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di xKibaz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Law I. ***
Capitolo 3: *** Law II. ***
Capitolo 4: *** Law III. ***
Capitolo 5: *** Law IV. ***
Capitolo 6: *** Law V. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


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Il Grande gelo bianco ricopriva l'intera valle, e il freddo cominciava a pungere. Anche i volatili avevano smesso di librarsi in cielo, restavano a bassa quota, zampettando da un albero all'altro per evitare che l'aria gelasse le loro ali, diventando quindi più vulnerabili. La foresta restava in letargo, come le creature che ospitava.
I lupi cacciatori girovagavano nel proprio territorio. La condensazione del respiro si cristallizzava, con la lingua a penzoloni tra le bianche zanne insaziabili, orecchie dritte, naso attento, affondavano le zampe nel Gelo bianco alla ricerca di grandi prede per sfamare il proprio branco. Le mandrie di caribù, quelle che prima affrontavano solamente piccole migrazioni locali, stavano man mano scomparendo, portando quindi alla decadenza i loro maggiori predatori.

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Il branco dell'Est, o lupi bianchi - per il manto dei lupi che ne fanno parte - è un'enorme stirpe di lupi dal pelo chiaro, argenteo, che va dal grigio limpido al bianco puro, e occhi di ghiaccio. Tanto potenti quanto misteriosi. Un lupo del branco dell'Est è un lupo che va dritto per il suo cammino, rispetta le dure leggi del branco a costo della propria vita ma non esita a combattere per difenderla.
Il branco dell'Ovest, o lupi rossi, è il clan composto da lupi dal manto rossiccio, quasi bordeaux, spesso tanto scuro da cadere sul nero. Sono coraggiosi, e non si arrendono. Un lupo rosso sa come adattarsi a qualsiasi circostanza, e si ritrova spesso a sfidare la Natura, affrontandola, ovviamente, con il dovuto rispetto, proprio come fa un cucciolo con un adulto, un Beta con il proprio Alpha, che abbassa le orecchie accasciandosi a pancia in su, mostrando i punti vitali. I loro occhi ambrati, si scontrano da generazioni con quelli di ghiaccio.
L'ingente Acqua-rapia che attraversa la vallata, divideva i due distinti territori.
Qualunque lupo provasse ad attraversarlo, era sicuro di andare verso la morte, senza via di uscita. La prima grande legge del branco, permette ai guardiani di sbranare un forestiero senza esitazione.




Nota dell'autrice: Hei ciao! Innanzitutto grazie per essere passato di qui. Questa è la prima storia che pubblico e... potrei chiederti cosa ne pensi? Accetto con piacere qualunque consiglio o suggerimento :) Buon proseguimento di lettura, spero lo apprezzi^^
 

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Capitolo 2
*** Law I. ***


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Le leggi del branco, giá... quelle leggi che ogni lupo deve seguire per essere tale.

Il cibo nella valle scarseggiava e in tal caso, meno bocche ci sono da sfamare, meglio è per tutti.

Mia madre, Scarlatt, si rannicchiò il piú possibile su di me e i miei fratelli per evitare che un nostro minimo odore o guaito si spargesse nell'aria. Io, mio fratello e le mie restanti tre sorelle eravamo completamente avvolti dalla sua folta pelliccia rossastra, la sua lingua umida e allo stesso tempo calorosa, ci accarezzò pulendoci per bene, mentre noi scuotevamo le zampine alla ricerca istintiva della mammella, eravamo attratti fortemente da quel forte odore di latte, che per noi significava "vita", solo in quel luogo potevamo sentirci sicuri, solo tra le zampe forti e protettive della mamma.
Appena pulito ma ancora fradicio, si notò che il mio manto era più scuro di quello dei miei fratelli, una lunga linea rossastra mi attraversa il dorso, partendo dal momentaneo roseo tartufo fino ad arrivare alla punta della coda, la quale terminava in un nero intenso; i miei fratelli, al contrario avevano un manto più rossiccio, quasi sull'arancione, e presentavano macchie bianche qua e là, soprattutto sul petto e il muso.

La legge parlava chiaro: non sono permesse cucciolate nei periodi di mancanza di prede.

