Nihaar'ì - Il Risveglio

di Elendil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vie nel Deserto ***
Capitolo 2: *** Agves Anaphat ***
Capitolo 3: *** I contorni del suo volto ***
Capitolo 4: *** Il deserto è grande e così grandi sono i suoi misteri ***
Capitolo 5: *** Kamin - Na ***
Capitolo 6: *** Karin - Lieve sospiro ***
Capitolo 7: *** Nayel ***
Capitolo 8: *** Una voce nel vuoto ***
Capitolo 9: *** Passi nella Tormenta ***
Capitolo 10: *** L'Antico Testo ***
Capitolo 11: *** Il Marchio ***
Capitolo 12: *** Vermayin - La Città del Cielo ***
Capitolo 13: *** Vecchi amici ***



Capitolo 1
*** Vie nel Deserto ***


Risuona nell’aria, potente, costante, interminabile.

Risuona come un immenso grido senza inizio né fine e cresce. Cresce di attimo in attimo. Sempre più forte, incontenibile.

Da dove viene questo suono? Si chiede. E per un attimo non capisce dove sia. dove si trovi. E perché mai, in fondo, fra tutti i luoghi, è proprio in quello che ella ritorni ora, vacuamente, come anima errante alla ricerca della propria origine.

Arriverà qualcuno. Ricorda. Ma non chi desidero. Si dispiace.

Così in un attimo ella si volta, il cuore pesante, gonfio di un sentimento che ancora non comprende ma già teme, già sente di dover fuggire. E scappa. Vesti a frusciare in quel suono roboante coprendo i suoi passi affrettati, smaniosi, esasperati.

Di qui? Si chiede. No, di là. Di là.

Forse così facendo, si dice, sarà in grado di evitare quel momento. In grado di impedirsi di incontrare il vago accenno del destino che, inevitabile, cala su di lei sempre più vicino, intollerabile.

Si ferma. Prende fiato.

E solo allora si rende conto che tutto intorno a lei sta vorticando così fortemente da far male alla vista. E forse girerebbe ancora più forte se lei medesima non girasse con lui ad un ritmo pazzesco.

Ma non può fermarsi. Non può.

“Dove stai andando, Odayn?” di nuovo la voce la rincorre. Imperturbabile. Calma. Come quella di un genitore.

Non lo so. Si sorprende a pensare. Non te lo dico.

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Aprì gli occhi poco meno che una frazione di secondo. Sabbia sulle labbra. Vento lontano. Forte. Fortissimo. E caldo. Irrespirabile. Un attimo per percepire il ronzio della tempesta nelle orecchie e ricadde da dove era venuta, nei propri sogni.

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E si chiede chi siano quelle figure in lontananza. Le sente parlare vivacemente. Decise. Come branco di fiere attorno alla preda. Ma basta un suo movimento per zittirle. Giusto la percezione che lei li stia guardando a mutarli, come sorpresi.

E guardarla. Lei, che inerme non sa far altro che scrutarli da lontano.

Il buio ondeggia attorno alla sua figura sola, la vaga sensazione di essere per lo più nuda a farla indietreggiare, timidamente, alla ricerca di un poco più di buio.

Come può essere accaduto? Si chiede. Ricordava di aver avuto vesti e abiti bellissimi alla Torre del Tempo. Cose da far arrossire mentre li indossava.

Ed ora è nuda.

“Vieni” le dice qualcuno “Vieni qui”

Lei invece arretra. Non le piace che le diano ordini. Lei, che li ha eseguiti per tutta la vita. Non le piace ora che la si apostrofi con quel tono. Ma sa che obbedirà. Lei obbedisce sempre. Sempre.

“Vieni qui...qui”

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Questa volta il risveglio fu più rude, brusco, quasi in risposta ad uno scossone che il suo corpo aveva percepito suo malgrado. Gemette come un bambino, un dolore vago e generalizzato a sgusciarle fuori dalle labbra in un sospiro ovattato, greve, rasposo.

Di nuovo percepì allora il vento. Ed il caldo forte ed incombente attorno a lei, respiro rovente contro il viso che le tolse il fiato costringendola a tossire suo malgrado, debolmente.

Scoprì inoltre di avere sete. Terribilmente. E di essere senza forze. Nemmeno per alzare un braccio o spostare il proprio corpo da quella strana posizione in cui - non riuscì nemmeno a definirla - era messa.

Dormire ancora e di nuovo, per quanto difficile, fu l’unica soluzione.

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Il freddo torna da lei ancora. Opprimente. Una stretta sul corpo che pesa tanto, troppo per resisterle. Si divincola, scalcia, eppure avverte chiaramente che non vi si può liberare in alcun modo. Così aspetta, incerta nel capire se così facendo morirà o semplicemente rimarrà immobile tutta la vita. In attesa.

Poi un movimento. Poi una presenza. Poi quella vaga sensazione a tornare, presente. Vicina.

Odayn” la chiamano “Odayn...”

Ma forse no. Forse questa volta non è una voce. E’ altro. Altro ancora...

Odayn...

E lei scuote il capo. Una volta. Due. Di nuovo. La meccanicità di quel gesto a guidarla di convinzione, volontà, sentimento finché, perché no, ella sente che potrebbe anche opporsi questa volta. Solo questa. Poi basta, poi mai più.

E forse, già che c’è, aprire anche gli occhi finalmente. E’ tanto che non lo fa. Lo sa. Lo sente.

Odayn...” la ammonisce però qualcuno “Odayn...”

 

Aprire gli occhi fu come destarsi senza in realtà farlo. Tornare alla propria realtà ed al contempo rimanere avvinti a quell’altra poco più indietro, poco oltre, ancora nascosta dietro il velo della vista appannata, dei sensi intorpiditi.

Eppure, sospirò. Eppure con la stessa incredibile certezza provata nel sogno, la Nihaar’ì seppe di non trovarsi più nel sottile confine fra Oneiron e realtà bensì nella più semplice, rozza e banale concretizzazione della vita.

Fu la fame a suggerirglielo. E la sete. E quei piccoli rumori di fondo, simili in tutto e per tutto ad un costante crepitio dell’aria che solo il mondo, quello vero, poteva avere.

Aspirò a disagio l’umidità che la circondava, cogliendo solo allora una vaga fragranza di bruciato e dolcezza assieme. Espirò. Cannella? Si chiede. Cannella, si. Riconobbe.

Strizzò allora gli occhi, invano, solo per accorgersi finalmente di avere il Velo calato sulle palpebre e di essere completamente sola in quella che presto si mostrò ai suoi sensi come una fredda notte passata - ipotizzò- all’aperto.

Esitò. Incerta.

Dove si trovava l’ultima...la sua mente incespicò...volta?

Seppe ancor prima di provarci, che avrebbe sbagliato. I suoi ricordi erano confusi, distorti e lontani come se fossero appartenuti ad altri e non a lei. La sua memoria vagava in sapori che ella era certa di non aver assaggiato. Parole che non avrebbe potuto affermare di aver detto. Sensazioni che di certo non erano state affar suo.

Eppure doveva pur esserci stato qualcosa prima. Molto prima. Qualcosa che la sua mente avrebbe potuto collocare senza alcun dubbio in una sfera temporale tale da ricordarle da quando, in effetti, ella avesse completamente smesso di ricordare...

Oh, si. Qualcosa c’è.

Nella fitta di dolore che seguì, acuta come la più vera e mordace delle stilettate, la Nihaar’ì non potè fare altro che ripiegarsi su se stessa e gemere lungamente, debolmente.

Asiya.

Annaspò, i cocci -ora ricordò- già infranti del suo animo a scricchiolare nuovamente dentro di lei mentre ella tentava suo malgrado di resistervi in un grido vuoto, esangue.

Dormi

Le ordinò nuovamente qualcosa da dentro. Sbattè gli occhi, stordita dal suo medesimo ansimare.

Dormi. Dormi.

Fu il nuovo, crudo, consiglio.

Ancora? Digrignò il suo corpo teso. Ancora un secondo e si sarebbe spezzato, pensò. Gambe e breccia separate da un busto duro e secco, arido come roccia al sole. Ma la mente parve suo malgrado assentire. Si, dire, prima che ella avesse anche solo la possibilità di replicare.

Se avesse potuto - e la sua mascella non fosse stata serrata in una morsa d’acciaio - allora avrebbe probabilmente sbadigliato a lungo, lungamente. E poi teso le orecchie a quei strani rumori non proprio distanti da lei. Così vicini in realtà, che per un attimo ebbero quasi la forma e consistenza di voci. Voci vere. Voci umane. Voci - inorridì- sconosciute.

Poco prima di potersi spaventare o anche solo formulare la necessità di provare una vera e propria sensazione di paura la sua mente sprofondò nuovamente nel più greve dei sogni.

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Il vento la ghermisce, trascinandola avanti. La sospinge come creatura senza forma e peso, avvolgendola in spirali selvagge per poi risputarla fuori più oltre, in un nugolo di suoni e spifferi senza fine. Lei indietreggia, sopraffatta, inutilmente cercando di resistervi e tuttavia mancando di riuscirsi una, due, tre volte.

Alla quarta smette del tutto di provarci e si accascia a terra, esangue, esausta. Tutto il corpo le duole di mille e più aghi di sabbia conficcati nella pelle. Ogni membra accusa il frustare delle correnti d’aria.

E di nuovo, sente la sete. Sente la fame. Sente che tutto di lei in quell’attimo si sta esaurendo assieme al vento e al turbinio feroce degli elementi.

Boccheggia. Poi si copre il viso. Poi sente per davvero di non farcela più ed allora si chiede, in fondo, perché ha deciso di andare proprio di qui, proprio qua, al di là di ogni sicurezza e certezza. Al di là del buonsenso e di quella voce che lontana lontana eppure incredibilmente presente le urla senza fiato


“Somma Nihaar’ì

il risveglio fu poco meno che un balzo a vuoto da un mondo all’altro, il salto a sottrale tutta l’aria che aveva in gola per sfibrare in lei in un grido roco e scarno, terrorizzato.

Sbattè le palpebre, la furia del vento attorno a sé a riempirle immediatamente gli occhi di sabbia e dolore. Barcollò scoprendosi allora in piedi, immobile, nel bel mezzo di una tempesta di sabbia.

“Somma Nihaar’ì!”

E di nuovo quella voce nel vuoto a perdersi fino a lei in quel marasma ocra e bianco, talmente denso da impedirle quasi di scorgerlo. Annaspò.

Avrebbe dovuto rispondere? No. Si rispose subito dopo. Nessuna voce a lei conosciuta sarebbe suonata così. Tuttavia esitò, gli occhi che incerti tentavano di guardare al di là del velo che ella scoprì esserle volato via chissà dove. La sua assenza la spaventò ed allarmò al contempo, costringendola per istinto a coprirsi il viso con entrambe le mani.

“Somma Nihaar’ì!”

Più vicino, il richiamo la raggiunse nei pochi passi che ad esso seguirono tramutandosi infine in una figura curva, china nel tentativo di resistere alle intemperie.

“Z-Zaphil?” mugugnò incerta. Fece come un mezzo passo avanti. Poi si bloccò “Sei...tu?”.

In un turbinio di vento e sabbia, la figura finalmente emerse in un tramestio di forme giovani e oblunghe, spalle troppo strette, vesti assai diverse da quelle a lei note e no, affatto, una fisionomia che nulla o niente aveva a che fare con alcuna delle persone che ella poteva dire di conoscere o riconoscere a memoria.

Fu certa allora di gemere, spaesata, la consapevolezza di non avere affatto memoria di dove e perché in quell’istante si trovasse in quel luogo - che luogo, poi? -  a precipitarla in uno stato di panico e confusione assieme. Uno, due passi, si avvertì vacillare all’indietro, affondare fino al polpaccio in sabbia fredda e pungente, irta contro le gambe nude.

“Za...” il vento la soffocò. Tossì. Tentò allora di avanzare ancora” Zaphil...”

Con un balzo il suo inseguitore le fu improvvisamente addosso agguantandola in un’esplosione di sabbia e vento.

Questa volta fu certa di gridare, la vaga sensazione di doversi liberare  dalla presa a farle perdere l’equilibrio e farla cadere -inseguitore al seguito- giù lungo il fianco di una duna di sabbia. Rotolando, la sabbia le entrò in bocca, negli occhi, nei vestiti, le graffiò la pelle e le strappò i capelli.

“Somma Nihaar’ì! Vi prego!”

Vi prego?

Boccheggiò senza fiato, incapace di far altro se non divincolarsi ancora, ma l’altro la trattenne “Vi prego” ripetè “N-non voglio farvi del male!”. Di certo convinta, la Nihaar’ì decretò che gridare probabilmente non fosse la cosa migliore da fare in quel momento così tentò in silenzio di divincolarsi. Invano. A metà del primo tentativo, un violento colpo di tosse la colpì rubandole istantaneamente qualunque velleità di resistenza. Quando ebbe fine, ogni suo arto e possibilità di fuga erano sapientemente vincolate alla formidabile presa del suo aguzzino. Il naso premuto contro un tessuto crudo e ispido di sabbia, tossì nuovamente, più volte, invano.

 

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Capitolo 2
*** Agves Anaphat ***


Salve a tutti!

Di ritorno da terre straniere e stenti lavorativi, eccomi di nuovo qui! Ancora un mega grazie a tutti quanti per aver resistito fino a qui e un altrettanto mega grazie se resisterete ad altri sudatissimi capitoli futuri J Spero che possa piacervi e di trovare tante bellissime recensioncine!

A presto e baciozzi!

Elendil

 

Quando tutto ebbe fine, la Nihaar’ì era ancora stretta all’altro, immobile in un vincolo pungente di sabbia e timore. Tuttavia non si mosse. Incerta fra il disdegnare quella presa sconosciuta e segretamente apprezzarla.

Asiya la abbracciava spesso. Ginguettò qualcosa dentro di lei, troppo veloce perché ella potesse fermarla. Accusò il colpo con un singulto sordo, pesante, che il suo aguzzino parve interpretare come l’accenno di vita che attendeva per provare anch’egli a muoversi. Si sfilò da lei bruscamente, scostando la stoffa che aveva calato su entrambi prima di stiracchiarsi con un gemito esausto.

Immobile, la Nihaar’ì schiuse solo allora le palpebre ritrovandosi a fissare granelli di sabbia fluttuanti ancora ovunque, sottili e leggeri come polvere sospesa. Tutto attorno pareva ora immerso in un pallore schiumoso e latteo.

Poi si tirò seduta, un vago accenno di tosse a coglierla per un attimo prima che ella voltandosi, fissasse finalmente il proprio sguardo in quello del suo inseguitore. Portava vesti di un rosso scuro e slavato a tratti macchiato da aloni più chiari di sudore rappreso. Al petto portava una piccola sacca di pelle.

Acqua, riconobbe immediatamente lei scoprendosi contemporaneamente assetata. Per un folle attimo meditò la possibilità di impossessarsi di quell’oggetto. L’attimo dopo desistette, la sensazione di essere assai più debole del proprio inseguitore a convincerla della necessità di agire diversamente.

Magari potrei semplicemente ordinargli di darmelo...

“E’ sveglia?” in quella comparvero dalla pallida caligine tre figure ammantate, due alte e una più bassa, tutte portanti al guinzaglio un fiero Yenavo’r (draghi del deserto). Lei si irrigidì. L’altro si tirò in piedi spazzolandosi dalle vesti granelli di sabbia e polvere.

“Questa volta si” si limitò a dire prendendo poi a massaggiarsi un braccio.

Per un attimo i quatto si limitarono a studiarla da dietro i propri bardamenti, una vaga rigidità comune a rivelare quanto quel gesto li rendesse assieme nervosi e onorati al contempo. Poi poggiarono all’unisono il pugno al petto e chinando il capo “Anhi Val’ah”.

“Dove mi trovo?” esalò subito lei. La sua voce parve assai più spaventata di come la Nihaar’ì avrebbe voluto, ma sapeva di non poter fare meglio di così. Al suo fianco, il primo dei quattro si strinse appena nelle spalle “Nel deserto” “Dov’è Zaphil?” lo incalzò lei. Nuova scrollata “Più avanti. Ha detto che ci avrebbe preceduto. Ma questo è avvenuto prima delle Tempeste di Sabbia. Ora non abbiamo idea di dove sia e credo che lo stesso valga per lui”

Incerta, la Nihaar’ì si ritrovò a spostare lo sguardo dai due uomini alti, a quello basso, a quello al suo fianco. Si tirò in piedi.

“Quindi siamo dispersi?” esalò titubante. Vago, il cenno di assenso rimbalzò dall’uno all’altro per poi tornare a lei nello schiarirsi della gola di quello basso “E siamo soli, come può notare. Il resto della Carovana si è via via smarrito man mano che le Tempeste di Sabbia continuavano ad avvicendarsi senza sosta”. Nuovo silenzio. Nuovo cenno d’intesa di tutti. Tutti meno che lei che, incerta, stava ora immobile fra di loro come una piccola preda accerchiata da un branco di belve fameliche.

Rabbrividì. E represse a stento un colpo di tosse. Poi si umettò le labbra.

“Dove siamo diretti?” “Anaphantum” rispose rapidamente l’uomo accanto a lei. La Nihaar’ì si accigliò.

Sentì sotto la lingua vaghe screpolature delle labbra attirare il morso dei suoi denti una, due volte. Si impedì tuttavia di mordere.

Eppure Zaphil aveva parlato della Città del Cielo...

Come percependo la sua confusione, quello più basso fece allora un accenno conciliante.

“Quest’anno le Tempeste di Sabbia sono giunte prima del previsto” spiegò con calma “Si è pensato che seguire la via per Anaphantum fosse la scelta migliore per aggirarle”.

Per un breve attimo la Nihaar’ì tentò di ricostruire a memoria le mappe che più volte i suoi Varpet Yuni (Maestri delle Vie) le avevano mostrato nell’estremo tentativo di suscitare in lei il benché minimo interesse per il continente di cui ella era sovrana e protettrice.

Sospirò.

Suo malgrado, tutto ciò che le sovvenne fu una generale sensazione di noia accompagnato alla precisa e inoppugnabile certezza che mai e poi mai tutto ciò le sarebbe servito in vita. Del resto - ricordava accuratamente di aver constatato- mai e poi ella sarebbe uscita dalla Torre senza che qualcuno prima di lei avesse pensato esattamente a dove andare e come andarci.

Perché dunque prendersi un simile e inutile disturbo?

Silenziosa e immobile come la più misera delle prede, la ragazza non potè che socchiudere appena le palpebre.

Ecco perché. Deglutì a vuoto. Ecco perché.

Così, dopo attimi di frenetica ed infruttuosa ricerca, alla Nihaar’ì non restò che annuire una volta, incerta, ai quattro ora immobili come in attesa del suo -ahimé- verdetto finale sull’intera vicenda.

“Ho capito” decretò infine “Ma questo era prima che ci perdessimo, giusto?”

Nuovo annuire unanime, ora un po’ più genuinamente sconfortato.

“Secondo i nostri calcoli, Zaphil e la sua scorta dovrebbero essere riusciti a evitare il peggio. Per gli altri, invece, temo sia difficile fare qualunque tipo di previsione” “E per noi?” esalò la Nihaar’ì con un gemito. “Fortunatamente il nostro Hiras conosce il Deserto meglio degli esploratori che ci ha rubato il deserto” spiegò incrociando brevemente le braccia al petto “Se non fosse stato per le tempeste di Sabbia e imprevisti annessi ora saremmo già alla volta di Anaphantum”.

Hiras? Si accigliò lei. Un nome da Danzatore?

Capì allora di aver fatto una deduzione corretta perché all’unisono anche gli uomini tutt’attorno a lei parvero zittirsi, i volti pallidi di sabbia a mutare in un che di teso e nervoso assieme prima che l’Hiras in questione abbozzasse un mesto inchino.

Hiras” fu l’annuncio colpevole

Akanj” gli fece eco subito uno dei due alti compiendo il medesimo gesto.

Atam” lo seguì l’altro.

Matnery” concluse infine il più basso.

Per un attimo la Nihaar’ì parve incapace di dire alcunché. Poi, vago, fu come vederla compiere un mezzo passo all’indietro.

Lungo respiro “Siete Danzatori”

Era tradizione che ogni città di Arryan avesse, oltre alla sicurezza dei Legheon, una propria guarnigione armata cui fare affidamento in caso di attacco. Hevnan k’ar aveva, appunto, i Danzatori, famosi in tutto il continente per l’usanza di denominare i propri affiliati con i nomi delle ferite da essi riportate nel corso dei vari addestramenti.

Dita (Matnery) annuì una volta, piano “Dopo gli sconvolgimenti di Hevnan k’ar, le Volpi hanno proposto che una scorta di Danzatori si unisse alla vostra per garantirvi una migliore protezione” esalò. La Nihaar’ì sbattè una volta le palpebre.

E Zaphil aveva accettato? Esitò.Guardò di sfuggita tutti i presenti.

“E Zaphil mi avrebbe lasciata sola con una scorta di cui sapeva poco o nulla?” si accigliò. Denti (Atam) si schiarì frettolosamente la voce “Non era sua iniziale intenzione farlo” ribattè subito “Ma nel corteo più avanti, l’Hayeli’vo necessitava della sua presenza per l’ingresso ad Anaphantum” “Mi ha lasciata sola con voi e nessun altro?” “Sapeva che vi avremmo protetta a costo della vita”.

Ancora, lungamente, lei non potè fare a meno di sorvolare con lo sguardo i Danzatori lì riuniti, ognuno vestito di una rossa tunica cerimoniale lisa e impolverata più di quanto fosse lecito per genti del loro grado. E infine non trovò alcunché da replicare, la notizia che già vi fosse da qualche parte una nuova Hayeli’vo a sostituire Sery a svuotarla improvvisamente di ogni velleità o domanda ulteriore.

Annuì ancora una volta, meccanicamente, limitandosi allora ad ammettere implicitamente dinnanzi a quegli estranei che andava bene così. E che anche se non fosse andato bene, cosa poteva farci? 

“E’ stata un’offerta assai generosa” commentò quindi incerta “Davvero generosa”

 

Terminate quelle inutili ed assai superflue - questa era l’impressione -  chiacchiere esplicative, presto fu chiaro che i quattro avessero davvero una fretta incredibile di ripartire. In meno di qualche attimo raccolsero tutto ciò che la Tempesta di Sabbia aveva sparpagliato, misero in sesto gli Yenavo’r, pulirono mercanzie e beni di prima necessità intaccati dalla sabbia e tutti insieme saltarono infine in groppa. Meno semplice fu invece convincere lei, la Nihaar’ì ad avventurarsi in quel mondo nuovo ed assai poco invitante denominato: cavalcare con un estraneo. Mai, in effetti, le era stato chiesto di esporre se stessa e il suo nobile grado ad un contatto che esulasse le cure di Danhe e le effusioni di Asiya. Presto, tuttavia, quando fu chiaro che nulla della sua costernazione avrebbe potuto contro la fisica mancanza di uno Yenavo’r a suo esclusivo uso e consumo, la ragazza venne costretta a montare in sella al drago di Dita (Matnery)  e così sistemata, permettere finalmente al gruppo di ripartire alla volta di Anaphantum. 

Così schierati, Orecchio (Akanj) e Atam nelle retrovie, lei e Matnery in mezzo e avanti, molto più avanti, Hiras, il gruppo prese finalmente ad avanzare nel pallido meriggio, ore di calma e vento a stemperare sempre più la piana desertica in una infuocata distesa rovente. Solo voltandosi per caso, la Nihaar’ì fu infine in grado di scorgere in lontananza ciò che rimaneva di una piccola branda da trasporto, probabilmente adibita a suo giaciglio fino ad allora. Desiderò allora di poter dormire ancora, placidamente, nella sua comoda branda solitaria.

 

Come era possibile che Zaphil l’avesse lasciata sola?

Giorno di marcia. Notte di veglia.

Non servì che un giorno perchè la Nihaar’ì sperimentasse sulla propria pelle quanto duro potesse essere il deserto se paragonato agli agi e comodità della Torre del Tempo. Alle sue frescure. Alle sue acque limpide e zampillanti. Che a confronto anche la più becera forma di umidità pareva una manna dal cielo. Simili a pelle di serpente al cambio della muta, le sue labbra già dolorosamente martoriate furono le prime ad accusare i sintomi del calore e disidratazione. 

Sapeva quanto fosse importante che tutto risultasse vero, credibile, certo. Tanto inconfutabile da non lasciare adito al dubbio sul come mai un Naphil lasciasse sola la Nihaar’ì all’ingresso di una nuova città.

Giorno di marcia. Notte di veglia.  

Presto le piaghe sulle labbra della Nihaar’ì esplosero e seccarono in un trionfo di bruciori e tormenti senza fine. Di gran carriera si unirono tagli e lacerazioni alle cosce dovuti allo sfregamento contro la sella dello yenavo’r. In breve la frizione accompagnata alla sabbia onnipresente non permisero alla fanciulla di rimanere nella medesima posizione per più di qualche dolorosa ora.

Eppure la finzione poteva essere così importante da trascurare la realtà? Da rischiare di perderla ancora una volta - e per davvero - nel bel mezzo del nulla?

Giorno di marcia. Notte di faticosa veglia.

“Avete sete?”

Silenziosi e attenti, era raro che i Danzatori parlassero durante le ore di marcia. E’ per risparmiare le forze le aveva detto Matney la prima sera avvolgendosi più strettamente nei propri mantelli. Quando si è in marcia è d’obbligo risparmiare su tutto, anche sulle parole.

Abituata ad una vita di frivolezze e futilità, docili preamboli di un inesorabile spreco di parole, la Nihaar’ì non potè che mancare il saggio ed atavico senso di quelle rivelazioni. Fortunatamente però, rango e diffidenza furono comunque in grado di sopperire consentendole in qualche modo di sfoggiare un solido -seppur malinteso- riserbo durante le silenti ore di marcia.

“Avete sete?” ripetè la voce alle sue spalle. Rigida e per metà assonnata, lei si limitò ad annuire una volta ricevendo in risposta la famosa sacca che da giorni aveva notato trovarsi al collo di ogni Danzatore. “Bevete poco” la ammonì subito Akanj “Dubito che ci saranno pozzi da qui in poi. Questa zona è nota per la sua aridità”.

Lei fece una smorfia prima di rimuovere il fermo del recipiente e bere a piccoli sorsi. Quale meraviglia, l’acqua. Terminato, a malincuore lo richiuse per porgerlo nuovamente all’altro. Lui rispose con un mezzo chinarsi del capo prima di indugiare qualche attimo con lo sguardo su di lei.

“Dovreste provare a dormire, sapete?” le suggerì incerto. Lei accostò le mani al fuoco acceso poco distante. “Non sono stanca” mentì beandosi del piccolo calore da esso scaturito. Nella sabbia tutt’attorno al braciere i Danzatori avevano conficcato una serie di pali sulla cui sommità sventolavano stracci di rosso tessuto evidentemente logorato dal tempo. Di giorno li portavano arrotolati nei tessuti delle brande ai fianchi degli Yenavo’r mentre di notte li ponevano tutt’attorno ai giacigli a mo di cerchio dal quale nessuno usciva mai se non strettamente necessario.

“Non siete stanca?” un accenno di sorriso scivolò sulle labbra di lui venandole di fessure sanguigne. Aveva pelle bruna e abbronzata, quasi caramellata a confronto con quella della Nihaar’ì “Eppure sono tre giorni che non dormite. Credete forse di non averne bisogno?”.

Lei si strinse appena nelle spalle, la sensazione che la risposta a quella domanda non fosse altro che Le Nihaar’ì non hanno bisogno di niente a passare come una brezza fra di loro prima che questi, sospirando, le porgesse un pezzo di carne secca.

“Se non volete dormire, almeno provate a mangiare” l’odore acre e salato del budello fece storcere il naso alla ragazza che rifiutò muovendo appena il capo all’indietro.

“Pregare non serve a nulla, Akanj” dall’ombra comparve in quella la figura di Hiras “Se avesse davvero fame, mangerebbe” con un semplice gesto strappò dalle mani del compagno il pezzo di carne infilandoselo dritto in bocca prima di sedersi al suo fianco. Alla Nihaar’ì rivolse un semplice cenno di intesa che ella non ricambiò.

“Dicono cose strane su voi Danzatori” fece lei dopo un attimo, gli occhi fissi sul lento masticare dell’uomo “Dicono cose strane di tutti” rintuzzò lui. La ragazza arricciò appena le labbra “Dicono che veniate addestrati in luoghi segreti nel deserto al di là del confine delle Vele” una pausa, il viso di Hiras che si alzava come in attesa della conclusione “Con le Ombre” esalò lei infine.

Per un attimo parve di vedere entrambi irrigidirsi appena. Poi Hiras scoppiò in una fragorosa risata “Chi sarebbe tanto stupido da andare al di là del Confine?” la sua voce risuonò per la prima volta giovane e suadente alle orecchie di lei. Una nota strana che ella faticò ad identificare.

“Per non parlare dell’inverosimile addestramento con le Ombre” continuò questi cavando dalla propria bisaccia una strana pianta tutta aggrovigliata; una radice forse “Sbaglio o l’unica al mondo capace di affrontarle siete voi?”

La gomitata di Akanj al fianco di Hiras diede il tempo alla Nihaar’ì di dissimulare il calore che sapeva esserle improvvisamente affluito in viso. Quando lui tornò a guardarla, sperò di essere tornata normale. Le sorrise.

“E quindi è per questa ragione che vi rifiutate di mangiare e dormire?” la voce di Atam li raggiunse dalla parte opposta del fuoco. Stava disteso nel proprio giaciglio, entrambe le mani dietro al capo come nell’atto di ammirare il firmamento “Temete che vi possiamo fare del male con il nostro oscuro potere di Danzatori?”. Voltandosi nuovamente in direzione del fuoco, la Nihaar’ì si limitò a rimanere in silenzio per qualche attimo “Temo ciò che non conosco” ammise poi infine “E se aveste vissuto anche un solo giorno della mia vita, dubito che non fareste altrettanto” il volto di Atam parve contrarsi appena “Vissuto come?” la incalzò girandosi lentamente a guardarla. I suoi tratti più di tutti tradivano la durezza di qualche battaglia o combattimento passati.

Rinchiusa in una prigione d’oro con acqua e servi a profusione pronti a tutto pur di compiacermi. E lame nel buio pronte a sgozzarmi.

“Basta, Atam. E’ ora di dormire” la voce di Matnery pose fine a qualunque ulteriore velleità di dialogo, costringendo gli uomini a rintanarsi nelle proprie brande.

“Dormite, Somma Nihaar’ì” la pregò con voce suadente Matnery prima di coricarsi anch’egli “Il Deserto non concede spazio ad ostinazione o caparbietà. Se voi non lo rispetterete, vi ucciderà come un qualunque abitante di Arryan”.

Queste le ultime parole che gli uomini si rivolsero prima che uno dopo l’alto tutti quanti cedessero ad un sonno silenzioso e avvolgente, duro da sostenere per la Nihaar’ì che sola si ostinava da giorni a non soccombervi.

Danzatori...

La stanchezza e la fame gravavano su di lei come una coltre densa e pesante.

Cisposi di sabbia, i suoi occhi rotolarono lenti dall’uno all’altro Danzatore steso attorno a lei in una rosa di rossi fagotti a tratti sospiranti, a tratti scossi da qualche brivido o movimento.

“Giuro su ciò che mi è più caro che vi porteremo sana e salva ad Anaphantum, Somma Nihaar’ì” le aveva promesso il primo giorno Matney prima di porgerle le consunte stoffe per il suo giaciglio. Ricordò di aver accettato con circospezione l’offerta prima di replicare con un sibilo acuto “E cosa vi è più caro, Danzatore?”. Domanda sbagliata, probabilmente, insinuante come il serpente che a tradimento si infili fra le pieghe degli abiti per attendere il momento più propizio per colpire. E come tale, assai eloquente nell’esplicare quanto poco ella considerasse rilevante il proposito appena esplicato. 

Sospirò, il capo che inesorabilmente si chinava verso terra una, due volte. Poi, quasi rimbalzando, tornava su.

Non si fidava di loro. Nemmeno lontanamente. Socchiuse piano le palpebre. Ma aveva forse alternativa?

Fuori dalla Torre tutto le era estraneo e incomprensibile, un mondo rimasto tanto escluso dalla sua vita da apparirle ora insieme vasto ed inafferrabile. Si passò la lingua sulle labbra scoprendole dure e secche come carta.

Pesante, il capo della Nihaar’ì scivolò ancora un po’ più in basso, una lunga e meticolosa occhiata alla sabbia sottostante prima che ella, debolmente, lo rialzasse con un sospiro contrito.

Rabbrividì.

Del resto non poteva dormire. Si passò la lingua sul palato molle. Espirò. Sapeva di non poter dormire...

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Guarda in alto. Ed eccole nel cielo fibre di nuvole ad indicarle il risalire del vento in alta quota. Il distorcersi dell’aria lassù, troppo in alto perché ella possa sfiorarle eppure abbastanza forte da concederle di sentire a lungo, intensamente, quel suono.

Qualcosa sta accadendo, lassù.

