Quattro musicisti ed un investigatore

di Lady I H V E Byron
(/viewuser.php?uid=843657)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'esplosione ***
Capitolo 2: *** L'investigatore ***
Capitolo 3: *** Il pub ***
Capitolo 4: *** Il piano ***
Capitolo 5: *** Il sicario ***
Capitolo 6: *** Vittorio Salverini ***
Capitolo 7: *** Musicisti alla riscossa! ***
Capitolo 8: *** Danza e Gelosia ***
Capitolo 9: *** Un assassino in casa ***
Capitolo 10: *** Al salvataggio di Marco Auditore ***
Capitolo 11: *** Catturati! ***
Capitolo 12: *** In scena! ***
Capitolo 13: *** Il Piano B ***
Capitolo 14: *** Finale ***



Capitolo 1
*** L'esplosione ***


Note dell'autrice: salve! Da stasera mi cimenterò nel genere in cui do sempre il peggio di me stessa. L'ispirazione è stata tratta dall'ultimo spettacolo della Banda Osiris "Non esistono più le mezze stagioni", in collaborazione con Luca Mercalli (anzi, è più il contrario... la Banda Osiris che ha collaborato con Mercalli per... comunque!), una conferenza sul cambiamento climatico della terra e cosa fare per rimediare.
Mi sono ricordata che anche nel secondo film di "Una pallottola spuntata", un professore doveva tenere una conferenza simile.
Ergo, ad un certo punto mi sono chiesta: "E se...?". Ed ecco la storia, ambientata in un'Italia "parallela", su base "Una pallottola spuntata due e un mezzo", con tanto di sue citazioni, ma in chiave MOLTO meno demenziale, ottenendo così una storia (schifosa), con un lieve cenno di comicità. Mi scuso anche per lo stile di scrittura usato: ho ricorso al metodo "Dante", ovvero che per le storie drammatiche uso un italiano (all'epoca era il volgare, comunque) più raffinato, colto, e nelle storie comiche uso un linguaggio più colloquiale, vicino al parlato.
Spero vi piaccia.
P.S.: i prossimi capitoli saranno più lunghi, credo...

--------------------------------------------------------


-Allora, a questo punto, io continuo con la conferenza, voi fate i vostri commenti, anche se idioti…-
-Sì, sì, signor Auditore, come per il resto dello spettacolo, dopotutto.-
Un teatro di Rieti, seppur vuoto, aveva le luci accese sul palcoscenico, su cui vi erano cinque uomini, tutti sulla mezza età. Uno di loro, il più basso e tracagnotto, indicava spesso lo schermo alle loro spalle, su cui vi era proiettato un grafico. Gli altri quattro avevano degli strumenti musicali tra le mani, ottoni, precisamente.
-Poi suonate…-
-Abbiamo provato tutto il giorno per sette giorni, signor Auditore…- tagliò corto il più anziano; aveva una voce strana, come se avesse il naso chiuso –Vedrà che lo spettacolo-conferenza andrà benissimo…-
-Lo spero, signor Mati, lo spero...- sospirò l’interlocutore, prima di prendere la giacca –Allora, qui, per oggi, abbiamo finito. Domani dovremo rivedere almeno i passaggi con le luci e le mie slide…-
Come risposta, ebbe un sospiro: proveniva da uno dei trombonisti, basso anche lui, con riccioli quasi canuti che ricoprivano tutto il cranio.
-Non vedo l’ora che questa tortura finisca…- mormorò questi, senza farsi sentire dagli altri.
-Buonanotte.-
-Buonanotte a lei.- risposero i quattro musicisti, all’unisono, prima di raccogliere i loro strumenti per metterli nelle apposite custodie.
Il primo ad uscire dal teatro fu Marco Auditore, noto meteorologo, un uomo, come detto prima, basso e di corporatura massiccia, barba brizzolata, faccia piena, capelli castani tinti, e occhi piccoli del medesimo colore.
Da tempo stava progettando una conferenza sulle conseguenze dell’effetto serra, sul cambiamento del clima dalla prima Rivoluzione Industriale al presente, e come salvare il pianeta adottando l’energia rinnovabile.
Tutto questo, però, senza scendere nella noia; infatti, aveva richiesto delle “spalle” per intrattenere il pubblico, tra una spiegazione e l’altra.
Ci sarebbero stati anche il Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica, oltre al Ministro dell’Ambiente.
Stavano lavorando da una settimana: niente doveva andare storto. Se la conferenza avesse avuto successo, il governo italiano avrebbe preso in considerazione di adottare un sistema nazionale a favore delle energie rinnovabili, diminuendo, così, tutti i fattori dell’inquinamento, dalle polveri sottili al gas serra.
E se si fosse esteso a livello mondiale, poteva persino salvare il pianeta da possibili aumenti delle maree causati dallo scioglimento del Circolo Polare Artico, causato, a sua volta, dal gas serra.
Il mondo sembrava contare su quella singola conferenza.
Era quasi mezzanotte.
Una notte piovosa.
Le strade erano vuote, illuminate dai lampioni.
Per fortuna, nessuno girava in macchina, a quell’ora.
Prima di tornare a casa, tuttavia, Marco decise di passare in ufficio, per prendere le ultime cose che sarebbero servite durante la conferenza.
Parcheggiò proprio sotto un edificio alto circa venti metri, coperto da vetri-specchio.
Era l’Istituto Meteorologico.
Il suo ufficio si trovava al quinto piano.
Al piano terra c’erano gli addetti alle pulizie e qualche guardia, che salutarono il meteorologo cortesemente, venendo, poi, ricambiati.
C’era un’altra persona al suo interno: una ragazza di circa venticinque anni, capelli neri raccolti con una pinza, occhi scuri, volto ovale e delicato con qualche lentiggine, con indosso una camicia bianca e pantaloni neri, stava battendo i tasti di un computer, sbattendo raramente le ciglia.
Ad un certo punto, si stirò le braccia, sbadigliando e girando su se stessa sulla sedia a rotelle. Il suo sguardo apparentemente stoico fu rivolto verso l’esterno: la pioggia stava battendo sul vetro e le gocce scivolavano verso il basso.
Era uno spettacolo rilassante da vedere.
Qualcosa in particolare attirò l’attenzione della ragazza: qualcuno sembrava essere uscito dall’edificio ed era diretto verso un furgone grigio.
Dai movimenti, sembrava essere di fretta.
La pioggia e la lontananza resero difficile per lei inquadrare bene il suo volto.
Tuttavia, ebbe come l’impressione di non averlo mai visto in vita sua.
In quel momento, il meteorologo era appena uscito dall’ascensore, diretto verso il suo ufficio.
Con grande sorpresa, notò la ragazza.
-Lisa…- chiamò, facendo sobbalzare la citata.
-Oh, zio Marco!- esclamò lei, voltandosi di scatto –Non ti aspettavo… Non qui, almeno…-
-E tu hai di nuovo fatto tardi…- aggiunse lui, con una punta di delusione sulla lingua –Dovresti essere a casa, mia cara. Non credi sia l’ora di andare a dormire?-
-Scusa, ma non ho molto sonno…-
Il suo sguardo era molto malinconico. Marco storse un angolo della bocca.
-Stai ancora pensando a lui, vero?- mormorò, con affetto.
Lisa scoppiò immediatamente a piangere.
-Oh, scusa, cara, scusa! Non volevo essere indelicato!-
-Non fa niente, zio, non fa niente…- rispose lei, asciugandosi le lacrime –E’ colpa mia, non riesco proprio a dimenticarlo…-
-Ma era il tuo ragazzo o no?-
La ragazza scosse la testa.
-Non c’è mai stato niente tra di noi.- spiegò, ancora malinconica –Eravamo troppo timidi per fare il primo passo. Ci abbiamo sempre girato intorno, ma poi niente. Ha sempre messo il suo lavoro prima di ogni altra cosa. È dalla mia partenza che non faccio altro che rimpiangere di non essermi dichiarata!-
Singhiozzò di nuovo, coprendosi il volto con una mano.
Marco, mosso da tenerezza, si avvicinò a lei, mettendole una mano sulla spalla. Tra loro due c’era una differenza di altezza di circa venti centimetri.
-Oh, cara, non fare così…- disse, cercando di consolarla –Stai facendo ottimi progressi all’università, i tuoi genitori sono fieri di te. E sono più che sicuro che la tua tesi su Leopardi sarà un successo! A proposito, come sta andando?-
-Ho ora scritto sullo Zibaldone…- spiegò Lisa, tirando su con il naso –Sai, Leopardi ha detto una cosa interessante sul clima. Forse potresti metterlo nelle slide della conferenza che terrai. A proposito, come vanno le prove?-
-Solo gli ultimi ritocchi sulle luci e un’aggiustatina alle slide e tutto sarà perfetto. Già, ora che ci penso, devo prendere un paio di cose. Poi, si va a casa a dormire, chiaro?- disse, frugando tra due cassetti.
-Sì, zio.-
-E poi, un’altra cosa… se la conferenza avrà successo, mi prometti che uscirai i sabati sera? Mi dispiace vederti sempre in casa a studiare… Devi distrarti, mia cara, conoscere gente nuova…-
-Beh… in effetti, sto frequentando qualcuno… un mio collega di corso. Sai, proprio ieri gli stavo parlando della tua conferenza…-
Ma Marco non la stava più ascoltando: uno sbadiglio fece interrompere il suo discorso.
-Me lo racconterai domani, cara. Ora è meglio tornare a casa.-
Entrambi uscirono dall’ufficio, diretti verso l’ascensore, appena spento il computer.
Per tutto il tempo non avevano prestato attenzione ad un suono sospetto dentro l’ufficio.
Un ticchettio.
Uno degli addetti delle pulizie, passando di lì, prese il cestino della carta straccia e lo portò al piano terra, per svuotarlo nel cassonetto della carta, all’esterno dell’edificio.
Se non avesse avuto gli auricolari alle orecchie, si sarebbe reso conto che il ticchettio sospetto proveniva proprio da lì…
Un boato improvviso sembrò svegliare tutta Rieti…

-------------------------------------

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'investigatore ***


Note dell'autrice: ok, da qui iniziano le parti lunghissime...
Vi accorgerete di alcune (volute) citazioni di "Una pallottola spuntata 2 e un mezzo"...

-------------------------------

Il trucco per non far cadere il castello di carte è posizionare le carte lentamente l’una sopra l’altra.
E’ anche un ottimo passatempo per combattere la noia. Sempre meglio di giocare a “Best Fiends” sul telefono.
Sulla porta di un ufficio del Sud Toscana, Grosseto, per la precisione, c’era scritto: “Francesco Milanelli; Investigatore Privato”
Al suo interno, un giovane di ventotto anni, ma dall’aspetto di un diciottenne, stava sistemando le ultime carte per il suo castello, senza sbattere gli occhi scuri dalla forma allungata, quasi quanto quelli di un orientale.
Stava mettendo un pezzetto di lingua fuori, sfiorando le labbra carnose, per aumentare la concentrazione.
Tuttavia, qualcuno entrò bruscamente nella stanza.
Il vento causato da quel movimento fece crollare il castello di carte.
Il giovane batté i pugni sulla scrivania, facendo tremare il computer ivi presente.
-Rrrhh!!! Clara!- esclamò, appena scoprì l’identità dell’intruso. Era la sorella minore, Clara; avevano la stessa forma degli occhi –Quante volte ti ho detto di bussare, prima di entrare! Bah! Mi hai anche fatto crollare il castello di carte…-
La ragazza alzò le spalle.
-Scusa tanto se ti disturbo nel tuo far niente, fratellone…- disse, incurante –Ma pensavo che questo potesse interessarti…-
-Ma io perché ti ho assunta come segretaria…?-
-Primo: non c’erano altri lavori adatti a me. Secondo: sono l’unica in grado di sopportarti. E poi, se non ci fossi io, come terresti a mente tutti i conti, disorganizzato come sei…?-
Francesco le rivolse uno sguardo al veleno, che non sembrò spaventarla.
-Comunque…- proseguì Clara, scostando i capelli castani dagli occhi –E’ arrivata una chiamata da Ettore. Sembra ci sia stata un’esplosione, a Rieti.-
-E perché fra tanti investigatori, nostro cugino vuole proprio me?-
-Non è ovvio? Vuole il tuo aiuto. E visto che siamo al verde, ti conviene accettare. Sono stufa di chiedere soldi ai nostri genitori…-
Il giovane sospirò.
-D’accordo, d’accordo… Digli che parto subito. Dovrei essere lì tra un’ora. A proposito… dove ha detto che si è verificata l’esplosione?-
-All’Istituto Meteorologico.-
-Perfetto.-
Indossò la sua giacca verde, un cappello per coprire l’unto dei suoi capelli neri e uscì, in direzione della sua macchina.
Fece una rapida sosta nel suo appartamento; non sapeva per quanto tempo sarebbe stato via, quindi, per precauzione, preparò la valigia, mettendovi lo stretto indispensabile.
Nonostante il traffico che aveva incontrato in autostrada, riuscì ad arrivare a Rieti in un’ora e un quarto, circa.
Non fu difficile, per lui, trovare l’Istituto Meteorologico. Soprattutto avendo impostato il navigatore.
L’intero edificio era stato transennato e vari membri della squadra medica non facevano altro che entrare ed uscire da lì, portando brandine con sopra dei cadaveri o dei feriti.
Era un miracolo se non era crollato per intero.
Appena entrato, sembrava regnare il caos: sagome di uomini, i deceduti dell’esplosione, segnate sul pavimento; sopravvissuti, probabilmente impiegati non presenti nell’edificio la notte scorsa, che non facevano altro che urlare ai poliziotti, in preda al terrore; vari membri della scientifica che cercavano di analizzare il luogo.
Tra quelle persone, Francesco riconobbe una figura a lui familiare.
-Ettore!-
Il citato, nel frattempo, stava interrogando delle persone. Si voltò di scatto, appena udì il suo nome.
-Oh, Cesco!- rispose, avvicinandosi a lui. Avevano la stessa altezza, quasi un metro e novanta.
Ettore aveva superato la trentina; tra i capelli scuri, infatti, cominciavano a brillare alcuni fili sottili di capelli grigi. Occhi glaciali e mascella quadrata che incutevano timore. E la divisa da tenente dava proprio il tocco finale.
Si salutarono con un pugnetto.
-Lieto che tu sia arrivato. Qui sta regnando il casino più assoluto…-
-Ho fatto più in fretta che ho potuto. Avete scoperto qualcosa, nel frattempo?-
-Ancora non siamo sicuri del tipo di bomba usata.- spiegò Ettore –E l’unico che forse l’ha intravista è saltato in aria per primo. Ma la cosa strana è che non ci sono segni di scasso e niente è stato rubato.-
-Forse chi ha messo la bomba voleva solo spaventarci o far direttamente saltare in aria un intero edificio.- commentò il giovane, guardandosi intorno -Sai com’è il nostro lavoro, Ettore… Ogni tanto capita qualcosa per la quale non siamo affatto preparati: per uno strano motivo, qualche pazzo demente, probabilmente pieno di odio verso se stesso e con un paio di mesi arretrati nel pagamento dell’affitto, alla fine scoppia.-
Il tenente della polizia rimase allibito da quelle parole. Non era raro che il cugino si perdesse in spiegazioni incoerenti, altrimenti detti “deliri”, mascherate da discussioni filosofiche.
Francesco ritornò alla situazione reale.
-Fatto sta, comunque, che questa è stata davvero un’esplosione del cazzo. Guarda dove è schizzato quello…- notò, guardando in alto. Infatti, una sedia, con ancora una persona sopra, aveva quasi sfondato il soffitto. Si intravedeva solo la parte inferiore del corpo.
-Ci sono altri cadaveri, Ettore?-
-Beh, su uno ci sei salito sopra.-
Non si era accorto di essere improvvisamente divenuto più alto del cugino.
Imbarazzato, fece un passo indietro.
Quel cadavere, già sistemato sulla brandina, venne portato immediatamente all’esterno.
-Bene… ehm… ci sono testimoni, almeno?-
-Sì, una ragazza, la nipote di Marco Auditore.-
Il giovane sgranò gli occhi.
-QUEL Marco Auditore? Il noto meteorologo? Quello che questo fine settimana dovrà tenere la conferenza sul clima alla quale parteciperanno vari membri della politica?-
-Sì, proprio lui.- proseguì il tenente –Ecco, sua nipote, ieri notte, prima dell’esplosione, ha intravisto qualcuno uscire dall’edificio. La sta interrogando il nostro addetto agli identikit.-
Vennero improvvisamente interrotti da delle urla: ma non urla di terrore, ma urla che esprimevano, piuttosto, rabbia.
Quattro uomini, infatti, stavano sbraitando contro un poliziotto, che continuava a scuotere la testa, alzando le mani, come per dire “non posso fare niente…”.
Francesco li osservò con aria curiosa.
Erano tutti e quattro molto strani: uno aveva la barba tipo Abrahm Lincoln, uno aveva lo sguardo da tonto, uno sembrava essere coetaneo di Garibaldi e l’ultimo era sulla via della calvizie.
-Ettore…- mormorò, aggrottando di poco le sopracciglia –Chi sono quei quattro schizzati laggiù…?-
-Ah, quelli. Niente, sono solo quattro musicisti mezzi matti che faranno da spalla ad Auditore durante la conferenza. Si fanno chiamare “La Quarta Orchestra”…-
-Sì… dopo, se non ti dispiace, gradirei fare un paio di chiacchiere con loro. Ora sono interessato ad interrogare la testimone.-
Ettore si fermò proprio di fronte a lui, come se volesse nascondergli qualcosa.
-Meglio di no, Cesco.- gli intimò -Appena ha visto l’esplosione, ha quasi perso i sensi. Le gira ancora la testa,  quindi è meglio se le parli quando si sarà completamente ripresa.-
-Ma se non è ancora lucida come dici, allora perché il nostro addetto all’identikit la sta interrogando?-
Colpito.
Ettore non poteva più nascondergli la verità.
Indicò verso sinistra.
-E’ lì.-
L’investigatore si voltò nella direzione indicata: vide solo una donna estremamente anziana, con i capelli bianchi, tremante, come avesse il Parkinson.
-Mi scusi, signorina…- iniziò lui, prima di prendere il telefono, per avviare una registrazione; la donna non si voltò nemmeno –Vorrei farle alcune domande su…-
-Ma no! Non quella signora!- interruppe il tenente, indicando in avanti –La ragazza laggiù, quella con il nostro disegnatore!-
Francesco non poteva credere ai suoi occhi.
Il cuore gli batté improvvisamente a mille e il suo respiro si fermò.
La ragazza che stava parlando con l’addetto agli identikit era proprio lei: Lisa.
Era ancora scossa, come appena detto dal cugino, ma perfettamente in grado di fornire una descrizione dell’uomo che aveva intravisto la sera prima.
Mai avrebbe pensato di rivederla, specie in quel contesto.
I lunghi capelli neri erano sciolti, ogni tanto ondeggiati dal vento, che creavano un grazioso movimento. Aveva una maglia a maniche lunghe e larghe e jeans neri.
“Esattamente come la ricordavo…” pensò, ipnotizzato da quella visione “Proprio come nei miei sogni, ma ora lei è qui. Quei capelli neri come il cielo di notte, quel volto delicato, e quel corpo né magro né grasso che avresti una voglia così di toccarlo e stringerlo tra le mani come fosse un grosso morbido peluche imbottito di cotone da abbracciare di notte per non avere incubi... E quelle tette che sembrano dirti: “Ehi! Vieni a trovarci!” Il genere di donna che ti fa desiderare di inginocchiarti e ringraziare Dio, perché sei uomo tutto di un pezzo… Oh, sì… è proprio tutta mia madre…”
-Cesco! Datti un contegno!- lo svegliò Ettore, dandogli una botta sulla nuca –La stai osservando come fosse tua madre…!-
Lisa, in quel momento, aveva appena finito di parlare con l’addetto agli identikit, che la stava ascoltando mentre disegnava su un blocco da disegno. Il suo sguardo si spostò accidentalmente verso sinistra.
Si illuminò, appena vide Francesco proprio davanti a lei, e sorrise.
Gli corse incontro, senza, tuttavia, abbracciarlo.
-Francesco…- disse, imbarazzata per la mancanza di altre parole da dire al giovane.
-Ciao, Lisa…- rispose lui, rispondendo al suo sorriso –Non… non sapevo che fossi la nipote di un meteorologo…-
-Zio Marco è il fratello di mia madre. Mi ha proposto di stare da lui, fino al termine dell’Università…-
L’investigatore provò lo stesso imbarazzo della ragazza: non sapeva cosa dirle.
Erano ormai tre anni che non si vedevano.
Incontrarsi di nuovo e in quella circostanza non poteva essere una coincidenza.
-Perché ho come l’impressione che tutto questo non sia un caso?-
Lisa lo guardò stranita.
-Non capisco…-
-Ci sono gli investigatori privati, a Rieti. Perché proprio io?-
Lei si morse il labbro inferiore.
-E’ stata una mia idea.- rivelò, intrecciando le dita –So che hai risolto molti casi in questi tre anni e Ettore mi ha garantito che eri il più adatto a risolvere questo caso, quindi...-
Francesco sentì il proprio cuore spezzarsi in mille frammenti di ghiaccio: per un attimo si era illuso.
Sperava che la chiamata fosse stata una scusa per rivederlo.
-Sì…- disse, con un filo di voce –Ti prometto che faremo luce su questo mistero, Lisa.-
-Lisa!-
Era Marco Auditore. Era stato trattenuto da dei poliziotti, che gli avevano rivolto qualche parola.
-Va tutto bene, cara?- domandò, toccandola per un braccio.
-Sì, zio Marco. Ah, lui è l’investigatore Francesco Milanelli, cugino del tenente Milanelli. Aiuterà con le indagini.-
-Signor Auditore…- salutò l’investigatore, porgendo la mano all’uomo, che la strinse.
-Ah, il famoso Francesco, presumo…- notò Marco, sorridendo –Lisa mi ha parlato molto di te, sai?-
-Sul serio?- si illuminò questi.
-Sì. Ha ritagliato dai giornali tutti i casi che hai risolto, specie quelli sugli spacciatori di droga. E’ stata una buona idea, allora, quella di farti chiamare da Grosseto per farti venire qui.-
-Oh, la ringrazio, signor Auditore.- ringraziò, modesto, Francesco –Anzi, a dire la verità, due li ho investiti accidentalmente con la macchina. Per fortuna, dopo si è scoperto che erano trafficanti di droga.-
I presenti si guardarono l’un l’altra, allibiti.
Doveva cambiare argomento.
-Dicevamo… voi eravate qui, durante l’esplosione?- domandò, prendendo il suo telefono e avviando una registrazione. Ogni virgola poteva essere importante.
-No, mia nipote ed io stavamo tornando a casa. Era ormai mezzanotte. E’ stato solo quando abbiamo sentito il botto che siamo tornati indietro. Uno spettacolo orribile… Spero proprio che troverai i responsabili, investigatore Milanelli…-
-Mi spiace fare il pessimista…- commentò il giovane, mentre il suo telefono continuava a registrare –Ma ci sarà molta strada da fare. E’ un po’ come il sesso: un compito difficile e scrupoloso, che, tuttavia, sembra andare avanti per sempre. E proprio quando pensi che le cose funzionino bene, non succede più niente.-
Zio e nipote erano sempre più allibiti.
Ettore si mise una mano sul volto, imbarazzato.
-Ciononostante, meglio soffermarsi sulle piccole piste che abbiamo.- proseguì Francesco, dopo essersi schiarito la voce –Cosa mi sai dire sull’uomo che hai visto, Lisa? Ci serve ogni dettaglio.-
-Ho fornito una descrizione al vostro disegnatore.-
Il tenente si avvicinò al citato e gli prese il blocco da disegno.
Quanto era stato disegnato sopra non aveva niente a che vedere con quanto descritto dalla ragazza: l’addetto agli identikit le aveva fatto un ritratto, in posa provocante, con abiti del tutto diversi da quelli che aveva indosso, con i capelli in preda al vento.
-Sei licenziato…- mormorò a questi, che si alzò dalla sua sedia con sguardo dispiaciuto e deluso nello stesso momento.
Anche l’investigatore diede un’occhiata e sgranò gli occhi.
-Forse è meglio chiamare l’altro, non credi, Ettore? Quello che non esce con le donne e vive con quei due fustoni…-
In quel momento, altri quattro uomini si avvicinarono al gruppetto. Erano gli stessi che non avevano fatto altro che sbraitare contro i poliziotti. Avevano ancora lo sguardo preoccupato e furioso allo stesso tempo.
-Allora? A che punto siamo qui?- domandò quello con la barba bianca che gli ricopriva tutta la mandibola.
-E voi siete…?- domandò Francesco, confuso.
-Loro sono “La Quarta Orchestra”.- rispose Marco, per loro -Mi faranno da spalla alla conferenza.-
Avevano tutti e quattro superato la cinquantina di età: il più giovane, cinquantacinque anni, aveva già i capelli bianchi, il più basso aveva il cranio coperto di riccioli grigi, che quasi sfioravano la fronte spaziosa, il più alto era quasi pelato, con l’eccezione della zona inferiore, la semi circonferenza che toccava le orecchie, e anche il più anziano, sessantadue anni, era sulla via della calvizie, sebbene non ai livelli del collega, con una grossa voglia scura sul cranio.
Avevano tutti gli occhiali, ad eccezione del più alto.
-Ah! I comici musicisti!- si ricordò, avvicinandosi a loro -Ecco perché mi eravate familiari! Sono un vostro grande ammiratore, sapete? Francesco Milanelli, investigatore privato.-
-Piacere, Giorgio Guardiola. Lui è mio fratello Saverio, lui è Luciano Abbati e lui Alberto Mati.- si presentò il più giovane, prima di indicare il tonto, il calvo e il più anziano –Visto che è un investigatore, almeno lei può dirci se questa esplosione manderà a monte la conferenza del professor Auditore?-
Nel frattempo, Ettore stava sfogliando i disegni dell’ex-addetto agli identikit: erano tutti disegni sulle donne, sia vestite, sia nude.
Ad un certo punto, aveva chiuso il blocco, con aria imbarazzata.
-Non lo so con certezza.- rispose l’investigatore –Gli indizi a disposizione sembrano essere pochi, ma per sicurezza, meglio posticipare la data della conferenza fino a quando non avremo una pista certa o un sospettato certo.-
I quattro musicisti si osservarono gli uni gli altri, più preoccupati di prima.
-Se non le dispiace, professor Auditore… vorrei visitare il resto dell’edificio, in cerca di altri indizi. Se vuole può accompagnarmi, e sua nipote può unirsi a noi, se vuole…-
-Con piacere.-
-Va bene, Francesco.-
-Lisa…-
Un’altra persona si era unita al gruppo.
-Lisa, mia cara, per fortuna stai bene…-
La ragazza sorrise alla vista del nuovo arrivato e lo abbracciò.
-Matteo!-
Era un ragazzo all’incirca suo coetaneo, ma, a causa della barba, sembrava coetaneo di Francesco: era alto quanto lui, pelle olivastra, capelli neri come la barba, e occhiali a montatura rettangolare. Era vestito molto elegante, giacca e cravatta. Sembrava il dirigente di un’azienda piuttosto che uno studente universitario.
-Ero preoccupato per te…- proseguì lui, baciando la mano di Lisa.
Il giovane investigatore disprezzò quel gesto: osservò quella mano candida con gelosia, rimpiangendo non poco di non essere lui a posarvi le sue labbra.
-Sei sempre troppo premuroso con me…- rispose lei, con aria indifferente, facendo quasi inquietare il suo interlocutore.
Lo stava osservando come fosse il vuoto in persona, uno sguardo che l’altro sembrava non aver mai notato in lei.
-Ma sono contenta ugualmente di vederti. Ah, Francesco, zio Marco, lui è Matteo Nereo, un mio collega di università e figlio del magnate petrolifero Alfredo Nereo, della compagnia “Esagono”. Matteo, lui è Francesco, un mio vecchio amico, e, naturalmente, conosci mio zio Marco Auditore…-
Amico. Quella parola tramutò i mille frammenti del cuore del citato in duemila.
-Sì, mia nipote mi diceva che stava uscendo con qualcuno…- si ricordò Marco, stringendo la mano del nuovo arrivato –Ma non sapevo che fosse il figlio di Alfredo Nereo…-
-Molto piacere, Matteo…- disse Francesco, con tono stoico, celando il suo vero stato d’animo -“Nereo”, eh? Forse mi è capitato di usare il petrolio di tuo padre per fare rifornimento alla mia povera Punto…-
-Beh, mio padre ne sarà lieto…-
-Per caso c’è qualche connessione tra la compagnia petrolifera “Esagono” e l’Istituto Meteorologico?- tagliò corto l’investigatore, osservando il ragazzo con aria sospetta. Non gli piaceva che fosse così vicino alla ragazza che amava.
-Non strettamente…- rispose Matteo, prendendo le spalle di Lisa, massaggiandole lievemente –Ma ultimamente Lisa ed io ci incontriamo spesso per fare le ore piccole... Sai, l’università richiede particolari tipi di sforzi, e talvolta è utile studiare insieme… Come sta la mia piccola micetta?-
-Tremendamente sola…- rispose Lisa, stringendosi nelle spalle, quasi imbarazzata.
La gelosia di Francesco cominciò a mostrarsi.
-Beh… è davvero fantastico, sai Lisa?- mormorò, senza incrociare il suo sguardo, per timore che ella potesse leggergli dentro –Sai, anch’io, per un po’, sono uscito con una ragazza. Carina, scrittrice, ha scritto un libro sulle disfunzioni sessuali maschili.-
I presenti assunsero uno sguardo quasi turbato da quelle parole.
-Probabilmente lo avrai letto, Matteo…-
Il suo tono era quasi di scherno.
E Matteo cadde nella trappola.
-Spiegati meglio!- chiese, offeso.
Ettore si intromise nel discorso.
-Cesco, per favore, non è il momento…- ammonì, cercando di prevenire una rissa –E non con un figlio di un pezzo grosso…!-
-Sì, va bene! Sono certo che siamo tutti in grado di affrontare questa situazione con maturità, da adulti responsabili quali siamo, non è così, figlio di papà, signorino Pannolino Bagnato?-
Il ragazzo moro serrò le labbra e avanzò di un passo, in procinto di dare un pugno al giovane.
-QUESTO E’ TROPPO!-
-Aspetta, Matteo!- lo fermò Lisa, mettendogli le mani sul petto –Meglio se ci lasci soli…-
Si calmò immediatamente al suono della sua voce e le prese nuovamente una mano, stringendola dolcemente tra le sue.
-Come vuoi, mia cara…- salutò, galantemente –Ma non stasera…-
-Ciao…-
Marco, i quattro musicisti, e persino Ettore si erano accorti della gelosia che stava assalendo l’investigatore, mentre osservava Matteo uscire dall’edificio.
Anche Lisa lo aveva intuito, ma non volle farlo notare. Forse per timidezza.
Francesco volle far tornare l’attenzione dei presenti sul caso.
Nessuno osò parlare del suo improvviso comportamento infantile.
C’erano cose più importanti da fare.
-Allora…- annunciò, battendo le mani -Lisa, professor Auditore, avevate detto che mi avreste mostrato l’istituto.-
-Sì, immediatamente.- annuì l’uomo, facendo cenno di seguirlo.
-Vogliamo venire anche noi!- tuonò Giorgio, battendo un piede per terra –Anzi, se non le dispiace, vorremo collaborare con lei, per questo caso.-
Quella richiesta fece stupire i due cugini.
-No, lasciate che ci pensiamo io e la Polizia.- cercò di persuaderli l’investigatore -Vedrete che…-
-Sappiamo che per voi non fa né caldo né freddo…- tagliò corto il più anziano, Alberto -Ma per noi questo spettacolo-conferenza è importante. E, soprattutto, vogliamo assicurarci che facciate il vostro dovere, invece di prenderlo per le lunghe come fate sempre voi delle forze dell’ordine…-
Quel tono fece arretrare il giovane.
Ettore, seppur con lo sguardo, lo esortò a soddisfare tale richiesta.
-E poi… io ho sempre desiderato collaborare con la Polizia…- aggiunse Saverio, il più basso della banda, con aria quasi sognante.
Frase che fece sospirare Giorgio, oltre a fargli scuotere la testa.
Proseguirono la discussione, camminando per l’edificio.
-Anche voi siete interessati al cambiamento climatico?-
Tutti e quattro mossero le mani in modo circolare.
-Sì e no.- rispose il più anziano, aggiustandosi gli occhiali.
Quel movimento fece riflettere Francesco.
-Ah, certo…- ricordò, schioccando -A voi artisti interessano i soldi che ricavate dai vostri spettacoli…-
-E’ gratis…- mormorò Marco, a denti stretti.
-Oh.-
-Per i soldi ci facciamo bastare quelli che guadagniamo con il nostro vero mestiere.- aggiunse Luciano, il più alto.
-Perché? Che lavoro fate, oltre i musicisti?-
-I docenti di conservatorio.-
-Ok…- decise di tornare sul caso, prima di farsi distrarre completamente da affari che non lo riguardavano -Allora, Lisa… Cosa mi puoi dire dell’uomo che hai visto questa notte?-
La ragazza cercò di ricordare.
-Un uomo bianco. Con la stempiatura simile a quella di Luciano…-
-Ehi!- si offese il citato, toccandosi la parte calva della sua testa –Non sono stempiato! Ho la riga larga!-
Quella frase fece sogghignare i tre colleghi.
-E i baffi.- continuò la ragazza –Di circa un metro e ottantacinque.-
-Cavolo! Ha dei baffi spaventosi!- commentò Saverio, prima di ricevere uno scapaccione da parte di Giorgio.
-Cretino…-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il pub ***