Se si venisse a conoscenza della nostra nascita, il nostro destino sarebbe segnato. Non avremmo nemmeno la possibilità di essere accettati dal branco, qualunque altro lupo farebbe di tutto per sbranarci e farci fuori all'istante, ne vale la sopravvivenza della stirpe. La vita per un cucciolo è difficile, quando nasci è qualcun altro a decidere per te, e non sai mai cosa puoi aspettarti, insomma, cosa puoi saperne? L'Alpha recluta solo i migliori lupi per garantire la sopravvivenza del branco. Un nuovo arrivato deve dimostrare le proprio capacità, soprattutto fisiche, entro la sua prima luna, solamente dopo, se ritenuto degno, gli viene donata l'identità, un nome. In caso contrario, è il fato ad occuparsene e a segnare il suo destino.

Io e i miei fratelli abbiamo già un nome, la mamma fortunatamente ha deciso di proteggerci, ed io voglio sopravvivere.
Il mio nome è Marx.

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Capitolo 3
*** Law II. ***


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Da quando sono nato la Luna aveva già compiuto il suo primo giro. Avevamo aperto gli occhi già da quindici giorni, ma la piena luce del Grande-cerchio-caldo ci era ancora sconosciuta, avevamo intravisto solo i fievoli raggi che attraversano le crepe delle pareti della tana - retta dalle vecchie radici della Quercia retrostante, oramai morta da qualche inverno - illuminandone il pulviscolo. Io e Zed ci divertivamo spesso a rincorrere e zampettando quei raggi convinti di riuscire ad acchiapparli.
Aspettavamo il ritorno della mamma, che fino ad allora non ci aveva permesso nemmeno di avvicinarci all’uscio della tana: «Dovete aspettare» ci ripeteva continuamente, ci ricopriva di terriccio e fango, strofinandoci con il muso e puntualmente ci arruffava il pelo ancora tenero, leggero come il primo piumaggio di un aquilotto.

Ma aspettare cosa? E soprattutto, quanto?

Mi azzuffai con i miei compagni di cucciolata per ammazzare la noia, spesso prendevo di mira la mia sorellina più piccola, Aka. Le acciuffai la coda ancora spelacchiata, ritrovandomi con la fastidiosa peluria tra i denti; lei però sapeva reagire, quindi mi scostò il muso con un zampata decisa, graffiandomi il tartufo, il quale stava passando man mano, dal rosa al tipico nero dei lupi adulti. Mi spostai di scatto per evitare altre zampate, ringhiando e guaendo, dimenai la coda e tenni lo sguardo fisso contro il suo, mi divertivo a sfidarla. Fino a quando anche Kaze mi piombò addosso e, atterrandomi sul petto, mi fece ruzzolare e poi cadere con un leggero tonfo, mentre si innalzò una nuvola di polvere che mi faceva starnutire; con l’aiuto di Miya, tutte e tre mi placcarono a pancia in su graffiandomi e mordicchiandomi il pancino e le zampe con quei fastidiosi denti da latte, ma affilati a tal punto da procurarmi dei graffi abbastanza profondi da farmi guaire di dolore. Tre contro uno, era sleale! Nel “disperato” tentativo di liberarmi, Zed accorse in mio aiuto e si unì alla lotta ringhiando giocosamente.
«Sono tornata, cuccioli.» il suono della voce della mamma e il suo odore, riecheggiò all’interno il covo, e di colpo ci dimenticammo della lotta e accorremmo verso lei contenti di vederla, e soprattutto affamati. Si accasciò a terra e ci offrì ciò che ci spettava. Ancora accalcati, l’uno sopra l’altro, ci addormentammo, stanchi e con lo stomaco soddisfatto.

Ormai il Grande-cerchio-caldo si era spostato a ovest e stava per cedere il posto alla Luna nella Immensa-distesa-blu.
Un’imponente ombra apparve sull’uscio della tana, diventando sempre più grande: qualcuno si stava avvicinando. Dell’individuo era percettibile a malapena il respiro, il suo passo era deciso, ma allo stesso tempo leggero e rassicurante.
La mamma drizzò le orecchie puntando il muso verso l’ombra che accresceva sempre di più.
«Azir, sei tornato, finalmente…”
Quell’ombra apparteneva a mio padre, l’Alpha del branco dell’Ovest.


Figlio di un Alpha, e chi lo avrebbe mai pensato.

