Stalker

di mido_ri
(/viewuser.php?uid=324893)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** 20. ***
Capitolo 21: *** 21. ***
Capitolo 22: *** 22. ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24. ***
Capitolo 25: *** 25. ***
Capitolo 26: *** 26. ***
Capitolo 27: *** 27. ***
Capitolo 28: *** 28. ***
Capitolo 29: *** 29. ***
Capitolo 30: *** 30. ***
Capitolo 31: *** 31. ***
Capitolo 32: *** 32. ***
Capitolo 33: *** 33. ***
Capitolo 34: *** 34. ***
Capitolo 35: *** 35. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


STALKER


 

A te

Che sei infinitamente tu

Che ti sei fatto rubare la vita

E poi l'hai chiesta indietro

Ma io non te l'ho data

Perché ciò che è mio

Non è di nessun altro

Ed è per questo

Che sei ancora tu

Infinitamente tu

Che ti lasci guardare in modo così

Amabile

Che ti lasci amare in modo così

Vivo

Che poi 

Muori

E pretendi una risposta

Ma ti dirò soltanto che

Ti amo

E tu per cortesia dirai

"Anche io"

E saremo invidiati dal mondo intero

Io e te

Nel nostro esser così soli e

Dimenticati

E mi regalerai ancora un milione

Di sorrisi

Forse chiedendoti

Perché davanti a te

Ci sono io

E non qualcun altro

E io ancora una volta

Ti darò una risposta fuori luogo

E tu mi rivolgerai un sorriso

Sincero

Che in mezzo a tutti gli altri

Mi farà sentire vivo

Della tua vita


Mer, 14 settembre, mattina

- In piedi! -

La professoressa aveva un'aria minacciosa, fin troppo. Possibile che fosse andata di matto già il primo giorno di scuola? Aprì il registro bruscamente, poi iniziò a chiamarci uno per uno; stessa classe dell'anno precedente, stessi cognomi dell'anno precedente, stessa merda dell'anno precedente. 

Stavo passivamente ascoltando l'appello in attesa che quella voce monotona giungesse all'ultimo nome, ero più che pronto a riappoggiare il culo sulla sedia, quando qualcosa stonò. 

- Buonarotti -

- Presente -

Quel cognome mi era nuovo; mi voltai alla ricerca dell'alunno che aveva parlato, finché non lo scorsi in piedi accanto alla professoressa. Lo incenerì con lo sguardo, dopodiché gli indicò un banco per due vuoto in fondo all'aula, proprio quello accanto al mio. Il ragazzo si avviò fra le file di banchi trascinando i piedi, il portachiavi appeso al suo zaino produceva un fastidioso rumore metallico. Era piccolo, così piccolo che quando si sedette sembrò lui stesso una piccola sedia; sistemò con cura lo zaino al suo fianco e rivolse l'attenzione alle parole dell'insegnante che lo aveva appena richiamato.

- Buonarotti! Vedi di non farti contagiare da questi animali o ti renderò la vita impossibile -

Il ragazzo annuì pigramente, d'altronde quella stronza non incuteva timore a nessuno, era semplicemente propensa a farsi odiare da tutti.

La classe si tuffò nuovamente nella vita scolastica abbastanza in fretta da lasciar credere che i tre mesi precedenti di assoluta nullafacenza non fossero mai esistiti. Letteratura? Poesia? Non avevo la minima voglia di immergermi fra i versi di quei poveri sfigati dell'Ottocento, consideravo le mie poesie di gran lunga migliori.

Appoggiai il viso alla mia mano, intenzionato a stare in quella posizione per le prossime due ore tenute dalla stessa professoressa e pronto a uscirmene di lì con i segni del mio stesso palmo in faccia. I miei occhi ricaddero inevitabilmente sul nuovo arrivato, più che altro sembrava uno studente delle scuole medie. I capelli lunghi gli ricadevano sul viso, abbastanza da fargli aggiudicare l'appellativo di "emo gay" per i prossimi nove mesi; lo sapevo perché ci ero passato anch'io durante il primo anno da liceale, ignaro del fatto che mi stessi volutamente infiltrando in un covo pieno di iene pronte ad ammazzarti l'autostima in un batter d'occhio con le loro risate fastidiose. 

Aveva la pelle olivastra e indossava una maglia a maniche corte la cui stampa sul petto non era visibile dalla mia posizione. Osservai attentamente le sue braccia, poi i polsi: nessun segno; mi dispiacque, in fondo le cicatrici sono la testimonianza più bella della storia di un corpo.

Muoveva ininterrottamente le gambe incrociate sotto la sedia e allo stesso tempo tamburellava sul banco con le dita. 

A un tratto si chinò verso lo zaino, fui costretto a voltare la testa per non farmi sorprendere a fissarlo. Ne estrasse un piccolo libro, lo posò sul banco e lo iniziò a leggere al contrario. 

"Ah, un manga"

Lo scrutai mentre leggeva attentamente, quella storia sembrava interessante. Con una mano si spostò un ciuffo di capelli dietro un orecchio, potevo finalmente vedere il suo viso. 

I miei occhi lo osservarono dapprima generalmente, poi si soffermarono pian piano sui vari particolari. I suoi tratti non erano per nulla marcati, perciò il viso, nonostante la concentrazione, esprimeva serenità; di tanto in tanto le sopracciglia si inclinavano leggermente, forse quando una parte della storia lo colpiva in modo particolare. Il suo labbro inferiore era stato catturato dai denti e non sembrava per nulla intenzionato a fuggire da quella prigionia; il naso era piccolo e adorabile, lo faceva apparire ancora più giovane. Il mio sguardo scese più giù, l'incavo del collo sembrava essere stato scavato da mani esperte con molta delicatezza e attenzione, era semplicemente perfetto; mi sarebbe piaciuto farglielo notare, magari non gliel'aveva mai detto nessuno. Stava lì, assorto dentro di sé, non consapevole del suo stesso "essere", perché lui era, era sicuramente qualcuno, qualcosa, ma non sapevo ancora chi o cosa fosse precisamente.

All'improvviso mi ricordai di non aver avuto l'occasione di guardare i suoi occhi, solamente essi avrebbero potuto darmi un indizio affidabile su di lui.

 "Gli occhi sono lo specchio dell'anima", giusto? 

Alzai lo sguardo e i miei occhi si ritrovarono inspiegabilmente fissi nei suoi. Il ragazzo alzò le sopracciglia incuriosito, ma che voleva? Gli dava forse fastidio se lo guardavo? Be', per essersene accorto voleva dire che mi stava guardando anche lui, no? Voltai il capo e iniziai a sfogliare il primo libro che mi capitò fra le mani, era difficile fingere di essere interessato a qualcosa di cui non sapevo neanche il significato, meiosi? Mitosi? Ma che roba era?


Le cinque ore passarono alquanto lentamente, fra i professori che parlavano ininterrottamente e io che tentavo in ogni modo di non lasciare che i miei occhi ricadessero su quella dannata figura, perché sì, solo una figura dannata poteva stimolare il mio interesse in quel modo. 

Il suono della campanella fu una liberazione per tutti, raccolsi in fretta la felpa e lo zaino e corsi fuori facendomi spazio con i gomiti in mezzo alla marea di studenti; il motorino mi attendeva oltre la recinzione, lo raggiunsi in un attimo e vi montai su, si abbassò sotto il mio peso. Infilai il casco e partii alla volta di casa mia. 


Gio, 15 settembre, notte

Mi rigirai più e più volte nel letto, ma il sonno non voleva saperne nulla di venire a farmi visita. Sentivo il telegiornale della mezzanotte al piano di sotto, mentre mio padre ciabattava nervosamente per il corridoio e sbraitava al telefono; probabilmente stava parlando di lavoro con mia madre. Nonostante fossero separati da circa tre anni, si sentivano ogni sera perché erano coinvolti nella stessa impresa. 

Doveva essere passata circa un'ora da quando mi ero messo a letto, mio padre entrò nella stanza e un filo di luce tremolante si fece spazio sul pavimento, correndo lungo il tappeto e arrivando a colpire il mio viso. 

- Non riesci a dormire? -

Scossi la testa lasciandomi sfuggire un "mh". L'uomo mi accarezzò leggermente una guancia e uscì dalla stanza.


Gio, 15 settembre, mattina

Fui l'ultimo a entrare in classe, ed era solo il secondo giorno di scuola. Il professore di fisica mi fulminò con lo sguardo. 

- Cantiello, stavamo aspettando solo te per l'inizio della lezione -

Mi scusai e mi diressi verso il solito banco in fondo alla classe, ma mi bloccai dopo aver notato delle differenze: il mio posto era occupato da un altro ragazzo.

Il

Mio

Posto.

Mi voltai verso il professore con un punto interrogativo enorme stampato in faccia e lui m'indicò il posto accanto al ragazzo nuovo, perfetto. 

- Prof, ma quello era il mio posto -

- Anche Buonarotti deve socializzare, e quale compagno migliore di un altro alunno introverso come te? -

- Non sono introverso -

Sbottai. Semplicemente i miei compagni di classe erano le persone che meno mi faceva piacere avere accanto. 

Gettai lo zaino a terra con noncuranza e mi sedetti trascinando la sedia rumorosamente. Il ragazzino non mi degnò nemmeno di uno sguardo.

Quella lezione fu una delle più noiose mai seguite, quindi decisi che il prossimo giovedì sarei entrato alla seconda ora. 

Presi una matita dall'astuccio e cominciai a scarabocchiare sul banco, tutto era accettabile fuorché ascoltare le interessantissime leggi della fisica. Scrissi il mio nome con caratteri grandi e colorai le lettere con la penna nera. 

- Allora è così che ti chiami -

Il ragazzino mi stava fissando in modo inquietante, o forse erano i suoi enormi occhi verdi a creare quell'effetto. 

- Già, vuol dire "protettore"-

Mi lasciai sfuggire una risatina a bassa voce. 

- Come se io avessi tempo da perdere dietro alle altre persone -

L'altro mi rivolse uno sguardo di rimprovero e mi tolse la matita di mano, riponendola nel suo astuccio. 

A fine giornata scolastica mi precipitai nel corridoio, pronto a tornare a casa e a gettare quello sporco zaino nero in un angolo, senza rivolgergli nemmeno un'occhiata fino al giorno successivo.

Avevo appena avvistato il mio motorino dietro la recinzione bianca, quando mi ricordai della matita; poteva sembrare un inutile pretesto per tornare in classe, ma ero molto affezionato a quell'oggetto.

Percorsi di nuovo il corridoio velocemente, sperando che il mio compagno di banco non fosse ancora uscito, cosa molto improbabile.

Appena entrato nell'aula, sbuffai constatando che era vuota, dopotutto perché sarebbe dovuto rimanere in classe da solo dopo il suono della campanella? Gettai un'occhiata sconsolata al banco, chiedendomi se il giorno seguente si sarebbe ricordato di riportarmi la matita; i miei occhi si soffermarono su un oggetto poggiato proprio sulla superficie del banco in fondo. Mi avvicinai, quella era proprio la mia matita, la presi e la misi subito nello zaino. Prima di andarmene guardai un'altra volta il disegno; sgranai gli occhi quando mi accorsi che c'era una scritta accanto al mio nome: "Riccardo, uomo ricco e potente". Sorrisi e finalmente mi decisi a ritornare a casa. Quel gesto, fatto forse per prendere in giro, mi lasciò comunque con un'espressione da ebete in viso per un bel po'.


Ven, 16 settembre, mattina

Quella mattina mi sforzai di alzarmi un po' prima, così da non fare un'altra figuraccia in classe. Arrivai con ben dieci minuti d'anticipo, quindi decisi di fare colazione al bar accanto alla scuola. 

Mi accomodai a un tavolino con un bel cornetto caldo ripieno di Nutella. Ne addentai la punta con gusto, mentre la cameriera poggiava sul tavolo la tazza di latte che avevo ordinato. Ero nel bel mezzo di una colazione con i fiocchi, quando un uomo trascinò la sedia di fronte alla mia verso di sé e vi si sedette nel verso opposto. 

- Buongiorno! -

Alzai un sopracciglio.

- Ci conosciamo? -

- Certo che no, ti pare? -

Lo guardai incuriosito.

- Che vuoi? -

Il tizio afferrò la mia tazza e ne bevve tutto il contenuto.

- Ehi! Non hai mica pagato tu! -

- La considererò come un'offerta da parte di una persona onesta e gentile -

Si protese sul tavolino rotondo e mi afferrò il colletto della maglia, poi avvicinò le labbra al mio orecchio destro.

- Ascolta bene, brutto stronzo. Provaci ancora con il mio Ro e ti taglio la testa -

Il cornetto mi cadde di mano per la troppa foga con cui mi si era gettato addosso l'altro.

- Chi?! Ma sei pazzo? -

- Mai quanto te, stai giocando con il fuoco...ragazzino -

Il tizio estrasse un coltellino dalla tasca della sua felpa scura e me lo portò alle labbra; la lama era fredda e aveva un sapore ferroso, come quello del sangue.

- Cambia posto a scuola, non ti conviene stare vicino al mio ragazzo -

Sgranai gli occhi, il suo ragazzo? Che si stesse riferendo a Riccardo? Mi portai una mano alla testa per un attimo, l'avvertii girare vorticosamente. Quando riaprii gli occhi, il tipo minaccioso era già scomparso. Mi guardai intorno smarrito, nessuno sembrava aver notato niente.


Note dell'autore:
Salve, questa è la prima storia originale che pubblico qui. I personaggi sono interamente inventati da me, spero che il mio lavoro vi interessi, anche se solitamente il primo capitolo è spesso noioso e non coinvolge il lettore.
La poesia all'inizio del capitolo è stata scritta da me, non odiatemi per tutte le volte che sono andata a capo.
Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo, ci terrei molto. <3
L'immagine è stata gentilmente disegnata da @sad.neru - Instagram. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


 

Ven, 16 settembre, mattina
Dopo ciò che era successo al bar, durante le lezioni non avevo fatto altro che girarmi in continuazione verso Riccardo; volevo delle risposte, subito. Chi era quell'uomo? Possibile che fosse arrivato a tanto per pura gelosia? E poi, come poteva un ragazzino stare con un tizio di almeno trent'anni? 
In ogni caso mi sembrava troppo scortese porre delle domande del genere a una persona di cui conoscevo a malapena il nome, ciò che dovevo fare era semplicemente starmene buono al mio posto e possibilmente smetterla di fare colazione al bar. 
Sab, 17 settembre, mattina
Mi stiracchiai per bene nel mio adorato lettino, poi lanciai il cuscino contro la sveglia che non la finiva di lacerarmi i timpani. Era sabato e io mi ero dimenticato di spegnere il cellulare, di nuovo. Dato che ormai ero sveglio, scesi in cucina e vi trovai la donna delle pulizie che strofinava con foga il lavello.
- Buongiorno signora Maria -
- Quante volte ti ho detto che non devi andare in giro scalzo per tutta la casa?! Lasci le impronte per terra! -
Feci finta di non sentirla, aprii il frigo e ne estrassi una lattina di Coca-Cola, poi mi stesi sul divano e accesi la televisione. Fare zapping era sicuramente uno dei miei hobby preferiti, oltre a ingerire bevande gassate, guastare il letto e guardarmi allo specchio ripetendo "fai schifo". 
- Alessio! Ti sembra il modo di fare colazione? Ma tuo padre non t'insegna niente?! -
La donna continuò a sbraitare per un tempo incalcolabile, mentre io facevo la maratona di Adventure Time come ogni sabato mattina. 
Sab, 17 settembre, sera
Uscire sempre con gli stessi amici, negli stessi posti, alla stessa ora e nello stesso giorno della settimana era una fatica; al solo vederli da lontano mi innervosivo, con quale coraggio li definivo "amici"?
Cenammo al solito pub, ormai ci avevamo fatto la muffa fra quei tavoli e non leggevamo neanche il menu, probabilmente perché il locale era così squallido da non esserne munito. 
Per essere solo una sera di settembre faceva piuttosto freddo, mi strinsi nel giubbotto di pelle estivo e tirai fuori da una tasca il pacchetto di sigarette che avevo comprato poco prima di incontrarmi con gli altri. Alla prima boccata chiusi gli occhi e gemetti di piacere, era da una settimana che non toccavo tabacco. 
- Hey Ale, quante ragazze ti sei fatto questa settimana? -
Marco scoppiò in una sonora risata, non gli diedi retta.
- Tsè, Alessiuccio è impegnato con la scuola, non può mica perdere tempo dietro alla figa! -
Potevo sentire i nervi stendersi al massimo cercando di resistere alla tensione per non rompersi; mi sputavano addosso sempre le stesse offese, eppure io continuavo a uscire con loro e a far finta di prendere tutto come uno scherzo, forse perché ero troppo debole per potermi spezzare da solo un legame, seppur gravoso da sostenere.
- Dai raga', finitela una buona volta, se è dell'altra sponda non è che dovete dargli addosso ogni momento, le vostre battute non fanno più ridere -
Già, ormai anche i muri sapevano a memoria le frecciatine che mi lanciavano ogniqualvolta uscissimo insieme.
Ma come mi era saltato in mente di dir loro che ero gay? Avrei voluto prendere a schiaffi mio padre per tutte le volte che mi diceva che non era per nulla sbagliato esserlo e che i miei amici mi avrebbero accettato per quello che ero. Sì, come no, nei miei sogni forse. Era stato proprio lui a incitarmi a farlo, avevo dodici anni, cosa ne potevo sapere? Mia madre non ne sapeva nulla, o almeno, io non ne avevo mai parlato con lei, a dir la verità la sentivo troppo distante per poterle raccontare qualsiasi cosa di me; in ogni caso se n'era sicuramente accorta da sé, dal momento che la mia prima e ultima ragazza mi aveva lasciato perché guardavo suo fratello "in modo strano", ma ehi, era bello davvero. 
Dopo il solito giro al parco pubblico, ci sistemammo per cazzeggiare un altro po', chi sulle altalene chi per terra.

Ven, 16 settembre, mattina

Dopo ciò che era successo al bar, durante le lezioni non avevo fatto altro che girarmi in continuazione verso Riccardo; volevo delle risposte, subito. Chi era quell'uomo? Possibile che fosse arrivato a tanto per pura gelosia? E poi, come poteva un ragazzino stare con un tizio di almeno trent'anni? In ogni caso mi sembrava troppo scortese porre delle domande del genere a una persona di cui conoscevo a malapena il nome, ciò che dovevo fare era semplicemente starmene buono al mio posto e possibilmente smetterla di fare colazione al bar. 

 

Sab, 17 settembre, mattina

Mi stiracchiai per bene nel mio adorato lettino, poi lanciai il cuscino contro la sveglia che non la finiva di lacerarmi i timpani. Era sabato e io mi ero dimenticato di spegnere il cellulare, di nuovo. Dato che ormai ero sveglio, scesi in cucina e vi trovai la donna delle pulizie che strofinava con foga il lavello.

- Buongiorno signora Maria -

- Quante volte ti ho detto che non devi andare in giro scalzo per tutta la casa?! Lasci le impronte per terra! -

Feci finta di non sentirla, aprii il frigo e ne estrassi una lattina di Coca-Cola, poi mi stesi sul divano e accesi la televisione. Fare zapping era sicuramente uno dei miei hobby preferiti, oltre a ingerire bevande gassate, guastare il letto e guardarmi allo specchio ripetendo "fai schifo".

- Alessio! Ti sembra il modo di fare colazione? Ma tuo padre non t'insegna niente?! -

La donna continuò a sbraitare per un tempo incalcolabile, mentre io facevo la maratona di Adventure Time come ogni sabato mattina. 

 


Sab, 17 settembre, sera

Uscire sempre con gli stessi amici, negli stessi posti, alla stessa ora e nello stesso giorno della settimana era una fatica; al solo vederli da lontano mi innervosivo, con quale coraggio li definivo "amici"?Cenammo al solito pub, ormai ci avevamo fatto la muffa fra quei tavoli e non leggevamo neanche il menu, probabilmente perché il locale era così squallido da non esserne munito. Per essere solo una sera di settembre faceva piuttosto freddo, mi strinsi nel giubbotto di pelle estivo e tirai fuori da una tasca il pacchetto di sigarette che avevo comprato poco prima di incontrarmi con gli altri. Alla prima boccata chiusi gli occhi e gemetti di piacere, era da una settimana che non toccavo tabacco.

- Hey Ale, quante ragazze ti sei fatto questa settimana? -

Marco scoppiò in una sonora risata, non gli diedi retta.

- Tsè, Alessiuccio è impegnato con la scuola, non può mica perdere tempo dietro alla figa! -

Potevo sentire i nervi stendersi al massimo cercando di resistere alla tensione per non rompersi; mi sputavano addosso sempre le stesse offese, eppure io continuavo a uscire con loro e a far finta di prendere tutto come uno scherzo, forse perché ero troppo debole per potermi spezzare da solo un legame, seppur gravoso da sostenere.

- Dai raga', finitela una buona volta, se è dell'altra sponda non è che dovete dargli addosso ogni momento, le vostre battute non fanno più ridere -

Già, ormai anche i muri sapevano a memoria le frecciatine che mi lanciavano ogniqualvolta uscissimo insieme.Ma come mi era saltato in mente di dir loro che ero gay? Avrei voluto prendere a schiaffi mio padre per tutte le volte che mi diceva che non era per nulla sbagliato esserlo e che i miei amici mi avrebbero accettato per quello che ero. Sì, come no, nei miei sogni forse. Era stato proprio lui a incitarmi a farlo, avevo dodici anni, cosa ne potevo sapere? Mia madre non ne sapeva nulla, o almeno, io non ne avevo mai parlato con lei, a dir la verità la sentivo troppo distante per poterle raccontare qualsiasi cosa di me; in ogni caso se n'era sicuramente accorta da sé, dal momento che la mia prima e ultima ragazza mi aveva lasciato perché guardavo suo fratello "in modo strano", ma ehi, era bello davvero. 

Dopo il solito giro al parco pubblico, ci sistemammo per cazzeggiare un altro po', chi sulle altalene chi per terra. Marco tirò fuori dal suo zainetto un paio di canne già preparate a casa e iniziarono a passarsele fra loro. 

- Ale, non vuoi favorire? -

Scossi la testa e mi cimentai in un giochino sul cellulare. 

- Bene, allora ci riaccompagni tu a casa dopo -

- Già, se dico a mio padre di venirmi a prendere e poi mi trova così...sono ca...-

- È vero! Hai il motorino! -

Il mio personaggio cadde in acqua e sul display comparve la scritta "game over", tutta colpa delle loro chiacchiere inutili.

- Come pensate di salire in cinque sul motorino? -

- E non rompere! Fai due viaggi, no? -

Non avevo altra scelta se non volevo rimanere chiuso in casa i sabati a venire.

 

Dom, 18 settembre, mattina

Quei cretini mi avevano costretto ad aspettarli fino alle tre del mattino, le borse sotto i miei occhi dovevano essere spaventose.

Sbadigliai e aprii il balcone, un odore di terriccio bagnato mi colpì il viso; adoravo quella sensazione. Mi sporsi oltre la ringhiera arrugginita e contemplai il palazzo grigio che avevo di fronte, bella vista, eh? Una goccia mi cadde in testa, poi due, tre e molte altre; rientrai e chiusi il balcone, finalmente pioggia. Mi stesi sul letto a gambe e braccia aperte e chiusi gli occhi, per stare bene mi bastava solo questo: io, un letto e la pioggia che faceva da colonna sonora alla mia vita noiosa. 

 

Lun, 19 settembre, mattina

Alzarsi e realizzare che è lunedì mattina e di gran lunga peggiore che ricevere una ginocchiata sulle gengive, un trauma.

Mi vestii come un automa con gli occhi semichiusi e le mani intorpidite dalla lunga dormita. 

Scesi in cucina e diedi un'occhiata all'orologio: le otto in punto. Grandioso, sarei dovuto essere in classe in quel preciso istante. Mio padre mi venne incontro annodandosi una cravatta bordeaux orribile e mi chiese se volessi uno strappo fino a scuola, dal momento che pioveva ancora. Scossi il capo e mi misi lo zaino in spalla, solo l'andare in motorino sotto la pioggia poteva superare il dormire durante un temporale mattutino. 

Entrai in classe con un quarto d'ora di ritardo, fradicio dalla testa ai piedi. Corsi al mio posto e mi sedetti con una smorfia di stanchezza sul viso. Che materia avevo? Ah sì, biologia. Aprii lo zaino, ma con un lamento scoraggiato constatai che non avevo lo avevo preparato e c'erano ancora i libri del venerdì precedente. 

Mi misi con la testa sul banco e le braccia attorno a essa; mi sollevai quando sentii una mano darmi un leggero colpo sulla spalla. Riccardo mise il suo libro in mezzo, in modo che potessimo leggervi entrambi.

- Grazie...-

Sussurrai sbadigliando. 

Le nostre gambe si toccarono più volte durante la lezione, probabilmente lui non ci fece neanche caso. Eravamo così vicini che potevo sentire l'odore dei suoi capelli, ero molto tentato di chiedergli che shampoo usasse. 

A fine lezione evitai di correre fuori, non c'era alcuna fretta, e poi gli studenti nel corridoio si muovevano a mo' di lumacone gigante.

Non appena raggiunsi il cortile, mi coprii la testa con il giubbino e iniziai a correre verso il motorino. Mentre infilavo il casco vidi passare Riccardo, si stava riparando con il giubbotto come me e sembrava piuttosto in difficoltà; difatti piazzò un piede dritto in una pozzanghera e lo sentii imprecare, mi lasciai sfuggire una risata, poi richiamai la sua attenzione.

- Heilà coinquilino, ti serve un passaggio?-

Sbattei fieramente una mano sulla sella di cuoio.

- Ehm...mi bagno lo stesso sul motorino -

Sbuffai sonoramente.

- Ma almeno arrivi prima, casa tua è molto lontana? -

- Saranno due o tre chilometri...-

Alzai le sopracciglia come per dirgli "allora che hai deciso?"

Lo scrutai mentre valutava la situazione, poi si avvicinò a me e rivolse uno sguardo preoccupato al veicolo.

- Vado piano -

Il ragazzino salì, lasciandomi stupito: in fondo già immaginavo di doverlo prendere in braccio a causa delle sue gambe corte. Riccardo sembrò aver captato il mio pensiero e mi lanciò un'occhiataccia.

Partii sotto la pioggia, tenevo sotto stretto controllo la tacca che segnava la velocità, non volevo che l'altro si spaventasse. Purtroppo avevamo beccato un'auto che andava sotto i venti chilometri all'ora, accelerai per sorpassarla, ma Riccardo si strinse contro la mia schiena, quindi lasciai perdere. Mi indicò la strada di casa, rallentai dinanzi a un giardinetto poco curato che lungo un breve sentiero conduceva a una piccola villetta pitturata di bianco.

- Allora ti lascio qui? -

Il ragazzo assunse un tono di sarcasmo.

- Vuoi entrare? -

- Posso? -

- No -

Tirò fuori la lingua e si sistemò meglio lo zaino sulle spalle, dopodiché estrasse un mazzo di chiavi da una tasca del giubbotto e si diresse verso l'entrata.

- A domani -

Rimasi imbambolato con il suo casco in mano e un sorriso da ebete stampato in faccia, cercando di tirar fuori almeno un misero "ciao", ma nulla.

 

Lun, 19 settembre, sera

Erano circa le ventitré, sbadigliai e trascinai lo zaino fino alla scrivania, controllai l'assegno e mi misi comodo per cominciare il tema di italiano.

"Cos'è per te l'amore?"

Era quasi impossibile credere che la professoressa d'italiano fosse così stronza e fissata con l'amore allo stesso tempo, molti supponevano che fosse bipolare e altri si chiedevano come facesse una come lei a capirne qualcosa sui sentimenti che non rientrassero solamente nella sfera dell'odio verso i suoi alunni.

Tolsi il tappo alla penna, ripiegai meglio il foglio e feci scivolare la punta intrisa d'inchiostro sulla carta bianca.

"L'amore non esiste."

Sorrisi, ricordavo ancora la scena di quel film: "Poeti dall'Inferno", in cui Leonardo DiCaprio pronunciava quell'adorata frase con un sorriso scherzoso in viso, una sigaretta fra le labbra e l'ombra di una recente sbornia negli occhi.

Ripiegai il foglio, vi aggiunsi nome, cognome, classe e data e lo misi nello zaino.

Un lampo bianco squarciò il cielo, seguito a ruota dal rombo di un tuono infuriato. Voltai il capo verso il balcone; fuori era buio e non si vedeva nulla, strinsi gli occhi. Un altro lampo parve spezzare le nuvole scure con la sua furia; fu in quel momento che lo vidi: un uomo con il viso premuto contro il vetro che mi fissava con un paio di pupille vive e frementi e un sorriso sinistro sulle labbra. 

 

 

Note dell'autore:

Buongiorno, rieccomi con un nuovo capitolo! 

Ringrazio le persone che hanno letto il precedente, spero che questo vi sia piaciuto anche se è un po' noioso, diciamo che ho cercato di mettere in evidenza a grandi linee il carattere di Alessio.

Ci si sente al prossimo capitolo, buona domenica u.u

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


 

Lun, 19 settembre, sera
Caddi dalla sedia urlando di terrore, sentii dei passi pesanti sulle scale e qualcuno che chiamava il mio nome. Mio padre si precipitò nella stanza e mi aiutò a tirarmi su, aveva uno sguardo al limite della preoccupazione.
- Che cos'è successo?! -
Guardai con esitazione verso il balcone, quell'uomo non c'era più; al suo posto c'era un foglietto attaccato al vetro che sventolava mosso dalla bufera, per fortuna mio padre non se n'era accorto. 
- Niente...mi stavo dondolando e la sedia è caduta all'indietro -
Mi guardò con occhi dubbiosi e mi disse di stare più attento con un tono di rimprovero. 
Aspettai che fosse uscito dalla stanza, poi mi avvicinai al vetro e lessi il biglietto.
"STAI LONTANO DA LUI"
Mi misi una mano sul petto cercando di calmarmi, mi voltai di nuovo: il pezzo di carta era sparito, al suo posto potevo assistere solamente all'esibizione dei fulmini che illuminavano a tratti il cielo con i loro lunghi rami. Pensai che fosse stato portato via dal vento, poi che l'avessi solo immaginato, ah...molto meglio.
Mar, 20 settembre, mattina
Arrivai in classe correndo, la lezione era già iniziata da una ventina di minuti; la professoressa d'inglese mi guardò dall'alto verso il basso, poi mi pregò gentilmente di uscire dall'aula e di entrare alla seconda ora.
"Vecchia puttana"
Al suono della campanella rientrai, Riccardo mi rivolse un "ciao" che potei sentire a malapena, non gli risposi neanche. Lo ignorai per tutta la giornata, non che ci fossimo mai parlati più di tanto, ma non mi andava di mettermi di nuovo nei casini, che avessi immaginato tutto o meno.
Mer, 21 settembre, mattina
Durante l'ultima ora di lezione, non feci altro che sfogliare il diario in continuazione. Mi misi a fissare l'orario con disapprovazione: il giorno seguente alla prima ora avrei dovuto affrontare l'insostenibile lezione di fisica e chimica, ma avevo già stabilito tempo addietro che mi sarei presentato solamente dopo il suono che segnava l'inizio della seconda ora. 
Gio, 22 settembre, mattina
Nonostante avessi circa un'ora da spendere prima di entrare a scuola, evitai di fare colazione al bar; decisi di girovagare per il paese senza meta, gettando di tanto in tanto un'occhiata annoiata all'orologio.
Quando mi sedetti, invece del solito "ciao", Riccardo mi rivolse uno sguardo di rimprovero.
- Il professore ha assegnato i compiti di chimica -
- E allora? -
- Ha detto che dobbiamo fare un esperimento a coppie, fra compagni di banco -
Spostò il diario verso di me e mi fece leggere l'assegno, sbuffai.
- Se quest'idiota è convinto che io mi metta a fare esperimenti del cazzo allora si sbaglia di grosso -
Riccardo mi interruppe prima che potessi continuare a lamentarmi.
- Non c'è problema, oggi pomeriggio faccio tutto io -
Lo guardai stranito, davvero aveva detto una cosa del genere? Pensai ai miei amici, non mi avrebbero mai dato un tale piacere.
- Oggi pomeriggio? -
- Sì, il lavoro è per domani -
- Ma domani non abbiamo fisica e chimica...-
- Lo so, ma il professore ha detto che verrà in classe a ritirare i risultati -
Abbassai lo sguardo e mi misi a fissare il banco. 
- O-okay...allora fai tu -
Annuì.
- Grazie -
- Di niente -
Gio, 22 settembre, pomeriggio
Era alquanto noioso stare imbambolato sul letto a lanciare e rilanciare una palla da basket in aria. Sbuffai e ripensai per l'ennesima volta al mio compagno di banco che doveva fare tutto il lavoro da solo. Alla fine decisi di andarlo a trovare, tanto sapevo dove abitava. 
Salii sul motorino e mi infilai il casco. Arrivato davanti al vialetto di casa sua, suonai il campanello con esitazione, e se non fosse stato in casa? Mentre aspettavo iniziai a guardarmi intorno: vi erano una decina di case simili a quella, di fronte alle quali erano parcheggiate delle macchine disposte in fila. Mi parve di vedere qualcuno in una di esse, strinsi gli occhi, ma nulla, evidentemente l'avevo solo immaginato.

Lun, 19 settembre, sera

Caddi dalla sedia urlando di terrore, sentii dei passi pesanti sulle scale e qualcuno che chiamava il mio nome. Mio padre si precipitò nella stanza e mi aiutò a tirarmi su, aveva uno sguardo al limite della preoccupazione.

- Che cos'è successo?! -

Guardai con esitazione verso il balcone, quell'uomo non c'era più; al suo posto c'era un foglietto attaccato al vetro che sventolava mosso dalla bufera, per fortuna mio padre non se n'era accorto.

- Niente...mi stavo dondolando e la sedia è caduta all'indietro -

Mi guardò con occhi dubbiosi e mi disse di stare più attento con un tono di rimprovero. Aspettai che fosse uscito dalla stanza, poi mi avvicinai al vetro e lessi il biglietto.

"STAI LONTANO DA LUI"

Mi misi una mano sul petto cercando di calmarmi, mi voltai di nuovo: il pezzo di carta era sparito, al suo posto potevo assistere solamente all'esibizione dei fulmini che illuminavano a tratti il cielo con i loro lunghi rami. Pensai che fosse stato portato via dal vento, poi che l'avessi solo immaginato, ah...molto meglio.

 

Mar, 20 settembre, mattina

Arrivai in classe correndo, la lezione era già iniziata da una ventina di minuti; la professoressa d'inglese mi guardò dall'alto verso il basso, poi mi pregò gentilmente di uscire dall'aula e di entrare alla seconda ora.

"Vecchia puttana"

Al suono della campanella rientrai, Riccardo mi rivolse un "ciao" che potei sentire a malapena, non gli risposi neanche. Lo ignorai per tutta la giornata, non che ci fossimo mai parlati più di tanto, ma non mi andava di mettermi di nuovo nei casini, che avessi immaginato tutto o meno.

 

Mer, 21 settembre, mattina

Durante l'ultima ora di lezione, non feci altro che sfogliare il diario in continuazione. Mi misi a fissare l'orario con disapprovazione: il giorno seguente alla prima ora avrei dovuto affrontare l'insostenibile lezione di fisica e chimica, ma avevo già stabilito tempo addietro che mi sarei presentato solamente dopo il suono che segnava l'inizio della seconda ora. 

 

Gio, 22 settembre, mattina

Nonostante avessi circa un'ora da spendere prima di entrare a scuola, evitai di fare colazione al bar; decisi di girovagare per il paese senza meta, gettando di tanto in tanto un'occhiata annoiata all'orologio. Quando mi sedetti, invece del solito "ciao", Riccardo mi rivolse uno sguardo di rimprovero.

- Il professore ha assegnato i compiti di chimica -

- E allora? -

- Ha detto che dobbiamo fare un esperimento a coppie, fra compagni di banco -

Spostò il diario verso di me e mi fece leggere l'assegno, sbuffai.

- Se quest'idiota è convinto che io mi metta a fare esperimenti del cazzo allora si sbaglia di grosso -

Riccardo mi interruppe prima che potessi continuare a lamentarmi.

- Non c'è problema, oggi pomeriggio faccio tutto io -

Lo guardai stranito, davvero aveva detto una cosa del genere? Pensai ai miei amici, non mi avrebbero mai dato un tale piacere.

- Oggi pomeriggio? -

- Sì, il lavoro è per domani -

- Ma domani non abbiamo fisica e chimica...-

- Lo so, ma il professore ha detto che verrà in classe a ritirare i risultati -

Abbassai lo sguardo e mi misi a fissare il banco. 

- O-okay...allora fai tu -

Annuì.

- Grazie -

- Di niente -


Gio, 22 settembre, pomeriggio

Era alquanto noioso stare imbambolato sul letto a lanciare e rilanciare una palla da basket in aria. Sbuffai e ripensai per l'ennesima volta al mio compagno di banco che doveva fare tutto il lavoro da solo. Alla fine decisi di andarlo a trovare, tanto sapevo dove abitava. Salii sul motorino e mi infilai il casco.

Arrivato davanti al vialetto di casa sua, suonai il campanello con esitazione, e se non fosse stato in casa? Mentre aspettavo iniziai a guardarmi intorno: vi erano una decina di case simili a quella, di fronte alle quali erano parcheggiate delle macchine disposte in fila. Mi parve di vedere qualcuno in una di esse, strinsi gli occhi, ma nulla, evidentemente l'avevo solo immaginato.

Sentii dei passi ovattati avvicinarsi lentamente all'entrata, poi uno sferragliare di chiavi e infine vidi la porta aprirsi. Riccardo mi fissava con un'espressione a dir poco "neutra", i capelli scompigliati e un "ciao" sulle labbra.

- Hey, sono venuto a trovarti -

- Me ne sono accorto -

Mi fece segno di entrare; la casa non era di dimensioni notevoli come appunto ci si aspettava dall'esterno, l'arretramento era "neutro", così come il salotto e la cucina, insomma, la neutralità predominava. In fondo alla stanza che affacciava sull'entrata, vi erano delle scale di legno che portavano a un breve corridoio, quasi sicuramente lì si trovavano le stanze da letto. 

Gettai un'occhiata al tavolo della cucina, vi erano sparsi libri di chimica, bottigliette di plastica, vari contenitori, una bottiglia d'aceto e una bustina contenente dei palloncini.

- Non hai iniziato? -

- Uhm, no. Avevo intenzione di studiare prima la parte teorica -

Mi chiesi come facesse ad avere così tanta voglia di studiare. 

Mi tese la mano, ma non capii cosa volesse.

- Il giubbino -

- Ah! -

Mi sfilai il giubbino e glielo porsi, per poi osservarlo mentre saliva le scale.

- Dove vai? -

- A posare il giubbino nella mia stanza -

- Posso venire anche io? -

Quella era certamente una domanda scortese, ma la curiosità era il mio punto debole: avrei tanto voluto vedere la sua camera, magari constatare se fosse neutra come il resto dell'abitazione.

- No -

Continuò a salire sbattendo i piedi rumorosamente e io lo seguii a ruota. Si voltò e mi guardò con disapprovazione, poi alzò gli occhi al cielo e percorse il corridoio; era estremamente buffo quando cercava di rimproverarmi con lo sguardo, non era per nulla minaccioso, anzi, era ancora più adorabile. No, forse adorabile non era l'aggettivo giusto, non ancora. 

- Bella stanza -

Ed ero serio: le tre pareti dipinte di nero creavano a primo impatto un effetto "lugubre", mentre la parete di fronte alla porta, interrotta da un ampio balcone, era stata pitturata con un motivo a scacchiera. Al centro della camera vigeva un letto matrimoniale, con trapunta nera, due cuscini per decoro e uno strano pupazzo in mezzo. 

- E quello? È un unicorno? -

- No, è un cavallo con un corno, si chiama Puzzola -

Aggrottai le sopracciglia e lo guardai spaesato, lui di rimando mi rivolse un sorriso imbarazzato. 

- Scusa, non sono abituato ad avere ospiti -

Si grattò la nuca e stette in silenzio, finché non si ricordò di avere ancora il mio giubbino in mano. Lo appoggiò sul letto e mi condusse di nuovo fuori dalla stanza e giù dalle scale.

Arrivati davanti al tavolo, mi sedetti e cominciai a sfogliare uno dei tanti libri.

- Mi dispiace che tu debba fare tutto da solo -

- Non ti preoccupare, a me va bene così -

- Nah, tanto a casa non ho niente da fare -

Studiammo tutto il pomeriggio fino alle nove di sera, l'esperimento non era difficile, ma bisognava rifarlo più volte per essere totalmente sicuri. 

- Credo che così vada bene -

Riccardo finì di annotare l'ultimo risultato e chiuse il quaderno con un sospiro di sollievo. Proprio in quell'istante si sentì uno sferragliare di chiavi, l'altro sobbalzò e mi afferrò per un braccio, iniziando poi a salire le scale di corsa; mi fece entrare nella sua stanza.

- È mia madre. Non uscire di qui finché non arrivo io, okay? -

Annuii senza in realtà capire cosa stesse succedendo. Mi sedetti sul letto e mi guardai intorno: quella stanza era troppo ordinata per i miei gusti, era praticamente l'opposto della mia, come noi due in fondo. Sentii una voce di donna provenire dal piano di sotto, aveva un tono irritato, ma non riuscivo a comprendere le sue parole; seguì un rumore sordo, uno schiaffo? Sì, poi la porta che veniva sbattuta con forza e l'avvio del motore di una macchina nel vialetto. Ascoltai impaziente Riccardo che saliva le scale frettolosamente.

- Eccomi -

- Cos'è successo? -

La guancia sinistra era arrossata e il suo sguardo era abbattuto.

- N-niente...-

- Ti ha dato uno schiaffo -

Il ragazzo non rispose, si limitò a pormi il giubbino e a condurmi davanti all'entrata.

- I risultati sono tutti sul mio quaderno, ci vediamo domani -

Aprì la porta e mi invitò a uscire fuori con lo sguardo. 

- Va bene -

Esitai qualche secondo, poi mi decisi a parlare.

- Sei strano, lo sai? È per questo che mi piaci -

Gli lasciai un timido bacio sulla guancia e uscii senza voltarmi. Salii sul motorino e, nell'istante in cui avviai il motore, sentii la macchina dietro di me fare la stessa cosa; mi voltai e vidi un uomo al posto di guida, aveva il cellulare in mano. Prima che potessi pensare ad altro, i miei occhi furono colpiti dalla luce di un flash, mi aveva scattato una foto? Quando riaprii gli occhi, la macchina se n'era già andata.

 

Ven, 23 settembre, mattina

Quella mattina Riccardo non mi disse neanche "ciao".

Il professore assunse un'espressione perplessa quando io e il mio compagno di banco gli consegnammo il lavoro, probabilmente non se l'aspettava. 

A fine lezioni corsi fuori, pioveva di nuovo; Riccardo passò davanti a me riparandosi con il giubbotto.

- Vuoi un altro passaggio? -

Evidentemente si aspettava quella domanda, si guardò un po' intorno, poi scosse la testa e continuò a camminare.

"Ecco, non dovevo dirgli quella fottuta cosa"

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


 

Sab, 24 settembre, sera
- Ehi, ehi! Attento alla merda! -
Mi scansai immediatamente, dovevo ringraziare quel cretino di Marco.
- Ale, ma a che diamine pensi? Guarda dove metti i piedi -
Mi scusai con tono sommesso, come se poi dovessi seriamente chiedere scusa a qualcuno di loro. 
Non mi andava di aprir bocca quella sera, camminavo a testa bassa, senza in realtà vedere dove stessi andando; rallentavo dinanzi ogni vicolo per paura di incrociare qualcuno, quel qualcuno, sempre se esisteva davvero. 
Ero completamente assorto nei miei pensieri, quando una mano mi scosse violentemente una spalla.
- Oh ma sei sordo? -
Guardai Marco con una faccia intontita. 
- Ci sta un tizio che ti chiama da due ore -
Un ragazzino con il cappuccio mi venne incontro di corsa, sembrava affannato.
- A-Alessio! Certo che sei proprio stonato! -
Riconobbi dalla voce che era Riccardo. 
- E-Ehi! Che ci fai qui? -
Si abbassò ancora di più il cappuccio sul viso. 
- Nulla, sono uscito con mia cugina e ti ho visto...volevo solo salutarti -
Guardai oltre il suo esile corpicino, ma non c'era nessuno. 
- Tua cugina è per caso invisibile? -
Mi fulminò con lo sguardo e mi afferrò per un braccio, poi mi trascinò in uno dei vicoli.
- C-c-che vuoi fare? -
- Hai paura di un ragazzo che è tipo la tua metà? -
Sbuffai e mi convinsi a dargli retta, ma non riuscivo a stare del tutto calmo in quel posto.
- Allora, che devi dirmi? -
- Ecco...noi siamo amici, o qualcosa del genere, vero? -
Un allarme si attivò nella mia testa, una marea di pensieri negativi cominciarono a correre a destra e a manca sotto forma di omini versanti in uno stato di panico.
Avevo paura che volesse farmi un discorso sulla stronzata commessa il giorno precedente, mi pentii di nuovo di avergli "confidato" i miei sentimenti. 
"Forse vuole friendzonarmi, sì, decisamente"
- Sì, siamo amici, o una cosa del genere -
- Bene, uhm...potresti aiutarmi a risolvere un problema? -
Si morse il labbro inferiore con esitazione.
- Dipende -
Mi grattai la nuca nell'attesa di ascoltare cosa avesse da dire.
- P-penso che qualcuno mi stia stalkerando -
Sospirai sollevato, non era nulla che riguardasse il giorno precedente; gli omini si sedettero e cominciarono a respirare lentamente per calmarsi.
"Aspetta, Riccardo...stalker...?"
- Eh?! Che intendi? -
Cominciai a tremare come una foglia, altro che sollievo, potei immaginare le teste degli omini scoppiare una a una, con tanto di gridolini di terrore.
- S-sì...quando torno da scuola c'è sempre la stessa macchina che mi segue...E ogni volta che mi affaccio al balcone è parcheggiata lì...ho paura -
Cercai di raccogliere un po' di coraggio, certamente ne sapevo qualcosa, ma se era lo stesso uomo che pedinava me...allora non potevo essere sicuro di dargli informazioni corrette, e se fosse stato tutto frutto della mia immaginazione? 
- Ma che dici...tranquillo! Avrà comprato una villetta vicino alla tua e quindi fa la tua stessa strada -
- Sì ma...-
Gli tirai giù il cappuccio e gli diedi una pacca sulla spalla.
- Tranquillo, nessuno avrebbe motivo di stalkerare un nanetto come te -
- O-ok...-
Guardò il suolo con insicurezza, come se ci fosse davvero qualcosa da guardare in quelle mattonelle consumate dal tempo.
- Posso rimanere un po' con voi? -
Annuii in modo assente, ora il suo comportamento era completamente differente: i nostri ruoli si erano invertiti; a scuola era lui che "sosteneva" me, adesso ero io che dovevo badare a lui.
Raggiungemmo gli altri, i quali mi rivolsero occhiate d'intesa con tanto di gomitata in un fianco da parte di Marco, non volevo immaginare quanto mi avrebbero preso in giro in seguito, invece superarono ogni mia aspettativa.
- Piacere, Matteo. Tu sei il fidanzato di Alessio? -
Il mio viso si fece viola per l'imbarazzo, sì, si erano davvero superati, da quando erano diventati così diretti anche davanti alle persone che non conoscevano?
- N-no...-
- Come no? Sei proprio il tipo di ragazzo che gli piacerebbe farsi -

Sab, 24 settembre, sera

- Ehi, ehi! Attento alla merda! -

Mi scansai immediatamente, dovevo ringraziare quel cretino di Marco.

- Ale, ma a che diamine pensi? Guarda dove metti i piedi -

Mi scusai con tono sommesso, come se poi dovessi seriamente chiedere scusa a qualcuno di loro. Non mi andava di aprir bocca quella sera, camminavo a testa bassa, senza in realtà vedere dove stessi andando; rallentavo dinanzi ogni vicolo per paura di incrociare qualcuno, quel qualcuno, sempre se esisteva davvero.

Ero completamente assorto nei miei pensieri, quando una mano mi scosse violentemente una spalla.

- Oh ma sei sordo? -

Guardai Marco con una faccia intontita. 

- Ci sta un tizio che ti chiama da due ore -

Un ragazzino con il cappuccio mi venne incontro di corsa, sembrava affannato.

- A-Alessio! Certo che sei proprio stonato! -

Riconobbi dalla voce che era Riccardo. 

- E-Ehi! Che ci fai qui? -

Si abbassò ancora di più il cappuccio sul viso. 

- Nulla, sono uscito con mia cugina e ti ho visto...volevo solo salutarti -

Guardai oltre il suo esile corpicino, ma non c'era nessuno. 

- Tua cugina è per caso invisibile? -

Mi fulminò con lo sguardo e mi afferrò per un braccio, poi mi trascinò in uno dei vicoli.

- C-c-che vuoi fare? -

- Hai paura di un ragazzo che è tipo la tua metà? -

Sbuffai e mi convinsi a dargli retta, ma non riuscivo a stare del tutto calmo in quel posto.

- Allora, che devi dirmi? -

- Ecco...noi siamo amici, o qualcosa del genere, vero? -

Un allarme si attivò nella mia testa, una marea di pensieri negativi cominciarono a correre a destra e a manca sotto forma di omini versanti in uno stato di panico. Avevo paura che volesse farmi un discorso sulla stronzata commessa il giorno precedente, mi pentii di nuovo di avergli "confidato" i miei sentimenti. 

"Forse vuole friendzonarmi, sì, decisamente"

- Sì, siamo amici, o una cosa del genere -

- Bene, uhm...potresti aiutarmi a risolvere un problema? -

Si morse il labbro inferiore con esitazione.

- Dipende -

Mi grattai la nuca nell'attesa di ascoltare cosa avesse da dire.

- P-penso che qualcuno mi stia stalkerando e...be', non sapevo a chi raccontarlo... -

Sospirai sollevato, non era nulla che riguardasse il giorno precedente; gli omini si sedettero e cominciarono a respirare lentamente per calmarsi.

"Aspetta, Riccardo...stalker...?"

- Eh?! Che intendi? -

Cominciai a tremare come una foglia, altro che sollievo, potei immaginare le teste degli omini scoppiare una a una, con tanto di gridolini di terrore.

- S-sì...quando torno da scuola c'è sempre la stessa macchina che mi segue...E ogni volta che mi affaccio al balcone è parcheggiata lì...ho paura -

Cercai di raccogliere un po' di coraggio, certamente ne sapevo qualcosa, ma se era lo stesso uomo che pedinava me...allora non potevo essere sicuro di dargli informazioni corrette, e se fosse stato tutto frutto della mia immaginazione? 

- Ma che dici...tranquillo! Avrà comprato una villetta vicino alla tua e quindi fa la tua stessa strada -

- Sì ma...-

Gli tirai giù il cappuccio e gli diedi una pacca sulla spalla.

- Tranquillo, nessuno avrebbe motivo di stalkerare un nanetto come te -

- O-ok...-

Guardò il suolo con insicurezza, come se ci fosse davvero qualcosa da guardare in quelle mattonelle consumate dal tempo.

- Posso rimanere un po' con voi? -

Annuii in modo assente, ora il suo comportamento era completamente differente: i nostri ruoli si erano invertiti; a scuola era lui che "sosteneva" me, adesso ero io che dovevo badare a lui. Raggiungemmo gli altri, i quali mi rivolsero occhiate d'intesa con tanto di gomitata in un fianco da parte di Marco, non volevo immaginare quanto mi avrebbero preso in giro in seguito, invece superarono ogni mia aspettativa.

- Piacere, Matteo. Tu sei il fidanzato di Alessio? -

Il mio viso si fece viola per l'imbarazzo, sì, si erano davvero superati, da quando erano diventati così diretti anche davanti alle persone che non conoscevano?

- N-no...-

- Come no? Sei proprio il tipo di ragazzo che gli piacerebbe farsi -

Riccardo si voltò verso di me, in tutta risposta lo guardai con smarrimento.

- La volete finire?! È solo un mio compagno di classe...-

- Ciò non toglie che sei un frocio -

Mi voltai immediatamente verso il più piccolo cercando di scorgere la sua reazione, ma la sua espressione non si alterò affatto.

Volevo che la smettessero, se quel tizio spaventoso fosse stato nei paraggi mi avrebbe sicuramente tormentato di nuovo.

- Okay, okay, Riccardo...andiamo -

Lo afferrai per un braccio e lo costrinsi a tenere il mio stesso passo veloce. 

Gli misi il casco in mano e aspettai che lo mettesse, poi partii, intenzionato a tornare a casa mia il più in fretta possibile.

Lo lasciai davanti alla porta della sua villetta, senza neanche scendere per accompagnarlo.

- Buonanotte -

Ero pronto a ripartire, quando lui richiamò la mia attenzione.

- A-aspetta... se vuoi puoi rimanere da me..-

Lo vidi rigirarsi i pollici con imbarazzo.

- Perché? Ci conosciamo a mala pena -

- È...è che ho paura -

Alzai gli occhi al cielo.

- Non c'è nessuno stalker, te l'ho detto -

Avviai il motore senza voltarmi verso di lui, non volevo vedere la sua espressione ferita, non volevo sentirmi in colpa. 

 

Dom, 25 settembre, notte

Non riuscivo a non pensarci: se Riccardo si era mostrato così preoccupato dinanzi a me, allora lo era davvero; lo conoscevo poco, certo, ma abbastanza bene da sapere che non avrebbe lasciato cadere tanto facilmente la maschera di sicurezza e "prepotenza" che indossava a scuola. 

Ormai era tutto così strano che non produceva neanche più un effetto straniante. Quando pensavo a Riccardo il cuore non mi batteva forte, anzi, sembrava che non battesse per niente; quando lo guardavo negli occhi non mi sentivo mancare il respiro, mi limitavo semplicemente a viverci, in quegli occhi. E avevo bisogno proprio di quello, di stare in pace. Non mi era mai piaciuto recitare la parte del ragazzino innamorato, eppure con le persone precendenti era stato diverso: mi chiedevo spesso cosa stessero facendo, se stessero pensando a me, se il cuore battesse a mille contro il loro petto ogni volta che mi vedevano, così come faceva il mio; forse perché non ero realmente innamorato. 

Quel ragazzino non mi suscitava assolutamente nulla, nulla di ciò che spingeva i poeti a dedicare intere opere alle persone amate, nulla che mi forzasse a fare pazzie, nulla mi tenesse sveglio la notte. Mi alzai dal letto per il semplice fatto che mi andava di farlo, non perché ero preoccupato. Presi il cellulare e scorsi in fretta la rubrica, per poi rendermi conto di non avere il suo maledetto numero. Mi rimisi sul letto e finalmente chiusi gli occhi. 

 

Lun, 26 settembre, mattina

Trascorsi l'intera domenica sommerso dal nulla più assoluto: letto, pioggia, letto, pioggia, letto, pioggia e così via. 

Immergersi nuovamente nel caos scolastico fu una vera botta in fronte. 

Adocchiai subito Riccardo e mi sedetti accanto a lui, non sembrava affatto turbato.

- Allora? Niente stalker l'altra notte? -

Il ragazzino sorrise e sembrò alquanto sollevato, forse dal suo stesso sorriso.

- Mhhh, no, niente stalker -

Rimise la faccia nei libri e la nostra conversazione terminò lì.

 

Mar, 27 settembre, mattina

Il pensiero di quell'uomo era ormai lontano anni luce, mi convinsi della sua non-esistenza e della mia "spiccata fantasia" (come piaceva definirla alla mia vecchia psicologa). 

- Hey! -

Il piccoletto mi raggiunse dinanzi all'entrata dell'edificio, aveva in mano due pezzi di carta e me li sventolava in faccia.

- Cosa sono? -

- Biglietti per il Luna Park! -

- Luna Park? -

Lo guardai stranito.

- Sì, quello nuovo! Non lo sapevi? -

In realtà non credevo che nel nostro paese esistessero dei Luna Park, in ogni caso non sapevo dove volesse andare a parare.

- Andiamoci insieme -

- Che?! Ti sembro un tipo che va a divertirsi sulle giostrine? -

Riccardo mise il broncio.

- Ti prego, è un po' lontano... quindi non mi lascerai andare a piedi, vero? -

- Ah ecco, devi scroccarmi un passaggio! Non sei un po' troppo grande per voler andare al Luna Park? -

- Ecco... non sono mai andato alle giostre...-

La mia mente mi riportò immediatamente alla madre di Riccardo, a come lui aveva insistito nel farmi nascondere: capii all'istante che quella donna non doveva essere stata molto presente nella vita del figlio. 

Credo che il mio sguardo si fosse intenerito parecchio, perché notai un abbozzo di sorriso sulle sue labbra e un lampo di vittoria nei suoi occhi, proprio come un bambino che viene accontentato dal proprio genitore.

- Va bene -

Presi un biglietto e lessi le informazioni.

- Domani passo a prenderti alle venti, fatti trovare davanti casa, mi raccomando, adesso entriamo in classe -

Il suo volto s'illuminò, sorrisi anche io.

 

Mer, 28 settembre, sera

Fermatomi nel vialetto di casa sua, lo scorsi subito dinanzi alla porta. Mi venne incontro e iniziò a sistemarsi.

- Sei pronto? -

Mi voltai verso di lui, aveva un'espressione indecifrabile stampata sul viso e profumava maledettamente.

- Sì -

Era possibile scorgere le luci del parco da quasi un chilometro di distanza, esse si alternavano in continuazione ed erano di tanti colori differenti. Si sollevò una nuvola di terra alla mia sgommata nell'ampio parcheggio, sentii le esili braccia di Riccardo stringersi contro il mio torace e lo canzonai per un paio di minuti, ridendo a ogni sua esclamazione infastidita. La musica era così forte da farmi vibrare il petto; varcammo insieme l'ingresso, mostrando i biglietti alle persone che erano lì di guardia. All'interno della zona dedicata alle varie attrazioni era quasi impossibile muoversi liberamente, vi era pieno di bambini piagnucoloni e adulti annoiati che seguivano i figli iperattivi. 

La bocca di Riccardo si spalancò in un "wow" silenzioso, c'erano così tante giostre e bancarelle che non sapeva dove gettare gli occhi, probabilmente in quel momento avrebbe desiderato averne qualche paio in più. 

- Dove vuoi andare? -

Dovetti ripetere la domanda quattro volte prima che mi sentisse in mezzo a quel casino assurdo; indicò le montagne russe.

- Cosa?! -

Non potei neanche protestare ulteriormente, perché aveva già incrociato le sue dita alle mie e mi stava conducendo dinanzi alla biglietteria per salire su quella giostra mostruosa. 

Una giovane ragazza ci illustrò il percorso che avrebbe fatto il "trenino" con un sorriso forzato sul viso, probabilmente a ogni nuovo giro non vedeva l'ora che qualche cintura fosse guasta e che qualcuno si schiantasse a terra, giusto per rendere la serata più elettrizzante.

Il giro sulla giostra fu una delle esperienze più traumatiche della mia vita, classificata al secondo posto dopo la gita a Roma in terza media, durante la quale avevo dato quasi fuoco all'intero albergo. Non avevo fatto altro che urlare come un disagiato, mentre Riccardo rideva come se quella fosse davvero una cosa emozionante.

- I-io non salirò mai più su quell'affare -

Mi tenni lo stomaco e trattenni un conato di vomito.

- Devi andare al bagno? -

Più che preoccupato, il più piccolo sembrava alquanto divertito dalla situazione. 

- No -

Gli lanciai un'occhiataccia, dopodiché ci inoltrammo nuovamente nella marea di gente.

- Oddio! Ale, vinci un pupazzo! -

"Ale?", già era passato ai diminutivi, e io come avrei dovuto chiamarlo? 

- Non so tenere in mano quell'aggeggio -

Guardai con distacco le pistole.

- Dai, dai! Voglio il porcellino! -

E come facevo a dirgli di no? Se non lo avessi assecondato io, non sarebbe mai più cresciuto. 

Mi rivolsi gentilmente all'omaccione che gestiva la bancarella e gli chiesi di fare qualche tiro. 

- Vai!! No, non così! Ecco...! -

Riccardo non la smetteva di agitarsi, il che mi metteva molta pressione. Dovetti affrontare la sua espressione delusa quando mi venne consegnato un misero coniglietto celeste. 

Richiamai nuovamente l'attenzione del grosso uomo, che mi rivolse un sguardo ostile.

- E-ehm...mi scusi, non si potrebbe avere il porcellino invece di questo? -

Il tizio scosse la testa e mi disse che ci volevano altri cento punti per avere quel pupazzo, ma non ce l'avrei mai fatta. Infilai una mano in tasca ed estrassi il portafogli.

- Quanto vuole per il porcellino? -

L'uomo sembrò scocciato dalla mia proposta ma, alla visione dei soldi che avevo buttato sul bancone, cambiò totalmente espressione. Afferrò la banconota e sollevò un braccio per raggiungere il "premio". 

Riccardo spalancò le braccia e affondò il viso nel morbido pelo rosa del maialino.

- Grazie, grazie, grazie! -

Le sue guance ora erano di un colore simile al rosso, che fosse imbarazzato? Oppure fin troppo felice?

Passammo dinanzi a un sacco di bancarelle, comprese quelle che vendevano il cibo, una in particolare catturò la mia attenzione.

- Hey, ti va lo zucchero filato? -

- Che cos'è? -

Si rivolse con sguardo assente verso la bancarella, poi il suo volto si illuminò alla vista di un bambino con un bastoncino di zucchero filato in mano.

- Sì! -

Lo osservai mentre cercava di mangiare senza sporcarsi e scuoteva le mani nel tentativo di non renderle appiccicose. Una ciocca di capelli era tenuta ferma dietro un orecchio, mi persi nella contemplazione del suo collo, avrei voluto affondarci il viso, sicuro che il sapore della sua pelle fosse cento volte migliore della nuvola di zucchero rosa che stava gustando. 

Ci accomodammo su un muretto stabile, dietro un camion che vendeva hot dog e pizzette. 

Era semplicemente adorabile, con lui mi sentivo davvero in pace. 

Premetti le labbra sulle sue in un goffo bacio a stampo, cogliendolo di sorpresa; prima che potesse sottrarsi, catturai il suo mento con una mano e schiusi la bocca, nell'attesa che lui facesse lo stesso. Lasciai entrare la lingua con naturalezza, senza foga, senza fretta. Intrecciai la mia lingua alla sua e ne assaporai il dolce gusto dello zucchero filato; non mi era mai piaciuto particolarmente, ma si sposava perfettamente con le sue labbra. Mi staccai con una timidezza che non credevo mi appartenesse e lo guardai con un'espressione che citava "allora, che ne pensi?", lui mi sorrise con fare scherzoso e affondò nuovamente il viso nella nuvola d'ovatta rosa, come se non fosse successo nulla, come se non fossi perdutamente e inevitabilmente innamorato di lui.

