Stelle nel Buio

di Noemi_Campopiano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00 - Odore di morte ***
Capitolo 2: *** 01 - Piume nere ***
Capitolo 3: *** 02 - Fuoco oscuro ***



Capitolo 1
*** 00 - Odore di morte ***


Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona che mi fu
tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona
mi prese del costui piacer sì forte, che,
come vedi, ancor non m’abbandona.

Divina Commedia, Canto V Inferno D. Alighieri
 



00
Odore di morte


 
Eva
 
Appoggiai il capo al vetro della finestra e osservai attentamente la strada. Ormai sapevo esattamente dove cercare, così diressi immediatamente lo sguardo verso le zone più buie e nascoste del viale. Occhi del colore del fuoco risposero al mio sguardo e un ringhio basso e gutturale si propagò attraverso l’aria carica di elettricità. Altri ringhi risposero al richiamo e io mi allontanai istantaneamente dal vetro. La spessa tenda ricadde davanti alla finestra, provocando uno spostamento d’aria che fece voltare l’inquilina di scatto. Era una donna piuttosto alta, con i capelli neri raccolti costantemente in una crocchia severa. I suoi occhi scuri, nascosti dietro spessi occhiali rotondi, sondarono dubbiosi la stanza e, un istante dopo, la donna chiuse il libro che stava leggendo e si avvicinò alla finestra. Mi passò accanto e vidi la sua pelle mulatta rabbrividire. Dalia si strinse la vestaglia di lana addosso e poi, con un sospiro, tornò a sedersi sul divano davanti al camino.
«Va bene» mormorai rivolta più a me stessa che a lei «me ne vado».
Dalia non si voltò neppure ed io uscii da quella casa così come vi ero entrata pochi giorni prima. Il Sole era ancora alto, dovevano essere passate da poco le tre, perché non c’erano molti di quegli esseri nei dintorni e, soprattutto, ancora non osavano lasciare i loro nascondigli. Presto però avrebbero iniziato a spingersi un po’ più in là, sfidando la luce dell’astro.
E la caccia sarebbe ricominciata.
Anche se non ne avevo più bisogno, presi un profondo respiro e scattai. Corsi fendendo l’aria gelida di dicembre e aumentai l’andatura non appena iniziai a sentire un calore intenso sulle mani e sul viso. Quando il bruciore divenne insostenibile mi fermai sotto il portico di un’altra villetta, tremando per lo sforzo e il dolore. Guardai le mie mani e vidi le bolle che la luce solare aveva causato, poi mi tastai il viso per cercare di quantificare l’entità dei danni e avvertii sotto la punta delle dita diverse abrasioni e un liquido freddo simile a sangue. Ancora frastornata per il dolore, mi assicurai che nessuno di quegli esseri mi avesse seguita ed entrai nella villetta. L’ombra dell’atrio fu una vera e propria benedizione! Sentii a poco a poco le scottature essere lenite da quella quieta oscurità e, scivolando a terra con la schiena appoggiata alla porta, vidi le bolle sulle mani svanire lentamente. Da quando ero in quella condizione, la mia capacità di guarigione era notevolmente aumentata, eppure, nonostante tutto, il Sole era ancora un nemico per me. Sogghignai amaramente pensando ai miei libri. In quelle storie il Sole era il simbolo della forza, del coraggio e della bellezza. Nella luce splendeva il mondo giusto degli eroi, dei buoni, mentre nelle tenebre più nere erano relegati gli spiriti malvagi che volevano portare la distruzione nel mondo. “Ben gli sta” gridavano fieri gli eroi di quei libri. “Marcirà nel buio e nel dolore”.
Io non ero d’accordo. Le tenebre non erano solo paura e sofferenza, nel mio caso, mi avvolgevano come una soffice coperta di stelle intessuta di chiari di luna. Nessun medico era riuscito a definire la mia malattia. Tutto ciò che erano stati in grado di dirmi era che soffrivo di una grave intolleranza alla luce solare. Un’intolleranza assurda dato che le ustioni che quel dannato astro mi provocavano sparivano in genere nel giro di qualche giorno. Quasi sempre.
Mi rialzai e, attraversando il corridoio buio, mi diressi verso una camera da letto. Mi avvicinai cauta a una delle finestre e scostai le tendine rosa e bianche, assicurandomi per l’ultima volta che nessuno mi avesse seguita. Lessi il nome della via e sussultai sorpresa quando mi resi conto di trovarmi a circa un isolato di distanza dalla casa di Dalia.
Ero diventata dannatamente veloce.
Chiusi gli occhi e inspirai. L’aria era satura dell’energia delle persone che abitavano in quella villa e, almeno per qualche giorno, mi avrebbe protetto dai cacciatori.
Sussultai. C’era un’altra forza. Era molto dolce, ma anche estremamente debole. Lasciai andare la tenda e cercai l’origine di quell‘energia, scoprendo che apparteneva ad un anziano signore che dormiva placidamente due stanze più in là.
Né lui, né la giovane donna che gli era seduta accanto e che gli accarezzava dolcemente la fronte parvero accorgersi della mia presenza ed io restai sulla soglia ad osservare quel uomo. Sembrava sereno e questo mi sembrò davvero inconcepibile, perché io riuscivo a percepirlo chiaramente: il vecchio avrebbe spirato non più tardi di quella sera.
C’era odore di morte nell’aria.

_________

N.d.A. Ed ecco il prologo di "Stelle nel Buio". Chi è Eva e perché soffre di questa strana intolleranza? Come fa a sapere che il vecchio spirerà a breve e perché nessuno la vede?

 

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Capitolo 2
*** 01 - Piume nere ***


01
Piume nere


Eva

Mani che s’intrecciano, si cercano.
Luce.
Ovunque.
Completamente avvolta da una luminosità fredda ed irreale, socchiusi gli occhi per cercare di cogliere qualcosa aldilà della nebbia luminosa. Una strana sensazione mi avvolse e mi sentii come prigioniera dentro uno specchio o appena al di sotto di una liscia superficie acquatica.
Non avevo paura. Affatto, tuttavia avvertii la mancanza di qualcosa. Di qualcuno.
Chiusi gli occhi, poi li riaprii. Non ero più dentro lo specchio. Fuori dalla mia prigione trasparente, incontrai lo sguardo furente della vera prigioniera.
Occhi scarlatti inchiodarono i miei e avvertii la mia anima perdersi in languide volute di tenebre e fuoco.