Nemmeno il giro all’interno dell’istituto era servito molto.
Francesco ed Ettore si erano ritrovati esattamente al punto di partenza.
Il loro punto di riferimento era l’uomo intravisto da Lisa.
Non aveva lasciato impronte digitali, o altre parti del suo corpo che potessero essere ricondotte a lui.
I pochi indizi erano stati lasciati nelle mani della scientifica.
Conscio di vagare ormai nel vuoto, Francesco decise di ritirarsi.
Era ospite a casa del cugino. Non disfò la valigia e nemmeno decise di farsi la doccia.
Quella sera uscì per andare nel primo pub che avrebbe trovato.
Essendo un giorno lavorativo, non c’era molta gente. Solo lui, il barman, e qualche disoccupato che affogava la sua malinconia nell’alcool o nel fumo, come lui.
La televisione ivi presente era sintonizzata su MTV, quindi c’era la musica ad accompagnare quell’atmosfera “vuota”.
Francesco era seduto sul bancone, con la testa appoggiata ad una mano. Il suo incontro con Lisa aveva provocato un uragano di emozioni, che nascondeva semplicemente fissando il vuoto.
Il barista si avvicinò a lui.
-Desidera?-
L’investigatore alzò lentamente lo sguardo verso di lui.
-Dammi il più forte che hai.- chiese.
L’uomo schioccò le dita: uno dei bodyguard, quello più muscoloso, si presentò accanto a lui, dritto con la schiena.
L’imbarazzo provato dal giovane era indescrivibile.
-Ehm… ripensandoci… una birra, grazie.-
-Subito.-
Altre due persone entrarono nel pub. Appena videro il ragazzo, presero posto accanto a lui, uno alla sua destra, l’altro alla sua sinistra. Fra tutti e tre, non si sapeva chi avesse il naso più grosso.
-Francesco, giusto?- domandò uno di loro.
Erano Saverio e Giorgio, due dei quattro musicisti che avrebbero fatto da spalla a Marco Auditore.
-E voi? Cosa vi porta qui?- domandò, quasi maleducatamente, seppur senza volerlo.
-Eravamo solo in cerca di un pub.- parlò nuovamente il più giovane dei due –Alberto e Luciano erano troppo stanchi per unirsi a noi…-
-Cosa vi porto?- domandò nuovamente il barista, mentre riempiva il bicchiere destinato a Francesco.
-Una birra, per favore.-
-Anche per me.-
I tre boccali vennero serviti contemporaneamente.
L’investigatore, senza pensarci due volte, bevve metà contenuto tutto d’un fiato; il suo sguardo continuava a vagare nel vuoto, come se in quel momento il suo cervello non fosse attaccato al resto del corpo. Agiva senza avere il pieno possesso dei suoi arti. Era confuso.
-Piano, ragazzo…- intimò Giorgio, accompagnando la frase con un movimento della mano –Sennò ci crolli qui sul bancone…-
Saverio a stento trattenne una risata, mentre beveva: per poco, la birra non gli uscì dal naso.
Francesco fece un lungo sospiro, per riprendere fiato dalla bevuta.
-E’ una mia impressione… o il mondo sta letteralmente impazzendo?- domandò, sulla via dell’immersione nei fumi dell’alcool.
L’uomo con la barba bianca restò a fissare il liquido dorato dentro il boccale di vetro, come ipnotizzato, mentre lo girava lentamente.
-Nah, non dovremo generalizzare un evento che accade una volta su tre.- rispose questi, prima di bere –Si tratta sempre di una piccola percentuale, dopotutto…-
-Spero lei abbia ragione…- sospirò l’investigatore, fissando anche lui il resto della birra nel suo boccale –Io ci vivo di queste cose, ma non riesco mai ad abituarmici. In ogni secondo può accadere qualcosa e non siamo mai abbastanza pronti per affrontare questi tipi di pericoli… Non so se ci vado più d’accordo…-
Sospirò nuovamente.
I due fratelli lo fissarono in modo strano, dietro il vetro dei loro occhiali, come se lo stessero studiando.
-Conosco quello sguardo…- commentò Saverio, sorridendo in modo furbo –C’entra una ragazza, vero?-
L’investigatore si svegliò improvvisamente dal suo torpore alcolico.
-Eh?! Cosa…?! No, ma che sta dicendo…?!-
-Non inganni nessuno, investigatore Milanelli…- proseguì il più anziano dei fratelli –Ho visto come guardi Lisa. Per un attimo, mi era sembrato di vedere me, ai tempi della mia prima cotta…-
-E non è andata nemmeno bene…- derise, seppur sottovoce, Giorgio, ridacchiando.
Saverio riuscì a sentirlo.
Si voltò verso di lui, con aria offesa.
-Zitto tu!- esclamò, senza alzare la voce.
-Senti tu!-
-Senti tu!-
-Senti tu!-
-Senti tu, che non hai un rapporto stabile con tua moglie e spesso ti incontri con qualche ventenne che vuole solo divertirsi e avere sesso facile. Sesso, sesso, sesso…-
Giorgio assunse un’aria imbarazzata e offesa nello stesso tempo, mentre Francesco non faceva altro che ridacchiare a quella lite.
-Ragazze che non sanno dire di no.- proseguì Saverio, con tono derisorio –E ancora, ancora, ancora… Pensa, mio caro investigatore, che la sua stessa figlia, nonché mia nipote, ha smesso di considerarlo come padre…-
-Parla lui che ha i suoi problemi sessuali…-
-OH, MA IO TI…!-
Francesco scoppiò in una fragorosa risata. Quel minuto di lite tra fratelli gli erano bastati per fargli ritornare il buonumore.
-Mi sembra di sentire me e mia sorella…- ridacchiò, ponendo fine al “litigio” dei Guardiola –Forse alla vostra età continueremo a litigare così…-
-Hai una sorella?- domandò Saverio, riprendendo a bere.
-Sì, ha sei anni in meno di me ed è una gran rompiscatole.-
-Uguale a Giorgio, insomma…-
-Insomma! Vuoi ricominciare?!-
-Pensate che per un po’ di tempo mi ha rotto le scatole su Lisa…- proseguì il giovane, continuando a guardare in basso, senza battere ciglio.
-Beh, ma se Lisa ti piace, non ci vedo niente di male. Voglio dire, è carina, ha quel volto delicato che la rende simile ad una bambola di porcellana, ha due belle…-
-Saverio!- tagliò corto il fratello minore, con sguardo severo.
-Beh, non lo metto in dubbio…- fu il solo commento del giovane, stoico, prima di sospirare.
Giorgio storse la bocca: era consapevole di essere la persona meno adatta a consolare, specie su argomenti amorosi, ma tanto valeva fare un tentativo.
-Senti, ragazzo…- mormorò –Tu pensi sempre a lei?-
Si maledisse per le parole appena dette: persino Saverio si mise una mano sul volto.
Pensava che non avrebbe ottenuto risposta.
Ma ormai Francesco era divenuta una macchina, un robot, con il solo scopo di rispondere a qualsiasi domanda, anche quelle più imbarazzanti.
-Continuamente. Specie da quando se ne è andata da Grosseto per studiare qui. Non ho fatto altro che odiarmi per non averle dichiarato in tempo quello che provavo veramente per lei. E ora è troppo tardi: lei si è già trovata un altro…-
-Ma sembrava ugualmente felice di vederti, no?- aggiunse Saverio.
-Ovvio. Perché sono l’unico in grado di risolvere questo mistero, no?-
I due fratelli si guardarono, come se stessero cercando l’uno nello sguardo dell’altro una domanda intelligente da porgli.
-Ehm…- proseguì il maggiore –Ma voi due da quanto vi conoscete?-
-Da un bel po’ di anni.- raccontò l’investigatore –Praticavamo lo stesso sport ed eravamo nello stesso corso. Dopo un po’ di tempo siamo diventati buoni amici, e allora era più facile per entrambi. Niente sentimenti di mezzo e liberi di dirci quello che volevamo. Poi accade che, per qualche strano motivo, cominci a vedere una persona con occhi diversi e da allora ci parlavamo sempre di rado. E poi… io avevo cominciato da poco la mia attività da investigatore, e temo di averla trascurata. Non posso biasimarla se era o è ancora in collera con me. Fatto sta che non ho mai saputo cosa provasse per me. Ma quando l’ho sentita dire: “Vado a Rieti a studiare Lettere” ho sentito un peso enorme nel mio cuore. Ogni giorno mi sto pentendo di non averla fermata, anche per un solo istante, almeno per darle un bacio. Se solo potessi viaggiare indietro nel tempo… Colpiti?-
Non ottenne risposta.
Saverio e Giorgio avevano appena finito di bere. Forse colpiti da un’improvvisa sbornia o semplicemente annoiati, si erano addormentati, russando, per giunta, chi con la testa appoggiata sulla mano, chi con la testa sul bancone.
Francesco li osservò, scuotendo la testa e sospirando.
-Ti chiedono la storia della tua vita e come ripagano? Dormendo.- commentò –E’ davvero un’arte saper tenere sveglia la gente…-
Il barista, in quel momento, poggiò un altro boccale di birra davanti agli occhi del giovane.
-Ne ho già una, grazie.-
-Da parte della signorina.-
I duemila frammenti che componevano il cuore dell’investigatore si riunirono tutti all’improvviso, appena scorse il probabile mandante del nuovo boccale di birra: Lisa era dall’altra parte del bancone, ad un metro di distanza da lui, mentre alzava una mano, sia per saluto, sia per segnalare la sua presenza. Era vestita elegante, con un completo nero, orecchini di diamante con collana abbinata, si era truccata con l’eyeliner e il rossetto rosso e si era acconciata i capelli, rendendoli più ondulati rispetto a come li teneva di solito.
Francesco restò fermo ad osservarla, paralizzato, sorpreso di rivederla. Smise di respirare, per un attimo.
Ritornò quasi in sé quando sentì una leggera pacca sulla schiena: i Guardiola, non sapeva come, si erano risvegliati.
-Va’ da lei. Coraggio.- intimò Giorgio. Persino Saverio, con lo sguardo, gli stava dicendo la stessa cosa.
Il giovane si schiarì la voce, prima di prendere i due boccali di birra.
-Ora andate entrambi a farvi una bella dormita.- avvertì, prima di alzarsi -Se davvero volete collaborare con me, domani sveglia presto. Dobbiamo essere alla centrale alle 7:30.-
I due musicisti annuirono.
-Sì, d’accordo.- disse il più anziano dei due, mentre prendeva la giacca.
-Ci vediamo direttamente in centrale?-
-No, passo io a prendervi alle 7:00. A proposito, dove alloggiate?-
-Hotel Miramare. E’ qui a due passi.-
-Perfetto, a domani.-
-Buonanotte.-
-Buonanotte.- salutarono i Guardiola, prima di uscire.
Solo con Lisa. Forse non proprio, ma non gli importava. Non attendeva altro dal momento in cui l’aveva nuovamente incontrata.
Con i due boccali ancora in mano, si diresse verso la ragazza. Una cosa semplice, data la distanza ridotta tra i due.
Tuttavia, accadde che il giovane si scontrò più volte con il barista, mentre tornava al bancone dopo il servizio al tavolo, o con qualche cliente che stava per uscire, disorientandolo.
Alla fine, si sedette, tenendo lo sguardo fisso sul bancone.
-Mi spiace che siamo arrivati a questo…- mormorò –Ma sappi che vederti ha illuminato nuovamente la mia vita…-
-Francesco…-
La sua voce era ancora lontana. Di soli due posti, ma pur sempre lontana.
-Guarda che sono qui…-
Francesco alzò lo sguardo: si rese conto che aveva appena parlato con un uomo. Un uomo ubriaco, con il volto e corporatura simile a quello di un gorilla. Anche i suoi versi erano molto simili all’animale.
L’investigatore nascose l’imbarazzo dietro una piccola risata.
-Ehm… una nocciolina…?- propose, prima di cambiare posto. I boccali rimasero dove erano.
Prestando attenzione al percorso, finalmente Francesco si sedette accanto a Lisa.
Il cuore gli batteva a mille, averla vicina dopo tanto tempo, ma riuscì a controllare la sua emozione.
-Perché sei qui?- domandò, quasi stoicamente –Non sei mai stata tipa da pub…-
La ragazza si morse le labbra.
-Infatti è così…- rispose, anche lei imbarazzata –Ho chiamato a casa tua e non rispondeva nessuno. Il cellulare, niente. Poi ho chiamato la centrale e tuo cugino mi ha detto che non c’eri e che forse eri qui. Direi che sono stata fortunata, non trovi?-
Il suo lieve sorriso timido fece sciogliere l’investigatore, ma resistette alla tentazione di ricambiare: voleva che Lisa vedesse la sua delusione.
-Allora è successo qualcosa?- domandò.
-Sì, mi sono ricordata qualcosa sull’esplosione. Mentre guardavo dalla finestra, ho visto un furgone grigio parcheggiato fuori, nel parcheggio dell’Istituto.-
-Ok, un furgone grigio… Hai preso anche la targa?-
La ragazza si morse nuovamente le labbra.
-Lo sai che la mia memoria cilecca; non ce l’ho fatta nemmeno a fare la foto.-
Il giovane sospirò.
-Almeno abbiamo un elemento in più. Perfetto, Lisetta, questo potrebbe restringere il campo. Mi sembra tu abbia fatto la tua parte, quindi sei libera di andare.-
Era tornato nuovamente nella sua versione “robot-stoico”, anche con la ragazza che gli piaceva.
Ma lei non sembrava intenzionata ad andarsene.
-Sai, Francesco…- mormorò, infatti –Non è la sola ragione per cui sono qui…-
Francesco deglutì: che fosse…?
-Mi dispiace essermene andata in quel modo, tre anni fa, senza salutarti per bene. Ma noi siamo ancora amici, vero?-
Ennesima illusione. Odiava il suono della parola “amici”, specie dalla bocca di Lisa.
-Sì, certo… amici…- borbottò –Gli amici, almeno, continuano a sentirsi, anche se distanti, se veramente tengono l’un l’altro. Tu non ti sei fatta sentire per tre anni. Hai preferito piuttosto dedicarti allo studio dei poeti lunatici che mantenere i contatti con i tuoi vecchi amici!-
-I poeti maledetti, Francesco…- corresse lei, prima di parlare nel suo stesso tono –E poi senti da che pulpito! Addirittura prima che partissi, mettevi sempre il tuo lavoro prima di ogni altra cosa al mondo, persino dei tuoi amici! Sentivamo tutti la tua mancanza, al corso di nuoto!-
-Se veramente ti mancavo…- rispose l’investigatore, sempre più nervoso -…perché non me lo hai detto? No! Hai preferito andartene come una ladra, come se fosse la cosa più normale del mondo! Scommetto che con il figlio di papà non ti comporti così! Sono sicuro che se ti prendessi le impronte digitali, sarebbero uguali alle sue!-
Era troppo.
Lisa era una ragazza dolce, ma si offendeva facilmente, e facilmente cedeva alla rabbia.
Infatti, senza pensarci due volte, diede uno schiaffo all’amico, che la fermò in tempo, stringendole il polso con forza.
-Ma bene…- schernì Francesco, con un sorriso beffardo –Sembra che qualche micetta selvaggia sappia graffiare ancora…-
Lei serrò le labbra, e cercò, con la mano libera, di dare un altro schiaffo al suo interlocutore, invano.
Aveva bloccato anche l’altro polso.
Entrambi avrebbero voluto essere in un altro momento, in quella posizione.
Alla fine, Lisa riuscì a far del male all’investigatore pestandogli, rapida, un piede, col tacco.
-Ahhh!- urlò lui, mollando i polsi e curvandosi in avanti.
L’universitaria non sapeva se sentirsi in colpa per quel gesto. Ma anche lei non stava bene.
Entrambi non avevano ancora il coraggio di dichiararsi.
Lisa amava ancora Francesco. Non sapeva spiegarsi il motivo che l’aveva spinta ad avvicinarsi a Matteo.
-Scusa…- sussurrò lei, abbassando lo sguardo –Non avrei dovuto farlo.-
Detto ciò, si alzò in piedi.
-Ed è stato un errore persino venire qui. Non capisco questa tua gelosia, Francesco! Oggi ti sei comportato come un bambino, con Matteo! Non ti facevo così infantile! Credevo fossi diverso dagli altri ragazzi, ma voi maschi siete tutti uguali!-
Rapida, si diresse verso l’uscita.
Francesco non ebbe nemmeno il tempo di dirle: “Sono geloso perché ti amo, Lisa!”, che subito lei era fuori, forse entrata in macchina e diretta verso la casa dello zio.
Il pensiero di seguirla era forte, ma ormai lui si era rassegnato.
Osservò i boccali di birra di fronte a lui: non gli rimaneva altro, ormai.
-Sono proprio un idiota…- mormorò, prima di finire il primo boccale e poi cominciare a bere il secondo, pagato da Lisa.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il piano ***


Note dell'autrice: scusate per l'attesa. Voglio essere quasi fedele al film e lo so che con la grammatica lascio molto a desiderare, ma per le storie comiche me lo voglio permettere. Che storia comica sarebbe con il linguaggio aulico? A pensarci bene, solo quello dei Monty Python, ma quello è un altro tipo di comicità...

--------------------------------

Roma. Porto di Nettuno.
Solo in una banchina c’erano delle luci accese.
Delle urla di rabbia e delusione per poco non svegliavano l’intera città.
-Ve l’avevo detto che l’esplosione non sarebbe servita!-
-Non avevamo scelta! E dia un’occhiata a questo titolo!-
Un giornale della Nazione venne come lanciato al centro del tavolo, così da essere letto facilmente dai presenti.
Sulla prima pagina c’era scritto: “L’Italia in fremente attesa per la conferenza di Marco Auditore: come è cambiato il clima dall’800 a oggi.”
-La conferenza si terrà fra due giorni, se la polizia scoprirà qualcosa.-
-Crede che non lo sappia?-
-Lo sappiamo tutti!-
Quegli uomini facevano bene ad essere preoccupati: invero, erano tutti magnati e rappresentanti di compagnie petrolifere, nucleari e carbonifere.
Se l’Italia avesse adottato uno stile di vita basato sulle energie rinnovabili, le loro compagnie sarebbero state chiuse e loro avrebbero perso il lavoro.
Non da nascondere, infatti, che l’idea di far esplodere l’Istituto Meteorologico era partita da loro.
O meglio, da chi si era improvvisamente unito alla discussione.
-Signori, vi prego…-
Erano due persone esattamente uguali, stessa barba, stesso colore degli occhi, stesso colore della pelle, con la sola differenza di età e la stempiatura sulla fronte da parte del più anziano: erano Alfredo Nereo, magnate petrolifero della compagnia “Esagono” e suo figlio Matteo.
Vestiti con giacca e cravatta sembravano più gemelli che padre e figlio.
-So che siete tutti in apprensione…- proseguì il più anziano; il ragazzo rimase in silenzio e in disparte –E concordo con voi. Abbiamo ragione ad essere preoccupati… Matteo, il proiettore, prego.-
Il citato aveva in mano un telecomando: gli bastò premere un pulsante per accendere un proiettore, con la luce diretta verso una lavagna bianca.
-Questa è una centrale eolica, già attiva fuori Trieste.- spiegò, mentre sullo schermo vennero mostrate delle pale eoliche; successivamente cambiò immagine –E questa, invece, è una centrale a energia solare, o meglio, il progetto di una centrale a energia solare. Fatto sta che disporranno di cellule fotovoltaiche, che trasformano i raggi solari in elettricità. Questa è una lampada fluorescente. Dura dieci volte più di una lampadina tradizionale. Infatti, usa solo un quarto di energia. Finestre speciali. Isolano circa quanto dieci lastre di vetro. E questa, infine, è una macchina elettrica, alimentata parzialmente da pannelli solari. Grazie, figliolo, ora puoi spegnere…-
Lo schermo si spense all’improvviso.
-Tuttavia, signori miei…- rivelò Alfredo, con tono sicuro –Non sono preoccupato da nessuna di queste cose…-
I presenti rivolsero al collega sguardi confusi.
-…poiché nessuno verrà mai a saperne. Intanto, devo ringraziare mio figlio, il mio unico erede, per avermi dato queste informazioni, direttamente estorte dalla nipotina di Auditore…-
Matteo fece un lieve sorriso malefico.
-Mi dispiace non aver scoperto di più, papà…- ringraziò –Ma la falsa sgualdrina si ostina a fare la “preziosa”, la avara con la sua virtù… non so se mi spiego…-
-Questo è già sufficiente, figliolo…- commentò il padre, ridendo leggermente.
-E che mi dice di Auditore? E la sua conferenza con quei quattro musicisti sfigati?-
-Ci saranno i Presidenti e il Ministro dell’Ambiente…- domandarono due magnati nucleari.
L’uomo dalla carnagione olivastra sorrise in modo furbo.
-Davvero un’ottima domanda…- mormorò –Perché non lo chiede direttamente a lui?-
Dei rumori strani attirarono l’attenzione dei presenti, per poi assumere sguardi sgomenti: imbavagliato e legato su una sedia a rotelle, quelle per gli invalidi, c’era proprio lui, Marco Auditore. Si guardava intorno, spaventato e respirando a tratti. A spingerlo era proprio l’uomo intravisto da Lisa la sera prima. Aveva il fisico robusto, ancora saldo, nonostante l’età. Baffi scuri che coprivano l’intera area tra naso e bocca, naso rotto, sopracciglia folte che gli davano un’aria ancora più spaventosa e capelli lunghi, acconciati tipo fungo, con la stempiatura sopra la fronte, esattamente come descritto dalla nipote di Auditore.
-Ma è impazzito?!-
-Ha rapito Auditore…!-
-E’ davvero incredibile!-
-Ma fra qualche giorno dovrà fare il suo discorso…-
-Tranquilli, cari colleghi…- rassicurò il magnate petrolifero –Marco Auditore terrà il suo discorso…-
-Il mio parere è che attualmente dipendiamo dal carbone, dal petrolio e dall’energia nucleare…-
Un’altra persona si era aggiunta al gruppo; lo stesso Marco Auditore fu sgomento di vedere la persona accanto a lui: era la sua copia, un sosia, persino nella voce. Stessa barba, stesso volto, stessi occhi, stessa corporatura.
Era solo leggermente più alto, ma nessuno se ne sarebbe accorto.
-Buon Dio…- commentò uno dei presenti, sorpreso quanto il meteorologo.
-Cari colleghi, vi presento Vincenzo Arcattati, un ex-critico d’arte e, come potete vedere, il sosia perfetto di Marco Auditore.- presentò Alfredo, facendo un lieve inchino.
-E come ho già spiegato al signor Nereo…- tagliò corto il sosia, mentre si toglieva dal volto la barba finta e la parrucca, mostrando i lunghi capelli color cenere; era più giovane di Auditore, di circa dieci anni; aveva una voce subdola e minatoria, come se volesse intimare i presenti a non rifiutare la sua offerta –La mia parcella è di un milione e vi assicuro che valgo ogni centesimo. E poi, miei cari signori… voi non avete molta scelta, nevvero?-
Concluse con una breve risata, mettendo un pezzetto di lingua in mezzo ai denti.
Alfredo non fu intimorito dal suo tono, ma annuì ugualmente.
-Signori miei, il signor Arcattati ha detto la sua…- concluse –Ci sono domande?-
Silenzio.
Nel frattempo, Marco Auditore osservava i presenti con aria furiosa, cercando di dimenarsi, e, di conseguenza, liberarsi.
-Bene, allora siamo d’accordo.-
Bastò un cenno della testa del magnate che il sicario mise una ganascia su una ruota della sedia a rotelle, per evitare che il meteorologo, seppur legato, fosse riuscito a scappare semplicemente muovendo le ruote.
-Si goda la sua permanenza qui, signor Auditore…- salutò Alfredo, prima di uscire da quel luogo con aria soddisfatta.
Anche il figlio Matteo si unì.
-Chi lo sa? Magari, nel frattempo, sua nipote mi rivelerà altre informazioni utili per rovinare la sua conferenza… una volta che deciderà di fare un bel “corpo a corpo” con me… Eheheh…-
Se le corde che lo tenevano non fossero state strette e legate così bene, Marco non ci avrebbe pensato due volte a liberarsi almeno un braccio per dare un pugno sul naso di Matteo…
Tuttavia, non gli rimase che contare su Francesco, su Ettore e sulla Quarta Orchestra…



Si perse subito d’animo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il sicario ***


Una musica ad alto volume ruppe il silenzio nel salotto della casa del tenente Milanelli.
Da una coperta che avvolgeva tutto il divano, spuntò una mano, che cercava alla cieca la fonte di quella musica, fino a quando non tastò qualcosa di liscio, su cui passò il dito.
La musica smise.
Dalla coperta, vestito solo con la sua biancheria intima e con i capelli neri arruffati, uscì Francesco, sbadigliando.
Erano le sei del mattino, e la mattina era ancora buia.
L’appuntamento con i musicisti era alle 7:00, quindi dovette sbrigarsi a prepararsi per la giornata.
Prese il suo telefono e si diresse verso il bagno.
Scelse una canzone e la mise a tutto volume, intanto che si faceva una doccia veloce, cantando, seppur male.
Ettore stava ancora dormendo nella stanza accanto. Fu bruscamente svegliato dalla voce stonata del cugino.
Era l’ora di alzarsi.
Passò un quarto d’ora: i due cugini si incontrarono nel corridoio, uno appena uscito dal bagno, l’altro appena alzato dal letto.
-‘Giorno Ettore…- salutò il più giovane, sorridendo lievemente.
-Buongiorno un cacchio…- ricambiò l’altro, ancora nei fumi del sonno –Proprio i Linkin Park a tutto volume dovevi metterti a cantare…?-
-Lo sai che mi piacciono.-
-Sì, certo…- biascicò l’altro, entrando nel bagno –Visto che sei già pronto, allora prepara la colazione. Il latte è nel frigo e ci sono dei Buondì nella credenza. Serviti pure…-
Mezz’ora dopo i due Milanelli erano già vestiti e avevano appena concluso la loro colazione.
Ettore indossava la sua solita divisa, mentre Francesco si era nuovamente messo la giacca verde e il cappellino insieme a dei jeans strappati sul ginocchio e un paio di Converse.
-Io vado subito in centrale.- disse Ettore, una volta alzato –Vieni con me?-
-No, io devo andare a prendere i quattro schizzati. Gli abbiamo promesso che li avremmo fatti partecipare alle indagini, dopotutto…-
-Come vuoi. Io ti aspetto in centrale, allora. Spero che la scientifica abbia scoperto qualcosa…-
Non aveva accennato a Lisa, per fortuna.
Una notte di riposo era proprio quello che ci voleva per Francesco.
Salì in macchina e si diresse verso l’hotel indicato da Saverio e Giorgio.
Fortunatamente non era molto lontano dalla casa di Ettore.
Per tutto il tragitto, tentò a stento di rimuovere Lisa dalla sua mente, concentrandosi, piuttosto sul caso cui aveva accettato di indagare.
Dopo pochi minuti, si fermò proprio davanti all’Hotel Miramare. Nonostante le sue quattro stelle, era un albergo modesto, ma non tale da sembrarne uno da tre stelle.
La Quarta Orchestra non aveva né la fama né i soldi (soprattutto i soldi) per permettersi di alloggiare in un hotel a cinque stelle.
Fortunatamente, Luciano, Saverio e Giorgio erano usciti in quel momento. Alberto uscì qualche secondo più tardi rispetto ai colleghi. Aveva l’aria più assonnata dei quattro.
-Ma ti vuoi muovere?!- lo rimproverò il più giovane della banda –Non possiamo stare qui ad aspettarti! Già sei vecchio…-
-Scusate tanto se mi devo ancora svegliare…- protestò l’altro, sistemandosi gli occhiali e scendendo lentamente le scale, per evitare di scivolarci sopra –Odio svegliarmi presto…-
-Anch’io, ma se l’investigatore ha detto alle 7:00, ci sarà un motivo, no?-
Poi scoprirono chi era il conducente della Punto parcheggiata proprio di fronte all’hotel e si affrettarono ad entrare, dopo averlo salutato.
Fortunatamente, c’era abbastanza posto per tre persone nei sedili posteriori. Giorgio si sedette accanto a Francesco.
-Allora, come è andata ieri sera?- domandò, voltandosi verso il giovane, che continuava a guardare serio la strada, facendo una specie di slalom tra le macchine. Luciano, Alberto e Saverio, per poco, non rischiavano il conato con quei movimenti bruschi e improvvisi.
-Perché che è successo ieri sera?- domandò, senza voltarsi.
Il musicista assunse un’aria confusa.
-Beh… ma con Lisa, intendo...- disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
-Lisa? Ah! Lasciamo perdere! Una notte di riposo era proprio quello che ci voleva.- il ricordo delle parole scambiate con Lisa era troppo doloroso per il giovane -La cosa migliore da fare è concentrarsi tutti su questo caso.-
A questo punto, Alberto si sporse un po’ in avanti, per parlare con lui.
-A proposito… a che punto siamo con le indagini? Avete scoperto qualcosa sull’uomo che ha fatto esplodere l’Istituto Meteorologico?-
-Ma cosa vuoi che abbiano scoperto?- si intromise Luciano, incrociando le mani dietro la testa –E’ passata solo una notte.-
Erano ormai vicini alla centrale: l’entrata si trovava una volta salita una piccola scalinata, come l’hotel Miramare.
Immerso nei suoi pensieri e formulando varie ipotesi sul caso, Francesco non si era nemmeno reso conto di essere contromano, svoltando dove era presente uno “Stop” (sempre contromano).
Rallentò, senza frenare, andando, involontariamente, a sbattere contro una cabriolet con il tetto aperto, che, spinta in avanti, si scontrò contro una betoniera.
L’impatto fece aprire uno scarico di emergenza, da cui uscì tutto il cemento, che entrò dentro la Cabriolet.
Per l’investigatore sembrava una cosa normale, ma i quattro musicisti vennero brutalmente spinti in avanti: l’unico a subire danni fu Saverio, che sbatté il naso contro il poggiatesta di Giorgio.
 -Non so voi, signori…- disse il giovane, con aria determinata, senza sentire l’urlo di dolore del trombonista –Ma io non voglio che il caso di questo caso venga risolto a caso, per caso!-
Uscì dalla macchina, senza voltarsi.
Anche i passeggeri fecero la stessa cosa; apparivano confusi per il discorso dell’investigatore e allarmati per il cemento che continuava ad entrare nella cabriolet urtata.
Il naso di Saverio sanguinava: cercava di guardare in alto, tappandosi le narici.
-Ma chi gli avrà dato la patente…?- mormorò, senza farsi sentire o vedere.
Francesco, infatti, non era molto bravo a guidare: la Punto, infatti, era piena di ammaccature.
-Gli indizi a nostra disposizione sono troppo pochi.- spiegò questi, salendo le scale, seguito da loro -Non ci resta che sperare che il laboratorio abbia scoperto qualcosa, per caso…-
Non aveva nemmeno fatto caso al rumore liquido del cemento.
“Non bastavamo solo noi quattro, come fuori di testa…” pensò Giorgio, scettico nei suoi confronti “Ora ci mancava solo l’investigatore mezzo idiota…”
Nella centrale, sembrava regnare il caos; o meglio, il terrore.
L’ennesimo spacciatore era stato arrestato quella mattina: nessuno sapeva come, ma era riuscito a liberare una mano da una delle manette.
Aveva una pistola in mano, probabilmente sfilata da una fondina di un poliziotto, e la stava puntando in avanti: Ettore era proprio lì davanti, con le mani in alto. Come gli era stato insegnato nei suoi primi anni da poliziotto, non doveva mostrare alcuna paura in momenti simili, ma dare l’impressione di avere la situazione sotto controllo.
-Nessuno di voi porci mi prenderà!- esclamò il detenuto, ridacchiando.
-Stai calmo…!- lo esortò il tenente, osservandolo con aria fredda.
-Dite le vostre preghiere!-
Successivamente, il miracolo: Francesco e la Quarta Orchestra entrarono proprio in quel momento.
Saverio era riuscito a mettersi dei pezzi di fazzoletto nelle narici, per fermare il sangue.
Lo spacciatore era proprio vicino alla porta, quindi fu colpito da essa, una volta aperta dall’esterno, che lo fece cadere per terra.
Disarmato, un paio di poliziotti scattarono verso di lui, rimettendogli le manette e dandogli un paio di manganellate, come punizione.
-Cattivo! Cattivo!- gli urlarono.
-Bel lavoro, Cesco.- complimentò Ettore, camminando accanto al cugino, che, come risposta, gli rivolse uno sguardo confuso, ignaro di quanto era accaduto.
Solo i musicisti, voltandosi indietro, se ne resero conto.
La centrale non era molto grande: c’erano un sacco di scrivanie in uno spazio ridotto; persino il tavolo della scientifica era in quella stanza.
Era presente solo una persona, un uomo dai capelli grigi, camice bianco, occhiali a montatura grande, leggermente più anziano di Alberto, ma ancora costretto a lavorare lì, dopo l’ultima legge sul lavoro. Doveva rimanere lì per almeno altri 10 anni.
Era una leggenda nella scientifica: era noto persino per le sue invenzioni, che metteva sempre a disposizione per le indagini o per mantenere l’ordine.
-Senti, Franco…- disse Ettore, avvicinandosi allo scienziato; era nella centrale praticamente dai primi tempi in cui quest’ultimo era un semplice poliziotto, quindi si sentiva libero di dargli del “tu” –Puoi mostrarci i risultati che hai ricevuto dal Istituto Meteorologico?-
-Non siamo riusciti a trovare delle impronte digitali chiare…- spiegò lo scienziato, prima di mostrare un tassello di gesso su cui era incisa un’impronta di un piede molto grande –Tuttavia, abbiamo trovato delle impronte di piedi all’esterno del centro e questo è un calco di gesso. Misura 46. Stiamo seguendo questa traccia.-
I quattro musicisti, quasi allarmati, si guardarono i propri piedi, temendo di essere sospettati.
Per fortuna, nessuno di loro aveva quella misura.
-Ma è ancora più sospetta quest’impronta di dinosauro.- proseguì Franco, scoprendo con un telo un altro tassello di gesso, molto più grande di quello precedente, con un’impronta di dinosauro ivi incisa –Signori, un reperto considerevole dell’era paleolitica.-
I presenti si osservarono allibiti l’un l’altro.
-Ehm…- mormorò Francesco, una volta schiaritosi la voce –C’è dell’altro?-
-Sì, a circa sei metri da lì abbiamo scoperto del legname antico che crediamo possa appartenere all’arca di --Noè.-
-E’ magnifico, Franco, ma io mi riferivo al caso. Novità?-
-Partirò domani per Milano, dove rivolgerò un appello pressante alla società archeologica italiana.- rispose Franco, senza curarsi della domanda del giovane investigatore –Ah, mi hanno invitato a Geo&Geo la prossima settimana.-
-E tu andrai a Geo&Geo per questa roba?-
-No, mia moglie è una seguace transessuale di Satana.-
Francesco e i quattro musicisti furono come sconvolti, allo stesso tempo confusi, da quella rivelazione, soprattutto i secondi che si guardarono l’un l’altro come per dire “Ma in che posto siamo finiti?!”.
Anche Ettore non riuscì a celare la sorpresa.
-Lo so, non c’entra niente.- riprese lo scienziato, rivolto al tenente –Allora, continueremo l’analisi delle impronte, i controlli della fibra, la classificazione del DNA, la campionatura dei capelli e poi useremo le particelle di terra microscopiche di terra su questa impronta. Serve un’analisi geologica di tutta la città.-
-Potremo non avere tutto questo tempo, Franco.- disapprovò Ettore, abbassando un sopracciglio.
Anche Franco storse la bocca.
-Mmm… forse questo ci aiuterà.- disse, tirando fuori un portafoglio di pelle –Abbiamo trovato il suo portafoglio. Era fuori per terra.-
Sospirando, Francesco quasi glielo strappò di mano: tutta una riflessione e spiegazione scientifica, forse per vanto, per poi scoprire che la strada era molto più semplice.
-Non abbiamo avuto modo di esaminarlo accuratamente. Ci è stato mandato dal laboratorio solo un’ora fa.-
Giorgio, Saverio, Luciano e Alberto sembravano pensare la stessa cosa: “Sembra di essere capitati nella città degli spostati mentali…”; tuttavia, si avvicinarono ugualmente all’investigatore, mentre scrutava dentro il portafoglio, dove estrasse un pezzo di giornale, che spiegò.
C’era l’immagine di un uomo, in tenuta di arte marziale, accanto ad un paragrafo che parlava proprio di lui: corrispondeva esattamente alla descrizione fornita da Lisa sull’uomo intravisto da lei.
Ecco l’uomo che stava cercando.
-Vittorio Salverini. Di Catanzaro…- mormorò, serio -Sì, mi ricordo di questa belva. E’ stato campione di Arti Marziali Miste, qualche anno fa. Il suo vero nome era Gioele Campobasso.-
Anche Ettore ebbe come un’illuminazione.
-E’ vero…- si ricordò, schioccando le dita -Combatteva con il nome di Bimbo Trento.-
-Una volta ho visto combattere Bimbo Trento, a Firenze.- si intromise Luciano, alzando un dito, per richiamare l’attenzione.
-No, forse intendevi Bimbo Napoli.- ribatté l’investigatore -Combatteva fuori Terni.-
-Che fu ucciso sul ring di Milano.- aggiunse il cugino -Da Toro Trieste, sapete, l’assassino di Aosta.-
-Sì, quello dell’Emilia-Romagna.- disse Alberto -Non mi ricordo, però, se l’Emilia o la Romagna.-
-Emilia. Romagna era suo fratello, della Sicilia.-
-Sei un esperto in geografia, Cesco…-
-Tutto ciò che c’è da sapere è non scommettere mai su uno del Sud.-
Altri sguardi allibiti come risposta.
-Per caso c’è un indirizzo, lì dentro?- domandò Giorgio, richiamando l’attenzione sul caso.
-Beh…- fece Francesco, tirando fuori un altro pezzo di carta –Tutto quello che c’è è un biglietto con scritto “Monica di Carlo, Via Marchese De Sade 21”.-
Ettore si fece serio.
-La zona a luci rosse…- mormorò.
-Chissà perché Salverini bazzica da quelle parti…?-
-Sesso, Francesco?- domandò Giorgio.
Il giovane guardò il musicista con aria strana.
-No, non adesso, Giorgio! Dobbiamo lavorare!- rispose, facendo allibire i presenti per l’ennesima volta.
Nel frattempo, Franco stava guardando fuori dalla finestra. Ad un certo punto, sorrise.
-Ehi, venite tutti a vedere la mia nuova invenzione!- invitò, facendo avvicinare i due cugini e i quattro musicisti, incuriositi –E’ un dispositivo anti-dirottamento.-
Infatti, una donna era entrata in macchina, dalla parte del guidatore, e un uomo stava cercando di tirarla fuori, invano; infatti, ella era riuscita a chiudere la portiera. L’uomo, tuttavia, aveva già preso una pistola e gliel’aveva puntata contro, per minacciarle di uscire da lì. Ma lei non si mosse; qualcosa spuntò, invece, da sotto la macchina, diretta in mezzo alle gambe dell’aggressore, una specie di cerniera che lo strinse forte nella zona riproduttiva (a tal punto da farlo gemere dal dolore), permettendo, così, la fuga facile alla donna.
Tutti, eccetto lo scienziato, che ridacchiava, si misero nei panni dell’uomo e assunsero degli sguardi sofferenti.
-La chiamiamo la Ganascia Selvaggia!-
Saverio, ancora con i pezzi di fazzoletto nelle narici, pensò, scuotendo la testa: “Promemoria: mai più spettacoli a Rieti.”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Vittorio Salverini ***


