Scommetto su di te

di Penny83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un penny per i tuoi pensieri ***
Capitolo 2: *** Vuoi sentire un segreto? ***
Capitolo 3: *** In un angolo della mia mente ***
Capitolo 4: *** Una pessima combinazione ***
Capitolo 5: *** Se me ne fossi accorta ***
Capitolo 6: *** Punti di vista ***
Capitolo 7: *** Una buona amica ***
Capitolo 8: *** Tornare a casa ***



Capitolo 1
*** Un penny per i tuoi pensieri ***


«Questo dovrebbe essere l’ultimo».
Gli occhi da gatta di Margery indugiarono divertiti e maliziosi accordandosi al guizzo seducente della bella bocca.
Sansa invidiava i suoi modi civettuoli e provocanti, la capacità dell’amica di spiegare con un semplice sorriso cosa desiderava e quanto. Raramente rimaneva delusa.
Non le restava che sperare si trattasse della nota eccezione alla regola. I soggetti al centro di tanto interesse erano suo fratello e il migliore amico di lui, e non sarebbe stata in grado di dire quale dei due – se Robb o Jon – avesse attirato l’attenzione di May.
La osservò alzarsi dal divano con un solo movimento, fluido e studiatamente svogliato. Il maglioncino a righe che indossava metteva in mostra una porzione abbondante del decolté, perfetto sebbene non esagerato, e sfiorava appena il bottone lasciato aperto degli shorts. Degli shorts davvero corti.
«Tesoro non mi presenti i tuoi fratelli?». Inclinò la testa come solo lei sapeva fare e i capelli biondo rossicci le sfiorarono le spalle. Erano di una tonalità molto più scura dei suoi, quasi castani. Più calda. Come tutto in lei. «Sansa mi ha parlato in termini entusiasti di voi ma devo ammettere che non vi ha reso giustizia».
Gli occhi verdi sfarfallarono in direzione del maggiore dei fratelli Stark. Avrebbe dovuto immaginare che il sorriso “innocente” di Margery sarebbe stato tutto per Robb. Jon era troppo… Jon per lei.
«Quello rosso e arrogante è mio fratello Robb mentre l’altro è il suo amico Jon».
«Il famoso amico del famoso fratello… »
Jon arrossì e Sansa si sentì di nuovo in colpa per averli trascinati in quella situazione. Per aver trascinato Jon soprattutto. Robb di solito in quelle situazioni si sentiva alla grande.
Del resto non aveva avuto alternative. Si era dovuta rivolgere al fratello che a sua volta aveva coinvolto l’immancabile spalla. Era la cosa più sensata da fare: frequentavano lo stesso college e gli scatoloni non si portavano su per le scale da soli. Il risultato era stato farla sentire ancora di più l’imbranata matricola che era e dato in pasto i ragazzi agli insaziabili appetiti di Margery.
«Tu devi essere May».
Quando Robb faceva così era insopportabile. L’aveva guardata appena con l’astuto calcolo del cacciatore. La danza che ballavano era la stessa e non le sarebbero bastate due moine per incantarlo. Margery incassò con eleganza e tornò verso il divano, contando sulle occhiate che sarebbero cadute sulla parte posteriore di quegli shorts davvero corti. Lo sguardo blu di Robb non tradì le aspettative e Sansa non riuscì a fare meno di guardare Jon, convinta di coglierlo per una volta in fallo. Si sbagliava. Occhi incollati a terra e silenzioso come la notte.
Un penny per i tuoi pensieri.
Era contenta che qualcuno sulla faccia della terra non fosse interessato alle chiappe di Margery Tyrell e se avesse dovuto scommettere chi fosse quel qualcuno avrebbe puntato tutto su Jon Snow.
Forse avrebbe puntato tutto su Jon comunque.
«Okay principessa, c’è tutto? Se la nostra presenza non è più richiesta ce ne andiamo. Stasera abbiamo una festa».
Sansa contò scatoloni e mobili, traslocati dalla sua ormai ex stanza del college, e che in quel momento si trovavano nel salotto della ragazza più popolare della King’s Landing University.
«Siete ufficialmente liberi».
«E il tuo ragazzo ufficialmente stronzo. Poteva degnarsi di venire a dare una mano».
«Robb quante volte te lo devo dire? Joffrey non è più il mio ragazzo».
Il che era sostanzialmente la causa principale del trasloco ma questo Robb non lo sapeva. Non era scesa nei dettagli per evitare altri problemi. Il suo fratellone non aveva mai sopportato Joffrey anche se sopportare non rendeva bene l’idea. Lo odiava e non ne aveva mai fatto mistero. Nemmeno con Joffrey.
Era rimasta sul vago in merito ai motivi della rottura con quello che era stato il suo fidanzato per un sacco di anni. Troppi.
Joffrey doveva pensarla allo stesso modo visto che circa una settimana prima lo aveva sorpreso con la sua compagna di stanza. Non avevano nemmeno avuto il buongusto di andare da un’altra parte. Sansa era rientrata dalla lezione di letteratura inglese e… sorpresa! Così aveva fatto le valige e cercato asilo e consolazione tra le braccia dell’amica che aveva spalancato anche le porte della sua casa.
«L’appartamento è enorme e mi sento così sola… vedrai tesoro, sarà fantastico!»
Gli Stark non erano entusiasti del fatto che andasse a vivere con Margery Tyrell – troppo ricca e viziata per i loro gusti – ma Catelyn si fidava del giudizio della figlia e alla fine le avevano dato carta bianca.
Robb le aveva tenuto il broncio un paio di giorni – a lui non era stato concesso di andare a vivere nell’appartamento di Jon e aveva ripiegato sul campus con un altro inseparabile del liceo, Theon Greyjoy – ma non si era tirato indietro quando aveva chiesto aiuto per il trasloco. Doveva ancora finire il primo semestre e la sua vecchia vita si trovava imballata e impilata sulla soglia di quella nuova. Per fortuna sulla linea di partenza aveva accanto May e Robb e, sebbene rappresentassero una combinazione esplosiva, aveva la confortante sensazione di non essere sola.
E poi c’era Jon.
Sentì un sorriso incresparle le labbra. Ultimamente succedeva spesso che sorridesse senza motivo. Margery inarcò un sopracciglio ma rivolse la sua attenzione altrove.
«Andate alla festa della Phi Delta Tau?»
No no no no.
C’erano volte in cui May sembrava possedere la capacità di leggerle nel pensiero ma usasse il suo straordinario potere per fare il contrario di ciò che Sansa desiderava.
Non aveva intenzione di andare all’ennesima festa in cui il fratello si sarebbe ubriacato e prima – o durante – la momentanea perdita delle sue capacità mentali ci avrebbe provato con la sua amica. Nella migliore delle ipotesi se la sarebbe portata a letto, nella peggiore lo avrebbe messo a letto Jon dopo avergli tenuto la testa mentre vomitava nel water. Il ruolo di Sansa nella vicenda sarebbe stato quello dello sfondo e a Jon sarebbe toccato riaccompagnarla a casa perché Robb non sarebbe stato nelle condizioni di farlo. Per l’ennesima volta. Ciliegina sulla torta? C’erano buone probabilità che fosse presente Joffrey visto che si trattava della sua confraternita.
Diecimila volte no.
«Vi va di unirvi a noi?»
Jon spostò il peso da un piede all’altro. Lo faceva quando era nervoso e Sansa aveva imparato a leggerlo come indice della stupidità delle idee di Robb. Le annusava a chilometri di distanza e questa doveva essere parecchio stupida.
«Oh certo che ci va».
Fantastico.

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Capitolo 2
*** Vuoi sentire un segreto? ***


Jon, vuoi sentire un segreto?
Se lo dici a voce alta non si avvera, San.
Quelli sono i desideri! I segreti si possono a dire, si avverano lo stesso.
Allora sì. Allora dimmelo.

C’era stato un momento – Jon non avrebbe saputo dire quando – in cui avevano smesso di capirsi. Era come se avessero cominciato a parlare una lingua diversa, muoversi a una diversa velocità. Lui e Robb si erano lasciati Sansa alle spalle – i giochi, i campeggi con Ned e la casa sull’albero – per fare il loro ingresso nell’età adulta.
Erano arrivati il liceo, la scherma, la patente. Le ragazze.
Poi Sansa li aveva raggiunti e – prima che se ne rendessero conto – superati, ripagandoli con la stessa moneta. Era rimasto ben poco della bambina che ricordava, diventata così irraggiungibile e distante da fargli dubitare di averle insegnato ad allacciarsi le scarpe o di aver condiviso con lei il sacco a pelo sotto una volta stellata.
I voti alti, la media impeccabile, la corte di amiche, il ragazzo più popolare. Sansa era seria, studiosa, educata. Sansa era bella ma in casa portava gli occhiali, rideva di gola e altrettanto forte litigava con la sorella. La sentiva da dietro la porta della camera destinata ad accoglierlo ogni volta che ne aveva abbastanza delle regole del Generale e cercava rifugio in casa Stark. Vivere con Robb, sentirsi parte di una famiglia rumorosa ma amorevole, era stato un sollievo per gran parte della sua adolescenza.
E poi c’era Sansa.
Del rapporto privilegiato che li univa da bambini era rimasta traccia solo nei libri che si scambiavano o nelle silenziose colazioni la mattina presto – la casa immersa in una quiete irreale – perché entrambi avevano l’abitudine di svegliarsi prima che si scatenasse il quotidiano caos pre-scuola. L’immagine di lei che appollaiata sugli sgabelli della cucina faceva dondolare svogliata le gambe, assonnata ma intenta a ripassare per l’ultima volta gli appunti prima dell’interrogazione, lo sorprendeva a tradimento nel bel mezzo della lezione di trigonometria o mentre parlava con la ragazza più carina della sua classe di scienze. Lo inchiodava, lasciandolo interdetto ma consapevole di come le persone che orbitavano intorno a Sansa fossero all’oscuro di quella parte vivace, calorosa e vulnerabile che sbrigliava solo tra le mura di casa.
Sansa Stark.
La principessa di Winterfell.
Così la chiamavano i suoi, così l’aveva sempre vista lui. La sorella di Robb, Arya, Bran e Rickon. La figlia di Ned e Catelyn. La figlioccia di sua madre. Se agli Stark fosse successo qualcosa sarebbe stata Lyanna ad occuparsi di Sansa. Invece il destino aveva voluto che qualcosa succedesse a Lyanna ed era stato Ned ad occuparsi di lui.
Da qualunque punto di vista la si guardasse Sansa era – insieme ad Arya – la persona più vicina a una sorella che avesse mai avuto, un pensiero con il quale non si era mai sentito a suo agio, nemmeno quando era bambino. Con Robb era diverso. Non erano solo figli di amici fraterni ma erano amici loro stessi. Inseparabili da quando aveva memoria nonostante ci fossero delle volte in cui avrebbe voluto strangolarlo.
«Vi va di unirvi a noi?»
Era una pessima idea. Forse la peggiore della settimana e Sansa sembrava pensarla allo stesso modo. Non occorreva essere dei geni per capirne il motivo ma il buonsenso di Robb – il cui motto era chi ha tempo non aspetti tempo si scontrava spesso con le sue mire “espansionistiche” e il più delle volte perdeva. Margery era una conquista troppo interessante e apparentemente facile per non coglierla al volo.
La nuova coinquilina di Sansa non se l’era fatto ripetere due volte e aveva accettato entusiasta l’invito per entrambe. Sembrava condividere gli obiettivi di Robb, cosa che autorizzava Jon ad abbandonarli senza rimorsi al loro destino se le cose si fossero messe male. Le possibilità che Joffrey non fosse presente alla festa erano pari a zero e nonostante scoppiasse dalla voglia di provocarlo o essere provocato per dare a quel pallone gonfiato una lezione memorabile, la presenza di Sansa cambiava le carte in tavola e non avrebbe esitato un secondo a portarla via se l’idiota del suo ex si fosse fatto vedere.
«Jon?»
«Uhm».
Robb accompagnò il sorriso sornione a un luccichio malizioso dello sguardo.
«Se la serata dovesse evolvere… Non mi va che Sansa torni a casa da sola, puoi pensare tu a lei?»
Come se potessi smettere di farlo.
«Sì. Che fine ha fatto la bella e inafferrabile Talisa?»
Si adombrò e Jon capì di aver colto nel segno.
«Troppo inafferrabile».
Non aggiunse altro e lo lasciò stare. Peccato. Talisa gli piaceva, sembrava sapere il fatto suo e allo stesso tempo non mancava di una certa dolcezza.
Come Sansa.
Gli era parsa così smarrita nel salotto del suo nuovo appartamento. Avrebbe voluto parlarle, dirle che gli dispiaceva per quello che Joffrey le aveva fatto ma non erano rimasti soli mezzo secondo. Il pensiero che fosse stata lei a lasciarlo gli dava un’intensa soddisfazione. Non perché si facesse illusioni – di certo non lo aveva lasciato per lui – ma lo aveva lasciato ed era un’ottima notizia.
«Mia sorella sembra okay». Robb era in vena di fare conversazione. Fortunatamente era quasi arrivato a casa e avrebbe potuto liquidare l’argomento con la scusa di una doccia. «Non mi sembra distrutta dal dolore… Sai perché si sono lasciati? Forse c’è qualcuno all’orizzonte… »
«Non saprei».
Non era l’unico a essere bravo a cogliere nel segno. La conoscenza era reciproca e Robb sapeva altrettanto bene che difficilmente Jon avrebbe abboccato.
«Pensavo foste diventati amiconi. Non vi raccontate tutto mentre vi spazzolate i capelli?»
«Robb… »
Quando si metteva in testa una cosa non c’era verso di fargli cambiare idea e il suo nuovo obiettivo sembrava essere quello di incoraggiarlo. Rimpiangeva i tempi in cui l’amico fingeva di non conoscere il motivo per cui fin dai tempi del liceo Jon non era mai uscito con nessuna più di due volte.
«Stavo pensando che questo qualcuno potrebbe smetterla con la pagliacciata dell’amico del cuore e prendere in considerazione la possibilità di farsi avanti».
«Non so di cosa parli e non ho il tempo di approfondire. Ho bisogno di una doccia prima del grande evento di questa sera».
«Meno sarcasmo Snow, l’ho fatto anche per te».
«Lo so Stark, è proprio questo che mi spaventa».
Robb gli sferrò uno dei suoi pugni amichevoli sulla spalla ma si risparmiò la replica pungente che teneva in serbo. Jon chiuse in fretta il portoncino d’ingresso e fece di corsa i due piani di scale fino al suo appartamento.
Doccia, festa, San.
A un certo punto avrebbero potuto abbandonare la festa, non era la prima volta che succedeva. Nelle ultime settimane era capitato spesso. Le scuse per rimanere soli sembravano inesauribili e venivano accolte senza battere ciglio. Sansa lo guardava sollevata e diceva soltanto sì, mentre afferrava al volo le sue cose e saltava in macchina senza fare domande. Forse sarebbe riuscito a portarla via prima che arrivasse Joffrey e la serata sarebbe stata salva. Le avrebbe offerto una spalla su cui piangere nel caso l’avesse voluta o l’avrebbe ascolta chiacchierare, sfogarsi, ridere. Avrebbe potuto osservarla – i capelli che attorcigliava intorno alle dita quando era nervosa, gli occhi blu ancora più scuri nella penombra dei lampioni – e ricordare tutti i motivi per cui si era innamorato di lei.
Tutto sommato la prospettiva della festa non era poi così terribile.

