Dystopia

di robertamichelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1, Capitolo I: Michelle Barça ***
Capitolo 2: *** Parte 1, Capitolo II: La notte del coraggio ***
Capitolo 3: *** Parte 1, Capitolo III: Occhi azzurri ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4, Parte I: Remedios Sirio e Melquiades Victoria ***
Capitolo 5: *** Parte 1, Cap V: Annuncio di guerra ***
Capitolo 6: *** Parte 1, Cap VI: Addio! ***
Capitolo 7: *** Parte 1, Capitolo VII: 24th East Street ***
Capitolo 8: *** Parte 1, Cap VIII: Sangue e lacrime ***
Capitolo 9: *** Parte 1, Capitolo IX: Vecchie conoscenze ***
Capitolo 10: *** Parte 1, Capitolo X: L'ultima a morire ***
Capitolo 11: *** Parte 1, Capitolo XI: Ford Mustang ***
Capitolo 12: *** Parte 1, Capitolo XII: Jesus Of Suburbia ***
Capitolo 13: *** Capi XIII, Parte I: Il doppiogioco delle parti ***
Capitolo 14: *** Parte 1, Capitolo XIV: Il racconto di Jimmy. ***
Capitolo 15: *** Parte I, Capitolo XV: Segreti ***



Capitolo 1
*** Parte 1, Capitolo I: Michelle Barça ***


Sveglia.
Ore 6,30, 24 maggio 2011. Perfettamente sveglia non so più da quanto. Il mio unico pensiero è lui. Incredibile, io innamorata, forse per la prima volta nella mia vita. Non ho mai provato quello che provo questa mattina di sole. Avevo ricollegato la felicità a tante cose prima di oggi: alla pizza il sabato sera, alle coperte quando fa freddo, alla musica, alle mie canzoni preferite...ma mai agli occhi di un ragazzo. Mi vesto, la scuola mi aspetta.
Suburbia stamattina sembra addirittura una bella città, tranquilla, dolce. Ma io mi sono accorta di ciò che gli altri non hanno notato, e lo ho fatto già da tempo: Suburbia non è quello che sembra, c'è una bellissima maschera a coprire il suo vero volto. Una maschera di ipocrisia e moralismo. Nessuno si accorge di quello che sta succedendo: un nuovo regime politico è salito al potere appena una settimana fa e in silenzio, nel buio, con sotterfugi è tutto cambiato. Prima l'introduzione di una moda unica che sembrano dover indossare tutti i ragazzi. Poi telefoni, computer, sempre più accessoriati che si stanno sostituendo ai nostri cervelli. La tv è la padrona di ogni serata in casa, di ogni momento, come se gli esseri umani avessero cominciato ad usarla solo ora. Vengono mandate in onda trasimissioni che risaltano tutta questa bellissima propaganda di omologazione, di controllo delle idee. E mi sono già accorta di come vengano emarginate le persone che non accettano questo modo di pensare e rendono pubblica la loro opinione... Per ora ho deciso di non manifestare la mia opposizione. Ma nessuno, nessuno, potrà mai cambiare le mie idee. E nelle mie idee è chiaro che a Suburbia ci sia una specie di virus che ha infettato tutti e sta diventando sempre più forte.
"Michelle Barça!", chiama il prof. "Sì, presente!". Mi ero di nuovo persa nei miei pensieri, e nel frattempo sono arrivata a scuola. Questo è uno dei pochi professori che pronuncia esattamente il mio cognome, anche se il mio nome intero è Michelle Remedios, ma mi chiamano tutti Michelle. Il mio cognome è così difficile da leggere perchè è di origine spagnola. Mio padre mi ha detto che i Barça erano una grande famiglia spagnola, molto potente e rispettata. Che sia stata potente non lo metto in dubbio: mio padre è una persona autoritaria e dispotica, è stato quello che più mi ha fatto soffrire in vita mia. Mi ha privata di tutto, non mi lascia uscire, e non ho quasi amici, per non parlare di amore: di ragazzi non ne vuole proprio sapere. Mi terrorizza, ma non mi interessa: ho bisogno di un po' di rischi per vivere. A proposito, tra un po' ho appuntamento con lui, Browneyedboy.
La giornata è finalmente finita, il momento è arrivato. Browneyedboy è li che mi aspetta.
"Ciao!"
"Ciao, Michelle"
"Come va?"
"Bene...Vieni, devo parlarti" aggiunge lui. E inizia il suo discorso. In spagnolo. Mi dice che è pazzo di me, che vuole baciarmi, che sono stupenda. Io mi sono appiattita al muro, le gambe tremanti, il cuore come un tamburo, lo sento avvicinarsi. Mette una mano sulla mia guancia, mi guarda fisso negli occhi e sorride... e quel giorno, prendendosi le mie labbra, si prese il mio cuore.

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Capitolo 2
*** Parte 1, Capitolo II: La notte del coraggio ***


"Non possiamo più stare insieme ti ho detto, mi dispiace, io a te ci tengo così tanto ma.." "Ma non mi ami, questa è la verità." "Michelle..." 3:40. Mi sveglio, sudata e distrutta nel cuore di una notte nera come l'inchiostro e lunga come i binari di un treno. Il treno che ho perso e non tornerà più. Il sogno è finito, l'incubo continua. Ed è maledettamente reale, semplicemente perchè l'incubo è la mia vita. Continuo a sognare e sognare ogni singola notte questa fot***a scena. La scena che ho vissuto qualche giorno fa (o forse qualche settimana, o qualche mese, o qualche anno...Che senso ha il tempo ormai?). Browneyedboy mi ha lasciata, dopo circa due settimane di sogno; è andato via portandosi la mia anima, e io non sono più quella di una volta. E se solo penso che ancora una volta la colpa è solo sua, tutta sua. Mio padre ha scoperto tutto. Di me e lui. E' così geloso e possessivo che ovviamente non poteva accettare che qualcuno mi baciasse, mi toccasse, facesse l'amore con me. Prima ci sono stati gli insulti, mi ha dato della puttana, ha detto proprio così. Poi le botte, e i calci, e i pugni. E ora sono così, ridotta come un animale abbandonato per strada. Giorni, mesi, anni...mmh, fammi pensare..Si, sono passati tre giorni, o forse quattro. Vivo rinchiusa nella mia camera. Non mangio, non dormo. Mi sto distruggendo, ma sono forte. O almeno mi hanno sempre detto così. Dicono "Che donna forte, Michelle", dicono "come sei buona Michelle", "come sei dolce, Michelle", solo perchè ho perdonato e riperdonato fino alla nausea, senza aspettarmi nulla in cambio. Solo perchè queste non sono le prime botte che prendo in anni di convivenza con quella che chiamano "la mia famiglia", e sono ancora sorridente, solare, viva. Ma all'amore si sopravvive? Ma era amore, poi? Nemmeno Browneyedboy si è comportato da gentiluomo. Io so, so bene che mio padre è andato a cercarlo per parlargli, eppure lui mi ha lasciata senza spiegazioni, senza dirmi cosa si siano detti, senza darmi segni del suo ritorno. "Non dico che non torneremo mai più insieme, ma dammi tempo". Ma cosa potevo aspettarmi? Lui è solo un ragazzo, come me. Il punto è che lo rivoglio qui, e la sua assenza mi sta mangiando dentro. Come quando butti un pezzo di legno nel fuoco, hai presente quello che succede?Il fuoco lo divora, lo trasforma in cenere. Questo è quello che i ricordi stanno facendo con il mio cuore. E sono stanca. Guardo fuori dalla mia finestra. La luna è così bella stasera. E all'improvviso, nel mio cuore si accende il coraggio. Perchè devo restare qui? Io sono libera, lo sono sempre stata. Nemmeno Suburbia che diventa sempre più dispotica è riuscita a controllare la mia mente, e allora dovrebbero farlo i miei genitori? Non mi avranno mai come vorranno loro. Prendo uno zaino malridotto. Ci butto dentro qualche vestito, un po' del mio trucco, il cellulare, l'mp3 e qualche soldo messo da parte. Ovviamente prendo anche il quaderno delle mie canzoni. Mi libero del pigiama, indosso jeans, maglia scura e felpa, metto in testa il berretto. Sto andando via e sono decisa a non tornare mai più. Apro con cautela la porta della mia stanza. Arrivo al salone d'ingresso. Cerco le chiavi e facendo meno rumore possibile, apro il portone e lo richiudo dietro di me. Sono fuori, e sento l'aria fresca della notte di giugno entrarmi nelle vene e inebriarmi come la più dolce delle droghe, che ha il nome di LIBERTA'. Inizio a correre via. Non so nemmeno dove, ma l'importante ora è correre, prima che si accorgano della mia assenza. Butto via la sim del mio cellulare, domani ne comprerò una nuova così che non mi cercheranno. Sono passati circa 45 minuti, e ora sono abbastanza lontana. Ho raggiunto il quartiere residenziale di Suburbia, ci sono vari palazzi uno accanto all'altro e tra questi delle strade strette e buie. Vedo che il cielo inizia a schiarirsi un po' di più. Mi sento più tranquilla e rincuorata, ma proprio mentre assaporo questa sensazione sento qualcosa che mi fa gelare il sangue nelle vene: un orribile brontolio,un sussurro roco proviene da una direzione indecifrabile alla mia destra. Il mio respiro accelera senza alcun controllo e mi rendo conto che il rumore proviene da una direzione all'altezza delle mie gambe. Mi giro il più piano possibile. A terra, riverso in una macchia di sangue, c'è un uomo con una profonda ferita sul collo che cerca di dire le sue probabilmente ultime parole.

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Capitolo 3
*** Parte 1, Capitolo III: Occhi azzurri ***


Mi accovaccio a terra. L'uomo è lì disteso, cerca aiuto. Mi avvicino, cerco di risollevarlo da terra. "Oddio...Cazzo...Chi è stato?" sono in preda al panico. L'uomo mi guarda in faccia. E dopo un po' sorride iniziando a balbettare qualche parola. "Remedios...Sei tornata". Cosa? Come fa quest'uomo a sapere il mio nome? E soprattutto, cosa vuol dire "sei tornata"? Io non sono mai stata in questo posto prima d'ora, quel poverino stava evidentemente delirando. Si, forse conosce un'altra ragazza che ha il mio stesso nome, anche perchè io sono conosciuta come Michelle, non Remedios. Ma non faccio in tempo a dire nulla. L'uomo crolla a terra, senza forze. Controllo il battito. Non mi ero mai sentita così male in vita mia: l'uomo era morto, davanti ai miei occhi. La paura si impadronisce totalmente di me, inizio a sudare freddo. Cosa cazzo faccio adesso? "FERMATI!", mi urlarono. Era la voce di una donna. "CHE COSA GLI HAI FATTO, CHE COSA GLI HAI FATTO!!". Non capisco nulla a causa del buio, ma sento le mani di questa donna che afferrano le mie spalle e mi incastrano al muro. "Non sono stata io! Lo giuro, non ho fatto nulla io volevo solo aiutare..." cerco di spiegare con voce tremante e piangendo. "Non mentire, stronza!", c'era un'altra voce. Mi sembrava un ragazzo sui 20 anni. "Sei anche tu del regime, ti conosco, sei la figlia del colonnello Barça. Michellle, giusto?" Colonnello? Mio padre non fa questo mestiere..O almeno, io non ne sono a conoscenza. Guardo l'uomo per terra e il muro vicino al quale era accasciato, e capisco tutto: aveva ancora in mano un pennarello indelebile di colore nero, e sul muro si leggeva la scritta: "FUCK SUBURBIA FOR FREEDO" e qui si interrompeva con un lungo scarabocchio che graffiava il muro come un artiglio. La polizia del regime doveva averlo attaccato prima che potesse finire di scrivere. Ecco allora cosa fanno a chi si oppone a Suburbia. "Si, sono io Michelle ma posso spiegare...". Non ho il tempo di parlare. Il ragazzo mi trascina di peso all'ingresso di una casa appena lì vicino in quella strada buia, e mi fa sedere con una certa violenza a un tavolo di legno malridotto in una stanza, per quello che riesco a vedere a causa della pochissima luce che entra da una minuscola finestra, molto spoglia e visibilmente povera. Nella stanca c'erano anche un divano verde corroso dal tempo, una piccola cucina vecchia anch'essa, e una porticina che portava a un piccolo bagno. Dall'altra parte della stanza c'era un letto disfatto. "Ora tu parlerai, mi hai capito? Altrimenti da qui non ne uscirai con le tue gambe", sussurra freddo il ragazzo. Accende una candela, e la posiziona sul tavolo davanti a me. Sembrava quasi che questa gente vivesse nel 700 e non avesse ancora scoperto l'esistenza dell'elettricità. Guardo il ragazzo negli occhi. E' alto, abbastanza muscoloso, capelli biondo-castani e occhi azzurrissimi. Era davvero bello, ma percepivo la sua rabbia, la sua sete di vendetta. "Credimi, io ho solo 16 anni, come potrei mai uccidere un uomo?" "Avrai attaccato alle spalle, magari sei pure codarda", ringhia lui. "Davvero io..." "ERA MIO PADRE!", urla lui, sbattendo forte una mano sul tavolo. "Kyle". La voce della donna è ferma, decisa, ma allo stesso tempo dolce, e sento addirittura un tono sorpreso nella sua voce. "Fermati, Kyle...Lei è...non è possibile!" La signora si avvicina a me esaminandomi da sopra la candela. Era una donna sulla 50ina, con qualche ruga e qualche segno del tempo, ma si scorgeva nel suo viso una bellezza naturale, semplice. Saranno stati i suoi capelli rosso ramato, o forse i suoi occhi grandi, azzurri come quelli di Kyle. Doveva essere sua madre. Mi guarda attentamente, e ad un certo punto vedo delle lacrime scendere da quei due oceani azzurri. "Come ti chiami, ragazza?" "Michelle" "Solo Michelle?" "No...Il mio nome è Michelle Remedios". La donna non riesce a contenere la sua gioia. "Remedios!". Mi prende il viso tra le mani. "Lo sapevo, lo sapevo che saresti diventata una ribelle!". Mi abbraccia. "Mamma, ti dispiace spiegarmi?" dice Kyle con voce infastidita. "Mi scusi signora..Potrebbe spiegare anche a me?" "Dammi del tu, mi chiamo Johanne." "Ok, Johanne, mi spieghi cosa succede?" chiedo ancora. "Mi erano arrivate tante notizie di te, Remedios... C'è chi diceva che eri morta, chi diceva che facevi parte del regime, chi diceva che eri andata via, in un altro paese. Io invece ho sempre creduto che eri ancora qui." "Come fa a conoscermi?" "Conoscevo i tuoi genitori, Remedios...Prima della loro morte."