-Fammi venire con te! Dopotutto sono il tenente, dovrei essere a capo di questo caso!-
-No, Ettore. Se mi hai chiamato, vuol dire che il mio aiuto ti serve davvero. E’ meglio se resti qui in centrale, così, se dovesse succedermi qualcosa, ci sei pur sempre tu a mandare avanti le indagini.-
Così Francesco era riuscito a convincere il cugino a non seguirlo verso l’indirizzo scritto sul foglietto trovato dentro il portafoglio di Salverini.
Tuttavia, visto che aveva dato la sua parola, si trovò costretto a portare i quattro musicisti con sé. Dopotutto, a loro non sembrava dispiacere la piccola avventura che stavano vivendo, nonostante le piccole lamentele sulle persone cui erano circondati e i momenti di scetticismo nei confronti del giovane investigatore.
Sarebbe stato un tour differente dagli altri: dopo un po’, fare le stesse cose annoia, no?
Francesco fece nuovamente uso del navigatore per dirigersi verso la destinazione.
Giorgio era nuovamente seduto accanto a lui, con dietro Saverio, Luciano e Alberto.
Il primo guardava come ipnotizzato il puntino blu all’interno del navigatore che si avvicinava sempre di più alla bandierina rossa della destinazione.
Non c’è da nascondere, inoltre, i vari momenti di infarto dei passeggeri ogni volta che Francesco passava gli incroci senza guardare a destra o a sinistra, senza dare la precedenza a chi di diritto. Per fortuna, le altre macchine si fermavano, o la Punto rischiava un’altra ammaccatura.
-Credi che siamo ad un buon punto con le indagini?- domandò Giorgio, distogliendo lo sguardo dal navigatore e guardando il profilo del giovane.
-E’ troppo presto per dirlo.- fu la risposta –Ma non dovete preoccuparvi, in questo campo mi sono sempre considerato un esperto.-
I musicisti non sembravano d’accordo.
-Figurarsi, allora, se fosse stato un principiante…- mormorò Alberto, senza farsi sentire dai presenti.
Per sua fortuna, la musica all’interno dell’auto aveva coperto la sua voce: Francesco, per spezzare l’imbarazzante silenzio, aveva messo un CD, guarda caso, della Quarta Orchestra.
-Ma spero vivamente che quell’indirizzo ci faccia raggiungere Salverini…-
-E se dovessi fare un altro buco nell’acqua?- domandò il canuto, facendosi serio.
-Beh, posso sempre farmi fare la ceretta alle gambe…- concluse il giovane, prima di frenare bruscamente.
Saverio colpì nuovamente il naso sul poggiatesta del fratello: aveva pianificato di fare uno scudo con le mani, se fosse accaduto, ma la risposta che udì lo fece basire, come i colleghi, a tal punto che si era distratto.
-Eh! Ma allora…!- si lamentò, guardando nuovamente in alto, nel tentativo di fermare l’emorragia.
-Eccoci arrivati.- annunciò Francesco, tirando il freno a mano. Aveva parcheggiato proprio di fronte ad un sexy-shop, che corrispondeva all’indirizzo che stava cercando.
Non per niente Via Marchese De Sade era la zona a luci rosse.
Era un negozietto piccolo e modesto: già dalla merce esposta in vetrina si poteva capire che tipo di negozio fosse.
Ma fu un piccolo elemento scorto dall’investigatore, anche se con la coda dell’occhio, che attirò la sua attenzione.
-Guardate.- indicò, una volta uscito. I musicisti lo seguirono; Saverio era di nuovo intento a coprire le narici con dei pezzi di fazzoletto –Un furgone grigio.-
Lì per lì non c’era niente di strano: i furgoni di quel tipo e di quel colore non erano rari.
-Sì, e con questo?- domandò Giorgio, confuso.
-Lisa mi ha detto di aver visto un furgone grigio la notte dell’esplosione. Credo che siamo ad un buon punto con l’indagine.-
-Quindi Salverini può essere qui?- domandò Alberto, serio.
-Allora andiamo a prenderlo!-
-No, Giorgio, non così in fretta.- lo fermò il giovane, mentre rifletteva sul da farsi –Dobbiamo esaminare bene la situazione prima di agire. Intanto, è necessario che voi mettiate un trasmettitore sul furgone, per scoprire dove alloggia e i suoi movimenti, contattare mio cugino e informarlo sulla posizione del furgone, la sua targa e a chi appartiene e fare la sentinella, in caso di fuga da parte del nostro uomo, mentre io entro e faccio qualche domanda.-
-Io vengo con te.- tagliò corto l’uomo dalla barba bianca.
-E perché vuoi venire anche tu?-
-Hai pur bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle, no? E poi, come si dice, l’unione fa la forza.-
-Allora vengo anch’io.- si propose Saverio, alzando lievemente la mano –Che faccio? Lascio tutto il divertimento a voi?-
-Ma se venite tutti e due…- commentò Francesco –Allora gli altri dovranno montare il trasmettitore e avvertire mio cugino.-
-Luciano può montare il trasmettitore.-
Il più alto del gruppo, sentendosi nominare, assunse uno sguardo confuso.
-Perché io?-
-Perché ho appena detto “Luciano può montare il trasmettitore.”…- si giustificò Giorgio, concludendo con un sorriso furbo.
-Bene, quindi deduco che dovrò informare io la polizia…- notò il più anziano, incrociando le braccia.
Anche loro volevano un po’ di azione.
-Esattamente.- annuì l’investigatore, prima di avvicinarsi a Luciano e condurlo verso il bagagliaio –Qui trovi il trasmettitore. Mettilo in un punto qualsiasi del furgone, basta che Salverini non lo noti. E non preoccuparti, tanto è magnetico.-
L’oggetto in mano all’uomo era grande la metà del suo trombone, e altrettanto pesante.
-Alberto, tu sai come si usa una radio?-
-So solo cambiare stazione...-
-Bene, allora sapete cosa fare.- disse, prima di battere le mani -Voi due, con me!-
Dall’interno del negozio, Vittorio Salverini, senza farsi vedere, diede una rapida occhiata all’esterno: notò l’investigatore e i musicisti e si morse il labbro inferiore.
-Merda!- imprecò, guardando indietro –E’ la polizia! Liberati subito di loro!-
C’era presente una sola persona all’interno del negozio, oltre all’ex-lottatore: una donna sulla trentina d’anni, avvenente, truccata, capelli vaporosi e bruni e con indosso un abito dalla scollatura ben evidente.
Doveva essere Monica Di Carlo, la donna citata nel bigliettino.
-Va bene, va bene! Me ne occupo io!- esclamò; da come gli parlava, sembrava fossero complici –Tu nasconditi qua nello scantinato!-
Aprì una porta, che dava a delle scale.
-Lì sarai al sicuro.-
Senza attendere che il cliente fosse completamente entrato nello stanzino, chiuse frettolosamente la porta, che lo colpì sulla schiena, spingendolo in avanti, facendolo rotolare sulle scale.
-AHHHH!!!- si sentì.
Francesco e i Guardiola non avevano sentito niente: Monica era riuscita a nascondere Salverini, prima che la porta del negozio si aprisse.
-Buongiorno.- salutò il più giovane del trio, mostrando un documento di identità –Francesco Milanelli, investigatore privato. Loro sono i miei collaboratori.-
La donna non sembrava per nulla intimorita; anzi, si mise dietro al bancone, in posa provocante.
-Devo restare bloccata così?- domandò, con aria seccata.
Lo sguardo dei due fratelli era ovviamente rivolto verso la scollatura, anche quella dell’investigatore, ma il suo pensiero centrale era risolvere il caso dell’esplosione, che sconfisse l’istinto di restare lì con lo sguardo fisso come un baccalà.
-Beh… devo ammettere che messa così fa molta scena…- mormorò, prima di sbattere le palpebre e guardandola negli occhi –Comunque siamo qui per farle alcune domande.-
Nel frattempo, Luciano e Alberto stavano procedendo con la loro parte del piano.
O meglio, tentavano.
-Ah, come diamine funziona questo affare…?!- imprecò il più anziano, tenendo in mano la radio per comunicare con la stazione di polizia, mentre, con l’altra, pigiava dei tasti a caso.
Stava beccando solo frequenze di programmi musicali.
Il tempo stringeva. Doveva muoversi.
-Forse questo…?- mormorò, prima di pigiare l’ennesimo tasto.
Udì delle interferenze. Un altro buco nell’acqua, pensò, sospirando e ruggendo nello stesso momento.
-Krr… Distretto di Polizia di Rieti. Krr…-
Alberto sorrise: ce l’aveva fatta.
Fece un piccolo gesto di entusiasmo, come se l’Italia avesse vinto i mondiali di calcio.
-Pronto?-
Ma non doveva esultare a lungo. Prese la radio e vi parlò attraverso.
-Ehm… sì, salve…- disse, un po’ imbarazzato; mancava poco non avesse la più pallida idea di cosa dovesse dire –Sono il professor Alberto Mati, della Quarta Orchestra…-
-Sì, e io sono Claudio Baglioni…- fu la risposta, sarcastica.
Si udirono delle risate, in sottofondo.
-No, dico sul serio!- ribatté il bassotubista, deglutendo e sudando dall’imbarazzo; non aveva mai parlato alla Polizia; non in quel modo –Sono uno dei collaboratori dell’investigatore Francesco Milanelli. Chiamo per la questione di Vittorio Salverini. Abbiamo trovato il suo furgone in Via Marchese De Sade 21 e questa è la targa…-
A Luciano, invece, era toccato il compito più arduo: posizionare un localizzatore sul furgone di Salverini.
Lo guardava da tutte le angolazioni, con aria disperata, come se non sapesse cosa fare. Mancava poco che piangesse dall’ansia.
-E adesso dove lo metto…?- diceva, con le gambe tremanti; dipendeva tutto da lui; se fosse riuscito a posizionare quel localizzatore, l’indagine avrebbe compiuto un passo avanti.
–Sopra no, perché chiunque lo vedrebbe…- rifletté, con l’oggetto in mano -Poi metti che passa sotto un cavalcavia molto basso, rischia di staccarsi… Di lato, potrebbe scoprirlo subito… Qui dietro nemmeno… Potrei metterlo sotto il motore… Sì, è il luogo giusto!- osservò, camminando con passo danzante verso il cofano, come segno di vittoria –Nessuno lo vede e quel terrorista da strapazzo non si renderà conto di essere localizzato…! Ah! Ah! Sono proprio un genio!-
-Stiamo cercando un tale di nome Vittorio Salverini.- proseguì Francesco, rivolgendo a Monica occhiate quasi minatorie, mentre i Guardiola stavano camminando per il negozio, osservando i tipi di merce in vendita -Allora, dov’è?-
Ma la donna non sembrava per nulla intimorita.
-Per quale motivo te lo dovrei dire, spilungone?- domandò, con arroganza.
-Perché sono l’ultimo baluardo fra i casini come questo e la gente rispettabile di questo Stato.-
In quel momento, da un’altra stanza del negozio, arrivò un altro commesso, un giovane biondiccio, alto e altrettanto magro. Portava una camicia a righe e dal suo savoir-faire e dal suo modo di parlare doveva essere dell’altra sponda.
-Ah, ciao, tu devi essere Francesco.- salutò, con voce quasi amichevole, come se lo conoscesse da tempo.
L’investigatore gli rivolse uno sguardo sospetto: come faceva a sapere il suo nome?
-Sai, è arrivato quel modello di macchina succhiatrice svedese a presa rapida che tuo cugino Ettore aveva ordinato per voi due. Ah, che lussuriosi…-
Quella rivelazione lo fece arrossire, persino più che parlare con Lisa. Non si aspettava certo che il cugino avesse un lato perverso sotto la sua dedizione alla legge. Non aveva nulla in contrario a come si svagava, ma se ne fosse stato al corrente, forse avrebbe preso il tutto con meno sconvolgimento.
Monica lo guardò con un sopracciglio alzato, come per contraddirlo sull’ultima frase da lui detta.
-Di… questo… non ne sapevo assolutamente niente!- cercò di giustificarsi, cercando di non balbettare -E Ettore, stasera, dovrà spiegarmi un bel po’ di cosette…-
Giorgio, come stabilito, stava facendo la vedetta, per informare Francesco su possibili tracce di Salverini, mentre Saverio faceva finta di fare il cliente.
-Ehi, Giorgio…- disse, all’improvviso, quasi sottovoce, sghignazzando –Vieni a vedere qui…-
L’altro, sospirando, si avvicinò, temendo di lasciarsi sfuggire il loro obiettivo con la più piccola distrazione.
Il più anziano, aveva in mano uno strumento simile ad una sega elettrica, che azionò tirando più volte una cordicella; soltanto che, al posto della lama, c’era un’asta con una forma fallica sull’estremità, che si mosse tremando.
Imbarazzato, il fratello minore incitò il maggiore a lasciare quell’oggetto, dando manate su manate.
-Ma posalo immediatamente! Cretino!- rimproverò, con l’ultima manata sulla nuca.
-Ahu!- si lamentò Saverio, massaggiandosi la parte offesa e sistemandosi gli occhiali, che per poco non cadevano a causa del colpo –Manca poco che mi rompi il collo così, scemo…-
-Eh, non sarebbe una grande perdita…-
Intanto, Luciano, non si sa come, aveva preso uno skateboard, per scivolare più facilmente sotto il furgone grigio e posizionare il localizzatore. Per fortuna, il motore era freddo, quindi non rischiò di ustionarsi per posizionarlo, dopo aver spinto il bottone per azionarlo. Aderì bene con il metallo, essendo magnetizzato.
Ma, ahimè, il pericolo era proprio dietro l’angolo.
Dal negozio, Giorgio aveva notato qualcosa di strano.
-Francesco! Saverio! Venite qui!- chiamò, raggiunto dai citati.
Vittorio Salverini. Fuori dal negozio. Diretto verso il suo furgone. Si guardava nervosamente indietro, come se sospettasse di essere inseguito.
-E’ il nostro uomo!- disse il giovane, sorridendo vittoriosamente –Raggiungiamo la macchina e inseguiamolo!-
Velocemente, uscirono dal negozio, per rientrare nella Punto. Alberto aveva appena finito di dare le ultime indicazioni alla polizia.
Luciano non li raggiunse. Quando Salverini era entrato nel furgone, lui era ancora sotto. Quando udì il rumore del motore, per poco non gli venne l’infarto. Il localizzatore, per fortuna, rimase al suo posto.
Ma, mentre lo metteva, un lembo della camicia era rimasto incastrato su una vite.
Questo poteva voler dire solo una cosa.
Francesco, Saverio e Giorgio erano appena rientrati in macchina.
-Allora, hai contattato la polizia?- domandò il primo, rivolgendosi ad Alberto, mentre accendeva la Punto.
Questi sembrava piuttosto turbato.
-Sì, l’ho fatto, ma…-
-Aspetta un attimo… Dov’è Luciano?- domandò Saverio, guardandosi intorno, quasi preoccupato.
-Era questo quello che volevo dire.- riprese il più anziano, indicando in avanti.
Il furgone era ormai partito: sotto di esso, due gambe si stavano agitando.
-Salverini ha preso Luciano!-
I Guardiola rimasero a bocca aperta, ma l’investigatore, serrando le labbra, mise la prima spingendo con tutta la sua forza, quasi rischiando di rompere la leva del cambio.
-Allora andiamo a prenderlo!-
Fece una tale sgassata che i musicisti, per poco, non si ribaltavano nei loro stessi sedili.
Mancava poco che la Punto eseguisse un’impennata.
-Il punto è non farci scoprire…- si ricordò il ragazzo, lanciandosi all’inseguimento.
-FERMO! FERMO!- esclamava Luciano, ancora sotto il furgone, mentre cercava di liberarsi –CI SONO SOTTO IO!-
Anzi, forse non gli conveniva liberarsi: almeno sotto il motore non rischiava di essere schiacciato. Se fosse, invece, riuscito a strappare la manica della camicia rimasta incastrata, sì, si sarebbe liberato, ma sarebbe stato, nello stesso modo, in mezzo alla strada.
E se Salverini avesse preso l’autostrada?
Meglio pensare prima di agire.
Cercò, quindi, di afferrare il tubo dell’olio motore, ma, ovviamente, si ustionò.
Lo scatto che seguì fu quasi fatale per Luciano: la manica si era strappata, liberandolo.
-Oh-oh…- disse, prima di vedere il furgone passare oltre.
Per fortuna, nella sua parte retrostante, aveva una specie di scalino. Rapido, il trombonista si girò, rischiando di cadere dallo skateboard, e lo afferrò.
Salverini era in suo pugno.
Ad un paio di miglia da distanza, l’investigatore e i musicisti procedevano a velocità moderata, nonostante lo scatto iniziale.
-Povero Luciano…- mormorò Saverio, sempre più preoccupato –E se gli fosse capitando qualcosa…? Se Salverini lo avesse…?-
-Beh…- aggiunse Francesco, iniziando un altro delirio –Se non lo ha già messo sotto il furgone, passandoci sopra più volte per assicurarsi che fosse morto, forse lo sta trascinando con sé, per poi completare il lavoro con le sue mani, magari una bella pallottola sul cranio o le classiche pugnalate. Forse prima di passare all’omicidio lo avrà torturato per poi castrarlo alla vecchia maniera, chi lo sa? O magari intende sfruttarlo per altri scopi che non riguardano solo l’omicidio. Magari è anche omosessuale, represso da chi sa quanto…-
I musicisti osservarono il giovane completamente basiti; no, proprio scioccati.
Francesco non provò alcun rancore nelle sue parole, ma avvertì comunque un lieve senso di imbarazzo.
-Allora dobbiamo trovarlo subito!- esclamò Giorgio, ancora scioccato.
-Vedo che tenete l’un l’altro. Sfido io: 30 anni tutti insieme e ancora non vi siete stancati l’un l’altro…-
-Ma che hai capito? Lui ci serve per i nostri spettacoli. Chi suona gli strumenti a corda se quel tipo ce lo ammazza?-
-Ah.- realizzò l’investigatore, prima di osservare lo schermo nella sua macchina –In effetti, mi sembrava strano…-
Lo schermo mostrava sempre una mappa della zona, ma invece che un solo puntino (ovvero la posizione della sua macchina), ce n’erano due: il secondo proveniva dal trasmettitore che Luciano aveva messo nel furgone di Salverini.
-Comunque, non preoccupatevi.- rassicurò –Le invenzioni di Franco sono davvero efficaci. Se Luciano ha svolto il suo lavoro, allora Salverini ci sta conducendo proprio da lui!-
Questo non fece proprio rassicurare i tre musicisti, che si abbandonarono alla comodità dei loro sedili, ma non per rilassarsi, ma per sospirare, rassegnati, coprendosi i propri volti con le mani.
-Siamo rovinati…- mormorarono, quasi all’unisono.
La corsa durò dieci minuti.
Vittorio Salverini, per fortuna, si era fermato, parcheggiando in una villetta in rovina.
Appena scese, il furgone fece dei sobbalzi strani: stare lontano dal mondo delle arti marziali aveva lasciato un chiaro segno. Era ancora robusto, ma il grasso aveva preso il posto dei muscoli.
Un rumore sospetto lo fece voltare verso il retro del furgone.
Uno starnuto lieve, uno di quelli che vengono interrotti prima di “sputare” dalla bocca.
Si avvicinò, con passo felpato (indossava le scarpe da ginnastica) e con la pistola in mano.
Notò un uomo circa della sua età, se non più grande, pelato quasi quanto lui, che si stava strofinando gli occhi.
Aveva segni di botte su tutto il volto, forse corrispondenti alle sue frenate.
Ma la cosa importante era sapere chi fosse e cosa ci faceva lì.
Gli puntò la pistola contro, pronta per sparare.
L’intruso, già tremante per la corsa, sentì il proprio respiro mozzarsi alla sola vista della canna.
-Bene, bene…- sibilò l’ex lottatore, con accento calabrese –Ma cosa abbiamo qui? Un clandestino, presumo…-
L’uomo deglutì, sudando freddo e premendo sempre di più sullo scalino del furgone. Tremava sempre di più. Era come paralizzato.
-S-s-s-s-s-s-sono… u-u-u-u-u-un… me-me-me-me-me-me-mec-c-c-c-c-ccan-n-n-n-ico…- mentì Luciano, sperando di essere credibile –A-a-a-a-a-a-a-a-v-v-v-v-v-ve-v-v-v-v-vo n-n-n-n-ot-t-t-t-t-tato ch-ch-che q-q-q-q-q-ques-s-s-s-to f-f-f-f-f-furg-g-g-g-g-g-on…e a-a-a-v-v-v-e-v-v-va u-u-n-n pro-pro-pro-problem-m-m-m-a e v-v-v-v-v-olev-v-v-v-v-o d-d-d-d-d-dare u-u-u-u-n’o-o-o-o-cch-ch-ch-chiata… (tradotto: “Avevo notato che questo furgone aveva un problema e volevo dare un’occhiata”)-
Ma Salverini non sembrò berla.
Infatti, alzò un sopracciglio folto, senza abbassare l’arma.
-Un meccanico vestito in borghese?- domandò.
-S-s-s-s-sono i-i-i-i-n f-f-f-f-fer-r-rie, m-m-m-m-ma n-n-n-on riesc-c-c-o a st-st-st-stare se-se-se-se-sen…za l-l-l-lavorare… (“Sono in ferie, ma non riesco a stare senza lavorare.”)- fu la risposta, balbettata dalla paura.
L’altro non gli credette. Frugò nella sua giacca scura con la mano sinistra, mentre con la destra continuava a puntare la pistola contro Luciano.
Tirò fuori un articolo di giornale: c’era una foto di Auditore con tutti e quattro i membri della Quarta Orchestra.
-Quindi il pelato qui non sei tu, vero?- domandò, indicandolo nella foto.
L’uomo non disse nulla; si limitò a respirare dal naso, con gli occhi fissi nella canna.
Il sicario fece sparire la foto, lanciandola alle sue spalle ed assunse uno sguardo minatorio.
-Tu ora vieni con me!- minacciò, prendendo il musicista per i pochi capelli che gli erano rimasti.
-Ahhh! No! Aiuto!-

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Musicisti alla riscossa! ***


Note dell'autrice: quando ho scritto questa parte, avevo pubblicato "Il sicario". Se l'invasione animale a Roma fosse accaduta in quel periodo o dopo... IO NON C'ENTRO NIENTE!