Qualcosa - abbassa lo sguardo - sta accadendo laggiù, più oltre, lungo il confine dell’orizzonte ora sfuocato, ora seminascosto. Strabuzza gli occhi. Guarda. E poi le vede, capisce, interpreta. Sono qui. Fa un passo indietro, due, poi cerca di voltare lo sguardo ma non può. Non - annaspa - riesce.

E così può solo arretrare, interdetta, spaventata. Terrorizzata dal fatto che nulla se non il vuoto e la sabbia la separano dall’inesorabile incombere poco più avanti di quelle figure, quelle sagome - espira  - , quelle Ombre.

No. No.

Indietreggia. Indietreggia. E indietreggia ancora. E quando pensa che indietreggiare possa essere l’unica cosa irrinunciabile di quel terribile attimo, il terreno invece la tradisce. Il suo piede scivola, manca la presa. E nella voragine di un attimo la Nihaar’ì avverte il mondo spalancarsi alle sue spalle come una bocca malefica, vorace, insidiosa.

No. Si sente allora sospirare. No...

E così si protende in avanti. Si sbilancia. Tende le mani. Ci prova, insomma, a non cadere.

E nell’attimo in cui aprì gli occhi, capì di esserci riuscita. Qualcuno stava afferrando la sua mano ora, in quell’attimo. E dopo una frazione di istante ecco tirarla a sé, sbilanciarla non più indietro ma forse in avanti e con un ultimo, roco, sforzo, tirarla a sé in un comune ruzzolare a terra ansante e stremato.

Faccia a terra, la NIhaar’ì si prese tutto il tempo possibile per riprendere fiato. Poi, un tremito incontrollabile a scuoterla da parte a parte, volse il capo di lato incontrando quello del proprio salvatore girato verso di lei in una posa tesa e affannata. Trattenne a stento un mezzo sospiro.

“State bene?” fece Atam senza muoversi. Aveva il labbro inferiore spaccato quasi che nell’atto di afferrarla si fosse morso “Si, credo di si” fece lei poco convinta facendo allora leva sulle braccia per tirarsi in piedi. Lui tuttavia la trattenne con una lieve stretta della mano.

“Aspettate che giungano gli altri” la ammonì piano “Nessuno di noi due indossa il Colore”.

Strana affermazione. Valutò la Nihaar’ì. Giacché ella ricordava perfettamente di essersi addormentata con quegli stracci addosso non meno di...

Si bloccò. Poi, il tempo di una maledizione a fior di labbra, la giovane abbandonò di nuovo il capo a terra, sconfitta.

“Voi siete una donna forte, Somma Nihar’ì” fece subito l’altro come cogliendo la sua epifania “Ma cinque giorni di veglia sono troppi per chiunque”.

Non per una Nihaar’ì desiderò poter rispondere lei. Sfortunatamente però, i fatti avrebbero reso quell’affermazione assai puerile. Nel silenzio generale, si concesse ancora un paio di maledizioni prima di sospirare.

“Era per questo che non volevate dormire?” le chiese dopo un attimo lui “Temevate forse di scappare per miglia e miglia nel deserto come una Agves Anaphat (Volpe del deserto) per dirigervi verso il primo dirupo e buttarvici dentro?” abbozzò un sorriso che ella avrebbe di certo ricambiato se solo il tutto non fosse suonato così stupido e ridicolo assieme.

“I Sogni della Nihaar’ì non sono cose per gente come voi” sospirò poi infine “Desolata che abbiate dovuto assistervi” lui fece spallucce “Non siete la prima Agves Anaphat che vedo. Anche se raramente me ne sono capitate di così atletiche” lei si limitò ad alzare un sopracciglio colmo di sdegno. Poi ricordò che molto probabilmente lui non l’avrebbe notato -portava il velo- così, arrendendosi allo sconforto, si limitò a rimanere in silenzio. Tuttavia fu sufficiente: con il medesimo sorriso conciliante, Atam si concesse di scrollare ancora una volta le spalle prima di borbottare “Si fiderà di me, ora che le ho salvato la vita?”.

Di tutta risposta lei tentò nuovamente di tirarsi in piedi. Invano.

“Gradirei alzarmi” digrignò in un sibilo. Lui fece finta di nulla. Nuovo sospiro contratto, poi la Nihaar’ì ci riprovò. Questa volta l’uomo si abbandonò ad un gemito esasperato “Vi ho detto di aspettare. Cosa esattamente vi è sfuggito?” “E io sono la Nihaar’ì” fu la rigida replica dell’altra “Cosa esattamente vi è sfuggito?”.

Per un attimo fanciulla e Danzatore si fronteggiarono con una lunga e intensa occhiata. Poi con uno scatto stizzito lui lasciò la presa.

“Molto bene allora” digrignò “Andate, se è questo che volete” ma prima che lei avesse anche solo il tempo di muoversi, la ammonì “Credo però sia d’obbligo informarvi che ci troviamo molto distanti dal punto dove dovremmo essere. In effetti, più vicini al confine delle Vele che alla rotta verso Anaphantum

Immediatamente lei si irrigidì. Lui piegò appena un angolo delle labbra.

“Come vi avevo detto, avete un passo invidiabile

Esitare, questa volta, fu cosa assai superflua. Sconfitta, lei si arrese infine nel poggiare nuovamente la fronte nella sabbia.

“Non è la prima volta che accade, vero?” chiese dopo un lungo attimo di riflessione. Lui rimase in silenzio. “E immagino sia per colpa mia che abbiamo perso così tanto la strada in questi giorni” continuò con voce strascicata.

Non per le tempeste di Sabbia. Non per le temperature del deserto.

Da qualche parte alla sua sinistra, sentì l’altro annuire piano. “Hiras ha proposto di legarvi, ad un certo punto. Ma noi altri ci siamo rifiutati”

Io non l’avrei fatto. Sospirò lei piegando finalmente il capo a guardarlo. Atam aveva volto e mascella squadrate, vivide di linee sottili e dure come di chi non avesse mai riposato o mangiato abbastanza nella vita. Non era attraente, ma emanava comunque un che di interessante che induceva lo sguardo a permanere più di una sola e semplice occhiata.

“Quanti anni avete?” si ritrovò a chiedere dopo un istante lei. Lui parve sorpreso dalla domanda perché impiegò qualche attimo per rispondere. “Poco più di trenta” “E avete sempre combattuto?” rintuzzò lei. Vaga scrollata di spalle “I miei genitori non erano abbastanza ricchi per permettersi di sfamare me e i miei fratelli. Quando fu chiaro che tutti insieme saremmo morti di fame, chiesero ai Danzatori di prendermi con sé e da allora” vago accenno di sorriso “L’Ordine è la mia nuova famiglia”

Per un attimo lei si limitò a valutare la risposta dell’uomo, il sole già alto nel cielo a disegnare ombre oblunghe sul volto di lui. Poi socchiuse le palpebre.

“Quindi non fu una vostra decisione entrare nell’Ordine” constatò. Lui strinse appena le labbra “Non inizialmente” le concesse “Ma negli anni imparai ad amare ciò che mi veniva insegnato e rispettare coloro che me lo insegnavano. E poi in genere è così che si entra nei Danzatori” lei gli riservò un’espressione interrogativa “Tutti o quasi i membri dell’Ordine nascono come trovatelli, abbandonati o rifiutati. Persone da poco, in effetti.” spiegò questi paziente “Se è di Nobili o ricchi che volete parlare, penso dovreste rivolgervi alle Guardie della Torre o della Città del Cielo” 

 

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Capitolo 3
*** I contorni del suo volto ***


Ri-ciao!

Dopo Lucca, dopo mille ore di preparazione Cosplay e altre meravigliose incombenze, eccomi ritornata per la gioia (spero) di tutti!

Spero che questo capitolo possa appassionarvi e divertirvi! Grazie a tutti di tutto e alla prossima!

Baciozzi

Elendil

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Quando giunsero gli altri Danzatori era già giorno inoltrato e l’arsura aveva arrossito li viso di Atam di un lucido strato di sudore. Nessuno disse niente, ma dalle rapide battute che si scambiarono, fu chiaro che non avessero affatto gradito l’ennesima deviazione del percorso imposta dalla Nihaar’ì.

Ripresero la marcia a fatica, la sella di Matnery a ricominciare il suo doloroso e inesorabile vilipendio delle gambe della Nihaar’ì.

Non dormirò più. Si disse lei mentre, testa china e spalle ingobbite, già cominciava a pregustare le nuove e insopportabili ore di veglia che l’attendevano. Prima questo pellegrinaggio finirà meglio sarà per tutti quanti, soprattutto per me.

Ma ovviamente la Nihaar’ì si addormentò più e più volte, ognuna delle quali accompagnata da una rocambolesca e quantomai avventurosa rincorsa nel deserto cui seguiva poi una altrettanto deliziosa marcia a ritroso per ritornare sulla pista tristemente perduta. Alla quarta volta fu lei stessa a proporre di essere legata, indicazione che fra le proteste di Matnery e l’indignazione di Atam fu malgrado tutto accettata.

Ma poteva dunque finire così? No, certo che no. Come la più astuta dei Goshi (ladri) ella pareva in grado di slegarsi ogni volta, un cumulo di corde e nodi sfatti a vestigia della constatazione che da addormentata ella pareva essere assai più scaltra e tenace che da sveglia. Tutto ciò, per quanto a tratti acuito dalla costante e inesauribile ironia di Hiras (ghigno) -a volte più velenosa di quanto la Nihaar’ì fosse in grado di sospettare- non avrebbe di certo sfiancato la tenacia dei Danzatori senonché fuga dopo fuga la possibilità di ritrovarsi a corto di acqua, viveri e non per ultimo ad un passo dal confine delle Vele cominciava a gettare un’ombra di allarme sul gruppo.   

“Ancora un salto e saremo dall’altra parte, Agves Anaphat” fu il commento di Hiras quando tutti giunsero infine alla memorabile vista delle Vele. Rosse come sangue, le enormi Vele sporgevano come bruni canini dalla sabbia, infossate fra le dune in pance e conche fischianti a causa del vento. Il suono delle correnti d’aria contro di esse vibrava anche da miglia e miglia di distanza, muto segnale d’avvertimento cui il gruppo rispose con un sempre più denso e brumoso silenzio.

“Questa notte veglierò con voi” la voce di Atam giunse opaca come un sussurro lontano “Magari così vi sarà più facile rimanere sveglia”.

Ancor prima di annuire, la Nihaar’ì seppe che sarebbe stato del tutto inutile. Qualcosa -anche se non riusciva ancora a capire cosa - la spingeva ad andare là e nessuno, fosse Danzatore o Atam, sarebbe stato in grado di fermarla.

Questa volta non furono il deserto e la sua arsura a svegliarla. Non le gambe stanche e doloranti per ore e ore di marcia notturna. Non la fame e la sete.

Fu in effetti Hiras a strapparla dai suoi quasi sogni. A stropicciarle di malomodo le vesti ancora avvolte attorno al corpo disteso sul fianco inerme nella posa del riposo tanto agognato.

Fu Hiras e la sua voce a scuoterla con la forza dell’inferno da una parte all’altra mentre questi vicinissimo, le intimava di alzarsi e stare zitta.

Sbattè confusa le palpebre una, due volte, il mondo ancora avvolto nell’oscurità che lentamente tentava di mettersi a fuoco in un vago baluginio di sfumature cobalto e magenta.

Il fuoco era stato spento e qualcuno alle sue spalle lavorava alacremente per disincagliare i pali “protettori” posti come solito tutt’attorno all’accampamento. Desiderò voltarsi e vedere di più ma ancora una volta il viso di Hiras le si parò davanti in tutta la sua tempestiva ed affatto delicata impazienza.

“Siete sorda?” la sua voce parve una frustata contro le guance “Ho detto di stare giù”. A comprova di ciò, egli le puntò allora una manata sulle spalle premendo fino a costringerla a cadere sulle ginocchia. Solo allora, più rassicurato, egli la congedò dalle proprie cure per dedicarsi a qualcosa più avanti e distante dalla sua visuale. Forse gli Yenavo’r?

“State bene?” il sussurro di Akanj la raggiunse da dietro le spalle facendola sobbalzare. Si voltò piano, incerta, notandolo disteso nella sabbia poco distante a pancia in giù, il capo appena alzato a sporgersi oltre la cresta di una piccola duna. Si accigliò, lo sguardo che automaticamente si alzava nel tentativo di seguire quello di Akanj. Sbattè le palpebre. Poi improvvisamente le parve di vedere qualcosa. Istintivamente si appiattì anche lei a terra, due respiri contratti prima di tentare un’occhiata più audace.

“State giù” la tensione nella voce di Akanj le fece scorrere un brivido lungo la schiena ma non desistette. Del resto, esitò, cosa poteva esserci di tanto pericoloso in un...Fiore? Lontano, remoto, poco meno che un vago fulgore rossastro all’orizzonte.

Akanj...” tentò di chiamare ma questi la zittì con un sibilo acuto “Ama’hi nei jak! Vi prego non parlate!” Mordendosi le labbra la Nihaar’ì ritornò alla vaga osservazione di quella apparizione più avanti. Poi eccone comparire un’altra. Nemmeno il tempo di intravederne i contorni distorti e ne sbucò una nuova. E una terza.

Improvvisamente una mano calò su di lei afferrandole la spalla in una morsa di ferro.

“Alzatevi” era Hiras e dal tono pareva non essersi affatto tranquillizzato. Il tempo di balbettare un paio di esclamazioni e fu lui a tirarla su di peso prima di trascinarla nell’oscurità.

“Che succede?” La Nihaar’ì inciampò nei propri piedi. Lui la ignorò, pochi passi a condurli verso la sagoma di uno Yenavo’r poco distante. Lei si sentì ghermire nuovamente, questa volta per i fianchi e schiantare sulla sella. Pochi sussurri nel buio e lui le fu subito dietro.

Vor chakat ughets’i me (Che la sorte ci accompagni)” esalò l’uomo e subitoil Drago partì di gran carriera.

Il freddo della notte a sferzarle improvvisamente il viso, la Nihaar’ì si rese conto solo allora che nella fretta si era dimenticata di portare stoffe o tele per proteggerla. Sospirò di freddo.

Fu solo dopo alcuni istanti che ella si arrischiò a voltare appena il capo in direzione di Hiras. Nel buio faticò persino ad intravedere i contorni del suo viso. Strinse appena le labbra.

“Cosa sta succedendo?”

Per un istante temette di non aver parlato abbastanza forte perché lui non le rispose. Poi una smorfia.

“Ci hanno trovati” c’era qualcosa di ruvido nella sua voce. La Nihaar’ì non potè che accigliarsi “Chi?”.

Fu certa di vederlo fare spallucce “Non credo li conosciate. Di solito non ricevono inviti per la Torre del Tempo”.

Ma che simpatico.

“Potrei stupirvi” lo sfidò comunque le. Nuova smorfia. “Ne dubito” “Se solo mi faceste tentare...” “Sono i Kamin Y’red (Predatori del Vento)” esalò lui con un gemito “Ed ora su, stupitemi”

Suo malgrado, la Nihaar’ì non potè che mordersi dolorosamente l’interno guancia, un senso di stizza che in un attimo le risaliva il volto tinteggiandolo di una nota purpurea e imbarazzata.

Pochi centimetri oltre, lui strinse appena la presa su di lei “Li conoscete quindi?” “E se vi dicessi di si?” sibilò lei di rimando. Avvertì, più che vederla, la sua debole risata.

“Penserei che siete una bugiarda. Chiunque guardandovi capirebbe che non sapete nulla di Arryan e dei suoi criminali”

Suo malgrado, la ragazza non potè che rimanere in silenzio aspettando che Hiras riprendesse a parlare.

“Si tratta di trafficanti di schiavi dell’Oltre“ “Non c’è nulla nell’Oltre” replicò subito lei aggrottando appena le sopracciglia. Lo sentì scrollare appena le spalle.

“Questo se non si è tanto stupidi o sventurati da andarsene a verificarlo di persona. Per quanto ne so, ci sono più persone laggiù che in tutta Arryan”.

Lei meditò un attimo sulla risposta, il freddo avanzare nell’oscurità dello Yenavo’r a scuoterla con brevi e violenti scossoni da una parte all’altra. Poi scosse il capo.

“Ammesso che vi creda, avete detto schiavi dell’Oltre?” lo sentì annuire nuovamente “Fra i più pregiati di tutto il continente. Sfortunatamente, i meno facili da catturare” “Pensavo che gli schiavi venissero commerciati, non catturati” Hiras si strinse nelle spalle “Chi vive oltre il confine non ha particolarmente voglia di tornare indietro solo per per servire questo o quel Kirey

Nervosa lei si limitò a valutare per qualche istante le parole dell’altro. Le trovò fastidiose sotto la lingua, pruriginose fra i denti e con un vago retrogusto di insensatezza che la costrinse a storcere il naso. Eppure, suo malgrado, sapeva che Hiras non le stava mentendo.

“Ed esattamente cosa vogliono questi Kamin da noi?” soffiò quindi dopo un attimo. L’uomo parve stupito “Noto con piacere che non mi avete ascoltato granché” sogghignò dopo un attimo per po aggiungere “Da me probabilmente due braccia. Da voi qualcosa di più interessante” “Non oseranno” lei strinse appena gli occhi “Io sono la Nihaar’ì” “Giusto. La Nihaar’ì” convenne subito lui con un ghignetto accondiscendente. “Ed esattamente i Kamin come dovrebbero saperlo?”

Il Danzatore la bloccò prima ancora che lei riuscisse ad aprire bocca “Fossi in voi lascerei stare. I Kamin non sono esattamente tipi da grandi spiegazioni” “E che tipi sono?” si arruffò lei piccata. Lui diede una vigorosa frustata allo Yenavo’r costringendolo a un’avanzata più vigorosa “Tipi da fuoco e segugi. Non necessariamente in quest’ordine”

 

“Credi che gli altri se la caveranno?”

Impossibilitati ad accendere un fuoco, Nihaar’ì e Hiras se ne stavano l’uno accanto all’altro accovacciati in una piccola conca scavata nella sabbia. Non era molto, ma dopo la lunga marcia forzata, quel rimedio abbozzato pareva ad entrambi un imprevisto quanto meraviglioso conforto contro le basse temperature della notte.

Fronte appoggiata alle gambe rannicchiate, Hiras piegò appena il capo di lato incontrando il profilo della ragazza. Sopirò.

“Se dipendesse dalle sole capacità, più che certamente” si strinse nelle spalle “Dubito però che fare da esca giochi a loro favore”.

Lei lo studiò per un attimo, il riflesso della seconda luna di Arryan a stagliarsi sul suo volto in un’ombra rosso pallida “Credi li abbiano già presi?” sussurrò quindi. L’altro si irrigidì “Quasi certamente” ammise poi monocorde “Gli faranno del male?”

Questa volta non rispose, limitandosi ad affondare indice e medio nella sabbia grigio bianca per poi ritirarli ad uncino. Polvere sottile scivolò come una cascata disegnando una piccola montagnetta scintillante.

“Siete molto legati?” riprese lei dopo un attimo. Lui scrollò appena le spalle “Voi non lo sareste?” No, lei non era legata a nessuno. O quasi. “Si certo. E’ che...” “Giunsi nella compagnia quando Matnery era poco più che un ragazzino” esalò lui senza lasciarla continuare “Akanji e Atam si unirono pochi mesi dopo. Da allora non ci siamo mai separati.”

Fino a oggi.

La ragazza annuì piano, il capo che si chinava appena a incontrare le ginocchia strette al corpo. Senza fuoco faceva freddo, eppure la vicinanza con l’altro rendeva la temperatura quasi sopportabile.

“Anche io avevo un’amica” fece poi dopo un attimo “Per tutta la mia infanzia fummo come sorelle” “Era una vostra serva?” lui volse appena il capo. Scosse la testa “Una Hayeli’vo, il mio Specchio Velo”. I denti di lui scintillarono un attimo nel buio “Conosco le Hayeli’voAh si? “Pensavo però fossero delle figure di semplice rimpiazzo utilizzate nelle situazioni pericolose.” la Veggente piegò appena di lato le labbra in una smorfia incerta. Si e no. Ma non solo.

“Per poter essere credibili è necessario che le Hayeli’vo trascorrano gran parte del loro tempo con le Nihaar’ì così da poterne assorbire atteggiamenti, postura e così via” immobile al suo fianco fu difficile, l’espressione del Danzatore parve quasi irrigidirsi.

Sembrava, notò solo in quel momento lei, in qualche modo più giovane di come l’aveva percepito fino ad allora. Si accigliò. Più un ragazzino che un uomo.

“E questa convivenza forzata farebbe di voi delle amiche?” la voce di lui la distrasse dai propri pensieri costringendola a sbattere una, due volte le palpebre. Si umettò le labbra a disagio “Non vale forse la stessa cosa per voi Danzatori?” buttò quindi lì per togliersi d’impiccio.

Lui le rifilò un sorriso sghembo per poi tornare improvvisamente serio “Se li hanno presi, non sarà che questione di giorni prima che catturino anche noi” la guardò per un attimo, ogni traccia di divertimento improvvisamente svanita “Quando ciò avverrà, vi chiedo di non rivelare a nessuno di essere la Nihaar’ì” lei si sentì appena aggrottare le sopracciglia “E perché non dovrei?” “Perché non vi crederebbero” spiegò lui semplicemente.

E perché non avrebbero dovuto crederle?

Come percependo la sua confusione, lui si fece di poco più vicino “Se Zaphil ha agito come credo ora tutta Arryan vi crede al sicuro con il vostro Corteo ad Anaphantum. Rivelare la vostra identità non farà altro che esporvi a inutili pericoli. Ricordate che i Kamin sono mercanti di schiavi, non benefattori dell’Umanità”.

Da quella distanza era impossibile non notarlo. Hiras non era ancora un uomo malgrado la barba su zigomi e mento. Nonostante la polvere addensata fra naso e bocca. Mordendosi appena l’interno della guancia, lei si concesse un paio di istanti di pura e semplice osservazione. Poi sospirò.

“Ammettendo che io non riveli la mia identità” gli concesse infine dubbiosa “Cosa potrebbe accadere?” Lui fece un gesto vago con la mano “Difficile dirlo. Siamo entrambi giovani e in forze, qualità che nessun Kamin si sognerebbe mai di farsi scappare. Ma le nostre origini sono incerte” indicò prima le proprie vesti consunte per poi passare a quelle di lei assai più sfarzose seppur egualmente logore e sbrindellate “Scarterei quindi sia la Città del Cielo che Anaphantum dove i controlli hanno spesso del maniacale. Molto probabilmente ci dirotteranno verso Yevtsuk’han (La città Nero Fumo). Lì la fame cronica di manodopera permette ai Kamin di far chiudere qualche occhio sulla sicurezza...” “Stai parlando della Città Nera?” lo interruppe lei incredula. Lui le rivolse il medesimo sguardo senza capire.

Annui poi piano, incerto.

“La Città del Carbone e delle Forge?” per qualche attimo lui non potè far altro che annuire ancora una volta, meccanicamente. Poi improvvisamente capendo dove ella stesse mirando, si lasciò andare a una lunga risata liberatoria.

“Non ridere” lo ammonì lei per nulla divertita “Non lascerò che un Kamin qualunque mi butti in qualche cava o pretenda di mettermi al servizio di un non meno precisato intagliatore di pietre” “Preferite forse le case di piacere di Anaphantum?” ribattè lui senza smettere di ridere.

Preferirei tornarmene semplicemente a casa. Si ritrovò a pensare lei ma non ebbe il coraggio di dirlo.

“Preferirei che non mi si trattasse come una Knohar (umile donna) qualsiasi. Osare anche solo accostare la mia figura a simili e inconsistenti...” “L’avete sentito?” la mano di lui le ghermì improvvisamente una spalla bloccandole le parole in gola.

Il volto di Hiras parve risalire appena rispetto alla linea intercettata dal suo sguardo per guardare oltre, poco sopra il bordo sottile della conca da loro scavata ore prima. Lei attese, le orecchie tese nell’indecisione se voltarsi e guardare anch’ella nella medesima direzione o limitarsi solamente ad ascoltare, silenziosa, il (forse) suono intercettato dal Danzatore.     

Ma, manco a dirlo, non percepì nulla. Poi lontano, lontanissimo, ecco risalire una vibrazione alta e monotona. Niente di interessante, tentò di minimizzare la sua mente ma dopo qualche istante eccolo tornare un poco più forte, più alto. Trattenne il fiato, sforzandosi di sentire meglio. Più canino.

Improvvisamente un nuovo brivido le percorse palmo a palmo la schiena costringendola a voltare lo sguardo verso un Hiras intento ora a fissarla a sua volta.

“Sbrighiamoci” fu il suo commento gelido “Sono più vicini di quanto pensassi”.

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Capitolo 4
*** Il deserto è grande e così grandi sono i suoi misteri ***


Ciao a tutte!

Rieccomi qui dal gelo nordico (sta nevicando °__°) a pubblicare un nuovo capitolo!

Ringrazio come sempre tutte le persone che mi sopportano e seguono, nonché quelle che si beccano pure gli spoiler da ansia da prestazione, senza di voi sarebbe tutto ancora più difficile di quanto già non sia J

Un bacio particolare a Talia e per la sua preziosa attenzione.

Spero che questo capitolo vi piacerà!

 

A presto

Elendil

 

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Mentre si apprestavano a uscire in fretta e furia da quella misera conca, i piedi che affondavano nella sabbia per la foga di scalciarla via in balzi goffi e irrigiditi dal freddo, la Nihaar’ì si ritrovò a pensare alle vecchie e oramai incerte nozioni che aveva di Yevtuk’han. Nozioni accademiche, ovviamente, ma pur sempre valide a confronto della più che totale ignoranza che via via ella stava scoprendo di possedere in pressoché tutto ciò che riguardasse Arryan.

Seguì a balzi Hiras per raggiungere senza fiato lo Yenavo’r già all’erta e pronto a scattare. Ne afferrò con il cuore in gola le scaglie coriacee strattonandole appena per montarvi in groppa.

Yevtsuk’han veniva soprannominata “La Città Nera” o “La città di Polvere” a causa delle cave di pietra e carbone che per tutte le sue fondamenta si estendevano a metri e metri di profondità fino a un nocciolo calcareo dal quale senza sosta fuoriuscivano diamanti e pietre fra le più preziose. Era una città assai piccola in superficie ma incredibilmente vasta nel sottosuolo, un dedalo di vie e intrecci che solo i suoi veri abitanti (schiavi nella quasi totalità) potevano dire di conoscere realmente.

Evitata dagli stranieri per via della sua pericolosità, Yevtuk’han era in sé la più grande fonte di ricchezza dei più rinomati trafficanti e commercianti di Arryan nonché la più famosa meta ove mercanteggiare armi e armamenti di ogni tipo.

Una città pericolosa, insomma.

Stretta ora fra la schiena di un balzellante Yenavo’r e il petto di un ansimante Hiras, il gelo del deserto a sferzarle il viso riempiendole gli occhi di granulose lacrime, la Nihaar’ì si chiese quanto promettente fosse, in effetti, la prospettiva di finire dritta lì, nella città della schiavitù per eccellenza, priva di una qualsiasi identità, passato e futuro e per giunta in balia di un -ma che fortuna- ragazzino.

Si sentì sospirare.

E poi avvenne.

Il deserto, pallido e scintillante di una finissima aria poco meno che gelida si accese come d’incanto di mille e più iridescenti screziature carminie. Come boccioli di luce gettati alla rinfusa da un’incauta mano essi si sparsero per ogni dove attorno a loro cominciando a brillare con sempre più intensità, con sempre più livore.

“Via, presto!”

Lo strattone di Hiras al povero Yenavo’r li sottrasse alla luce prima che essa si trasformasse improvvisamente in un divampare di fiamme e fasci purpurei dal chiarore ustionante. La Nihaar’ì boccheggiò, il calore sprigionato dalle rosse biglie che le toglieva il fiato. Da lontano - ma non troppo - proruppe allora un coro di ululati acuti e striduli, un gemito latrante da far rizzare i peli sulla nuca.

La Veggente gemette, Hiras si irrigidì facendo scartare la povera bestia a sinistra.

“Ci stanno stanando” digrignò rabbioso, una nota di panico ad arrochire la sua voce.

Nel nuovo latrato che seguì, la ragazza desiderò potersi tappare le orecchie. Sfortunatamente, la velocità del Drago l’avrebbe di certo sbalzata con un’unica piroetta a terra in quel mare ora non più di sabbia ma di vivo e pulsante fuoco.

Gemette ancora.

“Hanno intenzione di bruciarci vivi?” gridò allora non senza una nota di panico. Poco sopra la sua spalla Hiras se ne uscì con una imprecazione contratta assai poco definibile nella lingua corrente prima di spronare lo Yenavo’r a una avanzata ancor più lesta fra le dune di sabbia arroventate.

Sfortunatamente per loro però, sangue freddo e Draghi del Deserto non sono cose che in genere si accostino con esiti felici: lunghi giorni di marcia e fuga finale avevano in effetti fiaccato le ultime forze dell’animale che proprio allora, ovviamente nell’attimo di estrema necessità vennero meno. Con un digrigno esausto la creatura cedette improvvisamente alla stanchezza caracollando esanime nella sabbia e sbalzando di conseguenza Veggente, Danzatore e tutta la mercanzia annessa in uno sbuffo di polvere.

Nuova imprecazione. Nuovo grido sordo. Nuova percezione che qualcosa fosse andato irrimediabilmente storto a scrocchiare dolorosamente nella spalla della Nihaar’ì prima che tutto il resto la scaraventasse senza fiato a terra, ansante e terrorizzata. Pochi attimi e prima che il terreno sotto di lei le esplodesse letteralmente sotto i piedi Hiras l’aveva già costretta ad alzarsi e trottare lontano, più scioccata che viva, nell’oceano ardente.

“A-aspetta!” tentò di fermarlo lei ma invano: senza curarsi delle sue proteste lui la sospinse avanti per uno, due passi ancora. Poi qualcosa si parò sul loro cammino: una creatura oblunga, ossuta più che mai che a quattro zampe stava come sospesa fra terra e cielo, avvinghiata alla sabbia solo per la punta di quelle che solo dopo qualche attimo la Nihaar’ì riconobbe essere artigli lunghi e sottili.

E’ un Vogin, vor utum (Spirito che ghermisce il cielo) si ritrovò a inorridire la ragazza ricordando dei giorni in cui Zaphil le aveva parlato degli spiriti del deserto, adunchi e cattivi, capaci di ghermire le nuvole e strapparle al deserto portando via con sé l’acqua e la vita di coloro che si perdono in esso.

Poi però ricordò che quelle di Zaphil erano storie, semplici storie, quando viceversa dinnanzi a loro era chiaro si trovasse ora una creatura ben più fisica e presente che mai, le zanne scoperte pronte a scattare.

Neanche il tempo di pensarlo e un secondo li raggiunse alle spalle. E un terzo. E un quarto. E così via, fino a quando attorno ai due vi fu improvvisamente una massa di musi digrignanti e fauci sbavanti. Il roco abbaiare e ululare soverchiava ogni altro rumore rendendo indistinguibile se e come vi fosse altro all’infuori di essi.

Ma era chiaro che qualcosa vi fosse. Quelle belve non erano capitate da chissà dove così come quelle biglie. E nemmeno le sagome che in lontananza -per quanto vaghe e inconsistenti-  già si intravedevano avvicinarsi con calma stolida e circospetta.

Erano i Kamin? Possibile?

Poco prima che la Nihaar’ì avesse il tempo di voltarsi e porre quel semplice quesito al suo compagno di viaggio qualcosa calò sul suo capo tramortendola in un sonno grigio e incolore.  

 

Il dolore giunse poco prima del risveglio. Un unico e intenso pungolio all’altezza del fianco che con forza risalì le pareti della sua coscienza per terminare lì, poco sopra la base del collo dove esplose sordo e brutale, una sberla in faccia che le aprì a forza gli occhi. Li, per metà inebetita dalla stanchezza la Nihaar’ì si ritrovò a sbattere un paio di volte le palpebre prima di riuscire a identificare gli interni di quella che pareva una barca dall’aria assai consunta e logora. Assottigliò lo sguardo, gli occhi secchi di sole e polvere a rigarle il viso con due grosse lacrime riarse. La seconda occhiata non fu tuttavia migliore, giacché era evidente che ovunque in quella struttura oscillante mancassero pezzi di fasciame e cardatura fra le travi dello scafo. Sete di vario tipo e dimensione pendevano dal soffitto come arti molli, oscillanti nel vago ondeggio della struttura. Mercanzie fra le più stravaganti giacevano ammonticchiate un po’ ovunque e fra di esse, immobili come cianfrusaglie dimenticate, sedevano decine di corpi semiaddormentati,  

Un brivido percorse la Nihaar’ì.

Difficile capirne la provenienza: l’interno della barca era per lo più avvolto nella semioscurità, un plumbeo silenzio interno in contrapposizione a un roboante fracasso esterno tale da permettere di udire solo qualche colpo di tosse ogni tanto e rare frasi sconnesse. Meno arduo fu invece stabilire che la quasi totalità delle figure fosse femminile, la morbidezza delle forme a rivelare che quel luogo era stato evidentemente adibito al trasporto di loro soltanto.

Nell’improvvisa necessità di sedersi e sgranchire le membra irrigidite, la Nihaar’ì si ritrovò a constatare l’ultimo - ma non meno importante - particolare di quel quadretto nautico: era legata.

