DeadPool

di needaname
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Three, two, one, zero ***
Capitolo 2: *** Numbers ***



Capitolo 1
*** Three, two, one, zero ***




Three, two, one, zero
 


Dieci.

L’eco di lancette arrugginite che si rincorrono sulla liscia superficie di un vecchio orologio.

Nove.

Il ticchettio dei minuti che scorrono, inesorabili, inarrestabili.

Otto.

Un bagliore rosso lampeggia, illuminando ad intervalli regolari, fiochi, le pareti della stanza.

Sette.

Tremoli impercettibili scuotono i corpi distesi al suolo, inermi, dormienti.

Sei.

Un bip, statico, rimbalza tra le mura candide,  bianche come cotone.

Cinque.

Una voce robotica, gracchiante, rimbomba nell’area.

Quattro.

Il tintinnio delle lancette si fa intenso, il tempo sembra correre veloce, impaziente.

Tre.

Fili biondo fragola distesi al freddo pavimento, creando onde tra le bianche assi lisce.

Due.

Scuri artigli s’incastrano tra la ceramica e lo smalto bianco delle piastrelle che rivestono il suolo, perforandole, graffiandole.

Uno.

Occhi grigi, striati di verde, si dilatano confusi, guardandosi attorno, senza avere il coraggio di sollevarsi dal basso.

Zero.

L’ultimo suono, prima del silenzio.

Una luce accecante invade la stanza, rendendo ancora più intense, ancora più candide, le pareti, riflettendosi al suolo, trasformandolo in uno specchio.

Svegliatevi.

Tuona una voce, meccanica, dal nulla, dall’ovunque.

Scattano come molle le schiene dei sette corpi, saettano confusi i loro sguardi, si incontrano, si confrontano, si chiedono, si riconosco; in un muto dibattito.
Non ci sono finestre, non ci sono porte, solo quattro pareti, solo un pavimento che riflette volti sfuocati, obliqui, annebbiati, confusi, che cercano un senso; una spiegazione a quel poco che stanno vedendo.
L’orologio, unico soprammobile, oltre i serpenti di neon che formano strane croci al soffitto, posto al centro della parete frontale si è fermato, fisso sul medesimo orario, la mezza notte, nessuno può dire se sia veritiero o meno.

-cos’è questo posto?-

è tremula, adirata la voce della ragazza, i corti capelli castani, chiari, le coprono parzialmente il volto, soffia per scostarne fastidiose ciocche, non c’è paura nei suoi occhi che brillano, azzurro luminoso

-come siamo arrivi qui?-

c’è solo attenta analisi nelle iridi caramello del ragazzo alla sua sinistra, intento a scrutare con attenzione ogni centimetro della stanza

-ci siamo stati portati o meglio rinchiusi-

specifica la rossa, i fili biondo fragola ondeggiano ad ogni passo, il picchiettare degli spessi tacchi nocciola riecheggia tra le pareti

-deve essere ancora notte, dubito sia trascorso troppo tempo dal rapimento al risveglio-

conclude poi, incrociando le braccia al petto, arricciando lembi del tessuto floreale, che ne fascia le armoniose forme in un vestito leggiadro

-non dovremmo essere tipo immuni alle droghe?-

sono scosse da fremiti d’ira le dita del ragazzino biondo, i palmi poggiati contro la parete alle spalle del gruppo, già pronto a tentare di aprirsi un varco, in qualche modo, in qualsiasi modo

-determinati tipi di erbe sono in grado di farci perdere i sensi-

è la logica conclusione a cui arriva quello che appare come il componete più grande tra i presenti, la lieve barba, ben curata, ne delinea i duri lineamenti, quasi spigolosi, del volto e gli occhi, d’un intenso verde foglia, seguono i movimenti del più minuto, apparentemente gracile, tra i ragazzi

-ricordate qualcosa, qualsiasi cosa? Sono quasi certo che stessi dormendo, anzi ne sono sicuro, mi sono addormentato in camera mia, ho sentito un rumore strano, mi sono alzato per controllare e poi…buio, mi sono risvegliato qui-

parla veloce, ad ogni parola ne segue un gesto delle mani, le iridi ambrate a cercare risposte

