispose con una linguaccia, prima di prendere uno dei
vasetti sul tavolo.
"Ho imparato a essere acido da quando ho conosciuto una
certa cinese rompiscatole e ho ingoiato il suo cuore a pezzettini con
un
contorno di cipolle glassate e un buon Chianti." rispose Camus.
"Un Chianti? Oh no. Per un cuore forte come il mio,
minimo ci vorrebbe una bottiglia di ottima Barbera d'annata. E per la
cronaca,
Hannibal Lecter il Chianti lo beveva con fegato e fave."
"Sì, ma io sono allergico alle fave." replicò
Camus, prendendo un vasetto dalla tavola e posandolo subito dopo come
se
scottasse. "Fantastico. Pompelmi
e pistacchi. Mancavano solo finocchi e anacardi e avrei fatto l'en plein stamattina. No, credo che per
oggi prenderò uova e salsiccia."
"Okay, detesti pompelmi e pistacchi ma che hai
contro finocchi e anacardi?" domandò Mei.
"Sono intollerante. Ne bastano pochi per farmi
lacrimare e riempirmi di chiazze rosse come i miei capelli."
"Oh, non lo sapevo."
"Neanche a me piace il pompelmo." interloquì
Lixue.
"C'era anche la Nutella, tesoro, ma è finita dritta nello
stomaco di Hyoga." commentò Mei, servendosi una tazza di
caffèlatte e qualche
biscotto. "A proposito, Camus…
io
e Hyoga stavamo parlando dei bei vecchi tempi trascorsi in Siberia
e… mi ha
confessato che gli manca tantissimo fare colazione come all'epoca."
aggiunse, guadagnandosi l'occhiata di fuoco di Hyoga. "Soprattutto gallette e trota."
"Oh."
fece Camus, compiaciuto. "Sono contento, all'epoca non sembravi
gradire,
ma evidentemente pensavo male io."
"…già."
Hyoga si costrinse a sorridere, meditando vendetta. "Brutta
strega." bisbigliò, a beneficio di Mei.
Mei gli puntò
contro l'indice.
"Hey,
modera i termini, ragazzino. Strega sì, brutta
no."
Hyoga si sporse
fino a parlarle nell'orecchio.
"Conosci
quel detto che dice: la vendetta è
un
piatto che va servito freddo?"
"Sì, è un
proverbio che gira parecchio dalle mie parti."
"Bene.
Preparati mentalmente a un ghiacciaio siberiano, Mei, perché
questa te la farò
pagare, parola mia."
"Sto
tremando dalla paura."
"Dovresti
averne. Quando ti accorgerai della mia vendetta, sarà troppo
tardi."
Terminata la
colazione, Lixue ottenne il permesso di giocare con un videogioco e Mei
spostò
i piatti nel lavello.
"Quando
torno dal mercato… noi due dovremmo… insomma,
dovremmo parlare."
Camus la guardò.
"Uhm… devo
iniziare a preoccuparmi?"
"Per cosa?"
"Dovremmo parlare.
Ho combinato
qualcosa e non me ne sono accorto?"
"Come? Uh,
no. Intendevo parlare, di noi due. Sai… di noi. Andremo a
vivere insieme come
una famiglia…"
"Noi siamo
già una
famiglia." la corresse.
"… lo so.
Ma dato che mi prenderò cura anche di te oltre che di me e
Lixue, devo
conoscerti al meglio, visto che siamo entrambi molto cambiati rispetto
a quando
avevamo diciotto anni."
"Certo. Cosa vuoi sapere che non conosci
già?"
"Tutto." replicò Mei. "Conta che
conosco le tue zone erogene e
non le tue abitudini… mi pare strano no?"
Camus arrossì
fino alle punte dei capelli.
"Oh… ehm…
strano, sì."
"Ma anche
questo è un discorso che approfondiremo più
tardi."
"Non vedo l'ora."
Mei sorrise, aprendo il rubinetto.
"Lasciali
pure i piatti, me ne occuperò io." si offrì
Camus. "Esci pure
tranquilla."
"Posso
lavarli prima di uscire, non ho fretta."
Le posò un bacio
sul naso.
"Insisto."
"Oh bè,
quand'è così ne approfitto." replicò
Mei, alzandosi sulle punte per
ovviare alla palese differenza d'altezza e stampandogli un gran bacio
sulle
labbra. "Scendo da mio fratello e poi vado al mercato,
cercherò di fare in
fretta così da poter riprendere un certo
discorso…"
"D'accordo."
rispose lui, rispondendo al bacio. "Vuoi recuperare il tempo perduto
tutto
in un colpo?"
"Hai qualche lamentela in merito?"
"No, no."
Mei ridacchiò
nel sentire le sue mani sotto la maglietta.
"Dai,
lasciami andare, è già tardi."
protestò, prima di correre a cambiarsi,
lasciando Camus solo in cucina a sistemare i piatti sporchi e i resti
della
colazione: messi da parte biscotti e fette biscottate, decise che la
marmellata
di pompelmo l'avrebbe restituita ben volentieri al suo proprietario
originale.
"Maestro,
lasciate stare i piatti, li laverò io."
Camus si voltò
verso la porta della cucina, sorridendo poco dopo.
"Cora!"
la salutò, asciugandosi le mani in uno strofinaccio. "Non
pensavo trovassi
tempo per passare di qua, sarei venuto io a farti visita."
"Vi avevo
detto che ogni tanto sarei passata per sistemarvi casa."
"Non
avresti dovuto però, viste le tue condizioni."
"Ho
partorito da un bel pezzo e mi sto rimettendo in forma, non
c'è problema."
rispose Cora, posando la borsa su una sedia e iniziando a rassettare.
"Quante tazze avete accumulato! Da quanto tempo non vi occupate della
cucina?"
"Ehm… in verità non
sono solo, Cora." iniziò Camus.
"C'è anche
il vostro allievo? Vado a rassettare la sua stanza allora." rispose
Cora,
partendo in quarta verso la camera di Hyoga.
Mei si legò i
capelli in una coda e s'applicò un velo di rossetto prima di
uscire dal bagno con
un gran sorriso sulle labbra.
"Scendi a
Rodorio?" le domandò Hyoga, dalla propria stanza.
"Hai
bisogno di qualcosa?"
"Sì, dei diples
della
bancarella dei dolci."
"Hai già
mangiato abbastanza dolci per oggi, mi pare, ladro di Nutella."
"Dai, sono
in carenza d'affetto, ho bisogno di dolcezza." le rispose, facendole
gli
occhioni.
"Okay, okay.
Oh che diavolo…?" esclamò, scontrandosi con
una… ragazza? "E tu chi
saresti?"
"Voi,
chi siete?" ripeté la
ragazza.
"Oh-oh." mormorò Hyoga, intravedendo la scena.
"Che c'è?" fece Freya.
"Hanno appena sganciato una bomba su Pechino, sta' a
vedere."
"Non dovreste trovarvi qui, questa casa è…"
Hyoga
s'intromise, distraendo Cora.
"Cora,
ciao… ehm…"
"Non ho
fatto attenzione e sono stata seguita, mi dispiace."
Mei la stava
squadrando da capo a piedi, un sopracciglio inarcato e uno sguardo
tagliente
negli occhi, sguardo che Hyoga conosceva fin troppo bene.
"No!
Nessuno ti ha seguita, lei è…"
"Voi chi siete?"
ripeté Mei,
interrompendo Hyoga. "Gioia, sono io
che lo chiedo a te."
Hyoga si schiarì
la voce.
"Ehm… Cora,
lei è Mei-Yin, la moglie del Maestro." spiegò,
guardando Mei.
"Non ancora."
lo corresse Mei,
stizzita. "Date queste nuove circostanze, forse mai."
"Oddio Mei,
ti prego non iniziare, non conosci la situazione." fece Hyoga, sperando
nell'intervento di Camus che, però, era rimasto in cucina ed
aveva appena
acceso la radio.
"Oh!" esclamò Cora dopo qualche istante. "Ora
capisco! Siete la donna della foto! Chiedo venia kyría."
"…sì." fece Mei, passando lo sguardo da lei a
Hyoga.
"Beh, io vado. Ci vediamo eh."
"Aspetta dai…"
"E' questo il tuo modo di vendicarti per quella sciocchezza
di stamattina? Che
delusione sei, Hyoga."
sbottò Mei, passando poi al cinese, che Hyoga non
comprendeva; la
vide camminare a passo spedito fuori
dall'undicesima casa, prima che Camus facesse capolino dalla cucina.
"Mei, ci sono dei soldi nel mio portafogli, li hai
presi?" corrugando la fronte, la vide uscire di corsa e la raggiunse.
"Ferma
un secondo. Tutto bene?"
Tutto bene? La
ragazza nella loro casa poteva rientrare nella categoria tutto
bene?
"Pessima domanda." bisbigliò Hyoga, in russo.
"Fatti gli affari tuoi, bimbo, non
immischiarti nelle cose dei grandi." replicò Mei.
Camus si grattò la testa.
"Riformulo la domanda… è tutto a posto?"
"Camus, di me conosci il mio corpo, conosci qualche
lato del mio carattere e mi
conosci quando sono tranquilla, cioè come sono di solito. Ma
dimmi, mi hai mai
vista così arrabbiata da non essere in me?"
Camus ci pensò
un attimo.
"Posso
dirti che non ho mai assistito a una disgrazia di tale portata."
"Spiritoso."
ribatté Mei. "Ti avverto che sta per accadere."
"Perché?"
"Già, perché.
Guardati intorno, in casa noterai sicuramente un paio
di cose che possono rispondere
facilmente alla tua domanda." rispose Mei, criptica, lasciandolo
pensieroso in mezzo all'undicesima casa. "Avvertimi quando le tue
sinapsi
hanno costruito i dovuti collegamenti."
"Ti
spiacerebbe spiegarmi?"
"Proprio
non ci arrivi, vedo. No, ne parliamo dopo." rispose, intravedendo Cora
poco distante, a portata d'orecchio. "Quando torno non voglio
più vedere
quel paio di cose. Intesi, Cam?"
"Signorsì,
sissignora." disse Camus,
accompagnando la risposta con un saluto militare.
"Un saluto
romano sarebbe stato più indicato." commentò
Hyoga, poco dopo.
"Hyoga."
l'ammonì Camus. "Mei fa parte di quei limiti che non ti è concesso superare."
"Come vuoi.
In ogni caso, ti stai chiedendo che cos'hai fatto o sbaglio?"
tirò a
indovinare Hyoga.
"Sì."
Hyoga ridacchiò,
mimando due seni con le mani.
"Suppongo
ti sia dimenticato della ragazza che a intervalli regolari frequenta
questa
casa da circa sette anni."
Camus si
schiaffò una mano in fronte.
"Caspita,
mi son dimenticato di parlarle di Cora!"
"Eccolo, il problema." annuì
Hyoga, sogghignando.
"Accidenti.
Quando torna le parlerò."
"Avresti
dovuto farlo prima."
"Lo so."
replicò Camus. "Anche
se non la vedo tanto brutta, mi è sembrata tranquilla."
Hyoga scosse la
testa.
"Gli scoppi
d'ira di Mei non sono mai stati come te l'immagini, con urla, strepiti
e porte
sbattute, capita raramente e di solito quando litiga con Shiryu. Lei
reagisce
così, e quando ti accorgi che è arrabbiata
è troppo tardi."
"E data la
tua vasta esperienza in merito, cosa succede di solito?"
Hyoga scrollò le spalle.
"Beh…
personalmente mi son trovato spesso piegato in due o con cinque dita
stampate
su una guancia. Ma non sono suo marito, perciò non so che
cosa riserverà a
te." rispose.
"… confortante."
"Escludo i
colpi bassi perché ci rimetterebbe anche lei. Quindi
tranquillo."
"Ecco, ora
sì che sono tranquillo."
"Felice d'esserti stato d'aiuto."
replicò Hyoga, guadagnandosi
un'occhiataccia. "Lasciala sbollire."
"E' che quella testa calda non ha un euro
con sé, e a Rodorio non
accettano yuan."
"Forse se
la rincorri sei ancora in tempo per fermarla." suggerì
Hyoga. "Non
può essere tanto lontana."
Corse fuori dall'undicesima
casa brandendo il portafogli, fermandosi quando vide Mu.
"Hai visto…?"
"Mei? L'hai mancata per poco, è scesa a Rodorio con
DeathMask." spiegò Mu.
"Ho sentito
bene?"
"L'ho vista
scendere a Rodorio con DeathMask." ripeté l'altro, paziente.
Camus sbiancò.
"O-o-o…
fermi tutti. Fermi tutti per l'amore di Athena. Mei è scesa
a Rodorio… con
DeathMask???!"
"E' quello
che ho appena detto."
"E non hai
pensato di fermarla?"
"No, non
avevano intenzioni bellicose, Death non aveva nemmeno il cosmo attivo."
E ci mancava pure.
"L'ho
sentito mentre ordinava a Mei di fargli la spesa e lei gli ha risposto
col dito
medio dicendo di alzare le chiappe e farsi la spesa da solo."
interloquì
Kiki, divertito.
"Lo trovi
divertente?" lo riprese Camus.
"Sì, perché
Death ha riso come un forsennato e poi l'ha seguita dopo averle dato
una pacca
amichevole sulla spalla."
"Quando il sole
nascerà a occidente e
tramonterà a oriente e quando le montagne voleranno come
foglie, solo allora ti
farò la spesa, cafone maschilista e retrogrado." aveva replicato Mei, mostrandogli il medio. "Fino ad allora alzerai quel tuo sedere
flaccido e andrai al mercato da solo."
DeathMask
l'aveva guardata per un lungo istante, sbalordito, quindi era scoppiato
a
ridere con la sua solita risata satanica che sicuramente le aveva messo
i
brividi addosso.
"Minchia donna, ti
ha morso una
vipera?"
"No, fanno
attenzione a starmi ben
lontane adesso, fidati. Velenosa come sono adesso sarebbe lei ad avere
la
peggio."
DeathMask aveva
fischiato, quindi l'aveva seguita dopo averle elargito una generosa
pacca su
una spalla.
"Oddio, ma
quelli si ammazzano a vicenda!"
"Oh cielo,
non essere così drammatico, cosa vuoi che succeda?"
In effetti
ancora non era successo niente: DeathMask si limitava a camminare,
fischiettando
allegro mentre Mei camminava ad ampie falcate.
"U
buongiornu si viri ri matina."
Mei
si voltò, guardandolo.
"Come,
scusa?"
"Ho detto che il
buongiorno si vede dalla mattina. Visto come fai, Camus non
avrà affatto un
buon giorno."
"Dì un po',
non hai una bella attendente ventenne e con due seni grossi come meloni
disponibile a farti la spesa?" domandò Mei. "Devi per forza
seguire
me?"
"Ah! Ecco
perché sei così arrabbiata. Per la picciotta
che hanno piazzato al tuo zito tra
capo e collo." ridacchiò DeathMask.
"Arrabbiata è un eufemismo."
replicò Mei. "E voi chi siete? A
me? E' una fortuna che il mio cosmo non si sia
mai manifestato, altrimenti l'avrei incenerita sul posto."
Per certi versi
gli ricordava moltissimo Shaina, il carattere delle due donne era
pressoché
simile, entrambi difficili e insopportabili.
"Dì un po',
piaga. Non hai fatto questa scenata di fronte al tuo moroso, vero?"
Mei si fermò alla fontana nel
centro della piazza principale di Rodorio,
allungandosi per bere qualche sorso d'acqua.
"…e dargli
una soddisfazione del genere? Certo che no."
"No, perché
al posto suo avrei reagito male." disse DeathMask.
"Ringraziando
gli Dèi non sei tu il mio moroso, perciò la tua
opinione è irrilevante."
"Ringraziali
davvero, Mei, perché se fossi il tuo moroso non ti
permetterei di parlarmi
così. Guarda che Camus nemmeno la voleva, era stata
assegnata a me ma la
ragazza ha fatto di tutto per non finire alla quarta casa."
Mei inarcò un
sopracciglio.
"Puoi darle
torto?" suo malgrado pensò che nessuno meritava di finire i
suoi giorni
alla quarta casa.
"Non sa che
cosa si è persa."
"Nulla. Direi che si è salvata
la vita. Anzi no, che dico. Camus ha
provveduto a salvarle la vita. Che moroso galantuomo, il mio." Mei si
avvicinò a una bancarella di aromi e spezie dopo aver
adocchiato un cesto di
peperoncini dal rosso intenso.
"Hai
intenzione di farla pagare a Camus infilandogli peperoncini
dappertutto?"
Mei prese un Red
Savina dal
cesto e l'annusò, sospirando soddisfatta
subito dopo, decidendo di acquistarne un po'.
"Scherzi?
Sprecare una simile meraviglia per farla pagare a qualcuno? Io sono per
la
vecchia scuola: qualche goccia di lassativo nella zuppa basta e
avanza."
aprì il portafogli per pagare, esclamando qualcosa in
cinese.
"Accidenti."
"…hai
lasciato i soldi a casa?"
"Sì e no. Ho solo yuan, dovevo
passare dal bancomat."
DeathMask frugò
nel portafogli e porse una banconota al commerciante, porgendole poco
dopo il
sacchetto di carta marrone con i peperoncini.
"Non
avresti dovuto, non ti ho chiesto niente."
"Ti ho fatto una gentilezza, accettarla e
basta no, eh? Devi essere sempre
così acida?"
"Acida? Così è quando
sono simpatica."
"Solo uno
come Monsieur Ghiacciolo e il suo carattere gelido può
sopportarti, al suo
posto t'avrei già appeso al muro insieme alle altre teste."
"Non credo
proprio, impazziresti nel giro di pochi minuti." rispose Mei,
addentando
con soddisfazione un peperoncino e offrendone a DeathMask.
"Questi
sono afrodisiaci… lo sai che è pericoloso offrire
certe cose a un maschio
italiano dal sangue caldo come me, vero?" fece DeathMask, allungando
una
mano nel sacchetto.
Mei lo squadrò
dall'alto in basso.
"Ma non
farmi ridere."
DeathMask pareva
divertito da quella specie di passeggiata, ma Mei non si sentiva del
tutto a
proprio agio in sua compagnia; comprò il necessario in modo
da restituire ad
Aphrodite quanto prestato ripromettendosi di rendere immediatamente a
DeathMask
gli euro spesi.
"Avresti
avuto il cosmo color pece."
"Come?"
"Se avessi sviluppato il tuo cosmo,
l'avresti avuto color pece come quello
di Hades."
"No. Rosso."
lo corresse Mei.
"Rosso sangue. E avrei avuto il malefico potere di provocare dolori
atroci
con la sola forza del pensiero."
"Peggio, avresti
avuto il Tocco Mortale: ti sta
antipatico qualcuno in particolare? Lo tocchi e questo schiatta sul
colpo." aggiunse DeathMask.
"In questo
caso l'avrei usato volentieri per ucciderti anni fa."
"Picciridda,
non saresti riuscita ad
avvicinarti così tanto a me." le rispose, ridendo.
Mei assottigliò
lo sguardo.
"Tu non hai
idea di quel che sono capace di fare se ci sono di mezzo le persone che
amo." sibilò.
"Sono
sicuro che se avessi avuto la possibilità di sviluppare il
tuo cosmo saresti
diventata una Silver temibile, altro che quel minchione di tuo
fratello." le
disse, dopo qualche minuto.
"Minchione
o meno, rimane comunque mio fratello, e come tale rientra nelle persone
che
amo." disse Mei, a mo' di ammonimento. "Di' un po'… se
qualcuno
minacciasse di morte… che so, tua sorella, se ne avessi
una… tu non faresti di
tutto per proteggerla? Anche usare la forza, se necessario?"
DeathMask perse
il sorriso.
"L'ho
fatto."
"Era una cosa ipotetica."
"La mia
risposta non lo è, e comunque credo che il mio concetto di usare la forza sia molto diverso dal
tuo. E per la cronaca avevo davvero
una sorella."
"… e?"
"Fine della
storia." DeathMask troncò il discorso, mostrandole poi il
retro della
quarta casa. "Prendi la strada sul retro, la quarta casa non
è posto per
te."
"Oh, stai
tranquillo. Non ho alcuna intenzione di metterci piede e puzzare di
carogna come
te."
"Bene."
"Bene."
"Devi per
forza avere l'ultima parola, donna?"
"Sempre." replicò Mei,
incamminandosi verso la dodicesima casa senza
voltarsi.
Dopo aver quasi
litigato con Aphrodite riguardo la restituzione della spesa, Mei
tornò a casa
intenzionata a rendere al più presto gli euro a DeathMask:
non amava avere
debiti in giro, men che meno con uno come lui.
"Sbaglio o
sento profumo di cedri?"
"Non
sbagli." Mei rispose a Camus, posando le borse di carta sul tavolo
della
cucina: si guardò intorno constatando che della ragazza, Cora, non c'era nemmeno l'ombra.
Camus ne prese
uno dal sacchetto e ne aspirò il profumo.
"Adesso possiamo parlare?"
Mei gli mostrò il bancomat.
"Devo prima fare una cosa, poi parleremo."
Camus sospirò e le indicò il proprio portafogli
sulla
mensola dell'ingresso.
"Restituisci ciò che devi, poi torna subito che
dobbiamo parlare." rispose, guadagnandosi una strana occhiataccia. "E
non è una richiesta."
"Vuoi
parlare? Ebbene, parliamo di stamattina, dai. Parliamone adesso.
Iniziamo con una domandina semplice semplice: che genere di
rapporto è il nostro? Monogamo
ed esclusivo o monogamo
ma aperto a ogni
possibilità? Perché io pensavo d'avere
l'esclusiva ma nel secondo caso beh… per
par condicio così come tu
hai Cora, non
mi spiacerebbe avere un paio d'amanti, qui."
Camus aveva
ascoltato tutto con entrambe le sopracciglia inarcate, quindi era
scoppiato a
ridere.
"Lo trovi
divertente?" sbottò Mei.
"Sì."
"Ridi,
ridi."
"Dai, Mei. Lasciami
spiegare! Intanto scusami per averti riso in faccia ma non ho potuto
farne a
meno. Dunque… per prima cosa Cora è la mia attendente,
è sposata con Kimon, ricordi il garzone del panettiere
giù a Rodorio? e ha il
seno grosso perché ha partorito Paris… o Paride,
ora non ricordo, due settimane fa ed è in pieno
allattamento. Se mi avessi
lasciato spiegare, zuccona…"
"Ah."
mormorò Mei, sgranando gli occhi.
"Ah." le
fece il verso, avviandosi
al frigo.
Mei si schiarì
la voce.
"Io… credo
di doverti delle scuse."
"Credi?"
le rispose dopo qualche
secondo, non riuscendo a trattenere il fastidio. "Hai la pessima
abitudine
di partire in quarta e saltare subito alle conclusioni. Pensi che
potrei mai
tradirti?"
"Mi
dispiace davvero tanto."
Tornò indietro,
chinandosi leggermente per arrivare alla sua altezza.
"Però ora
sono curioso di vederti all'opera con qualcuno qui, sì."
"Non
sfidarmi." l'ammonì, avvertendo l'imbarazzo di poco prima
scemare man
mano.
"No,
avanti. Dimmi su chi ricadrebbe la tua scelta."
Mei incrociò le
braccia sul petto.
"…Mi-…!"
"Milo non vale, so già come
reagirebbe alla prospettiva."
"No, vale
eccome. Ha uno sguardo e un modo di fare che ti promettono fuoco e
scintille." obiettò Mei. "E ha anche un bel didietro, cosa
che non
guasta affatto."
"Pure."
"Certo."
"E la seconda scelta?"
"Se ti
piacciono i biondini io posso sacrificarmi per quest'atto di
carità, basta che
Freya non lo venga a sapere." interloquì Hyoga, dalla porta
della cucina.
"Preferirei
rasarmi a zero e andare a vivere sui Monti Wudang, piuttosto."
replicò
Mei.
Bastò uno
sguardo di Camus a zittirlo.
"Ehm… ho un
paio di cose da fare prima di partire."
"Sarà
meglio."
"Anche io
ho qualcosina da fare." disse Mei. "Andare da DeathMask,
soprattutto."
"Puoi fare
con calma, non partiamo subito. Ti va bene domani?"
"Certo."
Shiryu la vide
passare per la settima casa avvolta nella sua tenuta da lavoro,
aikodoji e
hakama, e la fermò.
"Mei, hai
qualche minuto per me?"
"Oddèi, devi parlarmi anche tu?
Svelto, devo andare alla quarta casa e poi
ho gli esercizi quotidiani."
"Aspetto.
Un momento, perché vai alla quarta casa?"
Sbuffò appena.
"Ho una
tresca segreta con DeathMask. Mi raccomando, non dirlo a nessuno."
replicò, ironica. "Sto scherzando Shiryu. Dimmi, cosa
c'è?"
"Volevo
parlare di questa cosa del trasferimento…"
"Immagino.
Tra cinque minuti
nell'arena." replicò Mei. "Infilati il karateji."
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data
19 giugno 2014)
Dunque, nella nuova stesura
ho aggiunto qualche nuova citazione qua e la', da buona cinefila.
-Arriva l'uomo del ghiaccio!
(MrFreeze, Batman & Robin)
-... e io che pensavo si
fosse sciolto / No, era solo ibernato (ancora Batman & Robin,
ma
parafrasata :))
-"Ero qui che pensavo a
cosa cucinare con le poche cose a disposizione, finché
dal mezzo di queste tenebre una luce improvvisa mi illuminò,
una
luce così brillante e portentosa, eppure così
semplice: cambiare la mattina da
negativa a positiva… io sola sono riuscita a scoprire il
segreto di infondere
la vita, macchè… anche di più: io,
proprio io, sono divenuta capace di
rianimare nuovamente una colazione apparentemente morta!! e
ho pensato: ... SI...
PUÒ… FARE!!" (non
riporto il dialogo originale, ma
dovrebbe essere chiaro che si tratta di Frankenstein Jr, vero?)
-Quando il sole nascerà a occidente
e tramonterà a oriente e quando le
montagne voleranno come foglie, solo allora ti
farò la spesa, cafone
maschilista e retrogrado! (a parte le ultime parole, la frase originale
compare
in GoT, pronunciata dalla maegi Mirri Maz Duur a Daenerys)
-"Preferirei rasarmi a
zero e andare a vivere sui Monti Wudang"
I Monti Wudang sono i monti
sacri dei Taoisti, dove i monaci si ritirano in preghiera, un po' come
i monaci
buddhisti nei loro monasteri.
Lady Aquaria
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Capitolo 11 *** If i could turn back time. ***
Capitolo 11 rivisto
11.
If i could turn back time.
You walk out
that door I swore that I didn't care
but I lost everything darling then and there
Too strong to tell you I was sorry
Too proud to tell you I was wrong
if I could turn back time
If I could find a way,
I'd take back those words that hurt you
and you'd stay
[Cher, If i could turn back time]
"Spero tu non voglia farmi cambiare idea."
iniziò Mei, eseguendo l'inchino rituale. "Perché
in questo caso puoi anche
smetterla qui e lasciarmi riprendere gli allenamenti."
"No, no." Shiryu rispose all'inchino, quindi si
mise in posizione d'attacco. "Non voglio farti cambiare idea, anche
perché
non ci riuscirei."
"Bene, perché la mia rabbia non è del tutto
svanita.
Allora cosa devi dirmi che io non sappia già?" Mei
scansò un calcio
circolare e atterrò il fratello dopo averlo colpito al
ginocchio, una mano ben
premuta sulla sua testa.
Shiryu si vide costretto a battere la mano a terra in
segno di resa dopo qualche secondo.
"…aspetta un minuto, pensavo fosse un
allenamento."
"Appunto."
"Mi hai colto alla sprovvista." disse Shiryu.
"Non mi aspettavo una reazione del genere."
Mei ridacchiò.
"Avessi voluto farti del male, a quest'ora non respireresti
più. Vedi che
cosa significa snobbare l'Aikido?" rispose, attaccando di sorpresa e
riuscendo a mettere a segno una gomitata, che però
fermò prima che arrivasse a
toccarlo. "Stavo per colpirti l'artiglio del drago, ancora qualche
millimetro e puf! saresti morto."
Nell'arena in parecchi assistevano alla scena:
sacerdotesse allieve di Shaina, ancelle che si erano soffermate
incuriosite di
ritorno dal mercato, giovani reclute che osservavano da lontano.
"Per essere una femmina
è piuttosto veloce." commentò DeathMask, tirando
una lunga boccata dalla
sigaretta.
"Certo che è veloce, l'ho addestrata io."
interloquì Dohko, incrociando le braccia sul petto con fare
orgoglioso.
"Anche se basterebbe una manata delle mie per farla
volare fino a casa." tenne a precisare DeathMask.
"Non puoi usare Cosmo e Armatura su un avversario
che non li possiede." lo redarguì Shura.
"E comunque al posto tuo non farei affidamento sulla
tua armatura, dati i precedenti ho come l'impressione che tu le stia
antipatico."
commentò Milo.
Camus sorrise appena, tutto concentrato a seguire in attento
silenzio il combattimento; non appena Lixue l'aveva avvertito, era
sceso
all'arena e ora non perdeva un solo colpo: Mei era svelta, certo,
altrimenti
non avrebbe conseguito il quarto dan né avrebbe insegnato,
ma anche lei aveva i
suoi punti deboli, che nascondeva abilmente dietro l'atteggiamento
calmo e
ponderato.
La vide rialzarsi dopo essere stata atterrata da Shiryu e
schivare un altro calcio piegandosi all'indietro come una canna al
vento.
"Però, che flessibilità." commentò
Milo,
sedendosi accanto all'amico. "Qualità decisamente
apprezzabile in certi
frangenti."
"Oh sì." rispose Camus. "Non posso che
darti ragione."
Anche Milo iniziò a seguire lo scontro, con Shiryu che
spesso si lanciava contro la sorella attaccando a più non
posso, e Mei che
rispondeva con abili mosse di Aikido o con colpi presi in prestito da
diverse
arti marziali creando una sorta di stile personale.
"L'avevi mai vista combattere, prima d'ora?"
"A parte quell'unica volta anni fa, sinceramente no."
"Beh, non è male, fidati. Mi sembra ancora di sentire il suo calcio addosso."
"Uhm…" Mei teneva la guardia bassa, tipica del
judo, ma aveva il vizio di tenere il braccio sinistro come in continua
tensione, sempre all'erta. Dati i suoi atteggiamenti, doveva essere il
fianco
sinistro il suo punto debole.
"Allora? Di che cosa volevi parlarmi?" riprese
Mei. "Ho molto da fare."
Shiryu schivò un colpo di taglio e la respinse dandole
un'amichevole pacca sul sedere.
"Niente, volevo dirti che mi dispiace sapere che ti
trasferisci." le disse, tirandola a sé e abbracciandola. "Mi
farà uno
strano effetto non averti più intorno."
"Lo so, ma ti ho già spiegato le mie ragioni."
disse Mei. "Magari torneremo ad andare d'accordo come quando eravamo
bambini, grazie a questo distacco. Io ho bisogno dei miei spazi
così come tu
hai bisogno dei tuoi. Hai bisogno di creare la tua famiglia."
"STO PER VOMITARE." berciò DeathMask dai
gradoni, assistendo alla scena.
"OH, MA PERCHE' NON VAI A FARTI F-…"
Camus tappò fulmineo le orecchie di Lixue.
"Tu non hai sentito, vero?"
"No, ma mamma mi deve lo stesso due euro." replicò.
"TRA UN PO' CREPO DI DIABETE." riprese
DeathMask.
"Tais-toi!"
sbottò Camus in sua direzione.
DeathMask lo fulminò.
"Farò finta di non aver sentito." replicò.
"Spero di non dovertelo ripetere."
"Che ti prende? Tu odi Shiryu." fece Milo, poco
dopo.
"Io non lo odio, semplicemente non lo sopporto. Non
ci sopportiamo a vicenda e a me va bene così. In ogni caso
rimane suo fratello,
la sua famiglia, e se riesce a farci pace io sono contento per lei.
Perché so
che cosa vuol dire crescere senza fratelli, da solo. Mei ha un fratello
ed è
bene che se lo tenga stretto." spiegò Camus. "Beh, a dire il
vero
sono cresciuto con te, ma… ehm… il sugo del
discorso l'hai capito, no?"
Milo lo guardò, sulle labbra un gran sorriso.
"Il mio migliore amico è tornato!" mormorò.
"Mi mancherà soprattutto la tua cucina."
mormorò Shiryu.
"Sì, come no. Farò finta di crederti." disse
Mei. "Allora, vogliamo continuare o rimaniamo abbracciati sotto questo
sole cocente a farci prendere in giro da quel buffone?"
"Prima o poi gli taglierò la lingua."
Mei rise e gli diede un leggero spintone, attaccandolo di
nuovo.
"Ah, comunque… dovrei dirti qualcos'altro."
disse Shiryu. "Riguardo la faccenda del farmi la famiglia."
"Si?"
"Dunque… Shunrei e io aspettiamo un bambino."
Mei si accorse di essere rimasta scioccata da quella
notizia solo quando si ritrovò lunga e distesa a terra.
Camus
si precipitò giù dai
gradoni, falciando Shiryu con uno sguardo di fuoco.
"Maledizione."
borbottò Shiryu.
"Ti
sei bevuto il
cervello?" sbottò Camus nello stesso momento. "Quando ti sei
accorto
che non reagiva avresti dovuto fermarti!" continuò, voltando
la compagna
su un fianco. "Mei?"
"Credi
l'abbia fatto
apposta?"
Aphrodite
si avvicinò a
Mei e fece scostare i due uomini.
"Largo,
largo. Non
consumatele l'ossigeno."
"L'ho
vista battere
la testa." disse Shiryu, preoccupato.
"Mei,
mi senti?
Niente scherzi, su. Rispondimi." le tastò il capo a lungo,
senza trovare
nulla di particolare. "La testa è a posto, credo abbia una
lieve
commozione cerebrale, Cam, ma nulla di grave, i parametri vitali
sembrano nella
norma. Mei, mi senti?"
Camus
borbottò qualcosa in
francese, mentre Mei corrugava la fronte.
"Ahi."
sussurrò
Mei, aprendo gli occhi lentamente e tentando di mettersi seduta.
"No
no no. Rimani
distesa. Hai preso una bella botta, sai?"
"Sì?"
"Non
ti ricordi? Ti
stavi allenando con Shiryu e non hai schivato un colpo."
Mei
pareva confusa: sbatté
le palpebre un paio di volte e si girò verso il fratello.
"Appena
mi capiti a
tiro giuro su nostro padre che ti trasformo in donna!" lo
minacciò.
"Mica
l'ho fatto
apposta!"
"Senti, Camus… io la porterei in ospedale per una
tac, non si sa mai." propose Aphrodite. "Magari non è niente
di che,
ma è meglio controllare."
"Ma
sto bene, mi
sento bene." protestò Mei.
"Insisto." disse Aphrodite. "L'ultima volta che una paziente ha
rifiutato la tac, è morta di emorragia cerebrale dopo un
paio di giorni."
Camus
alzò lo sguardo di
scatto.
"Così
non ci sei
d'aiuto." lo riprese.
"Wow,
questa storia
sarà il nuovo pettegolezzo preferito delle ancelle, dopo il
matrimonio di
Aiolia e Marin." ridacchiò Milo.
"Gliel'ha chiesto?! Davvero?" Mei sgranò gli
occhi.
"Ancora no ma è questione di tempo. Sai com'è
Aiolia. Non ci pensa due volte quando si tratta di affrontare il
nemico, ma
quando si tratta di fare alla sua bella una semplice domanda,
allora…"
rispose Aphrodite, mentre aiutava Camus a farla rialzare.
"Beh, ma non è una
domanda. E' la domanda." fece
Mei. "Sa bene anche lui che se la pone nella maniera sbagliata manda
tutto
a farsi benedire."
"E quale sarebbe la maniera giusta?" Aphrodite
scambiò un'occhiata con Camus.
"Qualunque modo preveda sincerità, buona volontà
e
un pizzico di romanticismo."
Camus tirò un sospiro di sollievo.
"Oh Athena, per un attimo ho temuto sciorinassi il
solito cliché di lui inginocchiato con i lucciconi agli
occhi."
"Ho detto pizzico
di romanticismo." lo corresse Mei. "Ma anche volendo, non riesco
proprio a immaginare te in lacrime inginocchiato a chiedere la mia
mano. Primo
perché sarei la prima a non volerlo, secondo
perché te e il romanticismo siete
due cose letteralmente agli antipodi."
"Non è vero, in fondo anche io sono romantico."
"Molto in fondo." lo corresse Mei. Intravide
Cora avvicinarsi e sbuffò.
"State bene?" le domandò. "Ho assistito
alla scena e sono preoccupata."
"Oh, sto benissimo." rispose Mei, sorridendo
melliflua. "Ci vuole ben altro per mettermi fuori gioco e per levarmi
di
mezzo."
"Tutto bene Cora, grazie." interloquì Camus.
Aphrodite sorrise appena, seguendola.
"Dalle tregua, su."
"Sono gelosa e non posso farci niente, è nel mio
sangue. Sono metà italiana e sai, gli italiani sono
sanguigni." replicò
Mei a mo' di spiegazione. "E poco m'importa sapere che è
sposata e ha un
figlio, ronza troppo intorno al mio uomo. E a me non va."
salì in auto
mentre Camus salutava Cora.
"Mei, fammi subito sapere come va." si
raccomandò Shiryu, chinandosi all'altezza del finestrino.
"Non sai quanto
mi dispiace."
"Tranquillo. Piuttosto, dovremmo parlare di questa
faccenda del bambino non appena torno dall'ospedale, intesi?"
"Ospedale?" interloquì Shunrei. "Che è
successo?"
Shiryu si schiarì la voce, imbarazzato.
"Le ho detto del bambino mentre ci stavamo
allenando." spiegò. "E' rimasta di stucco e non ha schivato
il mio
calcio."
"Oh cavolo. E adesso?" domandò Shunrei,
preoccupata.
"Adesso sta andando a fare una tac." le rispose, mentre l'auto di
Aphrodite si allontanava. "Dèi che imbecille, come ho fatto
a non
fermarmi?"
"Io propongo anche una bella visita ai
riflessi." commentò Camus. "Mi sa che sono un tantinello
allentati."
"Non stai parlando con una pivellina, sai? Comunque
no, non è questo. Quel dannato calcio l'ho visto arrivare,
te lo
garantisco."
"Allora come hai fatto a non schivarlo?"
Mei fece mente locale, ancora frastornata.
"E' per una cosa che mi ha detto Shiryu."
rispose. "Hai presente quando ricevi una notizia sconcertante che ti
lascia a bocca aperta e non ti fa pensare a nient'altro?"
Aphrodite la guardò fugacemente attraverso lo specchietto
retrovisore.
"Quanto sconcertante?" le chiese.
"A quanto pare diventerò zia."
Camus sgranò gli occhi.
"Cosa?!" esclamò. "Di già? Ma sono due ragazzini!"
Mei incrociò le braccia sul petto.
"Ah sì? Tu sei diventato padre a diciotto anni e io
li avevo appena compiuti… e dici a loro ragazzini?
"
Stava per dirle che non riusciva a vedere Shiryu nel suo
stesso modo, che per lui era ancora mentalmente
un ragazzino e che la sua maturità da diciottenne
era stata ben diversa da
quella di suo fratello, ma preferì tacere per evitare
inutili discussioni
mentre entravano in ospedale.
Alla fine della fiera, tutto si risolse con una tac e
nessun danno, spavento a parte.
Più tardi quella sera, Camus e Milo attesero
pazientemente che Mei ritornasse dalla settima casa per iniziare a
trasferire i
bagagli su a Parigi.
"A quanto pare è incinta di due mesi." gli
disse, mentre controllava le ultime cose. "Due mesi, ci crederesti? Non
ha
perso tempo, caspiterina."
"Direi proprio di no. Staremo a vedere."
commentò Camus. "Direi di muoverci prima che si faccia
notte."
La portò per prima, per darle il tempo di abituarsi allo
spostamento repentino –dopo anni ancora non si era abituata
agli spostamenti
alla velocità della luce, a quanto pareva- e
iniziò a fare la spola tra
l'appartamento e l'undicesima casa.
Mei iniziò a guardarsi intorno mentre Milo aiutava Camus
a portare i bagagli.
"Attento a quella, ci sono i vinili di mia
madre." disse, adocchiando la vecchia valigia di pelle blu che Milo
aveva
appena posato nell'ingresso, sopra un enorme baule laccato rosso.
"Vinili rock?"
"No, di opere liriche."
"Oh cielo. Che lagna." commentò Milo.
"Hey, mia madre era una cantante lirica." ribatté Mei. "E
posso
assicurarti che ascoltarla cantare è tutto
fuorchè una lagna."
Milo si schiarì la voce.
"Ehm… scusa."
"I vinili rock sono nel baule." rispose
distratta. "Guarda pure se vuoi."
Da ciò che poteva vedere, non era un appartamento da
scapolo, né, ringraziando gli Dèi, sembrava
uscito da una rivista d'arredamento:
tutto, lì dentro, aveva un aspetto vissuto che Mei
trovò confortante.
Camus tornò con Lixue e le ultime due valigie,
riprendendo fiato.
"Ecco dov'eri." disse, in direzione di Milo.
"Qui a curiosare tra i dischi mentre io mi spaccavo la schiena."
"E smettila di lagnarti, sei ancora intero,
no?" rispose Milo, prendendo un vinile e sgranando gli occhi quando
vide
Gene Simmons in copertina. "Questo mi manca! Cosa succederebbe se per
puro
caso questo dovesse scomparire dal tuo baule?"
"So dove abiti." replicò, prima di contare le valigie.
"Dovrebbero
essere le ultime, per ora. Dobbiamo ancora svuotare la mia stanza, al
Goro Ho,
e prendere Sabaka e le ultime cose di Lixue."
"Avvertitemi, verrò a darvi una mano." disse
Milo, prima di tornare a casa.
"Quando andiamo a prendere Sabaka, papà?"
"Ehm… domani, tesoro. Domani mattina
sicuramente." le rispose Camus, sorridendo. "Intanto ti va di andare
a vedere la tua stanza?"
Lixue gli rispose con un sorrisone da trentadue denti.
"Sì!!"
"Bene, è l'ultima in fondo al corridoio, dove c'è
quella lucina verde. Vedi?" le indicò. Lixue
scattò subito in direzione
della propria stanza, tutta allegra.
"Non si corre in
casa!" la riprese Mei. "Non devi disturbare i vicini! Che diamine,
siamo appena arrivati…"
"Oh, non preoccuparti
per i vicini. Abbiamo tutto il piano e gli inquilini del piano di sotto
sono
due facoltosi pensionati che vivono gran parte del tempo a Martinica e
trascorrono
qui solo un paio di mesi all'anno, di solito quelli a cavallo tra
inverno e
primavera."
Mei sospirò.
"Aspetta, fammi capire…
in questa scala abbiamo tutto il piano, sopra di noi c'è il
tetto e l'appartamento
sotto è praticamente inabitato? Cos'è, sono morta
e finita in paradiso?"
Camus ridacchiò.
"I miei avevano comprato
due appartamenti su quattro, grazie ai soldi lasciati da mio zio ho
comprato il
terzo quando Lixue aveva poco più di un anno e Freya ha
preso il quarto
appartamento l'anno scorso, non appena s'è liberato."
spiegò.
"Freya e Hyoga… abitano
con noi?"
"Non esattamente. Il loro appartamento comunica con il nostro grazie a
una
porta che dopo ti farò vedere, ma sono indipendenti."
Mei annuì.
"A quanto pare mi toccherà
sopportare il biondino anche a Parigi. Come mai Lixue ha una stanza per
sé, qui?"
Lui si schiarì la voce, spostando la valigia con i vinili
di Letizia nel soggiorno.
"Quando ho saputo della sua nascita avevo sistemato
la stanza in più all'undicesima casa per lei… ma
poi, con tutto quello che è
successo… l'ho spostata qui." spiegò Camus.
Preferì non rivangare ricordi dolorosi.
"Quando le hai detto di andare a vedere la stanza,
ho pensato per un attimo stessi parlando con me." ridacchiò
Mei.
"No, no. Non c'è pericolo, guarda."
"Lieta di saperlo. Allora mi fai vedere dove dormo,
e magari anche la casa?"
"Certo, vieni."
La precedette in cucina, che prima della terza e ultima
aggiunta era stata la stanza più grande dell'appartamento:
gran parte dei
pensili e dei mobiletti erano ancora quelli dei suoi genitori, in
lucidissimo
legno di ciliegio. Davanti all'isola di cottura con almeno il triplo
dei
fornelli che aveva avuto a disposizione al Goro Ho, faceva bella mostra
di sé
una serie di mensole e di ganci che reggevano così tanti
utensili che le
occorsero dieci minuti buoni a passarli tutti in rassegna.
"Cos'è quella strana pentola?"
"Quella verde smaltata? Una tajine, si usa nella
cucina araba e funziona a grandi linee come una pentola a pressione,
naturalmente senza il pericolo che esploda." spiegò Camus.
"Mio padre
era cuoco, aveva un ristorante e mi ha trasmesso l'amore per le varie
cucine.
Sparsi per i pensili troverai sicuramente molte altre pentole straniere
frutto
dei miei viaggi."
"Oh. Beh, avrò bisogno di una wok, di una teppanyaki e di
una vaporiera di
bambù." commentò Mei. "Soprattutto la vaporiera."
"Ne parleremo al momento adatto." la interruppe
Camus.
La scortò poi in salotto, nel locale biblioteca
interamente rivestito di scaffali e nella sala da pranzo;
saltò un paio di
stanze e la stanza di Lixue.
"Cosa c'è dietro quelle porte?"
"Un microscopico bagno di servizio e lo sgabuzzino-lavanderia."
"E qui cosa c'è?" chiese Mei. "Si può
sapere o è proibita come l'ala
ovest del
castello della Bestia?"
"C'è il mio studio." rispose Camus. "La
stanza dove lavoro e dove trascorro parte della mia giornata."
"Mh… mi devo aspettare cose strane?" chiese
Mei.
"No, figurati."
"Non me la mostri perché mi nascondi qualcosa?
Magari qualche bella francesina che non ha fatto in tempo a uscire
dalla porta
principale?"
"Sciocca. Devo mostrarti un paio di cose prima."
La stanza di Lixue, ad esempio: niente rosa confetto –che
Lixue odiava- ma un bel verde giada, colore che, tra le cose, era stato
usato
su gran parte dell'arredamento.
"Una volta era la mia stanza, questa." spiegò
Camus. "Solo che all'epoca era rivestita da una carta da parati blu
notte
con i personaggi di Babàr."
"Davvero?" domandò Lixue, incuriosita, mentre
Mei guardava il resto della stanza.
"Una barca cinese!" esclamò Mei.
"Dokho mi ha aiutato a cercarne una in buone
condizioni e dopo averla disinfettata e messa a posto, mi ha aiutato ad
arredare
il resto." confessò Camus. "Mi ha dato una mano nei mercati
e nei
negozi di Shanghai a cercare tutti gli elementi orientali. E'
così che ho
trovato la lanterna che fa da lampadario… io ho tinteggiato
e fatto il resto. Anche
se adesso abiterà qui, voglio comunque che mantenga le
radici del suo paese
natale."
"Un angolo di Cina nella bella Parigi." disse
Mei.
Nello spazio di barca non occupato dal materasso, Camus
aveva sistemato dei libri in diverse lingue e delle foto.
"Ma siete voi!" esclamò Lixue, prendendo un
portafoto rivestito di gommapiuma colorata che conteneva una foto di
Camus e
Mei.
"Aspetta, fa' un po’ vedere…" disse Mei,
domandandosi quale foto stesse guardando.
Una foto che come minimo aveva sette anni, quando lo
spettro del male era ancora lontano e loro due sembravano una normale
coppia di
giovani innamorati. Due diciottenni nel pieno della vita, senza
preoccupazioni
o problemi, solo innamorati. Era
stata scattata, ora se lo ricordava, quella sera al bowling: lei rideva
per
qualcosa che aveva detto Milo, lui, che la teneva tra le braccia, la
stava
guardando. Nemmeno a farlo apposta chi aveva scattato la foto aveva
colto tutto
l'amore espresso in quell'abbraccio, aveva colto l'intensità
con la quale i
suoi occhi brillavano.
E Camus…
Camus aveva quello
sguardo… quello sguardo innamorato,
che purtroppo gli aveva visto negli occhi solo poche volte.
"…è…" un nodo alla gola "…
è una foto
bellissima."
"Ma piangi, mamma?" domandò Lixue, prendendo la
foto che Mei le stava restituendo.
"Sì… ehm…" sorrise Mei.
"…ma non è niente,
tesoro. Sono solo felice."
"E ti pare poco?" Camus le strinse tutt'e due
in un abbraccio. "Ah, le mie donne… la mia famiglia!"
Un grugnito di fame molto poco poetico.
"Mi spiace rovinare l'atmosfera ma credo sia il mio
stomaco." mormorò Mei.
*
Camus aprì il frigorifero estraendo diversi involti e
posandoli sul tavolo che Mei stava apparecchiando.
"Non c'è neanche bisogno di cucinare stasera."
sorrise, annusando allegro il contenuto di una vaschetta d'alluminio.
"Ma
di scaldare sì, temo. Bella idea quella di passare prima al
take away
cinese."
"Li ha cucinati zia Shunrei, a dire il vero."
lo corresse Lixue, porgendo un post-it che aveva trovato tra una
vaschetta e
l'altra.
Mei lesse il messaggio che la cognata aveva scritto e se
lo rigirò tra le dita.
"Quella benedetta ragazza non sta mai ferma… quando
accidenti ha trovato il tempo di cucinare tutta questa roba?"
"C'era questa borsa termica insieme al resto."
spiegò Camus. "E pensavo fosse cibo preso in qualche
ristorante."
"No, no." replicò Mei. "Al Goro Ho, pizza
a parte, era ben raro vedere cibo già pronto, soprattutto
cibo cinese. Beh, ci
penso io qui, và pure a sederti."
Aprì le
vaschette
d'alluminio scoprendo che Shunrei aveva cucinato le sue pietanze
preferite e
che, insieme a una bottiglia di mei kwei lu, le aveva dato una
bottiglia della
sua salsa.
"… hey Cam, Shunrei mi ha dato una bottiglia della
mia salsa… che dici, la metto in tavola?"
scherzò, versando il manzo
fritto con le verdure in una padella sufficientemente larga.
"…hey …!
Com'è che non vi sento più?"
Andò in salotto trovando Lixue in braccio a Camus, intenti
a guardare degli album fotografici.
"…oh." mormorò. "Ehm… la cena sta
scaldando, qualche minuto e si mangia."
"Hai visto le mie foto, mamma?"
Foto? Camus aveva delle foto di Lixue?
"Quali foto?" domandò. E quando le aveva
scattato delle foto?
La invitò a sedersi accanto a loro e vide diversi album
fotografici, dove un'etichetta scritta nella calligrafia ordinata ed
elegante di
Camus, indicava il contenuto delle foto: alcuni album contenevano foto
scattate
qua e là al Goro Ho, o durante i viaggi che Camus aveva
effettuato per conto
del Santuario –molte foto erano particolarmente belle, come
quella che ritraeva
padre e figlia su un cavallo ocra a Kobotec, a giudicare dal bianco che
li
circondava e dai cappotti pesanti che indossavano-.
"Sai che Kirill ce l'ha scattata lo stesso giorno in
cui ho trovato Sabaka?" domandò Lixue, tutta contenta. "Lo
ricordi,
papà?"
"Sì." rispose Camus, con uno strano tono di
voce mentre guadava Mei intenta a sfogliare gli album. Lixue da
piccola,
insieme a Sabaka in mezzo alla neve, addormentata davanti al camino
dell'isba
abbracciata al suo cucciolo, davanti alle sue torte di compleanno
-Camus non ne
aveva mai perso uno, neanche dopo
la
guerra contro Hades- e in tante altre bellissime foto che lui aveva
scattato
quando le aveva fatto visita.
"Alcune sono davvero molto belle." commentò Mei
dopo quella che a Camus parve un'eternità. "Ce ne sono un
paio che mi
piacerebbe ristampare e incorniciare."
Camus si schiarì la voce.
"A proposito. Mi dispiace aver scattato le foto a
tua insaputa… non sapevo come l'avresti presa, se ti avessi
chiesto il permesso
di…"
Mei lo zittì, accarezzandogli una guancia.
"Se c'è una persona che deve dispiacersi, quella
sono io, non tu. Non hai fatto nulla di male, Cam." disse, non
riuscendo a
trattenere le lacrime. Sentì odore di bruciato e si riscosse
di colpo. "Oddèi,
il manzo!!"
In verità non aveva sentito nessun odore di bruciato,
voleva solo evitare di far sentire Camus in colpa e di farsi vedere
piangere,
visto che i propri sensi di colpa erano esplosi di colpo e
all'improvviso.
*
Dopo cena Lixue andò subito a
lavarsi i denti e a dormire, spossata, lasciando i due genitori in
cucina,
liberi di parlare.
"Ecco, adesso posso
farti vedere quelle stanze."
"…arrivo." rispose Mei, cercando di capire come
azionare la lavastoviglie.
"Cos'hai?"
"Niente,
arrivo." tentò di sviare il discorso. "Lixue s'è
addormentata?"
"Sì, praticamente subito. Non c'è stato nemmeno
bisogno di leggerle qualcosa."
"Bene."
Le posò le mani sulle spalle costringendola a lasciar
perdere l'elettrodomestico.
"Sei strana da quando hai visto quelle foto e a cena
non hai detto nemmeno una parola. Mei, il passato è passato.
Ti preoccupi troppo per ciò che era
e ciò
che sarà. C'è un detto: ieri è storia,
domani è un mistero…"
"…ma oggi è
un dono, per questo si chiama presente?"
concluse Mei al suo posto.
"…sì …"
"Altro che detto, quello è un aforisma di Kung
Fu Panda."
"Beccato."
"Cammina, mostrami la casa."
Passando davanti alla porta dello studio, Mei bussò
discretamente un paio di volte.
"Hai ancora qualche minuto di tempo
per uscire, tesoro."
"Ma con chi parli?"
"Con la francesina nascosta nello studio, no?"
Le rifilò una pacca sul sedere.
"Smettila."
Corse avanti e aprì la porta della camera.
"Questa la
vediamo dopo." le disse Camus, inducendola a proseguire. "Prima devo
parlarti di altro. So che al Goro-Ho hai una stanza dove pregare."
"Sì."
"Ho lasciato una stanza vuota per permetterti di arredarla
come meglio credi per pregare."
Si guardò intorno.
"Secondo le regole del feng shui
è anche orientata bene… intendevi farci
qualcos'altro,
qui?"
"Beh, la stanza degli ospiti e altre due stanze per i nostri figli
già ci
sono, non pensavo di usarla."
Mei annuì.
"Potrei usarla, sì. Ma prima dovrei chiamare un
monaco taoista per farla benedire e per prepararla. E una volta che
avrà
accolto le tavolette e le anime dei defunti non ci sarà modo
di usarla per
altri scopi." l'avvisò. "Perché secondo quanto
diceva la trisnonna
Jian Shu, se fai sloggiare le anime dalla loro casa, diventano spettri
maligni
e ti perseguitano."
Camus inarcò il sopracciglio sinistro: fu un movimento
impercettibile, ma Mei lo colse ugualmente.
"Ti ho visto." l'ammonì. "Non mi piace
quell'espressione che metti su quando parlo di Avi e Spiriti. Tu credi
in
Athena e negli Dèi olimpici, ma non ti derido per questo."
"Mi dispiace… è che sono un uomo pratico, che
crede
in ciò che riesce a vedere…"
"… disse quello che lotta per Athena e che crea
ghiaccio dalle mani."
"Beh, Athena esiste davvero, è Lady Kido. E anche il
ghiaccio che creo esiste davvero." rispose, Camus, creando un cristallo
di
neve. "Esiste, visto?"
"Wow. Anche gli spiriti che vedo
esistono." ribatté Mei.
"Anche la sensazione di freddo intenso e la pelle d'oca che ho quando
per
errore li attraverso sono reali, esistono. Anche le sensazioni che
senza
volerlo loro mi lasciano addosso sono reali, le sento. Ma è
inutile che ne
parliamo, avremo sempre opinioni e credenze differenti a riguardo.
Tornando
alla Stanza, preferirei tenere questo spazio per eventuali ospiti o
bambini e
avere uno spazietto più intimo su in mansarda, se non ci
sono problemi."
Lui sorrise.
"D'accordo. E dimmi, esattamente quanti bambini
intendi avere? Così, giusto per rimettermi sotto
allenamento."
"Smettila, sei in formissima, altrochè."
La camera era tutta sui toni del blu, colore che Camus
amava particolarmente e che a Mei non dispiaceva: dopo una vita
trascorsa in
una casa in cui il rosso era il colore predominante, era più
che felice di
quella scelta.
"Uhm… il letto sembra comodo…"
osservò, tastando
il materasso con una mano.
"Lo è."
"Dopo averla vista quasi tutta, devo ammettere che
sono molto colpita dalla casa, Cam. Mi piace."
"Ne sono felice."
"Solo… mi spiace, ma quelle tende a losanghe devono
sparire, gli anni settanta rivogliono indietro le loro orribili
fantasie."
scherzò Mei, muovendosi verso la finestra e le tende
incriminate. Intravide
qualcosa seminascosto tra l'armadio e il muro e s'avvicinò:
qualsiasi cosa
fosse, era coperta da un lenzuolo che tolse prima che Camus potesse
fermarla.
"No, quella…" tentò di dirle "…no."
Una culla come quelle che aveva visto nei cataloghi di
articoli per neonati o nelle vetrine dei negozi alla moda di
Wangfujing, a
Pechino: legno di ciliegio intagliato, zanzariera di chiffon e
lenzuolino
immacolato.
"È una… culla."
"Già." commentò Camus, a bassa voce.
"Tu avevi… tu avevi comprato una culla?!" fece
Mei, la voce strozzata.
Sì, dopo la sua prima visita alla bambina. Non le disse
che si era sentito un'imbecille subito dopo e che la sola vista di
quell'oggetto,
all'epoca, bastava per farlo sentire male. Non le disse che era per
quel motivo
che l'aveva relegato nell'angolo più remoto della stanza e
l'aveva coperto.
Allargò le braccia come per dire: lo
vedi, no?
"Oddèi." si bloccò, portandosi le mani al volto.
"Oddèi."
"No, no, no… non piangere." disse Camus. "Non
mi piace vederti piangere. Andiamo a dormire, Mei. È stata
una lunga giornata… avremo
tempo per parlare."
"Un minuto Camus, aspetta. Voglio controllare Lixue.
Lo faccio sempre, prima di andare a dormire." disse Mei, aprendo la
porta
della cameretta. Entrò per spegnere la luce dell'abat-jour,
che Lixue aveva
lasciato accesa, scoprendo così che la bambina si era
addormentata abbracciata
alla loro foto.
"Wănān, māmā."mugolò
Lixue, quando Mei le tolse la foto di mano per evitare che si facesse
male.
Con i sensi di colpa che provava, dubitava seriamente di
riuscire a chiudere occhio.
"Buonanotte, tesoro."
"…mi piace la stanza." disse Lixue, mezza
addormentata.
"Piace molto anche a me. Dormi, Li,
è stata una lunga giornata. Buonanotte."
***
Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data
16 luglio 2014)
-Sabaka è il cane di Lixue, che introdussi tempo fa nella
drabble "Bianco" della mia raccolta di drabble.
-Babàr è l'elefante protagonista del libro e del
cartone
animato omonimo nato in Francia negli anni 30.
-Wangfujing è l'equivalente di Via Roma a Torino o Via
Montenapoleone a Milano, è infatti la via dello shopping di
Pechino.
Come sempre ringrazio chi segue/legge-e-basta/chi la
preferisce e naturalmente, chi recensisce.
Alla prossima!!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 12 *** Non ho mai smesso ***
CAPITOLO 12 rivisto
12.
Non
ho mai smesso.
[Stare
lontani è stata una esperienza,
comunque sia
Non ho mai
smesso di amare te
Non ho mai
tolto un pensiero a te
Non ho mai
smesso
Io sono così
Mi hai chiesto
"torna", mentre ero già qui.
[Laura Pausini
- Non ho mai smesso]
A dispetto delle sue speranze, l'incubo ricorrente che l'aveva
tormentata a lungo negli anni passati, -soprattutto nel periodo
successivo alla
scalata del Santuario- era tornato di nuovo a tormentarla dopo un lungo
periodo
di sonni tranquilli; non riusciva a spiegarsi il perché di
tanto in tanto sentisse
il bisogno di riaffacciarsi alla sua mente, anche in periodi positivi e
come
quello che stava vivendo, dove tutto pareva andare bene: insomma,
l'ombra della
guerra era lontanissima, tutti alle dodici case erano in procinto di
costruirsi
una vita normale così
come lei e
Camus stavano facendo, il solo elemento stressante pareva essere quel
trasloco
e il nuovo lavoro ma nulla di così grave da giustificare il
ritorno di quei
fenomeni onirici che iniziavano in modi del tutto casuali per poi
terminare
sempre con la stessa scena che la faceva scattare terrorizzata nel
letto: la
morte di Camus.
"Mannaggia." sussurrò, voltandosi verso il
compagno sperando di non averlo svegliato. Si alzò
lentamente dal letto e uscì
dalla camera, diretta… dove?
si
ricordò solo in quel momento, ancora un po' stordita dal
brusco risveglio, di
trovarsi a Parigi e non più al Goro-Ho.
S'incamminò lungo il corridoio buio cercando di trovare un
posto dove stare un po' da sola e tranquilla e s'avventurò
sulla stretta scala
che costeggiava la parete del corridoio.
Beh, a giudicare dallo scricchiolio d'ordinanza del
parquet, dubitava fortemente di poter trovare tranquillità,
tuttavia s'avviò
ugualmente oltre la porta che separava il sottotetto dall'appartamento.
Varcata quella soglia, le si aprì un mondo.
"Oh cavolo." sussurrò tra sé e sé
quando si
accorse che l'ordine quasi maniacale di Camus era giunto perfino in un
luogo dove
proverbialmente sarebbe dovuto mancare.
Grazie a due finestre che lasciavano entrare una discreta
quantità di luce, poté vedere che, a parte un
ampio divano ad angolo e una lampada
sistemati contro il muro, l'intero perimetro del locale era occupato da
scaffali e scaffali stipati di libri di ogni genere.
"Da non crederci… a parte le biblioteche a chi mai
verrebbe in mente di sistemarli in ordine alfabetico??"
guardò meglio accorgendosi che non solo i libri erano
ordinati alfabeticamente
per autore, ma anche per ogni singolo titolo di ogni singolo autore. Si
domandò
quanto cavolo di tempo avesse impiegato per catalogare tutti quei libri
in quel
modo.
"A me." proruppe Camus, sulla porta, facendola
sobbalzare spaventata.
"Sii fiero della tua silenziosità, sono poche le
persone capaci di sorprendermi in questo modo." replicò Mei,
massaggiandosi la testa che aveva sbattuto contro un ripiano.
"Ho seguito un corso di addestramento ninja."
"…"
"Ho sentito rumore di passi, sai che ho il sonno
leggero." spiegò Camus. "Vedo che hai fatto conoscenza con
una parte
della mia collezione di libri."
"Impressionante, oserei dire… nemmeno da Bookworm c'è un assortimento tale." lo prese in
giro. "Tanto per la cronaca, comunque, nella saga di John Rain Macao Blues si colloca cronologicamente
dopo
Tokyo Blues."
"Sì, ma
alfabeticamente viene prima."
Mei lo fissò.
"Non capisco
se mi stai deridendo o fai sul serio."
"Sono serissimo, altrochè. Potrà sembrarti strano
ma…"
"Non è esattamente questo ciò che mi stupisce,
trovo
meraviglioso il fatto che leggi così tanto…
è la cura maniacale con la quale
sono sistemati che mi preoccupa non poco."
"Già. Ciao, mi
chiamo Camus e sono un maniaco dell'ordine."
"Ecco, appunto."
Camus posò un libro che aveva distrattamente preso da uno
scaffale.
"Non pensavo t'interessassi anche di thriller."
"Che dire… mi piace la figura di John Rain."
Lui ci pensò su un istante.
"Ah. Scommetto che quell'attore per il quale sbavi
tanto ci sta lavorando su per farne un film."
"Magari!" gli rispose, facendolo sorridere.
"E… come mai sei venuta quassù?"
"Non riuscivo a dormire." rispose Mei.
"Forse perché è la prima notte qui e non sono
abituata ai rumori di
città."
Del resto era abituata al familiare rumore della cascata
e quei rumori acuti, quelli delle sirene dei mezzi di soccorso e del
traffico,
per lei erano ancora troppo forti per riuscire a dormire senza farci
caso.
"O forse è per me."
"Per te? Che sciocchezza, non mi sarei nemmeno mossa
di casa se avessi avuto paura o solo-gli-Dei-sanno-cosa nei tuoi
confronti." replicò Mei. "Parlando con franchezza credo
piuttosto
siano i sensi di colpa quelli che non mi fanno dormire. La camera di
Lixue, la
sua culla mai usata… le foto che hai scattato in segreto per
paura di chissà
quale mia reazione… ecco che cosa non mi fa chiudere occhio."
"L'ultima cosa che volevo fare quando ti ho mostrato casa era
questa." commentò Camus. "Ti va di scendere e uscire sul
balcone? Qui
sopra si muore di caldo."
La precedette nel soggiorno e scostò le tende che
celavano una portafinestra che si affacciava su un balcone e sulla
Torre
Eiffel.
"…oh!" esclamò Mei, incantata.
"Avrei voluto mostrarti questa vista
domani con calma, ma penso che vada bene anche adesso…"
le disse, invitandola ad uscire.
"Scherzi?" fece Mei, lo sguardo fisso sul
monumento. "E' la prima volta che la vedo dal vivo!"
Dopo qualche minuto Camus controllò l'orologio e fece una
smorfia.
"Uhm. Tra poco dovrebbe illuminarsi come un albero
di natale." l'avvisò.
"Cos'è questo tono dispregiativo? Io adoro la Tour
Eiffel, sogno di salirci da una vita!"
"... sacrebleu!"
ridacchiò Camus, suo malgrado. "Non la disprezzo di certo,
è che ce l'ho
davanti agli occhi tutto il giorno, tutti i giorni, non riesco
più a vederla
come tu la stai vedendo adesso… ecco che s'illumina."
Gli occhi di Mei si sgranarono di più, se possibile,
quando il monumento iniziò a brillare di migliaia di lucine
intermittenti.
"Ti ho già detto che mi piacerebbe da morire
salirci?"
"Ti ho già detto che costa quasi quindici euro a testa?"
Mei corrugò la fronte.
"Oddèi. No, come non detto." disse. "Non è
il caso."
"Dai, per una volta si può fare." concesse.
"E' l'attrazione turistica parigina per eccellenza e negli ultimi anni
il
prezzo del biglietto è aumentato vertiginosamente. Io non ci
trovo nulla di
così speciale, ma se ti fa brillare gli occhi in questo
modo, allora ne vale la
pena."
Mei distolse lo sguardo dalla torre per posarlo su di
lui.
"Forse non te ne accorgi, ma ho lo stesso sguardo
quando guardo te." gli rispose, accarezzandogli la testa e facendolo
sorridere. "Sai, a volte mi domando che cosa mi ha spinto a innamorarmi
del
testone che sei."
Camus si girò di scatto.
"Come?"
"Ho detto che a volte mi chiedo qual è stata la cosa
che mi ha spinto a innamorarmi di te."
"E riesci anche a trovare una risposta?"
"Trovo sempre
una risposta, solo che ogni volta è diversa. Alcune sono
banali: gli occhi ad
esempio, li ho sempre trovati troppo blu per essere veri, troppo belli.
Oppure
i capelli rossi, sai, all'inizio pensavo fossero tinti, poi ho potuto
constatare che è il tuo colore naturale, e allora... ecco
che arrossisci… questa
è una cosa che mi fa impazzire
davvero. Una volta ho anche pensato alle efelidi, che ho sempre
considerato
sexy. Poi penso a cose più serie. La tua lealtà e
la tua fedeltà, che non
vacillano mai. La tua pazienza, che ha permesso tutto questo. Il fatto
che non
hai mai smesso di credere in me, in noi. E ti sono infinitamente grata
per
questo." rispose Mei. "Comunque avevi ragione, ero nervosa ieri, per
questo tremavo. Avevo paura di non riuscire a ritrovare quella
sintonia,
quell'affinità che avevo provato anni fa, quella sensazione
di… completezza. Come
Yin e Yang."
"E invece?"
"Invece mi sono accorta che non è mai cambiato
niente, che pur essendo entrambi cambiati sotto molti aspetti,
quell'affinità
che lega i nostri corpi non è mai sparita, come se non ci
fossimo mai separati.
E durante la nostra lontananza mi sei mancato così
tanto… ecco a cosa ci ha
condotto il mio orgoglio: ha ferito entrambi."
Finalmente Camus parve smettere di parlare per
monosillabi.
"Quando succede qualcosa del genere, Mei, raramente
la colpa è solo di uno dei due." rispose. "Hai tanta colpa
quanta ne
ho io. Forse avrei potuto agire diversamente, non lo so. In ogni caso
non
voglio pensare a un'alternativa, perché se avessi agito in
un altro modo forse
non saremmo nemmeno qui, ora, e la cosa mi ucciderebbe."
"Questa cosa l'ho capita col tempo, soprattutto dopo
le lettere che ho trovato all'undicesima casa dopo la scalata del
Santuario." mormorò Mei. "Mi ha aiutato a smaltire il
rancore che
provavo nei miei e nei tuoi confronti. Ho smesso di essere furiosa con
te nel
momento in cui ti ho visto disteso su quel tavolo. Ma non ho mai, mai
davvero
provato odio per te."
Camus annuì, quindi prese fiato.
"Io sì. E la cosa non mi fa onore né mi fa
piacere
ricordarlo, ma c'è stato un momento…
più di uno a dire il vero, nel quale ti ho
odiata." confessò. "Un odio profondo. Ti odiavo con la
stessa
intensità con la quale ti desideravo,
perché… eh, perché. Perché
eri testarda e
non capivi il motivo del mio comportamento, perché ero
l'ultimo a sapere di mia
figlia. Credimi quando ti dico che in certi momenti avrei voluto averti
per le
mani per strozzarti."
Mei incassò il colpo.
"Però. Beh, credo di essermelo meritato." disse,
in un soffio, tornando a guardare Parigi. "Finalmente si gioca a carte
scoperte, ma devo ammettere che la tua sincerità
è troppa anche per una come
me."
"Senti… facciamo un patto? Lasciamo il passato dove
si trova e pensiamo unicamente al futuro, ti va? Ci siamo
abbondantemente feriti
a vicenda, basta così."
"D'accordo, è sicuramente un'ottima idea, visto che
abbiamo tutta la vita davanti e l'idea di trascorrere i prossimi
ottant'anni a
rinfacciarci il passato non mi piace nemmeno un po'." rispose Mei, con
un
sorriso strano in volto. "Ora credo che andrò a dormire,
sono davvero
stanca."
E piuttosto demoralizzata,
ma questo non lo disse ad alta voce.
*
Lixue fu la
prima a svegliarsi quella mattina, iperattiva
per via della nuova casa e della nuova città e
perché finalmente i genitori
erano insieme come aveva sempre sperato: andò ad aprire con
estrema cautela la
porta della loro stanza trovandoli ancora addormentati e la richiuse
subito
dopo per non svegliarli, sorridendo birichina.
Mei
allungò una mano al
cellulare sul comodino e sgranò gli occhi.
"Oddéi, è
tardissimo!!" biascicò, ancora mezza addormentata. Vuoi per
il cambio di
fuso orario, vuoi per il sonno agitato della notte appena trascorsa,
non aveva
dormito un granché. Le parole di Camus, poi, non erano state
d'aiuto, anzi.
"Che ore sono?"
"Le nove ed è tardissimo." replicò Mei,
alzandosi e infilandosi il kimono. A quell'ora, al Goro-Ho era
già in piedi da
almeno due ore.
Camus si stropicciò gli occhi e poi sbadigliò.
"Torna qui, che fretta c'è?"
"Cam… a quest'ora Lixue è già sveglia
da un po’,
potrebbe aver già combinato guai enormi!"
"Ma no… che esagerata… è una bambina!"
"Esagerata? Una ne fa e centomila ne pensa!"
Camus ridacchiò.
"In questo, ha preso da te."
Mei fece per andare in bagno, ma Camus la trattenne per
il braccio e la tirò a sé.
"Sei strana."
"E' solo una tua impressione, davvero. Va tutto
bene."
"D'accordo, farò finta di crederti. Posso avere il
bacio del buongiorno?"
Gli posò un bacetto sulla guancia.
"Ti pare questo il bacio da dare al tuo uomo?"
"Tesoro, altro che bacio. Ci sono cose che vorrei
fare con te che richiederebbero troppo tempo… e di
là c'è una bambina che,
volendo, può rivoltarti casa come un calzino." rispose Mei.
"Opzione non valida." replicò Camus,
allungandosi verso di lei. Dopo un bacio che pareva infinito, la
lasciò andare.
"Oh. Questo è quello che
io
chiamo bacio."
Arrivati in
cucina trovarono la tavola imbandita alla
bell'e meglio da Lixue, che aveva sistemato posate e bicchieri su delle
tovagliette.
"Ciao!" esclamò la bambina, appena li vide
entrare. "Non sapevo come accendere i fornelli per scaldare il
latte."
"Ciao tesoro. Meglio così, quelli non puoi ancora
toccarli." disse Camus, aprendo il frigo e prendendo il latte. "Mei,
pensavo di portarvi in giro per Parigi, così da farti
ambientare meglio."
"Sì!" esclamò Lixue.
"Bene! Mi piace quest'entusiasmo! Dove ti piacerebbe
andare?"
"Là." Lixue indicò la Torre Eiffel che si
intravedeva dalla porta della loro stanza.
"Tale madre, tale figlia." ridacchiò Camus.
"Très bien. E allora che Tour Eiffel sia. Ma questa sera al
tramonto, perché c'è meno gente e l'atmosfera
è migliore. "
*
Camus
si calò nella parte
del cicerone non appena usciti di casa, accompagnando il tragitto con
aneddoti
e spiegazioni varie legate a monumenti e quant'altro.
A modo suo, però.
"Che stai facendo?"
Mei guardò la foto che aveva appena scattato e sorrise
soddisfatta.
"Una foto?" gli rispose, ironica.
"Oh no… ti prego, no. Gli unici che qui vedo con i
cellulari a scattare a ripetizione sono gli asiatici in ferie."
Ripose il cellulare in tasca.
"Perché, io cosa sono?"
"Non sei in ferie, tu abiti qui."
"Oh. E quindi non posso fotografare."
"Ma non la torre,
santo cielo, i veri parigini non lo fanno."
Per poco non scoppiò a ridere.
"Mais non la
torrè, santo cielò, le vrai parisiens non lo
fannò." lo scimmiottò,
divertita. "Miei Dei, ma ti sei sentito?"
"Divertente, Mei." replicò lui. "Sali in
auto, simpaticona."
Mei finse un colpo di tosse.
"Snobbone."
"La vera Parigi non è
quella delle guide di viaggio che ti dipingono la città come
un gioiellino
splendente... sì, ovviamente ha il suo lato luccicante e
bello fatto di musei,
monumenti, negozi di lusso dove anche respirare è
costoso… ma la vera Parigi comprende
anche le banlieue, i ritardi -o peggio-
gli scioperi dei trasporti, la peripherique
che all'ora di punta è invivibile, i turisti che vengono qui
e hanno pretese
che non stanno in cielo nè in terra. Non so, quando vedo o
leggo dei cliché
assurdi con i quali Parigi e noi parigini siamo descritti..." la
guardò fugacemente,
rallentando in prossimità di Place de la Concorde. "Che
c'è?"
"Beh…" Mei si
schiarì la voce. "Mi stai smontando l'idea che mi ero fatta
prima di
partire... sai, siti internet, guide, dvd… sognavo di
visitare la città come
fanno tutti…"
"Ma la
visiteremo." la contraddisse Camus. "Solo che te la farò
visitare dal
punto di vista di un vero parigino e non dal punto di vista di un
turista
qualunque."
"O-okay."
"A tal proposito ti sei messa scarpe comode?
D'accordo che Carrie Bradshaw girava per la città con le sue
Manolo, ma quello
era un telefilm e posso assicurarti che si fatica parecchio."
"Che ne sai?"
"Uh?"
"Come puoi assicurarmi che si fatica a girare sui tacchi? Se hai
qualche vizietto
particolare, come ad esempio travestirti e metterti in tacchi e
reggicalze per
divertimento, questo è il momento adatto per dirmelo."
"Sciocca." ridacchiò Camus.
"In ogni caso sì." sorrise Mei. "Basse e
comode, i tacchi sono troppo preziosi per consumarli così."
"Propongo un lungo giro per Le
marchè des enfant rouges, ovvero il mio mercato
alimentare
preferito dove, per inciso, pranzeremo, quindi un po' di riposo a Parc
Monceau
e per finire il Disney Store dove Lixue potrà avere un
anticipo di quel che
l'aspetta più avanti a Disneyland. Che ne dici, Mei?"
"Sei tu che conosci il posto, Cam, a me va bene
qualsiasi cosa… sarei capace di vedere tutto oggi."
"Qualsiasi cosa? Sicura?"
"No. Mi correggo. Quasi qualsiasi
cosa. C'è una certa zona che non intendo affatto
visitare." si corresse Mei. "Pigalle."
Camus ridacchiò.
"Il posto preferito di Milo. S'è girato tutti i sexy
shop della zona. Museo dell'Erotismo compreso." disse, abbassando la
voce
per non farsi sentire dalla figlia che, in verità, era
più attenta alla città
fuori del finestrino che non alle chiacchiere dei due adulti. "No,
scherzo. Ma sicuramente il luogo esercita una certa attrazione su di
lui. E su
Shura, anche se non l'ammetterebbe nemmeno sotto tortura."
"E a te non è piaciuto?"
"Cosa?"
"Il museo dell'erotismo."
"Non saprei, non ci sono mai entrato."
"Bè, non ne hai bisogno, conosci già bene la
materia
senza dover visitare un museo del genere." disse Mei.
Camus arrossì, senza rispondere.
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 5 settembre 2014)
E qui scoprite la mia seconda passione, dopo Cammy: Parigi.
Sebbene siano trascorsi nove anni da quando, diciottenne,
mi trovai a Parigi in gita scolastica, ricordo ancora perfettamente
tutti i
colori, gli odori, i rumori di quella bellissima città, come
se non fossi mai
andata via da lì. Amo pensare che, sebbene io sia a Torino,
il mio cuore continui
a trovarsi là.
Comunque…
-Bookworm è una fantastica libreria di Pechino,
dall'atmosfera tutta particolare. Cercatela su Google, vi
stupirà.
-"Tokyo Blues" e "Macao Blues" sono i
titoli francesi dei romanzi "Hard Rain" e "Rain Storm"
(tradotti in italiano con i titoli "Alba nera su Tokyo" e "Hard
Rain-Pagato per uccidere") dello scrittore Barry Eisler. E,
effettivamente, Keanu Reeves ne farà (fooorse, si spera) una
serie tv entro il
prossimo anno.
-Marché
des
enfants rouges: è un mercato alimentare sito nel
Marais. Molto curioso,
devo ammettere.
-Pigalle, come immagino sappiate, è un po’
l'equivalente
del quartiere a luci rosse di Amsterdam, è zeppo di sexy
shop, strip club e
quant'altro, ed è anche sede del Museo dell'erotismo.
A presto!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 13 *** Tramonto parigino. ***
capitolo 13 revisionato
13.
Tramonto
Parigino.
Smiling at the
rain 'cause you hold me close
My best dress on underneath this old coat
Walking down Bleecker, no one is awake yet
(...)
And we danced while the band played, 'She's not there'
Kissed me in the rain by the Rue Voltaire
It's a perfectly good way to ruin those silk shoes
[Corinne
Bailey Rae - Paris Nights And New York Mornings]
"Fa
troppo caldo, qui? Vuoi spostarti?" chiese
Camus.
"No. Sto bene." disse Mei, seduta accanto a lui
in una zona tranquilla di Parc Monceau. "Mi sento a casa."
posò la
testa sulla sua spalla, beandosi del sole e del senso di pace che
avvertiva in
sé.
"È una fortuna che sia ancora venerdì…
posso ancora
godermi te e Lixue senza i ritmi forsennati della vita di tutti i
giorni."
disse Camus.
"Aspetta a dire che è una fortuna." ridacchiò
Mei. "Questo piatto è ottimo… cos'hai detto che
è?"
"Cous cous di verdura." rispose Camus,
dividendo i resti nel cartoccio d'alluminio con Lixue. "Come dico
sempre non
assomiglia nemmeno per idea a quello che mangiai in Tunisia anni fa, ma
può
andare."
"Uffa, ma che polemico sei." protestò Mei.
"E' che in Tunisia ci mettono meno olio."
spiegò Camus.
"Sicuramente ti va di lusso rispetto a quello che mi
è successo nel periodo delle olimpiadi di Pechino. Per colpa
di mio fratello ho
assaggiato uno scorpione fritto."
Camus proruppe in una smorfia.
"Shiryu aveva comprato un po' di schifezze fritte
dai chioschetti accanto piazza Tiān'ānmén e…
beh, scema io che ho accettato la
sfida, a essere sincera…
dopo l'inevitabile conseguenza non ho mangiato per
tre giorni di seguito. Lui invece ha superato tutto con nonchalance. Ma
è mio
fratello, che pretendo?"
"E io che stavo per lamentarmi delle rane mangiate a Milos."
"Appunto, vedi? Ti è andata di lusso."
Mei s'appoggiò all'albero dietro di sé; Lixue era
affaccendata su un album di immagini da colorare e tutto era
tranquillo, come
doveva essere.
"Mi spiace dover rispondere ma è il mio capo…
questa
non posso rifiutarla. " disse Camus, alzandosi per rispondere al
cellulare. "Allô?"
Beh, almeno lui aveva ancora un lavoro. Una volta
ricominciata la settimana, decise che si sarebbe messa d'impegno a
cercarne
uno: per nulla al mondo avrebbe rinunciato alla sua indipendenza
economica,
nemmeno per Camus.
"Tutto bene?"
"Prima di tornare a casa devo passare in ufficio a
prendere due assegni e un nuovo tomo da tradurre." spiegò
Camus, tornando
a sedersi. "Direi molto più che bene."
"Bene. Dato che siamo in argomento… quale lingua
trovi più difficile da tradurre?"
"Uhm… il greco. A volte, quando magari sono già
troppe ore che lavoro, sembra che le lettere si incrocino tra loro e
devo
smettere."
"E del cinese che mi dici?"
Camus ridacchiò.
"Se mi metto d'impegno, forse, nella prossima vita
riuscirò a tradurre qualcosa dal cinese."
"Non fare il falso modesto, so che sai molto più di
quel che dai a vedere. Io non me la bevo." disse Mei.
"Avanti… da
quanto tempo conosci la mia lingua?"
"Ehm…" lui si schiarì la voce. "Sto
studiando Mandarino da quasi quattro anni."
Aveva immaginato qualcosa, in base a quando due notti
prima le aveva risposto in cinese, ma non pensava da così
tanto: quattro anni
di studio, specie per uno come Camus che s'impegnava moltissimo quando
aveva a
che fare con libri ed esami, erano un lasso di tempo enorme.
"E' parecchio tempo." gli disse.
Magari non era abbastanza per sostenere una conversazione
lunga e complicata con un pechinese doc, ma era sicuramente abbastanza
per
comprendere, e anche bene, quanto Shiryu lo disprezzasse.
"Insomma… me la cavo." rispose Camus.
"Stai… pensando alle cose che tu e Shiryu dicevate nei miei
riguardi?"
"Vorrei precisare che io non ho mai detto nulla di
male." lo corresse Mei, stizzita. "Non mi piace parlare alle spalle,
cerco sempre di dire tutto in faccia, anche le cose più
dirette."
"Lo so, mi hai sempre difeso e ti ringrazio per
questo."
"Non permetto a nessuno di sparlare di te."
disse Mei. "Solo io posso farlo."
"Oh, ora posso stare tranquillo allora."
scherzò Camus. "Il mio onore è ben custodito."
"Guardate!" disse Lixue, interrompendoli e mostrando
loro un disegno che aveva fatto su una pagina vuota.
"Che bello!" sorrise Camus, guardando il
disegno in cui compariva un bel cielo blu, una specie di Torre Eiffel,
una casa
e quattro persone.
Lui, Mei, Lixue e un bambino.
"Oh. Veramente bello, tesoro. E… chi è lui?" le
domandò indicandole la quarta figura.
"Mio fratello o mia sorella." gli rispose
Lixue, senza fare una piega.
I due adulti si guardarono in faccia.
"Ehm…" fece Camus.
"Li,
tesoro… ne abbiamo già parlato, ricordi? Quando
sarà il momento, arriverà anche
tuo fratello o tua sorella. Non è una cosa che posso
decidere solo io, o posso
fare da sola. Adesso andiamo, dai, che è tardi."
Mei si alzò e raccolse il sacchetto con le carte e le
bottigliette vuote.
"Sei così rossa che sulla tua guancia potrei cuocere
un uovo." mormorò Camus. Quindi alzò la voce.
"Chi viene al negozio
Disney con me?"
"IO!!!" gridò Lixue, contenta.
"Prima però aiutiamo mamma a raccogliere i rifiuti e
poi andiamo." disse Camus. "Chissà che non troviamo il tempo
per
cercare anche scarpe."
"Andrò a caccia di scarpe quando avrò uno
stipendio,
Cam." puntualizzò Mei. "Comunque, che Disney sia."
Le posò un bacio in testa.
"Sei sempre la solita."
*
Stretta a Stitch, il
suo nuovo peluche, Lixue era al settimo cielo mentre Camus prendeva in
giro Mei
per il cerchietto con le corna di Maleficent che aveva acquistato."Non
trovi che mi si addicano?" Mei finse di
pavoneggiarsi.
"Credimi, mai avrei pensato di trovare qualcuno con
una passione smodata per gli antagonisti dei film."
"E ancora non mi hai vista quando inneggio a
Loki."
Camus inarcò le sopracciglia, quindi prese un gran
respiro.
"…perché io
sono il mostro da cui i genitori mettono in guardia i propri figli la
notte?
Beh, fatti una domanda e datti anche una
risposta, non sei uno stinco di santo. La sola cosa sensata che ha
fatto
durante il film è stata suicidarsi nel vuoto cosmico."
"Apprendo con rammarico che non sei stato seduto in
poltrona oltre ai titoli di coda…" Mei scosse la testa.
"… disonore su di te, disonore sulla tua mucca!"
"Giuro che se adesso mi dici che adori anche Shan Yu,
ti faccio scendere e a casa ci
torni a piedi!"
Mei stava per rispondere, ma Camus aveva imboccato il Pont
d'Iena, e si vide la Tour Eiffel
farsi sempre più imponente man mano che s'avvicinavano.
"Ora ti prego, non fare la turista."
Camus parcheggiò, quindi scesero.
"Wow." sussurrò Mei, gli
occhi
sgranati.
"Appunto."
"Ma si può sapere che cos'avete voi parigini snobboni
contro i turisti? I turisti contribuiscono a far girare l'economia!"
"Nulla in contrario per l'economia, ma la
maggioranza dei turisti sono rozzi e arroganti." disse Camus.
"Cambiando discorso… possiamo prendere gli ascensori o le
scale fino al
secondo livello e l'ascensore per la cima…"
"Quoto gli ascensori." disse Mei.
Arrivati
in cima, Camus prese in braccio Lixue.
"Andiamo a cercare la bandiera della Cina?" le
propose.
Mei intanto s'avvicinò alla grata a rombi che proteggeva
i visitatori e si guardò intorno. La Senna tagliava Parigi
in due, e Camus
aveva ragione: la città al tramonto era stupenda.
"Mamma! Ma sai quanto è lontana Pechino?!" le
chiese Lixue. "È lontanissima!!"
Camus abbracciò Mei da dietro con il braccio libero,
guardando la città sottostante con lei.
"Quell'edificio rotondo sulla sinistra è la Maison
de Radio France dove partono le
trasmissioni dell'emittente radiofonica, l'edificio davanti a noi
è Palais Chaillot con i
giardini del
Trocadero, e a destra invece ci sono l'Arco di Trionfo e…
più indietro, il
palazzo degli Invalidi, anticamente ospedale per i feriti di guerra e
oggi sede
di musei a tematica militare. Tutte cose che vedremo con molta, molta
calma." disse Camus.
"C'è un tramonto bellissimo stasera." disse
Mei.
"E vedrai che bellezza la città di notte." disse
Camus. "Già si stanno accendendo le prime luci."
*
"Allora stasera cucino io." disse
Camus. "Così
le mie donnine possono stare tranquille."
"E Sabaka?"
Camus guardò l'orologio; a quell'ora al Goro-Ho erano le
due del mattino, sicuramente Shiryu non avrebbe gradito una visita nel
cuore
della notte.
"Beh. Ti avevo detto che ti avrei accompagnata
stamattina a prendere Sabaka e mi dispiace non averlo fatto…
domattina, però,
appena ti sveglierai, accompagnerò te e mamma a prendere
Sabaka e le altre cose
che avete lasciato al Goro-Ho, d'accordo?"
Lixue si rabbuiò.
"Non la vedo da quando siamo partiti e mi
manca."
Mei sospirò.
"Lixue…"
"Tesoro, porta i sacchetti nella tua stanza, poi
vediamo che cosa fare, d'accordo?" propose Camus. La vide allontanarsi
e
sospirò. "Colpa mia. Le ho fatto una promessa che oggi, con
tutto il
nostro giro, mi sono dimenticato di mantenere."
"Non fa così perché capricciosa, è che
è molto
legata a Sabaka, che di solito dorme in fondo al suo letto. Un
proverbio
italiano dice: non promettere ai bambini
e non far voto ai santi." rispose Mei. "Non abbatterti, non
sei
un cattivo padre solo per questa sciocchezza. Andremo a prendere Sabaka
e al
diavolo mio fratello."
Le valigie le avrebbero prese l'indomani.
Come
previsto, Shiryu non si dimostrò contento di quella
visita, ma dopo il rapido intervento di Mei, tornò nella sua
stanza senza
creare particolare problemi.
Sabaka, la cagnolina che Lixue aveva trovato a Kobotec
quattro anni prima si dimostrò contentissima di vedere la
padroncina: non smise
di scodinzolare e di leccare la faccia di Lixue neanche una volta
arrivata
nella sua nuova casa.
Mei si
dedicò a sistemare le poche cose che si era
portata dietro partendo mentre Camus cucinava e Lixue giocava con
Sabaka.
Lui le aveva lasciato metà armadio, così da
poterci mettere
le proprie cose; metà armadio era pochissimo rispetto a
quello della sua
stanza, ma si sarebbe adattata in qualche modo così come si
era adattata al
cambiamento totale portato da quel trasferimento.
Certo, le dispiaceva aver lasciato il Goro-Ho e i suoi
ritmi lenti, l'alzarsi la mattina con gli esercizi di Tai-Chi mentre
Shiryu
portava sua figlia a scuola, andare a fare spesa al mercato del
villaggio
vicino e vivere a contatto con la natura… ma aveva bisogno
dei suoi spazi così
come Shiryu aveva bisogno di poter vivere la sua vita con Shunrei da
solo.
In fondo era con l'uomo che amava e con la loro bambina,
cosa poteva chiedere di più?
Era così intenta a sistemare che non si era accorta che
Camus l'aveva chiamata più volte dalla cucina.
"…Mei… è pronto." le sorrise, sulla
porta della
camera.
"Oh! Arrivo." rispose, infilando un paio di
caricabatterie del cassetto del comodino. "Non avevo sentito,
scusami."
"Sai che ho aiutato papà a preparare tavola e
preparare la cena?" interloquì Lixue.
"Ooh… fantastico."
disse Mei. "Hai del digestivo a portata di mano?"
"Tutto quello che vuoi. Io ho mangiato la tua salsa
rossa e tu mangerai quel che cucino io." disse Camus. "E'
tutto."
"Ho già assaggiato la tua cucina." obiettò Mei.
"Anni fa."
"Sì ma nel frattempo sono molto, molto
migliorato."
"Anche la modestia è migliorata, noto. Okay, se proprio
devo…"
"Devi."
"Sì.
Devo ammettere, e mi spiace doverlo fare perché
così ingigantisco il tuo ego, che sì, sei
migliorato." ammise Mei.
"Il pesce era ottimo."
"Sei un cuoco papà?"
"No, tesoro. Tuo nonno lo era."
"Allora tu cosa fai?"
"Cosa faccio durante il giorno?" ripeté Camus.
"Sì. Io vado all'asilo, mamma insegna alle persone come
picchiare e gli zii studiano. E tu?" spiegò Lixue.
"Li… io
non insegno a picchiare, ma a
difendersi. Da come dici tu sembra che anziché in un dojo io
lavori al Fight Club." disse Mei.
"Uhm… sarebbe interessante… " disse Camus.
"Ma anche no." fece Mei. "Preferisco di
gran lunga insegnare a difendersi dalla violenza anziché
praticarla."
"Lo so, stavo scherzando. Io comunque leggo i libri
stranieri e li traduco in francese." rispose Camus.
"E che cavolo di lavoro è?"
"Lixue Aimée,
non essere maleducata." la riprese Mei. Era una cosa, quella, che Lixue
doveva
aver sentito da Shiryu e che, innocentemente, aveva appena ripetuto.
Per quanto
si fosse sforzata di far capire a Shiryu di non sparlare di Camus di
fronte a
sua figlia, il vizio non l'aveva mai perso. A differenza di qualche
anno prima,
però, ora non era più disposta a tollerare niente
nei confronti del suo
compagno, e Shiryu l'avrebbe sentita per quella frase.
"Lo faccio perché così chi parla la nostra lingua
può leggere libri che sono stati scritti in altre lingue."
spiegò Camus,
paziente. "E tu cosa vuoi fare da grande?"
"Voglio mangiare dolci e fare quello che fa
mamma." rispose la bambina prima di mangiare l'ultimo boccone della
torta
al cioccolato che Camus aveva acquistato prima di tornare a casa.
"Beh, almeno il secondo compensa il primo." ci
scherzò su Mei.
Soddisfatta da tutta quella giornata, Lixue sbadigliò
vistosamente dietro un tovagliolo.
"Lixue, da brava. A lavare i denti e poi a nanna."
disse Mei. "Aspettami qui, vado a metterla a dormire e torno subito."
Come ogni sera aiutò Lixue a lavarsi bene i denti e le
spazzolò i capelli, quindi la incoraggiò ad
andare ad augurare la buonanotte al
padre: al Goro-Ho l'aveva sempre fatto tramite Skype o cellulare e
quella era
un'abitudine preziosa che non doveva assolutamente perdere.
Poco dopo sentì la voce di Camus, seguita dallo schiocco
di un bacio.
"Spokoynoy
nochi, lyubov' moya." Buonanotte, amore mio.
Lixue trotterellò in camera tutta allegra, infilandosi a
letto senza fare storie.
"Sei contenta di essere qui?"
"Sì." annuì la figlia, com'era ovvio. "E
tu mamma?"
"Non lo immagini neanche." le rispose Mei. "Buonanotte amore,
dormi bene. Buonanotte Sabaka."
"Perché non mi hai
aspettata? Avrei dovuto darti una
mano."
Camus la guardò da sopra la spalla, sorridendo.
"Non ce n'era bisogno, tranquilla." si chinò per programmare
la
lavastoviglie quindi si girò, slacciandosi il grembiule.
"Non è Gaston quello
che ho visto, vero?" Mei s'avvicinò e dispiegò il
grembiule di Camus, sul
quale campeggiava una scena del crimine con tanto di nastro giallo crime scene do not cross, una sagoma di
gesso e il celebre cattivo Disney negli improbabili panni di cuoco con
tanto di
scritta: serial griller.
"Oddèi.
Ti sei appena guadagnato dieci punti di demerito."
"Che c'è? L'ho visto a Disneyland e mi è
piaciuto." si giustificò Camus.
"…"
"C'era anche con Frollo,
ma quello mi sta davvero antipatico."
"… okay, per oggi ne ho viste abbastanza…
buonanotte, Camus."
"Oh, ma dai… cos'hai contro il mio grembiule??"
"Buonanotte."
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 18 settembre 2014)
La visita alla Torre Eiffel qui descritta ha un punto di
vista completamente personale, cioè come io l'ho vissuta.Sul
terzo livello
della Torre Eiffel, c'è tutta una serie di bandiere che
stanno a indicare la
distanza di Parigi dalle varie capitali del mondo, ecco
perché Camus propone
alla figlia di andare a vedere dov'è la bandiera della Cina.
Alla prossima!!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 14 *** Così ti amo. ***
capitolo 14 rivisto
14.
Così
ti amo.
C'è
la pace che volevi tu,
nessuno
tra di noi,
ed
io mi sento ricco,
e
tu sei bella come nessuna.
Ed
il tuo viso
che
ho davanti a me
mi
parla e mi sorride
e
splende il sole
così
ti amo
così
ti amo.
[Pooh
– Così ti amo]
Mei accese l'abat-jour, si girò sulla pancia e lo
guardò.
"Ancora non posso crederci. Il grembiule di Gaston."
Suo malgrado, scoppiò a ridere.
"Per l'amor di Athena, Mei, sono le quattro del
mattino e pensi al mio grembiule?"
"Come si fa ad avere in casa quell'orrida faccia da
idiota che non è giusto che una
donna
legga, si fa strane idee e comincia a pensare. Puah."
"Ma senti chi parla, quella che prende le difese di
una fattucchiera da strapazzo che maledice una bambina in
virtù di un mancato
invito!!" si difese Camus. "No, dico… per un mancato
invito!! Posso
ancora capire Loki, che o bene o male si prende quel che gli
è stato promesso
da piccolo, ma Malefica…"
"Da una che si chiama Malefica che ti aspettavi? Che
prendesse Re Stefano e consorte e li invitasse per tè e
pasticcini?"
"…"
"Io non maledirei mai una bambina, ma sono
vendicativa quanto Malefica."
Camus si allungò sul materasso, incrociando le braccia
dietro la testa.
"Ma sai che non me ne sono mai accorto?"
"Spiritoso." ribatté Mei. "Sai che per
quanto cerchi di dimostrare il contrario, sono ben pochi i lati del mio
carattere che tu conosci?"
"Ah, non credo proprio… sei tu quella che continua a
ripeterselo per non esporsi troppo. Dici che non ti conosco? Vediamo.
Sei vendicativa
e questo già lo so." iniziò Camus. "Sei
possessiva…"
"Io preferisco di gran lunga gelosa."
"Aspetta, ancora dovevo arrivarci a quello."
"Ah sì?"
"Sì. E posso garantirti che non hai alcun motivo per
essere possessiva e gelosa. Non ho occhi per nessun'altra."
"Il problema è che le ho viste, le donne di qui.
Truccatissime, bellissime, sicure di loro stesse. Oggi avrei voluto
strozzare
un paio di loro che ti hanno guardato."
Lui si sollevò sui gomiti mentre Mei si metteva a
cavalcioni su di lui.
"Gli occhi son fatti per guardare, che guardino
pure, se vogliono. Da me non otterranno mai niente."
"Quindi, se ti rigirassi la domanda che tu mi hai
fatto al Goro-Ho, come risponderesti?"
"Comment, excuse-moi? "
"Hai sentito bene." disse Mei, posando entrambe
le mani vicine al suo collo. "Per me sei stato il primo e sarai sempre
il
solo. Non offenderti, ma io? Cosa sono io per te?"
Si levò a sedere, circondandole la vita in uno stretto
abbraccio.
"Tu? Tu sei l'amore della mia vita."
"Ti sembra questo il momento di citarmi i
Queen?"
"Sono serio."
"Sono l'amore della tua vita anche quando sono ostinata,
orgogliosa, lunatica, aspra e anche a volte insopportabile?"
"Solo a volte?" Camus inarcò un sopracciglio e
per tutta risposta Mei gli rifilò una pacca su una spalla.
"Quando si ama
una persona come io amo te, si impara a sopportare anche quei tratti di
carattere… insopportabili
e ad amare
i tratti belli. Si impara a sopportare gli scatti di rabbia e ad
apprezzare i
gesti teneri…"
"Non sono capace di essere dolce come vorresti."
"Sì, invece. Lo sei già." la corresse.
"Più
di quanto immagini. Lo sento, anche se non lo vuoi mostrare. Lo sei con
Lixue…"
"Ovvio che lo sono, è mia figlia. Per lei posso
essere dolce come posso diventare una bestia per difenderla." disse Mei.
"…lo sei anche con me."
Da quando ho
conosciuto il vero Camus, per me non è stato difficile
esserlo.
"Oh accidenti… allora significa che mi sto
rammollendo…"
"No, non preoccuparti. Sei sempre l'ostinata,
orgogliosa, lunatica, aspra e insopportabile Mei che amo." disse Camus.
"Bè… come dite voi occidentali? Dio
li fa e poi li accoppia."
"Io non sono insopportabile."
"No? Magari negli ultimi tempi, no, ma lo sei stato…
eccome se lo sei stato."
"Non avevamo detto… basta
rivangare il passato?"
Mei annuì.
"Camus, io… lo sai, non ti ho mai chiesto niente.
Ora però sento il bisogno di farlo."
"Dimmi."
"Se tutto va bene trascorreremo i prossimi
settant'anni insieme. Purtroppo, e lo sappiamo entrambi, non
sarà sempre tutto
facile, anzi… ci saranno alti e bassi, avremo qualche
problema, litigheremo e
non ci parleremo per ore. E in tutto questo ti chiedo una cosa sola.
Entrambi
faremo arrabbiare l'altro, proverai l'insano desiderio di volermi congelare pur di non sentirmi
più… ecco…
fallo, se devi. Gridami addosso, piuttosto, ma non cacciarmi
più via. Ti
prego."
"Che Hades si prenda la mia anima se oso farlo di
nuovo."
*
A svegliarla fu un paradisiaco profumo di burro e mele
che, nonostante la stanchezza, la indusse ad alzarsi.
"Buongiorno."
"Oh, ciao. Ben svegliata." le sorrise Camus.
"Ho sentito questo meraviglioso profumo e mi sono
domandata se, per caso, fossi finita in paradiso."
"Io ci sono stato mezz'ora fa, quando sono sceso per
andare nella panetteria dietro l'angolo intenzionato a comprare il pane
e sono erroneamente entrato anche
in
pasticceria."
"Per errore, eh?"
"Assolutamente. Subito ho cercato di resistere, ma poi dopo le prime
brioche al burro, le girelle all'uvetta mi han guardato come per dirmi:
non lasciarci qui! Gli eclair della teglia
vicina sono antipatici! e così ho preso anche
quelle, gli strudel di mela e
i saccottini alle mandorle. E un sacchetto di madeleine che piacciono
tanto a
Hyoga." spiegò Camus, notando all'ultimo lo sguardo di Mei
sulle sue
ultime parole. "Ma questo forse, non avrei dovuto dirtelo."
"Lui ha rubato la mia Nutella, l'altro giorno…
praticamente mi ha dichiarato guerra!" replicò Mei,
chinandosi ad annusare
il cestino in cui Camus aveva sistemato le brioche. "E i famosi
macaron?"
"Quelli non si mangiano a colazione, si godono con
calma, di pomeriggio. E sono costretto ad avvisarti che quelli creano
assuefazione. Una volta che sei nel giro, è impossibile
uscirne. E' come questa
tavoletta di fondente nero con le nocciole delle Langhe: un quadretto
tira
l'altro."
"Io ti avverto, a breve avrò bisogno di una
bacinella per contenere la bava." l'ammonì, afferrando una
madeleine. "Vado
a chiamare Lixue. Se ingrasso sarà solo colpa tua!"
Tornando in cucina con la figlia, in cucina trovò Hyoga
–chiamato da Camus-, ancora in pigiama.
"Ho preferito venire qui di corsa prima che potessi
finirmi le madeleine." spiegò Hyoga. "Cose che qui, lo sanno
tutti,
sono di mia esclusiva proprietà."
"Tu hai rubato la mia Nutella, razza di
disgraziato."
"Sbaglio o c'è un telefonino che squilla?" fece
Hyoga.
"Non cambiare discorso, sai?"
Camus le porse il cellulare.
"Per una volta, ha ragione."
Mei puntò l'indice contro Hyoga.
"E va bene, ma non finisce qui!"
"Sto tremando di paura."
"Allô. Shì
de, zhè jiùshì wǒ."
Pronto. Sì, sono io.
Non appena Camus la sentì rispondere in cinese
iniziò a
seguire la conversazione, per quel poco che riusciva a comprendere
dalla
velocità con la quale Mei parlava: sbirciò anche
sulla lavagnetta sulla quale
stava scarabocchiando, notando che si era improvvisamente tesa.
"Buongiorno,
signor Hu. No, non avevo idea che Lǎoshī Wenyan avesse
contattato voi,
il solo favore che
ho richiesto a vostro
fratello è stata una lettera di referenze, non un nuovo
posto di lavoro presso
di voi."
Avvicinandosi, sentì dall'altra parte del telefono la
voce calma e autoritaria di un uomo, senza tuttavia riuscire a capire
granché
dato il tono piuttosto basso.
"Certo. Non ho
alcun problema, anche subito se volete." Mei
gettò il pennarello nero della lavagnetta
sul tavolo, con un gesto frustrato, e Camus le fece segno di respirare
e di
calmarsi pur non comprendendo il motivo di quel gesto. "Capisco
benissimo. Come vi ho detto, posso essere al dojo anche
oggi. No, non sono abituata a prendere scorciatoie di nessun genere
né ad
accettare alcun favoritismo."
Mei recuperò veloce il pennarello, scrivendo svelta sulla
lavagna un indirizzo.
"D'accordo. Vi
ringrazio per l'opportunità e per avermi chiamato, signor
Hu. E' stato molto
gentile da parte vostra. Ci vediamo più tardi. Buongiorno."
Ci mise un attimo a posare il telefonino sul bancone,
provando a tenere la rabbia sotto controllo.
"Cos'è successo?"
Dopo cinque interminabili minuti nei quali Mei era
rimasta a testa china, appoggiata al bancone, finalmente ebbe risposta.
"Il fratello di Wenyan ha una palestra qui a Parigi.
Ieri ha ricevuto una chiamata da suo fratello, da Pechino, che gli ha
parlato
di me e mi ha raccomandato per un posto di lavoro. Per farla breve,
oggi ho un
incontro con lui, per dimostrare che sono davvero una professionista
come ha
detto Wenyan e non una sempliciotta senz'arte né parte che
ha ricevuto una mera
raccomandazione."
"E tu gli dimostrerai che sei una dannata
professionista. Perché ti ho vista in azione e so di che
cosa sei capace."
Suo malgrado Mei sorrise.
"Tu sei poco obiettivo, ma grazie."
"Posso?" Camus prese la lavagnetta e sbirciò
l'indirizzo. "Come immaginavo, è un indirizzo del
tredicesimo
arrondissement, in piena Chinatown. Ti accompagno."
Hyoga le allungò il sacchetto con le madeleine.
"Non pensarci, andrà tutto bene."
Qualche ora più tardi, quel pomeriggio dopo aver parcheggiato Lixue all'ottava casa,
Camus accompagnò Mei alla palestra prima di andare a
ritirare gli assegni e il
nuovo libro da tradurre.
"Vado e torno subito qui, impiegherò sì e no
mezz'ora." disse Camus, sporgendosi verso il finestrino del passeggero.
"Stai tranquillo, mi sa che ci metterò un po'." gli rispose,
prima di dirigersi a passo sicuro verso l'elegante portone laccato
rosso.
"Nin-hao."
Mei salutò la ragazza cinese alla reception del dojo. "Sono
ShuFang
Mei-Yin e ho un appuntamento con il signor Hu."
La giovane annuì, chiedendole di aspettare qualche minuto
nella hall mentre faceva una telefonata.
A una prima occhiata l'ambiente era molto diverso dal
dojo immerso nella natura nel quale si era abituata a lavorare;
tuttavia le
parve molto pulito e accogliente. Un incenso stava bruciando in un
apposito
incensiere intagliato e al di sopra della modanatura di ciliegio, sul
muro
intonacato con un brillante bianco, facevano bella mostra di loro una
serie di
fotografie incorniciate che rappresentavano mosse -di judo e karate,
soprattutto- scattate durante vari incontri.
"Campionati europei di due anni fa." esordì una
voce alle sue spalle. "L'inglese che ho affrontato era un vero osso
duro."
Mei spostò subito lo sguardo sul nuovo arrivato per poi
riposarlo velocemente sulla foto: poteva solo immaginare i danni che il
mawashi geri avrebbe inflitto se
avesse
colpito veramente l'avversario anziché fermarsi come era
d'obbligo in una gara
sportiva.
"Impressionante." convenne, tornando a dare la
giusta attenzione all'uomo.
"ShuFang Mei-Yin, giusto?" si sentì domandare.
"Sono Hu Sheng, il proprietario di questo dojo."
"Lieta di fare la vostra conoscenza, signor Hu."
disse Mei, rispondendo alla morbida stretta di mano di Sheng, un omone
alto
poco meno di Camus, ben piazzato e con occhi e capelli neri. Aveva
un'impressionante somiglianza con Jet Li, e la cosa la colpì
particolarmente:
d'aspetto era diverso dal fratello maggiore, che nei confronti dei
dipendenti e
degli amici aveva un atteggiamento paterno e simpatico. Sheng appariva
al
contrario più compito e ruvido.
La precedette dentro il dojo, scortandola
nel suo ufficio.
"Posso darti del tu?"
"Certo, non c'è problema. Mei
andrà benissimo." rispose Mei, con un largo sorriso.
"Prego allora, accomodati." le indicò
l'elegante e minimalista poltrona di pelle rossa dietro la scrivania.
"Oltre
alla lettera di referenze che Wenyan mi ha inviato, abbiamo parlato a
lungo di
te, al telefono. Ha detto che insegni Aikido."
"Principalmente sì. Per un breve periodo ho anche
insegnato Taijiquan come ginnastica pre e post
parto." disse
Mei. "E Judo ai bambini."
Sheng digitò qualcosa sul computer, annuendo subito dopo.
"Mio fratello scrive che sei un'ottima insegnante.
Puntuale e precisa, molto apprezzata. Paziente con i bambini."
"Molto umilmente ringrazio." arrossì Mei.
"La pazienza nei confronti delle classi infantili l'ho maturata
insegnando
a mia figlia."
"Dice che sei al secondo dan in
Aikido …" continuò a leggere l'e-mail
"…e… sei una
judoka livello yodan…e che ti intendi anche di Wing Chun."
"Sì, ma il Wing
Chun l'ho praticato solo durante l'università.
Una volta laureata ho
preferito rinunciarvi in favore dell'aikido e del judo."
Sheng appuntò qualcosa su un notes.
"Esperta di Judo e Aikido, con un breve insegnamento
del Taijiquan e qualche nozione di Wing Chun, dico bene?"
"Sì."
Annuì ancora, quindi sembrò mettere da parte il
monitor
per qualche minuto.
"Mia moglie Yukiko ha intenzione di introdurre un
nuovo corso, visto il grande afflusso di iscrizioni che abbiamo di
solito in
vista del nuovo anno scolastico: aikido e judo a parte, saresti
disposta a
insegnare di nuovo anche Taijiquan?"
"Nessun problema." rispose Mei.
"Il nostro è un dojo di discipline miste, qui si
insegnano in egual misura discipline cinesi e giapponesi. Alle prime mi
occupo
io, mentre Yukiko si occupa delle seconde, di solito. E' raro trovare lăoshī cinesi che insegnano discipline
nipponiche."
"Mio padre,
ShuFang Wei-He, era cinese da intere generazioni ed era un judoka ed un
karateka."
rispose Mei. "E' stato lui a iniziarmi alle discipline marziali: studio
Judo da quando avevo sei anni."
"Quindi da parecchio
tempo. Ottimo." disse Sheng. Lo sguardo gli cadde sulla mano sinistra
di
Mei e sorrise quando vide l'anello che portava. "Sposata?"
"Fidanzata."
lo corresse Mei, guardando di riflesso la fascia d'argento sulla quale
era
stato montato il lapislazzuli ovale che Camus le aveva regalato
pochissimi anni
prima in occasione del compleanno di Lixue, e che, secondo quanto le
aveva
detto, aveva personalmente trovato nelle vicinanze del lago Baikal in
compagnia
di Kirill e altri giovani minatori della locale miniera di lapislazzuli.
"Prima hai menzionato una figlia." disse Sheng.
"Se sono troppo curioso sei liberissima di interrompermi."
"Non c'è problema… la mia bambina si chiama Lixue
Aimée, ha sette anni e come da tradizione di famiglia, sta
studiando arti
marziali anche lei."
"Neve graziosa.
Bellissimo nome." disse Sheng. Corrugò la fronte,
ricontrollando il
computer. "Perdonami, sarò un po' cafone adesso. Sei nata
nell'85."
"Sì, compirò ventisei anni a novembre." rispose
Mei.
"Credevo fossi più giovane!"
Camus parcheggiò fuori dal dojo e guardò l'ora:
in tutto,
per sbrigare le sue faccende, aveva impiegato quasi tre quarti d'ora,
ma non
aveva ricevuto alcun sms, quindi Mei doveva ancora essere a colloquio.
Chiamò Milo per domandare di Lixue, quindi scese
dall'auto e vi si appoggiò, in attesa.
"Siamo in giro per shopping, rilassati!"
"Shopping??"
"Sì. Shaina ha avuto la brillante idea di fare
un'uscita a tre e di iniziarla al magico mondo dello shopping."
"Mon dieu."
"Oh, non preoccuparti, è tutto a posto!" gli
rispose Milo. Sentì sua figlia in sottofondo, parlare in
greco con Milo
riguardo due maglie. "Mi piace di
più quella con i gattini, tesoro. Vai a provarla con Shaina,
poi ti dico."
"Resta sottinteso, Milo, che ti restituisco quanto
speso."
"Mh? Non ho capito… cos'hai detto?"
"Hai sentito benissimo."
"Posso mandarti al diavolo a rate o preferisci in un'unica
soluzione?"
Camus sospirò.
"Non dovrebbe, ma se ti fa spendere tanto…"
"Stai tranquillo." sorrise Milo. "Oh, se
koitáxei! Eísai polý ómorfi̱!"Oh,
ma guardati! Sei bellissima!
Vide Mei fare capolino dal portone del dojo e la guardò.
"Milo, aspetta
un minuto." si sentì dire Milo mentre Lixue,
insieme a Shaina, stava guardando
un grazioso vestitino a pois. "Tutto
bene?"
"Ancora dieci
minuti, dobbiamo discutere sugli orari e arrivo."
"Tu as obtenu
l'emploi?"
Hai avuto il lavoro?
"Shì de!"
Sì!
"Bravo ma
chérie! Milo?"
Sorrise, mentre Lixue si avviava ai camerini di prova.
"Mei ha avuto il lavoro?"
"Sì. Se non ricordo male ti piaceva la cucina
marocchina, giusto?" domandò Camus.
"Ricordi bene."
"Allora domani sera porta le tue chiappe qui insieme a Shaina, abbiamo
un
paio di cose da festeggiare."
Quando Camus tornò alle dodici case per riprendersi la
figlia, la trovò mentre giocava a scacchi con Milo.
"Me voilà,
petite." si annunciò. "Si torna a casa."
"Tua figlia sa giocare a scacchi!" disse Milo,
stupito. "Mi ha battuto già due
volte!"
"Le ho insegnato a giocare l'anno scorso e migliora di
giorno in giorno."
"Ho visto."
"Non è che mi hai fatto vincere apposta, zio Milo?"
"Non mi permetterei mai, dolcezza."
"Alors,
chérie? Torniamo
a casa?"
"E se te la riportassi io, più tardi?" propose
Milo. "Giochiamo ancora un po’, poi magari la porto a fare un
giro a
Rodorio…"
"Rodorio?" chiese Camus. "Milo… ci siamo
capiti,vero? "
"Stai tranquillo…"
"Quando ci sei tu di mezzo, io non
sto tranquillo."
"Diffidente."
"Quando poi avrai dei figli tu, ne
riparleremo." disse Camus. "Allora ci rivediamo dopo, tesoro."
"Ciao, papà."
"…e Lixue?" chiese Mei.
"Milo mi ha chiesto di lasciargliela ancora un po’,
stanno giocando a scacchi." spiegò Camus. "Come vi siete
accordati
per il lavoro?"
"Inizierò a settembre. Taijiquan tre volte a
settimana come corso pre-parto, Judo ai bambini e aikido alle donne
ogni
pomeriggio, con circa sei ore di lavoro al giorno."
"Ottimo."
"E tu?"
"Io ho ritirato gli assegni e il nuovo romanzo da
tradurre." disse Camus. "Ma non è di questo che volevo
parlarti."
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 30
settembre 2014)
-Wenyan e Sheng sono fratelli; il primo è il datore di
lavoro che Mei aveva in Cina, e il secondo è quello che Mei
ha a Parigi. Come
per ogni altro personaggio che tratto, anche per loro due mi sono
divertita a
immaginarli con le sembianze di certi attori. Per Wenyan, Jackie Chan
mentre
per il fratello minore, Sheng, Jet Li, uno straordinario attore di
Pechino,
famoso in occidente per i suoi ruoli d'azione, oltre a essere un ottimo
artista
marziale. Tra i suoi film più famosi figurano Hero, Fearless
e La mummia - La
tomba dell'Imperatore Dragone. Ma se non siete fan dei drammoni cinesi
come
invece lo sono io, sicuramente l'avrete visto solo in quest'ultimo.
Correggendo questo m'è venuto in mente che è
l'ultimo
capitolo a subire un restyling leggerissimo, dato che i prossimi
subiranno un
cambiamento radicale. Non so come diamine ho fatto a lasciarmi
convincere a
stravolgere i miei personaggi e, soprattutto, a creare quel bashing
incontrollato su Saori, Seiya e Hyoga.
Help. Ma poi… su Freya. Dico… Freya. Dopo Shunrei
una dei personaggi più dolci
dell'anime! Come ho potuto? XD
Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 15 *** Nient'altro che noi. ***
capitolo 15 principale
15.
Nient'altro
che noi.
"Stai guardando il mio piatto di pasta come se fosse
un T-Rex pronto a divorarti senza pietà."
Mei sollevò lo sguardo dal piatto, schiarendosi la voce e
guardandosi velocemente intorno nel riservato e piuttosto elegante
ristorante
italiano del primo arrondissement.
"Quando hai ordinato le speciali linguine marinare
della casa, non avevo idea fossero… nere."
rispose, tornando a mangiare le proprie lasagne. "A questo punto, sono
contenta di non aver risposto al cameriere con un per
me, la stessa cosa."
Camus sorrise.
"Sono al nero di seppia." le rispose. "Mai
mangiate?"
"A dire il vero, no."
"Io le ho scoperte con Death e una cena italiana al
Santuario. Superato l'impatto iniziale, sono piuttosto buone.
Assaggia."
le propose, girando una forchettata e avvicinando la forchetta a Mei.
Preso coraggio, le annusò, prima di decidersi ad
assaggiarle.
"Sono un po'… come dire… forti." rispose Mei.
"Ma tutto sommato, non male. La mia metà italiana del nord
apprezza questi
sapori del sud."
"Non sapevo che la tua metà italiana fosse
originaria del nord." rispose Camus, stupito. "Ero convinto fossi
conterranea di DeathMask."
"Siciliana, intendi? No. Ho visitato Palermo una
volta sola, seguendo mia madre in teatro, e purtroppo non ci sono mai
più tornata.
Sappi che tua suocera era astigiana, e che la cosa più
italiana che abbia mai
mangiato è stato un ottimo risotto al Barolo. Delizioso."
rispose Mei.
"Cucinato da mia madre, tra l'altro, non consumato in qualche locale.
Prima o poi ti parlerò della mia famiglia d'origine."
Camus riprese il filo del discorso.
"Dovremmo parlare di un po' di cose, a dire il
vero." annuì. "Ti ho portata qui sia per festeggiare questa
nuova
vita qui e il tuo lavoro, sia per parlarti di una cosa un po'
particolare."
"Dimmi."
"Ricordi quando anni fa ti portai all'isba, ma
arrivò Hyoga a rovinare l'atmosfera che avevo con tanta
fatica cercato di
creare?"
Mei ridacchiò appena.
"Lo ricordo eccome. Soprattutto la tua espressione
quando arrivò Hyoga."
"Appunto. Oggi Hyoga e Freya mi hanno chiesto il
permesso di portare Lixue a Disneyland… Freya ha prenotato
un soggiorno
all'incirca per ferragosto e stavo pensando, sempre se tu hai voglia,
di
trascorrere qualche giorno da soli, noi due, mentre nostra figlia sta
con loro
due." propose Camus. "Non appena tornano, noi faremmo ritorno qui o
ad Atene per proseguire le vacanze."
"Come hanno fatto a trovare una stanza dentro il
parco con così poco preavviso? Siamo in alta stagione."
"Beh, non credo siano in molti a potersi permettere
un soggiorno in una super-suite da 180 metri quadri dove anche
respirare ha un
costo." rispose Camus. "Ancora non l'ho detto a Lixue, ma sono sicuro
che non starà nella pelle all'idea di dormire nella suite
della Bella
Addormentata, con tanto di giornata da principessa delle fiabe."
Mei sospirò.
"E in tutto questo mi stai dicendo che potremmo
davvero trascorrere qualche giorno da soli, isolati dal resto del
mondo, mentre
nostra figlia si diverte a Disneyland?"
"Sì."
"Ma è fantastico! Quando si parte?"
"Bisognerà procurarti dei vestiti molto pesanti
allora, perchè ti porto all'isba. È tanto tempo
che desidero farlo, non dirmi
di no."
"D'accordo."
"Ti va davvero?"
Si sporse verso di lui, intrecciando la mano alla sua. "Certo
che mi va."
Proprio come aveva previsto, Lixue si dimostrò
incredibilmente su di giri all'idea di quella vacanza: nei giorni che
avevano
preceduto la partenza, per lui e Mei fu complicato tenerla tranquilla.
Non lo
diede a vedere, ma anche lui, esattamente come la figlia, si era
scoperto impaziente
di partire per quella piccola parentesi all'isba.
**
Prima di partire Mei ricontrollò per l'ennesima volta la
casella sms del telefono, in attesa di notizie di Lixue: stava bene? Le
aveva
dato abbastanza ricambi dietro? Era contenta di trovarsi in vacanza con
Hyoga e
Freya? Aveva già fatto delle foto con le principesse dei
cartoni animati?
"Rilassati, è in buone mani, stai tranquilla!"
le disse Camus, facendo il giro per la cucina controllando se avesse
chiuso il
gas e l'acqua.
"Lo so che è in buone mani, ma è la prima volta
che
siamo così lontane e sono un po' preoccupata."
"Eri preoccupata anche quando era con me?"
"Ma che c'entra, tu sei suo padre..."
"Posa quel telefono, è un ordine." scherzò lui,
cingendole la vita con un braccio.
"C'è solo
un posto dove prendo ordini dal mio uomo. E non è questo."
replicò Mei,
sussultando subito dopo; superato il solito
sconquassamento allo stomaco
dovuto allo spostamento alla velocità della luce e non
appena ebbe avvertito un
intenso profumo di resina e quello acre e caratteristico della legna
che
ardeva, aprì gli occhi nella sobria casetta russa,
trovandola quasi esattamente
come si ricordava: l'enorme camino di pietra protagonista indiscusso
della
stanza non era cambiato di una virgola, il tappeto a fantasia blu e
rosso era
sempre più smorto, il divano blu e i suoi cuscini erano
ancora lì insieme al
tavolo con le sedie, alle cassepanche e agli armadietti di betulla
grezza, agli
attrezzi e il porta ciocchi accanto al camino.
"Non so perché, ma sento che qualcosa è cambiato
qui, da quell'unica volta." constatò Mei, guardandosi
intorno mentre Camus
controllava il fuocherello che Kirill, su sua richiesta, aveva acceso
prima del
loro arrivo. "Per cominciare non è una ghiacciaia."
"Kirill e suo padre sono venuti qui circa un paio
d'ore fa per sistemare la legna e accendere il camino, e per fare un
paio di
cose affinché la casa fosse il più accogliente
possibile." le spiegò
Camus, notando in un angolo una bombola di gas e le altre cose
richieste a
Kirill in anticipo.
"Missione compiuta." sorrise Mei, togliendosi
di dosso l'enorme mantello blu notte che Freya aveva insistito nel
prestarle
insieme a una valigiona con i suoi abiti più pesanti, quelli
che di solito
usava ad Asgard dalla sorella Hilda.
"Domattina andremo all'emporio così da prendere
provviste per questi giorni e così da farti vedere questi
posti e farti capire
perché li amo tanto."
"Sì, mi piacerebbe." come aveva previsto anni
prima, la stanza collegata al salone principale era una sorta di
cucina; sui
fornelli alimentati da una bombola di metano nascosta dietro uno dei
pensili in
betulla –nemmeno a dirlo- faceva bella mostra di
sé una grande pentola di
coccio e, su un ripiano, un cesto di vimini con delle vettovaglie.
Intinse un
mestolo nella zuppa contenuta nella pentola di coccio e
l'assaggiò. "Accidenti, chi ha cucinato questa meraviglia?"
"Vorrei prendermi il merito, ma stavolta la soljanka
non l'ho cucinata io. Credo sia
opera di Zoya, la quasi moglie di Kirill."
"Quasi moglie? Fidanzata
è un termine ormai caduto in disuso?"
"Quasi moglie perché
hanno
dovuto rimandare il matrimonio per ben due volte." le rispose Camus,
dal
piano di sopra.
"Una bella seccatura." commentò Mei.
"Ripensamenti?"
Sentì una risatina.
"No, motivi vari. Uno di questi motivi ha tredici
mesi e si chiama Ivan e l'altro motivo si chiama Valentyna, che invece
ha solo
ventuno giorni. Con ogni probabilità li conoscerai domani,
ormai Zoya trascorre
più tempo con Kirill e l'emporio piuttosto che nella bottega
da sarti della sua
famiglia." le spiegò, tornando di sotto.
"Chissà che pandemonio è scoppiato quando la
ragazza
è rimasta incinta."
"Pandemonio? Fu uno scandalo!" rispose Camus. "Era dai tempi
dell'affondamento del peschereccio che la gente non parlava
così tanto."
"Addirittura!"
"Kobotec è un paesino di mille anime o poco
più… e
come in tutti i paesini, le voci corrono piuttosto rapidamente,
così come le
cattiverie."
Se una ragazza del luogo rimasta incinta prima del
matrimonio destava così tanto scalpore, dunque che cos'era
successo quando
avevano scoperto che il loro Maestro aveva messo incinta una ragazza
straniera
senza sposarla?
Minimo, l'avevano etichettata come una donnaccia dai
bassi valori, per usare un eufemismo.
"Dunque… non oso immaginare che cos'abbiano potuto
dire rispetto a me e Lixue…"
"Anche fosse fanno bene attenzione a non parlarne in mia presenza."
"E che cosa devo aspettarmi domani? Occhiate di
traverso? Parole velenose sussurrate al mio passaggio? Acqua benedetta
addosso?"
"Niente di tutto ciò." rispose lui, non cogliendo l'ironia
sull'ultima domanda. "Queste persone sanno che di cosa sono capace.
Sarebbe sciocco da parte loro criticarti in mia presenza. Dohko una
volta mi
raccontò di una leggenda legata al Sacro Dragone del
Goro-Ho, secondo il quale
egli va su tutte le furie con lo scellerato che abbia l'ardire di
toccare la
sua scaglia più preziosa e che
lo
uccida senza nessuna pietà. Beh, per natura sono poco
incline a uccidere, ma
sanno perfettamente, a Kobotec, che se voglio posso scatenare una
tempesta di
neve e ghiaccio di dimensioni epiche."
Mei arrossì e
sorrise.
Dopo l'ottima cena preparata dalla nuora di Nazar, Mei
lesse un po', lasciando stare le incombenze domestiche su insistenza di
Camus.
"Cosa stai leggendo?" Mei alzò appena lo
sguardo dal libro, e Camus capì di averla interrotta in un
punto cruciale.
"La Psichiatra." rispose lei.
"L'ho finito in un giorno." le disse. "Ti
assicuro che non crederai ai tuoi occhi."
"Prova a farmi spoiler e ti mando in bianco, parola
mia."
"A proposito… dove preferisci dormire? Qui o di
sopra, dove in teoria dovrebbe fare meno freddo?"
Avvolta nel pesante plaid di lana grezza, sotto al quale
indossava un pigiama di flanella e un paio di calzettoni di ciniglia,
Mei
rabbrividì appena.
"Secondo me, sei troppo vestita. Disperdi il calore
in troppi strati di stoffa."
"Sto bene così. Quando sei qui, di solito dove
dormi?"
"Ma dipende. A volte scavo un igloo fuori, nella neve, e mi ci sdraio
nudo."
Mei inarcò un sopracciglio.
"…scherzavo. Potrei scavare un igloo nelle coperte e
sdraiarmi nudo là dentro."
"Ecco, questo suona molto meglio."
Sistemò il frangifiamma davanti al camino dopo aver
aggiunto un altro ciocco, e la raggiunse.
"Di solito dormo sopra, perché il caldo tende a
salire: qui staremmo bene per qualche ora, ma domattina sentiresti
freddo."
"Vada per il piano di sopra, dunque."
La scaletta che portava al piano di sopra era stretta e
un po' ripida, ma non era affatto un problema; una volta su, si
trovò in un
locale buio, illuminato dalla fioca luce che proveniva da sotto.
"Intimo e tranquillo. Mi piace!"
"Adesso.
Dovevi essere qui anni fa, con due marmocchi sotto gli otto anni come
allievi…
altro che tranquillo." rispose Camus, accendendo una lampada a
paraffina e
diffondendo una gradevole luce nella stanza, che permise a Mei di
guardarsi
intorno.
Ampia quasi quanto la stanza inferiore, le dava però
l'impressione che fosse più piccola per via del tetto
spiovente; allineati a
una parete, due letti piuttosto spartani coperti da un telo, ai piedi
di questi
due cassepanche contenenti coperte e pellicce, una cassettiera ampia a
dividere
i letti, una scrivania dall'aria pesante e parecchie mensole. Su una
intravide
qualcosa, ma la luce era troppo fioca per distinguere l'oggetto.
"E qui dormo io." le indicò un rustico letto da
una piazza e mezza, la cui base fungeva da contenitore con diversi
cassetti.
"Posso scegliere in quale letto dormire?"
scherzò Mei, indicando i due letti gemelli.
"Come?"
"Hai detto che qui dormi tu, quindi io dove dovrei dormire?"
"Vuoi davvero una risposta?"
"No, credo di no."
"Se proprio hai freddo, ci sono delle pellicce, là
dentro… mal che vada, ho ancora le vecchie, care borse per
l'acqua calda, in
bagno." le disse, vedendo Mei rabbrividire a contatto con le lenzuola
fredde. "Come dietro la cascata, ricordi? C'era umidità anche allora."
"Sì." convenne Mei, tirando le lenzuola e le
pesanti coperte di lana fin quasi al naso; sentì Camus
distendersi e stringersi
a lei, circondandole la vita con un braccio. "Ammettilo che ti stai
stringendo perché hai freddo."
"No, sto seguendo le istruzioni del corso di
sopravvivenza: mantenere il calore corporeo il più possibile
addosso senza
disperderlo inutilmente."
"Perciò io dovrei spogliarmi così da non sprecare
calore ma, anzi, condividerlo con te?"
"Impari in fretta."
Mei sorrise.
"Bel tentativo, ma no. Notte!"
*
L'oggetto che aveva a malapena intravisto la sera prima
su una delle mensole era un vecchio giocattolo in legno, composto da
più pezzi.
Corrugò la fronte nel notare quanto fosse consumato, e di
come la vernice della
locomotiva fosse scrostata in più punti. Girandolo
sottosopra, scoprì una
scritta, nell'inconfondibile calligrafia di un bambino.
"Isaac."
lesse. "Chi era Isaac?"
Dal piano di sotto Camus si schiarì la voce.
"Il mio primo allievo."
"Ah. Abita tanto lontano? Lo vorrei conoscere."
Per qualche attimo non ricevette alcuna risposta, tanto
che, preoccupata, si sporse per le scale guardando in direzione della
cucina.
"…tutto bene?"
"Isaac non c'è più." spiegò Camus, in
un
soffio. "Da parecchi anni."
Sentendosi come un elefante imbizzarrito dentro una cristalleria di
Boemia, Mei
tornò a posare il trenino sulla mensola, prima di scendere
da basso.
"Scomparve nel lago ghiacciato nel tentativo di
salvare Hyoga." le raccontò. "Poi Hyoga mi disse che non era
morto,
era stato arruolato nell'esercito
di
Poseidone."
All'epoca, non senza una buona dose di rimorso, aveva
pensato che sarebbe stato mille volte meglio saperlo morto che tra le
fila
nemiche.
Si schiarì la voce, serrando poi gli occhi per non
piangere.
"Non lo sapevo, nessuno mi ha mai detto niente a
riguardo. Non volevo risvegliare brutti ricordi. Ti chiedo scusa."
disse
Mei. "Credo che ora sia il caso di andarmi a vestire, prima di
combinare
altri guai."
Preso il valigione di Freya, un trolley gigantesco di
pelle verniciata fuxia scuro, iniziò a trascinarlo un
gradino alla volta su per
la scaletta.
"Pensa te… una valigia simile l'ho vista in un
negozio a Hong Kong, tempo fa…" esordì, cercando
di stemperare la tensione
di poco prima. "Dovresti vedere, sembra una Vuitton originale."
Da basso, lui sorrise.
"E' una
Vuitton originale." rispose. "Non riesco a immaginare Freya o sua
sorella fare acquisti di valigie tarocche in un negozio a Kowloon."
"…"
Dieci minuti dopo, sentì la zip della valigia richiudersi
e Mei scendere.
"Finalmente, stavo diventando vecchio." la
prese in giro. "Ti sei truccata per una visita al villaggio?"
"Non per vanto, ovviamente. Freya mi ha consigliato di proteggere gli
occhi dai raggi solari perché il riverbero sulla neve gioca
brutti scherzi. Non
sto bene così truccata?"
"Sei più bella senza." le rispose semplicemente.
"Grazie." sussurrò Mei. "Temo ti ci vorrà
tutta la sera per spogliarmi di questi abiti." aggiunse poco dopo con
una
punta di malizia, mentre si calcava il pesante cappello sulla testa.
Sorrise
nel vedere il lungo cappottone nero inchiostro di Freya. "Non
assomiglio a
Trinity?"
Senza farsi vedere, Camus alzò gli occhi al cielo.
"So di essere pignolo ma Trinity se non sbaglio
vestiva latex nero, non bunad
norvegesi di panno blu."
"Questo è vero." convenne Mei. "Beh, in
fondo nemmeno tu sei Keanu Reeves, quindi…"
"Eh già. Anziché Neo, ti toccherà
sopportare
me." le disse, prima di aprire la porta. "Coraggio, andiamo."
Varcata la porta di casa, il bianco più totale.
"Oddéi." mormorò Mei, ignorando lo scricchiolio
delle travi della stretta veranda che dava sull'esterno.
"Quest'esclamazione è dovuta al freddo o al
panorama?"
Ovunque posasse lo sguardo vedeva solo neve. Quella sulle
catene montuose lontanissime all'orizzonte, quella che copriva il
mancorrente
della veranda, quella che, a terra, minimo arrivava alle ginocchia.
"Entrambe le cose." rispose, mentre il fiato
disegnava una nuvoletta di vapore.
"Tirati su la sciarpa e copriti bene le
orecchie." disse Camus, muovendo un paio di passi e affondando nella
neve
fresca fino alle ginocchia, esattamente come aveva previsto. "Gelarsi
qui
è questione di pochi attimi."
"A casa nevicava, sì, faceva anche freddo, ma non
così… quanti gradi ci saranno?" Camus la prese in
braccio. "So ancora
camminare, sai?" protestò Mei.
"Accettare un gesto romantico, ogni tanto? No?"
le sorrise, camminando senza difficoltà nella neve alta fino
ad arrivare a una trojka. "La vostra carrozza, madame."
"Salgo solo se posso sedere a cassetta, però."
disse Mei. "Indosso i vestiti di una principessa, ma ti ricordo che non
lo
sono. Né mi piacerebbe esserlo."
"Come desideri, mia signora." le rispose,
aiutandola a salire e girando intorno ai cavalli per salire dall'altra
parte.
"Come si suol dire: ogni vostro desiderio
è un ordine."
"Stai attento a che cosa dici, Cam. Potresti non
avere forze sufficienti per
esaudire
tutti i miei desideri." gli rispose, prima di tirarsi la sciarpa fin
sul
naso.
Durante tutto il tragitto fino al villaggio, Camus ne
approfittò per raccontarle aneddoti e curiosità
legate a certi posti o certe
case, assicurandosi di tanto in tanto che fosse abbastanza coperta.
"Se mi accorgo che hai freddo, ti siedi
dietro."
"Se sento freddo, te lo dico." rispose Mei,
paziente. Si accoccolò contro di lui, godendosi il paesaggio.
Una volta arrivati a destinazione, Mei si accorse di come
il tempo, in quel luogo, si fosse quasi cristallizzato in una bolla
dove il
tempo scorreva molto più lentamente del normale.
Camus fermò la trojka davanti a un edificio piuttosto
pittoresco, scese e dopo aver assicurato i cavalli a una trave, le si
avvicinò.
"Ecco l'emporio, così potrai scaldarti un po'.
Aspetta, ti aiuto a scendere." disse Camus. Allungò le
braccia
afferrandola saldamente per i fianchi e la sollevò come se
non avesse peso,
posandola a terra.
"In questo momento mi sento parecchio Scarlett
O'Hara."
"Pensavo di più a Lara, a dire il vero."
rispose Camus, allegro, ricevendo in risposta uno sguardo torvo.
"Lara è la donnaccia che ruba il marito a Tonja.
Scarlett, testa di rapa o meno, non ha mai portato via un uomo sposato
a sua
moglie."
"In effetti in quanto a caratteraccio assomigli di
più a Scarlett che a Lara." convenne Camus, divertito. Di
colpo, però, il
suo sguardo si fece gelido, nel guardare qualcosa, o qualcuno,
dietro di lei.
"Cosa c'è?"
"Nulla. Nulla, vieni." le tenne aperta la porta
dell'emporio quindi, dopo un altro sguardo di ghiaccio, la
seguì nel locale.
"Nazar, amico mio!"
Si avvicinò discretamente alla vetrina scostando appena
un lembo della pesante tenda rossa e vide, dall'altra parte della
strada, un
uomo sulla sessantina ricurvo su un bastone, con uno sguardo malevolo
che le
mise i brividi addosso.
"Chi è quell'uomo?" domandò a bassa voce,
quando Camus l'aiutò a sfilarsi mantello e cappotto per
appenderli insieme al
suo a un attaccapanni dietro al bancone dove Nazar stava versando dei
bicchierini di vodka.
"Oleg Sergeevič Rybakov: il più grande figlio di
buona donna della Siberia Occidentale." le rispose, sempre a bassa
voce.
"Mi sentivo i suoi sguardi addosso, prima di entrare
qui."
"Mi segue come uno stalker ogni volta che metto
piede a Kobotec. Non ce l'ha con te, stai tranquilla."
"Esattamente quale parte della tua risposta dovrebbe
farmi stare tranquilla?" domandò Mei.
"E' un dannato bastardo con la faccia arcigna, ma è
del tutto innocuo." rispose Camus, circondandole le spalle e
sospingendola
gentilmente verso il bancone. "Scusaci se ti sentirai esclusa dalla
conversazione, ma Nazar parla un francese pessimo e tu non parli russo.
Farò da
traduttore."
Camus fece le dovute presentazioni e Mei rispose
pazientemente alle domande che Nazar le fece mosso a
curiosità, finché poi non
iniziarono a parlare tra di loro di cose riguardanti il villaggio e lei
si fece
da parte lasciando i due uomini tranquilli a parlare e bere.
"Voi siete la moglie del Maestro?" le domandò
una ragazza, cogliendola di sorpresa. "Perdonatemi, non volevo
spaventarvi. Mi chiamo Zoya, sono la nuora di Nazar."
"Mei." si presentò, sorridendo alla giovane.
"Sono felice di conoscervi! Venite vicino al fuoco,
vi scalderete mentre Kirill provvede alle provviste che vi servono."
continuò Zoya, parlando in un francese pressoché
perfetto, accompagnandola sul
retro dell'emporio, dove Mei vide la trojka con la quale erano arrivati
lì e un
ragazzo dell'età di Hyoga tutto impegnato a caricare legna e
vari generi
alimentari; poco distanti dal piccolo caminetto acceso vide un bimbo
seduto in
un seggiolone e una neonata in una culla.
"Sono i vostri figli?" domandò Mei, pur
conoscendo la risposta. "Posso?"
"Ivan e Valentyna." annuì Zoya, prendendo in
braccio la neonata e posandola tra le braccia di Mei. "Anche voi avete
figli."
Non era una domanda, e ciò significava che sicuramente anche
Zoya ne sapeva abbastanza, tuttavia Mei sorrise colma d'orgoglio quando
pensò
alla sua Lixue.
"Una bambina di sette anni, di nome Lixue… che in
cinese significa neve graziosa. La
chiamai così perché nacque durante una notte
particolarmente nevosa."
spiegò Mei, guardando la ragazza filtrare una bevanda calda
in due tazze.
"Avete due figli bellissimi."
"Vi ringrazio. E vostra figlia è qui a Kobotec con
voi?"
"No, in questo momento si trova con Hyoga e con la
sua fidanzata." rispose Mei, richiamando l'attenzione di Kirill, che si
fermò un istante nel sentire il nome dell'amico.
"Oh. Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscere anche
vostra figlia. Quando il Maestro tornava in paese con la bambina non
veniva
certo a far visita alla bottega di mia madre. Sapete, è una
sarta." spiegò
Zoya, porgendole una tazza colma di un liquido scuro e dal forte
profumo di
ciliegia.
Camus nel frattempo si era aggiornato sulle ultime
notizie del villaggio, gentilmente messe a disposizione da Nazar che,
grazie a
quell'emporio che fungeva anche da bar e luogo di ritrovo, ne conosceva
davvero
una più del diavolo.
"Hyoga come sta? Vive ancora con te o ha preso il
volo?"
"In un certo senso, entrambe le cose. La sua fidanzata ha comprato casa
accanto a me, ci separa solo una porta." rispose Camus. "Ma a me va
bene così."
"E' sempre insieme a quella Freya, giusto? La
sorella della regina Hilda di Asgard?"
"Sì."
"Sento un ma in
sospeso."
"Non ti sfugge niente, eh?" gli disse, senza
tuttavia rispondere alla domanda. Non avrebbe sicuramente detto a Nazar
dei
dubbi che aveva nei confronti dell'ingombrante cognata di Hyoga. Quando
aveva
scoperto che Freya aveva comprato casa a Parigi per iniziare una vita
autonoma,
non aveva reagito granché bene.
"Pensano di mettere su famiglia? Hyoga è già
abbastanza vecchio."
Camus sorrise: per gli standard di Kobotec avere quasi
ventun anni e non essere ancora sposati era impensabile, si era
già vecchi.
"Se Hyoga è vecchio alla soglia dei ventun anni, io allora
cosa
sono?" ridacchiò.
"Ma tu sei già sistemato, e anche bene, vedo."
rispose Nazar, diplomatico. "A proposito… e la tua bambina?"
Dal portafogli Camus prese una foto che ritraeva Mei e Lixue insieme,
scattata
ad Atene la sera in cui erano partite da Pechino e gliela porse.
"Hey! Ma è già così grande? Cresce a
vista d'occhio!"
"Oh già. Ha sette anni."
"Parola mia, questa ragazzina ti ha rubato la
faccia!" esclamò Nazar, guardando Lixue. "E' la tua goccia
d'acqua!
Vero, Kirill? Guarda un po'."
Il ragazzo s'avvicinò e sbirciò la foto.
"Non per gli occhi però."
"Ringraziando il cielo, gli occhi di sua madre sono
più belli dei miei." rispose Camus, accendendosi la
sigaretta che Nazar
gli aveva offerto poco prima. "A proposito di Mei…"
"E' sul retro con Zoya e i miei nipoti." lo
informò Nazar, anticipando la sua domanda. "Pare una brava
ragazza."
"Non per vantarmi, ma è una bambina dolce e studiosa
e io sono profondamente fiero di lei." rispose Camus, con una luce
particolare negli occhi. "Soprattutto quando mi batte a scacchi.
Succede
poche volte, ma succede."
"Ovviamente, perché suo padre ha avuto un ottimo
maestro." commentò Nazar.
"Questo è vero." convenne Camus. "Anche
se, a essere sincero, ti ho superato e già da un pezzo."
"Hey, chi credi di essere? Aleksandr
Alechin? Potrei batterti anche bendato, ragazzo mio."
replicò Nazar, fingendosi offeso. "Deve ancora
nascere colui che
può superare il vecchio Nazar Fyodorovič Kasparev!"
"La prossima volta che vengo in visita a Kobotec
porto anche mia figlia, e ti dimostrerò che quella persona
è già nata!"
Nazar scoppiò a ridere divertito e per niente offeso
dallo scambio di battute, e Camus lo seguì pochi secondi
dopo.
"Comprendo bene la venerazione che hai nei confronti
di tua figlia, ma io parlavo della tua fidanzata." precisò.
"Sono
sicuro che è la brava ragazza che sembra a prima vista."
"Lo è." rispose Camus. Se a fare quell'affermazione fosse
stato
qualcun altro, avrebbe risposto a tono, con un filo di rabbia
malcelata. Ma
conosceva Nazar da tantissimo tempo, e sapeva che il tono della sua
voce era
paterno, non critico.
Nazar rabboccò i bicchierini di vodka.
"E anche lei, ti rende fiero?"
"Di più. Mi rende felice, ogni giorno." rispose
Camus, vuotando il proprio bicchierino e posandolo girato sul bancone,
segno
che non intendeva bere più.
Nazar si sporse verso di lui e, preso il volto tra le sue
vecchie mani rugose, gli posò un paterno bacio sulla fronte.
"Sono contento per te, te lo meriti." mormorò.
"Posso tenere la foto?"
Camus prese una seconda foto dal portafogli, dove tutti e
tre erano ritratti seduti sugli Champs de Mars, e gliela porse,
appuntandosi
mentalmente di stamparle di nuovo una volta tornati a casa.
"Certo." rispose, guardando il vecchio amico,
tutto contento, prendere delle puntine da disegno e appuntare le foto
sul
grande tabellone di sughero dietro il bancone.
Poco dopo Kirill lo informò che le provviste richieste
erano tutte caricate sulla trojka, e Camus spense il mozzicone su un
posacenere, scendendo dallo sgabello. "Mei?" non ottenendo risposta,
si diresse verso il retro. "Posso?"
"Non devi nemmeno chiederlo." sorrise Nazar,
mentre qualcuno entrava nell'emporio.
La trovò seduta accanto al camino, mentre beveva mors e parlava con Zoya; in braccio
teneva ancora la neonata, e in quel momento gli parve di trovarsi
dentro il
dipinto nel quale James Sant, pittore di corte della regina Vittoria,
aveva
ritratto moglie e figlia.
"Ciao, ometto!"
esordì in russo, salutando Ivan con una paterna carezza
sulla testolina prima
di avvicinarsi a Mei e la piccola.
"Mi hai chiamato? Non ti ho sentito, scusami."
"Stai tranquilla." le sorrise. "Ciao
principessina."
"Vuoi prenderla un attimo?" mormorò Mei.
Annuì, girandosi verso Zoya.
"Zoya, posso…?"
Mei gli passò la bambina di modo che poggiasse la
testolina contro il suo cuore.
"Non girarla, tienila così. Quando sentono il
battito cardiaco si calmano."
Sorrise con dolcezza alla neonata che gli aveva afferrato
due dita, con lo stesso sguardo intenerito che gli aveva visto quel
lontano
giorno di sette anni prima al Goro-Ho, con Lixue.
"I vostri
figli sono bellissimi, ragazzi."
Mei avrebbe giurato di aver visto gli occhi del fidanzato
inumidirsi.
"Vieni Mei, dovrei darti un paio di cose."
disse Zoya, invitandola a seguirla.
"Avete solo una figlia, Maestro?" domandò
Kirill.
"Per adesso sì." rispose Camus, senza
distogliere l'attenzione da Valentyna.
"E non ne volete altri?"
"Sì, è tanto tempo che desidero altri figli."
"E che cosa aspettate allora?"
"Beh, non dipende solo da me." rispose,
allungandosi per prendere il bicchiere di mors che Mei aveva lasciato
sul
tavolino.
Kirill incrociò le braccia sul petto.
"Come no?"
Nazar interloquì regalando al figlio uno schiaffo sulla nuca.
"Non può mica montarla come una puledra e costringerla
con la forza!"
Quasi gli andò di traverso il sorso; era una fortuna che
Mei non avesse sentito –più fortunato ancora era
il fatto che non comprendesse
una sola parola di russo-, conoscendola avrebbe risposto a modo suo,
indignata.
"Ma non intendevo dire questo!" Kirill arrossì
finché il suo viso non divenne bordeaux come il maglione che
indossava. "Io…
io volevo dire che… cioè… okay, torno
alle mie faccende."
Camus alzò la mano in un gesto appena accennato.
"Ho capito che cosa intendi dire… ma certe cose si
decidono in due. Non posso mettere incinta mia moglie senza avvertirla
delle
mie intenzioni." rispose. Primo, perché non era quel genere
d'uomo e
perché rispettava troppo Mei per farle una cosa del genere;
secondo, perché Mei,
come minimo, l'avrebbe evirato.
La neonata si mosse inquieta e decise di posarla nella
sua culla, augurandole un buon riposo, proprio mentre Mei e Zoya
facevano
ritorno.
"Torniamo a casa, tesoro?"
"Hai visto? Siamo sul Kobotec Wall
of Fame." scherzò Camus, dispiegandole il cappotto per
aiutarla a infilarlo. Le indicò con un cenno del capo il
tabellone di sughero
dietro il bancone, dove poco prima Nazar aveva affisso le loro foto,
insieme a
tantissime altre, per lo più in bianco e nero rovinate dal
tempo. Molte di
queste ritraevano giovani in divisa militare o intere famiglie composte
da più
generazioni ritratte insieme, qualcuna ritraeva giovani coppie o
ragazze del
luogo, altre donne più mature.
"Quella donna con il colbacco bianco, vedete…" le
indicò Nazar in un francese stentato senza muoversi dal
bancone al quale era
seduto "… quella era mia moglie, la mia bella Katin'ka."
Una donna carina, che al momento dello scatto non doveva
essere poi tanto più vecchia di lei.
"Qui doveva essere molto giovane. Era molto
bella." rispose a Nazar, sorridendo.
"Ha detto che era molto giovane e bella." tradusse
Camus, notando Nazar in difficoltà col francese di Mei.
"Vi ringrazio, madam.
Quando se n'è andata ha lasciato un vuoto incolmabile in
me…"
"Si conoscevano da quando erano bambini: sposati
giovani e separati troppo presto." sussurrò Camus.
D'un tratto, nella miriade di volti e sorrisi, incrociò
uno sguardo che conosceva molto bene, ritratto in due foto distinte: un
primo
piano e una foto di coppia.
Il primo piano ritraeva una bellissima donna bionda con i
capelli lasciati sciolti sulle spalle vestita con un abito molto
pesante, del
tutto priva di trucco e, da quanto s'intravedeva, con una collana come
unico
ornamento. La seconda foto ritraeva la stessa ragazza in abiti
più eleganti,
insieme a quello che Mei avrebbe giurato essere… Hyoga.
"Credo d'avere le traveggole: ho visto Hyoga in questa
foto ma… ovviamente non può essere lui."
Camus chiamò Nazar, parlando in un russo molto fitto,
indicando le due foto e nominando Hyoga un paio di volte.
"Dice che quello era suo padre, come avevo
immaginato… ho chiesto se potevo prendere le due foto per
poterle copiare, mi
ha risposto che posso tenere le originali perché
è giusto che sia Hyoga ad
averle." rispose, staccando le due foto dal muro con grande attenzione.
Dietro, due date: la foto di Natassia recava la data Gennaio 1986, la
seconda,
con entrambi i genitori di Hyoga, Settembre 1990, pochi mesi prima
della
nascita di Hyoga. Il pancione di Natassia era decisamente visibile
sotto i
colorati abiti tradizionali.
Nazar riprese a parlare, e Mei attese pazientemente che
Camus le traducesse il tutto.
"Dice che il padre di Hyoga è morto a fine novembre,
due mesi dopo questa fotografia, e che la famiglia si è
totalmente
disinteressata della sorte di Natassia e del loro nipotino, grazie
anche a un
vespaio creato da Oleg."
"Però. Proprio brave persone." mormorò Mei,
sottovoce.
"Dei maledetti figli di buona donna, Oleg per primo."
sbottò Camus, arrabbiato. "Natassia avrebbe potuto salvarsi."
"…per poi morire di crepacuore vedendo gli uomini di
Mitsumasa Kido portarsi via suo figlio. Non crucciarti per qualcosa che
comunque non può essere cambiato… in un certo
senso meglio così, annegata per
aver ceduto il posto a Hyoga, piuttosto che nell'altro modo: il
pensiero che
qualcuno possa portarsi via tuo figlio è un pensiero troppo
devastante per una
madre. E' così che se n'è andata Joséphine, il
cuore non ha retto all'idea di
averti perso per sempre. Fidati, sono una madre, certe cose le capisco
meglio
di te."
*
"Sei silenzioso da quando abbiamo lasciato
l'emporio. La vodka di Nazar ti ha annodato la lingua?"
Camus si schiarì la voce.
"Stavo pensando."
"Alle foto di Hyoga?"
"No, stavolta non c'entra lui. Pensavo a quando ti ho visto nel retro,
con
la piccola in braccio."
Mei sorrise intenerita, stringendosi a lui.
"Che meraviglia, tenere in braccio una neonata così
piccola. Era così morbida, hai sentito?"
"Appunto." la interruppe lui, serio. "Solo
che per quanto adorabile, a me non basta tenere in braccio la figlia di
qualcun
altro. Mei, vorrei un altro figlio."
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo modificato
in data 10 ottobre 2014)
Dunque, questo è il primo capitolo a subire un
cambiamento massiccio: dalle prossime revisioni spariranno anche i vari
bashing
in favore di capitoli e situazioni più, diciamo
così, mature.
-"C'è solo un posto dove prendo ordini dal mio uomo.
E non è questo." Chi di voi ha guardato Grey's Anatomy si
ricorderà di questa
battuta di Catherine Avery, alla quale l'ho indegnamente rubata
presa in
prestito;
-Soljanka: una zuppa diciamo "mista" tipica
della cucina russa;
-La Psichiatra: un gran bel thriller di Wulf Dorn;
-Kowloon: un'area di Hong Kong;
-Bunad: costume tipico norvegese;
-Lara, Tonja: le due protagoniste femminili del Dottor
Zivago;
-Aleksandr Alechin è considerato il più grande
campione
di scacchi del mondo, il cognome di Nazar, Kasparev,
deriva da Kasparov, altro grande
campione di scacchi;
-Mors: bevanda tipica russa composta da succo di frutta,
di solito frutti di bosco o mirtilli rossi;
Noto con piacere che nonostante il ritardo nella
pubblicazione c'è ancora chi recensisce. Il mio grazie
più sincero.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 16 *** Written in our destiny. ***
capitolo 16 rivisto
Lo guardò, restando in silenzio qualche secondo incapace
di profferire parola.
"…niente di più… fattibile
in breve tempo?"
"Non scherzare, dai. Sono serio." sospirò
Camus. "Non riesco a pensare ad altro che a te con la bimba in braccio,
lì, vicina al camino. Pensavo che questa vita potrei viverla
sempre senza alcun
problema perché comunque avrei te al mio fianco. Facciamo un
altro
bambino."
"Non ho mica detto no." rispose Mei.
Camus spronò i cavalli.
"… so che hai appena avuto il lavoro e che con un
eventuale bambino potresti avere problemi…"
"Il lavoro non è un problema." rispose, pensando alla donna
incinta
che aveva visto al dojo e che, come spiegato da Sheng, si occupava del
corso di
Qi Gong e Medicina Tradizionale. "La gravidanza non è un
motivo valido per
il licenziamento, ringraziando gli Dèi."
"E allora…? Se il problema è lo spazio in casa,
potremmo anche trasferirci altrove… a nord di Parigi, vicino
al Bois de
Boulogne, ci sono bellissime villette su più piani
che…"
"Non voglio lasciare quell'appartamento… è troppo
importante per te."
rispose Mei. A dire il vero, non trovava obiezioni valide per non
prendere in
considerazione quella richiesta: entrambi avevano un lavoro,
guadagnavano
abbastanza per mantenere un altro bambino e per vivere decorosamente. I
problemi
ai quali pensava Mei erano di diversa natura: sarebbe rimasta a casa
fino a un
certo punto, dopodiché avrebbe ripreso a lavorare e Camus
avrebbe dovuto badare
al bambino mentre lei lavorava. "Come farai col bambino quando
riprenderò
a lavorare? Un neonato prosciuga le energie."
Camus sentì un barlume di speranza scaldargli il petto.
"Ci sarebbe Freya a darmi una mano, lei non andrà a
lavorare." rispose subito. "E comunque ci so fare con i bambini, lo
sai."
"Su questo non nutro alcun dubbio." rispose
Mei. "Ma hai idea di che cosa significa svegliarsi ogni tre ore per la
poppata e dormire nei ritagli di tempo?"
"Imparerò."
Sorrise nel vedere la sua espressione.
"Hai idea di quanto mi stai rendendo felice?"
"E tu hai idea di che cosa significherà, per te,
avere a che fare con me, incinta?"
Le cinse le spalle con un braccio, tirandola maggiormente
a sé.
"Sarà una passeggiata." asserì, scoccandole un
sorriso.
"No, non ne hai idea." sospirò Mei,
capitolando. "Ti verranno i capelli bianchi."
"Li tingerò."
Fermò i cavalli davanti all'isba, per permettere a Mei di
entrare più agilmente in casa senza prendere troppo freddo,
sul volto ancora il
sorriso a trentadue denti di poco prima.
"Vai dentro, qui ci penso io."
Mei si alzò, scrollando via il leggero nevischio che era
rimasto attaccato alle gonne.
"In due si fa più in fretta." rispose,
sporgendosi verso l'interno della trojka con l'intenzione di aiutarlo a
portar
dentro le provviste.
"Proprio non ti riesce di ascoltarmi, eh?"
Camus scosse la testa, rassegnato, sentendo l'aria abbassarsi di un
paio di
gradi. "Sta per arrivare brutto tempo."
"Nevicherà?"
"Spero di no, sarebbe ancora troppo presto. Le prime nevicate di solito
arrivano intorno al 30, 31 agosto, non prima… tuttavia sta
arrivando il vento e
non è proprio il caso, per te, di rimanere qui fuori col
rischio di beccarti
una polmonite."
Mei puntò le braccia sui fianchi.
"Perché, fin'ora non ho rischiato?" domandò,
inarcando un sopracciglio. "Lo sentivo, il freddo, sai?"
Camus scese dalla trojka con un balzo.
"Ne hai percepito una minima parte." la corresse.
"Perché c'era il mio Cosmo a proteggerti."
Sgranò gli occhi incredula.
"Ah… quella
era la minima parte?"
Come prima a Kobotec, Camus l'aiutò a scendere dalla trojka.
"Agosto è il mese meno freddo dell'anno, ci sono
settimane dove le temperature sono così basse che
raggiungono i meno quaranta
gradi."
"Accidenti."
"Pensa che in pieno inverno il latte è venduto in forme, come il formaggio."
"Adesso mi stai prendendo in giro."
"Ti assicuro che è la verità." le disse,
sospingendola all'interno dell'isba. "Sistemo i cavalli e arrivo. Resta
qui."
Nel mentre Mei ravvivò il fuoco nel camino, pensando alle
parole di Camus: una richiesta più che legittima,
considerando anche che
entrambi si sentivano più che pronti per avere un altro
figlio.
Lo sentì trafficare oltre la porta che dava sul locale
che fungeva da stalla e si alzò dirigendosi in cucina
maledicendo il nervosismo
che, non sapeva perché, l'aveva colta appena entrata in
casa. Camus entrò
fischiettando qualcosa e sistemando le provviste al loro posto.
"Allora, ti piace qui?"
Come luogo dove staccare la spina qualche giorno
sicuramente sì. Viverci in pianta stabile, sicuramente no.
"E' come vivere all'epoca della mia trisnonna.
Bisogna esserci abituati." rispose, vaga.
Era una vita ovviamente diversa da quella che conduceva
da quand'era nata: persino al Goro-Ho c'era acqua calda corrente,
elettricità e
gas costanti.
"Questo è sicuro. Però come ti ho detto prima,
sarebbe una vita che
personalmente sarei disposto a vivere. Entrando in casa ti ho sentita
trafficare
in cucina e ti ho guardata. Vestita così mi sei sembrata una
di quelle donne
dei dipinti del diciannovesimo secolo e… oh, prendimi per
stupido, pensavo
d'essere tornato indietro nel tempo. Ed è stata una bella
sensazione." le
spiegò. "Mi rendo anche conto, però, che non
è una cosa possibile, intendo
l'idea di vivere qui."
"Per brevi vacanze è fattibile, ma a dirla tutta non
credo di potermi adattare alla mentalità maschilista del
luogo. Da dove
provengo ce n'è già abbastanza."
Sorrise.
"Beh, in effetti le donne del luogo non ricoprono
certo incarichi come insegnanti di arti marziali…"
"No, non è solo per questo. E' che la mentalità
pare
essere rimasta all'epoca vittoriana, capisci? Donnine timorate,
silenziose,
miti… assoggettate totalmente ai loro uomini. Io non
sarò mai niente di tutto
ciò. Ho studiato e sudato parecchio per essere
ciò che sono e per godere dei
diritti che mi sono guadagnata. Per entrare in un certo argomento,
sarei capacissima
di farmi trovare nuda in casa, quando rientri dal villaggio o dalla
stalla…
anzi, avrei voluto farlo poco fa ma sei rientrato troppo in fretta e
queste
sono cose che richiedono una certa preparazione."
Camus sorrise sornione, afferrando il cappotto pesante.
"Quanto tempo ti occorre, esattamente?" le
domandò, facendola ridere.
"Lascia stare quel cappotto, sciocco."
"Non avrei
mai pensato di trovare fotografie del genere da Nazar. Non ci avevo mai
fatto
caso, eppure quel tabellone è sempre stato lì."
Camus posò le foto sul tavolo
badando a non sgualcirle. "Non… non dire a Hyoga che i suoi
nonni si sono
disinteressati di lui e di Natassia. Soffrirebbe per delle persone che
valgono
meno di niente."
Mei gli porse la
tazza con il mors -che Kirill, su ordine di Zoya, aveva dato loro in un
fiasco-
a mo' d'accompagnamento per i biscotti rustici che stavano mangiando
come
dessert.
"Non c'era
nemmeno bisogno di dirmelo, sai? Non ho l'abitudine di ferire le
persone in
questo modo. Neanche Hyoga."
"A proposito…
andate davvero d'accordo voi due, vero? Cioè… non
è una mera finzione messa in
atto per mettermi a tacere, dico bene?" domandò Camus.
"Nessuna
finzione." ribatté Mei, piccata.
"Non te la
prendere. Per me è una cosa molto importante altrimenti non
insisterei su
quest'argomento." Camus le prese una mano tra le proprie.
Sospirò. "Proverò
a raccontarti una cosa: fa un po' male ricordare certe cose, ma
farò uno sforzo.
Quando ho visto Hyoga la prima volta aveva circa l'età di
Lixue e io avevo a
malapena tredici anni. Avevo finito l'addestramento già da
tempo e lui era il
secondo allievo affidatomi…"
"Bambini affidati ad altri bambini."
Camus annuì,
quindi continuò.
"Quelli come
noi smettono di essere bambini nel momento in cui vengono strappati
alle madri.
Comunque, tornando a Hyoga… quando lo portarono qui era
scarno, pallido e con
un febbrone da cavallo: all'orfanotrofio dove aveva vissuto dopo la
morte della
madre l'avevano trattato alla stregua di un animale, abituandolo al
peggio della
vita: parlava poco, non si fidava di nessuno. Nazar, il sant'uomo che
hai
conosciuto oggi, andò fino al paese vicino in piena notte e
con una tormenta
pazzesca, a chiamare un medico." Camus si fermò un istante
per bere, perso
nei ricordi. "Ora so per certo che non era esattamente un medico, ma un
ciarlatano da fiera di paese, quello che qui definiscono sciamano...
per molti versi, te ne sei già accorta, Kobotec è
ancora piuttosto retrograda. All'epoca però mi mise una
paura tale addosso, che
ancora la rammento: entrò qui, diede un'occhiata a Hyoga e
mi disse di non
farmi illusioni, che difficilmente avrebbe superato la settimana
perché la sua
febbre era troppo alta e qualcosa gli impediva di guarire... i suoi astri sono oscuri, Maestro.
Liberatevi di lui o la sua sventura ricadrà anche su di voi! Non dormii per due notti,
nella costante
paura che Hyoga potesse morire sotto il mio naso mentre dormivo.
Fortuna volle
che il figlio maggiore di Nazar, quello emigrato in Canada per
studiare,
tornasse a casa in quel periodo per visitare i genitori e su richiesta
di suo
padre venne a visitare Hyoga. Mi disse che era messo parecchio male,
debilitato
da una forma di bronchite acuta causata dal freddo e da un'influenza
mai
curata, ma che non era in pericolo di vita… non ancora
almeno."
Mei ascoltò tutto in silenzio, mogia.
"E come hai fatto a curarlo?"
Quel posto all'apparenza dimenticato dagli Dèi non era di
certo come Parigi, dove c'era una farmacia ad ogni angolo.
"E' stata una bella sfida." convenne Camus.
"Maksim, cioè il figlio di Nazar, non aveva
granché con sè, mi diede un
flacone di antipiretici che migliorarono appena un po' la situazione.
La
guarigione fu lunga, ricordo che mi disse di preparargli degli infusi
di aglio,
timo, artiglio del diavolo e non-ricordo-cos'altro nel latte."
"Aglio? Nel latte? Mia madre ci metteva il miele,
nel latte." Mei fece una smorfia. "Se la tosse era particolarmente
brutta ci metteva quello di castagno, ma l'aglio, mai. Bleah."
"Beh, non fu piacevole avere nell'aria più allicina
che ossigeno, ma gli intrugli servirono allo scopo." rispose lui,
ridacchiando. "Non ti ho raccontato tutto questo per tediarti, quanto
per
provare a farti capire anche solo minimamente quanto bene voglio a quel
ragazzo,
e quanto ne ho voluto anche a Isaak. Per me sono come figli, capisci?"
Annuì ma non replicò, preferendo tacere piuttosto
che
evocare il passato e con esso i brutti ricordi. Si schiarì
la voce, iniziando a
rassettare casa per tenersi occupata.
"Se il tempo tornerà tranquillo ti porterò al
Bajkal, prima di tornare a Parigi." promise Camus, di punto in bianco.
"Anche se non so quanto conviene sperarci, pare essere peggiorato nelle
ultime due ore."
Il tempo, esattamente come pronosticato, verso sera cambiò
in peggio: il cielo non era ancora carico di neve, ma le temperature si
erano
abbassate ancora e soffiava un vento gelido che Mei sentiva sibilare
anche
attraverso i doppi vetri delle imposte.
Chiuse il libro dopo essersi resa conto di aver riletto
la stessa riga per la quinta volta.
L'agitazione di quel pomeriggio era svanita ma qualcosa
le impediva di concentrarsi. Al contrario, Camus pareva piuttosto preso
dalla
propria lettura; seduto sul divano –le aveva lasciato la
poltrona, più vicina
al fuoco-, girava regolarmente le pagine, l'espressione rilassata, ma
concentrata sul libro.
Si concesse qualche minuto per osservarlo, soffermandosi
su quei tratti eleganti che tanto amava, finché lo sguardo
di Camus si spostò
dal libro per posarsi su di lei con curiosità proprio mentre
lei scattava una
foto.
"Ti sei girato… peccato, avevi una bella espressione
assorta…" sospirò Mei, spegnendo la reflex di
Camus e posandola con
attenzione sul tavolo, insieme al libro.
"Vai già a dormire? E' presto!"
Mei gli posò un bacio sul collo dopo avergli scostato i
capelli.
"Non proprio." rispose, vaga. "Non fare
tardi."
"N-no, finisco il capitolo e arrivo." rispose,
rabbrividendo.
"Fa' con calma." si sentì rispondere; corrugò
la fronte, guardando Mei avviarsi alla scaletta con uno strano
luccichio negli
occhi.
"…Mei."
sussurrò a mo' d'ammonimento, la voce roca.
"Sali tra cinque minuti, Cam. Non uno di più, non
uno di meno." lo fermò lei. "Voltati, finisci il tuo
capitolo, per
adesso. Voltati, ho detto."
Fece come richiesto e rimase in assoluto silenzio,
ascoltando i passi di Mei prima sulla scaletta, quindi sulle assi del
piano
superiore.
Finisci il tuo
capitolo, gli aveva detto.
Sì, come no. E chi andava a pensare al libro, dopo quello
scambio di battute e dopo una certa, inevitabile reazione fisica?
Per qualche minuto non avvertì nient'altro che il respiro
affrettato e il battito accelerato del proprio cuore, quindi, ancora la
voce di
Mei.
"I cinque minuti stanno per scadere."
Si alzò dal divano teso e con una certa
difficoltà a muoversi,
notando una serie di oggetti –indumenti- a terra e sulla
scaletta: i vestiti
che Mei aveva indossato quel giorno.
"Dammi qualche secondo, sono in condizioni un po'
particolari." le rispose, salendo al piano superiore: lo stava
aspettando
distesa prona sul letto, svestita nonostante la temperatura non proprio
ideale
della stanza.
"Alla fine ho impiegato solo cinque minuti,
visto?"
"Sono costretto ad avvisarti che io non sarò così
veloce."
*
Avevano trascorso parte della notte l'uno tra le braccia dell'altra,
provando a mettere in cantiere quel bambino che entrambi desideravano e
tutto
era andato bene fino a quel momento, finché quel dannato
incubo che sapeva
perseguitare Mei –senza conoscerne il contenuto- non si era
presentato così, di
colpo.
Camus se ne accorse subito, non appena sentì il respiro di
Mei farsi affannoso nel cuore della notte: sarebbero presto arrivati
anche i
tremiti e le urla, testimonianza che qualcosa a lui incomprensibile la
stava
ancora tormentando.
Scostò la tenda dalla piccola finestrella giusto in tempo
per vederla gesticolare nel sonno, lamentandosi come se quel che stava
vedendo
lo stesse vivendo sul serio, proprio in quel momento.
"Mei?" sussurrò. Lei iniziò a piangere,
lasciandolo indeciso sul da farsi. Lo chiamò più
volte, nel sonno, con la voce
sempre più carica di angoscia. "Mei, sono qui!"
Si accorse di non avere la più pallida idea di cosa fare.
Svegliarla o lasciarla dormire aspettando che l'incubo scemasse?
Lo invocò ancora una volta, terrorizzata da qualcosa, e
stavolta la vide posarsi una mano sul cuore, il respiro sempre
più affannato,
come se stesse rantolando.
A quel punto, pensò a un infarto. Quante
probabilità
c'erano che si manifestasse anche in soggetti sani come Mei?
"Mei, svegliati. Va tutto bene, sono qui!" le disse.
"So che mi senti, svegliati!"
Blaterò qualcosa che non riuscì a capire e
spalancò gli
occhi, vitrei. Stavolta, l'afferrò per le spalle,
scuotendola per strapparla al
sonno.
"MEI!" gridò, emanando involontariamente il
Cosmo.
