Celine

di alaal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nottataccia ***
Capitolo 2: *** La squadra si rompe ***
Capitolo 3: *** Il nemico ***
Capitolo 4: *** L'aggressione nel bosco ***
Capitolo 5: *** Tradimento ***
Capitolo 6: *** Spiegazioni ***
Capitolo 7: *** Dubbi ***
Capitolo 8: *** Il rivale ***
Capitolo 9: *** Il patto ***



Capitolo 1
*** Nottataccia ***


Di nuovo… l’ennesimo fallimento della nostra fallimentare carriera da falliti ladri di Pokémon. Quel bamboccio, con il suo Pokémon, era riusciuto a scaraventarci in orbita senza tanti complimenti, distruggendo la nostra ultima creazione tecnologica, la “Aspiratutto ma proprio tutto”. Il piano era molto semplice, in verità: agire nottetempo nel museo di archeologia di Plumbeopoli e, per mezzo del gigantesco aspirapolvere volante, arraffare tutto l’arraffabile. Ma ancora una volta, quel maledetto moccioso, “casualmente”, si trovava da quelle parti con i suoi pestiferi amici. E io e i miei amici venimmo sconfitti, la nostra macchina costruita con i nostri sudati risparmi andata irrimediabilmente distrutta e noi catapultati in aria per diversi metri, atterrati con diversi acciacchi tra gli alberi silenziosi di Boscosmeraldo. Adesso, ci troviamo impigliati in mezzo alle fronde degli alberi, e per nostra immensa fortuna siamo proprio caduti tra i nidi degli Spearow, che naturalmente inferociti per il nostro arrivo imprevisto, hanno deciso di picchiettare le nostre teste con i loro becchi acuminati. Perforbecco, giusto per concludere la serata nei peggiori dei modi. Fortunatamente (o sfortunatamente, dipende dai punti di vista) i rami sotto di noi non reggono il nostro peso e, con un rumore secco, cadiamo a terra e gli Spearow ci seguono a ruota, ancora furibondi per avere loro distrutto qualche uovo della loro nidata.

-Ahi! Ahi! Andatevene, uccellacci!!- Le grida della mia compagna di scorribande sono colme di rabbia e, con le sue braccia affusolate inguantate, cerca di scacciare gli Spearow che si abbattono su di noi come mille rapaci assetati di sangue. Anche io cerco di difendermi facendo del mio meglio, ma siamo in netta inferiorità numerica e lasciamo che gli Spearow facciano di noi quello che vogliono. Dopo dieci minuti di becchettature e di graffi causati dai loro artigli aguzzi, finalmente decidono di lasciarci andare e di trasferirsi su una quercia poco distante da noi.

E noi? Attoniti, lerci, feriti e con il morale sotto i tacchi, rimaniamo sdraiati a terra a fissare il cielo notturno pieno di stelle. La luna con la gobba a levante faceva capolino tra le foglie degli alberi di Boscosmeraldo, dopotutto rimanere supini sul terriccio del bosco non era poi così male. Mi fanno male le braccia, non riesco a muovere neppure un muscolo.

-Io non capisco… non lo abbiamo neppure cercato stavolta…- Adesso è l’altro mio compagno che parla. Il suo tono di voce, flebile e colmo di tristezza, rappresenta idealmente il nostro sentimento di sconfitta e di umiliazione. Davvero, non lo avevamo neppure cercato quel Pokémon in questi giorni. Il nostro capo si era raccomandato proprio a noi, qualche giorno prima, e ci aveva commissionato uno dei furti più clamorosi da fare nella città di Plumbeopoli: rubare tutti i reperti archeologici recuperati dagli scavatori nei mesi precedenti nelle terre dell’Isola Cannella. Sarebbe stato un lavoretto pulito e facile, gli allarmi erano stati disattivati correttamente, le guardie stordite, i fili della corrente tranciati, le linee del telefono mute.

Avevamo preso tutti gli accorgimenti del caso, non eravamo mai stati così professionali come questa sera.

E nonostante tutta la nostra buona (si fa per dire) volontà, eccoti arrivare quella spina nel fianco con i suoi amichetti. E… sì, non capisco neppure io. Mi è sembrato, per un certo momento, che si fosse messo ad inseguire noi (di solito accade il contrario), e ci ha attaccato di proposito. Non abbiamo potuto neppure organizzare una difesa sensata, che il suo Pokémon ci ha attaccati con un potente Tuonoshock e, mandando in cortocircuito la nostra mongolfiera aspirante, ha distrutto il nostro capolavoro dell’ingegneria, facendoci saltare letteralmente in aria, come al solito.

Eppure questa volta la delusione è così cocente che non ho neppure voglia di rispondere al mio compagno di squadra. Abbiamo fallito un’altra volta, il nostro capo ci ha perdonato tantissime volte in questi anni, ma temo che questa volta siamo arrivati al capolinea. Forse è meglio così, non siamo mai riusciti a combinare niente di buono, abbiamo inseguito quel ragazzino in lungo e in largo per tutte le regioni conosciute, con il solo scopo di rubargli il suo Pokémon preferito, ma dopo tutti questi anni ancora non ci siamo riusciti. Ma chi vogliamo prendere in giro?

La mia compagna si rialza in ginocchio, digrignando i denti e graffiando con le unghie con rabbia il sentiero terroso del bosco. La sua chioma fluente è scompigliata e alcuni rami e alcune foglie sono attaccati ai suoi capelli, rovinando la sua ultima elaborata messa in piega.

-Non possiamo arrenderci così! Domani riproveremo, siamo stati così vicini a fare il furto del secolo!- L’altro mio compagno, più rassegnato di me, ha incrociato le mani dietro la testa e accavallato una gamba sull’altra, perdendo il suo sguardo tra le stelle della sera estiva. Una leggera brezza si è sollevata e i rami frondosi degli alberi si muovono leggermente, conciliandomi il sonno. Sono stanco, effettivamente, abbiamo lavorato diversi giorni e notti a quel progetto, e non ho più voglia di discutere con loro su cosa fare e cosa non fare.

-Ma dai, Jessie, ci sono stati numerosi testimoni, domani mattina il museo sarà pieno di poliziotti e probabilmente porteranno via quei reperti in un altro luogo più sicuro!- La donna ridacchia sommessamente e, con una certa difficoltà, si rialza in piedi, appoggiandosi con una mano sul tronco dell’albero dal quale eravamo caduti poco prima. La osservo in volto, il suo sorrisetto sinistro e il suo sguardo magnetico significano una cosa sola: aveva già un piano in mente.

-E’ questo il punto, James. Crederanno di sentirsi al sicuro con quel nugolo di poliziotti, ma ancora non hanno capito che noi abbiamo il nostro asso nella manica!- James si mette seduto stavolta con uno scatto, piuttosto arrabbiato nei confronti di Jessie, e incrocia le gambe mettendo le mani sulle ginocchia.

-Eh no, Jessie! Victribell non lo voglio utilizzare! Se pensi di narcotizzare tutti quegli uomini…- Le loro discussioni si protraggono a lungo. Non ho assolutamente voglia di ascoltarli, voglio solo dormire ma la donna richiama la mia attenzione chiamandomi per nome. Mi sollevo sui gomiti, con gli occhi gonfi di sonno, e scuoto la testa.

-Eddai, Meowth, sicuramente avrai un piano pronto per domani sera!- Anche James, sorridendo, mi guarda speranzoso, convinto che io abbia un buon piano in mente.

-Quei mocciosi sicuramente non ci saranno domani a Plumbeopoli – si strofina le mani energicamente, ritrovando un po’ di spirito che aveva perso prima – hai in mente quale macchina potremo utilizzare domani?- Eh, sì, quale macchina? Con quali soldi poi? Fosse stato per me, avrei utilizzato la vecchia tecnica del furto a mani nude, ma non avevo assolutamente voglia di discutere con loro. Chiudo gli occhi e mi accoccolo sul terriccio fresco, raggomitolandomi per terra come piace tanto a me.

-Ne parliamo domani, ragazzi, ne parliamo…- Jessie e James rimangono in silenzio per diversi lunghi secondi, sicuramente il fatto di non trovarsi con un piano pronto per la prossima settimana li ha gettati in uno stato di desolazione e di incredulità.

-Ma… Meowth – Jessie e James si avvicinano verso di me, perplessi – tu sei sempre stato il primo a proporci un nuovo piano per la prossima giornata… è da un paio di giorni che ti comporti in modo strano.- Già, se solo sapessero…

-Ragazzi, ne parliamo domani, va bene? Sono stanco.- E do loro la schiena, lasciandoli ammutoliti. Non più di tanto, perché ovviamente la mia compagna non ha apprezzato il mio nichilismo, e come al suo solito sbotta in improperi e grida da spaccare i timpani pure ad un sordo.

-Ne ho abbastanza del tuo atteggiamento! Meowth, vedi di darti una svegliata e di elaborare un nuovo piano, immediatamente!- Le grida di Jessie non mi sfiorano minimamente. James, un pochino più comprensivo nei miei confronti, si mette davanti a Jessie e, tentando di calmarla, la spingeva indietro, cercando di allontanarla da me.

-Abbi pazienza, Jessie, abbiamo effettivamente lavorato giorno e notte ed è logico che Meowth sia stanco. Riposiamoci per stasera, e domani mattina elaboreremo un buon piano. Giusto, Meowth?- E si volta verso di me, sorridendo, ma trova solo la mia schiena e il mio (finto) russare. Il fatto è che non ho assolutamente voglia di preparare un nuovo piano. Da quando ho conosciuto Celine, due giorni fa, nella città di Zafferanopoli, non riesco a pensare ad altro. Perché siamo capitati proprio da quelle parti? Ah sì, per raccogliere il materiale necessario dallo sfasciacarrozze per costruire la “Aspiratutto ma proprio tutto”. Quello che mi ha chiesto, dopo il nostro fugace incontro-scontro, mi ha lasciato senza parole.

Ora non voglio pensare a niente. Nè al piano andato in fumo, né alle chiacchiere di Jessie e James, né a quell’antipatico Pokémon elettrico, né a Celine, né al nostro boss.

Niente di niente.

Voglio solo dormire.

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Capitolo 2
*** La squadra si rompe ***


FLASHBACK

 

-Ragazzi, ehi ragazzi!! Guardate un po’ qui!- Il Delibird postino che di solito ci consegna le missive da parte del quartier generale del Team Rocket, questa volta non reca la solita pubblicità e minacce di pagamenti arretrati da parte dei finanziamenti che l’organizzazione ci ha concesso nel corso di questi anni.

Ci troviamo nel limitare del Promontorio di Celestopoli, accampati nei pressi del bosco al di fuori da sguardi indiscreti, con il nostro piccolo tesoretto tra le mani. I piccoli furtarelli ordinati su commissione dai vari manager del Team Rocket sono andati quasi tutti a buon fine (tranne in quei casi in cui la merce da rubare era già stata venduta e il piano di furto irrimediabilmente compromesso, ma non certo per colpa nostra, e i manager lo sanno), mi potevo ritenere soddisfatto dei progressi della nostra squadra. Non mi sono mai trovato così affiatato con i miei compagni, infatti James è raggiante e immerge le mani, felice come un bambino, negli ori che siamo riusciti a sgraffignare nel corso delle nostre recenti scorribande. La voce di Jessie tuttavia distoglie la nostra avida attenzione dagli ori accumulati di fianco al falò acceso e la vediamo avvicinarsi in compagnia del postino Delibird, che aveva già consegnato una lettera con i sigilli del Team Rocket in ceralacca alla ragazza. Tutti quei sigilli che chiudono ermeticamente la lettera cattura completamente la nostra attenzione, e restiamo in attesa che Jessie apra la lettera con un colpo secco, ma la nostra compagna apre la busta e inizia a leggere per i fatti suoi, lasciandoci con un po' di amaro in bocca.

Io e James restiamo in attesa, seduti accanto al fuoco, e mentre Jessie continua a leggere la lettera, mettendo una mano sul fianco e con l’altra regge la missiva, io e il mio compagno dai capelli turchesi parlottiamo, spaventati dal contenuto della lettera.

-Che dici, Meowth? Addirittura sigilli ufficiali dell’organizzazione!- James ha ragione a preoccuparsi, di solito quelle lettere ufficiali non promettono niente di buono. Temo che qualcuno invidioso dei nostri recenti successi abbia voluto fare leva sui nostri numerosi debiti con l’organizzazione e ne abbia richiesto un richiamo ufficiale. Voltiamo nuovamente lo sguardo verso la nostra compagna e, a giudicare dal suo sorriso a trentadue denti, il contenuto della lettera porta buone notizie insperate.

-Non… non ci posso credere!! Ma è fantastico!- Jessie inizia a ridere come una pazza scatenata, volteggia su se stessa, balla e saltella un po’ di qua e un po’ di là. Temendo che la nostra compagna sia impazzita tutta d’un colpo, ci alziamo e ci avviciniamo verso di lei, prendendole la lettera dalla mano. Naturalmente il gesto non piace assolutamente a Jessie, la quale non perde tempo a sbraitare come una forsennata, pretendendo l’immediata restituzione della lettera. La zittisco saltandole addosso e colpendola con due unghiate in faccia e, mentre la donna si tiene il volto con le mani in disparte, lamentandosi che io abbia “attentato alla sua immacolata bellezza, distrutto il fior fiore dell’esercito femminile del Team Rocket” e sciocchezze simili, io e James leggiamo attentamente il contenuto della lettera. Strabuzziamo gli occhi quando ci accorgiamo che la lettera è scritta di pugno dal nostro leader, Giovanni. E non era neppure scritta a macchina, addirittura a penna. La sua penna stilografica d’oro!! Scritta da lui! Io e James ci guardiamo in faccia, sconvolti da quella scoperta e, con i lucciconi agli occhi, James mi chiede di leggere a voce alta, ed io lo accontento ben volentieri.

Mie care reclute TR37, (siamo noi! Il nostro nome in codice!!) è con estremo piacere comunicarVi che, visti i vostri recenti successi delle missioni a Voi affidate, siete stati selezionati come R.S. per partecipare all’importantissima missione che avverrà tra pochi giorni, in vista dell’anniversario della fondazione della nostra prestigiosa organizzazione. (Oh, che animo nobile il nostro leader!!) Pertanto, la S.V. è invitata a presenziare al meeting che avverrà presso il Q.G. domenica prossima (domenica prossima… ovvero tra tre giorni!!) presentandoVi con le vesti ufficiali del T.R..

Sempre Vostro, L.G.”

La lettura della missiva gonfia i nostri cuori di orgoglio e rinnova a dismisura l’ammirazione che proviamo per il nostro leader assoluto. Oh, così buono e così magnanimo con noi…! Addirittura Reclute Scelte!! Era una vita che aspettavo questo momento. James addirittura scoppia in lacrime e si nasconde il viso con una mano.

-Finamente i nostri sforzi sono stati ricompensati!- La sua voce, rotta dal pianto, commuove pure me e non posso fare a meno di lacrimare di gioia. Finalmente, ora la nostra carriera all’interno del Team Rocket iniziava a decollare, da reclute semplici a Reclute Scelte, poi portate a termine diverse missioni saremmo potuti diventare Caporali, poi Istruttori, dopodiché Manager e addirittura Caposquadra…! Già il vedermi a comandare centinaia di reclute Rocket mi manda in solluchero. Guardo per aria e già immagino il posto di Persian, accanto a Giovanni, occupato dal sottoscritto e ridacchio al pensiero di poter dare un poderoso pedatone al didietro di quel micione presuntuoso. Jessie mi riporta alla realtà strappandomi di mano la lettera e, con ancora i segni rossi dei miei graffi sulla sua faccia, controlla imbronciata ancora una volta la lettera.

-C’è un post scriptum: “Consegnate il tutto a Delibird appena arriva.”, immagino che dobbiamo consegnare tutto a te, giusto?- Ed osserva il Delibird postino, con il berretto blu e la borsa a tracolla. Il Pokémon annuisce, sorridendo, e tutti insieme raccogliamo la refurtiva e la diamo in consegna al postino, che ingurgita tutto nel suo sacco che si porta sempre sulle spalle. Dopo avere raccolto tutto l’oro, Delibird ci saluta e, fatti due o tre passi di corsa con il suo sacco di juta sulle spalle, spicca il volo e lo vediamo volare oltre gli alberi del bosco, per poi sparire definitivamente dopo qualche minuto. Lo seguiamo con lo sguardo fino a dove possiamo, poi quando siamo consci di essere nuovamente soli, iniziamo a ridere a crepapelle e ci teniamo per mano, facendo il girotondo attorno al fuoco.

-Evviva, evviva! Finalmente la buona stella gira dalla nostra parte!-

-Saremo accolti con tutti gli onori!-

-Ci aspetterà un futuro radioso, ragazzi!-

FINE FLASHBACK

 

-Allora, Meowth? Ti decidi sì o no?- Il sole è già alto sulle nostre teste, Jessie e James si erano già alzati e avevano spento il fuoco che avevano acceso ieri sera con qualche ramo di fortuna. Un fortissimo mal di testa mi assale mentre mi metto seduto in terra, e lo stomaco brontola per non avere mangiato niente ieri sera.

-Siamo in attesa di sapere il tuo piano per andare di nuovo verso il museo.- Il piano, il piano, il piano! Sempre con questo stupido piano, non sanno parlare d’altro che di questo stupidissimo piano! Abbiamo fallito ieri sera, ora dobbiamo fallire un’altra volta e farci arrestare come dei fessacchiotti?

-Ragazzi, ve lo devo dire? Devo essere sincero?- Jessie e James annuiscono insieme e si inginocchiano vicino a me, sorridendo. Inizia a fare un po’ di caldo, Boscosmeraldo inizia a popolarsi di versi di Pokémon uccello e qualche Pokémon coleottero fa capolino in mezzo ai cespugli, attirati dalle nostre conversazioni. Gli Spearow della scorsa sera ci osservano con occhio indagatore, sull’albero di fronte a noi.

-Non ho un piano. Mi dispiace, non mi viene in mente niente.- I due umani mi osservano in volto, attoniti e quasi inorriditi. Poi, dopo un momento di smarrimento, scoppiano a ridere a crepapelle, pensando che io stia scherzando e che li stia prendendo in giro.

-Ah ah ah! Ma dai Meowth, lo sappiamo tutti che un giorno hai un piano, e l’altro pure!-

-Non sei tu quello che oltre al piano A, B, C, D, ha anche quello E, F, G per le emergenze?- Digrigno i denti dalla collera, non sopporto che quei due mi prendano in giro o che mi trovino così prevedibile, pronto ogni mattina con un nuovo piano d’assedio. Non smettono di ridere, addirittura si rotolano in terra dal gran ridere e sembra che non la smettano più. Dopo qualche minuto, i due ritornano a sedersi in ginocchio e, ancora con la ridarola ancora in corpo, tornano a parlarmi.

-Dai, seriamente Meowth, qual è il piano di assedio di oggi?- Scuoto la testa e abbasso gli occhi.

-Ve l’ho detto, ragazzi. Non ho un piano.- Il silenzio, come era prevedibile, cala come un sudario tra di noi. Jessie e James si guardano in faccia, visibilmente preoccupati, e poi si voltano di nuovo verso di me, con un tono di voce strano.

-Meowth – mi chiede James – sei sicuro di stare bene? È da diversi giorni che sei strano, se c’è qualcosa che non va, sei libero di parlarne con noi…- La ragazza dai capelli color magento annuisce.

-Certo – replica Jessie – siamo una squadra, dobbiamo aiutarci l’un l’altro…- Belle parole, tutte belle parole, ma scuoto nuovamente la testa. Jessie allora perde completamente le staffe, da come era calma e tranquilla poco prima e, alzandosi, mi punta un dito contro, sbraitando come una forsennata, come al suo solito.

-Ascoltami attentamente, gattaccio spelacchiato! O ci dici quello che ti passa per quella tua testa vuota ed elabori immediatamente un piano, oppure ti riteniamo fuori dalla squadra e chiudiamo qui la collaborazione!- James, terrorizzato dalle parole fuori luogo di Jessie, si alza anche lui e, agitando le mani davanti a sé, predica alla calma e cerca di interagire tra di noi, facendo da paciere.

-Dai, andiamo ragazzi! Non perdiamo la calma, forse è un momento di appannamento per il nostro Meowth, non è necessario essere così drastici…- Jessie se la prende pure con James, gridandogli contro per la sua inettitudine.

-Stai zitto tu!!- Io li lascio discutere tra di loro, non mi interessa neppure difendermi dalle accuse gratuite di Jessie. Mi alzo e, con un passo un po’ incerto, mi volto e mi allontano da loro. Mentre James mi scongiura di non allontanarmi e di trovare una soluzione, Jessie coglie la palla al balzo e continua a inveirmi dietro, lanciandomi frecciatine velenose alle spalle.

-Ah bene, te ne vuoi andare eh? Nel momento più critico te ne vai! Ma sì, vattene pure Meowth! Sai che ti dico? Tutti i fallimenti sono stati causati dai tuoi stupidi piani! Non hai fatto altro che metterci nei guai, gattaccio spelacchiato!- Basta, questo era troppo. Mi volto, furibondo, e tiro fuori gli artigli e, con un balzo, graffio la faccia di Jessie e con una zampata sul petto, la metto a sedere. Dopo che torno a terra, mi volto definitivamente e inizio a correre verso la città di Biancavilla, continuando ad ascoltare le grida di James e di Jessie, che si perdono all’interno del bosco. Da una parte, le grida accorate di James che mi pregano di tornare indietro, dall’altra le urla di maledizione di Jessie, che mi incita ad andarmene via.

