Progetto smeraldo di Kalesh (/viewuser.php?uid=1008538)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno strano incontro ***
Capitolo 2: *** L'indomani ***
Capitolo 3: *** Genesi ***
Capitolo 1 *** Uno strano incontro ***
Anno 2150, i governi mondiali sono caduti in seguito ad una grave crisi economica, le redini sociali e politiche sono state rilevate da alcune grandi industrie divise in tutto il globo che governano i luoghi sottoposti alle loro sfere di influenza. Tra le più ricche ed influenti troviamo in particolare industrie fondanti la propria fortuna su una nuova tecnologia: i potenziamenti cibernetici. Questo tipo di innovazione consiste nel sostituire parti del proprio corpo con tessuti artificiali sviluppati in laboratorio e controllati da diversi chip, aumentando notevolmente il potenziale umano. In quest'epoca di transizione diverse e contrastanti sono state le opinioni riguardanti quest'evoluzione forzata della razza umana, evoluzione che poteva essere effettuata unicamente a pagamento e non senza rischi, ma senza alcun freno rimasto ad opporsi all'operato di queste grandi industrie, la ricerca proseguiva senza alcun freno inibitore, in una sfrenata e a volte immorale corsa all'oro.
Gin era un ragazzo dell'età di venticinque anni e, nonostante lo odiasse, aveva un ottimo lavoro come ingegnere presso la CyberLink, una delle grandi società che effettuavano potenziamenti biologici. Diversi tessuti, non più adatti alla nuova epoca venivano sostituiti garantendo diversi vantaggi a chiunque ne avesse usufruito: si poteva scegliere quale potenziamento ricevere, dai più economici per un aumento della forza o dell'agilità, a quelli più costosi che permettevano di trasferire la propria coscienza all'interno di un computer, aumentare la velocità di pensiero o persino di incrementare il proprio quoziente intellettivo. Queste scelte però non tardarono a presentare il proprio rovescio della medaglia: infatti, non tutte le persone potevano sostenere all'interno del proprio corpo un numero elevato di potenziamenti, una qualsiasi persona mediamente ne poteva sostenere non più di due senza subire danni collaterali, ma Gin aveva anche letto, all'interno dei propri resoconti di lavoro, di alcune persone che erano state in grado di acquisirne addirittura tre, o raggiungere il record attualmente noto, che era stato di quattro. Queste persone sovraccaricandosi di potenziamenti avevano unicamente presentato un invecchiamento accelerato, cosa che ,pensò, doveva essere stata una vera fortuna, altri soggetti, a cui non era capitata la stessa sorte, videro il proprio corpo rigettare l'impianto cibernetico, nonostante fosse solo il primo, e conseguentemente morire lentamente, tra atroci dolori. La razza umana si stava evidentemente evolvendo, e un DNA in grado di tollerare gli upgrade biologici che i vari colossi commerciali proponevano era evidentemente il successivo passo dell'evoluzione umana: il futuro, futuro che Gin odiava.
- Allora Gin, come procede il progetto del potenziamento per il controllo remoto di dispositivi ? - Così lo riportò alla realtà il suo caporeparto che esigeva al più presto la sua parte del lavoro per poter concludere la fase prototipale:
- Ci sono un sacco di ragazzi ricchi annoiati là fuori che non vedono l'ora di poter comandare gli elettrodomestici con la forza del pensiero! - aggiunse lui scherzando. Al ché il ragazzo replicò in tono scherzosamente ironico:
- Diamine, devo proprio cercare di sbrigarmi, ho una stretta al cuore al solo pensiero che qualcuno non possa divertirsi ad attivare il tostapane o regolare il termostato mentre hanno il culo piantato sul divano, che vita triste!- Poi si fece serio per un momento e aggiunse:
- Domani avrai tutto il materiale, tranquillo, per oggi me ne vado -. Al ché il caporeparto fintamente contrariato sentenziò:
- Certe volte vorrei proprio essere come te, nonostante lavori a malapena cinque ore al giorno, riesci a portare a termine ogni progetto entro le consegne! Ci vediamo domani -. Questo era, in effetti, anche uno dei pochi motivi che legavano Gin a quel lavoro il fatto di avere unicamente delle scadenze gli permetteva di organizzare la propria attività a suo piacimento restando in ufficio non più del necessario, il che gli garantiva diverse ore di tempo libero extra, oltre al fatto di poter lavorare negli orari che riteneva più consoni, orari che spesso si trovavano a coincidere con la notte fonda, non era infatti insolito che si recasse in ufficio alle 22:00 per poi uscirne alle 2:00. Quella sera, come tante altre Gin prese il suo cappotto nero, il suo ombrello, e si apprestò ad uscire dall'ufficio, trovandosi di fronte all'immensa vetrata che lasciava una veduta meravigliosa sui giardini della CyberLink. Questi avevano la particolarità di essere costellati di ciliegi e peschi piantati seguendo la geometria di una scacchiera, al cui centro la regolarità lasciava spazio ad un'enorme fontana sopra la quale si ergeva un marmo raffigurante il logo dell'industria: una mano robotica che sorreggeva il globo terrestre. Gin si soffermò qualche istante ad osservare il meraviglioso giardino bagnato dalla pioggia, quando, fu improvvisamente ridestato da quel momento di ammirazione. Alle sue spalle infatti, diverse persone, che dal loro abbigliamento il ragazzo giudicò dirigenti, se ne andavano a spasso spedito e con una strana espressione in volto.