Urlai alzandomi di scatto.
Spalancai gli occhi e mi tastai con le mani il viso e le braccia alla ricerca delle ustioni che ero convinta quel fuoco nero mi avesse provocato, ma non trovai nessuna bru-ciatura.
«Era un sogno» mormorai con un enorme sollievo «solo un sogno». Eppure ero assolutamente certa di aver avvertito il calore sprigionato da quelle fiamme oscure.
Strinsi i pugni e inspirai a fondo. Scacciando gli ultimi residui dell’incubo, mi costrinsi a tornare alla realtà. Fu in quel momento che sentii i singhiozzi. Li seguii, scoprendo che provenivano dalla stanza adiacente a quella in cui mi ero addormentata.
Lì, in ginocchio accanto al letto, la giovane donna di cui non conoscevo il nome piangeva disperata. Accanto a lei, un prete e un medico discutevano sommessamente. Il vecchio era morto.
Immobile e cinereo, il suo corpo giaceva tra le lenzuola.
Perfino nella morte, constatai infastidita, quel suo dolce sorriso era rimasto impresso sulle labbra livide.
Sbuffai e feci per allontanarmi da quella scena assurda, ma un bagliore attirò la mia attenzione. Guardai attentamente l’angolo della stanza nel quale ero sicura di averlo visto e, per un attimo, pensai terrorizzata che uno dei cacciatori fosse riuscito ad entrare nella casa. Un istante dopo quel bagliore ricomparve, ma invece di scomparire restò immobile, sospeso da terra.
Era come un globo luminoso che, però, i vivi non riuscivano a vedere. Né la donna, né il prete o il medico si voltarono infatti verso quella strana luce. Solo io la vidi tremare appena, come le onde increspate dal vento, e iniziare a mutare forma. Uscii dalla camera, ma invece di fuggire come gridava il mio istinto, mi nascosi nel corridoio, per poi affacciarmi guardinga nella stanza.
Il globo era sparito ed ora, in piedi di fronte al letto, c’era un ragazzo.
Lo fissai ad occhi sgranati chiedendomi cosa diavolo fosse. Nessuno lo vedeva, quindi non era vivo e decisamente non aveva l’aspetto mostruoso dei cacciatori. Sembrava umano, ma era di una bellezza sconvolgente. Aveva i capelli color mogano, leggermente lunghi, che gli ricadevano armoniosi su due splendide iridi dorate. La pelle era chiara, perfetta e le labbra sottili erano curvate in un leggero sorriso. A piedi scalzi, si avvicinò al corpo del vecchio, chinandosi poi su di lui come se volesse baciargli la fronte.
E probabilmente l’avrebbe anche fatto se in quel momento non mi avesse vista.
Volse il capo di scatto verso la mia direzione e io spaventata scappai cercando di raggiungere la porta il più in fretta possibile. Strillai ritrovandomelo esattamente di fronte poco prima che riuscissi ad attraversare l’uscio. Mi bloccai e cercai di fuggire dalla parte opposta, ma lui mi afferrò prima che riuscissi a scappare. Con una mano mi tappò la bocca, mentre con l’altra mi bloccò le braccia.
“Che cosa diamine sei?” pensai cercando di liberarmi, ma chiunque fosse quel ragazzo era davvero molto forte e non accennava a lasciarmi andare.
«Ferma! Ferma!» mi disse trattenendomi «Non voglio farti del male! Ora ti lascio, ma non gridare, ok?»
Annuii, più infuriata che spaventata. Lui sciolse la sua stretta e io indietreggiai, cadendo sul parquet. Il ragazzo si accucciò di fronte a me, aggrottò la fronte e mi squadrò da capo a piedi come se non riuscisse a capacitarsi di ciò che stava vedendo ed io sussultai di nuovo, imbarazzata e infastidita allo stesso tempo.
«Chi sei?» mi domandò con uno sguardo dubbioso.
«Come fai a vedermi?» chiesi io tutto d’un fiato.
Io ero morta dannazione! Nessuno doveva essere in grado di vedermi, eppure quel ragazzo mi stava parlando, mi stava guardando… mi aveva addirittura toccato!
«Chi sei tu?» chiesi arretrando leggermente.
«Guarda che te l’ho chiesto prima io, ragazzina» sorrise sornione.
Se c’era una cosa che davvero detestavo, era essere chiamata in quel modo, soprattutto con quel tono, e di certo non avrei fatto eccezione con quella sottospecie di maniaco soprannaturale strafottente che mi ritrovavo davanti!
«Ma come ti permetti?!» sbottai furiosa «Razza di…» ma non riuscii a finire il “fine” discorso perché la sua mano si posò con poca delicatezza sulla mia bocca.
«Ecco la parte che detesto in questo lavoro» disse con aria di sufficienza, poi guardandomi negli occhi concluse: «le ragazzine che strillano come pazze».
Valutai le varie alternative che mi attraversarono la mente e, fra le tante, scelsi la più veloce ed efficace: gli morsi la mano.
«Ma sei impazzita?! Che diavolo fai?» gridò scostando la mano dolorante lontano dalla mia portata.
“Gli ho fatto male” pensai sorpresa «Cosa vuoi da me? E chi cavolo sei?» chiesi cercando in tanto una possibile via di fuga con lo sguardo.
Lui mi guardò come se volesse incenerirmi, ma poi sbuffando disse: «Io sono Raziel, il traghettatore inviato a recuperare l’anima che, per colpa tua, sta ancora aspettando di là» finì indicando con un cenno la stanza in cui il vecchio era morto.
«Sei…» balbettai «Sei… una specie di angelo?»
«Una specie?» ridacchiò il ragazzo sorpreso alzandosi in piedi.
«Non hai le ali… e l’aureola…»
L’altro sorrise sarcastico e incrociò le braccia al petto senza dire una parola. Io lo guardai confusa finché non mi accorsi di minuscole e luminose particelle color ebano che si materializzarono pian piano intorno a lui. In pochi istanti, le scintille si solidificarono, formando piume nere e lucenti che andarono a comporre due grandi e meravigliose ali nere.
«Sono abbastanza angelo adesso?» sorrise sornione inclinando il capo. Io non risposi. Mi alzai in piedi e allungai una mano per sfiorare quelle piume lucenti.
Di nuovo” pensai.
L’angelo mi lasciò fare, piegando appena un’ala per permettere alle mie dita di accarezzare le morbide penne color ebano.
«An-gelo…» mormorai come in trance «Sei un angelo…»
«E tu sei…»
«Eva» mormorai.
«Bene Eva» sorrise soddisfatto richiudendo - con mio grande disappunto - le ali dietro la schiena «che cosa ci fai tu qui?»