-Vattene, Meowth! Vattene!!-

Non ero stato mai così contento di andarmene.

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Capitolo 3
*** Il nemico ***


Le mie sensazioni, mentre corro a perdifiato lungo il limitare del bosco che divide Biancavilla da Smeraldopoli, sono contrastanti. Le grida piene di rabbia di Jessie ancora mi rimbombano nelle orecchie come un martello che sbatte su un’incudine, non so neppure io perché io sia scappato così alla svelta, desideroso di abbandonare i miei vecchi compagni al loro destino.

Da un lato, ero terribilmente dispiaciuto di avere abbandonato, così di punto in bianco, il gruppo. Il nostro leader, Giovanni, aveva riposto così tanta fiducia in noi… e io che cosa sto facendo? Sto scappando, con la coda tra le gambe, mettendo molto probabilmente in guai seri Jessie e James. Con stizza e rabbia, poi ripenso a tutti gli sgarbi che ho dovuto subire da quando faccio presenza fissa con loro. Quanti guai? Quanti fallimenti? Quanti giorni passati senza potere toccare cibo, in mezzo alla pioggia, al vento e al gelo? E poi, e poi… e poi lei. La sua immagine davanti agli occhi, una fotografia fissa di lei, sorridente, mi impedisce di vedere veramente dove sto correndo. Il fiato inizia quasi immediatamente a mancarmi, le zampe inferiori stanno diventando rigide come dei tronchi di legno, le lacrime inondano gli occhi, quasi accecandomi. Dei rami traditori affiorano dal terreno brullo delle praterie nei pressi di Biancavilla e per poco, cadendo in terra, non mi slogo una caviglia. Ma mi rialzo presto, ho il terrore di ritrovarmi alle calcagna quei due.

Non so perché sto scappando, cosa mi stia spingendo a muovere un passo dopo l’altro, di fretta e furia. Non era il nostro sogno potere avanzare di grado all’interno del Team Rocket? Nonostante tutte le difficoltà, gli intralci, i contrattempi, gli intoppi non ci siamo mai arresi, siamo sempre stati uniti, nel bene e nel male. Mentre corro, ripenso a tutte le nostre missioni, a tutti gli incontri che abbiamo avuto con magnifici Pokémon che non abbiamo mai catturato, e ripenso anche a tutte le volte che ci siamo scontrati con il moccioso e la sua gang di amici. Mentre corro, rido come un matto. Non so perché io stia ridendo, nonostante il dolore che sto provando in questo momento, ma rido. Rido a squarciagola, ripensando a tutte le volte che abbiamo inseguito i mocciosi nel tentativo di sottrarre i loro Pokémon, per portarli al nostro capo. Che buffo, veramente buffo. Probabilmente i Pokémon selvatici del circondario stanno guardando un Pokémon gatto correre all’impazzata, ridendo come se gli fosse dato di volta il cervello, e non potrei neppure biasimarli.

E tutto per uno stupidissimo piano che non avevo voglia di elaborare questa mattina.

Ma no, non era solo per questo.

L’immagine di Celine, sorridente, continua a essere una presenza fissa davanti ai miei occhi, come se stessi osservando una sua fotografia. Il suo sorriso, i suoi occhi, il suo pelo morbido e lucente, e la sua gentilezza e tante altre cose mi hanno rapito, mi hanno estasiato, e le sue parole mi hanno sconvolto. Sì, mi hanno urtato e fatto riflettere, ma non avrei mai potuto ritenere possibile un così drastico cambiamento nel mio rapporto con Jessie, James, i nostri Pokémon compagni e con l’organizzazione del Team Rocket in generale. Sembra quasi che li stia tradendo con questo mio atteggiamento. Forse li sto tradendo. Senza dubbio, li sto tradendo.

All’improvviso sbatto con il muso contro qualcosa e cado di lato, pancia a terra. Il dolore per il colpo subito mi fa vedere le stelle, e offusca quasi immediatamente l’immagine della dolce Celine che avevo ancora davanti a me. Tutto accade così in fretta che non mi accorgo neppure di essere in qualche modo ruzzolato a terra, vedendo prima il cielo azzurro e poi il terreno, e poi viceversa, come se avessero deciso di mischiare il sopra e il sotto. Quando finalmente torno in me, il feroce pulsare del colpo subito in faccia mi rende attonito, e stringo i denti dal forte dolore. Mi tengo le zampe sul muso, digrignando i denti, e mi metto seduto, a zampe incrociate.

-Se becco… se becco quello che si è passato davanti… giuro che..!!- Le parole escono dalla mia bocca arrochite dalla gran fatica provata, il fiatone che mi impedisce quasi di parlare. Poi, alzo lo sguardo, perplesso. Mi guardo attorno, con le zampe ancora appiccicate sul muso, e mi rendo conto di essere arrivato in un piccolo villaggio dalle casette minute e bene ordinate, dipinte di un bianco quasi lilla. In lontananza, sullo sfondo, c’è un enorme edificio costruito su una collina, ed accanto ad esso si erge una sorta di mulino a vento, le cui pale si muovono al ritmo della brezza marina che spira dal vicino mare. Mi rendo conto, ben presto, di essere giunto finalmente a Biancavilla. E mi rendo conto, inoltre, in che cosa sono andato a sbattere con così tanta violenza. Di fronte a me, rialzandosi e dallo sguardo torvo, mi trovo nientemeno che uno dei miei nemici giurati di vecchia data. I suoi occhi colmi di rabbia, le piccole zanne che digrignano in un ringhio sinistro, il pelo arruffato e le tasche guanciali cariche di elettricità statica... mi sento aggredito dalla sua persona. Pikachu, ecco contro chi mi sono scontrato poco prima. Che diavolo ci faceva quel roditore a Biancavilla?

 

FLASHBACK

Finalmente il gran giorno è arrivato. Con la nostra divisa d’ordinanza, il nostro caro vecchio completo color nero, con la R rossa fiammeggiante sul petto, i nostri berretti sulle ventitré e la lettera di convocazione scritta dal nostro leader ben chiusa nella tasca dei pantaloni di James, arriviamo nel quartier generale del Team Rocket. Costruita in pianta ottagonale, l’edificio si è sviluppato in altezza nel corso degli anni, da semplice ritrovo di reclutamento di vari sbandati alla ricerca di un riscatto, di avventure, di lucro e cose varie, ad un’organizzazione ben strutturata e dalle ramificazioni in vari ambiti sociali, economici, politici e così via.

Ormai saranno più di dieci anni che siamo dentro, e nonostante tutto il nostro impegno non siamo ancora riusciti ad avanzare di un solo gradino nella scala gerarchica dell’organizzazione del Team Rocket. Quegli antipatici di Butch e Cassidy, nostri colleghi per carità, ma pur sempre concorrenti, spesso si facevano beffe di noi per tutte le volte che siamo partiti in missione e tornavamo in sede con un pugno di mosche in mano. Non che loro fossero stati meglio di noi, qualche colpo riuscivano a portarlo a termine, ma erano più numerose le sconfitte che le vittorie.

Ma questa volta, era tutto completamente diverso. Seduti nell’enorme sala d’aspetto dell’androne principale della sede, restiamo in attesa di essere convocati dalla segretaria personale del nostro capo. Mi guardo attorno, con le zampe penzoloni, e noto un gran viavai di persone indaffarate con fogli in mano, registri, dossier, qualcuno che spinge dei carrelli colmi di Poké Ball, altre persone che corrono vestiti con la nostra divisa bianca classica, che facevano slalom tra le varie sedie di ferro disseminate nella sala. Noi siamo seduti su una panchina dall’altra parte dell’androne, vicini ad una porta verde di metallo, e su questa porta c’era una targhetta anch’essa di metallo, con su scritto “Segreteria”. Non stiamo più nella pelle, non vediamo l’ora di parlare direttamente con il nostro capo, per parlare della nostra nuova missione da Reclute Scelte.

-Non ci posso ancora credere – dice tutto ad un tratto Jessie, con un tono di voce colmo di gioia. La donna, seduta tra me e James, aveva unito le mani davanti a sé e guarda sia me che il nostro compagno, con occhi pieni di felicità. Anche io e James siamo contenti di come stavano andando le cose, e l’uomo dai capelli color turchese annuisce, chiudendo gli occhi e incrociando le braccia al petto.

-Invece è la pura verità, mia cara Jessie. Finalmente i nostri sforzi sono stati riconosciuti, e abbiamo ottenuto una promozione!- Io rido sotto i baffi, a denti stretti. Solo l’idea di potere vedere dall’alto del nostro nuovo status sociale quegli antipatici di Butch e Cassidy mi manda in brodo di giuggole.

-Non vedo l’ora di conoscere l’entità del piano. Ragazzi, ma ci pensate? - E mi volto verso di loro – Reclute scelte, solo pochissime reclute hanno il privilegio di essere reclutate da Giovanni in persona!- Jessie e James annuiscono con la testa, sorridendo. Di solito le reclute solo selezionate dai vari capisquadra che prendono ordini direttamente dai manager, ma le Reclute Scelte sono completamente diverse da tutti. Le reclute sono coloro che compiono le missioni direttamente per mano del leader. Un onore così grande riempie i nostri cuori di un orgoglio finora mai provato prima d’ora.

-Chissà quale missione ci affiderà? - James appoggia un dito sul mento, con fare pensieroso. – Magari catturare un Pokémon leggendario?- Jessie ride, come al suo solito, mettendo una mano davanti alla sua bocca, come una snob.

-Magari comandare un plotone di reclute, tra cui quegli sprovveduti di Butch e Cassidy!- Io continuo a ridere, e volto lo sguardo alla mia destra verso la porta verde, la quale finalmente si apre e ne esce fuori la segretaria. La donna, una ragazza di trent’anni appena, con dei boccoli rosso fuoco che le sovrastano la fronte, degli occhiali con la montatura dorata, un completo nero elegante con un foulard altrettanto nero, appiccicato sul petto una piccola targhetta con scritto qualcosa, forse il suo nome, e lo stemma della nostra organizzazione in bella vista. Ci squadra con sufficienza e, schiarendo leggermente la voce per catturare la nostra, attenzione, ci domanda se siamo le Reclute Scelte richieste da Giovanni, e ci richiede la lettera di convocazione. James si alza, afferrando la lettera richiesta dalla sua tasca e mostrandola alla segretaria e quest’ultima, letto il nostro lasciapassare, ci fa cenno di entrare nel suo ufficio. Ci alziamo tutti, con il cuore in gola per la grande emozione, ed entriamo finalmente nella stanza. Richiudo diligentemente la porta come richiesto dalla segretaria, e finalmente ci sistemiamo all’interno della segreteria, un ambiente abbastanza spazioso costituito da una scrivania in mogano, una poltrona dove sta seduta la donna, un davanzale con finestra dietro di lei che dà all’esterno, una pianta ornamentale in un angolo sulla destra e molte fotografie delle più importanti persone che costituiscono il Team Rocket, tra cui spiccava, proprio di fronte a noi, un mastodontico ritratto del nostro Leader, Giovanni, dipinto a mano da artista sconosciuto, in piedi di lato alla sua scrivania personale, con una mano appoggiata su un mappamondo ottocentesco alla sua sinistra e con l’altra mano appoggiata sulla sua scrivania, con un volto austero e severo.

-Siete le Reclute Scelte TR37, corretto?- La voce della segretaria, intenta a firmare alcuni documenti e timbrare la nostra lettera con colpi secchi e rapidi, cattura nuovamente la nostra attenzione. La scrivania della segretaria per me è molto alta, e mi devo distanziare un po’ rispetto ai miei compagni per poter vedere meglio che cosa sta facendo quella donna. James e Jessie rispondono di sì e, dopo quella domanda, piomba nuovamente il silenzio. La donna dai capelli boccoluti sposta il suo sguardo verso sinistra, sul monitor, e pigia in rapida sequenza alcuni tasti sulla tastiera che aveva di fronte, con un atteggiamento leggermente distaccato e annoiato. Noi restiamo in piedi, in perfetto silenzio, e io deglutisco, con le zampe anteriori dietro la schiena. Quell’attesa snervante mi fa pensare a mille domande da fare al nostro capo, sull’entità della nostra missione, se siamo affiancati a qualche recluta più esperta di noi, che cosa dobbiamo fare e se avremo nuovi Pokémon a nostra disposizione… sono emozionato come un cucciolo, vorrei chiedere alla segretaria qualche informazione in merito, ma lei mi precede ancor prima che io possa aprire la bocca.

-Prendete questi dossier, potete proseguire per la porta alla vostra destra, proseguire dritti, prendere il primo ascensore sulla sinistra e andare all’ottavo piano.- Si sporge dal suo posto in avanti e appoggia con noncuranza tre cartelline di colore bianco, con dentro i nostri fogli e la lettera rimane a lei. Peccato, l’avrei tenuta da parte ben volentieri, per leggerla nuovamente in futuro. Ci avviciniamo alla scrivania, in silenzio e notiamo con stupore che su ogni cartellina c’è la nostra fotografia in primo piano, in alto a destra, con i nostri nomi ed i nostri nuovi nomi in codice per la missione “Aerodactyl”. Tutti e tre (io, Jessie e James) apriamo la bocca, meravigliati. Quindi la missione che il nostro leader ci ha affidato si chiama “Aerodactyl”, come il Pokémon preistorico. Mitico, eccezionale, già mi sento pervadere da un’adrenalina mai provata in vita mia. Ringraziando a più riprese la segretaria, la quale si è nuovamente disinteressata di noi, concentrandosi sul suo computer, apriamo la porta blu sulla nostra destra e scopriamo con leggero stupore che, dopo quella porta, si dipanava un lungo corridoio disseminato di almeno una trentina di porte per lato.

-Avanti, ragazzi, il capo ci aspetta!- Spingo in avanti i due miei compagni e, una volta che siamo dentro quel corridoio, mi volto e, con un piccolo salto, afferro la maniglia e chiudo la porta. Mi volto nuovamente e ben presto mi rendo conto che quella parte dell’edificio era riservato alla “elite” del Team Rocket. Jessie e James si guardano attorno, stralunati, ed osservano con meraviglia il trasudare del lusso di quel corridoio: splendidi arazzi di diamante appesi ai soffitti, porte blindate dipinte di pregevoli colori di varie tonalità di castano, pavimento coperto in moquette soffice rossa, ai lati servizi di bevande e cibo di prim’ordine… e chi si immaginava una simile chiccheria? Il pavimento, poi, era così soffice che è un piacere camminarci sopra. Scuoto comunque la testa e richiamo all’ordine i miei amici, ognuno ha in mano la propria cartellina e impongo loro di proseguire avanti, fino a raggiungere il primo ascensore sulla sinistra. Marciando felici come mai lo eravamo stati prima d’ora, finalmente troviamo l’ascensore designato dalla segretaria, uno spettacolo di porte fatte di puro diamante cristallino che brilla alla luce degli arazzi. Rimaniamo quasi storditi da quella inaspettata opulenza e, con un movimento quasi innaturale, Jessie pigia il pulsante per richiamare l’ascensore che, con un silenzio pressoché quasi totale, apre le sue porte e ci permette di entrare all’interno del vano. Appena le porte si richiudono, tutto l’interno è tempestato di diamanti, perle, lapislazzuli, zaffiri ed i numeri dei piani sono contornati di oro, argento e altre pietre preziose. Sotto il quadro dei numeri, è necessario digitare una password su uno schermo LCD, e come da me previsto Jessie e James vanno ben presto nel panico, non aspettandosi di avere a che fare con la necessità di inserire una password. Tremano addirittura dal crescente spavento e, sbracciandosi e dimenandosi come ragazzini impauriti, si chiedono quale password sia necessario inserire al fine di azionare l’ascensore e portarci all’ottavo piano.

-Niente panico, ragazzi – sogghigno e, saltando ad ogni lettera premuta, inserisco la password designata e, una volta completata, salto ancora più in alto e premo il pulsante numero 8. Magicamente, l’ascensore si mette in moto e inizia la sua lenta ascesa verso la nostra destinazione. Ridacchio con soddisfazione nel vedere le facce esterrefatte dei miei colleghi e non nascondo di provare un certo orgoglio nel conoscere la password che il Markrow del boss mi ha rivelato qualche tempo fa, in cambio di una fornitura di un mese di Pokémelle appena sfornate.

Dopo qualche minuto, finalmente l’ascensore si ferma, e una voce femminile computerizzata ci comunica l’arrivo a destinazione. Le porte si aprono nuovamente e ci incamminiamo, con una certa tremarella, verso il largo corridoio che funge da vestibolo per l’ufficio del nostro capo.

-Credete che sarà contento di vederci?- La voce di James tradisce una certa apprensione e, deglutendo rumorosamente, si tira il colletto con un dito, con un disagio crescente. Io non dico nulla, totalmente assorto dal circondario: moquette sofficissima, pareti coperte da pregiata tappezzeria, ornamenti ai lati del corridoio da fare impallidire anche agli edifici più lussuosi, un’enorme fontana di cristallo a più piani, con cherubini alati che gettano l’acqua nei piani più bassi per mezzo di vasi, piante ricercatissime e altre porte che conducevano chissà dove. La porta che a noi interessa si trova al fondo, la più grande in assoluto, che sovrasta tutte quelle che sono disseminate ai lati del corridoio. Con le gambe tremanti, ci avviciniamo alla porta principale e ci accorgiamo che due guardie vestite di tutto punto, con lo spilla del Team Rocket appuntata sul petto, e due pistole nelle loro custodie legate in vita, ci osservano con sospetto. Ci intimano di fermarci con un cenno della mano e ci chiedono i documenti, per essere riconosciuti.

-Basta questo?- E gli faccio vedere la cartellina, così come eseguito dai miei compagni. La guardia di destra, muscolosa e dai capelli tinti di verde sparati, mentre la seconda guardia, quella di sinistra, è calva, prende le nostre cartelline bianche e le scruta perplesso, sfogliandole rapidamente e sbuffando con indifferenza.

-Un attimo solo… devo parlare con il principale.- E, girando i tacchi, afferra la maniglia e apre la porta dell’ufficio di Giovanni, entra e sparisce all’interno, per poi richiudere la porta. La guardia pelata, che aveva anche gli occhiali da sole alzati sulla fronte, li abbassa appoggiandoli sul naso e si piazza davanti alla porta, incrociando le braccia al petto, scrutandoci con sospetto e ingrossando il petto, come se volesse farci paura. Rimaniamo in perfetto silenzio, rimanendo in attesa che l’altra guardia ritorni alla sua postazione, e ci è voluto qualche minuto prima che la guardia ritorni al suo posto e, con un cenno del capo, ci invita a proseguire. Il cuore mi si ferma per un secondo, a pochi metri di distanza c’è il nostro capo, Giovanni, e vuole parlare direttamente con noi!

-Avanti ragazzi, il capo vuole vedervi subito.- Ringraziando le guardie, che si spostano leggermente di lato, avanziamo di qualche passo e James, con un profondo respiro, apre la porta lentamente, e ci introduciamo con timore reverenziale nell’ufficio del leader del Team Rocket.

 

FINE FLASHBACK

 

Pikachu mi osserva stralunato e quasi con odio. Non si era sicuramente aspettato di scontrarsi con me: la schiena ricurva in atteggiamento bellicoso e le sue tasche guanciali cariche di energia statica sono pronte a saltarmi addosso al mio minimo accenno di movimento. Aggrotto le sopracciglia, ansimando per la grande corsa di poco fa, e con un movimento del braccio gli faccio capire che deve spostarsi, che non ho tempo da perdere con lui. Ma niente da fare, quel sorcio continua a starmi davanti, forse per impedirmi di proseguire il mio cammino.

-Insomma, Pikachu, si può sapere che cosa vuoi? Fatti da parte e lasciami passare!- Le mie grida non sortiscono alcun effetto sul mio nemico giurato. Il Pokèmon elettrico si alza su due zampe e, allargando zampe inferiori e posteriori, mi intima di fermarmi e spiegargli che cosa io stia facendo a Biancavilla, e quali siano le mie intenzioni con lui. Scuoto la testa con rabbia, tra tutti i personaggi che avrei voluto evitare di incontrare in quel momento, lui è sicuramente il primo della lista. Ci troviamo nella piazza principale del piccolo paese di Biancavilla, una piazzetta circolare dove non c’é niente di particolare da osservare e rilevante da ricordare, salvo una stradina laterale che conduce alla spiaggia e direttamente al mare, dove in lontananza si può intravedere il vulcano dell’Isola Cannella.

-Fatti da parte, topastro!- E avanzo di un passo, ma Pikachu, inflessibile, mi minaccia con lo sguardo e mi lancia anche una scintilla di avvertimento.

-Non sono affari tuoi dove io vada e che cosa voglia fare da ques…- Non finisco la frase che vengo colpito da un Tuonoshock potente, e rimango folgorato a terra, stecchito. Mentre sono a terra dolorante, Pikachu squittisce con nervosismo e mi impone di indicargli dove si trovino nascosti Jessie e James, e aggiunge che mi conviene dirglielo in fretta, perché da quelle parti si sta per celebrare l’elezione del nuovo sindaco, con il suo allenatore impegnato con le decorazioni e sua madre indaffarata fino alla punta dei capelli con il suo ristorante. E Pikachu che ci stava a fare da solo in piazza? Mi racconta che è di pattuglia con altri Pokémon in giro per il paese, per prevenire attacchi indesiderati, tipo quello del Team Rocket, il quale sicuramente avrebbe potuto rovinare i festeggiamenti dell’elezione del primo cittadino di Biancavilla.