Si svegliò, finalmente, dopo vari interminabili secondi,
con un rantolo che gli ricordò quello di una persona rimasta
troppo a lungo
sott'acqua che riemerge pochi attimi prima della fine: gli occhi
tornarono
svegli e brillanti, il battito cardiaco quasi regolare.
"Cam?"
Pieno di sollievo, Camus affondò il volto nel petto di
Mei.
"Pour
Athéna, quelle frayeur. Quelle peur tu
m'a fait essayer, bon sang!" Per Athena che spavento. Che
paura mi hai
fatto provare, dannazione!
"Non avevamo stabilito che in questi giorni avremmo
parlato cinese per aiutarti con la pronuncia?" scherzò,
sentendolo agitato
come raramente accadeva.
Gli accarezzò la testa, tentando di capire che cosa fosse
successo e perché fosse così sconvolto: avvertiva
il suo cuore battere furioso
senza capirne il motivo.
"Cos'è successo?" gli domandò, mentre le
tornavano in mente frammenti del solito incubo. "Oh no. Ho di nuovo
avuto
l'incubo."
"Oui."
"Ho parlato nel sonno?"
"Parlato non
è il termine più appropriato."
obiettò Camus.
Si coprì il volto con le mani.
"Quando ti
deciderai a trovar pace? Quando, benedetta ragazza?"
"Di chi stai parlando?"
Mei si alzò, infilandosi la vestaglia di velluto pesante
di Freya che durante la notte era scivolata giù dal letto.
"Un secondo, Camus, ho bisogno di qualcosa di
forte." gli rispose, avviandosi alla scaletta.
"Semmai sono io ad averne bisogno, credevo stessi
avendo un infarto!" la seguì lui.
La vide premersi le mani sulla testa, con una smorfia di
dolore.
"Ah, quanto rimpiango la tisana di Shunrei in
momenti come questo…" disse. "Quanto la
rimpiango… ti rivolta lo
stomaco, ma ti scaccia via qualunque problema, dal mal di testa
all'influenza."
"Addirittura?" Camus frugò in un pensile. "Dovrei
avere dei fiori di malva da qualche parte, ma non ne sono
sicuro…"
"No, lascia stare… fossi a casa mi farei un bagno,
ma qui non c'è l'acqua calda. Pazienza, passerà."
"Un bagno? Potevi dirlo, scaldo subito l'acqua."
"Ma no, lascia stare, davvero. Prima che si scalda,
il mal di testa è bello che andato." rispose Mei.
"Facciamolo dopo,
ti va?"
"Dopo? Insieme?"
Mei sorrise divertita.
"Che cosa scandalosa,
nevvero? Io e te in una tinozza, insieme." lo prese in giro. "Che
domande, ovviamente intendevo insieme."
Le rispose con un gran sorriso, spillando acqua dal
samovar.
Mei tenne la tazza bollente tra le mani per scaldarle,
prima di dare una lunga sorsata al tè, lo sguardo fisso su
un punto imprecisato
della stanza mentre i pensieri tornavano all'incubo.
"Degél?" azzardò Camus, dopo un po'.
"No." rispose Mei, riscuotendosi. Alzò lo
sguardo posandolo casualmente su di lui. "Per l'amor del cielo, mettiti
qualcosa addosso, mi distrai."
Camus afferrò i jeans da una pila di vestiti sul divano,
si sedette e l'invitò a sedersi accanto a sé.
"No, Degél non c'entra, povera anima." riprese
Mei. "La natura di quegli incubi è strettamente personale.
Al Goro-Ho,
come in qualunque altro posto al mondo, circolano delle particolari
credenze tipicamente
locali alle quali uno è liberissimo di non
credere… nel tuo caso, so per certo
che sarà così, ma tieni presente che ogni
leggenda ha sempre, al suo interno,
un fondo di verità…"
"Mettimi alla prova."
"La prima volta che feci questo sogno,
se così lo vogliamo chiamare, fu il giorno immediatamente
successivo alla scalata del Santuario, dopo la mia visita, quando tu e
gli
altri Saint…" si interruppe; le era sempre difficile
pronunciare ad alta
voce certe cose.
"…eravamo morti?"
"I miei complimenti per il tuo tatto." sbottò
Mei.
"Scusami, non t'interromperò più."
"Sulle prime lo attribuii allo shock e al dolore
infinito provato nel vederti freddo e disteso su quel tavolo e non ci
feci
caso. Poi però, l'incubo divenne ricorrente: ogni notte la
stessa scena… stesso
inizio, stessa fine... finché tempo
dopo rifeci lo stesso sogno, ma… sognando una diversa
versione
dell'accaduto."
Camus corrugò la fronte, ma non la interruppe,
lasciandola libera di proseguire.
"Ne parlai con Dohko, ero molto spaventata e non
sapevo che cosa pensare a riguardo. Lui mi ascoltò
pazientemente e mi fece
raccontare esattamente tutto ciò che avevo visto sperando
che, parlandone,
l'incubo in qualche modo non tornasse più a tormentarmi. In
effetti non fu più
ricorrente, tuttavia continua a ripresentarsi di tanto in tanto."
"Prova a raccontarlo anche a me."
Si prese il volto tra le mani.
"Oddéi, come faccio a raccontartelo…?"
"Levando le mani dalla faccia, tanto per iniziare.
Su, racconta. Che cosa vedi in questo incubo?"
Mei si schiarì la voce, quindi chiuse gli occhi,
riportando alla mente immagini che conosceva anche fin troppo bene.
"Nella prima versione dell'incubo mi sveglio in un
posto che tutt'ora non so riconoscere, addirittura non so nemmeno se
esiste.
Avverto chiaramente il mio corpo intorpidito, e ci metto un po' a
tirarmi su.
Scendendo delle scale mi accorgo che sono totalmente incrostate di
ghiaccio e
istintivamente mi aggrappo alla ringhiera per non scivolare. Solo dopo
aver imboccato
un corridoio a me familiare mi accorgo di trovarmi all'undicesima casa:
stavolta corro senza curarmi di scivolare, sento il respiro accelerare
ogni
volta, sapendo con inquietante certezza che cosa troverò
nella sala
principale." spiegò Mei, riaprendo poi gli occhi, lucidi. "E
trovo
te, a terra."
"…"
"Poi di questo stesso incubo c'è anche il finale
alternativo, quello che
di solito mi fa svegliare di colpo, gridando come
se mi stessero aprendo in due, almeno, a detta di Shiryu:
arrivo nella sala principale, e il freddo è così
intenso che persino i pensieri
paiono sul punto di cristallizzarsi. Solo che una volta arrivata in
sala, tu…
sei ancora vivo! Sei pallido e freddo come un blocco di ghiaccio e io
tento con
ogni mezzo di salvarti la vita ma non ci riesco
perché… muori tra le mie
braccia!" spiegò ancora Mei, asciugandosi gli occhi con il
dorso di una
mano. "Allora grido e… di solito, mi sveglio a quel punto."
"Oh, Mei."
"Aspetta, aspetta… la seconda versione dell'incubo
è
ancora più strana, sai? Non è facile da spiegare
o da capire perché in verità
nemmeno io la capisco: a differenza dell'altro, stavolta mi sveglio in
sala.
Intorno a me c'è solo ghiaccio, di sicuro molto freddo,
ma… stranamente non lo
avverto. Mi accorgo di fluttuare
sulla sala, come Degél, come se fossi uno spirito. Ti rialzi
a fatica, ti vedo
arrancare su per le scale con molta difficoltà, fino a
trascinarti a forza in
questa stanza dove vedo il mio cadavere a terra, piegato in posizione
fetale… e
tu…" si bloccò, notando un luccicone solcare la
guancia di Camus.
"Cosa c'è?"
"… io cerco di gridare, ma per qualche ragione non posso
farlo."
concluse per lei. "Questa era la cosa che temevo potesse succedere se
fossi rimasta con me, quella volta. La stanza che vedi è in
realtà la soffitta
dell'undicesima casa. Io ci avevo anche pensato, sai, a nasconderti da
qualche
parte, ma poi? Sarebbe finita esattamente così…
quest'incubo l'ho avuto per
diverso tempo…" Camus si soffiò il naso, gli
occhi rossi. "E ogni
volta era una stilettata. Non capisco come abbiamo fatto ad avere lo
stesso
incubo."
"Ecco, secondo le leggende del Goro-Ho che mi ha
raccontato Dohko, ognuno di noi nasce con otto anime: la nostra, quella
che cioè
abita il nostro corpo, e altre sette sparse in giro per lo Spazio e il
Tempo,
che abitano altrettanti corpi."
"Perché otto?"
"Beh, l'otto è un numero fortunato, da noi. Comunque
queste anime vivono… come dire… "
"In dimensioni parallele?"
"All'incirca. Ma dato che non ci è possibile
incontrare fisicamente questi alter ego, non possiamo sapere se vivono
nella
nostra stessa epoca o in altri secoli o anche in altre ere, non ci
è dato
sapere se sono tutt'ora viventi o no, non possiamo conoscere niente di
quel che
le riguarda. Tuttavia, a soggetti particolarmente sensibili,
può capitare di
entrare in connessione con una o più di loro. Dohko mi disse
che, poiché sono capace
di interagire con gli spiriti, probabilmente questo incubo era un'eco
di vita
vissuta da una di quelle anime che, ha percepito il nostro stato
d'animo e ha
voluto condividere quanto vissuto."
Camus parve pensarci su un istante.
"Cioè… correggimi se sbaglio: altri
noi, in altre dimensioni temporali, hanno vissuto le nostre
stesse situazioni e hanno condiviso con te le loro esperienze tramite
contatto
mentale?"
"Così è spiegato molto alla buona ma
sì, diciamo che
il succo del discorso è quello." rispose Mei. "Comunque
l'hanno
condiviso anche con te, visto che abbiamo avuto lo stesso incubo."
Dal canto suo Camus non era d'accordo, gli incubi o i
sogni altro non erano che il parto del subconscio; tuttavia quel
discorso
faceva parte della rete di credenze di Mei, e le rispettava pur non
condividendole.
"…magari attraverso il settimo o l'ottavo senso, o
tramite il Cosmo, no?"
Si riscosse, accorgendosi improvvisamente di aver perso
l'ultima parte del discorso di Mei.
"Non ti seguivo, scusami."
"Ho detto che, magari, il tuo alter ego ha condiviso
con te quel che ha visto tramite il settimo o l'ottavo senso o proprio
attraverso il Cosmo."
"Attraverso il Cosmo, magari. L'ottavo senso lo
escludo a priori, non c'entra niente con tutto questo."
"So che non credi in niente di quanto ho appena
detto, ma grazie per avermi ascoltato."
"Sono cose nelle quali tu credi e le rispetto per
questo anche se non le condivido." rispose Camus, con diplomazia. "Ci
siamo dunque incontrati anche in altre vite e in altre dimensioni, se
una delle
tue anime ha vissuto la tua stessa esperienza."
Mei ridacchiò nervosamente.
"Eh, pensa che gran fortuna hai avuto a incontrarmi
anche in altre dimensioni temporali."
La trasse a sé, stringendola forte.
"Non dire così. Io mi sento davvero
fortunato, ad averti incontrato."
**
Camus rientrò a casa con le braccia cariche, faticando a
chiudere la porta d'ingresso.
"Non facciamo in tempo a staccare la spina che la buca
delle lettere è già piena." sospirò,
posando la posta e il sacchetto della
panetteria sul tavolo in cucina.
"Ti sei ricordato le girelle all'uvetta?" domandò
Mei, dal bagno.
"Sì, ne mancano un paio all'appello ma tu non farci
caso." commentò Camus, smistando la posta.
"Pubblicità, volantino di
un nuovo messicano, ancora pubblicità… oh, la
bolletta della luce. Che carini, cominciavo
a preoccuparmi sai, da quanto tempo non avevo loro notizie…"
Separò conti e bollette in un cassetto della sua scrivania e
gettò la
pubblicità nel cestino della carta, quindi dedicò
attenzione a due buste di
diversa fattura.
Una color carta da zucchero con il mittente scritto in
greco, l'altra di pregiata carta pergamenata con il mittente in
giapponese.
Corrugò la fronte e telefonò a Milo.
"…Milo hai ricevuto anche tu la busta azzur-… ah,
arriva da parte di Lady Saori…"
Mei si fermò sulla soglia dello studio in accappatoio,
mentre con una mano si tamponava i capelli umidi con un asciugamano e
con
l'altra reggeva una brioche.
"Sia benedetto chi ha inventato le girelle
all'uvetta… inzuppate nel caffèlatte sono la fine
del mondo… comunque per
quanto mi sia goduta il nostro bollente
bagno a due in quella tinozza piccina di legno che, considerando cosa
ha
preceduto, ripeto, è stato romanticissimo, per
carità… ma vuoi mettere una
bella doccia con l'acqua calda corrente? Ti rimette al mondo!"
scherzò,
sorridendogli. Si accorse del telefono e si zittì.
"Oddèi! Chi c'è al
telefono?"
"Milo." rispose Camus.
"Bollente
bagno a due?"
"Possibile che tu abbia captato solo quelle parole
su tutto il discorso?" domandò Mei.
"Ma allora è
per questo che siete andati a Kobotec?"
"Certo che sì." rispose Mei, precedendo Camus.
"Non siamo nemmeno usciti di casa, l'abbiamo fatto giorno e notte
ininterrottamente su ogni superficie disponibile."
"Beh non proprio, ci siamo fermati anche per
mangiare, ogni tanto." interloquì Camus.
"Bravi
ragazzi!"
"Milo, ti richiamo più tardi, ciao." lo salutò.
"Una domandina al volo: greco o giapponese?"
"…calcolando che del Giappone mi piace solo il
sushi… direi greco."
Camus aprì la prima busta: si trattava di un invito
nuziale.
"Marin e Aiolia." esordì, sventolandolo.
"Visto che parlavi con Milo, per un attimo ho
sperato che la tua risposta fosse Milo e
Shaina." rispose Mei. "Non che non sia contenta per Marin e
Aiolia, ma…"
Camus sorrise, porgendole l'invito.
"Oh, non temere. Arriverà anche quel momento."
le rispose. "Milo corteggia Shaina da anni, da prima che ti conoscessi,
pensa."
"E ancora non ha ceduto? Al suo posto non direi no a Milo."
"Ah sì?"
"Sì, ma non pensare male, ho specificato al
suo posto, intendendo dire che se fossi in Shaina, uno come
Milo
me lo terrei ben stretto." rispose Mei. "Ma io sono Mei, ho te e
ringrazio gli Déi ogni giorno per questo. Oh, Marin ci tiene
a precisare che
sarà un matrimonio greco tradizionale. Ma lei non
è giapponese?"
"Sì, ma è una lunga storia. Matrimonio greco
tradizionale con conseguente festa superkitsch: fonti certe mi
assicurano che
sarà un'esperienza molto divertente."
"Per superkitsch
che cosa intendi? Che cosa mi devo aspettare?"
"Tu, una cinefila accanita, non hai mai visto Il
mio grosso grasso matrimonio greco
?"
"… no, al momento è ancora segnato nella lista
dei
film da vedere."
"Allora credo sia giunto il momento, ti pare?"
"Dici?"
"Eccome. Non so che cosa accade durante un
matrimonio cinese, ma in Grecia ci sono tante curiose usanze che a
occhi poco
abituati possono sembrare strane a dir poco."
Mei ci pensò su.
"Più strane dell'uso di legare i piedi della sposa
per evitare che fugga prima della cerimonia?" domandò.
"Sì,
anticamente la sposa, nella portantina, aveva i piedi legati per
evitare ogni
possibile fuga. Sai com'è, non a tutte andava sempre bene. O
aspetta, fammi
pensare… più strana ancora del rutto libero
durante il ricevimento?"
Camus storse la bocca in una smorfia.
"Stai scherzando."
"Magari. Avresti dovuto essere al matrimonio di mia
cugina: nemmeno all'Oktoberfest un concerto del genere…"
rispose Mei,
rabbrividendo. "Quando saremo noi a sposarci impedirò questa
cosa a dir
poco schifosa. E l'altra busta?"
"Anche l'altra busta contiene un invito, ma è
sicuramente più noioso. Ci sarà un ballo, il
primo settembre, in occasione del
compleanno di Lady Saori. Sarà la tua occasione per
conoscerla."
"L'ho già conosciuta."
"E quando?!"
"Al Santuario, anni fa, al vostro fu-… in una certa
occasione." rispose. "E dove si terrà questa festa?"
"A villa Kido, a Tokyo."
Mei fece finta di pensarci su.
"Oh, no che peccato: per l'epoca sarò su un volo per
il Canada… non fare quella faccia, non posso certo disdire
la mia presenza a
casa di Keanu per andare al compleanno di Saori." disse Mei, fingendosi
dispiaciuta. "Okay. Ritorno seria."
"Sarà un ballo
e cito testualmente, in bianco e nero."
"Oh beh… non sembra tanto male." rifletté Mei.
"Aspetta a dirlo." Camus lesse le postille
scritte dietro l'invito. "Lady Saori è sempre piuttosto
eccentrica quando
si tratta di dare feste: una volta, mi dissero, ne diede una a tema
Star
Wars."
"E come mai tu non c'eri?"
"Perché ero a Pechino, mentre la mia fidanzata si
laureava."
Mei gli rispose con un gran sorriso.
"Oh, ecco qual era l'impegno che avevi disertato."
arrossì. "Però devo ammettere che mi sarebbe
piaciuto vederti nei panni di
Maestro Jedi… o meglio ancora, di un Sith: Darth Camus. La Forza è potente in te. Un potente
Sith tu diventerai."
Camus la guardò torvo.
"Mei, giuro che chiedo il divorzio."
"E come? Non siamo nemmeno sposati."
"Lo chiedo lo stesso, come misura preventiva."
rispose Camus.
"Come
to the dark side: villains do it
better!" ridacchiò Mei. "Dai, come
sarebbe questo
ballo?"
"Uno in bianco, l'altro in nero."
"Cioè… uno dei due dovrà vestirsi di
bianco e
l'altro di nero?"
"Esattamente."
Ci fu un secondo di silenzio, dopodiché entrambi
parlarono quasi nello stesso istante.
"Nero!"
"Io prendo il nero!"
"No, l'ho detto prima io!" esclamò Camus,
trionfante.
"Bugiardo mascalzone!"
"Papà ha ragione, l'ha detto prima lui!"
interloquì Lixue, dalla sua stanza.
"Ma… oh, cielo. Io non posso vestirmi di bianco, lo
indosso solo ai funerali." spiegò Mei. "E poi… il
bianco ti starebbe
bene, esalta il rosso dei capelli."
Camus si alzò e, fischiettando un valzer, le girò
intorno
atteggiando qualche passo insieme a Lixue.
"Niente da fare. Io in nero, tu in bianco."
Mei sorrise, quindi gli prese il volto tra le mani,
stampandogli un gran bacio sul naso.
"Tesoro, non preoccuparti. Saremo in due ad andare
in bianco."
***
Lady Aquaria's corner
(capitolo riguardato e corretto
in data 22 ottobre 2014)
-Allicina: il principio attivo dell'aglio, ovvero il
principale responsabile del cattivo odore che l'aglio lascia in bocca.
-L'incubo che perseguita Mei è spuntato fuori durante
l'ennesima visione del maledetto episodio 67. Che sia dannato
quell'episodio.
-Le leggende del Goro-Ho le ho inventate di sana pianta.
Vedete che significa mangiare parmigiana di melanzane a cena? Non dormi
e t'inventi
ste cose :P
-Sì, avete letto bene. Il rutto durante un ricevimento
nuziale, a quanto ho letto su questo
sito è
d'obbligo in un matrimonio cinese (così come gli sputi
allontana-diavolo per i
greci).
Note piccine come mi capita ultimamente, ma i
ringraziamenti rimangono invariati.
Alla prossima.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 17 *** The things you are to me. ***
capitolo 17
17.
The things you are to me.
[(No
one, but you and I, can know that) you are, and will always be, the joy
of my
life.]
Ôishi
Kuranosuke, 47 Ronin
Le foto dei suoi genitori sortirono, comprensibilmente, un
certo effetto su Hyoga: a parte sua madre, quella fu la prima volta che
vide il viso di suo padre e ciò lo colpì
nell'animo molto
più a fondo
di quanto volesse dare a vedere. Camus però se ne accorse
ugualmente: non era
da Hyoga rimanere chiuso in camera per giorni interi.
"Nazar mi ha detto che tuo padre passò a miglior
vita due mesi dopo lo scatto di questa foto. E… che della
famiglia di Jurij, tuo padre,
nessuno sa più niente
da anni."
Lui era un bravo
ragazzo: serio, giudizioso e con una grande voglia di fare:
chissà chi sarebbe
diventato se avesse vissuto abbastanza da potersi trasferire a San
Pietroburgo
come avrebbe desiderato fare con Natassia. La sua famiglia d'origine
invece era
pessima, credimi sulla parola, Camus: qui, il nonno di Hyoga, se lo
ricordano
tutti. Peggio di Oleg. Molto peggio.
Il che era tutto un dire, conoscendo la pessima
reputazione di Oleg. Non se la sentì di rivelargli anche
quella parte della
storia, però, perché sarebbe stato il classico
colpo di grazia.
"Che bella coppia." osservò Freya.
"Sembrano felici qui."
Hyoga s'appoggiò allo schienale della sedia, lo sguardo
fisso sul sorriso di sua madre.
"Suppongo lo fossero, quando parlava di mio padre
aveva sempre un gran sorriso, gli occhi le si illuminavano e di solito,
arrossiva appena sulle guance. Poi mi stringeva a sé, persa
nei suoi ricordi."
si fermò, premendosi due dita alla radice del naso. "Non
devo pensarci
troppo o finisce che allago casa."
Mei sorrise intenerita, quindi si
schiarì
la voce, cercando un modo per spazzare via la drammaticità
di quel momento.
"Cerchiamo di capirci, Hyoga. Ora, guardando le foto
che ho trovato da Nazar, ho notato qualcosa che mi sfugge."
"Sarebbe?"
"Ho trascorso un paio d'ore a cercare un nesso tra te e
i tuoi genitori."
"E…?"
"…Mei." interloquì Camus, iniziando a capire dove
Mei volesse andare
a parare.
"Sarebbe a dire che… tua mamma era bella, su questo
non c'è dubbio." proseguì Mei. "E…
beh, pure tuo padre non era certo
da buttar via…"
"... dai, non essere così stronza." fece Camus.
"Rimane da capire come sia potuto succedere che da
due bei ragazzi come loro, sia uscita una piaga con la faccia da scemo
come te.
Credimi, me lo sto chiedendo da giorni."
"Beh, che devo dirti? Non tutti i buchi vengono con
le ciambelle intorno." ridacchiò Hyoga.
Mei salì in soffitta qualche ora più tardi, per
la
consueta mezz'ora quotidiana dedicata al culto dei suoi defunti: a
volte si
fermava e parlava con loro, a volte
si dedicava a rassettare la stanza, altre volte rimaneva in religioso
silenzio.
Si tolse le pantofole nell'anticamera prima della stanzina vera e
propria –per
non disturbare gli Avi, ovviamente- e si accorse di non essere sola: scovare qualcuno in quel
luogo era già di per
sé strano ma trovarci Hyoga era una sorpresa. Vederlo
lì, inginocchiato su uno
dei due enormi cuscini posti davanti all'altare, con le mani giunte in
preghiera, le fece corrugare la fronte; e non perché gli
fosse proibito
entrare, semplicemente perché, a parte lei e sua figlia,
nessuno utilizzava
quella stanza.
Hyoga s'accorse di lei e si voltò appena.
"Perdonami se sono entrato qui senza chiederti il
permesso, ma volevo aggiungere anche le foto dei miei genitori a tutte
le
altre."
"Per quale motivo ti stai scusando? Non hai fatto
niente di male, almeno a me. Ma se hai mancato in qualche modo di
rispetto ai
miei avi, sappi che la mia trisnonna aveva il mio stesso carattere e se
ti
perseguita… ahi ahi, saranno dolori."
Hyoga sgranò gli occhi.
"Ehm… io… mi son tolto le scarpe prima di
entrare,
mi sono inchinato e ho cercato di non offendere nessuno…"
"Oh mamma, guarda che faccia. Stavo scherzando."
ridacchiò Mei, cambiando i fiori nel vaso e posando la
ciotola di riso sull'altare,
accanto alla statua della dea Kwan Yin e dell'Imperatore di Giada. Si
accosciò
sul cuscino accanto a quello occupato da Hyoga sedendosi sui talloni,
quindi si
sporse in avanti appoggiando le mani a terra –prima la
sinistra, quindi la
destra- ed eseguì un profondo inchino in avanti, senza
sollevare i fianchi: un
inchino rituale che, praticato chissà quante migliaia di
volte, lo affascinò
come raramente succedeva. Dopo qualche istante e qualche frase
sussurrata che
non comprese, Mei si raddrizzò di nuovo posando entrambe le
mani sulle cosce,
in posizione rilassata. Non riuscì a distogliere lo sguardo
in tempo però,
perché Mei se ne accorse.
"Esattamente, in me, che cosa ti suscita tanto
interesse?"
"Il mio interesse non era nei tuoi confronti, ma nei
confronti della tua posizione." specificò Hyoga.
"Oh, e vorrei ben dire." replicò Mei.
"Pratichi arti marziali anche tu, non hai mai eseguito un inchino
rituale
di fronte al tuo insegnante o al tuo avversario?"
"Non ho mai salutato nessuno in questo modo."
"In poche discipline si usa la zarei,
spesso prima degl'incontri si usa il classico inchino
formale che usano quotidianamente i giapponesi. Ma questo non
è il momento, né
il luogo per parlarne."
"Per essere una che detesta il Giappone, sai
parecchie cose."
"Intanto non detesto il Giappone, Hyoga, non sono affatto
nippofoba. Pratico arti marziali giapponesi, mastico qualche parola
della loro
lingua, ne apprezzo il cibo e la cultura."spiegò Mei, un po'
scocciata.
"E' che l'ultimo ricordo che ho del Giappone è legato a una
stazione di
polizia, all'arrivo degli zii da Nanjing e di un membro dell'ambasciata
cinese che
spiega a me e mio fratello che siamo diventati orfani perché
lo scoppio di uno
pneumatico ha messo fuori gioco i nostri genitori facendoli schiantare
giù dal
viadotto sul quale stavano viaggiando. Credimi quando ti dico che per
una
ragazzina undicenne è un colpo atroce: lo è
tutt'ora, dopo quindici anni,
figurati."
Hyoga tacque qualche istante, guardando Mei prendere un
gran respiro.
"Tornando al discorso di prima, le scarpe le tolgo,
sì, ma per non sporcare la moquette." riprese, ricacciando
indietro le
lacrime. "Devo però ammettere che non stavo esattamente
scherzando sulla
persecuzione. I defunti, se offesi, possono davvero trasformarsi in
spiriti
maligni e perseguitarti… ma questo solo se credi nella loro
presenza."
Hyoga si schiarì la voce.
"Non credo nei fantasmi intesi come quelli del
cinema, quelli col lenzuolo bianco che trascorrono
l'eternità spaventando i
viventi, ma credo che parte di noi sopravviva alla morte del corpo e
rimanga
sulla Terra a confortare chi ha amato in vita. Io sento mia madre."
disse,
in un soffio, posandosi una mano sul petto. "La sento qui, dentro di
me,
pronta a darmi una mano, un sostegno ogni volta che la cerco. La sento
sin da
quando è morta su quel peschereccio, e la sento anche ora,
in questo
momento."
"Allora ci credi, bene." sorrise Mei. "Che
cosa ricordi di lei?"
"Beh, ricordo che era molto dolce con me. Era una
donna mite, molto paziente, che non perdeva mai la calma e non serbava
mai
rancore per nessuno. Sarà per questo che a Kobotec ne hanno
approfittato. Oleg
ci rubò il posto in scialuppa e lei riuscì a
lanciarmi sulla barca prima che si
allontanasse troppo dal relitto. Al contrario suo però non
riesco a non provare
rancore nei confronti di chi le ha fatto del male: non meritava di
morire in
quel modo, Oleg è ancora vivo e questo mi disturba."
"Ho visto questo Oleg quando eravamo a Kobotec. Sprizza cattiveria da
ogni
poro."
"E' mille volte peggio di quel che hai visto, ma
puoi star certa che non correrà mai il rischio di farti del
male, o farne a
Lixue."
"Io non sottovaluto mai le persone, Hyoga. Mai. E'
un grave errore tattico."
"Sai che cosa mi da' tanta sicurezza a riguardo? Il
fatto che per quanto possa fare lo sbruffone con una donna inerme e suo
figlio
o con un ragazzino di dieci anni, non sarà mai tanto stupido
da sfidare Camus
facendo qualcosa contro di te, sa che potrebbe finire all'altro mondo
nel più
atroce dei modi."
"Camus non sarebbe capace di arrivare a tanto."
mormorò Mei.
"Per te, e per vostra figlia, sarebbe capace di qualunque
cosa." la contraddisse Hyoga. "Non c'è niente che non
farebbe per
te."
Mei non seppe che cosa rispondere; aprì invece un cofanetto
e ne trasse diverse tavolette e un nuovo incensiere. Hyoga la
guardò sistemare
le foto dei suoi parenti accanto quella dei genitori di Camus e a una
fotografia del ritratto di Degél.
"Cosa sono quelli?"
"Gli specchi? Si chiamano Ba Gua, servono a tener
lontano energie e spiriti maligni insieme alle bestie guardiane: al
centro il
dragone giallo, a est dragone azzurro che protegge gli uomini, a sud la
fenice
che protegge le donne, a ovest la tigre bianca e a nord la tartaruga
nera.
Loro, insieme ai Ba Gua, respingono la negatività e il Male,
assicurando pace e
protezione agli Avi e all'intera casa. Vuoi sistemarla tu?" si
offrì Mei,
prendendo con cautela la tavoletta incisa col nome di Natassia e
porgendogliela. "Attento, non deve cadere. Secondo il mio credo, in
queste
tavolette risiede parte dell'anima del defunto, se cade potrebbe uscire
e
diventare uno spettro maligno."
"Sicuramente con mamma non succede, non avrebbe mai
fatto del male nemmeno a una mosca."
"A una zia materna di Zhi-Ying è successo con la
tavoletta del bisnonno, mentre la spostava."
"Suppongo le siano accadute le peggio cose."
Mei accese degli incensi.
"Due mesi dopo è rimasta vedova, ha successivamente
scoperto di avere un brutto male al fegato e come se non bastasse il
suo unico
figlio maschio s'è suicidato."
Hyoga deglutì.
"Però…"
"Ma in effetti una spiegazione c'è: questo parente
di mia cugina era già una persona orrenda e cattiva da vivo,
figurarsi da
morto." rispose Mei. "Dai, prepariamoci o faremo tardi… ci
stanno
aspettando all'ottava casa."
S'inchinò ancora una volta in segno di commiato, quindi
si alzò.
"Ah, così, giusto per avvertirti… Lixue sta
facendo
vedere le foto scattate a Disneyland a tutti."
"Oh mamma." rispose Hyoga. "Spero non le faccia vedere proprio tutte."
"No, tranquillo, quelle compromettenti le ho chiuse
in cassaforte, così da poterti ricattare quando voglio.
Soprattutto quella in
calzamaglia. Bellissima."
"Quanto ti odio."
"No, non è vero. In fondo mi vuoi bene."
Ottava casa.
"Oh, ecco l'interessato. Ma sei tu quello là
dietro?"
"Buon cielo Milo, dammi almeno il tempo di
arrivare." si lagnò Hyoga.
Milo squadrò più volte la foto in formato A4 che
Lixue,
tutta contenta, gli stava mostrando: la foto più bella
dell'intera mini
vacanza, secondo lei -scattata in un negozio interno al parco dove ci
si poteva
far fotografare nei panni dei personaggi Disney- quando aveva convinto
Hyoga e
Freya a travestirsi insieme a lei. Davanti uno sfondo che riproduceva
un bosco
fatato, Lixue era abbarbicata in braccio su un fianco di Freya, mentre
Hyoga
sorrideva –non senza parecchio imbarazzo- dietro le due: la
principessa vestiva
i panni di Lady Marian, Hyoga quelli di Robin Hood e Lixue, con le
lacrime agli
occhi a furia di ridere, vestiva i panni di Lady Cocca.
"Tanto per la cronaca, sappi che quella foto ha fatto
il giro di tutto il Santuario." commentò Camus. "L'ha
mostrata a
tutti."
"Oh, fantastico.
Il peggio è che questo sadico vuole farne un poster."
aggiunse Hyoga
indicando Camus. "Mi pareva d'essere un ballerino del Bolshoi con
quella
dannata calzamaglia marrone. Un paio di minuti in più
addosso e ora sarei alla
Sistina a cantare con le voci bianche."
Freya ridacchiò.
"Era aderentissima, ricordi? Dovrebbero vietare
certe cose, così fanno prendere un infarto alla gente!"
"Oh, ti prego."
Mei si coprì gli occhi con una mano, posando la tiropita nel
piatto. "Che
brutta visione. Stavo mangiando… e che cavolo!"
"Perché hai scelto un fuorilegge? Potevi sempre
calarti nei panni di qualche principe. I principi azzurri sono sempre
biondi." disse Milo. "…no?"
Lixue si girò di scatto a guardare Milo.
"Nel tuo mondo immaginario forse…!" lo riprese
Camus, scuotendo la testa. "La maggior parte dei principi Disney sono
mori. Qualcuno è castano e un paio sono fulvi. Ma biondi,
non che io
ricordi."
"Thor è biondo!" esclamò Lixue.
"Ma non è un principe Disney." obiettò Camus.
"E qui ti sbagli: la Marvel è stata assorbita dalla
Disney, un paio d'anni fa. Quindi teoricamente Thor può
essere annoverato nelle
schiere dei principi azzurri." lo corresse Hyoga.
"Ha! Parli sempre troppo presto, Cammy." disse
Milo, trionfante.
"Oh, ma non c'è più religione!"
esclamò Camus.
"Ma dove andremo a finire?!" lo scimmiottò
Milo.
"Eh, sì. Prendimi in giro. Di questo passo anche
Star Wars prima o poi diventerà della Disney."
"Oddio no, non dirlo nemmeno per scherzo, sei
matto??"
**
Si spostarono a Tokyo in modo da trovarsi a Villa Kido
poco dopo colazione, così da avere sufficiente tempo per
prepararsi per il
ballo.
"Chi non muore si rivede." bisbigliò Shiryu,
intravedendo Tatsumi, il braccio destro di Lady Saori, accogliere gli
ospiti e
indirizzarli alle loro camere grazie all'ausilio della
servitù.
"Già, così sembrerebbe." sibilò Mei,
seguendo
lo sguardo di Shiryu. Erano trascorsi anni dal giorno dello, se
così si poteva
definire, smistamento ma ancora
ricordava i rumori secchi delle sberle che Tatsumi aveva gratuitamente
elargito
ai poveri malcapitati smistati nelle varie zone d'allenamento.
Istintivamente
prese Lixue per mano, avvicinandola a sé.
Forse anch'egli memore delle proprie azioni, Tatsumi le
rivolse uno strano ghigno, che si spense non appena vide Camus.
"Nobile Aquarius." esordì l'uomo. "Prego, vogliate
seguire Yuki, vi accompagnerà alla vostra sistemazione."
Camus rispose all'inchino dell'uomo con un freddo e composto
accenno del capo, prima di seguire la cameriera.
"Ho sentito dire che c'è una nursery per i
bambini." bisbigliò Hyoga.
"E' vero." commentò Freya, laconica: sua
sorella ne aveva ampiamente usufruito.
"Ringraziando gli Dèi non ha proposto di
accompagnare Lixue da nessuna parte. Avrei risposto male, davvero molto
male."
disse Mei.
Arrivati nelle loro stanze, scoprirono che era un grande appartamento
con quattro camere da letto, comunicanti tra loro attraverso un ampio
salotto
in comune.
"Due stanze le occupiamo noi e Li, in una stanza ci
siete voi… e nella quarta?" domandò Camus.
Sperò ardentemente che non gli
toccasse Shiryu come "coinquilino", non era sicuro di poterlo gestire
per più di otto ore di fila.
Milo proruppe nel salotto, eseguendo un inchino.
"Ta daaah!"
"Yeeeeh!" esclamò Lixue, tutta contenta.
"Se non ti vado a genio, puoi sempre chiedere se al
posto mio e di Shaina infilano Shiryu e Shunrei." propose Milo, dopo
aver
visto l'espressione dell'amico.
Camus si accertò che Mei non sentisse.
"Scherzi? Era sollievo il mio: preferisco convivere sotto
lo stesso tetto con due scorpioni che con una serpe."
bisbigliò, trovando
una busta sigillata con la ceralacca indirizzata a lui e Mei sul
tavolino.
"Mamma, hai visto il bagno della mia stanza? C'è una
vasca enorme!" esclamò Lixue, tutta eccitata. "Sembra una
piscina!
Solo che non mi piace il colore."
Mattonelle di marmo rosa antico, una vasca a forma di
conchiglia grande quanto due vasche da bagno e un assortimento di
articoli tali
da far invidia a un hotel a cinque stelle; il resto delle camere non
era da
meno: raso, seta e cuscini di piume ovunque, soprattutto sui letti a
baldacchino.
"Sai che cosa diceva tua nonna Letizia, tesoro? Chi
si accontenta, gode." rispose Mei. "Non siamo a casa, siamo
ospiti."
La camera dove avrebbe dormito con Camus, manteneva la
stessa opulenza.
"Un lusso del genere l'ho visto solo una volta,
durante un viaggio di lavoro. Ero al Mandarin Oriental di Hong Kong,
albergo
straordinariamente bello, devo ammetterlo, ma fuori dalla mia
portata… per
fortuna il soggiorno era pagato dal dojo. Qui avrei giurato di vedere
uno stile
più giapponese. Sai, con le porte scorrevoli in carta di
riso, tatami a terra,
futon e bagni in comune." disse Mei, un po' delusa.
"La villetta appena fuori Tokyo è in stile
giapponese, ma data la quantità di ospiti vip presenti al
ballo, Lady Saori ha
preferito usare questa." spiegò Milo, sulla porta della loro
stanza.
"Non ti spiace, vero, se più tardi rapisco Camus per un
goccetto?"
"Camus non deve mica chiedermi il permesso, è
liberissimo di fare ciò che vuole, sai? Io ne
approfitterò per stare un po'
tranquilla a mollo."
"Il che, in gergo femminile, significa che lei,
Shaina e Freya impiegheranno almeno tre ore a restaurarsi." tradusse
Hyoga. "Dai Lixue, vieni con me, ti porto un po' in giro a caccia di
manga
e action figures. Mentre tua madre e le tue… zie
si fanno belle, o almeno ci provano, per questa sera."
"A te non basterebbe una vita intera per farti
apparire decente, fai tu."
replicò Mei, chiudendosi la porta del bagno alle spalle.
*
Rimasta assolutamente sola nella stanza, tirò fuori dalla
custodia l'abito di sua madre che Yuki, la cameriera assegnata
all'appartamento, aveva infilato nell'armadio, lo indossò e
si fermò davanti
allo specchio, indecisa se indossarlo così com'era o se
sdrammatizzarlo con
qualcosa di nero.
"Il vestito che indosserai sarà quello?"
domandò Freya, ferma sulla porta. "Scusa il disturbo, ma la
porta era
socchiusa e quando ho visto il vestito mi sono fermata incuriosita. E'
un
Lanvin vintage, giusto?"
Mei corrugò la fronte.
"Non ne ho la benché minima idea, non c'è nessuna
etichetta all'interno, era di mia madre e come minimo è un
vestito di sedici
anni fa." spiegò. "Ma ho fatto un errore a portarmi dietro
questo, mi
va un po' largo e non ho sufficiente seno per riempirlo."
Freya le indicò la porta della sua stanza.
"Di là ci sono le mie cameriere, puoi approfittarne."
Ci pensò su un attimo: non aveva altri abiti con
sé e
uscire per negozi a quell'ora era impensabile.
"Sono anche brave con il restauro?"
"Prego?"
"Sono anche brave con trucco e parrucco?" ripeté, facendola
poi
sorridere.
"Diamine sì. Se ci riescono con me, con te sarà
una
passeggiata."
Quando Camus rientrò dopo il giro con Milo, al posto suo
trovò un biglietto nel quale gli spiegava che si stava
preparando per la festa
nella stanza di Freya insieme al suo entourage; sul letto, insieme al
suo
smoking, Camus trovò anche una seconda custodia, una scatola
con delle scarpe
decisamente non sue e altri accessori che non aveva mai visto prima.
"Non capisco." borbottò.
"Quella dev'essere la mia fascia." disse Hyoga,
bussando discretamente sulla porta aperta e annunciandosi. "Mi hanno
dirottato qui, per usare un eufemismo."
"In verità ti hanno sbattuto fuori dalla stanza senza tanti
complimenti." tradusse Camus. "Carina la tua fascia da miss." lo
prese bonariamente in giro, posando la fascia azzurro ghiaccio e la
relativa
spilla con attenzione sul letto.
"La fascia che mi marchia come futuro appartenente
alla Casa Reale di Asgard." rispose Hyoga. "Ma non credo la
indosserò."
"Perché no?"
"Hilda ha insistito affinché la portassi con me, ma in
verità dovrei
indossarla solo a fidanzamento annunciato." proseguì Hyoga.
"Dopo tutto questo tempo direi che ormai tutto il
mondo è a conoscenza del vostro fidanzamento." disse Camus.
"Mi
prenderà un infarto quando ti vedrò all'altare
vestito come un vero
principe."
L'altro arrossì.
"No, per carità, l'infarto riservalo alla tua bella,
stasera." rispose Hyoga, schiarendosi poi la voce. "L'ho intravista
poco fa, in camera e beh, la sua bellezza ridarebbe la vista a un
cieco."
Camus sorrise con orgoglio.
"Per me è bellissima sempre, anche di prima mattina,
struccata e spettinata."
"De gustibus…" commentò quindi Hyoga, ricevendo
in risposta un'occhiataccia del maestro.
**
"Dov'è Mei?" domandò Camus, vedendo Hyoga e Freya
arrivare da soli. "La festa non è ancora iniziata, ma non mi
piace fare
ritardo e son già le diciannove e trenta."
Hyoga guardò oltre Freya.
"Ero sicuro ci stesse seguendo, era dietro di
noi." rispose, corrugando la fronte. "Forse ha dimenticato
qualcosa."
"Oh, sicuramente." s'aggiunse Hilda, arrivando
insieme a Saori. "Credo sia normale dimenticarsi qualcosa in occasioni
come queste, dico bene?"
Camus eseguì un lieve ed educato inchino in favore della
regina e di Lady Saori, ricevendo in risposta un gran sorriso da
entrambe.
No, nessuna dimenticanza; era rimasta indietro apposta: prese
un gran respiro e sbirciò nell'anticamera della sala da
ballo dove Camus la
stava aspettando insieme a Hyoga e gli altri, pronto per entrare in
sala con
lei, e si scoprì nervosa come una scolaretta prima del ballo
scolastico. Si strofinò
le mani dalle unghie smaltate di nero e per una qualche strana ragione
tornò
indietro di qualche passo, scontrandosi con qualcuno.
"Go… ehm…
gomen'nasai." balbettò a mo' di
scuse, sperando di aver usato il termine giusto, sollevando lo sguardo
su… DeathMask.
"Mei?!" domandò quest'ultimo, sgranando gli
occhi incredulo.
"Beccata."
"Mi prenda un colpo, quasi non ti riconoscevo."
disse DeathMask. "Ti avevo scambiata per Shaina."
Shaina era già in sala,
lo corresse
Mei mentalmente, una silfide inguainata in un elegante abito aderente
come una
seconda pelle.
"E invece no."
Lo sguardo di Death la percorse da capo a piedi,
"Infatti, come ho potuto scambiarti con Shaina? Lei
non è piatta come una tavola. Mah, diciamo che sei quasi guardabile stasera, anche se hai lasciato
il petto a casa."
"Questo perché quando Kwan Yin distribuiva le tette,
io facevo la fila per il cervello. Vorrei poterti dire lo stesso, sai,
ma
rimani uno zotico inguainato in uno smoking." replicò lei,
ergendosi in
tutta la sua altezza, ringraziando
i
tacchi da dodici centimetri che indossava.
"Uno zotico che si è annodato il papillon alla
cieca, oltretutto. Eppure è mio fratello quello che ha
costantemente problemi
alla vista."
"Bella questa. Non sono pratico di feste dell'alta
società." rispose DeathMask, lasciandole fare il nodo al
papillon.
"Eh, io invece sono espertissima." fece Mei,
alzando gli occhi al cielo. "La festa più in
alla quale ho partecipato è stata la mia festa di
laurea."
"Sei pure laureata? Oggigiorno lasciano laureare
anche le donne? Ma pensa te." scherzò DeathMask.
"Eh già, pensa che posso guidare l'auto! E… udite
udite, anche uscire da sola!"
"Questo mondo finisce sempre più a schifio.
Sei qui da un po' e il tuo
moroso ti sta aspettando. Intendi restare qui a fare da tappezzeria o
pensi di
portare le tue chiappe in sala?"
"Mi sento ridicola."
"Ho appena visto una specie di contessa con un cilindro rivestito di
marabù in testa, tu almeno sei decente. Farai di sicuro la
tua figura."
"Immagino quale."
DeathMask si schiarì la voce.
"Sto per dirti una cosa che da me non sentirai mai
più." iniziò, mentre Aphrodite, passandogli
dietro, gli elargiva una pacca
in testa.
"Smettila d'importunare le signore, vecchio porco.
Stia attenta signorina, al momento meno opportuno potrebbe trascinarla
in
qualche toilette." ridacchiò, non riconoscendo Mei.
"Gli
piacerebbe. Ma mai, nemmeno in un milione di vite."
replicò Mei,
stringendo il nodo del cravattino quasi con cattiveria. "Ciao, Phro."
Aphrodite la squadrò da capo a piedi.
"Mei??!"
"In carne e vintage."
rispose lei. "Buonasera."
"Che mi venga un accidente!"
"Stavo per dirle beddazza
quando mi hai interrotto."
"Non esageriamo, su." si schermì Mei.
"A Camus verrà un infarto." commentò DeathMask,
a voce bassa.
Mei rise.
"Spero di no, per stanotte ho altri programmi."
DeathMask si mise poi a parlare con Aphrodite, e Mei si
decise a scendere al piano di sotto, raggiungendo Camus.
"… non è che si è di nuovo sentita
male?" stava
dicendo Shunrei. "Io andrei a controllare."
"Vogliate scusarmi." disse quindi Camus, corrugando la fronte. Da
qualche giorno Mei avvertiva fastidi di varia natura, ma non aveva
pensato a
niente di serio, altrimenti sarebbero rimasti a Parigi.
"Prego." sorrise Hilda.
Stava tornando in camera, quando la vide in cima alla
rampa di scale: abito bianco a maniche lunghe sdrammatizzato da vistosi
orecchini
d'onice e scarpe alte anch'esse nere che s'intravedevano appena a ogni
passo e
spiccavano sul candore del semplice vestito in jersey di seta. Unico
particolare, la scollatura molto audace velata appena dai ricami di
cristalli
su uno strato leggerissimo di chiffon.
"Tutto bene, avevo dimenticato il cellulare in
camera." esordì, a mo' di scusa, rivolgendosi ai presenti e
sistemandosi i
capelli, portati di lato. "Visto? Nemmeno tra mille vite sarei riuscita
a
stendere così bene il rossetto e farlo rimanere nei margini,
l'entourage che
Freya si porta appresso opera miracoli!"
Compreso un abile
lavoro di cucito sul davanti dell'abito per adattarlo alla mia seconda
scarsa,
ma non lo disse ad alta voce.
"Tutto bene?" domandò quindi a bassa voce,
quando incrociò lo sguardo di Camus.
"Sei… sei… magnifica."
"Concordo." interloquì Milo.
"Uh, esagerato. Tu sei moralmente obbligato a farmi
sentire bella, ma tu, Milo… se solo avessi visto mia madre,
con questo stesso
abito… credimi, la penseresti diversamente."
"Beh. Sei una donna diversa da tua madre, quindi
ogni confronto sarebbe sciocco e inutile." sorrise Milo.
"Sei in ritardo come il solito." la rimbeccò
Hyoga.
"Non essere villano!" mormorò Freya.
Doveva aver tirato fuori l'abito delle grandi occasioni:
stringate di vernice, pantaloni con la riga laterale lucida, gilet e
papillon
neri, camicia e giacca bianche e una fascia color ghiaccio che gli
attraversava
il torace dalla spalla destra al fianco sinistro.
"Stai benissimo!" disse Mei, ammirata, dopo
averlo squadrato da capo a piedi.
"Non sei in ritardo." si corresse Hyoga,
divertito.
"Hey, non va bene elogiare un uomo quando ne hai già
uno così elegante al braccio." ridacchiò Freya,
fingendosi gelosa.
"Per una volta che parla bene di me, lasciala
fare!" esclamò Hyoga.
"Beh, sarebbe superfluo da parte mia elogiare il mio
uomo: Camus sa già che cosa penso di lui. Potrebbe essere
vestito del solo
perizoma di Tarzan e farebbe comunque il suo figurone." rispose Mei,
consapevole del fatto che Camus sarebbe arrossito nel giro di pochi
istanti.
"Mei, ti prego…" bisbigliò lui, imbarazzato.
"Scusami, scusami. Niente più battute, te lo
prometto."
Camus sorrise appena.
"Dove hai lasciato Lixue?"
"Nella sua stanza, dopo la cena e il giro turistico per Tokyo
è
crollata." spiegò Mei. "Sta dormendo."
"Finalmente conosco la tua fidanzata." sorrise
Hilda, poco dopo.
"Mei-Yin." la presentò Camus.
"Maestà." salutò Mei, inchinandosi
rispettosamente.
"Hilda, per favore." la corresse lei. "I
titoli pomposi e altisonanti li lascio volentieri alle altre regine.
Sono
felice di fare la tua conoscenza, Freya mi ha parlato di te ed ero
curiosa."
"Lusingata." rispose Mei, un po' imbarazzata.
Saori tornò da loro, in mano una piccola cartelletta.
"Chiedo venia, ma devo allontanarmi." esordì,
accorgendosi poi di Mei. "Sei la sorella di Shiryu, giusto? Ci siamo
già
viste, se non ricordo male."
"Ci siamo incrociate anni fa, al Santuario."
rispose Mei, senza scendere nei dettagli.
Saori fece mente locale.
"Ma certo, ora ricordo. Sono di fretta, ma spero di
poter scambiare due chiacchiere con te più tardi. All'epoca
non fosti molto
incline a parlarmi."
Mei si schiarì la voce, cercando le parole più
adatte.
"All'epoca non fui molto incline a parlare con
nessuno, a essere sincera." rispose. "Niente di personale."
"Vero, non parlò neanche con me, era troppo affranta
e persa nel suo immenso dolore."
esordì Shiryu,
alludendo al periodo immediatamente successivo alla scalata del
Santuario.
Si voltò di scatto come punta da una tarantola,
rispondendo al fratello con uno sguardo che, avesse potuto, l'avrebbe
fritto
all'istante. Tuttavia tacque, ricordandosi degli ammonimenti materni
sul
comportamento adatto a una signora.
"Suppongo sia normale chiudersi in sé stessi quando
si perde la persona amata, non trovi?"
"Ho fatto e non fatto tante cose all'epoca, ma non è
il luogo né il momento adatto per parlarne." rispose Mei,
sorridendo con
gratitudine a Shun per averla difesa.
"Hyoga mi ha detto che qui disponete di un giardino
con fiori esotici." interloquì Freya, prendendo Mei a
braccetto e
cavandola d'impiccio.
"Davvero? Mi piacerebbe vederlo!" esclamò Hilda.
"Con il freddo che fa a palazzo persino le piante finte muoiono."
"Che esagerata!" esclamò Saori, divertita.
"Più tardi vi accompagnerò personalmente, alcune
rare specie di fiori sbocciano
solo di notte. Così da lasciare voi gentiluomini liberi di
gustare dell'ottimo Rémy Martin
in santa pace. Mi han detto
che lo preferisci al tuo omonimo e al ben più noto
Courvoisier."
Camus soffocò una risatina.
"Touchè." ammise. "Ma apprezzo comunque
anche gli altri."
"Non ne dubito, sarebbe da sciocchi non apprezzare
un ottimo Courvoisier invecchiato ventun anni."
Shiryu attese finché Hilda e Saori non si furono
allontanate.
"Che roba è il Rémy Martin?" domandò,
a Hyoga.
"Cognac, lucertolone." rispose DeathMask al suo
posto. "Qualcosa che dei bifolchi grezzi e maleducati come te non
riuscirebbero ad apprezzare."
"Sai, Shiryu… a
volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e
togliere ogni
dubbio." disse Camus, scoccando al cognato un sorrisino
ironico, prima
di porgere il braccio a Mei.
Entrarono nel salone delle feste gremito di gente:
eleganti smoking, scintillanti monili d'alta gioielleria, impalpabili
abiti da
sera… di fronte a quell'opulenza si pentì di non
aver accettato l'aiuto di
Freya, che si era offerta di prestarle una parure di una ben nota
maison
francese.
E se dovessi
malauguratamente perdere qualcosa, quanti anni di lavoro impiegherei
per
rifondarle la perdita? aveva pensato, rifiutando con molto
tatto la
gentilezza della principessa. Una valigia di abiti invernali poteva
ancora
accettarla, una parure di diamanti che costava quanto una villa a
Montecarlo,
no.
Solo che in quel momento, di fronte a tanta ricchezza, si
sentì fuori posto.
"Ora c'è il discorso di Lady Saori." la
distrasse Camus, a bassa voce, mentre l'elegante notturno di Chopin che
aveva
intrattenuto gli ospiti fino a quel momento volgeva al termine.
"Buonasera a tutti e benvenuti. Molti di voi sono
ormai frequentatori veterani delle mie feste e, sono certa, anche un
po'
stanchi di questo mio discorso d'apertura" esordì Saori,
scatenando
qualche risatina tra gli ospiti "ma intravedo molti volti nuovi stasera
ed
è per loro che parlo." Come
previsto da Camus, spiegò a beneficio dei nuovi arrivati che
aveva preso spunto
per quella festa dalle feste che aveva avuto modo di frequentare
durante il suo
periodo di studio a Vienna, dei balli della Wiener Philharmoniker ai
quali
aveva partecipato e che aveva a tutti i costi voluto organizzare per il
suo
debutto in società e, in seguito, per i compleanni.
Intenta a seguire il discorso –in inglese, vista la
stragrande maggioranza di ospiti famosi-, Mei non si accorse del
fratello, che
le era ricomparso di fianco quasi all'improvviso.
"Tranquillizzati, Saori non è così tremenda come
pensi."
"Ci pensi già tu ad agitarmi, razza di stupido
arrogante e borioso: affranta per il mio
immenso dolore? Avrei voluto vedere te al mio posto come
avresti reagito, se
quella volta non fosse intervenuto Dohko a salvare Shunrei. Guarda che
non è
per lei che sono a disagio, e neppure per i vip
presenti. E' quest'abito che mi crea fastidio."
"Perché? Il vestito di mamma ti sta bene."
"E' bianco e
stava molto meglio a lei." rispose Mei. "Saori è giapponese,
giusto?
Possibile che con un nonno nipponico fino al midollo non sappia che in
Cina,
India e zona asiatica in generale il bianco è associato al
lutto? Persino Shaka
è vestito di nero."
Difficile non notare l'inquilino della sesta casa, nel
tipico sherwani indiano, che
cercava
di attirare meno attenzione possibile.
"Lady Saori non bada a queste cose, ha vissuto
parecchio all'estero e ha leggermente abbracciato uno stile di vita
più…
occidentale." rispose Shiryu.
Il concetto di leggermente
era un eufemismo, a giudicare dagli enormi affreschi alle
pareti, dai marmi
e dai lampadari di cristallo che illuminavano a giorno la sala;
partendo da
Parigi aveva immaginato la dimora di Saori in maniera molto diversa:
qualcosa
più somigliante al ben noto Castello Himeji, ad esempio.
Quell'enorme villa
invece pareva la fedele copia di Schönbrunn.
"E comunque mamma vestiva sovente di nero, pur
essendo tipico colore da funerale, in Occidente… nemmeno lei
badava a queste
cose." riprese Shiryu.
A dire il vero lui non se lo ricordava, ma anche la loro
madre faceva bene attenzione a certi colori: per Letizia era
impensabile
vestire viola a teatro o rosso a un matrimonio.
Anche in quel caso decise di tacere a riguardo, per non
sollevare polveroni inutili.
Persa com'era nei propri pensieri, non seguì il discorso
di Saori né tantomeno sentì il cerimoniere dare
l'avvio alla festa.
"Mi dispiace averti quasi obbligata a vestire di
bianco."
Si riscosse, guardando Camus.
"Come? Oh, ormai è fatta, non preoccuparti."
rispose, soprapensiero.
"Scusa, posso?" Camus indicò con un cenno l'elegante
libricino –non più grande d'un passaporto- che
Mei, come tutte le altre
invitate aveva ricevuto all'ingresso in sala. "Puoi ballare con chi
vuoi,
ma l'ultimo ballo spetta solo a me." le disse, segnando il nome di Mei
sulla copertina e il proprio nome in cima e in calce al foglio
piegato a
fisarmonica all'interno, con la piccola matita in dotazione al carnet.
"Oh, dunque è un vero e proprio ballo in stile
ottocentesco, come ai tempi dell'imperatrice Sissi."
commentò Mei. "Spero
solo di non incrociare qualche Franz Joseph, fonti certe mi dicono che
la vita
dell'imperatrice non fu proprio rose e fiori. Già
è imbarazzante trovarsi a una
festa piena di gente quasi del tutto sconosciuta, figurati ballare con questi perfetti sconosciuti."
"Beh, ma la padrona di casa, gli amici di tuo fratello
e gli altri Gold li conosci." obiettò Camus.
"Restano comunque un po' poche persone rispetto al
numero degli invitati che vedo, non trovi?"
"Cerchiamo di rimediare subito allora, anche se
sinceramente non so quanto possano esserti d'aiuto le mie
informazioni… per
cominciare, l'uomo che sta parlando con Lady Saori in questo momento si
chiama
Julian Solo. Anche lui proviene da una ricca famiglia di armatori e
petrolieri,
si vocifera che i suoi interessi verso Lady Saori non siano puramente
commerciali, ma anche personali: più di una volta ha chiesto
la sua mano, ma
senza alcun successo."
Mei guardò con discrezione l'uomo: alto, biondo scuro,
modi aristocratici.
"Visto da qui mi sembra piuttosto belloccio e
gradevole. Perché mai Saori avrebbe rifiutato un buon
partito? Suo nonno
avrebbe senz'altro acconsentito."
"Beh, per prima cosa Saori nutre parecchi sentimenti,
ricambiati, nei confronti di Seiya. In secondo luogo, Julian Solo
è la
reincarnazione di Poseidone."
Lei sgranò gli occhi.
"Quel Poseidone? Quello che ha scatenato quella
guerra anni fa minacciando di affogare il mondo in un secondo diluvio
biblico?
Sfido io che lo rifiuta, chi andrebbe mai a sposare il proprio
rapitore?"
disse, collegando quel volto all'apparenza gentile al dio dei mari.
"Santi
numi, è proprio vero che spesso l'apparenza inganna."
"Buona e incline al perdono sì, sciocca e avventata
no." commentò Camus. Da un cameriere di passaggio prese due
calici e
gliene porse uno.
"Preferirei mangiare qualcosa prima di bere, dopo
pranzo non ho mangiato nulla per via del teletrasporto, sai, ancora non
mi sono
abituata: per fortuna la nausea è passata prima della festa
o adesso sarei su
in camera a far compagnia a Lixue."
Camus sospirò.
"Perché non ne sapevo nulla?"
"Di cosa, scusa?"
"Di questo malore."
"Déi del cielo Cam, era solo un po' di nausea, non
preoccuparti." gli rispose, seguendolo verso il tavolino al quale erano
già seduti Shaina e Milo. "Sto benone, altrimenti ti avrei
informato del
contrario. Stai tranquillo. Amici miei, buonasera."
"Mei, posso chiederti un favore?" domandò Milo.
"Dammi almeno il tempo di sedermi." protestò
Mei, adocchiando l'alzatina straripante di dolcetti al centro del
tavolo.
"Se è nelle mie possibilità, ben volentieri."
"Prima o poi, nel corso di questa serata,
annunceranno la scelta alle dame.
Tu
sai cos'è, giusto?"
La facoltà, concessa ben poche volte, di permettere a una
donna di invitare a ballare un uomo anziché viceversa.
"… ebbene?" volle sapere Mei, mentre Camus
inarcava un sopracciglio.
"Siccome sarò richiestissimo, ti chiedo di far
ricadere la tua scelta su di me, per evitare di farmi finire nelle
grinfie di
qualche signora che nonostante l'età non cede al tempo che
passa: ne ho vista
una fasciata in un abito zebrato che…" Milo s'interruppe,
facendo una
smorfia di disgusto. "Insomma, si tratterebbe di un'azione caritatevole
nei confronti di un amico. Faresti questo per me?"
"Richiestissimo?"
fece eco Camus. "Ho sentito bene? Hai detto proprio richiestissimo?
Non per smontare il tuo gigantesco ego, ma al
momento quello più gettonato è Shaka."
"Per via del fascino esotico, Cam." commentò
Mei. "Si fermano al vestito tradizionale e ai capelli d'angelo,
perché se
lo conoscessero davvero…"
Milo le prese una mano, lo sguardo da cucciolo.
"Allora posso contare sul tuo aiuto?" insistè,
mentre Mei addentava un dolcetto.
Scambiò una rapida occhiata con Camus, che annuì
divertito, e annuì a sua volta.
"Va… va bene."
"Oh grazie, ti adoro! Sappi che ti sono debitore."
Mei sospirò.
"Se non fosse che sono felicemente impegnata, ti
prenderei in parola e la tua virtù sarebbe in pericolo."
In quel mentre davanti al loro tavolo passarono Aphrodite
e la sua compagna di danze.
"Noto che Aphrodite è ancora insieme alla sua
ragazza storica." commentò Camus, distogliendo subito lo
sguardo dalla bella
ragazza che volteggiava tra le braccia dell'amico.
"Iris? Certo che sì. So che convivono a Stoccolma da
anni, ormai." rispose Milo; era una cosa che aveva sentito al
Santuario,
dato che Aphrodite teneva ben riservati i dettagli della sua vita
privata, ma
l'intimità che traspariva da quei due non lasciava spazio a
dubbi.
Shaina si schiarì la voce.
"Mei, tuo fratello sarebbe disposto a insegnare a
Milo come si muove e si comporta un non vedente?"
Mei lanciò un'occhiata a Milo, quindi tornò a
guardare l'amica.
"Come, scusa?"
"Shiryu dovrebbe spiegare a Milo che cosa significa essere cieco e
dargli
consigli su come muoversi una volta che non avrà
più uno dei suoi otto
sensi." disse Shaina, facendo corrugare la fronte sia a Camus che a
Milo,
mentre DeathMask, che era appena arrivato e aveva seguito l'ultimo
scambio di
battute, sogghignava divertito.
"Credo di non capire." disse Milo.
"Io ho capito." interloquì DeathMask.
"Io no." risposero Milo e Mei, nello stesso
momento.
"Mei fa finta di niente e perciò a lui va anche
bene, ma se ti becco ancora una volta a piazzare gli occhi sul
posteriore di
quella stangona nordica, te li cavo e li uso come pendenti. Sono stata
abbastanza
chiara adesso, tesoro mio?"
Milo si schiarì la voce.
"Sai, a volte mi fai paura."
"Prevedo scintille." mormorò Mei.
"Scintille? Shaina sarebbe capace di distruggere il
palazzo intero." rispose Camus.
"Mizzica Shaina, dagli tregua, gli occhi son fatti
per guardare." intervenne DeathMask. "State attenti, belli miei: le
femmine italiane sono molto pericolose, soprattutto quando sono
gelose."
aggiunse rivolgendosi ai due colleghi mentre con un braccio circondava
le
spalle di Shaina, che sgusciò subito via dalla sua presa.
"Tutte le donne lo sono, di qualunque etnia siano. Anche
se alcune insistono a negarlo." lo corresse Mei.
"Uomini: appena vedono un bel sedere taglia 36,
perdono la testa. Bada Milo, che non stavo scherzando prima."
l'ammonì
Shaina. "Bene bene, vorrà dire che mentre voi due vi
lustrate gli occhi
con quella, io e Mei andremo a prendere qualcosa da bere con
questo… come
definirti?"
Scherzando, DeathMask gonfiò i muscoli tendendoli per
bene sotto la camicia.
"… bel manzo?"
suggerì.
"Beh, insomma, non esageriamo… ho visto di meglio,
posso assicurartelo." replicò Mei.
"Noi andremo a prendere qualcosa da bere con
DeathMask. Qualcosa in contrario?"
Milo parve basito, mentre Camus, avesse potuto, l'avrebbe
congelato con lo sguardo.
"Ma hai sentito?" domandò Milo, guardando i tre
allontanarsi verso il bancone bar nella saletta attigua.
"Tu hai
fatto i commenti sulla ragazza di Phro e io
becco la ramanzina??!" gli rispose Camus.
"Hey, anche tu hai guardato Iris!" protestò
l'altro.
"Le ho dato un'occhiata, certo." precisò Camus.
"Ha una scollatura abissale che arriva a pochi millimetri dal didietro,
uno dovrebbe essere cieco per non notarla. Ma a differenza tua ho
tenuto gli
occhi ben piantati nelle orbite."
"Si è notato tanto, eh?"
"Fai un po' tu, sembravi Jim Carrey in The Mask."
"Shaina mi ucciderà, prima o poi."
"Farebbe solo bene."
La serata si rivelò piuttosto gradevole a dispetto delle
solite prospettive; discorse di università e lavoro, di
quella che era la vita
a Parigi ora che aveva una famiglia con la quale condividerla, della
possibilità di ampliare la suddetta famiglia e di quanto,
per la prima volta
dopo tantissimo tempo, si sentisse finalmente in pace con sé
stesso. Di tanto
in tanto lasciava vagare lo sguardo sulla sala, tenendo d'occhio Mei e
gli
uomini che l'invitavano a ballare.
"Se uno sguardo potesse tagliare, quell'armatore
sarebbe già bell'e morto." scherzò Freya,
distraendolo. Si schiarì la
voce, imbarazzato per essere stato colto in fallo. "Devo aspettare la
scelta alle dame o m'inviti a ballare?"
"No, no." si alzò e porse il braccio a Freya.
"Ma tu guarda, sei richiesto stasera eh."
commentò Milo. "Prima la regina, ora sua sorella…
saranno quei dannati
capelli rossi. Dovrei tingermeli anche io."
"Tanto per la cronaca, sono rosso naturale. E
secondo, si chiama charme. Se uno
non
ce l'ha, c'è poco da fare." scherzò Camus.
"Dèi del cielo, menomale che sei arrivato. Ancora un
minuto in compagnia di quel pallone gonfiato e sarei impazzita." Mei
sorrise grata a Hyoga. "Ma forse preferivi ballare con la morosa di
Aphrodite."
"In effetti non so se ho fatto un buon affare,
dicono tu abbia schiacciato un gran numero di piedi stasera."
"Sono una judoka, non una ballerina." si difese
Mei. "A malapena so ballare un lento. E forse neanche quello,
figurati."
"Basta che segui i miei passi, nessuno si accorgerà
che col valzer fai pena."
"Grazie."
ribatté Mei. "Basta che non inizi con le sceneggiate da film
di quinta
categoria e la famosa formula e un due
tre, un due tre, perché giuro, ti pianto qui in
mezzo alla sala come un
cretino qualunque."
Suo malgrado, Hyoga ridacchiò.
"Ah, è per questo che hai finto un malore, prima,
durante il valzer con Julian Solo?"
"Mi sono difesa come ho potuto." rispose Mei. "L'ego
di quell'uomo è smisurato come l'universo. Mi ha parlato dei
suoi affari a
Macao e Hong Kong e si è detto un profondo conoscitore della
cultura del mio
paese, salvo poi iniziare a parlarmi in cantonese."
"E' stata una buona conversazione, almeno?"
"…avessi capito una sola parola. Il cinese mandarino parlato
a Pechino è
diverso da quello cantonese parlato a Hong Kong."
"E non è la stessa cosa."
"Ovviamente no, sarebbe come pretendere che un italiano che parla il
solo
dialetto di Aosta comprenda un connazionale che si esprime solo in
palermitano
stretto." obiettò Mei. "Si è dichiarato un
così grande cultore della
mia terra che si è anche detto stupito del fatto che non
porto il velo. Eppure
c'è una grande differenza tra gli hui,
musulmani, e gli han, etnia alla
quale appartiene la mia famiglia. Cultore un accidenti."
"Secondo me ha solo cercato di fare il
piacione." rispose Hyoga. "Ottima strategia comunque, quella del
malore."
"Non ho propriamente finto, mi mancava davvero
l'aria. Ma non dirlo a Camus, inizierebbe a preoccuparsi."
"Non credo sia una buona idea tenerglielo nascosto,
visto e considerato che sei già stata male prima della
festa." rispose
Hyoga. "Forse a Kobotec non hai fatto sufficiente attenzione a coprirti
e
hai preso l'influenza."
"Si sarebbe già manifestata." obiettò Mei.
"Credo invece la ragione sia di diversa natura, ci sono già
passata una
volta e riesco a riconoscere i sintomi."
Istintivamente le guardò la pancia.
"Sei incinta?"
"Forse, non ne sono del tutto sicura."
"Anche questa è una sorpresa?" domandò quindi
Hyoga, alludendo alla possibile gravidanza.
"No, questa è stata cercata." rispose Mei. Dopo
qualche istante, sorrise. "Chi l'avrebbe mai detto che sei un discreto
ballerino?"
Hyoga sorrise in risposta.
"Frequentando una corte reale a lungo andare impari
anche il valzer. Conosco solo quello però, non mi cimento in
altro."
"A parte la carinissima danza classica che esegui
prima della Diamond Dust."
Le rifilò una pacca sulla schiena.
"Cosa credi? Occorrono anni e anni d'allenamento per
imparare quei movimenti."
"Uh, immagino. Anni di allenamenti sfibranti, non
per fracassare ghiacciai eterni ma per ballare nel lago dei cigni."
"No tesoro. Qui c'è un solo cigno, gli altri son
tutte volgari imitazioni."
Sentendo Mei scoppiare a ridere per qualcosa che Hyoga le
aveva detto, lo fece sospirare contento, sulle labbra un gran sorriso.
"A questo punto direi che ce l'abbiamo fatta e che
possiamo brindare al nostro successo."
Camus alzò lo sguardo su Freya e sulla sua aria
cospiratrice, accettando la flûte che gli stava porgendo.
"Soltanto chi ha pazienza può ottenere ciò che
vuole, mia cara."
"Al nostro successo, socio." Freya alzò la
flûte e la fece tintinnare contro quella di Camus.
"Quale successo?" volle sapere Hilda.
"Siamo riusciti ad avvicinare Mei a Hyoga."
spiegò Freya, prima che potesse farlo Camus.
La regina seguì i due con lo sguardo. "C'era qualche
difficoltà di comunicazione tra loro?"
Camus non avrebbe definito difficoltà
di comunicazione l'astio che aveva governato Mei per
molto tempo dopo la scalata del Santuario, il termine più
appropriato era istinto omicida, ma
evitò di parlarne
davanti alla regina.
"Se così vogliamo definirla…" concesse.
"E queste divergenze si sono appianate?"
A giudicare da come parlavano fitto quei due, sì.
"Spero di sì."
Saga s'avvicinò loro e s'annunciò schiarendosi
discretamente la gola.
"Maestà." s'inchinò in favore di Hilda. "Chiedo
venia per il disturbo… posso chiedervi di onorarmi con il
prossimo ballo?"
Hilda si stampò un sorriso sul volto, alzandosi e
porgendo a Saga il proprio carnet.
"Certo."
"Ah Camus, posso chiederti il permesso di ballare
con Mei, dopo?"
Camus inarcò un sopracciglio.
"Buon cielo, per un attimo ho temuto stesse per
invitare te." ridacchiò Freya, incapace di comprendere la
tensione che
s'era creata sull'ultima domanda di Saga.
"Se vuoi ballare con lei, non hai che da domandarglielo,
Mei sa benissimo decidere da sola senza aver bisogno del mio permesso."
rispose Camus, con diplomazia.
"Molto bene, grazie."
"Bonne chance,
alors." sorrise Camus, mellifluo, guardandolo allontanarsi in
direzione di Mei e Hyoga.
"… la colonna sonora di Last
Samurai comunque è una delle più belle
che abbia mai
ascoltato."
Mei annuì.
"Quel film è magistrale, davvero. L'ultima scena…
la
trovo molto intensa: non parlano, non pronunciano una sola parola
eppure quante
cose si dicono con il loro sguardo."
"Uno sguardo può essere più eloquente di mille
parole." disse Hyoga.
In quel mentre Mei vide Saga avvicinarsi.
"A proposito di sguardi eloquenti, cerca di
rivolgerne uno a Saga dal significato: togliti
dalla mia vista."
"Sei già bravissima a farlo da sola." le
rispose Hyoga.
"Madame LaRochelle,
ho qualche chance per il prossimo ballo?"
"Con Hades in persona, piuttosto." replicò Mei,
con un sorriso mefistofelico.
Saga ridacchiò.
"Temo che il signore dell'oltretomba non possa
accontentarvi, al momento è fuori sede e lo
rimarrà per altri duecento anni
almeno. Nel frattempo potreste anche farmi contento e concedermi un
valzer, uno
solo."
"Altrimenti mi fai rinchiudere a Capo Sounio? Ti
piacerebbe." rispose Mei.
"…" Hyoga si schiarì la voce, quando Saga si fu
allontanato.
"Non una parola."
"E chi ha parlato?"
"T'avverto. Hyoga, se provi a cedermi a quella
mummia, giuro che ti infilo tanto di quel peperoncino nella zuppa che
ti faccio
trottare come Varenne."
Hyoga deglutì.
"Però, sai come essere convincente."
"Lo so."
Il valzer che stavano ballando scemò in favore di un
pezzo più moderno: il piccolo ensemble
attaccò un motivetto diverso dai valzer che aveva suonato
tutta la sera, e Mei
corrugò la fronte quando si accorse che una di loro si era
distaccata dal
gruppo pronta a cantare.
"Credo sia arrivato il mio turno." esordì
Camus, interrompendoli.
"Oh, ma certo." Hyoga sorrise, facendosi da
parte e lasciandogli il posto.
"Salve. Mi stavo appunto chiedendo quando ti saresti
fatto avanti." scherzò Mei. "Sai, dopo quel pallone gonfiato
di
Julian Solo, Milo e altri sei temerari prima di Hyoga, cominciavo a
sentire la
tua mancanza."
"Bene. Perché da adesso fino alla fine della serata
non ti lascerò più ballare con nessun altro."
disse Camus.
"Per correttezza, così come ho fatto con Hyoga e con
gli altri galantuomini che fin'ora hanno avuto il coraggio di ballare
con me,
ti avviso che non sono capace." disse Mei. "E che, molto
probabilmente, nei prossimi giorni avrai lividi grandi quanto l'Asia
intera sul
dorso dei piedi."
"E' per questo che, contravvenendo all'etichetta, ho
chiesto a Saori il permesso di far suonare dei lenti prima dell'ultimo
ballo." la informò Camus. "Potevo mica correre il rischio di
trovarmi
i piedi schiacciati sotto un paio di plateau da cinque centimetri: per
quanto
negati, almeno un lento siamo capaci a ballarlo, no?"
"Sì, credo di sì." sorrise Mei. A parte
qualcuno rimasto seduto poiché senza accompagnatore, quasi
tutte le coppie in
sala stavano ballando il lento; intravide Shiryu e Shunrei e non
riuscì a
trattenere un sorriso. Per quanto fosse arrogante e insopportabile come
fratello, come fidanzato era tenero: sperò vivamente potesse
anche essere un
buon padre.
Quella serata aveva un non-sapeva-cosa di surreale. Scosse
la testa, sorridendo.
"Hai mai sentito parlare del jítǐ
hūnlǐ,
cioè il rito dei
matrimoni di gruppo?" domandò, di punto in bianco.
"No."
"Beh, un'agenzia di wedding planner organizza il
matrimonio di un certo numero di coppie scegliendo luoghi tipici e
spazi ampi
per celebrare questi matrimoni di gruppo, dove una volta gli sposi si
vestivano
con gli abiti tradizionali, mentre ora si vestono all'occidentale.
Ecco… io
sono vestita di bianco, tu di nero, le coppie che ci circondano sono
anch'esse
in bianco e nero… sembra un grande matrimonio di gruppo. Se
Shion si fosse presentato
vestito della tradizionale palandrana da Grande Sacerdote, avremmo
avuto anche
l'officiante, adesso." ridacchiò Mei. "Ma non è
un genere di
matrimonio che fa per me: io sogno un matrimonio tradizionale, con
l'hanfu
rosso. Al Goro-Ho, magari, dove c'è l'usanza di legare le
mani dei due sposi
con un drappo porpora e la sposa offre una tazza di tè
zuccherato allo sposo
augurando a entrambi un futuro senza asperità. Le tradizioni
da seguire sono
tante, ma quando e se verrà il momento, mi piacerebbe
poterle seguire così come
ha fatto mia nonna, sua madre prima di lei e così via. Anche
mia madre, pur non
essendo cinese, le seguì per amore di mio padre."
"E io farò lo stesso per te. Ma avrò un sacco di
cose
da imparare, per allora." rispose Camus.
"Sì, ma forse tu preferisci una cerimonia più
occidentale, in municipio, ad esempio."
Camus smise di ballare e discretamente l'accompagnò fuori
dalla grande sala, su un piccolo terrazzo che si affacciava sui
giardini
all'italiana.
"In municipio ci andremo comunque, per firmare gli
atti. Nel frattempo, prima di allora e prima della cerimonia che ti
piacerebbe
avere, c'è un'altra cosa che vorrei fare. Tu mi ami, dico
bene?"
Mei inarcò un sopracciglio.
"Che razza di domanda è? Conosci già bene la
risposta."
"Io ti amo, no?"
"Sì…?"
"Abbiamo una bellissima bambina e… se Athena, Kwan
Yin o l'Imperatore di non-ricordo-cosa vorranno, ne avremo altri."
Mei avvertì il cuore accelerare.
"…sì." sussurrò.
Lasciò che il contenuto del sacchettino che aveva tenuto
in tasca tutta la sera gli scivolasse nel palmo, prima di prenderle la
mano
sinistra.
"Vuoi sposarmi…" le chiese, infilandoglielo al
dito.
"Oddèi, Cam…" disse, il cuore impazzito nel
petto. "…sì…!"
"…stasera?"
Lo fissò incredula.
"Cosa?"
"Sposiamoci adesso."
"Intendi proprio questa sera? Sei serio?"
"Sì. Stasera, subito. Chiamiamo Dohko e gli
chiediamo se può benedire la nostra unione unendoci
spiritualmente con il Legame delle Anime."
Mei sgranò gli occhi.
"Chi ti ha raccontato di questa pratica?"
Al Goro-Ho, al matrimonio già di per sé
ricchissimo di
tradizioni e usi, col trascorrere dei secoli s'erano aggiunte anche
diverse
altre usanze, -frutto forse di contaminazioni straniere-. Una di queste
consisteva nel curare la parte spirituale
del matrimonio in una cerimonia separata dal resto: questa sorta di
legame si
officiava a cospetto degli Avi, con lo scopo di legare le anime dei due
sposi
in un vincolo che sarebbe durato anche nell'aldilà, dopo la
morte fisica. E
proprio per questo, proprio perché non era finché
morte non ci separi ma sarebbe durato davvero per
sempre, non c'era promessa più sacra.
"Shunrei mi accennò qualcosa, tempo fa."
Mei si domandò quanto
Shunrei avesse narrato di quell'usanza: probabilmente sapeva che, come
si usava
nella cerimonia vera e propria, ci si legava l'un l'altra con un nastro
rosso
annodato ai fianchi di entrambi gli sposi, sapeva che l'officiante
avrebbe
legato le loro mani… ma gli aveva raccontato tutto?
"La profonda sacralità di questo atto è dovuto
principalmente a un giuramento solenne preso di fronte agli Antenati e
agli Dèi."
spiegò Mei. "Un giuramento fatto col
sangue."
Camus corrugò la fronte.
"Santi numi, niente di così tragico e soprattutto
nulla di maligno: prima che le mani vengano legate, i due sposi si
fanno un
piccolo taglietto sul palmo della mano. Alla fine sarà un
fastidio momentaneo,
come per gli esami della glicemia."
Dopo qualche istante, Camus sorrise.
"Direi che reggo bene la vista del sangue."
"Sei davvero disposto a sopportarmi per l'eternità?
Coraggioso."
"E tu?"
"Continui a fare domande delle quali conosci le
risposte." ribatté Mei. "Devo però avvertirti che
il Legame delle Anime non
avrà alcun valore
legale."
"Avrà valore per noi, ed è questo che conta."
"Per noi, per gli Antenati e per gli Dèi."
spiegò Mei. "Ed è un vincolo che non
potrà essere spezzato per nessuna
ragione al mondo. Per me ha un valore… inspiegabile a
parole."
"Allora cosa stiamo aspettando?" insistè Camus.
"Facciamolo."
Sopraffatta da un'emozione incredibile e con le lacrime
agli occhi, Mei gli prese la mano destra e ne baciò il
palmo, quindi lo guardò
dritto negli occhi.
"Facciamolo."
Ebbe bisogno di qualche secondo per asciugarsi gli occhi
senza sciupare il trucco.
"Ci sarà bisogno di due testimoni; di solito i
parenti più intimi… genitori,
fratelli… ma i primi mancano e… l'unico fratello
che ho non capirebbe la nostra scelta. E' un'usanza taoista e Shiryu ha
abbracciato
un'altra filosofia di vita già da tempo."
Camus annuì.
"Mi dispiace."
"Anche a me, ma preferisco non coinvolgerlo."
"Se dovessi cambiare idea lo capirei."
"Non cambierò mai idea su di noi." Mei gli
accarezzò
una guancia. "Ricordi che cosa ti dissi quella sera, in spiaggia?"
Se avessi avuto la
possibilità di decidere della mia vita, avrei scelto te,
avrei scelto
l'undicesima casa!
"Sì." mormorò Camus, in risposta.
"Non erano parole dette a vanvera. Non ho avuto e
non avrò mai altra scelta: io sceglierei sempre te. Ti ho
scelto in questa vita
e ti sceglierò nelle prossime diecimila. Ti sceglierei
adesso, ora, nonostante
tutti i dolori, gli sbagli, i pianti. Sceglierei te perchè
quando mi guardi mi
fai perdere ogni certezza e mi fai tremare il petto. Ti sceglierei per
tutti i
tuoi sorrisi silenziosi, per tutte le volte che amandomi mi fai sentire
viva o
quando ti addormenti con gli occhi stanchi crollando sui libri che
leggi a
Lixue. Ti sceglierei per ogni volta che apri le braccia e mi fai
sentire a
casa. Tu sei e resterai sempre la gioia della mia vita."
sussurrò Mei. "Nǐ shì wǒ
de shēngmìng. Méiyǒu nǐ,
wǒ wúfǎ
shēngcún." Sei la mia vita. Senza di te, non
posso sopravvivere.
Rientrarono in sala: Milo e Shaina stavano ancora ballando
sulle note di un
altro lento, e mentre Mei si affrettava a chiamare Dohko, lui
richiamò l'amico
con un cenno.
"Questa canzone è la mia preferita, spero tu abbia
un ottimo motivo per averci interrotti." scherzò Shaina.
Camus si schiarì la voce.
"Mi scuso per averlo fatto." le rispose, serio.
"Ragazzi, avrei bisogno di un favore da voi."
Milo avvertì il suo tono serio e perse il sorriso.
"Tutto bene?"
"Sì. Dovreste seguirci." rispose, mentre Dohko e Mei
arrivavano.
Milo sgranò gli occhi, intravedendo un bagliore sulla
mano sinistra dell'amica.
"Perdiana, è quello che penso io?" sussurrò,
ricevendo in risposta un sorriso radioso.
"Abbiamo bisogno di voi." spiegò quindi Camus.
"…adesso?"
"Adesso."
"Manca una persona, lui non può certo restare qui."
disse Mei. "Tu intanto vai a prendere Lixue."
"Chi?"
"Hyoga, ovviamente."
"Mei, Camus… tutto ciò in sé sarebbe
molto bello, ma
a dire il vero ci sarebbe bisogno di un parente." li fermò
Dohko a bassa
voce. "Mei, tuo fratello…"
"Shiryu non capirebbe e comunque cercherebbe di metterci i bastoni tra
le
ruote. Mi assumerò qualunque rischio, se la sua esclusione
ne comporterà
qualcuno."
"No, beh… il solo rischio è che si arrabbi per
essere stato escluso." capitolò Dohko, di fronte a tanta
determinazione.
"Comunque c'è Lixue. Più parente di
così…"
disse Mei.
"Io ho Milo." interloquì Camus, mentre Dohko e
l'interessato si voltavano quasi in simultanea a guardarlo. "Sai che ti
considero mio fratello. Non c'è nessun altro che vorrei
accanto a me per una
cosa di grande importanza come questa."
"Mi rendi un grande onore." mormorò Milo,
commosso.
Dohko li precedette fuori dalla sala.
"Avanti, allora. Forse riusciremo a tornare prima
della fine della festa."
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo modificato in data 11
novembre 2014)
-Kwan Yin e L'Imperatore di Giada: per i taoisti la prima
è la dea della misericordia, protettrice delle donne, dei
bambini e delle donne
che desiderano avere figli, ha una personalità che
può vagamente ricordare
quella della Madonna cristiana. Il secondo, figlio del sole e della
luna e
quindi dell'unione di Yin e Yang, è il sovrano del paradiso
della mitologia
cinese e una delle maggiori divinità del pantheon
della religione
taoista.
-L'inchino eseguito da Mei nella stanza degli Antenati è
praticato in prevalenza dagli aikidoka e si tratta dello zarei.
-Nanjing: Nanchino.
-Lady Cocca: la dama di compagnia di Lady Marian nel film
Disney Robin Hood.
-Tiropita: è una specie di torta di pasta fillo e
formaggio tipica della tradizione greca.
-La Disney e la questione Marvel e Star Wars: dunque, la
fic è ambientata a cavallo tra i due avvenimenti. Il
franchise Star Wars, ad
esempio, ancora non era proprietà Disney a differenza della
Marvel.
-Rémy Martin, Camus e Courvoisier: tre marche di Cognac.
-Castello Himeji e Schönbrunn: il primo è uno
stupendo
castello in stile puramente giapponese dell'epoca Sengoku. Il secondo
fu la
residenza degli imperatori d'Austria.
-Vestire viola a teatro e rosso ai matrimoni: secondo
santa Wikipedia, durante i quaranta giorni quaresimali, nel Medioevo
furono
vietati tutti i tipi di rappresentazioni teatrali e di spettacoli
pubblici che
si tenevano per le vie o le piazze delle città. Questo
comportò notevoli disagi
economici per gli attori e per tutti coloro che vivevano di solo
teatro. Non
potendo lavorare, infatti, le compagnie teatrali non avevano guadagni e
di
conseguenza anche procurarsi il pane quotidiano era ardua impresa: per
questo
motivo in teatro e in televisione abiti e oggetti di colore viola sono
tuttora
considerati di cattivo augurio e, nei limiti del possibile,
accuratamente
evitati. È uso che anche gli spettatori, più o
meno partecipi della
superstizione, evitino di indossarlo.
Il rosso ai matrimoni, secondo alcuni manuali di galateo
in mio possesso, è da evitare in quanto potrebbe distogliere
troppo
l'attenzione dalla sposa, vera protagonista della giornata.
-Il Legame delle Anime e il piccolo patto di sangue
durante la cerimonia… dunque. Il patto di sangue mi
è stato ispirato dal
romanzo della Gabaldon, ergo non ha alcun riferimento di natura
maligna, per
carità. D:
Mi è sembrata una cosa romantica e parecchio profonda,
qualcosa che, riguardando la puntata di Outlander, ho deciso di
inserire in un
contesto che, per le credenze di Mei è già
parecchio profondo. Per quanto
riguarda il legame delle anime
è una
cosa da me totalmente inventata sulla base di una particolare scena del
film 47
Ronin, ovvero la scena nella quale Kai giura solennemente a Mika che
non
importa che cosa può o non può succedere nella
vita che stanno vivendo (nella
quale non possono stare insieme), lui continuerà a cercarla "attraverso mille mondi e diecimila
vite". Ecco. La mia intenzione è quella di legare
Mei e Camus e le
loro anime in un legame che vivrà oltre la morte fisica.
Oh dio, ditemi che avete capito che cosa intendo dire, il
mio discorso non poteva essere più articolato di
così. D: D:
-Sempre ispirato a 47 Ronin è il sottotitolo del capitolo
e una frase del discorso di Mei (riadattato da una nota su Tumblr): la
frase in
originale, tradotta con "…nessuno, a parte te e me deve
sapere che sei, e
rimarrai sempre la gioia della mia vita" è una stupenda
dimostrazione
d'amore che Kuranosuke fa nei confronti di Riku, sua moglie. Il film
è meraviglioso, ve lo consiglio.
Comunque, grazie per il sostegno, sempre apprezzato. Alla
prossima!
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 18 *** Enough is enough. ***
Capitolo 18 rivisto
18.
Enough
is enough.
[Amare
qualcuno non è solo un forte sentimento. È una
scelta, una promessa, un
impegno.]
Erich
Fromm
If
you've reached the end,
don't
pretend that is right when it's over,
If
you've had enough,
don't
put up with his stuff,
don't
you do it.
[No
more tears - B.Streisand & Donna Summer]
Primi
giorni di novembre,
Parigi.
Camus
si accorse di avere
i pensieri rivolti altrove dopo aver riletto per la quinta volta la
stessa
riga; salvò il lavoro sulla pendrive e chiuse il volume che
stava traducendo,
quindi aprì internet e il motore di ricerca e
iniziò a cercare le risposte a
quei dubbi che l'assillavano da settimane.
Almeno
finché l'icona di
Skype non s'illuminò di colpo, seguita dal trillare tipico
di una chiamata e
del volto di Milo nel riquadro in alto a destra dello schermo.
"Yasas,
Milo."
"Ti
disturbo? Stavi
lavorando?"
"Sì,
ma ho smesso
poco fa, non riesco a concentrarmi su niente." rispose Camus,
premendosi
due dita alla radice del naso. "Sto allegramente perdendo tempo su
internet."
"Allora
dopo mi
raccomando, cancella la cronologia o Mei vedrà i
collegamenti a youporn."
Camus
inarcò un
sopracciglio, riuscendo a gelarlo con lo sguardo anche attraverso la
webcam.
"Diversamente
da te,
amico mio, non ho bisogno di youporn e del fai-da-te-, la mia vita di
coppia mi
soddisfa pienamente." ribatté. Si raddrizzò sulla
poltrona e tornò alla
ricerca. "Mi soddisfa così tanto che credo di essere entrato
in una certa
fase."
"Cos'è,
funziona come
un videogioco? In tal caso dammi i codici segreti così da
evitare il
problema."
"Una
soluzione per te
ce l'ho. Astieniti dal fare sesso e vedrai che non correrai alcun
rischio." rispose Camus.
"Spiritoso.
Posso
astenermi da tutto, ma non da quello."
"E
allora quella fase
mettila sempre in conto, il preservativo si può sempre
rompere e la pillola può
sempre essere rigettata prima che faccia effetto. Mai
dire mai."
"A voi è successo questo?"
"No. Se c'è, l'abbiamo cercata. Vogliamo entrambi un altro
bambino."
"Non
mi dire… Mei è
incinta?" tirò a indovinare Milo.
"Non
lo so con
certezza, ma lo sospetto. Più tardi andrò a
parlare con mia cognata,
sicuramente ne saprà di più rispetto a certi siti
internet."
"Ah,
ovviamente."
"Alcuni
si
contraddicono tra loro o scrivono assurdità, non so a chi
credere. Senti qua: i sintomi qui elencati
possono presentarsi
in situazioni che variano di caso in caso e da donna a donna,
così come possono
essere del tutto assenti o presentarsi solo alcuni di questi. Molte
donne
avvertono i primi sintomi già a quindici giorni dal
concepimento, altre a
partire dal terzo mese…" Camus smise di leggere
preferendo saltare
tutta la parte anatomica relativa al concepimento e all'impianto della
gravidanza, iniziando a leggere tutta la sintomatologia con attenzione. "I
primissimi sono quelli relativi al seno, che aumenta e diventa
sensibile, segue
la stanchezza, la sensibilità agli odori e la nausea, anche
di fronte a cibi
che di solito sono apprezzati e consumati, fino ad arrivare al poco
appetito…
Mei mangia come un bue. Direi che quest'ultimo proprio non
è il suo caso. Poi, vediamo… mal di testa, vertigini, cambiamenti d'umore, crisi
di pianto,
malinconia, depressione… oh, andiamo bene."
I
primi dubbi erano sorti qualche
tempo prima, durante una noiosissima sessione di shopping per Parigi
durante la
quale lui e Hyoga erano stati costretti a partecipare in
qualità di facchini:
costretti dalle circostanze a
chiedere una pausa tra un negozio e l'altro, si erano fermati a un
cafè dove
Mei, di solito caffeinomane
all'ultimo stadio, quasi aveva dato di stomaco al lieve sentore di
caffè del
locale. Indizio di poco conto, sulle prime: ma nella piccola
schermaglia che
era seguita, erano arrivati altri indizi.
"Mei,
qui c'era qualcosa."
le aveva detto, indicando il dolce nel piatto.
"Dove?
Cosa?"
"La
mela. Proprio al centro della fetta."
"Oh.
Quella cosina caramellosa? Buona!"
"…aspettati
una punizione esemplare." aveva
scherzato, prima di attirarla a sé. Nel farlo,
si ricordò, le aveva inavvertitamente toccato il seno e Mei
era scattata come
una molla sulla sedia.
"Sai,
mi stai
togliendo la voglia di avere figli." commentò Milo,
dall'altra parte della
webcam. "Già non so se ho davvero voglia di diventare padre,
figurati."
"Smettila,
saresti un
bravo papà."
"E
tu che ne
sai?"
"Sei
divertente, li
faresti giocare e... ridere."
"In
poche parole mi
stai dicendo che più che un padre, sarei un buffone."
Camus
levò gli occhi al
cielo.
"Stupido.
Vorrei
farti notare, inoltre, che non saresti tu a doverli portare in grembo."
"Ringraziando
il
cielo, Cam, ho come l'impressione che morirei dal dolore alla prima
contrazione."
"No,
tu moriresti al
concepimento, il che è diverso."
"Morire
no, ma
diciamo che il modo in cui dovrei
concepire mi preoccuperebbe non poco." obiettò Milo.
Camus
scoppiò a ridere.
"Sarà
meglio che
vada, altrimenti si fa troppo tardi e non ho alcuna intenzione di dover
sopportare altre lamentele del mio simpatico cognatino."
spiegò, dando
un'occhiata all'orologio.
"Perché
non lo porti
alla quarta casa? Death sarebbe più che felice di
occuparsene." scherzò
Milo.
"E
obbligare
DeathMask a sopportare la sua parlantina da saccente in casa tutto il
giorno,
tutti i giorni? Suvvia, non sono così crudele."
replicò Camus, sistemando
ordinatamente i fogli e gli appunti sulla scrivania. "Ci sentiamo,
dai."
Si
salutarono e Camus
chiuse Skype, avviò un programmino per pulire il disco fisso
dai file
spazzatura e spense il portatile; Shunrei stava riassettando casa
quando lo vide
comparire nella cucina della pagoda.
"Ciao!
Qual buon
vento?" l'accolse, sorridendo.
"Ciao,
Shunrei. So
che è tardi, ma ho bisogno di chiederti qualcosa a proposito
di Mei."
La
giornata di lavoro,
finalmente, era finita.
Mei
amava il suo lavoro,
eppure da giorni provava una stanchezza a dir poco insolita per chi,
come lei,
era abituata a lavorare sodo e non avvertirne neanche un cenno.
Uscì dallo
spogliatoio infilandosi il borsone a tracolla e passò il
badge sotto il lettore
ottico.
"A
domani signorina
ShuFang."
"A
domani,
Genji." rispose Mei, sorridendo alla ragazza in reception. Ancora
qualche
passo prima di raggiungere il portone, e si trovò costretta
ad appoggiarsi al
muro, con la nausea e la stanza che le ruotava intorno impazzita.
"Oddèi… fermate
la stanza…"
Genji
oltrepassò il
bancone e la soccorse.
"Si
sieda qui, ora
chiamo subito un'ambulanza."
"Per
un giramento di
testa, non è il caso." disse Mei, sedendosi sulla
poltroncina più vicina.
"Mei!"
arrivò
Sheng, dalla sala attigua. "Mei, cos'è successo?"
"Un
capogiro, ma è
passato." disse Mei, tentando di rialzarsi senza alcun successo,
vedendo tutto
nero davanti agli occhi.
"Mei…
preferisco
portarti in ospedale… forse hai fatto troppi sforzi?"
Mei
sorrise.
"Sheng,
sono una
judoka… credo sia normale fare sforzi, no? Credo
semplicemente di essere
incinta."
"Sarei
più tranquillo
se ti facessi visitare."
"No,
davvero.
Preferisco andare a casa, Sheng, grazie. Domani consulterò
il mio ginecologo."
"Posso
accompagnarti
a casa, allora?"
"No,
non ce n'è
bisogno, davvero. Devo passare a prendere mia figlia. Posso avere un
po’
d'acqua?" chiese, mentre la vista le tornava lentamente a posto.
Cinque
minuti dopo,
quand'era certa di essere in condizioni di poter guidare, si
alzò e si avviò
all'auto, impaziente di raggiungere casa quanto prima, colta da
un'ondata di
nausea.
"Credo
proprio sia
arrivato il momento di fare un'ecografia." biascicò, rivolta
al suo
riflesso nello specchio.
A
maggior ragione se il
test di gravidanza era positivo.
"Parlavi
con me,
mamma?" Lixue entrò nel bagno dei genitori e
trovò la madre piegata in due
sul water. "Mamma?!"
Mei
tirò lo sciacquone e
afferrò un asciugamano.
"Non
è niente di
grave, non preoccuparti. Adesso mi farò una doccia e
passerà tutto." le
rispose. "Spero. Torna a fare i
compiti tesoro, se ho bisogno ti chiamo, sì?"
Lixue
annuì, quindi tornò
nella sua stanza.
"In
effetti Mei ha
sofferto quei disturbi quando era incinta." ricordò Shunrei.
"Appetito superiore al normale, parecchia nausea nei momenti meno
opportuni, sonnolenza e stanchezza generalizzata, giramenti di testa e
poi
sporadici episodi di… come definirli… fame
d'aria com'è successo a Tokyo."
"Quindi
se il mio
istinto non sbaglia e se non ho calcolato male, doveva già
essere incinta, alla
festa."
Shunrei
annuì.
"Da
almeno quindici
giorni." rispose. "Molte donne iniziano ad avvertire disturbi
già
durante le prime tre settimane."
Perciò
dovevano aver
concepito il bambino all'isba.
"Però
a parte questi
pochi sintomi la gravidanza di Lixue è stata piuttosto
tranquilla."
riprese Shunrei. "Nessuna crisi di pianto o depressione. Per quello
puoi
star tranquillo, non ti darà noie di questo genere."
"Anche perché ha già pianto
abbastanza lacrime per un idiota come te."
commentò Shiryu, in cinese. Tornò al greco. "Vi
siete rimessi insieme da
quanto? Quattro mesi o poco più? Noto che non avete perso
tempo…"
"Non
ci siamo mai lasciati."
"Fatti
gli affari
tuoi." lo ammonì Shunrei.
"Con
tutto il
rispetto che non meriteresti ma che da persona educata quale sono
continuo a
concederti, Shiryu" Camus si alzò in piedi
"…faresti meglio a seguire
il consiglio di Shunrei: niente di ciò che io e Mei facciamo
ti riguarda. Da
quel che vedo non mi risulta che voi due nell'intimità della
vostra camera da
letto, giochiate a carte. Perciò tieni per te le tue
constatazioni fuori
luogo."
Shiryu
inarcò un
sopracciglio.
"Fino
a prova
contraria questa è casa mia, e dico quel che voglio per
proteggere mia
sorella."
Camus
rise, d'una risata
colma di rancore.
"Il
tuo concetto di
protezione presenta diverse falle."
"Pensa
come vuoi, il
mio primo interesse è sempre stata la sicurezza di mia
sorella."
"Ed
è stato per proteggerla
che le parlasti di aborto
quando era incinta di mia figlia?" sibilò. "Mia.
Figlia."
ripeté. "Tua nipote, quella stessa bambina che ti vuole bene
e che ti
chiama zio. Quella stessa bambina
che
non sa che quello zio ha cercato di impedire la sua nascita. E' una
bambina straordinaria
e tu non meriti il suo affetto! Stento a credere che mia moglie abbia
un
fratello così stronzo!"
"Intanto
non è ancora
tua moglie." precisò Shiryu.
Pur
consapevole che così
facendo sarebbe sceso al suo stesso livello infantile, Camus
sollevò la mano,
mostrandogli la cicatrice sul palmo, silente testimone, insieme alla
fede
d'oro, della piccola e veloce cerimonia nella quale Dohko li aveva
simbolicamente uniti in matrimonio in presenza di Shaina e Milo. Mei
l'avrebbe
rimproverato non poco per averlo detto a Shiryu, ma quello era un
problema al
quale avrebbe pensato più tardi.
"Aggiornati,
hai
perso un episodio." rispose, gelido.
"Quella
cosa non ha
valore legale."
"Neanche
i documenti
in municipio? Io credo proprio di sì."
"Fantastico."
commentò Shiryu, piatto. "Io dico solo che Mei…"
"…che
Mei cosa? Che si meriterebbe
chiunque tranne
me?"
"L'hai
detto
tu." specificò Shiryu.
"Shiryu,
adesso
basta." intervenne Shunrei. "Basta! Mei ha scelto la sua vita e sei
pregato di rispettare la sua scelta! Ha scelto Camus? Bene, l'unica
cosa che
devi fare è essere felice per lei e basta!"
"E
lasciarla con un… essere
capace di abbandonare una donna
incinta? Mei s'è ritrovata incinta
e sola da un giorno all'altro per
colpa
sua." sibilò Shiryu.
"Non
avevo idea che
fosse incinta quando l'ho lasciata! Non è a te che devo
spiegare i motivi della
mia scelta, solo Mei sa, e solo lei può giudicarmi, tu no. Non sei tanto diverso da me, anche
tu hai lasciato la tua
donna al suo destino, e per il mio stesso motivo." aggiunse Camus.
rimettendo
la sedia a posto. "Grazie per l'aiuto, Shunrei."
*
Tornato
a casa, si vide
costretto ad appoggiarsi al muro, mentre l'adrenalina che aveva
accumulato poco
prima andava esaurendosi con lentezza esasperante.
Concentrati.
Respira e concentrati, non è
difficile.
Devi solo calmarti.
Calmarsi,
come se fosse
facile.
"Papà?"
Calmati,
calmati, calmati.
Respirò a fondo e si discostò dal muro, scoprendo
di
avervi lasciato un velo di ghiaccio.
"Oh,
fantastico." blaterò. Non
era da
lui perdere il lume della ragione, ma diamine, quel ragazzo riusciva
dove anni
d'allenamento prima e anni d'insegnamento dopo, con due allievi a
tratti
discoli come tutti i bambini, non erano mai arrivati; quell'insolita e
ringraziando Athena, rara manifestazione incontrollata dei suoi poteri
era segno
che Shiryu possedeva la dannata capacità di farlo uscire dai
gangheri, e non
era affatto un bene.
"Bàba?"
"Sono
io, tesoro.
Arrivo subito." rispose, cercando un modo per porre rimedio a quel che
aveva combinato.
Sì,
porre rimedio.
Quella
casa sarebbe potuta
crollare sotto i loro piedi, polverizzarsi, ma quel pezzo di muro e la
sua
dannatissima crosta di ghiaccio sarebbero rimaste intatte.
Sentì
i passi di sua
figlia dirigersi verso il salotto e decise che a quel disastro avrebbe
pensato
con calma, più tardi, insieme a Hyoga.
"Li?" chiamò, in corridoio.
"Papà!
Sono
qui!" Lixue tornò di corsa dalla sua stanza e
l'abbracciò, affondando il
viso nel suo addome, le braccia a circondargli i fianchi. "Ciao!"
Camus
posò la giacca sullo
schienale di una sedia e ricambiò l'abbraccio della figlia,
prendendola in
braccio.
Ed
è stato per proteggerla che le parlasti di aborto
quando era incinta di mia figlia?
Per
quanto capace di farlo
uscire di senno, Shiryu non aveva mai avuto un particolare ascendente
su Mei,
di nessun genere, ringraziando Athena: se solo Mei fosse stata una
ragazza meno
forte, se solo gli avesse dato ascolto, ora non avrebbe avuto nulla di
quanto
guadagnato come ricompensa per un'infanzia e un'adolescenza non proprio
normali. Se Mei non avesse lottato, ma avesse ascoltato Shiryu, la
bambina che in
quel momento stringeva tra le braccia e che ogni giorno da quando era
venuta al
mondo amava con un'intensità inspiegabile a parole, non ci
sarebbe stata.
Al
solo pensiero gli
salirono le lacrime agli occhi senza che potesse trattenerle in alcun
modo;
s'impose di non perdere il controllo come poco prima, però,
altrimenti avrebbe
spaventato o peggio, fatto del male a sua figlia.
"La
mia
bambina." mormorò, stringendola a sé e
accarezzandole la testa. "La
mia adorata bambina."
"Cosa
c'è papà?"
chiese Lixue.
"Niente.
Mi hai
abbracciato, e sono felice."
"Papà,
sono piccola
ma non sono stupida. Non stai bene. Ti batte forte il cuore."
"Je le sais, mais je vais
bien,
ne t'inquiète pas." Lo
so, ma
sto bene, non preoccuparti.
Lixue
si scostò dal padre,
gli prese il viso tra le mani e lo guardò, il visetto serio
mentre gli
asciugava le lacrime con i polpastrelli: proprio come sua madre, le
bastava
pochissimo per capire quando qualcosa non andava per il verso giusto.
"Wǒ
ài nǐ,
bàba."
Ti voglio bene, papà.
"Wǒ
yěshì, qīn'ài de. Nǎlǐ
shì māmā?"
Anche io, tesoro. Dov'è mamma?
"In
bagno, si sta
lavando." rispose Lixue. "Oggi non stava bene."
"Ah,
ora ci penso io
alla mamma. Stavi facendo i compiti?"
"Sì…
quelli di
matematica." rispose, con poco entusiasmo.
"Molto
bene. Continua
a farli, tesoro, più tardi verrò a darci
un'occhiata e vedremo insieme come
migliorarli." propose Camus. La riaccompagnò nella sua
stanza e si avviò
al bagno padronale, dove Mei, in vestaglia, stava spazzolandosi i
capelli umidi
mentre canticchiava a bassa voce paradise
city.
"Take me down to the paradise city,
where the
grass is green and the boys are pretty,
take me home, yeah!"
"Sono quasi sicuro che Axl cantasse: where the grass is green and the girls are pretty…"
esordì, fermandosi sulla porta.
"Ciao!!"
gli
sorrise Mei, intravedendolo dallo specchio. Posò la spazzola
e si alzò. "Dov'eri
finito? Ti cerco da quando sono... scusa!"
Camus
stava per
abbracciarla, quando Mei gli sgusciò via dalle mani correndo
in bagno; la sentì
dare di stomaco poco dopo e storse il naso, seguendola e tenendole i
capelli
lontano dal viso.
"Messaggio
recepito:
non ti piace il mio nuovo dopobarba al sandalo." scherzò,
guadagnandosi un'occhiataccia
in tralice prima di una nuova ondata.
"Fa
schifo."
"Milo
mi ha rifilato
la boccetta nuova, dice che Shaina gli ha dato un ultimatum: o lui, o
il
dopobarba."
"Chiediti
il
perché." commentò Mei, afferrando l'asciugamani
usato prima e asciugandosi
la bocca. "Dèi del cielo, mio padre adorava il vecchio
profumo Opium eppure non mi ha mai
fatto schifo
quanto il sandalo."
"Non
lo userò più,
promesso."
L'aiutò
a rialzarsi, tirò
lo sciacquone e tornarono in camera.
"Ho
una fame che
mangerei tutto il contenuto del frigo." si lamentò Mei.
"Ehi! Tutto
bene?"
Come
aveva fatto con
Lixue, Camus la strinse a sè; ma a differenza di pochi
minuti prima, non riuscì
a tenere a bada quanto provava dopo l'accesa discussione con Shiryu:
dopo poco,
Mei iniziò a sentire parecchio freddo, proprio da lui.
"Oddio,
scusa."
bisbigliò Camus, la voce tremula, scostandola da
sé di scatto ma tenendo ben
salde le mani sulle sue braccia. "Scusami."
"Cam,
tutto
bene?" gli domandò, iniziando a preoccuparsi.
"No."
ammise
Camus, dopo qualche istante. Appoggiò la testa sulla spalla
di Mei, sentendo il
cuore accelerare ancora. "Non sto bene per niente."
"Eh,
me ne sono
accorta… non controlli i tuoi poteri." rispose Mei. "Che
cos'è
successo?"
"Ma
niente, stai
tranquilla."
Gli
posò una mano sul
petto e quasi sbiancò.
"Tesoro,
il cuore ti
batte fortissimo! Cam! Ti porto in ospedale."
"NO!"
"No?"
"Sono
solo molto
agitato." tentò di spiegare Camus.
L'obbligò
a sedersi e si
accovacciò di fronte a lui, accorgendosi che oltre alle
palpitazioni, stava
anche sudando freddo.
"Chiamo
il medico."
decise Mei.
"Accidenti
se sei
testona." disse, togliendole il telefono di mano. "E' solo stress,
adesso passa."
"Non
parlarmi come se
fossi una bambina. Mi spieghi che cosa è successo? Mi stai
agitando e in questo
momento non mi fa bene, sai?" d'un tratto, improvvisamente, comprese
tutto. Shiryu. "Portami in Cina.
Subito."
"Lascia
perdere dai,
non è il caso."
"Camus,
quale parte
di subito non ti è
chiara?"
*
"Mei?
Come mai a
quest'ora? E' successo qualcosa?" le sorrise Shiryu, prima di beccarsi
un
sonoro ceffone che gli fece voltare la faccia.
"Mei!"
esclamò
Shunrei.
"Ma…?
Che diamine, ti
ha dato di volta il cervello?"
"Hai
oltrepassato
ogni limite, ora basta. Non voglio più ripetermi, basta!" disse Mei, la voce che iniziava a
incrinarsi e la mano
che le doleva oltre ogni limite.
Shiryu
guardò Camus.
"Era
proprio
necessario che sapesse del nostro scambio d'opinioni?"
Scambio
d'opinioni?
Trattarlo in quel modo –da anni- e minimizzare il loro legame
era diventato uno
scambio d'opinioni?
"Sono
io che ti
parlo, Shiryu, non guardare lui. Ho insistito io per farmi portare qui
e per
farmi confessare tutto, lui nemmeno voleva." gli disse Mei,
afferrandogli
il mento con poca grazia e voltandolo verso di sé. "Non
voglio più
discutere con te di questa faccenda, perciò fa' che sia l'ultima volta che ne parliamo. E intendo
davvero l'ultima."
"Non
voglio discutere
davanti alla bambina." disse Shiryu.
"Lixue
è rimasta a
casa." interloquì Camus. Aveva preferito lasciarla con Hyoga
e Freya, in
previsione di eventuali liti e, come sempre, il suo istinto non si era
sbagliato.
"Porta
le tue chiappe
fuori da qui." sibilò Mei di punto in bianco.
"Mei,
non è
necessario che…" intervenne Camus.
"No."
replicò
lei, alzando la mano a mo' d'ammonimento.
"Okay, c'est bon. Ne te
fâche
pas." Okay, va bene, non arrabbiarti.
"Sono
già
arrabbiata." precisò Mei. Sospinse Shiryu fuori, in
giardino. "E tu?
Sei ancora qui, eh? Cammina! Sono stanca delle tue stronzate!"
Doveva
vedersela da sola,
senza l'intervento di nessuno.
"Mei,
sei in
vestaglia, scalza e con i capelli umidi. Rientriamo, prima che ti venga
un
accidente, su." disse Shiryu.
"L'accidente te lo faccio venire io."
ribatté Mei.
Camus
sospirò.
"Ha
capito tutto da
sola, come sempre." disse a mò di spiegazione. "Non volevo
neanche
venire qui a fare… questo."
"Lo
so, Mei è fatta
così, non puoi cambiarla. Ad ogni modo, se è
davvero incinta come crediamo,
questa rabbia non le fa affatto bene: quando aspettava Lixue e Shiryu
le disse
di abortire, era così furibonda che il medico del pronto
soccorso le
somministrò un calmante e la tenne in osservazione tutta la
notte." disse
Shunrei. "Non avevo mai visto il Maestro così arrabbiato
verso
Shiryu."
Camus
sospirò.
Spera
di non vedere mai me arrabbiato nei confronti di
Shiryu.
"Ho
provato, davvero,
a fare in modo che non litigassero, sperare che non succedesse niente
di così
grave tra di loro da provocare una spaccatura irreparabile. So che cosa
vuol
dire crescere da solo senza fratelli e per questo volevo evitare ogni
discussione."
"Vorresti
davvero
evitare ogni discussione tra quei due? Beh, tanti auguri allora."
esclamò
Shunrei. "Vieni, lasciali discutere… tanto c'è
ben poco da fare."
Lo
scortò in cucina e gli
versò una tazza di tè, dopo aver preso una
scatola di latta con dei biscotti
mandorle e uvetta che aveva cucinato quella mattina.
"Alla
fine è incinta
o no?"
"Non
ne ho ancora
idea, Rei, non mi ha detto niente. È più una mia
sensazione, in base a tanti
piccoli indizi….ma aspetto che sia lei a dirmelo, quando
sarà pronta."
Shunrei
sorrise, esitando
un attimo prima di rispondere.
"Beh,
c'è poco da
fare: se non avete usato protezioni c'è un'alta
probabilità che sia incinta
davvero."
Camus
reagì diversamente
da come s'era aspettata: arrossì anziché
indignarsi per la confidenza che si
era presa nei suoi confronti.
"Siamo
stati da soli
qualche giorno mentre Lixue era via con Hyoga e fidanzata e
beh… no, direi che
non ne abbiamo usate… stiamo cercando di avere un altro
bambino, sai."
"Camus,
per me Mei è
come e più di una sorella, e ci tengo a dirti che sono
contenta che abbia
qualcuno come te con il quale condividere la vita. Ti ho sempre
considerato una
brava persona, e penso che tu sia un buon padre e un buon compagno; se
gli dèi
decideranno di farvi mettere al mondo un altro bambino, sarò
ancora più felice
per voi, vi meritate la felicità che state avendo."
"Ti
ringrazio, sei
molto gentile." ringraziò Camus.
"Non
lo dico così per
dire, lo penso davvero. Non dar retta a Shiryu, è solo un
cretino." disse
Shunrei. "E' agitato per la faccenda del bambino in arrivo e del
matrimonio da organizzare… a proposito… vedo che
hai un anello. Posso vederlo?"
Camus
sorrise e si sfilò
la fede dall'anulare sinistro, porgendola a Shunrei.
"Che
anello
strano." osservò la ragazza.
"L'anello
d'oro rosa
simboleggia l'amore, quello giallo la fedeltà, il bianco
l'amicizia."
rispose Camus. "O almeno, questo è quello che ho letto su
internet
riguardo questi particolari anelli trilogy. Sono sicuro che
è per questo motivo
che sono state scelte queste particolari fedi."
"Alexandre et Joséphine – 24
juin 1984" lesse Shunrei. "Chi
erano?"
"Mes parents…" rispose, di
getto, ricordandosi solo dopo che
Shunrei non parlava francese. "Tāmen
shì wǒ
de fùmǔ."
aggiunse in cinese, sovrapensiero. Tornò
subito al greco. "Erano le fedi dei miei genitori… quando la
sera del
compleanno di Lady Saori ho proposto a Mei di farci unire
simbolicamente in
matrimonio, ho pensato subito a queste, un modo per unire entrambe le
usanze.
Da noi si porta un anello all'anulare sinistro."
"Oh.
Legalmente non
ha valore, ma sai che da noi, secondo le nostre credenze, ha
più valore il
legame spirituale di questo gesto? E' indissolubile, nemmeno
l'Imperatore di
Giada o Buddha stesso possono infrangere un legame di questo genere."
"Ne
ero ben
consapevole quando gliel'ho proposto."
"Siete
dunque legati
per l'eternità. Bada, non è cosa da poco."
"So
anche questo. E
so che non vorrei nessun'altra donna al posto suo."
Sbirciò
fuori dalla
finestra, guardando Mei e il fratello litigare: la vedeva gesticolare,
arrabbiata, mentre Shiryu, le braccia conserte, non sembrava nemmeno
ascoltare
la sorella.
"…non
costringermi a
escluderti dalla mia vita, Shiryu, sei mio fratello. Ti voglio bene e
lo sai,
ma Camus è tutto, per me."
"Tu
hai già scelto, Mei!"
"Oh no, altrimenti non sarei qui, ma ti avrei già escluso
dalla mia vita e
da quella della mia famiglia." ribatté Mei.
"Mi
escluderesti
anche dalla vita di Lixue?"
"Ti ricordo che quando rimasi incinta tu volevi farmi abortire!"
sbottò Mei. "E questo perché non solo era figlia
di un laowai, ma perché
figlia di un Gold
Saint! Perché figlia di Camus! Sono certa che se a mettermi
incinta fosse stato
Ōko o uno dei tuoi amici Bronze o uno qualunque dei Silver, tu non
avresti
fiatato."
"Avevamo
tredici anni
all'epoca!" replicò Shiryu, scandalizzato.
"Dannazione,
hai
capito benissimo che cosa intendo dire. Se fosse stato Ōko, il padre?
Ti
saresti opposto? Oppure quel Silver, quello che credeva d'aver ucciso
Seiya…
Misty. Con lui non avresti fatto storie. Chiunque, purché
non Camus."
Shiryu
sbuffò.
"Dèi,
l'avrei
ucciso." le rispose.
"E
perché non hai
tentato di uccidere Camus?"
"Quale
idiota
proverebbe a uccidere un Gold Saint che può contare
sull'aiuto di colleghi
potenti quanto lui?"
Mei
serrò i pugni,
sentendo la rabbia rimontarle dentro.
"Non
riusciresti
neanche ad avvicinarti a Camus con certe intenzioni, figurarsi
ucciderlo."
sibilò.
"Hyoga
c'è riuscito."
La
rabbia esondò del
tutto.
"Ah
certo! Ha
assorbito l'Aurora Execution che Camus gli aveva appena lanciato contro
e
gliel'ha rispedita indietro insieme al suo cosmo, sfido io! Altrimenti
col
cavolo l'avrebbe fatto." berciò. "Senti, ma
perché cavolo sto qui a
tentare di recuperare un rapporto quando è ovvio che non
esiste più niente da
recuperare?"
"Dèi
del cielo, Mei!
Hai già deciso da che lato della barricata stare, mi sembra."
"Barricata?
E che
cos'è, una guerra?"
"Hai
scelto di
escludermi, volontariamente, da una cosa come il legame
delle anime, hai già deciso da che parte stare!"
"Beh,
prova a darmi
torto, coraggio. E non venirmi a dire che al posto mio tu avresti
scelto me,
perché sappiamo benissimo entrambi che avresti scelto
Shunrei." rispose
Mei. "Ma al contrario tuo non sono offesa, so che cosa provi per lei e
ne
sono felice… ma almeno, santi numi, non farmi la morale
quando tu per primo non
ne hai una. Per me è finita, Shiryu. Finita."
Shiryu
sorrise.
"Non
puoi lasciarmi!
Siamo fratelli!"
"Ah,
potessi recidere
quel legame lo farei." replicò Mei, irata, rientrando nella
pagoda. "Adesso possiamo tornare a
casa."
Camus
alzò lo sguardo su
di lei.
"Poffo almeno finire i bifcotti? " le
rispose, schermando con
una mano la bocca piena mentre parlava.
Shunrei
s'avvicinò svelta
a Shiryu, come per controllare che stesse bene, e Mei se ne accorse:
nel
guardare la scena gli occhi quasi le uscirono dalle orbite.
"Oh,
ma guardati.
Sembri l'eroina romantica di qualche stucchevole produzione cantonese.
Strano,
non ti ho visto fuori sul tuo picco, a pregare per la salvezza del tuo
ragazzo."
le sfuggì di bocca, prima che potesse fermarsi. "Si
può sapere di che cosa
avevi paura, Rei?"
Shunrei
guardò prima
Shiryu, poi la cognata.
"I-io…"
"No,
Camus, dico… hai
visto? Che diavolo, volevo solo parlare, non commettere fratricidio!"
"Non
dovevamo tornare
a casa?" suggerì Camus.
"No,
torneremo a casa
quando Shunrei mi avrà risposto. Tu lo ami?"
domandò quindi Mei, di punto
in bianco. "Mio fratello, dico. Lo ami?"
Si
conoscevano da quando
avevano più o meno cinque anni, si erano innamorati e col
tempo erano diventati
inseparabili. Utilizzare il termine amore
per descrivere il loro rapporto era un mero eufemismo: ovviamente
l'amava.
"Sì."
rispose
Shunrei, confusa.
"Allora
forse puoi
comprendere l'intensità di quel che provo nei confronti di
Camus. Lo stesso uomo,
Shiryu, che nonostante tutta la merda che continui a gettargli addosso,
stasera
e in altre occasioni ha cercato in tutti i modi di mettere pace tra di
noi. Non è il caso, Mei, lascia
perdere perché
non è successo niente di grave; non
litigare con lui per me, tieni conto di tuo fratello, perché
so che cosa significa
crescere da solo. Sai quante volte avrei voluto venire qui a
riempirti la
faccia di schiaffi? Tante. E ogni maledetta volta Camus riusciva a
dissuadermi,
riuscendo persino a farmi sentire in colpa perché volevo
difenderlo contro di
te. Siamo umani, abbiamo commesso i nostri sbagli e abbiamo tanti
difetti che
cerchiamo di sopportare per amore dell'altro e… non siamo
perfetti come le
coppie dei film, ma io lo amo con la stessa intensità con la
quale Shunrei ama
te. Possibile che tu proprio non riesca a comprenderlo? Sei cieco fino
a questo
punto? Non fai altro che metterci i bastoni tra le ruote!" disse Mei,
piangendo
silente sulle ultime parole. "Siamo fratelli, Shiryu. Io ti voglio bene
e
te ne vorrò sempre… ma lui è la mia
vita, e non posso rinunciarvi. Questo non è
più un ultimatum, dato che sono costretta a scegliere
davvero, adesso, allora
sc-…"
"No."
"No?
Osi ancora dirmi
che cosa posso e non posso fare? Non hai capito un accidenti di quello
che ho
appena detto?"
"No, non sei costretta a scegliere."
spiegò Shiryu.
"Obbligarti a farlo mi farebbe solo star male perché so chi
sceglieresti.
Ma okay, va bene, in fondo ti ama ed è questo che dovrebbe
importare."
Camus si schiarì la voce.
"Sia
resa lode ad
Athena." mormorò.
"Cos'è,
ci stai
prendendo in giro?" fece Mei.
"No.
Sto cercando di
porgervi le mie scuse."
"Questa
è proprio
bella." commentò Camus. "Aspetta che me la segno."
"Sono
sincero."
"Ebbene,
lascia che
anche io sia sincero. Senza alcun rammarico ti rispondo che non ho
alcuna
intenzione di accettare le tue scuse." rispose Camus, incrociando le
braccia sul petto. "Troppo comodo fare volontariamente del male alle
persone che si giura di amare e poi pretendere di essere scusati in
questo
modo. No che non ti scuso. A causa tua ho rischiato di non essere padre
e di
non poter stare con Mei. E non ti dico dove puoi infilarti le tue scuse
perché potrebbe
non piacerti." vide che stava per interromperlo e lo precedette. "Prima
che tu possa paragonare la mia situazione alla tua, permettimi di dirti
che sì,
è vero. Ho ferito Mei volontariamente con il più
turpe dei peccati che potessi
mai commettere: le ho salvato la vita cacciandola da un posto che si
sarebbe
trasformato nella sua tomba. Ho
offerto a Hyoga una chance di arrivare ad Ares. Ho finto di tradire
Athena e subito
l'umiliazione di indossare una surplice, di essere definito infame per aiutarla nella sua lotta
contro Hades e di essere quasi strozzato dal mio migliore amico. Mi
sono
sacrificato insieme ai miei undici compagni per liberarvi la via verso
l'Elisio. E tutto per permettere a te, all'umanità e alla
mia famiglia di poter vivere, per
dare a mia figlia un
futuro. Ho ampiamente fatto ammenda per le mie azioni." disse, tenendo
a
bada il fervore che sentiva ribollire dentro. "Avrei potuto comprendere
il
tuo astio verso di me se fossi uno di quei mariti violenti e
nullafacenti che vivono
della fatica delle loro mogli e le ricompensano riempiendole di lividi
e di
continui soggiorni in traumatologia, o se avessi usato violenza su tua
sorella,
prendendola contro la sua volontà e fregandomi altamente
della bambina. Come
vedi, non sono così. Io morirei ancora una volta per tua
sorella, sarei felice
di darle la mia vita se le servisse. E adesso tu pensi che per lavarti
la
coscienza basti una misera frase preconfezionata gettata lì
per suscitare
chissà quale effetto? No, mio caro. Mei può fare
ciò che desidera, sicuramente
non devo dirle che cosa può o non può fare, ma
scordati le mie scuse."
Mei
gli strinse la mano,
gli occhi lucidi.
"Ti
aspetto fuori,
quando hai finito avvertimi."
Uscì
dalla pagoda e si
sedette sui gradini antistanti il piccolo patio, quindi si
frugò nelle tasche
alla ricerca del pacchetto di caramelle che avrebbe dovuto dare a
Lixue,
cercando di calmarsi.
Le
sue scuse. Questa sì che
era davvero bella.
"J'en
ai marre de toi, guignol."
sbuffò, prima di sputare con aria schifata la
caramella che stava mangiando. "Dai, esistono davvero??"
Lixue
si sarebbe divertita
un mondo a sapere che aveva appena beccato uno dei gusti rivoltanti
delle mitiche Gelatine TuttiGusti + 1 di Harry Potter che
Shura aveva portato da Londra. A giudicare dal colore, doveva aver
appena
assaggiato quella fegato e trippa.
"La
ciliegina sulla
torta di questa magnifica serata." borbottò, sentendo
armeggiare alla
porta.
"Tutto
bene
qui?" domandò Shunrei.
Camus
si rialzò, ingoiando
quasi intera l'ennesima caramella che s'era cacciato in bocca
–al cioccolato,
stavolta-, e guardò la
ragazza, che era appena uscita dalla pagoda; dentro, sentì
Mei discutere con
Shiryu a voce piuttosto alta.
"Mi
dispiace sapere
che ti sei sentito preso in giro, ma credo che stavolta sia davvero
sincero:
Shiryu raramente ammette di aver commesso errori, ma quando lo
fa…"
"Shunrei,
senti… ho
imparato a volerti bene come avrei potuto volerne a mia sorella, se
solo ne
avessi avuta una. Sei una cara ragazza e Mei ti vuole un gran bene;
sono felice
per te e per il tuo bambino ma a parte questo, non chiedermi di fare a
tutti i
costi pace con Shiryu perché non sarei sincero e comunque
non m'interessa in
alcun modo avere un rapporto di qualsivoglia tipo con lui. E' mio
cognato, è lo
zio di mia figlia ed è uno dei migliori amici di Hyoga ma la
cosa finisce
qui." rispose Camus, troncando la discussione sul nascere. "Per
quanto riguarda Mei e Lixue facciano pure ciò che
desiderano, del resto è loro
consanguineo, se vogliono mantenere dei rapporti sono assolutamente
libere di
farlo, ma con me ha chiuso."
"Capisco."
mormorò Shunrei.
"Ne
dubito."
Sinceramente
Shunrei non
aveva idea dei rospi che aveva dovuto ingoiare grazie al suo
gentilissimo
fidanzato, di tutte le volte che aveva dovuto fingere di non capire le
parole
di disprezzo che Shiryu gli aveva sempre rivolto –in cinese,
ovviamente, non
avendo abbastanza coraggio per insultarlo in greco-, di tutte le
occhiate di
traverso dal chiaro significato di: che
diavolo ci fai ancora qui? Non sei il benvenuto! che aveva
sempre sopportato
per amore di Mei e Lixue.
"Come?"
"Hai
sentito."
disse Camus, secco. "Sai, nel corso della mia…diciamo carriera, come ambasciatore del
Santuario, ho visitato quasi tutto
il mondo. Sud est asiatico, Africa mediterranea, Europa…
sono pochi i paesi che
non ho ancora visitato. Nel corso di queste visite mi è
capitato di avere a che
fare con persone che pur non conoscendomi, mi hanno fatto sentire come
a casa e
hanno condiviso con me i loro pasti, le loro abitazioni, persino i loro
vestiti. Gente straordinaria che mi è dispiaciuto lasciare
dopo solo pochi
giorni dal mio arrivo e con la quale ho mantenuto dei bellissimi
rapporti
d'amicizia. Al contrario, frequento questa casa da quasi un decennio e
mai, mai
una volta mi sono sentito a mio agio: amato dal Maestro e da Mei e
accettato da
te, magari, tutti bei sentimenti che Shiryu ha contribuito a rendere
vani."
"Io
sono sempre stata
ben disposta verso di te." obiettò Shunrei.
"Infatti,
e ti
ringrazio per questo, ma come ho detto, è bastato l'astio
ingiustificato del
tuo fidanzato a rendere tutto inutile." ripeté Camus. "Ti
porto un
esempio di qualcosa accaduta non molto tempo fa: ero in Tunisia, in
visita a un
aggancio nordafricano di Shion; non avevo mai visto quest'uomo
né la sua
famiglia prima di allora, eppure la gentilezza e l'accoglienza ricevuta
sono
state tali da farmi nutrire sentimenti di profonda nostalgia verso quel
luogo. In
Algeria ho quasi litigato con il capo di una tribù berbera
affiliata al
Santuario che ha voluto a tutti i costi lasciarmi usare la sua tenda e
regalato
il suo burnus, il suo mantello.
Vengo
qui e quasi mi viene negato il diritto di dormire, per una notte, sotto
lo
stesso tetto di mia figlia. Non pretendo nulla di quanto ho ricevuto
dall'altra
parte del mondo, non voglio tappeti rossi al mio arrivo o squisitezze
da città proibita come
pasto, pretendo il
giusto: un minimo di rispetto."
Quando
Mei uscì dalla
pagoda per tornare a casa, percepì la strana tensione tra
Camus e Shunrei senza
ovviamente comprenderne il motivo.
"Qualcosa
non
va?"
"No, tutto bene. Mi andava di chiarire un paio di cose e l'ho fatto."
"…hai
chiarito con
Shunrei?!"
"Naturalmente,
dovessi mai chiarire con tuo fratello, minimo la renderei vedova, per
questo
preferisco starci lontano." replicò Camus. "Torniamo a casa,
ho da
fare."
Mei
salutò Shunrei,
raccomandandosi di riposare e non fare troppi sforzi vista la
gravidanza, e
tornò a casa con Camus, senza tuttavia domandare nient'altro.
"Ti
sei
calmata?"
"Io
sì, tu piuttosto.
La tensione tra te e Shunrei si poteva tagliare a fette."
"Non
era mia
intenzione farti litigare con tuo fratello, ecco perché ero
restio a parlarti
della nostra conversazione."
"Non
me ne hai
parlato, infatti, me ne sono accorta da sola." obiettò Mei.
"Shiryu
deve imparare a stare al suo posto. So che è mio fratello,
so che a modo suo mi
ama, so che si preoccupa per me e non gli rimprovero questo…
io non mi sono mai
intromessa nella sua vita con Shunrei, e gradirei facesse lo stesso con
la
nostra, perciò è stato meglio così,
chiarire prima che potesse farci qualcosa.
Perché non potrei mai perdonarmi di avergli permesso
di farci del male."
"Io
non gli permetterò di
fare qualsiasi
cosa contro di noi, contro la nostra piccola famiglia, in nome di
niente e di
nessuno. Adesso che ho te, che ho Lixue, non permetterò a
nessuno di portarvi
via, vi difenderò con le unghie e con i denti, se
sarà necessario."
"È
anche per questo
che ti amo."
**
"Non
so più che fare."
Hyoga
guardò il muro, dove
il ghiaccio era ancora perfettamente integro.
"Hai
provato a usare
l'acqua bollente?"
"Che
domande fai? Se
ho chiamato te significa che le ho già provate tutte. Ho
usato anche la
pulitrice a vapore."
"…e?"
"Ha
ceduto lei."
disse Camus. "Quando Mei scoprirà che le ho fuso la
vaporella, mi
uccide."
"Quella
serve a
eliminare gli acari, non ghiaccio allo zero assoluto."
"Quindi?"
"Uhm…" Hyoga allungò una mano a sfiorare la
crosta, ritraendola
subito dopo. "Dubito che martello e scalpello possano tornare utili, ma
con un po' d'impegno… dimmi solo una cosa, Cam."
"…?"
"A
meno di mezz'ora
da qui c'è un'Ikea. Comprare un quadro, un poster o che ne
so… uno specchio dal
nome impronunciabile come fanno tutti gli altri, no eh?"
***
Lady Aquaria's corner
(Capitolo modificato in data 27
novembre 2014)
-Paradise City è una bellissima canzone dei Gun's 'N Roses;
-"J'en ai
marre de toi, guignol."Ne ho abbastanza di te, pagliaccio.
-Lo scambio degli anelli è una cosa tipicamente
occidentale, ed è una cosa, però, che ho deciso
di inserire in favore di Camus.
Grazie come sempre a chi segue nonostante ritardi e stop
vari. Alla prossima.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 19 *** Le cose non vanno mai come credi. ***
capitolo 19 rivisto
19.
Le
cose non vanno mai come credi.
…per questo
viaggio ci vuole coraggio
per
questo amore pieghiamo il destino
ti resto
accanto su questo cammino
però
ti prego tu dammi la mano
[Giorgia
- Marzo]
Ferma al semaforo, Mei gettò una veloce occhiata
all'ecografia che giaceva fuori dalla cartelletta dell'ospedale
ostetrico-ginecologico dal quale era appena uscita: era entrata quella
mattina
per una semplice visita, e ne era uscita a pomeriggio inoltrato con una
serie
di buste, prenotazioni di nuovi esami e una cartelletta di cartoncino
celeste
contenente le foto ricordo del suo
viaggio nell'utero.
"Santi numi."
La ginecologa che aveva scelto tra i medici disponibili
dell'ospedale, una donna sulla quarantina che aveva associato alla
mitica -per
quanto odiosa- Addison Montgomery
del
suo serial preferito, l'aveva subito messa a suo agio, facendo le
domande per
l'anamnesi con tatto e cordialità e, dopo la visita, era
passata molto
rapidamente da un rassicurante:
"Signora, dai
sintomi che mi ha descritto e a seconda di quanto leggo dagli esami e
dalla
dimensione dell'utero, maggiore rispetto all'età
gestazionale, ho ragione di
credere che sia una gravidanza gemellare."
...a uno sconcertante:
"Dall'ecografia
risultano essere gemelli come le avevo detto, ma si tenga forte:
potrebbero
esserci più di due feti là dentro."
Rassicurante perché
nella storia del ramo paterno della sua famiglia non era raro trovare,
nel
corso dei decenni, almeno una gravidanza doppia quasi ogni generazione;
sapeva
per certo che almeno una trisnonna e un paio di antenate avevano
partorito
gemelli.
Sconcertante perché
aveva avuto sospetti che non fosse una gravidanza normale, ma
addirittura più
di due, no, non l'aveva proprio messo in conto.
A quella ridda di emozioni s'aggiunse anche un filo di
ansia -terrore, si corresse-: se non
ricordava male, sua nonna le aveva detto che parte di
quelle antenate erano morte durante il parto, spesso portando con loro
anche i
bambini.
"Oddèi." mormorò, ripartendo e pigiando il
tasto del bluetooth sulla plancia in risposta alla telefonata di Camus.
"Sto tornando, ho ancora sei isolati da attraversare e arrivo."
"Cominciavo a preoccuparmi, sei uscita prima di me e torni dopo di
me...
stai bene? Sei ancora al lavoro?"
"A dire il vero oggi avevo il turno di riposo… e
l'ho trascorso interamente al Port Royal." ammise, sicura che Camus si sarebbe preoccupato
nel giro di
qualche secondo: le parve quasi di vederlo corrugare la fronte.
"...tutto il giorno in ospedale?"
"Si, poi ti spiego. Cam, ho un paio di commissioni
da fare, ci vediamo tra mezz'ora."
Camus riagganciò, appoggiandosi allo schienale della
sedia e sospirando. Avviò Skype e contattò Milo,
che sicuramente a quell'ora
aveva il pc acceso.
"Non posso stare davanti allo schermo ma... parla,
ti ascolto." rispose Milo, collegando le casse al portatile e alzando
il
volume per sentire meglio l'amico. Camus intravide, attraverso la
webcam, uno
scorcio della cucina dell'ottava casa e Milo affaccendato davanti ai
pezzi di
un mobile. "Proprio vero, trovi le istruzioni in tutte le lingue tranne
quella che ti serve. Camus, t'intendi anche di svedese, per caso?"
"No, mi spiace."
"... rumeno?"
"No."
"Ma parli russo, non dovrebbero assomigliarsi?"
"Anche no. Il rumeno è una lingua romanza, mentre il
russo è slavo. Due ceppi diversi." spiegò Camus.
"Sei sicuro?"
"Milo, sono un linguista. Parlo fluentemente cinque
lingue e ne sto studiando altre quattro… certo che sono
sicuro di quel che
dico." obiettò Camus. "Potrei stare qui per ore a parlarti
della
differenza tra le lingue romanze e le lingue slave."
"Ma non lo farai, vero?" disse Milo, tentando
di unire due pezzi.
"…credo tu abbia bisogno di una chiave a brugola per
montare quei due pezzi: vedi quelle viti con la testa esagonale?"
indicò
Camus.
L'altro cercò tra i pezzi sul tavolo.
"Brugola?"
"Verrei volentieri a darti una mano, ma c'è Lixue
che sta facendo i compiti e non intendo disturbarla."
"Pazienza. Di cosa volevi parlarmi?"
"Mei è incinta." spiegò Camus.
"Oh!! Il sospetto è diventato certezza?"
"Aspetto solo la sua conferma ma dato che ha
trascorso tutto il giorno in ospedale e che ho trovato un test di
gravidanza
nel cestino del bagno, ormai sono sicuro."
"Ma che schifo, frughi nel cestino del bagno? Potevi
aspettare il suo rientro, no?"
"Difficile non notare lo stick nel cestino, visto
che era in alto su una pila di dischetti di cotone zuppi di eyeliner.
Non ho
trovato un nuovo hobby, stai tranquillo."
"Oh, menomale. Sai, per un attimo ho temuto di dover
nascondere il cestino del mio bagno tutte le volte che vieni qui a
cena."
"Non c'è pericolo, guarda."
"Bene. Potresti vedere cose che potrebbero
spaventarti, come i miei preservativi, ad esempio."
sghignazzò Milo.
"Comunque, dov'è Mei? Vorrei farle i miei complimenti."
"Sto aspettando il suo rientro." spiegò Camus. "Ti
farò
richiamare quando torna."
"Ci conto." sorrise Milo, allegro.
"Comunque, in bocca al lupo!"
Acido folico, vitamine di ogni tipo insieme ad altri tipi
di integratori e diverse altre cose che, rammentò, per Lixue
non aveva mai
preso: uscì dalla farmacia con un sacchetto così
grosso che le pareva d'aver
appena fatto spesa.
"E ora a casa, finalmente." sospirò,
infilandosi in auto, nelle orecchie ancora le parole della dottoressa.
"Non le ho
ancora chiesto qual è il suo lavoro, madame."
"Ehm…"
Mei si era ritrovata a ridacchiare. "Sono
una judoka e... insegno aikido e taijiquan." Con
serietà, Addison aveva
richiuso tutte le
cartellette.
"Credo che per
almeno un anno dovrà rinunciare ad aikido e judo, senza
dubbio. Per quanto
riguarda il taijiquan invece potrà continuare ma sempre
senza esagerare."
La dottoressa poteva stare tranquilla in tal senso: ci
avrebbe pensato Camus a ricordarglielo.
Non appena la serratura scattò nella porta, sentì
Camus precipitarsi
in corridoio mentre rimestava qualcosa dentro una grande boule: se lo
trovò
davanti con un ampio sorriso sulle labbra e il solito odioso grembiule
di
Gaston addosso.
"Te l'avevo detto, Cam: mezz'ora e arrivo.
Ho fatto un po' di spesa in farmacia."
spiegò. "Ho pensato: perché comprare pane e latte
quando al loro posto
posso comprare acido folico per tutta la mia famiglia?"
"Nǐ
hǎo,
māmā!"
"Ciao tesoro!" rispose alla figlia, guardando
il contenuto della boule che Camus teneva sottobraccio. "Davvero
buffo."
"Cosa?"
"Dico, non dovrebbe essere il contrario? Tu che rientri la sera mentre
io
cucino?" replicò, divertita. "Sono proprio una pessima
moglie, chiedo
venia."
"Ma smettila."
"A proposito, cos'è?" gli prese il cucchiaio
dalle mani e al primo assaggio, seguì una cucchiaiata
più corposa. "Caspita!"
"Ridammi quel cucchiaio o andrà a finire che non
avrò più crema per la
torta." fece Camus, seguendola poi in camera.
"Torta? Abbiamo qualcosa da festeggiare?"
Dopo qualche istante, Camus si schiarì la voce.
"Non saprei, questo dovresti dirmelo tu. C'è
qualcosa che finalmente puoi dirmi? Perché sto facendo
congetture da giorni e
anche se mi vedi tranquillo, non sto più nella pelle."
Mei posò il sacchetto sul mobiletto del bagno e gli porse
la cartella dell'ospedale.
"Ti devi sedere, però. Perché se svieni, non
posso
certo tirare su da sola settanta e rotti chili d'uomo."
Camus posò la boule sulla cassettiera e prese la
cartellina.
"Addirittura? Credo di poter sopportare certe
notizie." replicò, sfilando dalla sua custodia le ecografie
e guardandole.
"Ti metto subito alla prova allora." fece Mei. "Avrai
già capito da te che sono incinta..."
"Direi proprio di sì." rispose Camus divertito
e su di giri, continuando a fissare le ecografie. "Non credo di capirci
granché… questo cosa sarebbe, il tuo bacino?"
"Si vede proprio che non sei in te." ridacchiò
Mei, indicandogli qualcosa sull'istantanea. "Non è il mio
bacino. Sono due."
Come previsto la reazione di Camus non si fece attendere:
occhi sgranati, respiro accelerato e pallore.
"...due?"
"La dottoressa dice che sicuramente
sono due, ma che c'è qualcosa che le fa pensare che qui
dentro possano anche essere più di due e che qualcuno qui
faccia il furbo e si
nasconda per farci uno scherzo."
Camus arretrò di un paio di passi e si sedette sul bordo
del letto.
"Avevi ragione, ho bisogno di sedermi." le
disse. "Ehm... come sarebbe, più
di due?"
"Non è detto, magari era solo un'ombra
dell'ecografia." rispose Mei. "Hey, ma non avevi detto di desiderare
un altro figlio? Su con la vita, abbiamo aderito all'offerta due al
prezzo di
uno, non sei contento?"
Ovviamente era contento.
Come aveva spesso sognato, durante la loro lontananza, desiderava anche
una
bella famiglia numerosa –quella che lui non aveva mai avuto-.
Certo, non aveva
mai immaginato di averla, per così dire, in
blocco.
"Credo che sottosopra
sia il termine più adatto per descrivere come mi sento in
questo momento: sai,
mi sento come dopo una sbronza. Felicissimo, ma frastornato." le
rispose,
tirandola a sé. Affondò il volto nel suo addome,
ringraziando il fatto d'essere
seduto: si sentiva le gambe come gelatina, sul punto di svenire.
**
Ottava casa, più tardi.
"Mi raccomando, non alzare troppo il volume o ti
faranno male le orecchie." ammonì Milo, posando una tazza di
cioccolata di
fronte a Lixue, che guardava un film sul pc di quest'ultimo mentre i
due uomini
si affaccendavano in cucina.
"Buon cielo, sei più pallido del solito." disse
Milo, infilando i piatti sporchi in lavastoviglie e avviando il
programma di
lavaggio.
Camus si sporse in direzione dell'altra stanza, dove Mei
e Shaina stavano parlottando tra loro davanti a un film.
"Sì, beh… sono successe un paio di
cosette…"
spiegò Camus. Intravide il mobile ancora mezzo smontato.
"…vorresti
davvero farmi credere che non sei stato capace di montare un elementare
mobiletto da cucina? Stai scherzando?"
"Non tutti sono dei geni del fai-da-te, sai?"
Camus scosse la testa, prendendo il depliant con le
istruzioni e dispiegandolo alla ricerca di una lingua a lui congeniale.
"Ci sarà pur qualcosa che sei capace a fare, a parte
il sesso." commentò Camus, afferrando una coppia di pezzi e
iniziando ad
armeggiare con viti e brugola.
"Chiedilo a Shaina."
"Era una domanda retorica."
Sentirono le due donne ridacchiare e Milo sorrise a sua
volta.
"A proposito, non è contagioso, vero?"
"Uh?"
Milo mimò un pancione con le mani.
"La gravidanza, dico. Non è contagiosa, dico
bene?"
"Ma smettila, tonto. L'ho già detto che saresti un buon
padre."
"E io dico che dovresti smetterla di dire
bugie."
"Ma hai visto come ti comporti con Lixue? Sei
premuroso, attento."
"Sono qualità che non bastano per diventare padre." rispose
Milo.
"E poi… tua figlia è un caso a parte,
è una bambina tranquilla che non da'
particolari grattacapi e non ce l'ho davanti tutto il giorno, tutti i
giorni.
Non è mica facile crescere un figlio."
"Non ho mai detto che è facile." disse Camus. "Ci
vuole impegno costante, dedizione totale, amore infinito. Anteporre i
suoi
desideri e i suoi bisogni ai tuoi. Essere pronto a dare la vita, per
lei."
Milo corrugò la fronte.
"Scusa, ma questo non è il matrimonio?"
Camus ridacchiò.
"Anche. Ma
con un figlio è diverso."
"Certo che è diverso: pannolini da cambiare, biberon
da sterilizzare, vaccini, pediatri… scarlattina, varicella,
morbillo…"
elencò Milo. "Riunioni di donne che parlano di cacche brutte
e pustole…"
"Guardi troppi telefilm americani, secondo me."
Camus levò gli occhi al cielo "Essere genitori
significa… avere delle
responsabilità, è vero. Significa modificare le
tue abitudini e crearne di
nuove e sulle prime è destabilizzante, ma…
significa anche avere qualcuno che
ti accoglie con un abbraccio e un bacio quando torni a casa, che ti
regala un
disegno per la festa del papà… qualcuno che ti
regala dei biscotti fatti in
casa per il tuo compleanno. Significa guardare tua figlia e pensare che
non
esiste niente di più bello al mondo."
"Dire addio alla propria vita sociale…"
"Non dire sciocchezze. Mica ho smesso di frequentare
questa casa o di andare al pub con te, no?"
"No, ma… non fa per me. Proprio no. Beh? Che hai da
guardare?"
"Niente." sorrise Camus.
"Non si ride delle idiosincrasie altrui."
"Idiozie, semmai." replicò Camus. "La
verità è una e una soltanto: hai paura."
Milo assottigliò lo sguardo.
"Non sei venuto qui per aiutarmi col mobiletto, dì
la verità." lo riprese, sviando il discorso.
"Va bene, riprenderemo il discorso in un altro
momento."
"Oh no."
"Oh sì invece. Diciamo che il mobiletto è solo
una
parte della ragione." spiegò Camus. "Avevo bisogno di
parlarti a
quattr'occhi senza una webcam di mezzo."
"Finché durano biscotti e film, hai tutto il tempo
che vuoi."
"Guarda la
posizione."
"A proposito, che film ha portato Mei?" domandò
Milo, lanciando un'occhiata nel piccolo salottino, dal quale arrivava,
smozzicato, l'audio del film.
"…dev'essere
rigido."
"…?!" Milo sgranò gli occhi, mentre Camus
corrugava la fronte, concentrandosi sulle parole.
"Questo è il
mio spazio e questo invece è il tuo: io non entro nel tuo e
tu non entri nel
mio."
"Dirty Dancing."
spiegò poco dopo, alzando
gli occhi al cielo.
"Ah!! Per un attimo ho temuto chissà che cosa…"
"Ma ti pare? Che film poteva mai portare Mei?"
commentò. "Anzi, mi stupisce il fatto che non abbia portato
il super-mega-iper cofanetto da
collezione
con tutti i film conosciuti e non di Keanu Reeves. Ma in effetti quello
lo
conserva come una reliquia su una mensola del salotto tra l'action
figure di Neo e quella di John Constantine e guai a chi osa
avvicinarsi."
"Noto una punta di gelosia nella tua voce."
"Irritazione."
lo corresse Camus. "Pura e semplice irritazione, credimi."
"Ma dai, un attore di Hollywood riesce a irritarti?
Buon cielo, ha una differenza d'età enorme, potrebbe essere
suo padre."
ridacchiò Milo.
"Le ho detto la stessa cosa, una volta. Sai che mi
ha risposto? Sarà, ma se l'avessi
davanti
tutto farei tranne che vederlo come una figura paterna."
"Ha fatto una battuta, dai." ridacchiò Milo.
"Quando lo vede, si scioglie. Letteralmente. Come Nutella
su una crêpe calda, capisci? Il suo personaggio
può essere il classico eroe
buono o l'emerita carogna di turno che picchia la moglie e minaccia una
vedova
o strangola le vittime con le corde di violino, e Mei è
lì che sbava. Poi la
sera, in camera, guarda me e… niente.
Al contrario, se si trovasse quello
là,
nudo, nel letto, minimo le piglierebbe un infarto secco."
"…ovviamente dopo
aver dato fondo alle sue fantasie."
"Grazie,
Shaina." borbottò Camus.
"Oh, quanto rompi. Potrei capire se ti avesse
chiamato Keanu anziché Camus quando siete a letto, ma che male
c'è ad avere fantasie sugli attori?" fece Milo. "Anche io le
ho. E
sicuramente anche tu."
"Non proprio." ribatté Camus. "Io mi
eccito con lei, solo con lei. Con nessun'altra, neanche con la Jolie
che,
comunque, ha un fondoschiena di tutto rispetto."
"Ha! Vedi?"
"Ha! Cosa?"
Camus gli fece il verso "Ho occhi ben funzionanti anche io, ma non
significa avere fantasie. Mei ne ha fin troppe: guarda Troy e sbava su Achille, guarda Thor e sbava su Loki... guarda Matrix e sbava su Neo."
"Beh, la panoramica del fondoschiena di Neo nel
secondo capitolo è tutto un programma!" proseguì
Shaina.
"Potrei
vomitare."
"Ma anche tu ti difendi benissimo in tal senso,
fidati." interloquì Mei.
"Lo dici solo per indorarmi la pillola. Che diamine,
la mia autostima ne risente."
"Esagerato." ridacchiò Milo.
"Cerca di capire: un tizio qualunque a confronto con
tre attori di Hollywood... ovvio che sono destinato a perdere in
partenza."
"Stai parlando del mio migliore amico, attento a
quello che dici." scherzò Milo. "Quelli sono solo attori, tu
sei il
suo uomo."
Camus afferrò una delle guide a scorrimento e lo
posizionò su un cassetto.
"Il suo uomo con i capelli rossi, le efelidi e la
tendenza a diventare color aragosta. Uhm. Non c'è che dire,
Mei ha fatto un
affarone."
"Il mio uomo sta dicendo troppe sciocchezze!"
esclamò Mei.
"Visto?"
"Lo dice solo perché altrimenti sa che la manderei
in bianco." borbottò Camus.
"Ah, guarda che il dispetto non lo faresti a me, ma
a te stesso." ridacchiò Mei. "Perché so che se
avessi voglia di fare
sesso potrei sempre venire qui all'ottava casa e riuscirei comunque a
rimediare
qualcosa. A te non spiacerebbe prestarmi Milo, vero Shaina?"
"Figurati."
"Che c'è? Io non c'entro." rise Milo, captando
lo sguardo dell'amico. "Lixue, una domandina al volo: chi è
più bello, tuo
padre o Thor?"
Lixue distolse lo sguardo dal computer, sul quale stava
guardando il film con Chris Hemsworth, e rispose a Milo dopo essersi
tolta le
cuffie.
"Papà."
"Visto?"
"Ha sette anni ed è mia figlia, non è obiettiva
abbastanza." protestò
Camus.
"Scommettiamo?" fece Milo. Tornò a parlare a
Lixue. "E tra me e Thor, chi è più bello?"
"Thor!" rispose la bambina, rimettendosi le
cuffie.
"…"
"No, mi sbagliavo. Ha sette anni, è mia figlia, ed
è
obiettiva esattamente come suo padre." si corresse Camus, orgoglioso.
"Grazie amico, mi hai proprio risollevato il morale. "
"Prego, non c'è di che."
**
L'indomani, di ritorno dal lavoro, Mei si chiuse nella
Stanza degli Avi, per pregare e riflettere: aveva ricevuto una
telefonata dalla
cugina residente a Nanchino e pensava a quello scambio di battute da
quand'era
tornata a casa.
"…e
dove potevo trovarti, se non qui?" domandò
Camus, facendo capolino dalla porta. "A proposito, ciao!"
"Ciao,
Cam."
"Chi
ha portato quel pacco? Non c'è timbro postale e…"
"Credo l'abbia portato Hyoga, c'è un biglietto ma
è scritto in russo."
"Oh. Allora devono essere gli abiti per il matrimonio di Kirill e
Zoya." ragionò Camus. "Beh, la cena è quasi
pronta."
Mei
si voltò e gli sorrise nervosa.
"Cena?
Miei Dèi quant'è tardi… non mi sono
accorta del tempo che passava, ti chiedo scusa. Che pessima moglie
sono... tu a
spignattare e io qui a pregare." mormorò, con un tono di
voce che a Camus
non piacque affatto.
Entrò,
si chiuse la porta alle spalle e si tolse
le scarpe prima di raggiungere il piccolo altare, dinanzi al quale si
inchinò
rispettosamente.
"Adesso
mi dici che cosa c'è che non
va." le disse sedendosi sul cuscino accanto al suo, a gambe incrociate.
"Non
c'è niente che non va. Va tutto bene,
loro qui stanno bene." rispose lei, posando istintivamente una mano sul
ventre.
"E
tu?" le domandò, accarezzandole una
guancia. "Spesso ti rigiri nel letto, dormi poco e mi stai facendo
preoccupare. Anche adesso."
"Non
devi, stai tranquillo. Sono solo
brutti pensieri."
"Di
che genere, se ti va di parlarne?"
Mei
si schiarì la voce, prendendo la mano che
Camus teneva ancora sulla sua guancia e stringendola tra le proprie, in
grembo.
"Mi
ha telefonato Zhi, mia cugina, dicendomi che durante
il trasloco sua madre ha trovato due grossi bauli che a quanto pare
appartenevano ai miei genitori."
"E come mai li ha lei?"
Mei sorrise nervosa.
"Ufficialmente
nella confusione che seguì l'incidente di
Tokyo gli averi dei miei sono rimasti a Nanchino, dove abbiamo
soggiornato quel
breve periodo prima dello smistamento
di Shiryu. Ufficiosamente, è un modo meno crudo di dire furto. Alcuni parenti acquisiti, in
famiglia, hanno sempre avuto un
certo… come dire… passatempo: ma
che
bell'anello indossi, attento a non perderlo di vista! Ops, adesso
è mio! "
"Sono
un pochino… ladri?"
"Un
pochino? Se li lasci avvicinare troppo son capaci di
sfilarti anche gli slip di dosso e nemmeno te ne accorgeresti." disse
Mei.
"Mia cugina non è come sua madre o i suoi nonni materni, ma
ho imparato a
mie spese che di certi parenti è meglio non fidarsi: di
solito quando Liling si
mette in contatto con qualcuno raramente lo fa per affetto. Sono certa
che la
storia dei bauli è solo una scusa. C'è altro
sotto."
"Mh.
Diciamo che te li restituisce perché ha già avuto
modo di controllarne il contenuto e ciò che ha trovato non
è stato di suo
gradimento." ragionò Camus.
"Ah,
sicuramente." annuì Mei. "Immagino che
contengano… o meglio, contenessero
i
trofei e le medaglie mancanti di mio padre e i gioielli di mia madre. A
quest'ora saranno finiti su qualche bancarella o in mano a ricettatori."
Argomento,
quello, che per Mei e Shiryu era ancora un tasto
dolente.
"Ma
c'è altro sotto."
"Conoscendo
mia zia, sì."
"Non parlavo di lei, ma di te. C'è altro che non vuoi dirmi."
"Perché
tanto sono cose nelle quali non credi, quindi
che te le racconto a fare?" sospirò Mei.
Spiriti,
maledizioni e affini: chissà che cosa doveva averle
raccontato sua cugina per farla preoccupare in quel modo.
"Uhm,
okay." rispose lui, capitolando. "A
proposito, tornando a casa dal mercato, stamattina, ho fatto una
piccola
deviazione per Boulevard Haussmann e…
ricordi quella bella torta di cioccolato e marzapane che abbiamo
mangiato al
compleanno di Freya?" aggiunse, ottenendo la sua totale attenzione.
"Quella
russa?"
"C'era una fetta in frigo pronta per essere divorata ma a quanto pare,
dovrò sacrificarmi al posto tuo."
"Dannato."
disse Mei.
"Lo
so, lo so. E' un colpo basso da rifilare, specie a
una golosona che deve mangiare per tre. Ma sai, il fine giustifica i
mezzi,
diceva qualcuno. Allora, dimmi tutto."
Parlando
con sua cugina, le aveva parlato inavvertitamente
della gravidanza e Zhi si era lanciata in tutta una serie di aneddoti
poco
simpatici rispetto le gravidanze gemellari nelle loro famiglie:
antenate uccise
da strane infezioni, da complicazioni dovute al parto, bambini nati
morti,
strozzati dal cordone ombelicale…
"…in
poche parole, gran parte di quelle antenate sono
morte di parto e… con loro anche i bambini."
Camus
sbuffò.
"Dèi
del cielo, Mei, perché mai hai parlato con tua
cugina di certe cose? Ti ha solo suggestionato e basta."
"Non
è suggestione! Ha detto che centocinquant'anni fa
è
successo anche a una parente nel ramo materno della sua famiglia e
persino una
mia prozia è morta per questo motivo ed è
successo appena ottant'anni fa. Non è
tantissimo tempo, è abbastanza da farmi preoccupare."
Sbuffò
di nuovo, posando lo sguardo prima sulla fotografia di
Letizia, quindi su quello di Joséphine e infine, su quello
di Natassia.
"Quello
che mi sto chiedendo in questo momento, Mei…"
iniziò "…è: come
fa una donna
intelligente come te, che si è laureata con l'ottimo voto di
104, che riesce a
tener testa a chiunque…"
"Cam…"
"…a farsi suggestionare in questo
modo da disgrazie avvenute più di un secolo fa?"
concluse Camus,
ignorando le sue proteste. "Proviamo a ragionarci su. Quante di queste
vostre antenate si sono affidate alle cure di medici o strutture
ospedaliere?"
Mei
lo guardò corrugando la fronte.
"Scherzi? Secondo
te le mie antenate conoscevano il significato del termine struttura ospedaliera? Si partoriva
rigorosamente in casa con la
levatrice, le donne della famiglia e, in casi eccezionali, con l'aiuto
della
sciamana del villaggio: si nasceva e si moriva in casa e anche con
l'avvento
dei primi grandi ospedali, si ricorreva a quelle strutture solo in casi
molto
estremi."
Camus
annuì.
"Appunto.
" le rispose. "Le vostre ave hanno vissuto in epoche nelle quali non
conoscevano né medici né ospedali, nelle quali
era facile morire perfino per un
banale raffreddore, dove le medicine erano poco più che
inutili intrugli
d'erbe. Mei, tu vivi nel ventunesimo secolo... per partorire non devi
affidarti
a sciamani o guaritrici che usano strumenti di fortuna ed erbe trovate
chissà
dove. Sicuramente ci saranno anche stati dei casi in cui si sono
salvati sia la
mamma che i bambini, ti pare? Casi che non possiamo conoscere
perchè non sono
stati documentati. A differenza loro, hai a disposizione medici,
ospedali e
medicinali... nessuno di voi, tu o i bambini, rischiate di morire. E se
ci
saranno complicanze, allora le affronteremo e torneremo a casa
vincitori."
"Zhi
ha anche aggiunto che forse dipende da
una maledizione e... se dovessi morire e lasciare te e Lixue? Se
dovessi
lasciarti solo?"
Le
prese il volto tra le mani, fissandola dritta
negli occhi.
"Io
non credo nelle maledizioni. Non l'ho
mai fatto, non inizierò certo a farlo ora. Quelle donne sono
state sfortunate,
d'accordo? Ai loro tempi era difficile portare avanti anche una
gravidanza
singola, semplicemente non avevano adeguate conoscenze in materia. Non
vi
succederà nulla, capito? Fidati di me e non ascoltare tua
cugina." le
disse. Le indicò le fotografie votive con un cenno. "Pensa a
chi c'è, qui,
pronto a proteggervi: le nostre madri, i nostri padri... monsieur
Degél. Natassia, persino... era una madre anche lei e sono
certo che ti sta proteggendo. Erano tutte persone straordinarie che ci
vogliono
bene e impediranno a chiunque, vivente o no, di farci del male. Io impedirò a chiunque di
farvene. Lo giuro."
Gli
sorrise, un poco rincuorata.
"Anche
se tu non credi negli spiriti e hai
detto quelle cose solo per rincuorarmi... grazie." sussurrò.
"Ha
quasi funzionato."
"Solo
quasi?"
domandò, fingendosi offeso.
"Credo
che solo quella torta riuscirà a rincuorarmi del
tutto."
Che
gusto ci provava, certa gente, a spaventare il prossimo a
quel modo? Alla prima occasione avrebbe scambiato un paio di paroline
con la
cugina di Mei, invitandola a smetterla di gettare ansia su una donna
incinta e
impressionabile.
"Posso
chiederti un favore?" chiese
Mei, distraendolo.
"Qualunque
cosa."
"Verresti
con me a Pǔtúoshān
a pregare Kwan Yin?" domandò Mei. "Per me
significherebbe molto."
"Oui."
"Io verrò da Athena, se tu lo desideri."
"Se pregare la tua dea o la mia ti farà sentire
meglio e scaccerà via i cattivi pensieri, verrò
dovunque vorrai."
***
Lady Aquaria's corner:
[Capitolo modificato in data 18
febbraio 2015]
-Addison
Montgomery: chi ha seguito Grey's Anatomy sa che Addison è
l'odiosa prima
moglie di Derek Shepherd, donna a mio avviso insopportabile ma
professionista
(ginecologa) straordinariamente capace.
-Il sistema
sanitario francese, da quanto ho letto su vari siti (che
ahimè non ricordo,
poichè la lista consultata era nei preferiti di chrome prima
della
formattazione del pc) è diverso dal nostro (e forse anche
migliore) e, se non
ricordo male, dà la possibilità di scegliere un
certo medico rispetto a un
altro durante certe visite specialistiche.
-"...l'emerita
carogna di turno che picchia la
moglie e minaccia una vedova o strangola le vittime con le corde di
violino..."
sì, Keanu Reeves nel corso della sua carriera ha
interpretato anche ruoli da
antagonista (che, a dirla tutta, spesso lo rendono più sexy
di quel che già è).
Nel primo caso, Camus si riferisce all'antagonista di The
Gift, dove Keanu
interpreta Donnie Barksdale, un arrogante bifolco manesco accusato di
omicidio
e nel secondo, al film The
Watcher, dove interpreta David Allen Griffin, un killer
psicopatico che
uccide le proprie vittime con, appunto, una corda di violino.
-Pǔtúoshān e Kwan Yin: vi
rimando a questa
pagina, altrimenti non saprei bene come spiegarvi.
Come sempre, mi scuso per il ritardo col quale rispondo alle
recensioni e vi ringrazio.
Alla prossima.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 20 *** Grazie e... disgrazie. ***
capitolo 20 rivisto
20.
Grazie
e… disgrazie.
[Ovvero: Se
le cose sembrano andar meglio, c'è qualcosa di cui non
stiamo tenendo conto.]
Legge
di Crisholm, Leggi di Murphy
…dimmi come stai
e nei tuoi giorni cosa fai
parlare
è facile
sotto questa finta luna.
Ed
io ti
ascolterò e se cadrai ti prenderò:
sei
meno fragile
dentro questa notte scura
[Nek
-
Instabile]
Santuario, Atene.
"Non sono sicura di riuscire ad arrivare viva al mio
compleanno."
Freya corrugò la fronte.
"Che stai dicendo? Perché mai?!"
Mancava meno di una settimana al suo compleanno, il 16
novembre, e in quel lasso di tempo avrebbe partecipato a due matrimoni
e, cosa
peggiore, prima di andare in Russia sarebbe passata a Nanjing per
prendere i
bauli dei suoi genitori.
La cosa peggiore di tutte sarebbe stata la ferita che si
sarebbe riaperta di nuovo, dopo anni.
"...oh, é per i matrimoni?" indovinó Freya.
"Ma non ti preoccupare, la cosa più imprevedibile che
può succedere é una
bella sbronza generale... se non qui ad Atene, sicuramente
a Kobotec."
Ridacchiò.
"Camus? Ubriacarsi? Non ci crederei nemmeno se lo
vedessi con i miei occhi." rispose Mei. "No, è che prima dei
matrimoni abbiamo in programma una visita brevissima a Nanjing da
alcuni
parenti ed è una cosa che non vorrei fare."
"Allora non la fare, nessuno ti obbliga."
"Non è una visita di cortesia, si tratta di questioni legate
ai miei
genitori: non ho alcun interesse a mantenere dei legami con quelle
persone."
"Allora è un altro discorso."
"Già. Spero si risolva tutto in fretta, meno rimango in
contatto con la
vedova di mio zio, meglio è per il mio sistema nervoso."
"Le questioni legate ai parenti non sono mai facili.
Sappi però che se dovessi aver bisogno d'assistenza legale o
di qualunque altra
cosa, puoi contare su di me."
Mei arrossì, imbarazzata.
"Oh, ti ringrazio."
Camus le interruppe.
"Mei? Possiamo andare."
"Ti lascio, vedo che è
arrivato il tuo saint dalla
scintillante armatura." scherzò Freya. "Così
scintillante che devo
mettermi gli occhiali da sole per non rimanere abbagliata. Ah ma
aspetta! Non è
l'armatura, sei tu che abbagli!"
"Ti consiglio un'accurata
visita oculistica, credo tu ne abbia un disperato bisogno."
replicò Camus,
imbarazzato.
"Resta sottinteso, Mei, che
sto scherzando." spiegò Freya.
"Lo so."
"Sempre meglio spiegarlo,
non vorrei fare la fine di Oberyn Martell."
"Che sciocchezza, non sono
così sanguinaria." sorrise Mei. "Sai che cosa mi piace di
quell'armatura?"
"Il
contenuto?" ridacchiò Freya.
"Beh, quello ovviamente,
senza dubbio. Mi piace il dopo,
quando finalmente potrò levargliela di dosso."
replicò Mei, facendolo
arrossire. "Sarà meglio andare prima che diventi color
aragosta
dall'imbarazzo."
"Siamo qui da mezz'ora! E' normale aspettare così
tanto? Neanche alla Città Proibita è
così difficile entrare."
"Di solito è più complicato. Per giungere fino al
Tempio di Athena e al suo Altare, posto ai piedi della statua, dovresti
avere
l'autorizzazione del Grande Sacerdote ed essere accompagnata da un Gold
Saint."
Camus guardò oltre le ampie sale del Tempio di Athena
–dopo il tredicesimo tempio- e vide le ancelle affaccendate
intorno all'Altare.
"Sei proprio sicuro che mi sia concesso?"
Lo sguardo di Mei si unì al suo, ma si posò
sull'imponente statua della Dea: la Nike nella mano destra e lo scudo
nella
mano sinistra, posato a terra ma pronto per essere afferrato
all'occorrenza. Lo
sguardo fiero, battagliero, orgoglioso.
Ovviamente non era la prima volta che vedeva la statua,
visibile da ogni parte del Santuario, ma era la primissima volta che
superava
il tredicesimo Tempio per giungere fino all'Altare.
"Certo che sì." rispose Camus.
"Perché sono la moglie di uno dei dodici eletti?"
Camus la guardò.
"Diciamo che il fatto che sei mia moglie è un valore
aggiunto che ti permette di saltare il primo passaggio." le
spiegò.
"Oooh. E perché, di grazia?"
"Perché si presume che in quanto tuo marito, io ti
conosca come le mie tasche e quindi sappia con certezza che non
costituisci
alcun pericolo per il Santuario." rispose Camus.
"…e chi ti dice che non sia una spia
o una sacerdotessa di Tien Mu giunta fin qui per rubare
l'armatura di Athena e conquistare il Santuario?"
"Mei…"
"Potrei avervi ingannato, tutti voi, ed essere
davvero una spia."
"Nessuno è capace di dissimulare così bene per
anni:
prima o poi si finisce col fare un passo falso. Succede sempre."
replicò
Camus, a bassa voce.
"Potrei essere più brava di quel che immagini."
"Non scherzare mai su queste cose. Mai."
l'ammoní, con una serietà che la
lasció di stucco.
"Buon cielo, non si può nemmeno scherzare?"
"Non su queste cose. Spie e traditori hanno vita
breve qui al Santuario."
"Beh, da come mi disse Dohko, Capo Sounio non è il
massimo della vita, specie con l'alta marea."
"Capo Sounio sarebbe un piacevole soggiorno, al
confronto. La pena per certi reati, qui, è una sola." la
contraddisse.
"Gogna? Marchiatura a fuoco? Flagelli di vimini
sulle chiappe nude?"
"La morte."
Mei si schiarí la voce, improvvisamente a corto di
parole.
"Quella specie di rialzo circolare che vedi giù
nell'arena, circondata da quelle che a una prima occhiata sembrano
rovine di un
tempietto, in realtà era un patibolo."
"Potevi dirmelo anni fa, prima che
iniziassi a usarla come piattaforma per i miei esercizi
di Taijiquan…" ribatté Mei.
"Non è esattamente un buon argomento di
conversazione da usare durante il corteggiamento, non credi?" fece
Camus. "Ecco, questa è la prima
casa, laggiù c'è
l'arena e… a proposito, su quel rialzo laggiù una
volta si eliminavano i
condannati a morte!"
"Miei Dèi, mi sono allenata dove decapitavate la
gente!"
Quante volte si era fermata per ore ad allenarsi là
sopra? Si era allenata anche con Lixue, accidenti. S'appuntò
mentalmente di non
avvicinarsi mai più a quel luogo per nessun motivo, specie
ora che era incinta.
"Dovrò far benedire Lixue da un monaco taoista,
accidenti. Se l'avessi saputo prima, non mi sarei avvicinata a quel
luogo di
morte neanche col pensiero."
"Per la cronaca, comunque, la pena capitale era
l'impiccagione, almeno finché non si decise che era meglio
affidare questo
compito a un Saint, scelto a seconda della gravità del
crimine commesso."
Due ancelle li informarono che era possibile, finalmente,
avvicinarsi all'Altare.
"Resta comunque un luogo di morte, violenta o
meno." Mei scosse la testa, prima di sollevare lo scialle sul capo a
mo'
di velo, come si usava nell'antica Grecia.