E solo allora ricordò effettivamente che non poco tempo prima - ore? Minuti? Giorni? - lei e Hiras erano stati sorpresi nel deserto dai Kamin dopo un’infruttuosa fuga. A quel punto la sua memoria si faceva tuttavia un po’ confusa, assente in realtà, ma immaginò che l’acuto pulsare della testa proprio all’altezza della nuca ne fosse in qualche modo responsabile.

Fece una smorfia, una piccola risata nell’ombra a costringerla a cercare con lo sguardo volti che, immaginò, la stessero guardando. Nessuno tuttavia disse alcunché, motivo per cui anche a lei non sembrò opportuno aggiungere molto.

Era prigioniera, questa era più che evidente. E non era sola, abbastanza ovvio. E se Hiras non aveva mentito, con ogni probabilità ora tutti quanti loro erano in viaggio verso la prima città reperibile sulla tratta commerciale: la Nera Città.

La Città del carbone.  

Il nome assieme al suo fumoso significato le rimbalzarono dalla gola al petto impedendole per un attimo di respirare. Socchiuse di scatto le palpebre nel tentativo di abbandonare il più velocemente possibile il pensiero.

E per aggiungere il tocco finale: dov’era ora Hiras?

Un improvviso scossone la fece cozzare contro la parete legnosa, un sonoro toc ad accompagnare la silenziosa imprecazione che ne seguì. Qualcuno rise.

Di norma avrebbe dovuto trovarsi con lei, giacché insieme li avevano presi e sempre insieme sarebbe stato ovvio che li lasciassero. Istintivamente si massaggiò la parte lesa, il metallo serrato attorno ai polsi a regalarle per un attimo una carezza fredda e rigida contro il volto. Abbassò di colpo le mani.

Ma anche un cretino avrebbe notato che quella “carrozza” era colma solo di donne, motivo per cui era lecito pensare che fosse stato messo in un’altra...

Nuovo scossone. Nuova imprecazione silenziosa. Nuove risatine sommesse.

In un’altra assai più maschile e comunque abbastanza vicina da non pensare che egli fosse stato lasciato - che ne so - indietro per vari e imprevedibili...

Nuovo scossone. Nuova imprecazione. Questa volta, una risata vagamente definibile non molto distante da lei.

“Di solito al terzo toc la gente capisce che la cosa migliore da fare è stendersi sul fondo della gabbia ed attendere che la carovana si fermi...” la voce sottile e giovane la raggiunse da poco distante, un che di divertito nel tono a fare chissà perché imporporare le guance della Nihaar’ì.

“Sfortunatamente credo che a me servisse qualche toc in più per capirlo” reagì lei d’impulso prima di potersi mordere la lingua. Sentì l’altra ridacchiare appena, nuovamente. Poco male, sospirò la Veggente cominciando lentamente a distendersi sul fondo legnoso, almeno era sembrata simpatica. Proprio in quella un nuovo scossone la scaraventò brutalmente a terra.

“Avete detto che ad un certo punto la carovana si fermava...” commentò piccata. La penombra era troppo fitta per vedere bene, ma le parve comunque di notare una testa riccioluta annuire poco distante.

“Solo una volta al giorno e una di notte” le rispose “Prima di allora scordati di poter mettere piede fuori da questa fornace”

La parola fornace sembrò improvvisamente dare forma e colore alla sensazione che pian piano si era fatta strada nella coscienza della ragazza. Una percezione di pesantezza, malessere e caldo oltre ogni dire che fino ad allora l’ammonticchiarsi degli eventi le aveva in qualche modo impedito di elaborare. Boccheggiò portandosi istintivamente una mano al volto che trovò con suo sommo sgomento privo di alcun velo o protezione.

Era nuda?

La sua faccia dovette assumere allora una che di pallido e sconcerto al contempo perché questa volta le risate attorno a lei furono assai più sonore e goliardiche di prima.

“Ti hanno controllata mentre dormivi.” le spiegò ancora la voce calma. La Nihaar’ì si sentì, pur non vedendosi granché, sporgersi avanti alla ricerca di un qualcosa per coprirsi. Tuttavia l’attimo dopo desistette.

“Mi hanno guardata e non hanno visto...” percepì la gola seccarsi improvvisamente “Niente?” “Già solo il fatto che tu sia qui e non abbandonata sotto qualche duna di sabbia dovrebbe fartelo intuire”

La semplicità di quella risposta la spiazzò tanto quanto quelle assai più arzigogolate dell’Aruspice.

Nulla di nuovo. Come sempre. Dicevano tutte e due. Eppure chissà perché questa volta le sembrò tutto diverso, tutto differente rispetto a come l’aveva percepito fino a quel momento.

“Dove stiamo andando?” riprese poco dopo improvvisamente afona in quella caligine ansante. “A Yevtsuk’han. Al mercato degli schiavi” rispose l’altra paziente.

Come aveva previsto Hiras.

“Dove sono...” esitò “Gli altri?”

Qualcuno rise nella penombra “Preoccupata per il tuo amato, ragazzina?” la nuova voce le parve grigia e ruvida sulla pelle, una nota malevola a farle di riflesso storcere il naso “E’ stato preso anche lui?” continuò tuttavia. Risatina generalizzata. “E chi se lo lascia scappare uno così?” fu il laconico commento.

Il che voleva dire che Hiras stava viaggiando con lei - con loro - a non più di qualche gabbia di distanza. Si sentì trarre un mezzo sospiro - o era solo un annaspare di caldo?

“Fossi in te eviterei tutto quel sollievo” la ammonì subito l’altra “Fra i Kamin gli uomini catturati sono senza dubbio quelli a passarsela peggio.” in un breve scostarsi di luci, fu come riuscire a vedere per un attimo la padrona di quella voce lapidaria. Mento sfuggente e sguardo volpino, labbra carnose piegate in un’espressione dura e sbrigativa.

Poi la luce passò.

Anche lei tuttavia doveva averla vista perché sogghignò.

“Pensavi forse che vedendovi così carini insieme vi avrebbero venduto in coppia?”

In effetti si...

“Certo che no, non sono una sciocca” replicò la Nihaar’ì prendendo a lisciarsi delle pieghe semi-invisibili dei vestiti “Semplicemente mi domandavo che fine avesse fatto”

“Che fine, ti chiedevi?” la sbeffeggiò l’altra “Eppure non credevo che la preoccupazione per gli altri fosse cosa per gente come voi”

Gente come voi?

Il gelo di un brivido attraversò improvvisamente la schiena della Veggente. Rabbrividì suo malgrado, piegando appena il capo sotto il peso di quella nuova sensazione.

“Non capisco a cosa ti riferisci” abbozzò tuttavia con noncuranza. Forse era stata una frase buttata lì a caso... Per un attimo l’altra non rispose, i sussulti della Gabbia ad inframmezzare quei secondi di afosa attesa.

“Io credo invece proprio il contrario” replicò finalmente dopo un attimo “Ma perché curarsene? Il deserto è grande e così grandi sono i suoi misteri

La Nihaar’ì riconobbe il modo di dire, spesso usato fra le genti del Sud. Meno facile fu intendere invece il significato di quel breve scambio di battute: la sensazione di essere stata in qualche modo minacciata aveva stranamente il gusto della Torre del Tempo. Amaro e acido al contempo, qualcosa che sapeva di veleno e insieme del suo rimedio.

Se quell’affermazione fosse stata o meno casuale, l’altra non sembrò tuttavia affatto incline a rivelarlo: per la rimanente parte del viaggio si limitò a rimanere in silenzio, lo sguardo muto chiaramente puntato sulla ragazza mentre una dopo l’altra tutte le prigioniere si facevano avanti per chiedere qualcosa su di lei e su Hiras - molto su Hiras. In effetti quasi solo su di lui.       

Lei rispose calma, precisa, puntuale, una falsa identità che attimo dopo attimo si delineava sulla sua pelle con la semplicità di ore e ore di addestramento in compagnia di Zaphil. Poco tempo prima del calare delle tenebre nei suoi panni giaceva una giovane donna dall’aria mesta ma sincera il cui passato pareva giacere a metà strada fra Hevnan k’ar e il deserto più sconfinato.

Una bella persona, tutto sommato, che le ragazze prigioniere non faticarono granché a farsi piacere a tal punto da sussurrarle poco prima che entrassero dei Kamin urlanti ad ordinar loro di scendere tutte insieme per il rancio serale “Evita qualunque contatto visivo con loro. I Kamin sono uomini del Deserto, più avvezzi alle superstizioni che al buonsenso. Se ti vedranno alzare lo sguardo ti puniranno come nessuno ti ha mai punita in vita tua”

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Capitolo 5
*** Kamin - Na ***


Ciao a tutti!

Son tornata J Questo è per me un periodo di cambiamenti (spero positivi…) per cui potrei non essere sempre costante nel postare. Io comunque ci provo!

Grazie mille a tutti quelli che leggono, a chi commenta e a chi mi sopporta ogni giorno malgrado i miei evidenti segni di isterismo.

Un baciozzo

Elendil

 

_______________________________

 

Non era mai stata punita.

Questo il primo pensiero della Nihaar’ì quando, mezza anchilosata per il viaggio, discese la piccola rampa in legno che dava sul deserto.

E non era mai stata nemmeno rimproverata, se si escludevano Zaphil e i suoi tormentosi sermoni su cosa volesse dire essere una Nihaar’ì, il rispetto dell’etichetta e bla bla bla...

Mentre veniva fatta accomodare sulla sabbia già umida di tramonto, i polsi legati a un’unica lunga catena che l' avvinceva assieme a tutte le altre prigioniere della sua gabbia, la Nihaar’ì si ritrovò a misurare con sguardo torvo la distanza che - non per la prima volta - avvertiva separare la sua vita da quella di tutte le altre persone di Arryan. Vite a lei affidate e suo malgrado sconosciute, impossibili da decifrare perfino nelle loro più semplici sfumature.

Rigida nelle proprie elucubrazioni, la ragazza si accorse della ciotola di cibo posta poco distante dalle sue gambe rannicchiate solo quando la sua vicina di catena la pungolò appena con la punta del gomito.

“Se non mangi la prendo io” soffiò da dietro una fila di denti bianchissimi “Non è il piatto più buono che io abbia mai mangiato, ma meglio questo che morire di fame”

D’istinto la Nihaar’ì allungò subito le mani afferrando la ciotola contenente una parodia appiccicosa di grano e frumento misti ad acqua e sale.

L’altra le rivolse un vago sorriso furbo prima di tornare disinvolta alle proprie faccende e lasciarla mangiare quella che, manco a dirlo, si rivelò essere una zuppa assai disgustosa ma abbastanza calda e sostanziosa da concederle di rimettersi un poco in sesto.

Solo quando ebbe terminato il tutto, ciotola e posate abbandonate nuovamente ai suoi piedi, la Nihaar’ì si concesse di alzare lo sguardo sulla zona circostante per esaminare finalmente i suoi fantomatici inseguitori. Come Hiras le aveva giustamente anticipato ne fu assai poco entusiasta.

I Kamin erano, non le servì che uno sguardo per intuirlo, ciò che di più distante dalla Torre del Tempo le fosse mai capitato di vedere. Non parevano selvaggi, questo no, eppure era certa che nessuna città del continente avesse avuto la possibilità di ospitarli entro le sue mura quel tanto che bastasse per civilizzarli.

Particolare fondamentale, erano cacciatori. Ma di un genere assai più selvatico e brutale dei cacciatori di Yenavo’r. Portavano lunghi capelli raccolti in una treccia alta ed erano in prevalenza nudi, la pelle scura di sole lasciata scoperta su petto e spalle.

Particolare secondario ma non meno rilevante, facevano uso della Tinta: braccia e schiena erano per intero colorati di rosso così che lo strato superficiale assomigliasse quasi a una seconda pelle.

Terzo particolare, di certo consideravano il coprirsi una faccenda da umili cittadini: solo il bacino era sottratto allo sguardo da un lungo tessuto avvolto più volte attorno ai fianchi anch’essi adombri di piccoli oggetti da caccia e sacche di pelle sottile. Se non al pudore, perlomeno i Kamin parevano però essere sensibili al freddo perché nel progressivo calare della notte molti di loro cominciano a coprirsi con casacche e mantelli.

E ultimo ma non ultimo, non parevano affatto avere considerazione dei prigionieri da loro trasportati: parlavano loro raramente e quasi mai con frasi compiute ma preferendo semplici ordini o minacce velate. Non urlavano - questo no - ma era chiaro che ognuno di loro portasse seco una promessa di violenza viva e presente, affatto mascherata.

In sostanza, la Nihaar’ì si ritrovò molto presto a intuire il motivo di tanta apprensione da parte delle altre prigioniere.

Cauta, si arrischiò comunque a tendere il collo e gettare una rapida occhiata al gruppo maschile seduto poco distante alla ricerca di Hiras.

Non lo trovò subito, ovviamente. L’oscurità stava aumentando ed era difficile delineare chiaramente la ventina o più di uomini seduti in fila nella sabbia. Abbassò lo sguardo. Poi lo rialzò. E dopo un momento le parve di intravederlo: un viso girato verso di lei, il collo teso nel medesimo modo in cui ella sapeva trovarsi il suo. Hiras la stava cercando.

Suo malgrado non potè impedirsi un mezzo sospiro di sollievo mentre osservava il ragazzo piegare lievemente il capo in un gesto come di saluto. Fece altrettanto, mestamente, scoprendosi per la prima volta a osservare il viso del Danzatore privo di tessuti o schermi di sorta. Riabbassò rapidamente lo sguardo proprio mentre un Kamin passava al suo fianco.

Quando rialzò gli occhi vide che Hiras le indicava ora con lo sguardo qualcosa alla sua sinistra. Represse improvvisamente un mezzo sorriso di gioia: seduto due o tre uomini oltre, Matnery la stava a sua volta scrutando, il volto finalmente scoperto a rivelare un’età di gran lunga più giovane di come i suoi modi le avessero fatto sospettare. I capelli corti, quasi rasati, mostravano profondi solchi come di cicatrici sul cuoio capelluto. Lui le sorrise piano, occhi scuri a sorvolarla per un attimo prima di innalzarsi poco oltre il confine fra cielo e dune e ritornare giù, su di lei. Quindi sorrise di nuovo.

Capito? Parve allora chiederle in un modo sottile, quasi un solletico a fior di pelle, che negli anni lei aveva suo malgrado imparato ad associare a Zaphil.

Capito? Sbattè le palpebre lei. No, in realtà. Ma finse comunque di si, stupidamente troppo contenta di non essere più sola per darsi pena di comprendere messaggi di alcun tipo.

Fortunatamente però la sua capacità di mentire senza l’ausilio del Velo doveva essere abbastanza scarsa perchè Matnery ripetè una volta il messaggio aggiungendo un particolare: alzò entrambi i polsi ammanettati e ne simulò una rottura piegandoli appena verso l’esterno.

Ah! La comprensione dovette allora fare finalmente capolino sul suo volto perché lui le sorrise bonariamente prima di chinare nuovamente il capo, un Kamin che sorpassava prima Matnery poi Hiras con passo felino.

Lei cacciò un’occhiata prima a destra, poi a sinistra e quando vide il primo alzare nuovamente lo sguardo alzò appena il mento in direzione del deserto.

Quando? Significava. Sperò vivamente che lei non fosse l’unica a capirlo. Ma forse Matnery intuì cosa intendeva perché un attimo dopo alzò indice l’indice sinistro verso l’altro a cui aggiunse subito dopo un medio e proprio quando la Nihaar’ì cominciava a sospettare che quel movimento potesse avere un qualche senso compiuto un Kamin si piantò nella sua traiettoria di visuale impedendole di vedere oltre.

Fuggiremo alle due?

Saremo in due?

Guarda che belle dita mi ritrovo? (del resto non si chiamava mica così, lui? Dita.)

Ore dopo, quando tutti i prigionieri vennero a forza spinti nelle proprie gabbie e tutti insieme legati nuovamente agli anelli infissi alle pareti, la Nihaar’ì si ritrovò suo malgrado a riflettere sul senso di quel gesto.

Era incompiuto, lo sapeva. Ma se non lo fosse stato?

Due giorni? Due notti?

“Sai in genere cosa fanno i Kamin ai fuggitivi?” una voce la raggiunse alle spalle facendola sobbalzare. Si guardò intorno, l’oscurità a impedirle tuttavia di vedere più in là del proprio naso. Poco male, si disse. Riconosceva il tono.

“Li inseguono fino a quando non li prendono. E quando li prendono -il che equivale a sempre- aprono su di loro decine e più piccole ferite sanguinanti e li mettono a camminare in fondo alla carovana” una pausa, la Nihaar’ì che si tirava lentamente a sedere cercando una posizione più comoda per le sue membra già indolenzite “In genere caldo e sudore non impiegano che qualche giorno per infettarsi e suppurare. Quando ciò avviene i Kamin si limitano semplicemente a tranciare la corda lasciando il poveretto libero di fare ciò che vuole. A quel punto la scelta è semplice.”

Fuggire e morire di stenti o seguire la carovana e venire curato. Ma accettando così la propria condizione di schiavitù.

Nel silenzio che seguì, la Nihaar’ì lasciò andare il capo all’indietro, un velo di sudore che già prendeva a imperlarle la pelle poco sopra il labbro.

“Temo di essere troppo grande per le jenhai (storie)” commentò dopo un attimo, la voce calma che tradiva tuttavia una nota rigida “Ma grazie comunque per la tua gentilezza” non poco distante giunse un suono molto simile a uno sputo “Rifila le buone maniere a chi se le merita” fu la soffiante replica “E bada bene: ho capito cosa avete intenzione di fare tu e i tuoi amichetti”

Immobile, l’altra strinse appena le labbra.

I suoi amichetti?

“E cosa avremmo intenzione di fare esattamente?” dall’altra parte rispose un silenzio di piombo, duro quanto bastasse per costringere la Nihaar’ì a cambiare immediatamente registro “Non pensavo di fuggire” tentò quindi di giustificarsi.

E perché, poi? Lei era la Nihaar’ì, nulla che facesse rima con spiegazioni o scuse. Affatto.

“Stai mentendo. Ti ho vista” la inchiodò subito l’altra “Ma il deserto non ama i bugiardi. Fosse l’ultima cosa che faccio, tu resterai qui con noi tutte”

E di nuovo quella strana sensazione. Quella sottospecie di stridio fra le sue parole e quelle della donna quasi che, per qualche motivo, vi fosse irrimediabilmente un tracciato di più - o uno di meno - che si sovrapponesse ogni volta rendendo botta e risposta per qualche verso incompatibili fra di loro.

“Ho forse fatto qualcosa per meritare il tuo risentimento?” chiese quindi dopo un attimo, il gomito sinistro che si piegava per sostenere il peso del corpo disteso “Non credo di conoscerti”

Per un attimo vi fu silenzio, i rumori del campo esterno che lentamente -finalmente- scomparivano nel progressivo rallentare delle attività. Dentro la gabbia, già si udiva qualche respiro pesante, la ferocia di quel dialogo apparentemente ignorata dalla maggioranza delle sfortunate presenti.

Poi, la risposta.

“Oggi ti ho raccontato ciò che i Kamin fanno a chi fugge. Domani, se farai la brava, ti racconterò cosa fanno a quelli che rimangono”

 

Non era mai stata punita. Ma di certo era stata minacciata.

Nei lunghi anni di reggenza la Nihaar’ì ricordava ben più di un’occasione in cui la sua persona, il suo ruolo e tutto ciò che ella rappresentava fossero stati presi di mira. Qualche volta al suo fianco c’era stato Zaphil. Altre no. In entrambi i casi, azione e reazione a quel tipo di violenza erano modalità che ben presto aveva dovuto imparare a fronteggiare per conservare non solo la propria posizione ma in primis il rispetto dei suoi sudditi.

Ecco perché ora, docilmente in fila con le altre prigioniere sulla rampa della gabbia, la Nihaar’ì non poteva fare a meno di sentirsi per la prima volta dopo tanto, un po’ più a casa.

La minaccia di quella donna l’aveva in effetti riportata in un attimo nelle stanze profumate della Torre del Tempo, vicina alle parole e atteggiamenti che negli anni aveva suo malgrado imparato a fare suoi.

Immobile, allungò piano le punta delle dita al di fuori dei sandali mezzi scuciti, una vaga tensione a livello dei polpacci che le faceva appena storcere il naso.

“Stai bene?” una voce calma la costrinse a piegare appena il capo di lato. Era Reine, la ragazza che il giorno prima si era dimostrata in qualche modo gentile con lei. All’alba Reine si era sentita poco bene (merito della deliziosa mistura di cereali probabilmente) ed essendo la più vicina, la Nihaar’ì si era in qualche modo ritrovata un po’ per necessità - il vomito le sarebbe di certo colato addosso a causa del rollio - un po’ per reale pietà a darle una mano. Anche un’altra ragazza si era sentita male ma per lei (dai suoni la Veggente avrebbe giurato le servisse più un esorcista che una cura) erano occorsi ben tre Kamin a sollevarla e scortarla fuori di tutta fretta. In ogni caso, il suo gesto assai caritatevole nei confronti di Reine parevano aver convinto la ragazza a dimostrarle tutta la sua riconoscenza.

La Nihaar’ì si strinse appena nelle spalle “Sono stata meglio” abbozzò indolente “Quella gabbia riesce a darmi più mal di mare di qualsiasi barca” alle sue spalle l’altra parve come avere un sussulto improvviso “Sei stata su una barca?”

Un veliero, per la precisione.

“N-Una piccola, per la pesca delle ....” tentò subito di rimediare ma non potè evitarsi una muta imprecazione. L’altra infatti non sembrò affatto scoraggiata dal retrofront “Quindi hai visto lo Himnakan?” il tremolio ammirato della sua voce era inconfondibile, abbastanza acuto da attirare improvvisamente l’attenzione delle prigioniere lì intorno radunate.

Mordendosi nuovamente il labbro, la Nihaar’ì le vide tentare una dopo l’altra di voltare il viso verso di lei, tendere appena l’orecchio in attesa della sua risposta. Una di esse arrivò perfino a girarsi del tutto, il volto stupito a lasciare intendere quanto il gruppo fosse più che mai in ascolto di ogni sua singola parola.

“Solo una volta” rivolse a questa un’espressione rigida e ansiosa per poi abbassare subito gli occhi “Ero con..” “Silenzio!” poco distante l’ordine secco di un Kamin di guardia pose fine al suo ridicolo tentativo di disimpegno.

Espirò una volta, gocce di sudore nervoso a colarle giù una dopo l’altra dall’incavo della schiena fino alle natiche e poi alzò lo sguardo alla ricerca di Hiras e Matnery.  

Si accigliò.

Non c’erano.

Non i prigionieri uomini. Solo loro due.

Incerta, la ragazza si ritrovò allora ad alzare il proprio sguardo sorvolando quello che solo allora scoprì essere un vero e proprio accampamento allestito dai Kamin in funzione - pensò -  di proteggere nel migliore dei modi i prigionieri.

Lei e gli altri stavano infatti venendo scortati nella parte più interna e riparata dell’intero allestimento, protetto e recintato con l’utilizzo di tutta la carovana: come prima avanguardia, stavano gli yenavo’r dei Kamin, immobili e vigili come i loro padroni poco distanti. Poco più esterne, barriera naturale contro il freddo e il vento erano state disposte le Gabbie sormontate poco più oltre da grandi e mastodontici trabucchi in legno evidentemente adibiti ad alloggio dei Kamin.

Grandi Vele conficcate nella sabbia sventolavano all’esterno del campo rendendo ancora più forte e viva la sensazione di trovarsi in una casa galleggiante, immersa e semi avvolta dall’oceano di sabbia circostante.

“E com’è l’acqua?” alle sue spalle Reine non pareva affatto preoccupata della presenza dei Kamin, tanto ansiosa di conoscere ulteriori particolari della sua stupida ammissione da arrischiarsi a spintonarla appena con il petto. La Veggente fece finta di non sentirla.

Ma dove erano andati?

Questa volta la sosta pareva essere giunta prima del giorno precedente perché il sole si stagliava obliquo sul campo delineandolo di ombre scure e oblunghe in costante fermento.  

La Nihaar’ì si morse appena un labbro, il gruppo di prigioniere circostante ad accompagnarla un passo dopo l’altro verso il centro di quel formicaio polveroso, latrati e ringhi per ogni dove a rendere udito e olfatto accessori più scomodi che funzionali.

Come era possibile che il giorno prima non se ne fosse accorta? Si ritrovò a chiedersi incredula. Eppure era assai improbabile che l’oggi fosse stato diverso dal ieri. I Kamin erano sempre i Kamin. I loro dannati segugi erano sempre le bestie immonde che a prima vista aveva inteso fossero e gli yenavo’r....

“...E’ fredda?” l’insistenza di Reine coadiuvata al suo contemporaneo appoggiarsi alla schiena la fece di poco serrare la mascella. Spostò lo sguardo più lontano, il tentativo di vedere se ci fossero altri gruppi di prigionieri in avvicinamento a risolversi in breve in una nuova risposta dura e negativa. Non c’erano. Affatto. Ma com’era possibile?

Si sentì allora ansimare, una zaffata più penetrante delle altre a inchiodarla per un attimo sul posto prima che la prigioniera dinanzi a lei la trascinasse suo malgrado in avanti di un passo ancora. Deglutì a vuoto.

Poi un lampo di improvvisa comprensione.

....alzò indice l’indice sinistro verso l’altro a cui aggiunse subito dopo un medio e proprio quando la Nihaar’ì cominciava a sospettare che quel movimento potesse avere un qualche senso compiuto un Kamin si piantò nella sua traiettoria di visuale impedendole di vedere oltre.

E se Hiras e Matnery avessero tentato di fuggire quella notte? Se il due da lei inteso non si riferisse ai giorni ma alle ore? O al fatto che loro due avrebbero tentato di fuggire quella notte?

Mentre il panico precipitava su di lei avvertì - più che vederlo - il mondo cambiare prospettiva dinnanzi ai suoi occhi, segno che probabilmente al gruppo di prigioniere era stato finalmente concesso di sedersi in attesa del rancio.

O era solo lei che perdeva l’equilibrio? Difficile dirlo.

Il pensiero di aver in qualche modo perso l’unica occasione rimastale per tornare alla normalità della sua tanto odiata vita parve vagheggiare dinnanzi ai suoi occhi in tante macchie a tratti nere a tratti rossastre. A tratti bianco pallido. Percepì allora il vomito, tanto dissimile da quello provato fino a quel momento da costringerla d’istinto a piegare subito il volto di lato e spalancare la bocca in attesa del conato.

Ma non vomitò.

Viceversa, avvertì un improvviso e nuovo pensiero farsi strada nella sua mente.

...Li inseguono fino a quando non li prendono. E quando li prendono -il che equivale a sempre- aprono su di loro decine e più piccole ferite sanguinanti e li mettono a camminare in fondo alla carovana...  

Aprì gli occhi di scatto, percependo solo allora la mano di Reine posta sulla sua fronte come nell’atto di aiutarla a rimettere. Si scostò incerta, osservando solo distrattamente l’espressione di lei prima di voltarsi e scrutare il gruppo di prigioniere tutt’intorno.

Trovò alcuni visi intenti a osservarla. Nessuno le parve familiare, nessuno corrispondente a quello che stava cercando.

“Se è Faenie che stai cercando, l’hanno portata via ieri” la voce di Reine la fece quasi sobbalzare. Si voltò a guardarla con un misto di sorpresa e paura assieme “Stava troppo male per rimanere con noi sulla gabbia così sono venuti a prenderla” le spiegò subito l’altra stringendosi nelle spalle.

“E dove l’hanno portata?” si sentì replicare con una voce troppo acuta per essere la sua. L’altra ripetè il gesto “Non lo so. Magari semplicemente dal loro Guaritore insieme alle altre che non si sono sentite bene”

Perché, quei selvaggi ne avevano davvero uno?

Più stizzita che altro, la Nihaar’ì si ritrovò ad alzare ancora una volta lo sguardo e scrutare assente il vacuo profilo del disastro delinearsi attimo dopo attimo dinnanzi a sé.

Hiras e Matnery avevano tentato la fuga. Decretò. E Faenie li aveva traditi. Possibile che in tutto ciò lei non avesse fatto altro che starsene tutta notte buona buona ad assistere una ragazzina dallo stomaco debole?

Si maledì per tutta l’intelligenza che in quegli anni non era stata in grado di sviluppare. E infine si ritrovò a fissare la propria ciotola di cibo posta poco distante da lei. Non ricordava quando l’avessero portata, ma dall’aspetto non le rimaneva tanto tempo per trangugiarla prima che l’uscita all’esterno finisse. Non aveva fame. Decretò fissandola titubante. Ma sapeva che ne avrebbe avuta a breve. Senza contare il fatto che i suoi giorni di veglia si stavano approssimando alla soglia critica: forse non oggi, di certo non domani, ma a breve le sarebbe occorso ogni briciolo di energia in corpo per non addormentarsi e scomparire chissà dove.

Un chissà dove che viste le circostanze suonava molto come una condanna a morte piuttosto che una ipotesi di libertà

Mangiò e bevve pure qualcosa. Evitò con docile sdegno le continue domande di Reine e squadrò a una a una le sue compagne di gabbia alla ricerca di un qualche segnale rivelatore della palese macchinazione in atto. Non trovò molto, suo malgrado. Solo qualche sguardo speranzoso a tendersi in direzione del gruppo maschile e qualche altro ancor più incerto verso di lei. Evidentemente non tutte dovevano essere a conoscenza di quanto stava avvenendo. O forse erano attrici migliori di lei.

In ogni caso, elargì disinvoltura a tutte quante decisa seppur nel possibile a salvaguardare la sua persona.

Solo poco prima che i Kamin dessero ordine a tutti quanti di tornare nelle proprie gabbie tentò una mossa che -per quanto rischiosa - sapeva di non potersi risparmiare. Intercettò uno dei propri aguzzini proprio quando passava loro accanto. Già nell’istante in cui alzava una mano per attirare la sua attenzione seppe di aver fatto la cosa sbagliata. Al suo fianco avvertì Reine trattenere il fiato. Ma cosa poteva farci?

“E-Ecco io...” abbozzò suo malgrado “Volevo sapere...”

Nemmeno il tempo di finire la frase e il Kamin aveva già estratto una frusta da chissà dove e vibrandola, la calò dritta sulla sua testa.

Quando rinvenne Reine stava a fatica tentando di tirarla in piedi così che, insieme, entrambe potessero avviarsi verso la gabbia a loro destinata.

“Dove mi ha colpita?” esalò la Nihaar’ì con voce impastata. A giudicare dall’umidore che sentiva all’altezza delle tempie “In testa “ esalò una donna poco distante “Sanguina molto ma si può nascondere facilmente. I Kamin sanno che rovinarci compromette il nostro valore”.

Poco dopo, stesa sul polveroso fasciame della gabbia, la Veggente si diede cura di tamponare la ferita che scoprì dilungarsi poco oltre l’attaccatura dei capelli della fronte - ma che precisione - fino a metà testa. Uno sbavo che, lo sapeva, di sicuro le avrebbe fruttato una cicatrice assai simile a quelle che portava Matnery sul capo rasato.

Il pensiero del Danzatore le fece ribollire il sangue impedendole per un attimo di fare alcunché se non osservare con sguardo vacuo i profili sconnessi della propria prigione. La sensazione di essere sola non le era nuova - essere la Veggente non rendeva poi così facile fare amicizia-, eppure mai come in quel momento essa pareva in grado di destabilizzarla.

Gettò un ultimo sguardo alle posizioni vuote lasciate dalle ragazze che si erano sentite male per via del viaggio e si chiese quale fosse stata quella di Faenie.

Non era ancora finita. Qualunque cosa fosse significata la sparizione dei due danzatori e con essa della figlia del deserto, non era di sicuro la prima né l’ultima cosa che sarebbe accaduta prima del loro proverbiale arrivo a Yevtsuk’han.

 

E infatti, all’alba giunsero due Kamin a slegarla e senza una parola farle segno di uscire. Sapeva che sarebbe successo ma in qualche modo la rapidità di tutto ciò fu capace di spiazzarla, facendole desiderare non per l’ultima volta di aver avuto un qualche piano, una non meglio precisata strategia che non fosse semplicemente aspettare che venissero a prenderla e domandarle senza tanti preamboli o cerimonie di sorta “Spogliatevi”.

La tenda ove soggiornava il Kamin-na (capo dei Kamin) si trovava di fuori del caotico groviglio del campo prigionieri. Era posta un po’ in disparte, sottovento, spoglia come l’animo dei cacciatori eppure colma di tante piccole preziosità volte probabilmente a intendere chi vi dimorasse e chi avesse il privilegio di starvi. Qualche segugio più pasciuto degli altri dormiva nella zona orientale, qualche giovane dall’aria atletica sostava alle uscite e alcune donne giacevano sdraiate su tappeti preziosi. Una di queste in particolare sostava al fianco del Kamin-na, il corpo semidisteso poggiato alla piccola seggiolina dove questi sedeva. La sua bellezza catturò per un fugace attimo lo sguardo della Nihaar’ì.