"Strano..." pensò il ragazzo "...solitamente se non per occasioni particolari non visitano mai il piano della progettazione, e quando lo fanno hanno dei sorrisi talmente finti che potrebbero far accapponare la pelle..." rise tra sé e ignorando il motivo per il quale i dirigenti, che stavano al piano più alto, avessero avuto voglia di fare quella passeggiata fuori programma si diresse all'ascensore che lo condusse fino all'ingresso dell'edificio dove si trovava l'uscita. Il ragazzo si arrestò poco prima della porta girevole che dava direttamente sulla strada, e, osservando che la pioggia aveva aumentato la sua portata e si era fatta martellante, aprì l'ombrello e uscì. Gin si trovò travolto dalle luci notturne di Volta.
Questa città non aveva nulla di storico, risaliva, infatti, a circa cinquant'anni addietro: alcune compagnie industriali avevano fondato questa città in Zambia, nella cosiddetta "copperbelt" per un tornaconto economico, infatti ,onde evitare di dover pagare le spese di trasporto di materia, prima potevano lavorarlo senza dover trasportare minerali grezzi, idea che ebbe grande successo e nel giro di nemmeno vent'anni, la piccola città che ospitava non più di tremila abitanti si trasformò radicalmente, diventando una delle città più popolose dell'Africa settentrionale.
Gin s'incamminò verso casa, le luci del marciapiede erano fioche ma, man mano che lui vi si avvicinava, queste si facevano più luminose permettendogli di vedere meglio anche se, data l'elevata quantità di insegne al neon, l'illuminazione pedonale appariva quasi superflua. Per la maggior parte del tragitto regnò una dolce quiete notturna, la quale era spezzata occasionalmente da qualche macchina elettrica che ronzava sulla strada e del baccano proveniente dai pub notturni. Camminò per circa venti minuti, ormai era quasi giunto a casa, quando d'un tratto un nuovo rumore spezzò la quiete, qualcosa di diverso, un rumore sordo, proveniente dal vicolo a pochi passi dal ragazzo, al che si arrestò, come in attesa di nuovi rumori, passò circa un minuto, il cuore gli martellava frenetico nel petto, ma nulla, nessun suono fece eco al primo. "Sarà stato un gatto..." la sua mente non voleva elaborare nulla di diverso, passò ancora un minuto di silenzio, e Gin non si spostò, nonostante la paura che lo attanagliava voleva controllare, mise mano al taser che teneva in tasca, senza però estrarlo, mentre con l'altra reggeva l'ombrello e si avvicinò all'ingresso del vicolo, dapprima spiò con una mossa rapida, ma non vide nessuno nell'oscurità del vicolo, al che scelse di addentrarsi, il cuore gli batteva all'impazzata, ma non si sarebbe mai perdonato di aver lasciato qualche povero indifeso alla mercé di chissà quale malintenzionato. Camminò per una manciata di secondi, giusto il tempo di arrivare al centro del vicolo, l'occhio a fatica gli si abituò all'oscurità, ma ancora non c'era traccia di alcun essere vivente, impugnando il taser dentro la tasca e facendo il pieno di coraggio chiamò con voce imponente:
- C'è qualcuno? -. Dopo qualche secondo di silenzio il ragazzo cominciò a calmarsi e l'adrenalina che aveva in circolo cominciò a scemare, quando sentì un lieve suono, che subito identificò come un respiro pesante, proveniente da un piccolo cono d'ombra a qualche metro da lui, sforzando l'occhio distinse una sagoma distesa, ma nulla di più, era stato dietro un monitor per le precedenti ore e i suoi occhi non ne volevano sapere di abituarsi al buio. Con la precedente paura che si era ormai tramutata in preoccupazione abbandonò la presa dall'arma che aveva in tasca e corse verso quella sagoma attivando la torcia incorporata nel bracciale metallico che aveva al polso destro, il quale era divenuto l'erede di ciò che fino a un secolo prima era uno smartphone. La sagoma si definì rapidamente, una volta che Gin vi puntò contro la luce. Era una ragazzina, avrà avuto a malapena diciotto anni, era accasciata su un fianco, dei lunghi capelli verde lime le coprivano il volto, mentre il corpo era avvolto da una cappa nera intrisa di uno strano liquido, che osservò essere di colore verde dall'odore acre.