-la stessa cosa, dormivo, ho sentito un suono ed un odore strano, fastidioso, ma non ricordo nient’altro-

la mascella storta, contratta in una smorfia smarrita, le iridi scure del ragazzo alla sua destra sono perse a vagare confuse, inspirando ad intervalli regolari, cercando invano di captare rumori, fragranze, segnali che possano aiutare

-ragazzi-

è un bisbiglio sottile il richiamo dell’unico rimasto ancora in silenzio, all’angolo, quasi ignorato, dimenticato dagli altri

-si è aperta la parete-

-che significa che si è apert…-

muoiono in un soffio stupito le parole della giovane dagli occhi topazio.
C’è solo buio oltre quella piccola fessura, sufficientemente ampia da permettere il passaggio, ma abbastanza stretta da impedire di vedere oltre

-chiunque ci abbia rinchiuso vuole che entriamo lì-

è ovvia, così ovvia la constatazione della rossa che persino lei si sorprende di averla detta, si guarda attorno e lo senti, prima degli altri, prima di chiunque, sente il sentore di morte che impregna l’aria, così intenso da farle vorticare la mente, da costringerla a socchiudere gli occhi, stringendosi nelle spalle

-Lydia? Lydia!-

-sono morti-

-chi?-

-chiunque sia stato qui prima di noi Stiles, sono tutti morti ed altri stanno morendo e non è solo una sensazione-

soffia la ragazza, lasciandosi stringere dalle braccia dell’amico, che l’affianca, passandole un avambraccio attorno alla vita, quasi a volerla sorreggere.
Nessuno vorrebbe oltrepassare quella linea, nessuno vorrebbe addentrarsi in quel buio denso, ma tutti sanno essere necessario, se vogliono uscirne vivi, se vogliono risolvere l’ennesimo problema che li vede coinvolti, devono farlo ed è un urlo, quasi ululato, a spingerli a muovere passi frettolosi

-Liam!-

grida il ragazzo mentre bagliori rossi nascondo le iridi scure e zanne affilate ne plasmano i canini

-ha davvero un pessimo istinto di sopravvivenza-

ne conviene colui che, per primo, ha notato l’apertura dischiudere la parete, scuotendo il capo cinicamente divertito, seguendo l’odore di Liam che ancora aleggia al di là del buio

-voglio le ferie-

sbuffa celando la paura dietro il sarcasmo Stiles, allargando le braccia al cielo esasperato, distaccandosi da Lydia, seguendo il branco oltre la parete che, silenziosa, si richiude alle loro spalle; inosservata.
 

Luci bianche, abbaglianti, si accendo improvvisamente, una dopo l’altra, illuminando un ampio e stretto corridoio, le iridi gialle di Liam scrutano le teche di vetro trasparente che li circondano, annusando l’aria, un odore pungente, acerbo, gli fa pizzicare le narici

-tornate indietro-

è flebile, appena percettibile, la voce che li chiama, ma i sensi sviluppati gli permettono di captarne l’esatta provenienza, si muovono rapidi, all’unisono, i presenti, giungendo sino alla fonte

-Scott!-

urla Liam, richiamano l’Alpha che si avvicina alla superficie trasparente, le iridi rubino scrutano la figura rannicchiata nell’angolo, imprigionata, non sa cosa dire, non sa cosa pensare, dice la prima cosa che gli attraversa la mente

-come ti chiami?-

il ragazzo è così magro e così alto, può notarlo meglio ora che ha sollevato il capo, i folti capelli ricci, d’un intenso castano, mogano, ne coprono parzialmente gli occhi, dalla forma leggermente allungata, del medesimo colore di arbusti d’alberi, ad osservarli bene sembrano cortecce, di legno, resina e muschio fusi assieme

-Jonathan-

più guarda quella pelle, pallida, così chiara da sembrare porcellana, e più gli sembra di sentirne l’odore boschivo, come essere immersi in una foresta

