Qualcosa in più

di laevanda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Linda ***
Capitolo 2: *** Linda ***
Capitolo 3: *** Linda ***
Capitolo 4: *** Linda ***
Capitolo 5: *** La Narratrice (Onnipresente) ***
Capitolo 6: *** Linda ***
Capitolo 7: *** Linda ***
Capitolo 8: *** Linda, Linda, Linda ***
Capitolo 9: *** Who? ***
Capitolo 10: *** - ***



Capitolo 1
*** Linda ***


- Linda -

Enea è passato a prendermi puntuale con il suo scooter malridotto e traballante, inadatto per portare una persona, figuriamoci due. Mi sono stretta a lui per tutto il breve, ma intenso, tragitto: durata minima ma passando per una scorciatoia che il mio migliore amico ha dichiarato ci avrebbe "salvato dall'opprimente traffico del centro", che, nel caso del mio paese, corrisponde a nullo tutto l'anno. Così, in questo pomeriggio di inizio aprile, siamo passati tra boschi e campagne con buche, dossi, discese scoscese e pietre pericolose.

"Siamo arrivati, no?" Enea si toglie il casco e mi invita a porgergli il mio, che ripone nel bauletto del sellino. Preferisce tenere il suo al braccio e passeggiare portandoselo sempre dietro. Gli dà quell'aria da motociclista ribelle, dice. Ho smesso da tempo di provare a fargli capire che maglioncino di pile e Salomon ai piedi non possono sparire solo portandosi dietro un casco.

Enea è il mio migliore amico da tutta la vita. È la tipica storia di due bambini nati a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro e con i genitori molto amici. Siamo cresciuti insieme. E anche quando si è trasferito in campagna perché suo padre voleva aprire una piccola fattoria siamo rimasti amici.

Oggi mi ha portato in un parco lontano qualche chilometro da casa mia. Si tratta di uno di quei parchi molto ampi, delimitato dal bosco a sinistra e da un centro commerciale a destra. È incredibilmente gremito di persone. C'è anche la TV locale. È in atto da qualche ora una protesta pacifica contro l'abbattimento di una parte del bosco per costruirvi un'area da skate. Sembra di stare in un film: hippie con lunghi rasta e vestiti colorati legati agli alberi, altri che urlano armati di cartelloni contro il gruppo di skater che li guarda più annoiato che arrabbiato.

"Eccola, è lì." Enea mi trascina in mezzo alla folla incuriosita fino all'altalena del parco giochi. In piedi, a braccia conserte, sta Brigitta Orlando, un vero personaggio. È una delle ragazze più conosciute in città. Un controsenso vivente: nonostante la sua etica la porti ad odiare chi vuole prevalere sugli altri, nell'idilliaco spirito hippie di libertà e uguaglianza, tutto ciò che fa non fa che metterla in mostra. Fa volontariato alla casa di riposo, fa la dog-sitter gratuitamente perché "le sta più a cuore la felicità di un animale piuttosto che i soldi", partecipa a tutta le manifestazioni della provincia, ha imposto a scuola l'utilizzo unicamente di borracce per evitare lo spreco di plastica. È anche vegana.

Ad accentuare la sua fama c'è anche il suo aspetto esteriore. Sembra un angelo con i lunghi capelli mossi e i vestiti della Caritas.

Da qualche settimana a questa parte Enea si è preso un gran cotta per questa animalista incallita. Più o meno da quando lei, dopo averlo rimproverato per aver buttato l'involucro dei cracker nel bidone della carta, si è complimentata per il suo maglioncino "vintage" (probabilmente ereditato dal bisnonno). Enea, come mi ha raccontato qualche minuto dopo l'accaduto, ha risposto balbettando un "Grazie", al quale lei ha sorriso. Un sorriso che folgora. Il giorno seguente Enea si è avvicinato con una scusa terrificante. All'intervallo ha picchiettato sulla sua spalla e le ha chiesto dove dovesse buttare il brick del succo alla pera. E così ha continuato per un paio di giorni, fino a che lei ha appeso delle liste con le cose da buttare negli appositi contenitori. Privato dell'unico stupido espediente per poterle parlare, Enea ha iniziato una specie di stalking ossessivo su tutti i social network, il ché ci ha portati qui, ad una manifestazione.

Una volta raggiunta l'altalena ci troviamo davanti un vero e proprio spettacolino: incuranti dei bambini che aspettano in fila per poter salire sull'unica altalena rimasta, Brigitta ed un ragazzo stanno discutendo. O meglio, Brigitta discute animatamente e teatralmente con un giovane ragazzo dai capelli neri che si guarda le punte delle scarpe, seduto sull'altalena. So di averlo già visto da qualche parte ma non saprei associare un nome al suo volto.

In questo momento sembra essere su un altro pianeta, su un'altra galassia. Mantiene un'espressione totalmente indifferente mentre la Grande Brigitta si congratula con lui per la sua scelta di muoversi in skateboard. Brigitta sta elencando tutta una serie di motivi per cui lo skate è un ottimo mezzo di trasporto eco-sostenibile. Si accorge di noi quando arriva al punto 5: tutti possono creare uno skateboard con una tavola di legno e delle rotelle.

Il viso di Enea si apre in un sorriso che gli tocca pure le sopracciglia. Saluta, sognante, "Ciao Brigitta."

La ragazza ricambia debolmente il saluto, però decide di presentarsi.

"Ciao, cara! Io sono Brigitta."

"Piacere, sono Linda. Andavamo all'asilo insieme."

Mi scruta per qualche secondo e scuote con gran vigore la testa. "No, no, proprio non mi ricordo di te!". Ha delle maniere davvero teatrali.

"Come sta andando la manifestazione?", domanda Enea in evidente ricerca di attenzione. Brigitta mostra nuovamente il suo affascinante sorriso. "Bene, bene, bene! Sono sicura che riusciremo ad avere la meglio. È totalmente ingiusto, sapete? Stavo appunto dicendo a...", si morde il labbro cercando di ricordarsi il nome del suo interlocutore di qualche momento prima.

"Jeff."

"Giusto. Stavo appunto dicendo a Jeff quando io apprezzi lo skate. Davvero! Lo apprezzo davvero! Tutti dovrebbero muoversi in skate. Si risparmia e il Pianeta non soffrirebbe così tanto. Comunque, io apprezzo lo skate. Però non qui. O meglio, perché togliere spazio a questi incredibili alberi che ci permettono di respirare quella poca aria buona che ci è rimasta per.. per cosa? Per un'area di skate? Esiste la strada per andare in skate."

"Non è proprio lo stesso.", risponde il misterioso ragazzo. Ha una voce profonda ed ha alzato il volto per poter fronteggiare Brigitta.

"Come scusa?", Brigitta abbassa le mani che poco prima stava agitando, presa dal discorso.

"Ho detto: non è proprio lo stesso. Una cosa è andare in skate, un'altra è fare trick e tutto il resto. È un vero sport. Va beh, lascia perdere." Si alza e rimango stupida dalla sua altezza. Ha delle gambe lunghe ma non è così alto come lo immaginavo.

"Io vado dai miei amici." Fa per andarsene ma posa una mano sulla mia spalla. "Ci si vede", saluta il gruppetto in generale ma guarda me negli occhi.

Non facciamo in tempo a ricambiare il saluto che accelera il passo e sparisce tra la folla. Un bambino paffuto si precipita sull'altalena finalmente libera.

"Che tipo strano. E maleducato, per giunta.". Brigitta si alza sulle punte dei piedi e guarda con il naso all'aria lo spazio intorno. "Venite, vi presento i miei amici."

Sta attenta a non superarci mai durante il breve tratto, cerca di rimanere al passo con noi anche se non parla. Sento che sta canticchiando una canzoncina. Enea posa lo sguardo un po' sull'erba, un po' sulla ragazza alla mia sinistra. Forse un po' più di quanto è consentito per evitare di essere colto in flagrante.

A questo punto siamo tornati nel centro della manifestazione. Raggiungiamo un gruppo di ragazzi seduti per terra intorno ad un albero. Brigitta li saluta con grande entusiasmo, come se non li vedesse da giorni. Dopo di che si allontana lasciandoci impreparati e leggermente in imbarazzo (eufemismo). Ricompare, tuttavia, pochi secondi dopo in compagnia di una ragazza dai capelli biondi che tiene in mano un foglio e una penna.

"Posso chiedervi di firmare, ragazzi?"

Io ed Enea accettiamo silenziosamente, anche se la mano di Enea scatta fulminea per prendere la penna. Io voglio bene ad Enea, però non posso non constatare quanto i suoi comportamenti sfocino nell'imbarazzo. La cosa peggiore è che Brigitta non lo degna nemmeno di uno sguardo.

Interrompendo i miei pensieri, Brigitta riprende l'uso della parola e inizia a stilare una serie di nomi: Xu (tizio asiatico con cappello), Mattia (legato ad un albero), Lucia (con delle amabili lentiggini), Anna (capelli blu) e tanti altri. Ovviamente Brigitta non si ricorda i nostri nomi e ci guarda, una volta finite le presentazioni, spronandoci a presentarci a nostra volta.

"Io sono Enea e lei è Linda."