Subito il giovane scostò i capelli dal volto della ragazza, aveva un naso piccolo e sottile, delle sopracciglia sottili anch'esse, ma ben marcate, e soprattutto anche queste dello stesso verde dei capelli, gli occhi chiusi e le fini labbra rosso scuro serrate in una smorfia di dolore, Gin provò a svegliarla, ma nulla: era svenuta. Per prima cosa pensò di portarla in ospedale, ma non mancò di accorgersi che non aveva al collo la piastrina identificativa che avevano tutti gli abitanti di Volta, questa veniva utilizzata per ottenere qualunque tipo di servizio pubblico gratuitamente. Esitò un attimo, la povera ragazza avrebbe avuto non pochi problemi al suo risveglio, dalla parcella medica alla polizia che sicuramente avrebbe indagato sulla sua identità, Gin in un istante prese la sua decisione, che in quello stato sarebbe stato meglio per lei ricevere subito delle cure, e che se non se le sarebbe potute permettere avrebbe pagato di tasca propria. Sollevò delicatamente la ragazza che continuava a respirare affannosamente e si diresse verso casa sua, che distava al massimo un paio di minuti a piedi, ma il ragazzo non perse tempo nonostante le condizioni della ragazza parevano stabili, corse per circa un minuto e giunse davanti alla sua automobile, parcheggiata a bordo della strada, toccò la maniglia con il pollice e subito lo scanner di impronte digitali aprì la portiera posteriore davanti a cui il ragazzo si trovava, posò la ragazza nei sedili posteriori senza curarsi della mantella bagnata. Il ragazzo si mise rapidamente alla guida del veicolo e sfrecciò per le strade semideserte di Volta, giunse molto rapidamente davanti all'ospedale, stava per entrare nel parcheggio quando si accorse tramite il monitor retrovisore di una sagoma alle sue spalle, la ragazza si era alzata in piedi, grugnì qualcosa di incomprensibile e con una mossa repentina si infilò tra i due sedili anteriori puntando al volante, lo afferrò con una sola mano, riuscendo comunque a sopraffare il ragazzo e impedendogli la manovra di ingresso per il parcheggio dell'ospedale. Fissò per qualche momento Gin dritto negli occhi con le sue iridi dello stesso verde di cui erano i capelli, ma di intensità molto più elevata che apparivano minacciosi, mal nascondendo però qualcosa che Gin percepì come paura, quello scambio di sguardi proseguì per qualche secondo, quando la ragazza lo interruppe facendo no con la testa, e cadde nuovamente svenuta tra i sedili anteriori dell'auto, che nel frattempo si era fermata.
Non voleva dunque essere portata in ospedale e, dato che aveva ripreso coscienza e il respiro dopo lo svenimento si era fatto più regolare, il giovane decise di portarla a casa propria, nel frattempo avrebbe provato a pensare a una qualche soluzione, o, se si fosse risvegliata nuovamente, avrebbe tentato di convincerla ad andare in ospedale, ridistese la ragazza sui sedili posteriori dell'auto e ripartì. Il viaggio verso casa durò pochi minuti, minuti in cui la testa del ragazzo si popolava di domande e dubbi, aveva veramente fatto bene a portarla a casa? E soprattutto chi era? Perché era lì? E perché aveva rifiutato di andare in ospedale al punto di gettarsi a capofitto sul volante? Ogni secondo che passava la trama di pensieri nella sua mente si infittiva, per fortuna il viaggio fu breve. Il giovane riprese in braccio la ragazza e la condusse nel suo appartamento, anche qui uno scanner aprì la porta al ragazzo che non dovette neppure posare la giovane, la distese sul divano e finalmente le levò di dosso quella cappa che ancora grondava, di liquido verde misto a pioggia, una volta rimossa Gin restò impietrito, non poteva credere a ciò che i suoi occhi stavano vedendo.