Qualche luna prima della mia nascita, mio padre partì con i migliori cacciatori e guardiani per un necessario giro di ricognizione, lasciando il controllo del branco alla sua compagna, mia madre per l'appunto, affiancata da Zuma e Jinka, lupi di rango Beta, i piú anziani e saggi del gruppo.

Il roseo crepuscolo spargeva un'atmosfera placida.
«Puoi avvicinarti. Tranquillo, non mordono.» la mamma ridacchiando lo incoraggiò a superare l'uscio, gli permise di avvicinarsi.
Sentii il suo confortante muso avvicinarsi a noi, ci annusò, il fresco ed umido tartufo sfiorò il mio facendomi starnutire, quindi lui sfoggiò un sorriso divertito e allo stesso tempo fiero. Ma la sua espressione si incupì in pochi istanti.
«Il branco ancora non sa, ho preferito aspettarti.» balbettò la mamma, cogliendo il motivo della suo fugace cambio di espressione . 
«Capisco...» affermò lui «Ma lo sai, sarà difficile che li accettino. Stiamo aumentando e le prede, al contrario, diminuiscono...»
«Sei tu il primo che devi approvarli e renderli parte del branco…» lo interruppe.
«La ricognizione è stata inutile, non c'è traccia dei caribú, avrebbero già dovuto cominciare a nutrirsi di carne rigurgitata... temo che saranno addirittura troppo deboli per sopravvivere!» si giustificò lui.
L'aria diventò piuttosto tesa. «Io devo proteggerli dal loro destino, sono i miei cuccioli.» poi continuò calando le orecchie « E sono anche i tuoi, Azir! Il sangue degli Alpha scorre nelle loro vene, e uno di loro dovrà proseguire sulle tue tracce e a guidare questo branco al tuo posto...»
Sbadigliai arricciando la lingua e stiracchiai i polpastrelli, mentre mi capovolgevo a pancia in su facendomi spazio tra Kaze e Zed, che quasi mi schiacciavano, interrompendo il loro dialogo. Papà – dovrò abituarmi a chiamarlo così e imparare a conoscerlo - si sedette arricciando la fitta coda attorno alle sue zampe senza distogliere lo sguardo indulgente dai nostri musi ancora addormentati.
«Dimostreranno di essere degni di far parte del branco dell'Ovest, ne sono sicura.» concluse convinta la mamma, strofinandogli il muso sul petto affondandolo nel suo folto pelo nero come il carbone; lui, dall'aria quasi rassegnata, le leccava l'orecchio.



Nota dell'autrice: Il piccolo Marx.
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Capitolo 4
*** Law III. ***


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Una leggera brezza mi sfiorò il pelo. Provai una sensazione mai sentita prima, arricciai il naso. Evitai di svegliare Zed disteso placido sulle mie (povere) spalle, cominciavo a sentirmi schiacciato dal suo peso e quello delle mie sorelle. Mi rialzai in un leggero stiracchio e sbadigliai emanando un delicato uggiolio, senza volerlo. Esploravo l'aria annusando la brezza, che stranamente era un tantino più fresca del solito, quindi cominciai a seguire la poca luce che proveniva dall'esterno. Voglio uscire dalla tana!

Attento a non far scricchiolare le fastidiose pietruzze del terreno, mi avviai deciso... o quasi; tornai indietro più di una volta, mi voltavo a guardare la mamma che ancora dorme tranquilla, ma quando finalmente raggiunsi l'uscio, mi bloccai. Mi sedetti di colpo, come se un muro invisibile mi stesse bloccando la via, e guardavo dritto davanti a me dimenando la coda. Sapevo che non mi era permesso, quindi non proseguii, ma avevo così tanta voglia di uscire, di vedere e di conoscere ciò che mi circondava. Rivolsi nuovamente lo sguardo per essere sicuro che nessuno mi stesse osservando, trotterellai da un lato all'altro della piccola uscita uggiolando. Presi un bel respiro e...finalmente sono fuori!

Venni quasi interamente travolto da un enorme strato di roba gelida e bianca, ma allo stesso tempo era morbida e piacevole; rimansi in un primo momento incastrato a testa in giù nel tumulo, riuscivo solo a dimenare goffamente la coda. Addentai e testai quella "roba" con il naso: non aveva sapore, e non aveva nemmeno odore, cos'è?. Mi dimenai e riuscii ad uscire da quel tumulo faticosamente.
Saltavo, correvo lasciando le mie piccole impronte indefinite, adoravo la sua frescura sul mio pelo, e mi divertivo a ricoprirmici per poi scrollarmela di dosso. Avevo appena fatto la mia prima scoperta, avevo trovato un nuovo gioco.