-Stai prendendo un granchio, Pikachu…- Mi rialzo a fatica, traballando sulle zampe, e il topo mi guarda con occhi feroci. Logico che non si sarebbe mai fidato di me e delle mie parole, quante balle gli ho raccontato io nel corso degli anni? L’ho tradito innumerevoli volte, vedersi il suo nemico mortale all’improvviso catapularsi addosso in un giorno così importante come quello, non è normale.

-Jessie e James non sono con me…- Pikachu sorride con ferocia, e per la prima volta in vita mia ho paura di lui. Indietreggio di qualche passo, osservandolo quasi con terrore, e il Pokèmon elettrico avanza a sua volta di pari distanza, costringendomi quasi in un angolo della piazza.

-Te lo giuro… te lo giuro Pikachu, io sono solo!- Ma niente da fare, non mi crede. Con rinnovata furia, il sorcio giallo fa sprizzare nuove scintille dalle sue tasche guanciali, e minaccia di chiamare gli agenti della polizia, se non gli racconto immediatamente la verità a proposito della mia presenza a Biancavilla. Mi intima inoltre, una volta detta la verità, di fare dietrofront e sparire nel bosco; io strabuzzo gli occhi, non voglio tornare assolutamente sui miei passi, pertanto decido di inginocchiarmi e raccontare al mio nemico giurato, per filo e per segno, tutto quello che è accaduto da una settimana a questa parte.

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Capitolo 4
*** L'aggressione nel bosco ***


FLASHBACK

Il silenzio con cui veniamo accolti nel super lussuosissimo attico del boss ci lascia senza fiato. L’interno dell’ufficio super esclusivo di tutto il quartier generale del Team Rocket, quasi tutto in penombra, è pressoché impressionante al solo vedersi: suppellettili in puro oro zecchino, moquette morbida e sfavillante di riflessi argentati, quadri dipinti a mano da esperti maestri del settore, delle teche piene di trofei pieni di ogni genere distribuite su ogni parete, delle armature medievali ricoperte di platino troneggiavano in fondo ai lati del mastodontico ufficio del capo, impugnando rispettivamente una spada tempestata di rubini e l’altra di zaffiri. Un gigantesco mappamondo sferico tenuto da una base d’oro, anch’esso zecchino, era ai piedi della scrivania del nostro leader, ed è presente anche un acquario illuminato da luci inquietanti sulla nostra destra, che da solo occupa un’intera parete, incastrato perfettamente, occupando chissà quanto spazio.

Al soffitto pende una cristalliera di indefinibile valore, ancora più impreziosita da vari lapislazzuli, gemme, diamanti e altre preziosità il cui valore potrebbe farmi venire il capogiro al solo pensiero.

La nostra attenzione viene immediatamente catturata dai presenti nell’ufficio, ad occhio e croce grande almeno quattrocento metri quadrati, talmente è immenso. Dietro la scrivania, un’enorme vetrata dava al cortile interno del quartiere generale, e in lontananza è possibile scorgere le vette innevate del Monte Argento.

-Vi stavamo aspettando, TR37.- La voce proviene dalla destra della scrivania. Ci sono, al di fuori di noi e del boss, quattro persone sedute al tavolo. In lontananza, su una poltrona di pelle, è seduto il nostro leader Giovanni, che presiede il meeting. Alla sua sinistra, un tizio anziano, vestito con un camice bianco, quello che ha appena parlato a noi. Poi, alla destra del boss, una donna dai capelli neri e dallo sguardo infuocato, così come il suo rossetto e la sua tunica attillata ed elegante. Infine, seduti uno di fianco all’altro, due Capisquadra che non avevamo mai visto prima d’ora. Ho potuto notare il loro stemma, una R di colore azzurro, sulle spille attaccate alla maglia della divisa.

-Sapete di certo che questa riunione è stata programmata con il solo scopo di preparare il prossimo piano di appropriazione di beni destinati al museo di Plumbeopoli…- L’anziano inizia a parlare del motivo per cui siamo stati chiamati a presenziare all’importante riunione che si sta svolgendo proprio in questo momento. Jessie e James restano sull’attenti, seri come mai lo erano stati in vita loro, mentre io sposto lo sguardo un po’ nell’ambiente, osservando in faccia dapprima il vecchio che parla a ruota libera, soffermandosi su alcuni dettagli che mostra attraverso un proiettore e un fascio di luce che finisce contro il muro, delineando dei grafici un po’ troppo ostrogoti per i miei gusti; poi osservo la donna dal rossetto rosso scarlatto, che pare più interessata a guardarsi allo specchio e ad aggiustarsi la sua strana chioma nerastra; dopodiché osservo i due Capisquadra che restano in assoluto silenzio, e poi il mio sguardo scivola quasi immediatamente verso il leader, che con le gambe incrociate e una mano appoggiata su un bracciolo della poltrona, con l’altra accarezza il suo fetido Pokémon preferito sulla testa. Persian, l’orrendo gattaccio prediletto del nostro leader, se ne sta beatamente sdraiato sulla moquette, con la testa appoggiata sulla gamba del suo padrone, e riceve con estasiata gratitudine le carezze del suo padrone. Per un istante, i nostri sguardi (mio e quello di Persian) si incrociano, ma io volgo gli occhi da un’altra parte, risentito.

-...ed è per questo motivo che voi, TR37, siete stati scelti per questa delicata missione.- Le parole dell’uomo anziano si chiudono con un colpo di tosse che mi prendono leggermente alla sprovvista. Uno dei due Capisquadra, sogghignando, scuote la testa e incrocia le braccia al petto, affondando il corpo contro lo schienale della sua poltrona.

-Ancora non riesco a capire come una squadra come la vostra, che ha conquistato numerose sconfitte, sia stata scelta per intraprendere questa missione…- L’altro Caposquadra, ridacchiando, scuote la testa anche lui. Inizio a percepire un respiro affannato dalle parti di Jessie, ed un bisbiglio da parte di James.

-Inizio a credere che Team Rocket stia iniziando a cadere veramente verso il basso…- Nell’udire quella arrogante battutina nei nostri confronti, Jessie perde completamente le staffe e, facendo un passo in avanti, stringe un pugno davanti a sé e, gridando come un’isterica, ribatte con risentimento: -Ma chi ti credi di essere? Non ci conosci neppure!-. Io rimango raggelato e stordito dalle grida della mia compagna di squadra: sta ribattendo con ferocia dei commenti, seppure discutibili e fuori luogo, di un nostro diretto superiore. James, pestando con stizza un piede della donna, la intima di tacere mentre io non posso fare a meno che scrutare preoccupato lo sguardo enigmatico del nostro leader. Il volto di Giovanni, completamente in ombra, non fa presagire nulla delle sue probabili reazioni alla risposta furiosa di Jessie. Gli occhi scintillanti di Persian catturano la mia attenzione e, per un istante, posso intravedere la perfidia che si cela dietro quel volto felino.

-Bene, credo che questo sia tutto – la voce dell’anziano torna a farsi sentire, dopo un lungo chiacchiericcio in cui sono stati descritti i luoghi dell’esposizione dei reperti archeologici, l’esatta nomenclatura di tutte le guardie del circondario, le varie uscite di sicurezza e le possibili trappole e punti antifurto – La missione è prevista tra una settimana esatta a partire da oggi. Vi saranno date istruzioni tra tre giorni, la Generalessa vi darà la lista del materiale da consegnare il giorno successivo agli emissari del Team Rocket.- La donna chiamata in causa si alza in piedi e, con un atteggiamento arrogante e con uno sguardo duro, si avvicina verso di noi e, quasi con rabbia, ci sbatte in faccia un malloppo di carte che, vuoi per il lancio così improvviso, vuoi per la mancata applicazione di qualsiasi fermaglio ai fogli, essi si disperdono un po’ ovunque sulla moquette, e mentre noi ci affanniamo a recuperare i documenti in terra, sento le risatine dei due Capisquadra, una derisione che sinceramente non mi aspettavo di ricevere. Avrei tanto voluto graffiare la faccia di quei due presuntuosi, ma poi lo sguardo penetrante di Persian e il cupo silenzio del nostro leader mi impongono di gettarmi a capofitto sui fogli e butto giù controvoglia il rospo che ho in gola.

-Mi aspetto da voi il massimo dell’efficienza. Peccato non avere scelto diversamente, ma il leader è il leader, pertanto vedete di fare un buon lavoro! Altrimenti…- Il rauco mormorio della Generalessa, le cui parole sono pronunciate con così tanta cupa rabbia, mi fanno accapponare la pelle. Il brusio che si sta sviluppando alle spalle del nostro diretto superiore contrasta in maniera netta con le parole della donna e sembra che gli altri componenti del tavolo non si preoccupino assolutamente di quello che la Generalessa ci sta dicendo. Finito di raccogliere i fogli, la donna ci ordina di abbandonare immediatamente la sala e, correndo quasi all’indietro, ci inchiniamo in ossequiosi salamelecchi e dimostrazioni di obbedienza assoluta e di essere pronti per qualunque informazione. Non facciamo neppure in tempo di guardare la porta chiudersi davanti a noi che le due guardie che ci hanno fatto entrare poco prima ci rimandando indietro spintonandoci, costringendoci a rintanarci all’interno del vano dell’ascensore e, con un comando quasi marziale, di tornare al piano terreno e di non farci più vedere fino al compimento della nostra missione.

FINE FLASHBACK

 

Pikachu, quasi ridacchiando, mi impone di rialzarmi e non mi permette neppure di iniziare il racconto che mi sono proposto di raccontare per filo e per segno. Lo guardo con stizza, capisco il suo dubbio nei miei confronti ma avrei voluto avere almeno il piacere di spiegargli la mia presenza a Biancavilla.

-Se me lo fai spiegare, brutto topastro…- Comprendo comunque che mantenere un atteggiamento bellicoso nei confronti del Pokémon che ho di fronte non sarebbe servito a niente. Rimango in ginocchio e mormoro il nome di Celine, abbassando la testa. Pikachu mi guarda, perplesso, e si avvicina di qualche passo. La brezza marittima inizia a soffiare da sud ovest, colpendoci trasversalmente e facendomi provare qualche brivido di freddo. Lo stomaco brontola e, tenendomi una zampa su di esso, scuoto la testa e alzo nuovamente gli occhi, incrociando quelli indagatori del topo elettrico.

-Se non vuoi ascoltarmi, sei libero di lasciarmi perdere e di farmi andare via, altrimenti…- Ben presto ci guardiamo in faccia, fronte contro fronte. Pikachu è arrivato fin dove mi trovo io e, con arroganza, mi domanda, facendo sfrigolare l’elettricità statica dalle sue tasche guanciali: “Altrimenti cosa?” La nostra attenzione, tuttavia, è catturata da un cupo boato provenire da lontano della piazza, lontano addirittura dalla città di Biancavilla. Io e Pikachu ci voltiamo di scatto, sulla nostra sinistra, verso la stradina terrosa che conduce nel sottobosco di Boscosmeraldo. Osserviamo, quasi con il cuore in gola, il manifestarsi di un filo di fumo, dapprima sottile, poi sempre più esteso e largo. Non sembra comunque lo sviluppo di un incendio, odore di fumo poi non ce n’é… pardon mi correggo, un odore c’è, ma un tanfo incredibile arriva alle nostre narici e per poco non ci lascia quasi senza fiato. Un odore schifoso, puzzolente…

Un odore puzzolente?

Ma questo…

Questo è Weezing!

E non un Weezing qualsiasi. L’odore è inconfondibile, è l’attacco Velenogas del Weezing di James. Un acuto grido si alza dalle fronde degli alberi di Boscosmeraldo, che ci lascia attoniti e a me soprattutto con la tremarella nelle zampe posteriori. Pikachu si disinteressa completamente da me e, tenendo l’orecchio verso il bosco, può ascoltare le disperate grida di aiuto di qualcuno provenire proprio dal bosco. L’odore nauseante e quel grido inquietante mi mettono una paura terrificante, forse Jessie e James stanno cercando di derubare qualcuno e quel qualcuno si trova in guai seri… dopotutto, non è più mio interesse sapere quello che stanno combinando quei due, ma Pikachu sembra essere molto preoccupato e, voltandosi verso di me, mi chiede con circospezione se so qualcosa in merito a quello che sta accadendo in questo istante. Stringo i denti, sconvolto e un po’ arrabbiato nei confronti dei miei ex compagni, e scuoto la testa, nervosamente.

Un altro grido, più acuto e ancora più accorato ci spaventa entrambi, capisco con certezza che il grido di aiuto è quello di un bambino o di una bambina, difficile definirlo dalla distanza e dal vento che continua a muovere i rami degli alberi, rendendo quasi incomprensibile la richiesta di aiuto. Pikachu, senza neanche consultarmi, minacciarmi di restare dove sono o qualunque altra cosa, inizia a correre a quattro zampe, diretto senza orma di dubbio verso il sottobosco, verso il luogo da dove prima fuggii. Io rimango stupito dalla decisione del sorcetto, che cosa ha intenzione di fare? Andare da solo nel bosco senza chiedere aiuto a nessuno? Dopo un po’, Pikachu si ferma e, voltandosi, mi grida di seguirlo e che, se lo avessi aiutato a capire che cosa sta accadendo nel bosco, sarebbe stato disposto ad ascoltarmi. Scuoto la testa e incrocio le zampe anteriori al petto, girandogli appositamente la schiena, con fare risentito. Io aiutare il mio nemico? Ma stiamo scherzando?

-Non ci penso neppure, piccola peste! Vattene da solo nel bosco, vai, vai pure!- Non so cosa stia facendo Pikachu, visto che sono voltato. Guardo con disinteresse le casette color lilla di Biancavilla, e mi accorgo che diversi Pokémon, forse attratti dalle nostre grida, o forse dal fumo, si stanno avvicinando di gran carriera, da diverse strade, verso la piazza. Terrorizzato, riconosco quasi tutti i Pokémon che si stanno avvicinando, alcuni appartengono al moccioso. Vedo quel fastidiosissimo Bulbasaur, a capo della combriccola, fonte di numerosi rogne nei nostri confronti… o almeno, nei confronti dei miei ex compagni. Non mi dovrebbe importare niente di tutti quegli energumeni che si stanno avvicinando velocemente verso di me e Pikachu… eppure ne provo una paura immotivata. E se mi avessero riconosciuto? Le parole di Pikachu, le sue minacce di chiamare la polizia, l’avvicinarsi di quei Pokémon… ho un gran terrore addosso. Non so cosa mi stia spingendo verso il mio mortale nemico, non so perché ho deciso di seguirlo verso il bosco. Non voglio tornare sui miei passi… non voglio…

 

Le grida continuano a farsi sentire, passo dopo passo, sempre più forti. La stradina di terra battuta si è ben presto trasformata nel sentiero pieno di foglie e di terriccio tipico del sottobosco, gli alberi già ci circondano, quasi fossero un sudario pronto a calarsi su di noi. Pikachu ha il passo svelto, ogni grido è per lui motivo di spronare la sua corsa verso il luogo dove provengono quelle urla. Io sono spaventato a morte, il puzzo agghiacciante quasi mi sta soffocando, e vorrei tornarmene indietro, ma sento il fiato di Bulbasaur e degli altri Pokémon fiatarmi sul collo. La vista inoltre si sta affievolendo, perché il fumo causato dal Velenogas di Weezing si sta diffondendo un po’ ovunque. Pikachu non sembra comunque preoccupato da questa cosa e, con passo rapido e deciso, si butta in un cespuglio di more poco distante dal sentiero principale e mi invita a seguirlo. Con difficoltà mi inoltro nel cespuglio, graffiandomi tra rovi e schiacciando qualche mora, e gli chiedo con stizza perché non avesse voluto fermarsi per chiedere aiuto al bamboccio o ai suoi amici perdigiorno. Pikachu mi intima di stare zitto, mettendosi un dito della sua zampa davanti al naso e mi impone di guardare nella direzione da lui indicata, sempre con la stessa zampa. Non ho mai provato così tanta rabbia in vita mia, l’idea di prendere ordini dal mio nemico, e ritrovarmelo così vicino, quasi faccia a faccia, mi fa letteralmente imbestialire. Avrei voluto aggredirlo, mettergli le zampe sul collo e mandarlo al diavolo, ma prima che io potessi dire anche solo una sillaba, è bastata una sola occhiata per farmi raggelare il sangue nelle vene. Un’ampia radura, completamente sgombra da arbusti, alberi e altra vegetazione, ma totalmente invasa dall’olezzo dell’offesa di Weezing, è teatro della scena che mi si presenta davanti. Guardo con difficoltà che sono presenti due persone in piedi, una sorta di campana di vetro ai loro piedi, Weezing fluttuante in aria, Arbok che sta minacciando un uomo anziano riverso in terra, e una bambina bionda che piange disperata in un angolo. Per terra oggetti che non riesco a vedere bene, sia perché ci sono quelle persone davanti, sia perché la nube tossica rende quasi del tutto invisibile la scena.

-Vi prego, vi prego, lasciateci andare!- La voce stridula della ragazzina implora in ginocchio i due personaggi in piedi. Quei due personaggi, ora che li vedo bene, hanno due maschere antigas in faccia… le loro divise bianche mi fanno ben presto capire la loro identità, e provo un brivido sinistro nel comprendere che quei due ceffi altri non sono che Jessie e James. Dunque i due mammalucchi hanno deciso di proseguire il loro lavoro senza degnarsi di venirmi a cercare. La rabbia prende il posto della paura, non si sono neppure preoccupati di chiedersi che fine io abbia potuto fare!

-Stai zitta mocciosa! Il tuo piagnisteo mi sta facendo venire il mal di testa!- Naturalmente l’isterica voce di Jessie deve sovrastare quasi completamente qualsiasi suono del circondario. Non capisco che cosa stiano facendo quei due, ma sicuramente quella campana di vetro ai loro piedi contiene un Pokémon. Jessie e James ci voltano le spalle, mentre l’anziano sdraiato in terra è parzialmente nascosto alla mia vista dal voluminoso Arbok, che non sembra volere andare il vecchio. Gli blocca le gambe con la sua coda, attorcigliata, in modo tale da impedirgli di alzarsi e fuggire. La bambina invece è più sulla nostra destra, in disparte, e regge quasi a stento uno zainetto quasi vuoto. Molti oggetti caduti sono attorno a lei, e la bambina stringe quasi convulsamente quello zainetto di pelle marrone chiaro.

-Vi prego… lasciate andare Miriam… lei non c’entra niente…- La voce debole e arrochita del vecchio in terra arriva fino alle mie orecchie. Per un istante, quella voce, quel timbro vocale soprattutto, mi sembra di riconoscerlo, ma non ricordo in questo momento dove possa averlo ascoltato, e soprattutto in quale occasione. La voce di Jessie continua con prepotenza a farsi sentire e, puntando un dito contro la bambina bionda, intima al vecchio di stare zitto.

-Decidiamo noi, nonnetto, cosa fare e cosa non fare! James – e si volge alla sua sinistra, dove il ragazzo dai capelli color turchese si trova – hai trovato qualcosa di valore?- Il secondo componente del Team Rocket scuote la testa, guardandosi attorno, per terra. Sta frugando con lo sguardo gli oggetti caduti alla rinfusa, molto probabilmente da quello zaino in pelle che la bambina abbraccia spasmodicamente, singhiozzando.

-No, Jessie. Robaccia di terza scelta, strani attrezzi da lavoro, soprattutto cacciaviti, chiavi inglesi, ferraglia e del cibo, ma niente di niente.- La voce di James sembra essere leggermente rassegnata, perché conclude la sua frase con un sospiro. Jessie allora, inviperita per avere ottenuto un altro buco nell’acqua, punta nuovamente il dito contro il vecchio sdraiato in terra e gli grida di consegnarle tutti i suoi averi e di darle inoltre altri Pokémon, oltre a quello che già hanno conquistato. Se soltanto James può spostare leggermente la gamba destra un po’ più in là… sicuramente potrei vedere chi si cela all’interno di quella campana di vetro.

-Non ho nulla… stiamo andando a Biancavilla per una svendita di rottami…- Rottami? Un flash appare davanti ai miei occhi e rimango quasi paralizzato. Arbok stringe con un più forza la sua coda attorno alle gambe dell’anziano, il quale si lascia andare ad un rantolo di dolore, suscitando un altro grido di disperazione da parte della bambina.

-No! Nonno!! Vi prego lasciatelo, vi prego! Abbiate pietà!- Il nonno di Miriam, la bambina bionda, finito di gridare dal dolore fisico, tenta di consolare la nipotina, rassicurandola sulle sue condizioni fisiche. Jessie, più furiosa che mai, si china in avanti e prende con entrambe le mani la campana di vetro e una volta rialzata la cinge con un braccio, brontolando qualche frase che non ho potuto udire. L’apparizione del Pokémon all’interno della prigione di vetro mi lascia quasi senza fiato, stordito, senza possibilità di pronunciare neppure una sillaba.

Quel Pokémon…

Non è possibile.

No.

Mi rifiuto di crederci.