«Cosa vuol dire cosa ci faccio qui?» domandai con un cipiglio perplesso. Già solo il fatto di essere un fantasma da ben più di una settimana era qualcosa di assolutamente assurdo; senza contare poi le capacità che avevo acquisito e stavo ancora scoprendo; quei cosi che mi seguivano ovunque andassi e ora un angelo - e avrei potuto annoverare anche questo tra gli avvenimenti assurdi accaduti dopo la mia morte - mi stava chiedendo perché mi trovassi… lì?
«Cercavo riparo dai cacciatori» dissi usando il nome che avevo affibbiato agli esseri che mi inseguivano «L’energia dei vivi li tiene lontani, almeno per un po’».
Raziel mi guardò di nuovo con un’espressione stupita, ma anche piuttosto circospetta.
«Energia?» ripeté facendo un passo indietro e squadrandomi di nuovo da capo a piedi.
«Sì, beh… tu non la senti?» gli domandai.
Quella forza era come milioni di fiumi che s’intrecciavano tra loro e creavano una rete sicura, una scia vitale che faceva vibrare ogni particella del mio corpo… o meglio, anima.
«Certo che la percepisco, ma io sono un angelo, tu no» 
«Ma davvero?» risposi sarcastica «Non me n’ero accorta».
Raziel piegò le labbra in una smorfia e scrollò il capo «In ogni caso non ha senso, perché nessuno ha raccolto la tua anima? Da quanto tempo sei qui?»
«Se intendi in questa casa, poche ore; se invece mi stavi chiedendo da quanto sono morta direi… circa tre settimane».
Tralasciai il chi avrebbe dovuto recuperare il mio spirito. Primo, non ero un dannato pacco postale e, secondo, cosa cavolo ne sapevo io?
«Assurdo» fu tutto quello che riuscì a dire l’angelo «no, sul serio, sei davvero strana»
«Non sono strana!» ribattei incrociando le braccia.
«Forse c’è stato un altro… incidente» mormorò soppesando per qualche istante l’ultima parola «per questo il tuo traghettatore non ti ha trovata, però resta il fatto che gli spiriti normalmente restano legati al luogo dove sono morti»
«Quindi io non dovrei avere questa capacità di andare a zonzo da una casa all’altra, giusto?» ragionai.
L’altro annuì. «E queste ferite?» continuò sollevandomi il mento con le dita.
Scostai il capo imbarazzata. Tutte le abrasioni causate dal Sole si rimarginavano, lentamente, dolorosamente, ma guarivano. Tutte tranne quelle che mi avevano sfregiato il corpo prima che morissi.
«Intolleranza alla luce solare» mormorai.
Raziel non disse niente, richiuse di colpo le ali intorno a sé e scomparve.
Mi guardai intorno perplessa. Perché era sparito in quel modo?
«È tardi maledizione!» esclamò ricomparendo all’improvviso con una sfera candida fra le mani «Devo andare, ma non posso lasciarti sola».
L’angelo si guardò intorno, indeciso.
«È l’anima del vecchio?» gli domandai indicando la sfera di luce che ondeggiava dolcemente fra le sue dita. Lui annuì, poi, guardandomi fisso disse: «Resta qui, torno presto, promesso».
Mi sorrise e scomparve di nuovo.
Non credevo che uno spirito potesse stare fisicamente così male, eppure mi girava la testa e mi lasciai sfuggire un lungo ed involontario sospiro. Solo quando fui certa che Raziel si fosse davvero allontanato, mi resi conto di quanto fossi stata tesa fino a quel momento. In ogni istante che avevo passato con l’angelo, non avevo mai abbandonato la mia posizione difensiva ed ero sempre stata all’erta.
Aggrottai la fronte perplessa. Innanzitutto Raziel era un angelo. Un angelo! Se non mi fidavo di lui, di chi diavolo avrei dovuto fidarmi? E poi erano settimane che passavo le mie giornate a parlare da sola e a canticchiare stupide canzoni sentite alla radio, mentre adesso, per la prima volta dopo giorni, ero riuscita a parlare con qualcuno che mi vedeva, mi rispondeva.
E mi toccava.
Rabbrividii. Era assurdo, ma quando avevo sfiorato le piume delle sue ali e, prima ancora, quando Raziel mi aveva afferrato per non farmi fuggire, avevo avuto la sensazione che tutto ciò fosse già accaduto. Ovviamente mi sbagliavo, ma la testa continuava a girare e quella sensazione di deja-vu era così forte… così reale…
Fu come perdere alcuni fotogrammi di un film. Un istante prima barcollavo dentro casa cercando riparo dal ricordo dell’angelo dalle ali nere; un istante dopo ero fuori sotto il portico. Lo stordimento svanì immediatamente, ma ormai era troppo tardi.
Il Sole era calato da ore, ma se il buio e la Luna mi proteggevano dai venefici raggi dell’astro diurno, dall’altra davano libera azione ai cacciatori.
Erano troppo veloci e mi ritrovai circondata prima ancora di rendermi conto di ciò che stesse accadendo. Mi voltai, ma uno di quegli esseri si era posto tra me e la porta e le finestre erano troppo lontane perché le potessi raggiungere.
Ero spacciata.
E non avevo paura.
Per la prima volta mi ritrovai a pochi centimetri dai cacciatori e nulla mi impedì di scorgerne chiaramente l’aspetto, ma per quanto mostruoso fosse, non sentii l’ovvio terrore che avrei dovuto provare. “Demoni” pensai incontrando lo sguardo argenteo di ognuno di loro. Erano sette, quattro dei quali avevano una forma più simile a quella animale che non a quella umana, ma persino quelli che parevano esseri umani più bassi e tarchiati avevano caratteristiche inconfondibili. Corna ritorte, zampe lunghe e pelose, artigli che ri-splendevano sotto i raggi della Luna e che, per un istante che parve un secolo, mi ammaliarono totalmente. I demoni mi scrutarono guardinghi, ma non mi attaccarono. Soltanto uno di loro allungò un arto verso di me, sfiorandomi il mento con un artiglio. Seguii il riflesso d’argento fino ai suoi occhi così chiari e vidi la sua espres-sione cambiare istantaneamente.
Un frullio d’ali e l’incantesimo si ruppe.
Due braccia mi afferrarono per la vita e piume nere come la notte oscurarono la mia vista.
Mi dibattei spaventata e Raziel - finalmente lo riconobbi - dovette lasciarmi andare a pochi metri di distanza dai cacciatori.
«Ma sei impazzita?!» gridò scrollandomi «Dobbiamo andarcene!»
Il ringhio basso e minaccioso dei demoni si propagò nell’aria e la sensazione di torpore mi invase di nuovo. Sentii una scossa, una vibrazione che scese lungo la schiena e mi avvolse il cuore. La vista mi si appannò e nella nebbia riconobbi nitida una freccia scoccata in direzione dell’angelo.
«Attento!» gridai gettandomi su di lui e facendolo cadere a terra.
«Ma che…» incominciò, ma non finì la frase che il dardo gli sfiorò la guancia destra, conficcandosi nel cemento e lasciandovi una profonda crepa. Ci voltammo entrambi nella sua direzione, ma la folgore si stava già dissolvendo in mille, piccole, faville nere.
«Co... cos’era?» gli chiesi iniziando visibilmente a tremare.
Lui si rialzò e porgendomi una mano disse più rivolto a se stesso che a me: «Una freccia di Eros»
«Chi?»
L’angelo non mi diede retta e afferrandomi bruscamente si alzò in volo, evitando per un soffio l’attacco dei demoni.