Non capisco perché non mi è stato permesso prima d'ora, il mondo esterno non è così male, al contrario, è così...divertente!

Mi distesi a pancia in su e, con la lingua penzolante, riprendevo fiato. Osservai l'Immensa-distesa-blu e mi accorsi che non era più tanto scura e lucente come quando c'è la Luna, era più chiara; ciò significa che il Grande-cerchio-caldo stava per sorgere, erano le prime ore dell'alba. Decisi, quindi, di rientrare sperando che la mamma non mi avesse scoperto. Scrollai per l'ultima volta il Gelo-bianco dal mio pelo eliminandone ogni minima traccia e tornai verso la tana sbuffando, a coda bassa. Cominciai, però, a sentirmi osservato. Drizzai le orecchie e mi guardai la coda, ma non c'era nessuno; essendo totalmente inesperto non riuscivo nemmeno a captare un eventuale odore. Il battito del mio cuore accelerò, e con esso anche il passo. Mi accorsi a quel punto di essermi allontanato troppo dalla tana, ed ebbi quasi paura.
Mi impietrii di colpo puntando intimidito verso quei due luccichii, che a loro volta, sembrava che mi stessero osservando. Volsi la testa di lato, attonito; non provavo paura, in realtà ero curioso, ma non abbastanza coraggioso per scoprire cosa fosse.
Un odore pervase l'aria mattutina, un odore a me sconosciuto. Il luccichio d'improvviso scomparve tra i cespugli, ed io provai un leggero sollievo, pensai che magari non era una minaccia, o meglio, lo speravo. Indietreggiai lentamente cercando la strada di ritorno, ma qualcosa mi fece drizzare il pelo sulla collottola, lungo tutta la schiena: un suono gutturale in lontananza, forse un ringhio. Allora capii di essere in pericolo e cominciai a correre, con la coda tra le zampe. Qualcosa mi rincorreva, ma non ebbi il coraggio di voltarmi e vedere chi fosse, pensai solo a fuggire, pensai a sopravvivere... ma fui troppo lento.
Quella "cosa" mi piombò addosso, e non ebbi il tempo di reagire. Serrai gli occhi, con un guaito.

 

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Capitolo 5
*** Law IV. ***


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«Sei morto.» Una voce profonda mi sussurrò all'orecchio. Aprii gli occhi lentamente, incredulo. Un secondo prima ero sicuro di star abbandonando questo mondo, e invece, sono vivo!

Sentii tirarmi su per la collottola, proprio come faceva la mamma di solito per spostarmi nella tana, quando doveva lavarmi o per nutrirmi. Guaii ritraendo le zampe, con la coda curvata tra esse; poi mi adagiò nuovamente a terra.
Un grosso muso scarlatto e brizzolato mi guardava con i suoi occhi color ambra scagliati di un leggero verdognolo; calai le orecchie e lo guardai a mia volta, tremando e ringhiando.
«Hei! vacci piano, piccolo» disse con una risata sarcastica; mi si rizzò il pelo. «Hai coraggio; ma sei ancora troppo piccolo, imparerai presto... Marx» aggiunse.

Mi ha chiamato per nome? Ció vuol dire che ha accettato di identificarmi?

Mi chiesi come facesse a conoscermi voltando la testa da un lato all'altro un paio di volte.
«Chi sei? » gli chiesi balbettando. Mi rispose fiero: «Mi chiamo Azir, sono il capobranco dell'Ovest». Mia madre mi parlò poco di lui, tanto da dimenticarlo, ma quelle parole riecheggiarono nella mia mente riportandomi al ricordo, allora capii.
Mi alzai dimenando la coda, e cominciai ad annusarlo, poi gli leccai la fronte sfiorandolo. Lui si prostrò in posizione di gioco, e cominciò a scodinzolare, scoprì i denti in un sorriso. Saltai sul suo muso mordicchiandogli le orecchie, ma lui mi fece cadere e ruzzolai nel Gelo-bianco, ricoprendomi di esso; mi rialzai scrollandomi, e ci riprovai. Stavolta restò al gioco e anche lui cominciò a saltarmi addosso mordicchiandomi leggermente. Continuammo cosí per un po', fin quando il Grande-cerchio-caldo non sorse del tutto, illuminando la valle.
L'eco di un ululato lontano ci raggiunse e drizzammo le orecchie. La mamma mi stava cercando.
«Facciamo chi arriva prima? » Propose mio padre ancora in vena di giocare, ma io ero già partito di corsa ancor prima che finisse di dirlo; poi mi raggiunse e corremmo insieme verso la tana, fianco a fianco.