--------------------------------------------


La Punto di Francesco non era l’unica ad essere dotata di uno schermo per rintracciare il localizzatore. Al suo arrivo, l’intero distretto era di fronte alla villetta in cui Salverini si era rifugiato. Ettore era tra di loro, con un fucile in mano e il giubbotto anti-proiettile, sopra il completo mimetico blu che usava raramente e un berretto blu avio con la tesa messa dietro la testa. Amava entrare in azione, specie se c’erano di mezzo le sparatorie.
Appena i tre musicisti uscirono dalla macchina (e stavolta Saverio si era protetto dalla frenata dell’investigatore), furono subito sgomenti dalla quantità di macchine della polizia, con le luci blu e rosse ancora accese, ivi presenti.
Solo loro erano lì per recuperare il collega, possibilmente illeso.
Ma per convenienza e per affari, mica per affetto.
-Allora, Ettore, come va? Bella divisa.- domandò Francesco, battendo, forse con troppa forza, sulla spalla del cugino.
Inavvertitamente, questi sparò dei colpi col fucile, spaventato da quella botta. Non se lo aspettava
Anche il resto dei poliziotti si unì alla sparatoria; file e file di proiettili colpirono la villetta, lasciando dei buchi ben evidenti.
Anche Francesco vi prese parte, con la sua pistola.
-Grazie tante, Cesco…- rimproverò il tenente, lanciando uno sguardo fulmineo all’investigatore.
I tre musicisti, intanto, si erano abbassati, riparandosi dietro ad una vettura della polizia, coprendo le loro teste con le braccia.
-MA SONO IMPAZZITI?!- urlò Saverio, tra i rumori degli spari –C’E’ LUCIANO LI’ DENTRO!-
Alberto, a quel punto, si alzò in piedi, e sbracciò.
-VI PREGO, SMETTETELA!- urlò –C’E’ UNO DEI NOSTRI ALL’INTERNO!-
L’unico che lo ascoltò fu Ettore: lui era il tenente, i poliziotti lo avrebbero ascoltato.
Infatti, prese un megafono e vi urlò dentro.
-ADESSO BASTA! CESSATE IL FUOCO! ERA UN FALSO ALLARME!- ordinò.
Gli spari cessarono.
Le teste dei Guardiola spuntarono da dietri la vettura dove si erano nascosti, guardandosi intorno con sospetto.
Ettore continuava a lanciare sguardi severi al cugino: incrociò le braccia e tamburellò le dita su un braccio.
-Potevi anche evitare di salutarmi in quel modo…-
-Scusa.- rispose Francesco –Ad ogni modo, avete scoperto qualcosa sul furgone?-
-Sì, grazie al cielo, con Internet è diventato più facile cercare le persone.- fece il tenente, prima di entrare nella sua vettura e prendere un fascicolo con dei fogli dentro –Secondo quanto sono riuscito a scoprire, il furgone è registrato a nome di Alfredo Nereo. Credi che sia una coincidenza?-
Francesco sentì il sangue gelarsi e lo stomaco sobbalzare.
Alfredo Nereo.
Il magnate petrolifero.
Il padre di Matteo.
No, non poteva essere una coincidenza.
E questo lui lo sospettava; e nemmeno poco.
-Sembra che tutti i nodi vengano al pettine…- mormorò, facendosi cupo in volto –E che mi dici di Salverini?-
-Da come avrai capito, si è rifugiato in questa villetta abbandonata. Dice di avere un ostaggio.-
-Ovviamente, Luciano…- mormorò Giorgio, guardando in basso con la bocca storta.
Ettore li notò per la prima volta.
-Giusto, mi stavo domandando dove fosse quello più alto.-
-Lo ha preso lui, mentre cercava di posizionare il localizzatore.- spiegò Saverio.
Francesco li guardò e serrò le labbra, determinato.
-Ettore, dammi il megafono!- disse, porgendo un palmo –Ci penso io a quella belva.-
Il cugino acconsentì, pensando: “Speriamo in bene. Che Dio ce la mandi buona…”
Era arrivato il momento cruciale: lui contro Salverini. Anche se non come se lo aspettava.
-Vittorio Salverini!- esclamò, nel megafono –Qui è l’investigatore Francesco Milanelli che parla! Getta la pistola e vieni con le mani alzate! Oppure vieni fuori con le mani alzate e getta la pistola! Insomma, fa’ come ti pare! Basta che ricordi i due elementi principali: uno, gettare la pistola, due, venire fuori con le mani alzate.-
Salverini e Luciano si erano difesi dalla sparatoria di prima, senza recar alcun danno.
Ma il primo non aveva mai mollato la presa sul suo ostaggio; infatti, mostrando prima la pistola, rispose all’invito con tono da sfida.
-Vieni a prendermi, se hai il coraggio, Milanelli!- esclamò, prima di sparare un colpo in aria –Anzi, no! Forse non ti conviene, o ammazzo il mio ostaggio!-
Infatti, mostrò anche Luciano, premendo la canna della pistola contro la tempia: l’uomo era terrorizzato, tremava ed era diventato più pallido.
I tre colleghi ebbero una lieve sincope.
-Vi prego, aiutatemi…- mormorava, tremando.
Persino i due cugini digrignarono i denti.
-Merda, sembra abbia il coltello dalla parte del manico…- mormorò il più grande, stringendo un pugno.
Alberto non poteva stare lì con le mani in mano, o peggio, arrivare ad un compromesso con un tipo come Salverini: nella Quarta Orchestra non circolava certo l’affetto o l’amicizia, ma non era una buona scusa per permettere ad un sicario di uccidere un innocente.
Si guardò intorno, alla ricerca di una soluzione.
Dopodiché, si illuminò.
-Forse non del tutto…- mormorò, correndo da una parte.
Quando il resto del gruppo capì le sue intenzioni, rimasero del tutto sorpresi.
-Che fai, Alberto?!- lo ammonì Giorgio, preoccupato -Non sei autorizzato, tantomeno abilitato a guidare quel carro armato!-
Infatti, il più anziano stava entrando dentro un carro armato bianco (e da dove era saltato fuori?), dotato di un ariete, invece di un cannone.
-Sta’ tranquillo!- cercò di tranquillizzare, prima di chiudere il portello -Ormai con la patente B puoi guidare qualsiasi mezzo! Voi tenetelo impegnato!-
Ma nessuno era tranquillo. Persino l’investigatore non poté non provare inquietudine al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere.
Tuttavia, non poteva fare niente se non distrarre l’obiettivo con le parole.
-Va bene, Salverini, hai vinto!- esclamò, continuando a parlare dentro il megafono; doveva sembrare convincente –Libera l’ostaggio e noi faremo quello che vuoi!-
I Guardiola lo guardarono strano, anche Ettore: Francesco non era tipo da accettare rese.
Ma qualsiasi scusa era buona per distogliere la sua attenzione da quello che stava progettando Alberto.
-Voglio che mi portiate qui una macchina!- ordinò Salverini, convinto di avere la vittoria in pugno –Una macchina figa! Una Mercedes! E poi un biglietto d’aereo per il Brasile! E un albergo con i controcazzi! Ma non una roba per turisti! Un qualcosa che rispecchi la loro cultura, con delle belle donne brasiliane come compagne di camera!-
Un rumore sospetto fece allarmare il giovane: Alberto aveva appena acceso il carro armato.
Doveva fare qualcosa, prima che succedesse l’irreparabile.
-Non te lo possiamo concedere, Salverini!- esclamò.
Il sicario grugnì di delusione: tenendo sempre stretta la sua presa sui capelli di Luciano, si spostò da un’altra parte della villetta, sperando in una via di fuga.
Era completamente circondata dai poliziotti.
Era in trappola.
Non aveva altra scelta che costituirsi.
-Abbiamo scoperto il tuo gioco!- proseguì il tenente, strappando il megafono dalle mani del cugino –Tutte le uscite sono bloccate! Metti le mani sulla testa e vieni fuori, con l’ostaggio!-
Ormai con le spalle al muro, Salverini gettò la pistola e alzò una mano. Il trombonista tirò un sospiro di sollievo: per poco non se l’era fatta sotto.
Ma il peggio stava per arrivare: il bassotubista non aveva mai guidato un carro armato. Non si aspettava certo che i comandi fossero differenti da una normale macchina.
C’erano varie leve, per la velocità, la direzione e per frenare.
Per fortuna, era già diretto verso la villetta, cui riuscì a sfondare l’ingresso ed entrare.
I due all’interno rimasero come paralizzati.
-Ma io avevo chiesto una Mercedes!- si ricordò il sicario.
Il carro armato era proprio diretto verso Luciano; all’inizio, era spaventato, ma poi realizzò che era la sua via di fuga.
Liberato ormai dalla presa del suo rapitore (mancava poco lo rendesse ancora più pelato da come gli stringeva i capelli), alzò le braccia e afferrò l’ariete, penzolando in aria, urlando.
Era libero; ma poteva dirsi salvo?
Il carro armato non si fermò. Continuava ad andare avanti, sfondando la parte opposta della villetta.
Alberto, infatti, dall’interno stava tirando e spingendo leve a caso, disorientato, quanto una persona affetta da amnesia in un labirinto.
Francesco ed Ettore rimasero paralizzati dall’imbarazzo; non si erano nemmeno accorti della fuga di Salverini, approfittando della confusione e della seconda breccia.
I Guardiola, però, si guardarono l’un l’altro: per una volta, stavano pensando alla stessa cosa.
-Noi recuperiamo i nostri colleghi!- esclamò Giorgio, prima di correre in avanti, in direzione del carro armato, seguito da Saverio –Voi pensate a Salverini!-
Ma l’investigatore non sembrava essere d’accordo: infatti, si accinse ad inseguirli.
Tuttavia, la mano del cugino gli prese una spalla.
-No, Cesco.- lo esortò, con aria seria.
-Ma che ne sarà di loro, se…?!- protestò Francesco, preoccupato.
-La nostra priorità è Salverini.- tagliò corto il tenente, scuotendo la testa –Loro devono cavarsela da soli.-
-E se non ce la facessero…?-
-Lo sai bene che nel nostro mestiere non devono essere coinvolti i sentimenti. Dobbiamo mettere il dovere prima di tutto. Non possiamo mandare tutto a monte per salvare i tuoi collaboratori…-
Ettore non aveva tutti i torti. L’investigatore si trovò costretto ad accettare la sua posizione. Sospirò, abbassando la testa.
-Voi uomini!- esclamò Ettore, rivolto ai poliziotti circostanti –Setacciate la zona. Salverini non può essere andato lontano!-
Francesco, però, continuò a tenere lo sguardo rivolto in avanti: riusciva ancora a vedere il carro armato che devastava l’intera periferia, inseguito dai Guardiola.
Sperò solo che riuscissero a cavarsela da soli: dopotutto, erano la spalla di Marco Auditore, per alleggerire la conferenza imminente.
“Che Dio ve la mandi buona…” pensò, prima di unirsi al cugino.
Intanto, seguendo la scia di distruzione del carro armato e le urla di Luciano, ancora appeso all’ariete (e non mollava la presa, tra l’altro…), i Guardiola riuscirono a raggiungere i colleghi, di corsa.
Nonostante l’età, erano ancora veloci.
-Ehi! Piano con le osservazioni, autrice! Eh!-
Scusa, Giorgio.
-Cosa vuol dire? Che uno, appena superata la cinquantina d’età non può essere veloce?!-
-Ehm… Giorgio…-
-Che vuoi tu?-
-Guarda che ci stanno sfuggendo…-
-Oh, cavolo! Vedi anche tu! Mi fai anche perdere tempo!-
Giorgio, ho già chiesto scusa!
-Se non continui, lui ed io rimaniamo qui fermi…-
Va bene, Giorgio, adesso continuo! Che seccatura quando i propri personaggi si rivolgono così ai loro autori…
Forse è meglio proseguire con la storia, che dite, lettori?
Dicevo…
Correndo più velocemente che potevano, Giorgio e Saverio erano persino riusciti a superare i colleghi.
Ma serviva un piano per fermare Alberto, che continuava a spingere e tirare leve a caso, con ansia sempre più crescente per non aver ancora trovato la leva del freno.
I due fratelli si fermarono per un attimo.
-Che facciamo ora?- domandò il maggiore, riprendendo fiato. Persino gli occhiali erano appannati.
Il canuto si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa. Anche lui stava ansimando dalla fatica.
-Non lo so…- fu la risposta –Ma dobbiamo fermare Alberto, prima che distrugga l’intera città…-
Anche Saverio si guardò intorno.
Poi fermò gli occhi: diede un lieve colpo al braccio del fratello minore. Poi indicò in avanti: dei panni stesi.
Ma entrambi sapevano che era il filo al quale erano appesi al quale il Guardiola si stava riferendo.
-E’ una pessima idea…- commentò Giorgio, storcendo la bocca.
-Tu hai un’idea migliore?-
Il carro armato stava arrivando. Aveva già distrutto tre case, con l’ariete.
-No.-
Celeri, i Guardiola si diressero verso i panni stesi, strappando il filo dai supporti. Per fortuna era lungo.
-Dai, prendi un capo!- incitò Giorgio, ansioso.
Le loro mani tremavano dalla tensione, ma anche dall’eccitazione: si lamentavano spesso che i loro tour erano sempre noiosi e monotoni. Almeno lì avevano avuto un po’ di emozione.
Alberto e Luciano erano sempre più vicini alla loro posizione.
Giorgio e Saverio si erano posizionati nei lati opposti della strada, passandosi il filo, ancora con i panni attaccati.
-Beh, spero che comprendano che questo è per una buona causa…- mormorò il maggiore, alludendo a chi aveva appeso quei panni.
-Sta’ zitto e prega che il tuo piano funzioni!- tagliò corto l’altro.
Attesero che il carro armato fosse proprio dove fossero loro.
Luciano, nel frattempo, aveva intravisto qualcosa con la coda dell’occhio. I suoi timori erano fondati: i Guardiola stavano cercando di salvarli.
-Che fate lì?! Spostatevi subito!- esclamò, sperando di essere ascoltato.
Troppo tardi.
-Ora! Tira!-
Giorgio e Saverio tirarono il filo: era composto da cavi, quindi doveva reggere.
Ma ciò non bastò a fermare il carro armato.
Il filo resse, ma la forza esercitata non era abbastanza: i Guardiola si sentirono improvvisamente trascinati, scattando bruscamente in avanti.
Finirono per terra, senza mollare la presa sul filo, dietro al carro armato, ma ad una buona distanza, evitando, così di non essere schiacciati dai cingoli.
Le loro pance erano quasi a contatto con la strada, per fortuna erano protette dalle maglie che portavano, anche se non sapevano per quanto tempo avrebbero retto.
Le urla che seguirono servirono a poco: erano ormai usciti dalla periferia. Nessuno poteva sentirli.
Alberto, dall’interno, non si era accorto di nulla. Sembrava che il tempo non scorresse. Lui stesso non sapeva spiegarsi da quanto tempo stesse guidando. Non si accorse nemmeno di essere entrato in autostrada, orizzontalmente, facendo fermare le macchine che stavano passando da quella parte, creando un mega tamponamento a catena, facendo quasi prendere un infarto ai tre sciagurati di fuori.
Tirando l’ennesima leva, si rese conto che l’aveva rotta. Sfortunatamente, era proprio quella del freno.
Ora non poteva più fermarsi.
Erano in quattro ad essere nel panico, ormai.
Il pelato, quello più esposto alle demolizioni del collega, si guardò indietro un’ultima volta, impallidendo più di quanto non lo fosse già.
-AHHHH!!! MURO! MURO!-
L’ariete, infatti, sfondò l’ennesimo muro. Ma non era il muro di una casa.
Dalla breccia uscirono degli animali, degli animali esotici, inseguiti dalle guardie: leoni, elefanti indiani, giraffe, scimmie…
Era lo zoo. Era il muro dello zoo statale.
Poi, un botto improvviso.
Alberto si rese conto, misteriosamente, che il carro armato si era fermato. Ma lui non aveva tirato il freno, poiché rotto. Doveva aver urtato qualcosa.
Agendo come se non fosse successo niente, aprì il portello sopra la sua testa.
Si guardò intorno, serio e curioso allo stesso tempo. Tutto si aspettò di trovare, meno che un babbuino alla sua destra.
Restò a fissarlo per qualche secondo, stranito.
“Per quanto ho guidato…?!” si domandò, prima di guardare in avanti.
Luciano era ancora appeso all’ariete. Le sue mani erano praticamente divenute tutt’uno con esso.
Il bassotubista fu sorpreso di vederlo illeso: era solo sporco di calcinaccio. Fu allora che si rese conto di aver demolito delle abitazioni.
-Ciao, Luciano…- fece l’anziano, confuso.
L’altro ricambiò, seppur quasi svenendo per tutte le emozioni passate, il saluto.
-Ciao, Alberto…-
Poi, udì dei lamenti: Giorgio e Saverio.
-Siamo troppo vecchi per queste cose…- mormorò il secondo.
Si rialzarono a fatica: avevano dei graffi sulle braccia, sulla pancia, scoperta dalle maglie quasi strappate, lo stesso si poteva dire della parte superiore dei loro pantaloni. Anche le loro gambe erano graffiate, soprattutto le cosce. Persino le mutande presentavano dei piccoli squarci.
-La prossima volta potresti anche ascoltarmi, eh?!- si lamentò il più giovane, lanciando uno sguardo minatorio al collega anziano.
Questi era sempre più confuso.
-Ma che è successo?- domandò. Stare dentro quel luogo gli aveva fatto perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
Si guardarono tutti intorno: erano in uno spiazzo completamente vuoto, escludendo qualche albero qua e là e un grande muro che circondava l’intera area, su cui era stata fatta una breccia.
-La vera domanda da porsi è…- proseguì Giorgio –Dove cazzo ci troviamo?-

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Danza e Gelosia ***


Note dell'autrice: salve, salve, salve, so che è da un po' di tempo che non pubblicavo gli altri capitoli di questa storia, ma vi faccio un riassunto veloce.
Un noto climatologo sta per preparare una conferenza che potrebbe cambiare il mondo, ma l'istituto dove lavora è stato bombardato e la patata bollente passa ad un investigatore tendente al delirio e a quattro musicisti fuori di testa. Scoperta l'identità del presunto terrorista, l'investigatore trascina i quattro musicisti verso quasi morte certa, tale da rendere uno di loro un ostaggio nelle mani del terrorista. Gli altri cercano di salvarlo, ma creano un casino della madonna e scatenano il terrore in ogni angolo di Roma.


-----------------------------------



Danza e gelosia
 
 
 
Roma.
Gambrinus. Uno dei resort più noti di tutta la capitale. Era spesso luogo di galà e cene importanti.
Vantava un ampio salone, usato per i balli.
C’erano tante persone quella sera: un evento organizzato da Alfredo Nereo in onore della conferenza di Marco Auditore della sera successiva.
Nessuno si accorse della giraffa che correva per strada.
Fra tante limousine, un’Alfa Romeo bianca (tradotto, un taxi) parcheggiò lì davanti: vestiti con lo smoking, sotto le proprie giacche, uscirono Ettore e Francesco.
Il secondo appariva alquanto nervoso: era ancora in pensiero per i quattro musicisti. O forse era per il colletto della camicia che gli stringeva la gola.
-Questo affare mi sta facendo impazzire!- imprecò, mettendovi un dito dentro, cercando di allargarlo –Dovevo venire con i miei soliti vestiti…!-
Il cugino lo osservò divertito, mentre salivano le scale per avvicinarsi all’entrata.
-Dei jeans strappati ad una cena di gala?- ironizzò, ridacchiando al solo pensiero –Sarebbe uno spettacolo interessante, ma non conveniente. E ti ricordo che sei stato tu ad insistere a venire qui…-
-Sì, ma se avessi saputo che dovevo mettermi questa roba mi sarei rimangiato la parola!-
-Dai, Cesco, rilassati. Fa’ un bel respiro e continua a camminare.-
Erano ormai all’entrata. Come previsto dall’etichetta, si tolsero i giacchetti. Un inserviente si avvicinò a loro.
-I vostri giacchetti, signori?- domandò, senza alcun cenno di dialetto romano.
Ettore fece un lieve cenno con la testa, mentre Francesco: -Eh? Sì, sono nostri. Se vuole, abbiamo la ricevuta…-
-Vieni via!- lo esortò il tenente, trascinandolo lontano da lì, per evitare un’altra situazione imbarazzante.
Per raggiungere la sala da ricevimento, dovettero salire altre scale.
Improvvisamente, Ettore impallidì, appena vide in alto.
-Merda…!- disse, sottovoce.
Francesco si allarmò.
-Cosa c’è? Si tratta di Nereo?-
-Peggio… quella donna è Anna Del Bravo, il mio capitano…-
Poco avanti loro, infatti, una donna era quasi vicina alla sala da ricevimento, sottobraccio, guarda caso, ad Alfredo Nereo. Dimostrava circa la stessa età di Alberto. Aveva i capelli corti color oro, probabilmente tinti, sopracciglia nere quasi folte e il fisico, una volta muscoloso, ma ormai abbandonato dallo scorrere del tempo, era nascosto in un abito color verde bosco. I tratti del volto erano molto duri, tali da incutere timore anche ad un terrorista.
Tuttavia, raramente si faceva vedere nel dipartimento: diceva sempre di essere impegnata in altre faccende, ma nessuno ha mai saputo di cosa si trattasse. Tuttavia, non si perdeva una serata importante, un galà o un ricevimento. Infatti, era quest’ultimo motivo ciò che la rendeva “famosa”. Questo suo strano atteggiamento, questa sua tendenza a dare importanza all’immagine, piuttosto che adempiere ai suoi doveri di capitano, faceva spesso sorgere qualche dubbio all’interno del suo dipartimento, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di indagare, per evitare il licenziamento per insubordinazione.
Praticamente, era Ettore che dirigeva il dipartimento.
-E allora?- domandò, quasi impassibile, l’investigatore.
-E allora?! Se scopre il casino che abbiamo combinato oggi, potrei rischiare il licenziamento!-
Infatti, da quel pomeriggio, Salverini sembrava scomparso. Aveva lasciato la periferia prima ancora che Ettore avesse dato l’ordine di cercarlo.
-Tu fai quello che devi fare, Cesco! Io torno a casa!-
Ma il cugino gli prese un braccio.
-Ma come?!- commentò, stranito da quel comportamento –Non eri tu quello che diceva che bisogna affrontare ogni conseguenza delle nostre azioni senza scappare?-
-Non se è previsto il licenziamento!-
Ogni tentativo di fuga era inutile: Francesco stringeva sempre più forte.
-Andiamo, Ettore! Di cosa hai paura? Ci sono io qui.-
-E’ questo che mi preoccupa…-
-Ricorda cosa mi hai detto prima…- disse, spingendolo verso le scale -Fa’ un bel respiro ed entriamo.-
-Speriamo bene…-
Anna ed Alfredo, intanto, erano vicini alla sala.
-Sa, signora, è stata una rappresentazione davvero…- disse il secondo, prima di venire interrotto da una suoneria.
-Oh, mi scusi, il cellulare…- si scusò la donna, frugando nella sua borsa.
-Non si preoccupi. Intanto, vado a prendere posto. Mi stanno aspettando…- salutò Nereo, congedandosi con un lieve inchino.
Anna appoggiò il suo cellulare all’orecchio.
-Sì?- il suo volto si fece più cupo –Cos’è successo? Quanti animali sono riusciti a fuggire? O mio Dio…-
In quel momento, Francesco ed Ettore (questi ancora spinto dal primo) erano proprio dietro di lei. In un modo o nell’altro, scoprirono che la telefonata non era direttamente rivolta a loro. Non completamente.
Il tenente si schiarì la voce, deglutendo.
-B-buonasera, capitano…- salutò, sudando freddo –Stasera ha una tenuta incantevole…-
-Signora…- aggiunse Francesco, con un lieve inchino.
Ma la donna non ricambiò la cortesia: si voltò verso i giovani, serrando le labbra.
Le storie sul suo sguardo minatorio erano vere: potevano far tacere anche l’uomo più determinato del mondo.
-Tenente Milanelli…- ringhiò, rivolto al più grande -Si rende conto che, a causa dei “collaboratori” di suo cugino, Roma è piena di babbuini?-
Ettore rimase senza fiato. Francesco, invece, aggrottò le sopracciglia, stranito.
-Ma perché dà la colpa a loro?- domandò, confuso -La colpa è degli elettori che…-
Anna aprì la bocca, scioccata da quella risposta, mentre il cugino si passò una mano sul volto.
L’investigatore sentì la sua colonna vertebrale rabbrividire.
-Scusate entrambi…- disse, entrando nel salone, lasciando dietro di sé una scia di imbarazzo.
“Sono rovinato…” pensò Ettore, quasi piangendo.
Dei suoni di trombe e tromboni provennero dal salone dei ricevimenti. Come ogni serata importante, era pieno di gente, soprattutto politici, celebrità e persone ricche da far schifo da permettersi di cenare in quel posto dove la roba costava l’ira di Dio.
Sopra il palcoscenico, davanti alla banda che aveva appena terminato di suonare, c’erano, in quest’ordine, Marco Auditore (alias Vincenzo Arcattati), Alfredo Nereo con suo figlio Matteo e Lisa, tutti e quattro vestiti eleganti.
Ricevettero gli applausi dei presenti, quelli che forse dovevano essere meritati alla banda.
Alfredo fu il primo e unico a parlare.
-Volevo ringraziare tutti voi per aver partecipato a questa serata in onore del professor Marco Auditore, che domani terrà la sua conferenza.-
Altri applausi da parte di tutti i presenti, mentre il sosia di Auditore faceva spesso cenni con la testa, sorridendo lievemente.
-E insieme al Presidente del Consiglio, della Repubblica e al Ministro dell’Ambiente…- proseguì l’uomo –Anch’io mi impegnerò ad appoggiare i consigli del professor Auditore.-
Falso.
Ma ricevette ugualmente degli applausi.
In un tavolo lontano dal palcoscenico, gli stessi magnati petroliferi, carboniferi e nucleari che erano con lui la sera precedente al porto di Nettuno, si guardarono l’un l’altro, sorridendo malignamente, e brindarono a loro e alla falsa conferenza che li avrebbe salvati dalla bancarotta e da una vita passata a mendicare sulla strada.
-E ora, diamo inizio ai divertimenti!- annunciò, infine Alfredo, allargando le braccia.
Lisa prese Matteo per un braccio.
-Vieni a ballare con me?- lo invitò, sorridendo lievemente.
Il ragazzo fece di “no” con la testa, imbarazzato.
-No! No…- rifiutò –Lo sai che non so e non mi piace ballare…-
La ragazza assunse un’espressione dispiaciuta, spingendo il labbro inferiore in avanti.
-Peccato…- disse, scendendo ugualmente le scale, in direzione della pista da ballo –Allora dovrò cercare un altro cavaliere…-
Nel frattempo, Nereo e Auditore(Arcattati) si strinsero la mano, come per saluto.
Francesco entrò nella sala proprio in quel momento.
La banda aveva ricominciato a suonare e delle coppie stavano già ballando.
Tra di esse notò Lisa, ballare con un altro giovane.
Per l’investigatore, era incantevole quella sera: abito rosso (probabilmente preso a noleggio) che lasciava quasi le spalle scoperte, capelli raccolti alla Audrey Helbourne, con qualche ciuffetto che cadeva sulle orecchie, truccata con mascara e rossetto.
Rimase a fissarla per qualche secondo, studiando attentamente ogni centimetro del suo corpo e dei suoi movimenti, dopodiché trovò il coraggio di avvicinarsi e picchiettò la spalla del giovane.
-Smamma.- disse, bruscamente, in modo che l’altro non avesse il coraggio di dire di no.
Infatti, il giovane se ne andò, facendo un gesto come per dire: “Maledizione!”
Lisa si illuminò, appena vide Francesco, di fronte a lei. Il cuore le batté forte.
-Francesco!- esclamò, sorpresa, ma anche felice –Che ci fai qui?-
-Mi godo questa bella festa…-
Ballarono insieme. Non lo avevano mai fatto prima, nemmeno quando frequentavano il corso di piscina. Erano usciti insieme, qualche volta, ma sempre in compagnia di alcuni loro compagni di nuoto.
Per un’altra volta, la ragazza decise di far parlare la voce della ragione, invece che godersi quel momento e ballare col ragazzo che amava veramente.
-Qual è la vera ragione?- domandò, maleducatamente.
Il giovane sospirò: non si poteva nascondere nulla a quella lì…
-Mia cara Lisetta, posso riassumerlo in una parola, tre sillabe…- rispose –Con-for-mista.-
La ragazza assunse uno sguardo confuso.
-Tradotto: da quando ho posato i miei occhi sul tuo amichetto, non mi è mai piaciuto. Lui e suo padre insieme sono sporchi come la biancheria di un minatore a Gennaio…-
Lo sguardo confuso non svanì, anzi, crebbe.
-Francesco, che ti prende?- domandò –Matteo è gentile e sempre disponibile con me, e Alfredo è un brav’uomo, cortese, un uomo impegnato che si preoccupa degli altri e che NON tralascia gli altri per il suo lavoro come “certa gente” di mia conoscenza.-
Anche uno stupido avrebbe capito che si stava riferendo proprio a lui.
E Francesco lo intuì, infatti soffiò, seccato ed offeso, dal naso.
-Ah, sì?- domandò, con tono di scherno –E magari vorresti aggiungere che non sono sospettosi. Mettiamola così, allora: perché non domandi al caro Alfredo che legame ha con il furgone che hai visto la sera dell’esplosione?-
-Non so di cosa stai parlando…-
-Oppure, visto che ci sei… perché non gli chiedi se è amico di un sicario da quattro soldi chiamato Vittorio Salverini?-
Era troppo. Lisa non poteva tollerare certe accuse.
-Adesso basta, Francesco!- tagliò corto, senza smettere di ballare –Sei solamente geloso perché un ragazzo è riuscito a fare quello che tu avresti potuto fare prima che fosse troppo tardi!-
Avrebbe tanto voluto cancellarsi dalla faccia della terra, per quella risposta: in un’altra occasione e con un altro tono, avrebbe potuto essere una dichiarazione d’amore.
Lui rispose a quel tono, con un tono ancora più aggressivo, premendo la sua fronte contro la sua.
-Spero che il caro figlio di papà ci stia guardando, perché SO che è geloso.- poi la strinse a sé, facendola scuotere –E un uomo geloso fa sempre la mossa sbagliata! Conto solo su questo!-
La spinse verso un altro tavolo, e lei, piegandosi in avanti su di esso, finì faccia a faccia con un uomo che stava per bere un Martini. Senza dire una parola, le mise in bocca l’oliva che stava dentro di esso e lei inghiottì (il che è tutto dire, visto che lei ODIAVA le olive)
In quel momento, cambiò tutto; anche la banda cambiò musica.
Alfredo e Matteo, nel frattempo, stavano giocando a carte, a Solitario, per la precisione. Uno con le carte vere, l’altro nell’iPhone.
Solo il figlio, ogni tanto, rivolgeva degli sguardi verso la pista da ballo, per controllare la sua ragazza.
Ma l’ultima occhiata lo fece quasi paralizzare: Lisa e Francesco si erano trovati soli a ballare. Si erano fatti tutti da parte.
Nessuno sapeva perché, ma sembravano quasi la reincarnazione di Fred Astaire e Ginger Rogers.
Colto da un’improvvisa gelosia, il ragazzo chiamò un cameriere.
-Sì?-
-Li vede quei due? Lo so sono bravi, ma non è che potrebbe…?-
Applausi. Per Lisa e Francesco. Per una volta avevano fatto qualcosa insieme che non fosse il nuoto.
In realtà, nessuno dei due sapeva di poter ballare così bene.
Fecero un inchino imbarazzato di fronte al resto degli invitati, sorridendo nello stesso modo.
Un cameriere si avvicinò a loro.
-Signorina Vellei…- disse, con lieve accento veneto –Il signor Nereo vorrebbe che lo raggiungesse al suo tavolo…-
Lisa cadde dalle nuvole.
-Oh, sì! Subito!-
Nel frattempo, Nereo padre e figlio stavano continuando a giocare a Solitario.
-Il Solitario è un gioco per uomini soli, signor Nereo… Matteo…-
L’investigatore era proprio davanti a loro, preceduto da Lisa, che prese posto accanto a Matteo.
Lui le baciò la mano, dopo aver posato il telefono nella sua tasca.
-Il famoso investigatore Milanelli, suppongo…- salutò Alfredo, con un lieve cenno della testa –Non ricordo di aver visto il suo nome, nella lista degli invitati…-
-Non si preoccupi più di tanto…- rispose il giovane, mantenendo i nervi d’acciaio –A volte uso il mio nome da signorina.-
Sguardi allibiti e confusi furono la risposta di quella frase.
-Bella festa, comunque, signor Nereo…- aggiunse, cercando di rimediare al momento di imbarazzo appena creato –Noto molte facce familiari…-
L’uomo mostro una carta da cinque di picche.
-Gioca… d’azzardo, investigatore?- invitò.
-Sì, ogni volta che sono a caccia di qualcuno.-
Alfredo sentì una specie di morsa allo stomaco: “Possibile che abbia scoperto…?” pensò.
Anche il figlio si sentì nello stesso modo.
Ma cercò di controllarsi, per evitare di tradirsi.
-Que sera, sera…- mormorò, prima di posare la carta sul tavolo –Lei capisce il francese?-
-No. E non so nemmeno baciare in quel modo…-
Lisa si imbarazzò all’ultima frase, esattamente come i Nereo.
Una quinta figura si avvicinò a loro.
-Mi scusi, quello sarebbe il mio posto!-
Francesco si voltò: Auditore. Appariva piuttosto furioso. Notò qualcosa di strano in lui. Non sembrava essere l’uomo che aveva incontrato il giorno prima.
Persino la nipote apparve confusa da quel comportamento.
Non sapevano si trattava del sosia.
-Ma… zio Marco…- mormorò lei –Lui è Francesco, il mio amico, non ti ricordi di lui?-
Di nuovo quella parola. Amico.
Arcattati non era stato avvertito su Francesco. Non sul suo aspetto fisico, almeno. Alfredo gli aveva riferito di un investigatore, venuto per mettergli i bastoni tra le ruote, ma nient’altro.
-Ehm… oh, sì, sì! Certo, naturalmente…- fece finta di ricordare l’impostore, con aria imbarazzata –Signor…-
-Francesco Milanelli, investigatore privato di Grosseto.- tagliò corto Alfredo, imbarazzato anche lui –Vi siete conosciuti ieri all’Istituto.-
-Oh, certo, ma che testa che ho!- si fece subito cortese -Prego, si accomodi faccio aggiungere un posto al tavolo…-
Quel comportamento fece insospettire il giovane; anche il modo con cui si era rivolto a lui. Il giorno precedente gli aveva dato subito del “tu” e quella sera del “lei”. Molto strano, pensò.
-No, non intendo restare.- rispose, tirando fuori qualcosa dalla giacca dello smoking, una foto di Salverini, ai tempi del MMA, e mostrandola a Nereo padre –Ma che ne pensa di questo, di gioco? Chi è lui?-
Alfredo lo osservò, apparentemente indifferente: ma sia lui che il figlio stavano pensando: “Merda, ci ha scoperti…”
Lisa riconobbe l’uomo che aveva visto la sera dell’esplosione e alzò le sopracciglia, sorpresa.
-Non lo conosco.- rispose l’uomo, mostrandosi innocente.
Anche Arcattati venne mezzo sorpreso da un piccolo brivido che gli percorse tutta la spina dorsale.
Francesco, a quel punto, strizzò gli occhi e serrò le labbra.
-Ha fatto il bambino cattivo facendo esplodere un edificio che non avrebbe dovuto nemmeno toccare e guida un furgone registrato a nome suo.-
-I nostri mezzi sono tanti, investigatore Milanelli…- si giustificò il magnate –E, guarda caso, uno è stato rubato proprio tre giorni fa…-
-Tre giorni fa?- si insospettì l’investigatore –Mio cugino non mi ha detto nulla su furti di suoi mezzi. Quindi i casi sono due: o non ha ancora asporto denuncia oppure collabora veramente con quella belva…-
Alfredo stava per rispondere, ma il figlio lo bruciò sul tempo: scattò in alto, piegandosi in avanti e poggiando le mani sul tavolo, con aria minatoria.
-Stammi a sentire, investigatorino delle mie chiappe.- avvertì -Mio padre non ha nulla da nascondere e tu dovresti vergognarti anche al solo pensare che sia coinvolto in questa faccenda!-
Francesco non fu per nulla intimorito: rispose alle minacce nello stesso modo, finendo faccia a faccia con il ragazzo.
-Può darsi che sia così…- mormorò, aggrottando le sopracciglia –Ma ti avverto, figlio di papà, tu prova solo a starnutire e mi precipiterò da te per soffiarti il nasino…-
Ad interrompere il litigio furono le trombe che componevano l’orchestra, suonando una melodia che sembrava presentare un trionfo.
A salire sul palco fu il capitano Del Bravo, con una busta tra le mani.
-E ora, signore e signori…- presentò, cordialmente –E’ arrivato l’atteso momento del primo premio della serata; una meravigliosa crociera tutta compresa sull’oceano Atlantico per un mese intero per due persone.-
Applausi ad accogliere quell’annuncio.
-E per annunciare il primo vincitore… invitiamo a salire sul palco il nostro ospite d’onore, il professor Marco Auditore.-
Il citato fece un breve inchino di saluto, prima di avvicinarsi al palco.
Francesco sapeva che non avrebbe ottenuto altre informazioni per quella sera. Nereo padre e figlio si ostinavano a non voler confessare e avere Lisa lì di fronte non aiutava.
Dovette rinunciare, almeno per quella sera.
-Beh…- fece, con un lieve cenno della testa –Visto che il professore sta andando, credo che prenderò congedo anch’io. Signor Nereo, Matteo, Lisa…-
Voltò loro le spalle senza dire altro. Il suo sguardo si fece malinconico.
La ragazza si morse entrambe le labbra nel vederlo andar via in quel modo.
-Non capisco cosa gli sia preso…- mormorò –Non lo avevo mai visto così…-
Matteo le prese delicatamente le spalle, per farla sentire a suo agio.
-E’ un comunissimo caso di gelosia, mia cara. Nient’altro…-
Il giovane stava ormai camminando senza avere la minima idea di dove andare. Vagava in quel salone, davanti agli occhi straniti degli ospiti. Volle vedere Lisa ancora una volta, sperando di non incrociare il suo sguardo.
Ma il suo stomaco si irrigidì all’istante: Matteo la stava baciando. Proprio sulla bocca.
Ora sì che il suo senso dell’orientamento era pari a zero. Gelosia e rabbia si impossessarono della sua testa.
Non si era reso conto di essere vicino ad Auditore (Arcattati), mentre stringeva la mano a degli ospiti.
Si scontrarono senza accorgersi di essere l’uno vicino all’altro. L’uomo barcollò all’indietro, finendo, involontariamente, sopra il carrello dei dolci, che un cameriere stava portando proprio in quel momento.
Il completo si sporcò completamente di panna.
Tutti i presenti si alzarono in piedi, preoccupati per il climatologo.
Francesco si sentì improvvisamente a disagio ad avere gli occhi puntati verso di lui.
-Mi dispiace, signor Auditore!- si scusò, aiutandolo a scendere; anche la faccia e i capelli erano sporchi di panna, tale ad avergli coperto gli occhi –Ecco, permette che l’aiuti…!-
Ma l’uomo non sembrava volere l’aiuto dell’investigatore.
-Lasciami andare, maledetto moccioso!- imprecò, dandogli una gomitata, che, tuttavia, fece barcollare entrambi all’indietro (poiché Francesco non aveva smesso un solo secondo di tenere Auditore/Arcattati per i fianchi).
Erano ad un tavolo vicino al muro; al muro c’era una sedia a rotelle vuota. Guarda caso, i due finirono proprio lì: Auditore/Arcattati si sedette sopra. Il movimento che fece sbilanciò Francesco, finito dietro di lui, che cadde in avanti, finendo con la testa tra le gambe dell’uomo. Anche questi si ritrovò in mezzo alle gambe dell’altro.
Nel tentativo di liberarsi, il giovane mise la mano sulla leva che stava sul bracciolo destro, spingendola involontariamente la mano.
Lì, l’inferno.
Milanelli e Auditore/Arcattati girarono l’intero salone, scatenando il terrore tra i presenti.
Il primo agitava le gambe, agitato, stringendo involontariamente la testa dell’uomo, che cercava anche lui di liberarsi, e alzò la testa, urlando, per vedere dove stavano andando: stavano praticamente girando in tondo.
-Ehi! E’ la mia sedia!- sentirono urlare.
Tutti i tavoli furono spostati per non venire urtati.
Lisa assunse un’aria preoccupata, sia per lo zio sia per Francesco, mentre i Nereo apparivano allarmati.
Girarono per cinque minuti. Poi, l’investigatore si rese conto di avere la mano sulla levetta che serviva per far muovere la sedia e l’aveva spinta in avanti. Non sapeva cosa fare, quindi pensò che la cosa giusta da fare fosse tirarla, per fermarsi.
Mai cosa fu più sbagliata: il movimento brusco li fece ribaltare.
Francesco finì per terra, ma Auditore/Arcattati rimase lì.
Le ruote posteriori girarono da sole, in avanti. La levetta si era bloccata.
L’uomo urlò, mentre si dirigeva, a sua insaputa, verso la finestra, che infranse.
Il volo che fece quasi lo paragonava alla scena delle bici del film “E.T. L’extraterrestre”. Il fatto che sopravvisse fu un miracolo.
Ma quello che l’investigatore aveva fatto non poteva essere perdonabile.
Infatti, due guardie del corpo, inviate dal capitano Del Bravo, lo agguantarono per poi lanciarlo dalla stessa finestra dalla quale era caduto Auditore/Arcattati.
Era accaduto tutto di fronte a Lisa, che osservò tutto con aria sgomenta. Mai come quella sera l’investigatore si sentì tanto umiliato.
Per sua fortuna, atterrò sull’erba.
Fece una smorfia di dolore.
-Sono caduto sulle mie chiavi…- mormorò.
Avvertì una presenza sopra la sua testa. Esattamente ad altezza occhi si trovò il cavallo di Ettore.
Aveva le braccia sui fianchi e la bocca storta.
-Beh, immagino che il tuo piano non abbia funzionato, Cesco…- commentò, sarcastico.
L’altro ribatté, cercando di alzarsi.
-E’ qui che ti sbagli…- spiegò –Credo di avere una pista, Ettore…-
Si alzò completamente, togliendosi di dosso tutti i frammenti di vetro su cui era atterrato.
-Ma prima devo fare un’ultima cosa.-