"Enea è un bellissimo nome!" quella che dovrebbe chiamarsi Cristina si avvicina e prende il volto del mio migliore amico tra le mani. "È un nome d'onore. Adatto a te.", sorride mostrando una piccola fessura tra i denti.

"Grazie", visibilmente scosso, Enea cerca di liberarsi.

Il resto del gruppo ci sorride o alza una mano per fare un cenno. Nessuno si dimostra particolarmente interessato, noto. Il nostro chaperon si gira e inizia a parlare con la ragazza del foglio. Quest'ultima emette un gridolino di sorpresa e le due si allontanano, a braccetto.

È imbarazzante. È imbarazzante stare in piedi davanti ad un gruppo di ragazzi che non mostra il minimo interesse per te, estraneo. Hanno ripreso immediatamente a fare quello che facevano prima, che nel caso di molti era niente, altri fanno su delle sigarette. Ciò che non fanno è provare a interagire.

Io, che sono una persona timida, non potrei iniziare una conversazione. Enea si è imbambolato guardando la sua amata allontanarsi all'orizzonte. Che fare, dunque? Prendo Enea per il gomito e lo trascino via, mormorando un "Ciao" che probabilmente nessuno del gruppo avrà udito.

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Capitolo 2
*** Linda ***


-Linda -

"Perché?" Enea si libera della mia presa non poi così forte solo una volta arrivati al motorino.

"Perché cosa?"

Mi guarda con lo sguardo corrucciato. "Perché mi hai trascinato via così? Non ho nemmeno salutato Brigitta. E perché quella faccia ora?"

"Quale faccia?"

"Guardami negli occhi, Linda."

"Stavo pensando", porto involontariamente una mano al mento, assumendo una posa che fa sorridere Enea.

"E a cosa stai pensando?"

A cosa sto pensando, esattamente? Non saprei dire. Gli ultimi quindici minuti sono stati strani. Però il centro dei miei pensieri in questo momento è Brigitta. E quindi, direttamente collegato, Enea. Mi dispiace vedere Enea soffrire e se attualmente non sta soffrendo (guardatelo, si è chinato per controllare la sua adorata moto), lo farà presto. Ne sono sicura. Non ho una così grande esperienza in amore, come nemmeno ce l'ha Enea, ma la sua cotta per quella ragazza non porterà a nulla. Una volta, in prima media, Enea aveva iniziato a sedersi vicino a una giovincella dalle grossa sopracciglia scure sull'autobus. Ricordo il leggero fastidio che provavo vedendoli vicini, anche se non è che facessero granché. Stavano semplicente vicini: lei guardava fuori dal finestrino e lui guardava lei. All'epoca non capivo quale strana immatura emozione stesse provando il mio amico per quella ragazzina dalle sopracciglia folte. Pensavo che si fosse stancato di me. Un giorno non andai a scuola perché dovevo fare una visita; quello stesso pomeriggio Enea bussò alla mia porta e si precipitò in casa con la cartella sulle spalle e gli occhi lucidi. Scoppiò a piangere in corridoio. Per fortuna mio fratello maggiore era rintanato in camera al piano superiore e non sentì nulla. Il pianto di Enea durò sì e no dieci secondi. Finito di piangere si asciugò il suo viso ancora da bambino e le gote rimasero rosse rosse. Non sapendo cosa fare né cosa dire (avevo undici anni) gli tirai un pugno sul braccio. Al ché scoppiò a ridere e mi unii anch'io, ridendo in una maniera infantile e tremendamente acuta. Scoiattolo, la ragazzina così da me soprannominata (indovinate perché), si era seduta vicino ad un altro.

Ho paura che la storia possa ripetersi. Brigitta potrebbe essere la nuova Scoiattolo e andare a sedersi vicino ad un altro. Soltanto che questa volta non si potrà sistemare con un pugno sul braccio e un gelato.

"Voglio aiutarti", dichiaro alzando il mento con fare vittorioso.

"Aiutarmi con la marmitta? Non sei proprio la più esperta, Linda", scherza Enea ancora piegato.

"Ma no, ma no. Voglio aiutarti con Brigitta."

Il mio amico si alza di scatto.

"E come?"

"Ah, questo non lo so. Ti va un gelato? Offro io."

 

Seduti su una panchina, impegnati a mangiare il gelato (lui fragola e cioccolato, io pistacchio e nocciola), restiamo zitti per un po', fino a quando Enea ingoia l'ultimo pezzettino del cono (io non sono nemmeno a metà) e mi guarda, pensieroso.

"Mi sa che ho bisogno d'aiuto. Con Brigitta, intendo."

"Perché non le chiedi di uscire?"

Si strofina le mani sulle ginocchia. Lo fa sempre quando è preoccupato.

"Mi direbbe di no, con molta probabilità."

"Non è detto. Deve solo conoscerti meglio." Non lo dico soltanto perché è il mio migliore amico. Nonostante tutti i suoi difetti, è una bella persona.

"E se non volesse conoscermi?"

"È un'animalista, accetterà per pietà di un cucciolo d'uomo come te."

Scoppia a ridere mentre io finisco di mangiare il gelato.

"Andiamo."

"Dove?", mi chiede mentre si alza in piedi.

"Andiamo a far pietà a Brigitta."

 

Ritorniamo al parco circa un'oretta dopo. Molte persone sono andate via. Rimangono tutta la truppa di Brigitta e la fazione nemica, gli skater. Il ragazzo misterioso, Jeff, mi fissa. Non esagero, mi fissa con i suoi grandi occhi scuri e l'espressione perennemente indifferente. Lo fisso di rimando passandogli davanti e lui solleva in modo quasi impercettibile le labbra. È strano.

Il gruppo di amici di Brigitta non si è spostato. Li troviamo tutti seduti a parlottare e a fumare. Tutti tranne Brigitta, ovviamente. Quest'ultima solleva la testa proprio mentre ci fermiamo davanti a loro. Sorride senza mostrare i denti.

Cristina, la ragazza con la fessura tra i denti, ci saluta sbracciandosi e ci invita a sederci vicino a lei. Un po' delusi (entrambi; immaginavo un maggiore interesse) e ancora piuttosto imbarazzati, ci sediamo tra le radici di un grosso albero.

"Come stai?" chiede Enea toccandogli il braccio. Noto Enea sussultare. Enea non è il tipo di persona che rifugge dal contatto fisico, anzi, l'ho visto spesso abbracciare e essere abbracciato senza problemi (anche con chi conosce), ma per qualche ragione rifugge dal contatto di Cristina. Probabilmente preferirebbe ricevere la stessa attenzione da un'altra persona.

"Allora, Brigitta, com'è andata la manifestazione? Sapete qualcosa?", domando alzando la voce per farmi sentire. Se Enea otterrà un appuntamento mi dovrà chili di gelato, altroché.

"Bene, ma non benissimo".

"Abbiamo raccolto molte firme, è vero. Ma non sappiamo se siano sufficienti per bloccare la costruzione. " mi risponde Xo, il ragazzo asiatico. Tutto il gruppo annuisce, palesemente deluso.

"Non si può proprio fare niente, quindi?" chiede Enea, spostandosi di qualche centimetro da Cristina.

"Non sappiamo. Vedremo come andrà domani."

"Ancora qui a protestare?"

"Sempre qui a protestare", sorride Brigitta e sorridono tutti. Probabilmente è il loro motto.

"Ora è meglio se andiamo", Brigitta sollecita il gruppo e tutti si alzano, obbediendo silenziosamente al consiglio-ordine della ragazza. Ci salutano gentili e se ne vanno piano piano tutti.

"Devi chiederglielo." sussurro al mio amico nell'orecchio.

"Brigitta...", inizia tentennante Enea.

Lei si sistema la borsa a tracolla sulle spalle, spostando con la mano i capelli dietro le spalle. "Dimmi,..."

"Enea"

"Giusto"

"Pensavo... vorresti uscire con me?"

"Adesso?", sorride beffarda.

"Non adesso, no" risatina di disagio "Magari domani?"

"Guarda, non saprei..."

Accidenti.

"Vengo anche io, Brigitta! Enea intendeva: vuoi uscire con noi?", intervengo in soccorso del mio amico. Non è la migliore soluzione, ma meglio di un "no" secco.

"Ah, allora... va bene, suppongo. Decidiamo bene domani, va bene? Ora devo proprio andare. Ciao.", scappa via.

Enea la guarda allontanarsi e mi rivolge subito dopo uno sguardo di rimprovero. "Hai visto? Te l'ho detto! Non ci vuole uscire con me!"

"Ma ha detto di sì"

"Ha detto di sì perché gliel'hai chiesto tu. E poi... non so, io..."

"Cosa?"
"Non è un po' strano, così? Uscire noi tre.. È strano, ecco."

"Troverò qualcuno per non fare il terzo incomodo!!"

"E chi?"

EH.

"Esco io con lei", risponde una voce dietro le nostre spalle. Una voce così roca e imprevedibile.

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Capitolo 3
*** Linda ***


-Linda-

"Esco io con lei", risponde una voce dietro le nostre spalle. Una voce così roca e imprevedibile. Veramente imprevedibile. Io non conosco questo ragazzo. È alto quanto me e ha dei folti ricci neri, tantissimi, e ipnotizzanti occhi verdi.

"Ti conosco?"