C'era mia madre ad aspettarci fuori, mentre i miei fratelli erano ancora dentro a fare chissà quale nuovo gioco. Mi guardò come non ebbe mai fatto prima di allora. Mi rimproverò ringhiando e arricciando il naso, io abbassai la coda e le orecchie, accucciandomi di fronte a lei, e subii il suo giusto rimprovero.
Zed si affacciò da un lato del rifugio, curioso di vedere cosa stesse succedendo, poi fu seguito dalle mie sorelline, ma non provarono ad oltrepassarlo. Mio padre mi tirò su nuovamente, proprio come aveva fatto prima, e mi mise a sedere.
«E' un tipetto ribelle» mi giustificò mio padre, ridendo.
«Non avrebbe dovuto farlo, Azir! E lui lo sa bene» disse la mamma con tono ancora preoccupato, volgendo il suo sguardo su di me, poi continuò «Sei stato fortunato ad incontrare proprio tuo padre, avresti potuto imbatterti in un orso o un rapace avrebbe potuto portarti via facilmente!» sospirò; uggiolai chiedendole perdono, quindi mi afferrò per la collottola intenta a riportarmi nel covo.
«Impareranno, ma prima devono conoscere il mondo, e anche i suoi pericoli» all'udire queste parole la mamma si fermò e guardò mio padre poggiandomi sul terreno bianco e soffice.
Si fermò per qualche istante rassegnandosi, quindi incoraggiò, finalmente, anche i miei fratelli ad uscire.
Inizialmente si mostrarono titubanti ma allo stesso tempo curiosi. Il primo a saltare fuori da quel buco fu Zed, che subito si piombò verso di me ringhiando giocosamente, eccitato per ciò che aveva appena fatto; Miya si mostrò coraggiosa, testò prima con la sua zampina il terreno ricoperto di scivoloso Gelo-bianco e, una volta preso l'equilibrio, si avvicinò trotterellando curiosa; Kaze fu pasticciona come al solito, si lanciò in un tumulo e cominciò a ricoprirsi il tartufo rotolandosi in esso, e scivolando varie volte urtando il muso sulle zampe; Aka, al contrario era più timorosa. «Coraggio, vieni» la incoraggiò mio padre abbassando il muso alla sua altezza. Lei drizzò le orecchie e annusò l'aria fresca, si avvicinò all'uscio. Ritrovò il suo coraggio e lentamente poggiò le zampe affondandole nel soffice Gelo-bianco, notai subito che le piaceva, ma rimase comunque ferma guardando me, volse il chiaro musetto da un lato all'altro, come se volesse chiedermi «E adesso? Cosa devo fare?», così mi avvicinai, le afferrai l'orecchio e la tirai verso di me. Cominciammo così a giocare a rincorrerci inciampando e affondando continuamente.

Un fiero canto attirò la nostra attenzione, poi un altro di seguito, e un altro ancora che proveniva da un'altra direzione. Aka corse verso la mamma, e si riparò nascondendo il muso nella sua coda. «Che succede, mamma?» le chiese uggiolano. 
«Cerchiamo la posizione del branco, Aka» le spiegò gentilmente «E' il momento di presentarvi e darvi un nome ufficiale» disse, dopodiché ricomiciò ad ululare. Nessuno di noi fece ulteriori domande, anzi, provammo a fare altrettanto, ovviamente con scarsi risultati, il nostro canto si rivelava solo come un leggero latrato, e veniva coperto da quello dei nostri genitori.
«Sono situati al punto di ritrovo, alla Quercia Rossa» affermò mio padre.
Immaginai quindi che saremmo stati diretti proprio lì, stavamo per affrontare la nostra prima prova.