"Roba da matti." borbottò, avviandosi all'Altare, pronta a
porgere le proprie preghiere alla Dea: in un braciere infilò
alcuni
bastoncini d'incenso e, ai piedi dell'enorme statua, Camus la vide
posare un
rametto d'ulivo –sacro alla Dea- e un ciuccio. Poco dopo, Mei
scribacchiò
qualcosa su un blocchetto che si era portata appresso,
strappò il foglio e lo
gettò nel braciere, iniziando a pregare a voce
così bassa che non riuscì ad
ascoltarla.
Dal canto suo, Camus fece lo stesso: s'inginocchiò
accanto a Mei –che era rimasta in piedi-, si tolse l'elmo e
lo posò alla sua
sinistra, iniziando a cantilenare qualcosa in greco antico. Alla fine
delle
proprie preghiere, prese lo stesso blocchetto, scribacchiò
qualcosa e, come
aveva fatto Mei, gettò il foglio nel braciere.
"Ragazzi!" esclamò Shion, uscendo
dalle proprie
stanze private e sorprendendoli ancora in preghiera. "Mi avevano
avvertito
della vostra presenza qui all'Altare… va tutto bene?"
Camus si rialzò e gli dedicò subito attenzione,
permettendo
a Mei di terminare le sue preghiere con calma.
"Sì, va tutto bene… siamo qui per i bambini che
stiamo aspettando. Mei si è lasciata suggestionare dalle
parole di sua cugina
riguardo maledizioni e disgrazie varie accadute secoli fa alle loro
antenate
morte di parto e l'ho accompagnata qui all'Altare per permetterle di
pregare
Athena." mormorò.
Shion annuì.
"Noto dello scetticismo nelle tue parole."
"Io e Mei abbiamo idee divergenti per quanto riguarda certe cose."
"Questo l'avevo capito, ma fa parte del suo bagaglio culturale e del
suo
carattere, Camus." rispose Shion, guardando Mei. "Se si sente a suo
agio pregando Athena o i suoi Dèi affinché
proteggano le vostre creature, credo
che dovresti assecondarla e rispettare i suoi usi."
"E' quello che sto facendo e che ho sempre fatto da
quando la conosco." rispose Camus. "L'accompagnerò a
visitare il Tempio
di Kwan Yin a Pǔtúoshān
nel giorno in cui ricorre il compleanno della Dea, a febbraio.
Non ho mai ostacolato le sue usanze."
"Molto
bene." annuì Shion, notando che Mei si stava avvicinando
loro. "Mei,
mia cara... Camus mi ha parlato della tua decisione di visitare alcuni
templi
in vista della nascita dei bambini..."
"Sì."
"Potrei
suggerirti di visitare il Tempio di Demetra a Eleusi, nell'antica
Grecia le
madri che cercavano protezione per i propri figli si rivolgevano
soprattutto a
lei."
"Pensavo che pregare Athena fosse già
sufficiente."
"La prudenza non è mai troppa, non credi?"
"Certo." rispose, stringata. "Ma non credo
si possa fare, non ho intenzione di annoiare nessuno con le mie
sciocche
richieste, obbligando poi Camus a perdere tempo dietro ciò
che, e ciò lo sappiamo
tutti, ritiene una sciocchezza. Quindi non disturbatevi, nessuno di voi
due: ho
sposato un Saint di Athena, nostra figlia maggiore è
cresciuta abbracciando la
fede nella vostra Dea e credo che la sua benevolenza basti e avanzi."
Camus sgranò gli occhi.
"Ti ho già detto che-…"
"Non rechi alcun disturbo, te lo garantisco: è
giusto seguire le proprie credenze, e sono sicuro che Athena non si
offenderà
se decidi di chiedere l'intervento della sua nobile zia.
Invierò subito un
messaggio ad Anesidora, il mio contatto ad Eleusi. So che non ci
saranno
problemi nell'accogliervi con così poco preavviso, tuttavia
è bene avvertire
così che possa preparare a dovere il Tempio." disse Shion,
interrompendo
Camus; consultò la Meridiana e sospirò. "Fareste
meglio a prepararvi, con
ogni probabilità vi accoglierà subito."
Come previsto da Shion, Anesidora si dimostrò disponibile
ad accogliere gli ospiti inattesi quello stesso pomeriggio senza alcun
problema.
Ma, a dire il vero, un problema c'era eccome: quello che Mei
aveva detto davanti a Shion non gli piaceva. Era Taoista e quindi aveva
fede in
altre divinità diverse da Athena, ma ciò non
aveva mai costituito problema per
lui, anzi. Solo, considerava sciocche certe sue credenze e certi suoi
usi, pensava
che era assurdo spaventarsi e lasciarsi condizionare da presunte
maledizioni, dal
malocchio, dalle fatture e da tante altre superstizioni, ma a parte
l'incoraggiarla a pensare positivamente e a non lasciarsi scoraggiare,
non
l'aveva mai ostacolata.
Soprattutto in quel momento delicato nel quale si sentiva
palesemente vulnerabile e aveva bisogno di sentirsi protetta.
"…un fen
per i tuoi pensieri." sussurrò Mei mentre attendevano il
permesso per
entrare nel Tempio di Demetra.
Un solo fen non
sarebbe sicuramente bastato.
"In questo caso ti conviene accendere un mutuo,
perché un fen non basta
per tutto ciò
che ho in mente adesso."
Senza comprendere il motivo di quel cambiamento d'umore,
provò a cambiare approccio.
"Perché hai di nuovo indossato l'armatura? Non siamo
al Santuario."
"Appunto. Quando sono in visita presso i templi di
altre divinità greche, che sia per via ufficiale o ufficiosa
come in questo
caso, indosso gli emblemi della mia dea per essere riconoscibile e per
onorarla
anche fuori dal suolo del Santuario." rispose Camus. "Sarebbe
considerato un gesto estremamente offensivo se un Saint in visita non
indossasse la propria armatura. Nei secoli passati quasi si sono
sfiorate
guerre per questo motivo. O almeno questo è quanto mi
è stato raccontato dal
mio Maestro."
Lixue guardava il padre con ammirazione, schermandosi a
tratti gli occhi quando il sole si rifletteva sull'oro dell'armatura,
facendola
brillare.
"Sei così bello, dovresti metterla più spesso."
Mei sospirò appena: prega
solo di non vederlo troppo spesso con quella cosa addosso
pensò,
guardandosi bene dall'esprimerlo ad alta voce.
"Ti ringrazio, ma per il bene della pace, tesoro
mio, è meglio se questa rimane chiusa nel suo scrigno."
rispose Camus,
accigliandosi dopo aver intravisto l'espressione di Mei.
Ancora in braccio a suo padre, Lixue ne approfittò per
togliergli l'elmo e indossarlo, un'espressione soddisfatta in viso.
"…come sto?"
"Sei… sei molto carina, tesoro. Dovresti rendermelo
però, prima che arrivi qualcuno a farci entrare."
Lixue si pavoneggiò ancora qualche istante prima di
rimettere l'elmo in testa a Camus.
"Il tuo è più leggero, zio Milo mi ha fatto
provare
il suo e mi schiacciava un po' sulla testa." ammise Lixue.
"Milo ti ha fatto provare il suo elmo?"
"Sì sì. Ha detto che una volta abituati, il peso
della coda non lo senti più e che se se dovessi sviluppare
il Cosmo anche io,
gli piacerebbe essere il mio maestro."
Mei sobbalzò come punta da una
tarantola e Camus sgranò gli occhi, colto
alla sprovvista dalla notizia e dalla serietà con la quale
Lixue aveva parlato.
"Come hai detto, scusa?" esclamò Mei.
"Lixue, non c'è niente di male
in quello che ti ha detto Milo, stai
tranquilla, parlane pure liberamente."
Spazientita dalla piega che stava prendendo
quella faccenda, Mei fulminò
entrambi con lo sguardo.
"No, non credo proprio." sibilò.
Roba da matti. Come diamine aveva potuto
Milo parlare di certe cose a
Lixue?
"Ne parleremo a casa, Lixue, okay?" sorrise
Camus, incoraggiante,
mettendola a terra.
"Lo ammazzo." sibilò Mei tra
sé e sé. "Gli spacco la testa,
parola mia."
Camus la prese gentilmente per il gomito.
"La stai spaventando." mormorò.
"Dobbiamo parlare, Camus. Se tu o Milo
pensate di potermi portar via
uno dei miei figli per trasformarlo in Saint, vi sbagliate di grosso."
replicò Mei. "E' già tutto deciso? Da quanto
tempo state organizzando
questa cosa?"
"Organizzare??
Dico, sei
matta?" rispose Camus, indignato. "Credi che potrei davvero farti una
cosa del genere?"
"Bada, Camus. Se succede qualcosa a lei o a
uno di loro, giuro sui
miei Dèi che né tu né Milo avrete
possibilità di raggiungere i cinquant'anni di
vita. Forse non raggiungerete nemmeno il vostro prossimo compleanno,
parola
mia."
"Parlerò con Milo, d'accordo?"
"Questo è poco ma sicuro, mio
caro. E' mia figlia, la mia bambina, una
delle ragioni per la quale mi alzo la mattina! Ho passato le pene
dell'inferno
per proteggerla e ho sofferto quasi due giorni prima che venisse al
mondo e né
tu, né quel…traditore
riuscirete a
portarmela via!" sbraitò Mei. "Parla con Milo, o lo
farò io. E potrebbe
non piacerti."
"Calmati, agitarti non ti farà bene." le disse,
calmo, strofinandole la schiena.
"Un accidenti! Non mi parlare come se fossi una
bambina!"
"Senti, intanto non ti agitare per qualcosa che ha
il 99% di possibilità di non
accadere, secondo, se Lixue dovesse davvero sviluppare il Cosmo e i
relativi
poteri, il suo addestramento sarebbe compito mio poiché
è nata sotto il mio
segno e…"
"…allora perché Milo ha detto che…?"
"Sarei io… saremmo noi a
decidere se occuparmene di persona o affidare la situazione a un
parigrado di
fiducia." le spiegò, usando impropriamente il plurale: non
le avrebbe mai
detto che la sua opinione in merito non avrebbe avuto alcun peso; se
Lixue o
uno dei piccoli avesse sviluppato il Cosmo, Mei non avrebbe potuto
impedire
l'addestramento in nessun caso né, tantomeno, avanzare
pretesa alcuna.
Alcuni movimenti interni al Tempio lo indussero a tacere.
Poco dopo l'enorme portone venne aperto e vennero invitati ad entrare.
"Il nobile Aquarius e la sua sposa, suppongo. Mi
chiamo Anesidora e presiedo questo Tempio." li accolse. "Devo
ammettere che il messaggio del nobile Shion mi ha incuriosita non poco.
Prego,
siete i benvenuti."
Camus si tolse l'elmo in segno di rispetto e insieme a
Mei seguì la melissa che
li aveva
accolti.
"E' una questione strettamente personale, non
ufficiale." spiegò Camus. "Il Grande Sacerdote ci ha
indirizzati qui
affinché Mei, mia moglie, possa rivolgere delle preghiere
alla Dea."
Anesidora annuì.
"Affinché Demetra protegga i vostri bambini."
concluse, per lui. "Certo, il nobile Shion mi ha spiegato anche questo.
Venite dunque, mentre Cloe si occupa di vostra figlia."
"Preferirei tenerla con me." rispose Camus,
sorridendo, ma con fare fermo.
"Come preferite." replicò Anesidora, congedando
la ragazza che era appena arrivata.
Come quella mattina davanti l'Altare di Athena, Mei
sollevò lo scialle sulla testa e s'apprestò a
seguire Anesidora.
"Sono spiacente, ma a voi non è concesso proseguire
oltre. Agli uomini è riservato l'andron."
Anesidora bloccò Camus indicandogli le due navate laterali
del Tempio,
collegate tra loro da un'ampia balconata che si affacciava sull'atrio e
sulla
grande statua della Dea e delimitate da alti parapetti intarsiati e
traforati.
"Oh. Non immaginavo che quest'usanza fosse ancora osservata."
commentó Camus. Annuì e sorrise incoraggiante
alla moglie. "Ne
t'inquiete pas, nous serons juste derrière là-bas."
[Non preoccuparti, noi
saremo
laggiù.]
Lixue guardò la madre
allontanarsi in direzione della statua e del suo Altare mentre seguiva
il padre
lungo il corridoio riservato.
"Dove andiamo?"
"Stiamo andando nell'andron,
cioè la parte riservata agli
uomini."
"E perché non possiamo
seguire mamma?"
Quelle regole, che al Santuario
erano state applicate solo all'epoca dei miti e nel diciottesimo secolo
e che
non erano mai più state applicate da allora, a quanto
pareva, erano ancora
vigenti a Eleusi e al suo Tempio: era bene seguirle però,
per rispetto verso
Demetra e per evitare scontri con il Santuario.
"Perché mamma deve poter
pregare con calma."
"Non possiamo nemmeno se stiamo zitti?"
Camus scosse la testa.
"Tu sei ancora piccola e a
me non è permesso." le spiegò, a bassa voce. "Per
prima cosa perché
la mia Dea è una e una soltanto. Secondo perché
sono un uomo e qui uomini e
donne devono pregare separati."
"Che sciocchezza." borbottò
Lixue. In Cina era capitato spesso che sua madre e suo zio pregassero
gli Avi insieme,
addirittura una volta aveva assistito a una funzione in onore di Odino
insieme
a Hyoga e Freya, e anche loro erano rimasti insieme.
"Non dire così, non è
rispettoso verso la Dea. Ricordi quando quella volta abbiamo visitato
quel
bellissimo edificio con le cupole blu?" le domandò.
"Quando ci siamo tolti le
scarpe?"
"Sì, esatto." le
sorrise. "Ogni Tempio e quindi ogni religione ha le sue regole ed
è giusto
che vengano rispettate, per quanto possano apparirci strane. Sii sempre
rispettosa verso il prossimo, Lixue. Facciamo silenzio, ora."
Dopo aver posato le offerte sull'Altare
–spighe di grano, papaveri e frutta-, Anesidora
esortò Mei ad avvicinarsi
all'imponente statua, quindi si voltò verso l'andron.
"So che a voi non è concesso,
ma vostra figlia può unirsi alla preghiera, se lo desidera."
esordì rivolgendosi
a Camus, che seguiva tutto dalla balconata.
"Posso, papà?"
"Certo, vai."
Il rito aveva radici antichissime
e si tramandava di melissa in melissa attraverso le generazioni; Camus
lo seguì
con interesse, affascinato come ogni volta che aveva occasione di
vedere cose a
lui sconosciute, e rimase in religioso silenzio così come
d'abitudine. Nel
corso degli anni aveva avuto occasione di visitare sinagoghe, moschee,
chiese
cattoliche e ortodosse, presenziare a riti pagani e popolari e, se
c'era
occasione di imparare qualcosa, tanto meglio.
Dopo le offerte, Anesidora esortò
Mei a ripetere, frase dopo frase, la preghiera con la quale avrebbe
attirato la
benevolenza della Dea nei confronti dei figli e della famiglia e, come
ultima
cosa, le chiese di scrivere le richieste su un foglio così
da gettarlo nel
braciere affinché arrivassero, sotto forma di fumo, a
Demetra stessa.
"Chiedete protezione per i
vostri figli e per il vostro sposo... per voi non chiedete niente?"
Mei scosse la testa e,
sorridendo, guardò Camus prima di rispondere ad Anesidora.
"Ciò che mi preme di più è
il loro benessere, nient'altro: se loro stanno bene, allora sto bene
anche
io."
Parigi.
"Sei silenziosa da quando
siamo tornati da Eleusi. Va tutto bene?"
Andava più che bene, si sentiva
in pace con sé stessa, almeno in quel momento: sapeva che di
ritorno da Nanjing
quella pace sarebbe andata via.
"Sì, stavo pensando a tutta
questa lunghissima giornata. Cos'hai chiesto ad Athena, quando hai
infilato il
foglio nel braciere?"
Camus richiuse la valigia che
avrebbero portato a Kobotec per il matrimonio di Kirill e la
posò
nell'ingresso, pronta per essere presa.
"Ti rigiro la domanda, se
non ti spiace." le rispose.
"In effetti, mi
spiace."
"Ti dico che cos'ho scritto,
se tu mi dici che cos'hai scritto. E intendo a entrambe le Dee."
Mei ridacchiò appena.
"Ho chiesto a entrambe la
stessa cosa. E tu hai chiesto qualcosa a Demetra?"
Lui scosse la testa.
"Le mie richieste possono
essere indirizzate solo ad Athena, a nessun'altra Dea al mondo."
"Ah già, giusto."
convenne Mei.
"Dunque? Non tergiversare,
rispondi."
Cosa aveva chiesto?
Che cosa poteva mai chiedere una madre, una moglie? Il benessere dei
figli e
della persona amata. Sapere che le persone che più ama al
mondo sono al sicuro
senza chiedere nulla per sé stessa.
"Sono una madre, che cosa posso
aver chiesto, secondo te?"
**
Hua Liling non era cambiata di
una virgola in quasi sedici anni; Shiryu e Mei se la ricordavano anche
troppo
bene: il breve periodo trascorso a Nanjing prima dell'arrivo di Dohko
era stato
un vero incubo che entrambi cercavano di dimenticare.
"Quella non mi piace."
mormorò Hyoga. "Sotto l'aspetto curato sento lo stesso
viscidume che sento
addosso ad Oleg."
Erano lì già da mezz'ora
abbondante; Liling aveva accolto Mei con un sacco di melensi
convenevoli e
tante futili chiacchiere che non facevano che aumentare la sua
insofferenza.
Camus lanciò una breve occhiata
alla donna seduta insieme a Mei nella stanza attigua.
Non piaceva neanche a lui.
"Questa è l'ennesima prova
che l'apparenza spesso inganna. C'è chi lo mostra
apertamente e chi invece lo
nasconde con modi affabili."
Shiryu invece era attento a quel
che stava succedendo in salotto, senza curarsi troppo delle chiacchiere
dei due
accanto a lui.
"Ora che ci penso, lei e
Oleg starebbero benissimo insieme. Sai come si dice, no? Dio li fa e
poi li
accoppia."
"Di certo, non in questo
caso: operai e contadini non rientrano nei suoi interessi."
interloquì Shiryu.
"Se non sei un industriale o uno con un portafoglio azioni gigantesco,
neanche ti prende in considerazione."
"Lieto di non far parte di
nessuna delle due categorie." commentò Camus.
Liling posò sul tavolo due tazze
di tè insieme ad un piatto colmo di dolcetti.
"Quelli insieme a Shiryu chi
sono? Le tue guardie del corpo?"
Mei sogghignò.
"Non ho bisogno di guardie
del corpo, sono in grado di difendermi da sola sotto ogni punto di
vista."
replicò, ignorando il tè.
La donna la guardò qualche istante,
mentre sorseggiava.
"Dunque perché rimangono
laggiù tutti seri e impettiti?"
"Non curarti della loro presenza, stai parlando con me."
Lo sguardo di ghiaccio dei due
accompagnatori nella stanza accanto la inquietavano non poco: uno di
loro era
il marito di Mei, l'altro invece le era totalmente sconosciuto.
"Dunque le voci che sentivo
erano vere… ti sei sposata."
"Sì."
Le notizie in quella famiglia si
diffondevano come pidocchi in una scolaresca di bambini.
"Immaginavo, i tuoi anelli
si notano lontano chilometri. Posso?"
"No."
"Oh, ma quanto sei
prevenuta. Ascolta, Mei, possiamo lasciarci il passato alle spalle? Le
nostre
incomprensioni sono nate da sciocchi equivoci del tutto infondati."
"Equivoci infondati? Zio Shen-Tao e
mio padre avrebbero qualcosa da
ridire in merito." replicò Mei. "A proposito di mio padre,
non sono
qui per fare conversazione. Il motivo della mia visita è uno
solo: voglio i
bauli dei miei genitori e basta, ho già perso troppo tempo."
"Ah, certo. I bauli. Non ci
vediamo da anni e la sola cosa che hai in mente sono i bauli." Liling
si
alzò e raccolse dal tavolo le due tazzine: la sua, vuota, e
quella di Mei,
ancora piena e ormai fredda.
"Non ci vediamo da anni…
ringraziando il cielo! Visto il trattamento
che hai riservato a me e Shiryu durante la nostra, per fortuna breve,
permanenza
a casa tua. Neanche un cane sarebbe stato trattato così
male."
"Credo che tu stia
esagerando."
"Per tua sfortuna, no. Relegati
su in soffitta, con il solo permesso di scendere giù in casa
per mangiare e
lavarsi. Forse mio fratello era troppo piccolo per ricordare, ma io
ricordo
benissimo."
Non stava affatto esagerando,
neanche Harry Potter era stato trattato così male dagli zii.
Solo che lui era
un personaggio inventato, loro due, no. La loro condizione era cambiata
come
dal giorno alla notte solo dopo l'arrivo di Dohko, e per l'amore che
aveva
riservato loro, per aver fatto l'impossibile per lei pur non avendo
alcun
obbligo nei suoi confronti, non l'avrebbe mai ringraziato abbastanza.
Com'era tipico di Liling, glissò
su quell'ultima affermazione.
"Non era il caso di
sobbarcarsi questo viaggio, nelle tue condizioni. Te li avrei fatti
recapitare direttamente
a Parigi."
Certo, come no.
"Dubito fortemente che
avresti spedito le mie cose fino a Montreuil."
la corresse Mei, sviandola. Si alzò, ponendo fine
all'incontro. "E ora,
voglio i miei bauli. Subito."
Liling la squadrò da capo a
piedi.
"Nonostante il tuo aspetto
ricordi molto quello di Wei-He, sei in tutto e per tutto uguale a tua madre." replicò, con una
nota
di disprezzo. "Tale e quale a lei, carina d'aspetto ma velenosa."
"Lo so. E ne vado
fiera."
A Camus non piacque quell'ultimo
scambio di battute: Wei-He e Letizia erano dei veri nervi scoperti per
i due
fratelli e, nonostante Mei stesse ribattendo battuta su battuta,
sentiva la sua
agitazione crescere di minuto in minuto.
"Possibile che debba tirarla
così tanto per le lunghe?" sbuffò Hyoga.
Shiryu lanciò un'occhiataccia
alla zia.
"Si è sempre comportata
così. Smetterà appena capirà che Mei
sta per esaurire la scorta di pazienza. E
succederà tra poco."
"E allora perché non
intervieni tu? Tua sorella è incinta e non dovrebbe
agitarsi."
"Ah no, non ci tengo a
gettarmi di proposito nella tana delle vipere." replicò
Shiryu. "Mei
conosce meglio di me le dinamiche interne tra la nostra famiglia e
quella di
nostro zio, ed è meglio che sia lei a parlare piuttosto che
il sottoscritto,
così come mi ha detto prima di venire qui: tra
vipere ci s'intende meglio."
"Sbagli, Mei non è una
vipera. E' Milo."
Shiryu guardò il cognato, che se
ne stava tranquillo a seguire il discorso tra le due donne.
"…?"
"Sono entrambi
pericolosi." gli fece notare Hyoga.
"Non proprio: con una vipera hai ancora una chance di salvezza."
rispose Camus. "Con Milo, no."
"Questo è vero."
Liling lanciò loro un'occhiata,
prendendo un mazzo di chiavi.
"Seguitemi." disse
loro, funerea, anticipandoli verso la soffitta.
"Toglimi una curiosità Mei... perchè le hai detto
che abitiamo a Montreuil?" le domandò in francese, una volta
che la donna si fu allontanata.
"Perchè se scopre che abitiamo nel sedicesimo
arrondissement, minimo ce la ritroviamo davanti alla porta di casa un
mese sì e l'altro pure. E che Athena ci scampi da questo."
Camus esaminò il primo baule.
"Hanno tentato di forzarlo."
Shiryu fece un mezzo sogghigno in
direzione del cognato.
"Mi sarei stupito del
contrario." replicò, notando la saldatura su una delle
cerniere del
coperchio. "Ma non sono stati aperti, il lucchetto e le altre due
cerniere
sono ancora intatte."
"Sì, perché avrebbero dovuto
usare una fiamma ossidrica: senti il rumore che fa? Il baule
è solo
esternamente di legno, dentro è sicuramente rivestito con
uno strato d'acciaio…
sottile, altrimenti peserebbe il triplo."
"Cosa credi ci sia
dentro?" domandò Hyoga tentando di distrarre Mei.
"Trofei o medaglie di mio
padre, forse qualche abito di scena di mia madre… ricordo
che gran parte degli
oggetti dei miei genitori me li restituì zio Shen-Tao dopo
la loro morte, ma
evidentemente doveva essersi dimenticato qualcosa."
"Ammesso che si tratti di
una dimenticanza." commentò Shiryu.
"Su Liling avrei di certo dei
dubbi, ma su zio no. Era il fratello di nostro padre ed entrambi erano
due
persone tra le più oneste che abbia mai conosciuto: se mi ha
restituito i bauli
con i vestiti e le scarpe firmate di mamma, i suoi vinili e parte degli
oggetti
vinti da papà, non vedo per quale motivo tenere questi."
"Perché magari questi bauli
sono quelli più succulenti. Vestiti e scarpe finiscono per
diventare fuori moda
e i vinili… a chi vuoi che interessino vinili di opere
liriche, qui? Non
parliamo di Maria Callas."
"Non parlare di nostra madre
a questo modo, Shiryu, non te lo permetto!" sbottò Mei.
Camus congelò i lucchetti e li
ruppe con una martellata secca.
"Calmiamo gli animi,
okay?" interloquì Hyoga.
"Calmati lo dici a qualcun altro,
bello mio." protestò Mei.
"Perché se avesse offeso tua
madre,
Shiryu non starebbe più respirando adesso."
Dopo una rapida occhiata, Camus
chiamò il cognato.
"Detesto dirlo, ma avevi
ragione. Guarda qui. A quanto pare dopo aver tentato di aprire il
primo, hanno
pensato che non valesse troppo la pena e questo non hanno neanche
cercato di
scalfirlo."
Sotto diversi strati di vestiti,
accuratamente piegati e riposti in apposite sacche trasparenti, erano
nascoste
delle cassette portavalori.
"Che ti avevo detto?"
"Sono certa che zio non
c'entri nulla, è stata Liling l'artefice di tutto." disse
Mei, sporgendosi
per guardare all'interno. "Maledetta arrivista: venderebbe anche sua
madre
se potesse."
"Non dobbiamo disperare, da
anni aspetto di vedere il suo cadavere passare nel fiume. E prima o poi
succederà, vedrai." fece Shiryu.
"Beh, mettiti in fila."
Liling si presentò di nuovo sulla
porta della soffitta.
"Ne avete ancora per molto?
Ho un appuntamento importante tra mezz'ora."
"No, abbiamo finito, ce ne
stiamo andando." rispose Shiryu, alzandosi.
"Oh, bene."
Mei richiuse di scatto il baule
che stava esaminando, quindi la fulminò con lo sguardo.
"Farai tardi se non ti
sbrighi." rispose.
"Trovato qualcosa
d'interessante?"
"Andrai al tuo appuntamento
in quattro assi di mogano se non sparisci dalla mia vista."
"Brutale."commentò
Hyoga, poco dopo.
"Camus, sento il tuo sguardo
dritto sulla nuca e sappi che non mi piace."
"Non ho aperto bocca, mi
pare."
"Bene."
"Sappi che stavolta non disapprovo. Al tuo posto, se qualcuno
offendesse
mia madre come tua zia ha fatto con la tua, beh… farei la
stessa identica cosa."
Mei lo guardò, prima di guardare
Shiryu.
"…giuro, è la prima volta
che sento il diplomatico del
Santuario parlare in questo modo!"
"Coraggio, signorina. Prendiamo
questi dannati bauli e torniamo a casa prima che la situazione
peggiori."
disse Camus, raccogliendo qualcosa che era caduta dall'album di
fotografie che
aveva sfogliato fino a quel momento.
Si corresse poco dopo, rendendosi
conto di ciò che aveva raccolto.
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo
revisionato in data 1 aprile 2015]
Dunque, anche questo capitolo ha
subito un radicale restyling. Spero sia tutto comprensibile :)
-Tien Mu: Dea minore del tuoni
nel pantheon cinese. E'
assistente di Lei Kung, supremo dio
del tuono e del male.
-L'Andron è l'equivalente
maschile del Gineceo.
-Il
fen equivale a 1/100 di yuan o
renmimbi, la moneta cinese.
-Melisse: così erano
chiamate le sacerdotesse di Demetra.
-"Bellissimo edificio con le cupole blu":
Camus si riferisce alla Moschea Blu di Istanbul.
Come sempre
grazie a chi segue nonostante i ritardi, non smetterò mai di
ringraziarvi.
Lady Aquaria
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Only time. ***
capitolo 21 principale rivisto
21.
Only
time.
Il
dolore può essere una cosa che abbiamo tutti in comune: ha
una faccia diversa
per ognuno di noi.
Ma la
cosa più insopportabile, la cosa peggiore del
cordoglio, è che non lo puoi controllare.
La
cosa peggiore è che quando pensi di averlo superato,
ricomincia tutto da capo.
E
sempre, ogni volta, ti lascia senza fiato.
[Grey's
Anatomy, stagione VI, episodio II]
Kobotec,
Siberia.
Raggomitolata
sotto
diversi strati di pesanti coperte di lana, udiva a malapena il
chiacchiericcio
che la circondava sulla trojka: seduti a cassetta, Freya e Hyoga
parlottavano
di matrimoni, fiori e promesse, mentre Lixue, avvolta in un pesante
cappotto
nero e seduta sulle gambe del padre, leggeva a bassa voce un libro,
parlando in
russo.
Socchiuse
appena gli occhi
e li richiuse poco dopo, sospirando dietro la sciarpa che le copriva
quasi
tutto il volto: neve, montagne, neve, montagne. Un freddo che definire
atroce
era un eufemismo, quindi ancora montagne e neve a perdita d'occhio.
Che
novità, Mei, sei in Siberia… cosa ti aspettavi,
acque cristalline e cocktail di cocco?
"Come
vanno le cose là sotto?"
Guardò
Camus e si sforzò di sorridere.
"Suppongo
sia superfluo dire che ho freddo."
"In
effetti da queste parti è un ritornello che si sente
piuttosto spesso, come
lamentarsi del caldo in Kenya."
"Okay,
allora vedrò di non esternare mai questo disagio a voce
alta."
Lixue
chiuse il libro e lo ripose nella sacca che si era portata appresso.
"Posso
sedermi vicino a Freya?"
"Purché
tu faccia attenzione, tesoro." le rispose Camus.
Hyoga
aiutò la bambina a montare con lui e Freya a cassetta e Mei
sbuffò.
"…ehm…
io non credo sia il caso, Cam. Fa troppo freddo per lei."
"Ti
sembrerà strano eppure non hai idea di quanto sia capace a
sopportare queste
temperature!" le rispose Camus, soprapensiero. "E'
stupefacente!"
"Già,
non ne ho idea." rispose, guardando a lungo sua figlia.
E
se si fosse sbagliata, in tutti quegli anni? E se fosse sul serio nata
con il
Cosmo e lei, ostinatamente, si fosse rifiutata di accettarlo fino a non
sentirlo? Del resto, suo zio e suo padre erano due Saint di Athena, il
che
aumentava ogni possibilità.
Non
mia figlia, venerabile Kwan Yin. Non
mia figlia. Non permettete che ciò avvenga.
Nazar
accolse gli ospiti
con una gioia ben visibile sul volto: alla vista della figlia del
Maestro il
sorriso sul suo faccione s'allargò da un orecchio all'altro.
"L'hai
portata davvero!"
esclamò in direzione di Camus.
"Certo,
te l'avevo
promesso!" gli rispose quest'ultimo, aiutando Freya e Mei a scendere
dalla
trojka. "Per quella famosa partita di scacchi, ricordi? Lixue, ti
ricordi
di Nazar, vero?"
"Bentornata
madame! Venite,
non è saggio stare troppo fuori con questo freddo."
interloquì Zoya.
"Grazie.
Non so se vi
conoscete già ma lei è Freya, la fidanzata di
Hyoga. Lei invece è Zoya, la
sposa." le presentò Mei.
"Sì,
a dire il vero
già ci conosciamo." sorrise Freya.
"Oh,
perfetto. Come
non detto."
"Ho
ritenuto
opportuno sistemarvi qui nell'appartamento sopra l'emporio per evitarvi
il
freddo eccessivo di questo periodo: è fuori discussione far
dormire una bambina
piccola e una donna incinta laggiù all'isba. Ragion per cui
i signori uomini
sono invitati a tornare all'isba e raccogliere le loro cose prima di
questa
sera."
"Agli
ordini, signora."
scherzò Camus.
"Queste
sono
stanzette piccole ma calde, sicuramente più calde di quella
ghiacciaia."
"E'
casa
vostra?" interloquì Freya.
"Sì."
"E non rechiamo disturbo, vero?"
"No,
no. Io e i miei
figli dormiremo da mia madre stanotte e Kirill dormirà nella
nostra camera, in
fondo al corridoio. Non preoccupatevi, siete i benvenuti!"
Camus
lasciò Lixue con
Nazar, sapendo che gli scacchi li avrebbero tenuti occupati per un po'
di tempo
e salì nella stanza al piano di sopra dopo aver aiutato
Hyoga e Kirill a
sistemare la trojka e i cavalli.
"Ha
ripreso a
nevicare, hai visto?" esordì, togliendosi il cappotto nero e
scrollandosi
i capelli. "Lixue è giù con Nazar a giocare a
scacchi, conoscendoli, ne
avranno per un po'."
Mei
era in piedi accanto
alla finestra, con lo stesso fare assorto che aveva messo su il giorno
prima e
che sembrava non voler andare via.
Pur essendo vicina, gli sembrava distante anni luce: forse non l'aveva
neanche
sentito. Gli cadde l'occhio sul letto e sulle ecografie che aveva
trovato in
mezzo all'album di foto nel baule di sua madre, e capì.
Dopo
essere tornati da
Nanjing aveva pianto fino allo sfinimento, fino a scivolare in un sonno
profondo; la sola nota positiva di quel pomeriggio colmo di pessime
notizie e
ancora più pessimi ricordi, era stato il riavvicinamento tra
lei e il fratello.
"Era
un'asciutta giornata di gelo del principio
di novembre, con un cielo calmo, d'un grigio plumbeo: radi fiocchi di
neve, da
poterli contare, volteggiavano a lungo ed evasivamente prima di toccare
il
suolo e d'annidarsi poi, polvere grigia e lanuginosa, nelle buche della
strada."
sussurrò, cingendole la vita. Non ottenendo
risposta a parte un leggero sospiro, serrò l'abbraccio. "…e così lontana, fredda e
attraente era
colei alla quale egli aveva dato tutto, colei che aveva preferito a
tutto e a
confronto con la quale tutto era inferiore e privo di valore!"
"…Il Maestro e Margherita?" tirò a indovinare
Mei, soffiandosi il naso congestionato.
"Il Dottor Živago!" esclamò Camus, fingendosi
offeso.
"Oh."
"Tesoro, parlami… dimmi qualcosa. Se vuoi dico a
Zoya che non ti senti bene e che rimarrai qui stasera."
Certo, così avrebbe finito col diventare l'attrazione
principale della serata: quando il paese
è piccolo, la gente mormora e lei sicuramente non
voleva dare spunti per
altri pettegolezzi sul proprio conto o su quello di sua figlia. Come se
già non
fossero abbastanza le occhiate che le rivolgevano certe persone.
"Così sarei al centro dell'attenzione e rovinerei la festa a
tutti. No, va
tutto bene, metterò su il mio sorriso migliore e
uscirò con le ragazze."
"E se invece il sorriso fosse autentico?"
domandò Camus.
"Per quello ci vuole tempo."
Per certe cose, non
basta una vita intera.
Corrugò la fronte: forse era stato un errore andare a
Kobotec.
"Ascoltami: possiamo riprendere le nostre cose e
tornare a casa. Kirill capirà."
"Sto bene! Se così non fosse sarei rimasta a casa.
Ho solo bisogno di un po' di tempo per digerire quelle notizie."
Camus le posò un lungo bacio sulla testa e le sorrise.
"Dunque, mentre noi fanciulle andremo a casa di Zoya,
voi maschietti che farete?"
*
"Il numero del mio satellitare è tra i primi sulla
rubrica."
"...okay." annuì Freya, prendendo il telefono
satellitare di Hyoga che Camus le stava porgendo.
"In caso Mei ne avesse bisogno mi chiami
immediatamente."
"Sì ma rilassati, siamo tra ragazze, in una casa,
che cosa ci potrebbe mai succedere?"
Camus sbuffò.
"Sono serio, sai?"
"Ma che novità." lo prese in giro lei,
pasticciando con il menù dell'apparecchio fino a trovare la
rubrica.
"E' come usare un normale cellulare, per
chiamare-…"
"Lasciami indovinare… scorro la
rubrica fino al tuo numero, lo seleziono e quindi pigio il tasto verde?
Buon cielo, Camus, sembri mia sorella! So usare un satellitare, so cosa
fare in
caso d'emergenza, se la cosa può farti star tranquillo ho
seguito un corso di
primo soccorso… so anche fare la rianimazione
cardiopolmonare, d'accordo? Stai
tranquillo! Piuttosto, come sta?"
"Come ieri, le cose non sono cambiate."
"Certe cose non sono facili da assimilare." lo riprese Freya. "A
maggior ragione se riguardavano i tuoi genitori."
"E' il suo stato che mi preoccupa, è ancora nel
primo trimestre e Athena sola sa che cosa potrebbe succedere se non si
calma.
La tensione potrebbe fare danni irreparabili."
"Non è stupida, sa che cosa fare o non fare. Lascia
che si rilassi da sola."
"…appunto." interloquì Mei, uscendo dalla
stanza. S'avvicinò a Camus e gl'infilò, nella
cinta, il suo tantō. "Credo
tu abbia dimenticato qualcosa."
"Serve più a te che a me."
"Sciocchezze." Mei gli mostrò un paio di
pugnali di fattura orientale che, ricordò, spesso utilizzava
Shiryu. "Sono
ben armata, non preoccuparti."
"Anche io so come difendermi, non essere
sciocca."
"Non puoi usare il tuo Cosmo su chi non lo possiede,
quindi prendilo, è un ordine."
"Fossi in te non contraddirei una donna che si
preoccupa per la tua incolumità. Specialmente se
è incinta e, permettimi di dirtelo,
Mei, parecchio lunatica." interloquì Freya.
"Va bene, se ti fa star tranquilla lo porterò con
me." capitolò Camus.
"Oleg è sicuramente in giro, quindi occhi bene
aperti." interloquì Hyoga, arrivando.
Mei sollevò un poco le gonne, estraendo un sai
dal fodero che aveva incastrato
nello stivale.
"E' lui quello che deve fare attenzione." rispose,
seria.
"Bella, armata e pericolosa. Non le manca
niente." scherzò Camus. "Andate o farete tardi."
Insieme a Hyoga le accompagnò alla piccola carrozza di
Nazar e si assicurò che tutt'e tre fossero sufficientemente
coperte.
"Copriti bene, Lixue. Bene, Freya conosce la strada.
In ogni caso, sai che cosa fare."
"Oui Monsieur!"
rispose Freya, facendogli un saluto militare. [Sissignore!]
La casa di Zoya era addobbata con grandi drappi blu
intenso ed era già piena di donne: molte di loro si
rivelarono incuriosite e
ben disposte nei confronti della compagna e della figlia del Maestro
Camus, altre
erano del tutto indifferenti, ma tutto sommato, tutte erano quantomeno
educate.
Nell'atrio della bottega era stato esposto l'abito da
sposa e Mei fu sorpresa di scoprire che era blu.
"Pensavo ci si sposasse in bianco, qui."
sussurrò, a Freya.
"Nelle grandi città, forse. Ma ricorda che qui siamo
in un paesino di quante? Duemila anime, forse? Le tradizioni hanno
radici molto
molto profonde: un tempo le spose vestivano di blu e quest'uso
è rimasto. La
madre della sposa è una sarta, è stata lei a
cucire i vestiti per le invitate e
a riadattare quest'abito." le spiegò Freya. "E' un sarafan, un abito tradizionale molto
particolare che spesso è tramandato di generazione in
generazione: il broccato
è piuttosto antico e… vedi quelle decorazioni con
le perle e la pelliccia?
Chissà quante spose l'hanno indossato in questa famiglia."
"Anche il mio abito da sposa è antico: è stato
indossato per la prima volta dalla mia trisnonna e tutte le donne della
mia
famiglia l'hanno indossato, compresa mia madre. Un domani lo
indosserà anche
Lixue e così via." rispose Mei, affascinata dalle
decorazioni del sarafan.
"O meglio… sempre se vorrà sposarsi con una
cerimonia tradizionale. Ma
crescendo a Parigi, temo che finirà con l'accostarsi alle
tradizioni
occidentali, abbandonando quelle della famiglia. Pazienza, ci
penserò quando
arriverà quel momento."
Pur non comprendendo gran parte dei discorsi tra Zoya e
le altre invitate, Mei fu contenta d'essere rimasta a Kobotec: quando
mai le
sarebbe ricapitato, pensò, di presenziare a un matrimonio
russo tradizionale?
Freya le portò un piatto colmo di vari dolcetti,
sedendosi accanto a lei.
"In questo momento stanno parlando del riscatto
della sposa, che è una specie
di gioco che tiene occupati gli sposi prima della cerimonia: domani
mattina Kirill
verrà qui accompagnato dagli amici e da Hyoga, che
è il suo testimone, con una
specie di processione, quindi, una volta a casa dei suoceri, Hyoga
dovrà darsi
da fare per negoziare con i
genitori
di Zoya a nome dell'amico. Una volta pattuito il prezzo,
che di solito si tratta di dolci e vino, a
Kirill sarà richiesto di riconoscere
la sua sposa tra le invitate, ovviamente velate, affinché si
dimostri degno di
lei." spiegò. "In realtà la trafila è
più lunga e prevede anche una
giornata dedicata al fidanzamento, con riti specifici, ma dato che sono
passaggi già compiuti in precedenza, Kirill e Zoya hanno
deciso di passare
direttamente al riscatto e alla cerimonia in chiesa."
Le tradizioni straniere l'affascinavano moltissimo, e si
scoprì impaziente di vedere sia il matrimonio di Zoya che
quello greco di
Marin. I soli matrimoni ai quali aveva partecipato erano stati quelli
di amiche
e colleghe che però, di tradizionale, non avevano avuto
granché: le spose
avevano quasi tutte optato per ricchissimi abiti da sposa in stile
occidentale
che personalmente non apprezzava.
"Anche tu e Hyoga vi sposerete così?"
La principessa scosse la testa.
"No, mi piacerebbe molto, ma Hilda insiste affinché
mi sposi secondo i riti asgardiani; ci saranno alcuni elementi presi
dal
matrimonio russo, come il riscatto
e
il rito del pane e del sale, ma
sarà
tutto molto regale e formale." le rispose. "Hyoga non è
molto d'accordo,
ma Hilda non lo fa con cattiveria, credo che in un certo senso voglia
farmi
vivere quel giorno così come lei avrebbe voluto viverlo con
Siegfried."
"E tu che cosa vuoi? Come vorresti vivere quel giorno?"
Freya si strinse nelle spalle.
"Per me ciò che conta è Hyoga, il resto passa
tutto
in secondo piano. La cerimonia, il ballo, il vestito… non
m'interessano poi
tanto. So che ci sarà lui ad aspettarmi e tanto mi basta."
rispose
semplicemente. "Mi piacerebbe chiedere a Camus di farmi l'onore di
accompagnarmi all'altare… e vorrei chiedere a te di farmi da
testimone, se
vuoi."
"Oh…" sorrise Mei, commossa.
"So che ovviamente non seguite il culto di Odino,
ma… beh, Hilda non avrà da ridire sulla mia
scelta!" insisté Freya.
"Non dirmi di no!"
"Ehm… va bene, lo farò volentieri! Siete due
bravi
ragazzi e… vi auguro di essere felici."
Freya stava per rispondere quando, d'un tratto, sentirono
uno strano cicaleccio in strada che indusse Zoya e le amiche ad
infilarsi i
pastrani e uscire sul ballatoio.
"Vieni, andiamo a vedere!"
In strada, sotto il balcone, si erano fermate le due
trojke con a bordo Kirill e tutta la cricca; il giovane si era alzato
in piedi e
aveva iniziato a parlare con la fidanzata, incitato dai compagni.
"Le sta ricordando l'appuntamento di domani."
sussurrò Freya. "Mentre gli altri ragazzi, compresi i nostri
uomini, lo
stanno bonariamente prendendo in giro ricordandogli, per
così dire, che ha
certi doveri coniugali da
rispettare."
"Direi che li ha già ampiamente rispettati."
ridacchiò Mei.
A un certo punto, fu Camus a parlare, rispondendo a Zoya;
la sola parola che Mei comprese, nella marea di frasi a lei totalmente
sconosciute, fu vodka.
"Zoya ha chiesto a Camus di controllare Kirill e di
non farlo ubriacare troppo."
"L'avevo intuito dopo aver sentito vodka."
mormorò Mei.
"…anche perché
altrimenti mia moglie mi manda a dormire sul balcone!"
replicò Camus,
in francese, spostando l'attenzione su di lei, facendola imbarazzare.
Dopo un altro scambio di battute con Zoya, Kirill iniziò
a strimpellare uno strumento a corde, intonando una canzone e finendo
con
l'essere seguito a ruota anche dagli altri.
"Le sta facendo una serenata dopo averle augurato la
buona notte." le spiegò Freya.
Mei però non la stava più ascoltando, perdendosi
nel
sorriso che Camus aveva messo su mentre, insieme agli altri, cantava
d'amore e di
belle ragazze: lo vide spensierato, allegro, in pace con sé
stesso, totalmente
a suo agio in quel luogo e tra quella gente.
"…ti porto all'isba. È
tanto tempo che desidero farlo, non dirmi
di no. (…) Sarebbe una vita che personalmente sarei disposto
a vivere: entrando
in casa ti ho sentita trafficare in cucina e ti ho guardata. Vestita
così mi
sei sembrata una di quelle donne dei dipinti del diciannovesimo secolo
e… oh,
prendimi per stupido, pensavo d'essere tornato indietro nel tempo. Ed
è stata
una bella sensazione."
Pensò che era stata piuttosto egoista, mesi prima, nel
rispondergli che non avrebbe mai potuto vivere in quel posto
dimenticato dagli
Dèi: era evidente l'amore che Camus nutriva per quel posto.
Come evocato, lui alzò
lo sguardo e le rivolse il più luminoso dei sorrisi.
E si rese conto che avrebbe fatto qualunque cosa per poter
vedere ogni giorno quel sorriso.
**
"Siamo usciti con
Kirill e tutta la compagnia, non dovremmo fare troppo tardi. Non
aspettarmi
sveglia, dormi. A più
tardi.
Camus."
Mei guardò l'ora: le ventitrè.
Avevano lasciato la casa paterna
di Zoya a festa finita a un orario che, secondo la mentalità
del luogo, per una
donna era già troppo indecoroso e, a quanto pareva, Camus e
tutta la cricca
dovevano essere usciti già da un po', dopo la serenata.
"Tutto bene?"
"Sì. Lixue dorme e qui
dentro loro stanno bene." le rispose, incerta se spiegarle della
stranissima sensazione che aveva sentito durante il breve scambio di
battute
con Oleg: una sorta di calore che l'aveva pervasa, donandole una strana
energia. Sulle prime l'aveva scambiata per adrenalina, ma in qualche
modo
sapeva che c'era altro sotto. "Ehm… Hyoga ti ha lasciato
scritto qualcosa,
per caso?"
Freya le mostrò un post-it.
"Sì, so che sono usciti
insieme allo sposo e ai suoi amici per seguire delle antiche
tradizioni prematrimoniali in uso qui a Kobotec."
spiegò, accompagnando il tutto con il gesto delle
virgolette. "Il che
significa che probabilmente sono usciti per fare il giro nelle taverne
dei
villaggi vicini a ubriacarsi."
"Ubriacarsi nei villaggi
vicini?" ripeté, preoccupata. Le strade erano scarsamente
–se non per
nulla- illuminate, e se già era difficile guidare i cavalli
durante la notte in
condizioni normali, figurarsi da ubriachi. "E se si perdono?"
"Figurati! I cavalli hanno un senso dell'orientamento straordinario,
riporteranno sicuramente gli uomini a casa sani e salvi."
"Rassicurante."
"Vuoi compagnia o preferisci
rimanere sola?"
"Resta, ho bisogno di
distrarmi."
Freya annuì.
"Benone, vado a prendere
qualcosa da bere e arrivo subito."
Pur essendo rientrata stanchissima,
quel bigliettino e il diverbio di poco prima le avevano scrollato di
dosso
tutto il sonno: la stanchezza, lo sapeva, l'avrebbe colta solo per
sfinimento.
La principessa tornò pochi minuti
dopo, mostrandole una caraffa di latte caldo e un piccolo cestino di
vimini
colmo di biscotti.
"Dove hai imparato quelle mosse?" le domandò
quindi, incapace di tenere a freno la curiosità: Freya si
era mossa così
rapidamente e in modo così esperto che l'aveva colta di
sorpresa.
L'altra sorrise.
"Da ragazzina ho ricevuto un'infarinatura di
autodifesa da Hagen e dalle guardie di palazzo, ma è stato
Camus a insegnarmi,
e non solo qualche mossa." le spiegò. "Non senza una buona
dose di
proteste da parte di mia sorella."
"Immagino."
"Perdonate la
mia sfrontatezza, Maestà, ma è bene che una
ragazza sappia come difendersi in
caso di bisogno. Hilda, alla fine, ha capitolato."
"Da quel che ho visto, è stato un buon
insegnante."
"No, Camus è stato un ottimo
insegnante." la corresse, ripensando ai pomeriggi
trascorsi insieme a lui, imparando mosse e tecniche che Hilda aveva
definito inadatte a una principessa.
"Che buffo. Camus ha insegnato a te e Hyoga a me,
anche se insegnare è un
termine
inesatto in quanto mi ha mostrato solo alcune mosse di Systema. Quando
Camus
l'ha scoperto, si è un po' offeso perché non l'ho
chiesto a lui, ma preferisco
averlo come compagno, che come maestro."
"È severo, questo non posso negarlo, ma non ti mette
soggezione. Spiega molto bene e ripete con pazienza se non capisci
qualcosa."
E chi meglio di lei poteva capire fino a che punto poteva
arrivare la pazienza di Camus?
Di nuovo, com'era già accaduto durante la serata, lo
sguardo di Mei si fece lontano, distante: ancora una volta, la
scoprì guardare
qualcosa nascosto tra le pagine di un libro.
"Stai pensando a lei, vero?"
Mei distolse lo sguardo dalle ecografie e richiuse il
libro.
"Non sentirti in colpa, è che questa sera c'eri, ma in
qualche modo non eri con noi." spiegò Freya.
Come aveva detto a Camus, aveva messo su il migliore dei
suoi sorrisi ed era andata alla festicciola cercando di comportarsi il
più
normalmente possibile. A quanto pareva però, non si era
impegnata abbastanza.
"Ti ho sentita piangere, l'altra sera."
"Mi sentirai piangere ancora, fidati." replicò
Mei.
"Hyoga mi ha spiegato a grandi linee che dai tuoi
parenti hai trovato qualcosa che riguarda tua madre."
Album di foto, abiti, abiti di scena e tante altre cose, alcune
delle quali agghiaccianti.
"Ho perso i miei genitori in un incidente stradale
quando avevo circa dodici anni. Nei bauli presi da mia cugina ho
trovato
dossier della polizia giapponese e dell'ambasciata cinese, documenti
cimiteriali e materiale di questo genere e… beh, la cosa
sulle prime non mi ha
fatto effetto. Sì, la ferita si è riaperta e fa
male, ma era un dolore al quale
ero abituata… e poi
Camus ha trovato
queste." rispose Mei, porgendole le ecografie.
Freya le studiò qualche istante, poi sgranò gli
occhi.
"28 agosto
1997…"
"Mia madre era incinta di quattro mesi e mezzo, quando è
morta."
sussurrò Mei, la voce rotta. "Quattro
mesi e mezzo. E in tutto questo tempo, io… non ho
fatto altro che pensare a
lei, a quel fratello mai nato, a che cosa avrà provato
mentre stava
precipitando, mi chiedo che cos'ha pensato in quei secondi. Quanta
paura avrà
provato, pensando al bambino. E mio padre?"
La principessa si sedette accanto a lei sul piccolo
divano e l'abbracciò.
"Non sai quanto mi dispiace."
"Penso a mia madre, poi penso ai miei bambini e
provo a mettermi nei suoi panni… Déi, doveva
essere… terrorizzata!"
"Calmati, ti prego. Quest'agitazione non fa bene ai
bambini e se Camus ti trova così al suo ritorno, come minimo
mi stacca la
testa."
Singhiozzò ancora qualche minuto, finché la
sensazione
avvertita durante lo scontro con Oleg non ritornò ancora una
volta, inducendola
a calmarsi.
"…perché mai dovrebbe?"
"Beh, mi ha chiesto di vegliare su di te." replicò Freya,
semplicemente.
Vegliare? Addirittura?
Il solito esagerato.
Quel non dovremmo fare troppo tardi
si trasformò in un'ora, l'ora in tre
ore e le tre ore in notte fonda; finito lo spuntino, lei e Freya
avevano
parlato fino alle due, finché la quiete dell'emporio non era
stata interrotta
da un uomo che aveva iniziato a suonare spasmodicamente il campanello
in cerca
d'aiuto: a quanto pareva, appena fuori dal paese un incidente aveva
coinvolto
due carrozze.
Freya aveva aperto discretamente
la porta, origliando quanto stava succedendo al piano inferiore.
"Sembra che ci sia stato un
incidente. I cavalli di una trojka si sono imbizzarriti e questa si
è scontrata
con un'altra trojka che stava rientrando in paese." ripeté a
beneficio di
Mei. "Sta chiedendo aiuto perché un uomo si è
rotto una gamba e l'altro è
rimasto incastrato."
Avvertendo un sottile filo
d'ansia farsi largo dallo stomaco, Mei andò alla finestra,
scostando le pesanti
tende.
"Non ti agitare, se fosse
successo ai nostri uomini ci avrebbero già avvertito." le
sorrise Freya,
incoraggiante.
Nazar le avvisò che avrebbe
seguito l'uomo per aiutarlo e disse loro di chiudersi dentro l'emporio.
"Io e il Maestro abbiamo
delle chiavi di riserva, perciò non aprite a nessuno."
Con quel che è successo poche ore
fa, non aprirei neanche a Brad Pitt
in persona, pensò, mentre Freya chiudeva a doppia
mandata.
"Non ho più sonno."
borbottò Mei.
"Si chiama ansia. Vai pure a
dormire, li aspetto io."
"Sto bene qui. Non riuscirei
comunque a chiudere occhio, non finché non ritorna Camus,
almeno." le
rispose. "Suonerò melodrammatica, ma non starò
tranquilla finché non lo
sentirò dormire accanto a me."
Afferrò il romanzo che si era
portata dietro e s'impose di rimanere sveglia a tutti i costi.
"Ach, krasavica, duša-devica,
poljubi že ty menja!"
"Ecco i nostri eroi di
ritorno." sospirò Freya, stanca. "Ubriachi, a quanto
pare…"
Sentirono armeggiare con la serratura,
perciò uscirono dalla camera ed entrambe si fermarono in
cima alle scale,
attendendo la comparsa dei loro uomini.
"Aj-ljuli, ljuli, aj-ljuli, poljubi že ty
menja!"
"…decisamente
ubriachi." aggiunse Freya, guardando Kirill rovinare a terra ridendo
come
un ebete mentre Hyoga cercava di tirarlo di nuovo in piedi. "Spero che
Kirill si riprenda in tempo per il matrimonio o stavolta
finirà nei guai sul
serio."
"Sto bene!! Va tutto bene!! Domani mi sposo!!"
gridò lo sposo,
parecchio alticcio. "Lasciami andare
Hyoga, sto bene!" aggiunse, prima di finire di nuovo lungo e
disteso a
terra, incapace di reggersi in piedi. "STO
BENE!!!"
Camus si tolse il colbacco con un
gesto teatrale.
"Ragazzi, grazie per questa
bellissima serata! Ora tutti a dormire, che il tempo vola!!" li
ringraziò,
prima di intravedere Mei sul ballatoio, lo sguardo indecifrabile.
"Tesoro!"
Mei fece dietrofront senza
rispondere, sentendo Camus affrettare il passo.
"Hey!"
"Sono le quattro del
mattino, ti sembra questa l'ora di rientrare?" sibilò Mei,
mettendosi tra
lui e la camera. "E sei pure ubriaco fradicio, grandioso!"
"No, ubriaco fradicio no,
non esagerare… senti, non possiamo parlarne dentro?" le
domandò, indicando
con un cenno gli uomini che, giù al piano terra, li stavano
osservando. "Dai,
fammi entrare."
"Scordatelo."
"Non farmi perdere la faccia."
"Essere sbattuto fuori dalla
stanza è oltraggioso e ubriacarsi fino a questo punto non lo
è?"
"Sono brillo."
puntualizzò
Camus. "Brillo, non ubriaco."
"Sarà, ma tu dormi sul
pianerottolo, stanotte, parola mia."
Dal piano di sotto arrivarono dei
commenti che, ovviamente, Mei non comprese: alcuni molto salaci, altri
più soft.
"Si è arrabbiata, eh?"
"Vi aspetta una notte in bianco, vecchio mio!"
"Ma che arrabbiata, entrate e fatele vedere
chi comanda!"
Camus si voltò in loro direzione
e sorrise a Kirill.
"Visto, Kirill? Adesso sai a che cosa stai
andando incontro!"
esclamò, in russo, facendo scoppiare tutti a ridere. "Non hai idea del guaio nel quale ti stai cacciando!"
"Che cosa state
dicendo?"
"Credimi, meglio che tu non lo sappia. Dai, ho un sonno terribile,
fammi
entrare."
Esasperata, si fece da parte e
gli permise di entrare in camera, sentendo subito dopo un coro di
fischi e
applausi da basso.
"Non credere di poter
dormire sul letto, caro mio. Questa notte la passi in poltrona. E spera
che
Lixue non si svegli e ti veda in questo stato." disse Mei.
La prospettiva di dormire sulla
sgangherata e consumata poltrona accanto alla finestra non lo allettava
neanche
un po', tuttavia Mei era già parecchio arrabbiata –per quale motivo, poi? L'aveva avvertita,
dopotutto!- e non era il
caso di farla agitare ancora: preso un cuscino e un paio di coperte
dalla
cassapanca, si diresse in bagno intenzionato a dormire nella vasca.
"… non capisco perché sei
tanto arrabbiata…"
"Lascia perdere."
D'accordo, forse aveva un pochino
esagerato e aveva fatto male a reagire in quel modo, ma durante le ore
spese ad
aspettarlo aveva pensato di tutto e quando quell'uomo era entrato
nell'emporio
chiedendo aiuto per un incidente avvenuto fuori dal paese, la sua ansia
era
cresciuta a dismisura.
Non assillarlo, in fondo è tornato
tutto intero, no?
"Sciocca rompiscatole."
si rimproverò, alzandosi e stringendosi nella vestaglia.
Camus si era disteso alla bell'e
meglio nella vasca, con una coperta a 'mo di materasso e i piedi che
sporgevano
fuori: si era sistemato in un modo tale che l'indomani si sarebbe
svegliato
pieno di dolori.
"Stai bene?" le
domandò, quando la vide entrare nel piccolo bagno.
"Stai davvero provando a
dormire, nudo, in una vasca da bagno striminzita?"
"Sì, perché l'alternativa è
una poltrona mezza sfondata."
"E se al posto mio fosse
entrata Freya?"
Non ci aveva pensato.
"Il bagno è comune a
entrambe le camere?" domandò, attestando l'ovvio: si accorse
solo in quel
momento che il bagno aveva due porte. "Beh, sarebbe stato imbarazzante
ma
non credo che Freya sia tipo da scandalizzarsi alla vista di un uomo
nudo."
"…e se fosse entrata
Lixue?"
"Ecco, a questo proprio non
avevo pensato."
"No, eh? Dai, vieni a
dormire." sospirò Mei. "Sono arrabbiata ma non mi piace
l'idea di
farti passare la notte qui."
Le sorrise divertito.
"Ho dormito in posti
peggiori."
"D'accordo. Sono troppo
stanca per discutere anche di questo, sicché fai
ciò che credi.
Buonanotte."
Si era appena sistemata sotto gli
strati di coperte, i piedi a stretto contatto con la borsa dell'acqua
calda
ancora piacevolmente tiepida, quando avvertì le mani gelide
di Camus addosso,
mentre la stringeva in un abbraccio.
"Ti chiedo scusa per averti
fatto preoccupare. Non succederà più."
"Sei tornato e sei tutto intero, l'importante è
questo."
*
"Dobrji djen,
Camus." lo salutò Nazar, posando latte e biscotti sul
vassoio che stava
componendo sul bancone. "So che tua moglie adora i biscotti di Zoya,
ieri
sera lei e la principessa ne hanno spazzolato un cestino intero, mentre
vi
aspettavano. Quindi eccoli qui."
L'altro sorrise.
"Immagino… ha sempre amato i dolci, ma da quando
è
incinta ne mangia molti di più."
Nazar tacque un attimo, incerto se parlargli o meno di quanto successo
la sera
prima.
"A proposito… come sta? Ieri sera era piuttosto
scossa dopo la faccenda di Oleg." si decise infine, catturando
totalmente
l'attenzione di Camus.
"Quale faccenda?"
"Oh, no, pensavo te l'avesse detto. Sarà lei a
parlartene, allora."
Camus assottigliò lo sguardo.
"Quale
faccenda?"
Rientrato in camera intenzionato a parlare con Mei di
quanto accaduto, si era imbattuto in qualcosa, a terra: il suo sai, sporco di sangue.
"Che mal di testa, vecchio mio." scherzò Hyoga,
imbattendosi in lui sul pianerottolo.
"Spero che Kirill si sia ripreso o vedrai Zoya come
lo concia per le feste…" ridacchiò Freya.
Camus non era in vena di scherzi, però.
"Sbaglio o ti avevo detto: chiamami
immediatamente in caso d'emergenza?"
"Che cosa succede?" domandò Hyoga, allarmato
dal suo tono di voce.
Camus gli mostrò il sai.
"Buon cielo!"
"Succede che Oleg ha aggredito mia figlia e le
nostre donne, ieri sera." rispose Camus. "Mei sta ancora dormendo e
aspetterò che sia sveglia per parlarle, quindi, Freya, mi
piacerebbe sapere che
cosa è successo esattamente."
La principessa sospirò.
Stavano rientrando all'emporio quando Lixue aveva
gridato, gli spiegò, e quando aveva riconosciuto Oleg,
l'aveva immobilizzato torcendogli
il braccio dietro la schiena.
"Allora di chi è questo sangue? Tu o Mei vi siete
ferite?"
"No, è di Oleg. Mei l'ha minacciato con il sai
e ha premuto un po' troppo sul
collo. Era furibonda, non l'avevo mai vista così."
Si appuntò mentalmente di sistemare la faccenda col
diretto interessato.
"E in tutto questo, Nazar dov'era?"
Nazar era sbucato di corsa dal retrobottega, allarmato
dalla voce di Mei e dall'urlo spaventato che Lixue aveva emesso quando
era
stata afferrata, trovandosi di fronte a una scena che forse non si era
aspettato di vedere: due donne che tenevano sotto scacco un uomo era
qualcosa
di mai visto a Kobotec.
"Tocca
un'altra volta mia figlia e non vivrai abbastanza per vedere l'alba di
domani!"
aveva sibilato Mei, furibonda, premendo appena il sai
finché un sottile rivoletto di sangue non era sceso lungo il
collo di Oleg.
"State
indietro, madam." Nazar era intervenuto brandendo un forcone
contro
Oleg che Freya, con uno spintone, aveva mandato lungo e disteso a terra.
"Giuro sui
miei avi che la prossima volta finisci all'inferno! "
Oleg non aveva più reagito, ma il ghigno che aveva
rivolto a Mei e a Lixue le aveva messo i brividi addosso.
Camus era una maschera di ghiaccio: per esperienza Hyoga sapeva
che quell'apparente non-reazione
era
il preludio di una tempesta di proporzioni immense.
"Che cosa le ha detto?"
"Shlyukha." ripeté Freya a bassa voce.
Puttana.
"Che
Athena mi
perdoni: appena quel verme riuscirà a capitarmi tra le mani,
gl'infilerò questo
nell'ombelico e lo aprirò fino alla gola." sbottò
Camus.
"Non
mi piace
sentirti parlare in questo modo." obiettò Hyoga.
"Allora
ti suggerisco
di procurarti dei tappi per le orecchie."
Lixue
richiuse la porta
della loro stanza e scese al piano di sotto, interrompendo i tre adulti.
"Ciao,
bella. Dove
vai così di fretta?" la salutò Hyoga.
"La
mamma di Zoya
deve pettinarmi e io sono in ritardo!" esclamò Lixue,
accorgendosi poi del
padre. "Bàba!"
"Privjet, lyubov'
moya." sorrise
Camus, ricambiando l'abbraccio della figlia. La scostò poi
da sé, osservandola
vestita con un vestito tradizionale russo. "Za
Athena, kak ty prekrasna!" [Ciao,
amore mio. Per Athena, come sei bella!]
"Tuo padre ha ragione, sei davvero bella."
interloquì Freya. "Se sei pronta, direi che possiamo andare!"
"Mancano ancora diverse ore al matrimonio, rilassatevi."
sospirò
Camus.
"Zoya mi ha promesso le bliny con la marmellata di
ribes." spiegò Lixue, tutta allegra, facendo ridacchiare il
padre.
"Ah, ecco."
"Tale e quale i suoi genitori, vedo: mangiano di
tutto e non mettono su neanche un grammo." si lamentò Freya.
"Questione di metabolismo." rispose Camus.
"Ma dai? Com'è che certe fortune capitano sempre
agli altri e mai, dico mai, a me?"
"Tu non vieni, papà?"
"Vi raggiungerò più tardi tesoro. Adesso devo
parlare con mamma."
D'un
tratto, Paul Stanley
smise di cantare dal lettore mp3 posato sul lavandino.
"Stupide
batterie al
litio." sbuffò Mei, aprendo gli occhi e trovandosi faccia a
faccia con il
suo sai. "Porca
miseria!"
Camus
aveva scostato di
scatto la tenda da doccia, l'arma della sera prima in mano, ancora
sporca di sangue.
"Sbaglio
o devi dirmi
qualcosa?" le domandò, agitandole l'arma davanti agli occhi.
"Sei impazzito? Mi hai fatto perdere
vent'anni! Fai parte di qualche
strana associazione, per caso? Tipo: aiuta
un cardiologo, distruggi delle coronarie innocenti o che so
io?" gli
domandò, gettandogli addosso la spugna zuppa d'acqua.
"Cos'è
successo ieri
sera?"
Mei
chiuse il rubinetto,
scrollandosi i capelli.
"Sicuramente
sai già
tutto, dunque perché me lo chiedi?"
"Perché
avrei
preferito saperlo da te anziché scoprire tutto per caso."
"Se
ti avessi
raccontato tutto stanotte saresti uscito alla ricerca di quell'idiota
alle quattro
del mattino."
"Alle
quattro del mattino no, ma puoi scommetterci che Oleg non la
passerà
liscia stavolta."
"…appunto."
Oleg
aveva oltrepassato il
limite, non poteva assolutamente permettergli di farla franca, in
nessun modo.
Aiutò
Mei a uscire dalla
vasca e l'avvolse nell'accappatoio con fare protettivo.
"Perché
non sei
tornato un po' prima? Avremmo potuto fare una doccia
insieme…" tentò di
distrarlo.
"Saremmo
arrivati in
ritardo." obiettò lui, ridacchiando. "E poi, chi l'avrebbe
sentita
Zoya?"
La
strinse a sé prima di baciarla, quindi cercò di
cambiare discorso per non
preoccuparla ulteriormente.
"Sarà
una bella
cerimonia, ti piacerà, vedrai."
Avrebbe
aspettato la fine
di quella giornata di festa, ma Oleg l'avrebbe pagata cara.
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 19
maggio
2015)
N.B: ho deciso, con
grandisssssimo
ritardo, di cambiare, finalmente, anche il nome di Flare, usando quello
originale, ovvero, Freya. Ergo, andando a rileggere i precedenti
capitoli,
troverete già la modifica. Non so perché ho
aspettato così tanto a modificarlo…
o.O
-Il titolo rimanda a una canzone
di Enya, mentre le righe sotto di esso,
sono state riadattate da un dialogo su più voci presente
nell'episodio di G.A.
indicato.
-Tantō:
come già specificato altrove, si tratta di un'arma bianca
giapponese, con una
lama di circa 30 cm.
-Sai:
anche questa è un'arma bianca, usata però anche
in zone come la Cina (col nome Tiechi)
e in Indocina. Avete presente le
armi che nei film Marvel Daredevil
ed
Elektra utilizza la protagonista?
Eroina
a parte, è utilizzata anche in certe arti marziali.
-Sarafan:
abito tradizionale russo, utilizzato dapprima come abito quotidiano,
quindi
diventato abito per le feste o certe ricorrenze.
-Riscatto e Rito del pane e del
sale: nei matrimoni russi sono due tradizioni (spesso dimenticate o
ritenute
obsolete). Il rito del pane e del sale si svolge poco dopo la
cerimonia, prima
del banchetto: una delle due suocere attende gli sposi tenendo in mano
un
vassoio con pane e sale e la tradizione vuole che chi tra i due sposi
prenderà
il pezzo di pane più grande avrà diritto a
comandare in casa.
-La canzone che i baldi giovani
cantano di ritorno all'emporio è un classico della musica
tradizionale russa ed
è la super-famosa "Kalinka".
Thanks, as always.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 22 *** Ladies' night. ***
capitolo 22 principale
"Questa è proprio bella."
Camus mandò in stampa le ultime fotografie scattate a
Kobotec, quindi ritirò in una custodia apposita due cd e una
schedina di
memoria. Gettò infine un'occhiata allo schermo del pc e
sorrise: ritraeva
Kirill e Zoya, lei nel suo sarafan blu, lui con una kosovorotka
chiara riccamente decorata; sullo sfondo, la piccola
chiesetta ortodossa del paesino, bianca, con le guglie dorate.
"Sì. Ma vai a vedere quelle con i bambini, erano un
amore." commentò Camus. "Ne ho scattata una dove li ho
ritratti tutti
e quattro. Sai, conosco uno studio fotografico dove stampano queste
foto su
tela, potrei farne stampare una da portar loro alla prossima visita,
che ne
pensi?"
"Non male come idea." rispose Hyoga,
sistemandosi sulla poltrona e scorrendo le varie foto mentre Camus
sistemava
ordinatamente le varie stampe man mano che uscivano dalla stampante.
La piccola Valentyna in braccio a Nazar; il fratellino
più grande, Ivan, mentre sgambettava allegro in giro per il
sagrato rincorso
dalla nonna materna; Kirill con suo padre e, poi, con i suoceri; una
grande
foto di gruppo che ritraeva gli sposi e gli invitati… Hyoga
scorse quasi un
centinaio di foto, poi vide una cartella intitolata: "Da
controllare".
"Posso?"
Non le aveva ancora guardate attentamente, ma se non
ricordava male erano foto che ritraevano lui, Freya, Lixue e Mei.
"Certo."
Il sorriso di Lixue incorniciato da una complicata
treccia fu la prima foto che gli capitò: sarafan rosso,
stivaletti neri e calzamaglia
bianca, le gote rosse per il freddo.
"Est-ce
que tu veux dire quelque chose à la
couple?" [Vuoi dire qualcosa agli
sposi?]
"Zhùhè, yuàn nǐmen
xìngfú kuàilè,
tiānchángdìjiǔ!"
Sentì Camus ridacchiare, nel video.
"Mais
non! Ils ne parlent pas le chinois, ma
chérie. Dis-le en russe." [Ma
no! Non parlano cinese, tesoro.
Dillo in russo.]
"Pozdravlyayu,
zhelayu vam schast'ya, navsegda!"
[entrambe
le frasi significano: congratulazioni,
vi auguro di essere sempre felici!]
"A sentirla parlare, non diresti nemmeno che Lixue è
metà cinese." osservò Hyoga. "In effetti, a parte
il nome, sembra una
di noi."
"Una di noi?" ripeté Camus.
"Sì, una di noi. Una figlia del
ghiaccio." spiegò Hyoga. "Resistenza al
freddo, pelle e occhi chiari…"
L'altro sbirciò fuori dalla porta.
"Beh, se ha la pelle chiara, i capelli rossi e le
efelidi che le spuntano ovunque quando prende il sole è solo
questione di
genetica." rispose Camus. "Sfortunatamente, ha preso i miei geni. In
ogni caso, non farti sentire da Mei: è già
abbastanza terrorizzata per via di
una battuta stupida che ha fatto Milo, e non intendo farla agitare
più del
dovuto. Anzi, a proposito di Milo, spero proprio che non sia scesa
all'ottava
casa o saranno guai."
Hyoga proseguì con le foto.
"Non starai esagerando un pochino? Giusto un po'."
"Per niente. Non oso immaginare quel che
succederebbe se Mei andasse davvero a parlare con Milo come ha
minacciato." rispose Camus, prima di raccontargli quanto accaduto a
Eleusi. "… come vedi, non sarebbe una visita di cortesia."
"Il Cosmo si sarebbe già manifestato, non credi? Ha
sette anni, è già troppo tardi."
Camus annuì, ripensando, però, a quei due strani
fenomeni
che aveva avvertito in Siberia, nei giorni precedenti: due piccolissime
schegge
di un Cosmo a lui sconosciuto, mai sentito prima, ma in qualche
modo amico.
"Staremo a vedere." rispose, criptico.
Mei bussò sulla porta aperta, distraendo i due.
"Bonjour. Io
scendo al mercato… serve qualcosa?"
Camus la salutò con un bacio e una carezza sul ventre.
"Bonjour…
et bonjour à vous aussi. No,
a dire il vero non mi serve niente, solo che tu faccia attenzione." [Buongiorno e…
buongiorno
anche a voi.]
"Okay." sorrise Mei.
"Anzi, no. Passa dal negozietto di kebab del
villaggio, quello vicino al pescivendolo, e prendi dei dolci tunisini,
sono
fantastici."
"Bravo, poi così ingrassi."
"Tanto so come smaltire i chili di troppo."
"Sciocco." rispose Mei, prima di uscire.
"Accidenti, che faccia!"
"Buongiorno anche a te, splendore."
DeathMask si affiancò a lei appena fuori dalla quarta
casa, seguendola.
"Hai dormito poco, mh?"
Sì, ma non per il motivo al quale stava pensando lui.
"…avete fatto le ore piccole?" ammiccò Death.
"Succede, se sei incinta di due bambini." rispose Mei. "Ti
piacerebbe provare?"
Aldebaran sghignazzò.
"Sarebbe interessante vederti incinto, Death. Pensa
al parto."
"No, grazie." rabbrividì l'interessato.
"Dove siete diretti?"
"Io al mercato, lui non lo so." rispose Mei, intravedendo Lixue e
Milo correre in direzione della palestra riservata ai Gold Saint.
Shiryu si schiarì la voce, attirando la sua attenzione.
"… non è saggio uscire in compagnia di DeathMask.
Dovresti
evitare."
"Il fatto che ci siamo riconciliati per via della
faccenda di mamma non ti autorizza a ritornare l'essere sgradevole che
eri
prima." replicò Mei, continuando a parlare greco.
"Questa cosa non mi va. Non devi uscire con
lui."
"Hey lucertolone, se devi dire qualcosa dimmela in
una lingua che possa comprendere." interloquì DeathMask,
finendo con
l'essere interrotto da Mei.
"Hai presente l'uomo con i capelli rossi col quale
divido casa? Non do' conto a lui delle mie compagnie, perché
dovrei dar conto a
te?" rispose Mei. "Oh, Camus, giusto te cercavamo. A te da' fastidio
se esco con DeathMask?"
Camus osservò i tre: Shiryu e DeathMask sul piede di
guerra, intenti a lanciarsi occhiate minacciose. In teoria non gradiva
molto
che Mei frequentasse gente come DeathMask, ma, si disse, mai e poi mai
e per
nessuna ragione l'avrebbe data vinta a Shiryu.
"No." rispose, scrollando le spalle e riuscendo
anche a essere convincente.
Mei ridacchiò.
"Visto? A dopo, adesso ho da fare."
DeathMask scoccò un ghigno sarcastico a Shiryu, seguendo
Mei poco dopo.
"…se Camus avesse risposto sì
saresti rimasta a casa?"
"No. Camus è mio marito, non il mio carceriere. Il solo uomo
che poteva
dirmi che cosa potevo o non potevo fare era mio padre." gli rispose
lei.
"Non concedo a nessuno questo potere. A nessuno."
Le rivolse uno strano sorriso, quindi frugò nella sacca
di tela che fungeva da borsa della spesa e le porse un sacchetto.
"Ho sentito l'attendente di Shaka friggere a più non
posso alla sesta casa, immagino qualcosa per l'allegro ricevimento."
Mei ebbe la visione di montagne di samosa
e dolci lassi al mango.
"Asha sta già cucinando?"
"Cucinerà anche stanotte e domani. E sicuramente
questi sono più indicati per una donna nelle tue
condizioni."
Mei accettò il sacchetto con un misto di
curiosità e
diffidenza; al suo interno, due grosse mezzelune e della frutta dai
colori
troppo vivaci per essere vera.
"… cassatedde,
cucciddatu e frutta marturana."
specificò. "La vera ambrosia
degli Dèi."
Il profumo era davvero divino. Decise di fidarsi.
"…miferiaccia!"
esclamò Mei, assaporando una delle due mezzelune. "Quesfa cofè?"
"Un cucciddatu."
"E' meraviliofo."
"Lo so. Fichi secchi, mandorle , cioccolato, uvetta
e diverse altre cose che non ricordo. Mia madre li cucinava spesso."
precisò, pentendosi subito dopo per essersi lasciato
sfuggire quella
confidenza.
Non parlava spesso dei suoi genitori, né, soprattutto, di
sua madre. Sperò che Mei non si avventurasse per quel
discorso.
*
Camus si legò i capelli, guardando Milo che
saltellava sul posto,
scaldando i muscoli.
"Lixue, ci pensi tu ad arbitrare?"
"Come può farlo? E' piccola!" protestò Milo.
"Se devo metterti al tappeto, voglio farlo seriamente!"
"E' cresciuta con una leggenda vivente come Dohko e
sua madre insegna in un dojo, io modestamente sono cintura nera di
karate e ha
anche qualche nozione di Systema. Praticamente respira le arti marziali
da
quand'è nata... certo che sa arbitrare. E' mia figlia, cosa
credi?"
Lixue ridacchiò, dall'alto del cavallo ginnico sul quale
era seduta.
"Quando avrò un figlio ne riparleremo,
sappilo."
Si fermò un istante, sorpreso.
"…un figlio? Hai detto… figlio?"
domandò Camus.
"Non correre con la fantasia, ho detto se
avrò un figlio."
"Hai detto quando."
Milo si sistemò la cintura sul karategi.
"No bello mio, ho detto se."
"Hai detto quando."
interloquì Lixue.
"Tu quoque!"
gemette Milo, verso la bambina.
"Shaina è incinta?"
"No!"
"D'accordo, ho capito. Guarda che faccia… neanche ti avessi
detto chissà
che…"
Milo lo zittì.
"Zitto zitto zitto. Sta iniziando una delle mie
preferite." lo interruppe, iniziando ad agitare le braccia su
un'immaginaria chitarra.
Lixue scoppiò a ridere divertita.
"Papà, vero che sembra Dean?"
La sessione di air
guitar s'interruppe
di colpo.
"…Dean? Come… Dean
Winchester? Lixue guarda Supernatural?"
"Sì."
"Non è un po' troppo piccola per guardare un
telefilm del genere?"
Camus guardò la figlia.
"Non le ho fatto vedere un film per adulti, è un
telefilm sui fenomeni paranormali e lo guarda con me. Ovviamente se ci
sono
scene strane le censuro, ma non ha mai detto di avere paura, quindi
perché no?
E poi, è degna figlia di sua madre, non ha paura dei
fantasmi."
Lixue non capiva perché Milo sembrasse così
sorpreso.
"Vedo fantasmi anche qui ma non ho paura." gli
rispose.
"Tu cosa?"
La musica cessò d'improvviso, lasciando il posto alla
voce di Shiryu.
"La ricreazione è finita, e noi due dobbiamo
parlare." disse, rivolgendosi a Camus.
"Un'altra volta, ora mi sto allenando." replicò
l'interpellato, mentre Milo andava a recuperare il suo lettore.
"Azzardati un'altra volta a spegnere l'I-Pod sui Survivor
e te lo faccio ingoiare."
minacciò Milo, tornando poi da Lixue. "Allora,
dolcezza… cos'ascoltiamo
adesso? Uh! Aspetta, ti faccio ascoltare quella nuova dei Kasabian! Sai
chi
sono, sì? No?! Allora rimediamo subito."
"Hey, niente roba strana." lo ammonì Camus.
"Va bene, allora… gli Abba! Ti piacciono gli
Abba?"
Camus corrugò la fronte, con stupore, ma non disse niente
in merito; scese dal tatami e s'avviò scalzo, verso
l'ingresso della palestra.
"Cosa c'è?"
"E me lo chiedi? Le hai permesso di uscire con
Cancer!!"
Inarcò un sopracciglio e guardò il cognato.
"Dunque?"
"Non posso crederci! Avresti dovuto importi e impedirle
di frequentare certa gentaglia."
Sogghignò appena, lanciando una rapida occhiata a
Shunrei, ferma qualche metro dietro il compagno, in attesa.
"Quel
ragazzo è una piaga umana. Cam, dovessi mai
sposarti o andare a convivere con lei, per il suo bene, portala il
più lontano
possibile dal fratello. Non importa dove, purché a mille
miglia lontana da lui!"
Adesso capiva perché Milo, anni prima, gli aveva detto
quelle parole: Shiryu era una vera piaga, roba che al confronto le
piaghe
d'Egitto erano una gioia. Aveva assimilato del tutto la
mentalità ristretta di
quell'angolo sperduto di mondo e l'aveva fatta sua.
E Shunrei… povera. Cominciava davvero a fargli pena.
Costretta per tutta la
vita a sottostare a un ragazzo così giovane eppure dalla
mente così ristretta.
Per sua fortuna Mei non era così, era l'esatto opposto di
sua cognata: non aveva affatto esagerato nel definirla come Milo. Sotto
l'aspetto dolce e delicato, c'era uno scorpione.
Pericoloso e letale. Ma non l'avrebbe cambiata con
nessun'altra al mondo, non gli erano mai piaciute le timorate di dio.
"Forse tu sei abituato a trattare le donne che ti
circondano con un atteggiamento da padre –padrone e col pugno
di ferro. Io no. E'
mia moglie, sa ragionare benissimo da sola e non devo di certo dirle io
se può
o no uscire con chicchessia."
"Come fai a fidarti di uno come quello?"
"Mi fido di mia moglie e tanto mi basta." gli
rispose, tornando dentro e lasciandolo solo.
Mei e DeathMask ritornarono a ora di pranzo, dopo una
mattinata trascorsa a Rodorio.
Camus li vide passeggiare lungo il sentiero che portava
al Santuario, chiacchierando come se fossero grandi amici.
"Tutto bene?" le domandò, mentre DeathMask si
allontanava in direzione della quarta casa.
"Sì. Perché, non dovrebbe? Abbiamo spiluccato
dolci
siciliani mentre parlavamo. E' tutto." rispose Mei, corrugando la
fronte.
"Piuttosto… Lixue dov'è?"
"E' ancora con Milo."
"A proposito…" iniziò, interrompendosi alla
vista di un cestino zeppo di ogni ben di dio. "Oddéi!"
"Un anticipo di domani." Aldebaran le fece un
occhiolino.
"Diavolo tentatore." commentò Mei, facendolo
ridere.
"Tutto tuo, mangia quanto vuoi."
"Non esageriamo."
"Sai, mi hanno detto che sei stata poco bene negli
ultimi giorni." si preoccupò Aldebaran.
"Sì, diciamo che sono stata meglio." replicò Mei,
studiando il
contenuto del cestino. Nonostante i dolci siciliani già
mangiati, aveva una
fame da lupi. Vide degli strani dolcetti a forma di spirale e ne prese
uno.
"Che cosa sono?"
"Una variante dei Chhena Jalebi, li
ha fatti Asha non più di quaranta minuti
fa." rispose Shaka. "Sono tipici della mia terra."
Camus invece addentò uno dei dolcetti tunisini che aveva
chiesto a Mei, grato all'amico per averla interrotta.
"Mei! Dolcezza, come stai? Anzi, come state?"
Ricordandosi di quanto Mei gli aveva detto a Eleusi,
Camus guardò prima Milo, poi la compagna.
"…"
Ricambiando il suo sguardo, Mei si schiarì la voce.
"Stiamo tutti bene, grazie." rispose,
ricacciando indietro tutto ciò che avrebbe voluto dirgli;
accidenti a Camus e
alla sua diplomazia, che l'avevano influenzata fino a quel punto. Una
volta non
avrebbe taciuto, non avrebbe fatto finta di niente riguardo una cosa
che
coinvolgeva direttamente sua figlia.
Quando accidenti
aveva permesso a Camus di avere quel controllo su di lei?
"Giù le mani da quel cestino, ragazzi."
"Non vorrai mica dirmi che questa roba è davvero tutta per
Mei! Nessun
essere umano è in grado di mangiare da solo tutto questo!"
esclamò Milo.
"Parla per te." lo riprese Aldebaran. "Mei
deve mangiare per due, quindi prima si serve lei, poi
toccherà a voi. Forse."
"Per tre." lo corresse Camus.
"Come, scusa?!" chiese Aldebaran.
"Razione tripla perché ne aspettiamo due."
"Oh! Non lo sapevo, complimenti!" esclamò
Aldebaran.
"No, niente abbracci, Ald, per favore…!"
sorrise Mei. "E comunque non fa bene ingozzarsi in gravidanza.
Così come
ho fatto per Lixue, seguirò una dieta bilanciata senza
esagerare: ci ho messo
un'eternità a perdere quei quindici chili, non voglio
diventare una balena e
soprattutto non voglio far navigare i miei figli nel grasso."
Se quello era un anticipo della cena, non osava
immaginare che cosa l'attendeva.
Shaina li raggiunse.
"Brava Mei, fa' scorta di zuccheri, ti serviranno
per questa sera."
"Perché? Dove si va?" volle sapere Camus.
"In un posto dove tu e tutti voi uomini non siete
invitati." rispose Shaina.
"E gli zuccheri a cosa le servirebbero?"
"A tenere su la pressione, che domande. Andremo in
un locale specializzato in feste d'addio al nubilato, fai tu."
"…pieno di spogliarellisti, suppongo."
Shaina roteò gli occhi.
"No, pieno di frati!"
"Quante storie per un paio di manzi che si
spogliano." commentò DeathMask. "Potevamo farlo noi, avreste
risparmiato tempo e denaro, dico bene, Phro?"
L'interpellato ridacchiò.
"Avremmo fatto faville!" convenne Aphrodite.
"…e ora, per la gioia dei vostri
occhi, vi presentiamo le punte di diamante del nostro strip club!
Signore e
signorine, ecco a voi Mister Poison
&
Cassatella Kid!"
Mei quasi si strozzò, colta da un'irrefrenabile risata.
"Stai ridendo per il Mister Poison o per il
Cassatella Kid?"
"Cassatella Kid non è male." disse Shaina. "Saresti
l'attrazione
del club."
"…per Athena, hai il succo d'arancia anche nel naso!
Ma è disgustoso!" osservò Hyoga, passando un
tovagliolo a Mei.
"Davvero avete intenzione di andarci? Per me è una cosa
squallida."
"Oh, taglia corto Hyoga." interloquì Freya.
"E' un modo per stare insieme noi ragazze, nessuna di noi si
scandalizza
per un uomo nudo."
"Non so, io la trovo una cosa squallida, andare a
vedere un manipolo di uomini muscolosi che si spogliano."
"Ma non ti scandalizzeresti se a spogliarsi fossero
donne." lo riprese Shaina.
"Non è vero, mi dà comunque fastidio. Io sono
cresciuto così, non posso farci niente. Lo trovo squallido e
basta."
"Sottoscrivo ogni parola." disse quindi Camus,
annuendo alle parole dell'allievo.
"Punto primo, per me vige la regola del guardare
e non toccare, punto secondo,
Cam, tu non sei l'unico uomo che abbia visto nudo, ergo, rilassati."
disse Mei.
"Come, prego?"
"Dai, Cam… non iniziare a farti filmini mentali,
è
successo quando Shiryu e la sua compagnia sono stati da me in Cina
qualche
tempo dopo la
guerra… per sbaglio ho
visto Hyoga senza vestiti, ma niente di che, tranquillo…"
rispose Mei, con
leggerezza.
Hyoga la guardò inarcando un sopracciglio.
"Niente di
che? " ripeté. "Lyubov,
c'è una persona qui che potrebbe smentirti."
Shaina scoppiò a ridere.
"Ma finiscila!" Mei finì il suo succo.
"Nemmeno in India tanta miseria."
Hyoga sgranò prima gli occhi poi la guardò
malevolo.
"Stavo scherzando, cosacco." disse
Mei, scompigliandogli affettuosamente i
capelli.
"Prima
di stasera hai
qualche momento per me? C'è qualcosa che vorrei farti
vedere." sussurrò
Camus.
*
"Perché
non hai
partecipato al giochino con le amiche della sposa?"
"Chi
te l'ha
detto?"
"Freya."
Il
giochino nel quale lo
sposo doveva riconoscere la propria amata tra tante altre donne e che
lei aveva
evitato come la peste.
"Sai che queste cose mi imbarazzano. Essere al centro dell'attenzione,
a
maggior ragione se si è in mezzo a un branco di ragazze che
strillano in una
lingua a te incomprensibile…" rispose Mei.
Camus
corrugò la fronte.
"Sei
un'insegnante di
Arti Marziali, sei praticamente sempre
al centro dell'attenzione!"
"Ma
i miei allievi
sono concentrati a guardare le mosse che faccio, non sono attenti a me." obiettò Mei.
"Beh,
se io fossi un
tuo allievo, farei attenzione a te, non solo alle mosse."
"E
secondo te per
quale motivo ho preferito farmi insegnare Systema da Hyoga e non da
te?"
gli rispose.
"Perché…
perché
secondo me hai avuto paura."
Mei
scoppiò a ridere
divertita.
"Io?
Paura di te? Non
credo proprio."
"Sì, altrimenti ti saresti rivolta a me."
Si
mise a cavalcioni su di
lui.
"Ammettilo
che sei
sollevato perché non hai dovuto affrontarmi." lo
provocò.
La
sola cosa che poteva
ammettere in quel momento, in quegli ultimi barlumi di
lucidità prima
dell'oblio, era che era contento di come si erano sistemate le cose.
Nonostante
i bauli dei suoi genitori, gli inevitabili brutti ricordi e com'era
stata male,
mentalmente, a Kobotec, Mei stava cercando di non lasciarsi sopraffare
e
reagire. Sperò che quel buonumore durasse anche una volta
tornati a casa, alle
prese per davvero con i bauli che aveva appena guardicchiato in quei
giorni
frenetici.
Preso
com'era, non s'accorse
praticamente più di nulla, come se il resto di quella
stanza, di quel
santuario, fosse sparito.
"…je te prie,
n'arrete pas!"[ti prego, non
fermarti]
Mei
però si era fermata. La
fronte corrugata, attenta a chissà che.
"Hein? Quoi?" [Eh?
Cosa?]
"Shht!"
Talmente
preso da Mei che
non si era accorto neanche dei colpi contro la porta che lei aveva
sentito.
"Ma
non avevi detto
che Degél rimaneva confinato nello studio, di solito?"
"Infatti.
Gli spiriti
non bussano, Cam." obiettò Mei, dopo gli ennesimi colpi. "E
Degél non
è un voyeur."
"Buon
cielo,
menomale. Si scandalizzerebbe troppo." ridacchiò lui. "Hey,
quando
accidenti mi hai spogliato? Non me ne sono accorto!"
Lei
sogghignò appena.
"Hai
mai provato a
infilare un pigiama a una bambina che dorme e che non vuoi svegliare?
Ho le
manine d'oro, caro mio."
I
rumori si fecero
insistenti.
"Non è Milo anche questa volta… vero?"
borbottò Mei.
Dèi, sperava proprio di no.
"Uffa… ma proprio
adesso?" Camus gettò la testa indietro sulla testiera del
divano,
frustrato. "A questo punto ci vorrebbe una proverbiale doccia fredda,
peccato che su di me non avrebbe effetto."
"CAM!! CI SEI?!"
"Fine della questione."
capitolò Mei. "Quella doccia andrò a farmela io,
perché ne ho davvero
bisogno."
"…adesso ho capito!"
Camus sbatté un pugno sul divano. "E' il divano. Dev'essere per forza di cose questo dannatissimo
divano. Si vede che è maledetto o che so io,
perché ogni singola volta che
proviamo a pomiciare qui, arriva lui. Adesso basta. Anzi, secondo me
è stato
Degél a maledirlo."
"Degél è un uomo per
bene." replicò Mei, alzandosi controvoglia dalle sue
ginocchia e
infilandosi il kimono.
"Senti, lasciamolo bussare, se ne andrà. Dai, torna
qui."
"Sai bene anche tu che non lo farà. Tra poco
entrerà comunque."
"No… dai… la bambina è fuori casa,
Hyoga e fidanzata
sono al cinema..."
"Spiacente, non ci tengo a farmi vedere nuda da Milo. Mi troverai in
bagno
per la prossima mezz'ora, magari riuscirai a raggiungermi per
insaponarmi la
schiena."
Con un gemito di frustrazione, Camus si decise ad alzarsi
dal divano e infilarsi i pantaloni, seppure con fatica.
"Quelli sono miei!!" esclamò Mei, ferma sulla
porta del bagno, vedendo i propri pantaloncini –corti,
oltretutto- addosso al
compagno.
"Se preferisci, vado nudo ad aprire la porta."
"Non farlo, ti
prego." implorò Milo. Era lui. Esattamente come
aveva previsto.
"Mi auguro che tu abbia un'ottima motivazione."
sbraitò, aprendo la porta a Milo. "Abbiamo spedito Lixue
alla settima
casa, Hyoga e fidanzata sono fuori e io e Mei eravamo tranquilli a
farci i
fatti nostri. Dammi un buon motivo per non congelarti le chiappe qui e
ora."
"Vi ho disturbato?"
"Che intuito!"
Camus sbuffò, incrociando le
braccia sul petto.
"A Kobotec dormivamo tutti e
tre nella stessa stanza: io, Camus e Lixue. E beh, capirai anche tu che
non potevamo
correre il rischio. Hai idea di quanto siano rari i momenti in cui
siamo da
soli come ai bei vecchi tempi?" interloquì Mei, serrata nel
suo kimono.
"Non è controindicato il
sesso, nelle tue condizioni?" le domandò. "Okay, okay, sto
zitto."
"Appena scopro che tu e
Shaina siete in piena attività, giuro, verrò a
interrompervi proprio sul più
bello. Così capirai che cosa vuol dire!"
Milo le rivolse un sorriso
sornione.
"Quando vuoi, dolcezza. Sono
sempre aperto a nuove esperienze, anche ai… come dite voi in
Francia? Ménage à trois?"
"Il solo ménage à trois che
vivrai sarà quello con un chirurgo maxillo-facciale e
un'infermiera di sala
operatoria, se non la smetti."
Milo stava per rispondere, quando
qualcosa dal salotto attirò la sua attenzione.
"Vedi, Toula… prima
della mia notte di nozze mia madre mi disse:
noi donne greche possiamo essere agnellini in cucina, ma siamo tigri in
camera
da letto!"
Milo corrugò la fronte.
"Oh, ma per favore! Stavate davvero
guardando quel film?"
"…stavamo per fare…"
s'interruppe Mei.
"Camus, le hai davvero fatto vedere Gámos
alá Elli̱niká?
"
Vedere
la sua espressione
sconvolta gli fece passare l'arrabbiatura.
"Giusto per farle capire che cosa l'aspetta domani."
ridacchiò Camus,
facendolo rabbrividire.
"Per Athena, è così
pieno di cliché assurdi!
Noi greci non siamo così! Non siamo mica così
rumorosi,
o…"
"No, certo che no! Che onta imperdonabile!" Camus scosse la testa.
"…o mangioni."
"No, assolutamente. No."
"O così impiccioni!"
"Infatti, che assurdità!
Quant'è falso e bugiardo chi ha scritto la
sceneggiatura di quel film!"
Milo lo guardò di traverso.
"Comincio a pensare che tu mi stia
prendendo per i fondelli."
L'altro si finse
serio.
"Chi, io? Non
ho mai conosciuto in tutta la mia vita un greco che sia casinista,
mangione o
rumoroso! No, mai. Ma proprio mai!" esclamò Camus, con un
piglio che fece
scoppiare Mei a ridere.
"Sarebbe come
dire che i francesi sono orgogliosi, freddi, presuntuosi
e con la puzza
sotto il naso."
"Ti sembro presuntuoso e con la puzza sotto il naso,
io?"
"O come dire che i Parigini sono i peggiori francesi
esistenti: tanto a loro agio con la propria lingua che non ci provano
nemmeno a
parlarne un’altra, boriosi blocchi di ghiaccio super
orgogliosi della loro
città che credono essere il centro del mondo." Milo
calcò la mano. "Parbleu mais quanto
detestò la Torrè Eiffel!
Porta solo turisti! Mon diè, la butterei giù!! "
Camus assottigliò lo sguardo.
"Questo però è vero." lo precedette Mei.
"Detesta la Torre Eiffel, o l'asparago
di ferro, come la chiamano i nostri concittadini, ma ha la
scrivania sotto
la finestra, con vista torre."
"Quello è il secretaire
di mia madre!" protestò Camus.
"Pensa che ho un fermacarte a forma di Tour Eiffel
sul comodino… quando l'ha scoperto, ha dato di matto!"
"Ovviamente. Già me l'immagino." ghignò Milo.
"E… dove vai?!"
"Vado a infilarmi beret e maglietta
a righe e vado a comprarmi una baguette
da infilarmi sotto
l'ascella!" rispose Camus, incamminandosi a passo di marcia verso la
camera.
"E ci vai con i miei pantaloncini a fiori? Farai
faville!" esclamò Mei. "Aggiungi anche permalosi
alla tua lista."
"Oh ma dai, stavamo scherzando! Cam!"
"Non preoccuparti, so io come fargli passare
l'arrabbiatura. Di che cosa volevi parlargli, comunque?"
*
"Mei! Coraggio, la limousine è
arrivata!"
Camus aprì la porta trovandosi
Shaina di fronte, tutta allegra, mentre Mei
si controllava il rossetto nello specchio.
"La limousine? Addirittura?!"
"Aiolia fa le cose per bene, cosa credi?"
scherzò Camus.
"Aiolia?
No, bello mio. L'addio al nubilato l'ho organizzato io." lo corresse
Shaina, con un'occhiataccia.
Lui alzò le mani in segno di resa.
"Okay, d'accordo!"
"Ci vediamo più tardi!" salutò Mei
"Non tanto tardi, spero."
"No, sicuramente non farò le quattro del
mattino." gli rispose, lanciandogli una frecciatina.
"Va bene, questa me la sono cercata." ridacchiò
allegro, aiutandola a infilare il cappotto. "Mi raccomando, fai
attenzione."
Sorrise.
"Come sempre. Stai tranquillo." rispose Mei.
"Ti ripeto la domanda che ti ho fatto a Kobotec… voi uomini
farete
qualcosa?"
"Abbiamo convinto Alde a riposarsi e divertirsi con
noi, e Kanon è già partito a prendere qualcosa da
KFC, quindi… hamburger,
patate, pollo fritto… qualche birra davanti a un paio di
film, le solite
battute da uomini… niente di particolare."
…che tradotto, diventava: battutacce
zozze su qualche film per adulti, puzzo di fritto e ketchup
e qualche rutto volante.
Decisamente, non un posto per una bambina di sette anni.
"Okay, porto Lixue con me."
"Dove, in un locale per donne adulte? Un po' troppo
presto non credi?"
"Guarda che sa che maschietti e femminucce sono un pochino
diversi."
Camus rise.
"Dai, è al Santuario, tranquilla. Starà con Kiki.
Guarderanno dei film di supereroi e una volta finita la serata la
metterò a
letto." la tranquillizzò.
"Sì, ragazze, andate tranquille." sorrise Mu,
incoraggiante. "Ci pensa Kiki."
Il ragazzino si schiarì la voce.
"Ehm… s-sì…"
Mei si decise ad abbottonare il cappotto e seguire
Shaina.
"Kiki, guardami attentamente: hai quattordici anni,
ragion per cui sei abbastanza grande per portare a termine una cosa del
genere.
" rispose Mei.
"Spero di sì. Non ho mai avuto a che fare con una
bambina."
"Oh, andiamo. Mio fratello e i suoi amici, alla tua età,
hanno fatto ben
altro che fare il babysitter per due ore. Stai attento, ti tengo
d'occhio." replicò Mei, prima di seguire Shaina.
"Camus… tua moglie mi fa paura."
"A volte fa paura anche a me, Kiki."
**
Il locale che Shaina aveva prenotato dopo la cena era
piuttosto sofisticato e in una zona poco turistica sul lungomare di
Atene.
"Non ha affatto l'aria di uno strip club."
osservò Freya.
"Fuori sicuramente no." rispose Shaina.
"Dentro è tutta un'altra storia."
"Se Shiryu sapesse che sono qui, mi
ucciderebbe." sospirò Shunrei.
Mei levò gli occhi al cielo.
"Come sarebbe, non gli hai detto dove saremmo
andate?" domandò Marin.
"Sapeva della cena, non del locale."
"A Shiryu ci penserò io, rilassati. Non stai facendo
niente di scandaloso, è un'uscita tra amiche."
interloquì Mei.
"Anche Milo è geloso, eppure quando ha scoperto che saremmo
venute qui è
scoppiato a ridere, augurandoci una buona serata. E comunque non
preoccuparti,
ci sono già stata per l'addio al nubilato di una mia collega
di lavoro, per
essere un locale di quel genere non è affatto volgare come
si vede in certi
film americani. Di solito è un lounge bar, tranquilla,
niente trash."
Tuttavia, all'interno l'atmosfera era ardente, e non solo
per il riscaldamento.
Ai tavoli sistemati ordinatamente intorno al
palcoscenico, diversi gruppi di donne festeggiavano compleanni o addii
al
nubilato, chi in maniera più normale
e
chi, al contrario, più rumorosa.
"Guardate quella laggiù quanto chiasso fa: sembra
che non abbia mai visto un uomo in vita sua." ridacchiò
Marin.
Dal canto suo Mei non aveva mai visto una massa di
femmine così eccitate alla vista di un corpo maschile.
"Beh, ma solitamente gli uomini con i quali abbiamo
a che fare non sono proprio così." intervenne Mei.
"Mei, hai visto quello sul palco? Non ti ricorda il
biondino di Sex and The City?" domandò Shaina, indicandole
con un discreto
cenno del capo lo spogliarellista in questione: addome a blocchetti,
senza un
filo di grasso e con una gran massa di capelli ondulati. Il resto,
meglio non
commentarlo.
"…carino."
le rispose, facendo spallucce.
"Solo carino? Dì, ma ci vedi bene?"
"Ci vedo benissimo, ma preferisco i rossi con le
efelidi, che posso farci?"
"Frena un attimo. Ti ho detto che assomiglia a Smith
e tu mi rispondi solo carino?"
"…non mi è mai particolarmente piaciuto Smith,
sai?
Preferivo Steve."
"Certo che hai dei gusti strani eh." la riprese
Shaina, seguendo il suo sguardo e sorridendo poco dopo. "Beh, non
proprio,
dai. Sì, il barista non è affatto male, ti sei
salvata in corner. Uh, tra
l'altro ti sta guardando. Ed è proprio carino!"
L'altra arrossì appena.
"Me ne sono accorta." rispose, domandandosi
perché, al posto di quel vestito scampanato e forse un po'
scollato, non avesse
indossato un più castigato abito premaman.
Qualche ora dopo, alle due meno venti del mattino, al
Santuario la festa era finita già da un po': terminato il
cibo e i film, le
chiacchiere erano pian piano evaporate insieme alla birra e qualcuno
era già
andato a dormire.
Camus aveva già messo a letto Lixue, trovando lei e Kiki
addormentati ai lati opposti del salotto, lei sul divano, lui in
poltrona,
mentre il lettore dvd riproduceva il secondo Iron Man.
"Niente. Freya non risponde." sospirò Hyoga,
guardando il maestro che raccoglieva i bicchieri di carta distribuiti
quasi
ovunque nella seconda casa.
"Allo strip club difficilmente sentirà il cellulare
con la musica alta. Chiamerà lei più tardi."
rispose Camus.
"Più tardi? Sono quasi le due!!"
Aiolia si alzò dal divano e circondò le spalle di
Hyoga
scuotendolo vigorosamente.
"Metti giù quel cellulare!!! Lasciale stare, a
quest'ora staranno bevendo, ballando… insomma, cose da donne
a un addio al
nubilato, no? Fatti un goccetto!" disse a voce alta, barcollando.
Aldebaran, forse uno dei pochi rimasti sobri, gli tolse
di mano l'ennesima bottiglia di birra e sospirò.
"…e tu invece dovresti andare a dormire, domani ti
sposi."
"Lo sa, lo sa. Secondo te perché si è ubriacato?"
interloquì
DeathMask, uscendo per tornare alla sua casa.
Aiolia si scostò da Hyoga tentando di riprendersi la
bottiglia, ovviamente senza avere successo.
"Ma quanto siete noiosi! E tu Camus? Ti fai ancora
un goccetto con me?"
"Desolato, devo rifiutare. Sul serio Aiolia, se
Marin ti vede in questo stato, sono dolori. Và a dormire."
Sbuffando, l'amico si rialzò dal divano.
"Ma quali dolori… adesso vado a casa e appena Marin
tornerà faremo sesso tutta la notte e anche tutta la
mattina!"
Camus scosse la testa, divertito.
"Macché, andrai a casa a vomitare." gli
rispose.
"E' divertente anche quello, no?"
Aldebaran decise di riaccompagnare Aiolia a casa, per evitare
di fargli passare la notte all'addiaccio, tra una casa e l'altra.
"Il barista comunque non ti ha levato gli occhi di
dosso per tutta la sera." commentò Marin.
"Lo so, sentivo le sue occhiate."
"Tra l'altro assomigliava davvero tanto al tuo
attore preferito."
"Insomma… diciamo che ricordava a grandi linee il
Keanu Reeves dei tardi anni 90, ma…" concesse Mei. "Era
carino, senza
dubbio, però…"
"Potevi flirtarci un po', flirtare non fa male a
nessuno." continuò Marin.
"Tu parli da sposa ubriaca, per questo farò finta di non
aver
sentito." Mei sollevò la mano destra e mostrò la
cicatrice. "Certe
promesse le prendo parecchio sul serio, io.
Non avrei flirtato neanche col vero attore, figuriamoci con il suo
pseudo
sosia."
Shaina inarcò un sopracciglio.
"Sì, dai. A chi la vuoi raccontare? Se fosse stato
quello vero, ci avresti flirtato eccome. Vorresti farci credere che
avresti
detto no, grazie all'attore in
carne
e ossa?"
"Sì." rispose Mei, senza esitazione.
"Non ci credo neanche un po'." si aggiunse Marin.
"Per me potete credere a quel che vi pare. Sentite,
un conto è fare battute sciocche in presenza di Camus per
irritarlo, un altro
conto è parlare seriamente. Volete la risposta seria o
quella fantasiosa?"
"Prova a darcele entrambe."
"In ogni caso avrei detto di no."
Rispose al cellulare con un gran sorriso, pensando al
proprio imperfetto rosso che
l'aspettava a casa e che non avrebbe scambiato con nessun altro uomo al
mondo.
"Sto tornando,
tesoro."
***
Lady Aquaria's corner.
[Capitolo modificato in data 30
maggio 2015]
Kosovorotka:
tipo di
camicia maschile alla russa, abbottonata di lato.
Samosa,
Lassi
e Chhena
Jalebi: il primo è
un antipasto, il secondo è una bevanda dolce il terzo
è una sorta di
"bretzel" dolce, fritto. Tre meraviglie.
Cassatedde,
cucciddatu
e frutta
marturana: tre
meravigliose specialità pasticciere sicule.
Gámos
alá Elli̱niká
è il titolo greco del film: Il mio grosso grasso
matrimonio greco.
Beret: il classico basco alla
francese. A proposito di luoghi comuni, ecco
dove ho tratto i miei spunti.
KFC
è una
popolarissima catena americana di fast food –qui in Italia ci
sono due punti
vendita a Roma e uno qui a Torino. Il puzzo di fritto che aleggia
nell'ala
dell'8Gallery dov'è sito è incredibile :S -
Last but not least, qualche frase
utilizzata nei dialoghi provengono dai film "Il mio grosso grasso
matrimonio greco" e "Speed".
Come sempre, grazie mille.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 23 *** What you won't do for love. ***
capitolo23 principale
23.
What you won't do for love.
Some
people go around the world for love
But they may
never find what
they dream of
What you won't
do, do for love
You've tried
everything but
you don't give up
In my world only
you
Make me do for
love what I
would not do
[Bobby
Caldwell – What you won't do for love]
"Ma allora il tuo è un vizio!"
borbottò Camus,
andando ad aprire la porta. "Oh, siete voi, pensavo fosse quella piaga.
Venite, entrate."
Shun entrò timidamente nell'undicesima casa seguito da
Seiya, dopo aver ringraziato Camus.
"Hyoga, son venuti a prenderti." li annunciò.
"Ti han beccato eh? Oh, era anche ora,
finalmente." esclamò Mei dalla loro stanza. "Camus, se gli
mettono la
camicia di forza scattagli una foto!"
Hyoga uscì dalla sua stanza, scoccandole un gestaccio.
"Hey, tra qualche mese entrerai a far parte di una
famiglia reale, comportati da signore." lo redarguì Camus.
"Ha cominciato lei, perché te la prendi sempre con
me?" protestò Hyoga.
"Comportati da uomo." ripeté, prima che questi
uscisse diretto al tredicesimo tempio.
Mei sistemò l'occorrente per ritoccare il trucco nella
pochette, guardandolo poi con un'espressione stranita.
"Indossi l'armatura."
"Sì, ma solo per la funzione, poi la riporrò nel
suo
scrigno."
"Cosa ci fate ancora qui?" Shaina irruppe
all'undicesima casa dopo aver fatto il giro di tutto il Santuario, con
un'espressione truce dipinta sul volto. "Dovreste già essere
al
tredicesimo tempio! Parlerete dopo, muovetevi!"
"Tredicesimo…? Non ci sposteremo dal
Santuario?"
Forse aveva avuto ragione Milo quando lo aveva
rimproverato per averle fatto vedere Il
mio grosso grasso matrimonio greco: "Si
farà un'idea sbagliata di tutta la faccenda!"
E in effetti, tutto si era aspettata, tranne l'armatura.
"Pensavo che si svolgesse tutto secondo la cerimonia
greco ortodossa, con una sfilza di testimoni e damigelle vestite nei
modi più
improbabili, invece a quanto pare non ci saranno né chiese
ortodosse né cerimonie
greche."
Intanto, di testimoni ce ne sarebbero stati solo due:
Shaina e, ovviamente, Aiolos. Al posto del prete, Shion avrebbe
celebrato un
matrimonio che aveva tantissime cose prese in prestito da una cerimonia
tradizionale, ma che in verità non lo era.
"Se non ho capito male si scambieranno gli anelli,
ci sarà l'incoronazione con le stefana
e i tradizionali tre giri intorno all'altare e i due sposi saranno
consacrati e
benedetti di fronte ad Athena." rispose Camus. "Noi non possiamo
praticare altre religioni, quindi parlare di cerimonia tradizionale
è improprio."
"Ma Hyoga è cristiano, porta una croce al
collo."
"Parlavo di noi Gold Saint. A differenza nostra, Hyoga
e amici non hanno certe severe limitazioni."
Le venne in mente in quel momento che lui, diversamente
da Hyoga, al matrimonio di Kirill non aveva mai né fatto il
segno della croce,
né pregato, limitandosi a seguire in silenzio.
"Coraggio, andiamo o quell'arpia tornerà indietro a
prenderci." le sorrise Camus, incoraggiante.
"Ti ho sentito!"
Camus alzò gli occhi al cielo, infilandosi l'elmo.
"L'ho fatto apposta, sapevo che saresti tornata
indietro."
"Cianciate di meno e sbrigatevi, Marin è già
uscita
dalla quinta casa!"
"Abbiamo capito, calmati."
Shaina guardò nervosamente alle loro spalle.
"…non oso immaginare che cosa combinerà il giorno
in
cui sarà lei a sposarsi: probabilmente darà
ordini a tutti quanti armata di
frusta e mazza chiodata."
"Probabile." rispose Mei.
"No, è sicuro."
la corresse Shaina.
*
Non si erano accorti del mostruoso ritardo che avevano
accumulato; una volta raggiunti gli altri, non dovettero attendere
molto per
l'arrivo di Marin: dopo pochi minuti fece il suo ingresso nel
tredicesimo
tempio.
"Papà, guarda com'è bella!"
L'abito era color avorio, in stile belle epoque: ricordava vagamente
quello
indossato da Rose alla fine di Titanic, con un'allure retrò
tutto particolare
che poche donne riuscivano a portare con eleganza e che Marin sapeva
portare
benissimo.
A completare il tutto, un fermaglio a motivi floreali che
le appuntava i capelli ramati in un morbido raccolto.
"Sì, hai proprio ragione tesoro."
Shion e Aiolia la stavano aspettando davanti all'altare
ai piedi della statua di Athena, il primo in una ricca e solenne
palandrana
nera intessuta con motivi d'oro, lo sguardo a metà tra il
bonario e il severo
accentuato dall'elmo che riprendeva i colori della palandrana, il
secondo, con
un gran sorriso stampato sulle labbra, maestoso nella sua armatura.
"Tipico, come sempre la gente guarda la sposa."
sussurrò Milo.
Due poltrone più in là, Camus si sporse oltre
Aiolos e
Shura.
"E chi dovrebbero guardare, scusa?"
"Personalmente io guardo lo sposo."
Shura ridacchiò.
"Ah beh. De gustibus."
Milo fece per replicare, ma Aiolos lo zittì.
"Ci sono orecchie innocenti all'ascolto, badate a moderare
il linguaggio." apostrofò entrambi, riferendosi a Lixue, in
piedi davanti
a suo padre.
"Guardo lo sposo perché di solito ha un bellissimo
sguardo innamorato negli occhi. Sapete, come se in quel momento non
esistesse
nient'altro che la sua donna."
"Abbiamo un poeta tra di noi." lo prese in giro
Shura.
"Poeta proprio per niente, quella è la battuta di un
film."
"Ah ecco, mi pareva strano."
"Phro, ma farti un pochino gli affari tuoi ogni
tanto?" ribatté Milo.
"Silenzio."
li interruppe Aiolos.
"Tesoro, credo sia il momento di tornare dalla
mamma." sussurrò Camus, sospingendo con dolcezza la figlia
in direzione di
Mei, seduta insieme alle altre ragazze.
Freya incrociò lo sguardo di Hyoga, seduto con i suoi
amici dall'altra parte della passatoia rossa, e sorrise al suo
occhiolino prima
di vedere l'espressione raggiante della sposa.
"…beh, almeno non le stanno sputando addosso."
commentò Shaina.
La principessa si voltò scandalizzata.
"Perché mai dovrebbero farlo?"
"E' un'usanza greca che serve a tenere la sposa
lontana dal diavolo e dalle malelingue."
"Oddèi!"
"Sì, lo so. Usanza alquanto discutibile, ma
purtroppo è così radicata che è
difficile da estirpare…"
"E io che pensavo che legare i piedi alla sposa e obbligarla
al silenzio fosse già abbastanza…"
commentò Mei.
"Quando mi sposerò, la prima che oserà farlo
volerà
giù dagli scogli." sibilò Shaina. "Siete
avvertite."
Mei sgranò gli occhi, sorpresa.
"Ti sposi?!"
Camus si sporse verso Milo.
"Sbaglio o ho perso una puntata?" sussurrò.
"Eh?"
"Vi sposate?!"
"Chi?!"
Aiolos levò gli occhi al cielo: proprio come anni prima,
quei due non erano affatto cambiati. Da bambini parlottavano tra loro
nonostante le lezioni, ora, da adulti, lo facevano durante le
cerimonie. Tali e
quali, non erano cambiati.
Posò una mano sulle loro teste e li rimise ai loro posti
con un'occhiata di fuoco.
"Ne parliamo
dopo."
"State zitti!"
E, come allora, Aiolos vide i due amici scambiarsi
un'occhiata e ridacchiare alle sue spalle.
Incurante di quanto stava accadendo in sala, Shion parlò
a lungo, spiegando ai due sposi e ai presenti come Athena, e gli
Dèi tutti,
avrebbero benedetto la loro unione e la nascita dei loro figli, e che
la loro
benevolenza li avrebbe protetti da ogni male.
D'un tratto prese le due coroncine – due ampi cerchi formati
da rametti d'ulivo intrecciati insieme a dei lunghi nastri bianchi-, le
sistemò
in testa ai due sposi dopo aver invocato ancora una volta la
benedizione di
Athena, quindi legò i nastri tra loro.
Mei seguì tutta la cerimonia con estrema attenzione,
affascinata da tutto quello che succedeva: le invocazioni erano state
pronunciate in greco antico e non le aveva comprese, ma nonostante
tutto
l'insieme era molto suggestivo. Ancora una volta si scoprì
intenta a guardare
di sottecchi il compagno: aveva dato per scontato che anche a Camus
andasse
bene una cerimonia taoista tradizionale con l'hanfu, la cerimonia del
tè, le
mani legate col drappo porpora…
Guardò i due neosposi e al posto di Aiolia e Marin
immaginò sé stessa –ovviamente non
vestita di bianco- e Camus, regale nella sua
bella armatura. Forse era questo ciò che lui desiderava:
l'aveva capito dal
modo in cui osservava i due amici sull'altare.
Ancora una volta, si scoprì, in qualche modo, egoista.
"…perché quei giri?" chiese Freya, distraendola
dai suoi pensieri: Marin e Aiolia preceduti da Shion, stavano facendo i
rituali
tre giri intorno all'altare.
"Sono i primi passi che compiono come marito e
moglie." le rispose Shaina.
"È tutto così bello… in alcune
cerimonie cinesi la
sposa deve stare digiuna." sussurrò Mei.
"Davvero?" fece Shaina.
"Già."
"Che cosa triste e retrograda!"
"Cosa che non seguirò mai." precisò Mei.
"Devono solo provarci a farmi tacere."
"…na zisete! "
Mei e Freya si zittirono.
Ecco che cosa significava parlottare durante i matrimoni:
si perdevano punti salienti.
"Cos'hanno detto? Che significa?"
"Letteralmente significa lunga vita, ma
si usa come augurio di felicità e buona vita
coniugale, come il riso e le monetine che si lanceranno loro una volta
fuori
dal tempio."
"Com'è che sai tutte queste cose sul matrimonio? Non
ti facevo così romantica."
Shaina la ignorò con un colpetto di tosse, prima di
unirsi al coro degli auguri.
"Na zisete!"
gridò anche Mei. "Dunque? Devi dirci qualcosa?"
"Non sempre mostro il mio romanticismo. C'è ma
rimane nascosto in attesa di uscire allo scoperto."
"Usalo con Milo."
"Con Milo?"
"Sì, perché no? Insomma, anche lui ha un cuore.
Secondo me sotto sotto è un gran romanticone." rispose Mei,
ripensando a
certe canzoni dei Kiss che Milo amava riascoltare praticamente
all'infinito.
Shaina guardò il compagno.
"Beh, dai. Staremo a vedere. Vorrà dire che la
prossima volta anziché concentrarmi solo sul suo bel sedere
mi concentrerò
anche sul suo potenziale romanticismo." rispose Shaina. "E ora
andiamo, c'è una strepitosa festa greca che ci attende."
**
Mei si alzò dal letto con un mal di schiena atroce,
rendendosi conto che non era stata una buona idea quella di indossare i
tacchi
per tutto il giorno, soprattutto in occasioni come quelle.
Era stata una vera festa alla greca, con tutti gli
annessi e i connessi: cibo in grandi quantità, ouzo , danze tradizionali e piatti
rotti. Per certi versi il film
non era stato poi così esagerato.
"Stin ighià
sas!"
Era stato Saga a dare il via al delirio: dopo un breve
discorso col quale si era congratulato con entrambi con un "Ben fatto ragazzi! Ah, Aiolia, ormai sei fregato,
vecchio
mio!" aveva tracannato un bicchierino di ouzo e, dopo aver
afferrato
un piatto da una pila sul tavolo, l'aveva fracassato a terra. "Opa!!"
"Saga è già
ubriaco?"
"Rompere i
piatti porta fortuna, il rumore allontana gli spiriti maligni. Sai,
come si fa
da noi con i giochi pirotecnici durante i festival." le aveva risposto Dohko,
divertito.
"Manca solo
l'agnello allo spiedo e la famiglia Portokalos e per il resto,
c'è tutto."
"L'agnello c'è
davvero."
Un autentico delirio.
A un certo punto si era trovata costretta a riposare sul
divano, preda di tremendi crampi alle gambe mentre tutti, o quasi,
ballavano e
si divertivano. Persino Camus, camicia appena sbottonata e maniche
arrotolate,
si era unito agli altri, lasciandosi trascinare in pista per danzare.
"Non hai più
l'età, vecchia mia." aveva scherzato Camus,
allegro.
Chissà, magari aveva anche ragione.
Si trascinò lentamente in cucina, da dove sentiva
arrivare delle risate.
"…I
have nothing, nothing, nothing…. if I
don't have youuuuuu…"
"Spegni
quell'affare!!"
"…santi numi, che cos'è?!" si lamentò
Shura.
"A quanto pare le nostre donne ieri sera hanno
scoperto un locale karaoke qui vicino e si sono date alla pazza gioia."
spiegò Camus.
Shura pigiò un tasto e tolse l'audio al video.
"Madre de Dios,
tua moglie ha una voce che stacca l'intonaco dai muri."
"Lo so." sospirò Camus. "Prova a
immaginarla quando canta su Paul Simmons. C'è da piangere."
"Gene Simmons."
lo corresse Milo, indignato. "E Mei non canta così male."
"Non l'hai mai sentita cantare per davvero. Ti
sei mai chiesto perché a Rodorio e ad Atene non ci
sono più cani randagi?"
"…?"
"Li ha fatti fuggire tutti lei, con i suoi
ultrasuoni."
Ma che fidanzato
simpatico.
"I video delle nostre prodezze hanno già fatto il
giro del Santuario?"
"Temo di sì." rispose Camus.
Freya rabbrividì.
"Oh, fantastico. Spero solo che quel video rimanga
qui e non finisca nelle mani di mia sorella o dovrò subirmi
l'ennesima
ramanzina su come si comporta una vera
signora." sbuffò la principessa, divertita.
Ascoltò la voce di
qualcuna di loro –in quel momento non ricordava chi- stonare su una canzone di Whitney
Houston. "Non ricordo
chi ha cantato ieri sera. In un certo senso quella voce mette i
brividi!"
Mei si palesò, finalmente, in cucina.
"Cantavo io. Quella voce è la mia." disse,
serafica.
Freya si schiarì la voce, imbarazzata.
"Non farci caso, dolcezza. Per me canti
benissimo." interloquì Milo.
"Opportunista."
"Perché opportunista? Do' a Cesare quel che è di
Cesare. Mei non è così stonata."
Shura scambiò un'occhiata con Camus e sogghignò.
"Infatti, basta prenderla in giro, su. Siamo seri. O
Mei, casomai avessi bisogno di ridare il bianco alla decima casa,
passeresti
prima per levarmi l'intonaco vecchio? A te ci vuole poco, no?"
Marin scosse la testa.
"Ma quanto sono simpatici i nostri uomini." si
lamentò.
"Sì, come la sabbia che al mare ti si infila
ovunque, anche in posti dove non dovrebbe mai infilarsi."
interloquì
Shaina. "Un consiglio, ragazze: non fatelo mai sulla battigia. Anche se
il
tramonto è meraviglioso e l'atmosfera romantica. Mai."
"Lo terrò a mente per il viaggio di nozze,
grazie."
"A proposito, dove andrete?" chiese Mei.
"A Rio, l'avevo già detto ieri sera."
"Dipende quando l'hai detto, però. Non sono stata
sempre in sala."
"Già, è vero. Sei sparita prima del lancio del
bouquet."
"Oh cavolo, me lo sono perso… alla fine chi l'ha preso?"
Shaina ci pensò su un attimo.
"Stava per prenderlo quell'ancella, Cora… ma poi tua
figlia l'ha battuta sul tempo." rispose.
Doveva essere successo quando lei e Camus si erano
appartati qualche minuto fuori dal tredicesimo tempio.
"Volevamo coinvolgerti insieme alle altre disperate
ma eri sparita… dov'eri
finita?"
Dalla cucina, Milo si schiarì la voce.
"Dov'erano
finiti. Pure Camus era sparito."
L'interessato continuò a guardare lo schermo del pc, dove
stavano guardando le foto del giorno prima.
"E poi hai avuto la faccia tosta di dire ad Aphrodite
di farsi gli affari propri?" lo riprese. "Ero uscito a prendere una
boccata d'aria."
"Con Mei."
"Abbiamo preso una boccata d'aria a testa."
Milo annuì con aria sorniona.
"Beh, siete stati fuori circa venti minuti, altro
che aria. So io che avete fatto." insinuò, guadagnandosi
un'occhiataccia.
"Pensi male." rispose Camus. "Anche perché
a me piace fare le cose bene… e soprattutto con calma. Lentamente."
"Discorsi ad alta temperatura qui." commentò
Hyoga. "La bambina ancora non si è alzata ma non credo sia
appropriato
farsi sentire."
"A proposito di Lixue, ha detto che da grande vorrà
sposarsi con questo cretino." ridacchiò Shura.
"Dovrà passare sul mio cadavere." rispose Camus.
"E lo impedirò anche da morto."
"Guarda che sono un ottimo partito!"
"Smettila di dire sciocchezze o rendo Shaina vedova
prima ancora che tu possa sposarla."
Mei ridacchiò.
"Ancora non gliel'hai chiesto?"
"Figurati, se aspetto lui divento vecchia. Sai che?
Prenderò spunto da quell'antica usanza irlandese: il
prossimo 29 febbraio sarò
io a chiedergli la mano." decise Shaina.
"Sei fortunata, il prossimo febbraio avrà davvero 29
giorni." rise Marin.
"Lo so. Milo ha i giorni contati."
"Beh, è già qualcosa. Noi però ci
siamo già portati
avanti: abbiamo finalmente deciso la data." sussurrò Mei,
abbassando
parecchio la voce.
"Oh, era ora! Aspettiamo questo momento da quanto?
Otto anni o giù di lì."
L'atmosfera romantica della sera prima aveva dato il suo
contributo, a dire il vero: a un certo punto, dopo i piatti rotti e le
danze
frenetiche, era anche arrivato il momento di un bel lento, con tanto di
lucine
soffuse. Era stato allora che si era decisa a parlargli.
"È stato così
romantico, oggi. M'è piaciuto molto il matrimonio,
è stato molto
suggestivo."
"Sì."
"…ti
piacerebbe una cerimonia simile?"
Si era scostato da lei con uno sguardo interrogativo
negli occhi: avevano già parlato di cerimonie e se non
ricordava male avevano
deciso per un matrimonio taoista.
"Che ne è stato
della cerimonia al Goro-Ho con Dohko e l'hanfu?"
Quella c'era e ci sarebbe stata sempre, nei suoi sogni: c'era
l'hanfu rosso che nella sua famiglia avevano indossato diverse
generazioni di
spose, i decori d'oro nei capelli, la cerimonia del tè e
dello zucchero e tutto
il corollario di tradizioni, c'era Camus che indossava l'hanfu di suo
padre, ma…
erano cose legate alla sua terra natia, facevano parte dei suoi sogni, non di quelli di Camus.
"Che Shion non
ne abbia a male, ma preferirei fosse Dohko l'officiante. Non chiedermi
il
vestito bianco però, sai come la penso in merito."
"Aspetta un
attimo… che storia è questa? So che ci tenevi a
sposarti come i tuoi genitori…
ti brillavano gli occhi quando ne parlavi."
"Appunto. Io."
"Non capisco."
"E' una cosa che io volevo e che
abbiamo deciso di fare perché piaceva a me. Ma non ho mai chiesto che cosa vuoi tu. Non ho
mai chiesto quali sono
i tuoi desideri in merito, ma poi ti ho visto a Kobotec, e ti ho visto
oggi.
Non posso obbligarti a indossare l'hanfu di mio padre e seguire
tradizioni che
non ti appartengono e che seguiresti pur non comprendendole appieno."
"Ascolta, io
voglio saperti felice, non pensare a me. Se ciò significa
indossare l'abito di
tuo padre e seguire quelle che per te sono tradizioni importanti,
sarò onorato
di farlo."
"Ma tu che
cosa vuoi? Sarà il nostro giorno, voglio che anche tu sia
felice. Non è giusto
rinunciare ai tuoi desideri per assecondare i miei… ho
riflettuto a lungo in
questi giorni, sono stata un'egoista e non è giusto.
Quindi… se vorrai sposarti
a Kobotec o… dovunque vorrai, per me andrà
benissimo."
L'aveva ascoltata, commosso.
"A Kobotec,
con il tuo leggero hanfu di seta, congeleresti in pochi minuti." aveva ridacchiato, nervoso. "Ehm… faremo così: firmeremo
i
documenti in comune, a Parigi. Poi verremo qui e Shion ci
sposerà così come ha
fatto oggi con Marin e Aiolos. Subito dopo, ci metteremo i nostri
bellissimi
hanfu e Dohko ci sposerà con le tradizioni che tanto ami e
che imparerò a
comprendere. Che ne dici?"
Che altro avrebbe potuto dire, se non sì?
"Ci sposeremo il due settembre." annunciò
quindi, con un gran sorriso.
Un anno dopo il Legame
delle Anime, come le aveva proposto Camus.
Milo corse ad abbracciare l'amico.
"Sarò onorato di farti da testimone!" esclamò.
"Posso finalmente iniziare a organizzare l'addio al celibato!"
Camus levò gli occhi al cielo, ignorando il brivido che
l'aveva colto: che diavolo aveva in mente
Milo?
**
Sedici novembre, mattina.
Il fine settimana appena trascorso, pesante sotto diversi
punti di vista, era finalmente alle loro spalle e si profilava un bel
periodo
tranquillo –o almeno, Camus lo sperava-.
Cambiò marcia, immettendosi nella rotonda dell'Arc de
Triomphe diretto sugli Champs Élysées,
fischiettando a ritmo della canzone diffusa
dall'autoradio.
"…non ricordo di averla mai sentita questa."
commentò Freya, prendendo la custodia del cd dal cruscotto.
"Sei sicuro
che sia degli Spandau Ballet?"
"Sicurissimo. Non è famosa come le più note Gold o True,
forse è per questo che non l'hai mai sentita." rispose
Camus. "Piuttosto, mi spiace averti disturbata."
"Non avevo nulla da fare. Esattamente dove
mi stai portando?"
"Da Louboutin."
"Wow!"
"Ho bisogno di qualcuno che mi dia una
mano, non saprei come muovermi là dentro."
La principessa rise, alla sua
espressione.
"Oh miei Dei che faccia! Una
volta in negozio basterà chiedere il modello che desidera
Mei e il gioco è
fatto!"
Freya la faceva facile.
Una volta nell'atelier, Camus si
scoprì sopraffatto di fronte a tanta scelta.
"Sono solo scarpe, non ti
mangiano mica." ridacchiò Freya.
"No, è che… trovo assurdo
spendere tanto per un paio di scarpe." bisbigliò Camus,
facendo ben
attenzione a non farsi sentire dalla commessa poco distante.
Guardò un paio di
scarpe gialle profilate di rosso e viola, con un gran medaglione sulla
caviglia
raffigurante un veliero. "Queste quanto costeranno? Otto, novecento
euro?"
Freya si schiarì la voce, con un
sorriso nervoso.
"A dire il vero,
seimiladuecento e qualcosa." lo corresse, facendogli sgranare gli occhi.
"Quoi?"
"Hilda le ha ricevute in
dono lo scorso compleanno, dal principe Harald. Ma erano quelle di seta
azzurra." spiegò Freya. "I ricami sono d'oro e la seta
è tra le più
preziose che esista."
Era comunque uno sproposito per
un po' di legno, cuoio e stoffa.
"Con quei soldi ho pagato
l'anticipo per l'auto nuova! E sono persino avanzati!"
s'indignò Camus.
La solerte commessa si avvicinò
loro, squadrando Freya e il suo Chanel.
"Le Marie Antoinette, uno dei
nostri pezzi migliori. Sono in edizione
limitata. Che numero vi occorre? Le preferisce in azzurro, giallo o
rosa?"
Era una fortuna, pensò Camus,
essere già abbastanza pallido di carnagione, più
di così non poteva
impallidire. Dedicò attenzione alla giovane brunetta e
mantenne il proprio
solito aplomb.
"No, grazie. Cercavo un paio
di Pigalle di vernice, tacco nove. Numero 39."
Già quell'unico, semplice paio
sarebbe costato un salasso; controllò l'orologio, sperando
di avere abbastanza
tempo per poter anche cucinare.
"Mei è al lavoro?"
"Come sempre."
"Stasera avevo in programma
di portare Lixue al McDonald e al cinema. Posso? Così almeno
tu e Mei avreste
la serata libera per festeggiare il suo compleanno."
Una sera da solo con sua moglie?
Non chiedeva di meglio.
"Certo che puoi."
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo
revisionato in data 22 luglio 2015)
Un altro pesante restyling, senza
il bashing precedente.
Dunque… è un po' corto rispetto agli altri, ma
pazienza
>.>, con questo caldo è già un
miracolo aver scritto 8 pagine…
By the way:
Stefana: le
coroncine con i quali gli sposi ortodossi vengono incoronati durante la
cerimonia.
29 febbraio: Secondo
un'antica leggenda irlandese il 29 febbraio sono le donne a fare la
proposta di
matrimonio ai loro fidanzati, evitando così di dover
aspettare che sia l’uomo a
decidersi.
Louboutin: beh, suppongo sappiate chi sia. Le Marie
Antoinette e le Pigalle
sono tra le sue scarpe più famose.
Spero di non aver dimenticato niente :)
Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 24 *** Un anno in più che non hai. ***
capitolo 24 principale
24.
Un
anno in più che non hai.
Buon compleanno
a un anno in più che non hai
non diventare mai diversa da te
l’isola al centro della terra sei tu
credici anche tu credici di più.
Sei il vento che scompiglia le campane
e il cuore non sbaglia mai con te
sei il fuoco e la farina per il pane
e io mi chiedo che ci fai con me.
[Pooh
- Un
anno in più che non hai]
Attorniata
da un nugolo di
sarte che prendevano attentamente le sue misure, Freya
sospirò, cercando Mei
con lo sguardo.
"…e
così finalmente
vi siete decisi."
Resistendo
all'impulso di
sbirciare nello specchio per l'ennesima volta alla ricerca di un
capello fuori
posto, Mei sorrise nervosa, augurandosi di essere vestita abbastanza a
tono con
l'ambiente che la circondava, un tripudio di marmi, stucchi dorati,
tappeti
persiani e cristalli.
"Sì.
Il due
settembre." rispose.
"E
hai già scelto
l'abito?"
"Diciamo di sì."
"Davvero? Perché non mi hai detto niente?!"
L'altra
bevve un sorso del
drink analcolico che le era stato offerto da un'ossequiosa commessa.
"…è
un vestito che ci
tramandiamo da almeno quattro generazioni, lo userò per la
cerimonia
religiosa."
"Ah,
quindi per la
cerimonia civile non hai ancora deciso niente?"
"Freya,
abbiamo
appena scelto la data!" protestò Mei, ridacchiando.
La
principessa scese dalla
pedana posta al centro della stanza, indossando l'accappatoio di seta
che le
avevano appena porto.
"Vostra
sorella ha
scelto circa trenta abiti dalla nostra collezione d'haute couture." le
spiegò la responsabile dell'atelier, scortandola verso la
rastrelliera che
copriva tutta la parete. "E mi ha incaricata di consegnarvi questo."
Freya
aprì la busta col
sigillo di Asgard e sospirò ancora una volta: al suo
interno, con la
calligrafia un po' troppo arzigogolata di Hilda, un semplice biglietto
con
poche righe.
"Se nessun abito
della mia selezione incontra
il tuo gusto, sentiti libera di scegliere come preferisci. Ma mi
raccomando,
che il vestito sia bianco, non avorio.
Spalle coperte. Maniche lunghe. Strascico lungo.
Velo lungo.
Assolutamente non corto. Non troppo luccicante: non
siamo a Las Vegas. Evita
le scollature e le trasparenze (al massimo, solo sulle maniche). Evita
lo stile
a sirena. Evita quelli con troppo tulle: non devi danzare al Bolshoi."
Alla faccia della libertà.
"E
questo lei lo
definisce libertà di scelta?"
sbuffò, posando la busta sul tavolino poco distante. "Mei,
verresti ad
aiutarmi?"
"Non sono
granché esperta di abiti da sposa…"
incominciò
l'interpellata, beccandosi poco dopo l'occhiata supplice della
principessa.
"…okay, d'accordo. Vediamo che posso fare."
Freya separò
con decisione i vestiti sulle loro grucce in due distinte
categorie: aderenti e morbidi.
"Dato che sei incinta, tu
proverai quelli, io proverò questi qui più
aderenti."
"…cos-? No."
replicò Mei. Un conto era accompagnare e dare qualche
educato commento su un
abito o un velo, un altro conto era indossare abiti e colori contrari
al suo
pensiero. "Non mi sentirei a mio agio."
"Oh, ti prego!"
"Dimmi un po', quell'espressione da gatto con
gli stivali funziona
sempre?" domandò Mei.
L'altra ridacchiò.
"Di solito sì. Oh perfavore… in fondo non dovrai
indossarlo ufficialmente davanti a milleduecentocinquanta invitati."
"Milleduecento…?!"
"Figurati, quando l'ho scoperto sono rimasta di sale
anche io. Hilda ha invitato tutte le famiglie regnanti conosciute
e non di mezza Europa, più tutti i nobili del
regno. Non
hai idea delle facce che hanno fatto i cuochi di corte: il capo
pasticciere, un
franco-austriaco di Vienna, ha sbraitato per giorni interi. E ancora
non ha
idea di che cosa l'aspetta se Hilda dovesse cedere alle avances di
Harald…"
Le sembrava di essere improvvisamente scivolata in un
sonnellino e di vivere in un sogno popolato dai personaggi delle fiabe
che
Camus era solito leggere a Lixue quand'era più piccola,
popolate di fate,
principesse, regine, castelli incantati e biondissimi principi.
"E dimmi, ad Asgard ci sono anche fate e unicorni?"
"Gli unicorni magari no, ma abbiamo i mitici
Nibelunghi, gli Gnomi e i Troll. In quanto alle fate, noi abbiamo le
Norne e
gli Elfi, sai, come quelli di Tolkien. Una leggenda asgardiana narra
che una
nostra antenata, vissuta nel dodicesimo secolo, fosse una Liósálfar, una mezz'elfa
della luce, che
discendeva direttamente dalla dea Freyja." rispose Freya, allegramente.
"E per finire, il biondissimo principe arriverà a breve,
quindi sì, non
abbiamo niente da invidiare alle favole per bambini. Anzi. Se non ci
sbrighiamo
a scegliere un vestito, a breve avremo anche una strega cattiva seduta
sul
millenario trono di Asgard."
Non le fu difficile immaginare Hilda che, come Maleficent,
si ergeva rabbiosa assumendo le spoglie di un malvagio dragone
sputafuoco.
Freya lanciò quindi la stoccata finale.
"…quando avremo finito qui potremmo passare da
Ladurée
a rimpinzarci di macarons ed éclair."
"Vergogna, prendere per la gola una donna
incinta."
L'altra batté le mani, trionfante.
"Ha! Lo sapevo!"
E, per la seconda volta nel giro di mezz'ora, Mei
capitolò.
"Trasferite
il composto su di una spianatoia
spolverizzata con zucchero a velo e continuate a lavorare il composto
fino a
che sarà liscio ed omogeneo e non si appiccicherà
più alle mani."
Hyoga
guardò il maestro
mentre, tutto concentrato, lavorava energicamente il composto
appiccicaticcio
nel tentativo di trasformarlo in un panetto di pasta di zucchero.
"Secondo
me facevi
prima a ordinarne una in pasticceria." disse, prendendo l'immagine che
Camus aveva stampato, una torta rotonda decorata con perline di
zucchero
argentate, rose di marzapane e la pasta di zucchero metà
bianca e metà nera che
formava un tao.
Lixue
aprì il barattolino
col colorante in polvere, pronta ad aiutare il padre.
"…adesso?"
"Non ancora." rispose Camus. "Perché mai dovrei ordinare una
torta quando posso farla io?"
Forse
perché non era
semplice come pensava. Perché, a dispetto dei filmati
postati sui blog culinari
o ai programmi sulla pasticceria che spuntavano come funghi in
televisione,
fare una torta non era un gioco.
"Forse
perché non sei
un pasticciere?" suggerì, rubando un quadrato di cioccolato
alla menta.
"Sono
figlio di un
cuoco, ho tirato su due allievi da solo e posso
farcela." sbottò. Non gliel'avrebbe data vinta, a costo di
impiegare il
resto della mattina e tutto il pomeriggio nell'impresa. "Anzi, invece
di
fare il bastian contrario, guarda se il pan di Spagna si è
raffreddato. E smettila
di mangiare le decorazioni!"
"Ma
se ne ho presa
una!" si difese Hyoga.
"Papà,
posso prendere
ancora un po' di cioccolato?"
"Tesoro,
hai mangiato
così tanto cioccolato da finire in ospedale."
obiettò Camus.
"Ma
perché zio Hyoga
può mangiarlo e io no?"
"Perché
io sono
grande."
"Anche
io sono
grande! Non sono così piccola come pensi!"
"Hey,
lascialo subito!"
"No!
E' mio!"
"E'
mio e tu sei ingordo."
"Sono
più grande di te, quindi è mio."
"Non
dire cavolate, sono più grande io: sono nato
il 23 gennaio e tu il 17 febbraio, è mio!"
"Maestro!!"
"Papà!!"
Proprio
vero che la storia
spesso aveva il vizio di ripetersi: anni prima Hyoga aveva litigato con
Isaak
per un marron glacé, in quel momento, litigava con Lixue per
il cioccolato alla
menta.
"Quando
sarai alta
come me allora potrai fare quel che vuoi."
"Quel
che puoi." lo corresse Camus.
"Magari si potesse davvero fare tutto ciò che si desidera. E
questo vale
anche per te, signorino."
L'altro
si stampò sulle
labbra la stessa espressione con la quale, da piccolo, faceva i
dispetti al
compagno d'addestramento.
"Presto
sarò re e
potrò fare quel che voglio!" cantilenò, con finta
arroganza.
"Principe
consorte,
come il marito della regina Elisabetta." interloquì Lixue.
"Come dice
mamma, sarà Freya a portare i pantaloni e comandare!"
Camus
ridacchiò: più di
una volta Mei aveva punzecchiato Hyoga riguardo quella faccenda.
"Ecco,
la regina
Hilda è più furba di quel che pensavo. Spero
comunque che non abdichi tanto
presto o poveri asgardiani, con un principe immaturo come te."
Il
ragazzo gli rispose con
una linguaccia, afferrando una cucchiaiata di glassa di zucchero dalla
boule lì
vicino.
"Ma
basta! Andrà a
finire che ti si glasseranno le vene!" protestò Camus. "Mi
stai
facendo perdere tempo, e devo finirla prima del ritorno delle ragazze."
"A
proposito, dove
sono andate? Freya non mi ha detto niente."
Camus
si schiarì la voce,
incerto se parlare o no.
"…credo
siano andate
in Avenue George V per l'abito da
sposa. Ma non ti ho detto niente quindi tu non sai niente." rispose,
mentre il suo cellulare emetteva un trillo. "Piuttosto, leggimi il
messaggino che è arrivato."
Il
ragazzo prese il
cellulare di Camus, accorgendosi che il messaggino era di Freya e
conteneva la
foto di un abito da sposa. O meglio: di una donna in abito da sposa,
fotografata
probabilmente a sua insaputa, ritratta di in piedi e a tre quarti.
Conoscendo
la reticenza di
Mei nei confronti del bianco e di tutte le sfumature ad esso connesse,
Hyoga si
domandò che mezzo avesse usato Freya per convincerla a
indossare un abito
bianco.
"Ah
però."
commentò Hyoga. "Credo dovresti vederla, è per
te."
Camus
si pulì le mani con
uno strofinaccio umido, ammirando il risultato del suo lavoro: un bel
panetto
di pasta di zucchero, simile a quelli visti nelle vetrine dei negozi
specializzati.
"…visto,
razza d'un
miscredente? Mio padre sarebbe orgoglioso di me." esclamò,
tutto contento,
prima di prendere in mano il cellulare. "Oh."
Mei,
in un abito stile
impero, bianco, con un lungo velo
di
pizzo che scendeva morbido fino a terra.
"Bozhe
moj…"
sussurrò, guardando come incantato la foto. "Eto tak krasivo…"
[Mio dio. E'
così
bella…]
Era
passato al russo,
segno che quella foto l'aveva colpito davvero molto.
"Fammi
vedere,
papà." interloquì Lixue, lasciando un attimo da
parte il colorante
alimentare.
"Credo
che dovresti
dirle che cosa vorresti. In fondo è anche il tuo giorno."
disse Hyoga.
"Ci si sposa una volta sola nella vita. Tu che cosa vorresti per i tuoi
genitori, Lixue?"
"Non
vale, fosse per
lei ci dovremmo sposare come nelle fiabe che le leggiamo prima di
dormire."
"Io
continuo a dirti
che dovresti vergognarti, sul serio, per aver corrotto una donna
incinta con
queste cose peccaminose."
Freya
ridacchiò divertita,
affondando la forchettina nel suo Paris
Brest.
"Diciamo
che conosco
bene i tasti da pigiare." replicò, guardando l'amica
assaporare la sua
Tarte Tatin. "A dire il vero, Mei, avrei una confessione da farti."
"Dimmi."
"Quando prima ti ho fatto provare quel vestito, sai quello con il velo
di
pizzo? Ecco, ti ho fotografata e… ho inviato la foto a
Camus. Non arrabbiarti,
non volevo farti un torto."
A
dirla tutta il torto non l'aveva fatto a lei, ma a Camus. Conoscendolo,
quella foto doveva averlo scosso, e parecchio. Gli aveva proposto un
matrimonio
come quello di Aiolia e Marin e l'aveva fatto con tutto l'amore
possibile, ma
mai, neanche per Camus, si sarebbe infilata di nuovo in un vestito
bianco.
"…beh…
Camus dovrà
accontentarsi di vedermi in rosso, quando ci sposeremo."
Con
la scusa dello
shopping e delle varie pause disseminate in diverse pasticcerie, Freya
l'aveva
tenuta occupata per quasi tutto il pomeriggio: con i piedi doloranti e
con la stanchezza
post-lavoro che le appesantiva le membra, in quel momento Mei
desiderava un bel
bagno caldo e la cena che Camus le aveva promesso quel pomeriggio,
tramite sms.
Appena
varcata la soglia
di casa, il primo profumo che l'accolse fu quello intenso della salsa
di soia e
del manzo in agrodolce.
La
serata promette bene.
Chiuse
a chiave la porta
dietro di sé, quindi s'infilò le ciabatte, pronta
a godersi il tanto agognato
riposo: all'estratto conto e al lavoro avrebbe pensato l'indomani.
"Sono
a casa!"
si annunciò, posando il borsone da lavoro, i sacchetti e la
busta con il regalo
che Sheng e i colleghi di lavoro le avevano fatto. Si chinò
a fare i grattini a
Sabaka, che come sempre era arrivata di corsa dalla stanza di Lixue per
accoglierla, e solo allora vide il post-it.
"…segui
Sabaka."
"Oh.
Vediamo quali
sorprese hai in serbo per me." disse, seguendo il cane.
Un
bel bagno caldo, per
iniziare.
"Cominciamo
bene
direi."
Quando
vide tornare
Sabaka, Camus sorrise soddisfatto.
"Hai fatto come ti ho mostrato? Brava socia!"
disse, accarezzandole la testolina ed elargendole un biscotto per cani.
La cena era pronta, sperando che Mei apprezzasse la cena
cinese che aveva preparato.
Il bilancio di quell'ultimo periodo -a partire dal
trasferimento- era piuttosto positivo, a parte qualche basso: entrambi
lavoravano, la bambina andava a scuola e si era ben integrata e tutto
procedeva
per il meglio.
Si augurò che tutto continuasse ad andare bene in quel
modo.
Mei entrò in cucina dopo una buona mezz'ora, avvolta nel
suo solito kimono, i capelli sciolti sulle spalle e un'espressione
rilassata
sul volto.
"Che meraviglia tornare a casa dopo una dura
giornata e ricevere questo trattamento."
"Ciao!" le sorrise, voltandosi.
"Nihao."
gli rispose, allegra, sollevando i coperchi dalle pirofile e scoprendo Hong Shao Rou, Xiaolongbao
e Baozi caldi
e profumati, esattamente
come aveva
sentito entrando in casa. "Ma che meraviglie hai combinato!"
Le porse un cestino con i wonton e si tolse il grembiule.
"Beh, sai, non è stato poi così tanto
impegnativo:
pasta fillo, spaghettini di soia, verdure, le giuste spezie et
voilà."
iniziò a dire, prima di vedere l'espressione di Mei.
"D'accordo,
d'accordo… oggi ho fatto un paio di commissioni al quartiere
cinese."
"Ah ecco, mi pareva di riconoscere la salsa del mio ristorante
shanghainese
preferito." ridacchiò Mei. "I miei piatti preferiti, il
bagno caldo,
assoluto riposo… quasi quasi vorrei che ogni giorno fosse il
mio compleanno…"
"Ma così invecchieresti ogni ventiquattro ore."
"Bè, bisogna invecchiare comunque, no?"
"Oh, certo, è l'inevitabile destino di ogni essere
umano. Però tu invecchi bene: diventi più bella
ad ogni compleanno."
Mei sorrise, arrossendo.
"Uh, magari. Cerco di cavarmela come tutti."
**
L'indomani, ottava casa.
"Fammi un po' vedere!"
Mei alzò la gamba, mostrando una delle sue Louboutin
nuove di zecca. La sera prima, quando Camus dopo cena le aveva dato i
regali
dopo il dolce, dopo i primi istanti di pura felicità per
quel paio di scarpe
tanto inseguite e tanto desiderate, si era parecchio irritata: le
attenzioni che
le aveva riservato quel giorno, la bellissima torta e l'album di
fotografie che
Lixue aveva composto per lei con le loro foto, insieme al braccialetto
–un semplice
braccialetto con tre ciondoli, uno per ogni figlio- le erano
più che bastati.
Rispetto ai compleanni trascorsi al Goro-Ho, quel compleanno in
famiglia, nella
sua nuova casa, le era sembrato un piccolo paradiso.
"Sono molto felice, ma allo stesso tempo l'ho sgridato
per aver speso questi soldi per me." spiegò all'amica.
Shaina si schiarì la voce.
"L'avessi io un uomo che mi fa di questi
regali." commentò, sospirando.
"Lo so, ma con quello che le ha pagate… invece di
spenderli per me avrebbe potuto spenderli per Lixue o i bambini in
arrivo…"
L'altra guardò le scarpe con desiderio.
"Milo, il mio compleanno è dietro l'angolo…"
"…siamo ancora a novembre, tu invecchi a marzo, se non
ricordo male."
replicò l'interessato.
Camus sorrise.
"Invecchi? Mi
stupisce che Shaina non ti abbia già trucidato per questo."
"Figurati, ha bisogno di me." disse Milo,
abbassando di parecchio la voce. "Dove trova un altro poveraccio in
grado
di sopportare il suo carattere?"
"Te l'ha ricordato affinché tu inizi a mettere da
parte i soldi necessari per acquistarle un paio di quelle scarpe."
precisò
Camus. "Se inizi ora, per il 24 marzo forse ce la farai."
"Forse."
Milo fece una smorfia. "Ma dire il vero dovrò già
mettere da parte dei
soldi, e non per un paio di scarpe."
***
Lady
Aquaria's corner:
(Capitolo
revisionato in data 23 agosto 2015)
Capitolo
un pochettino
succinto questo, che sostituisce un capitolo sciocco e zuppo di bashing
gratuito (del quale mi vergogno tantissimo D:).
(Abbiate
pietà, sono in
ferie, con una connessione traballante e vorrei finire la revisione il
prima
possibile, visto che la storia è ferma da tantissimo).
Nibelunghi,
Gnomi,
Troll,
Norne
ed Elfi
fanno tutti parte della mitologia
nordica;
Paris Brest:
è un
dolce di origine francese composto da una ciambellina di pasta choux
farcita
(di solito, con panna);
Hong
Shao Rou, Xiaolongbao e Baozi:
vi rimando alla pagina nel link per le spiegazioni;
nel caso abbia dimenticato qualcosa, sistemerò al mio
ritorno.
Alla
prossima volta e buon
proseguimento di vacanze.
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 25 *** Da adesso in poi. ***
capitolo 25 principale rivisto
25.
Da
adesso in poi.
da
adesso in poi ti aspetto qua
(...)non
so se sarò pronto mai
prova
a esser pronto tu per noi
ascolto:
mi
insegnerai
[Ligabue – Da
adesso in poi]
"La tua
segreteria telefonica contiene due nuovi messaggi. Premi il tasto uno
per ascoltare
i messaggi o premi il tasto due per richiamare il mittente."
Milo appese la giacca e pigiò, svelto, il tasto uno.
"Messaggio
numero uno."
"Ciao Milo,
sono Mei. Scusa il disturbo, è che non so chi chiamare:
Freya è da sua sorella
per i preparativi, Hyoga è all'università a dare
un esame importante e non ho
intenzione di chiamare mio fratello. Ti sarei veramente grata se
potessi venire
qui e darmi una mano, non mi sento bene e non ho alcuna voglia di
guidare."
Lasciò che la voce metallica gli comunicasse data e ora e
passò al secondo messaggio.
"Sono ancora io, mi sono dimenticata di dirti dove siamo. Prendi carta e penna: quando arrivi a casa, scendi e prendi la linea 6 della metro da Passy in direzione Nation, conta otto fermate e scendi alla nona, la fermata Raspail, una volta sceso prendi l'uscita numero due in direzione Rue Campagne…"
Afferrò il bloc notes vicino al telefono e cercò
la penna
che Shaina doveva aver posato chissà dove: come sempre, ogni
volta che gli
serviva una penna, non si trovava mai.
Chissà, forse finivano nello stesso buco nero che
risucchiava
anche elastici e forcine.
"…frena, frena un attimo!" esclamò, mettendo in
pausa il nastro. "6 Passi, Nat, 9
ferm, Rasp. Fin qui ci sono."
"……Raspail, una volta sceso prendi l'uscita numero due in direzione Rue Campagne Première, prendi Rue Campagne Première, al fondo svolti a destra e prendi Boulevard du Montparnasse, giri ancora a destra e prendi Avenue de l'Observatoire. Lungo il cammino dovresti poi incrociare un ristorante, un negozio, una rivenditore di scooter, un paio di brasserie e dovresti trovarti in Avenue de l'Observatoire, dove c'è l'ospedale Port Royal dove mi trovo ora. So che il tuo francese è pessimo e che sicuramente mi chiamerai per avere lo spelling dei nomi francesi e davvero, sono mortificata, ma non ti disturberei se stessi bene. Ah...ripensandoci, credo che ti invierò la mappa di google maps attraverso whatsapp."
I messaggi erano stati registrati appena un quarto d'ora
prima. Pigiò il tasto due e mise il vivavoce, sperando di
fare ancora in tempo.
"Allô?"
"Mei?
Ho sentito adesso i messaggi… ti chiedo scusa per il
ritardo."
"Milo!
Oddéi grazie!" gli rispose, la voce colma di sollievo. "Mi
dispiace
averti disturbato ma…"
"Non dirlo neanche per idea, nessun disturbo. Cos'è
successo?!"
Un'ora dopo circa, Milo finalmente arrivò in ospedale:
Mei lo stava aspettando da un po', seduta su una delle scomode sedie
della sala
d'attesa; era un po' più pallida e sofferente del solito, e
la cosa lo
preoccupò.
"Hey, ciao! Credo di essermi perso a un certo punto,
fortuna che una ragazza mi ha dato un paio di indicazioni, altrimenti
sarei
ancora in giro per Parigi… mi sbagliavo sai? Non tutti i
parigini hanno la
puzza sotto il naso! Per Athena come sei stremata, che cos'è
successo? Stai
bene?"
Mei si alzò con una smorfia, rispondendo con gratitudine
al suo abbraccio.
"Adesso sì, agitazione e stomaco vuoto non vanno
d'accordo con il mio organismo gravido. Come ti ho spiegato, non sapevo
chi
chiamare: Freya è da sua sorella per gli ultimi preparativi,
Hyoga è all'università
e io non me la sento di guidare… l'auto è
parcheggiata davanti all'ospedale e
non avevo nessuna intenzione di prendere un taxi e lasciarla qui."
"Oh, non ti preoccupare, nessun disturbo. Pensavo ci
fosse Camus con te, mi aveva detto che non avrebbe perso le ecografie
per
niente al mondo."
Mei annuì.
"Appunto, non se l'è persa. Stamattina avevo la
gamba bloccata per colpa della sciatica e sono caduta. Mi ha portata
qui di
corsa emulando Jean-Éric Vergne
e
una volta qui, dopo i dovuti controlli, mi hanno anche fatto
un'ecografia per
sicurezza. Ed è per questo che Camus adesso si trova nella
saletta accanto con
una flebo al braccio."
Milo corrugò la fronte.
"Co…?"
"Avresti dovuto vederlo, pensavo di essere in uno di
quei film americani, sai, dove il neo papà sviene per
l'emozione. Quando il
medico ci ha detto: State tranquilli,
messieurs
La-Rochelle, tutti e tre i vostri figli stanno benone, non hanno
risentito
della caduta, non ha retto allo choc ed è caduto
lungo e disteso a terra,
mancando per un soffio uno spigolo… non oso immaginare che
cosa succederà al
momento del parto." spiegò Mei. "Oddéi guarda che
faccia. Per favore,
non svenire anche tu o ritorno al punto di partenza."
"…tre?! Oh santi numi! Non sapevo neanche che fosse
possibile!"
Mei sorrise.
"Certo che è possibile: durante la prima visita,
mesi fa, nello studio della mia ginecologa c'era una donna con
gravidanza pentagemellare
frutto della fecondazione in vitro. Era incinta di almeno quattro mesi,
ma
pareva già al nono."
"Cinque bambini in un colpo solo…" mormorò
Milo, con uno strano tono di voce.
"Sì, ma le probabilità che succeda senza aiuti
clinici è pressoché impossibile. In effetti il
medico che mi ha visitata ha
detto che sono una delle poche pazienti con gravidanza trigemina
naturale,
perché di solito sono appunto il risultato di inseminazione
artificiale, che
non è il mio caso."
La porta della sala attigua si aprì, e Camus si
fermò
sull'uscio, reggendo l'asta porta flebo.
"Yasas, amico. Accidenti che faccia!"
Più pallido del solito, la camicia slacciata con le
maniche arrotolate e una flebo infilata nella piega del gomito.
Stravolto come
se avesse corso a piedi la 24 ore di Le Mans.
"…sbaglio o la dottoressa ti aveva detto di rimanere
disteso finché non fosse finita la sacca?"
"Cominciavo a innervosirmi." replicò Camus.
"Vi ho sentito parlare."
Mei gli andò incontro, circondandogli la vita con un
braccio.
"…uomini." sospirò. "Quella che deve
portare in grembo e partorire tre bambini sono io e quello che sviene
è lui. Sesso
forte un accidenti! Povera me."
"Certo che però è una bella botta, per forza che
è
svenuto."
"Ho avuto un leggero malore." specificò Camus.
"Niente di che."
"Sembravi Sad
Mac, ti mancavano solo gli occhi a x e la lingua penzoloni.
Coraggio,
avverto la dottoressa che la sacca è finita, ritiro i
documenti e andiamo a
prendere Lixue che sta per uscire da scuola. E allacciati la camicia,
altrimenti dovrò cavare gli occhi alle infermiere."
*
Lixue si dimostrò sorpresa e al tempo stesso parecchio
felice di trovare Milo all'uscita da scuola; decisero di passare il
resto del
pomeriggio in giro, intenzionati a comprare del cibo da asporto da
consumare
con Milo e Shaina, a cena.
"Mamma e papà ti hanno detto dei fratellini?"
domandò
Milo.
Lixue sorseggiò il frappé che lui, a insaputa di
Camus e
Mei, le aveva comprato in un fast food del centro commerciale.
"Sì."
"E sei contenta?"
La bambina rispose con un vigoroso accenno del capo, gli
occhi che le brillavano.
"Vorrei che fossero femmine tutt'e tre."
aggiunse, facendolo sorridere.
"Beh, immagino. Però non credo che tuo padre sia
della stessa idea, amore."
"Io vorrei tre sorelline perché voglio giocare. I
miei compagni di classe parlano solo di calcio, sono noiosi come Kiki."
In effetti Kiki, da ragazzino pestifero e sempre pronto
agli scherzi e alle battute di spirito, col tempo si era trasformato in
un
giovane assennato, in una sorta di copia adolescenziale di suo
fratello. A
volte gli sembrava di vedere di nuovo Mu quindicenne.
"Maschi e femmine hanno interessi diversi, dolcezza.
Non puoi pretendere di giocare con le bambole con i tuoi compagni
maschi."
Lixue lo guardò in tralice, in una perfetta imitazione
dello sguardo paterno.
"Guarda che sono una femmina ma non
gioco con le bambole. Quando cerco di parlare di arti marziali con
i miei compagni loro preferiscono parlare di calcio. I maschi sono
tutti
sciocchi e noiosi, non so cosa farmene."
"Hey, quindi io sarei noioso?"
"Ma tu non c'entri niente! Tu sei simpatico e sei
mio zio, non sei noioso."
"Ah grazie. Anche papà è un maschio. E' noioso
anche
lui?"
"No, lui no. Lui è il mio papà."
Milo le carezzò i capelli.
"Immaginavo. Lixue, stellina, capirai col tempo che
ehm… noi maschi non siamo tutti noiosi."
Col tempo, e con la maturità necessaria, avrebbe
rivalutato quel giudizio. Si appuntò mentalmente di
riparlarle di quella
conversazione, un domani, quando avrebbe avuto un ragazzo.
Ma evitò accuratamente di scendere in certi particolari,
o Camus gli avrebbe fatto lo scalpo.
"Sì, lo so, gli altri maschi servono per fare i bambini,
ma altrimenti non servono poi a granché."
Accidenti, quant'erano svegli i ragazzini delle nuove
generazioni. Lui, l'argomento sesso
l'aveva affrontato superati i quindici anni con le sue prime
esperienze, Lixue
era decisamente troppo troppo giovane per quello.
"…come, scusa?"
"Beh, le femmine non possono fare bambini da sole, i
maschi servono a questo, no? Anche zia Shaina l'ha detto."
Grazie mille,
tesoro, per avermi cacciato in questa situazione. Quella sera
avrebbe
scambiato un paio di paroline con l'interessata.
"…ah."
"A proposito, tu e Shaina quando farete dei
bambini?"
Avvampò, iniziando a guardarsi intorno alla ricerca dei
due amici.
"Ehm… non è così facile, tesoro." le
rispose,
facendo attenzione a cosa dirle, quasi intimidito da quegli occhietti
verdi e
vispi che non si perdevano neanche un'espressione del suo volto.
"Sì che lo è. Sei tu che non mi vuoi rispondere."
rispose Lixue.
Sì. Parecchio sveglia.
"Io e Shaina faremo bambini quando entrambi saremo
pronti." provò a spiegarle, suonando poco convincente anche
alle proprie
orecchie. Quando mai lui e Shaina
sarebbero stati pronti per dei figli? Probabilmente, mai. Forse nessuno
era mai
davvero pronto per avere figli.
"E' perché non siete sposati? Zio Shiryu dice che
è
vergognoso fare bambini se non si è sposati."
"Tuo zio dice un sacco di str...anezze."
le rispose. Ma che problemi aveva quel benedetto
ragazzo?
Lixue terminò il suo frappé.
"Io ho la soluzione: sposatevi!"
"Dolcezza, tu viaggi troppo con la fantasia."
"Guarda che è facile! Fate come mamma e papà: vi
sposate e fate bambini così giochiamo insieme."
Era proprio figlia di Camus. Testarda come lui, non c'era
nulla da fare.
"…e se andassimo a pattinare?"
Con sua grande sorpresa, Milo scoprì che il centro aveva
davvero una pista di ghiaccio installata per il periodo natalizio nella
piazza
più grande, la stessa che d'estate, come gli
spiegò una delle addette, ospitava
una piscina.
"…questi sono i tuoi pattini."
"Dovrei pattinare anche io? No, non se ne
parla."
*
"Allora, passato lo shock?"
Camus sorrise imbarazzato.
"Insomma… e il tuo malore?"
"Oh, niente di che, mentre aspettavo Milo ho fatto
un salto a un bistrot poco distante dall'ospedale e ho messo a tacere
il
problema con una demi-baguette crema e nutella."
Lo stomaco di Camus reagì con un grugnito poco fine a
quelle parole.
"…"
"Quando avremo finito qui, potremmo fare un salto a mangiare
qualcosa da Ladurée."
"Non tentarmi, o andrà a finire che da una quarantotto
divento una botte."
Mei frugò in borsa alla ricerca di qualcosa: una volta
trovata,
porse a Camus un involto da pasticceria.
"Allora faremo così: considerato che metterò su
altro peso nel corso dei prossimi mesi e che non si tratterà
sicuramente di un
paio di etti ma qualche chilo, possiamo approfittarne per mangiare un
po' di
cioccolato in più e perdere il peso in eccesso, dopo il
parto, con tante sane
sessioni di ginnastica da camera,
se
capisci che cosa intendo dire."
Lui aprì il pacchetto scoprendovi, all'interno, delle
tavolette
di cioccolato.
"Mezzo chilo di nocciolata
direttamente da Alba, tutto tuo." disse Mei, indicando con lo sguardo
le
cinque tavolette di cioccolato con le nocciole.
I suoi punti deboli, il cioccolato e le nocciole
italiane.
"Strega, ti
odio."
"No, non è vero, mi ami."
"…"
"Dunque, che cosa volevi farmi vedere?"
Le accennò con il capo l'esposizione di articoli
neonatali dietro di lei.
"La culla di Lixue l'avevo comprata qui. Ne avevo
ordinata una appena scoperta la gravidanza gemellare, e oggi
dovrò ordinarne
una seconda, altrimenti dovranno fare a rotazione per usarla."
scherzò
Camus.
"No, non è il caso. Santi numi, Camus… saremo una
coppia con quattro figli! Immagina la mattina di Natale quando ci
sveglieranno
quattro ragazzini urlanti."
"Festeggi il Natale?!"
"Non come lo festeggiava mia madre, sai che non sono
cristiana. Da quando c'è Lixue, ci siamo limitati alle
lucine colorate in giro
per la pagoda e i regali la mattina di Natale." spiegò Mei.
"Piuttosto
dovremmo pensare a una bella carrozzina trigemellare."
"Possiamo prenderne una doppia e usare quella di
Lixue."
Mei tastò la consistenza della testiera di una carrozzina
"a trenino" con tre posti.
"Il fatto è che non l'ho usata, l'ho sempre tenuta
nella fascia prima e nel marsupio dopo." spiegò Mei.
"Allora mi sa che le cose da comprare per il loro
arrivo sono più di quel che pensavo."
Lei sorrise.
"Caro mio, le cose non vanno mai come credi." il
trillo del cellulare le annunciò un messaggino di Milo che,
spiegava, avrebbe
portato Lixue a pattinare. "A quanto pare abbiamo ancora un paio d'ore
tutte per noi."
Camus corrugò la fronte.
"A dirla tutta non è proprio una bella notizia:
immagina i guai che possono combinare Lixue e Milo insieme. Potrebbero
demolire
l'intero centro commerciale."
"Esagerato."
"Ah dici? Poi non mi dire che non te l'avevo
detto."
"Ho fiducia nella maturità di Milo, impedirà a
nostra figlia di combinare guai."
"Oh, allora sì
che sono tranquillo!"
Mei rise, infilando nel carrello uno sterilizzatore per i
biberon.
"Suvvia, concedigli un po' di fiducia! Avevo uno di
questi al Goro-Ho, ma è quello che sterilizza con le
apposite cialde
effervescenti." spiegò. "Ho sempre desiderato averne uno che
sterilizza a caldo, mi fa sentire più sicura. Ah no, non
è il caso di comprare
altri bavaglini, a casa ne ho per un esercito intero."
Camus le mostrò la scatola di un altro apparecchio.
"Non sono pratico, ma l'aspetto di quest'affare non
è per niente rassicurante."
"E' un tiralatte." rispose Mei, con un brivido.
"Direi di passare al reparto successivo, se non hai niente in
contrario."
"Sicura? Potrebbe servir-… no, okay. No, mi sa
proprio di no."
"Decisamente no."
replicò Mei. "Scherzi a parte, ci serviranno dei vestiti per
bambini
prematuri. E, temo, qualche vestito premaman un po' particolare: tempo
un paio
di mesi e sarò grossa come una botte."
"Ma smettila di dire stupidaggini, sarai
bellissima."
Come no, con le
caviglie gonfie, le smagliature, la ritenzione idrica e i pit-stop
obbligatori
in bagno venti volte al giorno. Tuttavia, preferì
non dirgli nulla in
merito.
"Vedremo se alla prima occasione buona, con una
donna incinta in preda ai propri ormoni non te la svignerai a gambe
levate."
"Non succederà, te lo giuro."
"Rassicurante."
Si concessero ancora qualche minuto da soli, decidendo
poi di tornare dalla figlia e dall'amico, per evitare le catastrofi
tanto
paventate da Camus; arrivati alla pista, intravidero Lixue mentre
cercava di
convincere Milo a salire sul ghiaccio.
"Dovrei venire lì?"
"E dove altrimenti?" ridacchiò Lixue.
"Ma nemmeno per sogno."
"Fifone!" esclamò, guadagnandosi un'occhiataccia
in tralice.
"Nessuno può
chiamarmi fifone!"
Camus si sedette per infilarsi i pattini che aveva
noleggiato.
"Dovrò dargli qualche delucidazione su come non
farsi fregare da una bambina di sette anni, temo." sospirò.
"Non ti
dà fastidio aspettare qui, vero?"
"Figurati, almeno mi riposo un po'."
Milo si avvicinò tentennando alla pista, mettendo sul
ghiaccio un piede per volta.
"…ma chi me l'ha fatto fare?!" si lamentò,
guardando Lixue volteggiare con sicurezza. "Mi sembri decisamente a tuo
agio su questa trappola infern-aaaaaaaah!"
"Io non
strillo come una donnetta!" lo prese in giro Camus,
sfrecciandogli
accanto.
"Bravo, prendimi pure in giro. Ci sarà qualcosa in
cui sei una schiappa, non appena lo scopro avrai finito di vivere!"
minacciò Milo. "Ma tu sai pattinare?!"
"Ricordati dove mi sono allenato. So anche sciare e
usare le racchette da neve." rispose Camus.
"Ah già, dimentico troppo spesso che tu sei mister
Paraflu."
"Staccati dalla staccionata, è più facile di quel
che credi!"
Milo scivolò indietro, battendo il posteriore sul
ghiaccio.