"Non ne ho avuto il piacere. Sono Nicolas. Scusate, ho ascoltato la conversazione. Dovrei dire che non era mia intenzione ascoltare, ma lo era. Me ne sarei andato, altrimenti, non vi pare?"

"Ha la sua logica, amico" Enea, dopo averci pensato un attimo, annuisce e gli si avvicina per stringergli la mano.

"Resta il fatto che non ti conosco".

"Nemmeno io ti conosco, bambolina. Conosciamoci!"

Enea, che lo sovrasta di almeno quindici centimetri, gli batte una pacca amichevole sulla spalla.

"Sei un grande, però direi che ti puoi levare ora". Enea mi trascina via da quel ragazzo strano.

Tiro un sospiro di sollievo.

"Quello è un fattone, Linda. Credimi."

"Aveva un odore stranissimo, poi. Tipo di cipolla."

Enea mi lancia uno sguardo eloquente, che però non capisco.

"Cosa?"

"La piccola Linda ha scoperto l'odore dell'erba. Oh mia piccola Linda!", mi abbraccia ridendo.

È ormai sera. Dopo lo strano incontro con Nicolas, Enea mi ha riaccompagnato a casa. Ho fatto una doccia e cenato con la mia famiglia. Ora sono sul letto facendo zapping, sono indecisa tra uno dei soliti programmi che seguono il dimagrimento di persone oltre i 200 chili o un film d'amore. Sono entrambi deprimenti. La vibrazione del telefono appoggiato vicino al mio fianco mi distrae.

Enea:

"Le ho chiesto l amicizia"

Io: "è fantastico, ha accettato?"

Enea: "Non ancora, sarà occupata con la manifestazione o altro"

Io: "Sicuramente, quando gliel'hai inviata?"

Enea: "Quasi tre ore fa"

Io: "Accetterà

Altrimenti passa a Instagram"

Enea: | dita incrociate |

Alla fine opto per la commedia romantica. A metà sono già addormentata.

Il citofono suona una, due, tre volte, iniziando a innervosirmi. È Enea che è passato a prendermi. Stiamo andando al Centro, il centro commerciale vicino al parco della manifestazione. Non ci sono molti negozi e tra i pochi ben tre riguardano il giardinaggio e la coltivazione (abitiamo circondati dalla campagna), però al piano superiore c'è un'area per mangiare che offre varie scelte: pizza, Mc Donald's, kebab e anche un ristorante cinese. È il luogo ideale per i giovani. Per come è strutturata l'area i tavoli rimangono al centro e così i gruppi grandi di persone possono sedersi, ordinare in posti diversi ma mangiando tutti insieme. Sul lato sinistro c'è, inoltre, una piccola sala giochi.

Il Centro non è molto pieno, sarà l'ora. Sono quasi le otto e mezza e considerato che è domenica, molte persone sono a casa per riposarsi qualche ora prima di rincominciare la settimana. In realtà, io e Enea avevamo deciso di andare in una paninoteca vicino al cinema. Brigitta (che nel frattempo ha accettato la richiesta di amicizia del mio amico) ha scritto e ha chiesto di incontrarci al Centro. Enea ha accettato con grande entusiasmo ancora prima di chiedermi una conferma.

C'è un problemino e tale problema è che io non ho un accompagnatore. Nessuno, no one. Ho chiesto a diverse mie compagne di classe ("Domani c'è scuola!!!"); a mio cugino, ma era impegnato; a mio fratello che ha rifiutato nonostante la mia offerta di pagargli la cena; ad un certo punto ho anche pensato di chiedere alla mia vicina di casa però ha sempre un odore strano e ho cambiato idea. C'è anche da dire che non sono proprio priva di un piano: passati cinque minuti mi alzerò facendo finta di parlare al telefono, tornerò al tavolo con una faccia dispiaciuta e dirò che una mia amica non può raggiungerci e che invece andrò a trovarla visto che non abita lontano. Uscirò, prenderò la corriera e tornerò nella mia casettina adorata. Ovviamente Enea non lo sa, altrimenti mi constrigerebbe a restare.

Saliamo e prendiamo un tavolo abbastanza isolato, vicino ai bagni.

Enea si sistema il colletto della camicia che fuoriesce dal maglioncino. Non sembra in ansia, a differenza di me che tremo all'idea di dovermi inventare una scusa. Il mio braccialetto sul polso destro è diventato il mio anti-stress.

"Arriva", Enea guarda in direzione delle scale mobili. Brigitta si ferma e guarda il cellulare, alza lo sguardo, ci trova tra le poche persone sedute ai tavoli (non più di una quindicina) e si dirige verso di noi, sempre guardando il cellulare. Si lascia cadere sulla sedia e accenna un sorriso, facendo scivolare il cellulare nella tasca del giubbotto che in seguito si toglie e appoggia sulla sedia.

"Come stai?", domanda frettolosamente Enea.

"Sono stanchissima, aiuto. È stata una giornata es-te-nu-an-te. Oggi è venuta ancora più gente e ci hanno addirittura intervistato, eravamo così in imbarazzo!", ride, "Non sapevamo nemmeno chi dovesse parlare! Alla fine ha parlato Xo, è il più bravo in queste cose..." continua il suo discorso Brigitta e parla e parla e parla. In tutto questo Enea non ha aperto bocca se non per dire un "Sì sì" o "Hai ragione" appena sussurato. Non lo riconosco, di solito è lui quello che parla in continuazione. Ha sempre un sacco di cose da dire.

Mi sento un tantino soffocare, la testa mi scoppia. Penso sia dovuto al disagio: nonostante Enea e Brigitta non facciano proprio coppia stasera, io sono il terzo incomodo.

"Vado un attimo in bagno", affermo mentre prendo la borsa e mi alzo.

Mi guardo allo specchio, ho i capelli arruffati e delle spaventose occhiaie sotto gli occhi. Eppure dormo, che io mi stia ammalando? Lavo le mani ed esco. È meglio se metto in scena il teatrino e me ne vado.

Quando guardo in direzione del tavolo e vedo Brigitta con il cellulare in mano mentre mostra qualcosa al mio migliore amico e gli offre una lunga spiegazione mi blocco.

Non ce la faccio. Non riesco a dire le bugie, nemmeno da piccola riuscivo. Mio fratello sapeva di essere nei casini se combinava qualcosa in mia presenza, non avrei mai potuto coprirlo con i nostri genitori.

Cammino lentamente quando sento chiamarmi.

"Hey!", mi volto leggermente a destra e vedo Jeff, lo skater tenebroso. Siede solo al tavolo e mangia delle patatine. Dai vassoi sul tavolo deduco che non sia in compagnia.

"Ciao!", lo saluto e scappo velocemente al mio tavolo.

Brigitta sta spiegando a Enea dove si trova il negozio di antiquariato dove compra i vestiti usati.

Enea mi rivolge uno sguardo veloce, "Abbiamo appena ordinato", mi informa.

"Non mi avete aspettato?"

"La cameriera ha insistito"

"Ah, ok"

"Ma basta che vai al bancone e ordini, con tutta calma"

Resto un attimo in silenzio. Poi ruoto un attimo la testa e vedo Jeff che mi guarda, sorridendo. È ancora solo.

"Io.. credo che andrò.. ciao!"

Affero la giacca e la borsa e corro, letteralmente, al tavolo di Jeff. Mi siedo di fronte a lui.

Mi sorride in una chiara presa in giro. "Tutto bene?", morsica l'estremità di una patatina, si trattiene dalle risate.

"È occupato?"

"In realtà sì"

"Ah..."

"Resta. Resta qui." e lo dice in un tono così convincente da riuscire anche a farmi calmare. "Vuoi?", mi porge il pacchettino.

"No, grazie"

"Dai, nessuno rifiuta questi piccoli pezzi di olio e sale. Sono troppo buoni."

Sorrido impercittibilmente e allungo la mano per prenderne una. Ne prende una anche lui e mastichiamo in sincronia, nessuno dice niente.

"O il tuo amico è davvero preso da quella sapputella o è un pessimo amico"

"Scusa?"

"Dico, per me è più la seconda. Non ha smesso di guardare la ragazza nemmeno per un secondo, nemmeno quando sei scappata via.", Jeff riesce a vedere facilmente Enea dalla sua posizione, mentre io dovrei girarmi per guardare la dolce coppietta.

"Enea non è un pessimo amico. Anzi. E sì, è preso da quella ragazza e io sto concedendo loro un po' di tempo per parlare, discutere, conoscersi."

"Oh beh, di certo lei sta parlando.", sorride sollevando lateralmente le labbra e alzano le soppracciglia con fare buffo. Lo osservo per qualche secondo: ha bagnato il dito e l'ha usato per raccogliere il sale alla fine del sacchetto, ha riportato il dito alla bocca, gustandosi il sapore salato. Ha sbattuto le mani e le ha poi passate sui pantaloni.

"Andiamo?", mi chiede prima di bere l'ultimo sorso del suo bicchierone.

"..scusa?"

"Andiamo a fare un giro?", sistema tutto sul vassoio e si mette la giacca.

"E il tuo amico?"

"Si arrangia, sta parlando da venti minuti con la sua ex, le patatine si sono anche raffreddate."

"Che schifo le patatine fritte fredde."