Non posso credere a quanto sto vedendo ora.

Pikachu sembra notare il mio sguardo attonito, quasi contratto in una smorfia di orrore, e mi domanda sommessamente se mi sentissi bene. Quel Pokémon… quel Pokémon….

-Bada nonnetto! Se scopro che mi hai mentito, ti vengo a trovare e faremo i conti! Per ora ti lasciamo andare, ma la prossima volta pretendo il resto!- La fuliggine si è un po’ volatilizzata, e mi accorgo con orrore che la nostra mongolfiera, quella a forma di Meowth, è poco distante rispetto alla radura. Hanno intenzione, molto probabilmente, di scappare con essa per godersi il bottino di quella giornata.

Ma non possono andarsene con QUEL Pokémon.

No, nossignori.

Con una rabbia incontrollata, le zampe che mi tremano e la bava alla bocca, esco dal mio nascondiglio, fregandomene altamente delle grida di Pikachu, che mi ordina di restare nascosto, di non intervenire per il momento. Al diavolo Pikachu, non ho tempo né intenzione di obbedire a nessuno dei presenti.

-EHI, VOI!- La mia voce stridula è bene ascoltata dai componenti del Team Rocket che, quasi spaventati dal mio intervento, si voltano quasi di scatto e, una volta riconosciutomi, si tranquillizzano un po’. Jessie mette una mano su un fianco (quella libera) e, ridendo sommessamente, mi squadra con sommaria arroganza.

-Oh, sei tu Meowth. Beh, che ci fai qui? Hai deciso di mettere la testa a posto?- Il tono di voce quasi derisorio di Jessie mi dà sui nervi. James pare essere più felice di rivedermi, peccato che io non lo sia altrettanto nei loro confronti. Anche Arbok e Weezing si voltano verso di me, quasi contenti di rivedermi.

-Hai visto Meowth? Abbiamo preso questo Pokémon! E ti somiglia pure!- James, ridendo, si toglie la maschera antigas, seguito da Jessie, ed indica con un dito il contenuto della campana di vetro. I miei occhi incontrano quelli del Pokémon rinchiuso lì dentro, ed il suo sguardo smarrito e spaventato mi colpisce come un pugnale al petto.

Ora ho capito chi è il vecchio sdraiato a terra.

Ora so chi è Miriam.

E so chi è il Pokémon all’interno della campana di vetro.

Pikachu, non comprendendo le mie intenzioni, mi inveisce dietro e inizia a ruggire di rabbia all’interno dei cespugli. Mi grida dietro di averlo nuovamente tradito, di essere nuovamente cascato nella trappola del Team Rocket, che tutto quello che è accaduto è frutto di un piano bene architettato. Jessie e James, attratti dal nervoso squittio di Pikachu, allungano il collo verso il cespuglio dove il Pokémon elettrico è ancora nascosto.

-Ehi, ehi, ehi! Ma guarda un po’ chi si vede…- Pikachu, ormai messo alle strette dai due ladri, esce con stizza dal suo nascondiglio e, non prima di avermi gettato uno sguardo infuocato, si avvicina al duo, con atteggiamento bellicoso. Jessie ridacchia a bocca aperta, tenendo davanti una mano, come il suo solito fare.

-Oh oh oh oh! Abbiamo pure la ciliegina sulla torta! Nientemeno che il buon vecchio Pikachu!- I due ragazzi si guardano attorno, ma non vedono traccia del bamboccio o di altri Pokémon. Gli energumeni comandati da Bulbasaur non ci hanno visti scappare da Biancavilla, e probabilmente stanno girando intorno a Boscosmeraldo, alla ricerca della fonte di fumo di Weezing, ormai completamente sparita.

-Oggi è proprio il nostro giorno fortunato!- Ridacchia James. La bambina bionda, continuando a singhiozzare, mi tiene lo sguardo incollato, e forse mi ha riconosciuto. Che smacco, ritrovarmi davanti a questi due proprio di fronte a loro…

-Avanti Meowth – la voce rabbiosa di Jessie cattura la mia attenzione, facendo un gesto con la mano di insofferenza – smettila di fare il pagliaccio e concentriamoci sul catturare Pikachu!- Pikachu ruggisce ancora di rabbia, pronto a scattare in posizione d’attacco, ma sorprendentemente per lui scuoto la testa, con determinazione. Il Pokémon all’interno della campana di vetro sembra quasi essere senza vita, non mi molla un solo istante di guardarmi, così come Miriam e l’uomo anziano in terra.

-No, io non farò niente di tutto ciò che mi dite!- Tutti i presenti mi guardano quasi scandalizzati, primo tra tutti il Pokémon elettrico, alla mia destra. Jessie stringe un pugno davanti a sé con rabbia e, quasi fulminandomi con lo sguardo, mi ordina di smettere di fare l’indisponente con lei.

-Adesso mi hai stufata, Meowth! Se non vuoi lavorare con le buone, ti daremo una lezione noi!! Ora stai zitto e cattura Pikachu, ce ne andiamo e portiamo avanti la nostra missione!- Basta, adesso basta veramente! Non ho più intenzione di ascoltare gli ordini di quella svitata. Faccio un balzo, come feci già stamattina, e le graffio con rabbia la sua faccia. E non contento, le do una nuova zampata sul petto e la metto seduta. La donna perde il contatto con la campana di vetro, la quale cade a terra e per poco non va in mille pezzi. James mi guarda con orrore, gridando al tradimento e al fallimento della missione, ma ben presto mi ritrovo addosso Arbok e Weezing che, incitati dai loro allenatori, mi vogliono attaccare di proposito. Arbok mi lancia un attacco Velenospina, mentre Weezing un attacco Fango. Un attacco combinato, non credo che riuscirò a sopravvivere. Per un istante incontro con uno sguardo gli occhi del Pokémon ancora chiuso nella campana di vetro ormai parzialmente incrinata, sorrido al Pokémon, ma quest’ultimo non risponde al mio sorriso.

Mi sento morire dentro.

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Capitolo 5
*** Tradimento ***


FLASHBACK

Una volta fuori dal Quartier Generale del Team Rocket, con in mano il malloppo dei documenti di sicurezza del Museo di Plumbeopoli, è già calata la sera. Il sole sta tramontando dietro le montagne, sviluppando un alone rossastro mentre verso lo zenit un tenue colore bluastro annuncia l’approssimarsi della notte. Abbiamo il giusto necessario per accamparci nel bosco, un po’ di cibo gentilmente “preso in prestito” dalle macchinette fuori uso della sala d’aspetto degli uffici del Team Rocket e il tempo promette bene, non si vede neppure una nuvola all’orizzonte. Il bosco è abbastanza vicino rispetto all’edificio ottagonale di proprietà del nostro Leader, pertanto dopo quindici minuti di camminao verso il fondovalle arriviamo verso gli alberi, e mentre io perlustro i dintorni in vista di un luogo abbastanza pianeggiante e senza troppa erba per potere piantare la nostra tenda, Jessie saltella ogni due o tre passi dalla contentezza e, stringendo con foga la mole dei documenti consegnatici poco prima dalla arrogante Generalessa, perseguita a ridere e a fare strani discorsi che soltanto lei può inventarsi.

-Siamo i migliori! Abbiamo finalmente quello che ci meritiamo, dopo tutti i nostri sforzi!- James sembra leggermente perplesso e, camminando un po’ più lentamente rispetto a noi, incrocia le braccia al petto e, abbassando il capo, osserva i ciottoli a terra del percorso terroso che percorriamo in mezzo al bosco. C’è ancora un po’ di luce per poterci orientare senza perderci, e il silenzio del bosco ci sembra molto invitante. Il fresco della sera poi è quasi rigenerante.

-Jessie, non ti è sembrato strano che quella donna ci abbia schiaffato quasi con rabbia i documenti che ci servono per la missione?- La donna dai capelli color magenta si volta verso il nostro compagno, con una faccia interrogativa. Io finalmente riesco a trovare il luogo adatto e, controllato che tutto sia a posto nei dintorni, gettiamo tutti gli oggetti in nostro possesso proprio in mezzo allo spazio aperto. La radura si presenta abbastanza spaziosa, circondata da larici e abeti con ordine.

-Intendo dire, sembrava quasi vederci con sospetto… e quei due alla scrivania, poi, sembravano quasi deriderci ogni volta…- La donna ride con civetteria, dandomi completamente le spalle. Inizio a piantare i paletti in terra, per preparare la base della tenda.

-Non ti devi preoccupare, saranno semplicemente gelosi della nostra missione…in fondo, non è da tutti ricevere ordini direttamente da Giovanni in persona, no?- James si siede a terra, con fare pensieroso, e si tiene il mento con una mano, guardando distrattamente altrove.

-Sarà… io ho i miei dubbi comunque…- Do un’ultima martellata all’ultimo paletto e, innervosito per la fame crescente, strepito contro i miei compagni di venirmi ad aiutare con la tenda, che non posso fare tutto da solo, che almeno preparino il fuoco per la notte visto che sta diventando tutto scuro.


 

Finalmente la tenda è pronta, la classica tenda militare vista, rivista e stravista nei campi di allenamento del Team Rocket, di un verde acqua squallido e in realtà adatto per ambienti paludosi, ma sempre meglio che niente. Un fuocherello preparato alla bell’e meglio è acceso, dei sassi presi un po’ di qua e un po’ di là fanno da contenitore per il fuoco e dei rametti scoppiettano al contatto con il fuoco, creando un po’ di luce e di calore. Da quelle parti la montagna spira un vento gelido proveniente da nord, gli alberi ci appaiono sinistri e qualche ululato si sente in lontananza, ma è solo un Poochyena che comunica agli altri suoi simili che non c’è niente da temere, che di stranieri non se ne vedono attorno. Spero in cuor mio che quel Poochyena non ci veda e non dia l’allarme, altrimenti siamo fritti.

I nostri Pokémon alleati, ovvero Arbok, Weezing, Victreebell e Wobbuffet, mangiano il loro misero cibo nelle loro ciotole, in disparte rispetto a noi che siamo attorno al fuoco, e con una vaga distrazione ascolto il cupo borbottio dei miei compagni in merito al cibo scadente e quasi immangiabile. Non posso comunque dare torto a loro, io mi trovo costretto a mangiare cibi prodotti dagli esseri umani, per giunta non del tutto salutari dal punto di vista nutrizionale… delle merendine sgraffignate dalle macchinette del Quartier Generale. Ma pazienza, meglio questo che niente.

-Ragazzi, forse ci siamo.- Dopo avere ingurgitato l’ultimo boccone della ciambella piena di cioccolato fondente, stendo nei pressi del falò, in terra, la mappa spiegazzata che ci aveva consegnato la Generalessa quel giorno stesso. È la piantina del piano terreno del Museo di Plumbeopoli, in cui sono messi in risalto tutti i punti di sicurezza della polizia che presidia l’edificio, la posizione delle telecamere, i luoghi dove di solito fanno la ronda le guardie e i più che probabili punti deboli dove potere intrufolarsi, agguantare tutto il possibile dall’interno, e defilarsi senza che nessuno se ne potesse accorgere. Oltre alla piantina c’è lo schema elettrico dell’allarme disegnato da quel vecchio che tanto parlava durante la conferenza. L’allarme, a quanto risulta dalla piantina, si trova nei pressi del vano ascensore che conduce ai piani superiori del museo, dove si trova l’ufficio del direttore.

-Anzitutto, dobbiamo disattivare l’allarme, che si trova esattamente qui.- E con un dito della mia zampa sinistra, indico il vano ascensore menzionato poco prima. Esso si trova molto distante dall’ingresso, un po’ dislocato sulla sinistra. L’atrio principale è diviso in tre zone, e l’ascensore di nostro interesse si trova appunto su quello di sinistra. A giudicare dal numero dei poliziotti, come riportato dalla mappa in nostro possesso, il materiale da rubare deve avere parecchio valore. Fortunatamente però, come giustamente osservato da James, di notte i controlli si diradano assai, ci sono di guardia due poliziotti e un custode, ma mentre il custode il più delle volte sonnecchia, i due poliziotti, un uomo e una donna, preferiscono ritirarsi in “zone private” per dichiararsi il loro amore.

-E come faremo a disattivarlo? Non possiamo di certo andare di notte a toccare il vano ascensore. Oltre che a fare rumore, ci porterà via tempo e potremmo essere scoperti!- Jessie osserva preoccupata la mappa del museo. Io mi siedo a zampe incrociate, di fronte alla mappa, e sogghigno con un po’ di malizia. La donna e James, invece, si sdraiano sul tappeto erboso e osservano con un po’ di noia il documento spiegazzato.

-Ah, vi perdete proprio in un bicchier d’acqua! Entreremo come addetti alla manutenzione dell’ascensore!- James si solleva da terra, e mi squadra quasi strabiliato, temendo che fossi impazzito di punto in bianco.

-Cosa? Ma sei pazzo, Meowth? Potrebbero chiedere i nostri documenti, ci potrebbero chiedere chi ci manda, potrebbero fare dei controlli incrociati…- Scuoto la testa, innervosito da quelle considerazioni fuori luogo. Volgo lo sguardo verso i Pokémon che continuano stancamente a mangiare nelle loro ciotole. Non sembrano interessati ai nostri discorsi, loro per ora non rientrano nel nostro piano principale. Entreranno in campo solo in caso di emergenza.

-Il Team Rocket ha già inviato delle mail al direttore del museo, spacciandosi per l’azienda manutentrice degli ascensori, e ci manda in qualità di operai. Hai capito adesso?- Jessie si mette a sedere a sua volta e, sorridendo con furbizia, stringe le mani davanti a sé e guarda prima me e poi James.

-Beh, direi che siamo a buon punto! E per quanto riguarda la refurtiva…?- Eh, eh, eh. Sapevo che saremmo entrati in questo argomento. Lascio da parte tutte le scartoffie consegnatici dalla Generalessa e metto sulla mappa del museo un foglio disegnato da me, con uno schizzo della nostra mongolfiera a forma di Meowth, e dalla base spunta un lungo tubo a spirale, dalla lunghezza di quindici/venti metri circa, che si può allungare e restringere a piacere. Jessie e James osservano meravigliati il disegno e mi chiedono con preoccupazione di che cosa si tratti.

-Questo, signori – e qui ridacchio, puntando la zampa sul disegno – è il nostro metodo per prendere i reperti archeologici senza dovere necessariamente entrare all’interno del museo!- I due umani, quasi strabiliati e increduli nell’udire questa notizia, mi gettano uno sguardo con tanto d’occhi. La più dubbiosa, naturalmente, è Jessie che mi chiede spiegazioni in merito. Sogghignando ancora, mostro la seconda parte del disegno, voltando il foglio che ho davanti. Mentre i due ragazzi divorano con lo sguardo i miei disegni fatti a matita, io spiego il tutto nel minimo dettaglio gongolando e assaporando quel momento di gloria. Si mostra nel disegno uno schermo digitale multifunzione e dall’altra un pezzo di tubo zigrinato con all’estremità un accessorio in plastica simile a quello degli aspirapolveri di vecchia generazione.

-Attraverso uno schermo touch, potremo allungare e accorciare il tubo aspirante direttamente dalla nostra cabina, e la parte finale del tubo, al mio segnale, aspirerà o getterà fuori aria a nostro piacimento!- Come previsto, Jessie e James rimangono sbalorditi dal mio piano semplice ma geniale. Mentre i due iniziano a saltare dalla gioia e ballare attorno al fuoco, io chiudo gli occhi, incrociando le zampe anteriori sul petto, sorridendo leggermente. Ora sicuramente arriverà la domanda chiave da parte loro, basta sapere aspettare…

infatti, finiti i loro balli e terminate le loro grida,le loro risate ed i loro schiamazzi, gli umani si fermano, come inebetiti, e voltano lo sguardo verso di me, quasi spaventati e ridimensionati nei loro sentimenti.

-Un… un attimo, Meowth. Tutto questo marchingegno sarà montato sulla nostra mongolfiera, giusto?- Annuisco A James, che ha fatto la domanda. Ecco, ecco che arriva alla domanda fatidica.

-E ovviamente bisognerà comprare del materiale… tu sai già dove acquistarlo, vero? E soprattutto… con quali soldi?- James fa una pausa, tossendo leggermente, visibilmente preoccupato.

Bingo! Sapevo che saremmo arrivati a questo argomento. Ho già previsto tutto, anche quella domanda. Mi sporgo leggermente avanti e guardo in faccia i due svampiti oltre il fuoco, digrignando sottilmente i canini, godendomi al massimo quella scena che mi si presenta davanti agli occhi.

-Pensi che io abbia veramente consegnato tutto, ma proprio tutto a Delibird la settimana scorsa?- Jessie e James mi vedono estrarre da uno zainetto vicino una perla dalle dimensioni di una noce e alla vista di quel prezioso rimangono letteralmente basiti. La perla luccica nella mia zampa sinistra, e io ridacchio con estrema soddisfazione. I dirigenti non ci hanno dato un becco di un quattrino? Nessun problema, sappiamo come organizzarci questa volta.

-Ho già un aggancio allo sfasciacarrozze di Zafferanopoli… lì si trova di tutto. Domani mattina farò una capatina lì e inizierò a fare l’inventario di tutto quello che mi serve!-

FINE FLASHBACK


 

La furia di Arbok è semplicemente devastante. Probabilmente furioso per il mio palese tradimento nei confronti della mia vecchia squadra, il cobra viola mi colpisce al costato con un taglio netto della sua potente coda. Velenospina e Fango non hanno avuto effetto, poiché sono riuscito a scansarmi in tempo ed a non farmi colpire dagli attacchi dei miei ex compagni. Jessie è la più inviperita del gruppo e, dimenticandosi completamente del vecchio e della ragazzina, inveisce e ordina al suo Arbok di colpirmi ancora con un attacco Velenospina. James non è da meno e ordina a Weezing di raddoppiare l’attacco con Azione. I due Pokémon sono troppo vicini e non riesco ad evitare la capocciata del Pokémon di James nonostante tutta la volontà. Rotolo su un fianco e il fiato mi inizia quasi immediatamente a mancare. Non mi sono mai allenato per una battaglia Pokémon e, logico a capirsi, non ho speranze di battere Arbok e Weezing contemporaneamente.

-Non so cosa ti stia succedendo, Meowth, ma sappi che questo ce lo ricorderemo!- La voce squillante e nevrotica di Jessie mi trafora quasi i timpani, ma non posso fermarmi perché il serpente è di nuovo quasi su di me. Non riesco a scappare, è troppo veloce.

Con un guizzo, Arbok avvolge sul mio corpo la sua coda, attorcigliandola, e mi strizza come se fossi un pupazzo scaccia-ansia. La stretta è così soffocante da farmi vedere le stelle, non avrei mai creduto che Arbok e Weezing, i miei amici fidati, potessero un giorno rivoltarsi contro di me. Dopotutto, me la sono cercata.

-Questo è un avvertimento, Meowth! Abbiamo fatto tanto per arrivare a questa posizione, e ora ci tradisci così?- Mi piange il cuore essermi ridotto in questa situazione, ma non torno indietro sinceramente. Al mio cenno di diniego, Arbok stringe di più la sua coda attorno ai miei fianchi. Inizio a gemere di dolore, ma non voglio cedere. Tutti mi guardano stralunati, più tra tutti Pikachu, che mi osserva quasi terrorizzato.

-Meowth, torna in te! Abbiamo una missione da compiere!- Scuoto la testa con veemenza. Le grida di Jessie di stamattina ancora mi rimbombano nelle orecchie. Parole piene di vergogna nei miei confronti. Piene di rabbia, di risentimento, di odio. Ho potuto palpare l’odio in quelle parole nei miei confronti. Non mi sono mai sentito così lontano dal Team Rocket come in quel preciso istante. Osservo per un istante ancora la campana di vetro mezzo ammaccata dove ancora il Pokémon che Jessie e James hanno catturato è imprigionato e un impeto di collera mi assale, accecandomi quasi completamente. Rispondo alla richiesta di James con un rauco grido di rabbia e affondo i denti nella pelle coriacea di Arbok che, non aspettandosi di subire una mia reazione così repentina, grida dal dolore e allenta leggermente la sua stretta dal mio corpo, per permettermi di sgusciare via e scappare.

Peccato che non ho fatto i conti con l’oste: Weezing arriva veloce come un treno e mi travolge nuovamente con un attacco Azione. Il colpo è micidiale e mi lascia nuovamente senza fiato, facendomi sbattere violentemente contro un albero nelle vicinanze. Sento delle grida indistinte, è la bambina bionda che grida ai due ceffi di lasciarmi stare, che io non c’entro niente e di risparmiarmi.

-Stai zitta, mocciosa!- Di nuovo l’arpia inveisce contro Miriam. Voglio alzarmi per poter continuare a combattere, sembra che niente abbia più senso. Mi sembra che tutti questi anni non siano stati vissuti, che tutto questo sia solo un brutto incubo.

-Ancora non ne hai avute abbastanza, Meowth?- Adesso anche James pare abbastanza furioso nei miei confronti. Non è da biasimare, comunque. Ormai non posso più tirarmi indietro, non davanti a loro… e non davanti a quel Pokémon.

Mi rialzo a fatica, tenendo un ginocchio a terra e appoggiando le zampe su quello alzato, e, sollevando leggermente gli occhi, scuoto la testa, ridacchiando. Devo essere completamente impazzito, sto combattendo contro i miei amici. Ma quello che stanno facendo… non posso permettere di portare via quel Pokémon.