 

 

 

Note dell'autore:

Scusate per il ritardo! Oggi vi lascio con questo capitolo che adoro; forse la parte dello zucchero filato è troppo fluff, ma non avrei potuto descrivere un loro primo bacio "migliore". Scusate per le brutte parole che faccio dire agli amici di Alessio, ma devono essere antipatici e basta u.u

Buona serata, spero che continuiate a leggere la mia storia!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. ***


 

Mer, 28 settembre, notte
Era quasi mezzanotte quando lo lasciai davanti casa, era quasi mezzanotte quando infilai le chiavi nella serratura con un sorriso da ebete stampato in faccia, era quasi mezzanotte quando calpestai un liquido scuro sul pavimento, era mezzanotte quando accesi la luce e vidi mio padre riverso in una pozza di sangue con gli occhi sbarrati, la bocca serrata, i pugni stretti, lo sguardo spento, il viso pallido, morto.
Gio, 29 settembre, notte
Non ricordavo da quanto tempo fossi seduto sulla quella scomodissima poltrona con una coperta rossa sulle spalle e i denti che battevano forte. Di tanto in tanto passava qualcuno per lasciarmi qualche timida carezza su un braccio o delle parole che non erano per nulla di conforto. Non sapevo nemmeno dove fossi né come ci fossi finito, di una cosa ero certo: mio padre era morto. 
Fra tanti visi tutti uguali e pieni di compassione ne scorsi uno che mi destò da quel maledetto incubo. Mia madre si avvicinò a passo veloce e mi abbracciò forte, ma non potei fare niente di niente, il mio corpo era intorpidito. Si mise a piangere e singhiozzare rumorosamente, tirando su con il naso, ci guardavano tutti; cos'avevano da guardare? Li odiavo perché guardare era l'unica cosa che potessero fare, erano impotenti. Cominciai a odiare perfino quella donna che mi stava sussurrando parole rotte e incomprensibili, volevo solo andarmene di lì e stare da solo, lontano dalle idee sbagliate. Cosa credevano, che sarei andato ad ammazzarmi? Sicuramente sarebbe stato di gran lunga migliore che stare con loro, ma non ero quel tipo di persona, ce l'avrei fatta. 
Mi stesi finalmente su quel letto che non vedevo da anni, dopo qualche minuto venne anche mia madre e si sedette accanto a me; cominciò a passarmi una mano fra i capelli con dolcezza e non la finiva di fissarmi con quello sguardo compassionevole. La odiavo, era così maledettamente debole, cosa pensava di risolvere piangendomi addosso e poi cercando di consolarmi? Non lo aveva mai fatto in vita sua e nessuno dei due ne aveva mai avuto bisogno, men che meno in quel momento. Dove voleva andare a parare?
- Solo adesso mi accorgo di quanto tu sia cresciuto, sei diventato davvero un bel ragazzo...mi ricordi tuo padre -
Ecco, solito discorso da film. Io, bello? Certo, avrei potuto far parte del cast de "La Famiglia Addams" come terzo figlio, o magari ottenere qualche ruolo in uno dei vari film sul Conte Dracula. In ogni caso non assomigliavo per niente a mio padre, lui sembrava sempre appena tornato da una vacanza alle Hawaii, io dalla Transilvania; perfino i nostri caratteri erano incompatibili, oppure mia madre intendeva dire un'altra cosa: sarei morto nel suo stesso modo.
Le chiesi gentilmente di uscire dalla stanza e ficcai la testa sotto il cuscino, quella notte non mi andava di sentire neanche lo scroscio della pioggia.
Gio, 29 settembre, mattina
Quando mi presentai in cucina vestito, mia madre si lasciò sfuggire un verso di disapprovazione.
- Torna a letto -
- Ma devo andare a scuola - 
Mi guardò come se fossi la persona più strana del mondo, poi appoggiò la tazza di caffè sul tavolo con decisione.
- Ascolta, capisco che per te sia stata una bella batosta, ma devi essere paziente, domani ti porterò da uno psichiatra, okay? -
- Che?! -
Fece un respiro profondo.
- Spesso i ragazzi della tua età non si rendono conto della gravità di alcuni avvenimenti, forse non hai ancora realizzato che tuo padre...-
Trattenne il fiato, poi serrò le labbra.
- Mamma, accompagnami a casa mia e fammi prendere lo zaino -
Aggrottò le sopracciglia, poi si diresse verso la sua camera da letto per vestirsi.
Non appena ebbi messo piede in classe, tutti si voltarono a guardarmi. Il professore mi rivolse uno sguardo penoso che feci finta di non notare.
Al solito banco mi aspettava Riccardo, non riuscii a decifrare la sua espressione.
- Ciao -
In risposta spinse sulla superficie del banco un paio di monete.
- Per lo zucchero filato di ieri -

Mer, 28 settembre, notte

Era quasi mezzanotte quando lo lasciai davanti casa, era quasi mezzanotte quando infilai le chiavi nella serratura con un sorriso da ebete stampato in faccia, era quasi mezzanotte quando calpestai un liquido scuro sul pavimento, era mezzanotte quando accesi la luce e vidi mio padre riverso in una pozza di sangue con gli occhi sbarrati, la bocca serrata, i pugni stretti, lo sguardo spento, il viso pallido, morto.


Gio, 29 settembre, notte

Non ricordavo da quanto tempo fossi seduto sulla quella scomodissima poltrona con una coperta rossa sulle spalle e i denti che battevano forte. Di tanto in tanto passava qualcuno per lasciarmi qualche timida carezza su un braccio o delle parole che non erano per nulla di conforto. Non sapevo nemmeno dove fossi né come ci fossi finito, di una cosa ero certo: mio padre era morto.

Fra tanti visi tutti uguali e pieni di compassione ne scorsi uno che mi destò da quel maledetto incubo. Mia madre si avvicinò a passo veloce e mi abbracciò forte, ma non potei fare niente di niente, il mio corpo era intorpidito. Si mise a piangere e singhiozzare rumorosamente, tirando su con il naso, ci guardavano tutti; cos'avevano da guardare? Li odiavo perché guardare era l'unica cosa che potessero fare, erano impotenti. Cominciai a odiare perfino quella donna che mi stava sussurrando parole rotte e incomprensibili, volevo solo andarmene di lì e stare da solo, lontano dalle idee sbagliate. Cosa credevano, che sarei andato ad ammazzarmi? Sicuramente sarebbe stato di gran lunga migliore che stare con loro, ma non ero quel tipo di persona, ce l'avrei fatta. Mi stesi finalmente su quel letto che non vedevo da anni, dopo qualche minuto venne anche mia madre e si sedette accanto a me; cominciò a passarmi una mano fra i capelli con dolcezza e non la finiva di fissarmi con quello sguardo compassionevole. La odiavo, era così maledettamente debole, cosa pensava di risolvere piangendomi addosso e poi cercando di consolarmi? Non lo aveva mai fatto in vita sua e nessuno dei due ne aveva mai avuto bisogno, men che meno in quel momento. Dove voleva andare a parare?

- Solo adesso mi accorgo di quanto tu sia cresciuto, sei diventato davvero un bel ragazzo...mi ricordi tuo padre -

Ecco, solito discorso da film. Io, bello? Certo, avrei potuto far parte del cast de "La Famiglia Addams" come terzo figlio, o magari ottenere qualche ruolo in uno dei vari film sul Conte Dracula. In ogni caso non assomigliavo per niente a mio padre, lui sembrava sempre appena tornato da una vacanza alle Hawaii, io dalla Transilvania; perfino i nostri caratteri erano incompatibili, oppure mia madre intendeva dire un'altra cosa: sarei morto nel suo stesso modo. Le chiesi gentilmente di uscire dalla stanza e ficcai la testa sotto il cuscino, quella notte non mi andava di sentire neanche lo scroscio della pioggia.


Gio, 29 settembre, mattina

Quando mi presentai in cucina vestito, mia madre si lasciò sfuggire un verso di disapprovazione.

- Torna a letto -

- Ma devo andare a scuola - 

Mi guardò come se fossi la persona più strana del mondo, poi appoggiò la tazza di caffè sul tavolo con decisione.

- Ascolta, capisco che per te sia stata una bella batosta, ma devi essere paziente, domani ti porterò da uno psichiatra, okay? -

- Che?! -

Fece un respiro profondo.

- Spesso i ragazzi della tua età non si rendono conto della gravità di alcuni avvenimenti, forse non hai ancora realizzato che tuo padre...-

Trattenne il fiato, poi serrò le labbra.

- Mamma, accompagnami a casa mia e fammi prendere lo zaino -

Aggrottò le sopracciglia, poi si diresse verso la sua camera da letto per vestirsi.

Non appena ebbi messo piede in classe, tutti si voltarono a guardarmi. Il professore mi rivolse uno sguardo penoso che feci finta di non notare.Al solito banco mi aspettava Riccardo, non riuscii a decifrare la sua espressione.

- Ciao -

In risposta spinse sulla superficie del banco un paio di monete.

- Per lo zucchero filato di ieri -

Sorrisi al ricordo di ciò che era successo fra di noi, lui però non si permise di fare lo stesso.

- Puoi tenerle, era un regalo -

Ritirò la mano e se le mise in tasca.

Al suono dell'ultima campanella mi trattenne per un braccio, attendendo che fossero usciti tutti.

- Mi dispiace per tuo padre -

- Non ti preoccupare, passerà -

- Non sono preoccupato, so che passerà...a me è passato -

Lo guardai con aria interrogativa.

- Anche tuo padre è...? -

Annuì prima che potessi completare la frase, d'altronde era meglio così.

- Com'è successo? -

Il suo sguardo si rattristò, non era passato per niente. 

- Omicidio -

Il mio cuore perse un battito, quella parola mi colpì in pieno. Omicidio, solo in quel momento realizzai che anche mio padre era morto per mano di qualcun altro.

- Hanno trovato l'assassino? -

- N-no... però io so chi è -

Rabbrividii.

- In che senso? -

- L'ho visto, ma non ricordo la sua faccia -

Una seconda scossa mi percorse dalla testa ai piedi; istintivamente voltai la testa e lo vidi: quell'uomo mi fissava ossessivamente attraverso il vetro della finestra che mi stava di fronte. Urlai e, senza neanche pensarci, mi coprii il viso e mi accasciai a terra in una massa di carne e ossa scossa continuamente dai tremiti. 

Riccardo si voltò di scatto verso la finestra, volevo fermarlo, ma non sarebbe comunque servito a nulla. 

- C-che hai visto?! Non c'è niente! -

Mi aiutò a tirarmi su e mi rivolse uno sguardo di sincera preoccupazione.

- Nulla...io... credo di essere ancora un po' scosso per ieri... -

- E hai ragione...non saresti dovuto venire a scuola, hai la testa dura -

 

Ven, 5 ottobre, sera

Saltai la scuola per un'intera settimana, non uscii di casa né mi azzardai a muovermi dal letto. 

Fuori imperversava un temporale che metteva paura: verso le ventidue era saltata la corrente già tre volte. 

Ogni pomeriggio Riccardo mi mandava le foto dei compiti e degli appunti su Facebook, finché non decidemmo di scambiarci i numeri per parlare più agevolmente. 

Come va?  

                                      Diciamo...

Capisco, ti stai godendo il temporale?

                                      Come no! 

Io sono rimasto al buio... >_<

                                       Ahahah, sfigato 

Stupido

Adesso vado a dormire, a domani <3

                                        AAAH

Che cosa?! 

                                        Un cuore

                                        Che schifo

Bleeeh

                                        Buonanotte ;)

Buonanotte...

Spensi il cellulare e mi decisi finalmente a chiudere gli occhi.

 

Sab, 6 ottobre, mattina

Feci colazione con gli ippopotami di cioccolata richiesti personalmente a mia madre, poi mi gettai sul divano e presi a fissare il tappeto; ah, quante volte ci avevo vomitato da piccolo, strano che non fosse già a marcire in qualche inceneritore. 

Al trillo del cellulare mi rialzai immediatamente.

- Riccardo? -

- Hey! Come va la tua vita da vecchietto confinato in un ospizio? -

- Benissimo...che vuoi? -

- Ti va di uscire oggi pomeriggio? -

Al solo pensiero rabbrividii.

- Ehm...ecco...-

- Guarda che lo so che non hai niente da fare...E so anche che non hai voglia di uscire, ma non puoi stare a fare la muffa sul letto! -

- Guarda che sto sul divano -

- Hai fatto progressi...-

- Già -

- Grrr, alza il sedere da lì e passa a prendermi alle cinque! -

- E dove andiamo? -

- Dove vuoi tu, l'importante è che tu esca di casa -

Lo congedai con un "ok" e terminai la chiamata, poi ripresi la mia interessante attività da nullafacente.

 

Sab, 6 ottobre, pomeriggio

- Ah, finalmente! -

Lo guardai male.

- Te la sei presa davvero per dieci minuti di ritardo? -

- Dieci? Dieci?! Ti avevo detto di passare alle cinque e sono le sei e dieci! -

- Ah...be', credo che il mio orologio vada un'ora avanti -

- Io credo che tu sia un cretino! -

- Hey, hey, nanerottolo, placati -

Lo sentii sbuffare dietro di me, il suo alito caldo mi arrivò sulla nuca facendomi venire la pelle d'oca. 

- Allora, dove andiamo? -

Fui costretto a gridare per farmi sentire al di là del frastuono del vento e del motore.

- Al parco pubblico va bene? -

Accettai la sua proposta di malavoglia, quel posto non mi piaceva più di tanto, mi ricordava solo quanto fossero idioti i miei amici. 

Le giornate ormai si stavano accorciando parecchio, era quasi buio e se non fosse stato per quei due o tre lampioni malridotti non avremmo visto un bel niente. Accostai davanti a un marciapiede e oltrepassammo il cancello. Riccardo si sedette su un'altalena che a malapena si reggeva in piedi, piena di scritte con pennarelli e correttore; le corde producevano uno strano rumore e sembravano non reggere neanche il suo peso. 

- Oh uff, questo parco fa davvero schifo -

Di nuovo quell'espressione da bambino deluso.

- Be'? Non lo sapevi? -

- No...non ci vengo da un sacco di tempo-

Si grattò la nuca imbarazzato.

- Uhm, che ne dici di scavalcare quel muretto e andare nel parco privato?

- Eh? C'è un altro parco?! -

- Sì, lì le giostre sono presentabili -

Scese immediatamente dall'altalena e cominciò a seguirmi ma, non appena si ritrovò dinanzi al "muretto", deglutì preoccupato.

- Davvero credi che io riesca a superare quel coso? Voglio dire...a sento arrivo ai centosessanta centimetri...-

Non potei trattenere una risata.

- Giusto, dimenticavo che sei un nano -

Mi avvicinai e lo sollevai di peso, mentre lui non faceva altro che pregarmi di metterlo giù. 

- Ale!! Finiscila...! -

Iniziò a muovere i piedi freneticamente. 

- Uff, ti odio! -

- Sisi, continua a lamentarti...intanto dovresti solo ringraziarmi -

- Zitto! -

- Rispetta le persone più grandi di te -

- Pfff -

Dopo varie urla e imprecazioni, riuscimmo a raggiungere il piccolo parco e Riccardo fece per fiondarsi subito su un'altalena, ma lo trattenni: seduti su uno scivolo c'erano i miei "amici", i cui volti erano illuminati solamente dallo schermo di un cellulare. 

- Ale...? Che c'è? -

Gli intimai di fare silenzio, ignorando la sua espressione confusa.

- Oddio, quel frocio ci è cascato sul serio! E anche di brutto...-

Non capivo, poi sentii una voce che non conoscevo.

- La prossima volta dove mi faccio trovare? Sotto la sella del suo motorino?-

Mi mancò l'aria, la vista mi si offuscò, cosa stava succedendo?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. ***


 

Sab, 6 ottobre, sera
Tesi entrambe le orecchie nella speranza di sentire il più possibile; Riccardo mi appoggiò una mano sulla schiena e mi chiese nuovamente cosa fosse successo ma, anche se avessi voluto, non avrei potuto rispondergli perché avevo le labbra serrate e il cuore in gola.
- Io penso che dovremmo smetterla, gli è appena morto il padre e non credo che gli faccia piacere essere preso per il culo...-
- Matteo, perché devi sempre rompere le palle? Se non sei d'accordo vattene da un'altra parte -
Matteo annuì e si alzò dallo scivolo; stava per scavalcare il muro e temevo che mi vedesse, per fortuna fu interrotto dallo squillo del suo cellulare. Mentre era impegnato a parlare, io e Riccardo scavalcammo il muretto facendo meno rumore possibile e tornammo nel vecchio parco giochi.
- Allora, mi vuoi dire che diavolo sta succedendo?! -
- Nulla, quelli erano i miei amici -
- Lo so, ma perché ci siamo nascosti? -
Gli diedi una leggera spinta facendolo allontanare.
- Senti, non è giornata -
Vidi la sua espressione variare da preoccupazione a nervosismo.
- E allora potevi anche evitare di accettare l'invito! -
Sbatté il cellulare a terra e corse via, fin troppo lontano da me; eppure non feci neanche un passo, non mossi neanche un muscolo, lo lasciai semplicemente andare. Stetti immobile a fissare la sua figura finché non scomparve, poi mi piegai e raccolsi il suo telefono; lo schermo ormai era irrecuperabile.
Decisi di tornarmene a casa, e per casa intendevo quella in cui mia madre mi aveva proibito di mettere piede. 
Oltrepassai i segnali che negavano l'accesso e infilai le chiavi nella serratura, quando le girai produssero uno rumore sordo e metallico. La casa odorava di chiuso e l'aria era pesante, ma mai quanto la tensione che in quel momento mi gravava sulle spalle. Il pensiero che qualcun altro fosse stato lì, con l'intenzione di porre fine alla vita di mio padre, mi fece rabbrividire e mi strinsi nella felpa. Quella stessa felpa mi era stata regalata da lui il giorno del mio ultimo compleanno: aveva dimenticato di comprare un regalo, quindi si era presentato a casa con una ciambella e una felpa nera senza alcun significato.
Accesi la luce, ci mise qualche secondo prima di smettere di tremolare. Sul pavimento non c'era alcuna traccia di sangue, quella casa era semplicemente vuota, sembrava che i suoi vecchi abitanti fossero partiti, stanchi di vivere lì e pronti ad abbandonarla per sempre. Entrai nella mia stanza, era rimasta esattamente così come l'avevo lasciata: il letto sfatto, la scrivania sottosopra, i panni sporchi sulla sedia e la tapparella abbassata solo a metà. Quando la mattina precedente ero entrato per prendere lo zaino, non avevo toccato nulla, né avevo fatto caso a tutte quelle cose.
Invidiai il me stesso che era uscito da quella stanza disordinata, caotica come la sua testa vuota, ignaro del fatto che suo padre sarebbe morto di lì a poche ore, no, non morto, sarebbe stato ucciso. Strinsi i pugni e mi gettai sul letto, affondai la faccia nel cuscino e finalmente mi sfogai: piansi per secondi, minuti, ore, non lo sapevo. Urlai e strappai a morsi la fodera del cuscino; no, non era stata una semplice morte, era stata una grave perdita, una perdita che faceva male al cuore e prendeva a calci lo stomaco, una perdita che infestava la mia mente e divorava quei pochi pensieri positivi sopravvissuti all'inutile e noiosa vita che conducevo ogni giorno. La mia testa era un luogo buio e freddo, esattamente come quella stanza, esattamente come la risata che riecheggiò fra le pareti. Mi tirai su con uno scatto e afferrai la sveglia.
"Gliela tirerò in testa, sì"
Strinsi le dita attorno all'oggetto fino a farle diventare bianche, ero sicuro che se avessi provato a lanciarla non si sarebbe staccata dalla mia mano. 
- C-chi sei?! -
Vidi la maniglia abbassarsi, come mossa da una mano invisibile, mentre in realtà c'era qualcuno dall'altra parte della porta e io sapevo fin troppo bene chi fosse. 

Sab, 6 ottobre, sera

Tesi entrambe le orecchie nella speranza di sentire il più possibile; Riccardo mi appoggiò una mano sulla schiena e mi chiese nuovamente cosa fosse successo ma, anche se avessi voluto, non avrei potuto rispondergli perché avevo le labbra serrate e il cuore in gola.

- Io penso che dovremmo smetterla, gli è appena morto il padre e non credo che gli faccia piacere essere preso per il culo...-

- Matteo, perché devi sempre rompere le palle? Se non sei d'accordo vattene da un'altra parte -

Matteo annuì svogliatamente e si alzò dallo scivolo; stava per scavalcare il muro e temevo che mi vedesse, per fortuna fu interrotto dallo squillo del suo cellulare. Mentre era impegnato a parlare, io e Riccardo scavalcammo il muretto facendo meno rumore possibile e tornammo nel vecchio parco giochi.

- Allora, mi vuoi dire che diavolo sta succedendo?!-

- Nulla, quelli erano i miei amici -

- Lo so, ma perché ci siamo nascosti? -

Gli diedi una leggera spinta e lo feci allontanare.

- Senti, non è giornata -

Vidi la sua espressione variare da preoccupazione a nervosismo.

- E allora potevi anche evitare di accettare l'invito!-

Sbatté con forza il cellulare a terra e corse via, fin troppo lontano da me; eppure non feci neanche un passo, non mossi neanche un muscolo, lo lasciai semplicemente andare. Stetti immobile a fissare la sua figura finché non scomparve, poi mi piegai e raccolsi il suo telefono; lo schermo ormai era irrecuperabile.

Decisi di tornarmene a casa, e per casa intendevo quella in cui mia madre mi aveva proibito di mettere piede. Oltrepassai i segnali che negavano l'accesso e infilai le chiavi nella serratura, quando le girai produssero uno rumore sordo e metallico. La casa odorava di chiuso e l'aria era pesante, ma mai quanto la tensione che in quel momento mi gravava sulle spalle. Il pensiero che qualcun altro fosse stato lì, con l'intenzione di porre fine alla vita di mio padre, mi fece rabbrividire e mi strinsi nella felpa. Quella stessa felpa mi era stata regalata da lui il giorno del mio ultimo compleanno: aveva dimenticato di comprare un regalo, quindi si era presentato a casa con una ciambella e una felpa nera senza alcun significato.

Accesi la luce, ci mise qualche secondo prima di smettere di tremolare. Sul pavimento non c'era alcuna traccia di sangue, quella casa era semplicemente vuota, sembrava che i suoi vecchi abitanti fossero partiti, stanchi di vivere lì e pronti ad abbandonarla per sempre. Entrai nella mia stanza, era rimasta esattamente così come l'avevo lasciata: il letto sfatto, la scrivania sottosopra, i panni sporchi sulla sedia e la tapparella abbassata solo a metà.

Quando la mattina precedente ero entrato per prendere lo zaino, non avevo toccato nulla, né avevo fatto caso a tutte quelle cose.Invidiai il me stesso che era uscito da quella stanza disordinata, caotica come la sua testa vuota, ignaro del fatto che suo padre sarebbe morto di lì a poche ore, no, non morto, sarebbe stato ucciso. Strinsi i pugni e mi gettai sul letto, affondai la faccia nel cuscino e finalmente mi sfogai: piansi per secondi, minuti, ore, non lo sapevo. Urlai e strappai a morsi la fodera del cuscino; no, non era stata una semplice morte, era stata una grave perdita, una perdita che faceva male al cuore e prendeva a calci lo stomaco, una perdita che infestava la mia mente e divorava quei pochi pensieri positivi sopravvissuti all'inutile e noiosa vita che conducevo ogni giorno.

La mia testa era un luogo buio e freddo, esattamente come quella stanza, esattamente come la risata che riecheggiò fra le pareti. Mi tirai su con uno scatto e afferrai la sveglia.

"Gliela tirerò in testa, sì"

Strinsi le dita attorno all'oggetto fino a farle diventare bianche, ero sicuro che se avessi provato a lanciarla non si sarebbe staccata dalla mia mano. 

- C-chi sei?! -

Vidi la maniglia abbassarsi, come mossa da una mano invisibile, mentre in realtà c'era qualcuno dall'altra parte della porta e io sapevo fin troppo bene chi fosse. 

Di nuovo quella voce gelida.

- Alessio, qual buon vento -

Deglutii rumorosamente, poi cercai di raccogliere quanto più coraggio possibile. 

- Q-qual buon vento?! Dovrei dirlo io a te...che ci fai in casa mia? -

Esatto, proprio quando la sua inesistenza era stata confermata dalle parole dei miei amici al parco: credevo che la storia dello stalker fosse opera loro, che volessero solamente farmi spaventare un po', invece era tutto vero.

- Casa tua? Non vedo per quale motivo dovrei rispettare te, quando tu hai fatto esattamente tutto il contrario di ciò che ti avevo detto di fare -

La testa era così pesante che temevo sarebbe potuta cadere da un momento all'altro e rotolare fino ai suoi piedi, così lui l'avrebbe schiacciata e sarebbe finita lì. 

"Decisamente meglio"

Iniziai sul serio a pregare che la testa si staccasse dal mio collo o che il soffitto ci crollasse addosso o che...

- Pensavo che questa ti bastasse come punizione -

Si mise una mano in tasca ed estrasse qualcosa, era un oggetto lungo e abbastanza sottile, intorno al quale luccicava quello che sembrava un anello; indietreggiai di scatto e caddi dal letto sbattendo la testa sul pavimento, iniziai a gridare e a tirarmi i capelli istericamente. Quella era la fede di mio padre, dopo la separazione non aveva mai osato toglierla, la considerava come una forma rispetto nei confronti di mamma.

- E invece hai continuato a disobbedire, sei un bambino cattivo-

Mi alzai da terra e tentai di tirarmi su, ma le ginocchia tremavano irrimediabilmente, quindi rimasi accasciato sul pavimento. 

- Tutti gli amici di Ro erano bambini cattivi, non mi hanno obbedito e ho dovuto punirli...non avrei voluto, ma mi hanno costretto -

"Erano...erano?! Vuol dire che sono morti? Li ha uccisi lui? E io farò la stessa fine..."

Quell'uomo era spietato, matto, sadico, terrificante, disumano. Afferrò l'altra estremità del dito di mio padre con la mano sinistra e fece pressione finché non si spezzò. Quel suono secco mi penetrò fin dentro le ossa, scuotendomi dalla testa ai piedi; ricominciai a gridare, stavolta ancora più disperatamente. Ma la sua voce mi arrivava lo stesso, era come se fosse nella mia testa, la sentivo forte e chiara.

- Ma tu non vuoi fare la stessa fine di quei bambini, vero? Ti darò un'altra possibilità -

Fra i singhiozzi e i sussulti riuscii a cacciar fuori un "sì". 

- Bene, allora stammi a sentire. Tu non ti avvicinerai mai più a lui, non gli rivolgerai mai più la parola, ma soprattutto...non gli dirai nulla di tutto ciò -

Annuii con la testa fra le mani e non ebbi bisogno di guardarlo per capire che era scomparso di nuovo. In quel momento capii due cose: la prima era che non avevo alcuna via di scampo, mi avrebbe trovato ovunque; la seconda era che avrei dovuto abbandonare Riccardo a se stesso, alle sue emozioni mai provate e a quel bacio, forse insignificante per lui, sospeso fra i nostri respiri e i suoi sorrisi da bambino, alle nostre mani che non si erano mai cercate, ma che un giorno si sarebbero trovate per certo, alla mia stanza caotica e alla sua perfettamente in ordine, ai suoi occhi pieni di sogni ancora non scoperti e ai miei vuoti che avrebbero presto smesso di contemplare la sua bellezza, ai suoi lineamenti dolci e ai suoi sguardi di rimprovero, agli esperimenti di chimica il pomeriggio e alle chiacchierate sottovoce durante le lezioni, al suo peluche adagiato sul letto di cui non ricordavo il nome e ai suoi libri di scuola condivisi con me, ai suoi messaggi alle due di notte per sapere come stessi e ai suoi pensieri a cui non avevo mai avuto accesso. Ero con le spalle al muro, costretto a troncare sul nascere l'unico legame che avrebbe potuto salvare entrambi.

 

Lun, 8 ottobre, sera

La televisione di mia madre faceva irrimediabilmente schifo, gli unici canali visibili trasmettevano solo televendite e film porno; in ogni caso non ci misi molto ad adeguarmi. 

Io e il frigorifero diventammo amici in un batter d'occhio, per non parlare della mia emozionantissima relazione con il WC. Ma chi volevo prendere in giro? Quella mattina non mi presentai a scuola, non avevo idea di come far allontanare Riccardo senza rivolgergli la parola, e più che altro non volevo allontanarmi da lui. Avevo ancora il suo cellulare, avrei dovuto restituirglielo nonostante fosse completamente rotto; l'unica possibilità era quella di usare la sua rabbia verso di me come un'arma, d'altronde l'ultima volta che ci eravamo visti se n'era andato con i nervi che gli scoppiavano. Non gli avrei mai più rivolto la parola e avrei fatto finta che non esistesse, almeno così mi avrebbe odiato. 

"Facile a dirsi"

Mi decisi a uscire di casa, tanto non c'era alcun pericolo, giusto? Il meccanismo era semplice: tocco Riccardo = Morte certa; mi faccio i fatti miei e faccio finta che non esista = Vita tranquilla, più o meno. 

Faceva abbastanza freddo, quindi feci per infilare le mani in tasca, ma trovai lo spazio occupato da un pacco di sigarette mezzo vuoto e un accendino.

"Ah, ma allora anche io sono fortunato a volte!"

Ne fumai una, poi due e via con tutto il pacchetto. Mi sentii molto meglio. Dopo una buona mezz'ora arrivai finalmente al centro della città, le luci allegre dei negozi mi tirarono un po' su di morale, era la prima volta che uscivo a piedi da quando avevo il motorino. Mi fermai dinanzi a un locale sulla cui insegna ballava un elfo con un bicchierone di birra in mano e le calze a strisce gialle e verdi. 

- Te lo consiglio, qui i panini sono ottimi -

Mi voltai per trovarmi Matteo di fronte.

- Hey -

- Buonasera, che ci fai in giro da solo? -

- Potrei farti la stessa domanda -

Annuì ed entrammo nel locale affollato; un cameriere ci condusse fino a un tavolo per due e ci diede i menu. 

- Che mi consigli? -

- Il primo panino con un bel bicchiere di birra -

Richiamai l'attenzione dello stesso cameriere e ordinai.

- Tu non mangi? -

- Ho già mangiato a casa -

- Mmh, come vuoi -

In men che non si dica calò il silenzio, in effetti quando uscivo anche con gli altri io e Matteo ci rivolgevamo la parola a mala pena. Ero andato a casa sua un sacco di volte e avevamo fatto insieme sia le elementari che le medie, nonostante Marco fosse stato sempre il mio compagno di banco "prediletto", e pensare che avevo finito per odiarlo. 

Una domanda s'infilò timidamente fra quei pensieri, ma quella timidezza era solo una maschera: era abbastanza robusta da uscire dalle mie labbra prima che potessi fermarla.

- Perché mi difendi sempre? -

Lo vidi perplesso, quella era l'ultima domanda che si aspettava.

- In che senso? -

- Quando gli altri mi offendono cerchi sempre di cambiare argomento -

- A-ah...-

Si grattò la nuca e iniziò a fissare le mie mani.

- Se non c'è nessun motivo in particolare non fa nulla, lascia stare-

- No, è che...ecco...mi dà fastidio il fatto che ti prendano sempre in giro, tu vai bene così -

Lo guardai incuriosito.

- "Così" come? -

- Esattamente come sei...so che non ti piaci, soprattutto fisicamente -

Era proprio così, non mi ero mai sentito "bello" né lontanamente "carino", mentre tutte le ragazze mi guardavano sempre. Puntualizzo: mi guardavano solamente, per il resto non si azzardavano ad avvicinarsi, ecco perché mi sentivo strano.

- Be', è normale. Ho una faccia poco simpatica -

- Non è vero, per me sei bellissimo -

Allungò un braccio e passò una mano fra i miei capelli, poi scese lungo la guancia fino a lasciarmi una carezza sul collo.

- Sei strano stasera...-

- Lo so, finiscila di farmi quest'effetto -

Mi lasciai sfuggire una risata nervosa.

- Io? Ma se sono meno influente di una pianta -

- I fiori possono significare molte cose -

- Mi stai paragonando a una cosa così allegra come un fiore? Con questa faccia che mi ritrovo? -

- Ti ho detto che sei bellissimo -

- Smettila -

Gli lanciai un pezzetto di carta addosso e distolsi lo sguardo, in realtà ero imbarazzato da quelle parole, e non poco.

Per fortuna arrivò il panino a tirarmi fuori da quella brutta situazione.

Finito di cenare, uscimmo insieme dal locale e decidemmo di fare una passeggiata.

- Lo sai che sta per piovere, vero? -

Guardai i nuvoloni neri che oscuravano perfino la luna. 

- Se si mette a piovere andiamo a casa mia -

Gli sorrisi forzatamente nel tentativo di sollevarlo.

- Hai il motorino? -

Lo guardai sconsolato.

- Ehm...no -

Pertanto ci avviammo poco prima che iniziasse il diluvio universale. Ovviamente mia madre non c'era, probabilmente stava cercando di colmare il vuoto formatosi dopo la morte di papà andando a letto con colleghi a caso. Più che altro ne ero certo, dal momento che l'avevo colta sul fatto un sacco di volte. 

- Vuoi qualcosa da bere? -

Scosse la testa con distrazione e si abbandonò sulla poltrona.

- Che fai, mi fissi? -

- Eh?! -

Indietreggiai fino a sbattere contro il piano da cucina; Matteo si alzò e mi trascinò fino alla poltrona per un braccio. Mi fece sedere e si accomodò sulle mie gambe, dopodiché prese ad accarezzarmi il viso.

- Ultimamente sei sfinito, dovresti riposarti un po' -

- E come pensi che possa riposarmi se mi stai così addosso? -

- Giusto...-

Si piegò su di me e premette le sue labbra sulle mie, fece scivolare la mano lungo il mio fianco e schiuse le labbra, ma lo allontanai con una spinta sul petto.

- Ma che fai? -

Mi passai il dorso della mano sulla bocca e lo guardai confuso, poi optai per un cambio l'argomento.

- Cos'ha intenzione di fare Marco? Cosa c'entro io? -

Matteo parve nuovamente colto alla sprovvista dalla mia domanda.

- Non mi sembra il momento di parlarne...-

- A me sì -

Indurii lo sguardo inducendolo a parlare.

- Volevano farti uno scherzo -

Deglutì con insicurezza, sembrava allarmato da qualcosa.

- Che tipo di scherzo? -

- Farti credere che qualcuno ti stesse seguendo...-

- Quando hanno cercato di spaventarmi? -

La storia era alquanto complessa: non sapevo quali azioni fossero state compiute dal "vero" stalker e quali dal "falso", o almeno non tutte.

- A scuola...quando sei rimasto da solo in classe con Riccardo -

Anuii.

- Solo? -

- Sì...-

Non mi convinceva.

- Allora perché sembri così preoccupato? -

- Perché mi hanno detto di non aprir bocca con nessuno su questo fatto... soprattutto con te -

- E quindi? Non ti ammazzano se non gli dai retta, no? -

"Non è mica nella merda fino al collo come me".

- Sì ma...Marco sa che sono gay -

- Cosa?! E da quando lo saresti? -

- Da quando mi piaci tu -

"Gran risposta, sul serio"

- E giustamente se i tuoi genitori lo venissero a sapere...-

- Già -

Calò un silenzio imbarazzante su di noi, poi fummo distratti dal suono del campanello; lo feci spostare e andai ad aprire.

- Ciao -

Riccardo era davanti a me, si sporgeva sulle punte per cercare di guardare oltre le mie spalle; evidentemente aveva dovuto sospettare qualcosa dopo aver notato l'espressione da imbecille stampata sul mio volto.

- Sono venuto a riprendermi il cellula- ah...vedo che non sei solo -

Mi voltai e constatai che Matteo era proprio dietro di me, lo fulminai con lo sguardo.

- S-sì, te lo prendo subito -

- No, non ti preoccupare...torno un altro giorno -

Mi rivolse le spalle e cominciò a camminare, in quel momento una sensazione di vuoto sconvolse il mio stomaco tanto da mandarmi a terra in un istante. Lo guardai allontanarsi nel buio una seconda volta, non feci caso al ragazzo che dietro di me chiamava il mio nome e mi dava insistenti pacche sulla schiena, mi interessava solo lui; lo raggiunsi con le gambe che tremavano.

- Non tornare mai p...-

Uno sparo squarciò l'aria fresca, seguito di un breve temporale, e un proiettile andò a conficcarsi a gran velocità nel mio ginocchio destro. Urlai con tutta la voce che avevo in corpo, ma il dolore non parve esserne intimorito.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. ***


 

Lun, 8 ottobre, sera
- Ale! Ma che cazzo fai?! -
Strabuzzai gli occhi e deglutii, un nodo enorme parve andare giù per la mia gola.
"Capelli...sembrano capelli"
Un conato di vomito mi costrinse a piegarmi su me stesso, mi sentivo letteralmente uno schifo; la cosa peggiore era che non riuscivo a vedere assolutamente nulla: tutto bianco. 
Avevo incredibilmente caldo, com'era possibile? La maglia si era incollata al mio petto, mi sentivo stretto nella morsa di centinaia di serpenti orribilmente viscidi. 
Un rumore lontano squarciò i miei pensieri per un attimo, uno schiaffo? Sì, sul mio viso. Ne arrivò un altro subito dopo, cominciai a vedere offuscato. C'era una persona davanti a me.
- Ale...? -
Un altro schiaffo.
"Continua...è così piacevole..."
Chiusi gli occhi e gettai la testa all'indietro, non m'importava di nulla. 
- Ma sei idiota?! -
"Sì...sono il più grande idiota mai esistito, però adesso continua...per favore..."
Non credo stessi dicendo quelle cose sul serio, le mie labbra erano secche e sembravano due pezzi di marmo scolpiti erroneamente sul mio viso: non avevano la minima intenzione di rispondere agli impulsi nervosi.
"E questo cos'è?"
Qualcosa mi bagnò una guancia quasi impercettibilmente.
"Sto piangendo...no...non sono io..."
- Ale...-
- Forse sta morendo...-
- Eh?! Ma non dire stronzate -
Era la voce di Riccardo: leggermente acuta, dolce e calda. Mi raggiunse, ovunque mi trovassi.
- R...o...-
Finalmente riuscii ad aprire gli occhi, dovevo smetterla di giocare al ragazzo drogato. Era inginocchiato sull'erba secca e umida, lacrime infinite gli rigavano il viso arrossato dal pianto, il labbro inferiore era trattenuto dai denti, mentre le sue spalle erano visibilmente scosse da violenti singhiozzi. Mi abbracciò forte.
"È il nostro primo abbraccio...credo"
Appoggiò la testa sul mio petto e vi strofinò la faccia.
- Io...noi... pensavamo che fossi morto -
Avrei voluto ridere, ma dalla mia bocca uscì solo un suono rauco.
- Anche io credevo di essere morto...finché non mi hai preso a schiaffi -
Cercai la sua mano e la strinsi forte, tremava. 
- Alessio, sei un coglione -
Mi voltai, accanto a me c'era Matteo che puntava nel buio la luce di una torcia. 
- E quella? Dove l'hai presa? -
Guardò l'oggetto che teneva fieramente in mano e sorrise.
- Ne porto sempre una tascabile, per ogni evenienza -
Tentai di tirarmi su, ma Riccardo era ancora aggrappato al mio collo.
- Perché hai urlato in quel modo? Sei uno scemo -
Non avevo mai collezionato così tanti insulti in una giornata.
- Urlato? Io non ho fatto un bel...ah, sì...ecco...qualcuno mi ha sparato, io...-
Istintivamente mi portai una mano al ginocchio, ma non avvertii alcun dolore né rimase alcuna traccia di sangue. 
- Ma che dici? Non ti ha sparato proprio nessuno, sei diventato pazzo?! -
"Quindi vuol dire che mi sono messo a urlare senza motivo e sono caduto a terra come un sasso, poi, come se non bastasse, sono svenuto e ho fatto la figura del completo idiota...perfetto"
- Per caso ti ho vomitato addosso? -
Ispezionai velocemente il luogo circostante.
- No, però a un certo punto hai iniziato a tossire forte e ti si sono rovesciati gli occhi...-
Rabbrividì, lo stesso feci io a quel ricordo: ero certo di aver ingoiato un grande ammasso di capelli.
Finalmente Riccardo si tolse di dosso e l'enorme situazione d'imbarazzo ebbe fine.
- Mi dispiace se vi ho fatti preoccupare, io...credo di aver guardato troppi horror in questi giorni -
Speravo che l'avessero bevuta, anche se il più piccolo mi guardava con sospetto.
- Va be', io vado... stammi bene -
Matteo mi diede una pacca sulle spalle e si avviò verso la strada.
Riccardo tentò goffamente di tirarmi su, ma ero fin troppo pesante per lui. 
- Faccio io, nanerottolo -
Emise un gemito di disapprovazione e mi osservò con superiorità mentre cercavo invano di alzarmi; tirò con forza verso di sé finché non riuscì a mettermi in piedi, poi mi circondò la vita con un braccio.
- Nanerottolo a chi? -

Lun, 8 ottobre, sera

- Ale! Ma che cazzo fai?! -

Strabuzzai gli occhi e deglutii, un nodo enorme parve andare giù per la mia gola.

"Capelli...sembrano capelli"

Un conato di vomito mi costrinse a piegarmi su me stesso, mi sentivo letteralmente uno schifo; la cosa peggiore era che non riuscivo a vedere assolutamente nulla: tutto bianco. Avevo incredibilmente caldo, com'era possibile? La maglia si era incollata al mio petto, mi sentivo stretto nella morsa di centinaia di serpenti orribilmente viscidi. 

Un rumore lontano squarciò i miei pensieri per un attimo, uno schiaffo? Sì, sul mio viso. Ne arrivò un altro subito dopo, cominciai a vedere offuscato. C'era una persona davanti a me.

- Ale...? -

Un altro schiaffo.

"Continua...è così piacevole..."

Chiusi gli occhi e gettai la testa all'indietro, non m'importava di nulla.

 - Ma sei idiota?! -

"Sì...sono il più grande idiota mai esistito, però adesso continua...per favore..."

Non credo stessi dicendo quelle cose sul serio, le mie labbra erano secche e sembravano due pezzi di marmo scolpiti erroneamente sul mio viso: non avevano la minima intenzione di rispondere agli impulsi nervosi.

"E questo cos'è?"

Qualcosa mi bagnò una guancia quasi impercettibilmente.

"Sto piangendo...no...non sono io..."

- Ale...-

- Forse sta morendo...-

- Eh?! Ma non dire stronzate -

Era la voce di Riccardo: leggermente acuta, dolce e calda. Mi raggiunse, ovunque mi trovassi.

- R...o...-

Finalmente riuscii ad aprire gli occhi, dovevo smetterla di giocare al ragazzo drogato. Riccardo era inginocchiato sull'erba secca e umida, grandi lacrime gli rigavano il viso arrossato dal pianto, il labbro inferiore era trattenuto dai denti, mentre le sue spalle erano visibilmente scosse da violenti singhiozzi. Mi abbracciò forte.

"È il nostro primo abbraccio...credo"

Appoggiò la testa sul mio petto e vi strofinò la faccia.

- Io...noi... pensavamo che ti fosse successo qualcosa di grave, un infarto...non so...-

Avrei voluto ridere, ma dalla mia bocca uscì solo un suono rauco.

- Be', io credevo di essere morto...finché non mi hai preso a schiaffi -

Cercai la sua mano e la strinsi forte, tremava. 

- Alessio, sei un coglione -

Mi voltai, accanto a me c'era Matteo che puntava nel buio la luce di una torcia. 

- E quella? Dove l'hai presa? -

Guardò l'oggetto che teneva fieramente in mano e sorrise.

- Ne porto sempre una tascabile, per ogni evenienza -

Tentai di tirarmi su, ma Riccardo era ancora aggrappato al mio collo.

- Perché hai urlato in quel modo? Sei uno scemo -

Non avevo mai collezionato così tanti insulti in una sola giornata.

- Urlato? Io non ho fatto un bel...ah, sì...ecco...qualcuno mi ha sparato, io...-

Istintivamente mi portai una mano al ginocchio, ma non avvertii alcun dolore né rimase alcuna traccia di sangue.

 - Ma che dici? Non ti ha sparato proprio nessuno, sei diventato pazzo?! -

"Quindi vuol dire che mi sono messo a urlare senza motivo e sono caduto a terra come un sasso, poi, come se non bastasse, sono svenuto e ho fatto la figura del completo idiota? Perfetto..."

- Per caso ti ho vomitato addosso?-

Ispezionai velocemente il luogo circostante.

- No, però a un certo punto hai iniziato a tossire forte e ti si sono rovesciati gli occhi...-

Rabbrividì, lo stesso feci io a quel ricordo: ero certo di aver ingoiato un grande ammasso di capelli.

Finalmente Riccardo si tolse di dosso e l'enorme situazione d'imbarazzo ebbe fine.

- Mi dispiace se vi ho fatti preoccupare, io...credo di aver guardato troppi horror in questi giorni -

Speravo che l'avessero bevuta, anche se il più piccolo mi guardava con sospetto, mentre l'altro pareva alquanto turbato.

- Va be', io vado... stammi bene -

Matteo mi diede una pacca sulle spalle e si avviò verso la strada, senza neanche darmi il tempo di formulare un misero "ciao" o un "grazie".

Riccardo tentò goffamente di tirarmi su, ma ero fin troppo pesante per lui. 

- Faccio io, nanerottolo -

Emise un verso di disapprovazione e mi osservò con superiorità mentre cercavo invano di alzarmi; mi afferrò un braccio e tirò con forza verso di sé finché non riuscì a mettermi in piedi, poi mi circondò la vita con un braccio.

- Nanerottolo a chi? - 

Sorrisi e mi lasciai trascinare in casa, la porta era rimasta spalancata e di tanto in tanto tremava sotto la pressione del vento. Mi sedetti sulla poltrona, la stessa su cui poco prima Matteo aveva provato a fare chissà cosa, arrossii vistosamente. 


Mar, 9 ottobre, notte

Riccardo si sedette sul divano e appoggiò la testa allo schienale sbuffando sonoramente, poi mi lanciò addosso uno sguardo indagatore.

- Che ci faceva quel tizio a casa tua?-

- Siamo usciti insieme -

Mi stropicciai gli occhi stanchi.

- Ah, quindi ogni volta che esci con qualcuno te lo porti a casa? -

- N-no...ma che dici, si è messo a piovere e siamo corsi qua-

Annuì con fare insicuro.

- Avevi una faccia strana quando mi hai aperto la porta -

- Sì... è che non mi aspettavo una tua visita, tutto qui...ma perché adesso mi stai facendo il terzo grado? -

Si limitò a posare lo sguardo su una formica che percorreva gloriosamente il pavimento trasportando una briciola. 

- Ale -

- Mh...-

- Prima mi hai chiamato Ro -

- Eh? Ah...non l'ho fatto apposta -

Continuò a guardare con occhi spenti la formica.

- Se ti va puoi chiamarmi così, mi piace -

Avevo già sentito quel soprannome da qualche parte, rabbrividii.

- Va bene...Ro -

Sorrise senza neanche guardarmi in faccia. 

- Sai, credo che tu piaccia molto a quel ragazzo...intendo Matteo -

- Da cosa lo deduci? -

Mi puntò lo sguardo addosso.

- Era preoccupato per te -

- Anche tu lo eri -

- Già...-

Abbassò di nuovo la testa, stavolta la formica non c'era.

- E perché...-

Era il momento.

- Quando hai intenzione di finirla con queste domande? -

- Cosa? -

- Ancora? Possibile che io debba rispondere a tutto ciò che mi chiedi, mentre tu ti limiti a tenere chiusa quella cazzo di bocca e a fare finta di non aver sentito nulla? -

Evitai di incrociare i suoi occhi smarriti, non avrei retto a lungo un simile contatto visivo.

- Sei strano stasera...-

Aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca come a voler aggiungere qualcos'altro, ma agii prima di lui: mi alzai a fatica dalla poltrona e presi il suo cellulare sul piano da cucina, poi glielo porsi. 

- Ecco, adesso puoi tornare a casa tranquillo -

Prese il cellulare con distrazione rischiando di farlo cadere a terra, ma ormai non poteva versare in condizioni peggiori.

- Sei arrabbiato? Che ho fatto? È per l'altra sera...?-

- Ti ho detto che non voglio sentire domande... è tardi e sono stanco -

Mi diressi verso la porta e l'aprii, invitandolo a uscire; il ragazzo la oltrepassò titubante, senza però voltarsi. 

"Mi mancherai..."


Mar, 9 ottobre, mattina

Dopo circa venti minuti di elemosina non riuscii a ottenere il posto che volevo, finché non mi si avvicinò Noemi, una ragazza strana ma definita come la più carina della classe. Ultimamente cercava di attaccare bottone fin troppo spesso, a me certamente non faceva né caldo né freddo, fatto sta che mi propose di diventare il suo compagno di banco sotto gli occhi indagatori di Riccardo.

Sollevai lo zaino e lo gettai malamente sul pavimento dall'altra parte dell'aula. Per tutta la lezione Noemi non fece altro che fissarmi in modo inquietante, a lungo andare avrei cominciato a odiare quella situazione.

Al suono della campanella salutai la mia compagna e corsi fuori nella speranza di evitare qualsiasi contatto umano, ma fallii.

- Hey, ti vuoi fermare un attimo?! -

Di nuovo lui, io facevo tanto per dimenticarlo e lui non apprezzava i miei sforzi. 

- Che vuoi? Muoviti, parla -

- Vuoi darmi almeno il tempo di respirare? -

- Vado di fretta -

- Bene, allora vediamoci stasera al parco così mi spieghi tutto, okay? -

- Okay -


Mar, 9 ottobre, sera 

Sei un coglione inviato alle 21:44

Ti odio inviato alle 21:46

Finalmente aveva gettato la spugna, non era stato facile per me rinunciare a un'intera serata con lui, ma avrei di gran lunga preferito continuare a vivere...forse.

Mi hai preso per un deficiente? inviato alle 22:36

So che stai leggendo, rispondi inviato alle 22:57

Non so cosa ti stia passando per la testa, ma sappi che ti stai comportando da completo idiota inviato alle 23:01

Buonanotte... inviato alle 23:03

Evidentemente il suo cellulare non era stato interamente distrutto, spesi la luce e mi tirai le coperte fin sopra la testa. 


Mer, 10 ottobre, notte

Stetti in uno stato di dormiveglia per un tempo indefinito, gli effetti della sera precedente non mi avevano ancora abbandonato; sentii mia madre rincasare, di solito tornava da lavoro verso le due.

Ogni volta che cercavo di chiudere gli occhi e zittire i pensieri, la mente ritornava allo squarcio nell'aria, al violento dolore al ginocchio, al mio urlo disperato. 

"Sei diventato pazzo?!"

Quella domanda mi riecheggiò nella testa fino a diventare un sussurro. 

"No, sono sicuro di quello che ho sentito"

Strinsi gli occhi e mi liberai dalla morsa delle lenzuola.

"Però è impossibile che qualcuno mi abbia sparato e che non sia rimasta alcuna traccia pochi secondi dopo"

Ascoltai il rumore delle pensanti scarpe di mia madre sbattere sul parquet, in direzione del bagno.

"Sì, sono decisamente pazzo"

Poi si diresse verso la stanza da letto.

"Uno di quei pazzi che vanno rinchiusi in manicomio"

Un urlo agghiacciante mi scosse dalla testa ai piedi, infilare le dita bagnate in una presa avrebbe causato meno sofferenza.

"Ma non è colpa mia se sono diventato così..."


  




 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. ***


Mer, 10 ottobre, notte
Non mi mossi neanche di un centimetro, rimasi inerme ad attendere una nuova e straziante sofferenza. 
- Alessio -
La sua ombra si distese sul pavimento e si fermò ai piedi del mio letto.
- Ti avevo promesso che ti avrei fatto fuori, ma all'ultimo istante ho deciso di darti un'altra possibilità, non sprecarla...-
Trattenni il respiro per poi cacciare fuori l'aria solo dopo averlo sentito sbattere la porta. Mi alzai dal letto con le gambe che tremavano violentemente, giunsi nella stanza di mamma a piccoli passi esitanti; a vederla da lì sembrava che stesse semplicemente dormendo, in realtà il suo petto era stato squarciato da una lama di cui non c'era più traccia.
- Mamma...-
Le scossi delicatamente una spalla.
- Mamma...! -
Ma le sue labbra rimasero serrate.
- Mamma! -
Inziai a scuoterla con forza e a urlare disperatamente, mi sentivo così tremendamente solo.
- Mamma...-
Mi accasciai a terra e appoggiai la testa sul materasso; piansi tutta la notte pensando a lui e a quanto fossi sbagliato. Pur sapendo a cosa correvo incontro non avevo fatto nulla per allontanarmi, cambiare posto a scuola non voleva dire dimenticare e men che meno fare il menefreghista.
"Nonostante tutto sei stato la mia prima scelta...ho lasciato che la mia famiglia sparisse soltanto per te"
Urlai forte.
"Nonostante tutto i tuoi occhi mi fanno innamorare sempre di più"
Strinsi un lembo del lenzuolo.
"A cosa stai pensando adesso?"
Mi rigettai a terra.
"Mi odi?"
Appoggiai una guancia sul pavimento freddo.
"Ormai non ho più nulla da perdere...se non me stesso"
Non volevo rimanere solo, e per solo intendo "senza di lui".
"Perché mi sono innamorato di te? Come hai fatto a salvarmi?"
Finalmente riuscii a trovare la forza di alzarmi.
"E tu hai bisogno di essere salvato?"
Lasciai un bacio sulla fronte di mia madre.
- Buonanotte...mamma -
Mer, 10 ottobre, mattina
Come se non bastasse quel giorno ci si mise anche il tempo: pioveva a dirotto ed ero sicuro che con la testa fra le nuvole e le gomme vecchie il motorino sarebbe slittato sull'asfalto bagnato. 
Appena entrato in classe, Noemi mi accolse con un abbraccio stritolante, la congedai con un gesto brusco e mi sedetti accanto a Riccardo.
- Hai sbagliato posto -
I suoi lineamenti s'indurirono all'istante.
- No, questo è il mio posto -
- C'è per caso scritto il tuo nome? -
- Certo, eccolo -
Indicai il mio nome scritto sul banco durante i primi giorni di scuola.
"Protettore"
Già, ma cosa dovevo proteggere?
All'arrivo del professore in classe, Riccardo non mi rivolse più neanche mezza parola. A ricreazione accesi il telefono e lessi distrattamente le notifiche, solamente una di esse catturò la mia attenzione.
"Oggi è il compleanno di Riccardo Buonarotti!"
Aggrottai le sopracciglia e mi rivolsi a lui.
- È il tuo compleanno? -
- Mh -
- Festeggi? -
- No -
Stava palesemente evitando di guardarmi negli occhi.
"Meglio così, odio i suoi occhi"
- E anche se fosse non saresti nella lista degli invitati -
Non prestai ascolto alle sue parole.
- Perché non festeggi? -
- Non mi va -
- O forse perché sarei l'unico nella lista degli invitati -
Mi rivolse uno sguardo di puro odio e sbatté il quaderno sul banco con forza.
- Sei un coglione -
Dopodiché non fece altro che ignorarmi.
Tornato a casa, mi precipitai subito sul frigo: solamente latte, insalata e un paio di mele piene di botte. Il mio stomaco brontolò tristemente, quindi buttai giù un bicchiere di latte e diedi il via a un pomeriggio inutile, di studiare non se ne parlava proprio.
"Chissà se mamma dorme ancora..."
Mi girai su un fianco e lasciai che le lacrime invadessero il mio viso.
Mi addormentai per poi svegliarmi alle sette di sera, fuori pioveva ancora e di tanto in tanto qualche fulmine mi spiava dal balcone.
Scesi in cucina per uno spuntino e gli occhi ricaddero inevitabilmente su quella poltrona. 

Mer, 10 ottobre, notte

Non mi mossi neanche di un centimetro, rimasi inerme ad attendere una nuova e straziante sofferenza. 

- Alessio -

La sua ombra si distese sul pavimento e si fermò ai piedi del mio letto.

- Ti avevo promesso che ti avrei fatto fuori, ma all'ultimo istante ho deciso di darti un'altra possibilità, non sprecarla...-

Trattenni il respiro per poi cacciare fuori l'aria solo dopo averlo sentito sbattere la porta. Mi alzai dal letto con le gambe che tremavano violentemente, giunsi nella stanza di mamma a piccoli passi esitanti; a vederla da lì sembrava che stesse semplicemente dormendo, in realtà il suo petto era stato squarciato da una lama di cui non c'era più traccia.

- Mamma...-

Le scossi delicatamente una spalla.

- Mamma...! -

Ma le sue labbra rimasero serrate.

- Mamma! -

Inziai a scuoterla con forza e a urlare disperatamente, mi sentivo così tremendamente solo.

- Mamma...-

Mi accasciai a terra e appoggiai la testa sul materasso; piansi tutta la notte pensando a lui e a quanto fossi sbagliato. Pur sapendo a cosa correvo incontro non avevo fatto nulla per allontanarmi, cambiare posto a scuola non voleva dire dimenticare e men che meno fare il menefreghista.

"Nonostante tutto sei stato la mia prima scelta...ho lasciato che la mia famiglia sparisse soltanto per te"

Urlai forte.

"Nonostante tutto i tuoi occhi mi fanno innamorare sempre di più"

Strinsi un lembo del lenzuolo.

"A cosa stai pensando adesso?"

Mi rigettai a terra.

"Mi odi?"

Appoggiai una guancia sul pavimento freddo.

"Ormai non ho più nulla da perdere...se non me stesso"

Non volevo rimanere solo, e per solo intendevo "senza di lui".

"Perché mi sono innamorato di te? Come hai fatto a salvarmi?"

Finalmente riuscii a trovare la forza di alzarmi.

"E tu hai bisogno di essere salvato?"

Lasciai un bacio sulla fronte di mia madre.

- Buonanotte...mamma -

 

Mer, 10 ottobre, mattina

Come se non bastasse quel giorno ci si mise anche il tempo: pioveva a dirotto ed ero sicuro che con la testa fra le nuvole e le gomme vecchie il motorino sarebbe slittato sull'asfalto bagnato. 

Appena entrato in classe, Noemi mi accolse con un abbraccio stritolante, la congedai con un gesto brusco e mi sedetti accanto a Riccardo.

- Hai sbagliato posto -

I suoi lineamenti s'indurirono all'istante.

- No, questo è il mio posto -

- C'è per caso scritto il tuo nome? -

- Certo, eccolo -

Indicai il mio nome scritto sul banco durante i primi giorni di scuola.

"Protettore"

Già, ma cosa dovevo proteggere?

All'arrivo del professore in classe, Riccardo non mi rivolse più neanche mezza parola. A ricreazione accesi il telefono e lessi distrattamente le notifiche, solamente una di esse catturò la mia attenzione.

"Oggi è il compleanno di Riccardo Buonarotti!"

Aggrottai le sopracciglia e mi rivolsi a lui.

- È il tuo compleanno? -

- Mh -

- Festeggi? -

- No -

Stava palesemente evitando di guardarmi negli occhi.

"Meglio così, odio i suoi occhi"

- E anche se fosse non saresti nella lista degli invitati -

Non prestai ascolto alle sue parole.

- Perché non festeggi? -

- Non mi va -

- O forse perché sarei l'unico nella lista degli invitati -

Mi rivolse uno sguardo di puro odio e sbatté il quaderno sul banco con forza.

- Sei un coglione -

Dopodiché non fece altro che ignorarmi.

Tornato a casa, mi precipitai subito sul frigo: solamente latte, insalata e un paio di mele piene di botte. Il mio stomaco brontolò tristemente, quindi buttai giù un bicchiere di latte e diedi il via a un pomeriggio inutile, di studiare non se ne parlava proprio.

"Chissà se mamma dorme ancora..."

Mi girai su un fianco e lasciai che le lacrime invadessero il mio viso. Mi addormentai per poi svegliarmi alle sette di sera, fuori pioveva ancora e di tanto in tanto qualche fulmine mi spiava dal balcone.Scesi in cucina per uno spuntino e gli occhi ricaddero inevitabilmente su quella poltrona. 

Sospirai, a un tratto mi ricordai che non avevo ancora fatto gli auguri di buon compleanno a Riccardo; nella mia mente il suo sorriso radioso si fece spazio con insistenza, forse perché volevo rivederlo. Stetti ore a pensare a cosa avrei dovuto fare. M'infilai il giubbino più caldo che avevo e corsi fuori, non m'importava se pioveva a dirotto e l'asfalto era diventato un fiume d'acqua piovana, dovevo vederlo a ogni costo.

Suonai il campanello con impazienza, dopo pochi attimi mi aprì con un'espressione scocciata; odiavo essere a conoscenza del fatto che tutte quelle espressioni negative fossero per me, volevo rimediare.

- Che ci fai qua? -

Chiusi la porta alle mie spalle e travolsi il suo corpo minuto con un abbraccio stretto; i brividi ebbero finalmente fine ed ebbi l'impressione che il mio cuore stesse battendo ancora.

- Auguri, piccolo... -

- Ale...ma cosa...? -

Scoppiò a piangere prima ancora che potessi dire o fare qualcos'altro. Lo accarezzai con dolcezza.

- Hey, che ti prende? -

- A me? E che mi dici di te? Sei così strano ultimamente...so che stai malissimo per tuo padre, però...non è giusto che tu sia così incomprensibile -

- Mi dispiace...ma dovresti sapere meglio di chiunque altro cosa si provi a perdere un genitore...-

"Anzi, due"

- Sì, però non capisco perché hai iniziato a trattarmi male...e perché sei qui? -

- Mi sono imbucato alla tua festa -

Tirò su con il naso, di nuovo un piccolo Riccardo. 

- Stavo andando a dormire -

- Allora perdona il mio tempismo...ah, ho anche un regalo...ma non so se ti piacerà -

Un accenno di sorriso si dipinse sul suo volto.

- Non dovevi...-

- Non aspettarti chissà che cosa -

Spostai dietro l'orecchio una ciocca di capelli che gli copriva la fronte e adagiai le labbra sulle sue; lasciai che il suo pugno si chiudesse attorno a un lembo del mio giubbino bagnato. In risposta le mie dita s'incastrarono fra i suoi capelli castani. Per la seconda volta da quando lo conoscevo intrecciai la mia lingua alla sua e ne esplorai la superficie: era dolce; accarezzai anche i suoi denti bianchi, poi mi rituffai all'interno della sua bocca.

Quando ci separammo asciugai con il pollice le sue labbra umide.

- Questo regalo non è rimborsabile -

- Davvero? E se ne volessi un altro?-

- Dovrei averne altri conservati da qualche parte -

 - Allora sbrigati a trovarli -

Si alzò sulle punte dei piedi e ci abbandonammo nuovamente a noi stessi. Circondai i suoi fianchi con le braccia e annullai definitivamente la distanza fra i nostri corpi. Non sapevo neanche se per lui fosse giusto, fatto sta che non mi ero mai sentito così bene; tutti gli orrori vissuti fino ad allora parvero nulla, come se non fossero mai accaduti, e se lo erano davvero allora ero felice che mi avessero portato a ciò: ne era valsa la pena. 

Ci separammo una seconda volta, appoggiai la fronte sulla sua e sorrisi.

- Come ho fatto a stare senza di te tutto questo tempo? -

- Cosa sono queste frasi sdolcinate?-

- A una domanda non si risponde con un'altra domanda...! -

Gli diedi un pizzico sulla pancia per poi vederlo indietreggiare e mettere su il broncio.

- Rispondi sinceramente...Ro -

La sua espressione si fece seria.

- Cosa pensi di noi? -

- È importante? -

Stava cercando in ogni modo di non rispondere, ma perché? Se solo avesse saputo a cosa stavo andando incontro per essere lì quella sera. Mi bastava una semplice risposta.

- Sì, è molto importante per me -

- Mh...-

Una macchina imbucò la stradina davanti casa e parcheggiò poco dopo. Il mio cuore perse più che un battito, stetti immobile finché Riccardo non mi afferrò un braccio e mi trascinò su per le scale.

- Che fai? Chi è?! -

- È mia madre, aspetta qui -

Mi sedetti al buio sul suo letto e feci un respiro profondo, la testa non ne voleva sapere di smettere di girare in quel modo, d'altronde aveva ragione: lo spavento era stato grande. 

Il rumore della pioggia riuscì a tranquillizzarmi un po', nel frattempo una voce femminile risuonava acuta fra le pareti della stanza.

Sembrava che fosse arrabbiata o nervosa. 

- Ti avevo detto di andare a dormire!-

- S-sì! Adesso vado...-

Lo sentii venire verso di me correndo, aprì la porta e la richiuse subito dopo. Mi alzai dal letto e gli andai incontro.

- Perché non vuoi che tua madre mi veda? -

- E-ehm...non vuole gente in casa, tutto qui -

Emisi un verso di disapprovazione e mi sedetti di nuovo.

"Tutti gli amici di Ro erano bambini cattivi, non mi hanno obbedito e ho dovuto punirli...non avrei voluto, ma mi hanno costretto"

Quelle parole mi risuonarono nella mente forti e chiare, molto probabilmente era quello il motivo per cui la madre di Riccardo non valeva che invitasse i suoi amici a casa...sempre che ne avesse altri oltre a me. 