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Capitolo 3
*** 02 - Fuoco oscuro ***


02
Fuoco oscuro

Eva

«Ti ho detto di fermarti!» strillai ancora aggrappata a Raziel che continuava a sbattere furiosamente le ali spingendosi sempre più in alto.
Ebbi la malsana idea di sporgermi per osservare ciò che ci sottostava, ma un’ondata di paura s’impossessò di me e mi strinsi al trasportatore di anime, nascondendo il viso nel suo petto.
«Hai paura?» mi chiese.
Non vidi la sua espressione, ma mi con-vinsi che stesse sorridendo. Annuii lentamente, senza lasciare la mia presa sulla sua tunica nera.
«Chi è Eros?» ripetei senza osare staccarmi da lui.
Raziel ignorò la mia domanda.
Il volo fu breve e ben presto ci ritrovammo a navigare fra nuvole scure. Ne sfiorai una con la mano e un brivido freddo mi percorse il braccio, mentre lasciavo il segno delle mie dita su di essa. Ancora non comprendevo appieno la mia condizione di anima. Non ero più di un refolo d’aria, ma allo stesso tempo potevo, per qualche istante, agire sulla materia come avrebbe fatto un qualsiasi essere umano ancora in vita. Potevo muovermi liberamente all’esterno, ma per entrare in una casa abitata dovevo passare necessariamente da un uscio o da una finestra aperta, quasi dovessi chiedere il permesso per accedervi.
Toccai ancora le nuvole scure ed esclamai: «Ma è fantastico!»
«Concordo» sorrise l‘angelo «ma siamo arrivati».
Guardai avanti e trattenni a stento il mio stupore. Ra si fermò su una distesa di nubi, di fronte ad un enorme portale di... cosa? Non seppi riconoscerne il materiale, ma i miei occhi s’illuminarono nel vedere le intarsiature sulle due porte. E la luce che emanavano, calda e piacevole, riusciva a rischiare tutto intorno. Come avevo fatto a non vedere quella meravigliosa luminosità che, constatai sbalordita, non mi feriva affatto?
«Eccoci!» esclamò Raziel «Ora basta che ti accosti e le porte si apriranno»
«Ok» mi avvicinai, passo dopo passo, fino a quando non mi ritrovai a meno di un millimetro dal portale, ma non accadde nulla. Mi voltai confusa verso l'angelo e lo vidi grattarsi la testa sconcertato.
«La tua anima è destinata al Paradiso, ne sono certo, lo sento… ma perché non riesci ad entrare?» mi chiese sorpreso.
Sollevai le braccia esasperata «Cosa vuoi che ne sappia io? Fino a poco fa non pensavo nemmeno che esistesse un Paradiso»
“E gli angeli” aggiunsi mentalmente “e i demoni”.
Lui alzò le spalle e venendomi vicino mi disse: «Dovrei riferire ad Azra, ma non posso lasciarti qui da sola»
«Con il tuo consenso, potrei restare io» disse una voce alle nostre spalle.
Ci voltammo contemporaneamente e Ra esclamò: «Nithael!».
Tralasciai di chiedergli chi fosse questo Azra, poiché il nuovo venuto - un altro angelo! - atterrò spiegando le quattro grandi ali bianche a pochi passi da noi.
«Lo faresti davvero?» chiese Raziel con già una mano sul portale. L’altro annuì e mi rivolse un sorriso dolcissimo «Qual è il tuo nome, oh dolce anima pura?» mi chiese venendo verso di me e inchinandosi in un baciamano.
Arrossii di colpo, ritraendo istintivamente la mano.
«E… Eva» balbettai osservandolo incantata.
A differenza di Raziel, l’angelo aveva quattro ali di un candido bianco, i capelli biondi e ricci e i suoi occhi avevano una colorazione lilla che gli donavano dolcezza e fascino nel medesimo tempo.
«Il mio nome è Nithael, sono l’arcangelo della Prestigio, incantato di conoscerti Eva».