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Un assassino in casa ***


Riassunto dei capitoli precedenti: Un pazzo falso terrorista di nome Vittorio Salverini ha fatto quasi saltare in aria l'Istituto Meteorologico con la speranza di far sospendere una conferenza sul clima tenuta da un famoso climatologo, Marco Auditore, e appoggiato dalla Quarta Orchestra, un gruppo di cabaret che mescola musica e comicità, ma fuori di testa anche nella vita reale. Per indagare su questo fatto, viene inviato un investigatore di Grosseto, Francesco Milanelli, un giovane un po' imbranato e facilmente tendente al delirio, cugino del tenente Milanelli del distretto di polizia di Rieti. Alle indagini si uniscono anche i quattro musicisti, preoccupati più per il loro spettacolo che per il resto. Ma Auditore viene rapito da Salverini, con l'intenzione di sostituirlo con un sosia, Vincenzo Arcattati, per fare una conferenza fasulla, e si scopre, inoltre, che ad aver inviato l'ordine, sia di far esplodere l'istituto Meteorlogico che di rapire Auditore, altro non è che Alfredo Nereo, magnate petrolifero, padre di Matteo, un ragazzo che da tempo fa la corte (con lo scopo di estorcerle informazioni sulla conferenza) a Lisa Vellei, nipote di Marco Auditore, una ragazza di cui l'investigatore Milanelli è innamorato da tempo. Le indagini portano a Salverini, ma un casino provocato dai quattro musicisti lo fa fuggire. Nel frattempo, nessuno si rende conto che Auditore è cambiato, se non Francesco, leggermente insospettito dal suo strano comportamento durante una cena di gala, dove aveva deciso di affrontare Nereo padre e figlio, parlando loro di Salverini. Ma si verifica l'ennesimo incidente e a Francesco non rimane altro che scusarsi con Lisa per il suo comportamento sospetto nei confronti di Matteo. Ma Salverini è ancora in giro...

--------------

Casa Auditore.
Ore 23:20.
Una piccola villetta a schiera con un grande orto dietro.
Lisa, guidata dalla luce esterna, provvista del tubo usato come innaffiatoio, stava innaffiando tutte le piante lì presenti. Marco Auditore vantava un grande orto, coltivava verdura e frutta, che poi venivano consumate in casa.
Più kilometro 0 di così…
Aveva persino piante esotiche, come l’albero di banane e un baobab. Nessuno sapeva dove li avesse trovati e come fosse riuscito a portarseli a casa, a Rieti, ma, fidatevi, è meglio non fare domande…
Una Punto completamente ammaccata parcheggiò lì davanti: Francesco uscì, vestito ancora con lo smoking, prendendo un mazzo di fiori esagerato. Infatti, sembrava fosse cresciuta un’intera foresta nella macchina. Aveva preso fiori di vario tipo, rose, gigli, tulipani…
Tutti fiori che rimasero nella portiera, chiusa appena prima che l’intero mazzo fosse uscito.
Dall’altro lato della strada, in una Panda Rossa, ci stava lui, Vittorio Salverini. Era rimasto fuori casa Auditore, in attesa del momento giusto per entrare.
Si accese un sigaro, prima di uscire.
Nel frattempo, Lisa era rientrata in casa, andando in cucina. Stava mettendo del latte in un frullatore quando sentì suonare.
Appena aprì la porta si illuminò.
-Francesco!-
Il giovane appariva come agitato: non poteva essere altrimenti, di fronte alla ragazza che gli piaceva.
-Lisa, io…- balbettò –Volevo dirti quanto mi dispiace per stasera, per le altre volte.-
Lei storse la bocca e scosse la testa.
-Oh, Francesco…- fu l’unica cosa che riuscì a dire.
-Lisa, devo parlarti.- tagliò corto lui, deglutendo –Posso entrare?-
Nessuno dei due era mai andato a casa dell’altro. Meglio tardi che mai, no? E poi non c’era nemmeno Marco.
-Sì, va bene.- annuì, voltandosi verso l’interno –Entra pure. Scusa se troverai un po’ di disordine in giro…-
Era il momento di darle il mazzo di fiori, pensò Francesco. Ma quando le porse quello che aveva sulla mano destra notò che era rimasto solo l’involto. Lo gettò alle sue spalle prima ancora che la ragazza tornasse a guardarlo.
-Mi stavo facendo un frullato.- proseguì Lisa –Ne vuoi un po’?-
-Beh… perché no?- rispose lui, entrando.
L’interno della casa sembrava più grande rispetto a come sembrava da fuori: i muri erano dipinti di un colore caldo, quasi argenteo opaco e la moquette era del medesimo colore. I mobili erano sicuramente Ikea.
-Non puoi restare a lungo.- disse la ragazza, tornando in cucina –Zio Marco potrebbe tornare da un momento all’altro e non so come spiegare la tua presenza senza che gli vengano in mente strani pensieri…-
Strani pensieri… proprio quelli che stavano girando nella mente del giovane a vedere Lisa. Erano da soli in casa. Poteva essere un’occasione perfetta se solo lei non fosse…
-Lisa, per caso sai cosa dirà tuo zio, nella conferenza di domani?- domandò, cercando di scacciare tali pensieri.
Lei, in quel momento, stava cercando qualcosa in frigorifero: prese una vaschetta di fragole e un paio di banane.
-Beh, ha intenzione di mostrare gli effetti del calore serra dalla prima Rivoluzione Industriale a oggi, e spiegare come sono aumentate le temperature nel corso degli anni, come spiega la locandina.- spiegò, posando sul tavolo quello che aveva preso, per poi tornare nel frigorifero –Inoltre, ha intenzione di sostenere una politica energetica efficiente a livello nazionale e proporre nuovi tipi di energie rinnovabili, come quella eolica e solare. Forse si estenderà anche a livello continentale e mondiale, se all’Unione Europea aggraderà.-
Quest’ultima parte suonò nuova alle orecchie dell’investigatore. Sapeva solo della conferenza sul clima, ma proporre nuove energie rinnovabili a livello nazionale…?
-E chi altri lo sa questo?- domandò.
-Solo io e la Quarta Orchestra.- fu la risposta; la voce fece quasi eco, poiché Lisa aveva infilato completamente la testa dentro il frigorifero. Ai piedi aveva le babbucce di Snoopy.–Naturalmente l’ho accennato a Matteo.-
Matteo. I nodi stavano per venire al pettine. Questo spiegava molte cose. Salverini, l’esplosione…
-E se il presidente decidesse di prendere in considerazione di avviare una politica nazionale a favore delle energie rinnovabili, chi ne verrà svantaggiato?-
Lisa era completamente entrata nel frigorifero (e quanto diavolo era lungo?!), insieme alle babbucce di Snoopy, ma udì ugualmente la domanda.
-Beh, il carbone, il petrolio e il nucleare.- Lo sportello si chiuse alle sue spalle –FRANCESCO!- chiamò, bussando.
Il giovane la aiutò ad uscire, prendendola per mano. Com’era confortante il suo tocco.
La ragazza aveva preso altre cose, tutte da mettere nel frullatore.
-Ancora un’ultima cosa…- riprese lui, mentre il frullatore veniva azionato –Ieri tuo zio mi aveva riconosciuto, da quanto mi ha detto, dalle foto e dalle notizie sui miei casi che avevi ritagliato dai giornali, e mi ha anche dato del “tu”, eppure stasera non sapeva neppure chi sono, oltre ad avermi dato del “lei”…-
-Infatti è molto strano…- osservò Lisa, mentre metteva la banana nel frullatore, prima delle fragole –Ma è molto stressato, ultimamente. Tutta la nazione sembra ormai dipendere dalla sua conferenza… Non ti sentiresti così anche tu, se avessi una grossa responsabilità sulle tue spalle?-
Francesco non ce la fece a contraddirla: si rese improvvisamente conto che, ormai, il destino del mondo era nelle sue, di mani, se i suoi sospetti erano fondati.
-Lisa, tu vivi con tuo zio da almeno… tre anni?- riprese –Sai, per caso, se ha qualche segno particolare? Un neo, un tatuaggio, i piedi palmati, una terza narice…?-
Lisa, intanto, stava mettendo ingredienti su ingredienti nel frullatore: salsicce, merendine, zucchine…
Un miscuglio che fece storcere il naso all’investigatore.
-Beh, ha due voglie color cioccolato sui fianchi…- fu la risposta, preceduta da una lieve risata –Mamma mi ha raccontato una storia su quelle voglie che mi fa ancora ridere. Mia nonna, quando era incinta di mio zio, aveva voglia di cioccolato, in blocchi belli grossi. Solo che erano poveri e non potevano permetterselo, quindi sua madre, nonché mia bisnonna, le diceva “Toccati i fianchi”. Forse è per questo che ha quelle voglie.-
-Sì, mi rendo conto…- fu l’unico commento –E per caso hai notato qualcosa di diverso in lui?-
La ragazza spense il frullatore, per poi mettere il miscuglio (di un colore nero sospetto) in due bicchieri, storcendo la bocca.
-Effettivamente… questa è la seconda sera che si scorda di innaffiare l’orto…-
-Beh, non ci vedo niente di strano. Può capitare a chiunque di scordarsi di innaffiare le piante…-
-Non lui. Esattamente come mia nonna, zio Marco VIVE per l’orto. Anzi, lui stesso crede di essere nato da un cavolo, eheh…! Ogni sera, prima di andare a letto, va nell’orto e innaffia, anche se torna alle quattro di notte. In quei momenti, mi invia un messaggio con scritto “Non preoccuparti per le piante, ci penso io al mio ritorno”. Ma è da un paio di sere che non mi invia il messaggio e quindi le sto innaffiando io.-
-Interessante…- osservò Francesco, mettendosi un dito sotto il mento –E c’è altro?-
-Beh… prima mi arrivava alle spalle, nel senso di altezza, adesso mi arriva al mento, stamattina si è scordato di darmi il bacio prima che uscissi per andare all’università, com’è solito fare tutti i giorni, e… sì, pare sia diventato mancino.-
Lisa ebbe un’illuminazione improvvisa dopo aver pronunciato quelle parole, notando soprattutto l’espressione sgomenta dell’amico.
-Aspetta un attimo!- esclamò, con aria severa e incrociando le braccia –Francesco! Cosa stai cercando di dirmi?! Che Matteo e suo padre hanno trovato una copia di zio Marco e domani questo sosia farà una falsa conferenza?!-
Francesco alzò le sopracciglia, sorpreso.
-Che idea brillante!- osservò -Molto meglio di quella cui ero arrivato io…-
La ragazza prese quella frase come una presa in giro bella grossa.
Infatti, alquanto irritata, afferrò il braccio del giovane, stringendolo.
-Francesco! Questo è assurdo!- esclamò -Non riesco a spiegarmi questo tuo strano comportamento, da quando ci siamo rivisti! Il tuo lavoro ti ha dato proprio alla testa! Basta che qualcuno faccia qualcosa che a te non piace e lo accusi di chissà quale reato!-
-Lisetta, mi stai facendo male.-
Mancava poco che il braccio si rompesse a quella presa.
Lei ritirò la mano, quasi imbarazzata. In realtà, non era irritata tanto per le parole dell’amico, quanto per l’uragano di sentimenti contrastanti che si stava svolgendo dentro di lei. O forse era un semplice sintomo di meteorismo.
Qualunque cosa fosse, tirò su con il naso, osservando il suo bicchiere, ancora colmo del frullato nero.
Non voleva nuovamente incrociare lo sguardo di Francesco, per evitare che le leggesse dentro e comprendesse i suoi veri sentimenti.
-Che altro vuoi da me?- domandò, coprendo ogni suo disagio.
-Ehm… posso usare il tuo telefono? Il mio cellulare è scarico e non ho il ricaricabatterie.-
Una telefonata. Almeno quello non poteva certo negarglielo.
-Beh… sì, perché no?- accettò, con aria stoica, come se volesse andarsene il prima possibile da quella stanza e da Francesco –Se permetti, vado a farmi una doccia. Il cordless è lì in salotto. Quando hai finito, puoi pure andare. Ciao ciao…-
Se ne andò, senza aggiungere altro. Entrambi avevano la malinconia e imbarazzo insieme stampati sul volto. Erano da soli, forse era l’occasione buona per dire cosa entrambi provassero reciprocamente.
Ma cercarono di togliersi tali pensieri dalla testa e fare cosa dovevano fare.
Non fu difficile trovare il cordless, per l’investigatore, che, appena preso, compose il numero del cellulare del cugino.
Non si era accorto di Salverini, entrato furtivamente in casa dalla porta finestra della cucina, con vista sull’orto.
Aveva una pistola in una mano e si muoveva con passo felpato. Aveva le scarpe da ginnastica, per fare meno rumore.
Intanto, Lisa, privata dei suoi abiti, era entrata in vasca da bagno, ma si fece la doccia. Tirò ugualmente la tendina, pur sapendo che Francesco sarebbe uscito subito dopo la telefonata. Entrambi stavano quasi pensando la stessa cosa: che anche lui entrasse in bagno e si unisse a lei.
La ragazza scosse la testa dicendosi “No! Tanto non lo farà mai…” e prese il suo cellulare, alla ricerca di una canzone che la accompagnasse durante la doccia.
-Ettore?- disse il giovane, appena udì una voce dall’altra parte del telefono –Sono io, Francesco. Scusa se ti chiamo da un numero fisso, ma il mio cellulare si è scaricato. Comunque, ho degli aggiornamenti sul caso. Dillo ai quattro schizzati, che vogliono sempre essere aggiornati, per il bene del loro spettacolo. Come sarebbe a dire che sono finiti in un ospedale a Frosinone?! Manda loro dei biglietti del treno e dei nuovi cambi di vestiti.-
L’ex-lottatore gli era passato accanto e lui non se ne era accorto. Infatti, entrò furtivamente nel bagno.
Non stava cercando lui, ma Lisa.
La ragazza aveva trovato finalmente una canzone da cantare per tenersi compagnia.
L’uomo era entrato proprio quando iniziò.
Delle corde strimpellate.
Poi, una voce quasi irritante, per lui. Insieme, la voce stonata di Lisa.
Salverini era tentato di sclerare ancor prima di sparare, ma cercò, seppur a stento, di contenersi, mentre metteva il silenziatore alla pistola e caricare un colpo.
Poi, giunse il ritornello.
 
AAA cercasi (cerca sì)
Storie dal gran finale
Sperasi (spera sì)
Comunque vada panta rei
And singing in the rain
Lezioni di Nirvana
C’è il Buddha in fila indiana
Per tutti un’ora d’aria, di gloria
La folla grida un mantra
L’evoluzione inciampa
La scimmia nuda balla
Occidentali’s Karma

 
Era troppo. Non poteva più resistere. Peggio di un cane a contatto con gli ultrasuoni, o un orecchio umano esposto a lungo al suono di un flauto dolce.
-ADESSO BASTA!- esclamò, facendo zittire la ragazza, mentre la canzone andava avanti; allarmata, si affacciò dalla tendina, attenta a non farsi vedere nuda; davanti a lei c’era l’uomo che aveva visto due sere prima –NON NE POSSO PIU’! SEI STONATA! E’ PIU’ INTONATA UNA SCIMMIA UBRIACA! UH! UH! UH! VAFFANCULO TE E QUEL CRETINO DI GABBANI!-
Seguì un urlo: si era fatto scoprire!
-FRAAA!!!- chiamò lei, sperando che fosse ancora in casa.
Lo era. E sentì l’urlo. Si precipitò in bagno, notando Salverini che puntava la pistola verso la ragazza.
-Tu non la tocchi!- esclamò, prendendolo alle spalle, come se volesse salirgli sulla schiena.
Per fortuna, nonostante l’altezza del giovane, il sicario era abbastanza robusto da sostenere il suo peso e non cadere, ma barcollò ugualmente, mentre l’altro cercava di disarmarlo.
La pistola sfiorò la tendina, anzi, la toccò proprio, a tal punto da scostarla e rivelare Lisa nuda, che guardava quello “spettacolo”, ancora scossa dalla presenza dell’uomo. Non si era resa conto di essere scoperta, fino a quando Francesco e Salverini si fermarono, guardandola con aria sorpresa.
Dopo aver scoperto il perché di quegli sguardi strani, la ragazza osservò in basso, trovando la risposta, e richiuse la tendina tra l’imbarazzato e l’offeso.
A Salverini non faceva alcuna differenza vedere una donna vestita o nuda, da quante ne aveva uccise, mentre il giovane aveva ancora lo sguardo da pesce lesso.
-Chi eri tu, Simonetta Cattaneo…?- mormorò, con l’immagine della ragazza che amava nuda ancora viva nella sua mente.
L’uomo sentì qualcosa sfiorargli il fondoschiena, il che lo spinse a dare una gomitata al suo “aggressore”, staccandolo da sé. Francesco andò a sbattere contro il lavandino, quasi rompendosi la schiena.
Non fece in tempo a muoversi, che la mano grossa dell’ex-lottatore gli strinse la gola, mentre con l’altra mano teneva uno spazzolino elettrico, che azionò e gli mise in bocca.
L’investigatore non comprese il motivo di quella mossa, ma percepì la schiuma che gli usciva dalla bocca.
Sarebbe morto soffocato se non avesse reagito. Tastando a vuoto, toccò qualcosa di liscio e dalla forma di una pistola, sebbene più grande.
Senza indugio, azionò il phon e lo puntò agli occhi di Salverini. Questi, inizialmente, cercò di resistere al calore, ma i suoi occhi non ce la facevano più a rimanere aperti. Cedette, mollando la presa sul giovane, mettendosi le mani sugli occhi.
Francesco, ormai libero, si asciugo la bocca dalla schiuma, pronto a sferrare un ultimo attacco.
Ma l’uomo lo bruciò sul tempo: prese un asciugamano e lo lanciò contro di lui, centrando in pieno la faccia.
L’investigatore si dimenò, come il protagonista del film “Alien” quando aveva l’alieno sopra la testa, prima di liberarsi.
Salverini, approfittando di quella situazione, pensò di scappare dalla stessa porta da cui era entrato, ovvero dalla porta finestra della cucina. Tuttavia, si era scordato degli scalini e, quindi, cadde, inciampando.
Francesco lo raggiunse in quel momento: lo trovò praticamente con la testa dentro la terra, come uno struzzo dormiente.
Guidato dalla luce esterna, notò qualcosa uscirgli dalla tasca.
Un biglietto.
Lo prese, sorridendo soddisfatto.
-Proprio come sospettavo…- mormorò, prima di tirare fuori la testa dell’uomo dalla terra –E ora, in piedi, terrone! Dovrai rispondere a parecchie domande…-
Sperava avesse perso i sensi, in quel frangente. Invece, l’ex-lottatore alzò improvvisamente lo sguardo, dritto verso l’investigatore, sorridendo come un maniaco.
Lo colpì velocemente sullo stomaco, facendolo piegare, prima di mettergli nuovamente una mano sulla gola e quasi appendendolo al muro.
Sguainò un pugnale e cercò di accoltellarlo. Francesco, però, riuscì a bloccargli la mano. Salverini era molto forte, non sapeva per quanto avrebbe resistito.
Trovò la sua salvezza proprio accanto a lui: il tubo usato poco prima da Lisa per innaffiare le piante.
Allungò il braccio libero, mentre con l’altro faceva ancora la prova di forza con l’ex-lottatore, e prese il capo iniziale del tubo, infilandolo velocemente dentro la bocca dell’altro.
 Colto di sorpresa, questi si fermò, lasciando libero l’aggredito, che, rapido, aprì l’acqua.
Salverini sentì il proprio corpo riempirsi d’acqua, senza riuscire a liberarsi. Il tubo aveva la testa simile a quella di una doccia, era difficile aprire ulteriormente la bocca per toglierlo.
Dimenarsi servì a poco.
Ormai era sconfitto.
Francesco ridacchiò, per la vittoria, prima di accingersi a chiudere l’acqua. Tuttavia, la leva si ruppe.
Questo poteva dire solo una cosa, e la constatò notando il ventre del sicario farsi sempre più gonfio.
Rapido, l’investigatore salì le scale e bussò alla porta finestra, che si era chiusa da sola.
-LISA! LISA!- urlava, bussando forte.
Dei bottoni partirono dalla giacca di Salverini.
Il giovane riuscì ad entrare, prima che fosse troppo tardi.
Lisa, che gli aveva aperto, lo abbracciò forte. Aveva ancora i capelli bagnati e l’accappatoio.
Quel gesto lo stupì.
-Oh, Fra, mi sono così spaventata…!- esclamò, trattenendo le lacrime, lieta di vederlo ancora vivo.
Un improvviso botto la spaventò di nuovo.
Francesco sapeva di cosa si trattava, infatti spinse l’amica verso il salotto, per non farle vedere.
-Cos’è stato?-
-Ehm… niente di particolare.- rispose, imbarazzato, l’investigatore –Ma temo che tuo zio sarà molto arrabbiato, appena rivedrà il suo orto…-
Lisa non comprese tali parole: pensava ancora a Salverini, alla pistola puntata verso di lei. Le era passata tutta la vita davanti. Era una vera noia.
Ma più di ogni altra cosa, non capiva perché l’ex-lottatore volesse uccidere lei.
-Perché io?- domandò, singhiozzando ancora dallo spavento –Perché voleva uccidermi? Chi vuole ucciderti, Fra?-
Fra.
Non l’aveva mai chiamato così. Forse lo shock era stato talmente forte da farla delirare.
-Fino a stasera solo la compagnia telefonica.- ripose, mentre aiutava Lisa a sedersi sul divano del salotto –Ma credo che ora sia uno scagnozzo di Nereo. Aveva questa con sé.- tirò fuori un bigliettino, lo stesso che aveva preso da Salverini.
-Aveva questo con sé…?-
Lesse col pensiero il contenuto di quel biglietto:
 
Nome: Vittorio Salverini
Pass di accesso per porto di Nettuno.
Compagnia Esagono
Banchina 13
Proprietà di: Alfredo Nereo
 
Un improvviso sussulto allo stomaco fece quasi paralizzare la ragazza, mentre il suo respiro mancò per un attimo.
Si abbandonò completamente al divano, come un cadavere.
-Oh, Fra!- esclamò, sotto shock, mentre l’investigatore prendeva posto accanto a lei –Mi sento così stupida! Non avrei mai dovuto dubitare di te!-
Si mise a piangere, mentre una mano le accarezzava la schiena, per consolarla.
-Oh, non fare così…- mormorò, percependo la sua delusione –Come potevi sapere che il ragazzo con cui uscivi fosse un pazzo, violento e assassino, esattamente come il padre?-
-Dobbiamo aiutare zio Marco!- esclamò lei, ripensando a quanto aveva detto poco prima, sul sosia –E’ in pericolo!-
-Sì, lo hai detto…- rifletté lui –Probabilmente lo tortureranno e poi lo uccideranno.-
Quelle parole non la consolarono di certo. I suoi singhiozzi di vergogna erano sempre più forti.
-Ed è tutta colpa mia…!-
-Cominceranno strappandogli le unghie dei piedi. E poi continueranno con i peli del naso. Non sarebbe mai accaduto, se non avessi dato ascolto al tuo utero… E poi voi donne dite che siamo noi uomini a ragionare con il pene…-
Di male in peggio. Francesco non era bravo a consolare.
Ma Lisa non aveva udito le ultime frasi: il pensiero della tortura le aveva fatto chiudere i canali auricolari.
-Oh, no! Che cosa facciamo, adesso?-
-Beh, se la mia impressione è giusta, lo tengono in ostaggio proprio qui.- rispose l’investigatore, porgendo all’amica una piccola foto.
-In questa stupenda palestra?-
Si era reso conto di averle dato il biglietto da visita della palestra in cui andava. Glielo tolse dalle mani, imbarazzato, prima di porgerle la foto giusta.
-No, in questo cupo magazzino. A Nettuno.- si corresse, serio -Devo andare a salvarlo subito, prima di domani sera.-
I loro sguardi si scambiarono di nuovo. Lei era ancora sotto shock, ma vedere Francesco le fece dimenticare tutto.
Si era resa conto di non aver mai smesso di amarlo. Altrimenti non avrebbe mai ritagliato dai giornali tutte le notizie riguardanti i suoi casi.
-Stai attento, Fra.- lo avvertì, premurosa e preoccupata.
Francesco era ancora fermo a fissarla, mentre il cuore gli batteva all’impazzata, e il suo respiro si faceva sempre più affannoso. La sua immagine nuda non era ancora uscita dalla sua mente. Quelle forme morbide, ma non grasse e flaccide, che avrebbe tanto voluto toccare e stringere.
-S-sì, s-starò attento…- balbettò, prima di alzarsi; non era sicuro chi fosse più nervoso tra i due, ma l’investigatore ebbe nuovamente l’impulso di scappare, invece che affrontare i suoi timori –Ma forse… è meglio che vada… Ettore ed io avevamo programmato una serata “maratona Game Of Thrones”, stasera…-
Avrebbe preferito correre fino in Sicilia, dopo aver nuotato per lo stretto, salire sull’Etna e buttarsi nella lava bollente, piuttosto che provare l’imbarazzo che stava riempiendo ogni piccola fessura del suo corpo. Persino la scusa che aveva inventato per superare tale imbarazzo non era credibile…
Anche Lisa si sentiva nello stesso identico modo. Ma lei non era Francesco, non era abituata a sopportare e reprimere tali sensazioni. Si sentiva esplodere dentro.
Uno doveva dire all’altro che cosa provava: era l’ultima e migliore occasione.
La ragazza si alzò, riprendendo a singhiozzare.
-Francesco, non ce la faccio più a tenermi tutto dentro!- esclamò, avvicinandosi a lui, senza guardarlo negli occhi –Mi dispiace essermene andata in quel modo, tre anni fa, senza nemmeno salutarti! La verità, è che non ho mai smesso di pensarti, di sognarti la notte. Separarmi da te è stato davvero terribile, non voglio che accada nuovamente un evento simile. Francesco, io ti…!-
Non finì la frase: due mani le presero improvvisamente le guance.
Francesco era davanti a lei, a due centimetri dal suo naso.
-Non sai quanto ho atteso che tu lo dicessi…- mormorò, prima di posare le sue labbra sulle sue.
Quel gesto prese la ragazza di sorpresa. Si lasciò baciare, con gli occhi sgranati, e poi chiuderli lentamente.
I loro cuori battevano nel medesimo ritmo. Lo percepirono, una volta attaccati l’un l’altra.
Si staccarono un attimo, per riprendere fiato.
Lo sguardo del giovane tornò sulla scollatura di Lisa.
-Pensi che lui tornerà?- domandò, facendo ben intendere a cosa stesse alludendo e a cosa stesse pensando.
-Se quello che dici è vero, allora il sosia di zio Mario non tornerà stasera. Siamo soli.-
-Tanto meglio.-
La toccò sui seni, scostando la parte dell’accappatoio che li copriva.
Per quanto Lisa stesse provando una forte eccitazione, lo fermò
-No, non qui.-
-Come “non qui”?-
-Intendo in salotto. Andiamo in camera mia. E’ proprio qui sopra.-
-Ci sto.-
Senza aggiungere altro, la sollevò da terra, toccando le sue cosce, sode e morbide allo stesso tempo, e la baciò di nuovo.
 
Quando Francesco tornò a casa del cugino erano le quattro di notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Al salvataggio di Marco Auditore ***


Note dell'autrice: ho intenzione di finire questa storia il prima possibile.