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Capitolo 3
*** In un angolo della mia mente ***


Potrei mettere il vestito blu.
Avvolta nell’accappatoio di spugna che zia Lysa le aveva regalato per Natale, aprì la valigia dove erano stipati la maggior parte dei suoi vestiti. Durante il fine settimana avrebbe dovuto disfare bagagli e scatoloni.
«Tesoro, aiutami a scegliere… Verde o azzurro?»
May attendeva il responso sulla porta, esibendo soddisfatta il risultato di una severa selezione.
«Verde, puoi metterla con i jeans».
L’amica si lasciò scappare una risatina e le mandò un bacio sulla punta delle dita.
«Sei così divertente Sunny… È un vestito non una maglietta ma seguirò il tuo consiglio».
Le fece l’occhiolino e tornò ai suoi preparativi, lasciando Sansa più divertita che perplessa.
Il filo di trucco e i capelli sciolti richiesero pochissimo impegno e in capo a mezz’ora era pronta. Margery no ovviamente e per ingannare l’attesa cercò di leggere qualche pagina del libro che Jon le aveva prestato – una raccolta di racconti di Carver – ma senza successo. Era nervosa sebbene decisa a non lasciarsi rovinare la serata da Joffrey.
«Ci sono!»
Il “vestito” di Margery era cortissimo ma il colore le donava ed era splendida. Afferrò le chiavi della macchina – una decapottabile rossa fiammante – e la borsetta e con un gesto la esortò a darsi una mossa. Giunte al dormitorio della Phi Delta Tau Sansa si guardò intorno. Non c’era traccia della macchina di Joffrey mentre individuò, dall’altra parte della strada, la vecchia famigliare che Robb aveva estorto al padre dopo una lunga trattativa.
Una volta entrate si fecero strada attraverso la calca di corpi che si muovevano a ritmo di musica fino al bancone dove servivano gli alcolici. May si offrì di andare a prendere qualcosa da bere e Sansa ne approfittò per cercare Jon. Lo individuò quasi subito in un angolo della sala meno affollato e le venne l’idea dispettosa di sorprenderlo alle spalle. Senza riuscirci. Non ci riusciva mai.
Si voltò, salutandola con un sorriso appena accennato. In genere sollevava solo un angolo della bocca e raramente arrivava agli occhi. Quella sera però sembrava più ironico, quasi di buon umore.
Non esisteva ricordo della sua infanzia che non comprendesse Jon. Quelli precedenti alla morte di “zia” Lyanna erano i più felici. Dopo c’era stato il dolore – quello di Jon e quello di suo padre – ma Sansa era troppo piccola per capirlo, così lo aveva fatto suo attraverso di lui. Era stato il momento in cui si era sentita più vicina a lui o almeno quello in cui era riuscita ad avvicinarsi di più.

Jon vuoi sentire un segreto? Ho deciso che saremo amici per sempre.
Non è un segreto San, è una promessa.
Fa niente, giuralo.
Lo giuro.

Le promesse dei bambini sono così delicate e crescere così impietoso con le cose belle e fragili.
Sansa lo aveva capito quando Jon e Robb non avevano più avuto tempo per lei e per i giochi di cavalieri e principesse e lo aveva ricordato quando, sciolte le trecce, aveva fatto il suo ingresso al liceo di Winterfell. Con pazienza e impegno aveva intessuto relazioni, raggiunto risultati, resi orgogliosi i suoi genitori mentre Jon e Robb trascorrevano le loro giornate tra l’ufficio del Preside e la palestra di scherma, simbiotici e bastevoli a loro stessi, distanti anni luce dagli amici popolari e modaioli di Sansa che non nascondevano di disprezzare. Primo tra tutti Joffrey.
Tra lei e Jon c’era un muro e non ricordava più chi l’avesse eretto. L’unica breccia erano i libri che lasciavano l’uno sulla scrivania dell’altro o certe mattine quando si incrociavano in cucina per fare colazione. Lo spiava da dietro il bordo della tazza, contenta di cominciare la giornata con qualcuno che non l’avrebbe costretta a fare conversazione. In quei silenzi non avvertiva imbarazzo o indifferenza ma solo il desiderio – condiviso – di trovare un attimo di pace.
C’erano giorni in cui avrebbe voluto raggiungerlo, lassù nella torre dove si era asserragliato, ma le sembrava così inaccessibile, tanto più maturo e complicato di lei, da metterle soggezione. Se provava a guardarsi con gli occhi di Jon non vedeva altro che la mocciosa a cui aveva insegnato ad allacciarsi le scarpe.
Così era stato fino a quando era allunata al college. Lontana dalla presenza ingombrante dei suoi genitori – meravigliosi ma impegnativi – dalle sicure e confortevoli mura di casa e con una certa dose di libertà da gestire, Sansa aveva scoperto alcune cose su Joffrey, imparato qualcosa su se stessa ma soprattutto aveva ritrovato Jon.
Era come se si fosse preso la briga di essere il suo scudo contro il mondo. Uno scudo di cui Sansa aveva bisogno. Al college le feste tendevano a degenerare e anche i ragazzi più innocui potevano diventare molesti. A Joffrey non dava fastidio se qualcuno mostrava interesse nei suoi confronti. Una volta se n’era uscito dicendo che la sua era la ragazza più bella della festa e che tutti avrebbero voluto farsela. Prima che tutti lo prendessero in parola Sansa aveva chiamato Jon e si era fatta venire a prendere. Era alla King’s Landing solo da qualche settimana e il suo numero era stato il primo che le fosse venuto in mente. L’aveva raggiunta nel giro di pochi minuti e non aveva fatto domande, nemmeno quando era salita in macchina ed era scoppiata a piangere. Le aveva offerto un fazzoletto di cotone bianco con ricamate le iniziali della madre che Sansa doveva ancora restituire e si malediceva ogni volta che dimenticava di riportarglielo.
Quella sera avevano rotto il ghiaccio e quando andava a una festa si ritrovava a sperare che fosse presente anche Jon, il che capitava spesso. Per sua fortuna.
Ad Halloween Joff, ubriaco marcio, aveva cercato di costringerla a salire in macchina con lui per proseguire la serata in modo romantico. L’intenzione di Sansa era quella di caricarlo su un taxi e non rivederlo per una settimana ma Joffrey non sembrava dello stesso parere. Avevano iniziato a litigare davanti a tutti fino a quando non l’aveva afferrata per il polso talmente forte da lasciarle i lividi. Nessuno le aveva mai messo le mani addosso in quel modo e si sarebbe messa a urlare se Jon non si fosse materializzato dal nulla. Aveva detto qualcosa a Joffrey che le era stato impossibile sentire e l’aveva convinto a lasciarla andare prima di allontanarsi. Quando si era offerto di accompagnarla al campus Sansa non se l’era sentita di tornare nella sua stanza – temeva che Joffrey sarebbe venuto a riscuotere la parte “romantica” della serata – così Jon l’aveva portata nel suo appartamento e prima di cederle il letto e dormire sul divano, le aveva fasciato il polso. Mentre lo osservava mettere la crema antinfiammatoria sui lividi, Sansa si era accorta che aveva delle belle mani – le dita affusolate e agili dei musicisti e il tocco leggero – e quando era concentrato dischiudeva appena le labbra.
Dopo tanto tempo lo aveva visto davvero.
Di nuovo.
A una distanza tale da sentirlo vicino.
Così vicino.
Il loro rapporto si era fatto giorno dopo giorno più rilassato, più libero. Avevano iniziato a parlare, a scherzare a condividere un codice nato da e per Robb ma che di fatto lo escludeva perché riguardava lui. Come la faccenda delle scommesse.
«I soliti cinque dollari?»
«San, è praticamente un furto».
San.
«Furto… esagerato».
Minimizzò buttando i capelli dietro le spalle. Era contenta di aver indossato il vestito blu. La faceva sentire a suo agio.
«Al limite possiamo scommettere su chi farà la prima mossa ma l’esito è scritto e non mi lascerò derubare da te».
Sorrise davvero e gli occhi scuri si fermarono per un secondo nei suoi per sfuggire come sempre lontano.
«Mi dispiace per oggi pomeriggio».
Le restituì un’occhiata interrogativa poi tornò a lasciar vagare lo sguardo attraverso la sala. Aspettava qualcuno? L’idea le pizzicò i pensieri come una puntura d’insetto.
«Per i tre piani di scale carico di scatoloni e per Margery. A volte è… »
Le mancarono le parole per descrivere l’amica. Dirompente non sembrava l’aggettivo adatto perché l’avrebbe strangolata volentieri.
Il famoso amico del famoso fratello.
«Ho saputo di Joffrey e Shae. Gilly frequenta il corso di Storia dell’Arte con lei e… ». Gilly, la ragazza di Sam, il suo coinquilino, non era tipo da fare degli stupidi pettegolezzi, così come non lo era Jon. Chissà perchè erano finiti a parlare di lei. «Mi dispiace per come è successo ma non mi dispiace sia successo. Non ti merita San, non l’ha mai fatto».
Batté le palpebre colta alla sprovvista. Le era piaciuta la nota ruvida nella sua voce. A dir la verità la voce di Jon le piaceva moltissimo. Una sera era andata a sentirlo suonare, in un locale vicino al campus dove ogni tanto davano delle serate di musica dal vivo. Cantava bene, la voce calda e bassa, graffiata dal vizio delle sigarette. Quando l’aveva vista tra il pubblico aveva sorriso e alla fine del concerto erano andati a mangiare al cinese sotto casa di Jon e avevano passato il resto della notte a ridere, bere della pessima birra e dire sciocchezze.
Forse aveva bevuto troppa birra e detto troppe sciocchezze.
«Per fortuna me ne sono accorta solo qualche anno troppo tardi».
Sorrise di nuovo e Sansa si domandò se non fosse un po’ brillo. Quando erano arrivate, la festa era iniziata da un pezzo. Margery aveva impiegato una vita a prepararsi e poi – sue testuali parole – voleva fare un’entrata trionfale.
«Meglio tardi che mai… »
Si scostò dallo stipite della porta per lasciar passare una biondissima, molto carina, un po’ più grande di Sansa. La ragazza gli lanciò un’occhiata distratta ma prima di tirare avanti lo guardò una seconda volta e se ne accorse.
Se ne accorgevano tutte. Se ne era accorta anche lei.
Jon era bellissimo.
Per Sansa era più bello di Robb che ne era troppo consapevole, troppo sicuro e sfacciato. Alle ragazze piaceva perché pensavano che fosse tutto lì, in superficie, facile da gestire e conquistare. Si avvicinavano pensando di farlo cadere ai loro piedi mentre era lui che puntualmente le faceva cadere ai suoi. Senza fare troppa fatica e Sansa temeva che la sua amica sarebbe stata la prossima vittima.
Jon era tutta un’altra storia. Irraggiungibile, ombroso, complicato. Silenzioso e schivo. Bocca perfetta – la più bella che Sansa avesse mai visto – ricci neri, occhi scuri. Fisico modellato da tanti anni di sport.
Delle ragazze che lo guardavano e che se lo sarebbero portato volentieri a letto sembrava accorgersi appena. C’era stata qualcuna ma era durata poco e sembrava non aver lasciato segni indelebili. Ogni tanto accennava annoiato e telegrafico a qualche appuntamento. Ygritte era stata menzionata più spesso delle altre ma non ne sentiva parlare da un pezzo e Sansa aveva il sospetto che avesse fatto la fine di quelle che l’avevano preceduta.
«Rilancio con un’altra puntata».
«Sarebbe?»
«Scommetto su di te Jon Snow. La biondissima tra una decina di minuti, il tempo di consultarsi con le amiche. I soliti buoni e vecchi 5 dollari».
«Quale biondissima?»
«Ti accorgi mai di quello che ti circonda? La ragazza passata poco fa… bionda, splendida? Ti ha divorato alla seconda occhiata».
«Non ci ho fatto caso… Ti sta bene questo vestito. Lo hai messo anche al compleanno di Arya».
«Grazie, sì… Jon sei ubriaco?»
«Devo essere ubriaco per farti un complimento?»
«Sì».
Per una frazione di secondo la guardò con un’espressione di completo smarrimento e Sansa si pentì della battuta temendo di averlo offeso. Stava pensando come rimediare quando si accorse che qualcosa aveva catturato la sua attenzione e non le ci volle molto per capire cosa o meglio chi.
«Baratheon sta venendo da questa parte».
Sentì lo stomaco chiudersi. La rottura con Joffrey le aveva causato meno dolore di quanto avrebbe pensato ma non aveva certo voglia di fare quattro chiacchiere con lui.
Jon si staccò dalla porta. Intravide i muscoli degli avambracci tendersi sotto la maglietta e si accorse che aveva stretto i pugni.
«Guarda un po’ chi c’è… Sansa Stark è scesa tra i comuni mortali. A cosa dobbiamo l’onore?». Era ubriaco quindi sarebbe stato molesto oltre che stronzo. «Vedo che abbiamo portato il cane da guardia. Non hai perso tempo, vero Snow
«Perché non cambi aria Joff
Il tono di Jon si era fatto tagliente ed era scivolato tra lei e Joffrey, così vicino che Sansa poteva sentire il profumo dell’ammorbidente e del sapone. Era un buon profumo.
«Altrimenti chiamerai la zietta e mi farai espellere? Togliti dai piedi, devo parlare con la mia ragazza».
«Ex ragazza».
Sansa ci teneva a puntualizzare. Non voleva più avere niente a che fare con lui.
«Tesoro vedrai che questa sera ti faccio cambiare idea».
Cercò di allungare una mano per tirarla a sé ma Jon fu più veloce. Lo afferrò per il polso e lo bloccò a mezz’aria.
«Non ha voglia di parlare con te».
Gli occhi azzurri di Joffrey si riempirono di collera. Si divincolò per liberarsi dalla presa e Jon lo lasciò andare.
«Avevo sentito una certa puzza».
Nonostante la battuta sarcastica Robb non aveva l’aria divertita. Per fortuna Margery era con lui.
«Dimenticavo che vi muovete sempre in branco. Il lupetto è venuto in soccorso al cane da guardia e alla sua… »
«Stai attento a come parli».
Jon le faceva completamente da scudo e di riflesso Sansa posò la mano tra le sue scapole. Non l’aveva mai toccato così e le sembrò stranamente intimo. Sentì i muscoli contrarsi sotto il cotone ruvido della maglietta.
L’immagine mentale di Jon che nuotava, un pomeriggio trascorso l’estate precedente alla loro casa al mare, si sovrappose alla realtà desolante che stava vivendo. Allora aveva pensato che fosse bello da guardare. La schiena, il movimento armonioso delle braccia e delle spalle. Si era domandata oziosamente come ci si dovesse sentire tra quelle braccia e la risposta era nata dal nulla, in un angolo della sua mente che in genere cercava di tenere chiuso a doppia mandata.
Al sicuro.
«Ti conviene dargli retta Joff. Tra i due sono quello più accomodante e la mia pazienza è praticamente esaurita. Non immagino quella di Jon».
Robb si lasciò sfuggire un sorrisetto beffardo convinto di aver avuto la meglio senza sporcarsi le mani.
«Bene bene Stark... Hai finalmente concesso al tuo tirapiedi di scoparsi tua sorella? Lo sanno tutti che sono anni che vuole farlo».
Robb non sarebbe riuscito a fermare Jon nemmeno se lo avesse voluto. Sansa sentì la cartilagine del naso di Joffrey rompersi mentre il sangue gli schizzava sulla camicia immacolata.
«Uomo avvisato, mezzo salvato».
Joffrey imprecava e piagnucolava, allontanando gli amici che si erano avvicinati per soccorrerlo. Non erano i soli: una piccola folla si era radunata intorno a loro, attirata dalla lite.
Sansa era troppo scioccata per reagire. Non tanto perché Joffrey avesse preso un pugno in faccia – nessuno meglio di lei sapeva quanto lo meritasse – ma per quello che gli era uscito dalla bocca. Le parole le ronzavano ancora in testa.
Sono anni che vuole farlo.
E si associarono a immagini che fiorirono nella sua mente e le attorcigliarono le viscere.