-non sei umano-

è una constatazione che non pretende neppure risposte quella di Scott, il ragazzo si solleva lentamente, sembra stanco, debole, tremano le gambe mentre si avvicina alla superficie trasparente della teca, poggiandovi contro la mano

-neppure voi, è per questo che siamo qui-

-viva le minoranze-

borbotta mordicchiandosi le labbra Stiles, imponendosi di tacere, cercando di ignorare il sopracciglio arcuato di Derek che lo fissa contrariato, non è di certo il momento di fare dell’ironia

-che intendi dire?-

-non sei un mannaro-

parlano all’unisono l’ex ed il nuovo Alpha, Jonathan socchiude gli occhi, inspirando ed espirando più volte

-questo-

soffia, indicandosi la fronte, scostando ciuffi all’indietro, rivelando un numero, in inchiostro nero: 30

-che significa?-

-è il mio numero, ce l’ho da quando mi sono risvegliato qui dentro, è la replica dello show della scorsa settimana-

sorride cinicamente amareggiato, lasciando ricadere i ricci a coprirne il numero

-chiunque ci stia tenendo qui vuole vederci soffrire e morire, è successo a noi, succederà anche a voi-

-noi? Siete in più?-

lo sguardo di Jonathan si posa su di Liam, sembra quasi analizzarne la figura, annuisce debolmente

-eravamo-

precisa, chinando il capo, stringendo il pugno contro il vetro della prigione

-eravamo in sette, come voi, il primo giorno è stato facile, siamo sopravvissuti, pensavamo ci salveremo, usciremo da qui, ma poi è cominciato…e…Luke…Clohe…Nicolas…Edgard-

ad ogni nome una pausa, le nocche pallide, le dita infossate nel palmo della mano, non servirebbe chiedere, non sarebbe necessario, ma non può essere evitato

-cosa, cosa è cominciato?-

-il massacro-

sussurra, l’odore acre della rabbia e della tristezza, l’odore più intenso tra tutte le emozioni, colpisce come un pugno allo stomaco le narici dei mannari presenti

-uno ogni giorno, sempre diverso, una morte ogni giorno, finché…finché non ci hanno diviso, finché non ci hanno separati-

-possiamo aiutarti, possiamo uscire da qui, trovare i tuoi amici e…-

una risata acerba, disperata, fuoriesce come un soffio stanco dalle labbra di Jonathan

-aiutarmi? Farci uscire?-

fipete, battendo il pugno contro la superficie trasparente con una tale intensità da farla tremare

-non so neppure dove cazzo siano! Non so neppure se esistano ancora! Hanno portato via anche…Esme-

le iridi, le nota solo ora Scott, sono diventata bagliori verde spento, striati di grigio, diverse da prima

-li ritroveremo e usciremo da qui, fidati di noi-

tenta ancora, appoggiando le parole pronunciate da Liam poco prima

-no, no, non ci riuscirete, morirete tutti! Moriremo tutti! Sta già accadendo-

sibila in risposta, allontanandosi dal vetro, portandosi il palmo a coprire le labbra e le narici, osservando spaventato il fumo bianco che discende dal soffitto, invadendo la stanza.
Non hanno tempo di controbattere, chiedere, parlare, la sostanza che li avvolge li fa tossire, annaspano cercando di catturare ossigeno, inutilmente, è Stiles il primo a crollare al suolo, vani i tentativi di intervenire in alcun modo; è solo questione di secondi prima che tutto diventi nuovamente buio. 
 

Note a fine pagina:
So che dovrei acnora finire di scrivere una storia, presente in questo fandom, ma è da un po' di giorni che stavo pensando di postare il primo capitolo di questo nuovo "progetto", chiamiamolo così, e alla fine ho deciso di tentare.
Ci tengo a precisare che la Deadpool list in questa storia sarà tratta diversamente da come è stata tratta nella serie, che non vedrete la presenza di Kira come membro del branco, perché credo si sia capito che ho una pedilizione per Theo e il suo rapporto con Liam (saprete perdonarmi, sepro)
Non ho molto altro da dire se non spero che vi sia piaciuto. 
Ringrazio chiunque leggerà e vorrà lasciare un commento. 
Grazie. 