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Capitolo 4
*** Capitolo 4, Parte I: Remedios Sirio e Melquiades Victoria ***


Rimasi per qualche secondo a fissare quella donna, attonita. "Prima della loro morte". Quelle parole mi rimbombavano ancora nella testa, così forti da fare male. Com'è possibile? I miei genitori non sono morti, vivo con loro, Jorge e Antonela Barça. A un certo punto un bagliore di folle paura si insinua in ogni singola parte del mio corpo. Una trappola. Certo, potrebbe essere una trappola, forse vogliono trattenermi per aspettare il momento giusto per colprimi, o uccidermi, o farmi prigioniera. Mi alzo lentamente dal tavolo, le braccia penzoloni lungo il corpo. "Devo...devo andare" mormoro. Kyle mi segue con gli occhi, ancora non sicuro della mia innocenza. "Remdios" dice dolcemente Johanne "ti prego, siediti, non vogliamo farti del male." "Io sono Michelle, nessuno mi ha mai chiamata Remedios", rispondo fredda, ma sto per perdere la pazienza. "Ti sei mai chiesta perchè?" "Forse perchè è un brutto nome?" inizio a diventare ironica. "Tua madre ti chiamava Remedios." "CHE NE SAI DI MIA MADRE?!?" sbotto. Non ne potevo più. "Avete preso la persona sbagliata. Io non sono mai stata qui, non ho mai visto questo postaccio e non conosco nessuno di voi. Lasciatemi andare adesso." Johanne si dirige verso un mobile antico e apre un cassetto. Prende delle fotografie un po' ingiallite e le poggia sul tavolo. "Se non vuoi credere a me, crederai a loro", mi dice. Mi avvicino esitante al tavolo, ma allo stesso tempo la curiosità mi sta divorando viva. Prendo in mano le foto. Nella prima ci sono Johanne con un bambino di circa 5 anni in braccio (che era ovviamente Kyle) e un uomo accanto...L'uomo che prima avevo visto morire davanti ai miei occhi. Accanto a loro c'era un'altra coppia. Una donna dell'età di Johanne con capelli sciolti sulle spalle colore castano scuro e un uomo con gli occhi castano-dorati, proprio come i miei, alto e bello, con i capelli ricci. Guardo la bambina che aveva in braccio e scoppio a piangere, lanciando la foto sul pavimento. Avevo visto quella bambina milioni di volte. Avevo imparato a riconoscere i suoi occhi, le sue labbra, la forma del suo naso e le sue guanciotte rosse nei lineamenti della ragazza che ogni giorno mi saluta dall'altra parte dello specchio. Quelle foto erano ovunque a casa mia. Quella bambina ero io. "Lo so, è difficile" mi consola Johanne che nel frattempo si era avvicinata a me e mi aveva abbracciata. "Ma la verità non può rimanere sepolta per sempre." Anche Kyle stava guardando la foto. Lo sento mormorare "allora è vero." Johanne mette su una camomilla. Mi siedo nuovamente al tavolo, mi sento troppo debole per restare in piedi, e ho paura di svenire da un momento all'altro. "Spiegami". Aspettiamo che la camomilla sia pronta, e poi Johanne si siede con me. "La storia è molto lunga, ma bellissima. Quindi ascoltami bene e non essere triste per quello che hai perso, ma per ciò che hai ora ritrovato. Tua madre si chiamava Remedios Sirio, la conoscevo da quando eravamo bambine. E' sempre stata una donna dolce, buona ma anche determinata e testarda. Era la mia migliore amica, l'unica che sapesse capirmi senza parlare. Le confidavo tutto, ogni singola cosa. Quando mi innamorai di mio marito lei fu la prima a saperlo. Ero ancora una ragazza." "A proposito di tuo marito, lui è ancora..." non ci avevo pensato. Lo avevano lasciato lì per terra. "Non possiamo nè prendere il corpo nè dargli sepoltura. Il regime è molto potente, se lo facessimo ci troverebbero subito e ci ucciderebbero per aver dato le onoranze funebri a un ribelle. Mio marito stesso mi ha fatto giurare che se fosse morto non avrei toccato il cadavere". Johanne stava piangendo. "Comunque stavamo parlando di tua madre, una donna davvero forte". In quel momento volevo tanto aggiungere "proprio come lo sei tu", ma non ci riuscii. "Da giovane, quando io conobbi Daniel e ci fidanzammo, tua madre conobbe l'uomo che vedi in foto. Melquiades Victoria, tuo padre. Melquiades era un uomo buono, tranquillo, silenzioso ma anche scherzoso, allegro, volenteroso. Già da ragazzo aveva delle idee di libertà e ugualglianza molto ben radicate, infatti faceva parte di piccole comunità di studenti, ragazzi che avevano un sogno: quello di liberare per sempre Suburbia dal regime totalitario che anche allora la governava." "Quindi Suburbia è sempre stata così?" questo non lo sapevo, mi sembrava che ultimamente la situazione fosse peggiorata. "No. E se non lo è stata per un lungo periodo lo dobbiamo proprio a Remedios e Melquiades. Tua madre non hai mai amato queste cose politiche, anche se la ribellione avrebbe fatto proprio per lei, dato il suo carattere. Ma Melquiades...beh, con lui è impossibile non cambiare idea. Quando tua madre mi disse che stava con lui non ci potevo credere." In quell'istante Johanne aveva gli occhi pieni di luce, la luce dei ricordi, quelli che non sbiadiscono come le foto ingiallite. "Erano così tremendamente uguali per stare insieme, eppure pieni di differenze. Remedios soffriva il freddo, Melquiades non sopportava il caldo, che invece a Remedios andava benissimo. Litigavano sempre su se dormire con le finestre aperte o no. Remedios era permalosa, aveva un bel caratterino, rideva sempre, era un uragano di espressività ed emozioni, mentre Melquiades era riflessivo, calmo, forte. Remedios era un'animale senza controllo, e Melquiades era dotato di un autocontrollo strepitoso, ma era anche vivo, passionale. Ma se c'erano delle cose su cui erano uguali erano la testardaggine e l'orgoglio. Erano complementari, non potevano vivere l'uno senza l'altro. Si sono amati tantissimo, erano la coppia più bella che avessi mai visto". Le lacrime scendono sulle mie guance, le sento scivolare giù, calde e salate e arrivano fino alle labbra. Quello che dice è vero, lo sento. Sento di appartenere a Remedios e Melquiades, non so perchè, ma lo sento. E' come se i ricordi si stessero svegliando in me, come se fosse una vita passata che avevo dimenticato per così tanto tempo. Si amavano, erano giovani, belli. Avevo sempre pensato che i miei genitori avrebbero dovuto essere così. "Vai avanti Johanne, ti prego." "Si sposarono poco dopo di me e Daniel. Dopo un anno sei nata tu. Kyle invece aveva già quasi due anni. Io e mio marito siamo stati i tuoi testimoni di battesimo. Quei due...erano irrefrenabili! Iniziarono a beccarsi su come dovevano chiamarti. Tuo padre diceva che Michelle era un nome bellissimo, dolce ma deciso, e gli piaceva. Tua madre...Non ne parliamo! Era la tradizione: tu dovevi chiamarti come lei, come sua madre e come tutte le donne della famiglia Sirio. Quindi, dato che non riuscivano a decidersi, convennero di chiamarti Michelle Remedios..Con la differenza che in vita mia non ho mai sentito tuo padre chiamarti Remedios nè tua madre chiamarti Michelle". Johanne scoppia a ridere. "Che tipi che erano quei due! Al tuo battesimo tua madre, sempre la solita, andava in giro a chiedere a chi somigliassi di più. Arrivò il fatidico momento in cui chiese la mia opinione e io dissi che avevi gli occhi di tuo padre e il resto di tua madre. E in effetti è vero. Nel frattempo, tua madre si era fatta contagiare dalla passione per la libertà politica di Melquiades ed era entrata anche lei a far parte dell'esercito contro il regime, così come me e Daniel. Il rapporto tra i tuoi era pieno di sfumature particolari. Per esempio, Meme, adoravo chiamare tua madre così, si faceva totalmente coinvolgere dalle passioni di Melquiades. Era molto ricettiva, come se assoribisse qualsiasi cosa come una spugna. Era una donna molto entusiasta. Dal giorno in cui Meme decise di entrare nell'esercito, si allenò duramente e non lasciò mai tuo padre solo in battaglia. Quando Suburbia diventò più potente, l'esercito del regime inziò a fare vere e proprie stragi. Io e Daniel ci ritirammo, avevamo Kyle da crescere. Tuo padre e tua madre invece continuarono a combattere. Dicevano che lo facevano proprio per te, per darti un futuro migliore, un posto migliore dove vivere. Erano sicuri di non morire, e dicevano che se fosse successo tu un giorno avresti capito il perchè erano morti, e li avresti ammirati. L'esercito alleato diventava sempre più forte e pieno, e arrivò il giorno. A capo della spedizione che doveva finalmente scacciare il regime da Suburbia c'erano proprio Remedios e Melquiades. Si batterono con onore e vinsero. Suburbia era finalmente salva. Tua madre e tuo padre furono acclamati come eroi, e tu come la nuova eroina, figlia dei Victoria, che avresti sempre protetto Suburbia. Era la sera dei festeggiamenti. Tuo padre aveva un completo nero, e tua madre era bellissima in quel suo vestito rosso. Nessuno si aspettava quello che sarebbe sucesso quella notte. Tornavamo a casa dai festeggiamenti, io, Daniel, Remedios e tuo padre che ti teneva per mano, eravamo vicini di casa. Ci stavamo salutando quando sentimmo un rumore dietro un cespuglio attorno al nostro giardino. Nemmeno il tempo di voltarsi. Un uomo armato balzò fuori dal buio e puntò il fucile contro tuo padre. Ma Meme fu più veloce, e si scagliò davanti a lui per proteggerlo, prendendosi la pallottola. Morì quasi sul colpo. Tuo padre non ebbe nemmeno il tempo di soccorrerla, un altro sparo ed era anche lui a terra. L'uomo guardò me e Daniel che gridavamo aiuto, ma non ci ferì. Nel caos non ci accorgemmo che quello sconosciuto ti aveva rapita per portarti chissà dove. Quando me ne accorsi era già salito su un auto. Ti cercammo ovunque, ma da allora non si ebbero più notizie di Michelle Remedios, figlia di Melquiades e Remedios Victoria. Tutti hanno creduto che fossi morta. E invece eccoti qui, e prometti che sei tornata per restare. Bentornata, Michelle."

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Capitolo 5
*** Parte 1, Cap V: Annuncio di guerra ***


La verità non è mai leggera. La verità ti piomba addosso, ti stravolge. E' pesante, come un cielo di cemento. E' complessa, piena di infinite sfaccettature. La verità non è mai assoluta. E' piena di parzialità nascoste, di cose non dette o da scoprire. La verità è come la vita, finchè non la vivi sulla tua pelle non potrai mai conoscerla. Ed è proprio così la verità che mi è crollata addosso in questo momento. La mia vecchia vita. Forse la mia casa è ancora qui intorno, con i vecchi mobili e le foto ingiallite come queste qui di Johanne. Forse avevamo un animale domestico? Un cane, un gattino? Sarà ancora vivo? Forse avevo una stanzetta tutta mia, e tanti giocattoli, tanti peluche, proprio come piacciono a me. Magari avevo un bel balcone su cui oggi sarei potuta uscire e guardare il cielo di questa notte di luna piena.