“Mi avete sentito?” con un sussulto la giovane riportò la propria attenzione dove doveva essere. Il Kamin-na era un uomo di media età provvisto di lunghi baffi e pelle scura decorata su tempie e collo da scuri ideogrammi. Spalle e petto scoperti portavano i segni di vivide bruciature frutto forse di una alchimia sbagliata di sostanze applicate sul corpo.

Il suo sguardo pareva più stanco che interessato a lei, quasi che tutta la faccenda - ma quale faccenda, in effetti? - avesse più il potere di tediarlo che altro. Per un attimo entrambi si ritrovarono a fissarsi; poi lui esalò un mezzo sospiro.

“Se non lo farete voi, ordinerò ad altri di farlo”

E fu così che la Nihaar’ì cominciò subito a svestirsi con gesti rapidi e misurati, la recondita paura di essere toccata da qualcuno a spingerla suo malgrado a mostrare nel giro di pochi istanti ciò che mai nessuno prima di allora aveva avuto l’onore di scrutare: il corpo della Somma Veggente. Baciata da Oneiron. Sfiorata dal mondo dell’Oltre.

Incerta se fosse o meno il caso di coprirsi con le mani -  del resto il Kamin-Na non aveva specificato...- la Nihaar’ì si arrischiò allora ad alzare nuovamente lo sguardo da terra fissandolo in quello dell’uomo.

Lui ricambiò per qualche attimo la sua espressione muta e incerta. Poi parve sorriderle.

“Non amo ripetermi” le spiegò come a intendere che la Nihaar’ì avesse in qualche modo fatto bene ad assecondare autonomamente e di buon grado la sua richiesta. “Neanche per chi dicono voi siate” una pausa “Ma che non credo affatto essere”

Scrutò a lungo il viso della giovane come alla ricerca di una reazione. Poi sospirò “Chi vi ha fatto questo?” chiese.

Chi mi ha fatto questo? Era la prima volta che qualcuno glielo domandava.

Non abbassò lo sguardo - questo no - ma per qualche ragione si ritrovò a corto di parole.

Lui non attese risposta “Dunque è vero ciò che mi è stato detto?” la incalzò con una nota molle.

“Cosa vi hanno detto?” tentò lei. Lui scosse una volta la testa, piano “Rispondete”

E improvvisamente la Nihaar’ì ricordò cosa le aveva detto qualche tempo prima Hiras sul non rivelare la propria identità, sul tacere e sull’essere insomma più prudente di quanto le circostanze le suggerissero.

Così chinò il capo, muta.

“E’ stato mio padre” esalò titubante “Vostro padre vi ha guastata in questo modo?” si accigliò lui. Lei si strinse nelle spalle “Pensava sarei stata più bella...” “O più probabilmente voleva farvi passare per qualcuno che non eravate, dico bene?” suo malgrado la Nihaar’ì si ritrovò ad alzare lo sguardo sull’uomo, incerta sull’avere o meno inteso il senso di quelle parole.

Lui le scoccò un mezzo sorriso accondiscendente.

“Non è forse così che si usa fra i Nobili?” allargò appena le braccia come per mostrarle una verità assai semplice e alla portata di tutti “Sfigurare la propria figlia e tentare di proporla al giudizio della Veggente nella speranza che venga riconosciuta come Nihaar’ì?”

Difficile intuire l’espressione del proprio viso allora. Probabilmente qualcosa di davvero perplesso perché l’uomo poco distante e la donna al suo fianco arricciarono contemporaneamente le labbra in un’espressione di scherno.

“No?” continuò lui ora quasi affabile “Non avevate idea di questa pratica? Eppure è molto di moda. Ammetto la vostra giovinezza, ma dato il vostro stato reputo improbabile che tutto ciò non vi sia mai stato spiegato” in quella la donna al fianco dell’uomo si sporse appena verso di lui, la mano che la Nihaar’ì scoprì essere ingioiellata a coprire le parole che ella sussurrò al suo orecchio. Il Kamin-Na sorrise. Lei fece un ghignetto divertito.

“La mia Sireli (amata) si complimenta per le vostre capacità di mentire. Dice che raramente ha visto giovani più talentuose” “Non sto mentendo!” si scoprì a reagire di getto l’altra.

Improvvisamente le labbra di entrambi si ridussero a una linea dritta e mordace. Reazione sbagliata. Ancora. “Non state mentendo?” la apostrofò infatti subito il Kamin- Na alzandosi in piedi. Da eretto, fu quasi impossibile non notare quanto fosse alto rispetto a lei “Le stesse identiche parole pronunciate da chi vi ha accusato”.  

Un cenno del capo in direzione di due Kamin seduti poco distante e presto all’interno della tenda fu trascinata e gettata a terra una figura per metà snudata, lividi e percosse a macchiare per ogni dove la pelle olivastra.

Mento sfuggente e sguardo volpino, labbra carnose piegate in un’espressione dura e sbrigativa si aspettò la Nihaar’ì di vedere.

Ma rimase delusa.

Il viso che si sporse dal groviglio malconcio pareva assai più giovane e diverso da come ricordava. Più fine. Più enigmatico. Un viso che in effetti la Nihaar’ì ricordava di aver scorto che solo volta per caso in un mare di occhi e visi altrettanto attenti e curiosi.  

La donna pareva incapace di stare in piedi giacché dopo pochi vani tentativi di guadagnare una posizione più confacente si rassegnò a rimanersene semidistesa a terra nei propri sudici strati.

“Non amiamo i traditori” parve volerle spiegare il Kamin-Na “Tradire è un vizio che una volta preso, fatica ad andarsene. Ciò non toglie però che questa figlia del deserto abbia avuto molto a che dire di voi e della vostra identità” “Non conosco questa donna” fu la rapida risposta della Veggente “Non sareste tenuta a conoscerla, se ciò che lei dice fosse vero” fu la soave replica dell’altro.

Serrando appena le labbra, la Veggente si costrinse a mantenere la calma “Eppure non capisco di cosa questa donna mi potrebbe accusare. Il mio corpo è sfigurato, questo è vero. Ma avete controllato i miei occhi e so per certo che non avete trovato nulla”

Nulla di ciò che avrebbe dovuto esserci.

Dall’espressione del Kamin - Na, questa volta la Nihaar’ì fu certa di non aver sbagliato. Nessuna accusa poteva reggere la triste realtà che i suoi occhi erano ben lungi dal dimostrare.

Lo sapeva lei, lo sapeva la bella Sireli e lo sapeva il Kamin-Na. Poco distante, lo seppe anche quella donna e il suo gemito contratto.

Incerto, l’uomo passò in rassegna prima lei, poi la propria consorte e infine i due Kamin ora ritornati seduti a lato della tenda. Poi sospirò.

“Se non voi, almeno il vostro sguardo non mente” le concesse “Ed è per questo che mi concederò del tempo per riflettere” guardò gli uomini “Mettetela assieme all’altra in qualche cesta. Chissà mai che la vicinanza non plachi i loro dissapori”

Prima di poter in qualche modo replicare, la Nihaar’ì venne letteralmente alzata di peso e nuda come un verme scortata fuori dalla tenda. Poco distante la donna subì lo stesso trattamento sebbene il cipollotto di vestiti che l’avvolgeva desse un che di diverso al loro contemporaneo uscire allo scoperto dinanzi allo sguardo di tutti.

Inferocita e imbarazzata la Nihaar’ì non potè far altro che gridare tutto il proprio discernimento fino all’angusta meta nella quale venne buttata senza tante cerimonie. Nemmeno il tempo di allontanarsi e la sua gradita compagna le finì direttamente addosso, un peso morto a schiacciarle improvvisamente sterno e schiena in un grido sconnesso. Pochi attimi per assicurarsi che entrambe fossero vive -  o che almeno lo sembrassero - e i Kamin richiusero lo scomparto facendo sprofondare Nihaar’ì e figlia del deserto nell’oscurità.

“Togliti” ringhiò subito la Veggente scalciando l’altra lontano da sé. Ignorò il suo gemito contratto sedendosi allora poco distante, la testa ad appoggiarsi al bordo caldo e oscillante della loro gabbia.

Poi imprecò a bassa voce.

Maledetti spalasabbia a tradimento.

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Capitolo 6
*** Karin - Lieve sospiro ***


Ri-ciao!

Ritorno con un nuovo freschissimo capitolo! Ringrazio come sempre tutti quelli che mi sopportano e leggono :)

Un grande bacio e a presto!

Elendil


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Definirla “cesta” era stato senza dubbio un atto di clemenza per quello che a conti fatti era poco meno che un cubicolo atto a ospitare sì e no una persona seduta. Figuriamoci due.

Nell’avvertire gli stracci dell’altra lambirle il ginocchio, a stento la Nihaar’ì si trattenne dal mollarle un altro calcio. Tirò a sé le gambe, il ricordo della propria nudità ad acuire per qualche ragione il disagio di trovarsi ora a così stretto contatto con un’estranea.

Imprecò ancora, infischiandosene del fatto che ah no, questo una del tuo rango non se lo dovrebbe proprio permettere e scivolò anzi un poco in basso con la schiena in una posa ruvida e astiosa.

Poco distante, il gemito della donna non sembrò molto colpito dalla cosa. Anzi. La simpaticona pareva così presa dal proprio stato da non regalarle nemmeno la mezza occhiata di cui ora la Nihaar’ì aveva disperatamente bisogno per saltarle direttamente in testa e finirla lì sul posto.

Così, bistrattata in tutto, la Nihaar’ì si rinchiuse infine in un silenzio rancoroso che a breve, oscillamento più oscillamento meno, si trasformò in dormiveglia, e da dormiveglia in uno scossone tanto forte da farla cappottare letteralmente su se stessa.

Inebetita la Nihaar’ì sbattè un paio di volte le palpebre gonfie di sonno. Dalle fessure della cesta non trapelava ora più alcuna luce, segno che probabilmente la carovana si era fermata per il riposo notturno.

Dalla donna poco distante e ora raggomitolata a terra in posizione fetale non giunse alcun suono. Stava dormendo? La Veggente le gettò un’occhiata astiosa a cui seguì poi una vagamente più incerta. Ma come faceva a non essersi svegliata dopo uno scossone del genere?

Mordendosi un labbro la Nihaar’ì gettò un nuovo sguardo alle fessure della cesta nella speranza di intravedere se non qualcosa, perlomeno qualcuno... L’oscurità rispose nuda al suo sguardo. Sospirando volse nuovamente il capo in direzione della figlia del deserto.

Magari era già morta...

Sospirò. E guardò di nuovo speranzosa all’esterno. Per poi tornare al bozzolo immobile poco distante da sé. E poi di nuovo alle pareti. E ancora alla donna.

E infine con un gemito esasperato si alzò sulle ginocchia e a carponi si accostò all’altra. Le gettò un’occhiata critica e incerta. Stava almeno respirando?

Allungò allora le braccia nel proposito più o meno cosciente di constatare il suo stato di salute.

Non osare avvicinarti” una voce la gelò sul posto “Non sono ancora abbastanza morta da lasciarti prendere i miei vestiti”

Le braccia ancora protese dinnanzi a sé, la Nihaar’ì strinse appena le labbra “Stavo solo cercando di aiutare...” “E come? Non sono una stupida” la aggredì l’altra. Suo malgrado, la Nihaar’ì abbassò lentamente le mani Perdonami, non amo alloggiare con i cadaveri” digrignò rabbiosa “Ma vista la riconoscenza potrei anche fare uno sforzo e sopportare”

La risata roca della Figlia la fece quasi sobbalzare. Poco dopo, non senza un paio di gemiti ovattati, la donna si tirò a sedere poggiandosi con la schiena alla cesta.

Il suo fiato corto accompagnò per qualche attimo il loro silenzio reciproco. Poi ridacchiò ancora.

Almeno sei simpatica”.

La Nihaar’ì fece una smorfia. Come a voler dire: ti manca tutto quanto ma almeno sai farmi ridere.

Non sapevo di essere il tuo buffone” commentò acida. L’altra scosse il capo lentamente.

Ora non esageriamo. Ho detto che sei simpatica, non che tu abbia senso dell’umorismo” si portò le braccia al petto chiudendole poco sopra il torace “Nè che mi accosterei a te più del tempo dovuto a questa prigionia” “Ripeto: temo tu mi abbia confusa con un’altra” digrignò la Nihaar’ì. La donna scosse ancora il capo con uno sbuffoE io invece sono certa di no. Ognuno di questi lividi ne è la conferma” Ah si? La Nihaar’ì non potè che stringersi nelle spalleAd ognuno il confidente che si merita” fece lapidaria ”Se l’avessi detto a me che pensavi di conoscermi non ti avrei certo picchiata a sangue come il tuo amico là dentro” l’altra le scoccò una breve occhiata “No certo che no” convenne con uno sbuffo contrito “Immagino che ti saresti limitata a dirmi che spiacente, non mi conoscevi e poi baci e abbracci e amiche per sempre, giusto?” La Nihaar’ì si limitò a sorriderle freddamente “Esatto. E puoi giurarci che lo saremmo anche diventate. Amiche, intendo” una pausa “Come ti chiami?” l’altra incrociò le braccia al petto, poi gemette sciogliendo subito la presa “Karin. E no, per quanto tu finga di essere simpatica non diventerò mai tua amica”

Dubito che sia umanamente possibile con questo atteggiamento.

Ad un passo dal perdere definitivamente la pazienza, la Nihaar’ì si concesse allora uno sbuffo contrito “Come ho già detto, ti stai sbagliando. Non sono chi credi io sia” “Una bugiarda?” le sorrise l’altra “Ricordavo avessi detto buffona” puntualizzò stringendo appena la mascella. Karin le concesse un mezzo ghignetto contrariato “I nomi hanno poca importanza. Tanto per voi Nobili vanno bene tutti purché non si sappia mai il vostro”

Il brivido che seguì quelle parole fu come una scarica lungo la spina dorsale. La Nihaar’ì si bloccò, interdetta.

Nobili?

Credi che io sia una Nobile?” esalò sbigottita. L’altra strinse appena gli occhi “Io non lo credo. Ne sono certa” puntualizzò “E prima che tu proceda con la pantomima del -non riesco proprio a immaginare come ti sia venuta in mente una cosa del genere - lascia che ti spieghi anche perché: nessuno, e dico nessuno che non appartenga alla classe nobiliare potrebbe andarsene in giro con quei segni senza che qualche scagnozzo della Torre del Tempo se lo venga prima o poi a prendere per sbatterlo chissà dove” la Nihaar’ì non potè che accigliarsi.

Per non parlare della tua storiellina della povera fanciulla sola e abbandonata che hai propinato a tutte le imbecilli che ti sono pure state ad ascoltare. Nessuno che avrebbe un po’ di sale in zucca si sognerebbe mai di spifferare a delle perfette sconosciute la propria storia. Noi del deserto ce lo teniamo per noi il nostro passato, non lo sbandieriamo come una pezza bagnata davanti agli occhi di tutti. E poi, andiamo” tentò senza riuscirci di mettersi a sedere un po’ più comoda. Desistette con un gemito sgranato “Davvero credevi che nessuna si accorgesse del tuo modo di parlare fresco fresco di Kashit (maestri del linguaggio) e delle tue vesti profumate e lavate di fresco?” istintivamente la Nihaar’ì non potè che abbassare lo sguardo alla ricerca di stracci che non trovò. Davvero profumavano? “Tutto ciò sarebbe potuto anche passare inosservato se una volta fuori dalla Gabbia avessi almeno tentato di farti gli affari tuoi piuttosto che andartene a cercare quelli che palesemente erano i tuoi servitori ansiosi prima di ogni cosa di salvarti e correre via insieme verso la tua lussuosa magione” prese un respiro, un altro, e infine si concesse di reclinare appena il mento all’indietro così da poggiare meglio la nuca alle fascine retrostanti. Solo allora la Nihaar’ì notò quanto la giovane fosse magra e scavata, niente meno dell’ombra della bellezza esotica che avrebbe potuto essere se adeguatamente nutrita.

E infine, la prova decisiva. Quel riferimento al fatto che oh si, tu in barca ci vai così spesso che hai quasi perso il conto.abbassò torva lo sguardo su di lei “Sfortunatamente per te, il popolo del deserto può definirsi fortunato se ha mai avuto occasione di vedere l’Himnakan anche una sola volta nella vita. Figuriamoci solcarlo a bordo di una barca...”

Nel riverbero di quella stoccata finale, la Nihaar’ì notò finalmente un particolare che il suo cervello le aveva evidentemente più volte suggerito senza che ella gli avesse prestato attenzione “Eri una Nobile?” chiese improvvisamente seria. In un attimo parve di vedere l’altra trattenere appena il respiro, un’ombra di sorpresa a solcarle il viso prima che ella lo abbassasse nuovamente in direzione della Veggente. Le scoccò una mezza smorfia contrita.

Mio padre lo era” esalò in un soffio “Sfortunatamente però mia madre non lo era abbastanza perché lui se la portasse a casa dopo essersi divertito con lei il tempo delle Tempeste di Sabbia” scrollò le spalle “Carino da parte tua accorgertene. Non è una cosa che fanno in molti”

Lei scrutò ancora per qualche attimo i tratti di Karin notandone ancor di più la sottigliezza della mascella e la minutezza del naso, entrambi connotati che in genere accomunavano le classi nobiliari abitate a imparentarsi e sposarsi fra di loro. Anche lei possedeva alcuni dei tratti nobiliari, ma per qualche ragione essi non erano mai stati abbastanza marcati da definirla entro quella cerchia.

Per un attimo Veggente e Karin si ritrovarono a scrutarsi in una reciproca e muta analisi delle proprie genealogie. Poi sospirarono, una muta resa che le portò entrambe a poggiare la schiena alle pareti anguste della cesta.

Dunque è per rivelare la mia Nobiltà che ti sei fatta quasi uccidere dai Kamin?” domandò dopo un attimo la Nihaar’ì. L’altra si strinse nelle spalle “Anche” le concesse “Ma soprattutto per la voce che ultimamente sta girando a proposito della Nihaar’ì” nuovo brivido di gelo ”Ossia?” buttò lì l’altra fingendo scarso interesse. Karin si accigliò appena Ma non sai proprio niente! La rimproverò il suo sguardo attonito “Alcune voci dicono che la Nihaar’ì si sia rifiutata di compiere il pellegrinaggio e ora sia in fuga per il deserto”   

Rifiutata?

Come sarebbe a dire rifiutata?” non potè trattenersi dal dire. L’altra fece spallucce prima di scivolare un poco con la schiena verso il basso. Dall’espressione che seguì, la nuova posizione sembrò in qualche modo incontrare i suoi gusti “Non saprei dirti. Le uniche notizie che ho avuto sono state appunto quelle del suo rifiuto e della successiva fuga in solitaria” “Fuga per dove?” “Chiedi troppo” sbottò improvvisamente la figlia del Deserto assottigliando lo sguardo. E non capisco perché.

Rapida la Nihaar’ì si costrinse a scostare lo sguardo e fingere un grande e sincero interesse per la fitta cardatura della loro cella.

Sono solo curiosa” buttò lì poi facendo una mezza smorfia: i Kamin erano di sicuro cacciatori formidabili, ma in quanto a capacità manuale...

Karin continuò tuttavia a fissarla “E immagino che questa tua qualità ti abbia portato tanta fortuna fino a ora” commentò monocorde. La Nihaar’ì fece spallucce “Non particolarmente in realtà. Solo tante occasioni di farmi tanti amiciconcluse rivolgendole un mezzo ghigno velenoso.

Karin ricambiò con l’ennesima passione ma non aggiunse altro. Si limitò a raggomitolarsi ruvidamente su se stessa e dopo un lungo sospiro scontroso, rinchiudersi in un solitario tentativo di prendere sonno.

Ma la Nihaar’ì non aveva ancora finito.

Immagino dunque che il prossimo passo sia essere fustigate e abbandonate in fondo alla carovana in attesa di morire, giusto?”

Un brivido astioso percorse immediatamente la figura rannicchiata. Ma il galateo della buonanotte era un’altra delle cose del Deserto che la Nihaar’ì scoprì di poter fare a meno, trattandosi di Karin.

Avevi detto di essere troppo grande per le jenhai (storie)” la prese in giro la donna mimando un sospiro scontroso. La ignorò “Solo se si tratta davvero di storie”.

Breve attimo di silenzio, poi Karin mugolò uno sbadiglio esasperato “Credi davvero che i Kamin si precludano così in fretta l’eventualità di riscuotere un bel gruzzoletto con la tua pelle fior di pesca? Ti interrogheranno ancora e tutte le volte che vorranno fino a essere sicuri che vali né un soldo di più né uno di meno di quanto dirai” “E se non dovessi valere niente?” si accigliò l’altra. Breve silenzio.

Beh allora farai semplicemente la fine che farò io da qui a un paio di giorni” fu la risposta monocorde dell’altra.

Dannazione.

Ma era possibile che il popolo del deserto si esprimesse solo con monosillabe e allusioni?

Reprimendo un gemito stizzito, la Nihaar’ì sollevò appena la schiena “E sarebbe a dire?” digrignò. Se la domanda avesse o meno infastidito Karin, la Veggente non fu in grado di capirlo. Quando rispose, tuttavia, il suo tono aveva un che di soffocato.

Mai sentito parlare di incidenti di percorso?”



Sola in un silenzio grigio e ovattato, il respiro lento e regolare della Figlia del Deserto a scandire quegli interminabili secoli di veglia, la Nihaar’ì rifletteva sulle ultime parole dell’altra.

Un prigioniero malato o malridotto non era che un peso per i Kamin. Scampata la possibilità di venderlo a un prezzo profittevole, rimaneva in effetti solo l’ingente mole di costi sostenuti per curarlo, sostentarlo e trasportarlo. In poche parole, un profitto che i Kamin preferivano abbandonare prima che divenisse a tutti gli effetti un costo.

Pesta e malconcia, Karin dubitava evidentemente che il proprio valore giustificasse i mezzi necessari a rimetterla in sesto e trasportarla fino al mercato di schiavi. La Nihaar’ì volse lo sguardo verso il punto in cui la donna giaceva inerme prima di stropicciarsi gli occhi con il dorso della mano.

L’avrebbero dunque lasciata indietro?

L’ombra della malevolenza di Faenie si stagliava ancora oblunga su di lei sussurrandole suo malgrado immagini di stenti e sofferenze, un miscuglio di sensazioni cui ella reagì infossando la testa fra le ginocchia. Poi sbadigliò, la cadenza del respiro di Karin a raggiungerla in onde lente e regolari oltre la sua barriera spaventata.

E lei? Cosa avrebbero fatto di lei?

Tentò con scarso successo di riscuotersi, le ciglia a solleticarle le ginocchia mentre ella le sbatteva una, due volte.

La semplice possibilità che ella avesse potuto appartenere alla classe nobiliare pendeva sulle sue sorti come una minaccia sicura eppure latente, capace tanto di elevarla a preda preziosa -e quindi intoccabile - sia a spauracchio privo del benché minimo valore. Tutto dipendeva da come ella avesse deciso di comportarsi una volta dinanzi ai Kamin lì riuniti e in attesa di una sua confessione.

Non le servì che socchiudere appena le palpebre per vedersi in un attimo lì, sola e nuda dinnanzi ai loro volti in attesa. Lei immobile. Loro pure. E tutti insieme spiccatamente stagliati in un secondo di fragile aspettativa mentre quella famosa domanda le veniva rivolta per la prima - ma non ultima- volta.

Chi sei tu?

Nessuno di importante, avrebbe risposto con sguardo fisso, certo, perentorio.

Chi sei tu?

Quella domanda l’avrebbe però attesa nuovamente al varco, presentandosi vestita di nuovo vigore, sagacia, perentorietà. E reclamando da lei qualcosa di diverso, ora. Di più onesto, forse. Di più convinto. Di certo, più verosimile a quanto tutti quanti avrebbero irrimediabilmente cominciato ad aspettarsi da lei.

Sospirò. E sbadigliò ancora.

Nessuno. Si sarebbe però difesa ancora una volta, la vertiginosa sensazione che fosse il suo corpo e non le sue labbra a mentire per lei i cui occhi tacevano irrimediabilmente la profezia che ella avrebbe dovuto rappresentare a scavarle più a fondo di quanto alcuna menzogna e obiezione avrebbero potuto fare.

Nessuno. Avrebbe ribadito.

Eh si.

Proprio...nessuno.

Come dare torto, in fondo, a tanta onestà? Risponde il Kamin-Na ora improvvisamente alzatosi in piedi dinnanzi a lei. La sua figura la inquieta. I suoi occhi la inchiodano sul posto. Il suo respiro vicino le brucia il volto infrangendosi sulle sue palpebre calate come le onde di una risacca ardente.

E lei non può che indietreggiare, suo malgrado, la consapevolezza della propria fragilità a riverberare come scricchiolio crepitante nel cuore teso. Si sente, poiché è certa di sentirlo, gemere piano nell’ombra prima che con una mossa rapida l’uomo la costringa ad alzare lo sguardo verso l’alto e guardarlo.

Dunque siete chi dicono voi siate?

Le sussurra abbastanza vicino perché siano le sue labbra e non la sua voce a rivelarle il senso della domanda. Ma prima che ella possa anche solo pensare di rispondere - o meglio, di negare e negare ancora - un lampo nero invade il suo campo visivo frapponendosi in tutta la propria gargantuesca mole fra lei e qualunque altra figura presente.

E l’Ombra la guarda.

Immensa, glaciale, mortale, il suo stridente canto a sprigionarsi ora tutt’attorno a lei in un grido tale da costringerla a sua volta a urlare.

Dunque siete chi dicono voi siate?

Il Kamin le chiede ancora. Ma un sussurro senza palpebre ora, senza labbra adesso eppure stagliato nella sagoma a lei rivolta e improvvisamente incombente sulla sua figura irrigidita come sbavo su foglio bianco.

Lo siete?

Lo stridio perentorio la fa singhiozzare, il riverbero esangue tremare. Ed ora è più che mai certa che mai prima di allora, prima di quel momento, ella si è per davvero trovata dinnanzi a qualcosa di tanto potente, tanto mortale come ciò che dinanzi a lei attende, immobile il suo rispondere.

Lo siete?

Sa che deve farlo. Rispondere.

Non può più aspettare. Non sono i Kamin. Non è Karin. Non è nessuno di tutti coloro che fino a quel momento hanno avuto l’ardire di domandarle ciò cui nessuno infine dovrebbe poter formulare. Se non lei.

E schiude le labbra. E prende fiato. E arrota appena la lingua sotto il palato.

E poi inaspettatamente ella si ritrovò nuovamente nella cesta, rinchiusa come un animale selvatico nell’angusto spazio del suo respiro e quello della Figlia del Deserto ancora - ma come diavolo era possibile?- addormentata.

Non le servì interrogarsi per capire che si era addormentata a sua volta. E che aveva sognato.

Anzi.

Si deterse con il dorso della mano il sudore sopra il labbro, la sensazione di essere terribilmente assetata a condensarsi nella contemporanea percezione di essere egualmente inzuppata del proprio panico.

Aveva avuto un Nayel.

La potenza di quella rivelazione fu tale da farla scattare immediatamente a sedere e scagliarsi di peso sull’ignara Karin ancora -era cosa buona ribadirlo- addormentata. La afferrò con entrambe le mani per gli stralci lisi delle sue vesti e prese a scuoterla violentemente una, due volte. Solo alla la terza si ricordò delle sue condizioni fisiche.

Dal ringhio che seguì, fu chiaro che la Figlia del Deserto non si fosse affatto ripresa in quelle poche ore di sonno tormentoso.  

Perdonami” si affrettò a scusarsi la Nihaar’ì rifilandole un’occhiata di sottecchi. Suo malgrado non potè impedirsi di provare un vago senso di colpa per la violenza di poc’anzi: a occhio e croce il corpo di Karin aveva solo aspettato le ore notturne per rivelare alle tenue luci dell’alba le sue meglio escoriazioni. Le gettò un’occhiata di sincero compatimento prima che una nuova e assai più precipitosa necessità tornasse a irrigidire ognuno dei suoi muscoli.

Devi aiutarmi” annunciò perentoria. Socchiudendo una palpebra, poi l’altra, Karin le scoccò uno sguardo ben più che omicida. La scosse di nuovo. L’altra urlò di dolore.

Ho detto” scandì senza fiato “Che devi aiutarmi” un’improvvisa fitta alla testa la costrinse a socchiudere gli occhi. Quando li riaprì, si ritrovò a incrociare lo sguardo semi-atterrito di una Karin ora seduta e a fatica poggiata alla parete della cesta. Non pareva né collaborativa né propensa a divenire tale.

Devi...” prese fiato “Ho capito” non le lasciò finire la frase “Ero addormentata, non sorda” puntualizzò a conclusione.

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Capitolo 7
*** Nayel ***


Salve di nuovo!

Un immenso grazie a tutti :)




Riprendendo fiato per un attimo, l’incertezza di non sapere esattamente quale fosse stato nella sua mente il passo successivo a svegliare quella simpaticona di Karin facendole il più male possibile, la Nihaar’ì si concesse di rivolgerle uno sguardo di lunga e incerta gravità. Poi si umettò le labbra.

Ho avuto una Visione” annunciò.

E se si fosse aspettata una qualche reazione di emozione o stupore rimase assai delusa. Karin la fissò per un attimo aggrottando le sopracciglia. Poi sbattè le palpebre.

Non sei una Risvegliata” obiettò semplicemente “Infatti sono la Nihaar’ì” ribattè subito lei.

Nuovo aggrottarsi di sopracciglia.

A che gioco stai esattamente giocando?” fu la perentoria risposta. Questa volta fu il turno della Nihaar’ì di accigliarsi. Sinceramente, espirò, l’ipotesi di dover essere lei a convincere gli altri della propria reale identità non le era affatto passata per la mente fino a quel momento.

Ti sembra che io stia giocando?” si costrinse comunque a mantenere la calma.

Mi sembra che tu ci stia provando, ma di certo deve esserti sfuggito qualche passaggio” sogghignò l’altra “E sarebbe?” sbottò incredula la Nihaar’ì “La gente del Deserto non è stupida. Se sei la Nihaar’ì dimostralo. Altrimenti tornatene dalla ridicola pantomima da cui sei venuta”

Abituata alle schermaglie della Torre ma non certo a quelle della Gente del Deserto, la Nihaar’ì non potè allora definire se la sensazione scaturita da quel breve dialogo fosse di sconfitta o di umiliazione o insomma di un qualcosa che avesse a che fare con l’improvvisa consapevolezza che Karin avesse ragione.

Abbassò contemporaneamente entrambe le mani e in silenzio, suo malgrado, espirò.

Il fatto che lei fosse la Nihaar’ì era inoppugnabile. Si umettò piano le labbra. Il fatto che fosse in grado di dimostrarlo era tutt’altra faccenda.

Così si limitò per un attimo a guardare la propria compagna di cesta e nel dorarsi degli scorci di luce fra di loro, scrollò le spalle.

Ho avuto un Nayel” dichiarò ancora, solo vagamente consapevole che quella fosse l’unica difesa di cui fosse provvista per affermare la propria identità “Questa notte le Ombre attaccheranno la Carovana e arriveranno fino alla tenda del Kamin-Na. Lì ci staneranno e ci uccideranno”

Immobile, Karin si limitò a fissarla per qualche attimo. Poi le rivolse un mezzo sorriso.

E’ un pò catastrofico come Nayel” “E’ ciò che ho visto” “Questa storiella non ti varrà la libertà”

Non era ciò che sperava di ottenere.

Stizzita, la Nihaar’ì si abbandonò allora alla parete di fascine alle sue spalle, il capo che mollemente si reclinava all’indietro in una posa distante. Sentì, pur non vedendolo, lo sguardo di Karin seguirla e per un attimo studiarla con cauta circospezione prima che ella tentasse con scarso successo di tirarsi a sedere.

E di nuovo eccola balenare nella mente la sagoma dell’Ombra mentre scura essa si parava dinnanzi ai suoi occhi impietriti studiandola, sfidandola a reagire.

Chiuse di scatto le palpebre, un timore diffuso a sussurrarle una sensazione come di freddo al ventre.

Quante speranze aveva che i Kamin le credessero? Pensò. Più o meno le stesse che la Nihaar’ì si trovasse per davvero nuda e prigioniera in una Carovana in viaggio chissà dove per il deserto di Harryan. Un evento tanto improbabile, quindi, da rasentare più o meno il ridicolo. Eppure...

Accadrà questa notte” riaprì lentamente le palpebre per poi voltare il capo in direzione di Karin “Quando i Kamin ci condurranno di nuovo nella tenda per interrogarmi”.

L’altra le scoccò un’occhiata obliqua “Reputo improbabile che ci vengano a prendere questa notte. Stiamo attraversando un’area molto pericolosa” “Pericolosa come?” fece l’altra aggrottando le sopracciglia. La Figlia del deserto scrollò appena le spalle “Dicono che qui siano nascoste alcune delle famose entrate per la città dei Cento Sospiri”

Ed eccola ricomparire, vecchia e nuova amica, la sensazione di essere senza dubbio l’abitante di Harryan più ignorante circa le faccende di Harryan medesima. La Nihaar’ì strinse appena le labbra limitandosi a proferire un laconico “Certo” breve pausa “Capisco” sull’intera faccenda.

Ma credi comunque che accadrà” le sogghignò Karin da dietro un velo di dolore.