------------------------------------------


Porto di Nettuno. Ore 9:00.
Da una barca, due binocoli erano puntati verso una banchina, in particolare verso un magazzino.
“Compagnia Esagono”. Questo c’era scritto sopra.
Ettore abbassò il suo binocolo, con aria scettica.
-Questa storia non mi convince, Cesco…- commentò, abbassando un sopracciglio –Ti dico che di questo passo non arriveremo a niente. Non abbiamo prove certe che Auditore sia lì dentro. Tutto quello che abbiamo a disposizione è un pass per il porto e il tuo presentimento.-
Anche Francesco abbassò il suo. Quanto era avvenuto la notte precedente, la presenza di Salverini in casa Auditore e il tentato omicidio di Lisa, lo aveva spinto più che mai ad andare fino in fondo a quel caso. Aveva uno sguardo serio e determinato.
Sulla testa aveva il suo inseparabile cappello con la tesa davanti, la giacca verde e dei pantaloni strappati sul ginocchio.
-Forse sarà come dici, ma ricordati le mie parole, Ettore!- lo rimproverò, premendo il suo dito contro il petto del cugino –Quei Nereo padre e figlio sono implicati in qualcosa di losco dai loro capelli neri fino alla punta delle loro scarpette lucide.-
Un fulmine nero passò in mezzo a loro, facendo loro quasi prendere un colpo. Per fortuna, si erano scansati in tempo.
Qualcosa cadde nell’acqua, una muta da sub, in mezzo ad altre tre.
I Milanelli si voltarono nella stessa direzione da cui quel lampo era partito.
-E’ sempre lui, eh!- fece Luciano, indicando Alberto, che gli rivolse uno sguardo minatorio.
L’investigatore osservò i quattro musicisti storcendo la bocca, e non solo per il fatto che fossero mezzi nudi per indossare le mute da sub (uno spettacolo, per lui, quasi disgustoso): Alberto quasi faticava a mettersi la quinta muta da sub (erano tutte sue quelle cadute in mare), Luciano sembrava essersi ripreso dallo shock del giorno precedente, dal suo rapimento all’aver quasi perso la vita mentre era appeso all’ariete del carro armato; i Guardiola, però, sembravano essere quelli messi  peggio tra i quattro: avevano ancora le bende sulle proprie pance, proprio lo stesso punto dove avevano strusciato il giorno precedente, nel tentativo di fermare il carro armato. Le altre ferite non erano gravi, e la zona importante non era stata così compromessa come temevano.
-Oh, ragazzi, mi sento quasi in colpa nell’avervi coinvolti in tutto questo…- disse, scuotendo la testa –Dovrei essere io ad indossare la muta e infiltrarmi lì dentro…-
Il più anziano, appena riuscì a chiudersi la muta (nessuno seppe come, ma era riuscito finalmente ad infilarla a tempo di record), scattò in piedi, avvicinandosi verso i due giovani.
-Invece no!- tuonò, aggrottando le sopracciglia –Non ricordi più cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo visti?!-
Lo sguardo di Francesco vagò nel vuoto.
-Io non ricordo più nemmeno cosa ho mangiato a colazione.- disse.
-Waffle senza glutine, Cesco…- lo aiutò Ettore, mettendosi una mano sul volto, come per dire “E lui sarebbe un investigatore?”
-Allora ti rinfrescherò la memoria. Ho detto che noi vogliamo assicurarci che tu faccia il tuo dovere da investigatore che sei, perché ci teniamo al nostro spettacolo!- gli ricordò l’uomo, puntandogli il dito contro –Perché non sappiamo mai se fidarci o meno dei poliziotti: ve la prendete sempre comoda per ogni indagine e prima che venga risolta passano almeno vent’anni. E’ facile fare così, quando la situazione non riguarda strettamente te, non è vero? E se Auditore è lì dentro come credi, vogliamo assicurarcene controllando di persona! Ma se tutto è una balla, puoi dire addio alle nozze coi fichi secchi! E’ tutto chiaro?!-
Francesco assunse un’aria timorosa e confusa nello stesso momento.
-Sì, tutto. Tranne questa cosa dei fichi secchi…- “Forse è stato lo shock di ieri a farlo delirare così… Aver guidato un carro armato fino a Roma…” pensò, nello stesso momento.
Anche Saverio si unì alla conversazione. Lui sembrava aver dimenticato tutto del giorno precedente. Appariva ancora allegro.
-E poi ci stiamo divertendo un sacco!- aggiunse, ricevendo strane occhiate da parte dei colleghi –O, almeno, io mi sto divertendo. Sai, i nostri tour sono sempre molto noiosi, monotoni. Almeno qui stiamo vivendo un’avventura degna di tale nome. Prendere parte ad un’indagine di polizia contro dei sabotatori…!-
Proprio come un bambino in un negozio di giocattoli.
-E intanto ieri me la sono fatta sotto…- mormorò Luciano, a denti stretti.
Francesco sospirò: dovette rassegnarsi. Mai cercare di contraddire o far arrabbiare un musicista, o meglio, gli artisti in generale. Le conseguenze possono essere alquanto pericolose.
-Beh… come volete.- riprese, facendo spallucce –Comunque, non potevamo scegliere un momento migliore. Questa nebbia ci nasconderà fino a quando non irromperemo al magazzino di Nereo.-
Infatti, uno strano e sospetto fumo bianco aveva quasi circondato la nave. I musicisti annusarono qualcosa di strano nell’aria. E la nebbia, solitamente, non ha odore. Infatti, impallidirono, quando ne scoprirono l’origine.
-Ehm… non è nebbia, Cesco…- avvertì Ettore, un po’ imbarazzato, mai quanto il cugino, appena udì quanto seguì –Uno dei motori è in fiamme. La squadra pompieri arriverà per spegnere il fuoco. Comunque…- si rivolse a tutti i presenti –Ripassiamo il piano: quando voi quattro ci informerete che siete entrati nel magazzino, Cesco taglierà i fili elettrici, mettendo fuori uso l’allarme. Io, nel frattempo, starò nel furgone con i miei ragazzi e attenderò il vostro segnale. Le comunicazioni sono a posto?-
I quattro musicisti avevano già le mute, le pinne, la maschera, il boccaglio e le bombole di ossigeno addosso: erano pronti. Avevano paura, ma per il loro spettacolo avrebbero fatto questo e altro.
Si sedettero sul bordo della barca.
-Sì, tutto a posto.- assicurò Giorgio, sistemandosi la muta –Allora, quando sentite dire da uno di noi “Mi piace”, voi irrompete.-
-Sì, tutto chiaro.- concluse l’investigatore, un po’ deluso: avrebbe tanto voluto essere al loro posto.
Premendo bene le mani contro la maschera e il boccaglio, rotolarono all’indietro, il tipico movimento di chi deve fare sub.
Qualcosa, però, andò storto.
SDENG!
Un rumore metallico.
I cugini Milanelli si affacciarono proprio dove i musicisti si erano gettati: erano finiti tutti e quattro sulla banchina, gemendo dal dolore.
-Ahhh… La mia povera schiena…- gemette Alberto.
Francesco si coprì la bocca con la mano, per non far vedere che stava ridendo.
Ettore, invece, li osservò con imbarazzo e indicò indietro.
-Guardate che l’acqua è dall’altra parte…-
Saverio si tolse il boccaglio.
-Come? Non ci si butta dalla banchina?-
L’ennesimo scapaccione da parte di Giorgio.
-Cretino…-
Nel frattempo, in uno dei magazzini, lo stesso in cui era stato rinchiuso Auditore, i magnati petroliferi, carboniferi e nucleari erano di nuovo in riunione. Stavano davanti ad un plasma, intenti a vedere delle pubblicità. Le loro pubblicità. O meglio, gli spot sulle loro compagnie, se il loro piano sarebbe andato a buon fine e le loro attività avrebbero proseguito. L’Italia avrebbe continuato a dipendere dal petrolio, dal carbone e anche dal nucleare, se Auditore non sarebbe stato liberato in tempo.
-Compagnia Esagono.- annunciò il televisore –Spot 1.-
Venne trasmessa l’immagine di una petroliera in mezzo all’oceano. Non era sicuro, però, se l’Atlantico o il Pacifico.
-Guidare una grossa petroliera è una grossa responsabilità. Per questo, qui, alla scuola per comandanti delle petroliere della compagnia “Esagono”, i futuri comandanti e i primi ufficiali sono sottoposti ad un rigoroso programma di addestramento intensivo. Attraverso un complicato sistema di eliminazione, scartiamo coloro che sono meno qualificati a svolgere i loro doveri su una petroliera con lo scafo di un milione di tonnellate. Solo ai migliori sarà consentito di assumere il comando di quella che è una bomba ad orologeria ecologica galleggiante.-
Questo diceva lo spot. Non erano parole rassicuranti, tantomeno che esortavano la massa a tornare al petrolio. Inoltre, vennero trasmesse immagini di marinai che guidavano, sì, petroliere, ma in misura assai ridotta, e nemmeno in mezzo all’oceano, ma su una superficie piatta con il colore del mare. Erano praticamente degli autoscontri, oltre ad altri marinai sottoposti a test ridicoli, praticamente l’alcool test: camminare in equilibrio su una striscia, toccare la punta del naso con gli indici, seguire una matita con lo sguardo, gonfiare un palloncino e persino il test delle urine.
Non era molto confortante, vero?
Tuttavia, gli altri magnati si complimentarono con Nereo per la sua idea.
Nessuno si aspettava un quartetto di musicisti introdursi nelle “loro” acque. Avevano nuotato per circa un quarto d’ora. Per fortuna avevano le bombole di ossigeno. Riemersero, rendendosi conto che l’acqua, da quasi cristallina, era divenuta di un nauseante color melma.
Invero, sì, avevano nuotato, ma avevano praticamente perso il senso dell’orientamento.
Ricordavano di essere diretti verso il magazzino indicato dal biglietto che Francesco aveva preso da Salverini.
Si guardarono tutti e quattro intorno, togliendosi le maschere, per vedere meglio, e i boccagli, per non sprecare altro ossigeno.
-Siamo arrivati?- domandò Saverio, una volta toltosi il boccaglio, prima di rimuovere la maschera.
Quello che si era trovato più in difficoltà era Alberto: essendo miope, e privato degli occhiali per mettersi la maschera, non vedeva dove stessero andando. Ed era anche a capo del gruppo subacqueo.
Non vi fu risposta alla domanda, non oralmente: la risposta giunse per vie nasali.
Un odore nauseante infestò le loro narici, facendo loro assumere un’aria disgustata.
Luciano si voltò da una parte, sgranando gli occhi a palla: erano entrati nel canale di scolo.
C’era anche un cartello enorme con scritto: “PER L’AMORE DI DIO, NON NUOTATE QUI!
Ma almeno erano vicini al loro obiettivo.
 
-Spot 2.-
Venne trasmessa una griglia, con della carne sopra. Lo spot raffigurava una tipica grigliata in famiglia in giardino, con vista su una centrale nucleare.
-Ahh… proprio come piace a me.- aveva detto un uomo, prima di prendere un pezzo di carne e metterla nel piatto –Sapete, un giorno, nel futuro, il sole potrebbe soddisfare tutti i nostri bisogni di energia. Ma per il momento, ci da’ somma sicurezza sapere che la nostra casa sia rifornita di energia nucleare. Oh, so cosa state pensando, ma non ci preoccupiamo, perché sappiamo che l’energia nucleare è sicura. In effetti, la consideriamo come il nostro vicino amichevole. Ma ricordate, il nostro amico non può esistere senza degli ingenti sussidi governativi, perciò chiamate o inviate un’e-mail al vostro parlamentare di fiducia e chiedetegli di continuare a destinare i fondi del governo per il nucleare.-
Un altro spot “scoraggiante”, specie appena uno dei bambini lì presenti aveva chiamato il cane; si notava, infatti, che aveva due code scodinzolanti, probabilmente uno degli effetti collaterali del nucleare.
Poi, aggiungendo la frase finale, era un motivo in più per abbandonare l’energia nucleare.
Ma i magnati si complimentarono lo stesso, come avevano fatto con Nereo.
 
La Quarta Orchestra, nel frattempo, erano riusciti a raggiungere il magazzino. Ma l’entrata vera e propria era ancora lontana, quindi dovevano proseguire a piedi, sperando di non farsi scoprire dagli scagnozzi di Nereo.
Giorgio fu il primo a salire su una scaletta, che li avrebbe proprio condotti di fronte al magazzino.
Notò subito un recinto, con un dobermann abbaiante dall’altra parte.
Digrignò leggermente i denti, prima di parlare dentro la muta.
-Dovremo cercare un’altra strada per entrare.- comunicò ad Ettore e Francesco e anche ai colleghi –Qui ci sono dei cani da guardia assassini. Mi sentite?-
-Noi sì.- rispose Saverio, dietro di lui.
-Non voi, cretino! Loro, i Milanelli.-
Intanto, Ettore era già posizionato insieme a dei poliziotti dentro un furgone giallo preso in affitto, adatto per non dare nell’occhio, alla cui guida stava Francesco. Entrambi i cugini, alle orecchie, avevano degli auricolari wireless.
-Sì, vi ricevo forte e chiaro.- rispose il tenente, prima di parlare all’investigatore –Cesco, qual è la tua posizione?-
Intanto, stava facendo retromarcia.
-Sono dove devo stare.- rispose, serio, ma roso dall’invidia per i quattro musicisti: doveva essere lui a liberare Auditore.
In quel lasso di tempo, questi  ultimi avevano trovato una strada alternativa, per entrare dentro il magazzino: si erano liberati delle pinne, indossando delle scarpe da scoglio, oltre che delle maschere, dei boccagli e delle bombole d’ossigeno. Avevano aggirato il recinto dei cani, facendosi strada tra fusti di petrolio. Ogni tanto Luciano, Alberto e Saverio andavano distrattamente a schiantarsi contro, facendo innervosire Giorgio. E Alberto si era anche rimesso gli occhiali…
Ma dell’entrata per il magazzino nemmeno l’ombra.
Giorgio parlò nuovamente dentro la muta: -Proviamo ad entrare dal tetto.-
Il più anziano parve drizzare le orecchie.
-Ma sei impazzito?!- imprecò, a bassa voce.
-Sempre meglio che girare a vuoto e sprecare tempo…-
Saverio si fece avanti, con un fucile attaccato ad un arpione (dove l’aveva preso, poi…?).
-Posso farlo io?- domandò, con il sorriso sulle labbra. Anche più di un bambino in un negozio di giocattoli. Sembrava l’unico a prendere la situazione sottogamba.
Rassegnati, gli altri gli concessero di lanciare l’arpione.
Mai, come quel giorno, fu più felice.
Non aveva i suoi occhiali, ma ci vedeva bene ugualmente. Puntò il fucile verso il tetto, sparando.
L’arpione colpì il cornicione e cadde a terra.
Giorgio, Luciano e Alberto lo guardarono come se fosse il più grande idiota dell’universo.
-Primo tentativo fallito.- comunicò, parlando anche lui dentro la muta –Ci provo di nuovo.-
Il secondo colpo andò a buon segno: l’arpione oltrepassò il tetto, sparendo dall’altra parte.
Esultò silenziosamente.
-Evvai! Adesso saliamo!-
-No!- lo fermò il fratello minore –Vado io per primo.-
-Ma perché?!-
-Perché sono l’unico che sa arrampicarsi bene.-
Saverio sbuffò: fra i due, sembrava essere Giorgio il maggiore, con la sua prepotenza.
-Prima assicuriamoci che tu abbia preso un qualcosa di solido…- proseguì, tirando la corda attaccata all’arpione. Scivolò un po’ tra le sue mani, ma poi si fermò: aveva preso qualcosa.
Tirò di nuovo, per sicurezza: sembrava solido e sicuro.
Poteva arrampicarsi.
-Vado a fare un breve sopralluogo.- avvisò, prima di arrampicarsi –Se tutto è tranquillo, salite anche voi.-
-Ricevuto…- mormorò il trio, abbassando un sopracciglio.
Giorgio era il più magro dei quattro e anche quello più agile: effettivamente, era il più adatto a fare il sopralluogo. Si arrampicava bene, nonostante…
-Autrice…-
Va bene, non lo dico.
-Grazie.-
Mentre si arrampicava, non si era reso conto che qualcosa, in effetti, non andava: la corda scivolava, come se l’arpione avesse preso qualcosa pesante, ma che non poteva sostenere il peso del sassofonista.
Fu quando salì sul tetto che scoprì qualcosa di inaspettato: faccia a faccia con un dobermann!
Impallidì, divenendo quasi tutt’uno con i capelli.
-Oh-oh…- disse.
Si mise a correre sul tetto, inseguito dal cane, urlando.
Quando Saverio aveva lanciato l’arpione, doveva essere caduto per terra, e quando Giorgio aveva tirato la corda, doveva averlo preso per il collare, facendolo salire sul tetto, man mano che si arrampicava.
I colleghi, anziché preoccuparsi, lo osservarono con aria delusa, specialmente Saverio.
-Chi è il cretino, adesso?- commentò.
-Lui.- fece Luciano.
Fra i tre, Alberto si mostrò quello più preoccupato per il collega.
-E che stiamo facendo qui con le mani in mano?!- esclamò, dando dei colpi sulle fronti degli altri due –Andiamo ad aiutarlo!-

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Catturati! ***


Note dell'autrice: la citazione di "Toy Story 2" era d'obbligo... XP

------------------------------

Nel frattempo, nel furgone, Ettore aveva sentito degli strani suoni nel suo auricolare. Il segnale sembrava essere disturbato, ma udì comunque degli urli.
-Giorgio! E’ successo qualcosa?! Contatto! Contatto!- esclamava, allarmato; nessuna risposta; decise di cambiare contatto –Cesco, taglia i fili!-
Francesco era già posizionato sul palo, in equilibrio precario.
-E secondo te cosa sto facendo?!- imprecò, prima di tagliare il filo con delle enormi tronchesi –Sto spinando una sogliolAAAAHHH…!!!?- Il filo aveva fatto un movimento fulmineo, come una molla, che fece sbilanciare il giovane e farlo cadere di sotto. Per fortuna, aveva incrociato le gambe al palo, quindi non precipitò, ma si trovò ugualmente a testa in giù. L’auricolare gli cadde dalle orecchie.
-ETTORE! AIUTO!- urlò ugualmente, tenendosi almeno il cappellino sulla testa.
-Cesco! Mi senti? Contatto!- rispose il tenente, dopo aver sentito uno strano rumore provenire dal suo auricolare –Dannati prodotti cinesi! Funzionano sempre da Natale a Santo Stefano…-
Nel frattempo, Giorgio continuava a correre sul tetto del magazzino, inseguito dal dobermann abbaiante. Era ormai vicino a morderlo sul sedere quando entrambi giunsero sopra il punto più cedevole del tetto.
Solo il musicista cadde, il cane si era fermato appena in tempo.
Atterrò proprio sul tavolino dove si erano riuniti i magnati, distruggendolo, in mezzo ad una cascata di schegge di vetro.
La superficie non era morbida, ma almeno non si era rotto le ossa.
Si rialzò, scuotendo la testa e scrollandosi di dosso alcune schegge.
-Wow! Che volo, ragazzi!- esclamò, guardandosi la muta e passandoci le mani sopra –Quasi quasi mi faccio un altro giro…-
Si rese conto troppo tardi di essere circondato da pistole.
-Oh-oh…-
Era in mezzo ai magnati carboniferi, petroliferi e nucleari, che lo stavano osservando basiti, e le loro guardie del corpo, quelli con le pistole in mano.
Dalla padella (il cane) alla brace (i magnati), come si suole dire…
Fra i presenti, solo uno si fece avanti.
-Ah… Giorgio Guardiola…- mormorò Alfredo, tra il sorpreso e il divertito –Il sassofonista della Quarta Orchestra, se non sbaglio…-
-Beh… noto che la mia fama mi precede…- si vantò Giorgio, prima di svegliarsi e indicare l’uomo –Aspetta un attimo! Lei è Alfredo Nereo della compagnia Esagono! E c’è anche Matteo! Allora il giovanotto non aveva tutti i torti a sospettare di lei e di suo figlio! Ah, ah! Vi ho beccati!-
Si trovò nuovamente circondato da pistole, stavolta tutte intorno alla sua testa.
-O forse sarebbe meglio dire che voi avete beccato me…-
Gli altri tre membri della Quarta Orchestra erano riusciti a raggiungere l’entrata del magazzino.
Saverio notò una serratura e vi mise l’occhio, sgranandolo, successivamente.
-Merda, hanno preso Giorgio…- avvisò, facendo allarmare gli altri.
-E ora che facciamo?- domandò Luciano, nervoso.
-Non è ovvio?- disse Alberto, sicuro come uno stratega -Usiamo la testa.-
Bastarono pochi secondi per capire a cosa si stesse riferendo…
-MA PERCHE’ PROPRIO LA MIA TESTAAAAA?!- imprecò il pelato, mentre gli altri due lo usavano come ariete per sfondare la porta.
Erano indietreggiati di una ventina di passi per prendere meglio la rincorsa.
-CARICAAAA!!!- urlarono Saverio e Alberto.
Erano ormai vicini alla porta quando, improvvisamente, questa si aprì.
Non erano riusciti a sfondare la porta, ma almeno erano entrati nel magazzino. Soltanto che avevano preso troppa rincorsa per fermarsi subito; infatti, la testa di Luciano sfondò la finestra con vista sul mare e tutti e tre caddero nuovamente in acqua.
I presenti osservarono il tutto a dir poco confusi, mentre Giorgio sospirò, scuotendo la testa, deluso.
Rientrarono tutti e tre dalla porta, tre secondi dopo (e non chiedete come abbiano fatto), completamente bagnati.
-Non è che possiamo rifarlo?- domandò ingenuamente il riccio, mentre si toglieva l’acqua dalle orecchie –La prima volta è venuta un po’ male…-
Impallidì appena vide una pistola vicino alla sua tempia.
-Ok… come non detto…-
Vennero presi tutti e quattro per le braccia.
Il canuto sospirò di nuovo.
-Non sarò un esperto in salvataggi, ma questo mi è sembrato proprio fallito…- commentò, ricevendo uno sguardo minatorio da parte dei colleghi.
-Ma bene…- riprese Alfredo, con aria soddisfatta, mentre Matteo aveva la sua solita aria stoica –Di solito si dice “prendere due piccioni con una fava”, ma in questo caso potrei dire “prendere tre musicisti con un musicista”… La Quarta Orchestra al completo è qui dinnanzi a me. Salverini avrebbe dovuto uccidere sia voi che l’investigatorino, ieri. Ma avrò il piacere di farlo io stesso, con le mie mani. Sarà lento e doloroso…-
Quella rivelazione fece intimidire i quattro musicisti e stranire i colleghi.
No, la reazione di questi ultimi non era dovuta alla rivelazione: derivava piuttosto da uno strano odore che annusarono per aria. Un odore marcio, stantio, nauseante, come di guano.
Anche i Nereo assunsero un’aria disgustata.
-Oh, che cos’è questo odore?!- esclamò uno dei magnati presenti.
Fu Alberto a rispondere per i colleghi.
-Ehm… dovremo essere noi. Sapete, venendo qua ci siamo fatti una nuotata nei canali di scarico. Mi piace.-
“Mi piace.”
Alle orecchie dei presenti (comprese quelle degli altri musicisti) suonò strano e sospetto.
A chi piacerebbe, in fondo, nuotare in uno scarico?
L’anziano piegò la testa verso il colletto della muta.
-Mi piace.- ripeté, più scandito e con voce un pochino più alta.
Luciano, Saverio e Giorgio capirono: era il segnale per Ettore e la sua squadra di irrompere dentro il magazzino.
Infatti, questi, appena udito “Mi piace”, si tolse le cuffie.
-E’ il segnale!- annunciò ai poliziotti –Andiamo!-
Si erano posizionati nel retro del furgone, dove c’era abbastanza spazio per tutta la squadra. Il tenente cercò di aprire l’apertura posteriore, ma qualcosa la bloccava. Non riusciva nemmeno ad aprire un piccolo spiraglio.
Infatti, Francesco, facendo marcia indietro per parcheggiare, aveva battuto contro il palo su cui, poi, era salito per tagliare i fili.
Non è stato forse scritto della totale negazione dell’investigatore per la guida, dopotutto?
-Dev’essere bloccata! Aiutatemi!-
Niente, la portiera non si apriva.
Nel frattempo, Francesco era ancora appeso a testa in giù.
-Ettore? Ettore! Aiuto!-
Non poteva rimanere a testa in giù a lungo o sarebbe deceduto.
Tentò una mossa estrema: strinse le mani al palo e sciolse le gambe dalla posizione incrociata. Risultò una semi capriola per aria che lo fece scontrare contro il palo. L’urto quasi compromise le sue zone basse.
-Palo contro palo…- commentò, rimanendo stabile –Che dolore…-
Fatto stava ancora nessun cenno dei rinforzi.
La Quarta Orchestra era ancora nelle grinfie dei magnati.
-Perquisiteli.- ordinò Alfredo agli scagnozzi, che iniziarono a palpare le mute dei musicisti.
-Mi piace.- disse Giorgio, quando delle mani gli toccarono il torace.
Quella frase fece nuovamente basire i presenti. Non potevano sapere che era la parola d’ordine per dare il via libera alla polizia.
Non prima che uno degli scagnozzi riuscì a scorgere qualcosa dalla muta del canuto.
-Lui ha un microfono.-
-Anche lui.- aggiunsero gli altri tre, notando la stessa cosa nelle mute dei rimanenti tre musicisti.
Aprirono le quattro mute, mostrando tutto un impianto stereo che faceva versi strani, montato sopra un gilet, come un giubbotto esplosivo.
Nereo padre serrò le labbra: era stato scoperto, ma almeno doveva trovare un modo per sistemare i quattro intrusi.
-Legateli!- ordinò agli scagnozzi.
I giubbotti vennero strappati con un movimento secco, mettendo a nudo i loro petti.
I musicisti non poterono nemmeno muoversi che vennero subito legati, a coppie, su delle sedie, schiena contro schiena.
Della polizia ancora nessun segno. E i microfoni erano fuori uso.
Sarebbe stata la loro fine?
-Non la farai franca, Nereo!- esclamò Giorgio, con sicurezza, mentre Saverio veniva legato dietro di lui –Qualunque cosa si tratti…!-
I colleghi inclinarono le proprie teste in basso, dall’imbarazzo.
-Presto detto.- fu la risposta di Alfredo –Permettetemi, prima, di presentarvi alcune persone…-
Ad un singolo cenno, uno degli scagnozzi ricomparve, spingendo una persona su una sedia a rotelle.
I quattro musicisti sgranarono gli occhi appena scoprirono di chi si trattava.
-Naturalmente conoscete già Marco Auditore…-
Era illeso, ma ancora lievemente sotto shock. Non lo avevano torturato come temuto da Francesco, ma almeno era lì.
-Ma allora aveva ragione…!- mormorò Alberto, prima di urlare, sperando che i microfoni fossero ancora attivi –FRANCESCO, AVEVI RAGIONE! NON DOVEVO DUBITARE DI TE!-
Luciano sentì i propri timpani fracassati da quelle urla, a tal punto da dare una lieve gomitata di disapprovazione al collega (visto, anche, che erano legati l’uno dietro la schiena dell’altro).
-E, ieri, il vostro amichetto investigatore ha avuto il piacere di conoscere Vincenzo Arcattati…- proseguì Alfredo, indicando il sosia di Auditore, che si avvicinò ai musicisti su una stampella e un collare.
-Ma chi cazzo gliel’ha fatto fare…?!- gemette, percependo nuovamente i danni della sera prima.
Saverio sgranò gli occhi, impressionato più dei colleghi dalla notevole somiglianza tra i due. Si poteva quasi dire che fossero stati separati dalla nascita.
-E questi sono i coniugi Sestri.- un uomo e una donna di mezza età si misero accanto ad Alfredo –Ospiti di Torino venuti qui per il fine settimana.-
Nessuno dei presenti riuscì a comprendere il collegamento tra le persone citate, specie tra Auditore e il sosia con i coniugi.
-Stiamo andando al teatro dove si terrà la famosa conferenza…- continuò, prendendo un sigaro; si rivolse alle sue guardie del corpo –Voi, cercate Milanelli e catturatelo. Se loro sono qui, allora lo sarà anche lui. Fa’ in modo che non accada loro niente fino a quando non ritorno.- il suo tono si fece sempre più minaccioso –Poi… avrò il piacere di ucciderli… personalmente.-
Giorgio ricambiò lo sguardo minatorio.
-Il piacere è tutto nostro…-
Saverio, Luciano e Alberto, compresi gli altri presenti, rimasero straniti da quella frase. In realtà, l’aveva detta non tanto per mostrarsi impavido quanto non aveva nient’altro da dire.
Prima che uno di potesse dire altro, i quattro musicisti vennero imbavagliati, per evitare di urlare e farsi soccorrere.
-Ci vediamo dopo la conferenza, Quarta Orchestra…- li salutò Nereo, seguito dai magnati, uscendo dal magazzino.
Erano rimasti soli. Con Marco Auditore. E con una guardia del corpo, che, invece di osservarli, prese le cuffie, accese un computer e si collegò su Youtube.
Luciano si era messo a piangere, mugolando, da dietro il fazzoletto, qualcosa come: “Non voglio morire!” (e povero Alberto che se lo doveva sorbire…)
A causa di quanto era avvenuto il giorno prima, sembrava invecchiato di 10 anni. Se continuava così, rischiava di apparire un ultra centenario…
Erano tutti e quattro legati e imbavagliati. Auditore era con loro. I microfoni erano ormai fuori uso e della polizia o di Francesco neppure l’ombra.
Dovevano agire da soli.
Il membro più giovane si guardò intorno, cercando qualcosa per tagliare la corda che legava il suo polso a quello del fratello.
Non trovò niente di appuntito. Solo uno scaffale, uno in metallo. Gli angoli erano smussati, ma ogni cosa si poteva rompere se strofinata più volte su una superficie di qualunque tipo, purché non fosse liscia.
La stessa cosa poteva valere per la corda. O no?
Tanto valeva tentare. Sempre meglio che rimanere lì fermi, legati come salami, sperando che arrivassero i soccorsi.
Persino le sue caviglie erano state legate, alle gambe della sedia. Doveva saltellare o procedere in punta di piedi, per arrivare allo scaffale.
Poi, guardò indietro: avrebbe preferito farsi legare con Alberto, piuttosto che con Saverio.
Non ebbe altra scelta.
“Saverio?” biascicò, dietro il bavaglio.
L’uomo si voltò, sapendo, in un modo o nell’altro, che il fratello si stava rivolgendo a lui.
“Sì?”
Altri mugolii, accompagnati da movimenti della testa. Ma, tuttavia, incomprensibili.
“Eh?” fece Saverio, confuso.
Giorgio sapeva che era meglio a farsi che a dirsi, quindi non mugolò oltre. Non col fratello, almeno.
Provò a parlare con Auditore.
“Professore?”
“Eh?”
“La porteremo fuori di qui.”
Non sapeva se avesse capito, ma almeno lo aveva detto.
Saltellò su un lato, facendo prendere un colpo a chi aveva dietro.
“Che stai facendo?!” si lamentò.
Giorgio non parlò; colpì il cranio del fratello col suo, di proposito, facendo rivolgere la sua attenzione allo scaffale.
Saverio non capì molto, ma seguì ugualmente il minore nei suoi saltelli. Rivolgevano spesso occhiate alla guardia del corpo incaricata di sorvegliarli, ma, fortunatamente, era intento a ridacchiare di fronte al computer, ignorandoli completamente.
Luciano e Alberto, intanto, osservavano i Guardiola con aria curiosa, lo stesso Auditore.
I saltelli erano in diagonale, in direzione dello scaffale. La corda su cui erano legati i loro polsi (Giorgio il destro e Saverio il sinistro) toccò qualcosa di duro.
Bingo.
Era un angolo dello scaffale. Era smussato, ma meglio di niente.
I fratelli, per una volta, pensarono alla medesima cosa: strusciarono la corda contro l’angolo, premendola contro di esso, per tagliarla.
Ma, come scritto prima, era un angolo smussato, non era, per esempio, un frammento di vetro o un angolo appuntito. Sapevano ci avrebbero messo più tempo per liberarsi.
Ma lo scaffale non era molto solido: infatti, ai movimenti dei Guardiola, si muoveva, ondeggiando.
Degli oggetti, nel ripiano più alto cominciarono a muoversi, avvicinandosi al bordo, per poi cadere.
Auditore era stato messo proprio sotto di essi: il primo oggetto che ricevette sulla testa, fu una mazza da baseball. Rimase stordito per un attimo, prima di scuotere la testa e rivedere tutto chiaro.
Alberto, essendo quello rivolto verso i due colleghi, era curioso di sapere cosa avessero in mente. Quando lo scoprì, sgranò gli occhi, muovendosi in modo strano, come per dire loro di smettere. Luciano stava continuando a piagnucolare.
Ma Giorgio e Saverio non videro e non ascoltarono niente: erano concentrati sul loro lavoro. Non diedero neppure uno sguardo alla guardia del corpo, che aveva lo sguardo fisso verso il computer, mentre il loro lo era sulle corde.
Non sentirono nemmeno i lamenti di Marco Auditore, mentre altri oggetti finirono sulla sua testa: delle palle da baseball, delle palline da biliardo, dei ferri di cavallo, dei birilli da bowling, a seguire la propria palla. Sorprendente il fatto che non avesse ancora perduto i sensi, vero?
Le corde si stavano tagliando, anche se piano piano: lo sfregamento, allora, funzionava.
Altra roba finì sulla testa del climatologo: olio motore (e quanta roba c’era lì sopra?!) da una tanica caduta sul bordo della mensola, proprio dove c’era la bocca, che lo sporcò completamente, e dei pezzi di polistirolo caduti da una scatola.
Se al posto dei musicisti ci fosse stato Francesco e avesse fatto la stessa cosa, Marco avrebbe fatto la faccia da: “E lui sarebbe il ragazzo che dovrebbe salvarmi…?”. Un po’ lo pensò anche nei loro confronti.
Alberto continuava a comunicare ai due colleghi di smetterla, invano.
Infatti, era già troppo tardi: l’ultimo oggetto a cadere sulla testa di Auditore fu un’incudine, che gli provocò la perdita dei sensi.
Il più anziano sospirò, da dietro il fazzoletto, abbassando la testa, pensando: “Deficienti…”
Pochi secondi dopo, il miracolo: dei poliziotti, con le pistole puntate in avanti, si presentarono di fronte alla finestra, la stessa che Saverio, Luciano e Alberto avevano sfondato, involontariamente, per salvare Giorgio.
-Mani in alto!-
La guardia si alzò in piedi, con le mani in alto.
Dall’entrata principale entrarono il resto dei poliziotti, preceduti da Ettore e Francesco.
-Che nessuno si muova!- esclamò il primo, con la pistola in mano.
Erano finalmente usciti dal furgone (dopo la botta ricevuta, infatti, l’investigatore era nuovamente entrato nel furgone, spostandolo più avanti, facendo uscire i poliziotti), per salvare Auditore e i musicisti.
Il pelato smise di piangere, ed esultò, quasi saltellando, facendo venire il mal di mare a chi era legato dietro di lui.
La guardia venne bloccata, mentre i musicisti venivano slegati dai poliziotti.
-State bene, ragazzi?- domandò l’investigatore, preoccupato.
I quattro uomini ripresero fiato dalla bocca.
-Sì, ci siamo solo spaventati…- rispose Giorgio, sistemandosi i capelli –Ma stiamo bene…-
Venne annusato un odore strano per aria. Non era più l’odore di fogna che era sulle mute dei musicisti.
-Cos’è questo odore…?-
-Stavolta non siamo noi, Francesco…-
Era ammoniaca.
E un liquido giallo sospetto ne diede la conferma.
Seguirono la scia, scovando il colpevole.
-Ehm…- disse questi, imbarazzato.
-LUCIANO!!!-
Ettore assunse uno sguardo disgustato.
-Che schifo…- poi rivolse la sua attenzione ad Auditore, che stava lentamente riprendendo i sensi; si allarmò a vederlo in quello stato –Buon Dio! Professor Auditore, sta bene?!-
Anche Francesco si avvicinò a lui, dello stesso umore del cugino.
-Lieto di vedere che sta bene. Sua nipote è preoccupata per lei.-
-A…- fu l’unica parola che uscì dalla bocca dell’uomo, appena privato del bavaglio.
-Chi è stato a ridurla così?- continuò il tenente, preoccupato.
-E…-
L’investigatore notò un oggetto sospetto per terra, un birillo da bowling, che prese, guardandolo incuriosito.
Poi osservò i quattro musicisti, nello stesso modo.
Giorgio e Saverio si guardarono intorno: con loro c’era solo la guardia, ma era sempre rimasta davanti al computer, quindi non poteva averlo fatto lui. Poi si ricordarono cosa stavano facendo, prima dell’arrivo dei poliziotti e da lì si resero conto di essere stati loro a ridurre il climatologo in quello stato, sebbene a loro insaputa. E lo sguardo deluso di Alberto ne diede la conferma. Si imbarazzarono entrambi, facendo un passo indietro.
-Voi! Controllate che non ci sia nessuno nei paraggi!- ordinò il tenente, ad un paio di poliziotti lì vicino.
-I…-
-No, professore, non si sforzi a parlare…-
-O…-
-Qualcuno lo porti via, e gli dia una bella ripulita per stasera!-
Altri due poliziotti lo raggiunsero ed eseguirono i suoi ordini; per fortuna Marco Auditore era stato messo su una sedia a rotelle, così risultò più facile portarlo via.
-U…- disse questi, mentre veniva portato via, senza aver avuto modo di colpevolizzare i musicisti.
Francesco stava per rivelarlo al posto suo, ma Ettore venne improvvisamente avvolto dall’ira; e quando si arrabbiava non ascoltava più nessuno. Osservò l’uomo che credeva colpevole.
-Non posso sopportare le canaglie come te che si approfittano delle persone indifese…- sibilò, avvicinandosi alla guardia del corpo, che si mostrò completamente confuso di fronte a quelle accuse –I rifiuti come te mi fanno vomitare! E va bene!- si privò del distintivo, delle proprie pistole, della giacca, della cravatta, persino della propria camicia e canottiera, e anche di un reggiseno a pizzo che gettò a terra (con sguardo sorpreso dei presenti; Saverio lo raccolse, per vederlo da vicino), mostrando il fisico muscoloso, prima di mettersi in posizione da lottatore di boxe –Ora sono il Signor Uno Qualunque! Eccoci qui! Io e te, faccia a faccia! Ti faccio vedere io cosa succede a farmi incazzare, pezzo di merda!-
Da lì, le botte. I colpi erano così forti che si potevano udire anche fuori dal magazzino.
Saverio e Luciano si coprirono gli occhi, esclamando: -Non posso guardare!- mentre Giorgio e Alberto strinsero i denti, con aria preoccupata.
Anche Francesco fece una faccia strana, come se fosse stato lui il destinatario dei colpi.
Ad un certo punto, fece uno strano movimento con la mano.
-Va bene! Va bene! Basta così, ne ha avuto abbastanza!- esclamò, ponendo fine all’incontro.
I piedi, saltellando con aria trionfante, stava la guardia del corpo, di fronte ad un Ettore privo di sensi.
-Qualcuno porti il tenente via di lì…- ordinò il giovane, provando imbarazzo per il cugino. Troppi spari e pochi scontri corpo a corpo… -Dobbiamo tornare subito a Rieti! Avvertirò Lisa dell’accaduto. Saremo a teatro entro stasera.-
Poi osservò i quattro musicisti, con aria disgustata.
-E per Dio, tiratevi su quelle zip!- infatti, avevano tutti e quattro la muta ancora aperta fino all’ombelico –Siete uno spettacolo disgustoso!-
Come risposta, fecero un verso di diniego, mentre si tiravano su le zip.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** In scena! ***


