I maestri della Maverick Academy

di Samy Piperita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio - L'isola di Maverick ***
Capitolo 2: *** Il campione dei campioni ***
Capitolo 3: *** In viaggio verso casa ***
Capitolo 4: *** Dubbi e vecchi amici ***
Capitolo 5: *** Festa a casa di Gary ***
Capitolo 6: *** Il cerchio si chiude ***
Capitolo 7: *** EPILOGO - L'isola dei sogni ***



Capitolo 1
*** Preludio - L'isola di Maverick ***


Premessa

Prima di tutto, devo sottolineare che non seguo l’anime da una vita, più o meno da quando Misty è stata tolta dal cast principale. Durante questo inverno ho cercato di recuperare più informazioni che ho potuto, ma non so se tutto ciò può essere auspicabile nella storia ufficiale e se i personaggi sono in linea con loro stessi. Se scriverò delle baggianate, vi chiedo di essere clementi e farmele notare/infamarmi con garbo.
Da molto tempo volevo scrivere una storia su Ash e Misty, mi ritengo una pokeshipper di vecchia data. Negli ultimi mesi, dopo aver abbandonato il fandom per anni, la passione per questa coppia è tornata prepotente e ha dovuto sfogarsi in qualche modo. Il risultato è questa fanfiction. Grazie in anticipo a tutti quelli che la leggeranno, se mi lascerete un commentino ne sarò molto felice.


 
Preludio
L’Isola di Maverick

Non sapeva perché fosse finito in quel bar, né aveva fatto caso a come si chiamasse, non aveva la minima importanza. Non ricordava nemmeno di preciso in quale parte della città si trovasse. I toni della giornata erano grigi, come ogni cosa dentro la bettola, ma forse era solo per via del suo umore. Il barista grasso, puzzolente e malvestito gli mise di fronte un altro bicchiere. Era già il terzo, peccato che gli altri due non avessero avuto effetto.
“Non andare a casa sua, faresti solo casino.”
Ash immaginò l’espressione severa di Brock, seduto sullo sgabello accanto al suo, intento a bere una bibita con la cannuccia, mentre lui tentava di scassarsi di alcol. Pensò a come l’avrebbe presa sua madre, che lo riteneva praticamente astemio.
Lo ero fino a poco tempo fa.
“Lei ora è felice, con un’altra persona, rivederti la farebbe soffrire di nuovo.” Infierì Brock.
Ash strinse il bicchiere, rischiò di frantumarlo, per non tirare un manrovescio all’amico.
“Pensavi che ti aspettasse ancora, dopo tanto tempo?”
Ash non rispose, tracannò il liquido ambrato per evitare di piangere subito.
“Oh, l’ha fatto, l’ha fatto eccome!” Proseguì Brock implacabile. “Ha atteso per anni il tuo ritorno, ti amava in una maniera commovente. Ma tu non sei tornato, nemmeno ti sei fatto sentire. Quanti anni senza nemmeno una telefonata, Ash?”

Finalmente l’angoscia del sogno fu sufficiente a farlo svegliare. Si mise a sedere sul letto in un bagno di sudore, con l’impressione di avere dei mattoni all’interno del torace. Corse in bagno, facendosi venire un capogiro per essersi alzato bruscamente. Aprì il rubinetto dell’acqua fredda e vi mise sotto la testa, restandovi a lungo. Quando si risollevò gocciolante, strinse i bordi del lavello fino a far sbiancare le nocche, contemplando l’immagine ansimante, stravolta restituita dallo specchio. Si lasciò sfuggire un singhiozzo, mentre il contenuto dello stomaco minacciava di risalire.
Il sogno del bar, in cui il buon vecchio Brock gli dava la misura della sua stupidità, era il più frequente, ma era anche preferibile a molti altri che lo tormentavano. Spesso si ritrovava in qualche luogo oscuro e sentiva la sua voce chiamarlo disperatamente, ma per quanto si affannasse non riusciva a raggiungerla. Altre volte tornava a Celestopoli solo perché una delle sue sorelle lo informasse che lei era ormai sposata, o partita, o in fin di vita all’ospedale, o già sotto un metro di terra. A turno, Daisy, Violet e Lily lo accusavano di quanto accaduto alla sorella minore.
Soltanto in un’occasione, per fortuna, aveva sognato di essere prigioniero insieme a lei, nel covo di una qualche banda di malviventi, non necessariamente il Team Rocket. A un certo punto le avevano tagliato la gola sotto i suoi occhi, senza che lui potesse intervenire. Dopo quell’incubo si era svegliato urlando ed era corso in bagno a vomitare anche l’anima.
Tornò a sedersi sul letto frizionandosi i capelli con un asciugamano. Tentare di rimettersi a dormire era fuori questione, i sogni erano in agguato, poteva quasi sentirli, sembravano grossi ratti che zampettassero nel buio. Gettò uno sguardo scettico alla pila di libri che occupavano buona parte della scrivania, le letture basilari per tutti gli aspiranti Pokémon Master iscritti alla Maverick Academy. Pensò che non sarebbe riuscito a concentrarsi nemmeno sulla prima riga.
Bussarono alla porta e Daniel, il ragazzo della stanza accanto, mise dentro la testa.
“Ti ho sentito muoverti.” Spiegò in tono partecipe. “Ancora brutti sogni?”
Ash si limitò ad annuire, senza incrociare lo sguardo di Daniel.
“Chiamami, se hai bisogno di qualcosa.”
Ash annuì di nuovo.
“Grazie.”
Ascoltò i passi del compagno di studi mentre tornava nella sua stanza. Avrebbe dovuto mostrarsi riconoscente per quelle attenzioni ma non ci riusciva, avrebbe preferito che gli altri lo lasciassero solo, a fare i conti con il dolore che si era meritato.
Daniel faceva parte del suo gruppo di lavoro, insieme a Elton, Greta e Christine. Erano tutti ragazzi in gamba, altrimenti non avrebbero fatto parte della Maverick Academy, ma pareva che la proverbiale capacità di Ash Ketchum di stringere amicizie, in quel periodo, fosse in letargo. Inoltre doveva riconoscere che il suo apporto nelle attività del gruppo era il meno significativo, sebbene nessuno dei compagni se ne lamentasse. Per il momento, erano disposti ad aspettarlo.
Un flash di memoria lo attraversò facendogli sentire quasi un dolore fisico, un’altra persona si era detta disposta ad aspettarlo, tanti… troppi anni prima.
Non avrebbe saputo dire in quale momento Misty fosse riapparsa a tempo pieno nei suoi pensieri. Forse quando aveva respinto Serena, senza capire esattamente perché lo stesse facendo. Forse quando aveva visto in TV quello speciale sulle palestre del Kanto e fra i personaggi intervistati era apparsa proprio Misty, un imprevisto che lo aveva lasciato boccheggiante. Forse era per via dell’atmosfera distesa, riflessiva, quasi intima che si respirava sull’Isola di Maverick, come alcuni dei suoi compagni di corso avevano ipotizzato. In effetti, da quando vi abitava, aveva una vita molto più organizzata, aveva tempo per ragionare su di sé, su ciò che voleva nel suo futuro e come muoversi per raggiungerlo. Non che avesse abbandonato il sogno di diventare Pokémon Master, era andato a studiare sull’isola proprio per questo, ma forse cominciava finalmente a intuire che ciò non poteva rappresentare il cento percento della sua vita. Di certo, in ogni momento in cui non poteva impegnare la mente in un’attività manuale, ricordava gli anni passati con Misty, convincendosi sempre di più che fossero stati i migliori.
Sentiva che la sua prima compagna di viaggio gli mancava, da morire. Forse, si diceva, lei non se n’era mai andata davvero.
Aprì il cassetto del comodino, all’interno vi erano soltanto due oggetti. Uno era il fazzoletto che lei gli aveva regalato quando si erano salutati, accuratamente pulito e ripiegato. Recuperò il secondo, pur sapendo che gli avrebbe fatto male. La foto li mostrava sorridenti, felici, in una giornata di sole durante uno dei loro viaggi. Era la sola foto in cui fossero soltanto loro due, senza Pokémon, l’unica in cui si tenessero per mano. Non ricordava esattamente dove e quando fosse stata scattata, ma aveva ben presente il momento in cui aveva afferrato la mano di Misty, la sorpresa mista a gioia e imbarazzo sul volto di lei. Quando guardava quella foto, il morso della nostalgia gli toglieva quasi il fiato.
Infilò una mano sotto la maglia del pigiama e strinse l’esca con le sembianze della ragazza. La portava sempre al collo, non la toglieva nemmeno per dormire o per fare la doccia. Due lacrime gli rigarono il viso, ma le asciugò con rabbia. Se si era giocato per sempre la persona più importante, era il solo da biasimare.
Pensarci faceva malissimo.

Sperò che, essendo Daniel sveglio, dovesse mancare poco all’alba, che fossero almeno le cinque. Raccattò il cellulare per verificare, poi lo lasciò ricadere sul letto con un gesto che sapeva di sconfitta. Mancava un quarto alle due e non avrebbe avuto da fare fino alle otto e trenta.
Facendo attenzione a non fare rumore, si tolse il pigiama e recuperò dall’armadio la tenuta da lavoro, pensando che ai ragazzi del turno di notte non avrebbe dato fastidio un aiuto in più.
Una delle regole basilari della Maverick Academy era che non si pagassero rette, l’accesso alla scuola avveniva esclusivamente per merito e capacità. Per contro, tutti gli allievi dovevano guadagnarsi vitto, alloggio e istruzione lavorando duramente nell’immenso Parco Pokémon annesso alla scuola. La vita di ognuno era quindi organizzata secondo l’alternanza di ore in aula e turni lavorativi. Ash trovava che fosse un ottimo sistema, creava affiatamento e un legame forte fra gli allievi e la scuola. Il senso di appartenenza era fra le cose tenute in maggior considerazione, gli studenti dovevano sentirsi a casa.
Non uscì dalla porta, lungo il corridoio altri potevano preoccuparsi delle sue condizioni, inoltre aveva un metodo più comodo delle scale per raggiungere il Parco Pokémon.
Camminò nella calda oscurità che avvolgeva la grande balconata di quel piano del dormitorio, facendosi guidare da un borbottio che gli era ben noto. Pikachu e Charizard conversavano amichevolmente seduti in un angolo appartato.
Quando gli insegnanti avevano sentito che Ash possedeva un Charizard e questo aveva più volte combattuto in combo con Pikachu, avevano insistito perché l’allievo facesse arrivare il Pokémon di fuoco sull’isola, per vedere con i propri occhi una collaborazione tanto insolita. Pikachu era stato felicissimo di riabbracciare il suo vecchio amico e compagno di tante battaglie, anche Charizard lo era stato, benché meno disposto a manifestarlo. I due passavano quasi tutto il tempo libero, anche notti intere, a raccontarsi le loro esperienze. Ash doveva ammettere con se stesso di invidiare la compagnia che si facevano.
“Scusate il disturbo, ragazzi.”
“Pikapi!” Lo salutò Pikachu.
Charizard fece un verso gutturale e le fiamme sulla punta della sua coda arsero più intense.
“Ti dispiace darmi un passaggio al Parco?” Domandò Ash al Pokémon di fuoco.
L’interpellato annuì e si mise in posizione perché l’allenatore gli montasse in groppa, mentre Pikachu balzava felice sulla spalla del ragazzo.

Il Parco Pokémon era un immenso complesso comprendente un gran numero di strutture, disposte con ordine nella foresta che sorgeva oltre gli edifici della Maverick Academy. C’erano strutture per l’accoglienza dei Pokémon, laboratori per gli studi, campi di addestramento per quasi tutte le categorie del mondo. Quando vi era entrato la prima volta, Ash aveva pensato che non potesse esistere posto migliore per lavorare con i Pokémon e con il passare dei giorni quel pensiero non faceva che rafforzarsi.
Fece atterrare Charizard di fronte alla guardiola dei capiturno, dove venivano affissi gli ordini del giorno.
Zona di Accoglienza 3, capoturno: Liam Townsend.
Lesse sul programma di quella notte.
Pensò che fosse un buon inizio, aveva già lavorato con Liam e lo trovava simpatico, oltre che molto capace nel loro “mestiere”.
La Zona di Accoglienza 3, quando la sorvolarono, era interamente illuminata dai riflettori, inoltre tutti gli addetti ai lavori portavano lampade frontali e grosse torce. C’era un gran viavai di uomini, Pokémon operai e mezzi, volavano ordini e colpi di clacson. Ash fece atterrare Charizard in una zona di tranquillità, dove non avrebbe intralciato nessuno. Intercettò la prima persona che gli passò accanto, chiedendo dove potesse trovare il capoturno, gli fu indicato un deposito degli attrezzi poco distante. Disse a Pikachu e Charizard che potevano tornare al dormitorio e osservò i due finché non sparirono nell’oscurità della notte.
Quando Ash raggiunse il deposito degli attrezzi, Liam stava distribuendo pale, picconi e sistemi d’illuminazione ai membri della sua squadra.
“Liam!”
“Ash!” Lo accolse il capoturno. “Che ci fai qui?”
“Non riuscivo a dormire, ti serve un operaio in più?”
Liam si strinse nelle spalle.
“Male non fa. È in arrivo un carico di selvatici di grossa taglia, quelle gabbie devono essere pulite e pronte all’uso entro le otto.”
Liam indicò un orrendo ammasso di metallo e fango che si ergeva minaccioso dove gli alberi erano più fitti. Ash cercò di calcolare a occhio quanti gabbioni vi fossero impilati, più di un centinaio sicuramente. Almeno trenta operai umani e una cinquantina di Pokémon erano al lavoro per districare le singole gabbie dalla confusa catasta. Ash emise un verso di disgusto.
“Da quanto tempo non vengono utilizzate?”
“Si era pensato di rottamarle.” Spiegò Liam. “Per fortuna non l’abbiamo fatto. Prendi una pala e vieni con me, sarà una lunga notte.”
Ash fece quanto richiesto, ansioso di mettersi al lavoro. Una lunga notte di fatica era ciò che gli serviva per tenere i pensieri lontani da Misty, almeno per qualche ora.

 
*

Spazio autrice
Seguendo una delle regole cardine del fratellone Gulminar (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=88309), che ringrazio per i tanti consigli e l’infinita pazienza, in questa fanfiction ci sono almeno un’ambientazione e un personaggio importante originali. Ovviamente mi riferisco al dottor Maverick e alla sua isola, spero che vi piaccia leggere di loro come a me è piaciuto crearli.
A presto (spero) per il prossimo capitolo.
Samy
 

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Capitolo 2
*** Il campione dei campioni ***


Il campione dei campioni
 
“Ash! Ash Ketchum!”
Qualcuno lo chiamava e lo scuoteva.
“Ancora cinque minuti, mamma, ti prego.” Mormorò con la bocca impastata.
“Non sono tua madre.”
In effetti, sua madre non si sarebbe limitata a scuoterlo, l’avrebbe scaraventato fuori dal letto o gli avrebbe versato un tegame d’acqua fredda addosso.
Ash aprì gli occhi in uno spiraglio, di fronte a lui c’era una ragazza che non conosceva. Riconobbe però l’interno di uno dei locali adibiti al ristoro dei lavoratori e gli tornarono alla mente i particolari della notte. Aveva lavorato come un forsennato insieme alla squadra di Liam, a turno ultimato avevano fatto colazione e subito dopo lui era crollato su uno dei divani, affondando in un sonno profondo, finalmente senza sogni.
“Che ore sono?” Domandò.
“Quasi le tre del pomeriggio.” Rispose la ragazza.
“Accidenti, ho saltato il mio turno?”
“Il capoturno Townsend ha chiesto una giornata di riposo a tuo nome, visto quello che hai fatto stanotte.”
Ash annuì, pensando che avrebbe dovuto ringraziare Liam non appena lo avesse visto.
“Ma il dottor Maverick vuole vederti, nel suo ufficio, appena puoi.”
Ash deglutì duro. Aveva già parlato con il dottor Maverick di persona, ma non era ancora stato convocato nel suo ufficio.
“Di cosa mi vuole parlare?”
“Non ne ho idea, a me hanno solo detto di rintracciarti. Qui fuori c’è il tuo Charizard, ti riaccompagnerà in dormitorio, così potrai farti una doccia e renderti presentabile.”
 