E magari, lì intorno, c'era il posto in cui avrei trovato la lapide dei miei genitori. Magari su c'era la scritta "A Remedios e Melquiades Victoria, gli eroi che hanno liberato Suburbia dalla tirannia". Il solo pensiero mi fa scattare dalla sedia su cui ero sprofondata. L'adrenalina scorre nelle vene, la sento veloce come una macchina da corsa. Dovevo trovare quel posto e andarci. Dovevo assolutamente rivederli ancora una volta.

"Dove sono i loro corpi?" chiedo a Johanne, che mi guarda con aria interrogativa. "I corpi dei miei genitori, dove sono sepolti?"

Johanne sospira. "Remedios...Non ci sono."

"Non ci sono? Che vuol dire?"

"Vedi...Da quando il regime è tornato a governare Suburbia qualche settimana fa, ci sono stati alcuni...cambiamenti."

"Cambiamenti?"

"Le lapidi dei tuoi sono state distrutte perchè non si alimentasse mai più in futuro la voglia di rivoluzione, per distruggere con esse le imprese che Remedios e Melquiades hanno compiuto. C'è stato un grande incendio qualche giorno fa e..."

"Dov'è la mia casa? La casa dove vivevo?"

"Il punto è proprio questo. Hanno dato fuoco anche alla tua vecchia casa, e anche alla nostra. Non hanno lasciato nulla. Solo tanta cenere."

In un impeto di rabbia, scaravento la sedia a terra.

"Scusami, scusami...Non volevo" dico a Johanne, rialzandola.

Cosa si fa in questi casi? Ho scoperto tutta la verità. Ho visto cosa ha fatto Suburbia a questa gente, la MIA gente. Ho sentito le urla di dolore provenienti da un passato molto vicino a me. Sento la rabbia di persone e persone che sono morte cercando di far valere la libertà, la vita, i diritti degli uomini. Una rabbia incontenibile, una rabbia non mia, ma è come se lo fosse.

Johanne rialza la sedia sorridendomi, tranquilla.

"Devo chiederti un'ultima cosa Johanne. Parlami del regime. Voglio sapere ogni cosa, come si muove, come agisce. Devo sapere tutto ciò che sapete voi."

"Io non sono più tanto informata. Dopo la morte dei tuoi sono stata così delusa da questa città che ho deciso di mollare e ho abbandonato le armi. La gente di Suburbia ormai ha aderito al regime. Si stanno rassegnando tutti. Chissà se c'è ancora speranza per salvare questa città...Se i tuoi fossero ancora vivi, glielo farebbero vedere come si prende in mano la situazione. Comunque, puoi parlare con Kyle. Lui è arruolato nell'esercito."

"Quindi c'è ancora un esercito?"

"Si. Si stanno appena riorganizzando."

"Bene ehm...Kyle, allora...puoi aggiornarmi?" chiedo a Kyle. Sono in imbarazzo, credo che lui non mi odi più, ma si stia sforzando di mantenere le sue posizioni di distacco.

"Ok." Apre nuovamente il vecchio mobile e tira fuori un mucchio di fogli, carte, appunti. Si siede al tavolo sparpagliandoli davanti a sè. Mi accorgo che sono informazioni sull'esercito nemico, foto dei loro membri, reati da loro compiuti. Poi ci sono piantine della città e piani d'azione per eventuali attacchi alla sede principale, che da quanto leggo si trova a Suburbia Nord.

Kyle prende in mano uno dei fogli. "Che lavoro hai detto che fa tuo padre? Beh, dovrei dire il tuo patrigno." chiede all'improvviso scrutando gli appunti con aria torva.

"Non l'ho detto..Non lo so precisamente, tempo fa mi disse di essere un semplice addetto alla sicurezza..."

"Modesto il bastardo", ringhia Kyle passandomi il foglio. Sopra di esso campeggia il nome scritto in rosso "Jorge Barça: generale dell'esercito nemico di Suburbia".

Il documento proseguiva con la sua foto e i dati anagrafici.

"Bene, ora sai che è meglio per te prendere le distanze da questa gente."

"Già fatto, Kyle". Non sono affatto preoccupata o spaventata da questa scoperta. Provo solo una rabbia indescrivibile e una sensazione di ribrezzo per aver vissuto sotto lo stesso tetto con quel mostro.

"Devo chiederti delle cose, Kyle. E' il regime che vi ha ridotto in questo stato di povertà? E poi... Perchè le foto di quando ero bambina le hanno i miei...beh, loro? E perchè mi hanno adottato? Una persona come il colonnello Barça non dovrebbe essere a conoscenza delle mie origini?"

"Per quanto riguarda le nostre condizioni economiche, si, Suburbia ci ha ridotti così. Devono aver capito o solo sospettato che ci fossero dei ribelli in questa famiglia. E così hanno smesso di farci arrivare luce e gas. Lo stesso vale per la linea telefonica. L'unica cosa che ancora ci è concessa è l'acqua, ma a giudicare dalla quantità ci toglieranno presto anche quella. Delle foto non so nulla di certo, ma ci sono molte voci che dicono che l'esercito nemico dopo aver ucciso i tuoi genitori sia entrato nella tua vecchia casa e abbia fatto razzia di qualunque cosa trovasse. Trovate le foto, queste sarebbero state consegate all'allora colonnello Barça."

"Perchè?"

"Perchè si è quasi certi che il mandante dell'omicidio di Remedios e Melquiades e del tuo rapimento sia stato il generale in carica prima di Barça, Bartero. Lui ti avrebbe fatto rapire per far si che tu non fossi mai venuta a conoscenza delle tue radici. Sapeva bene che i Victoria erano molto amati dal popolo, non poteva rischiare che un giorno tu formassi un nuovo esercito per annientare Suburbia. Insomma, il vecchio generale avrà pensato che buon sangue non mente, e quindi decise di affidarti al suo fidato colonnello Barça, che si affrettò a costruire una copertura efficace, ovvero a creare dei ricordi plausibili del tuo passato con loro, per non farti mai dubitare della tua appartenenza a quella famiglia. Così rubò le foto in cui apparivi solo tu, e il gioco era fatto."

Non sapevo più se provare rabbia per i crimini di questo orribile regime o ribrezzo per aver vissuto a stretto contatto con delle persone così malvagie.

"Un'ultima domanda Kyle: di cosa si occupa il regime ora? Perchè è tornato? Cosa vuole da Suburbia?"

Kyle sospirò. "Vuole finire quello che aveva iniziato: conquistare le menti delle persone ed espandere il territorio. Pensaci: cos'è più potente dell'unità degli uomini, della concordia tra le personee? Nulla. E' questo il motivo della propaganda di omologazione. Devono tutti sentirsi parte di qualcosa di più grande che li abbraccia, li fa sentire importanti. Devono sentirsi tutti uguali. Devono avere gli stessi mezzi di comunicazione, gli stessi vestiti, persino lo stesso modo di pensare...E il regime non fa altro che far finta di dargli ciò che loro vogliono: unità, benessere, tecnologia avanzata. Un regime furbo non inizia una guerra per conquistare un popolo: un regime furbo dà al popolo quello che vuole....e sarà proprio il popolo a decidere quando entrare in guerra.”

"Quindi...secondo te prima o poi ci sarà una guerra?"

"Si. E quando tutta Suburbia avrà aderito al regime...Beh, ogni singola persona che vedi oggi per strada sarà parte del loro esercito. Bisogna stare pronti.”

“Bene. Io mi arruolo nell'esercito. Voglio combattere.”

“Perfetto” disse Kyle con un sorrisetto, e si affrettò a scrivere il mio nome nella sua lista. Johanne si girò a guardarmi con un'aria malinconica e gli occhi pieni della luce dei ricordi. “Remedios Victoria...Proprio come ai vecchi tempi”, concluse.

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Capitolo 6
*** Parte 1, Cap VI: Addio! ***


"18 giugno 2011, ore 10:30 A.M.
Ho deciso di scrivere un diario per fissare su carta i miei pensieri e i miei programmi e obiettivi futuri. Sono passati due giorni da quando sono entrata a far parte dell'esercito. Johanne mi ha ospitato qui, e Kyle mi ha forrnito le informazioni base sulla ribellione: pare sia guidata da un certo Jimmy, un ribelle che è quasi venerato qui a Suburbia...Tanto che lo chiamano "St.Jimmy", o "Jesus of Suburbia". Ne ho già sentito parlare.
Kyle mi ha anche dato delle armi. Ora devo imparare ad usarle. Non ho mai tenuto una pistola in mano in vita mia, e ad essere sincera il pensiero di potere o dovere uccidere qualcuno mi fa rabbrividire. Ma questa è la guerra, no?
Mi sento così frenetica ultimamente. Ho voglia di agire, ho voglia di liberare questa città...proprio come hanno fatto i miei genitori...E' assurdo. Fino a qualche settimana fa nemmeno sapevo dell'esistenza di Melquiades e Remedios...E ora mi  mancano da morire. Ho bisogno di loro. Non ho mai provato la sensazione di avere una famiglia, di sentire il suo affetto...Quella che credevo fosse la mia famiglia non ha fatto altro che maltrattarmi. Non riesco a dimenticare quante volte li ho sentiti surrurare, chiusi nella cucina di casa mia, sul mio futuro..Sul fatto che non ero buona a nulla, che non avrei mai fatto niente di buono nella vita, che sarei diventata una sbandata, che la mia vita era uno spreco. Tutto il dolore che mi porto dentro da anni sta diventando una rabbia furiosa, omicida, animale. E mi sento una pantera: pelle nera, occhi dorati, resto immobile nella notte e aspetto una preda che prima o poi, ne sono sicura, arriverà.
"

"REMEDIOS!" Kyle urlava il mio nome, bussando con forza alla porta del bagno. Era l'unico posto in cui potevo rintanarmi per scivere, la loro casa era molto piccola, tant'è vero che Kyle mi aveva ceduto il divano e lui dormiva rannicchiato per terra.
Forse ero chiusa lì dentro da troppo tempo? Magari Kyle deve usare il bagno. Esco.
"Scusa, non mi ero accorta..."
"REMEDIOS, DEVI SCAPPARE, SUBITO!"
"Cos..Che cazzo dici?" Kyle aveva un viso pallidissimo, cinereo, sembrava terrorizzato.
"Un informatore dell'esercito mi ha appena detto che hanno scoperto che sei qui, stanno arrivando, Remedios, DEVI ANDARTENE!"
Come avevano fatto a trovarmi? Cosa faccio ora, dove vado? Non possono prendermi ora, non devono. Mi abbandono alla paura e faccio sì che il mio istinto di sopravvivenza prenda il sopravvento sulla mia parte razionale., ponendo fine alle mie domande. Senza pensarci raccatto le mie cose nello zaino.
"Ascoltami" dice Kyle in fretta "Vai a Suburbia Est, trova la 27esima strada, sai dov'è?"
"Beh, conosoco la 24esima.." la conosco fin troppo bene. 24th East Street, l'avevo percorsa un sabato mattina mano nella mano con Browneyedboy. Il ricordo dei suoi occhi marroni, della sua pelle abbronzata, mi fa chiudere lo stomaco in una morsa tremenda. Ma non è il momento dei sentimentalismi, dovevo scappare. Di nuovo.
"Ok, è da quelle parti. Devi camminare per qualche chilometro. Nella 27esima c'è una casa abbandonata, è al numero 7, ci abitavano i miei zii, ribelli anche loro, che sono scappati da Suburbia per non rischiare di essere presi. Non ci abita nessuno da anni, dovresti essere al sicuro almeno per ora."
"Per ora?" Possibile che dovrò scappare un'altra volta?
"E' meglio se non resti da sola. E poi credimi, il regime non ci metterà molto a trovarti. Sei la figlia illeggittima di Barça, mobiliterà tutto l'esercito per la tua ricerca. Stanotte verrai portata in un luogo più sicuro, ma non ho tempo per spiegarti. Prendi questo"  scrive qualcosa su un pezzo di carta " è il mio numero di telefono. Chiamami appena arrivi o se hai problemi a trovare il posto. E prendi anche questa", e mi porge una pistola. Respiro profondamente. Probabilmente tra qualche ora le mie mani così piccole e innocenti dovranno strappare via la vita di un uomo.
"Non fare quella faccia, Remedios, avanti!" ringhia.
Prendo la pistola, metto sul il berretto e guardo gli occhi azzurri di Kyle, forse per l'ultima volta. Chissà se potrò mai tornare a trovarlo, ora che sono una ricercata.
"Grazie di tutto quello che hai fatto per me. Spero di rivederti, Kyle. Mi dispiace che tua madre non sia in casa, volevo salutare anche lei. Ringraziala da parte mia per avermi ospitato. Allora...Addio."
"Addio". Sempre la sua solita freddezza.
Sto per aprire la porta. Sento la mano fredda di Kyle prendere la mia e tirarmi verso di sè. Imprevedibilmente, mi abbraccia.
"Spero di rivederti anche io, Remedios. Non farti prendere. Sei l'unica speranza di Suburbia. Buona fortuna", sussurra.
Sorrido e lo saluto con un cenno della testa. Apro la porta. Il sole mi abbaglia e il cielo è azzurro e limpido. Oggi, 18 giugno 2011, corro per salvarmi la vita.