Senza pensarci la Veggente replicò il gesto “Devo crederci. Altrimenti che Nihaar’ì sarei?”



E venne così finalmente la notte. Nel morire degli ultimi raggi solari parve allora di percepire i rumori della Carovana tutt’attorno alla cesta attenuarsi mentre la moltitudine unita si addentrava passo dopo passo nel grigio imbrunire.

I segugi smisero lentamente di abbaiare prendendo viceversa ad uggiolare e guaire sommessamente, quasi che la mancanza dell’astro ardente in cielo disturbasse i loro gusti canini. Le voci degli uomini parvero in egual misura spegnersi passando dalle fitte e concitate conversazioni a frasi brevi e moderate, meste quasi. E l’andatura egualmente calò di tono, passando da una marcia costante - il deserto certo non permetteva di correre - a un ben più mesto avanzare a passi lenti e misurati.

Ma nessuno si fermò. Né i cani. Né gli uomini. Né la carovana.

Karin aveva avuto ragione: evidentemente quella zona era abbastanza temuta dai Kamin da costringerli a tirare dritto e negare a tutti quanti, loro compresi, le poche ore di meritato riposo notturno.

Lei, viceversa aveva avuto torto.

Immobile nella medesima posizione di qualche ora prima - possibile che Karin stesse davvero più male di quanto il suo viso desse a vedere? - la Figlia del Deserto le concesse una breve smorfia laconica.

E dunque com’è la Torre del Tempo?” la prese in giro nel vederla a sua volta immobile, il viso appiccicato alle pareti della cesta nell’inutile tentativo di scorgervi qualcosa attraverso. La Nihaar’ì si morse appena le labbra.

Grande” le concesse “E bianca”.

Particolari che nessuno oltre alla Nihaar’ì potrebbe notare, immagino”.

Sbuffando, l’altra schiacciò ancora di più il volto contro il ruvido fasciame.

Ogni stanza ha un profumo diverso, studiato appositamente per conciliarsi al momento del giorno in cui il sole filtra dalle ampie finestre a volta” “Affascinante. Niente a che vedere con le chiacchiere di noi minesis (umili popolani) che parlano di sale completamente immerse nell’acqua...”

Finalmente la Nihaar’ì volse lo sguardo inchiodandolo dritto in quello dell’altra ragazza.

Se trovassi un modo, anche solo uno per dimostrarti che sono davvero la Veggente e non una ragazzina qualsiasi intrappolata in una situazione ben più che sgradevole, mi crederesti?”

L’altra la studiò per un attimo, il viso improvvisamente concentrato in quella che pareva la prima e forse unica parentesi di serietà fra di loro.

Si, ti crederei” esalò quindi senza espressione.

Suo malgrado, la Nihaar’ì si ritrovò per qualche secondo a corto di parole: non si era davvero aspettata quella risposta. Ed evidentemente nemmeno la sua nuova amica perché per un attimo entrambe rimasero a fissarsi con un misto di sbigottimento e confusione assieme. Poi ripresero fiato.

Lentamente la Veggente abbandonò la parete della cesta per sedersi a gambe incrociate dinanzi all’altra. Espirò lentamente, quasi concentrata e poggiando la schiena alle fascine alle sue spalle chiuse gli occhi.

E allora sta a guardare” concluse mentre, concentrata, cominciava a distendersi nella docile precognizione del dormiveglia.

Per un attimo calò il silenzio. Poi, debole, un colpo di tosse. Espirò piano. E un altro. Si umettò piano le labbra. E infine una mezza risata smorzata.

Certo che voi Nobili siete incredibili” la voce di Karin la raggiunse da dietro un velo di candida ironia “Avvolti nel vostro mondo di sfarzo e ricchezza smettete a un certo punto di rendervi conto di ciò che vi circonda”.

Suo malgrado la Veggente si ritrovò a riaprire gli occhi prima di abbozzare una smorfia incerta.

E’ magia quella che state attendendo, mia cara?” la sbeffeggiò Karin con un vago sogghigno “O state solo attendendo il momento più propizio per dirmi che l’unico miracolo che ci attende è riuscire in qualche modo ad aprire questa gabbia e fuggire?”

Nuova occhiata sardonica, nuova smorfia attutita. E poi improvvisamente il riverberare di un suono nell’aere colse la loro percezione. Una nota unica, in realtà, alta e cristallina come mai prima di allora la Nihaar’ì fosse certa di aver mai udito. Per un istante la ragazza rimase ad ascoltarla innalzarsi potente attorno a lei schiacciando sotto di sé ogni altro suono, ogni altra percezione. Poi sbatté le palpebre e volse nuovamente le proprie attenzioni ad una Karin ora immobile nel proprio smorzato soffrire e deriderla assieme.

Deglutì a vuoto. “Lo senti?” esalò scoprendosi a sussurrare. Il sorriso dell’altra parve incrinarsi appena “Sento cosa?” fu la laconica risposta. Ma la Nihaar’ì era stanca di essere presa in giro.

Questo suono” aggrottò le sopracciglia subito imitata dall’altra.

Questo suono quale?” “Come quale?” avvertì la propria mascella contrarsi appena mentre una nota ancora più alta, ancora più eterea esplodeva in un milione di brividi tutt’attorno a lei.

Questa.

E poi improvvisamente qualcuno dal di fuori gridò l’Alt.



Non era un caso che si fossero fermati proprio in quel momento, proprio in quell’istante. Mentre saltava da una parte all’altra della cesta al pari di un grillo nella sua scatola, la Nihaar’ì non potè trattenere un moto di speranza e tensione assieme.

Non era un caso. Si ripetè. E il fatto che proprio allora, proprio in quel momento, anche tutti i segugi avessero cominciato per qualche ragione a latrare contemporaneamente, nemmeno quello poteva essere un caso.

Vuoi stare calma?” poco lontano le giunse il lamento esasperato della sua compagna di viaggio, un misto di dolore e sfinimento assieme che resero in qualche modo la sua voce lontana, spenta e fioca come se già appartenesse a un’altra persona diversa da quella che aveva incontrato.

Non le badò, scalciando viceversa di lato per cercare di intuire almeno un poco cosa stesse succedendo fuori. Non vi riuscì. Ma fu comunque in grado di percepire che probabilmente molto dipendeva dagli yenavo’r e dal loro...arrestarsi? Imbizzarrirsi?

Che cosa stava succedendo?

Perché ci stiamo fermando?” poco distante Karin tentò senza riuscirci di mettersi seduta e guardare a sua volta all’esterno. Non ne fu in grado. La Nihaar’ì le rivolse un’espressione incerta interrompendo solo per qualche attimo il proprio saltellare a destra e manca. Poi le sorrise furbamente.

E ora mi dirai che tutto questo è merito tuo, vero?” fu la nervosa replica della Figlia del Deserto. La Nihaar’ì fece spallucce reprimendo un autentico ghigno.

Tu che dici?”

Percepì l’altra trattenere per qualche attimo il respiro. Poi esalare la fatidica domanda “E’ opera tua?”.

E per un attimo desiderò davvero poter dire si senza dubitare che potesse essere una menzogna bella e buona. Una forzatura della strana e impercettibile fortuità del destino. Ma in egual misura sapeva quanto allora importasse mentire per potersi una buona volta salvare da tutta quella disastrosa situazione e sperare finalmente di tornarsene a casa a fare la vita cui era stata destinata.

Balli e conferenze. Riunioni e rappresentanze. E tante inutili, stucchevoli conversazioni dal retrogusto agrodolce.

Così, suo malgrado, non riuscì nemmeno a sentirsi realmente in colpa mentre, voltando il viso e inchiodandolo in quello dell’altra, esalò un “Si, è merito mio”.

Che il Destino la punisse per quella menzogna. Lei ora aveva davvero altro a cui pensare.

Nel breve attimo di sospesa rivelazione e mistica importanza che seguì quelle parole, la NIhaar’ì ebbe modo di percepire voci e passi poco distante dalla loro cesta nominare prima lei (la ragazzina tutta nuda) e poi Karin (la Figlia del deserto), segnale che probabilmente -seppur non nei termini che aveva sperato - la sua visione si stava lentamente ma inesorabilmente avverando.

Si ritrovò allora a trattenere a sua volta il respiro, una vena di aspettativa a scuoterla come un brivido malcelato prima che ella fosse nuovamente in grado di espirare.

Stava accadendo.

Esitò.

Stava accadendo per davvero e per la prima volta lei era lì per vederlo...

Poi improvvisamente la luce del “fuori” invase la cesta mentre qualcuno di non meno identificato scoperchiava con un unico movimento il coperchio. Una figura imbacuccata fece allora capolino nel grigiore crepuscolare. Sapeva che non fosse saggio, ma prima ancora di capire cosa stesse accadendo la Nihaar’ì si ritrovò ad alzare le braccia verso l’alto in risposta a quelle che già vedeva tendersi verso di lei nel chiaro intento di afferrarla. Senza una resistenza si lasciò ghermire e con pochi strattoni riportare alla vita nella piana deserta di Harryan. Scaraventata senza molte cerimonie a terra si diede appena cura di afferrare il primo straccio lurido che vide in terra per subito affrettarsi a rispondere agli ordini dei Kamin che la volevano in piedi e pronta a camminare.

Sentì alle sue spalle i gemiti contratti di Karin mentre, incapace di avanzare, i Kamin la sollevavano e di peso la trasportavano fino alla tenda nella quale entrambe vennero fatte entrare.

Non era la tenda del Kamin-Na, si allarmò subito la Veggente. E dai colori smeraldini, non pareva quasi affatto la tenda di un Kamin.

E infatti tempo pochi istanti dopo da uno dei molti divisori presenti fece capolino un uomo assai basso e corpulento, l’andatura e la ricchezza delle vesti a classificarlo in meno di uno sguardo come uno dei tanti Mercanti di Schiavi di Arryan. Non il più ricco, valutò la Nihaar’ì, ma di certo il più affezionato alle tratte dei Kamin se gli era perfino concesso di seguirne la Carovana durante il lungo avvicinamento alle città abitate.

Incerta, la ragazza gli rivolse uno sguardo sghembo, affatto conciliante, notando nei suoi modi la medesima baldanza di alcune personalità che più aveva gradito alla Torre del Tempo.

Avanzando lui la scrutò a sua volta gradendo evidentemente ciò che vedeva perché una volta giunto a pochi passi da lei le rifilò una strizzatina d’occhio tutta malizia e intesa. Lei non mutò espressione.

Le voci avevano ragione, proprio una serpe di damasco”  commentò questi sardonico proprio nell’istante in cui finalmente il Kamin-Na faceva capolino nella tenda, il corpo statuario ora avvolto in un tessuto più pregiato di quello precedente. La Nihaar’ì non si diede nemmeno il disturbo di mascherare il sollievo che la sua vista le procurò.

Raramente mi sbaglio” rispose l’uomo prendendo posto accanto al primo. C’era un che di teso nel suo sguardo, una nota tanto dissimile dalla prima volta che l’aveva visto da trasfigurarlo quasi in un’altra sembiante. La Nihaar’ì si accigliò.

Ma rimango fermo in ciò che vi ho detto: le serpi in genere sono solo fonte di guai. Portarsi a casa un simile gioiello” le scoccò un’occhiata brusca “Non vi farà che perdere ore di sonno e guadagnare più guai di quanti abbiate mai desiderato trovarne”. L’altro fece come spallucce.

Perdere ore di sonno non è mai stato un problema, se si perdono nel modo giusto” scoccò una nuova occhiata d’intesa alla Nihaar’ì “E per i guai...ogni volta che torno a casa dalle mie mogli mi ritrovo a constatare questa triste verità. Un grattacapo in più non sarà di certo la mia rovina” l’altro fece come una smorfia.

Ora dite così..ma vedrete...”

State forse cercando di dissuadermi dal prenderla, caro Kamin-Na?”

Una vena di gelo attraversò improvvisamente il volto fino ad allora rubicondo del mercante irrigidendo di riflesso quello del Cacciatore. E finalmente la Nihaar’ì parve intuire quello che stava succedendo...

Breve e conciliante il volto del Kamin-Na venne in un attimo trasfigurato da un sorriso tutto denti.

E perché dovrei? Come avrete sentito, questa ragazza non è altri che l’ennesimo grattacapo capitatoci fra capo e collo mentre eravamo alla ricerca di tutt’altra merce. Prendervela ci allevierà solo di guai e problemi di ogni genere”

Falso. Assottigliò lo sguardo la Nihaar’ì. Tuttavia il mercante si limitò a rispondere con un mezzo reclinarsi del capo.

Un problema. Certamente” convenne tornando in quella ad esaminarla con occhio aguzzo “C’è tuttavia un particolare che vorrei chiarire...”

Ricordavo di avervi concesso di vederla, non di contrattare sul suo prezzo” lo gelò inaspettatamente il Kamin-Na riguadagnando in meno che un istante il contegno castigato fino ad allora. La mascella dell’altro ebbe un improvviso scatto rigido, il ridefinirsi dei confini di potere che lacerava appena la sua postura sardonica.

Si limitò dunque a compiere un nuovo mezzo sogghigno “Purché una volta giunti a destinazione non dimentichiate i nostri accordi. Sapete quanto sia attirato dai casi speciali...” e detto ciò si accomiatò da entrambi con un breve reclinarsi del capo.

Nemmeno il tempo di capire cosa esattamente fosse accaduto che il Cacciatore la afferrò per un braccio e sollevandola letteralmente di peso la condusse fuori dalla tenda. Alle sue spalle, un altro Kamin-Na mimò il gesto con Karin così che, insieme, entrambe vennero rapidamente trasportate in una nuova tenda.

Di nuovo non quella del Cacciatore ma un’altra assai più piccola e ridotta. Lui la scaricò a terra con un gesto a parodia di gentilezza e subito le inchiodò il proprio sguardo addosso.

I miei complimenti per essere riuscita ad attirare l’attenzione di Lusefin ancor prima di essere giunti a destinazione” la sua voce era poco meno che un insulto velato “Se non lo conoscessi abbastanza bene sarei pronto a giurare che sia disposto a rubarvi questa stessa notte pur di avervi”

Lei sbattè una sola volta le palpebre prima di parlare “Non era mia intenzione attirare l’attenzione di nessuno” lui si ritrasse con uno scatto nervoso, ma lei continuò “Giacché non è mia intenzione essere venduta e basta...”

Sciocchezze” la liquidò il Kamin-Na con un sospiro nervoso “Purché voi siate illibata Lusefin è il miglior acquisto che poteste sperare”

Purché lei fosse illlibata?

La Nihaar’ì si umettò appena le labbra, incerta su come procedere. In qualche modo intuiva l’importanza che quella conversazione avesse e avrebbe avuto sul suo futuro ma proprio per quello ora si ritrovava incapace di intuire come dovesse o meno gestirla. Poi, suo malgrado, decise comunque di provarci.

Eppure non sembrate contento dell’affare” buttò lì. Lui volse di scatto lo sguardo su di lei stringendo appena le palpebre. Stava osando troppo. Intuì la Nihaar’ì. Eppure per qualche ragione lui parve assecondarla.

Lusefin non è tipo da inseguire specchietti e allodole” le rispose monocorde “Se vi vuole è per un motivo ben preciso...sebbene io ignori ancora quale”

Il cuore della Nihaar’ì fece come una capriola nel petto. Lusefin era a conoscenza di qualcosa che la riguardasse? Si morse un labbro. Ancora più importante: forse il Kamin-Na stava ora pensando di avere per davvero qualcosa di importante fra le mani?

Se mai ce ne fosse stata una, la Nihaar’ì intuì che quella era la sua prima e ultima possibilità di tirarsi fuori da quell’immenso pasticcio.

Improvvisamente si sentì trarre un lungo e profondo respiro. Irrigidire la schiena. E poi, con uno sforzo ben più cospicuo di quanto avesse mai creduto possibile, esalare “Evidentemente Lusefin è assai più informato di tutti voi circa la merce che trasportate” una pausa “Giacché pare sia già a conoscenza della mia reale identità”.

Evitò di soffermarsi sullo sguardo che allora le rivolse il Kamin-Na. Se l’avesse fatto, di certo avrebbe perso tutto il coraggio che ora aveva di parlare a quel modo.

Ed esattamente cosa mi sarei perso dunque?” la raggiunse tuttavia il suo sibilo spazientito.

Io sono la Nihaar’ì” esalò lei socchiudendo appena le palpebre. Quando le riaprì, il Kamin-Na la stava ancora fissando, il volto stolido in un’espressione ben più indecifrabile di quanto un viso svelato avrebbe dovuto essere. La cosa non le piacque per niente.

Poi, vago, lui alzò una mano portandosela alla fronte in un gesto a metà fra il contratto e il rabbioso.

Ora non ho tempo per queste cose. La Carovana ha bisogno di me...” e girandosi fece come per uscire di gran carriera dalla tenda.

Ancor prima di capire come, la Nihaar’ì si ritrovò a inseguirlo e afferrargli il braccio come se da ciò ne dipendesse la sua stessa vita. Lui volse di scatto il viso. Lei si irrigidì.

Non sto mentendo” balbettò avvertendo il sangue defluirle rapidamente dal viso “E posso dimostrarvelo, ora”.

Ora? Parve accigliarsi l’altro. Lei si umettò le labbra, incerta sul ricordare situazioni più difficili di questa.

La Carovana sta per essere attaccata dalle Ombre. L’ho visto in un Nayel. E’ per questo che ci siamo fermati. C’è stato un suono...” avvertì le parole morirle suo malgrado fra le labbra, l’incertezza della sua medesima rivelazione a sbriciolarlesi ora di parola in parola nel palesarsi della loro fragilità, della loro inconsistenza.

Esitò. Poi lui sbattè una volta le palpebre.

La temperatura è calata in modo insolito. E’ per quello che gli yenavo’r si rifiutano di avanzare” commentò asciutto. Tuttavia non fece segno di scostarsi.

Fu sufficiente. Le credeva.

La Nihaar’ì scosse lentamente il capo.

Non è così. E’ perché si stanno avvicinando. Io...” percepì la saliva impastarle la bocca “Lo so”.

Lui alzò entrambe le sopracciglia, incerto. Poi si voltò completamente verso di lei fronteggiandola.

Dunque voi siete la Nihaar’ì?” sorrise piano “Eppure non si è mai sentito di una Nihaar’ì così abbandonata e sola a se stessa come voi sembrate essere. Siete sicura di non stare osando un po’ troppo anche per il mio spiccato senso dell’umorismo?” incerta fra il panico e la supplica, la Nihaar’ì strinse appena la presa.

Le Ombre attaccheranno, io l’ho visto. Siete sicuro di voler dubitare delle mie parole tanto da mettere in pericolo tutta la vostra Carovana?” lui assottigliò lo sguardo.

Forse farei bene a dormirci un po’ su, non credete? Ieri eravate meno di un nessuno e ora chi mi ritrovo appallottolata in una cesta sotto il sole? Niente meno che la nostra amata Veggente...”

Le Ombre attaccheranno questa notte” tagliò corto lei per la prima volta consapevole di non avere più tempo per discutere: nulla era andato come il suo nayel. Nulla. Eppure per qualche ragione sapeva che la sola cosa certa, la sola che non sarebbe mutata era questa e quell’unica cosa era adesso.

Ma lui la scrutò ancora a lungo, intensamente, il sospetto nei suoi occhi ben più grande di ogni impellenza o allarmismo da lei preventivato.

No. Non le credeva. Inorridì lei. Ma ancora una volta qualcosa nel profondo del suo sguardo lo spinse a esitare.

Ditemi di più. Sembrava suggerirle.

Ma cosa poteva dire di più? Più di questo? Più di tutto?

Poi, tonante, un fischio si sprigionò nell’aria attorno a loro. Acuto, spettrale, lacerante quanto bastasse per deformare e brecciare in un attimo ogni percezione della tenda circostante. Gemendo, la Nihaar’ì si portò entrambe le mani alle orecchie e suo malgrado non potè che alzare una volta ancora lo sguardo sul Kamin-Na. La trovò intendo a fissarla, una nota di assoluta e incredula meraviglia a trasfigurare ora i suoi tratti.

E finalmente eccolo, quello sguardo.

Ora le credeva. Percepì la Veggente. Ora si.

Sono qui” esalò questi dalle labbra ora esangui “Somma Nihaar’ì...” riformulò passandosi la lingua sulle labbra “Le Ombre sono qui”

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Capitolo 8
*** Una voce nel vuoto ***


Buongiorno a tutti!

Capitolo cortissimo perché impossibile da spezzare diversamente J Probabile che la continuazione arriverà prima del solito mese per compensare la scarsità di materiale!

 

Grazie come sempre a tutti coloro che mi leggono, a chi mi segue e a chi mi sopporta in tutte le mie ordinarie crisi esistenziali!!

Bacius!

Elendil

______________

 Ed improvvisamente tutto fu troppo veloce e rapido per riuscire a decifrarlo. Troppo tempestivo per poterne percepire esattamente la sequenza.

Nella tenda fecero il loro ingresso una decina di Kamin armati fino ai denti, i volti trasfigurati da quella che era chiaramente l’avvisaglia di un panico generalizzato e incombente. Guardarono prima il Kamin-Na poi lei e poi nuovamente il Kamin-Na.

“Alcune Ombre sono state avvistate a pochi minuti da qui. Tutti gli Ivnes sono stati allertati e così gli altri, ma loro saranno qui prima di essere tutti pronti” esalò uno di quelli. Il Kamin-Na annuì una volta, grigio in volto.

“Sapete cosa fare. Date armi ai prigionieri in grado di combattere e nascondete gli altri” due del gruppo si allontanarono rapidamente.

“Avete già piantato le Vele?” continuò l’uomo “Tutte quelle a nostra disposizione” annuì uno.

“Cercatene di altre” Nuovo annuire. Nuovo defilarsi di alcuni uomini.

“Come siamo messi con gli yenavo’r?” riprese il Kamin-Na. Un ragazzo dall’aria grave fece come un passo avanti “Stiamo provvedendo ora alle bardature. Pochi minuti e saranno pronti in prima linea” l’altro annuì.

“Il tempo stringe. Provvedete a che tutto sia finito al più presto”. Sguardo vitreo, il ragazzo fece un rapido dietrofront prima di sparire dalla tenda.

“I segugi sono pronti?” lo sguardo del Kamin-Na cadde -con somma sorpresa della Nihaar’ì - su una donna lì presente. Era chiaramente una Kamin, ma il suo abbigliamento la faceva assomigliare più a una dama “di corte” che a una combattente. La donna annuì piano facendo tintinnare le perline affisse dai ninnoli del suo collo fino a quelli apposti ai capelli bruni.

“Siamo pronti”. Mentre anch’ella se ne andava il Kamin-Na posò il proprio sguardo sugli uomini rimanenti.

“A voi il compito di orchestrare le difese. Mi aspetto che ognuno faccia ciò che è stato addestrato a fare in queste occasioni. Liebes ehn Rai! (Forza e coraggio)”

Liebes ehn Rai!” ripeterono in coro tutti prima di allontanarsi a passo di marcia dalla tenda.

Rimasti soli, il Kamin- Na posò finalmente il proprio sguardo su di lei. Era terrorizzato, percepì la ragazza restituendo a sua volta l’occhiata. Eppure a differenza degli altri, egli sapeva controllarsi abbastanza da non darlo a vedere. Intuire tuttavia il tremolio delle sue mani fu un qualcosa di estremamente intimo e rivelatorio per la ragazza.

“Chiunque voi siate” disse finalmente questi dopo un lungo attimo “Credo sia ora mio dovere proteggervi”

Preoccupato per l’affare? Fu tentata di rispondere la ragazza ma si trattenne: poter vantare la protezione di nientemeno che il capo dei Kamin era un privilegio non da poco. Sprecarlo per una stupida battuta forse non era la mossa migliore da fare vista l’immanente situazione.

E difatti, nemmeno il tempo di prepararsi alla baraonda che l’intera Carovana fu investita da un nuovo stridio acuto e lacerante, greve avanguardia del boato che subito seguì e del successivo innalzarsi di grida più o meno umane che a esso si accompagnarono.

Era cominciata. Rabbrividì la Nihaar’ì.
Subito si sentì brancare per la mano dal Kamin-Na e sollevare letteralmente di peso sulla sua spalla. Non la mossa più ortodossa che avesse mai visto ma di certo la più rapida per costringerla senza un lamento a uscire dalla tenda e correre all’esterno alla ricerca - immaginò - di un riparo dietro al quale nascondersi.

Mentre usciva dalla tenda ebbe appena il tempo di gettare un’ultima all’ancora rannicchiata e ahimè dimenticata Karin. Ricordò allora di averle gridato qualcosa. Sicuramente il suo nome. E qualcosa di molto simile a una promessa di qualche tipo. Ma in breve assieme al socchiudersi delle tende alle sue spalle, anche il pensiero di Karin e delle sue sfortunate sorti abbandonò la Nihaar’i.

Ansimò, la spalla del Kamin-Na che le premeva a ogni passo sullo stomaco impedendole quasi di respirare.

“Dove stiamo andando?” chiese con un gemito contratto. L’uomo non le badò, evidentemente troppo impegnato a rifilare ordini a destra e manca per darle attenzione. La voce calma e ferma, sembrava quasi immune al panico che vivo serpeggiava già fra gli uomini presenti, una freddezza d’animo tradita solo dall’inumidirsi via via della presa esercitata sul fianco della Nihaar’ì. Poi un’improvvisa svolta e nel campo visivo della ragazza vi furono delle figure nel deserto, nere di penombra, che quasi volando avanzavano di gran carriera in direzione della Carovana già ora accesa di mille e più fuochi. Rapide nel cielo scattarono allora milioni e più di biglie arroventate che per un attimo solcarono la volta celeste in un nugolo di puntini ardenti, luminosi e fischianti come non mai.

Nuova svolta e l’esplosione rombò nell’aria assordando la Nihaar’ì.

Poi una voce.

“Fuga d’amore, caro Kamin-Na?” il brusco arrestarsi dell’uomo per poco non la fece cadere di schiena a terra. A fatica lui la trattenne a sé prima di avvolgerle il fianco anche con l’altro braccio.

“Solo una piccola precauzione nel caso in cui le Ombre riescano a fare breccia nelle nostre difese. Non sia mai che io privi il vostro padrone della sua prima scelta”

Momento di silenzio, probabilmente usato dai loro inseguitori per valutare l’effettiva veridicità delle parole dell’uomo. Poi un vago accenno di sorriso.

Lusefin desidera che la ragazza sia subito portata a lui” “Lusefin ha già con sé il denaro che mi ha promesso?” fu la lapidaria risposta del Kamin-Na. Nuovo silenzio, evidentemente negativo.

“Molto bene dunque” prese nuovamente parola questi, la voce che tradiva una più che palese nota di nervosismo “Dite al vostro padrone che la ragazza sarà sua solo quando vedrò dinnanzi ai miei occhi il suo prezzo in moneta. Fino ad allora ella rimane dei Kamin”.

Una risposta davvero fiera, non potè che notare la Nihaar’ì. Sfortunatamente però non la risposta che gli scagnozzi del mercanti erano pronti ad accettare perché nel breve attimo che seguì la donna fu certa di percepire l’affilato sfregolio di lame estratte.

Male. Chiuse appena gli occhi. Molto male.

E poi ecco il Kamin-Na buttarla improvvisamente a terra ed estrarre con un unico movimento la propria arma prima di slanciarsi all’attacco degli uomini lì schierati. Dimenticata a terra nella confusione generale, la Nihaar’ì si limitò a strisciare rapidamente a terra per raggiungere il riparo più vicino. Una gabbia, per la precisione. Ma in quel caso qualunque cosa sarebbe di certo andata bene.

Vi si accucciò sotto stringendosi al petto la parodia di vesti che ancora tentavano - senza riuscirci - di coprirle meno di un quarto del corpo nudo e attese, le scene della colluttazione fra il Kamin-Na e i due assalitori che sorvolavano il suo campo visivo senza che ella ne prestasse per davvero attenzione.

Qualcosa di assai più terribile attirava in effetti i suoi pensieri. Un qualcosa che suo malgrado percepiva starsi avvicinando lentamente ma inesorabilmente a lei senza che ella fosse in alcun modo in grado di evitarlo. Uno stridio lacerò nuovamente l’aria e con essa ogni traccia di tranquillità che ancora la Nihaar’ì serbava.

Le Ombre l’avrebbero trovata. Si strinse appena di più in se stessa. Era solo questione di secondi, di attimi di...

“Alzatevi!” fu in quella che il volto del Kamin- Na le si parò nuovamente innanzi scuotendola dai suoi pensieri. Era sporco di sangue, notò lei distrattamente. Eppure non sembrava ferito.

Lodò le sue capacità combattive e il suo sangue freddo. Suo malgrado non diede alcun segno di volersi muovere.

Rapida la mano del Kamin-Na le si serrò allora attorno al polso e con un solo strattone la trascinò allo scoperto intimandole senza molte cerimonie di alzarsi in piedi. Eseguì, tanto rigida di paura da non riuscire quasi a respirare. E poi si ritrovò a correre nella mezza oscurità, una nota di panico a distorcere il mondo attorno a lei.

“La difesa sta andando bene” le disse lui mentre si incassavano fra due Gabbie per riprendere fiato. Il sudore gli colava in rivoli fumanti dalle tempie “Ma la cosa migliore da fare per voi è -”

Non riuscì a finire la frase. Dal nulla parve quasi di vedere l’oscurità medesima inspessirsi e con un unico silente fruscio ghermirlo e trascinarlo chissà dove molti metri più in là.

La Nihaar’ì gridò. Lui atterrò senza un suono.

E finalmente eccola, la sua visione, mentre dal nulla l’aria si condensava proprio dinnanzi ai suoi occhi in una gargantuesca massa tutta nodi e oscurità, tutta sibili e stridii. Lacerante, la sua figura prese il posto di ogni altra cosa dinnanzi alla Veggente che, sola, non potè far altro che assistere impotente al risalire della sua paura attimo dopo attimo, istante dopo istante sempre più tangibile e vera.

Dimenticò di respirare. E perfino di coprirsi mentre il “vestito” le scivolava a terra in mancanza di una presa a trattenerla.

E poi di nuovo eccola giungere dal profondo, quella voce. Quella nota d’infinito.

Dove stai andando, Odayn?”

E poi più lenta, grave.

“Non ricordi più la strada? O ti sei semplicemente persa?”

 

Ansimò. E gemette.
E prima di capire come, eccola scalciare la sabbia lontano e con un retrofront degno della più agile
Agves Anaphat (Volpe del deserto) prendere a scappare esattamente in direzione dalla quale era venuta.

Sapeva di stare sbagliando.

Urtò contro il fianco di un carro, l’idea del dolore a infiammarle per un attimo le pareti della mente senza che ella vi prestasse attenzione.

Sapeva che da protocollo la Nihaar’ì avrebbe dovuto affrontare le Ombre e non darsela a gambe a quel modo senza nemmeno provarci -che diavolo- a fare qualcosa di veggentico, ma per qualche validissima ragione sapeva di non potere.

Evitò con un balzo una pila di corde ammonticchiate a terra.

Non poteva affrontare le Ombre. Non ancora. Non adesso.

E poi dal nulla due mani la ghermirono a metà di un nuovo ed emozionante balzo per trascinarla nell’incavo di una struttura non meglio identificata. Gridò, ma scoprì che una di quelle audaci mani le era stata calata proprio sul viso per impedirle dar sfogo a tutta la sua gioia per essere stata trovata. Gridò comunque.

E poi il volto di Matnery fece capolino alla sua destra intimandole di starsene zitta. Si zittì immediatamente, la deduzione che dunque alle sue spalle dovesse esserci Hiras che per qualche ragione le faceva allora salire le lacrime agli occhi. Poi il cacciatore la voltò e schiacciandole il viso contro il proprio petto la strinse in un rapido abbraccio tutto sabbia e tensione. Prima di capire come si scoprì a ricambiare la stretta cominciando a singhiozzare come una bambina.

Era contento di vederla? Si chiese da qualche parte della propria coscienza.

Certo che era contento. Chi non sarebbe stato contento di rivedere la Nihaar’ì? Ribadì un’altra parte della sua mente.

Tutti quelli che ora la famosa Nihaar’ì avrebbe dovuto difendersi al posto di scappare come una ragazzina piagnucolosa. Le ricordò un altro qualcuno sempre nella sua testa ma lo ignorò.

Ora come ora la gioia di ritrovarsi nuovamente in compagnia dei suoi amici era più che sufficiente a distrarla da qualsiasi dovere vero o apparente.

“Dobbiamo andarcene” la richiamò dopo qualche istante Hiras “O le Ombre ci staneranno”

Lei annuì, tuttavia non dando alcun segno di volersi muovere. Lui la scostò allora con gentilezza, le mani ad allontanarla lentamente per riuscire finalmente a guardarla in viso. L’assenza di Velo attraversò come una scossa elettrica il volto di lui che si ritrovò ad abbassare subito lo sguardo verso terra. Anche lei fece lo stesso. Matnery tuttavia pareva di diverso avviso.