Adolphus Maximilian Maverick.
Per il mondo intero era il campione dei campioni.
Da Pokémon Master era stato per diversi anni il dominatore assoluto della scena mondiale, vincendo titoli ovunque avesse combattuto. Si era ritirato dall’attività agonistica all’improvviso, quando sarebbe stato in grado di vincere ancora molto, sorprendendo gli addetti ai lavori e lasciando increduli e amareggiati i suoi tantissimi fan.
Dopo il ritiro dall’attività agonistica, si era affermato come studioso di prim’ordine. Aveva viaggiato in lungo e in largo raccogliendo un’immensa mole di materiale documentario, che poi avrebbe costituito il patrimonio di partenza della Maverick Academy.
Al momento da lui ritenuto opportuno, aveva scelto un tratto di mare tropicale non interessato dalle rotte navali. I suoi Pokémon avevano creato l’isola, perché fosse la sede idonea a proseguire i suoi programmi. Per prima era sorta la gigantesca villa in stile vittoriano, che sarebbe stata la dimora per lui e per gli apprendisti più meritevoli. In seguito erano stati costruiti la scuola, in cui istruire allievi severamente selezionati, e il Parco Pokémon, in cui condurre un grande numero di studi. Completava il tutto un piccolo villaggio di pescatori, fedelissimi dipendenti del dottor Maverick, che gestivano l’unico approdo dell’isola e controllavano che nessun ospite indesiderato venisse a ficcanasare.
Il complesso Maverick riceveva di continuo titoli e riconoscimenti per l’inesausto contributo che forniva alla conoscenza dei Pokémon. Il dottor Maverick viaggiava spesso in tutto il mondo per presenziare a varie manifestazioni. Nel suo studio scriveva libri che erano best sellers prima ancora di essere pubblicati, dirigeva le attività della scuola e del Parco Pokémon e trovava anche il tempo per occuparsi degli allievi.
Si diceva non dormisse mai.
 
Mentre aspettava di essere ricevuto, Ash rimuginava sul percorso che lo aveva portato fin lì. Per come tutto si era sviluppato, sembrava un lungo sogno a occhi aperti.
Aveva sentito parlare per la prima volta della Maverick Academy diversi mesi prima, quando si trovava ospite di una piccola palestra nella regione di Kalos. Una mattina si era sparsa la voce che un maestro diplomato alla Maverick Academy era giunto in visita alla palestra e si sarebbe trattenuto alcuni giorni. Quel giorno era in programma un’esercitazione che gli allenatori della palestra ritenevano massacrante e che in ben pochi riuscivano a concludere. Ash, insieme a molti altri, vi si era cimentato per l’intera mattinata, con risultati a dir poco deludenti. Il maestro della Maverick Academy, un esperto in Pokémon di tipo Fuoco, interpellato sull’argomento, aveva definito l’esercitazione una grandiosa idiozia, poi l’aveva risolta con facilità umiliante. Senza dare ascolto all’orgoglio ferito, Ash aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per studiare nella stessa scuola di quel fenomeno.
Arrivare sull’Isola di Maverick non era stato troppo difficile, nemmeno essere accolto nel piccolo villaggio di pescatori che ne costituiva il solo accesso. Più complicato era risultato restarci. Era dovere degli abitanti fare di tutto per scoraggiare quanti aspiravano a un posto alla Maverick Academy, per questo molti abbandonavano l’isola in breve tempo. Ash però aveva intuito che resistere all’ostruzionismo degli abitanti era solo la prima delle prove di ammissione, quindi aveva tenuto duro per settimane. Proprio quando stava per arrendersi, al culmine della frustrazione, le cose erano cambiate.
Una mattina si era seduto in un piccolo bistrot, con l’idea di imbarcarsi sul primo traghetto disponibile, ma un signore anziano si era seduto di fronte a lui e aveva offerto la colazione. Era un uomo di bell’aspetto, dalle maniere educate, molto alto, vestito in maniera squisita. Appuntato sulla sua giacca brillava il distintivo rosso e oro dei maestri della Maverick Academy.
“Ti chiami Ash, dico bene?” Aveva esordito, spalmando la marmellata sulle fette di pane.
L’interpellato, avendo intuito di avere di fronte il dottor Maverick in persona, era riuscito soltanto ad annuire. Pikachu si era nascosto dietro la spalla del ragazzo, osservando l’anziano signore con occhi pieni di timore reverenziale.
“Da dove vieni?”
“Biancavilla, signore, nel Kanto.”
“Graziosa cittadina.” Il dottor Maverick aveva annuito sorridendo. “Ci sono stato una volta soltanto, ma ne conservo un buon ricordo.”
Che un uomo del genere, con tutti i viaggi che aveva alle spalle, ricordasse uno sputo di paese come Biancavilla era davvero difficile da credere.
“Così, sei qui per studiare nella mia scuola.”
“Mi piacerebbe molto, signore.”
“E come ti è venuto in mente?”
“Ho visto uno dei vostri maestri all’opera, qualche tempo fa, nella regione di Kalos, è stato incredibile! Gli ho chiesto come arrivare qui ed eccomi.”
“Sai già che sarà molto difficile entrare.”
“Mi hanno detto che le prove di ammissione sono molto dure, che quando si è dentro è molto facile essere espulsi, se non ci s’impegna al massimo.”
Il vecchio aveva annuito.
“Lo spirito è questo. Allora, sei deciso a tentare?”
“Assolutamente, signore.”
“Pika Pika!” Aveva confermato Pikachu, trovando coraggio.
“Benissimo.” Il dottor Maverick aveva fatto scivolare attraverso il tavolo un tesserino magnetico. “Presenta questo in portineria, domani mattina, entro le otto. Ti faranno i primi colloqui, poi ti daranno il programma delle prove di ammissione.”
Terminata la colazione, l’anziano maestro si era alzato, Ash non c’era riuscito, sbigottito da quanto era appena accaduto.
“Spero di vederti presto inserito nelle liste scolastiche, Ash Ketchum di Biancavilla, buona fortuna. E buona fortuna anche a te, piccolo amico.”
“Grazie, signore, grazie!”
“Pikachu!”
 
Ash non avrebbe mai dimenticato ciò che gli era piombato addosso il giorno dopo. Per prima cosa, lo avevano sottoposto a una serie torrenziale di colloqui con vari specialisti, che lo avevano bombardato di domande e si erano fatti raccontare tutta la sua vita nel mondo dei Pokémon. Non solo aveva dovuto presentare loro tutte le medaglie e i trofei vinti, gli avevano chiesto di relazionare, nel dettaglio, tutte le battaglie sostenute, vinte e perse. Aveva parlato dei Pokémon catturati, posseduti, allenati, liberati, anche solo conosciuti, delle palestre visitate, delle leghe e dei tornei cui aveva partecipato. Subito dopo erano iniziati gli esami scritti, con mostruosi test da centinaia di domande, seguiti da battaglie difficilissime contro allievi e maestri della scuola. Ash le aveva perdute tutte, nonostante avesse dato il massimo.
Alla fine di quel carosello senza respiro, durato un’intera settimana, gli avevano spiegato che per essere ammesso doveva ottenere un punteggio di almeno sessanta punti su cento. Lo avevano lasciato tre giorni interi a tribolare, in attesa del risultato. Quando gli avevano comunicato che aveva ottenuto sessantatré punti ed era entrato per un soffio, aveva pensato che il cuore potesse esplodere. Era ufficialmente iscritto alla Maverick Academy, cosa in cui persino il grande Gary Oak aveva fallito, come Ash aveva appreso durante una telefonata a casa.
Il giorno successivo gli avevano consegnato l’uniforme scolastica, le tenute da studio e da lavoro, i primi libri di testo, una camera nel dormitorio e i programmi che avrebbe dovuto seguire. L’efficienza che pervadeva ogni aspetto della scuola aveva lasciato Ash senza fiato, facendogli capire subito che alla Maverick Academy le perdite di tempo e lo scarso impegno non erano tollerati, che occorreva dare il massimo fin dal primo momento. Ciononostante, non mancavano i momenti di relax e di svago, nei quali conoscere i compagni di corso, divertisti e stringere legami. Anche impegnandosi, Ash non sarebbe riuscito a trovare un difetto in quell’organizzazione.
 
“Ash Ketchum.”
La segretaria personale del dottor Maverick, una giovane donna che poteva avere l’età di Brock, lo osservava a pochi passi, Ash non capì da dove fosse sbucata.
“Il dottor Maverick può riceverti, prego.”
Indicò la porta dell’ufficio, Ash sentì il cuore accelerare e lo stomaco colto da rimescolio. Sapeva che il dottor Maverick passava in quello studio la maggior parte del tempo, dirigendo tutte le attività dell’isola. Era il cuore dell’intero regno fatato.
La stanza era rettangolare e piuttosto grande, ricolma di libri, le pareti ne erano ricoperte fino all’elegante soffitto dipinto. Prendeva luce da due grandi finestre opposte all’ingresso, sotto le quali era sistemata una smisurata scrivania. Il dottor Maverick sedeva al computer e stava scrivendo qualcosa. Alle sue spalle, notò Ash, una nicchia era incastonata fra le finestre e ospitava il ritratto di una giovane donna dai lunghi capelli nerissimi.
“Ash!” Lo accolse cordialmente il maestro. “Accomodati.”
Ash si sedette su una delle poltroncine di fronte alla scrivania, mentre Pikachu, come nel precedente incontro con il dottor Maverick, si nascondeva dietro la sua spalla.
“Mi hanno detto che stanotte hai lavorato nonostante non fossi in turno.” Iniziò il dottor Maverick, senza tergiversare in convenevoli.
“Sì, maestro.” Rispose Ash con un filo di voce. “Non riuscivo a dormire e ho preferito andare a lavorare, mi dispiace molto di aver infranto le regole.”
Sapeva che inventare scuse sarebbe stato perfettamente inutile, ma il dottor Maverick sorrise e fece un gesto accomodante con le mani.
“Tranquillo, non ti sto rimproverando, quello che hai fatto è apprezzabile, come lo è l’impegno che metti sempre sul lavoro. Quello che non capisco è perché i tuoi risultati a scuola non siano altrettanto positivi.”
Ash boccheggiò, ma il dottor Maverick proseguì implacabile.
“I tuoi insegnanti mi hanno detto che al Parco Pokémon ti dai da fare come un matto, mentre a scuola non riesci proprio a ingranare, eppure le capacità le avresti.”
Ash non poté fare a meno di annuire.
“Sapresti spiegarmi perché? Suppongo che il problema sia lo stesso che non ti fa dormire.”
“Pensieri.” Rispose il ragazzo evasivo. “Troppi pensieri.”
Il dottor Maverick annuì.
“Quindi, il lavoro manuale ti permette di tenere a bada i pensieri, mentre non riesci a concentrarti sullo studio.”
Ash deglutì a fatica.
“Un’analisi perfetta, maestro.” Fu costretto a riconoscere.
Il dottor Maverick osservò l’allievo per una manciata di secondi, Ash non riuscì a reggerne lo sguardo. Pikachu, coinvolto nella difficoltà del suo allenatore, si era ormai completamente nascosto dietro la sua schiena.
“Lei come si chiama?” Domandò il dottor Maverick a bruciapelo.
Ash quasi trasalì, pensando di aver capito male la domanda. Con alcuni compagni di corso aveva accennato al fatto che gli mancasse una persona, ma non era andato oltre. Quella semplice voce era giunta all’orecchio del dottor Maverick? Oppure il vecchio maestro era così esperto e sensibile da intuire a occhio quale fosse il suo problema?
“Quando un ragazzo della tua età non riesce a dormire e a impegnarsi a scuola, la prima cosa che viene in mente è l’amore.” Spiegò il dottor Maverick. “Ho indovinato?”
Ash annuì, ormai c’era dentro e non aveva senso farsi scrupoli.
“Non so se è proprio amore, ma…”
“C’è una persona che ti manca.” Completò per lui il dottor Maverick. “Il suo nome si può sapere?” Insisté con un sorriso di comprensione.
“Misty.” Disse Ash in un soffio. “Si chiama Misty.”
“La capo palestra di Celestopoli?”
Ash trasalì di nuovo.
“La conoscete?”
Il dottor Maverick si strinse nelle spalle.
“Non di persona, ma sai che mi tengo informato sul nostro mondo. Certo, non conosco il nome di qualsiasi capo palestra esistente, ma lei ha fama di essere una in gamba e il suo nome mi è rimasto in mente, non è molto diffuso. Comunque, è lei che occupa i tuoi pensieri. In effetti, Biancavilla e Celestopoli non sono molto distanti.”
“Ci siamo conosciuti quando avevamo entrambi dieci anni.” Spiegò Ash con lo sguardo basso. “È stata la mia prima compagna di viaggio, ho passato anni indimenticabili con lei.”
Sentì il naso chiudersi e le lacrime cominciare a premere, le ricacciò indietro con rabbia. Si maledisse, non aveva messo in conto di trovarsi in una situazione del genere e mai avrebbe voluto mostrare simili debolezze al dottor Maverick.
“Ragazzo.” Osservò il vecchio maestro bonariamente divertito. “Sei innamorato perso!”
Ash quasi cadde dalla sedia per la sorpresa.
“Oh sì.” Insisté il dottor Maverick. “Mi basta guardarti per capirlo. Quello che non capisco è tutta questa sofferenza, qualcosa t’impedisce di stare con lei?”
Ash tentò di ricomporsi, mentre cercava parole adatte per rispondere.
“Il tempo che è passato.” Esalò a denti stretti, poi si prese la testa tra le mani. “Lei mi amava… tempo fa. È così palese, ora che ho finalmente un’età adatta per capirlo.”
“E ora non ti ama più?”
“No… cioè, non lo so! Non credo, è passato troppo tempo! Quando lei ha smesso di viaggiare per occuparsi della sua palestra io non ho fatto niente perché restasse con me, anche se mi sentivo morire dentro! L’amavo anche io ma ero ancora un bambino, non ero in grado di capirlo! E quando finalmente ci sono riuscito erano passati anni! Anni in cui non mi sono fatto né vedere né sentire, nemmeno una telefonata! Come… Come se non m’importasse nulla di lei!”
Ash non si era aspettato niente di quello che stava succedendo, le domande ficcanti del vecchio, il suo crollo e ora quello sfogo, in cui stava dicendo cose che non aveva mai confidato nemmeno a se stesso. Pikachu non fiatava, si limitava ad accarezzarlo timidamente sul collo nel tentativo di consolarlo.
“D’accordo, ti sei comportato in modo stupido.” Interloquì il dottor Maverick per fermare quel fiume in piena. “Ma, ripeto la domanda, sai per certo che lei non ti ama più?”
“Non ne ho idea, come ho detto, non la sento da una vita, ma è impossibile che mi stia ancora aspettando. Con il tempo che è passato, si sarà fatta sicuramente una vita con qualcuno.”
“Ha mai detto che ti avrebbe aspettato?”
Un’altra domanda fin troppo indovinata, Ash esitò a lungo prima di rispondere. Non avrebbe mai voluto affrontare una simile conversazione, con il dottor Maverick o con chiunque altro, ma doveva riconoscere che il vecchio maestro era maledettamente bravo nel rapportarsi con le persone e porre le domande giuste.
“Sì, l’ha detto.” Ammise infine. “Quando abbiamo smesso di viaggiare insieme e anche altre volte, quando ci siamo rivisti.”
Il dottor Maverick emise un sospiro e si distese sullo schienale della poltrona. Alzò lo sguardo al soffitto, come per raccogliere i pensieri.
“Sai, mio padre mi diceva spesso che la sola cosa davvero imprevedibile a questo mondo sono le donne. Sì, è molto probabile che Misty si sia rifatta una vita nel frattempo, ma forse è altrettanto possibile che ti stia ancora aspettando.”
Ash fece un sorriso amaro.
“Forse anche mio padre mi avrebbe detto cose del genere, se l’avessi conosciuto.”
Non capì il perché di quell’affermazione, gli uscì prima che potesse ponderarla. Forse sentiva di potersi fidare del dottor Maverick come mai nessuno prima.
“Questo mi dispiace.” Considerò il maestro.
“Comunque.” Proseguì Ash. “È passato troppo tempo, di sicuro Misty ci avrà messo una pietra sopra, le ho dato mille ragioni per farlo.”
“Forse anche duemila ragioni per farlo.” Rincarò il dottor Maverick. “Ma, ribadisco, non puoi esserne sicuro se non verifichi con lei.”
Ash scosse la testa, non voleva che il maestro gli desse una speranza, anche minima.
“Ho sempre messo i Pokémon e il mio sogno di diventare maestro davanti a ogni cosa!” Esplose. “Anche davanti a lei! Non le ho mai dato il minimo segno che lei fosse importante per me! Ora mi manca da morire e… è quello che mi merito!”
Dopo quel nuovo sfogo, il giovane si coprì il volto con le mani e tentò inutilmente di soffocare i singhiozzi. Il dottor Maverick attese con pazienza che si calmasse, quando ruppe la stasi, lo fece con voce calma.
“Ash, voglio mostrarti una cosa, ti dispiace guardare cosa c’è oltre quella porta?”
Indicò quella che si apriva nella parete alla destra del ragazzo. Ash osservò prima il dito poi ciò che esso indicava.
“Sì, quella.” Confermò il dottor Maverick.
Ash obbedì con movimenti rigidi, stordito da quanto stava avvenendo.
La sala in cui entrò era qualcosa che non avrebbe mai pensato di vedere. Le pareti erano del tutto ricoperte di trofei. Vi erano coppe, targhe, stendardi, scudi, espositori colmi di medaglie, la luce che entrava dal finestrone di fondo rimbalzava su mille superfici risplendenti, come in un caleidoscopio gigante. Ash capì di trovarsi nella sala dei trofei del dottor Maverick, pensò che nessun altro al mondo potesse vantare una cosa del genere. In seguito, non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase a contemplare a bocca aperta e fiato corto, muovendosi come in una sorta di trance. Leggendo le targhette vide alcuni titoli che conosceva, ma erano decisamente di più quelli che gli erano ignoti, eppure pensava di essere ben preparato sulle leghe e i tornei che c’erano in giro per il mondo. Anche Pikachu, ancora aggrappato alla sua schiena, sembrava ipnotizzato da tanto splendore.
 