«Perché non ho potuto seguire Raziel?» domandai continuando a fissare un punto vago e indistinto di fronte a me. L’angelo dai capelli ramati aveva spalancato il portale ed era sparito nella luce abbagliante che ne era fuoriuscita. Mi ero protetta istintivamente il viso con le mani e, prima di ricordarmi che quella luce non mi avrebbe fatto alcun male, le porte si erano già richiuse.
Da quel momento era iniziata la mia attesa.
Mi sembrava che fosse trascorsa un’eternità, mentre l’arcangelo Nithael continuava a fissarmi con i suoi occhi violacei.
Non potevo vederlo, perché mi rifiutavo di guardarlo in viso, troppo imbarazzata anche solo per distogliere lo sguardo dalle nuvole che ci circondavano; tuttavia potevo sentire il calore e il peso dei suoi occhi fissi su di me.
Mi stavano studiando.
Raziel aveva fatto la medesima cosa non appena mi aveva vista, ma se lo sguardo del traghettatore mi aveva in parte infastidita, quello dell’arcangelo era quasi… piacevole.
"Non devo lasciarmi incantare” riflettei, stupita poi dal mio stesso pensiero. Nithael non rispose subito, ma si concesse ancora un lungo ed interminabile minuto di silenzio prima di parlare.
«Le porte si sarebbero richiuse subito dopo il passaggio di Ra e la tua anima sarebbe rimasta intrappolata»
«Intrappolata?»
«Sì» confermò lui dolcemente «ma queste sono questioni delicate e che concernono soltanto gli angeli superiori».
Appuntai mentalmente le informazioni sull’esistenza di “angeli superiori”, qualunque cosa significasse quell’espressione e tralasciai, almeno per il momento, anche tutto ciò che riguardava le porte del Paradiso.
Era un altro il dubbio che più mi premeva chiarire.
«Cosa sono le frecce di Eros?» chiesi titubante. Sussultò sorpreso, ma impiegò soltanto un istante per ricomporsi e quell’aura di dolcezza e serenità che l’avvolgeva non svanì affatto.
«Perdona la mia reazione, ma sei stata davvero diretta» commentò sbattendo appena le ali e volando accanto a me.
Mi pentii della mia domanda. Probabilmente ero stata troppo scortese, ma era da quando quel dardo aveva sfiorato me e Ra, che continuavo a domandarmi cosa fosse e chi potesse averlo scoccato.
«Te ne ha parlato Ra?» s‘informò l‘arcangelo. Scossi la testa facendo volare alcune mie ciocche ribelli e gli raccontai ciò che Ra-ziel, nella fretta di incontrare Azra, non aveva avuto tempo di rife-rire. Guardai per un istante le iridi lilla dell’angelo e, rilassandomi, gli parlai di me, del mio incontro con il traghettatore e dell'attentato, se così poteva essere definito, contro di noi.