"Esatto.", sorride sornione, "Allora andiamo? Ho la macchina."

Non so cosa mi spinga ad accettare, non so proprio. Forse i suoi modi così sicuri, forse il suo aspetto che mi attira inevitabilmente. Forse la disperazione, piuttosto che tornare al tavolo...

 

Indosso il giubbotto e lo seguo mentre butta i contenitori del cibo nell'apposito cestino. Lo seguo mentre si dirige verso la porta. Prima di uscire guardo velocemente il tavolo dove è seduto Enea, nemmeno adesso si accorge che me ne sto andando. Esco.

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Capitolo 4
*** Linda ***


-Linda-

 

La macchina di Jeff puzza leggermente di fumo, probabilmente è abituato a fumare al volante. Non è fastidioso, tuttavia. Appena saliti nel veicolo ha tirato giù il finestrino di circa 3 centimetri, entra da quella piccola fessura uno spiffero freddo che mi colpisce la guancia sinistra. Non è fastidioso, comunque. È un po' più fastidioso l'imbarazzante silenzio che si è creato. In parte ciò è dovuto alla musica che riempie la macchina, proveniente da un CD.

Dopo cinque minuti, forse sette ma non di più, parcheggia davanti ad un pub. Un pub irlandese che reca sull'insegna una scritta verde fluo: Sean's. Credo di non esserci mai venuta, nemmeno mai passata davanti, eppure non siamo usciti dalla città.

"Ragazza sconosciuta di cui non so nemmeno il nome.."

"Linda"

"Linda, siamo arrivati."

"Dove siamo?"

Sorride, non mi risponde e scende dalla macchina. Mi appresto a fare lo stesso. Chiude la macchina a chiave e inizia a incamminarsi, incitandomi silenziosamente a seguirlo. Lo seguo anche solamente per non stare da sola in un parcheggio isolato di sera. Seguo la sua camminata traballante, la testa coperta dal cappuccio che balla a ritmo dei suoi passi.

Non so nemmeno perché io abbia accettato.

Quando entriamo il frastuono mi colpisce, letteralmente, allo stesso modo in cui il calore della casa ti accoglie dopo una giornata fredda. È un rumore composto da tante voci, tanti suoni: i signori che ridono per una battuta di dubbi gusti, altri che imprecano per una perdita alle carte, i bicchieri che ricadono sul tavolo, le sedie trascinate sul pavimento. L'atmosfera è calda, accogliente, e per un attimo dimentico di essere in un pub in compagnia di uno sconosciuto. Quest'ultimo mi tocca la mano impercettibilmente, invitandomi a seguirlo ancora un po', fino ad un angolo nascosto. Si lascia cadere sulla panca rossa e io sto bene attenta a sedermi quanto più lontano possibile.

Lo fisso, in attesa di una minima spiegazione. Okay, siamo qui. E cosa facciamo? Do voce ai miei pensieri ma ignora le mie domande, sollevando le spalle ed esprimendosi in una smorfia, arricciando le labbra.

"Ti va qualcosa da bere?", chiede, invece.

Le mie sopracciglia si sollevano spontaneamente per lo stupore. Questo è pazzo.

"Una birra?"

Incrocio le braccia al petto in una posa stizzita.

"Sei più tipo da vino? O da cocktail spacca-fegato? Non credo li servano qui."

"Un bicchiere d'acqua va più che bene."

In questo momento mi concederei un bicchierone di vino, ma non è il caso. Primo, non ho mangiato. Secondo, dovrò essere lucida per quando dovrò chiamare qualcuno per riportarmi a casa (il ché avverrà molto presto).

Approfitto del fatto che Jeff sia andato a ordinare al bancone per controllare il telefono. Sono le nove. Nessun messaggio da Enea.

"Il tuo amichetto s'è fatto vivo?", domanda Jeff sedendosi, questa volta cambia posto preferendo sedersi più vicino a me. Appoggia il boccale di birra e il mio triste bicchiere d'acqua sul tavolo.

"No."

Prende un sorso della sua birra e scuote la testa.

"Quella lì, quella Brigitta, è una pazza."

"Tu la conosci?"

"Siamo vicini di casa, più o meno."

"Cosa significa più o meno?"

"Significa che siamo vicini di casa, più o meno."

"Dovreste andare d'accordo, allora."

Mi guarda perplesso.

"Fate una bella coppia di pazzi."

Incassa la frecciatina annuendo con la testa, ad indicare che non gli ha fatto né caldo né freddo.

Il suo telefono suona e lui lo prende dalla tasca della felpa. "Stiamo arrivando", legge ad alta voce.

"Chi sta arrivando?", prendo anche io un sorso d'acqua.

"Due miei amici"

Rabbrividisco e mi vengono in mente tutti gli scenari possibili. Tre ragazzi e una ragazza indifesa...

Jeff dev'essersi accorto del mio timore, avvicina lentamente la testa e mi sussurra nell'orecchio: "Non ti mangiamo." Non mi rassicura, anzi, mi mette ancora più ansia.

Scrivo velocemente un messaggio a mio fratello.

Dove sei?

Perché?

Potrei essere in pericolo.

???

L'arrivo di due ragazzi mi distrae. Uno ha la mia età, ne son sicura. L'ho visto spesso a scuola. L'altro sembra più grande.

"Deh, fra, aspettare no, eh?" esclama il primo.

Jeff, alla mia sinistra, sbuffa. "Ci stavi mettendo troppo"

"Stavo parlando con Ilenia!!"

"Da quaranta minuti"

"Ne saran passati 15, dai. Si è sistemato, comunque, mi dà una seconda opportunità"

Il ragazzo più grande gli tira un pugno sul braccio e dice: "Basta mò. Non interessa a nessuno."

Jeff solleva il boccale in segno di approvazione.

"Io sono Jean Baptiste", si presenta il ragazzo più piccolo, porgendomi una mano ossuta e rugosa.

"Linda"

"Io sono Carlo"

"Detto «Il maialotto»", scherza Jeff.

Sorrido e stringo la mano anche a lui. La sua è molto più cicciotta e grande.

Iniziano a parlare e a scherzare tra di loro, tirandosi lievi sberle. Carlo ha la tendenza a battere il pugno sul tavolo quando ride. Faccio fatica a seguire i loro discorsi, parlano di persone e luoghi che io non conosco, ma vengo presto coinvolta dal modo buffo di raccontare di Jean Baptiste. I suoi occhiali tendono a traballare quando ride e i grandi occhi azzurri scompaiono del tutto.

Ad un certo punto il televisore nell'altra sala si accende, trasmettendo una partita di calcio inglese. Jean Baptiste mette una mano sul cuore e inizia a cantare l'inno britannico. A quel punto io scoppio a ridere, mentre gli altri due iniziano a tirargli addosso delle patatine che hanno ordinato poco fa.

"E pensa che non è nemmeno sbronzo", mi sussurra Jeff all'orecchio. La sua voce mi provoca un veloce brivido che mi percorre tutta la schiena.

Mi accorgo del mio telefono che squilla solo dopo alcuni minuti, tanto da perdere la chiamata. È di mio fratello. La notifica della chiamata persa appare sullo schermo insieme alla notifica di 4 messaggi sempre da lui.

Ohi

Pericolo come

Linda

LINDA

Lo richiamo e le prime parole che mi rivolge sono "Linda, razza di d...... Dove sei?"

"Sono ad un pub"

"Perché mi hai detto di essere in pericolo???"

"Storia lunga"

"Ti vengo a prendere"

Guardo i tre ragazzi seduti al tavolo, stanno continuando a ridere. Mi dispiace andare, però sono anche stanca.

"Va bene, pub Sean's"

"Lo conosco, sono lì in tre minuti"

Indosso il giubbotto, azione che attira l'attenzione di Jeff.

"Te ne vai?"

"Sì, viene mio fratello"

Annuisce. "Potevo riportarti io, se me lo chiedevi".

L'avrebbe fatto? Avrebbe lasciato i suoi amici per riaccompagnare me?

"Va bene così, dimmi quanto ti devo per l'acqua"

"Non mi devi niente. È acqua del rubinetto, non la fanno pagare nulla"

Mi alzo e lui si alza con me.

"L'accompagno fuori", informa i suoi amici che mi salutano gentilmente.

La macchina di mio fratello è già qua davanti al locale, mi avvicino a grandi passi. Solo una volta arrivata alla portiera mi giro per salutare Jeff. Ha tirato fuori una sigaretta e la sta accendendo. Solleva una mano per salutarmi quando io salgo in macchina.

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Capitolo 5
*** La Narratrice (Onnipresente) ***


Ore 23:08. Il cielo è scuro, coperto da nuvole che minacciano pioggia, la temperatura è bassa, le strade vuote. I tre quarti dei cittadini stanno ora dormendo o per lo meno stanno cercando il miglior lato su cui girarsi per addormentarsi. Il lunedì (e la settimana che subito vi segue) sono vicini.

Qualcuno, tuttavia, non dorme.

 

Non dorme il ragazzo dai capelli neri seduto ancora al pub con i suoi amici. È alla seconda birra della serata, presumibilmente l'ultima, e guarda la partita trasmessa sul televisore senza davvero guardarla. L'immagine di due occhi scuri nascosti da una frangia troppo lunga gli ritorna in mente costantemente.