Il dottor Maverick lo aspettava al centro dello studio, contemplando il ritratto di donna nella nicchia dietro la scrivania. Una certa rigidità traspariva ora dal suo contegno, Ash si avvicinò a piccoli passi timorosi.
“Il successo può avere un prezzo molto alto, mio giovane amico.” Non sorrideva più come prima, il tono era diventato più solenne. “Per accumulare ciò che hai visto, ho perso lei.” Fece cenno alla donna del ritratto. “Mi amava.” Sorrise e il volto gli si colorò di tenerezza. “E anche io, alla mia maniera, amavo lei, ma giovane e stupido com’ero, pensavo solo ai Pokémon e alle competizioni. Avrei potuto allenarmi meno, vincere meno titoli e dedicare la giusta quantità di tempo al nostro amore. La mia carriera sarebbe stata comunque soddisfacente, eppure non lo feci, ero completamente accecato dalla mia ambizione.” Scosse la testa. “Un giorno mi disse che non poteva più aspettarmi e sparì dalla mia vita, non ho idea di cosa abbia fatto in seguito e dove sia ora. Fu quando mi resi conto di aver perso per sempre la persona più importante, che mi ritirai dalle competizioni.” Lasciò andare una risata breve e amara. “Feci scalpore, ero all’apice del successo e avrei potuto continuare ancora per diversi anni, ma non mi interessava più. Ora sono un povero vecchio, che si dedica a mille attività per riempire una vita vuota.” Si volse verso Ash con uno sguardo di intensità rara. “Titoli e riconoscimenti sono soddisfazioni, sì, ma non possono darti il calore di una persona cara. Darei tutta quella sala, tutto ciò che ho fatto, anche l’intera isola, per riavere Jenny con me.”
“Pikachu pika.” Commentò Pikachu con gli occhi lucidi.
Ash allungò una carezza consolatoria al topo elettrico, soffocando un nodo alla gola. Il dottor Maverick, forse colto da imbarazzo, si ricompose, recuperando un po’ dell’atteggiamento disteso che aveva tenuto all’inizio del colloquio.
“Ragiona con calma su quello che ci siamo detti, ma cerca di riposare questa notte. Ti aspetto domattina alle sette nella cucina della villa per fare colazione, puntuale, mi raccomando. Ora vai, ho parecchio lavoro da sbrigare.”
 
*
 

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Capitolo 3
*** In viaggio verso casa ***


In viaggio verso casa
 
Il rombo della potente Harley Davidson squarciava la quiete della campagna, tutto intorno la primavera ruggiva di vita e di colori. La strada sterrata sembrava senza fine e Ash guidava con il gas completamente aperto, lasciandosi dietro una lunga scia di polvere. Non aveva indossato il casco, proprio come un ragazzino incosciente, se sua madre l’avesse saputo, non gli avrebbe più permesso di usare la moto.
Riconobbe la sagoma della ragazza quando era ancora molto distante, camminava sul bordo della mulattiera e gli dava le spalle. Gli parve di impiegare un’eternità per raggiungerla, come se il tratto che li separava dilatasse sfidando le leggi della fisica. La ragazza smise di camminare quando sentì il centauro rallentare alle proprie spalle.
Ash spense il motore e mise la moto sul cavalletto, restituendo alla campagna la quiete che le era consona. La ragazza si volse lentamente nella sua direzione, rimase immobile, in un primo momento parve non riconoscerlo. Ash si tolse gli occhiali da sole, andò con passi misurati verso di lei, che sembrava congelata sul posto.
Era diventato più alto di lei, quindi quando l’abbracciò ebbe l’impressione di avvolgerla completamente. La sentì rannicchiarsi contro il suo torace come una bambina, stava piangendo? Ash non ne fu certo, mentre ispirava a fondo il profumo dei suoi capelli.
“Misty.” Disse sottovoce. “Mi sei mancata da morire.”
 
La mente di Ash tentò disperatamente di rimanere aggrappata a quello splendido sogno in cui tutto era perfetto e così facile, ma si stava svegliando e la visione era perduta. Lasciò andare un lungo sospiro di delusione, mentre gli occhi focalizzavano il soffitto della sua stanza alla Maverick Academy. Con calma, si asciugò le lacrime che gli coprivano gli zigomi.
Erano quasi le sei del mattino, si era svegliato dieci minuti prima che suonasse la sveglia, quindi si alzò per prepararsi. Il dottor Maverick teneva molto alla puntualità, non a caso il giorno prima si era raccomandato in tal senso.
Aveva pensato a quello che si erano detti, come il maestro gli aveva ordinato? Non ne era sicuro, aveva passato la serata in una delle sale comuni a giocare a pingpong con i compagni di corso, anche per scaricare la tensione seguita all’incontro con il maestro.
Mentre si preparava, la sola cosa che sentiva certa era che rivoleva Misty nella sua vita, non aveva importanza come. D’altro canto, la possibilità di tornare a Celestopoli e trovarla sposata con un altro gli sembrava simile a una trivella che scavasse al centro del torace.
 
Quando Ash entrò nella cucina della villa, il dottor Maverick in persona, con il grembiule da cucina indossato sopra all’abituale, elegantissimo completo, spadellava delle uova strapazzate. Pikachu, sulla spalla di Ash, allungò una zampa per rimettere a posto la mascella del ragazzo.
Sul tavolo c’erano succo d’arancia, pane tostato, confetture, frutta candita e altre prelibatezze. Il dottor Maverick divise il contenuto della padella fra il proprio piatto e quello del ragazzo, con i gesti di una persona decisamente abituata a stare in cucina. Ash prese posto e si versò il succo di frutta, poi porse a Pikachu un piccolo piatto con dei biscotti per Pokémon, palesemente preparato per il topino elettrico.
“Dormito bene?” Esordì il dottor Maverick quando furono entrambi seduti.
Ash sorrise con già in bocca una forchettata di uova.
“Sì, stranamente.” Rispose.
“Bene.” Anche il dottor Maverick sorrise. “E hai pensato a quello che ci siamo detti?”
A questo Ash trovò decisamente più difficile rispondere.
“Sì…” Farfugliò. “Credo di sì.”
“E sei giunto a una conclusione?”
Solo domande e affermazioni secche per il dottor Maverick, regola inviolabile della casa. Ash pensò, come il giorno prima, che non sarebbe servito nascondersi.
“Che rivoglio Misty con me.”
“Pikachupi!” Confermò Pikachu, molto più a suo agio rispetto al giorno precedente, forse anche grazie ai biscotti che stava divorando voracemente.
“Ma ho paura.”
Il dottor Maverick annuì.
“Avere paura è umano.” Commentò. “Ma non ti deve fermare. Io ritengo che, prima di proseguire il tuo percorso, che sia in questa scuola o in qualsiasi altro posto, tu debba regolare i conti con il passato.”
Ash deglutì a fatica, non si sarebbe mai abituato alla rapidità con cui il dottor Maverick sbrigava le questioni.
“Hai bisogno che la tua mente sia a posto, per andare avanti, e non lo sarà finché non avrai risolto certi dubbi. Io credo sia preferibile un dolore immediato, all’andare avanti a fatica perché si è tormentati dall’incertezza di ciò che poteva essere.”
Brutale.
Era la parola più adatta per definire il dottor Maverick. Tuttavia, con la sua parlata ficcante, il vecchio maestro metteva sul piatto solo verità indiscutibili.
“Ora finisci le tue uova, poi vai da lei.” Concluse.
Ash quasi si strozzò, rivolgendo al dottor Maverick uno sguardo allibito. Il vecchio maestro bevve un sorso di succo d’arancia e annuì in modo significativo.
“Ho disposto che tu abbia un permesso a tempo indeterminato per sistemare i tuoi affari. Qui ci sono i biglietti per arrivare a Biancavilla.” Mise sul tavolo un mazzetto di carte tenute insieme da una graffetta. “Offre la scuola, in via eccezionale, vista l’importanza del viaggio.”
Ash era senza fiato e sembrava che Pikachu l’avesse appena colpito con una scarica, ma il treno in corsa chiamato dottor Maverick non si fermò.
“Penso che Pikachu e gli altri debbano rimanere qui, è una cosa che devi fare da solo.”
A questo Ash sentì un’ondata di puro terrore attraversarlo. Viaggiare senza Pokémon? Senza Pikachu? Volse lo sguardo al topino elettrico, che lo osservava con occhi tristi ma decisi. Pikachu annuì e Ash capì che non gli piaceva quella soluzione, ma era d’accordo con il dottor Maverick. Riprendersi Misty era la più personale delle sue imprese.
“Mi raccomando, quando tornerai qui, che tu sia solo o in compagnia, dovrai essere pronto a darti da fare nella vita scolastica.”
Ash si limitò ad annuire, incapace di aprire bocca.
Consumarono il resto della colazione in un silenzio surreale, il giovane non avrebbe mai pensato che il maestro lo mettesse in quel modo con le spalle al muro, che sistemasse in poche battute una questione che per lui era tanto spinosa. Ora non aveva scelta, non poteva più nascondersi. Doveva andare da Misty e accettare quello che sarebbe successo.
Quando ebbero finito di mangiare, si alzò in modo rigido e fece un inchino, non trovando altro modo per accomiatarsi. Non vedeva l’ora di poter uscire per riprendere fiato e ponderare.
“Ash.”
Il dottor Maverick lo fermò che era già sulla soglia. Il ragazzo si volse lentamente con un nodo alla gola, che si sciolse quando vide il maestro sorridere.
“I nostri non si muovono fuori dall’isola senza uno di questi.”
Gli lanciò qualcosa che Ash afferrò al volo. Aprendo il palmo della mano, vide il distintivo della Maverick Academy, un rombo con bordi dorati, recante al centro il simbolo della scuola. Era quello a fondo verde, il più basso in gerarchia, indossato dai semplici iscritti. Ash sapeva bene quali fossero i livelli successivi. Il distintivo blu apparteneva ai diplomati, mentre il rosso indicava i maestri ed erano pochi a poterlo indossare, oltre al dottor Maverick stesso.
“Grazie, maestro. Grazie!” Non riuscì a dire altro.
“Buona fortuna.” Concluse il dottor Maverick. “Spero di vederti presto.”
 
*
 
La giornata era plumbea, cadeva una pioggia sottile, pungente. La palestra di Celestopoli pareva abbandonata in quella atmosfera grigia e immobile.
Le porte scorrevoli si aprirono per lasciarlo passare, l’aria all’interno non era accogliente come si era aspettato, era fredda e c’era quasi dell’odore di muffa.
Percorso l’ingresso, le vide, le sorelle sensazionali erano intorno al bancone della reception, si muovevano in modo svogliato e avevano espressioni cupe.
“Ragazze, guardate chi c’è.” Disse Violet, la prima ad accorgersi della sua presenza. “Ash mister egoismo Ketchum.”
Ash dovette soffocare un forte nodo alla gola.
“Hai una bella faccia tosta a venire qui!” Ringhiò Lily. “Dopo quello che hai fatto a Misty!”
La mente di Ash galoppò per istanti drammatici.
“Io… Io non ho fatto niente a Misty!” Esclamò.
È anche colpa vostra se ha smesso di viaggiare con me!
“Ma sentitelo!” Proseguì Violet. “O sei molto stupido, o sei bugiardo anche con te stesso!”
Ash avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma fu Daisy a chiudere la questione.
“Misty non è più qui da tanto tempo.” Affermò, nella sua voce vibrava l’odio più profondo. “Ora lei fa parte del Team Rocket ed è l’amante di Giovanni in persona, per quanto ne sappiamo. E la colpa è soltanto tua!”
 
Ash spalancò gli occhi e prese un gran respiro, rischiando di cadere dalla poltroncina. Il suono regolare del treno gli riempì subito le orecchie, dandogli un terribile istante di smarrimento.
“Ragazzo!” Esclamò l’anziana signora che gli sedeva di fronte. “Va tutto bene?”
Ash riuscì a ricordare dove si trovasse. Il viaggio in traghetto fino alla terraferma era andato bene, anche il successivo in aereo, si era appisolato solo sul treno che attraversava il Kanto.
“Sì, ora che sono sveglio.” Riuscì a dire.
“Prendi una caramella balsamica, ti aiuterà a respirare meglio!” Disse l’anziana, porgendogli una scatola incredibilmente grande.
Ash si servì e si mise in bocca una caramella terribilmente forte, più che dargli sollievo gli fece quasi bruciare la gola. L’estemporanea compagna di viaggio pareva uscita da un romanzo di Harry Potter, indossava abiti strambi e un paio di occhiali tondi, tanto grandi e spessi da non riuscire a intuire il colore degli occhi.
Onde evitare un’altra conversazione con lei, Ash indossò gli auricolari e avviò la riproduzione casuale fra i brani che aveva nella memoria dello smartphone.
Arriverà qualcuno che si prenderà il mio posto e allora io starò solo a guardare. Mi metterò seduto con lo sguardo fisso su di te perché ho imparato ad aspettare.
Ash fermò la riproduzione e si tolse gli auricolari con rabbia.
Andate a cagare sulle ortiche, Zero Assoluto!
Pensò che la sua mente traditrice avrebbe collegato a Misty qualsiasi canzone, quindi rinunciò all’idea di ascoltare musica. Nella fretta di partire non aveva preso niente da leggere, non c’era abbastanza segnale per navigare con il telefono, mancava persino Pikachu con cui conversare. Per una manciata di minuti, si lasciò ipnotizzare dal paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. I pensieri si rincorrevano.
Gli incoraggiamenti dei compagni di corso prima della partenza non erano bastati a tranquillizzarlo. Gli avevano organizzato una piccola festa per salutarlo, ma appena lasciata l’isola e l’atmosfera casalinga della scuola, Ash aveva sentito crescere una sensazione simile al panico. Più si avvicinava alla fine del viaggio, più diventava forte la paura di essere in ritardo. Non ci sarebbe stato niente di strano ed era quello che meritava, dopo tutti gli anni che aveva lasciato passare. Come poteva essere stato così idiota? Le cose ora gli apparivano chiare in maniera disarmante. Tutte le sue compagne di viaggio avevano dimostrato di essere ottime persone. Aveva apprezzato May, Dawn, Iris e Serena sotto tanti aspetti, ma più ci pensava e più era certo che Misty riassumesse in sé le buone qualità di ognuna di loro.
Vedendo arrivare il controllore, ne approfittò per richiamarne l’attenzione.
“Mi scusi, questo treno ferma a Luccainera?”
“Sì, certamente!” Il controllore guardò l’orologio. “Ci arriveremo fra circa venti minuti.”
“Grazie.”
Il sogno gli aveva fatto venire in mente che poteva fermarsi a salutare alcuni vecchi amici. Questo gli avrebbe permesso di allontanare per qualche ora il momento della verità.
Codardo.
 