"Spiacenti, io cedo le armi." berciò,
rialzandosi a fatica. "No, Lixue, non spingere!!"
"Sì tesoro, lascialo stare prima che scoppi in
lacrime."
"Sai Camus, sei simpatico come la sabbia bagnata che
si infiltra nel costume e ti gratta il sedere!"
"Perbacco Milo, quanta finezza."
Milo lo ignorò, preferendo uscire dalla pista, consegnare
i pattini e andare da Mei.
"Preferisco sedermi qui con te che rimanere ancora
là sopra col rischio di cadere di nuovo ed ammazzarmi."
commentò Milo,
sedendosi accanto a Mei. "Ahia! Accidenti, mi verranno dei lividoni
tremendi sul sedere, me lo sento."
"Beh, ottimo motivo per farti spalmare un unguento
da Shaina." ridacchiò Mei. "Comunque è in un
posto in cui non si
vedono, perciò…"
"Chi ti dice che non si vedono?" replicò lui,
sornione. "Chi ti dice che per arrotondare lo stipendio non faccia
lavori
in cui si vedono le mie grazie?"
Mei gli rivolse un'occhiata sorpresa.
"Ma và? Davvero? Dammi l'indirizzo del locale, mi
hai incuriosita."
"Ottava casa,
Santuario di Athena, Atene."
"Ah, fai tutto in proprio?"
Lui scoppiò a ridere.
"Mi spoglio solo per Shaina, per nessun'altra."
le rispose. "Non lo farei nemmeno per te, anche se ti voglio un bene
che
non t'immagini."
"Tanto per la cronaca, comunque… sei l'amico più
caro che ho, e non ci tengo a vederti sotto altri aspetti. Un uomo
già ce l'ho
ed è magnifico. E in costume da bagno è anche
più bello di te, quindi…"
"Hey bellezza, parliamone."
"No, non è il caso di parlare delle tue grazie.
Parliamo di te e Shaina, piuttosto. Io voglio dei nipotini, sai?"
Assottigliò lo sguardo.
"Scusa se te lo faccio notare ma è Shiryu che deve
darti nipotini."
"Infatti mio fratello diventerà padre a breve:
Shunrei è incinta di sette mesi." rispose Mei. "Ma io voglio
nipotini
anche da te. Insomma, riesco a immaginare noi quattro insieme, a cena,
con i
nostri figli che giocano insieme."
"Noi sei. Tuo
fratello non lo conti?"
Mei sospirò, scuotendo la testa.
"Mio fratello… paradossalmente siamo più uniti
quando siamo lontani migliaia di chilometri. Da quando mi sono
trasferita non è
mai venuto qui a Parigi a farmi visita, quando ci vediamo succede solo
ed
esclusivamente ad Atene." spiegò. "Ma per certi versi
è meglio così,
tutte le volte finiamo per litigare: sa esattamente quali tasti toccare
per farmi
arrabbiare."
"Il tasto,
vorrai dire. Sappiamo entrambi a cosa, o meglio chi
ti riferisci."
Già.
"Però, sei bravo."
"A far cosa, scusa?!" le domandò quindi Milo,
confuso.
"A cambiare discorso. Meno di un secondo per
spostare l'attenzione su di me quando invece stavamo parlando di te.
Dunque… tu
e Shaina. Quando, quando vi
deciderete, benedetti ragazzi?"
"Rallenta Lixue, stai andando troppo veloce."
Camus richiamò la figlia, che aveva iniziato a pattinare
più veloce di prima: quando
pattinava a Kobotec o ad Atene era da sola e, con un po' più
di attenzione
poteva anche permetterle di farlo, ma su una pista affollata era meglio
di no,
soprattutto da quando era arrivato un gruppo di adolescenti che,
facendo le
sciocche tra loro, avrebbero potuto urtarla e farla cadere. "Ci sono
troppe persone."
"Sì papà." obbedì Lixue, rallentando
per
aspettarlo. "A Kobotec potrò andare più veloce?"
"Ne riparleremo quando saremo a Kobotec, tesoro."
"Pensi che la mamma si
arrabbierebbe se decidessi di non fare più judo come lei?"
Camus corrugò la fronte.
"…perché mai dovrebbe
arrabbiarsi?"
"Perché so che per lei è
importante. E se poi mamma si offende?"
"Tesoro, per me e la
mamma tu sei importante.
Perché
vorresti lasciare il judo? Non ti piace più?"
"No, però mi piacerebbe
provare a fare anche altro."
Arrabbiarsi non si sarebbe
sicuramente arrabbiata, conoscendola. Forse sì, si sarebbe
un po' offesa,
avrebbe scioccamente avuto un calo dell'autostima, pensando che,
magari, come
insegnante non era così brava se persino sua figlia non
voleva proseguire con
la pratica del judo. Aveva imparato presto che una donna con gli ormoni
in
subbuglio era più suscettibile del normale.
"Beh, è bello avere tanti
interessi, Lixue. Secondo me dovresti prima provare il pattinaggio, con
calma,
e decidere più avanti che cosa fare seriamente."
La bambina parve pensarci su
qualche istante.
"…e a mamma non
dispiacerà?"
"La pratica di uno sport
è una cosa personale, sei tu che devi decidere cosa fare o
no." rispose
Camus, con attenzione. "Io e mamma possiamo solo limitarci a darti dei
consigli senza importi qualcosa che non riesci a sentire come tuo: non
è bello
fare qualcosa quando si è costretti."
Lixue guardò verso sua madre,
seduta al di là del parapetto che delimitava la pista di
ghiaccio, mentre
parlava e rideva insieme a Milo. Negli occhi, una strana malinconia.
"Ascoltami." le
disse, accucciandosi di fronte a lei. "Noi ti sosterremo sempre,
qualunque
cosa tu decida di fare: judo o quello che vuoi, a noi andrà
bene comunque."
La figlia annuì.
"Okay, allora. Andiamo,
mamma è parecchio stanca."
La conversazione con Milo,
notò Mei con una punta di curiosità, si
concentrò soprattutto sulla gravidanza,
sui suoi sintomi e su diverse cose strettamente collegate ad essa.
Sulle prime
la prese per semplice conversazione, ma proseguendo col discorso e con
le
domande dell'amico, Mei capì che quelle domande non erano
per pura e semplice
informazione, ma c'era dell'altro sotto.
Tuttavia, preferì non
indagare.
"…sfido io che eri
agitata: scoprire che l'utero ti ha fatto l'offerta tre
per due non dev'essere stato facile."
"No, a dire il vero sono
agitata per ben altri motivi, escludendo il parto. A gennaio, con
l'inizio del
nuovo anno solare, il dojo dove lavoro darà come ogni anno
una festa durante la
quale ci saranno le presentazioni del corpo docente e le dimostrazioni
per i
nuovi iscritti."
"E perché sei
agitata?"
"Perché queste
dimostrazioni le devono dare gli insegnanti: ogni disciplina ha
un'insegnante e
stanno già tutti pensando che cosa fare… il
problema è che io sarò di cinque
mesi e non posso fare movimenti troppo bruschi o strani."
"Oh. E questa festa è
aperta a tutti?"
"Sì, di solito è
organizzata in un piccolo palazzetto dello sport vicino al dojo,
abbastanza
capiente."
Milo le circondò le spalle,
allegro.
"Allora verrò sicuramente
a vederti."
"…vedere cosa?"
Alzarono lo sguardo su Camus,
che, consegnati i pattini, era tornato da loro.
"La festa del dojo del
prossimo mese." spiegò Mei.
"Lavoro, lavoro… quando
pensi a divertirti un po'?"
"Magari potessi
permettermi di divertirmi e basta. Bisogna pur lavorare, non campiamo
d'aria,
sai Milo? Mi divertirò quando sarò in
maternità."
"Ma come siete noiosi! E tu invece? Ti sei
divertita?"
Lixue guardò Milo e gli regalò un gran sorriso.
"Sì." rispose la bambina."Anche perché
c'eri tu!"
Le stampò un bacione sulla fronte.
"Grazie, gioia."
**
"…sai che questa sera Milo mi ha fatto un sacco di
domande strane?"
"Domande di che genere?" le rispose Camus, infilando
un segnalibro tra le pagine che aveva smesso di leggere.
"Shulla gravidansha."
replicò Mei, la bocca impastata dal dentifricio. "Shecondo me, gatta shi cova."
"Figurati, se fosse successo qualcosa non sarebbe
stato così tranquillo." conoscendolo, anzi, si sarebbe
dimostrato molto
agitato.
"Perché?! Sono sicura che sarebbe un ottimo
padre."
"Questo lo so, sai quante volte gliel'ho detto? Dice
che non si sente pronto ad affrontare una cosa del genere."
Mei roteò gli occhi.
"Nessuno è mai davvero pronto per affrontare
l'arrivo di un neonato: io non ero pronta quando è nata
Lixue e sinceramente,
lo devo ammettere, non sono pronta neanche ora che sono più
matura e preparata
rispetto a sette anni fa. Ho una paura tremenda. Mio fratello
sicuramente non è
pronto per diventare padre e beh, ammettilo, neanche tu."
"Io sono pronto." obiettò Camus, incrociando le
braccia sul petto.
"Oh, ma dai. Sei svenuto a un'ecografia! No che non
sei pronto."
Per forza: da un
figlio che avevano pianificato, erano passati parto gemellare per
arrivare a
ben tre bambini in un colpo solo.
Lei
e Milo lo prendevano in giro, eppure lo choc era la reazione minima a una botta del genere.
"…ti lascio immaginare! E comunque mi sa che neanche
Shunrei sia pronta: l'ultima volta che l'ho sentita al telefono era
arciconvinta di voler partorire a casa, senza alcun medicinale di sorta
ma solo
con la levatrice." stava dicendo Mei. "Pazza scriteriata, non sa
né
che cosa dice né a che cosa andrebbe incontro, altrimenti
col cavolo direbbe
sciocchezze di quella portata!"
"Ah no." rispose soprappensiero, cercando di
ritrovare il filo del discorso di Mei.
"Quando inizieranno i dolori del travaglio e quelli
peggiori del parto sarà la prima a gridare: l'epidurale!
Datemi l'epidurale!!! ci scommetto quel che vuoi."
"Probabile."
"No, è sicuro.
Quella pazza non sa a che cosa andrà incontro, pensa che
partorire sia tutto
rose e fiori: Jung-Sook ha partorito
diciannove figli eppure sua madre ha detto che non ha praticamente mai
sofferto!"
Camus impallidì.
"Diciannove… figli?!"
"Sì, tra gravidanze gemellari e non… era una
delle nipoti
dell'anziana del villaggio confinante, che morì ventott'enne
quando io ero
incinta di Lixue: ai funerali parteciparono anche gli abitanti del
villaggio
sotto il Goro-Ho. Dohko la conosceva, e ci raccontò che
aveva iniziato a far figli
molto presto e aveva trascorso gran parte della sua esistenza col
pancione. Era
considerata una specie di essere ultraterreno appunto perché
non sentiva né
fatica né dolore, la levatrice del villaggio racconta spesso
che in tutta la
sua vita non aveva mai visto una donna tanto insensibile ai dolori del
parto.
Io invece penso che fosse malata, sai, esiste una rara malattia
neurologica che
ti rende insensibile a caldo, freddo, dolore… non
è documentato perché
Jung-Sook non vide mai un medico in vita sua, ma una spiegazione ci
deve pur
essere. Insomma, Shunrei mi ha detto che se c'è riuscita
Jung, ci riuscirà
anche lei." spiegò Mei. "Alla fine che faccia ciò
che desidera, in
ogni caso rimarrà un'esperienza indimenticabile."
Senza epidurale, altro
che indimenticabile.
Camus riprese in mano il libro e lo sfogliò.
"Dovremmo pensare ai nomi, che dici? Siamo nel
secondo trimestre, possiamo tirare un sospiro di sollievo e scegliere."
Beh, il pericolo che la gravidanza s'interrompesse, in
effetti, era parecchio lontano, e nella sua famiglia non si usava
scegliere i
nomi prima della nascita, ma sorrise al compagno e
l'assecondò.
"Ma… è quasi mezzanotte ed è stata una
lunga
giornata, siamo stanchi… sicuro di voler scegliere proprio
stasera? Insomma, la
stanchezza è una cattiva consigliera."
"Non ho detto di scegliere,
ma di pensare, ai nomi."
specificò Camus.
"…d'accordo." capitolò Mei.
"Oh, bene!" Camus sorrise contento. "Ecco,
nella famiglia di mio padre si è sempre usato dare il doppio
nome, quindi pensavo
che se per te andava bene, potremmo farlo anche con loro: Lixue stessa
ha due
nomi, no?"
"…sì."
"Allora possiamo sceglierne uno francese e uno
cinese. Immagino che tu ci abbia già pensato."
"In realtà prima dobbiamo vedere se il bambino di
Shiryu e Shunrei è maschio o femmina: perché nel
primo caso, il nome di nostro
padre lo userebbe lui. Se invece capitasse una femmina, come credo, Wei-He potrò usarlo io."
spiegò
Mei.
"Come fai ad essere sicura che sarà una
femmina?"
"Perché tutti i figli primogeniti dei ShuFang sono
sempre state femmine." rispose Mei.
Camus fece mente locale.
"Aspetta… i tuoi nonni hanno avuto due maschi o
sbaglio?"
"La primogenita era una femmina, ZhenZhen,
che però nacque morta. Perciò
tu conta Wei-He nella rosa dei nomi."
"D'accordo. Allora io pensavo: Arielle, Athenaïs,
Bérengère… o Céline…
Céline è
bello, significa celeste, celestiale."
Camus partì in quarta, sfogliando il libro nei punti in cui
aveva appiccicato
del post-it a mo' di segnalibro. "Jacqueline?
Séraphine? Sophie? Sophie mi piace moltissimo
e… che c'è?!"
"Bére…che?!"
"Bérengère, è un nome di origine
germanica composto
da bern e gar,
e il significato del nome può essere interpretato come lancia dell'orso o valoroso
guerriero."
"Sei serio?"
"Assolutamente."
"Possiamo ancora discutere riguardo Séraphine
o Sophie, ma gli altri scordateli."
Camus tolse il segnalibro da una pagina.
"C'est
bon. Allora se sono femmine Séraphine, Sophie e…"
"Joséphine."
interloquì Mei, attirando immediatamente la sua attenzione.
"Non pensavo ti piacesse." replicò lui dopo
qualche istante, i lucciconi agli occhi.
"Ti ho mai fatto pensare il contrario? Così in un
sol colpo otterremo la benevolenza di Degél, di tua mamma
e… beh, di chi? Hayao
Miyazaki?" disse, ridacchiando sull'ultima frase. "E… se
fossero
–povera me- tre maschi, invece?"
"Oh, quelli sono facili: Mikhail, Thomas e Mathieu."
Stavolta Mei sgranò gli occhi.
"…credo di non aver capito bene, c'era il rubinetto
aperto e non ho sentito."
"Mikhail, Thomas e Mathieu." ripeté lui,
paziente, ignorando il sarcasmo nelle parole di Mei. "Mikhail
è un nome
che adoro."
"Oh. E in questo caso, otterremmo la benevolenza di
Baryshnikov ed Edison?!"
"Converrai con me che sono due uomini che han fatto
la storia, nelle loro arti."
"…"
"Sei libera di dare suggerimenti, sai, se le mie
scelte non ti piacciono."
Mei lanciò un'occhiata al dizionario
dei nomi che Camus teneva aperto sulle ginocchia e
sospirò: anche lei ne aveva in mente alcuni, ed era chiaro
che ne sarebbe nata
una discussione piuttosto lunga.
"Dimmi, non era tua madre quella fissata con i nomi
strani?" sorrise, mettendosi a letto. "Ascolta, abbiamo ancora tanto
tempo prima che vengano al mondo, possiamo pensarci con calma senza
litigare."
Camus ripose il libro sul comodino e si distese accanto a
Mei, allungando poi la mano per posargliela sul ventre.
"…è troppo presto per sentire i loro
movimenti."
"Se ti dà fastidio, tolgo la mano."
Mei gli strofinò una guancia, sorridendogli e posando una
mano su quella di Camus.
"Ma no, sciocco."
La sua espressione era cambiata repentinamente,
diventando pensierosa, e Mei non seppe come interpretarla.
"Qualcosa non va?"
Si fece più vicino, posando la testa sul suo seno, la
mano sempre ferma dov'era prima.
"Niet."
"Oh, siamo passati al russo?" ridacchiò Mei,
scompigliandogli
i capelli. "Quanto sei sconvolto da uno a dieci?"
"Cento, almeno a giudicare dalla pessima figura di
stamattina in ospedale."
A ripensarci a pericolo scampato, quella scena la faceva
ancora ridere: la faccia di Camus alla notizia era stata impagabile.
"Perdonami, vorrei tanto non ridere, eppure è più
forte di me. Oddèi Camus, dì qualcosa, mi stai
facendo preoccupare."
"Credo di essermi appena reso conto di quel che sta
succedendo."
Alla buon'ora.
"Benvenuto nel club allora, io me ne son resa conto
già da qualche settimana."
"Smettila di prendermi in giro, ho davvero paura."
"E di che?!"
"Di sbagliare, ad esempio. E soprattutto, di non
essere un buon padre."
Ma che sciocchezza. Gli strofinò la schiena cercando di
tranquillizzarlo.
"Sbaglieremo entrambi, Camus, siamo umani. E per
quanto cercheremo di non commettere errori, purtroppo, qualcuno lo
commetteremo
e la sola cosa che possiamo sperare è che siano bazzecole e
non danni irreparabili.
E per quanto riguarda la paternità, tu sei già un
ottimo padre, guarda com'è
Lixue! Non ce l'avrei mai fatta senza di te, il tuo supporto
è stato indispensabile!
Oh, dai, non fare quella faccia. Andrà tutto bene, siamo una
famiglia, non ci
serve nient'altro."
Dopo quella che le sembrò un'eternità, Camus
annuì.
"Joséphine e
Alexandre ti piacciono, dunque? Non
so perché, qualcosa mi dice che saranno di buon auspicio."
"E sia. Spero davvero che il tuo intuito non
sbagli."
***
Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 13
settembre 2015)
-Jean-Éric
Vergne è un pilota F1 che
corre per la Francia.
-La 24 ore di Le
Mans è invece un
è
una famosa gara di durata di automobilismo che
si svolge annualmente nei pressi di Le Mans,
in Francia.
-Sad Mac è o
meglio, era, era
un
simbolo che veniva utilizzato sui computer Macintosh
per indicare problemi a
livello hardware durante
l'avvio del computer (grazie a
Wikipedia e a una puntata di Sex and The City per l'informazione).
-Nessuno
può chiamarmi fifone è, ovviamente
una delle battute più famose
di Marty McFly di Ritorno al Futuro.
-Io non strillo
come una donnetta è l'esilarante
battuta di Chi-Fu (soprattutto perché seguita da uno strillo
parecchio
femmineo), nel film Disney Mulan.
-Sophie
è la protagonista del Castello
Errante di Howl di Hayao Miyazaki.
-Mikhail
Baryshnikov è… vi rimando
alla pagina Wiki (o cercatelo su Google), non
saprei come descrivere con la dovuta giustizia questo grande artista.
Dopo aver
allegramente emulato capitan ovvio, lascio i dovuti ringraziamenti!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 26 *** Wishin' and hopin'. ***
capitolo 26 principale
26.
Wishin'
and hopin'.
...piano
piano te ne vai
e
non so raggiungerti
cosa
chiedono i figli (...)
la
liberta' di essere diversi
[Pooh - Figli]
21 dicembre.
Ma chi me l'ha
fatto fare? La prossima volta chiamo dei professionisti e faccio prima.
"Quindi tu sei proprio sicuro sicuro che il commesso
ti ha dato il colore giusto?"
Camus guardò interrogativo la striscia di parete appena
tinteggiata, confrontandone il colore con il tester allegato al buono
d'ordine.
"A questo punto, no." sospirò. Avevano
trascorso parecchio tempo al Leroy Merlin per scegliere il colore
giusto da dare
alle pareti della cameretta dei gemelli e per cosa?
"Va beh, a me sembra uguale a quello che aveva
scelto Mei, magari non se ne accorge." Shura fece spallucce.
"E' una donna, è geneticamente programmata
per riconoscere a colpo d'occhio la differenza tra l'azzurro
polvere che aveva scelto e il fiordaliso
che invece gli hanno
rifilato." rispose Milo. "A questo punto tanto vale continuare, no?
Altrimenti che fai, riporti la latta iniziata in negozio? Lasci la
parete
grezza per tre quarti?"
Lo sguardo interrogativo lasciò il posto a uno
sconsolato.
"No, la prossima volta lascio la stanza così
com'è,
con la carta da parati che avevano scelto i miei genitori: è
stato più facile addestrare
due allievi." commentò infine.
"Era una carta orrenda." interloquì Milo,
ricordando la carta da parati viola e lilla a motivi cachemire.
"Sentite, io mi prendo una pausa. Vi va una
birra?"
Era appena entrato in cucina quando sentì la voce di Mei
dal corridoio.
"...ah però. Si batte la
fiacca qui, mh?"
"Ci stiamo riposando."
Mei fece capolino nella stanza e corrugò la fronte.
"...avete si e no imbiancato due metri quadri di
parete e già vi riposate?!"
Camus le comparve alle spalle, con una confezione di
lattine in mano.
"Intanto siamo io
e Shura quelli che stanno
lavorando,
perché Milo sta lucidando la sedia a dondolo col suo sedere."
"...hey, e quella cartaccia orrenda chi l'ha
tolta?"
Shura roteò gli occhi.
"Questo, ieri. Oggi non hai mosso un dito. E poi,
capirai che gran lavoro, strappare un po' di carta dal muro..."
"Il lavoro c'è e non si vede: non hai notato lo stucco
qua e là e l'impregnante." asserì Camus, con fare
orgoglioso.
"...dimentichi il fasciatoio, amigo.
E quella dannatissima giostrina che girava al contrario."
Mei alzò le mani in segno di resa.
"Oh, scusate tanto." replicò, avvicinandosi
alla parete, puntellata qua e là delle chiazze bianche di
stucco. "Ma...
sbaglio, o questo non è il colore che avevo scelto?!"
Milo ridacchiò.
"Però, non ti sfugge niente!"
"Io non sono Shiryu, la mia vista funziona ancora bene."
"Come puoi vedere, avevo fatto delle prove
aggiungendo un po' di bianco alla tinta originale, ma i risultati erano
del
tutto insoddisfacenti." le spiegò Camus. "Così
alla fine ho deciso di
stenderlo così com'è."
Un luminoso color fiordaliso che non era neanche così
male, a dirla tutta, anche se avrebbe preferito la sfumatura di azzurro
che
aveva scelto.
"Non sembra malaccio però, quindi se per te va bene
possiamo tenere questo colore."
Camus emise un sospiro di sollievo.
"Speravo
me lo dicessi."
"..."
"Che c'è? Avresti voluto una parete bicolore?"
"Oddèi no." rispose Mei, squadrandolo poi da
capo a piedi, soffermandosi sulla salopette di tela che stava usando
per
lavorare. "Mentre voi siete impegnati a fare i sexy addetti alla
cameretta, io vado di là a sbrigare due o tre cose per
Lixue."
"quoi...?!"
"Non farmi dire cose che non posso pronunciare ad
alta voce, per favore."
"Ah, io non mi scandalizzo." interloquì Shura.
"Tu no, ma lui diventa color carminio se insisto."
Milo scoppiò a ridere.
"Eh, io so che cosa pensi: sotto la tuta,
niente."
"Ma cos'è, mi leggi nel pensiero?"
"Le grandi
menti pensano allo stesso modo."
Camus guardò entrambi prima di rivolgersi a Shura.
"Qualcosa me lo diceva, che prendermi una donna
dello scorpione mi avrebbe cacciato nei guai." sospirò.
"Perché sono troppo dirette?"
"No, perché gli ricordo che anche lui ha dei
sentimenti." replicò Mei prima di sparire in cucina.
Bando alle ciance,
si disse, mettiti all'opera: doveva
ancora preparare i biscotti che Lixue avrebbe dovuto portare a scuola
per la
festa prenatalizia della sua classe.
"Ho visto che avete addobbato casa per le
feste." proseguì Milo dopo qualche istante, mentre Mei, in
cucina,
spignattava con un lp in sottofondo.
"Sì. Ma non festeggiamo il Natale in senso proprio,
diciamo che è più una cosa consumistica." rispose
Camus, con una smorfia.
"Credo che Lixue ami le lucine, le arance candite, le candele e i
regali
la mattina del venticinque, tutto qui."
"Un po' come la cena che organizziamo noi al
Santuario."
"Un po', sì, ma con l'aggiunta dei regali. Ah, tra
le righe, Lixue festeggia anche il Natale russo e il capodanno cinese,
quindi
tripli regali."
"Furba lei." ridacchiò Milo.
"Mah sì, è anche giusto che si goda
quest'età.
Quando io avevo la sua età altro che regali."
commentò Camus. "Avevo
già un'armatura addosso."
"Tutti noi l'avevamo. Hai ragione, sai... meglio
lasciarla tranquilla, non sarà per sempre una bambina e... "
"Non me lo ricordare. Temo già il momento in cui
farà armi e bagagli per andare via di casa..."
"Accidenti Camus, ha solo sette anni, calmati un po',
mica si sposa domani!"
"Figurati, il giorno in cui si sposeranno i figli
minimo gli prende un infarto secco." rise Shura.
"Poco ma sicuro, soprattutto con le figlie
femmine."
"...sì, e Mei per i maschi."
"Ti sembrerà strano ma a differenza di tante mamme
cinesi e non, Mei non è così apprensiva. Sono
certo che darà loro i soliti
buoni consigli che in certi casi le mamme non possono non dare e poi
aspetterà
i nipoti." replicò Camus. "E allora sì che
diventerà
apprensiva."
"Iniziamo col diventare ancora genitori, poi, fra
trent'anni o giù di lì discuteremo anche di
questo." interloquì
l'interessata, portando loro caffè e biscotti.
"Trent'anni? Così tanto?!"
La mattina dopo, con la luce naturale che filtrava dalle
finestre, Camus decise che avrebbe dato una seconda passata di pittura
al muro,
grato al fatto che Mei non gli avesse imposto di cambiare colore.
"Siamo a buon punto, mancano gli ultimi dettagli e
poi la camera è a posto."
"Ne sono felice." commentò Mei, sbadigliando.
"Ho già incaricato mio fratello di portare i Ba Gua al
tempio taoista per
farli benedire, sinceramente mi sento troppo spossata per affrontare
una salita
di quel genere."
"A tal proposito, penso che faresti meglio a
prenderti una pausa."
"Manca ancora un bel po' alla maternità." gli rispose.
"Anzi,
grazie per avermelo ricordato, mi sono informata giusto in questi
giorni."
La guardò alzarsi e andare in camera, per poi tornare con
una bustona gialla.
"Sono serio."
"Anche io. Non posso prendermi una pausa così lunga, non
posso permettermi
di perdere il lavoro, soprattutto in questo momento."
"Con il mio stipendio possiamo..."
Lo zittì, determinata.
"Abbiamo affrontato questa conversazione già una
volta, e come allora la mia risposta è no.
Non intendo lasciare il lavoro, non intendo stravaccarmi sul divano
fino alla
loro nascita. Conosco i miei limiti, saprò da me quando
sarà il momento di
staccare la spina e rilassarmi. Fino ad allora, lavorerò e
contribuirò a
mandare avanti questa casa e la nostra famiglia. Punto."
Camus proruppe in un sospiro, appoggiandosi al frigo.
"Accidenti quanto sei testarda."
"...è la mia natura. Mi ameresti, se non fossi
così?
Mi ameresti ugualmente?" gli rispose, ottenendo in risposta
un'occhiata.
"Dai... Tia Dalma, Davy Jones... non ricordi?"
"Sì. Un altro elemento da aggiungere alla tua lista
dei difetti: faccia da polpo.
Tornando seri... hai più saputo niente riguardo il nome di
tuo padre? Insomma,
a sette mesi Shunrei dovrebbe già sapere se aspettano un
maschio o una
femmina."
Mei ripose i sacchettini con i biscotti cucinati la sera
prima in un grosso sacchetto di carta, facendo attenzione.
"Secondo l'anziana del villaggio Shunrei aspetterebbe
un maschio, quindi per evitare altre scenate di mio fratello ho deciso
che
aspetterò la nascita di mio nipote per sapere se possiamo o
no utilizzare quel
nome."
"...oh mia dea." sospirò Camus. "Non dirmi
che credono davvero a quella donna."
"Ha detto che
la mia pancia è a punta, quindi sarà maschio!"
Mei ripeté le stesse parole
sentite da Shunrei al telefono, pochi giorni prima.
"Eh?"
"Sai, narra una leggenda metropolitana che se il
ventre di una donna incinta è tondo il feto è
femmina, se è puntuto, è maschio.
Tutte stupidaggini, per Lixue avevo il ventre a punta, figurati. Io e
Dohko
invece siamo seriamente convinti che sarà una femmina."
"Basterebbe un'ecografia per confermare."
"Dimentichi che in Cina ai medici è proibito rivelare il
sesso del
nascituro. Poi ovviamente c'è chi pagando in nero riesce a
saperlo, ma per legge,
per evitare aborti selettivi, le madri restano col fiato sospeso fino
al
momento del parto." rispose Mei.
"Oh, già... dimenticavo."
"Siamo quasi nel 2012 santi numi, possibile che sia
ancora così ingenua da credere a sciamani e guaritori?!"
"Non per essere sgradevole, ma tu credi ancora negli
spiriti."
Mei alzò gli occhi al cielo, posando a tavola il piatto
con la colazione calda di forno.
"Un
uomo stava posando dei fiori sulla tomba della moglie, quando vide un
uomo cinese mettere un piatto di riso sulla tomba accanto: mi scusi, lei
pensa davvero
che sua moglie verrà a mangiare il riso? gli
domandò con aperto sarcasmo. Sì.
rispose il cinese, quando la sua
verrà ad odorare i fiori."
Morale
della favola: rispetta il prossimo.
"Lixue,
la colazione è pronta!"
Non rispose, preferendo troncare sul nascere l'ennesima
discussione sulle reciproche credenze; si dedicò al suo pain
aux raisins e
seguì con lo sguardo ciò che stava facendo,
armata di calendario, agenda e
diversi opuscoli informativi.
"...c'è qualcosa che non va?"
"Nulla, stavo prendendo alcuni appunti riguardo il
congedo di maternità, che qui, a quanto pare, ho il diritto
di prendere."
gli rispose. "Lixue!! La colazione! Stavo pensando che con tre pargoli
in
arrivo, la cosa migliore sarebbe suddividere le sedici settimane che mi
spettano in sei prima del parto e dieci dopo..."
"E se facessi il contrario?"
"Apprezzo la tua preoccupazione, ma credimi, è
meglio dopo. Già con un neonato in casa c'è da
impazzire, immagina tre.
Soprattutto, immagina tre neonati e una bambina di sette anni."
"Ti avevo già detto che ci sarò io a casa, a
prendermene cura."
Lixue seguì la discussione con interesse.
"Aiuterei io papà."
"Ne sono sicura, tesoro." le sorrise Mei, prima
di abbassare la voce per non farsi sentire da Lixue, occupata a
consumare la
sua colazione. "Ti ho già detto che da solo, per quanto
armato di buoni
propositi, non ce la faresti. E, permettimi di dirlo, men che meno con
l'aiuto
di una ragazza che di neonati ne sa quanto io ne so di fisica
quantistica."
"Freya sarebbe un ottimo aiuto, invece."
Quanto accidenti era testardo.
"Ascolta, le voglio bene, davvero. La reputo una
buona amica e una brava, bravissima ragazza ma... non credo ci sappia
fare con
i neonati."
Camus accantonò la tazza vuota, continuando a fissarla.
"Nessuno nasce già istruito."
Certo che no, ovviamente, solo le divinità nascevano
già
onniscienti e onnipotenti. Ma era sinceramente restia ad affidare i
suoi figli
a chi di neonati non capiva niente.
"...e sono certo che quando hai avuto Lixue, non
sapevi né che fare né come comportarti con lei."
"Per una donna che sta per diventare madre è
decisamente diverso, e non parlo dell'istinto materno, che
può anche non
esserci: io ho avuto e ho nove mesi per prepararmi. Freya, quando
diventerà
madre... perché succederà anche a lei, non si
prenderà personalmente cura dei
figli. Come la sorella, li affiderà alle cure di una
bambinaia."
"Dunque visto che io, come uomo, sono fisiologicamente
impossibilitato a concepire e portare avanti una gravidanza, sono
considerato
alla stregua di un inetto."
"Camus, tu hai cresciuto due allievi, direi che la
preparazione ce l'hai eccome."
"Dopo i primi giorni di panico imparerà anche Freya
a prendersi cura di un bambino, servirà a noi per prendere
un po' di fiato e a
lei per imparare." rispose Camus. "Ho commesso errori anche io,
sai?"
Lei sospirò.
"...Hyoga è cresciuto benissimo, direi: è un
ragazzone di un metro e ottanta sano come un pesce."
replicò,
sparecchiando. "...se poi è affetto da qualche turba
psichica che riesce
magistralmente a nascondere al mondo, allora, è un altro
discorso."
"Continuo a ripeterti che sei ostinata."
"Lo so." sorrise Mei. "E' una delle mie
migliori qualità."
"Migliori? A volte mi sembra di parlare con tuo
fratello."
"Sai che basterebbe una sola parola e potrei davvero
iniziare a comportarmi come Shiryu? Non c'è problema, chiedi
e ti sarà dato."
"Per l'amore di Athena non farlo, ti prego."
interloquì Hyoga, arrivando dalle sue stanze. "Per favore
no, non
diventare saccente come Shiryu."
"Saccente sarebbe il minimo.
Potrei diventare sgradevole come lui."
Hyoga si servì una tazza di tè dalla teiera
tenuta in
caldo sul samovar e l'allungò con l'acqua calda che
spillò da esso.
"Ah perché, fin'ora come sei stata?"
"Silenzio."
sibilò Camus.
"Si, maestro."
rispose Hyoga, cercando di non scoppiare a ridere.
"Ti riempio la
minestra di lassativo, stai attento."
"Vladeyet
frantsuzskim, pozhaluysta." [Parlate
francese, per favore.]
Si girarono entrambi di scatto, confusi.
"...co-?"
"Non eccitarti troppo, è una delle pochissime frasi
che conosco." rispose Mei. "Insieme a: menya
zovut Mei e qualcos'altro non so dire bene." [Mi chiamo Mei]
Inarcò un sopracciglio: gli ricordava sé stesso
ai primi
appelli orali di tedesco.
"Le mie orecchie!! Hai stuprato le mie
orecchie!!" esclamò Hyoga, accasciandosi a terra con un
gesto teatrale.
"Oh Athena, ha stuprato le mie orecchie! Aiutami, mia dea, ti imploro!"
Ancora sorpreso per ciò che aveva detto Mei, Camus si
schiarì la voce.
"...e dove... come ti son saltate in mente certe
cose?"
"Freya e un frasario di
russo a volte fanno miracoli."
"Non proprio, la tua
pronuncia è da rivedere."
"Che cosa sarebbe, un
eufemismo per dirle che la sua pronuncia fa pena?"
"Hyoga, ti avverto, non arriverai vivo al
prossimo compleanno."
lo minacciò Camus. Non sortì l'effetto sperato
però, perché Hyoga cominciò a
ridere dietro la sua brioche. "Diciamo che... eh...
bisognerà lavorare un
po'..."
"Un po' tanto... ahia!"
"...sulla pronuncia."
Mei si voltò dopo aver
sistemato i piatti sporchi in lavastoviglie.
"No, tranquillo, non è il
caso. Non so come facciate voi due a parlare una lingua tanto dura...
non fa
per me." rispose. "Beh, farò meglio a sbrigarmi o
arriverò tardi.
Buona giornata! Lixue, sei pronta?"
"Hai sentito anche tu
quello che ho sentito io?"
"Sì, ma so io come farle
cambiare idea."
*
Santuario, ottava casa.
Mei impiegò qualche istante,
come sempre, a riprendersi dal teletrasporto.
"...tutto bene?"
"Insomma... tu vai più veloce di Camus."
"Hey, il mio ego potrebbe
risentirne! A proposito di Camus... mica sospetta qualcosa?"
"No, direi proprio di
no." rispose Mei, appendendo il cappotto all'appendiabiti. "Ho
accompagnato Lixue a scuola e crede che sia al lavoro, come sempre."
"Il dojo è aperto anche se
mancano due giorni a Natale?"
"Sì, ma solo per funzioni
amministrative e di contabilità. Abbiamo almeno due ore
tranquille."
Milo sorrise, togliendosi la
felpa.
"Bene, anche Shaina non
c'è, quindi..."
Mei si accomodò sul divano,
guardando Milo prendere qualcosa da un cassettone.
"All'agenzia di viaggi che
ho consultato ho trovato diverse soluzioni interessanti e ne ho prese
in
considerazione due, una della durata di circa otto giorni e l'altra di
circa quattordici."
le spiegò, porgendole due grossi plichi. "Entrambe hanno a
che vedere con
la mitica Route 66."
Un viaggio molto interessante,
a giudicare dall'opuscolo: non aveva mai visitato gli Stati Uniti e in
un certo
senso invidiava Camus, che in un modo o nell'altro si sarebbe goduto
quel
viaggio particolare.
"Pensare che la mia idea,
inizialmente, era quella di prenotare un viaggio sulla Transiberiana,
considerando che ama quei posti. Ma... come sempre succede con Camus,
ho
scoperto che aveva già affrontato quel viaggio. Due volte.
Così sto accarezzando
l'idea della Transmongolica o in alternativa della Transmanciuriana,
che al
contrario, non ha mai fatto."
"Sarebbe una bella idea
per il viaggio di nozze." suggerì Milo.
Mei arrossì, schiarendosi la
voce.
"Mi imbarazza un po', ma
volevo chiederti in prestito la casetta a Milos, per il viaggio di
nozze. Non
si tratterebbe di chissà quanto tempo, solo qualche giorno,
ma... insomma,
Milos mi è rimasta nel cuore."
"Considerati già lì."
sorrise Milo.
"...ti ringrazio." Mei
rispose al sorriso. Riprese a guardare le foto del viaggio in moto e
scosse la
testa. "Allora non scherzavi quando dicevi che per l'addio al celibato
avevi pensato a un viaggio in moto!"
"Certo che no! Ma tutto
dipende da quanto tempo decidiamo di investire. L'itinerario
più lungo ha come
punto di partenza Chicago e termina a Los Angeles, quello
più corto, parte da
Los Angeles e termina a Las Vegas, ma è più
interessante perché passa per Palm
Springs, la Monument Valley e il Grand Canyon. E forse per te
è il meno
impegnativo perché così rimarresti meno tempo
lontana dai bambini."
Tolse lo sguardo da una foto
che aveva catturato la sua attenzione, un meraviglioso tramonto sul
Grand
Canyon, e lo posò sull'amico.
"...cosa?!"
"Beh, cosa credevi, di
rimanere a casa?"
"Tecnicamente è l'addio al
celibato di Camus, io che c'entro?"
"Dai, quando ci ricapiterà
un on the road sulle Harley, noi quattro insieme? E poi, vorrai mica
dirmi che
preferiresti un noiosissimo addio al nubilato alla spa a farti le
unghie e gli
impacchi ai capelli."
Aveva pensato più a un'isola
esotica, sotto un gazebo in riva all'oceano, niente pensieri e niente
problemi...
"...unghie e capelli no,
ma l'idea di un bel massaggio non mi dispiace. Vorrei infine farti
notare che
non ho la patente per le moto."
"Tu no, ma noi tre sì. Ma
tranquilla, esistono le moto a due posti, sai." Milo si
allungò verso di
lei, con fare sornione. "E se ti dicessi che un paio di tappe potrai
farle
insieme a me?"
Posò il plico sul tavolino,
sorridendo.
"Sulla tua moto?"
"Beh, e dove altrimenti?"
"Stretta stretta a
te?"
"Direi proprio di
sì."
"Ah, avevo capito bene. E
dimmi, esattamente in che modo questo dovrebbe incentivarmi?"
"Già il solo fatto di
poterti stringere a questo bellissimo esemplare di maschio greco
dovrebbe
essere un validissimo
incentivo."
Gli rispose con un ghigno
divertito che si trasformò in una risata.
"Posso disturbarti?"
Camus levò lo sguardo dallo schermo del pc e, togliendosi
gli occhiali da riposo, dedicò la sua attenzione al ragazzo.
"Non mi disturbi, a dire il vero." gli rispose,
strofinandosi gli occhi. "A maggior ragione se porti tè e
dolci. Dimmi."
Hyoga posò una tazza e un sacchettino sulla scrivania;
sottobraccio, un quaderno ad anelli.
"...è per la bozza della tesi: l'ho controllata
più
volte, eppure credo ci sia ancora qualcosa che mi sfugge." rispose,
porgendo un plico a Camus che nel frattempo aveva allungato la mano.
Un fascicolo di circa cinquanta pagine, stampato alla
bell'e meglio con la stampante di casa, che Hyoga aveva rilegato con
dello
spago e che aveva già, effettivamente, ricontrollato, almeno
a giudicare dai
segni e dai cerchi rossi sparsi qua e là.
"...per fortuna è scritto al computer."
commentò Camus.
"Perché?"
"Beh, parlo e scrivo in russo da quando ero un
tenero virgulto, ma il tuo russo corsivo è atroce anche per
me."
Hyoga sorrise.
"...scrivo male mh? In effetti non sei il primo che
me lo fa notare."
"Male? Che sciocchezza è mai questa? Scrivi anche
fin troppo bene, la tua calligrafia è sbalorditiva."
"Ho avuto un ottimo maestro."
"Ah no, non attribuirmi meriti che non ho. Va bene,
dai. Lo controllerò sicuramente, appena avrò
terminato questo capitolo: mancano
ancora sei pagine e poi, per quest'oggi, basta lavoro." gli
spiegò.
Un discreto bussare li distrasse.
"E dove potevo trovarti, se non qui?" sorrise
Mei, facendogli la stessa battuta che le aveva fatto tempo prima. "Vedo
che avete da fare, vi lascio tranquilli mentre io vado a farmi una
doccia prima
di andare a occuparmi della cena: sono passata dal tuo ristorante
preferito,
mentre tornavo a casa."
"Quale dei tanti?" le domandò, facendole cenno
di avvicinarsi.
"Uhm... vediamo se indovini da solo: briouat di
pollo, tajine vegetariana e couscous
seffa."
Le circondò la vita, appoggiando il capo contro il suo
ventre.
"Ora capisci perché l'ho sposata?"
Hyoga corrugò la fronte.
"Per una cena marocchina?!" domandò. "Ti
sei sposato questa palla al piede per una sciocchezza del genere?
Potevi
semplicemente chiamare il ristorante e farti consegnare l'ordinazione a
domicilio: insieme alla cena ti avrebbero portato anche il
tè alla menta e i kaab el ghzal."
Mei gli rispose con un sorriso che Hyoga trovò
inquietante, enfatizzato dal suo totale silenzio.
"...conosci la storia di Giovanni Senzaterra,
Hyoga?"
"...ehm... vagamente, mai stato bravo in Storia."
"Au
dessous du pire, on l'appellera messire,
le roi de mauvais aloi." canticchiò Camus. "Il
fratello di
Riccardo Cuor di Leone."
Il ragazzo fece mente locale.
"Ah! Adesso ho capito. Perché me lo chiedi?"
"Perché prima o poi porrò fine alla tua esistenza
nello stesso modo in cui il fato ha messo fine alla sua."
"...mi conficcherai una lancia nell'occhio?"
Camus si prese il volto tra le mani, sospirando.
"Intanto si trattava di Enrico II di Francia e non
era una lancia ma bensì una scheggia,
partita
da un avversario durante una giostra...
Giovanni Senzaterra è morto di dissenteria."
"..."
"Sì, appartengo alla vecchia scuola del lassativo
nella zuppa."
"Smettila Mei. Se mi accorgo che rovini i miei
capolavori culinari, per te saranno guai." Camus la minacciò
scherzosamente.
"Uh, guarda quanta paura sto provando." gli
rispose. "Pensa al tuo allievo ignorante, non pensare ai miei
metodi."
"Già, tornando sul discorso... buon cielo, Hyoga, e
tu davvero vorresti insegnare?"
"Anche fosse insegnerei lingue straniere. Ma hai
ragione, andrò a ripassare quanto prima."
Mei finse un colpo di tosse.
"Ignorante."
"Hey, una svista può capitare a chiunque!"
protestò Hyoga, prima di rivolgersi a Camus. "Fammi sapere
che cosa ne
pensi, okay?"
"Certo."
"Puoi rimanere, Hyoga, stavo andando a farmi una
doccia, parlate pure con calma." sorrise Mei, sciogliendosi
dall'abbraccio
di Camus.
"A dire il vero avevamo finito, gli ho solo chiesto
un favore."
Camus guardò la busta con i documenti relativi
all'iscrizione di Lixue al centro sportivo dove avrebbe iniziato a
praticare
pattinaggio su ghiaccio e sospirò.
"Entro domani ti darò il mio verdetto." rispose
a Hyoga, ridacchiando. "Mei... ehm... ti dovrei parlare."
Lixue gli aveva detto che non sapeva come dire a sua
madre che non intendeva più seguire gli allenamenti di judo,
ma voleva, al
contrario, dedicarsi al pattinaggio; ci aveva provato, ma aveva una
gran paura
di deluderla: quando quel pomeriggio l'aveva accompagnata a comprare i
primi
pattini da ghiaccio, le aveva visto una particolare luce negli occhi,
la stessa
che aveva quando a Kobotec, o più raramente a Parigi, la
portava a pattinare.
Seguì Mei in bagno e si sedette sulla sedia di vimini
dove lei aveva sistemato l'accappatoio e la biancheria pulita.
"Io e Lixue abbiamo fatto diverse commissioni, oggi.
Una di queste prevedeva la visita a un certo centro sportivo che in
questi
ultimi giorni a partire dall'ultima visita al centro commerciale, ha
più volte
frequentato per... valutare determinate cose." iniziò a
spiegarle,
restando sul vago.
Mei sospirò.
"Per l'amor del cielo, Camus, non tergiversare. Vai
dritto al punto: credo di avere già capito che cosa stai per
dirmi."
"...d'accordo. Non sa come dirti che non ha più intenzione
di praticare judo. Si è innamorata del pattinaggio fin dalle
prime volte in cui
a Kobotec ha pattinato insieme ai bambini del villaggio. Se la
vedessi... è
molto brava, secondo me potrebbe arrivare davvero in alto. Le si
illuminano gli
occhi quando ne parla o in tv guarda le gare."
Il silenzio che seguì fu interrotto solo dal rumore della
spugna con la quale Mei si stava sfregando.
Sapeva già come si illuminavano gli occhi di sua figlia
quando parlava del pattinaggio, e aveva ampiamente intuito che aveva
perduto
già da tempo ogni intenzione di praticare judo in favore di
quello sport che
aveva imparato ad amare a Kobotec: l'aveva capito dalle gare che
seguiva in tv,
dai ritagli di giornale che raffiguravano giovani atlete nei loro bei
costumi
variopinti, dalla copertina ormai consunta di Pattini
d'Argento che Hyoga le aveva regalato non appena aveva
imparato a leggere.
"Praticare uno sport richiede impegno,
determinazione, dedizione: se devi fare qualcosa controvoglia
è meglio non
farla perché potresti farti seriamente male. Quindi, se
Lixue ha deciso così
non posso certo ostacolarla, sono felice che abbia intrapreso qualcosa
che le
piace sul serio."
"Sento un ma in
arrivo."
"Tuttavia
questo vostro atteggiamento mi offende: il suo perché
credevo di avere un certo
tipo di rapporto con lei ed è evidente che mi sbagliavo. Il
tuo per come mi hai
introdotto la faccenda. Vorrei solo precisare che non ho mai obbligato
nessuno
a seguire le mie orme e intraprendere le arti marziali, la mia
intenzione era
quella di darle un'infarinatura di autodifesa, Lixue è
libera di fare ciò che
desidera." replicò, prima di infilarsi sotto il getto della
doccia per sciacquare
via il sapone. "Vuole praticare pattinaggio? Va
bene, ottimo. Dimmi dove devo firmare i
documenti."
L'aiutò a indossare l'accappatoio e la seguì in
camera.
"Non mi sembra affatto che vada bene."
"Le ho sempre detto che con me avrebbe potuto parlare
di qualunque cosa perché non l'avrei giudicata in alcun modo
e l'avrei aiutata
e supportata. E adesso salta fuori che non sapeva come parlarmi. Se ora
che non
ha nemmeno dieci anni fa fatica a parlare con me, figurarsi nel pieno
dell'adolescenza. Ah sì, ne vedrò delle belle."
borbottò Mei. "Del resto... chi la
fa l'aspetti, giusto?
Però credo di aver già ampiamente fatto ammenda
per quella storia."
"Sai che ho ancora difficoltà a capire il cinese,
specie quando sei arrabbiata."
"Ma io non sono arrabbiata. Se lo fossi, lo
capiresti." rispose lei. "Andiamo a mangiare, prima che quel cous
cous diventi colla da parati."
"Non prenderla sul personale."
"NON LO STO FACENDO!" sbottò Mei. "Sarò sempre
dalla sua parte,
la supporterò sempre e sarò orgogliosa di lei in
ogni caso, dovesse anche
decidere di praticare il wrestling! Non è il judo, o il
pattinaggio, il
problema. Quello che mi irrita è che una volta io e lei
avevamo un dialogo. E
ora non riesco a capire che cosa sta succedendo tra noi due."
Camus sorrise, accarezzandole una guancia.
"Sta semplicemente crescendo. Sta cercando di
rendersi autonoma e di cercare la sua strada: ha sette anni,
è normale, si comporta
diversamente anche con me: ma non ha smesso di amarti come prima... non
ha
detto niente perché aveva paura di offenderti e,
soprattutto, aveva paura che
tu la obbligassi a seguire judo contro la sua volontà."
A dire il vero non le sembrava proprio: vedeva
chiaramente come Lixue si comportava con lei e come si comportava con
Camus, e
sicuramente erano due modi differenti.
"No, non è così." non poté fare a meno
di
rispondergli. "Tu sei la luce dei suoi occhi, Hyoga è
diventato il suo
migliore compagno di film e giochi e io sono la madre ingombrante alla
quale
non riesce o non vuole più parlare: la sto per-..."
s'interruppe.
"Ehm... pattinaggio, d'accordo. L'importante è che pratichi
con costanza e
con voglia di fare, per il resto pazienza, visti i risultati
vorrà dire che
m'impegnerò per essere una buona supporter. Andiamo a
cenare, a quest'ora si
sarà freddato tutto."
Non era stata una buona insegnante, quantomeno poteva
essere una buona sostenitrice; prese un gran respiro e, prima di
seguire Camus
in cucina, accantonò quel senso d'inadeguatezza che si stava
facendo largo in
lei. Dopotutto anche lei aveva scelto la sua strada, per quale motivo
Lixue non
avrebbe dovuto fare lo stesso? Che motivo aveva di abbattersi a quel
modo? Andava tutto bene.
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo rivisto in data 28 ottobre 2015]
La ri-stesura di questo capitolo è un po' particolare;
come avrete capito è un capitolo quasi interamente dedicato
ai figli e ai rapporti
genitori/figli.
Quello di Hyoga e Camus, ad esempio. O quello che Camus e
Mei hanno nei confronti dei tre bambini che ancora devono nascere, ma a
maggior
ragione è dedicato al rapporto che hanno con Lixue, che sta
maturando.
-In Cina è vietato a un medico rivelare in fase d'ecografia
il sesso del
nascituro. Qui
la pagina per l'approfondimento.
-Briouat di pollo, tajine vegetariana, couscous seffa e kaab
el ghzal sono piatti della cucina marocchina.
-"Au dessous
du pire, on l'appellera messire, le roi de mauvais aloi" è
una frase
tratta dalle versione francese della canzoncina "Il re fasullo
d'Inghilterra" del film Robin Hood.
-Il titolo del capitolo rimanda all'omonima canzone di
Dusty Springfield.
Il numero dei capitoli da revisionare si sta pian piano
assottigliando, ringraziando Athena!
Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 27 *** Christmas time is here (again). ***
capitolo 27 principale
27.
Christmas time is here (again).
Vigilia di Natale, in una Parigi pregna della magia
natalizia.
Dopo aver trascorso l'intero giorno a cucinare per
l'indomani e a sistemare casa per gli ospiti in arrivo, Camus e
famiglia si erano
concessi una sera fuori casa, alla pista di ghiaccio che come ogni anno
era
stata allestita al Trocadéro insieme a uno dei tanti
mercatini di Natale.
Erano riusciti a organizzare una splendida giornata,
invitando Milo e Shaina e, con una certa dose di malcontento di Camus
–ottimamente celato-,
anche Shiryu e
Shunrei; in quel momento, mentre Mei era seduta insieme al fratello e
alla
cognata, Lixue e suo padre stavano pattinando sulla pista, talvolta
girando in
tondo, talvolta seguendo i valzer viennesi suonati dagli altoparlanti,
Hyoga e
Freya accennavano dei passi di valzer poco distanti da loro e Milo e
Shaina
invece passeggiavano lungo il mercatino con le bancarelle dei dolci
tipici.
"Grazie per l'invito." sorrise Shunrei, che
continuava a guardarsi intorno con lo stesso sguardo incantato di un
bambina. A
parte le sporadiche volte in cui si era recata al Santuario con Shiryu,
non si
era mai praticamente mossa dal Goro-Ho, e la sua emozione, nel trovarsi
in una
metropoli come Parigi, era palpabile.
"Non devi ringraziarmi, era ovvio che vi volessi qui
con me durante queste feste." rispose Mei. "Ed è anche una
buona
occasione, per me, per rivedere quei luoghi che Camus definisce turistici."
"Come ad esempio?" domandò Shunrei.
Con un cenno le indicò la Tour Eiffel, svettante e splendida
contro il cielo
scuro della sera.
"...un parigino che detesta il suo monumento
principale? Roba da matti." rispose Shiryu. "Come se io detestassi la
Città Proibita. Assurdo."
Mei sbuffò.
"No, il tuo paragone è assurdo. Comunque sì,
esistono anche parigini che detestano il loro monumento più
famoso: Camus dice
che la Tour non esercita alcun
fascino su di lui, dato che è abituato a vederla da sempre,
quando apre le
finestre di casa. Ed è vero, da casa nostra la vediamo
vicinissima. Solo che
per me è e continuerà a essere uno spettacolo
meraviglioso, per lui invece non
è così."
"Non ci ho fatto caso."
"Lo sapresti, se non fossi stato così idiota da
decidere di andare a dormire da Hyoga anziché dormire nel
nostro appartamento,
dato che sei mio ospite."
"Tuo marito non è contento di avermi tra i piedi,
immagina come sarebbe stato contento di condividere lo stesso tetto con
me."
continuò Shiryu.
"Non meriti risposta, davvero."
Shunrei sbuffò, sistemandosi sulla sedia con una smorfia.
"Per favore, non ricominciate a litigare. Vi
prego." disse loro, inducendo Mei ad alzare gli occhi al cielo.
"Io non ho neanche iniziato." protestò
quest'ultima.
"D'accordo, allora parliamo d'altro."
interloquì Shiryu. "Non ti ho detto niente per non farti
preoccupare ma...
l'altro giorno Rei è stata male e..."
"Oddèi, e il bambino?"
"Stiamo bene, non agitarti."
"L'ho portata in ospedale, le hanno fatto alcune analisi e... abbiamo
la
data del parto." riprese Shiryu, con uno strano tono di voce.
Mei li guardò entrambi.
"...e?"
"Febbraio. L'otto."
Quasi non gli scoppiò a ridere in faccia.
"Il che significa che tua figlia..."
"Mio figlio."
"...come vuoi... nascerà sotto il segno
dell'acquario." concluse Mei, avvertendo immediatamente uno sbuffo da
parte di Shiryu. "Questo è il karma,
mio caro fratello."
"Spero solo che non sviluppi mai il Cosmo." blaterò
Shiryu. Poi, parve pensare a qualcosa e il suo volto tornò a
illuminarsi.
"Perché preoccuparsi? Ho sentito dire che secondo una nuova
legge, quando
un Saint diventa padre, è a sua discrezione scegliere a
quale Saint affidare il
proprio figlio per l'addestramento."
"Allora sarà bene che inizi a pregare per davvero,
Shiryu, perché le voci che hai sentito sono vere,
sì. Ma valgono solo ed
esclusivamente per i Gold Saints, non per i ranghi inferiori." rispose
Mei.
"...oh miei dei."
"A meno che lui non rifiuti l'incarico."
La prospettiva di affidare suo figlio nelle mani del
cognato non l'allettava per niente.
"Beh, mettiamola in questo modo... anziché febbraio,
poteva nascere a luglio."
"A luglio... leone. Aiolia non
mi sembra malaccio come Maestro."
"...cancro.
A inizio luglio c'è il cancro, non il leone."
"...oh miei dei, no!"
"E ricordati che DeathMask accetterebbe l'incarico
giusto per farti dispetto."
Ebbe un brivido d'orrore lungo la spina dorsale: non ci
aveva affatto pensato. Suo cognato aveva già avuto due
allievi, e sicuramente -o
meglio sperava- non ne avrebbe
accettati altri: troppo impegnativo, troppa responsabilità,
troppi anni da
trascorrere in Siberia per l'allenamento, lontano dalla famiglia.
E, conoscendo sua sorella, non avrebbe lasciato tutto per
trasferirsi a Kobotec.
Presa da ben altri pensieri, Mei prese la fotocamera di
Camus e guardò nel mirino, sistemando con pochi movimenti la
messa a fuoco
manuale, e la puntò sulla pista di ghiaccio. Ancora non
riusciva a digerire
quella scelta, in qualche modo sentiva di aver fallito.
"E così a quanto pare, avremo una Chen
Lu in famiglia."
"A quanto pare." ripeté Mei. "Ma avrei già
dovuto capirlo tempo fa: non era motivata. Non era entusiasta. Quando
mette i
pattini ai piedi, ha una luce negli occhi... la stessa che hai tu
quando
stringi l'obi sul tuo karategi."
"Non vivere questa decisione come se fosse un
tradimento: in fondo il Judo è una cosa seria, e bisogna
praticarlo con una
certa attenzione e tanta volontà. Non puoi obbligare Lixue a
fare qualcosa che
non vuole e soprattutto non puoi subito pensare che tu non sia una
buona
insegnante." le disse Shiryu, come se le avesse letto nel pensiero.
Ma per l'ennesima volta nell'arco di trentasei ore, alzò
lo sguardo al cielo: possibile che nessuno comprendesse quali fossero,
esattamente, i suoi problemi riguardo quella questione?
Sorbì un lungo sorso di cioccolata calda e sbuffò.
"Il problema, Shiryu, non è che cosa ha scelto di
fare mia figlia. Il problema è come sono venuta a conoscenza
di questa cosa. Ma
non ha più alcuna importanza, voglio solo che mia figlia sia
felice e voglio
godermi questa bella sera."
"Beh, sono sicuro che almeno uno di loro tre là
dentro sarà destinato a diventare il tuo successore."
"Lo spero." le sfuggì in un soffio. "Ti
accorgerai presto anche tu di quanto i figli siano un dono degli
déi e
soprattutto una gioia immensa. Ma a volte... " s'interruppe quando Milo
tornò al doppio tavolino al quale era seduta insieme alla
combriccola, reggendo
un piatto di carta e una forchetta.
"Ah, il dolce già ce l'hai." disse, accennando
alla torta zuppa di cioccolato che Mei aveva davanti a sé.
"Dà qua, un posto in più lo trovo." gli
rispose, allungando la mano verso quella che aveva tutta l'aria di
essere una crepes suzette. "Se non
io,
sicuramente uno di loro tre."
Milo ridacchiò, sedendosi accanto all'amica e battendo un
po' i piedi per scaldarsi.
"Solo se posso avere metà della tua fetta di
torta."
Valutò appena il da farsi, quindi annuì.
"Si può fare, dai."
Milo prese un gran boccone di torta dal piatto di Mei,
quindi si strinse nel giaccone pesante.
"Come diamine fate a sopportare questo freddo?"
si lagnò. "Per fortuna che dopodomani saremo tutti al
Santuario, al
calduccio del tredicesimo tempio..."
"Ma smettila di lamentarti! Siamo a Parigi ed è la
vigilia di Natale, stiamo mangiando dolci al cioccolato e davanti a noi
c'è la
Torre Eiffel... insomma, che cosa vuoi ancora?" lo riprese Shaina.
Un letto caldo, ad
esempio.
"Se pensa ciò che credo stia pensando, allora sono
certa che la risposta alla tua domanda sia un
letto e te, possibilmente
svestita." rispose Mei. "Dico bene?"
"Buon cielo, cominci a preoccuparmi: mi hai letto
nel pensiero!"
Mei proruppe in un largo sorriso sornione.
"Siamo scorpioni entrambi,
ricordi? Passionali e con il sangue caldo nelle vene. No scherzi a
parte, è che
a dire il vero è la stessa cosa che desidero io. Solo che...
avrò il letto
caldo, avrò la mia dolce metà svestita nel
summenzionato letto ma... non avrò
il seguito di questo bel
quadretto."
Shiryu sospirò.
"Oddèi, non dirmi che stai per parlare di sesso... non ci
tengo affatto a
sentirti parlare di certe cose!"
"Per l'amor del cielo, io ho dovuto sentire tu e
Shunrei fare sesso quando vivevo
ancora
alla pagoda... direi che quel limite l'abbiamo già superato,
che dici?"
Shaina sgranò gli occhi.
"Un momento... come sarebbe? Ha già smesso di...?"
"Sì. Da quando abbiamo scoperto che sono tre. E al
cesareo mancano ancora quattro mesi e mezzo!"
Milo le restituì la torta.
"Credo che questa serva di più a te, che non a
me."
"Ah, ma che gentile. Non è che... saresti così
gentile da fare un atto di carità verso una povera donna
incinta?"
Shiryu per poco non si strozzò con la cioccolata calda,
mentre Milo arrossiva appena.
"Lu-lusingato, dolcezza, ma... no. Non te la
prendere, sei una bellissima ragazza ma... sei anche una mia carissima
amica e
io non vado a letto con i miei amici."
Senza ovviamente comprendere il senso di quella
conversazione captata per caso, Hyoga inarcò un sopracciglio.
"Ringraziando gli Dèi." interloquì.
"Che cosa ti fa pensare che stessi per chiederti una
cosa del genere? Io speravo che tu potessi parlare con Camus, non so,
spronarlo
in qualche modo." Mei sbuffò. "E va bene, dunque
vorrà dire che andrò
a prendermi un'altra fetta di torta. Roba da matti."
"Lascia, vado io." si offrì Shiryu, alzandosi. "Qualunque
cosa
pur di non sentirti parlare di sesso."
"Smettila di comportarti come un fanciullino
innocente." lo rimbeccò Mei. "Che al Goro-Ho ne ho sentite
di peggio,
io."
"Sesso? Perché accidenti non ci sono mai quando si
tratta di discussioni interessanti?" si lamentò Hyoga.
"Perché tu sei ancora troppo piccolo per
parlarne." lo punzecchiò Milo.
"Ah non credo proprio. Mi sa che Hyoga fa più sesso
di noi, altroché." rispose Mei.
"Qua devo darti ragione." ridacchiò Hyoga,
guadagnandosi l'occhiataccia dell'interessata.
"Avrei dovuto ucciderti quando ne ho avuto
l'occasione."
"Sei strano da ieri."
Camus si diede una spinta per raggiungere la figlia,
quindi corrugò la fronte.
"Non sono strano." obiettò, pensando al lavoro
e a tutto il resto. "Sono stanco."
"Sono piccola ma non scema. Non sei contento di
avere zio Shiryu a casa con noi."
In effetti no,
ma come aveva sempre fatto per amore della pace, aveva fatto finta di
niente di
fronte all'invito di Mei.
"E chi ti avrebbe detto questa sciocchezza?"
"Zio Shiryu dice che è venuto qui a Parigi per stare
un po' con la mamma e che tu non sei d'accordo, per questo l'hai
mandato a
dormire da Hyoga e Freya, perché non vuoi idioti tra i
piedi."
D'istinto guardò in direzione di Mei e del cognato,
impegnati
a parlare tra loro: a che gioco stava giocando Shiryu? Aveva fallito
nel
mettergli contro Mei e ora cercava di mettergli contro sua figlia?
"Da dove salta fuori questo linguaggio?" la
riprese. "Tuo zio non ha neanche preso in considerazione l'idea di
dormire
da noi, quando è arrivato è andato direttamente
da Hyoga. Shiryu dovrebbe
imparare a tacere di quando in quando e smetterla di coinvolgerti."
"Quindi è vero."
"Sai che non devi intrometterti nelle faccende degli adulti. Non sta
bene
e non mi piace."
"Ma..."
"Niente ma." concluse,
guardando infine l'ora. "Dirigiti all'uscita, è ora di
tornare a casa."
Una volta rimessi i piedi a terra, Camus l'aiutò a
togliersi i pattini, quindi la esortò a raggiungere Mei,
seguendola.
"...guardate che quei programmi televisivi non sono esagerati
come pensate. C'è davvero gente che in valigia infila di
tutto pensando –a torto-
di poterla fare franca e di prenderci in giro come meglio credono."
stava
dicendo Milo. "In cinque anni ne ho viste di tutti i colori:
c'è chi
occulta intere bottiglie di sabbia in mezzo alla biancheria sporca
nella
speranza di evitare i controlli, o chi nasconde armi o, peggio, animali
vivi
che nella maggior parte dei casi è destinata a morire
durante la tratta... mi è
capitato anche di requisire tarantole e scorpioni." Camus
arrivò mentre
stava mostrando a Mei alcune foto sul cellulare. "Uno di questi era
chiuso
in un sacchettino di plastica forato alla bell'e meglio e mi ha punto,
pieno di
rabbia."
Shaina iniziò a ridacchiare.
"Me lo ricordo... un suo collega mi chiamò tutto
agitato dicendomi di andare di corsa in ospedale e per poco non gli ho
anche
riso in faccia."
"...certo non potevo dirgli nah,
niente di grave, sono Milo di Scorpio e sono immune al veleno degli
scorpioni perché
sono un Gold Saint al servizio di Athena... minimo, mi
rinchiudevano nel reparto
psichiatrico."
"Che è un po' il sogno di tutti, al Santuario."
interloquì Camus, sedendosi tra Mei e Shunrei.
"Ti piacerebbe." gli rispose Milo, facendolo
ridacchiare. "Tieni, mangia un po’ di torta, magari ti
addolcisci un
po'."
Shiryu sogghignò appena.
"...non
basterebbero tutti i dolci del mondo." mormorò,
ricevendo in risposta
il totale disinteresse del cognato e lo sguardo di fuoco della sorella.
"Se hai in
programma di comportarti in questo modo per tutto il giorno, puoi anche
tornare
a casa." intervenne Mei, nella stessa lingua. "Sono
stanca delle tue frecciatine."
Camus si schiarì la voce, continuando a ignorare il
cognato.
"Signori, nel frigo di casa mia c'è una torta al
cioccolato cucinata dal sottoscritto che, modestamente parlando,
è diecimila
volte meglio di questa." disse quindi. "Propongo di spazzolarla
insieme a una flûte di champagne o nel caso di due certe
signore, una tazza di
latte."
"Champagne.
Perdindirindina." lo prese in giro Milo. "Mi hai convinto."
Più tardi quella notte, nell'assoluta quiete che permeava
l'appartamento nonostante il traffico parigino, Milo
sgattaiolò rapido verso la
stanza degli ospiti dove Camus l'aveva sistemato, reggendo qualcosa tra
le
braccia; senza fare il minimo rumore, si risistemò a letto.
"...ti ricordo che non sta bene vagabondare in piena
notte in una casa in cui sei ospite." mormorò Shaina.
"Avevo sete." replicò lui, prontamente. Con
altrettanta rapidità cambiò discorso. "Ieri
mattina hai notato anche tu
gli strani movimenti nella sesta casa? Dev'essere successo qualcosa, e
sicuramente non è Kiki che si diverte a fare scherzi a
Shaka."
Shaina rise.
"Beh, credo che faccia ben attenzione a non irritarlo più
come una
volta."
"Ci credo, anche perché una volta era un bambino e Shaka lo
compativa, ora
credo che non avrebbe più pietà." convenne Milo.
"Oddèi, ti ricordi
quando si è messo a rincorrerlo per tutto il Santuario
quando Kiki si era
intrufolato al suo tempio per tagliargli i capelli?"
"Se non ricordo male però, gli aveva comunque tagliato una
ciocca."
Milo ridacchiò.
"Pazzo suicida." disse, scuotendo la testa.
"Comunque secondo me Shaka sta architettando qualcosa."
"...e cosa?"
"Ah non ne ho idea. Ma come ti ho detto, ho percepito qualcosa di
strano,
al sesto tempio." concluse Milo, scartando un involucro colorato.
Shaina sorrise, guardando l'involto e il suo contenuto.
"Ancora? Non ne hai abbastanza di mangiare dolci?
Non hai fatto altro tutta la sera!"
"Non è assolutamente vero: ho fatto a metà con
Mei."
"Cosa c'è là dentro?"
"Credo sia pan di zenzero." disse Milo
ingoiandone un altro pezzo. "Non ne sono certo, ma credo ci sia un po'
di
tutto qua dentro. La dispensa di Camus potrebbe far concorrenza a
quella
pasticceria famosa... com'è che si chiama?!"
"Hai fatto un raid nella dispensa di Camus?"
"Beh, lui ha detto fai come se fossi a casa
tua! e io l'ho fatto. C'era un cesto
stracolmo di dolci nella dispensa, ho pensato che fosse un peccato
lasciarlo lì
a prendere polvere." le rispose, spiegandole poi del cesto natalizio
che
la casa editrice per la quale Camus lavorava aveva donato a tutti i
dipendenti,
almeno a giudicare dal bigliettino che aveva trovato poco distante.
"Uh,
guarda qui! C'è una stecca di torrone con i pistacchi!"
"Vedrai quando se ne accorgerà..."
"Nah, a lui nemmeno piacciono i pistacchi."
"Quelli no, ma il resto sì." obiettò Shaina.
"Ma insomma, sei un pozzo senza fondo! Finirai con l'ingrassare, e io
non
voglio un marito flaccido."
Milo sgranò gli occhi, ingoiando un torroncino per
intero.
"Co-….?"
Shaina lo zittì con un bacio, prima di mettersi a
cavalcioni su di lui.
"Hai mai sentito parlare di una tradizione irlandese
secondo la quale durante il leap day, cioè
il 29 febbraio, la proposta di matrimonio può anche essere
fatta dalla
donna?"
"Ehm... no."
"Ebbene, ora ne hai sentito parlare." replicò
Shaina, aprendo una scatolina e mostrandogli il contenuto. "Dunque?
Devo
aspettare ancora due mesi?"
Milo pensò alla sua
scatolina nascosta tra gli slip nel suo borsone, che aveva
acquistato tempo
prima e che aveva avuto in programma di darle a Natale.
Pensò a quanto tempo
aveva impiegato a pianificare quella proposta, al tempo speso a
immaginare e
programmare il momento, il luogo, le parole. Per scoprire che Shaina
aveva
avuto la stessa idea e l'aveva battuto sul tempo. Si coprì
il volto con le mani,
a metà tra il sorpreso e il divertito.
"Oddio."
Shaina si raddrizzò di scatto, la scatolina ancora in
mano.
"Oddio?! Non
mi aspettavo questa reazione. Certo, non mi aspettavo la ola e i fuochi
d'artificio, ma nemmeno oddio."
replicò, contrariata.
Milo si sporse verso il borsone, che aveva sistemato
sotto il letto, e
vi frugò dentro.
"Cosa stai cercando?"
"Questa." le rispose, porgendole a sua volta
una scatolina. "E mi hai rovinato la sorpresa."
"Oddio."
"Te l'avrei dato domattina, prima di andare a fare
colazione con Camus e gli altri. Anzi... ti avrei svegliata, avremmo
fatto
l'amore e allora ti avrei fatto la
domanda. E poi, con calma, saremmo andati a fare colazione."
"Diciamo pranzo."
Milo ci pensò su.
"No, diciamo direttamente cena."
"Sempre il solito esagerato." sorrise Shaina,
rifilandogli un pugno sulla spalla.
"Hey, vacci piano o al matrimonio arriverò a
pezzi."
Shaina prese l'anello che aveva acquistato per lui e
gliel'infilò all'anulare.
"Allora che dici, ci sposiamo?"
"Ci sposiamo." annuì Milo, facendo la stessa
cosa con lei.
*
Camus si guardò intorno nella dispensa, controllando qua
e là.
"... eppure
ero sicuro che qui ci fosse il pan di zenzero..."
brontolò tra sé e
sé, aprendo un paio di ante. "Oh,
andiamo... era qui,
lo so."
"Che fai, parli da solo?"
"Parlo con me stesso."
"Oh, dialogo proficuo, spero." rispose Mei,
circondandogli la vita.
"A dire il vero no. C'è più di una cosa che non
quadra qui... ad esempio, dove accidenti ho messo la ghirlanda di pan
di
zenzero che ho comprato l'altro giorno?"
Mei corrugò la fronte, aprendo un pensile e mostrandogli
una scatola gialla.
"Parli di questa?"
"Quello è panforte. Parlo della ghirlanda di pan di
zenzero che avevo comprato da mettere nel cesto." Camus le
indicò il cesto
di vimini che aveva accuratamente preparato. Aperto.
"L'hai aperto tu?"
"Sicuramente no, dato che ho già la mia scorta di cioccolato
nel cassetto del comodino." rispose Mei. "Insieme ad altre cose che
è
bene mantenere private."
"Ah ecco dunque chi è che ruba le tavolette."
"Beccata. Allora... mi dici che cosa c'è di tua
spontanea volontà oppure devo cavarti le parole di bocca?"
Lui si girò, corrugando la fronte.
"Niente, tutto a posto. Sto solo cercando di capire
cos'è successo qui..." s'interruppe, quindi
sbuffò. "Un momento! Come
ho fatto a non pensarci prima? So di chi è la colpa."
"Oddéi dove vai? Camus! Torna qui!"
"Gli avevo detto di fare come se fosse a casa
propria, ma questo è troppo."
Si diresse ad ampie falcate verso la stanza degli ospiti,
bussando appena e spalancando la porta.
"...ma che
diavolo...! Camus, potresti almeno bussare prima di aprire!"
Mei sospirò, afferrando un abbraccio
dalla biscottiera che Camus aveva posto al centro del
tavolo.
"Si prospetta una mattinata tranquilla."
ridacchiò Hyoga, entrando in cucina. "Cos'è
successo?"
"Milo ha razziato la dispensa." spiegò, con un'alzata di
spalle.
"E a giudicare dalle sue urla, Camus deve averlo disturbato mentre
stavano..." s'interruppe, guardando Lixue arrivare dalla propria stanza
"...colorando."
"Beh, anch'io mi arrabbierei se succedesse a me,
considerando quanto poco riesca a colorare
in questo periodo, tra esami e preparativi."
"Sì, ma quando Freya tornerà a Parigi, tutto
riprenderà come prima. Alla fin fine l'unica che non colora sono io."
"Stai tentando di farmi sentire in colpa?"
"Ci sto riuscendo?"
Hyoga ridacchiò.
"No."
rispose, guadagnandosi una pacca non proprio amichevole sul
fondoschiena.
"Avevo ragione, avrei dovuto eliminarti con quel sai,
quando ne ho avuto occasione. Ora è troppo tardi."
borbottò, facendolo ridere di gusto poco dopo.
"Mai rimandare ciò che puoi fare subito."
interloquì Shaina.
"Mei? Potresti venire un attimo?"
Rimasto solo con Lixue, Hyoga sospirò.
"Dunque, pronta per aprire i regali?"
Milo raggiunse Camus in dispensa, in pantaloncini e con
la maglietta infilata al rovescio.
"Comunque buongiorno e buon Natale! Cosa mi hai
regalato? Un po' del tuo tempismo spero, dato che io sono un
ritardatario
cronico mentre tu arrivi quando meno te l'aspetti."
Camus inarcò un sopracciglio.
"Spiritoso.
Eccoti il regalo e tanti auguri di buon Natale." disse, piazzandogli
tra
le braccia il cesto che aveva accuratamente preparato per lui negli
ultimi tre
giorni e che Milo aveva razziato nel giro di una notte. "Ti costava
tanto
tenere quella fogna chiusa per altre sette ore?"
Milo notò che era il cesto che aveva aperto quella sera.
"Pensavo fosse tuo, avevo visto il bigliettino della tua casa
editrice..."
"Hai pensato male. Ecco perché ti dico sempre di
tenere le mani a posto quando sei a casa mia." lo rimproverò.
Posò il cesto a terra, scartando un torroncino.
"Le sorprese non sono finite dunque." mormorò,
allungando la mano destra verso Camus e mostrandogli l'anello che
spiccava
all'anulare, una fascia semplice in oro brunito attraversata da una
sottilissima fascia più chiara.
"E' quello che credo?"
Milo si sfilò l'anello e glielo porse.
"Settimane intere a pianificare tutto nei minimi
dettagli, a creare l'atmosfera giusta e lei mi rovina la sorpresa
così, di
botto." si lamentò.
"...quindi quest'anello te l'ha dato Shaina?"
"Sì. Siamo a Parigi, l'atmosfera ieri sera era parecchio
suggestiva,
l'aria tra noi è diventata rovente appena messo piede in
camera e ho pensato
che meglio di così non potesse andare. Poi succede che di
punto in bianco, lei
tira fuori quest'anello."
"...non riesco a capire se sei scocciato perché ti sei
fidanzato o per
chissà quale motivo." domandò Camus, corrugando
la fronte.
"Perché mi ha rovinato la sorpresa, ecco perché.
Certo che sono felice di questo fidanzamento, sogno di trascorrere la
vita con
lei da anni!"
Camus annuì, prima di leggere l'incisione dentro
l'anello.
"Ash
nazg durbatulûk,
ash nazg gimbatul, ash
nazg
thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul."
enunciò, catturando
immediatamente l'attenzione di Milo.
"...cosa
cavolo...?!"
"Dai,
stavo scherzando."
"Che
diavolo era?!"
"Il
linguaggio nero di Sauron, e
più
precisamente la scritta in tengwar incisa sull'Unico Anello, che
tradotta diventa un Anello per domarli,
un Anello per trovarli, un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli.
Sai,
non sarebbe male una cosa del genere sulla tua fede nuziale, ovviamente
riadattandola al singolare e... che c'è?"
"..."
"Sauron... il Signore degli Anelli... Tolkien...? Ti dice niente tutto
questo? Oddio, guarda che ti disconosco come amico!" esclamò
Camus,
decidendosi poi a leggere le esatte parole dell'incisione. "Due corpi, una sola anima. Aristotele.
Molto
molto poetico."
"Non prendermi in giro. A proposito di due
corpi... c'è tua moglie, di là, che
sta mangiando Nutella. Tanta. Troppa."
Camus sgranò gli occhi.
"Oh Athena! Ho comprato due giorni fa il vaso da tre
chili, non le farà bene!"
"Ah sicuramente no. La mangia per compensare la mancanza di sesso. La
mangia perché tu non vuoi più fare sesso con
lei." rispose Milo, facendolo
arrossire. "Perché tu non vuoi più farlo?"
"Eh... i-io... perché è incinta."
"Il medico vi ha detto che è pericoloso per i
bambini?"
"No." sussurrò, imbarazzato. Le esatte parole
della ginecologa erano state basterà
fare
attenzione a non fare movimenti troppo bruschi o a non scegliere
posizioni che
potrebbero stancarla.
"...l'attrezzatura funziona?"
"Non credo che siano esattamente affari tuoi,
questi." ribatté, sentendosi il volto in fiamme.
"Lo prendo per un sì. Dunque, perché cavolo ti
comporti così? Sai benissimo quanto me che è un
comportamento stupido. E' forse
per il suo aspetto fisico?"
"Stai scherzando, vero? Per me è meravigliosa, e lo sarebbe
con qualunque
taglia. Ho paura di danneggiarla e... questa conversazione è
imbarazzante."
Milo levò gli occhi al cielo.
"Sei un uomo adulto, come fai a imbarazzarti come
quando eri un ragazzino alle prime armi?"
"...imbarazzo? Di che state parlando?!"
interloquì Hyoga, accorgendosi del rossore sulle guance di
Camus. "Ah no,
non dirmelo. Lo immagino già da solo. Comunque di
là c'è una bambina che
aspetta di fare colazione per aprire i regali..."
Camus si riscosse.
"Oh già! Bene, vai a chiamare Mei e Shaina, io
finisco di preparare la colazione."
In quel mentre si levò un urlo dalla stanza degli ospiti,
e Milo fece una smorfia.
"Avevo due timpani una volta." si lamentò.
"Sicuramente Shaina l'ha appena messa al corrente
del matrimonio. Ebbene, sappi che ti aspetta un abbraccio spaccaossa e
un oddèi sparato a
volumi interstellari in
un orecchio."
Hyoga corrugò la fronte.
"E invece perché è rimasta indifferente quando
abbiamo annunciato il nostro matrimonio?"
"Perché io sono io. E tu... beh..." sogghignò
Milo, guardandolo dall'alto in basso.
"Io diventerò nobile!" protestò l'altro.
"Oh, per me potresti anche diventare re,
sai come la penso." interloquì
Mei, facendo sobbalzare Milo.
"Perfavore, non uccidere le mie orecchie." la
pregò quest'ultimo, prima di essere stretto in un abbraccio
stritolante. "...aaargh. Allenta la presa ti
prego...!
Hey, dovresti aiutarmi!"
Camus fece spallucce, sorseggiando il suo succo d'arancia, divertito.
"Fossi matto. Questo non è il primo e non sarà
l'ultimo abbraccio spaccaossa che riceverai, quindi inizia ad
abituarti."
ridacchiò Camus.
"Questo non era previsto nel nostro contratto
di fratellanza. Mei ti supplico,
lasciami andare."
Dopo qualche istante, Mei sciolse l'abbraccio, e Milo si
stiracchiò.
"Ahia! Accidenti, sei piccolina ma stritoli come una
tenaglia!"
"Benvenuto nel club, fratellino."
"Tu non hai idea di quanto sono felice per voi
due!!" esclamò Mei.
Lixue, che fino a quel momento aveva osservato gli adulti
con un misto di curiosità e divertimento, corrugò
la fronte.
"Papà, tu e zio Milo siete fratelli?"
"Beh, non proprio." rispose Milo, anticipando Camus. "Io e tuo
padre siamo così amici e... da così tanto
tempo..."
"Da quando avevamo la tua età."
"...e ne abbiamo passate così tante insieme che...
ci consideriamo molto più che migliori amici, ci
consideriamo fratelli."
rispose Milo. "A volte, anche più di questo."
Camus sorrise: Milo aveva ragione, anche se c'erano delle
volte nelle quali l'avrebbe volentieri preso a calci. Con simpatia e
tanto
affetto, ovviamente.
"Vi siete già scambiati i regali?"
"Diciamo che lui se l'è già preso da solo."
commentò Camus,
ripensando al cesto che Milo aveva razziato.
Lixue scambiò un'occhiata con sua madre, che
annuì, e
corse nella sua camera, tornando qualche istante dopo con una busta
bianca, che
consegnò al padre e sulla quale aveva scritto i loro nomi.
Al suo interno, due
voucher e la stampa di uno strano ideogramma.
"...che cosa significa?"
"Quei due voucher sono per te e Milo, e sono spendibili da un tatuatore
che ho accuratamente selezionato. L'ideogramma in realtà
è una runa e proviene
dal mondo degli
Shadowhunters, la saga che al momento sto leggendo a Lixue, e
rappresenta il
legame dei parabatai, che in gergo sono dei compagni
di
battaglia che lottano insieme, fianco a fianco, guardandosi a vicenda
le spalle
e che sono uniti da un giuramento. Nel romanzo ciò prevede
che i due abbiano
tatuata addosso questa runa, come segno visibile di questo legame.
Ecco, dato
che vi ho sempre visto sotto questa luce e che... beh, a me e Lixue ci
è
sembrata una bellissima iniziativa, eccovi il nostro regalo."
spiegò Mei.
"E buon Natale."
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 18
gennaio 2016]
-Il titolo rimanda a una canzone dei Beatles.
-La "legge" che cita Shiryu è di mia invenzione
e non ha nulla a che vedere con la serie, anche perché
queste povere anime
vanno all'altro mondo ancora prima di poter pensare di metter su
famiglia,
quindi... tornando alla legge, è una delle nuove leggi
introdotte da Shion,
insieme a quella che elimina la maschera obbligatoria per le guerriere.
-Chen Lu
è una famosa pattinatrice cinese.
-Il Leap
day corrisponde al 29 febbraio e in tale data, in alcuni
paesi, è possibile
per le donne chiedere la mano all'uomo che amano.
-Runa,
Parabatai e
Shadowhunters.
Un'altra revisione radicale, ma necessaria. Hope you like it!
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 28 *** Love turns you upside down. ***
capitolo 28 revisionato
28.
Love
Turns You Upside Down
Milo
inspirò
a pieni polmoni l'aria mite del Santuario, inondato dal sole.
"Quanto
mi è mancato questo bel calduccio!" esclamò,
allargando le braccia e
sospirando deliziato.
"A me
manca la neve di Parigi." replicò Shaina, superandolo, la
valigia in mano.
"E le tazze di caffè davanti agli scacchi e al caminetto."
"Parigi?
Ma se faceva un freddo atroce!"
Camus
levò
gli occhi al cielo.
"Manca
anche a me. Che feste sono senza neve? Dovrò impegnarmi un
po', venti gradi il
giorno di Santo Stefano mi sembrano eccessivi." rispose, affiancandosi
a
Shaina e sfilandole di mano la valigia. "Lascia che la porti io."
"Mei! A te non mancava il sole della Grecia?"
L'interpellata
si tolse cappello e sciarpa.
"Insomma...
siamo passati dai 4 gradi di Parigi per arrivare a questo caldo
insolito..."
"Ma che cos'avete tutti quanti contro il caldo? Sentite che
meravigliosa
brezza! Posso prendere un respiro profondo senza correre il rischio di
congelarmi naso e cervello!"
Sbottonandosi
il cappotto, Camus inarcò un sopracciglio.
"Se tu
l'avessi, il cervello."
"Hey! Ti
ho sentito!"
"Lo so,
era quello che volevo."
"Ma
insomma!" protestò Milo. "Nessuno mi capisce? Lixue, tu mi
capisci
vero?"
La bambina
fece spallucce.
"Se fa
caldo non posso pattinare!" gli rispose, lasciandolo a bocca aperta.
"Vi
odio. Tutti quanti."
A dirla
tutta, Mei preferiva le temperature parigine alle quali si era
abituata: il
vestito pesante e gli stivali imbottiti che indossava si erano
rapidamente
trasformati in una tortura non appena avevano messo piede ad Atene.
"Mi
piacevano così tanto questi stivali, in vetrina... adesso li
sto odiando,
credimi." si lagnò con Milo, sospirando.
"Peccato,
sono sexy. Sono di quello stilista che insegui da tanto?"
"Eh
magari, li ho comprati in un negozio di connazionali accanto al dojo."
rispose Mei.
Stava
pensando di toglierli per proseguire scalza, quando d'un tratto
qualcos'altro
attirò la sua attenzione: una bambina che, correndo, si
infilò nella terza
casa.
"Hai
visto anche tu quel che ho visto io?" le domandò Camus.
"Credo
proprio di sì. Qualcuno dei vostri colleghi non la conta
giusta."
ridacchiò Mei, sporgendosi verso la terza casa e sentendo le
risa della bambina
dall'interno.
"...vuoi
vedere che...?" disse Milo, voltandosi verso Camus, che fece spallucce.
"Non ho
confidenza con Saga, ma dubito sia figlia sua." rispose, a bassa voce.
"Anche
perché in tal caso, povera creatura." commentò
Mei, proprio mentre
l'interessato usciva dalla terza casa, con la bambina in spalla.
"...presa!" stava dicendo Saga. "E adesso ti riporto a casa prima che...
oh, guarda chi c'è."
"Mi pare
un po' troppo piccola per essere una delle tue... ancelle:
aspetta almeno che diventi maggiorenne."
"Divertente,
Mei. Molto divertente."
Lei lo
superò, squadrandolo da capo a piedi.
"Non
siamo amici, non chiamarmi Mei."
"E come
dovrei chiamarti?"
"Come vuoi, ma non con il mio nome."
"D'accordo,
allora ti chiamerò Madame
Gauthier-LaRochelle, anche se in caso d'emergenza
è troppo lungo: metti che
stia per soffocare? Ma...da...me...
nnngghhhh..."
"Se stai
per soffocare non chiami me, a meno che tu non voglia farmi divertire."
ribatté Mei.
"Ha!
Bella questa!" esclamò Kanon, raggiungendo il fratello. "Mei."
"Kanon."
Saga
posò giù
la bambina.
"Hey,
perché lui può chiamarti Mei?" le
domandò, indicando Kanon con un cenno.
"Perché lui mi piace."
"Ah. E
io non ti piaccio."
"Proprio no."
Ridacchiando,
Kanon si affiancò al gemello e gli circondò le
spalle con un braccio.
"Temo
che dovrò darti qualche lezione su come ci si comporta con
una signora,
fratello, o andrà a finire che morirai vecchio e solo."
"Tempo
perso, Kanon. Ma se ti può far star meglio, Saga...
c'è stato un momento nel
quale mi sei piaciuto."
"Ma non
mi dire."
"Sì.
Al
tredicesimo tempio, il giorno dopo la battaglia qui al Santuario."
L'altro ci
pensò su.
"Ma... a
quell'epoca ero morto."
"Appunto."
"Mei!"
intervenne Camus.
"Lascia
stare, non mi sono offeso. Dunque non ti dispiacerà se d'ora
in poi inizierò a
chiamarti Medusa, come fanno le
attendenti."
Camus lo
fulminò con lo sguardo, prima di scuotere la testa e
schiaffarsi una mano in
fronte, mentre Mei, ferma diversi gradini avanti a lui, lo guardava
pensierosa.
"...Medusa?" ripeté Mei. "Mi
chiamano Medusa?"
"Sei un uomo morto." sibilò
Camus a
Saga, mentre la moglie era intenta a rimuginare sulle sue parole.
"Bravo,
è proprio così che si lavora sulle amicizie." lo
prese in giro Kanon.
"Io e
tuo fratello non siamo amici."
lo riprese Mei. "...fammi capire... che cavolo di soprannome
è? Speravo in
qualcosa di più mostruoso, come...Megera."
Shaina ridacchiò.
"Ah no,
bisogna lavorarci parecchio prima di meritarselo."
"Oh.
Dunque dovrò dannare di più quelle pie
attendenti." convenne Mei, prima di
allontanarsi verso l'undicesima casa insieme a Shaina.
Camus
riprese
a seguire la moglie.
"Medusa, come fanno le attendenti. Ma
riesci a tenere la bocca chiusa ogni tanto?!"
"Mi
dispiace. Pensavo lo sapesse."
"No."
"Oops."
"Sai
qualcosa di quella bambina?"
Shaina
scosse
la testa.
"Nessuno
sa niente, almeno per il momento. Anche se Milo ha le sue idee a
riguardo."
La bimba
intravista prima aveva, almeno da quel poco che aveva visto, occhi e
capelli
scuri, e a parte Shura e pochi altri, non ricordava nessuno con quelle
caratteristiche.
"...potrebbe
essere la figlia di qualche Silver?"
"Ne dubito."
"Allora
la figlia di qualche attendente?"
"Non
sarebbe libera di circolare liberamente per il Santuario." rispose
Shaina.
"Le famiglie delle attendenti abitano a Rodorio e necessitano di un
permesso per entrare."
Arrivarono
nei pressi della sesta casa, dove la bambina in questione stava
giocando
insieme ad Asha, l'attendente di Shaka.
"Ecco
dov'eri finita!" le sorrise Mei. "Beata te che puoi correre come
vuoi, io tra poco inizierò a rotolare anziché
correre."
"Chiedo
scusa se vi ha arrecato fastidio." disse Asha, costernata.
"Nessun
fastidio." la tranquillizzò Mei. La bimba la
guardò rapidamente, tornando
con altrettanta rapidità ai suoi giochi. Una bella bambina,
con occhi e capelli
neri come l'ebano e, se ne accorse in quel momento, una certa
somiglianza
con... "E' una bella bambina. E' vostra nipote?"
"Non
proprio." interloquì Shaka, uscendo dal proprio tempio. "Ma
è come se
lo fosse. Dico bene, Asha?"
Mei si
sporse
verso Shaina, stupita quanto lei.
"Giuro
che se quella bambina è sua figlia, permetterò a
Camus di chiamare Albert uno dei
bambini." le
sussurrò.
"...eeeew." Shaina storse la bocca in
una smorfia. "Che gusti barbari."
"Poteva
andarmi peggio, credimi. Anziché Albert,
avrei corso il rischio di chiamarlo Fëdor."
Shaka
sorrise
alla piccola, che si era precipitata tra le sue braccia, e le
stampò un gran
bacio in fronte.
Per un
attimo
sgranò gli occhi, la sorpresa celata a stento.
"...che?!"
"Tutto
bene qui? Che c'è?!" domandò quindi Camus,
arrivando.
"Che
sguardo truce. Non so perché, ma credo tu sia nei guai,
amico."
Camus
ignorò
Milo, guardando Mei interrogativo.
"Quoi?"
"C'è
che
stavolta hai vinto tu." gli rispose lei. "Albert.
Va bene anche questo nome, se ti fa piacere. Però spero
proprio che nostro figlio non faccia la fine dell'uomo che vuoi
omaggiare e non
muoia a quarantasette anni contro un platano."
"Ti
hanno mai detto che hai una macabra immaginazione?" le gridò
dietro Milo,
mentre l'amica si allontanava dalla sesta casa.
"Non
è
immaginazione. Lo scrittore dal quale prendo il nome è
davvero morto in quel
modo." sospirò, prima di accorgersi, finalmente, dei due.
"Ah però."
"Ah però cosa?"
replicò Shaka,
posando a terra la figlia. "Entra in casa, la mamma ti sta cercando. A
dispetto di quanto tutti quanti voi pensate, non conduco vita monacale."
"Sì,
l'abbiamo notato."
Shaka
guardò
Milo con accondiscendenza.
"Tengo
la mia vita privata molto
privata." spiegò semplicemente.
"Forse
anche troppo privata, non
credi?" rispose Camus. "Fa una strana impressione vederti con una
bambina in braccio."
"In casa
ho anche una moglie, se è per questo. Non è
strano, fa parte della vita: Aiolia
si sposa e per voi è normale. Milo si fidanza e per voi
è normale, tu ti
sposerai a settembre e nel frattempo incrementi la popolazione parigina
ed è
normale... perché il mio matrimonio e la mia
paternità per voi non sono normali?"
Dall'interno
della sesta casa una voce femminile sconosciuta –la
misteriosa moglie di Shaka,
sicuramente- li interruppe, e Shaka rispose, in hindi.
"Ad ogni
modo, stasera renderò pubblica parte della mia vita privata
e vi presenterò la
famiglia, così da dimostrarvi che anche io sono normale esattamente come voi."
Camus
corrugò
la fronte: quando mai aveva detto il contrario?
"Okay. Ho
già a che fare tutto il giorno con una persona in preda agli
ormoni impazziti,
e preferirei evitarne altre. Sicchè... i miei auguri,
Shaka." disse, prima
di avviarsi lungo le scale che portavano alla settima casa. La persona
appena
citata rispuntò d'improvviso: aveva deciso di trascorrere un
paio d'ore in
compagnia di Dohko, fratello e cognata. "Okay.
Ne te fâche pas, d'accord?" [Okay,
ma non
arrabbiarti, d'accordo?]
"Ne
t'inquiète pas." [Non
preoccuparti.]
Milo sorrise
quando li vide scambiarsi un bacio, quindi seguì l'amico
dopo aver salutato
Mei.
"Parlate
troppo velocemente per i miei gusti, più veloci
dell'insegnante."
Camus
ridacchiò.
"Prova a
starmi dietro quando sono arrabbiato." gli rispose. "Quindi alla fine
ti sei iscritto a quel corso?"
"Più
che
altro per questioni di lavoro: a quanto pare l'inglese non bastava.
Così
volente o no, eccomi a studiare una lingua che non mi è
congeniale." si
lamentò Milo.
"Ti
lagni troppo, non stai studiando cinese mandarino, è solo
francese. E al mio
posto che faresti, allora, a studiare cinese avanzato, giapponese
intermedio e
corso base di arabo?" Camus posò la valigia in corridoio,
sotto il
ritratto di Degél, e si stiracchiò. "Con tutte le
intonazioni che devo
studiare e praticare, le mie corde vocali prima o poi faranno armi e
bagagli e
mi abbandoneranno."
"Accidenti.
Come fai a non impazzire?!"
L'altro
ridacchiò ancora.
"Sono
ambidestro,
ed è risaputo che noi siamo di intelligenza superiore alla
media. Ergo, mio
buon amico, ho un cervello più sviluppato del tuo, in grado
di poter assimilare
più lingue di te."
Milo
assottigliò lo sguardo.
"Beh, a
chi il cervello, a chi qualcos'altro."
"Cretino."
Il Santo
Stefano al Santuario era come le altre feste, solo più
chiassoso ed esagerato:
dopo i regali, il pranzo abbondante e le foto di rito, Mei era tornata
all'undicesima in seguito a un malore dovuto forse alla gravidanza
–o al troppo cibo-.
"...non
avrei scommesso neanche uno yuan su Shaka, giuro. Hai visto sua moglie
che
bella ragazza? Con il trambusto che c'era non ricordo il nome... Sati-...?"
"Saraswati." la corresse Camus. "Come
la dea omonima."
"Ah
già.
Avevo colto l'allusione. E la bambina... Rani,
giusto? Regina."
"...esatto."
"Non
fare quella faccia da saputello, non guardo solo i film di Keanu
Reeves, sai,
io leggo anche, e parecchio: mai sentito parlare di Salgari e della sua
tigre
della Malesia?" sorrise Mei. "Sono colpita, quel nome dice tantissimo
di Shaka e di ciò che prova per quella bambina. Ha
decisamente guadagnato dei
punti."
Durante
tutta
la sera, infatti, non l'aveva persa di vista un solo istante, attento
sia a lei
che a sua moglie, una bellissima ragazza che, a quanto pareva,
proveniva dalla
sua stessa città natale e che presentava caratteristiche
più esotiche di lui:
occhi e capelli nerissimi, carnagione olivastra e un fascino tutto
particolare
esaltato dalle trecce elaborate con le quali Saraswati teneva legati i
capelli
e i sari che indossava. Si conoscevano da parecchio tempo e Rani era
nata dopo
qualche tempo dal matrimonio.
Il resto, rimaneva avvolto nel mistero: per Shaka aver presentato
moglie e
figlia ed essersi esposto in quel modo, pensò Camus, era
già tanto.
"Per
questa sera Kanon aveva in mente di andare in un locale ad Atene a bere
qualcosa."
Mei
aprì
appena gli occhi.
"Vai
pure e divertiti, non c'è problema."
"Ma
certo, io vado a divertirmi mentre tu stai male."
"Per l'amor
del cielo, è nausea. Ho solo tanta nausea, non sto per
partorire."
rispose, a bassa voce. "Io starò qui tranquilla, al buio,
finché non starò
bene. Mi è già successo altre volte, non
è niente di preoccupante. Vai e
divertiti, o inizieranno a dire che il matrimonio, i figli e la
sottoscritta ti
hanno rammollito al punto da farti comandare a bacchetta."
Camus si
sedette sul bordo del letto e posò una mano sulla sua fronte.
"Non mi
interessa un accidenti ciò che pensano gli altri." le
rispose. "Ehi...sei
calda."
Mei sorrise
appena.
"Ringraziando
il cielo, altrimenti sarei morta."
"Non
scherzare in questo modo." la riprese Camus.
"Che gelida manina, se la lasci riscaldar...non
ho la febbre, sei tu che hai la mano gelida." rispose Mei. "Esci e
divertiti, io mangerò biscotti secchi e guarderò
qualche puntata del mio serial
preferito prima di mettermi a dormire in attesa di andare al lavoro."
Camus
scrisse
rapidamente un sms di risposta a Kanon.
"...oppure
approfitterai della mia assenza per sbavare sul tuo attore preferito."
"Può
essere." aggiunse Mei, con un sorriso. "Anzi, saresti così
gentile da
consigliarmi? My Own Private Idaho o
Matrix Reloaded?"
"Beh, io
seguirei il filone fantascientifico e ti consiglierei il secondo."
l'assecondò Camus, dopo aver letto la replica di Kanon.
"Sono
più interessata al Canada e i suoi panorami mozzafiato
che alla fantascienza
vera e propria."
Distratto,
Camus impiegò qualche istante a capire la battuta di Mei,
che scoppiò a ridere.
"Dai,
dammi un bacio e raggiungi i tuoi amici." lo esortò.
"Eh no,
chiedilo a Keanu Reeves il bacio." le scoccò infine,
alzandosi e
ridacchiando non appena sentì le sue proteste.
"Posso?"
Mei
sollevò
lo sguardo dal film e lo posò su Shaina, ferma sulla porta
della cucina; i
ragazzi si erano allontanati da circa un'ora e da altrettanto tempo lei
era
seduta a mangiucchiare qualcosa davanti a uno dei suoi film preferiti.
"Certo,
che domande."
Shaina si
sedette di fronte a lei, rubando un biscotto dal sacchetto e sorridendo
non
appena in scena comparve Keanu Reeves.
"Lo
sapevo." ridacchiò. "Point Break?"
L'altra
ridacchiò.
"No, Speed. Sono prevedibile, lo so."
Shaina
gettò
uno sguardo alla custodia del dvd, dove il volto dell'attore
campeggiava in
primo piano, sullo sfondo di un autobus avvolto dalle fiamme.
"Qui era
ancora un ragazzino. Quanti anni aveva in questo film?"
"Trenta."
rispose Mei.
"Sì,
beh… devo ammettere che non era poi così
male, era un bel bocconcino."
Mei prese la
custodia di un altro dvd e lo posò davanti a Shaina: ancora
un bel primo piano,
ma di diversi anni dopo.
"E' ancora un bel bocconcino. Ha
quarantasette anni ma ne dimostra parecchi di meno."
"E'
stato il mio orologio a
portarti da me, vero? Sì, lo ammetto, sono stato un po'
gigione a costruire la
bomba con il mio prezioso regalo di pensionamento, ma ho pensato che un
cartellino con su scritto Howard
Payne sarebbe stato un po' esagerato."
"Se
riesco a prenderti, ti strappo le palle, lo giuro su Dio!"
Mei
ridacchiò.
"Nella
versione originale Jack lo minaccia di strappargli di dosso la spina
dorsale,
ma anche così rende bene l'idea di quanto è
infuriato... comunque, come stavo
per dirti:
è uno di quei
rari esemplari maschili che invecchiando migliorano, come Robert Downey
Jr o...
Sean Connery, per dirne due."
Shaina
annuì.
"E
Richard Gere, Pierce Brosnan e Kevin Costner li hai dimenticati?" le
chiese, provocandole un'altra risatina.
"Scherzi?
Io ero innamorata persa di Kevin Costner da ragazzina, piaceva tanto a
mia
madre. Se iniziamo questo discorso potremmo finire domattina, e i
ragazzi ci
troverebbero ancora qui a parlare alle prime luci dell'alba."
"A
proposito, stavo pensando che, se stai meglio, potremmo raggiungerli."
Mei
spense il dvd e ritirò i biscotti.
"Perché
no? Solo, non posso fare tardi, domattina lavoro. Come mai non sei
andata via
prima insieme a Milo?"
Shaina
prese qualcosa dalla tasca interna del suo giubbotto e glielo porse.
"Perché
nemmeno io stavo bene."
Mei
guardò sorpresa l'ecografia, gli occhi sgranati e increduli.
"Milo
ancora non lo sa."
"...oddèi."
*
"It's the
terror of knowing what this world is about, watching some good friends
screaming: let me out!"
Mei
corrugò la fronte
mentre assicurava il bloccasterzo al volante.
"Qualcuno
là dentro sta violentando una delle mie canzoni preferite...
non so se me la
sento di entrare." commentò, facendo ridere Shaina. "Oh dai.
Devo
proprio?"
"Sì."
Sospirando, inserì l'antifurto e si apprestò a
seguire l'amica, mentre
all'interno uno dei due cantanti improvvisati storpiava dolorosamente
Freddie
Mercury.
"Sai,
esiste un girone dell'inferno per quelli che rovinano in questo modo le
canzoni." disse Shaina, tenendole aperta la porta del locale.
"Ah lo
spero proprio." replicò in risposta. La sole luci offerte
dal locale, a
parte le caratteristiche lampade a fungo poste su ogni tavolino,
consistevano
in lunghe file di lanterne colorate e due strobo.
Sul palco, Saga e
Aiolos.
"Oddèi."
"Io vado
a ordinare da bere, tu vuoi qualcosa?"
Dei tappi per le orecchie.
"Un
fucile a canne mozze e uno Shirley Temple. Non necessariamente in
quest'ordine."
le rispose, prima di raggiungere i ragazzi, seduti a due tavoli,
intenti a
prendere in giro i due compagni sul palco. "Chi ha avuto la brillante
idea
di far cantare quei due?"
Camus si
girò
per primo, spostandosi per farle posto.
"Come
stai?"
"Va
meglio. Beh, andava, visto che il
mio
cuore sta sanguinando in questo momento. Non perdonerò mai
Aiolos per questa
pugnalata."
Kanon si
sporse verso di lei, sogghignando.
"Non
è
colpa sua, diciamo che è mia."
"Ti
odio."
"Perché?
La canzone non l'ho scelta io, ha fatto tutto Saga."
"Oh. A
tuo fratello piacciono i Queen?"
"Li
adora."
Di male in peggio.
Camus le
strofinò la schiena, attirando la sua attenzione.
"Mi
sentivo in colpa a pensarti a casa mentre invece io ero qui."
"Ma no,
avevo solo nausea e la pressione un po' bassa. Ho mangiato qualcosa e
siamo
venute qui." spiegò Mei. "Ah, ho preso in prestito una tua
giacca:
l'idea di mettere il piumino mi faceva sudare."
L'aveva
trovata in una delle due cassepanche del suo studio, gli
spiegò, e aveva deciso
di prenderla in prestito.
Camus la
osservò –per quanto possibile, data la
scarsità di luce-: blu, o nera, dal vago
sapore settecentesco con due lunghe file di bottoni argentati, alamari
e polsini
decorati.
"Non
è
mia."
"Come,
no?"
"No, ti
dico, non è nel mio stile."
"Ah
perché, hai uno stile, tu?" interloquì Milo.
"...disse
quello che va in giro con i jeans strappati." lo riprese Camus. "Ne
ho una simile, ma fa parte del mio costume da D'Artagnan, insieme a un
cappello
con delle grandi piume rosse, parrucca e pizzetto posticcio e una
mantella nera.
Amo quel costume: se Lady Saori organizza qualcosa per carnevale, lo
indosserò."
"...come
ogni volta..."
"Senti
chi parla, col suo costume da Kiss..."
"E
allora di chi accidenti è questa giacca?!" li interruppe
lei.
Effettivamente le era parso strano che potesse essere di Camus,
soprattutto
dopo aver visto, nella stessa cassapanca, anche un paio di calzoni al
ginocchio, un panciotto e un cappello dalla foggia strana.
"Se li
hai trovati dove penso io, allora sono di Degél." le
rispose, mentre Saga
e Aiolos, terminata la canzone, ritornavano alla tavolata tra uno
scrosciare di
applausi. "Un suo abito da ballo, suppongo: l'ho indossato una volta
per
un carnevale a tema e mi sono dimenticato di riporlo in soffitta, dove
l'avevo
preso."
"...è
di
Degél... e me lo dici così?"
"Beh, e
come avrei dovuto dirtelo?"
Kanon,
dall'altra parte del tavolo, sogghignò in direzione del
fratello.
"Come
cantante fai schifo."
"Sono un uomo di lettere, io. Non so cantare ma so fare tante altre
cose." replicò Saga.
Sì,
sappiamo anche bene quali cose sai
fare.
Mei
inarcò un
sopracciglio tuttavia non disse nulla, preferendo sorbire un sorso del
drink
analcolico che Shaina le aveva portato.
"Devi
dirmi qualcosa?" le domandò Saga, sedendosi accanto a Camus.
"Dici a
me? No. Altrimenti mi avresti sentito forte e chiara. Hai forse la coda
di
paglia?"
Milo li
sentì, entrambi sul piede di guerra, e intervenne.
"Ehm...
Mei, che ne dici, un duetto io e te? Kiss? Magari ci alterniamo?"
L'amico li
guardò divertito.
"Sì,
se
vuoi far fuggire tutti i randagi di Atene questa è
l'occasione giusta." la
prese in giro, facendo ridere Saga.
"E tu
chi pensi di essere, Tony Hadley? Dai Milo, sai che mi vergogno."
Kanon
arrivò
in soccorso di Milo.
"Se la
cosa può farti stare tranquilla, i riflettori sotto il palco
oscurano la
visuale di tutto il locale, quindi è come se cantassi nella
privacy del tuo
salotto." le disse, facendo spallucce.
Ci
pensò su
un attimo, mentre i due avventori sul palco cantavano Last
Christmas.
"...dipende
da cosa vuoi cantare, perché certe canzoni non le canterei
neanche se arrivasse
qui Paul a implorarmi in ginocchio." capitolò Mei.
"..perché?"
"Già, perché. Niente di eccessivamente volgare,
Milo, sono una madre di
famiglia e sono anche incinta."
Milo
annuì.
"Tranquilla."
le rispose, alzandosi e tendendole la mano. "Coraggio!"
"E va
bene..."
Camus
iniziò
a ridacchiare, sporgendosi verso Hyoga, seduto dall'altra parte del
tavolo con
Shiryu, Seiya e Ikki.
"Hyoga,
l'hai presa tu la fotocamera? Ti prego, dimmi che non l'hai lasciata a
casa..."
L'interpellato
gli porse la borsa dopo qualche minuto.
"Bravo
ragazzo, ecco perché ti ho scelto come allievo."
"E io
che credevo di essere tuo allievo perché sono bravo a
rompere ghiacciai..."
Ikki sghignazzò.
"Sei
bravo a rompere, e non solo i ghiacciai."
"Adesso
capisci perchè mi piace, il tuo amico?" scherzò
Mei, guardando Shiryu.
"Don't wanna wait till you know me better,
let's just be glad for the time together…"
canticchiò Saga, in sua
direzione.
Mei lo
guardò, un
sopracciglio inarcato e un'espressione indecifrabile sul volto.
"Perché
non
torni alla terza casa e non la canti a una delle tue ancelle? Sono
certa che,
chiunque sia, apprezzerebbe."
Saga si
abbandonò
allo schienale della sedia, cercando di assumere la stessa aria
strafottente di
suo fratello.
"Pensi che
abbia bisogno di cantare, per avere compagnia?"
"Nah. Basta
solo essere tanto, tanto disperate." gli rispose, prima di allontanarsi
con Milo.
"Vipera." sibilò Saga.
Kanon
sbuffò.
"A
cuccia, tu." lo riprese. Sul palco, una volta terminata la canzone
precedente, Milo e Mei stavano scegliendo la canzone, ridacchiando
complici. "Okay,
chi si fa un altro giro di birra?"
"Io sono
di reperibilità." rispose Aphrodite.
"Per me
niente, credo che andrò a vomitare." aggiunse Camus, la mano
sullo
stomaco.
"Tua
moglie non ha nemmeno iniziato a cantare e già vomiti?"
domandò Aiolia.
Hyoga si
sporse e ridacchiò.
"...te
l'avevo detto, di non mangiare i peperoni a cena... alla tua
età non li digerisci
più."
DeathMask
scosse la testa.
"No,
è
che il suo stomaco è troppo delicato per la mia peperonata. Pappamolla."
Uscirono dal
locale dopo un paio d'ore -dopotutto l'indomani sarebbe stato un giorno
lavorativo e non tutti avevano preso le ferie-, dopo quella che, a
dispetto di
qualche voce stonata e qualche battutina pungente, si era rivelata una
bella
serata tra amici.
Vista la
presenza di un'auto in più, Shura, Camus e Milo decisero che
sarebbero tornati
al Santuario insieme a Mei per evitare come la peste l'auto di
Aphrodite –Amigo, con tutto il
rispetto, ma quel
deodorante al pompelmo è rivoltante-.
"Che ti
avevo detto? Fai cantare Mei e vedrai come spariscono tutti i randagi
di
Atene." scherzò Camus.
"Spiritoso."
"Beh, vedi in giro cani randagi per caso? Appunto, visto? Grazie a te
sono
spariti tutti."
"Dai, sali in macchina, domani lavoro." fu la risposta di sua moglie.
Nel
raggiungere l'auto, Camus si appoggiò frettolosamente al
cofano dell'auto di
Aphrodite, la mano puntata alla piega della gamba destra.
"...Death,
se devi vomitare fallo adesso, perché altrimenti torni a
piedi." minacciò
Aphrodite.
"Auto nuova?" domandò Mei.
"Sì,
e
non intendo portarla a lavare e disinfettare."
"Anche
io ho una Sportage, ma è
il modello
precedente al tuo. Posso darci un'occhiata?"
"Accomodati."
"Sì,
dacci un'occhiata prima che la battezzi." ridacchiò
DeathMask.
Aphrodite
assottigliò lo sguardo.
"Finiscila,
o potrei decidere di battezzare il mio nuovo bisturi sul tuo cranio."
Milo
seguì
Shaina e si accomodò nei sedili posteriori.
"Dai
Camus, muoviti."
"Piaciuto
il tour?" scherzò Aphrodite, quando vide Mei tornare alla
propria auto.
"Sì
e
no, non sopporto il cambio automatico. Mi piace avere il controllo del
mezzo
che guido."
"A proposito di mezzi, io farei attenzione agli interni del tuo." le
disse Aphrodite, indicandole Milo con un cenno.
"Anche
fosse, dopo se la vedrebbe con Dohko, quindi... Cam? Tutto bene?!"
"Sì,
adesso passa, mi sa che si è addormentata la gamba."
"Questo
è il karma." biascicò Milo.
"...e
perché, scusami?"
"Perché
tu ci hai presi in giro mentre cantavamo."
"Sei
insopportabile quando sei ubriaco." lo riprese Camus.
"Tu lo
sei anche da sobrio."
*
Se Camus e
Lixue erano in vacanza, lo stesso non si poteva dire di Mei; aveva
preparato loro
la colazione, rapida come sempre, e aveva chiesto a Milo di
accompagnarla col
teletrasporto a Parigi preferendo non svegliare nessuno.
"C'è
stato un imprevisto con la scaletta per l'inaugurazione
del nuovo anno di lezioni."
"Beh,
buongiorno capo." rispose Mei.
"Definisci imprevisto."
"Niente
di grave, il tuo intervento è anticipato. So che non ti
piace parlare in
pubblico e avresti preferito parlare per ultima o non parlare affatto,
ma
Koichi non può più partecipare e al posto del suo
intervento ho dovuto
improvvisare qualcosa: io allungherò la dimostrazione di
karate e tu...
dovresti parlare un poco di più del taijiquan. Che so,
impressioni personali,
esperienze..."
"Dovrò
cambiare il mio discorso..."
"Pensi
di poterci riuscire?"
Inspirò
profondamente e mise su un bel sorriso.
"Ovviamente
sì."
"Perfetto,
grazie. Ah, i documenti per la maternità sono pronti, prima
di firmarli puoi
farli leggere al tuo avvocato." rispose Sheng, lasciandola entrare
nello
spogliatoio femminile.
Ripose tutto
nel borsone, appuntandosi mentalmente di far leggere le carte a Shura
–ancora una
volta- e apprestandosi ad affrontare la giornata di lavoro.
"Mei?"
Si
fermò a
metà del quinto movimento e si girò verso Sheng.
"Si?!"
"Tua
figlia ti aspetta al telefono."
Guardò
l'orologio sul cellulare, posto su una mensola accanto agli attrezzi, e
sbuffò
appena.
"Non
potresti chiederle di telefonarmi fra mezz'ora? Manca ancora un po'
alla fine
della lezione."
"Credo
sia urgente, stava piangendo. Ho cercato di tranquillizzarla ma
è davvero
disperata."
Mei si
scusò
con le sue allieve e le invitò a tornare nella posizione
iniziale per non
stancarsi, quindi si avvicinò al suo capo.
"Sono
spiacente, le avevo detto di telefonare al dojo solo se strettamente
necessario."
"Stai
tranquilla, ti sostituisco io."
"Riprendi
dal quinto movimento e non le stressare troppo, un paio di loro sono
vicine al
termine." sussurrò Mei, prima di voltarsi verso le allieve
facendo il
saluto rituale. "Mi scuso con voi, ci vediamo alla prossima lezione.
Grazie, Sheng."
Uscì
dalla sua
sala e si diresse al bancone, prendendo la telefonata.
"...dimmi,
tesoro. Se piangi non capisco nulla... prendi un bel respiro e
calmati."
la esortò, cercando di tenere a bada l'agitazione. "Che
cos'è successo, ti
sei fatta male? Dove...? Come sarebbe a dire che hai
mandato papà in ospedale?"
Quando Milo
la sentì armeggiare con la serratura, si affrettò
ad aprirle la porta di casa
trovandosela davanti agitata, come aveva previsto.
"Certo
che tua figlia è proprio una gran zuccona: le avevo detto di
aspettare e di non
telefonarti subito, che era una cosa da niente... un momento...come
accidenti
fai ad essere già qui?!" le domandò, sgranando
gli occhi prima di guardare
l'orologio. "Dimmi che non hai guidato come una furia nelle tue
condizioni..."
"Allora
non te lo dirò. Che cos'è successo? Come stanno?"
"Aspetta,
faccio io." le tolse le chiavi di mano, chiuse la porta a doppia
mandata e
la seguì verso la camera. "Stai tranquilla, niente di grave.
Camus e Hyoga
volevano portare Lixue alla pista di pattinaggio del centro
commerciale, ma
l'hanno trovata chiusa per manutenzione. Così ne hanno
creata una fuori dalla
palestra e... nulla, hanno iniziato a fare i cretini con Lixue, tutti
impegnati
a fare saltelli e giravolte. Non ho visto esattamente cos'è
successo ma ho
visto Camus andare lungo e disteso sul ghiaccio."
"...lascio
soli quei due un paio d'ore ed ecco che succede. Ma perché
in ospedale? Ha
battuto la testa?"
"No, la
testa non ha niente, credo si sia dislocato la spalla cercando di
frenare la
caduta. Prima che venissi qui Aphrodite mi ha sommariamente spiegato
che si
trattava di appendicite e Lixue è convinta che sia stata lei
a far finire Camus
in ospedale."
"Che
sciocchezza." esclamò Mei dalla camera, infilando la divisa
nel cesto dei
panni sporchi "Dov'è adesso?"
"L'ho lasciata con Dohko alla settima casa."
"E Camus?"
"Stavo per mandare un messaggio ad Aphrodite quando sei arrivata. Camus
è
ancora in sala operatoria, quindi hai tutto il tempo di farti una
doccia. E
Mei? Fai con calma, che se ti fai male Camus mi fa lo scalpo."
"Voi due
dovreste smetterla di trattarmi come una bambolina di porcellana." si
lagnò Mei, chiudendosi nel box doccia. Che giornata. Prima
la richiesta di
Sheng, poi i due ragazzini che si erano accapigliati durante la
lezione, quindi
la telefonata di Lixue.
"Non ti
ho sentita, prima hai detto qualcosa?"
"Sì,
che
dovreste smetterla di trattarmi come un oggetto pronto a rompersi al
minimo
alito di vento." gli rispose, assicurando con un elastico la treccia
con
la quale aveva raccolto i capelli umidi. "Sono più
resistente di quel che
pensate."
Nel
frattempo, Camus era uscito dalla sala operatoria e, secondo la
risposta di
Aphrodite, era già stato sistemato in una stanza privata,
dove avrebbe
trascorso la degenza.
"Phro
dice che è appena uscito dalla sala di risveglio e che
è stato portato in
camera... dice anche che possiamo entrare, lui ci raggiunge subito."
Una stanza
singola, piccola e luminosa; superato il fastidio per il tipico puzzo
di
disinfettante, Mei entrò e si avvicinò al letto
facendo attenzione ai monitor e
le apparecchiature, mentre Milo chiedeva informazioni all'infermiera
dietro il
bancone.
Semidisteso
nel letto e coperto fino allo stomaco, Camus aveva ancora indosso la
cuffia e
la mascherina dell'ossigeno; un tutore fermava la sua spalla
attraversando il
petto e al braccio sinistro erano collegate una serie di sacche.
Il solo
rumore nella stanza, a parte il respiro regolare di Camus, erano le
pulsazioni
del segnale ecg.
"L'ultima
volta che l'ho visto così inerme è stata..."
iniziò Mei a bassa voce,
interrompendosi e scacciando dalla mente le immagini di anni prima,
dopo la
scalata del Santuario "...miei dèi, questi cosi mi mettono i
brividi." aggiunse, indicando con un cenno i monitor.
"...perché
mai? Finché senti questi rumori significa che tutto va
bene." interloquì
Aphrodite, arrivando. "Camus è stato assegnato a me, ma se
vuoi stare più
tranquilla puoi comunque rivolgerti al mio responsabile. Dunque... non
c'è
niente di cui aver paura, guarda: qui e qui pressione e frequenza
cardiaca, qui
c'è il settore riguardante il sangue e qui c'è la
saturazione. Da quel che vedo
i parametri di Camus sono ottimi e se non sbaglio dovrebbe essere
vicino al
risveglio. Hai domande da farmi?"
"Sì,
una. Cosa diavolo è successo?
Stamattina mi ha accompagnata al lavoro ed era ancora tutto intero."
Prima che
potesse risponderle, Camus si mosse e socchiuse appena gli occhi.
"...mia."
Mei si
chinò
immediatamente verso il compagno mentre Aphrodite gli toglieva la
mascherina
dell'ossigeno.
"Cosa?
Ma che accidenti combini? Non posso lasciarti solo che ti ficchi nei
guai.
Cos'è successo?" gli domandò, carezzandogli una
guancia.
"E'
colpa mia. Temo di aver sottovalutato un certo problemino per troppo
tempo." le spiegò sommariamente, con voce rauca.
"Ah,
un'appendice infiammata tu lo chiami problemino?"
replicò Mei. "E quanto tempo hai taciuto questo dettaglio?"
"Ricordi
quando il mese scorso sono tornato tardi? Io e Milo non abbiamo
aspettato
mezz'ora in autostrada perché pioveva, ma perché
non riuscivo a muovere la
gamba."
"Che
stupido."
"Mi è successo anche l'altro giorno. E in
più… ho dato di stomaco e ho
liquidato il tutto senza dargli troppa importanza: credevo fosse colpa
della
cena thai."
"E se si
fosse perforata?"
Camus
represse un colpo di tosse, con una smorfia.
"Non
fare la pessimista, non è successo: sarò fuori di
qui prima del 31
dicembre."
"Questo
lo lasci decidere a me, Monsieur
La-Rochelle." lo prese in giro Aphrodite, compilando qualcosa
nella
sua cartella. "Allora, come va?"
Camus
inarcò
un sopracciglio, mentre Aphrodite scribacchiava.
"Mi
brucia la gola, continuo a tossire –cosa che mi fa un male
cane- e ho un tubo
infilato in un posto dove un uomo non dovrebbe mai
avere un tubo."
"Uhm... paziente ben orientato, risponde in modo
appropriato, anzi risponde nel suo
solito modo irritante. Sì, direi che stai bene."
annuì l'altro.
"La tosse è piuttosto comune dopo un intervento,
è un meccanismo di
difesa. La gola ti brucia per via dell'intubazione e... beh, se ti fa
piacere
posso toglierti il catetere e chiedere in prestito un pacco di
pannoloni da
geriatria. Oh, non fare quel gesto volgare, non è da te."
Così
come non
era da lui finire in ospedale per una cosa di quel genere.
"Mi
spieghi come accidenti hai fatto a
scivolare sul ghiaccio e fracassarti?" domandò Mei, di punto
in bianco. "Proprio
tu? E' come se Ikki finisse in
ospedale con delle ustioni di terzo grado."
"E'
colpa mia." intervenne Lixue, ferma sulla porta insieme a Shaina. "Ho
sfidato papà a fare un salto."
"Bravi,
tutti e due. Che ti è saltato in mente?! Chi pensavi di
essere,
Plushenko?"
Un'altra
smorfia.
"Per
Athena. Non so se soffro di più per la spalla, per la ferita
o per la tua
pessima pronuncia." finse di lagnarsi Camus.
Inarcando un
sopracciglio, Mei socchiuse gli occhi.
"Bada,
potrei inavvertitamente strattonare
il catetere."
"Non
strapazzarlo, è ancora debole." la riprese Aphrodite. "Anzi,
seguimi
un minuto, ci sono alcune scartoffie da firmare. E tu, signorina, corri
ad
abbracciare tuo padre, ne ha bisogno. Ma attenta ai tubicini!"
Mei
sbuffò,
ripiegando il cappotto sullo schienale della sedia e frugando in borsa
alla
ricerca del telefonino prima di seguire l'amico.
"E va
bene. Come ha fatto a passare da una dislocazione all'appendice?!"
"Direi
piuttosto che è stato il contrario. Ma non ha importanza, la
spalla adesso è a
posto e l'appendice è imbarattolata
e
pronta per i rifiuti organici."
"Davvero?"
"Davvero."
"Cioè...
è come si vede nei telefilm? Un barattolo ermetico zuppo di
formaldeide nella
quale fluttua l'organo tolto?"
"Tu
guardi troppi serial medici, Mei. Non è proprio
così. Non qui almeno." le
rispose, divertito.
"Oh,
dai. Non fare il guastafeste, so che da qualche parte avete uno
stanzino con
queste cose nascoste."
"E va
bene. Alcune cose le teniamo sotto conservante per ragioni di studio."
"Quindi
hai anche l'appendice di Camus? Posso vederla? Dai!!"
Aphrodite
corrugò la fronte.
"...tu
non vuoi davvero vedere l'appendice infiammata di tuo marito."
"Te l'ho
appena chiesto."
Lui
ridacchiò.
"Influirebbe
sulla vostra vita sessuale e sulla tua psiche, dammi retta."
"Sulla
mia psiche?" ripeté Mei, esterrefatta. "A undici anni ho
visto i
resti dei miei genitori su un tavolo dell'obitorio, a diciotto ho visto
i
cadaveri di cinque persone –una delle quali sta parlando con
me e l'altra è nel
letto di là- e a ventisei ho scoperto di aver perso un
fratello. Dimmi,
esattamente come potrebbe, un'appendice, influire sulla mia psiche?"
"Beh, se
la metti così... sono comunque spiacente, non posso farti
entrare nella saletta
dove custodiamo certe cose." le rispose. "Dovrai aspettare
finché non
la farò vedere a Camus. Se non ci saranno complicazioni lo
dimetteremo tra un
paio di giorni."
Mei
annuì,
stanca.
"D'accordo."
"Sicuramente passerà anche il mio responsabile, ma se mi
concedi ancora
cinque minuti ti parlerò della terapia da seguire a casa,
sia per la spalla che
per il resto. Torna da Camus, vi raggiungo subito."
Lixue scese
dal letto non appena vide la madre rientrare, sedendosi sulla sedia
dalla parte
opposta della stanza e lasciando i due genitori liberi di parlare.
"Che
giornata."
commentò Camus. "Era partita così bene... ed
è finita con un'operazione in
anestesia totale e un'accidenti di infermiera che col rasoio mi ha
fatto
letteralmente vedere le stelle."
Corrugando
la
fronte, Mei sollevò il lenzuolo e sgranò gli
occhi.
"Oddèi!" esclamò.
"In effetti
ti ha tagliato."
"Pure. Mi
sento nudo." si lagnò Camus, tirandosi il lenzuolo al petto
con il braccio
sano. "Mi sento un pulcino spelacchiato."
"Non per
sottolineare l'ovvio, ma sei nudo."
"Lo so.
E avrei preferito non farmi vedere in questo stato."
"Oh,
andiamo... a casa non fai il vergognoso."
"...a
casa non ho un tubo infilato dove non batte il sole."
sussurrò lui, per
non farsi sentire dalla figlia.
"Allora
vorrà dire che ti darò il permesso di sbirciare
nel mio addome quando sarò sul
tavolo operatorio." ridacchiò Mei, sistemando il lenzuolo
senza sbirciare
ulteriormente.
Aphrodite
rientrò con una nuova sacca per la flebo e un barattolino.
"Ho
sentito che assisterai al parto. Coraggioso." commentò. "E
un po' incosciente
anche, dato che sei svenuto a una semplice ecografia."
Camus
roteò
gli occhi.
"Oddèi,
l'hai detto proprio a tutti eh?"
"Certo,
gli eventi memorabili vanno condivisi."
"A
proposito di eventi memorabili, la tua appendice stava per diventarlo."
interloquì Aphrodite, posando davanti a Camus un
barattolino. "Mancava
davvero poco e si sarebbe perforata."
Camus prese
il barattolo e lo guardò con un misto di
curiosità e... disgusto.
"Figo!!
Sembra una salsiccia alla brace che si è cotta troppo!"
esclamò Mei,
provvedendo a fare un paio di foto al contenuto del barattolo.
"Oddèi, la
tua espressione in questa foto è impagabile!"
"Figo?"ripeté Camus. "...grazie
per l'immagine che mi hai regalato, Mei. D'ora in poi non
mangerò mai più una
salsiccia in vita mia."
"Noioso."
borbottò Mei.
"Buoni,
voi due. Vado a chiamare il mio responsabile."
Mei si
avvicinò un po' di più al barattolo, osservando
con attenzione.
"Peccato
non poterla portare a casa!"
"Ti
prego, sto per mettermi a vomitare... a proposito di casa, mi
raccomando stasera
chiudi bene la porta: non sono tranquillo a sapervi da sole."
"Perché,
scusa, credi forse che io e Lixue torneremo a Parigi? Neanche per
sogno."
replicò Mei. "Io trascorrerò la notte qui e Li
dormirà da Dohko, o da
Milo."
Uno sbuffo
da
parte di Camus.
"No. Prima di tutto perché sei
incinta,
secondo perché domani lavori. Non ho sei anni e non ho
subito un intervento a
cuore aperto, quindi non è necessario che tu rimanga qui. E
poi, Phro ha detto
che è di turno stanotte, in caso di problemi sarà
lui a chiamarti." fu la
sua ferma replica. "Questa cosa non è negoziabile quindi non
provarci
nemmeno a protestare, d'accordo?"
"Sì,
va
bene."
"Bon. Dai, vai a casa... ti vedo molto
stanca. Vai a dormire, ci vedremo domani quando avrai finito di
lavorare.
Ricordati che devi anche finire il tuo discorso."
La festa del
dojo... per un attimo l'aveva dimenticata.
"No.
Devo rivedere e forse riscrivere il mio discorso."
annuì.
"Ma comunque hai ragione, ci vediamo domani."
"À demain." le rispose, facendole cenno di avvicinarsi. "Non
prendertela con Lixue, è colpa mia se ho la spalla fasciata,
avrei dovuto
comportarmi da adulto."
"Perché,
l'ho forse incolpata di qualcosa?"
"Adesso
no, ma sei fredda con lei da giorni, da quando ti ho parlato del
pattinaggio."
Levò
ancora
una volta gli occhi al cielo.
"Miei
Dèi." sbuffò. "Avete macchinato tutto alle mie
spalle, è questo che
mi ha dato fastidio. Non sono fredda con nessuno: ve ne accorgereste,
tutti e
due, se fossi fredda con lei."
Aphrodite
entrò nella stanza, interrompendoli.
"L'orario
di visita sta per terminare, Mei."
"Esco subito. Lixue, prendi le tue cose."
"Salvata
in corner." commentò Camus, inarcando un sopracciglio.
"A
domani, allora."
"D'accord. On va en parler demain." [D'accordo, ne parleremo domani.]
"Sai, ti
porterei una girella all'uvetta ma per ovvi motivi non potresti
mangiarla,
quindi niente. Vorrei tanto, ma niente. La mangeremo noi al posto tuo."
"Va t'en,
sorcière." [Vai
via, strega]
Poche ore
più tardi, mentre Lixue e suo padre parlavano tramite
videochiamata, Mei, nello studio di Camus, correggeva il proprio
discorso.
"Che
giornatina, mh?"
Sollevò
lo sguardo su Milo, fermo sulla porta.
"Non mi dire
che Camus ti ha chiesto di farmi da
balia."
"Non
proprio. Ma non si sentiva tranquillo a sapervi
qui da sole, quindi eccomi qua." rispose Milo. "La stanza degli
ospiti la conosco, quindi..."
"Ah beh, per
un attimo ho temuto volessi dormire
insieme a me."
"Ti
piacerebbe."
Mei scosse
la testa, divertita.
"Muoviti, casanova,
ho del lavoro da terminare."
Fuori dallo
studio, Milo incrociò Hyoga.
"Che ci fai
qui?"
"Camus mi ha
assunto come guardia del corpo."
scherzò Milo, facendo spallucce e indicando Mei con un cenno.
"Che
testone, che motivo aveva di disturbarti se in
casa ci sono già io..."
"Uh, allora
sì che sono in una botte di ferro."
replicò Mei.
Hyoga si
finse offeso.
"Guarda che
sono valido tanto quanto lui!"
"Insomma,
Mei, non ti accontenti mai... hai ben due Saints
pronti a difenderti e non ti bastano?"
"Ma davvero?
E dov'erano questi due Saints quando mi sono
piombati tre specter in casa e ho dovuto ricorrere alle mie arti
marziali per
difendere me, mia figlia e Shunrei?"
"Quante
storie, erano tre banalissimi soldati
semplici!" la corresse Hyoga.
"Sai, non ho
avuto tempo di chiedergli il grado, ero
impegnata a salvarmi la pelle!"
Milo
corrugò la fronte.
"Oh, beh...
io ero insieme a Mu e Aiolia a fare pelo e
contropelo a Rhadamanthis."
Hyoga
proruppe in un colpo di tosse.
"Eri
lì a farti massacrare,
vorrai dire."
"Questione
di punti di vista."
"Ragazzi... per
me potete fare quel che vi pare, basta che mi lasciate lavorare."
E
riflettere. Aveva parecchio da fare su entrambi i fronti.
***
Lady
Aquaria's corner
[Capitolo
revisionato in data 7 aprile
2016]
-Il
titolo è un riferimento all'episodio n°8
della nona stagione di Grey's Anatomy.
"Giuro
che se quella bambina è sua figlia,
permetterò a Camus di chiamare Albert
uno
dei bambini." le sussurrò.
"...eeeew."
Shaina storse la bocca in una smorfia. "Che gusti barbari."
"Poteva
andarmi peggio, credimi. Anziché Albert,
avrei corso il rischio di
chiamarlo Fëdor." --
questa parte fa riferimento al loro primo
incontro, quando, dopo essersi presentati, Camus le disse che, per sua
fortuna,
sua madre non apprezzava Dostoevskij, ma Albert Camus.
-"C'è che stavolta hai vinto tu." gli rispose lei. "Albert. Va bene anche questo nome, se ti
fa piacere. Però spero proprio che nostro figlio non faccia
la fine dell'uomo
che vuoi omaggiare e non muoia a quarantasette anni contro un platano."
--
stessa cosa qui: Mei si riferisce ad Albert
Camus, che morì nel 1960 a soli
quarantasette anni, in un incidente
stradale.
-Camus,
esattamente come l'attore al quale
faccio riferimento quando lo "immagino" nei miei film mentali,
è nato
mancino ma, crescendo, ha imparato grazie al suo Maestro a usare
entrambe le
mani per scrivere e svolgere le azioni quotidiane. Tuttavia, pur
dichiarandosi
impropriamente ambidestro (non lo è), Camus preferisce usare
la mano sinistra.
-I Panorami mozzafiato
ai quali Mei scherzosamente si riferisce sono le grazie del suo attore
preferito, che nei film che ho citato si vedono in qualche scena.
-La
scena nel karaoke è tratta da una mia oneshot
pubblicata qualche mese fa, questa.
-Tony
Hadley è il leader degli Spandau
Ballet e Pljuščenko
(che Mei
pronuncia malissimo) è un grandissimo pattinatore russo.
-La
reticenza di Mei nel cantare certe canzoni
dei Kiss è dovuta al fatto che questi ultimi, oltre ad aver
cantato splendide
rock ballad dense di romanticismo, hanno anche cantato parecchie
canzoni
piuttosto... come dire... allusive. La
canzone che Saga intona per scherzo e che fa scattare Mei, ad esempio,
è uno di
quei brani.
-Per
la scena all'ospedale e le spiegazioni di
Aphrodite ho consultato diversi siti medici. Spero sia tutto esatto.
Capitolo
un po'... filler, diciamo, in attesa di
quelli nuovi. Grazie a chi continua a leggere e chi recensisce
(rispondo in
ritardo, ahimè, ma è sempre, sempre una cosa
apprezzata!)
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 29 *** Fear (of the unknown). ***
29.
Fear
(of the unknown)
"Stai ancora
scrivendo?"
"Sì."
"E sei ancora
nello studio?"
"Sì, ma sto per andare a letto."
Camus attese qualche istante per scriverle la risposta.
"Nel cassetto
centrale c'è un libro nel quale ho appiccicato un post-it;
segui le
indicazioni."
Mei chiuse il quaderno infilando la penna nel mezzo per
non farlo chiudere, quindi aprì il cassetto e il libro che
Camus le aveva
indicato.
Khalil Gibran, Il
Profeta: una copia tenuta come sempre in ottimo stato e
rivestita con una
sovracopertina trasparente; dalle pagine spuntava un adesivo giallo
fluorescente a forma di freccia che le indicava un certo paragrafo.
"...e una
donna che aveva al seno un bambino disse: parlaci dei figli, ed Egli
rispose: i
vostri figli non sono figli vostri, sono i figli e le figlie della
forza stessa
della Vita. Nascono per mezzo di voi, ma non da voi. Dimorano con voi,
tuttavia
non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre
idee. Potete
dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché
la loro anima abita
la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri
sogni. Potete
sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili
a voi,
perché la vita non torna indietro, né
può fermarsi a ieri..."
Richiuse il libro e lo ripose dove l'aveva trovato, appoggiandosi poi
allo
schienale della poltrona e avviando una videochiamata dal cellulare.
"C'è forse qualcosa che intendi dirmi?"
Dall'altra parte dello schermo, Camus parve cadere dalle
nuvole.
"Non lo so, a
dire la verità sei tu quella che ha chiamato per prima."
"Giusto." convenne Mei. Riprese il libro e
glielo mostrò attraverso la videocamera. "Éditions
Gallimard.
E dimmi, rientra nei benefit concessi ai dipendenti o acquisti apposta
libri
della tua casa editrice per tenere
alto il fatturato aziendale?"
"Quel libro lo
acquistai prima della mia assunzione."
"Ah ecco. Sai, riesco a immaginare la faccia del tuo
datore di lavoro quando ha letto il tuo nome sul curriculum: Camus. Chissà perché mi suona
familiare...
ah! Certo! Abbiamo già avuto un Camus in azienda!"
Da parte sua, Camus scoppiò a ridere.
"Il mio nome
completo lo conoscono solo alle risorse umane, per tutti sono Alexandre."
"Ti stavo prendendo in giro."
"L'avevo
capito, per questo ho ignorato il sarcasmo e ti ho risposto. Lo fai
sempre quando
sei arrabbiata per qualcosa. Sputa il rospo."
"Parlo del libro e del passaggio evidenziato.
Dunque, permettimi di riformulare la domanda che ti ho fatto poco fa:
vuoi
dirmi qualcosa?"
"Sono certo
che tu abbia già capito da sola che cosa intendevo dirti con
quel passaggio in
particolare."
Sospirò appena, massaggiandosi lo sterno con una smorfia.
"Reflusso? Dovresti
riposarti di più ed essere meno ansiosa."
"A-ha. Carina questa." ridacchiò Mei. "Come se potessi sul
serio
calmarmi, incinta e con un marito in ospedale e una bambina iperattiva."
"Oh, ti prego,
sii meno melodrammatica. Prendi una camomilla e rilassati."
"La camomilla mi fa innervosire."
"Credo tu sia
l'unico essere umano al mondo al quale faccia tale effetto."
Non era solo la camomilla a farla innervosire.
Parlò ancora qualche minuto con Camus, quindi spense
telefono e pc e andò in
camera, incrociando Milo sulla porta della stanza degli ospiti.
"Tutto bene?"
"Magnificamente bene." replicò, con una punta di ironia. "Kaliniktà."
"Posso dormire con te, mamma?"
Senza dire una parola, Mei scostò le lenzuola dalla sua
parte, permettendo alla figlia di distendersi accanto a lei.
"Stai ancora facendo i compiti per il tuo
lavoro?"
"Si."
"Posso leggere?"
Sospirò appena.
"Non sto scrivendo in russo, Lixue."
"Lo so, tu non lo parli."
"Dunque riesci ancora a leggere in cinese. Pensavo
che oltre al judo avessi abbandonato anche la lingua dei tuoi antenati
in
favore di qualcos'altro." la riprese, maledicendo la sua
impulsività. Non
doveva sfogare la sua frustrazione su sua figlia, lo sapeva benissimo.
Ma
iniziare un discorso di quel genere con Camus equivaleva a scatenare
una
polemica lunghissima e pressoché sterile.
Il visetto di Lixue si scurì.
"Allora è vero che sei ancora arrabbiata."
"No, non lo sono. Sai che cos'è una delusione,
Lixue?" quando la bambina le rispose con un cenno negativo del capo
proseguì "Succede quando una persona si aspetta certe cose e
queste cose
non accadono più: è come se tu chiedessi a tuo
padre una tavoletta di
cioccolato e lui, invece, ti portasse una melanzana. Quante volte ti ho
detto
che con me avresti potuto parlare di qualunque cosa? Non ti ho mai
obbligata a
praticare judo. Se non volevi più seguirlo, se volevi
abbandonarlo per il
pattinaggio perché lo preferivi, avresti potuto dirmelo, e
io avrei capito.
Pensavo fosse giusto iniziarti alle arti marziali per trasmetterti i
loro
valori e per permetterti di difenderti in caso di pericolo:
là fuori il mondo
non è come quello delle fiabe che tuo padre ti legge la
sera, figlia mia. Il
mondo è bello, ma non ci sono solo persone buone, esistono
anche i cattivi, ed
è da loro che io cercavo di proteggerti. Sei libera di fare
quel che vuoi,
tesoro, solo avrei preferito che tu me ne parlassi, come avresti fatto
una
volta. Non è mai bello fare qualcosa di nascosto."
*
Quando Milo entrò nella stanza d'ospedale, trovò
l'amico sveglio,
intento a fare zapping.
"Se la peperonata di DeathMask ha questi effetti,
giuro che non toccherò mai più niente cucinato da
lui." ridacchiò,
ottenendo la sua attenzione.
"In effetti quella ha aiutato." rispose Camus,
mentre l'amico, con indosso ancora l'uniforme, si disinfettava le mani
con il
gel apposito posto sul lavandino. "Trascorri la tua pausa con me
anziché
con i tuoi colleghi? Sono commosso."
"Visto che bravo amico sono?" scherzò Milo,
stringendogli la mano sinistra. "Appena finisco il turno
andrò a prendere
Mei e Lixue e le porterò qui."
"A proposito, tutto bene?"
"Sì, ho dormito nella stanza degli ospiti e le ho
lasciate stamattina dopo colazione. Lixue ha raggiunto sua madre prima
che
andassi a dormire e le ho sentite parlare, ma non chiedermi che cosa si
sono
dette perché parlavano in cinese. Da quanto ne so ha dormito
in camera vostra.
E tu?"
"Io... beh, come vedi sono pieno di flebo, la spalla
destra mi fa un male cane e in più ho una fame tale che
potrei mangiare un bue
e... Aphrodite fa il poliziotto cattivo impedendomi anche solo di bere
un sorso
d'acqua. Non mi piace la vita da malato."
"Oh, non fare il lagnoso, c'è chi sta peggio di te:
entrando qui ho visto scendere da un'ambulanza un tizio praticamente
ricoperto
di sangue."
"So perfettamente che sono fortunato rispetto a
tanti altri. Ma non mi piace stare qui." replicò Camus:
sentiva il bisogno
di farsi una doccia e, soprattutto, mangiare. Peccato che Aphrodite era
stato
chiaro in merito: durante la degenza –avrebbe dovuto
sopportare altri due
giorni là dentro- avrebbe osservato il totale digiuno,
interrotto solo sotto
parere medico e solo attraverso alcuni tipi di cibo solido, a casa invece
avrebbe seguito una dieta specifica che per
almeno una settimana gli avrebbe impedito di consumare gran parte dei
suoi cibi
preferiti.
Un inferno, in parole povere:
"Cibi in bianco e con pochi
condimenti, quindi la salsa di tua moglie la puoi anche scordare. Per
il
momento ti sconsiglio pomodori, peperoni e carne rossa,
perché irritano. Il mio
consiglio da medico è di mantenere una dieta leggera per
almeno un mese per
consentire al tuo intestino un completo recupero. I punti provvederò io stesso a
levarteli, tra circa una settimana. Ci
sono domande?"
Aveva
preferito non farne.
Milo
ridacchiò appena,
quindi guardò incuriosito il depliant sul comodino: una
specie di questionario
relativo alle impressioni sulla degenza ospedaliera.
"Pensa
un po'. Un
sondaggio relativo alla tua degenza..."
"Sì, per il momento preferisco ignorarlo." rispose Camus,
mentre Milo
leggicchiava, a voce bassa, le domande, ridendo qua e là.
"E'
anonimo, perciò
se vuoi polemizzare puoi farlo tranquillamente."
Camus
si finse pensieroso.
"Vediamo...
potrei
scrivere che è una bella struttura
e
che le camere sono perfettamente pulite,
che il personale medico è molto
competente e che il bagno annesso
alla stanza è ineccepibile..."
"Guarda
che è un
sondaggio interno, non una valutazione per TripAdvisor."
"...aspetta,
dovevo
ancora arrivare ai ma."
"Ah ecco, mi pareva."
"...e le saponette monodose all'olio d'oliva hanno
un buon profumo. In
generale il soggiorno presso
quest'ospedale è discreto, e se siete fortunati
abbastanza, in omaggio con
le saponette anche una depilazione integrale
che ti causerà irritazioni nei giorni successivi
all'operazione." concluse
Camus, caustico.
Milo
gli scoccò
un'occhiata.
"Meno
dettagli,
Cam."
"Perché
non ci sta
tutto sul foglietto?"
"No, con me meno dettagli, grazie."
"..."
*
"Cosa ci fai qui?"
"Ciao anche a te." Shiryu si avvicinò alla
sorella e le posò un bacio sulla guancia, prima di elargirne
uno alla nipote.
"Tutto bene? Sono passato per vedere come state."
"Tutto bene, grazie." rispose Mei, evasiva,
tornando a prestare attenzione a Camus, dall'altra parte del telefono.
"Sì.
Sì. D'accordo...
à plus tard. Moi aussi."
Shiryu si guardò intorno in cucina, adocchiando un
cestello di bambù pieno di jiaozi;
preso un paio di bacchette, ne prese uno e iniziò a
mangiarlo a piccoli morsi.
"Camus come sta?"
"Si sta riprendendo." replicò Mei sulla
difensiva, infilando nel borsone aperto sul tavolo un tablet, due
caricabatterie e dei vestiti di ricambio.
"...e la crema per le irritazioni da pannolino a che
cosa gli serve?" ridacchiò Shiryu. "Mi sembra un po'
grandicello."
"Dato che l'hanno operato quasi d'urgenza, durante la preparazione
chirurgica l'hanno praticamente rasato a secco."
Di riflesso Shiryu strinse le gambe, prorompendo in una
smorfia.
"Ahia."
"Shunrei sta meglio? L'altro giorno l'ho vista
piuttosto stanca." Mei preferì cambiare discorso. "Si sta
riposando
abbastanza o la fai sgobbare come sempre?"
"Shunrei fa il giusto, non sta esagerando."
Mei scosse la testa.
"La fai
sgobbare come sempre." sospirò. "Perché
mai te l'ho chiesto,
visto che so già la risposta? Una gravidanza come la sua non
è da
sottovalutare, a maggior ragione se il bambino è
più grande del normale."
"Non si sta stancando, te l'assicuro."
"Non si stancherebbe se tu l'aiutassi. In fondo alle
braccia hai due mani, puoi usarle, ti assicuro che non si rompono
facilmente."
Shiryu prese un piatto dalla credenza e si servì di un
altro paio di jiaozi, quindi
richiuse
il cestello e posò sul tavolo una busta rossa.
"Che cos'è?" domandò Mei, prendendola. Una
bella busta, di carta pesante e intagliata a formare un ricco decoro in
stile
cinese al cui interno un cartoncino con due sposini stilizzati e
abbigliati nei
ricchi abiti nuziali annunciava il matrimonio di suo fratello.
Con tre mesi di anticipo sulle previsioni
precedenti.
"...il diciotto marzo? Non avevate deciso per l'otto
giugno?" domandò Mei, incredula.
"Abbiamo calcolato le date più propizie e marzo era
la più favorevole. Altrimenti ci sarebbe stato l'otto o il
diciotto maggio, ma
dubito ci saresti stata."
"Per allora sarò in ospedale, e comunque conoscendo
Camus non mi farà alzare un dito in quei giorni, figurarsi
viaggiare."
Shiryu si alzò da tavola e posò il piatto sporco
nel
lavello.
"...hey, niente piatti sporchi nel lavandino. Lo
lavi e lo riponi."
"Come?!"
"Hai sentito. Prendi quella spugna, ci versi su un goccio di detersivo,
lavi e sciacqui il piatto e lo riponi su quel gocciolatoio." lo riprese
Mei. "E fai attenzione, è uno dei piatti russi di mio
suocero."
"Oh, perdindirindina." le fece il verso,
seguendo le direttive e posando il piatto dove Mei gli aveva ordinato.
"E niente prese in giro, è un servizio di piatti che
per Camus ha un valore inestimabile."
Shiryu si soffermò davanti al pensile con le ante di vetro
dove Camus -e precedentemente suo
padre Alexandre-
custodiva le sue suppellettili preferite.
"Quante storie per un piatto, con trenta euro ti
ricompro il set completo."
Hyoga, appena rientrato dall'università, entrò in
cucina
in quel momento posando un sacchetto davanti a Mei.
"Con trenta euro ci comperi l'imballo." ridacchiò.
"E forse nemmeno quello, considerando quanto costa un servizio di San
Pietroburgo. Uno stipendio, se basta."
L'altro per poco non rimase a bocca aperta.
"Che sciocchezza."
"Privjet."
Hyoga salutò Mei. "Passando davanti alla pasticceria ho
visto questi
macaron ai Fiori di Ciliegio e ho pensato subito a te."
Mei scartò l'involucro di velina con la contentezza di
una bambina.
"C'è chi si eccita di fronte al sacchetto di
Cartier, e chi di fronte a quello di Ladurée. Perfortuna Mei
si accontenta del
secondo." scherzò Hyoga.
"I diamanti non si mangiano, i macarons sì."
Shiryu inarcò un sopracciglio ma non aggiunse nulla.
"Io torno alle mie incombenze, devo studiare. A
presto." disse loro, prima di dare un secondo bacio a Mei e tornare a
casa.
"...ancora non ha finito?" domandò Hyoga, poco
dopo.
"Cosa, gli studi? No."
"Ma... sbaglio o anche il suo è un corso
triennale?"
Mei sospirò.
"Non sbagli, è che è fuori corso di un anno
perché
due anni fa ha partecipato a un campionato molto importante."
spiegò.
Un'assurdità bell'e buona, pensò Hyoga,
guardandosi bene
dall'esprimere la sua opinione ad alta voce.
"E tu? Come va l'università? So che ti manca poco
alla Laurea."
Il ragazzo le mise davanti un libretto rilegato, quindi si
servì una tazza di tè dalla teiera sopra il
samovar, sbuffando.
"Oggi mi sono liberato di un esame piuttosto
importante e complicato ma... anche se non sono soddisfatto del voto,
non me la
sono sentita di rifiutarlo per ripresentarmi al prossimo appello."
Mei corrugò la fronte, sfogliando il libretto
universitario di Hyoga e scoprendo con sorpresa che il voto che lo
dispiaceva
era un quindici.
"Hai preso un quindici e non sei contento?"
"No."
"..."
"Che c'è? Mi rovina la media."
"La maggior parte dei tuoi compagni ucciderebbe per
avere i voti di questo libretto e tu osi lamentarti di un quindici? Ma
smettila, buon cielo."
"Spero che non mi rovini troppo la media. Dovrò
impegnarmi di più con la tesi per poter raggiungere il
massimo." sospirò
Hyoga. "Ma non parliamo troppo della mia Laurea, sono superstizioso.
Piuttosto...come sta l'ammalato?"
"E' polemico e anche da un letto d'ospedale riesce a
fare il simpaticone." rispose Mei, notando poi lo sguardo interrogativo
del ragazzo. "Niente, lascia perdere. Si sta riprendendo."
"Ah bene, magari più tardi verrò con te in
ospedale."
Così avrebbe potuto discutere con Camus della sua tesi e di
quell'esame insoddisfacente che lo faceva preoccupare; una volta
arrivati,
attese con calma il proprio turno dopo Lixue e Mei, quindi, senza
profferire
parola, gli allungò il proprio libretto. Hyoga vide il
maestro scrutarlo con
interesse, soffermandosi su ogni voto.
"Diciassette
sull'esame dedicato al grande Tolstoj." esordì Camus, dopo
qualche minuto
di religioso silenzio. "Perché non me l'hai detto? Sono
colpito e anche
molto fiero di te."
Mei ridacchiò mentre sistemava le cose di Camus sul
comodino.
"Se è la sera che ricordo io, aveva ben altro da
fare che non avvertire te." gli rispose.
Hyoga sorrise appena, ricordandosi che la sera dell'esame
aveva raggiunto Freya e aveva festeggiato quel voto con lei e in quei
momenti
l'idea di avvertirlo non l'aveva nemmeno sfiorato.
"Aïe."
esclamò quindi Camus, di punto in bianco.
"Ecco, lo sapevo."
"Suvvia, un quindici non è la fine del mondo, e
sicuramente non ti rovinerà la media." sospirò
Camus.
"Stupidaggini, certo che me la rovinerà. Tu non puoi
capirmi dato che sicuramente non avrai mai preso un quindici in tutta
la tua
carriera."
Camus si fece pensieroso.
"In effetti... il voto più basso mai preso è
stato
un sedici, a un appello di tedesco.
Un esame atroce, a essere sincero." rispose, accorgendosi poi delle
occhiate dei due. "Uh?!"
"Come sarebbe a dire, il sedici come voto più
basso?"
"Con la media del diciotto, per me sedici era
basso... che cosa ti devo dire?"
Hyoga fece per replicare, poi ci ripensò.
"Bah... ti
odio."
"Non vedi che ti sta prendendo in giro? Dai, diglielo che stai cercando
di
spronarlo." gli disse Mei, ricevendo in risposta un'occhiata poco
amichevole.
"Ho plastificato e incorniciato l'intero pieghevole
con la mia carriera universitaria, lo puoi vedere nel mio studio. Non
dico
sciocchezze quando dico che la mia media era tra le poche
più alte della mia
facoltà." replicò Camus, stizzito.
"Camus, stavolta il catetere te lo strappo sul
serio." replicò Mei, con un sopracciglio inarcato.
A salvarlo fu il telefonino di Hyoga.
"E' il mio relatore, non posso riagganciare."
si scusò, uscendo dalla stanza e lasciandoli soli.
"Dovrei parlarti di un paio di cose."
"Volevo dirti..." iniziò Mei, nello stesso momento. "Okay,
hai
iniziato tu."
Camus gettò una rapida occhiata a Hyoga che, in
corridoio, parlava al cellulare.
"Stavo pensando a cosa regalare a Hyoga per la sua
Laurea." le rispose. "Pensavo a un orologio, ma ho come l'impressione
che sia...scontato."
Distogliendo lo sguardo dal suo libro, Lixue interruppe i
due adulti.
"Zia Freya gliel'ha già comprato." interloquì.
"Sono andata con lei in un grande negozio tutto dorato con le finestre
verdi
e una corona enorme!"
Di rimando, Camus sospirò.
"Se è il negozio che penso io, tratta orologi che io
non posso neanche permettermi di guardare in vetrina."
borbottò, tornando
a guardare la moglie e abbassando sensibilmente la voce. "Minimo,
sarà un cronografo
che costa il triplo di quanto ho pagato la mia Mégane."
Lei ridacchiò appena.
"Non possiamo permetterci un Rolex, ma sono felice così:
preferisco sudarmi lo stipendio ed essere una libera cittadina che una
principessa piena di soldi, ma schiacciata da obblighi ed apparenze."
replicò Mei. "Tornando al punto della situazione: e se gli
regalassimo uno
di quei pacchetti esperienze nei quali puoi scegliere se fare bunjee
jumping, o
che ne so, rafting, rally... oppure un pomeriggio trascorso in un
circuito
famoso a guidare a trecento all'ora una Ferrari o una Lamborghini?
Sarebbe un
ottimo modo per scaricare la tensione accumulata in anni di esami. E
per
evitare di dispiacere Freya, potremmo aggiungerne un altro con
un'attività per
due persone."
Gli sfuggì una risata.
"E dove mandare una principessa? Un weekend
romantico in un castello? Una degustazione di vini raffinati? Un
soggiorno in
una Spa? Suvvia, Mei. Sono esperienze di ordinaria amministrazione per
lei. Se
esistesse un pacchetto: indimenticabile
weekend a tema vivi per due giorni
come un comune cittadino, ecco che cosa le regalerei."
Mei corrugò la fronte.
"Quante flebo ti hanno già iniettato?"
Camus cadde dalle nuvole.
"Cosa?!"
"Flebo di cinismo.
Quante te ne hanno fatte?"
"Ah ah ah. Di cosa dovevi parlarmi?"
"No, seriamente. Parli della stessa persona alla
quale intendi affidare i nostri figli quando sarò a lavoro?"
"Quelle sono due discussioni diverse. Di che cosa
volevi parlarmi?"
Ripensò a quanto le aveva detto Shaina la sera di Santo
Stefano e d'un tratto decise di lasciare ai diretti interessati il
piacere di
divulgare la notizia.
"No, nulla di così urgente, ne parleremo poi con
calma a casa."
Hyoga rientrò nella stanza, gli occhi sgranati e
un'espressione strana dipinta in volto.
"Oh no. Non dirmi che ti ha rifiutato la tesi."
Guardò il maestro con i lucciconi agli occhi.
"Non prendere impegni per il 20 aprile."
Probabilmente fuori di sé per la notizia, Camus
partì in
quarta a parlare russo con Hyoga, come faceva di solito quando era
troppo
emozionato per parlare nella sua lingua natia.
Mei intravide Milo in corridoio e decise di raggiungerlo
lasciando i due da soli.
"Buon cielo che faccia." lo salutò, allegra.
"Quel caffè è per me?"
"E' un latte macchiato decaffeinato." le
spiegò, allungandole il bicchiere di polistirolo. "E ho
questa faccia
perché... thèos mou.
Non riesco a
parlarne con te, devo parlare prima con Camus."
Pensò subito al Santuario: era successo qualcosa. Un
nuovo nemico? Sarebbero stati richiamati tutti per una nuova guerra?
Avrebbe di
nuovo corso il rischio di perdere Camus?
"...è per il Santuario? Cosa c'è che non va?
Siete
stati richiamati?"
Accorgendosi della sua faccia improvvisamente
impallidita, Milo si affrettò a rassicurarla.
"Cielo, no! No, stai tranquilla. Riguarda me. Ma
devo tassativamente parlarne con Camus, prima che con chiunque altro."
"Beh allora puoi entrare e parlargli, è di buon
umore oggi: Hyoga ha annunciato la data della laurea. Povero, era
così felice
che non ho avuto il coraggio di ricordargli che l'attendono altri tre
anni di
specialistica."
Milo le sorrise, guardando con uno sguardo particolare il
suo pancione.
"Una volta non ci avresti pensato due volte: la
gravidanza ti sta ammorbidendo."
"Solo temporaneamente però: dopo tornerò a essere
la
solita Mei."
"Non era una critica, ti preferisco così." le
rispose, prima di raggiungere Camus.
Nei minuti che seguirono, durante i quali rimase da sola,
seduta fuori dalla stanza d'ospedale, incrociò Aphrodite.
"Se devi andare da Camus, prendi il numerino e aspetta
il tuo turno, è un po' affollato là dentro."
scherzò.
"Vedo." sospirò Aphrodite. "Ho buone
notizie, gli tolgo il catetere."
"Ne sarà felice, stava diventando
insopportabile."
"Perché, di solito non lo è?" le rispose,
sedendosi accanto a lei. "E voi quattro? Come state?"
"Insomma. Ho la morfologica la settimana prossima e
sono in ansia."
"Ma no, stai tranquilla. E' di routine, serve a
escludere malformazioni o altre problematiche. Probabilmente dato che
la tua è
una gestazione multipla, la tua dottoressa vuole giocare d'anticipo."
"Dovrei essere preparata, eppure mi sento agitata
come se questa fosse la prima gravidanza: ha anche aggiunto che
dobbiamo
parlare del ricovero e del cesareo. Altro che ansia."
"Ma sono tre, è normale." le rispose,
sbirciando all'interno della stanza prima di guardare l'orologio. "Devo
sbrigarmi o il mio responsabile mi farà lo scalpo.
Manderò via un po' di
chiasso così potrete stare tranquilli per qualche altro
minuto: l'orario di
visita sta per terminare."
Una volta dentro, Aphrodite mandò fuori Lixue, Milo e
Hyoga e dopo averlo visitato, decise di liberare Camus del catetere con
l'assoluta raccomandazione di evitare movimenti bruschi.
"Forse potrò dimetterti già domani sera. Comunque
niente
corse e nessun allenamento per un po' di tempo finché non ti
toglierò i punti.
E ovviamente niente sesso."
"Che fai, giri il coltello nella piaga?" sbottò Mei,
facendolo
ridacchiare.
"Hai ancora dieci minuti. Quando torno Camus dovrà essere da
solo,
d'accordo? Vai a casa e riposati. No, niente proteste. Ordine del
medico."
le disse Aphrodite, chiudendo la porta dietro di sé e
mettendo fine alle sue
proteste.
"Va bene, d'accordo. Ascolta tesoro, il cellulare te
l'ho già messo in carica e i vestiti puliti li ho appesi
nell'armadietto. Ti ho
portato un unguento... sì, so che è la crema per
il cambio dei pannolini, ma se
funziona sul sederino di un neonato, dovrebbe funzionare anche sulle
parti
intime di un adulto, che dici? Oh, vuoi una mano a metterti i boxer?
Sempre
meglio che girare nudo per la stanza..."
Camus le afferrò una mano, per fermarla.
"Diventeremo zii." le annunciò con un sorrisone
da trentadue denti.
"Te ne sei accorto solo ora? Un applauso alla tua
perspicacia." gli rispose allegra, facendogli corrugare la fronte.
"Lo sapevi già?"
"Ma che cosa ti mettono nelle flebo, marijuana?! Shunrei
sta per entrare nel nono mese, lo sapevo già da un po' che
saremmo diventati
zii."
Camus si accorse tardi della gaffe: pieno di felicità
prima per Hyoga, poi per Milo, si era totalmente dimenticato di Shunrei.
"...cavolo."
"Ma non stavi parlando di mia cognata."
"No, mi dispiace. L'avevo dimenticata."
"Il fatto che tu e mio fratello vi detestate, non
significa per estensione detestare anche mia nipote perché
figlia di Shiryu,
perché così facendo ti abbassi al suo stesso
livello." sbottò Mei.
"Ad esempio, il fatto che io prenderei Saga a badilate da mattina a
sera,
se solo potessi, non mi impedisce di apprezzare suo fratello."
"Io non detesto nessuno, e men che meno una creatura
che ancora deve nascere. E' che Shaina è incinta, gliel'ha
detto da poco e
sinceramente non pensavo a Shunrei." le rispose Camus. "Suvvia, vuoi
davvero litigare per questo?"
Sospirò, prendendogli il volto tra le mani e piazzandogli
un bacio sulle labbra.
"Non voglio litigare. Solo che a volte ti prenderei
a schiaffi."
**
9 Gennaio.
In un'atmosfera che gli ricordava parecchio alcuni film
orientali –tatami a terra, drappi ecrù e rossi qua
e là, e ideogrammi- Milo
distolse lo sguardo da due atleti impegnati a scaldarsi con delle mosse
di
karate, posandolo sull'amico che stava rientrando dagli spogliatoi per
sedersi
a bordo pista accanto a lui.
"...sei proprio sicuro che io possa stare qui?"
mormorò Milo, indicando con un cenno il badge che aveva
pinzato sul taschino
della polo e sul quale Camus aveva barrato due volte il nome del
cognato per
aggiungere il suo.
"Certo. E' il vantaggio di avere un piantagrane come
cognato e soprattutto, di avere delle conoscenze
come le mie." scherzò Camus. Conoscenza che in quel momento
stava ripassando
il proprio discorso in preda all'agitazione, prima di entrare in scena
insieme
ai colleghi.
"Così, giusto per avvertirti... Alde è arrabbiato
con noi perché abbiamo disertato la cena del primo gennaio."
Camus sorrise.
"Anche con te e Shaina?"
"Sì. Un ultimo viaggio da soli prima dell'arrivo del
bambino."
Ah giusto, il bambino: lui e Mei ne avevano parlato a
lungo, fantasticando su future feste di compleanno, su lunghe giornate
in
spiaggia con i loro bambini che giocavano tutti insieme.
"Già, tuo figlio. Avrei voluto vederti quando Shaina
te l'ha detto."
Milo si schiarì la voce, imbarazzato.
"Ho vomitato."
"Tu cosa?!"
"Me l'ha detto e... sono corso in bagno. Giuro. Ma
per lo shock, credimi. Non per la notizia in sé."
spiegò Milo.
"E...?"
"Ho dato la colpa al guacamole del burrito che stavamo mangiando."
"E ci ha creduto?!"
"Sì, anche perché il guacamole era andato a male
sul serio. Non tornerò
mai più in quel take away vicino all'aeroporto."
"Oh ti prego, sei davvero andato in quel locale?
Puzza di olio rancido a metri di distanza, che schifo!!"
"Avevo saltato il pranzo durante il mio turno perché
c'era una marea di gente e avevo fame, il puzzo d'olio non l'ho proprio
sentito." rispose Milo, risentito. Si prese la testa tra le mani,
pensieroso.
"Oh Athena, Camus. Un figlio. Non ci credo... io... un figlio? Dai,
riesci
davvero a vedermi come padre? Tu non sei agitato? Non hai paura di
sbagliare?
No, certo che no, hai avuto due allievi e hai esperienza con i bambini."
L'altro sorrise. Non si definiva certo un buon esempio, dato che su due
allievi
ne aveva portato solo uno all'obiettivo, e che la sua esperienza in
materia non
era così vasta come credeva.
"Io non sono perfetto: ho costantemente paura di
sbagliare. E sono agitato perché il parto si avvicina giorno
dopo giorno e presto
avrò la casa piena di lacrime, pianti, pannolini sporchi e
crisi adolescenziali
e a volte non so se sarò all'altezza di tutto questo, non so
se sarò il padre
che mi sono prefissato di essere." rispose Camus. "Poi però
guardo
mia figlia e le mie paure passano in secondo piano. Saranno sempre
là in
agguato, ma non permetterò loro di condizionarmi. Siamo una
famiglia no? Ci
aiuteremo a vicenda. Sai? Ero così felice di questa notizia
che per poco non ho
litigato con Mei."
"Perché?!"
"Ero sotto antidolorifici, ero euforico per Hyoga, e
per voi... l'ho interrotta e le ho detto diventeremo
zii! E lei mi ha guardato come se fossi improvvisamente
diventato un alieno
e mi ha detto Shunrei sta per entrare nel
nono mese, sapevo già da un po' che saremmo diventati zii! "
"Cavolo." disse Milo. "E come ne sei
uscito?"
"Ho messo su la mia migliore faccia stanca, ho
mugolato un po' lamentandomi dei punti e ho fatto leva sul suo senso
materno." rispose Camus. "E ha funzionato, perché mi ha
baciato e non
abbiamo litigato. E il vostro viaggio? Com'è stato?"
Milo fece spallucce.
"Ci toccherà tornare temo, non abbiamo visto
granché
di Venezia, giusto l'albergo."
"Okay, non aggiungere altro. Siete scandalosi."
"E voi due?"
"Avevamo bisogno di staccare la spina un po' e di
accumulare energie per quando arriveranno i bambini. Ci siamo svegliati
e dopo
aver salutato Lixue siamo andati all'isba... ma non era programmato,
l'abbiamo
deciso e basta, quando Dohko si è offerto di tenerci la
bambina."
"Avete fatto attenzione alla ferita? Si sono
staccati i punti?" scherzò Milo.
"No, anche
se ho corso questo rischio. Non ti dirò come, ma grazie per
l'interessamento." rispose Camus.
"Eh no, non puoi avviare l'argomento e poi evitare i
punti salienti quando ti fa comodo!"
D'un tratto tutte le luci si abbassarono a eccezione dei
due fari che illuminavano l'ingresso riservato agli atleti, e il brusio
venne
sostituito da un brano che Milo riconobbe come parte della colonna
sonora di un
film con Jet Li.
"Spero non faccia movimenti bruschi." si lasciò
sfuggire Camus cambiando totalmente discorso, intravedendo Mei in terza
fila
insieme a una sua collega. "So che farà attenzione, ma io
non sono
tranquillo."
Dopo le presentazioni e l'intervento di Sheng, costellato
di mosse spettacolari e di particolari tecnici e storici,
arrivò il turno di
Mei: pur parlando con fluidità e sicurezza, era agitata, e
Camus se ne accorse.
"...la prima reazione che la stragrande maggioranza
delle persone ha quando rispondo loro che pratico arti marziali,
è di
incredulità: una donna che pratica
arti
marziali? "
"Ma soprattutto: una
donna che insegna arti marziali?"
interloquì una donna castana, che Camus riconobbe come
Yu-Jie, una delle
insegnanti di Kung-Fu che Mei gli aveva presentato tempo prima.
"Esattamente."
concordò Mei. "Reazione che di solito si trasforma in
stupore quando dico
che per piacere personale pratico judo e aikido dalla tenera
età di cinque anni
e stupore che si trasforma in occhiate sarcastiche quando aggiungo che
per
mestiere, oltre al judo e all'aikido, insegno anche taijiquan.
C'è chi ridacchia, chi ti guarda e sotto sotto ti deride
e chi invece sminuisce un'arte millenaria: ma
non è quella cosa che praticano gli
anziani la mattina al parco? Dai, non è mica un'arte
marziale, serve solo a
tenersi in forma! " Mei s'interruppe un istante e
ridacchiò,
contagiata dalle risa dei presenti.
"Per essere una che si vergogna a parlare in
pubblico sta andando parecchio bene." mormorò Milo.
"Sì. Le serve solo qualche attimo per rompere il
ghiaccio, poi va spedita come un TGV."
"Di solito ascolto le vocine interne dei miei
illustri lǎoshī e rispondo in modo molto pacato. Ma ci
sono anche quelle volte nelle quali ignoro le voci pacifiche e difendo
ciò che
amo: sì, è vero, i
vecchietti che vedi al
parco, con le loro mosse fluide e calme, con i sorrisi e la pace sul
volto,
sembrano inoffensivi e spesso suscitano anche tenerezza e ammirazione: ma prova ad attaccarli e
uscirne indenne, se riesci."
Camus si unì
al nuovo coro di risate.
"E' la
stessa reazione che ha avuto mio marito, il giorno in cui ci siamo
conosciuti: judo? Avrei giurato taijiquan! ignorando che, a
dirla tutta, anche con il
taijiquan ci si può difendere. Gli ho fatto una
dimostrazione pratica e da
allora non me l'ha mai più detto."