 

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Capitolo 2
*** Numbers ***


Chapter two: numbers


È Scott il primo a riaprire gli occhi, il primo ad accorgersene, il primo a cercare gli altri.
Per quanto sono rimasti privi di sensi?
C’è ancora Jonathan con loro, è di fronte a lui, svenuto anche lui, ma ci sono anche due nuovi volti.
Sono i tentativi di sondare la parete di trasparente vetro di Scott a risvegliare, lentamente, tutti.
È Stiles il primo a notarli, sono tutti distanti, ma non troppo da impedirgli di osservarsi, picchietta l’indice contro la teca

-il numero Scott!-

l’alpha si guarda confuso e Stiles spiega, rapido

-sulla fronte, abbiamo tutti un numero, come lui, loro-

indica la cella di Jonathan e delle altri due estranei, distanti dalla sua di almeno dieci celle

-venticinque-

comincia ad elencare poi, partendo da Scott

-quattro-

prosegue, indicando Malia, che ringhia al vetro, ancora intenta a cercare di farlo crollare

-venti-

si tocca istintivamente la fronte Lydia, quasi a volersi assicurare che non sia stato tatuato o marchiato

-tre-

è un ringhio basso, tutto ciò che fuoriesce dalle labbra dischiuse di Liam, i lunghi ed affilati canini scintillano illuminati dalle luci artificiali

-quindici-

Derek è serio, impassibile, concentrato in pensieri che Stiles può solo intuire, sospira, poggiando la nuca contro la superficie trasparente.
Sono così distanti, vicini, ma divisi.
Non possono toccarsi, abbracciarsi, confortarsi, ma ne avrebbero entrambi bisogno, tutti; non solo loro due.


-numero uno, non faccio parte della conta?-

sbuffa cinicamente indifferente Theo, incrociando le braccia all’addome, riportando Stiles alla realtà

-ventisette-

borbotta noncurante, non si è ancora abituato, malgrado siano ormai trascorsi più di due anni dall’ultima volta in cui, contro ogni suo volere, perché se fosse stato lì, con loro, glielo avrebbe detto, riportarlo indietro dall’inferno è una follia; malgrado il tempo non ha ancora intenzione di trattarlo amichevolmente.
Scuote impercettibilmente il capo, scompigliandosi i capelli, com’è che l’ha chiamato Theo? Numero uno?
Non sa se sentirsi offeso o terrorizzato all’idea di essere il numero più piccolo del suo branco, ma non ha neppure troppo tempo per pensarci su.
Occhi vitrei fissano il branco di McCall dalle loro teche, li stanno osservando, analizzando.

-Esme!-

sobbalza, ritraendosi dalla superficie del vetro Stiles, non appena sente l’urlo di Jonathan, i palmi battuti contro quella sottile barriera che lo divide da una ragazza, che sorride sghemba, triste

-Jon-

sussurra quest’ultima, i lunghi, lunghissimi capelli biondo cenere le ricadono come onde mosse dal vento, sino a sfiorarle la parte inferiore della schiena, riesce solo a percepirne le forme armoniose del corpo, il volto è parzialmente coperto da quella cascata di capelli

-sei viva! Credevo che…mi dispiace-

-non devi, non è tua la colpa-

c’è qualcosa di armonioso, melodioso, nell’incontro di quelle due voci, come una sinfonia delicata

-e questi qui, chi cazzo sono?-

è quasi fastidiosa quella terza voce che sopraggiunge, rompendo la melodia, Scott la sente distintamente provenire dalla sua destra e si volta, scontrandosi con iridi d’un azzurro così intenso che, se non fosse in grado di distinguere l’odore, le scambierebbe per quelle di un coyote mannaro