-Lasciate andare… quel Pokémon.- Jessie e James, per un istante, sembrano abbandonare il loro sentimento di rabbia nei miei confronti, e si guardano in faccia perplessi, per poi tornare a guardarmi un po’ imbronciati.

-E sentiamo, perché dovremmo lasciarlo andare? Da che mondo è mondo, noi abbiamo sempre fatto questo mestiere!- Come spiegarglielo… come spiegarglielo… improvvisamente, la campana di vetro si rompe in mille pezzi. Il Pokémon all’interno della prigione è riuscito a rompere il vetro andando a sbatterci contro il suo corpo e, una volta riacquistata la libertà, inizia a correre verso la ragazzina dai capelli biondi. La bambina richiama il Pokémon a gran voce, mentre Jessie e James, completamente spiazzati da quell’imprevisto, mi lasciano perdere completamente e ordinano ad Arbok e Weezing di andare a riprendere il loro prigioniero. Miriam, cosciente di trovarsi contro due Pokémon che vogliono attaccare sia lei che il suo Pokémon, grida dal terrore e cade a terra in ginocchio, paralizzata dal terrore. Il vecchio, ancora a terra, urla a sua nipote di mettersi in salvo, di scappare dalla sua posizione, di abbandonare immediatamente quella radura.

E poi, come se non fossi più padrone del mio corpo, corro disperatamente verso Miriam e il suo Pokémon.

Salto in aria, indifferente al dolore subito, e colpisco con un attacco Sfuriate Arbok e Weezing.

I due Pokémon, rimasti sorpresi dalla mia reazione improvvisa, rallentano la loro corsa e, incitati con rinnovata furia dai loro allenatori, si avventano su di me. Io, ormai completamente stanco, tento in ogni maniera di rialzarmi e di fuggire da dove mi trovo in questo momento, ma non ce la faccio. Ho riservato le mie ultime energie in quello scatto da centometrista, e ora mi ritrovo nuovamente addosso Arbok e Weezing.

E poi, improvvisamente, l’inaspettato.

Sia Arbok che Weezing vengono colpiti da un potente attacco elettrico, che li folgora e li stecchisce in meno di dieci secondi. Una luce abbagliante li circonda e li elettrizza, causando atroci sofferenze nei loro corpi. Pikachu è intervenuto a mia difesa e di Miriam con un attacco Fulmine, che stordisce gli avversari e li fa cadere a terra, esausti. Jessie e James osservano i loro Pokémon con aria stralunata e quasi spaventata. Poi, macchinalmente, voltano lo sguardo verso di me e, con una furia nei loro occhi che non ho mai visto in vita mia, richiamano nelle sfere Poké i loro Pokémon e, con rabbia, James esplode in un grido.

-Adesso, oltre a ostacolarci nelle nostre missioni, ti sei anche alleato con il Pokémon del moccioso?!- Jessie è addirittura inviperita nei miei confronti, non l’ho mai vista così arrabbiata.

-Questa… questa non te la perdoniamo, Meowth!- Poi, con rabbia, mi chiedono quali siano le mie intenzioni sul mio futuro e su quello della mia permanenza nel Team Rocket. Con il cuore in gola, giro gli occhi verso il Pokémon appena liberato, che mi ricambia con uno sguardo altrettanto sconvolto. Ha capito che appartengo al Team Rocket. Questa… questa non ci voleva. Anche Miriam sembra turbata a quelle parole e mi getta uno sguardo pieno d’angoscia e di paura.

-Meowth, ci vuoi spiegare perché non vuoi che catturiamo quel Pokémon? E perché ti sei alleato con Pikachu?- Io scuoto la testa. Pikachu continua ad osservarmi con la coda dell’occhio, al mio fianco, con fare sospetto, ma non molla con gli occhi nel frattempo i due del Team Rocket, pronto a scagliare loro contro un nuovo attacco elettrico.

-Io non sono alleato del topastro. E per quanto riguarda quel Pokémon… non potete, e basta!- A Jessie naturalmente non bastano le mie risposte evasive e, scuotendo la testa, giudica il mio operato privo di senso e dettato solo da un momento di pura follia. Stranamente, adesso mi parla con molta più calma del dovuto, cosa strana se queste parole sono pronunciate da lei.

-Ascoltami attentamente, Meowth – si mette una mano sul fianco, e aggrotta le sopracciglia – abbiamo una missione da compiere. Vogliamo proseguire nel nostro cammino del Team Rocket, giusto? E allora dobbiamo catturare sia Pikachu che quel Pokémon!- ed indica sia il topo giallo che l’altro Pokémon, ora nelle braccia spaventate della sua padroncina. Io scuoto nuovamente la testa, innervosito dal continuo cicaleggio di Pikachu che pare avercela a morte con me.

-Quel Pokémon non lo toccherete!- James sospira rassegnato, e scuote la testa alzando le spalle, non capendo nulla di quanto sta succedendo, come al suo solito, non si smentisce mai.

-Ma insomma, Meowth, ci vuoi spiegare almeno il perché di quanto sta succedendo? È da giorni che ti comporti stranamente, chi è quel Pokémon?- Non ho possibilità né il tempo di rispondere perché alcune voci si alzano improvvisamente dietro i cespugli, proprio da dove siamo spuntati io e Pikachu. Jessie e James, temendo il ritorno dei Pokémon del moccioso e della polizia, si voltano e gridandomi “Non finisce qui, Meowth!” scappano via verso la loro mongolfiera che, riempito il pallone a forma di Meowth con l’aria calda del braciere a velocità record, prende quasi immediatamente quota e si allontanano dalla radura, eludendo per un soffio la ronda degli altri Pokémon. Costoro comunque non si affacciano nella radura, ma prendono un’altra strada, forse attratti dal rumore causato dal gonfiarsi del pallone della mongolfiera.

Una volta terminato tutto e allontanatisi sia il Team Rocket che gli altri Pokémon, restiamo soli nella radura. Io cado a terra ansimante, mentre sento su di me gli occhi di tutti i presenti. Alzo lo sguardo, a scatti, e incrocio gli occhi del Pokémon che ho appena salvato.

Non c’è traccia di gratitudine o sollievo. Vedo solo due grandi occhi sbarrati, pieni di paura e sgomento nei miei confronti.

E quello sguardo mi sembra in grado di uccidermi.

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Capitolo 6
*** Spiegazioni ***


FLASHBACK

Zafferanopoli non è poi così distante dal luogo dove ci eravamo accampati ieri sera. Devo solo prestare attenzione a non camminare troppo vicino alla strada, mentre passeggio tranquillamente sui marciapiedi del centro cittadino. È una domenica mattina, Jessie e James sono rimasti nel bosco per riparare alcuni strappi del pallone della mongolfiera, mentre io mi dirigo verso lo sfasciacarrozze della città.

L’edificio si trova in periferia, sulla strada verso Aranciopoli, un fabbricato basso ai piedi di una collina con un enorme campo brullo e parzialmente acquitrinoso sul retro che funge da rimessa e da deposito di tutti i rottami provenienti da tutte le città di Kanto. Il proprietario del fabbricato di mattoni, un uomo sulla sessantina d’anni, quasi settanta, è diventato molto ricco nel corso degli anni, costruendo un vero e proprio impero del rottame, acquistando la vecchia ditta di smaltimento rifiuti che aveva raggiunto la bancarotta. Chi avesse voluto acquistare dei rottami a buon prezzo, la sede operativa di Zafferanopoli era l’ideale, ci si poteva trovare un sacco di oggettistica e se si è fortunati anche quasi nuovi. Lo spreco al giorno d’oggi è qualcosa di incredibile, e più di una volta ho fatto ottimi affari con l’anziano nel corso delle varie missioni per conto del Team Rocket.

Anche stamattina mi reco da lui per acquistare il necessario per poter costruire il marchingegno. La cosa che mi lascia un po’ perplesso è come poter programmare il display per comandare l’aspirazione e il getto d’aria dell’apparecchio, ma a quello avrei pensato dopo. Di solito le idee mi vengono quando mi metto all’opera, quindi non ho niente di cui temere.

Mi sono travestito per non dare all’occhio, ho indosso una giacca beige, un cappello nero a tesa larga, un paio di occhiali da sole e un paio di baffi finti. È una precauzione che adottai qualche mese fa, perché mi resi conto che l’attività è spesso sorvegliata dalla gendarmeria locale: lo sfasciacarrozze era spesso oggetto di furti e incendi dolosi. Mi viene da ridere al pensiero che noi, Reclute Scelte del Team Rocket, andiamo a “pagare” materiale che ci serve per “rubare”. Che buffo, veramente buffo.

Come al solito, la domenica mattina ci sono i saldi e la gente è ammassata al banco dove l’anziano fa affari d’oro con la sua abituale clientela. Stranamente, l’atrio dell’edificio è ben diviso per settori: appena entri c’è la ferramenta dove il vecchio personalmente va alla ricerca di tutto il materiale in buono stato che rivende a cifre veramente ridicole; sulla sinistra al primo piano tutto quello che concerne bici, motociclette e altri mezzi di locomozione a due ruote; a destra, sempre al primo piano, di tutto un po’ su arredamento, elettrodomestici e altre diavolerie tirate così a lucido che pareva di acquistare materiale nuovo; al piano terreno, sulla sinistra, un’officina professionale per autovetture e ovviamente rivendita di parti di motore per auto, camion, taxi, furgoni, furgoncini, eccetera.

Non ho particolare fretta e attendo con calma, seduto su una sedia (faccio un salto sul posto per raggiungere il sedile che per me, che non sono di certo una montagna, è più alto) e aspetto che i clienti del vecchio facciano i loro acquisti e che la finiscano con i loro schiamazzi. Era inutile, pensai fin dal primo giorno, litigare con i clienti e imporre la mia presenza in quell’edificio, avrei solo attirato l’attenzione su di me e da quando agisco in silenzio e con discrezione tutti i nostri ultimi colpi sono stati un successo formidabile. Ridacchio sotto i baffi pensando al fascio di banconote che ho ben strette, legate in uno spago, nella tasca destra del mio cappotto; la vendita della perla al miglior orefice della città di Zafferanopoli mi ha fatto guadagnare un bel gruzzolo.

-Ah, signor Peter! Venga, venga pure!- Finalmente il vecchio, terminata l’ultima vendita, si volta verso di me e sorride. Il banco, un rozzo tavolo di legno con l’essenziale a disposizione per il titolare, sta nell’angolo in fondo a destra dell’atrio. Mentre mi parla, l’uomo pulisce il tavolo con un panno unto e bisunto, mentre la cassa alla sua sinistra ha smesso di emettere i suoi suoni fastidiosi, caratteristici dell’apertura del cassetto delle banconote, dei tasti premuti convulsamente, dell’emissione degli scontrini cartacei.

-Cosa posso fare per lei? Comandate e sarete servito!- L’uomo è estremamente bonario verso i suoi clienti, soprattutto nei miei confronti, che mi ritengo uno dei suoi migliori acquirenti. È stato grazie a lui, con la sua maniacale precisione e l’amore per il ripristino di oggetti danneggiati, che ho fatto ottimi acquisti e abbiamo potuto portare a dovere i nostri colpi, che ci hanno portato ad essere Reclute Scelte.

L’uomo indossa una maglia blu con una salopette grigio scuro, indossa dei guanti luridi di grasso e olio di macchina e la sua stempiatura si è andata accentuando nel corso di quel periodo, i cui capelli vanno incanutendosi. I suoi occhiali rotondi tenuti assieme da un pezzo di scotch mostrano la persona del tuttofare che si è arricchito con gli scarti degli altri.

Salto giù dalla sedia e, sorridendo, porgo il foglio con tutto il necessario che mi serve per progettare le modifiche alla mongolfiera. Il mio travestimento ha sempre avuto successo, e il vecchio non ha mai avuto il benché minimo sospetto di vendere del materiale ad un Pokémon, per di più criminale. La cosa fa ridere, in effetti, si è sempre rivolto a me con l’appellativo di “un buffo ometto con la passione della tecnologia”. Il nome “Peter”, poi, è ovviamente un falso.

-Ah, un display con leve, bottoni… poi un lungo tubo, e un motore che permette di aspirare…- Il vecchio legge il foglio che ho scritto ieri sera con evidente interesse, e solleva addirittura gli occhiali fino ad appoggiarli sul suo cranio pelato. Appoggia una mano sul bancone e, sorridendo, annuisce soddisfatto.

-Quindi ci inventiamo un aspirapolvere da comandare a distanza?- E ride a bocca aperta. Fin dai primi acquisti il vecchio azzecca sempre quello che ho in mente di fare, e fin da subito provavo un sudore freddo nel sentire le sue esclamazioni. Pensavo: “caspita, mi ha già scoperto!”, ma poi mi resi conto che lui è un inventore in pensione, e non gli è servito neppure un minuto per comprendere quello che avrei voluto progettare. Una volta addirittura arrivò a propormi di lavorare insieme a lui.

-Stia tranquillo, signor Peter. Ho tutto il necessario che fa al caso suo! Materiale di prima scelta, eh!- E ride ancora, allontanandosi dal bancone diretto verso la porta bianca sulla nostra destra. La porta che conduce al campo e alla rimessa delle cianfrusaglie, distribuite in vari capannoni e stipate nei loro scaffali per tipo, materiale, provenienza e costo. Tutto bene ordinato e classificato secondo rigorosi schemi e un rigido inventario che purtroppo deve fare i conti con ladruncoli spregiudicati. Che vergogna! Io che sono ladro per professione, provo repulsione verso questi poveracci che si accontentano degli scarti raccolti e non ancora lavorati per essere rivenduti.

-Entro quindici minuti sarò da lei con quanto mi ha richiesto!- E si allontana, lasciandomi da solo nell’atrio dell’edificio. Molte volte ho pensato sul perché mi voglia lasciare da solo nell’atrio, con la cassa in bella mostra. Il vecchio non ha forse paura che io possa manomettere la cassa e intascarmi i quattrini che ha guadagnato fino in quel momento? Forse la cassa non si apre così facilmente, forse il tempo che il vecchio ci impiega dal magazzino a raggiungere la sua postazione è così effimero che non è possibile fare nessun tentativo…

Non termino neppure di fare le dovute considerazioni che un rumore bizzarro quanto fragoroso cattura la mia attenzione. Pare il rompersi di piatti e bicchieri dal piano superiore. Alcune grida si alzano e continuano a strepitare lungo il primo piano, sicuramente qualcuno sta correndo e gridando nello stesso tempo. Poi questo qualcuno decide di raggiungere le scale che stavano un po’ più distanti rispetto al bancone e non faccio neppure in tempo ad accorgermi di quello che stava succedendo che una strana figurina compie un balzo dai gradini e mi raggiunge sulla testa, e con una zampata mi proietta in avanti e mi fa sbattere la testa contro il legno del bancone, causandomi parecchio dolore e un bernoccolo che mi fa vedere le stelle. Finalmente la persona che gridava come una pazza raggiunge il piano sottostante e, vedendomi disteso pancia a terra, si avvicina verso di me e si inginocchia, con preoccupazione.

-Oh, signor Peter! Che cosa è successo? Perché si trova sdraiato a terra?- La persona che si è avvicinata è Miriam, la nipote del titolare dello sfasciacarrozze. Anche se è ancora una bambina, spesso aiuta il nonno a consegnare il materiale ai clienti, soprattutto nei momenti di sovraffollamento. L’ho vista più di una volta e si dà un gran daffare.

Mi rialzo e le sorrido, ma non mi accorgo che, forse a causa della botta subita, perdo parte del travestimento. Il cappello si è strappato in più punti e gli occhiali da sole si sono rotti irrimediabilmente, lasciandomi scoperto il viso. Miriam si accorge che c’è qualcosa che non va nel mio volto e si avvicina a guardarmi in faccia, quasi inorridita. Io indietreggio da seduto, tentando di nascondermi il volto.

-Ma… ma signor Peter…- Poi l’attenzione della ragazzina viene catturata dal Pokémon che mi aveva investito prima. La bambina, sconvolta nell’avere scoperto la mia identità, sembra più furiosa nei confronti del Pokémon che nei miei.

-Celine! Celine, vieni qui!- Mi volto tremando verso la porta di uscita e una figurina a testa bassa fa il suo ingresso, con in bocca un pesce mezzo mangiato. La vista di quel Pokémon mi lascia senza fiato, rimango addirittura a bocca aperta e quasi dimentico di essere stato scoperto da Miriam, la quale non tarda a guardarmi come se abbia visto uno spettro.

-Signor… signor Peter… lei è un Meowth?-

FINE FLASHBACK


 

Pikachu mi guarda di traverso, giudicando le mie ferite e i miei lividi come quisquilie e mi liquida con una frase dicendomi che entro la serata dovrei già essermi rimesso dalla battaglia. Lui è un esperto di combattimenti Pokémon, e quello che è avvenuto poco prima non è stato niente di eccezionale. Bella roba…

-Meowth, Meowth come stai?- Miriam si avvicina verso di me, dopo essersi sincerata delle condizioni di suo nonno, che lentamente si è rimesso in piedi e non sembra accusare dolori particolari. Tutto quello che era all’interno della cartella di pelle è ancora sparpagliato in terra, mentre il vecchio silenziosamente raccoglie tutti i suoi attrezzi, la bambina si inginocchia e mi guarda con un misto di terrore e di rimprovero. Non vedo Celine, non capisco perché non si avvicina pure lei. Io continuo a restare sdraiato a terra, mentre Pikachu aiuta il vecchio a raccogliere gli oggetti.

-Meowth… tu li conoscevi quei due?- Ecco… ci siamo. Tutto quello che ho raccontato nei giorni precedenti, tutte le bufale e le prese in giro per farmi accogliere nella loro famiglia stanno esplodendo come tante bolle di sapone. Chiudo gli occhi, pieni di vergogna, e scuoto la testa.

-Non mentirmi, Meowth. Tu li conosci.- La voce di Miriam appare all’improvviso stranamente calma e distante. Vorrei sotterrarmi in questo momento, non voglio essere in questo bosco in questo momento. Ma non riesco a rialzarmi, Arbok e Weezing mi hanno conciato per le feste.

-Miriam, lascialo perdere, è evidente che non ti vuole rispondere.- Il nonno di Miriam, finito di raccogliere le sue cose e depositatele nello zaino in pelle, si sistema gli occhiali sul naso e si avvicina a sua nipote, con Celine raggomitolata sulla spalla del nonno. Incrocio finalmente lo sguardo di Celine, e osservo solo due fessure che mi fissano con sgomento.

-Ma… ma nonno…- Il vecchio annuisce, appoggiando una mano sulla spalla della bambina dai capelli biondi. Pikachu su avvicina e mi obbliga a rialzarmi, afferrandomi con decisione dalle ascelle e non mi lascia andare finché non mi ritrovo in piedi. Quasi con stizza, il topo elettrico mi chiede se io conosco quelle persone e perché si sono ritrovate minacciate dal Team Rocket. Io scuoto la testa con rabbia, non avrei mai voluto che Miriam e suo nonno si incontrassero con Jessie e James. Non ora che ho deciso di abbandonare il Team Rocket.

-Sembra che il tuo amico sia molto arrabbiato con te…- E il vecchio scoppia a ridere, vedendo che Pikachu continua a gridarmi contro e a minacciarmi di colpirmi con nuovi attacchi di tipo elettrico. Ecco, questo Miriam e suo nonno non possono capirlo, visto che non ho tradotto niente di quello che Pikachu mi sta dicendo.

-Ascolta, Meowth – e il vecchio torna a parlarmi, seriamente questa volta – ci devi delle spiegazioni in merito. Ti ringraziamo comunque per essere intervenuto, ma devi spiegarci perché quei brutti ceffi ti conoscono. Io mi fido di te, so che ci racconterai la verità in merito. Noi purtroppo non possiamo trattenerci, dobbiamo andare a Biancavilla per la fiera di domani. Verrà eletto il sindaco, lo sai?- Miriam annuì, rialzandosi e abbracciando suo nonno per un fianco. Che strano, non sembrano minimamente turbati del mio rapporto con il Team Rocket, tranne Celine che continua a guardarmi con i suoi occhi enigmatici. Pikachu rimane in silenzio, quasi pietrificato del fatto che quelle persone mi conoscono così bene e, raccolti i loro saluti e il gelido mutismo di Celine, si allontanano dalla radura per raggiungere il sentiero principale. Una volta che nonno e nipote si sono dileguati, emetto un sospiro di dolore e vorrei accasciarmi nuovamente a terra, con il volto di Celine contratto in una smorfia di terrore e di sbigottimento. Non doveva accadere questo, non doveva… Pikachu, testardo come un mulo, mi impedisce di cadere a terra e mi chiede a più riprese che cosa sta succedendo e di raccontargli tutto quello che so, da cima a fondo. Io gli sorrido tristemente, e gli faccio notare, canzonandolo, che prima ero io che volevo raccontargli tutto, e non mi voleva ascoltare, e adesso è lui che vuole che gli racconti tutto, e io non ne ho voglia.

-Pikachu, voglio riposare, semmai dopo il riposino ti dirò tutto, va bene?- E poi gli lancio un sorriso malvagio, che lo mette nuovamente in guardia facendolo allontanare di qualche passo.