- Va bene, ho capito -

Che lui sapesse dello stalker e di tutto il resto? Di certo sospettava qualcosa. 

- Credi di riuscire ad andartene usando il balcone? -

- Che?! Solo perché so scavalcare un muretto non vuol dire che sappia buttarmi da un balcone senza morire...E poi piove a dirotto-

- Ci sarà un modo -

Si grattò la nuca pensieroso.

- Un modo per gettarsi dal balcone senza morire? Non credo...-

- Non intendo quello, idiota -

Avrei tanto voluto sapere come avrebbe reagito sua madre se mi avesse visto nella stanza del figlio, ma era una domanda piuttosto inappropriata da fare.

- E se restassi a dormire da te? Mi va bene anche il pavimento -

Per un attimo sembrò accogliere l'idea.

- Mia madre è infermiera, verso l'una uscirà di nuovo per fare il turno di notte, potresti andartene dopo di lei-

- Perfetto -

- Anche se non vorrei che girassi da solo sotto la pioggia di notte...-

- Come vuoi -

Guardai l'ora sullo schermo del cellulare: erano ancora le undici e un quarto. Mi tolsi le scarpe e appoggiai il giubbino bagnato su una sedia.

- Posso prendere un cuscino? -

- Per fare cosa? -

- Per dormire a terra -

- Eh? Per me non ci sono problemi se stai nel letto -

Subito dopo la sua affermazione mi lanciai sull'enorme letto e mi misi sotto le coperte. 

- Vedo che stai morendo di sonno...-

- Già -

Appoggiai una guancia sul morbido cuscino che aveva lo stesso odore dei suoi capelli. Dopo poco si sfilò la maglia e prese il pigiama sotto l'altro cuscino; come mi aspettavo era davvero magro, ma la cosa non lo faceva sembrare per nulla privo di bellezza. 

- Sai, dovresti girarti -

Notai che a quel punto doveva togliersi anche i pantaloni, quindi voltai la faccia. Sentii il materasso abbassarsi sotto il suo peso e immediatamente percepii il suo fiato sul collo; mi girai verso di lui solo per constatare quanto fossero vicini i nostri visi. 

- Spengo? -

- Cosa? -

Di nuovo quell'adorabile sguardo di rimprovero. 

- La luce...stasera sei un po' intontito -

Sarebbe suonato troppo stupido se gli avessi detto che era tutta colpa sua: mi metteva in uno stato d'agitazione, anche se dopotutto mi faceva sentire più che bene. 

Rabbrividii di freddo, penetrava un leggero venticello da sotto il balcone. 

- Oh, scusa... questo balcone è un po' vecchio -

Anuii e mi strinsi di più le coperte addosso.Trasalivo ogni volta che quei passi si avvicinavano alla porta della stanza.

- E se entrasse? -

- Shh! Non ti preoccupare -

Dopo un paio di minuti avevo già perso la cognizione del tempo.

- Uff, mi annoio -

- E cosa vorresti fare? Non hai sonno? -

- Avevo -

Sbuffò da sotto le coperte.

- Cerca di dormire lo stesso -

- Mh, come se fosse facile con te che mi stai così addosso -

- Non ti sto addosso! -

Gli diedi un leggero calcio.

- Ma sei stupido? -

Iniziò a ridere e a darmi pizzichi sulle braccia.

- Ahi! Fermo! -

Gli salii addosso e bloccai i suoi polsi. Stavo così bene che non mi interessava nient'altro.

"Che venga pure a piantarmi una pallottola in fronte, voglio stare con lui fino all'ultimo secondo"

Ed era vero, ormai oltre a lui non c'era più nulla che potesse stimolarmi, che senso avrebbe avuto continuare a vivere senza poter stare con la persona che più mi invogliava a farlo?

Mi chinai sul suo viso e gli diedi un bacio.

- Quello è il mio naso! -

Sollevò il petto e incastrò il suo viso nel mio, in modo che le nostre labbra potessero toccarsi. Si lasciò baciare e mordere innumerevoli volte.

- Meno male che avevi sonno...-

- Sono un vampiro, non dormo mai -

Lo morsi affettuosamente sul collo.

- Me n'ero accorto già da tempo, sai? -

- Ah sì? E da cosa l'hai capito? -

- Chissà, forse perché in confronto a te una mozzarella è abbronzata...-

Risi sottovoce, poi mi abbandonai nuovamente ai suoi baci. Avrei tanto voluto dire a Marco che avrebbe potuto tranquillamente mettere da parte le canne e iniziare a farsi di baci, era di gran lunga migliore.

Lo liberai dalla presa delle mie mani e le feci scendere lungo la sua stretta vita; dopodiché mi piegai ancora di più sul suo corpo tanto da farlo aderire al mio. Le nostre lingue si intrecciarono infinite volte, guidate da baci che si interrompevano solo per riprendere fiato e sorridere al buio. Cominciai a muovere il mio bacino contro il suo e gli misi una mano fra i capelli leggermente sudati. Gemette a voce bassa e iniziò ad assecondare i miei movimenti, finché non si fermò all'improvviso.

- N-no...non posso farlo...-

Appoggiò le mani sul mio petto e mi diede una debole spinta, si mise a sedere e accese la luce.

- È meglio se torni a casa...-

- Ro..? -

Brividi.

- Mi dispiace se ti ho dato fastidio...io...-

- Non ti preoccupare, non è colpa tua -

- Mh...allora vado -

- Notte -

- Notte...e buon compleanno -

Si liberò la fronte dai capelli ed emise un lungo sospiro. Scesi dal letto, mi rimisi le scarpe e presi tutta la mia roba; di fuori la pioggia sembrava voler abbattere anche gli alberi con le sue gocce simili a tanti piccoli spilli, mentre il vento soffiava con furia. Tirai su il cappuccio ed uscii fuori, la ringhiera non era molto alta: la scavalcai e rimasi appeso solamente con le mani. Rivolsi lo sguardo verso il basso e constatai che il terreno era parecchio distante dai miei piedi, ma non avevo altra scelta. Fra le gocce di pioggia fredda si distinsero delle lacrime calde, con il groppo in gola e l'amarezza di essere stato in qualche modo rifiutato, mi gettai strizzando gli occhi e sperando di svegliarmi da quel brutto incubo e ritrovarmi fra i banchi di scuola, alle otto in punto del 14 settembre.

 

 

Note dell'autore:

Scusate il ritardo, spero che la storia vi stia piacendo <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. ***


 

Mer, 10 ottobre, sera
- Ale...? -
Non so se avete ben presente quello strano senso di vuoto che a volte si prova pochi attimi prima di addormentarsi, è una sensazione così strana...un attimo prima ti sembra di cadere da un precipizio e sei terrorizzato a morte, quello dopo chiudi di nuovo gli occhi e non ricordi neanche a cosa stessi pensando; ecco...Non è una sensazione piacevole e sgradevole allo stesso tempo? Insomma, l'orrore nel vedersi morto...e poi il sollievo nel constatare di essere nel proprio letto al sicuro. 
"È così che mi sento ora"
- Mio Dio! Smettila di parlare da solo! -
Mi resi conto che prima di quel momento avevo tenuto gli occhi chiusi solo quando fui costretto a spalancarli per la sorpresa, ciò voleva dire che tutto quello che avevo visto era stato frutto della mia immaginazione.
Per un attimo sentii di poter cadere a terra, ma ero già a terra. Tentai di rialzarmi, ma la testa aveva ripreso a girare vorticosamente. Rivolsi il viso verso di lui, era seduto sul pavimento, con le ginocchia al petto e la testa fra le gambe, aveva le mani tra i capelli e tremava lievemente. 
- R-Ro...Ma che diavolo...-
- Sei sveglio! -
Si alzò all'improvviso e venne precipitosamente verso di me. 
- Cos'è successo? -
- Non lo so...volevi buttarti dal balcone...io...-
Guardandolo così da vicino, notai un rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte fino al mento. 
- Ma che hai fatto? -
Gli accarezzai una guancia, ma si sottrasse immediatamente. 
- Tu che hai fatto! Sei stato tu...oddio...-
Non era il momento di lasciarsi stravolgere dalle emozioni.
- Ro, sii chiaro -
- Mi hai spinto contro il muro e hai iniziato a dire cose strane...mi fai paura -
- Cose strane? Quali cose? -
- Hai detto che eri dispiaciuto per avermi disturbato...mi hai augurato di nuovo buon compleanno e poi hai aperto il balcone e hai scavalcato la ringhiera! Ho cercato di aiutarti ma...-
Si coprì il volto con le mani, era in uno stato pietoso, di puro terrore. 
- Ro...devi stare calmo. Adesso dimmi cos'è successo da quando ho bussato alla tua porta -
Finalmente si scoprì il viso, ma parve non trovare il coraggio di guardarmi in faccia; teneva lo sguardo fisso sul pavimento e parlava meccanicamente.
- Mi hai fatto gli auguri, poi hai detto di avermi portato un regalo...hai cercato di baciarmi, ma è arrivata mia madre e ti ho fatto nascondere nella mia stanza. Avevamo deciso che avresti dormito da me...ti sei steso sul letto e hai guardato fuori, hai fatto una faccia strana...forse hai visto qualcosa...ti sei alzato...poi hai aperto il balcone...ho cercato di fermarti... -
Trattenne il respiro, poi ne rilasciò uno lungo e profondo. 
- M-mi dispiace...io...adesso me ne vado, okay? -
- Sì, è la cosa migliore -
Quella risposta mi ferì più di quanto avesse fatto tutto ciò che mi aveva raccontato. 
Stavo per varcare la soglia e uscire dalla sua stanza, poi mi ricordai di un ostacolo difficile da evitare. 
- E tua madre? -
- Non m'importa, vattene e basta -
Annuii e percorsi il corridoio di fretta. La donna che mi si presentò dinanzi era giovane e bella, non molto alta, con la pelle olivastra e i capelli ramati raccolti in uno chignon, ma aveva un non so che di anomalo in viso, aveva della follia negli occhi.
Non riuscii ad aprir bocca, se non per emettere suoni che volevano trasformarsi in frasi articolate, ma che senza il mio contributo non avrebbero potuto. 
- E tu sei? -
Non so spiegare cosa avesse quella donna, mi fissava con occhi vuoti, falsamente dolci. 
- A-A-Alessio...-
Serrò le labbra, per poi indicarmi con un cenno della testa il portone di casa. Colsi al volo le sue parole non dette e mi fiondai contro l'uscio, quasi non riuscivo ad abbassare la maniglia. 
Una volta fuori mi passai una mano sulla fronte madida di sudore. Non sapevo chi fosse lei, cosa stesse succedendo e come mi fossi ritrovato in quella situazione più che spiacevole, una sola cosa era certa: avrei fatto meglio a non ritornare mai più in quella casa. 

Mer, 10 ottobre, sera

- Ale...? -

Non so se avete ben presente quello strano senso di vuoto che a volte si prova pochi attimi prima di addormentarsi, è una sensazione così strana...un attimo prima ti sembra di cadere da un precipizio e sei terrorizzato a morte, quello dopo chiudi di nuovo gli occhi e non ricordi neanche a cosa stessi pensando; ecco...Non è una sensazione piacevole e sgradevole allo stesso tempo? Insomma, l'orrore nel vedersi morto...e poi il sollievo nel constatare di essere nel proprio letto al sicuro. 

"È così che mi sento ora"

- Mio Dio! Smettila di parlare da solo! -

Mi resi conto che prima di quel momento avevo tenuto gli occhi chiusi solo quando fui costretto a spalancarli per la sorpresa, ciò voleva dire che tutto quello che avevo visto era stato frutto della mia immaginazione. Per un attimo sentii di poter cadere a terra, ma ero già a terra. Tentai di rialzarmi, ma la testa aveva ripreso a girare vorticosamente. Rivolsi il viso verso di lui, era seduto sul pavimento, con le ginocchia al petto e la testa fra le gambe, aveva le mani tra i capelli e tremava così tanto da far impressione. 

- R-Ro...Ma che diavolo...-

- Sei sveglio! -

Si alzò all'improvviso e venne precipitosamente verso di me. 

- Cos'è successo? -

- Non lo so...volevi buttarti dal balcone...io...-

Guardandolo così da vicino, notai un rivolo di sangue che gli scendeva dalla fronte fino al mento. 

- Ma che hai fatto? -

Gli accarezzai una guancia, ma si sottrasse immediatamente. 

- Tu che hai fatto! Sei stato tu...oddio...-

Non era il momento di lasciarsi stravolgere dalle emozioni.

- Ro, sii chiaro -

- Mi hai spinto contro il muro e hai iniziato a dire cose strane...mi fai paura -

- Cose strane? Quali cose? -

- Hai detto che eri dispiaciuto per avermi disturbato...mi hai augurato di nuovo buon compleanno e poi hai aperto il balcone e hai scavalcato la ringhiera! Ho cercato di aiutarti ma... -

Si coprì il volto con le mani, era in uno stato pietoso, di puro terrore. 

- Ro...devi stare calmo. Adesso dimmi cos'è successo da quando ho bussato alla tua porta -

Finalmente si scoprì il viso, ma parve non trovare il coraggio di guardarmi in faccia; teneva lo sguardo fisso sul pavimento e parlava meccanicamente.

- Mi hai fatto gli auguri, poi hai detto di avermi portato un regalo...hai cercato di baciarmi ma io ti ho spinto, è arrivata mia madre e ti sei nascosto nella mia stanza. Hai chiesto se potevi dormire da me, ti ho detto di sì. Ti sei steso sul letto e hai guardato fuori, hai fatto una faccia strana...forse hai visto qualcosa. Hai iniziato a tremare e ti sei alzato...poi sai com'è andata... -

Trattenne il respiro, poi ne rilasciò uno lungo e profondo. 

- M-mi dispiace...io...adesso me ne vado, okay? -

- Sì, è la cosa migliore -

Quella risposta mi ferì più di quanto avesse fatto tutto ciò che mi aveva raccontato. Stavo per varcare la soglia e uscire dalla sua stanza, poi mi ricordai di un ostacolo difficile da evitare. 

- E tua madre? -

- Non m'importa, vattene e basta -

Annuii e percorsi il corridoio di fretta. La donna che mi si presentò dinanzi era giovane e bella, non molto alta, con la pelle olivastra e i capelli ramati raccolti in uno chignon, ma aveva un non so che di anomalo in viso, aveva della follia negli occhi.

Non riuscii ad aprir bocca, se non per emettere suoni che volevano trasformarsi in frasi articolate, ma che senza il mio contributo non avrebbero potuto. 

- E tu sei? -

Non so spiegare cosa avesse quella donna, mi fissava con occhi vuoti, falsamente dolci e folli. 

- A-A-Alessio...-

Serrò le labbra, per poi indicarmi con un cenno della testa il portone di casa. Colsi al volo le sue parole non dette e mi fiondai contro l'uscio, quasi non riuscivo ad abbassare la maniglia. Una volta fuori mi passai una mano sulla fronte madida di sudore. Non sapevo chi fosse lei, cosa stesse succedendo e come mi fossi ritrovato in quella sensazione più che spiacevole, una sola cosa era certa: non sarei ritornato mai più in quella casa. 

E così tutti quei baci, quelle parole e  quelle immagini erano state frutto della mia immaginazione. 

Girai la chiave nella toppa, ero così sconvolto che non sapevo che fare, sarei rimasto volentieri immobile a fissare il vuoto. Ero seduto sulla poltrona a contemplare la parete che mi stava di fronte, quando lo squillo del telefono fisso riempì il silenzio che regnava nella stanza.

- Pronto? -

- Buonasera, sono una collega di sua madre, saprebbe dirmi dove si trova in questo momento? -

Presi un respiro profondo, ultimamente ne avevo bisogno più che mai. 

- È a letto con l'influenza, non ha potuto chiamare per avvertirvi, mi dispiace -

Stavo per abbassare la cornetta, quando la donna si impose sul mio nascente "arrivederci e buona serata". 

- Per caso sa dirmi se domani mattina ha intenzione di ritornare a lavoro? -

- Non so se la situazione migliorerà, in ogni caso le farò sapere. Arrivederci e buona serata -

Chiusi la telefonata prima che potesse ribattere. 

Mentire i primi giorni sarebbe stato facile, d'altronde era morta quella stessa notte, ma come avrei fatto in seguito? Denunciare il tutto sarebbe stato inutile, ci avrei senz'altro rimesso la pelle. 

"Pensandoci bene, se mi togliessi di mezzo non verrebbe fatto alcun male alle persone a cui voglio bene"

Certo, era un'ottima idea, ma quell'uomo, per quanto spietato, non mi avrebbe mai dato una tale soddisfazione. Era anche vero che Riccardo, dopo l'esperienza di quella sera, non avrebbe più voluto sentir parlare di me. Tirai un sospiro di sollievo, seppur lieve: forse sarebbe stato più facile stargli lontano.

Era quasi mezzanotte, decisi di andare a letto e spegnere il cervello per qualche ora. 

"Buonanotte mamma"

 

Gio, 11 ottobre, mattina

Rabbrividii appena misi un piede fuori. Stavo per chiudere il portone, ma il telefono fisso cominciò a squillare. 

- Chi è? -

Sapevo già la risposta.

- Aveva detto che mi avrebbe avvertito se sua madre non si fosse presentata sul posto di lavoro -

- Che formalità... può darmi del tu -

- Quindi? -

- Mi dispiace, ma non si sente bene, anzi...direi che sta molto peggio di ieri. Arrivederci e buona giornata -

Le attaccai in faccia e finalmente riuscii a partire per andare a scuola, sebbene fossi in ritardo di almeno venti minuti. 

 

- Cantiello, ce la siamo presa con calma oggi, eh? -

Ecco che ci si mettevano anche i professori a rompere l'anima. Stetti qualche secondo a fissare la disposizione dei banchi; Riccardo era al solito posto e, come mi aspettavo, teneva lo sguardo puntato chissà dove, nell'intenzione di far finta che non gli importasse nulla di me. In ogni caso non potevo spostarmi vicino a Noemi, si sarebbe fatta troppi film mentali e non avevo bisogno di altre complicazioni. 

Scelsi il mio posto, dov'era giusto che stessi. 

 

Riccardo non la smetteva di scuotere insistentemente le gambe sul poggiapiedi, probabilmente era nervoso, ma non feci neanche in tempo a formulare il pensiero "meglio non dire nulla", che si voltò verso di me con sguardo indagatore.

- Allora? -

- Allora cosa? -

- Non hai pensato a nessuna scusa da inventare per quello che è successo ieri? -

Alzai le sopracciglia confuso.  

- Cantiello e compagno, silenzio! -

Ci zittimmo entrambi all'istante.

 

Tornai a casa di corsa, volevo stare in giro il minor tempo possibile. Una volta rientrato, staccai la presa del telefono fisso e impostai il cellulare in modalità aereo. A pranzo buttai giù un uovo sodo, poi mi stesi sul divano e il mio cervello divenne più attivo che mai: mille idee e pensieri mi balenarono in testa in pochi secondi, per poi scomparire senza lasciare alcuna traccia. 

 

Erano quasi le sei e mi annoiavo a morte. Avrei voluto staccare un po' la spina e concentrarmi su altro, ma a quanto pare non c'era nulla che potesse farmi distogliere l'attenzione dall'orrore quotidiano. 

O forse qualcosa c'era.

Percorsi il corridoio senza preoccuparmi di mettere le scarpe, pensando che da un momento all'altro sarebbe spuntato mio padre e mi avrebbe rimproverato per la mia brutta abitudine di camminare scalzo in giro per le stanze, ma non accadde nulla. Mi voltai indietro, il salotto era vuoto. Come potevo credere di poterlo rivedere? Non era neanche casa sua. 

Aprii lentamente la porta della sua camera, come se avessi paura di svegliarla. Era immobile, ed era proprio questo a farmi credere che il suo petto si alzasse e si abbassasse ritmicamente. Le accarezzai una guancia, aveva perso tutto il suo colore ed era fredda, morta. I capelli corvini, quasi bianchi alle radici, non avevano più  luminosità: sembravano avere lo stesso colore delle nuvole cupe che occupano il cielo prima di un forte temporale. Una mano era teneramente appoggiata sul petto squarciato, mentre l'altra era serrata intorno a un lembo delle lenzuola. 

- Spero che questa brutta influenza passi presto -

Le diedi un bacio sulla fronte, a rispondermi fu la sua espressione terrorizzata. 

 

- Hey, Marco -

Infilai il giubbino tenendo il cellulare fra l'orecchio e la spalla.

- È raro ricevere una telefonata da te, che ti serve? -

- Una canna -

- Dritto al sodo! Ti ha lasciato il fidanzatino? -

Meglio non ribattere.

- Dove ci vediamo? -

- Vieni a casa mia -

 

Gio, 11 ottobre, sera

- Cavolo, si gela qui fuori -

Diedi il giubbino a Marco e mi lasciai andare sul caro vecchio divano rosso mattone. 

- Nono, vieni qui -

Mi fece cenno di seguirlo. 

Ad aspettarmi nella sua stanza c'era tutto il gruppo di amici, i suoi amici ovviamente.

- Ehm... buonasera -

Mi grattai il capo senza sapere cosa dire, mi avrebbero sicuramente preso di mira per tutta la serata. Inoltre c'era anche Matteo e non volevo che mi tenesse gli occhi fissi addosso senza darmi tregua.

- Senti Marco, forse è meglio se ritorno a casa...-

- Ma che dici! Ormai sei qui -

Mi diede una leggera spinta sulla schiena, invitandomi a sedere. 

L'aria nella stanza era pesante, chissà da quanto tempo erano lì a fumare spinelli. Uno di loro non perse occasione per offrirmi un tiro. 

- Grazie...-

Mi sentivo a disagio lì in mezzo, infatti, esattamente come mi aspettavo, Matteo non sembrò volermi staccare gli occhi di dosso neanche per un secondo. Inclinai la testa con fare interrogativo, ma simulò un "nulla" con le labbra e riprese con la sua attività. 

 

Ven, 12 ottobre, notte

- Forse dovrei tornare a casa...-

Feci per alzarmi, ma fui costretto a sedermi di nuovo: la testa pesava come un macigno e le gambe non reggevano.

- Già, anche io. Sono quasi le due -

Scoppiarono tutti a ridere.

- La notte è ancora giovane! E noi siamo ancora più giovani! -

Ed ecco che arrivava Marco, l'idiota della situazione, con due vaschette di gelati e tre pacchi di patatine.

- Qualcuno ha fame? -

Non potei far altro che afferrare una vaschetta e dichiarare che non l'avrei condivisa con nessuno.

 

- Che ore sono? -

La mia voce era qualcosa di inascoltabile, biascicavo come un ubriaco.  

- Le otto -

- Le otto? Devo andare a scuola! -

Mi arrivò un calcio sul fondo schiena.

- Idiota, sei così fatto che non sai neanche se è giorno o notte? Sono le quattro del mattino -

- Ah, grazie -

Affondai di nuovo la testa nel cuscino.

 

Ven, 12 ottobre, mattina

Per potermi sciacquare la faccia dovetti fare la fila. Una volta presa la mia roba e ringraziato Marco per la sua ospitalità, finalmente ritornai a casa. Avevo poco più di un quarto d'ora prima che iniziassero le lezioni, quindi mi limitai a fare lo zaino e uscire di nuovo di casa. 

 

- Salve -

Appoggiai lo zaino sul banco e feci strisciare la sedia a terra. Riccardo mi guardò con rabbia.

- Che c'è? Adesso non posso neanche sedermi? -

- Dove sei andato ieri? -

- Sono stato a casa -

Evitai di guardarlo negli occhi.

- Sì, certo. Si vede dalla tua faccia -

- La smetti? -

- Hai un odore strano -

Si avvicinò alla mia spalla. 

- Probabilmente non ho fatto la doccia -

- O probabilmente ti sei fatto qualche canna -

Sorrise in modo soddisfatto.

- Non dovresti conoscere quest'odore -

- Non ci vuole molto a capire, ti sei guardato allo specchio? -

- Senti -

Mi decisi a puntare gli occhi nei suoi.

- L'altra sera mi hai cacciato fuori e sembravi molto arrabbiato, deluso e tutto quello che vuoi, perché adesso mi stai così addosso? -

I suoi occhi guizzarono e per un attimo parvero illuminarsi, riconobbi quello sguardo. 

- Io so - 

Panico.

- Cosa sai? -

 

 

Note dell'autore:

Dan Dan! Sono tornata (purtroppo)

Sono secoli che non aggiorno, mi dispiace, ma non sapevo davvero come riordinare le idee. Poi la scuola è diventata pesante, MOLTO pesante.

Comunque, spero che questo capitolo (anche se non molto stimolante) vi faccia ritornare la voglia di sapere come andrà a finire la mia piccola storia.

P.S. Se ci sono errori di grammatica o soprattutto con l'editor fatemi sapere, ormai sono abituata ai suoi capricci T.T 


Ciao~

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. ***


Ven, 12 ottobre, mattina

- C-cosa sai? -

I suoi occhi mi scrutarono attentamente.

- Ascolta...Non so esattamente cosa c'è che non va con te, vorrei davvero capirci qualcosa e sarebbe di grande aiuto se ti aprissi un po' di più -

- Ma che diavolo stai dicendo? Sono io quello che non capisce -

Le mie mani iniziarono a sudare.  Deglutii sonoramente, o almeno alle mie orecchie quel rumore parve piuttosto forte. Non potevo stare lì, non di fronte a lui, non in quel modo, non potevo stare con lui e basta.

- Non mi sento molto bene...Lasciami in pace -

Fui costretto a seguire tutte e cinque le ore di lezione sotto lo sguardo opprimente di Riccardo; suonata l'ultima campanella, cercai di sgattaiolare via il prima possibile, ma la sua voce mi richiamò con decisione.

- Ro...Davvero...Non è il momento -

Mi fece cenno di stare in silenzio e si diresse verso l'entrata dell'aula, poi chiuse la porta; ormai in classe non c'era più nessuno.

Si avvicinò nuovamente e mi afferrò per le braccia.

- Vieni qui -

Mi fece sedere a terra, lui fece lo stesso. Non sapevo minimamente cosa avesse in testa, ma qualcosa mi spingeva a fidarmi.

Appoggiò il capo sulla mia spalla e sospirò.

- Abbracciami -

- Da quando ti presti a questo tipo di richieste? -

Si avvicinò ancora di più.

- Sono serio, abbracciami -

Non me lo feci ripetere di nuovo, gli circondai la schiena con le braccia e lo strinsi forte; tremò lievemente.

In quell'istante capii che voleva comunicarmi qualcosa, ma non poteva. Tenni la bocca chiusa e mi limitai a intrecciare le mie dita nei suoi capelli.

- Ale -

- Dimmi -

- Grazie -

"Tu non vuoi essere così, vero? Non vuoi dirmi questo, non vuoi essere qui, a terra, a nasconderti da chissà chi o cosa"

Si alzò e si mise lo zaino in spalla.

- Mi accompagni a casa? -

 Ed ecco, dov'era finita la paura di qualche attimo prima prima? Cos'era successo nel giro di pochi secondi?

Un pugno parve stringersi intorno al mio cuore, il dolore fu forte, ma fortunatamente breve; lo presi come un avvertimento.

- N-no, mi dispiace, non posso. Mia madre mi aspetta e non vuole che faccia tardi -

Uscii dalla classe con gli occhi bassi, con la testa così piena di pensieri che non sentii neanche la sua risposta.

 

C'erano un paio di macchine parcheggiate dinanzi casa mia. Degli uomini in divisa erano impegnati ad avvolgere del nastro giallo fra le sbarre del piccolo cancello.

Al mio arrivo si voltarono tutti, sembrava che mi avessero atteso a lungo; uno di loro mi si avvicinò di corsa, era scosso e impaziente.

- Sei il figlio della donna che abita qui? -

Intesi subito ciò che stava per accadere.

- Sì, perché? -

Esitò per qualche attimo.

- È morta -

La testa mi parve per un attimo fin troppo pesante, tanto da potermi trascinare verso il basso.

- Ehi, ti senti bene? -

La sua voce si allontanò, ciò che mi stava davanti si riempì di piccole macchie, finché non mi parve di avere un enorme foglio bianco davanti agli occhi.

L'uomo mi scosse con forza una spalla e mi riportò indietro.

- S-sì...-

Mi fecero sedere in macchina, con una coperta sulle spalle. L'uomo di prima si sedette accanto a me e mi rivolse uno sguardo preoccupato.

- È lì da un paio di giorni, una sua collega ci ha contattati dicendo che era preoccupata poiché non andava a lavoro da troppo tempo nonostante si  trattasse di una semplice febbre, tu non ne sapevi nulla?-

Scossi la testa.

- Come hai fatto a non accorgertene? -

Avrei trovato una risposta a tutto, dovevo solo stare tranquillo.

- S-sono stato a casa di amici -

- E non hai sentito tua madre? Neanche una telefonata? -

- No -

Evitai di guardarlo in viso.

- Non ti sei preoccupato di sentirla? Di sapere come stesse? -

- No, avevamo litigato -

L'uomo sospirò pesantemente e si posizionò meglio sul sedile.

- Capisco. Come mai avete litigato? -

- Un brutto voto a scuola -

- Tutto qui? -

- Sì -

Tenevo lo sguardo fisso sulle mie mani mentre cercavo di togliermi dalla faccia quell'espressione spaesata e confusa. Sicuramente tutti lì in mezzo avevano collegato l'omicidio di mio padre alla morte di mia madre.

- Vuoi un po' d'acqua? -

Scossi il capo.

- Almeno stai un po' meglio? -

- No, ma...Potrebbe lasciarmi solo? -

- Certo -

Non appena l'uomo fu fuori, cercai il cellulare nella tasca e composi il suo numero.

Nessuna risposta.

Aprii lo sportello e cominciai a correre, delle voci lontane mi dicevano di tornare indietro, ma non potevo stare lì un secondo di più: sulle mie spalle gravava un peso troppo grande, perfino l'aria sembrava un macigno.

Ripensai a lui, a quella mattina in classe, a quello che non mi aveva detto, alla sera in cui l'avevo lasciato solo, nonostante avesse affermato più volte la presenza di uno stalker, al nostro primo bacio, al primo giorno di scuola, cos'era davvero successo da quel momento in poi? Ormai non riuscivo più a distinguere i ricordi reali dalle allucinazioni, non riuscivo a pensare più a niente, avevo un solo chiodo fisso nella mente: Riccardo.

Corsi per un tempo indefinito; arrivato davanti casa sua, mi fiondai su per le scalette e cominciai a bussare. Non ottenni alcuna risposta. La stanchezza nelle gambe cominciò a farsi sentire, avevo ancora il fiatone e la testa pesante. Mi accasciai a terra e chiusi gli occhi nel tentativo di riprendere fiato e coscienza, l'avrei aspettato lì.

 

- Ale...?! -

Una voce sorpresa mi destò da un sonno profondo.

- Mh-mh...Che c'è? -

- Come "che c'è"? Sai di essere steso per terra davanti la porta di casa mia, vero?! -

Quando finalmente riuscii a mettere a fuoco il suo volto, mi si scaldò il cuore e parve ricominciare a battere dopo tanto tempo.

- Ro...Dove diavolo sei stato? -

- I-io...A fare un giro. E tu? Che ci fai qua? -

Scossi la testa come per scacciare via ogni sorta di ripensamento.

- Avevo bisogno di vederti e...di parlarti -

Conclusi la frase con un debole sospiro.

- O-oh...Va bene, entriamo -

Ci sedemmo entrambi sul divano, ma le parole non venivano fuori. Il ticchettio dell'orologio scandiva il tempo in modo fastidioso, mentre noi due ci guardavamo in faccia.

- Allora...Che volevi dirmi? -

Non aspettavo altro che quella domanda, presi un bel respiro, poi buttai tutto fuori.

- Mi dispiace per oggi, intendo per non averti accompagnato...E mi dispiace anche per quella sera in cui ti ho lasciato solo davanti casa, quando volevi compagnia, ricordi? Dicevi ci fosse uno st-

Riccardo mi interruppe, sembrava alquanto preoccupato.

- S-sì, ma...Non so cosa mi è preso quella sera, è logico che non ci fosse nessuno stalker... Comunque non ti preoccupare, non me la sono mica presa! -

- Aspetta, non ho finito -

Il ragazzo annuì diligentemente.

- Io...Mi dispiace che si sia instaurato questo tipo di rapporto fra noi, quando io voglio stare con te, tu non vuoi, quando tu vuoi stare con me, io non voglio; insomma, è come se qualcuno ci costringesse a comportarci così...Tu non provi lo stesso? -

Si guardò intorno intimorito.

- Ale...Non capisco perché all'improvviso ti stia scusando per cose di cui non hai colpa -

- Perché mi piaci, perché anche se qualcuno mi impedisse di stare con te io rischierei lo stesso, non ho mai provato queste sensazioni per qualcuno, perciò sento che sei la persona giusta, e non voglio vederti scomparire dalla mia vita -

Rimase in silenzio per un bel po', la mia confessione lo aveva evidentemente lasciato di stucco. Poi, per la seconda volta in quella giornata, parve voler dire qualcosa per liberarsi di un enorme peso, ma tenne la bocca chiusa.

- Ecco...lo vedi? Ora che ho bisogno di te più che mai, hai questo atteggiamento. Ro, parla -

- Perché hai bisogno di me? Non posso fare niente per aiutarti, io-

- Mia madre...l'hanno trovata stamattina nel suo letto, morta -

Chiuse la bocca di scatto, riprese a guardarsi intorno con paura. Mi sentii in colpa, forse non avrei dovuto addossargli anche le mie sofferenze, ma lui era il mio unico appiglio per non sprofondare nella pazzia. Dopo aver pronunciato quelle parole, sentii il peso della loro realtà: mia madre era morta davvero e non avevo fatto niente per aiutarla; mio padre era morto per mano dello stesso uomo, e io sapevo benissimo a cosa andavo incontro, ma avevo deciso di non agire per il loro bene, avevo scelto lui. Ormai non avevo più nulla da perdere, potevo dirgli tutto, tutto; eppure in quel momento non ero io il problema, ma lui.

I suoi occhi si riempirono di lacrime e nascose il viso nella mia felpa; presi ad accarezzarlo lentamente nel tentativo di confortarlo.

- Ho paura...-

Disse fra i singhiozzi.

- Ho paura Ale...ho paura -

- Di cosa? -

- I-io non...Non lo so! -

Alzò la testa e fissò i suoi grandi occhi lucidi nei miei, il labbro inferiore tremava.

A un tratto divenne tutt'altra persona.

- Ho paura...È colpa tua? Quando siamo insieme sento tanto dolore qui e il cuore mi batte forte -

Si toccò il petto e continuò a guardarmi con aria supplichevole.

- Perché? Perché?! -

- Hey...Succede anche a me, sai? A volte lo sento anche io, ma non mi dispiace, vuol dire che sei una persona molto importante -

Non sapevo cosa dire per consolarlo, stavo per mettermi a piangere anche io. Ma non volevo e non potevo mostrarmi debole di fronte a lui, non in quel momento. Dovevo aiutarlo. 

- Sento come un brutto presentimento...Quindi è una cosa positiva? Vuol dire che anche tu sei importante? -

- Spero di sì, tu che dici? -

- Sì...-

Per la prima volta dopo tanto tempo lo vidi sorridere di nuovo, era più bello che mai: le guance arrossate per il pianto, le labbra umide, scure e sottili, quegli occhi verdi che mi facevano battere il cuore all'impazzata ogniqualvolta la loro attenzione fosse rivolta a me. Riusciva a essere meraviglioso anche nel più totale sconforto.

- Mi dispiace per tua madre... -

Finalmente sentii che stava per aprirsi a me, e ciò mi fece sentire in qualche modo speciale, sembrava capirmi perfettamente.

- C'è una cosa vorrei dirti anche io...Non dovrei, ma sento che di te posso fidarmi...-

Un attimo dopo si coprì gli occhi con le mani e scosse la testa come a voler scacciare una brutta immagine dalla testa.

- Ro...? Ti prego, non sto capendo -

Riprese a singhiozzare, stavolta accompagnato da violenti fremiti.

- È lui...È tutta colpa sua...-

Chiuse i pugni e si graffiò il viso.

- È solo colpa sua...Non devo dirtelo...Mi ucciderà...Ale...-

I suoi occhi erano vuoti, spenti. Non sapevo come reagire, ero sconvolto.

Qualcuno bussò alla porta, feci per alzarmi ma Riccardo mi afferrò una mano.

- No...Non aprire -

- È tua madre? -

Mi guardò con estremo terrore, le pupille nei suoi occhi si erano dilatate a tal punto che l'iride era poco visibile.

- No...-

Si dondolava lentamente avanti e indietro, il suo terrore colse anche me.

Il bussare divenne più insistente.

- Ro, guardami, devi stare calmo -

Catturai il suo viso con entrambe le mani e cercai di assumere l'espressione più tranquilla e rassicurante che avessi in repertorio.

- Devi dirmi cosa sta succedendo, altrimenti non posso aiutarti -

Ancora più forte.

- No...Ti prego -

Non appena mi alzai dal divano, Riccardo cacciò un urlo fortissimo dettato dal terrore; sembrava totalmente fuori di sé. La sua voce penetrò nella mia mente con la stessa intensità di quel forte  e insistente bussare. La mia testa cominciò a farsi pesante, in quello scenario di pura follia mi sembrò tutto meno sconvolgente di quanto avrebbe dovuto. Mi tappai le orecchie e raggiunsi la porta, non mi importava chi ci fosse lì dietro, se sua madre, il postino o qualche vicino, il mio unico desiderio era porre fine a quel rumore infernale che sembrava essere la ragione della sua paura.

- Ti prego...! -

Il suo viso era divenuto rosso per lo sforzo, mentre la voce si faceva sempre più debole e simile a un rantolo, finché non si ridusse a un inquietante lamento e poi più niente; nonostante ciò la sua bocca rimase aperta in un grido silenzioso, mentre gli occhi erano sbarrati e fissi su di me in segno di perpetuo timore. Con lo sguardo mi implorava di non farlo, ma non riuscivo più a sopportare quel fracasso.

- Ale...No...Ti prego...-

Dopo quelle ultime suppliche, la sua voce interrotta dai singulti si spense definitivamente e lo vidi boccheggiare in cerca d'aria.

Distolsi lo sguardo da quella scena pietosa e cercai di scacciare via ogni pensiero, mi tolsi le mani dalle orecchie e ne appoggiai una sulla maniglia, ora potevo sentire quel continuo toc toc in tutta la sua intensità.

Eliminato ogni ripensamento, premetti la mano sulla maniglia, ma Riccardo si alzò in piedi e mi raggiunse mentre gli davo le spalle, poi mi cinse la vita  con le deboli braccia.

- Non farlo...-

Sussurrò a bassa voce e appoggiò la testa sulla mia schiena.

- Devi stare calmo, Ro -

La persona che si trovava dall'altra parte della porta smise di bussare e tirai un sospiro di sollievo.

- Visto? Se n'è andato, spero solo che non fosse tua madre... Mi odia già abbastanza -

Non rispose, ma mi strinse ancora più forte.

Mi girai e lo abbracciai forte, non volevo fargli capire che  precedentemente mi ero spaventato quasi quanto lui.

- È tutto finito, stai calmo -

Appoggiai il mento sulla sua testa, l'odore di miele intriso nei suoi capelli mi invase le narici e funzionò da tranquillante.

- Va tutto bene...-

Girai il viso e premetti una guancia sul suo capo, rivolto verso destra.

Una sagoma oscurò il pavimento e rimase fissa lì, pensai si trattasse di qualche ramo d'albero spostato dal vento o di un gatto che faceva ombra da fuori, ma la forma non corrispondeva. Alzai lo sguardo verso la finestra e lo vidi.

Senza rendermene conto iniziai a urlare, se possibile ancora più forte di quanto avesse fatto Riccardo poco fa. Lo sentii stringersi a me e conficcare le unghie nella mia schiena; in una frazione di secondo l'uomo ridusse in frantumi la finestra a cui si era affacciato, quel misero stridore di vetri rotti bastò a mandarmi definitivamente in panne il cervello.

"Ro, scappa!"

Ma quelle parole rimasero laddove la mia mente le aveva formulate, non riuscii a dire niente. In quel modo capii ciò che Riccardo aveva provato qualche attimo prima, era molto peggio che aver visto i miei genitori morti per mano sua, perché ora sapevo di aver perso tutto, eccetto quella persona che tremava fra le mie braccia.

 

Sab 13 ottobre, mattina

 

Strinsi gli occhi un paio di volte, bruciavano terribilmente.

C'era qualcosa di sbagliato, sentii che non dovevo essere lì.

"Sono morto?"

Una mano accogliente si chiuse attorno al mio polso. Tentai di aprire la bocca, le labbra erano secche e la mia voce suonò rauca e debole.

- Ro...? Sei tu? -

Quando aprii gli occhi, una forte luce mi colpì in viso impedendomi di vedere bene. Mi girai su un fianco in cerca del suo corpo, mi ci aggrappai e strinsi più forte la sua mano.

- Sì...Come stai? -

Anche la sua voce suonò priva di vivacità, come invece era di solito.

- Bene...credo, tu? -

Lentamente cominciai a mettere a fuoco la stanza: eravamo entrambi stesi sul pavimento del salotto di casa sua, la forte luce entrava da una finestra rotta. Era mattina. I cocci di vetro per terra riflettevano sulle mattonelle delle scie colorate, simili a piccoli arcobaleni.

- Bene -

Il ricordo della sera precedente mi ritornò alla mente e mi stordì così come avrebbe fatto una violenta botta in fronte.

"Quell'uomo..."

Iniziai a toccarmi dappertutto, come a voler trovare al tatto qualche ferita mortale o altro, ma non c'era nulla. Provai la stessa sensazione di quella sera in cui avevo creduto di essere stato colpito da un proiettile. Mi voltai verso Riccardo e controllai che stesse realmente bene: nessuna traccia di sangue o percosse neanche su di lui, eccetto per i graffi sul viso che si era procurato da solo. L'unico segno dell'accaduto era la finestra rotta, nient'altro.

Mi tirai su e lo aiutai ad alzarsi, mi rivolse un sorriso di gratitudine.

Il mio stomaco reclamò del cibo con un imbarazzante "brrr", quindi fui costretto a chiedere a Riccardo se avesse qualcosa per fare colazione.

Mangiammo due toast ciascuno, con burro e marmellata. Finito di fare colazione, rimasi seduto a fissare l'altro mentre metteva a posto. Non avevo la minima idea di cosa fare, e non intendevo solo rispetto a quella mattinata, ma cosa avrei dovuto farne della mia vita. Dopo tutti quegli avvenimenti sicuramente non potevo riprendere in mano la situazione e continuare a trascorrere le mie giornate come se nulla fosse: i miei genitori erano morti, entrambe le case erano sotto la supervisione dei poliziotti, i quali probabilmente mi stavano ancora cercando per avere delle risposte e forse anche per sbattermi in un misero orfanotrofio o giù di lì; ovviamente non potevo mettere piede neanche a scuola, avrei ricevuto solamente sguardi compassionevoli, infine di rimanere in quella casa non se ne parlava proprio, non dopo quello che era successo. E se fossimo scappati? Ancora peggio, lui ci avrebbe trovati subito. Lui sapeva sempre dove fossimo e cosa stessimo facendo, in qualsiasi momento.

- Quando torna tua madre? -

Scrollò le spalle.

- Dovrebbe tornare da lavoro stasera, perché? -

Corrugai la fronte.

- Stasera? In teoria non dovrebbe essere già tornata? -

Riccardo sembrò un po' intontito.

- Oh sì... Stanotte ha dormito con il suo compagno, quindi è andata direttamente a lavoro stamattina -

Tirai un sospiro di sollievo.

- Meno male, almeno abbiamo evitato di farci trovare...Ehm...In quello stato -

- Già -

Mi guardò furtivamente, poi riprese a spazzare i cocci di vetro.

Mi faceva ancora male la testa, quindi mi chinai sul tavolo e chiusi gli occhi, di lì continuai a fare un quadro della situazione. Pensandoci bene, la sera precedente Riccardo aveva agito come se conoscesse anche lui quello stalker, questo voleva dire che non ero l'unico a essere tormentato, era molto probabile che agisse in parallelo contro entrambi, il punto era: se diceva a me di stare lontano da Riccardo, allora a Riccardo diceva di stare lontano da me? A quale scopo? Perché lui avrebbe dovuto beneficiarne?

Mi tornò alla mente di nuovo quella sera in cui avevo rifiutato di fargli compagnia e lo avevo lasciato davanti casa, allora era quello lo stalker a cui si riferiva? Mi misi le mani fra i capelli, avrei voluto domandargli migliaia di cose, compreso ciò che non mi aveva detto il giorno precedente, ma non volevo mettere in mezzo l'argomento e mandarlo in crisi di nuovo. 

- Oh, il telefono! -

Scappò di sopra e lo sentii aprire la porta della sua stanza, tornò dopo un paio di minuti. Mi rivolse uno sguardo un po' teso.

- Era mia madre, ha detto che non si sente bene e tornerà prima da lavoro...Dovresti andare -

Sbuffai e mi alzai dalla sedia.

- Va bene, quindi...Tu che pensi di fare? -

- In che senso? -

- Per esempio... Lunedì tornerai a scuola? -

- Uhm... Penso di sì -

- E per la finestra come farai? -

- Me la vedo io -

Mi affrettai a indossare il giubbino e varcai la soglia dopo avergli rivolto un debole "okay".

 

 

Decisi di andare a controllare se la casa di mio padre fosse ancora infestata di poliziotti e quant'altro.

Nessuno, solamente un nastro giallo che veniva sballottato di qua e di là dal vento, il quale citava con aria minacciosa di non avvicinarsi. Lo scavalcai senza farmi troppi problemi e aprii la porta cigolante.

La mia stanza era ancora intatta, il letto sfatto così come l'ultima volta che mi ci ero steso. Decisi che mi sarei stabilito lì, ovviamente fin quando non mi avrebbero trovato e mandato in qualche manicomio; ma i miei piani si rivelarono infondati e precipitosi: non c'erano né corrente elettrica né acqua.

"Be', ci penserò più tardi"

Dopo una buona mezz'ora passata a fissare il soffitto molto intensamente, pensai che sarebbe stato intelligente non rispondere alla miriade di messaggi dei miei amici, avevo intenzione di sparire totalmente dalle loro vite.

Vi erano svariati "come stai?", "Mi dispiace per tuo padre", "dove sei?”

In quel momento realizzai che doveva ancora essere celebrato un funerale per entrambi i miei genitori.

Se ne sarebbero dovuti occupare i miei nonni, nonostante non si fossero neanche presi la briga di venirmi a trovare o farmi una telefonata.

Sbuffai e mi passai una mano fra i capelli, subito mi accorsi di non avere il bracciale di mia madre: l'avevo sganciato dal suo polso e lo avevo indossato la notte della sua morte. Iniziai a preoccuparmi, era un oggetto di grande valore per me.

"Deve essermi caduto ieri mentre correvo, o forse l'ho perso a casa di Ro"

Mi lasciai prendere dal panico, se l'avessi davvero perso mentre correvo sarebbe stato inutile cercarlo, era un bracciale d'argento molto sottile. Ma era impossibile che mi fosse caduto dal momento che il mio polso era molto più grande rispetto a quello di mia madre, quindi non mi andava per nulla largo.

Un pensiero ancora più orribile si affacciò alla mia mente: "e se qualcuno me lo avesse tolto mentre ero privo di sensi?"

In effetti era un'ipotesi plausibile, la finestra era stata "aperta" tutta la notte e sarebbe potuto entrare chiunque.

Mi alzai dal letto e mi rimisi il giubbino, sarei andato a controllare vicino casa di Riccardo, non avevo altra scelta. Scesi le scale di corsa, al piano di sotto un forte luccichio nella stanza buia attirò la mia attenzione. Proveniva da sotto un mobile della cucina; mi avvicinai e mi abbassai sulle ginocchia per vedere meglio.

A terra c'era il bracciale che stavo cercando, ma non ebbi neanche il tempo di chiedermi come fosse arrivato fin lì, che fui costretto a indietreggiare fino a sbattere contro la parete opposta. La sottile catena d'argento era chiusa attorno a un polso violaceo e privo di battito.

 

Buon pomeriggio, so che non aggiorno da tantissimo tempo, ma la scuola mi tiene sempre impegnata!

Per farmi perdonare ho scritto un capitolo un po' più lungo, sono secoli che sto cercando di scriverlo, oggi ce l'ho fatta a finirlo finalmente :3

Chissà che sta combinando Riccardino, lo stalker tormenta anche lui? Mhhh.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e fatemi sapere se ci sono errori/incongruenze ecc.  Come al solito (TT) 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. ***


Sab, 13 ottobre, sera

Mi misi una mano sul petto come a incitare il mio cuore a smettere di martellare così forte; presi un profondo respiro e mi dissi sottovoce di mantenere la calma.

"Non c'è niente che possa spaventarmi più di quello che ho già visto"

Ma erano parole inutili, a ogni disgrazia il mio terrore si ripeteva, mi sarei potuto abituare...Ma no, si ripeteva con maggiore intensità, gradualmente. In quel momento mi chiesi quanto sarebbe dovuta andare avanti quella storia, quante volte ancora avrei dovuto trovare un'orribile sorpresa ad aspettarmi dietro l'angolo, prima di poter finalmente cadere a terra senza forze e abbandonarmi ai tristi ricordi.

"Forse quando tutto sarà finito, la mia mente sarà vittima della follia da molto tempo ormai, troppo. Sarà quella la mia vera liberazione? La follia? In fondo i pazzi non sembrano stare così male..."

Mi feci coraggio e mi avvicinai lentamente a quella cosa. Ero così vicino da poterne quasi immaginare il respiro, o respirava davvero? Con dita tremanti esercitai una leggera pressione sulla pelle secca e vuota. Freddo. Rabbrividii. Mi dissi nuovamente che non c'era nulla da temere, poiché quella cosa, qualsiasi cosa fosse, era priva di vita e non poteva farmi del male.

"Questa volta IO sono in vantaggio"

Afferrai con decisione quella mano riversa tristemente a terra, un prepotente "ce la farò?"  si affacciò alla mia mente, ma era troppo tardi: cominciai a tirare verso di me quello che si rivelò essere un intero corpo privo di vita. Il viso era inclinato in modo tale che una guancia aderiva al pavimento polveroso; scostai i sottili capelli castani dalla fronte pallida. I suoi occhi spenti si posarono su di me, in essi gravava tutto il peso di una morte inattesa, sopraggiunta nel momento sbagliato. Di rimando fissai i miei occhi in quello sguardo vuoto, alla ricerca di una risposta.

"Dove ho già incrociato questo sguardo? No, non è lo stesso di allora"

In essi non era più vivida quella scintilla di follia che mi aveva tanto turbato, non c'era nulla.

E così anche la madre di Riccardo aveva incontrato il suo destino, forse troppo in fretta. Sapevo già chi fosse il colpevole.

Dom, 14 ottobre, notte

Durante tutta la notte la mia mente fu pervasa da pensieri del tipo: "lui lo sa?", "E se non lo sapesse dovrei dirglielo?", "Sicuramente non ne è a conoscenza, questo cadavere è qui da un giorno al massimo, e lui ieri era certo che sua madre fosse a lavoro, insomma, lei l'ha anche chiamato al cellulare"

Eppure mi balenò in testa un'immagine di venerdì, quando Riccardo mi aveva trovato addormentato davanti casa sua. Alla domanda "dove sei stato?"  aveva risposto con molta ansia, quasi farfugliando.

"Sarà stata una mia impressione, era solo sorpreso di vedermi lì"

Non mi decisi ad abbandonare quella stanza per andare a letto, ma rimasi lì al buio, come a fare la guardia a quella donna che ora sembrava essermi diventata cara.

Dom, 14 ottobre, mattina

Lentamente dei raggi di luce tremolanti cominciarono a diramarsi sulle mattonelle grigiastre; uno di essi si avvicinò timidamente al mio piede e risalì lungo il mio corpo ricurvo a terra. Quel piccolo raggio bastò a farmi destare dallo stato di dormiveglia in cui versavo.

Non appena fui in piedi, mi chiesi cos'altro avrei potuto fare se non continuare a rimuginare sugli eventi accaduti in tutto quel tempo, che era trascorso così in fretta. Non potevo mangiare né lavarmi, non potevo andare a scuola o uscire con gli amici, per quanto in quel periodo non mi importasse nulla di loro; in un attimo mi lasciai pervadere da un senso d'ansia così forte che sentii il mio stomaco contrarsi e aggrovigliarsi in mille nodi. Non c'era giustificazione che potesse mettere freno a quello stato di irrequietezza, perché esso era fondato su solide basi: in quelle condizioni non potevo sperare di concludere niente, niente di niente. Avevo paura perfino di guardarmi allo specchio, paura dei segni che aveva lasciato sulla mia pelle tutto quel veloce susseguirsi di sofferenze e dolori atroci; chiunque guardandomi non avrebbe capito, non avrebbe visto, ma io sì, ed era proprio quello che mi tormentava.

Quegli eventi mi avevano cambiato a tal punto che sentivo di non essere minimamente in grado di riconoscermi: comparato al me stesso di qualche giorno prima, sarei potuto divenire una belva feroce tanto quanto una povera preda, incapace di difendersi da tutto. Ma non volevo saperlo. Il tutto era trascorso così velocemente, pensandoci bene, ma io avevo sentito il peso insostenibile di ogni singolo giorno, credendo di potercela fare, di riuscire a sollevare quell'enorme macigno in futuro...Quel  futuro che si allontanava sempre di più, che ormai  stavo perdendo di vista. Ero stato davvero così presuntuoso nei confronti della mia sorte, da credere di poter salvare sia me stesso che lui? Ma ora capivo bene la mia situazione, eccome se la capivo: mi ritrovavo lì, nella casa in cui era morto mio padre, a fare compagnia a un cadavere come se fosse la cosa più normale del mondo.

Dai miei occhi cominciarono a uscire grandi lacrime, erano calde e pesanti, intenzionate a scavare dei profondi solchi nel mio viso; percorrevano velocemente i miei lineamenti, per poi cadere e dissolversi sul tessuto scuro dei miei vestiti. Mi portai le ginocchia al petto e le avvolsi in un debole abbraccio. Constatai che non potevo andare avanti in quello stato, che non potevo stare con le mani in mano, quando potevo invece evitare che qualcun altro soffrisse, e non c'era nessun altro ormai di cui mi importasse, se non di lui.

"Adesso sarà a casa da solo ad aspettare sua madre, ma lei è qui con me"

"Come si sente in questo momento? Triste? Solo? "

"Devo dirgli la verità"

Finalmente mi decisi a lasciare quella stanza, salii le scale e andai nella mia camera a prendere il cellulare; composi il numero di Riccardo in fretta, ogni squillo era una forte martellata nel petto, era il mio cuore? Quando la sua voce mi rispose, sentii i muscoli del mio corpo distendersi e la testa diventare improvvisamente più leggera.

- Pronto? -

Di sicuro non stava dormendo.

- Hey, scusa se ti chiamo a quest'ora...Ehm...Tua madre è tornata a casa? -

Avrei voluto darmi un pugno in faccia: perché avevo fatto quella domanda se sapevo già la risposta?

- Sì... Perché? -

Il mio cuore saltò più di un battito. Ero troppo sconvolto per portare avanti quella conversazione.

- Oh...Okay, grazie -

- Mi hai chiamato solo per chiedermi questo? -

Rise sottovoce, come se avesse avuto paura di svegliare qualcuno, anche se con lui non c'era proprio nessuno.

- Bene, allora scusa di nuovo e...Buonanotte -

Terminai la chiamata prima che lui potesse aggiungere altro. Scesi le scale a rotta di collo, respirando freneticamente. Il cadavere era ancora lì, non era nessuna illusione, non questa volta. Mi avvicinai cautamente al corpo senza vita e accesi la torcia del cellulare, illuminandone il volto.

Era lei, non c'erano dubbi. Che Riccardo si fosse davvero addormentato e non si fosse accorto che la madre non era ancora rientrata?

“Impossibile, non la vede da troppo tempo”

Lun, 15 ottobre, mattina

Non avevo chiuso occhio neanche la notte precedente. Mi chiesi se sarei dovuto andare a scuola; in effetti non avevo alcuna voglia di rimanere segregato in casa per il resto della mia vita, per quanto le probabilità di averne una lunga diminuissero a vista d'occhio; per giunta quel cadavere cominciava a puzzare.

Purtroppo non ricordavo neanche dove fosse il mio motorino, probabilmente lo avevano sequestrato, quindi fui costretto a prendere uno squallido pullman. Per fortuna avevo un po' di soldi nella tasca del giubbino, gli ultimi rimasti.

Sbuffai sonoramente, quel pullman aveva un odore orribile e ben presto capii il perché; un signore anziano si sedette accanto a me, aveva gli aloni di sudore sotto le ascelle e puzzava da morire.

"Ma dico, fra tutti i posti che ci sono…"

Voltai la testa per evitare di guardarlo, al contrario, quell'uomo non la smetteva di fissarmi.

- Scusa -

Mi diede un colpetto sul braccio con il gomito.

Mi voltai e lo guardai male.

- C'hai una sigaretta? -

- No -

Ripresi a guardare gli orrendi marciapiedi della mia città dal finestrino.

Percorsi velocemente i corridoi della scuola e salii al secondo piano. La porta della mia classe era chiusa, già dall'esterno potevo sentire le urla della professoressa di italiano.

"Quella stronza"

Fui tentato di tornare indietro, ma ripensai al modo molto sconveniente per farlo.

Bussai alla porta finché uno sgraziato "avanti" mi convinse ad abbassare la maniglia.

- Buongiorno -

La professoressa strinse gli occhi e mi squadrò da capo a piedi.

- Cantiello, allora sei vivo... Purtroppo mi sa che hai perso l'orologio, sono le nove, te ne sei accorto? -

Delle risatine sommesse giunsero fino alle mie orecchie.

- Sì, l'ho perso -

Scrollai le spalle.

Fui nuovamente tentato di ritornare a casa, ma c'era un valido motivo per rimanere lì, e quel motivo mi guardava perplesso dall'ultimo banco della fila centrale.

- Be', poco importa, va' a sederti -

Mentre raggiungevo il mio banco, nessuno mi tolse gli occhi di dosso: c'era chi mi guardava con curiosità, chi ridacchiava con i compagni, chi mi rivolgeva occhiate di compassione. In ogni caso non mi interessava, e la professoressa riprese presto a parlare.

Per tutta la durata della lezione non feci altro che seguire con gli occhi quei boccoli biondi che sballonzolavano da tutte le parti, erano così chiari e ben fatti che sembravano finti, forse lo erano.  Certo, sarebbe stato molto più interessante capire cosa avesse da dirmi Riccardo, dal momento che continuava a guardarmi imperterrito, come sempre.

Non appena suonò la campanella, Noemi mi si avvicinò con passo deciso, come se non aspettasse altro. Sul suo viso spiccava un timido sorriso, mentre i capelli mossi e cortissimi, che le sfioravano appena la nuca, oscillavano a ogni suo passo.

- Ehi -

- Ehi -

Provai miseramente a ricambiare il sorriso.

- Come st- Ah! Oh...Che domanda stupida...Mi dispiace per tua madre...E tuo padre...-

Era evidentemente in imbarazzo.

- Non ti preoccupare, io sto bene, e tu? -

- Nono! Non stai affatto bene, ti sei visto allo specchio? Hai delle occhiaie che ti arrivano fino ai piedi -

Probabilmente stava cercando di sembrare simpatica per tirarmi su di morale, ma ai miei occhi stava semplicemente peggiorando la situazione.

- Ho detto che sto bene, e tu? -

Si calmò all'istante, offesa.

- Oh...Io...Io sto bene, cioè insomma...Mi sono preoccupata un sacco per te, ti ho chiamato almeno dieci volte -

Controllare le chiamate perse e i ridicoli messaggi di condoglianze erano gli ultimi dei miei problemi.

- Ah, non me ne sono accorto, scusami -

Feci per girare i tacchi e far finta di avere un urgente bisogno di andare al bagno, ma la ragazza mi strinse saldamente un braccio e mi guardò supplichevole.

- Che c’è? -

- È che...Ti va di uscire con me oggi pomeriggio? Giusto per distrarti un po', non so...-

Capii che se avessi detto subito di no ci sarebbe rimasta molto male, e in fondo, anche se non mi importava nulla di Noemi, non volevo avere un altro peso sulla coscienza seppur minimo.

- Va bene, dammi tu un orario -

I suoi occhi si illuminarono.

- Alle cinque alla fermata del pullman, d'accordo? -

Annuii. Avrei dovuto prendere un altro pullman.

"Che palle"

Mi voltai e vidi Riccardo che mi guardava con le sopracciglia alzate e un sorriso intraducibile.

Di rimando simulai un "che vuoi?" con le labbra, ma non ottenni nessuna risposta.

 

Una volta fuori di scuola, presi un panino al volo in una piccola rosticceria e corsi verso la fermata del pullman. Trassi un lungo sospiro di sollievo quando constatai di avere altri spiccioli in tasca.

Passai il resto del pomeriggio a cercare dei vestiti decenti nel mio vecchio armadio, ma finii per indossare una felpa nera di almeno due taglie in più e un paio di jeans scuri. Mi guardai allo specchio del bagno, avevo davvero delle occhiaie orribili, ma non potevo farci niente.  

Alle cinque meno dieci ero pronto per trascorrere un noioso pomeriggio con una persona che mi avrebbe tartassato di domande. Andai nella stanza di mio padre in cerca di soldi; esultai quando ritrovai delle banconote in una scatola di scarpe sotto il suo letto, almeno adesso ero sicuro di poter sopravvivere per un altro po' di tempo, salvo imprevisti. Prima di chiudere la porta, mi voltai a guardare il cadavere ormai bianchissimo e violaceo in parti differenti.

"Ci penserò più tardi"

La trovai subito lì, eppure non ero in ritardo, probabilmente era arrivata in anticipo.

- Hey! -

Mi venne incontro con un sorriso a trentadue denti e mi chiese se mi andasse di prendere un gelato.

Arrivammo in centro, la piccola piazza pullulava di bambini urlanti in monopattino e coppiette che mangiavano gelati e si scambiavano effusioni sulle panchine. Noemi le guardò per un po', poi si voltò verso di me.

- Allora, questo gelato? -

- Sì, adesso andiamo -

Scorsi una gelateria a pochi metri da noi, entrammo. I colori sgargianti all'interno mi fecero venire la nausea, i gusti di gelato ancora di più.

- Tu non lo prendi? -

La cassiera mi guardava in cagnesco mentre Noemi aspettava che scegliessi i gusti.

- Ah, sì...-

Scelsi fiordilatte e fragola, i gusti più comuni e che mi davano meno il voltastomaco.

La ragazza mi rivolse un sorrisetto malizioso.

- Rosa? -

- Qualche problema? -

- No, no -

Scosse la mano come a scacciare via un brutto pensiero.

Ci sedemmo su una panchina, quasi al termine del corso che partiva dalla piazzetta, lontano dagli schiamazzi dei bimbi.

- Oh! -

Noemi mi passò un pollice sul labbro inferiore. Pensai che agli appuntamenti quel gesto spettasse ai ragazzi.

- Ti sei sporcato...-

Rise timidamente.

"Cosa dovrei fare ora? Ha capito che non mi piace affatto? "

Sì schiarì la voce.

- Allora, come va con le ragazze? -

Feci lo stesso anch'io, ma perché mi stavo per strozzare con il gelato.

- Oh...Ehm... Ultimamente non mi interessa nessuna...-

"Mezzo mondo sa che sono gay, perché lei no?"

- Come mai? Mi sembra che a scuola ti sbavino tutte dietro, non ti piace nessuna di loro? -

- Purtroppo no -

"Forse perché sono gay, quando hai intenzione di arrivarci?"

Qualcosa attirò la mia attenzione, anzi, qualcuno. Riccardo camminava tranquillamente per il corso, fingendosi interessato ai negozi. Quanto avrei voluto che ci fosse lui al posto di Noemi.