Non fu semplice trovare un passaggio dalla piccola stazione di Luccainera, nemmeno spiegare dove voleva essere accompagnato. Alla fine un agricoltore lo fece montare nel cassone agganciato al trattore, insieme agli ortaggi invenduti della giornata. Quando furono in vista della piccola casa isolata nella campagna, il contadino rallentò perché il ragazzo potesse balzare giù. Ash agitò una mano in segno di ringraziamento verso il mezzo che si allontanava e si incamminò per una traccia di sentiero appena accennata. Quel posto non era cambiato dall’ultima volta, appariva selvaggio, non esattamente il luogo adatto perché ci vivessero delle persone.
La casetta sorgeva su una collina coperta di alberi, era molto piccola e semplice, a un solo piano, con tetto a doppio spiovente. Di fronte c’era un orto, dove un giovane uomo in abiti da lavoro si prendeva amorevolmente cura di rigogliosi cespugli d’insalata.
“Ehilà, James!” Richiamò l’attenzione Ash, quando fu a portata di voce.
L’uomo nell’orto abbandonò immediatamente la sua attività, riconoscendo la voce. Quando capì che non stava sognando, fece un gran sorriso e corse verso l’allenatore.
“Ash!”
Lo abbracciò di slancio.
“Accidenti, che bello vederti! Da dove arrivi?”
“Andavo verso casa e ho pensato di fermarmi a salutarvi.” Spiegò Ash.
“Hai fatto benissimo! Ma dove sono gli altri?”
James si guardò intorno alla ricerca di quelli che dovevano per forza essere presenti.
“Questa volta sono solo.” Disse Ash.
“Tu che viaggi da solo? Com’è possibile? Dov’è Misty? E dov’è Pikachu?”
Ash deglutì a fatica ma si sforzò di continuare a sorridere.
“È una storia lunga, ma te la racconterò.” Si schernì.
“Avremo tutto il tempo, resti per cena, vero?”
“Certo!”
Una donna di una bellezza disarmante e con lunghissimi capelli rossi tenuti sciolti li aspettava sulla soglia della casetta. Indossava abiti estivi molto semplici e metteva in bella mostra una gravidanza almeno al settimo mese. Abbracciò Ash con meno irruenza del marito ma fu altrettanto felice di vederlo. Come aveva fatto James, osservò intorno al giovane allenatore.
“Dov’è Misty?” Domandò subito con aria divertita.
“Alla palestra di Celestopoli, suppongo.” Rispose Ash, cercando di mantenere le cose su un’atmosfera scherzosa.
“Sapevamo che non viaggiavate più insieme, ma pensavamo fosse una cosa temporanea.” Jessie fu rapida a notare la difficoltà di Ash e passò oltre. “Dai, entra. James, vai a vedere se la stanza per gli ospiti è in ordine, poi apparecchia per tre!”
“Agli ordini, capo!”
Ash soffocò una risata nel palmo della mano, faceva davvero uno strano effetto vederli nei panni di coppia felicemente sposata.
 
Durante la cena, parlarono estesamente di quanto era accaduto dall’ultima volta in cui si erano visti. Jessie e James furono molto sorpresi dal distintivo della Maverick Academy che Ash mostrò loro con orgoglio, poi lo sommersero di complimenti. Fu una serata molto piacevole, anche se fu impossibile non cadere sull’argomento vecchi amici, nella fattispecie Misty. Per fortuna Jessie e James avevano intuito subito quanto la cosa mettesse Ash a disagio, quindi fecero del loro meglio per essere discreti, senza riuscirci.
Se avevano lasciato il Team Rocket, erano riusciti a redimersi, a rifarsi una vita e ad essere felici, era stato anche grazie agli sforzi di Ash e Misty. Ai loro occhi era qualcosa di assurdo non vedere insieme i due giovani allenatori. Sebbene da nemici, avevano intuito cosa li legava molto prima dei diretti interessati.
Dopo cena Jessie si ritirò in camera da letto, mentre Ash e James si accomodarono sul dondolo della veranda a sorseggiare una tisana rilassante.
“È per lei che sei tornato.” Disse James dopo un po’, spezzando l’atmosfera distesa.
Non era una domanda ed era rimasta nell’aria per tutta la durata del pasto. Ash rischiò di soffocarsi con la tisana, dovette tossire a lungo per liberarsi.
“Scusami!” Esclamò James dandogli delle pacche sulla schiena. “Non ho resistito.”
Ash fece un gesto accomodante con la mano mentre riprendeva a respirare.
“È che per noi è impossibile non pensarvi insieme.” Spiegò James. “Lo abbiamo pensato… anzi, lo abbiamo dato per scontato per tutto il tempo in cui siamo stati nemici. Poi voi siete stati la nostra ancora di salvezza e quello che abbiamo ora lo dobbiamo a voi.”
“Non esagerare.” Lo invitò Ash, imbarazzato dall’importanza con cui l’amico lo considerava. “Comunque sì, sono tornato per lei.”
James sospirò e annuì significativamente.
“Ti accompagnerei volentieri, ma non sono ancora ben visto dalle tue parti.”
Ash sorrise ma scosse la testa.
“È una cosa che devo fare da solo, per questo ho lasciato Pikachu e gli altri sull’Isola di Maverick. Poi tu hai il tuo bel da fare qui, ma grazie del pensiero.”
James annuì e sorrise a sua volta.
“Che dire? Spero di vedervi entrambi, la prossima volta.” Prese un lungo sorso di tisana e sorrise. “E che sia presto.”
 
*
 
SPAZIO AUTRICE
 
Lo so, mi state odiando perché ho lasciato Pikachu sull’isola, che dire, ritrovare Misty è la missione di Ash, la più importante. Il dottor Maverick è stato chiaro su questo, anche se poi ci sarà qualcuno che manderà a rotoli le sue intenzioni, ma non vi svelo altro :D
La canzone di cui Ash ascolta l’inizio è “Svegliarsi la mattina” degli Zero Assoluto (2007), non che ne sia mai andata pazza ma hanno fatto alcuni brani davvero piacevoli da ascoltare.
Se ve lo siete chiesti, il dottor Maverick, nella mia immaginazione, è l’attore Sean Connery.
Non ho la più pallida idea se la città chiamata Luccainera esista o sia esistita nella realtà, so soltanto che gli attori James Coburn e Rod Steiger la nominano nel film Giù la testa, capolavoro del regista Sergio Leone.
 
A presto
Samy

 

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Capitolo 4
*** Dubbi e vecchi amici ***


Dubbi e vecchi amici
 
Intorno alla palestra di Cerulean City esplodeva l’estate in tutti i suoi colori. I parcheggi erano pieni di auto, moto, biciclette e persone che andavano e venivano. Un sacco di gente e innumerevoli Pokemon si muovevano indaffarati intorno all’edificio. La scena era completamente diversa da qualsiasi altra Ash avesse visto nei suoi sogni.
Tirò un sospiro di sollievo quando fu davanti alla reception, Misty non era presente e nemmeno le sue sorelle. In compenso c’erano diversi giovani, vestiti tutti alla stessa maniera, che componevano lo staff. Evidentemente, Misty si era arresa alla necessità di avere dei collaboratori e da come quelli si davano da fare, doveva averli scelti di persona e con molta attenzione. C’erano anche alcuni ragazzi decisamente atletici e attraenti, questo a Ash non piacque per niente. Si disse subito che uno di loro doveva per forza essere il compagno di Misty, poi ricordò a se stesso che non doveva formulare pensieri nocivi.
Una ragazza si avvicinò con un gran sorriso per chiedergli cosa desiderasse, ma rimase a bocca aperta quando vide il distintivo della Maverick Academy appuntato sulla sua maglietta.
“Posso vedere la capo palestra?” Domandò Ash ricambiando il sorriso, tentando di rimettere l’interlocutrice a proprio agio.
“Certo, signore!” Cercò di riprendersi la ragazza. “È per una sfida? Oggi ci sono molti sfidanti, ma vista la vostra provenienza posso farvi saltare buona parte della fila.” Disse d’un fiato.
Ash, colto da imbarazzo, fece un precipitoso gesto accomodante con entrambe le mani.
“Per carità, no! Non sono qui per una sfida e se anche fosse, non vorrei trattamenti di favore. Credo che andrò ad assistere dalle tribune.”
“Sta bene, signore, vi accompagno!”
“Non occorre, conosco la strada.”
“Come volete, non esitate a chiedere se vi occorre qualcosa!”
“Grazie.”
Con un inchino, Ash diede le spalle alla ragazza e si affrettò verso le tribune, prima che lei ci ripensasse e insistesse per accompagnarlo. Che razza di potere aveva il distintivo della Maverick Academy, quello meno importante per giunta! Non ci aveva nemmeno pensato, si era quasi dimenticato di averlo addosso, finché la ragazza non aveva sgranato gli occhi.
Essendo estate, per le sfide si utilizzava la grande piscina all’aperto, circondata dalle gradinate per il pubblico. Ash si calò la visiera del cappello sul viso perché fosse in ombra e meno visibile, coprendo con l’altra mano il distintivo. Il contratto che lo legava alla scuola gli imponeva di indossarlo quando si trovava in un luogo dedicato ai Pokémon, ma non vietava di nasconderlo con una mano per non dare nell’occhio. Cercò la zona meno affollata delle tribune e andò ad accomodarsi nel punto più alto. A vedere le sfide di Misty c’erano davvero tanti spettatori, doveva essere diventata ancora più brava.
Tutti i pensieri svanirono in un istante di fuoco.
Eccola là, Misty, in piedi sulla pedana rialzata a un’estremità della piscina. Ash sentì la gola seccarsi all’istante, un brivido percorrergli la schiena e il cuore accelerare. Era bella, anche a quella distanza, bella da togliere il fiato. Indossava un costume da bagno intero di colore blu, che metteva in risalto il corpo da atleta, perfettamente strutturato, muscoloso ma tutt’altro che privo di forme. In altre parole appariva terribilmente sensuale. I capelli si erano allungati, lasciati sciolti le coprivano buona parte della schiena.
Ash cercò inutilmente di riattivare la salivazione, immaginò gli scapoli di Celestopoli e dintorni fare la fila per la capo palestra, mentre lui era stato a ciondolare in giro per il mondo per tutti quegli anni.
Idiota da guinness dei primati.
Nel corso della mattinata fu ancora più idiota, rimase immobile a osservare il susseguirsi delle sfide, come ipnotizzato. Misty le vinse tutte, senza fare troppa fatica. Un ragazzo dello staff, con un fisico da fare invidia a Michael Phelps, di tanto in tanto le portava da bere e le passava le comunicazioni di servizio. Nei momenti di pausa Misty si intratteneva a parlare con lui e sorrideva spesso, appariva felice.
Una scena perfetta.
Verso le undici, Ash decise di aver visto abbastanza, scese dalla tribuna con la morte nel cuore e la mente che galoppava fra le previsioni più nere. Evitò di ripassare dalla reception, non appena fu fuori, si mise a correre verso Biancavilla.
Codardo.
Gli parve di sentire la voce del dottor Maverick pronunciare quella parola.
 
*
 
“Mi stai dicendo che sei andato alla palestra e non le hai nemmeno parlato?”
Ash e Brock sedevano sulla terrazza di un bar panoramico di recente costruzione, sorseggiando due variopinti analcolici alla frutta.
Subito dopo mangiato, Ash era corso a cercare l’amico. Brock era andato letteralmente giù di testa quando aveva visto il distintivo della Maverick Academy, aveva poi preteso che Ash gli raccontasse tutto ciò che aveva visto e vissuto sull’isola. Non era stato semplice per il giovane allenatore, che aveva già riferito tutte quelle cose a Jessie e James, poi a sua madre, in più l’argomento di cui voleva discutere con Brock era tutt’altro. Dopo diverse ore e molti analcolici alla frutta offerti a turno, era finalmente arrivato il momento di parlare di Misty.
“Sì, hai sentito bene.” Rispose Ash piccato. “Ci sono andato e non ho avuto il coraggio di parlarle, nemmeno di avvicinarmi.”
“Ash Ketchum che scappa di fronte a una sfida, questa la devo segnare da qualche parte!”
“Non è divertente.”
“Oh beh, punti di vista.”
“Brock!”
“Va bene, parliamo di cose serie.” Brock fece un gesto accomodante. “E questa è una cosa seria, se non riesci a rivolgere la parola a Misty.”
“Ti ho già spiegato quanto è seria.” Scandì Ash gelido.
“E io ti ho detto quanto mi fa piacere. Io l’ho sempre saputo che siete fatti per stare insieme, di certo l’ho capito prima di te, forse anche prima di Misty.”
“Stai divagando.”
“Scusa, ma questa cosa mi emoziona troppo! Accidenti, finalmente hai ammesso che…”
“Brock!”
“Ok, tornando a noi, tu non stavi con Serena?”
Ash quasi stritolò il proprio bicchiere, rivolse a Brock uno sguardo scandalizzato.
“Chi ti ha detto questa cosa?” Quasi gridò.
“In diversi.” Brock si strinse nelle spalle. “È una chiacchiera che è circolata qualche tempo fa. Succede, quando si hanno amicizie in comune. Io non ci volevo credere, perché non ho mai smesso di sperare che…”
“Io e Serena non siamo mai stati insieme!” Lo interruppe Ash.
“Però l’hai baciata.”
Ash rischiò di ribaltarsi con tutta la sedia, dovette aggrapparsi saldamente al tavolo e gli ci vollero diversi secondi per riprendere fiato.
“Ho sentito dire anche questo.” Insistette Brock. “È vero? L’hai baciata?”
“Tecnicamente, è lei che ha baciato me!”
Brock inarcò un sopracciglio.
“Fa differenza?”
“Per me ne fa!” Ash scolò d’un fiato il suo analcolico. “Comunque, quando ci siamo separati, le ho detto chiaramente che è soltanto un’amica e non può essere di più. Non le ho parlato di Misty, visto che la stava prendendo male già così.”
Brock si strinse nelle spalle.
“Almeno con una sei stato chiaro.”
Sentito questo, Ash fu sul punto di alzarsi.
“Cos’è? Un rimprovero?”
“No, una frecciatina.” Brock ghignò. “Comunque, io e Misty non ci frequentiamo da un po’, lei è sempre impegnatissima e anche a me il lavoro non manca. Però, per quel che ne so, non è sposata, fidanzata o impegnata in alcun modo. Anzi, so che in questi anni ha respinto diversi ragazzi che le facevano la corte, anche ottimi partiti, ma di questo dovresti parlare con Gary.”
Il volto di Ash divenne la maschera ideale dello stupore.
“Gary?”
“Sì, lui e Misty hanno tentato di avere una relazione, poco tempo fa.”
Lo stupore divenne orrore.
“Gary e Misty?” Scandì Ash, con la voce divenuta improvvisamente alta e stridula. “Che cosa agghiacciante!”
“Anche io ho pensato una cosa del genere, quando l’ho saputo. Comunque è durata pochi mesi ed è stato lui a lasciare lei.”
Ash ridivenne pensieroso, cercando di capire se quell’aspetto significasse qualcosa per lui.
“Io e Gary lavoriamo spesso a stretto contatto, ma non siamo molto in confidenza, mi ha detto che Misty aveva altro per la testa e pensava solo a lavorare. Dovresti parlarci, o non avete ancora messo da parte i vecchi dissapori?”
Ash si strinse nelle spalle.
“Dubito che saremo mai grandi amici.” Considerò. “Ma suppongo di poterci parlare.”
“Bene, perché direi che Gary è la persona che si è avvicinata di più a Misty, negli ultimi tempi. Questo ti darà molto fastidio ma così stanno le cose.”
Ash fece un gesto con la mano perché l’altro si fermasse.
“La misura di quanto sono stato coglione me l’hanno già data sull’isola di Maverick.” Fece una pausa per respirare, distogliendo lo sguardo da quello dell’amico, poi si strinse nelle spalle con un sorriso amaro. “Forse dovrei semplicemente metterci una pietra sopra e tornare là.”
“Perché?” Brock diede un improvviso pugno sul tavolo, facendo fremere i bicchieri, ora era arrabbiato. “Finalmente hai ammesso di amare Misty, aspettavamo tutti questo momento da anni! Perché ora dovresti rinunciare a lei senza nemmeno averci parlato?”
“Appunto perché ho aspettato anni! Lei una volta mi amava, lo sappiamo entrambi, ma dopo tutto questo tempo il suo amore me lo sono sicuramente giocato!”
Brock ebbe un gesto di fastidio, come a scacciare un insetto, pur di fronte alla palese disperazione di Ash.
“Quando si ha a che fare con una donna, non si è mai sicuri di niente. Sì, hai fatto del tuo meglio per giocarti il suo amore, ma non lo saprai con certezza finché non sarà lei a dirtelo!”
Ash deglutì duro, pensando che il dottor Maverick gli aveva detto le stesse cose. Brock finì il suo drink e buttò alcuni spiccioli sul piano del tavolo, con atteggiamento da esperto di cose di mondo, prima di proseguire.
“Io sono notoriamente un single irrimediabile, quindi sono l’ultima persona che può pronunciarsi su questi argomenti, ma se vuoi il mio parere…”
“Certo che voglio il tuo parere, siamo qui apposta.”
“Io penso che lei ti stia ancora aspettando.”
 