Al ricordo,
Camus fece una smorfia: ricordava anche troppo bene quel momento di
diversi anni
prima, quando gli aveva dato la dimostrazione
pratica che aveva appena accennato.
"L'avrai
traumatizzato." interloquì Sheng, divertito.
Mei gli scoccò
una rapida occhiata, prima di guardare il suo capo.
"E'
difficile traumatizzare un nidan di
karate. Comunque, in un certo senso hanno ragione, il
taijiquan serve anche a mantenere
il fisico allenato -di solito porto
l'esempio di una mia
antenata, Jian Shu, che praticava taijiquan e si è spenta
alla veneranda età di
centodue anni con tutte le giunture e i legamenti elastici e sani come
quelli
di mia figlia che di anni ne ha solo sette- ma non è solo
questo, è molto di
più. Dire che il taijiquan è solo ginnastica
equivale a degradarlo, è una
disciplina molto più complessa..."
"Magari è una mia impressione, ma la vedo
stanca." sussurrò Milo.
"Perché lo è." rispose Camus. "E non è
neanche di venti settimane, pensa. E pur essendo provata da una
gravidanza come
la sua, continua a dire che intende andare in maternità solo
ad aprile, e cioè
durante le feste pasquali quando Lixue sarà a casa per le
vacanze."
"Credo che sappia bene cosa fare."
"E' una follia lavorare fin quasi alla soglia del cesareo, santi numi.
Ma
se entro in quel discorso si mette sulla difensiva e si finisce col
litigare."
"E allora non entrarci, lasciala tranquilla."
"Non posso!!"
Iniziò quindi a parlare dei fondamenti del taijiquan, di
yin e yang, del Qi e di tutto l'affascinante mondo che circondava
quelle
discipline prima di passare, come Camus temeva, all'aikido.
"...quando mio padre mi iniziò alle arti marziali,
il suo primo consiglio in caso di pericolo imminente fu: Fuggi.
Se hai il tempo e lo
spazio per farlo, non pensarci due volte. Ma
spesso, capita di trovarci in situazioni nelle quali un attacco
avviene così in fretta che non si ha il tempo di fuggire. Se
ti trovi in una
situazione nella quale sei costretta a utilizzare quanto ti sto
insegnando,
mi disse, non pensare di comportarti come
Bruce Lee: grandissimo attore e magistrale maestro di arti marziali, ma
le
mosse che eseguiva nei suoi film, beh, non sono facilmente utilizzabili
nella
vita di tutti i giorni. E seguendo i suoi consigli, tra i
tanti altri
benefici che trasmetto con l'insegnamento dell'aikido, insegno a
evitare
situazioni di pericolo e in caso si renda necessario, a gestirle. Ora,
per ovvi
motivi non posso praticare come vorrei, ma posso mostrarvi alcune prese
che in
taluni casi, se ben eseguite, si rivelano estremamente utili."
s'interruppe e guardò Camus e Milo, sorridendo poco dopo.
"Avrei chiamato
mio marito o mio fratello qui sul tatami, ma entrambi sono indisposti.
Milo,
vuoi avere tu l'onore?"
Si appiattì allo schienale della sedia, mentre Camus,
accanto a lui, ridacchiava appena.
"Cos'è? Hai paura? Tranquillo, sarai ancora tutto
intero quando avrà finito."
"Tu sapevi
che avrebbe scelto me." sibilò. "Bastardo."
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 4 maggio 2016)
Penultimo capitolo da revisionare, sono quasi vicina a
pubblicare quelli nuovi di pacca!
Comunque, ringraziamenti doverosi a chi legge e continua a farlo
nonostante gli
eoni trascorsi dall'inizio di quest'avventura, passo alle varie
postille:
-Il titolo ricorda una canzone degli Heathen. Riprende
solo il titolo però, riferito soprattutto al dialogo di
Camus e Milo sulle
rispettive paternità, sulla paura
dell'ignoto
che un po' tutti proviamo.
-Il passaggio
riportato si trova nel testo de Il
profeta e in tale passaggio Gibran parla della relazione tra
genitori e
figli.
-Il padre di Camus era un cuoco e amava collezionare
stoviglie –come già specificato qualche capitolo
fa-; in questo caso, il
servizio che usa Shiryu è
un servizio
prodotto da una famosa e antica manifattura russa che nel corso dei
secoli ha
assunto vari nomi e servito anche varie famiglie imperiali. Qui
la
scheda.
-Il sistema universitario francese, complicato quanto
quello italiano, prevede i voti in ventesimi e non in trentesimi. Dopo
diverse
ricerche su internet, sono approdata su
questo sito e questa
tabella: il massimo per ogni esame da noi è 30 e
lode, da loro è16, poiché
i punti che vanno dal 17 al 20 sono molto rari e concessi a pochi
studenti
l'anno.
-Lǎoshī è l'equivalente
mandarino del
giapponese sensei e ha come
significato maestro.
-Nidan: secondo
dan di cintura nera, nelle arti marziali.
Manca solo più un capitolo alla fine della revisione.
Miei Dèi, non vedo l'ora \*O*/
Lady Aquaria
|
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Capitolo 30 *** Embraces the Sky. ***
capitolo 30 revisionato
30.
Embraces
the Sky
Siamo gocce di
un passato
che
non può più
tornare
questo
tempo ci
ha tradito
è
inafferrabile
[Giorgia
-
Gocce di Memoria]
"Sei più mattiniero del solito."
Hyoga si voltò in direzione di Camus, che stava
rientrando in quel momento dopo aver portato Sabaka a fare il suo
solito giro
del mattino.
"Se così si può definire uno che ha trascorso una
notte totalmente insonne allora sì, sono mattiniero."
"Non stai bene?"
Hyoga fece spallucce.
"Ho lo stomaco in fiamme." gli rispose,
facendolo ridacchiare.
"Te l'ho detto mille volte di non toccare la salsa
di mia moglie."
"Fosse quello il problema." sospirò l'altro.
"Ah già. Il tuo compleanno si avvicina e senti la
decadenza delle carni."
"Il mio matrimonio
si avvicina e sento la decadenza della mia libertà
personale." lo corresse
Hyoga, tutto d'un fiato.
"Perché? Che cosa sta succedendo?" domandò
quindi Camus, perdendo il sorriso.
"...doveva essere un matrimonio intimo. O meglio, io
l'avrei voluto così: poche persone, luogo intimo, cerimonia
semplice: un po'
come te e Mei che vi siete sposati in municipio alla presenza di sole
quattro
persone. E invece siamo passati a una cerimonia maestosa, l'intero
Paese in
festa e duemiladuecento invitati. Duemiladuecento."
spiegò Hyoga. "E in tutto questo, ci sono di mezzo anche i
miei studi, la
mia carriera, quello stramaledetto titolo nobiliare che non voglio.
Potessi,
prenderei Freya e la porterei a Las Vegas per sposarla lì."
Camus proruppe in una smorfia.
"Non nella cappella con il sosia di Elvis, vorrei
sperare, sarebbe davvero volgare." rispose. "Ascolta, se non punti i
piedi adesso ti ritroverai a essere l'ultimo anello della catena
alimentare
comandata da Hilda: se non fai nulla, mangerà anche te. Vuoi
studiare e
insegnare? Ebbene, impuntati, perché non voglio
assolutamente vederti imbalsamato
come un damerino, è chiaro?"
"Chiarissimo."
"Fà che lo sia sul serio, perché altrimenti
ciò che ti ho fatto alla
settima casa quella volta sarà niente al confronto:
stavolta, giuro, nemmeno la
spada di Libra e il tuo amico strambo potranno salvarti."
"...va bene."
"Rimarrai congelato per l'eternità al centro della
sala principale, a mo' di monito per il futuro, come Han Solo
imprigionato
nella grafite. E mi accerterò personalmente che nessuna Leia
di turno possa
tirarti fuori, intesi? Sono serio."
Due minacce nel giro di cinque minuti. Sorprendente.
"Lo so. Ah, c'è un'altra cosa." Hyoga si
schiarì la voce "Hilda ha stabilito che, data la natura del
nostro
rapporto e che sembriamo più padre/figlio piuttosto che
maestro/allievo, farà
dono a te, Mei e i bambini, di un titolo nobiliare."
Camus, voltato di spalle mentre trafficava con il
samovar, rise di gusto.
"E quale? Re di Gondor? Principe di Narnia? Guarda,
dì a tua cognata che posso anche accontentarmi di un titolo
come... Generale Supremo dell'Ordine Jedi,
non
mi offendo, davvero. Oppure potrei passare al lato oscuro per l'immensa
gioia
di Mei e diventare Imperatore di tutte le
Galassie. Non accetterò un titolo di minore
importanza, io te lo dico.
Tenderei a evitare Westeros però: ho come l'impressione che
morirei di morte
violenta in poco tempo."
"Vorrei tanto prenderti in giro, ma ti assicuro che
questo non è uno scherzo."
"Neanche io sto scherzando." ribatté Camus.
"Anche se, ora che ci penso, ai Jedi non è concesso
né sposarsi né avere
figli, quindi mi sa che mi toccherà prendere il posto di
Palpatine che Darth
Vader ha tanto generosamente tolto di mezzo. Vediamo... con che nome
potrei
ascendere al trono?"
"Camus il
Simpatico, che è ovviamente un ossimoro dato che
tu e la simpatia non vi siete
mai presentati."
"Dai Hyoga, per l'amor di Athena. Mi dà già
fastidio
quando a Kobotec mi trattano come se fossi uno zar o qualcosa di
simile,
figurati avere sul groppone un titolo nobiliare. Non mi troverei a mio
agio."
"Dovrai fartelo piacere, perché se in Francia i
titoli non hanno valore, ad Asgard sì. E ad Asgard sarai un marchese, a partire dalla vigilia del
mio matrimonio."
Stava per ridere ancora, ma vide la sua espressione
mortalmente seria e decise di evitare altre battute.
"Buon cielo, non stai scherzando allora."
"No."
Camus guardò il calendario, notando che alla data del
matrimonio di Hyoga mancava poco.
"Sacrè bleu."
sospirò, prima di guardare le caselline gialle che erano
state tracciate su
alcune date del mese in corso e del mese successivo. "Ma chi
diamine...?!"
"Sono stata io." interloquì Mei, entrando in
cucina. "Sono i giorni del capodanno cinese."
Camus proruppe in un pomposo ed esagerato inchino.
"Bonjour,
madame la marquise!"
"...cosa?!"
"Nulla, te lo spiegherò con calma." minimizzò
Hyoga. "Perché hai bisogno di tutti quei giorni?"
"Perché il capodanno cinese dura un po' più di
quelli occidentali. In famiglia l'abbiamo sempre festeggiato come vuole
la
tradizione, ecco il perché di quelle caselle. Nei giorni che
precedono l'arrivo
del nuovo anno ci si dedica alla pulizia radicale di casa per spazzare via la sfortuna insieme alla
polvere e lo sporco, quindi una volta pulita, la addobbiamo con dei
nastri
rossi. E' una delle poche cose sulle quali io e Shiryu concordiamo,
quindi ci
tengo particolarmente. Alla vigilia si usa fare un po' come si fa in
occidente,
si organizza un cenone e si mangia tutti insieme. Quest'anno si
aprirà sotto il
segno del drago e..."
Camus roteò gli occhi.
"Fantastico."
mormorò. Mei assottigliò lo sguardo.
"Il Drago è un essere mitologico che nel mio Paese fa
parte delle bestie guardiane ed
è l'emblema
per eccellenza dell'Imperatore, del maschile
e dello yang. E' simbolo
di forza,
salute, armonia e
fortuna e viene posto a difesa delle case come deterrente contro demoni e gli spiriti
maligni."
"Lo
so." rispose Camus, corrugando la fronte.
"Tanto
per la cronaca, sappi che la forza vitale di questo segno non risiede
nella
stella più importante della costellazione guida di mio
fratello, ma nella
stella alfa del tuo." gli rispose,
piccata. "Perché la stella che rappresenta l'Imperatore e
per estensione
anche il sacro dragone azzurro non è Eltanin,
ma Antares."
Hyoga
ridacchiò pacatamente.
"Ahia."
Altri
tre scorpioni in giro per casa. Era
circondato e senza via di scampo.
"In ogni caso i festeggiamenti partiranno il 23
gennaio, cioè la data del primo novilunio dell'anno, per
terminare il 7
febbraio. I giorni per me particolarmente importanti e sui quali non
intendo
trattare sono il primo, durante il quale si va a far visita a parenti e
amici
stretti, il secondo, il terzo e il quarto perché si osserva
il culto degli
antenati, si accendono incensi e si pregano i defunti e non si fa
visita a
nessuno in quanto i più scaramantici ritengono che siano
giorni propizi per i
litigi...quindi tranquillo, non visiteremo Shiryu in quei giorni... il
nono e
il decimo giorno, dedicati all'Imperatore di Giada, il tredicesimo
giorno dedicato
a Guan Yu, dio della guerra: è una ricorrenza importante
perché visse davvero,
era un generale vissuto in epoca Han che fu catturato grazie a
un'imboscata e
in seguito fu giustiziato perché non si arrese al nemico. Il
suo nome è
comunemente associato a lealtà e giustizia e pur essendo il
dio della guerra e
delle arti marziali è una divinità amante della
pace. Infine, il quindicesimo e
ultimo giorno, perché ha luogo la festa delle lanterne,
fuori casa si accendono
delle candele per guidare in essa i spiriti beneauguranti che la
proteggeranno,
si mangia il tangyuan, che
è un ricco
dolce di riso, e si passeggia per le vie della città tenendo
in mano una
lanterna accesa." spiegò Mei. "Festeggiamenti multipli
quest'anno,
tenendo in conto che iniziano e finiscono in corrispondenza dei vostri
compleanni e nel mezzo ci sono anche quelli di Degél e
Lixue."
Hyoga ridacchiò.
"...e alla fine di tutto, sali sulla bilancia e ti
accorgi di aver messo su sei chili."
"Ah, ma al momento non me ne preoccupo affatto, devo
mangiare per quattro." replicò lei, allegra.
"Perché voi ortodossi
come festeggiate il nuovo anno?"
"La vigilia la festeggiamo in famiglia con una cena intima che si
conclude
a mezzanotte in chiesa, dove ci si scambia gli auguri. Il 14 gennaio
che è il
capodanno vero e proprio lo trascorriamo in famiglia, scambiandoci
piccoli doni
e festeggiando."
"Oh. Tutto qui? Una festicciola sobria e
basta?"
"Nel frattempo si mangia e si beve." interloquì Camus.
"Beh, quello l'avevo capito già da me. E voi di
solito cosa fate?"
"Lo trascorriamo a Kobotec." le rispose Camus, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo.
"Immaginavo. Per un millesimo di secondo ho sperato
rispondessi con: lo festeggiamo a Guadaloupe,
spaparanzati in spiaggia con un Sex on the Beach in mano! Ma
era chiedere
troppo, in effetti."
"Invece ci spaparanziamo davanti al camino con una
tazza di cioccolata dopo aver giocato con la neve."
"...quello lo facevamo quando avevi dieci anni, ora
sei un po' troppo cresciuto per costruire pupazzi di neve, non trovi?"
lo
prese in giro Camus.
"Ad ogni modo, sono disposta a condividere e
rispettare le vostre tradizioni se siete disposti a fare altrettanto
nei miei
confronti."
"Per me va bene." rispose Hyoga.
"Infatti, dicevo al signorino accanto a te che ha
alzato gli occhi al cielo quando ho accennato a spiriti e antenati. Ti
ho
visto, non negarlo." sospirò Mei. "In ogni caso, pur
osservando le
regole tutti gli anni, non sono così inflessibile sui
festeggiamenti, ma
sappiate che per me certi giorni sono sacri e non voglio sentire
ragioni."
Ovvero i giorni dedicati agli antenati e alle maggiori
divinità nelle quali credeva Mei, che aveva evidenziato con
grandi tratti di
evidenziatore sul calendario appeso in cucina.
"D'accordo."
"Anche se io prenderei comunque in considerazione le
Antille sai? Pensaci: rigogliose palme, sabbia bianchissima, acqua
cristallina..."
"Bolle alte quattro dita sulle spalle, insolazione, chili di unguenti
anti
ustione..."
"Il solito guastafeste."
**
Primo giorno.
Shion alzò lo sguardo da alcuni documenti antichi per
posarlo su Fedra, la sua ancella personale, che aspettava
rispettosamente
sull'uscio.
"Sì?"
"La sposa del nobile Aquarius desidera vedervi,
signore."
"Lasciala passare." ordinò, alzandosi dalla
propria scrivania per andare incontro alla giovane.
"Non era mia intenzione disturbarvi, Maestro, ma mi è
stato detto che avrei dovuto chiedervi il permesso per visitare certe
aree del
Santuario, perciò eccomi qui." rispose Mei, entrando nelle
sale private
del tredicesimo tempio, preceduta da Fedra.
"Ma non è affatto vero, sei libera di girare per il
Santuario come meglio credi." le rispose, posandole una mano sulla
spalla.
"Dunque, Camus ha mantenuto la sua parola riguardo la visita al tempio
di
Kwan Yin? Me ne aveva parlato tempo fa."
"Non ancora, le celebrazioni per la mia dea
quest'anno cadranno più avanti, c'è ancora tempo
per parlarne. O litigare, nel
qual caso il mio accompagnatore sarà Shiryu. Ad ogni modo mi
era stato detto
che per visitare certi luoghi avrei dovuto ottenere il vostro permesso
o essere
accompagnata da un Gold Saint. O entrambe le cose, non ricordo."
Shion corrugò la fronte.
"Puoi andare Fedra, grazie." disse, congedando
la sua ancella. "Quella regola vale per l'Altare di Athena, non per
tutto
il Santuario. Dove sei diretta?"
"Oggi è il primo giorno del capodanno cinese e di
norma si fa visita a parenti o amici."
"Oh già. Quasi l'avevo scordato." annuì Shion,
che comprese finalmente anche l'abbigliamento di Mei: capelli raccolti
un una
crocchia fermata da spilloni d'oro e un ampio mantello antracite su un
abito
tradizionale verde scuro con ricami dorati.
"Come vi stavo dicendo, a parte Shiryu e Shunrei non
ho parenti stretti e quei pochi che mi son rimasti sono delle serpi,
gli amici
li vedo già tutti i giorni... ho quindi deciso di porgere i
miei omaggi a una
differente categoria di amici.
Vorrei
visitare il cimitero, se possibile, per onorare monsieur
Degél e i vostri compagni."
Lui annuì, con una strana espressione che Mei fraintese.
"Non inizierete anche voi a considerarmi una pazza
visionaria che parla con l'aria, spero. Durante quelle poche settimane
trascorse al Santuario e, più sporadicamente al Goro Ho, monsieur mi è stato molto
vicino, come solo un grande amico è in
grado di fare. L'ho visto, ho parlato con lui, l'ho persino attraversato. Posso assicurarvi che non
è frutto della mia immaginazione né di qualche
pianta allucinogena."
"Non lo penserei mai."
"Mi stupirei del contrario, Maestro."
"Mi permetti di accompagnarti?"
"Non voglio rubarvi altro tempo, so già dove andare."
Invece, no. Dopo che Hades aveva iniziato a sottrarre i
corpi dei Saint deceduti, Shaina aveva dato ordine di dare alle fiamme
tutto il
cimitero, di distruggere ogni cosa per ostacolarlo: lei non poteva
saperlo, ma
nei mesi successivi alla fine della guerra santa, il terreno sul quale
sorgeva
il vecchio camposanto era stato dismesso e bonificato e i resti dei
vari Saint
erano stati spostati altrove, separati per grado.
Superati quindi i due edifici che ospitavano le categorie inferiori e
mediane,
Shion la scortò fino a un edificio più piccolo,
sormontato da una cupola e un
lucernario.
"Il vecchio osservatorio." le spiegò Shion.
"Un tempo era in questo luogo che Degél interpretava le
stelle e le carte
celesti, ovviamente, quando non era rintanato nel suo studio
all'undicesima
casa o non era sullo Star Hill insieme al Maestro Sage."
Al centro della sala troneggiava un tavolo che riprendeva la pianta
tetradecagonale
dell'edificio: su di esso, un astrolabio sferico dal quale partivano
dodici
spicchi, uno per ogni segno zodiacale.
"Cosa sai di loro?"
"Uhm... so che parte dei loro Cosmi e delle loro
anime albergano nei loro successori, ma in fin dei conti so poco, il
Maestro
Dohko mi ha parlato dei suoi compagni d'armi, ma quello deputato a
diventare
Saint era Shiryu, non io, perciò non so quanto vorrei." gli
rispose, liberandosi
del mantello prima di accendere degli incensi da sistemare nel braciere.
Shion annuì, quindi si avvicinò al muro recante
il glifo dell'Ariete.
"Un giorno finirò qui dentro, ma non ho ancora intenzione
di parlarne." sorrise, accarezzando in punta di dita il bassorilievo
che,
sotto il glifo, rappresentava la sua costellazione. Passò
man mano ai
successivi segni, raccontandole alcuni aneddoti. "Rasgado del Toro: una
forza della natura in tutti i sensi, possedeva una forza sovrumana
anche senza
usare il proprio Cosmo. Quando era arrabbiato era meglio togliersi dal
suo
cammino. Perse un occhio durante un combattimento contro uno specter
chiamato Kagaho ed ecco spiegata
quella
cicatrice. Aspros e Deuteros, Gemelli."
"Eventi triti e ritriti quelli che riguardano la terza casa: lotta per
il
potere, violenza e omicidi. Sentii il Maestro parlare a Shiryu di un fratricidio."
Shion annuì ancora.
"Deuteros uccise suo fratello Aspros quando
quest'ultimo cercò di assassinare il Maestro Sage, per
prenderne il
posto." le spiegò.
"...doppia personalità, uhm? La Storia si ripete,
dato che sappiamo bene entrambi che cos'è successo nella
nostra epoca, e sempre
grazie ai Saint della terza casa." proseguì Mei.
"Le due storie che riguardano Aspros e Deuteros e
Saga e Kanon sono simili tra loro ma allo stesso tempo differenti." la
interruppe Shion.
"Non era mia intenzione mancare di rispetto. Ma a
volte, sapendo che cos'è successo due secoli fa, mi domando
che cosa sarebbe
successo se fosse stato Saga a perdere la vita per mano di Kanon."
"Probabilmente non saremmo qui a parlarne, figlia
mia." sospirò Shion. "Perché provi tutto questo
odio nei confronti di
Saga?"
Mei corrugò la fronte.
"Non provo affatto odio. Mi è del tutto
indifferente."
"Avverto anche del disprezzo."
"Ciò che avvertite si chiama istinto
omicida, ma non mi è concesso esternare ad alta
voce che cosa provo
realmente per Saga. Nonostante la sua egemonia sia finita da anni, ho
sempre il
timore di mettere Camus nei guai. Ed è l'ultima cosa che
voglio, ve
l'assicuro." rispose Mei. Si spostò di fronte al quarto
lato, invitando
silenziosamente Shion a proseguire con le sue spiegazioni.
"Manigoldo, il predecessore di DeathMask. Un tantinello
arrogante, ma mai sadico. Lo ricordo come un ragazzo sempre sorridente
e... beh,
impulsivo. Tanto impulsivo. Possedeva una potenza non indifferente che
ha dato
parecchio filo da torcere alle linee nemiche. Poi c'è
Regulus, giovane Saint
del Leone. Uno che oggi definiremmo enfant
prodige, aveva un talento innato nell'apprendere: per far sua
una tecnica
gli bastava osservarla una volta sola. Forse Dohko non ti ha detto che
sapeva
usare l'Athena Exclamation da solo e che riusciva a far defluire tutte
le
tecniche più potenti dei Gold Saint in una sola terribile
tecnica."
"Per tutti gli dèi...!"
"Mai nessuno è riuscito ad eguagliarlo. In un certo senso
è una buona
cosa, se l'Athena Exclamation è capace di sprigionare una
forza simile al Big
Bang, immagina cosa può fare una tecnica che prevede dodici
Gold Saints uniti
in un colpo solo."
"Probabilmente darebbe uno scossone all'intero Universo."
Shion si soffermò sul sesto muro.
"Asmita. Non vedente dalla nascita, uno tra i Saint
più potenti che abbia mai conosciuto. Personalmente non l'ho
mai, mai visto
perdere le staffe una volta. Mai. Un po' come Shaka. In tal senso credo
che Shaka
abbia preso molto dal suo predecessore: una calma quasi terrificante,
letale."
"La classica acqua cheta che rode i ponti."
"Più o meno." Shion oltrepassò il settimo muro
per soffermarsi davanti all'ottavo.
"Kardia." l'anticipò Mei, guardando il ragazzo
che le sorrideva dal ritratto posto al di sopra del glifo. Gli altri
Saints
erano stati ritratti con espressioni più serie, ma lui, no.
"Più impulsivo
e spericolato di Milo, non temeva la morte: diceva spesso che non
avrebbe
voluto vivere una vita lunghissima, ma vivere appieno quella che gli
era stata
concessa. Amava le mele e soprattutto amava punzecchiare e testare la
pazienza
di Degél."
"Dohko ti ha parlato molto di lui."
"Secondo lo zodiaco occidentale appartengo
all'ottava casa, quindi direi di sì. A differenza di
Degél non si è mai
manifestato apertamente, però, e mi dispiace."
"A dire il vero l'ha fatto. E più di una
volta." le rispose, ricevendo in risposta uno sguardo interrogativo.
"Ma sono cose, queste, che devi comprendere da te. Pensaci bene e
capirai
che cosa intendo dire."
"Se è come dite, Maestro, non me ne sono accorta. Ed
è un peccato perché vorrei poterlo conoscere come
ho conosciuto monsieur."
"Sei sicura di saper gestire uno come Kardia?"
ridacchiò Shion.
"Ehm... no, probabilmente no." convenne Mei,
dopo qualche istante, tornando a guardare Kardia e il suo ghigno. "E
voi
siete certo che Kardia sarebbe in grado di gestire una come me?"
Lui la squadrò un attimo.
"Non lo so, molto probabilmente vi prendereste a
pugni da mattina a sera, giacché dicono di te che hai un
carattere...forte."
"Retaggio di mia madre. Forte non
è esattamente ciò che ho sentito io, ma ve lo
concedo."
"Qui invece troviamo Sisyphus, zio di Regulus del
Leone." proseguì Shion. "Su di lui ci sono così
tante cose da dire che...
non mi basterebbe una giornata. Aveva coraggio e dedizione da vendere:
si
sottopose volontariamente al rito della pesatura
del cuore dello spectre Pharaoh, dimostrando così
la sua fedeltà alla Dea.
Accanto a lui giace El Cid. Uomo introverso e spesso giudicato freddo,
ma...
integerrimo. Un suo fendente poteva tagliare l'aria in due."
"Si amputò parte del braccio destro con il suo stesso colpo
in seguito
all'illusione operata dal suo nemico." interloquì Mei. "O
almeno così
mi disse il Maestro."
"Sì, anche se è una storia più
complicata di come te
l'ha spiegata Dohko. Giunti a questo punto, mia cara, proseguo con
ordine o
preferisci tenere Degél per la fine di questa visita?"
Lei si schiarì la voce, imbarazzata.
"Come volete. "
"Molto bene. Dunque, al dodicesimo e ultimo posto
troviamo Albafica. La calma fatta persona, un ragazzo generoso e suo
malgrado,
solitario."
"Per via del suo sangue velenoso."
"Sì." annuì Shion. "Come per tutti i miei
compagni d'armi, ho diversi ricordi legati a lui, uno dei quali mi
rattrista
ogni volta che ritorna alla luce: un giorno, tornando da una missione,
mi
accorsi che era ferito. Lo fermai, preoccupato, e gli afferrai il polso
destro
per fermarlo. Quasi mi fulminò con lo sguardo: quante altre volte devo ripetertelo
affinché tu capisca? Non devi
toccarmi! "
"Temeva di nuocervi."
"Lo so, non agiva con cattiveria, anzi. Se sapevi
come prenderlo, era capace di donarti anche l'anima." Shion
deglutì,
scacciando dei pensieri improvvisi con un gesto della mano. "Al
contrario,
volevi farlo arrabbiare? Bastava complimentarsi con lui per la sua
bellezza. Sapeva
di esercitare un certo fascino, ma era un tratto, quello, che non gli
importava
granché. Ricordo come se fosse ieri il suo ultimo scontro,
contro Minosse. Quest'ultimo
gli aveva già frantumato tutte le ossa del corpo e io
intervenni in soccorso del
mio amico. In quel momento doveva avere dentro un dolore atroce e
inspiegabile
a parole, eppure mi guardò e mi chiese di farmi da parte,
voleva concludere
quanto aveva iniziato. Minosse lo invitò invece ad
arrendersi, per evitare
ulteriori colpi e quindi un possibile sfregio."
"E Albafica gli rispose di andare al diavolo."
"Oh sì. E riuscì a colpirlo con una bloody rose pregna del proprio sangue,
riuscendo a ucciderlo. Però..." Shion si bloccò
un istante. "...dopo
aver sconfitto Minosse, si spense di fronte ai miei occhi."
E in quanto unico sopravvissuto, come Dohko, di quel
conflitto, aveva sentito morire i compagni, gli amici, uno dopo l'altro
senza
poter fare nulla a riguardo. Conosceva bene quella atroce sensazione
d'impotenza, il desiderio di far qualunque cosa per fermare o
quantomeno
cambiare il corso degli eventi ma non avere alcuna
possibilità di farlo.
Shion si schiarì la voce, serrando gli occhi per non
scomporsi.
"Proseguiamo." mormorò quindi lui. Dulcis in
fundo, come la prese in giro poco dopo, Degél.
"Al momento della sua morte aveva solo ventidue
anni, eppure è tutt'ora la persona più saggia che
io o il Santuario abbiamo mai
conosciuto, e forse anche il più sapiente. La biblioteca che
Camus ha ricevuto
in eredità è
forse una delle tante
prove di quel che dico. Possedeva una conoscenza enciclopedica ed era
un discreto
astronomo: era il solo al quale era permesso salire allo Star Hill
insieme al
Maestro Sage, per leggere e interpretare le stelle. Ma questo
già lo sai.
Quando lo cercavi per qualche motivo, lo trovavi sempre con il naso
immerso in
un libro o, come spesso succedeva, in biblioteca, circondato dagli
oggetti che
amava di più."
Mei sorrise.
"Sì, me l'ha detto." annuì, decidendo di non
parlare a Shion dei diari di Degél che aveva trovato in una
cassapanca nella
soffitta dell'undicesima casa e che non aveva mai avuto l'ardire di
leggere.
"Perdona la mia domanda... come si manifesta?"
"Intendete dire il modo o l'aspetto che ha quando lo
fa? E' una sorta di ologramma, capite? Io lo vedo, posso parlargli,
interagire
con lui come se fosse ancora vivo, ma Camus no. Ha l'aspetto di un uomo
più...
maturo dei suoi eterni ventidue anni; mi supera in altezza di quasi
tutta la testa,
in vita doveva essere un giovane di media corporatura e ha
quest'atteggiamento elegante,
nobile... e nonostante sia uno spirito, vedo i suoi occhi brillare, a volte. Mi ritengo molto
fortunata a conoscere una
persona come lui. La prima volta si manifestò nel corridoio
dell'undicesima
casa, durante quel breve periodo antecedente la scalata del Santuario
nel quale
io ero ospite di Camus. Saga mi aveva convocata al tredicesimo tempio,
per
accertarsi che non fossi una spia di qualche divinità nemica
di Athena, e dopo
avermi chiesto di fare il doppio gioco per suo conto ai danni del
Maestro, cosa
che non avrei mai accettato di fare, ricordo che finii con il litigare
proprio
con Camus, accusandolo di avermi manipolata e usata. Sulle prime
l'avevo
scambiato per un'ombra, finendo poi con l'attraversarlo un paio di
volte, e lui
ha... attaccato bottone con una sorta di rimprovero: è
così che è iniziata.
Qualsiasi cosa ci sia tra di noi, perché non so come
definirla."
Si poteva definire amicizia, la loro? Degél faceva parte
della Storia del santuario, per lei era quasi una figura mitologica
più che un
amico.
"Suggerirei amicizia.
Al di sotto dell'aspetto algido e del carattere introverso,
Degél sapeva essere
un grande amico. Trattava tutti alla pari, era una persona alla mano."
"Immagino. Non mi ha mai dato l'impressione di
essere un uomo altezzoso. Dev'essere una caratteristica tipica dei prescelti alla carica di undicesimo Gold
Saint, quella di essere freddi e schivi all'apparenza, con la
differenza che monsieur sembrava
freddo, Camus a volte
lo è davvero. Con me almeno, dato che con la bambina si
comporta normalmente."
"Non mi dà affatto l'impressione di essere freddo
come dici."
Mei sospirò, continuando a guardare il ritratto di
Degél.
"Voi conoscete il guerriero, il difensore di Athena.
Io conosco anche l'uomo dentro
l'armatura. E fidatevi quando vi dico che a volte sono la stessa
persona. Ma a
me va bene così, del resto quando ci siamo scelti,
entrambi sapevamo com'era l'altro." rispose Mei. Si accorse che gli
incensi
che aveva acceso erano quasi esauriti e sospirò. "Vi
ringrazio degli
aneddoti e di questa visita, spero di non avervi fatto perdere troppo
tempo."
Shion le sorrise, tornando a darle attenzione dopo aver
guardato fugacemente in direzione del matroneo.
"E' stato un piacere ricordare i miei vecchi
amici." le rispose infine, con uno sguardo strano negli occhi. "Ti
riaccompagno."
"Vi ringrazio ma non ce n'è bisogno, conosco la strada."
Accennò un inchino, quindi si drappeggiò addosso
il
mantello pesante prima di uscire nell'aria fredda del Santuario.
"Duìyú
yǎdiǎn
nà, nǐ
shì rúcǐ
měilì. Nǐ
kàn qǐlái
xiàng gè gōngzhǔ."
Si
voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con Camus.
"...cosa?"
"Ti ho detto che sembri una principessa, sei molto bella."
"Questo l'ho capito."
"Peccato non poter indossare questa mise anche su a
Parigi, ti stanno bene gli abiti tradizionali."
"A casa mi guarderebbero come un'aliena." gli
rispose. "Non avevo bisogno della guardia del corpo, comunque."
"Cosa vuoi dire?"
"Sapevo che eri su nel matroneo. Non ti conoscessi..."
"...non avevo il Cosmo attivo."
"Percepisco la presenza di Degél che non ha più
il Cosmo attivo da più di
due secoli e credi che non riesca a percepire il tuo? Andiamo, su."
replicò Mei. "Sei arrivato quando Shion mi stava parlando di
Aspros e
Deuteros, praticamente hai seguito tutto il nostro discorso. Volevi
sapere che
cosa avrei detto una volta arrivata a monsieur,
dì la verità. Ebbene, sono affascinata,
è vero, ma a parte questo, non provo
che ammirazione e rispetto per il tuo predecessore. Volevi sapere
questo, no?
Se è per questo sono affascinata anche da Vincent Cassel, da
Albert Camus, da
un sacco di altre personalità. Ma il fascino è
una cosa, attrazione e amore
sono ben altro, e sono cose che provo per un uomo soltanto, il rosso
zuccone che
ho sposato di fronte a quattro soli testimoni in comune e che aspetto
di
sposare come Dèi comandano di fronte a tutti i nostri amici,
lo stesso testone
che mi tratta freddamente. A volte non so che cosa pensare... forse non
ti fidi
abbastanza di me?"
"Che sciocchezze stai dicendo? Non mi fido? Sono freddo?
Io non sono freddo con te."
"Allora non te ne rendi conto, perché comunque lo sei, a
volte. E
preferisco imputare la causa di tale freddezza al tuo carattere
introverso da
parigino snobbone e non a quanto successo anni fa perché non
posso pagare lo
scotto di certi errori per tutta la vita. Non me lo merito."
replicò Mei.
"E ora scusami, devo passare da Dohko."
*
Secondo giorno.
Camus si svegliò avvolto dal penetrante odore d'incenso
che proveniva dal sottotetto e, più precisamente, dalla
Stanza degli Avi dove
Mei doveva essersi ritirata a pregare: un odore talmente forte da
riempire
tutta casa.
"Di già?"
commentò tra sé e sé, mettendosi a
sedere e afferrando l'orologio dal comodino.
"Le otto. Coraggio, alziamoci."
Sulla panca ai piedi del letto, degli indumenti e un
biglietto: un pantalone morbido e ampio color antracite, una sorta di
camicia
grigio chiaro e una casacca nera di cotone pesante, profilata dello
stesso
colore dei pantaloni, insieme a una cintura; a terra, un paio di scarpe
di tela
nera.
"Non sentirti
in obbligo."
Non era obbligato, ma se gli aveva riservato quei vestiti,
significava che ci teneva: avevano quasi litigato il giorno prima, non
aveva
intenzione di farlo sul serio.
In cucina Mei stava parlando con Shiryu: attraverso il vivavoce
sentiva la voce nasale del cognato, che già da sola bastava
a dargli sui nervi.
"So bene quali
sono i tuoi piani, sono gli stessi di ogni anno. Ma adesso ho altri
defunti da
onorare a parte i nostri: il cimitero dove riposano i miei suoceri
è poco
distante da casa, quindi prima andremo a far visita a Passy, poi domani
mattina,
con calma, verremo al Goro-Ho."
"Sono solo i
tuoi suoceri."
"Senza
Joséphine e Alexandre, così si chiamavano, non ci
sarebbe Camus, non ci sarebbe
mia figlia. Non sarei qui, in questo momento. Probabilmente sarei
accasata a
quel porco schifoso che abita al villaggio e che allunga le mani su
chiunque.
Sono morti e meritano lo stesso rispetto
dei nostri genitori. Quindi, io andrò a Passy e
pregherò sulle loro tombe com'è
giusto che sia. Fine della questione."
"Ma di solito..."
"Di solito si visitavano solo i
nostri avi perché non abitavo a ottomila chilometri di
distanza! Oggi o domani non
fa alcuna differenza, non posso fare due cose del genere nello stesso
giorno,
ti ricordo che la mia è una gravidanza particolare."
"Lo so."
"Senti, faremo
così: domani mattina verrò insieme a Camus e
Lixue così da poter andare al
cimitero. Non posso davvero fare due giri nello stesso giorno, il
carico
emotivo è enorme e non posso sopportarlo tutto insieme. Ti
invio un messaggio
più tardi per farti sapere."
"D'accordo."
"Bene. A più
tardi."
La vide spegnere il tablet con il quale aveva appena
finito di parlare in videochiamata con il fratello e guardare verso il
cielo.
"Spero mi
comprendiate, non voglio offendervi."
Camus si schiarì la voce prima di entrare in cucina.
"Bonjour!" esordì allegro, inducendola a
voltarsi. Indossava le sue stesse cose, solo, ovviamente, con una gonna
al
posto dei pantaloni e con la casacca che sfiorava il pavimento.
"Ciao! Oh!" esclamò Mei in risposta, sorpresa
nel trovarlo nei vestiti che gli aveva lasciato ai piedi del letto. Non
era del
tutto sicura che li avrebbe indossati. "Non... non eri obbligato, sai.
Se
ti senti ridicolo, puoi andare a cambiarti, purché siano
indumenti totalmente
neri."
"E' tutto a posto, non mi sento ridicolo." le
rispose, avvicinandosi a lei.
"...bene. Sappi che questo completo apparteneva a
mio padre e... beh, scarpe e camicia sono nuove. E che ho dovuto
scucire l'orlo
dei pantaloni perché sai, sei un po' più alto di
com'era lui." Mei gli
sistemò meglio la cintura, lisciando delle pieghette sul
petto, quindi, lo
guardò. "Ti ringrazio davvero tanto."
Le rispose con un lungo bacio e un abbraccio.
"E io ti ringrazio per questa notte: è stato bello.
Tranne forse per quella tua arpionata alla spalla destra."
ridacchiò piano
lui. "Mi fa ancora male."
"Oddèi, mi dispiace davvero tanto."
"Non fa niente. Ho sentito che parlavi con Shiryu,
del fatto che non possiamo andare adesso al Goro-Ho perché
abbiamo altro da
fare oggi."
"Direi proprio di sì. Quando ci siamo conosciuti mi hai
detto che i tuoi sono tumulati nel cimitero di Passy."
"Te lo ricordi…" commentò Camus, stupito.
"Certo che sì. Ricordo tutto di quel periodo, non ho
l'Alzheimer."
"Sono nel cimitero di zona, Passy è poco distante da
casa nostra, ma non sono ancora mai andato a visitarli."
"Mai?!"
si stupì Mei.
"Non riesco
ad andarci da solo, crollerei sulle loro tombe come un bambino."
"E' per questo che ci sono io: per sostenerti. Faremo
così, dopo aver pregato per le anime dei nostri cari,
andremo al cimitero a
portar loro dei fiori. Tu non ci credi, ma loro sono ancora qui con
noi, hanno
solo assunto un'altra forma." gli rispose.
"Peccato che i miei ricordi legati a loro siano
frammentati e del tutto sfocati."
"Non parlavo di ricordi." gli rispose, mentre
lui si sedeva al tavolo. "Comunque, giacché stiamo
ripercorrendo il viale
dei bei tempi andati, voglio proprio vedere se rammenti anche
questo."Camus
guardò a lungo il piatto con le frittelle guarnite di panna
e salsa di lamponi.
"Ehm... credo di averle cucinate per te, una
volta."
"Sì, infatti. Quella volta all'isba, dove avevi
cucinato per me e dove avevi intenzione di portarmi a letto, quando poi
Hyoga
ci ha interrotti."
"Non era quella la mia intenzione primaria."
rispose Camus.
"Certo che no, infatti la tua maglietta sparì per
magia."
"Fosti tu a togliermela."
"Sì, e non solo quella." ridacchiò Mei. "A
distanza di tanto tempo ancora mi stupisco per l'intraprendenza
dimostrata, e
pensare che avevo appena diciassette anni. Avessi avuto all'epoca la
testa che
ho adesso, ti avrei portato dietro la cascata molto prima. Che
c'è? Sono troppo
sfacciata per i tuoi gusti?"
"No, è che all'epoca non ero quel granché."
"Scherzi, vero?"
"Ero ancora un ragazzino con le efelidi e poca
esperienza."
"Direi che quella è arrivata con l'età e fidati,
sei
molto migliorato." lo riprese Mei, circondandogli le spalle in un
abbraccio. "E io impazzisco per le tue efelidi, perciò ti
toccherà
tenerle."
Camus ingoiò un boccone e corrugò la fronte.
"Lo so, non sono buone come le tue, sul ricettario
hai aggiunto anche un +15 grammi di
un ingrediente che non è specificato."
Lui annuì.
"Certo che non è specificato. Sono figlio di mio padre, e
lui diceva
sempre che un buon cuoco non rivela mai gli ingredienti segreti delle
proprie
ricette. Perciò spiacente, quei +15
grammi per te rimarranno sempre un mistero."
Camus, Hyoga e Lixue la seguirono nella Stanza degli Avi,
pregando e onorando i propri defunti prima di recarsi, come stabilito,
al
cimitero di Passy, a pochi isolati da casa loro.
"Non c'è che dire, la vista è ottima anche da
qui."
Camus voltò lo sguardo all'imponente figura della Tour
Eiffel dietro di loro.
"..."
"Cosa? Perché sei così polemico contro la Tour
Eiffel?"
"Tu e mia madre sareste andate d'accordo, anche lei
l'adorava."
"E scommetto che tuo padre invece la detestava,
mh?"
"Già." le rispose, prima di scambiare
brevemente due parole con il custode, per avere informazioni su come
raggiungere la tomba di famiglia. "A quanto pare non c'è
molto da
camminare, vieni."
"Non ci sono fotografie."
Camus si guardò intorno dopo aver controllato la mappa del
cimitero.
"No, da noi non si usa."
"Ma è così triste..." sospirò Mei,
soffermandosi a guardare le file di tombe ai lati del vialetto: le
lapidi
riportavano solo il nome e talvolta un breve epitaffio, molte erano
ravvivate
da colorati mazzi di fiori e amorevolmente curate ma... scure e tristi.
"Oh caspita. Debussy? Quel
Debussy?"
"Sì, quanti altri Debussy conosci che di mestiere erano
musicisti?"
"In
effetti... e Chopin dov'è sepolto?"
"Ehm..." Camus si fermò a un bivio, seguendo
poi le indicazioni del custode annotate su un post it appiccicato sulla
mappa.
"Il buon vecchio Frédéric riposa al
Père Lachaise, nel XX arrondissement.
Nel cimitero dei vip dove certi turisti si recano per fumare uno
spinello sulla
tomba di Jim Morrison."
"Oh. Abito a Parigi da quasi un anno e ancora non ho
visto tutto."
Lui inarcò un sopracciglio.
"In questo caso ritorniamo sul discorso del patibolo
giù all'arena del Santuario: ho
intenzione di portarti a Parigi con me, un giorno, per farti fare un
bel giro:
Montmartre, Les Invalides, La citè des morts!
Ottimo metodo per far colpo,
sì." le rispose.
"Che sciocchezza, Camus. Avresti potuto parlarmi di
qualunque cosa, avevi già fatto colpo su di me da tempo."
sorrise Mei.
"Soprattutto con la tua conturbante battuta: resta
vicina a me e non ti succederà niente!"
"Ah, mi
prendi in giro adesso, mh?" Camus rispose al sorriso, perdendolo subito
dopo quando si accorse che erano arrivati. "Aspetta, Mei. Ci siamo."
Lei tornò
indietro, sollevando lo sguardo sul piccolo tempietto davanti al quale
si era
fermato: sotto il timpano e una croce cristiana, campeggiava in lettere
dorate
il loro cognome. Camus frugò nella tasca interna del
cappotto e ne trasse un
mazzo di chiavi, con le quali aprì il cancello di ferro
battuto che dava su una
porta a due battenti; una volta dentro, accese la luce rimanendo in
religioso e
assoluto silenzio, lo sguardo fisso su un punto davanti a sé.
"Vuoi
restare un po' da solo?"
"Certo che
no."
All'interno, al
centro della tomba a pianta rettangolare, campeggiava un tavolino ovale
sul
quale era riposto un crocefisso, una Bibbia e un portacandele di ottone.
"Dissacrerei
questo posto se ora affiancassi un brucia incensi alla Bibbia?" gli
domandò dopo qualche minuto, posando sul tavolino un oggetto
metallico.
"Stai
tranquilla. Se c'è qualcosa o qualcuno in grado di
dissacrare questo luogo sono
io." le rispose. Al che, proseguì, dopo aver captato
l'espressione
stranita di Mei: "Sono apostata."
"Dunque tu
non avresti nemmeno diritto di stare qui o... che so, entrare in una
chiesa."
"Ah scherzi? Mi getterebbero acqua santa addosso gridando: a morte il traditore!!" le rispose.
"Dai, torniamo seri. E' la prima volta che vengo qui e sono
spiazzato."
Tra le tante
lapidi, trovò quelle che cercava.
"Chi era
Gabrielle Lemaire?"
Camus si voltò
verso la figlia, che era appena arrivata insieme a Hyoga.
"La tua
bisnonna, tesoro." le rispose, allungando la mano verso di lei in un
muto
invito. "La mamma di nonno Alexandre. Ricordi il nonno? Ti ho mostrato
la
sua fotografia più volte."
Lixue annuì. "Mio
padre era parigino fino al midollo come tutta la famiglia
Gauthier-LaRochelle:
parigini da almeno nove generazioni. Mia madre, invece, era un
miscuglio
pazzesco: nacque ad Auxerre in Borgogna, da padre normanno nato e
cresciuto a
Caen e da madre nata ad Annecy, in Alta Savoia. Quando sono tornato a
vivere a
Parigi, dopo la guerra contro Hades e grazie ai documenti che Lady Kido
ci procurò
–non chiedermi come perché non lo so- la prima
cosa che feci fu andare in
comune a chiedere tutti i documenti relativi alla mia famiglia.
Così scoprii
che i miei morirono nel giro di due mesi dopo la mia partenza
e che mio zio aveva venduto il ristorante di famiglia
perché totalmente incapace di gestire
un'attività. Ringraziando il cielo non ha
venduto anche la casa, perché mi sarebbe davvero
dispiaciuto… sai, io sono
cresciuto in quell'appartamento. La stanza di Lixue era la mia...
vorrei poter
avere più ricordi di quelli che ho."
"Per essere un uomo che cerca di non pensare al
passato, sei totalmente legato al tuo."
Camus accarezzò la lapide dei suoi genitori.
"Sono le mie radici, Mei. Per quanto cerco di non
pensare al passato perché per me è un argomento
doloroso, non posso e non
voglio dimenticare."
"E io non ti sto chiedendo di farlo, anzi." rispose Mei.
"Significa che non sei un bastardo
senza cuore come dicono le ancelle del Santuario."
A sentire il vecchio –ma ancora attuale, a quanto pareva-
soprannome che le ancelle gli avevano affibbiato, Camus sorrise.
"Ah, il mio
caro, vecchio soprannome. Non il mio preferito, ma può
ancora andare. A
volte penso a come sarebbe stata la mia vita se il mio Cosmo non si
fosse mai
manifestato. Chissà dove sarei, dove saremmo adesso."
"Forse non ci sarebbe un noi, ed
è anche grazie ad Athena se siamo qui, ora."
"Se come dici spesso i nostri destini erano già
incrociati, in un modo o nell'altro saremmo comunque stati insieme." le
rispose. "Faremmo meglio a tornare a casa, abbiamo ancora altro da
fare."
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 20
giugno 2016]
Credo di essermi fatta prendere un po' troppo la mano nella
rivisitazione di
questo capitolo, praticamente è lungo seimila seicento
parole!!
-Il titolo riprende un brano
strumentale di Mattia
Cupelli, un pezzo che io trovo magnifico e che mi ha aiutata
molto nella
stesura di alcune parti del capitolo. La canzone citata è di
Giorgia. Il perché
è facilmente comprensibile, dato che gran parte del capitolo
è dedicata a quei
personaggi che sono lontani nel tempo (e nello spazio, ecco anche
spiegato il
titolo e l'allusione al cielo) rispetto ai protagonisti ma che,
nonostante
tutto, sono ancora molto presenti nelle loro vite.
-Mi tocca ancora una volta fare la capitan ovvio di turno: nella sua
risposta
Camus cita diverse saghe letterarie: Il Signore degli Anelli, Le
Cronache di
Narnia, Il Trono di Spade e ovviamente, Star Wars.
-L'ultimo anno del Drago secondo il calendario cinese è
caduto nel 2012, anno che, nella mia storia, è appena
iniziato.
-Imperatore
cinese, Drago e Antares
-Il lungo pezzo dedicato ai guerrieri del LC spero sia
quantomeno il più veritiero possibile, dato che proviene
dalla mia lettura del
manga in questione e di una lunga ricerca online.
-Il cimitero di Passy si trova nel XVI arrondissement, ed
è uno dei cimiteri più visitati di Parigi dopo il
fratello maggiore Père
Lachaise. Qui vi riposano, oltre Debussy, personaggi famosi come
Fernandel, un
imperatore del Vietnam e una delle figlie dello Scià di
Persia.
Si tratta dell'ultimo capitolo revisionato, i prossimi
saranno nuovi di zecca.
Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 31 *** Everything. ***
31 storia principale
31.
Everything
…in
this crazy life, and through these crazy times
It's
you, it's you, You make me sing.
You're
every line, you're every word, you're
everything.
[Michael
Bublè - Everything]
Giorno del Festival
delle Lanterne, 7 febbraio. Goro-Ho.
Nonostante gli screzi della sera precedente, dovuti
principalmente alla condivisione dello stesso tetto, tutti parevano
essersi svegliati
col piede giusto.
Forse.
Shiryu scese dabbasso con passi pesanti, segno che era
irritato: entrò in cucina brandendo un asciugamani, diretto
al lavello.
"Da quando in qua ci si lava nel lavandino della
cucina? Abbiamo un bagno al piano di sopra, lo sai?" lo riprese la
sorella.
"Ci pensa già la tua dolce metà a farmi saltare i
nervi, non ti ci mettere pure tu."
"A proposito, la prossima volta evita di fare il
ragazzino petulante. Dopo un po' anche la pazienza di Camus si
esaurisce."
interloquì Hyoga. "E ieri sera era pericolosamente vicina al
limite."
"Quando imparerà a chiudere il becco io eviterò
di
rispondere."
"Ti ho già detto una volta di moderare i termini:
alla terza volta ti arriva un manrovescio che te lo ricordi."
replicò Mei,
rimestando il riso.
Shiryu inarcò un sopracciglio.
"Non sono più un bambino."
"A parte che il tuo comportamento dice il contrario, ma ti ricordo che
ti
ho cambiato i pannolini fino ai due anni, signorino, perciò
se devo servirti
una sberla te la servo anche ora che ne hai ventuno."
"E ti assicuro che tua sorella tira delle belle
sberle." proseguì Hyoga. "Ti prendono tutta la guancia dal
mento
all'occhio e... diamine, sembra quasi che l'occhio ti stia per
schizzare via
dall'orbita! Hai seguito dei corsi per imparare a dar bene gli
schiaffi?"
"No, naturale predisposizione. Che diamine, a momenti
diventerai padre e sei più immaturo di tua figlia che deve
ancora vedere la
luce."
"Povera
creatura." commentò Hyoga sovrappensiero, in russo.
"Uh?"
"Nulla, nulla."
Hyoga si versò in silenzio una tazza d'acqua bollente
nella quale immerse l'infusore di tè, riprendendo poi a
parlare una volta
rimasto da solo con Mei.
"Con l'età è diventato scorbutico." riprese.
Non che una volta fosse più malleabile, ma durante le varie
battaglie, pur
essendo solo saccente, non era
così
irritante.
"Già. Neanche tu mi hai irritata tanto, a parte una certa volta..."
"Beh, è già un passo avanti."
"..."
"...che c'è? Viste le tue continue minacce di morte..."
"Finiscila. Sai, avrei dovuto immaginare che sarebbe
finita così, spero solo che Lixue non si sia accorta di loro
due e delle loro
frecciatine. A questo punto mi pento di non essere rimasta a Parigi. Al
quartiere cinese organizzano una festa bellissima, ho visto le foto
dello
scorso anno scattate da una mia collega: c'era anche una gara di danza
del
leone, le lanterne di carta da far volare, le suonatrici di guzheng..."
sospirò Mei.
"E perché dunque non siamo rimasti a casa?"
"Credimi, me lo sto chiedendo anche io." sospirò Mei. Ma con
Shunrei
prossima al parto non aveva potuto chiederle di affrontare spostamenti
fisicamente
pesanti.
"Forse dovresti pensare un po' di più a te stessa e
a cosa ti fa stare bene prima di pensare solo agli altri." le
suggerì,
come se le avesse letto nel pensiero.
"Sì, ci ho pensato, e più di una volta. Ma poi
puntualmente
mi tornano in mente gli insegnamenti dei miei genitori... quando penso
che
potrei essere un poco più egoista, mi sembra di sentire mio
padre che mi elenca
i principi del Bushidō."
"Non prenderla a male, ma è un po' strano sentire di
un cinese che amava e apprezzava la cultura giapponese."
"Non sei il primo che me lo fa notare, ma la
nippofoba di famiglia era una zia materna di mio padre, che nel
massacro di
Nanchino perse un figlio piccolo e beh, subì anche uno
stupro...da un lato si
può facilmente capire perché detestasse tanto i
giapponesi, ma erano altri
tempi e altre situazioni." rispose Mei. "Papà ammirava la
figura dei
samurai e nel corso della sua vita cercò di mantenere un
rigore morale il più
simile al loro. Diciamo che questo, insieme a Degél e beh,
anche Camus che a
lungo andare mi ha contagiata con la sua diplomazia, è uno
di quegli elementi
che mi frenano in certe situazioni. Non
hai motivo per comportarti in maniera crudele, non
hai bisogno di mostrare la tua forza. Sii gentile anche con i nemici.
Senza
tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco
più di un animale."
"Direi che i tuoi freni hanno fatto cilecca, qualche
anno fa."
"Se ti riferisci a quella famosa volta, mi tocca
darti ragione. Ma dire che sono stata crudele con te mi sembra
esagerato: in
fondo ti ho sfamato, curato e ti ho dato un posto dove riposare come i
tuoi
amici e non dimentichiamoci che hai ancora l'uso di entrambi gli occhi."
"Ah beh, allora scusami se ho osato insinuare
qualcosa..." la prese in giro Hyoga.
"Se fossi davvero stata crudele, a quest'ora il tuo scheletro starebbe
ancora penzolando da qualche ponte." replicò Mei, con un
sorriso che Hyoga
trovò inquietante. "E se non è successo
è solo grazie alla tua buona stella."
"...quanto amore in poche, semplici parole."
s'intromise Camus, entrando in cucina. "Quel genere di amore che un
uomo
vuole sentire ogni giorno intorno a sé."
"Specie se è il giorno del suo millesimo
compleanno." ridacchiò Hyoga, ricevendo in risposta qualcosa
in russo che
lo fece scoppiare a ridere. Guardò Camus salutare Mei e il
suo pancione con un
gran bacio e sorrise. "Buongiorno anche a te ma niente baci, grazie."
"Non avevo alcuna intenzione di darti alcunché,
pulcino. Allora, che cosa c'è per colazione?"
*
"Mi trovo costretto a ripeterti che in abiti
tradizionali sei una visione."
Ferma sulla soglia di casa, Mei, avvolta da un hanfu nero
e dorato, prese un gran respiro.
"Altresì mi trovo costretta a dirti di rivolgerti a
un bravo oculista. Ascolta, sinceramente non so se è il caso
che venga anche
io. Insomma, posso stare qui a casa a cucinare mentre voi vi divertite:
anzi,
perché non mi portate qualche dolcetto?"
Camus la fissò, un sopracciglio inarcato.
"Stai scherzando."
"Affatto." rispose Mei.
"Vorresti davvero farmi credere che sei in grado di tenere testa a uno
come Saga ma non sei in grado di
fare
lo stesso con una manica di bifolchi? Non ci credo."
"I palloni gonfiati sono facili da gestire: basta
trovare la giusta valvola e li sgonfi. Ma l'ignoranza... quella
è difficile da
battere. A ripensarci avremmo potuto seguire il festival delle lanterne
a
Parigi, alla comunità cinese. Insomma, lì nessuno
additerebbe te e Lixue."
"Sicuramente no, ma hey, guardami. Sono adulto e
capace di difendermi, volendo potrei mandare al diavolo quei villici in
otto
lingue diverse." la interruppe lui ."E va bene. Allora mi gioco
un'altra carta. E' il mio compleanno, quindi desidero trascorrerlo con
te e non
con tuo fratello, d'accordo?"
Mei si decise e si sistemò il cappuccio sulla testa
badando a non sgualcire l'acconciatura, tenuta su da un innumerevole
numero di
forcine e pettinini.
"..."
"Madame, la vostra mano, prego." Camus allungò la propria
mano verso
di lei in un invito.
Nel corso degli anni il villaggio non era affatto
cambiato, era rimasto tutto immutato, esattamente come l'ultima volta
in cui
l'aveva visto: le stesse terrazze adibite a risaie, gli stessi spiazzi
erbosi,
le stesse casette lungo il fiume.
Gli stessi sguardi.
"Passano gli anni, ma l'erba cattiva resiste a ogni
intemperie." commentò Mei.
"Ignorali, non ne vale la pena." le rispose
Camus, spostandosi davanti a lei lungo un punto un po' troppo ripido
del
sentiero.
"C'è un tempo per ignorare e un tempo per reagire, e
il primo è già passato. Hai insistito tu per
farmi scendere al villaggio, no? Non
scendo da anni, giusto per evitare certi idioti." spiegò
Mei, a disagio.
"Dal giorno in cui sei venuto qui a conoscere Lixue, per la
precisione."
"Per evitare le malelingue."
"Per evitare di sottoporre Lixue alle loro lingue
biforcute." lo corresse. "Quante cattiverie ho sentito quel giorno: sgualdrina, fallita, scarto della società...
di me possono dire quello che vogliono, non m'interessa, mia madre mi
ha insegnato
a ignorare le cattiverie. Ma
non quelle su
mia figlia, o su di te. Io sarò anche la sgualdrina
che si è fatta fregare da un laowai, ma a
differenza di tante qui, non sto
marcendo in questo inferno maschilista che ritiene una bambina una
disgrazia da
sopprimere."
Shiryu sobbalzò quando sentì Mei ripetere le
parole che
le aveva rivolto anni prima, tuttavia non si scompose e
continuò ad ascoltare
la nipote, che gli stava raccontando di Parigi, della scuola e dei
progressi
fatti con il pattinaggio.
"Non mi piace sentirti parlare così." sussurrò
Camus, circondandole le spalle.
"Ti toccherà farci l'abitudine." replicò Mei,
ricambiando l'abbraccio e stringendosi a lui.
"Stai bene? Hai freddo?"
"Sotto l'hanfu ho dei leggings felpati e una maglia di
micropile, stai tranquillo."
"Mmh, molto sexy, non c'è che dire." ridacchiò
Hyoga, dietro di loro.
"Eh, non riuscivo a infilarmi la guepiere, che vuoi
farci?" replicò Mei, serrando il bavero del mantello.
"Lixue, tesoro,
copriti bene altrimenti ti prenderai un malanno."
C'era una folla a dir poco enorme per gli standard del
villaggio sotto il Goro-Ho: la via principale era infatti ingorgata,
zeppa di
bancarelle cariche di dolciumi e ninnoli porta fortuna, e le viuzze
laterali
non erano da meno.
Camus, Hyoga e Freya erano forse le sole persone a
vestire all'occidentale in tutta quella fiumana di gente e nonostante
il
cicaleccio, la confusione e i bambini che giocavano, a Hyoga pareva di
essere
al centro dell'attenzione, cosa che non gli piaceva granché.
"Non hai anche tu la sensazione di essere osservato?
Continuano a guardarmi come se fossi una bestia rara."
mormorò, calcandosi
il berretto sulla fronte e nascondendosi dietro la sciarpa.
"Non guardano te, guardano me." borbottò Mei,
fulminando con lo sguardo una delle tante persone che anni prima
l'avevano
insultata. "Non fate più battute adesso, mh?"
"Siamo gli unici tre stranieri in mezzo a una marea
di autoctoni, è normale." rispose Camus, con diplomazia. "E
poi due
biondi e un rosso in mezzo a un mare di capelli neri..."
"Devo dunque dedurre che non esistono cinesi
biondi?"
Mei ridacchiò.
"Se sono tinti sì."
"Ah beh..."
"Non correre Lixue, stai stancando la zia."
interloquì Camus, captando lo sguardo stanco di Shunrei.
"Va bene." obbediente, la bambina si fermò permettendo
alla zia di riprendere fiato. "Papà, questa sera, prima dei
fuochi
d'artificio, mi porti a vedere le sculture di ghiaccio?"
"Sculture di ghiaccio? Dove?"
"Lo Yanqing Ice Festival, a Pechino. E'
un'esposizione di enormi sculture di neve e ghiaccio illuminate con un
gioco di
luci colorate ed è molto suggestivo." spiegò
Shunrei.
"Oh, sembra interessante. D'accordo, andremo a
vedere le sculture allora." concordò Camus.
"E posso anche andare a comprare un dolce di riso?"
La guardò, sorridendo.
"Sì, ma poi, per oggi basta dolci: ne hai mangiati
troppi negli ultimi giorni." concesse, prendendo una banconota dal
portafogli e apprestandosi a seguirla.
"Lascia stare, ci penso io." si offrì Shunrei.
"Ne approfitterò per mangiare qualcosa."
"Non sono d'accordo, ma... Lixue, il resto lo puoi
tenere ma non spendere tutti i soldi in dolci, ci siamo capiti? E vai piano. Ricordati che cosa ti ho detto e
soprattutto non farmelo ripetere." disse Camus, seguendo con lo sguardo
figlia e cognata dirette a una bancarella piena di dolcetti colorati.
Poco più avanti, tra ninnoli e cibarie, sedeva una
vecchina avvolta in un abito tradizionale; dinanzi a sé, un
tavolino coperto da
un drappo rosso.
"Ed ecco
anche l'indovina che pratica il calcolo del destino,
ovvero la risposta
cinese ai chiaroveggenti occidentali." mormorò Shiryu, a
beneficio di
Hyoga e Freya. "Qualcuno vuole conoscere il proprio futuro?"
"L'ultima
volta in cui ho provato a farlo mi sono beccata una strigliata da
Degél, quindi
no, grazie." rispose Mei.
"Sant'uomo,
ha fatto bene." interloquì Camus. "Lo dovrei ringraziare,
ricordami
di farlo, una volta tornati a casa."
La risposta di
Mei sarebbe arrivata in pochi istanti, ma venne interrotta.
"Nǐ!
" [Tu!]
Si bloccarono
tutti, come impietriti, accorgendosi che era stata la vecchina a
parlare e che
la stessa stava indicando Hyoga.
"...oddio,
sta dicendo a me?"
"Shì de."
annuì la donna, facendogli cenno di avvicinarsi e sedersi
sullo sgabello di
fronte a lei.
"Hyoga, hai paura di una vecchina? Eppure non mi
sembra armata!"
Controvoglia, si sedette di fronte alla donna, che prese
a fissarlo intensamente negli occhi, facendogli poi segno di abbassarsi
la
sciarpa per poterlo guardare meglio.
"Rilassati, sono certo che sia inoffensiva." disse
Shiryu.
"Ma che simpatico." borbottò Hyoga.
La donna iniziò a parlare in cinese, lingua che Hyoga non
comprendeva affatto, e Shiryu iniziò a tradurre a suo
beneficio.
"Hai viaggiato
parecchio, e la tua vita non è mai stata felice…"
"No, mai." concordò.
"…hai perso
tua madre quand'eri molto giovane, ragazzo."
Hyoga deglutì. Era poco più che un bambino.
Annuì, di
nuovo, mentre le iridi della donna lo sondavano nel profondo.
"La croce che
porti al collo è l'unico ricordo che hai di lei."
Di riflesso, Hyoga portò la mano all'altezza del petto
dove, sotto gli strati di indumenti, si trovava la croce d'oro. In
effetti, della
bellissima Natassia, non aveva che un paio di foto e i suoi ricordi.
"…ma la ruota
gira sempre, e chi prima piange, dopo è destinato a gioire."
"Lo spero"
La vecchina prese tre monete e gliele porse, spiegandogli
in quale modo e quante volte avrebbe dovuto lanciarle.
"Servono a delineare l'esagramma dell'I-Ching."
interloquì Mei.
Hyoga fece quanto richiesto e la vecchina trascorse i
successivi minuti a tracciare linee intere e spezzate sul suo
foglietto. Gli
chiese di lanciare le monete per diverse altre volte, per poter
tracciare i tre
esagrammi necessari.
"Chieh e Chun."
iniziò la vecchina,
d'improvviso. "Così come il lago
che
straripa ha bisogno di dighe per evitare l'inondazione, tu hai bisogno
di porre
dei limiti per evitare di perdere il controllo della tua vita. Le
difficoltà sembrano
insuperabili ma occorre lottare con una grande forza di
volontà fino alla fine."
Hyoga guardò la vecchina, poi Shiryu.
"A cosa si riferisce?"
Appena Shiryu ebbe tradotto la domanda di Hyoga, la
vecchina sorrise.
"Rimanendo fermo corri il rischio di gettare
all'aria un'occasione favorevole: prima porrai dei limiti, meglio
sarà."
D'istinto, pensò a Hilda.
"Ta C'hu. L'esperienza
acquisita col tempo ti sarà molto utile per valutare il
passato e affrontare il
presente: stai affrontando un momento particolare e solo l'esperienza
ti potrà
aiutare. L'energia che hai
accumulato
da tempo si trasformerà in una forza domatrice che ti
guiderà verso gli obiettivi
desiderati."
"Se non ci riesce la forza domatrice, ci penserò
io." interloquì Camus, a bassa voce.
Prima di congedare Hyoga, la vecchina chiuse il blocco di
carta e, senza guardare nessuno in particolare, parlò ancora.
"Tua
figlia, la bambina che hai in grembo… ti darà
tanto dolore e tanto orgoglio."
Camus
assottigliò lo sguardo.
"Sono certa
che stia parlando con te, io ancora
non so di che sesso sono i miei." disse Mei.
"Nemmeno noi
sappiamo che cos'è." protestò
Shiryu.
"Finiscila,
sai bene anche tu che sarà una
femmina."
"Vogliamo
andare?" interloquì Camus,
sospingendo delicatamente Mei lontana da quella donna. "Sai che non
credo
in queste sciocchezze e soprattutto sai che non mi piacciono certe
cose: poi va
a finire che ti suggestioni."
"Soffrirò
sicuramente, hai una vaga idea di
quanto faccia male partorire?"
"....subirai un cesareo."
"Ancora peggio, quella è una vera e propria operazione."
"Sarai
sedata."
"Puoi
prendere il mio posto, se vuoi."
"Rifiuto l'offerta, se non ti spiace."
Tuttavia,
pur continuando a sorridere e scherzare, Mei
si scoprì inquieta. Si voltò istintivamente verso
la vecchina, constatando che,
però, quest'ultima si era come dileguata nel nulla.
"...cosa
c'è?"
"Uh? Niente."
Il resto della giornata scivolò tranquillo a dispetto
delle solite sciocche polemiche delle ore precedenti: dal Goro-Ho si
spostarono
a Pechino, dove furono raggiunti da Dohko, continuando a passeggiare in
attesa
dei fuochi d'artificio previsti per la sera, che avrebbero guardato in
tranquillità seduti nel verde di un parco nei pressi della
città proibita."Cavolo,
manca un quarto a mezzanotte." sorrise Mei, prendendo qualcosa dalla
borsa. Camus la guardò trafficare nella penombra, poi, la
flebile lucina di un
accendino. Infine, una yuebing, una
tortina, con tanto di candelina. "Non hai avuto la torta come si
conviene
a ogni compleanno, ma sono ancora in tempo per farti gli auguri. I
passaggi
seguenti li conosci: esprimi un desiderio e soffia."
"Solo uno?!"
"La candelina non dura in eterno, sotto con il tuo
desiderio."
"Ho già tutto ciò che desidero."
"Allora lo esprimo io, se non ti spiace: che
tutto rimanga perfetto come questo
momento."
Camus soffiò, spegnendo la candelina; prese il dolce e lo
spezzò, porgendone metà a Mei.
"Tutto sommato è stata una bella giornata, non
credi?"
A parte qualche solita battutina di troppo, ovviamente.
"Sì." convenne Mei, appoggiandosi a lui. "Uh,
quasi mi dimenticavo di questo, e sì che aspetto di dartelo
da mesi."
Un pacchetto di spessa carta rossa, con un fiocco dorato
e un nodo portafortuna.
"Buon compleanno!"
"Mei, non avresti dovuto." sospirò Camus,
accettando il dono.
"Aspetta a dirlo, sono certa che ti farà
piacere."
Aprì con cura ogni pezzetto di nastro adesivo
finché non estrasse
il contenuto, boccheggiando sorpreso qualche secondo, gli occhi
sgranati.
"Oh, Mei..."
"Avevo intenzione di dartelo come dono di nozze, ma
mi son detta che sarebbe stato troppo poco per un'occasione di quel
genere, ma
come regalo di compleanno ho pensato fosse perfetto. Insomma, che cosa
potevo
regalare a un bibliofilo se non un libro?"
Camus distolse lo sguardo dalla copertina per posarlo di nuovo su Mei.
"...tu sei
matta."
"Tesoro, questa è una cosa che abbiamo appurato
già
da tempo."
La prima edizione mondiale del Dottor Živago, edita in
Italia nel novembre 1957, con la sovracopertina recante la fotografia
dello
scrittore. Aveva girato mezzo Piemonte per trovarlo, ma alla fine ne
era valsa
la pena: Camus possedeva una prima edizione russa edita nell'88, ma
sapeva che
non era esattamente la stessa cosa.
"La storia che c'è dietro questa edizione è
avvincente quasi quanto il
romanzo stesso: Pasternak affidò il manoscritto all'editore
sfidando la censura
e le ritorsioni del governo russo e quando vinse il Nobel per la
letteratura
non poté nemmeno ritirarlo per via delle pressioni dei
servizi segreti russi
che lo minacciarono di confisca ed espulsione dal Paese... miei
Dèi, ho
corteggiato a lungo questo libro su ebay senza riuscire ad
accaparrarmelo... come
hai fatto?" le domandò, a corto di fiato. "Davvero, non
avresti
dovuto farlo, dev'esserti costato una fortuna."
Un terzo del suo stipendio di novembre, ma erano stati soldi
ben spesi.
"Questo dettaglio non deve interessarti, goditi il
tuo regalo."
Lui avvolse di nuovo la carta intorno al libro, con cura
maniacale.
"Non so come ringraziarti."
"In cambio voglio solo un abbraccio: i fuochi stanno
per iniziare."
Hyoga si voltò verso di loro non appena avvertì
un
sibilo.
"Hey, iniziano i fuochi d'artifi-... okay. Come non
detto." si corresse, guardando i due impegnati in un bacio appassionato.
Lixue si avvicinò ai genitori, circondando le spalle di
suo padre in un abbraccio mentre il cielo si tingeva di infinite
sfumature di
colore.
"Che ti dicevo? Ho già tutto ciò che desidero."
"Parli di noi o del libro?"
"...sciocca."
"Pensi ancora alla veggente?"
Hyoga distolse lo sguardo dal cielo, dedicando attenzione
a Freya.
"In un certo senso, sì."
"Per via di quel che ti ha detto riguardo tua
madre?"
Sì e no, più che altro pensava alla strana
sensazione che
aveva avvertito quando la vecchina l'aveva guardato, come se avesse
scavato
nella sua anima e alle parole che gli aveva rivolto, come per
avvertirlo di un
pericolo imminente. La donna non aveva fatto nomi, eppure sapeva in
qualche
modo che c'entrava Hilda: i limiti che avrebbe dovuto imporre erano
legati
proprio alla sua ingerenza e sapeva anche troppo bene che sarebbe stato
necessario imporli, o a lungo andare avrebbe perso anche Freya.
Ma ovviamente decise per quieto vivere di non dire niente
di tutto ciò alla fidanzata.
"Ogni volta si risvegliano ricordi agrodolci, è come
ricevere una stilettata." le rispose invece.
Freya si fece più vicina.
"Posso capirti, succede la stessa cosa anche a me
quando ripenso ai miei genitori." sussurrò la principessa.
"Già. Ma hey, è un giorno di festa, via quella
faccia triste!" avvertì dei lamenti alle proprie spalle e si
accorse che
era stata Shunrei a lamentarsi. "Oh cavolo."
Shiryu balzò in piedi come morso da una tarantola,
aiutando Shunrei ad alzarsi.
"Mei!! Ci siamo! La porto in ospedale, raggiungeteci
là."
"Cosa credi di fare, guidare? Assolutamente no,
agitato come sei finiresti per schiantarti da qualche parte." rispose
Mei,
prendendogli le chiavi dell'auto dalle mani e sedendosi al posto di
guida, non
senza proteste del fratello. "Posa le tue chiappe sul sedile e fallo
subito."
Shiryu si sedette a denti stretti sul sedile passeggero
della propria auto, mentre Shunrei era stata sistemata sul sedile
posteriore
dell'auto di Mei, accanto a Freya. Mei scambiò un paio di
parole con Camus,
dicendogli di seguirla, quindi partì in direzione
dell'ospedale.
"Al posto tuo eviterei di entrare in sala parto, non
resisteresti due minuti, dammi retta. Lascia che partorisca in santa
pace."
Sulle prime aveva deciso di assistere, ma col passare del
tempo, complici anche alcuni video su youtube che stupidamente aveva
guardato,
aveva deciso che non sarebbe mai entrato in sala parto.
"Ho paura." confessò, abbandonandosi
completamente contro lo schienale.
"Lo so."
Mei lo guardò fugacemente: aveva il volto imperlato di
sudore e il respiro accelerato.
"Shiryu calmati o finirai con il farti venire qualcosa."
"Non mi sento bene."
"...appunto."
sospirò Mei. "Tieni duro, manca poco."
La clinica dove stava portando Shunrei era la stessa nella quale
avrebbe
voluto partorire Lixue come si era riprogrammata di
fare, ma poi, quella
notte, tutto era accaduto in fretta. Sorrise a quel ricordo, ora che
stava
tornando in quella clinica non per sé, ma per la cognata.
"...Shiryu? Oddio."
*
"Come va?"
Uscita dalla saletta dove stavano visitando Shunrei, Mei
si sedette, l'aria stanca.
"Insomma. Shiryu ha avuto una specie di attacco di
panico e l'hanno sistemato di là con un sacchetto di carta e
un tranquillante.
Sembrava di essere in una scena di E.R, lei che mugugnava dal dolore e
lui
pallido come un cencio e in piena iperventilazione." spiegò
Mei.
"Uomini. Grandi e grossi solo dove gli conviene. Se
la natura avesse dato a loro il compito di procreare e popolare il
mondo, la
Terra sarebbe disabitata dai tempi del Mito." osservò Freya.
"Ah, puoi giurarci."
"Sì, ma Shunrei sta bene?" s'intromise Camus.
"La portano su per un controllo fetale, o almeno
così ho capito. Per il momento è una roccia e si
sente abbastanza coraggiosa da
rifiutare l'anestesia. Non appena inizieranno i dolori, quelli veri, lo
sarà di
meno. Ad ogni modo non sono io quella che deve partorire,
perciò..."
"A te manca una manciata di mesi, giusto per
ricordartelo."
"Certo, lo so. Ma a differenza di Shunrei so che cosa vuol dire
partorire
senza epidurale e posso assicurarti che è un'esperienza che
non intendo
ripetere. Anzi, ho già stretto amicizia con l'anestesista,
che oltretutto è
anche un bell'uomo: assomiglia al Paul Newman da giovane. A ripensarci
ha anche
lo stesso pizzetto."
"Allora credo che quando toccherà a me, andrò a
partorire nella tua stessa
clinica. Se barba e pizzetto sono ben curati sono elementi che mi
piacciono
molto, in un uomo." commentò Freya.
"Come darti torto, piacciono moltissimo anche a
me." annuì Mei, sbirciando di tanto in tanto verso le porte
dell'ascensore
in attesa di rivedere Shunrei.
"Ci risiamo, so già dove andrà a parare Mei."
mormorò Camus, sporgendosi verso Hyoga mentre le due donne
parlavano allegramente.
Quando Mei accennò al suo attore preferito, Camus
guardò Hyoga con
un'espressione che significava: che ti
avevo detto?
Freya osservò a lungo la foto che Mei le aveva porto.
"...uao."
"E guarda quest'altra.... dèi, in questa ha uno sguardo
che mi fa impazzire."
"E' una rivista recente? Riesco ancora a trovarla da
qualche parte?" domandò Freya.
"Non credo. E'Vogue
Hommes International di luglio 2009. Me lo ricordo ancora
bene perché non
mi ha dato tregua finché non le ho avute per le mani: due
copie trovate in
un'edicola sugli Champs Elysées. Quando le ha viste si
è messa a saltellare
come una bambina la mattina di Natale, nemmeno le avessi regalato il
diadema
nuziale di Grace Kelly." commentò Camus.
"E che cosa se ne fa di due copie della stessa
rivista?"
"Una è ancora intera e custodita come una reliquia,
l'altra l'ho sezionata nei punti giusti e ho fatto plastificare le
pagine, che
per inciso ha appiccicato all'interno delle ante dell'armadio. Venera
quelle
foto come fa un cristiano con i suoi santi: San
Keanu da Toronto."
"Da Beirut,
semmai, dato che è nato in Libano." lo corresse Mei,
sopportando le
battutine ironiche del compagno.
Camus alzò le mani in segno di resa, scatenando le
risatine di Mei, che si avvicinò, cingendogli la vita.
"...e adesso arriva anche la sviolinata nei riguardi
delle mie doti, che fa giusto per farsi perdonare di preferire un
attore a suo
marito."
Shiryu riemerse da una stanzina attigua: ancora pallido
come un cencio, ma tutto sommato con un aspetto migliore di quel che
aveva avuto
prima. Disse loro di tornare a casa, che sarebbe rimasto lui accanto a
Shunrei
e che li avrebbe chiamati alla prima novità.
"Che dici? C'è da fidarsi?" mormorò Hyoga.
Mei sospirò.
"Mal che vada mi chiameranno per tornare qui a
raccattarlo." disse. "Adesso non faccio che sognare una doccia calda
e il mio letto, quindi se non avete nulla in contrario, tornerei a
casa."
"Ottima idea."
"Non dirmi che ti ho svegliato."
"Figurati, qui
sono solo le ventitré meno qualcosa. Ma
da te sono quasi le quattro. Tutto bene?"
"Benino, non riesco a dormire."
"E come mai?"
Camus tirò una boccata dalla Gauloises
Blonde e guardò Milo attraverso l'obiettivo della
webcam.
"Non dovresti fumare,
sai bene che fa male."
"Lo so. Mi capita di fumare quando sono
nervoso."
"Perfortuna
non ti capita spesso o finiresti con l'avere i polmoni a pois come il
tuo
omonimo."
Abbozzò un sorriso.
"Il caro vecchio Albert aveva i polmoni danneggiati
dalla tubercolosi, il fumo era l'ultimo dei suoi problemi." gli
rispose,
espirando il fumo in una nuvoletta dai contorni sfocati. "Stavamo
assistendo ai fuochi d'artificio e Shunrei ha rotto le acque. Ho
istintivamente
pensato..."
"A Mei."
"Già. Cerco di non farle capire quanto sono agitato ogni
volta che penso
al cesareo ma la verità è che ho una paura
tremenda."
"Direi che è
comprensibile, anche se irrazionale. Voglio dire, la medicina ha fatto
passi da
gigante e la percentuale di chi muore di parto è molto,
molto bassa."
"Mi rincresce farti notare che non mi stai affatto
aiutando."
"Oh accidenti.
Hai ricevuto il libro?"
"Il libro?"
"Živago."
"Oh sì. Ho come l'impressione che tu c'entri
qualcosa."
"Ovviamente
c'entro, ti ho tenuto impegnato mentre Mei, Hyoga e Compare Turiddu
giravano mezza Italia alla sua ricerca."
"Ha! Lo sapevo."
"E ti è piaciuto?"
"Conosci già la risposta. Le sono molto grato, non
immagini la sorpresa e lo stordimento che ho provato. Ma non avrebbe
dovuto,
dev'esserle costato caro e sa che non è il caso di spendere
tanto per me."
"Le persone
fanno sempre cose pazze quando sono innamorate."
Spense la sigaretta nel posacenere, ridacchiando.
"Oh, una citazione da Hercules. Vedo che ti stai
portando avanti con il lavoro e che studi i film Disney per l'arrivo
del tuo
pargolo. Sono orgoglioso di te."
"Smettila."
Camus iniziò a fischiettare Circle
of Life e Milo sbuffò.
"D'accordo,
Cam. Buonanotte."
*
"Come sei silenzioso."
Accanto a lei, Camus sorrise appena, a mo' di risposta.
"Sei qui per vedere tua nipote, non per vedere mio
fratello."
Un altro sorriso, stavolta forzato.
"Oh, avanti. So che non è la figlia di Milo,
però..."
"Non dire sciocchezze, sai che la bambina non
c'entra niente." si decise a risponderle. La piccola non aveva alcuna
colpa e sicuramente non era il caso di piazzargliene un paio sul
groppone a
poche ore di vita. Era Shiryu il problema: era una cosa più
forte di lui, non
poteva farci niente se non poteva soffrire il cognato dopo tutto quello
che
aveva dovuto ingoiare per amore della sua famiglia. Diplomatico e
paziente fino
a un certo punto.
"...la
prossima volta chiederò a Hyoga di accompagnarmi"
sospirò Mei, prima di
bussare.
"Vado a fumare una sigaretta, torno subito." le
disse Camus, indicandole il balcone in fondo al corridoio.
"Sai che è una cosa che non mi piace."
"Lo so. Ma sono nervoso, che posso farci? O fumo, o
inizio a litigare con tuo fratello: cosa preferisci?"
Alzò le mani in segno di resa.
"Fai come vuoi."
"Dieci minuti e arrivo."
"D'accordo." rispose Mei, prima di entrare
nella stanza dove Shunrei era ricoverata: una camera singola, un po'
buia ma
tutto sommato tranquilla, dal rassicurante profumo di pulito.
Shunrei era sveglia e decisamente provata dal parto; di
suo fratello, neanche l'ombra.
"Ciao."
sussurrò Mei, per non svegliare la bimba che riposava nella
culla accanto a sua
madre.
"Ciao."
ripeté Shunrei, flebile.
"Alla fine niente epidurale, mi hanno detto.
Continuo a pensare che tu sia matta... a ripensarci ora col cavolo
avrei fatto
nascere Lixue a casa e senza anestesia! Com'è andato il
parto? Tutto bene spero,
mi spiace non essere rimasta, ma a un certo punto sono crollata."
Shunrei proruppe in una smorfia mentre tentava di
mettersi semiseduta.
"Porti tre bambini in grembo, crollare è il minimo. Io
sto bene, la bambina era più grande del previsto e
così mi hanno rattoppata un
po', con una quindicina di punti."
"Oddèi."
"Il peggio è passato." sorrise Shunrei.
"Avresti dovuto vederci qualche ora fa."
"Immagino. E Shiryu dov'è? Non si sarà ancora
sentito male?"
"No, l'ho mandato a mangiare qualcosa."
"Conoscendolo, sarà ancora scosso. Ma vedrai, il meglio deve
ancora
venire: un paio di giorni e potrai portarla a casa e allora
sì che inizierà il
vero divertimento! Posso...?"
"Ma certo."
Mei si avvicinò piano alla culla, scoprendo che la bimba
era sveglia.
"Birbantella, allora sei sveglia. Nihao,
piccola."
Shunrei sorrise, guardando la cognata.
"Che fai, piangi?"
"E' che... miei dèi, sono zia. Zia.
Ancora non ci credo!" mormorò Mei, con i lucciconi agli
occhi. "Mia madre sarebbe impazzita per la gioia, adorava i bambini e
adesso sarebbe diventata nonna per la seconda volta, se fosse qui
piangerebbe
anche lei."
Non fece caso ai leggeri colpetti dati alla porta, né a
Camus che entrò poco dopo, presa com'era dalla nipote.
"Puoi prenderla in braccio se vuoi." le suggerì
Shunrei, prima di dedicare attenzione a Camus e rispondere alle sue
domande.
"E' una gran capellona, vedo." sorrise Camus,
guardando di sfuggita la bambina che Mei aveva preso in braccio.
"Secondo
alcune mie foto da neonato, io ero completamente calvo."
"Poi, per fortuna quest'aspetto è decisamente migliorato.
Dèi, guarda quant'è bella! Ah, io sapevo che
saresti stata femmina, l'avevo
detto!" gongolò Mei. "Tutti i primogeniti dei ShuFang sono
femmine e
nessuno fa eccezione: io, zia ZhenZhen, le prozie Fèng, Shan
e Jian-Shu, tua
cugina Lixue... e adesso tu..."
"Yian-Mei."
interloquì Shiryu, dopo essere silenziosamente entrato nella
stanza e aver
attirato la sua attenzione.
"...come, scusa?"
"Beh, di Mei-Yin
ShuFang ce n'è già una in
circolazione, perciò ho dovuto modificarlo un po'."
le rispose. "Sei la sua unica zia, direi che merita il tuo nome."
Restò come impietrita, incapace di nascondere la sorpresa:
tutto si era aspettata, tranne che una cosa di quella portata.
***
Lady Aquaria's corner
Oddéi,
un capitolo inedito (permettetemi di
usare un linguaggio professionale, anche se impropriamente!), dopo anni!
Anni, santi
numi. Quasi mi vien da piangere (se non
fosse che ho esaurito le lacrime a disposizione per oggi a causa del
trailer di
Io prima di te). Beh, che dire?
Questa fan fiction ne ha passate davvero tante. Ripensamenti,
revisioni, un
cancro e un lutto, ma in fondo, come la sottoscritta, è
ancora in piedi.
Mi sono accorta di non essere brava con i discorsi,
perciò passo alle postille, e ringrazio ancora quei pochi
che seguono: sono
lenta come Syd il Bradipo a rispondere ma lo farò, promesso.
-Bushidō:
letteralmente «la via [o la morale] del guerriero»)
è un codice di condotta e un modo di vita adottato dai
samurai, cioè la casta
guerriera in Giappone.
-Massacro
di Nanchino:
crimini di guerra perpetrati dai giapponesi ai danni del popolo cinese
durante
la seconda guerra sino-giapponese.
-"...disgrazia
da sopprimere" avete mai letto lo spietato e crudo saggio
dell'autrice
cinese Xinran, dal titolo Le
figlie perdute della Cina? Io l'ho fatto, ben
sapendo che non sarebbe
stata una passeggiata leggere le testimonianze di tante mamme costrette
ad
abbandonare o, nel peggiore dei casi sopprimere
le proprie figlie neonate perché considerate delle sciagure.
Non è questo il
luogo per parlare del contenuto del libro, ma se avete
possibilità di leggerlo,
fatelo. Non sarà una passeggiata, ma vale la pena.
-Yanqing
Ice Festival
-L' I-Ching, credo di averlo già spiegato, è un
antichissimo metodo di divinazione. L'interpretazione in questo
capitolo è del
tutto personale, grazie anche ad alcuni siti consultati online.
-Compare Turiddu
è l'appellativo che Milo affibbia di quando in quando a
DeathMask.
-La storia del romanzo di Pasternak è davvero avvincente
quasi quanto il romanzo stesso. Qui
il sunto della faccenda.
-Il caro vecchio Albert al quale si riferiscono è,
ovviamente, Albert Camus.
Alla prossima!
Lady Aquaria
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Capitolo 32 *** Love isn’t easy (but it sure is hard enough). ***
capitolo 32 principale
32.
Love
isn’t easy (but it sure is hard enough).
[A
volte non lo sopporti, non lo capisci.
Ci discuti, ci litighi, ci fai persino a botte. Ma poi ti rendi conto
di quanto
sia stato stupido e ridicolo tutto ciò. Perché
per quanto rancore puoi provare,
in fondo sai che senza di lui non puoi stare e che nessuna
incomprensione potrà
mai separartene. Perché l’amore per tuo fratello
è un legame troppo forte per
essere spezzato. Perché l’affetto che nutri nei
suoi confronti non può essere
esaurito.
-Anonimo-]
Undicesima
casa, quattordici marzo.
"Accidenti
che confusione c'è su in casa... hai svaligiato un negozio
di chinatown?"
Camus
ridacchiò
in risposta all'amico, mentre metteva ad asciugare una foto.
"Ma no,
è uno di quei famosi bauli dei miei suoceri, sai, quelli che
siamo andati a
prendere a Nanjing mesi fa, se non ricordo male ti avevo parlato di
quella
faccenda." rispose a Milo, mentre questi, chiusa la porta antipanico
dietro di sé, scostava il pesante tendone nero che
contribuiva a tenere fuori
dalla stanza qualunque fonte di luce.
"Accidenti,
non vedo niente." si lagnò Shura, poco dietro di lui,
inciampando in
qualcosa.
"Certo
che no, se è una camera oscura, dev'essere per forza buia,
testa di rapa."
sbuffò Milo, scuotendo la testa. "Mei è
già in Cina?"
Camus annuì.
"Shiryu
si sposa tra quattro giorni, il parto si avvicina sempre di
più e io ero
fortemente contrario a questo spostamento, ma sai già bene
com'è andata. Vuole
stare vicino alla nipote e alla cognata per aiutarla con la bimba, non
ha
voluto sentire ragioni."
"Immagino.
Con le donne raramente riesci ad averla vinta, se poi hanno la tempra
forte di
Shaina o quella di Mei, un uomo non può che chinare la testa
e abbandonarsi
alla loro volontà." sospirò Milo.
"Parole
sante, fratello. Se poi dalla loro parte hanno il mio
predecessore, il tuo
predecessore, sua madre e una caterva di spiriti, l'insieme diventa
più che
ingestibile."
"Cosa
c'entra Kardia?"
Gli
raccontò
brevemente di quanto udito nel matroneo durante la visita di Mei al
tempio dove
riposavano i loro predecessori.
"...cavolo.
Sei fregato, amico."
"Hai
un'empatia ammirevole, Milo." lo prese in giro Shura.
"Grazie."
"Semmai
dovessi
avere problemi, tu saresti l'ultimo che verrei a cercare."
Camus
ricontrollò
le ultime stampe messe ad asciugare, quindi sgomberò il
tavolo dai barattoli
che non gli servivano più per prendere altri oggetti da
alcuni scaffali.
"Lei e i
bambini stanno bene?"
"Si
affatica facilmente e ha la pressione più alta del normale,
ma secondo l'ultima
visita tutto procede bene, visto e considerato che secondo la
ginecologa il
superamento delle trenta settimane è un buon segno. Ha detto
che ha personalmente
seguito donne che hanno portato una trigemina anche alla
trentasettesima
settimana e che date le buone condizioni di salute di Mei, spera di
portarla
avanti il più possibile."
"Per
questo stamani eri all'Altare?" domandò Shura.
"Mei ha
i suoi Dèi, io ho Athena, non credo in nessun altro. Per me
non ho mai
domandato nulla, perciò spero che questa volta accolga le
mie preghiere e faccia
arrivare Mei e i nostri figli sani e salvi al termine della gravidanza.
Non
voglio altro. Okay, sto per aprire questo rullino e ho bisogno di buio
completo
per i prossimi minuti." annunciò poco dopo, mostrando loro
un piccolo contenitore
nero. "Perché è uno dei rullini dei miei suoceri
e se si danneggia, Mei
verrà personalmente a farvi visita, avvisati. Quindi dentro
o fuori, a voi la
scelta."
"Io
resto, sono curioso di vedere cosa fai." rispose Shura, adocchiando uno
sgabello in fondo alla stanza e sedendosi poi in silenzio.
"D'accordo.
Lixue, passami il rompi rullino."
Nei
successivi minuti non udirono altro che rumori, immersi nel buio
completo della
stanza.
"...colori
o bianco e nero?" domandò quindi Shura.
"Bianco
e nero. Lo sviluppo di una pellicola a colori richiede un kit
particolare di
bagni chimici portati a una certa temperatura e richiede più
tempo."
spiegò Camus. "Soprattutto richiede precisione e tantissima
pazienza,
visto che basta un nonnulla per rovinare l'intera pellicola."
"Posso
accendere la lucina rossa?" interloquì Lixue, abbarbicata su
uno sgabello
poco distante.
"Non
ancora."
Affascinato
quasi quanto Lixue, Shura si sporse per cercare di guardare meglio, ora
che gli
occhi si erano abituati all'oscurità, i gesti che Camus
stava compiendo secondo
un preciso ordine.
"Posso
farlo anche io?"
"Non con
i rullini dei nonni, tesoro."
Dopo aver
sciacquato con cura il contenitore con la pellicola e averla srotolata
e
appesa, Camus riordinò il piano di lavoro in attesa che
quest'ultima asciugasse.
"Dove
hai imparato a fare tutto questo?"
"Per
qualche tempo ho lavorato in un laboratorio fotografico." rispose
Camus,
controllando la pellicola. "Mentre studiavo sodo per laurearmi, tra
l'altro. Okay, signori. Per abusare di una frase super collaudata, che le danze abbiano inizio."
A un cenno
di
suo padre, Lixue accese l'apposita lucina rossa, illuminando un secondo
piano
di lavoro occupato da un macchinario e tre bacinelle. Camus si mise di
nuovo
all'opera, tagliando a misura la carta per la stampa; Shura si
avvicinò
all'amico, badando a non intralciarlo.
"Papà,
la prossima volta posso provare anche io?"
"Facciamo
così: io ti compro una macchina fotografica tutta tua, se mi
prometti ovviamente
di trattarla bene e usarla con cura e ti permetterò di
compiere qualche
passaggio da sola finché non sarai totalmente capace di
farlo da te. Potrai
iniziare con le foto che scatterai al matrimonio di tuo zio. D'accordo?"
"Un
evento a caso."
sghignazzò Milo.
"Perché
è
il primo disponibile." rispose Camus, con finta innocenza.
I primi
scatti ritraevano persone abbigliate in abiti tradizionali, all'interno
di una tipica
dimora cinese agghindata a festa: un matrimonio, probabilmente, dati
gli
ideogrammi beneauguranti e i drappi –sicuramente rossi- che
ornavano l'enorme
salone.
Poi, un volto vagamente familiare: un giovane che all'apparenza non
arrivava
nemmeno ai trent'anni, dai folti capelli scuri e un ampio sorriso. A
parte
qualche dettaglio, sembrava la versione più matura di Shiryu.
"Appendila
là in basso, Lixue."
"A
occhio e croce direi che questo è tuo suocero."
osservò Milo, aiutando
Lixue.
"Se sono
le fotografie che credo, ho trovato il regalo perfetto per le nozze."
"Stai
facendo tutta questa fatica per tuo cognato?"
"Ma che hai capito? Queste foto sono per Mei." replicò
Camus, un
sopracciglio inarcato. "Che domande. Mei non sa dell'esistenza di
queste
foto, perciò, a parte il mio regalo vero e proprio, gliele
consegnerò il giorno
del nostro matrimonio. A proposito, Lixue: acqua in bocca con tua
madre, non
deve sapere niente o mi rovinerai la sorpresa."
Le ultime
due
fotografie del rullino, ritraevano invece una sposa; il volto ripreso a
tre
quarti, pettinini e perline tra i capelli superbamente acconciati, una
peonia e
il bavero di un hanfu nuziale, lo
sguardo perso chissà dove. La seconda ritraeva la stessa
donna, ma in questa i
suoi occhi guardavano direttamente nell'obiettivo, sulle labbra un
sorriso che
gli ricordava fin troppo bene una certa persona. Praticamente, la
versione occidentalizzata di Mei.
"Per Athena" sussurrò Milo,
alle sue
spalle.
"Mia
suocera."
"Sì,
l'avevamo intuito."
"Com'era
bella la nonna." interloquì Lixue, guardando con insistenza
la fotografia.
"Da grande vorrei essere bella come lei."
Camus le
baciò la testa, stringendola in un abbraccio.
"Ma,
amore mio... tu sei già bella."
Quella sera,
mentre Lixue era a cena insieme a Hyoga e Freya, Camus ne
approfittò per
godersi una serata tranquilla. Almeno, finché l'icona di
Skype non iniziò a
trillare sul portatile con una musichetta orientaleggiante, segno che a
chiamarlo era Mei.
"Non
posso stare fermo davanti alla webcam, sto cucinando. Però
ti ascolto... tutto
bene? Come stai? Come state?"
Mei lo vide
trafficare con pentole e padelle e sorrise.
"Bene, dai. Ho provato più volte a
chiamarti
oggi ma rispondeva sempre la segreteria telefonica."
"Ero in cantina a sistemare due cose." rispose Camus. "E il
cellulare non prendeva. Tutto bene? Era qualcosa di urgente?"
"Ma no, è che ero in pronto soccorso e
volevo
parlarti, tutto qui."
"Pronto
soccorso? Eri tu la paziente o hai accompagnato qualcuno? Non stai
bene?"
"Miei Dèi, stai tranquillo, sono uscita
subito... mi hanno fatto un'eco e nulla di che."
"...e me
lo dici così?!"
"Come avrei dovuto dirtelo, scusa? Erano solo
banali contrazioni di Braxton-Hicks e Shiryu ha insistito per portarmi
in
ospedale ma nulla di così allarmante: non è la
mia prima gravidanza, so che
cosa succede al mio corpo, stai tranquillo. Comunque, se la cosa
può farti
stare meglio, questa era causata dai signorini qui dentro che
cominciano a
risentire dello spazio sempre più ristretto."
"Buon
cielo, per un attimo ho pensato di essere io la causa, secondo una
rivista che
ho letto tempo fa, possono anche essere causate dal sesso."
Dall'altra
parte dello schermo, Mei mascherò una risatina con un
colpetto di tosse.
"E come, se l'ultima volta che l'abbiamo
fatto è stato il 24 gennaio?"
Camus
arrossì
appena.
"...cavolo,
davvero? E' già passato così tanto?"
"Quarantotto giorni... che però
sono
molti di meno rispetto ai sei anni di qualche tempo fa."
"Cercherò
di rimediare."
"Sarà meglio."
replicò Mei, divertita,
prima di udire il trillo del timer. "Uh!
Che cos'è?"
Camus si
alzò
dal tavolo, diretto al forno; Mei lo intravide mentre trafficava con
guantoni
da cucina e presine di silicone, quindi pochi minuti dopo, le
mostrò una teglia
attraverso la webcam.
"Salmone
e asparagi in cartoccio." le rispose. "Una delle ricette di mio
padre: ho solo sostituito il finocchietto però,
perché non mi piace granché, e
ho aggiunto il rosmarino e... quel rumore proveniva dal tuo stomaco?!"
"Sto per leccare lo schermo, ti avverto."
disse Mei.
Camus
controllò l'orologio: al Goro-Ho dovevano essere circa le
due del mattino.
"Ce
n'è
per un esercito, Hyoga mi ha dato buca per uscire con un paio di amici
dell'Università. Vengo a prenderti e ce lo spazzoliamo."
Lei parve
pensarci su.
"Dunque state per venirmi a prendere nel
cuore della notte, monsieur. E ditemi, cos'avete in mente per il dopo
cena?
Avete intenzioni serie, spero."
Camus
posò la
teglia fumante su un poggia pentole, quindi si appoggiò al
piano cucina,
fissando Mei attraverso la webcam.
"Dopo
cena c'è il dolce."
"Interessante, continuate."
"Dipende
da cosa volete voi, mademoiselle.
Bravo ragazzo o qualcos'altro, basta chiedere."
Mei sostenne
il suo sguardo, finché non sospirò platealmente.
"Tesoro, ti farei tante cose se potessi, ma in
questo momento peso più di te e se ti salto addosso, minimo
ti fratturo un paio
di costole."
"Peccato,
questa cosa cominciava a intrigarmi seriamente. D'accordo dai, ti vengo
a
prendere così ripuliamo la teglia."
Quaranta
minuti più tardi, dopo una generosa porzione di
tiramisù alla nutella, Mei si
appoggiò soddisfatta allo schienale della sedia.
"Questa
sì che era una cena." sorrise.
"Stai
mangiando abbastanza in questi giorni?" le domandò
preoccupato.
"Sì,
stai tranquillo. E' che Shunrei ha cucinato spaghetti di soia
vegetariani per
cena ed erano buoni, certo, ma avevo ancora parecchia fame."
Camus
finì di
pulire la teglia dai residui del tiramisù.
"Ho notato." le rispose, ridacchiando. "Alla fine per Hyoga ho
comprato quel pacchetto esperienza, sai quello che mi avevi suggerito."
"Quello mozzafiato con il paracadutismo?"
"No,
Hyoga detesta volare, figurarsi fare cose di quel genere. Ho scelto brivido estremo, dove può
scegliere
quale auto da corsa guidare su uno dei circuiti disponibili. Anche se
mi sembra
sciocco regalare una cosa del genere per una laurea, voglio dire... per
quanto
possa incartarlo con affetto e una ricca carta da regalo,
scomparirà a
confronto con un cronografo da ventunmila euro."
"Ma il
tuo rapporto con Hyoga è diverso da quello con Freya, quindi
lui stesso sarà in
grado di comprendere il valore del tuo dono. Anzi, vuoi fare scambio
col
mio?"
Camus
posò il
bicchiere di Pinot e la guardò.
"Tu hai
acquistato un regalo di laurea per Hyoga?"
"Perché
la cosa ti stupisce?!"
"...vediamo,
da dove posso iniziare..."
"Oh,
smettila."
"E dove
sarebbe questo regalo?"
"Qui a
casa, l'ho comprato mesi fa: aspetta, te lo faccio vedere." rispose
Mei,
alzandosi a fatica dal tavolo. "Dovrei aggiungere un paio di cuscini
sulla
sedia, o andrà a finire che per alzarmi ci vorrà
un argano."
"Perché
ti sei alzata dunque? Stavo scherzando."
"Non
posso mica restare seduta qui finché nascono!" rispose Mei,
avviandosi
verso la camera da letto. "Anche se l'idea non sarebbe male, dato che i
signorini qui cominciano a stare un pochino stretti e tendono a
lamentarsi con
la sottoscritta con tanti amorevoli calci."
Quando
tornò
in cucina, gli mostrò un cofanetto blu chiuso da un nastro
di raso, contenente
un tubo d'argento, intarsiato con importanti decori e un medaglione
centrale
sul quale aveva fatto incidere il nome, il tutto rifinito con un
cordoncino e
due nappe rosse.
"E' un
porta laurea, ho pensato fosse una cosa non troppo sciocca
né troppo
complicata. Nome e cognome sono giusti, vero? Ho fotografato il
passaporto di
Hyoga e spero proprio che i caratteri in russo siano esatti."
"Sì,
sono giusti." sorrise Camus, dopo un'occhiata.
Sorrise di
rimando, accarezzandosi quasi automaticamente il pancione e ricevendo
un
colpetto, l'ennesimo, sotto la mano.
"Stavo
anche pensando a un'altra cosa: ricordi quando abbiamo discusso
riguardo i
nomi? Se qui c'è almeno un maschietto, come secondo nome
sarebbe carino
chiamarlo Jurij, sai, per Hyoga e
suo
padre. Uno di loro, però, deve portare il nome di mio padre,
e questa non è una
cosa sulla quale intendo negoziare." precisò, portandosi poi
entrambe le
mani al pancione. "Basta giocare con la vescica di mamma!"
"Dici
davvero?"
"Cosa,
per il nome? Ovviamente." spostò la mano fino a un certo
punto, poi iniziò
a premere delicatamente. "Porta
pazienza tesoro, tra qualche settimana sarai fuori di qui."
Ripose con
cura il porta laurea nella custodia, quindi spostò la sedia,
sedendosi davanti
a Mei.
"Posso?"
le domandò, indicandole il pancione.
"Certo, che
domande." gli sorrise, slacciandosi il kimono. "Ah, però
devo
avvertirti di una cosa: indosso il mio pigiama super-sexy e non vorrei
provocarti un infarto."
Camus ci
pensò su.
"Aspetta...
quel famoso pigiama con le mucchine stilizzate?"
"Non erano mucche, era Pucca! E
no, chi riesce a entrare più in quello?"
ridacchiò Mei. Con fare teatrale
spalancò il kimono, rivelando un pigiama di flanella a
fantasia. "Ta-daaan!"
"...wow. Beh, anche io devo avvertirti di
una cosa: ho le mani fredde."
"Sai che
novità." rispose, scostando la maglia e sobbalzando non
appena Camus posò
le mani sul suo ventre.
Forse troppo
emozionato per profferire parola, Camus non parlò per
qualche minuto,
limitandosi a guardare.
"Qui,
sotto la mano sinistra c'è il più tranquillo:
sembra apprezzare particolarmente
questo posto perché tende a spostarsi il meno possibile. Ero
preoccupata perché
si muove poco rispetto ai fratelli, ma la ginecologa mi ha detto di
stare
tranquilla... spesso sento la sua testolina sotto la mia mano, quando
la appoggio
in questo punto." spiegò Mei, spostando la mano di Camus di
modo che anche
lui potesse sentire il bambino. "Al centro c'è un peperino
dal carattere
complicato: calmo il più delle volte, ma prova a
disturbarlo... lo avverto
spesso muoversi verso il fratello più calmo, come per
cercare tranquillità. E
infine il più pestifero, quello che di solito disturba il
fratello di mezzo. Ho
come la vaga impressione che sia femmina, però,
perché Lixue si comportava allo
stesso modo. Noi donne ShuFang siamo così, del resto."
"...spine
nel fianco?"
"Ah ah
ah, divertente." ridacchiò Mei, prima di diventare seria.
"Cam, sono
sottopeso."
"Tu o i
bambini?"
"Ho preso venti chili abbondanti, non pensare a me. E' che il medico
oggi
mi ha detto che sono tutti e tre al di sotto dei due chili e duecento
e... non
so cosa fare."
Camus si
alzò
lentamente in piedi, interrompendo il contatto con i piccoli.
"...mi
sono ricordata che Lixue quando è nata superava i tre chili
e seicento e so
perfettamente che essendo in tre saranno sottopeso, ma non pensavo
così tanto.
Cerco di stare tranquilla per tenere a bada la pressione e per non
agitarli, ma
in verità ho una paura tremenda."
La
tirò a sé,
stringendola.
"Domani
mattina ti porto dalla dottoressa e vedremo il da farsi. Ti fai un bel
bagno
caldo e ti metti a letto, okay? Vado a prendere le tue cose al Goro-Ho,
torno
subito." le disse, cercando di rimanere calmo.
"...ma
mio fratello si sposa tra quattro giorni."
"Dipende
da cosa dirà la dottoressa. In caso contrario, andremo io e
Lixue."
"Non
scherzare, non posso disertare il matrimonio di Shiryu e Shunrei, sogno
di
vedere quel giorno da anni."
"Allora
penso che dovrebbero quantomeno spostarlo."
"Sprecheresti
fiato, ti risponderebbe di no: dovrebbero ricalcolare
le date propizie." rispose Mei.
"Hyoga,
che con te non ha in comune nemmeno una goccia di sangue, ha rimandato
il
matrimonio e lui che è tuo fratello, non lo fa?!" le
domandò,
esterrefatto. "Insomma, Hyoga ha letteralmente puntato i piedi per
posticipare un matrimonio principesco con in ballo migliaia di invitati
coronati e lui...? Oh, tutto ciò è assurdo. Se ti
vuole bene anche solo la metà
di quanto afferma, dovrebbe rimandarlo."
"Lo so,
ma non lo farà. Ascolta, ti giuro che farò
più attenzione del normale. Una
volta superato anche questo, starò in assoluto riposo e non
ti farò più
preoccupare."
Con le donne
raramente riesci ad averla
vinta, se poi hanno la tempra forte di Shaina o quella di Mei, un uomo
non può
che chinare la testa e abbandonarsi alla loro volontà.
Sospirò,
appoggiando
la fronte contro la sua, le mani sulle sue guance.
"Mi
spieghi come faccio a non preoccuparmi?"
"So
badare a me stessa."
"Se
dovesse accaderti qualcosa, non so cosa farei." le mormorò,
poco dopo,
abbracciandola.
Mei gli
strofinò la schiena, sorridendogli.
"Stiamo
bene. Staremo benissimo! Solo che devi promettermi una cosa: comunque
vada,
assicurati che i nostri ragazzi stiano sempre bene."
"Lo
faremo insieme, perché non ti permetterò di
andare da nessuna parte."
Come se dipendesse
da te.
"Ma certo,
lo so. Però è bene stabilire comunque delle
regole da seguire, come lavarsi
bene i denti almeno due volte al giorno, mantenere una corretta igiene
e soprattutto
una corretta alimentazione: le schifezze solo una tantum."
"Ti
prego, basta. Non voglio ascoltare
certe cose. Parlavi di regole? Eccone un paio: non dovrai sforzarti. E
se mi
accorgo che non ti senti bene, torneremo subito a casa, senza troppi
ripensamenti. E so che non ti piace prendere ordini, ma questo lo
è e non
intendo discuterne."
*
"...lo so, Shunrei, e mi spiace non averti
avvisato prima ma la dottoressa mi ha imposto il riposo assoluto
dandomi a
malapena l'okay per il matrimonio... Camus mi sorveglia come un lǐngshìwèi
e quasi non mi fa alzare un
dito. Chiedi a Lixue di darti una mano con Yian-Mei, le ho mostrato
ieri come
cambiarle il pannolino e come cullarla... diamine, alla sua
età io cambiavo i
pannolini di Shiryu! Stai tranquilla, ha preso da me. Io cosa faccio?
Al
momento sto guardando la tv on demand, ma non ho intenzione di rimanere
ferma
in panciolle a lungo, sai che non mi piace. D'accordo, ti avviso quando
stiamo
per arrivare. Ciao."
"Temo
invece che dovrai rimanerci."
"Cosa?"
"Ferma e
in panciolle, dico. Ti piaccia o no, dovrai farlo."
"Come
no. Ti ricordo che manca un mese alle vacanze di Lixue e sicuramente
non..."
"Sicuramente ci penserò io: ricorda..."
"...che hai cresciuto due allievi, lo so, Dèi del cielo me
lo ripeti ogni
volta."
Fermo sulla
porta del salotto, Camus inclinò la testa e la
guardò.
"Ti
preparo qualcosa di dolce, magari ti addolcisci un po'." le sorrise.
"Se ci
riesci..."
"Sfida
accettata."
Lo
sentì
spignattare in cucina, tornando dieci minuti dopo con una fetta di
torta.
"Se hai
bisogno, sai dove trovarmi." le disse infine, prima di sparire in
corridoio.
Tuttavia,
circa quaranta minuti dopo, la vide ferma sulla porta della cucina.
"...che
c'è? Non ti senti bene?"
Mei si
soffiò
il naso, cercando di smettere di piangere.
"No."
gli rispose. "Pensavo fosse tutto a posto e invece va tutto a
scatafascio."
"Non
capisco se parli mentre piangi. Siediti e raccontami, dai." la fece
sedere
e le porse un fazzoletto. "Calmati e parla."
"...ecco...
non bastava il marito fedifrago che la tradisce con la migliore amica e
la
ragazza che la lascia di punto in bianco, non bastava nemmeno
l'incidente nel
quale è quasi morta insieme alla figlia, ci voleva anche
quella schifosa
omofoba di sua madre!"
Camus mise
da
parte la cipolla e prese un pentolino.
"Oh
Athena, per un attimo mi hai fatto preoccupare. Fammi indovinare...
finale di
stagione?"
"Sì."
rispose Mei, singhiozzando. "Ma ti rendi conto? Il
matrimonio con Arizona è una farsa e Sofia è nata
nel peccato quindi
per me non esisti più! Come può una
madre ragionare così?"
Lui annuì, spezzettando una tavoletta di cioccolato nel
pentolino.
"...ti
va un po' di cannella?"
"No,
preferisco la vaniglia." gli rispose, tirando su col naso.
"Vaniglia,
d'accordo." annuì Camus, addolcendo il fuoco sotto il
pentolino per
prendere una stecca dalla credenza. "Avanti, continua."
"...e
Cristina? Diamine, io l'adoro ma quando ha deciso di abortire comunque
pur
sapendo che Owen desiderava con tutto il cuore un figlio, credimi, l'ho
odiata.
Tantissimo. Capisco il suo punto di vista ma come può fare
questo a uno come
Owen? Insomma, al posto suo gli darei tutto ciò che
desidera, dato che ha
passato l'inferno..."
"Owen
è
quello di traumatologia, giusto?"
"Sì.
Dovresti
vederlo, è un uomo meraviglioso!"
"Ed
è
quello rossiccio."
Sul viso di
Mei comparve un sorrisone sognante.
"...sì."
"Immaginavo."
"Ho una
predilezione per i rossi, che cosa ci vuoi fare?" Mei fece spallucce.
"Ma la cosa peggiore sono stati Mark e Lexie... si sono lasciati!! Ah
ma
io ho un brutto presentimento su di loro. Bruttissimo. Come se non
fossero
destinati ad essere felici."
"Dici?"
"Beh,
con una sceneggiatrice del genere, minimo succederà
qualcosa. Un uragano che
distrugge il Seattle Grace o perché no, un meteorite che
distrugge l'intera
Seattle."
Camus le
porse
la tazza colma di cioccolata calda, alla quale aveva aggiunto una
spruzzata di panna
montata.
"Esagerata."
"Ah, io
sono esagerata? Quel serial è pieno di disgrazie... alla
fine della prima
stagione arriva l'ex moglie di Derek e complica l'esistenza di
Meredith, poi
c'è la morte di Danny, e Burke che lascia Cristina
all'altare... ah, e non
dimentichiamoci di George che finisce sotto un bus per salvare una
donna. Ma la
peggiore, ti giuro, è il pistolero impazzito che decide di
mettere a ferro e
fuoco l'ospedale e uccidere Derek perché convinto che abbia
ucciso sua moglie! E
l'ha quasi ucciso sul serio!!"
"Bevi."
le sorrise, riprendendo a tritare la cipolla.
"... povera,
avresti dovuto vedere con che disperazione Meredith lo implorava di non
morire." concluse Mei, prima di bere un lungo sorso.
Hyoga
entrò
in cucina, dopo aver bussato sulla porta aperta come per annunciarsi.
"Cos'è
successo?!"
Camus scosse
la testa.
"Niente,
Mei mi stava parlando di Grey's Anatomy."
"Quale stagione?"
"...stavo parlando del finale della sesta."
Hyoga
sistemò
qualcosa in frigo e posò un sacchetto sul tavolo.
"Ovvero
quella del signor Clarke che decima i medici del Seattle Grace. Caspita
che
finale, quello." convenne, sospingendo il sacchetto verso Camus. "Basta
che non mi fai spoiler della settima stagione, sono rimasto parecchio
indietro."
"Cos'è?"
"Guarda
tu stesso. Quando le ho riviste in vetrina ho pensato subito a te." gli
rispose Hyoga, servendosi una tazza di cioccolata e sedendosi accanto a
Mei.
"A me
non hai portato nulla?"
"Beh,
stavolta no. In compenso però ho comprato dei dolci per
stasera, e prima che tu
possa rimproverarmi, Camus, ti dico solo che arrivano da una certa
pasticceria
davanti al Cafè de Flore."
Mei
corrugò
la fronte quando vide Camus illuminarsi felice.
"...cosa
c'è davanti al Cafè de Flore?"
"Un
famoso café-ristorante moscovita." rispose Hyoga. "E' un
tantino
caro, ma fa dei dolci spettacolari."
"Dovremmo
andarci tutti insieme, un giorno, a rimpinzarci di Napoléon
e Rozovaya , la
mia preferita." disse quindi Camus. "Con una teiera di assam
bollente."
"Concordo
su tutto, tranne sul tuo discutibile tè nero."
replicò Mei. "Ah
Hyoga, aspetta, devo parlarti."
Lui la
precedette verso la porta che separava gli appartamenti di Camus da
quello che
divideva con Freya.
"Dimmi."
"Hai
veramente spostato la data del tuo matrimonio?"
"Sì."
rispose Hyoga, corrugando la fronte.
"...per me?!"
"Sarebbe
stato indelicato e sciocco farti sopportare uno spostamento fino ad
Asgard e
soprattutto una cerimonia di quella portata. Sarebbe pesante per
chiunque,
figurarsi per te. E non l'ho fatto per posticipare il mio... cito le
parole di
mia cognata ingresso nell'antica famiglia
reale dei Seierstad, perché sapevo fin dall'inizio
a cosa sarei andato
incontro, ma è stato un semplice atto di cortesia nei tuoi
confronti."
"Non me
l'aspettavo." mormorò Mei. "Voglio dire, a mio fratello non
è nemmeno
passato per l'anticamera del cervello un ragionamento simile..."
Hyoga le
sorrise, quindi le diede un bacio sulla fronte.
"Ma io
non sono Shiryu."
Già.
Tornò
in
cucina per far compagnia a Camus mentre cucinava; quest'ultimo, dopo
aver sistemato
in forno una torta –il profumo di mela e cannella non
lasciava spazio a dubbi-
e aver preparato la teglia con la trota, era già impegnato
con qualcos'altro.
"Hai mai
pensato di seguire le orme di tuo padre?"
Camus
alzò
rapidamente lo sguardo dalla ciotola, sorridendole.
"Una
volta forse, appena tornato in Francia. Ma avrebbe avuto un senso se
mio zio
non avesse venduto il ristorante di famiglia: allora avrei seguito le
orme di
mio padre, frequentando il cosiddetto Grande Diplôme del Cordon Bleu e
prendendo il suo posto, un
giorno. Era un ristorante con due stelle Michelin, sai? O almeno,
così è
riportato sui documenti in mio possesso."
"Wow."
"Esiste
ancora, ovviamente con un altro nome, e si trova poco
distante da qui nell'ottavo arrondissement, in Rue du Faubourg
Saint-Honorè."
"Una viuzza
anonima, proprio. Come si chiamava prima?"
"Lutetia Parisiorum, ovvero
il nome romano della città antenata della nostra bella
Parigi." rispose
Camus.
"Fammi
indovinare...il nome fu scelto da tua madre."
Camus
ridacchiò.
"...perdiana,
come hai fatto?" scherzò. "Uh, quasi
dimenticavo: abbiamo
ospiti a cena."
Mei si
raddrizzò dopo aver sbirciato nel forno.
"E cosa
aspettavi a dirmelo?" controllò l'orologio appeso sulla
porta della cucina
e sbiancò. "Diamine, è tardi e devo ancora farmi
una doccia e rendermi
presentabile! Chi hai invitato?!"
"A parte
Hyoga che ieri mi ha dato buca, Shura, Milo e Shaina, Aphrodite...
nessun
collega di lavoro, stai tranquilla."
"Menomale,
perché non mi piacerebbe avere a cena certe persone."
Un'altra
risatina.
"Dai,
che colpa ne ha Eugène se ha lo stesso cognome dei
locandieri di Hugo?"
"Mi
è
antipatico a prescindere."
*
Nelle
trentasei ore successive Camus badò bene a farsi vedere il
meno possibile al
Goro-Ho, per non essere invischiato in rituali o tradizioni alle quali
non
voleva partecipare, essendoci di mezzo il cognato. Anche quel
pomeriggio, a
poche ore dal matrimonio, era riuscito con una scusa a sgattaiolare a
Parigi
per stare un po' tranquillo.
"Mei?"
Dall'altra parte della webcam, vide Camus ancora in accappatoio, scalzo
e con i
capelli umidi.
"Devi
ancora vestirti?!" esclamò. "Hai detto vado
a prendere due cose che ho dimenticato a casa e sei ancora
svestito?! Manca meno di un'ora!!"
"Lo so, scusami, farò in tempo." le
rispose.
Camus alzò a tutto volume le casse del portatile e si
allontanò di qualche
metro dal computer, sorreggendo due grucce.
"Quale
dei due?" le domandò, intravedendo l'espressione di Mei
dall'altra parte.
"Non fare quella faccia, non indosserò abiti tradizionali
per lui. Allora?
Antracite o blu di Prussia?"
"...d'accordo. Quello a sinistra, si abbina
meglio con la cravatta bordeaux. O meglio, perché non
indossi quello della
custodia nera in fondo al tuo armadio?"
"Il
completo che ho indossato per la laurea e per il nostro matrimonio
civile? Opzione
non valida: è di Armani, mi è costato un occhio
della testa e lo uso solo in
casi eccezionali. E per anticiparti, ti dico che anche lo smoking e lo
spezzato
sono fuori discussione."
Mei
sospirò.
"Ma che spiritoso. Quello antracite andrà
benissimo, ricordati qualcosa di rosso."
"Me
l'hai già detto."
"E' tardi e... Dèi, mi stanno chiamando."
Camus
allentò
la cintura.
"Di
già?
Peccato per te, non sai che ti perdi."
"Qualcosa che in questo momento non posso
avere, quindi smettila di torturarmi e vèstiti."
Tuttavia si
concesse
qualche altro secondo davanti alla webcam, sospirando quando dall'altra
parte
vide Camus, di spalle, gettare a terra l'accappatoio diretto al
cassettone.
"Noto
che nonostante la tua fretta, sei ancora lì."
Distolse lo
sguardo dalla sua schiena e da tutto il resto, schiarendosi la voce.
"Non appena ti avrò per le mani, saranno
fattacci tuoi."
"M-mh."
"Ti voglio qui tra dieci minuti."
"Agli
ordini, mia signora."
Spense il
notebook, sentendo le guance in fiamme.
"Mei?"
"...sì?" rispose, cercando di darsi un contegno. "Arrivo."
Shiryu
tuttavia aprì la porta, corrugando poi la fronte.
"Stai
bene?"
"Sì!
Benissimo!" replicò, la voce più acuta del
solito. "Dimmi, che
c'è?"
"Ho
bisogno di una mano con i capelli." le rispose, mostrandole dei
fermagli.
Annuì,
alzandosi
e seguendo il fratello nella sua stanza.
"Di
sotto c'è un chiasso tremendo, non so come farò
ad arrivare a fine
giornata." si lamentò Shiryu, attraversando il corridoio.
"Povero
caro." lo prese bonariamente in giro, prima di fermarsi sulla porta,
gli
occhi sgranati. "Oh, miseria."
"I
bambini?" impallidì Shiryu, guardandole la pancia.
"No. Tu." si portò entrambe le mani
alla
bocca; vestito con l'hanfu nuziale trovato nei bauli portati da
Nanjing,
assomigliava più che mai al loro padre, che per primo aveva
indossato
quell'abito. "Mi ricordi papà."
Shiryu
sorrise imbarazzato.
"Non
volevo farti piangere, scusami."
Camus
arrivò
al Goro-Ho dieci minuti più tardi, puntuale.
"Che
diamine è successo qui?!" si domandò, guardandosi
intorno nel salone principale
della casa.
"Ah bravo,
arrivi adesso a lavori terminati, eh?" lo riprese Hyoga. "Ci siamo
spaccati la schiena a spostare tutti i mobili e montare quel palco e tu
eri su
a Parigi tutto tranquillo!"
Il salone
era
infatti stato spogliato di tutti i mobili –spostati nel
solaio- e, in un
tripudio di drappi rossi e nodi beneauguranti, sorgeva un baldacchino
rialzato
rispetto al resto della sala, circondato da sedie e tavolini. A
completare il
tutto, oltre a Seiya, Ikki e Shun e una manciata di altri Gold Saint,
tanti
volti sconosciuti o quasi.
"Certe
facce non sono nuove." commentò a bassa voce.
Hyoga
ridacchiò, sorseggiando una tazza di tè.
"A parte
una parente, il resto sono abitanti del villaggio sotto al Goro-Ho. Sai
com'è,
quando si tratta di scroccare..."
"Beh,
certo."
replicò Camus. Nel mentre, qualcuno iniziò a
suonare delle musiche
tradizionali, con flauti e degli strumenti a corda che non seppe
riconoscere.
"...okay, prima che inizi tutto ho bisogno di parlare con Mei. Sai
dov'è?"
"Dev'essere
ancora di sopra." rispose Hyoga. "Ma stai tranquillo, manca ancora un
po' alla cerimonia."
"E
Lixue?"
"Ah, lei
è sicuramente con Yian-Mei, non fa che stare con la
cuginetta."
"Immagino,
non vede l'ora di diventare sorella maggiore." sorrise.
Superò la porta tonda che dava sul corridoio e le stanze
private della casa,
quindi si avviò sulle scale, avvertendo con un certo
sollievo il trambusto
scemare pian piano.
Tutto il
ballatoio del piano superiore era immerso nel buio, eccezion fatta per
una lucina
d'emergenza e per la luce proveniente dall'unica porta aperta, quella
che,
immaginò, doveva essere la stanza di Shiryu.
"Stasera quando
tutti se ne saranno
andati, ci sposteremo nella stanza degli Avi per il Legame delle Anime.
Vuoi
essere la mia testimone?"
Si
fermò sul
ballatoio, guardando Mei che, all'interno della stanza insieme al
fratello,
stava acconciando i capelli di quest'ultimo.
"Io cosa?"
Shiryu
guardò
Mei attraverso lo specchio.
"La mia testimone."
"Sì, ho
sentito. Ma non credevo
che... al mio, tu non..."
"Non c'ero, lo so. Ed è colpa mia, non posso biasimarti."
rispose Shiryu, voltandosi. "Non
sono stato un buon fratello in questi anni, non ho fatto che remarti
contro."
Mei
infilò uno spillone nel nodo che
aveva fatto in cima alla testa del fratello e sospirò,
incapace di profferire
parola.
"Sarei
dovuto stare dalla tua parte sin dall’inizio, come tu hai
fatto con me e
Shunrei, invece di farti dannare per anni. Da quando è nata
mia figlia non
faccio che pensare a noi due, a come mi sentirei se lei e i suoi
fratelli, un
domani, litigassero fino al punto di non parlarsi più e ho
pensato che non ne
sarei affatto contento. Immagino quindi che nemmeno mamma e
papà lo sarebbero:
è il giorno più importante della mia vita e non
voglio avere questioni in
sospeso." le
prese le mani tra
le proprie, inchinandosi fino a sfiorarle il pancione con la testa. "Duìbùqĭ."
Mi
dispiace.
Vide
Mei commuoversi, inducendo Shiryu a
rialzarsi.
"Scuse
accettate."
mormorò Mei,
abbracciando Shiryu poco dopo. "Sappi
però che se me ne combini un'altra delle tue, ti trasformo
in Farinelli. Intesi?"
Ahia.
Camus arretrò di
qualche passo, sorridendo, prima di tornare al piano di sotto.
"Non
l'hai trovata?"
Ingoiò
il raviolo brasato che aveva
sottratto da un vassoio gigantesco, e si voltò verso Hyoga.
"...sì,
ma stava parlando con Shiryu
di faccende loro e ho preferito non intromettermi." rispose.
"Spero
abbiano fatto pace quei due, non è bello avere faccende in
sospeso con un
familiare così stretto." commentò Hyoga.
"E
secondo te perché ho sempre insistito tanto
affinché quei due si
chiarissero?"
"Ah,
ecco dov'eravate finiti!! Dovete spostarvi nel salone, gli sposi stanno
per
scendere!" li riprese Mei, spuntando d'improvviso sulla porta della
cucina. "Vite, vite!! Mangerete
dopo!!"
"Io non
ho ancora mangiato niente!" protestò Hyoga, mentre Camus si
avvicinava,
sguardo sornione, alla moglie.
"Ecco,
continua così. In quanto a te, più tardi faremo i
conti." sorrise Mei, in
risposta, baciando velocemente Camus ed elargendogli una pacca sul
fondoschiena.
"E adesso fuori di qui!"
"Che
cosa hai combinato?"
"Mi
spiace, ma sono discorsi vietati ai minorenni." ridacchiò
Camus,
infilandosi nel salone pieno di gente.
Le luci
divennero
più forti, illuminando ogni angolo della sala, e gli ospiti
si disposero ai
lati della passatoia rossa.
"Ho
guardato diversi filmati su Youtube per farmi un'idea di quel che
succede di
solito, ma è tutto diverso." mormorò Hyoga che,
accanto a Camus, occupava
il tavolo a loro riservato, a ridosso del baldacchino.
"Non
è
mai come ci si aspetta. E per fortuna, perché un paio di
quei video li ho guardati
anche io e alcune cerimonie le ho
trovate pacchiane e volgari." rispose Camus, ammutolendo quando
Shunrei, abbigliata
nel tradizionale hanfu rosso, fece il suo ingresso in sala.
"...dì
la verità, stai immaginando Mei al posto suo."
"Sì."
sussurrò Camus. "Ma sarà molto più
bella."
Come
evocata,
l'interessata guardò in loro direzione, scoccandogli un gran
sorriso; dietro di
lei, Shiryu e Dohko.
"Non so
perché, ma al solo immaginarti vestito come Shiryu, mi vien
da ridere."
"Vedremo
poi al tuo matrimonio, principino dei miei stivali." fu la replica di
Camus, mentre metteva a fuoco la fotocamera.
"Quindi
hai intenzione di vestirti alla cinese?" interloquì Freya.
Era
un'intenzione di Mei, a dirla tutta.
"Diciamo
di sì, anche se non di quel rosso squillante."
guardò la foto appena
scattata e sorrise compiaciuto. "Magnifica."
"Mei-Yin
è una donna molto fortunata, anche io vorrei avere accanto a
me un uomo che mi guarda
con la stessa intensità con la quale guardi lei."
Camus si
voltò di scatto, sgranando gli occhi quando, accanto a Lady
Saori, vide Hilda.
"Teoricamente
non dovrei nemmeno essere qui, sono una... come si dice? Imbucata,
ma ero troppo curiosa di assistere a un autentico
matrimonio cinese." proseguì Hilda, ricevendo un baciamano
da Camus, a mo'
di saluto.
"Ma se
non sbaglio anche Camus si sposerà con una cerimonia
tradizionale, dico
bene?"
Erano
dettagli quelli, che doveva ancora perfezionare insieme a Mei, tuttavia
sorrise
educatamente.
"In un
certo senso, sì." rispose. Trascorse i successivi minuti a
spiegare
discretamente ogni passaggio della cerimonia che si stava svolgendo
sotto i
loro occhi così come Mei l'aveva spiegato a lui,
affascinando le due sorelle
con i suoi racconti.
"La
cerimonia del tè è uno degli eventi
più significativi, comprende rituali molto
formali da parte di entrambi gli sposi per mostrare rispetto alle loro
famiglie
e si svolge dopo lo scambio dei voti. Di norma gli sposi servono il
tè ai
rispettivi suoceri e ai genitori per mostrare rispetto e gratitudine
per tutti
gli anni di amore e cura ricevuti: dato però che entrambi
hanno perso i
genitori, ecco che Shunrei offrirà il tè a Mei e
Shiryu lo offrirà a
Dohko."
Hilda si
sporse per vedere meglio, appoggiandosi involontariamente al braccio di
Camus.
"Comunque
il tè è carico di simboli: purezza,
stabilità, fertilità, l'augurio per un
matrimonio felice, ricco d'amore e di figli..."
"Ecco,
non ne avevo idea!"
Accanto a
Dohko, Mei assottigliò lo sguardo, sporgendosi appena verso
il Maestro.
"...il
delitto di lesa maestà è ancora applicabile o
è in disuso?" bisbigliò.
"Come
dici?!" Dohko seguì il suo sguardo e adocchiò
Hilda, ancora appoggiata al
braccio di Camus. "Oh, Mei, ti prego."
"Mei
cosa? Sono una fornace di ormoni pronta a esplodere e quella fa la
civetta!"
Shiryu
versò
il tè in due tazze, prorompendo in un largo sorriso.
"Cerca di non
esplodere al mio
matrimonio, per favore."
la redarguì a bassissima voce, offrendo la tazza a Dohko e
chinandosi con
rispetto.
"...ecco,
adesso Shunrei offre il tè a Mei e dopo lo offriranno ai
rispettivi cari."
concluse Camus.
"Ci
sarà
una cerimonia del genere anche al vostro matrimonio?" lo
punzecchiò Hyoga.
"Vedremo."
"Ha ancora la mano
sul suo
braccio?" mormorò
Shiryu, sporgendosi verso la sorella con la sua tazza di tè.
"No." rispose Mei.
"Okay. Sappi
comunque che potremmo
occultare il suo cadavere sotto il salice in giardino, non se ne
accorgerebbe
nessuno."
Mei
scoppiò a
ridere, mentre Dohko fulminava entrambi con lo sguardo.
Camus non
comprese il motivo di quella risata, tuttavia riuscì a
cogliere un istante di
quel momento con la sua fotocamera, continuando a guardare sua moglie
con un
certo sorriso dipinto sulle labbra.
"Eh
sì.
Mei è molto fortunata."
Un paio
d'ore
più tardi, terminati i festeggiamenti, mentre gli ospiti
tornavano al villaggio
e gli sposi si dirigevano verso la stanza degli Avi, Mei
afferrò il braccio di
Hyoga, fermandolo.
"Tu vai
avanti, ti raggiungiamo subito." disse in direzione di Camus, che si
era
fermato a metà corridoio, lo sguardo interrogativo. "Avanti,
ci vorrà un
minuto, arriverò in un batter d'occhio. Stai tranquillo, non
devo appartarmi
per pomiciare con Hyoga, non sono come una certa regina che flirta con
uomini
sposati. Vai, ho detto!"
"Comunque,
non ci crederei nemmeno se vi vedessi con questi occhi."
ridacchiò Camus,
prima di lasciarli soli.
"Okay,
ehm... che cosa posso fare per te? Nessun omicidio di stato,
perché ho come la
vaga idea che Freya mi farebbe lo scalpo se facessi del male alla
sorella."
"Ma
và,
sciocco. Ho bisogno del tuo aiuto e del tuo silenzio, altrimenti addio
sorpresa." bisbigliò Mei.
"D'accordo,
se non è nulla di illegale...ahia!
Che
cosa ti serve?"
Prese un
grosso respiro prima di rispondergli.
"Un
sarafan rosso e un matrimonio a Kobotec."
***
Lady
Aquaria's corner
Dunque,
premetto una cosa: le varie citazioni di Grey's Anatomy sono tratte
dalle
stagioni 1-6 che La7 e La7d continuano a trasmettere sia di pomeriggio
che di
sera, ragion per cui ho evitato accuratamente di fare riferimenti a
qualunque
altra stagione e di conseguenza spoilerare a destra e a manca,
poiché credo che
tutti gli amanti di Grey's sappiano già chi è
il signor Clarke e che ha
fatto. Fidatevi, sono la prima a detestare gli spoiler, figurarsi se mi
permetto di farne riguardo le ultime stagioni!!
La canzone
citata nel titolo è degli Abba;
La citazione
appena sotto il titolo, nonostante diverse ricerche su internet, al
momento è
stata etichettata come "di anonimo";
l'ho trovata su questo
blog Tumblr e l'ho trovata perfetta per questo capitolo. Se doveste
conoscere
la fonte originale, fatemelo sapere e provvederò a
correggere.
Contrazioni di
Braxton-Hicks: sono
contrazioni muscolari uterine
fisiologiche che a differenza delle contrazioni vere e proprie non sono
dolorose,
sono sporadiche e talvolta possono essere così lievi da non
venire nemmeno
avvertite dalla gestante;
Lǐngshìwèi:
ai
tempi degli imperatori manciù, erano
le guardie del corpo della famiglia imperiale;
Cordon Bleu: famosa e importante
scuola di alta
cucina di Parigi;
Farinelli: era forse il
più famoso cantante lirico
castrato dei suoi tempi (XVIII secolo);
Sarafan: come già
spiegato in precedenza, è un
abito tradizionale russo.
I miei
ringraziamenti come sempre a chi segue ancora la storia dopo eoni, alla
prossima!
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 33 *** Don't worry, be happy. ***
capitolo 33 principale
33.
Don't
worry, be happy.
Grand
Amphithéâtre de la Sorbonne,
20 aprile.
"Ti sei
ricordata di ritirare i confetti?"
"Sì,
li
avevo nascosti dietro il latte in polvere, te l'avevo anche detto."
"E le
scatoline?"
"Ritirate
ieri mattina insieme ai confetti e nascoste in salone quando Hyoga
è uscito di
casa."
Camus
annuì,
spuntando delle voci su una lista creata sul cellulare.
"Le ha
spostate Konrad stamattina presto, stai tranquillo."
interloquì Freya, in
soccorso di Mei.
"E chi
sarebbe Konrad?"
"Il mio
maggiordomo. Rilassati, sa perfettamente che cosa fare, ha studiato per
questo
sai? I confetti sono già stati sistemati insieme alle
bomboniere e al rinfresco
mancano gli ultimi dettagli: i miei cuochi sono abituati a gestire le
feste a
palazzo, sanno il fatto loro."
L'altro
ripose
il telefonino, annuendo per l'ennesima volta.
"D'accordo.
Vogliate scusarmi, dovrei scambiare un paio di parole con Hyoga."
"Prego,
prego." ridacchiò Freya. "Uh, scusami Mei, è mia
sorella. Sì,
pronto?!"
"Da
quando sei diventata ricca al punto da farti il maggiordomo?"
esordì Milo
poco dopo, guardando la principessa allontanarsi e parlare al telefono.
"Anche
fosse, per nessuna ragione al mondo permetterei a qualcuno di ficcare
il naso
in casa mia e tra le mie cose." replicò Mei. "Nemmeno in
queste
condizioni."
"Per
Athena, ti sei fatta male? Sei caduta?!"
Mei
sbuffò,
guardando Milo.
"Secondo
te, se mi fossi fatta male, sarei qui adesso?" gli rispose, inducendolo
a
guardare Camus che, a pochi metri di distanza, parlottava con Hyoga.
"No,
credo di no."
"Ecco,
appunto."
"Allora
perché sei su una carrozzina?"
"Perché
Camus
ha deciso che è meno faticoso per me. Io invece mi vergogno
come una ladra a
star seduta qui sopra: in giro per Parigi c'è sicuramente
qualcuno che ha più
bisogno di me di usare questa carrozzina. Sono solo incinta, per
fortuna."
si lamentò Mei, a bassa voce. "La scorsa settimana torna a
casa e mi dice
che ha una cosa per me e si presenta con questa: l'ho
noleggiata in quel negozio di articoli ortopedici vicino alla
clinica, così non devi affaticarti!!"
"Io
trovo che sia un gesto carino, anche se non è romantico come
speravi."
interloquì Shun. "So che magari avresti preferito dei fiori,
però dopo un
paio di giorni sarebbero appassiti e non ti sarebbero stati utili,
invece la
carrozzella ti aiuta a non sforzare troppo le articolazioni,
soprattutto adesso
che manca poco al parto, no?"
"Sì,
però..."
Shiryu
ridacchiò appena.
"Sì,
però avrebbe preferito qualcosa da mangiare."
"Voi
donne vi lamentate di continuo e per ogni cosa: se per sbaglio vi
trascuriamo
vi lagnate, ci preoccupiamo per voi e trovate da ridire... non ve ne va
mai
bene una." intervenne Seiya.
Ikki
circondò
le spalle dell'amico, sogghignando divertito.
"Ma
sentitelo, l'uomo di mondo."
Aphrodite li
interruppe qualche secondo dopo.
"Ciao a
tutti. Sono ancora in tempo?"
"Sono un
po' in ritardo col programma, a dire il vero." rispose Mei. "Se
cerchi Camus, è in piena raccomandazione genitoriale, fossi
in te resterei
qui."
L'altro si
sporse verso l'interessato, notando che Camus, oltre a parlottare con
Hyoga,
gli stava anche sistemando il nodo della cravatta.
"Ah.
Cavolo, volevo chiedergli una cosa... ho portato dei fiori per il
laureando, ma
non so se ho fatto bene."
Shun gli
mostrò una scatola da fioraio contenente una corona d'alloro
intrecciata con un
nastro verde.
"Eravamo
indecisi anche noi. Spero che il colore del nastro sia giusto, secondo
le mie
ricerche su internet per lingue e
letterature straniere qui si usa un nastro sui toni del
verde."
spiegò.
Mei
sgranò
gli occhi.
"A
proposito di verde, ho lasciato la piantina in macchina!"
"...per
fortuna non fa ancora caldo o gli avresti regalato poltiglia lessa."
commentò Shiryu, allungando la mano. "Dammi le chiavi, vado
a
prenderla."
Mei si
alzò
dalla carrozzina, con una smorfia.
"Dannato
mal di schiena." mormorò. "Shiryu, riponila nel bagagliaio
per favore,
mi sento a disagio. Anzi, aspetta. Vengo con te."
Shiryu
adocchiò Hilda con la coda dell'occhio e scosse la testa.
"Ma che
problemi hai con quella donna?!"
"Zitto e
cammina."
"Sei
gelosa." sogghignò lui.
"Io lo
chiamo istinto omicida."
replicò
lei a bassa voce, destreggiandosi tra i corridoi della Sorbona pieni di
laureandi e genitori. "Cambiando discorso, quanto mi
toccherà
aspettare?"
Shiryu corrugò la fronte.
"Aspettare
cosa?"
"La tua
laurea,
che domande. Ora che ti ho portato all'altare e che ho una nipote,
voglio anche
un fratello laureato."
"Un
fratello laureato fuori corso,
vorrai
dire."
"E
dunque? L'importante è terminare quanto hai iniziato. Anche
io voglio
sorriderti orgogliosa, portarti dei fiori o la corona d'alloro, farti
delle
fotografie e festeggiarti!! Festeggiare Hyoga non è la
stessa cosa, è un mio
amico, non mio fratello."
Un trillo
dal
cellulare.
"A
proposito, com'è andato l'esame? Ne avevi uno la scorsa
settimana, giusto?"
Lui ripose
la
carrozzina nel bagagliaio, richiudendolo subito dopo.
"Non
come speravo, ho preso un voto che non mi ha soddisfatto, ma non avevo
alcuna
intenzione di ripetere l'esame quindi l'ho tenuto così
com'è."
Due trilli.
"Mi
spiace." rispose Mei, costernata. "Che argomento hai portato?"
Shiryu si
schiarì la voce.
"L'esistenzialismo."
"Cioè...
Nietzsche, Sartre, Camus?"
"...sì."
"Ho
un marito che si chiama esattamente come il Nobel che ho citato poco fa
e che
sul suo omonimo ne sa sicuramente più di chiunque conosca, e
non hai pensato di
chiedere una mano?"
"Correggimi
se sbaglio, ma non è laureato in lingue?"
"Ha
studiato filosofia al liceo e ha ancora tutti i libri e i quaderni con
gli
appunti e credimi, appunti magistrali.
Saresti stato come Harry con il libro di pozioni di Severus: un passo
molto più
avanti degli altri!"
"Uh?!"
Tre
trilli.
"Nulla,
andiamo o Camus verrà a prendermi di persona."
Tornarono
dentro giusto in tempo per prendere i posti a loro riservati.
"Dov'eri
finita? E la carrozzella?" mormorò Camus.
"In
auto, naturalmente. Qui si fa fatica a passare già
così, figurati con una sedia
a rotelle. Sto bene, non ti preoccupare."
Il
rettore iniziò a parlare dopo qualche minuto, introducendo i
laureandi di quel
giorno, e a Mei parve di tornare indietro nel tempo a qualche anno
prima,
quando si era seduta in quello stesso, gigantesco anfiteatro per la
laurea di
Camus.
"...eccolo!"
bisbigliò quest'ultimo accanto a lei, indicandole con un
cenno Hyoga in mezzo
agli altri ragazzi che stavano sfilando al centro dell'anfiteatro,
diretti
verso il palcoscenico.
"Lo
vedo."
"Sento
la sua agitazione da qui." sussurrò Milo, sporgendosi per
vedere l'amico
che trafficava con la fotocamera.
"Figurati
che non ha quasi chiuso occhio stanotte."
"L'avevo
immaginato dalla portata delle sue occhiaie."
"Ho
provato a far qualcosa, ma nemmeno il mio correttore più
chiaro ha potuto far
miracoli: avessi aggiunto un altro strato, sarebbe diventato il quinto
Kiss."
Camus si
spostò sul bordo della poltroncina, scattando foto a
ripetizione, ignorando le
chiacchiere sommesse dei due.
"E
quando si laureeranno o si sposeranno i vostri figli che
farà?"
"Ah, minimo gli prenderà un infarto secco: pam!
via tutte le coronarie!"
"Ammesso
che sopravviva al parto."
"Poco ma
sicuro."
"Silenzio,
voi due." bisbigliò Camus.
"Un
fascio di nervi." ridacchiò sommessamente Milo. "Scommetto
cento euro
che al tuo parto dovranno soccorrerlo e riempirlo di flebo per farlo
riprendere."
"Andata."
"Avete
finito?!"
*
L'enorme sala
da pranzo di Hyoga e Freya era stata tirata a lucido per una ricca
festa: tovaglie
di fiandra bianca con runner di organza rossa ornavano i tavoli sui
quali erano
stati minuziosamente ordinati pile di piatti di porcellana e file di
bicchieri
di Boemia, a contorno di magnifici centrotavola di Anthurium rossi. In
un
tavolo d'angolo facevano bella mostra di loro le bomboniere che Hyoga
aveva
scelto e i confetti in enormi boule di cristallo e infine, nell'angolo
opposto,
tanti pacchetti dono.
"...però."
commentò Shiryu, porgendole un ampio bicchiere decorato con
uno spicchio
d'ananas e una cannuccia a righine rosse. "Niente Bollinger per te,
solo
cocco e ananas."
"Grazie.
Bollinger hai detto?"
"A-ha."
"E
dunque perché insieme all'analcolico non è
arrivato anche James Bond?"
"Ha
declinato
l'invito, sai... ha dei brutti grattacapi con Vesper, in questo
periodo."
rispose Shiryu, facendola sciogliere in un sorriso. "Avanti, adesso mi
dici che cosa non va?"
Mei scosse
la
testa, sorseggiando il cocktail.
"Troppi
pensieri per la testa, uno più ingarbugliato dell'altro."
"Per i
bambini?"
"No,
questa volta non c'entrano. È questo." spiegò a
bassa voce, indicando il
salone e gli invitati con un cenno della testa. "Mi sento a disagio.
Penso
che avrei potuto sforzarmi un po' di più per passare il test
di Medicina, a
quest'ora sarei stata una specializzanda ed entro i trentacinque anni
sarei
diventata una discreta neonatologa, invece di arrendermi e prendere
Scienze
Motorie e Fisiche. Sai, si fa più bella figura a presentare
una moglie primario di neonatologia
anziché insegnante di arti
marziali."
"Ma
perché pensi a queste cose? Sono stupidaggini e lo sai."
"No, non
lo sono." protestò Mei. "Hilda ad esempio è
laureata in Scienze
Politiche."
"Ovviamente, è una regnante." la interruppe Shiryu. "E la
futura
signora Alexeyev?"
"Economia."
"Solo?
Pensavo chissà che cosa." minimizzò Shiryu,
facendo spallucce.
"...ad
Harvard."
"E
quindi?"
"Quello
che voglio dire è che sono dei partiti decisamente migliori
di un'insegnante
laureata alla Beijing Sport University. Immagina la scena: Mia moglie? È primario al Necker,
specializzata in chirurgia pediatrica
e neuropsichiatria infantile! che
paragonato a Mia moglie? È
insegnante di
Aikido e Judo al Dojo Hu al XIII arrondissement, è
tutta un'altra cosa, se
permetti."
Shiryu
restò
in silenzio qualche secondo prima di risponderle.
"Tu
insegni anche ai bambini, giusto?"
"Sì.
Judo, tutti i pomeriggi."
"E come si
rivolgono nei tuoi confronti?"
"...sensei."
"Ecco.
Chiunque può essere uno statista o un economista, son tutti
capaci a far di
conto. Ma poche persone possono definirsi maestro."
"Shiryu..."
"Non
insegni solo leve e kata, insegni
loro nozioni e regole che li accompagneranno tutta la vita. Come nostro
padre e
Dohko hanno fatto con noi."
Mei lo
guardò, voltandosi di scatto.
"Non
bestemmiare! Devo farne di strada, prima di poter essere anche solo
lontanamente paragonata a loro due..."
Shiryu
sospirò.
"Peccato
non aver avuto la prontezza di spirito di registrare questa
conversazione. Perché
avrei potuto fartela riascoltare tra qualche mese, col 90% di ormoni in
circolo
in meno e con la mente più lucida: ti saresti presa a calci
da sola per questo
tuo vertiginoso calo di autostima, credimi."
"Anche
io ho delle debolezze, cosa credi? Non sono così forte come
credete tutti
quanti." mormorò Mei, flebilmente.
"Tu? Tu
sei il pilastro che ha portato avanti un'intera famiglia per anni, ti
sei presa
cura di me fino a qualche tempo fa."
"Ve la
sareste cavata benissimo anche senza di me."
"No, non
è vero. Forse non sarei neanche qui, o forse non sarei quel
che sono ora, se tu
non ci fossi stata."
"Non
attribuirmi meriti che non ho, se sei qui e se sei così
è grazie a
Shunrei."
"Sto per
prenderti a calci, bada."
"Okay,
ma fallo dopo il parto, per ora mi basta già il dolore
lancinante alla
schiena." rispose Mei. "Vado a sedermi un po'."
"Mi
sembri parecchio a tuo agio in mezzo a questa gente."
"Si
chiama capacità d'adattamento,
Shiryu."
"Buon
per te, io non ci riesco."
"Ecco
perché l'ambasciatore del Santuario sono io."
"Ovviamente,
non tutti sono così snob da sopportare certi ambienti."
"Essere
un parigino della media borghesia non fa di me uno snobbone a proprio
agio solo
con certe categorie di persone. Riesco a trovarmi bene anche in una
tenda
berbera in mezzo al Sahara o in un'isba in Siberia, cose che, tra
l'altro, ho
già fatto."
"Okay,
d'accordo. Giusto per informarti... Mei è preda degli ormoni
e sta pensando e
dicendo un sacco di sciocchezze infondate."
"Di che genere?" chiese Camus, prendendo dello champagne.
Gli
spiegò brevemente
la loro conversazione, indugiando sul senso di insicurezza che Mei
stava
provando e che non gli piaceva affatto.
"Certe
cose Mei non me le dice, però non ci vuole un genio per
comprenderle: le stai
dando dei motivi per sentirsi insicura o meno amata?"
Camus
inarcò
un sopracciglio.
"Come,
scusa? C'era rumore e credo di non aver udito bene."
"Sì,
come no." replicò Shiryu.
Prese un
bicchiere di mors e il suo calice,
quindi si allontanò.
"...e
poi hai ancora il coraggio di chiederti perché mi stai
antipatico?"
concluse Camus.
"Se
ancora non l'avessi capito, la cosa è reciproca."
"Bravo."
Seduta in
disparte con la scusa del mal di schiena, Mei si guardava intorno,
aspettando
il momento di tornare a casa propria e mettersi comoda: la fascia
elastica dei leggings
le stava comprimendo la pancia e come se ciò non fosse
già abbastanza
sufficiente, il disagio aumentava esponenzialmente a ogni regalo che
Hyoga
apriva.
Si
ricordò
che per la laurea di Camus, a parte il mazzo di rose rosso scuro, aveva
speso
una cospicua parte dei suoi risparmi per l'orologio che lui portava al
polso
tutti i giorni e per portarlo fuori a cena nel ristorante
più costoso di
Pechino: all'epoca le era sembrato un evento straordinario e
irripetibile che
l'aveva elettrizzata per giorni, ma a ripensarci in quel momento, con
lo sfarzo
che la circondava, le parve una cosa del tutto ordinaria e sciocca.
"Ti
inviterei a ballare, se non fossi stanca."
Sollevò
lo
sguardo su Camus, corrugando la fronte.
"Non
sono stanca." obiettò, accettando la bevanda che le stava
porgendo.
"Molto
bene, perché questo è uno dei miei pezzi
preferiti."
"...ma
è
jazz. Si può ballare sul
jazz?!"
"Chi ha
detto che non si può fare?"
Si
guardò
brevemente intorno: nessuno tra i presenti stava ballando, erano tutti
impegnati
a parlottare tra loro, quasi ignorando l'accompagnamento musicale in
sottofondo
nel salone.
"Dai, ci
guarderebbero tutti." protestò flebilmente Mei.
Camus la
portò nel corridoio, posando su un tavolino la
flûte di champagne e il
bicchiere.
"Qui
siamo soli."
"Sì,
lo
vedo, ma ho un pancione enorme, è difficile ballare un lento
in queste
condizioni."
Senza
aggiungere nemmeno una parola, l'abbracciò da dietro, un
braccio a circondarle
le spalle e l'altro sul pancione, muovendo qualche passo di tanto in
tanto,
lateralmente.
"Visto?
Difficile, ma non impossibile." ridacchiò lui. "Ti ho
trascurata
tutto il giorno, mi spiace."
"Avevi
le tue buone ragioni, non ti crucciare." rispose Mei, strofinandogli la
mano.
"M-mh.
Non ti senti bene?"
Fece
spallucce, incerta se spiegargli tutto o no.
"Vorrei
poterti offrire di più." mormorò di punto in
bianco, la voce stranamente
colma di rammarico.
"Che
cosa dici?!"
Gli
invitati,
nel salone accanto, stavano ancora parlando e ridendo, festeggiando
Hyoga; a
parte Shun e gli amici in comune, molti di loro facevano parte delle
cerchie di
Freya e non li conosceva. Di tanto in tanto, si udiva il tintinnio dei
calici e
delle porcellane.
Camus
sciolse
l'abbraccio, spostandosi di fronte a lei.
"...?"
"Non
è
niente, lascia stare." tagliò corto Mei, appoggiando la
fronte al suo
petto, chiudendo gli occhi. "Torniamo di là."
"Non
così in fretta." rispose Camus. "Che cosa c'è?"
"Quest'orologio,
le rose che ti avevo donato, la cena... avrei voluto fare di
più per te, ma
all'epoca non ho potuto. Spero di poterlo fare quando prenderai la
magistrale,
darti ciò che meriti."
"Ma...
Mei, tesoro... non mi devi nulla." mormorò lui in risposta.
"E quel
giorno per me è stato perfetto, non cambierei un solo
istante."
Annuì,
pur
non essendo del tutto convinta.
"...io
preferisco restare a casa stasera, non mi va di uscire. Scusati con
Hyoga per
me, per favore: farò un bagno, mi metterò a letto
e domattina sarò come nuova."
si schiarì la voce. "Vai con loro e stai tranquillo,
d'accordo?"
Pur essendo
poco
convinto dalle sue parole, si lasciò convincere ad andare
con Freya e Hyoga,
lasciandola tornare nel loro appartamento. Disse ai due che Mei si
sentiva poco
bene e che aveva preferito rimanere a casa, quindi li seguì,
dopo la fine del
piccolo ricevimento.
La
trovò
semisdraiata a letto, addormentata, con un libro aperto accanto a
sé e il
cellulare ancora acceso. Con assoluta delicatezza, le sfilò
il kimono e le
calze e la coprì, prima di spogliarsi e andare in bagno.
Fu lo
scrosciare dell'acqua nella doccia a svegliarla; sulle prime
pensò di essersi
dimenticata il rubinetto aperto, poi si accorse dell'anta socchiusa
dell'armadio, dell'abat-jour di Camus accesa sul suo comodino e,
attutito dalla
porta chiusa, il jingle di Radio
Nostalgie seguito da un successo dei Toto.
Dulcis in
fundo, il penetrante e odioso profumo del suo bagnoschiuma al sandalo.
"Bleah." borbottò, cercando di
attutire quell'odore con una generosa dose di crema per le mani alla
violetta.
Sbirciò
sul
cellulare, scoprendo che erano solo le ventidue e trentacinque.
"Sei
tornato presto." esordì a voce alta.
Lo
sentì
armeggiare con la porta scorrevole della doccia e con quella del bagno,
prima
di tornare sotto il getto d'acqua.
"Mi
spiace averti svegliata, non avrei dovuto accendere la radio." si
scusò
Camus.
"La
radio nemmeno l'ho sentita, è stato quel tuo orrendo
bagnoschiuma... e la tua
stecca pazzesca su A hard day's night."
"Argh. Te ne sei accorta eh?"
"Difficile
non sentire quella specie di miagolio indecifrabile a metà
canzone." lo prese
in giro, ricevendo in risposta una mezza risata. "Comunque, dicevo, sei
tornato presto."
"Ho
bevuto solo un drink prima di venire via." le spiegò.
"Ma...
hai rinunciato a una cena al Meurice?!
Perché?"
Impiegò
qualche secondo a risponderle.
"Intanto
perché avrei retto il moccolo a Freya e Hyoga e non mi
piaceva
l'idea di fare il terzo incomodo e poi... non mi andava di cenare come
nulla
fosse sapendoti qui da sola." concluse lui, chiudendo il rubinetto.
"Che
sciocchezza." rispose lei, mettendo il segnalibro tra le pagine che
aveva
iniziato a leggere prima di addormentarsi.
"Comunque
sappiamo entrambi che cucino meglio io di quel cuoco famoso, giusto?"
"Senza
dubbio." l'accontentò, sbadigliando. Ripose il libro, spense
il cellulare
e si rintanò sotto le coperte, cercando una posizione
sufficientemente comoda.
"Sei
ancora sveglia?"
"Ti
concedo qualche secondo prima di cedere a Morfeo."
"Pensavo,
dato che Lixue ha le vacanze e che tu sei in maternità, che
potremmo
ritagliarci qualche giorno ad Atene, riposarci un po'... che dici?"
"...ne
parliamo domani." biascicò Mei, chiudendo gli occhi.
"Dai, una
decina di giorni. Le settimane che seguiranno saranno frenetiche e
riusciremo a
malapena a dormire qualche ora per notte..."
"A dire
il vero i bambini staranno dentro un'incubatrice per diverso tempo,
ricordi che
ha detto la dottoressa? Ma se proprio ci tieni, ci posso pensare."
**
"Amico!!
Che bello vederti, avevo quasi scordato la tua faccia!!"
Camus quasi
perse l'equilibrio, colto di sorpresa dall'abbraccio di Milo.
"Ci siamo visti appena l'altroieri."
biascicò a corto di fiato. "Mi stai
soffocando."
Shaina li
raggiunse poco dopo, scuotendo la testa.
"...e
dove potevo trovarti, se non all'undicesima?" sorrise poi.
"Non
dovresti neanche portele, certe domande." ridacchiò Mei.
"Ciao,
compagna di pancia."
Impossibilitate
a scambiarsi un abbraccio per via dei pancioni, le due donne si
strinsero gli
avambracci in un reciproco saluto.
"A che
mese sei?"
"Entrerò
nell'ottavo la settimana prossima. Credimi se ti dico che non vedo
l'ora che
nasca così da smettere di avere mal di schiena."
Mei
s'indicò
la pancia, ridacchiando.
"A me lo
dici? Sto contando i giorni che mi separano dal cesareo."
"...scusa."
sorrise Shaina, imbarazzata.
"Sapete
già cos'è o volete l'effetto sorpresa?"
Milo parve
quasi saltellare sul posto dalla felicità.
"L'abbiamo
scoperto questa mattina."
"E da
come saltelli suppongo sia un maschio." interloquì Camus.
"Kosta." annuì Milo, tutto
contento.
"Nikos." lo corresse Shaina.
"Ah
già.
Nikos."
"Poi sono
io quello fissato con i nomi strani eh?"
"Non
è
strano." obiettò Milo. "Spero che tu non ti offenda, ma non
intendo
chiamarlo Camus."
"Per
Athena, no! Ci mancherebbe soltanto questo, povera creatura!"
esclamò
l'interessato.
"Comunque,
vorrei farvi notare che il mio primo figlio sarà maschio. Un
maschio. C'è chi
può e chi non può." scherzò Milo,
prendendo in giro l'amico.
"E io
vorrei farti notare che..." si difese Camus, mostrando il numero tre
con
le dita. "Tre."
"Hey!"
protestò Mei, rifilandogli un pugno sulla spalla. "Ma
insomma!"
"Vieni
Mei, devo farti vedere due cose mentre questi due imbecilli giocano a
chi ce
l'ha più lungo." sospirò Shaina, circondando le
spalle dell'amica e
lasciando soli i due uomini.
"Ah, e per
onor di cronaca non sono svenuto, io."
"La
vogliamo smettere, con questa accidenti di storia?!"
Ridendo,
Milo
lo scortò all'ottava casa, dove Shaina stava mostrando a Mei
la stanza che
avrebbe accolto Nikos, già quasi totalmente arredata.
"Lo
scalda biberon... ti consiglio anche quello con la presa accendisigari,
sai, da
usare in auto per ogni evenienza." osservò Mei, studiando la
scatola.
"Camus ne ha scovato uno che può scaldarne quattro in un
colpo solo... il
che, considerando le bocche da sfamare quasi in contemporanea,
è stato il regalo
più bello degli ultimi tempi."
"Ovviamente,
prima rose e cioccolatini, dopo prodotti per il bimbo... e i fiori
restano un
lontano ricordo." sospirò Shaina. "Comunque, manca solo la
cameretta
a ponte, ma per quella c'è tempo."
"Il
letto vi servirà parecchio più avanti, ma hai
già pensato alla sdraietta?"
"...a
dire il vero, no."
"Scherzi?
La sdraietta ti salva la vita!! Lixue ha trascorso tantissimo tempo
là dentro
mentre studiavo... è stata una manna dal cielo!"
"Siamo
andati in quel nuovo centro per l'infanzia, hai presente quello su tre
piani,
vicino all'autostrada? Per fortuna c'era lo sconto del 30% in quanto
nuova
apertura o avrei dovuto accendere un mutuo." spiegò Milo.
"Anche a
Mei capita di avere reazioni esagerate per delle sciocchezze?"
"Assolutamente
no! Quando mai, figurati." ribatté Camus, ironico.
"Guarda
che ti sento." lo redarguì Mei, continuando a guardarsi
intorno nella
cameretta.
"Che
cosa le hai combinato?"
"Ero
lì
col volantino in mano, a un certo punto infilo nel carrello un
tiralatte e per
poco non mi lancia addosso un thunder
claw lì, di fronte a tutti."
"Gli ho
detto che quell'arnese l'avrei inaugurato con lui e che non l'avrei
usato sulle
sue mammelle." interloquì Shaina.
"Ben
detto!" si complimentò Mei.
"Non
voglio sapere altro, grazie." precisò quindi Camus.
"Perché
mai devono sempre colpire punti vitali, mi chiedo." sbottò
Milo. "Andiamo,
vieni a bere con me."
Offrì
a Camus
una birra, lasciando le due donne parlare tra loro di pappe, sdraiette,
pannolini
e tecniche di rilassamento per controllare il dolore.
"...che
ti avevo detto? Riunioni di donne che
parlano di cacche brutte e di pustole."
"Non
ancora, quelle cose arriveranno col tempo." lo corresse Camus. "E
questa volta aspettano al varco anche me."
"A-ha!!
Anche monsieur sono-un-esperto-di-bambini
ha paura di fronte a certe cose."
"Ho
sempre detto di saperci fare con i bambini, non con i neonati."
ribadì
Camus. "I miei allievi erano perfettamente in grado di usare il
bagno."
"Vorresti
dirmi che non hai mai cambiato il pannolino di Lixue?"
Non senza
una
certa dose di imbarazzo, Camus scosse la testa.
"Quando
Mei mi concedeva di portarla all'isba o da qualche parte, mia figlia
non li
usava già più."
"Che
vergogna."
"Ma cosa
parli, tu? Nikos sarà il primo bambino col quale avrai a che
fare, non
atteggiarti a esperto."
"Per
questo concederò a Milo l'onore di cambiare il primo
pannolino." esclamò
Mei, dal salone.
"Ma che
carina, grazie." rispose l'interessato, ironico.
"Beh,
essere un padrino ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, caro mio."
L'altro
sgranò
gli occhi, sorpreso.
"Padrino?"
"Avrei
voluto parlartene con calma, però sì, pensavamo
di chiedertelo: Hyoga e Shiryu
lo faranno a loro volta, non potevo non chiederlo anche a te."
Milo
ammutolì, commosso.
"...uh,
un'altra cosa... Hyoga si è già prenotato per
un'eventuale femmina, perciò ti
toccherà un maschio."
"Maschio
o femmina, non importa." mormorò Milo. "Lo farò
molto
volentieri."
"Sarà
più o meno come nella religione cristiana, solo che al posto
di iniziare mio
figlio alla fede in Cristo, lo inizierai a quella in Athena."
proseguì
Camus. "Usciamo qualche istante, ti va? A tal proposito, Shion mi ha
parlato
di un rito in uso nell'antica Grecia che intende riportare in auge con
delle
opportune modifiche, al quale intende far partecipare tutti i figli di
noi Gold
Saints. Shaka presenterà Rani, io presenterò i
gemelli e Lixue. Ha aggiunto che
questo rito sarà ripetuto per ogni bambino nato sotto l'ala
protettrice di
Athena."
Milo
annuì.
"Forse
ho capito di quale rito parli. E Mei è d'accordo?"
"Beh, i
bambini potranno seguire tutte le tradizioni che lei vorrà
mostrare loro, Shion
mi ha assicurato che il Taoismo, che Mei segue, è
più una dottrina filosofica
che una religione vera e propria, ragion per cui Lixue e i fratelli
potranno
continuare a osservare il culto degli antenati e le celebrazioni legate
a certe
ricorrenze, ma io sono un Gold Saint di Athena, e in quanto tale, non
può che
essere lei la loro Dea." rispose Camus. "Per quanto riguarda certe
cose, d'accordo o meno, Mei non può opporsi."
"In ogni
caso, fai attenzione a come e quando glielo
dirai. Le donne dello scorpione vanno
prese nei loro momenti buoni, o altrimenti diventa un bagno di sangue."
"...ma
piantala."
*
Nell'enorme
biblioteca del Santuario, Shion posò alcuni tomi antichi sul
grande tavolo di
amaranto posto al centro dell'edificio, sotto il lucernario e i
bagliori dorati
del sole morente.
"Le Anfidromie." esordì,
distraendo
Camus dalla sua ricerca. "Ecco il rito di cui ti parlavo: nei tempi antichi, avevano luogo cinque
giorni dopo la nascita di un bambino, ma chiaramente
all'epoca la mortalità
infantile era così alta che era necessaria tanta premura, si svolgeva nella casa paterna, di sera, e amici e
invitati recavano
doni. La casa era decorata con rami di ulivo se il nascituro era
maschio o
ghirlande di lana se femmina, beh, a quanto pare decoreremo
l'undicesima
casa con entrambe le cose... il bambino
veniva poi fatto girare attorno al focolare portato in braccia dalle
levatrici,
e presentato agli dèi della casa e alla famiglia; poco dopo
egli veniva preso
in braccio dal padre e riceveva il nome proprio, evento del quale gli
ospiti
erano testimoni. La corsa attorno al
focolare col bambino era il punto chiave delle Anfidromie,
poiché proprio dalla
corsa ne derivava il nome, ma a quanto pare Aristofane
attribuì l'origine a
un altro avvenimento... tornando a noi, mi hai detto che i tuoi figli
dovranno
rimanere in ospedale per un certo tempo, dico bene?"
"Sì."
"Allora
ho ancora tempo per cambiare due o tre cosette e adattare questa festa
ai
giorni nostri. Tu e tua moglie avete scelto i padrini come vi ho detto
di
fare?"
"Shiryu
e Shunrei, Hyoga e Freya, Milo e Shaina." elencò Camus.
"Molto
bene. Sostituiremo le levatrici con le figure dei padrini. Dopotutto,
non
possiamo certo mostrare il nostro mondo ai medici che avranno in cura
Mei." sorrise Shion. "Quando avrò finito, vi
manderò a chiamare per
definire i dettagli. A tal proposito, hai già provveduto a
informarla?"
Camus fece
una smorfia.
"Non
proprio."
"E che
cosa aspetti, benedetto ragazzo? Il parto si avvicina."
Ancora una
smorfia, peggiore della precedente.
"...lo so."
Shion lo
guardò con intensità, scrutando ogni minimo
particolare.
"Credo
che sia la prima volta che ti sento in questo stato."
"Agitato?"
suggerì Camus.
"Terrorizzato." lo corresse Shion.
"Come sempre nascondi abilmente i tuoi sentimenti, ma ai miei sensi non
sfugge nulla: il tuo cuore ha iniziato a martellare come un tamburo non
appena
ho accennato una certa parola."
Come poteva
non esserlo, dato che quello era la sua prima esperienza con un parto?
Non
aveva idea di quel che sarebbe successo, una volta in quella sala e su
quel
tavolo operatorio, come Mei avrebbe affrontato tutto. Serrò
gli occhi, sentendo
le tempie pulsare.
"Diamine,
guarda che faccia. Pregherò personalmente Athena
affinché protegga Mei e i
bambini, d'accordo?" sorrise Shion incoraggiante, posandogli una mano
sulla parte di braccio lasciata scoperta dall'armatura. "E tu cerca di
calmarti, ora più che mai ha bisogno della tua forza. E ora
torna pure a quel
che stavi facendo: se indossi l'armatura era sicuramente qualcosa di
importante."
Lo
ringraziò,
prima di recarsi all'Altare e inginocchiarsi come aveva fatto tempo
prima,
implorando la benevolenza della sua dea per sua moglie e i suoi figli.
**
Si
svegliò di
soprassalto nello stesso modo in cui ci si sveglia da un brutto incubo
che
compare nel cuore della notte: levandosi a sedere sul letto,
impiegò qualche
istante per riprendersi dallo stordimento, e nonostante tutto, com'era
già
successo tempo prima, non riuscì a scrollarsi di dosso
l'orribile sensazione di
trovarsi in un dejà-vu. Aveva la netta impressione di
trovarsi -ancora- in un periodo
della sua vita che
lei e Camus cercavano di dimenticare: i loro errori, la rabbia, la
delusione,
le parole dapprima inespresse e poi, di colpo, esplose.
L'altra
metà
del letto era intatta e fredda, e la sensazione peggiorò.
"Camus?
Lixue?"
Non le
rispose nessuno.
Scese dal
letto di corsa, attraversando il corridoio col cuore in gola: la casa
era
deserta e del tutto sconosciuta.