La schiena di Jon.
Le mani di Jon.
I capelli di Jon tra le dita.
I suoi tra le dita di Jon.

Margery la guardò, poi guardò Jon e infine sorrise.
«Questa me la paghi Snow. Non ci saranno sempre tua zia e gli Stark a pararti il culo. E quanto a te… »
Joffrey la fissò con tutta la cattiveria di cui era capace. Come aveva potuto provare qualcosa per uno del genere? Permettergli di…
«Pensa bene a quello che stai per dire Joff, a meno che tu non voglia prenderne un altro e ti assicuro che saprò essere altrettanto convincente del mio amico paraculo. Margery perché tu e Sansa non tornate a casa? La festa è finita».
May non se lo fece ripetere due volte, l’afferrò per il braccio e la trascinò via con sé. Sansa fece appena in tempo a lanciare un’occhiata a Jon – ciao grazie scusa – ma lui guardava semplicemente da un’altra parte.

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Capitolo 4
*** Una pessima combinazione ***


«Un comportamento inaccettabile. Mi meraviglio di lei, signor Stark. Certo non è questo l’esempio che ha avuto dai suoi genitori».
Bla bla bla.
Le ramanzine erano sempre le stesse. L’unica cosa a essere cambiata era il paesaggio: erano passati dall’ufficio del Preside del liceo di Winterfell a quello della Preside di facoltà della King’s landing. Un progresso notevole.
Mamma mi ucciderà.
Anzi prima ucciderà Jon, poi me.
«Joffrey Baratheon importunava mia sorella Sansa. Avevamo il dovere morale di intervenire».
La professoressa Tarth era il genere di donna che non si scompone davanti a niente ma non si poteva certo dire che avesse senso dell’umorismo. Imponente, bionda, dall’aria dannatamente severa. Doveva avere origini nordeuropee, Robb ne era sicuro. Norvegesi forse o svedesi. Avrebbe chiesto a sua madre, erano amiche dai tempi del liceo.
«E avete pensato che prenderlo a pugni fosse la soluzione migliore?»
«Si è trattato di un pugno solo, professoressa».
«Signor Stark vuole che le faccia passare la voglia di fare lo spiritoso?»
«Chiedo scusa».
La Tarth gli scoccò un’occhiata glaciale. Nonostante i grandi occhi azzurri e la carnagione candida non aveva nulla di etereo e le cose si stavano mettendo male. L’espulsione dal college non era esattamente una sospensione da scuola. Robb aveva contato sul fatto che la Tarth avrebbe chiuso un occhio visto la predilezione che aveva da sempre per Sansa ma aveva fatto male i suoi calcoli. Essere costretta ad abbandonare i festeggiamenti per il suo anniversario di matrimonio a causa di una stupida rissa – come aveva fatto notare quando l’avevano raggiunta nel suo ufficio – non era quello che verrebbe definito un punto di partenza favorevole.
«Vista la situazione perché non avete lasciato la festa?»
Perché sono un pessimo fratello maggiore e un pessimo amico.
Sapeva di essere seduto sopra una polveriera. La combinazione Sansa, Jon e Joffrey era sempre stata esplosiva. Be’ non così esplosiva. Joffrey aveva dato aria alla sua maledetta boccaccia e Jon aveva perso la testa.
Guardò di sottecchi l’amico. Avrebbe apprezzato un po’ di collaborazione da parte sua ma non era mai stato d’aiuto in quel genere di situazioni. Si chiudeva in un mutismo ostinato, troppo orgoglioso per giustificarsi o dare spiegazioni.
«Sarò costretta a prendere provvedimenti. All’interno del campus è vietata ogni forma di violenza e non posso permettere che i miei studenti risolvano le loro questioni provocando delle incivili e stupide risse da bar. I miei studenti migliori, signor Stark. Sono costernata».
Tecnicamente non si era trattato di una rissa. Joffrey non aveva avuto il coraggio di colpire Jon. Si era messo a piagnucolare come una femminuccia e aveva chiamato subito la sua mammina. È stato molto più furbo di noi.
«Siamo davvero mortificati professoressa ma Joffrey… »
«Lascia perdere Robb. È una battaglia persa».
Jon aveva ragione. La professoressa Tarth era sposata con Jamie Lannister, fratello gemello di Cercei, madre di Joffrey. Praticamente erano finiti nella fossa dei leoni.
«Signor Snow, a dispetto della sua media eccellente, le ricordo che non può dire e fare tutto quello che le passa per la testa. Ci sono delle regole, delle norme comportamentali… »
Lo smartphone della professoressa, abbandonato sull’imponente scrivania in mogano, iniziò a vibrare insistentemente. Seccata lo afferrò per respingere la chiamata ma il nome che lampeggiava sullo schermo dovette farle cambiare idea perché aggrottò le sopracciglia e si decise a rispondere.
«Pronto? Buonasera Miss… Sì, grazie. L’amministrazione mi ha inviato il resoconto questa mattina, il suo contributo è stato… Anche la biblioteca? Sarebbe davvero generoso… ». Fu in quel momento che la Tarth sollevò lo sguardo su Jon e Robb capì chi ci fosse dall’altra parte del telefono. «Certo, certo. Comprendo perfettamente, non si preoccupi. È stato un piacere anche per me. Buonasera».
Quando riagganciò chiuse gli occhi e premette le dita contro le palpebre. Sembrava stremata e per una frazione di secondo Robb provò pena per lei. Poi l’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio sull’empatia.
Quella era la parte che preferiva in assoluto: quando arrivava la cavalleria. Non sempre erano così fortunati e aveva il sospetto che anche in quel caso la fortuna centrasse poco.
«Sparite dalla mia vista. Tutti e due».
«Sì, signora».
«Un altro episodio come questo e vi caccio entrambi senza nemmeno convocarmi nel mio ufficio».
«Sì, signora. Grazie signora, non si ripeterà. Ha la nostra parola».
«Suppongo dovrò farmela bastare. Adesso sparite, non lo ripeterò una terza volta».
Robb guadagnò l’uscita senza voltarsi. Ebbe l’impressione che Jon volesse aggiungere qualcosa perché esitò a pochi passi dalla salvezza ma ci ripensò e lo seguì in corridoio.
Fuori dall’edificio si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Fino all’ultimo aveva temuto che la Tarth potesse cambiare idea, invece contro ogni previsione erano salvi anche se l’umore di Jon non sembrava migliorato.
Robb decise che per prima cosa avrebbe recuperato la macchina e si incamminarono verso il dormitorio della Phi Delta Tau. Si pentì di averla parcheggiata così vicino alla tana del nemico. Sarebbe stata un bersaglio perfetto nel caso Joffrey e i suoi amici avessero deciso di lasciare qualche altro bel ricordo della serata.
Fortunatamente la trovò apparentemente intatta. Anche le gomme sembravano okay.
Deve averglielo tirato davvero forte quel pugno.
Il pensiero lo riportò al loro salvataggio in extremis e soprattutto a chi li aveva salvati. Sentiva di dover dire qualcosa ma la cautela era d’obbligo. Non era esattamente l’argomento preferito di Jon.
«Ehi, mi dispiace. Immagino quanto ti sia costato e… »
«Non potevo permettere che venissi espulso a causa mia. Tuo padre ti avrebbe ucciso e tua madre avrebbe ucciso me».
Robb fece scattare la chiusura centralizzata e salirono in macchina. Mise in moto senza problemi e un ghigno soddisfatto gli attraversò la faccia.
«Non è colpa tua se Baratheon è un coglione».
«Avrei dovuto ignorarlo».
Pensò velocemente alla direzione da prendere. Non aveva voglia di tornare al suo dormitorio – era pur sempre venerdì sera – ma era meglio evitare i luoghi a rischio Joffrey.
«La colpa è mia, non avrei dovuto portarvi alla festa. È stata una pessima idea».
«La peggiore del semestre».
Esagerato.
A Jon sfuggiva il quadro generale. Era sempre stato il suo problema, anche nella scherma. Era un atleta migliore di lui – più forte più veloce – ma se provocato tendeva ad agire in modo impulsivo e correva il rischio di farsi battere da avversari meno abili ma più astuti.
«C’è un lato positivo in tutta questa faccenda».
«Sarebbe?»
«Sansa avrà apprezzato che ti sia battuto per il suo onore».
Jon lo guardò per una frazione di secondo. Poi capì che non stava scherzando.
«Già. Era così che sognavo di dichiararmi».
Okay, non era il modo più romantico per farsi avanti ma l’incidente con Joffrey poteva rivelarsi un’ottima opportunità per sbloccare la situazione.
«Perché non le chiedi di uscire come fanno le persone normali?»
«Perché da questa sera ha un ottimo motivo per pensare che l’unica cosa che voglio è portarmela a letto. Considerato che sono anni che voglio farlo».
Jon aveva trovato un’altra scusa per procrastinare ciò che avrebbe dovuto fare da un pezzo. Inutile insistere, questa era la vera battaglia persa della serata. In parte lo capiva, in parte no ma non aveva voglia di discutere con lui, era troppo snervante. Meglio spostare l’attenzione su qualcos’altro. Svoltò a destra in direzione del pub in cui andavano a rifugiarsi quando non avevano voglia di incontrare la maggior parte dei loro compagni di corso.
Era lì che aveva conosciuto Talisa.
«Come sei riuscito a convincere tua zia a chiamare la Tarth?»
«Ho detto la parola magica».
«Per favore?»
«No, Sansa».
«Anche le donne più toste hanno un debole per le storie d’amore tormentate».
Parcheggiò nel piazzale davanti al The Wall in uno dei pochi stalli rimasti liberi. Forse Tormund sarebbe riuscito a far tornare a Jon il buon umore anche se ne dubitava.
«Le ho solo fornito una buona occasione per fare quello che le riesce meglio: manipolare ed esercitare il suo potere. Almeno questa volta mi è tornato utile».
Scesero dall’auto e Jon si accese una sigaretta. Ne approfittò per dare un’occhiata in giro, in cerca di una certa macchina – un vecchio maggiolone verde bottiglia – dove aveva trascorso alcuni dei momenti migliori della sua vita. La individuò poco distante dalla sua e sentì il polso accelerare e il sangue correre più veloce.
Bingo.
«Forse voleva semplicemente aiutarti».
Erano settimane che non la vedeva. Avrebbe dovuto fingere indifferenza? Fare lo splendido? Buttarsi ai suoi piedi? Gettò un’occhiata veloce al riflesso che gli restituiva il finestrino della macchina e si passò una mano tra i capelli per darsi quell’aria stropicciata che le piaceva tanto. Glielo diceva quelle rare volte in cui si concedeva di fargli un complimento.
Altrimenti poi ti monti la testa Stark.
«Sì certo. E Joffrey è così stronzo e irritante perché vuole diventare nostro amico».
Jon gettò a terra la sigaretta e schiacciò il mozzicone sotto la suola. Basta, aveva deciso. Appena entrato avrebbe fatto finta di non vederla e poi si sarebbe imbattuto in lei per caso. Era un ottimo piano.
«Stai diventando troppo sarcastico Snow, ti fa male frequentare mia sorella».
No, era un piano davvero cretino. Avrebbe improvvisato.
«Sansa è ironica non sarcastica. A proposito di ironia non era prevista un’evoluzione della tua serata?»
Jon lo osservava con l’aria di chi ha capito tutto e non dubitava che fosse davvero così.
«Quello era prima che tu decidessi di prendere a pugni Joffrey Baratheon».
«Capisco… Quindi questo sarebbe il piano B?»
«Ti ho già detto quella cosa sul sarcasmo, vero? Andiamo».
Quando entrarono cercò di non guardarsi intorno ma fu inutile perché la vide subito. Era come una forza di gravità, la stessa che lo aveva guidato fino a lì. Fino a lei. Anche il giorno in cui l’aveva conosciuta.
Era appoggiata al bancone del bar, i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle, un top di seta nero e i suoi jeans preferiti. Quante volte aveva litigato con quei jeans? Sentiva ancora nelle orecchie l’eco leggero della sua risata trasformarsi in respiri sempre più veloci.
Robb.
Si voltò e quando lo vide un sorrisetto le increspò le labbra. Era perfetta.
Jon si schiarì la voce riportandolo alla realtà e fece strada fino al bancone. Tormund, il proprietario del locale e amico di Jon, serviva birra e raccontava alcuni dei suoi improbabili aneddoti a un paio clienti che lo ascoltavano rapite.
Si sedette qualche sgabello lontano da lei e con la coda dell’occhio la vide irrigidire le spalle e scuotere appena la testa prima di decidersi a rivolgergli la parola.
«Ciao».
Sembrava contenta di vederlo. Almeno più contenta dell’ultima volta in cui si erano visti.
«Ehi ciao… Aspetta, aiutami a ricordare… tu sei Lisa, giusto?»
«Vedo che il tuo senso dell’umorismo non è migliorato».
Fece per andarsene ma Jon calciò il suo sgabello così forte da farlo cadere. Robb incespicò un paio di passi ma riuscì a trattenerla con delicatezza. Lasciò andare immediatamente la presa anche se non poté fare a meno di sentire il brivido che era corso dalla sua pelle fino a lui.
«Tal, scusami, ti prego… Ho avuto una pessima serata».
«Oh mi dispiace tanto Robby… L’amichetta del venerdì ti ha dato buca?»
Come faceva a non capire? Da quando l’aveva conosciuta non c’erano più quelle del venerdì, né del lunedì o del sabato o della domenica. C’era lei e basta.
Pensava di sapere tutto, invece non sapeva niente. Aveva provato a spiegarle che lui non centrava, che si era trattato di un gigantesco equivoco – una delle amiche di Theon troppo ubriaca per infilarsi nel letto giusto – che era uscito dalla doccia e si era trovato davanti quella sconosciuta. Se chiudeva gli occhi vedeva ancora Talisa sulla porta della sua camera con in mano la cena thailandese che gli aveva portato per fargli una sorpresa.
«Non c’è nessuna… »
«Ehi Snow, ho saputo che hai dato spettacolo questa sera. Devo ammettere che l’idea mi ha fatto venire un certo appetito. Stacco tra mezz’ora, ti trovo ancora qui?»
Ah, perfetto. Un altro po’ di problemi in serbo per noi.
Ygritte posò due bicchierini sul bancone e li riempì di tequila. Guardava Jon come se avesse voluto mangiarlo e lui si lasciava guardare.
Era carina e disinibita. Faceva la barista durante il weekend al The Wall e ogni tanto Jon ci finiva a letto. Era convinto che entrambi volessero la stessa cosa ma Robb non ne era così sicuro.
«Offre la casa».
L’offerta non lasciava molto spazio all’immaginazione e la tequila aveva un aspetto piuttosto invitante.
Pessima combinazione.
Jon buttò giù il primo bicchierino tutto d’un fiato e poi il secondo. Un altro paio e avrebbe silenziato i campanelli d’allarme che stavano suonando nel suo cervello.
«Ti aspetto».
A quanto pareva ne erano bastati due.
«Pare che il tuo amico Jon abbia trovato la sua ragazza del venerdì sera».
E l’indomani se ne sarebbe pentito. Robb, invece, non voleva pentirsi più di niente.
«Ti va di fare due passi?»
Di nuovo quel brivido. Da lei a lui. Senza nemmeno toccarsi.
«Va bene, Stark. Solo due passi».