“Alcuni Yenavor’ saranno di certo stati dimenticati nella confusione generale” annunciò sbrigativo “Troviamone un paio e andiamocene alla svelta”

Entrambi annuirono, loro malgrado restii a mettere nuovamente il naso fuori da quella rientranza esponendosi così alla baraonda ora onnipresente nel Campo. Così fu Matnery a farsi avanti e cauto guidarli da un nascondiglio all’altro fino al punto ove secondo lui avrebbero trovato gli yenavo’r.

Furono fortunati. Alcuni draghi vagavano abbandonati per il Campo, mezzi impauriti e mezzi frastornati dalle esplosioni, grida e confusione generali.

Matnery ne afferrò uno. Hiras un secondo e spingendola di peso sulla sella pressoché inesistente lo costrinse a partire in corsa.

Manco a dirlo, proprio allora un’Ombra si frappose sul loro cammino. Il ragazzo strattonò il drago. Matnery costrinse il proprio a cambiare direzione. E tutti e due, contemporaneamente, esalarono un disperato “Somma Nihaar’ì!”

Ma la Nihaar’ì era già svenuta da un pezzo, la paura di ciò che avrebbe dovuto - ma forse non potuto - fare a rubarle infine le ultime energie rimastele in corpo e costringendola ad accasciarsi senza un lamento addosso a Hiras.

Qualcuno gridò. Ma era troppo tardi.

Nello stesso istante Carovana, Danzatori e Ombre scomparvero in uno sbuffo di sabbia mentre la Nihaar’ì scivolava suo malgrado come un fantoccio inerte a terra.

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Capitolo 9
*** Passi nella Tormenta ***


Ciao a tutti!

Nuovo capitolo, nuovo punto di vista! Spero vi piaccia J Come sempre un grazie a tutti e a tutte e alla prossima!!

Bacissimi!

Elendil

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“Ho sete”

Incapace di resistere all’arsura, Asiya si passò la lingua sulle labbra avvertendone al tatto la consistenza dura e corrugata. Si maledì. Sapeva che così facendo avrebbe solo aumentato il suo desiderio di bere, ma pur consapevole, non era fisicamente in grado di impedirselo.

Quanti anni erano che fame e inedia avevano smesso di essere un suo problema? Rifletté un attimo su quella vaga epifania per poi, suo malgrado, scuotere il capo. Non abbastanza per dimenticare cosa significassero, eppure troppi per poterli affrontare di nuovo con la disinvoltura consona al suo ruolo.

Alcuni passi più avanti avanzava Sery, passi leggeri e misurati a donarle come sempre un che di mistico e spettrale.

Ansimante, la certezza che i suoi piccoli sandali stessero letteralmente andando a fuoco in quell’oceano ardente, Asiya le rivolse un’occhiata di puro e autentico odio, il più genuino che si concedesse di elargire dopo anni di piccole smorfie e malcelati ghignetti sprezzanti in voga fra i Nobili.

Quando Sery le aveva piantato il coltello alla gola Asiya aveva in qualche modo immaginato di dover morire da lì a pochi istanti.

Poco male, si era detta in un non meno precisato istante di calma serafica, almeno avrò una morte gloriosa, degna del mio rango.

Ma così non era stato.

Trascinata come un animale lontano dalla propria dipartita, Sery l’aveva subito scaraventata nella precognizione di una assai logorante scarpinata nel deserto fra le dune bruciate dal sole.

Meglio così, aveva quindi sospirato tentando al contempo di non farsi strozzare dalla foga della sua compagna di viaggio, Armate delle sole nostre gambe riusciremo a fare sì e no mezzo miglio prima di doverci arrendere alla fatica. Per allora Zaphil ci avrà trovare e riportate indietro.

Ma ancora una volta, il Popolo del Deserto pareva assai ansioso di deludere le sue aspettative.

Pochi metri necessari a illudere Zaphil e l’Anhayt del fatto che entrambe fossero riuscite effettivamente a scappare approfittando della confusione generale, e la Risvegliata le aveva sferrato un gancio tanto forte da farle credere che tutti i suoi denti si sarebbero staccati ripopolando il deserto di piante dentifere.

Quando era riuscita finalmente a riprendere conoscenza aveva assai faticato per mettere a fuoco il paesaggio circostante.

Prima impressione: erano sole. Seconda impressione: non si stavano spostando.  

“Credevi davvero che ti avrei trascinato per chilometri in mezzo al deserto con una lama piantata al collo?” l’aveva derisa Sery mentre dolorante l’Hayeli’vo tentava con scarso successo di mettersi a sedere. Il conato che era seguito l’ava subito fatta desistere. Nuovo sospiro.

“Troppo faticoso?” aveva quindi esalato dopo un istante. Pallida nel già abbacinante riverbero solare, Sery si era limitata a sogghignare.

“No, troppo stupido. Perchè costringerti ad avanzare con la forza quando a conti fatti la tua unica scelta potrebbe essere quella di seguirmi?” Asiya si era limitata a strizzare appena gli occhi.

“Ti ricordo che Zaphil (o almeno uno dei suoi) sarà già sulle mie tracce ora”

L’altra le aveva rifilato un sorriso vago “Ne dubito visto che a conti fatti non vi è alcuna traccia da seguire” aveva allora allargato un braccio mostrandole il paesaggio tutt’attorno a lei.

Un paesaggio abbastanza familiare da assomigliare a quello della sera prima, in effetti. Anzi, da esserne esattamente la copia sputata. O solo la stessa.

“Chiunque si sia messo sulle nostre tracce ora si trova molto più avanti di noi. Tutto ciò che dobbiamo fare è semplicemente non raggiungerlo” stretta delle spalle, l’espressione di Asiya che probabilmente doveva allora aver rasentato l’attonito.

L’altra non le aveva badato gran che, la certezza di averle in qualche modo restituito l’inganno precedentemente subito a soddisfarla abbastanza da non avvertire evidentemente la necessità di aggiungere altro alla spiegazione generale. Sconcerta, Asiya non aveva potuto far altro che fissarla mentre queste con naturalezza appallottava alcune cianfrusaglie in un telo logoro prima di caricarselo in spalla e cominciare ad avanzare senza una parola nel deserto infuocato.

“Immagino che a questo punto non mi darai più del Voi, vero?” le aveva poi urlato improvvisamente dietro con una nota sarcastica.

“Quel fagotto è tuo” aveva replicato l’altra senza nemmeno girarsi “Se non ti sbrighi a prenderlo e seguirmi ti lascio qui”.

                                    

Ed era così dunque che era cominciata la loro marcia nel deserto. Gli inseguitori avanti chissà dove e loro dietro, due sparuti fagotti colmi di cianfrusaglie a difenderle dall’immensità di un deserto apparentemente sconfinato.

Sfiancata dal caldo, le dita dei piedi che dolorosamente cominciavano a scarnificarsi a causa del continuo contatto con la sabbia arroventata, Asiya si ritrovò allora a ripensare alla Torre del Tempo e alle sue immense sale fresche e temperate, una gioia per lo spirito e il cuore dove sete e fame parevano davvero essere nulla più che fantasticherie prive di consistenza e realtà.

Ricordò i colori pastello, le scalinate a ventaglio, i dipinti punteggiati d’oro. E ricordò perfino quei profumi nascosti che nessun inserviente si dava pena di creare ma che per qualche ragione infestavano comunque la percezione.  

Gemette piano, un sassolino che dolorosamente percorreva da dita a tallone tutta la lunghezza del piede destro. Fu tentata di chiedere una sosta ma desistette.

Come diavolo era finita in quella situazione? Si domandò allora con una punta d’ansia. Ma molto più importante, come diavolo si era fatta convincere a finirci quasi di sua spontanea volontà?

“Questa notte ci accamperemo là”

La voce di Sery la distrasse dalle proprie elucubrazioni costringendola a guardare dove la donna stava ora indicando: una roccia dall’ara solitaria che svettava raminga nella piana come un dente aguzzo. Gli scoccò un’occhiata perplessa prima di detergersi il sudore dalla fronte.

“Come riparo non mi sembra molto sicuro” commentò incerta

“Vedi per caso altro di tuo gradimento?” la sbeffeggiò subito Sery voltandosi a guardarla.

Scosse il capo “Ora no” convenne “Ma il sole è ancora alto. Magari avanzando un poco...” nervosa l’altra si tirò meglio il fagotto sulla spalla

“Questo non è territorio su cui avanzare oltre una certa ora a meno che si desideri fare altri incontri con la fauna locale” tagliò corto

“Risvegliati?” sobillò Asiya con una nota acida. Senza battere ciglio Sery riprese rapida a camminare costringendo l’altra a starle suo malgrado dietro.

“Fossero solo i Risvegliati dubito che dovremmo preoccuparci a tal punto” riprese tuttavia dopo un attimo, il passo sottile che scivolava senza fatica laddove la Hayeli’vo riusciva a malapena ad arrancare

“Sfortunatamente però essi non sono né gli unici né i più pericolosi cui il deserto da rifugio e protezione dalla Torre del Tempo”   

Incerta fra il maledire la rinnovata sofferenza del camminare o il caldo mortale che le pressava in ogni parte del corpo, Asiya si concesse un mezzo sospiro.

“E immagino che nessuno di questi gentili avventori rispetti le regole dell’ospitalità concesse ai Figli del Deserto, vero?”.

Non appena varcato il confine dell’ombra proiettata dalla roccia, Sery si liberò del proprio fagotto per cominciare a scandagliare la zona con passo cauto e predatore. Dal canto suo Asiya si limitò a disperdere la propria mercanzia a terra e accasciarsi esanime sulla sabbia tiepida e inodore. Espirò piano chiudendo per un attimo gli occhi.

Quando li riaprì la figura di Sery incombeva su di lei.

“Per i Figli del deserto valgono sempre le antiche consuetudini” si accigliò chinandosi per prendere il suo fagotto abbandonato “Ma voi non siete una di loro o sbaglio?”

Si allontanò in uno sbuffo costringendo Asiya a puntellarsi sui gomiti per seguire i suoi spostamenti.

“Lo sono stata molto tempo fa” replicò cauta “Conta come attenuante di aver per qualche tempo frequentato la Nihaar’ì?”.

Difficile capire se il silenzio che seguì fosse frutto delle numerose faccende cui si stava dedicando la Risvegliata o la conseguenza naturale della sua rivelazione.

Poco dopo Sery le scagliò addosso un groviglio di stoffe rosse adducendo che se proprio aveva intenzione di starsene a blaterare per tutto il tempo, almeno lo facesse rendendosi in qualche modo utile.    

Montarono quindi il “campo” e con esso alcune delle protezioni necessarie a evitare gli attacchi delle Ombre. Niente di realmente efficace, si rammaricò Sery, ma di certo qualcosa di abbastanza utile a rassicurare entrambe sulla concreta possibilità di coricarsi e riposare per qualche ora. Non accesero il fuoco ovviamente, così al calare del sole entrambe si ritrovarono inevitabilmente a tremare rannicchiate nelle misere stoffe che erano riuscite ad adibire a giaciglio.

Solo allora, rigida nelle propria branda improvvisata, Sery si diede pena di riprendere il discorso che ella aveva volutamente lasciato cadere poche ore prima.

“Davvero sei stata una Figlia del Deserto?” esordì con una nota soffocata. Poco distante, egualmente aggrovigliata nelle proprie misere stoffe, Asiya annuì.

“Molto tempo fa. Prima di diventare Hayeli’vo ed essere portata alla Torre del Tempo”.

Le parve come di sentire la Risvegliata rigirarsi nelle coperte

“E’ strano” commentò poi con voce stranamente limpida “Chissà perché ho sempre creduto che solo ai Nobili fosse concesso di varcare la soglia della Torre del Tempo. Figuriamoci rivestire il ruolo di Hayeli’vo...”

Asiya fece come per stringersi nelle spalle.

“In genere è così” le concesse “La Torre del Tempo si guarda bene dall’ospitare entro le sue mura chiunque possa in qualche modo dubitare del suo potere o non dipendere direttamente da esso.” si bloccò, improvvisamente accorgendosi di quanto poco diritto avesse in quell’istante di rivelare particolari tanto compromettenti sulla vita di Corte.

“Ma per me fu diverso” tagliò quindi corto “All’età di otto anni venni presa e portata via dalle terre in cui vivevo per essere scortata alla Torre del Tempo”

“Chi ti portò via?” la interruppe l’altra. Smorfia evasiva

“Un uomo della Torre” rispose monocorde “Fu lui a dirmi che ero stata scelta per un compito molto importante cui non avrei mai potuto rinunciare se non con la mia stessa vita. Mi mostrò stanze e camere fra le più belle che avessi mai visto dicendo che tutto ciò era e sarebbe stato mio a patto che fossi stata fedele alla Torre e alla Nihaar’ì per tutta la vita”.

Dall’altra parte parve allora di udire un sospiro contrito.

“Un premio superfluo se paragonato all’onore di poter essere al fianco della Nihaar’ì” la voce di Sery tradiva una nota di emozione. Asiya lasciò che essa scorresse su di sé assieme agli altri vaghi rumori della notte prima di rilassare il capo contro la sabbia umida.

“Infatti” concesse infine con una nota sonnolenta “Ben più grande di quanto avessi mai osato sognare fino a quel momento”.

 

L’indomani si svegliarono poco prima dell’alba, il tepore antecedente il destarsi del giorno a regalare a entrambe poche ore di umida frescura sufficiente a impacchettare i loro bagagli e mangiare un paio di bocconi di pane. Ordinatamente disposta a terra, la mercanzia che Sery divise equamente fra i due fagotti risultò essere poco più che qualche stoffa imbevuta di Tinta, un paio di borracce, pali di legno necessari a piantare le stoffe e un paio di coltelli a lama corta. Un bottino assai scarso, si lamentò l’Hayeli’vo, ma difficilmente suscettibile di aggiunte calcolando le miglia che avrebbero dovuto percorrere con quella roba addosso.

Ovviamente a lei toccò la parte delle stoffe e dei pali mentre la Risvegliata tenne per sé acqua e armi.

Dannata gente del deserto...

“Immagino che tu sappia dove stiamo andando, vero?” esalò Asiya mentre il primo raggio di sole fendeva il morbido profilo delle dune. Una goccia di sudore le scivolò cauta lungo la tempia perdendosi nella già evidente ricrescita rossa delle sue chiome.

“Temi di no?” ridacchiò l’altra senza nemmeno voltarsi. Asiya fece come spallucce

“Mai dubitato delle tue doti di orientamento” precisò subito alzando una mano in segno di resa “E’ la vendetta che mi da di che pensarequesta volta l’Hayeli’vo fu certa di cogliere un sogghigno derisorio sul volto dell’altra

“Pensi davvero che mi prenderei tutto questo disturbo se la mia intenzione fosse semplicemente quella di ucciderti?”

Asiya si morse un labbro scoprendolo nuovamente arido e rinsecchito. Poi sospirò.

“In effetti queste mercanzie pesano troppo per una sola persona...” buttò lì con noncuranza

“Ho portato cose pesanti il doppio di quelle che stai portando tu ora lamentandomi la metà di quello che stai facendo. Il tutto ferita a una gamba e inseguita dai membri dell’Ordine” la liquidò subito l’altra aumentando bruscamente il passo. Come sempre la camminata di Sery pareva insofferente di rallentamenti o ostacoli di alcun genere.

Come esimersi dal maledirla per l’ennesima, sconsolata, volta?

“Perdona il mio sciocco dubbio allora” digrignò raggiungendola Asiya. Si aggiustò con un gemito la sacca sulla spalla “E’ che è da molto tempo che non mi viene richiesto di capire gli atteggiamenti e le azioni delle persone che mi circondano. In genere è Zaphil a farlo al posto mio e lui non sbaglia mai” l’altra la scrutò per un breve attimo

“Questo è il tuo modo da Hayeli’vo di dirmi che non hai la più pallida idea di quali siano le mie intenzioni?”

L’altra fece spallucce.

Forse si.

“Che peccato” ridacchiò nuovamente l’altra per poi guardandola, aggiungere “E sì, questo è il mio modo da Figlia del deserto di dirti che non sono affatto dispiaciuta”.

Poco più indietro, Asiya fece allora una smorfia contrita ignorando il fatto che così facendo le labbra le si sarebbero all’unisono spaccate. Represse un gemito

“Che cosa poco carina. E io che pensavo che dopo le rivelazioni di ieri sera mi considerassi un po’ più come una sorta di amica alla lontana da poco ritrovata ma degna comunque di grande fiducia”  

“Essere nata nel Deserto non fa di te una Figlia del Deserto” puntualizzò subito l’altra “E se è di fiducia che vogliamo parlare, ti ricordo che è solo a causa tua e delle tue menzogne che ci ritroviamo ora in questa situazione”

“Oseresti rimproverarmi per essere stata fedele alla Nihaar’ì?” si accigliò la fanciulla. L’altra rallentò solo un istante il passo

“Conosco la fedeltà. Ma non per questo sono disposta a perdonare la tua menzogna.”

“Dubito che tu possa anche solo comprendere quanto l’una sia legata all’altra”

“Tu dici?” improvvisamente Sery si bloccò lasciando che Asiya la raggiungesse “Credi davvero che non mi sia mai capitato di dover mentire in nome di ciò in cui credo? In nome dell’amore che provo verso quell’uomo che ora grazie a te ho con ogni probabilità perduto per sempre?” Asiya si ritrovò a serrare appena la mascella

“E tu credi davvero di poter fare a me la morale sulla menzogna?” avvertì la collera salirle improvvisamente al viso in una vampata di calore “Le persone normali mentono; Io sono la Hayeli’vo. Non credo di dover star qui a definire quanto e perché le due cose siano differenti

“Quindi dovrei perdonarti semplicemente perché rovinare la vita alle persone fa parte dei tuoi compiti?” si accigliò Sery

“Il mio compito” prese fiato l’Hayeli’vo “E’ proteggere la Nihaar’ì e non una Khonarh qualsiasi. Dubito che alla luce di questo io debba perdere anche solo un altro secondo a giustificarmi per alcunché”  

Prima di capire come, la Hayeli’vo si ritrovò pericolosamente vicina alla Risvegliata, una mano della donna a ghermirle le vesti in una morsa di ferro.

“Se è davvero il mio perdono che desideri” la gelò lei con voce monocorde “Temo tu non lo stia chiedendo nel modo giusto”

“Se davvero desiderassi il tuo perdono” d’istinto l’Hayeli’vo strinse la presa sulle dita dell’altra “Te lo starei chiedendo

Ma la realtà è che non me ne importa assolutamente nulla.

Vedendo la mano libera di Sery salire verso di lei Asiya si ritrovò a chiudere d’istinto gli occhi.

L’avrebbe colpita. Pensò. Perché se lo meritava.

Ma la Risvegliata non la schiaffeggiò, viceversa dopo un attimo la lasciò andare con uno strattone per poi, rigida, tirarsi meglio sulle spalle il proprio fagotto.

“Hai ragione” ammise dopo un attimo “Tu non hai bisogno del mio perdono” una pausa “Non hai bisogno del perdono di nessuno”

Mentre Asiya tentava suo malgrado di risistemarsi le vesti e ricomporsi in qualche modo, avvertì lo sguardo dell’altra seguirla con muta circospezione prima di scostarsi con un sospiro.

“Ti porterò dove stiamo andando perché così ho deciso” la voce della Risvegliata le suonò quasi stonata all’orecchio, il tono tanto vuoto da parere meno che un sussurro mentre ella si voltava e riprendeva a camminare “Dopo di che le nostre strade si divideranno. Prega allora che non si rincontrino mai più perché se così fosse, non basterà un titolo e un’amicizia alla lontana da poco ritrovata ma degna comunque di grande fiducia per risparmiarti”

 

Quella notte non parlarono. E nemmeno il giorno successivo. E nemmeno quando l’acqua diede i primi segni di stare inesorabilmente terminando le due osarono scambiare anche solo una parola.

E poi arrivò di nuovo la notte.

Questa volta riuscirono a catturare un piccolo topo del deserto che avidamente si divisero e mangiarono senza poterlo cuocere. Poco prima di coricarsi un lampo vibrò lontano nel cielo a oriente colorando per un attimo di un tiepido rosa cipria la notte circostante.

“Domani verrà la Tempesta” decretò Sery “Non è prudente avventurarsi nel deserto senza alcuna protezione”

Stanca e febbricitante di sole, Asiya aprì lentamente un occhio guardando prima l’orizzonte e poi la sua compagna di viaggio. Il fatto che le avesse rivolto nuovamente la parola stava a significare una preoccupazione ben più che latente. Con una smorfia si puntellò su un gomito per guardarla.

“La nostra acqua è agli sgoccioli. Aspettando qui rischieremo di rimanere senza” obiettò in un sussurro ovattato. Nel buio, l’altra annuì una volta.

“Durante le Tempeste il deserto si risveglia. Non sono certa di poterlo affrontare con te al mio fianco” “So combattere” ribatté lei risentita.

“Non è ciò che mi serve” scosse subito il capo l’altra per poi voltarsi a guardarla.

Nel buio la Hayeli’vo fu quasi certa di ricordare quei suoi occhi scuri e neri scrutarla da un mondo cui lei non faceva parte.

“Qualcuno è sulle nostre tracce” esalò la Figlia del Deserto con una nota grave.

Zaphil? Possibile?

L’altra dovette notare il guizzo nello sguardo di Asiya perché sorrise appena.

“Sfortunatamente qualcuno di assai poco raccomandabile. Dubito gradiresti la loro compagnia” Asiya avvertì qualcosa tendersi all’altezza dello stomaco

“Da quanto tempo ci seguono?” esalò quindi titubante. L’altra scrollò le spalle.

“Poco. Ma l’indomani ci raggiungeranno se non faremo qualcosa per evitarlo. Prima di tutto, evitare di esporci inutilmente nella Tempesta di Sabbia” scettica, Asiya lanciò una breve occhiata alla volta celeste nuda e immensa sopra la sua testa

“Peggio di così? Difficile” nuova scrollata di spalle

Finchè continuerai a pensare come una Khonarh (popolana), impossibile.”

 

L’indomani si alzarono prima dell’alba, una rapida occhiata al brumore lattiginoso sospeso nell’aria a suggerire che la tempesta si stesse avvicinando più rapidamente di quanto avessero sperato. Rifecero in fretta i bagagli e presero subito a spostarsi verso Ovest.

Sery disse che il tempo stringeva. In breve sarebbe stato difficile tanto avanzare quanto respirare, motivo per cui la cosa migliore sarebbe stata quella di creare con i bastoni una tenda improvvisata e sotto di quella attendere che il turbinio si placasse.

Perché dunque non fermarsi e piantare la tenda fin da subito?

“Chi ci segue dubito si fermerà fino a quando non sarà costretto a farlo. Guadagnare anche solo pochi passi di vantaggio è quindi vitale nella nostra condizione”

In breve il latteo pallore dell’aria si trasformò in una non meno identificata nebbia caliginosa solcata da nervosi strappi di vento caldo e soffocante.

Sery si fermò solo un attimo per coprirsi il volto con una benda pesante ordinando ad ad Asiya di fare altrettanto.

“La tempesta si sta avvicinando. Da questo momento stammi vicino”

Come destato dalle parole della Figlia del Deserto, fu allora che il vento prese a rinforzare trasformandosi in breve in vere e proprie raffiche frustanti sabbia e ululanti tormenta, uno strazio cui Asiya reagì curvandosi su se stessa nella vana speranza di difendersi alla bell'e meglio.

Inutile.

La sensazione che ad ogni folata la pelle venisse letteralmente scorticata le fece ben presto salire le lacrime agli occhi. Poco più avanti tuttavia, Sery non pareva dare segni di volersi fermare. A differenza dell’altra procedeva dritta - ma dai? Quale novità - , lo sguardo rivolto al profilo di un orizzonte che ora nemmeno impegnandosi Asiya sarebbe stata certa di poter anche solo indovinare.

Avanzarono ancora. E un poco. E tutt’attorno pareva davvero di ritrovarsi in un’immensa clessidra vorticante sabbia e vento da ogni dove.

Poi qualcosa scivolò nella coda dell’occhio di Sery.

La giovane si bloccò un istante. Ma riprese subito a camminare, troppo terrorizzata dall’idea di perdersi nell’infuriare della tempesta per osare allontanarsi dalla figura della Figlia del Deserto.

Sery!” cercò di richiamarla. Poi si bloccò.

Ho visto qualcosa. Avrebbe voluto dire. Si ma cosa esattamente? Si domandò in un moto di incertezza.

Un movimento. Uno scivolio. Una semplice impressione.

Poco più avanti la sua guida pareva non averla udita così decise di tacere.
Ma subito di nuovo eccolo, quel movimento furtivo, troppo rapido per potersi girare e guardare ma abbastanza lento ora per poter fugare la certezza di averlo realmente visto.

Così questa volta si fermò e tentò di individuarlo nella bufera.

Inutile, ovviamente, non che ci avesse realmente sperato. Ma ora voltarsi e richiamare l’attenzione di Sery non pareva più così stupido cosa da farla desistere.

C’è qualcuno. Le gridavano i suoi sensi. C’è davvero qualcuno.

Ma quando si girò per comunicare l’insperata epifania si ritrovò sola.

Sery era già sparita.

Sbattè un paio di volte le palpebre, il pizzicorio della sabbia oltre il tessuto a farle venire voglia di togliersi tutto e cominciare a grattare con foga. E trattenne il respiro.

Sery era sparita.

Le suggerì la sua constatazione dell’ovvio.

E qualcosa si aggira per certo attorno a te fecero eco i suoi sensi.  

E tu sei sola concluse lei ritrovandosi suo malgrado a spostare il suo sguardo da destra a sinistra e poi di nuovo a destra.

Ma urlare forse non era certo la cosa migliore da fare giacché se vi era ancora una qualche speranza di non essere stata vista, così facendo sarebbe stata vanificata.

E le armi se le era portate via Sery.  

Da che parte era andata quella dannata Agves Anaphat?

Cominciò a camminare, pochi passi ad affondare in un mare di sabbia scrosciante attorno a lei prima di rallentare  nuovamente e fermarsi di nuovo, miseramente.

Cosa aveva detto Sery circa il modo per sopravvivere alla tempesta?

Montare una tenda usando tele e pali? Tentò. E aspettare?

Guardò prima a destra e poi a sinistra.

Beh lei i pali e le tele li aveva...

Hayeli’vo!”

A differenza della figlia del deserto.

Hayeli’vo!”

Esitò quindi per un lungo e intenso attimo, l’incertezza su cosa fosse meglio fare che riverberava in lei in una lunga eco tempestosa.

E infine prese fiato.

Sery!”

Dal vortice lattiginoso emerse allora una figura alta e slanciata, china nelle raffiche di vento, che rapida si diresse verso di lei.

“Speravi forse di liberarti di me?” le gridò la donna non appena fu abbastanza vicina da farsi udire nella Tempesta.

Pur sapendo che nessuno l’avrebbe vista, Asiya fece come una smorfia contrita.

“Se sapessi come sopravvivere al deserto l’avrei già fatto da tempo”

“Dobbiamo costruire la tenda. Di questo passo la Tempesta ci sfinirà” la incalzò subito l’altra abbozzando al fagotto che portava ancora sulla schiena.

Sery, ho visto qualcuno...” Asiya avvertì la propria voce vibrare appena “un’ombra....”

“Un’Ombra?” la voce di Sery riverberò nell’aria come incrinata di due ottave. La Hayeli’vo scosse appena il capo.

“Non un’Ombra” precisò mettendosi una mano davanti alle labbra “Solo una figura...”

“Una figura umana...?” Perché Sery non pareva rinfrancata?

“Non...” prese fiato prima di parlare “Non ne sono sicura”

“Quando?” l’altra si fece più vicino. Asiya si strinse nelle spalle.

“Non lo so” gesto confuso “Non saprei”

Capì che Sery l’aveva afferrata per le spalle solo quando si sentì letteralmente sbattacchiare avanti e indietro.

“Cosa vuol dire non saprei? Se hai visto qualcuno dovresti almeno...”

Prima ancora di riuscire a formulare una qualche forma di risposta -se pur approssimativa - Asiya fu costretta ad alzare il volto verso l’alto.

Una pioggia di piccoli fuochi si stagliava come per magia nel cielo in una parabola lucida e ardente.

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Capitolo 10
*** L'Antico Testo ***


Salve!!

Rieccoci con un nuovo capitolo :) Periodo intenso e lavorativamente faticoso ma io comunque ci provo a non mollare! Grazie ancora a tutti voi che mi leggete e a presto!!


Grazie,

Elendil

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Sembra si stia svegliando”

Era buio attorno a lei. No, meno che buio. Espirò. Fosco, in realtà. Di quella vaga gradazione a metà fra il blu e il rosso che si è soliti osservare al limitare del giorno con la notte. Vi sospirò all’interno, come chi destandosi dentro le proprie coperte vi languisca assaporandone il profumato tepore. E poi sospirò ancora.

Per me è già sveglia” fece qualcuno non molto distante da lei. Una voce che riconobbe, vago sollievo, ma che decise comunque di lasciare all’esterno della propria coscienza.

E se la scuotessimo un pochino?” ipotizzò un’altra voce “Ammetto la gradevolezza della visione ma il tempo stringe...”

La gradevolezza della visione?

E in effetti lasciandola così tutta nuda per terra rischierà di prendersi un bel malanno...”

Prima di capire come la Nihaar’ì si ritrovò ben dritta nella piana deserta, entrambe le mani al petto in una posa ansiosa e imbarazzata. Seduti poco distanti da lei, Hiras e Matnery la squadrarono per pochi secondi prima di abbandonarsi entrambi a una risatina ovattata.

Non era nuda, scoprì lei nel medesimo istante, sebbene ricordasse perfettamente di esserlo stata.

Cosa è accaduto?” chiese con voce inaspettatamente chiara. Gli occhi di Hiras scintillarono appena nell’incombente oscurità. Lei abbassò subito lo sguardo.

Siete svenuta” le spiegò brevemente Matnery poco distante. Guardandolo, pareva in qualche modo più vecchio dell’ultima volta che lo aveva visto.

Per un po’ vi abbiamo trasportata, ma ora che le distanze ce lo permettono abbiamo preferito aspettare il vostro risveglio”.

Lei annuì una volta prima di aggrottare le sopracciglia.

Non ho tentato di...” esitò. L’uomo scosse subito la testa.

Questa volta no. Avete dormito come un Memour (spirito del deserto) fra le braccia di Hiras”.

L’Hiras in questione scostò appena lo sguardo per poi riportarlo sulla Nihaar’ì. Questa volta fu nuovamente il turno della giovane di abbassare il proprio. Il riverbero solare dava alla sabbia una sfumatura rosea.

Grazie a entrambi. Non so come avrei fatto senza di voi”.

Voi siete la Veggente” replicò con semplicità Matnery con un tono che pareva suggerire che non servisse davvero altro per giustificare quell’azione. Poi l’uomo si tirò in piedi stiracchiandosi come un gatto.

Andiamo. Non è cosa saggia che le prede braccate si riposino troppo a lungo”

Non montarono subito. Debole e oltremodo provata, la Nihaar’ì faticò in effetti a ricomporsi in tempi ragionevoli. Dovette bere e subito dopo mangiare qualcosa. E infine aggiungere altre vesti a quelle che già un non meno precisato qualcuno le aveva infilatoaddosso coprendola alla bell’è meglio. Solo al termine di questo piccolo rituale di riassestamento le fu possibile arrampicarsi in groppa allo yenavo’r di Hiras e ripartire insieme alla volta dell’ancora tenebroso deserto.

Il silenzio fu di assai breve durata.

Pensavo vi avessero preso” pur coperta dal Velo, la sua voce traspirava una nota acuta e limpida nel silenzio della piana. Il ragazzo fece come spallucce.

Lo avevano fatto, in effetti” le concesse dopo un attimo “Ma fortunatamente i Danzatori sono addestrati per questo genere di cose”

Vi hanno torturato?” esalò lei incerta. Nuova scrollata di spalle.

Niente di realmente insopportabile”

Il che voleva dire che era stato quasi insopportabile ma non abbastanza da esserlo realmente?

Vago, il presentimento del dolore calò su di lei come una morsa di freddo. Rabbrividì.

Non temete, nessuno di noi ha parlato” aggiunse lui travisando i suoi pensieri. Lei scosse il capo. “Temo sia stata tutta colpa mia” esalò quindi con un filo di voce “Se non fossi stata così sciocca nel riconoscervi quella sera nessuno si sarebbe accorto...”

Siete stata voi a tradirci?” la domanda a bruciapelo di Hiras la colse impreparata. Alzò di scatto lo sguardo in sua direzione ma lo vide intento a guardare altro. La strada. Lo Yenavo’r. Il tramonto. Tutto tranne lei insomma.

Non avrei potuto” socchiuse infine le palpebre. Fu quasi certa di sentirlo sospirare.

Dunque non vedo perché dobbiate dispiacervi. Lasciate ai traditori questo lieto compito”

Ai traditori...

Fu in quel momento che il pensiero della figlia del deserto balzò nella mente della ragazza.

Karin....” sulle labbra della Nihaar’ì quel nome fu poco meno che un sussurro sfuocato, troppo debole per avere forma ma abbastanza vibrante da cogliere comunque l’attenzione di Hiras

Chi?” le fece subito eco lui.

C’era una prigioniera...” cominciò lei ma si bloccò. Scosse la testa “Non è importante” concluse quindi.