Nithael si scostò alcune ciocche bionde dal viso e mi osservò attentamente. Abbassai lo sguardo imbarazzata, ma continuai ad avvertire i suoi occhi pervinca fissi su di me. Mi scrutavano, cercando di dare risposta alle mie domande: perché la mia intolleranza alla luce era rimasta nonostante fossi morta? Perché le porte del Paradiso non volevano aprirsi? Sapevo perfettamente che nemmeno lui avrebbe saputo risolvere i miei dubbi, eppure, rimanevo aggrappata a quella speranza vana con tutta me stessa. Sì, ero molto brava ad impuntarmi e a sperare in ciò che era palesemente inutile. Era la mia specialità.
«Quindi» disse mentre la sua voce cristallina mi incantava «è così che sei venuta a conoscenza delle frecce di Eros».
Annuii sfregando le mani in un gesto di disagio. Gli avevo ra-contato tutto quello che era accaduto, da quando mi ero risvegliata come spirito fino al momento in cui io e Ra eravamo giunti in quel luogo di nuvole.
Lui non aveva mostrato pena o compassione per me, e per questo gli ero infinitamente grata, ma soprattutto, non aveva insistito per conoscere il prima. Avevo volutamente evitato di parlargli del come ero morta e lui non mi aveva posto alcuna domanda.
Non avrei potuto desiderare di meglio.
Il suo dolce sorriso era scomparso alcune volte durante la mia narrazione, ma di nuovo risplendeva pochi attimi dopo, infondendomi serenità. Alzai prudentemente lo sguardo e percorsi con gli occhi quei lineamenti perfetti. Era bellissimo e i suoi gesti così raffinati facevano risaltare la sua figura armoniosa. Se mi avessero chiesto di definire l’arcangelo con qualche aggettivo, avrei risposto con un “semplicemente magnifico”. Pendevo dalle sue labbra e sussultavo ogniqualvolta i suoi occhi si posavano su di me.
«Raziel ha fatto bene a non parlartene» riprese «L’avrebbero degradato per insubordinazione, sai?» sorrise mentre distoglievo lo sguardo una seconda volta.
«Po... potresti spiegarmelo tu?» balbettai titubante.
«In realtà non potrei, vedi, non si coinvolgono gli spiriti negli affari degli angeli. Comunque» continuò facendomi l’occhiolino «Se prometti di mantenere il segreto potrei anche parlartene».
Annuii convinta, eccitata all’idea di condividere un segreto con quel meraviglioso angelo dalle ali bianche.
«Vedi Eva, secoli fa esisteva un arcangelo, Eros, anche sulla Terra se ne parla, vero?»
«Eros... intendi il dio dell'amore?»
Lui sospirò alzando le spalle «Nelle vostre leggende è rappresentato in questo modo, ma lui in realtà era un arcangelo, l'arcangelo dell'Amore appunto. A dir la verità, prima era solo un traghettatore come Raziel, ma poi riuscì a far carriera, se così si può dire. Aveva talento, coraggio ed era bellissimo».
“Come te?” avrei voluto chiedere, ma mi zittii appena in tempo.
«Tutti conoscono il suo nome e cercano di seguirne le orme, per noi è un mito» sorrise aggiungendo: «così però sto divagando, cosa stavo dicevo? Ah giusto, le sue frecce. Anche le vostre leggende ne parlano».
Incrociai le braccia e ripercorsi mentalmente tutti i miti che avevo letto nella mia breve vita. Spesso avevo sfogliato i volumi di papà sull’argomento e orgogliosa dissi: «Il dardo dell’amore e quello dell’odio». Guardai speranzosa Nithael «Giusto?»
«Sì Eva, ma quelli erano gli effetti che producevano su voi es-seri umani, per noi era diverso».
Inclinò il capo verso di me, sussurrandomi all’orecchio «Angeli e demoni non possono uccidersi a vicenda. Gli angeli non posso distruggere la vita dei demoni e que-st'ultimi non possono dare la morte ai primi, altrimenti morirebbero loro stessi. Solo Eros aveva questo potere, con la freccia dell'odio era in grado di distruggere un essere celeste, mentre con la freccia dell’amore poteva eliminare un essere degli inferi. Solo lui poteva farlo».
Mi voltai per vedere il suo viso e forse fu solo una mia impressione, ma ero quasi certa di aver visto qualcosa balenare negli occhi di Nithael. Non sapevo cosa potesse essere, ma quella luce mi fece paura e mi ritrassi istintivamente. Lui trasalì apparentemente sor-preso e mi chiese: «Qualcosa non va Eva?»
Com’era bello il mio nome pronunciato da lui! Al diavolo le congetture e i presentimenti! Come potevo aver avuto timore di Nithael? Mi diedi mentalmente della stupida e ripresi ad ascoltare ciò che mi diceva.
«Queste informazioni dovrai tenerle per te dolce anima, intesi?»
Annuii e lui continuò: «Raziel nutre un profondo rispetto per Eros e spera di divenire come lui un giorno. Non vuole essere solo un angelo traghettatore».
«Ma lui dov’è ora? Intendo Eros»
«Lui…»
Non fece in tempo a terminare la frase, poiché delle ombre nere come la pece si avvolsero intorno a noi dividendoci. Non riuscivo a vedere a un palmo dal naso. Assolutamente niente. Il buio m’impediva di scorgere l’arcangelo del Prestigio. Avvertii un fruscio alle mie spalle e mi voltai spaventata. Qualcosa mi sfiorò il braccio e indietreggiai al limite del terrore. Cercai di gridare, ma l'urlo mi si mozzò in gola e anche le forze mi abbandonarono. Lo sgomento, no, il terrore s’insinuò in me e caddi in ginocchio. Cercai di chiamare Nithael, ma la sua voce mi precedette: «Azra basta! La stai spaventando!»
Il suo tono era autoritario, ma non aveva perso quella sua meravigliosa dolcezza che la caratterizzava e un poco mi sentii sollevata. Non se n’era andato, era ancora in quella nebbia nerastra.
«Moccioso!» gli rispose una voce fin troppo vicina a me.
Balzai in avanti, rischiando di cadere nuovamente. «Tu osi dare ordini a me? Stupido arcangelo!»
Non sapevo se attribuire quel timbro a una donna o a un uomo e per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad intravedere nessuna figura davanti a me. La nebbia si dissolse lentamente e mi ritrovai a fissare terrorizzata due occhi cremisi. Due mani mi avvolsero le spalle e alzando gli occhi riconobbi Nithael, con uno sguardo severo puntato su colei che era appena giunta. Seguii la direzione che m’indicavano i suoi occhi e guardai l’angelo che sorrideva sarcastica.