Quella sicuramente non era la casa dell'Acquario.
"Cam?!"
Decise di
uscire seguendo uno strano impulso e si accorse di aver trascorso la
notte
all'ottava casa, come testimoniava il glifo dello Scorpione ben
visibile sul
timpano della facciata. Si guardò intorno spaesata e
sgattaiolò all'undicesima
casa facendo attenzione a non incrociare nessuno, e una volta
all'interno, si
accorse che semplicemente, non esisteva più una casa
dell'Acquario: le maestose
colonne dell'atrio sembravano pericolanti, il marmo del pavimento era
scheggiato in più punti, le stanze private polverose e
abbandonate da tempo.
Trovò
inquietante il silenzio irreale che pervadeva l'intera struttura e la
sensazione si amplificò non appena ebbe varcato la soglia
degli appartamenti
privati.
Per prima
cosa notò che non c'era traccia del ritratto di
Degél, né della sottile
consolle del corridoio con le fotografie e lo svuota tasche, nella
stanza da
letto un piccolo armadio di legno grezzo sostituiva la cassettiera
sulla quale
Camus teneva in bella mostra la fotografia dei suoi genitori e qualche
ninnolo.
In quello che ricordava essere lo studio, non c'era nulla. Il vuoto
assoluto.
Che cosa mi sta
succedendo?!
Tornata in
camera, si sedette sul bordo del letto e aprì il cassetto di
un comodino, trovando
al suo interno una scatola larga e piatta che decise di aprire pur
continuando
a prestare attenzione a qualunque rumore esterno. Biglietti d'ingresso
ad
alcuni musei locali, un carnet di biglietti per l'autobus, il libretto
d'istruzioni per un mobile e infine, un album di fotografie e dei
documenti chiusi
dentro una busta: un passaporto francese –scaduto-, un atto
di nascita
appartenente a un certo Fabien Larousse, classe
1985 e un secondo atto di nascita –redatto però in
greco- che riportava il nome
Charles Larousse, classe 2005.
Per essere un
incubo, è fin troppo reale.
Non ebbe
sufficiente tempo per leggerne i particolari; non appena udì
dei rumori, s'infilò
istintivamente la busta nella tasca del pigiama e sgattaiolò
via alla svelta, correndo il più
lontano possibile e finendo dritta in quello che era il cimitero.
Non può
essere.
Una volta, a
Praga, durante uno dei viaggi di lavoro di sua madre, aveva visitato il
vecchio
cimitero ebraico e, ricordò, era rimasta colpita dal modo in
cui erano
sistemate le lapidi: sembravano tutte piazzate alla rinfusa, gran parte
di esse
erano vicine al punto che si toccavano tra loro, come se una mano
enorme le
avesse sradicate tutte insieme e poi ricacciate nel terreno
così, alla cieca.
In quello
stesso modo le apparve quell'angolo sul retro del Santuario: spettrale,
sinistro, tetro nonostante il sole splendesse alto nel cielo. Le lapidi
giacevano alla rinfusa, all'ombra degli ulivi, spoglie e in qualche
modo
macabre con le loro scarne incisioni.
"Che
scherzo orrendo." commentò, oltrepassando rapida quella che
apparteneva a
Saga, cercando con il cuore in gola quella che in verità
sperava di non
trovare.
Invece,
eccola lì, proprio davanti a lei.
La stele di
marmo recava il glifo dell'Acquario, il nome di Camus e, infine, la
data di
sette anni prima quando era caduto durante la battaglia del Santuario;
lo
stesso valeva per le tombe di DeathMask, di Shura e di Aphrodite.
Corrugando la
fronte si disse che era parecchio strano che nessuno le avesse mai
tolte:
insomma, erano tutti lì, aveva parlato con loro quella
stessa mattina, le
braccia che l'avevano stretta durante la notte erano vive,
che motivo c'era di tenere in piedi quei macabri ricordi?
Shaina non aveva forse dato l'ordine di dar fuoco all'intero cimitero
quando
Hades aveva iniziato a recuperare i corpi dei Saint per usarli come
burattini
personali?
Allungò
una
mano alla lapide e sfiorò con due dita le lettere incise
sulla pietra,
rabbrividendo.
Che cosa sta
succedendo?
"Dopo tanti
anni, é la prima volta che ti trovo qui."
Era stato Mu
a parlare, Mei ne riconobbe la voce pacata e dolce, ma in qualche modo
lo
sentiva estraneo, come se non fosse la stessa persona che conosceva da
tanti
anni.
Annuì
appena,
senza alzare lo sguardo dalla lapide.
"Come ti
senti oggi? Mi... ehm... hanno detto che la notte scorsa é
stata molto
movimentata."
A cosa si
stava riferendo?
"Bene." rispose, sentendo lo strano
impulso di mettersi in guardia e non abbassarla per nessun motivo.
Mal
interpretando il suo tono di voce, Mu proseguì,
più pacato di prima.
"Perdona
la mia invadenza, è che Milo scende al cimitero ogni sera
per portare il suo
saluto a Camus e… di solito lo fa da solo, ecco il
perché della mia
curiosità."
Che cosa
diamine significava Milo scende al
cimitero ogni sera per portare il suo saluto a Camus?
"E
perché non dovrei fare lo stesso?"
"Una
volta mi dicesti che per te era troppo doloroso venire in questo luogo,
perché
la vista delle lapidi ti faceva male."
"Beh,
come vedi oggi è diverso. Perché queste lapidi
sono ancora qui?"
Mu si
chinò
alla sua altezza, abbassando e addolcendo il tono di voce come se
stesse
parlando a una bambina piccola.
"Certo
che sono ancora qui. Resteranno qui fino alla fine dei
tempi… dove dovrebbero
essere altrimenti?" le rispose. "Torna a riposare, Mei."
"Quel
tono di voce usalo con qualcun altro. Ti sei bevuto il cervello forse?
Dopo
Hades, Athena e suo padre hanno riportato in vita tutti i Gold Saint,
dunque
questa lapide non ha alcuna ragione per esistere!" gli
spiegò, ricevendo
in risposta uno sguardo compassionevole. Capì in quel
momento che si era
sbagliata: non le stava parlando come si parla a una bambina, ma come
si parla
a una persona mentalmente inferma.
"Hades?
Dohko sorveglia ancora la torre degli Specter e dall'ultima guerra
sacra il
signore dell'oltretomba non ha ancora manifestato la volontà
di tornare sulla
Terra. Non abbiamo mai combattuto contro di lui, che Athena ce ne
scampi, il
Santuario è ancora troppo sguarnito per poter affrontare una
nuova guerra
sacra. Ma tu… sai qualcosa che non sappiamo?
Perché hai parlato di Hades e
degli Specter?"
Mei si
rialzò, nervosa, con l'orrenda sensazione di essersi appena
cacciata in un
guaio enorme.
"Stai
agendo per conto di Hades? Parla!"
Al sentire
il
Cosmo di Mu agitarsi e crescere, decise scioccamente di voltarsi e
correre –come
se questo potesse bastare!-, cercando disperata una via di fuga.
Udì Mu dare
l'allarme e impartire ordini, dietro il martellare incessante dentro il
petto.
"Serrate
i cancelli, allertate tutte le guardie e chiamate immediatamente il
Grande
Sacerdote!"
Nel correre
inciampò –oddèi,
nemmeno nei peggiori
film di cassetta succedeva più...-, finendo lunga
e distesa, urtando contro
un gradino.
"Dèi,
no! I miei bambini no!" mugolò, portandosi una mano al
ventre.
Ma si rese
conto
solo in quel momento che non c'era alcun pancione di cui preoccuparsi.
***
Lady
Aquaria's corner
Anche questa
volta, ringraziamenti a parte, le note si riducono alle spiegazioni e
basta. :)
Il titolo
è
riferito alla canzone di Bobby McFerrin.
Bollinger e Vesper: entrambi fanno
parte del mondo di James
Bond; il primo è un pregiato champagne e la seconda
è una bond-girl. Ecco
perché Mei accenna al famoso agente segreto.
Necker: è un ospedale
infantile di
Parigi.
Mors:
bevanda
russa composta, di solito, da succo di mirtillo.
Meurice:
famosissimo e alquanto costoso ristorante parigino.
Anfidromie:
festa che nell'antica
Grecia era organizzata in onore della nascita di un bambino.
Alla prossima!
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 34 *** Hell is living without you ***
Capitolo 34
34.
Hell
is living without you.
[Soltanto
un giocatore disperato tenta il tutto per tutto.]
Friedrich Schiller
Si svegliò in un bagno di sudore,
la pelle d'oca su tutto il corpo e un'orrenda sensazione di pericolo
imminente
addosso: qualcosa che non provava dai tempi della scalata al Santuario
di otto
anni prima.
Ancora immersi nel buio, gli occhi impiegarono qualche secondo per
riuscire a
mettere a fuoco l'ambiente circostante e per vederla, china su di lui.
"Mei?!" la chiamò,
allungando a tentoni una mano in direzione dell'abat-jour del comodino
senza tuttavia
riuscire a raggiungerla.
Brillavano di una luce sinistra i
suoi occhi, nella penombra della stanza. Gli parve di scorgere anche
una strana
espressione sul suo volto, ma in quel momento tutto era scivolato in
secondo
piano: la cosa più importante e di vitale importanza in quel
momento era la
lama del tantō che Mei, ancora fortunatamente immobile, aveva
appoggiato sulla
sua gola.
"Mei." ripeté, rauco,
cercando alla svelta un modo per
toglierle di mano quella maledettissima lama senza farle del male:
sarebbe
bastato un minimo movimento per rimanere seriamente ferito –sgozzato, si corresse-. "Tesoro,
che cosa succede?!"
"Non sono una spia!"
"…cosa?!" sgranò gli
occhi, comprendendo in quel momento che Mei non era in sé.
Come a Kobotec, capì
che stava rivivendo quel maledetto incubo e che, questa volta, era peggiore. Come accidenti aveva potuto
non accorgersi di quello che stava succedendo?
Allungò cauto una mano, posandola
sul pancione.
"Ascolta, qualunque cosa
stia succedendo, lascia che ti aiuti."
"Non toccarmi!!"
"D'accordo, d'accordo! Non
ti tocco, va bene."
Ci fu un momento di stallo nel
quale il tempo sembrò congelarsi."Mei, lascia che ti aiuti."
continuò, con un tono di voce il più calmo
possibile, prendendole delicatamente
il polso.
"Non ho più niente da perdere."
Mei calcò la mano e lui,
d'istinto, espanse il Cosmo.
"MEI!" gridò, riuscendo
a fatica a bloccarle entrambe le braccia: il bruciore lancinante sul
fianco era
segno che in qualche modo era riuscita a colpirlo, anche se, si
augurava, di
striscio. "Non di nuovo, ti prego! HYOGA!" gridò infine, non
riuscendo ad avere la meglio. Questa volta era diverso da quella notte
all'isba: stava lottando a viva forza contro qualcosa, lanciando delle
urla
atroci che gli stavano trapassando i timpani e che, naturalmente,
avevano
svegliato l'intera undicesima casa.
"Bozhe moj." [Dio mio]
Si sentì sollevato non appena udì
la voce di Hyoga appena fuori dalla loro stanza.
"Aiutami, non so più che
fare."
"Mamma!!!"
Hyoga fermò Lixue prima che
potesse entrare nella stanza dei genitori: era molto spaventata, ma in
quel
momento era l'ultimo dei problemi.
"No, no. No, è meglio che tu
non veda nulla. Mamma starà bene, vai a cercare aiuto con
Freya."
"Oh mio Dio."
"Portala via, subito!"
"Vieni con me, tesoro."
sussurrò Freya.
Lixue era ancora ferma davanti
alla porta della camera dei genitori, lo sguardo spaurito mentre
stringeva tra
le braccia Mushu, il suo peluche.
"Che cosa succede alla
mamma?"
La principessa la prese in
braccio, allontanandosi rapidamente dalla camera.
"Non lo so." ammise.
"Ma il tuo papà e Hyoga faranno di tutto per farla stare
bene."
"Mai sentite urla di questo
genere, sembra la stiano scuoiando viva." commentò Hyoga,
aumentando il
Cosmo e unendolo a quello di Camus.
"L'ultima volta si è
svegliata dopo le urla, però. Ho aspettato troppo, avrei
dovuto fare qualcosa
già allora. Non osare farmi una
cosa del
genere Mei, te lo proibisco!" aumentò la stretta,
portando il Cosmo a
livelli di guardia. "Mi senti? Te lo
proibisco!"
"Vuoi farti venire un
infarto?" Hyoga guardò il maestro "Per l'amore di Athena,
calmati!!"
Allertato dai Cosmi di Hyoga e
Camus, Dohko entrò di gran corsa all'undicesima casa.
"Vai a chiamare Shion, digli
da parte mia che è necessaria una riunione urgente."
ordinò a Freya, prima di entrare nella camera da letto.
La principessa e Lixue corsero di
gran lena fuori dalla casa dell'Acquario, una diretta al tredicesimo
tempio,
l'altra verso l'ottavo.
**
L'intervento di Dohko in qualche
modo riuscì a riportare in piedi la situazione, aiutando
Camus e Hyoga a far ritornare Mei
in sé.
"Lascia la presa."
ordinò a Camus. "Dovrebbe riprendersi tra poco."
"Cos'avete fatto?"
domandò Hyoga, esterrefatto.
Dohko si allontanò qualche passo
mentre Camus faceva lo stesso, scendendo dal letto.
"Ho agito su uno dei meridiani
principali del capo." rispose. "Quello che, come mi ha ricordato
Shaka, corrisponde a grandi linee al sesto chakra."
Aphrodite, ancora mezzo
assonnato, si svegliò definitivamente quando vide i calzoni
del pigiama di
Camus macchiati di sangue.
"...quel sangue è di
Mei?" gli domandò, avvicinandosi.
L'altro scosse la testa.
"No, per fortuna. È mio, mi
ha colpito di striscio con il tantō." rispose soprapensiero,
rimuginando
sulle parole di Dohko: meridiani, punti di energia, flussi vitali...
aveva
letto qualcosa a proposito, su un opuscolo informativo sul Qi Gong che
aveva
letto al dojo, una volta, mentre aspettava che Mei uscisse da lavoro.
"Ecco perché non amo le
armi, ci vuole un nanosecondo a ferirsi seriamente."
commentò Aphrodite, raccogliendo
il pugnale e posandolo sul davanzale. "Vado a prendere la mia borsa e
torno subito. Non ti spiace se ci do' un'occhiata, dico bene?"
Camus scosse la testa e si chiuse
nel suo solito contegno algido, mentre dentro sentiva il sangue
ribollire, preoccupato
come non mai.
Avrei dovuto fare qualcosa già
allora, si ripeté, incapace di darsi
pace, quando eravamo all'isba.
Perché non aveva chiesto aiuto?
Avrebbe dovuto parlarne con Dohko e Shion quando Mei era ancora nel
pieno delle
forze, quando non era così vulnerabile. E invece,
stupidamente, aveva abbassato
la guardia proprio nel momento meno opportuno.
Athena, non ho mai chiesto niente per me
stesso, ma ti prego, fa' che
non sia troppo tardi, ti supplico.
Insieme ad Aphrodite arrivò anche
Mu; quest'ultimo si affiancò a Dohko, che stava esaminando Mei già da un po'.
"Come sta? E i
bambini?"
"Sono agitati, ma Aphrodite
dice che è un bene, sono reattivi."
"Camus, in cucina per
favore."
"Preferisco restare
qui."
"E io preferisco lavorare con la luce. Ci metterò pochi
minuti, stai
tranquillo."
Controvoglia, Camus si alzò e lo
seguì. In cucina, Aphrodite aveva dispiegato un lenzuolo usa
e getta da
ospedale e sistemato i ferri del mestiere sul piano cucina.
"Sul tavolo, avanti. Sembra
che ti piaccia farmi da cavia." commentò Aphrodite,
scostando con
delicatezza il tessuto dalla ferita, corrugando la fronte subito dopo.
"Non
è ampia, ma è profonda: ci vorrà
più di qualche punto."
"...visto? Ora hai anche la
tua ferita lacero-contusa, dovresti ringraziarmi."
"Ne vedo fin troppe. È una
ferita da taglio, e tu sei sotto choc."
"Non è vero."
"Hey, chi è il medico tra noi due?"
"A proposito di medici, al
posto tuo andrei in pronto soccorso per un controllo, sei pallido
e-..." interloquì
Aiolia, entrando in cucina.
"Sono sempre così."
"Così... color
mozzarella?"
"Ah. Ah. Ah. Divertente. Che battuta
originale da fare a un rosso."
sbottò Camus.
"Va bene, cercavo di
sdrammatizzare." si arrese Aiolia. Gli sfiorò un piede e
rabbrividì.
"Però insisto sul pronto soccorso, senti? Hai le
estremità ghiacciate,
come fai a dire che va tutto bene?"
"...sono sempre così."
puntualizzò Camus.
"Dovresti sentirgli le mani, sembrano iceberg." commentò
quindi
Aphrodite. "Ma del resto, con una temperatura corporea naturalmente
stazionaria
intorno ai 36°C, è normale che abbia le
estremità un po' fredde."
Aiolia sgranò gli occhi, stupito.
"36°C? Chissà Mei quanto
sarà contenta quando la tocchi."
Già, Mei.
"In certi frangenti non si è
mai lamentata di quanto son fredde le mie mani." rispose Camus.
"A proposito. Che cos'è
successo là dentro?"
"Non lo so con certezza. So
solo che mi sono svegliato di colpo con la lama sulla gola e che ho
provato a
fermarla per evitare che si facesse male. Non so neanche come abbia
fatto a
colpirmi, la tenevo stretta e pensavo di averla sotto controllo."
spiegò
Camus.
"In casi come questi
purtroppo niente è prevedibile." interloquì Mu,
sulla porta della cucina.
"Stanno tutti bene?"
"I bambini sì, a Mei ci
stanno pensando Dohko e Shaka, a quanto pare torna ad agitarsi non
appena sente
la mia voce. È in buone mani, fidati."
Aphrodite fu più veloce di quanto
si aspettasse: anni prima, quando aveva fracassato il vetro dello
studio con un
pugno e si era ferito l'avambraccio, aveva impiegato molto
più tempo a ricucire
la ferita.
"Se dovessero riaprirsi i
punti sai dove trovarmi, ma ho fatto un lavoro eccellente... non
rovinare tutto
facendo il John Rambo della situazione, intesi?" si
raccomandò Aphrodite.
"Niente cuciture di fortuna e fatte a casaccio. Ah, e togli quel
maledetto
coltello da sotto il cuscino, adesso ti è andata bene, la
prossima volta
potrebbe sgozzarti."
"Non era sotto il cuscino, quella di Mei era una battuta. Lo tiene nel
cassetto del comodino."
Aphrodite sospirò.
"Sai, nel cassetto del
comodino di solito tengo i caricabatterie, i preservativi, il
collirio... ma
niente armi letali. Se quella roba la prendesse tua figlia, sai come
potrebbe
finire? Sei adulto e vaccinato, non devo dirtele io queste cose." lo
riprese. "Ascolta, prendi queste per almeno due giorni, per scongiurare
un'infezione."
"Lo farò, grazie."
Tornò in camera mentre Aphrodite
sgomberava la cucina.
Shaka si avvicinò a Mei, alzando
con delicatezza una palpebra e guardando l'occhio.
"Vedo la pupilla: qualunque
cosa tu e Mu abbiate fatto, ha funzionato per il rotto della cuffia. Ma
non avremo
lo stesso successo la prossima volta."
"Lo so." rispose l'interpellato,
pensieroso. "Anche perché non
ci
sarà una prossima volta."
Athena, ti supplico.
"Come sta?"
"Sta per riprendersi, ma..." rispose Dohko. "Ho avvertito Shion
dell'accaduto, dobbiamo in qualche modo porre rimedio a questa
situazione prima
che ci sfugga totalmente dalle mani."
Annuì senza replicare, lo sguardo
fisso su Mei, ancora inerme e distesa sul letto; preso un pigiama
pulito, si
cambiò rapidamente in bagno e d'un tratto la vide muovere le
mani, agitata. Riaprì
gli occhi un istante dopo, con uno strano lamento.
"Bentornata tra noi, cara."
sorrise Dohko, seduto sul bordo del letto.
Dopo un attimo di smarrimento,
Mei riuscì a metterlo a fuoco, sobbalzando subito dopo.
"I bambini!! Dove sono i miei bambini?"
"Va tutto bene!" le
disse Dohko, prendendo la sua mano e posandola sul pancione. Sotto, i
piccoli
scalciavano, sicuramente contagiati dall'agitazione della madre.
"Eccoli,
li senti? Sono ancora qui, dove devono essere: va tutto bene,
rilassati."
Si levò a sedere con fatica.
"No. Non va tutto bene…
io... non
c'erano più!" gli spiegò,
singhiozzando. Si guardò intorno,
accorgendosi solo in quel momento di Aiolia, Shaka e Mu in fondo alla
stanza. "Che
cosa è successo? Oh no.
Oddèi, no."
Camus tornò a sedersi accanto a
Mei, strofinandole la schiena.
"So che sei davvero agitata
adesso però... dovresti calmarti." le disse.
"Camus ha ragione. Prova a
rilassarti un poco, non fa bene né a te, né ai
bambini. Intanto cercheremo di
capire che cosa ti turba così tanto."
Rilassarsi era
un eufemismo
in quel momento.
"Non capisci... non hai visto quel che ho
visto io."
Mu le porse del lassi che
Shaka aveva appena portato.
"Intanto bevi questo, ti farà
bene."
"Aiuta a distendere i nervi."
spiegò Shaka.
"Rimettiti in forze e calmati, ti
aspettiamo al tredicesimo Tempio
per parlare di questo problema, d'accordo?" concluse Dohko.
"...miei Dèi, subito?" si
lamentò Camus.
"Prima si risolverà la
questione, meglio sarà."
Mei annuì appena, decidendo di
prendere qualche sorsata di lassi.
"Credo sia meglio lasciarle un po' di tempo
per sistemarsi."
suggerì Mu. "Tutti quanti, usciamo e lasciamola respirare."
"Io resto qui." rispose Camus. Non appena i
compagni furono usciti,
si accovacciò davanti a Mei. "Va meglio?!"
Lei scosse la testa, ancora troppo agitata
per parlare.
"Ascoltami, non sei obbligata ad andare
adesso alla tredicesima
casa. Rimandiamo a domattina."
"No." rispose Mei in un sussurro rauco. "Se
mi
addormento lei ritorna ancora."
"D'accordo. Prenditi tutto il tempo che
vuoi, non c'è fretta. Di
cosa hai bisogno in questo momento?"
Con un braccio circondò il
pancione, con una smorfia che lo preoccupò,
e con l'altro lo tirò a sé.
"Sono qui, non me ne vado."
Per un lunghissimo lasso di tempo invece,
l'aveva perduto di nuovo; si era
sentita come anni prima, quando, tornata a casa dopo i funerali dei
Saints
caduti, la sua corazza si era incrinata e rotta in mille pezzi
lasciandola
totalmente esposta al dolore.
Ricominciò a piangere senza
quasi accorgersene, rendendosi conto che
era stata a un soffio dal perdere tutto ciò che amava.
"Devi credermi, non c'erano
più."
"Ti credo, lo vedo da quanto sei
spaventata." le rispose,
allungando una mano al suo viso.
Serrò gli occhi, posando una
mano su quella di Camus e trattenendola:
"...povero te, che male hai fatto nelle tue
precedenti vite per
meritarmi in questa?"
"In questa e nelle prossime." la corresse,
sorridendo.
Ridacchiò appena, nervosamente,
ma il lassi che aveva bevuto non le
aveva fatto per niente bene: appena avvertì l'acido farsi
strada in gola, si
alzò in tutta fretta e corse in bagno.
"...stavo per chiederle come stava, ma a
quanto vedo, non
bene."
Camus si voltò verso Milo.
"Per niente. L'abbiamo riportata di qua per
un soffio." gli
rispose, seguendo Mei in bagno. "Che sia dannata quella
stramaledettissima
bastarda che sta dall'altra parte."
Sorpreso per le parole dell'amico, Milo si
mosse nella loro stessa
direzione.
"Non parlare così." gli disse.
L'altro aiutò la compagna,
sorreggendole la fronte con una mano e
scostandole i capelli con l'altra.
"Che cosa maledizione crede di poter
ottenere, una volta qui? Il
mio incondizionato, smisurato amore? Non otterrebbe niente, forse un
biglietto
di sola andata per l'inferno." sbottò Camus. "Ha sofferto,
non lo
metto in dubbio. Ha amato e sperato che tutto andasse per il meglio e
non è
accaduto, e posso capire anche questo. Ma non posso e non voglio capire
ciò che
da anni sta facendo: non può vivere una vita che non le
appartiene, non può
essere così egoista da mettere a repentaglio la vita di una
donna e dei suoi
bambini per un miraggio. Da me non otterrebbe che odio, non
è lei il mio
destino."
I conati si fermarono dopo diversi minuti;
Mei allungò una mano e tirò
lo sciacquone, sedendosi, infine, per terra. Accettò la
salvietta bagnata che
Camus le stava porgendo e si rese presentabile.
"Ora come va?"
"Ho male dappertutto. Mi fa malissimo
questa spalla, credo di
averci dormito su." rispose lei, massaggiandosi la spalla e il braccio
sul
quale Camus aveva praticato la leva. "E questa posizione è
scomoda...
aiutami ad alzarmi."
"...e qui viene il bello."
commentò Camus, cercando di
alleggerire la situazione. "Come faccio a tirarti su? Pesi
più di
me."
Lei ridacchiò sommessamente, le
mani sul pancione.
"Ti prego non farmi ridere o va a finire
che faccio pipì qui per
terra." sorrise, esausta. "Milo! Tu sì che sei un vero
amico: non
scappi a gambe levate nemmeno dopo avermi vista nel peggior modo
possibile."
"Sciocca." sorrise Milo a sua volta,
aiutando Camus a tirarla
su dal pavimento.
"...Lixue, dov'è?"
"Shaina l'ha portata alla settima casa, da
tua cognata, non appena
Shion ha richiamato tutti al tredicesimo tempio."
"Perché non è nella
sua stanza?!"
Seguirono diversi secondi di silenzio a
quella domanda.
"Uno di voi due sarebbe così
gentile da rispondermi?"
"Ha sentito cose che non avrebbe dovuto
ascoltare." spiegò
Camus.
"...ad esempio?"
Preferì omettere i dettagli,
decidendo di raccontarle il minimo
indispensabile: aveva iniziato a urlare e agitarsi e la figlia, dopo
averla
sentita, aveva provato a entrare in camera, preoccupata. Tutto
lì.
"Coraggio, siamo attesi al tredicesimo
tempio." la spronò,
prima che potesse chiedere altro.
Ancora un po' debole, Mei si
recò in camera, per cambiarsi il pigiama
sporco.
"Non avresti dovuto mentirle." Milo lo
seguì in corridoio,
diretti alla sala principale dell'undicesimo tempio dove l'armatura
dell'Acquario faceva bella mostra di sé.
"Lo so. Ma hai visto anche tu
com'è agitata."
"Se ne accorgerà comunque e sarà peggio."
"E che cosa avrei dovuto dirle? Niente
di che, dai. Durante
l'incubo per poco non mi hai sgozzato e sventrato con il tuo tantō ma
beh, a
chi non capita? Ma che cosa ti passa per la testa, mh?"
"Per me non è una buona idea."
Nascondeva le sue paure sotto
l'autocontrollo e la solita corazza di
ghiaccio, ma era spaventato quanto sua moglie in quel momento: temeva
per i
bambini, temeva per Mei, temeva per le loro esistenze. La loro bella
famiglia,
per la quale si era anche letteralmente sacrificato, poteva dissolversi
tutto
nel giro di poche ore ed era terrorizzato.
Un minimo di comprensione sarebbe stata
più che gradita.
"Grazie mille Milo, mai e dico mai
una parola di conforto
nei miei riguardi eh."
"Stai fraintendendo le mie intenzioni: non
ti sto rimproverando,
ti sto dicendo di essere chiaro con lei: può scoprirti in
qualunque momento.
Facendo la doccia, o quando siete a letto. A meno che tu non intenda
condurre
vita monacale comportandoti da verginello impaurito anche dopo che quel
taglio
sarà guarito: insomma, rimarrà una bella
cicatrice, e se dovesse vederla, ti
chiederebbe spiegazioni. Perché la sottovaluti? È
più forte di quel che
pensi!" rispose Milo, ripensando ai tragici giorni successivi alla
scalata
del Santuario. "Dopo otto anni insieme e quasi quattro creature, ci
sono
cose di lei che ancora non conosci."
Stava per rispondergli, quando
sentì un fruscio dall'interno.
"...chiedo scusa, ma ho visto che ero in
uno stato molto più
pietoso del previsto." li interruppe Mei, uscendo dalle stanze private.
Si
era rassettata un poco, giusto per andare da Shion e porre fine alla
svelta a
quel dannato problema. "Che cosa succede ancora?"
Camus le sorrise incoraggiante,
circondandole la vita con un braccio e
chinandosi appena per tirarla su.
"Non azzardarti a prendermi in braccio, ti
faresti male." lo
minacciò, invano. "Cam! Maledizione, mi ascolti quando
parlo?"
"Non quando dici sciocchezze."
replicò lui, avviandosi fuori
dall'undicesima casa con passo svelto, come se stesse portando in
braccio una
piuma anziché una donna incinta.
"Oddèi, ho la brutta impressione
che stanotte saremo in cinque a
finire in ospedale." sospirò Mei. "Odio sentirmi una povera
fanciulla
indifesa che ha bisogno dell'aiuto del bellimbusto di turno."
Milo ridacchiò.
"Meglio così, dolcezza,
altrimenti al tredicesimo tempio
arriveremmo il prossimo secolo." le disse, scoccandole un occhiolino.
"Io vado avanti ad avvisare gli altri del nostro arrivo."
"Già che ci sei, avverti il
traumatologico del prossimo arrivo di
un paziente con una bella serie di ernie nelle zone L1-L5."
"La prolungata esposizione a Grey's Anatomy
da' i suoi frutti, a
quanto pare."
"Non prendermi in giro, non sono un medico
ma per lavoro ho dovuto
studiare anche io certe cose."
Superata la dodicesima casa, Camus
rallentò il passo.
"...a-ha, sapevo che avresti ceduto prima o
poi: vedessi come ti
si è gonfiata la carotide! Neanche il delta dello Yangtze ha
tutti questi rami!"
Sospirò, stanco; non per il peso
che stava portando, ma per tutta la
situazione.
"Mei. Non sono stanco. Ho
paura."
Serrò la stretta intorno alle
sue spalle, affondando il volto
nell'incavo del suo collo.
"Scusami." sussurrò. A volte
dimenticava che in certe
situazioni lui tendeva a chiudersi a riccio, a differenza sua che
invece
sfoderava sarcasmo e ironia. "Mi dispiace."
Dalla sommità dell'ultima rampa
di scale, Milo li squadrò, le mani sui
fianchi.
"Dai, che forse facciamo in tempo a
preparare i fuochi d'artificio
per capodanno!"
Cretino.
"Dai, mettimi giù adesso." non
voleva farsi vedere in braccio
al suo compagno, dopotutto non era una di quelle sciocche donnette da
romanzi
rosa: Camus si chinò, posandola a terra con delicatezza,
quindi tentò di
raddrizzarsi.
"Ehm... avviatevi al tredicesimo tempio, io
arrivo subito. Forse. Spero."
"Aveva ragione Mei, bisognerà
avvisare il traumatologico."
scherzò Milo.
"Odio dovertelo dire, ma... te
l'avevo detto." sospirò
Mei, cercando di aiutarlo: gli circondò la vita con un
braccio, decisa a
sorreggerlo fino al tredicesimo tempio.
"Non so se ridere o piangere."
ridacchiò Camus, con una
smorfia.
"Ho preso venticinque abbondanti chili e ho
superato il tuo peso,
come potevi riuscire a portarmi su? Che rottame testardo mi son presa
per
marito!"
"Ah, sono anche un rottame, adesso? Tra i
tuoi doveri di moglie
c'è quello di curarmi quando sono malato!"
"Aspetta, aspetta... ricordo di aver detto prometto
di amarti e
sostenerti fedelmente ogni giorno, nella buona e nella cattiva sorte
durante
tutta la nostra vita, non ricordo altro!"
"No no, c'era anche in salute e in malattia."
Milo
vide l'amica
stringersi il compagno al petto prima di baciarne la testa; stavano
ridendo
entrambi e Camus, dopo un paio di secondi, riuscì a
raddrizzarsi a fatica.
"Alla
buon'ora,
stavamo diventando vecchi." sorrise loro, quando l'ebbero raggiunto.
"Coraggio, vi stiamo aspettando."
E,
esattamente come
svariati anni prima quando era stata convocata al cospetto del
Sacerdote
impostore, si sentì a disagio all'idea di tornare al centro
dell'attenzione,
come una formica sul vetrino di un entomologo; cercò la mano
di Camus e trovò
quanto cercava: una stretta forte, capace di infonderle il coraggio che
le
serviva.
"Dans le bonheur et dans les èpreuves."
[nella
buona e nella cattiva sorte]
"Shi de." [sì]
**
"Questo posto mi ha sempre messo
i brividi. A maggior ragione se sei al centro della scena e sono le
sette del mattino."
sussurrò Mei, attraversando il tredicesimo tempio accanto a
Camus. "No,
non darmi il mantello, va bene così."
Giunti agli scranni riservati ai
Gold Saint, già tutti occupati, Camus insisté per
farla sedere al posto suo,
restando in piedi dietro di lei.
"Mi rendo conto che avresti preferito
riposare, dopotutto sta
albeggiando e sarai esausta." le spiegò Shion. "Ma Dohko mi
ha
spiegato a grandi linee la situazione e credo sia il caso di porre fine
a tutto
ciò con una certa urgenza. Riesci a spiegarci
cos'hai visto questa
volta?"
Ancora troppo sconvolta per
parlare in greco, in un cinese fin troppo rapido -per praticamente
tutti i
presenti a ovvia eccezione di Shion, Dohko e Mu-, Mei spiegò
che dopo il solito
incubo, si era trovata a vagare in un Santuario che non riconosceva, in
un
corpo che non era il suo e in una realtà che non le
apparteneva: Hades non si
era ancora risvegliato, i soli Saint vivi erano i sopravvissuti della
scalata
al Santuario e lei viveva all'ottava casa, Milo la trattava come una
pazzoide fuori
di testa e soprattutto non era incinta: il suo destino e quello del suo
alter
ego avevano preso strade completamente diverse a partire dalla fine di
Ares.
"...Mu stesso mi trattava
come se fossi stata una squilibrata pronta a fare gesti inconsulti da
un
momento all'altro. Da quel poco che ho capito credo addirittura che sia
tenuta
costantemente d'occhio, che le sia quasi impedito di uscire di casa.
L'ultima
cosa che ricordo è che mi stavo difendendo: non
ho più niente da perdere... sì, credo
di aver detto qualcosa del genere."
"Ed ecco spiegato perché la
mia voce ti agitava tanto."
Dohko tradusse a beneficio degli
altri Saint, mentre Mei cercava di calmarsi.
"È stato in quel momento che
sono intervenuto." annuì Camus, quando la traduzione
terminò.
"Non è stato il solito
incubo, sei stata lei per qualche istante: è stata
abbastanza forte da farti
vedere come vive senza però riuscire a prendere il tuo
posto." ragionò Mu.
Qualche istante... Camus inarcò
un sopracciglio. Per lui quei minuti erano stati lunghi come ore.
"Non è stato un suo errore,
credo piuttosto che l'alter ego si sia volutamente limitata: ha testato
le
resistenze di Mei e ora che ha capito come
usarla per raggiungere i suoi scopi, farà di tutto per avere
successo."
"Oddio, quando finirà
quest'incubo? Perché le sta facendo questo? La sta
torturando da anni!"
"Proprio non lo capisci
Camus? Mei ha tutto: ha te, ha i tuoi figli, trascorrerà la
sua intera
esistenza con te. L'altra non ha niente. Vive con un uomo che non ama e
che la
considera pazza."
"É solo disperata, non
pazza." sussurrò Mei.
"Non la giustificare."
"Ma non la sto
giustificando! Io la compatisco,
è
diverso. Ho provato sulla mia pelle la stessa disperazione." disse Mei.
"Sentire l'uomo che ami mentre si spegne, vedere il suo corpo su un
tavolo, sapere che non lo rivedrai mai più... solo chi l'ha
provata può capire
fino a che punto può arrivare la disperazione. Sei inerme e
del tutto in balìa
del dolore e in quei momenti orribili sei disposta a fare qualunque
cosa per
non sentirlo più."
Camus le strinse la spalla,
comprensivo.
"L'altro me ti considera
pazza? Sicuramente é un imbecille." interloquì
Milo, facendola sorridere.
"Giunti a questo punto temo non
ci sia altra soluzione." commentò Shion, guardando Dohko.
"Anche
perché non abbiamo altro tempo per pensare a un'alternativa."
Dohko annuì, con aria grave.
"Temo proprio di sì.
"Che cos'avete in mente di
fare?" interloquì Camus.
"Bloccare l'altra
anima."
Camus inarcò un sopracciglio.
"Ah, tutto qui. Bloccare l'anima..."
"Senti un po', ragazzino,
non mi piace la punta nemmeno troppo velata di sarcasmo che hai appena
usato:
io non derido le tue capacità, tu non deridere le mie."
"E se dovesse far
resistenza?" intervenne Shiryu.
"La mia intenzione primaria
è bloccarla e impedirle ogni accesso futuro. Ma se si
renderanno necessarie le
maniere forti, allora la elimineremo."
"Potrebbe aver ripercussioni negative sui
bambini?"
Dohko le sorrise, con fare
paterno.
"No, non preoccuparti."
"E su Mei?" interloquì
Camus.
"Scusate se disturbo le
signorie vostre, ma giacché sono stato costretto ad alzarmi
dal letto per
venire qua, vorrei almeno capirci qualcosa." esclamò
DeathMask.
"Nessuno ti obbliga a
rimanere." intervenne Shiryu.
"Non ho parlato con
te."
"Dunque, prima
dell'intervento di questi due fanciulli, stavamo dicendo che qualunque
cosa decideremo
di fare, non danneggerà in alcun modo i bambini
né Mei, in quanto le anime e le
dimensioni cui appartengono sono del tutto scollegate tra loro." Dohko
pose fine alla questione, lanciando un'eloquente occhiata a entrambi.
"E intervenendo, in qualche
modo riusciremo a sistemare la faccenda una volta per tutte? Questa
volta c'è
mancato davvero poco, non riuscivo a svegliarla."
"Come sarebbe a dire?"
Come quell'ultima volta all'isba,
aveva iniziato a scuoterla usando il Cosmo per svegliarla, ma senza
successo;
senza l'intervento di Hyoga e del suo Cosmo probabilmente Mei non si
sarebbe
più ripresa.
"Non è merito mio, ho
sentito la presenza di altre persone nella stanza." si
schermì Hyoga,
avvertendo subito dopo l'occhiata di Camus. "Una di loro era
sicuramente
mia madre."
"Magari mi sbaglio ma...
credo d'aver percepito un terzo Cosmo, che si è affievolito
quando Mei si è
ripresa." spiegò Milo. "Lo stesso che ho avvertito qualche
mese fa
mentre voi due eravate a Kobotec."
Mei rabbrividì: dunque mesi prima
non si era sbagliata, quella sensazione, provata durante l'aggressione
di Oleg,
non era dovuta all'adrenalina.
"Potrebbe trattarsi di
Degél?" domandò Camus. "So che è stato
molto vicino a Mei negli anni
passati."
"Non ha mai smesso di starmi
vicino." puntualizzò lei.
"Lo avverto anche io, ma
sfortunatamente gli spiriti non possiedono Cosmo." disse Dohko.
"Quindi, per quanto ciò sia poetico e in qualche modo mi
conferma ciò che
già sapevo sul conto del mio compianto compagno d'armi,
Degél non ha potuto né potrà
in futuro aiutarti in questo senso."
"Eppure l'ho avvertito anche
io." interloquì Shiryu. "Un Cosmo mai sentito prima ma
familiare."
"Io credevo fossi tu."
Milo guardò Hyoga.
"Io? Quando sono
arrivato Mei si era già ripresa, tu e Camus avevate
già sistemato tutto."
"Eppure quel Cosmo
assomigliava molto al tuo e l'ho sentito proprio in casa, molto
vicino."
insisté Hyoga. "Per questo ho pensato fossi intervenuto tu."
"Beh, io non c'ero o avrei
assestato un bel calcio nel sedere a quei dannati bastardi."
Mu si schiarì la voce,
riflettendo su quello scambio d'informazioni: i soli spiriti, per
quanto
potenti, non erano del tutto in grado di intervenire efficacemente
contro
minacce di quel genere. Dohko aveva ragione. Degél, per
quanto capace di interagire
con i vivi, non possedeva certe capacità. Doveva esserci
altro sotto: a quel
punto il Cosmo sconosciuto non era solo dentro la stanza.
"Mei, a quale segno
zodiacale appartengono i feti?" esordì, di punto in bianco,
interrompendo
Milo.
"Drago."
"Ma no. Parlo dello zodiaco
occidentale."
"In teoria il cesareo é
previsto per la prima metà di maggio, quindi nasceranno
sotto il segno del
Toro." rispose Camus.
Shiryu corrugò la fronte.
"Il Cosmo che ho sentito
prima però non aveva nulla in comune con quello di
Aldebaran." disse.
"E tu, Mei?"
"...Scorpione."
rispose dopo qualche attimo, quasi all'unisono con Camus.
Mu tacque qualche minuto.
"A cosa stai pensando?"
gli domandò Shaka.
"Nulla di che, sarebbe una
teoria troppo azzardata e priva di precedenti." rispose, scuotendo la
testa come per scacciare quei pensieri.
"Spiegati, magari non è così
assurda come credi." insisté Shaka.
"D'accordo. Dunque sappiamo
che, a differenza di tuo fratello, non hai sviluppato il Cosmo e quindi
questo
è rimasto latente e nascosto da qualche parte dentro di te
come succede alla
stragrande maggioranza degli esseri umani." spiegò Mu. "Le
cose però
sono cambiate: da quando i tuoi incubi hanno iniziato a farsi
più pressanti, il
Cosmo è uscito allo scoperto e si è manifestato,
attivando dei meccanismi di
difesa."
Camus corrugò la fronte.
"Non ho mai sentito
niente."
"Questo perché non è attivo direttamente
su di lei, ma dentro di lei."
"...no." sussurrò
Mei, serrando gli occhi.
"Forse uno dei feti ha
avvertito il pericolo e ha in qualche modo assorbito il Cosmo per
difendere la
madre. Come se l'avesse ereditato."
L'intera sala divenne
sinistramente silenziosa dopo quelle parole.
Poteva mai essere? Certe cose
potevano davvero essere ereditate come il colore degli occhi o dei
capelli?
"Beh, a dire il vero tua figlia ha ereditato
qualcosa. Resiste piuttosto
bene al freddo, ma il suo Cosmo è un discorso a parte,
è acerbo e rimarrà tale,
temo." rispose Dohko. Pensò
ai suoi antichi
compagni d'arme e a chi li aveva preceduti: quanti di loro avevano
vissuto
abbastanza a lungo da poter mettere su famiglia? Pochissimi, si
potevano contare
sulle dita di una mano. "Pochi Gold Saint finora hanno vissuto a lungo,
quel tanto che basta, cioè, a mettere al mondo dei figli."
"A parte te e Ilias."
interloquì Shion, in cinese.
"A parte Ilias." lo
corresse Dohko, sbrigativo. "Ilias e
basta, Shion, non ne parlo da più di cent'anni e non voglio
parlarne ora. Esiste
la remota possibilità che la teoria di Mu sia esatta, in
qual caso potrebbe non
solo possedere caratteristiche affini a Milo, che governa il segno di
Mei, ma
anche affini a te."
Milo
proruppe in un largo
sorriso.
"Ci pensi, Mei? Potresti dar
vita a un Saint in grado di paralizzare il sistema nervoso e congelare
l'avversario nello stesso momento!"
"Non è il momento più adatto
per parlarne." lo interruppe Camus, notando lo sguardo di fuoco della
compagna.
"Come Hagen ad Asgard
potrebbe quindi manipolare più poteri?"
"Molto probabile, Hyoga. Ma finché
non saranno al mondo, non lo sapremo con certezza anche se spiegherebbe
l'autodifesa operata dal bambino o dai bambini, a questo punto tutto
è
possibile."
"Oppure, se mi è concesso
parlare, azzarderei l'ipotesi che sia stato Kardia, in qualche modo, a
intervenire. La stessa sensazione l'ho vissuta anni fa, durante il
periodo
della guerra contro Hades, e all'epoca avevo già ampiamente
partorito."
spiegò Mei. "È successo a me, so che cosa ho
provato."
"Ipotesi più ragionevole, la
tua." interloquì finalmente Shion. "Ricorda che cosa ti ho
detto nel
vecchio osservatorio."
"Scusa Shion, ma come Degél,
Kardia è uno spirito e non può..."
"...perdonatemi se vi interrompo, Maestro, ma Degél non ha
alcun potere su
di me per il semplice motivo che non appartengo al suo segno. Al
contrario, Kardia
può influenzarmi. Siete stato voi a dirmelo, ricordate?"
"Kardia o no, Mei, resta comunque una difesa debole, inadatta a reggere
la
situazione. Spero che la soluzione proposta da Shion sia semplice come
dice...
bisogna creare un collegamento con la tua mente, entrare nel tuo
inconscio e
raggiungere il tuo alter ego." spiegò Dohko.
"Quanti tentativi
abbiamo?" domandò Shaka.
"Uno solo."
Shaka scosse la testa.
"Lascio volentieri a qualcun
altro il compito di aiutarti, non sono sicuro di poterlo fare."
"Death potrebbe."
intervenne Aphrodite.
Camus si schiarì la voce,
ignorando DeathMask e guardando poi Saga.
"Tu potresti riuscirci."
L'altro annuì, osservando Mei
voltarsi di scatto, inviperita, verso il compagno.
"Una volta che io e Shion raggiungiamo
l'alter ego attraverso l'inconscio di tua moglie, potrei usare un colpo
psichico e rimuovere i suoi ricordi, obbligandola a dimenticarsi di
lei. Se
opporrà resistenza, la obbligherò a uccidersi."
spiegò Saga, annuendo.
"Sì, non sarà così difficile. Credo di
potercela fare."
"Che mostruosità."
interloquì Shiryu.
"Sono contrario alla
violenza, eppure non c'è molta scelta: l'altra Mei ha
intravisto in tua sorella
una possibilità di vivere la vita che lei sta vivendo e
sfuggire a una
situazione insostenibile. Se dovesse succedere, la cosa migliore che
potrebbe
capitarle è finire al posto suo: ne ha avuto un assaggio
durante l'ultimo
incubo, perderebbe ogni cosa."
"Contrario alla violenza? Tu,
contrario alla violenza?! Siamo in
questa situazione perché sicuramente le tue manie di dominio
hanno contagiato
le tue anime anche nelle altre dimensioni scatenando catene di episodi
violenti
e tu saresti contrario alla
violenza?
In tredici anni ne hai combinate più tu che Gengis Khan in
tutta la sua vita e hai
ancora il coraggio di sparare certe affermazioni? Tua madre non avrebbe
mai
dovuto partorirti, né in questa dimensione né in
nessun'altra!!" sbottò
Mei, furibonda.
Dohko indicò Mei a Shion: l'aura
che la circondava era la stessa che, ai loro tempi, aveva circondato
Kardia.
"Avevi ragione."
mormorò.
"Come sempre." sorrise
Shion.
"Mei-Yin." intervenne Aiolos, a
bassa voce.
"Dopo quello che vi ha fatto
insistete a difenderlo?"
"Erano altri tempi e altre
situazioni, tu non puoi capire."
"No, e nemmeno voglio provare
a farlo. Non ho l'Alzheimer, mi ricordo benissimo quel pomeriggio, in
questo
stesso tempio, quando questo sant'uomo del vostro amico mi chiese di
tradire
Dohko e la mia famiglia per diventare una spia al suo servizio. Voi
volete
dimenticare? Fatelo, le vostre coscienze non sono affare mio. Ma non
venite a
parlarmi, nessuno di voi, che erano altri
tempi e altre situazioni come se ciò potesse
giustificarlo." replicò
Mei. "Mi ricordi i psicopatici che sterminano la famiglia o intere
classi
di studenti e se la cavano con la scusa dell'incapacità di
intendere e di
volere facendola franca a dispetto di tutti."
"Il passato va lasciato
dov'è, credimi, è meglio così."
riprese Aiolos.
Dopo qualche istante, Camus si
schiarì la voce.
"Vogliamo tornare, per
favore, al perché di questa riunione? Mei, è
mattina e abbiamo dormito poco,
che ne diresti di procedere?"
"Certo. Tanto qui è come
cozzare contro un muro di gomma, non si va da nessuna parte."
sospirò
quindi Mei.
"Merci beaucoup."
"Dunque è deciso?"
intervenne Dohko, rapido.
"DeathMask." rispose
Mei.
"Saga." disse Camus,
nello stesso momento.
"Hey, cosa? Saga?"
sbottò Mei, scattando in piedi,
gli occhi ridotti a due fessure. "Tu
as perdu la tête ou quoi? Non! Pas question! " [No, neanche per sogno.]
Anche Camus, a sua volta,
assottigliò lo sguardo.
"Ceci n'est
pas le moment meilleur pour blaguer, Mei." [Non è il momento
migliore per scherzare,
Mei.]
"Est-ce que j'ai
la face de quelqu'un qui blague?" [Ho la faccia di una che scherza?]
"J'ai pas l'intention de considérer
l'alternative!" [Non
ho alcuna intenzione di
prendere in considerazione l'alternativa!]
Anche perché l'alternativa era DeathMask,
e a parte il rispetto dovuto come parigrado, non nutriva alcuna fiducia
nel
Saint della quarta casa: affidare Mei nelle sue mani? Neanche per idea.
Mei guardò per un attimo DeathMask
prima di tornare a posare lo sguardo, fermo, su Shion, indicando con un
ampio
gesto del braccio i Saint presenti.
"Mi è concesso decidere o
han deciso già lorsignori?"
Shion sorrise benevolo.
"Nessuno ti costringe a
compiere qualcosa che va contro la tua volontà." rispose,
ricevendo in
risposta l'occhiata tagliente di Camus.
"Grazie."
rispose Mei, ironica. Puntò l'indice contro DeathMask. "Se
devo per forza
fidarmi di uno di voi due, allora preferisco dovermi fidare di te."
DeathMask, vuoi per lo stupore o
per l'improvvisa tensione che aleggiava nell'aria, non
profferì parola,
limitandosi ad annuire brevemente.
"Non te lo permetto!"
sibilò Camus, a voce così bassa che
poté udirlo solo lei e, sicuramente, anche
Shiryu, poco distante.
"Parafrasando una certa
frase, Cam… la mente è
mia e la gestisco
io." replicò. "Quando sei pronto, DeathMask."
La presa sul suo braccio si fece
più forte.
"Gradirei parlarti in privato."
sibilò, senza lasciarla andare.
"Domando scusa, signori. Ci assentiamo qualche minuto."
La scortò fuori dal tredicesimo
Tempio, seguito da Shiryu, fermandosi davanti all'altare di Athena.
"Mi stai facendo male."
mormorò Mei, inducendo Camus a lasciarle il braccio. "Che ti
succede?"
"Cosa succede a te,
piuttosto! Non hai idea dell'entità del guaio nel quale stai
per cacciarti."
"Forse no, ma non voglio
l'aiuto di Saga."
"E vorresti quello di
DeathMask? Questo vuol dire proprio andare a cercarsi le disgrazie!"
interloquì Shiryu.
"Appunto. Tu non lo conosci
come lo conosciamo noi."
Mei fulminò entrambi con lo
sguardo.
"Ma guardatevi, fino a
mezz'ora fa vi sareste scannati a vicenda alla prima occasione
disponibile e
ora fate comunella." sbottò Mei. "È proprio vero
che le persone non
sempre sono come ci appaiono."
Camus si premette due dita alla
radice del naso, come tutte le volte che avvertiva l'arrivo
dell'emicrania.
"Ascolta. Il fatto che siete
conterranei e che hai parlato e passeggiato con lui un paio di volte
condividendo del cibo non significa né che lo conosci,
né che puoi
fidarti."
"E dunque dovrei fidarmi di
Saga?" rispose Mei. "Dammi un valido
motivo!"
"Saga non tappezzava i muri
di casa sua con i volti delle sue
vittime per trarne gloria e piacere. Non si vantava di trarre forza dal
loro
odio, nutrendosi del dolore che si lasciava alle spalle. Non si
divertiva a
schiacciare con crudeltà i suoi macabri trofei vantandosi
delle torture
inflitte a quei poveri disgraziati, ecco perché." disse
Shiryu, stavolta
incapace di trattenere il tono di voce. "Io ho
visto che cosa c'era alla quarta casa: non ha ucciso solo
uomini, ha massacrato anche donne e
bambini. Anime innocenti
dell'età di
Lixue o dell'età di mia figlia, o peggio... tra le sue
vittime c'è stata anche
una donna incinta! E non lo so per sentito dire, ma perché ho visto lo spirito di quella donna e del
suo bambino tra le tante
anime martoriate. Una donna come te, santi numi, svegliati!!"
"Aspetta un attimo, perciò a
starvi a sentire, io dovrei evitare la quarta casa ma recarmi con
fiducia da
uno psicopatico che soffre di disturbi dell'identità e che
durante la sua
egemonia organizzava e partecipava a vere e proprie orge in luoghi
sacri. Ah
beh, il vostro discorso non fa una piega."
"A dire il vero le cose non
stavano proprio così..."
"Ah no? Ma se Cora stessa ti era stata offerta in dono
dall'allora Ares. Non fare quella faccia, sono meno stupida di
quanto pensi."
"Non ho mai pensato che tu
sia stupida anche se in questo momento nutro dei seri dubbi sulle tua
facoltà
mentali: io non capisco, hai già avuto modo di vedere come
si comporta con il
prossimo, hai visto cosa stava facendo a tuo fratello non appena l'ha
avuto tra
le mani e sai che Shiryu ne è uscito per puro miracolo,
dunque perché ti getti
volontariamente tra le sue grinfie? Ha provato a uccidere Shunrei,
l'hai
scordato?"
"Io ricordo benissimo. Non
pensarci nemmeno, Mei."
"Tu fatti da parte. L'unico
ShuFang che poteva comandarmi rispondeva al nome di Wei-He." rispose
Mei.
"Nessuno di voi due ha il potere di darmi ordini."
"Oh no, sbagli, razza di
scellerata. Ho tutto il diritto di fermarti se stai per commettere una
stronzata che potrebbe costare la tua vita e quella dei nostri figli."
sbottò Camus. "Non ti permetterò di farlo."
Quello era davvero il colmo.
"Ho battuto la testa e ho perso la facoltà d'intendere e di
volere? Non
sta a te decidere: sei mio marito,
non il mio tutore legale.
Non ho alcuna intenzione di
affidarmi a uno come Saga."
"E allora preferisci
affidarti nelle mani di un assassino?" gridò Shiryu.
"Odio dirlo, ma tuo fratello
ha effettivamente ragione."
"Smettila, accidenti a te!
Quanto mi dai fastidio quando fai il voltagabbana in questo modo!!
DeathMask è
un assassino? E perché, Saga che cos'è?"
sbottò Mei. "Un meschino e
volgare cialtrone che vi ha tenuti sotto i piedi per tredici anni,
usurpando un
trono che non era e non sarebbe mai
stato suo, un vigliacco che ha eliminato il suo avversario diretto
dichiarandolo traditore! Uno psicopatico che ha quasi ucciso la vostra
Dea e ha
mandato a morte te, DeathMask, Shura e Aphrodite in un gioco al
massacro
facendo i propri interessi e lasciando i rimanenti Saint con
nient'altro che un
pugno di macerie e osate ancora dirmi che preferireste sapermi nelle
mani di un
verme del genere anziché in quelle di DeathMask?
...sì, so che cos'ha fatto, so
come ha agito e so che cosa stava per portarmi via, ma ha sempre avuto
la
decenza di mostrarsi per quello che è, senza recitare la
parte del sant'uomo
buono, caritatevole e amato dalle genti! È un essere umano,
ha sbagliato e ha
già ampiamente fatto ammenda dei suoi errori pagando con la
propria vita, più
volte oltretutto."
"Anche Saga." precisò
quindi Camus.
All'interno del tredicesimo
Tempio, dove le parole dei tre si sentivano fin troppo chiaramente tra
l'ansia
e l'imbarazzo generale, Hyoga si alzò dirigendosi verso
l'esterno.
"Hyoga, Mei deve già
difendersi da due persone, non ti ci mettere anche tu." disse Milo.
"A dire il vero esco proprio
per darle una mano."
"Per fare una citazione
Disneyana...che situazione imbarazzante."
Aiolos si voltò verso Saga.
"Sì, mi pare proprio il
momento di fare lo spiritoso."
"Ma guardatevi, due uomini
grandi e grossi contro una gentil-...
contro una donna. Dentro hanno sentito tutto." esordì Hyoga,
raggiungendoli.
"Benone, almeno non dovrò
ripetere."
"Cosa sei venuto a
fare?" fece Camus.
"...a darti manforte, e cosa
altrimenti?"
Hyoga si accostò a Mei.
"Rinfodera la lingua
biforcuta, tu. Mei è in svantaggio numerico, quindi sono qui
per darle
sostegno."
Lo guardò sorpresa, squadrandolo
da capo a piedi.
"...grazie!"
"Fantastico." commentò
Camus.
"Il punto è, Camus, che Mei
preferisce riporre la sua fiducia in DeathMask e imporle la tua
decisione non è
giusto."
"Credo proprio che questi
non siano affari tuoi." fece Shiryu, cercando di rimettere Hyoga al suo
posto.
"Beh, nemmeno tuoi."
ribatté Mei. "Tra i presenti tu sei l'ultimo a poter ficcare
il naso nei
miei affari, figuriamoci prendere decisioni al posto mio."
"Stiamo cercando di farti
ragionare!"
Hyoga si schiarì la voce e
incrociò le braccia sul petto.
"No, le state imponendo di
fare una scelta che non vuole fare." disse. "Da
te mi aspettavo qualcosa di meglio."
"Se al posto suo ci fosse Freya, cosa faresti?"
domandò quindi
Camus.
"Che cosa mi hai sempre detto? Rispetta
il prossimo, Hyoga. Rispetta
le opinioni di chi la pensa diversamente da te anche se non le
condividi. Non
limitare mai la libertà di chi ti circonda, sii rispettoso
verso il prossimo e
sarai rispettato. Parole tue, le stesse
che mi hai insegnato e che stai trasmettendo a tua figlia: dovresti
quantomeno
dare il buon esempio e rispettare per primo chi non la pensa come te,
non puoi
darle delle regole se poi tu per primo le infrangi. A questo punto
però mi sa
che le tue regole valgono solo per gli altri e non per te."
"Te lo chiederò di nuovo. Se al
posto suo ci fosse Freya, cosa faresti?
Se ci fosse la tua donna,
fisicamente e mentalmente vulnerabile e per di
più incinta dei tuoi
figli, al suo posto, che cosa faresti?"
Mei sbuffò, mentre Shiryu
guardava a turno i due.
"Che si cali il sipario,
signori e signore, la commedia è finita. Camus ha iniziato a
sproloquiare in
russo."
"...ma che razza di lingua
è? Per fortuna che siamo noi cinesi quelli che parlano in
maniera
incomprensibile..."
"La lascerei libera di prendere la decisione
che preferisce."
rispose Hyoga, senza esitare.
Camus assottigliò lo sguardo,
furioso, la voce tagliente e fredda.
"Oh, quant'è facile parlare quando
non si é direttamente coinvolti in
una faccenda."
"Bene, quando poi ha sbollito
la rabbia e tornerà a parlare una maledettissima lingua che
posso capire,
avvertimi." Mei interruppe Hyoga.
"Ferma lì." le
ordinò Camus, tagliente.
"Non azzardarti a usare
ancora questo tono con me." sibilò lei in risposta. "Con chi
credi di
parlare, con la tua attendente?"
"É adulta e capace di
decidere per il meglio. Sei preoccupato per i bambini e davvero, ti
capisco,
però..."
"Sarei contrario a questa decisione anche se
non fosse incinta!"
Hyoga sospirò, fermandolo.
"D'accordo, d'accordo.
Mettiamola in questo modo allora: immagina di avere un certo grave
problema che
non ti fa stare bene. Immagina che la tua unica soluzione sia Shiryu
che, lo
sappiamo tutti, sopporti come riesci a sopportare il caldo estivo, e
immagina
qualcuno che ti costringe ad affidarti a lui per risolverlo.
Accetteresti la
decisione o faresti di tutto per cercare una soluzione alternativa?"
domandò Hyoga.
"Sì."
"Sì cosa?"
ripeté Mei.
"Sì, mi farei aiutare."
Mei alzò le mani.
"Ragazzi, scusate, ma la mia
intelligenza non tollera stupidaggini di questa portata. Per oggi ne ho
sentite
troppe, basta." disse, prima di tornare nel Tempio. "DeathMask,
quando sei pronto."
L'interessato si alzò e annuì.
"Arrivo. Da te o da
me?" le domandò.
"… ti piacerebbe." ghignò
Kanon.
"Voglio dire, preferisci la quarta casa o l'undicesima?"
"L'undicesima a breve
diventerà una ghiacciaia." gli rispose. "Credo che la quarta
casa sia
più indicata."
Shiryu, Camus e Hyoga rientrarono
subito dopo.
"Fermi un attimo, qui
nessuno va da nessuna parte."
"Figliolo, non ti
intromettere. Non è affar tuo." interloquì Dohko.
"Perciò la mia opinione non
conta niente per te?" protestò Camus. "Il fatto che sia
assolutamente
contrario a questa… follia non ha alcuna importanza?"
"Ho ascoltato la tua opinione
e la rispetto, so che sei incredibilmente preoccupato per me,
ma… non sei tu
quello che si deve sottoporre a questa
cosa. Si tratta della mia
mente, io decido che cosa fare."
"Miei Dèi." mormorò
Camus. "Ti prego rifletti e per una volta metti da parte il tuo
orgoglio... se non per me, almeno per i nostri figli! Non sei
più una
ragazzina, sei una donna adulta con delle precise
responsabilità, non puoi più
pensare solo a te stessa, hai una figlia alla quale pensare, sei
incinta, pensa
anche a loro! Lascia che sia Saga ad aiutarti, ha più
esperienza!"
Ah, quello sicuramente, dati i precedenti.
"Non usare questi ricatti
morali con me. Ho già detto che non ho intenzione di
permettere a quella
persona di avere libero accesso alla mia mente."
"Quella persona è
già meglio di verme."
commentò Saga.
"In effetti il verme è un
animale fin troppo decoroso."
"Senti… ho sempre appoggiato
ogni tua decisione, sempre, perché mi fido di te e
perché non posso e non
voglio importi di fare qualcosa che non vuoi." disse Camus in un ultimo
tentativo di farle cambiare idea. "Ma questa volta non posso
lasciartelo
fare."
"Quello che faccio non lo
decidi tu."
"Dunque a me non pensi.
Conto così poco per te?"
"Ma che cosa stai
dicendo?!"
"Non tieni conto di quanto
questo mi faccia male? Di quanto sono preoccupato? La mia opinione non
conta
niente?"
Mei trasse un gran sospiro.
"Molto bene, vorrà dire che imparerò a convivere
con quei dannati incubi.
Signori, mi dispiace aver causato tanto trambusto: vogliate scusarmi e
tornare
nelle vostre case, come se nulla fosse successo."
Dohko si alzò, per tentare di
calmare entrambi.
"Il problema è, Mei, che la
gravidanza ti ha resa più vulnerabile e la tua mente non
è più in grado di
reagire tempestivamente a quella minaccia. La prossima volta il tuo
alter ego
potrebbe riuscire a possedere il tuo corpo scalzandoti del tutto e tu
smetteresti di essere Mei." spiegò Dohko. "Se dovesse
succedere, non
ci sarebbe modo di tornare indietro: la tua anima potrebbe morire
definitivamente o vagare come spirito."
Kanon ridacchiò.
"Diventeresti uno spirito
maligno." disse, squadrandola da capo a piedi: con i capelli sciolti,
il
suo kimono rosso sangue e il suo sguardo profondo –seppur
segnato da due
paurosi cerchi neri dovuti alla stanchezza- aveva un qualcosa
di… inquietante. "The Crimson Demoness."
"Ah no!" lo corresse
Milo. "The Scarlet Demoness. Mei
appartiene al mio segno."
"Che disdetta, fratello.
Quelle belle e pericolose sono sempre occupate."
"Non sarei comunque alla tua
portata." replicò Mei, con arroganza.
Dohko si schiarì la voce.
"Smettetela. Torniamo a cose più serie."
"Appunto. DeathMask, io sono
pronta."
Quest'ultimo annuì, sempre in
silenzio, e si avviò a passo svelto alla quarta casa, a
prepararsi.
"Con permesso."
"Ah no, un accidenti."
Sotto lo sguardo attonito di Dohko
e degli altri, Camus afferrò Mei e la riportò
all'undicesima casa.
***
Lady Aquaria's corner
Questo è uno dei capitoli più lunghi
che abbia mai scritto, ed era pronto
già da diverso tempo, peccato per l'empasse dei due capitoli
precedenti che mi
hanno bloccata per un po'.
Comunque... se siete giunti fino
a queste note, avrete notato che, ahilui, ci sono un paio di cattiverie
sul
Saint della Terza Casa: per quanto possa sforzarmi personalmente di
apprezzarlo, la mia Oc non riuscirebbe a fare altrettanto nemmeno in
seimila
vite. Ma se può consolarvi, apprezza Kanon.... :D
-Qi-Gong e Chakra: il primo
è collegato in parte alla medicina tradizionale cinese e a
diversi aspetti
delle arti marziali, il secondo e in particolare il
sesto che Dohko,
su suggerimento di Shaka, "aziona" per aiutare Mei, è
presente (tra
le altre cose) nella medicina ayurvedica. Dohko utilizza questi due
elementi
per far sì che la Mei che fa parte del suo mondo possa
riprendere la coscienza
di sé e contrastare l'altra sé stessa.
-Lassi:
fa parte della cucina
indiana ed è una bevanda tradizionale a base di yogurt. Con
l'aggiunta di
spezie varie (ad esempio la curcuma) è utilizzato come
rimedio per diversi
problemi.
-Yangtze:
il fiume più
lungo dell'Asia.
-La canzone che da' il titolo al capitolo è di Alice Cooper
ed è riferito a ciò che prova la Mei dell'altra
dimensione (e che prova a far capire alla sua alter ego fortunata)
Spero di non aver saltato altre
note, alla prossima.
Lady Aquaria
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Capitolo 35 *** The way it ends. ***
capitolo 35
35.
The
way it ends.
This is the way
it ends
Don't tell me its meaningless
There'll be no compromise
We fall, and we too, shall
rise
You held me and taught me how
I think I am ready now
If this is the way it ends,
Then this is the way its meant
to be
[The way it ends – Landon Pigg]
"Mi stai facendo
male!!" gridò, inducendolo a lasciarle il braccio. "Ma sei
impazzito?!"
"Ah, io? Senti chi parla. Non
so più come dirtelo che non intendo lasciarti nelle mani di
DeathMask."
"Beh, lo dovrai accettare." gli rispose, cercando di uscire.
Gli ultimi barlumi di pazienza
evaporarono come d'incanto.
"Non ti azzardare!"
sibilò, bloccandole ancora la strada.
Ben lungi dall'essere impaurita
da quello scatto rabbioso, Mei sostenne il suo sguardo.
"Se ti metto le mani addosso
ti faccio male, lo giuro su mia madre."
"Tu non andrai alla quarta casa.
Mei, te lo proibisco."
Scoppiò a ridergli in faccia,
cosa che lo mandò letteralmente in bestia.
"Hey, hey. Calmiamoci, tutti
quanti." interloquì Milo, guadagnandosi l'occhiataccia
dell'amico.
"Tu, perché sei incinta, e tu perché non si urla
in questo modo contro una
donna. Che diamine, non ti riconosco."
"Ora sei anche tu contro di
me?"
"Non sono né contro né a
favore." precisò Milo. "Potessi, vi spaccherei la faccia, a
tutti e
due. Calmatevi prima che finisce male."
"Io sono calma." obiettò
Mei. "Se cercavi una fragile,
placida, sottomessa ragazza cinese, ebbene, quel giorno avresti dovuto
guardarti
intorno al Goro-Ho, quante ragazze corrispondono a quella descrizione!
Ragazze
che si annullano per compiacere il loro uomo, che smettono di pensare,
che
venerano la terra sulla quale il loro venerabile sposo poggia i piedi.
Io non
sarò mai così, ficcatelo bene in testa! Hai
sempre saputo com'è il mio
carattere, come sono, sai che non permetto a nessuno di decidere al
posto
mio!"
Stupida, dannatissima testarda.
"Allora dai! Coraggio, vai
pure alla quarta casa. Fai pure quello che ti pare, dato che la mia
opinione
non conta. Ma ci andrai da sola."
sbottò. "E tu tornatene a casa, non ho voglia di parlare con
nessuno!"
Lo guardarono allontanarsi in
direzione dello studio, il Cosmo contenuto a malapena, palesemente
furioso.
"Mi dispiace." mormorò
Mei.
"Posso parlarci."
"No, per favore.
Peggioreresti il suo umore ed è già parecchio
insopportabile in questo momento.
Staremo bene, non preoccuparti...torna da Shaina, non pensare a me."
Restò qualche istante in
corridoio, appoggiandosi al muro: le ci volle tutto l'autocontrollo
appreso in
anni di arti marziali per non rispondergli a tono e rinfacciargli cose
che, lo
sapeva, avrebbero rovinato il loro rapporto, forse per sempre. Ma se da
un lato
doveva tenere a freno la lingua, dall'altra aveva ogni diritto di dire
la sua.
"So che siete adirata, ma
non fatelo, ve ne prego."
Riaprì gli occhi dopo qualche
istante, mettendo a fuoco Degél, in piedi davanti a lei.
S'incupì, guardando
quel volto eternamente giovane che dopo anni tornava a confortarla ed
alleviare
le sue pene nonostante lui stesso ne avesse bisogno.
"È così difficile."
"Lo so, Mei."
Si asciugò rabbiosamente gli
occhi con il dorso della mano e tirò su col naso. Era
stanca, aveva un sonno
tremendo e i bambini nel suo grembo continuavano ad agitarsi e giocare
con la
sua vescica.
"Sapete cosa mi fa davvero
male? Io gli ho dato tutto di me.
Ho
lasciato la mia casa, il mio lavoro, il mio Paese... ho cambiato
continente,
persino... e mi sono messa nelle sue mani. Letteralmente,
nelle sue mani. Gli ho dato la mia totale fiducia, gli ho
dato tutta me
stessa e l'ho fatto volentieri perché lo amavo e lo amo, e
non ho mai preteso
niente in cambio. E lui…? Lui si rifiuta di accettare e
assecondare la mia
volontà e di starmi vicino in un momento che per me
è sfibrante." gemette
Mei, sorreggendosi poi la pancia. "Perché io sono costretta
ad ascoltarlo,
ma lui non ricambia il favore."
"Non si tratta di questo,
sapete anche voi che è preoccupato. Non potete fargliene una
colpa."
E della sua preoccupazione non si
curava nessuno? I patemi d'animo che aveva avuto da quando aveva
scoperto di
essere incinta, non erano importanti? "Temo dobbiate scendere entrambi
a
dei compromessi. Per amore, mia cara, bisogna saper scendere anche ad
accordi
che facciamo fatica ad accettare."
Proruppe in una risatina nervosa.
"Accordi, dite? Voi non
avete idea di quanti compromessi abbia già dovuto accettare, monsieur. Di quanti rospi
abbia dovuto ingoiare. O
meglio, lo sapete, ma fate finta di niente. Parlate di amore, ma voi
che cosa
ne sapete?" rispose di getto, pentendosi immediatamente di quanto detto.
Degél proruppe in un sorriso
triste e dolce al tempo stesso.
"Ho amato anch'io,
sapete." rispose, con un velo di rimpianto. "Una volta soltanto, ed
è
stata la cosa più dolorosa e bella che mi sia mai accaduta."
Si sentì mortificata per essersi
permessa di rivolgersi in quel modo proprio a lui.
"Mi dispiace." mormorò.
"Perdonatemi."
"Vi dispiacerà davvero se
gli permettete di rimanere seduto là dentro. La Mei che
conoscevo io non era
così arrendevole."
"Quella Mei non esiste più."
"Ebbene, in questo momento
occorre che la tiriate fuori, o ci penserà vostra madre, e
vi assicuro che non
è una donna che minaccia a vanvera."
Lo sapeva bene, del resto aveva
ereditato la sua stessa tempra.
"...darei qualunque cosa per
poter trascorrere una sola ora con lei, chiederle consiglio.
È in momenti come
questi che sento così intensamente la sua mancanza."
"Lo so."
"Proprio non è possibile
parlare con lei nello stesso modo nel quale stiamo parlando noi,
adesso?"
"Temo di no."
"Ma può sentirmi?"
"Certo."
"Allora...che cosa devo fare, mamma?"
Un discreto bussare alla porta li
interruppe.
"Mei? Ti sto aspettando."
Dallo studio, Camus sbuffò dopo
aver sentito la voce di DeathMask fuori dall'undicesima casa.
"Ah, sei ancora qui,
dunque?" le domandò, facendo capolino in corridoio.
"Arrivo subito DeathMask, scusami."
"Va bene, ti aspetto qui fuori."
"Per rispondere alla vostra
domanda, Mei, vostra madre ha risposto che voi per prima sapete bene
che cosa
fare. Qualunque decisione prenderete, vi rimarrà accanto."
Decise di provare ancora una
volta a fargli cambiare idea; si diresse allo studio, trovandolo seduto
alla
scrivania.
"Te lo chiederò una volta
soltanto, sai che non sono quel tipo di donna che implora."
Camus non le rispose, limitandosi a guardarla con la sua solita
espressione.
"Se davvero dici di amarmi,
se davvero dici di fidarti di me, allora seguimi alla quarta casa
perché ho
davvero bisogno della tua presenza. Perché piuttosto che
fidarmi di Saga,
preferisco tenermi gli incubi. E se dovessi mai diventare uno spirito
maligno,
Camus, tu sarai il primo che verrò a cercare e perseguitare,
dovessi
attraversare tutte le dimensioni temporali esistenti." non ottenendo
ancora risposta, sospirò stanca. Però poi
ripensò alle parole di Degél e alle
non proprio velate minacce di sua madre e ritornò sui suoi
passi, piazzando due
pugni sulla scrivania e facendolo sobbalzare dalla sorpresa. "Sai
quanti
rospi ho dovuto ingoiare e quante volte ho dovuto tacere per amor tuo?
Tante.
Prima le frecciatine di certe persone qui al Santuario, poi le
malelingue al
Goro-Ho, poi sei maledetti anni trascorsi agli antipodi, durante i
quali mi
sono rosa il fegato a immaginarti con chissà chi mentre
aspettavo una tua
mossa. Ho lasciato la mia casa, il mio lavoro, il mio Paese per te: ho
anche
cambiato continente, per te. Ti ho
dato tutto e per una maledetta
volta
che sono io a chiedere tu mi volti le spalle? Come osi
farmi questo? Ne ho
abbastanza di questa faccenda, quindi alzati da quella sedia e vieni a
darmi il
sostegno che merito, maledetto egoista!"
Raggiunse DeathMask fuori
dall'undicesima casa, in un misto tra terrore cieco perché
totalmente
impreparata su quanto sarebbe successo alla quarta casa, e sollievo al
pensiero
che tutta quella storia avrebbe avuto presto una fine, in un modo o
nell'altro.
"Tutto bene?" le domandò, ricevendo in risposta
un qualcosa d'incomprensibile. "Okay, capito. Che cos'ha fatto Monsieur Ghiacciolò? Aspetta,
che
diavolo hai addosso, l'argento vivo? Frena un po'."
La raggiunse e le afferrò un braccio, fermandola.
"Sai, io sono una brava persona. Non buonissima, ma
sono una brava persona. Sono stata e sono una figlia devota per i miei
genitori
e sono un'allieva riconoscente per Dohko. Sono una buona sorella
maggiore e
sono una buona madre. Sono una brava persona. E le brave persone si
meriterebbero delle belle cose in cambio ma la maggior parte delle
volte
ricevono solo..."
"...merda." le suggerì
DeathMask.
"Esatto. E allora credo che a volte questa eccessiva
bontà d'animo non ti porta a niente, solo a tanta immeritata
merda e quindi basta. Basta essere
buoni."
"Questo è esattamente il mio credo di vita."
"Perciò basta essere buoni con chi non lo merita.
Sono stata buona tutta la mia vita e che cosa ho ottenuto? Ho perso i
miei
genitori, mio fratello è... beh, è mio fratello e
quel che è peggio, l'uomo al
quale ho deciso di dare la mia vita futura è un dannato
egoista e quindi...
che cos'ho ottenuto dalla mia gentilezza? Niente. Dove vai? La quarta
casa è di
là."
"Siamo diretti alla tredicesima."
"Speravo nella privacy della quarta casa."
"Disposizioni di Shion." replicò DeathMask, facendo
spallucce.
"Se scopro che è tutta una macchinazione per far
intervenire anche Saga, facciamo i conti."
"Saga non c'è, rilassati."
Altro che rilassarsi, sentiva il cuore sul punto di
esplodere.
"Le cose brutte succedono sempre alle persone buone,
è la vita." commentò DeathMask. "Prima ci farai
l'abitudine, prima ti
sentirai meglio."
"Parli come se sapessi."
"Parlo perché lo so."
"...e?"
"E non sono affari tuoi."
Sentirono un fruscio alle loro spalle e si voltarono.
"Ah, adesso
mi segui? Adesso che sto bollendo dalla rabbia?" berciò Mei,
furiosa.
"Vai a farti f-"
"Hey."
interloquì DeathMask.
"Non hai idea
della rabbia repressa che ho dentro!"
"E vuoi farla
scoppiare proprio ora?"
"Sta già scoppiando!"
tuonò
Mei, sentendosi avvampare, preda di una forza incontrollabile che
pareva
sgorgarle direttamente dalle viscere. "Vedi?
Vedi? Io sono qui, a gridare come un'indemoniata, e guarda lui
com'è tranquillo
e imperturbabile."
Imperturbabile un'accidenti, come faceva a non sentire il
suo Cosmo?
"Mei..."
"Guardalo! Sempre la stessa
espressione! Miei Dèi, ti prenderei a schiaffi fino a farti
liquefare la
faccia!"
"Okay, ma stai
calma."
"Di che hai
paura, non ce l'ho con te, non ti succederà niente."
"Questo lo so.
Ma se non ti calmi succederà qualcosa ai tuoi picciriddi."
Arrivati al tredicesimo tempio, Mei si accorse, con sollievo,
che tutto si sarebbe svolto nelle stanze private di Shion, col minor
numero di spettatori possibile: è la casa più vicina
all'undicesima, le
spiegò quest'ultimo, sorridendole incoraggiante.
"E sia." sospirò Mei, arrendendosi. "Se
possibile, desidero qualche minuto per pensare."
Dohko e Shion si guardarono un attimo.
"Sarebbe meglio non perdere troppo tempo in
chiacchiere."
"Ho bisogno di scambiare qualche parola con
DeathMask. Da sola."
Shiryu si schiarì la voce.
"Penso che tu stia per commettere un grave errore."
Prima che lei potesse aprir bocca, intervenne DeathMask.
"Perché? Sai
anche pensare? Ma che bravo."
Dohko intervenne per calmare gli animi.
"Pochi minuti, Mei, davvero. Tempus fugit."
"Sì, Maestro."
Rimasti soli, DeathMask le rivolse un sorrisetto
sardonico.
"Per i pagamenti come restiamo?"
"Restiamo che ti accontenti della mia riconoscenza,
perché se aspetti un pagamento in natura, fai in tempo a
diventare
vecchio." ribatté Mei.
"Mi discrimini perché sono albino o per quale altro
motivo? Fidati, a sentire le gentili pulzelle che si sono concesse,
sono
piuttosto bravo."
Mei roteò gli occhi.
"A prescindere dal tuo aspetto, la sola idea mi fa
vomitare. Senti, ho pochi minuti e non voglio sprecarli in
stupidaggini. È
vero quello che ha detto mio fratello? Delle teste
sui muri, delle anime dei bambini, delle donne che hai ucciso?" disse
quindi, diventando seria.
A
volte Shiryu aveva il pessimo vizio di
ingigantire le cose: DeathMask era un tipo strano e questo l'aveva
capito già
da un po', ma quanto corrispondeva
a
verità?
DeathMask
lasciò vagare il suo sguardo su Mei,
soffermandosi sul ventre rigonfio.
"Ogni
singola parola." le rispose, mortalmente serio, con un
agghiacciante sguardo
nelle iridi rosse. "Buffo. Per una volta che quel lucertolone dice la
verità, non viene neanche ascoltato. Non sempre quello che
dice tuo fratello
sono stronzate: a volte, come in questo caso, dice anche la
verità. Ho ucciso
tante persone, e molti di loro erano nemici. Ho appeso le loro teste
sui muri
di casa. E sui pavimenti. E sul soffitto."
"Non
m'importa dei tuoi nemici. Hai davvero
ucciso donne e bambini?"
"Sì."
"Anche
donne nelle mie condizioni?"
"È
capitato una volta sola."
E si era sentito uno straccio per giorni, dopo quell'episodio: non
l'aveva mai
detto a nessuno e probabilmente era un segreto, quello, che si sarebbe
portato
nella tomba.
"...perché?"
"Eseguivo
gli ordini."
Non
ottenne altre risposte, se non uno sguardo
strano.
"Senti, Mei. Faresti bene ad ascoltare quel rugnusu
e soprattutto tuo marito. Non sono l'uomo più adatto per
aiutarti."
"Non
permetto a nessuno di decidere della
mia vita. Io mi fido di te."
"Fai
male."
"Forse.
Ma a differenza dell'altra opzione,
non hai mai nascosto la tua
natura. Se devo affidare la mia mente e il mio futuro nelle mani di
qualcuno,
preferisco che siano le tue, piuttosto che quelle di Saga."
"Anche
Kanon è in
grado di farlo."
"Non ti ho chiesto questo. Ti ho chiesto di
aiutarmi."
DeathMask sbuffò.
"Va bene. Ma giusto perché sei tu e non è Shiryu
ad
aver bisogno di aiuto." le rispose. Andò ad aprire la porta
con un gesto
teatrale, rivolgendosi a Dohko e gli altri fuori in attesa. "...che squillino le trombe signori
spettatori, inizia la commedia, che parlino gli attori."
"..."
"Beh? Che c'è?"
"Nulla, nulla." rispose Mei, distendendosi. Aphrodite si
avvicinò,
scoccando un'occhiataccia a DeathMask.
"Sempre teatrale tu eh?"
"Sono così, che vuoi farci?" replicò
l'interessato, sistemando una sedia accanto al divano dove Mei si era
distesa.
"Va meglio adesso?" domandò Aphrodite,
accovacciandosi.
"Diciamo di sì. Quindi è questo quel che vedono i
tuoi pazienti." mormorò Mei, rauca, riferendosi ai suoi
occhi. "Allora
non tutti i mali vengono per nuocere."
Aphrodite ridacchiò sommesso, continuando a contare le
sue pulsazioni.
"Beh, qualora dovessi capitare nel mio ospedale, e
ti auguro di non averne mai bisogno, io sono l'ultimo medico che
vorresti
vedere."
"Perché il tuo sguardo killer decima tutti?"
"Non c'è bisogno del mio sguardo, di norma i
pazienti che tratto hanno già un piede nella fossa,
quindi..."
"Rassicurante."
"Beh, sono un chirurgo d'emergenza, ricordi? Adesso cerca
di rilassarti e addormentarti." le disse, intravedendo Camus
all'ingresso
del tredicesimo tempio. "Dai, come insegni alla tua classe di
taijiquan:
respirazione profonda. Sei capace a farla anche da distesa vero?" la
vide
annuire e annuì a sua volta. "D'accordo, ci vediamo dopo."
"Peut-être."
mormorò Camus, a bassa
voce. […forse.]
"Ah, sei qui, dunque. Potevi restare
all'undicesima."
"Hey voi due. Basta. Tu smettila di agitarla e tu
smettila di agitarti perché altrimenti qui non ne usciamo
più."
"Se sei qui per i bambini non preoccuparti, c'è un
medico qui che sono certa che in caso di necessità, sia
perfettamente in grado
di praticare un cesareo per salvarli."
"Sì, ma preferirei evitare." interloquì
l'interessato. "Ora da
brava, chiudi gli occhi e rilassati."
"Qualunque cosa succeda, non pensare a me, pensa ai
miei bambini."
"Sei sempre così melodrammatica, donna?"
intervenne DeathMask.
"Penserò a tutti e quattro, d'accordo?" sorrise
Aphrodite. "Ora su, prova a..."
Incapace di tenere a freno la lingua, grazie alla rabbia
che ancora covava dentro, Mei si voltò verso Camus,
scoccandogli un'ultima
frecciatina.
"...e comunque tranquillo: farò le valigie non
appena tutto questo sarà finito."
Aphrodite interruppe la risposta di Camus sul nascere.
"Se voi due emeriti imbecilli non smettete di dirvi
stupidaggini, giuro sulla memoria di mia madre che prenderò
le vostre graziose
testoline e le sbatterò contro il muro finché non
vedrò i vostri cervelli
colare sul pavimento. Sono stato chiaro?"
"Se qualcuno qui l'avesse, un cervello." sbottò
Camus, allontanandosi da Mei.
"E adesso dove vai?" sospirò Aphrodite.
"Voleva che tornassi all'undicesima, giusto? Eccola
servita."
"Uno di voi due sta per diventare lo sfortunato
vincitore di una bloody rose, vi
avverto."
"Miei Dèi, quanti anni avete? Cinque?" sbottò
Dohko. "Un po' di maturità, per favore. E sì, sto
dicendo anche a te, Mei."
"Ora silenzio, per favore, vorrei essere ancora
giovane e bello quando avremo finito. Sei pronta?"
No.
"Sì." annuì, ricacciando indietro le lacrime.
Avvertì le mani di DeathMask
ai lati del viso, poi, più nulla.
**
Riusciva a percepire il gelo intenso proveniente
dall'undicesima casa anche a quattro case di distanza:
chissà quanto dovevano
essere contenti Aphrodite e Shura.
Voltò le spalle alle ultime case, decidendo di scendere
pian piano dabbasso.
"Va meglio?" si sentì domandare poco dopo aver
superato Virgo. "Dohko mi ha detto che hai dormito tutto il giorno."
In effetti, dopo essersi risvegliata al tredicesimo
tempio preda di un pianto incontrollato, Shiryu l'aveva portata con
sé alla
settima casa, decidendo che avrebbe necessitato di
tranquillità. E ne aveva
avuta a sufficienza, dato che si era svegliata alle nove della mattina
successiva, dopo quasi ventiquattro ore ininterrotte di sonno: Lixue
l'aveva
stretta a lungo, felice di sapere che stava bene e non le era successo
nulla di
male.
"Avevo del sonno arretrato da smaltire, ma grazie
per l'interessamento." rispose a Shaka, incapace di credere a tanta
premura nei suoi confronti da parte sua.
"Stai scendendo al mercato? Io e Saraswati stiamo
per andarci, se hai bisogno di qualcosa non hai che da dirlo, ti
risparmiamo
una faticata."
Sempre più incredula, scosse la testa, prima di voltarsi
fugacemente.
"No, grazie, non sono diretta al mercato. Piuttosto,
noto che ti sei lasciato infinocchiare da Camus... eppure non credevo
fosse
possibile."
"Semplice cortesia personale, Camus non è in grado
di ordinarmi nulla. Ho avuto anche io a che fare con una donna in stato
interessante e so che non deve fare sforzi."
"Oh. Terrò a mente la tua offerta, grazie. Buona
passeggiata." tagliò corto Mei, affrontando le ultime rampe
di scale prima
di giungere a destinazione.
Dopo un po' di corsa e la doccia, DeathMask andò in
cucina e si accomodò sul suo sgabello preferito, armeggiando
col pc e col
sacchetto delle cassatelle che lo attendevano insieme al pani
c'a mieusa e alle crocchè.
Premette il tasto play deciso a
godersi la puntata della serie tv che aveva registrato la sera prima,
quando
era andato allo stadio per la partita Palermo-Catania.
O almeno, così aveva sperato di fare: quando i colpi alla
porta erano diventati insistenti, aveva posato il panino sul sacchetto
e,
imprecando nel dialetto natale, era andato ad aprire.
"...rispondi sempre in questo modo a chi bussa alla
tua porta? Oh porca miseria!" esclamò Mei, comprendendo
tardi di averlo
interrotto nel bel mezzo di qualcosa: aveva i capelli umidi e non
indossava che
un asciugamani intorno ai fianchi.
DeathMask inarcò un sopracciglio.
"Di solito non ricevo visite."
"Già, chissà perché." convenne Mei.
"Mi
fai entrare o mi fai rimanere qua fuori in piedi con questo tempaccio?"
Rabbrividì all'improvvisa corrente d'aria che si era
levata in casa e guardò Mei.
"Sarei più propenso a prendere in considerazione la
seconda scelta ma ho come la vaga sensazione che non mi lasceresti in
pace.
Dico bene?"
"Perbacco, mi conosci."
Sbuffò, facendo due passi indietro.
"...entra."
"Grazie." mormorò Mei, entrando e spostandosi
di lato, nel corridoio. DeathMask la osservò guardarsi
intorno, evitando
accuratamente di posare lo sguardo su di lui.
"Accomodati, vado a mettermi qualcosa addosso prima
che ti saltino le coronarie."
"C'è di meglio in circolazione, fidati. E comunque sono
immune, perciò tranquillo che la tua virtù
è sana e salva. Ma ti ringrazio del
pensiero." gli rispose, entrando in quello che doveva essere il
salotto:
un po' spartano per i suoi gusti –a parte il mobile porta tv,
un divano e una
poltrona e una libreria quasi del tutto colma di dvd e videogiochi, non
c'era
granché- ma quantomeno pulito e in ordine.
Si avvicinò all'unico scaffale sgombro dai film e
guardò i
pochi oggetti personali che vi erano sistemati: un carretto siciliano
in
miniatura –giallo acceso con sgargianti disegni geometrici-,
un soprammobile in
rilievo raffigurante la Sicilia intera con i monumenti più
famosi delle varie
zone e infine delle foto. Saltò quella che ritraeva i
genitori di DeathMask per
soffermarsi sulla seconda, dalla quale le sorrideva una bimba dallo
sguardo
vispo.
Posò la foto e si accomodò sulla poltrona prima
che
DeathMask tornasse dalla sua stanza.
"Vieni in cucina, stavo pranzando." la chiamò
lui dall'altra stanza, inducendola ad alzarsi e raggiungerlo.
"Oh cavolo, mi dispiace. No, ho già mangiato a
sufficienza a colazione, ma grazie comunque." lo fermò,
notando che
DeathMask aveva aggiunto un piatto sul tavolo. "Un bicchiere d'acqua
andrà
benissimo."
Con un'alzata di spalle, ripose il piatto e le porse
quanto chiesto.
"Hai eluso
il piantone di guardia e sei riuscita a fuggire? Lui sa che sei qui?"
"Anche se
fosse, non è di certo lui che può dirmi che cosa
posso o non posso fare, e di
certo non basta un suo no per
impedirmi di fare qualcosa, se voglio farla."
"È un
concetto questo, che hai ripetuto più volte, ieri mattina.
Gli hai tenuto
testa, ed io che credevo che fossi tutto fumo e niente arrosto, cazzuta
a
parole ma mammoletta al momento dell'azione..."
"...ma che
carino, grazie." sbottò Mei.
"Accidenti
se mi sei piaciuta, Camus sbuffava inferocito come non l'avevo mai
visto. Ha
già congelato l'undicesima?"
E secondo te per
quale motivo sono ospite di
Dohko? avrebbe
voluto
rispondergli, decidendo di scivolare su argomenti diversi. Si sporse
verso il
pc, adocchiando una scena lasciata in sospeso.
"...cosa stavi guardando? The Walking Dead?"
"Game of Thrones." la corresse, sorvolando
sulla battuta.
"Uhm... più che appropriato per un
sanguinario."
"Lo prendo come un complimento."
"È la nuova puntata della seconda stagione? Io sono
rimasta indietro ma poco importa, avendo già letto il
romanzo so che cosa
succede. Beh, che c'è?" gli domandò, captando per
caso lo sguardo di DeathMask
che aveva ripreso a mangiare il suo pranzo.
"Niente, niente." l'assicurò lui.
"Piuttosto, non credo che tu sia venuta fin qui per parlare di serie
tv,
giusto?"
"Sì, giusto."
"Ebbene, non perdiamoci in stupidaggini. Tornando
al discorso dell'altra mattina,non ho
mai negato, a differenza di ciò che dice quell'esempio
di virtù che è tuo fratello, di aver
causato la morte di
donne e bambini. L'ho fatto. Nego di averlo fatto di proposito,
è diverso." spiegò DeathMask. "I bambini sono
stati
vittime collaterali."
"Avresti
potuto evitarli." rispose Mei.
"Non è stato
sempre possibile."
"Allora
avresti ucciso anche me, quella volta."
DeathMask
ridacchiò divertito. Stava per accendersi una sigaretta ma
si fermò,
ricordandosi della gravidanza.
"Con Monsieur Ghiacciolò che
ti
sorvegliava come una guardia imperiale della Città Proibita?
Uno capace di scatenare
una tempesta di ghiaccio sull'intero Santuario? Sarebbe stato capace di
congelarmi l'intestino, dopo." replicò lui. "Il tuo maritino
è uno di
quelli che tendo a evitare, se possibile. E comunque sarei stato tre
contro
uno. Non sono mai stato così idiota da affrontare tre
parigrado in un colpo
solo."
"Stavi per
uccidere Shunrei però. E questo non me l'ha raccontato
nessuno, ero lì quando
l'ho vista fluttuare nel vuoto e quando è precipitata
nell'alveo della cascata."
"Ah no,
volevo solo spaventarla, sapevo che il vecchio stava all'erta e che
l'avrebbe
salvata."
"Avevi paura
della sua reazione?"
DeathMask
assottigliò lo sguardo.
"Non ho
paura di niente e di nessuno."
Bugiardo. Tutti
gli esseri umani possedevano delle paure. La sua, era quella di perdere
Camus e
i loro figli. E anche DeathMask ne aveva.
O quantomeno, ne ha avute, pensò
Mei.
Mentre era stato impegnato a ricacciare il suo alter-ego nella
dimensione alla
quale apparteneva, c'era stato un momento nel quale aveva potuto vedere nella mente di DeathMask, e
ciò
che aveva visto l'aveva spaventata e rattristata al tempo stesso.
"Che cosa ti
ha ridotto così? Non raccontarmi la solita sciocchezza del
sono nato così
perché non ci credo." gli domandò.
"È una
storia lunga, non ti andrebbe di ascoltarla." cercò di
liquidarla.
Spari, tanti spari. Rumori secchi e
atroci che le avevano messo i brividi addosso. Delle caramelle che
rotolavano
sulla terra battuta di un parco giochi. Due corpi senza vita in un lago
di
sangue. Gli occhi spenti di una bambina.
"È per la
bambina che ho visto?" azzardò Mei, sperando di indurlo a
parlare.
Lo sguardo di
DeathMask cambiò radicalmente. Da canzonatorio, divenne
mortalmente serio.
"Quale
bambina?"
"Mora, occhi
neri. Una bambina di circa sei anni."
A ripensarci, le
si spezzava il cuore: era stato inevitabile, per lei, pensare a sua
figlia.
"Quale bambina?"
berciò DeathMask,
in italiano, non gradendo quell'intrusione nella sua vita
privata.
"Io ti ho
permesso di leggere nei miei pensieri e di farti gli affari miei, il
minimo che
tu possa fare è rispondere alla mia domanda."
"Hey, non
l'ho fatto per divertimento, me l'hai imposto."
Mei sogghignò.
"Come se
fosse possibile obbligare uno come te a fare qualcosa contro la sua
volontà.
Credi davvero di potermi prendere in giro come ti pare?"
replicò.
"Quella bambina è la ragione per la quale sei diventato
così? Per quelle
povere anime che ho visto morire?"
Che ne sapeva, Mei, dei suoi genitori e di Annarita, sua
sorella,
trucidati da quel maiale che quella maledetta mattina di tanti anni
prima, a
Palermo, li aveva freddati?
Che ne sapeva di come si era sentito, quando aveva capito
di essere rimasto solo, ad appena sette anni?
Gettò i resti del panino nel lavello, battendo i pugni sul
gocciolatoio accanto ad esso facendola sobbalzare; per l'urto, le
stoviglie che
aveva messo ad asciugare a colazione tintinnarono.
"Quel
maledetto cornuto! Lo scanno vivo, parola mia."
sbraitò DeathMask,
inveendo contro Aphrodite. "Non puoi raccontare una cosa che subito la
vanno a spifferare in giro. Io lo scanno,
quello."
"Non me l'ha raccontato nessuno, l'ho visto nei tuoi
ricordi: ti piaccia o no, ci siamo trasmessi qualcosa a vicenda.
Sicuramente tu
avrai visto, o vedrai, qualche mio ricordo."
DeathMask sbuffò ancora.
"Oh, ma che meraviglia. Spero almeno non siano
ricordi melensi di notti trascorse avvinghiata al tuo tenero maritino
perché
potrei vomitare violentemente." berciò. Recuperato un po' di
autocontrollo,
si schiarì la voce. "Non sono nato così, credo
che tu abbia ragione,
almeno in questo. Prima di quel giorno, la sola azione che a detta di
mio padre
fu cattiva e irresponsabile
fu far saltare qualche dente a un ragazzino che al
parco giochi aveva spinto mia sorella giù dalla scaletta
dello scivolo, rompendole
un piede: un destro dritto alla sua bocca. Non dimenticherò
mai la faccia
sanguinante di quel bulletto e tutte le moine che fece a suo padre,
subito
dopo... mio padre cercò di obbligarmi a chiedere scusa e mi
mise in punizione
quando capì che non l'avrei mai fatto. In fondo, avevo
difeso mia sorella,
perché mai avrei dovuto scusarmi? Non
è
quello che hai fatto, figliolo, che mi ha fatto arrabbiare, ma
è il modo in cui
l'hai fatto. Con la violenza non si ottiene niente, mi
disse. Ma lui, era
fatto così: gli rubavano il parcheggio? Pazienza,
ne troverò un altro... i vicini di casa si
lamentavano per ogni minima cosa?
Pazienza, smetteranno. Gli stessi
vicini provocavano danni alla sua auto mentre parcheggiavano la loro? Pazienza, la carrozzeria si può
ribattere."
"Sembra di sentir parlare mio padre."
"Quelle erano sciocchezze, ma ci sono cose,
situazioni o torti che non si possono semplicemente dimenticare o
lasciarsi
alle spalle: non si può vivere l'intera esistenza ingoiando
sempre tutti i
rospi che ci capitano a tiro. Ho ucciso
per la prima volta il giorno del mio settimo compleanno, un malavitoso
locale
che aveva appena massacrato la mia famiglia. Non puoi immaginare che
cosa passa
per la testa di un bambino che vede i genitori immersi in una pozza di
sangue."
"Forse no,
ma non credere che non capisca cosa hai provato in quel momento."
"La rabbia è
stata solo la millesima parte del groviglio di sentimenti provati quel
giorno,
perché la prima cosa che mi ha posseduto è stata
la sete di sangue. Un istinto
omicida feroce, che si è placato solo quando l'ho
assecondato. La bambina che
hai visto è mia sorella, Annarita, ed è morta tra
le mie braccia: aveva solo
sei anni."
"Mi dispiace
tanto." sussurrò Mei.
Lui fece
spallucce, cercando come sempre di lasciarsi scivolare addosso quella
storia
come se appartenesse a qualcun altro.
"Il mio
Cosmo si è risvegliato quando Rita ha smesso di vivere, ed
è stato come se il
Demonio in persona fosse entrato nel mio corpo: sentivo che dovevo
vendicarli,
sentivo che dovevo far iettare sangue
al loro assassino. E così ho fatto. Gli ho sfondato il
cranio a sassate fino a
spargere il suo cervello sulla strada." concluse DeathMask. "Ho
pensato a lui quando è stato il momento di decidere se
tenere il mio nome o
sceglierne uno da usare in
battaglia:
è morto con la faccia così deformata in una
smorfia che per me è venuto
naturale soprannominarmi DeathMask."
"...ah, però."
"Ma non sono discorsi adatti a una donna incinta,
perciò... cambiamo argomento."
"Mi risulta che un tempo amassi vantarti dell'odio che andavi
disseminando
in giro."
Lui ridacchiò.
"Dentro di me continuo a farlo, soprattutto se
quell'odio arriva dai nemici. Questa casa era molto diversa anni fa..."
"Non ne ho idea, non ci sono mai entrata prima
d'ora."
"Lo so, ma non dirmi che non hai mai sentito l'aura di morte che la
circondava."
"Sì, quella l'ho sentita chiaramente."
"Proveniva dalle teste che avevo sistemato qua e là:
come ti ho già detto, non era una diceria, le teste appese
c'erano sul serio.
Solo che Saori Kido, o forse Athena stessa, devono aver deciso che non
era
umanamente corretto tenerle lì, e prima del mio ritorno
hanno ripulito l'intero
edificio."
Mei inarcò un sopracciglio.
"Chissà i pianti che hai fatto quando ti sei accorto
della sparizione dei tuoi feticci." commentò ironica.
"Mi è dispiaciuto un po', in fondo mi tenevano
compagnia." rispose DeathMask, allungandole il sacchetto con i dolci.
Incapace di diniegare di fronte a un dolce, a maggior
ragione proveniente dal sud Italia, Mei cercò una posizione
più comoda sullo
sgabello.
"E non hai mai pensato di farti degli amici, o che
so io, avere un cane, provare a farti una famiglia? Sono cose
più vive rispetto a
qualche testa qua e
là."
DeathMask parve pensarci su.
"No. Amici ne ho pochi e mi bastano. Non mi piace
l'idea di avere un animale in casa e no, niente famiglia
perché non provo amore
né compassione." rispose. "Non sono più capace di
amare nessuno, a
parte il Palermo che spesso e volentieri mi dà
soddisfazione."
"E perciò la tua vita è tutta qui? Lavoro,
partite
di calcio, videogiochi e avventure di un paio d'ore?"
"Un paio d'ore? Non offendere le mie capacità, due
ore sono poche. Non ti hanno mai spiegato che non siamo tutti uguali?
C'è chi è
programmato per avere figli e una famiglia e chi no. Anche fosse, non
sono
pronto."
Mei terminò la cassatella che le aveva offerto,
masticando lentamente e riflettendo sulle sue parole.
"Se per farti una famiglia aspetti l'illuminazione
divina o aspetti di esser pronto, allora non lo farai mai."
"Sbaglio o a breve sfornerai le creature di quella
palla al piede che ti sta aspettando qualche casa più in
su?" le domandò,
prima di avventarsi sul sacchetto dei dolci.
Trasse un grosso respiro prima di rispondere.
"Non me lo ricordare, al parto manca poco e sono
terrorizzata. E no, non ero pronta ad avere altri figli. Non
fraintendermi,
sono felice di questa gravidanza, amo i miei bambini, ma... per me era
troppo
presto: mi ero appena trasferita, avevo recuperato il mio lavoro e poi,
con una
bambina piccola, la scuola e tutto quanto... non so, non ero pronta.
Non lo
sono tuttora, a dire il vero."
"Ma sei incinta."
"...già. Sono bastati dieci minuti in compagnia del
suo amico russo e i suoi due bambini per fargli venire un'irrefrenabile
voglia
di paternità." rispose Mei.
"Quindi ti ha obbligata."
Mei assottigliò lo sguardo.
"Credi forse che se Camus mi avesse usato violenza,
starebbe ancora respirando, adesso?"
Conoscendola, molto probabilmente no.
"Immagino di no." rispose, schiarendosi la
voce.
"Immagini bene." tagliò corto Mei, sorbendo un
sorso d'acqua. "Ci penserò io,
tesoro, mentre tu andrai al lavoro io sarò lì a
badare a loro e Freya mi darà
una mano!"
DeathMask ridacchiò ironico.
"Sì, so già che aiuto ti darà la
principessina."
"È la stessa cosa che ho pensato anch'io."
"Ma allora perché non hai detto di no?"
"DeathMask,
DeathMask... che devo dirti? Non so neanche io
perché non ho detto di
no."
"Salvatore. Ma puoi chiamarmi Turi."
"Ah beh, allora... io continuo a essere Mei,
ma se preferisci c'è anche Medusa.
Usalo pure, non mi offendo."
La meridiana batté due rintocchi.
All'ombra della quarta casa, Milo intravide l'amica
avventurarsi su per le scale in tutta fretta, dopo aver scambiato
qualche
parola con DeathMask.
La seguì a distanza, decidendo poi di fermarla prima che
scomparisse dentro Libra.
"Arrivi dalla quarta casa?"
Mei si fermò, poi guardò Milo, fermo tra la sesta
e la
settima casa.
"Me lo chiedi, eppure lo sai già dove ho trascorso
le ultime due ore. E lo sa anche lui."
rispose. "Torna a casa da Shaina, non ho bisogno della scorta."
"Non ho mai pensato il contrario, è che a dirla
tutta questa specie di...amicizia
con
DeathMask è... strana."
Lui e Camus dovevano aver trascorso il pomeriggio a
parlarne, a quanto pareva: Milo indossava un cardigan decisamente
troppo
pesante per quella stagione, segno che con ogni probabilità
era stato all'undicesima
casa.
"Parlando di amicizia sai perché ti ho sempre
apprezzato come amico e perché ti considero il migliore tra
quelli che ho?
Perché ti sei sempre mantenuto al di sopra di certe
questioni: sarebbe carino
se continuassi a farlo." sbottò Mei. "O quantomeno, se
proprio vuoi
prendere le sue parti, e credimi, posso capirlo, evita di essere il suo
galoppino."
"...Mei..."
"Senti...ti chiedo scusa, davvero. Non è stato un bel
periodo e
sicuramente quello che seguirà non sarà migliore,
perciò..."
"L'undicesima casa è una ghiacciaia."
"Lo so. Per questo io e mia figlia resteremo alla settima
finché non
tornerà a ragionare come un uomo adulto."
"Sai quand'è stata l'ultima volta in cui si è
comportato così? Ares aveva scoperto dell'esistenza di Lixue
e voleva prendere
provvedimenti, ecco quando. Non è arrabbiato, è
preoccupato. È terrorizzato
all'idea che possa accaderti qualcosa."
"Ed è per questo che mi ha fatta infuriare quando a
tutti i costi voleva decidere al posto mio e mi ha fatto salire la
pressione? Dohko
ha dovuto disturbare Aphrodite in piena notte perché avevo
la minima alle
stelle e mi sentivo sul punto di morire, ho tre creature qui dentro e
loro
rischiano più di me in questa storia! Se non vuole pensare a
me, pensi almeno a
loro. È terrorizzato? Bene.
Che provi
anche lui che cosa vuol dire." sibilò, arrabbiata.
"Uno di voi due dovrebbe comportarsi di conseguenza
e smetterla."
"Ti rispondo citando un'illustre conterraneo di mia
madre: dite a Torino che da qui noi non
ci muoviamo." replicò Mei, lasciandolo basito. "Se
mi cerchi, sai
dove trovarmi."
"Io dico che fai bene, lascialo cuocere un po' nel
suo brodo." le sorrise Shunrei, una volta entrata in casa.
Sospirò stanca.
"Mah, non so. Non ci parliamo da due giorni e non
risponde né ai miei sms né ai miei messaggi
vocali. Quella che sta cuocendo a
fuoco lento nel proprio brodo sono io, non lui, perché vedo
che a lui non
importa un fico secco."
"Non dire così..."
Mei liquidò l'argomento con un gesto della mano.
"Non importa. Il Maestro è ancora in casa?"
"È nella sua stanza."
Si diresse a fatica su per le scale, e una volta arrivata
davanti alla porta della camera di Dohko, impiegò qualche
istante per bussare.
"Maestro, posso?"
Distogliendo lo sguardo da ciò che stava facendo, Dohko
si discostò dalla scrivania, sorridendole.
"Certo, entra." le fece posto su una poltrona e
l'invitò a sedersi. "Qualcosa non va?"
"Mi stavo chiedendo, riguardo l'altro
giorno..."
"Credo che dovresti stare tranquilla, l'altra te non
tornerà più a disturbarti."
"Sì, lo so. Ma la mia domanda non riguarda l'esito
di quell'intervento, quanto ciò che c'è stato
dietro. Anche voi siete dell'idea
che abbia fatto male a insistere per DeathMask? Cosa avrei dovuto fare?"
Dohko si sistemò meglio sulla sedia.
"Io ho sempre avuto una grande considerazione di te,
questo lo sai: per me tu e Shunrei siete come sorelle, vi ho amato e vi
amerò
sempre come se fossi vostro padre. Non potevo dirti che cosa fare,
perché mi
fido del tuo giudizio e perché nessuno può
decidere per te ed io men che meno. Mi
fido della donna che sei diventata, della donna che ho guidato
attraverso questi
anni: ho guidato te e Shunrei fin'ora e probabilmente lo
farò fino alla fine."
"Sento un ma in arrivo."
Dohko ridacchiò appena, prendendole le mani.
"Sai chi mi ricordi? Kardia."
"Ed è un pregio o un difetto?"
"Entrambi." rispose Dohko, criptico. "Sai,
lui era un guerriero eccezionale e instancabile, un ragazzo pronto ad
aiutare
il prossimo, un bravo ragazzo con tanti pregi e tanti difetti, tutto
sommato. E
parlando di questi ultimi, era arrogante, pungente, sarcastico al
limite del
caustico, irruento e impulsivo. Probabilmente vi sareste scannati a
vicenda,
forse è per questo che con te evita di manifestarsi."
"Sono così insopportabile da intimidire anche uno
spirito... beh, grandioso."
"No, non sei insopportabile, ragazza mia. Sei
impulsiva, orgogliosa e testarda. A volte getti la ragione alle ortiche
e
ragioni di puro istinto: pur avendoti sostenuta a modo suo in
più di
un'occasione instillandoti la sua forza d'animo, Kardia ha percepito
questo tuo
lato ed è per questo che in questi anni ha mandato
Degél a darti consigli, per
stemperare il tuo carattere."
"Non ha funzionato granché." Mei si asciugò la
guancia. "Sto allontanando tutte le persone che amo: Lixue è
diversa con
me e Camus non mi parla."
"Tua figlia sta crescendo e sta scegliendo la sua
strada, è normale che stia cambiando. In quanto a Camus...
beh... come te, non
ama perdere il controllo delle situazioni, la tua decisione di farti
aiutare da
DeathMask e la tua ferrea volontà l'hanno come dire...
destabilizzato un po'.
Avete dei caratteri molto forti e usa il silenzio come reazione."
"È arrabbiato con me al punto di mandare sottozero
l'undicesima casa e torturarmi togliendomi la parola."
"È preoccupato, nulla di più. Voleva sistemare le
cose a modo suo e quando tu hai puntato i piedi si è sentito
spiazzato: le cose
si aggiusteranno come sempre, stai tranquilla."
Mei si soffiò il naso.
"Lo spero... ne abbiamo passate di peggio,
dopotutto."
***
Lady Aquaria's corner
Altro capitolo parecchio lungo, ma ultimamente è
così :)
Parto con le note (anche se alcune di queste mi faranno sembrare
Capitan Ovvio):
-Picciriddi: in
siciliano, bambini
-Tempus Fugit: tradotta
un po' alla buona, significa il tempo
corre, e qui Dohko lo usa per redarguire Mei sul fatto che
c'è poco tempo
per correre ai ripari
-Rugnusu:
letteralmente indica una persona sporca, affetta dalla rogna, ma in
questo
caso, ovviamente, DeathMask utilizza tale appellativo nei confronti di
Shiryu
riguardo il suo carattere difficile. Conosciamo tutti, vero, i
trascorsi dei
due? :)
-"...che
squillino le trombe signori spettatori, inizia la commedia, che parlino
gli
attori." vogliano perdonarmi Aldo Giovanni & Giacomo,
questa è una
citazione tratta da Chiedimi se sono
felice.
-Pani c'a mieusa,
crocchè e cassatelle:
il primo fa parte del cosiddetto street food tipico di
Palermo, e si tratta in parole povere di un panino con straccetti di
milza e
polmone di vitello. Le seconde sono delle specie di crocchette e le
terze sono,
a grandissime linee, dei ravioli dolci.
-Il carretto
siciliano: come spesso succede, scrivo pezzi di capitolo
anche con
larghissimo anticipo rispetto alla data di pubblicazione e la lunga
conversazione tra Mei e DeathMask risale ad agosto scorso, quando mi
sono
imbattuta in un meraviglioso festival siciliano organizzato su, in una
cittadina in Valsesia. Tra le tante meraviglie, ho anche fotografato un
carretto siciliano che, come mi è stato spiegato, proveniva
da Catania in
quanto dipinto di un bel rosso "...come
la lava dell'Etna! ". Secondo mie ricerche ho quindi scoperto
che a
Palermo i carretti sono dipinti di giallo sgargiante. Essendo il
"mio" DeathMask palermitano, ecco che il carrettu
souvenir che ha in casa è giallo.
- dite a Torino che
da qui noi non ci muoviamo: mannaggia, questa è
particolare.
Dunque, avete mai sentito il termine bugianen
, solitamente riferito a noi piemontesi? Se no, vi rimando
a questa
pagina wikipedia
e a quest'altra
pagina d'approfondimento, perché è un
concetto molto interessante.
Qui, Mei (per metà cinese e per metà polentona,
da madre astigiana), prende in prestito le parole del Conte di San
Sebastiano
per dire indirettamente a Camus che lei, dalla settima casa, non si
muove
nemmeno per idea. Testarda come pochi.
-Il titolo e la citazione poco sotto prendono spunto da
una canzone di Landon Pigg, che ho
avuto modo di scoprire e apprezzare grazie a Grey's Anatomy
(sì, ancora lui
ù_ù). Nonostante il titolo, no, questo non
è l'ultimo capitolo. ;)
-Last but not least.... l'idea della donna incinta uccisa da DM non
è farina del mio sacco. Quelle due righe le scrissi dopo
aver letto "E non m'importa dov'è il potere,
finchè continua a darmi da bere", di GiòTanner.
Spero non le dispiaccia, in tal caso provvedo subito a togliere la
citazione.
Bon, credo sia tutto per questo
capitolo.
Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 36 *** How would it be? ***
capitolo 36
36.
How would it be?
What have I done?
What if it's too late now?
Did I do all I could, did I?
Did I make it all good, did I?
Somehow it doesn't feel right
Is it really all over?
Did I think it through, did I?
What if all I want is you?
[How would it be? – Lene
Marlin]
Nell'aria fredda le nuvolette di fumo impiegano più tempo
a dissolversi, rimanendo sospese nel vuoto per qualche secondo prima di
disperdersi con tutta calma, un po' come il fiato che si condensa e si
intravede con chiarezza durante una giornata d'inverno con le sue
temperature
rigide.
In effetti, a dirla tutta, all'undicesima casa sembrava
di essere in pieno inverno nonostante all'esterno il Santuario fosse ad
aprile
inoltrato.
Camus assaporò il gusto pieno e deciso della Gauloises
Blonde
e il suo retrogusto amarognolo, guardando il pacchetto blu posato sul
tavolino
di fronte a sé, indeciso se fumarne una seconda oppure no.
Lo faceva tutte le
volte in cui era nervoso o arrabbiato, quando era sul punto di perdere
il
controllo, per evitare di commettere sciocchezze come quella di qualche
ora prima
quando aveva mandato sottozero Aquarius.
Milo lo osservava silenzioso da qualche minuto, incerto
se palesarsi ed entrare nel salotto dove Camus, con indolenza, era
sprofondato
nella sua poltrona, o tornare indietro lasciandolo solo con i suoi
pensieri:
armato di un pesante cardigan, aveva trovato il coraggio di entrare in
quella
che lui definiva ghiacciaia, ma si sentiva stranamente a disagio.
"Sei lì da dieci minuti, o ti manifesti o
esci." lo redarguì Camus, di malumore. "Detesto essere
spiato."
"Non ti stavo spiando." rispose Milo,
avvertendo il disagio crescere di un altro po'. "Volevo dirti che Mei
si è
ripresa una decina di minuti dopo che te ne sei andato e che ora
è alla settima
casa. Shunrei mi ha incaricato di portare qui i suoi vestiti sporchi e
prenderne altri."
Sbuffando, Camus spense il mozzicone nel posacenere.
"Serviti pure."
"Il problema è, Camus, che mi sento a disagio
all'idea di mettere le mani tra la biancheria intima di una donna che
non è la
mia." proseguì Milo. "Se mi facessi la cortesia di darmi
quanto
richiesto, esco e ti lascio in pace, promesso."
Un altro sbuffo seguì quelle parole, quindi Camus si
alzò
e lo precedette; i piedi nudi, i capelli legati alla bell'e meglio in
una crocchia
all'altezza della nuca, una vecchia e ormai informe tuta blu col logo
del Paris
Saint-Germain e lo slogan Ici c'est Paris!
quasi sbiadito.
"Ma si può sapere che ti prende? Lei e i bambini
stanno bene e quell'altra è stata rimessa a posto, non
è questo che
conta?"
Prese un astuccio dalla tasca della giacca e si ficcò in
bocca un chewing-gum, per evitare di accendersi una seconda sigaretta.
"Il fatto è che io
non sto bene. Conta anche questo oppure è irrilevante? E non
intendo male
fisicamente, ma per quello che mi ha detto e per come l'ha detto. E
pensare che
proprio lei, per ciò che le avevo detto quella volta, mi
aveva rinfacciato le
sue sofferenze citandomi Hegel: le parole
sono spade, possono uccidere. Da che pulpito è
arrivata la predica."
"Beh, quella volta fosti piuttosto brutale."
"Davvero paragoni queste due situazioni? La mia fu
una bugia a fin di bene, una menzogna per salvarle la vita. Lei invece
mi ha
gettato addosso quelle parole per ferirmi, è diverso. E,
dannazione, ci è
riuscita anche parecchio bene."
"Sei rimasto male perché lei ha ribadito che decide
di testa sua e che tu non sei suo padre e di conseguenza non puoi
decidere per
lei? Sei in questo stato solo per questo? Shaina la pensa allo stesso
modo
eppure non mi butto giù così."
"Non per quello, per l'altra cosa."
Milo fece mente locale.
"Oh. Ma dai, non l'ha detto con l'intenzione di
ferirti, era sottosopra, era arrabbiata, era agitata per quanto stava
succedendo..."
Non gli rispose. Impilò ordinatamente i vestiti e gli
oggetti che avrebbero potuto servirle e glieli consegnò
insieme a dei cambi per
Lixue.
"Devo dirle qualcosa da parte tua?"
"No." arrabbiato com'era, non sarebbe stato un
bel messaggio.
Ascoltò i passi di Milo allontanarsi, quindi una volta
rimasto solo, decise di uscire dalla bolla d'indolenza e darsi da fare.
Ripose il pacchetto di sigarette nel suo astuccio
d'alluminio e le nascose nel solito posto, nello studio, quindi si
spogliò,
decidendo di farsi una doccia.
"Credo sia giunta l'ora di sostituirti, vecchia
mia." pensò a voce alta, guardando i pantaloni della tuta
sformati e lisi
all'altezza delle ginocchia. Tuttavia, la ficcò in lavatrice
insieme ai vestiti
sporchi di Mei, dopo aver rivoltato tutte le tasche. Si
stupì un poco nel
trovare quella strana busta ingiallita nella tasca del pigiama;
avviò il ciclo
a freddo e si sedette sullo sgabello del bagno, incuriosito,
estraendone dei
fogli accuratamente piegati e due libriccini.
"Ufficio di
Stato Civile - 10eme Arr., Atto di Nascita di Fabien Larousse, nato a
Parigi il
7 febbraio 1985 da Yves e Nicole Larousse." lesse
a voce bassa, tra sé e sé. Un uomo della
sua età o quantomeno, un uomo che avrebbe dovuto avere la
sua età, dato che il
foglio seguente –strappato da un volume piuttosto vecchio
dato il giallo della
carta- e redatto in greco, riportava la sua morte all'Undicesima Casa,
avvenuta
a poco più di vent'anni d'età, nella primavera
del 2005 in seguito alla scalata
del Santuario.
Li ripose ordinatamente così come li aveva trovati e
prese uno dei libriccini, scoprendo che si trattava di un passaporto
francese vecchio
modello con le pagine quasi tutte piene di timbri: l'ultimo risaliva al
febbraio
2005, quando Fabien aveva varcato la frontiera greca di ritorno dal
Canada. A
quanto pareva avevano visitato entrambi gli stessi luoghi, eccezion
fatta per qualche
Stato –in Argentina o in Belize, ad esempio, non c'era mai
andato-. A colpirlo
maggiormente fu, però, la fotografia apposta sul passaporto.
"Miei Dèi..."
*
"Posso entrare?"
Quando Mei sentì la voce di Hyoga nell'ingresso, fece
capolino dalla cucina.
"Qualcuno dovrebbe somministrare un calmante alla
tua fidanzata, è il decimo messaggio whatsapp che mi
manda... quante volte le
devo rispondere che per me le peonie vanno benissimo purché
non siano bianche?
Se lo ricorda che detesto il bianco, vero?"
Lui corrugò la fronte.
"Peonie?!"
"Quelle per l'acconciatura e da mettere al polso.
Non è per questo che sei qui? Non ha ricevuto la mia
risposta?"
Capelli ancora sciolti come la mattina precedente, un hanfu
verde smeraldo indossato sopra il pigiama, scarpe di tela ai piedi, Mei
aveva
sì l'aspetto di una nobildonna cinese dei tempi andati, ma
anche due grandi
occhiaie grigie sotto gli occhi.
"Assomiglio a Chien
Po, lo so... non farci caso."
"A chi?"
"Non conosci Mulan? Ahi ahi ahi. Pazienza, che cosa volevi dirmi del
matrimonio?"
"Ah. No, no, non sono qui per i dettagli del
matrimonio. È che ho saputo che non sei stata bene. Sono qui
di mia iniziativa,
non mi ha mandato nessuno."
Mei sorrise stanca.
"Avevo la pressione un po' alta e Shiryu nel panico
ha chiamato Aphrodite."
"Un po' alta, dice lei. Novantacinque su
centoquarantadue e lei la definisce un
po' alta." interloquì Shunrei.
Hyoga intercettò la boccetta prima che Mei potesse
nasconderla nelle tasche della vestaglia.
"...e ti ha dato degli ansiolitici? Non dev'essere
stata una cosa piacevole, me ne rendo conto, ma non va bene assumere
certe cose
in gravidanza... non sono un medico però..."
"Non dev'essere stata piacevole? Tu credi? La testa
mi scoppiava, il cuore pompava forsennato e loro tre qui dentro
scalciavano
peggio di Beckham ai mondiali, secondo te com'è stato?
Aphrodite ha detto che
il rischio è minimo, e che comunque l'intero mondo potrebbe
costituire un
pericolo per loro. Tante cose non sono piacevoli eppure accadono, che
vuoi
farci? Quando riuscirai a sentire la futura sposa, dille che le peonie
vanno
benone, che le misure che le ho dato si riferiscono alla mia taglia
abituale e
che non ho bisogno di un insegnante di balli da sala."
"Oh sì che ne hai bisogno. Quando avrai partorito,
tu e Camus imparerete il valzer, a costo di insegnarvi io stesso."
Mei scosse la testa, a metà tra il divertito e l'arrabbiato.
"Come si vede che non avete un accidenti da fare,
voialtri ricconi." sospirò. "Ci sono altre belle notizie?"
"Ti chiedo
scusa per come mi sono comportato l'altro giorno, non ce l'avevo con
te.
Ahem... ti andrebbe un kebab per pranzo? L'ho preso giù ad
Atene, nel tuo
locale preferito. Ce n'è anche per Shaina, se le va di
venire."
Milo riascoltò il messaggio vocale tre volte prima di
decidersi ad accettare il suo invito; Shaina al contrario
diniegò, preferendo
scendere a Rodorio insieme a Marin per mangiare qualcosa al volo prima
di fare
due compere per il bambino. Indossò sciarpa e cardigan e si
recò all'undicesima
casa munito di birre.
La tuta sformata era sparita, così come il puzzo di
sigaretta, grazie anche a un gradevole incenso acceso da qualche parte.
"Posso entrare o corro qualche rischio mortale? Anch'io
dovrò morire, ma preferirei non morire congelato,
possibilmente."
"Entra." sospirò Camus. "Vai in cucina, è
la stanza più calda di casa."
Milo prese l'apribottiglie e stappò due birre, prima di
sedersi a tavola.
"Dov'eri finito? Dohko mi ha detto che Mei ti ha
cercato più volte, ma non le hai risposto."
"Non potevo risponderle, ieri ho dato un esame e
quindi sono tornato qualche ora a Parigi."
"Hai studiato con tutto il trambusto degli ultimi
giorni? Come diavolo hai fatto?"
"Abitudine. Ho avuto accesso al livello HSK6 di
Cinese Mandarino." rispose Camus, tutto contento. "Al termine del quale
sarò in grado di parlare quasi in maniera fluente, come un
madrelingua."
"Mei come la pensa a riguardo della tua ultima
affermazione?"
"Non lo so, ancora non le ho detto niente. Ma ci
vorranno anni di pratica per parlare come un nativo." rispose,
disfacendo
il cartoccio a portar via con il kebab. "È l'arabo che mi
preoccupa, credo
che lo lascerò stare per poter studiare meglio il
giapponese. E tu? Come
procede il tuo francese?"
Milo spizzicò una patata fritta.
"Abbiamo cambiato insegnante, adesso c'è un tuo
concittadino tutto altezzoso che parla solo ed esclusivamente in lingua
senza
concederci un minuto di tregua."
"Ovvio, altrimenti come faresti a imparare? Potrei
aiutarti con la pronuncia, che ne
dici? A quale livello Delf sei
arrivato? A2? B1?"
"Dico che vai troppo veloce, rallenta. Sono ancora
all'A2, comunque." rispose Milo, rimboccandosi la sciarpa. "Ultimamente
non vi parlate molto, voi due. Avete intenzione di fare qualcosa a
riguardo o
no? Perché a quanto pare preferisce parlare con DeathMask
piuttosto che farlo con
te. È alla quarta casa in questo momento, sai?"
Camus azzannò il proprio panino.
"Je le sais."
"E quindi?"
"E quindi, quando sarà il momento torneremo a
parlare. Nelle tasche del suo pigiama ho trovato delle cose."
"Di che genere?"
"Dei documenti e un album fotografico, di un uomo
che non sono io. Un souvenir dell'altra dimensione. Uscito
dall'università ho
provato a seguire un paio di tracce trovate su un paio di foto, ma
entrambe
hanno portato a delle piste morte." spiegò Camus,
armeggiando con lo
smartphone.
"In che senso?"
Mentre cercava una foto tra le cartelle salvate sul
cellulare, gli mise davanti una fotografia, che gli fece sgranare gli
occhi.
"Ma...!"
"...già. Dovrei essere io, ma
fatico a riconoscermi in quei tratti... comunque, ho
attraversato in lungo e in largo la via indicata nel passaporto, e
l'edificio
di questa fotografia non esiste."
"Magari è stato demolito."
"No, in quel preciso punto c'è un ristorante algerino aperto
negli anni '50
che non ha mai chiuso battenti: tra le fotografie appese su un muro del
locale
ce n'è addirittura una che ritrae il proprietario con
Dalida, che per inciso è
passata a miglior vita nell'87. Vedi? Questo qua. L'edificio della
foto, nella mia città,
non è mai esistito."
proseguì Camus, mostrandogli una foto che ritraeva Lixue sul
marciapiede di
fronte al ristorante in questione, con in mano un cartoccio contenente
del
cibo. "Buon ristorante, tra l'altro, la tajine di tonno era superba,
Lixue
ne ha spazzolata più della metà, ed era una
tajine da 32 cm di diametro, non so
se mi spiego. Ma a parte questo, c'è qualcosa che
stranamente mi affascina di
tutto questo: mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa in più
dell'altro me, ma
ovviamente non sarà più possibile. Mi domando
com'è stata la sua vita da quando
ho trovato queste foto. I luoghi che ha visitato, dove ha abitato, cosa
ha
studiato... come ha conosciuto la sua donna."
Gliene mostrò un'altra. Una giovane Mei, familiare e
sconosciuta al tempo stesso: i capelli sempre neri, ma tagliati alle
spalle,
gli occhi gentili e pieni d'amore. Dietro di lei, l'altro Camus.
"Perdiana, sembrate davvero voi due." commentò
Milo.
"Già. È stata scattata a casa, ma non riesco a
capire... qui, nella prospettiva tra gli Invalides e il
Sacrè Coeur, c'è una
costruzione che non esiste da noi. E qui, ad esempio... in fondo a
questo
infinito asse dovrebbe esserci il Grande
Arche, ma... non c'è! E ti assicuro che conosco
molto bene la mia
città."
"O semplicemente non compare in foto..."
"Non è
possibile. Louvre – Concorde -
Triomphe
- Defénse."
elencò Camus. "In
prospettiva sono infilati tutti uno dietro l'altro, non puoi sbagliare.
Questa
foto è stata scattata dalla terrazza panoramica dell'Arc de
Triomphe, alle loro
spalle non ci sono gli Champs Elysées, quindi dovrebbe
esserci il quartiere
finanziario e di conseguenza l'arco ben visibile. Ma sto
tergiversando... non è
questo il vero problema."
"M-mh. Chissà che cosa è successo nella loro
dimensione: a volte conosciamo a malapena la nostra storia, come
possiamo
conoscere anche quella di altri mondi?"
Camus annuì ancora, alle parole di Milo.
"Sapevo di questi sogni e ne conoscevo la veridicità
perché Mei ne descrisse alla lettera uno in particolare che
io avevo avuto e
del quale non avevo mai fatto parola con nessuno. Sapevo che anche la
faccenda
delle anime affini nelle altre dimensioni era vera, ma qualcosa nel
profondo mi
ha sempre spinto a dubitarne. Però di fronte a questo, credo
di non avere più
dubbi."
Gli porse il passaporto e le altre foto, tenendo da parte
i documenti privati.
"Beh, alla buon'ora." fu il commento di Milo.
Foto scattate ad Atene, al Santuario, in Russia. Primi
piani di una donna molto bella che però non riusciva proprio
ad associare
all'amica. Un bacio. Una foto un po' troppo privata.
"Come fanno certe persone a fotografarsi in certe
situazioni? Bada, non mi imbarazzo facilmente, ma..."
"Me lo son chiesto anche io... non so te, ma in quei
momenti non riesco neanche a ricordare
il mio nome, figuriamoci se riesco a scattare foto o posizionare la
videocamera
da qualche parte." convenne Camus. "Preferisco tenere per me certe
cose."
Milo ridacchiò.
"Foto non ne faccio, ma video, qualche volta mi è
capitato."
"E fammi capire, dopo che cosa ne fate? Li rivendete
come porno di terza categoria o li riguardate per...non so,
migliorare?"
gli domandò Camus.
"Ciò che è già ottimo non si
può migliorare."
"Cala le arie."
*
Dopo un pomeriggio trascorso in compagnia di Google Maps
puntato su Parigi e le fotografie del suo omonimo, Camus scese fino a
Libra
subito dopo cena.
"Mei è in casa?"
Senza permettergli di entrare, Dohko lo fissò con un'aria
a metà tra il serio e il sarcastico.
"Sai che è in casa, dove credi che possa andare una
donna nelle sue condizioni? In giro per locali?"
"Non volevo mancarvi di rispetto, Maestro."
Camus si affrettò a chiedere scusa.
"Lo so."
"...e non voglio farlo neanche nei confronti di mia moglie, non le ho
mai
fatto del male e non intendo certo iniziare."
"Lo credo bene ragazzo, anche perché torneresti a casa con
qualche dente
in meno." precisò Dohko, stavolta completamente serio.
"Diciamo pure senza denti."
Camus levò mentalmente gli occhi
al cielo, mentre Shiryu, dietro Dohko, aveva preso a guardarlo con uno
sguardo
di fuoco.
"Shiryu, stavolta ti faccio
male, lo giuro." sibilò,
aumentando involontariamente il Cosmo fino a lasciare un sottile strato
di
ghiaccio ai suoi piedi.
"Ah, ma davvero? Ascoltami
un po', razza di pallone gonfiato: questi trucchetti forse funzionano
con gli
altri, non con me. Lo sai che l'hai fatta incazzare così
tanto che le è salita
la pressione alle stelle e Aphrodite le ha dovuto somministrare un
calmante? Ha
dormito quasi ventiquattr'ore ininterrotte e quando si è
ripresa, stamattina,
era ancora inebetita! Un calmante a una donna incinta, ma ti rendi
conto? Mia
sorella è qui per..."
"Tra moglie e marito non mettere il dito."
lo redarguì Dohko.
"Se c'è qualcuno qui che deve fare la ramanzina, sono io,
visto che ho più
anni ed esperienza di te. Dai, torna dentro."
Attese che Shiryu li lasciasse
soli, quindi tornò a dedicare attenzione a Camus.
"Vorrei solo parlarle. Posso
entrare?"
Dohko uscì, accostando la porta
dietro di sé.
"Questa volta dovrò farti
quel famoso discorso da padre preoccupato,
quello che non ti feci anni fa, ricordi?" al cenno affermativo di
Camus,
Dohko si schiarì la voce. "Per
onestà devo ammettere che al tredicesimo tempio ero dalla
parte di Mei. Non mi
interrompere, ho appena iniziato. Spero tu abbia tempo, devo
raccontarti
qualcosa."
"Non ho nulla da fare."
"Bene, perché è una
faccenda un po' lunga. Quando la precedente guerra
sacra si concluse del tutto e finalmente il suo... chiamiamolo regista, Yōma, fu sconfitto, io e Shion
ci separammo per condurre il resto delle nostre esistenze secondo gli
ordini
impartiti da Athena: Shion a capo del Santuario, io come guardia delle
Stelle
Malefiche. Questo dovresti saperlo, però, Volya dovrebbe
averti insegnato anche
la storia del santuario e delle precedenti guerre sacre."
"L'ha fatto, in effetti."
"Bene. Correva l'anno 1755, avevo superato
la tua età da un bel pezzo
e in un certo senso mi ero preparato a trascorrere i successivi anni in
solitudine: avevo un amico che di tanto in tanto mi dava una mano e
ciò mi
bastava. Finché un giorno non arrivò lei.
Non fare quella faccia, ho condotto un'esistenza solitaria, non
monacale."
"Ed era dunque
con questa lei che utilizzavate l'antro dietro la cascata." sorrise
Camus.
"Questa tua
insolita e pacata insolenza deriva da Mei, so che non è
farina del tuo sacco.
Ma tant'è, si dice che chi va con lo zoppo impara a
zoppicare, no? Rispondendo
alla tua domanda, sì." replicò Dohko, a
metà tra il serio e il faceto. "Poco
più che sedicenne, mi disse che vagava da giorni attraverso
i boschi e che era
scappata da un corteo di giovani fanciulle destinate all'harem
imperiale: dato
che già una delle sorelle maggiori era diventata una moglie
di terzo rango
sopravvivendo ai rigidi e spietati meccanismi di corte, lei era finita
in mezzo
a una trentina di altre fanciulle aspiranti concubine. Una vita che non
desiderava affatto fare, ma del resto, come darle torto? Il mio amico
mi mise
in guardia credendola una volgare ladruncola, ma guardandola meglio,
osservando
i suoi modi di fare e i vestiti che indossava -sporchi ma ricamati e di
ottima
fattura- decisi che quanto mi aveva raccontato corrispondeva a
verità e
acconsentii ad aiutarla."
"E diceva sul
serio il vero?"
Dohko sorrise, perso
in qualche ricordo.
"Le giovani
fanciulle destinate all'harem erano accuratamente selezionate tra le
giovani
più belle dei villaggi e ti posso assicurare che lei lo era.
Diamine, se lo
era. Capelli lunghi e neri, due occhi cosí profondi che ti
ci potevi perdere e,
cosa per me importante, stranamente non era stata ancora sottoposta
alla
barbarie dei piedi fasciati. Non ho nemmeno un ritratto, ed
è un peccato perché
avresti dovuto vederla, era bellissima.
Ti risparmio il racconto del tempo che ci è voluto per
superare la differenza
d'età e arrendermi a ciò che provavo per lei e
arrivo fino al punto
cruciale." raccontò Dohko. Presa la sua mano destra,
gl'indicò la
cicatrice con lo sguardo. "Ne avevo una uguale, purtroppo col tempo
è
sbiadita fino a scomparire. Il tempo trascorso insieme fu
indescrivibile ma
destinato a durare poco: morì a ventidue anni, pochi giorni
dopo il
parto."
"E vostro figlio?"
"Weizhe
nacque morto, probabilmente strozzato
dal proprio cordone. Lei invece è stata sopraffatta dal
dolore provato quel
giorno."
Camus si schiarì la
voce, colpito dal racconto.
"Non oso nemmeno
immaginare che cosa avete provato."
"Non puoi, e
ti auguro di non doverlo mai provare. Rimpiango quel tempo da
duecentocinquantun anni, ma so che quando arriverà la mia
ora, saremo insieme,
tutti e tre."
"Sono
desolato, Maestro."
"Mingxia
era per me ciò che Mei è per te.
Considero lei e Shunrei alla stregua di figlie di sangue, come se le
avessi
avute dalla mia defunta sposa. Tutto ciò per dirti che
sebbene sia dalla sua parte
perché per me lei e Shunrei sono le figlie che non ho mai
avuto, sono anche
dalla tua parte perché comprendo il tuo punto di vista e la
tua preoccupazione.
So che cosa vuol dire struggersi per chi ami e tentare in ogni modo di
proteggere quella persona: le tue intenzioni erano buone e normali, per
un uomo
che ama la sua donna, perciò non ti biasimo. Ma non
trattarla più come se fosse
una stupida incapace: quando ha preso quella decisione sapeva bene che
cosa
stava facendo, altrimenti son sicuro che avrebbe cambiato idea.
L'anello
che porti al dito e la cicatrice sul palmo della tua mano testimoniano
che Mei
è tua moglie, non una tua proprietà. È
di sopra, terza porta, l'ultima in fondo
al corridoio. Vai prima che ti prenda a calci nel sedere."
"Xièxiè."
ringraziò Camus, entrando.
Salì svelto le scale e raggiunse la porta indicata da Dohko,
quindi bussò dopo
qualche secondo.
"Avanti."
"Eccoti. Sei qui, dunque."
Seduta al centro di un letto a baldacchino di foggia
tipicamente cinese, Mei abbassò il volume della tv e gli
dedicò attenzione.
"A quanto pare."
"Posso entrare?"
Mei fece spallucce, spiluccando un biscotto.
"Prego. Me ne sono andata da sola
prima che tu potessi cacciarmi di
nuovo. Sai, dati i precedenti..." gli rispose, stringendosi nell'hanfu.
"Mi spiace per il tuo smisurato ego, non ti darò mai
più una soddisfazione
del genere."
"Mei, la mia pazienza ha un
limite oltre il quale è meglio non andare e tu l'hai
già messa a dura
prova."
"Oh ma davvero? La mia
invece l'hai già esaurita. Sei venuto a esercitare i tuoi
presunti diritti su
di me? Okay, posso tornare all'undicesima in tutta discrezione o hai
intenzione
di mettermi i ceppi? In effetti potrei sempre scappare...o meglio, rotolare."
Dall'altra parte della stanza, Degél scosse la testa con
disapprovazione, e Camus sospirò, premendosi due dita alla
radice del naso.
"Non ti sopporto quando dici certe
stupidaggini." sbottò.
"Sono
desolato, Mei, ma ha ragione." interloquì
Degél.
"Ci sono tante cose che io non sopporto ma che sono
costretta ad accettare, mio caro: un po'
per uno non fa male a nessuno." replicò lei,
avvertendo poco dopo gli
sforzi che Camus stava facendo per non perdere la pazienza.
Per amore, mia
cara, bisogna saper scendere anche ad accordi che facciamo fatica ad
accettare.
"E va bene, scusami." aggiunse poco dopo.
"Avevo bisogno di stare un po' da sola, dopo il trambusto di questi
giorni. A dire il vero avrei voluto parlarti ma non ho trovato che le
tue
spalle e un muro di silenzio."
"Ero arrabbiato."
"Ma davvero? Tu mi tratti come una povera mentecatta incapace di
decidere
per sé stessa e osi anche essere furioso?"
"Cercavo di scegliere la soluzione migliore."
"Già una volta hai deciso al posto mio e sappiamo
com'è andata. Bado a me stessa da quando avevo dodici anni,
ho praticamente
cresciuto mio fratello e una figlia, e rispondevo agli ordini di due
soli
uomini, Dohko e mio padre. Tu, mi spiace ricordartelo, non sei
né l'uno né
l'altro: a maggior ragione se il tuo concetto di nella
buona e nella cattiva sorte prevede
il lasciare tua moglie e i tuoi figli da soli
in un momento critico: l'ultimo
ricordo che ho prima che DeathMask iniziasse tutto sei tu che ti
allontani!"
Camus corrugò la fronte.
"...è questo che ti hanno detto? DeathMask ti ha
informata male, dunque, perché sono tornato subito indietro
e ti sono stato
accanto tutto il tempo."
"Ah, ecco. Sei rimasto con me e sei tornato all'undicesima prima che mi
risvegliassi, ora capisco. Molto, molto maturo da parte tua. E tanto
per la
cronaca, DeathMask non ha detto proprio nulla."
Aveva esternato un paio di cosette che non era il caso di
ripetere.
Camus si appoggiò all'intelaiatura di ciliegio del letto
e ne seguì con le dita i complicati intarsi.
"Tornate a casa?"
"Dipende. Che temperatura ha raggiunto l'undicesima?"
Lui si schiarì la voce.
"Ehm... è salita a un paio di gradi sopra lo
zero."
"E allora Lixue e io rimarremo qui finché non torna
ad essere vivibile. Sabaka è abituata ai freddi siberiani,
noi due no."
"Non mi piace dormire da solo."
Mei indicò con un cenno l'altra parte del letto.
"A me nemmeno."
"...d'accordo, vado a prendere due cose e torno
subito." capitolò Camus.
"Ho sentito che Shiryu è sul piede di guerra...
ignoralo, non dargli corda." disse infine Mei, porgendogli un mazzo di
chiavi. "Quella blu apre la porta sul retro, entra da lì."
Camus accettò le chiavi, ma ignorò l'avvertimento.
"Entrerò dalla porta principale perché non sono
un
amante clandestino, ma tuo marito. E per quanto riguarda Shiryu,
è giunto il
tempo di smettere di ignorare le sue provocazioni, ne ho le tasche
piene. Sono
stufo di questa-..." s'interruppe.
Mei assottigliò lo sguardo.
"Sei stufo di cosa?" mormorò. "Di questa
famiglia? Era questo che stavi per dire? Sei stufo di questa famiglia,
o di
me?"
Avvertì la prima fitta farsi largo tra le tempie.
"Vuoi davvero una risposta? Perché potrebbe non
piacerti."
"Rispondi."
"Sono stufo marcio di questa situazione, e del fatto
che qualunque cosa accade, tuo fratello cerca di metterti contro di me.
E odio
quando riesce a farlo." sbottò lui. "Torno subito."
Quando tornò circa dieci minuti dopo, aveva già
spento la
tv ed era già sistemata a letto, pronta a dormire
–o quantomeno, provarci-. Lo
guardò spogliarsi per infilarsi il pigiama, resistendo
all'impulso di allungare
una mano alla sua schiena.
"Hai mangiato abbastanza in questi giorni?"
"M-mh."
"Mi sembri un po' sciupato."
"È una tua impressione." rispose stringato,
prima di distendersi accanto a lei, dandole la schiena. "Buonanotte."
Nei successivi minuti, la tensione non accennò a
diminuire; Mei si girò a fatica su un fianco e lo indusse a
girarsi a sua volta.
"Quoi?"
[Che c'è?]
Cercò la sua mano e se la portò al volto,
baciandone il
palmo più volte.
"Mi sei mancato." ammise Mei infine.
"Abbiamo già dormito separati, non è la fine del
mondo."
"Sì, ma non dopo aver litigato. Mi dispiace moltissimo
averti detto quelle cose."
"Per quanto tu possa essere dispiaciuta, le hai
comunque dette." rispose Camus. "E hanno anche colto nel segno. Come
te, neanche io merito di pagare lo scotto di quella decisione per il
resto
della mia esistenza."
"Mi dispiace."
"L'hai già detto."
Lasciò la sua mano, girandosi di nuovo.
"Allora buonanotte."
Un'altra fitta alle tempie, stavolta forte.
"...vogliamo andare avanti così? Io dirò una
cosa,
tu ne dirai un'altra e ci arrabbieremo a vicenda?"
"Non so cosa dirti. Ti ho chiesto scusa, ho
riconosciuto i miei errori... più di così non so
che cosa devo fare. Devo
inginocchiarmi supplice ai tuoi piedi e implorare la tua clemenza? Sono
stata
sgradevole, ho rivangato un passato che deve restare dov'è e
ho detto cose che
non avrei dovuto dire, lo so. Ero sottosopra, stanca e agitata. Neanche
tu hai
tenuto la lingua al suo posto, se non sbaglio." sbottò Mei.
"Anzi no,
la lingua l'hai tenuta a posto eccome, ti ho mandato tanti di quei
messaggi ieri,
avessi ricevuto una risposta, dannazione."
Lui sbuffò.
"Miei Dèi, ero a Parigi per un esame! Non potevo
risponderti perché ero all'Università."
"Ah."
Mei spense la luce, decidendo di tacere.
Camus sentì il suo respiro farsi regolare col passare del
tempo. Incapace di prender sonno in quel catafalco mascherato da letto,
si mise
lentamente a sedere e le sistemò i cuscini dietro la
schiena, soffermandosi a
pensare. Com'era stato il rapporto tra i loro... doppi,
nella loro dimensione? Anche loro avevano riso, scherzato, litigato,
nella loro quotidianità? E quanto doveva essere orrenda la
vita dell'altra Mei,
per tentare di appropriarsi di una vita che non le apparteneva?
"Non riesci a dormire?"
Camus tentò di metterla a fuoco nel buio della stanza.
"Questo letto è claustrofobico, mi sembra di
soffocare." borbottò, schiarendosi la voce. "E tu
perché non
dormi?"
"Charles."
rispose Mei, con uno strano tono di voce.
"Chi?"
"La ragione per la quale il mio alter ego ha perso
il senno e ha provato a prendere il mio posto."
"L'altro me non si chiamava Fabien?!"
"Sì, ma non parlavo di lui. Charles è un bambino
di
sette anni, il loro unico figlio."
Camus corrugò la fronte.
"Come fai a saperlo?"
"Ho letto un atto di nascita e poi... prima che
Turi... DeathMask, la..." s'interruppe, cercando di non pensare al
destino
riservato all'altra Mei "...lei
ha condiviso qualcosa con me, dei ricordi. Da quel che ho potuto
vedere, pare
essere un bambino acuto e promettente, affettuoso e molto affezionato a
sua
madre, il solo genitore che abbia mai conosciuto. Ho percepito lo
stesso
potente sentimento che mi lega a te e a Lixue, un legame molto forte.
Ma
Charles ha anche sviluppato lo stesso Cosmo di suo padre e dato che
nella
dimensione temporale della mia alter ego Hades si deve ancora
risvegliare e il
Santuario è sguarnito, è stato strappato alle
braccia di sua madre per
l'addestramento. È in quel momento che lei ha iniziato
seriamente a cercare
un... come dire...posto alternativo
nel quale vivere: perdere il suo uomo l'aveva gettata nella
disperazione e
perdere suo figlio è stato troppo."
Per qualche istante Mei non udì altro che il suo respiro
regolare.
"...ti sei addormentato?!"
"No. Posso comprendere il suo stato d'animo ma...
non dovresti difenderla, ha cercato di toglierti di mezzo. Te l'ho
già detto,
ha sperato fino all'ultimo e le cose non sono andate come desiderava,
ma non è
una buona sc-..."
Mei accese una luce –una sorta di lampadina d'emergenza
più che una lampada
vera e propria, avvitata in quello che era il soffitto del baldacchino-
e lo
guardò, seria.
"Tu parli così perché non hai idea di come ci si
sente. Sei mai stato così disperato da non riuscire a
pensare? O hai mai
provato un dolore così atroce da mozzarti il respiro? Io sì. Non hai idea di come ci
si senta mentre cerchi di impedire
con tutte le tue forze qualcosa anche se sai perfettamente che non puoi
fare
nulla. Ti senti come se ci fosse qualcosa che ti stringe la gola e il
cuore
nello stesso tempo, è qualcosa che non auguro a nessuno,
l'essere inerme, impotente
e del tutto alla mercé del dolore." gli rispose. "Non riesco
ad
essere arrabbiata con lei, abbiamo
patito entrambe lo stesso strazio, abbiamo entrambe provato quella
sensazione
di soffocamento, ci siamo entrambe sentite inermi e disperate. A me
è andata
bene, tu sei qui e posso parlarti e toccarti, lei invece ha seppellito
il suo
Camus e nessuna divinità è più
intervenuta. E ora la loro creatura è
completamente sola, senza più neanche sua madre. Come
farà d'ora in poi?"
"Supererà anche questa, come abbiamo fatto tutti,
qui. O ti arrendi e ti lasci sopraffare o tiri fuori le unghie e
reagisci."
"...sì, certo. Come se fossimo tutti uguali."
"In questo luogo, lo siamo." la contraddisse.
"Tutti noi qui al Santuario non ci siamo arresi ai nostri destini,
tutti
noi abbiamo tirato fuori le unghie e preso di petto la vita, o saremmo
morti il
primo mese d'addestramento. Se mi fossi arreso, sarei morto di
polmonite... se
Aphrodite, o Milo, si fossero arresi, sarebbero morti avvelenati.
Persino
DeathMask ha lottato. O sarebbe morto come la sua famiglia, quel
lontano
giorno. Charles dovrà tirare fuori i denti e le unghie se
vorrà sopravvivere,
non ha altra scelta: lottare o arrendersi, vivere o morire."
"È solo un bambino, ha la stessa età di Lixue,
potrebbe essere nostro figlio, ci hai pensato? Ho subito pensato a lei
e a
loro, qui dentro: non oso nemmeno immaginare come potrei reagire se
qualcuno
provasse a portar via uno dei miei figli, la rabbia e la disperazione
sarebbero
così potenti che potrei uccidere senza alcuna
pietà." mormorò Mei. "E
non fare quella faccia: per onestà devo avvertirti che sarei
capace di uccidere
anche te se solo provassi a farmi una cosa del genere, sarebbe un
tradimento
troppo profondo da perdonarti."
"..."
"E ricordati che per me sarebbe facile avere la meglio su di te e farti
assaggiare il pugnale di mio padre, perché lo farei quando
meno te l'aspetti e
in un momento nel quale non saresti in te. Ti costringerei a vivere
sempre
all'erta."
"Lo so bene, ti conosco."
Mei sogghignò.
"Oh no. Tu pensi di conoscermi bene. Se come dicono
l'anima di una donna è come un iceberg, tu sei ancora alla
punta della parte
emersa."
"Confortante." commentò quindi Camus.
Tacque un attimo prima di scoppiare a ridere.
"Stai tranquillo, conosco mille altri modi per
mettere fuori uso una persona senza l'uso di armi da taglio. Un colpo
al collo
e via, pronto per l'altro mondo."
"Ciò dovrebbe rincuorarmi?"
"Direi di sì, perché non ho intenzione di
tagliuzzarti
ancora, hai abbastanza cicatrici addosso."
"...come...?!"
Mei allungò la mano ai suoi
pantaloni, tirandoli giù fino a scoprirgli il fianco ferito.
"Punto primo: a differenza
di mio fratello, la mia vista è perfetta e quel cerottone
non è invisibile. E
poi beh, non è da te dormire vestito né darmi le
spalle quando ti svesti. Punto
secondo: ci sento ottimamente, e ieri ho sentito Dohko chiedere
informazioni ad
Aphrodite circa la ferita che ti avrei inferto l'altra notte. Punto
terzo:
perché diavolo non mi hai detto niente?"
Sorpreso da quanto ascoltato
–pensare che aveva fatto di tutto per non farle sapere
niente- Camus si scostò
dal cuscino e si levò la maglietta.
"Okay, allora questa non serve più. Un po' d'aria, per la
miseria, qui
dentro si soffoca."
"Lo so, è un letto antico,
se non ci sei abituato fa quest'effetto." disse Mei. "E allora?"
"Non ti ho detto niente per
non farti preoccupare."
"Ma davvero? E secondo te non
mi sono agitata comunque? Ti ho quasi sventrato, secondo te non mi sono
preoccupata?"
"Cerco sempre di
proteggerti, lo sai."
"E su questa cosa arrivo al
quarto punto: domani mi porterai a casa e lascerò il tantō
nella stanza degli
avi. Non posso correre di nuovo rischi del genere. Ti sei fatto vedere
da un
medico?"
"Aphrodite basta e avanza,
non trovi? Stai tranquilla, sto bene, sto prendendo gli antibiotici."
Mei annuì.
"D'accordo. Fai qualcosa per
riportare casa a una temperatura decente, perché mi manca il
nostro materasso,
questo è troppo morbido per i miei gusti."
"Quindi torni a casa?"
"Se vuoi resto qui, così
sarai costretto a convivere anche con Shiryu."
Camus sgranò gli occhi.
"Vedrò che cosa posso fare."
**
"Bentornata
a
casa."
Mei
alzò lo sguardo dal
libro e si strinse nella felpa dei Kiss ricevuta in dono anni prima,
per
proteggersi dall'aria ancora freddina che aleggiava in casa.
"Vi
ringrazio, monsieur." rispose,
prima di
terminare la tazza di tè.
Degél
sorrise.
"Bach."
"Come,
prego?"
"La
musica che state
ascoltando, l'aria della Suite n°3 in re maggiore...
è di Johann Sebastian Bach."
"Sì,
lo so."
"Anche
se preferisco
il preludio della Suite n°1 in sol maggiore... sapete, quella
suonata al
violoncello. Non immaginavo vi piacesse anche Bach."
Mei
sciacquò la tazza e la
ripose.
"La
musica barocca
non è tra le mie preferite, a dire il vero. È che
ho impostato una playlist di
musica classica su Youtube perché pare sia il solo modo di
tenerli tranquilli
tutti e tre e... oh, non importa." spiegò, imbarazzata. "Ma
adoro le
opere liriche."
"Sì,
lo sapevo.
Comunque, per quanto sia interessante discorrere di musica con voi, non
è per
questo che sono qui. Posso rubare un po' del vostro tempo?"
"Ma
certo." gli
sorrise in risposta.
"Allora,
vogliate
seguirmi, prego. Oh, prendete le chiavi della biblioteca, per favore."
Lo
vide raggiungere la
doppia porta che conduceva alla biblioteca dietro gli appartamenti
privati.
Richiuse la porta alle proprie spalle, restando come sempre affascinata
dagli
scaffali alti diversi metri, zeppi di libri, e dall'odore che
emanavano,
mischiato al profumo della cera d'api.
"E
adesso?"
"Continuate a seguirmi."
Facile
per lui, essendo
incorporeo non doveva faticare poi tanto. Sospirò prima di
decidersi a salire
la scala a chiocciola che saliva sinuosa lungo la parete, fermandosi a
un passo
da Degél che l'aveva condotta fino all'ultimo piano, a circa
dodici metri da terra.
"Dove
mi state
portando?" gli domandò. Degél era intento a
cercare qualcosa lungo una
porzione di parete priva di scaffali. "Non mi direte che state cercando
un
passaggio segreto?"
"Qualcosa di simile: ho tratto ispirazione da Versailles. Avete mai
visitato
la reggia? Si narra che i re, soprattutto Luigi XIV e il bisnipote
Luigi XV li
utilizzassero per far visita alle amanti: Madame de Pompadour e Madame
Du Barry,
per citare le più famose."
"La
reggia è
visitabile solo in parte, e sicuramente i passaggi segreti non sono
inclusi
negli itinerari turistici. Comunque voi utilizzavate da solo questa
stanza?"
Degél
sollevò un
sopracciglio.
"Stavo
scherzando." ribatté Mei. "Non avete l'aria di esser stato
un
libertino."
"Sacrebleu, non direi proprio."
"Lo
so. Eppure dal
ritratto giù in casa, eravate un bel giovane."
"Dite?
Potrei
sbagliarmi, ma se non vi conoscessi, direi che siete infatuata di me."
le
sorrise, scoccandole un'occhiata allegra.
"Affascinata semmai, è
diverso." lo corresse. "Amo un solo
uomo, monsieur, e non siete
voi."
"Ne
sono lieto."
rispose Degél. "Anche perché la differenza
d'età è ragguardevole
–duecentosessantaquattro anni sono un po' troppi, avete idea
dello scandalo che
seguirebbe?- e perché ho amato una sola donna e quel
sentimento l'ho riservato
solo a lei. Ma poi... che sorta di relazione sarebbe la
nostra...vediamo...platonica?
Dopotutto sono uno spirito
senza corpo."
Mei
scoppiò a ridere.
"Noto
che la vostra
audacia ha fatto passi da gigante. Dunque, oltre a essere di
bell'aspetto siete
anche audace."
"Come
oggi, anche
all'epoca esistevano artifizi per migliorare l'aspetto di una persona:
quel
ritratto non è del tutto veritiero."
"Questo
lasciatelo
giudicare a me, se non vi dispiace. Certo, se potessi vedervi meglio di
come posso
vedervi ora, vi darei un giudizio più accurato."
Lui
corrugò la fronte,
fermando le dita a un certo punto.
"L'assunzione
di una
forma più materiale è un aspetto al quale sto
lavorando da tempo, Mei. Oh, eccoli
qui." rispose lui. "Li vedete?"
Due
chiavistelli abilmente
celati nella modanatura della parete: faticando un po', Mei
riuscì a sbloccarli
e ad accedere al locale dietro il pannello girevole. Un locale grande
quanto la
camera da letto di Camus, che a una prima occhiata aveva bisogno d'una
gran pulita.
"È
tutto come l'avevo
lasciato prima di partire per Blugrad, nessuno ha mai più
messo piede qui
dentro." le spiegò. "Oh, guardate. C'è persino
l'ultimo libro che
lessi qui. Questo era... come dire... il mio posto
privato."
"Catullo. Scelta interessante."
commentò Mei, sbirciando la
copertina del libro dopo aver rimosso la polvere con una passata di
mano.
"Chiedo
venia, perché
interessante?"
"Non
so. Voi custodi
delle energie fredde non vi abbandonate ai sentimenti, eppure Camus
adora i grandi
classici russi zuppi d'amore e sentimenti, mentre voi leggete Catullo."
"Rammentate
quanto vi
dissi anni fa, sulle due facce che noi guerrieri siamo obbligati a
mantenere.
Qui dentro potevo permettermi di essere solo
Frédéric e nessun altro."
Scostato un telo, Mei si sedette su una poltroncina, stanca.
"Vi
chiamate
Frédéric?"
Degél
annuì, quindi
trovato ciò che stava cercando, lo indicò a Mei.
"Riguardo
ciò che mi
avete detto l'altro giorno..."
"Vogliate
perdonarmi,
non ero in me ed ero arrabbiata."
"Non
importa, non
sono in collera con voi. Posso chiedervi una gentilezza? Nel cassetto
più
piccolo di quel secretaire c'è una chiave, prendetela. Lo
farei io stesso, se
potessi."
Fece
quanto chiesto,
quindi, seguendo le sue indicazioni, aprì il baule accanto a
lui: al suo
interno, sotto uno strato di mussola, intravide degli abiti.
"Posso?"
gli
domandò: pur essendo uno spirito erano comunque oggetti di
sua proprietà.
"Prego."
Un
sontuoso abito di
broccato azzurro chiaro a decori d'argento, dal bustino stretto e le
maniche aderenti
che si aprivano in un tripudio di pizzi all'altezza del gomito. Mei se
lo
drappeggiò addosso, constatando quanto fosse stretto.
"D'accordo,
al
momento sono incinta e perciò ho le misure un po' allargate,
ma miei Dèi, come
facevano le donne della vostra epoca a indossare bustini tanto stretti?"
"Come
facevano le
donne del vostro Paese a sopportare la fasciatura dei piedi?"
ribatté Degél.
"Giusto."
convenne Mei. "Paese che vai, tortura che trovi."
Mise
da parte l'abito
femminile, passando per un elegante completo da uomo in velluto blu
notte,
dalla giacca rifinita di volute e ricchi ricami dorati.
"Ammetto
che
preferisco la moda maschile a quella femminile: corsetti e panieri non
hanno mai
attirato le mie simpatie. Ma le giacche da uomo, come questa... e
questi? Un
tantino trasparenti per un galantuomo come voi: riesco a vederci
attraverso." gli disse, sollevando un paio di braghe bianche, dal
tessuto
leggero.
"...per
essere
onesti, Mei, li indossavo, ma... come la camicia, c'era e non si
vedevano."
Arrossì
violentemente.
"Volete
dirmi che
erano le vostre... mutande?" mormorò Mei, imbarazzata.
"E
voi volete dirmi
che non avete mai toccato biancheria da uomo?"
"Sì,
quella di mio
fratello o di mio marito quando faccio il bucato, ma..." s'interruppe e
si
schiarì la voce. "D'accordo, lasciamo da parte i vestiti e
passiamo a
qualcosa di più neutrale... questa, ad esempio." prese la
scatola
intagliata sul fondo del baule, scoprendo un
medaglione portafoto, una collana di perle e un
cofanetto.
"Beh, non proprio
neutrale. Non ne faccio una giusta a quanto pare."
"Apritelo."
Ancora
sottosopra per vari motivi, in primis per
il modo in cui aveva trattato Degél, Mei aprì
lentamente la scatolina di
velluto rovinata dal tempo. Al suo interno, un anello.
"Oh."
"Si
chiamava Seraphina e quell'anello
di fidanzamento era destinato a lei."
A
distanza di due secoli ricordava ancora le sensazioni provate quando
aveva
acquistato quel gioiello, a come aveva fantasticato sul momento della
proposta... tutte cose perdute in un istante.
"E
quegli abiti... li avevo acquistati per noi, per il nostro matrimonio,
prima
che... beh, non ha più importanza, comunque. Il Destino ha
voluto diversamente.
Ho riflettuto a lungo sulle vostre parole e sono
giunto alla conclusione che in parte avevate ragione. Sono scomparso
all'età di
ventidue anni senza aver provato l'ebbrezza della passione, senza aver
conosciuto il calore delle braccia di una donna, senza aver...amato nel
senso
puramente carnale del termine. Ma vi ho detto che ho amato anche io, ed
è vero.
Un'amica d'infanzia, sorella di un mio grande amico: ci è
voluto un po' di
tempo per farmi comprendere la vera portata dei miei sentimenti e non
c'è stato
che un solo bacio tra di noi, ma fu sufficiente. Avrei fatto qualunque
cosa,
avrei dato la mia vita per lei. Non ho raggiunto la vostra
età e rispetto a voi
sono inesperto, forse non so che cosa voglia dire vivere a stretto
contatto con
una persona, dormire o fare l'amore con essa e avere dei figli, ma
posso
comprendere, anche troppo bene, che cosa voglia dire soffrire e
disperarsi per chi
si ama."
La
perdita della persona amata era un dolore
inimmaginabile e Mei sentì qualcosa spezzarsi dentro,
pensando a quanto dolore
Degél aveva dovuto sopportare.
"Oh,
Dèi." mormorò, con la voce
tremula. "Non potevo immaginarlo, ho parlato senza pensare a
ciò che
dicevo. Mi dispiace veramente tanto aver risvegliato il vostro dolore
con la
mia mancanza di tatto. Vi prego di perdonarmi, monsieur."
Un
altro sospiro triste.
"Non
avete risvegliato nulla, mia cara,
perché quel dolore non si è mai sopito."
mormorò Degél.
Si
domandò come facesse a convivere con quel dolore tutto il
giorno, tutti i
giorni, da decenni: lei l'aveva provato per poco tempo ed era stato
terribile,
atroce, incredibilmente difficile.
"Un
giorno vi parlerò di lei, ma... in questo momento non mi
è proprio
possibile."
"Non
ve l'avrei chiesto, a dire il vero." rispose, iniziando poi a riporre
pian
piano ciò che aveva tirato fuori dal baule. Piegò
con estrema cura il velo e la
sua acconciatura di perline, sfiorandole con le dita, pensando a
quant'era
stata fortunata Seraphina ad aver avuto accanto un ragazzo come
Degél.
"L'avevo
detto, eravate un bel giovane." proruppe diversi minuti dopo, cercando
di
stemperare la tensione. "Questo ritratto è diverso da quello
appeso in
corridoio."
"Voi
mi lusingate. Potete tenerlo, se vi fa piacere."
"Non
posso accettare, è troppo prezioso per voi."
"Allora
diciamo che lo terrete in custodia finché non
tornerò a riprenderlo, che ne
dite?"
"D'accordo."
annuì Mei, sorridendo. Il ritratto sull'altra
metà del medaglione ritraeva una
splendida ragazza: facile indovinarne il nome. "In quanto a Seraphina,
i
miei complimenti, monsieur. Era davvero molto bella."
Gli
occhi di Degél s'illuminarono, le labbra piegate in un caldo
sorriso
melanconico.
"Oh
no. Lei non era solo bella,
lei era il Sole."
***
Lady
Aquaria's corner:
Riguardo
la lunghezza del capitolo, lo ammetto, la cosa mi è sfuggita
un tantinello di mano,
ma non volevo spezzarlo in due.
I
personaggi accennati qui –Mingxia, Weizhe, Volya, Fabien e Charles-
sono miei OC, ma
non compariranno mai, se non nei ricordi dei loro cari.
Proseguo con le note:
-Gauloises Blondes: sigarette francesi (non scelte a caso,
lo devo ammettere: queste sigarette erano le preferite di Albert Camus,
a quanto
pare dalla sua biografia).
-Ici c'est Paris!: è uno degli slogan della più
famose squadre
di calcio di Parigi, il Paris Saint Germain, della quale Camus
è tifoso.
-HSK6, Delf e livelli A2-B1: riguarda la conoscenza delle
lingue cinese mandarino e francese; qui
una spiegazione più accurata.
-Dalida: meravigliosa cantante franco-italiana, famosissima
soprattutto in Francia: a Parigi ha persino una piazzetta intitolata a
suo
nome.
-Tajine: particolare pentola di terracotta in uso
soprattutto nei paesi della fascia nordafricana.
-Grande Arche: il moderno "arco" costruito nel
quartiere finanziario di Parigi.
-Louvre – Concorde - Triomphe – Defénse:
Camus si riferisce all'asse
che unisce (asse
non esattamente allineato, a dire la verità) questi quattro
punti a partire
dalla piramide di vetro del Louvre fino al moderno arco della
Defénse
attraverso l'obelisco di Place de la Concorde e l'Arco di Trionfo in
Place de
l'Ètoile.
-Harem
imperiale cinese: gli imperatori potevano contare su
centinaia di
concubine, separate per "gradi" secondo un complesso sistema di caste
interne; molte imperatrici passate alla storia per la loro
crudeltà o per il
loro potere si fecero strada nello spietato mondo dell'harem. Tra loro,
ad
esempio, Cixi.
-Nell'antica Cina era in uso un particolare
tipo di letto a baldacchino dalla struttura chiusa: Camus lo
definisce catafalco (feretro)
appunto perché a differenza
dei letti ai quali siamo abituati, non è aperto. Nel
collegamento troverete un
esempio.
-Infine...
per me Degél e Seraphina avevano una storia. Voglio dire, so
che non è scritto
da nessuna parte, ma a me personalmente piace pensare che tra loro ci
fosse
qualcosa. Ad ogni modo Degél nacque nel 1721 (per morire poi
ventidue anni
dopo, nel 1743), quando in Francia regnava Luigi XV, bisnipote del Re
Sole, che
reintrodusse nella moda dell'epoca la sobrietà che in
qualche modo era mancata
durante il regno del suo predecessore; alcuni elementi, ad esempio,
persero lo
sfarzo amato da Luigi XIV. Degél (pur avendo trascorso la
stragrande
maggioranza della vita in Grecia o in Russia) lo vediamo, soprattutto
nel
Gaiden a lui dedicato, indossare splendidi completi alla francese in stile
rococo, e gli abiti che ho descritto ricalcano quello stile.
Pur avendo
fatto diverse ricerche, anche su libri cartacei, non sono del tutto
sicura
dell'uso della biancheria intima (reintrodotta nel 19° secolo),
ma preferisco
pensare che Degél ne facesse uso, insieme alla camicia da
notte lunga e la
classica camicia bianca indossata sotto il panciotto. Non riesco a
immaginare monsieur
Degél in una situazione alla "sotto il vestito, niente".
Proprio no.Vorrei
ringraziare chi continua a leggere e quelle poche anime pie che ancora
recensiscono. Mille fois merci.
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 37 *** It's not right (but it's okay). ***
Capitolo 37 principale
37.
It's not right (but it's okay)
14
maggio.
"Sei
sicura di aver preso tutto? Calzini, vestaglia, camicia
da notte?" Camus
scalò in terza dopo aver svoltato sul lungosenna.
Cercò di mascherare il
tremore delle mani continuando a stringere il pomello del cambio.
Dal canto
suo, Mei fece finta di non notare il suo nervosismo e
continuò a frugare nella
borsa da viaggio che aveva preparato tempo prima.
"Sì,
sì
e ancora sì. Ma credo di aver dimenticato qualcosa."
"Oddèi, cosa?! Possiamo ancora tornare indietro, arrivo alla
rotonda e..."
"La voglia di entrare in sala operatoria:
quella
manca, mi spiace." rispose Mei.
La
guardò
fugacemente.
"Mei!!"
la riprese.
"Oh,
dai. Quanto sei noioso, permettimi una battuta."
Camus
grattò
la frizione, attirando su di sé lo sguardo di Mei.
"Hai
idea di quanto costa ripararla? Pigialo quel pedale, non gli fai male
sai?"
"Carta
d'identità? Tessera sanitaria? Stato di famiglia? Il piano
per il parto? Le
cartelle cliniche e gli esami? Il caricabatterie del cellulare?"
"Miei
Dèi, mi stai agitando!" sbottò Mei. Gli
mostrò due portadocumenti. "Esami
e cartelle sono in questo rosso, se dovessero servirti: ho preso anche
il
passaporto, in prefettura mi hanno consigliato di portarlo. I documenti
per
l'anagrafe invece, sono in quello blu, intesi?"
"D'accordo.
Mi sembri stanca."
"Lo
sono, non ho dormito tutta la notte."
"Così avrai poche energie per il parto."
"Quali energie mi servirebbero, dato che è un cesareo e non
devo
spingere?"
Stranamente
c'era poco traffico quella mattina. Da un lato era una benedizione,
dall'altro
era strano. Camus tuttavia ci fece poco caso.
"Io
invece ho dormito come un sasso stanotte, ed è strano..."
Mei si
schiarì la voce, torcendosi le mani poco dopo.
"Ah-hem.
Cam, non ti arrabbi, vero, se ti confesso una cosa?"
"Dimmi."
"...hai
dormito perché nella tua tazza di assam ho messo la
valeriana."
"Tu...cosa?!"
"Hai
detto che non ti saresti arrabbiato."
"Sì,
ma questo
prima di sapere che mi hai drogato!"
"Hey che
esagerato, non ti ho drogato, è solo valeriana, mica ti ho
riempito di
sonnifero! Ieri eri così nervoso che avresti trascorso la
notte a rigirarti nel
letto... è solo una pianta, non ti preoccupare. Tra l'altro
ha avuto effetto,
con me non funziona nemmeno più."