Note dell'autrice: stavolta ci riprovo... in questa parte ci ho messo, di proposito, citazione dallo spettacolo "Non Esistono Più Le Quattro Stagioni"


---------------------------------

 
 
Erano ormai le 21:00 quando Francesco, Ettore, Auditore e la Quarta Orchestra tornarono a Rieti.
Il teatro era già affollato e il parcheggio era ormai pieno di macchine.
Alcuni erano persino venuti con il taxi.
L’interno pullulava di persone di tutti i tipi: politici, scienziati, giornalisti, fotografi, gente comune, immigrati, persino i magnati che avevano rapito Marco Auditore.
Vincenzo Arcattati, nelle vesti del climatologo, era già all’interno, mentre stringeva la mano al Presidente della Repubblica, nel frattempo facendosi fare le foto per i giornali. La stanza era praticamente illuminata dai flash delle macchine fotografiche.
-Qualche previsione?-
-Non credo ci saranno sorprese nel discorso di Marco Auditore.- dei giornalisti stavano intervistando il ministro dell’Economia; ebbe la sfortuna di cadere in balia dei giornalisti impiccioni; infatti, parlava a loro continuando a camminare, senza nemmeno voltarsi, cercando il suo posto –Comunque, chiederò al presidente di confermare la politica della dipendenza dal petrolio e di destinare più fondi per la sovvenzione dell’energia nucleare, come io stesso ho sempre raccomandato.-
Nel frattempo, un altro giornalista stava parlando alla telecamera: -E ora, un aggiornamento sugli animali fuggiti che stanno seminando il panico nella capitale…-
Anche Anna Del Bravo, il capitano della Polizia di Rieti, era presente; quella sera era vestita in uniforme, per far vedere ai giornalisti che intendeva impegnarsi nel suo lavoro.
-Non ho bisogno di dirvi che questa è la serata più importante della mia carriera…- disse a dei poliziotti che camminavano dietro di lei, in direzione dell’entrata principale –Non possiamo permetterci errori. Se doveste vedere il tenente Milanelli, suo cugino investigatore o qualcun altro della sua squadra in questo teatro, voglio che li arrestiate immediatamente.-
-Sì, signora.-
Non si era scordata dell’incidente al Gambrinus.
Il gruppo di sette era giunto sul retro del teatro con lo stesso furgone usato per dirigersi al magazzino di Nereo. Intanto aveva collezionato un altro paio di ammaccature.
I musicisti, non si sa come, erano già vestiti in smoking, e Auditore era completamente pulito dall’olio.
-Allora, se ho capito bene…- rifletté Francesco, serio in volto –In base a quanto mi avete detto tutti quanti, non era coinvolto solo Alfredo Nereo nel sabotare la conferenza di Auditore, ma anche gli altri magnati petroliferi, carboniferi e nucleari.-
-Esatto.- annuì Giorgio, respirando; fra tutti i presenti, facevano a gara a chi aveva avuto più infarti durante la guida dell’investigatore –E se aggiungiamo il coinvolgimento di Salverini, qui qualcuno resterà in prigione a vita…-
-Quel Matteo…- ringhiò Marco, stringendo un pugno –Aver estorto con l’inganno informazioni a mia nipote. Lisa sta bene, vero, Francesco?-
Lo aveva chiamato per nome. Non era Arcattati.
-Stia tranquillo, professor Auditore. Sua nipote è al sicuro.- o meglio, così sperava anche lui; controllò l’orologio –L’ho chiamata appena siamo partiti. Le ho detto di aspettarci a quest’ora all’entrata posteriore del teatro.-
-E dove si trova, Cesco?- domandò Ettore, seduto accanto a lui.
-Sul retro, caro cugino.- risposta che fece allibire i presenti –Ci aprirà la porta e noi entreremo senza dare nell’occhio.-
-E come la mettiamo con Nereo?-
-Dobbiamo solo sperare che si tenga fuori dai guai.-
I musicisti si guardarono l’un l’altro: la famosa serata era giunta. Auditore era con loro, sano e salvo. Anche loro erano illesi.
I sospetti di Francesco si erano rivelati fondati, cosa che aveva reso possibile mettere in scena lo spettacolo senza il rischio di posticiparlo, sebbene con i suoi intoppi e disavventure. Ma faceva tutto parte del gioco.
Riconobbero, però, che aveva mantenuto la sua promessa. Dovevano ringraziarlo.
-Ehi, ragazzo…- fece Alberto, un po’ imbarazzato, in nome dei colleghi -Scusaci, non avremmo dovuto mai dubitare di te…-
Anche Giorgio disse la sua.
-Sì, ha ragione. All’inizio ci eri parso uno sfigato, un imbranato che non riesce nemmeno a mettere in equilibrio delle carte per fare il famoso castello, quindi figurarsi a risolvere un mistero. Ma ci siamo ricreduti quando siamo entrati nel magazzino di Nereo, quindi ti dobbiamo delle scuse.-
-Io ammetto di essermela fatta sotto almeno due volte…- aggiunse Luciano –Ma è stato bello provare delle emozioni forti.-
-E io mi sono divertito da matti!-
Il giovane si voltò verso di loro, sorridendo.
-Ah, ma non fa niente!- esclamò, prima di uscire, insieme al cugino –Anche voi, all’inizio, mi siete sembrati degli schizzati e opportunisti con seri problemi di senilità… No, un attimo… lo penso ancora…-
-Eh, sì, certo…- si lasciò sfuggire il più anziano; poi, insieme ai colleghi, ci ripensò. Esclamarono all’unisono: -ASPETTA, CHE?!-
Lisa, nel frattempo, era sul retro del teatro, come stabilito.
Aveva un completo verde e si era lisciata i capelli, per poi tirarli indietro con una passata.
Si guardava spesso l’orologio, nervosa. Sia per il timore che fosse successo qualcosa a Francesco, sia per il timore di essere scoperta da Matteo o da suo padre.
Un furgone parcheggiò proprio lì. Sperava fosse Francesco, con suo zio e i musicisti. Ma erano solo dei facchini: uscirono con delle custodie nere in mano.
-Lisa, mia cara…-
La ragazza rabbrividì a quella voce: Matteo. L’aveva trovata. Per fortuna, prima che arrivasse l’investigatore.
-Cosa fai qui fuori?- disse, prendendola per le spalle e massaggiandole –La festa è dentro…-
Occorreva una scusa plausibile.
-Ehm…- balbettò, colta di sorpresa –Matteo! Non ti aspettavo! Ehm… io… con tutta quella gente intorno mi era venuto un giramento di testa e un forte senso di claustrofobia. Avevo bisogno di una boccata di aria pulita.-
Il ragazzo annusò, disgustato, qualcosa di strano in aria: erano vicini a dei cassonetti.
Occorreva un’altra scusa.
-La mia prima casa era vicina ad una discarica.- mentì, pregando di essere credibile –L’odore è lo stesso. Che bei ricordi d’infanzia…-
Matteo, però, non condivideva. Infatti, si tappò il naso.
-Sì, certo…- disse, prima di mettere la mano dietro la schiena della ragazza e invitarla a rientrare –In ogni caso, è una fortuna averti ritrovata. Mio padre ci sta aspettando. Ha già preso i posti per entrambi…-
Lisa fece il possibile per non mostrarsi turbata: si guardava indietro, per vedere se Francesco e gli altri fossero nelle vicinanze.
Ma la porta fu chiusa. Era una porta di emergenza, che si apriva solo dall’interno.
Il gruppo di sette si avvicinarono ivi proprio in quel momento.
L’investigatore cercò di spingere la maniglia nera. Bloccata.
Bussò.
-Lisa? Lisa!- chiamò, a bassa voce. Niente. –Merda, dev’essere successo qualcosa a Lisa…-
-Oh, no, niente di grave, spero…- si preoccupò Marco –Altrimenti, chi la sente mia sorella…?-
Non potevano più passare dalla porta sul retro. Dovevano trovare un altro modo per entrare.
Magari scavalcando e passare da una finestra, come pensò Francesco.
Ma i musicisti, però, pensarono ad un modo migliore.
Con la coda dell’occhio, Luciano notò qualcosa; infatti, si voltò, cogliendo l’attenzione dei colleghi.
-Ehi, ma quelli non sono i nostri strumenti?- domandò, indicando un’altra entrata.
Ciò che stavano trasportando i facchini, infatti, erano gli strumenti della banda. Non potevano trasportarli i musicisti stessi.
-Sì, non avevamo disdetto il servizio.- rifletté Alberto –Dopotutto, siamo ancora le spalle di Auditore…-
Per la prima volta, dopo tanto tempo, tutti i membri della Quarta Orchestra pensarono alla stessa cosa.
-Signori…- mormorò Giorgio, determinato, con gli occhi che brillavano da dietro gli occhiali –E’ giunto il momento di fare quello che i musicisti sanno fare meglio…-
In quel momento, il presidente della Repubblica stava per concludere il suo discorso.
Ma per evitare di annoiare i lettori, taglieremo questa parte, passando subito al punto.
-…Bene. Adesso diamo la parola al protagonista di questa serata. Signore e signori, a voi Marco Auditore!-
Dagli spalti partirono gli applausi. Forse come sollievo che il discorso del presidente era finalmente concluso.
Il palcoscenico era ancora buio, ma si potevano scorgere una tastiera elettronica, un rullante con un charleston e un mandolino.
In mezzo a quel buio, si fece avanti una figura, che aveva in mano un oggetto enorme. Alberto, dopo un lieve inchino, accompagnato da altri applausi, cominciò a suonare il bassotuba. Si muoveva ondeggiando: dava l’idea che quello strumento non fosse pesante come molti ritenevano.
A seguire, dopo essersi inchinato al pubblico e aver fatto il suo sorriso da idiota…
-Ehi!-
Scusa, Saverio. Dicevo… entrò in scena anche Saverio, prima di suonare il trombone, muovendosi a scatti, assumendo forme bizzarre.
Poi fu il turno di Luciano, che con il suo trombone, accompagnò le note del collega.
In conclusione, arrivò anche Giorgio, con il suo sax soprano, suonandolo saltando come una rana. Poi lo prese con una mano sola, dando l’idea di fumare il suo strumento, anziché suonarlo.
Poi alzò la mano, togliendo il suo strumento dalla bocca.
-One… two…- contò –One, two, three, four… Ciao.- concluse, facendo l’omonimo gesto con la mano.
Il palco tornò scuro, appena i musicisti si voltarono.
Francesco, da dietro le quinte, ebbe un attacco di sincope. Ettore e Marco erano con lui.
-Come “ciao”?!- si sconvolse –Questo lo chiamano “prendere tempo”?!-
Infatti, avevano stabilito che la Quarta Orchestra avrebbe intrattenuto il pubblico fino all’arrivo di Auditore, quello vero, sul palco, dopo aver sistemato Arcattati e trovato un modo per smascherare Alfredo Nereo.
Ma poi, dei colpi sul rullante riaccesero in lui le speranze: Giorgio aveva ripreso a suonare il sax, Luciano lo accompagnava col trombone, Saverio era dietro la tastiera, pigiando i tasti come un ebete…
-Ma ancora?!-
Scusa di nuovo, Saverio. E Alberto suonava la batteria.
Era l’apertura di ogni loro spettacolo.
Poi, Luciano abbandonava il trombone per un attimo, mentre Alberto aveva ripreso il bassotuba, e suonava un piccolo pezzo col mandolino.
Lisa faticò a contenere la sorpresa: riconobbe la Quarta Orchestra. Se loro erano lì, significava che anche Francesco e suo zio erano riusciti ad entrare. Tirò un sospiro di sollievo.
-Accidenti, dal vivo sono proprio bravi…- complimentò l’investigatore, stupito da quel colpo di scena –Come faranno a suonare così tanti strumenti…?-
Ettore gli diede un lieve colpo per riportarlo alla realtà.
-Cesco, forse è meglio darci una mossa…-
-Sì, hai ragione, Ettore. Dovrei proporre loro un altro pezzo da suonare, per iniziare lo spettacolo, uno tosto che da energia. E se chiedessi loro di fare una cover di “Given Up”?-
-No! Mi riferivo ad Arcattati!-
Il sosia di Auditore era dietro le quinte, dall’altra parte del palcoscenico, con dei fogli in mano. Stava rivolgendo uno sguardo a Nereo, alzando un pollice.
-Sembra essere pronto per il suo discorso.-
-Ricevuto. Io penso a lui, tu resta qui con il professor Auditore.-
-Ehi, c’è Lisa laggiù!- notò il climatologo –Com’è carina, stasera…-
Nessuno, tra il pubblico, si era accorto dei tre intrusi, presi com’erano dall’esibizione della Quarta Orchestra. Si levarono urla di stupore, quando Giorgio, continuando a suonare, saltò, roteando su se stesso, e poi atterrare in ginocchio e piegarsi all’indietro.
-Niente male per uno della mia età, eh?-
Sì, hai ragione, Giorgio, ma torniamo con la storia.
-Che poi non è davvero originale! E’ una scopiazzatura del secondo film di “Una Pallottola Spuntata”! L’autrice è una copiona!-
Non rivelare tutto, Giorgio!
-E noi non siamo davvero noi! Siamo la scopiazzatura della Banda Osiris! E Marco Auditore è Luca Mercalli!-
GIORGIO! TORNA ALLA STORIA!
-Come vuoi… Comunque, sei una copiona…-
Ah, certi personaggi… comunque, stavamo dicendo… che stavamo dicendo?
-Stavi parlando del nostro spettacolo. Ma forse è meglio passare al punto in cui parli dell’investigatore…-
Oh, sì, grazie, Luciano.
Attraversare un palcoscenico da dietro le quinte fu abbastanza semplice per Francesco: era arrivato appena in tempo, prima che i musicisti smettessero di suonare.
Giunse alle spalle del suo obiettivo.
-Professor Auditore…-
L’uomo rabbrividì, ma non di paura. Riconobbe subito quella voce.
-O dovrei dire, Vincenzo Arcattati?-
Era ancora lì. Vivo. Con la sua giacca e il suo cappellino.
-Francesco Milanelli!- tuonò, aggrottando le sopracciglia e aggredendolo, ma il giovane parò il colpo e contrattaccò con un pugno sulla mandibola, facendolo cadere. Da lì, lo prese a calci sul ventre, senza sosta.
Una donna scorse l’ultima scena con sgomento.
-O mio Dio!- esclamò –Quel mascalzone sta picchiando un uomo più basso di lui!-
-Ci pensiamo noi!-
Tre uomini muscolosi entrarono nel corridoio. Avevano un uniforme blu.
-Squadra salva uomini bassi all’attacco!- esclamò uno di loro.
Due di loro presero l’investigatore per le braccia, mentre l’altro lo picchiava.
-Te la prendi con chi è più piccolo di te, eh?! Ora ti sistemiamo noi!- minacciò, picchiandolo da tutte le parti.
Francesco non ebbe neppure il tempo di dire che era un equivoco, mentre Arcattati veniva aiutato dalla donna a rialzarsi, che si ritrovò a terra, privo di sensi.
La Quarta Orchestra era quasi alla fine dell’esibizione: Luciano aveva finito il suo pezzo con il mandolino, facendo anche un numero di equilibrismo su uno sgabello. Poi toccò a Saverio, con il suo assolo di tastiera, vale a dire il Minuetto.
Nel frattempo, Auditore e Ettore erano rimasti fermi dov’erano, in attesa della fine dell’esibizione, sperando che Francesco avesse messo fuori gioco il sosia. Il tenente fece un passo avanti, per vedere se i Nereo fossero ancora dove li aveva visti. Ma qualcuno lo aggredì, spuntando alla sua destra, agguantandogli il collo, strangolandolo.
Arcattati.
Francesco non era riuscito a fermarlo.
E anche Ettore non ci sarebbe riuscito.
L’unico in grado di salvarlo era Auditore. Cercò di non farsi prendere dal panico e prese, appoggiato da una parte, un altro sassofono soprano (che sarebbe servito a Giorgio, durante la conferenza). Lo alzò, mirando alla testa del suo sosia. Ma si era spostato, quindi prese il tenente al suo posto.
-Ops, mi scusi tenente…- mormorò, appena lo vide cadere per terra, privo di sensi. Ma non doveva perdere altro tempo. Appena Arcattati si voltò verso di lui, Auditore centrò la sua fronte, colpendola col sassofono.
La Quarta Orchestra finì di suonare. Alberto aveva preso il microfono, mentre un grande applauso li ringraziò per l’intrattenimento musicale. Ma che fosse finito, eh.
-Grazie.- disse, ugualmente –Grazie, siete un pubblico meraviglioso. Come sapete, io e i miei colleghi, stasera, avremo il compito di “alleggerire” quanto starete per assistere stasera, ovvero ad una conferenza sul clima e come è cambiato fino ad oggi. Ma a spiegarvelo non saremo noi, ma il climatologo, Marco Auditore!-
Qualcuno uscì da dietro le quinte. Appariva stordito, ma camminava. Auditore? No, Arcattati.
Dopo aver fatto qualche passo, cadde sul palcoscenico, facendo allarmare i musicisti e gli spettatori.
Lisa aprì la bocca dallo spavento, credendo fosse suo zio.
I primi corsero immediatamente in suo soccorso, ma fu Saverio ad aiutarlo a rialzarsi.
-Ecco, così… vada piano…- la testa del sosia andò a battere contro il rullante, facendolo cadere; il più anziano si accinse a rimetterlo a posto –Mi scusi… Ora si rialzi lentamente…-
Ma l’uomo non gradì tale cortesia; infatti, respinse il riccio con violenza, facendolo barcollare all’indietro.
-Togliti di mezzo, imbranato!- esclamò, scappando nuovamente dietro le quinte.
Imbranato. Auditore non lo avrebbe mai chiamato così.
-Quello era Arcattati…- notò Giorgio, a bassa voce.
Fortunatamente, Ettore si era risvegliato in quel momento; assistette alla scena e si lanciò all’inseguimento.
Marco Auditore, quello vero, si sporse da dietro le quinte, facendo un lieve cenno ai musicisti.
Alberto si sentì in imbarazzo.
-Ehm… fa tutto parte dello spettacolo, signore e signori.- Luciano aveva preso il microfono –E ora, ecco a voi l’uomo che abbiamo presentato prima che non ha bisogno di presentazioni, Marco Auditore!-
Francesco, dopo la piccola disavventura con Arcattati, era rimasto nel corridoio, con la schiena appoggiata sul muro, privo di sensi.
Si risvegliò, notando che era tutto buio intorno a lui. Poi si accorse che aveva la visiera del cappello abbassata.
Appena la alzò, si rese conto che si era ritrovato con un bicchiere di plastica in mano, pieno di banconote.
La gente che passava lo aveva preso per un mendicante.
Quando udì l’annuncio del musicista calvo, ebbe nuovamente una sincope, specie dopo essersi ricordato di essersi lasciato sfuggire il suo obiettivo, Arcattati.
Dopo essersi messo tutti i soldi in tasca, corse verso il palcoscenico, prima ancora che Auditore cominciasse a parlare.
-Fermi tutti!- esclamò, appena entrato, cogliendo i presenti di sorpresa –Non ascoltate quest’uomo, è un impostore!-
Marco si mostrò confuso.
-Ma, veramente…-
-E lo posso provare!-
Lo trascinò verso il rullante, facendolo sdraiare sopra.
-Ma cosa vuoi farmi?!-
-Il vero Marco Auditore ha delle voglie color cioccolato sui fianchi!-
Lisa, dal pubblico, sperò che Francesco la vedesse, o meglio che vedesse i suoi gesti da: “Non farlo!”
Persino i musicisti cercarono di comunicargli la stessa cosa, ma era inutile. Francesco era diventato sordo.
Infatti, senza pensarci due volte, privò l’uomo dei pantaloni e delle mutande. Effettivamente, aveva delle piccole chiazze color cioccolato sul fianco.
I fotografi presero subito le loro macchine fotografiche e scattarono foto.
Anche Saverio prese il suo cellulare e fotografò il lato B di Auditore, forse per metterlo su Instagram; Luciano ebbe un conato, a quella vista, Giorgio uno sguardo disgustato e Alberto si era coperto gli occhi.
Francesco si sentì nuovamente in imbarazzo, appena notò le chiazze. Guardò in basso, come per raccogliere i pensieri.
-Ehm…- disse –E’ una contraffazione, signori!-
Senza aggiungere altro, prese una spugnetta a fil di ferro e la sfregò sopra le voglie. Auditore gemette dal dolore. Mancava poco che scavasse fino a raggiungere le sue ossa.
Tra i tanti sguardi allibiti c’era anche quello di Anna Del Bravo.
-Milanelli?!- esclamò, prima di perdere i sensi. Forse più scioccata per il fatto che i suoi uomini non fossero riusciti ad arrestarlo, o, tantomeno, a scovarlo.
Lisa si coprì il volto con la mano, dall’imbarazzo per il ragazzo che amava. Anche i Nereo provarono la stessa cosa. Ma l’imbarazzo di aver fallito con il loro piano.
La spugnetta non servì: l’investigatore provò con la smerigliatrice.
Per fortuna, fu fermato in tempo dai musicisti, per evitare di lesionare inutilmente il vero Marco Auditore.
-Vuoi stare fermo?! Lui è quello vero!- esclamò Giorgio, togliendogli la smerigliatrice dalle mani.
L’imbarazzo dentro l’investigatore crebbe, mentre Alberto aiutava Auditore a scendere dal rullante, per poi rivestirsi.
-Cosa…?!-
-Adesso basta!- anche Ettore entrò nel palcoscenico, con un foglio in mano –L’investigatore Milanelli ha ragione! C’è un impostore in questa stanza ed è lui!-
Dei poliziotti della squadra di Ettore uscirono da dietro le quinte, con Arcattati in manette: si era tolto il travestimento e digrignava i denti, deluso e furioso. Gli spettatori furono sgomenti.
Il tenente mostrò il foglio che teneva in mano: sembrava un documento, con tanto di firma in fondo.
-E ci ha appena rilasciato una confessione firmata che compromette quell’uomo!- concluse, indicando in avanti.
Diversi spettatori si alzarono in piedi, con le pistole in mano, prendendo delle donne come ostaggi.
Ciò fece basire i cugini Milanelli, Auditore e i musicisti.
-Ma no!- corresse Ettore, riportando tutto all’ordine –Quell’uomo! Alfredo Nereo!-
Troppo tardi. Tre posti erano già vuoti. Proprio dove erano seduti Alfredo, Matteo e Lisa.
-Ci hanno preceduti!- imprecò Alberto.
Francesco serrò le labbra: Lisa era in pericolo e lui doveva salvarla, la ragazza che aveva sempre amato.
-Andiamo a prenderli!-
Ettore annuì.
Auditore si avvicinò al giovane.
-Mi raccomando, riporta mia nipote sana e salva.- supplicò.
-Potessi rimetterci la vita…!-
-Bene! Pronti all’azione!- aggiunse Giorgio. Anche i musicisti volevano unirsi al salvataggio.
-No! Voi restate qui!- intimò l’investigatore.
-Ma, allora voi…?-
-Non avevate detto che volevate aiutarmi per il bene del vostro spettacolo? Beh, avete avuto quello che volevate, no? Il vostro spettacolo è salvo. Perché aiutarmi ancora?-
La Quarta Orchestra si fermò a riflettere: non aveva tutti i torti. Tutto quello che avevano fatto e passato era stato solo per il loro spettacolo. Non compresero il loro strano atteggiamento da salvatori.
-Giusto.- ammise il più anziano, prendendo posto sul suo sgabello –Ma cosa ci è saltato in mente…? Il nostro spettacolo ha la priorità.-
Anche Luciano, Giorgio e Saverio seguirono il suo esempio.
I due cugini si lanciarono uno sguardo d’intesa e uscirono dal palcoscenico, inseguendo i Nereo e Lisa.
Imbarazzati, gli uomini armati tornarono a sedere, di fronte agli sguardi scioccati delle loro ostaggi.
Alfredo aveva una pistola in mano, ed era seguito dal figlio, che aveva preso la ragazza per un braccio, stringendolo con forza e strattonandola bruscamente. Entrarono in un ascensore.
-Lasciami andare, cane schifoso!- esclamò lei, dimenandosi.
-Zitta, tesoro!- la zittì l’uomo, pigiando il tasto per l’ultimo piano.
I Milanelli li raggiunsero troppo tardi; le porte si stavano chiudendo. E come se non bastasse, un addetto delle pulizie stava lavando il pavimento, quindi, nel tentativo di raggiungere l’ascensore prima che fosse troppo tardi, Francesco ed Ettore scivolarono sul marmo appena bagnato, cadendo di schiena.
-Sono caduto sulle mie chiavi…- si lamentò il più giovane dei due.
Lo spettacolo cominciò, come se nulla fosse avvenuto.
-Buonasera a tutti.- salutò Marco Auditore, prima di rivolgersi ai musicisti –Avete già contribuito a riscaldare l’atmosfera…- poi tornò a guardare il pubblico –Tutti voi avete deciso di dedicare una serata ai problemi dell’ambiente. Ma in quarant’anni che questi problemi sono ormai ampiamente noti…-
I magnati petroliferi, carboniferi e nucleari fecero dei gesti di delusione e disappunto insieme.
Il piano era fallito.
La conferenza sul clima e sulle energie rinnovabili era iniziata.
Era troppo tardi.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Il Piano B ***


Note dell'autrice: nel film c'era un altro libro, ma non volevo copiarlo più del dovuto e ho scelto una cosa più... "vicina" al nostro tempo, non so se mi spiego...