Poco distante, Matnery voltò per un attimo il capo verso di lei per poi tornare a guardare oltre l’orizzonte.

Non fate quella faccia” le disse dopo un momento “Alla fine è andato tutto bene, no?” la Nihaar’ì sbattè un paio di volte le palpebre

Bene?” esalò incredula.

Tirando appena le redini dello yenavo’r il Danzatore le si fece più vicino.

Siamo vivi” cominciò quindi con aria quasi gioviale “Assai poco vestiti ma comunque equipaggiati a sufficienza per allontanarci con le nostre gambe da quella che a conti fatti è stata una vera e propria carneficina. Voi non siete ferita e siete pure riuscita a riposare senza ingaggiare la solita traversata del deserto” una pausa “E ultimo ma non ultimo siamo nuovamente liberi”

Ci stanno inseguendo” fece prontamente presente un ridacchiante Hiras. Matnery lo ignorò con un gesto vago della mano.

A conti fatti, un successo ben al di sopra dei nostri standard abituali”

Per un soffio la Nihaar’ì si trattenne dal chiedere delucidazioni circa i suddetti standard preferendo scrollare il capo nella speranza di lasciar cadere così il discorso.  

Ma Matnery pareva non essere dello stesso avviso.

Voi state bene?” una pausa, lo sguardo dell’uomo a sorvolare su di lei in un’occhiata lunga e indagatoria “Cosa vi è accaduto in nostra assenza?”

Per un attimo la Veggente si ritrovò incapace di rispondere, improvvisamente incerta in realtà su come fosse meglio introdurre un racconto che di per sé non aveva alcunché né di interessante né di avvincente.

Un po’ come la sua vita, in effetti.

E infine sospirò.

Anche io ho avuto la mia dose di tradimento” alle sua spalle, Hiras ebbe come uno scatto nervoso. Lei si strinse nelle spalle.

Non mi hanno fatto del male” chiarì “Credo in effetti che fossero troppo incerti sul come comportarsi con me per adottare fin da subito le loro tecniche di persuasione”

Incerti?” la incalzò Hiras. Lei annuì una volta.

La denuncia era che fossi una Nobile. Ma c’era un mercante...” esitò, il nome che improvvisamente le sfuggiva dalle labbra come un grillo dallo stelo di un fiore “Un mercante molto interessato a me. Credo che la sua fretta di acquistarmi abbia creato un po’ di confusione generale”

Difficile capire l’espressione di Matnery in quell’istante. Per un attimo parve sul punto di fare una domanda. Poi sembrò ripensarci. Infine scosse il capo.  

Ormai non ha più importanza. Con tutta probabilità sia i nostri traditori che i vari acquirenti sono tutti morti a causa dell’attacco delle Ombre.”

La Nihaar’ì annuì una volta, meccanicamente, la mente che ciononostante tornava al viso di Karin quando, trascinata via dal Kamin Na ella si era voltata a guardarla. Rammentò la sua espressione contratta, il suo sguardo vivo eppure velato da una precognizione degna della miglior Veggente.

Sapeva di stare per morire?

Oppure come lei si stava anch’ella illudendo che in qualche modo - uno qualsiasi, poco importava in effetti quale - qualcuno sarebbe venuto a salvarla?

Fossi in voi non perderei altro tempo a pensarci” le sussurrò all’orecchio Hiras. La sua voce la fece sobbalzare.

Non ci sto pensando” sibilò.

E invece si. E sbagliate” continuò lui imperterrito “Perché non c’è alcuna possibilità che qualcuno sia sopravvissuto all’attacco”

Lei si morse appena un labbro.

E se invece così non fosse? Se qualcuno fosse riuscito a fuggire come noi?”

Allora i Kamin avranno provveduto a terminare ciò che le Ombre hanno iniziato. Mai sentito parlare di merce avariata?”

Avariata?

Lo avvertì sorridere.

Pensare che i Kamin siano semplici trafficanti di schiavi sarebbe un errore visto quanto essi prendono seriamente tutta la faccenda del vendere e acquistare la propria merce. Vendono il meglio perché acquistano solo il meglio. Chiunque non risponda ai loro canoni viene il più delle volte abbandonato o venduto come merce di seconda scelta ai mercati minori” una pausa, il ricordo del silenzio che vagheggiava per un attimo nelle parole del Danzatore.

La Veggente trasse un lungo sospiro.

Quindi il carico che ci siamo lasciati alle spalle sarebbe merce di seconda categoria?” l’altro fece spallucce.

Dopo quello che è successo, probabile”

E questo darebbe l’autorizzazione ai Kamin per sbarazzarsi di loro?” nuove spallucce, nuova smorfia invisibile nell’oscurità.

La domanda corretta è: chi potrebbe impedirglielo?”

Improvvisamente la Nihaar’ì non trovò davvero alcunché da replicare. La risposta corretta sarebbe stata una soltanto, lo sapevano entrambi, eppure come osare pronunciarla ora?

La sola persona che avrebbe dovuto impedire ai Kamin di agire come erano soliti fare si trovava ora allo sbando da qualche parte nel deserto e chissà dove nel continente, in fuga da un pericolo inaffrontabile e diretta verso un destino altrettanto imprevedibile.

Dov’era il potere della Nihaar’ì ora che serviva? Dov’erano le temibili armate dei Legheon al suo servizio?

Per un pò la Veggente non disse niente, troppo assorta nei propri pensieri per aver davvero voglia di abbozzare un qualunque tipo di conversazione - e poi il freddo era davvero qualcosa di inaffrontabile a dorso di uno yenavo’r -. Fu Hiras a riscuotere la sua attenzione.

Provate a dormire” le sussurrò improvvisamente all’orecchio. La sua voce aveva una nota calda, gentile. Lei fece finta di niente.

Potrebbe farvi bene” aggiunse lui tuttavia.

Rigida di freddo, la ragazza si concesse un mezzo brivido prima di rispondere.

Non sono stanca”

Eppure lo sembrate” la incalzò subito Hiras

Sbaglio o sono state proprio le vostre braccia a sorreggermi nel mio ultimo sonno ristoratore?” “Dubito che quella sottospecie di dormiveglia sia stato anche solo sufficiente per riavervi”

Grazie dell’offerta ma credo sia meglio sperimentare in un altro momento il completo rigenerarsi delle mie capacità podistichesuo malgrado lo sentì ridacchiare, il petto a sobbalzare a intervalli regolari contro la sua schiena. Pur non volendo la Nihaar’ì si sentì a sua volta arricciare le labbra. Poco distante, Matnery scosse il capo.

E’ solo del vostro benessere che ci preoccupiamo, Somma Nihaar’ì” le ricordò con tono improvvisamente grave “Se non dormirete starete male. Se starete male dovremo fermarci - o ancor meglio inseguirvi per miglia e miglia nel deserto - e allora tanto varrà non essersi fermati prima”

Il fugace attimo di leggerezza svanito, la Veggente si ritrovò nuovamente a chinare il capo, lo sguardo che volgeva non senza una certa preoccupazione lungo il sottile profilo del deserto cercandone una piccola sgualcitura. Non ne trovò. L’alba immanente le concesse tuttavia un timido sorriso color eliodoro cui lei rispose con un brivido sofferente.  

Non posso dormire” decretò infine

Haine s’am!” l’esclamazione di Hiras la fece quasi cadere di sella “Ma si può sapere come diamine avete fatto in tutti questi anni a coricarvi senza che l’intero continente dovesse mobilitarsi alla vostra ricerca?”

Già, come aveva fatto?

La Nihaar’ì si concesse un breve sospiro prima di rispondere.

Non sono informazioni degne delle vostre orecchie” Matnery strinse appena le labbra.

No di certo” convenne subito secco “Ma temo che la situazione necessiti un abbassamento del vostro livello di segretezza affinché ci sia possibile scortarvi incolume a destinazione”

Dal tono, la Nihaar’ì capì di averlo in qualche modo contrariato. Si umettò dunque le labbra. E si strinse nelle spalle.

In realtà temo di non averne idea” ammise infine. Alle sue spalle, Hiras parve nello stesso momento sgonfiarsi come una pianta al sole. Lei socchiuse appena le palpebre, il viso che improvvisamente si scaldava di un tenue rossore.

Non lo sapete?” la voce di Matnery pareva in qualche modo essersi bloccata a metà fra esofago e laringe. Nuova scrollata di spalle.

Da che sono nata questa cosa del camminare nei sogni non era mai accaduta, quindi perché avrei dovuto pormi il problema?”

Giusto, perché porsi il problema?” le fece subito il verso Hiras. Matnery lo fulminò con un’occhiata.

Se non vi è mai accaduto” l’uomo si portò una mano alla nuca come nell’atto di riflettere “Non vedo in effetti come avreste dovuto saperne qualcosa a riguardo. Ma sforzandovi comunque di valutare la cosa un pò più attentamente...” la incalzò speranzoso.

Lei fece una smorfia.

Giungerei comunque alla medesima constatazione e cioè che non ne ho la più pallida idea” concluse con una scrollata di spalle. Ma seppe di stare mentendo.

Perché in effetti qualcosa c’era.

Un particolare in effetti tanto appariscente e plateale da non sorprendere che nessuno fino a quel momento fosse in qualche modo riuscito a scorgerlo.

Anche se in effetti, chi se non lei soltanto avrebbe potuto notare l’eccezionalità del fatto che per la prima volta da che era nata la Nihaar’ì si ritrovava ora lontana dalla Torre del Tempo e da Zaphil, il suo custode?

Si umettò le labbra ora irte di gelo e scostò lo sguardo. E pregò con tutta se stessa che per una buona volta Matnery la smettesse di squadrarla da capo a piedi come se da ciò dipendesse la vita di tutto il continente riunito (ah perché non era così?). Suo malgrado, l’espressione di pura desolazione di Matnery la trapassò allora da parte a parte facendola rabbrividire. Prese fiato, una improvvisa nota acida in bocca a rubarle il fiato prima che Hiras alle sue spalle schioccasse seccamente la lingua sul palato.

Voi non state bene” decretò con una nota di biasimo che la Nihaar’ì intese solo dopo qualche attimo essere riferita alla sua persona e non ad altro Bruciate di febbre”.

E nel medesimo istante in cui quelle parole venivano pronunciate, improvvisamente la Nihaar’ì si rese conto che Hiras aveva ragione.

Tremava di freddo. E il vago accenno acido percepito poco prima si stava via via tramutando in un senso di vomito vero e proprio.

Sto bene” decretò tuttavia socchiudendo contemporaneamente le palpebre

Siete sfinita” la rimproverò subito Matnery poco distante

Anche voi lo siete” tentò lei di difendersi

Non costringetemi a ribadire quanto detto poco fa...” la avvertì il Danzatore

E voi non costringetemi a riformulare uno dopo l’altro i motivi per cui tutto ciò che mi avete detto non ha alcuna importanza” lei fece un gesto come per scostare un qualcosa di molesto dinnanzi agli occhi.

Io sono la Nihaar’ì” esalò con una nota grave “E in questo momento la sola cosa che conta davvero è che io ritorni il prima possibile a essere dove sarei destinata a stare” una pausa, Hiras alle sue spalle che improvvisamente si scioglieva in un sospiro profondo “Il Pellegrinaggio”.

Non servì annuire.

Ma Matnery non pareva ancora del tutto convinto.

Potremmo tentare di legarvi...” abbozzò dopo un attimo di incertezza. La Nihaar’ì gli rivolse un sorriso sghembo.

E poi un improvviso brivido percorse per intero il corpo di Hiras.

Potremmo...” la sua voce rimase per un attimo sospesa nel vuoto come una piuma incapace tanto di innalzarsi quanto di precipitare. Per qualche ragione, la Nihaar’ì si percepì socchiudere appena le palpebre.

Potremmo provare con l’Eiriash”

 

Muto, il gruppo continuò per un po’ ad avanzare senza che alcuno proferisse parola.

Ognuno per i suoi motivi, ovviamente: Hiras perché pareva starsi domandando se davvero avesse avuto il coraggio di proporre quanto aveva proposto. Matnery per lo stesso motivo, più o meno. E la Nihaar’ì perché ancora una volta, manco a dirlo, credeva in un certo senso di aver capito cosa fosse appena accaduto ma in realtà dubitava totalmente di averlo afferrato.

So che si tratta di una soluzione un po’ poco ortodossa...”

Poco ortodossa?difficile collocare la sfumatura della voce di Matnery in quell’istante.

Derisoria? Incredula? Più semplicemente seccata?

Ti ricordo che stiamo parlando della Nihaar’ì e non di un qualunque qualcuno qualsiasila voce di Matnery le vibrò nelle orecchie come il sibilo di un serpente.

Spiacente di turbare il tuo senso estetico ma al momento temo di non avere nulla di meglio da proporre, tu si?” il corpo di Hiras vibrò di tensione alle sue spalle, un brivido tanto forte da trasmettersi quasi come suono tangibile oltre il confine della sua pelle. Poco distante, Matnery parve sul punto di dire qualcosa ma si trattenne. E infine scosse il capo rassegnato.

No, non ho nulla di meglio”

Dunque perché non provarci?”

Mi stai davvero chiedendo perché?” Hiras fece come spallucce.

Dunque siamo d’accordo” concluse con un sibilo il Danzatore prima di rivolgere nuovamente la propria attenzione verso la Nihaar’ì rimasta fino ad allora in muta attesa.  

Lei si mosse una volta a disagio.

Quindi?” Matnery si strinse suo malgrado nelle spalle lasciando che fosse il suo compagno a prendere parola “Cosa ne pensate? Siete disposta a provare?” c’era una nota acuta nella sua voce che la Veggente notò.

Provare cosa, esattamente? Si ritrovò a pensare non senza una punta di disperazione.

Si umettò le labbra.

Spiegatemi esattamente cosa avete intenzione di farmi” cominciò col dire ringraziando che la penombra rendesse invisibile il suo accigliarsi “...e solo allora vi dirò se e quando sarò disposta”

Prima che Hiras avesse il tempo di replicare, Matnery prese parola.

Vuole marchiarvi”

La mano di Hiras si frappose improvvisamente fra lei e l’altro Danzatore.

Matnery” lo avvertì gelido per poi rivolgersi a lei.

Immagino conosciate l’Antico Testo” le chiese a bruciapelo.

Non dovrei?” replicò la Nihaar’ì rigida. Il Danzatore si mosse a disagio.

Dunque sarete anche a conoscenza dell’uso che ne viene fatto fra le genti comunilei annuì ancora una volta, poi si schiarì la gola.  

Se per uso intendi la pratica di smerciare il più raro e antico patrimonio di Arryan al pari di ninnoli e porcherie di poco conto” prese fiato “Si, credo di esserne abbastanza a conoscenza”

Lo percepì nuovamente irrigidirsi.  

Immagino dunque che la parola Eiriash non vi sia del tutto sconosciuta”

Frutto dell’intreccio di antiche usanze e tradizioni millenarie, su Arryan la scrittura si costituiva principalmente in due grandi filoni: il Testo Parlato e l’Antico Testo.

Il primo, simile al sinuoso ed elegante avanzare del vento nel deserto, era in genere padroneggiato dalle classi mercantili e notarili, usato per affari e comunicazioni di ogni genere. Da esso derivava il parlato comunemente usato.
Il secondo viceversa era affare esclusivamente del ceto nobiliare e religioso, utilizzato solo per la scrittura dei grandi Testi di Arryan (trascrizioni erudite, cantici e opere fra le più rinomate). Pochi privilegiati erano in grado di padroneggiare l’Antico Testo in quanto il suo apprendimento era subordinato allo studio di anni, decenni per alcuni, delle più nobili arti e tradizioni del passato. Alla vista, esso si presentava come un prezioso intarsio di disegni fra i più dettagliati. All’orecchio, suonava come un misto fra canto e litania bassa e modulata.

Nato prima che la Realtà e il Tempo avessero nome, l’Antico Testo veniva gelosamente custodito dalle più alte menti di Arryan sia per la sua intrinseca capacità di differenziare il mondo fra scienti e illetterati, sia per la diffusa credenza che in esso risiedesse un’antica forma di magia fra le più misteriose e potenti mai teorizzate: il Potere delle Parole. Gli Antichi Maestri nel parlavano spiegando come fosse intrinseco della lingua scritta la capacità di trattenere in sé la forza del proprio significato. Un Potere, dicevano, la cui potenza accresceva tanto più la parola fosse rara e ricercata per logorarsi viceversa nella sua vaghezza e diffusione.

Forti di questa credenza e in ragione di conservare il potere dell’Antico Testo, i sapienti erano soliti ritirarsi nello studio di nuove parole per anni -decenni perfino - per poi, dopo aver finalmente ottenuto il tanto sospirato concetto, bandirne per sempre l’uso nascondendolo in un luogo noto solo a pochi eletti dove, inutilizzato, avrebbe accresciuto il proprio potere.

Primo fra i Testi, nonché primo esempio di Antico Testo mai conosciuto, l’Elegia era in assoluto l’opera più potente di tutta Arryan, pregna di un valore tale che solo la Nihaar’ì in persona era degna di leggerlo e decantarlo. La trascrizione, replica e pronuncia delle parole dell’Elegia era severamente vietato, motivo per cui - ovviamente - il loro traffico illecito era in assoluto il più redditizio e diffuso di tutta Arryan.

Ma come Testo Parlato e Antico Testo si legavano alla pratica dell’Eiriash?

Come detto, era opinione diffusa che la parola scritta possedesse in sé una qualche forza intrinsecamente legata al suo significato. Era inoltre altrettanto diffusa la conoscenza dell’immenso potere della Tinta nel respingere e proteggere dalle Ombre.

Da lì a teorizzare che si potesse utilizzare la Tinta per imprimere sul proprio corpo alcune parole il passo fu relativamente breve.

Utilizzarla per marchiare il proprio corpo con parole in Testo Parlato divenne quindi pratica assai diffusa fra le genti comuni -e fra coloro le cui ricchezze non permettevano di acquistare Tinta sufficiente a tingere intere vesti o indumenti.

Servirsi della Tinta per imprimere invece di parole all’Antico Testo non potè divenire pratica altrettanto in voga: dominio esclusivo di Nobili e studiosi, esso venne ancor più rinchiuso nei propri nascondigli segreti costringendo in breve i meno privilegiati -alias grandi esclusi - a darsi alla macchia o cadere nelle mani di mercanti senza scrupoli e imbroglioni patentati.

Il più delle volte, con risultati discutibili.

Lingua remota e misteriosa, più un’enigmatica traslitterazione figurativa di suoni e cantilene incomprensibili, l’Antico Testo trovava infatti la sua più alta espressione in una sottile alchimia di tratto impossibile da emulare per coloro che ne ignorassero il delicato germogliare. Il più delle volte, quindi, imitando testi a loro sconosciuti, gli artisti improvvisati finivano inevitabilmente per replicarne solo la forma ma non la sostanza e, ancor meno, il vero potere.

Ma come spiegare questa mortificante verità a coloro la cui speranza si annidava proprio nel mistero incomprensibile celato nell’Antico Testo? Molti ricorrevano alla marchiatura quando già i primi segni del Risveglio si erano affacciati inconfutabili nei loro sogni nella speranza di poterne in qualche modo controvertire l’aggravamento o anche solo arrestare l’avanzata.

Inutilmente.

Nessun copiatore, seppur talentuoso, avrebbe mai potuto eguagliare anni e anni di studi all’interno della Torre del Tempo. Solo ai Nobili - e alle loro incredibili ricchezze - avrebbe potuto essere riservato questo privilegio, ma per loro la Torre del Tempo aveva da tempo riservato un trattamento speciale: qualunque Nobile scoperto a nascondere sul proprio corpo parole dell’Antico Testo -se non addirittura quelle dell’Elegia -  sarebbe stato spogliato delle stesse ed eguale sorte sarebbe toccata ovviamente ai suoi averi e proprietà.   

In questo modo la Torre del Tempo si assicurava la fedeltà totale della sua Corte.

Nei confronti del popolo la Torre manteneva un regime di tacita tolleranza per i marchi in Lingua Parlata; quelli in Antico Testo venivano viceversa puniti con lo spoglio e l’esilio seguito subito dalla cattura degli “artisti” responsabili dell’opera.

Come già detto, io sono la Nihaar’ì” replicò lei piccata “Credo che qualunque forma di eresia mi sia abbastanza nota”

O no?

Hiras rivolse una breve occhiata titubante a Matnery prima di continuare.

Ed è proprio per questo che ora mi chiedo: cosa esattamente l’Eiriash dovrebbe avere a che fare con me?” un nuovo brivido, lungo e doloroso, le scorse per tutta la schiena costringendola a un tremito convulso.

Poco distante, Matnery parve condividere la medesima sensazione.

Se questa fosse una situazione normale e noi ci trovassimo tranquillamente seduti in una delle vostre stanze della Torre del Tempo...Ovviamente nulla” convenne schiarendosi appena la voce. Pareva nervos.

Ma dato il luogo e la ben più spiacevole circostanza, credo che dovremo riconsiderare la cosa”

Riconsiderare?

Gradirei scendere” disse lei improvvisamente. Percepì Matnery irrigidirsi al suo fianco.

Somma Nihaar’ì...” lei non gli diede il tempo di terminare la frase.

Ho detto che gradirei scendere, non che vi sto chiedendo il permesso di farlo”.

E così, la Nihaar’ì accovacciata sui talloni e i due Danzatori a gambe incrociate dinnanzi a lei, il trio si diede il tempo di un lungo e intenso sospiro prima di riprendere dove si erano interrotti.

Sono confusa” cominciò la Veggente “Esattamente da quando avete cominciato a considerarmi una stupida?” Matnery ebbe come un sobbalzo.

Somma Nihaar’ì..” si affrettò a rispondere ma lei alzò una mano per zittirlo.

Oppure più semplicemente, vedermi talvolta incerta nell’orientarmi in questo mondo vi ha in qualche modo autorizzato a considerarmi una facile preda degna di manipolazione?”

Ma come potete anche solo...” anche Hiras subì la medesima sorte dell’altro Danzatore.

Ma più importante, da quando vi siete anche solo azzardati a dimenticare che davanti a voi siede ora la Nihaar’ì, la più grande e potente forza di tutta Arryan?” questa volta nessuno tentò di controbattere.

Sola nel silenzio, la ragazza si diede il tempo di riprendere fiato.

Certamente entrambi dovete soffrire di una grave forma di amnesia per non ricordare che c’è gente nel mio regno che muore per proposte simili a quella che voi state tentando di fare e vi assicuro nessuna di queste, nessuna, ha mai lontanamente pensato di proporla alla Nihaar’ì”

Ho già detto che si tratta di un’idea poco ortodossa” tentò di borbottare Hiras

Solo poco Ortodossa?” gli fece subito eco lei con un tono curiosamente simile a quello di Matnery poc’anzi “So che avete visto il mio corpo e i segni impressi su di esso. E malgrado ciò voi proponete?”  

Non ricordava dolori peggiori di quelli provati quando, nel sangue e nel tormento, i segni del Risveglio le si erano incisi sulla pelle.

Se conoscessi un modo migliore di questo...”

Migliore di punzecchiarmi a tradimento con questo o quel rito scaramantico?” lo aggredì lei.

Hiras riprese fiato.

Migliore dell’Eiriash cui so la Torre del Tempo si oppone...”

La Torre non si oppone” ringhiò subito la Veggente “La Torre difende i suoi fedeli da tutto ciò che li minaccia e che potrebbe causar loro sofferenza. E ancor più si prodiga per loro quando sono loro stessi a non capire dove si annidino l’una e l’altra queste eventualità”.     

Quello che Hiras intende dire” si intromise Matnery “E’ che se sia io che Hiras conoscessimo un’opzione migliore del costringere nuovamente il vostro corpo a subire ulteriori patimenti per incidervi un marchio che va contro la vostra persona, il vostro credo e tutto ciò che voi rappresentate...” la sua voce pareva uscire frenata “Se davvero la conoscessimo” esitò “Allora di certo saremmo qui a proporvi ben altro ma vedete...” prese fiato “La realtà è che noi siamo semplici guerrieri e come tali non ci è dato di conoscere tutti i segreti di Arryan. Questo siamo. E non dei manipolatori come voi dite”

Nell’improvviso calare del silenzio, la Nihaar’ì si rese nuovamente conto della sabbia sotto le sue gambe, del cielo sopra la sua testa e sì, anche del freddo del deserto cui fino a quel momento ella non aveva dato poi tanto peso. Rabbrividì.

L’alba sarebbe sorta a breve. Intuì. Eppure per qualche motivo pareva restia a giungere.

Hiras” disse poi lentamente volgendo lo sguardo su di lui. Si accorse solo allora che il ragazzo la stava osservando. Si impedì di abbassare il capo.

Qual’era la tua proposta?”

Lo vide esitare un istante, poi fece un lungo respiro.

Voi avete bisogno di dormire, questo è evidente. Ma finché il semplice chiudere gli occhi vi spingerà a corrervene nel deserto come una pazza, dubito che sarà possibile” al pazza lei storse il naso ma non disse niente “Ciò di cui abbiamo bisogno è un marchio che vi aiuti a riposare...serena”

E per serena intendo priva dell’incontenibile desiderio di farvi una scampagnata a ogni occasione.

E quindi?” sbuffò lei.

Lui si umettò le labbra.   

Esiste un marchio, in genere utilizzato da coloro che che si avventurano nell’Oltre”

Mi pareva di aver chiarito che a nessuno è permesso di avventurarsi nell’Oltre” fu la secca replica della Nihaar’ì.

Vide l’altro irrigidirsi nuovamente.

E a me sembrava di avervi già spiegato che a qualcuno capita comunque di finirci”

Nuovo sospiro di lei.

E quindi?” lo incitò a continuare.

Quindi dicono che il significato di questo simbolo sia Che i tuoi sogni possano accompagnartispiegò lui grattandosi appena con la mano destra la nuca.

Un po’ vago” si accigliò l’altra.

Ma abbastanza simile a quello che stiamo cercando. O sbaglio?”.

La Nihaar’ì parve rifletterci su per qualche istante, le braccia che andavano a incrociarsi al petto.

Che i tuoi sogni possano accompagnarti. Riflettè.

Considerando la sua estrema necessità di dormire sonni tranquilli, in effetti il concetto non era così male. Eppure... si mordicchiò un labbro...Eppure per lei non sarebbe bastato.

Una frase di uso comune non avrà mai abbastanza Potere per fermarmi” esalò quindi con una nota rassegnata “Non avete niente di meglio da proporre?”

Stupiti i due la guardarono per un istante. Infine Matnery sospirò.

Temo che la Torre del Tempo abbia da un pezzo confiscato gran parte dell’originalità di Arryan, Somma Nihaar’ì. Se è davvero l’unicità che cercate, temo rimarrete delusa”

Delusa? La Veggente dovesse quasi sforzarsi di non sorridere. Sapere che la Torre stava facendo un buon lavoro nel conservare il Potere dell’Antico Testo non poteva certo essere una delusione.  

Dunque scriverò io stessa il marchioesalò lei con una nota cupa “Non vi rivelerò il suo significato e non vi permetterò di replicarlo su altri al di fuori di me. Pregate che io non vi trovi mai se ciò dovesse accadere” prese fiato “Terminato questo viaggio cancellerò ogni sua traccia dal mio corpo dimenticando di averlo scritto e così dovrete fare voi. Siamo d’accordo?”

Una breve pausa, poi entrambi annuirono in silenzio.




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Capitolo 11
*** Il Marchio ***


Salve a tutti!

Capitolo breve e assolutamente dedicato a tutti coloro che si staranno chiedendo dove diavolo sia finita la sana tragedia e quel pizzico di romanticismo che tanto ci piace J

Una buona estate a tutti!

 

Baciozzi

Elendil

 

______________________________

 

 

Nelle ore che seguirono, i tre decisero di accamparsi alla base di una duna di grandi dimensioni.

Matnery e Hiras cominciarono a perlustrare la zona in cerca di alcuni sassi e pietre di colore rosso o marrone brunito. Quando sembrarono soddisfatti si sedettero l’uno accanto all’altro vicino al fuoco cominciando a frantumare i cocci che si rivelarono essere particolarmente friabili e frangibili in schegge sempre più piccole e minute. Quando il tutto fu ridotto a poco meno che polvere lo misero in un pentolino cui aggiunsero acqua e un diluente dall’odore forte e penetrante.

Da lì, e per ore intere, i due non fecero altro che starsene muti a guardare l’acqua che via via assorbiva il colore dei minerali trasformandosi gradualmente in una pappetta densa e vischiosa dal colorito sfaccettato.

Quando Hiras decretò che tutto fosse “pronto”, Matnery porse alla Nihaar’ì un sottile pungolo di ferro ricavato da alcune armi sottratte ai Kamin durante l’assedio. Lei lo prese e intingendolo nella scura bacinella prese a disegnare su un pezzo di stoffa un elegante e intricato arabesco dall’aria eccentrica. Ne descrisse righe e volute, ne ricalcò il dettaglio, poi si spostò più in basso e replicò il medesimo gesto con poche ma precise variazioni così da renderlo a prima vista simmetrico eppure diverso a una seconda occhiata. Infine lo porse a Hiras, si tolse dal capo il velo, raccolse i capelli in una crocchia e si voltò.

“Nessuno che mi voglia male andrà mai a guardare la mia nuca. E se così dovesse essere, allora poca differenza farà la presenza o meno di un marchio” disse atona.

Sentì Hiras trattenere il fiato, avvicinarsi e senza una parola premere sulla parte scoperta del collo la stoffa ancora imbevuta di liquido. Quando la tolse il gelo della notte la fece rabbrividire.

“Come è venuto?” chiese subito titubante.

Per un attimo percepì lo sguardo di entrambi valutarla con attenzione. Poi Hiras si schiarì la gola.

“Nitido e pulito”

Sospirando ella si voltò per porgere a Matnery il pungolo per poi, prendendo dalle mani di Hiras la stoffa, gettarla nel fuoco poco distante.

Solo quando ogni parte della stessa fu consumata dalle fiamme ella tornò a guardare i due.

“E’ probabile che io divenga presto incosciente a causa del potere del marchio. In quei momenti vi prego di non fare nulla di cui possiate pentirvi”.

Detto ciò si distese a terra lasciando che i due le si accucciassero accanto.

“Quanto tempo abbiamo prima che sorga il sole?” chiese prima di schiacciare il viso nella sabbia. Percepì Matnery fare qualche respiro prima di intingere il pungolo nella sostanza viscosa “Abbastanza”.

Al primo tocco, lei mugugnò. Al secondo, vergognandosi della propria debolezza, rimase in silenzio. Al terzo tuttavia le fu impossibile non fare una smorfia contrita.

Non servirono che un paio di minuti prima che il dolore cominciasse a rendere il tutto ben più che fastidioso. La Nihaar’ì avvertì il proprio corpo irrigidirsi via via sempre di più mentre lo sforzo di non lamentarsi a ogni singola puntura nel collo diveniva qualcosa di terribilmente complesso e faticoso.

Ma perché diavolo si era fatta convincere, poi? Si ritrovò a chiedersi mentre tentava senza riuscirci di ignorare la sofferenza. Lei, la Nihaar’ì, che acconsentiva a imprimere su se stessa l’emblema dell’Eresia; che tradiva il potere dell’Antico Testo disegnando sul suo corpo il frutto di anni e anni di studio indefesso; che permetteva a due semplici Danzatori di toccarla laddove mai nessuno aveva anche solo potuto pensare di guardarla.

Espirò lungamente, concentrandosi per non digrignare i denti.

E tutto ciò per che cosa? Per un errore? Per uno scherzo del destino? Perché Zaphil in qualche modo era riuscito a farsi fregare da una semplice tempesta di sabbia lasciandola sola nel bel mezzo del nulla in balia di se stessa?

Schiacciò con più forza il volto nella sabbia aspirando attraverso la stoffa il sentore umido del deserto. E si maledì.

Si maledì per la sua debolezza, per la sua fragilità e per il semplice fatto che da quando tutta quella strampalata avventura era cominciata lei non aveva fatto altro che fare la figura della sciocca. E della preda. E semplicemente non della persona che avrebbe dovuto essere.

Digrignò i denti, il dolore che le frizzava dal collo lungo tutta la schiena come piombo fuso. E prese fiato.

Del resto non era la cosa più dolorosa che avesse mai provato.

Tentò di confortarsi.

Né la più spiacevole.

E di sicuro non la più più degradante.

Ricordò allora il giorno in cui le prime avvisaglie del Risveglio avevano cominciato a manifestarsi sul suo corpo. Lunghe e profonde striature nere come carbone che ovunque erano germogliate al pari di grandi boccioli di tenebra per poi dipanarsi in morbide ed eleganti volute per tutta la lunghezza del suo corpo.

Troppo piccola per capire esattamente il concetto di “Prepararsi al dolore”, ai tempi ella era stata unicamente capace di accogliere l’evento con una sorta di gioia mistica ed estatica assieme, una liberazione quasi, la prova concreta della sua Divinità a rendere finalmente legittima ogni parola pronunciata da tutti coloro che fin dalla sua nascita l’avevano senza sapere perché adorata e vezzeggiata.

Poi era cominciato il dolore. E le visioni.

Per giorni e giorni il mondo che lei conosceva fu per qualche misteriosa ragione soppiantato da una sua versione assai più oscura e sinistra, un intrico di finzione e realtà tali da farle a lungo dubitare di tutto ciò in cui ella aveva mai creduto.