"Non mi
piacciono certe cose, soprattutto se agisci alle mie spalle."
"Hai
recuperato sonno e forze, e oggi sei tu quello che ne ha bisogno. Ti
prego, non
ti arrabbiare con me. Non oggi."
"La
prossima volta avvertimi prima di fare certe cose. Se avessi avuto
bisogno
d'aiuto, come avrei potuto darti una mano? Pensaci, prima di prendere
certe
iniziative." Camus posteggiò nel parcheggio riservato
dell'ospedale.
"Avrei dovuto prendere la tua auto, faresti meno fatica a scendere."
"No,
perché fai troppi spostamenti e mi dà fastidio
dover risistemare sedile e
specchietti prima di usarla."
"Ah
sì?
Scusa ma non è colpa mia se hai le gambe corte e se devo
spostare il sedile per
poterla usare: non è comodo guidare abbracciati allo sterzo."
"...ricordati
che nella botte piccola c'è il vino buono!"
"Nel tuo
caso c'è aceto. Aspetta
qui, vado a
prendere una sedia a rotelle." le disse, prima di dirigersi
all'accettazione della clinica e tornare pochi minuti più
tardi senza la
cartellina di plastica. "Ti aspettano per un autografo sul foglio di
ricovero e poi possiamo salire alla tua stanza. Che c'è?"
Ancora
sprofondata nel sedile, Mei guardò l'edificio e
deglutì.
"Niente,
niente."
"Hai
paura?"
"Su quel
tavolo operatorio mi apriranno in due come una trota al cartoccio,
certo che ho
paura." gli rispose, mentre Camus spingeva la carrozzella il
più vicino
possibile all'auto, per permetterle di sedersi con comodità.
"Esagerata!
È solo un taglio." sorrise lui.
"Oh,
okay, allora la prossima volta lo farai tu." rispose, facendolo
ridacchiare.
"Sai,
portare a termine una gravidanza dentro una prostata è un
po' difficile, dovrei
avere un utero."
Mei
sgranò
gli occhi.
"Oddèi
no."
"Cosa?"
"Ho appena avuto un flash di te in piena crisi mestruale.
Oddèi no, già
sei insopportabile così, figurati con un utero."
replicò. "E poi non
si potrebbe fare, a me piace ciò che hai."
Si
schiarì la
voce, avvampando.
"Dai,
tra qualche ora tutto questo sarà finito."
"Ah no
amore, tra qualche ora inizierà il bello." lo corresse.
"Andiamo,
prima che ci ripensi."
In camera,
rimasta sola qualche istante mentre Camus scambiava qualche parola con
i medici,
Mei aprì il sottile portafoto che portava sempre con
sé e guardò sua madre, che
accanto a suo padre, le sorrideva dalla fotografia. La strinse al
petto,
cercando di trarne forza.
"Restami vicina, mamma. Ti prego."
"Dunque,
tra qualche minuto arriverà la tua dottoressa e ti
visiterà, quindi ti faranno
un'ecografia e il monitoraggio dei bambini. Qui c'è la
chiave dell'armadietto e
adesso ti darò una mano a spogliarti." Camus la interruppe,
posando la
camiciola dell'ospedale sul letto, quindi tirò fuori i
calzini dalla borsa che
Mei si era portata appresso e l'aiutò a spogliarsi. "Le
ciabatte ancora
non ti servono, ma te le sistemo qui, okay? Ho già
consegnato in nursery la
borsa con i vestiti richiesti per i bambini e non appena
arriverà
l'anestesista, ti porteranno in sala operatoria. Oh guarda: si vede
l'Osservatorio dalla tua finestra: camera con vista, non sei contenta?
Certo,
non è la Tour Eiffel che ami tanto ma... che c'è?"
Mei sembrava
sul punto di piangere.
"Non sono
pronta. Una volta fuori non saranno più al sicuro."
mormorò.
"Tesoro,
il mondo non è tutto rose e fiori, ma non possono certo
rimanere qui dentro per
sempre. Andrà tutto bene, coraggio, ancora qualche piccolo
sforzo e presto stringeremo
i nostri bambini."
"Ho paura."
Camus si
chinò per abbracciarla.
"Ne
avrei anch'io al posto tuo." le rispose. "Ma sei la donna
più forte
che conosco, supereremo anche questo. Pensa ai lati positivi: la pancia
sparirà
insieme al mal di schiena, alle corse in bagno, agli ormoni
impazziti... potrai
tornare al lavoro che ti piace tanto..."
Mei si guardò fugacemente intorno.
"...potremo
tornare a fare sesso, perché insieme al sushi, al Roquefort
e al prosciutto
crudo è la cosa che mi manca di più."
sussurrò. "Sono a digiuno da
gennaio e la bestia ha fame."
"Come,
prego?"
"...sai,
gli animali, quando escono dal letargo invernale, escono dalla tana e
si
mettono alla ricerca di cibo perché le scorte fatte in vista
del lungo sonno
sono esaurite e d'improvviso sentono un ruggito provenire dallo
stomaco. La mia
bestia..."
"Aspetta,
è un termine astruso per indicare la tua... oddio."
"Ma no, che ti salta in
mente...? È un discorso
più ampio! Si
sta risvegliando e presto avrà fame: ma non ha
più bisogno della sola verdura o
dello yogurt magro con i quali si è nutrita da gennaio in
poi, ha voglia d'altro."
"Mei-Yin ShuFang. Siamo in un
ospedale, potrebbero sentirci!"
"Oh,
suvvia, saresti l'unico qui dentro a scandalizzarti: ma capisco anche
il tuo
punto di vista, del resto una volta fuori queste tre piccole canaglie,
il mio
corpo flaccido impiegherà un po' a rimettersi in forma."
Le rivolse uno sguardo serio.
"Il tuo
corpo mi piace anche così, smettila di dire sciocchezze. Il
fatto è che la
ferita del cesareo impiegherà un po' a rimarginarsi e non
possiamo fare tutto
di fretta."
"Il
fatto è che noi scorpioni siamo passionali, abbiamo bisogno di fare sesso. E sia, allora
vorrà dire che ti concederò il
privilegio di stare sopra e fare tutto il lavoro."
"Oh,
grazie mille."
Sorrise,
prendendogli una mano.
"Dai,
sto cercando di essere meno dura e acida, dammi una mano."
"Lo so e
lo apprezzo, questa Mei meno dura mi sta piacendo ma... non mi rendi le
cose
facili, non sono fatto di granito, sai?"
"Sia
resa lode ad Athena!"
"Vuoi
una coperta? Hai le gambe gelide." cambiò discorso Camus,
cercando di
tenere a bada l'imbarazzo.
"A dire
il vero loro sono a posto, sono le tue mani ad essere fredde: ma ti
sarei grata
se mi infilassi i calzini. Uh, prima che mi dimentico: nell'armadio,
nascosto sotto
i karategi, c'è un pacchetto blu."
Annuì,
mentre
faceva quanto gli aveva appena chiesto.
"Ti
serve con urgenza? Te lo devo portare?"
"No,
stavo per dirti che è per te."
Corrugò
la
fronte, scoccandole un'occhiata interrogativa.
"Il mio
compleanno è già passato e non festeggio
l'onomastico, che per inciso è stato
il 26 aprile."
"Deve
per forza esserci un'occasione in particolare per ricevere un dono?
Beh, se
proprio vogliamo trovarne una... ecco, ci siamo conosciuti a maggio,
nove anni
fa." lo interruppe.
"Era di
maggio? Sicura? Io ricordo giugno."
Mei inarcò un sopracciglio, a metà tra il
sorpreso e il contrariato.
"....mi
stai deludendo, Monsieur LaRochelle." borbottò,
interrompendo il discorso
all'arrivo dell'infermiere.
Durante il
monitoraggio Camus rimase fuori dalla stanza per firmare qualche
documento e permetterle
di tranquillizzarsi un po' in vista dell'operazione.
"Buongiorno, paparino."
"Non
sono ancora nati." sorrise, in risposta a Milo. "La opereranno a
breve e intanto la stanno visitando e mi han chiesto di uscire dalla
stanza.
Non ti disturbo,vero?"
"Figurati, qui abbiamo beccato due buontemponi con dei documenti falsi
e
stiamo aspettando che la polizia li venga a prendere: ho ancora qualche
minuto
libero. Mei come sta?"
"Ha
paura, ma se la caverà benone come ha sempre fatto."
"Dici
così perché non sei tu a dover subire un cesareo.
E tu invece? Come stai?"
"Ho una
paura pazzesca addosso, mi tremano le mani, ma cerco di non darlo a
vedere a
Mei o va a finire che si agita. Ascolta, ti darebbe fastidio tenere
Lixue per
un paio di giorni? Io trascorrerò la notte qui in ospedale e
preferisco
affidarla a te piuttosto che a mio cognato: ti ho lasciato una delega
sul
tavolo della cucina, ti servirà per prenderla all'uscita da
scuola."
"Nessun
problema, sai che l'adoro. Uh, devo lasciarti, è arrivata la
polizia. Avvertimi
quando sono nati, okay? Ciao."
Milo chiuse
la chiamata in fretta, senza dargli il tempo di rispondere, ma Camus
non se la
prese. Quando vide l'infermiera spingere il lettino di Mei fuori dalla
stanza
per portarla in sala preoperatoria, spense il cellulare e lo ripose
senza altri
indugi.
"Quasi mi dimenticavo... Lixue dopodomani avrà una verifica,
perciò dovrà
ripassare per bene. E mi raccomando i denti, li deve strofinare almeno
tre
minuti per ogni arcata, intesi? C'è una clessidra sulla
mensolina del bagno, di
solito usiamo quella. I suoi denti sono quasi tutti definitivi, se non
li
strofina bene saranno dolori."
"Lo
so."
"Ah,
farà un po' di storie per il collutorio, ma lo deve usare
ogni volta che si
lava i denti, soprattutto la sera prima di dormire: è quello
ai frutti rossi,
mi raccomando, non ti confondere con il nostro, non è
indicato per i bambini
della sua età."
"Sì,
lo
so."
"Domattina,
prima di accompagnarla a scuola, dalle una mano con i capelli:
è capace di
intrecciarli e si arrabbia se l'aiuto, ma..."
"Mei, so
prendermi cura di nostra figlia, stai tranquilla!"
"So che
sei capace, ma è più forte di me. Uno di questi
giorni potresti portarla al
cinema, so che voleva andare a vedere John Carter. E per una volta hai
il permesso
di portarla al McDonald, non deve sentirsi trascurata o messa in
secondo piano."
"Non
preoccuparti di noi a casa, pensa a te stessa e ai bambini." concluse
Camus. "Ci vediamo tra poco."
"Come
sarebbe? Non vorrai mica assistere al parto?!"
"Sì,
e
niente di ciò che mi dirai potrà farmi cambiare
idea."
"Ma
all'ecografia..."
"Niente storie."
"E va
bene." capitolò Mei, infine.
**
"Auguri,
paparino!"
Camus
rispose
all'abbraccio di Milo, sulle labbra un sorriso da trentadue denti.
"Allora,
come state?"
"Adesso
molto meglio."
Milo
ridacchiò appena, facendo corrugare la fronte dell'amico.
"Non l'avrei mai detto, ma siete proprio dei genitori calmi... avete
chiamato e avete annunciato la nascita dei bimbi senza tutto il dramma
del
dietro le quinte..."
"Oh. A
dirla tutta il dramma c'è stato, beh... diciamo mezzo
dramma. Uscita dalla sala
operatoria Mei era sedata e ha dormito tranquilla tutta la notte, io
invece,
come puoi vedere, avrò dormito sì e no un paio
d'ore per paura di una seconda
emorragia."
"E ora come sta?"
"Conta
che oggi per pranzo ha preteso una demi baguette con fichi, crudo e
Roquefort e
che sta già scalpitando per essere dimessa. Per fortuna qui
i medici sono
inflessibili: hanno detto quattro giorni di degenza, e quattro saranno."
"Allora
sta benone." ridacchiò Milo. "E i cuccioli?"
"Per
loro è diverso, la degenza durerà molto
più a lungo: sono dentro le incubatrici
e uno di loro ha un po' d'ittero neonatale però tutto
sommato, va bene. Sono un
po' sottopeso, ma sono vivi e sani."
"Ottimo.
Si possono già vedere?"
"Sì, Mei è in nursery, si è
appropriata della sedia a rotelle e protesta
quando il medico insiste affinché si rimetta a letto. La
conosci, è una
combattente nata."
"Mi
sarei stupito del contrario, a dire il vero." sorrise Milo.
Camus lo
accompagnò in terapia intensiva neonatale dove, dietro un
vetro, erano
allineate diverse incubatrici. Accanto a due di esse, videro Mei in
camicia da
notte e vestaglia, seduta sulla sedia a rotelle.
"Sono
tutt'e tre femmine?"
"Due
maschi, quelli accanto a Mei, e la femmina che però
è là in fondo, dentro
quell'incubatrice con le lampade verdi: se ha ereditato anche un solo
centesimo
della tempra di sua madre, ne uscirà presto." sorrise Camus,
con orgoglio.
Bussò delicatamente sul vetro richiamando l'attenzione della
moglie, che uscì
poco dopo.
"Vedrai
che bicipiti mi verranno, a furia di spingere questa dannata
carrozzella. Milo!
Come stai?"
"Kalimera, orea mou." la salutò
Milo, chinandosi per abbracciarla.
"Bella non direi, sono in uno stato
pietoso e puzzo di ospedale e del suo orrendo shampoo al sandalo."
"Ho
confuso i flaconi: errore mio, chiedo venia." si scusò Camus.
"Ti
trovo benissimo, invece: non hai affatto l'aria di una donna che ha
appena
partorito."
"Avessi
partorito naturalmente sarei stata in condizioni decisamente peggiori."
replicò Mei, soprapensiero. Notando il repentino cambio
d'espressione di Milo,
si affrettò a correggere il tiro. "Non che prima fossi
meglio di adesso. A
casa tutto bene?"
"Tra
poco tocca a noi e... per Athena, preferisco non pensarci."
replicò Milo,
atterrito.
"Se la
sta facendo addosso." bisbigliò Camus, divertito, attirando
l'occhiataccia
dell'amico.
"Ti
risparmio solo perché sei appena diventato papà."
"No, lo risparmi perché altrimenti dovresti vedertela con
me." lo
corresse Mei.
"In
qualche modo riesci sempre a salvare le penne... quindi ora che sapete
il sesso
dei pargoli, non vi rimane che scegliere il terzo nome, dopo
Joséphine e
Alexandre." osservò Milo.
"In
verità l'abbiamo già scelto: li ho registrati
stamattina perché non potevamo
tirarla troppo per le lunghe."
"Nome
francese o cinese?"
Scambiando
un'occhiata con Mei, che annuì, Camus sorrise.
"Milo."
"Sì?"
"Dicevo...
Milo."
"Riesco
ad ascoltarti anche se non ti guardo, sai?"
"Il bambino si chiama Milo. Josie porta i
nomi delle nonne, Alex porta il nome di mio padre e il secondo nome di
Hyoga e
il terzo porta il tuo nome e quello di suo nonno materno. L'abbiamo
chiamato
così in tuo onore." spiegò Camus. "Come ti ho
già detto la
femminuccia è prenotata, Hyoga se n'è innamorato
al primo sguardo, perciò, magari,
pensavamo che potresti essere il padrino del tuo omonimo. Lo
presenterai alle
Anfidromie insieme a Shaina."
Milo parve
metterci un istante per comprendere la portata di quella risposta:
passò rapido
lo sguardo da loro due ai bambini, gli occhi sgranati.
"Voi…
cosa…?"
Camus
indicò
le tre incubatrici con un cenno.
"Joséphine
Letizia, Alexandre Jurij e
Milo Wei-He."
L'altro si
portò le mani alla bocca, lo sguardo fisso sui tre bambini.
"Avete
chiamato vostro figlio come me?" sussurrò.
"Naturalmente,
che domande. Essendo figlio unico, a chi altri avrei potuto prendere il
nome in
prestito? Certo non potevo chiamarlo Shiryu."
ribatté Camus. "Senza offesa, tesoro."
"Figurati..."
"Ma siete pazzi? "
Si
guardarono, colti di sorpresa.
"E
adesso?" mormorò Mei, mentre Milo li ignorava in favore dei
bambini.
Milo la
interruppe.
"No...
non pensate che non sia contento del vostro omaggio, per me
è un onore... è che
questo vi crescerà su indemoniato!"
Camus
tornò a
guardare Mei.
"Accidenti,
a questo non avevo proprio pensato."
"Oh,
ma finitela, tutti e due. Crescerà come deve crescere, il
nome c'entra
poco."
"I
bambini frutto di etnie diverse sono bellissimi. I vostri mi ricordano
quelli di
Bruce Lee e sua moglie."
"Sperando
non facciano la stessa fine." commentò Camus, allontanandosi
dal vetro
della nursery.
"A dire
il vero dei due figli di Bruce Lee, solo il maggiore è
morto." precisò
Mei.
"Brandon,
se non sbaglio." annuì Milo.
"Sì.
Quant'era bello quel ragazzo, mamma mia..."
"Coraggio,
torniamo in camera, è finito l'orario di visita."
interloquì Camus.
"Comunque
parola mia, il mio omonimo ti ha rubato la faccia! E quei capelli neri,
poi...
ha preso i tuoi caratteri!"
"Shiryu,
dopo averlo visto, dice che assomiglia parecchio a una sua vecchia foto
da
neonato... quindi credo abbia preso i caratteri e i geni di mio padre e
di mio
fratello, più che i miei." si schermì Mei.
"Povero
figlio mio." brontolò Camus. "Per i suoi diciotto anni gli
regalerò
una plastica facciale."
"Hai
detto qualcosa?" Mei si voltò e inarcò un
sopracciglio mentre Milo, dietro
di lei, soffocava una risatina.
"No."
"Ecco,
bravo. Continua così."
"Poteva
andare
peggio, avrebbe potuto ereditare il tuo naso." interloquì
Milo.
"Il mio
naso è perfetto."
"Oh ma
dai. Quando svolti un angolo arriva prima il naso di te."
Mei si
rigirò
verso Milo.
"Questa era carina!" si complimentò, battendo il cinque con
l'amico.
"Ah
sì?
Vogliamo ridere ancora un po', che dici? D'accordo. Milo, tu non hai
idea della
risata che ci ha fatto fare ieri. L'infermiera mi fa preparare tutto
quanto con
camice, sovrascarpe, mascherina e cuffietta, entro in sala operatoria
per
starle vicino, e lei mi scambia per un medico: oh,
salve, dottore!! Che occhi, mi ricordano moltissimo quelli di mio
marito! Le dispiacerebbe sedersi accanto a me?"
Stavolta
Milo
non soffocò la risata.
"Al che
mi siedo accanto a lei, abbasso la mascherina e le dico: forse
perché sono proprio quelli di tuo marito, dato che il
chirurgo è
dietro il telo. Pure il dottore ha riso."
"Sei
ingiusto, ero sotto anestesia." protestò Mei. "La prossima
volta che ci
finirai tu, ti prenderò in giro a vita. Parla quello che in
ospedale per una
banale appendicectomia ha fatto il lagnoso per due giorni: mi sento come un pulcino spiumato e l'infermiera mi
ha tagliato col
rasoio, bu-uuuh."
Di fronte a quelle schermaglie, Milo si trovò a sorridere,
pensando ai momenti
di tensione che avevano vissuto poche settimane prima, al Santuario.
Quell'ansia, in quel momento, pareva essere del tutto sparita.
Le settimane
che seguirono la dimissione di Mei dall'ospedale servirono loro per
sistemare
casa in attesa dei bimbi, ancora in incubatrice, e per abituarsi
all'idea di
averli tutti insieme, di colpo, nelle loro vite.
O meglio.
Per permettere a Camus di
abituarsi,
perché per quanto a parole fosse supersicuro di sapersi
destreggiare, Mei era
del parere che avrebbe faticato ad abituarsi ai ritmi dei neonati.
Che fosse un
ottimo padre lo sapeva, che sapesse come tirar su dei bambini era
ovvio, ma
sarebbe stato capace di avere a che fare con tre neonati?
Tempo una settimana e gli verranno i
capelli bianchi, aveva pronosticato Shiryu.
Ferma sulla
porta del bagno mentre l'interessato era sotto la doccia inconsapevole
della
sua presenza, Mei scosse la testa.
Staremo a vedere....
"...io
vado, ci vediamo dopo." esordì.
Camus
allentò
la pressione dell'acqua e si sporse dal box doccia.
"Oppure, potresti unirti a me." le rispose, inducendola ad
avvicinarsi.
"Non mi
accontento di una cosa veloce." rispose, lanciando un'occhiata
all'interno.
"E comunque, ho un appuntamento."
Camus fece
spallucce.
"Mal per
te, non sai che ti perdi!"
"Non ho
detto no a priori, quando la dottoressa mi darà l'ok,
recupererò tutto con gli
interessi."
Lui sorrise.
"Prima o
poi dovrai dirmi che cosa vai a fare al Santuario senza di me."
"...quando
sarà il momento, Camus." rispose, criptica.
"No,
seriamente. Va tutto bene?"
"Certo.
Te lo direi se fosse il contrario."
"Sei
sicura?"
"Per
tutti gli Dèi, Camus, non ho una storia segreta con Shion."
rispose Mei,
maledicendosi per essersi fatta sfuggire quell'informazione. Camus
avrebbe
dovuto sapere tutto a tempo debito.
"Il tuo
appuntamento è con Shion?!" Camus sgranò gli
occhi. "E perché ti vedi
con lui?"
"...per
le Anfidromie. Ricordi, me ne avevi parlato in ospedale, dopo il
parto." fu
la svelta replica di Mei. "È arrivato Hyoga, vado davvero."
"...ma..."
protestò, uscendo di corsa dalla doccia. "Hey! Non te la
caverai così
facilmente, ne parleremo a cena!"
"Benvenuta,
Mei. Entra pure." la accolse Shion, intravedendola sulla porta della
biblioteca.
"Senza
volerlo ho rivelato a Camus che i miei ultimi appuntamenti al Santuario
sono stati
con voi." esordì Mei, ridacchiando. "Spero non gli salti in
testa la
brillante idea di seguirmi come fece durante il capodanno cinese o
rovinerà i
piani che sto imbastendo per il due settembre."
"Dovesse
chiedermi qualcosa, lo depisterò con le Anfidromie." sorrise
Shion di
rimando.
"A tal proposito... in teoria dovrei parlarvi anche di questo. Camus me
ne
ha parlato durante la degenza, mi ha spiegato in cosa consistono e
l'importanza
che alcuni riti ricalcano in questo ambiente."
Shion mise
un
segnalibro al tomo aperto sul grande tavolo sotto il lucernario.
"Il rito
più importante in uso qui al Santuario è la
Consacrazione, a onor del vero. E
sono solo una parte delle Anfidromie: così come per un
cristiano è importante
battezzare i propri figli, qui al Santuario è importante che
i figli dei Saints
crescano abbracciando il culto della nostra Dea."
"Sì, Camus ha più volte insistito su questo
aspetto, con la sola differenza
che un cristiano può scegliere se battezzare o no, non
è obbligatorio per
legge. Chi vi dice che io, o Shunrei, oppure... Saraswati non
preferiremmo
crescere i nostri figli con il culto di altre divinità?
Lixue è cresciuta
abbracciando le idee di entrambi, è abituata a rivolgersi ad
Athena come a Kwan-Yin:
una volta consacrata dovrà abbandonare quest'abitudine?"
"Affatto.
Se le divinità alle quali tu o la consorte di Shaka vi
rivolgete sono
inoffensive e non hanno propositi bellicosi nei confronti di Athena,
potete
proseguire nel vostro credo religioso, e i vostri figli ugualmente.
Gold Saints
a parte, tanti qui osservano religioni diverse, purché non
interferiscano in
alcun modo con Athena."
Mei trasse un lungo sospiro prima di proseguire.
"Se io dovessi...come dire... passare dalla vostra parte e, per usare
le
parole di Camus, pormi sotto l'ala
protettrice di Athena, sarei costretta a rinunciare al
taoismo? E come
funzionerebbe il passaggio?"
Shion la
guardò qualche istante, per capire se era una domanda seria
o una domanda posta
con ironia: a dispetto dei suoi pensieri, Mei era seria.
"Per
quanto mi riguarda, considero taoismo, buddismo e confucianesimo
dottrine
mistico - filosofiche, perciò non andresti incontro a
particolari rinunce. Chi
si accinge a essere consacrato deve seguire una sorta di preparazione,
quindi
una volta istruito a dovere, termina il suo percorso formativo con un
bagno
rituale. Permettimi una domanda, Mei. Per quale motivo mi hai posto una
domanda
simile?"
"Desolata,
non posso e non voglio farne parola." rispose Mei.
"Riguarda
il probabile Cosmo che i tuoi figli potrebbero sviluppare?"
Mei non
rispose, preferendo tacere.
"Oh,
d'accordo. Avrai sicuramente le tue ragioni. Confido nel fatto che,
essendo
cresciuta con Dohko, nel quale ripongo una fiducia non quantificabile a
parole,
ed essendo sposata con Camus, per il quale nutro una profonda stima, la
tua
conoscenza del Santuario sia di gran lunga superiore a quella di un
neofito che
si accinge ad essere formato." convenne Shion. "Tuttavia, devo
metterti a conoscenza di alcuni altri dettagli. Le leggi che regolano
questo
mondo vanno al di là della comune cortesia o dell'educazione
impartita e agli
occhi della gente comune, sono molto severe... gli abitanti di Rodorio
le
conoscono, per questo affermo che ai loro occhi sono inflessibili. E
beh, non
hanno tutti i torti, perché lo sono: molte le ho stilate io
stesso, nel corso
degli anni. Nel caso specifico dei Gold Saints sono molto
più restrittive
rispetto ai Saints di rango inferiore, e vanno a toccare anche la sfera
privata."
Mei lo
guardò
sfogliare il libro e aprirlo a una certa pagina.
"Fino a
che punto?"
"Se la
tua domanda riguarda quel che credo io, puoi star certa che non si
sfocia nella
sfera intima, non esistono leggi che regolano quante volte un Saint
può congiungersi
con una donna o con chiunque egli o ella voglia, ma alcune regolano la
scelta
del coniuge e l'educazione religiosa dei figli."
"Come,
prego?"
Shion
girò il
libro verso di lei, invitandola a leggere.
Il primo
paragrafo era dedicato soprattutto alle leggi che regolavano la vita al
Santuario, i comportamenti che un Saint doveva adottare in pubblico e
con i
parigrado, e nello specifico dei ranghi inferiori, come ci si doveva
porre nei
confronti dei ranghi superiori. Molte le conosceva già,
Camus, negli anni, le
aveva più volte raccontato delle norme severe alle quali
doveva sottostare.
Saltò un paio di paragrafi, decidendo di leggere subito
ciò che le interessava.
"...è concesso prendere moglie, a patto
però che
la Sposa non faccia parte, direttamente o indirettamente, di una
schiera
palesemente nemica. Le unioni tra
Saints –di qualsivoglia grado- e membri appartenenti a classi
nemiche sono
proibite per legge... alle Spose dei Gold Saints è concesso
il libero passaggio
in tutte le aree comuni del Santuario, a eccezione dell'Altare di
Athena, alla
Statua dietro di esso e alla Sala d'Oro, luoghi per i quali esse
necessitano di
un accompagnatore."
"...tempo
fa era proibito anche l'unione tra Saints di diverso rango, ma poi
decisi di
abrogare quella legge classista. Altrimenti, Milo e Aiolia non
potrebbero stare
con le loro dolci metà."
"E
Freya?"
"Cosa?"
"Freya,
dico. Vi ricordo che sua sorella maggiore ha
fatto parte dei nemici di Athena, anche se indirettamente, a causa di
Poseidone."
"Indirettamente,
appunto. Hilda era stata plagiata,
Odino e il popolo di Asgard hanno sempre mantenuto una certa amicizia
con
Athena e il Santuario. Camus ha comunque garantito per lei."
"Oh.
Ed è così che si stabilisce se
una donna è idonea o no?"
"Vengono
avviate accurate indagini sul suo conto." rispose Shion, pratico.
"Saraswati, prima di poter sposare Shaka e prima di poter accedere al
Santuario, è stata esaminata con cura, e la stessa cosa
avverrà con Iris, la
fidanzata di Aphrodite. Tu e Shunrei, data la natura della vostra
stretta relazione
con tre Saints, avete subito un controllo decisamente meno invasivo
della
moglie di Shaka."
"Devo
ritenermi fortunata?"
"Quando
ben tre Gold Saints garantiscono per una persona giurando sul proprio
onore,
ogni indagine risulta superflua." replicò Shion. "Tornando
alla
questione dei figli, tutti coloro nati sotto l'ala protettiva di Athena
hanno
l'obbligo di seguirne il culto, devono essere presentati alla Dea per
ricevere
la sua benedizione ed essere a lei consacrati, senza eccezioni. Insieme
ai
vostri figli, saranno presentati anche tua nipote, la figlia di Shaka e
il
figlio di Milo: le Anfidromie sono eventi più unici che rari
qui al Santuario,
dato che in passato le occasioni per festeggiare la nascita di una
nuova vita
erano sporadiche. All'epoca si usava festeggiare i neonati a pochi
giorni dalla
nascita, come sai la mortalità infantile allora era
altissima. Ma direi che al
giorno d'oggi non ci sono particolari problemi e che quindi possiamo
essere più
generosi col tempo. Aspetteremo la nascita di Nikos e poi procederemo
con i
festeggiamenti. Per quanto riguarda la tua ipotetica consacrazione,
sappi che
lo farà anche Saraswati. Tu pensaci, poi mi dirai."
Nel
frattempo, in palestra, Hyoga stava facendo passare il tempo con
l'arrampicata.
Non era uno dei suoi sport preferiti, a volte le vertigini gli
giocavano brutti
scherzi, ma, aveva notato, era un ottimo modo per scaricare la tensione.
"Come
sarebbe, ha incaricato te di dargli una mano?"
Shiryu inarcò un sopracciglio, con disappunto.
"Potrei dire la stessa cosa su te e mia sorella." replicò.
Hyoga prese altra magnesite dal sacchetto legato in vita e
mugugnò nel
raggiungere una presa difficile.
"Nel nostro caso è diverso."
"Non proprio." lo corresse Shiryu. "Ti devo ricordare che quella
volta, a casa, il suo sai ti ha
mancato per un soffio?"
"Le
divergenze tra me e tua sorella si sono appianate, quelle tra Camus e
te,
no." Hyoga sorvolò sull'ultima affermazione.
"Diciamo
che sono stato interpellato per via delle mie conoscenze."
"E quali
conoscenze avrebbero indotto Camus a ricorrere a te?"
domandò Hyoga, spostandosi
di mezzo metro sulla parete.
"Beh, io
parlo cinese e conosco i dettagli di un matrimonio tradizionale... lui,
no."
Hyoga perse
il sorrisetto sardonico che aveva mantenuto fino al minuto precedente.
"Aspetta
un minuto: Camus vuole organizzare una cerimonia cinese?!"
Shiryu
ridacchiò.
"Sì."
"Ma... tradizionale nel vero e proprio senso della parola?"
"Con gli
hanfu e tutto il resto...sarà uno spettacolo vederlo
abbigliato come me... con
quei capelli rossi, poi..."
"Oh
mannaggia. Questo potrebbe essere un problema."
"Ma no,
basterà
evitare il colore rosso e tutto filerà liscio..."
minimizzò Shiryu.
"Il
problema è che Mei sta organizzando un matrimonio russo, a
Kobotec, per la
mattina del due settembre!" scandì bene Hyoga.
Shiryu ci
rifletté
su un istante.
"Sì,
potrebbe essere un bel problema." convenne. "Vedrò di
inventarmi
qualcosa."
Tre metri e
mezzo più in basso, Seiya sbuffò.
"Hey,
voi due, intendete darvi da fare o preferite restare sospesi a
mezz'aria mentre
chiacchierate? Shiryu, non sei una piuma." protestò.
"Ma
quanto sei cafone." lo rimproverò Shun, che, dal canto suo,
stava
assicurando Hyoga, in bilico come Shiryu sulla parete. "Tranquilli
ragazzi,
fate con calma, non c'è fretta."
"Macché..."
sospirò Hyoga. "Shun, sto per scendere."
Salutati gli
amici, Hyoga e Shiryu si diressero all'undicesima casa, certi di
trovare Mei di
ritorno dall'incontro con Shion.
"A proposito, essendo in argomento... mancano appena due settimane al
tuo
matrimonio... come ti senti?"
Nel panico.
"Stanco."
preferì rispondere. "È già tutto
organizzato, ogni dettaglio è al suo
posto e sono pronto, ma..."
"Vorresti scappare."
"Sì. Vorrei prendere Freya e fuggire via, sposarmi senza
teste coronate,
stupide bomboniere, castelli,
cena da
quindici portate e gran balli." ammise Hyoga. "Sarei disposto a
sposarmi a Las Vegas con il sosia di Presley come officiante,
piuttosto."
"E
allora fallo." commentò Shiryu, serio. "Torna a casa e
partite,
subito, senza pensarci troppo su."
"Come se
potessi farlo..."
"Puoi, non sei loro prigioniero. Se permetti a Hilda ti tenerti testa
adesso, finirai col permetterle di metter bocca a tutto ciò
che potrebbe
riservarti il futuro. Finirai con il trasferirti a palazzo, a diventare
un
bamboccio alla completa mercé di sua maestà."
"Mi sembra
di sentir parlare Camus."
"Perché
abbiamo ragione." disse Shiryu, senza fare battute di alcun genere ai
danni del cognato. "E Freya come la pensa? Lei è contenta
del circo
mediatico imbastito da sua sorella?"
Hyoga scosse
la testa.
"No." rispose in un soffio. "Ma credo voglia vivere quel giorno
al posto di Hilda, farle vivere una cerimonia come quella che avrebbe
voluto
con il suo defunto fidanzato."
"Ma il
matrimonio è il vostro,
non il
suo." obiettò Shiryu.
"Non...
non so cosa dire, o cosa fare."
"Sei
ancora in tempo a fermare tutto. Meglio adesso che il fatidico giorno,
magari
in chiesa, davanti a tutti gli invitati." commentò Shiryu,
pratico.
"Sembra che tu stia per andare al patibolo. Non puoi certo sposarti in
questo stato."
"Shhhh."
lo zittì Hyoga, prima di entrare all'undicesima casa. "Ne
parleremo più
avanti."
*
"Non ricordavo fossero così enormi le pizze."
commentò Camus,
guardando la propria capricciosa sul piatto, più piccolo
rispetto alla pizza.
"Da quanto tempo non ne mangi una?"
"Da troppo."
"Questo
perché non hai mai mangiato una pizza napoletana, a Napoli,
in una pizzeria
locale che si affaccia sulla costiera." ridacchiò Mei,
divertita.
"Comunque se non riesci a finirla, ti do' volentieri una mano: ho una
fame
tale che potrei mangiarne tre di queste."
"Esagerata."
replicò lui, guardandola addentare, famelica, un quarto
della sua. Qualche
minuto dopo, Mei iniziò a canticchiare a bassa voce,
seguendo una famosa canzone
italiana trasmessa nel locale, con un sorriso che si estendeva agli
occhi. "Dovremmo
venire più spesso qui."
"Mh?"
"Questo posto ti mette allegria, da quando siamo qui hai una luce
particolarmente
bella negli occhi."
"Tutto
questo mi ricorda mia madre, le nostre giornate italiane durante le
stagioni
teatrali, i suoi vinili..." spiegò lei, riprendendo poi il
filo della
canzone. D'un tratto prese la sua mano, stringendola. "Nel
blu degli occhi tuoi blu, felice di stare quaggiù, con
te."
"..."
Camus sorrise, arrossendo appena.
"Modugno...
nel blu dipinto di blu, mai sentita?
Dai, è famosissima, la conoscono persino in Antartide..."
"Sì
che
la conosco. Pensavo che mi mancheranno un po' questi momenti,
perché da
domani saremo
invasi da pannolini
sporchi e bavaglini pieni di pappa."
"Per la pappa è ancora presto, ma i pannolini, quelli ce ne
saranno in
grande abbondanza."
"Però
non vedo l'ora di stringerli, non posso più sopportare di
vederli solo
attraverso un vetro."
"E lo
dici a me?" domandò Mei. "Da quando sono nati ho visto solo
incubatrici e macchinari... sono impaziente di avere i miei bimbi a
casa!"
"Anche Hyoga è impaziente, ha già mostrato la
foto di Josie a tutti e
acquistato una montagna di giochini."
"A
proposito, ho come la sensazione che stia nascondendo qualcosa."
"In che senso?"
Mei
sospirò.
"So che
è sbagliato impicciarmi dei fatti altrui, ma l'altra mattina
mi ha chiesto di
fare un paio di commissioni per lui e una volta a casa, nel portare
nella sua
stanza i vestiti ritirati dalla lavanderia, ho visto una cartella
medica e dei
farmaci strani che, stando a quanto letto su internet e a quanto mi ha
confermato Aphrodite, servono nella cura di alcune serie patologie a
carico
dell'apparato digerente." spiegò, facendogli vedere alcune
foto sul
cellulare. "Cinque giorni fa ha anche subito una gastroscopia...
suppongo
con esito positivo dato che il referto allegato non indica ulcerazioni
in
atto."
Camus fece
scorrere le foto, sul viso un'espressione di ghiaccio.
"Non
so... lo vedo molto deperito, deve anche aver perso peso
perché mio fratello
dice che si vedono le costole." proseguì Mei. "Insomma,
posso capire
avere un po' d'ansia o agitazione, ma così è
troppo, non credi? Dovremmo
pensare a che cosa fare per..."
"No." la interruppe Camus. "Non voglio pensarci adesso. Voglio
solo godermi questa pizza, insieme a mia moglie, la sera prima delle
dimissioni
dei nostri figli dalla terapia intensiva. Punto. E non guardarmi
così, per
cortesia, ho già in mente la strigliata che dovrò
fargli."
"Ecco, ora ti riconosco. Cominciavo a preoccuparmi."
Lui seguitò a mangiare, silenzioso.
"Dai, non fare così. Troveremo un modo per aiutarlo."
sorrise Mei,
cercando di essere positiva. "Credo che prenderò il dolce al
limone, la descrizione
sul menù mi ispira parecchio. Oppure questo, ha un nome che
promette bene: trionfo all'arancia.
"
Mentre Mei consultava il menù dei dolci, la sua mente
cominciò a elaborare un
piano.
"Il solo
modo per aiutare Hyoga consiste nel cancellare quel matrimonio."
***
Lady
Aquaria's corner
'sera! Mi rendo perfettamente conto del ritardo col quale pubblico, ma
tempo e
salute non sono stati per niente clementi con me nelle ultime
settimane.
Il titolo fa
riferimento a una canzone di Whitney Houston.
Al di là di tutto, come sempre, ringrazio quelle poche anime
pie che leggono e
recensiscono, alla prossima!
Lady
Aquaria
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Capitolo 38 *** Waterloo. ***
38 principale
38.
Waterloo
My,
my, I tried to hold you back
but you were stronger
oh yeah, and now it seems
my only chance is giving up the fight
and how could I ever refuse
I feel like I win when I lose
[Abba
- Waterloo]
Quasi gli
rise in faccia.
"E chi credi di essere, Don Rodrigo?"
Che diavolo
aveva in mente? Annullare tutto, mandare all'aria un matrimonio di
quella
portata?
Camus
inarcò
un sopracciglio.
"Pensavo che Freya ti piacesse. Insomma, mi è stato detto
che hai
garantito per lei, e adesso questo repentino cambio d'idea..."
"Ma no,
che hai capito? Non voglio impedire a Hyoga di sposare Freya, voglio
annullare
la cerimonia. Non fraintendermi, la apprezzo, è una brava
ragazza e come tutti
ha pregi e difetti ma il suo difetto più grande è
che continua a lasciarsi
influenzare troppo dalla sorella maggiore. Le voglio bene, ma ne voglio
di più
a Hyoga e non posso vederlo distruggersi l'anima per qualcosa e voltare
lo
sguardo altrove come se non mi importasse nulla. Sta rischiando
l'ulcera! Per
uno stupidissimo matrimonio, ti rendi conto?"
Lei
sospirò,
scuotendo la testa.
"Dovremmo pensare bene a come agire, non siamo in un film dove basta
alzarsi e interrompere tutto sul più bello davanti agli
invitati."
"Certo
che no, anche perché quella cerimonia principesca non
avrà luogo. Se lo ama e
vuole davvero sposarlo, non dovrebbe importarle il luogo, no? Insomma,
se mi
svegliassi il due settembre e ti portassi via di soppiatto per
sposarti... che
so... a Kobotec, tu cosa faresti? Lo so che siamo già
legalmente sposati, ma se
ti dicessi che l'organizzazione della nostra cerimonia mi sta uccidendo
e che
voglio qualcosa di più piccolo e confortevole, tu come mi
risponderesti?"
"Prendo un plaid e ti seguo anche in capo al
mondo."
"Sono
serio."
"E la mia era una risposta seria. Qualsiasi cosa ci
attenderà il due
settembre, la più importante sei tu, non è un
hanfu, non è la musica, non è la
torta... beh, a dire il vero mi dispiacerebbe per la torta, pensavo di
ordinare
la millefoglie con la panna al caffè."
Camus
sgranò
gli occhi.
"Davvero? Allora sì, decisamente sì. La
millefoglie vale sicuramente la
pena."
Hyoga
abbassò
il volume della tv quando udì dei passi attutiti in
corridoio; ridacchiò appena,
controllando l'ora: le tre erano passate da un pezzo.
"...attento
a dove metti i piedi, altrimenti finirai col fratturarlo sul serio,
quel
mignolo."
"Ci
mancherebbe anche questo."
Quando li
vide passare, accese la luce.
"Siete
andati a far bisboccia? Ma non sarete un po' troppo in là
con l'età per fare
così tardi?" li riprese.
"E tu invece, che fai ancora in piedi a quest'ora?" Mei
restituì la
domanda.
"Giusta
osservazione." convenne Hyoga. "Non riesco ad addormentarmi."
"Hai un
peso sullo stomaco?" buttò lì Camus,
guadagnandosi una gomitata da Mei.
"...come?" domandò Hyoga.
"Lascia stare, ha
bevuto troppo Gragnano ed è stanco."
"Sfido io, sono le tre e mezza del mattino."
"Sono
perfettamente lucido e so quel che dico." sbottò Camus,
irritato. "Adesso
andrò a dormire ma oggi pomeriggio, mio caro, noi due
parleremo."
"Eh no.
Nel pomeriggio porteremo i bambini a casa. O vi chiarite prima del loro
arrivo
o uscite e andate altrove. Non m'interessa dove, ma non voglio tensione
in
casa." interloquì Mei, seria. "Punto. O facciamo i conti,
Camus, mi
hai capito? Vai a dormire, avanti. E tu metti a posto prima di tornare
nella
tua stanza."
"Signorsì."
**
"E tutto
questo da dove salta fuori?!" si domandò Mei, guardando il
tavolo della
cucina invaso da pacchetti e pacchettini.
"Da parte di Shura e compagnia, hanno preferito portarli oggi
anziché
aspettare le Anfidromie." rispose Hyoga, distratto dal porte enfant che
Mei stava reggendo. "È la mia Josie?"
"No, mi
spiace, lui è Alex. La rossa che cerchi è
nell'altro ovetto."
"Oh, bene." Hyoga carezzò appena la testolina del neonato
addormentato, senza svegliarlo, quindi, raggiunto Camus,
liberò la bambina
dalle cinture e la prese in braccio, iniziando a mormorarle qualcosa in
russo.
"Hyoga." esordì Camus di punto in bianco. "In auto.
Subito."
"Miei Dèi, siamo appena arrivati, non potresti aspettare un
po'?"
sospirò Mei.
"No. Non starò via molto, forse un'oretta. Riesci a fare a
meno di
me?"
"Perché
me lo chiedi, se tanto non mi lasci altra scelta?"
"Duìbùqi."
"Sì, dispiace anche a me. Avevo cucinato italiano...
sicuramente troverò
qualcuno che apprezzerà i miei sforzi." replicò
Mei, vaga.
Una volta in
auto, Camus iniziò a guidare con gesti secchi, l'espressione
indecifrabile.
"Dove
stiamo andando?" Hyoga lanciò un'occhiata fuori dal
finestrino: avevano
oltrepassato Parc Monceau e stavano per imboccare Boulevard de Clichy.
"Uh! Hai organizzato il mio addio al celibato? La prossima traversa
è
quella per il Moulin Rouge!"
Camus
superò
la traversa indicata da Hyoga per imboccare Rue Caulaincourt, che
tagliava in
due il celeberrimo Cimitero di Montmartre.
"Stiamo andando al cimitero? Un po' inquietante, non trovi?"
"Niente Moulin Rouge né cimitero. Vedrai quando arriveremo."
"Ma
siamo a Pigalle, direi che..."
Camus
tamburellò
sul volante, nervoso.
"Smettila di dire
sciocchezze. Credi forse che ti abbia fatto salire in
auto, alle otto di sera, per girovagare per Parigi come se non avessi
nulla di
meglio da fare? Oggi ho portato a casa i miei figli, dovrei essere con
mia moglie
a darle una mano, mentre invece sono qui, a quasi sei chilometri da
casa,
perché tu sei un emerito cretino."
"Io non
ti ho chiesto niente..."
"Appunto."
Disorientato
da quella strana risposta, Hyoga tacque finché Camus non
parcheggiò davanti a
un pub, sito a Montmartre, ma sicuramente lontano dai soliti posti
frequentati da
turisti. Gli rivolse la parola solo per dirgli di sedersi a un tavolino
libero nell'area
fumatori mentre lui prendeva qualcosa da bere.
Stava ancora
cercando di capire perché si stesse comportando in quello
strano modo, quando
lo vide posare un vassoio tondo sul tavolo e sedersi a sua volta.
"...mi
hai preso l'aranciata? Sul serio? Quanti anni ho, cinque?!"
protestò,
quando Camus gli porse il bicchiere.
"Le
ultime settimane mi hanno portato a dubitare profondamente sulla tua
maturità,
quindi sì, per te solo aranciata stasera." fu la replica di
Camus, che
invece, dinanzi a sé, aveva posato un piatto con un panino e
un liquore che, a
giudicare dall'aroma, doveva essere Grand Marnier.
"Cognac
e sigarette? Quando Mei lo scoprirà, ti farà lo
scalpo."
"Probabilmente
sì, ma lei non è qui e tu stai cambiando
discorso." replicò Camus, senza
lasciarsi distrarre.
"A
proposito, perché siamo qui? Mi devi dire qualcosa?"
domandò Hyoga,
strappando un pezzo di croque monsieur
dal piatto.
"Ah, io?
Mi prendi in giro?" Camus bevve un sorso di cognac e gli
mostrò le foto
che Mei gli aveva passato tramite Whatsapp.
Riconobbe
subito la propria gastroscopia e le foto dello scomparto nel suo
armadio,
dove riponeva le medicine. Perse il sorriso, quindi guardò
il maestro dritto
negli occhi.
"Chi
te l'ha detto?"
"Non ha importanza, ciò che conta è che mi hai
taciuto tutto: con certe
cose non si scherza!"
Hyoga si ricordò delle commissioni che aveva affidato a Mei
e scosse la testa:
sicuramente era stata lei
a trovare medicine e referti e a riferire tutto al
marito.
"Mei
proprio non riesce a farsi gli affari propri, a quanto vedo."
"Avrebbe potuto
ignorare e passare oltre, è vero. Ma se l'ha fatto,
è
perché, come me, si preoccupa." lo corresse. "Te lo ripeto
da quando
eri un bambino, se hai un problema, non tenerlo dentro, parlane. Se non
vuoi
parlarne con me, hai degli amici, parlane con loro!"
"E con chi? Shun ha i suoi problemi, Shiryu ha una figlia piccola,
Seiya e
io non abbiamo mai avuto tanta confidenza, lui va d'accordo soprattutto
con tuo
cognato."
"Ci sono
io. Io per te ci sarò sempre."
"Lo so,
ma hai la tua famiglia, i tuoi figli... dopo la faccenda di Isaak ti ho
sentito
più volte star male per la sua perdita e mi sono ripromesso
di non esserti mai
di peso, di non aggiungere problemi su problemi."
"MA CHE
ACCIDENTI..." sbottò Camus, ricordandosi solo dopo di non
essere a casa,
ma in un locale pubblico. "...ma che accidenti ti salta in mente?! Ho
moglie e figli dei quali occuparmi, d'accordo, ma questo non mi
distoglie
dall'occuparmi anche di te! Un maestro non smette di essere tale solo
perché il
suo allievo è cresciuto e non ha più bisogno dei
suoi insegnamenti! Non posso
smettere di occuparmi e preoccuparmi per te, non lo capisci?"
Hyoga
allungò
la mano al cognac e ne bevve un sorso.
"Quant'è
grave la situazione? Non è niente di brutto, vero? Miei
Dèi, non dirmi che hai
un... per Athena, non riesco nemmeno a dirlo."
"Un tumore? Dio, no." inorridì Hyoga, facendosi il segno
della croce.
"Ho una gastrite pazzesca e il medico del pronto soccorso mi ha
consigliato una gastroscopia per essere sicuri dell'assenza di ulcere,
almeno,
per quanto ne so non ne ho, ma chi può dirlo? Oddio, che
c'è? Perché mi guardi
così?"
"Ti ho cresciuto da quando avevi poco meno di sette anni, ho trascorso
notti insonni tenendoti tra le braccia quando avevi la febbre alta e
temevo di
perderti, ti ho guidato dall'aldilà quando dovevi affrontare
entità più forti
di qualunque essere umano e..." si bloccò, espirando,
arrabbiato. "Ma
che cosa ti frulla in testa, posso saperlo?"
Cosa gli
frullava per la testa? Tante cose.
L'indecisione sulla laurea magistrale, sul matrimonio, sul suo futuro,
che ora
vedeva più incerto e nebbioso che mai.
Camus
ingoiò
d'un fiato ciò che restava del suo cognac e andò
a prenderne un secondo.
"D'accordo che per farti ubriacare servirebbe mezza distilleria
Moskovskaya,
ma dovesse fermarci una pattuglia, sarebbero dolori: difficilmente
crederebbero
alla faccenda del Saint di Athena che resiste agli alcolici come e
meglio di un
settantenne moscovita."
"È per il matrimonio. Non eri sotto pressione nemmeno per il
tuo esame più
difficile, e adesso rischi l'ulcera? È della tua salute che
stiamo parlando,
della tua vita! Diamine!"
"Lo so, lo so. Penso a quello che mi aspetta e sudo freddo, se mangio
un
po' più del dovuto corro in bagno a dare di stomaco e...
spesso mi sveglio nel
cuore della notte col cuore che batte a mille." mormorò
Hyoga. "Stavo
uscendo per andare al centro commerciale l'altro giorno, sai. Prima di
partire
controllo sempre che ci sia il libretto di circolazione infilato
nell'aletta
parasole e quando non l'ho trovato, ho cercato nel vano cruscotto... e
insieme
alla cartellina è scivolata giù una rivista per
spose che ha dimenticato Freya
e non ho più mosso un dito: sono stato seduto in garage per
due ore con il
batticuore, ansimando come se avessi scalato l'Everest correndo a
perdifiato fino
in cima."
"Mi
basta una tua parola e annullo tutto."
"Non scherzare."
"Potrei portarvi a Las Vegas, anche domattina. Saremmo lì in
un batter
d'occhio."
"Camus, non scherzare, ti prego."
"Ti pare
la faccia di uno che scherza? Questa storia ti sta uccidendo! Senti, se
è
davvero ciò che vuoi, allora verrò con te ad
Asgard, m'infilerò in quel frac e
brinderò alla tua felicità, ma devo avere la
certezza che tu stai bene. Mi hai
capito?"
"Starò
bene, anche se non so come. Non posso farle questo. Tu lo faresti, a
Mei?"
"Le
nostre situazioni sono diverse... Mei non è una principessa
e non è assoggettata
a nessuno, se le chiedessi di lasciar perdere la cerimonia che desidera
per
qualcosa di più intimo, lei lo farebbe. Pensaci bene, me la
sbrigherei io con
Hilda."
L'altro
ridacchiò nervoso.
"Tu
piaci a Hilda, e parecchio. Ma per quanto tu possa piacerle, non hai
idea della
rabbia che ti riverserebbe addosso."
"È
una
rabbia che sarei in grado di gestire. Ma poi... che significa che le
piaccio?!"
"Hai un
ottimo ascendente su di lei, in effetti hai ragione, puoi gestire la
situazione.
Ma non dirmi che non te ne sei accorto."
"No,
perché la cosa non m'interessa."
"Credo
che tu sia la persona più navigata e al tempo stesso ingenua
che conosca."
"Fedele, dico io. Fedele e onesta.
Regnante o no, tua cognata mi è
del tutto indifferente: cerca di farglielo capire, prima che ci pensi
mia
moglie." rispose, mortalmente serio. "E adesso faremmo meglio ad
andare, voglio stare un po' con i miei figli."
Hyoga e
Camus
si separarono sul pianerottolo che divideva i rispettivi appartamenti,
dopo aver
guidato con cautela dal pub verso casa.
"...e vedi di non fare sciocchezze e parlare di certe cose nei momenti
sbagliati, non voglio saperne nulla, né di Hilda
né delle sue fisime, è
chiaro?"
"Certo,
stai tranquillo. Anzi, mi scuso per avertene parlato." gli rispose. Lo
vide entrare in casa, quindi sentì la chiave girare nella
serratura e il rumore
secco del limitatore di apertura scattare dalla porta blindata dritta
nel suo
alloggiamento.
Camus si
sfilò le scarpe, cercando di non fare rumore nella casa
immersa nel silenzio:
la luce della cucina era spenta così come quella del salone,
forse Mei aveva
già messo a letto tutti i bambini.
Cose da
pazzi, mancava soltanto Hilda e le sue assurde idee a minare la loro
tranquillità.
Si era
sbagliato, Mei non era a letto e non aveva ancora messo a nanna tutti i
bambini: un rapido sguardo nella stanza dei bambini e in quella di
Lixue gli
confermò che Joséphine era ancora sveglia.
"Papà?"
Riaprì
la
porta, guardando la figlia maggiore nel suo letto, illuminata dall'abat
jour
che aveva acceso.
"Sì?" le sorrise. Lixue aprì bocca per
rispondere, ma decise di non
farlo, scuotendo poi la testa.
"...no, niente." mormorò.
"Non mi sembra sia niente." obiettò Camus, corrugando la
fronte.
"È per i tuoi fratelli?"
La figlia
abbassò lo sguardo, stringendosi al petto il peluche di
Mushu, quindi si
distese di nuovo e spense la luce.
"Buonanotte papà."
"Per ora
buonanotte, comunque ne riparleremo domani." le disse, prima di
chiudere
la porta.
Vide la luce filtrare dalla porta del sottotetto e salì
piano gli scalini,
sentendo Mei canticchiare –intervallando le parole a lunghi
sbadigli- qualcosa
seguendo uno dei tanti canali musicali in tv, nel tentativo di far
addormentare
la bambina. Restò a guardarla qualche minuto, appoggiandosi
al muro e
sorridendo.
"...because the night è una bella
canzone,
ma in questo caso, forse, sarebbe più indicata don't cry, non credi?" esordì
a bassa voce per non
spaventarla.
"In
effetti la canterei a te, piuttosto che a Josie. Ma a quanto pare
c'è la notte del
rock in tv, e passano un po' di tutto, che vuoi farci?"
ridacchiò Mei,
voltandosi. "Che ore sono?"
"Le ventidue passate."
"Accidenti, quant'è tardi. Allora, signorina, quando ti
deciderai ad
addormentarti come i tuoi fratelli?"
"Mi spiace averti lasciata sola proprio la prima sera con i bambini."
"Lixue
mi ha dato una mano, comunque non preoccuparti." rispose Mei. Josie,
tra
le sue braccia, riprese ad agitarsi. "Hai risolto qualcosa con
Hyoga?"
"Si e
no, nel senso che non ho risolto come avrei voluto."
"Mi spiace. Quindi tutto procederà come previsto?"
Si distese
sul
divano, la testa reclinata all'indietro sul bracciolo, massaggiandosi
le tempie
doloranti.
"Temo di
sì, e non so più che fare."
"Troveremo
una soluzione, vedrai." lo incoraggiò, un poco distratta
dalla bambina
che, aveva notato negli ultimi minuti, smetteva di agitarsi non appena
sentiva
la voce di Camus. "Continua a parlare."
"Di
cosa?"
"Non so,
qualunque cosa. Sembra che la tua voce abbia effetti calmanti su Josie."
Tornò
a
sedersi mentre Mei, con la bambina appoggiata alla spalla, camminava
avanti e
indietro, ondeggiando lentamente.
"Ehm... Boulevard de Clichy era stranamente poco trafficato, stasera, e
sì
che di solito c'è un gran viavai di gente..."
"...che diavolo stavate facendo voi due in quel quartiere schifoso?"
"A dire
la verità eravamo solo di passaggio, siamo stati a
Montmartre."
"Detesto
quella zona, è piena di prostitute!"
"Suvvia,
ci sono prostitute ovunque, non solo a Pigalle."
"Mh."
sbuffò Mei. "E dove siete andati?"
"In un pub, fuori dai giri turistici. Abbiamo parlato due ore, ma
nonostante le paure di Hyoga, tutto è finito con un non posso farle questo."
"E
quindi si farà mettere i piedi in testa." sospirò
Mei, decidendo di
sedersi un po'. Si avvicinò a Camus e gli porse la neonata.
"Ecco, vai dal
tuo papà, che non vede l'ora di spupazzarti un po'."
E proprio
come otto anni prima, per Lixue, e più tardi in Siberia con
i figli di Kirill e
Zoya, Mei lo vide sciogliersi, stringendo la neonata al petto. Non
comprese il
significato delle parole in russo che stava rivolgendo a
Joséphine, ma Camus
era felice, e tanto le bastava.
"Questa
tutina
è un po' grande per lei o sbaglio?" le domandò,
distraendola dai suoi
pensieri.
"No,
purtroppo, non sbagli. È una tutina per prematuri e le sta
comunque larga... il
pediatra in ospedale ha provato a tranquillizzarmi dicendo che
acquisterà peso
col tempo, ma..."
"Beh, ha
il sangue delle donne ShuFang nelle vene, perciò si
rimetterà in sesto in un
baleno, vedrai." le sorrise.
"Lo
spero, lo spero davvero tanto." Mei si abbandonò contro lo
schienale del
divano. "Devono rimettersi in sesto, le mie preghiere rivolte agli
Dèi non
possono essere state vane."
"Andrà tutto bene, Athena è una dea buona, non
può succedere niente di
male." la rassicurò, stringendole la mano. "A proposito di
figli, sono
stato da Lixue, appena tornato. Ho ragione di credere che ci sia
qualcosa che
non va."
Un altro
sospiro.
"Lo temo
anche io, è da una settimana che si comporta in modo
insolito." convenne
Mei. "Ho notato che ha ripreso a dormire abbracciata al suo peluche e
oggi
ho visto che guardava in uno strano modo i fratelli mentre li cambiavo:
non
come guardava Yian-Mei, aveva un'espressione troppo seria. Volevo
rassicurarla,
ma è una cosa che devo fare tête
a tête
con lei, con calma."
"È
gelosa. Eppure l'abbiamo preparata all'arrivo dei bambini fin
dall'inizio."
Mei si
alzò,
andando a controllare il corridoio per accertarsi che Lixue non li
stesse
spiando.
"Cam, tu sei figlio unico, non sai cosa significa essere fratello
maggiore,
la gelosia è comune a tutti i bambini ed è una
cosa da non sottovalutare. Spero
che non abbia ereditato la mia stessa gelosia o sì che siamo
nei guai."
"Dobbiamo bilanciare le attenzioni sui neonati e su di lei, per evitare
dispetti."
"Dovesse
limitarsi ai dispetti saremmo, diciamo così, fortunati."
rispose Mei.
"L'importante è che non segua le mie orme e non chiuda uno
dei bambini sul
balcone."
Camus
sollevò
immediatamente lo sguardo su di lei, gli occhi sgranati.
"Hai
chiuso tuo fratello sul balcone?!"
"Sì, e giusto per chiarire, non ne vado assolutamente fiera,
anzi. A mia
discolpa potrei dire che avevo sei anni e che ero gelosa e arrabbiata,
ma era
comunque una cosa che non avrei dovuto fare, e per la quale mi sono
sentita in
colpa a lungo."
"Beh... non sarà stato piacevole per lui, ma le temperature
ottobrine sono
miti."
"Macché
ottobre,
è successo a gennaio e Shiryu aveva circa tre mesi."
spiegò Mei.
"Oltretutto è successo di notte, ed eravamo in montagna per
le vacanze
natalizie. A Sestriere, duemila metri di altitudine, non so se mi
spiego."
"...e come si rese conto del fattaccio?"
"Il balcone era comune con la loro stanza, per fortuna se ne accorse
quasi
subito." ricordò Mei. "Mia madre, che non gridava mai per
non
sforzare la voce da soprano, quella notte lanciò uno strillo
che nemmeno
durante il vissi d'arte."
"Ci
credo." commentò Camus. "Avrei voluto sentirla."
"Aveva
una voce capace di rompere i bicchieri, non ti sarebbe piaciuto sentire
uno dei
suoi strilli rabbiosi."
"Sono
abituato a sentire i tuoi, i suoi non mi avrebbero fatto né
caldo né
freddo..." le rispose, allegro, ricevendo in risposta uno sguardo in
tralice. "Scherzo. Niente solletico quando non posso difendermi! Ho la
bambina in braccio, carogna!"
Bambina che,
tra le cose, si era addormentata del tutto beatamente.
"Finalmente! Abbiamo due ore di sonno, approfittiamone."
esclamò Mei,
a bassa voce.
"Ah,
sonno. Speravo in altro."
**
Freya aveva
avuto un malore: nulla di che, l'aveva rassicurato Hilda, semplice
ansia
prematrimoniale, il medico le aveva prescritto un blando calmante e un
po' di
riposo in vista del grande giorno.
Già, il
grande giorno. Hyoga avvertì una fitta allo stomaco e
sperò di non
rigettare la colazione come faceva quasi tutti i giorni da un mese a
quella parte:
sapeva che non avrebbe dovuto pensarci troppo, eppure si sentiva come
Damocle,
con la sua mitologica spada pronta a cascargli addosso con tutto il suo
peso.
"E perché
non sono stato
avvertito?" aveva
domandato alla futura cognata, sentendo la rabbia farsi largo e mandare
al
diavolo la diplomazia. "Freya è
stata male e non hai nemmeno pensato di telefonarmi?"
Camus e
Shiryu avevano ragione, dopotutto. Quel matrimonio e ciò che
sarebbe venuto
dopo lo stavano mettendo alla prova anche troppo, doveva sul serio
puntare i
piedi, prima di esser trascinato via dalla volontà di Hilda.
Oltrepassò la porta che divideva i due appartamenti e si
diresse, cercando di
fare meno rumore possibile, in cucina, sicuro di trovarci il maestro.
"Faceva parte delle sei persone più
anziane d'Europa la signora Marie-Thérèse Bardet
che era nata in Borgogna,
pensate, il due giugno di centoquattordici anni fa. Si è
spenta questa mattina a
Pontchâteau lasciando
due figli, sette nipoti, quindici bisnipoti
e sei trisnipoti..."
"Ah, però."
commentò tra sé e sé, mentre lo
speaker di Radio France continuava a parlare.
"Qui va a finire che non arrivo nemmeno ai ventidue, figurati ai
centoquattordici."
" ...dunque
il primato europeo, adesso,
è in mano all'italiana Maria Redaelli Granoli, di
centotredici anni, residente
in Lombardia, Italia. Ma non posso fare a meno di notare che, secondo
il
Gerontology Research Group, dei quarantadue ultracentenari in vita, ben
quarantuno sono donne e ventuno di loro sono giapponesi. A questo punto
propongo di trasferirci in Giappone..."
"Evidentemente
in
Giappone non si arrabbiano come noi." commentò quindi ad
alta voce,
entrando in cucina. "Et
voilà, pain
aux raisins ancora caldi di forno!"
Vicino al samovar, Camus non lo degnò di uno sguardo.
"Se il buongiorno si vede dal mattino, prevedo una giornata niente
male..." sospirò Hyoga, avvicinandosi. "Avanti, che
c'è?"
Camus stava ronfando alla grande, la fronte appoggiata a un pensile e
tra le
mani un biberon vuoto e sporco, destinato
sicuramente allo sterilizzatore accanto al samovar, il cui led stava
lampeggiando.
"Ma come fai a
dormire in piedi?!" ridacchiò. "Dobroye
utro, vecchio mio."
L'altro si
riscosse, riaprendo a fatica gli occhi.
"...lo sterilizzatore?!" biascicò Camus.
"Ha terminato il ciclo e l'ho spento." rispose Hyoga. "Devi
spiegarmi come fai a dormire in piedi come i cavalli."
"Ho
bisogno di un'endovena di caffè forte." sbadigliò
Camus, sedendosi e
afferrando le brioches. "Anzi, facciamo due."
"Nottataccia?"
"Ho un sonno pazzesco. Si sono svegliati tutti insieme."
"Ahia." commentò Hyoga. "Tre neonati urlanti in un colpo
solo?
Altro che sonno."
"Tutti e quattro, Lixue ha pure
bagnato il letto." precisò Camus, a bassa voce.
"Oh no."
"Ed
è
solo la prima notte. Sento che impazzirò."
"No, una volta abituato ai loro ritmi, sarà tutto
più facile."
interloquì Mei, entrando in cucina. "Vado a fare spesa, devo
prenderti
qualcosa in particolare?"
"Di già? Vai così presto a far spesa?"
"Come,
di già?! Sono le dieci, quando dovrei andare?!"
"Le dieci?!"
"Sono in
piedi dalle sette, anche se avrei dovuto alzarmi prima. Ho
già portato Lixue a
scuola e Sabaka a fare il suo giro, i bambini hanno già
mangiato e stanno
dormendo, io passo in farmacia e poi vado al Carrefour. Chiama se hai
bisogno
di qualcosa, non fare di testa tua come sempre."
Hyoga aveva
bisogno di parlare con Camus, ma preferì aspettare
finché non sentì Mei
richiudere la porta dietro di sé.
Gli raccontò della telefonata, del malore di Freya e del
fatto che Hilda non
avesse speso nemmeno un minuto ad avvertirlo a tempo debito. Dire che
era
frustrato era un eufemismo.
"Non la
vedo da tre settimane, ci sentiamo solo tramite messaggi e non mi ha
detto
niente di niente. Accidenti."
"La mia offerta è sempre valida." fu il commento di Camus.
"Anche
la mia risposta."
"Ebbene, allora inizia a puntare i piedi. All'undicesima casa li
puntasti,
se ben ricordo."
"Questione di sopravvivenza." obiettò Hyoga.
"Sciocco, non ti avrei torto nemmeno un capello. Ma Hilda potrebbe, se
non
impari a farti rispettare. Pensaci, prima che sia troppo tardi."
Dopo pranzo,
Camus restò in cucina, alle prese con alcuni documenti di
lavoro.
"Cosa
c'è di tanto interessante in tv?" domandò Mei,
impegnata con la
lavastoviglie, sbirciando lo schermo dove intravide il logo di France
5, un
canale culturale.
"Un
documentario sulla corte asburgica." rispose distrattamente Camus,
ancora
abbarbicato sullo sgabello, il tablet e una pila di fogli davanti a
sé, sul
tavolo.
"...a differenza di quanto mostrato nei
leziosi film di produzione austriaca degli anni 50, tuttavia, il
rapporto tra
Sofia ed Elisabetta non era governato dall'odio. Donna intelligente e
sveglia
dal temperamento forte, mal sopportava il carattere ribelle della
giovane
imperatrice ma la corrispondenza tra le due donne denota un affetto
materno
dell'arciduchessa nei confronti della nipote/nuora..."
"...ah.
Affetto? Tolse i figli alla nuora per educarli al posto suo e lo
chiamano
affetto?"
"Perché riteneva troppo giovane e inesperta la giovane
imperatrice per
lasciarle educare i figli." replicò Camus, sempre distratto.
"All'epoca era d'uso fare così, soprattutto tra i regnanti."
"Sissi aveva diciotto anni."
"Appunto."
"E perché, io quanti anni avevo?"
"Mh." mugolò lui, mordicchiando la matita, gli occhi fissi
su un
block-notes.
"Quindi
al posto loro, tu avresti permesso a tua madre di portarmi via i figli?"
Fiutato il
pericolo, Camus si riscosse di colpo.
"Mia madre era un pezzo di pane, non ti avrebbe mai fatto una cosa del
genere."
"Lo
credo bene, perché mia madre
ti
avrebbe rotto le ossa una per una." ridacchiò Mei,
sporgendosi a guardarlo
e frapponendosi tra lui e il foglio. "E senza anestesia."
"Mei, non sono dell'umore adatto."
"L'avevo
capito, per questo cercavo di distrarti un po'."
"Te ne
sono grato, tesoro, ma bastasse ciò a distrarmi.
È in momenti come questo che
ringrazio Athena di non essere un regnante o un membro della famiglia
reale."
"Non posso che darti ragione. Per quanti danni possa avermi provocato
il
mio lavoro, tra i quali un paio di dita e un braccio fratturati, sono
fiera di
alzarmi la mattina e guadagnarmi da vivere, senza dovermi piegare a
nessuno." sorrise. "Ti lascio solo, vedo che sei occupato."
Si
versò un
bicchiere d'acqua, quindi sentì un valzer provenire dal
salotto.
"Avevo
davanti agli occhi tutta la mia vita, come se l'avessi già
vissuta. Un'infinita
processione di feste, balli di società, yacht, partite di
polo... sempre la
stessa gente gretta, lo stesso stupido cicaleccio. Mi sentivo sempre
come
sull'orlo di un precipizio, e non c'era nessuno a trattenermi, nessuno
a cui la
cosa importasse o che se ne rendesse almeno conto."
Camus
levò gli occhi al
cielo.
"Buon cielo, ancora?!" borbottò.
"Da quanto tempo sta guardando Titanic?"
"Da quando hai messo a dormire Milo, ma non lo sta guardando tutto, si
concentra solo sul tentato suicidio."
Una quarantina di minuti abbondanti, trascorsi a fare rewind sulla
stessa
scena.
"Cavolo."
"Cosa sta cercando di farmi capire? Che vorrebbe fare come Rose,
gettarsi
giù da qualche parte?"
Stavolta fu
Mei a roteare gli occhi.
"Miei Dèi, frena la fantasia, ti prego. È troppo
intelligente per fare una
cosa del genere."
"Rende stupidi anche i saggi,
l'amore, amore mio."
"Questa l'ho già sentita. Non ricordo dove, ma l'ho
già sentita... boh,
prima o poi mi verrà in mente. Ascolta, occupati dei biberon
sporchi mentre io
mi occupo di lui. E niente ma,
l'hai
già strapazzato abbastanza."
Hyoga era in
salotto, stravaccato sul divano con un'espressione quasi assente.
"Negli
ultimi quaranta minuti ho dato da mangiare alle tre pesti
più piccole,
preparato la merenda per la più grande, ho caricato la
lavatrice e steso il
bucato e... nel frattempo, Rose ha tentato il suicidio... quante volte?
Una
decina?"
"Sto consumando il dvd eh?"
Mei si sedette accanto a lui.
"Che m'importa del
dvd... quello si ricompra. Ma ci sono cose che non si
possono riacquistare." rispose. "Continui a riguardare in loop questa
scena... c'è un motivo o semplicemente è un
tentativo per guardare e riguardare
gli occhioni azzurri di Leonardo Di Caprio?"
"Oh, ti
prego."
"Okay, okay, era per dire. Dunque il motivo quale sarebbe?"
Hyoga mise il film in pausa.
"Se è un subdolo tentativo per sapere se sto pensando al
suicidio, lo
metto subito a tacere: non mi ha neanche sfiorato l'anticamera del
cervello."
"Lieta di saperlo, perché Camus è seriamente
preoccupato. Siamo tutti in
pensiero per te."
Lui annuì.
"Ed è per questo che sei andata a spifferare la storia delle
mie analisi a
Camus?"
"Intanto spifferare è
inesatto.
L'ho informato di qualcosa che, a ragione, ho ritenuto importante."
"Era
qualcosa che avevo sotto controllo, nessuno ti ha autorizzata a
cacciare il
naso nei miei problemi né tantomeno ti è stato
chiesto di porvi rimedio.
Smettila di comportarti come se fossimo parte di una grande famiglia
felice,
sappiamo entrambi che hai agito così per Camus, non
perché provi chissà quali
sentimenti nei miei confronti. Non sei mia madre, anzi, a tutti gli
effetti non
sei n-..." si bloccò, conscio di aver parlato male e di aver
detto fin
troppo. Per quanto odiosa e cattiva fosse stata con lui in passato, non
meritava quanto le aveva appena vomitato addosso.
Mei cambiò radicalmente espressione, gli occhi che fino a
pochi istanti prima
erano stati gentili e comprensivi, erano velati di gelo.
"Che idiota sono stata in questi anni, che stupida. Ecco che cosa ho
guadagnato. Ma sai che avete tutti ragione? La maternità mi
ha ammorbidita.
Dovrei tornare a essere la Mei che ero una volta e preoccuparmi solo
delle
persone che realmente amo, ad esempio la mia grande famiglia felice
alla quale
tu non appartieni. Quindi d'accordo, d'ora in avanti
smetterò di essere civile
nei tuoi confronti e di preoccuparmi anche per te, del resto per te non
sono
nessuno, giusto? Era questo che mi stavi gentilmente facendo notare. E
per te
questo è un bene, perché se fossi tua madre, ti
avrei già preso a calci nel
sedere!"
Lui parve riscuotersi.
"Mi
dispiace, so di averti offeso, non so come abbia potuto dirti certe
cose. Ti
chiedo scusa, non è un bel periodo."
"Sì che lo sai, covavi rancore dai tempi della scalata del
santuario e me
l'hai riversato addosso dopo otto anni. Otto anni! Io ci avevo messo
una pietra
sopra nonostante in quella storia fossi una vittima, ti ho trattato da
amico e
questo è tutto ciò che sai dire? La prossima
volta la pietra te la lancio
direttamente in faccia! Sai che cosa puoi farci, con le tue scuse?"
ribatté
Mei. "Sei intelligente, dovresti arrivarci da te."
Attirato dai toni concitati, Camus si diresse in salotto.
"Che cosa sta succedendo qui?" domandò, non ricevendo
risposta.
"Sai, è incredibile il modo in cui ti sei arreso. Non posso
nemmeno
definirti perdente, perché almeno ci avresti provato. Tu
invece, accettando
tutto passivamente, sei protagonista di qualcosa di peggiore della
sconfitta." proseguì Mei, ignorando gli sguardi del marito.
"Ti
definisci adulto, ma in effetti sei solo uno sciocco ragazzino senza
nerbo né
spina dorsale! E tu saresti morto per
lui? Bravo, i miei complimenti. Ne è proprio valsa la pena."
"Mei, dai. Non fare
così. È un periodo strano per tutti."
"Per me no! Per me è un periodo
felice perché ho potuto portare i miei figli a casa! E non
me lo faccio certo
rovinare da quella testa vuota! Quindi, mio caro, da oggi in poi
farò come il
buon vecchio Ponzio Pilato: me ne laverò le mani!"
Aveva preso a parlare nella sua lingua madre, segno che era inferocita.
"Qualunque cosa abbia detto, lascia stare, ha ragione."
interloquì
Hyoga.
Camus tornò a guardarlo.
"Certo che ha ragione. Ma è mai possibile che non si possa
mai stare
tranquilli in questa casa? Parla con te e litiga col fratello, parla
col
fratello e litiga con te. Mai una volta che si possa andare tutti
d'accordo." borbottò Camus. "E comunque, problemi personali
o no, non
trattare come zerbini le persone che cercano di aiutarti, a maggior
ragione se
tra queste c'è mia moglie."
"Ho
già
detto che mi dispiace."
"Senti, io ti conosco bene e so che sei sincero, ma lei no."
Hyoga
sospirò.
"Me la
sono giocata, eh?"
"Molto probabilmente sì." rispose Camus, sincero.
"Cercherò di
mediare per te."
"Grazie."
"Non ti prometto niente, però. Ora scusami, ho dei documenti
da
ricontrollare." concluse, raccogliendo i fogli sul tavolo. Mezz'ora
dopo
si alzò dirigendosi al suo studio. In corridoio,
però, si bloccò, dopo aver
sentito qualcosa dal bagno.
"Tutto
bene? Ti sentivo singhiozzare da fuori."
Immersa
nella
vasca da bagno mentre i bambini, finalmente, dormivano, Mei mise in
pausa lo
streaming con il telecomando posato accanto al bagnoschiuma.
"Oh
mamma, davvero?" rispose, afferrando un asciugamani e asciugandosi gli
occhi.
"Hyoga
è
veramente dispiaciuto per ciò che ti ha detto, non voleva
farti reagire
così."
Inarcò un sopracciglio, voltandosi a guardarlo.
"Come, scusami?"
"Hyoga
mi ha chiesto di porgerti di nuovo le sue scuse. Non avevo idea che
stessi così
male."
"Ehi,
ehi, frena. Pensi che sia così fragile da piangere per come
mi ha trattata
quello stupido? Assolutamente no, sei fuori strada." sbottò
Mei, indicando
il pc sistemato sulla cassettiera del bagno tra trucchi e flaconi, sul
quale
stava guardando una puntata del suo serial preferito. "Piango per il
telefilm, è il finale dell'ottava stagione e sta morendo uno
dei miei
personaggi preferiti."
Sospirando,
Camus spostò la pila di asciugamani dietro la testa di Mei e
si sedette
sull'ampio bordo della vasca, appoggiandosi poi al muro.
"...dì a Meredith che le voglio
bene
e che è stata una buona sorella...dì a mio
padre..."
"Tu non stai morendo."
"Dammi... la mano."
"No. Non ti do la mano, perché tu non stai morendo."
Dei rottami,
una ragazza intrappolata sotto l'ala di un aereo e un uomo,
probabilmente il
suo fidanzato, che gridando a pieni polmoni cercava invano di sollevare
il
rottame e liberare la sua donna. I singhiozzi di Mei aumentavano di
secondo in
secondo.
"Io ti amo. Ti amo. Sono sempre
stato innamorato di te, e ti amerò sempre, perciò
tu devi vivere. Noi... noi ci
dobbiamo sposare e tu diventerai un grande chirurgo e avremo due o tre
figli..."
"Stranamore?" domandò Camus, a bassa voce.
"No, quello è Derek. Questo è Mark Sloan."
"Ah."
"...siamo fatti per stare
insieme."
"È
la
seconda volta che guardo l'episodio e speravo di averlo guardato male,
e
invece..."
"Quella sotto l'ala è... Meredith?"
"Ma no, è Lexie, sua sorella. Te l'avevo detto, che non
prevedevo nulla di
buono per lei e Mark. Odio la sceneggiatrice, se non fa morire qualcuno
non sta
bene."
"Mi
spiace..." commentò Camus. "Tornando a Hyoga..."
"Ti ha sicuramente raccontato la sua versione dei fatti, ma come saprai
anche tu, ogni campana ha due rintocchi." sbottò Mei, senza
distogliere
l'attenzione dallo schermo del pc. "In passato ho commesso errori come
chiunque, ero furiosa e ferita e ho cercato più volte di
fargli la pelle, ma
poi basta, ho compreso il tuo punto di vista, l'ho accettato e accolto
in
famiglia e messo una pietra sopra quel brutto periodo."
"Lo sa, ha reagito in malo modo."
Mei
uscì
dalla vasca, sbuffando appena.
"Sarà ansioso, sotto pressione, agitato o quello che vuoi e
posso
comprenderlo, ma trattare la gente in questo modo, no, in fondo cercavo
solo di
aiutarlo. E poi, non ho mai permesso nemmeno a Shiryu di rivolgersi a
me in
questo modo, figurati se lo permetto al tuo allievo, che oltretutto con
me –e
con te, per quanto ti piaccia pensare il contrario- non condivide
nemmeno una
goccia di sangue." puntualizzò, infilandosi l'accappatoio e
spegnendo il
pc. "Per quanto mi riguarda, può anche arrangiarsi, da me
non avrà più
nemmeno una parola."
"Ah,
dunque ora è di nuovo il mio
allievo?
Ricominciamo da capo?"
Dal
ricevitore del baby monitor posato accanto al pc sentirono dei mugolii,
segno
che uno dei tre gemellini –Mei sperò non tutti e
tre insieme- si stava
svegliando.
"Scusa, ma ho cose più importanti alle quali pensare." gli
disse,
indicando l'apparecchio con un cenno.
"E per
quanto riguarda il matrimonio? Mancano pochi giorni, sai." le
ricordò
Camus.
"Come ti
ho già detto, ho cose più importanti alle quali
pensare."
"Hai
dato la tua parola."
"Non intendo rimangiarmela, ma non farò più dello
stretto necessario:
m'infilerò in quel vestito, farò dei
luminosissimi sorrisi di circostanza e
poserò per le foto ufficiali. Stop."
"Te lo chiedo per favore... potreste smetterla, tutti e due?"
"No. No, basta. E stavolta non riuscirai a farmi cambiare idea, non lo
farò né per te né per Freya, la mia
pazienza non è un interruttore che potete accendere
e spegnere come vi pare." concluse Mei. "Per me questa faccenda si
chiude
qui."
Rimasto
solo,
Camus alzò per l'ennesima volta in quel giorno, gli occhi al
cielo.
"Athena, ti prego, dammi di nuovo tanta pazienza, perché
quella che mi hai
dato ieri sta per finire."
***
Lady
Aquaria's corner
-Il titolo riprende l'omonima, famosissima canzone degli ABBA.
Perché? Diciamo
che Camus vive la lite tra Hyoga e Mei e la situazione che si
è creata tra lo
stesso e Freya come due grandi sconfitte personali.
-"Vissi d'arte" è una struggente aria tratta dalla Tosca.
-Dobroye utro: secondo il mio frasario, buongiorno,
ovviamente in russo.
-"Rende stupidi anche i saggi, l'amore, amore mio" è un
verso tratto
da "Il mare calmo della sera", di Andrea Bocelli.
-La frase che Mei dice a Hyoga, sulla resa, è tratta da
"Appunti di un
venditore di donne" del compianto Giorgio Faletti. L'originale
è questa:
"È
incredibile come certa
gente si arrenda subito. Non sono perdenti, sono quelli che non ci
provano
nemmeno. E questo li rende protagonisti di qualcosa che è
molto peggio di
qualunque sconfitta."
-La
puntata che Mei sta guardando è il finale dell'ottava
stagione di Grey's Anatomy. Do' per scontato che, essendo il web pieno
di
frasi, immagini e meme riguardanti Mark e Lexie, quanto descritto non
sia
spoiler. Come già detto, non amo fare spoiler e questo non
lo è.
Non
mi resta che ringraziare come sempre, alla prossima.
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 39 *** Voulez-vous? ***
capitolo 39
39.
Voulez-vous?
Voulez-vous
Ain't no big decision
You know what to do
La
question c'est voulez-vous?
[Abba – Voulez-vous]
Tredici
giorni.
Non gli
rivolgeva la parola da due settimane
ininterrotte, e non era mai successo prima, nemmeno durante la
convivenza
forzata al Goro-Ho quando era stata così furibonda con lui
da attentare alla
sua vita.
Erano
bastate quattro parole sputate involontariamente
durante una giornata storta a rovinare il fragile equilibrio che si era
creato
tra loro.
"Ti
spiace se questi li sistemo nel tuo studio?" esordì Hyoga,
portando tra le
braccia un mazzo di fiori.
"Privjet, Hyoga.
Gigli e tulipani, che fiori
meravigliosi. A cosa li devo?" [ciao]
Gli rispose
posando sul tavolo il biglietto che aveva accompagnato i fiori, sul
quale Mei
aveva aggiunto qualcosa in rosso.
"Erano per Mei." spiegò. "Volevo scusarmi, le ho messo i
fiori
su, nella stanza degli Avi, e per tutta risposta li ho ritrovati da me,
sul
tavolo in salone."
Sopra il "mi dispiace"
scritto da Hyoga, Mei aveva aggiunto "porta
i tuoi fiori a Natassia, io non so che cosa farmene!" nella
sua lingua
madre.
"Quante maledizioni mi ha scritto?"
Camus si schiarì la voce, infilando il biglietto nella tasca
posteriore dei
jeans.
"Ehm... dice che non è disposta ad accettare alcun omaggio
floreale, scuse
o non scuse." rispose, diplomaticamente. "In Cina i gigli sono
considerati fiori da cimitero, i tulipani li odia e l'arancione non lo
sopporta."
Hyoga si sedette, sospirando dispiaciuto.
"Ne facessi una giusta."
"Ma no, semplicemente non lo sapevi." commentò Camus,
pratico. "Ma
se ha rifiutato anche i macarons significa che è ancora
arrabbiata.
Per
esperienza ti dico che il modo migliore per affrontare la situazione
è
lasciarle spazio e darle tempo. Gli scorpioni sono così,
c'è poco da fare.
Lascia che la rabbia evapori da sola."
"Immaginavo."
"Io però non lo sono, quindi questi li mangerò
io. Nulla in contrario,
spero."
"Figurati."
Camus scartò la confezione, quindi ne prese uno viola.
"Hanno rimesso in produzione quelli al cassis? Chissà che
non mi
addolcisca la giornata." sospirò.
"Lixue
è
ancora da Shiryu, mh?"
"Stamane si è negata al telefono. Shiryu ha cercato di
indorarmi la
pillola dicendomi che era uscita con Shunrei, ma l'ho sentita in
sottofondo,
dire allo zio che non voleva parlarmi."
"Hai provato con Whatsapp, o chiamandola direttamente sul suo
cellulare?"
"Ha solo
otto anni e sono totalmente contrario all'uso del cellulare alla sua
età."
precisò Camus. "Vorrei solo farle capire che l'amore che
provo -che
proviamo- per lei, non è diminuito ora che ci sono i
piccoli."
"Prova a
dirle che non è cambiato niente."
"Ma
è
proprio questo il problema. Non posso dirglielo, perché non
è vero e oltretutto
la prenderei in giro. Certo che le cose sono cambiate, ci sono tre
neonati in
casa che assorbono tutte le nostre energie e monopolizzano
l'attenzione... Lixue
queste cose le sente, non posso dirle il contrario."
"E
quindi permetti a Shiryu di tenerla con sé a migliaia di
chilometri di
distanza? Così non si sentirà davvero abbandonata
da voi?"
"Non l'abbiamo spedita noi in Cina, c'è voluta andare."
"E tu
gliel'hai permesso?"
"Mei voleva impedirle di andare, io ho preferito assecondarla. E alla
fine
abbiamo anche litigato perché dice che sono troppo
permissivo."
Hyoga
sbocconcellò un macaron.
"Troppo, no. Forse un po'." convenne. "Pensare che con noi non
lo sei mai stato."
"Oh
sì,
invece." protestò Camus. "Non ho mai alzato un dito su di
voi e vi
permettevo di uscire dall'isba e andare a zonzo, quando invece avrei
potuto
comportarmi come il maestro del tuo amico Ikki e percuotervi a ogni
piè
sospinto. Mi avresti preferito così?"
"No,
direi proprio di no." rispose in fretta. "Al posto tuo, io..."
"Non sai
cosa faresti al posto mio." lo interruppe Camus. "Puoi fare tutte le
congetture che vuoi, ma la realtà dei fatti è
un'altra. Quando diventerai padre
-perché lo diventerai-
capirai che
nulla sarà più come prima, che tu stesso non
sarai più la stessa persona. Del
resto, come potresti? Un figlio è un pezzo di anima che vive
fuori da te. Io ne
ho quattro, e per me sono tutti uguali, non ce n'è uno
più importante degli
altri: ho quattro pezzi d'anima che vivono e respirano fuori da me, e
come la
loro madre, hanno il potere di rendermi fiero, farmi ridere, farmi
arrabbiare e
farmi sentire la loro mancanza nel giro di poche ore... ma va tutto
bene, del
resto questa donna, questi figli, questa famiglia... li ho voluti con
tutto me
stesso. Solo che a volte mi sento impotente, vorrei avere
più esperienza di
quella che ho, sapere cosa fare e quando farla. Lixue mi manca da
morire. "
Hyoga giocherellò con il nastrino di raso della confezione.
"Posso solo immaginare quanto la cosa ti faccia star male."
"Mi sta distruggendo." ammise Camus, la voce incrinata.
Mosse qualche
passo indietro, prima di voltarsi e chiudersi nello studio.
"Ciao,
tutto okay?"
"Ciao, Shiryu. Passami Lixue." rispose
Mei. Dall'altra parte
sentì uno strano silenzio, quindi il fratello si
schiarì la voce.
"A dire il vero,
è fuori casa con
Shunrei."
"Non prendermi per
stupida, so che è lì vicino a te. Non mi
farò mettere i piedi in testa da nessuno
di voi due, perciò passamela subito."
"Va bene." Shiryu
passò il cellulare alla nipote, non
ottenendo alcuna reazione. "Non
vuole, Mei. Mi spiace." dall'altra parte avvertì
la sorella trattenere
a stento la rabbia. "Ascolta, posso
venire a prenderti, anche subito. Non è una cosa che dovete
discutere per telefono."
"Non puoi, devi."
replicò
Mei. Chiusa la telefonata, tornò in cucina lasciando Milo in
braccio a Camus.
"Che succede?!" le domandò, preoccupato dalla sua
agitazione.
"Te lo
spiego dopo. Ha già mangiato, devi solo fargli fare il
ruttino." gli rispose,
sistemandogli uno strofinaccio su una spalla. "Attento, Milo ha la
tendenza a rigurgitare più spesso rispetto ai fratelli."
"Certo
che suona strano sentire che devi far fare il ruttino a Milo...
penso che trascorrerò il resto del pomeriggio a immaginarmi
l'altro Milo abbarbicato sulla tua spalla, col bavaglino e il
pagliaccetto
color menta." sorrise Hyoga, divertito.
Suo
malgrado, Camus ridacchiò a sua volta.
"Per Athena, no.
Ottanta e più chili d'uomo sulla spalla, no. Milo pesa
più di me." replicò, avvertendo in corridoio il
Cosmo del cognato
comparire d'improvviso e sparire con altrettanta velocità.
"Mei?!"
Arrivati alla
pagoda, Mei scoprì che la figlia era in salotto, a giocare
come
se nulla fosse, come se non le importasse un accidenti del disagio che
aveva
creato a suo padre. Non appena la vide, tentò di
sgattaiolare fuori.
"Dove
credi di andare? Questa storia deve finire." borbottò Mei,
afferrandola
per un braccio. "Su, prendi le tue cose e andiamo."
"Non voglio tornare a casa."
"Ti comporti così da quando abbiamo portato i bambini a casa
e non capisco
perché lo fai. Sbaglio o volevi dei fratelli con i quali
giocare? Tuo padre si
sta dannando l'anima per te, quindi, se vuoi essere arrabbiata con
qualcuno,
d'accordo, va bene, non posso certo impedirtelo: ma fallo con me, non
con tuo
padre... hai già torturato abbastanza quel pover'uomo."
"Voglio
restare qui!"
"La mia
pazienza ha un limite oltre il quale faresti bene a non andare. Hai
dieci
minuti per prendere tutte le tue cose e tornare in cucina."
ordinò,
perentoria. "Dieci, non un secondo di più. Bada che non
scherzo, Lixue: se
tra dieci minuti non sei di ritorno, saranno guai."
Lixue
sostenne
lo sguardo della madre per diversi secondi, decidendo poi di averne
abbastanza
e abbassarlo, prima di salire rapida alla sua stanza.
"Shiryu,
permettimi di darti un consiglio: se volete altri figli, non aspettate
troppo
tempo. Troppa differenza d'età causa di questi problemi."
"Noi
abbiamo circa la stessa differenza eppure non è stata una
tragedia."
Mei sospirò.
"Dici?
Ti ho chiuso sul balcone in pieno inverno e dici che non c'è
mai stato niente
di tragico?"
"..."
"Dai, non fare quella faccia, in fondo mica sei morto, sei un ragazzone
grande e grosso."
"Che
amore di sorella maggiore, sei."
Consultò
l'orologio: Lixue aveva ancora cinque minuti.
"Ha
mangiato?"
"Potevo mica lasciare digiuna mia nipote."
"I denti li ha lavati? E i compiti li ha fatti? Ah, non ha bagnato il
letto, vero?"
"Sì alla prima, sì alla seconda e no alla terza."
rispose
pazientemente Shiryu.
"Oh,
bene." annuì Mei. "Dicevo sul serio, poco fa. Se tu e
Shunrei volete
altri figli, non lasciate che trascorrano troppi anni. Otto sono
troppi."
"E perché tu e Camus avete aspettato così tanto?"
Bella
domanda.
"Perché
siamo stati due idioti." ammise. "Potevamo già essere
sposati da
anni, e invece ci siamo comportati da cretini. Yian-Mei come sta?"
Interpellata,
l'interessata iniziò a piangere dalla carrozzina.
"Beh, a giudicare dalla capacità polmonare, direi
ottimamente."
osservò Mei. "Posso portarla con me mentre ci riaccompagni a
casa? A Camus
farebbe piacere vederla."
"..."
"Che ti piaccia o no, è pur sempre suo zio."
"Acquisito."
Mei si sporse verso di lui, bisbigliando.
"Anche
Shunrei è zia acquisita per i miei figli, eppure non ne ho
mai fatto un problema."
Shiryu si schiarì la voce.
"Messaggio
recepito."
"Ecco,
bravo. Su, Lixue, andiamo."
Scomparvero
dalla pagoda per finire in corridoio; dalla cucina, le note di una
famosa
canzone degli ABBA.
"...certo
che ci vuole una bella dose di coraggio per infilarsi in quelle tutine."
"Perché?
Meryl Streep è ancora una bellissima donna."
Camus bevve un sorso di tè.
"Ma no,
io intendevo Pierce Brosnan e gli altri due. Non mi infilerei in una
cosa del
genere nemmeno sotto tortura." rispose. Avvertì ancora il
Cosmo del
cognato e decise di andare a vedere, trovandosi davanti Shiryu e Mei,
di
ritorno dal Goro-Ho con Lixue e la piccola Yian-Mei.
"Shiryu."
esordì, a mò di saluto. "Che succede?"
"Nulla,
la piccola scampagnata cinese è finita, giusto, Lixue?
Saluta tuo padre e corri
dritta in camera tua, a pensare a come chiedergli scusa." gli rispose,
posando Yian-Mei tra le sue braccia. "Tieni, qualcuno qui voleva vedere
suo zio."
Hyoga
indugiò
qualche istante, guardando Camus spupazzarsi la nipote.
Scambiò qualche parola
con Shiryu e decise di ritirarsi presto, in vista di quanto l'avrebbe
atteso
l'indomani.
"Per
domani è tutto a posto?"
"Sì, ho preparato le valigie stamattina."
"Oh bene. Hyoga viaggerà con noi?"
"No,
partirà domani mattina presto, viaggeremo con Milo e Shaina."
"Oddèi,
menomale." sospirò Mei.
"Davay..." [Dai...]
Mei corrugò la fronte.
"Stai
parlando russo... avanti, cosa c'è che non va?!"
Si
sedette sul letto, passandosi una mano tra i capelli, con fare nervoso.
"Non...
non era il caso di intercedere per me, così ora ce l'ha
anche con te."
"Ah,
Lixue. Posso sopportarlo." rispose Mei. "Tra qualche anno
sarà
un'adolescente, e questa faccenda sarà soltanto una sciocca
baruffa al
confronto. E poi, ho la tendenza a difenderti, non posso smettere."
Camus
sospirò appena, sorridendo divertito alle ultime parole di
Mei.
"Ascolta,
è arrabbiata con me? Va bene, so gestire la situazione, del
resto al dojo ho a
che fare con due classi da venti bambini che a volte si azzuffano tra
loro, la
mia pazienza ha raggiunto livelli di sopportazione tale che nemmeno
Saga
riuscirebbe a farmi saltare i nervi, ma il modo in cui si permette di
trattare
te, mi spiace, non posso digerirlo. Ti ho visto piangere ed
è una cosa che non
riesco a sopportare. Non avrei nemmeno dovuto permetterle di scappare
da
Shiryu, a dire il vero... non so, forse sono stata troppo permissiva
con
lei."
"Tu
non eri d'accordo, sono stato io a insistere e sbagliare. È
una situazione
passeggera, vedrò di parlarne con lei, da soli."
"Se
io avessi trattato così mio padre, mia madre non me
l'avrebbe mai perdonato...
e nemmeno permesso, mi avrebbe fatto passare la voglia già
in partenza. La
gelosia fraterna è naturale, lo so, ma direi che
così è anche troppo. Odio
sapere che questa situazione ti fa stare male, non meriti tutto questo."
"Abbiamo
superato cose peggiori."
"Lo
so. Ma ho la sensazione di aver sbagliato qualcosa con lei, ultimamente
qualunque cosa io faccia, lei riesce a trovare il modo per remarmi
contro. Ha
solo otto anni, non voglio immaginare cosa farà quando
sarà adolescente: non
manca poi tanto, sai?"
"Non
è colpa di nessuno, è un periodo un po'
così per tutti, e questo è il suo modo
di reagire."
"Ancora
non ho capito cosa intendi dire con é
un
periodo un po' così... così come? Avere
tre figli in più in casa non è solo
per un periodo, è per una vita! Lixue per prima, per tanto
tempo, mi ha chiesto
un fratello o una sorella con cui giocare e adesso che li ha, mi
punisce per
averli messi al mondo? È ovvio che tra l'idea di avere un
fratello e la realtà
dei fatti in cui quell'ipotetico fratello nasce e arriva nella tua vita
c'è un
abisso di mezzo, ma accidenti, non possiamo dargliele tutte vinte, non
sempre è
possibile fuggire di fronte a qualcosa che non ci piace: bisogna
trovare il
coraggio di affrontare tutto, anche le situazioni spiacevoli. Solo gli
struzzi
possono permettersi di nascondere la testa sotto la sabbia."
**
20 giugno, vigilia
del matrimonio.
Visto da
lontano, il palazzo reale di Asgard sembrava una fortezza militare
più che
un'abitazione: come ogni castello degno di questo nome, era stato
costruito sul
picco più alto della vallata, protetto da muri di cinta
molto alti, torri e
torrette disseminate –senza una logica apparente, ma
chissà- qua e là, lunghi
camminamenti orlati da merli e infine, l'imponente statua di Odino, che
troneggiava sul maniero e sull'intera valle sottostante.
Nonostante il riscaldamento dentro il fuoristrada fosse al massimo
–naturalmente, era impossibile usare il teletrasporto per
spostarsi-, i
numerosi strati di tessuto tecnico e non ultimo un pesante cappotto
lungo a
coronare il tutto, Mei rabbrividì.
Freddo o nervosismo, non sapeva spiegarselo.
"Bon sang, il fait un froid de
canard!" le sfuggì, battendo i denti.
"Come a Kobotec, del resto." le fece notare Camus, perfettamente a
suo agio.
"Preferirei
essere là."
"Fa un
freddo d'anatra?!" ripeté Milo, voltandosi. "Ho sentito
bene?!"
"Fa un
freddo da anatre."
lo corresse Camus. "È un'espressione tipicamente francese
che descrive un
freddo molto rigido e che riprende il periodo della caccia alle anatre,
di
solito in inverno, durante il quale i
cacciatori dovevano
restare immobili per molto tempo per poterne prendere una e quindi
sopportare
completamente il freddo intenso. Da qui, il froid
de canard."
"...ah."
"Questa
esaustiva spiegazione vi è stata offerta dalla Grand Larousse, consultabile anche al
sito www.." interloquì Mei, prendendolo in giro.
"E
dai, smettila." ridacchiò Camus.
"Avete
sentito che pronuncia, ragazzi?
Sembra la classica voce delle pubblicità dei profumi di
lusso, sapete, di
quelle voci suadenti e profonde, capaci di convincerti a spogliarti nel
giro di
tre secondi." osservò Shaina.
"Quando usa quell'inflessione impiega anche meno di tre secondi per
farmi
spogliare." le rispose Mei. "Su di me ha lo stesso effetto di
Morticia che parla francese a Gomez."
"...perchè,
di solito in quale lingua
parlate?" interloquì Milo.
"Beh,
quell'inflessione in particolare
non la usa sempre, ma quando la usa... altro che Serge Gainsbourg e la
sua
canzoncina."
"Hé,
ne te moque
pas de moi!" [Ehi,
non prendermi in giro!]
"Tu
sais que je
ne le ferais jamais." [Sai
che non lo farei mai.]
"No,
ma ti diverti
a vedermi imbarazzato."
"Sì,
questo è vero." ridacchiò Mei, stringendo la sua
mano nella
propria.
Superate le
mura di cinta, scoprirono che l'intero castello era in fermento per la
cerimonia
dell'indomani: fioristi alle prese con enormi corbeilles di fiori,
furgoncini
ovunque.
"Forse abbiamo evitato il picchetto d'onore." commentò
Camus, a bassa
voce.
"Lo spero, anche perché sono del tutto impresentabile."
replicò
Shaina, controllandosi nello specchietto. "E perché non mi
sentirei a mio
agio."
"Vuoi incipriarti un po'?" Mei le allungò un astuccio.
"No, grazie, non mi sarebbe d'aiuto. L'unico in grado di fare qualcosa
sarebbe Michelangelo con il suo stucco."
Con sollievo di tutti –o quasi-, ad attenderli c'era lo sposo.
"Eccovi, finalmente." li accolse, sorridendo sollevato.
"Com'è
andato il viaggio?"
"L'avrei preferito più caldo." commentò Milo,
facendolo ridacchiare.
"Dentro troverete calore in abbondanza. Konrad vi
accompagnerà agli appartamenti,
ovviamente i vostri due sono comunicanti." aggiunse Hyoga, guardando
Milo
e Camus. "E... so che non ti piacerà, Camus, ma il vostro
è confinante con
quello di Shiryu."
L'interpellato
accennò a un sorriso di circostanza, mentre Mei si
limitò a uno sguardo
glaciale, dietro la sciarpa che le copriva quasi l'intero volto.
"Ti credi divertente?" commentò di punto in bianco, la voce
tagliente. "A me va benissimo
dormire accanto a mio fratello, non è un problema. La mia
maggiore seccatura
sarebbe scoprire che anche qui, come a Parigi, mi toccherebbe avere a
che fare
con te costantemente, 24/7. E ora, vostra
altezza, gradirei riprendermi dal viaggio, se non avete nulla
in
contrario."
Si
schiarì la
voce, cercando di attenuarne il tremolio.
"Prego."
annuì, indicandole il portone.
"Bene.
Con permesso."
Hyoga la
vide
cambiare espressione con una velocità disarmante, prima di
rivolgersi al
maggiordomo, che attendeva in disparte con il suo solito aplomb
professionale.
"Herr Larsen, buongiorno, che piacere
rivederla."
"Avevi
ragione quando dicevi che è come Milo." mormorò
Hyoga, improvvisamente a
corto di parole.
"Mne
ochen' zhal'." rispose
Camus. [Mi
dispiace tanto.]
"Le
passerà." Hyoga fece spallucce, prima di salutare Shaina e
Milo e seguirli
nel castello.
"Per un
attimo ho temuto un'accoglienza in grande stile." sorrise Camus,
circondandogli le spalle con un braccio mentre salivano un'imponente
scalone.
"No, quello l'ha riservato ad Harald."
Milo
s'intromise nel discorso.
"Scusa la curiosità, ma chi è?"
"Uno spasimante di vecchia data di mia cognata, un principe di stirpe
reale: dicono sia un pronipote di Giovanni I di Sassonia." rispose
Hyoga,
prendendo una busta dalla tasca interna della giacca. "Harald
Franz Ludwig Karlheinz Amalrich Xaver
von Württemberg, per la
precisione."
"Niente di meno." fece Milo, fermandosi a metà rampa.
"Perdindirindina." esclamò Camus nello stesso momento. "Camus Alexandre Gauthier-LaRochelle,
discendente da un'antica stirpe di cuochi e pianisti, e ricordo a
lorsignori di
rivolgersi a me con il mio nome completo, pena l'esecuzione capitale.
Naturalmente, per voi farò un'eccezione, madame."
Shaina proruppe in un inchino volutamente esagerato, sollevando delle
immaginarie gonne.
"Troppo gentile, monsieur."
Divertito dal teatrino, Hyoga suo malgrado ridacchiò,
contagiando i presenti.
"Temo
che dovrete tutti accontentarvi di un modesto traduttore, non scorre
sangue blu nelle mie vene."
"Ringraziando
il cielo." sospirò Milo.
"Attenti
a non farvi sentire, dicono sia anche piuttosto suscettibile." li
ammonì
Hyoga. "Se inizia a sbraitare in tedesco, chi lo capisce?!"
"Beh, in tal caso sarei lieto di migliorare la pronuncia della sua
lingua
in uno scontro verbale."
"Cerchiamo
di evitare, d'accordo?" continuò l'altro. "La cena di gala
è prevista
per le ore venti e la cerimonia domani sera alle diciotto."
"Non credo che mi piacerebbe vivere in un posto come questo. Troppo
sfarzoso, troppo esagerato... preferisco il nostro appartamento,
è intimo e non
disperde troppo calore." sorrise Mei, quando lo vide sulla porta del
salottino. Allungò le mani verso il fuoco nel caminetto,
lieta di potersi,
finalmente, scaldare. "Spero che in sala ci sia sufficiente
riscaldamento,
o sopportare questo freddo per tutta la sera sarà una
tortura... beato te che
hai camicia e giacca, perché per me Freya ha scelto un abito
che lascia le
spalle nude: è di velluto, d'accordo, ma..."
Camus rimase
in silenzio un attimo, indeciso se parlarle o no; nel frattempo
guardò Mei
spogliarsi: stivali, calzettoni, leggings termici, collant, maglione,
maglietta
a maniche lunghe, maglietta di micropile e body oltre, naturalmente, al
cappotto –il suo, per inciso- e sciarpa.
"Come
hai fatto a camminare con tutta questa roba addosso? Dico, non ti
sembra di
esagerare?!" le domandò esterrefatto, spogliandosi a sua
volta e posando i
vestiti sul letto.
"A
differenza tua, non ho il Paraflu nelle vene." ridacchiò
lei, seguendolo nella
doccia. "Quanto tempo abbiamo, prima della cena?"
"Quattro
ore."
"Direi
che sono abbastanza. Ti ho già detto che la dottoressa ha
dato l'okay?"
"Sì.
Ma
prima devo dirti una cosa, e dubito che, dopo, tu sarai ancora in vena."
"Mettimi
alla prova: se sono disposta a sopportare il tuo orrendo shampoo al
sandalo,
sono disposta a sopportare quasi tutto." replicò Mei,
infilandosi sotto il
getto caldo.
"Très bien. Dovresti smetterla
di essere
così vendicativa e permalosa. Non fa bene alla salute e non
ti fa onore. E a
dirla tutta, non mi piace."
"A me
non è piaciuta la sua battutina, guarda un po'."
"Crescete,
una volta per tutte. E dico a tutti e due." sospirò Camus.
"Sono
preso tra incudine e martello, non ne posso più."
"Ascolta.
Tu sei cresciuto figlio unico, giusto? Mi spiace girare il dito nella
piaga, ma
non sai che cosa significa crescere con un fratello. Shiryu e io
litighiamo
spesso, a volte non ci parliamo per settimane, ma è la
stessa persona con la
quale ho giocato, scherzato, riso e pianto. Se qualcuno ha diritto a
parlarne
male, quella persona sono io, non è Hyoga. Perché
Shiryu è insopportabile a
volte, ma è pur sempre mio fratello, e se devo scegliere tra
lui e Hyoga,
scelgo il mio sangue." rispose Mei, piccata. "E avevi ragione. Mi
è
passata la voglia."
"Te l'ho
già detto che sei permalosa?"
*
Al
ricevimento erano presenti così tante persone che la sola
galleria principale
non bastava a contenerle tutte, obbligando il personale di servizio a
tirare a
lustro anche le due gallerie laterali, di poco più piccole.
Ad ascoltare Freya,
il capocuoco era così nervoso che non dormiva da giorni,
tirando avanti solo ed
esclusivamente a caffè.
"Cucinare
per più di duemila invitati metterebbe in soggezione anche
uno
stellato Michelin." commentò Camus, sistemando i gemelli ai
polsini.
"Anche mio padre sarebbe d'accordo. Mei,
sei pronta?!"
"Io sono
la sposa ed è più nervoso il cuoco di me."
ridacchiò Freya. "A tal
proposito, volevo parlarti di un certo locale in Rue du Faubourg
Saint-Honoré."
A Camus sfuggì un sorriso nervoso.
"Non Louboutin, spero." rispose, ricordando l'ultima volta.
"No, parlo del ristorante nei pressi di Palais Borghese."
Lui corrugò la fronte.
"Ce ne sono diversi, uno dei quali è puntualmente scelto dal
mio capo per
le cene di lavoro. Un locale fusion piuttosto moderno, dalla cucina
discreta,
ma che non apprezzo."
"Camus... parlo del Madeleinettes."
tagliò corto Freya.
"...sì?"
"Che secondo i miei documenti, a partire dalla primavera del 1991 ha
sostituito il-..."
"...il ristorante di mio padre."
"Esatto.
L'ho rilevato." rispose, ottenendo la sua totale attenzione. "E dato
che non vi ho ancora fatto un dono di nozze degno di questo nome,
volevo
proporti di entrare in società con me."
Impiegò
qualche istante a comprendere la portata di quell'ultima frase.
"Tu cosa?" domandò, gli
occhi sgranati, mentre la pendola batteva sette rintocchi e tre quarti.
"Adesso
non c'è tempo per parlarne, manca poco alla cena."
"Aspetta, aspetta un attimo. Non puoi sganciare una bomba di questa
portata e poi ritirare la mano. Che significa, entrare in
società?"
"Soci
alla pari: 50/50."
"Io... non ho i mezzi per una cosa di questa portata."
"A
quelli penso io, come ti ho detto, è un dono di nozze."
insisté Freya.
"Non
posso accettare."
"Ne
parleremo con calma."
Mei
uscì,
finalmente, dal bagno.
"Possiamo
andare..." s'interruppe, guardando i due: Freya a suo agio nel suo
abito
principesco, Camus accanto alla finestra con una sigaretta tra le
labbra, alla
ricerca dell'accendino, chiaramente nervoso. "Ho interrotto
qualcosa?"
Freya si
alzò, sorridendole.
"Assolutamente nulla." le
rispose Camus, in fretta.
"Stavo
dicendo a Camus che entro un mese io e Hyoga traslocheremo."
interloquì Freya nello stesso momento, inducendo lui a
voltarsi in sua
direzione.
"Come?
Dove?"
"I coniugi
Montboissier si sono trasferiti definitivamente in Martinica e
hanno messo in vendita l'appartamento, ma tranquilla, non faremo molta
strada:
ci sposteremo di un solo piano. Quello sotto il vostro, a essere
precisi."
Camus
assottigliò lo sguardo: era brava la principessa a
rimescolare le carte
in tavola.
"Io e Hyoga
abbiamo concordato che, con quattro bambini, avrete bisogno di
tutto lo spazio disponibile e come regalo di nozze, vi lasceremo il
nostro
appartamento. I miei avvocati hanno già disposto ogni cosa."
"Qualcuno
qui si è dato alle spese pazze, a quanto pare."
commentò Camus.
Mei corrugò la fronte nel sentire la nemmeno troppo leggera
inflessione russa
nelle sue parole: capitava di rado, e solo quando era così
sottosopra da
controllarsi a malapena.
"Non me la contate giusta, voi due."
"Oh,
non preoccuparti, solo cose belle. Animo, Camus. Infilati quella
giacca, siamo in ritardo. Non disturbarti, la strada la conosco molto
bene." sorrise Freya, lasciandoli soli.
"Posso
sapere anche io o è un segreto di stato?"
"Per favore, possiamo parlarne più tardi?"
"Certo." commentò Mei,
atona. Il più tardi di
Camus,
conoscendolo, sarebbe diventato un mai,
ma in qualche modo, avrebbe scoperto tutto.
Durante la
cena cercò di captare qualunque cosa a riguardo, ma
entrambi, si accorse,
evitavano volutamente l'argomento.
"...come può Hyoga decidere di vivere il resto della sua
esistenza in
questo modo? Avere qualcuno che ti organizza le giornate, che ti dice
cosa e
quando farlo, qualcuno che ti impone un determinato abbigliamento
perché
altrimenti, sai che scandalo?" mormorò Shiryu, parlandole in
cinese.
"Insomma, posso capire se uno nasce reale e ci è abituato,
ma lui..."
Mei si guardò intorno, abbagliata dallo sfarzo degli altri
invitati.
"L'ultima volta in cui Camus ha tirato in ballo l'argomento, ha
risposto
che per nessun motivo avrebbe permesso alla cognata di decidere per lui
e la
sua famiglia, ma sai... tra il dire e il fare c'è un abisso
di mezzo. Comunque,
in ogni caso non è affar mio, perciò..."
Shiryu lanciò una fugace occhiata a Hyoga, seduto dal lato
opposto del tavolo
ovale.
"Cos'è successo stavolta?"
"È
una faccenda troppo lunga da spiegare e non è questo il
luogo adatto
per parlarne."
"Credo
di aver capito, ne parliamo un'altra volta."
"Meglio,
perché se ci ripenso mi arrabbio di nuovo."
Freya si
alzò, avvicinandosi a Mei e chinandosi per parlarle.
"So che in questi giorni tu e Hyoga avete avuto dei battibecchi, ho
provato a togliere dal programma il ballo degli sposi con i loro
accompagnatori, ma non ho proprio potuto."
Alzando lo sguardo, Mei si accorse che Hyoga la stava guardando a sua
volta.
"Ti ringrazio per la premura, ma non ce n'era alcun bisogno, te lo
garantisco." le rispose, corrugando la fronte.
"Bene,
sono felice di sentirlo. Tra poco verrà servito il dolce,
poi ci sposteremo nel
salone. Il primo ballo è proprio quello che ti ho citato, mi
spiace."
"Ripeto,
non preoccuparti, non c'è problema."
Hyoga le
parve piuttosto imbarazzato quando si trovarono faccia a faccia al
centro della
sala, insieme a Camus e Freya, ma non lo dava troppo a vedere.
Nonostante quanto ripetuto a Freya, però, non le andava a
genio trovarsi lì in
quel momento.
"Domani
mi sposo, possiamo evitare di scannarci, almeno per le prossime
trentasei ore?
Non chiedo molto, solo di mettere l'odio da parte."
Lo
guardò,
interrogativa.
"Come scusa?"
"So che
preferiresti essere altrove, ma domani mi sposo. Cerca di mettere il
tuo astio
da parte, per una volta."
"Non ho aperto bocca, mi pare. Hai voglia di litigare?"
"Hai una
faccia che sprizza odio da tutti i pori. Durante la cena hai a malapena
detto
due parole e ora guardati."
Mei corrugò la fronte, cercando di capire a cosa si stesse
riferendo Hyoga; era
preoccupata da prima della cena, da quando aveva interrotto Camus e
Freya e
percepito la tensione che si era creata tra di loro. Quasi
scoppiò a ridere.
"Oh, adesso ho capito. La mia faccia non ha nulla a che vedere con te,
sono preoccupata per i fatti miei e comunque tranquillo, l'odio
è un sentimento
forte sotto molti punti di vista, e non lo spreco con te. Non
preoccuparti per
domani, andrà tutto bene, ci saranno sorrisi e belle
espressioni, fotografie e
balli, come previsto: non ho intenzione di rovinare il giorno di Freya."
Hyoga si
schiarì la voce.
"Se
è
ancora per quella storia, mi sono scusato, se non vado errato."
"Se? Eh no, mio caro. Non puoi
maltrattare il prossimo come ti pare e piace e poi pretendere che tutto
torni
come prima con due biscottini e un mazzo di fiori, sarebbe troppo
comodo! Non
sono un interruttore che puoi accendere e spegnere come vuoi!"
sibilò Mei.
"E ora scusami, torno a sedermi perché sono stanca."
La
seguì
attraverso la sala da ballo, sospirando e sedendosi al posto che il
cerimoniere
aveva riservato loro.
Mei
giocherellò un po' con il cellulare, cercando di far passare
il tempo il più
velocemente possibile, iniziando a essere insofferente a quello sfarzo,
quella
gente, quella stessa sera.
"Ehilà."
"Ehi."
rispose.
"La
serata è agli sgoccioli, sto per invitarti a ballare e non
puoi dirmi di no:
facciamo fruttare quelle noiose lezioni di ballo da sala."
Hyoga si
sporse verso di loro.
"Noiose, ma necessarie."
commentò. "I miei piedi non fanno più male come
l'ultima volta, ma se la
sono vista brutta. Tu comunque cerca di fare attenzione al sinistro."
"I miei
sono abituati, ma grazie del consiglio."
Seduta dalla parte opposta del grande divano, Hilda vide Camus e
attirò la sua
attenzione.
"Sono ancora in tempo per un ballo? Naturalmente se Mei-Yin
è
d'accordo." sorrise.
Mei sorrise in risposta, un sorriso che Hyoga come sempre
trovò inquietante, ma
prima che potesse risponderle, interloquì Camus.
"Sicuramente il prossimo, per questo sono già impegnato."
Hilda annuì.
"Ci
conto." lo redarguì.
"Se
aspetta la mia approvazione, con te non ballerà mai."
commentò Mei poco
dopo.
"Mei, ti prego."
"Comunque
sono colpita. Rifiutare una regina per me."
"È solo una regina." fece spallucce lui. "Tu sei mia moglie."
"Vedi di
non dimenticarlo."
"Sei
arrabbiata con me?"
Mei sorrise.
"No, stai
tranquillo."
"Ottimo.
Sai, dato che oggi pomeriggio mi hai mandato in bianco..."
"Oh, smettila."
"Perdonami,
sono stato distante tutta la sera." si scusò. La
guardò, prima di chinarsi
e baciarla nel bel mezzo del valzer. "Sei bella da mozzare il
respiro."
"È
un
tentativo per tenermi buona in vista del prossimo ballo?"
"Uhm... e funziona?"
"Chissà. Tu comunque continua a tentare."
"Hai
notato anche tu che strana cera aveva Hyoga stasera?"
Mei
continuò a strofinare le mani per far assorbire la crema.
"La sua
solita cera, direi."
"E dai. Non
sta bene, lo so."
"Io lo
dico da un bel po' che quel ragazzo non sta bene, eppure non mi ascolta
nessuno."
Preferì sorvolare sull'ultima affermazione, preferendo
limitarsi a sbuffare e
girarsi su un lato.
"Cosa
c'è adesso?"
"Ho caldo." si lagnò Camus, rigirandosi nel letto.
"Fuori
fa meno diciotto e tu hai caldo?"
Per niente abituato a dormire vestito, Camus si sentiva imprigionato
dalla semplice
maglietta bianca e dai pantaloni grigi che indossava a mo' di pigiama.
"Miei
Dèi, mi strapperei tutto di dosso, odio soffrire il caldo."
"L'idea
è buona."
"Se rovinassi la maglietta degli AC/DC, Milo mi ucciderebbe:
è sua."
sospirò Camus.
"Posso suggerirti una soluzione per alleviare le tue sofferenze?"
proruppe Mei, scostando le coperte e sedendo a cavalcioni su di lui.
"Sono
tutt'orecchi."
"Intanto inizierei col togliere questa, che dici? Ma sappi che ho
bisogno
della tua collaborazione." ridacchiò, iniziando con il
sollevare la
maglietta e scoprirgli l'addome.
Dal canto suo, Camus se la sfilò in un batter d'occhio.
"Fatto. E adesso?"
"Adesso...
" Mei si chinò a lasciargli dei baci sul collo. "Uh, prima
che mi
dimentico... devo parlarti di una cosa."
"La dottoressa ti ha dato l'okay, lo so."
"Non devo parlarti solo di questo."
"È
tanto urgente?"
"No,
ma..."
"Allora parliamone più tardi." propose Camus. "Piuttosto,
madame... sbaglio o in ospedale mi hai fatto una certa promessa?"
Mei fece
finta di non capire.
"Quale promessa?"
"Non ci
provare." l'ammonì, afferrandola saldamente per la vita e
ribaltando i
ruoli. "Sai benissimo di che cosa parlo, furbacchiona."
"Ah,
adesso ricordo." ridacchiò Mei.
Ci vollero
tre serie di squilli prima che Camus si accorgesse del trillo.
"Hai
lasciato il telefonino acceso?"
Mei fece
mente locale, per quanto consentito dalla situazione.
"Ho la
batteria a secco, dovrei metterlo in ricarica." rispose.
"Oh, ma chi se ne importa... dove eravamo rimasti?"
"Questa non
è la mia suoneria." continuò Camus.
"Ma che ti
importa?! Magari è quello di Milo."
"Milo dorme
tre stanze più in là, non può essere
il suo."
Il trillo
ricominciò di nuovo, per la quarta volta, e Camus si
sollevò sulle
braccia.
"Il telefono
interno."
"Cos'è,
sua maestà vuol darti il bacio della buonanotte?!"
borbottò
Mei, incrociando le braccia sul petto. "Non le è bastato il
valzer?"
"Smettila.
Chiunque sia, lo liquiderò in un istante. Non muoverti, stai
ferma esattamente
dove sei."
"Agli ordini, mio signore."
"Attenta, potrei
abituarmi." ridacchiò, rispondendo poco dopo.
"...allô?
Parla un po' più forte, altrimenti non
capisco... come?! Stai tranquillo, arrivo subito."
"Ma dai, stai
scherzando?"
"È
un'emergenza!"
"Oddèi,
allora fai sul serio."
Milo
posò il
cellulare sul comodino, s'infilò un cardigan e
uscì dalle sue stanze, entrando
nel salottino comune all'appartamento adiacente, quello di Camus,
giusto in
tempo per vedere quest'ultimo uscire e Mei, incredula, inveire contro
la porta.
"Ma non ci credo!!"
"Cosa
succede?"
le domandò.
Mei si strinse nella vestaglietta di seta, sospirando.
"Dammi qualche minuto, mi tolgo questa roba di dosso e torno."
rispose, contrariata.
Milo si accomodò sul divano, versandosi un bicchiere d'acqua
nell'attesa.
L'amica tornò non più di due minuti dopo, avvolta
in un pigiama e nel suo
solito kimono rosso.
"Come
fai a camminare là dentro? Sembra una di quelle mute da sub
che usa
Shura."
"Shura fa immersioni?"
"Ogni tanto, dice che lo rilassano."
"Ah.
Sai, fino a poco fa non indossavo questo pigiamone. L'altro ieri ho
stoicamente superato l'imbarazzo e mi sono avventurata da Victoria's Secret: non ci vado
volentieri, soprattutto perché non è
il mio genere, non sono una femme fatale.
Ma mi son fatta forza e ho investito quasi cento euro in una
vestaglietta
leziosa, un baby doll e un pezzettino di stoffa che non lasciano niente
all'immaginazione. Ottantadue euro, per essere precisi, pensa che
stupida." rispose Mei. "E lui che fa? Mi lascia mezza nuda sul letto
per andare in soccorso dello sposo con l'attacco di panico.
È un matrimonio
d'amore, mica un contratto combinato stile vecchi tempi, santi numi."
Milo
scoppiò
a ridere, una risata che Mei provò ad attutire pigiandogli
un cuscino in
faccia.
"Scusa, ma è troppo divertente."
"...hai idea di quanto sia scomodo un perizoma di pizzo? D'accordo, non
ho
il sedere di Adriana Lima e me ne rendo conto, ma..."
L'altro
continuò a ridere, premendosi una mano sullo stomaco.
"Mi spiace, davvero. Non mi piace prenderti in giro, ma è
così surreale
che non posso farne a meno."
"È
così
frustrante."
"Ah, lo credo."
sorrise Milo, comprensivo. "E comunque, quando
ti prendono certe voglie, babydoll o pigiamone, non conta.
Sarà per domani
sera, dai. E niente sciopero del sesso per dispetto."
"Macché."
sospirò Mei. "Il dispetto lo farei a me, non a
lui."
**
21 giugno,
giorno del matrimonio.
Meno due ore alla cerimonia.
Hyoga si
presentò alla porta di Camus, bussando con una certa
veemenza.
"Avanti."
"Camus
non c'è?"
"Non lo vedo da un po'." rispose Mei. "Pensavo fosse con te."
"Hai per
caso visto Freya? Avrebbe dovuto iniziare a prepararsi."
In effetti non vedeva nemmeno Freya da un po', forse dalla sera prima.
"Quando
sono andata nelle sue stanze per trucco e parrucco lei non c'era."
convenne. "Ti chiedo scusa, ma ora dovrei vestirmi."
Hyoga
richiuse la porta dietro di sé, preoccupato.
"Sei sparito dopo
pranzo, ma dove
sei finito?"
"Freya è
con te? Dimmi che è con te, perché sua
maestà comincia a dare
segni di nervosismo."
"Camus, per favore,
quando senti questo messaggio mi richiami con urgenza?
Non trovo Freya e mancano due ore al matrimonio."
"Sono di nuovo io...
qui si è scatenato il panico. Hilda
sta continuando a farmi domande e... assolutamente no, non le
do' il numero
di Camus!!"
Camus si
schiarì la voce, dopo aver ascoltato i vocali arrivati su
Whatsapp. I
primi due e l'ultimo di Mei, il terzo, di Hyoga.
Quindici, le
chiamate perse.
Ripose gli
auricolari nella tasca della giacca e guardò Freya, seduta
accanto a
sé sulla panca, di fronte alla Zattera
di
Medusa.
"...a che
grado è arrivato il panico che ho scatenato?"
mormorò Freya,
di punto in bianco.
"Se fosse un
terremoto, direi un magnitudo 6 della scala Richter."
rispose Camus. "Allarmante, ma non ancora devastante."
La
sentì sospirare, quindi rivolgere ancora lo sguardo
all'enorme dipinto che
campeggiava sulla parete bordeaux.
"Siamo
seduti qui da quasi tre quarti d'ora." le fece notare.
"Lo so. Devo
dedurre che non ti piace il Romanticismo?"
"No,
sicuramente lo preferisco all'Impressionismo. Ma vorrei farti
presente che mancano due ore al matrimonio."
"Questo
dipinto è straordinariamente bello." esordì
Freya, poco dopo.
"Una sorprendente testimonianza di una tragedia. Per quanto sia atroce,
sotto molti punti di vista, è come una minuziosa fotografia
di quel che
successe su quella zattera di fortuna in balia delle acque. Rimango
basita ogni
volta che lo guardo, come se fosse la prima. La sua crudezza mi ricorda
Il Massacro di Scio, una prova
sconvolgente dei crimini turchi ai danni dei greci, che però
venne fraintesa
più volte."
"Freya...
starei qui ore a parlare di
Delacroix
o di Géricault, ma qualche chilometro più in su
c'è una persona che ti attende
con ansia."
"Credi che non lo sappia?" rispose lei. "Quando ho messo piede
in sala, ieri sera, mi son sentita sopraffare dalla marea di invitati.
Stamani
non ho fatto colazione perché mi sentivo soffocare. Hilda ha
fatto le cose in
grande come sempre, come quando per consentirmi di studiare a dovere,
obbligava
i musei a concedermi visite private, o quando per non farmi stare in
mezzo alla
folla, pretendeva e otteneva i film direttamente a palazzo, prima che
fossero
trasmessi nei cinema. La cerimonia, e il ricevimento, dovrebbero usarli
lei e
Harald, perché non è questo il modo in cui mi
volevo sposare, io e Hyoga
avevamo altro in mente."
"E lo
dici solo adesso?" sbottò Camus, con più fervore
di quanto volesse. "Hyoga
sta male da tempo per questo, eppure per amor tuo si è
tenuto tutto dentro e
nonostante i disturbi che ne ha ricavato, adesso è
lì in quella stanza a preoccuparsi
per te e a cercare di capire che cosa diavolo stia succedendo. O
torniamo a
palazzo e parli chiaramente con tua sorella, oppure decidi di stringere
i denti
e affrontare le prossime ore, perché io non mi
presterò a questo giochetto. Non
posso e non voglio fargli questo. Vado a fare una telefonata, ti
aspetto fuori."
Freya
lo vide
allontanarsi verso l'uscita della sala, chiaramente nervoso, e
sospirò.
A Palazzo,
intanto, il panico si era diffuso a macchia d'olio; Hilda continuava a
camminare nervosamente da una parte all'altra del salotto di Camus e
Mei,
rendendo difficile la vita alla pazienza di quest'ultima.
"...cosa le
è preso? Tu ne sai qualcosa? Avete litigato? Che cosa hai
fatto?"
"Inizio a
capire perché le stai il più lontano possibile."
mormorò
Mei, massaggiandosi le tempie. "Ho a che fare con lei da meno di trenta
ore e già non la sopporto più."
Ignorando le
occhiatacce della cognata, Hyoga si abbandonò allo schienale
del
divano.
"Mi sta
scoppiando la testa." biascicò, dolorante.
"Perché non
chiamano? Cosa è successo?"
"Magari
ha avuto un ripensamento." interloquì Ikki, attirando le ire
del fratello.
"Smettila!! Non dargli ascolto, sicuramente ha una spiegazione."
"Le hai parlato delle ultime settimane?" domandò Shiryu.
"Certo che no."
"Sicuro?
Non ti è sfuggita nemmeno una parola? Forse vuole
risparmiarti tutto il circo
che ti aspetta giù."
"E
ci pensa adesso?" sbottò Mei. "A meno di due ore dal
matrimonio? Non è modo di comportarsi, questo, non si
può mollare una persona
all'altare così, di punto in bianco. Non siamo in un film!"
"...almeno
ho ancora le sopracciglia al loro posto." commentò Hyoga,
citando Grey's Anatomy.
"Si, mi pare proprio
il momento di fare lo spiritoso."
"Vuoi dirmi
che forse non torna? Freya è biologicamente una donna,
eppure
ha più attributi di te." ridacchiò Ikki.
"Ikki, giuro
che ti mollo un calcio nel sedere così forte che ti faccio
tornare a Tokyo con le chiappe in mano." sibilò Shun. "Poi
vediamo
chi ride."
Quando il
cellulare di Mei squillò, tutti i presenti tacquero di colpo.
"...sì?"
"Per
rispondere ai tuoi messaggi, siamo a Parigi. Tutti e due."
"Immaginavo.
Stai bene? Dove sei?"
"Alla Cour Napoléon, sto aspettando
che Freya
esca dal Louvre."
"Proprio la giornata ideale per fare
una capatina al museo, mh?"
A Camus non sfuggì il tono ansioso dietro il cambio
repentino di lingua.
"Non puoi parlare, ho capito. Ascolta, dì a Hyoga che saremo
di ritorno
nei prossimi minuti."
"D'accordo. Ehi, no. Con tutto
il rispetto, ma no!"
"Cosa
succede?" domandò Camus, sentendo Mei tornare al francese e
Hilda in sottofondo,
pretendere il cellulare col quale stavano parlando. "Mei, attenta a
come
rispondi o mi toccherà fare gli straordinari con la
diplomazia asgardiana."
Quando chiuse la chiamata, Mei si schiarì la voce.
"Ha detto che stanno tornando." annunciò. "Saranno qui a
minuti."
"...e con ottime ragioni per comportarsi in tal modo, mi auguro."
ribatté
Hilda, riprendendo a camminare avanti e indietro. "Camus mi deve
qualche
spiegazione."
"Credo invece che le spiegazioni le debba Freya." interloquì
Mei. "Non
trova?"
Come
evocata,
Freya comparve insieme a Camus in quel momento.
"Ha
ragione, sono io a dover dare spiegazioni. Hyoga, possiamo parlare un
momento,
per cortesia?" esordì, guardando prima la sorella, poi il
fidanzato.
"Non posso fare questa cosa se prima non ho la certezza che sia tutto a
posto e che lo vogliamo entrambi."
"Ma che vai
blaterando, certo che lo vuole. Chi non vorrebbe essere al suo
posto?!" ribatté Hilda, sbigottita. "Stai cercando di
disonorare il
nostro buon nome? Come osi prendere in giro mia sorella in questo modo?"
"Il punto
non è questo. Hyoga non vuole prendersi gioco di nessuno
è che..."
intervenne Camus.
"Oh, basta
diplomazia, per favore, adesso non serve." lo interruppe
Freya. "Sai quante volte io e Hyoga abbiamo immaginato il nostro
matrimonio, in questi mesi? Nessuno di noi due voleva tutto questo, non
è ciò
che avevamo in mente. Stiamo vivendo il tuo sogno e sprecando il
nostro. Adesso
basta, voglio parlarne con Hyoga, da sola."
***
Lady
Aquaria's corner
-In
realtà gli struzzi non nascondono davvero la testa sotto la
sabbia, come da
modo di dire. In vista di un predatore, lo struzzo si accuccia al suolo
appiattendosi il più possibile per ingannare il nemico e
finendo così per
assomigliare a un cespuglio e per alimentare, involontariamente, il
modo di
dire che lo riguarda.
-La canzone di Serge Gainsbourg citata da Mei è la
famosissima Je
t'aime... moi non plus, cantata con Jane Birkin. Ora,
sarò controcorrente, la canzone non mi piace. Ma il francese
è uno dei miei punti deboli, e la sua pronuncia mi piace da
morire.
-Hyoga cita un episodio di Grey's Anatomy, nel quale Cristina, prima
del mancato matrimonio con Preston, subisce la rasatura delle
sopracciglia da parte della futura suocera.
-La zattera di Medusa e il Massacro di Scio sono due opere del
romanticismo francese, appartenenti rispettivamente a
Géricault e a Delacroix.
Per oggi le
note sono così, corte.
Non mi resta
che ringraziare chi ancora legge, rimandarvi al prossimo capitolo
e augurarvi Buone Feste.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 40 *** Into the fire. ***
40 principale
40.
Into
the fire.
Primo
luglio.
"Fonti
sicure mi hanno detto che ho perso il colpo di scena del secolo."
Chino sul sedile posteriore, Milo si rialzò qualche istante
dopo.
"Ciao, Aiolia. In effetti sì, te lo sei perso: la sposa ha
dato forfait
all'ultimo, a meno di due ore al matrimonio."
Aiolia
fischiò, sorpreso: com'era possibile che quei due avessero
rotto così
d'improvviso e in un modo così brutale? Erano sembrati
così innamorati...
"E Hyoga
come l'ha presa? Abbandonato all'altare come nei classici
cliché hollywoodiani,
minimo dev'essere furioso." osservò.
All'inizio la maggior parte dei presenti aveva pensato la stessa cosa.
Però
poi, Freya aveva tenuto un discorso di fronte a tutti gli invitati
spiegando
che no, non stava rifiutando il
futuro marito, stava solo
rifiutando
quella cerimonia.
La
confusione che era seguita, beh... quella era un'altra storia.
"No, i
due piccioncini si sono poi sposati al municipio di Parigi."
spiegò Milo.
"La cerimonia da sogno se la son goduta la regina e il suo regale
corteggiatore.
Così le tonnellate di cibo cucinate dai cuochi di corte non
sono andate
sprecate e il regno ha un nuovo principe consorte. Un po' anzianotto
per lei,
ma chi sono io per giudicare?!"
Ridacchiò
appena, avvertendo il cellulare vibrare in tasca.
"Ricordati di porgere loro i miei auguri non appena ti capita
l'occasione." tagliò corto, avvertendo una seconda
vibrazione.
"Lo
farò
sicuramente oggi, tornano da Bali."
"Ah,
quasi dimenticavo..." Aiolia si sporse nella propria auto, emergendo
poi
con una scatola rettangolare infiocchettata. "Questo è per
Nikos, so che
dovrà nascere a breve."
Milo pensò a Shaina, ricoverata dalla mattina precedente.
"Sì." sorrise di rimando, accettando il dono. "Come sta
Marin?"
L'altro si schiarì la voce.
"Ha
deciso di trascorrere qualche tempo in Giappone, l'ho accompagnata il
giorno
dopo le dimissioni dall'ospedale e vi manda i migliori auguri per il
bambino.
Sto andando da Shion affinché la dispensi dalle
Anfidromie... sai, penso che
non reggerebbe la vista di troppi bambini: il tuo, i figli di Camus, la
figlia
di Shaka."
"Shion capirà." annuì Milo. "Non sai quanto mi
dispiace."
"Lo so, e ti ringrazio." rispose Aiolia, prima di guardare
l'orologio. "Beh, io vado. Ancora auguri per il piccolo."
Milo lo
guardò avviarsi alle scale, con un misto di costernazione e
preoccupazione:
Aiolia pareva invecchiato di vent'anni, ma una batosta come quella che
era
capitata loro tra capo e collo avrebbe messo a dura prova chiunque.
A proposito di figli, si
accorse che qualcuno era in
ritardo.
Fermo
davanti
allo specchio della stanza di Mei, Camus guardò per
l'ennesima volta la sua
figura riflessa e avvolta nell'hanfu nuziale di suo suocero: un abito
notevole,
cucito a mano per un'occasione altrettanto importante.
Mei gli
aveva spiegato, tempo prima, che la cerimonia dei suoi genitori era
stata super tradizionale, e che si erano cambiati d'abito per ben tre
volte,
nell'arco della giornata.
Calcolando
che uno dei tre hanfu era andato perso e quello rosso l'aveva
indossato Shiryu –contando anche che il rosso acceso di
quell'abito avrebbe
fatto a pugni con i suoi capelli-, a lui non restava che quello, che
Mei aveva
riservato a lui fin dall'inizio, da quando avevano recuperato i bauli
dei suoi
suoceri: un bel punto di blu indaco molto bello, certo non poteva dire
il
contrario. La piccola crocchia sulla sommità del capo in cui
Shunrei aveva
raccolto qualche ciocca di capelli, lasciando sciolti gli altri nello
stesso
modo in cui Mei aveva acconciato i capelli di Shiryu per il suo
matrimonio,
completavano l'insieme.
Solo una
cosa
lo faceva apparire ridicolo,
mettendolo
a disagio.
"Shiryu,
una domanda, prego." esordì di punto in bianco. Forse era il
nervosismo
insolito e nel sottile disagio che provava nel trovarsi lì,
ma il vestito pareva
tirare un po', in certi punti.
"Puzza di
canfora, lo so: una volta portato in lavanderia tornerà come
nuovo." minimizzò suo cognato.
"La canfora
è l'ultimo dei miei problemi. Quanto era alto tuo padre?"
"Quanto Mei,
perché?"
Già, perché.
"Se osservi meglio troverai da te la
risposta." ribatté Camus,
puntando le mani sui fianchi.
"Forse sono
state cucite delle pinces, qui dietro." interloquì
Shunrei, indicando due punti sulle cuciture delle spalle.
"Bisognerà
scucirle."
"Senza
dubbio." sospirò Shiryu, comprendendo il problema vero e
proprio: anziché toccare terra, l'abito sfiorava le caviglie
lasciando
totalmente scoperti i piedi. Sembrava un accappatoio piuttosto che un
abito
nuziale. "No, questo non va bene."
"Non mi dire."
"Bisognerà
ordinare delle scarpe nuove." Shunrei prese appunti, dopo
aver riposto le scarpe di tela ricamata del suocero, decisamente
piccole per i
piedi di Camus. "Che misura porti?"
"Quarantacinque."
"Tre numeri
più di me." osservò Shiryu. Girò
intorno al cognato,
notando che la veste tradizionale di suo padre, che su di lui era
rimasta più
morbida, su Camus era più aderente, soprattutto sul
girovita.
"Chiamerò
la sarta, bisognerà scucire anche qui." proseguì
Shunrei. "Potremmo
aggiungere della stoffa e..."
"Strano... cosa porti, una cinquantadue? Forse per questo l'hanfu ti fa
difetto sulle spalle, io porto una quarantaquattro e quello rosso mi
andava un
po' largo."
"Porto una quarantotto."
rispose Camus, con una lieve inflessione stizzita nella voce. "E qui
c'è
ben poco da fare: cucire, scucire... ne prenderò uno nuovo e
non se ne parla
più."
"Se Mei te l'ha riservato, significa che ci tiene." sbottò
Shiryu,
scattando qualche foto con il cellulare. "Anche acquistandone uno nuovo
nello stesso colore, non sarebbe la stessa cosa e non so nemmeno se
faremmo in
tempo. Modificheremo questo."
"Non ho
alcuna intenzione di rendermi ridicolo il giorno delle mie nozze. Ne
acquisterò
uno nuovo, con buona pace di Wei-He buon'anima e se non dovessi fare in
tempo,
indosserò la mia armatura, discorso
chiuso."
sbottò Camus, dirigendosi in bagno per spogliarsi. "E
cancella le
foto."
"Mei non sarà contenta..."
"Nemmeno Shunrei lo sarà, se non cancelli quelle foto."
Il cellulare
iniziò a vibrare sul lavandino, e rispose al primo squillo.
"Milo...non
immagini quanto sia felice di sentirti."
"Addirittura? Stavo per rimproverarti per il ritardo, ma
farò finta di
niente." ridacchiò Milo, dall'altra parte. "Dove sei? Ho bisogno di averti vicino sai, nel
caso dovessi
svenire e battere la testa da qualche parte nella caduta."
"Non scherzare, devi sostenere Shaina. Io sarò lì
tra un po'."
"Ti sento lontano, dove diamine sei?"
"Al Goro-Ho, a provare il vestito da sposo. Non farmi domande in merito
perché non risponderò."
Milo
controllò il cellulare, scoprendo un messaggio whatsapp
inoltrato da Hyoga che conteneva
le foto scattate da Shiryu.
"Non preoccuparti,
quella vestaglia
blu parla da sé."
gli sfuggì.
"...vestaglia?"
replicò Camus, realizzando poco dopo. "Cosa..? Lo uccido, lo
giuro."
"Ma no,
perché? Stavi molto bene." Milo non
riuscì a trattenere le
risatine.
"Molto divertente, Milo. Hai mangiato pane e simpatia a colazione?"
Si
rivestì e
restituì il vestito prima di tornare a casa a svolgere due
commissioni.
"Peccato,
niente vestaglia." lo accolse Milo, nel vedere la polo e i jeans che
stava
indossando Camus.
"Lascia
perdere, credo che indosserò la mia armatura e basta."
rispose
quest'ultimo, glissando sulla battuta. "Oh cavolo! Cos'hai combinato alla mano?!"
Milo scosse le spalle.
"Niente
di che, un piccolo incidente in sala parto." minimizzò.
"Shaina mi ha
stretto un po' la mano."
"Un po'?
Hai le unghie viola."
"Ho
già ricevuto delle cure in merito." disse Milo. "Ora vieni a
vedere mio figlio."
I ruoli si
erano invertiti: ora era Milo il padre orgoglioso che mostrava il
figlio e
Camus quello che guardava dietro il vetro della nursery: un neonato
paffuto con
una zazzera di capelli neri.
"I
capelli sono di Shaina, ovviamente. Ma gli occhi, li ha presi da me."
Sorrise, evitando di ricordargli che molti neonati nascevano con gli
occhi
chiari, salvo poi scurirsi nella stragrande maggioranza dei casi quando
la
melanina si stabilizzava.
"...e...
beh, tu non puoi saperlo, ma ha preso da me anche in altre cose..."
sghignazzò Milo.
"Spero
non il tuo stesso cervello, altrimenti è fregato."
"Appena
l'infermiera me l'ha porto, ho dato una sbirciata per controllare se
fosse
tutto a posto e... non ti immagini nemmeno."
"È un gonfiore fisiologico, si stabilizzerà
presto, non darti arie."
Milo rise
alla battuta, quindi gli circondò le spalle.
"Torniamo da Shaina, tra poco lo porteranno in camera per la
poppata."
"Dobbiamo
andare a festeggiare, e non accetto un no
come risposta." riprese Camus. "Ah, tra l'altro, ho portato un paio
di cosine per Nikos."
In camera,
trovarono le compagne ancora intente a parlare tra loro di parti, figli
e
dolorosissimi punti interni; Milo non menzionò il breve
dialogo avuto con
Aiolia, preferendo riportare a Shaina solo gli auguri dei due amici e
il loro
dono, consistente in un completino da culla.
"Neanche a farlo apposta, abbiamo scelto la stessa fantasia." sorrise
Camus, indicando con un cenno il set a Mei: blu, con delle stelline
gialle in
pigiama e cuffietta.
"Beh, te l'avevo detto, a tinta unita era triste."
Nei loro
sacchetti, Shaina trovò un marsupio e una maglietta con la
scritta Bello io? Dovreste vedere mio zio!
"Questa l'ha scelta lui." Mei scosse la testa, divertita.
"Non
c'era nemmeno bisogno di spiegarlo." rispose Milo, guardando Camus che,
sorrisone a trentadue denti, stava cullando suo figlio. "Sono ancora
sottosopra, non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno."
"Io sì, l'ho sempre saputo." lo interruppe l'altro, senza
distogliere
lo sguardo dal bambino. Prese poi a mormorare qualcosa a Nikos, che gli
altri
non riuscirono a sentire.
Shaina si
schiarì la voce, notando che Mei aveva cambiato radicalmente
espressione negli
ultimi cinque minuti.
"Tutto bene? I bambini come stanno?" le domandò.
"Molto
bene, grazie. Ogni tanto sembrano concedere qualche ora di tregua
durante la notte."
rispose Mei, con un sorriso tirato. "Però sono costantemente
stanca,
quindi non fate caso ai miei sbadigli."
La
natura del suo malumore era un'altra, ma ovviamente non ne avrebbe mai
parlato con i due neogenitori. Si alzò, coccolò
qualche istante il piccolo
Nikos –che Camus non pareva intenzionato a lasciar andare- e
uscì dalla stanza
con la scusa di andare a prendere un caffè.
"Non
vorrai davvero bere questo schifo."
Sobbalzò,
colta di sorpresa mentre passava in rassegna le possibilità
offerte
dal distributore automatico.
"Vedi altre
soluzioni?" domandò, dopo aver riconosciuto la voce di
DeathMask. Si voltò e quasi le caddero di mano portafogli e
cellulare.
"Che
c'è, hai visto un fantasma?"
"Fischierei se potessi, ma siamo in un ospedale." gli rispose, lo
sguardo che andava dai capelli, più corti rispetto a un
tempo e di un bel
castano, agli occhi, che in qualche modo sembravano più
scuri, per finire sulla
linea della mandibola, coperta da un velo di barba. "Che cosa hai
combinato? Sembri un altro."
"Lenti a
contatto e tinta per capelli."
"Ancora
non ci credo che sei tu... accidenti quanto stai bene!"
"Con questo
ti sei guadagnata un caffè. Lascia stare questa brodaglia,
vieni con me."
"Chiedo
venia messere, ma sareste così cortese da rendermi il
pargolo?"
Seppur con
riluttanza, Camus restituì il bambino a Milo, quindi, si
affacciò
alla finestra.
"Con chi sta
uscendo Mei?" domandò Milo, seguendo il suo sguardo.
"...vorrei
saperlo anche io."
Soprattutto avrebbe voluto conoscere la natura di tanta confidenza, dal
momento
che lo sconosciuto circondava le spalle di Mei con un braccio.
"Sento
puzza di gelosia." commentò Shaina, dal letto.
"Nient'affatto."
In corridoio, un'infermiera iniziò ad invitare i visitatori
ad avviarsi
all'uscita del reparto, e Camus si apprestò a prendere le
cose che Mei aveva
lasciato sulla sedia prima di uscire.
"Di qualunque cosa tu abbia bisogno, non farti scrupoli e chiama,
okay?" disse a Shaina. "Riposati finché hai la
possibilità di
farlo."
"D'accordo... ringrazia Mei da parte mia." rispose Shaina.
"Milo,
mi tocca uscire o quella giunonica infermiera verrà a
prendermi di peso."
scherzò. Milo, però, non rispose: probabilmente
non l'aveva nemmeno ascoltato,
troppo preso da Nikos. Sorridendo, gli posò un bacio sulla
testa.
"Hai
detto qualcosa?" si riscosse Milo.
"Nulla d'importante." si congedò Camus, uscendo poco dopo
dalla
stanza. Raggiunta l'auto, sistemò le cose di Mei sul sedile
posteriore e
s'appoggiò alla portiera, accendendosi una sigaretta: lei
era ancora nel bar,
mentre sorseggiava qualcosa al bancone insieme al tizio intravisto
dalla
finestra.
"Perché
non entri?"
La guardò dietro le lenti fumé degli occhiali da
sole; era ferma sulla porta
del locale.
"L'ho
appena accesa." le rispose. "Ma tu vai tranquilla, ti aspetto qui
fuori."
"Ora
cos'hai?"
"Io? Niente." replicò, esalando una nuvoletta di fumo in sua
direzione.
"D'accordo,
farò finta di crederti. E comunque, quella con la sindrome
premestruale sono
io, potrei farti passare cinque giorni d'inferno e allora sì
che avresti
ragione di lamentarti."
Scoprire che
lo sconosciuto altri non era che DeathMask –o Turi, come
insisteva a chiamarlo
Mei- l'aveva sorpreso non poco, ma col suo solito aplomb, non l'aveva
dato a
vedere.
"Avevi
paura che fosse un certo attore, vero? In quel caso a quest'ora sarei
già stata
in volo per il Canada."
Camus
inarcò
un sopracciglio, prima di salire in auto.
"Tempo una
settimana e poi già immagino la cronaca internazionale: il popolare attore della trilogia di Matrix
è
morto suicida a causa della giovane fiamma, un'italo-cinese
che l'ha fatto uscire di senno. Passeresti alla
storia come colei che ha ucciso l'Eletto."
Mei scosse
la
testa, ridacchiando.
"Sciocco.
Che ne diresti se facessi uscire te, di senno?"
"Perché,
scusa, che cosa stai già facendo da nove anni a questa
parte?"
Per tutta
risposta, lei allungò una mano al suo ginocchio, risalendo
piano, finché Camus la
fermò.
"Mi
farai uscire di strada." l'ammonì. "E Aphrodite sarebbe
capace di trasformarmi
in una fioriera per le sue rose bianche se succedesse qualcosa alla sua
auto.
Riprenderemo il discorso a casa, più tardi."
"Con
quattro bambini che dormono a due porte di distanza? Ti ricordo che la
camera dell'undicesima
casa non è insonorizzata come quella su a Parigi: basterebbe
un grido dei tuoi
a svegliarli." gli rispose, facendolo avvampare e voltare di scatto
verso
di lei.
"..."
"È
scattato il verde." proseguì Mei, fingendo di non notare la
sua
espressione e canticchiando seguendo le parole del cantante in radio.
Rise,
quando lo udì borbottare uno svergognata!
tra i denti, con fare divertito.
"Cambiando
discorso... posso sapere perché sei uscita dall'ospedale?
Qualcosa non andava?"
"Avevo
bisogno di prendere un caffè, ho incrociato DeathMask e me
ne ha offerto uno al
bar. Dev'esserci per forza qualcosa che non va?"
"Non
saprei, a un certo punto hai cambiato espressione."
Rimettere in
mezzo sua nipote e la non-reazione che lui aveva avuto a febbraio,
quando
Yian-Mei era nata, avrebbe riacceso una polemica che preferiva evitare,
soprattutto
a ridosso delle Anfidromie. Mise su il proverbiale buon viso al cattivo
gioco e
sorrise.
"Come ho
già detto a Shaina, sono solo stanca, tutto qui."
Camus
annuì,
tamburellando le dita sul volante.
"Ascolta..."
riprese, dopo qualche minuto. "...so che ultimamente ti ho trascurata,
ma
quando ti dicevo che non mi piace questa sorta di amicizia
con DeathMask, non lo dicevo per egoismo, ma perché sono
preoccupato."
"Non capisco dove tu voglia arrivare, abbiamo preso un
caffè... il suo
cambiamento non ha nulla a che vedere con me." rispose Mei.
"Oddèi,
ti prego. Non mi sento trascurata, ma anche fosse certo non cercherei
un
contatto in quel senso con uno come lui. È per una donna che
ha conosciuto in
Italia, a una sorta di festa a tema: ha detto che prima di mostrarsi
per quel
che è, preferisce vedere come si sviluppano le cose con lei."
"E si è tinto i capelli? Al posto suo avrei più
paura a far trapelare il
mio passato piuttosto che un difetto congenito." rispose. "Il sicario
più spietato del Santuario che teme di mostrare i capelli
grigi e gli occhi
rossastri. Questa sì che è bella."
"Perché
devi essere così sgarbato? Questo sarcasmo non è
da te."
"Può
sembrare una persona normale, ma a conti fatti è tutt'altro
e speravo che
avessi imparato a capirlo."
"Ne abbiamo
già parlato, sai bene che non sono mai stata dalla sua
parte, però..."
"Però è una
persona orribile, a
volte penso che non sia nemmeno umano. In
guerra è normale fare vittime. Le atomiche che gli USA hanno
sganciato sul
Giappone non hanno selezionato chi uccidere, hanno ucciso tutti: donne,
bambini, anziani. Per me è lo stesso. Cos'è una
manciata di vite di fronte
all'umanità intera? Ecco chi è
DeathMask."
"Una
volta la pensava così, non lo metto in dubbio.
Però, se l'armatura stessa è
tornata da lui durante la guerra contro Hades, significa che l'ha
ritenuto
degno, che in qualche modo ha riconosciuto le atrocità
commesse. Sbagliare è
umano, Cam. È stata una persona orribile che ha subito cose
orribili e che sta
cercando di rifarsi una vita."
"Anche le
sue vittime avrebbero voluto fare altrettanto, e quanto successo alla
sua
famiglia non è una scusa valida per i massacri che ha
compiuto dopo. Io non
credo alla storiella di DeathMask che si redime per una donna."
"Permettimi di farti notare che un uomo può sempre cambiare."
"Quindi
anche Saga."
Mei
roteò gli
occhi, sbuffando.
"Fai
comunella anche con Saga, adesso? Giusto per sapere, perché
a malapena sopporto
te e mio fratello quando vi alleate contro di me, ma con Saga no."
Rallentò
in
prossimità di Piazza Syntagma, evitando per un pelo il
conducente che lo
precedeva, che aveva frenato di scatto: dopo un lungo colpo di clacson,
Camus
sterzò a sinistra, prendendo una via laterale.
"È
successo qualcosa? Come mai c'è tutta questa gente?!"
domandò Mei, voltandosi
indietro per cercare di capirci qualcosa.
"Nulla,
è solo il cambio della guardia." le rispose. "E io non faccio comunella con Saga, non l'ho
mai digerito."
"Al
tredicesimo tempio mi è sembrato il contrario."
obiettò Mei.
"Gli
devo lo stesso rispetto che devo a un parigrado, ma a parte quello, non
gli
devo altro, l'ho sempre trovato insopportabile. Ho
sentito dire che ha seri problemi a relazionarsi e che probabilmente
è autistico o cose così, non puoi
provare simpatia per qualcuno che dice di
te cose del genere dopo cinque minuti dal tuo arrivo al Santuario."
"Ti ha detto questo?"
"Era convinto avessi l'Asperger. Non è qualcosa del quale
vergognarsi,
beninteso, ma..."
"Beh certo, lui è un esperto di patologie mentali. Ma che
imbecille!"
sbottò Mei. "Però è vero che hai
problemi a relazionarti."
"Sono selettivo e non concedo la
mia fiducia tanto facilmente. Non è un difetto."
Lei parve
pensarci un po' su.
"Ah. E
dopo quanto tempo hai iniziato a fidarti di me? Prima o dopo aver fatto
sesso
dietro la cascata?"
Stranamente
Camus le sembrò offeso.
"Amore, non sesso. Per me non è
mai stato
solo sesso."
"...Cam,
lo so. Non volevo offenderti, la mia era una battuta. Sgradevole, me ne
rendo
conto... reagisco così quando sono sottosopra."
Non le
rispose, continuando a guidare per le trafficate strade di Atene.
Quando
arrivarono al Santuario, Camus restituì le chiavi dell'auto
al legittimo
proprietario, rassicurandolo sulle condizioni del suo prezioso suv.
"Tutto
bene?"
"Sì."
rispose al fratello, prendendo i porte enfant. Certo non poteva
dire a Shiryu che cosa aveva causato il suo malumore. "Sono stanca, ma
sto
bene. I bambini ti hanno dato problemi?"
"No,
nessuno dei quattro." sorrise Shiryu. "Lascia che ti dia una mano,
tutti e tre insieme pesano un po'."
La
seguì
sulle scale, poi riprese a parlare.
"Shion
ha stabilito il giorno per le Anfidromie: mercoledì, quando
Shaina uscirà
dall'ospedale."
"Grandioso." fu il commento laconico
di Mei.
Ansia su
ansia, non c'era scampo; il resto del pomeriggio trascorse lentamente,
tra un'incombenza
e l'altra, e Camus pareva ancora offeso per il loro scambio di battute.
Lo vide
rientrare all'undicesima sul tardi dopo le ore trascorse nell'arena,
mentre lei
cucinava qualcosa: sentì il rollio della lavatrice in fase
di lavaggio e lo
scroscio dell'acqua nella doccia.
"Lixue,
fai attenzione ai tuoi fratelli, io torno subito." disse, spegnendo il
fornello sotto la padella.
"Le
darò
una mano." si offrì Hyoga, che stava rientrando in quel
momento.
"Non
sareste dovuti rientrare stasera?!"
Hyoga quasi
ruzzolò in corridoio, sotto il peso delle valigie.
"Abbiamo
anticipato il volo, Freya non si è sentita bene."
Raggiunto il
bagno, Mei chiuse la porta a chiave, sedendosi sulla vasca.
"Mi stai
evitando."
"No."
"Non era una domanda."
"La mia
risposta non cambia." replicò lui. "Ricordi quando ti
raccontai dei
miei genitori?" le domandò d'improvviso.
"Sì."
replicò Mei, confusa.
"Non te ne avrei mai parlato, se non avessi avuto fiducia in te."
continuò Camus. "E soprattutto, non ti avrei portata
all'isba -dove avrei
voluto toglierti i vestiti- e non avrei fatto l'amore con te in
seguito, non
credi?"
"Ah!
Dunque l'hai ammesso, era quella la tua intenzione primaria!"
esclamò,
immaginando il suo sorriso dietro l'anta satinata della doccia.
Si
appoggiò
alla parete, giocherellando con la sottile catenina d'argento che Camus
aveva
appoggiato accanto al lavabo insieme all'orologio e che portava sempre,
con il
ciondolo che gli aveva messo al collo anni prima durante le esequie dei
Gold
Saints caduti -la metà bianca del Tao-.
"Ne
avete ancora per molto? Anche io ho bisogno del bagno."
protestò Hyoga, bussando.
"Cinque
minuti e ho finito." gli rispose Camus, socchiudendo un'anta.
"Vai dai
vicini." replicò Mei, quasi nello stesso momento.
"Stai
scherzando, spero."
"Allora
vai in giardino!"
Camus cacciò la testa fuori dal box doccia.
"Hey! Ci
sono le mie erbe aromatiche in giardino!" protestò. "Hyoga,
scendi
all'ottava casa, Milo capirà. Forse."
"Tutto ciò è assurdo!" borbottò Hyoga,
arrendendosi.
Mei ebbe un
brivido quando intravide la cicatrice sul fianco, silente testimone di
quanto
accaduto appena un paio di mesi prima, quella dannata notte.
"...stavo
guardando la cicatrice." precisò, accorgendosi del suo
sguardo obliquo che
la fissava di rimando.
Camus
scrollò
le spalle.
"È
un
tuo diritto guardare, a me non da' fastidio." le rispose, con un
sorriso
affettato. "Preferisci il lato b o il lato a?" proseguì,
prima di girarsi
verso di lei.
"...e
adesso chi è lo svergognato?"
La risata
che
seguì scacciò via la sua ansia, inducendola a
ridere a sua volta; Camus era
davvero la parte bianca del Tao -quella luminosa-, capace di
completarla.
"Chi
c'è
con i bambini?"
"Hyoga, quando tornerà dall'ottava casa."
"Bene."
le rispose. "Potresti passarmi il flacone verde che ho dimenticato sul
lavandino?"
Il suo
orrendo shampoo al sandalo. Scuotendo divertita la testa gli porse
quanto
richiesto, avvertendo troppo tardi la presa sul suo polso e Camus che
l'attirava verso sé.
**
"Sei
pronta? Gli altri sono già arrivati."
Incrociò il suo sguardo attraverso lo specchio, notando il
riverbero del sole
sull'armatura d'oro.
"Mi
serve ancora qualche minuto." gli rispose, applicando con mani ferme
l'eyeliner.
Camus
annuì,
adocchiando il vestito che Cora aveva portato quella mattina appoggiato
al
letto, ancora nella sua custodia.
"Perché
l'hanfu?" le domandò, indicando con un cenno l'abito
tradizionale che
aveva preferito indossare, un aderente hanfu in un delicato chiffon
verde
menta, a dispetto dell'abito stile peplo azzurrino che Cora aveva
scelto per
lei.
"È
una
cerimonia importante e merita un certo abbigliamento." rispose Mei con
diplomazia, omettendo di dirgli che per niente al mondo avrebbe
indossato
qualcosa scelto da Cora. "E non sarò l'unica, sai. Ho
intravisto la moglie
di Shaka, indossava un sari stupendo, anche se devo ammettere che
quella donna
farebbe un figurone anche con un sacco di juta addosso, tanto
è bella."
"Non ha
niente più di te." asserì, preferendo accantonare
il discorso vestito. Pur
sorridendo, sentiva che era, letteralmente, un fascio di nervi. "Non
agitarti, andrà tutto bene."
Lo sbuffo
arrivò poco dopo.
"Cam, ti
amo, lo sai. Ma sento che potrei prenderti a scudisciate le terga, per
quanto
queste ultime mi piacciano. Non dirmi di stare tranquilla,
perché è come
gettare benzina sul fuoco."
Uscendo
accanto
a lui, si accorse che l'ingresso dell'undicesima casa era stata
decorata così
come la sesta e l'ottava: due rami d'ulivo e due ghirlande di lana, una
decorazione per ognuno dei loro figli.
"Dovrò
vivere quest'incubo per ogni figlio che avremo?" domandò
quindi, nei
paraggi della dodicesima casa, spostando il porte-enfant nell'altra
mano.
"Come?
Quattro
non ti bastano?" ridacchiò lui, cercando di stemperare la
tensione, ma
senza successo.
"Hai
capito bene che cosa voglio dire."
Camus si
schiarì la voce.
"E allora
la risposta è sì.
Ogni nuovo nato, e
non parlo solo dei nostri, porterà a una nuova cerimonia."
Non
riuscì ad
ascoltare il discorso di Shion, improvvisamente un fischio nelle
orecchie
l'aveva come isolata da tutto, ma la vista, quella non cedeva, per
fortuna.
Aveva gli occhi fissi sui suoi figli, già in braccio ai loro
padrini e madrine,
incapace di guardare altrove.
Nei
paramenti
sacri delle grandi occasioni, Shion porse la mano a Lixue, che tra
tutti i
discendenti dei Saints presenti era la più grande
d'età, e scambiò qualche
parola con lei prima dell'immersione rituale con la quale si
ufficializzava la
sua appartenenza ad Athena.
Mamma, per favore,
aiutami.
Si
ricordò di
una volta, quando all'incirca aveva avuto dieci, forse undici anni e
sua madre
aveva fatto da madrina alla figlia di una sua collega di teatro. Il compito dei padrini, aveva detto il
parroco, è quello di curarsi
dell'educazione spirituale della creatura che si sta portando al fonte
battesimale,
essere guide, maestri, amici.
Forse il
ruolo dei padrini era simile, se non uguale a com'era inteso nella
religione
cristiana, ma, pensò, il significato di maestro
differiva non poco. E comunque, il Dio cristiano non spediva
in
addestramento quei figli che mostravano una fede più marcata
del normale:
certo, c'era chi in tal caso si faceva prete, ma era una scelta adulta
e
consapevole.
Camus
guardò fugacemente
in direzione di Mei, in piedi al suo fianco: aveva il volto
inespressivo e il
corpo teso, ma era facile comprendere il motivo di tanta tensione.
Dietro
quell'apparente freddezza si nascondeva il terrore cieco che i loro
figli
potessero possedere il Cosmo.
"Ça va?" le
sussurrò, strofinandole
una mano sulla schiena.
Si mosse di
scatto come colpita da una scossa, guardandolo di rimando, seria.
"Secondo
te?"
Come facesse
a essere così tranquillo, non lo capiva.
Camus non lo
sapeva, ma lei aveva dato di stomaco dalla tensione, incapace di
ingoiare anche
solo una tazzina d'acqua, e nemmeno il tranquillante che aveva assunto
aveva
potuto niente contro il nervosismo: si sentiva una bomba pronta a
esplodere al
momento meno opportuno.
Pensare che
c'era chi, al Santuario, considerava un onore avere figli pronti ad
entrare
nelle schiere dei Saints, mentre per lei era motivo di angoscia.
Cercò di non
pensare a quell'eventualità.
Per sua
figlia e Rani non ci fu bisogno di provare l'esistenza del Cosmo: era
chiaro
che nessuna delle due bambine l'avesse attivo, nonostante alcune
caratteristiche peculiari.
"Vostra
figlia mostra una certa resistenza al freddo e una moderata
attività
extrasensoriale" esordì Shion, parlando direttamente a loro
"mentre
quella di Rani, più marcata, andrà tenuta
attentamente sotto controllo, ma come
ho già avuto modo di osservare, nessuna delle due presenta
un Cosmo attivo,
quindi non ci sarà bisogno di alcun addestramento. Ora,
andando in ordine
cronologico, la prossima è Yian-Mei. Chi sono i padrini?"
"Seiya e Mei, Maestro." interloquì Shiryu.
Accanto a
Camus, Milo corrugò la fronte.
"Come
mai non fai da padrino a tua nipote?" sussurrò.
"Intanto
non mi è stato chiesto, poi avrei comunque rifiutato."
"Sempre
ai ferri corti, eh?"
"Non per
mia iniziativa, sia ben chiaro." precisò Camus.
"Però
tuo cognato farà da padrino a tuo figlio."
"Perché
l'ha voluto Mei."
Il
cerimoniale, su bambini piccoli come Yian-Mei, era diverso: Shion
impose le
mani sulla piccola, sciorinando una litania in greco antico e
concentrando il
proprio Cosmo alla ricerca di una scintilla della stessa energia.
Mei
scoprì
sul volto del fratello la sua stessa espressione; quando Shion, la
fronte
corrugata, si era avvicinato a Lady Saori che sedeva sul suo trono,
parecchi
metri più indietro, l'espressione di Shiryu si era fatta
più scura, soprattutto
mentre i due parlottavano fitto senza far trapelare nulla.
"Camus."
chiamò Shion, d'improvviso, invitando l'interpellato a
raggiungerli. "Abbiamo
bisogno della tua esperienza."
*
Non riusciva
a concentrarsi sul cicaleccio intorno a sé. Riusciva a
sentire le voci,
distingueva la lieve inflessione italiana di Shaina da quella hindi
più marcata
di Saraswati, la vocetta allegra di Rani dal tono nasale di Shunrei, ma
non
riusciva a concentrarsi sulle parole, ancora troppo scossa.
Alexandre,
Milo e Nikos non avrebbero mai sviluppato il Cosmo.
Joséphine,
come Lixue e Rani, possedeva una vaga scintilla che la rendeva forse
un po'
più speciali degli altri bambini, ma nulla di che: Shion
aveva impiegato pochi
minuti prima di liquidare la faccenda, indicando come unica bambina
idonea all'addestramento
proprio sua nipote, Yian-Mei.
Sulle prime,
aveva avvertito il cuore accelerare i battiti e il corpo teso e pronto
a
fuggire. Poi, una volta passato l'effetto dell'adrenalina, era
subentrato un sollievo
inspiegabile a parole, come se il peso che aveva sentito sullo stomaco
per mesi
fosse evaporato in un colpo solo.
Temprato da
anni di arti marziali, Shiryu aveva mantenuto un autocontrollo
encomiabile,
mentre Shunrei non aveva potuto trattenere la preoccupazione e le
lacrime.
E proprio
per
lei erano lì, in quel momento, riunite alla settima casa.
"Vogliate
scusarmi, signore." interloquì Camus, interrompendo le donne
che stavano
parlando di quanto successo al tredicesimo tempio: Shunrei pareva sul
punto di
avere una crisi di nervi, e le altre cercavano di tirarle su il morale.
Posò le
mani sulle spalle di Mei e la sentì trasalire, riprendendosi
di scatto al
contatto con le sue mani.
Si
chinò e
iniziò a parlarle in francese, a bassa voce.
"Il synagein
è già finito?"
"Non è
nemmeno iniziato, a dire il
vero. Dovresti seguirmi con una certa urgenza."
Mei
annuì e
si alzò, incrociando lo sguardo di Shunrei e sorridendole
appena.
"Torno
subito." si congedò, seguendo Camus fino all'ottava casa
senza ulteriori
domande. Quando si accorse che erano diretti alla Torre della
Meridiana,
assottigliò lo sguardo.
"Dove mi
stai portando?"
"In cima, alla Sala d'Oro. Coraggio, ci sono parecchi scalini da
salire." le rispose, sospingendola gentilmente su per le scale.
"È per Yian-Mei?"
"Sì." le rispose senza mezzi termini. "Essendo nata sotto il
mio
segno, spetta a me l'ultima parola sul suo addestramento."
Si
fermò,
guardandolo seria.
"La
decisione è solo tua, non posso dirti ciò che
devi fare."
"Credi?"
le rispose, con una certa ironia, che Mei trovò fuori luogo.
Corrugò la fronte,
senza tuttavia insistere.
Arrivati
alla
Sala d'Oro, l'anticipò entrando prima di lei –come
per valutare l'eventuale
presenza di pericoli- quindi richiuse il portone, nel pesante silenzio
che
seguì.
"Lo sapevo." sospirò Shaka. "Chissà
perché qualcosa mi diceva
che c'era lei di mezzo. In altri
tempi avresti potuto passare dei guai per questo."
Camus gli
scoccò un sorriso sardonico.
"La tua preoccupazione nei miei riguardi mi commuove nel profondo,
Shaka,
e ti ringrazio per cotanta premura. Tuttavia non ho chiesto
né la tua
protezione, né il tuo consiglio."
"Cerchiamo di non iniziare, ragazzi." interloquì Shion.
"Prendete
posto, stiamo per iniziare."
Le fece cenno di sedersi al suo posto, tra Shura e Aphrodite, ma Mei
scosse
prontamente la testa, preferendo rimanere in piedi dietro di lui.
"La
faccenda potrebbe andare per le lunghe, dovresti sederti."
"Qui dentro non sono una tua pari, non posso sedermi al tuo posto!"
bisbigliò Mei. Intravide degli sgabelli addossati al muro e
glieli indicò con
un cenno.
"Andrò a sedermi laggiù."
Seguendo il
suo sguardo, Camus sbuffò appena.
"Non sei qui per assistere, ma per darmi consiglio." rispose.
"Mei, non vorrai stare in piedi tutto il tempo, mia cara."
interloquì
Shion, interrompendoli.
Prima che potesse invitarla a sedere accanto a lui, Camus
afferrò uno sgabello
e lo posizionò alla sua destra, tra il proprio scranno e
quello di Shura.
"Non era
il caso, potevo anche sedermi a terra."
"Non farlo mai. Non sei
un'ancella."
Le stelle avevano predetto la pace: i tempi di guerra erano lontani e,
a parte
qualche rara disgrazia abilmente celata anche alle sue
capacità, la tanto
agognata pace avrebbe regnato anche negli anni a venire, disse Shion,
tuttavia,
si affrettò ad aggiungere, nonostante il Santuario fosse ben
guarnito, era
impensabile lasciare un futuro Saint senza addestramento.
"Ripeteremo
le Anfidromie per ogni nuovo nato, nessuno escluso. Oggi abbiamo
scoperto che
nelle nostre file, di qui entro pochi anni, avremo una nuova Saint e
chissà,
magari sarà proprio tua nipote a ereditare l'armatura della
grande Yuzuriha.
Tuo fratello cosa pensa di quanto successo?"
Interpellata, Mei si schiarì la voce.