Ash lo aveva ringraziato e salutato senza il trasporto che Brock si era aspettato. I suoi incoraggiamenti non avevano avuto molto successo e Ash si era allontanato comunque scuro in volto, dopo aver pagato l’intero conto per tutti e due.
Appoggiato al parapetto della balconata, Brock rimuginava su quanto si erano detti, ma un solo pensiero assumeva una certa solidità.
Quel cretino non farà mai il primo passo.
Di questo Brock era certo, per quanto Ash fosse cresciuto e nonostante gli ordini del dottor Maverick. Però, finalmente, aveva ammesso ciò che provava per Misty, poteva essere la volta buona, ma occorreva fare qualcosa per esserne assolutamente certi.
Senza ragionare troppo, sfilò il cellulare dalla tasca e cercò il numero di Gary in rubrica.
“Cosa deve essere successo perché tu mi telefoni?”
“Evitiamo i convenevoli, per cortesia.” Tagliò corto Brock. “Ho bisogno di un favore enorme, possiamo vederci per parlarne?”
“Non possiamo parlarne domani al lavoro?”
“Sarebbe meglio farlo subito.”
Gary rimase in silenzio per una manciata di secondi, Brock capì che ci stava ragionando.
“Alla Taverna del Ponte, tra un’ora, ti va bene?”
“Benissimo, Gary, grazie!”
“Aspetta a ringraziarmi, sono disposto a sentire di che si tratta, non ho detto che ti farò questo favore enorme.”
“Grazie lo stesso.”
 
Lasciando Delia pressoché sconvolta, Ash si era ritirato nella sua stanza a rimuginare, rifiutandosi di scendere per la cena con la scusa che non aveva fame.
Nel trascorrere snervante delle ore, problematiche e soluzioni inutili o inattuabili si erano susseguite. Di certo, non poteva tornare a scuola con nulla di fatto, il dottor Maverick non l’avrebbe perdonato, forse l’avrebbe fatto espellere di persona. Nemmeno poteva cincischiare in quella maniera ancora a lungo, il permesso ricevuto dalla scuola era a tempo indeterminato, ma ciò non significava che poteva starsene in giro a non combinare nulla.
La voce del bacio ricevuto da Serena era dunque giunta fino a casa, anzi, la gente ne aveva concluso che stavano insieme! Maledetti i pettegolezzi e chi li aveva inventati! Se quella voce era giunta anche a Misty… Non voleva nemmeno pensarci.
L’immagine di Misty immersa nelle sue attività quotidiane lo tormentava, nella palestra tutto gli era apparso così perfetto. Che diritto aveva lui per ricomparire all’improvviso, dopo anni di lontananza e silenzio, dirle che in realtà l’amava e che la rivoleva nella sua vita? Forse Misty non lo avrebbe degnato di uno sguardo, o gli avrebbe riso in faccia, oppure gli avrebbe inferto uno dei suoi micidiali schiaffoni, invitandolo poi a non farsi più vedere.
Io penso che lei ti stia ancora aspettando.
L’incoraggiamento di Brock non riusciva a convincerlo che potesse esserci ancora speranza.
 
Verso le nove di sera, Delia mise dentro la testa per dirgli che aveva una visita. La mente di Ash galoppò per un istante chiedendosi chi potesse essere, forse Brock che veniva a fargli una ramanzina? Oppure era Misty in persona che aveva saputo del suo ritorno e veniva a dargliele di santa ragione. Il terrore galoppò per istanti drammatici.
Fu Gary Oak a entrare, quando Delia gli aprì la porta. Con l’abituale indifferenza si sedette alla scrivania di fronte a Ash e si servì del succo d’arancia che il padrone della stanza non aveva toccato per tutta la sera. Dopo aver bevuto metà del bicchiere, si protese ad afferrare il distintivo della Maverick Academy, lasciato sul tavolo come un oggetto qualsiasi. Ash non ebbe tempo per impedire quel gesto. Gary osservò con attenzione il distintivo sul palmo della mano, poi fece uno dei suoi sorrisi maliziosi.
“Le mie congratulazioni, Ketchum, ne hai fatta di strada!”
Ash, che si era aspettato un’insolenza in stile Gary, cercò comunque di rispondere a tono.
“Contrariamente alle tue previsioni.” Sottolineò.
Gary sbuffò una mezza risata e vuotò il bicchiere di succo.
“Non dirmi che davi peso alle stupidaggini che ti dicevo quando eravamo bambini.”
Ash si incupì e rispose in tono duro.
“Appunto, eravamo bambini, certo che davo peso alle tue stupidaggini!”
Gary sospirò e il suo sorriso si colorò di un’amarezza che Ash non aveva mai visto.
“Ash, io ho sempre avuto la strada spianata, in tutto quello che ho voluto fare. Ti dicevo quelle cose perché non tolleravo l’idea che qualcuno, senza le mie agevolazioni, potesse ottenere risultati con la pura forza d’animo. Le mie erano cattiverie gratuite dettate dalla paura, sei sempre stato tu il migliore, anche solo per l’incrollabile volontà che hai dimostrato. E questo.” Fece scivolare il distintivo sul piano del tavolo fino alle mani di Ash. “Ne è la prova.”
“Sto veramente parlando con Gary Oak?” Ash si agitò sulla sedia. “Hai preso un colpo in testa? Oppure c’è qualcosa di strano in questo succo di frutta?”
Afferrò la bottiglia e gli diede un’annusata.
“Ash, sto benissimo.” Scandì Gary. “E non sono mai stato più serio. Sono venuto qui perché quel matto di Brock vuole aiutarti a riconquistare Misty e mi ha chiesto di dargli una mano.”
Ash rimase senza fiato. In effetti Gary era sempre stato uno molto pratico e che andava subito al dunque, in maniera quasi brutale.
Un po’ come il dottor Maverick.
“E tu che gli hai risposto?” Riuscì soltanto a esalare, in preda alla confusione completa.
“Ho accettato ma sia chiaro, non lo faccio per te.” Gary gli puntò contro un dito e uno sguardo severo. “Lo faccio per Brock, che è una persona buona, ma soprattutto per Misty, che dopo tanta sofferenza merita di essere felice.”
Ash ebbe l’impressione che gli avessero inferto un pugno nello stomaco.
“Vuoi dire che lei…”
“Lei sta ancora aspettando di vederti ricomparire.” Il tono di Gary divenne gelido. “Ha sofferto tantissimo per la tua mancanza.”
Ash ebbe l’impressione che i pugni allo stomaco fossero divenuti coltellate. Nel giro di nemmeno un minuto, Gary l’aveva fatto a pezzi.
“Non ero innamorato di lei, quando ci siamo messi insieme.” Proseguì Gary implacabile. “Però eravamo buoni amici e le volevo già molto bene, pensavo che magari l’amore sarebbe venuto col tempo. Lei invece si è messa con me sperando che bastasse per dimenticarti, il proverbiale chiodo scaccia chiodo.” Scosse la testa. “Non è andata così, neanche un po’. Ho capito quasi subito che nel suo cuore c’era spazio solo per te e che la nostra relazione non aveva senso.”
A quel punto Ash boccheggiava.
“Gary, ti prego!”
Ti prego cosa? Non ho intenzione di farti sconti! Quella povera ragazza ha patito le pene dell’inferno a causa tua! Brock mi ha detto che sei tornato per riprendertela e io sono venuto qui per averne la conferma! Quindi ora te lo domando, questa volta hai intenzione di fare sul serio?”
Ash deglutì a fatica un paio di volte, quel dialogo inatteso sembrava uno dei suoi sogni più bizzarri, ma era la realtà. Che strani percorsi prende la sorte. Non lo sorprendeva più di tanto l’iniziativa di Brock, quella di Gary era slegata da ogni logica che gli fosse nota.
Quando riuscì ad aprire bocca, non riconobbe la propria voce, tanto suonò rauca.
“Sono tornato perché rivoglio Misty nella mia vita. Perché voglio scusarmi con lei per la mia stupidità. L’ho capito qualche tempo fa, quando Serena mi ha baciato. È come scattato qualcosa nella mia mente. Ho sentito che non potevo accettare di essere baciato da una ragazza che non fosse Misty. Ho trascorso i mesi successivi a misurare quanto sono stato idiota. Ora voglio rimediare, voglio… La rivoglio, Gary, con tutto me stesso!”
Non aveva formulato prima quel discorso, nemmeno nella sua mente. Capì che gli era venuto dal cuore e sentì una strana forma d’orgoglio. Finalmente Gary ammorbidì la propria espressione, non sorrise ma annuì.
“Bene, faremo in modo che le cose vadano così. Ma ti avverto, Ketchum, se la farai soffrire di nuovo, mi sentirò in dovere di scassarti di mazzate.”
Ash deglutì a fatica.
“Non sarà necessario.” Balbettò.
“Allora siamo d’accordo.” Gary assunse un tono conclusivo. “È una fortuna che tu non abbia fatto stupidaggini in questi due giorni, continua a non fare niente. Aspetta una mia chiamata domani, ci pensiamo io e Brock a organizzare tutto.”
Detto questo, Gary si alzò per andarsene, con la sua abituale, secca praticità. Ash avrebbe conservato il dubbio che quell’incontro fosse stato solo un altro dei suoi deliri. Ciononostante pensò che fosse necessaria un’ultima, frettolosa considerazione.
“Gary!”
L’interpellato si bloccò sulla soglia.
“C’è una cosa su cui ti sei sbagliato.” Ash sorrise. “Il migliore sei tu, di gran lunga.”
 
*

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Capitolo 5
*** Festa a casa di Gary ***


Premessa
 
A differenza di tutti gli altri, questo capitolo è dal punto di vista di Misty, perché in origine lo avevo pensato come una one-shot a sé stante. Poi “I maestri della Maverick Academy” ha preso forma e ho deciso di unire le due cose in un unico lavoro. Avevo poi pensato di dividerlo in due, perché è decisamente lungo rispetto agli altri, ma poi ho optato per lasciarlo così com’è nato.
Spero sia romantico ma anche divertente, in certi passaggi può essere anche demenziale, se non proprio surreale. Comunque, mi auguro che sia una lettura piacevole.
 
*
 
Festa a casa di Gary
 
Per l’ennesima volta, mi tolgo la penna di bocca, resistendo alla tentazione di scagliarla contro il muro. Me lo sono imposta come esercizio mentale, non mordicchiare la penna mentre curo la contabilità della palestra. Esercizio in cui sto, come sempre, fallendo miseramente, mentre la contabilità pare dilatare invece di ridursi.
Poso la penna sulla scrivania e schiaccio il viso contro il palmo della mano, sporco dell’inchiostro dei timbri. Immagino che la mia povera testa stia fumando e l’orologio non segna ancora le 17:00!
Che giornataccia!
La mattina è stata una sfida continua, purtroppo contro una serie infinita di bambocci e bambocce, che non hanno la più pallida idea su come si allenano i Pokémon e si presentano qui pensando di battermi facilmente. Sono occorse ore per far rilassare i Pokémon della palestra, infastiditi da tanto pollaio. Per potermi dedicare alla contabilità ho dovuto rimandare due lezioni private molto redditizie. Maledizione, ogni tanto quelle sfaticate delle mie sorelle potrebbero darmi una mano! Ma no, cosa vado a pensare? Queste incombenze da servi della gleba spettano a me, la stacanovista di famiglia, la schiavetta di casa, la socialmente inutile Misty.
La zitella irrimediabile.
Non ho mai sentito pronunciare queste parole in diretta, ma so che molti, quando non sono presente, mi definiscono così. Forse anche fra i miei affezionati dipendenti, c’è qualcuno che mi chiama in quel modo. Non che mi manchino altri soprannomi, ben più altisonanti e celebrativi, come l’imperatrice di ghiaccio o l’invincibile sirena d’acciaio. Peccato che non li trovi divertenti e non mi rendano più orgogliosa di ciò che faccio. C’è stato un tempo in cui ho pensato che dirigere questa palestra sarebbe stato il massimo. Ora ho spesso il dubbio che non possa esserci una vita più vuota di quella che sto conducendo.
Mi distendo sullo schienale imbottito della poltroncina, carezzando l’idea di mandare a quel paese la contabilità, almeno per questo pomeriggio. Ad ogni modo, ciò che lascio in sospeso la sera mi attende la mattina dopo. Però non è da me, le abitudini ferree che mi sono imposta prevedono che tutto sia perfettamente in ordine, quando chiudo.
Una vibrazione improvvisa mi permette di rimandare per qualche momento il dilemma. Getto un’occhiata svogliata al cellulare, abbandonato sul piano della scrivania. Probabilmente qualcuno da casa vuole sapere quando rientro per preparare la cena, come se non avessi un orario fisso e loro non lo sapessero. Come non potessero prepararsela da soli, la cena!
Gary?
Sembra impossibile ma proprio quel nome brilla sul display.
Rimango a dir poco interdetta, da quanto non sento Gary? Sicuramente più di un anno, da quando il nostro improbabile tentativo di relazione è naufragato senza scampo.
Ricordo bene l’ultima volta in cui abbiamo scambiato più di dieci parole, è stato quando lui mi ha lasciata, impartendomi una lezione di vita di quelle importanti.
Devo dire che Gary non è un damerino vanesio e innamorato di se stesso, in quel periodo mi ha dimostrato di essere un buon conoscitore dell’umana natura. Quando mi ha messo con le spalle al muro, demolendo ogni mio argomento con mortificante facilità, non ho potuto fare altro che mandare a spasso il mio orgoglio femminile e dargli ragione.
Non fai altro che lavorare in modo ossessivo, hai rinunciato a vivere per occuparti al centoventi percento della tua palestra. Basterebbe affidare più mansioni ai tuoi collaboratori, ma non lo farai mai perché tanto accanimento ti serve per non pensare a lui.
Semplice, diretto, senza giri di parole e terribilmente vero, per essere un ragazzo è parecchio sveglio. La nostra relazione non è mai iniziata davvero, alla fine mi sono addirittura scusata per avergli fatto perdere tempo.
Raccatto il telefono e accetto la chiamata.
“Pronto?”
“Parlo con l’instancabile capo palestra di Celestopoli?” Domanda con affettuosa ironia la voce vellutata di Gary.
“Così pare.” Gli concedo, sorridendo mio malgrado.
“Bene, vengo subito al dunque.” Scandisce lui. “Siccome a giorni dovrò partire per un viaggio di lavoro, ho pensato di fare una rimpatriata con alcuni vecchi amici, stasera, a casa mia. Niente di speciale, ordiniamo una pizza, guardiamo un film e alla fine pigiama party per chi vuole rimanere a dormire. Scusa per il poco preavviso ma è l’unica sera utile prima di partire.”
Boccheggio di fronte a quell’invito torrenziale, improvviso e del tutto inaspettato. Me l’ha scagliato addosso come se avessimo smesso di sentirci il giorno prima.
“Io… non so…” Balbetto. “È molto gentile da parte tua invitarmi, ma…”
“Sì, certo.” Mi interrompe sbrigativo, quasi sgarbato, sicuramente infastidito. “C’è qui una persona che ti convincerà sicuramente.”
A quelle parole sento il cuore sprofondare.
Non sarà mica…
“Come sta la più grande allenatrice di Pokémon d’acqua del mondo?” Domanda qualcuno di famigliare, sebbene non chi mi aspettavo, che temevo.
Questa voce…
Mentre la riconosco, sento un bizzarro miscuglio di sollievo e delusione.
“Non è possibile!” Esclamo. “Brock Peters!”
“Proprio io!” Sento rispondere con l’entusiasmo per cui lo ricordo con tanto affetto. “Allora, ci vieni alla festa o vuoi farti pregare?”
“E me lo chiedi, a che ora si comincia?”
“Sulle otto direi che va bene, giusto, Gary?”
Immagino l’interpellato confermare con un gesto sbrigativo.
“Ti aspettiamo, non vedo l’ora di riabbracciarti!”
“Siamo in due, puoi starne certo!”
“Perfetto, a dopo!”
La telefonata s’interrompe così bruscamente, da lasciarmi il dubbio che sia avvenuta davvero. Per diversi secondi rimango immobile con il cellulare sollevato.
Il caro Brock, mi sono commossa a sentire la sua voce dopo tanto tempo, al punto che devo soffocare un nodo alla gola. Poi sento un brivido che mi percorre la schiena, che avrei fatto se invece di Brock mi avessero passato…
Ferma, Misty!
So che è sbagliato, che mi faccio soltanto del male.
Come se non me ne fossi già fatta abbastanza.
La mano destra corre automaticamente al primo cassetto della scrivania, incurante delle grida disperate della coscienza.
Il primo cassetto è una sorta di sancta sanctorum personale, ci sono solo tre oggetti. Il primo è una vecchia Pokéball ormai inutilizzabile, un tempo appartenuta a Ash. Il secondo è il cappello dell’Esposizione Ufficiale della Lega Pokémon, per cui Ash mandò più di un milione di cartoline e che ha sempre indossato negli anni che abbiamo trascorso in viaggio. È vecchio e malandato, pieno di strappi, Delia l’avrebbe buttato se non le avessi chiesto di regalarmelo, tutto all’insaputa di Ash. Il terzo è una fotografia.
Non ricordo di preciso quando e dove è stata scattata, ritrae me e Ash in una splendida giornata di sole, durante uno dei nostri viaggi. È la sola foto in cui siamo soltanto noi due, senza Pokémon, l’unica in cui ci teniamo per mano.
Dove sei, cretino?
Non prendo nemmeno la foto in mano e richiudo il cassetto di scatto, mentre soffoco un altro nodo alla gola, ben più forte del precedente.
Stop, Misty!
Non ci devo pensare, come dice spesso Daisy, devo smetterla di farmi del male in questo modo. Per quanto io possa aspettarlo, Ash non tornerà, gli anni passati dimostrano che per me non ha mai provato niente di più forte dell’amicizia. Il mio amore per lui, però, è ancora qui, integro, intenso, totale.
E fa malissimo.
Cerco di aggrapparmi alla prospettiva di rivedere Brock, di mettere il naso fuori di casa per un motivo che non sia il lavoro, stento a ricordare l’ultima volta in cui è capitato. Mando definitivamente al diavolo la contabilità, non ripongo nemmeno i fogli, li lascio disposti sulla scrivania, anche se non c’è pericolo che qualcuno faccia questo lavoro per me. Chiudo la palestra in fretta e furia, anche se non è ancora l’orario ufficiale. Non ho mai fatto un simile strappo alla regola, da quando sono capo palestra, ma per rivedere Brock farei questo e altro.
 