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Capitolo 5
*** Se me ne fossi accorta ***


«Perché non me l’hai detto?»
«Detto cosa?»
«Della contrastata e romantica storia d’amore che hai avuto con l’amico super sexy di tuo fratello».
Sansa – appollaiata sullo sgabello della cucina – la guardò come se fosse pazza. Poi riprese a mescolare distratta il tè caldo che Margery le aveva preparato.
Che assurdità.
Non c’era stata nessuna contrastata e romantica storia d’amore.
Su altre cose non si poteva darle torto ma non lo avrebbe ammesso per tutto l’oro del mondo. Soprattutto in quel momento.
«Di cosa stai parlando?»
«Non vorrai dirmi che non ti sei accorta di niente».
Accorta di cosa?
«Se ti riferisci a quello che ha detto Joffrey sappi che lui e mio fratello si odiano e per la legge dei vasi comunicanti con Jon non è mai corso buon sangue. Era solo una stupida battuta per provocarlo».
Margery le lanciò un’occhiata obliqua. Indossava ancora il microabito verde ma aveva tolto le scarpe varcata la soglia, abbandonandole in ingresso. Era fresca e impeccabile come una rosa e al contrario di lei non sembrava fosse appena rientrata da una pessima serata.
Sansa si sentiva frastornata. L’odioso atteggiamento di Joffrey, la reazione di Jon a quella stupida allusione… La sua reazione a quella stupida allusione. Ogni volta che ci ripensava sentiva il sangue correrle alle guance e le veniva una voglia matta di chiamarlo e assicurarsi che fosse tutto a posto. Sentire la sua voce.
Assolutamente no.
«C’è riuscito, direi… Comunque non mi riferivo a quello. Mi riferivo a come ti guarda».
«Jon non mi guarda».
Non lo faceva giusto? Se lo avesse fatto se ne sarebbe accorta.
Se un ragazzo come Jon guardava una ragazza, la ragazza in questione avrebbe dovuto quanto meno accorgersene. Una ragazza che non fosse cieca o completamente idiota ed era abbastanza sicura di non essere nessuna delle due cose.
Sono anni che vuole farlo.
Anni. In tutti quegli anni se ne sarebbe accorta, giusto? Si conoscevano da sempre. Erano andati a scuola insieme, vissuto nella stessa casa, ora frequentavano lo stesso college. Jon era stato in simbiosi con suo fratello per tutta la vita.
Era bello, gentile, intelligente. Ironico, discreto e riflessivo. Amava leggere e aveva delle belle mani e una bella voce. Suonava la chitarra con la stessa passione e delicatezza con cui si dovrebbe toccare una donna.
Un brivido leggero come una risata le attraversò la pelle.
Se in tutti quegli anni l’avesse guardata – se l’avesse voluta – se ne sarebbe accorta.
Non ci sarebbe stato Joffrey.
Non ci sarebbe stato nessun altro.
Ma al liceo Jon non aveva mai avuto una ragazza fissa e a malapena sembrava accorgersi dell’esistenza di Sansa.
«Sunny io ti adoro ma a volte mi domando da che pianeta vieni. Se vuoi facciamo una di quelle scommesse che ti piacciono tanto».
Chissà per quale motivo la sfida la elettrizzò più del solito. May le tese le belle dita affusolate con un sorriso malizioso sulle labbra e Sansa ricambiò la stretta con decisione.
«Ci sto. 5 dollari?»
«Andata. Tu hai fissato la posta, io la puntata».
Gli occhi verdi dell’amica scintillarono divertiti. Aveva l’aria di una bella gatta che sta per acchiappare l’ignaro uccellino.
«Spara».
«Che il tuo bello e silenzioso Jon Snow fra meno di un mese avrà finito di aspettare».
«May!»
Sansa arrossì come un papavero e di riflesso portò il dorso della mano alle guance per rinfrescarle. Senza ottenere grandi risultati.
Di nuovo quelle immagini. Più vivide ancora e che fecero nascere dal nulla una bolla di farfalle nel suo stomaco.
I respiri di Jon.
Le dita di Jon.
La bocca di Jon.
«Non credo sia umanamente possibile resistergli di più».
Non credo sia umanamente possibile resistergli, punto.
Sentì prudere di nuovo le dita per la voglia di chiamarlo. Avrebbe fatto la figura della sciocca. Non era trascorsa nemmeno un’ora da quando si erano salutati e May l’avrebbe avuta vinta. Già gongolava con aria saccente.
«Non è come pensi… Cioè ce li ho gli occhi e insomma… Jon è stupendo ed è davvero… be’ lui non è come tutti gli altri ma non è proprio possibile… Le ragazze che frequenta… Non credo di essere il suo tipo… »
Sono anni che vuole farlo.
Margery inarcò le sopracciglia in un’espressione di finta sorpresa.
«Oh Santo Cielo Sansa Stark! A quanto pare volete tutti e due la stessa cosa… »
Sansa aprì la bocca per rispondere ma le mancarono le parole. Che lui la desiderasse le sembrava già una cosa abbastanza assurda ma che lei desiderasse lui… Era possibile?
Le farfalle nel suo stomaco sembravano pensare tutte la stessa cosa.
Sì sì sì sì.
«Parlami di lui».
La fissò incoraggiante, il bel viso sorretto dalla mano, decisa a dedicarle tutta la sua attenzione. May era davvero una buona amica e in fin dei conti la storia di Jon era di dominio pubblico. Purtroppo.
«Cosa vuoi sapere?»
«A parte che è bello, silenzioso e tremendamente sexy? Tutto».
Sansa alzò gli occhi al cielo ma non poté fare a meno di sorridere per la sua sfacciataggine. Afferrò la tazza e indicò a May il divano. Meglio trovare una sistemazione più comoda, si trattava di una lunga storia. Affondò tra gli enormi cuscini azzurri di seta grezza e decise rapidamente da che parte cominciare. Dall’inizio.
«Lyanna era la migliore amica di mio padre. Erano inseparabili, come fratello e sorella, e lo furono fino all’università. Dopo la laurea le loro strade si divisero: papà sposò mamma – che aveva conosciuto alla King’s Landing – e Zia Lyanna iniziò a lavorare come reporter per un’importante testata internazionale. Viaggiava moltissimo, anche in zone di guerra.
Qualche anno più tardi, di punto in bianco, lasciò il lavoro e tornò a Winterfell. Aveva scoperto di aspettare Jon e desiderava una vita più ritirata. Si trasferì in un bel cottage a qualche isolato da noi. Del padre del bambino disse solo che era morto e il suo nome non aveva importanza. Era una donna fantastica – bellissima, spiritosa, intelligente, coraggiosa – Jon l’adorava. Tutti noi l’adoravamo».
Batté le palpebre e prese un bel respiro. Ricordava tutto di lei. La sua vivacità e fantasia, le storie che leggeva loro all’ombra del vecchio tiglio del giardino degli Stark. Le cene a base di gelato le sere in cui lei e Robb restavano a dormire da Jon. Zia Lyanna le aveva insegnato a nuotare e le permetteva di pasticciare con i suoi trucchi ogni volta che voleva. Ormai aveva quasi vent’anni ma quando metteva il rossetto prima di uscire la rivedeva accanto a lei davanti allo specchio del bagno mentre le insegnava a metterlo.
Poi il cancro se l’era portata via. Il tempo di un’estate. Era un pomeriggio di giugno quando Ned aveva spiegato a lei e Robb che zia Lyanna era molto malata. C’erano i tigli in fiore. Per anni non era riuscita a tollerarne il profumo.
«Morì quando Jon aveva appena nove anni e da allora ha vissuto un po’ con noi e un po’ con il suo tutore, un vecchio zio di Lyanna, il generale Mormont. Poi ha compiuto 18 anni ed è scoppiata la bomba. Avrai letto i giornali».
Raggiunta la maggiore età era entrato in possesso dell’eredità di sua madre e del nome del padre biologico: Raeghar Targaryen, rampollo di una delle famiglie più potenti della costa est, pilota tragicamente scomparso in Afghanistan.
«Lyanna lo aveva conosciuto durante uno dei suoi reportage. Si erano innamorati e avevano avuto una relazione nonostante Raeghar fosse sposato. Non riuscì mai a dirgli che aspettava un bambino. Il suo caccia venne abbattuto durante una ricognizione e non le rimase altra scelta che tenere quel segreto per sé. Sconvolgere una famiglia già tanto provata dal lutto e dal dolore non aveva senso, così decise di crescere Jon come se l’avesse messo al mondo da sola».
May annuì pensierosa. Sapeva cosa significasse rimanere orfana, anche lei aveva perso sua madre in un incidente d’auto.
«Non si è ancora deciso a prendere il cognome del padre?»
«Per Jon è stata dura da accettare e i rapporti con la zia sono… difficili».
Difficili era un eufemismo. Non l’aveva ancora perdonata e forse non aveva perdonato nemmeno Ned. Sansa si rese conto che quella parte della storia era la più difficile da raccontare.
«Dany arrivò a Winterfell qualche mese dopo la morte di zia Lyanna e quando acquistò il cottage degli Snow nessuno si dimostrò troppo sorpreso. A chi gli faceva domande mio padre rispondeva che era solo una ragazza ricca, segnata da un recente e grave lutto, in cerca di un posto tranquillo dove rifugiarsi. Fine della storia».
«Quindi tuo padre lo sapeva?»
Sansa ignorò la domanda e proseguì il racconto.
Mio padre lo sapeva e Jon non riesce a perdonarglielo.
«Daenerys trascorreva a Winterfell l’estate e tornava spesso durante l’anno anche per lunghi periodi, specialmente in occasione delle feste. Le volevamo tutti bene, specialmente Jon. Una predilezione assolutamente ricambiata. Dany lo aiutava con i compiti, andava alle sue gare di scherma e teneva i suoi disegni sul frigorifero».
Poi Jon aveva compiuto 18 anni e il mondo gli era crollato addosso. Aveva scoperto che Dany era sua zia e che l’uomo che gli aveva fatto da padre lo aveva sempre saputo. Gli adulti che aveva preso come modello per tanti anni, che erano stati un punto di riferimento per lui dopo la morte di sua madre, gli unici di cui sentiva di potersi fidare, gli avevano mentito.
Non l’aveva presa benissimo.
«Dopo il diploma è sparito per mesi. Daenerys l’ha fatto cercare ovunque. Nessuno sapeva dove fosse andato a rintanarsi anche se credo che Robb una mezza idea l’avesse. Mio padre non riusciva a farsene una ragione, sembrava sparito nel nulla. Poi un bel giorno è tornato, ha chiesto alla zia un prestito per il college ed è partito con Robb per la King’s Landing».
May raccolse le gambe contro il petto e appoggiò il mento alle ginocchia. Sembrava triste ma non troppo sorpresa.
«Ne parla mai? Della zia intendo».
«Non molto. Dany farebbe qualsiasi cosa per lui ma è terribilmente orgoglioso e testardo. Credo sia il suo peggior difetto».
«Allora ne ha uno… »
Sansa le fece una linguaccia ma tornò subito seria. Ripercorrere quegli ultimi anni, ricordare la frattura che si era creata all’interno della sua bizzarra ma meravigliosa famiglia, le fece sentire il bisogno pungente di rannicchiarsi tra le braccia di qualcuno. Un bisogno che si associò immediatamente a un volto, a un profumo, al suono di una voce.
«C’è sempre stato May e … non lo so. Fa parte della famiglia e sono sicura che in me veda solo una sorella».
Jon, vuoi sentire un segreto?
Ho deciso che saremo amici per sempre.
«E tu San? Cosa vedi in lui?»
«A parte che è bello, silenzioso e tremendamente sexy? Tutto».