- Hey, ci sei? -

La ragazza mi sventolò una mano davanti alla faccia ma io non riuscivo a distogliere la mia mente da quel nanetto. L'idea che mi avesse seguito mi intrigava moltissimo, era geloso? Con la coda dell'occhio lo vedevo ancora mentre guardava degli orsacchiotti blu esposti in vetrina.

Noemi mi costrinse a rivolgere di nuovo la mia attenzione a lei. Ora era troppo vicina per i miei gusti.

- Quindi...Mi assicuri che non devo competere con nessuna...? -

Rivolsi uno sguardo disperato a Riccardo, il quale si era voltato e mi guardava divertito.

- Probabile...-

Le sue labbra si appoggiarono sulle mie, erano fredde e umide. Ebbi immediatamente l'impulso di allontanarmi, ma le sue labbra di schiusero e la sua lingua penetrò fra le mie; la sensazione era alquanto sgradevole, la sua bocca aveva un sapore dolciastro, e non volli assaporare più di tanto. Mi scollai da lei, cercando di assumere un'espressione neutra più che schifata.

Mi voltai a guardarlo, aveva un'espressione schifata anche lui.

- Non ti è piaciuto? -

- No...Ehm... Cioè...Non me lo aspettavo -

Mi grattai la nuca, evidentemente a disagio.

- Be', pensavo avessi capito che questo è un appuntamento! -

- Veramente no. Avevi detto che volevi farmi distrarre...-

- Almeno ci sono riuscita? -

Noemi si fece tutta rossa, sembrava che stesse per esplodere.

- No -

Mi alzai e mi incamminai a passo spedito verso Riccardo, ma per la seconda volta in quella giornata la ragazza mi afferrò il braccio.

- Allora è vero! -

- Che cosa? -

Rispiravo affannosamente, Riccardo mi dava le spalle e avanzava velocemente, non volevo che se ne andasse.

- Che sei frocio! -

Mi si strinse lo stomaco e sentii le guance che ribollivano. Provai una profonda vergogna.

Si voltarono tutti a guardarmi, compresa quell'unica persona di cui mi interessava il parere.

Guardai Noemi con odio, ma non le dissi niente.

 

La casa sembrava più silenziosa del solito, un silenzio opprimente. La lancetta dell'orologio rotto scandiva il tempo in modo irregolare.

- Hey -

Mi sedetti su una sedia in cucina.

- Mi saresti molto più utile se potessi parlare -

Nessuna risposta.

- Mi potresti aiutare a comprenderlo un po' meglio…intendo tuo figlio -

Sospirai.

- Ma forse non lo conosci bene neanche tu... Be', è un bravo ragazzo -

Mi alzai e indossai un giubbino scuro con il cappuccio. Fuori era buio pesto, perfino i lampioni si astenevano dall'illuminare la strada all'esterno.

Avvolsi la donna in una coperta vecchia e me la caricai sulle spalle.

- Oh! Sei bella pesante, eh! -

Uscii di casa con quel fardello addosso e camminai a lungo, respirando pesantemente e osservando le piccole nuvolette bianche che fuoriuscivano dalla mia bocca per via dell'aria gelida. Giunsi in un terreno ormai abbandonato, ricordai che da piccolo andavo spesso a giocare a pallone lì, con i miei amici, ma l'anziano proprietario non perdeva mai occasione per dire ai miei genitori che non sopportava i nostri schiamazzi a tutte le ore del giorno. Sorrisi.

 “A quel tempo quel vecchio era davvero l'unica cosa che mi terrorizzava”

- Ecco, qui dovrebbe andare bene -

Mi accorsi che ultimamente avevo preso la brutta abitudine di parlare ad alta voce quando ero solo, probabilmente lo facevo un po' per sentirmi meno solo, un po' per riempire il silenzio assordante di ogni giorno.

- Non è il massimo per te, ma in fondo non so neanche se sei stata una brava mamma. Evidentemente...No -

Mi tirai su le maniche e cominciai a scavare nella terra a mani nude, portare con me una zappa avrebbe destato troppi sospetti.

- È noioso, vero? -

Gettai un'occhiata al corpo addormentato, seduto con la schiena aderente a un vecchio tronco d'albero.

- Ti va se ti canto una canzone? -

Presi il suo silenzio come un consenso e, accompagnato dal rumore che facevano le mie mani a contatto con la terra umida, iniziai a cantare.

"My head is haunting me and my heart feels like a ghost

I need to feel something, cause I'm still so far from home

Cross your heart and hope to die

Promise me you'll never leave my side

Show me what I can't see when the spark in my eyes is gone

You got me on my knees, I'm your one man cult

Cross my heart and hope to die

Promise you I'll never leave your side

Cause I'm telling you, you're all I need

I promise you you're all I see

Cause I'm telling you, you're all I need

I'll never leave

So you can drag me through Hell

If it meant I could hold your hand

I will follow you cause I'm under your spell

And you can throw me to the flames

I will follow you

I will follow you..."

 

Ciao! Come al solito sono in ritardo…stavolta ho scritto il capitolo abbastanza in fretta, il problema era postarlo, uff.

Come sempre scusate se ci sono errori grammaticali o legati a struttura e html, anche se ho rivisto il testo settordici volte (?). La parte iniziale vi sembrerà un po’ noiosa forse, ma ci tenevo a fare una maggiore “analisi” sui pensieri di Alessio.

 

Grazie a tutti quelli che hanno continuato a leggere la mia storia, ah! Ho iniziato a postare i capitoli anche su Wattpad, un po’ modificati per via di cose che non mi piacevano molto, se vi va la trovate con lo stesso titolo, il mio nick è grethahh_ 

 

P.S. La canzone alla fine del capitolo è Follow You dei Bring me the horizon, vi consiglio vivamente di ascoltarla <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. ***


Mar, 16 ottobre, mattina

Entrai in classe prima del solito, tutti i banchi erano vuoti, eccetto l'ultimo.

"Ovviamente"

- Hey, Ale -

Il ragazzo mi rivolse la parola senza guardarmi in viso, era troppo concentrato a scrivere velocemente su un quaderno.

- Non hai fatto i compiti? -

- No -

- Ah, che sgarro! Dovrei dirlo alla prof...-

- Finiscila -

Sorrise mentre cancellava frettolosamente l'inchiostro con il bianchetto.

- Già vedo il titolo in copertina: Alunno modello, Riccardo Buonarotti, si astiene dal fare i compiti. Il mistero è ancora irrisolto -

Stavolta mi rivolse uno sguardo contrariato.

- Come se tu li avessi mai fatti -

- Esatto, io almeno non li ho mai fatti -

Fece una smorfia e riprese a scrivere, ma io ero troppo curioso per poter lasciare correre l'argomento senza ottenere alcuna informazione da lui.

- Allora, come mai ieri non hai studiato? Eri troppo impegnato a pedinare qualcuno? -

Riccardo mi guardò di nuovo, alzando le sopracciglia.

- Non ti stavo seguendo -

- Ah, quindi mi stai dicendo che il pomeriggio esci da solo e ti metti a fissare le vetrine? In entrambi i casi risulti uno psicopatico -

- Va bene, prima che inizi a tartassarmi con i tuoi discorsi sarcastici, sì -

- Sì  cosa? -

- Sì, ti stavo seguendo -

Abbassò lo sguardo, era un po' imbarazzato.

- Perché? -

- Non ti interessa -

- Sì, invece. È un reato stalkerare la gente -

Il suo corpo ebbe un sussulto, la punta della penna scivolò velocemente sul foglio disegnando una linea nera e tremolante.

- Scusami... è che quella ragazza non me la racconta giusta -

- In che senso? -

- Be'...ecco...non ho chissà quali motivazioni -

Le sue guance si colorarono di un rosa scuro.

"Glielo chiedo?"

Prima che il mio cervello potesse elaborare un qualsiasi tipo di riflessione, la mia bocca si aprì incoscientemente e parlò.

- Sei geloso? -

Sussultò di nuovo, stavolta la penna gli sfuggì di mano.

- N-no... è che io... sì...credo -

Il battito del mio cuore accelerò un po'.

- Oh...penso che sia normale -

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia.

- Normale? Normale?! Io non sono come te! -

- Come...che intendi? -

- Gay -

Il mio corpo parve intorpidirsi all'istante, come se qualcosa mi avesse trafitto lo stomaco inaspettatamente.

- Ma tu mi hai baciato -

Mi guardò con disappunto, stavolta alzando le sopracciglia.

- No, tu  mi hai baciato -

La freccia penetrò più in profondità.

- Non sembravi così contrariato -

- Ero felice e ti volevo ringraziare -

- Be', prego! -

Diedi un calcio a una sedia e feci per uscire fuori, ma il ragazzo mi fece voltare bruscamente verso di lui afferrando un lembo della mia maglia.

- Ascolta...cerca di metterti nei miei panni...non ho mai provato attrazione per un ragazzo. Ecco, l'ho detto... -

Lo feci allontanare con una spinta sul petto, la sua espressione era alquanto sconvolta.

- Non mi interessa, in ogni caso non dobbiamo stare insieme -

- Perché? -

- Non lo vedi? Già mi bastano le offese che ricevo dai miei stessi amici, non credo di voler sopportare anche le cose che direbbero a te -

- È solo questo il problema...? -

- No, hai ragione...io non sono normale, e neanche tu lo sei se mi stai accanto-

Riccardo mi guardava fisso, cercando di carpire qualcosa anche dalle mie espressioni facciali, ma ero ben sicuro di non averne alcuna in quel momento.

- Non sto capendo, questo discorso non ha senso! -

Si passò una mano fra i capelli e prese un respiro profondo, poi riprese la parola.

- Okay, scusami, ho iniziato io, però dobbiamo chiarire questa cosa...tu cosa provi per me? -

Sgranai gli occhi, di certo non mi aspettavo una domanda così diretta.

- Nulla, siamo solo amici -

Parve leggermente deluso dalla mia risposta, ma in fondo sapevo che si aspettava una frase del genere e sapevo anche che non ci credeva davvero.

- E allora perché mi hai baciato? Perché mi guardi sempre con quella faccia? -

- Quale faccia? -

- Come se fossi l'unica cosa che ti fa stare bene in questa grande montagna di merda -

Quelle parole mi colpirono in faccia come uno schiaffo, non per il linguaggio scurrile, ma perché erano vere.

"Sì, è questa la verità. Ci sei arrivato già da tempo, non è vero? Forse dalla prima volta che ci siamo visti"

Ma io dovevo salvare lui, prima di me stesso, e per farlo non mi restava altro che negare l'evidenza. Il fatto che si fosse arrabbiato con me era stato un gran bel colpo di fortuna.

- No, ti sbagli. Ti ho baciato perché mi andava, perché sono un frocio di merda e perché...-

Mi ritrovai con il viso umido, bagnato dalle lacrime.

"Che cazzo mi sta succedendo? Perché non riesco più a parlare?! No...no! Sono un idiota..."

- Ale...? -

Riccardo si avvicinò e prese ad accarezzarmi la schiena con una mano, stringendomi in un debole abbraccio.

- Vattene -

- Ale...so che mi stai nascondendo qualcosa, perché non parli? Scusa per prima…se ti ho fatto arrabbiare…non volevo -

- Stai zitto -

Lo spinsi di nuovo.

- Fra i due sei tu quello che spara più cazzate! Quante bugie mi hai detto finora? -

Di rimando mi guardò stranito, di nuovo.

- Che stai dicendo? Io non...-

- Non mi hai mai detto come la pensi veramente! Non mi hai mai guardato nello stesso modo per due giorni di seguito...non mi hai mai detto niente di te -

Aprì la bocca per prendere la parola, ma sovrastai la sua voce con la mia.

- No! Se devi dire altre stronzate è inutile che apri la bocca, non voglio sentirti -

- Smettila...ti stai facendo un'idea sbagliata di me...io...-

Eccola, di nuovo quell'espressione di terrore.

"Adesso chi è il pazzo? È difficile dirlo..."

- Ale...-

- Riccardo -

- S-sì...? -

- Dov'è tua madre? -

Si mosse all'indietro come se avesse ricevuto un pugno in faccia, poi si coprì il volto con le mani, ma non m'importava, dovevo sapere.

- Questa...questa conversazione non sarebbe dovuta mai iniziare...-

- Ro, rispondi -

Si tolse le mani dal viso e fissò i suoi occhi folli nei miei.

- Non chiamarmi così! Non farlo mai più! -

Il suo sguardo divenne rabbioso e ostile nei miei confronti.

- Vuoi rispondere?! Cazzo! -

- È morta! È morta, è morta, è morta, è morta! -

Si inginocchiò a terra, con la testa fra le mani. Proprio in quel momento il bidello si affacciò nella classe, curioso.

- Che state combinando voi due? -

Negli occhi di Riccardo si accese una scintilla che mi fece sussultare.

"Ha lo stesso sguardo di sua madre... com'è possibile?”

- Niente! -

Il ragazzo si alzò da terra, asciugandosi il viso con le mani tremanti.

- Io...mi sono arrabbiato perché mi ha fatto uno scherzo -

L'uomo ci squadrò da capo a piedi, poi si limitò ad alzare le sopracciglia e a scomparire fischiettando dal campo visivo di entrambi.

Non appena se ne fu andato, Riccardo cominciò a guardarmi in modo supplichevole.

- Ale...scusami...io...non so che mi è preso...di nuovo… -

- Non importa -

- Sì, invece...scusa se non ti ho detto di lei...scusami...-

Stavo per dire la fatidica frase "è finita, sparisci dalla mia vita"  su cui stavo meditando da intere nottate, ma lui mi anticipò.

- Ho sbagliato...ho sbagliato di nuovo....dovevo fare il bravo bambino...-

"Bravo bambino?"

- Scusami...scusami...forse è meglio se la finiamo qui...mi dispiace...-

Raccolse in fretta la sua roba, mentre io lo guardavo sbigottito, ma allo stesso tempo con orrore.

Uscì dalla classe il più velocemente possibile, lasciandomi da solo in quell'aula dove l'aria era piena dei miei dubbi e delle mie domande senza risposta.

"Non ci sto capendo più niente, mi sento un idiota"

 

Falsificai un permesso per uscire alla seconda ora, firmato da un mio ipotetico cugino maggiorenne.

Una volta fuori di lì, mi affrettai a tornare a casa.

Mar, 16 ottobre, sera

Ero seduto a leggere un libro illuminandone le pagine con la torcia del cellulare quasi scarico, quando il trillo del campanello mi fece sobbalzare dalla poltrona. Mi passarono per la mente migliaia di ipotesi negative su chi potesse esserci al di là della porta, finché una voce familiare non chiamò il mio nome dall'esterno.

- Ale! Sono io, Matteo! -

Bussò forte ripetutamente.

- So che sei qui dentro, aprimi! -

Mi avvicinai alla porta e guardai attraverso lo spioncino, volevo essere sicuro al cento per cento che fosse lui.

Aprii la porta con cautela, poi mi ritrovai dinanzi alla sua espressione sollevata.

- Hey, da quanto tempo...come stai? -

Lo invitati a entrare con un gesto della mano, nonostante quel salotto ormai sembrasse una buca per topi e odorasse di marcio.

- Uno schifo -

Scrollai le spalle e mi lasciai cadere sulla poltrona su cui ero seduto poco prima.

- Lo immaginavo... è un vero porcile qui...ma non ti avevano vietato di ritornare? -

- Esatto, ma non voglio essere affidato a qualche casa famiglia o altro, a pensarci mi viene la nausea -

- Oh... perché non vieni a stare da me? Non credo che potrebbe farti così schifo...e poi potremmo avvertire anche la polizia, i servizi sociali o chiunque ti stia cercando. In fondo conosci bene la mia famiglia, no? -

A quella prospettiva il mio cuore parve alleggerirsi, ma non volevo essere così sfacciato, nessuno avrebbe davvero voluto in casa un adolescente depresso, per giunta con gli attacchi di panico e le allucinazioni.

- Non fare complimenti, eh. È stata mia madre a costringermi a venire qui...non che io non volessi...in ogni caso è qui fuori -

- Ah...pensavo fossi venuto da solo -

- Scherzi? Come sarei potuto venire da solo a quest'ora? Anche lei immaginava che ti fossi nascosto qui... be', alla fine sei molto prevedibile...-

Gli lanciai un'occhiataccia, poi sorrisi.

- D'accordo, però non trattarmi troppo come una principessa -

- Come vuoi...-

Sorrise anche lui, poi mi accompagnò di sopra a prendere vestiti, libri per la scuola e altro.

 

La madre mi Matteo mi guardò preoccupata attraverso lo specchietto mentre guidava sulla strada buia e attraverso l'aria nebbiosa.

- Ti vedo molto giù, piccolo -

Il suo tono materno per un attimo mi fece sentire la mancanza di mia madre; tentai di scacciare quel brutto pensiero, ma Rosanna tirò di nuovo in ballo l'argomento.

- È terribile quello che ti è successo in così poco tempo...davvero terribile...ma ora ti aiutiamo noi, va bene? Cercheremo di farti stare meglio -

Nonostante quelle parole suonassero inverosimili, mi diedero una speranza, chissà, magari un giorno si sarebbe potuta trasformare in sicurezza.

Mi voltai verso il finestrino; delle gocce d'acqua si scagliarono contro il vetro, poi cominciarono a scivolare giù velocemente, spinte dall'attrito.

"Non voglio più avere a che fare con lui...voglio dimenticare tutto, tutto. È così semplice, basta stargli lontano, no? Se ho vissuto tutto questo...posso farcela anche stavolta"

La stanza che mi aveva preparato sua madre era piuttosto piccola, ma di certo non potevo pretendere di più; nonostante non sapessi neanche dove sistemare la mia roba, seppur poca, c'era un fattore più che positivo: un bagno tutto per me, e non era niente male.

Prima di cena mi distesi nella vasca da bagno, era così rilassante che avrei potuto rinunciare a mangiare per rimanere immerso nell'acqua calda tutta la notte, ma avevo troppa fame.

- Ale! È pronto! -

Matteo bussò alla porta del bagno, saltai letteralmente fuori dalla vasca, grondante d'acqua e con una gamba addormentata; afferrai un'asciugamano e me la avvolsi intorno alla vita, giusto un attimo prima che il ragazzo aprisse la porta scorrevole di scatto.

- Ti vuoi muovere?! -

- Calmo, calmo, mi devo vestire un momento -

Feci un cenno con entrambe le mani per invitarlo a uscire, ma l'asciugamano, che non avevo indossato bene per la troppa fretta, cadde rovinosamente a terra.

- Oddio -

- Oops -

Rimasi a fissarlo finché non uscì autonomente dal bagno, eravamo entrambi troppo imbarazzati per poter dire altro.

 

- Allora, ti piace questa pasta? -

- Sì -

Sorrisi per rasserenare la donna che mi stava di fronte.

- Meno male! Matteo mi critica sempre per come cucino...-

- Ma', non lo faccio mica per cattiveria! È per farti migliorare -

- Sì, certo...-

La donna sbuffò e riprese a mangiare con calma.

Il padre di Matteo, di cui in quel momento non ricordavo il nome, non si espresse neanche una volta, ma mangiò silenziosamente tutto ciò che la moglie gli mise sotto il naso.

Finito di cenare, ci alzammo tutti dal tavolo e ognuno si dileguò in una zona diversa della casa: Matteo corse nella sua stanza dicendo che doveva finire una partita alla PlayStation, suo padre si andò a sedere sul divano e accese la TV, sua madre, invece, rimase in cucina per sparecchiare e lavare i piatti; solamente io rimasi fermo, in piedi, a chiedermi cosa avrei dovuto fare.

Diedi uno sguardo all'orologio, erano le nove e mezza.

"Be', penso che andrò a dormire"

Indossai il pigiama, poi spensi la luce e mi infilai nel piccolo letto.

Quella sera neanche lo scroscio della pioggia riusciva a tranquillizzarmi.

"È morta! È morta, è morta, è morta, è morta! "

Quella voce mi riecheggiò nella mente più e più volte, fino a convincermi che sarebbe stato impossibile riuscire a dormire. Prima che altre migliaia di domande si infilassero nella mia testa, mi alzai dal letto e uscii dalla stanza in punta di piedi. Nel corridoio le luci erano spente, fatta eccezione per la stanza di Matteo.

Bussai lievemente, poi entrai.

- Hey -

- Oh, Ale -

Il ragazzo era così concentrato a cercare di non far schiantare un'auto contro un muretto, che non mi guardò neanche in faccia. Mi sedetti sul letto accanto lui e lo guardai schiacciare spasmodicamente i tasti sul joystick, finché sullo schermo della TV non apperve un rosso e lampeggiante game over.

- Cazzo! Quel bastardo ha vinto di nuovo! -

- Stavi giocando contro Marco? -

- Sì -

Sbattè il joystick sul materasso e sbuffò.

- Ancora ci provi? Lo sai che non potrai mai batterlo, sta lì davanti dodici ore al giorno -

- Stai zitto, un giorno ci riuscirò -

- Sì...come no -

Lo canzonai, poi mi stesi sul letto a pancia in su, con le braccia dietro la testa.

- E tu? Che hai fatto? -

- Oh...niente, ho provato a dormire, ma quel letto non mi ispira più di tanto –

- Capisco -

 

Si stese anche lui accanto a me e si voltò a guardarmi con una strana espressione in volto.

 

Le nostre labbra si scontrarono inevitabilmente, percepii all’istante l’errore di quel contatto, ma non mi arrestai.

- Hey, aspetta un attimo -

Al contrario, Matteo si allontanò dal mio viso quasi subito.

- Sei sicuro che così vada bene? -

- Sì -

- No, ecco…intendo…Riccardo -

Distolsi il mio sguardo dai suoi occhi insicuri.

- Ho chiuso con lui -

Non aspettai neanche un suo cenno di assenso, ripresi a baciarlo con foga, non perché avessi bisogno dei suoi baci, ma perché avevo fame di normalità, e le sue labbra ne avevano l’amaro e desiderato sapore.

Non sapevo quanto tempo fosse trascorso fra baci e sospiri, fatto sta che ci ritrovammo entrambi aggrovigliati fra le coperte, stanchi e ansanti, io per la voracità con cui avevo agito, lui perché, attraverso quel contatto tanto intimo, aveva sicuramente sentito sulle spalle gran parte del peso sotto il quale ero costretto a piegarmi ogni giorno, ed era sfinito.

- Ne sei proprio sicuro? -

La sua voce mi riportò indietro da una sfilza di brutti pensieri.

- Ti ho detto di sì, è finita fra me e Riccardo…come se poi ci fosse mai stato qualcosa fra di noi -

Alzai lo sguardo e presi a fissare il soffitto bianco sporco.

- Be’, meglio per te, non ho intenzione di essere solo una sostituzione -

- Ma non stiamo mica insieme -

- Lo so, però non mi va giù di essere stato soltanto quello -

Sbuffai e mi voltai dall’altro lato.

- Sì, sì, tranquillo -

Risposi con indifferenza, poi, credendo che Matteo si fosse sentito offeso per qualche motivo, ripresi la parola, tirando in ballo un argomento inutile.

- Si sta stretti qui dentro, non trovi? -

- Non dovresti essere tu a dirlo, dal momento che sei stato tu a infilarti nel mio letto-

- Giusto…be’, altri argomenti? Il mio portabagagli è vuoto –

Il ragazzo si lasciò sfuggire una risatina.

- Immagino sia per questo che sei sempre così acido -

Gli lanciai un’occhiataccia, poi allungai il braccio verso la piccola abat-jour e spensi la luce.

Mer, 17ottobre, mattina

Mi risvegliai nella stanza di Matteo, solo. Mi alzai controvoglia e andai in cucina nella speranza di trovare qualcuno, ma non c’era neanche l’ombra di uno di loro.

“Cazzo, no”

Corsi a prendere il cellulare e chiamai Matteo, nessuna risposta. Evidentemente era a scuola. Mi lasciai cadere all’indietro sul letto, sconsolato.

“Lo sento, sta arrivando”

Stetti immobile su quel piccolo letto, aspettando di sentire dei passi pesanti o una voce gelida che chiamava il mio nome.

“Dove sei?”

“Ti sto aspettando”

“Stavolta puoi venire a prendermi, sono pronto”

Sobbalzai quando il grande orologio a pendolo in cucina cominciò a riprodurre un suono simile a quello delle campane. Era già mezzogiorno, tuttavia non trovai la forza e la volontà di alzarmi.

Dopo un tempo indefinito, uno sferragliare di chiavi mi convinse ad alzarmi. Mi affacciai all’arco del salone per controllare chi fosse; un uomo stanco fece il suo ingresso nella stanza.

- Buongiorno -

Pensai che fosse cortese salutare il marito della donna che aveva deciso di ospitarmi.

- Ciao -

Rimasi imbambolato a fissarlo mentre posava le chiavi sul tavolo e si toglieva cappotto e giacca; si sedette sul divano e diede una leggera pacca con la mano sul posto libero accanto a lui.

- Vieni un po’ qui -

Esitai per un attimo, poi lo raggiunsi; d’altronde lo conoscevo da quando ero piccolo, anche se non avevo mai capito il perché del suo essere sempre così tranquillo e pensieroso, e ciò mi metteva ansia ogni volta che eravamo troppo vicini.

- Come stai? -

- Oh…ehm…insomma…-

- Matteo mi ha detto che ormai non esci più e non parli neanche con i tuoi amici -

- Già…-

- È comprensibile…dopo tutto quello che hai dovuto sopportare -

Stetti in silenzio, non avevo la minima idea di cosa avrei dovuto rispondere, ma per fortuna lui continuò a parlare.

- Ma…sai, credo che il miglior modo per affrontare queste situazioni sia cercare di non pensarci, uscire, stare con le persone care -

- Ci ho provato, ma evidentemente c’è qualcosa che me lo impedisce -

L’uomo annuì.

- Stai attento, Alessio. È meglio che tu rimanga coi noi -

- Attento a cosa? -

- Sei amico di Riccardo Buonarotti, giusto? -

- Sì -

- Allora è meglio se gli stai lontano -

- Perché? -

L’uomo prese il giornale sul tavolino e lo aprì, il suo viso scomparve dietro alla carta giallastra.

In prima pagina una notizia scritta in maiuscolo citava: “DONNA DI 37 ANNI MORTA PER STRANGOLAMENTO. RITROVATO CADAVERE IN UN TERRENO PRIVATO. ACCUSATO IL FIGLIO QUINDICENNE”

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. ***


Mer, 17 ottobre, pomeriggio

Deglutii rumorosamente.

- Io…devo uscire -

Mi alzai dal divano e raggiunsi di corsa l’appendiabiti.

Fuori faceva freddo, ma non abbastanza da farmi tremare più di quanto non stessi già facendo per via della notizia a dir poco scandalosa.

Per fortuna la casa di Matteo non era troppo distante dal centro della città, quindi non dovetti ricorrere a salire su mezzi pubblici.

Era impossibile poter scorgere qualcosa attraverso le ampie finestre, esse erano oscurate da tende grigie e spesse. Se non fosse stato per il balcone aperto al piano di sopra, la casa sarebbe sembrata del tutto disabitata. Suonai il campanello e attesi, ansioso come sempre.

La porta si aprì cigolando, un viso segnato da profonde rughe mi scrutò con diffidenza.

- Che vuoi?-

- Uhm…io…sto cercando Riccardo, è qui? -

L’anziana signora, probabilmente la nonna di Riccardo, rimase sull’uscio per un po’, poi mi invitò a entrare.

Cominciò ad armeggiare con una teiera e delle tazzine da tè sul piano da cucina, mentre io mi accomodai sul divano nel salotto comunicante.

- Perché lo stai cercando? -

Quella domanda mi spiazzò, in effetti non c’era una ragione precisa, avevo bisogno di parlare con lui e basta.

- Io…volevo solo sapere come sta…ho letto di quello che è successo -

- Successo? -

Le tazzine tintinnarono sotto le mani tremolanti della signora.

- Sì…sul giornale… -

- Oh, caro, non ho idea di cosa tu stia parlando… Abbiamo chiesto di non pubblicare alcuna notizia riguardo a quello che è successo… -

 Aggrottai le sopracciglia.

- Forse stiamo parlando di due cose diverse…lei a cosa si riferisce? -

Mi grattai la nuca, evidentemente a disagio.

- Oh… -

La signora scosse il capo sconsolata, poi si voltò nuovamente verso i fornelli e riprese a parlare molto lentamente.

- Mia figlia…non avrei mai immaginato che quel pazzo… -

Strinse una mano raggrinzita attorno a un lembo del maglione rosa confetto, decisamente fuori luogo.

- Ridurre così anche sua madre… -

- Di chi sta parlando…? -

- Di quell’assassino, mi sembra ovvio! -

La sua voce rauca divenne improvvisamente stridula e insopportabile.

Sussultai.

“Allora anche lei sa…no, aspetta…sua madre?”

- Mi scusi, ma non capisco… -

L’anziana signora scosse nuovamente il capo e parlò senza voltarsi.

- Se vuoi vederlo non devi cercare qui, va’ via -

Mi alzai dal soffice divano con un balzo.

- Dov’è?! -

Ma non ottenni alcuna risposta.

Corsi fuori, ormai ero abituato a non capire mai nulla e ad agire d’impulso.

“Dove diavolo sei?”

Delle gocce d’acqua fredda mi precipitarono sul viso all’improvviso.

“Che voleva dire quella signora?”

Le nuvole grigie oscuravano il sole, i fari delle macchine lampeggiavano in mezzo alla strada trafficata, la pioggia mi colpiva il viso con violenza.

“Dove sei?!”

Mi fermai di colpo dinanzi a un manifesto del Luna Park aperto da poco; svoltai per una lunga discesa e cominciai a correre a rotta di collo.

Una volta giù, mi arrestai e mi piegai sulle ginocchia per riprendere fiato. Le luci delle giostre non erano ancora state accese, ma qualche giostraio si aggirava per l’ampio spiazzo ricoperto di sassolini grigi, mentre di tanto in tanto una canzoncina allegra scaldava l’aria gelida e leggera.

Posai lo sguardo su un furgone bianco parcheggiato dietro un grande tendone; dietro di esso si nascondeva un basso muretto che si prolungava oltre quel veicolo. Feci dei passi in avanti titubante.

Lui era lì.

 Era seduto su quel muretto con le gambe penzoloni; guardava assorto quel tendone verde scuro, come se vi potesse vedere attraverso.

- Ro…? -

Quelle parole mi uscirono di bocca con tono basso e ansioso.

Il ragazzo voltò il capo verso di me e mi salutò con un sorriso.

- Che ci fai qui da solo? -

- Ti stavo aspettando -

Feci un altro passo verso di lui.

- Credevo non volessi vedermi più… -

Sospirò e cominciò a muovere le gambe avanti e indietro.

- Quando ti dico di non fare una cosa…la fai sempre -

 Ancora un altro passo.

- Era una tattica? -

- Sì. Avevo bisogno di parlarti e…per farlo c’era bisogno che venissi nella mia stessa direzione -

Mi sedetti accanto a lui, ma evitai di guardarlo in viso.

-  Nella tua stessa direzione? Allora anche tu a volte ragioni…come facevi a essere sicuro che sarei venuto a cercarti qua? -

Il ragazzo scrollò le spalle.

- È l’unico posto dove siamo stati bene insieme…per una volta -

Mi si scaldò il cuore al ricordo di quella sera.

- Tu…hai mentito riguardo a quel bacio…? -

- Tu che pensi? -

Mi voltai verso di lui e catturai il suo mento con una mano. Riccardo sussultò e quel finto sorriso beffardo sparì dalla sua faccia in un attimo.

- Devi dirmi la verità, altrimenti è inutile continuare a parlare di stessa direzione e altre cazzate! Io…non ci sto capendo più niente -

- Idem -

- Che?! -

- Neanche io -

Strinse un pugno attorno al mio polso e avvicinò il suo viso, ora rabbioso, al mio.

- Sei così impegnato a cercare di capire come diavolo funzioni la mia testa che non ti fermi neanche un attimo per chiederti cosa io pensi davvero di te! -

Cercai di spingerlo via con la mano libera, ma il suo busto oppose resistenza.

- E questo che c’entra adesso?! - 

- Pensavo che almeno tu fossi diverso…ma ti stai comportando come tutti gli altri… -

Stavolta fui io ad accorciare le distanze fra i nostri volti.

- Smettila di girare attorno all’argomento! Parla, cazzo! -

Le sue labbra indugiarono per qualche attimo, ma i suoi occhi determinati rimasero fissi nei miei.

- Vorrei soltanto che… -

- Cosa?! -

Lo scrollai violentemente, ma in quel momento non mi importava.

- Vorrei che non facessi sempre finta di stare bene davanti a me, di essere forte…vorrei che non mi nascondessi sempre tutto…su come stai veramente… -

Aprii la bocca per controbattere arrogantemente, ma lui continuò a parlare.

- Vorrei essere la tua spalla su cui piangere…vorrei che non avessi paura di starmi vicino…che condividessi con me tutti i momenti di tristezza e… -

- E io vorrei che ti mostrassi disponibile a sopportare tutto questo…tu che non sembri in grado di sorreggere neanche te stesso -

- Non è così…io…sarei disposto a sopportare tutto questo al posto tuo se solo potessi… -

- Tutto questo cosa? -

I suoi occhi si distaccarono per una frazione di secondo dai miei.

- Lo sai… -

- Cosa?! -

- Lo…lo stalker… -

Il mio cuore perse un battito.

- Allora avevo ragione…anche tu… -

- No, Ale…non c’è nessuno stalker -

- Co…cosa… -

- E no…non sei neanche pazzo…è tutta colpa mia -

Boccheggiai in cerca d’aria per riempire i polmoni che sembravano essersi improvvisamente contratti, come stretti da due forti mani.

- Ro…che stai dicendo? -

- È per questo che si allontanano tutti da me… -

- Io…non capisco -

Le mie mani cominciarono a tremare irrefrenabilmente.

- Shh… devi stare tranquillo -

Il ragazzo mi sfiorò una guancia con il dorso della mano nel tentativo di farmi una carezza forse, ma quel tocco suonò inaspettatamente freddo, inaspettatamente familiare.

- Sei tu? -

Strinsi i pugni.

- Cosa? -

Riccardo parve sorpreso.

- Sei tu lo stalker, vero?! -

Lo spinsi con tanta forza che lo feci cadere a terra, ma lui sollevò il busto e protese le braccia quel tanto che bastava per potermi afferrare per il giubbino e tirarmi giù, addosso a lui.

Mi prese il viso fra le mani piccole, costringendomi a guardarlo negli occhi. Erano di nuovo calde. In quel momento potevo vederlo, aveva paura anche lui, ma ero sicuro di averne più io. 

- Ascoltami…-

- No… -

Delle lacrime fredde scivolarono sul mio viso e ricaddero sul suo.

- Mi devi ascoltare…-

Strinse le mani attorno alle mie guance infuocate.

- Non possiamo stare qui…mia nonna ha accettato di coprirmi le spalle a patto che io me ne vada…fra poco mi cercheranno tutti…e immagino che succederà lo stesso anche a te -

- Ma che stai dicendo? Io voglio delle risposte…ora…! -

- Non posso ora…ma ne parleremo con calma…ti fidi di me? -

- No! -

Scossi la testa per cercare di liberarmi da quelle mani, ma non ci riuscii; tutta la mia essenza gridava di , che mi fidavo di lui, che amavo essere in qualche modo protetto da quelle mani, io che di protezione non ne sapevo proprio nulla.

Strizzai gli occhi, ne uscirono altre lacrime, le ultime. Tirai su con il naso, poi mi alzai e offrii una mano al ragazzo che mi guardava incredulo e sinceramente sorpreso, ancora disteso sul cemento bagnato, con la leggera pioggia a scivolargli sul viso.

- Allora…andiamo… -

Si passò una mano sul retro dei pantaloni per pulirsi un po’, poi cominciò a camminare dinanzi a me.

- Dove? -

- Dove non ci troveranno -

- Precisamente? -

Il ragazzo scrollò le spalle continuando a camminare.

- Non lo so…aiutami -

Sospirai deluso.

- Immagino che non sarà un castello o un hotel a cinque stelle -

- Anche io…idiota -

Si fermò un attimo e si coprì il mento con due dita, facendo finta di essere molto concentrato.

- Idea! -

- Spara… -

- Vicino al parco pubblico c’è un vecchio capannone, giusto? -

- Hai intenzione di andarti a mettere in quella baracca? Tu sei pazzo -

- Già, anche tu! -

Sorrise e riprese ad avanzare, mentre io lo seguivo con una faccia da ebete.

“Si sta comportando come se fosse la cosa più normale del mondo…forse è per questo che mi piace…mi fa stare bene...mi fa dimenticare tutto il resto…”

Il mio stomaco brontolò, mi coprii la pancia con le mani e rivolsi un’espressione imbarazzata al ragazzo che si voltò a guardarmi.

- Credo di avere fame… -

- Oh…non ti preoccupare, mangeremo qualche scoiattolo domani mattina -

Poi rise innocentemente e diede una pacca sullo zainetto che portava in spalla.

“Hai pianificato tutto, eh?”

Mer, 17 ottobre, sera

Alcuni arnesi da lavoro erano appesi al soffitto e producevano un rumore inquietante ogni volta che il vento che penetrava tra le fessure li faceva dondolare.

- Sei sicuro di voler passare la notte qui? Ti facevo più cacasotto… -

- Fra noi due è evidente che il più cacasotto sei tu -

Infilò entrambe le mani nello zaino, poi mi porse un panino incartato con un fazzoletto bianco.

- La tua cena -

- Grazie… -

Addentai il pane e masticai velocemente, ansioso di far arrivare subito il cibo al mio stomaco vuoto. Dopo aver “cenato”, mi accucciai a terra e appoggiai la testa sullo zaino di Riccardo.

- Sei stanco? -

- Sì… -

Sospirai e sfrusciai la testa sullo zaino.

- Volevo parlarti di quella cosa… -

- Non importa, Ro…forse è meglio che io non sappia… -

- Sì…però devi almeno sapere che… -

Mi alzai sui gomiti e lo guardai in viso sotto la luce fioca della torcia del suo cellulare, finito chissà dove.

- Ascolta…non mi importa se esiste o no, voglio solo stare con te -

Il ragazzo sgranò gli occhi, ma si ricompose subito.

- Magari in un posto migliore…scusa -

Sorrisi per tranquillizzarlo, poi mi stesi di nuovo.

Gio, 18 ottobre, notte

- Ale…sei sveglio? -

Il cellulare di Riccardo si era ormai scaricato, quindi eravamo ufficialmente al buio in una capanna inquietante, sotto un temporale per giunta.

- No, penso di essere morto -

Mi arrivò uno schiaffo sulla gamba.

- Ahi! Sono serio…questo posto è deprimente -

- Perché cade acqua dal soffitto o perché questa sottospecie di stalla probabilmente non reggerà? -

- Stalla? Come ti viene? -

- Be’…c’è il fieno a terra… -

- Non è fieno, è segatura -

- Eh?! -

- Lascia perdere… -

Sbuffò e lo sentii muoversi più volte, forse per cercare la posizione adatta.

- Ho freddo -

- Non aspettarti che ti dia la mia felpa, ho freddo anche io -

- Uff…che gentiluomo… -

- Non sei mica una ragazza -

- Purtroppo no…ho visto che ci sai fare con le ragazze -

Quella frase mi spiazzò, avrei scommesso tutto sul fatto che aveva deviato la conversazione apposta.

- Sei ironico? -

- Ovvio…potevi anche cercare di sembrare meno schifato con Noemi… -

- Ci ho provato! -

- Ci credo… -

- Non usare quel tono, lo so che in realtà avresti voluto essere al suo posto -

Non ottenni nessuna risposta, ma lo sentii arrampicarsi addosso a me.

- Oh…non rendere la situazione ancora più imbarazzante -

- E tu vedi di chiudere quel cesso -

Il suo alito caldo mi arrivò sul collo e mi fece rabbrividire.

- Quando ti arrabbi diventi troppo aggressivo…qualcuno è un po’ permaloso? -

- Finiscila -

Risi sottovoce.

Il ragazzo sbuffò, poi si alzò velocemente a sedere.

- C’è qualcosa che vibra -

- Non sono io…e mi stai leggermente squartando lo stomaco -

- Oh…scusa! -

Un lampo illuminò la stanza.

- Cavolo…non si vede niente -

Riccardo mi intimò di far silenzio.

- Ha smesso -

Poi si mosse di nuovo e iniziò a gattonare in giro.

- Ha ricominciato! -

Mi misi una mano nella tasca sul retro dei pantaloni ed estrassi il cellulare.

- Ah…pensavo di averlo lasciato a casa -

- Ma sei scemo? Come fai a non accorgerti del telefono che ti vibra sotto il culo? -

- Dopo anni e anni passati sul letto a fare il vegetale, impari a essere insensibile a parecchie cose -

- Humpf…chi è? -

- Matteo…credo si sia accorto che sono scomparso da oggi pomeriggio -

- Da quando Matteo si interessa di quello che fai il giorno? -

- Ah, non te l’ho detto…mi ha invitato a stare da lui…diciamo che adesso viviamo insieme - 

- Tu e lui…? -

Il cellulare smise di vibrare, dopo qualche secondo mi arrivò un messaggio che non lessi neanche.

- Sì, sono stati molto gentili a ospitarmi…dato che non ho i soldi neanche per pagare una bolletta -

- Capisco…be’, sicuramente è stato più interessante che stare qui con me -

- Hey…ma che hai? -

Pensai di avvicinarmi a lui nel buio, ma non era il caso.

- Cosa c’è fra voi? -

- Ah? Niente… -

- Anche quella sera…quando sono venuto a casa tua…eravate insieme -

- Sì…ma siamo semplicemente amici di vecchia data -

- No. Tu gli piaci -

- Ma che stai dicendo? -

- Si vede, sai? Non sono stupido -

Sbuffai e ripresi a fissare il cellulare che aveva ricominciato a vibrare.

- Non rispondere, rispondi a me invece… -

Rimossi la batteria e la scheda SIM, e le infilai in tasca.

- Adesso va bene? -

- Sì -

Lo sentii avvicinarsi.

- Dimmelo, vi siete baciati? -

Sentii il viso scaldarsi, fortuna che lui non poteva vedermi.

- Ro… -

- È così, vero? -

- Sì… -

- Pensavo di piacerti -

- Ma tu mi piaci! È solo che…è un periodo di merda…lo sai -

- Non c’entra! È difficile anche per me, ma non vado in giro a baciare la prima persona che si comporta in modo gentile! -

Sospirai, non potevo più mentirgli.

- Non era la prima volta…è già successo…quella sera -

- Oh…allora non hai scuse -

- Sì, invece! È stato lui a buttarsi addosso…io l’ho spinto -

- Ma la seconda volta non l’hai fatto -

- No, la seconda volta sono stato io a baciarlo perché solo Dio quanto stessi soffrendo! Perché tu non eri lì con me…non eri al suo posto -

- Non è colpa mia…se potessi… -

- Lo so, anche io se potessi farei tutto quello che mi passa per la testa, ma evidentemente non posso -

- Cosa vorresti fare? -

- Non lo so…cose tipo questa -

Mi alzai in ginocchio e mi protesi verso la figura scura ed esile che mi stava di fronte, appoggiai una mano sul suo viso e lo avvicinai al mio, dal momento che non potevo vedere neanche dove fossero le sue labbra.

“Hai ancora quel sapore, accidenti…allora non era lo zucchero filato”

Alle mie orecchie i nostri sospiri e gli schiocchi dei baci suonarono più forti del rumore dei tuoni. Mi aggrappai ai suoi fianchi con la paura che potesse scivolare via dalle mie braccia in qualsiasi momento, che fosse un’altra illusione.

Il mio cuore batteva così forte che mi faceva male, il mio stomaco si aggrovigliò in un nodo indissolubile.

“Stavolta non succederà niente…non ho paura”

Mi allontanai da lui per riprendere fiato e far calmare un po’ il mio cuore. Tenni gli occhi chiusi, aspettando che qualcuno cominciasse a bussare chiamando il mio nome o che la vecchia porta venisse sfondata all’improvviso, ma non accadde nulla di tutto ciò, l’unica cosa che mi fece sobbalzare fu la sua voce.

- Ancora - 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. ***


Gio, 18 ottobre, notte

- Ro…non so se questo è giusto -

- Giusto? In che senso? -

Mi allontanai da lui.

- Non lo so… -

Il ragazzo sbuffò.

- Ecco, lo vedi? C’è sempre qualcosa che non va con te…con noi, intendo… -

- Lo so, Ro…è…è tutta colpa sua…io non ci riesco -

Riccardo mi prese il viso fra le mani, al buio. Ero sicuro che stesse cercando i miei occhi.

- Senti, non c’è nessuno stalker, te l’ho già detto -

- Ma…com’è possibile? Allora chi…tua madre… -

- Calmati, non serve a niente agitarsi così tanto -

- Credi che sia colpa mia se sono diventato così?! Io…vorrei solo avere delle spiegazioni -

- Te le darò io, tranquillo -

- Ho paura… -

- È per questo che prima hai rifiutato? -

- Sì -

Tolse le mani dal mio viso, il loro calore venne meno e  percepii dei brividi di freddo.

- Come ti ho già detto…non esiste nessuno stalker. Ho ucciso io i miei genitori -

Un lampo illuminò il pavimento sporco su cui era fisso il mio sguardo perso. Avevo paura, tremendamente paura, ma non mi presi il lusso di urlare e scappare via un’altra volta.

- Che…che stai dicendo… -

Il suo tono era freddo, distaccato, come se non fosse lui a parlare, o come se si fosse preparato il discorso molti giorni prima. Continuava inutilmente a dirmi con pacatezza di stare calmo e allo stesso modo raccontava il raccapricciante modo in cui aveva ucciso i suoi genitori.

Suo padre era morto l’anno precedente, accoltellato alla gola; sua madre era stata brutalmente strangolata.

- Tu…come…come hai potuto fare una cosa del genere…perché?! -

Non capivo più nulla ormai, le testa vorticava e sentivo un forte fischio in entrambe le orecchie. In quegli istanti, l’unico folle motivo che mi spingeva a stare con lui, crollò davanti ai miei occhi, capii che non potevo assolutamente fidarmi di lui e che ero stato un completo idiota ad averlo fatto.

“Sono io il pazzo…sono io…come ho fatto a fidarmi di te? Cosa sei tu?”

Non vi era più alcuna giustificazione per ciò che avevo fatto. Realizzai che fino a quel momento  avevo vissuto in una grande bolla di sapone, con il terrore che potesse scoppiare da un momento all’altro al minimo contatto con chiunque; ma di Riccardo non avevo avuto paura, anzi, mi ero fidato ciecamente delle sue mani morbide e calde, del suo sguardo mansueto.

Mi ero sbagliato: fra tutte le persone da cui mi ero allontanato, lui era il solo, il primo, che aveva fatto scoppiare quella bolla, causandomi un dolore inimmaginabile.

- Ale… -

Cercò di afferrare una mia mano, ma mi alzai in piedi con uno scatto; raccolsi le mie cose da terra e mi avviai verso l’uscita.

- Ale, non ho finito, aspetta… -

Mi voltai verso di lui, riuscivo a vederne la sagoma inginocchiata sul suolo.

- Cosa vuoi dirmi ancora?! Che hai intenzione di ammazzare anche me? Tu…tu…mi fai schifo…e io faccio ancora più schifo per non essermi accorto del mostro che sei! -

Tentò di parlare ancora, ma non gli diedi la possibilità.

- È per questo che sei solo come un cane? Fai così con tutti, non è vero? Bene, allora lascia che te lo dica io, se non l’ha già fatto qualcun altro: sei uno squilibrato, dovresti marcire in un manicomio, smettila di cercare di farti nuovi amici, sul serio; se ne vuoi davvero uno…non dovresti fargli trovare tua madre morta in casa sua -

Uscii con passo deciso e sbattei con violenza la vecchia porta fatta di assi di legno. Ero furioso.

In meno di un minuto mi ritrovai zuppo d’acqua piovana fin dentro le scarpe, ma continuai a camminare velocemente senza badare a ciò che mi circondava.

“Sono un idiota…il più grande idiota di questo mondo”

Mi bloccai all’improvviso, i piedi piantati sul cemento bagnato.

“Ho ucciso io i miei genitori”

Sentii il sangue cominciare a fluire ancora più velocemente, la sua voce era diventata odiosa.

Arrivato dinanzi casa di Matteo, bussai freneticamente, stanco di stare sotto la pioggia. Le luci erano accese. La porta si aprì dopo pochissimi secondi, rivelando il volto estremamente preoccupato di Rosanna. La donna mi abbracciò così forte che per un attimo temetti che volesse spezzarmi tutte le ossa, ma non era per nulla arrabbiata.

- Mio Dio…che fine avevi fatto? Stavamo per chiamare la polizia… -

Smise di abbracciarmi per potermi guardare bene in viso.

- Cos’è successo? Sembri sconvolto…vieni, entra -

Mi fece sedere sul divano accanto a suo marito, il quale aveva abbandonato l’idea di guardare la partita di rugby su un canale notturno per rivolgere la sua completa attenzione a me.

- Alessio, eravamo tutti molto preoccupati. Perché te ne sei andato all’improvviso? -

Abbassai il capo ed evitai di rispondere; sul tappeto c’erano un paio di scarpe rosse, rialzai la testa. Matteo mi scrutava con diffidenza, evidentemente arrabbiato. Per fortuna Rosanna mi salvò da quella situazione imbarazzante, porgendomi un asciugamano da passare sui capelli grondanti d’acqua.

- Vai a farti un bagno caldo e riposati un po’, ne parleremo domani mattina, d’accordo? -

Annuii, grato a quella donna per la comprensione.

- Ah, a proposito! Domani torni a scuola -

- Cosa?! -

- Abbiamo discusso con i servizi sociali, per il momento puoi restare con noi, dato che ti trovi in una situazione difficile da gestire, ma non puoi permetterti di fare troppe assenze a scuola per il tuo bene…inoltre la colpa ricadrebbe su di noi -

Sospirai, deluso. La donna mi guardò dolcemente.

- So che stai soffrendo moltissimo…e il fatto che nessuno sia venuto a capo di questa situazione ti mette ancora più angoscia, però non va bene cercare di evitare gli altri e sconvolgere tutte le tue azioni quotidiane, lo so che ce la puoi fare -

Annuii nuovamente e cercai invano di sorridere, poi mi avviai verso la mia stanza.

Dopo essere stato a mollo nella vasca da bagno per un tempo indefinito, mi lasciai cadere sul letto a peso morto e mi girai di lato, abbracciandomi le ginocchia. Presi il cellulare sul comodino e lo misi a posto, reinserendo scheda SIM e batteria, poi attesi che si accendesse lentamente. Erano le quattro del mattino.

Mi sforzai di ricordare il nome del giornale di cui avevo letto lo sconvolgente titolo prima di scappare via; lo inserii nella barra di ricerca e mi misi a fissare la sottile linea azzurra che avanzava indecisa. Proprio in quel momento la porta della stanza si aprì e il padre di Matteo entrò chiedendo il permesso.

Si sedette accanto a me e mi diede una pacca su una spalla; mi sedetti per bene anche io, abbandonando quella posizione imbarazzante.

- Oh…quella notizia -

Notai che l’uomo guardava il display del mio cellulare con molto interesse.

- Ero sicuro che te la fossi filata per quello, scusami se sono stato avventato nel darti la notizia…da quello che ho capito tu e Riccardo siete molto amici, lo ha detto anche mio figlio -

- Già… -

- Be’, sarai felice di sapere che oggi pomeriggio è stato smentito tutto. Dopo averlo saputo ho chiamato un mio amico che lavora in zona, sulla donna sono state trovate anche le tue impronte, ma non vuol dire nulla il fatto che fosse seppellita vicino casa tua, no? -

-Hmm… -

Evitai di guardare l’uomo negli occhi e nascosi le mani tremanti sotto le coperte.

- Riccardo è stato interrogato e la nonna ha fatto da testimone, a quanto pare vive con loro; inoltre, quando hanno preso in considerazione la possibilità che potessi essere stato tu l’artefice, Riccardo ha smentito subito, dicendo che recentemente eri stato a casa sua e per questo hai avuto contatti con la madre…per difenderlo -

- Sì, ma…le impronte di Riccardo corrispondono ai lividi di sua madre…aspetta, difenderlo? -

- Non a quelli sul collo; il ragazzo ha ammesso di aver avuto un pesante litigio con la mamma per via del compagno…lei voleva farlo trasferire in casa sua, ma Riccardo continuava a dire che non voleva che suo padre fosse rimpiazzato da un altro uomo -

Se possibile, sentii di capirci ancor meno in quella storia, altro che chiarimenti.

- Queste discussioni andavano avanti da mesi ormai. Riccardo non è stato accusato per quelle ferite, ma assolto per legittima difesa…ha riferito che lei era solita alzare le mani e offenderlo verbalmente sempre a causa di quei disaccordi e anche che tu l’hai difeso una di queste volte, quindi ora stanno indagando… -

“L’ha comunque uccisa lui, al massimo è stata la madre a fargli del male per difendersi…”

-Be’, ora ti lascio riposare, buonanotte e…stai tranquillo, andrà tutto per il meglio -

Prima di uscire dalla stanza, l’uomo spense la luce e chiuse la porta silenziosamente.

Mi rigirai e mi infilai sotto le coperte fino al mento.

“Non mi sento per niente in pena per lui, merita solo una brutta fine…ed è anche uno schifoso bugiardo”

Chiusi gli occhi, sperando vivamente che qualcuno testimoniasse in suo sfavore e dicesse la verità, ma a quanto pareva io ero l’unico a saperla per intero e di certo non avevo intenzione di fare da testimone, altrimenti avrebbero riaperto le indagini su di me.

“Ma perché Riccardo mi ha detto la verità…se probabilmente voleva farmi fuori come ha fatto con gli altri? E poi perché ha messo il cadavere di sua madre in casa mia? Ce l’ha davvero messo lui? E perché mi ha difeso quando hanno trovato le mie impronte su quel corpo?”

Scossi la testa e mi rigirai fra le lenzuola, imponendo a me stesso di smetterla di difenderlo, ma evidentemente per il mio cervello era un’impresa impossibile.

Presi nuovamente il cellulare e visitai una miriade di siti di cronaca riportanti il suo nome in pochi minuti, in ognuno di essi venivano menzionati un’accusa e un immediato rilascio, subito dopo un’altra uccisione: uccisione, accusa, rilascio, uccisione, e così via all’infinito. Mi coprii il volto con le mani e cominciai a singhiozzare, accompagnato da innumerevoli lacrime.

“Per quanto ancora dovrà continuare questo orrore? Quanto…? Ucciderà anche i genitori di Matteo? E anche lui? No…mi basta stare alla larga da lui”

Infilai la testa sotto il cuscino nel tentativo di allontanare qualsiasi tipo di rumore esterno.

“Ma è stato veramente lui a fare questo? E lo stalker? Ho immaginato tutto?”

All’improvviso una domanda si fece spazio nella mia mente, ancora più temibile di tutte le altre.

“Se non c’è nessuno stalker…allora chi ha ucciso i miei genitori?”

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. ***


Gio, 18 ottobre, mattina

- Bene, allora io vado…fatti trovare davanti al cancello dopo la quinta ora -

Annuii e salutai Matteo con un “ciao” pronunciato con tono così basso che non ero sicuro mi avesse sentito.

Entrai in classe molto lentamente, sapevo di essere in anticipo e non avevo alcuna di voglia di starmene da solo nel banco come uno sfigato, o peggio ancora: di discutere di nuovo con Riccardo.

“Ro…chissà se verrà a scuola oggi…”

Ma l’aula era vuota; poggiai lo zaino sulla mia sedia e uscii fuori, intento a fare una seconda colazione con lo schifoso caffè del distributore, dal momento che sentivo ancora le palpebre e la testa pesanti.

- Hey! -

Qualcuno mi diede una forte pacca sulla schiena, facendomi quasi rovesciare tutto il caffè. Mi voltai con sguardo omicida ma, quando mi accorsi di chi avevo davanti, imposi a me stesso di mantenere la calma.

- Ciao, Noemi -

La ragazza sorrise e si alzò sulle punte dei piedi per poter vedere cosa c’era nel mio bicchiere.

- Non hai fatto colazione? -

- Già… -

In realtà avevo mangiato ben due cornetti con la marmellata, più una grande tazza di latte caldo, senza preoccuparmi minimamente del fatto che non mi trovavo a casa mia e che dovevo sforzarmi di sembrare una persona decente.

- Allora…che hai fatto ultimamente? -

“Ma questa ragazza non è leggermente arrabbiata dall’appuntamento, se così si può chiamare, dell’ultima volta?”

- Uhm…nulla, le solite cose -

- Sempre il solito, eh? -

- Già, sempre la solita noia -

La ragazza rise in un modo che mi fece accapponare la pelle.

“Che schifo, deve essere per forza così falsamente smielata?”

- Ma no, stupido! Intendevo tu…sei sempre il solito…insomma, non mi racconti mai niente di te... -

Afferrò un lembo della mia felpa con due dita bianche e sottili, la vidi arrossire e mordersi il labbro. Non avevo la minima idea di come comportarmi.

- Senti…mi dispiace per quello che ti ho detto l’altro giorno -

- Oh, non ti preoccupare, sono abituato…più o meno -

Tentai invano di porre subito fine a quell’argomento e anche all’intera conversazione se possibile, ma la ragazza continuò a parlare tenendo lo sguardo basso e le sue dita orribilmente incollate alla mia felpa.

- Tu…ecco, mi sono sentita un po’ offesa…messa da parte, quando continuavi a guardare Riccardo mentre eri con me; quando ho detto quella cosa non lo pensavo davvero, mi sono solo lasciata trascinare dalle voci che girano, sai… -

La guardai sorpreso.

- Quali voci? -

- Quando in classe ci hanno visti parlare, hanno iniziato tutti a dirmi che tu sei gay e te la fai con il ragazzo nuovo, soprattutto i tuoi amici. Ma io non ci credo, loro sono solo invidiosi di te…per questo giudicano tutto quello che fai -

Mi lasciai sfuggire una risatina nervosa.

“Oh cavolo…ma questa non l’ha capito che sono gay sul serio? Ha la testa dura…e ora come glielo dico che i nostri compagni non stavano affatto scherzando? Certo…forse è meglio se salto la parte del ‘me la faccio con quello nuovo’. Dio…è come dover fare di nuovo coming out”

- Ascolta, Noemi… -

- No, no, no -

Mi mise un dito sulle labbra e si avvicinò pericolosamente, mi venne un conato di vomito ripensando al bacio precedente.

“Be’…almeno stavolta non ha mangiato il gelato”

Chiusi gli occhi, aspettando il peggio, ma la ragazza mi diede un bacio sulla guancia e scomparve prima che potessi realizzare di essere salvo. Mi pulii immediatamente la faccia con la manica della felpa, poi guardai con disgusto il bicchiere che tenevo in mano da due ore, ormai freddo, e lo gettai nel secchio della spazzatura.

“Non mi è mai piaciuto il caffè, sono un idiota”

Al suono della campanella, ero già in classe con i libri sul banco e una penna appoggiata sul quaderno; non ero neanche sicuro di aver portato i libri delle materie giuste e mi stupii di avere ben due penne, anziché zero come al solito, tutto ciò mi faceva sentire più intelligente.

- Buongiorno ragazzi -

Il professore di fisica fece il suo ingresso con aria trasognata, come se non avesse mai visto degli adolescenti con il quoziente intellettivo più basso di quello di una formica.

- Come state? -

Qualcuno trattenne una risata, altri risposero un “bene” che tradiva altrettante risate soffocate. Marco mi lanciò una pallina di carta per attirare l’attenzione.

“Non ricordo di averlo invitato al nostro canna-party, tu che dici?”

Feci finta di essere divertito dalla sua “battuta”, poi ficcai la testa nel libro di fisica e cominciai a guardare immagini a caso di piccole palline blu e rosse collegate fra di loro.

“Ah…forse questo è il libro di chimica…be’, fa lo stesso”

A circa metà ora, qualcuno bussò alla porta dell’aula, interrompendo l’interessantissima spiegazione del professore sull’utilità della filosofia aristotelica nella fisica.

- Avanti -

- Buongiorno…scusate il ritardo -

Sbarrai gli occhi, poi ripresi a fissare il libro senza realmente vederlo, incredulo. Riccardo mostrò un permesso firmato dal preside e si venne a sedere accanto a me.

Lottavo contro me stesso: una voce mi diceva con insistenza di guardarlo, di dirgli almeno “ciao”; un’altra mi diceva che, se proprio non riuscivo a non girarmi, dovevo almeno rivolgergli un’occhiata sprezzante.

Optai per la seconda: mi voltai e indurii i lineamenti del viso ma, non appena incontrai i suoi occhi, non potei fare a meno di pensare che fossero bellissimi, di rimando lui mi rivolse uno sguardo colpevole.

"No, lui è lo stalker "

Continuai a ripetere meccanicamente quella frase nella mia testa, sapendo benissimo che non riuscivo a credere neanche a me stesso.

Attesi con ansia l'ultima campana, poi uscii con un sospiro di sollievo: quel giorno non era andato così male, eccetto per il fatto che Riccardo era venuto a scuola, si era seduto vicino a me, e io non ero neanche riuscito a guardarlo male; in tutto ciò mi chiedevo che sensazione avessi provato quando lo avevo visto entrare da quella porta.

Matteo mi aspettava davanti al cancello con il casco blu a strisce bianche in mano, mentre a me aveva riservato quello più vecchio e verde.

"Verde..."

In un attimo mi ritornarono in mente i suoi occhi meravigliosi, verdi come quelle foreste senza fine in cui, una volta entrato, hai un inspiegabile desiderio di perderti.

Sospirai e montai sul motorino, pensando che non avevo mai fatto il passeggero.

- Guidi bene, vero? -

- Certo! Al massimo torni a casa con una gamba fuori posto -

- Perfetto...proprio quello che mi serve -

Mar, 30 ottobre, notte

Ormai i giorni erano tutti uguali, e pensare che mi ero messo perfino a studiare per abbattere la noia; trascorrevo la maggior parte del tempo con Matteo e gli altri quando non dovevo fare i compiti. A scuola era un gran problema convivere con l'esistenza di Riccardo: lo odiavo con tutto me stesso ed era davvero difficile dover vedere la sua orribile faccia ogni giorno, ma quando lui non era con me sentivo un vuoto incolmabile.

"Non dovrebbe essere così...io lo odio"

Mi rigirai fra le coperte e chiusi gli occhi, abbandonandomi lentamente a uno stato di dormiveglia grazie al quale non capivo più niente.

Mar, 31 ottobre, mattina

- Hey Ale! -

Matteo mi raggiunse in corridoio con il fiatone, stava per finire la ricreazione.

- Che vuoi? -

- Devo chiederti una cosa -

- Uhmpf, come se non ci vedessimo tutti i santi i giorni...ti viene in mente solo adesso? -

- Ehm...già -

Si grattò la nuca imbarazzato e lanciò un'occhiata veloce ai manifesti neri e arancioni che tappezzavano ogni centimetro delle mura precedentemente grigie e bianche.

- Stanotte è Halloween! -

- Ma dai? E quindi? -

- E quindi, ovviamente, ci sarà la festa organizzata dalle ragazze più popolari e ricche della scuola, e tu, ovviamente, ci sarai -

- No, grazie -

- Ale! Per favore...non dirmi che preferisci stare a casa a studiare o a mangiare la pasta con la zucca di mamma -

Fece finta di vomitare, portandosi due dita vicino alla bocca e piegandosi verso il pavimento.

- Mi dispiace, vorrà dire che assaggerò questa famosa pasta con la zucca -

- Ma dai! Ale! -

- Passo -

Lo piantai in asso proprio mentre suonava la campanella, immaginando divertito la su faccia delusa.

 

"Cavolo, che nervi..."

Mi voltai verso Riccardo, il quale stava scribacchiando su un foglio da un tempo indefinito.

- La vuoi finire? -

Il ragazzo alzò la testa e mi guardò confuso.

- Di fare? -

- Di colorare o che diamine stai combinando su quel maledetto foglio...e anche di respirare se è possibile -

Il suo viso s'incupì all'istante, ma non disse niente, come sempre sembrò aver accettato le mie parole in modo pacato, almeno sul fatto che fosse tutta colpa sua mi dava ragione.