Ciò che gli saltò subito all'occhio furono diverse lacerazioni sul corpo della ragazza, ma la cosa più sorprendente risultava essere il sangue stesso, questo non era rosso, era bensì verde, in un istante Gin realizzò che la mantella era impregnata di sangue e quell'odore acre... si diede dello stupido per non essere riuscito a riconoscerlo, per un momento si abbandonò al panico e deciso a tornare in ospedale riprese il cappotto che nel frattempo si era sfilato. Poi si interrogò, poteva davvero portarla in ospedale senza ripercussioni? La osservò un momento, le emorragie si erano fermate, e nel volto della ragazza la precedente smorfia di dolore aveva lasciato posto ad un'espressione più rilassata, così il giovane decise che avrebbe vegliato su di lei fino al giorno successivo, monitorando le sue condizioni e decidendo che, nel caso fosse peggiorata l'avrebbe portata in ospedale, anche se questo andava contro la sua volontà. Gin, quindi, prese delle bende e un paio di forbici, e accuratamente, tagliò la tuta monopezzo che la ragazza indossava nei punti in cui lei presentava le lesioni e la medicò tamponando le ferite ancora pulsanti con delle garze. Completato il lavoro andò a prendere una coperta, si arrestò un momento a guardarla, ora che non era più coperta dalla mantella nera risaltava il suo fisico atletico, mentre i suoi capelli presentavano dei riflessi di nero esposti alla luce della stanza, la sua pelle appariva pallida, probabilmente per la perdita di sangue, nel frattempo la ragazza si era rannicchiata e Gin ebbe l'impressione che avesse freddo, le sfilò quindi le scarpe e la distese sopra la coperta che le era andato a prendere, quando d'un tratto si arrestò repentinamente e si sentì pervadere da un brivido, nella spallina della tuta della ragazza compariva un logo che vi era stato cucito sopra, fin troppo familiare per il ragazzo: una mano robotica che sorreggeva il globo terrestre.
Gin si sedette ed iniziò a fissare la ragazza con la mente offuscata da pensieri e da dubbi, ma nonostante tutto non riusciva ad elaborare un'idea precisa su chi potesse essere la ragazza, gli turbinarono in mente le idee e i pensieri più disparati, ma non trovò un riscontro plausibile in nessuno di questi, nel mentre la tensione che aveva accumulato nel corso di quell'improbabile serata stava allentandosi sempre più, finché il ragazzo, avvolto in quei pensieri, piombò in un profondo e buio sonno. |
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Capitolo 2 *** L'indomani ***
L'indomani Gin riaprì gli occhi, ancora stoicamente seduto sulla sedia, e per un lungo momento si chiese se quello del giorno precedente non poteva essere stato uno strano sogno, nella sua mente era tutto ancora vivido, ma al contempo surreale. Alzando lo sguardo ebbe però conferma che tutto ciò che la sua mente ricordava era realmente accaduto. La ragazza era ancora stesa sul divano, avvolta nella coperta che stringeva avidamente, Gin si diede subito dello stupido: avrebbe dovuto restare a vegliare su di lei, eppure gli bastò uno sguardo al volto di lei che ancora era sopita: aveva un'espressione di pace e serenità e il respiro affannoso che il giorno prima gli era costato tante preoccupazioni era ora un respiro incessante e regolare. Il ragazzo si alzò piano senza far rumore per non svegliare la sua ospite e si diresse in bagno.
"Ho proprio bisogno di una doccia" pensò mentre vi si dirigeva, entrato nel bagno un monitor si accese riflettendo la sua immagine, non aveva decisamente un bell'aspetto: i suoi corti capelli castano chiaro erano sporchi e spettinati, i suoi occhi color ebano erano contornati da delle ben marcate occhiaie, e la sua barba, che era solito radersi un paio di volte a settimana, iniziava ad essere troppo lunga. Gin si spogliò lasciando riflettere al display il suo fisico asciutto e tonico, si appoggiò per un istante al lavandino, posto sotto il display, mostrando per intero le sue larghe spalle, e guardò per qualche momento la propria immagine riflessa, pensando agli eventi appena trascorsi, quindi si alzò in piedi ergendosi nel suo metro e ottantacinque di statura. Nel display comparvero quindi diverse scritte abbinate a delle cifre, tra cui il peso del ragazzo, la sua altezza, la lunghezza dei suoi capelli, diede loro un rapido e distratto sguardo, quindi si diresse sotto la doccia, dove rimase per diverse decine di minuti, rilassandosi e recuperando le energie, quando un suono sordo lo interruppe, aveva tutta l'aria di essere un'esplosione, allarmato più che mai uscì rapidamente dalla doccia, afferrando il primo asciugamano che gli capitò a tiro e se lo legò intorno alla vita, subito si precipitò fuori dal bagno, tornando ad essere in salotto, ciò che vide, d'impatto gli scatenò una risata, a metà tra l'isteria e il divertimento: la ragazza aveva avviato una simulazione olografica di guerra nella sua console di gioco e si era anche cambiata d'abito, palesemente dopo aver frugato nell'armadio del ragazzo, infatti indossava ora un paio di pantaloni da basket bianchi e una felpa nera. Lei, sentendo la risata si voltò verso di lui fissandolo negli occhi con un'espressione di sorpresa, mentre la simulazione olografica continuava e squadroni di soldati marciavano per la stanza con passi scanditi da esplosioni e rumore di spari.