"MA hai visto?" esclama Carlo, battendogli una mano sulla spalla. Si riferisce al goal inaspettato alla fine della partita. Tutto il pub, i pochi rimasti, esultano pur non essendo tifosi di quella squadra in particolare. L'azione era troppo bella. Ma Jeff non è tipo da calcio e non avrebbe esultato nemmeno se fosse stato attento.

Annuisce prendendo un sorso dal suo boccale.

"Vado a casa, mi sa.", prende il portafoglio dalla tasca posteriore dei suoi jeans e ne tira fuori una banconota da dieci euro che posa sul tavolino vicino al portacenere. Ritirato il portafoglio, prende il pacchetto di sigarette, ne estrae una che porta alle labbra e si alza, salutando gli amici in un mormorio ostacolato anche dalla sigaretta.

Accende la sigaretta solamente una volta entrato in macchina; mette in moto e ispira a lungo. Quando butta fuori il fumo, inclinando leggermente la testa verso l'alto, Jeff si ritrova a pensare nuovamente a quegli occhi e al modo per rivederli.

 

Non dorme nemmeno la proprietaria di quegli occhi marroni. Ha passato dieci minuti nel disagio, il fratello l'ha accompagnata a casa senza rivolgerle alcuna attenzione oltre ad un'occhiata di rimprovero, rimprovero per averlo fatto uscire. E preoccupare, certo. Accucciata sotto le coperte del suo morbido letto, guarda la sveglia sul comodino, illuminata dalla debole luce di una piccola abatjour. Due pensieri le affollano la mente: perché si è sentita triste quando è uscita dal pub? Perché Enea non si è fatto ancora sentire? Decisa ad ignorare la prima domanda ma desiderosa di trovare una risposta alla seconda, pur non nutrendo la vera intenzione di contattare il suo migliore amico per prima, Linda si lascia cullare dal mare agitato dei suoi pensieri. Spegne l'abatjour e chiude gli occhi.

 

Anche la mente di Enea è piena di pensieri, tutti facilmente riconducibili ad una persona: che bella, che bel sorriso, mi ha sorriso, aveva un buon profumo. Pensieri sciocchi di un immaturo innamorato, la cui capacità di tornare sulla Terra Ferma (e alla migliore amica) è offuscata dall'assillo di un dolce volto.

 

Buonanotte.

 

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Capitolo 6
*** Linda ***


-Linda-

Mio padre è il mio autista personale. Iniziando a lavorare alle 8, si offre spesso di darmi un passaggio, nonostante la scuola non disti che pochi chilometri. Anche questa mattina decide di accompagnarmi. Arriviamo leggermente in ritardo rispetto al solito, tanto che tutti gli altri studenti sono già entrati. Avrei voluto approfittare dei momenti prima del suono della campanella per parlare con Enea. Pazienza, lo prendo come un segno del destino.

Arrivo in classe e trovo la mia compagna di banco seduta, con la schiena appoggiata al muro e le gambe su quella che sarebbe la mia sedia.

"Ciao Alice!", la saluto. Sorrido notando la sua maglia con il personaggio di One Piece. Ha i capelli raccolti in una coda alta e gli occhiali ritti sul naso.

"Ciao amica", toglie le gambe dalla sedia permettendomi di sedermi, "Scusa per ieri sera ma sai, la cara madre Führer mi ha letteralmente chiuso in camera finché non recupero quel votaccio."

"Tranquilla, se hai bisogno di aiuto puoi sempre chiedere".

Sto tirando fuori astuccio e il libro della prima ora quando il braccio mi si blocca nel sentire la sua domanda: "Alla fine com'è andata?". Sospiro e estraggo completamente il libro, appoggiandolo sul banco. Mi giro verso di lei e risposto brevemente con un: "Non so cosa pensare."

Mi guarda perplessa.

Vedo Enea entrare in classe. Mi saluta tutto felice e rispondo al suo saluto corrucciando le sopracciglia. Ma nulla sembra toccare il suo sorriso a trentadue denti e si reca raggiante verso il suo banco. Fortunatamente è dall'altra parte della classe.

"Qualcosa mi dice che c'entra anche Enea".

"Certo che c'entra!" il mio tono è un po' troppo alto "Il fatto è che questo accidenti di appuntamento è stato ideato per fare uscire i due piccioncini. E da questo punto di vista è riuscito, visto che non hanno fatto altro che parlare tra di loro e sorridersi."

"Ed è un bene... no?" mi interrompe la mia compagna di banco, cercando di capire il fiume di parole che mi è uscito dalla bocca.

"Sì. Sì, è un bene. Però mi sono sentita completamente ignorata."

"Il terzo incomodo", commenta Alice.

"Esattamente.", faccio una breve pausa, "Solo che poi è successa una cosa..."

Mi guarda curiosa ma veniamo interrotte dall'entrata della professoressa.

 

Riesco a continuare il discorso solo quando la campanella annuncia l'inizio dell'intervallo. La maggior parte della classe si alza ed esce fuori, così ne approfitto per parlare senza che orecchie indiscrete ascoltino. Mi giro completamente verso Alice che mi guarda curiosa morsicchiando il suo panino.

Sento delle mani appoggiarsi sulle mie spalle, facendomi un piccolo debole massaggio. Riconosco il tocco e sollevo lo sguardo, scocciata.

"Ah, Linda, Linda, mia cara amica, ieri è andata così bene! Se solo potessi capire come sto ora!", sorride al soffitto e poi toglie le mani. Batte leggermente sulla mia testa e se ne va a grandi passi. "Vado. Vado."

Sbuffo e la mia amica ridacchia.

"Dicevi...", mi incita.

"Dicevo", mi avvicino verso di lei, "che ieri sono uscita con un tipo!"

"COME?", molla il panino. Si raddrizza sulla sedia e mi incita nuovamente: "Prego, continua."

"Niente di che. Ero lì, al tavolo, a fare il terzo incomodo quindi sono andata in bagno. Quando sono tornata fuori ho visto quel ragazzo strambo, ti ricordi quel ragazzo della manifestazione?"

"Il cinese?"

"No, lo skater."

"Ah sì, sì. Lo skater..."

"Jeff..."

"Si chiama Jeff?", chiede sbarlordita. "Siete proprio un gruppo con nomi strani."

"È davvero importante, questo?"

"Hai ragione, continua."

"Mi fissava. Come l'altra volta. Era seduto da solo quindi poi sono andata da lui."

"Così a caso?"

"Così a caso. Ero disperata, Alice. Non sei tu quella che è stata dieci minuti al tavolo con quei due ed essere interpellata solo per sentire il mio parere su una t-shirt."

"E quindi?"

"E quindi... ce ne siamo andati. Prima che tu lo dica, sì. Da soli. Io e lui. Perché?, mi chiederai. Non lo so, sinceramente. Pensavo mi riportasse a casa, invece.."

"Non avrà mica...?"

"Macché. Mi ha portato ad un pub e poi ci hanno raggiunto due suoi amici. Ad un certo punto mi ha chiamato Flavian e mi è venuto a prendere. Tutto qui.", concludo.

"Davvero interessante.", mormora più a se stessa che a me, "Pensi che lo rivedrai?"

"Oh, io spero proprio di no."

Mi lancia un'occhiata non troppo convinta e si alza per buttare l'involucro del panino. La vedo scontrarsi con il corpo alto del mio migliore amico. Ha una faccia da funerale, se paragonata a quella che aveva poco fa. Lo guardo, domandando silenziosamente la causa del suo malessere. Mi ignora e fila dritto al suo banco.

"Problemi in Paradiso...", mi sussurra all'orecchio Alice mentre riprende il suo posto.

Mancano ancora alcuni minuti alla fine della pausa e decido di andare da Enea. Siedo al posto di Andrea, davanti al mio amico.

"Sputa il rospo, Enea"

"Ho mangiato le gocciole a colazione, nessun rospo."

"Wow, inzuppate in una tazza di simpatia?"

"Di certo non limoni come te."

"Andiamo, qual è il problema?"

"Sei tu che sei venuta qui a parlarmi"

"Sì, perchè tu non lo fai! Non ti sei nemmeno accorto che me ne sono andata ieri."

"Non è che non me ne sono accorto... Solo un po' di tempo dopo."

La sua affermazione mi colpisce dritta dritta al cuore. Vorrei rimproverarlo del suo modo deviato di essere il mio migliore amico. Poteva succedermi qualcosa! Dopo undici anni. Mi alzo e lo lascio lì, a mangiarsi l'unghia del pollice, cosa che fa spesso. Torno al mio banco e Alice mi guarda preoccupata. In quel momento entra il professore e dedico le mie attenzioni alla lezione.

 

Quando finalmente questa giornata si volge al termine, raccolgo le mie cose e cerco di uscire il prima possibile dalla classe. Enea mi raggiunge nel cortile e cerca di fermarmi afferrandomi per un braccio.

"Eddai, Linda."

Mi libero dalla sua presa e proseguo. Ho bisogno di tempo per sbollire. E lui lo sa. O almeno, dovrebbe saperlo. In ogni caso si dimentica ben presto e lo noto, con la coda dell'occhio, andare verso Brigitta.

Mi incammino verso casa mia.