“Come fa un pazzo del genere a stare ancora qua a colorare come se non avesse ucciso sia i suoi genitori che i miei?”

Riccardo chiuse il quaderno e ne fuoriuscì un volantino nero e arancione, con una zucca ridente al centro.

- Ci vai? -

- Uh? -

- Alla festa di stanotte -

- S-sì... -

Sospirai e cominciai e fissarmi le mani senza vederle davvero.

"Devo andarci"

Mar, 31 ottobre, sera

- Allora, che mi devo mettere? -

Mi presentai nella stanza di Matteo con una camicia nera in una mano e una felpa ugualmente nera nell'altra.

- Ah...quindi ci vieni?! -

Il ragazzo mi guardò speranzoso, forse temendo che stessi scherzando.

- Certo -

- Come mai hai cambiato idea? -

Mi ispezionò con lo sguardo, diffidente.

- Be'...visto che la pasta con la zucca fa così schifo a detta tua... -

- Ti credo, Alessio, ti credo... -

Alzai gli occhi al cielo e scossi entrambe le braccia per ricordargli che doveva aiutarmi.

- Nessuna delle due -

- Che?! E cosa dovrei mettermi? -

- È una festa di Halloween...dovresti travestirti -

Lo guardai inorridito.

- Scordatelo -

- Stai zitto, ora ti sistemo io -

Una vocina dentro di me urlava di non fidarmi, ma alla fine lo lasciai fare: sapevo che era inutile protestare con Matteo.

Mer, 1 novembre, notte

E così mi ritrovai in mezzo a centinaia di ragazzi vestiti e truccati nei modi più improbabili, che si dimenavano sulle note di canzoni da discoteca.

"Con questa musica rischio di avere delle crisi epilettiche"

Iniziai a farmi largo fra la gente aiutandomi con i gomiti, nel tentativo di raggiungere il bancone, e pensare che la festa era appena cominciata.

Mi sedetti su uno sgabello alto, imprecando mentre una ragazzina del primo anno mi tirava per il braccio invitandomi a ballare. La donna al bancone mi fece l'occhiolino e mi chiese cosa volessi da bere; mentre era girata di spalle, mi persi nella contemplazione della miriade di tatuaggi che aveva sulle spalle e sulle braccia scoperte: nessuno di essi era a sé, ma erano tutti collegati fra di loro, sembravano tante anime in pena avvinghiate le une alle altre.

- Ecco a te! -

- Grazie -

Feci scivolare i soldi sul bancone di legno e cominciai a sorseggiare lentamente, sperando che il tempo passasse in fretta.

Passò forse mezz'ora e non avevo ancora visto nessuno di mia conoscenza, a parte Marco che ballava con due ragazze dell'ultimo anno vestite da streghe.

"Più che streghe...sembra che facciano un altro mestiere"

Sussultai e mi versai un po' del terzo o quarto drink sui pantaloni, fortuna che erano scuri e non si vedeva nulla: Noemi si stava avvicinando, agitando il braccio e muovendo le labbra.

"Sta sicuramente chiamando me...forse sarei dovuto rimanere a casa"

- Ale, anche tu qui! Pensavo non volessi venire... -

- Già… -

Dentro di me speravo che ci fosse un blackout, così sarei potuto scappare senza farmi notare da nessuno; purtroppo le luci non se ne andarono, anzi, erano così forti da costringermi a tenere lo sguardo basso.

- Come sei sexy vestito così -

Sperai con tutto me stesso di aver sentito male.

- Cosa? -

La ragazza urlò per farsi sentire al di sopra della musica.

- Ho detto che sei proprio sexy stasera! Sei un vampiro? -

- Una specie... -

Noemi rise in quel modo che detestavo, poi trascinò uno sgabello accanto al mio e si sedette.

- Non hai intenzione di mordere nessuno stasera? -

I suoi occhi luminosi si soffermarono sulle mie labbra dipinte di rosso.

- Mi sa di no, non voglio spaventare nessuno -

- Ah, capisco... -

La ragazza rimase un po' delusa, perciò decisi di cambiare argomento.

- E tu da cosa sei vestita? -

- Io? Oh...una tizia di una serie TV, non credo che tu la conosca -

Si lasciò sfuggire una risatina nervosa, arrossendo.

- C-che c'è? -

Divenne ancora più rossa in viso quando si accorse che la stavo guardando.

- Nulla...dovresti girarti giù la gonna -

- O-Oh! Grazie... -

Proprio in quel momento vidi Riccardo che cercava di farsi largo fra la folla, guardandosi intorno disorientato; feci per alzarmi, ma subito dopo mi lasciai ricadere sulla sedia, ribadendo a me stesso che quel ragazzo non aveva bisogno di alcun aiuto.

- Hey, ci sei? -

Noemi mi sventolò una mano davanti al viso.

"Questa scena mi è familiare"

Prima che potesse succedere qualsiasi cosa, trovai una scusa e sgattaiolai in bagno, dove dei ragazzi erano intenti a scambiarsi soldi e piccole bustine di plastica. Mi misi una mano in tasca, da sotto il mantello nero che Matteo mi aveva obbligato a indossare ed esclamai di gioia nella mia mente quando constatai di avere un sacco di soldi in tasca, tutto grazie a Rosanna.

Mi avvicinai a quei ragazzi, i quali non avevano neanche notato la mia presenza.

- Scusate...quanto viene una di quelle? -

Indicai la bustina che uno di loro stringeva gelosamente in una mano.

- Vuoi comprare? -

Quello stesso tizio si rivolse a me con fare arrogante.

- Sì -

- Trenta -

Sospirai.

- Cavolo, è tanto -

- Be', è roba buona -

- Se lo dici tu... -

Gli diedi i soldi e, dopo aver aspettato che li contasse un paio di volte, afferrai il mio acquisto e aprii la porta di uno dei bagni, decidendo di non attendere oltre.

Uscii dopo una decina di minuti, con gli occhi un po' lucidi e la testa che vorticava.

"Diamine, è buona davvero..."

Feci nuovamente il mio ingresso nella sala da ballo, piena di ragazzi e ragazze che si agitavano ancora di più: alcuni di loro si reggevano a malapena in piedi, altri erano avvinghiati e si scambiavano effusioni da far venire il voltastomaco, altri ancora si limitavano a buttar giù bicchieri e bicchieri di drink alcolici.

"Be', sicuramente non sono nella posizione per criticare quello che fanno gli altri"

Stavo per dirigermi di nuovo al bancone, ma un conato di vomito mi colse di sorpresa, facendomi quasi piegare in due, non era sicuramente colpa dei tizi che si baciavano spasmodicamente.

"Cavolo...non sono abituato"

Fuori l'aria era gelida, ma almeno non c'era puzza di sudore mischiato ad alcol.

Mi sedetti su un muretto con la testa fra le gambe, aspettando che la forte sensazione di nausea sparisse, ma fui distratto da altro, dimenticando completamente il dolore allo stomaco.

- La-lasciami...stare... -

Quella voce era fin troppo familiare, tanto che mi si gelò il sangue nelle vene quando capii a chi apparteneva: Riccardo.

- Hey...? C'è qualcuno? -

Mi affacciai dietro una macchina parcheggiata, ma non c'era nessuno, continuai a camminare, sporgendomi dietro ogni automobile.

- Ahi! Ho...detto...lasciami stare! -

- R-Ro?! -

Sentii le gambe cedere e l'ossigeno venir meno.

- Oh, moccioso, che cazzo vuoi? -

Mi aggrappai allo specchietto della macchina per non cadere a terra e osservai il ragazzo che mi stava di fronte: era molto più alto di Riccardo e perfino di me, la maglietta a maniche corte, nonostante il freddo, rivelava delle braccia forti e muscolose, ricoperte di tatuaggi, i capelli erano molto corti e rasati ai lati, scuri come i suoi occhi; quel tipo dimostrava almeno venticinque anni, di sicuro non poteva appartenere alla nostra scuola.

- Tu...che stai facendo? -

La droga non ci aveva messo molto a entrare in circolo, non mi sentivo affatto bene come avevo immaginato, anzi, ero molto confuso e mi ci voleva troppo tempo per formulare delle frasi di senso compiuto, se poi si metteva in conto anche tutto l'alcol che avevo ingerito...

- Vattene, non sono cazzi tuoi -

Poi scosse Riccardo con violenza, facendolo quasi cadere a terra.

- Lo conosci? -

Lui non rispose, ma tenne lo sguardo basso finché l’altro non lo scrollò di nuovo.

- S-sì... -

- Chi è? -

Un'altra spinta.

- U-un mio compagno di classe... -

- Okay, allora adesso digli che non sta succedendo niente e che deve tornarsene a quella fottuta festa, altrimenti lo gonfio di botte -

Riccardo non osò guardarmi, non sapevo se per la vergogna di essere visto in quelle condizioni o perché sapeva che io lo detestavo.

"Già...io lo odio...ha ucciso i miei genitori"

Mi passai una mano sugli occhi umidi, poi li riaprii e cercai di mettere a fuoco la sua immagine: la sua espressione era a dir poco stravolta, le sue mani tremavano violentemente e il suo forte respiro era interrotto dai singhiozzi. L'uomo lo teneva stretto per il colletto della maglia e di tanto in tanto lo scuoteva per spronarlo a parlare, al contempo guardandolo con aria minacciosa. Poi finalmente Riccardo alzò gli occhi e mi rivolse uno sguardo supplichevole, che implorava aiuto. Lo fissai per una manciata di secondi, provavo pietà per lui, perciò mossi un passo avanti, ma mi arrestai quando le immagini di mia madre e mio padre privi di vita mi offuscarono la mente; provai un indescrivibile senso di disgusto, sentii lo stomaco contrarsi in mille nodi e la testa diventare improvvisamente pesante e insostenibile.

"Sei solo...uno schifoso assassino"

Non lo degnai di un'altra occhiata, ma mi allontanai barcollando, deciso a chiamare Matteo e a tornare a casa.

- Hai visto? Il tuo amico è molto obbediente...a differenza tua -

- A-Ale... -

Sentii una botta e la sua voce si spense.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. ***


Mer, 1 novembre, notte

Presi il cellulare e controllai l’orario sul display troppo luminoso in mezzo alla stanza buia; erano le quattro del mattino e ancora non avevo chiuso occhio, ma non potevo farci niente se le stesse domande continuavano ad assillarmi da almeno due ore.

Mi rigirai per l’ennesima volta fra le lenzuola ormai tutte aggrovigliate e ripensai all’espressione disperata di Riccardo, poi scossi la testa.

“No, non devo pensarci…se è riuscito a combinare tutto quel casino da solo, allora sarà capace anche di togliersi uno stupido bullo di torno…be’, un bullo di quasi trent’anni”

Chiusi gli occhi, ma li riaprii di scatto dopo pochi secondi.

“Cosa voleva un tizio del genere da Riccardo? E se fosse suo complice?”

Ripensai al modo minaccioso con cui gli si era rivolto.

“Magari ha disobbedito ai suoi ordini…non ci capisco niente, cavolo!”

Gio, 2 novembre, mattina

Dal momento che il giorno precedente la scuola era chiusa, non avevo avuto modo di parlare con Riccardo, di conseguenza i dubbi erano aumentati perché avevo avuto un sacco di tempo per riflettere; è vero che avevo deciso di non rivolgergli più la parola, infatti per quel periodo ero stato in pace, se così si poteva dire, ma avevo assolutamente bisogno di risposte e lui era la chiave.

Entrai in classe e lo trovai piegato sul banco, intento a scribacchiare qualcosa.

- Qualcuno ha dimenticato di nuovo di fare i compiti? -

Il ragazzo alzò il capo e mi guardò con occhi tristi.

Mi avvicinai e lui e lo costrinsi ad alzarsi, tirandolo per il colletto.

- Vieni con me, dobbiamo parlare -

Non rispose, ma quando lo lasciai, lui mi seguì senza spiccicare parola. Guardai l’orologio mentre attraversavamo il corridoio del terzo piano, inutilizzato: la campana sarebbe suonata fra poco più di un quarto d’ora.

Mi fermai nel bagno dei maschi, soggetto ai danni del tempo, poi chiusi la porta e inchiodai Riccardo al muro, bloccandolo con le braccia.

- Perché? -

- A-ah? -

Lui non si azzardò a guardarmi negli occhi, al contrario, teneva lo sguardo fisso sui suoi piedi.

- Perché hai ucciso i tuoi genitori? Hai fatto lo stesso con quelli dei tuoi amici, non è vero? -

Nessuna risposta.

- Da molto tempo mi chiedo…come diavolo hai fatto a prendere per il culo tutti quanti? Ti odiano tutti adesso, non è vero? È per questo che se ne sono andati… -

Ma si ostinava a tenere le labbra serrate; i miei nervi cedettero: gli diedi uno schiaffo sul viso, poi lo costrinsi a sollevare la testa e guardarmi.

- Credi che dopo tutto quello che hai fatto io abbia ancora un minimo di pazienza? -

Al ragazzo sfuggì un debole gemito.

- Te lo chiedo di nuovo…perché hai ucciso i tuoi genitori? Psicopatico di merda! -

Lo afferrai nuovamente per il colletto e lo scossi con violenza.

- Parla, cazzo! -

Le sue labbra tremanti si schiusero e ne fuoriuscì una voce spaventata.

- I-io non lo so… -

- Che razza di risposta è? Solo un pazzo peggiore di te farebbe una cosa del genere senza motivo! -

- N-non lo so…lasciami stare… -

- Io? Io?! Dopo che tu mi hai torturato in quel modo, dovrei lasciarti stare? -

Il ragazzo si prese la testa fra le mani e scivolò lungo le piastrelle biancastre e fredde.

- Che vuoi da me? Se vuoi sentirti dire che mi dispiace, allora scusa…anche se… -

- Anche se? -

- Parli come se io avessi ucciso anche i tuoi genitori -

Persi un battito.

- Perché è così…no? E poi, dopo aver ucciso tua madre, l’hai nascosta in casa mia per non farti scoprire  -

Vidi la barriera davanti a me oscillare lievemente.

Riccardo alzò la testa i mi guardò dritto in viso, con quegli occhi che non sapevano mentire.

- Mia…mamma? -

- Sì, sono stato io a seppellirla dove l’hanno trovata -

- Non è possibile…l’avevo nascosta…dove l’avevo nascosta? -

Le sue pupille si dilatarono, colme di paura; le mie non dovevano essere messe meglio.

- Ro…che stai dicendo? -

Istintivamente allungai una mano verso il suo viso colmo di lacrime, ma la ritrassi non appena mi fui reso conto di ciò che stavo facendo.

- In garage…l’avevo nascosta in garage…e papà? Forse gli ho dato fuoco, è così? -

Mi guardò per avere conferma, ma era come se i suoi occhi stessero vedendo attraverso di me e fossero spaventosamente privi di vita.

- Non lo so, ma devi rispondermi. Perché hai ucciso i miei genitori? -

La mia voce tremò per un istante, feci un lungo respiro per evitare che il dolore prendesse il sopravvento.

- Io…io ho ucciso i tuoi genitori? -

- Sì, perché? -

- Ho ucciso i tuoi genitori…perché? Non lo so…ho ucciso i tuoi genitori? -

- Sì, cazzo! Devi dirmi perché! -

Sbattei un pugno contro il muro.

- Ale…io non ho ucciso i tuoi genitori…ho ucciso quelli degli altri…ma i tuoi no… -

- Smettila di inventare cazzate, dimmi la verità -

Ma ero il primo a credere a tutto ciò che stava dicendo, in quel momento pendevo dalle labbra di quell’essere spaventato e indifeso.

“No…lui è un assassino…dire stronzate è la cosa che gli riesce meglio”

- No, no, no…non dirmi questo! Non posso aver fatto una cosa del genere! Io…non sono così… -

Si mise la testa fra le ginocchia.

- Perché?! Perché fate tutti così? Mi incolpate di cose che non ho fatto…mi hanno sempre rilasciato…io non ho fatto niente -

Non ce la facevo più ad ascoltare le sue lamentele. Con una mano tremante lo afferrai per i capelli e lo feci rialzare.

- Mi fai pena -

- Non è vero…tu mi credi -

- Stai zitto -

Lo spinsi di nuovo contro il muro e gli lasciai i capelli, che ricaddero all’indietro.

Avevo ancora così tante domande da fargli. Scrutai il suo viso, mi soffermai sulla pelle liscia e scura del suo collo, il cui colore stonava brutalmente con una piccola macchia violacea. Il ragazzo si accorse che lo stavo fissando in quel punto e si coprì con una mano, ma afferrai il suo polso prontamente.

- Che hai lì? -

- N-niente…una voglia -

Abbassò il capo, rosso in viso.

- Strano…da quando le voglie spuntano così, da un giorno all’altro? -

- L’ho sempre avuta… -

- Ah, sì? “Sempre” sarebbe dall’altro ieri? -

Il suo sguardo divenne improvvisamente cupo e distante. In un attimo collegai il tutto e rabbrividii.

- T-tu…quel tipo… -

Un pugno attanagliò il mio stomaco e mi venne la nausea.

- Te la fai con quello? -

Riccardo non rispose.

- Sul serio? Ti rendi conto che quel tipo ha quasi vent’anni in più di te? -

Lo scossi per spronarlo a parlare, si era chiuso di nuovo in se stesso.

- N-no…che dici… -

Un’idea ancora più orribile balzò nella mia mente.

- Ti ha…l-lui ti ha… -

- Costretto -

- Stuprato? -

Le sue spalle fremettero fra le mie mani, che le stringevano forte.

- N-no… -

Sospirai, ma di sicuro non potevo dirmi sollevato. Improvvisamente capii da cosa scaturiva quella nausea: senso di colpa.

- Oh…Dio…Ro, io… -

Il ragazzo appoggiò l’indice sulle mie labbra.

- Non è colpa tua…eri molto arrabbiato con me…e forse anche un po’ fatto -

Sorrise amaramente.

- Ro, mi dispiace, non avrei mai immaginato che… -

- Adesso voglio farti io una domanda…ho sempre saputo che sei diverso, allora perché ti comporti come tutti gli altri? O per meglio dire…perché fai finta di non credermi? -

Aprii la bocca, ma ne uscì solo un sospiro spezzato dal forte battito del mio cuore, che aumentava sempre di più.

- Sai benissimo che non ho ucciso io i tuoi genitori…e che allo stesso tempo non c’è nessuno stalker o quello che è -

Prese una pausa per spostare i capelli dalla sua fronte sudata. Ne approfittai.

- Non è possibile, allora deve essere quel tizio…è lui lo stalker, perché ti ha costretto a fare una cosa del genere? Ti aveva già minacciato in passato, non è vero?-

- No, non so neanche come si chiami quello -

Rimasi sorpreso, con la bocca aperta; se avessi saputo che la situazione si sarebbe complicata ancora di più, forse avrei evitato di chiedere spiegazioni a lui.

- Allora…cosa diamine… -

- Ti dirò quello che vuoi sapere, ma per favore, smettila di far finta di odiarmi -

La sua improvvisa loquacità mi lasciò di stucco, tutto il terrore di prima sembrava essere svanito: sul suo viso c’era determinazione.

Annuii.

- Ho ucciso i miei genitori e…non so perché, quando cerco di ricordare vedo solo buio, è come se ci fosse un grande vuoto nella mia testa -

Sospirò.

- Sono sicuro di averlo fatto, ma tutte le indagini svolte non portano a me…e non penso di essere così intelligente da commettere crimini del genere e saper nascondere tutte le prove -

Su questo aveva ragione, non era possibile che un ragazzino fosse in grado di fare delle cose del genere, ma soprattutto, che il Ro che conoscevo fosse dotato di cotanta crudeltà.

- Sono stato accusato di aver ucciso i genitori di tutti i miei precedenti amici, senza nessun motivo apparente…e anche lì, le indagini non portano a me; eppure mi odiano tutti…e alla fine hanno convinto anche me -

Si fermò per un istante, ricacciando indietro le lacrime che stavano per sgorgare dai suoi occhi arrossati dal precedente pianto.

- E poi ci sei tu…ho sperato con tutte le mie forze che…che stavolta andasse diversamente… -

Gli fu impossibile fermare le lacrime una seconda volta.

- E invece non poteva andare peggio…tu non mi odi, ma mi fa ugualmente male sapere che non riesci a convincere neanche te stesso… -

Si passò il dorso della mano sugli occhi gonfi e tirò su con il naso.

- Vuoi odiarmi per forza, non è vero? Perché in fondo mi credi…e non sai a chi dare la colpa per tutto quello che è successo. Be’, che fa se ti dico che non lo so neanche io? Per un sacco di tempo, come te, non riuscivo a spiegarmi il motivo di ciò che avveniva continuamente intorno a me…per questo ho iniziato a credere di essere perseguitato da qualcuno, e tu hai fatto lo stesso -

Tirò di nuovo su con il naso.

- Ma è tremendamente sbagliato, sai? È sbagliato inventare l’esistenza di qualcuno, solo per poterlo incolpare di tutto…quando ti ho conosciuto, ho pian piano iniziato a fregarmene dei mostri sotto al letto, degli scheletri nell’armadio, degli stalker, delle persone che mi hanno abbandonato, ho sentito che tu potevi salvarmi, ma poi...la mia nuova vita è crollata ancora prima che iniziassi a costruirla…tu soffrivi, soffrivi così tanto…hai perso i tuoi genitori e poi…e poi? -

- Hai ucciso tua madre…ed è ricominciato tutto daccapo -

- Sì…sentivo che era tutta colpa mia. Perché le persone che mi stanno accanto perdono tutto e io perdo loro? Non voglio neanche saperlo ormai… -

Tentai di parlare, ma lui mi anticipò.

- Con te fa più male, non ho mai sofferto così per qualcuno, e sai perché? -

Scossi la testa.

- Non sto per perdere una semplice amicizia -

Il ragazzo si aggiustò il colletto della maglia e uscì dal bagno, lasciandomi solo e confuso, ancora pieno di domande.

In quel momento avrei voluto trattenerlo per il braccio e non farlo scappare, dirgli che mi sentivo allo stesso modo, che lui era la persona più importante della mia vita, che ormai era l’unica cosa che mi restava da perdere e che avrei voluto difenderlo con le unghie e con i denti. Pensai che non me ne fregava un cazzo di quello stalker, che esistesse o meno.

 “Non mi perderai” 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17. ***


Gio, 2 novembre, sera

Quella sera non cenai, rimasi chiuso in camera a fissare lo schermo del cellulare, aspettando che si illuminasse all’arrivo di un messaggio.

“Cavolo, sembro una ragazzina innamorata”

Sospirai e posai il cellulare sul comodino, decidendo di spegnere la luce e mettermi a letto, dato che era quasi mezzanotte; stavo per tirarmi le coperte fino al mento, quando il display si illuminò, squarciando l’oscurità in cui mi ero rifugiato.

Hey…  inviato alle 23:46

 Ciao inviato alle 23:46

Il mio cuore batteva all’impazzata, mentre nella mia testa continuavo a ringraziare quel qualcuno che aveva ascoltato le mie suppliche e aveva fatto sì che Riccardo inviasse quel messaggio.

Scusa per oggi inviato alle 23:47

Non importa… inviato alle 23:47

Ti ho detto la verità, mi credi? inviato alle 23:47

Sì, ma non mi hai detto tutto… inviato alle 23:48

Non voglio parlarne ora inviato alle 23:48

Neanche io, ma dimmi solo una cosa… inviato alle 23:49

Cosa? inviato alle 23:49

Non c’è nessuno stalker? inviato alle 23:50

No inviato alle 23:50

Ho voglia di vederti… inviato alle 23:52

Domani mi trovi a scuola, come sempre :) inviato alle 23:52

Ok, a domani :) inviato alle 23:53

Notte~ inviato alle 23:53

Sorrisi come un ebete e spensi il cellulare, pensando con impazienza al giorno successivo.

Ven, 3 novembre, mattina

Salutai Matteo sventolando una mano ed entrai in classe, lanciando un’occhiata all’orologio appeso in corridoio come al solito.

All’ultimo banco della fila centrale trovai Riccardo che, come sempre, era indaffarato a scrivere; alzò il capo e mi sorrise debolmente.

- Be’? -

Lui mi guardò stranito.

- Che? -

Nel suo sguardo c’erano ancora timore e distacco.

- Quando dico che voglio vederti, non vuol dire che voglio vederti e basta -

Mi avvicinai a lui e feci strisciare la sedia a terra, poi mi sedetti e gli rivolsi un’espressione seria.

- Voglio sapere come stai…e scusarmi di nuovo -

Allungai una mano verso di lui, un po’ tremante; spostai il colletto della sua felpa e sospirai pesantemente alla vista di quel segno violaceo, meno evidente rispetto al giorno precedente. Lui si ritrasse subito, a disagio.

- Sicuro che quel tipo non c’entri niente? -

- S-sì… -

Il mio volto sereno fu oscurato da ombre di rabbia.

- E allora perché ti stava intorno? -

Lui aggrottò le sopracciglia, contrariato.

- Perché, ti sembra così strano che un uomo sessualmente represso e ubriaco mi venga dietro? -

- Be’…dietro a te? Insomma… -

Mi grattai il capo confuso, pensando che effettivamente la mia affermazione era infondata, dal momento che anche io gli sbavavo dietro spudoratamente.

- Grazie, eh…ha parlato Mr. Socializzocontutti -

- Tieni la lingua a posto, nano -

Lui mi fece una smorfia, poi s’imbronciò perché la conversazione era giunta a un punto morto. In realtà c’erano migliaia di cose di cui avremmo entrambi voluto parlare, ma avrebbero tutte inevitabilmente rovinato uno dei pochi momenti tranquilli.

“Che m’importa, devo sapere almeno questo..”

Riportai a galla l’argomento del tizio ubriaco nel parcheggio.

 - Allora, vuoi dirmi che voleva quello? -

Riccardo alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

- Non è importante -

- Sì, invece -

Mi avvicinai ancora di più a lui e lo scrutai attentamente.

- M-mi ha baciato… -

- Aspetta…innanzitutto, che ci facevi da solo là fuori? -

- Mi serviva un po’ d’aria -

- Okay…e poi? -

- Quel tizio stava fumando vicino a una macchina e mi fissava in modo inquietante, mi ha detto che ero un bel ragazzo -

Afferrai la matita di Riccardo sul banco e cominciai a stringerla forte, quasi a volerla spezzare.

- E nulla…che devo dirti? Mi avrebbe picchiato se non gli avessi dato retta, non l’hai visto?  Era un armadio… -

“Già…è proprio per quello che ho girato i tacchi e ti ho lasciato nella merda”

Notai che si sentiva in imbarazzo a parlarmene, perciò la buttai sul ridere.

- Be’, ho fatto giusto in tempo a rubarti il primo bacio -

Gli feci l’occhiolino scherzosamente.

- Come fai a dire che era il primo? -

- In realtà non lo so, ma spero che sia così -

Lo guardai male, attendendo una risposta.

- E invece no, ho dato il mio primo bacio a nove anni a una mia compagna di classe che aveva una cotta per me…e mi è letteralmente saltata addosso -

- Ah! Mi stai dicendo che una stupida bimba mi ha fregato il ragazzo? -

Non potei fare a meno di pensare a Noemi, strizzai gli occhi per scacciare quel brutto pensiero.

- Eh già…ora il mio cuore appartiene a lei -

Abbassò il viso per nascondere un sorriso, lo vidi arrossire.

- Hey -

Gli diedi un colpetto su una spalla.

- Sicuro di stare bene? -

- Adesso sì -

- Scusa se ho fatto il cazzone con te in questi ultimi giorni -

- No, no…avevi i tuoi motivi, e non ti darei nessuna colpa se mi dicessi che hai ancora molti dubbi, anche se sai già che ti ho detto quello che so… -

Una lacrima riuscì a fuggire dal suo occhio, lui la spazzò via immediatamente con il dorso della mano.

- Però mi farebbe davvero piacere se mi dicessi che… -

Gli afferrai il viso con le mani e premetti le mie labbra sulla sua guancia rossa, zittendolo.

Una sua mano si chiuse timidamente attorno al mio polso; mi allontanai dal suo viso e lo strinsi in un forte abbraccio. Mi ritrovai a piangere con lui.

- Ro…è tutto okay…non c’è nessuno stalker -

Presi un respiro profondo e gli passai ripetutamente una mano fra i capelli castani, cercando di tranquillizzarlo.

- Nessuno…è tutto nella nostra testa…nella mia testa…l’ho sempre detto io che sono una testa di cazzo! -

Mi sentii improvvisamente libero, come un prigioniero che, dopo aver scontato una lunga pena in carcere, si accorge che la chiave è sempre stata lì, nella serratura, e non può fare nulla, se non battersi una mano in fronte con forza e maledire se stesso per la propria incredibile stupidità.

Lo sentii ridere debolmente, scuotendo il petto contro il mio.

La campanella suonò, facendo scoppiare la bolla in cui ci eravamo messi al riparo, insieme.

Sab, 4 novembre, notte

Mi gettai sul letto senza fiato: ogni volta che ripensavo a ciò che era successo quella mattina in classe, il cuore iniziava a martellarmi forte nel petto e sentivo le guance diventare bollenti. E pensare che solo il giorno precedente lo odiavo a morte.

“Sono un cretino, come al solito non capisco mai niente…ma che mi costava fargli prima quelle domande?”

Restava comunque il fatto che nessuno dei due aveva idea di cosa fosse successo ai miei genitori né ai suoi amici, su cui mi ero informato attraverso vecchi articoli su vari siti internet. Per tutto quel tempo avevo dato la colpa a una persona inesistente, per così dire; ma era davvero giusto affermare l’inesistenza di un pazzo che tormentava Riccardo facendo del male a tutti coloro che gli stavano intorno? In tal modo, sarebbe stato impossibile spiegare quelle morti misteriose. Scossi la testa.

“Nah, deve essere un caso…”

Voltai il capo verso il balcone con le persiane ancora spalancate; un leggero venticello scuoteva le poche foglie secche rimaste sugli alberi circostanti, spesso strappandole crudelmente dai rami a cui appartenevano.

“Una corsetta mi aiuterebbe a schiarirmi le idee…tanto domani è il mio giorno libero, diciamo”

In effetti, pur di vedere Riccardo, avrei potuto cominciare ad andare a scuola perfino il sabato.

“No, quel nanetto non è così importante…ahah”

Mi rivestii e mi infilai una felpa calda, poi indossai un paio di scarpe da ginnastica e uscii silenziosamente di casa. Il display del cellulare segnava le 02:02 del mattino.

Dopo neanche cinque minuti di corsa lenta, avevo già il fiatone; tentai di distrarmi guardando il paesaggio che mi circondava. Era tutto incredibilmente triste e tetro: gli alberi spogli, le strade vuote, le luci spente negli edifici, le saracinesche dei negozi abbassate, i cani che abbaiavano in lontananza, soli e chissà dove. Eppure io stavo bene.

Dopo un tempo indeterminato di corsa, mi arrestai e mi poggiai con le mani sulle ginocchia tremanti per la stanchezza. Alzai il capo a fatica, con il petto che andava su e giù troppo velocemente per i miei gusti; sulla collina che mi stava di fronte intravidi la casa in cui abitavo quando tutto andava noiosamente bene, quando le mie uniche preoccupazioni erano mamma e papà che parlavano costantemente a telefono, soprattutto di notte, e il telecomando troppo distante dal divano.

Decisi di fare un ultimo grande sforzo e raggiungere quella casa; ficcai una mano in tasca e la strinsi attorno al mazzo di chiavi che sobbalzava a ogni mio passo, producendo un ritmico rumore metallico.

Spinsi la porta ed entrai, il salotto era nelle stesse pessime condizioni in cui l’avevo lasciato prima di andarmi a stabilire da Matteo. Passai delicatamente le dita su tutte le superfici dei mobili che incontravo, a partire dal salotto fino alla mia stanza. Percorsi il corridoio facendomi luce con la torcia del cellulare.

Il mio letto era ancora vergognosamente sfatto, e la famosa sedia dei panni ovviamente era carica di indumenti di cui ormai avevo dimenticato l’esistenza.

Aprii il balcone per far cambiare l’aria viziata e colma di granelli di polvere che fluttuavano ovunque e si sollevavano da ogni oggetto a qualsiasi mio movimento, ben visibili alla luce della torcia.

Mi affacciai alla ringhiera verniciata di bianco, per metà arrugginita, appoggiando il viso sui miei pugni chiusi. Voltai il capo in tutte le direzioni, scrutando l’appezzamento di terreno che mi stava di fronte, i cui alberi erano stati brutalmente mozzati; ne rimanevano solo i tronchi scuri e contorti, simili a spesse dita ossute e terrificanti.

Sussultai, la mia quiete fu interrotta da un’immagine orripilante.

Una sagoma scusa era china sulla terra umida e scavava maniacalmente con le mani, mormorando parole quasi incomprensibili a causa della distanza.

- Ma…mamma… -

Prima ancora di poter formulare delle frasi sensate nella mia testa, sapevo già con certezza che quella persona era Riccardo. Non osai spostarmi di un solo centimetro né fare alcun tipo di rumore che potesse attirare la sua attenzione, mi limitai a guardarlo.

Le sue azioni sembravano essere dettate dalla disperazione, mi dispiaceva enormemente per lui, ma lì sotto non avrebbe trovato niente: era stato portato tutto via. Difatti, dopo un lungo e incessante scavare, il ragazzo ricadde su un lato, scosso da tremiti e singhiozzi. Ripensai a quelle iridi di ghiaccio e alle parole del padre di Matteo, quella donna ai miei occhi poteva essere tutto, tranne che una buona madre; ma in fondo cosa ne sapevo io della vita di quel ragazzino, prima che fosse ulteriormente stravolta dalla mia esistenza? Non ero nient’altro che un dolore in più e, come se non bastasse, più forte di tutti gli altri.

Mi sentii terribilmente in colpa ripensando al modo in cui ero piombato nella sua vita, pretendendo di sapere, ricevere affetto, essere ricambiato.

“E se si sentisse costretto ad assecondare i miei sentimenti? In fondo non mi ha mai dimostrato nulla…e io? Neanche…”

Ero completamente assorto nei miei pensieri, quando d’un tratto fui colto da una sgradevole sensazione di disagio; abbassai il capo e constatai che un paio d’occhi era fisso su di me, i suoi occhi.

Il ragazzo aveva in viso un’espressione sorpresa anche se, differentemente da come mi aspettavo, non sembrava più fuori di sé, anzi, dopo avermi visto, i lineamenti del suo viso si distesero e lo vidi sospirare. Abbandonai la mia postazione e mi affrettai a raggiungerlo.

- Hey -

Mi tolsi la felpa e gliela poggiai delicatamente sulle spalle contratte per il freddo.

- Vuoi salire su? -

Lui scosse la testa, respirando attraverso le scure labbra socchiuse.

- Sicuro? Qui fa freddo -

- M-mh…ho paura -

Si guardò intorno e si soffermò sulla casa disabitata, rabbrividendo di colpo.

- Hey…sono sicuro che non sei stato tu -

- S-sì, ma…dov’è mamma? -

- L’hanno portata via -

Capii il suo dolore, la sicurezza di averla ancora con sé e la speranza che stesse solo dormendo furono distrutte dalla mia affermazione.

Circondai le sue spalle con un braccio e lo aiutai a rialzarsi, aveva ancora le mani e il viso sporchi di terra bagnata.

- Ti riaccompagno a casa…c’è tua nonna, vero? Ora non devi più avere paura…ti hanno rilasciato -

- No…non voglio -

- Perché non vuoi? -

- La nonna non mi vuole bene…crede anche lei a quello che dicono tutti gli altri -

- Però ti ha difeso  -

Lui emise un sospiro triste.

- Solo perché non vuole trovarsi ancora in mezzo a queste cose… -

Le sue ginocchia parvero cedere, lo strinsi a me. Lui alzò il capo e mi puntò gli occhi in viso, al buio apparivano scuri e profondi.

- Non mi lasciare…anche se ti faccio arrabbiare, tu continua a sederti vicino a me, anche se mi tratti male e mi prendi in giro -

Da quelle sue parole, proferite a voce bassa, compresi che anche io, così come lui per me, ero l’ultima cosa rimasta.

- D’accordo, però adesso vieni su, stai morendo di freddo -

Varcammo la porta insieme, poi lo feci accomodare su una delle vecchie sedie di legno accanto al tavolo da pranzo, anche se l’unica fonte di luce era ancora la torcia del mio cellulare.

- Mh…ti avrei offerto un tè, ma evidentemente non posso -

Mi lasciai sfuggire una risatina nervosa, era una situazione davvero imbarazzante.

Ma lui non mi stava ascoltando davvero, la sua attenzione era altrove: teneva gli occhi puntati su un mobile della cucina, quello stesso mobile sotto il quale avevo trovato il corpo senza vita di sua madre.

Sembrava essere da tutt’altra parte anche con la mente, come se fosse in uno stato di trance.

- Adesso ricordo…sono stato io, vero…? Mamma…? -

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18. ***


Sab, 4 novembre, notte

- C-che?! -

- Mamma…ricordo dove l’ho vista l’ultima volta! -

“Vista?”

- Non capisco… -

Il ragazzo si alzò con un’espressione decisa.

- Mi ha detto che stava andando in cantina a prendere il vino…o forse l’olio… -

Lo guardai con delusione.

“Quindi stava guardando quel fottuto mobile per caso?”

Mi battei una mano in fronte e lo raggiunsi.

- Ro, meglio non pensarci per ora -

Gli aggiustai la felpa sulle spalle e lo intimai a sedersi di nuovo.

- Sì, ma…forse qualcuno… -

- Ro, hai ucciso tu tua madre, non conta qual è l’ultimo posto dove l’hai vista -

Riccardo abbassò il capo e i suoi occhi si spensero; ero convinto che stesse delirando, in fondo era normale dopo tutto ciò che aveva passato, e io lo sapevo bene.

- Senti…dovresti tornare a casa adesso, non possiamo restare qui -

- Perché? -

I suoi occhi innocenti mi scrutarono l’intero viso.

- Perché questa casa è sotto sequestro…e io non dovrei avere neanche le chiavi, ma nessuno lo sa. Se ci trovassero qui insieme sarebbe un bel guaio -

Lui annuì e mi restituì la felpa.

- Che fai? -

- Torna a casa, io voglio stare qui -

- Ro…credimi, tua nonna non ti odia, era preoccupata per te…devi tornare -

In realtà sua nonna doveva davvero essere infastidita dalla presenza del nipote, ma non al punto da odiarlo.

“Anche quella signora deve averne viste di brutte”

- M-mh… -

Finalmente mi seguì e lo guidai fino a casa sua, camminando in silenzio dinanzi a quel paesaggio che pareva ancora più triste e desolato.

Sab, 4 novembre, mattina

Mi svegliai di soprassalto al suono della voce di Matteo che imprecava di prima mattina.

- Ma ti vuoi alzare?! Sono le otto e mezza, dovevamo essere a scuola venti minuti fa-

Mi lanciò una scarpa addosso.

- E perché diamine ti sei messo a dormire con la tuta? Puzzi anche -

Mugugnai qualcosa e mi girai dall’altro lato, poi mi arrivò un’altra scarpa addosso.

- Ma che giorno è… -

Mi stropicciai gli occhi con le mani intorpidite e cercai di mettere a fuoco la sua immagine.

- Sabato, deficiente! -

Gli dissi che non andavo mai a scuola il sabato, mentre mi tiravo le coperte fin sopra la testa e infilavo un braccio sotto il cuscino caldo.

Matteo lasciò la stanza pronunciando altri insulti sottovoce.

Sab, 4 novembre, sera

- Ora basta -

Matteo tirò via le coperte dal mio letto, trovandomi a ancora con la tuta addosso, rannicchiato e con la testa sotto il cuscino.

- Non hai fatto un cazzo tutto il giorno! Ti sei alzato solo per mangiare e pisciare! -

Mi tirò per un braccio e mi costrinse ad alzarmi dal materasso sul quale ormai era impressa la forma del mio corpo.

- Adesso ti vesti e usciamo con gli altri, punto -

Marcò quella parola per incitarmi a stare zitto e non fare proteste, pronunciai un sommesso “okay” e andai in bagno a lavarmi.

Dopo una quarantina di minuti sotto la doccia, spesi fra il tentare di non addormentarmi e il rispondere “un attimo!” ogni trenta secondi alle urla di Matteo, il ragazzo cominciò a bussare alla porta ininterrottamente, sostenendo che “dovevo sbrigarmi perché lui doveva pisciare, altrimenti l’avrebbe fatta addosso a me quando sarei uscito dal bagno”.

- Ma insomma, Matteo! È questo il modo di rivolgerti al tuo amico? -

- Mica è colpa mia se sta due ore nel cesso, quando poi ha il bagno in camera sua! -

- Questo è più comodo! -

Gridai con la testa sotto l’acqua bollente, mentre la schiuma dello shampoo scivolava lungo la mia schiena.

- Ah sì?! -

Il ragazzo smise di bussare e scomparve, finché non lo sentii urlare attraverso la finestra del bagno aperta, dal giardino.

- Fottiti! -

L’acqua diventò improvvisamente gelata, balzai fuori dalla doccia rischiando di scivolare e rompermi una gamba, poi indossai l’accappatoio e uscii frettolosamente dal bagno. Trovai Matteo che stava entrando dal portone, con un’aria compiaciuta; gli corsi incontro e lo sollevai sulle mie spalle, lo trascinai in bagno e lo gettai nella doccia con tutti i vestiti addosso.

- Ah sì?! -

- Ragazzi! Ma che state combinando lì dentro? -

Uscii dal bagno sghignazzando e feci appena in tempo a chiudere la porta della mia stanza, quando suonò il campanello.

Poiché io e Matteo non eravamo ancora giunti a una tregua, ci precipitammo entrambi lungo il corridoio, in segno di sfida, scalzi e ancora bagnati dalla testa ai piedi. Arrivai per primo e aprii il portone, facendo la linguaccia all’altro, come un bambino. Il sorriso mi scomparve dalle labbra quando mi ritrovai davanti Marco e gli altri, incluso Riccardo che mi guardava stranito.

Matteo mi raggiunse subito dopo, urlando che ero un gran cretino, poi si arrestò anche lui dietro di me.

- Ehm…ciao -

Mi grattai la nuca in imbarazzo, realizzando solo in quel momento che avevo ancora l’accappatoio addosso. Marco mi diede una gomitata nel fianco e fece una faccia inquietante.

- Doccia insieme? Potevate invitarmi… -

Poi si fece largo con il braccio ed entrò come se quella fosse casa sua, gli altri lo seguirono a ruota. Soltanto Riccardo rimase immobile dinanzi alla porta, con le mani intrecciate dietro la schiena e lo sguardo basso.

- E-entra… -

Si ritrovarono tutti seduti sul divano a guardarci in faccia.

- Vado a vestirmi -

Io e Matteo parlammo all’unisono, risultando ancora più ridicoli di quanto già non fossimo.

Ognuno scappò nella propria stanza, rosso in viso, mentre in salotto si diffondevano delle risatine.

Quando ritornai in salotto, erano tutti in piedi davanti all’uscita e mi guardavano male. Matteo scosse la testa con rassegnazione.

- Alessio ultimamente sta prendendo le abitudini dei bradipi -

- Anche a letto? -

Marco si beccò uno schiaffo sulla nuca.

Fuori faceva freddo e i nuvoloni scuri preannunciavano un temporale durante la notte; mi strinsi nel cappotto scuro e lanciai un’occhiata a Riccardo senza farmi beccare dagli altri: da quando si era presentato davanti alla porta di quella casa non aveva detto neanche una parola, ma era stato tutto il tempo con il capo basso, in disparte, annuendo appena quando qualcuno gli rivolgeva una domanda.

Dopo aver mangiato (per meglio dire: esserci abboffati) in una panineria, raggiungemmo a piedi il solito vecchio parco pubblico e facemmo a gara a chi doveva sedersi sulle altalene in condizioni migliori. Io presi posto sulla scaletta di legno di un castello per bambini e mi accesi una sigaretta.

- No, no! Ma che fai? -

Marco me la tolse di mano e la pestò con il piede.

- Hai soldi? -

Annuii. Estrasse dalla tasca una busta di tabacco, in cui però c’era tutt’altro.

- Mh…no, stasera passo -

- Dai -

Il ragazzo mi diede una spinta sulla schiena e mi puntò in viso un paio d’iridi blu.

- Offro io! -

Ricacciai i soldi nella tasca e lo feci sedere accanto a me, senza dire una parola, nel frattempo gli altri si lamentavano per l’ingiustizia e gettavano soldi sul grembo di Marco, intento a inumidire una cartina con la lingua.

- Tieni -

Mi portai la canna alle labbra, indeciso; i miei occhi si posarono erroneamente su quelli di Riccardo, che dondolava silenziosamente sull’altalena che mi stava di fronte. Le sue labbra sembrarono fremere per un attimo, poi voltò il capò e si limitò a fissare un punto in lontananza.

Dom, 5 novembre, notte

Appoggiai la testa sul sottile corrimano di legno che affiancava le scalette su cui ero seduto, chissà quanti bambini avevano fatto scivolare le proprie mani su di esso, ignari che un giorno un ragazzo come me ci avrebbe appoggiato il capo.

“Non per vantarmi, ma non a tutti gli adolescenti capita una vita del genere…ahah, sono proprio fatto”

Le voci degli altri mi giungevano indistinte e ovattate, eccetto quella di Marco, che ogni tanto gridava frasi fuori contesto, apprese da squallide serie TV.

Mi stancai di fissare l’erba secca ai miei piedi, alzai gli occhi in cerca di qualcosa di più interessante, ed essi si posarono inevitabilmente su quel corpo minuto che dondolava lentamente sulla vecchia altalena, con i piedi che penzolavano. Anche lui teneva lo sguardo inchiodato a terra, mi chiesi se stesse ancora seguendo una formica con lo sguardo, come aveva fatto a casa mia non molto tempo prima, anche se a me sembrava essere già trascorsa un’eternità.

La sua bocca si schiuse e ne fuoriuscì un debole sospiro, poi finalmente alzò la testa e fui costretto a voltarmi per non essere sorpreso a fissarlo ancora una volta. Riccardo si tirò su dall’altalena e si diresse verso Marco, poi si frugò un po’ in tasca con una mano, finché non estrasse dei soldi; glieli porse senza dire una sola parola, l’altro li accolse con un sorrisetto soddisfatto.

“Forse dovrei dirgli che non è saggio farsi la prima canna con quella roba…oh, che importa, ho sonno…”

 

- Ale -

Protestai con un gemito.

- Ohi, Ale…non vuoi mica dormire su questo scivolo tutta la notte? -

Qualcuno mi scosse di nuovo una spalla.

- Alzati, mi sa che il tuo amichetto non si sente bene -

Nonostante non riuscissi ancora a mettere a fuoco e non mi ricordassi neanche dov’ero, mi rizzai a sedere immediatamente. Riccardo era lì, ancora su quell’altalena che oscillava impercettibilmente; era accasciato contro la catena arrugginita, con la mano stretta attorno a essa, il volto pallido e gli occhi chiusi. Sembrava che stesse dormendo, mi dispiacque farlo svegliare.

- Ehi…Ro -

I suoi occhi si aprirono di scatto e si fissarono nei miei, fui sicuro di essere diventato completamente rosso, perché sentivo le guance andarmi a fuoco.

“Sarà colpa della droga…”

- Stai bene? -

Lui scosse la testa e cadde in avanti, lo afferrai prontamente.

- Sei un cretino… -

Risi.

- Se non avessi fumato forse ti avrei fermato…ti ho lasciato di nuovo fare una cazzata -

Evidentemente lui era ancora più rimbambito di me, perché parve non avermi sentito affatto.

- Okay…me la vedo io, tu continua pure a dormire come un ghiro -

Sbuffai, ma non riuscii a staccargli gli occhi di dosso: la sua faccia era appoggiata sulla mia spalla, in modo che la guancia appariva teneramente paffuta e più colorata, mentre il resto del corpo era proteso all’indietro, ancora sull’altalena, sembravamo un bambino e il padre incapace.

Mi decisi a darmi da fare e infilai una mano nella tasca del mio cappotto, in cerca del cellulare.

- Merda…non c’è campo -

Approfittai della sonnolenza dell’altro per potergli frugare nei jeans, finché non trovai anche il suo telefono, che invece prendeva la linea. Ancora rosso in viso, fui costretto a svegliare di nuovo il ragazzo per chiedergli la password, che lui pronunciò a fatica per via della faccia premuta contro il mio petto.

“Ma adesso chi cavolo chiamo per portarlo a casa?”

Mi voltai verso gli altri, ma non era il caso di chiedere loro un passaggio a meno che non volessi farli schiantare contro un muro.

Il cellulare vibrò nella mia mano e per poco non lo scaraventai a terra per la paura, quell’aggeggio ne aveva già passate troppe. Lessi il messaggio appena arrivato, notando poi che ce n’erano anche altri inviati dallo stesso contatto.

Roberto

Dove sei? inviato alle 2:06

Dimmi quando devo passarti a prendere inviato alle 2:35

Devo venire? inviato alle 2:44

 

- Ro…chi è Roberto? -

Lo dissi con una punta di gelosia nella voce.

- U-uhm… -

Il ragazzo si stropicciò gli occhi.

- Il…compagno di mamma -

Sospirai di sollievo, scacciando via dalla testa l’immagine del tizio del parcheggio.

Cercai quel contatto nella rubrica e ascoltai il cellulare bussare, provando un po’ di imbarazzo perché non avevo mai visto quell’uomo. Ricordai che una volta Riccardo aveva accennato a un compagno il giorno dopo che il presunto stalker si era presentato a casa sua, rompendo la finestra.

Una voce maschile rispose dall’altro capo del telefono, con un tono preoccupato.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19. ***


Dom, 5 novembre, notte

- Riccardo? Dove sei? -

Rimasi a bocca aperta come un idiota, non sapevo proprio cosa dire se non: mi scusi signor Roberto, sono un amico di suo figlio. So bene che lei non ha la minima idea di chi sia io, volevo solo dirle che Riccardo si è fatto la prima canna della sua vita e sono circa due ore che dondola sulla stessa altalena fissando il prato. Arrivederci.

- P-pronto? -

L'uomo sospirò, evidentemente sorpreso di udire una voce diversa da quella che si aspettava.

- Chi sei? È successo qualcosa a...-

- N-no! Assolutamente...s-sono un amico di Riccardo, volevo chiederle se... -

- Oh, devo venire a prenderlo? -

- Sì... -

- Va bene, dove siete? -

- Al parco pubblico -

- Arrivo subito -

La telefonata terminò prima che potessi fare un ultimo saluto.

"Poteva andare peggio, sto migliorando nella socializzazione... più o meno"

Passato qualche minuto, aiutai Riccardo ad alzarsi, poi gli circondai la vita con un braccio e lo condussi all'entrata, dove una macchina lunga e nera, all'apparenza molto costosa, attendeva con i fari accesi e un finestrino abbassato.

- Tu hai mal di pancia, okay? -

Gli scossi una spalla per fargli alzare il viso pallido e coperto dai capelli.

- Uh? -

Sbuffai.

- Ci siamo abboffati come porci e ti sei sentito male. Hai un forte mal di pancia, capito? -

Annuì.

Aprii lo sportello e lo aiutai a sedersi.

- B-buonasera...o buonanotte? -

Risi nervosamente.

"Ma che cazzo sto dicendo?"

L'uomo si voltò e guardò Riccardo in modo preoccupato, nel frattempo mi aveva invitato a entrare nella macchina con un gesto della mano.

- Che cos'è successo? Ro...? -

Il ragazzo alzò la testa di scatto e lo guardò come un ebete.

- Oh? Uh...niente... -

Mi rivolse uno sguardo perso, in cerca di aiuto.

- A-ah...abbiamo mangiato un sacco, anche io non sto molto bene... -

Mi misi una mano sulla pancia e simulai un'espressione sofferente.

- E cosa avete mangiato? Piccante? -

- Sì...dentro panini enormi -

L'uomo sorrise e parve più sollevato.

- La prossima volta andateci piano, okay? -

Annuii.

- Allora...vieni con noi? -

Mi ritrassi sul sedile, molto sorpreso.

- N-no, non si preoccupi...vado a casa -

Roberto alzò le sopracciglia e si voltò verso il volante, potevo vedere di profilo il suo viso paffuto e segnato da piccole rughe agli angoli delle labbra; la sua espressione era rilassata e gentile.

- Non fare complimenti! Puoi fermarti qualche minuto, sciacquarti la faccia e magari prendere qualcosa per il mal di pancia -

Avviò la macchina, vidi il marciapiede allontanarsi velocemente.
L'uomo continuò a parlare sottovoce, fra sé e sé.

- Dovrebbero esserci ancora quelle medicine... -

Dopo qualche minuto, ci fermammo nella stradina di fronte alla familiare villetta bianca; Roberto fece sedere Riccardo sul divano, stando molto attento a non farlo cadere mentre camminavano, poi fece accomodare anche me e scomparve su per le scale.

Mi guardai un po' intorno, spostando gli occhi sulle foto di famiglia poggiate in ordine sul caminetto; in una di queste un uomo e una donna sorridevano allegramente, tenendo in braccio un bambino con il pannolino, paffuto dalla testa ai piedi, sembrava il più felice del mondo. Sorrisi involontariamente.

"Quindi quello a sinistra è il padre di Riccardo...non si assomigliano molto"

A parte i capelli castano chiaro e i lineamenti dolci del viso, non aveva nulla in comune con suo padre; la madre, invece, aveva la stessa pelle olivastra, una bassa statura, il viso leggermente arrotondato, e lo stesso sorriso.

"Incredibile"

Posai gli occhi su un'altra foto, strizzandoli appena per vedere meglio le figure: la madre di Riccardo non sorrideva più, i suoi occhi sembravano privi di luce; i capelli, lunghi e lisci nella foto precedente, le arrivavano appena alle spalle, facendo da contorno a un viso emaciato e  triste, forse era vedova da poco. Un uomo robusto, di fianco a lei, le poggiava una mano su una spalla e sorrideva, indossava uno smoking nero e una cravatta bordeaux, era il compagno della madre di Riccardo, solo con un po' più capelli in testa. Infine, in mezzo ai due, un ragazzino sui dieci anni sorrideva appena, i capelli erano più lunghi di quelli che portava il ragazzo che dormiva di fianco a me. Notai che non era solo Roberto quello elegante, ma anche gli altri due, doveva essere un'occasione importante.

- M-mh...Ale... -

Riccardo si lasciò scivolare lungo lo schienale del divano e appoggiò la testa sulle mie gambe.
Scostai una ciocca di capelli dal suo viso e presi a osservarlo mentre respirava impercettibilmente, finché non aprì gli occhi. Sussultai quando constatai che le sue pupille erano così grandi da rendere quasi invisibili le iridi verdi.

"Cavolo...se quel tipo non si accorge che Ro è fatto, allora è proprio un idiota"

- Stanotte...resti qui? -

Le sue palpebre si stavano già riabbassando per il sonno.

- Eccomi! -

Roberto scese le scale velocemente con una confezione di pillole fra le mani, prese due bicchieri e li riempì con un po' d'acqua fresca.

- Tieni -

- O-Oh...grazie -

"Dovrei smetterla di sembrare un disadattato sociale"

L'uomo risvegliò Riccardo, scuotendolo per una spalla.

- Ro, bevi -

"Ro? Oh...allora non sono l'unico genio ad aver inventato questo soprannome"

Roberto mi sventolò una mano davanti alla faccia.

- Hey? Ti vedo un po' stanco, hai gli occhi rossi -

- G-già... -

Mi stropicciai gli occhi con il dorso della mano, anche se bruciavano.

- Forse è meglio se resti qui stanotte -

Per poco non feci cadere il bicchiere sul pavimento.

- C-come? Oh! Non si preoccupi...io...mi stanno aspettando a casa -

- Dai, stai morendo di sonno...non vorrai uscire di nuovo con questo freddo -

Indicò la finestra del salotto, riparata a dovere. Mi si strinse lo stomaco al ricordo di quella notte.

- N-no... davvero...grazie -

- D'accordo, ti riaccompagno fra poco -

Annuii e raddrizzai le spalle contro il divano.
Sussultai quando il telefono dell'uomo cominciò a squillare con una stupida suoneria. Lui si alzò con aria imbarazzata ma, prima di lasciare la stanza, si affacciò alla porta ad arco.

- Potresti farmi il piacere di portare su Riccardo e farlo mettere a letto? -

- Certo -

Mi voltai verso Riccardo, il quale si stava fissando il piedi attraverso il fondo trasparente del bicchiere di vetro.

- Ehm...Ro -

Si girò e mi guardò come un ebete.

- U-uhm...dovresti andare a dormire -

- Oookay! -

Posò il bicchiere e mi mise le braccia al collo.

- Che fai? -

- Sono un koala! -

"Oddio...qualcuno mi dia la forza per sopravvivere"

- Va bene...allora aggrappati bene ché ti porto su -

- Ricevuto! -

Lo sollevai e lui strinse le gambe attorno al mio busto, era veramente leggero.

Lo portai nella sua stanza, dove Puccolo o Puzzola - come diavolo si chiama quel coso?  - era steso sul letto a testa in giù, con le zampette grasse per aria.
Feci stendere Riccardo sul letto e alzai entrambi i cuscini per trovare il suo pigiama.

- Uh, ciao! -

Mi voltai verso l'altro, pensando che stesse parlando con me, mentre invece stritolava quello strano unicorno fra le braccia.

- Hai visto chi c'è? Lui è Alessio, il mio fidanzato! Oh, non fare il geloso! -

Riccardo lanciò il pupazzo dall'altra parte della stanza e rise come un bambino. Io corsi a chiudere la porta e gli feci cenno di fare silenzio.

- Che c'è? Volevo solo parlare un po' con lui... -

Gli gettai il pigiama sulla pancia.

- Mettilo -

Lui alzò le sopracciglia con fare malizioso.

- Mettimelo tu -

- Scordatelo -

Il ragazzo sbuffò e si alzò dal letto, cedendomi il posto.
Per le seconda volta da quando lo conoscevo, lo vidi togliersi la maglietta; sembrava ancora più magro di quella precedente. Si voltò di spalle e faticò a infilare le braccia nelle maniche della maglia del pigiama.
Notai una cicatrice sulla schiena, assomigliava a un taglio non molto profondo, o forse un graffio.

- Ro, che hai sulla schiena? -

- Uh? Dove? -

Indicai il punto.

- Oh...non lo so! Non sapevo neanche di averla, ahah! -

Si rigirò.

- No, no, aspetta -

Mi avvicinai a lui.

- Ti sei fatto male? -

Aveva altri segni rossi, poco visibili sulla pelle scura, che sembravano più recenti.

- Non ci vedo! -

Mi alzai e aprii il suo armadio, attaccato a una delle due ante c'era un lungo specchio verticale.

- Guarda -

Lui fece spallucce e si infilò la maglia.

- Non mi ricordo, forse sono caduto -

Poi mi guardò con occhi ridenti.

- O forse il mio unicorno ha cercato di stuprarmi ieri notte -

- Finiscila... -

Gettai un'ultima occhiata alle sue spalle esili, poi mi sedetti sul letto accanto a lui.

- A proposito...Puzzola non era un cavallo con un corno? Non un unicorno... -

- Be'...per i comuni mortali posso fare un'eccezione -

Sorrisi, per la prima volta io e Riccardo stavamo facendo una conversazione normale, nonostante fossimo fatti e stessimo parlando di unicorni, puzzole e cavalli con il corno.

"Almeno non stiamo parlando di uno stupido stalker o di morti"

Il mio sguardo si incupì, l'altro se ne accorse subito; mi accarezzò una guancia senza pensarci due volte, con il viso un po' rosso e mezzo nascosto dalle coperte.

- Non devi essere triste -

- Perché? -

Il ragazzo esitò per un istante, poi sorrise come un bambino.

- Perché ti amo -

Il mio cuore perse un battito, forse dieci.

"Okay Alessio, stai calmo, è fatto, strafatto, ultrafatto, probabilmente non sa neanche chi sei, guardalo!"

Lo guardai negli occhi e non potei fare a meno di pensare che fosse la persona più bella che avessi mai visto.

Scossi la testa.

"Ma che pensieri faccio? E adesso che gli dico, che lo amo anche io? No, assolutamente no, è megafatto"

-Anche io -

"E io probabilmente lo sono più di lui"

Mi chinai su di lui, avrei voluto baciarlo, ma era già nel mondo dei sogni.
Mi limitai a guardare in modo ossessivo il suo petto che si abbassava e si sollevava ritmicamente, come se la mia vita dipendesse da quel respiro, da quel cuore che batteva. E in effetti era vero, ormai lui era la mia unica speranza di non perdere definitivamente la testa, di non farmi sopraffare dal passato che lui stesso aveva portato con sé dal primo momento in cui ci eravamo guardati negli occhi.

La vibrazione del mio cellulare mi fece sobbalzare, era Marco. Risposi parlando sottovoce.

- Hey, che vuoi? -

- Ma dove cavolo sei? -

Rispose con la voce impastata.

- Ah...ehm...ho accompagnato Ro a casa -

- E chi cazzo è? -

- Riccardo -

- Ah! -

Si sentì una voce in sottofondo.

- Avete scopato? -

Marco rise come un idiota; stavo per riattaccare, quando udii la voce di Matteo dall'altro capo del telefono.

- Ohi, scusalo -

- Hey -

- È un po' fatto...non torni? -

Lanciai un'occhiata malinconica a Riccardo che dormiva beatamente, occupando quasi tutto il letto con il suo corpicino.

- Uhm...tu non vai a casa? -

- Sì, ma dobbiamo tornare insieme altrimenti mamma fa la ramanzina a me -

Rise imbarazzato.

- Okay, ci vediamo fra poco -

- Ciao -

Mi chinai sul viso di Riccardo e gli lasciai un bacio sulla fronte, di rimando lui sorrise nel sonno e ficcò la testa sotto le coperte. Era così maledettamente adorabile.
Proprio mentre stavo per uscire, la porta della stanza si aprì dall'esterno e quasi urlai dallo spavento.
Roberto mi rifilò uno sguardo deluso.

- Te ne vai? -

- S-sì, devo tornare a casa con Matteo... -

Lui mi guardò incuriosito.

- Matteo...hai un fratello? -

- Oh, no, no, è un po' complicato...-

Dimenticavo che effettivamente quell'uomo non ne poteva sapere nulla della mia situazione familiare oltre al fatto che i miei genitori erano misteriosamente morti.

- Non preoccuparti, d'altronde non sono affari che mi riguardano. Ma come hai intenzione di arrivarci? -

- Dove? -

- Da questo Matteo -

- Ah...a piedi, credo -

Mi grattai la nuca.

- Non se ne parla, ti accompagno io -

- Ma no! Si figuri, lei è troppo gentile...il parco non è molto lontano -

- Invece sì, e poi credi che ti lascerei andare in giro a quest'ora della notte? -

- Ma non voglio disturbarla...davvero -

Lui non volle sentire ragioni.

- Non mi disturbi, non ho per niente sonno. Sai...ho preso una pausa dal lavoro, giusto un paio di giorni...pensavo di poter superare quella cosa, ma è più forte di me... -

Respirò profondamente per calmarsi.

- Quindi oggi mi sono alzato tardi e sono bello carico! -

Afferrò le chiavi della macchina e aprì il portone di casa.

Il viaggio durò pochi minuti, poi mi lasciò dinanzi all'entrata del parco non prima di avermi chiesto per l'ennesima volta se volevo un passaggio fino a casa di Matteo.

- No, no, non si preoccupi...ci vengono a prendere i suoi genitori -

- Sicuro? Non è che volete farvi accompagnare con il motorino dai vostri amici? È pericoloso a quest'ora -

- No! C-cioè...no, grazie? -

- D'accordo, allora buonanotte -

- B-buonanotte -

Aspettai finché la macchina non fu scomparsa dietro l'angolo.

Gli altri erano in una situazione critica: Marco stava cercando di fare una verticale, ma rideva come un idiota, Silvio - il ragazzo che mi aveva fatto quell'orribile scherzo dello stalker - era steso per terra e si fotografava i piedi senza scarpe. Matteo mi corse incontro con aria disperata, gli altri per fortuna erano andati via.