-senti coso, smettila di fissarmi con quella faccia da stoccafisso? Te l’ha mai detto nessuno che sembri un pesce lesso? Tipo un bacc…-

-Vick-

lo ammonisce la ragazza, eppure è così dolce il suono della sua voce che non riesce a risultare davvero severa

-che c’è? Ti sei dimenticata cos’è successo quando noi eravamo al loro posto?-

inspira Esme, annuendo impercettibilmente

-non moriremo-

-continua a ripeterti questa stronzata-

sbuffa Vick, dando le spalle a tutti, poggiando la nuca al vetro

-tanto morirete anche voi-

soffia poi, volgendo lo sguardo al soffitto scuro della teca

-prima c’erano altri, quando siamo arrivati gli ultimi rimasti sono stati uccisi e poi è toccato al nostro branco, siamo rimasti noi, adesso siete arrivati voi, noi moriremo e poi sarà il vostro turno-

non c’è altra emozione se non rabbia nelle sue parole, sa di salsedine l’odore che emana la sua pelle, constata mentalmente Scott, che deglutisce, scostando lo sguardo al suo branco

-chi vi ha rinchiusi? Lo sapete?-

-non lo sappiamo con certezza, tutto ciò che sappiamo è che, non appena queste celle si apriranno, dovremo lottare per le nostre vite-

spiega in un mormorio Esme, indicandosi poi il numero sulla fronte

-per questo, è il valore che ci hanno attribuito-

-novantanove dollari?-

interviene allora Liam, aggrottando le sopracciglia confuso e la ragazza sorride mesta, c’è qualcosa di incredibilmente pacato nel suo modo di mostrarsi

-milioni-

ed è allora che Stiles non resiste più, tossisce, sbattendo le palpebre ripetutamente, attirando l’attenzione di Esme

-novantanove milioni?-

il semplice annuire della giovane lo confonde ancora di più

-quindi, tutti noi abbiamo un…valore? Cioè lui-

l’indice teso a cercare di indicare la teca di Theo

-vale più di Scott? Okay, va bene è comunque sbagliato, amorale e quant’altro, ma…cioè…-

gli occhi di Esme, ora che li può finalmente osservare, gli ricordano quella pietra, di cui anni fa, in una notte insonne in cui il cervello si rifiutava, come al solito, di rallentare, aveva trovato in un forum di minerali, gli sembra di ricordare il nome; andalusite. Questo gli ricordano quelle iridi che lo scrutano incuriosite

-dipende tutto dal genere di creatura sovrannaturale-

spiega, precedendo la prevedibile domanda di Stiles e, forse, di tutti cogliendo poi impreparato Theo, che deglutisce scontrandosi con quello sguardo incredibilmente calmo

-prima che il fumo invada le celle, dovreste dirci cosa siete, sarà più facile poi uccidere chi tenterà di uccidere noi-

persino quelle parole, pronunciate con simile melodia, riescono a suonare innocenti

-presumo il vostro branco sia differente dal nostro-

a giudicare da come parla, sembrerebbe essere il corrispondente di un alpha, qualsiasi genere di creatura sia, pensa Derek, cercando di analizzarne l’odore, senza riuscire a ricondurlo a nessuno noto

-tu cosa saresti?-

chiede con sincera curiosità Theo, prima di rispondere alla tacita domanda che Esme ha posto in precedenza

-una veela-

dagli sguardi che gli rivolgono i nuovi arrivati comprende che non hanno mai sentito quel nome

-siamo creature elementari, Vick è un tritone, Jon un satiro, siamo connessi alla natura da un legame profondo, spirituale-

-e tu saresti il loro…-

vorrebbe aggiungere alpha Liam, ma non è certo che sia il termine giusto, infondo fino a pochi anni prima non credeva neppure possibile esistessero così tante creature sovrannaturali