-------------------------


Francesco ed Ettore erano riusciti a raggiungere il tetto, salendo le scale. Era un tetto piatto, con molte cappe.
Il loro fiatone non aveva eguali sulla Terra.
Non c’era nessuno. Questo fece temere all’investigatore di essere arrivato troppo tardi.
Ma notò un elicottero, con la scritta “Esagono”. Quindi c’era ancora una speranza che Lisa fosse ancora lì. E se lei era lì, lo erano anche i suoi rapitori.
-FRA!- sentì.
Era lei. Alfredo e Matteo la stavano portando verso una stanza. Si era messa le ballerine, quindi riusciva a tenere il passo.
I due cugini si accinsero ad inseguirli, ma quasi dal nulla spuntarono altri scagnozzi di Nereo, che spararono contro di loro.
-Presto, al riparo!- suggerì l’investigatore.
-FRA! AIUTO!- urlò Lisa, spaventata dagli spari.
-Uomini, sparate contro di loro!- ordinò il tenente, mentre dei poliziotti uscirono dallo stesso punto in cui era uscito lui, e si sistemarono in punti sicuri per rispondere agli spari.
Ettore non sparò, non subito; si era nascosto da una parte e aveva preso la pistola. Ma aveva spostato la canna e ci montò sopra una canna più lunga. A seguire un mirino, così rendendola un fucile da cecchino. Uscì allo scoperto, ma senza sparare.
Anche Francesco aveva preso parte alla sparatoria: si era nascosto dietro un bidone e stava sparando al primo che era capitato davanti agli occhi.
Anche l’altro stava sparando contro di lui. Ma nessun colpo li prese. E così presi dalla sparatoria, non si erano nemmeno accorti di essere distanti almeno mezzo metro l’un dall’altro. E intanto sprecavano pallottole.
Ettore non aveva ancora sparato un colpo: si era messo da una parte, montando un piedistallo, su cui aveva sistemato la sua arma, mettendo altri pezzi, come un prolungamento del mirino.
Francesco aveva finito i proiettili, lo stesso fu per l’uomo che gli stava sparando. Quest’ultimo, con aria delusa, la lanciò contro il giovane, ma finì dentro il bidone della spazzatura. Con sguardo perplesso, anche l’altro seguì il suo esempio; la revolver colpì lo scagnozzo in fronte, provocandogli la perdita dei sensi.
Via libera. Poteva andare in soccorso di Lisa.
Prese un’altra pistola da terra (e da dove era spuntata?!) e si diresse verso lo stanzino dove i Nereo avevano portato la ragazza.
-Ettore!- urlò, tra gli spari –Coprimi! Io entro dentro!-
Degli spari partirono anche dalle piccole finestre all’interno di quello stanzino. Ma cessarono, dopo un colpo, a cui seguì una pioggia di calcinacci, da cui si protesse. Un colpo troppo potente per essere di una normale pistola. Doveva essere di un carro armato.
Infatti, così era: Ettore aveva assemblato un carro armato partendo dalla sua pistola.
Si era messo l’elmetto sulla testa e alzò con fierezza la canna del carro armato, girando una leva.
Francesco rimase come allibito di fronte a quella scena, ma il cugino, alzando un pollice, gli comunicò che era tutto a posto.
Il colpo aveva creato un buco nel muro, oltre ad aver sfondato la porta; insieme, formavano la sagoma di una pistola o di una forma fallica.
L’investigatore entrò dentro la stanza: al suo interno c’erano i chiari segni di un bombardamento. Scesi degli scalini, sembrava di essere entrati in un laboratorio. C’erano due uomini privi di coscienza sul pavimento.
Pregò affinché fossero ancora vivi, per far loro qualche domanda. Non scese gli scalini, scavalcò la ringhiera, facendo un salto di tre metri, finendo dietro due computer. Una volta atterrato, scivolò, ma si rialzò subito, con la pistola in mano.
Si avvicinò al primo uomo, sorridendo determinato.
-Molto bene…- mormorò, prendendolo per la tuta –Dove sono i Nereo?!-
L’uomo aveva uno sguardo sofferente sul volto e fece un piccolo lamento. Già era sporco di calcinaccio per il colpo sparato dal tenente.
-Ehi, sei ferito?-
-No… è che mi stai sulle palle…-
Francesco non comprese il senso della frase; poi, guardò in basso e capì.
-Oh, scusa…- disse, indietreggiando di un passo –Bene, adesso dimmi dov’è!-
-E’ troppo tardi…- spiegò l’uomo, con voce soffocata –Nereo ha il piano B. Il… il… il…-
-Dove? DOVE?!-
L’uomo spirò, senza dare alcuna risposta.
L’investigatore non se ne curò, e alzò subito la testa.
-C’è qualcun altro che sta per morire, qui?!- esclamò. Il secondo uomo alzò un braccio.
Il giovane corse subito verso di lui, prendendo anche lui per la tuta.
-Ora parla!-
-E’ troppo tardi, Milanelli…-
-Questo lo ha già detto lui!-
-Dove si è fermato…?-
-A… “Nereo ha il piano B. Il…”-
-Oh, sì… Nereo ha il piano B. Il…-
Era tornato al punto di partenza: Francesco stava per perdere la pazienza. Il tempo stringeva e non sapeva dove fosse Lisa o che ne fosse stato di lei. O peggio, se anche lei fosse stata colpita dalla cannonata di Ettore.
-Dove?! DOVE?! DILLO, GRAN PEZZO DI MERDA!-
L’uomo assunse uno sguardo offeso.
-Se la metti su questo tono… attaccati…- spirò anche lui, lasciando il giovane senza parole.
Non sapeva ancora niente del piano B.
Per fortuna, c’era chi poteva ancora rivelarlo.
-Siamo qui, investigatore Milanelli…-
Alfredo Nereo comparve alle sue spalle, con la pistola puntata verso Lisa, imbavagliata e bloccata da Matteo.
-Getta la pistola.- minacciò.
L’avevano presa come ostaggio per costringerlo a obbedire a loro.
Infatti, fece ciò che gli era stato richiesto.
Alfredo assunse uno sguardo compiaciuto.
-Molto bene…- si separò dal figlio, girando per la stanza, puntando la pistola verso l’investigatore –Immagino tu voglia sapere del piano B. Si tratta di far scoppiare un piccolo ordigno nucleare. Il caro professor Auditore potrà parlare quanto vuole e quegli schizzati della Quarta Orchestra può suonare i suoi strazi fino a scoppiare, nessuno rimarrà vivo per ascoltarli.-
Si era avvicinato ad un oggetto di forma rettangolare, simile ad una vasca da bagno, ma piena di fili, circuiti e transistor. Batté le mani sulla tastiera e l’oggetto si accese. Una ruota girò.
-10 minuti all’esplosione.-
Era l’ordigno.
-E io sono l’unico a sapere il codice per interrompere il circuito.- proseguì l’uomo.
-Infatti, non lo so nemmeno io…- aggiunse Matteo, ridacchiando, prima di ricevere un’occhiata minatoria da parte del padre, come per intimargli di stare zitto.
-Tra dieci minuti esatti…- proseguì il magnate -Il teatro esploderà, e tutti quelli che ci sono dentro saranno ridotti in un ammasso di macerie. Io, mio figlio e la bella Lisa saremo al sicuro nel mio elicottero. Domani a quest’ora, i ragazzi se la spasseranno a Las Vegas e io andrò a cacciare rinoceronti nel Ghana. Come mi vedi nel Ghana, investigatore Milanelli?-
Francesco non aveva la minima idea di cosa rispondere: disse la prima cosa che gli era venuta in mente, un po’ in imbarazzo.
-Beh… direi… un po’ incazzato, nel Ghana…-
Matteo e Lisa si guardarono l’un l’altra, allibiti.
Anche Alfredo si sentì nello stesso modo.
-Non mi importa sapere cosa pensi di me, Milanelli!- esclamò, riprendendo in mano la situazione –Tanto non parlerai ancora a lungo!-
Anche l’investigatore si fece più tosto.
-Sì… continua a minacciarmi come hai fatto con gli italiani per tutti questi anni, Nereo! Ma stavolta non funzionerà! Fai parte di una specie in via di estinzione, come quelli che ancora credono che il Molise esiste!-
I presenti si mostrarono confusi di fronte a quelle parole. Era di nuovo caduto nel delirio.
-Oh… la verità fa male, vero, Nereo? Non come saltare su una bicicletta dove manca il sellino, ma fa male ugualmente!-
Il ragazzo ci fece un pensiero sopra e strinse i denti dal dolore.
-E con questo hai concluso, investigatore Milanelli…- minacciò Alfredo, puntando la pistola in avanti –Hai un ultimo desiderio?-
-Sì, posso riavere la mia pistola?-
Se la stava facendo sotto, ma non poteva mica mostrarlo.
-Non ci casco, ragazzino…- la pistola fece il click! della sicura –La tua vita è appesa ad un filo…-
-NO! A UNA CORDA!-
Due voci sospette attirarono l’attenzione dei presenti: i fratelli Guardiola.
Erano apparsi dall’apertura, con una corda penzolante di fronte ai loro occhi, sulla quale si aggrapparono e si spinsero in avanti, urlando, magari in un tentativo di salvataggio.
Ma, invece di colpire Nereo, passarono in mezzo a loro, schiantandosi contro il muro.
Scivolarono su di esso, prima di cadere.
-Ma perché non ci riesce mai…?- biascicò Saverio, parlando contro il muro.
-Te l’ho sempre detto che devi perdere peso.- rispose Giorgio -La corda aumenta di velocità e noi ci schiantiamo subito al muro…-
Approfittando della sua distrazione, Francesco disarmò Alfredo dando uno schiaffo alla pistola, che cadde lontana, poi lo prese per la giacca e gli diede un pugno.
Matteo, allentando la presa su Lisa, si allarmò e fece un passo avanti, dicendo: -Arrivo, papà!-
Ma Lisa non poteva permettere che colui che amava si mettesse contro due persone: infatti, fece lo sgambetto al ragazzo che cadde per terra, perdendo i sensi.
I ricchi non sono abituati a prendere pugni; sono più fragili di una statua di cristallo, basta poco per farli crollare.
Infatti, Alfredo non aveva la minima idea di come difendersi. Francesco, senza mollarlo, lo trascinò verso la finestra, inclinando il suo busto all’indietro, verso l’esterno.
Erano molto in alto.
L’uomo non si mostrava più tanto fiero: tremò, appena guardò dietro. C’era la strada sotto di lui.
-Adesso mi dirai il codice?- minacciò l’investigatore.
-Sì, d’accordo, hai vinto! E’ composto da sei numeri e sono 2-1-4…-
I due musicisti si erano appena ripresi dalla caduta: notarono subito la scena e corsero in suo aiuto, ignari della situazione.
-Non mollare, ragazzo! Arriviamo!- esclamò Giorgio, mentre, insieme a Saverio spinse le gambe dell’uomo in avanti, per poi farlo cadere nel vuoto.
Alfredo Nereo fece un volo di una decina di metri.
-Grazie, ragazzi, mi avete salvato la vita.- ringraziò Francesco, in realtà furioso nei loro confronti: stava per scoprire il codice e loro avevano rovinato tutto.
In quel momento, arrivò anche Ettore. Prese posto accanto al cugino.
-Cesco! Tutto a posto? Ho sentito un urlo e…- sgranò gli occhi, appena guardò in basso.
Nereo non cadde sul marciapiede: prese il tettuccio di fronte l’entrata del teatro. Un atterraggio morbido, insomma.
Atterrò sul marciapiede, completamente illeso, escludendo lo spavento.
-Ragazzi, che volo… Meglio non ripetere un episodio simile…- mormorò, sistemandosi la giacca.
Aveva parlato troppo presto: un leone, uno degli animali fuggiti dallo zoo, probabilmente anche digiuno da giorni, lo aggredì, come fosse la sua preda.
Uno spettacolo orribile per i cugini Milanelli e i fratelli Guardiola, che impallidirono.
Dei mugolii, per fortuna, catturarono l’attenzione dell’investigatore.
Liberò Lisa senza pensarci due volte.
-Stai bene, piccola?- domandò, abbracciandola, premurosamente.
Lei sorrise a quell’abbraccio, così caldo, confortante…
Dimenticò lo spavento di prima.
-Con te io sto sempre bene. Tu?-
-Anche io.- si avvicinarono tutti all’ordigno –Ma se non spengiamo questo affare in meno di cinque minuti il teatro esploderà.- poi ebbe come un flash e osservò i due musicisti –A proposito, perché voi due siete qui? Non dovreste essere alla conferenza?-
Giorgio fece spallucce.
-Oh, che vuoi che sia? Abbiamo finito il nostro primo pezzo e Auditore ne avrà per un bel po’ prima che tocchi a noi. Alberto e Luciano saranno sufficienti per lui, per ora.-
-Quindi, visto che ci stavamo annoiando, abbiamo deciso di aiutarti contro Nereo.- aggiunse Saverio.
Qualcosa di sospetto fece incupire l’investigatore: sentiva che stavano mentendo.
Alzò un sopracciglio e loro capirono. Sospirarono.
-E va bene, lo ammettiamo…- spiegò il canuto –E’ vero. Abbiamo accettato di aiutarti nell’indagine per il nostro spettacolo. Ma non ci sentivamo tranquilli al solo pensiero che la vera mente dietro il sabotaggio fosse ancora in circolazione. Volevamo assicurarci che tu lo togliessi di mezzo per far continuare la conferenza senza alcun rischio.-
Tipico dei musicisti. Pensare solo ai propri spettacoli.
-Voi ragazzi siete davvero incredibili…- fu il commento degli altri tre.
Ettore osservò la bomba: segnava cinque minuti esatti. Quattro minuti e cinquantanove secondi, quattro minuti e cinquantotto secondi, quattro minuti e cinquantasette secondi…
-MA ALLORA! QUI ESPLODE TUTTO SE CONTINUI!-
Scusate tutti.
-Mio Dio… dobbiamo avvertire tutti…- fece Saverio, preoccupato.
-O forse no…- mormorò il tenente, notando Matteo ancora per terra; lo agguantò per la camicia –Forse lui sa il codice.-
-No, lo sapeva solo il padre.- corresse Lisa.
Il ragazzo riprese lentamente i sensi.
-Eh? Dove sono…? Chi sono…? Che è successo…?- biascicò, ancora stordito dalla caduta.
-Dovrà comunque rispondere dei crimini del padre.- aggiunse Ettore –Dopotutto era suo complice. Dovrà rispondere a parecchie domande. Io lo porto via.-
-Bene. Noi cercheremo un modo per far uscire tutti dal teatro.- disse Giorgio, alludendo anche ai colleghi musicisti, dirigendosi verso l’uscita, seguito dal fratello maggiore.
-Perfetto. Io resterò qui.- si rivolse a Lisa –Lisa, mio amore, è meglio se scappi.-
Ma lei non si mosse.
-No, Francesco! Ti ho perso una volta, non lo farò di nuovo! Se sarai ridotto in mille pezzi, voglio esserci anch’io in quel momento, e far parte di quei pezzi.-
Parole non proprio confortanti, ma il giovane comprese il significato.
Assunse un atteggiamento fiero, da eroe.
-E io ti prometto… che non lascerò che il mio lavoro di investigatore interferisca ancora con il nostro amore!-
I loro sguardi si incrociarono, e un forte sentimento d’amore li invase.
Sarebbero rimasti così a lungo.
Ma la voce di Ettore li riportò alla realtà.
-Cesco… la bomba.-
L’investigatore scosse la testa.
-Sì, giusto!-
Anche il tenente, con Matteo in manette, uscì dalla stanza.
Francesco e Lisa erano rimasti soli.
-4 minuti all’esplosione.-
-E adesso che facciamo?- domandò lei, un po’ nervosa.
Francesco prese qualcosa vicino all’ordigno.
-Questo è il libretto delle istruzioni.- dalla dimensione sembrava “Guerra e Pace”; lo porse alla ragazza, prima di pigiare dei tasti a caso sulla tastiera –Vediamo se troviamo qualcosa…-
-D’accordo! Fammi vedere…- lo sfogliò, ansimando; il fatto di essere vicina ad una bomba non la rendeva tranquilla; anzi, non rendeva tranquillo nessuno dei due, sebbene avessero l’un l’altra vicino –Ah! Ecco! “Per azzerare il codice di detonazione, premere il pulsante con il simbolo dell’asterisco.”-
Se Francesco avesse prestato più ascolto, si sarebbe reso conto che aveva detto “azzerare”, non “disattivare”. Infatti, appena premuto il pulsante, i numeri scalarono più velocemente.
-Per vostro ordine la velocità della sequenza è stata accelerata.- disse la voce metallica –Mancano due minuti all’esplosione.-
Lisa si morse le labbra, come per dire: “Scusa…”
Francesco la guardò in cagnesco.

La conferenza, come previsto, stava procedendo senza intoppi. Marco Auditore stava continuando a parlare.
-… e si scrive che fa più freddo. Oggi noi lo sappiamo, aveva ragione, perché era nel bel mezzo di una piccola età glaciale…-
Per quanto quello che stava dicendo fosse interessante, nessuno sembrava ascoltarlo. Anzi, gli spettatori, compresi Luciano e Alberto, si erano addormentati. E non solo la gente comune, ma anche i politici e gli scienziati. Alcuni si erano persino portati dei cuscini da casa.
Giorgio e Saverio rientrarono in scena. Furono quasi sorpresi di vedere i presenti addormentati.
Ma la priorità era svegliarli per poi portarli fuori dal teatro.
Iniziarono dai colleghi.
-Ehi! Svegliatevi! Svegliatevi!- esclamarono, dando degli schiaffi, uno (Saverio) a Luciano e l’altro (Giorgio) ad Alberto.
Loro si svegliarono normalmente, senza sentire il dolore dello schiaffo ricevuto.
Auditore continuava a parlare senza accorgersi di nulla.
-Cosa c’è?- domandò il più anziano.
Vennero entrambi messi al corrente della situazione.
-UNA BOMBA?!- esclamò Luciano, prima che Giorgio gli tappasse la bocca.
-Sshhh!!! Vuoi farti sentire?!- lo rimproverò.
-Allora dovremo trovare un modo per farli svegliare e portarli fuori senza metterli nel panico…- osservò il più anziano, riflettendo –Ma come?-
I musicisti si misero in posa riflessiva.
-Potremo suonare i nostri strumenti.- propose il riccio.
-Ma sei impazzito? Così rischieranno l’infarto! Ci vuole qualcosa di più tranquillo.-
-Alberto ha ragione…- approvò il pelato, serio –Dobbiamo farci venire un’idea.-
-Forse ho io qualcosa di utile.-
Anche Ettore era entrato nel palcoscenico. Aveva chiuso Matteo dentro uno sgabuzzino, dopo avergli dato una botta in testa per farlo nuovamente svenire. Teneva un librino in mano, che diede ad Auditore.
-Professore…- mormorò, un po’ imbarazzato –Legga qui, è un’emergenza.-
Il climatologo venne colto di sorpresa. Diede un’occhiata alla copertina del libro: “Cinquanta Sfumature di Grigio”
Quanto lesse è meglio censurarlo, grazie. Non tanto per il copyright, ma per l’imbarazzo da parte dell’autrice.
Fatto stava che le parole oscene che lesse fecero risvegliare i presenti.
La Quarta Orchestra si stupì di tale piano.
-Ingegnoso…- commentò Luciano, annuendo –Hai capito il tenente…-
-E io che mi ero fermato alla macchina succhiatrice svedese a presa rapida…- aggiunse Giorgio, con aria da furbo.
Per evitare altri momenti imbarazzanti, Ettore intimò Auditore di smettere di leggere a voce alta. Ma lui continuò ugualmente a leggere, seppur a mente, quanto seguì. Anche i quattro musicisti si avvicinarono per dare un’occhiata.
-Polizia!- disse il giovane, mostrando il distintivo, mantenendo la calma –Non è un’esercitazione, quindi ascoltatemi attentamente. Voglio che vi incolonniate verso l’uscita. Perfetto, così, nessuno corra. Camminate tutti in fila, così.-
Gli spettatori fecero quanto ordinato, confusi, ma non certo spaventati.
Saverio si separò dal gruppo e diede delle pacche sulla schiena del tenente.
-Complimenti, Ettore.- disse –Ti devo fare i miei complimenti. Tono fermo e autoritario, ma mantenendo comunque la calma. Così nessuno entrerà nel panico, sapendo della bomba che sta per esplodere.-
Alla parola “bomba”, quelli che erano sul palcoscenico sgranarono gli occhi, come se stessero dicendo “Non dirlo!”, di sotto si scatenò il panico.
Gli spettatori corsero di qua e di là per tutti gli spalti, saltando i posti addirittura eseguendo dei salti acrobatici. Uno dei magnati aveva in mano un libro intitolato “Come servire l’uomo”, prese una ragazza per un braccio e le urlò: -MI STO CACANDO SOTTO!-, ma lei lo allontanò da sé, urlando: -MI LASCI!-
Giorgio, infuriato, diede diversi scapaccioni a Saverio.
-Ma quando imparerai a tenere la bocca chiusa, idiota!?-
-Ahi! Ahi! Non l’ho fatto apposta!-
 
-Mancano venti secondi all’esplosione.-
Francesco e Lisa avevano i secondi contati. Anche strappare i fili non servì a niente.
Non avevano ancora trovato il modo di disattivare la bomba.
-Lisa, salvati almeno tu!-
-Dieci… nove… otto…-
Cercando di staccare l’ennesimo filo, la giacca verde si incastrò tra le ruote dell’ordigno.
-Non mi muovo di qui!- gli aveva risposto la ragazza, paralizzata dalla paura.
Non c’era verso di staccare la giacca da lì, le ruote la stavano tirando verso di loro. Francesco si trovò costretto a togliersela, vedendola scomparire nei meandri della bomba. Rimase con una camicia di jeans leggera.
-No! Era la mia preferita!-
-Sette… sei… cinque… quattro… tre…-
Lisa e Francesco erano con le spalle al muro. Non sapevano cos’altro fare. Non avevano trovato un modo per disinnescare l’ordigno. E rischiavano di morire. Ma almeno sarebbero rimasti insieme.
-SALVIAMOCI INSIEME!- esclamò lui, correndo verso di lei.
-Due…-
Facendo il giro, inciampò su qualcosa che lo fece cadere per terra. Un qualcosa che si mosse al suo passaggio.
Le ruote dell’ordigno smisero improvvisamente di girare.
-Ma vaff…-
La ragazza, scoperto il motivo di quella disattivazione improvvisa, si illuminò.
-Francesco, guarda!- il giovane si rialzò, un po’ stordito, senza accorgersi di essere rimasto senza cappellino; Lisa aveva in mano una spina. Era collegata all’ordigno, e capì che era quella a fornirgli energia. –Ce l’hai fatta, amore mio!-
Un po’ confuso, Francesco sorrise.
Aveva salvato la serata.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Finale ***


Note dell'autrice: promemoria, mai pubblicare più capitoli insieme...

----------------------------

La musica finale suonata dalla Quarta Orchestra concluse la serata.
Un coro di applausi si levò dagli spalti e non ringraziando che fosse finita.
La conferenza era proseguita senza ulteriori interruzioni: Marco Aditore aveva spiegato per filo e per segno le tracce lasciate nell’ambiente dal progresso tecnologico, come erano aumentate le temperature nel corso dei secoli e anche proposto nuovi tipi di energia rinnovabile, come quella solare o eolica.
Tutto accompagnato dagli intermezzi musicali dei quattro musicisti.
Ebbe successo. Forse quello avrebbe significato dare il via all’uso delle energie rinnovabili a livello nazionale.
Sul palcoscenico furono chiamati anche Ettore, Francesco e Lisa, oltre il Presidente della Repubblica, il Ministro dell’Ambiente e il capitano Anna Del Bravo.
Erano illuminati dalle luci dei flash.
Lisa e Marco si erano abbracciati, preoccupati l’un dell’altra.
-Ti hanno fatto del male, zio Marco?-
-No, mi hanno solo rapito, ma non hanno fatto altro.- aveva rassicurato lui, prima di rivolgersi al pubblico –E ora, signore e signori, vi presento le persone che hanno reso possibile questa serata: il tenente Ettore Milanelli.- Ettore fece un passo in avanti, inchinandosi leggermente –E l’investigatore privato Francesco Milanelli, venuto fin qui da Grosseto per risolvere il caso dell’esplosione dell’Istituto Meteorologico.-
Anche Francesco si fece avanti, inchinandosi anche lui. –Vi ringrazio tantissimo per aver salvato me e per aver salvato il futuro dell’Italia. Non so cosa sarebbe successo, se non aveste smascherato il mio sosia, al fine di evitare una conferenza fasulla.-
Ettore prese la parola.
-La ringraziamo, professor Auditore. Ma c’è ancora una faccenda in sospeso, tornando su questo argomento…-
Fece un gesto con la mano: due poliziotti portarono Matteo Nereo in mezzo al palcoscenico. Appariva nervoso. Successivamente, anche il resto dei magnati implicati nel rapimento di Marco Auditore.
-Purtroppo non siamo riusciti a catturare Alfredo Nereo, della compagnia Esagono…- spiegò il tenente –Ma sappiamo che persino il figlio era coinvolto nel piano. Ha estorto informazioni segrete da sua nipote Lisa, spingendola a tradire suo zio e portando al suo rapimento, con l’ausilio di un sicario di nome Vittorio Salverini, deceduto proprio ieri sera, per mano di mio cugino, poiché colto in flagrante delitto, ovvero il tentato omicidio di Lisa Vellei.-
Francesco non sapeva se provare orgoglio o imbarazzo.
-Tutte queste persone, per timore di finire sul lastrico dopo questa conferenza, hanno tentato di uccidere Auditore, per poi passare al rapimento, tutto su consiglio di Alfredo Nereo. Sono tutti quanti in arresto per tentato omicidio, sequestro di persona e per aver cercato di ostacolare un evento importante a livello nazionale. Uno di voi ha qualcosa da dichiarare?-
I magnati rimasero in silenzio. Avevano perduto tutta la loro grinta.
Solo Matteo ebbe il coraggio di dire qualcosa.
-Vi prego, sono innocente!- dichiarò, piagnucolando; era persino peggio di Luciano –Io non volevo farlo, mio padre mi ha costretto! Non sapete com’era! Sapeva essere convincente! Mi aveva detto che era per il mio bene, ma non immaginavo saremmo arrivati a tutto questo! E… Lisa! Lisa!- la ragazza gli rivolse uno sguardo minatorio –Mi spiace averti ingannata e per aver giocato con i tuoi sentimenti! E’ stata tutta un’idea di mio padre quella di estorcerti informazioni sulla conferenza, facendo il gentiluomo con te. E devo ammettere che… beh… tutto sommato, un pochino mi piacevi. Ma ti prego, devi credermi, sono innocente!- mise le mani in preghiera, sorridendo come un idiota -Mi perdoni?-
Francesco osservò la sua ragazza con aria preoccupata: temeva che avrebbe di nuovo scelto lui.
Lisa, invero, non smise un solo istante di osservarlo con le sopracciglia aggrottate. Si avvicinò a lui, fredda come il ghiaccio.
-Perdonarti…?- sibilò –Vediamo se ti piace questa risposta.-
Senza pensarci due volte, lo colpì in mezzo alle gambe.
Lui, gemendo, si piegò in due, finendo in ginocchio.
I maschi presenti strinsero i denti. Francesco si ricordò di non far mai arrabbiare Lisa.
-L’ho sentito io…- mormorò Saverio, mettendosi la mano in mezzo alle gambe.
Ma Marco sorrise soddisfatto.
-Ben fatto, mia cara.-
Zio e nipote si scambiarono il cinque.
Toccò a lui fare la sua parte. Osservò il ragazzo, minaccioso.
-E questo perché hai ingannato la mia nipotina!-
Gli diede un pugno così forte da farlo svenire, di nuovo.
Ettore riportò tutto all’ordine.
-Va bene! Basta così! Credo che abbia imparato la lezione!- si rivolse ai poliziotti –Voi! Portateli via!-
I poliziotti eseguirono. Matteo fu trascinato fino all’uscita.
-Bravo, zio Marco!-
-Era dall’inizio che volevo farlo…-
Poterono tornare al discorso principale.
Anche Alberto si fece avanti. Prese il microfono.
-E… a nome dei miei colleghi…- disse –Posso dichiarare che è stato un onore, per noi, prendere parte alle indagini. Abbiamo corso diversi rischi, rischiando persino di perdere uno dei nostri.- Luciano salutò timidamente il pubblico, sapendo che stava parlando di lui –Ma non vogliamo nasconderti, investigatore Milanelli, che, tutto sommato, ci siamo divertiti.-
Partirono gli applausi.
Francesco sorrise a quella rivelazione.
-Quindi, se dovessi ritrovarti a risolvere un altro mistero, la Quarta Orchestra sarà a tua disposizione.-
I colleghi sgranarono gli occhi. “Ma che stai dicendo?!” sembrarono comunicargli. Non dispiaceva loro un’altra avventura, ma non pericolosa quanto quella.
Ma il giovane ne fu compiaciuto lo stesso.
-Grazie, ragazzi. Anche voi siete meravigliosi.- ringraziò, prendendo parte agli applausi.
Toccava al presidente della Repubblica parlare.
-Investigatore Milanalli e anche lei, tenente…- disse, rivolto ai cugini –Vorrei affidarvi un incarico speciale all’interno del nuovo servizio che ho intenzione di creare. Ma ciò potrebbe significare lunghi orari, notti pericolose, ed esser circondati da alcuni degli elementi più schifosi della nostra società.-
Quella proposta fece incuriosire l’investigatore.
-Dobbiamo entrare nel suo gabinetto?-
Sguardi allibiti tra i presenti. Ettore avrebbe preferito spararsi, piuttosto che sentire quelle parole.
Anche il Presidente si stranì, ma tornò subito al discorso, accennando una lieve risata.
-Ma no! Voglio che dirigiate un nuovo ufficio di forze speciali di polizia!-
Un’offerta allettante, soprattutto per Ettore. Percepì l’invidia da parte del suo capitano. Quel posto doveva essere suo.
-Cesco, è una bella occasione per entrambi!- disse, entusiasta, al cugino.
-Fra, è quello che hai sempre sognato, no?- domandò Lisa, con una punta di melanconia sulla lingua.
Era vero: dedicare tutta la sua vita a sgominare la malavita era il sogno di una vita.
Ma Francesco non ne sembrava più molto convinto.
Poco prima si era sbagliato: il lavoro avrebbe continuato ad ostacolare la sua storia d’amore con Lisa.
Non poteva rischiare di perderla di nuovo.
-Signor Presidente…- disse, prendendo in mano il microfono –E’ un grande onore che lei abbia offerto questa opportunità a me e a mio cugino. E’ praticamente il sogno della mia vita. Tuttavia…-
Quel “tuttavia” fece rimanere tutti con il fiato sospeso.
-… io mi trovo costretto a rifiutare la sua offerta, Presidente.-
Lisa, nel frattempo, si era allontanata dal palcoscenico, nascondendosi dalla folla: temeva nuovamente che avrebbe scelto il lavoro a lei, quindi non avrebbe fatto caso se fosse assente o meno.
Ma quella frase la fece voltare, stupita quanto i presenti.
-Vedete… ho imparato molte cose questa settimana. Primo, che non bisogna mai sottovalutare i musicisti. Quando si arrabbiano possono essere davvero pericolosi, a tal punto da scoprire che gli strumenti che suonano hanno molti altri usi, oltre quello di suonare, e per nulla piacevoli.- La Quarta Orchestra si mise a ridere, poiché parole fondate –Secondo: che l’amore è come un poeta maledetto. Ne senti la mancanza quando non c’è più.-
Le ultime parole fecero commuovere Lisa. Si ricordò del discorso di pochi giorni fa, al pub, quando avevano tirato in ballo, appunto, i poeti maledetti.
-Sparare ad un fuggiasco sospetto o smascherare un presunto rapitore era tutto per me. Mi piaceva. A chiunque sarebbe piaciuto. Ma ora voglio essere conosciuto nel mondo come l’investigatore che ha salvato il mondo dall’effetto serra.-
Altri applausi per quelle parole. Lisa, ormai certa dell’amore che Francesco provava per lei, si diresse nuovamente verso il palcoscenico.
-Io voglio un mondo dove i miei figli possono leggere libri all’ombra di un albero, respirare aria pura, nuotare nell’oceano e andare a una partita di basket senza un interprete. Voglio un mondo dove si possa mangiare una spigola senza sentirsi male! Voglio un mondo dove finalmente le persone apprezzino il valore della cultura! Voglio un mondo dove gli italiani possono finalmente votare delle persone degne di rappresentare e governare il nostro bellissimo Paese!-
A quelle parole, il Presidente del Consiglio e i Ministri si guardarono gli uni gli altri con sgomento.
Che dite? Era meglio tagliare questa parte?
-Potrei non vivere abbastanza per vedere questo! Ma quello che mi importa davvero… è vivere ogni secondo della mia vita, accanto a questa meravigliosa creatura!-
Aveva preso e baciato una figura di aspetto femminile, pensando fosse Lisa.
-Francesco! Sono qui!- disse lei, facendosi strada tra il pubblico.
Con imbarazzo, l’investigatore scoprì che la donna che aveva baciato era il capitano Del Bravo. Lei appariva sconvolta e lui disgustato, a tal punto da farla cadere per terra.
-Lisa! Ti amo!- esclamò, rivolto verso la persona giusta.
-Anch’io ti amo!-
Si abbracciarono, scambiandosi un bacio, di fronte a tutti.
Marco si commosse a quella scena, anche Ettore, mentre gli altri applaudivano. Persino i quattro musicisti si lasciarono sfuggire una lacrimuccia.
Alle loro spalle, mentre una composizione della Quarta Orchestra riecheggiava per tutta la sala, venne trasmessa una foto dell’investigatore in posa decisamente non professionale: sembrava nel bel mezzo di una sbornia, a giudicare dallo sguardo allegro e assente nello stesso momento.
-Francesco! Francesco!- urlavano tutti.
Tutti coloro che erano sul palcoscenico, si misero in fila orizzontale, per farsi fare le foto.
Accanto all’investigatore c’erano Lisa da una parte, e Ettore dall’altra.
Si inchinarono tutti, come saluto.
Ma la ragazza, per sbaglio allungò una mano. Colpì il suo fidanzato proprio in mezzo alle gambe, forse mettendoci troppa forza.
Francesco fece una faccia strana, agonizzante, mentre cadeva sul palcoscenico, contorcendosi dal dolore.
-Ops! Scusa, tesoro!- si scusò lei, prima di mettersi a ridere dall’imbarazzo.
Quella posa finì sui giornali del giorno dopo.
“Giovane investigatore salva la conferenza del climatologo Marco Auditore, grazie all’ausilio dei membri della Quarta Orchestra. I responsabili in manette, tutti magnati petroliferi, carboniferi e nucleari. Le loro attività sotto sequestro.”
Un titolo che decisamente non si addiceva alla foto, non trovate?
 
--------------------------------

Note finali: eee... finalmente ho finito questa storia! Fiuuu... pensavo di non finirla mai... Dio che fatica... anche ritrovare la voglia. Ora posso dedicarmi ad altro. Spero vi sia piaciuta e ringrazio coloro che l'hanno messa tra le seguite e tra le ricordate e, ovviamente, chi ha avuto il coraggio di darvi persino un'occhiata. Buona giornata a tutti e *smack!* ciaociao!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3648195