"Non ho
ancora avuto modo di parlare con lui, Maestro."
"Ma lo
conosci meglio di chiunque altro qui dentro, eccetto forse Dohko."
continuò Shion.
"Io e
Shiryu siamo fratelli di sangue, ma ciò non significa che io
sappia che cosa si
nasconda nella parte più intima del suo essere: non ho la
più pallida idea di
che cosa stia pensando a riguardo, e in ogni caso non potrei rispondere
per
lui."
E in parte
era vero: avevano parlato una sola volta dell'eventualità di un figlio
Saint, i dubbi che aveva avuto Shiryu riguardavano Camus come ipotetico
Maestro, ma non avevano parlato d'altro.
"Credo
che per Shiryu sia un onore avere una figlia Saint." intervenne Dohko,
cavandola d'impiccio. "E il fatto che sarà suo zio ad
addestrarla, non può
che tranquillizzarlo."
Ma sbagliava
o tempo prima Camus le aveva detto che avrebbe potuto rifiutare
l'incarico?
Avvertì
il
primo capogiro farsi strada d'improvviso, inducendola ad appoggiarsi di
scatto
al bracciolo più vicino.
"Siamo
qui per questo, dopotutto." rispose Shion. "La mia era una semplice
curiosità, più tardi parlerò con
Shiryu proprio di questo. Ma ora, è con Camus
che dobbiamo parlare: Yian-Mei è nata sotto il suo segno,
quindi spetta a lui
l'addestramento."
"Chiedo
venia, Maestro, riguardo questo punto..." interloquì
l'interessato.
"Scusate."
biascicò Mei, alzandosi improvvisamente e correndo fuori.
"Vi
prego di concederci qualche minuto." le fece eco Camus, seguendola poco
dopo.
La
trovò china
su una delle diverse piante in vaso che ornavano il portico.
"Posso
fare qualcosa per aiutarvi?" domandò Milo, richiudendo il
portone dietro
di sé.
"No, ti
ringrazio." sorrise Camus.
"Adesso
passa." mormorò Mei.
Milo
rientrò,
poco convinto.
"Mi
sentivo soffocare là dentro, avevo bisogno d'aria."
spiegò Mei,
rialzandosi e appoggiandosi a una delle tante colonne che sorreggeva le
meridiane e il complicato meccanismo interno.
A
quell'altezza
ce n'era anche troppa, pensò Camus.
"Da qui
la vista è bellissima." cambiò discorso
d'improvviso, guardando verso
l'orizzonte. Una vista che comprendeva tutta Atene, arrivando a
toccare, in
giornate di sole come quella, anche una vasta parte della periferia.
"L'Acropoli... quand'è stata l'ultima volta che l'abbiamo
visitata?"
"Durante
quelle famose tre settimane." le rispose.
"Uhm... è trascorso così tanto tempo? D'accordo
che non ti piace
comportarti da turista, però ogni tanto sarebbe bello poter
visitare qualcosa
di diverso oltre a queste quattro colonne, no? Voglio dire, la Vieille
Dame
pretende 25 euro per salire fino in cima, l'Acropoli non
costerà così tanto."
"Venti
euro."
"...davvero?
È aumentato?!"
Camus mosse
un passo avanti, gettando un'occhiata verso il basso: la settima e
l'ottava
casa sembravano così piccole da la' sopra.
Borbottò qualcosa in risposta,
avvertendo un brivido corrergli lungo la schiena.
"...cosa?"
Si rese conto di averle parlato in russo, e si schiarì la
voce.
"Ho detto che questa torre è alta cinquanta metri e quel
parapetto è
dannatamente troppo basso per i miei gusti. Torna qui, Mei, mi
innervosisce
saperti lì."
Mei
arretrò
appena, rivolgendogli un'occhiata interrogativa.
"Non
voglio affacciarmi, voglio solo un po' d'aria fresca..."
"Non sto scherzando, vieni via da lì." prese un gran respiro
e si
avvicinò, interponendo un braccio tra lei e la ringhiera, la
mano sul suo
fianco. "Un'ancella cadde di sotto, anni fa."
"..."
"La nipote di Fedra. Ti risparmio i particolari perché
potrei dare di
stomaco come feci quando trovammo il corpo. Anche se ora c'è
la ringhiera,
resta comunque un salto nel vuoto non indifferente."
"Che
intendi dire, quando è successo non c'era?"
"Nove anni fa, no."
"Oh,
capisco. È caduta o
è stata gettata?"
inquisì Mei, prima di
scuotere la testa. "Nove anni fa c'era Saga al potere... non
rispondermi,
non ce n'è bisogno. Ora capisci perché dormo col
mio pugnale a portata di
mano?"
"Sì,
ricordo ancora troppo bene quell'arnese." sbottò Camus. "Ad
ogni
modo, cerchiamo di non tergiversare, là dentro aspettano
solo noi."
"Come se
avessi molta scelta." sospirò Mei, stanca. "Hai un compito
da portare
a termine, non abbiamo chissà quanto margine di movimento."
"Non
esattamente. Addestrare un Saint richiede impegno, dedizione e
soprattutto
tanti sacrifici. Certo, potrei anche lasciare te e i bambini a Parigi e
trasferirmi per addestrare Yian-Mei in solitudine..."
"Non
voglio nemmeno sentirne parlare." borbottò Mei,
interrompendolo.
"Siamo stati lontani sei anni, in nessuna dimensione temporale
permetterò
che accada di nuovo."
"...oppure
potremmo trasferirci tutti: ma una volta intrapresa quella strada non
potremmo
tornare indietro per nessun motivo al mondo. Significherebbe
trasferirsi in
Siberia per almeno cinque anni, far crescere i nostri figli in un
villaggio
sperduto e costringerti a lasciare tutto ciò che abbiamo
costruito a Parigi."
"...se
è
ciò che devo fare, lo farò. Certo, all'inizio
sarà dura, ma col tempo ci
abitueremo."
"No! Non
posso e non voglio farlo, non è giusto per i bambini e non
è giusto per te."
"Cam,
sapevo a cosa andavo incontro quando ti ho detto sì.
Ho scelto di essere la moglie di un Gold Saint, qualunque sia
il tuo dovere è anche il mio."
Seppur
colpito da quelle parole, scosse la testa.
"Dovere
al quale ho già adempiuto per ben due volte. È
ora di lasciare il testimone a
qualcun altro. Che ne pensi? Io non intendo più insegnare.
Non posso fare
questo alla nostra famiglia."
In tutta
franchezza, aveva sperato di sentire quelle parole.
"Non
sapevo che qui la mia opinione avesse importanza."
"Qui o altrove, per me è fondamentale. Non posso prendere
questa decisione
senza di te."
Mei
annuì con
aria grave, espirando nervosamente.
"Se puoi
rifiutare, fallo. Hai già in mente chi può
sostituirti?"
"Sì."
le rispose, osservando la sua espressione cambiare di nuovo nel giro di
pochi
minuti. "Cosa c'è di tanto divertente?"
"La
prima cosa che diranno sarà che il matrimonio e la
sottoscritta ti hanno
rammollito al punto di non saperti più imporre e di non
saper più prendere
alcuna decisione."
"Come se fosse facile imporsi su di te."
"Infatti,
è impossibile." lo corresse Mei. "Senti, davanti a loro non
dire che
sei arrivato a questa conclusione tenendo conto delle mie opinioni."
"Ebbene,
ciò che loro pensano di me o di noi sul versante matrimonio è per me rilevante
quanto il Titanic per l'iceberg che
lo affondò."
"Però,
quanta poesia. Seriamente, mi dici a chi intendi affidare mia nipote?"
"Una
persona nella quale ripongo estrema fiducia, naturalmente: Hyoga."
Lei si
bloccò
un attimo.
"Come
scusa? Io pensavo scegliessi qualcun altro."
"E chi, ad esempio? Lui è perfetto e ha le
capacità per portare a termine
questa missione."
"Ha
anche una moglie, però. Pensavo scegliessi uno scapolo,
qualcuno che
non ha una famiglia alla quale pensare! Hai detto che rifiuti
l'incarico per
noi e te ne sono immensamente grata, ma così..."
"Se
Hyoga dovesse rifiutare vedrò il da farsi, ma per ora
è l'opzione migliore ed è
la più probabile che Shion appoggi. Yian-Mei potrebbe finire
nelle mani
sbagliate, capisci?"
Il portone
si
riaprì, questa volta a causa di Dohko.
"Ragazzi,
non possiamo aspettare a lungo." li interruppe, sollecitandoli.
"Da
quando in qua certe decisioni si prendono seguendo i consigli di una
donna?" interloquì Shaka, guardando prima Mei, poi Camus,
con un
sorrisetto che la prima trovò irritante.
"Da dove provengo io, Shaka, siamo abituati a trattare le donne con
rispetto. Ne abbiamo parlato, abbiamo riflettuto sul da farsi e siamo
giunti
alla nostra decisione. Nostra, non
tua. Tempo fa ho giurato che non avrei mai più accettato
allievi e non intendo
tornare sui miei passi. Sei anni in Siberia sono troppi e non credo di
avere
ancora la stessa forza d'animo che possedevo quand'ero tredicenne,
quindi sono davvero
onorato del compito che volete affidarmi, per me è stato e
sarebbe un onore
addestrare un futuro Saint, ma rifiuto fermamente di rimettermi nei
panni di
Maestro: in tal senso ho già ampiamente fatto il mio dovere."
Negli attimi
seguenti, Shion rifletté sul da farsi, mentre in sala si era
levato un certo
vociare.
"Avresti
già in mente il candidato che potrebbe sostituirti?"
"Hyoga." rispose Camus, senza esitazione.
"Non
diciamo eresie, un Bronze Saint come maestro..." continuò
Shaka.
"Come
sempre tendi a sottovalutare le caste inferiori." interloquì
Mu.
"Soprattutto
quando è stato qualcuno appartenente proprio a quella casta
a farti passare un
brutto quarto d'ora, anni fa." sogghignò Kanon. "Il Saint
della
Fenice, se non ricordo male. La stima che ho sempre avuto di Ikki ha
avuto
un'impennata dopo quella faccenda."
Saga
fulminò
il fratello con un'occhiata di brace.
"Kanon!"
Shaka lo
ignorò volutamente, rivolgendosi a Shion.
"Io
potrei..." iniziò.
"Tu non rientri nemmeno tra gli ultimi possibili candidati." lo
bloccò Camus. "Ho addestrato bene quel ragazzo, ha raggiunto
lo zero
assoluto assimilando in toto i miei insegnamenti e indossato le
vestigia di
Aquarius con onore. Conosco il valore di Hyoga e so che è
all'altezza del
compito."
"Camus, non ti agitare. Nessuno mette in dubbio le capacità
di Hyoga."
interloquì Aiolos.
"Beh,
Aiolos, diciamo che non ha granché scelta: un probabile
allievo è passato a
miglior vita dopo due giorni e almeno tre disertori se la sono data a
gambe
prima che l'addestramento iniziasse. E non dimentichiamoci il migliore
di loro,
che è passato alle fila nemiche... logico che si sia tenuto
stretto il solo
rimasto."
Camus
strinse i pugni, negli occhi uno sguardo di ghiaccio: Isaak era uno dei
suoi nervi
scoperti; la sua perdita, anni prima, l'aveva segnato nel profondo in
modo tale
che lo faceva soffrire anche solo parlarne e nonostante gli anni
trascorsi, non
riusciva a darsi pace per aver fallito con lui.
Milo
si coprì gli occhi con una mano: non aveva bisogno di
guardare Camus in faccia,
conosceva già la sua reazione.
"Qui
va a finire male." mormorò.
L'aria
si abbassò drasticamente di diversi gradi, al punto che il
fiato iniziò a
condensarsi a ogni respiro. Di norma, quello era il preludio di una
tempesta di
dimensioni colossali; tutti si ricordavano ancora bene l'ultima volta
che al
Santuario aveva nevicato in piena estate: la neve di quel giorno si era
sciolta
solo a ottobre inoltrato, e Camus aveva praticamente costretto tutti a
una
sorta di lunghissimo e gelido inverno.
"Quantomeno
nessuno dei suoi allievi se l'è mai presa con un anziano e
una ragazzina inerme
al fine di uccidere un Saint di rango inferiore." sbottò Mei
a voce alta,
incapace di stare zitta e anticipando Camus.
Nel
silenzio sbigottito che seguì le sue parole, Shaka le
puntò addosso uno sguardo
carico di rabbia malcelata.
"Cos'hai detto?!" sibilò.
Seppur
memore di quanto Milo le aveva detto anni prima, Mei non cedette di un
millimetro, sostenendo lo sguardo di Shaka senza muovere un muscolo.
"Posso suggerirti uno spray per ovviare al tuo problema uditivo, se
gradisci."
Lui
tacque un attimo, allibito: Mei vide le sue pupille prima dilatarsi
dallo shock,
poi restringersi fin quasi a scomparire.
"Come
osi rivolgerti a me in questo
modo?" sibilò, rabbioso.
"Critichi
l'operato degli altri, cercando di gettare fango sugli allievi altrui,
quando
né Shiryu, né Hyoga e sono sicura, nemmeno Isaak,
hanno mai osato alzare un
dito contro una donna o contro un uomo incapace di difendersi! Questo
è ciò che
distingue un Maestro degno di questo nome da uno che vale meno di
niente: quando
insegna a vivere e comportarsi civilmente senza credersi superiori e
senza calpestare
nessuno!" replicò Mei. "Oh, se oso!!"
Nella foga della rabbia, nessuno dei due sembrava accorgersi di chi
cercava di
farli smettere o quantomeno di rabbonirli.
"Posso
rammentarti che il caro Isaak ha quasi spezzato la schiena di Kiki, per
sottrargli l'armatura di Libra?"
"Kiki
è un apprendista, è fratello di un Gold Saint e
seppur limitate in quel preciso
momento, possedeva le capacità per reagire a una minaccia.
Un civile, no." rispose Mei a tono.
"Del
resto è più facile notare la pagliuzza
nell'occhio dell'altro piuttosto che la
trave dentro il proprio."
A
qualcuno sfuggì una risatina, che ebbe l'effetto di
distrarre Shaka, e Mei finalmente
avvertì la presa –gelida- di Camus sul proprio
braccio.
"Shaka,
abbiamo finito?" intervenne Shion, spazientito.
"Maestro
Shion." proseguì Mei. "Che sia chiaro che sarò io
e io soltanto a
rispondere delle mie parole, nessun altro deve essere coinvolto."
"Ma
che rispondere e rispondere... questo è il segreto di
Pulcinella, lo sanno
tutti che cosa hanno combinato i suoi allievi." intervenne DeathMask.
"Ma fatemi il piacere di finire 'sta pagliacciata, che ho altro da
fare!"
Però,
punto sul vivo, Shaka non intendeva mollare l'osso.
"Basta!" tuonò Shion, zittendo
tutti. "Fate silenzio."
Controvoglia, Shaka tornò a sedersi al suo scranno,
continuando a gettare lampi
di rabbia nei confronti di Mei.
"Non avresti dovuto rispondere!"
bisbigliò Camus, preoccupato.
"Sono tua moglie, ho il dovere di difenderti."
"Tornando
a noi, per me va bene, Camus." tornò a parlare Shion, con un
tono di voce
normale. "Bisognerà vedere che cosa ne pensa l'interessato,
poi potremo
procedere. La riunione si aggiorna."
Shaka
fu uno dei primi a lasciare la sala; Mei attese finché non
rimasero che lei,
Camus e Shion.
"Maestro Shion, una parola per favore." disse, avvicinandosi e
lasciando Camus indietro. "Sono spiacente di quanto successo prima, ma
sono abituata a difendere ciò che amo e non mi
scuserò per questo."
"Lo so, Mei."
"Perciò se ci saranno conseguenze, vi prego di non
coinvolgere né Camus né
la mia famiglia."
Camus
mosse un passo avanti nel sentire il proprio nome, e Shion lo
fermò con un
cenno della mano.
"Hai
reagito a una provocazione e difeso il tuo sposo, non hai colpe da
espiare." le rispose dopo qualche secondo. "Un uomo non può
che
ritenersi fortunato nell'avere accanto una sposa tanto forte. Ora
coraggio,
vorrei uscire da qui prima di prendermi un malanno."
Mei sorrise appena, quindi gli rivolse il saluto taoista e
uscì dalla sala
insieme a Camus.
"Posso
sapere che cosa vi siete detti?"
"Perché mi cammini davanti?!"
"Le scale sono ripide, qualora inciampassi, sarei pronto ad afferrarti.
E
non cambiare discorso, sai che non ci casco. Dunque?!"
"Quanto
accidenti sei ficcanaso."
"Mei,
questo non è un gioco. In altri tempi saresti potuta
incorrere in conseguenze
serie." le rispose, voltandosi.
"Credi
che stia giocando? C'è la vita di mia nipote in ballo!
Toccherà a me dire a
Shiryu che cosa ne sarà di sua figlia, scusami se sto
cercando di non mandare
in frantumi un pezzo della mia famiglia mentre cerco di proteggere
quello più
importante." rispose Mei, superandolo.
"Stai
di nuovo tergiversando. Cos'hai detto a Shion? Ho sentito il mio nome."
la
raggiunse e la fermò.
Mei
sbuffò, cedendo.
"Gli ho detto che
quanto successo in sala è di mia esclusiva
responsabilità e che non avrebbe
dovuto coinvolgerti per nessun motivo, che qualunque cosa fosse
successa, sarei
stata io a pagarne le conseguenze. Lui ha aggiunto che non ho colpe da
espiare,
ho reagito di fronte a una provocazione."
Hyoga
corrugò la fronte, senza ovviamente comprendere quanto detto
da Mei, in cinese,
e rimase in disparte.
"Tu
sei..." iniziò Camus, prima di trarla a sé e
stringerla "...tu sei
matta. Non conosci le conseguenze di
certi gesti."
"Che
cos'è successo?!" domandò Hyoga, qualche secondo
dopo. "Ho sentito
l'emanazione del tuo Cosmo. State bene?"
"Noi
sì. L'ego di Shaka, no." rispose Mei, vaga. "Nessuno
può toccare in
quel modo la mia famiglia e sperare di uscirne indenne."
"Gli
ha risposto per le rime prima che potessi farlo io." spiegò
Camus,
sommariamente.
"...cosa?!"
"Risponderei
in quel modo anche all'Imperatore di Giada." precisò Mei,
prima di
intravedere il fratello che la chiamava dalla settima casa. "Torno
subito."
"Mei
mi ha difeso?!" si stupì Hyoga, quando Camus ebbe finito di
raccontare.
"Sì,
perché la cosa ti stupisce?"
"Perché
non si sa mai cosa aspettarsi da tua moglie, ecco perché."
replicò Hyoga.
"Fate attenzione a Shaka, per qualche tempo: quello è capace
di
ritorsioni."
"Anche io. E se lui è un
minimo
intelligente, si guarderà bene dal farne: come me, anche lui
ha molto da
perdere. Se c'è una cosa che ho imparato da Mei,
è quella di difendere la mia
famiglia ad ogni costo, anche con modi poco ortodossi: potrei diventare
molto
violento." Camus tagliò corto. "Comunque, Hyoga... devo
parlarti."
Rimase
come impietrito, gli occhi sgranati.
"Animo,
non ho tutto il giorno."
"Qualunque
cosa abbia fatto, ormai io e Freya siamo sposati, sai."
"Cosa vuoi che mi importi delle tue performances con tua moglie, in
questo
momento?! Io parlavo della riunione."
"E cosa c'entro io?!"
Camus
appoggiò l'elmo sul tavolo, premendosi due dita alla radice
del naso come
faceva ogni volta che avvertiva il mal di testa arrivare: Dimitri, Ilya,
Pavel, Roman
e Isaak.
Aveva
già
mandato in malora le vite di cinque ragazzi, come avrebbe potuto a
chiedere a
Hyoga di prendere il suo posto?
Non dubitava delle sue capacità, anzi, sapeva che avrebbe
svolto un lavoro
egregio, i suoi dubbi riguardavano ben altro: i suoi studi, la sua
vita, Freya.
"Inizi a
preoccuparmi." lo distrasse l'interessato. "Riguarda il
synagein?"
"Sì."
rispose stringato, prendendo un gran respiro. "La figlia di Shiryu
è nata
sotto il mio segno e teoricamente sarei io a dover curare il suo
addestramento."
"Lo so." replicò Hyoga, corrugando la fronte.
"Ho
rifiutato." proseguì Camus. "E, perdona la
brutalità, ho fatto il tuo
nome. Mi rendo conto dell'entità di quanto vorrei affidarti,
ma io non posso
riprendere l'insegnamento. Ho già avuto i miei allievi,
è ora di passare il
testimone e tu sei il primo e il solo che mi sia venuto in mente.
Capisco che è
abominevole chiederti una risposta così su due piedi e
capirei un tuo rifiuto...
tu e Freya siete sposati da così poco..."
"Freya
conosce i miei doveri, sapeva a cosa poteva andare incontro." rispose
Hyoga. "Non mi sono mai tirato indietro di fronte a nessun ostacolo, di
certo non inizierò adesso. Per me sarà un'ottima
occasione per staccare la
spina, soprattutto da Hilda: nemmeno lei può mettere il naso
nelle beghe
ufficiali del Santuario."
"Quello
è un territorio difficile per una donna, anche se
è abituata a certe
temperature." osservò Camus, stanco. "Forse ha ragione Mei,
quando
dice che dovrei scegliere uno scapolo. E prima o poi arriveranno i
figli... crescerli
in quell'ambiente ostile è terribile..."
Hyoga
ridacchiò appena.
"Più
prima che poi."
lo corresse, senza aggiungere altro e guardandolo mentre
analizzava la frase e ne comprendeva le implicazioni.
"...cosa...?!"
"Un mese, più o meno. Era già incinta prima del
matrimonio, ecco il perché
dei suoi malori." rispose, notando il suo pallore.
"E me lo
dici così?!"
"Come
avrei dovuto dirtelo, con una fanfara? L'ho scoperto stamattina, non
potevo
certo dirtelo poco prima delle Anfidromie."
"Sciocco,
avresti dovuto invece, perché al posto tuo avrei scelto
qualcun altro!"
sospirò Camus. "E bada, non perché non ti ritengo
all'altezza, ma per salvaguardare
la tua neonata famiglia!"
Sorrise,
scuotendo la testa.
"Quando
smetterai di volermi proteggere a tutti i costi? Non sono
più quel bambino
malaticcio che arrivò all'isba anni fa." gli
domandò. "Accetto il
compito che mi affidi e lo porterò a termine con onore."
Shiryu
non le diede nemmeno il tempo di entrare nella casa di Libra che
iniziò a
subissarla di domande: chi si sarebbe occupato dell'addestramento? E
chi
avrebbe pensato all'educazione di sua figlia? Camus avrebbe continuato
a farle
studiare la sua lingua natia o le avrebbe insegnato una lingua assurda
che
nessuno di loro avrebbe mai compreso?
"Intanto il russo non è assurdo, e se tu espandessi i tuoi
orizzonti al di
là delle sole arti marziali capiresti di che cosa parlo.
Poi, è stato scelto
Hyoga." riuscì finalmente a rispondere Mei. "Camus ha scelto
Hyoga
come Maestro."
"Hyoga?"
"Per quanto mi dia fastidio ammetterlo, ha le capacità per
farlo. Camus ha
già dato, in tal senso." proseguì Mei. "Quando
sarà il momento,
Yian-Mei si trasferirà a Kobotec con Hyoga e Freya per
l'addestramento. O
avresti preferito qualcun altro? Shaka ad esempio, che si era offerto.
O che
so, DeathMask?"
"Non
dire eresie." rispose Shiryu.
"Saprò
dirti di più quando torneranno, ma sappi che mi dispiace
tantissimo." aggiunse
Mei prima di congedarsi.
La
situazione
sarebbe potuta essere molto diversa: avrebbe potuto esserci lei, al
posto di
Shunrei, avrebbe potuto essere lei quella in preda alle lacrime, quella
che
malediceva tutti gli Dèi per non aver impedito una cosa di
quel genere.
Anziché
salire
all'undicesima casa, inforcò rapida il passaggio secondario
dietro le Case,
diretta al sentiero che portava alla spiaggia, intenzionata a
riflettere un po';
nel passare dietro la sesta casa, strinse istintivamente la mano
attorno
all'elsa del pugnale di suo padre, infilato nella cinta dell'hanfu:
qualcosa in
lei le diceva che per un bel po' sarebbe stato meglio mantenere alta la
guardia, nonostante il codice d'onore rigidamente osservato al
Santuario. Non
poteva andare a Eleusi da sola per ringraziare Demetra e non sapeva
nemmeno se
fosse il caso di disturbare Shion per così poco. Poteva
ringraziare Athena,
però, e l'indomani, decise, l'avrebbe fatto.
"Eccoti,
finalmente, ti cerco da un po'. Pensavo fossi da tuo fratello."
"No, con
Shiryu ci siamo già chiariti." sospirò Mei,
mentre Camus si distendeva
accanto a lei sulla sabbia.
"Volevo
dirti che i bambini hanno già mangiato e li ho messi a
dormire, dovessero
esserci problemi, Hyoga mi invierà un messaggio."
l'avvisò. "Riguardo
oggi..."
"Cosa
c'è ancora?"
"Hyoga
ha accettato l'incarico e Shion ha dato il suo benestare."
sintetizzò
Camus.
"Siamo
liberi?"
"..."
"Dèi, vi ringrazio."
"...sii
meno melodrammatica."
"Tu non hai idea di che sollievo sia per me sapere che i miei figli non
dovranno subire alcun addestramento."
"Mei, il
fatto che non li ho portati in grembo e non li ho partoriti non
significa che
non sia in grado di comprenderti. Sono sollevato anche io, cosa credi?"
"Per una
madre è diverso." insisté lei. "Domani
avrò un lungo giro di visite
da fare dopo il lavoro."
Camus
roteò
gli occhi, senza tuttavia dire nulla.
"Va meglio?"
gli domandò poco dopo. "Oggi eri fuori di te."
"Nel
corpo umano esistono miliardi di nervi e Shaka è stato
capace di farmeli saltare
tutti insieme. Io non ho educato allievi capaci di comportarsi peggio
degli
animali: i miei non hanno nessun civile sulla coscienza." le rispose,
con
una punta d'orgoglio. "E lui lo sa benissimo, ecco perché
quando sei
intervenuta si è infuriato. Isaak non è come l'ha
descritto."
"Non
parlarmene se poi devi star male." lo interruppe Mei.
"Shaka
ha tanto gentilmente rivangato questa faccenda e prima o poi lo
verresti a
sapere comunque, che mi piaccia o no. È meglio che tu sappia
tutto da me,
piuttosto che da chissà chi e con chissà quante
fantasiose aggiunte. Dimitri
aveva sette anni quando arrivò all'isba: doveva essere
malato da tempo, perché
morì dopo pochi giorni. Encefalite, mi dissero. Io invece
avevo creduto si
trattasse di influenza, ma ero un ragazzino, non avevo idea di cosa
stesse
succedendo. A ripensarci ora, se fossi stato meno superficiale forse
avrei
potuto salvarlo." iniziò Camus. "Dopo di lui
arrivò Isaak, che come
sai è stato il mio primo allievo: su di lui ho
così tante cose da dire che
dovrei aprire una parentesi molto lunga. Nonostante qualche errore di
percorso,
sono sempre stato orgoglioso di lui, e sento la sua mancanza ogni
giorno. Dopo
Isaak, ci sono stati Ilya, Pavel e Roman. Tutti e tre hanno sopportato
l'addestramento per una manciata di giorni prima di fuggire nei modi
più
disparati. Dal Santuario Saga mi ordinò di giustiziarli."
"E l'hai fatto?"
"No."
rispose in un soffio. "Certi ordini li ha sempre eseguiti Milo al mio
posto."
"Hai un
rigore morale inattaccabile e sono fiera di te."
"Se
conoscessi tutti i particolari di quegli anni, saresti molto meno fiera
di me,
temo."
"Per me
potresti essere qualunque cosa, anche un serial killer in incognito, io
comunque sarei dalla tua parte. Sono stata dalla tua parte anche quando
eri uno
specter, niente mi convincerà mai a guardarti in maniera
diversa."
Le prese una
mano, portandosela al cuore.
"Ti
ringrazio molto per aver difeso i miei allievi."
"Se
c'è
qualcuno in diritto di dire o ridire contro Isaak e Hyoga sei tu, non
è quella
sottospecie di santone." s'infervorò Mei. "Oltretutto
nemmeno l'ha
conosciuto."
Camus
sorrise, ricordando qualche episodio legato all'addestramento. Isaak
non era
mai stato un cattivo ragazzo, e qualunque azione brutale commessa a
danno del
prossimo, l'aveva commessa sotto l'infido consiglio di qualcuno
interessato a
seminare discordia.
"Se
Isaak ha fatto ciò che ha fatto a Kiki, l'ha fatto
sicuramente perché plagiato
dalle parole di qualcuno, perché
non è
così che l'ho cresciuto, non avrebbe mai attaccato in quel
modo un ragazzino. A
dire il vero, non avrebbe mai attaccato nessuno così
brutalmente. Lo conoscevo
bene, aveva un animo buono."
Si
voltò
verso di lui, osservando il suo profilo elegante.
"Da come
parli di lui, penso che fosse –e che sia ancora- Isaak il tuo
preferito."
Continuò
a
guardare il cielo sopra di loro senza risponderle subito.
"Isaak
era diverso da Hyoga, ci sono cose che mi piacevano e cose che non mi
piacevano
di lui." rispose dopo qualche minuto, con la solita diplomazia. "E
per Hyoga è lo stesso. Non ho preferenze, per me sono
entrambi sullo stesso
piano, entrambi importanti. Non posso rispondere alla tua domanda,
sarebbe come
farmi scegliere il preferito tra i nostri figli."
"D'accordo.
Non ne vuoi parlare." sospirò Mei, mettendosi a sedere e
scrollando la
sabbia dai capelli.
"Isaak
era concentrato, impegnato sul suo addestramento, aveva una
volontà ferrea ed
era generoso e gentile. Era il migliore. Quando ho scoperto che non era
morto
in seguito all'incidente ma era diventato parte delle schiere nemiche,
ho
pensato, non senza una pesante dose di rimorso, che avrei preferito
saperlo
morto. Ma continuo ad essere orgoglioso e fiero del ragazzo che ho
cresciuto,
continuo a pensare che fosse il migliore."
Non le aveva
risposto apertamente, ma l'aveva comunque fatto.
Mei sorrise,
senza
insistere.
"A
proposito, mi devo aspettare delle ritorsioni? Giusto per chiarire, io
so come
difendermi e non ho paura di lui, ma i bambini no."
"Shaka
mi conosce abbastanza da sapere che è meglio non sfidare la
mia pazienza. Non è
così avventato da farvi qualcosa. E se dovesse essere
così stupido da
commettere errori, ne subirà le conseguenze."
"Comunque
stai attento anche tu."
"Me la
so cavare, non preoccuparti." sorrise Camus di rimando.
Si
chinò
verso di lui, baciandolo, ma quello che doveva essere un bacio, stava
per
trasformarsi in altro.
"Mei,
aspetta. Qualcuno potrebbe vederci." la fermò, col fiato
corto, alzando lo
sguardo verso la prima casa, una trentina di metri più in
su, e sul sentiero
che da essa portava alla spiaggia: ma sia lo spiazzo antistante la casa
dell'Ariete che il sentiero, parevano deserti.
"...il
sole è tramontato da un po', quindi, a meno che qualcuno da
lassù non usi un
binocolo a infrarossi, non c'è pericolo. E poi, non ricordo
di aver letto
qualcosa a proposito di eventuali atti osceni in luogo pubblico, sul
codice del
Santuario."
"Qui no,
ma al di fuori ci sono leggi precise a riguardo."
"Sbaglio
o questo posto è protetto da uno scudo che impedisce alla
gente di vederlo?
Anni fa non ti sei posto tutti questi problemi."
"Appunto,
parliamo di anni fa... non siamo più due ragazzini, dai."
sospirò Camus,
alzandosi.
Mei si
alzò a
sua volta, slacciando la cintura che chiudeva la giacca dell'hanfu e
lasciando
cadere anche quest'ultima a terra.
"Cosa
fai?" le domandò, mentre la gonna seguiva a ruota il resto e
Mei rimaneva
con la sola casacca addosso.
"È
una
pazzia, lo so. Ma siamo ancora giovani, per tutti gli Dèi.
Facciamone una
finché possiamo... sciogliti un po'."
Lanciò
un'altra occhiata alla prima casa, sospirando.
"È
che
non mi va di essere colto in flagrante come un ragazzino eccit-."
s'interruppe,
trovandosi di colpo la casacca di Mei in faccia.
"Dimmi,
vuoi arrenderti o preferisci cercare altre obiezioni?"
ridacchiò Mei, indietreggiando
lenta in acqua.
***
Lady
Aquaria's corner
-Anfidromie:
festa che
nell'antica Grecia era organizzata in onore della nascita di un bambino.
-Imperatore di Giada: una delle maggiori divinità del
pantheon taoista.
-La faccenda
di Camus e degli allievi fuggiti: ho preso spunto da quel che nel manga
Isaak
dice a Hyoga quando quest'ultimo arriva in Siberia per l'addestramento.
Oggi non ho
nient'altro
da aggiungere: ringrazio chi ancora recensisce e segue la storia.
Alla
prossima,
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 41 *** Memories. ***
capitolo 41
41.
Memories.
"Ho
saputo
che hai preso le mie difese."
Hyoga si
sedette al tavolo, mentre Mei, al lavandino, era intenta a trafficare
con i
biberon e il latte in polvere, attenta alle dosi per ogni singolo
contenitore; accanto
al piano cucina, i tre neonati aspettavano più o meno
pazientemente di ricevere
la poppata del mattino.
"A-ha." gli rispose, senza dedicargli troppa attenzione.
"Non eri
tenuta a farlo, voglio dire... non dopo quel che ti ho detto."
"Non c'è di che."
tagliò corto lei,
addolcendo lo sguardo poco dopo, prendendo in braccio
Joséphine e rivolgendo ad
Alex e Milo qualche parola in cinese.
"Non allatti?"
"Ho smesso di produrre latte ancora prima di uscire dall'ospedale."
rispose Mei, soprapensiero. "Ma poi, scusa... a te cosa importa?"
"Sei di
nuovo arrabbiata per quel motivo?"
Finalmente alzò lo sguardo su di lui, mentre la piccola si
attaccava vorace al
biberon.
"Hai
sbagliato avverbio, tesoro. Sono ancora
arrabbiata per quel motivo." lo corresse. "È diverso. Posso
sapere
per quale motivo vuoi a tutti i costi ricucire con me? Non sono nessuno
per te,
non si ricuce con un estraneo."
Hyoga roteò gli occhi, in una perfetta imitazione di Camus.
"Senti,
capita a chiunque di dire spropositi quando non si riesce a ragionare.
Avrai
sicuramente litigato anche con Shiryu nel corso degli anni, no?"
"Certo."
gli concesse. "Ma Shiryu è mio fratello.
Condividiamo la stessa famiglia e lo stesso sangue, non siamo estranei.
E se
devo regolare i conti con lui, posso farlo tranquillamente, prendendolo
a
ceffoni o torturandolo con un silenzio senza fine. Dovessi mai mettere
le mani
addosso a te, non arriveresti al prossimo compleanno, calcolando che ho
anni di
rancore represso dentro che ho accantonato per amore del tuo angelo custode."
Hyoga non
replicò all'ultimo affondo. Si limitò a sorbire
un sorso di tè, cercando di
riprendere il discorso: Camus gli aveva raccontato tutto nei minimi
particolari
e si era scoperto stupito dalla mancanza di freni che Mei aveva
dimostrato
contro Shaka. Non era la prima volta che l'affrontava verbalmente, del
resto.
"Avrei voluto esserci e vedere la sua faccia. Shaka, intendo dire."
disse poi, vedendola ridacchiare con soddisfazione.
"Aveva
gli occhi fuori dalle orbite." convenne Mei, poco dopo. "Sibilava
come una serpe, furioso: ancora non ha capito che posso diventare
peggio di una
vipera se qualcuno tocca le persone che mi sono care. Dohko e Camus
hanno
addestrato allievi degni di questo nome, non animali come lui. Con
tutto il
rispetto per gli animali, s'intende."
Si
schiarì la
voce, cercando con cura le parole da adoperare.
"Su una
cosa, però, Shaka aveva ragione. Tu non puoi sapere com'era
Isaak, ma non era
proprio un sant'uomo. Ha davvero fatto a Kiki ciò che ti ha
raccontato."
"So com'è Camus."
precisò. "So
che non ha mai dato certi insegnamenti e tanto per la cronaca, se Kanon
è abile
anche solo la metà di suo fratello nel distorcere la
realtà e manipolare la
gente, allora possiamo anche dare una risposta al comportamento di
Isaak
durante la battaglia contro Poseidone."
"Per
certi versi Saga è un agnellino in confronto. Tu non lo
conosci così come non
conosci Isaak."
"Sai,
è
difficile conoscere a fondo una persona, anche se con lei ci trascorri
la vita,
o sei costretta ad averla tra i piedi di continuo. Ne ho avuto prova
non molto
tempo fa."
"Come vuoi. Comunque, Kanon ha solo riportato alla luce certi
atteggiamenti di Isaak, non ha dovuto faticare molto."
osservò Hyoga.
"Che ci
piaccia ammetterlo o no, tutti abbiamo una vena di cattiveria nascosta
in noi,
senza alcuna eccezione. Io ne ho una bella grossa e non ne ho mai fatto
mistero,
Camus ha la sua e beh, è dannatamente bravo a usarla, quando
vuole. Anche tu...
per quanto ti piaccia recitare la parte dell'allievo perfetto e senza
macchia –e non lo sei -
ne possiedi una. Hai
ampiamente dimostrato che come il tuo Maestro, quando vuoi, sei abile
nell'usarla."
*
Tre cimiteri
in un pomeriggio: Camus si sentiva emotivamente e fisicamente stanco,
soprattutto dopo la visita obbligata alla tomba di famiglia. Dopo
Beijing e
Parigi, eccoli infine a Kobotec, dove Mei l'aveva costretto ad
accompagnarla.
"Come
mai hai insistito tanto per venire qui?"
"Jurji rientra in quella rosa di persone che ho pregato per le
Anfidromie,
e ti ricordo che Alexandre porta anche il suo nome. Una pianta e una
visita alla
sua tomba mi sembrano il minimo, non ti pare? Andrei anche da Natassia,
se sapessi
dove si trova."
Camus si
schiarì la voce.
"Non
tocchiamo quest'argomento, per favore. Vado dal guardiano a chiedere
dov'è
sepolto Jurji."
Mei scosse
la
testa, intravedendo Hyoga una ventina di metri a est, distratto da
qualcosa: un
corteo funebre, proveniente dalla piccola chiesetta ortodossa a fianco
del
camposanto. A giudicare dalla bara bianca e piccola, doveva essere un
bambino.
"Era
qualcuno che conoscevi?" domandò a Hyoga.
"Conosco la sua famiglia. Ma le mie maledizioni hanno colpito la
persona
sbagliata." le rispose. "Irina. Una nipote di Oleg." aggiunse
dopo qualche secondo, quando notò il suo sguardo
interrogativo. "Il mio
bersaglio era lui, non la bambina."
"Mi sarei
stupita del contrario."
Hyoga
assottigliò lo sguardo, notando il vecchio Oleg in fondo al
camposanto, dietro
il figlio e la nuora distrutti dal dolore.
"Adesso sai che cosa
si prova."
borbottò, in russo.
"No, Hyoga. Questo no. Per quanto quell'uomo meriti di soffrire per il
male che vi ha fatto, non dovresti neanche pensare certe cose. Porta
male, soprattutto
ora che Freya è incinta." Mei s'interruppe guardando, con un
groppo in
gola, la nuora di Oleg prostrarsi sulla bara della figlia. "Nessun
genitore
dovrebbe piangere suo figlio, è ingiusto e contro natura e
sono certa che
preferirebbero esserci loro là dentro, al posto della
figlia. E poi, pensa a
questo: se al posto di quei due genitori ci fossi tu?"
"Cosa
succede?" Camus spuntò alle loro spalle, parlando a bassa
voce.
"La
nipote di Oleg." Hyoga gli indicò il gruppetto di persone
riunite intorno
a una fossa.
"Svetlana?"
"Irina."
"Oh. Il Karma gira, Oleg."
Mei
inarcò un
sopracciglio, guardando prima l'uno, poi l'altro.
"Adesso
ho capito da chi hai preso, certo non da quella santa donna di
Natassia."
"Riguardo
cosa?"
"Porta male, malissimo, pensare
certe cose. Soprattutto quando lui sta per avere un figlio e noi ne
abbiamo
quattro, tre dei quali di poche settimane: quel Karma potrebbe
ritorcersi
contro di noi! Ricordatevelo, prima di vomitare certe cattiverie.
Vogliamo
andare, adesso? Per quanto mi riguarda abbiamo già
ampiamente sfidato gli Dèi.
Vergognatevi, tutti e due."
Tornati
all'ingresso laterale del cimitero, Camus spiegò una cartina.
"Il
guardiano ha preferito indicarmi la tomba sulla mappa piuttosto che
accompagnarci." borbottò, seguendo le indicazioni. "Sciocco
superstizioso:
dice che nessuno vuole più seppellire i parenti accanto alla
tomba di Jurij
perché sentono energie negative
provenienti da quel posto."
A Mei non
piacque il tono usato da Camus, ma preferì lasciar correre.
Posò lo sguardo
sulla tomba, sola in un piccolo appezzamento di terra dimenticato da
tutti,
circondata da altri appezzamenti pieni di lapidi e rigogliosi
sempreverdi.
"Io sento solo molta tristezza. E tanta, troppa ignoranza."
sospirò,
infilando dei guanti da giardinaggio e iniziando a strappare le erbacce
incolte.
"Anche
questo, povero papà." mugugnò Hyoga.
"Certa
gente non ha rispetto per i vivi, figuriamoci per chi non lo
è più."
aggiunse Mei. "C'è bisogno di ricalcare le lettere, alcune
sono così
sbiadite che si fatica a leggerle: la prossima volta vedrò
di portare
dell'inchiostro apposito."
"Grazie."
Appesa alla
croce sulla sommità della lapide, una specie di lungo
rosario ripiegato in più
giri: Mei lo toccò con delicatezza, rigirando la medaglietta
appesa insieme a
una nappina e una croce ortodossa.
Chiuse gli
occhi, mentre iniziavano a balenarle in testa scene che dovevano essere
avvenute in quello stesso cimitero almeno due decenni prima: una
valigia posata
accanto alla lapide, una donna palesemente incinta mentre si
inginocchiava e
pronunciava qualche parola, prima di sfilarsi dal polso quello stesso
rosario e
appenderlo alla croce.
"Una
corda da preghiera." commentò Camus, adocchiando il monile,
che una volta
doveva esser stato completamente nero, ma che ora, nei punti esposti al
sole,
virava verso il grigio. "Un chotki
ortodosso. Chissà chi l'ha lasciato qui..." si
voltò cercando con lo
sguardo le altre lapidi, ma erano tutte spoglie. Ben curate, ma spoglie.
"Natassia."
commentò Mei, leggendo le incisioni sulla medaglietta.
"Questo rosario è
stato creato per tuo padre, da parte di tua madre. L'ho vista quando ho
toccato
il rosario."
Hyoga si chinò verso la lapide di suo padre, sfiorando le
incisioni con le dita
e pronunciando qualcosa in russo.
"Può
averlo lasciato chiunque." minimizzò Camus.
"Dici? Evitano come la peste quest'angolo di cimitero ma si scomodano
per
lasciare un rosario? Un po' contraddittorio, non trovi? L'ho vista appoggiare una valigia proprio qui
accanto, fare tre volte il segno della croce e inginocchiarsi in questo
punto
nonostante il pancione. Parlava di Yura,
Leningrado e di qualcos'altro che non saprei ripeterti."
"Hai
anche le visioni, adesso?!"
"Non usare quel tono con me. Da
qualche tempo ho delle percezioni, soprattutto quando sento qualcosa
vicino che
non posso vedere. Natassia dev'essere qui, perché mi ha
trasmesso dei ricordi
attraverso quel rosario."
"Com'era
fatta la valigia?" domandò Hyoga di punto in bianco,
sorprendendo entrambi.
Mei
riportò
alla memoria i dettagli di quanto aveva appena visto.
"Azzurra,
con gli angoli rinforzati e due spesse cinghie marroni." rispose senza
esitazione.
"Oh, ma
dai." sbuffò Camus.
"Non ti
azzardare! Posso sorvolare sul fatto che tu non creda a certe cose, ma non osare
darmi della bugiarda." sbottò Mei, inalberandosi. "Credi che
abbia
sputato le prime cose che mi sono balenate in mente?" liberò
con stizza
dal cellophane la piantina che aveva portato con sé e si
rialzò, brusca.
"Mia
madre possedeva una valigia di quel colore. La ricordo bene, anche
perché al
momento del naufragio, in quella valigia, c'era il mio gioco preferito.
Beh... era
il solo che avesse potuto permettersi di comprarmi ed era il mio unico
gioco,
per forza di cose lo consideravo il mio preferito."
Ancora se lo
ricordava, quel giorno: aveva desiderato così tanto quel
robottino, che aveva
chiesto a Natassia di tenerlo in valigia per paura che si sciupasse
durante il
viaggio.
Che idea grandiosa.
"E Yura è il
vezzeggiativo di Jurij
quindi sì, è qui che ha detto addio a Kobotec,
prima della sua fantastica
decisione di tornare, quando ero bambino."
"Tua
madre ha preso la decisione che in quel momento riteneva più
giusta, non sta a
te decidere se sia stata una buona idea o no. E in secondo luogo, sono
certa
che, se avesse potuto, ti avrebbe acquistato tanti di quei giochi da
riempire
una casa. Ti ha dato la vita e te l'ha salvata, direi che sono doni ben più preziosi di un
robottino."
lo riprese Mei con severità, estraendo da un portaoggetti
una serie di
strumenti da giardinaggio per piantare, vicino alla tomba di Jurij, un
sempreverde.
"È
un
abete?" Camus si schiarì la voce.
"Un
cipresso. Le radici si sviluppano in verticale e non c'è
rischio che queste
vadano a intaccare la sepoltura." replicò, secca.
"Dai,
Mei..."
"Dai un accidenti. Non sai
quanto mi fa arrabbiare questo tuo atteggiamento. Prima o poi
chiederò a mia
madre di venire a tirarti i piedi mentre dormi."
"Perché
non Degél?"
"Perché lui non lo farebbe mai."
"Lo sai
che mi dispiace..."
"Lascia
perdere." replicò lei, afferrando un bagna fiori che
qualcuno aveva
abbandonato tra le lapidi. "Vado a prendere un po' d'acqua."
"Aspetta,
vado io." interloquì Hyoga. "La pompa dell'acqua
è arrugginita e dura
da manovrare."
"E io ho forza nelle braccia e l'antitetano." rispose Mei, prima di
avviarsi.
"...un
passo avanti e due indietro." commentò Hyoga.
"Perché semplicemente
non accetti questa sua capacità?"
"Intanto nessun passo indietro." puntualizzò Camus,
stizzito.
"Secondo, è un tasto che non mi piace toccare."
"Io penso che tu sia geloso. O spaventato. Oppure entrambe le cose."
Hyoga abbassò la voce per non farsi sentire da Lixue, pochi
metri avanti a
loro, intenta a trafficare con la piantina.
"Sarei geloso...dello spirito
del mio predecessore? Ti ascolti, quando parli?"
Negli ultimi tempi Mei spariva anche per ore da qualche parte al
Santuario, in
un luogo in cui lui non aveva accesso. Erano certi segreti a
disturbarlo, le
cose che Mei non gli diceva e che preferiva dire a Degél,
quelle cose di sua
moglie che l'altro si prendeva, a
scapito suo. Quella sensazione di...
tradimento emotivo che avvertiva da un po' e che, per quanto
irrazionale
fosse, non riusciva a cacciare via.
"Allora
la tua è paura. Di cosa? È dei vivi che bisogna
aver paura, non dei morti. E
soprattutto non di mia madre, che Dio l'abbia in gloria." aggiunse
Hyoga,
facendosi il segno della croce.
"Tu non
capisci."
"Prova a spiegare."
Mei
tornò
indietro con il bagna fiori colmo d'acqua, e senza profferire parola
iniziò ad
armeggiare intorno alla tomba con i suoi strumenti.
"Hai detto che questi fenomeni sono apparsi da poco tempo?"
domandò
Camus, dopo qualche minuto di silenzio insostenibile.
"Da quando i miei incubi hanno avuto termine."
"Cioè da quel pomeriggio al tredicesimo tempio?"
"Sì."
Camus
rimuginò sulle sue parole, facendo attenzione a come
risponderle per evitare
altri battibecchi.
"Perciò... vuoi dirmi che nei pochi istanti in cui la tua
mente e quella
di DeathMask sono entrate in contatto, lui ti ha trasmesso un suo
potere?"
"Non
proprio, non esagerare." obiettò Mei. "La sola cosa che ho
notato di
diverso in me è che ora posso vedere parte della vita di una
certa persona,
quando tocco qualcosa che è appartenuto allo spirito. Ti
ricordo che DeathMask
può evocare gli spiriti e usarli a suo piacimento, io no."
"So perfettamente di cosa è capace, e Athena sola sa che
cosa potrebbe
succedere se quello squilibrato evocasse lo spirito sbagliato."
"Quindi,
avresti preferito qualcos'altro? Che so, una doppia
personalità? Non sei capace
di gestirmi con una, figurati due." sogghignò Mei. "Pensaci,
prima di
dire sciocchezze."
Sistemò il terriccio intorno alla base del cipresso e si
pulì le mani con il
residuo d'acqua del bagna fiori, prima di rivolgere il saluto taoista
alla lapide
di Jurji.
"Spasibo, spasibo bol'shoye, Jurji."
mormorò, ringraziandolo per l'aiuto ricevuto.
*
"Perché
siamo venuti qui d'improvviso?"
Hyoga si schiarì la voce.
"Perché Camus è fuori casa. Se ci avesse visto
andare via insieme, avrebbe
iniziato a fare domande, e mi pare di capire che tu non voglia
sollevare certe
questioni prima di settembre."
obiettò
Hyoga, seguendola dentro il negozio di Zoya e sua madre, dove li
stavano
aspettando per la prova dell'abito da sposa: abito che, tra le cose,
era esposto
su un manichino in attesa di essere indossato.
Zoya e sua madre erano su di giri: avevano lavorato a lungo su
quell'abito e
non vedevano l'ora di mostrarle ogni ricamo.
"Odnu
minutu,
pozhaluysta.
Un minuto, per favore." sorrise
loro, nascondendo, per quanto possibile, il disappunto.
Hyoga
sgranò gli occhi, sorpreso, ma non fece in tempo a chiederle
delucidazioni che squillò il suo cellulare.
"Scusami
tanto, ho
dimenticato di spegnere il telefono... è Camus. "
precisò corrugando la
fronte quando si accorse del nome comparso sul display del cellulare.
"Ignoralo." borbottò Mei, passando rapida al greco.
"Come,
scusa?"
Avrebbe dovuto scambiare due parole con Freya, che mesi prima aveva
insistito per
offrirle in dono l'abito facendole scegliere la stoffa e mostrandole un
modello
di abito tradizionale che le era piaciuto, certo, ma che aveva
immaginato in un
altro colore. Se non rosso, un bel punto di blu che in Russia era
considerato
di buon auspicio per una sposa.
"Quando
dico che ho seri problemi a indossare il bianco, non è per
colpa di
un'idiosincrasia, è per una seria questione culturale.
Possibile che non ci sia
una, dico una sola persona
disposta a
rispettare la mia religione, a parte Shiryu? Eppure non è
così difficile."
Il telefono
riprese a squillare, e Mei sbuffò, prima di tornare da Zoya.
Camus
l'avvertì che sarebbe tornato di lì a poco, il
tempo di uscire dalla
tangenziale; Hyoga si trovò a sperare nel traffico
congestionato di Atene
affinché lo trattenesse il tempo necessario a riportare Mei
a casa senza
destare sospetti.
"Sta
tornando a casa. Camus, voglio dire... sta tornando a casa."
"Beh, mi spiace per lui ma spero che resti imbottigliato nel
traffico."
"...è in moto."
Mei sbuffò.
"Accidenti." borbottò, dietro il paravento dietro il quale,
aiutata
da Zoya, si stava infilando il vestito. "Mal che vada, diremo che siamo
passati a lasciare qualche fiore a Natassia."
"Certo,
così è la volta buona che mi fa lo scalpo."
"Perché?"
"Camus si arrabbierebbe moltissimo anche solo a pensarti
sul luogo del relitto e inoltre mia madre è in un posto
difficile da raggiungere, non vado da lei da anni perché non
posso spingermi alla
profondità in cui è stata spin-... in cui
è scivolata."
Dopo qualche
secondo di silenzio, Mei riprese.
"Come sarebbe? Vorresti dirmi che tempo fa ti tuffavi in quelle acque
gelide per raggiungere tua madre? Voi guerrieri dei ghiacci siete matti
da
legare."
"A
quanto pare..."
"E perché ora non puoi più?"
Perché è stato Camus a
impedirmelo, avrebbe
voluto risponderle. Non lo fece naturalmente, preferendo metterci una
pietra
sopra per quanto quella ferita, nonostante gli anni, non si fosse mai
rimarginata del tutto.
"Le correnti, sai. Sono molto potenti e spesso, troppo spesso,
combinano
solo problemi." le rispose invece.
Mei
uscì
finalmente da dietro il paravento, avvolta dal suo vestito da sposa:
ricordava
molto un abito tradizionale che aveva visto in un'antica foto della
famiglia
imperiale russa, anche se le maniche e il tessuto utilizzato, meno
elaborato
rispetto agli abiti delle nobildonne Romanov, lo rendevano
più semplice ed
elegante.
"Faccio pena, eh?" gli domandò, in greco.
"Affatto." le rispose ammirato, mentre Zoya le sistemava il velo in
testa.
"...ho quattro figli, Hyoga, il velo non sarà un tantino
eccessivo?"
"Si chiama kokoshnik, e fa parte
del sarafan."
"...è
che non vorrei sembrare ridicola, insomma, una cinese in un vestito
russo..."
"Ti
assicuro che non lo sei."
Zoya
corrugò
la fronte, non comprendendo il discorso tra i due.
"C'è qualche problema?"
domandò.
Mei si
scusò,
spiegandole che sperava di apparire al meglio e che sarebbero dovuti
scappare
quanto prima perché Camus altrimenti avrebbe potuto scoprire
tutto prima del
matrimonio. Prima di togliersi con cautela il vestito, intravide un
secondo
manichino, di foggia maschile, sul quale facevano bella mostra di
sé un paio di
morbidi pantaloni neri e una camicia tradizionale, cucita con la stessa
stoffa
del suo abito.
"Gli
stivali arriveranno più avanti, li stiamo confezionando
seguendo il modello di
quelli che ci hai fornito un paio di settimane fa, ma come vedi, il
resto c'è
tutto." spiegò Zoya, infilando in un sacchetto la camicia e
il paio di
pantaloni che Mei le aveva portato per prendere le misure. "Spero sia
tutto giusto."
"Cercherò
di attirarlo qui con qualche scusa, non preoccuparti."
"Conoscendolo,
farà troppe domande." lo interruppe Mei.
"Potremmo usare mio figlio. Come scusa, intendo dire." disse quindi
Zoya. "Nascerà il prossimo mese e potrei dire che sono i
vestiti che
indosserà al battesimo."
Mei
sperò che
quella scusa reggesse, dal momento che Camus aveva già
ampiamente notato la
scomparsa di una delle sue camicie preferite; tornati al Santuario,
ebbe il
tempo di infilare la camicia nell'armadio come niente fosse, prima del
suo ritorno.
"DeathMask,
cercavo giusto te." esordì Camus, giunto davanti alla quarta
casa.
"Cosa
vuoi?"
Per niente colpito dal tono di DeathMask, si accese una sigaretta,
apparentemente tranquillo.
"Lixue,
raggiungi tua madre." disse alla figlia, porgendole i due caschi.
"Fai attenzione a non farli cadere."
"Ciao Tore."
salutò Lixue, prima di prendere di corsa le scale.
"Ciao, Memè."
le rispose DeathMask, sempre chino sul cofano della
propria auto.
"Tua
moglie non è da me, tanto per la cronaca. L'ho vista salire
al vecchio
osservatorio. Cos'è, stai per vietarmi di parlare con tua
figlia o con Mei? Che
hai paura, che possa farci qualcosa?"
"No." Camus scosse la
testa, con un ghigno. "Conosci le conseguenze. Piuttosto... tu puoi
evocare qualunque spirito in qualunque momento, dico bene?"
L'altro estrasse l'asta dell'olio motore e ne controllò il
livello, prendendosi
tutto il tempo del mondo per rispondergli, sapendo quanto Camus
detestasse quel
comportamento.
"E
allora?" rispose. "Chi dovrei evocare, mammina?"
Camus
socchiuse gli occhi, malevolo.
"Prova a evocare tua sorella, se ti riesce." rispose, gelido. Toccato
nel suo unico tasto dolente, DeathMask strinse la presa sul cofano,
finché le
nocche non diventarono bianche.
"Cosa cazzo vuoi?"
berciò,
richiudendo il cofano con rabbia. "Sì. Posso evocare chi
voglio, quando
voglio, e allora?"
"Puoi anche avere delle visioni quando tocchi un oggetto appartenuto a
un
defunto?"
"Si
chiama psicoscopia. Per rispondere
alla tua domanda, sì. E
allora?"
ripeté per la terza volta.
"E allora, Mei ha iniziato a manifestare una specie di
capacità simile da
quando l'hai aiutata con il suo alter ego."
"Non credo sia possibile."
Camus raccontò velocemente quanto accaduto a Kobotec, e
DeathMask sogghignò.
"Beh, significa che Mei possedeva già quella
capacità, io l'ho solo
attivata, ma comunque resterà sempre limitata: non
può evocare chi vuole, può
vedere solo chi decide di mostrarsi. Sembra che tu non voglia accettare
il
fatto di avere a che fare con una donna che possiede poteri
straordinari, per
quanto questi, purtroppo, siano dormienti. Se avesse sviluppato il
Cosmo, tua
moglie sarebbe stata una formidabile Silver. Ma comprendo la tua paura,
del
resto, se ne ha sempre riguardo quel che non si conosce e non si riesce
a
capire."
"Risparmiami la tua psicologia spiccia, per cortesia."
sbottò Camus.
"Chiamala
come vuoi, sai quanto m'importa?" berciò DeathMask. "Ma
sappi che non
la aiuti, quando mortifichi queste sue caratteristiche. Sei cresciuto
in un
mondo popolato da gente che è tutto fuorché
normale. Tu crei ghiaccio con le
mani... non dovresti deriderla, ma sostenerla."
Camus
corrugò
la fronte.
"Curioso. Pare che anche Mei ti abbia trasmesso qualcosa:
cos'è questa
improvvisa manifestazione di umanità?"
"Perché
non vai a farti fottere?"
"Certe
cose le lascio fare ai professionisti, sai: non mi permetterei mai di
prendere il
tuo posto." replicò Camus, schiacciando il mozzicone sotto
il tacco prima
di lasciarlo lì, con un palmo di naso.
Nel vecchio
osservatorio, Mei si guardò intorno, controllando che la
balconata del matroneo
fosse vuota. Non le piaceva avere intorno gente mentre pregava e
parlava con i
defunti, a maggior ragione se era Camus a osservarla.
Sistemò con cura un mazzo di fiori sul tavolinetto e
dispiegò l'involto con gli
incensi, accendendone poi un paio, prima di prostrarsi in un inchino
rituale in
segno di rispetto.
"I fiori sono per tutti, ma la mela
è per uno soltanto, mi spiace." disse ad alta
voce, rialzandosi.
Estrasse una mela dalla tasca dell'aikidoji e la posò sulla
mensolina sotto il
ritratto di Kardia, sorridendo.
"Non sapete quanto vi sono grata,
per quanto avete fatto per me e soprattutto per il vostro sostegno. Mi
piacerebbe potervi ringraziare di persona e non solo guardando il
vostro
ritratto. Che Athena vi abbia in gloria." giunta dinnanzi al
ritratto
di Degél, baciò la rosa bianca che aveva portato
insieme al mazzo di fiori
prima di posarla sotto il suo ritratto. "Sapete
già che cosa penso di voi, monsieur.
Ciò che provo va molto oltre la gratitudine, ma temo di
dovervi
scomodare di nuovo, grazie a quei due sciocchi irresponsabili..."
Più tardi, anziché tornare subito a casa, decise
di fare una piccola
deviazione.
"Disturbo?"
"Certo che no, entra." le sorrise, notando in quel momento la reflex
che Mei aveva appesa al collo. "Sei fortunata, Shaina è in
giro per
commissioni e abbiamo un paio d'ore."
Mei corrugò la fronte.
"Mi bastano pochi minuti, non voglio disturbare troppo."
"Nessun
disturbo, anzi. Mi spoglio e sono subito da te... preferisci sul divano
o in
piedi?"
Se fosse stata single e non felicemente sposata, avrebbe persino preso
in
considerazione quell'invito.
"Per
fare cosa, scusami?"
"Le foto... che cosa avevi capito? Non è per questo motivo
che sei
qui?"
"Sì
ma... spiacente, la foto non devo farla a te."
"Peccato. Però per un attimo ci hai pensato, ammettilo."
"Che scemo." rise Mei, rilassandosi. "Non è colpa mia se in
questo Santuario siete tutti dei bei ragazzoni." aggiunse, tornando poi
seria. "Avrei bisogno di vedere il ritratto di Kardia."
Non
comprendeva il motivo di quella richiesta, tuttavia le sorrise e le
indicò la
porta che separava la zona notte dal resto dell'ottava casa: il
ritratto di
Kardia era appeso proprio di fronte alla stanza di Nikos.
"L'avete
spostato." notò Mei. "Lo ricordavo nel corridoio."
"Sì,
ehm... per Nikos, sai." le rispose, un pochino imbarazzato.
Gli
strofinò
un braccio, sorridendo.
"Non ti
imbarazzare: credo sia un bel gesto. La sua personalità
forte non può che
giovare a Nikos, e poi si tratta di Kardia, non di uno spirito
guardiano
qualunque. Pensa che a casa ho appeso la copia del ritratto di
Degél in diversi
punti, affinché possa proteggerci ovunque."
Nella Stanza degli Avi, nella parte di corridoio accanto alle stanze da
letto,
nel suo piccolo studio, ricavato nel sottotetto accanto alla stanza per
lei più
importante di tutta la casa. Lo portava persino addosso, nel medaglione
portafoto che Degél le aveva affidato
tempo prima.
Quest'ultimo dettaglio, però, preferì tenerlo per
sé.
Accese la
fotocamera e iniziò ad armeggiare con le varie ghiere
sull'obiettivo, cercando
la messa a fuoco perfetta, quando sentì Camus appena fuori
dagli appartamenti
privati di Scorpio.
"Mei?
Sei qui?"
"Ti
prego, fa che non si siano svegliati tutti e tre contemporaneamente."
sospirò l'interpellata, controllando il display della
reflex. "Oui, me voilà. J'arrive
tout de suite."
Quando Camus
l'ebbe raggiunta, Milo fece capolino dalla camera.
"Cielo, tuo marito!"
"Ma
smettila." lo riprese Mei, ridacchiando.
"Non ci
crederei nemmeno se vi vedessi con questi occhi." rispose Camus.
"Un'altra
al posto di Mei avrebbe già ceduto." lo riprese Milo,
divertito. "Ma
ti è andata benone, è fedele come poche ed
è immune al mio smisurato
fascino."
"Non
scherzare ti prego, o andrà a finire che mi manda in bianco:
già basta un
nonnulla per fargli passare la voglia, non ti ci mettere pure tu."
"Ah,
perciò tra voi due è lui quello che usa la scusa
del mal di testa."
"Oh già. E secondo te perché ho il cassetto del
comodino pieno di
aspirine?"
Mascherando l'imbarazzo con un colpo di tosse, Camus mosse un passo
avanti.
"Vogliamo andare?"
*
Mei
ritornò a
letto, stanca: Alexandre e i suoi problemi al pancino avevano svegliato
anche
gli altri due, con risultati catastrofici per il suo sonno.
"Si sono addormentati, finalmente." bisbigliò, adocchiando
l'ora sul
comodino di Camus: le tre meno un quarto. "Alla mancanza di sonno ci
sono
abituata, al mal di testa lancinante no."
Camus si
voltò verso di lei, sorridendole.
"C'è qualcosa che posso fare per voi, mia signora?"
"Mah,
dipende. State bene o avete il mal di testa anche voi, messere?"
Lui parve pensarci un po' su, prima di scostare le lenzuola e rotolare
su di
lei.
"Dalla regia mi dicono che la testa è completamente
operativa."
"Molto
bene. E in cosa consisterebbe il vostro rimedio?"
"Sapete, recenti studi affermano che le endorfine rilasciate in
determinati momenti siano di grande aiuto."
"Oh.
D'accordo allora, datevi da fare."
Nonostante
le schermaglie, però, Camus era distante. Pur essendo con
lei,
sentiva che qualcosa non andava bene: cos'era successo? Non aveva
niente a che
vedere con il battibecco a Kobotec, che avevano ampiamente chiarito, ma
qualcosa lo impensieriva già dal pomeriggio appena trascorso
e non riusciva a
capire cosa.
"Cosa
c'è?" gli domandò, mentre lui gemeva contrariato,
sollevandosi
su un gomito. Lo vide aprir bocca sul punto di dirle qualcosa, ma
anziché
parlarle, si limitò a scivolare nel suo lato del letto, lo
sguardo fisso al
soffitto.
"Cosa
c'è che non va?" ripeté, accendendo l'abat-jour e
accorgendosi
del problema. "Oh. Tesoro,
può
succedere, non è niente di grave."
Camus si
alzò, infilandosi in fretta i pantaloni della tuta.
"Tutto bene."
Lo
seguì poco dopo, giusto il tempo di mettersi qualcosa
addosso, e lo
trovò in cucina, a trafficare col samovar, le mani tremanti.
"Lascia,
faccio io." mormorò, togliendogli dalle mani la tazza.
"Mi
dispiace." le disse dopo qualche minuto.
"Non hai nulla per cui dispiacerti, rilassati: il mal di testa mi
è del
tutto passato." scherzò Mei strofinandogli la schiena,
incoraggiante.
"Ti va di dirmi cosa c'è che non va?"
Non sapeva
come parlarle, ad essere sincero. Non sapeva come spiegarle che
lo infastidiva il fatto che preferisse farlo con Degél
anziché con lui. Non
sapeva nemmeno se fosse il caso di catalogare quel comportamento sotto
la voce tradimento emotivo:
insomma, poteva
davvero definirlo tradimento?
"Preferisci
restare solo?" proseguì Mei, fraintendendo il suo
silenzio.
Camus si
schiarì la voce.
"No." le
rispose.
"Allora cosa
c'è?" proseguì lei, scostando l'orlo dei
pantaloni e
gettandovi un'occhiata.
"Per favore Mei, così non mi aiuti!" sbottò lui.
Lo strinse a
sé: il suo cuore batteva regolare sotto il suo orecchio, ma
il
suo corpo tradiva una certa tensione.
"Sai che ti
amo." esordì lui d'improvviso. "Sempre, anche
quando sei cocciuta e insopportabile. Ti amerò anche nelle
prossime vite, e so
che per te farei qualunque cosa. Ma sento che in qualche modo ti sto
perdendo. Tu
sei mia moglie, la mia amante e la mia migliore amica e ti amo come non
ho mai
amato nessuno. Ma forse non ti ho amato abbastanza e ti ho trascurata,
al punto
che preferisci confidarti con altri e non con me. Voglio che tu sappia
che io
ci sarò sempre per te e che qualsiasi cosa tu voglia dirmi,
io sarò qui ad
ascoltarti."
Mei si
scostò e lo guardò, interrogativa.
"Non mi hai
mai trascurata." sussurrò. "E se è per quelle
rare serate Game of Thrones alla
quarta casa, o le mie visite all'ottava, le diminuirò, se ti
recano fastidio.
Per quanto riguarda Degél..."
"No, no.
Ascoltami non voglio limitarti, non voglio che tu smetta di
frequentare le tue amicizie, per quanto qualcuna sia piuttosto
discutibile e
dopotutto Milo è mio fratello, ho
affidato la tua vita nelle sue mani e affiderei la mia... su
Degél sono
contento per te, per questa tua, chiamiamola così, amicizia. Ma il fatto che tu preferisca
confidarti solo con lui,
questo tuo tenermi fuori da
ciò che
ti riguarda, mi rende infelice. Ho notato che a volte sparisci per
interi
pomeriggi e so che sei qui, ti sento, ma sei in un luogo a me
inaccessibile e
non so più cosa pensare: lo vedi di continuo, a lui dici
cose che non dici a
me."
Fu tentata
di rivelargli l'esistenza della stanza segreta al terzo livello
della biblioteca, ma doveva chiedere il permesso al diretto interessato
per
farlo: quel luogo era
troppo intimo, e
per Degél aveva lo stesso significato che aveva per lei la
Stanza degli Avi.
"C'è
un luogo, in effetti, qui al Santuario, ma... senza il suo
permesso non posso dirti
nulla." disse Mei. "Torno a dormire, non fare tardi."
Quando si
decise a tornare in camera, Camus notò che erano le quasi le
quattro, e che Mei dormiva. Logico, pensò, con le energie
costantemente
prosciugate dai bambini era normale addormentarsi appena si sfiorava il
cuscino. Si strinse a lei, scivolando nel sonno poco dopo.
Sonno che, tuttavia, non si rivelò tranquillo come avrebbe
desiderato; oltre a
rigirarsi più volte, ricevette anche una certa visita che al
risveglio lo
lasciò scosso.
Qualche ora
più tardi, settima casa.
"Maestro,
posso disturbarvi per qualche minuto?"
Dohko sollevò lo sguardo dal pentolino sui fornelli e
annuì.
"Certo Camus, dimmi." sorrise, prendendo una terza tazza dal pensile
e sistemandola sul tavolo, insieme a dei baozi dolci. "Spero ti
piaccia, è
un tè tibetano con zenzero e..." scorse rapidamente
l'etichetta variopinta
sulla busta "...bacche di goji. Tipico di Shion, sai, perdersi tra le
bancarelle di Lhasa e tornare a casa con soprammobili, tappeti e
tè di dubbio gusto,
che puntualmente cede al sottoscritto dicendomi ho
visto questo e ho pensato possa piacerti. Una scusa bella e
buona, diciamo che cede quel che non gli piace. Perché
quando si tratta dei momo con le
patate, non li cede neanche
sotto tortura." aggiunse, abbassando la voce sulle ultime parole.
"Ti ho sentito." interloquì l'interessato, dalla stanza a
fianco.
"Lo so, l'ho
fatto apposta. Allora, Camus, cosa c'è che non va?"
"Posso passare più tardi, se ora avete altri impegni."
"Oh, non ti preoccupare. È giorno delle grandi pulizie al
tredicesimo, e
Fedra non ama avere intorno gente quando rassetta. Diciamo pure che
tanto
qualcuno sarebbe comunque sceso dal suo scranno d'oro per scroccare la
colazione."
Strinse le
mani intorno alla tazza di tè, prima di decidersi a parlare.
"Mi
domandavo se... è possibile per un fantasma entrare nei
sogni di
qualcuno."
"Uno
spirito, intendi dire?" rispose Dohko. "Sono
incorporei, possono oltrepassare i limiti delle dimensioni e del tempo,
hanno
poteri che noi possiamo solo immaginare. Le leggi del mondo paranormale
sono a
noi incomprensibili, quindi sì, direi che è
possibile. Lasciami indovinare:
Degél?"
"Sì."
annuì Camus.
"È per questo che sei turbato."
Non era
l'aggettivo più adatto, ma lo prese per buono.
"Non proprio, io..."
"La mia non era una domanda." obiettò Dohko. "Non dovresti,
Degél era un pezzo di pane e sicuramente ha altro cui
pensare che riempirti di
incubi. Era fatto a modo suo, era introverso e tanto, tanto noioso a
volte, ma
era una bravissima persona."
"Non ho mai
pensato il contrario..." rispose Camus.
"Suvvia, non
ti offendere, sai che lo dico bonariamente."
"Prego?!"
"Non sta parlando con te." Shion, di ritorno dallo studio di Dohko,
si accomodò al tavolo.
"...ci sono solo io, qui." obiettò Camus, inarcando un
sopracciglio.
"Non
esattamente."
"Oh ma dai. Quando iniziavi a
parlare di astronomia e fisica non ti fermava più nessuno. Pensa,
Camus,
che quando dal Regno Unito gli giunse la notizia della morte di Halley,
uno dei
suoi astronomi preferiti, restò a lutto per due settimane
buone e per giorni
non parlò d'altro. Giuro. Se poi il discorso era riferito a
Bluegrado era
capace di parlare per ore, anche
perché a
dire il vero non era esattamente della città che volevi
parlare, ma della sua
bellissima signora. Smettila, sai
che
non puoi colpirmi, sei incorporeo. Incubi, dici? Conoscendoti, anche i
tuoi
incubi sarebbero noiosi."
Camus si
schiarì la voce: era sceso alla settima casa per avere
delucidazioni e non aveva risolto assolutamente niente.
"Grazie del tempo che mi avete dedicato, ora devo proprio andare."
disse, sospingendo in avanti sul tavolo la tazza vuota.
"Ecco fatto, ora mi crede uno
svitato, Deg, ti ringrazio."
"Hai sempre
avuto le rotelle fuori posto, non incolpare Degél."
osservò
Shion.
"Grazie, Shion." Dohko
levò gli occhi al cielo, poi fermò Camus sulla
porta. "Degél mi sta
dicendo che il luogo che stai cercando si trova nella vostra
biblioteca, ed è protetto
da due chiavistelli nascosti nella modanatura: te li mostrerebbe, ma
sarebbe
inutile dal momento che non lo vedi."
"...sì.
D'accordo. Arrivederci, Maestro."
"Ha anche
aggiunto di guardare dentro una cassapanca blu, nella quale
ha riposto i suoi diari. Dice che puoi sentirti autorizzato a leggerli."
Proruppe in
un sorrisino di circostanza e annuì.
"Certo."
Dohko lo
seguì fuori dagli appartamenti privati, guardandolo con
cipiglio
severo.
"Un'ultima cosa, Camus. Questo tuo tono condiscendente, a lungo andare,
finisce col dare sui nervi e ti posso assicurare che Degél
non è facile da
gestire quando è irritato. E neanche io."
"Tu sei
sempre ingestibile, ma del resto sei della Bilancia..."
"Vecchio caprone brontolone." borbottò Dohko, ai danni
dell'amico.
Approfittando
del bel tempo, Mei portò i bambini in spiaggia, concedendosi
un po' di tranquillità mentre Camus, con la scusa
più gettonata in quel caso
–le efelidi e la sua facile inclinazione a diventare color
aragosta- ne
approfittò per restare in casa.
Non era per niente convinto del suo scambio di parole con Dohko, che
non aveva
fatto altro che confonderlo, a dire la verità. Ma qualcosa,
dentro, lo aveva
convinto a fidarsi.
Si chiuse alle spalle la porta a doppio battente che separava gli
appartamenti
dalla biblioteca ed eccola lì, la preziosa
eredità del suo predecessore:
migliaia di volumi, accuratamente ordinati secondo un criterio che lui
non
aveva osato modificare e che aveva, anzi, adottato a sua volta.
Oltrepassò la ricca sezione di astronomia che
Degél aveva arricchito con cura
maniacale grazie anche alle infinite notti insonni trascorse in
compagnia di
telescopio e carte celesti e andò alla ricerca dei
chiavistelli citati da
Dohko.
"Ancora mi domando perché ti
affanni
tanto per lui."
Degél sospirò, senza distogliere lo
sguardo dal suo successore, intento nella
sua ricerca.
"Non lo sto facendo solo per
lui." obiettò, rispondendo a Kardia.
"Loro hanno possibilità che io e Seraphina non abbiamo
avuto, e
non posso restare inerte a guardarli allontanarsi l'uno dall'altra a
causa
mia."
Guardarono
entrambi Camus corrugare la fronte, afferrare un libro e
borbottare tra sé e sé qualcosa riguardo ai libri
rimessi nei posti sbagliati.
"In questo ha ereditato molto da
te." notò Kardia. "E
secondo me, sarebbe meglio dargli qualche indicazione, o
andrà a finire che
vagherà ore qui dentro. Sai che non amo le biblioteche..."
In effetti
aveva ragione, pensò Degél, prima di decidersi a
dirigere il
successore verso la scala a chiocciola e il terzo piano.
Dohko aveva
parlato di due chiavistelli; Camus si diresse titubante verso
una parte di parete spoglia.
Ma che sto facendo? si
domandò, osservando
con cura il pannello intarsiato di ciliegio, cercando qualcosa che non
era
neanche sicuro di trovare.
Ma eccoli lì, invece: uno in alto e uno in basso, che
aprì con uno scatto del
piede. Oltre il pannello girevole, qualcosa che non aveva mai
immaginato
potesse esistere.
Una stanza grande quanto la camera da letto, arredata con mobilio
secolare: due
bauli, un secretaire, una poltroncina e una chaise longue, un
tavolinetto basso
e un cassettone a sette cassetti. Il resto dello spazio era occupato da
una
libreria piena di volumi, un telescopio, diversi strumenti astronomici;
il
tutto era stato ripulito dalla coltre di polvere accumulata dai secoli.
"Per
Athena..." mormorò. Avvicinatosi al secretaire,
sfiorò
appena la piuma accanto al suo elegante calamaio di vetro, l'attenzione
rivolta
a un diario di pelle fulva, sulla cui copertina spiccava una rosa dei
venti.
Non osò aprirlo, nonostante le parole di Dohko.
Mi sembrava di
averti autorizzato a leggere i miei diari, se non vado errato. La voce gli
arrivò nitida nella sua mente, come se lì con lui
ci fosse davvero un
interlocutore.
La calligrafia di Degél era molto elegante, tipica
della sua epoca. Certo,
non era tutta ghirigori e svolazzi, ma era ordinata e comprensibile,
anche se
gran parte del lessico utilizzato comprendeva termini aulici e quasi
del tutto
caduti in disuso; gran parte delle pagine di quel volumetto conteneva
racconti
di viaggi, impressioni, scarabocchi e disegni: doveva essere un grande
osservatore e un ragazzo particolarmente attento ai dettagli.
Su una
pagina, ad esempio, campeggiava un bel disegno del Colosseo, datato maggio 1738, su un'altra, la facciata
del palazzo reale di Könisberg, disegnato quella stessa
estate. Un ritratto di donna
invece occupava due pagine: una ragazza poco più che
maggiorenne, dai tratti
delicati e grandi occhi espressivi. Dal vivo, pensò, doveva
essere stata molto
bella.
"Seraphina" sussurrò,
leggendo il nome vergato in calce, accanto alla data febbraio
1739. Tra le pagine, su un foglio a sé, un
messaggio
privato per Degél, dalla ragazza del ritratto: un
carme di Catullo, se non ricordava male.
Adocchiato un libro sul cassettone, lo aprì all'altezza del
segnalibro,
trovando un secondo messaggio, questa volta vergato da Degél.
"Soles
occidere et redire possunt: nobis, cum semel occidit brevis lux, nox
est
perpetua una dormienda." lesse.
"I
soli possono
cadere e tornare; per noi, quando la breve luce cade, c'è il
sonno di una notte
senza fine."
tradusse
qualcuno, accanto a lui.
Lo sguardo
fisso sulle pagine ingiallite di quella raccolta decisamente
antica di Catullo, affascinato come sempre da tutto ciò che
riguardava i libri,
impiegò qualche istante prima di voltarsi. Qualcosa nel
profondo aveva
riconosciuto quella voce, ma non ricordava né come,
né dove l'avesse già
sentita.
"Miei Dèi,
dunque
è tutto vero."
"Sei
un uomo molto difficile da persuadere."
Degél si avvicinò, sbirciando il suo libro
preferito nelle mani del suo
successore, mentre Camus lo osservava sbigottito. Alto quasi quanto
lui, vestito
con un elegante ma sobrio habit à
la
française verde scuro e i capelli legati in una
morbida coda bassa, modi di
fare signorili, un vago sentore di una colonia alla lavanda.
"Certo che è tutto vero. Ricordo bene quel libro... l'ho
riletto fin quasi
a consumarlo. Sai, questo libro ha avuto padroni che tu non puoi
immaginare: lo
ricevetti in dono insieme all'Eneide da Luigi XV in persona,
direttamente dalla
sua biblioteca personale. Stratega mediocre, poco interessato alla
politica ma...
possessore di una cultura squisita. Ricordo che era piacevole
conversare con
lui. Buon cielo, Camus, siediti. Sembra che tu sia sul punto di perdere
i sensi
da un momento all'altro."
Incredulo,
Camus seguì il suo consiglio e si sedette, continuando a
fissare
con occhi sgranati il suo predecessore accarezzare in punta di dita i
dorsi
delle varie copertine, fino a prendere un libro tra i tanti, aprirlo e
affondare il naso tra le pagine.
"Non sai quanto mi sia mancato poter tenere un libro tra le mani e
sentire
l'odore della carta. Custodisci come un tesoro i tuoi, i nostri
libri, Camus: una biblioteca ben custodita è
l'eredità più
preziosa che un uomo possa lasciare ai posteri." continuò
Degél. Alzato il
naso dal volume, guardò Camus diretto negli occhi. "Sapevo
che sei un uomo
di poche parole, ma non credevo così
poche."
***
Lady
Aquaria's corner
-Il titolo
fa
riferimento all'omonimo brano dei Within Temptation
-Il Chotki
ortodosso, conosciuto anche come corda da preghiera, assomiglia in
minima parte
a un rosario cattolico, ma presenta differenze culturali non
indifferenti. È
formato da un cordone di lana annodata con una successione di nodi
molto
particolari (solitamente 100, ma alcuni arrivano anche a 300) che
vengono
tessuti attraverso la preghiera e la meditazione. Durante la tessitura,
vengono
recitate delle invocazioni e delle preghiere per una specifica
intenzione indicata
dalla persona che utilizzerà e
indosserà il chotki. Ogni 10 o 225 nodi si trova una
perlina, per aiutare nel
conteggio delle preghiere e indicare il punto in cui eseguire una
prostrazione
o un gesto di adorazione. il cordone termina con una croce, anch'essa
fatta di
nodi, e con una nappa, che rappresenta il regno dei cieli, a cui si
può
arrivare passando dalla croce, e che viene usata per asciugare le
lacrime
dell'orante.
-A questo
punto della storia, Mei ha imparato a parlare un po' di russo. Lo
specificherà
prossimamente, quando dirà a Hyoga del corso di lingue che
sta frequentando in
vista della cerimonia.
-Memè,
il
diminutivo che DeathMask usa nei confronti di Lixue, deriva dal nome
europeo di
quest'ultima, Aimée.
-Baozi, sono
panini al vapore solitamente dolci, e i Momo, tibetani, assomigliano ai
ravioli
della tradizione cinese, e presentano vagamente lo stesso tipo di
ripieno.
-Per me
Shion
e Dohko condividono un'amicizia secolare forte, se non di
più, come quella che
lega Degél a Kardia e Camus a Milo.
-Edmond
Halley, astronomo inglese vissuto a cavallo tra il sedicesimo e il
diciassettesimo secolo, è morto nel 1742, un anno prima
della morte di Degél.
-Könisberg
(l'attuale Kaliningrad) era una fiorente capitale baltica della
Prussia. Il suo
palazzo reale, edificato nel tredicesimo secolo, subì
radicali restauri nel
corso dei secoli per finire demolito nel 1968 sotto il governo di
Brèžnev. Era
la residenza secondaria di Federico Guglielmo I di Prussia.
Nei miei
personali headcanon riguardanti Degél, in virtù
del suo ruolo di ambasciatore e
diplomatico del Santuario (ruolo che in qualche modo ricopre anche
Camus) ha
potuto viaggiare parecchio per il mondo, conoscendo
personalità importanti per
l'epoca, da Luigi XV di Francia, passando per Federico di Prussia.
Più volte ho
insistito, anche in altre drabble/one shot, delle sue frequentazioni
nelle
corti europee.
-Infine, il
verso citato da Degél è di Catullo, estrapolato
da uno dei suoi carmi più
celebri.
Per questo
capitolo le note si chiudono qui. Grazie per aver letto fino qui, alla
prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 42 *** Io che amo solo te. ***
capitolo 42
42.
Io
che amo solo te.
"Sapevo che
sei un uomo di poche parole, ma non credevo così
poche."
Restò
qualche istante in silenzio, ancora sorpreso dalla sua presenza e
dalla naturalezza con la quale si muoveva in quella stanza, dalle sue
espressioni
mentre apriva cassetti e cassettini e ritrovava appunti, libri, i suoi
oggetti.
"Dimmi,
Camus. Cosa, in me, suscita tanto stupore?"
Alla
domanda, Camus parve riscuotersi dai suoi pensieri.
"Ci siamo già incontrati." asserì. Non una
domanda, non un balbettio,
ma un'affermazione decisa. Degél corrugò la
fronte: com'era possibile che avesse
dei ricordi -seppur vaghi- dei loro precedenti incontri, avvenuti anni
prima,
dopo la scalata alle dodici case? Com'era possibile che avesse ricordi
dell'oltretomba?
Eppure era sicuro che lui, una volta tornato alla sua vita, non avrebbe
ricordato nulla. Non avrebbe
dovuto ricordare nulla.
"Dici?"
replicò, cercando di mostrare indifferenza verso
quell'affermazione.
"Difetto in tante cose, ma ho una buona memoria. Io e voi abbiamo
già
parlato. Forse in questo momento non ricordo quando, né
dove, ma ricordo di
avervi già visto."
Touchè. Meglio comunque
non intavolare certi discorsi.
"Avremo
tempo per discuterne." tagliò corto Degél,
decidendo che
avrebbe approfondito la faccenda.
"No, non ne avremo, perché non avete alcuna intenzione di
parlarne. Allora
ditemi, sto ancora sognando?!"
"A differenza della scorsa notte sei sveglio e cosciente: ho deciso di
manifestarmi per diverse ragioni."
Per certi suoi
irritanti modi di fare, tanto per dirne una.
Perché sì, in certi momenti era capace di far
perdere la pazienza anche a lui,
e certo non era cosa facile.
"Non
conoscevo l'esistenza di questo luogo."
"Non potevi, del resto c'è un motivo se era una stanza
segreta. Questo è
il mio sancta sanctorum,
nessuno ne conosceva l'esistenza. A parte Kardia dopo la
nostra morte e... beh, tua moglie. È qui che si rifugia Mei,
di tanto in tanto,
è questo il luogo inaccessibile
che
ti reca tanto fastidio."
"Mei
può andare ovunque voglia, non è il luogo a infastidirmi." lo interruppe,
stizzito.
"Certo,
questo lo so: così come esigi il rispetto per la tua
libertà
personale, così hai a riguardo quella altrui. Sono io a tediarti. Per rispondere ai tuoi
pensieri, comunque, non proviamo
niente di quel che credi nei confronti l'uno dell'altra, i miei
sentimenti per
lei sono puramente fraterni, dal momento che apparteniamo a epoche e a
persone
diverse. Domandale di Seraphina, saprà risponderti."
La nota severa dietro il tono calmo non sfuggì a Camus, che
tuttavia cercò di
spiegarsi.
"...chiedo venia, ma non ho ancora concluso. Io e lei parliamo a lungo,
devo darti ragione: discorriamo
di tante
cose: del mio passato, di come vivevamo qui al Santuario quando Athena
si
chiamava Sasha, talvolta sono il
tramite attraverso il quale riesce a comunicare con sua madre. Spesso
cerca il
mio consiglio e qualche volta sì,
discorriamo anche di te: non sempre, ma succede. La sola cosa che mi
permetto
di fare è mitigare l'influenza che Kardia esercita su di
lei, cerco di addolcire
certe sue reazioni senza interferire troppo, mi permetto di volerle
bene come
farebbe un fratello maggiore. Certi desideri li ho sempre provati per
un'altra
donna, la stessa al quale appartiene il mio cuore. Mei non si
abbandonerebbe
tra le tue braccia a quel modo se per lei tu non contassi nulla, non
credi?
Semplicemente ognuno ha diritto ad avere dei segreti, di avere un
angolo
privato inaccessibile agli altri. Tu hai i tuoi, Mei ha i suoi."
"Io non ho segreti per la mia famiglia."
"Ne sei proprio certo? Eppure ci sono cose di te che nessuno conosce,
neanche le persone a te più care, cose che hai rimosso per
non dover soffrire e
che hai chiuso nella parte più intima e nascosta di te."
"Cosa
intendete dire?"
*
"Mamma posso
giocare con Kiki?"
Mei sollevò lo sguardo dallo sterilizzatore, posandolo sulla
figlia.
"Siamo tornate a casa da poco, hai trascorso tutto il pomeriggio in
spiaggia, non vorrai prendere un'insolazione."
"Non
scenderemmo in spiaggia, ma a casa, ho dei nuovi
videogiochi." interloquì Kiki, salito all'undicesima casa
insieme alla
bambina.
"E va bene."
acconsentì Mei. "Purché non siano giochi
violenti. Ah, Kiki? Ti ricordo che sei più grande, fai
attenzione."
Shiryu
ridacchiò, annunciandosi, mentre Kiki usciva svelto da
Aquarius con
la bambina alle calcagna.
"Con i tuoi
modi lo terrorizzi, quel povero ragazzo."
"Beh, meglio
mettere subito le cose in chiaro. E poi ha quattordici
anni, a quell'età tu e i tuoi compari avevate compiti ben
più gravosi che
giocare ai videogame con una bambina."
"Si, ma
erano altri tempi e altre situazioni, e sono sicuro che anche
Kiki si ricorda bene. Tu dovresti rilassarti un po'." sorrise Shiryu,
circondandole le spalle in un abbraccio, prima di elargirle un bacio
sulla
testa.
"Ho tre
neonati al di sotto dei quattro mesi e una bambina di otto
anni cui badare, non conosco neanche più il significato del
termine
relax." sospirò Mei.
"Con tutto
quello che è successo, mi sono dimenticato di una cosa:
durante l'ultimo giro a Wangfujing ho preso questo per te."
Mei sorrise, accettando il sacchettino che Shiryu le aveva porto:
all'interno, avvolto
dal pluriball, l'ultimo cd di una delle sue cantanti preferite.
"Ti ringrazio molto, anche se sai che non avresti dovuto."
Fece
spallucce, prima di aiutare la sorella a dare i biberon ai nipotini.
"Direi che
la loro capacità polmonare è ottima."
"Oh
sì, non ne hai idea. Lixue al confronto era più
tranquilla, i
secondi sono sempre un po' più rumorosi dei primogeniti... a
maggior ragione se
sono tre." rispose Mei, guardando verso la porta della camera alla
ricerca
di Camus.
"Sei da
sola?"
"A quanto pare." sospirò Mei. Camus doveva essere uscito
quando lei
era ancora in spiaggia con i bambini.
Shiryu rimase qualche minuto in silenzio, perso nei suoi pensieri
mentre
cullava Joséphine. "Sei silenzioso... qualcosa non va?"
Esitò qualche secondo prima di decidersi a parlarle.
"Shunrei ha
avuto un ritardo il mese scorso, pensavamo fosse incinta. Tredici
giorni da incubo, vissuti col costante terrore che qualcuno arrivasse e
la portasse
via con la forza." esordì, osservando poi la sorella
sgranare gli occhi.
"Perché diavolo non me ne hai parlato?!"
"C'erano le Anfidromie di mezzo, tu eri preoccupata e io non volevo
darti
altri pensieri. E poi, che cosa avrei potuto dirti? Che eravamo
talmente presi
da esserci strappati i vestiti di dosso senza pensare alle conseguenze?
Dai."
"Non con questi termini, ma se succede qualcosa voglio saperlo. Ma come
ragioni? Avrei potuto aiutarvi, darvi il denaro necessario per pagare
la tassa,
aiutarvi a espatriare! Dannazione, Shiryu, sei mio fratello! Non ho
smesso di
preoccuparmi per te solo perché adesso ho la mia famiglia!
Quindi? Cos'è
successo?"
"Alla fine era solo un ritardo, ma non hai idea di quanto mi sia
spaventato."
In tutta onestà, anche lei iniziava ad esserlo: il pensiero
della cognata
prelevata con la forza e obbligata a disfarsi di un'eventuale seconda
gravidanza le metteva i brividi.
"Davvero? O mi stai nascondendo qualcos'altro? Dèi, non
dirmi che vi siete
messi nelle mani di qualche macellaio, ti prego."
"No, te lo
giuro."
"Lasciate
tutto e venite via di lì. Dico sul serio."
mormorò Mei,
cercando di non perdere la calma. "In Europa o dove ti pare, ma andate
via."
"Ci avevamo pensato, sai. Dobbiamo solo tenere duro fino alla Laurea:
ho studiato
tanto per questo, non voglio rinunciarci a un passo dalla fine. Una
volta
ottenuta, noi..."
L'arrivo di
Milo interruppe i due.
"Non ti hanno insegnato a bussare?" sbottò Shiryu.
"E a te non hanno insegnato a non rispondere in questo modo a un
superiore?"
Prevedendo
tempesta, Mei si schiarì rumorosamente la voce.
"Niente
baruffe, bambini. La mamma non è dell'umore adatto."
Milo
scoccò un'occhiataccia all'altro, prima di mostrare un plico
all'amica.
"Volevo
dirti che è tutto a posto, tutto prenotato. Le moto sono
stupende e ho trovato un camper fantastico così risparmiamo
sui motel. I vostri
passaporti sono in regola, dico bene?"
"Passaporti?"
Shiryu corrugò la fronte.
"Partiremo
per un tour sulla Route 66, due settimane on the road con
destinazione Santa Monica."
"...dove
speri di incontrare il tuo idolo, dì la verità."
insinuò
Milo.
Malgrado la
preoccupazione, Mei sorrise.
"No, purtroppo. Sta girando il suo primo film da regista, e ironia
della
sorte, si trova a Pechino in questi mesi. Lui là, io qua.
Quando sarò io ad
essere in Cina, lui sarà di nuovo in occidente. Si vede che
non sono destinata
a incontrarlo."
"Che vuoi
farci, neanche io sono destinato a incontrare Angelina Jolie."
Milo fece spallucce. "Beh, dovrai accontentarti di me."
"Andata."
sorrise Mei, ricambiando l'abbraccio dell'amico. "Ti
voglio bene."
"Ma tu non hai la patente per le moto." li interruppe Shiryu,
ignorando lo scambio di battute.
"Ergo, il camper." ribatté Mei. "Loro tre in moto, io su
quattro
ruote."
"Tutti
insieme?"
"Oh sì, insieme. Immagina le notti, stretti in quattro su un
letto solo."
interloquì Milo.
"Non vedo l'ora." ridacchiò Mei, divertita.
Shiryu alzò gli occhi al cielo.
"Ma per favore..."
"Camus non
sarà d'accordo, ma a tre è sempre meglio di
niente, alla
fine ci guadagno io!" Milo continuò a prendere in giro
Shiryu.
"Tornando alle cose serie, col lavoro di Camus come la mettiamo?"
"Ci ho
pensato io, non preoccuparti. Ho tutto sotto controllo, manca
solo la partenza."
"Okay,
volevo solo esserne sicuro." sorrise Milo. "Oh, una
cosa: portati un vestito nero, possibilmente lungo, e porta qualcosa di
scuro
anche a Cam."
Pur non
comprendendo il motivo di quella richiesta, Mei rispose al sorriso.
"Abbiamo qualche incontro importante in agenda, per caso?"
"Non si sa
mai, ma tu fai come ti dico." concluse Milo, criptico.
*
Quando
Camus tornò ad Atene nel tardo pomeriggio, trovò
Mei in giardino, intenta a rammendare
una tutina.
Le spuntò alle spalle, prima di porgerle un mazzo di peonie
e una scatolina da
pasticceria.
"Bonsoir." mormorò,
facendola
sobbalzare. "Oh, ti chiedo scusa."
"Scusa? Vuoi
scherzare? Dov'eri finito? Ti ho cercato tutto il
pomeriggio!"
Camus si appoggiò alla struttura del gazebo, schiarendosi la
voce.
"A Parigi, ho avuto degli impegni dell'ultimo minuto."
"Così urgenti da impedirti di lasciarmi un messaggio?"
protestò Mei.
"Torno dalla spiaggia e non ti trovo, ti cerco al cellulare e scopro
che
l'hai lasciato sul tavolo della cucina... non voglio limitare la tua
libertà
personale, ma sarebbe carino da parte tua se mi avvertissi, quando
decidi di
allontanarti per così tanto tempo. Vorrei ricordarti che
badare a tre neonati,
specie quando sono affamati tutti e tre nello stesso momento,
è difficile, soprattutto
se hai solo due mani e non sei la dea Kalì."
"Scusami. Se mi lasciassi spiegare..."
Presa la
scatoletta, la aprì, scoprendo dei macarons all'interno.
"I nuovi gusti stagionali: cocco e ananas." le spiegò.
"C'è qualcosa che devi farti perdonare."
"Io? Dev'esserci per forza un motivo dietro dei dolcetti?"
Lo guardò di sottecchi.
"Sei troppo zuccheroso, che cos'è successo?"
Si sedette di fronte a lei.
"Temo di
doverti delle scuse."
"Questa sì che è bella. Ed è la prima
volta che accade... aspetta che mi
metto comoda. Scuse in merito a cosa?" replicò, posando il
lavoro di
cucito accanto a sé e dedicandogli attenzione.
Ignorò il non proprio velato sarcasmo di Mei, prima di
proseguire.
"Dovrai
ascoltare la premessa, prima della risposta."
"Ti ascolto."
"Sai cos'è la SIDS?"
Corrugò la fronte, spiazzata dal repentino cambio di
discorso.
"Sì,
ma cerco di non pensare a quello che è uno dei peggiori
incubi di
un genitore. Perché me lo chiedi?"
Camus
aprì una cartellina che fino a quel momento Mei aveva
ignorato. Al
suo interno documenti, atti ufficiali e una sorta di quadernetto con la
copertina di velluto blu recante lo stemma della Repubblica Francese.
"Cosa
c'entra il nostro livret
de famille?"
"Questo
è quello della mia famiglia d'origine. L'ho trovato in una
valigetta, in quello che anticamente era lo studio di mio padre."
Mei sfogliò il libretto, ripercorrendo la storia famigliare
dei suoi suoceri: nascita,
matrimonio, prole, morte. Lesse l'estratto dell'atto di nascita di
Camus pur
conoscendo bene il documento integrale, restando di stucco nel leggere
la
pagina successiva. Lo guardò, cercando una risposta che non
si fece attendere.
"Nel settembre del 1989 mia madre diede alla luce una bambina." si
schiarì nuovamente la voce, mentre sentiva un groppo in
gola. "Clothilde."
"Deceduta a
inizio febbraio 1990." lesse Mei. "Non lo
sapevo."
"E come avresti potuto? Morì in culla pochi giorni prima del
mio quinto
compleanno, a quanto pare. Non ricordavo nulla di lei, almeno fino a
oggi."
Mei
accantonò immediatamente la discussione, posando una mano
sulla sua
guancia.
"Tesoro, eri
troppo piccolo per ricordare, e considerando quel che è
seguito, non puoi fartene una colpa."
"Hyoga si
ricorda bene sua madre, perché io non ho ricordi di mia
sorella? Eppure avevamo entrambi quattro anni quando abbiamo perso i
nostri
cari."
"Stai
confrontando due situazioni diverse tra loro: il rapporto che si
ha con un fratello, per quanto sia importante e sacro, non
avrà mai la stessa
intensità di quello che si ha con la propria madre." rispose
Mei, cercando
di scegliere con cura le parole. "Come hai scoperto tutto questo?"
Ed ecco che
il discorso stava per ricollegarsi alle scuse citate poco
prima.
"Degél" le rispose,
dopo qualche secondo.
"Sì?"
Le
raccontò di Degél che gli era apparso in sogno e
della strana
conversazione che aveva avuto con Dohko, quindi del suo strano incontro
in
biblioteca, quando Degél si era materializzato
di fronte ai suoi occhi.
"No,
aspetta, fammi capire bene perché forse ho sentito male. Hai
visto Degél."
"È
quello che ho appena detto."
"Tu. L'hai visto." Mei
spostò
la mano sulla sua fronte. "Strano, non mi sembri febbricitante."
"Per tutti gli Dèi, sono serio." sbottò Camus.
"Bè, non sei affatto spiritoso."
"Non voglio
esserlo."
"Ascolta,
sono aperta alle prese in giro e alle battute di spirito, ma
non su questo argomento."
"Degél
mi aveva avvertito della tua eventuale reticenza in merito, ma
ti sarei grato se mi lasciassi parlare..."
Posò
sul tavolino il diario fulvo che aveva letto nella stanza segreta in
biblioteca e lo spinse verso di lei; Mei lo prese con fare
interrogativo,
sfogliando le pagine e scoprendo che una delle ultime note riportava
una data
della tarda primavera del 1743.
"Questo è il suo ultimo diario. Come puoi averlo tu?"
"È stato lui ad autorizzarmi a leggerlo. Lo giuro su quanto
ho di più caro
al mondo, non ti sto prendendo in giro. Potrei descrivertelo in
dettaglio, ma
conosciamo entrambi il ritratto in corridoio e sarebbe del tutto
inutile, anche
se manca la cicatrice sul sopracciglio sinistro"
Mei strinse
il diario al petto, asciugandosi gli occhi col dorso di una
mano.
"Stava tirando di scherma con El Cid e quest'ultimo calcò la
mano su un
affondo." mormorò, interrompendolo. Il ritratto nel
medaglione, più
veritiero di quello di rappresentanza in corridoio, mostrava
chiaramente anche
quella ferita. Camus non stava mentendo, aveva davvero incontrato
Degél, perché
il ritratto del medaglione, lui, non l'aveva mai visto. "Santi numi,
non
posso credere che si sia mostrato a te. Tra tutti, proprio a te.
È assurdo, io
parlo con lui da anni, per me è un essere mitologico, lo
prego e lo venero come
se fosse uno dei miei Dèi, e lui si materializza con te?
Nessun alone blu,
dunque? Non vedevi gli oggetti nella stanza attraverso
la sua figura?"
"Era reale tanto quanto lo
sei tu, ma quel che ha fatto dev'essergli costata tanta energia."
Per notare la sua cicatrice, doveva essergli stato molto vicino: si
scoprì
profondamente invidiosa ma allo stesso tempo furiosa per quanto
accaduto.
"Sì, me l'aveva detto che già da tempo stava
provando ad assumere una
forma meno eterea, ma non pensavo che l'avrebbe fatto con te per primo.
Insomma, è come se Dio, anziché manifestarsi al
suo più fedele seguace, lo
avesse fatto con il più incallito degli atei. Questa
è cattiveria, monsieur." aggiunse, in direzione di
Degél, che sicuramente era in ascolto, da qualche parte. "Beh, a quanto pare abbiamo qualcosa di cui
parlare, quando avrete
il coraggio di farvi rivedere."
"Credo
che sia successo perché aveva necessità di dirmi
qualcosa mentre io avevo
bisogno di ascoltare ciò che aveva da dirmi."
E che cosa aveva avuto bisogno di
ascoltare, di sapere? Quali conferme voleva?
"Sarebbe a dire?" gli domandò.
"Mi ha
parlato di Seraphina, per questo quel diario è qui: lui
stesso ha detto di
portartelo come prova, conosceva la tua reazione."
"Continua." lo esortò, posando sul tavolo l'oggetto in
questione.
Aveva i
brividi nel ripensare allo sguardo di Degél fisso sul
ritratto di
Seraphina, alla dolcezza nei suoi occhi, alla delicatezza con la quale
aveva
sfiorato l'adorato volto con le dita,
In quel sorriso c'era tutto il mio mondo,
gli aveva detto a un certo punto, non
amo che lei.
"Non aveva molto tempo, perciò ha parlato in modo piuttosto
conciso. Ma il
discorso verteva su Seraphina, sull'amore che prova
per lei, su quel legame che non si è spezzato neanche dopo
la
loro morte. Sull'anima della sua donna che è
chissà dove, schiacciata da quella
di Poseidone..."
"Seraphina
non è soltanto la sua donna,
la sua più cara amica e il suo
grande amore,
è la sua questione in sospeso."
lo corresse Mei. "Tutti coloro che direttamente o no hanno avuto a che
fare col Santuario o con Athena, ne hanno una: io, Shiryu e nostro
fratello mai
nato siamo la questione in sospeso dei nostri genitori, non ci hanno
visto
crescere, laurearci e sposarci, non hanno conosciuto i nostri figli.
Per
Natassia, è Hyoga. L'ha salvato, si è battuta
fino alla fine per suo figlio, ma
non ha potuto prendersene cura e non conoscerà mai la gioia
di sentirsi
chiamare nonna. Kardia è
nato con una
patologia cardiaca che oggi è del tutto curabile e anche se
non fosse morto
durante la precedente guerra sacra, non avrebbe potuto comunque
raggiungere la
mezza età, figurarsi la vecchiaia... e via dicendo, potrei
stare ore a
parlarne. Seraphina è la questione di Degél e
finché non la risolverà –e la vedo
difficile- lui è bloccato in un limbo: non appartiene
più al mondo dei vivi, ma
neanche a quello dei defunti. È costretto a guardare le vite
degli altri –e
cosa peggiore, a dar retta a me- quando non ha potuto vivere la sua nel
modo in
cui avrebbe desiderato. Aveva ragione il maestro Dohko quando diceva
che al
mondo esistono cose peggiori della morte. Vorrei poter fare qualcosa
per lui,
riuscire a dar loro una seconda possibilità, risolvere la
sua questione in
sospeso, ma non so come. Ti ha parlato di Seraphina per farti capire
che è lei
la donna che ha amato e che amerà fino alla fine del
Tempo... e in tutto
questo, mi chiedo... era proprio necessario? Dovevi per forza scomodare
uno
spirito per avere la conferma che certi giuramenti li prendo
seriamente? Io amo
solo te."
"Ero geloso,
d'accordo? Lo ammetto. Tu
parli con lui, lo vedi di continuo, a lui dici cose che non dici a me."
"Perché ci sono cose che lui comprende e tu no.
Perché lui fa parte di ciò che ai tuoi occhi mi
dipinge come
pazza."
"No, ti ho detto che gli spiriti e questo vostro modo di credere non
fanno
per me, ma io ti sostengo!"
"Davvero?
È un modo insolito, il tuo. E ti avverto: ci
vorrà ben altro che qualche
biscotto per farti perdonare."
"Tutto
quello che vuoi." sorrise Camus.
Impiegò qualche istante prima di rispondergli, incerta se
parlarne o meno.
"Forse una cosa ci sarebbe. La moglie del tuo collega, quel bretone che
mi
sta antipatico, ehm... Gìrard... lavora sempre in
Prefettura, sì?"
"Renard.
Sì, perché? I tuoi documenti sono tutti in
regola, non hai
niente di cui preoccuparti."
Mei si schiarì la voce prima di aggiungere il dettaglio
più importante.
"È per Shiryu."
"Ah." il sorriso di Camus
si spense nel giro di pochi istanti, mentre inarcava un sopracciglio
con malcelato
disappunto.
"Poco fa hai
detto tutto quello
che voglio, se non sbaglio."
"Sì."
proseguì Camus, atono.
"Allora mi
servirebbe una sorta di elenco di documenti e cose da fare
per un eventuale trasferimento qui in Francia."
"Tuo
fratello vuole trasferirsi qui?"
"Non
proprio, non ne ha nemmeno parlato. In Francia o in un qualunque
altro paese europeo, purché lascino la Cina. Lui e Shunrei
stanno uscendo da
una situazione particolare e se quella situazione dovesse ripetersi,
potrebbero
trovarsi in guai molto seri. Ti ricordi, vero, che dalle mie parti
c'è una
legge che impone alle donne di abortire in caso di una seconda
gravidanza? Ti
rendi conto che se per me è già difficile
accettare una barbarie di questo
genere sulle mie connazionali, diventa inaccettabile pensare a mia
cognata
obbligata a disfarsi di mio nipote?"
Camus decise
di andarci molto cauto.
"È
una legge destinata a cadere, che io sappia è sulla strada
verso
l'abrogazione."
"È
ancora valida." insisté Mei. "Non posso permettere che
una cosa di questa portata accada alla mia famiglia, quindi
farò tutto ciò che
è in mio potere per aiutarli, che sia con o senza il tuo
aiuto. Solo che senza
ci metterò molto di più."
"Farò
quel che posso." rispose Camus.
"Farai del tuo meglio." obiettò Mei, risoluta.
"Perché se hai
garantito per far entrare al Santuario una principessa asgardiana,
prendendoti
responsabilità enormi per affetto verso il tuo allievo, puoi
anche cercare ogni
minimo cavillo valido per far espatriare mio fratello, e lo farai per
amor mio.
Il che significa anche aiutarmi a cercare una casa..."
Camus prese
il cellulare dalla tasca con un gesto teatrale.
"Aspetta che prendo nota: documenti, una casa... la scuola... e magari
un
lavoro, altrimenti di cosa vivono, d'aria?"
Mei proruppe
in un largo sorriso, riprendendo in mano il rammendo.
"Sei adorabile quando cerchi di fare il sarcastico. Ma hai ragione, ti
sto
caricando di troppe responsabilità... Yian-Mei è
ancora piccina per andare a
scuola, e dopotutto il resto non è una priorità:
abbiamo spazio a sufficienza e
due stanze per gli ospiti, la casa può aspettare."
ribatté. "Uh,
guarda! È tornata come nuova!"
Si
schiarì nervosamente la voce, incrociando le braccia sul
petto.
"Okay.
Vedrò cosa riesco a trovare a Lille, o Valenciennes..."
"Nanterre, Saint-Denis o Montreuil." lo corresse. "So che per te
è troppo vicino, ma ti faccio notare che io sono costretta a
vivere a stretto
contatto con il tuo allievo che vive dall'altra parte del pianerottolo
e che
spesso e volentieri –per non dire sempre
-
mi sta tra i piedi anche quando vorrei stare da sola con la mia
famiglia dopo
una dura giornata di lavoro."
"Non ho neanche aperto bocca, mi pare, stai dicendo tutto tu."
"La tua faccia parlava già da sola."
"Comunque Hyoga traslocherà a breve."
"Sì, al piano inferiore. E per la cronaca, mio fratello non
si sognerebbe mai di venire ad
abitare con noi o
accanto a noi, dal momento che l'antipatia che provi per lui
è reciproca, e uso
il termine antipatia tanto per
usare
l'eufemismo del secolo." sbottò Mei, raccogliendo le sue
cose e avvertendo
improvvisamente addosso tutta la stanchezza accumulata durante il
giorno.
"Anzi, fai finta che non ti abbia chiesto niente. Ce la caveremo da
soli
come abbiamo sempre fatto."
Camus si
lasciò andare contro lo schienale.
"Miei Dèi, non iniziare col melodramma!"
L'arrivo di
Hyoga interruppe la sua risposta sul nascere.
"...ecco, appunto, come volevasi dimostrare."
"Vi ho
interrotto, scusate."
"Oh, sai dove puoi infilartele le tue scuse?" sbottò Mei,
con
malagrazia.
"Ne
parleremo più tardi." propose Camus.
"No. Non ne
parleremo più, discorso chiuso." concluse, diretta in
casa. "Comunque, quando è stato il
momento di fare una scelta, la mia è stata chiara fin dal
principio."
"Mei? Tutto
bene?"
"Perdonate l'ora tarda, Maestro. Shiryu è in casa?"
"Certo,
entra. È in salone." si scostò Dohko, facendola
entrare.
"È successo qualcosa?"
Mei
sospirò, stanca.
"È successo che ho quattro figli, un marito testardo come un
mulo e sono
stanca. Credo sia abbastanza esaustiva come risposta, che dite?"
Dohko le
sorrise, accarezzandole una guancia.
"Porta
pazienza con Camus, è un uomo, noi uomini siamo tutti un po'
così."
"Già."
mormorò. "Ma anche la pazienza è destinata a
terminare. Con permesso, Maestro."
"Shiryu...?"
Mei si fermò sulla porta del salone della settima
casa, quando si accorse che il fratello non era da solo: muniti dei
loro
rispettivi joystick, Seiya, Shun e Ikki erano impegnati con un
videogioco.
"Ah, scusa, vedo che non sei da solo. Buonasera, ragazzi. O dovrei dire
buonanotte, data l'ora."
"Ciao, Mei."
"Hai un momento per me?"
Shiryu mise
in pausa il gioco, alzandosi poi dal divano.
"Non provateci neanche a barare, conosco i punteggi."
sogghignò,
prima di seguire la sorella in corridoio. "Tutto bene? È
successo
qualcosa?"
Lo abbracciò, senza profferire parola.
"...tesoro, tutto bene?!"
"Grazie... grazie per non essere
morto."
Shiryu
corrugò la fronte, ricambiando l'abbraccio.
"Non c'è di che." le rispose, continuando a non capire il
motivo di
quella strana affermazione. "Mi devo preoccupare?"
"No, ma tu
pensa a quel che ti ho detto. Non ti volevo disturbare,
torna dai tuoi amici... io credo che andrò a dormire
perché sono davvero
stanca."
*
Si
girò nel letto per l'ennesima volta, incapace di prendere
sonno: un
paradosso bello e buono, data la stanchezza. A quanto pareva, non era
la sola.
"Quindi
Shunrei ha...?"
Mei guardò l'ora: le tre del mattino. Sbuffò,
prima di rispondergli.
"No, almeno così mi ha risposto Shiryu. Ma conoscendolo so
che davvero non
è successo niente di irreparabile."
Camus
sospirò.
"Mi
piacerebbe parlarti senza dover fissare la tua nuca."
Mei
affondò il volto nel cuscino.
"Sono le tre
del mattino, dormi!"
"D'accordo..."
Lo sentì alzarsi e fare il giro del letto, per poi scostare
le lenzuola e infilarsi
nella sua parte, costringendola a spostarsi verso il centro.
"... sei
soddisfatto adesso? Dai, Cam... non ho voglia di fare
conversazione, sono stanca e arrabbiata."
"Se non vuoi
rispondermi va bene, in cambio però vorrei che mi
ascoltassi."
Doveva
ascoltare il suo monologo, in poche parole.
"Ti ascolto."
"Mi dispiace
per oggi. Divento irritabile quando c'è tuo fratello di
mezzo."
"Ma dai, non
l'avevo notato." replicò Mei. "Nonostante tutti
i nostri trascorsi, è comunque mio fratello, della mia
famiglia d'origine non
ho che lui. Non posso voltarmi dall'altra parte e continuare a vivere
come se
niente fosse."
"Lo so e mi stupirei del contrario. Mi dispiace davvero averti fatto
arrabbiare, sono stato sgradevole." le rispose. Corrugò la
fronte,
nell'udire il suo respiro regolare. "...Mei?"
"Ho sentito, e a me spiace aver reagito così. Ma mi tocca
dirti che su
Hyoga, però, non intendo ritrattare: sono stata brusca, ma
ci sono delle volte
nelle quali, dopo ore di lavoro, la sola cosa che vorrei è
trascorrere del tempo
da sola con te e i bambini. Insomma, capisco tutto, anche io ho un
enorme
debito di riconoscenza nei confronti di Dohko, ma non vado sempre alla
settima
casa a disturbare, che diamine."
"Ero
convinto che voi due andavate d'accordo."
"Per un periodo siamo andati d'accordo, infatti, ma è
passato. Le cose cambiano,
Camus, ci piaccia o no: mi dispiace per te, perché ci stai
male, ma non si può
sempre tornare sui propri passi come se non fosse successo niente.
Dopotutto
aveva anche ragione, da estranea ho frugato nelle sue cartelle cliniche
e ti ho
avvertito perché sapevo che eri preoccupato, è
solo per te che l'ho fatto, su
questo ci aveva preso. A parte la cortesia che si deve a un estraneo, a
lui non
devo più niente."
Camus
si trovò a ripensare alle ultime parole che Mei aveva
pronunciato
prima di rientrare in casa, quella sera, le stesse che l'avevano tenuto
sveglio.
"Siete tutti
importanti per me. Tu e i bambini siete al di sopra di
chiunque altro, ma tengo moltissimo anche a Milo, e a Hyoga. E a Isaak.
Siete
tutti pezzi di me, e io non posso..."
Lo interruppe, comprendendo fin troppo bene dove volesse andare a
parare.
"Non dire
niente, non ce n'è bisogno. Non avrei nemmeno dovuto dirti
quella cosa."
**
Mei scese di
nuovo alla settima casa, per parlare con Dohko e Shunrei
riguardo ai figli, che durante il viaggio negli USA avrebbe lasciato
loro.
"Suggerisco l'aiuto di Fedra, se sei d'accordo. Di quando in quando
verrà
qui a dar loro una mano, dal momento che con Lixue e i gemelli, in
questa casa
ci saranno ben cinque bambini al di sotto dei dieci anni e non
è un compito
facile per nessuno. Ricordo ancora quando al Santuario tutti i gold
saints
erano bambini: un delirio." commentò Shion.
"Sarà solo per pochi giorni, Maestro, ma se la cosa vi reca
disturbo..." mormorò Mei, in direzione di Dohko.
Shion le sorrise benevolo.
"Non stavo proponendo l'aiuto di Fedra per questo motivo. Vai e goditi
questi giorni tranquilli prima di tornare nell'arena."
"Sì
Mei, vai tranquilla: sai che mi piacciono i bambini."
interloquì Dohko.
"Vi ringrazio moltissimo." annuì Mei, inchinandosi appena in
direzione dei due uomini. "Ho solo una richiesta, e pretendo che sia
rispettata: Cora. Deve stare lontana dai miei bambini."
Shion corrugò la fronte, tuttavia non si espresse a sfavore
di Mei.
"Se
è questo che vuoi, personalmente non ho alcun problema.
Ordinerò a
Fedra di ricollocarla altrove... al gineceo, magari." le rispose.
"Così da trasformarla in una vittima di Medusa? No, grazie.
Voglio solo
che stia lontana dai miei figli. E da Camus, ma questo è
già un altro
discorso."
"Sei
gelosa?" domandò Dohko, ottenendo in risposta uno sguardo
piuttosto eloquente. "Ah."
"Posso sopportare le frecciatine che lei e le sue comari lanciano alle
mie
spalle, porto con onore il soprannome che mi hanno affibbiato, ma se
dovessi
scoprire che si è avvicinata ai miei figli, da Medusa potrei diventare Megera.
Bene, signori. Torno all'undicesima." rivolse loro il saluto
taoista,
prima di uscire.
"Non ero a
conoscenza di questo problema, da quanto va avanti?"
domandò Shion, in direzione dell'amico.
"Dalla notte dei tempi, Shion. Abbiamo tutti un soprannome qui
dentro...
l'unico a non saperlo sei tu." ribatté Dohko.
"Quindi
anche io ne ho uno."
"Sì."
"E sarebbe?"
Dohko ridacchiò.
"Non te lo dirò mai."
Approfittando
dei giorni di ferie prima del loro viaggio, Mei si mise al lavoro per
ottenere
quante più informazioni potesse per aiutare il fratello.
Certo, non era
assolutamente sicura che Shiryu volesse trasferirsi, e a maggior
ragione che
scegliesse proprio la Francia, ma si trovò a sperare con
tutta sé stessa per
un'eventualità di quel genere.
Camus la notò più volte sia impegnata al pc,
soprattutto chiusa in biblioteca
alla ricerca di tranquillità, sia al telefono con qualcuno,
mentre prendeva
appunti.
"È necessario conoscere la lingua:
studiate
il francese, prova all'Institut Français o chiedi in
Ambasciata, di solito
organizzano dei corsi; non sottovalutare il fattore lingua, su sono
piuttosto
mal disposti verso gli stranieri che non capiscono una parola di
francese.
Sto ancora cercando di capire che tipo di permesso di soggiorno
è quello più
adatto a voi, ma conto di andare in Prefettura a chiedere informazioni
il prima
possibile.
Per i primi tempi verrete a stare da me. NIENTE STORIE, non voglio
sentire
ragioni: ti serve un domicilio per poter aprire un conto corrente e di
conseguenza poter prendere casa. A questo proposito sto iniziando a
guardare
qualcosa nelle città appena fuori Parigi.
Chiederò al mio capo se può assumerti
e quando casa e lavoro saranno a posto, chiederemo il ricongiungimento
familiare."
"Perché
frughi nelle mie cose?"
Alzò
lo
sguardo su Mei, ferma sulla porta dello studio in accappatoio con fare
contrariato.
"Avevo
bisogno del computer per stampare due mail e ho notato i tuoi appunti."
le
spiegò. "Qualche appunto è esatto ma hai
sottovalutato diversi aspetti, e
se sei disposta ad ascoltarmi e non fare di testa tua come il solito,
forse,
sarai in grado di aiutare al meglio tuo fratello."
"Dimmi."
"Il discorso primario è uno soltanto: il lavoro. Non puoi
dirgli di venire
in Europa se prima non ha un posto sicuro col quale guadagnare,
è una follia.
Punto secondo, secondo mio modesto parere sarebbe più
opportuno per i primi
tempi che lui da solo venga in Francia o dove vuole, inizi a ingranare
col
lavoro e solo in seguito chiedere il ricongiungimento familiare. Punto
terzo,
se dovesse optare per l'acquisto di una casa, dovrà chiedere
un mutuo:
difficilmente una famiglia monoreddito ne ottiene uno, a meno che non
sia anche
Shunrei a lavorare. Non ci avevi pensato?" il sospiro che
esalò Mei gli
confermò che no, sull'onda dell'entusiasmo, aveva del tutto
ignorato certi
aspetti. "No, direi proprio di no."
"Pensavo a come portarli via da lì nel più breve
tempo possibile..."
"Capisco,
ma un trasferimento non è una cosa da prendere alla leggera,
qui si tratta di
cambiare vita, cambiare lavoro, casa, tutto. Eppure ci sei passata
anche tu,
non molto tempo fa..."
"Con la
differenza che io ho avuto un valido aiuto nel mio trasferimento..."
"Vogliamo
riprendere quel discorso? Ancora? Te l'ho offerto, il mio aiuto."
"No, tu mi hai presa in giro."
"E ti ho chiesto scusa. Ad ogni modo, che titoli di studio hanno?"
"Shiryu sta per laurearsi in filosofia, Shunrei sta studiando per
diventare infermiera."
"E come al solito mi tocca dire che tua cognata è stata
più lungimirante
di tuo fratello." osservò Camus. "Quantomeno è
stato coerente con
l'immagine che ha sempre dato di sé. E sai che ho ragione."
"Con una
magistrale potrebbe lavorare nelle risorse umane, o in un'azienda. Poi
comunque
una laurea in filosofia non è inutile, sai. Bruce Lee era
laureato in filosofia
ad esempio. O Umberto Eco. Molti amministratori delegati di importanti
industrie sono filosofi."
"Una
laurea non è mai inutile, non l'ho mai detto né
pensato." ribatté Camus.
"Le mail che aspettavo erano del mio collega, sua moglie ha stilato
l'elenco dei documenti necessari: ora sta a Shiryu decidere."
***
Lady
Aquaria's corner
-La
canzone del titolo
fa riferimento alla canzone di Sergio Endrigo.
-Il discorso tra Mei e Shiryu riguarda la politica
del
figlio unico che, in Cina, è stata in vigore dal
1979 al 2013 circa. Tale
politica prevedeva un certosino controllo delle nascite e l'assoluto
divieto
per le donne di avere più figli; ufficialmente è
stata abolita, ma
ufficiosamente c'è chi dice che in verità non
è mai stata abbandonata sul
serio.
Le parole dei due possono suonare melodrammatiche, ma molti autori
cinesi hanno
portato alla luce il problema nei loro scritti, narrando di aborti
forzati,
pestaggi e spesso sterilizzazioni dei trasgressori nonché di
veri e propri
omicidi ai danni di bambini appena nati. Uno degli ultimi casi resi
noti di
aborto forzato risale al 2012, sette anni fa, ed è atroce
pensare come una
simile violazione dei diritti umani sia stata resa possibile.
Al di là di questo, i trasgressori potevano anche tenere il
bambino, ma a
fronte del pagamento di una tassa (quella che accenna Mei)
così onerosa da
risultare spesso impossibile da pagare per un comune cinese.
È quantomeno ovvio
che l'esistenza stessa di Shiryu, nella mia storia, è
subordinata al pagamento
della tassa in questione: ecco perché Mei lo "ringrazia" di
essere
vivo (sia per la tassa, che per la morte in culla della cognata).
-Il
viaggio cui si
riferisce Milo, l'avevo accennato in un precedente capitolo, riguardo
l'addio
al celibato di Camus gentilmente offerto da Milo stesso.
-La
SIDS è la sindrome
della morte in culla.
-Il Livret de famille è una sorta di libriccino raccoglitore
rilasciato a una
coppia di neosposi in occasione del matrimonio o a una coppia non
sposata
quando nasce il loro primo figlio, e contiene gli estratti dei
documenti più
importanti che riguardano, appunto, la famiglia: atti di nascita e
morte,
documenti relativi al matrimonio o al divorzio, atti di nascita dei
figli ecc
ecc.
Come
sempre grazie a chi
ancora segue: giuro, non manca molto alla fine.
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 43 *** Forever ***
nuovo capitolo principale
43.
Forever
Girl
I'm out of my head over you
And
I lived so long believing all love is blind
But
everything about you is telling me this time
It's
forever, this time I know
And
there's no doubt in my mind
Forever,
until my life is through
Girl
I'll be loving you forever
[Forever
– Kiss]
25 luglio
2012, Las Vegas
L'espressione
di Camus non prometteva niente di buono: lo sguardo improvvisamente
assottigliato, gli occhi che saettavano rapidamente da lei a Milo, la
voce più
bassa di un paio d'ottave come faceva sempre, quando era sottosopra.
"No. Ti prego, dimmi che non
è
vero. Non dirmi che tu sapevi."
*
Il giorno
precedente...
"Hai
visto il bagno? Solo la vasca è grande quanto il nostro
letto."
Camus gettò un'occhiata oltre l'enorme parete di vetro, che
dava su un panorama
mozzafiato di Las Vegas. Più che New York, Las Vegas
meritava l'appellativo
della città che non dorme mai.
"Sì,
ed
è carente di privacy." borbottò.
"Siamo
al ventiduesimo piano e non siamo i Brangelina, a chi vuoi che
interessi una
coppia di francesi di passaggio?" ridacchiò Mei, mettendo in
carica il
cellulare sul comodino. "Io sto per mettermi un po' in ammollo nella
vasca
che ti ho accennato poco fa. Ti unisci a me o preferisci continuare a
lamentarti? E dai, siamo soli, godiamoci questa fortunata situazione
finché
possiamo... i bambini sono a casa, siamo nel tuo... beh, nel vostro
addio al
celibato, siamo negli USA... sciogliti un po', Mr
Freeze."
A essere del
tutto onesti, l'addio al celibato era di Milo, dal momento che lui non
era più
celibe da un bel pezzo.
"Però
le
tende le voglio chiuse."
In
corridoio,
Milo e Shaina erano appostati fuori dalla porta della stanza di Camus e
Mei,
esattamente accanto alla loro.
"Senti
qualcosa?!"
Shaina sospirò.
"Per l'amor del cielo Milo, siamo atterrati da poche ore, saranno
stanchi
morti, no? Lasciali stare."
Non udendo
alcun rumore provenire dall'interno, Milo decise di scribacchiare
qualcosa su
un biglietto, prima di infilarlo sotto la loro porta.
"Vedrai che risate, domani. Ceniamo? E magari torniamo anche noi a... riprenderci dal jet-lag in camera? E
niente scuse, ho comprato le aspirine in aeroporto."
*
"C'è
un
caldo asfissiante qui... sei assolutamente certa che il luogo
dell'appuntamento
sia questo?"
Mei ricontrollò il biglietto che quella mattina aveva
trovato sotto la porta della
loro camera, mentre Camus parcheggiava l'auto presa a noleggio;
avevano, con
suo sollievo, superato il lunghissimo boulevard sul quale si
affacciavano le famose
wedding chapels, per finire davanti
a
un altro edificio pregno del kitsch tipico di Las Vegas.
"Assolutamente è un parolone,
Cam. Non
sono pratica del posto." obiettò Mei, guardandosi intorno.
"Miei
Dèi, tutti questi neon mi fanno rimpiangere Pigalle."
borbottò Camus,
pigiando qualche tasto sul display del navigatore satellitare e
scoprendo che
sì, l'indirizzo era proprio quello. "Hai un'aspirina, o
qualcosa del
genere? Sento arrivare il mal di testa."
Mei frugò nella borsetta, porgendogli una bustina
orosolubile.
"È surreale ascoltare Puccini a Las Vegas."
commentò poi Camus,
massaggiandosi le tempie: dalle casse a lato della plancia, le note del
valzer
di Musetta.
"Certo
non è come essere al Metropolitan."
"Sì,
beh. Quale versione è? Quella con Maria Callas?"
"No. Non credo tu abbia mai ascoltato questa versione."
"Allora è quella soprano russa, come si chiama...?"
Mei alzò un sopracciglio, guardandolo in tralice e
interrompendolo con un gesto
secco della mano.
"Come no: le piacerebbe, a quella,
cantare come cantava mia madre." replicò, stizzita.
Camus
sgranò
gli occhi.
"Stiamo ascoltando tua madre?!"
"Sì. Mia madre non ha
mai, e
ripeto mai, sbagliato verso. E
soprattutto quando interpretava Tosca non ha mai rovinato l'eroina
pucciniana
facendola fluttuare nell'aria.
Aveva
la testa ben concentrata su quel che faceva, e lo faceva bene."
puntualizzò, con un moto d'orgoglio.
"Impressionante."
convenne Camus, poco dopo. Si guardò intorno, cercando un
minimo segno dei due
amici. "Ancora non capisco perché siamo qui, a essere
sincero, Chicago è
molto più a est di Las Vegas."
"Lo scopriremo quando arriveranno Milo e Shaina." replicò
pratica,
guardando fuori dal finestrino seguita da Camus, che si era sporto
verso di
lei.
"E pensare
che ho suggerito a Hyoga di venire qui a sposarsi... ma che bella idea
Camus,
complimenti."
Francamente non capiva come aveva potuto anche solo pensare
di mandare Hyoga e Freya a sposarsi in un posto del genere.
Un paio di coppie in abiti nuziali stava posando per le foto,
più in là un
figurante vestito da Elvis posava con un'altra coppia e non molto
distante, un
altro figurante stava fumando.
Assottigliò
lo sguardo, riconoscendo nel costume di quest'ultimo la figura di un
componente
di una certa band.
"Tesoro, quando Milo ti ha chiesto di infilare in valigia un certo tipo
di
abbigliamento, ti ha anche spiegato il motivo dietro quella richiesta?"
"No,
perché?"
"Perché ho un brutto presentimento." le rispose, componendo
il numero
di Milo sul cellulare.
"Occupato,
ovviamente. Putain."
"Ti stai
lasciando andare a un certo linguaggio, ultimamente, o sbaglio?"
"M'è
sfuggito, scusami. Milo riesce a mandarmi il sangue al cervello, a
volte."
"Beh, io
frequento la quarta casa eppure non parlo come uno scaricatore di
porto..."
ribatté Mei, spegnendo la radio non appena il cellulare di
Camus iniziò a
squillare. "...la cavalcata delle
Valkirie?!"
"È
una
lunga storia." abbozzò Camus, prima di rispondere. "Dove siete finiti?"
Dall'altra parte, Milo rispose dopo pochi squilli: in
sottofondo Mei
riconobbe una canzone dei Kiss e iniziò a canticchiare a
bassa voce seguendo le
parole del frontman.
"Voi, dove siete? Vi stiamo aspettando da un po'!" fu la replica di
Milo. Camus gli ripeté l'indirizzo del bigliettino e lui
annuì, richiamando
Shaina. "Aspettateci, usciamo noi: qui dentro c'è il rischio
di
perdersi!"
"Il posto è questo, loro sono già arrivati, hanno
detto di aspettarli
perché ci vengono incontro." la informò Camus,
riponendo il cellulare nella
tasca interna della giacca. "Che c'è?"
"Che c'entra Wagner con Milo?"
"Alcuni
contatti hanno una suoneria personalizzata, così riconosco
subito chi mi sta
chiamando."
"Sì,
ma
cosa c'entra un compositore tedesco con un greco?"
"La
danza di Zorba sarebbe stata troppo scontata, non credi?"
glissò Camus.
"Per non
contare il fatto che Milo ti avrebbe fatto lo scalpo senza alcuna
pietà. Ne
deduco quindi che ne ho una anche io?"
"Certo. Il tema di Darth Vader." le rispose, prima di scendere
dall'auto per aprirle la portiera.
"...e beh, sono soddisfazioni." sospirò Mei, provvedendo poi
a
controllare il trucco nello specchietto dell'auto. "Non pensavo che
questo
vestito fosse così scollato quando l'ho visto online. Non
che ci sia molto da
mostrare, a dir la verità... mamma mi ha lasciato in
eredità molte cose, ma non
il petto."
"Beh, a me piace così com'è." la
osservò Camus, gettando una lunga occhiata
nella scollatura in questione. "Sei bellissima, e ti sta molto bene."
Gli sorrise
in risposta, prima di intravedere una coppia appena dentro l'edificio:
lui
camicia rosso sangue sotto un completo scuro, lei in un abito a sirena
rosso e
nero, i capelli raccolti e un cerchietto con veletta davanti al volto.
"Oh
guarda quei due! Mi ricordano quella cantante italiana e il marito
tennista,
anche lei era vestita di rosso!"
"Chi, Loredana Bertè? No, aveva solo il velo, era Borg
quello vestito
completamente di rosso."
"Milo, li ho
trovati, eccoli
là!"
Camus
sgranò
gli occhi, riconoscendo Milo e Shaina nei due in abito scuro.
"No. Ti prego, dimmi che non è
vero. Non
dirmi che tu sapevi."
"Cosa?!"
Le mostrò un cartello, con le indicazioni per la Kiss Wedding Chapel, all'interno
dell'edificio.
"Ma dai,
è un posto così…volgare
per
sposarsi!"
Mei parve
realizzare in quel momento.
"Sposarsi?" ripeté. "Aspetta un attimo... Milo e Shaina si
sposano oggi?"
"Sorpresa!" esclamò Milo, alle sue spalle.
"Oddèi, allora è vero! Perché non mi
hai detto niente?"
"Perché altrimenti non sarebbe stata una sorpresa, ti pare?"
"Ma se
avessi detto qualcosa avremmo potuto organizzarci in maniera diversa,
fare
qualcos'altro... se avessi immaginato..."
"Mei, lo
apprezzo tantissimo, ma per noi è già tutto
perfetto così, voi due e basta. Avevo
anche pensato di truccarmi come Gene ai bei vecchi tempi della band, ma
ho
pensato che forse sarebbe stato un po' esagerato." ammise Milo.
"Ah, dici?" interloquì Camus. "È già
una bella sorpresa così,
fidati."
"Beh,
perché anche tu, in quanto testimone, avresti dovuto
truccarti. Per il bene tuo
e di Tommy Thayer, ho preferito evitare."
"E io te
ne sarò eternamente grato." Camus inarcò un
sopracciglio, prima di
guardare
Shaina, che in quel momento pareva totalmente diversa da ciò
che era abituato a
vedere. "Sì, tu ridi perché non hai idea del
guaio nel quale ti stai
cacciando."
Milo si
schiarì la voce, per attirare la loro attenzione.
"A dire
il vero le sorprese non sono finite affatto. Il dieci agosto, alla fine
di
questo viaggio, ritorneremo a Las Vegas per quello che è un
mio personale dono
di nozze per Mei: te l'avevo promesso anni fa, ricordi? Io e te saremmo
andati
a un concerto."
"Dimmi
che scherzi." disse Mei, portandosi le mani alla bocca, incredula.
Milo
estrasse
una busta dalla tasca interna della giacca, all'interno della quale
quattro
biglietti aspettavano solo di essere usati.
"L'undici
agosto noi quattro assisteremo alla tappa lasvegassiana dei Kiss, baby."
"Oh miei Dèi! Miei dèi!!" Mei iniziò a
saltellare sul posto, come una
bambina la mattina di Natale, prima di gettare le braccia al collo
dell'amico. "Dici
davvero? È da una vita che sogno di andare a un loro
concerto!!"
"Quindi
dovrò venire anche io? Accidenti, mi toccherà
ripassare il loro repertorio."
commentò Camus.
"Come mai mi sembri più entusiasta del concerto piuttosto
che del
matrimonio?" domandò Milo.
"Ma smettila, scemo." ridacchiò Mei.
"Shaina,
posso scambiare un paio di parole con te, per favore?"
Milo ridacchiò.
"Non riuscirai a farle cambiare idea!"
"Certo che no, sarebbe una battaglia persa in partenza, dato che ormai
è
irrecuperabile."
Si
allontanarono di qualche metro prima di parlare.
"Ti devo
delle scuse."
Shaina
corrugò la fronte.
"Non capisco."
"Io credo di sì." rispose Camus. "Per quello che ti dissi a
Monastiraki, qualche mese fa."
Fece mente
locale.
"Oh,
quello. L'avevo già dimenticato."
"Io no,
quando sbaglio lo riconosco." Camus allungò la mano verso di
lei, serio.
Shaina
guardò
la mano, quindi di nuovo Camus.
"Diciamo che sei protettivo verso le persone cui vuoi bene e che sotto
quell'apparenza altera e impassibile c'è comunque un uomo
che sa amare, anche
se ti da fastidio darlo a vedere." sorrise. "Milo è
fortunato ad
averti come amico."
Milo e Mei
guardavano i due, diversi metri più in là, con
aria interrogativa.
"Sai qualcosa che non so? Mi devo preoccupare?" chiese Milo.
"Conosci Camus, no? Qualunque cosa sia successa, a me non l'ha detta."
replicò Mei. "È più testardo di un
mulo."
Milo
sospirò:
lo conosceva eccome, non per niente erano migliori amici.
"Sì,
anche Shaina è cocciuta. Anche se si sopportano a malapena,
quei due hanno
qualcosa in comune, che a loro piaccia o no. Vorrà dire che
se dovesse riuscire
a farle cambiare idea, potremmo sempre scappare insieme. Che dici?"
Mei
ridacchiò.
"Non
credo funzionerebbe."
"Perché
no? Siamo scorpioni entrambi, sotto molti aspetti noi due ci capiamo al
volo, e
poi tra due scorpioni c'è una chimica molto forte."
"Il che
è senza dubbio positivo, ma fuori dal letto, ci scontreremmo
di continuo nel
tentativo di far capitolare l'altro." obiettò Mei. "Anche se
probabilmente, o diciamo sicuramente,
saresti tu a cedere."
Milo le
circondò le spalle, sogghignando.
"Continua a ripetertelo, cara." asserì. "Deve ancora nascere
la
persona in grado di sottomettermi."
Inspiegabilmente,
guardarono entrambi Shaina.
"Shaina
è ariete ascendente leone, giusto?"
"..."
"Beh, ci sarà un motivo se al Santuario è
soprannominata Tisifone, come una
delle Erinni. Deve ancora nascere,
dicevi?" ridacchiò
Mei, scoccandogli un'occhiata divertita. "Continua
a ripetertelo, caro."
"Ti odio
quando fai così."
"Perché
sai che ho ragione."
Camus e
Shaina tornarono da loro, il primo con uno sguardo interrogativo negli
occhi.
"Tutto
bene?"
"Oh
sì.
Io e Mei stavamo progettando di fuggire insieme." spiegò
Milo.
"Tsk...
me la riporteresti indietro dopo dieci minuti. Quindici, se vogliamo
essere
ottimisti."
"Perché
senza di me ti sentiresti perso."
La
cerimonia,
decisamente atipica, fu officiata da un figurante che impersonava Gene
Simmons,
in un'atmosfera profondamente rock: drappi neri sulle sedie, luci da
palcoscenico e numerosi altoparlanti a riprodurre le ballate romantiche
dei
Kiss.
"...avrei dovuto immaginarmelo, quando ha parlato di Las Vegas. In
effetti
tutto questo è da Milo." mormorò Camus, a
bassissima voce. "Non
riesco a immaginarmi questi due idioti a sposarsi come fanno tutti."
Sarebbe
stato
strano, a dirla tutta, vedere Shaina in abito bianco, in una cerimonia
come
quella di Marin e Aiolia.
"Noi scorpioni siamo anticonvenzionali, ormai dovresti saperlo."
"...a
proposito, mi devo aspettare sorprese di questo genere a settembre?"
Mei proruppe in un sorriso obliquo.
"No,
stai tranquillo."
"Con
voialtri c'è ben poco da star sereni." obiettò
Camus.
L'officiante
partì con le formule di rito, sciorinate imitando il tono di
voce del cantante,
quindi invitò i due sposi a proseguire con i voti nuziali.
"Cavolo,
non sono bravo con i discorsi..." balbettò Milo, sgranando
gli occhi.
"Cam, hai qualche suggerimento?!"
"Bravo,
proprio la persona giusta." commentò Mei.
"Direi
che forever è
già di per sé un ottimo
spunto." rispose l'interpellato, accennando alla canzone in sottofondo
in
quel momento.
"Hai
ragione, Cam. Grazie."
"Ma ti
pare." abbassò di nuovo la voce quando Milo tornò
a guardare Shaina. "Lo
conosco da una vita ma è la prima volta che non sa cosa
dire. E così osi
insinuare che non sono bravo con le parole."
"Sì,
ma
è una mancanza che compensi con altri talenti."
replicò Mei,
interrompendosi, distratta dalla voce di Milo, che stava canticchiando
seguendo le parole del cantante.
Camus
inarcò un sopracciglio.
"Sta cantando."
"È
romantico, dai."
"Oddio."
"Smettila!!"
"Per
onestà devo ammettere che mai, per nessuna ragione, mi
vedrai
fare una cosa del genere."
"No,
figurati. E chi si aspetta gesti romantici così, da te?"
scherzò Mei.
Poco dopo,
istintivamente, Camus cercò la sua mano per stringerla nella
propria.
"Stai
piangendo, monsieur non faccio
romanticherie." sussurrò Mei.
"...scusami."
sospirò, tamponandosi gli occhi con il fazzoletto.
"Il tuo
migliore amico si sta sposando, non puoi non commuoverti."
*
"Milo,
quando hai scelto il mezzo, hai controllato che fosse adatto alla
patente di
Mei?" domandò Camus, guardando l'enorme camper che li
aspettava nel
parcheggio.
"Certo, perché?"
"A me
sembra un bestione troppo difficile da manovrare."
"Grazie della fiducia, Cam." borbottò Mei. "Ho guidato anche
furgoni in vita mia, sai?"
"Converrai con me che camper e furgoni sono due mezzi totalmente
diversi
tra loro, eh. E beninteso, non sto mettendo in dubbio le tue
capacità..."
"...qualunque ma stia per
arrivare, tienilo per te, per favore. Mi stai mettendo ansia, e alla
soglia di
un viaggio da millemila chilometri, non va bene!"
Milo s'interpose tra i due.
"Cerchiamo di calmarci tutti quanti per goderci questi giorni. Quando
mai
ci ricapiterà un'avventura del genere, noi quattro insieme
senza figli, senza
obblighi e senza pensieri? Io dico di portare le chiappe su quel camper
e partire,
senza dire nient'altro: un domani, a Nikos, vorrò raccontare
bei ricordi, non
litigi. Coraggio, che se tutto va come prevede la tabella di marcia,
dovremmo
arrivare a St.Louis entro domani. "
"Non
riuscirò mai a capire come facciano gli statunitensi a
definire pizza questa cosa
immangiabile."
disse Shaina, quella sera, davanti alla deep
dish pizza che lei e Milo avevano preso a portar via. "Non
so se avete
mai mangiato una pizza in Italia, ma è tutt'altra cosa."
"A Napoli insieme a mia madre, quand'ero ragazzina." rispose Mei, che
alla pizza aveva preferito un kebab. "Quanto mi mancano quei giorni. Una sera dovremmo
organizzarci per una cena
in un vero locale italiano. Ne vale davvero la pena."
"Secondo
te perché certe cose le evito come la peste?" sorrise Camus.
"Uh,
prima che mi dimentichi, dato che per le prossime due settimane vivremo
tutti e
quattro in stretto contatto, credo sia giusto stabilire un paio di
regole per
la buona convivenza."
Milo
roteò
gli occhi.
"Oh Dèi, non è possibile, nemmeno in vacanza
riesce a rilassarsi..."
"Non iniziare a protestare, che l'ultima volta a New York è
stato un
incubo." rispose Camus, nello stesso momento.
"Esagerato."
"Esagerato un corno, se
raccontassi tutto, trascorreremmo i prossimi cinque giorni fermi in
quest'area
a parlarne."
Mei guardò i due, quindi ridacchiò.
"A proposito di voi due, qualcuno dovrà spiegarmi cosa
c'entra Wagner con
te."
Shaina corrugò la fronte, mentre Milo iniziava a ridere.
"Hai mai visto apocalypse now?"
domandò poco dopo, a Mei. Quando lei annuì,
continuò. "Quella scena
pazzesca con gli elicotteri che attaccano il villaggio dei vietcong,
dove il
colonnello ordina ai suoi uomini di sparare a tutto volume la cavalcata delle Valkirie? L'ho fatto
talmente arrabbiare durante
quel viaggio a New York, che una sera mi disse vorrei
essere su quegli elicotteri per spararti addosso."
Camus continuò a mangiare, ignorando le occhiate delle due
donne.
"Ma che perfido!" esclamò Mei. "Ma ti sembrano cose da
dire?"
"Ah, stai tranquilla, sono sicuro che l'ha detto solo perché
arrabbiato.
In realtà non lo pensa sul serio. Vero?" domandò
Milo. "…Cam, non lo
pensi davvero, eh?"
L'interpellato gli lanciò un'occhiata da dietro il suo
kebab, senza muovere un
muscolo.
"Camus,
ma perché non mi vuoi bene?"
Più
tardi,
Camus rientrò in tutta
fretta dal bagno, chiudendo rapidamente la porta a scomparsa che
divideva la
stanza da letto dal resto del camper: erano partiti appena quel
pomeriggio e un
paio di regole erano già state infrante.
"Cosa
c'è ancora?" domandò Mei, sentendolo sbuffare
appena, senza alzare lo
sguardo dal messaggino che stava inviando. Aveva già fatto
abbastanza polemiche
quel pomeriggio, quando si erano fermati in un Walmart per fare spesa e
aveva
commentato –del tutto a ragione– sulla presenza di
una corsia sulle armi da
fuoco quasi accanto alla corsia con l'abbigliamento infantile, per non
parlare
della critica alla corsia con il pane e una scelta di ciambelle e
muffins di
ogni genere.
Sinceramente non era sicura di poter sopportare altre lamentele.
"Devi usare il bagno?" volle invece sapere Camus.
"No, non ancora, perché?"
"Perché ti toccherà trattenerla, temo. Il resto
del camper sarà off-limits
per almeno mezz'ora."
Mei corrugò la fronte, quindi si accostò alla
porta, origliando quanto stava
accadendo.
"Oh. Questo addio al celibato ha
preso una piega inaspettata."
"Già.
Adesso siamo nella loro luna di miele."
"Shh!
Se noi sentiamo loro, sicuramente loro possono sentire noi. Lamentati a
voce
molto bassa."
"Figurati,
Milo disconnette udito e cervello quando gli fa comodo."
Restarono
in silenzio qualche secondo, decidendo poi di accendere la tv incassata
nella
parete.
"Che situazione imbarazzante." mormorò Camus, a bassa voce.
"Devono
festeggiare, dai."
"Beh, dovrebbero avere la maturità necessaria per tenere a
bada gli
istinti, soprattutto quando siamo in quattro a condividere uno spazio
così
ristretto e ci sono altre due persone a meno di dieci metri che
potrebbero
sentire. Anzi, no, eliminiamo il condizionale." borbottò
Camus.
"Certe voglie le ho anche io ma le tengo a bada."
Stava
per rispondergli con una battuta delle sue, ma preferì
tacere, limitandosi a
inarcare le sopracciglia.
"È
questione di rispetto, che diamine. E non fare quella faccia, quelle
voglie le
ho anche io, sebbene di solito non sia io a prendere l'iniziativa, su
questo
devo darti ragione."
"Eh, un po' d'intraprendenza e lascivia non ti farebbero male, sai,
come
all'isba lo scorso agosto, tanto per dire."
"..."
"Su,
cerca qualcosa da guardare."
Si
schiarì la voce, imbarazzato.
"Vediamo
cosa offre la tv stasera. America's Got Talent oppure... Hell's
Kitchen... o il
telefilm con Carrie Bradshaw."
Mei
diede una rapida occhiata, sbuffando.
"Che fai, giri il coltello nella piaga?"
"Vada
per Hell's Kitchen,
allora." Camus fece spallucce.
Mei
si mise a sedere sul
letto, scostando le tende dell'ampia finestra e notando un diner al di là della
superstrada che costeggiava l'area attrezzata
in cui avevano deciso di fermarsi per trascorrere la notte.
"Lo so che ti piace vedere Gordon Ramsay che s'imbestialisce con i
malcapitati di turno, ma potremmo andare a bere qualcosa in attesa che
la
situazione... come dire... si sgonfi."
"Ottima
scelta di parole, la tua." Camus si allungò verso la
finestra, guardando
il locale in lontananza: a occhio e croce una specie di ristorante
italiano, a
giudicare dal nome. Beh, sempre meglio di un fast food. "Siamo appena
in
Illinois, hai idea di quanto manca alla California? Se saremo costretti
a scendere
ogni volta che quei due di là daranno sfogo ai loro istinti,
o torniamo a casa
obesi o con la cirrosi epatica."
"...esagerato. Vuoi mica che succeda tutte le sere, no?"
"Dici? Io non ne sarei così sicura, fossi in te. D'accordo,
fammi mettere
qualcosa addosso." capitolò Camus. "Ah, per sapere, come
intendi scendere
da qui? Sgattaioliamo di là come se niente fosse o usciamo
dalla
finestra?"
"Beh,
se riesci a strizzarti in venti centimetri..." ribatté Mei,
chiudendo per
sicurezza la finestra in questione.
Si vestirono in fretta, cercando di raggiungere la porta del camper nel
più
breve tempo possibile.
"Non preoccuparti, le chiavi di riserva sono sul bancone, l'area
è video
sorvegliata e secondo google maps c'è una stazione di
polizia a mezzo
chilometro da qui." sussurrò Mei, chiudendo a chiave e
raggiungendolo,
qualche metro più in là. "Gli lascio un messaggio
whatsapp? Che c'è?"
"Neanche
su National Geographic ho ascoltato
grida di quel genere." rispose Camus, lanciando un'ultima occhiata al
camper. Si guardarono un attimo, prima di scoppiare a ridere, correndo
insieme
verso la sopraelevata che li avrebbe portati al diner.
"Chissà
quando ci capiterà di nuovo, di cenare noi due soli in un
locale che non sia ad
Atene o a Parigi." sospirò Mei. "Ammettilo, che comunque sei
contento
di essere qui."
"Sì, beh. Sai che a volte sono polemico, certe cose ho
bisogno di
carburarle." le rispose. "E così avevate in mente questo,
quando mesi
fa avete iniziato a organizzare l'addio al celibato... cioè
mi correggo, la luna di miele?"
Mei rubò una cucchiaiata di tiramisù dal piatto
di Camus, spingendo verso di
lui la propria torta di ricotta in un invito ad assaggiarla.
"Non proprio. Il matrimonio a Las Vegas e ciò che ne
consegue non erano
nei miei piani." ridacchiò. "Sai com'è,
imprevisti non calcolati.
Avevo anche pensato a un viaggio in transiberiana, ma ho scoperto che
l'hai già
affrontato due volte, quindi eccoci qui, quindici giorni attraverso gli
States."
Camus
sorrise, mentre i ricordi di quei due viaggi tornavano a galla, evocati
dalla
memoria: del primo, insieme al maestro Volya, ricordava poco, il
secondo,
affrontato insieme a Hyoga e Isaak poche settimane prima dell'incidente, aveva ricordi dai contorni
più nitidi.
"Quello
lascialo organizzare a me, per favore." sorrise, richiudendo i ricordi
al
sicuro. "Ho più esperienza di te in merito."
"Cosa,
la transiberiana?"
Annuì.
"Sì.
Voglio rifarla con te, e quando i bambini saranno grandi, porteremo
anche loro.
Novemiladuecentottantotto chilometri da Mosca a Vladivostok o potremmo
anche
pensare alla transmongolica e arrivare a Pechino via Ulan Bator. Adesso
che
esistono anche cabine con il letto da una piazza e mezza e il bagno
privato, è
un viaggio più confortevole di quelli che ho già
vissuto."
"Ci
vuole poco, a giudicare dai treni che ho visto in certi documentari."
sorrise Mei.
"Non farti condizionare dai racconti di viaggio di estranei.
Chissà che
non riesca ad organizzarlo già per le ferie del prossimo
anno."
Per lei
erano già tanti quindici giorni negli States, figurarsi
venti giorni per un
viaggio di quel genere; Camus però aveva parlato dell'anno
successivo, e i
bambini sarebbero stati più grandi e già svezzati
per l'epoca. Non lo
interruppe né lo disilluse, preferendo sorridergli di
rimando e spiluccare la
torta che aveva nel piatto.
Un
trillo sul cellulare di Camus, un messaggio di Milo che domandava loro
dove
accidenti fossero finiti.
"Forse dovremmo lasciare la camera da letto a loro e noi prendere il
letto
sulla cabina di guida." propose Mei, attirando immediatamente la sua
attenzione.
"A parte le mie vertigini, dovremmo dormire nelle lenzuola in cui si
sono
appena rotolati? Nemmeno per sogno."
"Va
bene, era solo un suggerimento. Comunque una volta Lixue ha bagnato il
letto,
quando eravamo ancora al Goro-Ho, ma ho pulito tutto e dopo ci ho
dormito
tranquillamente." iniziò Mei, finendo con l'essere
interrotta.
"Ascolta, un conto è la pipì di nostra figlia, un
altro sono quei due. Per
quanto voglia bene a Milo, ci sono limiti che non si possono valicare
per
nessun motivo." obiettò Camus. "Neanche per amicizia."
Mei
sorrise.
"Come si vede che non hai mai trascorso una notte al Goro-Ho durante la
maturità sessuale di Shiryu."
La
guardò, con un'occhiata disgustata.
"Per
favore, vorrei evitare di avere incubi stanotte." le rispose, facendola
ridere. "Dai, prendiamo qualcosa per la colazione di domani e torniamo
dai
due sposini."
"Non
abbiamo già abbastanza cibo per il viaggio?"
"Quelle
schifezze che Milo ha insistito per comprare da Walmart, io, non le
mangio." puntualizzò Camus, alzandosi. "Ci tengo alle mie
arterie."
Inarcò
le sopracciglia, guardandolo di traverso e allungando una mano
–a tradimento-
alla sua tasca dei jeans sottraendogli qualcosa.
"Giusto,
allora iniziamo col gettare via queste." disse, mentre lui di riflesso
toccava
la tasca vuota, protestando. "Se cerchi il portafogli ti ricordo che
l'hai
dato a me prima di uscire. Dunque, frolla o riccia, la sfogliatella?"
Milo
guardò ancora una volta fuori, scostando le tende dal
parabrezza senza vedere
neanche l'ombra dei due amici.
"...secondo me sono usciti per colpa nostra." esordì Shaina
porgendogli una tazza di caffè. Nella piccola camera aveva
trovato il pigiama
di Mei gettato in maniera disordinata sul letto disfatto, insieme a un
libro e
quella che sembrava una confezione di tappi per le orecchie: dovevano
essere
usciti d'improvviso, forse mentre loro due erano nel pieno dell'azione.
"Ma
no, figurati." minimizzò Milo. Beh, conoscendo Camus poteva
anche darsi,
in effetti.
"Okay,
ma la prossima volta cerchiamo di non fare troppo rumore."
Le
rivolse un sorrisino obliquo, prima di bere qualche sorso.
"Tu cerca di non fare troppo
rumore."
"Scemo."
"L'astuccio,
Mei."
"Di quale astuccio
parli?"
Corrugò
la fronte, riconoscendo poi i due amici nei due che, fuori dal camper,
stavano
parlando in un francese per lui ancora troppo fitto.
"Ridammelo,
dai."
"Costringimi."
"Sono
loro?" mormorò Shaina.
"No, non
è in borsa,
mi spiace. Perquisiscimi se vuoi e ti prego, fai un lavoro accurato."
Milo
aprì la porta, sorprendendoli: lui impegnato a farle il
solletico mentre la
bloccava a sé, lei in preda alla ridarella con un involto in
equilibrio
precario in mano.
"Mi farai cadere le
sfogliatelle!"
"Ah
no, queste bisogna salvarle." annuì Milo, afferrando
l'involto e
lasciandoli alle loro beghe.
"Come
sarebbe a dire, vedi una donzella in difficoltà e non
l'aiuti?"
"Donzelle?
Io non vedo donzelle." rispose Milo.
"Traditore. Mi arrendo! Basta, mi arrendo!"
"Ci
dispiace se vi siete sentiti obbligati a uscire, se
succederà di nuovo
cercheremo di fare molto meno rumore." si scusò Shaina, una
volta saliti a
bordo anche Camus e Mei.
Quest'ultima
fece finta di non capire.
"La mia Lonely Planet indicava quel locale italiano come il migliore
della
zona, ho convinto Camus a uscire per provare il loro
tiramisù." spiegò,
allegra. "Perché?"
Shaina
e Milo si scambiarono un'occhiata.
"Ah,
okay. Allora niente, come non detto. A domattina, buonanotte!"
"A
voi." replicò Camus.
"Le
tue capacità diplomatiche stanno facendo passi da gigante, i
miei
complimenti." sussurrò poco dopo, rigirandosi l'astuccio
porta sigarette
tra le dita. "Che c'è?"
"Lo
capisci da te, vero, che è un controsenso pensare al
colesterolo di un paio di ciambelle
glassate ma allo stesso tempo fumare?"
"Parli come se fumassi venti sigarette al giorno, ne fumo una ogni
tanto."
"Ecco,
questa è una delle classiche scuse che usate voi fumatori.
Sono seria. Una ogni
tanto o venti al giorno, non fa differenza: ogni sigaretta è
un chiodo per la
bara."
"...Mei..."
"Cosa
credi? Che prima o poi arrivi Lucifero e si porti via tutto il catrame
dai tuoi
polmoni dopo averti ficcato le mani nel petto?"
"Che
cosa?!" le rispose, sbigottito, non afferrando la citazione.
"Ti
ricordo che a casa ci sono quattro bambini che hanno bisogno di te. Io ho bisogno di te. Se non vuoi pensare
a me, okay, d'accordo, ma a loro quattro dovresti pensarci. Non
sprecare la
vita che ti ha ridato Zeus, perché non ce ne sarà
un'altra. Buonanotte, Camus."
Poche
ore dopo, Milo scese dal letto con i vestiti in mano, trovando Mei
già sveglia.
"Sapevo
che oggi ci sarebbe stata la luna piena, ma non mi aspettavo di vederla
già di
prima mattina..."
"Ehm...
ciao, Mei. Già in piedi?"
"Ciao
Milo. Come sarebbe? Sono le otto, per me è già
tardi." sorrise quest'ultima,
apparecchiando il tavolo per colazione e concedendo all'amico il tempo
necessario per coprirsi.
Saltellando
su un piede in equilibrio precario, Milo s'affrettò a
infilarsi slip e jeans.
"In quanto a buone maniere faccio pena, ma là sopra
è tanto difficile
rivestirsi quanto è facile spogliarsi." abbozzò a
mò di scusa. "È già
tanto aver preso le cose giuste anziché il tanga di
Shaina..."
"Ah,
non preoccuparti, ci vorrebbe ben altro per mettermi in imbarazzo,
certo non è
la prima volta che vedo un uomo. Anche se in tanga no, non mi
è ancora
successo." ridacchiò Mei.
"Potrei
vomitare." commentò Camus, uscendo dalla camera e
infilandosi in bagno.
"Certo,
c'è chi può permetterselo e chi no. Io posso."
Milo alzò la voce per farsi sentire, quindi la
riabbassò di nuovo. "Per quel che
può servire, credo
che tu abbia ragione su tutta la linea."
Mei
corrugò
la fronte.
"Di che parli?"
Milo si grattò la testa, imbarazzato.
"Vi ho
inavvertitamente ascoltati, ieri sera."
"Ci vuole poco ad ascoltarci a vicenda, dal momento che le pareti tra
un
locale e l'altro non sono di mattoni."
"Te l'avevo
detto che ieri sera sono usciti per colpa nostra..."
interloquì Shaina.
"Guarda che avevo davvero intenzione di provare quel locale."
mentì
abilmente, stupendosi di quanto fosse diventata brava, con le bugie,
seppur a
fin di bene. "E il loro tiramisù, detto tra noi, era
squisito, con i
savoiardi intinti nel caffè e non nel rhum o in
chissà quale schifezza
estrapolata dalle ricette made in Usa. Se proprio devo trovare qualcosa
che mi
ha dato fastidio ieri sera, è l'aver ordinato una torta al
posto del tiramisù
in questione."
"Perciò
non ci avete sentito mentre...?" insisté Shaina.
Mei ci pensò su un attimo, indecisa se mentire o no. Ma in
tal caso, neanche la
sua più riuscita bugia sarebbe servita a qualcosa.
"...a tal proposito dovresti insegnarmi qualche trucchetto
perché il mio
non ha mai urlato in quel modo." le sfuggì, obbligando Milo
a schiarirsi
la voce, la mano a coprirsi gli occhi.
"Athiná
mou..."
"Dai,
siamo tutti adulti e vaccinati qui." ridacchiò Mei. "E poi,
se non
posso fare le battutacce oscene con voi, con chi dovrei farle, con
Shunrei? Per
carità del cielo, l'ultima cosa che voglio è
sentir parlare mia cognata di come
si comporta mio fratello a letto."
"Perché,
è già successo?" intervenne Camus, sedendosi
accanto a lei. La vide
rabbrividire, ricordando certe frasi della cognata. "Lo prendo per un
sì."
"Ma non
pretenderai mica che si comporti da monaco, no?"
Mei roteò gli occhi.
"Non ho
detto questo, ma è mio fratello, a nessuno piace ascoltare
certe cose riguardo
il ragazzo al quale hai persino cambiato i pannolini e dato il biberon."
"Beh, ma dovresti pensare al fatto che adesso è un uomo,
Mei, non è più il
bambino al quale davi la pappa. È cresciuto e ha certe
esigenze, come tutti."
continuò Milo.
"Una
parte di lui per me sarà sempre il bambino col quale ho
giocato e il ragazzo
che con me ha condiviso tante cose. Non capisci che non è la
sua maturità che
mi dà fastidio, ma i dettagli intimi.
L'ultima volta ho impiegato settimane a non pensare alla sua posizione
preferita quando parlavo con lui. Fa sesso? Ottimo, buon per lui, tutti
lo
facciamo, ma un conto è ascoltare dettagli su un amico, un
altro è sul sangue
del tuo sangue: se andassi da lui e gli parlassi della mia vita
sessuale,
Shiryu mi direbbe ma che schifo! e
ti
dirò, non avrebbe tutti i torti."
Milo ci pensò su un attimo, mentre beveva il suo
caffè.
"A te da
fastidio quando parlo di certi argomenti?" domandò quindi a
Camus.
"Andiamo,
Milo, non puoi paragonare le due situazioni, non siete fratelli."
sospirò
Shaina.
"Lascialo rispondere."
L'interessato impiegò più tempo del normale per
vuotare la sua tazza di tè, nel
tentativo di evitare la domanda.
"D'accordo,
io ne parlo più spesso di te e spesso devo cavarti le parole
di bocca,
ma..."
"Io non scendo mai nei dettagli perché sono cose troppo
private."
rispose infine Camus.
"...e perché conoscendoti, diventeresti rosso pomodoro."
sghignazzò
Milo.
"Vogliamo
rimetterci in movimento, visto che dobbiamo arrivare in Kansas e in
Oklahoma
oggi?" ribatté l'altro punto sul vivo, alzandosi da tavola.
"Ecco, appunto."
Più
tardi
quella sera, Hyoga sistemò il tablet sul supporto, prima di
avviare Skype e
attendere una risposta; dall'altra parte, dopo circa un paio di minuti
d'attesa,
rispose Mei.
"Ciao. Camus non
può rispondere, sta
aiutando Milo a ritirare le moto. Se ti da fastidio aspettare, ti
consiglio di
richiamare più tardi."
"Aspetto,
non ho
fretta. Volevo dirti che per la sorpresa è tutto a posto,
Kirill e gli altri
sono stati informati e sono tutti lieti di aiutarti. Anche il vestito
è pronto
e volevo sapere se va tutto bene, dove siete..."
Shaina, con i capelli umidi raccolti in un mollettone, le
andò in aiuto
rispondendo a Hyoga.
"Ciao, Hyoga, tutto bene, siamo partiti
da poche ore ma siamo fermi in Kansas e ci siamo lasciati l'Illinois e
il
Missouri alle spalle. Praticamente abbiamo incontrato l'unico giorno di
pioggia
di questo periodo e i due baldi uomini che ci accompagnano stanno
ritirando le
moto perché l'acquazzone è pazzesco, senti? Roba
da non crederci."
Sentiva
chiaramente il rumore della pioggia battente sul tetto del camper,
accompagnato
dalle voci attutite di Milo e Camus.
"La
solita sfortuna eh?" ridacchiò, intravedendo dei movimenti
alle spalle di
Shaina.
"Che tempo del cavolo. Non piove
mai, e quando decide di farlo? Quando noi siamo qui." si
stava
lagnando Milo.
"Guarda che in
Kansas piove
regolarmente, siamo solo stati sfortunati." sentì
Camus subito dopo. Entrò nel suo
campo visivo pochi secondi dopo: bagnato fino alle ossa con i capelli
appiccicati alla testa e i vestiti che grondavano acqua.
"Ehilà."
li salutò, agitando le mani.
Camus si avvicinò subito al computer, con un gran sorriso
sulle labbra, mentre
Mei dispiegava sulle loro teste fradice due asciugamani.
"Privjet! Come
state? E i
bambini?"
"Shunrei
ha messo a dormire i piccoli, Lixue invece è più
testarda e insiste per stare
ancora un po' sveglia, qui sono le ventuno e trenta e per ora va tutto
bene. La
sedia a dondolo entrata nel Guinness dei primati l'avete vista?"
"Vista e fotografata, ovviamente."
s'intromise Milo. "Che ti stai
perdendo! Adoro questo viaggio, anche se, ad essere sincero, a furia di
stare
su quella sella ho un gran male al culo."
Hyoga
scoppiò
a ridere, accorgendosi tardi della presenza di Lixue alle sue spalle;
presenza
che invece non sfuggì a Camus, che rivolse all'amico uno
sguardo di brace.
"Scusatelo, il premio Nobel per la
Finezza oggi è un tantino su di giri."
"Oddio
quanto mi mancate." rise Hyoga poco dopo.
A parte
poche
altre manifestazioni climatiche avverse, il foro di una gomma e una
mezza
indigestione di Milo, il resto del viaggio proseguì quasi
senza intoppi:
riuscirono ad arrivare a Santa Monica con un giorno d'anticipo,
approfittando
di quelle ore in più per girare un po'.
Persino il
concerto, nonostante i brutti presentimenti di Camus, filò
liscio come l'olio.
**
"Finalmente!
Quasi dimenticavo le vostre facce." sorrise Shura, incrociandoli
davanti
alla prima casa, intenti a scaricare le valigie dall'auto di Milo.
"Com'è
andato il viaggio?"
Camus rispose alla stretta dell'amico, prima di rispondergli.
"Prova
tu a farti Milano – Atene in economica, con le ginocchia che
quasi toccano la
gola, dopo Los Angeles – Milano in premium."
borbottò. "Fortuna che è
durato solo due ore e mezza."
"Shura!
Ciao, amico!" interloquì Milo, con la voce roca.
"Come
mai questa voce? Che vi è successo?"
"Concerto dei Kiss, tre sere fa... la voce ancora non ci è
tornata."
spiegò Mei.
"E avete
portato anche Camus? Ah sì, avrei proprio voluto vederlo!"
"Non ho
mai detto che i Kiss non mi piacciono, solo che non sono un pazzo
esaltato come
quei tre." rispose l'interessato. "La nota positiva è che
almeno
hanno un buon motivo per stare un po' zitti."
"Nota
più che positiva, direi." convenne Shura. "Vi fermerete
ancora o
partirete?"
"Prendiamo i bambini e torniamo a casa, a parte la licenza matrimoniale
del mese prossimo, io ho esaurito le ferie e Mei ha alcune faccende da
portare
a termine." rispose Camus, seguendolo poi lungo le scale, fino ad
arrivare
a destinazione.
Più
tardi,
mentre Lixue era intenta a guardare le foto del viaggio, Mei si
precipitò in
bagno.
"Non
vedevo l'ora di farmi una doccia." sospirò Camus,
stiracchiandosi.
"Ho ancora male alle gambe, non hai idea. Che c'è?"
"Dovresti portarmi all'ottava casa con una certa urgenza."
"Okay,
lasciami indossare qualcosa, prima. Cos'è successo?!"
Mei
indicò il
neonato che portava in braccio.
"Fedra
ha scambiato i bambini, questo è Nikos, non Milo."
Camus
s'avvicinò, allungando le braccia per prendere il bambino.
"Ma
guarda chi c'è!" sorrise.
"Eh no,
adesso è il mio turno, in ospedale non mi ci hai neanche
fatto
avvicinare." protestò Mei. "Noto con piacere che delle
ancelle del
santuario c'è proprio da fidarsi, se non riescono a
distinguere un bambino
occidentale da uno con evidenti tratti orientali. Passi una delle
ragazze
giovani, ma Fedra dovrebbe essere in grado di notare la differenza."
"…con
gli occhi chiusi si somigliano molto però." disse Camus.
"Se non
fosse per la carnagione color mozzarella di mio figlio rispetto a
quella caffelatte
di Nikos."
"…beh
un
errore capita a tutti, dai."
Mei inarcò un sopracciglio.
"Per fortuna quelle ragazze non lavorano in ostetricia o scambierebbero
neonati e genitori di continuo."
Quando
comparvero all'ottava casa, Milo andò loro incontro.
"Stavamo
per venire da voi, Fedra ci ha dato il vostro Milo al posto di Nikos."
"Da cosa
te ne sei accorto, dal vago aspetto orientale di mio figlio?"
scherzò
Camus.
"No. Dal
suo appetito, s'è scolato un intero biberon nel giro di
pochi minuti: in questo
assomiglia molto a me." rispose Milo, allungando le mani verso il
figlio.
"Uhm,
devo proprio?" protestò Mei, stringendo al petto Nikos e
lasciandogli un
lungo bacio sulla fronte prima di restituirlo agli amici. "Ringraziando
il
cielo Milo ha un buon appetito, a quasi tre mesi ha la costituzione di
un
bambino di uno e mezzo. Vieni amore mio, saluta gli zii, torniamo a
casa."
***
Lady
Aquaria's corner:
–Il titolo si riferisce all'omonimo brano dei Kiss.
–Mr.Freeze è un nomignolo scelto non a caso:
deriva dal personaggio omonimo
della DC Comics, interpretato da Arnold Schwarzenegger in Batman
& Robin
(quello con Clooney, per intenderci).
–Tommy
Thayer
è il chitarrista dei Kiss (ruolo "ereditato" da Ace
Frehley); la sua
maschera è quella de The Spaceman, l'uomo dello spazio.
–No,
la
pessima performance della soprano che ha inaugurato la stagione
teatrale
2019/2020 alla Scala lo scorso dicembre, non l'ho digerita.
–Le
scuse di
Camus si riferiscono a questa
drabble, della raccolta "Love her
all i can".
–La
citazione
di Mei riguardo Lucifero e il catrame nei polmoni è tratta
dal film Constantine
(del 2005).
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