- Oddio, grazie Signore! -

Alzò lo sguardo al cielo.

- Finalmente sei arrivato! Questi due mi stanno facendo dubitare della mia voglia di vivere -

Gli misi una mano su una spalla, tentando di tranquillizzarlo.

- Che è successo? -

- Hanno fumato, mi pare ovvio -

- Be', anche io ho fumato ma sto a posto -

Mi guardò scocciato.

- Certo, perché tu non hai continuato! -

Rimasi a bocca aperta.

- Hanno continuato? -

- Secondo te? -

Lanciai un'altra occhiata ai due: Marco era salito sulle spalle di Silvio, il quale era convinto di essere un unicorno.

- Ah! E dove ce l'hai il corno?! -

Entrambi scoppiarono a ridere e finirono per terra.
Mi sbattei una mano in fronte.

- Okay, hai ragione tu. Adesso come cavolo lo portiamo a casa?-

- Io credo che sia meglio per loro non presentarsi a casa in queste condizioni -

- E cosa vorresti fare? -

Matteo prese il cellulare e se lo portò all'orecchio.

- Pronto? Mamma...no, non sono morto. Sì... sì...esatto...dormo da Marco. No, no....noo! Okay, ciao -

- Telefonata intensa...allora? -

- Io e te dormiamo da Marco -

- Certo, anche se Marco non dorme a casa sua? -

- Che importa? Secondo mia madre stanotte stiamo da Marco, e va bene così -

Sbuffai sonoramente.

- E quindi adesso che si fa? -

- Aspettiamo che a quei due passino i cinque minuti...o venti. Nel frattempo parliamo -

- E di cosa? -

- C'è una cosa che vorrei dirti da un po' di tempo... -

"Oh, merda..."

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20. ***


Dom, 5 novembre, notte

- Ti viene in mente proprio adesso? Non ricordi che viviamo insieme? -

- E quindi? -

- E quindi puoi dirmelo quando vuoi, ma ora no -

Matteo mi si avvicinò con aria supplichevole.

- Ti prego, sento che questo è il momento giusto -

Sbuffai, poi gli feci cenno di andare avanti.

- È da un po' che voglio dirtelo, ma non trovo mai il...coraggio -

Mi sentii estremamente a disagio, un po' meno di quando stavo con Noemi, forse solo perché lui era un maschio.

- Per farla breve...mi piaci, ma questo lo sai già -

Non fiatai, anche perché il ragazzo sembrava intenzionato a continuare.

- O almeno questo è quello che pensavo fino a qualche minuto fa-

Si grattò la nuca imbarazzato.

- Il fatto è che mi sono reso conto di una cosa mentre tu non c'eri...mi sei mancato e... -

Non riuscivo a guardarlo in viso, la situazione si stava facendo troppo complicata, soprattutto perché non avevo la minima idea di cosa avrei dovuto rispondere.

- Ed ero geloso -

- Eh? -

Spalancai gli occhi e me li stropicciai, come se mi fossi appena svegliato da un sonno profondo.

- Sono geloso, Ale. Non riesco a sopportare il fatto che tu abbia occhi solo per lui, io non... -

Gli misi entrambe le mani sulle spalle per farlo zittire.

- Ascolta, Matteo...penso che questo discorso sia insensato... -

- No, affatto! Sto cercando di dirti una cosa seria, i-io -

- Ti prego, questo non è proprio il momento giusto -

Mi voltai, intento a raggiungere gli altri e prenderli a schiaffi, un po' per sfogarmi e un po' per fargli rendere conto che erano degli idioti.

- Ale, io ti amo! -

Con mio grande stupore, non mi sentii mancare l'aria, il cuore rimase al suo posto, le gambe continuavano a reggermi saldamente, mi sentivo benissimo, a parte la droga ovviamente. Era una sensazione completamente diversa da quella che avevo provato con Riccardo.
Le sue braccia si chiusero attorno al mio busto, che poco prima era stato circondato da due gambe esili e calde.

- Matteo, ho fumato, non è il caso -

- No, tu stai benissimo, voglio che tu mi dica qualcosa...qualsiasi cosa -

- Basta! Sta diventando un cazzo di telefilm per dodicenni in crescita ormonale. Sai che ti dico? Che non ce la faccio più a giocare al ragazzo paranoico, sapevi benissimo che avresti sofferto dicendomi questa cosa...quindi finisco di farti male-

La sua stretta si indebolì, lo spinsi via e mi voltai per guardarlo in faccia.

- Tu non mi conosci, non hai idea di chi sia o di quello che ho passato, perché non sono solo un disgraziato che ha perso i genitori, sono pazzo -

Non avevo mai visto Matteo così triste e confuso, forse non l'avevo mai  visto triste, perché sorrideva sempre come un cretino, chissà se anche lui aveva dei problemi.

"Sicuramente, ma ne ho già troppi per conto mio"

- Ale...che stai dicendo? Calmati, io...scusami, hai ragione, ne parleremo un'altra volta. Ora dobbiamo tornare a casa -

- No. Io non ci torno, quella non è casa mia! Voi non siete la mia famiglia...voi non avete idea... -

Mi misi le mani fra i capelli e mi piegai sulle ginocchia, la voce era interrotta per via del cuore che mi martellava nel petto, ero furioso.

- Ale...tranquillo... -

Il ragazzo si avvicinò, ma lo spinsi una seconda volta.

- Se solo sapessi...se solo voi sapeste quello che ho fatto...tu non mi ami, non puoi amare una persona del genere, solo uno più pazzo di me potrebbe -

Sorrisi amaramente e un viso familiare apparve nella mia testa, facendomi infuocare le guance.

- Allora dimmi cos'hai fatto! Sono sicuro che posso aiutarti...io ci tengo a te, accetterò qualsiasi cosa... -

Mi rimisi in piedi e mi passai il dorso della mano sulle labbra secche.

- Ho ucciso i miei genitori -

Il ragazzo indietreggiò senza distogliere lo sguardo dalla mia figura, era terrorizzato.

"Ora so come ci si sente, Ro...tu sei forte, più forte di me e di chiunque altro io abbia mai conosciuto"

- No...non mi dire questo... -

Fissai i miei occhi nei suoi.

- Ale, non è vero...non è vero! -

Matteo urlò, incredulo.

- Non puoi avermi mentito così...non l'avresti mai fatto, anche se sei il più grande imbecille sulla faccia della Terra!-

Mi avvicinai, lui continuò a indietreggiare.

- Ho mentito perfino a me stesso, quindi che problema c'è se lo faccio anche con gli altri? Non l'ho fatto mica apposta...certo che no -

Gli tesi la mano, lui esitò qualche istante prima di afferrarla.

- Torniamo a casa? -

Mi guardò come se avesse appena assistito a un esorcismo: un attimo prima stavo urlando cose apparentemente senza senso, quello dopo mi rivolgevo a lui come fa un padrone con il suo cane in modo amichevole dopo avergli rifilato un calcio in un fianco, e Matteo era un cane fin troppo fedele.
Si sforzò di ritornare alla normalità anche lui, forse imponendosi un pensiero del tipo "è più fatto di quanto pensassi".

Alla fine Rosanna, da brava madre - dittatrice, non ci aveva pensato due volte a chiamare la mamma di Marco e a scoprire la verità. Durante il viaggio di ritorno, non fece altro che riempire le nostre teste doloranti di urla isteriche sulla sicurezza e il rispetto nei confronti dei "poveri genitori"; per fortuna pensava avessimo solo bevuto un po', altrimenti non si sarebbe risparmiata qualche schiaffo in faccia.

Mentre sua madre continuava a sbraitare contro il largo vetro appannato, Matteo si avvicinò al mio orecchio e sussurrò.

- Quindi è vero? -

Sorrisi appena.

- Certo che no -

Lui sospirò di sollievo e io appoggiai la fronte contro il finestrino ghiacciato.

Lun, 6 novembre, mattina

- Alzati! -

- M-mh... -

Matteo mi tolse brutalmente le coperte di dosso, facendomi morire di freddo.

- Possibile che ogni giorno dobbiamo fare questa scenata? -

Mi misi il cuscino in faccia.

- N-no...ieri non l'ho fatto -

- Ieri era domenica -

Lo ignorai, finché non prese a tirarmi per le caviglie giù dal letto.

- Mi fai male! -

- Che m'importa? Muoviti, vai a fare colazione -

Andai al bagno, poi mi precipitai giù per le scale con la pancia che brontolava.
Ero così stonato che feci cadere una fetta biscottata sul mio adorato pigiama, ovviamente con la parte fatta di marmellata rivolta verso il basso. Matteo rise, gli rifilai un'occhiataccia e gli rovesciai mezza tazza di latte sui jeans.

- Dovresti vestirti dopo aver fatto colazione, puoi sporcarti -

Risalii in fretta le scale e andai a vestirmi.

La professoressa di italiano entrò in classe già di cattivo umore, con i lunghi capelli biondi insolitamente in disordine, sembrava avesse appena infilato un dito in una presa.
Io e Riccardo ci scambiammo un'occhiata d'intesa, poi mi avvicinai al suo orecchio.

- Brutta mattinata, eh? -

- Preparati, oggi ti interroga. Me lo sento! -

- Che?! -

- Voi due! Voi due in fondo all'aula... sì, proprio voi! -

Il suo indice era puntato contro di noi, esso terminava in una terrificante unghia fucsia.

- Se avete così tanta voglia di parlare, allora venite a farlo qui! Su! -

Sospirai.

- Va bene -

Mi alzai e feci cenno a Riccardo di restare al suo posto.

- Bene! Ragazzi, prendete esempio, oggi il vostro compagno ha deciso di sacrificarsi per voi -

Una risatina si diffuse all'interno delle vecchie mura grigie.
Suonata la campana, la strega mi mandò a posto con aria insoddisfatta, gridandomi dietro che mi avrebbe fatto bocciare.

- Alla fine avevi ragione, mi ha interrogato -

- Uhm...non intendevo proprio in quel modo, scusa -

Gli rivolsi un'espressione contrariata.

- No che non ti scuso, per colpa tua ho un'altra insufficienza...grazie tante -

Il sorriso scomparve dalla sua faccia, lasciando spazio a due occhi tristi e dispiaciuti.

- S-scusa...non pensavo che l'avessi presa così... -

Voltai la testa ed evitai di rispondere.

- Hey...posso fare qualcosa per...?-

- Mmh, vediamoci oggi pomeriggio alle quattro al parco -

- O-okay... -

Lun, 6 novembre, pomeriggio

Feci qualche minuto di ritardo dal momento che ero arrivato fin lì a piedi, di certo non potevo chiedere alla madre di Matteo di accompagnarmi al parco dal ragazzo che mi piaceva, specialmente non davanti al figlio.
Riccardo era già lì, camminava lentamente avanti e indietro con la testa bassa e i capelli che gli ricoprivano il viso. Non appena mi vide da lontano, mi corse incontro.

- Hey... pensavo volessi darmi buca di nuovo -

Si fece sfuggire una risatina nervosa, che parve voler rimangiare subito dopo.

- Ciao -

- A-allora...ho pensato a un paio di cose che posso fare per scusarmi... -

- No, no, tranquillo, stavo scherzando -

Mi grattai la nuca imbarazzato.

- Era solo un pretesto per parlarti di una cosa -

- Ah, davvero...? O-okay -

Parve subito più sollevato.
Mi diressi verso una panchina di legno malridotta, dove lui si sedette immediatamente, con le gambe che penzolavano.

- Quindi? -

Scossi la testa, indeciso su cosa dire.

"Bene, da dove dovrei iniziare?"

- Non ho capito di cosa vuoi parlarmi precisamente... -

- A-ah! Sì...ecco...riguardo l'altra sera, quando sono rimasto a casa con te -

Il suo viso si colorò subito di un rosso vivo.

- Sono successe delle cose... -

- Eh?! C-che tipo di cose? -

- Quindi non ti ricordi niente? -

- No... -

- Niente di niente? -

Ci pensò un po'.

- Solo che...uhm....stavo sull'altalena e hai chiamato Roberto, che sei venuto anche tu in macchina con noi e poi ho preso una medicina schifosa per il mal di pancia...ecco -

- Ma...tu sai che non avevi mal di pancia, vero? -

Sentii il suo corpo irrigidirsi di fianco al mio.

- C-certo che avevo mal di pancia... -

Sbuffai.

- Non capisco se cerchi di mentirmi o se davvero non ricordi nulla -

- N-no, non ricordo nulla! Invece di girarci attorno, dimmi cos'è successo! -

Un pensiero accattivante si affacciò alla mia mente, lo accolsi con piacere.

- Be'...non so se conviene dirtelo in questo modo -

Mi avvicinai a lui e gli circondai la vita con un braccio, protendendomi con le labbra a sfiorare il suo orecchio. Percepii il calore che emanava il suo viso.

- Stavamo per farlo... -

Lo vidi trattenere il fiato e spalancare gli occhi.

- F-fare cosa? -

- Quello...lo sai, no? -

Deglutì sonoramente, ma non osò ancora aprire bocca.
Passarono dei secondi di silenzio interminabili.

"Dio... com'è carino quando è imbarazzato, anche se forse sto esagerando un po' ..."

- Q-quindi... cos'è successo? C-cioè ho fatto qualcosa? N-non che non volessi...p-però...non pensavo c-che...uhm...ecco... -

Gli diedi una pacca sulla nuca.

- Stavo scherzando, scemo -

Trattenne il respiro per la seconda volta.

- S-sei serio? -

- Mai stato così serio -

- O-oh...ma sei uno stronzo! -

Mi diede una spinta, ma non mi fece muovere neanche di un centimetro.

- Hey, che pensi di fare? -

- Ucciderti! -

Ci guardammo entrambi negli occhi, senza parole, poi scoppiammo a ridere.

- Allora fallo, morirò felice -

- Questo lo dici tu! -

Rise di nuovo; era ancora più bello con il sole che gli batteva sul viso e gli faceva brillare gli occhi.
Lasciai perdere ciò che dovevo chiedergli, in fondo che importava se quello che mi aveva detto era vero o no? Io lo amavo e ne ero fermamente convinto, mi bastava.
Riccardo simulò due colpi di tosse per richiamare la mia attenzione.

- A che pensi? -

- A te -

Il ragazzo aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse.

- Che c'è? -

- Niente... è che non capisco se mi prendi in giro quando fai così -

- Non lo saprai mai -

- Uff! Comunque...che dovevi dirmi? -

- Oh...no, niente, non ci pensare -

- Come? Mi hai fatto venire a piedi fino a qui e poi non mi dici niente! -

- E non ne è valsa la pensa? -

Sfoggiai un sorriso, al quale lui rispose alzando le sopracciglia.

- No -

Feci finta di rimanerci male.

- È inutile, non funziona più -

- D'accordo... -

In quel momento il cellulare prese a vibrare, sul display c'era un numero che non conoscevo, quindi lo rimisi in tasca.

- Che fai, non rispondi? -

- Non so neanche chi sia -

Ma il cellulare riprese con la sua vibrazione odiosa.

- Pronto? -

- Hey, ciao! -

Quella voce mi fece rabbrividire, anche Riccardo se ne accorse.

- Ciao... -

- Sono Noemi, se non l'avessi capito! -

"Certo che l'ho capito, nessuno a parte te ingoia tre barattoli di miele prima di parlare"

- Sì, l'ho capito, che c'è? -

- Che fai? Stai studiando? -

Per poco non scoppiai a ridere.

- No, perché? -

- Be'...dato che oggi hai preso un'insufficienza, mi chiedevo se volessi una mano per recuperare... -

Declinai subito l'offerta.

- No, grazie, non preoccuparti, posso farcela da solo -

Cominciò a parlare in fretta per paura che attaccassi.

- S-sicuro? Oggi a scuola non sembrava così...se ti serve aiuto fammi sapere! -

-Okay, ciao -

Terminai la telefonata, poi sospirai pesantemente.

- Chi era? -

- Noemi -

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.

- E voleva aiutarti a studiare? -

- Già -

- Tipo... voi due nella stessa stanza? Da soli? -

- Hey, non ti preoccupare, preferirei stare nella stanza con una cavalletta -

- Le cavallette sono carine -

- Scherzi? Non esiste cosa più schifosa -

- Sai che così stai insultando Noemi? E anche tanto... -

- Oops! -

- Dai... -

- Non è colpa mia! È lei che si fa detestare... -

- Sì, sì, certo...lo so benissimo che non ti va a genio quasi nessuno -

- Togli il "quasi" -

- No, il "quasi" sono io -

- Intelligente il ragazzo -

- Avevi dubbi? -

Annuii, beccandomi un'occhiataccia.

- Dato che sono così intelligente, perché non ripeti con me? -

- Non ho i libri -

- A casa mia -

Sussultai.

- Be'...sempre meglio che studiare con Noemi... -

Giungemmo a piedi fino a casa sua; davanti alla porta di casa, il ragazzo mi fece cenno di entrare.

- Non c'è nessuno? -

- No, nonna è tornata a casa sua per un paio di giorni, in un paese qui vicino, papà lavora -

Avvertii una strana sensazione quando il ragazzo chiamò in quel modo il compagno della madre.

- Non vieni? -

Riccardo era fermo sulle scale.

- Ah, andiamo sopra? -

- Certo! Ora che non c'è mamma...almeno possiamo stare dove vogliamo -

Alla vista del suo letto mi tornarono in mente le scene dell'altra sera: lui che parlava con Puzzola, lui che rideva come un bimbo, lui che si svestiva...

- Allora...uhm...ecco! -

Lanciò un libro di antologia sul letto.

- E che ci faccio con questo? -

- Da quanto tempo non leggi? -

- Leggo i messaggi -

Riccardo mi sbattè il libro in testa con fare scherzoso.

- Ahi! -

- Lo farò altre mille volte se non ti muovi -

Iniziai a piagnucolare, mentre l'altro sfogliava il libro in cerca di un brano tratto da qualche noiosissima opera di qualche noiosissimo autore.

Dopo un lungo tempo di sofferenza interminabile, Riccardo guardò l'orologio e sgranò gli occhi.

- Sono già le sette! -

- Bene, allora abbiamo finito? -

- Per oggi sì -

- In che senso "per oggi"? -

- Nel senso che ti torturerò finché non avrai recuperato quel voto -

Sorrisi maliziosamente.

- Ah...quindi lo stai facendo perché ti senti in colpa -

- Forse...oppure perché voglio stare da solo con te -

Si avvicinò pericolosamente e mi prese il viso fra le mani; sentii il suo fiato caldo sulla faccia, poi le nostre labbra si sfiorarono. Un nodo mi strinse lo stomaco, mi ritrassi.

- Che hai? -

- Niente... non dovresti fare queste cose all'improvviso -

Entrambi ci mettemmo sull'attenti quando sentimmo la porta di casa aprirsi.

- Oh... è mio padre, non farci caso-

Pochi attimi dopo, l'uomo si affacciò alla porta con un sorriso.

- Ciao, Alessio! -

- Buonasera... -

"Dai Ale, non comportarti da idiota anche oggi...ti prego. Cerca di fare bella figura"

- Oh, stavate studiando? -

I suoi occhi si posarono sul libro ancora aperto.

- Allora vi lascio in pace...Ah! Alessio, stasera mangi con noi? -

- No, gr... -

- Sì, mangia con noi! -

"Ro, giuro che dopo ti picchio..."

- Bene, allora mi astengo dal cucinare stasera...non sono mica bravo quanto la nonna, vero Ro?-

Il ragazzo annuì con fare annoiato, come se fosse abituato a quelle battute stupide.
L'uomo ci rimase un po' male.

- Ordino delle pizze -

Chiuse la porta e rimanemmo entrambi a bocca serrata finché non sentimmo più i suoi passi nel corridoio.

- Ro, ma sei pazzo? -

- Faresti meglio ad avvertire Matteo -

Sbuffai.

- Già -

Gli mandai un messaggio, omettendo il fatto che ero stato tutto il giorno con Riccardo, che ero a casa sua e che avremmo mangiato insieme; in pratica gli scrissi che non sarei tornato per cena perché "avevo da fare".

- Allora... dov'eravamo rimasti? -

Il ragazzo mi si avvicinò di nuovo.

- S-sei sicuro? Insomma... c'è tuo padre di là -

Mi fece cenno di stare zitto e ascoltare.

- Senti? Sta guardando il telegiornale -

- O-okay...ma non va bene così! -

Riccardo sbuffò.

- Cos'è che non ti va bene? -

- E-ecco...non va bene che sia tu a fare il primo passo, devo farlo io -

- Ma se sei tu che balbetti e ti vergogni! -

- Appunto, dovresti farlo tu -

- Mi stai dicendo di essere insicuro l'unica volta che non lo sono? -

- S-sì... -

- Ti ho mai detto che sei un idiota? -

- Fin troppe volte -

- Bene, sei un idiota -

Poggiò le labbra sulle mie, rabbrividii da capo a piedi; era da troppo tempo che non accadeva, tanto che quel breve contatto non mi bastò affatto. Affondai una mano nei capelli che gli ricoprivano la nuca, cogliendolo di sorpresa. Il ragazzo appoggiò le mani sul mio petto per non cadere in avanti, senza però allontanarsi dalle mie labbra. Approfondii il bacio, quasi gemendo per il piacere. Percepii i sottili peli biondi rizzarsi sulle sue braccia, mentre le mie mani scendevano lungo il suo corpo minuto. I nostri petti si scontrarono, le sue mani si intrecciarono dietro la mia schiena, facendomi il solletico. Poco dopo mi spinse, costringendomi a stare steso; rischiai di tirargli un bel po' di capelli mentre mi protendevo all'indietro. Lui si mise cavalcioni su di me.

"Non sto sognando, vero? Giuro che se è un sogno vado da Riccardo e lo costringo a fare quello che sta combinando adesso"

Le sue mani calde si inoltrarono sotto la mia maglietta, accarezzandomi ritmicamente i fianchi.

"Ma è lo stesso ragazzo che si è messo quasi a piangere per avere un porcellino rosa? Da quando è così diretto?"

Aprii gli occhi per accertarmi che non fosse un sogno, e no, non lo sembrava affatto. Iniziai a dubitare che, prima di vedere me, Riccardo avesse incontrato Marco e si fossero drogati insieme.

"Decisamente, non è possibile che questo stia succedendo"

Le sue labbra si staccarono dalle mie, ma null'altro cambiò.

- Stai bene? Sei un po'...teso -

Evitai i suoi occhi che mi cercavano, non volevo arrossire come una ragazzina.

- N-no, è che...non pensavo avessi tutta questa... -

- Voglia? -

- Veramente stavo per dire schiettezza -

- Quella è un'altra cosa -

- Oh...capisco -

Aggrottò le sopracciglia per scrutarmi meglio.

- Pensavi che fossi perennemente timido? -

- Direi più... bipolare -

- Chi non lo è? -

Quelle parole erano tremendamente vere, bastava guardare me.

Mi tirai su con i gomiti e premetti le mie labbra sulle sue, poi riappoggiai la testa sul cuscino morbido. Scostai i capelli da un lato del suo viso e cominciai a baciargli il collo, avevo sempre desiderato farlo, dal primo giorno in cui l'avevo visto. Il suo respiro accelerò, le mani si strinsero attorno ai miei fianchi; sussultai quando le sue unghie scivolarono lungo la mia pelle, lui sorrise.

- Oh...Puzzola ci sta guardando -

Lanciai un'occhiataccia a Riccardo, il quale mise il pupazzo a testa in giù.

- Pensi davvero che sia geloso di me? -

- Suppongo di sì, devi capire che la mia storia d'amore con lui va avanti da molto tempo...solo che è un po' complicata -

- Sì, ma guardalo...lui è bello, sexy, alla moda, non ha niente da invidiarmi -

- Oh...invece sì. Lui non sa baciare bene come fai tu -

- Non dirmi che hai provato a baciarlo, Dio...sto immaginando la scena -

Lui scoppiò a ridere.
Gli lasciai un bacio sul labbro inferiore, ancora umido.

- La vedi come una cosa così negativa? -

- Potrei pensare che hai qualche rotella fuori posto, niente di più -

Gli morsi una spalla.

- Ragazzi, sono arrivate le pizze! -

Ci mettemmo a sedere all'istante, aggiustandoci i capelli e i vestiti.
Mi alzai dal letto, ma il ragazzo mi trattenne per una manica della maglia.

- Hai fatto così anche con Matteo? -

I suoi occhi adesso erano tristi e mi scrutavano attentamente, guizzando da una parte all'altra.

- Non... esattamente -

- Siete andati oltre? -

- Ro, non dirmi che tutto questo è successo solo perché sei geloso di lui -

- No...forse solo un pochino, ma...-

Mi attirò ancora di più verso di lui.

- Dimmi che non è successo nient'altro e che non succederà -

- Non succederà niente, anche se... -

Sospirai.

- Anche se? -

- Mi ha detto che...mi ama -

I suoi occhi si spensero, lo vidi deglutire e schiudere le labbra già secche; delle lacrime si affacciarono ai suoi grandi occhi verdi, colmi di delusione. Sapevo benissimo a cosa stava pensando: avrebbe voluto dirmelo prima di lui, anche se non sapeva di averlo già fatto.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21. ***


Lun, 6 novembre, sera

Lo guardai negli occhi, sperando di trasmettergli un po' di sicurezza, ma lui non accolse il mio proposito.
Scendemmo le scale in silenzio, poi mangiammo la pizza davanti a una partita di rugby alla quale nessuno dei due prestò attenzione.

"Non so neanche cosa sia questo rugby, e che ha di sbagliato quella palla?"

Al contrario, Roberto era talmente preso dallo schermo che più volte rimase con la bocca aperta in attesa di punti a favore della sua squadra del cuore, mentre il condimento della pizza gli finiva per metà sulla camicia e per metà nel cartone.

Finito di cenare, salii sopra con Riccardo per recuperare il cellulare e poi ritornare a casa ma, una volta arrivati nella sua stanza, il ragazzo mi trattenne.

- Non andartene, vorrei parlare di quella cosa... -

- Quale cosa? -

- Matteo...quando te l'ha detto? -

- Ah...lui. La sera in cui Roberto è venuto a prenderci...quando sono tornato da casa tua -

Riccardo si morse il labbro inferiore e aggrottò le sopracciglia, aveva bisogno di chiedere altro.

- E tu? Tu che gli hai detto? -

In un attimo tutte le urla che gli avevo riversato addosso rimbombarono nelle mie orecchie.

- Non ricordo bene... -

- Ale, dimmelo -

- Ro...non ho avuto bisogno di dirgli che non ricambio, lo sa benissimo che mi piace un'altra persona -

L'ombra di un sorriso gli oscurò le labbra, ma scomparve subito.

- Dovevi dirgli chiaramente che non lo ami -

- Ma lo sa! -

- E allora perché ti ha dichiarato i suoi sentimenti se sa che non ricambi? -

- E che ne so io! Ro, senti, non hai motivo di essere geloso... -

- Ma io non sono geloso! Ho semplicemente ragione! -

- In che senso? -

Girò la faccia per sfuggire ai miei occhi.

- Nel senso che mi sembra ovvio incazzarmi se il mio ragazzo vive nella stessa casa con il suo migliore amico con cui ha fatto non so cosa e che è innamorato di lui! -

Mi si appannò la vista per un attimo.

- C-come? -

- Come cosa? Non parli italiano? -

- N-no...intendo...lascia stare. Fra me e Matteo non ci sarà mai più niente, lo giuro -

- Bene, allora la notte chiudi a chiave la porta della tua stanza, vai solo nel tuo bagno e non girare nudo per casa -

- O-okay...come se l'avessi mai fatto -

Mi venne in mente la scena della prima sera trascorsa a casa sua, quando mi era cascata l'asciugamano di dosso.

- Più o meno... -

- Fallo di nuovo e ti spezzo le braccia -

- E come? -

- Non lo so...potrei comprare un martello da portare a scuola in caso di bisogno -

- P-perfetto...appoggio la tua decisione... -

Rabbrividii al solo pensiero, ma mi calmai all'istante quando Riccardo mi avvolse con le braccia; sentii un calore diffondersi in tutto il corpo, mi chinai e affondai il viso nell'incavo del suo collo, fra quei capelli castani che odoravano di camomilla.

"Io...sto bene"

Nulla avrebbe potuto rovinare quel momento. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, cercando di goderne appieno; tutti i miei dubbi, le mie paure, le mie insicurezze, parvero sparire in successione, velocemente. Quella mano fredda e grinzosa che da tempo aveva conficcato le unghie nel mio petto, parve allentarsi quasi del tutto.

"Lo amo...eccome se lo amo"

Per moltissimo tempo ero stato fermamente convinto che sarei stato bene solo se mi fossi allontanato da lui, poi mi ero riavvicinato per disperazione, consapevole di non avere più nulla da perdere; e invece potevo perdere ancora, ancora e ancora, potevo perdere quei pochi amici che mi rimanevano, sebbene la mia vita non ruotasse intorno a loro, potevo perdere Matteo, che ormai consideravo come un fratello, la mia nuova famiglia, che mi aveva accolto con le più buone intenzioni, e lui.

Ero consapevole di essere pazzo e allo stesso tempo non lo ero.

"Lo sono ancora?"

Ero pazzo di lui, questo era certo. Avevo ucciso i miei genitori, ero pazzo. I miei genitori erano stati misteriosamente uccisi, non ero pazzo. Un uomo mi perseguitava da settimane, un uomo di cui non ricordavo il volto, ero pazzo. La mia mente mi tirava brutti scherzi, facendomi credere di essere perseguitato da un uomo di cui non ricordavo il volto, ero pazzo.
Ma non mi interessava più niente, da quando mi ero riavvicinato a Riccardo, tutto era sembrato andare per il meglio, ovviamente ignorando le notti passate a piangere, a delirare, ad affogare nella pazzia, a soffocare fra le coperte, a essere scosso dai singhiozzi, a conficcarmi le unghie nei palmi, a stringere i denti, mordermi le labbra fino a sentire quell'orribile sapore metallico sulla lingua, e allora rivedevo il corpo di mio padre riverso a terra, sul quel pavimento che avevo calpestato così tante volte, ignaro del fatto che un giorno avrei messo piede sul suo sangue; rivedevo il petto di mia madre, squarciato fin dove un tempo batteva un cuore che sotto sotto mi amava, e quel viso bianco, secco, quegli occhi terrorizzati, quella mano intorpidita, bianca, stretta attorno alle lenzuola macchiate di sangue, che tante volte si era incastrata fra i nodi dei miei capelli.

In quel momento fra i miei capelli c'era una mano più piccola, più scura, più accogliente, che mi sapeva amare per davvero. Mi aggrappai alle sue spalle anche se, a differenza delle altre volte, non avevo paura di sentirlo scivolare via dalle mie braccia, avevo paura che soffrisse come me, più di me. Speravo che anche lui stesse provando le mie sensazioni, che sentisse il cuore più leggero, libero di battere.
Mi bastò fissare i miei occhi nei suoi, mi bastò un attimo, o meno di un attimo, per capire che si sentiva esattamente allo stesso modo, che aveva paura di annegare nell'ignoto, nella paura, nella pazzia, ma sicuro che se ci fossimo tenuti per mano, forse saremmo riusciti a risalire insieme su quel muretto di pietra bianca che sembrava sempre più vicino, dove ci eravamo capiti per la prima volta, dove eravamo stati una sola persona per pochi secondi, una sola mente e un solo cuore.

Compresi il sorriso ingenuo di quella sera, che all'inizio avevo scambiato per un "non so cosa dire", e che invece voleva dire "cavolo, pensavo che da un momento all'altro mi sarebbe esploso il cuore".  Sì, perché avevo pensato esattamente la stessa cosa, avevo temuto quella sensazione travolgente per il semplice fatto che non la conoscevo, che non avevo mai provato una cosa così forte da far male e far bene allo stesso tempo.
Quella paura non sarebbe mai scomparsa, lo sapevo, e mi andava bene così, perché alla fine per che cosa vale la pena combattere, se non per quel brivido, per quel pugno gentile che ti spreme il cuore, per la vista che si offusca e per te che non sei in grado di pensare assolutamente nulla, a parte il fatto che non potresti stare meglio e peggio al contempo? Per me quella paura era una consolazione: l'unico male che quell'amore non poteva portare via, e l'unico bene. Quella paura era ciò su cui si basava il nostro amore. Quella paura sarebbe stata la mia forza.

Il nostro abbraccio si sciolse, segno che dovevo andare via; ci guardammo a malincuore, come due amanti che sono costretti a separarsi furtivamente dopo una lunga notte di baci e sospiri.

- Stai attento, okay? -

Corrugai la fronte.

- A cosa? -

- Qualsiasi cosa -

- D'accordo...'notte -

Gli diedi un leggero bacio sulla fronte e feci scivolare la mia mano lungo il suo braccio scoperto, finché non sentii più il contatto con la sua pelle.

- Buonanotte -

Roberto mi aspettava alla fine delle scale con il cappotto sottobraccio e un capellino di lana in testa.

- Andiamo? -

Annuii e lo seguii, non prima di aver indossato sciarpa e giubbino.

La radio riproduceva un brano di Sting: "I can't stop thinking about you", le parole risuonavano forti e chiare nella mia mente, ma resistetti all'impulso di muovere le labbra e canticchiare.
Al contrario, l'uomo cantava sottovoce mentre il rumore dell'impianto da cui fuoriusciva aria calda mi martellava nella testa.
Delle piccole gocce d'acqua cominciarono a cadere silenziosamente sui vetri.

- Stanotte ci sarà un bel temporale, probabilmente pioverà anche domani -

Non sapevo cosa rispondere, pensavo che le persone parlassero delle condizioni meteorologiche solo nei programmi televisivi per gli anziani che dormono sul divano dopo pranzo.

- A te piace la pioggia? -

- S-sì... -

- Si vede, appena hai visto che ha cominciato a piovere, il tuo respiro si è regolato -

"Ma cosa diavolo... quest'uomo fa di tutto tranne che pensare a guidare"

- Ah...davvero? -

- Sì, il tuo petto si alza e si abbassa molto velocemente. Si regolarizza solamente in due casi: quando piove e quando sei con Riccardo. Per caso soffri d'asma? -

Il mio cuore perse un battito, più che d'asma negli ultimi tempi soffrivo di mancato infarto ogni trenta minuti circa.

- N-no... -

- Capisco, forse sono io che ti metto ansia, in effetti sto facendo discorsi un po' strani -

- No, non è così...sono nervoso in generale...in presenza di adulti -

"Ma come cavolo mi è venuto in mente? Così sembro ancora più affetto da problemi nella socializzazione con gli altri esseri viventi"

L'uomo rise di gusto.

- Be', allora spero di essere il primo adulto a non farti paura -

- C-ci provo... -

- Allora, come va con Riccardo? -

Sussultai e guardai fuori dal finestrino disperatamente, sperando di arrivare presto a casa.

- I-in che senso? -

- È da tanto che non invita un amico a casa, quindi sono contento che abbiate stretto un bel rapporto -

- A-ah... sì -

"Ci credo che non invita gente a casa..."

- Non hai intenzione di fare come gli altri, vero? -

Mi lanciò un'occhiata frettolosa, per poi inchiodare nuovamente lo sguardo sulla strada.

- Come...gli altri? -

- Scomparire. Scomparire non appena succede qualcosa di anomalo -

Risi nervosamente.

- Oh... più di questo non può succedere, se avessi voluto me ne sarei andato molto tempo prima -

"In realtà l'ho già fatto più di una volta"

- Lo spero -

Il sorriso ritornò sul suo volto.

- Stagli vicino, d'accordo? Ne ha bisogno -

Compresi che era veramente preoccupato per suo figlio.

La curiosità ebbe il sopravvento e continuai a girare intorno all'argomento.

- E...lei? Lei non riesce a stargli accanto? -

Il suo sguardo si rattristò, provai pena per lui, in fondo io e Riccardo non eravamo stati gli unici a passare un periodo straziante, anche per lui doveva essere stato molto difficile accettare la perdita della compagna.

- Purtroppo Riccardo non mi ha mai visto come un padre, ma solo come un rimpiazzo del suo genitore biologico...anche per questo non vedeva di buon occhio la madre; ma almeno adesso mi chiama "papà", forse perché sono l'unico familiare stretto che gli è rimasto -

- E sua nonna? -

- Oh, lei non conta. Quei due sono come cane e gatto, lo sono sempre stati -

- Lei...e la madre di Riccardo, eravate sposati? -

- Non ancora. Nonostante fossero passati quasi due anni, lei non aveva superato del tutto la morte del marito, quindi voleva aspettare un altro po' prima di organizzare una cerimonia così importante -

Quelle informazioni non mi bastavano, sul tavolo troppe carte erano ancora a faccia in giù.

- Riccardo non era in buoni rapporti con la madre, vero? -

- Per niente. Da quando è morto suo marito, Ilenia ha sempre cercato di dare a Riccardo una nuova figura paterna, credeva che non potesse crescere bene senza di essa. Ma lui non mi ha mai accettato in quel modo, e invece di incolpare me, se la prendeva con lei -

Ci fu una pausa, lui parcheggiò la macchina sulla strada davanti casa di Matteo, le luci gialle del salotto illuminavano appena la zona circostante.

- Negli ultimi tempi, quando non ero in casa, litigavano in modo molto pesante; quando tornavo lei era piena di lividi e piangeva, mi chiedeva spesso fra i singhiozzi cos'avesse fatto male, perché suo figlio la odiasse così tanto. Io cercavo di consolarla, ma non riuscivo a fare molto -

- E lui? -

- Anche lui aveva dei lividi, ma cercava sempre di nasconderli...e di nascondersi -

Mi vennero in mente le parole del padre di Matteo, pronunciate una delle notti in cui ero convinto della sua colpevolezza e lo odiavo.

"Be'...alla fine anche io ho ucciso i miei genitori, anche se non ricordo una ceppa. A lui è successa la stessa cosa, no? Ha dei vuoti di memoria. Ma se devo odiarlo per questo, allora sono obbligato a odiare anche me stesso"

Scossi la testa, cercando di concentrarmi su quelle parole e sforzandomi di ricordare.

"Riccardo non è stato accusato di quelle ferite, ma assolto per legittima difesa..."

Anche lei lo picchiava, anzi, solo lei; lui non poteva fare altro che difendersi. Mi pentii di aver provato pietà per quella donna e di aver tenuto compagnia a quel cadavere freddo e inespressivo. Sorrisi. Non ricordavo quasi niente di quelle notti a conversare con lei.

Il mio labbro inferiore tremolò lievemente, tentando invano di sfuggire alla morsa dei miei denti.

- Grazie...per il passaggio. Buonanotte -

Uscii dall'auto e percorsi quei pochi metri che mi separavano dalla casa senza voltarmi neanche una volta; volevo solamente lasciarmi cadere sul letto, chiudere gli occhi e non pensare a nulla.
Ma c'era un problema.
Matteo era seduto sul mio letto, mio, anche se in realtà era suo. In ogni caso ostacolava i miei piani.

- Che ci fai qua? -

- Vorrei tanto sapere che diavolo combini il giorno...e la notte. Sparisci senza dire niente e ritorni con quella faccia strafottente e spensierata, come se io non mi fossi accorto di niente. Non sono stupido, sai? -

- Insomma -

Mi tolsi in fretta giubbino e maglietta e presi il pigiama sotto il cuscino.

- Dove sei stato oggi? -

- In giro -

- In giro dove? -

La sua espressione era seria e determinata.

- In giro in città -

- Ale, sei andato a drogarti? Ti vedi con qualcuno con cui non dovresti? -

- Del tipo? -

- Non so, vai a prostitute per sfogare la tua rabbia repressa verso il mondo? -

- Sono gay -

- Molte persone cambiano -

- Ma così ci sono nato -

Sbuffò e si sedette a gambe incrociate, sfregandosi il mento con pollice e indice.

- Va bene, fai quello che ti pare... però torna a casa vivo -

- Non penso che potrei tornarci da morto -

- Rompipalle come sei...potresti tranquillamente venire a infestare la mia stanza ogni notte e giocare con la mia play -

- Ora ho una scopo nella vita, o forse dovrei dire...nella morte. Grazie! -

Mi beccai un cuscino sul sedere.

- Ahi! -

Mi sfilai i jeans e infilai i pantaloni del pigiama. Con la coda dell'occhio vidi Matteo girare la testa, cercando di non guardarmi.
Avrei tanto voluto dirgli "guarda che non c'è niente di male se mi dai un'occhiata", ma ricordai la promessa fatta Riccardo.

-B-bene, io vado a letto, 'notte -

Il ragazzo mi diede una pacca sulla schiena nuda, facendomi rabbrividire per le sue dita gelide.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 22. ***


Mar, 7 novembre, mattina

Entrai in classe tirando lo zaino per una sola bretella e facendolo strisciare per terra. Avevo così sonno che non sapevo neanche perché mi fossi alzato quella mattina, probabilmente per colpa di Matteo che doveva arrivare sempre in anticipo.

- Buongiorno! -

Lasciai cadere lo zaino a terra prima ancora di arrivare al mio banco e mi voltai con sguardo terrorizzato.

- Noemi...ciao -

Provai a sorridere con tutte le mie forze, ma ero sicuro che ne fosse uscito qualcosa di orribile.

- Che hai? Sembri più stanco del solito -

- Oh...niente, sono andato a letto tardi -

Lei sorrise in quel modo odioso, strizzando gli occhi e mostrando i denti bianchi e perfettamente allineati, contornati da un paio di labbra carnose e scintillanti per via del trucco.

- Vuoi un caffè? Offro io! -

- N-no...grazie -

La ragazza si aggrappò al mio braccio e mi fece scivolare il colletto della felpa lungo una spalla.

- Sei sicuro? -

Mi tirò per la manica.

- Sì...ehm... -

Noemi si imbambolò: mi fissava con la testa alzata e lo sguardo perso; una ciocca di capelli un po' mossi le ricadeva in modo scomposto su una guancia e su gran parte delle labbra schiuse.

"Giuro che se mi salta addosso, le do una spinta e la faccio volare fuori dalla finestra"

Lanciai un'occhiata decisa alla finestra spalancata per far cambiare aria prima dell'inizio delle lezioni, da cui entrava un vento gelido. Rabbrividii e tentai di tirarmi su il colletto della felpa, ma la ragazza strinse una mano attorno alla mia.

- Non farlo...t-ti riscaldo io -

Si alzò sulle punte dei piedi e incastrò il viso tondo e caldo nell'incavo del mio collo. Tremò lievemente.

In quel momento mi sentii estremamente cattivo per tutto ciò che avevo pensato e detto di lei, in fondo non aveva mai fatto nulla di male e aveva sempre agito con l'unica intenzione di farmi del bene. Una piccola voce nella mia testa mi fece sentire il bisogno di scusarmi, ma le mie labbra sembravano essere state incollate con l'attack.

Le appoggiai una mano sulla schiena e cominciai ad accarezzarla.
La sottrassi all'istante quando un ragazzo si precipitò nell'aula senza preavviso e si bloccò sulla soglia con i capelli scompigliati a contornare il suo volto sconvolto.

La ragazza, sentendo che mi ero irrigidito di colpo, si allontanò da me a si voltò verso di lui.

- C-c'è qualcosa che non va? -

Il suo sguardo guizzò da me a lui un paio di volte, mentre io stavo lì impalato senza avere la minima idea di come reagire e tirarmi fuori da quella situazione più che imbarazzante.

- S-scusate... -

Noemi si aggiustò il maglione rosa sulle spalle e uscì velocemente dalla classe.

"Non ci credo, ha fatto una cosa intelligente..."

Riccardo venne velocemente verso di me con aria tutt'altro che allegra. Piantò i piedi a terra solo quando il suo corpo fu a pochi centimetri dal mio, poi mi tirò un ceffone in piena faccia con una forza che non pensavo gli appartenesse.

- Sei uno stronzo -

- S-scusa... -

"Ma da dove diavolo ha cacciato tutta quella forza? Non mi sento più una guancia, e poi...come ci è arrivato? Non era un nano?"

- Prima Matteo...adesso Noemi, si sono svegliati tutti ora? -

Mi afferrò il viso con entrambe le mani e si protese verso di me, i nostri nasi si toccavano e potevo sentire il suo respiro sulle mie labbra.

- Oggi vado a comprare il martello -

- Che?! No, no! -

Si staccò e mi voltò le spalle.

- Dai...lo so che stai scherzando -

Mi guardò di nuovo in faccia e mi fulminò con una sola occhiata.

- Preferisci una motosega? -

Mi lasciai cadere su quella sedia che avevo sempre giudicato fin troppo piccola per il mio corpo enorme.

- Ro, sai che fra me e Noemi non c'è niente...ho addirittura detto che preferisco una cavalletta a lei-

- E allora perché vi stavate toccando in quel modo? -

Fece una faccia schifata e girò gli occhi.

- Perché avevo freddo -

- Oh...certo, potresti anche vestirti meglio -

Ammiccò al mio collo nudo, dove poco prima la ragazza aveva appoggiato il viso.

- Anche tu! -

Sorrisi in modo beffardo e mi gettai addosso a lui, gli scostai i capelli e avvicinai le labbra al suo collo, ma mi arrestai di colpo.

- Che c'è? -

- Dovrei chiederlo io a te -

Gli presi il mento con due dita e guardai meglio quella piccola macchia viola sulla sua pelle.

- Che hai fatto? Hai visto qualcuno? -

- I-in che senso? -

L'immagine di quel maledetto tizio del parcheggio si insinuò all'istante nella mia testa, decisa a non andarsene.

- Come cazzo te lo sei fatto questo, da solo?! -

Strattonai il suo volto con rabbia, ma lo lasciai andare immediatamente non appena la sua faccia lasciò spazio a un'espressione di dolore.

- Non capisco...di che stai parlando? -

Si frugò in una tasca ed estrasse il cellulare per specchiarvisi.

- Oh...me l'hai fatto tu! -

- Non mi pare -

- Ma se siamo stati appiccicati su quel letto per tre secoli -

Nonostante fossi incavolato, non potei fare a meno di addolcirmi quando lo vidi arrossire.

- Sei sicuro di non aver incontrato nessuno ieri sera? -

- Dove volevi che andassi alle dieci di sera con questo freddo? Mio padre non mi avrebbe mai accompagnato! -

Parve alterarsi leggermente.

- Ro, ascolta... sarò io lo scemo, ma non ricordo di averti fatto quello -

- Io invece ricordo di sì, quindi chiudi quella boccaccia -

La campanella suonò in quell'istante e la professoressa di italiano non si fece attendere neanche per un paio di secondi.

Alla fine della quinta ora, finalmente Riccardo si degnò di rivolgermi la parola, per fortuna sembrava avermi perdonato per le cazzate che avevo detto qualche ora prima.
Sospirai di sollievo.

- Allora oggi pomeriggio vieni a casa mia? -

Sgranai gli occhi.

- P-per studiare? -

- Certo, cosa vorresti fare? La doccia? -

Mi trattenni dal dire qualcosa di sconveniente e mi limitai ad annuire.

- Alle quattro -

Mi scoccò un bacio goffo e frettoloso sul petto, dove arrivava senza alzarsi sulle punte dei piedi.

Mi aggiustai lo zaino in spalla e raggiunsi il cancello cercando Matteo con lo sguardo.

"Chissà che fine ha fatto quell'idiota"

- Ciao, Alessio -

Sobbalzai per lo spavento.

- S-salve... -

Un uomo in divisa mi si piazzò davanti, guardandomi come se mi conoscesse.

"Ma che vuole questo tizio adesso?"

- Immagino che non ricordi di avermi già conosciuto, eri sotto shock -

Aggrottai le sopracciglia e mi sforzai di ricordare, ma quel viso non mi era per nulla familiare.

- Sono il poliziotto che ti ha comunicato la morte di tua madre -

Per un attimo mi sentii mancare l'aria, l'uomo se ne accorse e mi mise una mano su una spalla.

- Stai bene? -

- S-sì... è successo qualcosa? -

- No, ma vorrei farti delle domande, vieni... -

Mi guardai intorno frettolosamente, ma di Matteo non c'era traccia.

- Oh, se stai cercando il tuo amico...gli ho detto di tornare a casa, pranzerai con me -

- V-va bene... -

"Quel bastardo traditore! Non poteva inventarsi una scusa? Tipo che sono allergico alla gente che mi rapisce davanti scuola e vuole mangiarmi per pranzo"

Guardai il poliziotto come se fosse un killer professionista, lui ricambiò con un sorriso gentile.

Durante il viaggio in macchina nessuno nei due proferì parola, fosse stato per me avrei anche potuto smettere di respirare e fingere un infarto, così mi avrebbe portato in ospedale e avrei mangiato solo pastina e pollo di plastica per pranzo. Mi sentivo a disagio a stare in una macchina della polizia, e non poco.

Quando l'auto si fermò, imprecai nella mia testa: stavano per iniziare le domande moleste.

Ci sedemmo a un tavolo per due già prenotato.

"Chissà da quanto tempo aveva in mente questa cosa..."

- Oh, non c'è bisogno di prendere il menù, ho già ordinato per telefono -

- O-okay... -

"Non sapevo neanche che si potesse fare una cosa del genere"

- Allora -

L'uomo si fece avanti con la sedia e incrociò tutte e dieci le dita delle mani.

- Iniziamo da qui... -

Estrasse un block notes fatto da più inchiostro che carta.

"Mi sa che la cosa andrà per le lunghe"

- Che rapporto hai con Riccardo Buonarotti? -

Ero sicuro di avere una faccia a metà fra il rimbambito e il deficiente.

- C-come? -

L'uomo sbuffò.

- Da quanto tempo vi frequentate? Siete amici? Vi vedete spesso? -

- Ah... be', lo conosco dal secondo giorno di scuola più o meno, ma non siamo diventati subito amici-

- Capisco, continua -

Mi morsi il labbro in cerca di qualcosa da dire.

- Abbiamo iniziato a vederci poco dopo, non ricordo il giorno preciso...sono andato a casa sua per un compito di chimica -

La sua penna scivolò sul foglio senza produrre alcun rumore.

- Hai notato qualcosa di particolare? -

- S-sì...quando è arrivata sua madre, lui mi ha fatto nascondere nella sua stanza e...e dal piano di sopra ho sentito che lei gli si rivolgeva con tono arrabbiato e poi...credo che gli abbia dato uno schiaffo -

Annotò ciò che avevo detto molto velocemente.

Mi guardai intorno in cerca del cameriere, ma sembrava che fossimo gli unici in tutta la sala.

"Possibile che abbia prenotato tutto il ristorante solo per noi? Cavolo... però potrebbe farmi le domande anche mentre mangiamo, sto morendo di fame"

- Hai mai avuto contatti fisici con sua madre? -

Ricordai ciò che aveva detto Riccardo per giustificare le mie impronte sul suo corpo.

- S-sì...quella sera sono sceso giù per...per difendere Riccardo -

L'uomo aggrottò le sopracciglia, staccò gli occhi dal foglio e li puntò nei miei.

- Impossibile. Le tue impronte sul corpo della donna erano molto più recenti -

Deglutii rumorosamente.

"Cazzo...che faccio?"

- Alessio, puoi dirmi la verità -

Abbassai lo sguardo e presi a fissare il piatto vuoto esattamente come il mio stomaco, che tra l'altro aveva un esigente bisogno di brontolare e rendere il tutto ancora più imbarazzante.

- Ho deciso di indagare separatamente dalle altre unità, sai...siamo così fuori strada che molti hanno intenzione di chiudere il caso e lasciar perdere-

Fece un lungo sospiro e lasciò che i suoi occhi si intristissero.

- All'inizio ero d'accordo, ma poi ho pensato: se davvero ci fosse un killer così in gamba da nascondere tutte le prove? E se avesse un piano ben preciso? E se questo piano non fosse ancora concluso? -

Quelle domande mi fecero venire il capogiro, dovetti versarmi l'acqua nel pesante bicchiere di vetro e buttarla giù tutta d'un sorso.

- Tutti questi omicidi girano intorno a Riccardo...e di conseguenza a tutte le persone che gli stanno intorno...ma non è lui il colpevole né un suo familiare -

Si ricompose.

- Dov'eravamo rimasti? Ah, sì! Hai mai avuto contatti fisici con sua madre? -

"Tranquillo, Ale. Devi solo dirgli quello che sai, escludendo lo stalker immaginario e magari i vuoti di memoria e quella roba lì..."

- S-sì... -

- Quando? -

- L'ho seppellita io in quel terreno -

Le sue pupille si fecero enormi e la sua penna scattò sul foglio.

- Perché? -

- Ho trovato il suo cadavere nella casa di mio padre, sotto i mobili della cucina, non so come sia arrivato lì. L'ho seppellita dopo un paio di giorni, non ho detto niente perché avevo paura che avrebbero sospettato di me -

L'uomo strizzò gli occhi e respirò a labbra schiuse.

- Riccardo sapeva che il cadavere di sua madre era lì? -

- No -

"È la verità, anche se in teoria l'ha uccisa lui... forse"

- Va bene, facciamo un passo indietro. In che rapporti sei con Riccardo ora? -

- Al momento ci frequentiamo più spesso, per via della scuola -

"Certo"

- Vai a casa sua? -

- Sì -

- Hai notato qualcosa di strano dopo la morte di sua madre? -

- Assolutamente nulla -

"A parte quella vecchietta un po' fuori di testa..."

- Uscite insieme di sera? -

- Raramente, ma non da soli -

- Lui ti ha mai parlato della sua vita privata? -

Evitai di nuovo il suo sguardo.

- Non molto... -

- Ripeto, in che rapporti siete? -

"Quante volte ancora hai intenzione di chiedermelo? Cavolo, che ti aspetti che dica?"

Mi inumidii le labbra secche con la lingua.

- Sei troppo teso, Alessio. Non voglio farti del male, ho intenzione di aiutarti. So che è un periodo molto difficile...ma cercherò di mettermi nei tuoi panni e capirti -

"Ma se non ci riesco neanche io..."

- I-io... c'è qualcosa in più dell'amicizia...ma che c'entra? -

Mi morsi la lingua per quella domanda che gli avevo posto.

"Così non farò altro che dargli un motivo per farmi più domande, che idiota!"

Ma lui sembrò non badarvi.

- Avete mai avuto rapporti sessuali? -

- C-che? N-no! -

Mi riempii di nuovo il bicchiere e bevvi così in fretta che rischiai di congelarmi il cervello.

"Sarebbe cento volte meglio che parlare con 'sto tipo..."

- Alessio, se rispondi in quel modo non posso fidarmi. Stai calmo -

- È la verità...m-ma perché vuole saperlo? -

- Quando lo abbiamo interrogato, ovviamente gli abbiamo chiesto di mostrarci le ferite inflittegli dalla madre, c'era qualche livido o graffio, ma anche di più -

- C-cioè? -

- Be', come li chiamate voi ragazzi... c'erano dei succhiotti -

"Altri?!"

- O almeno credo lo fossero...erano tutti così convinti che fossero dei lividi procurati dalla madre, che non hanno neanche controllato le impronte digitali e fatto qualsiasi altro tipo di esame su tutte le ferite -

- E lei come fa a dire che erano...quelle cose? -

- Innanzitutto i lividi in questione erano più piccoli e più marcati rispetto agli altri, per spiegarti meglio: normalmente quando una persona ti dà un cazzotto o ti colpisce con un oggetto, ti si forma un livido abbastanza grande, che dopo qualche giorno tende al giallo scuro -

Annuii.

- Inoltre i lividi non si formano in tutte le parti del corpo, o almeno, solitamente le persone non ricevono colpi del genere in determinate zone -

"Dove vuole arrivare?"

- I succhiotti, invece, solitamente sono più scuri, perché si tende a stimolare i capillari sotto la pelle più a lungo. Mi segui? -

- Sì...ma che intende per "determinate zone"? -

- Alcuni lividi, ossia quelli che corrispondono al cento per cento a cazzotti o colpi con oggetti pesanti, si trovano in zone più accessibili come stomaco, petto e cosce -

Stavo iniziando a capirci qualcosa.

- Mentre gli altri lividi, che presumo siano stati fatti in un altro modo, si trovano in zone che solitamente un persona non tende a mirare per infliggere dolore con pugni e oggetti, ossia collo, clavicola e basso ventre -

Di nuovo quel maledetto tizio del parcheggio.

- Non sono del tutto sicuro che sia stato tu; di solito la grandezza di quel tipo di livido dipende dal tempo impiegato, ma anche dal tipo di bocca. Quei lividi sono stati fatti frettolosamente e... -

I suoi occhi indugiarono sulle mie labbra e le mie mascelle.

- La tua bocca è più grande, se glieli avessi fatti tu...credo che sarebbero stati più grandi -

"Questo tizio è intelligente"

- Quindi confermi le mie ipotesi?-

- Sì, io e Riccardo non siamo mai andati oltre il bacio -

Arrossii quando lo vidi annotare anche quelle cose.

- Sei a conoscenza di altre persone che avrebbero potuto farlo? -

"Iltiziodelparcheggioiltiziodelparcheggioilmaledettotiziodelparcheggio"

- S-sì..la notte di Halloween, un uomo  sulla trentina lo ha molestato...ma Riccardo mi ha detto che non ha preteso nulla di serio -

- Ma questo è successo dopo l'interrogatorio -

- Ha ragione...allora non lo so, Riccardo non aveva mai conosciuto quell'uomo prima d'allora -

- Capisco... -

Un cameriere si avvicinò al nostro tavolo con due piatti di spaghetti con le vongole.

- Buon appetito -

Si dileguò all'istante.
Il poliziotto sospirò e mise mano alla sua forchetta.

- Un'ultima domanda -

Distolsi a malincuore lo sguardo da quell'invitante piatto di pasta.

- A quanto pare voi stessi siete più confusi di noi che siamo a capo delle indagini... -

Fece scivolare un pezzetto di carta sulla tovaglia di pizzo.

- Se dovesse succedere qualcosa di sospetto, qualsiasi cosa, mi avvertirai, vero? -

Annuii e mi fiondai con la faccia nel piatto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 23. ***


Mar, 7 novembre, pomeriggio

Io e il poliziotto finimmo di pranzare dopo le tre. Facendo due calcoli, sarei dovuto essere a casa di Riccardo entro un'ora, ma dovevo includere anche il viaggio a piedi.

"Non so neanche dove mi trovo, penso che arriverò davanti casa sua strisciando per la stanchezza"

- Ti serve un passaggio? -

Mi voltai verso l'uomo che apriva lo sportello del passeggero, come se avessi già accettato.

- O-okay...grazie -

Entrai nell'auto, nonostante non mi piacesse per niente l'idea di viaggiare di nuovo lì dentro.

- Devi andare a casa di Riccardo, giusto? -

- Sì... -

Avevo lo strano presentimento che quell'uomo volesse ficcare il naso nel mio tranquillo pomeriggio con Riccardo.

- Ah...che nuvole grigie! -

Alzai gli occhi e guardai i nuvoloni carichi di pioggia, pronti a mandarla giù in qualsiasi momento.

- Proprio come i tuoi occhi -

Fissai l'uomo seduto accanto a me, aveva un volto sereno e prestava attenzione alla strada.

- V-veramente sono azzurri... -

Si voltò a guardarmi e sorrise impercettibilmente.

- Dipende, ora sono grigi -

Poi riprese a guardare la strada e parlò con fare scherzoso.

- Anche i tuoi occhi sono delle grandi nuvole grigie piene di pioggia? -

Non potei fare a meno di sorridere anch'io.

- No, sono un limpido cielo estivo-

- Questo è da vedere -

Quella frase mi stupì; avrei voluto ribattere ma, al posto delle parole, in gola non sentii nient'altro che un sapore amaro.

- Ecco, siamo arrivati -

Guardai l'orario sul display del mio cellulare, erano ancora le tre e ventisette minuti.

- Sei in anticipo? -

- Abbastanza... -

- Be', non penso che ti caccino fuori di casa, anche perché sta iniziando a piovere -

In pochi secondi, il terreno che circondava la casa passò da un marrone chiaro a un colore scurissimo, simile al nero; il cielo si oscurò del tutto e grandi gocce d'acqua piovana cominciarono a ticchettare sul tettuccio dell'auto.

- Non vorrei fargli sapere che sono stato con lei... -

- Inventa una scusa, ma fai in fretta, altrimenti vedranno la mia macchina -

- D'accordo... -

Scesi dal veicolo e mi incamminai verso la porta.
Suonai il campanello con aria irrequieta, temendo che potesse aprirmi di nuovo quella strana vecchietta, ma ai miei occhi si presentò semplicemente un nanetto con una felpa che gli arrivava alle ginocchia e i capelli scompigliati. Un nanetto che fece fare le capriole al mio cuore, come sempre.

- Ciao! Sei in anticipo -

Si affacciò alla porta per spiare dietro di me, alzò le sopracciglia quando si accorse che stava piovendo.

- Oh, entra! -

Mi condusse dentro casa e mi fece accomodare sul divano, lui fece lo stesso mentre si copriva la bocca con una mano, intento a sbadigliare.

- Scusami, è che potevano accompagnarmi solo a quest'ora, altrimenti sarei dovuto venire a piedi... -

"Cascaci, cascaci, cascaci"

- No, non ti preoccupare -

Rise in un modo adorabile.

"Altro che Noemi, uhmpf!"

- Stavo dormendo -

Si diede una sistemata ai capelli e si guardò i piedi nudi.

- O-oh..a proposito -

Si sfilò la felpa e me la mise in grembo.

- Questa è tua, l'hai dimenticata ieri -

Arrossii all'istante al pensiero che Riccardo avesse dormito con la mia felpa addosso.

- N-non spogliarti così...non hai freddo? -

- Certo che sì -

Cambiò idea, mi tolse la felpa di dosso e la gettò sul divano accanto, poi si sedette in braccio a me, con la testa contro il mio petto e le piccole mani strette sulle mie spalle.

- È così che si fa, no? -

- Stai cercando di vendicarti di una certa Noemi? -

Alzò la testa e mi guardò con due occhi ridenti.

- No, no, ma ti pare? -

- Hai ragione, lei non mi si è seduta addosso in questo modo, non ancora...ahi! -

- Avevi una zanzara in faccia -

- Sì...come no, una zanzara in autunno -

Rise e appoggiò di nuovo la testa sul mio petto.

- Ma non dovevamo studiare? -

- Ovvio che no -

- Ro! -

- Tu vuoi studiare? -

- Ovvio che no -

- Perfetto -

Stette così per un tempo indefinito, con i piedi che penzolavano senza sfiorare il tappeto e le labbra che emettevano sospiri quasi inudibili.

A un tratto si scostò e prese il telecomando.

- Guardiamo un film! -

Si alzò e corse in cucina, lo seguii.

- Uhm...vediamo -

Si arrampicò sul ripiano in marmo e allungò le braccia verso un mobile in alto.

- No, no! -

Circondai i suoi fianchi stretti con le mani e lo costrinsi a scendere.

- Faccio io -

- Prendi i pop corn e mettili nella padella, io vado a vestirmi -

"Come se avessi mai preparato questi cosi"

Prima che potessi chiedere come si accendeva il gas e dov'erano olio e sale, il più piccolo si era già dileguato correndo a piedi nudi sulle scale.

Mi trovò fermo come un palo a fissare i costosi mobili di legno.

- Allora? Non hai fatto ancora niente? -

- Pensi davvero che io sappia cucinare? -

Il ragazzo sbuffò e si piegò dinanzi al mobile che mi stava di fronte, dopo mezzo secondo se ne uscì con una bottiglia d'olio.

- Era così introvabile? -

- S-sì... -

Non sapevo neanche come si chiamasse quel film, fatto sta che sembrava essere infinito.

- Ro, ma che cavolo di film hai messo? -

Si asciugò un occhio umido con un lembo della mia maglia e tirò su con il naso.

- Bambi -

Come se fosse stata una parola magica, subito dopo aver pronunciato quel nome la sua faccia fu invasa dalle lacrime.

- Ehm...non piangere, su, su, è solo un povero cerbiattino -

- Tu non capisci! -

Mise in pausa il film e affondò definitivamente la faccia nella mia maglia.

- Cosa c'è da capire? -

Scosse la testa.

- Perché tutto a lui?! Se potessi mi prenderei un po' del suo dolore -

Sospirai e gli circondai la schiena con entrambe le braccia.