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Capitolo 6
*** Punti di vista ***


Alzarsi. Andare in palestra e a pranzo con Robb.
Esattamente in quest’ordine.
Studiare per il test di metà semestre e poi di nuovo in palestra.
Il trucco era seguire lo scandire della giornata. Senza deviazioni. Senza pensare a lei e provare a richiamarla.
Lo aveva fatto per anni.
Hai appena fallito i tuoi buoni propositi idiota.
Dio Santo gli mancava da morire. Non era più abituato a stare così a lungo senza sentire la sua voce, sentirla canticchiare piano o il suono della sua risata. In parte era frustrante perché averla intorno senza poterla toccare come avrebbe voluto lo lasciava ancora più scombussolato e affamato e quando se ne andava rimaneva la scia di un profumo che non si era mai sentito così vicino da afferrare.
Sansa.
Il week end era trascorso, la nuova settimana iniziata. Aveva chiamato e inviato un messaggio ma Jon l’aveva ignorata. Non aveva idea di come avesse interpretato la sua latitanza ma una sana indifferenza tra loro era piuttosto normale.
Prima. Era normale prima.
Da alcuni mesi non era più così e ancora si stupiva di come le cose fossero cambiate rapidamente. Radicalmente.
Aveva iniziato lei a cercarlo. All’inizio per piccole cose – Jon sapresti dirmi dove posso trovare i buoni per la mensa? Il rubinetto del bagno perde ancora, maledizione! – poi in situazioni decisamente più importanti.
Era stato il pensiero di doverla accompagnare a casa a trattenerlo dal dare una lezione a Joffrey quando le aveva messo le mani addosso.
Era stato premiato per la sua pazienza. Aveva avuto la possibilità di prendersi cura di lei e gli spuntava un sorriso idiota ogni volta che pensava a Sansa addormentata nel suo letto, i pugni stretti intorno alle lenzuola. I capelli sparsi sul cuscino. Adorava i suoi capelli e anche in quel momento avrebbe voluto vederli scorrere tra le dita.
L’estate precedente – in visita alla loro casa al mare – era stato sul punto di dirle tutto. Era bastato un pomeriggio in spiaggia, lo sguardo di Sansa che si allungava verso di lui e la prospettiva che dopo qualche settimana si sarebbero trovati di nuovo negli stessi spazi con il rischio di incontrarsi tutti i giorni. Di nuovo, come quando erano dei ragazzini del liceo, sarebbe rimasto in disparte a osservarla, a fremere ogni volta che Joffrey dimostrava immancabilmente di non meritarla. La sera prima di andarsene era rimasto davanti alla sua porta per un quarto d’ora, indeciso se bussare o meno ma alla fine gli era mancato il coraggio.
Poi una sera, qualche settimana più tardi, lo aveva chiamato. La voce piccola piccola.
Jon sei sveglio? Mi dispiace disturbarti… Vorrei tornare a casa e…
Sansa dove sei? Arrivo subito.
Ed era cambiato tutto.
Adesso, finalmente, dopo tanti anni Sansa era libera. Si era sbarazzata di quel pallone gonfiato che non era degno nemmeno di baciarle la suola delle scarpe. Stentava ancora a crederlo sebbene nell’ultimo periodo avesse trascorso molto più tempo con lui che non con il suo ragazzo e per quanto Jon ne fosse segretamente felice non sempre era stato semplice da gestire.
A volte addirittura impossibile. Una sera – una birra di troppo, la casa libera e un divano scandalosamente comodo – si era fermata nel bel mezzo del discorso e lo aveva guardato con un’intensità disarmante.
Sei bello Jon, lo sai?
Con la punta delle dita gli aveva sfiorato le labbra.
Sapeva di avere due possibilità in quel momento: tirarla a sé e baciarla, averla anche – era così sbagliato, non era lucida, non era libera, non era così che avrebbe voluto che andassero le cose tra loro – oppure alzarsi con una scusa e lasciar passare quel momento di follia. Aveva scelto la seconda e al suo ritorno l’aveva trovata addormentata. Non gli era rimasto altro da fare che metterla nel suo letto e rimboccarle le coperte. Forse Sansa nemmeno lo ricordava – non ne avevano mai parlato – ma non riusciva a togliersi dalla testa la nota ruvida della sua voce, il suo tocco leggero, ciò che nascondeva lo scintillio rapido nello sguardo scuro. Aveva pensato che Sansa lo volesse tanto quanto lui la desiderava e forse era vero in quel momento ma sarebbe stato così il mattino dopo? Probabilmente no e Jon aveva preferito non averne la certezza.
Poi c’erano state le sere a parlare seduti sul tappeto della sua stanza, le tazze di caffè che avevano bevuto, i pomeriggi di studio passati a osservarla quando era sicuro di non essere visto. Non si sarebbe mai stancato ma era anche doloroso perché non c’era niente che desiderasse più di lei e per quanto avesse provato a distrarsi non c’era riuscito.
Si era lasciato guidare nel letto di Ygritte, un letto appassionato e accogliente, ma non abbastanza da fargli dimenticare che era un’altra pelle che avrebbe voluto sotto le dita e un’altra bocca sopra la sua e altri respiri lenti nel suo orecchio. Non abbastanza da fargli dimenticare tutte le cose che avrebbe voluto fare con lei.
Basta.
Palestra, pranzo con Robb e test di metà semestre.
Si alzò dal letto e si diresse verso il bagno per fare una doccia. Fredda magari.
Poi il cellullare – abbandonato sul comodino –  prese a vibrare insistentemente.
«Ciao raggio di sole».
«Scommetto che ti serve un favore».
L’unica cosa che poteva spingere Robb Stark a chiamarlo alle otto del mattino era la necessità.
«Quanta malafede Snow».
«Chiamalo intuito».
«Non lo definirei un favore bensì un equo scambio di opportunità».
Jon sapeva dove l’amico sarebbe andato a parare e sapeva anche che lo avrebbe accontentato. Nonostante la tequila e le attenzioni di Ygritte non gli era sfuggito un certo riavvicinamento avvenuto al bancone del “The Wall”.
«Non vedo l’ora di conoscere tutti i vantaggi che trarrò da questo equo scambio di opportunità».
«Si tratta di vantaggi a lungo termine. I risultati arrivano per chi sa attendere, non essere impaziente».
Avrebbe potuto scrivere un trattato sui risultati ottenuti da chi aveva avuto la pazienza di attenderli. Soprattutto su come vanificarli per colpa di un pugno e due bicchieri di tequila.
«Ti serve il mio appartamento».
«Sì».
«Quando?»
«Stasera?»
«Robb… »
«Non te lo chiederei se non fosse importante… Talisa è disposta a darmi un’altra possibilità e mi occorre un luogo tranquillo per spiegarle come sono andate le cose. La mia stanza è fuori discussione».
Su questo non si poteva dargli torto. L’ultima volta che Talisa era stata nella stanza di Robb non era andata proprio alla grande.
«Va bene, va bene… Sam ha il turno di notte in ospedale e io devo studiare, lo farò nella tua stanza invece che nella mia ma ricordati che mi devi un favore».
«Portati le cuffie, Theon ha un appuntamento».
Theon aveva sempre un appuntamento.
«Fantastico».
«Grazie Jon, a buon rendere. Hai sentito Sansa?»
«No».
Il senso di colpa bussò di nuovo alle porte del suo stomaco. I motivi per cui sentirsi in colpa erano diversi e tutti fondati: essere andato a letto con Ygritte, non aver risposto al telefono, non averle detto la verità.
Joffrey è un idiota ma ha ragione.
Sono innamorato di te da sempre.
Ti voglio da così tanto tempo che mi sembra impossibile poterti avere.
«Se la senti le diresti che non ci sono per nessuno? Sono giorni che mia madre mi sta dando il tormento. Staccherò il telefono e in tutta onestà spero di riaccenderlo domani mattina».
Forse avrebbe dovuto richiamarla. Dirle di Ygritte, essere onesto. Per una volta.
«Robb, io… »
«Questa è la parte in cui ti dico te l’avevo detto? Aspetta, ho bisogno di un momento per assaporare la profondità della mia saggezza».
«Hai finito?»
«No, ho altre perle in serbo per te. So a cosa stai pensando: hai fatto una cazzata e adesso sei pentito. Vuoi un consiglio? Tienitelo per te. Prendi il telefono e invita Sansa a bere un caffè, a cena, quello che ti pare. Hai presente un appuntamento? Mia sorella non aspetta altro ma credo che la faccenda dell’amore platonico perderebbe il suo fascino se sapesse che sei stato a letto con un’altra».
«Mentire è sicuramente il modo migliore di iniziare una relazione».
«Non le starai mentendo Jon. Starai semplicemente tralasciando di riferire quello che hai fatto venerdì sera».
Non si era trattato esattamente solo di venerdì sera.
«…»
«Starai semplicemente tralasciando di riferire quello che hai fatto durante il weekend».
«Chissà cosa penserebbe Talisa di questa tua personale interpretazione della menzogna».
«Ciao Jon, ci vediamo a pranzo».
Riagganciò senza lasciargli il tempo di replicare. Seguire il consiglio di Robb era fuori discussione. Nessuno meglio di lui sapeva quanto fossero devastanti certe “omissioni” e non avrebbe fatto quel genere di errore.
Non con Sansa. Con lei ne aveva già fatti abbastanza.
«Va bene, mamma. Glielo dirò. Probabilmente starà studiando e avrà staccato il cellullare».
Sì, certo come no.
Era al telefono con sua madre da venti minuti. Catelyn aveva chiamato Robb per sapere quando sarebbero arrivati per il Ringraziamento e aveva trovato ad attenderla la segreteria. Quindi era scattato il piano B: Sansa.
Dopo averle promesso che lo avrebbe cercato di persona riagganciò. Fece il numero del fratello ma senza successo. Ancora la segreteria. Doveva trovarlo prima che mamma chiamasse la polizia per accertarsi che il primogenito fosse ancora vivo.
Raccolse i capelli in una coda frettolosa e indossò il parka sopra la tenuta che usava in casa durante le serate di studio: leggins e maxi maglia. Si trattava di una passeggiata di pochi minuti – l’appartamento di Margery non era lontano dal campus – ma si pentì di non aver indossato qualcosa di più pesante. L’aria era gelida.
Quando passò sotto l’appartamento di Jon non poté fare a meno di gettare un’occhiata in direzione delle sue finestre ma dall’interno non vide provenire nessuna luce. Forse era uscito.
Con chi? Con la biondissima della festa?
Scacciò in fretta il pensiero. Non erano affari suoi con chi usciva Jon Snow. Dalla festa della Phi Delta Tau era sparito nel nulla. Quando voleva era bravissimo a non farsi trovare. Sansa gli aveva mandato un messaggio e aveva provato a chiamarlo. Non pervenuto.
Attraversò in fretta il parco in direzione del dormitorio dei ragazzi. Salì al secondo piano, armandosi di tutta la pazienza in suo possesso e bussò decisa alla porta del fratello. Nessuna risposta. Bussò con più energia.
Dove si era cacciato quell’idiota?
«Robb smetti di fare il cretino e apri la porta. La mamma è preoccupata, dovresti chiamarla».
Stava per bussare di nuovo quando la porta si aprì.
Jon.
Maglietta nera, manica corta, braccia scoperte.
Portava gli occhiali da vista e aveva legato i capelli.
Sansa dischiuse le labbra per la sorpresa e lo stupore. Le farfalle si librarono in volo.
Erano tantissime.
Oh Santo Cielo Sansa Stark! A quanto pare volete tutti e due la stessa cosa…
«CiaoscusacercavoRobbc’è?»
Era sicura di essere arrossita e di aver parlato troppo veloce. Cosa cavolo le stava succedendo?
«Sansa… Ciao».
Si scostò per lasciarla passare e si maledisse per essere stata così pigra da non cambiarsi o aver dato almeno una spazzolata ai capelli. Sentì il suo sguardo scivolarle addosso ma quando alzò gli occhi per incontrarlo Jon stava già fissando il pavimento.
Nella stanza il caldo era opprimente e tolse la giacca. Avrebbe voluto buttarla sul letto ma era ingombro di libri. Stava studiando? Perché lo faceva in camera di Robb e non a casa sua?
«A tuo fratello serviva una casa libera».
Almeno aveva risposto a una delle centomila domande in sospeso tra loro. Sansa alzò gli occhi al cielo poi ricordò che anche Margery era uscita per un appuntamento.
«May?»
Non riuscì a reprimere una smorfia e Jon sorrise. Si era allontanato da lei, lo sguardo sempre basso e le braccia incrociate sul petto. Si era appoggiato alla scrivania con l’intenzione di assumere un’aria disinvolta ma Sansa percepiva una certa tensione in lui ed era insolito.
Era a causa di quello che aveva detto Joffrey? Dopo la festa della Phi Delta Tau si era chiesta spesso se continuare a far finta di niente o, al contrario, prendere il toro per le corna.
Non era riuscita a trovare una risposta soddisfacente.
La verità era che non riusciva a pensare ad altro e moriva dalla voglia di capire se per Jon era lo stesso. Se Joffrey aveva detto la verità.
Sono anni che vuole farlo.
«No, no… Pare che Talisa sia disposta a dargli un’altra possibilità».
«Una ragazza davvero coraggiosa».
Gli auricolari gli pendevano intorno al collo. Ascoltava spesso la musica mentre studiava e Sansa si era sempre chiesta come facesse. Lei aveva bisogno della massima concentrazione. Cosa che in quel momento le mancava nella maniera più assoluta. Sarebbe stato meglio se Jon avesse indossato una felpa e lei un paio di pantaloni. Si sentiva esposta anche se lui non la stava nemmeno guardando. Meglio evaporare alla velocità della luce.
«Okay, quindi non… va bene, non rispondeva al telefono e mia madre… ora vado ciao».
Fece per voltarsi e andarsene ma Jon si staccò dalla scrivania con l’intenzione di fermarla.
«San dobbiamo…»
Non seppe mai cosa avrebbero dovuto fare perché Theon uscì in quel momento dalla sua stanza in direzione del bagno che condivideva con Robb. Completamente nudo.
«Ciao splendore».
Le gettò un’occhiata divertita, indugiando sulle gambe fasciate dalle calze e amplificando in maniera esponenziale il suo imbarazzo, già a livelli da guinness dei primati. Voleva bene a Theon ma era il genere di ragazzo con cui non sarebbe uscita nemmeno per bere un caffè e del resto bere caffè era un’attività a cui Theon non era interessato.
«Greyjoy, potresti che ne so… vestirti?»
«Sono pronto per il secondo round, Snow. Volete unirvi a noi?»
Dalla sua stanza provenne una risatina divertita. Sansa era paralizzata.
«Andiamocene da qui».
Jon afferrò la giacca abbandonata sulla sedia e la prese delicatamente per il braccio, spingendola fuori dalla porta. Non appena furono in corridoio la lasciò andare.
«Non ci posso credere».
Aveva ancora le guance in fiamme. Alzò gli occhi incredula e lui le restituì uno sguardo scuro, tra l’imbarazzato e il preoccupato. Gli occhi erano la cosa più bella di Jon. Profondi, coronati da lunghe ciglia nere. Avrebbe voluto sfiorarle con la punta delle dita e mise le mani in tasca per essere sicura di non farlo davvero. Non c’era mai malizia nel suo sguardo o lascivia. Erano placidi e caldi e…
«Sansa, stai bene?»
Annuì senza dire nulla. Si sentiva così confusa da dubitare di essere in grado di parlare.
«Andiamo a bere qualcosa».
Le fece strada verso la caffetteria del campus e Sansa lo seguì in silenzio, le mani affondate nelle tasche del parka. Si sedette nel primo tavolino libero mentre Jon andava a prendere i loro caffè.
«Il tuo, nero e senza zucchero».
Le farfalle batterono le ali all’impazzata. Sembrava intenerito come se si stesse rivolgendo a una creatura molto piccola che andava rassicurata.
La sua sorellina traumatizzata da un uomo nudo.
«Cosa voleva tua madre?»
Le porse il caffè bollente e Sansa lo ringraziò con un sorriso stringendo il bicchiere di carta per scaldarsi le mani.
«Sapere quando saremmo arrivati per il Ringraziamento». Lo osservò da oltre il bordo del bicchiere, decisa a ottenere qualche risultato da quella assurda giornata. «Mamma ha chiesto se ti saresti unito a noi».
«San… »
«Papà ha provato a chiamarti… »
«Sono stato molto occupato. Lo richiamerò».
Era stato un po’ brusco e aveva distolto lo sguardo ma Sansa non era intenzionata a mollare.
«A fare cosa? Evitarmi?»
Stupida stupida stupida Sansa.
Jon dischiuse le labbra e alzò le sopracciglia, stupito dal tono con cui gli era stata rivolta la domanda. Sansa non perdeva mai il controllo. Non si mostrava mai irritata e non perdeva mai la pazienza. Era dolce, educata e calma.
«Io… »
«Jon Snow!»
Si voltò e Sansa seguì la direzione del suo sguardo.
Capelli rossi, trasandata ma carina. Aveva l’aria spavalda e sembrava diretta verso di loro. Jon si alzò di scatto, nervoso.
«Dove ti eri cacciato? Questa mattina mi sono svegliata e non c’eri».
Le farfalle si zittirono improvvisamente.
Mi sono svegliata e non c’eri.
Poi lo aveva baciato. Sulla bocca. Un bacio vero.
Jon, troppo sorpreso per reagire, si staccò dopo un tempo che per quanto breve a Sansa parve comunque troppo lungo. Sentì un pugno chiuderle la gola.
Non puoi assolutamente metterti a piangere.
«Non mi presenti la tua amica?»
Si era staccata da lui facendo scivolare la mano nella tasca posteriore dei suoi jeans nel caso in cui Sansa non avesse colto il precedente marcaggio di territorio. Visto che Jon non si decideva a parlare, si alzò e tese le dita affusolate verso di lei.
«Ciao, sono Sansa. La sorella di Robb».
Non l’amica di Jon, la cotta di Jon, la ragazza di Jon.
Era ormai chiaro che non fosse niente di tutto questo.
«Ygritte. Così tu saresti la principessa di Winterfell… »
La rossa ricambiò con una stretta vigorosa e le lanciò un’occhiata tra il divertito e il deluso. Sansa avvampò ma non poté biasimarla. Non si presentava certo nella sua forma migliore.
«Ygritte… »
Allora non aveva perso del tutto l’uso della parola. Sansa non lo degnò di uno sguardo. Non aveva il diritto di essere arrabbiata con lui ma lo era. Con se stessa si sarebbe arrabbiata poi, nella solitudine della sua stanza per essere stata così stupida. Di nuovo.
«È stato un piacere anche per me. Ora devo proprio andare».
Cercò di levare le tende con grazia, come sua madre le aveva insegnato e a testa alta come le aveva insegnato suo padre ma non ci riuscì. Sentì le lacrime impigliarsi nelle ciglia e fuggì dalla caffetteria con lo sguardo incollato a terra.
Quando arrivò a casa, Margery era già tornata. Le bastò un secondo per capire che qualcosa non andava.
«Tesoro, tutto bene?»
Aveva bisogno di un abbraccio e Sansa corse a prenderselo. Dopo un po’ riuscì a farfugliare quello che era successo. May la strinse forte e le accarezzò i capelli.
«Ti preparo una cioccolata. Oggi abbiamo imparato una cosa importante Sunny: non esistono uomini perfetti. Nemmeno Jon Snow».