-alpha?-

azzarda Theo, più per aiutare l’agitarsi impacciato delle labbra di Liam

-oh…no, no, nessun alpha-

-guida, fa la modesta, ma è così che la consideriamo noi, che la consideravamo quando eravamo ancora un branco-

precisa con astio Vick, voltandosi nuovamente

-siamo ancora un branco-

sentenzia Esme, lasciando scintillare, per un fugace istante, quasi impossibile da cogliere, le iridi di bagliori arcobaleno, necessario però a far annuire in un sospiro Vick che scivola, lentamente, al suolo, sedendosi a gambe incrociate, sbuffando un

-sentiamo allora, che genere di branco siete?-

-misto, è valida come risposta?-

ironizza Stiles, aggiustandosi la camicetta a quadrettoni rossi e bianchi

-abbiamo tre licantropi, una banshee, un coyote mannaro, una chimera ed un umano-

elenca, lisciandosi i bordi della camicia, molleggiando sui talloni

-quello che te hai, molto gentilmente, definito stoccafisso è il nostro alpha, un true alpha per la precisione-

-siete in buone mani allora-

borbotta più a sé stesso che al diretto interessato Vick, disegnando cerchi invisibili al suolo con le dita

-non abbiamo molto tempo-

s’irrigidisce improvvisamente Esme, lanciando una fugace occhiata al soffitto, tornando poi a concentrare lo sguardo su di Theo

-cos’è, esattamente una chimera?-

-cos’è, esattamente una veela?-

controbatte con un ghigno irriverente, potranno anche passare gli anni, potranno anche essere in fin di vita, ma quella sua aria da arrogante non cambierà mai, tuttavia la giovane sembra non sembra esserne infastidita, a differenza di Stiles

-una creatura elementare e spirituale, non ho artigli e zanne, ma posso padroneggiare i cinque elementi, aria, acqua, terra, fuoco ed elettricità, sono in grado di percepire le emozioni e leggere il passato con il tocco-

non è un’illusione, è davvero stupore quello che plasma le iridi di Theo, il ghigno sfacciato è scemato parola dopo parola e non dovrebbe Stiles, non in una simile circostanza, cerca di trattenersi mordendosi le labbra, ma una lieve, quasi inudibile, risate di scherno fuoriesce comunque dalla sua bocca; prontamente ammonita da una muta alzata di sopracciglia di Derek

-cos’è, esattamente, una chimera?-

ripete ancora Esme, nel sorriso che gli rivolge non c’è né arroganza, né sfrontatezza, ma solo garbata gentilezza

-un ibrido geneticamente modificato, tra un licantropo e un coyote mannaro-

vorrebbe aggiungere altro, giusto perché si sente leggermente ferito nell’orgoglio, ma non c’è davvero nient’altro da poter aggiungere e, forse, non ce ne sarebbe neppure il tempo.
Una nube di fumo, questa volta più scura, grigia, filtra lenta dai fori posti sulla superficie superiore delle celle, invadendone ed intossicandone lentamente l’aria

-e questo è il momento in cui dovreste domandarvi se non c’è riuscita lei ad uscire da qui, chi cazzo può riuscirci? Ed assumere la consapevolezza che moriremo, tutti-

afferma Vick, cercando di coprirsi il volto con entrambe le mani, imitato dagli altri.
Vorrebbe dire qualcosa, qualsiasi cosa, Stiles, che non moriranno, che sono sopravvissuti a nemici peggiori, che hanno sconfitto un demone millenario e che, solo due anni prima, hanno contrastato con successo una caccia selvaggia, ma non ha più né l’ossigeno, né la certezza che questo sia il peggiore dei mali incontrati sin ad ora.
E, prima che se ne accorgano, si accasciano, per la seconda volta, al suolo; svenuti.
 