Dopo qualche istante il ragazzo prese in mano la situazione pronunciando con tono imperativo:
«Simulazione, annulla!» si avvicinò quindi cautamente alla ragazza di qualche passo nonostante, essendo appena uscito dalla doccia, fosse ancora bagnato e seminudo, aggrottò le sopracciglia e aggiunse senza cambiare la propria tonalità di voce:
«Hai diverse domande a cui rispondere, anzitutto vorrei sapere chi sei.> lei lo guardò attentamente, aprì la bocca come per pronunciare qualcosa, ma nessuna parola uscì, provò ancora e ancora, ma nulla, era come se qualcosa le impedisse di parlare, al che si abbandonò ad un sospiro di rassegnazione inarcando le spalle.
Gin piegò leggermente la testa assumendo un'espressione interrogativa: aveva notato che qualcosa non andava, quindi le chiese:
«C'è qualcosa che non va?» non aspettandosi di ricevere alcuna risposta, ma pensando che probabilmente lei poteva comprenderlo, dato che alla prima richiesta lei in qualche modo stava per rispondergli.
Per un momento lei tentò di mimare a gesti qualcosa di inconprensibile, poi un bagliore attraverò i suoi occhi, perchè spiegare il problema quando poteva mostrarlo? Al che incurante della situazione si sfilò la felpa che aveva indosso rimanendo con un lembo di stoffa legato dietro la schiena che fungeva da reggiseno.
Gin fu d'impulso attraversato da un brivido, tutte le ferite della serata precedente erano completamente sparite, non poteva essere, le numerose domande che stavano per assaltare la sua mente però non fecero nemmeno in tempo a prendere forma che la risposta piombò immediatamente di fronte ai suoi occhi quando la ragazza si voltò: aveva infatti lungo la colonna vertebrale diversi segni di innesti cibernetici, tutto si fece più chiaro, la guarigione miracolosa che aveva subito innanzi era sicuramente frutto di un potenziamento, e il fatto che non riuscisse a parlare poteva essere frutto di un rigetto da parte del corpo di lei, in effetti non era affatto improbabile che qualche clinica improvvisata, e ovviamente illegale, che fornisse potenziamenti a basso prezzo si potesse essere sbarazzata di lei in seguito ad un rigetto. La tuta della CyberLink restava comunque un mistero, poteva far parte del gruppo di ragazzi prodigio di cui Gin aveva sentito parlare, assunti nonostante la loro età non fosse ancora consona al lavoro per ricercare e perfezionare le tecnologie già in possesso dall'industria. Sicuramente le cose non stavano così, ma il ragazzo si sforzò di accettare quell'assurda realtà e proseguì chiedendo:
«Qualcosa è andato storto durante il potenziamento, vero?» al che lei rispose facendo cenno di si con la testa. Lui rimase dei lunghi istanti con le sopracciglia aggrottate sovrappensiero e aggiunse:
«Per prima cosa dobbiamo capire che hai, però data la tua evidente avversione per gli ospedali», lei fece un sorriso beffardo, «e visto che, date le circostanze non porterebbero a nulla di buono, ti porterò da una mia conoscenza, gestisce una clinica privata autorizzata, se avremo un po' di fortuna eviterà di farmi pagare la diagnosi, ora aspettami qui, vado ad asciugarmi e a vestirmi, poi penseremo a te». Si diresse quindi di nuovo verso la porta del bagno, mentre lei si rimise la maglia, quando ad un tratto lui si interruppe voltandosi verso la ragazza sorridendo e chiedendo:
«A proposito, riusciresti a farmi capire qual'è il tuo nome in qualche modo?».
Lei di tutta risposta sorrise come se fosse una domanda che si aspettava da non poco tempo, prese una penna appoggiata in un piccolo mobile che affiancava il divano, che probabilmente aveva già notato, voltò le spalle qualche secondo a Gin e scrisse, tramite quella particolare penna, il suo nome in aria che rimase lì sottoforma di alone luminoso blu, lasciandolo poi leggere al ragazzo.
«E' un piacere conoscerti, Soraya, io sono Gin!» sorrise, voltandole le spalle ed aggiunse con tono imperativo:
«Simulazione, riavvio, nuovo giocatore» quindi le sagome ricomparvero e nelle mani della ragazza presero forma due pistole, sul viso di lei comparve uno sciocco sorriso a trentadue denti, Gin quindi sparì dietro il chiudersi della porta del bagno.