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Capitolo 6
*** Law V. ***


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Zed mi piombó addosso per l'eccitazione, quindi io reagii altrettanto, e diventammo un groviglio di zampate, morsi giocosi e code dimenanti. Fummo subito pronti a partire, eravamo eccitati, volevo scoprire il mondo, conoscere altri lupi, diventare finalmente parte di un branco. Notai che la mamma aveva un'espressione abbastanza preoccupata, io la guardai drizzando le orecchie, e avvicinandomi le leccai il naso scuro. Sapevo di stare per affrontare una dura prova, arrivare alla Quercia rossa, per un cucciolo di solamente una luna e poco piú, non è per niente facile; ma dovevo farlo, dovevo dimostrare di esser degno, in quanto Lupo Rosso. Volevo rassicurarla, io ero pronto.

Per raggiungere il ritrovo avremmo dovuto attraversare l'intera Foresta di Abeti, per poi arrivare alla pianura, e rientrare nel territorio del branco, situato lungo l'Acqua Rapida. Sarebbe stato piú facile, e magari meno faticoso raggiungere il ritrovo seguendo semplicemente il fiume, ma fu deciso di dover passare dall'interno in quanto sarebbe stato piú sicuro per noi cuccioli.
Mi voltai indietro a guardare quella che fino ad allora era stata la mia tana, il mio luogo di nascita, la stavo abbandonando. Ammetto che provai un po' di nostalgia nonostante la odiassi perchè mi teneva nascosto tutti gli odori, la luce, la neve, gli alberi e chissà quante altre cose. Mi sentivo libero.

I nostri genitori, davanti a noi, annusavano il percorso, tenevano ben dritte le orecchie e la coda, con una postura fiera, e noi rimanemmo dietro i loro passi.
Tanti nuovi odori mi inebriavano il naso, che quasi mi bruciava, suoni e rumori che il mio udito inesperto non era ancora capace di comprendere, e mi sentivo piuttosto confuso. Cercavo di tenere il passo guardandomi continuamente intorno. Esseri piumati volavano sopra la mia testa, da un albero all'altro, altri più piccoli zampettavano e sgattaiolavano sotto le mie zampe per nascondersi sotto la neve, era tutto cosí strano, nuovo, ma soprattutto eccitante, fu come se tutto intorno a me si fosse risvegliato per mostrarmi l'intero mondo nel quale avrei vissuto da quel momento in poi. Camminammo per un po' tra gli Abeti ricoperti di neve. Io saltavo nelle orme lasciate da mamma e papà per rendermi più facile -e magari divertente- il cammino, ad ogni passo sprofondavo nella neve, era abbastanza faticoso.

Quando finalmente attraversammo la Foresta, il Grande-cerchio-caldo cominciò a picchiare i nostri musi, i rami degli alberi fino a quel momento ci avevano protetto dai suoi raggi; cominciai a sentire la stanchezza e sentii le mie zampe appesantirsi sempre di piú, avrei voluto accucciarmi e infilarmi sotto la neve e giocarci. Nonostante il freddo, mi sentivo accaldato e tenevo la lingua a penzoloni per prendere fiato... non avevo nessuna intenzione di fermarmi e magari restare indietro. Affondavo il naso nella neve, e ne mangiavo addirittura un po' alla volta, gelandomi i dentini di conseguenza, lo facevo per rinfrescarmi.
«Non ce la faccio più» Miya cominció a lamentarsi sbuffando.
«Ho fame» aggiunse poi Kaze che uggiolava fastidiosamente.
Tutti cominciarono a lamentarsi, anche il mio stomaco. Eravamo tutti piuttosto affamati. Zed mi stava accanto, mi guardava in silenzio, continuando a camminare, ed aveva lo sguardo stanco e il respiro affannato, proprio come me. Dovevamo proseguire, o avremmo perso di vista la strada e saremmo diventati cibo per corvi o simili cerca-carogne.