- Ne hai avuto fin troppo...quel coso ti assomiglia, sai? -

- Quale coso? -

- Quell'animale... -

- Il cerbiattino? -

- Sì... -

Tirò di nuovo su con il naso e alzò il viso per puntare i suoi occhi lucidi nei miei.

- Quindi stai dicendo che ho una vita di merda come la sua? -

"Prima o poi comprerò il manuale: Come flirtare senza istigare al suicidio gli altri"

- No...ma che dici -

Mi grattai la nuca e rivolsi lo sguardo altrove.

- Intendo dire che sei carino come lui -

- Oh... -

Di tutta risposta riprese a piangere a dirotto, mentre io affondavo una mano nella ciotola dei pop corn.

Mar, 7 novembre, sera

Non appena i titoli di coda ebbero cominciato a scorrere sullo schermo della TV, afferrai il telecomando e spensi tutto, mentre l'altro continuava a soffiarsi il naso e asciugarsi gli occhi.

- Ti sei ripreso? -

- No! -

Si premette un cuscino in faccia e si raggomitolò sul divano; proprio in quel momento la serratura della porta principale scattò e un uomo alto e robusto, tutto incappucciato, fece il suo ingresso.

- Ah...quanta pioggia! Oh! Ciao, Alessio -

Si svestì con molta fatica, rimase con indosso la camicia e il pantaloni scuri.

- Brr, che freddo! Accendo il camino...Ro, che è successo? -

Il ragazzo si strinse ancora di più attorno al grande cuscino che aveva fra le braccia, come quegli insetti che, in caso di pericolo, assumono la forma di una pallina per difendersi.

"Che schifo gli insetti"

- Ro, ci sei? -

Finalmente tornò umano e rivolse al padre il suo viso arrossato dal pianto.

- Alessio mi ha costretto a vedere Bambi! -

- C-che?! Ma se non l'avevo mai visto in vita mia prima di oggi! -

Riccardo tirò fuori la lingua e sorrise, almeno si era ripreso.

- Alessio, non ti preoccupare, so benissimo che Ro guarda Bambi minimo una volta a settimana -

Risi insieme a lui, ma ammutolii all'istante quando il rombo di un tuono squarciò l'aria e subito dopo una marea d'acqua si rovesciò all'esterno, come richiamata da quel suono.

- Ah...cavolo. Con tutto questo vento non posso neanche accendere il fuoco! -

Si strofinò le mani e si diresse ai fornelli.

- Allora ragazzi, avete fame? -

Riccardo annuì, feci lo stesso.

Dopo mangiato, ci sedemmo tutti e tre sul grande divano al centro del salotto, fissando con sguardo vuoto lo schermo della TV che citava "nessun segnale".

- Stasera ci è andata proprio male! -

Poi una voce femminile riempì la stanza, seguita da immagini che si distinguevano appena a causa dei fastidiosi quadratini che occupavano l'intero schermo.

"Grandioso, allarme straripamento! Adesso col cavolo che torno a casa con tutte le strade bloccate!"

Roberto, come se mi avesse letto nel pensiero, parlò con tono premuroso.

- Penso che stasera non potrò riaccompagnarti a casa, è un problema per la tua famiglia se rimani con noi stanotte? -

Sussultai per la sorpresa.

- C-come? -

- Be', le strade sono state bloccate, per caso vuoi dormire sotto un ponte? -

- N-no...ma... -

- Ci penso io ad avvertire i genitori di...Matteo? Dettami il numero -

- O-okay... -

Feci come mi aveva chiesto, poi mi voltai verso Riccardo con un'alzata di spalle; lui sorrise e mi fece cenno di seguirlo di sopra. Assecondai il più piccolo e sgattaiolai via dal salotto, mentre Roberto aveva ancora il telefono all'orecchio.

Dalla stanza al piano di sopra era ancora più facile sentire la tempesta che imperversava all'esterno; premetti il viso contro il vetro del balcone, ma con la poca luce era quasi impossibile distinguere le figure, a parte gli alberi più vicini piegati dal vento.

- Hey! Vieni qui -

Riccardo sbattè due volte la mano sul letto per indicarmi il posto a sedere. Mi misi accanto a lui, chiedendomi cosa avesse voglia di fare per passare il tempo, ma mi deluse quando si portò una mano alla bocca e sbadigliò silenziosamente.

- Vuoi già andare a dormire? -

- S-sì... -

- Ma hai dormito anche oggi pomeriggio! -

Si strinse nelle spalle e gattonò sul letto fino a raggiungere il pigiama sotto il cuscino; vedendolo fare quel gesto, mi venne in mente un piccolo dettaglio.

- E poi io non ho il pigiama, come dormo? E domani come faccio ad andare a scuola senza zaino? -

- Non sarebbe una novità vederti senza zaino -

Sbuffai.

- Sì, ma il mio pigiama! -

- Te ne presto uno io! -

- Certo...non entra neanche alle formiche -

Alzò gli occhi al cielo e si avvicinò al mio orecchio.

- Allora vuol dire che dormirai nudo -

Rabbrividii e fui vicino al dargli una spallata.

- Speraci -

- Oh, invece è proprio quello che succederà -

Fece una faccia maliziosa, una manciata di secondi dopo mi ritrovai a petto nudo a tremare per il freddo.

Mer, 8 novembre, notte

"Chissà che ore sono? Sarà passata la mezzanotte?"

Cercai di girarmi dall'altro lato facendo meno rumore possibile; Riccardo dormiva da un pezzo, potevo capirlo dal suo respiro veloce e regolare. Ogni tanto il rombo di un tuono mi faceva sussultare, l'altro invece non accusava niente; inoltre la luce tremolante dei lampioni esterni si infiltrava attraverso le grate delle persiane chiuse.

"Cosa darei per dormire tranquillo come lui ogni notte"

Come a voler svalorizzare la mia tesi, il ragazzo si girò verso di me e sospirò pesantemente, poi si lasciò sfuggire un gemito soffocato dalle coperte.

"Forse sta facendo un brutto sogno"

Mi limitai a osservare la sua fronte leggermente corrugata e le labbra che di tanto in tanto l'altro stringeva o schiudeva appena.
A un tratto la sua mano si chiuse a pugno sulla stoffa del cuscino e tremò impercettibilmente. Fui tentato di raggiungerlo nel mondo dei sogni con una carezza o con qualche parola di conforto, ma la porta della stanza si aprì all'improvviso, svelando una figura che conoscevo.
Socchiusi gli occhi e cercai di regolare il respiro sull'ombra di quello di Riccardo. Roberto si sedette al bordo del letto tentando di non svegliare nessuno dei due.
Si chinò sulla figura che mi stava accanto e le portò una mano al viso con delicatezza.

"Mi ricorda tanto mio padre..."

Mi sforzai di non farmi sfuggire alcun verso o sospiro, e la cosa divenne ancora più complicata quando l'uomo si chinò nuovamente sul corpo addormentato di Riccardo, incastrando il viso nel suo.

"Decisamente non mi ricorda mio padre. Ma che cavolo sta facendo?!"

Sollevai di più le palpebre sperando di non essere scoperto, ma non feci in tempo a vedere nulla perché quel gesto durò un paio di secondi. Trattenni il fiato finché l'uomo non fu definitivamente fuori dalla stanza, poi lanciai uno sguardo disperato al ragazzo che dormiva accanto a me, ignaro del fatto che il cuore mi stesse battendo all'impazzata.
Attesi per un tempo indeterminato, deciso a lasciare quella casa il più presto possibile.

"Sta succedendo di nuovo. No, non è possibile"

Presi un respiro profondo.

"È normale che dopo tutto quello che hai passato tu sia paranoico, questa casa non ha niente di strano"

Strizzai gli occhi e scossi velocemente il capo.

"Sei. Un. Paranoico. Del. Cazzo."

Ma non riuscivo a stare fermo, andava contro la mia natura.

"Hai visto male, non fare cazzate"

Mi alzai dal letto e mi fiondai sullo schienale della sedia dove avevo poggiato i panni.

"Alessio, calmati"

Mi vestii in fretta e furia e sgattaiolai fuori dalla stanza.

"Cosa pensi che dirà Riccardo quando non ti troverà affianco a lui domani mattina?"

Aprii la porta e lasciai finalmente quella casa che mi dava pena di nuovo.
Una volta fuori, presi il cellulare e mi frugai in tasca alla ricerca del bigliettino con il numero del poliziotto; chiamai l'uomo, ma dopo il primo squillo terminai la chiamata e rimisi il telefono a posto.

"Perché stai scappando? Ti sei rincitrullito? Alessio!"

Mi guardai le mani, tremavano.
Rimasi lì imbambolato a fissare la casa, ma al posto della costruzione potevo vedere soltanto il viso glaciale e spento di quella donna.

"È un attacco di panico, devi calmarti. Torna dentro!"

Mi piegai sulle ginocchia e cominciai a prendere dei respiri profondi.

"No! Io non ci torno lì dentro!"

Non capivo neanche perché io stesso avessi così tanta paura, sapevo solamente che al posto di Roberto avevo visto una figura vestita di nero, senza volto, che aveva fatto congelare l'aria nella stanza.

"Alessio, non esiste nessuno stalker, ritorna dentro"

"Stai zitto!"

La luce accecante di un lampo mi riportò alla realtà per qualche secondo, giusto il tempo di farmi rendere conto che ero sotto un acquazzone.

"Merda!"

Iniziai a suonare il campanello mentre rabbrividivo di freddo sotto le gocce d'acqua affilate come aghi, che sembravano volermi trapassare la pelle.
Quando la porta si aprì, il faccione preoccupato di Roberto mi riscaldò il cuore; l'uomo mi fece entrare e non esitò a mettermi una coperta calda sulle spalle.
Riccardo scese le scale a rotta di collo, aveva l'aria sconvolta.

- Cos'è successo? -

Guardò prima me, poi il padre.
Aprii la bocca per parlare, ma le parole si bloccarono in gola.

"Non lo so neanche io..."

- S-sa... -

Tossii rumorosamente.

"Salvami"

Si sedette accanto a me e prese a passarmi una mano sulla schiena per tranquillizzarmi.

"Grazie..."

Roberto si alzò dal divano e si strofinò i palmi delle mani sulle cosce.

- Su, su, non è successo niente -

Mi accarezzò una guancia con due dita. Rabbrividii.

"Fredde"

- Alessio, non preoccuparti. Dopo tutto quello che hai passato è normale...ora va' a riposarti -

Seguii il suo consiglio e, accompagnato da un Riccardo preoccupato al mille per mille, andai in bagno e mi asciugai per bene.
Il ragazzo mi prestò dei vestiti che gli andavano un po' larghi, ma ugualmente di taglia troppo piccola per me; in ogni caso non mi lamentai, mi bastava non morire di freddo.
Ci sedemmo sul suo letto, io non riuscivo a far altro che fissarmi i piedi.

- Ale...sono quasi le tre, vieni -

Mi prese per mano e mi guidò verso il cuscino candido. Mi stesi, ma non riuscivo a rilassarmi, il mio corpo era rigido e freddo come una pietra.

- Hey, non hai detto una parola...ti va di dirmi come ti senti? -

"Ha ragione, forse condividere i miei problemi con lui potrebbe farmi sentire molto meglio. Se solo riuscissi a cacciare queste maledette parole di bocca..."

Il più piccolo mi abbracciò e mi strofinò la testa sul petto, come un gatto, poi mi rivolse uno sguardo caldo e determinato, che mi diceva "puoi fidarti".
Finalmente sentii la gola liberarsi e boccheggiai in cerca di più aria.

- I-io...credo di averlo rivisto -

- Che cosa? -

- Lo stalker -

- Ale... -

- Sì, lo so, è solo che...mi sono sentito... -

- Lo so come ti sei sentito -

Sorrise, anche se non ce n'era alcun motivo, poi spense la luce e riappoggiò il capo sul mio petto.
Mi sussurrò qualcosa all'orecchio.

- La prossima volta che ti senti così...non farti problemi, io ci sono -

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 24. ***


Mer, 8 novembre, mattina

Aprii gli occhi non appena sentii Riccardo sospirare. La sua mano mi cercò fra le lenzuola scompigliate e trovò il mio viso pallido poco dopo.

- Come stai? -

"Penso di aver visto di nuovo una persona che non esiste al posto di tuo padre, per non parlare del fatto che ti ha baciato in bocca mentre dormivi. Oh, ho anche avuto una discussione con me stesso mentre cercavo di farmi qualche chilometro a piedi sotto un acquazzone"

- Ora sto bene, è passato -

Mi accarezzò dolcemente.

- So che non ti è ancora passato. Voglio aiutarti -

- Ro, sto bene. Hai già i tuoi problemi a cui pensare -

- Be', guarda caso sono gli stessi che hai tu -

- Insomma...non ho una decina di accuse per omicidio e istigazione al suicidio alle mie spalle -

Mi lanciò un'occhiata storta e si rituffò con il volto nel cuscino.
 
- Scusa -

- Non fa niente. Dobbiamo andare a scuola -

Si alzò dal letto e si mise a frugare nell'armadio, poi ne tirò fuori uno zaino nero; vi infilò un paio di quaderni nuovi e delle penne.
Mi guardò con sufficienza.

- È nero, ti basta questo, no? -

Annuii e gli chiesi dove fosse il bagno.

- Ah, ah! No, ci vado prima io -

Scrollai le spalle e mi sedetti sul letto con le braccia incrociate per scaldarmi un po'.

"Cavolo, che freddo in questo casa"

Mi alzai e cominciai a girovagare per la stanza in cerca del telecomando per accendere il climatizzatore, ma nulla.

"Non ce la faccio!"

Mi infilai la maglietta a maniche corte, ma della felpa non c'era traccia; mi balzò in mente l'immagine di Riccardo che usciva dalla stanza con l'indumento indossato sopra il pigiama, a mo' di vestaglia.

"Accidenti, quel nanetto non si accontenta mai"

Uscii nel corridoio e mi diressi verso il rumore dell'acqua della doccia.

"Credo sia questa"

Bussai alla porta, ma non sentii alcuna risposta.

"Sarà sotto la doccia"

La aprii, ma mi bloccai sull'uscio.

"Oh, merda"

Di certo non potevo immaginare che in quel bagno ci fosse una maledettissima doccia di vetro trasparente. Riccardo si voltò all'improvviso e cercò di coprirsi con le mani al meglio che poteva; iniziò a sbraitare parole incomprensibili mentre l'acqua gli scivolava come una cascata sulla pelle scura e liscia.
Non trovai la forza di fare un solo passo, continuai a guardarlo mortificato.

Il ragazzo mi fissava con due occhi che sembravano in procinto di prendere fuoco.

- S-scusa... -

Ma non poteva sentirmi da lì dentro; difatti gettò il soffione sul marmo bianco, uscì dalla doccia e si avviò verso di me con passo inferocito.

- Che guardi?! -

Sussultai e voltai la testa.

- Troppo tardi, ormai hai visto tutto! -

Sottolineò quella parola con un tono di voce ancora più irritato, facendomi arrossire.

- M-mi dispiace...v-volevo solo... -

- Cosa? Fare la doccia con me? -

Si avvicinò tanto da lasciare la distanza di un filo d'aria fra il suo petto nudo e il mio, nel quale martellava un cuore impazzito.

- N-no...la felpa... -

Lanciai un'occhiata disperata all'indumento riverso sulla lavatrice bianca, poi puntai di nuovo gli occhi in quelli del ragazzo che mi stava di fronte.

- Oh...certo, la felpa -

Allungò un braccio verso la lavatrice e mi porse l'oggetto, gettandomelo letteralmente in faccia.

- Te ne puoi andare -

Disse con tono deluso.

Girai i tacchi e mi diressi verso la porta, per poi voltarmi di nuovo dopo un paio di passi.

- Ho...ho dimenticato anche un'altra cosa -

Riccardo inarcò le sopracciglia con aria interrogativa.

- S-sei bellissimo... -

Mi chinai sul suo viso ancora bagnato e appoggiai le mie labbra sulle sue, ma mi allontanai subito: ero fin troppo imbarazzato. Uscii dalla stanza quasi sbattendo la porta e feci aderire le mie spalle tremanti al muro freddo.

"Sono un idiota, un fottutissimo idiota"

Proprio in quel momento passò Roberto con un giornale in una mano e una cravatta viola nell'altra.

- Buongiorno! Oh...stai bene? -

Mi sventolò il giornale davanti alla faccia.

- S-sì...d-devo solo fare pipì... -

Strinsi le gambe e simulai una faccia sofferente, piuttosto che imbarazzata.

- Ah! C'è un altro bagno se vuoi, vieni -

Mi condusse in una stanza da letto molto ampia e ben fornita, in una angolo c'erano addirittura dei pesi e una cyclette; l'uomo mi indicò una porta alla mia sinistra e se ne andò, non prima, però, di avermi chiesto un parere sulla sua cravatta nuova.

Quella doveva essere la camera che precedentemente aveva condiviso con la madre di Riccardo, un brivido mi attraversò il corpo e fui costretto ad andarmene in fretta, prima che il conato di vomito diventasse ancora più insistente.

- Allora? -

Era la sesta volta che Matteo pronunciava quella parola con tono interrogativo, dopo che io gli avevo risposto "niente" altre cinque.

- Okay, senti: non può continuare così -

- C-che cosa? -

Strizzai gli occhi, distogliendo una volta per tutte gli occhi dal ragazzino che tentava di allacciarsi una scarpa con sbuffi e imprecazioni.

- Ma non mi ascolti? Se io ti chiedo perché ogni giorno scompari nel nulla senza lasciare neanche un messaggio, non puoi rispondere "niente"! Ma ti sei rincitrullito? -

Ripresi a fissare Riccardo, intento a strisciare il piede per terra in modo furioso.

- Hey! -

Mi beccai uno schiaffo in faccia da Matteo; non ebbi neanche il tempo di capire cosa fosse successo, che il ragazzo se ne stava già andando voltandomi le spalle.

Le cinque ore di lezione furono un'impresa ardua, trascorse fra lo scuotere spasmodicamente una gamba sul poggiapiedi del banco e lo scarabocchiare cose senza senso sul diario pur di non rivolgere nemmeno una mezza occhiata al più piccolo che mi stava seduto accanto.

"Chissà se è ancora arrabbiato con me"

Voltai la testa e il ragazzo mi incenerì prontamente con lo sguardo.

"Decisamente..."

Sospirai e cercai di concentrarmi invano sulla spiegazione.

Al termine delle lezioni, attesi che fossero tutti fuori dalla classe, eccetto Riccardo che avevo supplicato di rimanere.

- A-aspetta...devo parlarti -

Per un attimo pensai che volesse sputarmi in faccia a giudicare dalla sua espressione schifata.

- Che vuoi? -

- E-ecco...che avevi stamattina sotto la scarpa? -

Non poteva venirmi in mente una cosa più stupida di quella che avevo appena detto.

- Una gomma -

- Ah, davvero? -

Mi lasciai sfuggire una risatina imbarazzante, simile a quella di Noemi.

"Porca miseria! Ma che mi prende?"

Fui tentato di darmi un pugno in faccia, ma sarei risultato ancora più idiota.

- Sì, davvero. La vuoi? -

Alzò una gamba e per poco non mi premette il piede sullo stomaco.

- N-no, grazie...non mi piacciono molto le gomme attaccate sotto le scarpe -

Mi grattai la nuca e guardai in basso, mentre l'altro si rimetteva lo zaino in spalla.

- Aspetta! -

Si voltò di nuovo e alzò gli occhi al cielo.

- O-oggi non mi aiuti a fare italiano? -

"Oh mio Dio! Non può essere vero...non posso essere diventato così idiota"

- Ma sei sempre stato così idiota o lo sei diventato da quando ieri sera hai fatto quella scenata? -

"Appunto"

- N-no... è che... -

Il ragazzo mi mise una mano su una spalla e fissò i suoi occhi nei miei, poi sbuffò e mi rivolse uno sguardo divertito.

- Non sono arrabbiato, hai fatto tutto da solo -

- C-che cosa? -

- Sei p a r a n o i c o -

Deglutii rumorosamente e mi asciugai le mani sudate sulla felpa.

- Pensi davvero che me la sia presa solo perché mi hai visto nudo? Doveva succedere prima o poi -

Sollevò la mano e la sbattè con forza sulla mia spalla.

- La prossima volta tocca a te -

Mi fece l'occhiolino e lasciò l'aula a passo lento.
Non appena fu fuori, mi piegai sulle ginocchia e tirai un lungo sospiro di sollievo.

"Quel ragazzo adora prendermi per il culo, non so quanto ancora potrò resistere"

Cominciai ad avviarmi verso l'uscita, dove mi aspettava un Matteo arrabbiato sul serio, ma non vi badai più di tanto.

"E poi...solo perché l'ho visto nudo? Solo?"

Sbuffai sonoramente, facendo orecchie da mercante al ragazzo che imprecava cose sul ritardo e l'essersi rotto le scatole dei miei "affari loschi".

"Ma si rende conto di quello che è successo? Io l'ho visto nudo. Nudo. E ha detto che la prossima volta tocca a me"

- Ale, hai una faccia inquietante, a che stai pensando? -

- A niente! -

- Ti pareva... -

Matteo continuò a blaterare, ma io ero già ricascato nel mondo delle fantasie imbarazzanti.

"Devi stare calmo. No, non tu. Ormoni, state calmi! E che diamine!"

Mi passai una mano fra i capelli ed entrai in macchina; Rosanna mi chiese se fosse tutto a posto, mentre l'altro mi squadrava da capo a piedi con gli occhi socchiusi.
Durante tutto il viaggio non feci  altro che sorridere come un  ebete con il viso schiacciato contro il vetro umido del finestrino.

Mer, 8 novembre, sera

- Alessio, non hai fame? -

La donna accennò con il mento al piatto ancora pieno; sussultai e infilzai un pezzo di pollo con la forchetta.

- Sì, sì! -

Diventai tutto rosso ripensando al fatto che solo pochi secondi prima stavo dando dei morsi più piccoli di quelli di una formica, dato che ero con la testa fra le nuvole. Il padre di Matteo sospirò in modo teatrale e lasciò cadere la forchetta nel piatto vuoto.

- Ah, l'amore! Rosanna, sai che quando ero innamorato di te, neanche io mangiavo molto? Infatti ero uno stecchino, e guardami adesso! -

Si batté una mano sulla pancia in modo fiero e lanciò uno sguardo sognante alla moglie, la quale gli rivolse un'occhiataccia.

- Papà, per favore! -

Matteo alzò gli occhi al cielo e si rituffò con la faccia nel piatto.

- Ah, figlio! Tu invece non mi dai mai questo tipo di soddisfazioni -

Il ragazzo afferrò un tovagliolo e cominciò a tossire e sputacchiare, tutto rosso in viso.

- Dimmi, sei vergine? -

- Eh?! Ma ti sembra questo il momento? Mi sto strozzando...! -

Continuò a tossire ma tutti i presenti, me compreso, erano convinti che lo stesse facendo apposta per sviare la conversazione.

- Su, su, sono curioso -

- Certo che lo sono! -

- Oh...per un attimo ci ho sperato. E tu, Alessio? -

Alzai il viso e scossi la testa, un po' confuso.

- Sei vergine? -

Ebbi più o meno la stessa reazione di Matteo, fui costretto a mandare giù due bicchieri d'acqua prima di riacquistare la facoltà di parlare.

- I-insomma...s-sì... cioè no... -

Il ragazzo seduto accanto a me scoppiò a ridere, rischiando di strozzarsi di nuovo.

"Ma tu non stavi per morire due secondi fa?"

Batté una mano sul tavolo e lanciò un'occhiata d'intesa al padre.

- Dai pa', credi davvero che un figone come lui sia ancora vergine? -

- Non si sa mai, le ragazze al giorno d'oggi hanno gusti strani -

L'uomo scosse la testa e buttò giù il terzo bicchiere di vino in un sol sorso.

"Ah, adesso capisco il perché di tutte queste domande"

- No, no, non ti preoccupare, lui ha già fatto quello che doveva fare -

Arrossii vistosamente e non trovai nemmeno il coraggio di guardare male Matteo, che intanto se la rideva sotto i baffi.

Finito di cenare, mi fiondai nella mia camera e mi gettai a pancia all'aria sul letto, ma subito dopo un bussare feroce alla porta mi costrinse a rialzarmi. 
Matteo fece il suo glorioso ingresso nella stanza con un pacchetto blu in mano, mentre canticchiava una canzone dal motivo molto conosciuto.

- Che vuoi adesso? -

Mi lanciò la scatolina addosso e sorrise maliziosamente.

- Offerto dalla casa -

Arrossii per la millesima volta in quella giornata.

- P-preservativi? -

- Esatto. Papà mi ha detto di darteli, visto che sei uno "sciupafemmine"... -

Deglutii e ritrassi la mano da quel pacchetto come se fosse ricoperto di veleno.

- Ti conviene fargli vedere che ne hai usati almeno un paio, altrimenti non avrai accesso al rito di iniziazione per essere un membro ufficiale della famiglia -

Alzai le sopracciglia con fare di sfida.

- Rito di iniziazione? Ma che diavolo... -

- Ah, non chiederlo a me! -

Il ragazzo alzò le mani in segno di resa.

- A me non interessano le cretinate che dice mio padre, mi basta avere un posto dove mangiare e dormire -

- Giusto... -

- Ma tu sei il suo cocco adesso, quindi datti da fare -

Si sedette accanto a me e mi rubò il cellulare di mano, per poi poggiarlo sul comodino.

- Però adesso sono curioso, lo hai mai fatto? -

- Sai che non te lo dirò mai, vero?-

- Dimmelo, altrimenti te li faccio ingoiare tutti e novantadue -

Indicò quella dannata scatolina blu che infettava ancora le mie coperte.
Sbuffai.

- È una cosa che fa parte del mio passato oscuro -

- Oh, wow! Anche tu hai un passato oscuro allora! Io ero il migliore amico di Hulk, tu? -

- Idiota. Sto solo dicendo che è una cosa vecchia e non voglio parlarne -

- Oh, oh! Ma allora è vero che tu e Martina... -

Gli tappai la bocca con una mano, lui cominciò a leccarne il palmo e fui costretto a ritrarmi.

- Che schifo! -

- Così impari -

Mi prese la testa fra le mani e mi scoccò un bacio sulla fronte.

- 'Notte, sciupafemmine -

- 'Notte, stronzo... -

Gio, 9 novembre, notte

Mi rigirai fra lenzuola centinaia di volte in cerca della posizione più comoda, ma il mio corpo non ne voleva proprio sapere di star calmo quella notte. Era come se ogni cellula di cui ero composto stesse oscillando velocemente, in preda all'eccitazione, come se non riuscissi a pensare a nulla di brutto, come se la mia mente e tutto il mio essere fossero concentrati interamente su una sola cosa, anzi, una sola persona.
Se la mattina precedente non fosse accaduto "quello che era accaduto", allora avrei tenuto testa ai bizzarri discorsi di Matteo e di suo padre con molta più nonchalance; purtroppo ero troppo occupato a pensare a quel nanerottolo interamente zuppo d'acqua che mi veniva incontro falsamente arrabbiato, con quegli occhi incredibilmente belli che risaltavano fra i capelli scuri che gli ricadevano grondanti sulla fronte. Ripensai alle sue labbra umide sulle mie, nel momento in cui mi avevano trasmesso una scossa elettrica che si era protesa lungo tutta la mia schiena.

"Non avrei mai pensato di trovarlo sexy, insomma, è un nano di sedici anni che ne dimostra soltanto dodici"

Sospirai e tentai di focalizzarmi sulla pioggia che batteva contro la finestra, ma perfino essa mi ricordava lo scroscio dell'acqua di quella stramaledetta doccia.

Improvvisamente l'immagine di Riccardo si fece sempre più lontana e sfocata. Strinsi un pugno attorno alle lenzuola e cominciai a boccheggiare; l'aria nella stanza sembrava essere diventata gelida. Mi tirai le coperte fin sopra il mento e mi sfregai le mani, ma quella sensazione non voleva abbandonarmi, perché era dentro di me.

"Ma cos'è? Un sogno? No...ho un brutto presentimento"

Scossi la testa e ficcai la testa sotto il cuscino, cercando di aggrapparmi all'ultimo briciolo di razionalità rimasto: nulla.
Le gocce di pioggia che sbattevano contro il vetro divennero unghie affilate che riproducevano un pungente e raccapricciante suono, come se stessero scivolando lungo la superficie di una lavagna.
Mi misi a sedere di scatto, dopo neanche un minuto ero già fuori sotto la pioggia e correvo a rotta di collo verso casa di Riccardo.

Era notte fonda, la villa era immersa nell'oscurità più totale; questa volta non c'erano neanche i lampi a far luce all'esterno. Mi guardai un po' intorno, sembrava tutto tranquillo, ma il mio cuore era ancora circondato da uno spesso strato di ghiaccio e batteva all'impazzata per liberarsene.
Di bussare non se ne parlava, avrei svegliato tutti; alla fine ero lì solamente per confermare il fatto che stava andando tutto bene e per disintegrare totalmente quella brutta sensazione.
Guardai in alto: il balcone. Non persi tempo a pensare al pericolo che correvo, accesi la torcia del telefono e mi appiattii contro il muro di pietra, poi cominciai ad arrampicarmi lentamente, cercando di mettere i piedi nelle protuberanze più evidenti.

"Cavolo, è difficile..."

Aggrapparmi alla ringhiera e tirare su tutto il peso del mio corpo su quel balcone, fu indubbiamente la parte più complessa, ma ci riuscii.
Tentai di avvicinarmi ai vetri il più silenziosamente possibile; le persiane erano chiuse e attraverso le fessure non potevo vedere granché. Puntai la torcia contro di esse e premetti la fronte sul legno bagnato.
Sussultai e per poco non caddi all'indietro; mi aiutai prontamente mettendo una mano a terra e spingendomi nuovamente in avanti.

"Alessio, hai sicuramente visto male. Riprova, non fare il fifone"

Presi un paio di respiri molto profondi, poi mi riavvicinai.
Sbattei le palpebre più e più volte, ma quella scena era tutto tranne che un'illusione.
Riccardo era lì, al centro del letto matrimoniale, la testa che affondava fra i due cuscini e il braccio sinistro riverso sulle lenzuola che lo coprivano a malapena, la mano aperta e molle, simile a quella di un cadavere.
Una figura scura era china su di lui, le mani sui suoi fianchi, la lingua che riempiva lentamente i solchi della sua pelle perfetta, scivolando sul suo addome.  Spalancai le labbra in un'esclamazione di sorpresa senza suono, sgranai gli occhi e mi diedi due schiaffi sul viso, poiché mi sentivo svenire.

"Ro, perché non reagisci? Ro!"

Nonostante fosse terribile fare da spettatore, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello speccatolo macabro e osceno. Volevo urlare, sfondare le persiane, i vetri, tutto; volevo afferrare quell'uomo per la gola e stringere, stringere fino a sentirlo implorare, emettere suoni rauchi e poi più niente. Ma il mio corpo era paralizzato, così come la mia mente che era fissa su un solo pensiero.

"Ro! Reagisci! Perché non ti svegli?"

Ma da lì potevo vederlo chiaramente: non stava dormendo, i suoi occhi erano spalancati e, proprio come il mio, il suo esile corpo era immobile, sembrava privo di vita. Ci avrei creduto davvero se non fosse stato per il debole respiro che dava forza ai suoi polmoni e gli faceva sollevare il petto impercettibilmente.

"Alessio, ascoltami: non c'è nessuno stalker. Sei tu quello che deve svegliarsi. Svegliati! Avanti!"

Ma no, quella scena era fin troppo reale, ne ero sicuro.

"Hai creduto reali molte cose, e poi? Ti sei scoperto in preda a un attacco di panico o fra le coperte che ti soffocavano, delirante. Svegliati"

L'altro me dovette ricredersi quando quella figura scura voltò il capo nella mia direzione. Feci un balzo all'indietro, il cellulare mi scivolò di mano e giù dal balcone, persi così l'unica fonte di luce. In un attimo le sue dita gelide furono attorno al mio polso, stringendo con forza sovrumana. Provai a sollevare un piede per scalciare via quell'essere, ma l'altra sua mano, che era libera, si chiuse attorno alla mia caviglia.
Io e quella cosa rimanemmo l'uno di fronte all'altra, con i corpi incrociati e lui che prevaleva su di me. Finalmente trovai il coraggio di aprire gli occhi; per via della pioggia potevo vedere poco e niente, ma ciò mi bastò per far sì che un urlo di terrore mi si bloccasse in gola, brutalmente stroncato dall'azione dell'uomo, che mi sollevò di peso e mi scagliò giù dal balcone. Mentre cadevo non riuscivo a pensare a nient'altro: guardare sotto quel cappuccio nero.
Il mio intestino parve voler schizzare fuori dalla mia bocca, il cuore sembrava essere sul punto di comprimersi all'improvviso e poi scoppiare.

Io conoscevo quella persona.




Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 25. ***


Gio, 9 novembre, notte

"Ho freddo"

Un brivido mi percorse da capo a piedi, ebbi l'impulso di alzarmi di scatto, ma rimasi immobile.

"Dove sono?"

Aprii lentamente gli occhi, per poi vedermi arrivare sul viso innumerevoli gocce di pioggia. Voltai a fatica il capo e mi ritrovai di fronte un muro bianco.

"Oh...che diamine ci faccio qui? Ora sono anche sonnambulo? E perché non riesco a muovermi?"

Sbattei le palpebre più e più volte nel tentativo di mettere a fuoco ciò che mi circondava. Mi trovavo esattamente sotto il balcone della stanza di Riccardo, a circa tre metri di altezza. Sospirai e cercai di tirarmi su con i gomiti; dopo l'ennesimo tentativo finalmente riuscii ad alzarmi, anche se avevo quasi tutte le ossa doloranti.

"Mi serve aiuto..."

Il cellulare era seppellito fra dei ciuffi d'erba secca e il terriccio bagnato. Mi piegai con un grande sforzo e raccolsi l'oggetto, ormai inutile.

"Merda, è tutto bagnato..."

Rivolsi di nuovo lo sguardo in alto e nel muovere la testa di scatto, sentii una fitta di dolore che si espandeva in tutto il cranio; per un attimo mi si annebbiò la vista e caddi in ginocchio sull'erba bagnata.

"Ma che diamine mi è successo? Non riesco a muovere un muscolo... però se chiedessi aiuto a Riccardo farei di nuovo la figura del pazzo davanti a suo padre..."

Mi asciugai il naso che colava con una manica ugualmente zuppa d'acqua. Che fare? Non ne avevo la minima idea. Provai di nuovo ad alzare lo sguardo, stavolta notai che le persiane della stanza di Riccardo erano spalancate; temendo che il ragazzo potesse essere sveglio e si accorgesse di me, mi alzai in fretta -per quello che potevo- e cominciai a zoppicare verso il cancelletto per uscire.

"Merda, non ce la faccio"

Feci solo un paio di passi prima di accasciarmi sul marciapiede.

"Che ore saranno? Forse le due o le tre del mattino...di qui non passerà nessuno"

Strinsi un pugno tremante attorno alla ringhiera fredda e mi ci appoggiai anche con il capo.

"Voglio tornare a casa...a casa mia. Perché è successo tutto questo? Perché proprio a me?"

Crollai al suolo in modo scomposto e cominciai a singhiozzare sotto la pioggia pungente. Mi coprii il viso con le mani e chiusi gli occhi.

"Papà...mamma... perché non ci siete più? Sono stato davvero io a...no. Non sono stato io"

L'immagine di un uomo senza volto si fece largo nella mia mente, in pochi secondi ricordai tutto ciò che avevo vissuto poco prima su quel balcone.

"Non era solo un sogno...io sono salito veramente lassù, poi sono caduto..."

- R...Ro -

Mi ricordai anche del suo corpo inerme sul letto e di quella figura viscida che abusava di lui.

- Ro... -

"Devo aiutarlo...non posso perdere anche lui"

Il cuore iniziò a martellarmi nel petto, credevo che da un momento all'altro sarebbe potuto uscire fuori.
Tentavo di alzarmi, ma quell'uomo si presentava ripetutamente nella mia testa, facendomi tremare e gemere di paura e dolore.

"Non posso...non voglio perderti"

Mi rimisi in piedi e cominciai a camminare barcollando, mentre con una mano continuavo a tenermi alla ringhiera.

"Pensa, Alessio. Pensa. Sei in centro, ci sarà qualcuno a cui puoi chiedere aiuto anche a quest'ora"

Mossi il capo a destra e a sinistra più volte, finché i miei occhi non si posarono su un telefono pubblico dall'altra parte della strada. Sussultai e presi a frugarmi nelle tasche con foga, estrassi poche monete, ma bastavano per una breve telefonata. Automaticamente composi il numero dell'agente che mi aveva portato a pranzo, non sapevo neanche il perché.
Il telefono bussò un paio di volte, poi una voce impastata mi chiese chi fossi.

- P-pronto...sono Alessio -

Sentii l'uomo esclamare di sorpresa dall'altro capo.

- Alessio, dimmi -

Intanto udivo un fruscio e dei rumori sconnessi, probabilmente l'uomo aveva già cominciato a vestirsi.

- I-io sono a casa di Riccardo...lui...lui non sta bene, aiutalo per favo... -

Caddi di nuovo a terra prima di poter completare la frase. Sgranai gli occhi e osservai stupito le mie gambe che tremavano, come se non appartenessero al mio corpo.

"Ho paura...aiutatemi..."

Appoggiai la testa alla cabina telefonica e chiusi gli occhi.

Gio, 9 novembre, pomeriggio

- N-no! Certo che no! Io non ne so niente! -

Quella voce ovattata giunse alle mie orecchie e sapevo già chi era prima ancora di aprire gli occhi.

"Stai bene..."

- Ho detto che non so niente! L-lasciatemi! Voglio entrare! Fatemelo vedere! -

- Non puoi stare qui, vieni con noi -

- Solo un attimo! -

La porta sbattè con violenza.

Aprii gli occhi lentamente; la prima cosa che riuscii a mettere a fuoco fu un soffitto bianco, poi un viso sconosciuto occupò la visuale. L'uomo mosse una mano dinanzi alla mia faccia più volte per vedere se lo seguivo con le pupille, poi si abbassò la mascherina di carta, scoprendo la bocca.

- Alessio, come ti senti? -

Le mie labbra rimasero incollate, cercai di scuotere la testa in avanti, ma sentii di nuovo una fitta terribile alla testa.
Il medico mi guardò in modo apprensivo e mi lasciò una breve carezza su una guancia.

- È una fortuna che tu stia bene, ti sarebbe potuta andare molto peggio -

Mi inumidii le labbra con la lingua e mi stupii nel sentire lo strano modo in cui suonava la mia voce.

- C-cosa... cos'è successo? -

- Questo dovrai dircelo tu...quando ti sentirai meglio -

- S-sto bene! -

Tentai di mettermi a sedere, ma l'uomo mi portò un braccio al petto e mi fece stendere di nuovo.

- Ora devi riposare, sta' tranquillo-

Lo vidi stringere in una mano uno siringa dall'ago lungo e sottile.

- No, no! Sto bene...davvero... -

Le mie palpebre si fecero improvvisamente pesanti come macigni e sembrava che nelle mie orecchie fossero stati inseriti dei tappi.

Gio, 9 novembre, sera

Quando riaprii gli occhi ero da solo e mi sentivo peggio di prima: i miei muscoli erano tutti indolenziti, al posto della testa avevo un pallone pieno d'aria in procinto di scoppiare e le orecchie fischiavano fastidiosamente. Lentamente quella sensazione divenne sempre più sgradevole e le fitte più acute.

"Ma che diavolo..."

Per un attimo non vidi più nulla, poi qualcuno si precipitò nella stanza. Mi accarezzò più e più volte in viso con una mano caldissima, credendo forse che fossi ancora sotto l'effetto del sonnifero.
Schiusi appena le palpebre; la sua faccia era lì, troppo vicina alla mia. Mi protesi verso il suo viso, attirato dalle sue labbra separate per la sorpresa, ma ricaddi subito all'indietro e mi lasciai sfuggire un gemito di dolore.

- Ale! Stai bene? -

Portò entrambe le mani sulle mie spalle e mi guardò in modo preoccupato.

- Ale? Devo chiamare il medico? -

- D-digli...che... -

Non ebbi neanche il tempo di terminare la frase, che degli uomini, non sapevo quanti, entrarono nella stanza e portarono via Riccardo di peso.

- Aspettate! Sta...stava dicendo qualcosa! -

Subito dopo il medico che avevo avuto modo di conoscere prima, fece il suo ingresso e si affacciò sul bordo del letto per guardarmi attentamente.

- A...antidolo...rifi...ci... -

L'uomo annuì e raggiunse di corsa una parte della stanza che non potevo vedere, dal momento che non riuscivo a girare il viso.
Lo sentii parlare fra sé e sé.

- Cavolo...quegli imbranati gli hanno somministrato una dose troppo piccola -

Percepii l'ago penetrare nel mio braccio, ma non trovai neanche la forza di sussultare.

- Con questo dovresti stare meglio...ora come ti senti? -

- Male... -

- Devi aspettare qualche minuto -

- M-ma...perché non...non lo lasciate entrare? -

L'uomo si voltò e mi guardò in modo dapprima confuso, poi infastidito.

- Oh, intendi quel ragazzino che fa solo chiasso? -

- S-sì... -

- Possono farti visita soltanto i familiari -

- N-non ho familiari... -

- Prima sono venuti, mentre dormivi -

"Oh...intende i genitori di Matteo"

- Lui può entrare...fatelo entrare -

- Mi dispiace, ma non sono io a decidere -

- P-parla con qualcuno... -

- Non posso. Inoltre al momento è indagato -

- A-ah? Per che cosa? -

- Istigazione al suicidio e tentato omicidio -

Sussultai.

- M-ma... perché? Di chi? -

- Te -

Il mio cuore perse un battito e mi si annebbiò di nuovo la vista.

- Ora però non devi agitarti, se ne parlerà quando ti sentirai meglio-

- N-no! Voglio sapere...fatemi parlare con quelli...quelli che lo stanno interrogando -

Mi alzai a sedere.

- Chiamali! Riccardo non ha fatto niente! Lui non c'entra...ah! -

Un ago mi si sfilò dal polso e cadde a terra con un tintinnio.

- Mi dispiace dirtelo, ma neanche io c'entro con questa storia, il mio compito è assicurarmi che tu stia bene -

Mi portai una mano allo stesso polso e cercai di sfilare anche l'altro ago, ma l'uomo mi batté sul tempo.

- E tu ora non stai bene, devi ancora riposare -

- Ma non voglio...per favore -

- Gli agenti verranno da te domani, al momento puoi ricevere solo i familiari -

Mi spinse lentamente giù, appoggiandomi le mani sul petto.

- Non fare stupidaggini, hai capito? -

Non risposi. Il suo sguardo s'infuocò.

- Non so se te ne rendi conto, ma sei caduto da tre metri e mezzo di altezza, dovresti stare calmo -

Voltai lo sguardo e chiusi gli occhi. Per il momento avrei fatto come mi diceva lui.

Ven, 10 novembre, mattina

- Buongiorno -

- Entrate...prego -

Mi svegliai di soprassalto e mi ritrovai dinanzi due uomini sconosciuti che mi squadravano da capo a piedi.

- Quindi possiamo dire con certezza che queste ferite sono state causate da un forte impatto con il suolo? -

Riconobbi la voce del medico che rispondeva in modo affermativo.

Uno dei due uomini, basso e tozzo, con due braccia enormi e pelose, sospirò.

"Questo tizio è più orso che umano...e l'altro sembra una giraffa depressa"

Mr. Giraffa annuì e si grattò il mento privo di barba.

- Bisogna capire la dinamica e se si tratta di tentato suicidio od omicidio, un gran bel casino -

Tossii sottovoce per segnalare la mia presenza. Mr. Orso mi guardò con i suoi occhi spalancati che uscivano quasi fuori dalle orbite, e che gli donavano un'espressione di eterna sorpresa.

- Alessio, te la senti di rispondere a qualche domanda? -

"Oh... déjà vu"

- M-mh... -

- Bene, allora iniziamo -

Mr. Giraffa estrasse un piccolo taccuino da una tasca dell'impermeabile e mise mano alla penna che teneva dietro l'orecchio.

"Che tipi strani...questi due dovrebbero risolvere un caso del genere?"

- Perché ieri notte ti trovavi a casa di Riccardo Buonarotti? I tuoi tutori hanno confermato che sei rincasato per cena e che ti hanno visto andare a dormire nella tua stanza -

"Cominciamo bene..."

- I-io...volevo vedere Riccardo -

- Per quale motivo? Avresti potuto aspettare fino al mattino seguente -

- N-no...era urgente -

Mr. Giraffa iniziò ad annotare ciò che dicevo in modo frenetico, tirando su con il naso di tanto in tanto.

- Allora, perché avevi una tale esigenza di vederlo a quell'ora? -

Trattenni il respiro.

"Non posso dirgli dello stalker, non devo. Passerei per uno psicopatico, non che non lo sia già..."

I due si lanciarono un'occhiata d'intesa.

"No, non posso. Neanche io sono certo di quello che ho visto, potrebbe essere stata un'altra allucinazione...o come diavolo si chiama"

- E-ecco...dovevamo fare una cosa -

"Ma che cazzo dico?! Pensa Alessio, pensa in modo intelligente"

- Che cosa, precisamente? -

"Al diavolo!"

- S-sesso -

I due si guardarono di nuovo negli occhi, poi Mr. Giraffa per poco non bucò l'intero taccuino per la foga con cui riprese a scrivere.

- Rispondi seriamente, per favore-

- S-sono serissimo...noi due...ecco...siamo fidanzati. Potete anche andare a chiedere a lui -

- Mi dispiace, ma Riccardo Buonarotti ha dichiarato che siete soltanto compagni di scuola e che vai a casa sua per prendere ripetizioni d'italiano -

- B-be'...sa com'è, siamo adolescenti... -

- Il ragazzo ha anche apertamente dichiarato che sei fidanzato con una compagna di classe di entrambi, una certa Noemi Milani. Abbiamo contattato la ragazza, ha confermato -

- C-che?! N-no, io sono gay -

L'uomo sospirò.

- Va bene, allora dovrei credere al fatto che sei andato a casa di un tuo compagno di classe a notte fonda per tradire la tua fidanzata? Alessio, dimmi la verità -

Sgranai gli occhi.

- D-davvero... -

- Bene, lasciamo perdere questo dettaglio per il momento -

Sospirai di sollievo.

- Tu e Riccardo Buonarotti avete litigato ieri notte? Ti ha detto qualcosa che in qualche modo ti ha scosso profondamente? -

- N-no... -

Mr. Giraffa aggrottò le sopracciglia e rilesse velocemente ciò che aveva scritto, notando sicuramente che molte cose erano strambe, e non poco.

- Sarà meglio rivolgermi a te in modo diretto, allora -

- I-in che senso? -

- Rispondi solamente sì o no. Riccardo Buonarotti ti ha spinto giù dal balcone? -

- No -

- Avete discusso animatamente? -

- No -

- Ti ha istigato a buttarti giù? -

- No -

- Allora cos'è successo precisamente? Lo ricordi? -

- No... cioè sì... -

- A questo punto dovresti argomentare -

- E-ecco...io mi sono arrampicato sul balcone perché non volevo che suo padre mi vedesse... -

- Suo padre si è mai mostrato o dichiarato contrario alla vostra amicizia? -

- N-no...ma non volevo che sapesse quello che faccio con suo figlio -

"Smettila, idiota! Se Riccardo viene a sapere tutte le balle che ti stai inventando...oh, meglio non saperlo"

- Continua -

- Lui stava dormendo e non mi ha visto...ho preso il telefono per accendere la torcia e...e sono scivolato perché le mattonelle erano bagnate...il telefono mi è volato di mano e per prenderlo mi sono affacciato alla ringhiera e sono caduto... -

"Niente male, potrebbero crederci"

Mr. Orso mi guardò in modo diffidente, poi si consultò sottovoce con l'altro agente, come se io non fossi lì. Mr. Giraffa prese gli ultimi appunti e si alzò dopo il consenso dell'altro.

- Va bene Alessio, per il momento la tua storia sembra avere un senso...eccetto il motivo per cui sei andato lì -

- G-gliel'ho detto... -

Si rivolse di nuovo al compagno.

- Vai a chiamare il ragazzo, è qui fuori -

- Subito -

Attesi un paio di minuti, poi vidi Riccardo entrare a testa bassa, con i polsi incastrati in un paio di manette. Non potei fare a meno di notare che accanto a quella giraffa sembrava proprio un nano da giardino.

- P-perché ha le manette? -

Una volta che il ragazzo si fu seduto, notai che aveva anche un livido enorme sull'occhio sinistro.

- C-che è successo?! -

Mr.Orso congiunse le mani, lanciò un'occhiata sprezzante a Riccardo e cominciò a parlare con tono molto pacato.

- Alessio, non so se ne sei consapevole, ma questo ragazzo è stato accusato di sette omicidi: quattro donne, comprese tua madre e sua madre, due uomini, ossia tuo padre e suo padre, e una sua compagna di classe della scuola che frequentava precedentemente. Purtroppo non siamo mai riusciti a dimostrare la sua colpevolezza, e nonostante ciò lui è sempre quel pezzetto del puzzle che sembra combaciare con tutti gli altri, ma che alla fine non riusciamo a incastrare con nessuno di essi -

Lo guardai con espressione smarrita.

- In poche parole è sempre fra i piedi e io sono più che convinto che è lui l'artefice. Ora dimmi, Alessio, se sai che razza di mostro hai davanti, con quale coraggio vieni a confidarmi che hai un rapporto così intimo con lui? Guardalo, è colpa sua se tu adesso sei in queste condizioni, e non mi riferisco solamente al letto d'ospedale in cui ti trovi -

I suoi bulbi oculari sarebbero potuti schizzare fuori dalle orbite da un momento all'altro per quanto aveva spalancato gli occhi, ora iniettati di piccole vene viola. Mi guardava in un modo che voleva dire "avanti, dimmi che ho ragione". Era evidentemente stanco di tutti quei casi irrisolti, e lo capivo, ma non poteva pretendere che accusassi Riccardo ingiustamente solo per fargli un piacere.
Guardai il ragazzo, una lacrima solitaria gli rigava una guancia. Il petto prese a battermi più velocemente.

- Riccardo è innocente, le ho già detto come sono andate le cose -

- Va bene, allora. Riccardo... -

Strinse una mano attorno al suo braccio e lo costrinse a voltarsi bruscamente.

- Perché ieri notte Alessio era a casa tua? Eh? -

Lo scosse con violenza. Strinsi i pugni e deglutii, sperando che potesse difendersi da solo; ma il ragazzo rimase a bocca aperta, mentre un'altra lacrima scivolava indisturbata lungo il suo viso. Era entrato in uno stato di panico.

- I-io...non lo so... -

L'uomo lo spinse via, facendolo cadere dalla sedia; Riccardo, poiché aveva le mani ammanettate, non poté fare nulla se non rimanere a terra con lo sguardo terrorizzato.

- Basta! Lo lasci stare! -

Con grande sforzo mi sfilai gli aghi dal braccio e scesi dal letto. Una volta in piedi, la testa vorticò per un attimo, ma la volontà di aiutare il ragazzo era più forte.
Lo afferrai per un braccio e lo aiutai a tirarsi su, ma lui sembrò non accorgersene neanche.
Mi voltai verso l'uomo e lo guardai dritto negli occhi.

- Sono caduto dal balcone, Riccardo stava dormendo e non si è accorto di niente. Sono andato a casa sua a quell'ora perché mi mancava, perché è l'unica persona a cui tengo davvero, perché lo amo più di quanto abbia mai amato me stesso, i miei amici e miei fottuti genitori morti! -

L'uomo aprì la bocca, ma rimase imbambolato.

- Vuole sapere una cosa? Non me ne frega niente dei casi irrisolti, Riccardo è innocente e a me basta questo -

Potevo già assaporare la vittoria; appoggiai una mano sulla spalla di Riccardo, invitandolo a sedersi di nuovo e cercando di tranquillizzarlo con lo sguardo, ma lui non mi guardava, non mi vedeva.
Schiuse le labbra tremanti mentre teneva gli occhi fissi su qualcosa che in realtà non vedeva.

- S-sono stato io... -

Sgranai gli occhi e indietreggiai.

"No...no, ma che fai? Non servirà a niente darti la colpa di tutto! Idiota!"

Mr.Orso rivolse la tua totale attenzione a lui, lo stesso fece Mr.Giraffa.

- Papà mi odiava, mi ha detto in faccia che sono nato per sbaglio, non lo sopportavo...io...io l'ho ucciso... sì...gli ho sparato con una delle sue pistole da collezione -

"No, no! Zitto, stai zitto!"

In realtà non volevo saperlo e basta, non volevo crederci, perché se lo avessi fatto l'avrei sicuramente odiato.

- Angela...e Rebecca...le loro madri mi prendevano in giro, non volevano che fossi amico delle loro figlie...dicevano che assomigliavo a una ragazza, ho sparato a entrambe con la stessa pistola -

Sussultai, non volevo crederci, non potevo. Mi appoggiai al bordo del letto per non cadere.

- Mia madre voleva sostituire mio padre con un altro uomo, io non volevo un altro papà quando finalmente me ne ero liberato. L'ho strangolata con dei guanti, poi li ho bruciati, per questo non è possibile risalire alle impronte -

"Smettila Ro...smettila..."

Le lacrime cominciarono a sgorgare copiosamente dai miei occhi, avrei voluto implorare il ragazzo di smettere, ma era come se ogni cellula del mio corpo si rifiutasse di muoversi.

"Perché... perché?"

Un'altra voce si fece largo nella mia testa.

"Perché vuoi sapere cos'è successo davvero, non è così?"

"Ma io non ci credo!"

"Eppure le cose quadrano..."

Riccardo alzò la testa e puntò i suoi occhi rabbiosi nei miei.

- Ho ucciso tuo padre perché ti rendeva infelice, perché non era in grado di fare niente, perché non ti ha mai capito! -

"No..ma che cosa stai dicendo?"

- Ho ucciso tua madre perché stava per risposarsi, non è così? Aveva trovato un altro uomo...proprio come la mia. Sarebbe diventata cattiva, ti avrebbe costretto a vivere con lei e la sua nuova famiglia...avresti sofferto...lo capisci? -

"No, non sto capendo niente..."

Mr.Orso sorrise in modo soddisfatto.

- Ti sei deciso finalmente, brutto psicopatico, vieni con me! -

"E la sua compagna di classe?"

Lo afferrò di nuovo per un braccio e lo condusse fuori, stavolta il ragazzo non si oppose minimamente. Mossi un passo in avanti.

- Ro! -

Si voltò, aveva il viso rigato di lacrime e non vi era ombra di rabbia, solo un'infinita tristezza. Gli tremavano le gambe, aveva paura. Mimò un "va tutto bene" con le labbra e si sforzò di sorridere, poi si voltò di nuovo. Lo osservai oltrepassare quella soglia, temendo che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo vedevo, e non avevo avuto la possibilità di fare niente, ero rimasto a guardare in silenzio, come un idiota.
Caddi a terra in ginocchio, fregandomene delle gambe che strillavano per il dolore, il mio cuore urlava ben più forte. 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 26. ***


Sab, 11 novembre, mattina

Prima di varcare la tanto agognata soglia dell'uscita, il dottore mi trattenne per qualche altro minuto, sputando fuori termini di cui prima d'allora non conoscevo l'esistenza.

- Capito? -

Parvi risvegliarmi da un lungo sonno.

- Ah? -

Rosanna rise nervosamente e mi circondò le spalle con un braccio.

- Sì, sì, non deve fare sforzi e se sente di nuovo un forte dolore alla testa dobbiamo accompagnarlo immediatamente qui -

Sfoggiò un sorriso rilassato e mi condusse fuori dalla porta rilegando al marito il compito di portare la sua borsa e la mia, con i panni sporchi e il pigiama.

Durante il viaggio la donna non fece altro che blaterare su quanto fossi stato fortunato a non morire e su quanto fossi negato nella scelta delle amicizie - escluso suo figlio, ovviamente -.

Per i primi minuti me la cavai senza aprir bocca, poi finsi un forte mal di testa e Rosanna, non prima di aver tentato un'inversione a U per ritornare in ospedale, mi lasciò in pace.
Non avevo né forza né voglia di parlare: ciò che era successo il giorno precedente mi aveva profondamente segnato. Avevo visto la cattiveria negli occhi di quell'uomo e un'estrema e oscura soddisfazione quando Riccardo aveva confessato; nemmeno io sapevo da che parte stare, certamente lo amavo, ma non ero del tutto sicuro che avesse inventato solo balle per mandare via quei tizi strambi e farmi riposare in pace.

"Non è possibile che abbia fatto delle cose del genere, avrebbero incastrato subito un ragazzino così inesperto"

Appoggiai il capo sulla pila di cuscini che Rosanna aveva gentilmente sistemato sul mio letto. Non riuscivo a non pensare.

"Lo riscatteranno, in un modo o nell'altro qualcuno riuscirà a dimostrare la sua innocenza... non finirà in uno schifoso carcere minorile"

Sprofondai con la faccia nella morbida stoffa dei cuscini e sbuffai.

"Anche se il suo racconto sembra quadrare alla perfezione in quell'assurdo caso irrisolto, bisogna pur sempre prendere in considerazione ogni minimo dettaglio"

La porta cigolò all'improvviso e il padre di Matteo entrò nella stanza tenendo una tazza fumante in mano.

- Vuoi un po' di tè? -

Annuii e circondai l'oggetto di porcellana con entrambe le mani, aiutandomi a non scottarmi con un panno sotto i palmi. Franco si sedette sul bordo del letto e mi guardò in modo compassionevole; e fu proprio guardando i suoi, simili a quelli di suo figlio, che mi ricordai che il ragazzo non era venuto a trovarmi neanche una volta in ospedale e non lo avevo visto al rientro a casa, mentre i suoi genitori non avevano fatto altro che riempirmi di attenzioni.

- Uhm... dov'è Matteo? -

L'uomo abbassò lo sguardo e sembrò intristirsi.
Ritentai.

- Perché non è venuto in ospedale? -

- Oh... è venuto, ma c'è stato qualche inconveniente -

Aggrottai le sopracciglia.

- In che senso? -

- Credo sia meglio parlarne con lui più avanti, riposa -

Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, cercai di esprimermi con la voce meno isterica e acuta che mi riusciva.

- Sono stanco di sentirmi dire che devo riposare! Voglio delle risposte... -

Franco parve indeciso per qualche attimo, poi si mise una mano in fronte e parlò.

- Le avrai presto -

- A cosa ti riferisci? -

- Riccardo...in questo momento si sta svolgendo il processo -

- Co-come?! Così presto? -

- Be'...considera la situazione, è piuttosto urgente -

- Ma siamo in Italia! -

- Già -

L'uomo sorrise, poi tornò serio.

- Ascolta: non è stato difficile capire il tipo di rapporto che è nato fra voi due... e comprendo il tuo modo di supportarlo... ma devi cercare di tenerti fuori da questa storia il più possibile -

- Ma i miei genitori sono morti! -

- Sì, e ti ricordo che potresti entrare nella lista dei sospettati da un momento all'altro -

Chiusi gli occhi e feci mente locale.

"Mi fido di lui? O meglio, mi posso fidare?"

- E se io e Riccardo fossimo totalmente innocenti? -

- È quello che spero -

- E se invece fossimo totalmente colpevoli? -

- Che vuoi dire? -

Lo vidi sorpreso.

- Se avessimo ucciso entrambi i nostri genitori per ordine di qualcun altro? -

- Non capisco -

- Io... credo di avere dei pezzi mancanti nella mia memoria. A volte ho delle allucinazioni, ma sembrano così reali... -

- Sì, ma poi ti svegli -

- E non ricordo cosa ho fatto nel mentre -

L'uomo si grattò il mento, cercando di ragionare in modo razionale.

- Dormire? -

- Magari fosse solo quello... -

- Quindi... stai dicendo che avresti potuto... -

-No, no, assolutamente no! Non ne avrei il motivo, ma...anche Riccardo ha dei vuoti di memoria e io... -

- Li hai da quando l'hai conosciuto, non è vero? -

- I vuoti? -

- No, questi..."sogni a occhi aperti" -

- Sì -

Franco sospirò pesantemente.

- Per il momento lasciamo perdere, non possiamo azzardare nessuna conclusione prima della fine del processo -

Sorrise in modo rassicurante e mi passò una mano su una guancia.

- Bevi il tuo tè e sta' buono qui -

Mi ammonì con lo sguardo e lasciò la stanza.

"Ma come faccio a stare tranquillo? Ci sono troppe cose che non capisco... non ce la faccio più"

Sospirai e mi portai la tazza alle labbra secche. 

"Il processo... chissà cosa sta succedendo..."

Sab, 11 novembre, sera

Matteo spalancò la porta della mia stanza all'improvviso, facendomi sobbalzare e far volare il libro d'italiano dalle mani.

- Ma che cazzo fai? Ora ti sei messo a studiare? -

Deglutii e lanciai un'occhiata triste al manuale; ero così preoccupato che per sentire Riccardo più vicino avevo deciso di leggere il brano di un autore che avevamo già ripassato insieme.

- Che c'è? -

- Niente, mi mancavi -

Si lasciò andare sul letto e mi lanciò un'occhiata di traverso.

- Come stai? -

- Avresti potuto chiedermelo prima -

- Avrei voluto -

Inclinò le labbra in un sorriso ironico che compresi troppo tardi.

- Non dirmi che... -

In un attimo i suoi occhi diventarono freddi e feroci.

- Non avevo scelta! -

- Che cazzo stai dicendo?! -

Mi alzai dal letto e gli feci fare lo stesso, afferrandolo per il colletto.

- Chi ti ha dato il permesso di mettergli le mani addosso? -

- Per essere più precisi... gli ho dato un cazzotto in faccia -

- Vaffanculo! -

Lo spinsi a terra, disprezzando il suo sorriso beffardo.

- Perché l'hai fatto? -

Si rimise in piedi e mi fu addosso in un attimo, appoggiò la fronte alla mia e mi puntò gli occhi in viso.

- È colpa sua sei diventato così, io non mi sono innamorato di questo -

Mi mise un indice al petto senza staccarmi gli occhi di dosso.

- Ma sei mio amico -

- Non voglio essere tuo amico, sai benissimo che è così, ma da quando è arrivato quel moccioso non sono neanche sicuro di cosa voglio... -

- Se sei confuso tu, immagina io! Cerca di metterti nei miei panni... -

- Ci ho provato davvero... ma ancora non capisco perché proprio lui! Ti ha fatto il lavaggio del cervello, guardati! -

- Sono sempre stato così -

- No... ti rendi conto che c'è la possibilità che tu abbia ammazzato i tuoi genitori senza neanche ricordarlo? -

- Hai origliato?! -

- Sì, e allora? Ci sono problemi ben più gravi -

- Che non riguardano te -

- Invece sì... voglio starci vicino -

- Non se continui a dirmi che sono cambiato -

- Mi correggo allora, voglio stare con te senza quel ragazzino fra i piedi -

- Allora puoi andartene -

- Ale! -

Mi afferrò un polso e strinse con forza.

- Mi fai male...lasciami! -

- No, prima ascoltami -

Presi un lungo respiro e mi decisi e sentire cosa aveva da dire.

- Sei dalla parte di un assassino -

- Non è un assassino! -

- E allora è uno psicopatico...e ha rincoglionito anche te -

- Se è questo il modo in cui tu definisci l'amore... -

- Amore? Ma di che cazzo stai parlando? Ti sta prendendo per il culo -

- Basta! -

Lo strattonai con la mano libera e mi sottrassi alla sua stretta, finendo a pancia in su sul letto; cercai di rialzarmi, ma Matteo mi raggiunse e mi circondò la vita con le gambe, poi mi bloccò le braccia con entrambe le mani.

- Tu non lo ami -

- Stai zitto! -

- Guardami! -

Fissai i miei occhi pieni di lacrime nei suoi carichi di ferocia.