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Capitolo 3 *** Genesi ***
Capitolo 3
Qualche ora dopo Gin uscì nuovamente dal bagno, questa volta
aveva indosso dei lunghi pantaloni neri e una camicia bianca, la barba
era ora perfettamente regolata e i suoi capelli in ordine, Soraya, che
aveva appena terminato di giocare, lo squadrò per un lungo
istante, come se d'un tratto fosse diventato un'altra persona, quindi
lui le disse:
«Vedo che ti sei divertita, ora però dobbiamo proprio
andare» poi aggiunse fiducioso, non mancando di mostrare un
sorriso, «Quando riacquisterai la parola aspettati un
interrogatorio» ben sapendo però che se la visita avesse
avuto esiti negativi, come minimo alla ragazza sarebbe toccato un
intervento, qualora questo fosse stato possibile, però
ciò che Gin vedeva era ben diverso dalle realtà che aveva
avuto modo di conoscere attraverso le relazioni della CyberLink, lei
non stava male e questo lo rassicurava.
Lei, notando che i suoi stivali erano ora asciutti, se li rimise ai
piedi, senza però cambiarsi d'abito, i vestiti che aveva rubato
le erano talmente comodi, che non ci pensava nemmeno di toglierseli.
Gin quindi la schernì dicendo:
«Forse sarebbe il caso di metterti dei vestiti che ti facciano
somigliare un po' meno ad un giocatore di basket e un po' di più
ad una ragazza!» al che lei stizzita, dopo aver terminato di
infilarsi gli stivali, si erse in piedi di fronte a lui, nonostante
fosse più bassa di almeno una decina di centimetri,
gonfiò il petto, gli fece una smorfia facendo una pernacchia con
la lingua e si diresse verso l'uscio.
«Va bene, va bene, non c'è bisogno di scaldarsi,
andiamo» si arrese lui, aggiungendo però «poi se
qualcuno per strada ti colpisce con una palla da basket non ti
lamentare!» concludendo con una silenziosa risata.
Si diressero insieme nell'auto che la notte precedente li aveva
scortati prima in ospedale e poi a casa, Gin si mise alla guida
dell'autovettura, però non volendo guidare nel traffico
comandò:
«Pilota automatico!» al che una voce dall'auto rispose:
«Dove vuole andare, signore?». Il ragazzo quindi diede le
indicazioni della clinica e l'auto si mise in moto, la ragazza guardava
dal finestrino con aria curiosa, quasi come se quello che scorgeva al
di fuori fosse affascinante, Gin non la pensava così, lui non
aveva mai apprezzato quel mondo, vi si era inserito perfettamente, e
non mancava di farsi affascinare da oggetti e persone, ma questo
succedeva molto raramente, la sua mente tendeva a schematizzare persone
e oggetti, solo poche persone erano veramente dissimili dalle altre,
nonostante ognuno pensasse fermamente di essere unico. Il ragazzo
alternò lo sguardo da Soraya al proprio finestrino, chiedendosi
come poteva una persona che chissà cosa aveva passato la sera
precedente, guardare ancora quelle strade e quelle persone con quegli
occhi carichi di meraviglia.
Il suo naufragare di pensieri fu interrotto dalla voce del pilota
automatico che annunciava l'arrivo alla clinica, Gin quindi
comandò all'auto:
«Parcheggiati qui vicino e segnalami la posizione!» molte
auto non avevano più bisogno di segnalare la posizione, gli
ultimi modelli, infatti, avevano dei piloti automatici talmente tanto
evoluti da dirigersi ovunque fosse stato il loro proprietario anche da
spente, il suo modello non era però dei più nuovi, e
inglobava ancora la guida manuale, che a poco a poco stava svanendo.
Guardò poi la ragazza e vedendo che si era messa il cappuccio
della felpa in modo tale che i suoi capelli verdi fossero pienamente
nascosti, realizzò che si stava nascondendo da qualcuno, per cui
ogni precauzione gli sembrò superflua e le fece cenno di
seguirlo.
Salirono una breve gradinata, e si ritrovarono di fronte ad un palazzo
enorme, costruito interamente con vetrate oscurate e con una forma
alquanto insolita, si diressero dentro e, una volta varcata la porta
girevole all'ingresso, si stagliò dinnanzi a loro un grandissimo
salone, di fronte a loro c'era la reception e ai lati di questa, scale
ed ascensori che portavano ai piani superiori, il passaggio era
contornato da piccole piante tropicali, fino al centro del salone,
dove, trovando una fontana si apriva un salone. I due, Gin in testa e
Soraya che lo seguiva non mancando di guardare con ammirazione tutto
ciò che la circondava, si diressero verso la scala di destra, di
fronte a loro comparve un ologramma che, chiese loro quale fosse il
motivo della loro visita, il ragazzo lo ignorò passandogli
attraverso, lei, invece gli passò intorno guardandolo con occhi
sgranati, continuando a seguire Gin.
Camminarono per una lunga serie di districati corridoi salendo per
almeno una decina di piani, quando, giungendo di fronte ad una porta il
ragazzo si arrestò:
«Eccoci arrivati! Ora non ti preoccupare e lascia fare a me,
Sasha mi deve diversi favori» sorrise ammiccando, e bussò
alla porta.