Aveva dei lunghi capelli bianchi, candidi come la neve, che facevano risaltare gli occhi scarlatti e le labbra altrettanto rosse. La parte destra del viso era nascosta da una serie di simboli strani, dagli angoli appuntiti e le curve morbide, come una maschera argentea. Indossava un lungo abito nero, scollato e impreziosito da una pietra color ebano legata al collo sottile. La veste, stretta sotto il seno, le scendeva fino ai piedi, così come i riccioli dei suoi lunghi capelli, ma ciò che mi fece sgranare gli occhi a metà tra la paura e l’ammirazione, erano le sue ali. Non so quante fossero realmente, ma parevano più di cento, nere e lucide, evanescenti e concrete allo stesso tempo, con le piume bordate d’oro. Era bellissima, ma allo stesso tempo fin troppo inquietante.
«Azra»
«Nithael» rispose lei di rimando. Un sorrisetto sadico le si dipinse sul volto quando il suo sguardo si posò su di me e solo allora realizzai di essere tra le braccia dell’arcangelo. Mi divincolai e lui mi lasciò fare, mentre la nuova venuta scoppiò a ridere.
«E così sei tu l’anima che ci sta causando non pochi problemi».
Rimasi immobile, terrorizzata all'idea di dire qualcosa o semplicemente di muovermi.
«Avanti rispondi! Il gatto non ti avrà mica mangiato la lingua!»
«S... sì…» dissi poco convinta.
«Sì che ti ha mangiato la lingua? Ahimè che grave perdita!» la donna iniziò nuovamente a ridere e io non ci vidi più, ferita nell’or-goglio per essere stata presa in giro.
«Ma come ti permetti!?» gridai fuori di me dalla rabbia «Non hai il diritto di prenderti gioco di me in questo modo!»
Con la coda dell’occhio vidi Nithael impallidire e quando rivolsi nuovamente l’attenzione sulla donna non la vidi più. Non c’era, ma non feci in tempo ad aprir bocca che riapparve ad un soffio dal mio viso, gli occhi scarlatti puntati sui miei e un ghigno che le stirava le labbra rosse, mostrando i piccoli denti bianchi. Arretrai di scatto, ma lei mi afferrò il braccio trattenendomi.
«Sai chi sono io?» mi domandò guardando divertita il panico riflesso nei miei occhi «Io mia cara, sono colei che voi stupidi uomini chiamate Mors o Fear, oppure Balor, qui mi chiamano Azra, ma più semplicemente io sono l’arcangelo della Morte!»
La guardai stupita e ripensai a tutti coloro che avevano affermato di essersi ritrovati faccia a faccia con la morte. Chissà se anche loro avevano visto una stupenda e sinistra donna.
«Non dici niente?» mi chiese lasciandomi il braccio e allontanandosi di qualche metro.
«Cosa dovrei dirti? Ho paura e sono sorpresa, niente di più». Lei mi sorrise, questa volta senza sarcasmo e mi rispose: «È già qualcosa».
Mi voltai in cerca di spiegazioni verso Nithael, ma notai che nel frattempo si era allontanato e ora discuteva tranquillamente con Raziel spuntato da chissà dove.
“Bene” pensai “sola con la Morte, non è tanto rassicurante”.
Nithael mi guardò per un istante e mi sorrise, indicandomi con un cenno del capo l’arcangelo che mi aveva terrorizzato. Mi arresi all'idea che avrei comunque dovuto affrontare la situazione da sola, quindi sospirai cercando con lo sguardo Azra. La trovai seduta su una nuvola di passaggio, mentre giocava con alcune piume nere.
«Da millenni amministro le anime» disse senza neppure guardarmi «e non ho mai sbagliato collocazione, mai, sono io che invio gli angeli traghettatori a recuperare gli spiriti destinati al Paradiso, diciamo che sono il capo di Ra».
Annuii cercando di non farmi mettere in soggezione da quegli occhi color sangue.
«Poi però» continuò «arrivi tu e mandi a monte il mio record, è terribilmente irritante sai?»
«Mi... mi dispiace» biascicai.
«E di cosa? Dubito che tu l’abbia fatto apposta e poi ci sono altre questioni ben più importanti del fatto che tu non riesca ad entrare nel Paradiso. Per esempio, il fatto che tu riesca a spostarti di luogo in luogo, invece di restare ancorata al posto in cui hai spirato. Raziel mi ha riferito il vero?»
«Sì»
«A ciò dobbiamo aggiungere quelle cicatrici e quelle abrasioni che non dovrebbero essere sulla tua anima, ma che vedo io stessa su di te»
«Intolleranza al Sole» mormorai «è una specie di malattia che avevo anche da viva»
«Una specie, hai detto bene» commentò Azra «infine, ma non meno importante, Raziel mi ha detto che hai avvertito l'arrivo della freccia di Eros»
«Sì…»
L’arcangelo della Morte mi si avvicinò e mi prese per le spalle, costringendomi a guardarla negli occhi.
“So che Nithael ti ha par-lato dei dardi”. Sgranai gli occhi sorpresa. Le sue labbra non si erano mosse, ma io avevo distintamente sentito la sua voce. “Non ti spaventare, i messaggi telepatici non sono la cosa peggiore che tu abbia affrontato, no? Non voglio che quei due sentano il piccolo avvertimento che sto per darti. Non fidarti mai di nessuno piccola Eva, è chiaro?”
«Sì» dissi chiedendomi se con quel “nessuno” intendesse anche se stessa.
«In ogni caso, ho chiesto aiuto ad Hariel, il nostro “grande saggio”» mi disse ghignando «Per questo ci abbiamo messo più tempo del previsto».
Osservai il cielo. Era davvero passato molto tempo da quando Raziel era entrato nel Regno Celeste, ma ero stata talmente rapita da Nit... dal racconto di Nithael che non vi avevo fatto caso, inoltre, la luce che emanava quell’angelico cancello, rischiarava le tene-bre circostanti in un tramonto eterno. «Comunque» disse stiracchiando le braccia «dubito che sia disposto ad ammettere più di quanto io non sappia già».
«E cosa sai di me?» chiesi con una punta di curiosità.
«Segreto» sussurrò portando un dito alle labbra «però posso dirti che con questi miei occhi vedo il cuore della tua anima, è lui che decide se è l’Inferno o il Paradiso la tua ultima casa»
«E il mio? Cosa ti dice il mio cuore?»
A piccoli passi si avvicinò a me e mettendomi una mano sul capo mi rispose: «Il tuo cuore, la tua essenza, brilla di una luce incantevole. Il tuo spirito è puro, ma c’è qualcosa che impedisce che risplenda come davvero dovrebbe»
«Cos’è che l’offusca?»
«Mia cara, questo lo devi scoprire da te, sei pronta a metterti in gioco?»
Annuii convinta. Non potevo restare in quel limbo: inseguita dai cacciatori e impossibilitata ad entrare nell’unico posto sicuro che mi restava.
«Allora Eva, prima di andare lascia che ti sveli un segreto».
Le sue iridi cremisi incontrarono le mie e un nome risuonò nella mia mente.