La grande villa in cui abita la famiglia di Gary mi sembra più grande, più sontuosa, forse anche più curata di come la ricordo. Anche nel breve periodo in cui siamo stati insieme, mi sentivo a disagio quando venivo qui. Per questo preferivo vederlo in palestra o a casa mia, quando era libera da presenze invadenti. Nel parcheggio antistante al grande cancello ci sono molte macchine e moto, ma quanta gente ha invitato? Attraverso il vialetto che conduce all’ingresso, facendo attenzione che l’erba bagnata non mi sporchi il vestito.
Non so nemmeno perché mi sono messa così elegante, indossando un abito lungo che Daisy non utilizza più perché fuori moda, dice lei. A me piace un sacco, trovo che mi si addica, sebbene sia praticamente la prima volta che lo indosso.
Il portone d’ingresso è aperto e non c’è nessuno ad accogliermi, ma conosco bene la disposizione della casa quindi non è un problema. Sento un gran numero di voci che chiacchierano allegre in soggiorno. Questa non è una serata con alcuni vecchi amici come ha detto Gary, pare piuttosto un ricevimento in grande stile. Sento un primo impulso a voltarmi e andarmene, all’improvviso l’idea di mischiarmi a tutta quella gente mi mette più a disagio della villa.
Mi fermo sulla soglia del grande soggiorno. I lampadari spandono una luce calda e piacevole, la sala è piena di persone vestite in modo sportivo che chiacchierano con in mano semplici bicchieri di plastica, sgranocchiando popcorn e salatini. Picchierei la testa nello stipite della porta, sono l’unica cretina che si è vestita elegante! L’impulso a far finta di niente e andarmene diventa più forte, poi la mia mente traditrice comincia a passare in rassegna i presenti.
Ci sono molti amici di Gary, alcuni me li ha presentati quando stavamo insieme. Non oso immaginare che idea possono essersi fatti di me al tempo della nostra rottura, né cosa penseranno vedendomi lì. Riconosco Drew e May e non posso fare a meno di pensare che formino davvero una bella coppia, soprattutto per il fagottino che lei stringe amorevolmente fra le braccia. Brock sta discutendo animatamente con Gary, forse su qualcosa che non gli sta bene nella disposizione del buffet. Poi ci sono Tracey e Dawn, che chiacchierano con…
Sento il cuore che mi finisce nelle dita dei piedi, lo stomaco pare voler cambiare posizione.
Calma, Misty! Calma!
L’impulso di allontanarmi alla chetichella si trasforma in desiderio di fuggire a gambe levate in preda al terrore. Eppure rimango congelata nella posizione, osservo incapace di distogliere lo sguardo dalla sua figura.
Niente panico!
È diventato più alto, probabilmente più di me, com’è possibile? E che fisico che ha messo su! Ha forse passato gli ultimi anni in sala pesi? Indossa un completo blu elegantissimo, con tanto di cravatta e un lucente distintivo verde e oro appuntato sul cuore. Il fatto di non essere l’unica cretina in ghingheri non mi consola, le gambe tremano e il cuore pare volermi uscire dal petto. Lui appare perfettamente a suo agio, nonostante tutti quelli che lo circondano abbiano pantaloni corti, magliette e scarpe da ginnastica, chiacchiera addirittura con le mani in tasca. È disinvolto e affascinante, così diverso dal ragazzino che ricordo.
È diventato un giovane uomo!
Stringo i denti al pensiero che l’ha fatto senza di me.
Sento il cuore che si frantuma una volta di più, se fossi nell’intimità della mia stanza da letto, una considerazione del genere mi farebbe piangere fino a consumarmi.
“Misty!”
Sussulto, ho perso la possibilità di fuggire, che idiota patentata! Brock attraversa la sala quasi di corsa e mi stringe in un abbraccio stritolatore, seguito subito da Tracey, non meno entusiasta. Mi tempestano di domande ma non capisco una parola, il mio povero cervellino pare aver fatto le valigie. L’abbraccio di Gary è più rapido, mi bacia sulle guance in modo fin troppo cerimonioso, poi viene il suo turno.
Niente panico!
Sembra impossibile, ora la mia testa gli arriva ad altezza del torace e che enorme apertura di spalle! Ash si prende il tempo necessario per osservarmi, vuole forse torturarmi? I miei pensieri sono come impazziti e non ce n’è uno che abbia una parvenza di senso. Nonostante ciò, trovo la lucidità per riconoscere il distintivo che lui porta sul petto, è quello della Maverick Academy.
Mi sembra di precipitare.
Ash, il mio Ash, è iscritto alla Maverick Academy, una delle scuole Pokémon più importanti ed esclusive del mondo!
Pur nella confusione, il cuore mi si riempie di orgoglio, forse non sono mai stata tanto fiera di qualcuno.
Lui continua a considerarmi, mi squadra da capo a piedi, non ho idea di quali siano le emozioni che passano nei suoi occhi. Alla fine mi abbraccia a sua volta.
Ok, panico!
Il suo abbraccio è molto diverso da quello di Brock e Tracey, anche da quello di Gary. C’è qualcosa di meccanico, i suoi movimenti sono contratti, sembra avere paura di sbagliare qualcosa. Forse anche lui è sulle spine, sebbene non quanto me.
È il fattorino della pizza che suona il campanello a salvarmi. Percepisco diversi che si precipitano a recuperare il cibo, mentre io e Ash ci stacchiamo. Lui mi osserva per un altro lungo momento, non scambiamo una parola, ma sa il cielo quante ce ne sarebbero da dire. Ancora, mi perdo nella profondità dei suoi occhi scuri, senza riuscire a leggerne le emozioni.
È passato troppo tempo.
E vorrei scoppiare in singhiozzi lì dove mi trovo.
Perché mi hai lasciata?
Vorrei urlare.
Perché ti ho lasciato andare con tanta tranquillità?
 
Durante la cena, io e Brock ci raccontiamo gli anni di lontananza, ma è difficile, quasi impossibile, non cercare lo sguardo di Ash. Si è seduto in un’altra zona della grande tavolata. Lo vedo chiacchierare poco e concentrarsi molto sulla sua pizza, ne ha ordinata una per due persone, non ho dubbi che la farà fuori da solo. Almeno in questo non è cambiato, penso con un sorriso. Però è scuro in volto, pensieroso, la tranquillità che aveva prima del mio arrivo pare svanita, cosa può significare? Potrei impazzire e cominciare a sbattere la testa nella mia pizza ai frutti di mare, per un quesito del genere.
La cena scorre via senza che Ash volga lo sguardo una sola volta verso di me, forse anche lui non si aspettava di vedermi qui. È contento? Indispettito? Infuriato? Come faccio a capirlo se rimane chiuso in quell’immobilità surreale, così in disaccordo con il ragazzino casinista e fracassone che ricordo?
Dopo aver sparecchiato, Tracey propone un film in dvd che ha portato da casa, L’armata delle tenebre di Sam Raimi. Non ho idea di cosa sia, ma mi pare di capire che si tratti di un horror di serie B con risvolti demenziali. Quasi tutti gli amici di Gary sono entusiasti e si complimentano con Tracey per l’ottima idea, in pochi minuti ci troviamo seduti sui divani di fronte al megaschermo, in quella che Gary definisce sala di ricreazione.
Mi chiamo Ash e sono uno schiavo. Se non sbaglio, dovrebbe essere l’anno domini 1300 e mi hanno condannato a morte.
Il film inizia con questa frase e l’attore Bruce Campbell che si trascina in catene. È sufficiente a farmi cominciare a ridere in modo nervoso, come una perfetta deficiente. Immagino gli sguardi incerti rivolti al mio indirizzo, mentre il film, per mia fortuna, si dipana, divenendo la cosa più assurda, tamarra e divertente che io abbia mai visto. Il protagonista si trova ad avere a che fare con dei cavalieri medievali che lo gettano in un pozzo, dove è costretto a combattere con i morti viventi, poi con stregoni, folletti, strane presenze in agguato nel bosco, il tutto con surreale nonchalance, pose da macho ed estemporanee frasi a effetto. Non sono più la sola a ridere, ma lo faccio con più gusto degli altri, perché quel tamarro senza paragoni si chiama Ash, come ama ricordare più volte durante il film. A un certo punto si sdoppia addirittura nelle sue due parti, Ash buono e Ash cattivo, con il risultato che la carica demenziale del film raddoppia. Di seguito assistiamo alla ricerca di un libro maledetto, al risveglio dei morti causato, guarda caso, dalla stupidità di Ash, a una battaglia epocale e priva di ogni logica contro un esercito di scheletri. Non ricordo quando è stata l’ultima volta in cui ho riso tanto, probabilmente ero in compagnia di Ash, ma non quello del film. Ok, Sam Raimi e Bruce Campbell sono i miei nuovi idoli indiscussi, penso che domani andrò in videoteca a cercare il dvd, oppure chiederò a Tracey di farmene una copia.
 