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Capitolo 7
*** Una buona amica ***


Il cellullare vibrò di nuovo nella tasca interna del parka. Non si disturbò a vedere chi fosse. Lo sapeva e non aveva nessuna intenzione di rispondere. Erano giorni che provava a chiamarla e giorni che Sansa si negava. Non aveva niente da dirgli.
Svoltò l’angolo diretta verso l’aula di letteratura. Aveva il test di metà semestre ma si sentiva preparata ed era carica come una molla. Aveva studiato tanto, ce la poteva fare. Doveva solo concentrarsi.
Il telefono riprese a vibrare. Una serie di vibrazioni più brevi, una dietro l’altra. Messaggi.
Maledizione.
Sbuffò ma la curiosità ebbe il sopravvento.
San vorrei parlarti.
Ci sarò per il Ringraziamento.
Puoi dedicarmi qualche minuto?
Suo padre sarebbe stato contento e anche Robb. Lei meno.
Stizzita, lanciò il telefono dentro la borsa. Avrebbero dormito sotto lo stesso tetto, magari insieme alla sua deliziosa fidanzata.
Così tu saresti la principessa di Winterfell.
Si era presa gioco di lei e Sansa glielo aveva lasciato fare senza battere ciglio. Era troppo sorpresa e delusa per reagire e aveva fatto la figura della mocciosa imbranata. Quando ci ripensava, le veniva ancora da torcersi le dita per il nervoso e l’umiliazione.
Non che si sentisse realmente in competizione. Ygritte aveva modi spicci e poco femminili ma sembrava sapere il fatto suo. Era più grande, più disinvolta e non mancava di una certa sensualità e – ad ogni modo – Jon aveva fatto la sua scelta.
Quello che pensava ci fosse stato tra loro negli ultimi mesi doveva esserselo immaginato. Aveva frainteso le amorevoli attenzioni di un “fratello” maggiore – sebbene elettivo e non di sangue – con qualcosa che esisteva solo nella sua testa.
Povera stupida piccola Sansa.
Si stava ancora crogiolando in quel momento di autocommiserazione quando sentì singhiozzare e si guardò intorno. Gilly – seduta fuori dall’aula di storia – piangeva tutte le lacrime del mondo.
Jon diceva sempre che era una tosta. Aveva cresciuto il figlioletto da sola per quasi tre anni. Poi era arrivato Sam. Sansa l’aveva conosciuta durante una delle cene improvvisate a casa di Jon e le era piaciuta subito: spiritosa, pratica e, al contrario di lei, un’ottima cuoca. Aveva conosciuto anche Sammy, un bambino dolce e timido, dai capelli biondissimi e con un sorriso da conquistatore.
Con cautela le sedette accanto, cercò i fazzoletti nella borsa e gliene porse uno. Sorpresa dal gesto alzò lo sguardo su di lei. Anche con gli occhi gonfi e il naso arrossato era carina. Buffa ma carina.
«Ehi, Sansa… ciao».
Prese il fazzoletto e si asciugò gli occhi tirando su con il naso.
«Che succede? Sammy sta bene?»
Il caso aveva voluto che gli uomini della vita di Gilly – figlio e fidanzato – portassero lo stesso nome. Sansa aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di adorabile in quella coincidenza.
«Sì sì, sta bene».
«Ma… ?»
«Il professor Baelish ha anticipato il test di storia a oggi pomeriggio. Mi ero organizzata con la baby sitter per domani e ora… chi guarderà Sammy? Devo fare quel test, mi serve per continuare a ricevere la borsa di studio ma non posso certo portare Sammy con me».
Gilly lavorava part time nella caffetteria del campus, seguiva le lezioni ogni volta che poteva, si occupava del figlio e dell’appartamento in cui vivevano. Il più delle volte studiava dopo aver messo a letto Sammy e probabilmente aveva trascorso diverse notti in bianco per arrivare preparata. Sansa poteva fare qualcosa per lei? Certo che poteva.
«Posso occuparmi io di lui».
Rendermi utile invece che piangermi addosso.
«Dici sul serio?»
«Ci so fare con i bambini. Ho tre fratelli piccoli. Quattro se contiamo anche Robb».
Gilly sorrise tra le lacrime.
«Faresti davvero questo per me? Te ne sarei grata per sempre… Di solito il pulmino dell’asilo lo riporta a casa verso le quattro ma se è un problema… Forse avevi altri programmi… »
L’unica cosa che aveva pianificato di fare era la valigia e rimandare l’incombenza non le dispiaceva. Non aveva voglia di pensare al Ringraziamento e soprattutto al viaggio verso casa. Magari seduta accanto con Jon, costretta a fissare fuori dal finestrino le seicento miglia che li separavano dal Nord.
«Sicura, nessun programma. Fammi una lista di cosa gli piace, i suoi giochi preferiti, cosa non può mangiare etc. Mi occuperò volentieri di lui».
Gilly le gettò le braccia al collo e Sansa un po’ sorpresa ricambiò la stretta. Avrebbero potuto essere buone amiche, Jon aveva così tanta stima di lei…
Oh al diavolo Jon!
«Grazie grazie grazie. Jon dice sempre che sei la persona più bella e gentile che conosce e ora capisco perché».
La persona più bella e gentile che conosce.
La calma che di solito segue una buona azione era già evaporata e si sforzò di concederle un sorriso stiracchiato.
«Suppongo che Ygritte lo sia di più».
Gil aggrottò le sopracciglia ma non aggiunse altro.
Per Sansa fu sufficiente.
«Pronto Jon? Sono Gil, Sam è lì con te? Credo abbia dimenticato il cellullare a casa, perché non riesco a mettermi in contatto con lui».
Prese un bel respiro prima di rispondere. La delusione bruciava ma avrebbe dovuto aspettarsi che non poteva trattarsi di lei, che non lo avrebbe richiamato. Non Sansa Stark.
«Ciao Gil, tutto bene? Sam è in ospedale».
«Accidenti, me n’ero dimenticata! Allora mi faresti un piacere quando lo senti? Sto per iniziare il test di storia, sarò offline per un po’. Potresti riferirgli che ho risolto con Sammy – Sansa si è offerta di occuparsi di lui – e che lo aspetto per cena. A proposito ti unisci a noi?»
«Cosa?»
«A cena Jon. Ci sarà anche Sansa».
Sansa?
Il tono tradiva una certa impazienza, forse una sottile vena d’irritazione.
«Sì, cioè non lo so… Sansa è con Sammy?»
Ci fu qualche secondo di silenzio e il motivo dell’irritazione gli fu in un lampo chiarissimo. Gil stava parlando esattamente con chi aveva intenzione di parlare.
Da tempo desiderava che Sansa e Gil diventassero amiche e avevano scelto proprio quel momento per farlo. Ottimo.
Fai attenzione a ciò che desideri. Potrebbe avverarsi.
Era scattata la trappola della solidarietà femminile.
«Jon… avete litigato?»
Parecchia solidarietà femminile.
«Perché?»
Un atteggiamento evasivo era l’unica soluzione, Gil non avrebbe mollato l’osso facilmente. Quando si metteva in testa una cosa non c’era verso di farle cambiare idea. Soprattutto se si trattava di relazioni. Se non fosse stato per lei Sam non si sarebbe mai buttato né messo in gioco ma Gil non si era arresa e ormai si poteva dire che fossero una famiglia a tutti gli effetti. Felice per di più. Jon la stimava per la sua tenacia e per tantissimi altri motivi. Deluderla era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, invece… Stava per arrivare una strigliata con i fiocchi.
«Ha fatto uno strano commento su Ygritte con l’aria di un cucciolo a cui hanno spezzato il cuore. Sansa è davvero incantevole e spero – sottolineo spero – che tu non sia finito di nuovo in un certo letto proprio adesso che sei così vicino a… »
«Va bene, ho capito. Grazie».
Gil di Sansa sapeva tutto. Una sera – Sam reduce da un doppio turno era collassato sul divano – gli aveva allungato una birra e senza tanti preamboli aveva chiesto chi fosse la ragazza che gli aveva spezzato il cuore.
«Sono sicura che c’è Jon Snow. Ti si legge in faccia».
Gilly gli piaceva. Non solo perché era talmente sensibile e intelligente da scegliere Sam ogni giorno come compagno e come padre del suo bambino ma anche perché gli ricordava sua madre. Così le aveva raccontato la sua storia, ammettendo – forse per la prima volta con se stesso – che non aveva dato a Sansa la possibilità di spezzargli il cuore, perché non le aveva mai detto niente e non si era mai accorta di niente.
Gil aveva inarcato appena le sopracciglia e soppesato le parole. Jon era sicuro che stesse pensando a quanto potevano essere stupidi a volte gli uomini.
«Forse è arrivato il momento di dare a Sansa una possibilità».
Il commento era sibillino e non aveva capito cosa intendesse dire. Avrebbe dato a Sansa tutte le possibilità del mondo se solo non fosse stata troppo occupata, troppo impegnata con Joffrey, troppo concentrata sullo studio, troppo condizionata dalle aspettative che gli altri avevano su di lei.
Quelle parole gli erano ronzate in testa per giorni, finché non c’era arrivato. Era stato lui a non voler rischiare. Aveva scelto Sansa ma non le aveva dato la possibilità di sceglierlo. Di respingerlo anche. Eppure lei alla fine era andata a cercarlo, era rientrata nella sua vita senza pretendere niente, e lui – a corto di alibi – era scappato. Di nuovo.
E Gil lo aveva già stanato.
«Oh Jon! Perché? Stava andando tutto così bene… »
Meglio fermarla prima che gli dicesse in faccia quanto era stato imbecille e codardo e…
«È stato solo… Non ha significato niente. Volevo dirlo a Sansa, spiegarle… Ma Ygritte mi ha visto con lei in caffetteria l’altra sera e sai come è fatta… »
«Sei davvero un idiota».
Lo so.
«Grazie Gil, è sempre un piacere… »
L’amica sbuffò e non lo lasciò continuare. La diplomazia non era il suo forte.
«Mi dici cosa ci fai ancora al telefono?»
«Scusa?»
«È a casa mia Jon, datti una mossa».
E riattaccò.
Sammy era un bambino adorabile. Metà del pomeriggio era trascorso e le cose tra di loro sembravano funzionare alla grande. Avevano fatto merenda, giocato con le macchinine e fatto un puzzle del Re Leone da 34 pezzi.
Sansa stava per leggergli un libro – Magiche avventure di tre piccoli draghi – quando suonò il campanello.
Forse Gil aveva finito prima del previsto.
Si alzò dal tappeto su cui erano sdraiati per andare ad aprire.
Sorpresa.
Gli chiuse in faccia la porta alla velocità della luce.
Cosa ci faceva lì?
«Sansa, per favore possiamo parlare?»
No.
La bella voce giunse ovattata da dietro la porta. Qualche farfalla sopravvissuta al massacro della caffetteria batté timidamente le ali.
No no no. NO.
«Vattene».
Avrebbe voluto mordersi la lingua ma Sammy reclamava la sua attenzione e non poteva perdere altro tempo nell’attesa che lui ne andasse. Doveva andarsene e basta.
«Dammi un minuto San. Un minuto solo».
Lo sentì emettere un sospiro ma cercò di resistere.
Doveva resistere.
Poi ricordò di essere una persona adulta e non una ragazzina capricciosa che non sente ragioni. Di lì a qualche giorno avrebbero intrapreso il viaggio che li separava dal Nord e il giorno del Ringraziamento si sarebbero seduti allo stesso tavolo. Prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo.