Quando la nube di fumo si è dissipata tutti i prigionieri hanno potuto notare le loro celle, aperte, e la parete alla fine del corridoio dischiusa, oltre quello spiraglio una luce quasi lunare illumina una stanza.
Gli occhi di Vick, nota Scott nel vano tentativo di comprendere la situazione, sono ora pozze d’acqua, la pupilla è stata assorbita da un intenso azzurro, sembrano onde che si scontrano tra di loro i bagliori che le attraversano, lo sente emettere un sibilo, d’un intensità tanto bassa da essere appena udibile alle sue orecchie mutate dal gene della licantropia, ma sia Esme che Jon sembrano udirlo perfettamente.
Le iridi di Jon sono del medesimo colore che ricordava, ma la sua pelle ha assunto sfumature nocciola, le sue dita sfumano dal verde al grigio, e le unghie ispessite ricordano radici bitorzolute.
Gli occhi di Esme, invece, sono quanto di più stano ed affascinante abbia mai visto, un arcobaleno di colori, c’è così tanta luce in quelle pupille da schiarire persino l’oscurità più densa.


-cosa sta succedendo?-

la voce di Derek risuona come un eco, infrangendosi tra le pareti del corridoio

-stanno arrivando-

l’unica risposta che riceve da Jon, una marcia militare, una marcia di guerra, il suo modo di camminare affianco ad Esme e Vick, il branco di McCall si costrinse a seguirli, addentrandosi nella stanza; il muro si chiuse alle loro spalle.

-siamo fuori?-

chiede ingenuamente Liam, guardandosi attorno, gli alberi, l’erba, il cielo stellato e la mezza luna sopra le loro teste, l’ampio spazio che li circonda, tutto gli fa pensare all’aperto, alla liberta, ma il sorriso triste di Esme placa ogni entusiasmo

-è solo un’illusione ottica, cambia ogni volta, ti impedisce di notare le pareti della stanza-

analizzando meglio sia Stiles che Derek convengono sulla veridicità di quelle parole, tutto è stato studiato per dare l’impressione che ci sia un ampio spazio, ma gli alberi sono così simmetrici, così perfettamente identici, si ripetono quasi all’infinito in quelli che sembrano specchi riflettenti, attorno a loro

-e adesso?-

si sforza di mantenere una voce neutrale, annoiata, Theo in una recita che non convince più nessuno

-qualcuno morirà e qualcun altro ne riscuoterà la taglia-

-se lottiamo insieme possiamo salvarci, tutti-

insiste Scott, rivolgendo lo sguardo a Vick, cercando di contrastarne il pessimismo, ma quest’ultimo scuote il capo cinicamente divertito

-qualcuno muore, sempre-

e nessuno ha tempo di controbattere, la terra sembra tremare sotto i loro piedi ed una sagoma, scura, si fa strada tra le fronde degli alberi

-fate attenzione, non sono solo cacciatori, sono qualcosa di diverso-

si affretta a spiegare Esme, le dita si agitano, formando strane forme

-sono più forti e resistenti di qualsiasi essere umano, agili, veloci, conoscono i punti deboli di ognuno di noi-

la sagoma si fa sempre più vicina, Stiles può notarne il volto, la pelle pallida, le labbra sigillate, cucite da filo di spesso ferro, gli occhi cerchiati di nero, l’intera figura avvolta in una tuta bianca, simile ad un camice da infermiere.
Il busto è circondato da una spessa cintura in cuoio, su cui sono agganciate due pistole ed alcune strane ampolle, contenenti polveri di colori differenti, sulla schiena è poggiato un feretro per frecce ed un arco, in mano stringe un fucile a canne mozze e, lungo il fianco destro, pendono una corda ed una catena.

Deglutisce terrorizzato, stringendo un braccio attorno al busto di Lydia, trascinandola via dal centro della stanza.
Un boato risuona tra le pareti non appena la figura solleva il fucile, sparando un primo colpo, quasi a voler avvertire, al suolo, a poca distanza dai piedi di Liam

-hanno scelto- 

urla Vick, le dita delle mani divengono palmate e piccole scaglie verdastre gli percorrono la linea del braccio, sino a formare la sagoma del volto, i denti appunti, aguzzi, come quelli di uno squalo.



NOTE A FINE PAGINA: 

Ringrazio tutti i silenziosi lettori e coloro che hanno aggiunto tra seguite/preferite/ricodate. 

Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, 
ogni critica è ben accetta.

Grazie, 
alla prossima. 

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