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Capitolo 7
*** Parte 1, Capitolo VII: 24th East Street ***


Ok, ricapitoliamo la situazione. Mi stanno cercando, devo continuare a correre sotto questo sole bollente per, almeno credo, un'altra mezz'oretta. Devo raggiungere la 27esima strada, arrivata lì devo chiamare Kyle, farmi spiegare dove sia questa casa abbandonata e fermarmi lì per tutto il giorno. Stanotte qualcuno, che non so nemmeno chi sia, verrà a prendermi per portarmi in un luogo più sicuro.
Nel frattempo, ho bisogno di fermarmi.
Sono distrutta, ho il fiatone e le mie gambe non mi reggeranno per molto. Faccio ancora qualche passo e imbocco una strada in discesa. Ci sono molti alberi e negozi, e una sensazione inspiegabile di tranquillità e pace mi pervade improvvisamente. Qualcosa dentro di me era scattato, come un sensore che mi stava avvertendo che il posto era vicino, che lì potevo sentirmi protetta.
Svolto a destra e ho la conferma che il mio sesto senso non aveva sbagliato: mi ritrovo lì', sulla 24th East Street. Da casa mia non ci voleva così tanto, ma ovviamente la casa di Johanne era da tutt'altra parte della città. Devo aver fatto un'altra strada, sicuramente più intricata e più lunga.
E' così strano ritrovarsi qui...L'ultima volta che c'ero stata camminavo mano nella mano con Browneyedboy, un soleggiato sabato mattina . Davanti ai miei occhi appaiono i ricordi sbiaditi di me e lui, che giochiamo a rincorrerci e riprenderci, sorridendo, felici, innamorati. Mi si stringono cuore e stomaco: dove sarai ora? Dove sono finiti i giorni felici, i baci rubati, i sussurri all'orecchio, la tua pelle abbronzata, i tuoi occhi marroni....
I tuoi occhi marroni. Sarei riuscita a distinguerli tra milioni di persone. E' proprio per questo che oggi, 18 giugno 2011, non posso sbagliarmi. Quel ragazzo che mi sta fissando, a qualche metro da me, con i suoi enormi occhi grandi come la luna, del colore del legno, immobile sulla 24th East Street,è proprio lui, Browneyedboy.
L'emozione di rivederlo è così forte che la testa mi inizia a girare spaventosamente, seguita da un tremendo attacco di nausea.
Il destino ha evidentemente una grande ironia quando si tratta di scegliere i luoghi e i tempi di incontri del genere. Stessa strada, stessa ora del giorno, stesso sole meraviglioso, stesso cielo limpido.
Ci fissiamo per qualche secondo, poi lo vedo abbassare lo sguardo, pronto ad andare via, come ormai ero abituata a vederlo fare.
NO. Stavolta non lascerò che se ne vada senza prima avergli parlato. Io non merito questo, non merito la sua indifferenza.
"Browneyedboy!", lo chiamo. Lo raggiungo, fermandolo per un braccio.
"Michelle..."
"Non penso di meritare la tua indifferenza", inizio. Sto tremando, e so che le lacrime non tarderanno molto a scorrere sul mio viso, bollente per il sole e per l'emozione.
"Non volevo...E' solo che...Non riesco nemmeno a guardarti negli occhi dopo tutto quello che è successo." Il suo tono sembra un mix di rassegnazione, tristezza e indifferenza. Ma non mi importa, io devo provarci, lui deve sapere. Deve sapere che lui è in pericolo, come tutta Suburbia, devo salvarlo, devo salvarlo dal lavaggio del cervello ci questo fottuto regime. E poi deve sapere che lo amo. Che da quando non è più nella mia vita i miei giorni sono troppo brevi e le notti interminabili.
"Browneyedboy, devi ascoltarmi ti prego. Devo parlarti...E non solo di noi. Ci sono molte cose importanti che devi sapere."
"Michelle..."
"La persona che ha parlato con te non era mio padre. Ho saputo tutta la verità. I miei veri genitori sono morti, sono stata adottata! La persona che ti ha costretto a lasciarmi è un generale di Suburbia...Non so come dirtelo, ma questa città sta cambiando. E' arrivato un nuovo regime, ci sarà una guerra e tutti quelli che aderiscono a questa tremenda propaganda di omologazione faranno parte del suo esercito! Suburbia è governata da persone orribili, non hai idea dei crimini che..."
"Michelle, basta."
A queste parole segue un silenzio pesante, paralizzante, come catrame sulla pelle. Un silenzio cupo, che fa sembrare quella bella giornata di sole un giorno di tempesta.
"Non voglio più sentire parlare di questa storia. Non voglio più sentire parlare di tuo padre, non mi interessa se lo è o no, questa storia è durata già troppo. E per quanto riguarda Suburbia...Beh, io adoro questa città. Quindi non cercare di convincermi di fare il contrario."
"Non vuoi più sentir parlare nemmeno di noi?", inizio a piangere. Sento il peso dell'addio che sta per dirmi, di tutta la solitudine, la tristezza, la rabbia che ne seguirà.
"Dai, Michelle...non piangere, mi fa stare male vederti così." Si avvicina e poggia le sue mani sui miei fianchi, tirandomi al suo corpo.
"Ascoltami...hey, guardami." Mette un dito sotto il mio mento e mi costringe a guardarlo negli occhi. "Io a te ci tengo tantissimo. Sei la prima ragazza per cui ho provato delle cose così forti. E dico sul serio, non è solo una frase di circostanza. Ma ho bisogno di tempo. Non mi sento più come prima, quell'incontro con tuo padre mi ha spaventato...E non riesco a non ricollegare la situazione a te."
"Ma almeno riproviamoci, ti prego..Non buttiamo tutto via...Io sono la stessa ragazza che baciavi qualche settimana fa.", il pianto mi causa un doloroso nodo alla gola, sento il respiro spezzarsi.
"Infatti non dico che non possiamo mai più stare insieme...Magari tra un po' mi passerà tutto. E questa non è una scusa per divertirmi nel frattempo con altre ragazze, so che potresti pensare una cosa del genere, ma fidati di me. Ok?"
Non ho più nemmeno la forza per pronunciare un "sì" stentato. Mi limito a fare un cenno con la testa. Browneyedboy si avvicina e mi abbraccia forte. Sento il suo solito profumo dolce e bellissmo che mi avvolge e non riesco a non singhiozzare ancora più forte. Aspetterò, giorni, anche mesi se vuoi, ma dimmi che ci saranno altri momenti in cui mi abbraccerai così e il tuo profumo rimarrà sulla mia pelle e sui miei vestiti; questo è quello che vorei dirgli, ma non riesco a parlare.
"Non piangere, piccola", sussurra.
Non vorrei sfuggire dal suo abbraccio, ma inizio a percepire che c'è qualcosa che non va. Alle sue spalle noto due militari che parlottano. Li vedo lanciarmi qualche sguardo torvo e poi consultarsi. Poi rivolgono di nuovo lo sguardo a me. Mi divincolo dalla stretta di Browneyedboy
"Che succede?" mi chiede Browneyedboy, voltandosi di scatto nella direzione in cui guardavo.
I militari avevano capito che ero io. E improvvisamente, con uno scatto si lanciano nella mia direzione.
I miei sensi sono tutti in allerta, il mio istinto di sopravvivenza fa il suo dovere. Sento le mie gambe correre veloci, come se avessero iniziato a muoversi prima che il mio cervello avesse dato l'ordine.
L'ultima immagine che appare sulla mia retina è il viso pallido di Browneyedboy, pietrificato dalla paura che potessero prendermi.

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Capitolo 8
*** Parte 1, Cap VIII: Sangue e lacrime ***


Respira, respira. Svolta a destra, corri, svolta a sinistra, corri più veloce, ti raggiungono Remedios, cazzo, non mollare.
Rivolgo queste esortazioni a me stessa, perchè in tutta questa situazione, se non rimango presente, se non mantengo la calma, rischio di impazzire.
Ho percorso non so quanti altri metri, forse sarò arrivata a circa 2km senza fermarmi. I due militari mi stanno ancora alle costole e sembrano non voler mollare la presa.
Nella mia vita, non sono mai stata abituata a scappare. Ho sempre affrontato i problemi, e se proprio non si poteva, non mi sono sottratta ad essi, ma ho incassato i colpi con silenziosa diginità. Ma stavolta le strade erano due: o scappare o uccidere. E io non mi sento ancora pronta per vedere un uomo morire per causa mia.
Non so dove sto andando, ho perso completamente l'orientamento. Supero case, parchi, magazzini e fermate di metropolitante, svolto ancora una volta e...Fine della corsa. Mi sono appena infilata in un vicolo cieco.
Corri Meme, cazzo, torna indietro!
Faccio dietro front. Quello che trovo davanti a me mi fa sussultare così forte che sento un lancinante dolore al torace. Mi hanno trovato. Le due guardie sono lì davanti a me con il fucile puntato.
"Hai finito di scappare, bambolina" sussurra sardonica una delle due guardie. "Finalmente abbiamo l'onore di conoscere la famigerata Michelle. Torna con noi e non ti faremo nulla."
"Esattamente, non devi avere paura." L'altra guardia aveva una voce bassa, suadente e maliziosa. Mi facevano schifo entrambi. "Sei così giovane e carina" si avvicina a me stringendomi il viso con una mano.
"TOGLIMI QUELLE SCHIFOSE MANI DI DOSSO!" Urlo, e tiro una forte ginocchiata al basso ventre del militare, che cade a terra urlando di dolore.
"STUPIDA PUTTANA!"
Accade tutto così velocemente. Il militare si rialza dolorante e infuriato, mi punta il fucile contro, deciso a sparare. Ma io sono più veloce. E' arrivato il momento, sono costretta. Prendo la pistola (evidentemente non si aspettavano che ne avessi una) e gli sparo un colpo deciso al petto. L'altro rimane colto di sorpresa dalla situazione, e mentre si avvicina per soccorrere il compagno a terra in una pozza di sangue, ed attaccarmi, sparo anche a lui ad una gamba.
La scena che ho davanti a miei occhi è orribile, troppo forte per me. Non avrei voluto uccidere qualcuno. Sono divisa tra la paura e i sensi di colpa, la testa inizia a farmi male per i troppi, vorticosi pensieri che mi affollano la mente, inizio a sudare freddo e ad avere conati, causati anche dall'odore metallico e penetrante del sangue.
Scappo via in lacrime. Mi sento diversa, come se non fossi più io. Come se fossi io quella rimasta a terra, senza vita, in quel vicolo cieco, come se fossi, in realtà, solo il fantasma di me stessa che vaga disperatamente per la città dopo essere uscito dal suo corpo.
Kyle. Il mio primo pensiero lucido è lui. Prendo il telefono e il biglietto con il suo numero e faccio partire la chiamata.
"Remedios, sei arrivata?"
"Kyle, ho sparato a due militari, cazzo, cazzo...Sono rimasti a terra, io non volevo, mi stavano prendendo, aiutami ti prego" , le mie parole sono solo pensieri confusi e scollegati.
"CHE STAI DICENDO? TI HANNO TROVATA? PERCHE' PIANGI? SEI FERITA?"
"Non sono ferita! NON CAPISCI, SONO STATA IO A FERIRE LORO! NON VOLEVO FARLO!" urlo e piango, in preda al panico.
"Sono morti?"
"Uno penso di si..L'altro era ferito...E stava cercando di aiutare il compagno...Io non volevo..."
"Ho capito...Non...Non preoccuparti, eri costretta, ti sei solo difesa. L'importante è che tu stia bene. Per favore, Remedios, devi restare lucida. Non perdere il controllo. Dimmi dove sei"
Facendo uno sforzo immane, cerco di recuperare il filo logico dei miei pensieri.
"Non lo so...Io...Qui c'è un pub che si chiama Old Inn."
"Bene, sei quasi arrivata. Vai ancora dritto e prendi la prima a sinistra. La casa è lì. Un ultimo sforzo, avanti, Meme."
Faccio come dice lui. Non vedo nessuna casa.
"Non la trovo, Kyle."
"C'è un piccolo parco in fondo alla strada, lo vedi? Alle spalle di questo si trova la casa. E' ben nascosta dietro alcuni alberi."
Mi dirigo dietro gli alberi, c'è una piccola radura e lì si trova una piccola casa tenuta in una zona d'ombra dai grandi rami.
"Trovata?"
"Sì."
"Ok. Ora entra e blocca la porta con qualcosa."
Apro la porta. C'è un terribile odore di muffa e polvere. La casa è ancora arredata, i mobili sono coperti da un velo di ragnatela. L'ingresso è illuminato dalla tenue luce del sole che penetra tra le foglie dei grandi pini. Quando era abitata doveva essere una casa molto bella e accogliente. Il divano è rosa con cuscini ricamati a mano, c'è un tavolo tondo al centro, un bel mobile antico e una tv d'epoca. Entro nelle altre stanze: la stanza da letto ha la carta da parati azzurra e un letto morbido e con lenzuola bianche di seta. Nel bagno c'è una bellissima vasca rotonda decorata con mosaici di pietra. Si vede che le persone che ci abitavano sono scappate in fretta, lasciando tutto così com'era. Blocco la porta con una sedia. Era un peccato però, dover lasciare una casa così bella. Magari ci avevano messo anni per arredarla come volevano, e per colpa di questo dannato regime hanno dovuto lasciarla.
"Ascoltami, Remedios" la voce di Kyle mi risveglia dai miei pensieri. "Voglio essere chiaro con te, è inutile prenderci in giro. Il militare che è rimasto in vita avrà di sicuro dato l'allarme. Questo vuol dire che sanno che sei armata. Manderanno qualcuno a cercarti. Di sicuro ci metteranno un po' per arrivare a questa casa...Ma ti troveranno. Quindi non farti illusioni, non abbassare mai la guardia. Potrebbero essere lì addirittura prima di sera. Purtroppo non puoi andare da nessun'altra parte. Questo è il luogo pù vicino e isolato che conosco, e tu hai bisogno di riposare, sei distrutta. Quindi devi assolutamente fare quello che ti dico".
Amavo la risolutezza e la capacità di prendere decisioni di Kyle. Sapeva sempre cosa fare, era sempre così riflessivo e calmo. Non ce l'avrei mai fatta senza di lui.
"Per prima cosa tieni sempre la pistola a portata di mano. Non lasciarla nè nello zaino nè in un'altra stanza. Se ti attaccano dovrai essere pronta per reagire, inoltre se te la rubano è la fine. Secondo: non accendere luci, non uscire di casa, non fare rumore. Devi essere invisibile in questo quartiere. E poi, ricorda, Remedios: non farti scrupoli. Se devi uccidere, uccidi. Se devi scappare, scappi. Se devi attaccare alle spalle, lo farai. Tieniti pronta, arriveranno. Non farti prendere, ok?"
"Farò tutto quello che dici."
"Cercherò di far si che la persona che dovrà trasferirti arrivi al più presto. Quindi chiudo, devo fare un paio di telefonate."
"Va bene."
"Ciao allora. Fatti forza, Meme."
"Kyle."
"Si?"
"Grazie...di tutto."
"Dovere". Percepivo dalla sua voce che stava sorridendo. "A presto. Buona fortuna."
Riattacca. Questo è di sicuro il giorno più lungo della mia vita. Ed è appena iniziato
.