«Avanti!» una voce femminile rispose dall'altra parte, al
che il ragazzo aprì la porta e seduta ad una scrivania videro
una donna bionda con gli occhiali, seduta ad una scrivania, che si
apprestava a leggere degli appunti proiettati in aria con un ologramma,
quando lei alzò lo sguardo di colpo esclamò con tono
stizzito:
«Gin! Che diamine ci fai qui?» al che lui rispose non senza difficoltà:
«Ehi Sasha, è passato del tempo eh? Beh vedi, dovrei chiederti un favore...»
«Proprio insolito, non sia mai che ti presenti da me quando non
hai bisogno di qualcosa?» ribatté lei con un aspro tono di
voce.
«Vedi, questa ragazza, mia sorella, ha avuto un problema con un
potenziamento e avrei bisogno che tu le facessi una diagnosi con la
scansione tecnometrica» si spiegò lui incurante della
frecciata scagliata dalla donna.
Al che la donna palesemente irritata esordì con un:
«E da quando avresti una sorella? So bene che se ti dicessi di no
mi rinfacceresti ogni singola volta in cui mi hai prestato aiuto, per
cui accomodatevi pure, la stanza è quella accanto a questa, non
dovresti avere problemi con la scansione dato che lavoravi qui,
giusto?»
«Nessun problema, ricordo tutto perfettamente, ad ogni modo grazie, sono in debito» risposte con cortesia lui.
Sasha fu non poco turbata da quelle parole, non l'aveva mai
ringraziata, e ancora meno erano le volte con cui si era rivolto a lei
con quel tono, che quella ragazza fosse davvero sua sorella in
difficoltà? I due uscirono dalla stanza per entrare in quella
accanto e lei si rimise al lavoro tornando ad analizzare i dati
presenti sull'ologramma.
Una volta entrati Gin fece cenno a Soraya di sedersi su una grande
poltrona bianca con due poggia braccia laterali e un'apposita fessura
sullo schienale.
«Credo che dovrai toglierti la felpa» disse il ragazzo con
aria maliziosa. Lo sguardo di lei lo fulminò, al che lui
ribatté ridendo:
«Prima però non ti sei fatta tanti problemi!» quindi
la ragazza lo squadrò con uno sguardo che sembrava dargli del
pervertito, sapendo bene quanto quella situazione lo divertisse.
Si sfilò quindi la felpa, i lunghi capelli verdi, che fino a
quel momento erano rimasti nascosti dal cappuccio della felpa tornarono
a fluire sulle sue spalle lasciando il suo torso, come qualche ora
prima, nudo, coperto unicamente da una fascia di stoffa a farle da
reggiseno, guardò Gin per un istante e esternò il proprio
finto disappunto mostrandogli il dito medio e, come se già
sapesse in quale modo funzionasse quel macchinario, si raccolse i
capelli in una coda di cavallo per non permettergli di sovrapporsi ai
segni degli innesti sulla sua colonna vertebrale e si distese sulla
poltrona, lasciandoli affacciare dalla fessura sullo schienale.
Il ragazzo per rassicurarla le disse:
«Tranquilla, non farà male, quando il collegamento
sarà stabilito ti addormenterai all'improvviso, ma non ti
preoccupare, io resterò qui» lei sorrise, mentre il
ragazzo le agganciava una piccola sonda, proprio sotto la nuca, in
corrispondenza del primo segno di innesto.
Dopo averla collegata Gin le disse:
«Cominciamo!» nel monitor olografico del macchinario
comparve una shell in cui Gin digitò il comando di avvio, di
lì a breve iniziò ad addensarsi una fitta coltre di
scritte, indicanti lo stato del processo.