-Ma se vuoi, puoi abbandonarmi al mio destino e tornare a Biancavilla…- Il topo elettrico mi guarda come per dire: “Ti piacerebbe!” e mi consente di mettermi seduto. Di fronte a noi c’è un melo, e alcune mele rosse succose pendono dai rami, come ad invitarci a coglierle e assaggiarne la gustosa consistenza. Pikachu, che ha intuito il mio sguardo verso le mele e udendo il borbottio del mio stomaco, ridacchia e in un lampo si avvicina al melo e, con un balzo agile, taglia di netto il picciolo della mela con un Codacciaio e, con un’altra giravolta in aria, taglia in due la mela ed essa cade sull’erba divisa equamente a metà. Il topo elettrico mi raggiunge nuovamente con i due pezzi della mela, una in ogni zampa, e me ne offre una, sedendosi accanto a me. Io lo guardo stralunato, non capisco che cosa abbia in mente il mio nemico.

-Senti, Pikachu, io non so che cosa tu stia facendo, so solo che il moccioso sarà preoccupato per te. Non temi che possa cercarti e strapparsi i capelli per la tua sparizione?- Pikachu annuisce, e mi dice che di lì a poco, terminato di mangiare la mela e raccontato a lui i dettagli di quella strana avventura, ci saremmo alzati e diretti nuovamente verso Biancavilla, e il topo giallo mi avrebbe accompagnato da Miriam e suo nonno per appurare che quello che avrei riferito loro corrispondesse alla pura verità. Io rimango letteralmente basito, non riesco a capacitarmi sul perché Pikachu continui a tallonarmi quando invece avrebbe avuto la possibilità di abbandonarmi nella radura e tornarsene a Biancavilla, o se fosse stato ancora più perfido, richiamare Bulbasaur ed i suoi scagnozzi e scortarmi fino al primo comando di polizia. Ma, vista la situazione, accetto la metà della mela e mangiamo in silenzio, anche se non ne ho assolutamente voglia. Gli occhi di Celine continuano ad apparirmi davanti come fossero in una fotografia, così grandi e così belli, e così pieni di paura. E la sua paura è più che giustificata, dopotutto.

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Capitolo 7
*** Dubbi ***


FLASHBACK

La scoperta della mia identità da parte di Miriam avrebbe potuto mettere per sempre la parola fine ai miei acquisti di ferrovecchio allo sfasciacarrozze di Zafferanopoli. Continuo a indietreggiare da seduto, colmo di vergogna e di imbarazzo, tentando in ogni modo di nascondere il volto agli occhi avidi della ragazzina che, incurante del mio profondo disagio, continua ad avanzare e a chiamarmi per nome.

-Tu… tu sei un Meowth!- Celine si avvicina con curiosità, e percepisco il suo dolce profumo e il suo silenzioso passo felpato. Lo percepisco, mi sta studiando con attenzione e il suo silenzio quasi irreale mi pare quasi uno shock.

-Celine, vieni qui!- Miriam ordina al suo Pokémon di allontanarsi da me, ormai mi sono costretto ad un angolo tra il muro e il bancone, lontano dalle sedie e dalla porta d’uscita. Avrei potuto alzarmi e scappare via, senza dare nessuna spiegazione in merito… avrei potuto fuggire. Sarebbe stata la cosa migliore da fare in quel momento. Ma dove avrei potuto recuperare il materiale che mi serviva per sviluppare il nostro “Aspiratuttomapropriotutto”? Per di più il progetto cartaceo ce l’ha in mano il vecchio titolare dello sfasciacarrozze, e non ne ho mantenuto una copia di riserva. Un sudore freddo inizia a colarmi dietro la nuca e, deglutendo un rospo amaro, abbasso la zampa che mi schermisce il volto e raggiungo con lo sguardo gli occhi cerulei della bambina, che mi osserva quasi sbalordita.

-Signor Peter… lei è un Meowth?- Che fare… che fare…? Non posso certo raccontarle di far parte del Team Rocket… avrebbe potuto lanciare l’allarme e avrebbe fatto di certo saltare il piano di saccheggio del Museo di Plumbeopoli.

-Ecco… io … non …- E’ estremamente difficile trovare un filo logico a quello che avrei voluto dire alla bambina. È terribilmente imbarazzante e provo un profondo disagio nel trovare una via d’uscita in quella situazione. In altri contesti non mi sarei neppure seduto a terra, con la mia proverbiale faccia tosta mi sarei inventato lì per lì una panzana colossale e, una volta raccolto il necessario da acquistare, me ne sarei andato a testa alta.

E invece… niente.

Perché mi sento così male?

Gli occhioni di Celine mi scrutano, guardinghi. In posizione leggermente arcuata, le leggere zampe anteriori divaricate, il Pokémon mi osserva con attenzione. Sembra quasi che mi stia studiando, con un mix di curiosità e di divertimento. Pare che si stia mettendo a ridere da un momento all’altro. Sono ipnotizzato dai suoi occhi. C’è qualcosa che mi attrae terribilmente in quel volto…

-Che cosa succede, Miriam?- All’improvviso, il vecchio gestore ritorna alla sua postazione con una scatola di cartone tra le mani. Aiutandosi con un piede, il nonno di Miriam chiude la porta dietro di sé e appoggia senza troppe cerimonie il grosso fardello sul tavolo, facendo un gran baccano e spaventandoci tutti quanti.

-Ecco qui, signor Pet…- E, appena si sporge dal bancone per osservarmi, il vecchio strabuzza gli occhi e gli occhiali dal suo cranio pelato sbattono sul naso. Mentre continua a gridare “Non ci posso credere!” si sporge sempre di più dal bancone, per osservarmi meglio. Ecco, la frittata è fatta.

-E tu chi saresti? Che fine ha fatto il signor Peter? Qui c’è la sua roba…!- E si guarda attorno, molto preoccupato. Che strana storia, è più preoccupato di non trovare il suo acquirente che domandarsi se il signor Peter fossi veramente io, poiché ho ancora la giacca addosso. Miriam ovviamente è più furba del nonno e, ridendo, mi indica con un dito, gridandogli: -Ma nonno! Questo Meowth è il signor Peter!- E ora, finalmente tornato in sé, il titolare dello sfasciacarrozze si sistema gli occhiali sul naso, abbandonando quasi immediatamente la postazione di lavoro e avvicinandosi verso di me. Una volta che si è inginocchiato, mi squadra sommariamente e, deglutendo abbastanza sonoramente, mi domanda nuovamente: -Tu… tu sei il signor Peter?- Con tutti quegli sguardi fissi su di me, è impossibile restare indifferenti. Avrei potuto, come il mio solito, gridare a squarciagola, mettermi lì a graffiare la faccia di tutti, rovesciarli, prendere la scatola piena degli articoli necessari al nostro piano e scappare via. Eppure, c’è qualcosa che mi trattiene dal fare tutto questo. La tensione del momento mi sta facendo grondare di sudore e, tossendo, mi tolgo tutto ciò che rimane del mio travestimento. Miriam, Celine e il nonno rimangono in silenzio ad osservarmi, mentre io ripongo in terra, quasi con maniacale ordine, la giacca, il berretto a larghe tese, gli occhiali da sole e tutto quello che rimane del mio travestimento.

-Io… io sono…- La voce, stranamente, mi esce tremando e quasi flebile. Che cosa mi sta accadendo? Sembra proprio che mi stia… vergognando. Da quando in qua io mi vergogno di quello che faccio? Mica sto rubando il materiale, ho i soldi! Eppure non riesco a controllarmi, volgo nuovamente lo sguardo verso Celine… e lei mi tiene, avida come una ladra, gli occhi incollati su di me. Quell’atteggiamento, quel portamento, quei lineamenti… mi stanno asfissiando.

-Tu sei…?- Il vecchio mi esorta a proseguire, ma non sembra infastidito né tanto meno arrabbiato nei miei confronti. Certamente si aspetta una risposta da me. Anche Miriam si avvicina di più e si siede di fianco a me, a gambe incrociate, appoggiando i gomiti sulle cosce.

-Dai, dicci chi sei! Un Pokémon parlante non si vede tutti i giorni, devi essere davvero bravo a parlare la nostra lingua!- La ragazzina è più furba di quanto pensassi. Se avesse fatto due più due, e se la fama di Team Rocket fosse conosciuta anche da quelle parti, non avrebbe sicuramente tardato a riconoscermi come componente della famigerata organizzazione. Stringo gli occhi, incapace di rispondere a quelle domande. Avrei potuto stare zitto, avrei potuto semplicemente tacere, dare i soldi al vecchio, prendere la roba e andarmene di corsa. Ma li avrei insospettiti… non avrei voluto, per nessuna ragione al mondo, tradire la copertura che sta seriamente per saltare in aria.

Che cosa ne sarebbe stato di TR37?

Devo inventarmi una bugia.

Una bugia… una bugia qualsiasi.

Eddai, Meowth. Ne hai raccontate così tante di balle.

Non è così difficile.

Vero?

Certo… è difficilissimo. Con quegli occhioni puntati addosso.

-Che carino… un Meowth parlante! - la bambina ridacchia – mi ricorda tantissimo un altro Meowth che è stato visto bazzicare a Smeraldopoli, qualche tempo fa, ne parlava giusto ieri il telegiornale, in cui la polizia…- No, no, no, no, no!!! Pensa, Meowth, pensa…

-Che cosa dice la polizia, Miriam?- La bambina sembra pensarci su, ma è evidente che si diverte a tenere sulle spine il nonno. Con le braccia conserte, si tiene il mento con un dito e un sorriso furbetto increspa le sue labbra rosate. Celine pare divertirsi un mondo nel vedermi cambiare colore in faccia, prima dal bianco, poi al verde, poi al rosso e poi al viola.

-Sembra che un certo Meowth faccia parte di un certo Team… Team Pocket, Team Socket… non ricordo come si…- E, con un grido che sconvolge tutti i presenti nell’azienda, mi alzo in piedi e spalanco le zampe anteriori davanti a me.

-Io lavoro per il signor Peter!!!-

FINE FLASHBACK

 

Le ferite che Arbok e Weezing mi hanno procurato in giornata fanno meno male. Riesco a stare leggermente seduto, appoggiato ad un palo di legno, nei pressi della spiaggia di Biancavilla. Ormai è calata la sera, il sole è tramontato oltre la linea che separa il mare dal cielo rossastro del tramonto. Osservo con una certa tristezza le nuvole che corrono in direzione sud-est, il vento si è alzato leggermente e la sabbia della spiaggia viene sollevata, andandosi a disperdere un po’ ovunque. Il sentiero alla mia sinistra conduce verso la piccola cittadina di Biancavilla, ormai quasi pronta per l’elezione del nuovo sindaco che si sarebbe svolta nella giornata di domani.

Si sentono delle grida a distanza, ci sono alcuni tecnici che continuano a urlarsi tra di loro ordini su ordini su come sia meglio posizionare luci, riflettori e altre robe per il gran banchetto che si sarebbe celebrato tra 24 ore esatte, con il nuovo sindaco a capotavola, nella piazza principale di Biancavilla. Gli spogli sarebbero iniziati di mattina presto, e il Laboratorio del Professor Oak è stato scelto come luogo dove votare e consegnare le schede. Quante persone ci saranno in questo paesino di campagna? Neppure un migliaio, scommetto. Forse molto meno. Molto probabilmente i risultati si sarebbero saputi entro la seconda metà del pomeriggio di domani.

Chi erano poi, i contendenti? Non conosco il programma politico di una cittadina abbandonata a se stessa, ma da quanto sono riuscito ad ascoltare durante la mia permanenza nella regione di Kanto, uno dei due candidati ha promesso di costruire una palestra proprio nei pressi del Laboratorio, col pretesto di aumentare il prestigio del torneo degli allenatori di Kanto. Non so se tutto ciò ha senso, so solo che non me ne frega un accidenti.

Pikachu si è allontanato qualche ora fa, diretto probabilmente dal suo allenatore. Mi ha promesso di non riferire niente al moccioso, ma avrebbe intenzione di sincerarsi di persona della mia posizione nei confronti di Miriam, Celine e del proprietario dello sfasciacarrozze di Zafferanopoli. Mi ha detto prima di andare via che mi avrebbe scortato da loro e che avrebbe ascoltato tutto dalle sue orecchie. Continuo a non capire la testardaggine di quel topastro, sembra che ci goda un mondo nel vedermi soffrire.

-Ma non si può fare gli affari suoi, una buona volta? Perché non va a giocare con i suoi amichetti petulanti e non mi lascia in pace?- Pare che mi abbia ascoltato, il mio pestifero nemico, perché sento sfrigolare dell’energia elettrostatica dietro di me. Mi volto di scatto e il dolore al fianco torna prepotentemente a farsi sentire, quasi togliendomi il fiato dal male. Pikachu è tornato, vedo negli occhi che è ancora leggermente arrabbiato nei miei confronti ma, nonostante il suo dubbio, mi ha portato un’altra metà di mela, presa probabilmente dalla cena in casa del suo allenatore.

Si siede accanto a me e, senza guardarmi direttamente in faccia, mi porge la metà della mela. L’altra metà ce l’ha lui, e senza dire una parola la prendo e me la tengo nelle mani, osservandola. Il buio ormai è padrone della spiaggia, non si riesce a vedere niente oltre a venti metri dal proprio naso. Lo scrosciare delle onde sul bagnasciuga è estremamente rilassante, il muggire del mare contro gli scogli del promontorio alla nostra destra rende l’atmosfera più distesa e, per un attimo, non mi ritrovò più a pensare alla missione, al Team Rocket, a Jessie, a James, a TR37, al Museo di Plumbeopoli… e nel susseguirsi delle immagini che scorrono davanti agli occhi, mi ritrovo nuovamente Celine. Il suo volto mi fa sussultare sul posto, che mette in allarme anche Pikachu, il quale si volta e mi chiede se c’è qualcosa che non va. Non rispondo alla domanda e mi limito a scuotere la testa.

Poi, d’improvviso, Pikachu mi comunica che tra dieci minuti ci saremmo alzati, diretti verso lo stand del proprietario dello sfasciacarrozze, un poco dislocato rispetto la piazza principale di Biancavilla, e avrei raccontato la mia versione a lui e alla nipote Miriam, confessando tutte le fesserie che ho raccontato loro nel corso di questo tempo. Stringo la mela con rabbia, ma dopotutto Pikachu non ne ha colpa, tanto meno Miriam, il vecchio o Celine. L’unica persona da biasimare in questo momento sono solo e soltanto io. Pikachu, quasi sbeffeggiando la mia improvvisa debolezza caratteriale, ride e si dice stranito dalla mia mollezza e di accettare tutte le sue imposizioni come fossi una marionetta.

Io non so più che cosa pensare. Potrei mollare tutto, alzarmi e cercare Jessie e James, ma credo che sarebbe stata un’ottima idea. Potrei ribellarmi a Pikachu, ma quel testa di legno è più forte di me e mi avrebbe mandato con le zampe all’aria con un colpo solo.

Non ho scelta, devo fare quello che mi dice lui.

 

Pregando più volte il mio compagno forzato di non passare per la piazza sotto la luce dei lampioni della sera, riesco a strappare la promessa di Pikachu che avremmo fatto il giro più largo, dietro la chiesa, di modo tale da prendere il sentiero proprio dietro lo stand dello sfasciacarrozze. A quell’ora Miriam e suo nonno staranno lavorando alacremente per mettere a posto tutte le loro cose in vista della festa dell’indomani. Al solo pensiero di vedere nuovamente Celine, mi si blocca lo stomaco. Il topastro non mi dà tregua e, continuando a spintonarmi da dietro, mi obbliga a proseguire lungo la stradina che costeggia la spiaggia di Biancavilla. Il sentiero è quasi avvolto dal buio, il che mi rassicura un po’, almeno non mi avrebbe scoperto nessuno.

Le pressanti spintonate di Pikachu iniziano a darmi sui nervi e, complice il dolore al fianco che va acutizzandosi, mi volto verso il mio nemico e inizio a inveirgli contro. Gli grido di smetterla di asfissiarmi, di lasciarmi stare, di lasciarmi camminare con il passo che desidero e che non c’è nessuna fretta di andare dal vecchio.

-Si può sapere perché ci tieni così tanto a starmi addosso? Non ti basta che io sia ferito e che cammini a stento?- Pikachu scuote la testa e, per niente intimidito dalla mia furiosa reazione ai suoi continui stuzzicamenti, con una zampa anteriore mi indica di proseguire per la stradina di terra battuta, e mi dice inoltre che mi avrebbe lasciato stare una volta per tutte dopo avere confessato tutto a Miriam ed a suo nonno ed avere chiarito la mia posizione nei loro confronti.

-Poi mi lascerai in pace, vero?- Il topastro annuisce, sorridendo. Chissà, può darsi che, dopo avere ascoltato le nostre chiacchiere, quel maledetto possa colpirmi con un attacco dei suoi e consegnarmi alla polizia. Non c’è da fidarsi di questo roditore.

Il nostro pellegrinaggio non dura a lungo: dopo una curva che vira verso destra, per poi chiudersi a gomito quasi immediatamente sulla sinistra, giriamo intorno alla vecchia chiesa (vista di notte, con quelle guglie e quell’aspetto imponente, incute quasi timore) e siamo proprio dietro la piazza principale, quasi in prossimità del sentiero che conduce a BoscoSmeraldo. Con quel buio penetrante non è assolutamente possibile riuscire a intravedere niente in quella fitta boscaglia. Il silenzio del bosco è quasi raggelante, mi chiedo che fine abbiano fatto Jessie e James… saranno nei pressi del bosco? Saranno andati via? Mi stanno osservando da lontano con i loro binocoli di precisione? Chi può dirlo.

Facciamo ancora qualche passo, e finalmente raggiungiamo lo stand dello sfasciacarrozze: niente di più che una semplice costruzione in legno, con un finestrone sulla sinistra, un bancone e una porticina sulla sinistra. Il piccolo stabile si trova all’estrema sinistra della piazza principale di Biancavilla ed è necessario fare un po’ di strada prima di poterlo raggiungere. Nel buio della sera il vecchio proprietario dello sfasciacarrozze sta montando l’insegna nella parte superiore della finestra , un semplice pezzo di legno dipinto a mano le cui scritte rosse sono poi coperte dalle luci al neon alimentate da un piccolo generatore posto di fianco all’edificio.

Pikachu mi tocca la spalla e mi ordina di richiamare l’attenzione dell’anziano. Mi dà un fastidio enorme prendere ordini da qualsiasi persona che non sia il capo del Team Rocket, figuriamoci se a darmi gli ordini è Pikachu. Avrei voluto ficcargli un pugno in faccia in quel momento, ma la mia attenzione viene catturata ben presto da uno strano movimento un poco dislocato alla destra dello stabile, pare proprio essere un Pokémon che sta correndo, silenziosamente, lungo la stradina che abbiamo appena percorso.

Strizzo gli occhi meglio (dovrei vederci al buio, sono un gatto in fondo) e riesco a intravedere la fisionomia affusolata di un Pokémon dal pelo biancastro. Il passo felpato e la rapida andatura catturano completamente la mia attenzione, ora che vedo meglio quel Pokémon sembra avere un rubino conficcato sulla fronte.

Un rubino… conficcato nella testa?

Non…

Non può essere.

Pikachu mi risveglia dal mio torpore strattonandomi non tanto gentilmente per una zampa, e per poco casco per terra. Ho un brutto presentimento. Continuo a guardarmi attorno, alla ricerca di Celine. Ma non la vedo.

Ah no, eccola, si sta allontanando, con discrezione, dalla piazza e un lampione la illumina quasi di sbieco.

Non capisco… perché si sta dirigendo nella direzione dalla quale siamo venuti io e Pikachu?

Un terribile dubbio mi sta attanagliando le viscere. Non posso allontanarmi dalla mia posizione che Pikachu, continuando a gridarmi nell’orecchio ordinandomi di parlare con il vecchio titolare del negozio di Zafferanopoli, non mi lascia un attimo di tregua.

Le grida acute del topastro catturano l’attenzione del vecchio che, in cima alla scala sulla quale è appoggiato, si volta verso di noi e sorride stancamente.

-Ah, i miei piccoli amici! Non vi aspettavo a quest’ora… stiamo montando lo stand per domani, mi aspetto delle grosse vendite!- Non vedo neppure Miriam, forse la ragazzina sta dormendo, oppure è da qualche altra parte, non lo so. A me interessa soltanto avvicinarmi a Celine, quell’allontanamento improvviso e quel Pokémon dal pelo biancastro che scappano via insieme mi sta tormentando come se stessi attendendo l’esito di una procedura penale.

-Ah, sì, buonasera…- Pikachu mi sussurra all’orecchio di non fare scherzi e di iniziare a confessare la mia posizione all’interno del Team Rocket e il mio rapporto con Jessie e James. Ma, con uno stratagemma, chiedo immediatamente dove si trovi Miriam, e mi informo sulla sua salute. Il vecchio è felice di avere ascoltato la mia domanda e, scendendo lentamente i gradini della scala, si avvicina verso di noi e, afferrando un fazzoletto di seta dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni, si asciuga il sudore dalla fronte, togliendosi gli occhiali dal naso.

-Miriam sta bene! È andata a fare le fotografie alla piazza e ai palazzi principali di Biancavilla. Domani mi darà una grossa mano, andando in giro per la città a fare un po’ di reclame!- E ridacchia, ritirando il fazzoletto di seta. Pikachu mi guarda storto, aggrottando leggermente le sopracciglia. Ma non ho tempo da perdere, il cuore mi sta battendo all’impazzata.