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Capitolo 9
*** Parte 1, Capitolo IX: Vecchie conoscenze ***


Buio. Buio profondo e silenzioso. Ecco tutto quello che riesco a vedere intorno a me. Le finestre chiuse della casa abbandonata non lasciano entrare nemmeno un fioco raggio di sole. Non ho acceso nessuna luce né fatto alcun rumore, proprio come mi aveva detto Kyle. Sono immersa in questa cortina color inchiostro, incatenata al divano, la pistola sotto il cuscino, sveglia, attenta. I miei occhi scrutano l'oscurità, come se potessero vedere al buio,le mie orecchie sono pronte a captare ogni minimo rumore. Sono già passate diverse ore da quando sono qui. Guardo meccanicamente l'orologio, che segna le 18,30.

Mi accorgo che i miei occhi hanno cominciato a bruciare, le palpebre sono diventate più pesanti. Sono distrutta. Ma non posso cedere ora, non devo addormentarmi, sono troppo spaventata all'idea che possano entrare da un momento all'altro.

E pensare che fino a poco tempo fa ero solo una ragazzina che andava a scuola come tante, che sognava come tante, che si era innamorata come tante...Si, innamorata di Browneyeyboy.In questo momento, il ricordo del nostro incontro di stamattina mi sembra solo un sogno. Con tutto quello che è successo, ho avuto così poco tempo per metabolizzare quello che ci siamo detti. Ma al buio riemergono gli incubi di sempre, riemergono i ricordi strazianti, i dolori di ogni tempo, le lacrime bloccate in fondo all'anima da un'eternità. E quindi come sempre, sono di nuovo seduta in un angolo a pensare a te, e al fatto che ti avevo trovato e ti ho perso di nuovo. A cosa avremmo potuto costruire insieme, ai giorni felici che sarebbero arrivati, ai compleanni da festeggiare tra le tue braccia.

Prendo il diario e di getto scrivo poche frasi.

"Days go away, as the birthdays that

I Wanna celebrate with you

Cause I miss you, I'm alone, men just need a Little bit of love

18 giugno 2011, 18:36, casa abbandonata degli zii di Kyle."

La penna mi scivola dalle dita prima di poter scrivere altro.

Una spiaggia bianca, stupenda, infinita. Come ho fatto ad arrivare qui? Non importa. Perché ora, sono scappata dal rumore di guerre lontane e dal peso dell'odio. Sento il suono del mare cristallino, battito del cuore della Terra, ormai tranquillo e sereno, libero dalla crudeltà di tiranni ed imperi. Potrebbe essere il Paradiso Terrestre, il giardino dell'Eden, perso e ora ritrovato, in cui in una vita passata avró vissuto anche io, sotto forma di un bellissimo angelo. Cammino lasciando impronte nella sabbia, guardando la vegetazione rigogliosa e colorata intorno a me. Fiori, palme, alberi enormi. Il cielo che si specchia nell'oceano é azzurro e limpido, diventando sempre più chiaro, fino ad arrivare al bianco sulla linea orizzonte, dove un magnifico sole caldo e 100 volte più luminoso, sta sorgendo dalla parte più estrema della distesa d'acqua. Non c'è più rancore né rabbia. Solo la pace regna, regina incontrastata sul trono del mondo.

"Michelle!" L'eco di una voce familiare, dolce come una musica, arriva alle mie orecchie. Mi giro e vedo Browneyedboy che mi chiama. É abbronzato e ha i capelli ricci, gli occhi marroni risplendono quasi quanto il sole. "É così bello vederti!" sorride raggiante, abbracciandomi.

"Non capisco" mormoro, ma ricambio l'abbraccio "pensavo non volessi più vedermi."

"Io? E quando avrei detto una cosa del genere?" Scoppia in una risata divertita, innocente. Il cuore si riempie così tanto, di una gioia indescrivibile,tale da farmi piangere.

"É tutto finito, Michelle. Questo posto é solo per noi. Vieni con me" Mi porta in riva al mare e mi fa sedere accanto a lui sulla sabbia fresca e bagnata. Ci sediamo ad ammirare la bellezza di quell'angolo di paradiso.

"Mi sei mancato tanto, Browneyedboy. Non andartene più, ti prego", gli dico voltandomi a guardare i suoi occhi luminosi.

"Voglio stare con te. Non ti lascerò mai." Senza smettere di guardarmi e sorridere, avvicina la sua mano alla mia, e sento un brivido percorrermi la schiena, causato dal calore delle sue dita, dal contatto con la sua pelle..."

Con un sussulto mi risveglio, e alla candida visione della spiaggia luminosa si sostituisce quella del buio denso e penetrante. Guardo istintivamente la mia mano. Quel tocco... Sembrava così reale, com'è possibile? Ho addirittura sentito l'esatta consistenza delle sue dita! In un attimo di totale follia e speranza chiamo "Browneyedboy!". Ma ovviamente nessuno risponde. Che stupida illusa che sono. Sono da sola. Lui non c'è. Era un sogno. Lacrime di rabbia iniziano a impigliarsi tra le mie ciglia. Voglio riaddormentarmi, voglio continuare a sognare. Non voglio restare incastrata in questa realtà terribile.

Realtà..."Cazzo!" Sussurro. Ho perso la cognizione del tempo. Quanto avrò dormito? Controllo se la pistola é ancora dov'era. Tasto con le mani sotto il cuscino, senza osare guardare per la paura di poter scoprire che l'avevano presa. Tocco un freddo ed insensibile pezzo di acciaio. Ecccola li. Il cuore torna al suo consueto numero di battiti per minuto, mentre mi alzo per prendere il cellulare. Sono le 20.00. "Ero proprio distrutta" penso tra me e me. Mi chino a rimettere il telefono nello zaino, quando scorgo un'ombra proiettata sul muro di fronte a me. Il cuore ritorna a martellare nel petto come un tamburo. C'é qualcuno. Sono arrivati. Mi fiondo sotto il cuscino e prendo la pistola, voltandomi di scatto alle mie spalle. Sento dei passi che fanno cigolare il parquet della casa abbandonata, con un suono assordante e cupo in quel silenzio tombale. É qui, in questa stanza. Carico la pistola. Ho appena il tempo di finire il gesto che l'individuo,con uno guizzo repentino, mi afferra da dietro bloccandomi per il collo.

"É da un po' che non ci si vede, Michelle", sussurra quella voce orribilmente familiare, che era stata la causa di tutte le mie sofferenze fin da quando ho la facoltà di ricordarle.

ANGOLO DELL'AUTRICE: In questa storia è presente una strofa di una canzone in inglese, scritta e composta da Roberta Michelle, che ne detiene il copyright. Tutti i dirtti sono riservati.

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Capitolo 10
*** Parte 1, Capitolo X: L'ultima a morire ***


Quella scena la ho già rivista milioni di volte. Perché non é la prima volta che quell'uomo orribile, Jorge Barça, che prima ero solita chiamare "papà", mi mette le mani addosso, senza rispetto e senza pietà. Fin da quando ero molto piccola, ho sempre subito in silenzio le sue violenze fisiche e psicologiche.All'improvviso, ricordo giorni di inverno, chiusa nella mia stanza, piangendo con il viso nascosto tra le ginocchia, sperando che qualcuno mi portasse via di li al più presto, via dalle sue mani pesanti e cattive,via da quel mostro che controllava ogni singolo secondo della mia vita. E ora che finalmente ero scappata via dalle sue grinfie, non mi farò prendere di nuovo.

"Lasciami andare, stronzo!", urlo, pestandogli forte il piede con il mio. Jorge allenta la presa, lamentandosi per il dolore del colpo.

"Non é questo il modo di rivolgersi a tuo padre, Michelle", senza darmi il tempo di prepararmi all'attacco, mi scaglia uno schiaffo in piena faccia, facendomi cadere sul pavimento. Sento un liquido caldo e denso sgorgare dal naso e dal labbro superiore.

"TU NON SEI MIO PADRE!" urlo, cercando di rimettermi in piedi.

"Bene bene. Quindi sai tutto. Strano che tu l'abbia capito solo ora, dopo tutti questi anni in cui ho cercato di dimostrarti quanto schifo mi facevi,sporca bastarda figlia di ribelli!". Stavolta sono pronta a parare il colpo: Il suo calcio, che mirava chiaramente al mio viso già malridotto, finisce nella stretta delle mie braccia. Stavolta é il generale ad essere a terra.

"Quindi non vuoi seguirmi con le buone, Michelle. Peggio per te!".

Iniziava il combattimento vero e proprio. Si avventa su di me immobilizzandomi a terra, premendo forte con una mano sul mio collo e facendomi mozzare il respiro. Inizio a scalciare forte, e con una ginocchiata riesco a colpirlo nelle parti basse. Il grido di dolore del mio perfido genitore adottivo mi rimbomba nelle orecchie.

"STRONZA!", la sua furia violenta si riversa tutta nel movimento rapidissimo per prendere la pistola. Ma avevo previsto anche questo. Inizio a tirare calci a più non posso, senza neanche guardare dove. Sento il rumore sordo della pistola che piomba sul pavimento. Mi affretto a prenderla, ma stavolta é lui il più veloce. Mi colpisce alla faccia con il piede, centrando nuovamente il naso, e poi ancora e ancora, fino a che la testa non inizia a girarmi forte. Mi accorgo di non riuscire più a tenere gli occhi aperti, sto per perdere conoscenza.

"Credevi davvero di avere qualche speranza contro di me? Sei solo una ragazzina che gioca a fare la ribelle... Proprio come tua madre".