Via il dente via il dolore.
Aprì la porta e rimase sulla soglia, le braccia incrociate sul petto.
«Un minuto».
Si impose di non guardarlo per non sentire di nuovo quelle stupide farfalle.
«Scusami, non ti ho detto di Ygritte perché… è una cosa a intermittenza e ho fatto una cazzata una sera che… Okay mi sono comportato da stronzo, so che siamo amici e ti aspetti che ti racconti tutto ma per me è difficile… »
Era il discorso più lungo che gli avesse sentito fare nelle ultime settimane ma non lo stava più ascoltando. Si era fermata al siamo amici. Era convinto di averla ferita perché non era andato a raccontarle gli ultimi sviluppi della sua vita sentimentale? Dio Santo non aveva capito niente.
«Hai finito?»
«Sansa… »
E chiuse di nuovo la porta.
Pensava di avere tutto sotto controllo. Si era illuso di avere il coltello dalla parte del manico per la prima volta in tanti anni. Sansa che arrossiva, che si confondeva con le mani immerse nelle tasche. Impacciata e nervosa. Sansa che indossava il suo vestito più bello e non stava più con Joffrey.
Le dita che sfioravano la sua schiena in mezzo alle scapole. Il suo flirtare inconsapevole e cauto.
Poi Joffrey aveva rovinato tutto. L’aveva sbugiardato, rendendo palese ciò che aveva tentato di nascondere per anni. Si era sentito – di nuovo – il perdente innamorato della reginetta della scuola sebbene Sansa non lo fosse mai stata, perché era troppo secchiona per perdere tempo dietro a balli e stronzate del genere.
Da tanto non si sentiva in quel modo. A lungo era stato talmente arrabbiato con tutti per sentire alcunché. La scoperta di chi fosse suo padre, la parentela che lo univa a Dany, le bugie di Ned. Tutto gli era scoppiato in faccia nello stesso istante e aveva capito che se voleva evitare di impazzire doveva stare solo per un po’.
Lasciare gli Stark – lasciare Sansa, lasciare Robb – allontanarsi da tutto.
Il giorno in cui se n’era andato da Winterfell era rientrato prima dall’allenamento di scherma. Il piano era buttare qualcosa in un borsone, salutare Robb e andarsene prima che gli altri rientrassero. Era entrato dalla porta sul retro, trovando la casa immersa nel silenzio. Aveva pensato che non ci fosse nessuno e forse era meglio così: avrebbe preso ciò che gli serviva e poi sarebbe andato alla ricerca di Robb. Si sarebbero salutati lontano da orecchie indiscrete e avrebbe avuto qualche ora di vantaggio prima che Ned scoprisse che se n’era andato.
Poi era passato davanti alla camera di Sansa e aveva sentito l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto sentire.
Lei che chiedeva di fare più piano. Gli insopportabili versi di quel coglione.
Aveva lasciato perdere il borsone, aveva lasciato perdere tutto. Se n’era semplicemente andato.
La sera della festa Phi Delta Tau si era sentito come quel giorno: senza speranza. Forse era per quello che era andato in cerca di Ygritte. Per dimostrare che non era più quel ragazzino, che non aveva bisogno di Sansa Stark e che poteva andare a letto con chi voleva perché le ragazze volevano andare a letto con lui.
Peccato che lui ne volesse una sola e una soltanto. Ancora dopo tutti quegli anni, non era cambiato niente. Gli sarebbe bastato rimanere a guardarla, magari tenerle la mano e sarebbe stato felice come un idiota. Lo aveva capito quando si era svegliato nel letto di Ygritte, disgustato da se stesso e pieno fino ai capelli di senso di colpa. Dopo la scena della caffetteria, quando Sansa era scappata via in lacrime, si era domandato come avesse potuto essere così coglione.
E ora se ne stava lì davanti, lampi negli occhi, persa in un maglione troppo grande e troppo troppo bella. Talmente bella da domandarsi se fosse reale.
Almeno fino a quando non gli aveva sbattuto la porta in faccia.
Stremata si lasciò cadere sul divano accanto a Sansa. Anche lei sembrava stanca, anzi sembrava triste e Gil avrebbe tanto voluto sapere perché. Durante la cena aveva chiacchierato vivacemente del pomeriggio trascorso con Sammy, si era interessata al suo test e alla giornata in ospedale di Sam. Non aveva accennato a Jon, forse non le andava di parlarne davanti al suo coinquilino o forse non le andava di parlarne e basta.
Finito di mangiare l’aveva aiutata a sparecchiare la tavola mentre Sam si era offerto di lavare i piatti. Sapeva quanto odiasse farlo e ogni volta la liberava dell’incombenza. Erano quelle piccole cose che glielo facevano amare ogni giorno di più e le ricordavano quanto fosse stata fortunata a incontrarlo.
«Spero che questa piccola peste non ti abbia fatto disperare».
Sammy giocava con le costruzioni sul tappeto ai loro piedi e sentendosi chiamato in causa, alzò lo sguardò verso di lei. Quando la guardava così le si muoveva dentro qualcosa come il mare.
«Assolutamente no. È un bambino meraviglioso e tu sei un’ottima madre».
«Cerco di fare del mio meglio».
«Ci riesci».
I sorrisi di Sansa era sempre timidi – appena accennati – mentre faticava a controllare la fiamma che le brillava nello sguardo e Gil aveva capito alla prima occhiata perché Jon si fosse innamorato di lei.
Era gentile, ironica, intelligente. Era splendida. Una bellezza delicata ed elegante, fatta di contrasti: la pelle di porcellana, i capelli rosso scuro che portava spesso intrecciati, gli occhi blu dietro la montatura severa. Non faceva nulla per attirare l’attenzione ma era impossibile non notarla. Anche Sammy dopo un solo pomeriggio aveva già una cotta.
Quello che Gil non aveva capito era perché Sansa non si fosse innamorata di Jon. Lui ci aveva messo del suo ma le donne difficilmente si lasciano spaventare da cose come l’imbecillità degli uomini e Jon – fatta eccezione per la sua ultima brillante trovata – sembrava meno imbecille di tanti altri.
«Gil, posso farti una domanda?»
E io posso farne una a te?
«Certo».
Esitò un istante, forse per paura di sembrare indiscreta. C’era sempre qualcosa di delicato in tutto quello che faceva. Gesti, parole, movimenti. Non sembrava fragile, solo delicato.
«Ti va di raccontarmi la tua storia?»
Era l’ultima domanda che si sarebbe aspettata da lei ma era capitato altre volte. Quando pensava di averla inquadrata, faceva o diceva qualcosa che la spiazzava. Come quella mattina quando si era offerta di occuparsi di Sammy.
Aveva lo sguardo limpido, l’espressione rilassata in una paziente attesa e Gil decise di fidarsi di lei. L’amicizia non si basava forse sulla condivisione? Avrebbe condiviso la sua storia con Sansa nella speranza che lei un giorno avrebbe fatto altrettanto.
«In realtà si tratta di una storia piuttosto banale. Sono cresciuta in un paesino di montagna in cui non c’era nulla da fare se non progettare la propria fuga o ubriacarsi. Dopo il diploma avevo un piano ma anche un fidanzato imbecille. Quando sono rimasta incinta di Sammy è svanito nel nulla e i miei progetti con lui».
«Mi dispiace».
«A me no, ne ho fatti degli altri. Se non se ne fosse andato probabilmente sarei rimasta bloccata là, invece dopo la nascita di Sammy ho capito che dovevo iniziare a darmi da fare. Non volevo essere un peso per la mia famiglia e desideravo con tutta me stessa andare all’università. Ce l’ho fatta e il destino mi ha fatto anche un regalo: ho incontrato il timido, adorabile aspirante medico che sta lavando i piatti nella mia cucina».
Nonostante volesse apparire disinvolta non riuscì a reprimere un sorriso soddisfatto. Era contenta della sua vita anche se a volte era faticosissima.
«È una bella storia».
«Ci sono state delle pagine amare».
L’odio che aveva provato contro la sua stupidità.
La paura di non essere una brava madre per Sammy.
La consapevolezza di aver deluso i suoi genitori.
Quelle pagine erano ciò che di più distante da Sansa Gil riuscisse a immaginare, eppure non c’erano giudizio né compassione nell’espressione seria dei suoi bei lineamenti.
«Solo le vere eroine le hanno».
Lo disse con un cipiglio orgoglioso che capì essere tutto per lei. Per qualche assurdo motivo Sansa l’ammirava e una volta di più si chiese da dove saltasse fuori quella ragazza che aveva l’aspetto di una ninfa dei boschi e il piglio deciso e ribelle di chi ha capito chi vuole diventare.
«Sei strana lo sai? Di solito le ragazze come te non sono come te».
Aggrottò appena l’arco sottile delle sopracciglia ma il commento sembrò averla incuriosita più che pungolata.
«E come sono di solito le ragazze come me?»
«Come la tua amica Margery».
Sansa scoppiò a ridere.
È davvero bella.
Deve averlo fregato così.
Ridendo.
«May ama stare al centro dell’attenzione e possiede i mezzi per non annoiarsi mai ma anche nella sua storia ci sono delle pagine piuttosto amare». Si fermò qualche istante per riflettere. «La mia è una famiglia più tradizionale della sua e non così ricca. Siamo gente del Nord – proprio come te – e siamo stati educati secondo un sistema di valori giusto ma rigido. I nostri genitori ci amano molto ma hanno sempre preteso da noi in pari misura e non ci hanno mai viziati. Crescere cinque bambini non è facile… Be’ sei se contiamo anche Jon».
Il nome di Jon le era sfuggito dalle labbra come un sospiro mentre gli occhi si accendevano di quella fiamma che non sapeva controllare.
E se…
Gil si domandò se una volta tanto non si fosse sbagliata. Forse Sansa era innamorata. Forse lo era da abbastanza tempo da essere furiosa con Jon per Ygritte. Forse lo era da anni e lo aveva capito solo adesso. Forse era semplicemente più brava a nasconderlo.
Decise di gettare l’esca per vedere se il pesciolino rosso avrebbe abboccato.
«Ah… Jon. Un altro personaggio imprevedibile».
«Già». Sansa torse le dita raccolte in grembo e distolse lo sguardo per una manciata di secondi. Il tempo di prendere un bel respiro e rivolgersi a lei con espressione più serena. «Si è fatto tardi e ora devo proprio andare ma grazie per la cena e per la chiacchierata. Sono stata benissimo, dobbiamo assolutamente rifarlo».
Era sincera – Gil ne era sicura – ma quella aveva comunque tutta l’aria di essere una fuga.
Povero il mio pesciolino rosso.
Gil si alzò dal divano e l’accompagnò alla porta. Si abbracciarono e salutarono da buone amiche, promettendosi di vedersi e sentirsi presto.
Eppure, vedendola scomparire dietro l’angolo del pianerottolo, Gil ebbe la sensazione che Sansa non si sarebbe fatta viva per un po’ e che forse Jon, in tutti quegli anni, non era stato l’unico a scappare.