Il suono di un clacson mi distrae.

Guardo la macchina. Non ci posso credere.

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Capitolo 7
*** Linda ***


-Linda-

La macchina che si ferma è una piccola utilitaria grigia, ha l'aria di essere abbastanza vecchia. Il finestrino si abbassa e lascia uscire musica di gusto discutibile ad alto volume che il conducente si appresta ad abbassare. Impiego qualche secondo a riconoscere la figura protesa verso il finestrino del passeggero. È quel Jean Baptiste, alla luce del sole i suoi capelli risultano ancora più biondi.

"Hey, hey. Hallo. Scusami, non ricordo il tuo nome. Jessica? No, forse era quella prima..."

"Ciao..."

"Li... LINDA! Oui, Linda. Stavo passando e ti ho visto. Mi sono chiesto ma è lei o non è lei? Come stai?"

"Bene e tu?"

"Bene, bene, grazie. Vuoi un passaggio?"

"No, grazie. Sono praticamente arrivata."

"Okay, allora. Ma qualche volta aspettami nel parcheggio e ti porto volentieri, se non si fa troppo tardi."

La macchina dietro quella del mio inaspettato interlocutore si esibisce in un breve concertino con il clacson.

"Ohi, zio. Calmino.", Jean Baptiste abbassa anche il suo finestrino e urla alla macchina. Dopo di ché si volta nuovamente verso di me: "Io vado. Vieni ancora al pub qualche volta, eh. Auf Wiedersehen." e riparte.

Il tempo di fare due metri, letteralmente due passi, arrivo a casa. Spingo il cancello verde e vengo presto accolta da uno dei miei cani. L'altro preferisce rimanere a sonnecchiare sotto il tavolo in giardino.

Non c'è nessuno in casa.

Il mio breve pranzo consiste in un panino, il più veloce da preparare. Il tempo scorre in fretta e le cose da studiare sono tante.

A volte penso che dovrei cambiare scuola, o abbandonarla. Io e le mie amiche immaginiamo spesso di partire, lasciare tutto e trasferirci in un posto esotico. Un posto senza professoresse brizzolati e con maglioni di naftalina, un posto senza verifiche né interrogazioni. Un posto che resterà nei nostri sogni.

 

Riesco a studiare qualche pagina, una minima parte di quello che dovrei, quando suona il cellulare. È un messaggio di mio fratello, dice di prepararmi. Per cosa, gli rispondo velocemente.

"Non mi avevi detto che mi aiutavi con il regalo per Vale?"

Ha ragione. Me ne ero dimenticata.

"Due minuti sono lì, inizia a scendere.", aggiunge pochi secondi dopo.

Flavian e Valeria stanno insieme da tanti anni, nonostante ciò mio fratello mi chiede aiuto in occasione di ogni Natale e anniversario. Per il compleanno afferma di avere sempre un sacco di assi nella manica. Valeria è una cara ragazza ed è ormai un'amica. Il mio aiuto è quindi indispensabile per Flavian. Il problema alla base è che ogni anno finiamo per girare tanti negozi perché lui non è sicuro e finiamo sempre per scegliere quello che per primo ci aveva colpiti. Il ché si traduce automaticamente: passerò l'intero pomeriggio al centro commerciale.

"Ciao", lo saluto mentre entro in macchina. "Non potevi cambiarti?"

"Perché? Non vado bene così?", guardo la sua tuta da meccanico arrotolata intorno alla vita e scuoto la testa.

"Vammi a prendere dei vestiti puliti, allora.", mi provoca, scherzando.

"Te lo scordi."

"Almeno hai portato la merenda?"

"Vuoi partire o no?"

"Uffa. Vabbé, vorrà dire che ci fermeremo al Mc"

Restiamo in silenzio fino al centro commerciale di una città vicina. Ogni tanto si mette a cantare canzoni brutte che passano alla radio. Mi domando cosa abbia pensato ieri sera, quando è venuto a prendermi. Avrà pensato: dov'è mia sorella? Non è una cosa da me, non sono il tipo da andare a pseudo-appuntamenti con ragazzi sconosciuti. Lo so, lo so. Non so che mi è passato per la testa.

 

Alla fine è successo esattamente quello che prevedevo: siamo entrati in un negozietto di gioielli, mi è subito piaciuta una collana molto semplice. Non era convinto, siamo usciti, abbiamo girato altri quattro negozi, per poi tornare all'idea di partenza.

"Sei sicura che le piacerà?", domanda una volta usciti dal negozio, tenendo il piccolo sacchettino tra le mani.

"Perché non dovrebbe piacerle?"

"Che ne so, voi ragazze. A te non piacciono le collane, per esempio."

"Sì, come a Vale non piace il calcio. Non siamo mica tutte uguali."

 

Flavian ha insistito per andare al Mc.

Siamo seduti di fronte una all'altro e storco il naso davanti ai suoi quattro hamburger più patatine. E la Coca Cola grande, dimenticavo.

"Ho un grande appetito, mi conosci." risponde mio fratello alla mia occhiata inquisitoria. Lascio cadere il discorso e mi appresto ad addentare il mio panino.

Quando Flavian finisce il terzo panino e si pulisce la bocca con il tovagliolo, guarda alle mie spalle e noto le sue sopracciglia corrucciarsi.

"Sbaglio o quello è il ragazzo di ieri? Ci segue, per caso?", mi volto e vedo immediatamente Jeff seduto a qualche tavolo di distanza da noi. È ancora da solo. Sobbalzo leggermente ma quando mi giro nuovamente verso mio fratello, assumo una faccia indifferente e alzo le spalle.

"Non lo so.", rispondo, sincera. Non credo proprio che ci stia seguendo ma è una assurda coincidenza.

Il discorso fortunatamente cade, Flavian continua a mangiare mentre io rimango concentrata sui miei pensieri. Non è come pensate, non penso a Lui, la verifica di matematica di domani mi preoccupa leggermente. Poco dopo Flavian finisce anche il bicchiere della bibita, lo poggia sul vassoio e si stiracchia, allungando le braccia dietro la schiena. Decidiamo di andare.

Quando mi alzo il mio sguardo cade inevitabilmente sul tavolo a cui era seduto Jeff. Non c'è più.

 

Mio fratello si sta perdendo in qualche discorso assurdo su cosa, una volta tornato a casa, potrebbe mangiare come dolce, visto che ha ancora un po' di spazio in pancia. Rido, è incorreggibile. Mentre usciamo dal locale sento una leggera pressione sul ventre. Quando mi volto, eppure, non vedo nient'altro che una nuvola di fumo. Inquietata, seguo mio fratello e salgo veloce in macchina.

Prima di entrare in casa, estraggo il cellulare dalla tasca del giubbotto. La mia mano intercetta tuttavia un oggetto non identificato. Lo prendo, è un accendino rosso fuoco.

Sotto la luce del lampione noto la scritta nera: "Rivediamoci."

 

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Capitolo 8
*** Linda, Linda, Linda ***


-Linda-

 

La trovata alla romanzo di Federico Moccia mi lascia perplessa e mi fa scoppiare (letteralmente) in un gridolino sorpreso, un "AH" preannunciatore di una risata troncata sul nascere. Come ha fatto a infilare l'accendino? Era tutto premeditato? Come sapevo che io ero lì? Tutte domande a cui non riesco a dare una risposta logica. Ma la più temibile di tutte è proprio quella a cui mi rifiuto di pensare: è veramente così preso da me da chiedermi di rivederlo tramite un messaggio scritto su un accendino? Come può esserlo?

Gioco con il piccolo oggetto, rigirandolo tra le mani un paio di volte, poi lo poso sulla scrivania, ben visibile. Devo trovare il modo per ridarglielo e concludere questa cosa il prima possibile. Perchè va conclusa questa cosa. O forse no?

Decido di scrivere un messaggio a Alice.

"Ali, c'è un problema che mi affligge"

"Se si tratta di matematica sai già che non posso aiutarti in alcun modo"

"Raramente ho problemi in matematica"

"Miss Modestia, what's the problem?"

Le invio una foto scattata al volo dell'accendino.

"Allora: o hai iniziato a fumare, o le fabbriche di accendini hanno barattato vena artistica con squallore, o il problema di cui parli è un ragazzo dal nome improbabile che ti ha dato quest'accendino"

"Come fai a sapere che si tratta di lui?"

"O è lui o il postino,o qualche spasimante segreto di cui non mi hai parlato."

"Nessuno spasimante"

"A parte Jeff"

"........"

Non mi risponde, credo abbia spento il cellulare per andare a dormire. Decido anche di andare a letto.

 

Quando mi sveglio non ho particolari pensieri in testa. Si sono presentati tutti ieri notte, quando cercavo di trovare una posizione adatta per addormentarmi. Mentirei se dicessi che non ci sto pensando, però ho altre preoccupazioni. Linda, hai altre cose più importanti a cui pensare. Mi sono detta e ha funzionato. Arrivo a scuola e nemmeno vedere il motorino di Enea nel parcheggio mi reca alcun disturbo.

L'idiallaca felicità che ero riuscita a raggiungere viene brutalmente infranta: primo, appena arrivata un compagno mi ha detto di una probabile interrogazione a sorpresa di italiano; secondo, Alice che appena mi vede esclama: "Dovresti scrivergli! Uscite!"