Non sto neanche ascoltando le sue parole. Penso a Browneyedboy, che non avrei più rivisto. Penso a Kyle e Johanne, a come si sarebbero sentiti alla scoperta che mi avevano presa. Penso alla vita che avrei ancora da vivere. Finisce così, quindi? Passerò il resto della mia vita in carcere, o peggio, con lui? O forse morirò prima? Sono conciata parecchio male, in effetti. Stendo le braccia a terra, lungo il corpo. E proprio facendo questo gesto disperato, le mie dita sfiorano un oggetto freddo e liscio. Non riesco subito a capire cosa sta succedendo. La pistola la aveva lui. Poi un bagliore di lucidità si insinua nella mia mente distrutta: la mia pistola, quella che mi era caduta di mano dopo che Jorge mi aveva afferrata. Il mio cuore riprende a battere più velocemente. La speranza é proprio l'ultima a morire. Muovendo la mano con cautela, avvicino la pistola, fino a poterla prendere. Era arrivato il momento, ancora una volta, di lasciare il posto all'istinto e mettere da parte la ragione.

"Non ti ucciderò..Almeno non ora. Devi fornirmi tutte le informazioni sull'esercito. Ma dopo che avrai parlato, mi sarai del tutto inutile... E non ci tengo ad occupare un'altra cella per una come te. Alzati."

Pistola, spara, fuggi. Andiamo Remedios, devi farcela!

"Ho detto di alzarti!". ADESSO! Proprio mente il generale si china per prendermi, usando tutte le forze che mi sono rimaste in corpo, mi alzo e premo il grilletto, sparando un colpo nel buio.

Le urla disumane di Barça mi fanno capire che lo ho colpito, così come il tonfo assordante mi suggerisce che si é accasciato al suolo. Non c'è tempo per controllare se é vivo, ma sento ancora il suo respiro, pesante e affannoso.

L'unica cosa che posso fare é scappare. Non riesco nemmeno a tenermi in piedi, ma la forza di volontà supera quella fisica ancora una volta, e raggiungo la porta, con la precauzione, per quanto possa servire, di chiuderla a chiave.

La notte era stellata e limpida, e persino l'oscurità quasi impenetrabile di quel boschetto abbandonato, era più rassicurante della casa da cui ero appena uscita.

Barcollo, convinta di cadere tra qualche passo. Le mie gambe si muovono automaticamente senza una destinazione precisa, dato che non riesco comunque a vedere bene dove sto andando. Davanti a me, la strada e nessuna certezza.

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Capitolo 11
*** Parte 1, Capitolo XI: Ford Mustang ***


A volte, c'è una forza più grande di me, più grande della mia stessa volontà, più grande di tutto, a reggermi in piedi. Non penso si possa chiamare semplice istinto di sopravvivenza, perchè quello lo avevo superato da un pezzo. Come identificare, allora, questa irrefrenabile voglia di continuare a camminare, senza curarmi della debolezza delle mie gambe, nè del sangue che mi ricopre il viso, nè del respiro che si fa sempre più pesante?
Forse è puro masochismo, quello che mi sta trascinando giù per questa strada buia e deserta.
Ma facciamo il punto della situazione: lo scontro con Jorge è stato parecchio violento, sono ferita al viso e probabilmente al braccio sinistro, dato che neanche lo sento più, e al ginocchio destro. Non ho nemmeno la più pallida idea di dove stia andando, di che ore sono, di cosa devo fare, di cosa ne sarà di me.
Ancora una volta, il mio primo pensiero è Kyle. Solo lui può dirmi cosa fare e dove rifugiarmi. Meccanicamente tiro fuori il cellulare dallo zaino, facendo attenzione a non coinvolgere il braccio sinistro nel movimento. Quanta strada avrò percorso? Come faccio a indicargli il luogo esatto in cui sono? E Jorge? Non mi sono assicurata che fosse morto. E se mi stesse inseguendo?
Ma che importa ormai. Tanto se non mi prende lui, morirò lo stesso. Sono troppo stanca, vorrei solo stendermi, dormire, e magari aspettare lei, la Blanca Mujer, "la donna bianca", così la chiamiamo in Spagna. Non c'è bisogno di spiegare quale sia il compito della Blanca Mujer.
Proprio in quel momento, risuona nella mia testa una vecchia canzone dal nome "Blanca Mujer". Non ricordo l'artista, ma riesco a sentire la musica nella mia testa. Un uomo cantava:

"Si quisieras ahora venir, y acabar de una vez con mi vida
Yo te lo pido, mi Blanca Mujer, que me lleves a tu eterna guarida."


E lei, la Donna Bianca, rispondeva:

"Tengo tantas ganas de ti, pero no puedo llevarte ahora.
Te toca todavia vivir, porque aun no te ha llegado la hora."


Prendo questo bizzarro ricordo musicale come un segno: "mi tocca vivere ancora, perchè ancora non è arrivata la mia ora".
Stringo il cellulare tra le mani, e cerco di guardare lo schermo, per quanto la mia vista ormai fioca mi permetta. Riesco a scorgere che la barra che segna la copertura di rete è totalmente assente. Provo lo stesso a chiamare Kyle, ovviamente invano.
Con mia grande sorpresa, nessuna paura mi assale. Niente panico, niente ansia. Nulla. Il vuoto totale, e non c'è nulla di buono in questo. Tutta la mia voglia di lottare ha ceduto il posto ad una tremenda rassegnazione: non mi era mai successo in tutta la mia vita.
Per cosa sto correndo? Per cosa vivo?
Le mie gambe si arrestano automaticamente, e in quel preciso istante tutto è così chiaro, nitido. Orribile, certo, ma almeno nitido.
E' finita.
Sento il vento sulla mia pelle, il suo rumore tra gli alberi del boschetto abbandonato. Che senso ha vivere scappando, correndo per non essere trovata, nascosta, senza poter fare nulla di ciò che fanno le persone normali, in guerra perenne, senza un luogo sicuro dove stare? Io non voglio fare una vita del genere.
Non voglio rinunciare ai miei anni migliori, alla mia giovinezza, alla mia libertà, alla possibilità di innamorarmi, e di avere una famiglia, un giorno.
Non voglio rinunciare ad essere una ragazza come le altre, che esce con le amiche il sabato sera, che passa i pomeriggi stesa sul letto ascoltando musica, e sognando il prossimo appuntamento con il ragazzo che le piace.
Non voglio rinunciare ad un letto comodo in cui dormire, un pasto caldo ogni sera, vestiti puliti, la doccia di fine giornata.
Esattamente. Questa sono io. Sono egoista, sono ambiziosa, sono egocentrica. Sono anche io uno dei tanti e tanti specchi del regime di Suburbia, che riflette la propaganda di omologazione, di conformismo.
Combattere non ha alcun senso.
Cammino di nuovo, ora so dove sto andando. Non so come sia possibile, ma conosco il luogo, so che è vicino, che tra poco sarò arrivata.
La mia intuizione è corretta, ancora una volta l'istinto non si sbaglia. Ho percorso qualche metro, e davanti a me c'è un enorme edificio dalla sagoma perfettamente squadrata, quasi un cubo perfetto. Era la sede delle Forze dell'Ordine di Suburbia Est.
Ho preso la mia decisione: enterò e mi consegnerò a loro. Confesserò tutto, magari darò informazioni utili, così non mi condanneranno all'ergastolo, o peggio alla pena di morte. Una parte di me è completamente ripugnata dai miei pensieri e da quello che sto per fare, ma cerco di metterla a tacere chiamando in causa il lato oscuro, che vuole a tutti i costi chiudere questa storia.
Prendo un gran respiro, e mi avvicino. La forma dell'edificio si fa più chiara ai miei occhi stanchi. Riesco addirittura a scorgere i volti delle due guardie che presiedono l'entrata: due ragazzi sulla trentina, che si erano appena accorti della mia presenza e avevano iniziato a parlottare, guardandomi sempre più insistentemente.
Entrambi sembrano colti da un'illuminazione improvvisa, come se avessero avuto un apparizione. Uno dei due sussurra il mio nome all'altro. L'ultima cosa che riesco a vedere sono le due guardie che iniziano a muoversi per raggiungermi; perchè all'improvviso una Ford Mustang nera  come l'inchiostro, che sembra sbucata dal nulla, mi si piazza davanti, occupando tutto il mio campo visivo.
Non riesco a vedere chi la guida. Sento solo una voce. Avrebbe potuto somigliare a quella di Kyle il primo giorno che l'ho conosciuto, se non fosse per il fatto che questa era molto più fredda, molto più calma e senza traccia di emozione alcuna. E proprio per questo, molto più terribile.
"Sali", ordina la voce. Accade tutto in una manciata di secondi: una mano gelida e dalle dita lunghe e sottili afferra il mio polso, tirandomi di peso nell'auto.

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Capitolo 12
*** Parte 1, Capitolo XII: Jesus Of Suburbia ***


La Ford Mustang nera riparte a tutta velocità, prima che le due giovani guardie potessero avvicinarsi a me. Appena usciamo da quella radura, le luci della città riprendono a splendere, come stelle cadute dal cielo che si sono perse sulla strada.
E allora lo vedo.
 Finalmente riesco a vedere il viso del conducente dell'auto.
Non lo conosco, eppure potrei giurare di averlo già visto da qualche parte. Deve avere circa 22 anni. Ha i capelli neri, tirati su con il gel a formare una specie di cresta. La sua pelle è pallida, bianca come la luna. I suoi occhi sono di color verde chiaro, marcati da una pesante linea di matita nera. Indossa una t-shirt a giromanica e jeans, entrambi neri, e al braccio ha un bracciale borchiato. Sul collo, un grande tatuaggio.
Non c'è che dire: è davvero un bel ragazzo, anche se a prima vista non sembrerebbe un tipo di cui fidarsi. Mi sembra così freddo, indifferente a tutto ciò che lo circonda. E l'ho appena conosciuto...
"E così sei tu, la famosa Remedios.", dice all'improvviso interrompendo il silenzio con la sua voce tagliente come una lama e totalmente inespressiva.
Non rispondo.
"Ho sentito molto parlare di te. La nuova ribelle di Suburbia."
Appena nomina la parola "Suburbia", ricordo tutto: ecco dove lo avevo visto. A casa di Kyle, tra gli appunti dell'esercito ribelle c'era il manifesto con la sua taglia e il suo nome. St Jimmy, ormai conosciuto come "The Jesus Of Suburbia".
"Ma certo. St Jimmy, The Jesus Of Suburbia. Ecco chi sei. Quindi Kyle ti ha parlato di me...Ho capito... Sei tu quello che doveva trasferirmi in un posto sicuro, giusto?"
"Finalmente ci sei arrivata. Ti facevo più intelligente", continua lui, sempre senza mostrare emozione alcuna.
"Come mi hai trovata?"
"Sono andato dove Kyle mi ha detto, e non ci ho trovato nessuno."
Per un attimo il mio cuore fa un salto: questo vuol dire che Jorge era vivo, e che era scappato.
"Le uniche strade che avresti potuto prendere erano questa e una piccolissima scorciatoia che si trova tra gli alberi su retro della casa, ma è troppo buio, non saresti mai riuscita a vederla."
La voce di Jimmy mi riporta alla realtà. Mi accorgo di non avere più voglia di parlare nè di sentire nulla, ho solo tanto sonno e tanto dolore a diverse parti del corpo. E mi accorgo anche che l'arrivo di Jimmy significava continuara la lotta, la vita di stenti e sacrifici a cui proprio 10 minuti fa avevo deciso di rinunciare. Mi sento insofferente, arrabbiata.
"La casa era totalmente sottosopra. E a giudicare dalle tue ferite, direi che ti avevano trovata."
"Si."
"Chi è stato?"
"Senti, non ho voglia di parlare ora.. Io...voglio solo dormire."
"Che c'è, non sai reggere un po' di stanchezza?" è davvero sgarbato, spietato, non sembra interessargli nulla delle mie ferite e delle mie emozioni.
"Stanchezza?!?" uso le poche forze che ancora ho a disposizione per urlargli contro. "Credi che questa sia solo stanchezza?!? Guardami, brutto stronzo! Sono ridotta male, sono ferita, mi sono trascinata giù per questa strada senza sapere neanche come facevo a muovere le gambe...e tu mi parli di stanchezza. E non pensare che il tuo arrivo abbia cambiato qualcosa: io non voglio fare quella vita."
Non risponde.
"STO PARLANDO CON TE!"
"Io non parlo con una vigliacca che voleva consegnarsi al regime."
"NON SONO UNA VIGLIACCA!" la rabbia si sta impossessando totalmente di me. Cosa ne sa lui di tutto quello che ho passato?
"Sai, penso che Kyle ti abbia sopravvalutato. Mi aveva detto che eri come tua madre...Ma evidentemente si sbagliava. Sei una mocciosa."
Ne ho abbastanza. Le mie mani si dirigono automaticamente verso la pistola, e con un gesto chiaro e deciso la punto alla sua tempia.
Jimmy frena improvvisamente, eppure non sembra preoccupato nè spaventato.
"Avanti, piccola. Premi il grilletto, vediamo se hai le palle" dice sorridendo, sardonico.
"Ascoltami bene: non provare mai più a nominare mia madre. MAI. Hai capito? Io non volevo consegnarmi per paura. Ero solo distrutta, senza speranza. Avrò diritto anche io ad essere felice, o no? E poi non fare l'ipocrita: non dirmi che tu non hai mai pensato di scappare e lasciare Suburbia al suo destino, perchè non ti crederei. Alla fine, sei un essere umano anche tu, Jesus Of Suburbia. E gli esseri umani sono egoisti, cercano la gioia, il piacere, la ricchezza."
"No, ti sbagli", sussurra lui. "Io non sono un essere umano. Io sono un dannato, un dannato nella città dei dannati. Questo è il mio squallido destino. Però hai ragione: l'ho pensato anche io tempo fa, di mandare tutto a puttane e scappare via. Ma non l'ho mai fatto, non ci ho nemmeno mai provato."
"Questo non ti rende migliore di me, forse eri tu a non avere il coraggio di ammettere di essere umano."
"O magari sei tu a non avere il coraggio di ammettere di essere una dannata, una ribelle, proprio come me? Ormai il tuo destino è questo, arrenditi."
Silenzio.
So che aveva ragione. In fondo l'ho sempre saputo. Ormai il mio destino era segnato. Non potevo tornare indietro, quella di combattere era stata una mia scelta. E quando si diventa grandi, bisogna assumersi la responsabiità di ciò che si sceglie: la vita non è un film su cassetta, non si può tornare indietro e  tagliare il nastro di ciò che non ci piace, nè si può andare avanti fino alla fine per saltare i brutti momenti. Nella vita, si può solo premere "play" e godersi lo spettacolo. Anche se non è sempre quello che ci si aspetta. E poi, come ho potuto dimenticarmi dei miei genitori? Loro sono morti per me, per darmi un futuro migliore. E io non voglio che il loro sacrificio sia vano. L'artefice del mio destino, del mio futuro migliore, sono io.
Abbasso lentamente la pistola. Jimmy mi fissa ancora per qualche secondo, i suoi occhi verdi,con la solita espressione indecifrabile, nei miei.
Poi si gira, rimette in moto la macchina e ripartiamo.
"Dimmi dove andiamo, Jimmy."
"A casa mia".