Terminata la visione, molti degli invitati si congedano. Rimaniamo una decina e quasi magicamente compaiono delle chitarre. In un primo momento penso che cantare insieme sarà piacevole, ma un’amica di Gary si offre di cominciare e senza preamboli intona Montagne verdi.
Calma, Misty! Calma!
Me lo ripeto come un mantra, ma non serve, quanto odio quella canzone! Ogni volta che mi capita di ascoltarla piango come una fontana.
Poi un giorno mi prese il treno, l'erba, il prato e quello che era mio, scomparivano piano piano e piangendo parlai con Dio. Il mio destino è di stare accanto a te, con te vicino più paura non avrò e un po' bambina tornerò.
Grazie, cazzo, proprio quello che ci voleva! Non poteva cantare la sigla dei puffi?
Mi ricordo montagne verdi quella sera negli occhi tuoi, quando hai detto: "Si è fatto tardi, ti accompagno se tu lo vuoi". Nella nebbia le tue parole, la tua storia e la mia storia, poi nel buio senza parlare ho dormito con te sul cuore.
Canta pure bene questa stronza, con gran sentimento! Quanto la prenderei a schiaffoni!
Io ti amo mio grande amore, io ti amo mio primo amore, quante volte ho cercato il sole, quante volte ho cercato il sole.
Spero che nessuno lo noti, ma sto lottando strenuamente per non sciogliermi. Il piacere un po’ folle datomi dal film è già scomparso.
Il mio destino è di stare accanto a te, con te vicino più paura non avrò, e un po' più donna io sarò, montagne verdi nei tuoi occhi rivedrò.
Per fortuna è breve, l’applauso che segue all’esecuzione mi fa tirare un sospiro di sollievo. Non riesco a credere di aver ascoltato quella maledetta canzoncina nella stessa stanza in cui si trova Ash, benché lui si ostini a far finta che io non ci sia. Vorrei esplodere, oppure che una voragine piena di morti viventi si apra sotto di me e m’inghiotta, li farei a pezzi con il puro nervoso, senza bisogno di fucili o motoseghe.
Appena l’applauso cessa, Brock si fa consegnare la chitarra, ciò mi rincuora. Sono certa che il mio amico non mi tradirà, non tirerà fuori un brano in grado di uccidermi come Montagne verdi, ma quando lui si lancia con tutto se stesso nell’interpretazione di Un giorno insieme, capisco che non c’è pietà per la povera piccola Misty.
Cielo grande, cielo blu, quanto spazio c’è lassù. Cammino solo è non ti sento più. Cielo grande, cielo blu, al mio fianco c’eri tu e il giorno che nasce cancella ogni segno di te.
Dalla padella alla brace, in questo momento sono certa di odiare profondamente Brock.
Un giorno insieme, a lanciar sul fiume sassi e poi, capire cosa siamo in fondo noi.
Cerco di nuovo lo sguardo di Ash, ma lui è sprofondato, quasi disteso in una grande poltrona e non riesco a vedere il suo viso.
Amica mia, so che forse tu non capirai, ma un uomo no, non è contento mai.
Questo è vero, gli uomini non si accontentano mai e, quel che è peggio, non capiscono mai un accidente!
Cielo grande, cielo blu, quanto spazio c’è lassù. Cammino solo è non ti sento più.
Finalmente Brock conclude e l’applauso per lui è più lungo del precedente, non si può negare che ci abbia messo l’anima, mentre la mia vorrebbe tanto darsi all’eremitaggio sulle montagne più sperdute del pianeta.
È il turno di Gary, possibile che in questa casa siano tutti bravi a suonare e cantare? Cerco di fulminarlo con il mio sguardo più feroce.
Non osare!
Le mie speranze nella clemenza del mio ex crollano, quando lui attacca con Ritornerò.
Allora sei proprio un bastardo!
È forse una congiura? Si sono messi tutti d’accordo per farmi stare male? Tre brani su tre in grado di massacrarmi, questo va ben oltre la premeditazione!
Ti ho cercata in mezzo ai volti che vedevo intorno a me, più credevo di trovarti più eri inafferrabile, ogni tanto m'illudevo fossi veramente tu, e sentivo la tua voce anche se già non c'eri più. Ritornerò, ritornerò.
Poi una sera d'estate ho aperto gli occhi ed eri lì, le nostre giovani vite quasi indivisibili, forse è stato il troppo amore o l'incoscienza dell'età, aprendo quella porta hai detto tutto si sistemerà. Ritornerò, ritornerò.
Ed il tempo se ne andò con te, tra i rimpianti e le lacrime, e i ricordi e la felicità, a l'Amore che non tornerà, che quando si perde è perso ormai. Chissà un giorno se mi rivedrai, ti batterà il cuore per un po', solamente per un attimo.
Gary canta davvero bene, occorre dargliene atto, ma io ne ho abbastanza. Mi alzo di scatto con la scusa di andare in bagno e mi lascio alle spalle la piccola congrega quasi di corsa. Faccio appena in tempo a sedermi sulla tazza del water senza sollevarne il coperchio, l’uso che intendo farne non è quello tradizionale. Scoppio in lacrime senza ritegno, senza preoccuparmi che qualcuno possa sentirmi, la sala è lontana e gli altri, ignari del dolore che mi hanno causato, vanno avanti a cantare. Possibile che delle semplici canzoni riescano a ridurre in questo stato l’imperatrice di ghiaccio, o l’invincibile sirena d’acciaio? Me lo chiedo più volte, mentre consumo il rotolo di carta igienica per asciugarmi le lacrime e soffiarmi il naso. Non sono le canzoni, è lui, la sua presenza, non avrei mai dovuto accettare l’invito a questa serata.
Non so per quanto tempo rimango in bagno a singhiozzare, forse dieci minuti, forse un’ora, di certo non intendo tornare dagli altri se prima non mi sono calmata. In questo lasso di tempo, nessuno mi viene a cercare, forse hanno capito oppure sono semplicemente fortunata. Mi sciacquo la faccia e mi sforzo di riassumere un aspetto umano, ma gli occhi sono gonfi e arrossati, paiono due prugne. Il trucco, anche se leggero, ormai è un disastro. Ora potrei essere io il morto vivente, considero davanti allo specchio. Pazienza, dirò che non mi sento bene e ne approfitterò per andarmene, ponendo fine a questa serata allucinante.
Spenta la luce del bagno, l’oscurità mi avvolge piacevolmente, i miei passi non fanno rumore sulla moquette mentre attraverso il corridoio. Mi immobilizzo in fondo ad esso, nella stanza che devo attraversare c’è una persona, ma non si è accorta del mio arrivo.
Al tenue bagliore notturno che entra dalle finestre riconosco Ash, sebbene mi dia le spalle. Sono subito tentata di tornare in bagno, ma poi resto immobile a osservarlo.
Mi chiamo Ash, Reparto Ferramenta.”
Al sicuro da sguardi indiscreti, almeno così pensa lui, fa finta di avere in mano un fucile e cerca di imitare la voce e le pose di Bruce Campbell.
Devo chiederle di uscire da questo negozio.”
Non riesco a soffocare in tempo la risata che mi sale spontanea e lui si volta verso di me imbarazzato. Pur nel buio, sono certa di vedere i suoi occhi spalancati. Mi sorge il dubbio che anche lui ne avesse abbastanza di quelle canzoni, che mi stesse aspettando appostato in quella stanza. D’altra parte, sapeva dov’ero e dove sarei dovuta passare.
Frena, Misty!
Che vado a pensare? Di sicuro stava cercando il bagno e non è pratico della casa. Ricordo a me stessa, come ho fatto milioni di volte, che non ci vediamo e sentiamo da anni, che di sicuro lui ha la testa e il cuore altrove. Chissà con quante ragazze più belle e interessanti di me è stato! Ecco, ora magari esagero, ci sta che sia cresciuto ma anche latin lover… dai, si tratta pur sempre di Ash!
Il mio Ash…
Purtroppo il cinismo autodistruttivo del mio subconscio non conosce confini.
Non sapendo che altro fare e dovendo in qualche modo rompere quella stasi, decido di reggergli il gioco.
Ti succhierò l’anima!” Esclamo indicandolo, cercando di imitare la voce dell’orrenda strega che compare alla fine del film. D’altra parte è questo che devo essere sempre stata per lui, un’orrenda strega.
Ash fa il gesto di caricare il suo fucile immaginario.
Vieni a prenderla!” Mi sfida.
Eccome se verrei a prenderla! Anima, corpo, Pokémon e tutto prenderei di lui, peccato che… Il cuore mi rimbalza in gola, quando è lui che viene a prendere me. In pochi passi copre la distanza che ci separa e mi abbraccia, con una decisione e un trasporto che mi fa rimanere ancora una volta senza fiato. È molto differente dall’abbraccio di inizio serata, in questo non c’è niente di forzato, è dolce e caldo e pieno di affetto. L’abbraccio che mi aspettavo, che speravo di ricevere da lui fin dall’inizio. Sento di nuovo le lacrime premere, quando capisco, è questo il momento in cui ci rincontriamo davvero, Ash ha voluto attendere che fosse quello giusto.
“Misty.” Sussurra al mio orecchio.
Credo di non aver mai sentito il mio nome pronunciato in quel modo, anche lui è sull’orlo delle lacrime. Mi stringe forte, mi fa quasi male ma non ha importanza.
“Mi sei mancata da morire.” Aggiunge.
Se non fossi così stretta fra le sue braccia, sento che potrei svenire.
“Anche tu mi sei mancato, tanto.” Riesco a esalare, ma non posso evitare che la voce si spezzi per l’emozione.
Ash mi fa sedere su un piccolo divano che non avevo nemmeno notato, stringe le mie mani, mi osserva con attenzione, sembra indeciso su come cominciare. Ho tempo di pensare a quanto è cambiato, quanto appaia più maturo.
“Misty.” Scuote la testa, mi sorride. “Puoi perdonare questo grandissimo coglione?”
“Di cosa ti dovrei perdonare?” Chiedo con un filo di voce, presa ancora alla sprovvista.
Ce n’è a bizzeffe di cose per cui dovrebbe farsi perdonare. Peccato che quelle per cui io dovrei farmi perdonare siano quasi altrettante.
“Di essere tornato solo ora a cercarti.”
Sbaglio, o ha detto che è tornato per cercare me? Deve essere tutto un sogno e presto mi sveglierò, scoprendo che non mi sono mossa dal mio ufficio e che mi sono addormentata con la testa sulla contabilità.
“Di averci messo una vita.” Continua lui implacabile. “A capire che i miei viaggi non mi davano più la stessa soddisfazione, perché mancava la persona più importante. Di essere stato così lento e ottuso nel capire cosa provavo, di averti fatta aspettare tanti anni.”
Da dove prende tutta questa tranquillità? A me potrebbe esplodere il cuore in ogni momento e ad ogni sua parola! E quanto ci avrà messo a preparare questo discorso? Oppure gli è venuto spontaneo? Non ha importanza, le lacrime tornano prepotenti ad offuscarmi la vista.
“Misty, no!” Esclama subito lui. “Non volevo farti piangere! Non di nuovo…”
Sento la sua mano carezzarmi la guancia, la punta del pollice che asciuga le lacrime.
“Sto piangendo di gioia, stupido.” Riesco a dire.
“Ecco, così va meglio, la Misty che mi offende la riconosco.”
Ash ridacchia, io rido e piango, non so più che sto facendo. Non so nemmeno come riesco a fare uscire la voce.
“Non sai quante volte ho sognato di sentirti dire queste cose. Tu puoi perdonarmi per averti lasciato andare tanto a cuor leggero?”
Per tutta risposta, Ash mi fa stendere sul piccolo divano, tenendomi abbracciata, mi culla come farebbe con una bambina. Mi abbandono completamente alla sua presenza e ho la dolcissima impressione che gli anni in cui siamo stati separati siano svaniti di colpo. Ci osserviamo a lungo, riempiendoci lo sguardo e la mente dell’altrui figura.
“Adesso come diceva il tizio nel film?” Mi chiede lui dopo un po’, anche per alleggerire la situazione. “Ah sì, dammi un po’ di zucchero, baby!”
E finalmente le sento, le sue labbra sulle mie, calde, piacevoli, mi restituiscono in un attimo tutta la vita che ho perso in questi anni.
Dopo il bacio ci osserviamo a lungo, increduli. L’abbiamo fatto davvero? Lo stringo, come per accertarmi che non vada via di nuovo. Ci baciamo ancora, con più ardore, forse per renderci conto che sta accadendo nella realtà, non in un film o nell’ennesimo sogno. Sento le mie lacrime mischiarsi a quelle di Ash.
E in una pausa, mentre stringo il mio amato e mi sforzo di riprendere fiato, intravedo Brock e Gary che ci osservano dalla porta rimasta socchiusa. Il mio ex ha un’espressione soddisfatta, come se fosse riuscito in un’altra delle sue imprese. Brock sorride felice, ha gli occhi lucidi per la commozione. Si stringono la mano con atteggiamento complice, allora capisco, quei due erano d’accordo fin dall’inizio, hanno architettato tutto! Forse hanno anche detto a Ash che lo stavo ancora aspettando, ciò spiegherebbe tanta scioltezza nel dichiararsi.
Mi rannicchio nell’abbraccio di Ash, mentre lui continua a darmi piccoli baci sulla testa.
Ora l’Armata delle Tenebre può farsi avanti. Sono fra le braccia della persona che amo da sempre, in una casa piena dei migliori amici che si possano avere.
Non temo più niente.

 
*
 
Spazio autrice
 
L’armata delle tenebre è un film del 1992 diretto da quel fottuto genio di Sam Raimi, considerato da molti un cult fra i cult per la sua totalmente sregolata e assolutamente spettacolare stupidità. Mi ha dato l’input per questo capitolo quando l’ho rivisto e i miei amici si sono messi a imitare le pose e le frasi di Bruce Campbell. L’omonimia dei protagonisti e alcune immagini crossover trovate su internet sono state un grosso aiuto nel creare le situazioni. Se volete, a questo link trovate la scena finale, quella che Ash e Misty recitano verso la chiusura del capitolo.
 
https://www.youtube.com/watch?v=B3oMblOA_sk
 
Le canzoni citate sono “Montagne verdi” di Marcella Bella (1972), “Un giorno insieme” dei Nomadi (1992) e “Ritornerò” di Max Pezzali (2008). Le ho inserite perché hanno un grosso significato per me e perché mi sembrano adatte alla situazione di Misty.
 
Mi scuso per la lentezza con cui sto pubblicando, vi assicuro che le mie intenzioni iniziali erano ben altre.
 
A presto
Samy

 

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Capitolo 6
*** Il cerchio si chiude ***


Il cerchio si chiude
 
Ash si svegliò con un lieve mal di testa, probabilmente dovuto al vino bevuto la sera prima, la consapevolezza di aver passato la notte su un divano scomodo in una posizione sbagliata, ma soprattutto cosciente di essersi addormentato con Misty fra le braccia.
La ragazza non era più con lui, sentiva di essere solo sul divano, ma qualcuno si muoveva nella stanza, senza preoccuparsi troppo di non fare rumore. Ash riuscì ad aprire gli occhi in uno spiraglio, Gary stava scegliendo alcuni oggetti da una credenza, per riporli in un borsone da viaggio aperto sulla tavola. Gli aveva accennato di un viaggio che doveva fare, evidentemente stava preparando i bagagli.
“Buongiorno, bell’addormentato.” Lo salutò il padrone di casa.
“Gary.” Rispose Ash con la bocca impastata. “Buongiorno. Che ore sono?” Domandò, rendendosi conto della forte luce che entrava dalle persiane semiaperte.
“Quasi le due del pomeriggio.”
“Le due…” Ash uscì di colpo dallo stordimento. “E Misty dov’è?”
“Si è alzata di buon mattino, ha fatto colazione e suppongo sia andata a lavorare.”
Ash si mise a sedere, sfregandosi gli occhi.
“Ha detto lei di non svegliarti.” Aggiunse Gary.
“Questo potevo immaginarlo.” Commentò Ash.
“Direi che è andata bene.”
Ash rivolse a Gary uno sguardo penetrante.
“È… È successo veramente?”
Gary abbandonò brevemente la sua attività, sorrise malizioso allo sconcerto dell’amico.
“In effetti, neanche io pensavo andasse così bene.” Sottolineò.
“Siete stati cattivi con lei.” Ash rispose al sorriso.
“Non cattivi.” Lo corresse Gary. “Siamo stati spietati, ma per avere la certezza che le cose funzionassero, lei doveva essere emotivamente a pezzi e tu terribilmente sicuro di te stesso.”
Ash dovette annuire, la notte appena trascorsa aveva avuto non pochi risvolti demenziali, ma doveva dare atto a Gary che il piano aveva funzionato splendidamente.
“Brock dov’è?”
“Sta ancora dormendo in una delle stanze per gli ospiti, con la mia amica Ramona.”
Ash sgranò gli occhi.
“Quella con la quinta di seno?”
“Esatto, lei.”
“Buon per lui.”
“Non sarai mica invidioso?” Scherzò Gary. “Sveglia, Ketchum! Stanotte hai riconquistato Misty! Questo è il più grande giorno della tua vita, perciò smetti di ciondolare!” Indicò qualcosa sul piano del tavolo. “Qui ci sono dei vestiti più comodi di quel completo, cambiati, vai in cucina a mangiare un boccone, se vuoi, poi corri dalla tua bella.”
Ash considerò una maglietta, jeans e scarpe sportive disposti con ordine accanto al borsone, si alzò e cominciò subito a cambiarsi. Gary aveva ragione da vendere, quello era davvero il più grande giorno della sua vita. Di lì a poco Misty sarebbe stata sua, sentì che sarebbe svenuto, se si fosse soffermato su quel pensiero.
“Grazie di tutto.” Disse, non sapendo che altro aggiungere, quando fu pronto.
Gary si strinse nelle spalle.
“Come ti ho detto, l’ho fatto per Misty e perché era la cosa giusta da fare.” Gary distolse lo sguardo e sorrise, parve ripensarci. “Ma alla fine sì, l’ho fatto anche un po’ per te.”
Anche Ash sorrise, protese la destra che Gary strinse. A quel punto Ash lo attirò a sé e lo abbracciò stretto. Gary non poté opporsi, se anche ebbe l’intenzione di farlo, Ash era diventato più grosso di lui.
“Ora sparisci, vai da lei.” Disse Gary dopo l’abbraccio, dissimulando l’imbarazzo.
 
Dalla casa di Gary alla propria, Ash corse con tutte le sue forze, pur non avendo fatto colazione e rischiando un infarto. Sua madre, protetta dal sole da un grande cappello di paglia, si stava occupando della cura delle aiuole, quando lui si accasciò stremato sul vialetto di casa.
“Ash!” Esclamò la donna. “Ma che succede?”
Il giovane fece segno di aspettare che riprendesse fiato.
“Mamma!” Disse, quando fu di nuovo in grado di articolare. “Oggi o mai più, devi permettermi di usarla!”
Indicò il capanno degli attrezzi che sorgeva su un lato della piccola proprietà, Delia capì immediatamente a cosa il figlio si riferisse. Scambiò con lui uno sguardo carico di significati, che bastò per dirsi ogni cosa sull’importanza di quel momento. Alla fine la donna sciolse la tensione annuendo, poi andò in casa a recuperare le chiavi necessarie. Al momento di consegnarle al figlio, però, le trattenne nella propria mano.
“La sai guidare?” Domandò in tono severo.
Ash annuì, non ebbe esitazioni.
“Un ragazzo che ho conosciuto nella regione di Sinnoh ne aveva una simile, mi ha insegnato a portarla.”
Delia annuì a sua volta, era una cosa che Ash le aveva detto in altre occasioni, ma aveva voluto comunque una riconferma. Lasciò andare il mazzo di chiavi.
 