«È il mio vero nome, potrai utilizzarlo una sola volta e io verrò da te, lo giuro, e ti aiuterò nel momento del bisogno, ma non devi rivelarlo a nessuno»
«Lo prometto» risposi «E ora? Cosa devo fare?»
Vidi Ra e Nithael voltarsi verso di me, Azra posò le sue candide mani sulle mie spalle e... mi spinse.
Letteralmente.
Scivolai e caddi nel vuoto, la nuvola non mi sosteneva più e io precipitavo ad una velocità impressionante, ma riuscii egualmente a scorgere l'orrore dipinto sul viso di Raziel e lo sguardo stupito dell'arcangelo della dolcezza.
«Eva!» sentii gridare.
Udii la risata di Azra e la sua voce tonante esclamare: «Ti devo la vita di un mio subordinato! Grazie!»
Precipitavo avvolta da catene d’argento che si erano materializzate nei punti in cui Azra mi aveva afferrato.
“Maledetta!” pensai continuando a cadere.
Strinsi gli occhi terrorizzata. Cosa sarebbe accaduto ad uno spirito lanciato nel vuoto nel momento in cui avesse raggiunto il suolo?
«No!» urlai con tutte le mie forze e, in quel momento, smisi di cadere.
Ero illesa e sdraiata su una spiaggia.
Non c’era stato alcun impatto, ma era stato come se mi fossi materializzata lì all’improvviso.
Risi nervosa e, barcollando, mi diressi verso la strada con le catene ancora avvolte intorno alle braccia. L’alba stava già rischiarando il cielo. Dovevo assolutamente trovare un luogo in cui ripararmi. Sospirai, ma un grido mi fece sobbalzare. Mi voltai sconcertata e vidi due ragazzi, mano nella mano, che mi fissavano impauriti.
“Mi stanno guardando? Com’è possibile?” mi chiesi mentalmente. Li salutai con la mano, ma loro non ebbero nessuna reazione. Alzai le spalle e feci per andarmene, quando notai stupita che trascinando i piedi avevo lasciato due solchi sulla sabbia.
«Oh... hanno visto i solchi, ma nessuno che li lasciasse». So che non avrei dovuto farlo, ma mi voltai e iniziai ad avanzare verso di loro, pestando i piedi sulla sabbia in modo che risultassero ben evidenti le orme. Li terrorizzai tanto da farli fuggire all’istante. Corsero via a tutta velocità gridando come matti. Risi a più non posso, non riuscivo a fermarmi e delle lacrime iniziarono a scatu-rire dai miei occhi. Iniziavo a capire perché non ero riuscita ad entrare in Paradiso, io non avevo un’anima pura, Azra si era sbagliata. Ridevo della paura altrui e provavo piacere nel farlo. No, non ero uno spirito buono.
“Chissà come saranno spaventati ora” pensai leggermente pentita, ma poi mi riscossi e alzai le spalle. Non era affar mio. Feci per andarmene, ma un ringhio poco rassicurante mi bloccò all’istante. Mi voltai lentamente, ritrovandomi a fissare un demone. Era simile a quelli che erano apparsi nello spiazzo davanti alla casa in cui avevo incontrato Raziel, ma questo aveva qualcosa di particolare. Il suo sguardo incuteva terrore e, dalla luce che attraversò i suoi occhi, capii quanto desiderasse cibarsi della mia anima.
Quei demoni non mi avrebbero fatto del male, ne ero convinta, lui invece mi avrebbe divorato.
«Maledizione!» esclamai fuggendo, mentre l’alba tornava ad illuminare poco a poco la città. Il demone non aspettò altro e iniziò a rincorrermi, raggiungendomi e indietreggiando come un gatto che gioca con un topo. Provai a svoltare in un vicolo, ma lui me lo impedì, costringendomi a correre nella direzione opposta. Saltellava qua e là con talmente tanta agilità che a malapena riuscivo a scorgerne i movi-menti. Cercai invano una casa in cui la forza vitale degli abitanti mi avrebbe tenuto al sicuro sia dai raggi del Sole sia dal cacciatore, ma quella dannata parte della città in cui ero finita era quasi totalmente deserta e le poche case abitate avevano tutte porte e finestre serrate. Solo un uscio socchiuso o un’imposta aperta mi permettevano infatti di entrare nelle abitazioni altrui. Mi ritrovai con le spalle al muro. Non potevo più scappare, mi avrebbe raggiunto. Questa convinzione si propagò nella mia mente, facendo scattare il mio istinto di sopravvivenza e per quanto ritenessi stupido combattere ora che ero già morta, mi concentrai e afferrai un ramo caduto ai piedi di un albero, posizionandolo di fronte a me e brandendolo come una spada. Non sapevo neppure se gli oggetti del mondo umano potessero sortire un qualche effetto su quella creatura, ma non avevo altre alternative.
Il demone gongolò saltellando a destra e a sinistra, avvicinandosi sempre di più e sghignazzando trionfante. Si chinò, sorridendo crudele e mostrandomi le zanne affilate, poi con un balzò mi fu subito addosso. Cercai di colpirlo con il ramo e dai suoi mugolii capii di aver centrato il bersaglio un paio di volte, ma non ero abbastanza forte. «Dannazione perché?!» gridai con le lacrime agli occhi. I suoi denti avevano forato il mio spirito e non mi lasciavano andare. Faceva dannatamente male, ma non riuscivo a divincolarmi.
“Sono debole” pensai piangendo per il dolore “sono troppo debole”.
Sì, tu sei debole.
Una vampata. Fiamme corvine si levarono verso il cielo chiaro, alte quanto il palazzo che mi aveva impedito di fuggire.
Sentii dei gemiti e delle grida strazianti, ma le lacrime mi avevano annebbiato la vista e non riuscivo a scorgere colui alle quali appartenevano. Le asciugai. Il mio braccio sinistro ardeva di un fuoco nero pece, mentre il destro, ferito dai morsi del mostro, lentamente si rimarginava.
«C... cosa sta succedendo?» farfugliai a mezza voce. Udii un altro urlo, l’odore di un corpo carbonizzato. Poi i raggi dell’astro diurno mi raggiunsero e le forze mi abbandonarono.

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N.d.a. Buongiorno gente! Come scritto nell'introduzione, questi sono solo i primi capitoli di "Stelle nel Buio". Se trovate interessante quest'inizio un po' burrascoso e vorrete scoprire la vera storia di Eva, troverete il libro completo il libreria. Oppure ordinandolo su ibs.it scontato.
"Stelle nel Buio" è nato anni orsono su efp, ma all'epoca aveva un altro titolo: "Angelical Wings". Se qualcuno dei veterani qui presenti si ricordasse della mia storia e di Eva (Shamael nella prima versione) e Raziel ne sarei davvero felice!

Grazie per aver letto fin qui e un enorme grazie a chi vorrà leggere la storia completa!
A presto!

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