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Capitolo 13
*** Capi XIII, Parte I: Il doppiogioco delle parti ***


Sento la macchina fermarsi.
Non so quanto tempo fosse passato, dato che non ho resistito e mi sono addormentata sul sedile dell'auto di Jimmy. Ero davvero stanca.
"Svegliati". La voce gelida di Jimmy mi desta dal sonno. Siamo arrivati.
Scendo dall'auto un po'intontita e mi guardo intorno. Non conosco questo posto. Sono in una specie di ghetto, già all'apparenza molto arido e povero.
"Dove siamo?" domando
"Suburbia Ovest".
"Mmmh..Non sono mai stata qui".
Jimmy si dirige verso uno dei tanti palazzi, ammassati uno accanto all'altro. Di fronte, altri palazzi. Sembrava che quel ghetto stesse per esplodere, con quell'abnorme numero di edifici così vicini tra loro.
Apre il portone e inizia a salire una rampa di scale. Ovviamente, l'ascensore era un bene che quel condominio non poteva di certo permettersi. Si ferma al secondo piano, infila la chiave nella serratura ed entra. Lo seguo.
La casa di Jimmy non è altro che una stanza con un divano nero, un tavolo al centro della stanza ed un angolo cucina di fronte ad esso. Ci sono due porte: una a destra, che da quello che riesco a vedere da accesso al bagno; e un'altra a sinistra, chiusa.
"Quella è la tua stanza", esordisce Jimmy indicando la porta chiusa. "Io dorimrò sul divano".
"Grazie", mormoro. Un atto di cavalleria da uno come lui? Davvero troppo bello per essere vero. Trascino il mio zaino verso la porta e la apro. C'è un letto coperto da un leggero plaid rosso sulla destra, accanto al muro. Di fronte alla porta una scrivania e uno specchio appeso sopra di essa. Sulla scrivania ci sono diversi fogli sparpagliati in modo molto disordinato. Mi avvicino a guardarli. Sui fogli appaiono frasi confuse, scritte di getto, con una furia quasi maniacale.
Ne leggo qualcuna.

"I'm the son of rage and love, the Jesus of Suburbia"

"Land of make believe, and they don't believe in me"

"The patron saint of the denial, with an angel face and a taste for suicidal"

"Now I wonder how Whatsername has been"

"In my mind, she's in my head, I must confess"

Le altre erano tutte molto simili, tutte terribilmente autobiografiche, e tutte che mi fanno pensare ad una sola cosa: Jimmy deve essere fuori di testa. Addirittura, su uno di quei pezzi di carta scorgo l'impronta di una mano visibilmente impressa con il sangue.
Ci sono anche delle foto, alcune di queste hanno delle bruciature agli angoli, come se Jimmy avesse cercato di sbarazzarsene. Una di queste mostra Jimmy accanto ad una ragazza bella, bionda, con gli occhi chiari, e, da quel che sembra, ribelle quanto lui.
Mi sto ancora interrogando su tutte le stranezze che ci sono in questa stanza, quando la voce di Jimmy mi fa sussultare.
"Le piace la sua dimora, mia signora?", chiede in modo sarcastico.
Mi affretto ad allontanarmi dalla scrivania, facendo finta di non aver toccato niente. Ma a Jimmy non sfugge nulla. Si avvicina frettolosamente alla scrivania per nascondere i fogli più "compromettenti", partendo da quello con su l'impronta della sua mano insanguinata. Dopo mi fulmina per un attimo con lo sguardo, ma io continuo a fissarlo con aria di sfida. Non mi interessa che ce l'abbia con me.
"A proposito di cartacce e fotografie. Qui c'è qualcosa per te", dice all'improvviso. Dal tono sembra che si stia divertendo, ma avverto chiaramente una vena di profonda cattiveria. Non c'è da stupirsi: quello, per me, prova piacere  a fare del male alla gente. Mi lancia una busta chiusa, e io lo guardo con aria interrogativa.
"Che cos'è?" chiedo diffidente.
"Aprila. Nel frattempo ti lascio da sola...Non vorrei rovinarti la visione", ed esce dalla stanza chiudendo con forza la porta.
Rigiro la busta tra le dita, senza sapere bene cosa fare. Non mi fido di quel pazzo. Eppure allo stesso tempo sono troppo curiosa.
Non resisto, e apro la busta.
Dentro ci sono delle fotografie. Le guardo una ad una e il mio cuore improvvisamente inizia a battere più forte: è Browneyedboy che cammina nei pressi della 24th East Street
All'inizio non riesco a capire: perchè Jimmy dovrebbe darmi delle foto del genere? Continuo a guardare, e il sorriso che era apparso sul mio volto stanco alla vista di quegli occhi marroni e quei capelli ricci, scompare all'istante: nelle altre foto Brown Eyed Boy non era più solo, ma con un uomo. Con l'uomo che odiavo.
Non è possibile, queste immagini fin troppo chiare e nitide devono sbagliarsi. Quello che parla con Jorge Barça non può essere Browneyedboy. E' una trappola, di sicuro. Jimmy vuole ingannarmi.
L'ultima foto immortala l'istante in cui Barça porge dei soldi a Browneyedboy, che allunga la mano per prenderli.
Eppure, non posso sbagliarmi: avrei riconosciuto i volti e la postura del ragazzo che amo e dell'uomo che più disprezzo tra miliardi di persone.
Allora è questa la verità. Browneyedboy ha accettato dei soldi per lasciarmi. Ha ceduto ad uno sporco contratto per togliersi dai guai, per scappare.
Le lacrime di rabbia non tardano ad arrivare. Le mie mani hanno sete di vendetta, e fanno a brandelli le foto.
L'unico colplevole è Jimmy: non c'era bisogno di mostrarmi alcuna foto, dato che non avrei comunque più rivisto Browneyedboy. Ma soprattutto, non c'era alcun bisogno di farlo per pura cattiveria, per pura voglia di ferirmi.
Sono fuori controllo: dalla mia bocca esce l'urlo più forte di tutta la mia vita.
Apro la porta con forza, e raggiungo Jimmy.
"PERCHE' LO HAI FATTO, STRONZO!", non gli do il tempo di difendersi: lo trascino contro il muro, tenendogli una mano sul collo e l'altra sulla pistola. Lui mi guarda quasi affascinato.
"TI SEI DIVERTITO?" grido.
Poi respiro, e dico con un sussurro "Ora sei nei guai, St.Jimmy"
A quella frase Jimmy, che mi guardava come non mi aveva mai guardata da quando ci siamo incontrati, e non riuscivo a decifrare quello sguardo così stranamente ammaliato, perde la testa.
Mi mette una mano sul viso, e all'improvviso poggia con forza le sue labbra sulle mie, iniziando a muovere la lingua.
Ho appena il tempo di capire cosa sta succedendo: lo allontano con uno schiaffo deciso. Per la prima volta, Jimmy sembra spaventato, frastornato.
"Scusami, io..." comincia lui.
"Stai zitto", concludo io fredda.
"Non sono Whatsername, Jimmy", e torno nella mia stanza chiudendo a chiave la porta

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Capitolo 14
*** Parte 1, Capitolo XIV: Il racconto di Jimmy. ***


Mi risveglio.

Silenzio.

Dopo la tempesta, le mie urla, l'assurdo bacio (o qualsiasi cosa sia stata) con Jimmy e il rumore sordo di una porta sbattuta con forza, non c'è altro che silenzio attorno a me.

Ho dormito per circa due ore. Mi alzo lentamente, ancora un po' intontita. La discussione con Jimmy mi aveva quasi fatto dimenticare dei dolori alle varie parti del corpo, che ora sento più forti che mai.

Mi metto a sedere e cerco di analizzare cosa é successo.

Jimmy, per non so quale motivo, ha cercato di baciarmi. In fondo tra ragazzi può succedere. Normale, no?

No. Non tra me e lui. Non in questa situazione.

Jimmy aveva dimostrato una grande freddezza in tutto il tempo in cui siamo stati a contatto, come può all'improvviso essere attratto da me?

Da me... No, Jimmy non é attratto da me. Ricordo bene il suo sguardo.

Whatsername. É lei che vuole.

Ma io cosa c'entro con il suo passato?

Sono come un'attrice, che porta alla vita un pallido ricordo, recitando una parte non mia: quella di Whatsername.

Basta. Ho già i miei guai per occuparmi anche di quelli di Jimmy.

Ora che tutto il mio mondo sta crollando,ora che Browneyedboy mi ha tradita, e a me sembra di star vivendo la vita di qualcun altro. E mi chiedo se ero io quella ragazzina che aveva il cuore pieno d'amore fino a pochi giorni fa, che sperava, sognava un mondo migliore.

Esco dalla stanza. Trovo Jimmy nel salone, abbandonato sul divano , che fissa il soffitto con lo sguardo vuoto. Si gira di scatto appena mi sente entrare.

C'è imbarazzo e tensione nell'aria.

"Io esco", mormoro.

"Ah si? E dove credi di andare?" risponde lui, tornando a fissare il soffitto.

"A prendere una boccata d'aria."

"Con tutta la polizia locale che ti sta cercando? Tu resti qui."

"Pensavo mi avessi portato in un luogo sicuro..."

"Sicura é solo la morte. Mentre sei qui, sarebbe meglio limitare al minimo indispensabile le uscite. Quindi si esce solo per comprare da mangiare. E comunque, non uscirai mai senza di me. Non possiamo rischiare."

""Possiamo"? Cosa sei, la mia balia? Da quando ti preoccupi per me?", dico sardonica. In realtà, non sono arrabbiata con Jimmy. Ma devo far si che non traspaia il mio imbarazzo, non voglio che si ritorni a parlare di quel maledetto bacio. L'unico modo é trattarlo male.

"Hey, hey, hey. Calmati, mocciosa. Io sto rischiando il culo quanto te. Anzi, io lo rischio ogni giorno. Quindi non ti ci mettere anche tu a rompermi le palle.", chiude lui deciso.

"Vaffanculo, Jimmy."

Sto per tornare in camera, quando mi ferma.

"Aspetta."

"Cosa vuoi adesso? Vuoi assicurarti che non scappi di casa?" Lo so di cosa vuole parlare. Devo evitarlo a tutti i costi.

"Siediti."

"Perché?"

"E stai un po' zitta, cazzo. Comportati da donna e non scappare."

Il suo modo di parlarmi é decisamente fastidioso, ma ha ragione. Non posso continuare a fuggire ed evitarlo.

Mi siedo accanto a lui, che smette di guardare il soffitto e guarda me.

I suoi occhi verdi sono fissi nei miei. Alla fine, Jimmy era davvero un bel ragazzo. Aveva qualcosa di attraente. Forse i capelli scuri che facevano risaltare così tanto la sua pelle chiara. Forse la sua voce... Togliendo il tono sempre gelido, é molto suadente.