Il capanno degli attrezzi era inutilizzato da anni, serviva solo a preservare qualcosa di molto importante, sia per Delia che per Ash.
Il giovane rimosse il telo di protezione con gli occhi lucidi per l’emozione.
Harley Davidson 883 Iron.
Fiammante come appena uscita dal concessionario, una meraviglia.
Era appartenuta a suo padre, che non era mai tornato a riprendersela, come non era tornato a riprendersi la sua donna e suo figlio. Delia, nel corso degli anni, l’aveva conservata come una reliquia, pagando un bravo meccanico perché la mantenesse perfettamente funzionante, anche se nessuno la utilizzava. Ash pensava a quando, da bambino, chiedeva di continuo alla madre di poterla vedere.
Guardare e non toccare.
Ogni volta Delia aveva promesso al figlio che un giorno avrebbe potuto usarla. Quel giorno era arrivato e Ash sentiva di stare partendo per la sua missione più importante. Delia, avendo ben chiara la situazione, gli consegnò due caschi.
Osservandolo allontanarsi nel sole estivo, sentì una lacrima scendere sullo zigomo sinistro.
 
Fermandosi davanti alla palestra, Ash incrociò Daisy che usciva in quel momento.
“Ciao, Ash.” Lo salutò la giovane donna, palesemente sorpresa di vederlo, soprattutto in sella a quella bellissima moto. “Quando sei tornato?”
“Da qualche giorno, ma le spiegazioni dopo, dov’è Misty?” Disse sbrigativo.
“Non è qui.”
La risposta bloccò il movimento di Ash, che stava per smontare.
“Ha detto che usciva a fare due passi per distrarsi.” Il tono di Daisy si colorò di malizia tutta femminile. “In effetti, stamattina aveva un’aria strana, sembrava fra le nuvole e non faceva altro che sorridere in modo ebete. È andata verso il fiume, ma non per pescare, non era vestita in modo adatto e non aveva l’attrezzatura.”
“Grazie! Vado a cercarla!”
Ash riaccese l’Harley e ripartì a tutto gas, lasciando Daisy immobile sul posto e piuttosto interdetta. Lily, attirata dal baccano fatto dalla moto, uscì a sua volta dalla palestra.
“Che succede?”
Daisy sorrise, osservando la direzione in cui il ragazzo si era allontanato.
“Sai, ho la netta impressione che dovremo smettere di fare le lavative e tornare a occuparci della palestra, almeno per un po’.”
 
Come nel sogno, Ash guidava con il gas completamente aperto, mentre intorno a lui ruggiva il trionfo dell’estate. Aveva però indossato il casco, nella realtà non era incosciente come nelle sue visioni notturne.
Come nel sogno, riconobbe la sagoma di Misty che camminava a lato della strada di campagna, lei si fermò quando lo sentì rallentare. Indossava un semplice abitino blu, che le lasciava scoperte le spalle e buona parte delle gambe.
Come nel sogno, Ash spense il motore e si tolse occhiali da sole e casco. Misty si volse lentamente verso di lui, trattenne il fiato. Ash mise la moto sul cavalletto e smontò, sentì la bocca seccarsi. Misty era terribilmente sexy con quell’abbigliamento così semplice e i capelli sciolti nel vento, mentre la maglietta ricevuta da Gary era attillata, metteva in risalto tutta la sala pesi che Ash si era sbattuto negli ultimi anni.
Si osservarono in silenzio a lungo, entrambi incerti su come iniziare.
“È…” Fu Ash ritrovare per primo la parola. “È successo tutto troppo in fretta, giusto?”
Misty sciolse la tensione sul proprio volto con un sorriso, annuì. Ash aprì le braccia per accoglierla, la strinse a sé, le posò baci sui capelli.
“Te l’ho già detto ma te lo dico di nuovo, mi sei mancata da morire.” Sussurrò.
“Anche tu.” Rispose lei. “Anche in queste poche ore.”
“Vieni, facciamo un giro.”
Le diede il casco di riserva e la fece montare dietro di sé, poi spinse di nuovo a tutta fiamma. Misty si strinse a lui cingendogli i fianchi e Ash immaginò i suoi genitori, viaggiare sulla moto alla medesima maniera, in quelle stesse campagne, tanti anni prima. Però, si disse, lui non avrebbe ripetuto l’errore di suo padre.
Quando si fermò, dopo un lungo giro non programmato, sentì Misty trattenere il fiato. Aveva riconosciuto il posto, era quello in cui lo aveva pescato quando avevano dieci anni, quello in cui la loro storia era iniziata.
Nel silenzio mosso solo dal vento, Ash mise la moto sul cavalletto, agganciarono i caschi al manubrio. Misty scese per prima verso la riva del fiume, salì esattamente sul masso dal quale aveva pescato il ragazzo. Parve considerare il corso d’acqua per un lungo momento, forse sospirò un paio di volte nel morso della nostalgia. Finalmente si volse verso Ash, di nuovo si contemplarono in silenzio.
Ash le accarezzò la guancia.
“Sei bella come un sogno.” Disse. “Anzi, nell’ultimo anno ti ho sognata quasi ogni notte, ma non eri bella come adesso.”
Misty arrossì e abbassò lo sguardo.
“Oh, Ash.”
Non le uscì altro, nascose il volto contro il petto del ragazzo, che la strinse di nuovo a sé.
“Misty.” Le disse all’orecchio. “Ora ascoltami bene, perché quello che voglio dirti è così chiaro nella mia testa e ne devo approfittare.”
Si staccarono ma lui la tenne per le spalle, guardandola negli occhi. Quelli di Misty erano grandi quanto il mare, gonfi di aspettativa. Quelli di Ash erano socchiusi, scuri, carichi di forza e convinzione. Senza parlare, si sedettero all’ombra di un alberello solitario che cresceva lì vicino, l’uno di fronte all’altra, senza perdere il contatto di sguardi.
“Sei stata la prima persona che ho incontrato nel mio viaggio.” Esordì Ash. “Mi hai tirato fuori da questo fiume, mi hai salvato prima ancora di conoscermi. Da quel momento, che io lo volessi o no, ci sei sempre stata.” Sorrise e scosse la testa. “Devo ammettere che all’inizio ti ho considerata una seccatura, un ostacolo nella mia ossessiva caccia ai Pokémon, ma poi ho visto cos’eri in realtà. Eri la persona che per me c’era sempre. Mi hai sostenuto nei momenti difficili, mi hai protetto quando ne ho avuto bisogno, abbiamo riso e pianto insieme, nei successi e nelle sconfitte. In pratica eri tutto il mio mondo ed io non me ne rendevo conto.”
Forse stava esagerando, ma Misty era intenta ad adorare ogni istante e non l’avrebbe fermato per nulla al mondo.
“Quando me ne sono reso conto, ho avuto paura.”
A questo lo sguardo di Misty divenne interrogativo.
“Sapevo quello che provavi, sapevo che piangevi di nascosto, di notte, quando non potevo vederti. Ho fatto finta di niente perché adoravo quella vita, non volevo che cambiasse.” Lasciò andare una mezza risata amara. “Ho ignorato il tuo amore per paura di perdere ciò che eravamo, non potevo essere più stupido di così, giusto?”
Misty gli prese una mano fra le proprie, scosse la testa con sguardo comprensivo.
“Eravamo bambini.” Disse in tono conciliante. “Io non ti ho mai confidato i miei sentimenti perché temevo che saresti andato via. Anche per me, perdere la vita che facevamo insieme sarebbe stato il peggior male immaginabile. Ciononostante, quando è stato il momento di separarci, ho fatto finta di essere felice, come se non m’importasse. Sono stata stupida quanto te.” Tentò di ricacciare indietro le lacrime, senza riuscirvi. “Ho passato ogni giorno di lontananza a rimpiangere di non averti detto ciò che provavo.”
Ash le prese con delicatezza il volto e si mise ad asciugarle le lacrime con i pollici.
“Non piangere.” Disse, ma ormai anche i suoi occhi erano sovraccarichi. “È passato, non ha più importanza. Ora siamo insieme e non ho intenzione di fare un solo passo senza di te.”
Misty si sciolse definitivamente e si avvinghiò a lui, che la baciò con foga. Rotolarono sull’erba senza staccare le labbra, nello sforzo di aderire maggiormente l’uno all’altra.
Non era un caso che tutto ciò avvenisse lì, dove la loro storia era iniziata. Il cerchio delle loro vite ora era chiuso, perfetto, tutto il mondo circostante pareva cantare.
 
In lontananza, su una vecchia torre da birdwatching, Gary e Brock, accompagnati dall’ancora assonnata Ramona, abbassarono i binocoli con cui avevano osservato la scena. Come la sera prima, si strinsero la mano, considerando che, visti i risultati, avrebbero dovuto collaborare più spesso.
 
*

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Capitolo 7
*** EPILOGO - L'isola dei sogni ***


EPILOGO
L’isola dei sogni
 
Aperto il cancelletto di servizio, Ash dovette spingere Misty oltre a esso. La ragazza era stata entusiasta di partire subito per un viaggio in sua compagnia, ma giunti in vista dell’Isola di Maverick era stata colta da timore reverenziale. Dal momento dello sbarco, aveva osservato tutto a occhi spalancati.
Ash la guidò lungo il vialetto tenendola per mano. Il giardino che circondava la villa era immenso, tenuto in ordine con precisione maniacale. Era pieno di studenti e Pokémon che chiacchieravano, camminavano, giocavano immersi in un’atmosfera idilliaca.
“È meraviglioso.” Commentò Misty rapita.
Ash si volse e le sorrise.
Tutto è meraviglioso su quest’isola, soprattutto ora che sei qui.”
Misty ebbe tempo di arrossire, forse Ash avrebbe aggiunto altro, ma fu interrotto da un irrefrenabile grido di gioia.
“Pikapi!”
Pikachu, arrivando di corsa attraverso il prato, gli balzò al collo. Ash lo abbracciò ridendo, ma non ci fu tempo per altre effusioni, perché il topino elettrico si rese conto della persona che seguiva il suo allenatore. Gli occhi gli divennero tondi come monete, la bocca e le zampe cominciarono a tremare, mentre Ash sentiva il suo piccolo cuore fare le capriole.
“PIKACHUPI!”
Pikachu si buttò al collo di Misty, vi si avvinghiò e scoppiò in lacrime, strusciando il muso sulla pelle della ragazza.
“Anch’io sono contenta di vederti, piccolo.”
Osservando quella scena, Ash si chiese come avessero fatto lui e Pikachu a stare per così tanto tempo senza Misty.
 
Il signore di quel regno fatato li aspettava in fondo al vialetto, ai piedi della grande villa, con l’abituale tenuta elegantissima.
Ad Ash parve anche più alto di quando si erano visti l’ultima volta. Strinse la mano di Misty, che aveva sentito irrigidirsi all’apparizione del dottor Maverick.
“È lui?” Domandò la ragazza con un filo di voce.
Ash annuì e le sorrise rassicurante.
“Pikachu Pika!” Cercò di incoraggiarla a sua volta Pikachu, che le stava in spalla.
Misty si lasciò condurre al cospetto dell’anziano signore, il campione dei campioni, di cui tanto aveva sentito parlare e favoleggiare.
“Ash, bentornato.” Li accolse. “Vedo con piacere che il tuo viaggio ha avuto successo.”
Misty divenne rossa come un Charmeleon, mentre Ash stringeva la mano del vecchio.
“Maestro, vi presento Misty.”
“Onorato di fare la vostra conoscenza, milady.”
La ragazza allungò timidamente la mano, il dottor Maverick la prese con delicatezza e la baciò in modo molto signorile. Misty dovette controllare un giramento di testa.
“Maestro.” Ash invece passò subito ai fatti. “Siamo venuti in fretta perché io voglio riprendere a studiare, ma Misty deve decidere cosa fare con la palestra. Insomma, abbiamo tante cose di cui discutere e abbiamo bisogno di una persona fidata che ci consigli!”
Misty fu sul punto di avere una sincope.
“Ash!” Esclamò il dottor Maverick, piacevolmente sorpreso da quell’entusiasmo. “Parli di decisioni importanti! Non mi starai sopravvalutando?”
Ash fece una risatina nervosa.
“Non credo proprio, maestro.”
“In questo caso, credo sia meglio salire in terrazza e parlarne con comodo, sorseggiando qualcosa di fresco.”
 
Alcuni anni più tardi
 
“Signore e signori, benvenuti all’Arena del Fuoco di Phoenix!” Sentì proclamare da uno speaker in lontananza.
Le luci dello spogliatoio erano spente su sua richiesta, la penombra lo aiutava a concentrarsi. A fargli compagnia in silenzio c’era soltanto Pikachu.
Phoenix, Arizona, Arena del Fuoco.
Non gli interessava il luogo, la folla assiepata sugli spalti o i proclami dei commentatori in tutte le lingue del mondo. Nella mente dell’allenatore vi era spazio per un solo pensiero.
Se vinco questa sera, il titolo di maestro non me lo leva nessuno.
Le mani tormentavano a turno l’esca con le sembianze di Misty e il distintivo della Maverick Academy, quello blu dei diplomati.
“Ash.”
Sollevò lo sguardo, non si era reso conto che qualcuno stava entrando nello spogliatoio. In teoria quella zona era assolutamente vietata ai non addetti ai lavori.
“Misty!” Esclamò balzando in piedi. “Che ci fai qui? Dovresti essere in albergo!”
Misty si avvicinò, rallentata dalla gravidanza in stato avanzato, Ash la prese per le spalle come se potesse cadere da un momento all’altro. Lo sguardo gli cadde per un istante sul distintivo blu che anche lei indossava, con annesso il pendente a forma di goccia, che la identificava come specialista di Pokémon di tipo Acqua.
“Non esiste che seguo questa sfida in TV.” Disse Misty in tono convinto.
“Ma…” Tentò di obiettare Ash.
“Sto bene.” Lo rassicurò lei. “Anzi, stiamo bene.”
Prese le mani del marito e se le pose sul ventre. Ash parve tranquillizzato da quel gesto, si chinò per baciarla.
Furono interrotti da qualcuno che si schiarì la voce. Il dottor Maverick era apparso dal corridoio che conduceva ai campi gara.
“Ciao, Misty.” Disse, per nulla sorpreso di vedere lì la giovane donna. “Ash, è quasi il momento, stanno per annunciare i contendenti.”
“Sono pronto.”
“Bene.”
Il dottor Maverick estrasse qualcosa dal taschino della giacca. Pur nella penombra, Ash riconobbe il distintivo rosso.
“Questo l’ho già preparato, non costringermi a rimetterlo dov’era.”
Ash annuì e il dottor Maverick tornò sui propri passi, lasciando nuovamente sola la giovane coppia. Erano pochi gli allievi che il campione dei campioni accompagnava di persona alle sfide importanti, il fatto di essere uno di loro riempiva Ash d’orgoglio. Quella sera non poteva proprio fallire, pensò, non di fronte al maestro e alla sua amatissima moglie.
“Mi hanno riservato un posto in tribuna d’onore.” Disse Misty, allungando una carezza a Pikachu. “Ci vediamo dopo la sfida.”
Ash poté solo annuire, poi ascoltò i passi della moglie che si allontanavano.
Strinse forte il distintivo della Maverick Academy e sentì una strana tranquillità invadere il suo animo. Non gli era mai capitata una cosa del genere prima di una sfida importante, sulle prime non seppe come definirla.
Scambiò uno sguardo con Pikachu e negli occhi del topino elettrico trovò la risposta. Quella era serenità allo stato puro, era la consapevolezza che, comunque andasse la sfida, comunque si sviluppasse la sua carriera da allenatore o di maestro, lui aveva già tutto ciò che desiderava.
Ash Ketchum era un giovane uomo felice.
Con la tranquillità di chi ha già vinto le sue sfide fondamentali, si diresse al campo gara.
 
*

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