Un minuto più tardi, la ragazza era completamente sopita e il
collegamento era ora completo. Il ragazzo senza perdere tempo
andò subito al punto, dato che, oltre ad aver progettato diversi
sistemi di quel tipo aveva lavorato come tirocinante in quella clinica
per mesi, conosceva fin troppo bene i comandi. Per prima cosa
avviò la sequenza di diagnosi, in questo modo ogni problema
relativo agli innesti sarebbe stato rilevato, dopo circa una decina di
minuti comparve nel monitor la fonte del problema che impediva a Soraya
di parlare: un errore di codice nell'istallazione del chip multilingue,
il quale permetteva di capire e parlare diverse lingue senza averle mai
imparate, un'invenzione sorprendente, venuta molto prima dell'arrivo
del ragazzo alla CyberLink, ma la cosa ancor più sorprendente
è che questo chip permetteva di capire intuitivamente differenti
linguaggi di programmazione e decrittare codici in maniera istantanea
conoscendone la chiave. Un interessante, quanto sorprendente
potenziamento su una ragazza come lei. Questo potenziamento andava a
formare un alquanto bizzarra combinazione con l'altro che Gin aveva
avuto modo di notare la notte precedente. Non si pose comunque domande,
far tornare la voce a quella strana ragazza era decisamente più
importante, e pensò che una volta riacquistata la parola avrebbe
potuto rispondere a tutte le sue domande, quantomeno per sdebitarsi. A
quel punto accedette al codice del chip multilingue della ragazza, la
riparazione automatica del codice non era in funzione, probabilmente
per via della parte danneggiata dello stesso, ma prima che potesse
valutarne la gravità righe di codice stranamente sconosciute al
ragazzo iniziarono a scriversi da sole, Gin provò ad arrestare
più volte il programma, ma la sua tastiera era stata esclusa, il
cuore gli batté più forte in petto mentre stava valutando
la situazione, il suo sguardo rivolto verso il basso:
"Che diamine sta succedendo?" si chiese con l'ansia e la preoccupazione
che lo stavano assalendo come se fossero tigri affamate, mentre stava
riflettendo una nuova finestra si aprì sul monitor, questa volta
comparve qualcosa di ben diverso dal solito linguaggio di
programmazione: nella nuova finestra si avviò, infatti, un
video. Il ragazzo alzò lo sguardo e lo fissò attentamente
rendendosi conto di non poter fare altro: le immagini mostravano una
visione in prima persona, probabilmente di un bambino data l'altezza,
apparentemente una famiglia felice composta in totale da quattro
persone, non era facile determinare dove vivessero, probabilmente in un
piccolo appartamento di una grande città, d'un tratto la loro
pace fu bruscamente interrotta, diversi uomini piombarono nella stanza,
avevano delle tute militari grigie ed il volto coperto da una maschera
con delle lenti gialle, la persona dai cui occhi si vedevano le scene
venne presa da uno di questi e portata via, mentre i lunghi capelli
neri del bambino offuscavano sempre più la visuale fino a che
questa fu completamente offuscata, poi il buio, due rumori sordi che si
udirono in lontananza. Gin per un attimo si preoccupò che
qualcuno venisse a controllare per i rumori che stavano provenendo
dalla stanza, però l'impianto audio era anch'esso in balia dello
strano fenomeno che interessava il macchinario e non poté fare
nulla.
Quindi riprese la visione, quando gli occhi si riaprirono il ragazzo
notò che era avvenuto un cambiamento radicale, ora i capelli
della persona che guardava erano più lunghi e visibilmente di un
altro colore: verdi, come quelli di Soraya, da lì il giovane
intuì che quello doveva essere probabilmente un sogno della
ragazza, il tutto aveva ancora meno senso, era una cosa mai successa.
Il sogno proseguì, era totalmente ambientato in una struttura i
cui interni erano totalmente ricoperti di bianco, la ragazza veniva in
continuazione legata ad una sedia al che perdeva i sensi e si
risvegliava in delle stanze completamente vuote e bianche, il tutto
scandagliato da momenti di buio. Ad un tratto però il sogno si
interruppe bruscamente, tutto diventò nero ed i suoni che fino
ad un istante prima erano percettibili scomparvero. La finestra del
video si chiuse, e al suo posto ricomparve nella linea di comando una
nuova scritta:
"Riparazione terminata con successo", il ragazzo terminò il
programma il più rapidamente possibile, non appena ebbe
scollegato la ragazza dal macchinario, che ancora continuava a dormire,
nel monitor comparve un'insolita immagine: su sfondo nero, due occhi
verdi ed una bocca, verde anch'essa serrata in un ghigno malefico, e
sotto una scritta:
"Grazie".
A Gin non ci volle molto per capire che, nel chip della ragazza era
stato impiantato un qualche virus informatico, probabilmente questo si
era rimosso dal chip della ragazza, ma doveva fuggire, se lo avessero
preso come minimo lo avrebbero arrestato, dato che la clinica aveva
collegamenti diretti con tutta la città, tra cui la CyberLink e
di conseguenza aveva potenzialmente infettato un quarto dei computer in
città, e soprattutto perché in quella città erano
i soldi a dettare legge, e farsi nemica anche solo una delle diverse
industrie che la popolavano poteva significare una condanna a morte,
bene, lui le aveva provocate tutte contemporaneamente.
Prese la ragazza in braccio e si avviò verso l'uscita mentre
all'interno della clinica i computer e i macchinari smettevano di
funzionare e gli ologrammi impazzivano, in un certo senso fu facile
fuggire in quel caos. Posò la ragazza nei sedili posteriori
della propria auto, salì a bordo, accese il motore e
partì, non mancando però di notare Sasha che era appena
uscita dalla clinica e lo stava fissando con uno sguardo accusatorio. I
due si fissarono per un breve istante, poi l'auto superò la
donna svanendo tra i palazzi.
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