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Capitolo 8
*** Tornare a casa ***


«Ragazzi… si gela qui dentro».
Era il modo di Robb per stemperare la tensione. Si era comportato bene le prime 200 miglia ma Sansa sapeva che non avrebbe resistito a lungo. Era disgustosamente di buon umore, al contrario di lei. Doveva essere stato capace di giocarsi bene la nuova occasione che Talisa aveva deciso di concedergli.
Beato lui.
«Snow, visto che sei di ottimo umore perché non ci canti una canzone?»
Di bene in meglio. Suo fratello era un maestro a far sentire a loro agio le persone.
Fortunatamente Jon era seduto davanti e sebbene condividessero uno spazio ristretto non erano costretti a farlo l’uno accanto all’altra.
Theon si lasciò scappare una risatina. Anche lui avrebbe raggiunto il padre per il Ringraziamento e si era unito a loro per il viaggio. I rapporti tra loro erano tesi e probabilmente la sua fastidiosa arroganza era solo un modo per mascherare la tensione. Sansa cercava di ripeterselo ogni volta che non riusciva a guardarlo in faccia senza immaginarlo nudo.
Terrificante.
«Allora splendore, ho sentito che sei di nuovo su piazza».
Gli lanciò un’occhiata obliqua ma non rispose. Jon iniziò a guardare fuori dal finestrino.
«Ottimo argomento di conversazione Theon, complimenti. Ti sarei grato se la smettessi di cercare di farti mia sorella».
«Tu la mia te la sei fatta».
«È stato molto tempo fa». Dallo specchietto retrovisore vide saettare le sopracciglia di Robb, accompagnate da una nota sorniona della voce. «E visto che non posso proteggere Sansa da tutti i maiali che ci sono in giro tento di farlo con quelli che ho intorno».
Un movimento nervoso, gli occhi sempre incollati fuori dal finestrino.
Sansa scorgeva appena il suo profilo.
La mascella serrata, le braccia incrociate sul petto.
Era di nuovo distante, irraggiungibile.
Come siamo tornati a questo punto?
«Non ho bisogno della tua protezione».
«Sicuro, principessa. Hai gusto in fatto di uomini».
Robb accelerò ed evitò di puntualizzare. Sarebbe stato perfettamente inutile e in fin dei conti aveva ragione.
«Potremmo evitare di parlare di chi si è fatto la sorella di chi? Grazie».
«Ehi ma allora sai parlare! San non trovi che sia una notizia fantastica?»
Jon emise una specie di grugnito e il suo contributo alla conversazione finì lì.
Cercò una risposta spiritosa o intelligente da dare a suo fratello ma non la trovò.
Ancora silenzio.
«Moderate l’entusiasmo ragazzi. Mancano solo 400 miglia».
Mamma aspettava in veranda accanto a papà. Capelli rossi legati nella solita treccia, ben avvolta in uno scialle di lana blu scuro. Sotto l’espressione altera si intravedeva un filo di commozione. Papà aveva la barba e i capelli un po’ lunghi ma sembrava stare bene. Non era trascorso molto tempo dall’ultima volta che li aveva visti ma le sembrava un’eternità. Scese dalla macchina e corse loro incontro.
«Ben tornata principessa».
Catelyn l’abbracciò e si staccò da lei per guardarla negli occhi. Blu come i suoi e quelli di Robb. Tra tutti i fratelli erano loro a a somigliarle di più. Più Tully che Stark come ripeteva ogni volta zio Brynden.
«Ciao mamma».
Si fece da parte e Robb prese la madre tra le braccia e la sollevò.
«Sei diventato matto? Mettimi giù».
Erano false proteste, mamma era felicissima di averli a casa, specialmente Robb. Sansa sapeva che una parte di lei temeva che il primogenito un giorno si sarebbe stancato di tornare a casa per le feste, che avrebbe diradato le telefonate e le visite. Catelyn non era una sciocca e non pretendeva certo di tenere Robb attaccato alle sue sottane ma non c’era nulla al mondo che amasse più dei suoi figli e come tutte le madri un po’ soffriva nel vederli crescere e allontanarsi.
Sansa si domandò oziosamente se Talisa le sarebbe piaciuta. Sapeva poco di lei, non l’aveva ancora incontrata e sperava di poterlo fare presto, tuttavia conosceva benissimo sua madre. Il suo giudizio sarebbe stato giusto ma severo.
«Mamma sei bellissima. Papà, hai visto? La tua macchina è ancora tutta intera».
Ned le baciò la fronte e abbracciò il figlio.
«E hai riportato tua sorella sana e salva a casa. Sono fiero di te».
Robb sbuffò, punto nell’orgoglio. Prendeva molto sul serio il ruolo di fratello maggiore. A modo suo, naturalmente, l’unico modo in cui faceva tutte le cose. Era uno dei motivi per cui Sansa gli voleva bene. Per quanto testardo, impulsivo e avventato fosse, Robb era leale, onesto e affettuoso. Per i fratelli e per Jon si sarebbe buttato nel fuoco.
«Questa cosa del sarcasmo vi sta sfuggendo di mano».
«È ironia, Robb, non sarcasmo. Dove è finito lo strepitoso senso dell’umorismo con cui ci hai deliziati durante il viaggio?»
La risata di Jon. Breve, secca ma onesta.
I suoi occhi che la cercano per poi fuggire di nuovo lontano.
Le scappò una risatina nervosa. L’ironia era merce rara per suo padre e ipotizzò che fosse un modo per scacciare l’imbarazzo. Sapeva cosa gli causava tanto disagio: l’incontro con Jon.
Benvenuto nel mio mondo.
Ned gli tese la mano e Jon la strinse. Poi non seppe resistere e lo tirò verso di sé per un abbraccio. Incredibilmente Jon glielo lasciò fare.
Se tutto tornasse come prima.
Sarebbe bello. Sarebbe giusto.
Ma il mio posto quale sarebbe?
Stavano ancora scambiandosi abbracci e saluti quando qualcuno sfrecciò dalla porta di casa per gettarsi tra le braccia di Jon.
«Jon Snow! Quando me l’hanno detto non ci potevo credere! Chi ha compiuto il miracolo?»
Arya non sarebbe cambiata mai e a Sansa stava bene così. Osservò la ragazzina piccola e minuta, dai capelli corti e scuri e l’aria combattiva. Era diventata grande, una bellezza sfuggente e un po’ selvaggia. Presto si sarebbe diplomata e li avrebbe raggiunti alla King’s Landing. Eppure, nonostante tutto, per Sansa sarebbe rimasta la peste che le tirava le trecce, leggeva di nascosto i suoi diari e le preparava una gigantesca coppa di gelato ogni volta che Joffrey la faceva piangere. La sua vita senza Arya non sarebbe stata la stessa. Cercava di ricordarselo ogni volta che le veniva voglia di strangolarla.
Jon ricambiò l’abbraccio e le scompigliò i capelli. Da sempre avevano un rapporto privilegiato, del quale un tempo era stata gelosa. Per quanto fossero stati legati da bambini, lei e Jon non erano mai stati complici. Era sempre esistito un riserbo tra loro, come un pudore, una timidezza delicata che li avvicinava ma allo stesso tempo creava una barriera sottile che non erano stati in grado di superare. Nemmeno nell’ultimo periodo, quando si erano riavvicinati e quella cautela si era trasformata in tensione, aspettative, silenziose promesse.
Jon concesse ad Arya uno dei suoi rari sorrisi. Caldo, divertito, riconoscente. Era felice di trovarsi lì. Di essere tornato a casa.
Da loro.
Jon è tornato a casa.
«Tua sorella».
Lo guardò per essere sicura che quelle parole fossero davvero uscite dalla sua bocca. A mala pena la degnava di uno sguardo come poteva essere stata lei a convincerlo a tornare?
Arya tese la mano e strinse le dita di Sansa tra le sue.
«Non stento a crederlo. Nessuno può dire di no a Sansa Stark».
I preparativi per il pranzo procedevano abbastanza serenamente. Jon e Robb erano usciti per comprare le ultime cose e avevano portato con loro Arya, Bran e Rickon mentre Ned spaccava la legna e giocava con i cani in giardino.
Sansa si era offerta di aiutare la madre con il tacchino, il ripieno e tutto il resto ma dopo un paio di occhiate apprensive non era più sicura della bontà della sua idea.
«Cosa succede tesoro? Ne vuoi parlare?»
Negare sarebbe stato inutile. Catelyn l’avrebbe stanata come un segugio. L’unica soluzione era minimizzare nella speranza di risultare convincente e indurre sua madre a mollare la presa.
«Sono solo stanca mamma. Ho studiato parecchio nell’ultimo periodo e… »
«Si tratta di Joffrey? Non ho mai voluto che lo frequentassi, sua madre è una vera strega».
Il commento di Catelyn le strappò un sorriso. Cercei era davvero una strega. Purtroppo però per quanto divertente, il commento indicava quanto sua madre si trovasse sulla strada giusta.
Minimizzare.
«Storia vecchia, non ti preoccupare. Archiviato, davvero».
«Quindi c’è qualcun altro… »
Merda. Sua madre aveva il radar.
«Sì, cioè no… »
Catelyn aveva posato il ripieno che stata lavorando e la guardava incoraggiante e sollecita come quando da bambina doveva ripetere le tabelline.
«Sansa… Non sei costretta a dirmi chi è, dimmi solo se è un bravo ragazzo e se si comporta bene con te».
Ormai era in trappola, lo sapeva. Avrebbe dovuto ripiegare sul piano d’emergenza: concederle qualche informazione vaga e prendere tempo.
Non voleva parlare a sua madre di Jon.
Non voleva parlare di Jon e basta.
«Lo è mamma e si comporta benissimo. Siamo amici, non è interessato a me».
A dire la verità non era sicura nemmeno che fossero amici. Gli amici si rivolgevano la parola.
«Impossibile».
Era possibile eccome. Se era il tipo da preferire le donne forti, determinate e sensuali agli uccelletti sperduti e impacciati come lei.
«È un ragazzo più grande? È per lui che hai lasciato Joffrey?»
Era per lui?
Aveva lasciato Joffrey perché era uno stronzo e un maiale. L’aveva lasciato perché il confronto con Jon era diventato impossibile da sostenere e Sansa non era abituata a non essere onesta con se stessa.
«Mamma… Mi stai facendo il terzo grado su una cosa che non esiste».
«Sono solo preoccupata. Rompi con il tuo ragazzo, vai a stare per conto tuo… »
«Non sono andata a stare per conto mio. C’è Margery».
«Una prospettiva molto rassicurante… Torni a casa per il Ringraziamento con il broncio e gli occhioni lucidi. Non ti ho mai vista così e mi fa supporre sia una cosa seria».
Aveva accuratamente evitato di guardarsi allo specchio, intuendo che vi avrebbe trovato una versione poco lusinghiera di se stessa. La mancanza di Jon la immalinconiva ma aveva sperato che non fosse così evidente. Aveva sottovalutato l’intuito materno di Catelyn ma l’ultima cosa che desiderava era che sua madre si angosciasse o preoccupasse. Di qualunque cosa si trattasse le sarebbe passata. Cercò una risatina divertita da sfoderare per l’occasione ma le uscì gracile e falsa.
«Come può essere seria se non è ricambiata?»
«Molto, se ti fa stare male».
Nella voce di sua madre c’era la nota di tenerezza che da bambini riservava al bacio della buonanotte o quando erano ammalati.
Se mi fa stare male.
Forse le avrebbe fatto bene parlare con sua madre. Forse le avrebbe fatto bene parlare e basta.
Jon.
«Oh mamma, lui è davvero… meraviglioso».
Catelyn sorrise e inarcò appena un sopracciglio sottile.
«Meraviglioso?»
«È gentile, intelligente, responsabile e… »
«Carino?»
«Bellissimo».
«Ora si spiegano molte cose».
Sua madre scosse la testa divertita e le lanciò una lunga occhiata. Era meglio chiarire subito come stavano le cose prima che si mettesse in testa strane idee.
«No, non è come pensi… Credevo ci fosse qualcosa o avrebbe potuto esserci invece ho scoperto che è fidanzato quindi… Fine della storia, mi passerà».
Catelyn schiuse le labbra per risponderle ma un movimento alle spalle di Sansa catturò la sua attenzione. Un formicolio le scese dalla nuca fino alla base della spina dorsale.
«Ciao Jon, avete trovato tutto? Puoi appoggiare la spesa sul bancone, grazie. Dove sono i ragazzi?»
Il coltello con cui stava tagliando le patate le sfuggì di mano. Da quanto tempo era lì? Cosa aveva sentito? Cauta si voltò verso di lui ma l’espressione era come sempre imperscrutabile e non indugiò oltre per evitare di leggergli in faccia qualcosa che avrebbe preferito non sapere.
Sansa Stark si è presa una cotta per me.
Che tenerezza.
«Abbiamo trovato tutto quello che era segnato nella lista. Gli altri sono in giardino con Ned, ti aiuto io a mettere via la spesa».
Jon non si era mai sentito particolarmente a suo agio con Cat né lei con lui. Sansa si era fatta l’idea che fosse sempre stata un po’ gelosa di zia Lyanna e che alla sua morte avesse trasferito la gelosia sul figlio. Una volta scoperto il nome del padre di Jon la tensione tra loro si era allentata ma non si potevano certo risolvere anni di diffidenza in un battito di ciglia. Era piuttosto sicura che se avesse confessato chi era il misterioso ragazzo a cui era interessata, sua madre non l’avrebbe presa benissimo.
Jon naturalmente non aveva più aperto bocca ma si muoveva per la cucina con la sicurezza di chi ha vissuto quegli spazi e ogni tanto si imbatte in qualcosa di diverso. Qualcosa tipo Sansa.
«Posso? Devo prendere il cestino del pane. Nel mobiletto lì in basso a destra».
«So dov’è il cestino del pane».
Si mosse di scatto per evitare che lui la toccasse mentre si accucciava davanti al mobiletto e nel farlo rovesciò la ciotola dei mirtilli che rotolarono su tutto il ripiano della cucina.
Sentì lo sguardo di sua madre su di sé. Era arrivata l’ora di battere la ritirata.
«Mamma posso andare a trovare Jayne?»
«Forse è meglio».
Il commento sibillino le diede la misura di quanto la fuga in quel momento fosse una mossa opportuna.
«Grazie, continuerò più tardi».
Le gettò le braccia al collo e le baciò la guancia, fingendo un buon umore che non provava affatto.
Catelyn le sorrise e le spostò una ciocca ribelle dietro l’orecchio. Prima di andarsene salutò Jon con un cenno della testa godendo del sottile piacere di averlo abbandonato solo con sua madre. Piacere che si dissolse non appena la sentì rivolgersi a lui con il tono più innocente del mondo.
«Allora Jon, ho sentito che hai una fidanzata… »
E Sansa guadagnò l’uscita veloce come il vento.

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