Ho tentato di fare la povera fanciulla innocente, strabuzzato gli occhi leggermente, urlato un "Ma chi?"

Non ha propriamente attaccato, deduco dallo sguardo di saccenza che la mia compagna di banco mi lancia.

"Va bè, non ti capisco. Anche se non ti piace, dovresti comunque incontrarlo per ridargli l'accendino, chiedergli perché cavolo ha usato quel trucchetto stupido e non ti ha semplicente invitato a uscire e poi basta, davvero. Però devi scrivergli, potrebbe essere un maniaco per quanto ne sappiamo."

"Okay, ma dove gli scrivo? Non so nemmeno come si chiama"

"Non dirmi che non sai come trovarlo. Non ti credo nemmeno un pochino. Ti devo ricordare quando hai trovato il numero di casa di quella star, il motociclista, mi pare. Che ti prende, Linda?"
"Ci penso. Ma non ho comunque voglia di vederlo."
Bugia, nel profondo un briciolo di curiosità c'è.

Altra bugia: ho già scoperto come si chiama, mi è bastato cercare prima Jean Baptiste (quanti Jean Baptiste ci saranno mai?), che fortunatamente non aveva il profilo privato. Non aveva direttamente foto con lui, ma era taggato in una foto di un paesaggio di mare dove era taggato anche un certo chiamatemijeff. Il suo vero nome è Filippo.

Alle 10:57, due minuti dopo l'inizio dell'intervallo, lo seguo su instagram.

Alle 11:43 lui inizia a seguirmi.

Approfitto dell'ultimo cambio dell'ora per scrivergli un messaggio: "Ciao! Credo di avere qualcosa che ti appartiene, ci tengo a restituirtelo."

Passo l'ultima ora picchiettando la penna sul banco, vorrei controllare il cellulare, e potrei anche, si tratta di una noiosa ora di arte, però allo stesso tempo ne ho timore. Quando Alice mi sibila di smetterla con la penna, inizio a torturarmi il braccialetto che ho al polso.

Al suono della campanella sgattaiolo fuori.

Solo una volta tornata a casa oso guardare il telefono. Mi ha risposto.

"Ciao Linda. Ho il pomeriggio libero, dove ci troviamo?"

Mi mordo l'unghia del pollice mentre penso. Voglio incontrarlo? Dove posso incontrarlo? E se fosse veramente un maniaco?

"In biblioteca, alle 16:00".

 

Alla fine viene davvero. Si presenta con il cappuccio sollevato in testa e le mani nella felpa. Una sigaretta appoggiata sull'orecchio sinistro. Faccio finta di non vederlo, seduta al tavolo in fondo, con la testa abbassata sul libro di biologia. Non devo studiare, ma sembrava più credibile così.

Si siede senza parlare, e io sono troppo fifona per alzare la testa.

Mi guarda, appoggiando le mani sul tavolo e muovendone una davanti al mio viso per ottenere la mia attenzione.

"Oh, ciao. Scusami, è un capitolo difficile e proprio non capivo questo passaggio."

Piega la testa per guardare il punto da me indicato, un punto a caso che a ben vedere ora si rivela essere un semplice paragrafo di introduzione sulla fotosintesi clorofilliana.

"Capisco...", dice perplesso.

"Comunque...", cerco con la mano l'accendino e lo estraggo dalla tasca del giubbotto. "Questo è tuo, Filippo."

È inutile far finta di niente, ho visto il suo nome nella biografia del suo profilo. Filippo è un nome che mi piace, forse perché si chiama così un fotografo che ammiro e che pubblica foto della Svezia da invidiare.

"Oh...", lo vedo grattarsi la testa, imbarazzato. "Puoi anche tenerlo, ne ho tantissimi a casa"

"Non fumo"

"Potrebbe essere sempre utile"

"In quale situazione, scusa?"

"Una volta, alle medie, un mio compagno aveva l'urgente bisogno di bruciare le estremità dello scooby doo che aveva fatto e solo io avevo l'accendino. Diciamo che gli ho salvato la vita."

Sorrido, "Spero che almeno fosse uno di quelli complicati."

"Oh, sì. Almeno sei colori."

"Fumi dalle medie, quindi?"

"Dalla prima, sì"

Annuisco, non sapendo cosa rispondere.

"Sul serio, tienilo" Jeff lo spinge delicatamente nella mia direzione.

"Sul serio, non mi serve", lo rispingo verso di lui.

"Non hai candele da accendere a casa?", me lo ripassa.

"No", glielo rilancio.

"Silenzio!", urla una sconosciuta che sta studiando al tavolo vicino.

Sconfitto, Jeff prende finalmente l'accendino e lo posa nella tasca della felpa. Ha lo sguardo basso, ma mi accorgo che sembra abbattuto.

Io potrei anche andarmene, a questo punto. Gliel'ho restituito, è fatta. Prima che io possa pensare, tuttavia, la mia bocca pronuncia parole inaspettate: "Posso chiederti una cosa? Come mai 'Jeff'?"

"Niente di che, uno skater che ammiro si chiama Jeff", sussurra a bassa voce.

"Fai skate da tanto tempo?", involontariamente avvicino il viso per poter parlare con lo stesso tono basso che ha usato lui.

"Non molto", mi guarda dritto negli occhi, anche lui ha abbassato la testa.

Mi ritraggo immediatamente.

Jeff nota subito il mio imbarazzo e sorride beffardo. Si riavvicina, la sua testa a pochi centrimetri dalla mia.

"Che ne dici se usciamo di qui? La tipa qua a fianco potrebbe ucciderci, se facciamo ancora casino"

"Non stiamo mica facendo casino, stiamo bisbigliando."

Sorride, sbruffone. "Hai forse paura di uscire con me?", prende la sigaretta dall'orecchio e se la porta alla bocca.

"Dai, dai, andiamo."

E ancora una volta il cervello si stoppa, perde la sua supremazia e il mio corpo smette di sottostare ai suoi comandi. Mentre lui si alza, non prima di avermi rivolto un'occhiata di sfida, inizio a mettere libri e astuccio nello zaino. E lo seguo, ancora una volta.


 

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Capitolo 9
*** Who? ***


Enea

Potrei quasi dire di essere felice. Quasi. Ma chi voglio prendere in giro? Io sono felice, il più felice tra i felici, ora che sto con Brigitta. In realtà non ne abbiamo mai parlato, non ci siamo mai detti "Da ora stiamo insieme" e nemmeno ci siamo dati un bacio... però sì, è da un paio di giorni che ci vediamo, lei risponde a quasi tutti i miei messaggi (è impegnata tra volontariato e la lotta burocratica per la salvaguardia del parco), però quando ci incontriamo parliamo. Soprattutto all'uscita da scuola, è sempre un piacere ascoltarla parlare dei suoi interessi, dei suoi impegni. Il modo in cui si esprime è talmente affascinante, tanto da riuscire a convincermi ad aiutarla, qualche volta.

Oggi stiamo passeggiando, portando a spasso tre cani: un labrador, un carlino e un pastore tedesco. Sono i cani dei vicini di casa di Brigitta e lei cerca di portarli a spasso il più spesso possibile. Dice che, non essendo mai stati, i suoi genitori, favorevoli a prenderle un animale domestico, riversa il suo amore verso gli animali degli altri. Anche a me piacciono gli animali e la mia fattoria ne è piena. Ho anche due cani, che però non hanno mai bisogno di essere portati a spasso, dato il vasto giardino della mia casa.

Io sto tenendo il labrador, non il più grosso tra i tre ma il più vivace. Riesco a malapena a tenerlo, mi trascina e mi porta sempre qualche passo avanti rispetto a Brigitta. Stiamo passeggiando per strada, in una zona di periferia: i marciapiedi sono larghi e passano poche macchine.

"Cesare è talmente vivace oggi!", sorride Brigitta, accarezzando il pastore tedesco ma riferendosi al ciclone legato al guinzaglio che tengo in mano io.

"Come fai a portare tutti e tre da sola?", chiedo, girando la testa verso di lei.

"Di solito non porto tutti e tre, o almeno, non questi tre"

"Cesare vale per tre, o quattro", accelero il passo qualche il labrador inizia a correre appena vede un gatto randagio.

"Cesare è un bellissimo cane, sai che quando l'hanno preso non si lasciava nemmeno toccare? L'hanno trovato abbandonato in una scatola proprio davanti al canile. Erano cinque cagnolini. Una cucciolata davvero adorabile. Chissà che fine hanno fatto gli altri?".

Brigitta continua il suo discorso quando vengo distratto da una macchina che mi passa accanto e parcheggia qualche metro più avanti. Escono una ragazza e un ragazzo. Riconosco immediatamente la prima. È Linda. Brigitta invece riconosce il suo accompagnatore.

"Ma quelli non sono Linda e Jeff?", esclama ad alta voce.

Annuisco, sembro aver perso parole davanti a quella strana visione. Perfino Cesare sembra aver rallentato il passo. Li vedo litigare leggermente, Jeff davanti al baule aperto di quella che sospetto essere la sua macchina. Non li sento, ma capisco che lui sta convincendo Linda a lasciare lo zaino nel baule. Linda non vuole invece lasciarlo. Scuote la testa e stringe le bretelle al petto. Sembrano in confidenza e io mi chiedo quando possa essere successo, perché non me ne sia accorto.