All’improvviso ho un disperato bisogno di rivedere Celine.

-E tu, Meowth, come stai? Ti sei ripreso dalle botte di oggi? Hai fatto un bel volo, sbattendo la testa contro l’albero nel bosco! Mi ero preoccupato, sai?- Poi volge la testa verso Pikachu e il roditore giallo, chiamato in causa dal vecchio, alza lo sguardo stupito.

-E tu devi essere il suo amico, gli hai dato una grossa mano con il tuo attacco elettrico. Se non fosse stato per il tuo intervento, Meowth le avrebbe prese di santa ragione…- Il nonno di Miriam non può capire cosa dice Pikachu in questo momento, ma io lo capisco benissimo, e mi arrabbio come una bestia. “Per me avrebbe anche potuto crepare in quel momento”.

I secondi passano inesorabili, mentre il vecchio continua a blaterare con il topastro, io continuo a guardarmi attorno, preoccupato. Poi, improvvisamente, mi intrufolo nel discorso, ormai mosso dall’esasperazione.

-E Celine? Celine, dov’è?- Il vecchio smette di sorridere e indica un punto imprecisato a nord, proprio da dove siamo arrivati noi.

-E’ andata verso la spiaggia… lei adora andare verso il mare, e non ha smesso di andarci da quando siamo arrivati.- Ma allora… chi è quel Pokémon con il rubino incastrato in fronte, che corre proprio nella direzione di Celine?

Un dubbio ce l’ho. Ma vorrei che non fosse quello.

Senza perdere ulteriore tempo, decido di interrompere la conversazione con il vecchio e, sordo alle grida di Pikachu, mi allontano velocemente dalla piazza, ritornando sui miei passi, zigazando per evitare le scariche elettriche che mi arrivano da dietro le spalle. Il dolore al fianco è poca cosa in confronto al dubbio che mi sta tormentando, mentre corro nella stradina di terra battuta percepisco le urla impazzite del roditore che mi ordinano di fermarmi, in pochi passi sento già il suo fiato nel collo, ma non mi importa.

Devo rivedere Celine, il cuore mi sta esplodendo in petto.

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Capitolo 8
*** Il rivale ***


FLASHBACK

Non so proprio come mi possa essere venuto in mente un’idea così malsana e strampalata. Non credo neppure io a quello che sto dicendo… lavorare per il signor Peter.

Ma se sono io il signor Peter! Infatti, Miriam e suo nonno, compresa Celine, mi guardano con tanto d’occhi e il dubbio nei loro sguardi è ovvio e scontato. Ormai la frittata è fatta, dico tra me e me. Quello che mi dispiace, è di non essere riuscito a mantenere il mio volto segreto e di potere scappare quando ne avevo ancora l’occasione.

-Non… non capisco. Tu lavori per il signor Peter?- Annuisco, abbassando lo sguardo. Non so neppure cosa io mi stia inventando. Le parole mi escono dalla bocca, una dietro l’altra, come se stessi vagabondando in mezzo al bosco, senza prendere una direzione ben precisa.

-Sì, lavoro per il signor Peter. Lui, purtroppo, non può recarsi personalmente presso il vostro negozio.- Miriam spalanca gli occhi e la bocca, e Celine imita la sua padroncina, rimanendo stupita anch’ella. Il nonno della fanciulla, scuotendo il suo faccione e alzandosi nuovamente in piedi, si allontana bofonchiando qualcosa di inintelligibile e torna alla sua postazione di lavoro. Nessuno osa più di dire niente per qualche minuto… Celine continua a tenermi lo sguardo incollato, e pare che stia sorridendo della mia bravata. Io contraccambio il suo sguardo, e noto che nei suoi occhi c’è una nota di puro divertimento. Miriam si alza da terra e, continuando a tenere le braccia incrociate al petto, inizia a camminare in tondo nell’atrio del negozio, seguita docilmente dal suo Pokémon, che non smette di lanciarmi delle occhiate significative.

-Non riesco a capire perché il signor Peter non può venire direttamente da noi! Sta male? È paralizzato? E poi… - Si ferma in mezzo alla stanza, e mi volta lo sguardo, furbescamente, così come la sua prediletta. Io abbasso nuovamente lo sguardo… non riesco a capire cosa mi stia accadendo. Devo essere impazzito. Quel girovagare di Celine… mi sta letteralmente ipnotizzando.

Il vecchio scuote la testa, leggermente indaffarato con dei conti con il libro mastro, e pare non darci più retta, seduto sullo sgabello di ferro alla sua postazione. Il tempo pare essersi fermato, forse mi sono salvato con quella piccola bugia… riprendo un po’ di coraggio e, tossendo leggermente, mettendo una zampa di fronte alla bocca, chiedo al titolare del negozio di poter prendere la roba di cui ho bisogno, pagare e andarmene.

-Perché riesci a parlare?- Ecco, la domanda fatidica. Ma, incredibilmente, la domanda non è stata fatta né da Miriam, né da suo nonno. Guardo prima la fanciulla dai capelli biondi, che stava ancora con le braccia conserte, come se fosse assorta, che il vecchio con gli occhiali, il quale non pare assolutamente intenzionato a sollevare gli occhi dal suo librone rosso, stracolmo di scritte misteriose e piccolissime. Mi volto ancora, e noto con stupore che la domanda proveniva dalle labbra di Celine, la quale non ha mai smesso di osservarmi con un volto pressoché enigmatico.

-Ecco… io …. non….- Miriam pare riscuotersi dal suo torpore e, nuovamente felice come una pasqua, si avvicina verso di me, seguita a ruota dal Pokémon, che trotterellava alla sua sinistra.

-Stavi dicendo qualcosa? Ah, ma è quasi l’ora di pranzo! Ah, diamine! Nonno, nonno! Dovremmo invitare il nostro amico a pranzo, che ne dici?- L’uomo con gli occhiali chiude il librone con un energico colpo e, ridendo della grossa, annuisce con un certo rigoroso cenno del capo e, guardandomi direttamente negli occhi, mi chiede di fermarmi a pranzo con loro. Io spalanco tanto d’occhi, non sospettano minimamente di niente.

-Ma sì, certo! E poi, magari, ci spieghi bene del tuo potere di parlare con gli umani e del tuo rapporto di lavoro con il signor Peter!- Io, macchinalmente, sposto lo sguardo verso Celine, la quale annuisce, sorridendo. Pare mi voglia chiedere qualcosa, ma il gran vocione del titolare dello sfasciacarrozze copre qualsiasi altro rumore. Senza poter dire né sì né no vengo afferrato per i fianchi dalle gentili mani della ragazzina e vengo portato sul retro, mentre il titolare si appresta a chiudere le serrande della sua attività. Le risate e il buon odore di arrosto nella cucina dietro l’atrio principale mi fanno ben presto dimenticare il vero motivo del perché fossi arrivato da Miriam e suo nonno, e soprattutto gli incantevoli occhi di Celine mi inebriano e mi rendono allegro e ormai completamente calato nella parte del tuttofare del signor Peter.

La cucina è molto sobria, ma accogliente: un tavolo alla sinistra della stanza, con una tovaglia a scacchi bianca e rossa, un frigorifero bianco a due porte proprio dietro la porta alla sinistra, il lavello di fronte e una porta finestra che conduce al cortile e al magazzino dello sfasciacarrozze. Per terra, accanto al frigorifero, la ciotola di Celine, prontamente riempita dalle amorevoli mani di Miriam. Una volta seduti a tavola (a me fanno salire sulla sedia a capotavola, prontamente messi dei cuscini uno sopra l’altro per farmi spessore e sembrare un po’ più alto e raggiungere così il bordo del tavolo), il nonno di Miriam inizia a sommergermi di domande sulla mia origine, sul mio rapporto con il “signor Peter” e sulle mie capacità di parlare così correttamente il linguaggio umano.

Ormai io, partito per la tangente, ritrovo il mio brio e invento una panzana dietro l’altra, alle quali naturalmente i due umani abboccano con tanto di esca.

-Ah, quindi è un inventore su sedia a rotelle…!- Annuisco gravemente, incrociando le zampe al petto.

-Ah, quindi tu sei il suo primo Pokémon catturato…!- Annuisco ancora, chiudendo con posa teatrale gli occhi.

-Ah, quindi tu sbrighi le faccende per lui…!- E annuisco ancora una volta, masticando un pezzo di succoso arrosto.

-Ah, quindi ti ha insegnato lui a parlare e lavora per conto del governo…!- E ancora, e ancora, mangio e bevo fino ad esplodere. Le parole e il tempo corrono veloci senza rendermi conto che avrei dovuto essere da Jessie e James entro le due del pomeriggio con il materiale.

-Ah, quindi tu vai in giro con le sue sembianze per non fare preoccupare il governo…!- Sono praticamente ai miei piedi, non avrei potuto essere più felice come in questo momento. Gli occhioni di Celine sono tutti per me, pare pendere dalle mie labbra.

-Ma ho intenzione di lasciare, sapete?- La mia breve frase lascia tutti di stucco, più fra tutti Miriam. La bambina addirittura si alza dalla sedia e allarga le mani sulla tovaglia, quasi sconvolta, fissandomi con occhi spalancati.

-Ma… Meowth! Non puoi lasciare così il signor Peter! Lui ha bisogno di te!- Io scuoto la testa, lentamente. Il mio silenzio accorato e profondo come un pozzo lascia attoniti i presenti, mentre Miriam agita energicamente la testa, per fare segno di no.

-Il signor Peter è anziano, ormai. Il suo tempo lo ha fatto. Presto andrà in una casa di riposo, e io…- Poi alzo lo sguardo, verso l’orologio attacco alla parete, e il pezzo di arrosto che ancora sto masticando mi va quasi di traverso. Le due passate! Sono in tremendo ritardo!! Mi alzo dalla sedia e inizio a correre come un pazzo per la stanza, suscitando la risata generale dei presenti.

-Oh, cielo, è tardissimo! Devo andare via, devo consegnare gli attrezzi, devo andare via, devo consegnare gli attrezzi, devo…!!- Il vecchio si mette a ridere e, alzandosi rapidamente dal tavolo, seguito fedelmente da sua nipote e Celine, mi scorta fino all’atrio del negozio e, una volta che ho finito di raccogliere la mia roba ancora per terra (giacca, occhiali, cappello, etc) ed essermi rivestito, il nonno di Miriam mi consegna la scatola con tutti gli strumenti necessari per modificare la mongolfiera. È abbastanza pesante, traballo sul posto per un certo momento, temo di cadere in avanti per il troppo peso, ma poi riesco finalmente a trovare la quadra e ad appoggiare lo scatolone in terra. Pago con diligenza il vecchio, saltando in alto e sbattendo con energia i soldi sul tavolo e, ringraziando tutti per la cordiale ospitalità, auguro a tutti un buon proseguimento di giornata e di riverdersi il prima possibile per futuri acquisti.

E così, tutti mi salutano allegramente e, proprio mentre mi preparo per uscire dal negozio, sulla mia destra incrocio nuovamente lo sguardo di Celine che, seduta a terra in maniera graziosamente composta, mi sorride e mi augura di rivedermi presto, il prima possibile.

-Mi piacerebbe moltissimo invitarti a cena, lo sai?- E ridacchio, convinto della mia battuta alquanto spiritosa. Ma, incredibilmente, Celine deve avere preso sul serio la mia proposta che, imbarazzata, avvampa fino alla punta dei suoi peli e abbassa timidamente lo sguardo, sorridendo a denti stretti.

-Oh, io… beh, a me…anche a me piacerebbe moltissimo!-

.

Eh….?

Che cosa?

.

La sua voce….

La sua reazione…

Mi lascia pietrificato sul posto. Non mi aspettavo assolutamente una risposta del genere, un atteggiamento del genere, una grazia, una timidezza e una maestosità simili. Miriam credo che si sia accorta della mia reazione scomposta e mi chiede se sto bene.

Mi riprendo, scuotendo energicamente la testa. Fortunatamente gli occhialoni da sole mi coprono gran parte del volto, e inoltre fortuna ha voluto che nessuno si sia accorto di essere diventato rosso come un peperone.

-Sto… sto bene…- Faccio un inchino quasi meccanico, e, girandomi sui tacchi, mi allontano quasi imbambolato dal negozio, con la scatola degli arnesi… dov’è già che dovevo andare? Ah, da Jemsie e Jess… Da Mesjie e Jass… da Mejjie e Sagges… da da loro… insomma…

Continuo a tenere gli occhi incollati su Celine, e lei guarda i miei occhi. È tremendamente difficile andarsene via, ma le mie zampe vanno per conto loro, e a momenti vado a sbattere contro il muro del negozio. Per fortuna c’è la scatola davanti a me che mi fa da barriera e, suscitando nuovamente la risata generale, mi riscuoto e me ne vado via, con la mia scatola e mille pensieri per la testa, più tra tutti quella strana bestiolina… quella strana… bellissima bestiolina che… non so, quella bestiolina bellissima che…

Ma dove diavolo dovevo andare?

FINE FLASHBACK

 

Pikachu è una furia, non smette di rincorrermi e grida al tradimento, alla mia vigliaccheria e al fatto che non sono stato ai patti.

Al diavolo i patti, non ho più intenzione di obbedire a quel topastro giallo. Chi diavolo è quel Pokémon che sta inseguendo Celine? Lo devo scoprire, prima che…

AHIA!

Sono stato colpito da qualcosa!

Striscio di lato, lungo il sentiero, e per poco non rotolo nuovamente su me stesso. Rombi di tuono mugugnano in lontananza, nel centro del mare, mentre i primi lampi saettano, zigzagando nel cielo oscuro della notte di Biancavilla. Il mio nemico mortale e ormai quasi sopra di me, mi blocca a terra e con le sue zampe anteriori mi tiene a bada, incollando le mie a terra.

“A che gioco vuoi giocare?” mi grida nelle orecchie. Io non lo sento più, ho davanti agli occhi solo e solamente Celine. Approfittando di un tuono che quasi ci assorda, riesco a divincolarmi dall’energica presa di Pikachu e a rotolare in avanti, riprendendo la mia corsa (seppure con estrema difficoltà, quel maledetto deve avermi colpito con Codacciaio) e davanti a me vedo un movimento fulmineo, di un Pokémon che corre velocemente verso la spiaggia dove prima ero seduto a contemplare il mare.

Quel Pokémon…

L’ho già visto da qualche parte.

Continuando a correre, sono nuovamente tallonato da Pikachu, il quale sembra proprio non capire la situazione in cui mi sono ritrovato. Con uno scatto felino, mi giro di scatto e graffio la faccia del mio nemico, il quale preso alla sprovvista grida dal dolore e indietreggia, tenendosi il volto con le zampe. Finalmente messo a tacere quel maledetto topastro, altri tuoni e fulmini accompagnano la mia folle corsa verso la spiaggia, e le prime gocce di pioggia cadono sul terreno di terra battuta, rendendolo quasi immediatamente impraticabile.

Ormai manca poco alla spiaggia. Il Pokémon davanti a me è a cento metri circa… è troppo veloce per me…

Eppure, dalla piccola collinetta in cui mi trovo, vedo seduta sulla spiaggia lei, Celine. E sembra essere molto nervosa. Non capisco cosa stia succedendo…

Il Pokémon la raggiunge, e lei si avvicina, verso di lui.

Che cosa significa questo?

La pioggia inizia a diventare più battente, quasi voglia impedirmi di vedere bene ciò che sta accadendo davanti ai miei occhi. Continuo a correre come un disperato, fino a raggiungere la sabbia bagnata della spiaggia.

E poi, mi fermo, anzi mi costringo a fermarmi, una volta raggiunta la spiaggia, a pochi metri da loro.

Che cosa ci fa LUI qui?!

Rimango senza fiato, e senza parole. Dietro di me, un furioso Pikachu minaccia tuoni e fulmini e saette, ma quando finalmente mi raggiunge e smette di gridare come un matto, si zittisce e aguzza lo sguardo verso il punto dove guardo io, e alla fine capisce anche lui.

Il Pokémon bianco, alto e sinuoso, con il rubino conficcato in testa, si volta verso di me e Celine, spaventata a morte dal mio inatteso arrivo, indietreggia guardandomi terrorizzata, quasi come se l’avessi colta sul fatto.

Il problema è che non capisco cosa stia succedendo in questo momento. Pikachu è più confuso di me, e osserva con sgomento quel Pokémon dal pelo bianco e ispido, così alto e aggressivo.

-Ah, Meowth. Non pensavo di beccarti qui, in spiaggia, a quest’ora della notte!- La pioggia si era fatta ancora più insistente ed è diventato difficile pure ascoltare quello che mi sta dicendo il Pokémon davanti a me. Ci troviamo a gridare l’uno contro l’altro, perché non si capisce un accidenti.

-Tu cosa diavolo ci fai qui? E perché sei con Celine?- Il Pokémon dal pelo bianco sghignazza, mostrando i suoi scintillanti canini bianchi, mentre Celine rimane come paralizzata sul posto, un po’ dislocata al fondo della spiaggia.

-Ma smettila, Rocket! Dopo tutte le falsità che hai detto sulla tua persona, osi pure dettare legge e fare domande agli altri! Suvvia, diamine! Tornatene alla tua missione e sparisci!- Quelle parole, pronunciate con un tono di voce arrogante e nello stesso tempo suadente, mi colpiscono come rasoi affilati. Non capisco… che cosa c’entra LUI con questa storia? Perché sta interferendo tra me e Celine? E soprattutto…. Perché Celine è con lui??

Troppi, troppi interrogativi stanno frullando tutti assieme nella mia testa. Cerco di controbattere alla sua arroganza, ma per tutta risposta ricevuto una voltata di spalle e una “snobbata”, con tanto di giramento di coda finale.

-Abbiamo parlato fin troppo! Vieni, mia cara Celine, non credo che ti interessi parlare con un “Rocket”.- Celine, risvegliata dal suo torpore in cui è caduta, scuote la testa e mi guarda con un atteggiamento colpevole, quasi si sentisse in colpa nei miei confronti. Pikachu, al mio fianco, mi chiede che cosa sta succedendo, che non ci capisce più niente, e io lo zittisco gridando con rabbia, urlando con tutta l’aria che avevo nei miei polmoni, all’indirizzo del Pokémon che aveva osato snobbarmi.

-Proprio tu mi vieni a chiamare Rocket?! Ma ti sei visto allo specchio?! Rinneghi anche tu le tue origini? Ehi, sto parlando con te!!- Il Pokémon con il rubino rosso incastrato in fronte continua a sghignazzare, ma al mio grido “Tu sei un Rocket come me!” si ferma e, voltando leggermente la testa, mi osserva con occhi scintillanti.

-Non solo hai mentito di fronte a tutti, adesso accusi gli altri di avere parte in scenari che non appartengono loro? Dì piuttosto scusa!- Altri tuoni, altri fulmini, Pikachu inizia a battere i denti dal freddo, continua a lamentarsi che non ci capisce niente, che vuole spiegazioni, ma nessuno dei presenti risponde alle sue richieste. Io continuo a inveire contro il mio rivale e, ben presto, perdo le staffe al nuovo tentativo di noncuranza del Pokémon dal pelo bianco nei miei confronti.

-Tu che cosa c’entri in tutto questo? Sei venuto solo per vedermi soffrire, vero?- L’altro continua a sghignazzare, indefesso. La pioggia ci ha completamente inzuppati, ed è impossibile distinguere dove inizia la melma che sta sotto i nostri piedi dai nostri piedi.

-Dì piuttosto che sono venuto per migliorare la vita di una fanciulla! Vattene, Rocket, vattene dai tuoi compari, e sparisci da questa città.- Basta, basta, basta!!! Adesso è troppo! La grande faccia di bronzo di quel buffone merita una lezione.

Accecato dalla rabbia e dal desiderio di annientare il mio nemico, non do ascolto alle grida di Pikachu, che mi ordinano di fermarmi, così come aveva fatto nella stessa giornata, per impedirmi di farmi vedere da Jessie e James. Ma nel bosco c’era Celine in pericolo, e mi sono battuto per lei. E anche adesso mi batto per Celine, per dimostrarle il mio amore nei suoi confronti.

-FERMATI!- E, incurante della sabbia pesante, del fianco che reclama pietà, dalle urla di Pikachu e di Celine stessa, mi lancio con rabbia, artigli scattanti in ogni dito delle mie zampe, sulla carne del mio rivale. Ma egli, più veloce e più rapido di me, si volta all’improvviso e con una sonora zampata mi butta di lato, diversi metri più a sinistra, quasi vicino alla riva.

Cado pesantemente in terra, gli artigli che sono affondati sulla guancia destra, una fitta di dolore mi prende dalla punta dei baffi fino alle zampe posteriori.

-Fermatevi, per carità, fermatevi!- Adesso è la voce accorata di Celine che ci chiede di fermarci. Il mio rivale, scuotendo la testa, si volta nuovamente, dando le spalle sia a me che Pikachu, il quale si avvicina preoccupato verso di me e mi aiuta a rialzarmi, tenendomi per un braccio sulle sue spalle.

-Hai fatto abbastanza danni, Meowth. Dammi retta, un Rocket deve stare lontano da Celine… lei deve stare con me. Hai capito?- Le parole del mio rivale si perdono nella pioggia, non riesco neanche a vedere Celine che si volta verso di me, con il suo sguardo enigmatico, e che si allontana lentamente dalla spiaggia. Non sento neppure le parole di Pikachu, il suo biascicare incomprensibile al mio orecchio, tutto quello che sento prima di vedere tutto nero sono i tuoni e le onde del mare che si infrangono sugli scogli del promontorio.