"Devo spiegarti quello che é successo... Il bacio."

Il suo tono é cambiato. Mi sento molto strana. É la prima volta che Jimmy mi parla come se fossi un'amica. É una sensazione indecifrabile.

"Vedi... Per un momento.. Mi hai ricordato Whatsername. Da quanto ho so, hai capito chi é. Lei aveva sempre questo modo di fare così... Selvaggio. Anche quando litigavamo, era sempre molto aggressiva... E anche quando andavamo a letto, in realtà."

Questo poteva anche risparmiarselo, penso.

"Ma oltre quella rabbia, nei suoi occhi io vedevo qualcosa. Una forza indescrivibile, in tutto quello che faceva. Anche nel suo modo di amarmi. La sua rabbia sembrava a volte quasi gioia, speranza, euforia portata all'esasperazione. Sapevo che aveva molti sogni.. Sognava sempre che il mondo diventasse un posto migliore, che tutti quanti fossero felici. Era buona. Ma non ho mai capito perché non mi parlava mai di tutto questo. Con me si comportava sempre come una stupida puttana, vuota, senza aspirazioni, senza una meta nella vita; ma io lo so, LO SO, che era molto di più. Ho passato anni a chiedermi il perché di tutto questo... Sono impazzito cercando di capirlo. La mia risposta é che forse voleva somigliarmi. Forse pensava che l'avrei amata di più se fosse stata come me? Ma non avrei mai potuto. Non posso cercare negli altri ciò che ho già.

Lei diceva sempre: "Ora sei nei guai, St. Jimmy"; e dopo finivamo sempre a scopare.

Hai detto la stessa frase, con la stessa luce negli occhi, nello stesso fottutissimo modo.

Me l'hai ricordata. E non posso negare che ho spesso la sensazione di vederla in te."

Silenzio. Mi accorgo che il mio cuore batte un po' più forte, ora che Jimmy si é avvicinato di più al mio viso, continuando a fissarmi negli occhi.

"Me la ricordi anche ora...", sussurra.
Le sue labbra sono così vicine alle mie. Le apre appena per aggiungere, con un filo di voce: "Cristo, Michelle..."

Ammetto che per un secondo ho pensato di restare lì immobile, e perdermi, lasciarmi andare. Ma non posso iniziare una storia con Jimmy. Sono troppo incasinata, così come lo é lui. Mi scosto con delicatezza.

"Forse devi solo andare avanti", dico fissando il pavimento. Non voglio farmi vedere, perché so bene di avere il viso completamente paonazzo.

"Non serve a niente restare incastrato nel passato. La tua vita continua, non domani, o tra due settimane; ADESSO. E te lo ripeto.. Mi dispiace ma io non sono Whatsername. Mettitelo in testa. Non voglio essere il fantasma di nessuno."

Jimmy non proferisce parola, ed io continuo a sfuggire al suo sguardo, ma so che ha capito.

"E devi smetterla anche di farti di quella roba", ora inizio a guardarlo, decisa, contenta di poter cambiare argomento.

"Credi che non ti abbia visto quando sono entrata nella stanza? Credi che non abbia notato il tuo sguardo vuoto, il buco sul braccio, e la siringa che hai inutilmente cercato di nascondere sotto quel cuscino?"

"Hai un'ottima vista", dice lui sorridendo malizioso.

"Quella roba ti fotte il cervello!"

Lui ride. Una risata finta, fredda. "Dimmi: Non siamo già tutti fottuti in questa vita?"

"Appunto! Perché peggiorare le cose?"

Il suo sguardo cambia da ironico a seriamente incuriosito e quasi divertito.

"Mmmh. Però. Giusta osservazione. Ti meriti una birra." si alza e si dirige verso il frigo.

Non posso fare a meno di sorridere.

"...E birra sia.", sussurro, con la netta sensazione che da oggi le cose andranno decisamente meglio.



 

Angolo dell'autrice

Cari lettori, mi dispiace di essere stata via così tanto tempo. Purtroppo, la vita non è facile per Jimmy e Michelle.. E non è facile neanche per me.

Saluti, Roberta.

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Capitolo 15
*** Parte I, Capitolo XV: Segreti ***


"Hai capito? Ahahahah! Quel figlio di puttana diceva a me "chi cazzo sei? Cosa vuoi nel mio territorio?"... E allora io gli faccio...No, ascolta, ascolta! Ahahahah! Io gli dico "il TUO territorio? Beh, allora meglio che ci inchiniamo tutti quanti al re dei miei coglioni!" E lui mi fa "ma chi è questo stronzo? Ti pianto una pallottola in testa!" Neanche il tempo di finire la frase, che si è ritrovato la pistola a terra e la mia puntata dritta in faccia... Appena ha saputo chi ero, dovevi vederlo, ahah! Davvero un figlio di puttana!”

Io e Jimmy siamo sul divano, lui é completamente sbronzo, e non fa altro che ridere e parlare.

Io sono decisamente brilla, non ricordo di aver mai bevuto tanto in vita mia, e rido a qualunque cosa mi dica. Una birra tira l'altra e siamo finiti a scherzare come se tutta la nostra vita non fosse un casino totale.

Ancora una volta, mi torna in mente una canzone.

"Drinking old cheap bottles of wine,

Shit talking up all night,

Sayin things we haven't for a while."

Vorrei che questo momento non finisse mai. Vorrei fermare il tempo proprio ora, guardare la mia vita dall'esterno come un film proiettato su maxi schermo, e conservare per sempre questo fotogramma, ripeterlo ancora, e ancora, e ancora.

É una sensazione meravigliosa. Mi appare tutto così leggero, così semplice, così maledettamente normale.

Sento la testa pesante, ma in compenso i dolori per le varie ferite riportate sono spariti. Ah, l’alcool!  Che grande benedizione e che grande condanna. Un dono di Dio e una croce da portare.

“Lo sai” dico, ma ormai non sono più capace di capire se sono io a parlare o semplicemente le parole escono dalla mia bocca autonomamente; “è da quando ho tipo…Ahhh, che cazzo ne so, da quando sono piccola COSÌ che io voglio essere una ribelle proprio come te! Ahahahah!”

“Ahahah! Proprio tu?” risponde Jimmy. “Con quella faccia da angioletto? E quei capelli… QUEI CAPELLI! Ahahahah, che stronzata!”

“E tu chi sei, un fottutissimo hair stylist? Ma poi, che hanno i miei capelli?!? Sono bellissimi!” dico singhiozzando e ridendo.

Appunto: Mai vista una ribelle che non abbia capelli sporchi, o rasati, o verdi scoloriti.”

Magari io sono una ribelle diversa!” ridacchio facendogli l’occhiolino.

Di sicuro sei la meno muscolosa che io abbia mai visto! Guarda queste braccine! Ha!” sogghigna lui.

Ma che stron… Ora ti faccio vedere io!” rido, e barcollando un po’ a causa dell’alcool, mi siedo sulle sue gambe a cavalcioni, tirandogli un cuscino in faccia.

“Beh? Tutto qui? Questo è quello che sai fare?”

“So fare molto di più”, mi accorgo decisamente più tardi di quanto avrei dovuto che lo sto fissando dritto negli occhi e mi sono avvicinata troppo, e lui sta intensamente ricambiando lo sguardo.

Ed è in quel preciso istante che qualcuno bussa alla porta.

Quel suono sordo e vuoto mi riporta drasticamente alla vita reale. Quella in cui non devo assolutamente, per alcun motivo al mondo, MAI E POI MAI, provare qualcosa per Jimmy.

Mi siedo nuovamente al mio posto mentre Jimmy si alza e va a controllare chi è.

“Avanti, apri. Sono io”. La voce che proviene da dietro la porta mi fa sobbalzare. Un ragazzo biondo e dagli enormi occhi azzurri compare sull’uscio.

“Kyle!” urlo, e gli corro incontro.

“Hey”, sussurra lui, e mi abbraccia. Noto che Jimmy guarda Kyle con una certa freddezza, addirittura con una punta di disprezzo. “Oddio”, penso, “Jimmy è… geloso?”

Mi libero dall’abbraccio di Kyle. Sento un po’ di tensione nell’aria. Non capisco quale sia il motivo…Ma non mi piace.

Stai bene, Michelle? Cristo… Cos’è questo odore? Sembra birra…Hai bevuto? Non ho avuto tue notizie… Mi sono spaventato.”

Ricordo solo adesso che avevo del tutto dimenticato di contattarlo e fargli sapere che ero ancora viva. E abbracciarlo dopo aver trangugiato più birra di quanto riesca a ricordare, non è stata sicuramente una mossa intelligente.

Oh, cazzo, hai ragione Kyle”, farfuglio cercando accuratamente di evitare l’argomento “alcool”, io…Mi dispiace… E’ che, beh, ecco…Noi… Cioè, io…” lancio istintivamente un’occhiata fugace a Jimmy, che non sembra scomporsi minimamente. Sono una totale idiota. Lui era in pena per me mentre io me la spassavo con Jimmy. Bel colpo, Michelle, davvero.

“….beh, ho avuto… alcune cose a cui pensare. Ma sto bene, un pochino acciaccata, ma be​ne.”

Kyle guarda me e Jimmy con sospetto.

Mi pare che fosse tuo compito avvertirmi, o sbaglio?” chiede Kyle, rivolgendosi a Jimmy. Non capisco perché il suo tono sia così ostile.

“Già.” sussurra Jimmy. La sua voce è tornata fredda ed inespressiva.

“E perché non l’hai fatto?”

Mmmh… Vediamo… Forse perché non prendo ordini da te? O perché la tua amichetta mi ha tenuto…come dire… impegnato? Scegli tu.”, e sfodera uno dei suoi migliori sorrisi cattivi.

 Kyle non proferisce parola, ma sento che è furioso. Poi posa lo sguardo su di me, ed arrossisco.

Ok, fermi tutti. Perché ho la netta sensazione che Jimmy stia usando me e quello che è successo tra noi per prendersi una qualche “rivincita” su Kyle?

Non ho idea di cosa cazzo stia succedendo, ma una cosa la so di sicuro: io non sono un bottino conteso tra questi due, e Jimmy non può usarmi come un’arma per i suoi sporchi ricatti, o qualunque cosa stia facendo. Devo assolutamente dire qualcosa.

Kyle, lascia perdere le stronzate che dice Jimmy. Anche io avrei potuto avvertirti e non l’ho fatto. E’ che ero tanto stanca e…”

E dimmi un po’ St. Jimmy” , inizia Kyle, rendendo evidente il fatto che né lui né Jimmy hanno ascoltato una sola parola di quello che ho detto, “tu che non prendi ordini da nessuno, e che sei sicuramente la mente più brillante e geniale del nostro esercito…Cosa pensi di fare ora? Qual è la tua prossima mossa? Tenerla nascosta qui dentro?”

Kyle, ascolta io stavo cercando di…”, ma non ho il tempo di finire la frase.

“I miei progetti non ti riguardano” afferma Jimmy, glaciale.

Mi riguardano, dal momento che c’è di mezzo LEI.”

Ahahah! Ma davvero? E questa cosa sarebbe? Una dichiarazione d’amore? Quasi dimenticavo quanto sei schifosamente dolce e sentimentale.” Quella di Jimmy non è nemmeno lontanamente la sua solita, cattiva, ironia. Ogni parola che esce dalla sua bocca grida una sola cosa: vendetta.

Jimmy si avvicina pericolosamente a Kyle; ora sono faccia a faccia. Lo guarda negli occhi.

“Sei patetico”.

A queste parole, Kyle perde il controllo. Faccio appena in tempo a scansarmi mentre si scaraventa con un urlo su Jimmy e iniziano a darsele di santa ragione.

Adesso è davvero troppo. “BASTA! MA CHE CAZZO STATE FACENDO?” grido, mentre mi intrometto per separarli. Entrambi si fermano.

“Sembrate dei bambini capricciosi. Ma quanti anni avete?!? Volete spiegarmi che diamine vi prende?!?”.

Jimmy si rialza con un labbro sanguinante: “Fattelo spiegare dall’amichetto”, ed esce di casa sbattendo la porta.

Torno a fissare Kyle, che sanguina a sua volta dal sopracciglio destro. Si rialza anch’egli, dirigendosi verso il bagno.

Eh, no!” lo fermo. “Tu non te ne vai di qui fin quando non mi hai spiegato che cosa sta succedendo.”

Credo che anche tu abbia qualcosa da raccontarmi”, dice secco Kyle.

“Beh…Si, ok. Ma prima tu.”

Kyle sospira e si passa una mano trai capelli.

“D’accordo… Siediti, allora. Perché la storia è lunga.”


Angolo della scrittrice:
​Si, sono di nuovo io. E sì, sono sparita di nuovo. Ma che posso farci. Io sono fatta così. Nella scrittura e nella vita.

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