Jeff rinuncia e chiude il baule sbuffando ma sorridendo impercettibilmente.

"Dove staranno andando?", chiedo a Brigitta.

"Non so, di là c'è una pista da skate. Però c'è anche una buona gelateria. Non so."

Annuisco poco convinto e penso che la cosa migliore sia seguirli. Potrei sembrare un maniaco, ma c'è da fidarsi? È pur sempre la mia migliore amica..

"Non possiamo andarci?", domando.

"I cani devono fare sempre lo stesso giro, è così che sono abituati.", scuote la testa.

"Ma..."

"Cosa?", mi guarda dritto negli occhi e per un attimo dimentico le mie preoccupazioni.

"Ho una brutta sensazione"

"Ascolta, non vedo proprio dove sia il problema. Vuoi forse disturbare il loro appuntamento?", alla parola storco il naso, "Cosa? Potrebbe benissimo essere un appuntamento. E anche noi ne abbiamo uno ora, non vedi? L'appuntamento con questi tre magnifici cagnoloni! Sono sicura che Linda starà bene e saprà cavarsela da sola, a differenza di loro, che hanno bisogno di fare il giro completo e magari anche i loro bisognini. Non ci mettiamo molto, va bene?", fa passare un guinzaglio nell'altra mano e allunga la mano appena liberata per appoggiarla sul mio braccio. Lascia subito la presa e si incammina.

Linda

Jeff ha riso del leggero rossore che, ha detto lui, mi ricopriva le guance quando siamo usciti dalla biblioteca. Sono sicura che se lo sia inventato. Nel caso è dovuto alla vergogna per essere stati rimproverati, comunque.

Non ha detto dove stavamo andando, ad un certo punto ci siamo fermati improvvisamente alla sua macchina e io neanche me ne ero accorta. Ha aperto la portiera e mi ha invitato a salire. Nonostante non fosse la prima volta, ero un po' timorosa.

"Quando hai detto 'usciamo da qui' credevo intendessi la biblioteca, non il Paese", sbuffo, allacciandomi la cintura.

"Se vuoi possiamo evadere insieme", sorride, mettendo in moto la macchina.

"Sarebbe un sequestro di persona più che..." una fuga romantica. Meno male che mi sono bloccata prima.

"Sei di nuovo arrossita", ride, accendendosi una sigaretta.

"No, no."

"Hai caldo? Puoi abbassare i finestrini, se vuoi."
"Sto bene così."

Quando raggiungiamo la periferia, passiamo davanti a due ragazzi. Enea e Brigitta. E una serie di cani. Prego che Jeff li superi velocemente, ma dopo pochi metri si ferma e parcheggia sul ciglio della strada. Prima di scendere do uno sguardo timido in direzione di Enea, sta guardando la macchina con un cipiglio annoiato. Sto forse rovinando la sua uscita romantica?

Jeff mi invita a riporre lo zaino nel baule.

"Non è pesante", rifiuto scuotendo la testa.

"Ma mettilo nel baule, no?"

Scuoto la testa, impassibile.

Dove mi ha portato? Comunque, non posso lasciare il mio zaino con tutte le mie cose qui. Potrebbero servirmi in caso di bisogno. Non credo che Jeff sia un tipo pericoloso, ma il libro di italiano è abbastanza spesso per fermare malintenzionati.

"Ti offro un gelato, ti va?", mi chiede.

"Non molta, in realtà..."

Sorride, "Chissà perché ma me lo immaginavo. Si passa al piano B, allora."

Quando mi trovo davanti a un parchetto trascurato e pieno di spazzatura abbandonata in ogni angolo, mi ritrovo perplessa.

"Benvenuta nel mio mondo.", di nuovo una citazione sparksiana. Non voglio sapere quali film guardi di solito.

"Sono cresciuto qui, letteralmente.", prende posto su una panchina la cui ultima verniciatura risale a qualche decennio fa, "Era il parchetto dove tutti andavano a fumare, sai, prima le sigarette che rubavi al papi e poi anche le prime canne. Poi un giorno Ciotola, un tizio dal taglio discutibile, ha portato una piccola rampa di metallo e abbiamo iniziato ad andare in skate. Il terriccio non è tra i più adatti e spesso dobbiamo fare lo slalom tra la robaccia che gli ubriachi e i drogati abbandonano qui la notte ma è un posto speciale."

Prende un'altra sigaretta e la porta alla bocca.

"Tu fumi troppo", dichiaro, non accennando minimamente a rispondere al suo discorso. Era abbastanza personale e sono un po' disgustata se penso a chi abbia potuto dormire su questa panchina, stanotte.

"Lo so."

Inspira e butta fuori il fumo.

"Non sono un mostro, Linda."

"Non l'ho mai pensato."

"Allora perché non mi guardi mai in faccia? Perché sembra che tu sia costretta a uscire con me?"

Mi giro di scatto, irritata.

"Io ti guardo, ma non quando mi fumi in faccia!"

"Mh.", sbuffa arrabbiato, "E rispondi alla seconda domanda, allora."

L'irritazione si è trasformata in ira vera e propria.

"Tu non mi dici cosa devo fare! Non mi conosci e se mi conoscessi sapresti che questa è la mia faccia, la mia espressione abituale! E poi scusami se sono in compagnia di uno sconosciuto!"

"Sono solo uno sconosciuto, eh?"

Lo guardo, confusa e perplessa.

"Dove vuoi andare a parare, Filippo?"

"Mi chiama anche Filippo ora!", esclama a bassa voce.

Sono sempre più confusa. Sto per rispondere ma vengo distratta da passi che si avvicinano.

"Che succede qui?", domanda il nuovo arrivato.....

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Capitolo 10
*** - ***


"Che succede qui?", domanda il nuovo arrivato.. si tratta di un ragazzo dai capelli lunghi e leggermente sporchi, indossa una felpa larga, è al telefono con qualcuno, deduco dal cellulare all'altezza dell'orecchio sinistro. Arriva con passo trafelato e ci guarda irritato.

"Scusami, ti devo lasciare...", mormora al cellulare, che poi tiene in mano.

"Chi siete voi?"

Jeff, che si è irrigidito quando è arrivato il ragazzo, si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: "È meglio se andiamo. Non è un tipo raccomandabile."Lo guardo, confusa.

"Anche tu spacci? O compri? Anche tu devi prendere dal Tia?", il ragazzo ci viene incontro, quasi inciampa su una bottiglietta abbandonata sul terriccio e si rivolge a Jeff gesticolando in particolar modo con la mano che tiene il cellulare.

"Non so nemmeno chi sia, Tia.", Jeff sbuffa e si alza. Lo imito, confusa. Jeff mi prende la mano e incomincia a incamminarsi, trascinandomi con sé.

"Oh! Non dire a nessuno che sono stato qua.", gli urla il ragazzo, al quale Jeff risponde alzando il pollice della mano libera. Quella che non sta tenendo la mia.

Quando ritorniamo in strada, usciti da quel parco inquietante, mi decido a parlare.

"Non mi sembrava un tipo pericoloso.", osservo.

Le nostre mani sono sempre legate. Le sue mani non sono tanto grandi e sono calde. Ha qualche taglietto sui palmi e sulle nocche e ha le unghie molto corte, deve avere il vizio di mangiarsele.

"Lui? No.", solleva le spalle.

"Perché mi hai detto che non era raccomandabile?"

"Per convincerti ad andare. Lui non è un ragazzo pericoloso, hai ragione. Anzi, è un povero scemo che spende la sua paghetta in erba, però il suo spacciatore non è proprio un tipo a posto."

Le sue parole mi fanno pensare: quanto conosce Jeff di questo aspetto della città? Quanto sa di spacciatori e perché mi ha portato in un parco del genere?

"E tu lo conosci?", domando, in un sussurro. Cerco di liberarmi dalla sua presa.

Jeff si ferma e mi stringe la mano ancora più forte.

"Linda, non mi drogo. Mi sono fatto qualche canna in passato? Sì. Ho anche provato qualcos'altro? Sì, ma sarà capitato massimo due volte. Conosco Tia, il Bruto e tutti gli altri, anche molto più pericolosi perché io quasi ci vivo in quel parco. E non mi guardare così."

"Prima ti lamenti che non ti guardo e ora ti lamenti se lo faccio?", cerco nuovamente di lasciare la sua mano. Lui guarda per un attimo le nostre mani legate e poi lascia la mia, di scatto.

"Andiamo. Ti riaccompagno a casa.", si issa il cappuccio in testa e cammina, con il suo passo traballante.

"Posso andare a piedi."

"Sì, certo.", non si lamenta e non mi guarda in faccia. Nemmeno si è girato.

Resto bloccata, ferma sul ciglio, troppo stretto, a bordo della strada. Ma non passano macchine, non corro alcun pericolo. Lo osservo allontanarsi e, ricacciata in un angolo la voglia di fermarlo e di chiedere qualcosa, una spiegazione, il motivo della mia tristezza in questo momento, o semplicemente di salutarlo, augurargli buona serata.

Mi giro e mi incammino nella direzione opposta alla sua. 

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