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Capitolo 9
*** Il patto ***


Flashback

-Era ora che arrivassi, Meowth!- La voce roca e incollerita di Jessie e James continuano a risuonarmi nelle orecchie da ormai dieci minuti buoni. A causa della pesantezza del pacco contenente gli oggetti necessari per costruire le modifiche della nostra mongolfiera, dovetti fermarmi lungo il tragitto verso il bosco almeno quattro volte. Ci impiegai tre quarti d’ora buoni per raggiungere il limitare della foresta, dove i miei compagni mi stavano aspettando frementi e nervosissimi.

-Meowth, avevamo l’appuntamento alle due del pomeriggio! Sono le tre passate, dove diavolo ti eri cacciato?- Il fuoco è acceso nel nostro piccolo accampamento di fortuna, la scatola svuotata con tutti gli articoli acquistati disposti in terra, ordinati per grandezza. Mentre Weezing e Arbok e gli altri Pokémon mangiano con calma la loro razione di cibo nelle proprie ciotole, aspetto che Jessie smetta di gridare come una pazza nel tentativo di dirle quello che avevo combinato fino in quel momento.

-Non mi interessa – continua a urlare quella pazza scatenata – pensa piuttosto a mettere a posto quel tuo marchingegno e diamoci da fare, abbiamo perso fin troppo tempo! Dobbiamo concludere la nostra missione entro domani sera!- Già, come se mettere fretta alla gente risolvesse le cose… James è seduto accanto al fuoco e, ravvivandone la fiamma con un bastone, appoggia il mento ad una mano e sospira scuotendo la testa.

-Io non ne posso più… è da più di tre ore che restiamo fermi in questa posizione… Meowth, quanto tempo pensi di impiegarci a costruire quella cosa?- Ho bisogno di un attimo di tregua. Appoggio il progetto in cui ci sono le istruzioni di montaggio della “Aspiratutto-ma-proprio-tutto” in terra e, imponendo il silenzio ai miei compagni, cerco di fare mente locale su quello che devo fare per poter iniziare al meglio il lavoro. Il problema è che… ho la mente appannata. Continuo a pensare a quello che è successo prima…

-Meowth… ti senti bene? - La voce di James mi risveglia dal torpore in cui sono caduto. Alzo lo sguardo verso di lui, alla mia sinistra, e noto che mi sta osservando con una leggera preoccupazione.

-Ti ho fatto una domanda e ti ho visto fermo, a guardare il vuoto, con il cacciavite e il righello tra le mani…- scuoto la testa, ridacchiando nervosamente. Jessie, per la crescente furia che le sta attraversando il corpo in quel momento, inizia a camminare avanti e indietro, proprio dietro il fuoco che James sta ancora pigramente ravvivando con il suo bastone di legno.

-Mi auguro che il nostro perdigiorno si sbrighi e non si metta a fissare le farfalle!- L’infelice uscita di Jessie nei miei confronti mi fanno ben presto perdere le staffe e, finalmente tornato in me stesso, scatto in piedi da come ero seduto in terra vicino al foglio delle istruzioni e rispondo per le rime alla mia compagna di squadra. La mia reazione è così veemente e inaspettata che anche i Pokémon alzano gli occhi dalle ciotole con stupore.

-Se tu la smettessi di agitarti come una pazza e di mettermi fretta con il fiato sul collo, forse potrei riuscire a concludere qualcosa!- La donna dai capelli color magenta scuote la testa, indignata, e incrocia le braccia al petto, seccamente risentita dalla mia furibonda replica nei suoi confronti. Finalmente torna un po’ di pace, dopo un po’ di tensione creatasi in quel momento, e anche i miei compagni Pokémon tornano alle loro faccende. Torno a guardare la mappa, e inizio a mettermi al lavoro.

-Dunque, vediamo, il tassello A deve andare a collimare con la sbarra B… mentre l’elica F deve incastrarsi nel cuneo H, dove la vite J deve chiudere il dado K…- Tutti gli strumenti, gli accessori, i ferri e la ferramenta di cui ho bisogno per concludere nel più breve tempo possibile il mio lavoro si dipanano davanti ai miei occhi, mentre passo in rassegna la lista della cartina del mio progetto, che sento nel profondo del mio cuore essere vincente e decisivo per scalare finalmente la vetta del Team Rocket. Mentre continuo a leggere la lista delle istruzioni e controllo che tutti gli accessori siano presenti di fronte a me, sorrido e immagino già il nostro trionfo, mentre sventoliamo la nostra lettera di congratulazioni firmata in calce dal nostro indiscusso (inchino) Capo in faccia ai grugni di Butch e Cassidy. Nel mentre, continuo a gongolare leggendo le istruzioni, dimenticando la sfuriata precedente di Jessie.

-…. e per finire, la corda X deve tenere legata la sbarra Y che andrà a chiudere il cilindro Z…- sollevo lo sguardo, divertito nel constatare che ho terminato la lista e che tutto coincide perfettamente con tutto quello che ho a disposizio…

No, aspetta, dov’è finito il cilindro Z?

Mi guardo attorno, scrutando scrupolosamente tutti gli oggetti a mia disposizione. Mi alzo di nuovo da terra e mi ficco addirittura all’interno dello scatolone, nella vana ricerca dell’oggetto che manca per concludere il mio lavoro. Inizio a sudare freddo nella speranza di riuscire a rintracciare ciò che mi manca, ma non riesco proprio a trovarlo.

-C’è qualche problema?- Le voci di James e Jessie dietro di me mi colgono impreparato e, ormai sporto in avanti all’interno dello scatolone, scivolo all’interno e ci finisco proprio dentro. Mi rialzo e appoggio le zampe su uno dei lati aperti della scatola, alzando gli occhi verso i miei colleghi.

-Allora? Perché non ti sei messo ancora al lavoro?- Jessie sembra addirittura tremare dalla rabbia nel vedermi bighellonare senza un valido motivo. Spiego loro che non riesco a trovare l’ultimo oggetto per poter terminare come si deve il lavoro e, increduli, i due umani restano a bocca aperta nel constatare che io abbia perso un pezzo importantissimo.

-Credo di averlo perso… o forse l’ho lasciato allo sfasciacarrozze…- La risposta dei due ragazzi, come facile era da prevedersi, è rabbiosa e inclemente nei miei confronti. Tra mille “Ma che diavolo ti salta in mente?”, “Distratto che non sei altro!” e “sei un buono a nulla!” iniziano a inseguirmi mentre io cerco di scappare via dalla loro collera.

-Fermati, Meowth! Ti meriti una bella lezione!- Non so cosa caspita mi sia saltato in testa nel non controllare tutto quello che avevo all’interno della scatola. Di solito, quando faccio questo genere di lavori, sono molto meticoloso e scrupoloso nel controllare di avere tutto a mia disposizione, e mai prima di ora ho fallito una preparazione. E ora… non capisco.

Ah, no, forse ho capito cosa è successo.

Mentre stavo andando via dallo sfasciacarrozze, ho sbattuto con la scatola contro lo stipite della porta d’uscita, guardando Celine negli occhi. E, molto probabilmente, l’ultimo pezzo mi è caduto lì. Ora che mi ricordo, ho sentito un rumore metallico di un oggetto cadere a terra proprio in quell’istante, ma non ci ho fatto molto caso…

-Adesso corri e lo vai a riprendere! Entro stasera il lavoro deve essere finito! Siamo intesi?- Non ho altra scelta, devo abbandonare il campo e fare la strada all’indietro. Mentre mi allontano di filato dal nostro accampamento, sento le voci di Jessie e James che mi richiamano e mi dicono di tornare indietro.

-Il travestimento! Brutto idiota!!- Ah già, il travestimento… Me ne stavo scordando…

FINE FLASHBACK

 

Mi sveglio che ormai è l’alba. La pioggia ha smesso di cadere da un bel pezzo, e un freddo pungente mi assale dalla punta delle orecchie fino alla coda. Mi trovo lungo disteso sull’erba, a due passi dal bosco dove avevo incontrato Pikachu… quando lo avevo incontrato? Ieri? Oggi? La settimana scorsa? Non me lo ricordo. All’improvviso, rivedo il ghigno malefico di quel maledetto che ha deciso di mettere i bastoni tra le ruote. Mi alzo di scatto, e una fitta scottante mi fa vedere le stelle: la guancia destra mi brucia da morire, probabilmente quel lestofante mi ha lasciato i segni dei graffi in faccia. Perdo immediatamente l’equilibrio, e atterro sull’erba, seduto. Non riesco a tenere gli occhi aperti, la luce del sole è accecante e c’è un brusio provenire da lontano che mi mette ansia e vorrei che finiscano presto di blaterare.

L’erba è fresca, ancora bagnata dalla pioggia della notte precedente. I dolori alle articolazioni mi lasciano quasi senza fiato, e mi sdraio di nuovo sull’erba, e un albero gentile mi fa ombra con i suoi rami e le sue fronde. Vorrei non muovermi più da quella posizione, vorrei dimenticare tutto quello che è successo e ricominciare la mia vita dalla settimana scorsa. Ma, purtroppo, non si può tornare indietro, e la scena della spiaggia è ancora lì, davanti ai miei occhi, causandomi una profonda tristezza e un nodo alla gola.

Non me ne frega niente che quel maledetto mi abbia sconfitto. Ho subito sconfitte ben peggiori nella mia carriera. Mi dà un enorme fastidio essere stato accusato da quel tizio di far parte dei Rocket (come se lui non ne facesse parte, falso come Giuda!), solo per farsi bello di fronte a Celine. E lei, poverina, ci è cascata in pieno.

La rabbia mi fa sragionare e mi toglie il respiro. Vorrei andare lì, in qualunque posto si trovino in questo momento, e suonargliele di santa ragione. Ma poi penso che lui è dieci volte più forte di me. Apro lentamente gli occhi, e vedo i rami dell’albero che mi fanno schermo dalla luce del sole. La brezza marittima mi solletica le narici e il brusio in sottofondo proviene proprio dal centro della città di Biancavilla, e poi mi ritornano in mente le parole di Pikachu. Oggi ci sarebbe stata l’elezione del sindaco.

Ma a proposito, che fine ha fatto quel roditore?

Mi volto a destra e a sinistra e, proprio accanto a me, su un tronco tagliato di netto, c’è una larga foglia verde dove è appoggiata una mela tagliata a metà in verticale, dall’aspetto succoso, che sembra proprio essere destinata a me.

Il brontolio allo stomaco mi fa ricordare che nella giornata di ieri ho buttato nello stomaco solo una mela a metà. Ed è proprio una mela a metà che mi sazierò, infischiandomi del legittimo proprietario della mela. Mi alzo, traballo sulle zampe posteriori, e a piccoli passetti raggiungo la base del tronco, per poi cadere in avanti a due passi dal cibo.

-Sono… sono debole…- Alzo una zampa per raggiungere la parte superiore del tronco, ed issarmi con tutte le mie forze residue. Il corpo mi fa malissimo, non avrei mai creduto che due lotte Pokémon mi avrebbero sfiancato così tanto. E dire che Pikachu sembra essere sempre in forma, nonostante tutte le lotte in palestra, tutte le battaglie… sprizza sempre di energia, quel maledetto. In In questo momento, ho una terribile voglia di sfogarmi con qualcuno. Voglio liberarmi dal peso che sto provando sul cuore in questo momento, voglio lasciar andare l’amarezza che provo per la situazione accaduta ieri.

Sì, avrei pure sopportato quell’odioso roditore, se mi si fosse presentato davanti…

E infatti, eccolo lì, appoggiato coi gomiti e a zampe giunte, dall’altra parte del tronco, osservarmi divertito mentre io faccio un’enorme fatica a rimanere in piedi, addossato al tronco.

-Ah… sei qui.- Abbasso lo sguardo fino alla mela, e noto che Pikachu aveva chiaramente mangiato la sua metà poco prima, si vede ancora una parte del torsolo rimasto sulla foglia.

-… avrei voluto che tu non fossi presente ieri sera.- La vergogna di essermi mostrato così debole di fronte al mio nemico è micidiale. Ripeto, la sconfitta non mi importa niente… mi vergogno di avere mostrato a lui i miei sentimenti per Celine. Mai avrei immaginato di ritrovarmi in una situazione così imbarazzante, così umiliante proprio davanti a lui.

-Avanti, ridi! Ridi di me, della mia debolezza! Fatti gioco dei miei sentimenti, perché so che non aspettavi altro che vedermi ridotto in cenere!- Pikachu non mi dà risposta. Mi guarda fisso, con i suoi occhietti enigmatici… mi mette un’ansia terribile, afferro la mela e mi volto, lasciandomi cadere, con la schiena attaccata al tronco. Mi trovo dunque seduto con le zampe raccolte e la mela sul grembo, una rossa succosa mela, seppure a metà. La guardo per qualche secondo, e un’improvvisa voglia di piangere mi assale. Ma non piango, trattengo anche il fiato pur di non lacrimare. Non voglio dare questa ennesima soddisfazione al mio nemico.

Sento qualche movimento da parte sua, e lui che si avvicina a me. Lo osservo con la coda dell’occhio, ancora in lotta per non piangere. Si siede accanto a me e anche lui si mette con la schiena attaccata al tronco. Un leggero vento si alza dal bosco, un vento fresco che abbassa la mia guardia e penetra nella mia anima.

-Non voglio la tua pietà, Pikachu. So che sei stato tu a darmi questa mela, ma io e te siamo nemici! Mi ascolti?- Mi volto a guardarlo, e noto che lui osservava davanti a sé, con indifferenza. Sposto lo sguardo davanti a me e noto che si può vedere uno squarcio della piazza principale di Biancavilla. Da dove ci troviamo noi, siamo in un punto abbastanza alto del paesino. Una moltitudine di persone si sono riversate attorno ad un enorme tavolo, strapieno di ogni genere di leccornia. Il profumo dell’arrosto, delle patate, di torte e formaggi, di ogni più leggiadra squisitezza arriva fino a qui, e mi attanaglia le viscere. Cosa avrei dato per addentare un succulento cosciotto di tacchino…

-Come fai a conoscere Celine?- Per la prima volta nella mia vita, sento parlare il mio nemico con una voce calma nei miei confronti. Quasi mi spaventa, non mi sono mai ritrovato in questa situazione prima d’ora.

-Mi prendi in giro? Prima non ti interessava, e ora…-

-Ho visto quello che è successo ieri, Meowth. Non sono stupido, nonostante i tuoi tentativi di fuga. Ho capito che c’era qualcosa di sbagliato.- Abbasso lo sguardo fino alla mela. Ne addento un pezzo, con rabbia, masticando rumorosamente, senza assaporare minimamente il gusto zuccherino del frutto. Ingurgito e resto in silenzio. La gente chiassosa è in festa, stanno facendo un brindisi, probabilmente è stato eletto il nuovo sindaco.

-Davvero hai lasciato il Team Rocket?- Le domande di Pikachu non sono, come al suo solito, piene di rabbia, o di ironia. Sono straordinariamente calme, e capisco che c’è del reale interesse nei miei confronti. Non so perché, ma rispondo alle sue domande. Eppure la mia mente mi impone di rifiutarmi di rispondere al nemico, che lui è solo lì per prendermi in giro e lanciarmi un Tuonoshock dei suoi soliti.

-Sì, l’ho lasciato ieri mattina.- Pikachu scuote la testa, incrociando le zampe al petto. Sbuffa e scuote anche la coda, quasi infastidito.

-Non capisco perché, Meowth. Non credo sia uno dei tuoi soliti trucchi, questa volta deve essere successo qualcosa di veramente grave. Non ti ho mai visto in questo stato prima d’ora.- Faccio una smorfia, addentando un altro pezzo di mela. Questa volta, però, assaporo con delizia la fragranza del frutto, e il succo mi scende in gola come fosse acqua fresca.

-Sono… sono cose che capitano.- Pikachu ridacchia, e scuote la testa ancora una volta. In lontananza, il canto di un Pidgey rompe il silenzio che si è creato tra di noi, un silenzio pieno di imbarazzo e tensione. Lo vediamo svolazzare da un ramo all’altro dell’albero sopra di noi, e raggiungere il suo nido costruito tra le cavità dei rami, nei pressi del tronco.

-La ami?- Rimango quasi strozzato dalla domanda del topastro, proprio mentre stavo ingoiando un altro pezzo di mela. Tossisco e mi do dei pugni sul petto, deglutendo a fatica. Mi volto verso di lui, furioso. Come si permetteva di fare delle insinuazioni simili?

-Non sono affari che ti riguardano, Pikachu!- Il roditore giallo ridacchia ancora e annuisce, mettendo le zampe dietro la testa. Odio, odio profondo quando fa così.

-Ma sì… certo, ovvio che la ami! Ti ha mandato completamente in bambola! Altrimenti, non avresti mai abbandonato il Team Rocket…- Bingo, centrato in pieno. Butto davanti a me il torsolo della metà mela, con rabbia e stizza. Mi sento completamente nudo di fronte a lui, mi sta sfogliando come un libro e non riesco ad oppormi. Un “salute al nuovo sindaco!” arriva dalla piazza, colmo di felicità e allegria. Non vedo il moccioso tra i partecipanti al banchetto, forse è lì in mezzo e a questa distanza non lo vedo per niente.

-Che intenzioni hai, Meowth?- Scuoto la testa, ormai rassegnato. Cingo le zampe anteriori attorno a quelle posteriori e mi raccolgo, abbassando il capo, sospirando.

-Cosa dovrei fare, Pikachu, secondo te? Sono condannato. Ormai lei sa che appartengo al Team Rocket. Mi hanno visto lei, Miriam e suo nonno. Mi hanno visto parlare con Jessie e James, e ha capito che faccio parte di quel gruppo. Forse… forse è il caso di parlare con Miriam e chiarire la mia posizione.- Volevo farla finita con quella storia. Non so perché io mi sia aperto così tanto con Pikachu… ma ne sentivo il bisogno impellente. Avrei parlato con la ragazzina e suo nonno, avrei detto loro che sì, faccio parte del Team Rocket, che mi ero innamorato del loro Pokémon, e che la storia dello scienziato sulla sedia a rotelle era tutta un’invenzione. Mi sarei tolto un grosso peso, e sarei tornato sui miei passi.

-E ti arrendi così? Dai campo libero a quello?- Pikachu sembra meravigliato della mia resa, addirittura si è alzato da terra e mi si piazza davanti, a zampe spalancate. Io sorrido, scuotendo ancora la testa.

-Cosa pensi che io possa fare? Ho perso, Pikachu, è evidente…- Il Pokémon elettrico si volta, e incrocia ancora una volta le zampe al petto.

-Sarà, ma io non sono d’accordo…- Sembra fidarsi ciecamente di me. Non capisco, sembra quasi comprendere la mia situazione, non aveva minimamente pensato ad uno dei miei trabocchetti? Decido di giocarmi il tutto e per tutto, e glielo spiattello direttamente.

-Di’ un po’, Pikachu, non credi che questo possa essere uno dei miei inganni per farti abbassare le difese?- Il topo si volta giusto con la testa, scuote la testa e ridacchia sommessamente.

-Ridotto in quello stato? Ma fammi il piacere!- Poi si volta di nuovo a guardare la tavolata con i commensali che propongono un nuovo brindisi. Mentre io ingurgito l’ultimo pezzo di mela rimasto, il topo elettrico si volta di nuovo verso di me e, con fare deciso, mi ordina di alzarmi e di andare a cercare Celine e il mio rivale. Io sgrano gli occhi, terrorizzato da quella decisione così improvvisa da parte sua. Dove vuole arrivare con questa proposta?

-Prima di gettare la spugna, io direi di mettere le cose in chiaro prima con Celine. Poi, fai quello che ti pare!- Io, dalla meraviglia di quelle parole dette con così tanta passione da parte di Pikachu, mi alzo addirittura in piedi, infischiandomi del dolore che provano le mie articolazioni in questo momento. Perché, perché quel maledetto ha così tanta pena per me e per le mie disavventure amorose?

-Vuoi proprio sapere perché? Dovresti conoscermi ormai, brutto gattaccio spelacchiato! Non sopporto le ingiustizie, e come hai sempre detto tu, io sono “un inguaribile ficcanaso”!- E stringe una zampa anteriore in un pugno, sorridendo con cattiveria. Io rimango semplicemente a bocca aperta, non mi sarei mai aspettato quelle parole da parte di uno dei miei nemici più mortali. Sembra quasi che stia appoggiando la mia causa, forse convinto da ciò che ha visto nella giornata di ieri.

-Tregua?- E mi porge una zampa, proprio quella che aveva chiuso in un pugno. Rimango senza fiato, non posso credere a ciò che sto vedendo davanti ai miei occhi.

Pikachu… Pikachu vuole aiutarmi!

Non… non so cosa mi stia succedendo….

Devo essere impazzito.

Stringo la zampa del mio nemico. No, non posso crederci. Ho stretto un patto con Pikachu. Quando questa storia sarà finita, la prima cosa che farò sarà quella di lavarmi le zampe in un torrente. Ma non vedo altra via d’uscita, mi sento con le spalle al muro.

-Va bene… andiamo a trovare Celine.-

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