Soffrì a lungo e terribilmente, i rari momenti di lucidità costellati dalla constatazione di trovarsi sempre precipitata in lenzuola intrise del proprio sangue, sporche di sudore e umori, assetata e incapace di mangiare. Debole fin quasi allo sfinimento.

E in tutto ciò Zaphil era stato sempre e comunque al suo fianco, unica presenza silenziosa a ogni risveglio, unico guardiano a vegliare sui suoi deliri a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Quando quell’orribile tortura ebbe fine ed ella fu gradualmente in grado di riprendere coscienza, peso e infine lucidità, più volte aveva chiesto alla sua guida di raccontarle cosa esattamente fosse accaduto in quei giorni.

A cosa dover credere? Cosa dimenticare?

“Voi siete la Nihaar’ì” le aveva risposto lui con voce bonaria e affettuosa. Per la prima e ultima volta nella sua vita le aveva sfiorato la fronte con la punta delle dita scostandole i capelli dal viso

“Voi siete la misura del mondo. Tutto ciò in cui dovete credere è voi stessa e nient’altro”

“State bene?”

La voce di Hiras le giunse da qualche parte alla sua destra, una vibrazione cui ella rispose con un gemito attutito.

“Volete fare una pausa?”

Una pausa?

“Non dire sciocchezze” la voce di Matnery aveva un che di ruvido “Prima terminiamo questa tortura meglio sarà per tutti”

Si giusto. Perché darle anche solo la mezza possibilità di riposarsi un secondo?

“Si ma guardala” rapido movimento al suo fianco. Poi qualcosa le si posò sulla schiena. Una mano o un panno...forse

“Non credo sia normale...”

Normale? In che senso normale?

 

Di nuovo persa, piccola Odayn?

La Voce varca le soglie della sua coscienza con l’esplosione di un tuono. Si sente spalancare gli occhi di scatto e piombare nel medesimo istante in un oceano di Tenebra.

Annaspa.

Di nuovo? Eppure se non erro...

 

Hiras, svegliati! Stiamo parlando della Nihaar’ì! Come diavolo pensi che ci possa essere anche solo qualcosa di normale in lei?”

Già, Hiras, come puoi anche solo pensarlo?

Avvertì un lieve spostamento al suo fianco e poi qualcosa le si posò nuovamente sulla schiena tamponandola fra le scapole.

“Guarda come sta sudando....” tentò ancora la voce assai tesa del Danzatore.

 

E poi di nuovo il silenzio. E il frastuono assieme. E la terribile sensazione di non essere più esattamente dove si fosse trovata fino a quel momento e di vagare invece...

Dove?

Dove?

Dove stai andando ora?

Lontano. Si sente rispondere. Lontano per sempre.

E Zaphil sa di questa tua decisione?

Si scosta, torna indietro. Indietreggia.

Zaphil non c’è. Risponde. Mi ha perduta.

Perduta? Ma per perdere qualcosa bisogna prima averlo trovato...

 

“Dobbiamo andare. Ancora qualche ora e ci troveranno” il tono di Matnery sbucò nuovamente e chissà da dove facendola trasalire. Non riconobbe l’inflessione ma ne indovinò comunque la sfumatura.
Stanca. Distante. Cupa.

“Non possiamo muoverla ora. Sta male” più vicina, la voce di Hiras pareva quasi più giovane di come la ricordasse

“Starà peggio se i Kamin la troveranno”

“Non starà affatto se ora la costringiamo a viaggiare. Deve riposare.”

Una pausa.

“Sta già riposando”

E’ svenuta. Questo lo definiresti riposare?”

Nuova pausa.

“Prendi le sue cose e partiamo. Subito”

 

Qualcosa la solleva, la attrae, la innalza lontano da dove ricordava di dover essere e poi la poggia discreto, lievemente. Lei geme, sente male ovunque sebbene non ricordi bene perché.

Da quand’è che il suo corpo ha cominciato a dolore così tanto?  

Chiedi ai tuoi amici. Risponde qualcuno. Chiedi a loro perché ora stai soffrendo.

Lei sbatte le palpebre nel buio, incerta se così facendo accadrà per davvero qualcosa. E poi scuote il capo.

Io non ho amici. Si sente dire. E ricorda di aver già pensato parole del genere. Di aver già decifrato e concluso con il medesimo tono l’evidenza del loro significato.

Tu non hai amici? Ridacchia qualcuno lontano, più lontano di quanto ella è sicura di poter guardare.

E dunque quelli chi sono?

 

“Portala vicina al fuoco. Ha bisogno di stare al caldo”

Scuro, il mondo ondeggiò un paio di volte attorno a lei, una chiazza indistinta oltre le palpebre cui reagì solo vagamente.

“Se non riusciamo a darle da bere morirà di sete”

La consistenza del terreno la accolse deformandosi appena sotto il suo corpo. Il suo tepore la sfiorò sfregandole mani e piedi. Qualcosa crepitava poco distante in uno sfrigolio caldo e rassicurante.

“Ci ho provato” una pausa “Ma non ne vuole sapere di deglutire”

“Hai provato a tapparle il naso?”

“Pensavo che annegarla fosse effettivamente un po’ eccessivo anche per noi...”

“Non morirà, smettila di comportarti come una madre in apprensione”

“Come scusa?”

“Mi hai sentito bene” rapido spostamento poco lontano “Se è per il senso di colpa nell’aver proposto questa elegante soluzione che ti stai comportando come una fanciulla isterica, smettila subito”

“Non mi sto comportando come una fanciulla isterica”

“Dunque devo dedurre che davvero hai a cuore le sorti di questa ragazza?” silenzio scontroso

“E’ che non capisco cosa stia succedendo...” movimento rapido, poi qualcuno le sfiorò il viso, naso e labbra. Sospiro contratto.

“Sta bene” fu la secca risposta “Per ora credo che ce lo dovremo far bastare”       

    

Dunque chi sono, Odayn?

Non miei amici. Risponde. Non miei.

E di chi allora?

Presentimento del buio. Incertezza di cadere più lontano di dove fosse prima arrivata. E di non ricordare come farvi ritorno.
Eppure era stata tanto vicina...tanto vicina...

Una pausa, lunga e vaga. L’inclinarsi del senso di qualcosa a farle quasi storcere il naso. Ma sospira. E si scosta. E in fondo considera che non vale davvero la pena pensare così tanto a una cosa così di poco conto.

O forse no?

Eppure era stata tanto vicina..tanto vicina...

 

“E’ normale che non si sia ancora svegliata?” improvvisamente percepì il caldo sulla pelle, pesante e tangibile come una mano calcata sul volto. Le fu difficile respirare, eppure in qualche modo capì di esserne ancora in grado.

“Esattamente quanti Eiriash hai visto prima di oggi?” pausa lunga e meditabonda “Ricorda inoltre che è stata lei a disegnare quel marchio. Non stento a credere che l’abbia per così dire...stesa...”

Vago ondeggiare, segno che qualcosa attorno a lei si stava muovendo. O che forse era lei stessa a muoversi in qualche modo.

“In ogni caso mi sembra che stia quasi meglio rispetto ai giorni scorsi, o sbaglio?” vago schiocco di lingua sul palato

“In effetti ha smesso di sanguinare...”

“E anche il colorito è migliorato...”

“Sai che quando scoprirà tutto ci ammazzerà tutti e due, vero?”

Questa volta fu quasi impossibile non distinguere un vago sospiro.

Se si sveglierà”

Nuova pausa.

“Hai appena detto che sembra stare meglio”

“E tu mi hai appena chiesto se sia normale dormire tanto a lungo e così intensamente senza rischiare la vita”.

 

Infine aprì gli occhi.

Senza sapere né come né perché, ma semplicemente si ritrovò sveglia come se non avesse fatto altro che riposare le palpebre qualche attimo fino ad allora.

Era buio, ed era distesa su un fianco coperta per intero da strati su strati di stoffe. Non aveva freddo, ma si scoprì comunque a tremare di gelo.

Capì allora di avere sete e fame al contempo e in qualche modo di non avere la certezza di potersi muovere.

E poi li vide, due occhi nel buio intenti a fissarla.

Hiras, lo riconobbe.

Hiras era sveglio e la stava guardando.

“Bentornata” le disse lui con voce leggera e gentile, una nota calma che per qualche ragione la fece esitare. Lei sbattè una volta le palpebre, la certezza di poter vedere il pallore della luna riflessa nello sguardo del ragazzo a meravigliarla e paralizzarla al contempo.

C’era sempre stato tanto silenzio su Arryan? Si domandò improvvisamente. Tanta pace?

RIcambiò l’intensità di quegli occhi, certa che per qualche ragione ora anche nei suoi vi fosse altrettanta vastità, un eguale firmamento.

“Sono qui” sussurrò con un filo di voce, certa che se avesse parlato più forte tutto il mondo attorno a loro l’avrebbe udita.

Lui annuì e poi fece una cosa strana. Allungò verso di lei una mano di modo che per una frazione di secondo le sue dita riuscissero a sfiorarle appena il viso. Nulla più che la punta dei polpastrelli sulla guancia in un gesto delicato e sottile. Nel profilo lunare, la pelle di Hiras pareva quasi d’argento.

Poi lui si ritrasse e senza aggiungere nulla lo scintillio racchiuso negli occhi di lui si spense.

 

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Capitolo 12
*** Vermayin - La Città del Cielo ***


L’indomani Matnery accolse con gioia il suo risveglio, un genuino sollievo a sommarsi all’eguale fretta di rimettersi in viaggio.

I loro inseguitori, le disse, non si erano in effetti arresi e temeva che ulteriori rallentamenti non potessero far altro che esporli a inutili rischi.

Il che, proprio ora che ella stava nuovamente bene, sarebbe stato davvero un peccato.

Mentre caricavano gli ultimi bagagli lui aggiunse che già da qualche giorno avevano cominciato la risalita dei promontori in vista della Città del Cielo, motivo per cui l’averla nuovamente viva e agente avrebbe facilitato assai la loro possibilità di sostenere l’avanzata malgrado i pendii sempre più ripidi.

Guardandosi attorno, fu impossibile non dare ragione a Matnery: in qualche modo la piana del deserto pareva ora aver ceduto il passo a rocce e roccerelle che spinose di vento e bernoccoli risalivano da un terreno ora punteggiato di pietre brunite. Morbidi avvallamenti e conche disegnavano quella che inequivocabilmente pareva una risalita dolce ma costante.

La Nihaar’ì non potè che osservare ammirata quella sconosciuta difformità prima che il pratico Matnery le chiedesse gentilmente di collocarsi dinanzi a Hiras. Questi la accolse con un gesto sommesso, affatto familiare per la sua personalità.

Strano...

E così riprese il viaggio per quelli che - si sperava - sarebbero stati gli ultimi faticosi giorni prima di un assai meritato ristoro alla Città del Cielo.

Incerta, la Nihaar’ì si passò una mano dietro al collo. Fece una smorfia contrita quando le sue dita sfiorarono i morbidi bassorilievi sulla pelle. E rabbrividì, una fitta di bruciore e vertigine assieme che le facevano immediatamente girare la testa.

Dannazione.

Qualunque cosa fosse successa al suo corpo, non le piaceva. Non le piaceva sentirsi incredibilmente debole. Non le piaceva la sensazione di essere in qualche modo convalescente, come se nei giorni precedenti ella non avesse smaltito gli effetti negativi del marchio bensì una vera e propria malattia dagli effetti consuntivi.

Si passò la lingua sulle labbra inaridite.

Era smagrita. Quella la prima cosa che aveva notato mentre si massaggiava lo stomaco vuoto. E per qualche ragione la pelle delle sue braccia aveva assunto un che di grigiastro e malsano.

Improvvisamente si ritrovò a desiderare disperatamente uno specchio.

Lenta, l’avanzata dello Yenavo’r procedeva a ritmo regolare, la testa dell’animale china sulle rocce che man mano avevano preso a ingombrare il paesaggio tinteggiando di nero e bruno l’intero suolo.

Meraviglioso. Aveva pensato in un primo momento.

Più avanti, capendo che con simili asperità le loro cavalcature presto non sarebbero più state capaci di trasportarli, la sua meraviglia era scemata in una cupa preoccupazione.

Infine, dopo l’ennesimo attraversamento periglioso, Matnery si era voltato verso di loro.

“Dovremo procedere a piedi”.

Ma che bella notizia.

“Pensate di farcela?” sentì sussurrarle Hiras all’orecchio. Lei si irrigidì per poi annuire e smontare.

Dei giorni passati in dormiveglia la Nihaar’ì ricordava ben poco. Alcune frasi sconnesse. Altre parole ancor meno comprensibili. Eppure in qualche modo era certa che Hiras si sentisse in colpa per la sua situazione. E che Matnery fosse semplicemente a un passo dal perdere il controllo sull’intera faccenda.

In silenzio i due presero a camminare dinanzi a lei, il passo spedito mediato dalla rigidità di lunghe ore di cavalcata. Le vesti scure parevano in qualche modo confondersi nella sfumatura grigia circostante. In silenzio, un dolore vago in tutto il petto a minacciare di intensificarsi a ogni passo, la Nihaar’ì si rassegnò ad andar loro dietro.

Poteva ancora fidarsi?

Si chiese in un breve attimo di lucidità, il caldo torrido che per un attimo si alienava dietro il profilo di una nuvola.

Di certo la situazione non le permetteva ampia scelta. Ma se così non fosse stato, se davvero avesse potuto in qualche modo scegliere....Prese fiato, si umettò le labbra, si passò il dorso della mano sulla fronte...Era davvero saggio fidarsi di quei due?

Rabbrividì. Una sensazione di vuoto a darle quasi il capogiro mentre suo malgrado si ritrovava a fermarsi.

Percepì Matnery arrestarsi quasi nello stesso momento.

“State bene?”

Alzò lo sguardo su di lui per poi annuire titubante. Poi annuì una seconda volta con più decisione.

“Volete fermarvi?” le chiese lui.

Scosse il capo.

No, sto bene. Avrebbe voluto dire. Ma per qualche ragione non le riuscì di dirlo. Lui le rivolse una nuova occhiata incerta, poi si strinse nelle spalle e riprese a camminare.

E infine venne la sera.

Preparata la parodia di un giaciglio, tutti e tre vi crollarono dentro come sacchi vuoti, troppo stanchi persino per augurarsi un buon sonno.

 

Il giorno dopo fu la prima a destarsi.

Aprì gli occhi e si tirò in fretta a sedere con la medesima e improvvisa ansia di chi venga colto nell’atto di compiere una marachella.

Sbattè le palpebre.

Non aveva sognato.

Si sorprese.

E pensò subito che fosse assai stupido che insieme al senso di meraviglia e incredulità scaturite da quella constatazione vi fosse anche una buona dose di tristezza e timore assieme.

Socchiuse le palpebre.

Non voleva pensare a quello ora.

Non in quel momento.

Ora l’unica cosa che davvero importava era giungere alla città del cielo e tornare il più presto possibile da Zaphil. Con lui, ne era certa, tutto sarebbe finalmente andato a posto.

La Città del Cielo non fu in vista se non dopo lunghi e faticosi giorni di cammino.

Prima di quel momento il lento risalire di quota aveva stemperato il caldo torrido e offerto di quando in quando la possibilità di catturare qualche piccolo animale rintanato fra le rocce.

L’acqua continuava ovviamente a scarseggiare, ma già poter mettere sotto i denti qualcosa che non fosse rancido o rinsecchito contribuì a risollevare un poco l’animo generale.

In ogni caso, quando all’orizzonte si profilarono le mura della città, il trio era ben più che esausto, il silenzio generale ad accompagnare quella visione quasi che tutti e tre all’unisono avessero scorto la loro fonte di salvezza.

La Città del Cielo, Vermayin nel gergo di Arryan, era comunemente riconosciuta come la più alta espressione architettonica di tutto il continente, celebrata come la fortuita commistione di ingegneria ed espressione creativa.

Scavata nella roccia viva, si estendeva quasi a precipizio per tutto il fianco orientale del Nemi ji sah (Profilo del Vento), un monte celebre sia per la forma verticale e aguzza ma anche per le sue pareti nere e solide. Le strade e case erano state erette servendosi del medesimo materiale sottratto alla montagna ma usando anche rocce di varia provenienza, motivo per cui in lontananza Vermayin pareva quasi una mano grigiobianca delicatamente poggiata a proteggere il Nemi ji sah dalle intemperie. Originariamente situata nella parte più bassa dell’altopiano, si era col tempo innalzata per livelli (o gradoni) indipendenti e collegati da strette scale in pietra facilmente distruttibili in caso di assalto. La maggioranza degli spostamenti avvenivano tuttavia mediante piattaforme a energia eolica: poste a intervalli regolari e su ogni livello, immense Vele dalla forma elicoidale seguivano il costante sfilare del vento lungo il bordo della montagna; convogliata la forza del loro moto vorticoso, esso serviva per azionare gli ingranaggi degli “ascensori”.

Per un attimo la Nihaar’ì non potè che rimanere immobile ad ammirare quella gloriosa opera, incerta sul ricordare mai prima di quel momento eguale bellezza racchiusa in altrettanto coraggio architettonico.

Quando fu certa di non avere alcuna memoria di simili prodezze, volse lo sguardo ai suoi due accompagnatori trovandoli intenti nella medesima constatazione.

“Cosa ne pensate?” le chiese Hiras voltandosi verso di lei.

La Nihaar’ì si strinse nelle spalle.

“E’ tanto diverso dalla Torre del Tempo da stentare a credere che si tratti del medesimo mondo” replicò incerta.

Lui replicò il suo gesto.

“Questa è la seconda volta che percorro questa strada. Anche allora Vermayin mi sembrò la città più inquietante e bella che mi fosse capitato di vedere” lei alzò appena un angolo del labbro.

“Più bella di Chermak?” lo prese in giro.

“La loro bellezza è diversa. Per uno come me nato e vissuto nel deserto, il fascino di Vermayin rimane il più raro e sconosciuto di tutti”.

 

Non riuscirono a giungere alle porte della città lo stesso giorno. Decisero quindi di accamparsi per la notte scegliendo un luogo abbastanza distante dalla strada per evitare qualunque tipo di incontro.

A quell’altitudine il caldo del deserto aveva finalmente ceduto il posto a un freddo sottile e via via più intenso che le ore notturne li costrinse ad accendere un fuoco e scaldare su di esso qualche pezzo di carne dall’odore acre. Quando tutti ebbero mangiato, Matnery prese nuovamente parola.

“Domani giungeremo alla volta di Vermayin” esordì con tono severo “Quando arriveremo, vi chiedo di prestare la massima cautela a tutto ciò che direte o farete fino a quando non ci troveremo dinanzi alla Somma Sacerdotessa”

La Nihaar’ì si ritrovò ad aggrottare appena le sopracciglia.

“Pensavo ci saremmo trovati fra amici” replicò un po’ stupita.

L’altro annuì lentamente “E’ così infatti” convenne “Ma vi ricordo che in questo momento voi non siete la Nihaar’ì scortata dalla sua Corte e preceduta da stuoli di messaggeri. Siete la Nihaar’ì giunta da chissà dove e accompagnata da due -ma proprio due di numero- sconosciuti. Vestita di stracci e sporca al pari di una mendicante qualunque”

Improvvisamente consapevole dello sguardo dei due Danzatori su di sé, la Veggente non potè che muoversi a disagio. Per qualche ragione si era quasi dimenticata di quanto ora dovesse sembrare misera ai loro occhi...

“Capirete dunque che il vostro anonimato è fondamentale fino a quando non ci troveremo dinanzi a coloro che sapranno accogliervi e trattarvi come si conviene”

“La Somma Sacerdotessa” terminò per lui la Nihaar’ì

“La Somma Sacerdotessa” annuì Matnery.

Lei si morse il labbro, lo sguardo che calava sul piccolo fuocherello posto fra loro seguendone solo distrattamente l’ardente crepitare.

“Com’è la Somma Sacerdotessa?” chiese poi rivolgendosi a Hiras. Lui alzò lo sguardo su di lei poi si strinse nelle spalle.  

“Potente” fu il suo unico commento.

Più o meno di lei? Si ritrovò suo malgrado a domandarsi la Nihaar’ì prima di darsi mentalmente della sciocca. Da quando in qua la Divinità doveva preoccuparsi del suo primo sacerdote?

“La Somma Sacerdotessa è una donna influente” si inserì Matnery “Come prima rappresentante del Culto della Nihaar’ì raccoglie sotto il proprio dominio tutti coloro che la Torre del Tempo non può raggiungere”

“E sono molti?” obiettò lei

“Abbastanza”

Abbastanza da poter essere un problema. Si ritrovò a formulare la Nihaar’ì presagendo i difficili passaggi che sarebbero occorsi per ritrovarsi finalmente dinanzi a quella figura.

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Capitolo 13
*** Vecchi amici ***


Steso nella vasta pianura deserta, Zaphil lasciò che il suo sguardo si perdesse nell’immensa volta celeste. Erano giorni che avanzava verso Nord, le spalle a Hevnank’ar e il volto alle tempeste di sabbia che senza sosta si addensavano da Ovest.

Aveva mangiato abbastanza polvere e vento da averne in abbondanza per due intere vite e già le sue labbra presentavano i caratteristici segni della disidratazione.

Ed era solo l’inizio.

Sospirò, resa all’immensità che si mostrava dinnanzi alle sue iridi arrossate.

Secondo la sua guida, mancavan ancore due settimane di viaggio prima di poter avvistare Anaphantum, la più caotica e brulicante di tutte le città di Arryan.

Con le tempeste di sabbia e i venti a loro seguito, fossi in voi non mi aspetterei di arrivare in orario. Aveva azzardato un mercante dall’aria arcigna allungandogli una caraffa di olio bianco, utile da spalmare sotto le ascelle e fra le gambe per evitare le fastidiose piaghe da viaggio. Zaphil aveva ringraziato, sperando vivamente nell’infondatezza di quella infausta ipotesi.

Del resto aveva assoldato una delle migliori guide del posto proprio per quello, per viaggiare rapidamente e in sicurezza, rimanere intrappolato in questa o quella tempesta non era esattamente nei suoi piani.

Sfortunatamente -e ovviamente-, non avevano avuto molta fortuna.

A terzo giorno di viaggio, il suo Yenavo’r era stato morso da un ragno del deserto. Nulla di grave, ma per impedire l’infettarsi della zampa era stato necessario drenare il veleno e trasferire fino a completa guarigione tutto il carico dello yenavo’r agli altri due, rallentandone così sensibilmente l’andatura.

Nemmeno due giorni dopo era stato il turno dello stesso Zaphil: la mano ferita durante lo scontro con la Gunar Arvasti si era chissà come infettata -forse il sudore?- degenerando rapidamente da una leggera febbriciattola a una vera e propria infezione. Dopo le prime resistente, il Naphil era stato costretto a seguire i consigli della guida, smontare dallo yenavo’r e attendere nella propria branda che febbre e deliri cessassero rendendolo nuovamente abile di cavalcare.

Il tutto, ovviamente, non meno di tre giorni dopo.

Vedendolo tirarsi in piedi ancora giallo e malconcio, la guida aveva allora giustamente obiettato che non fosse molto saggio, soprattutto per un uomo della sua età, compiere quel genere di sforzi, e che forse un paio di giorni ancora sarebbero serviti per completare la sua guarigione.

Passando dal giallo al verde, Zaphil aveva allora obiettato che badare agli affari propri era un dono che ogni uomo di grande saggezza avrebbe dovuto possedere onde trascorrere una vita lunga e felice.

Da quel momento in poi le già rare conversazioni che l’uomo era riuscito a instaurare con la Guida si erano ridotte praticamente all’osso. Di notte avanzavano per miglia e miglia in silenzio; di giorno, dopo aver trovato riparo sotto qualche masso o a ridosso di una duna, dormivano esausti, l’ululato del vento a compensare le poche chiacchiere che mancavano di scambiarsi prima di cadere nell’oblio.  

In breve Zaphil si trovò a riscoprire il piacere (o la malcelata dannazione) del silenzio, un’interessante novità per le sue orecchie abituate al cicaleggio della Torre del Tempo.

Quanto poteva essere silenzioso il mondo se paragonato all’inarrestabile blaterale della società? Quanto roboante l’universo attorno alla Nihaar’ì se confrontato con l’assoluta pace al di fuori delle mura?

Percepire dopo tanto tempo la solitudine dei propri pensieri gli diede altresì il tempo di riflettere sugli stessi e con più calma e attenzione riordinare finalmente l’indistricabile intrigo riguardante il rapimento della Nihaar’ì e la sua successiva sparizione.

Qualcosa non funzionava.

Riuscì distintamente a decretare.

O meglio, qualcosa non si incastrava come, apparentemente, avrebbe dovuto.

Particolari?

Si domandò.

No, qualcosa di più.

Eppure giungere anche solo al primo capo della matassa pareva cosa assai più ardua del puro e semplice decretarne l’esistenza.

Perché un capo effettivamente c’era; e bello grosso anche. Ma dove?

Fu così che, forte della muta riottosità conversativa del suo compagno di viaggio, in quei giorni Zaphil prese l’abitudine di ripercorrere lentamente e con metodica minuzia i giorni della scomparsa di Asiya.

I preparativi per la cerimonia. L’arrivo a Hevnan k’ar. La partenza dalla Torre del Tempo. L’ultima sentenza del Giudizio della Veggente. Le chiacchiere delle Volpi.

E in mezzo a tutto ciò il ricordo dello sguardo della Hayeli’vo a far capolino di quando in quando. Un memento ricorrente e per qualche ragione destabilizzante quasi quanto le parole dell’Anhayt pochi giorni dopo.

Da come l’avete guardata mentre Sery ve la portava via da sotto il naso, mi sarei aspettato che l’avreste rincorsa senza esitazione.

Senza esitazione? Si era accigliato allora, scoprendo solo inconsciamente quanto il rapimento (duplice) di quella ragazza lo avesse lasciato indifferente e al contempo turbato.

Fu in quel suo ennesimo meditare che percepì qualcosa stringergli il braccio. Scostò subito lo sguardo dalla volta celeste ritrovandosi allora a fissare la sua guida poco distante e apparentemente sdraiata come lui nel proprio giaciglio.

L’uomo non disse nulla, ma da come piegò il capo, fu chiaro che egli stesse tentando di attirare la sua attenzione.

Immediatamente all’erta, Zaphil tese le orecchie.

C’era qualcuno. Percepì subito. Un respiro lontano.

Quanto lontano? Valutò con un rapido presentimento d’azione. Abbastanza. Rispose il suo corpo mentre la mano sinistra scivolava all’impugnatura del coltello al suo fianco.

Un nuovo stringersi della presa sul suo braccio e la guida scivolò nell’ombra al suo fianco, un furtivo rotolare fuori dalle coperte a indicare quanto ben spesi fossero stati i soldi destinati ai suoi servigi.

Nuovamente vi fu il silenzio. Poi un improvviso tramestio ovattato. E infine un gemito sordo.

Con un balzo il Naphil scattò allora fuori dal giaciglio per correre verso la fonte del suono. Estrasse il pugnale rigirandoselo da una mano all’altra e infine con la rapidità di un’ombra calò proprio in mezzo a quelli che scoprì essere due uomini in colluttazione.

Ne ghermì uno, scalciò lontano l’altro. E senza esitazione puntò la lama alla gola di quello che fra tutti aveva l’odore meno conosciuto.

O meglio.

Esitò.

Non proprio conosciuto.

“Mi sembrava di aver detto di essere un uomo di parola” la voce di Zaphil fu poco meno che un sospiro da dietro le numerose stoffe calate sul volto.

“E avete dimostrato di esserlo” fece l’altro con un filo di voce, la stretta dell’uomo a impedirgli evidentemente di parlare correttamente

“Avevo anche detto che vi avrei liberato a patto di condurmi all’interno del Tempio dei Tintori” continuò con il medesimo tono il Naphil.

“E così avete fatto” rispose nuovamente il secondo con uno sbuffo contratto.

“E dunque perché mi state ancora seguendo?” sbottò Zaphil.

Se avesse potuto, di certo l’Anhayt avrebbe riso. Sfortunatamente la stretta del suo assalitore era tale che gli riuscì solo di esibire una mezza tossetta roca.

“Ho pensato che potesse servirvi un compagno di viaggio”

“Ne ho già uno” ringhiò Zaphil senza dar segno di abbandonare la presa.

Il compagno di viaggio in questione si risollevò allora dalle sabbie per avvicinarsi guardingo alla coppia.

“Conoscete quest’uomo?” esordì rivolgendosi al Naphil. Quest’ultimo strinse appena le labbra come nell’atto di assaporare qualcosa di assai aspro o estremamente amaro. E infine mollò la presa.

“Si, lo conosco” non abbandonò comunque la stretta sul pugnale “Ammetto tuttavia di essere stupito quanto voi di trovarlo qui” nuova smorfia affilata.

“La sorpresa è reciproca, caro Zaphil” sogghignò l’altro con un sorriso che non pareva affatto un sorriso. Zaphil rispose allo stesso modo, lasciando che finalmente l’Anhayt si rimettesse in piedi spazzolandosi le vesti coperte di sabbia.

“Vedervi accompagnato a una Guida quando già ne possedevate una assai più esperta mi ha davvero sbalordito” pausa carica d’intesa “Sapete che state seguendo il percorso più lungo per Anaphantum?” prima che la guida incriminata avesse il tempo di replicare, Zaphil pose una mano sul suo petto.

“Lasciateci” digrignò.

Quando furono finalmente soli, Zaphil si rivolse nuovamente all’Anhayt ora immobile con una mano al fianco.

“Spiacente di non avervi avvisato del mio arrivo. Lo sforzo di inseguirvi è stato tale da non permettermi altro genere di approccio se non questo” fece l’uomo del deserto.

“Farsi sgozzare per sbaglio lo chiamereste approccio?” si accigliò Zaphil.

L’altro fece spallucce.

“Ero sicuro che al mercato vi avrebbero fregato circa la Guida super competente”

“Eravate sicuro che qualcuno avrebbe tentato di fregare un Naphil?” Zaphil pareva seriamente perplesso.

“Sono vivo. Direi che come prova di fregatura è più che sufficiente”

“Ditemi perché siete qui” tagliò corto il più anziano “L’ultima volta che ci siamo visti avete detto che sareste andato a cercare la vostra Sireli da qualche parte a Nord. E invece vi ritrovo sulla mia pista intento a seguire me - che in tutta franchezza non le assomiglio nemmeno lontanamente-” assottigliò le labbra “A vedervi non sembrate molto confuso, ma a conti fatti dovreste esserlo”

Difficile capire le reazioni dell’altro. Ciò che Zaphil percepì fu comunque una risatina beffarda seguita da una scrollata di spalle.

“Quando ci siamo lasciati il mio intento era davvero andare a Nord alla ricerca di Sery, trovarla e insieme tornarcene a vivere da qualche parte nel deserto fingendo che nulla sia accaduto” si schiarì la voce “Poi però ho pensato che in questo momento Sery si trova in compagnia della vostra Hayeli’vo

Zaphil non potè evitarsi una smorfia “Asiya non possiede i Doni della Nihaar’ì

“Questo lo abbiamo capito molto bene” replicò con una nota amara l’Anhayt “Ma chiunque abbia un minimo di conoscenza del Culto della Nihaar’ì sa che il posto della Hayeli’vo è al fianco della Veggente. Se conosco Sery metà di quello che penso, in questo momento starà portando Asiya al sicuro da qualche parte in attesa che le acque si calmino”

“ E questo cosa dovrebbe avere a che fare con il seguire me in questo momento?”

Nuova scrollata di spalle, nuova smorfia divertita “Quando le cose si saranno calmate l’Hayeli’vo avrà finalmente la possibilità di tornarsene da voi, dal Naphil che più di tutti ha il compito di proteggerla e vegliare sulla sua vita.” Zaphil soprassedé con un sospiro contratto la nota polemica nella voce dell’altro.

“...Ed è dunque stando con il Naphil in questione che avrò la maggiore possibilità di incrociare la mia amata”

Semplice, no?

Per un attimo Zaphil si limitò a fissare il proprio interlocutore con un misto di indecisione e incredulità assieme.

No. Affatto.

Quante obiezioni avrebbero potuto esserci al discorso dell’uomo? Certamente abbastanza per negargli qualunque tipo di affiancamento in quella spedizione. Nessuna di queste però riusciva a prevaricare il fatto che fino a quel momento -pur sotto ricatto - Virel era stato a suo modo un compagno leale. E che il suo senso di giustizia e fedeltà andavano ben oltre quello della maggioranza delle persone di Arryan.

“Hai la minima idea del perché io stia andando ad Anaphantum?” chiese Zaphil senza mascherare una nota amara. All’altro non sfuggì il passaggio dal “voi” al “tu”. Sorrise.

“C’ero anch’io al Tempio dei Tintori...”

“Non ho detto questo” si stizzì il Naphil

“...e ricordo bene di aver sentito la Gunar Arvasti dire che è per merito delle Volpi che io e Sery ci siamo ritrovati a recitare il ruolo di pedine in questa assurda faccenda di Palazzo. Sarà un piacere per me ringraziarle di persona per il servizio reso”

 

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