All'improvviso Aka si accasciò a terra sfinita e rimase a pochi passi dietro di noi.
«Coraggio Aka, non devi mollare adesso!» La incoraggiai raggiungendola; provai a spingerla con il muso, ma lei continuava ad appesantirsi, aveva le orecchie appiattite e gli occhietti semichiusi. La tiravo per la coda, le mordicchiavo le orecchie, le spostavo il muso con leggere zampate... uggiolai preoccupato. Riprovai a tirarla per la collottola ma non voleva saperne di alzarsi, stava in silenzio. Le giravo intorno, e le leccavo continuamente il muso per tenerle il tartufo umido. Non potevo lasciarla al suo destino. Mi accucciai di fronte a lei poggiando il muso tra le zampe, cercavo il suo sguardo, e dimenavo la coda.
Mi rimaneva solo una cosa da fare: dovevo cercare aiuto, ma non sapevo come.
I primi tentativi furono scarsi. Provai e riprovai, ma sembravo tutt'altro che un lupo, mi sentivo goffo, e non avevo fiato. Riuscivo solamente a produrre dei ridicoli versi fastidiosi. Calai le orecchie e sedetti accanto ad Aka. Mi sentii tremendamente inutile, cominciai ad arrabbiarmi con me stesso.
Che razza di lupo sarei stato se non fossi riuscito ad aiutare un compagno?
Guardai nuovamente mia sorella che cercava di rialzarsi, aveva capito che la stavo aiutando, e finalmente decise di collaborare. Le sue zampine tremolanti mi diedero il coraggio che avevo perduto. Sorrisi.
Mi fermai un attimo, presi un bel respiro a pieni polmoni, e subito mi lasciai andare, senza pensarci troppo.
Quello fu il canto più potente che avessi mai potuto fare, lo sentii attraversarmi il cuore. Un ululato, il mio primo vero ululato. Mamma siamo qui! Una, due, tre volte.
Mi accucciai ad aspettare. Poggiai il muso sulla spalla di Aka. Il vento cominciò a fischiare tra i rami degli alberi in lontananza, era l'unico suono che riuscivo a captare. Non potevo più aspettare, dovevo andare avanti. Se avessi seguito le tracce sarei riuscito ad arrivare a destinazione e Aka, beh, sarei tornato a riprenderla, pensai.
Avanzai sulle morbide collinette di neve in cerca di tracce, il tempo scorreva. Trovai le impronte dei miei fratellini, fui subito eccitato e quindi proseguii a passo svelto e muso basso.

Camminai fin quando le tracce non diventarono meno visibili e sentivo la neve meno morbida, ma gli odori erano piú forti e nitidi. Così capii che finalmente ero nel territorio del branco; a quel punto dovevo trovare la Quercia rossa.
Tra i tanti odori dovevo captare quello da seguire, e non fu per niente facile. Girovagai per un po' ma continuavo a trovarmi sempre al punto di inizio, e le tracce erano confuse. Ero un cucciolo solo, in un territorio sconosciuto, esposto a qualunque tipo di attacco, me ne resi conto, ma stranamente non ero agitato, anzi rispetto alla situazione, ero abbastanza tranquillo. L'istinto era il mio migliore amico.
Lasciai perdere le tracce e cominciai a correre verso est, quella era la direzione opposta da dove ero venuto, quindi istintivamente pensai che era l'unica strada da proseguire.
Ero stanco, sfinito dalla corsa e dalla fame, le mie zampe erano congelate che quasi ne persi la sensibilità, ma niente poteva fermarmi: prima sarei arrivato e prima sarei potuto tornare indietro a prendere Aka.

Qualcosa bloccò di colpo la mia corsa, non potei proseguire. Era qualcosa di immenso e rumoroso. Ero giunto a quella che era l'Acqua-rapida.
La testai con la zampina, un lungo brivido mi salì lungo la la spina dorsale fino ad arrivare alla punta della coda, che quasi la sentii congelare. Era fredda e pungente proprio come la neve, e mi rimaneva attaccata al pelo! Ne bevvi un po' affacciandomi dalla sponda goffamente... mi inzuppai mezzo muso. Il mio riflesso nella trasparenza dell'acqua, mi face sobbalzare e indietreggiai di colpo. Risi di me stesso e guardai nuovamente il mio viso voltando le orecchie.
Ripresi il cammino lungo l'Acqua-rapida, il Grande-cerchio-caldo stava per calare, e io stavo perdendo la forza e la speranza di sopravvivere, fu la prima volta che cominciai a preoccuparmi per me stesso. Ululavo disperato e continuai a correre per chilometri.
Poi un enorme albero comparve all'orizzonte. Subito notai che era diverso da tutti gli altri. Fino ad allora avevo visto alberi bassi, alcuni spogli, striminziti e sempre in gruppo. Quello era da solo ma era imponente e maestoso. Le sue foglie erano diverse da quelle degli Abeti, la sua "testa" aveva una sfumatura che si avvicinava a quella del mio manto. Ce l'avevo fatta.

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