- Sei tu quello che è cambiato... vattene -

- Non me ne andrò finché le cose che dico non ti saranno entrate in quella testa dura! -

- Ho detto che devi lasciarmi sta-! -

Il ragazzo premette le sua labbra sulle mie con prepotenza; mi spinsi in avanti nel tentativo di togliermelo di dosso, ma era di gran lunga più forte di me. Fece penetrare la lingua nella mia bocca con forza; un conato di vomito mi scosse da capo a piedi, provavo una smisurata sensazione di disagio. Delle lacrime scivolarono sul mio viso contratto, incastrandosi fra i lineamenti induriti dallo sforzo di resistergli. Gettai la testa all'indietro e mi arresi; rimasi inerme sotto il peso dell'altro finché non mise fine a quel bacio che da parte mia non poteva essere definito tale.
Lo guardai terrorizzato, indietreggiando sulle coperte in disordine.

- Q-questo... non dovevi farlo -

- Ale... -

- Vai via! Mi fai schifo! -

Matteo sgranò gli occhi, poi si guardò le mani tremanti.

- S-scusa... -

Sembrava ancora più spaventato di me.

- Visto? Non sono l'unico pazzo qui dentro -

Quando fui sicuro che mi stava guardando, gli lanciai un'occhiata sprezzante.

- Riccardo non avrebbe mai fatto una cosa del genere -

Tenni testa al suo sguardo impaurito finché non fu fuori dalla stanza.
Non appena fui solo, mi rannicchiai sul pavimento e nascosi la testa fra le braccia; cominciai a piangere e singhiozzare, a tirarmi i capelli e a sussurrare parole che non comprendevo nemmeno io.
Non potevo fare altro, non dopo che ciò che aveva fatto Matteo mi aveva riportato alla mente Riccardo, impotente più di me sotto quel corpo estraneo.

- Ro... -

Nascosi il capo fra le mie braccia scosse dai singhiozzi.

Non avevo la minima idea di quanto tempo fosse trascorso quando Rosanna si precipitò nella mia stanza agitando le braccia, in uno stato di panico; guardai fuori dal balcone: era tutto buio, perfino i lampioni non emanavano la solita luce opaca e giallastra.   

- C-cos'è successo? -

Mi asciugai in fretta le lacrime con le maniche della felpa, ricoperta di chiazze umide. 

- Devi venire subito! -

Mi fece cenno di seguirla lungo il corridoio illuminato dalla luce soffusa delle lampade a muro. Franco mi attendeva in salotto con il cellulare all'orecchio e le sopracciglia che stavano per congiungersi, tanta era la sua concentrazione. Mi indicò il posto libero accanto a lui con un gesto della mano, non esitai ad accogliere il suo invito; tesi un orecchio nella speranza di non lasciarmi sfuggire nessuna parola dall'altro capo del telefono, la verità era che non riuscivo a comprenderne neanche mezza. 
Ero in uno stato di ansia tale che non riuscivo a smettere di scuotere le gambe e mordicchiarmi le mani. Quando Franco mise giù il cellulare, trasalii e gli lanciai un'occhiata speranzosa.

- È appena tornato a casa -

Mi trattenni dal fare un salto di gioia con il quale avrei potuto sfondare il soffitto.

- Q-quindi... non è colpevole? -

- Non conosco i dettagli e la dinamica del processo, ma a quanto pare la sua confessione non quadra affatto con tutti gli avvenimenti, se esaminati nei minimi particolari -

Cominciai a muovere i piedi nudi sul soffice tappeto bordeaux, non riuscivo a smettere di sorridere ed ero eccitato dalla prima cellula che componeva il mio corpo fino all'ultima: in poche parole non potevo stare fermo neanche per un secondo.

- Oh, quasi dimenticavo -

L'uomo si grattò il capo, pensieroso.

- Neanche la tua descrizione ha molto senso... purtroppo -

- L-lo immaginavo... -

- A dire il vero non è molto sensata neanche se viene considerata aldilà del contesto in cui è inserita -

- Ehm... cioè? -

- Hai inventato un sacco di stupidaggini, a partire dal motivo per cui eri lì -

- C-cosa?! E come fai a saperlo? -

- Io so tutto! -

Franco mi rivolse un sorriso a trentadue denti.

- B-be'... era vero... quello che ho detto -

La risata che non poté trattenere, mi colpì dritto in viso come uno schiaffo.

- Alessio, tu non sei gay -

Risi anche io, facendo finta di trovare molto divertente la sua "battuta".

- Sì che lo sono -

L'uomo smise di ridere di colpo, fissandomi in viso due occhi marroni intrisi di serietà.

- In quel caso... divertiti con Matteo -

Alzai le sopracciglia così all'improvviso che temetti mi si potessero staccare dalla faccia.

- M-ma... Matteo... -

- Ho quasi sessant'anni, non vuol dire che non capisca certe cose -

- Q-quindi... lo sai che... -

- Pensi che non abbia notato il modo in cui ti guarda mio figlio? Ovviamente prima stavo scherzando... se a te piace Riccardo, allora spero usciate sani e salvi da questa brutta storia e possiate stare in pace -

Ripensai al bacio di quel pomeriggio e sentii un leggero solletico sulle labbra, come se fosse rimasto ancora qualcosa di quel contatto non voluto.

Quella sera feci di tutto per non mangiare, anche se Rosanna aveva ripetuto almeno dieci volte che sarei diventato anoressico, mentre Matteo non si presentò a tavola, ma chiamò il padre a telefono per farsi portare il cibo in camera.

"Voglio... devo vederlo"

Mi morsi un labbro e mi alzai dal divano di scatto, come se avessi appena ricevuto un'illuminazione divina.

- Dove vai? -

Rosanna mi puntò contro la forchetta e un paio d'occhi severi.

- E-esco... -

- No, no, no! Devi ancora riposare, non ti azzardare a uscire da quella porta! -

- M-mi dispiace... -

Corsi nella mia stanza a infilarmi scarpe e giubbino, poi mi fiondai di nuovo giù per le scale; Rosanna fece per alzarsi, ma il marito la trattenne e la tranquillizzò con lo sguardo. Simulai un "grazie" con le labbra e mi chiusi la porta alle spalle che fremevano per l'eccitazione, così come il resto del corpo.
Cominciai a correre spinto dall'adrenalina, non sentivo più alcun dolore né alle gambe né alla testa, avevo solo un'immensa voglia di stringere di nuovo quel ragazzo fra le braccia.

Giunsi davanti casa sua prima di quanto mi aspettassi, mi fermai dinanzi al cancelletto e controllai che le finestre fossero illuminate. Fui costretto a tirarmi su il cappuccio della felpa e a coprirmi le orecchie con le mani per via del vento che soffiava forte, tanto da far piegare gli alberi nei dintorni.
Balzai in aria quando qualcuno suonò il clacson all'improvviso, e mi accorsi che ero nel nel mezzo della strada a fissare la ringhiera di ferro mentre una macchina mi stava davanti puntandomi i fari addosso. Mi scusai con un gesto delle mani e mi spostai per permettere al guidatore di parcheggiare, ma l'auto non si mosse.
Per via della luce abbagliante dei fari, non riuscivo neanche a capire che tipo di macchina fosse o chi stesse alla guida, quindi decisi di avvicinarmi; da quella distanza riconobbi subito l'auto: era di Roberto.

"Ma perché diavolo non si muove? Forse vuole salutarmi?"

Bussai cautamente al finestrino alzato, poi, dato che non avevo ricevuto alcuna risposta, mi affacciai. Alle orecchie mi giunse un lamento sconnesso, bussai nuovamente.

"Ma che cazzo...."

Indietreggiai velocemente e caddi a terra. Sul sedile anteriore c'era un uomo che si dimenava in modo furioso e disperato, la sua testa era coperta da una busta di plastica.

"No, non devo avere paura anche stavolta"

Accadde tutto in un attimo, in un misto di adrenalina e terrore.
Mi rialzai e mi affacciai nuovamente al finestrino, urlai all'uomo di stare calmo, anche se sembrava quasi impossibile; portai il gomito all'indietro, poi, con tutta la forza di cui ero capace in quel momento, sbattei il pugno contro il vetro spesso e resistente, frantumandolo in mille pezzi. Fissai allarmato il dorso della mia mano ricoperto di sangue scuro che fuoriusciva da svariate ferite.

"Okay Alessio, ce la puoi fare. Stai calmo, molto calmo!"

Mi sentii mancare l'aria, eppure non persi di vista il mio obbiettivo: afferrai la busta che ricopriva il volto dell'uomo, deciso a strapparla, ma fui costretto a indietreggiare nuovamente perché la plastica era ricoperta di un liquido maleodorante. Mi annusai le mani. Ebbi giusto il tempo di voltarmi e cominciare a correre, prima che l'auto venisse divorata da lingue di fuoco feroci e affamate che minacciavano di raggiungere anche me.

"Benzina"

Angolo autrice:
Buonasera! Questa volta ho deciso di lasciare un messaggio sotto il nuovo capitolo semplicemente per scusarmi dell'estremo ritardo! Non aggiorno da quasi un mese, ma per tutto questo tempo l'ispirazione mi ha abbandonato totalmente, quindi mi scuso ancora se il capitolo sarà meno "coinvolgente" dei precedenti. Nonostante sia ricominciata la scuola, mi impegnerò a pubblicare almeno una volta a settimana! Grazie a chi continuerà a seguire questa storia! ~

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 27. ***


Sab, 11 novembre, sera

- Laggiù... ! Quel ragazzo sta bene?! -

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in una posizione alquanto bizzarra: ero a terra, con le ginocchia e la fronte che aderivano all'asfalto umido e tenevo le braccia piegate dietro la testa per ripararmi, ma non ricordavo da cosa.
Alzai il capo e vidi dinanzi a me un uomo in divisa che mi sventolava una mano davanti alla faccia.

- È sveglio! Hey... tu... stai bene?! -

Biascicai un "sì" insicuro e mi misi a sedere.

- C-che cosa è successo? -

L'uomo mi guardò in modo apprensivo e mi mise una coperta sulle spalle.

- Vieni -

Mi tese una mano, aspettando che la accettassi e mi tirassi su, ma rimasi a terra a fissarlo con un punto interrogativo enorme stampato in faccia.

- Dobbiamo portarti in ospedale per qualche controllo e... e per vedere se... -

- Sto benissimo -

- Non sei sotto shock, vero? -

- No, altrimenti non starei parlando con lei -

Il tizio sconosciuto si grattò il capo, insicuro su cosa fare, a quanto pareva era un novellino sul campo.

- Mi dispiace, devi venire con me-

Mi afferrò un polso e mi costrinse ad alzarmi, la testa vorticò per qualche istante.

"Oh, merda... ma cosa diavolo è successo?!"

Una volta in piedi, fui in grado di vedere ciò che mi circondava: uomini in divisa che correvano ovunque in modo allarmato, pompieri, carabinieri, medici, gente affacciata ai balconi che urlava cose incomprensibili con tono interrogativo; nel bel mezzo della strada c'era la causa di tutto quel caos e ne ero sicuro perché sentii le mie gambe cedere, come se le ginocchia si fossero frantumate in tanti piccoli ossicini.

"Cazzo... Ro... devo dirlo a Ro... "

- Dov'è Riccardo?! -

L'uomo che mi stava guidando verso una delle due ambulanze, sussultò e mi lasciò il polso.

- È sotto shock -

- Che?! Dov'è?! Fatemelo vedere!-

Mi gettai a capofitto nel viavai di volti sconosciuti, finché non mi scontrai con qualcuno che non esitò ad afferrarmi per le spalle e scuotermi con violenza.

- Alessio! Stai bene! -

Franco mi strinse fra le sue lunghe braccia, ma per me quel contatto voleva dire stare in una gabbia.
Lo spinsi via e cominciai a vagare senza meta, facendo guizzare gli occhi da tutte le parti alla ricerca di quel corpo minuto.

"Dove sei? Dove diavolo sei?! Giuro che se ti è successo qualcosa... io... "

Dovevo avere proprio l'aspetto di uno zombie, o perlomeno un'espressione sconvolta, perché tutti mi rivolgevano sguardi di compassione e mi chiedevano se avessi bisogno d'aiuto.
Piantai i piedi a terra all'improvviso, rimasi immobile per qualche attimo, poi scattai in avanti correndo con tutta la forza di cui erano capaci le mie gambe.

- Ro... Ro! E levati... -

Scansai con i gomiti chiunque mi dicesse di lasciar riposare il ragazzo, poi mi fermai dinanzi a lui, intento a osservarlo. Era avvolto in una coperta marrone, la stessa che avevo sulle mie spalle, teneva il capo chino, incastrato fra le ginocchia che tremavano insieme con tutto il resto del corpo; i capelli coprivano il suo volto e sembravano incredibilmente scuri per via delle luci opache che illuminavano a fatica quella strada.
Mi sedetti accanto a lui e chiusi la sua mano fredda nella mia; non volevo tanto segnalare la mia presenza, quanto prendermi un po' del suo dolore, anche se sembrava impossibile. Riccardo non proferì parola, ma si mosse silenziosamente e appoggiò il capo sulla mia spalla. Sospirai e mi misi una mano sul petto, mi sentii interamente vuoto.

Dom, 12 novembre, mattina

Mi risvegliai per l'ennesima volta scuotendo la testa di scatto e stropicciandomi gli occhi arrossati per l'assenza di sonno; quando constatai che era mattina, mi alzai dalla sedia che aveva ormai preso la forma del mio sedere e mi voltai a destra e a sinistra in cerca di un distributore nel lungo corridoio orribilmente bianco.

- Ale... ti ho portato... -

- U-uh?! -

Prima ancora di voltarmi, sentii un liquido bollente colarmi lungo una coscia.

- O-oh! Scusa! -

Matteo guardò in modo triste la bevanda ormai riversa sul pavimento.

- ... il caffè -

- M- Matteo! Scusami, non ti ho sentito arrivare... -

- Non fa niente, come stai? -

Mi diede una pacca su una spalla, ma ritrasse subito la mano come se avesse preso la scossa.

- I-insomma... -

- Già... -

Ritornai a sedermi, lasciandomi scivolare lungo lo schienale di plastica fin troppo scomodo.
Ormai non sapevo più cosa dire alla gente perché ero il primo a cui non interessava niente di loro; mi sentivo vuoto, spogliato di ogni cosa, inutile e impotente, perfino la follia sembrava essersi stancata di me, della mia passività, della mia assenza.
Ero in quell'ospedale da più di otto ore, attendendo con false speranze che Riccardo si facesse vivo, uscendo da quella porta e venendomi incontro con il sorriso più bello che potesse sfoggiare. Invece ero lì da solo a fissare un bicchiere di caffè freddo rovesciato ai miei piedi; solo si faceva per dire: c'era Matteo di fianco a me, ma in realtà era come se non ci fosse, non percepivo neanche la sua presenza.

- Alessio -

Uno dei medici con cui avevo civilmente parlato, mi fece cenno di raggiungerlo.

- Puoi entrare, ma sii prudente -

Annuii e spinsi la porta bianca in avanti.
Riccardo era sul letto, al centro di una stanza spoglia e vuota. Non appena fui dentro, voltò il capo e mi fissò in viso un paio d'occhi che non ero in grado di decifrare.

- Hey... -

Feci un paio di passi, poi mi bloccai a più di un metro da lui; non avevo idea di cosa dire o fare perché non sapevo neanche come mi sentissi io, figuriamoci lui.

- Ciao -

Sussultai e mi decisi a guardarlo.

"Dai Alessio, non ti mangia mica...faresti una figura peggiore se stessi zitto tutto il tempo"

- C-come stai? -

Feci un altro passo in avanti e deglutii.

- Secondo te? -

- G-già... che domanda stupida -

Riccardo rivolse lo sguardo in basso e si morse un labbro; scossi la testa ribadendo a me stesso che dovevo smetterla di fissarlo in modo così ossessivo.

- Avevo paura che non venissi -

- U-uh? -

"Ho sentito bene?"

- Sai... -

Sorrise in modo distaccato e triste, immerso nei suoi pensieri e allo stesso tempo accanto a me.

- Mi sei rimasto solo tu -

- R-Ro... -

- Basta -

Si tolse le coperte di dosso e balzò giù dal letto senza accusare il minimo dolore fisico, mi venne incontro e si fermò a un passo da me, appoggiando la fronte sul mio petto.

- B-basta? In che senso? -

- Non voglio perdere più nessuno... io... -

Si aggrappò al mio busto con entrambe le braccia e mi strinse con tutta la forza di cui era capace; come sempre era l'essere più bello che avessi mai visto, o per meglio dire "ammirato", perché non potevo fare altro, non potevo di certo corrompere il suo semplice "essere" che mi aveva fatto dare di matto fin dal primo giorno.
Non lo strinsi come lui fece con il mio corpo, gli lasciai semplicemente prendere tutto di me senza chiedere nulla in cambio.

- Ale... -

Il ragazzo mosse il viso fra le pieghe della mia maglia sgualcita e mi puntò nuovamente gli occhi addosso.

- Voglio ucciderlo -

- C-che? Chi?! -

- Lo stalker -

- M-ma... avevi detto che... -

Scosse la testa rassegnato.

- Ormai non ci credo più neanche io... devi esserci per forza qualcosa... qualcuno... -

Sì guardò intorno e mi fece segno di far silenzio portandosi l'indice alle labbra, poi mi afferrò per un lembo della felpa e mi attirò a sé; mi portò una mano dietro la testa, l'altra rimase incastrata in quel tessuto leggero che sfiorava anche il mio corpo, la sua bocca calda si scontrò con la pelle gelida del mio orecchio. Alzai lo sguardo e notai due telecamere agli angoli della stanza.

- Io... non so se ho ucciso i miei genitori e voglio scoprirlo... ma non è possibile con tutte queste persone che mi stanno con il fiato sul collo -

"Anche tu mi stai con il fiato sul collo in questo momento... ma non mi dispiace affatto"

- Voglio sapere tutto e penso che anche tu ne abbia il diritto... -

- Sì, anche io voglio sapere... -

Gli accarezzai una guancia, la mia mano fredda ne trasse piacere all'istante.

- Allora facciamolo... insieme -

- Ma come? Insomma... stamattina mi hanno sequestrato il cellulare e di nuovo il motorino, e pensa che non ero ancora andato a ritirarlo! -

Sbuffai, ma il ragazzo mi prese subito il volto fra le mani e mi guardò con serietà.

- Questa persona vuole farci separare -

- Lo so... quindi? -

- Quindi staremo insieme -

- R-Ro... -

- Vuoi perdermi senza lottare e guardarmi mentre quel mostro cercherà di ammazzare anche me? -

- Non voglio perderti e basta -

- Perfetto, perché non voglio perderti neanche io... baciami -

Gettai un'occhiata di sfida alla telecamera puntata su di noi e sorrisi.

"Guardateci, stronzi"

Mi chinai sul suo viso arrossato e appoggiai le mie labbra sulle sue; improvvisamente mi ritrovai a cavallo di due pensieri totalmente opposti: trattarlo con la massima cura, senza mettergli fretta e pensando al dolore che doveva provare in quel momento oppure dare ascolto al cuore che mi sbatteva contro la cassa toracica e ai brividi che mi percorrevano dalla nuca fino all'ultima vertebra della spina dorsale? Prima che potessi scegliere, la sua bocca rovente si avventò sulla mia.
Mi sentii vivo.

Dom, 12 novembre, pomeriggio

- Non ce la faccio più a stare qui dentro, giuro! -

Mi misi le mani sul viso e mi lasciai andare sulla sedia accanto al suo letto.

- Non dirlo a me... domani mattina devono farmi delle domande -

Sbuffò e chinò la testa verso la finestra sigillata.

- Che senso ha tenerti qui dentro? Non sei stato coinvolto nell'incidente, stai bene! -

- Pensi che sia per quello? -

Si indicò con entrambe le mani e mi rivolse un'espressione seccata.

- Oh, giusto... dimenticavo che sei un pazzo omicida e che questa stanza d'ospedale si trova nel reparto "maniaci che hanno voglia di fare fuori tutti gli esseri umani che vedono" -

- Già! -

- E magari si inventeranno che hai dato fuoco alla macchina di tuo padre, con tuo padre dentro!-

- Chissà... magari l'ho fatto... -

- Ro... non eri in casa, c'ero solo io lì fuori! -

- Dopo la stronzata del balcone che hai raccontato a quei tizi... chi dovrebbe crederti? -

- E allora perché non incolpano me?! -

Mi diedi una pacca sul petto e tossii, era troppo complicato urlare a bassa voce.

- Perché per loro sei tu la vittima e io ti sto... uhm... costringendo a fare qualcosa che non vuoi? -

- L'unica cosa che potresti costringermi a fare sarebbe guardare Bambi con te minacciandomi con il tuo stupido pupazzo -

- Ne sei così sicuro? -

- Sì -

- Come fai? Anche tu credevi di aver ucciso i tuoi genitori... -

- Credevo, ma ero evidentemente pazzo, non avrei mai fatto una cosa del genere! Non che ora stia messo meglio, eh... E tu? Tutte quelle cose che hai confessato... erano vere? -

- Sì e no, ma in ogni caso non avrei mai ucciso nessuno di loro, a meno che... -

- A meno che... ? -

- A meno che io non soffra di perdita di memoria a breve termine o qualcuno non mi stia costringendo a farlo -

- Non sei stato tu, Ro. Ne sono sicuro -

- Ma l'hai pensato anche tu... -

- Ero incazzato e non ero io -

- Cazzo! Non capisco un cazzo! Un cazzo di niente! -

Prese il bicchiere sul comodino e fece per scagliarlo al suolo, ma gli afferrai il polso.

- Stai calmo, prima hai detto che ne saremmo venuti a capo, giusto?-

Annuì e appoggiò la sua testa sul mio petto.

- Bravo... devono convincersi del fatto che stiamo insieme -

Lanciai un'altra occhiata furtiva alla telecamera.

"Chissà perché diavolo non mi credono"

- Non è colpa mia se non sembri gay -

"Oh, ecco..."

- Come si fa a sembrare più gay? Non credo che sia un modo di essere fisico -

- Sì, lo so... ma tu sei un caso a parte -

- In che senso? -

- Sembri un playboy -

- Esatto, gioco con i ragazzi -

- Non vuol dire quello! -

Mi grattai la nuca pensieroso.

- Siamo in Italia, a che mi serve sapere l'inglese? -

- Che ragionamenti fai? Almeno sapere cosa vuol dire playboy... -

- Ragazzo che gioca con la PlayStation? -

- Ci rinuncio! -

Si allontanò da me e gettò la testa all'indietro, contro il muro bianco.
Scostai una ciocca di capelli dal suo viso e la arricciai dietro il suo orecchio.

- Allora... mi dici come stai veramente? -

Evitò di voltarsi verso di me.

- Lo sai -

- No... riguardo a quello che è successo ieri... -

Lo vidi sussultare appena, ma non si scompose.

- Se devo dirti la verità... non lo so -

- Prova a spiegarmelo -

Questa volta si girò a guardarmi con un paio d'occhi spenti e tristi.

- È successo così tante volte che credevo di essermi abituato al dolore, ma non è così... anche se con lui non avevo un buon rapporto -

- Davvero? -

Presi ad accarezzargli il braccio riverso sulle lenzuola nella mia direzione.

- Pensavo che dopo... che dopo la morte di tua madre vi foste avvicinati di più -

- Te l'ha detto lui? -

- S-sì... non è così? -

Riccardo sospirò pesantemente, sembrava riluttante a parlarmi di suo padre e lo capivo; tuttavia esitò solo per qualche attimo.

- Gli ho fatto credere di considerarlo di più come un padre solo perché mi faceva pena vederlo così triste, tutto qui-

- Tutto qui? -

- Sì, ma non riesco a capire perché ci sto male lo stesso -

- Forse perché ti eri affezionato davvero -

- Già... -

Mi sporsi in avanti e mi chinai su di lui, ma proprio in quel momento la porta della stanza si spalancò con violenza.
La nonna di Riccardo fece il suo ingresso con le mani sui fianchi e un'espressione tutt'altro che rilassata e pacifica.

- Andiamocene di qui, sono stanca! -

Quando notò la mia presenza cercò di ricomporsi; mi lanciò un'occhiata e mosse il capo nell'intenzione di salutarmi, poi riprese a far finta che io non esistessi: raccolse in fretta e furia i vestiti e altri oggetti personali e li ficcò alla bell'e meglio in una borsa vecchia e trasandata.

- M-ma... nonna! I medici hanno detto che... -

- Sì, si, possiamo andarcene, sbrigati! -

Strizzò gli occhi e glieli puntò in viso con prepotenza, potevo quasi percepire quanto fosse affilato il suo sguardo.
La donna afferrò Riccardo per un polso e cercò di trascinarlo al suo seguito, ma io feci lo stesso; lo abbracciai con disappunto della nonna.

- Verrò a trovarti quando posso, d'accordo? Non contattarmi o chiamarmi per parlare di quelle cose... ciao -

Gli lasciai un bacio sulla fronte insolitamente scoperta e lo guardai uscire dalla stanza a braccetto con la donna che lo teneva costantemente sott'occhio, poi uscii anche io e raggiunsi i genitori di Matteo che mi aspettavano in piedi nel corridoio.
Rosanna mi guardò in modo preoccupato e mi aggiustò la felpa stropicciata.

- Sei stato qui tutta la notte, che ne dici di tornare a casa? Devi essere stanco... -

- Sì... grazie -

Franco si limitò a rivolgermi un sorriso incoraggiante; gli feci cenno di abbassarsi e gli sussurrai a un orecchio.

- Domani posso andare a scuola, vero? -

L'uomo scosse la testa, rassegnato.

- Verranno a fare delle domande anche a te -

Accennò alle figure di Riccardo e sua nonna che attendevano l'ascensore.

- Perché? Tanto non mi credono...-

- Perché sei stato tu a dare fuoco all'auto, non è vero? -

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 28. ***


Dom, 12 novembre, pomeriggio

- C-che cosa?! -

Sbattei contro un'infermiera che mi fulminò con lo sguardo.
Franco sospirò e distolse lo sguardo dal mio viso, poi lo puntò a terra; una sgradevole sensazione di gelo mi stravolse del tutto.

- Preferirei non parlarne, rimandiamo a domani, d'accordo? -

- S-sì... -

Mi tirai la zip del giubbino fin sopra il naso, a nascondermi metà faccia.

Dom, 12 novembre, sera

Non aprii bocca per il resto della giornata, neanche quando Matteo bussò alla mia stanza con una busta nera fra le mani.

- Tieni... il tuo regalo -

Lo guardai in modo interrogativo.

- Per tutto quello che è successo... no? Per tirarti un po' su di morale -

Ruotò gli occhi e attese una risposta che non arrivò, poi girò i tacchi e si chiuse la porta alle spalle. Fissai la busta per qualche secondo, valutando le probabilità di trovarvi qualcosa che realmente potesse farmi stare meglio, subito dopo la lanciai sulla scrivania facendo cadere un portapenne.

"Niente... niente può farmi stare meglio"

Mi gettai con la testa sul cuscino a peso morto, chiusi gli occhi e cercai di non pensare più a nulla, ma era impossibile: il ricordo dello sguardo freddo e distaccato di Franco, che non si era mai rivolto a me in quel modo. Una mano cominciò a tremare impercettibilmente, la bloccai con l'altra e me le portai entrambe al viso. Avevo paura, una paura tremenda di essere abbandonato di nuovo.

"Ma Riccardo non mi lascerà mai solo, lui mi ama... "

Lun, 13 novembre, mattina

La sveglia suonò un paio di volte prima che potessi comprendere di trovarmi di nuovo nella mia stanza e non in un noioso ospedale dove avrei potuto dormire anche dodici ore di fila. Afferrai il cellulare sul comodino e guardai l'ora: le otto e trentacinque. Scrollai le spalle e mi tirai di nuovo le coperte fin sopra la testa, in ogni caso non dovevo andare a scuola. Dopo pochi minuti qualcuno bussò alla porta con insistenza, tenni le labbra serrate e mi voltai dall'altro lato.

- Alessio! Svegliati! -

In quel preciso istante ricordai il motivo per cui non dovevo andare a scuola: degli stramaledettissimi agenti che non avevano nulla da fare volevano farmi altre domande.
Presi il cuscino e feci per scagliarlo a terra, ma convinsi me stesso a stare calmo. Respirai profondamente più volte a occhi chiusi.

"Sono il primo che vuole sapere come sono andati i fatti, di certo non posso capirlo da solo. Magari questo incontro servirà a qualcosa"

Cacciai dall'armadio qualcosa al volo da indossare e raggiunsi di corsa il salotto, senza neanche preoccuparmi di andare al bagno o pettinarmi.
Due uomini con il capotto erano seduti sul divano in modo composto, entrambi con un block notes appoggiato sulle gambe allineate. Sospirai di sollievo nel constatare che non erano i due dell'ultima volta.

- B-buongiorno... -

Uno dei due alzò il capo in cenno di saluto, l'altro non si smosse di un millimetro, mi fissò soltanto gli occhi in viso.
Rosanna entrò subito nella stanza quasi correndo, con in mano un vassoio colmo di biscotti al burro.

- Gradite anche qualcosa da bere? C'è del tè verde se volete, o magari un caffè... -

Il più scorbutico zittì la donna con un movimento della mano, poi si rivolse a me.

- Siediti -

Era già stata posizionata una sedia di fronte ai due; deglutii e feci come mi era stato detto. L'uomo aprì il block notes con uno scatto fulmineo e stappò la penna costosa.

- A partire da ora... -

Portò due dita all'orologio che aveva al polso sinistro e pigiò un tasto che fece emettere all'oggetto uno strano trillo, come quello di un timer.

- Hai quindici minuti per riferire tutto ciò che sai riguardo a Riccardo Buonarotti -

- R-Riccardo?! -

- Ovviamente puoi parlare anche in sua difesa, ma devi dire la verità, altrimenti non avremo altra scelta se non dichiararvi colpevoli... entrambi -

Sussultai e strizzai gli occhi per cercare di concentrarmi.

"Cosa dovrei dire? Non mi crederebbero se dicessi la verità... ma non posso neanche inventare altre cazzate!"

Mi morsi un labbro e guardai esitante i due uomini che mi stavano di fronte con aria severa, poi rivolsi uno sguardo disperato a Rosanna, affacciata all'arco che separava il salotto e la cucina per origliare, ma scomparve immediatamente in modo goffo non appena si accorse che la stavo fissando.

- I-io... -

L'orologio trillò di nuovo, evidentemente scandiva ogni minuto.
Ripensai alla promessa che io e Riccardo ci eravamo scambiati in quella spoglia stanza d'ospedale il giorno precedente, riempita solo dai nostri battiti accelerati e delle nostre speranze; in un attimo quel fragile muro fatto di aspettative mi crollò addosso, travolgendomi con violenza e costringendomi a ritornare alla realtà. Compresi che io e lui, da soli, non avremmo potuto fare un bel niente, che eravamo soltanto due topi finiti in una trappola messa lì forse per caso, che non capivamo neanche noi in cosa ci fossimo addentrati insieme o chi ci avesse costretti a farlo o se fossimo semplicemente due pazzi che si erano riconosciuti e ritrovati.
Presi un bel respiro, poi buttai fuori tutto ciò che avrei dovuto dire molto tempo prima, che era attaccato morbosamente al mio cuore e lo aveva fatto lentamente marcire, tutto ciò che avevo a lungo stoltamente e paurosamente tenuto per me. Non mi importava che ci credessero o meno.

Quando l'orologio ebbe suonato per la nona volta, l'uomo pigiò nuovamente il piccolo tasto e si ricoprì il polso con la manica del lungo cappotto scuro; chiuse il block notes su cui non aveva annotato neanche un monosillabo, ciò a cui invece aveva rimediato l'altro. Si alzò dal divano e mi tenne gli occhi fissi in viso per un'altra manciata di secondi, prima di salutare in modo cupo la padrona di casa e uscire dalla porta con il compagno al suo seguito.
Rimasi sulla vecchia sedia di legno con lo sguardo fisso sulla parete che mi stava di fronte e le braccia molli che mi ricadevano lungo il corpo.

Mi sentii ancora più
vuoto.

Gio, 16 novembre, pomeriggio

Scostai la tendina e mi sporsi con il busto in avanti. Fuori la pioggia scendeva giù indisturbata, producendo un rumore continuo, che non variava mai, mentre di tanto in tanto delle gocce più audaci ticchettavano contro gli spessi vetri del balcone della mia stanza. Mi spostai e ritornai a sedermi sul letto a gambe incrociate: erano ormai ore che facevo sempre gli stessi movimenti.
Contavo i secondi, i minuti, mi rifiutavo di guardare l'orologio appeso al muro, preferivo perdere il conto e ricominciare, senza neanche ricordare da dove fossi partito. Non vedevo né sentivo Riccardo da cinque giorni, avevo paura e in ogni caso non me lo avrebbero lasciato fare. Mi era capitato di sentire per caso uno stralcio di telefonata: Franco aveva pronunciato un sommesso "questa volta la vedo dura, lo staranno tartassando di domande, eh?"

In quegli ultimi giorni non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo, non che di solito lo facessi, ma quella sensazione di straniamento era più forte che mai. Che poi, straniamento da cosa? Da me stesso o dal resto? Non sapevo neanche quello.

Qualcuno bussò alla porta, rabbrividii perché temevo che fosse Franco, il che voleva dire affrontare prima lui e poi una possibile risposta. Non sapevo spiegarne il motivo, ma ero terrorizzato dal fatto che quei due agenti della volta precedente si facessero risentire, e allo stesso tempo attendevo con ansia il fatidico punto che avrebbe messo fine a quella frase che da troppo tempo una fine sembrava non averla.

Matteo entrò con passo titubante e con un piatto di pasta fra le mani. Si avvicinò a me con lo sguardo basso e me lo appoggiò sulle gambe. Gli risposi con un'alzata di sopracciglia.

- Non la vuoi? -

- Sono le cinque del pomeriggio -

- Be'... non hai mangiato -

Si grattò la nuca, a disagio, fece per voltarsi, poi si bloccò e rimase lì impalato e fissarmi mentre mi portavo un boccone enorme alle labbra.

- Ale... s-stai bene? -

Masticai in fretta e mandai giù la pasta ormai fredda e asciutta.

- Secondo te? -

- Intendo... riguardo a noi... dopo quello che è successo... -

Rischiai di morire strozzato; Matteo si affrettò a darmi forti pacche sulla schiena, con in viso un'espressione scioccata.

- Hey, hey! Stai calmo... sto bene -

- S-sì... scusa -

Mi passai le dita fra i capelli e mi decisi finalmente a guardarlo in viso.

- Sei diventato paranoico o cosa? Da quando è successo quello non la smetti di venire a controllare ogni due e tre se sono ancora vivo o se ho qualche malattia mortale! Sei irritante... -

- S-scusa... -

- E smettila di scusarti! Non so cosa sia successo con Riccardo... o come ti sia saltato in mente di baciarmi in quel modo... in ogni caso non ho intenzione di far finta che tu non abbia fatto niente -

Matteo esitò per un attimo, poi si sedette accanto a me appoggiandosi appena sul materasso morbido.

- I-io... te l'ho detto, ero incazzato, tanto incazzato. Avevo semplicemente paura di perderti... ma credo che... -

Lanciò un'occhiata esitante alla busta nera ancora sigillata e a testa in giù sulla scrivania.

- Matteo, hai dato un cazzotto a Riccardo! Ti rendi conto?! -

- Sì, ma... -

- Ma un cazzo! Vattene! -

Per poco non scagliai il piatto a terra, ma il brontolio del mio stomaco si impose sui miei impulsi violenti.
Matteo si defilò in fretta, pochi attimi dopo mi sentii tremendamente in colpa. Purtroppo ultimamente ero facilmente irritabile ed estremamente nervoso, non riuscivo in alcun modo a controllare le mie reazioni.

Lun, 20 novembre, mattina

Tirai su la zip della felpa, indossai il giubbino e infilai le braccia nelle bretelle dello zaino. Presi un lungo respiro e mi guardai allo specchio con una faccia insoddisfatta.
Quel giorno sarei tornato a scuola. Ero consapevole del fatto che tutti mi avrebbero guardato peggio che mai, con occhi curiosi, spaventati, schifati. Non sapevo quanto fosse trapelato negli ultimi giorni su tutte le faccende accadute né mi interessava sapere che idea si fosse fatta la gente di me, ormai stavo per toccare il fondo.

"Già... ancora non l'ho fatto, è questo che mi spaventa più di tutto il resto"

Sapevo benissimo cosa sarebbe dovuto succedere per far sì che cadessi e non riuscissi più ad alzarmi.

Franco mi aspettava nella macchina davanti casa, scesi di corsa le scale e salutai Rosanna con un bacio su una guancia, giusto per non farla preoccupare più del dovuto. Ovviamente né io né Franco proferimmo parola durante il viaggio, speravo che quel fraintendimento si risolvesse in fretta.

Rimasi in piedi davanti all'edificio finché la macchina di Franco non fu scomparsa dalla mia vista, sospirai pesantemente per l'ennesima volta in quella mattinata, poi mi avviai verso l'alto cancello di ferro aperto.
La campanella non era ancora suonata, mancavano un paio di minuti. C'erano svariati gruppetti di ragazzi appostati ai lati del cancello o seduti sui bassi muretti delle aiuole; quando mi feci avanti, alzarono tutti lo sguardo contemporaneamente. Voltai il capo da destra a sinistra in segno di sfida, verso me stesso però, infine puntai gli occhi dritto davanti a me e feci il mio ingresso nella struttura a testa alta. Perfino i bidelli mi guardarono sorpresi e soltanto uno di loro trovò il coraggio di avvicinarsi.

- Dovresti aspettare il suono della campanella -

Accennai al mio giubbino leggero e l'uomo mi lasciò il via libera.
La classe era deserta, il mio banco era stato pulito ed erano a malapena visibili tutti gli sgorbi e le scritte che vi avevo fatto. Appena mi fui seduto, la campanella trillò nel corridoio e uno sciame di ragazzi si sparpagliò all'interno dell'edificio.
Una ragazza si fiondò nell'aula ridendo, con il cellulare a un orecchio; quando mi vide si bloccò dinanzi alla cattedra e rimase imbambolata a fissarmi, poi scosse la testa e andò a sedersi.

- S-sì... scusa, ti richiamo quando esco -

Il suo banco era più avanti alla mia sinistra, quindi la ragazza mi dava le spalle, Samantha, o almeno credevo si chiamasse così. Eravamo in classe insieme dal primo anno, ma non aveva mai attirato la mia attenzione. In quel momento, invece, mi ritrovai a fissare assorto nei miei pensieri quei capelli lunghi e rossicci. Si voltò un paio di volte, sussultando per la sorpresa nello scorgermi a guardarla.
Sorrisi nel constatare che aveva un paio d'occhi verdi visibili dalla mia postazione.
Poco dopo la raggiunse un'altra ragazza dai lunghi capelli mori che si sedette accanto a lei; la rossa sorrise maliziosamente e cominciò a chiacchierare con gusto.

Voltai il capo verso la porta dalla quale stavano entrando molti dei miei compagni di classe ridendo e spingendosi a vicenda.

Ed eccolo. Lì in mezzo. Il capo chino. Il resto divenne una macchia indistinta.

Gli occhi di Riccardo vagarono per qualche attimo in cerca di qualcosa, poi si fermarono sul mio corpo; un sorriso riuscì a sfuggire dalle sue labbra.
C'eravamo solo noi due, a guardarci come quegli sconosciuti immersi in un profondo déjà vu.
Il ragazzo ruppe quell'istante che sembrava essersi congelato nel tempo e mi corse incontro, quasi saltandomi addosso.
Si voltarono tutti a guardarci.

"Non m'importa"

- Mi sei mancato! -

Sussultai all'affermazione dell'altro, che affondò il viso nel mio petto e lo scosse ripetutamente.

- Anche tu... -

Risposi al suo abbraccio sprizzando gioia da tutti i pori; mi sentivo improvvisamente bene e avevo magicamente dimenticato quale fosse la causa di quel macigno che avevo sul cuore.

La professoressa di italiano non si fece attendere, ci sedemmo tutti e le rivolgemmo un saluto a gran voce.
Alla fine dell'ora io e Riccardo fummo finalmente liberi di parlare, almeno fin quando in classe non sarebbe entrato il professore di fisica; non potevamo fare altrimenti, temevamo di non poter neanche andare al bagno insieme o che avessero piazzato telecamere ovunque, ma fui costretto a ricredermi quando l'altro mi raccontò cos'aveva da dirmi.

- Ascolta... -

Si appiattì sulla superficie del banco con i gomiti in fuori e abbassò il tono di voce.
Nonostante la serietà della situazione entrambi non potevamo non sorridere, tanta era la felicità che ci accompagnava, e non c'era bisogno di esprimerla a parole.

- Quando sono venuti a farmi quelle domande... mi hanno detto di aver parlato prima con te -

- C-che dici? Pensavo fosse il contrario...-

- Già, anche io... tu... hai confessato tutto, non è vero? -

Mi impietrii all'istante a quel ricordo.

- S-sì, anche se ti avevo promesso che ne saremmo usciti insieme, da soli... -

Ma Riccardo sfoggiò un sorriso più luminoso di tutti gli altri e compresi che si stava trattenendo dall'abbracciarmi di nuovo. Deglutii, non mi sarebbe dispiaciuto.

- Grazie! -

- I-in che senso... -

- Siamo fuori, Ale, siamo fuori! -





Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** 29. ***


Lun, 20 novembre, mattina

Rimasi con il fiato sospeso per una decina di secondi, non riuscivo a capire a cosa si stesse riferendo Riccardo.

- Ci credi?! -

Mi prese entrambe le mani e se le portò al viso, era caldo e morbido.

- A... A cosa? -

- Se avessi saputo prima che bastava dire la verità... be', non importa, ora è tutto okay, vero? -

- S-sì... cioè.... -

- Ale! -

Mi scosse per le spalle e mi puntò in faccia due occhi enormi e sorpresi.

- Non sei felice? -

Aprii la bocca, ma non ne uscì alcun suono; in quel momento dovevo sembrare proprio un pesce morto.

- N-non ho capito... vuol dire che sanno chi è stato? E che non... non siamo stati noi? -

- Esatto! -

- Ma allora... chi è stato? -

I suoi occhi fino a quel momento spalancati e pieni di gioia furono ricoperti da un velo di malinconia.

- Io... non lo so -

Abbassò il capo e prese a fissarsi i piedi.

- Ti avevo promesso che l'avremmo scoperto... però non sono tenuto a sapere certe cose -

Tirò su con il naso e sorrise.

- Quando saranno sicuri di aver trovato il colpevole informeranno mia nonna! -

- Perché tua nonna? -

- Oh... uhm... ora è lei il mio tutore. Sai... m-mio padre... -

La sua voce si ruppe e terminò in un singhiozzo. Mi protesi in avanti e strinsi quel corpo tremante con forza; strinsi i denti e conficcai le unghie nella sua schiena esile. Il ragazzo sussultò e si scostò dal mio petto.

- Ale... c-che hai? -

- Niente... sono solo felice che le cose stiano andando per il verso giusto... finalmente -

Mi sforzai di fare un sorriso per infondergli un po' di coraggio, anche se in realtà era lui l'unico fra i due che riusciva a darmi quella poca forza che mi spingeva a stare ancora in piedi.
Di rimando i suoi occhi si illuminarono.

- Senti... perché oggi pomeriggio non vieni da me? Abbiamo delle lezioni di italiano in sospeso... -

Arrossì e si coprì la bocca con le mani.

- Oh... non intendevo in q-quel senso... hai capito, no? -

Cercai di rassicurarlo, anche se non volevo che quell'espressione così adorabile sparisse dal suo volto.

- Mi piacerebbe, ma hai dimenticato un piccolo particolare: noi non possiamo frequentarci -

Riccardo inclinò il viso e mi guardò con una faccia stranita.

- Sì che possiamo! Ieri sera hanno mandato un'e-mail a mia nonna in cui dicevano che... oh, non ne sapevi nulla? -

- No, non mi hanno detto nulla -

- Dovrebbe essere arrivata a uno dei genitori di Matteo... forse non l'hanno vista -

- O forse sì... e non hanno voluto dirmi niente -

Mi pentii all'istante di ciò che era appena fuoriuscito dalla mia bocca, anche se era la cruda verità.

- Credono che io sia una cattiva influenza? Be', è normale... da quando ci siamo conosciuti sono successi un po' di casini, ci sono abituato -

- Non importa, io... -

Riccardo stampò le sue labbra sulle mie; quel bacio durò un attimo, eppure un brivido mi percorse da capo a piedi, subito dopo il mio cuore prese a martellare e la stanza divenne improvvisamente troppo calda, nonostante fosse quasi inverno.
Sbattei le palpebre un paio di volte nel tentativo di ritornare alla realtà, ma sentivo ancora quella dolce pelle premere sul mio volto.

Riccardo mi sventolò una mano davanti alla faccia.

- S-stai bene? -

- C-credo... -

Mi sfilai la felpa e me la lasciai scivolare sulle ginocchia.

- Fa davvero caldo oggi... -

- Ale... -

La sua voce mi giunse alle orecchie come un sussurro.

- Ma che cavolo stai dicendo? Ci stanno guardando tutti! -

- Oh! -

Scossi la testa e voltai il capo verso il resto dell'aula: ci stavano decisamente fissando tutti. Sorrisi imbarazzato e mi voltai di nuovo verso Riccardo.

- Sei tu che mi sei saltato addosso! -

- S-scusa... doveva essere una cosa veloce, non pensavo ti facesse questo effetto -

Indietreggiò con la sedia e si rimise al suo posto mentre il professore dell'ora successiva appoggiava la valigetta sulla cattedra.
Mi sentii avvampare ancora di più quando capii a cosa si riferiva il ragazzo con "questo effetto".
Misi le braccia conserte sul banco e sprofondai con la faccia nelle mie braccia ricoperte da una fastidiosissima pelle d'oca.

"Merda, neanche io pensavo che Riccardo mi potesse fare questo effetto. Sarà perché non esco di casa da due secoli... "

Suonata l'ultima campanella di quella mattinata, Riccardo mi trattenne davanti al cancello.

- Allora ci vediamo stasera da me? Per le sette va bene? -

- Va bene, ci sentiamo dopo -

Gli diedi un pizzico su una guancia e saltai in macchina con lo zaino in testa per evitare la sottile pioggerella che annunciava una forte tempesta.
Matteo si voltò e mi guardò di traverso.

- Fai sempre tardi tu -

Alzai le sopracciglia e mi strinsi nelle spalle: non avevo la minima voglia di mettermi a discutere con una persona di cui non mi interessava nulla, o almeno fingevo che fosse così.
Franco indugiò qualche attimo ad avviare il motore, pareva assorto in chissà quali pensieri mentre scrutava fuori dal finestrino dell'auto, proprio dove Riccardo era indaffarato a scuotere con insistenza un ombrello cercando di aprirlo.

- Credevo che vi avessero vietato di vedervi -

- Già, ma a quanto pare siamo assolti da ogni accusa e possiamo vederci, non ti è arrivata nessuna e-mail? -

L'uomo non fiatò più fino al ritorno a casa, dove quattro piatti fumanti erano già disposti in tavola.

- Tutto bene a scuola? -

Passarono lunghi secondi prima che potessi rendermi conto che la donna si stava rivolgendo a me.

- O-oh... sì, tutto bene -

- I compagni ti hanno accolto bene? -

Mi feci sfuggire una risatina nervosa e lasciai affondare il cucchiaio nel brodo.

- Sì... abbastanza -

La verità era che Rosanna non aveva la minima idea del fatto che fossi in pessimi rapporti con i miei compagni di classe, fatta eccezione per Marco che tentava di farmi bruciare tutti i neuroni dietro al suo gruppo di amici tossici, e poi c'era Noemi, intenzionata a non sapevo neanche io cosa.

Matteo sbuffò e mi guardò inarcando le sopracciglia.

- Ho visto Noemi oggi -

"Perché ogni volta che penso a lei appare dal nulla o qualcuno la nomina?"

- Grande... -

- L'ho vista molto giù di morale, mi ha anche chiesto come stai... ma non credo che fosse preoccupata solo per quello -

Rimase con il cucchiaio colmo di brodo caldo a fissarmi, attendeva che dicessi qualcosa di sensato, cosa che non facevo da tempo.

- Avrà litigato con la sua migliore amica -

- No, deve essere successo qualcosa di grave. Sembrava sul punto di piangere -

- Be', sinceramente ho già i miei problemi a cui pensare -

Sotto gli occhi stupiti dei genitori di Matteo, continuai a mangiare come se avessi ricevuto una notizia assolutamente normale. In realtà io e Noemi non avevano alcun tipo di legame, eravamo poco più che due conoscenti - escludendo quel bacio molto sgradevole-.

Rosanna tentò timidamente di rompere il silenzio mentre portava in tavola un grande piatto di ceramica colmo di frutta.

- Stamattina al televisore ho visto che faranno uno di quei film che vi piace tanto... quelle cose sui vampiri -

Matteo scosse la mano e liquidò in fretta l'offerta.

- Non mi piace quella roba -

- Ma se guardi sempre film con gente che muore! -

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo ed evitò di fornire futili spiegazioni alla madre.

- E tu? -

La donna mi rivolse uno sguardo speranzoso, mi sentii quasi in colpa a dirle di no.

- In realtà... stasera dovrei uscire-

Franco non esitò a rifilarmi un'occhiataccia, ma si limitò a quello. La moglie tentò di risollevare la situazione, rendendola però ancora più drastica.

- Quindi dove vai? Esci con qualche amico? -

- S-sì... dovrei -

Farfugliai qualche altra parola incomprensibile, poi mi scusai e lasciai velocemente la sala da pranzo.
Mi gettai sul letto a pancia in su e sbuffai sonoramente; non ebbi neanche il tempo di rendermi conto di quanto fossero scomode quelle circostanze, che mi si presentò dinanzi un altro enorme problema. Il cellulare cominciò a squillare, mi affacciai a un lato del letto e protesi il capo verso il comodino: un numero che non avevo salvato in rubrica.

"Be', potrebbe essere qualcosa di importante"

- Pronto? -

- A-Alessio... -

La voce titubante di Noemi si diffuse nel mio orecchio sinistro, facendomi provare un senso di disagio.

- Disturbo? -

- No, no, che c'è? -

In quel momento pensavo soltanto a chiedermi in che modo avesse ottenuto il mio numero di cellulare, dal momento che mi ero astenuto dal farmi inserire nel gruppo di classe.

- Ecco... c'è una cosa di cui vorrei parlarti, quindi pensavo che tu... che noi... -

Potevo già prevedere che cosa sarebbe accaduto di lì a poco.

- Ti andrebbe di uscire o... o farmi compagnia a telefono? -

Mi trattenni dallo sbuffare nuovamente.

- Okay, cos'è successo? -

La ragazza trattenne il fiato, poi si lasciò sfuggire un debole verso che non riuscii a interpretare in nessun modo.

- Non ce la faccio a dirtelo così... ti va di vederci? -

"Ti pareva... "

- D'accordo, ma non posso stare molto -

- M-mi vanno bene anche dieci minuti... lo giuro! -

"Sì, però stai calma, non ho ancora preso in considerazione l'idea di ucciderti, anche se potrei farlo se mi mettessi i bastoni fra le ruote proprio oggi che devo vedermi con Ro... "

- Non preoccuparti, dimmi l'ora e il posto -

- I-io direi alle quattro al parco -

Storsi il naso: non volevo andare a una sorta di appuntamento in uno stesso posto in cui ero stato con Riccardo.

- Facciamo nella piazza principale, okay? -

- O-okay... -

Attaccai prima che potesse aggiungere altro, mi ero stancato del suo continuo balbettare: mi ricordava me ogniqualvolta cercassi di pronunciare una frase di senso compiuto.

Lun, 20 novembre, pomeriggio

Mi portai il cappuccio del pesante giubbino sopra la testa e continuai ad avanzare con passo veloce; gettai un'occhiata distratta all'orario sul mio cellulare e sospirai di sconforto.

"Cavolo, sono in ritardo di un quarto d'ora... non ricordavo ci volesse così tanto per arrivare a piedi fin qui"

Da lontano scorsi la sagoma di Noemi che scuoteva impazientemente le gambe e incollava gli occhi allo schermo del cellulare ogni due e tre.

- Hey, scusa se ti ho fatto aspettare, ma il padre di Matteo non poteva darmi un passaggio in auto... -

La ragazza alzò il volto e mi puntò in viso un paio d'occhi tristi e spenti, arrossati dal pianto.

- Non fa niente... vieni -

Mi afferrò un braccio e cominciò a camminare spedita verso un bar agghindato già con luci natalizie.
Si voltò e cercò di sorridere.

- Non hai freddo anche tu? -

Annuii e mi arresi al suo volere.

"Aah... ora mi toccherà anche sopportare le occhiate invadenti di quei camerieri"

Un uomo alto e magro, con l'anatomia di un chiodo, i capelli lunghi raccolti in un tuppo rovinato e gli occhi giganti, si apprestò a condurci a un tavolo per due e vi lasciò un foglietto rosa contornato con fiori e cuoricini.

"Che cavolo è questo coso?"

Lessi: Menù coppie.
Dovetti fare una faccia davvero inorridita, perché Noemi mi rivolse un'espressione preoccupata e si protese sul tavolo con fare curioso; non appena ebbe letto anche lei, arrossì fino alla punta dei capelli.

- Be'... l'importante è la roba da mangiare che c'è scritta, no? -

Non era proprio ciò che la ragazza si aspettava di sentire, ma almeno le scomparve dal viso quel colore simile alla buccia dei pomodori - che tra l'altro mi facevano schifo-.

Mi grattai il mento continuando a consultare il menù distrattamente.

- Allora, cosa prendi? -

Noemi si protese di nuovo verso di me per spiare sul foglio.

- Non ho ancora scelto, tu? -

Mi allontanai impercettibilmente, cercando di non rendere troppo evidente quanto mi dava fastidio la sua vicinanza.

- Un frappè alla fragola... la fragola piace anche a te, giusto? -

Tossicchiai e gettai un'occhiata inquieta al cameriere strambo che si avvicinava al nostro tavolo.

"Non voglio scegliere la sua stessa cosa al suo stesso gusto, è roba da coppiette, bleah !"

- Posso prendere le ordinazioni? -

- Sì, un frappè alla fragola per me e... -

- Un caffè macchiato per me -

"EH?!"

Ebbi l'impulso di tapparmi la bocca con entrambe le mani, ma ero troppo impegnato a guardare la mia espressione stupita riflessa in quella di Noemi.
Il cameriere annotò velocemente e se ne andò portando con sé il menù.

- Pensavo che il caffè ti facesse schifo -

- Già, lo pensavo anche io -

La ragazza si portò una mano a una guancia e si appoggiò al tavolino con il gomito.

- Ora che ci penso... a volte lo bevi anche a scuola -

- Per svegliarmi... -

I suoi occhi ridenti furono attraversati da un'ombra di delusione.

- Quindi ti sto facendo annoiare?-

- N-no... per niente! -

"Ahah! Bella questa... "

- Lo so che avevo detto solo dieci minuti... però vorrei distrarmi un po'... -

- Stai tranquilla, ho il pomeriggio libero -

Passammo il restante tempo a sorseggiare in silenzio le nostre bevande, finché nei bicchieri non rimase più nulla e dovemmo lasciare spazio alle parole.

- A-allora... ti va bene parlarne qui? -

Sospirai e mi avvicinai per sentirla meglio nel suo bisbigliare.

- Questo devi dirmelo tu, sono cose che non vuoi far sapere a nessuno? -

- Non importa... ormai -

- Va bene, dimmi -

Gettai l'ennesima occhiata nervosa all'orario.

"Stai tranquillo, sono appena passate le cinque, l'appuntamento è stasera... "

- I-io... non vorrei metterti un altro peso addosso, però forse tu puoi aiutarmi... -

I suoi occhi si fecero lucidi all'istante.

- Non so se hai visto degli annunci appesi in giro in città... anche se credo di no, ultimamente sei stato sempre a casa -

Deglutì e parve farsi forza.

- No, non ho visto nulla o forse non ci ho fatto caso, perché? -

- Mio padre è scomparso -

- Che?! -

Una vecchietta a fianco a me, intenta a sorseggiare il suo tè, sussultò e per poco non se lo versò in grembo.

- L-la sera in cui è successo l'incidente con il padre di Riccardo... lui non è tornato a casa -

- È strano... non avete ricevuto nessuna notizia dai suoi colleghi?-

- È questo il punto... è uscito dall'ufficio alla solita ora e lo hanno visto andare via con la macchina, ma lui... papà non è tornato... -

Noemi scoppiò in lacrime e con un gomito spostò involontariamente il bicchiere di vetro che cadde a terra e si ruppe miseramente in mille pezzi; il cameriere stralunato accorse in un batter d'occhio e offrì un fazzolettino di stoffa alla ragazza, chiedendole numerose volte se fosse tutto a posto.

"Evidentemente no, cazzo"

Sbattei un pugno sul tavolo e tirai Noemi per un braccio, invitandola a venire con me.

- A-Ale... -

Si asciugò il viso alla bell'e meglio e mi seguì senza dire una parola, mentre i clienti abbassavano il capo e riprendevano a volgere il pensiero alle loro vite sicuramente più tranquille e normali della mia.

Camminammo attraverso un piccolo quartiere su cui aleggiava un'aria gelida, finché non ci fermammo dinanzi al retro di un bar malandato.
Costrinsi la ragazza a stare spalle e muro e scontrai il mio petto con il suo; lei abbassò gli occhi, si sentiva a disagio, ma non m'importava.

- Ascoltami, tu... tu non devi uscire di casa, non devi più andare a scuola finché il problema non si sarà risolto... -

- M-ma... -

- Aspetta... non ho finito -

Lasciai la presa sulle sue fragili spalle e puntai i miei occhi vuoti nei suoi, tremanti e terrorizzati.

- Stammi lontana -

- C-che significa... -

- Noemi, fidati di me. Non dire in giro quello che è successo fra noi... non far sapere alla gente che ci conosciamo, taglia i ponti con le persone che ti sembrano poco affidabili -

- I-io non capisco... -

- Tu fallo e basta -

Mi guardai intorno con circospezione, eravamo soli.

- Fatti venire a prendere subito e torna a casa... fai quello che ti ho detto -

Mi allontanai nell'aria fredda riempita dai deboli singhiozzi della ragazza; quando fui certo di essere fuori dal suo campo visivo, cominciai a correre a perdifiato strizzando gli occhi e stringendo i denti con forza.

"No... non possono essere coinvolte altre persone, basta... basta! È finita... Ro mi ha detto che è finita... "

In realtà sapevo benissimo di aver detto quelle parole a Noemi solo per sentirmi più al sicuro, solo per il terrore di rivedere quella figura senza volto, solo nella speranza che fosse tutta un'orribile e stupida e incredibile
coincidenza.











Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** 30. ***


Lun, 20 novembre, sera

Riccardo era fermo dinanzi all'uscio e si torceva le mani nervosamente; rabbrividiva per il freddo nonostante fosse incappucciato da capo a piedi.

- Hey! -

Sollevò una mano e mi corse incontro sul terriccio umido.

- Entra, fra poco arriverà un temporale! -

Alzò il viso all'insù e puntò gli occhi nei nuvoloni grigi che ingombravano il cielo già buio.
Sbuffai. Mi piaceva la pioggia, ma i temporali che si scatenavano in quella zona erano più violenti del normale ed erano una vera seccatura quando si trattava di spostarsi all'aperto, per non parlare delle continue allerte meteo.
Strofinai i piedi sul tappetino dinanzi all'ingresso e seguii il più piccolo con il viso basso.

- B-buonasera... -

Mi bloccai sull'uscio non appena notai che la nonna di Riccardo era seduta in cucina e mi guardava in modo scettico.
Mi rivolse un cenno con il capo, poi fece finta che non avessi mai varcato la soglia di quella casa.
La capivo.

Per sdrammatizzare, il ragazzo mi rivolse un sorriso tirato e mi invitò a seguirlo su per le scale, ma la signora anziana richiamò la sua attenzione, continuando a tenere lo sguardo fisso sul tavolo.

- Devo uscire, riuscite a stare tranquilli per una mezz'ora? -

- Dove devi andare? -

- A trovare i nostri vicini, hanno avuto una bambina la settimana scorsa, lo sai -

Riccardo annuì, poi si avviò su per le scale con me al suo seguito.
La sua stanza era pulita e ordinata come al solito e il suo pupazzo preferito era stato accuratamente posizionato al centro fra i due cuscini del letto a due piazze.

- Hai portato il libro di italiano? -

Vuoto totale. Avevo completamente dimenticato il motivo per cui mi trovavo a casa sua a causa della troppa felicità, ma anche a causa dei fatti sconvolgenti che erano accaduti poco prima.

- Tu lo vedi? -

Mi limitai a un'alzata di spalle e mi sedetti sul suo soffice letto, mentre lui mi guardava sconsolato.

- Uhm... possiamo usare il mio -

- È proprio necessario? -

- Ovvio! -

Si chinò a sollevare lo zaino da terra e ne estrasse un libro massiccio e consumato.

- Penso che nonna sia uscita, scendiamo! -

Lo seguii nuovamente giù per le scale.

Riccardo si sedette sul divano, aspettò che facessi lo stesso, dopodiché aprì il libro e sospirò soddisfatto; ma neanche due secondi dopo che ebbe pronunciato il titolo della lettura, lo implorai di posare quell'oggetto malefico.

- Muoviti! -

Non avevo mai letto una cosa così noiosa in vita mia, forse perché effettivamente non avevo mai letto niente a parte il menù dei locali in cui ero solito andare e i messaggi sgrammaticati dei miei amici; il rilassante rumore della pioggia all'esterno, insieme con la mia voce che leggeva pigramente, rischiò di farmi addormentare svariate volte, ma puntualmente l'altro mi diede dei pizzichi sul viso.

- Ro, per favore, non ce la faccio più. A che mi serve leggere tutte queste parole incomprensibili? -

- Ti serve perché dopo farai una relazione di tutti i brani che ti ho fatto leggere e la consegnerai alla prof! -

- Ah, quindi sono tutti dello stesso autore? -

Il ragazzo si batté una mano in fronte e mi rivolse un'occhiata fulminante.

- Ora capisco perché in italiano fai così schifo -

- Non solo in quello -

- Leggi! -

Feci finta di essere offeso e mi appollaiai accanto ai cuscini con le ginocchia al petto, poi ripresi la noiosa lettura. Di tanto in tanto la luce azzurrina di un lampo serpeggiava fra le tende tirate, subito dopo il rombo di un tuono faceva sussultare entrambi.

- Uhm... Ro, c'è una cosa che mi vibra sotto il sedere, ah! -

Saltai in aria sotto lo sguardo infastidito di Riccardo.

- È il mio telefono, idiota -

Fece finta di tirarmelo addosso e mi coprii il volto con le braccia.

- È mia nonna... Pronto? S-sì... sì... vado subito -

Alzai le sopracciglia con fare interrogativo.

- Devo scendere in cantina ad attivare il generatore di riserva... con questo tempaccio potrebbe saltare la corrente da un momento all'altro. Mi accompagni? -

- C-certo... ma doveva essere proprio in cantina questo coso? -

- Hai la fobia delle cantine per caso? -

- N-no... macché... anche se di solito ci sono cose losche lì sotto -

Mi afferrò per una manica e mi condusse verso l'appendiabiti.

- Metti il cappuccio, fuori c'è il diluvio universale -

- Hai mai sentito parlare di ombrelli? -

- L'ho rotto perché non riuscivo a chiuderlo -

Trattenni un risatina.
Lì fuori pioveva davvero a dirotto, più di quanto avessi immaginato. Aggirammo quel poco d'erba bagnata che circondava la casa e, laddove non avevo mai messo piede, c'era una piccola porta di ferro su cui batteva insistentemente la pioggia fitta.

- E questa da dove sbuca? -

- Oh... in realtà è collegata al garage, si può entrare anche da lì, ma non ho le chiavi -

Mi indicò la saracinesca abbassata con un dito, che ritrasse subito in tasca per via del freddo.

- Ma... quindi è una cantina o un garage? -

Riccardo sbuffò e mi rivolse un'occhiataccia.

- È la stessa cosa -

Evitai di fare una puntualizzazione sulla sua affermazione palesemente errata: sarebbe riuscito a farmi sentire nel torto in ogni caso.

Il ragazzo infilò la piccola chiave nella serratura apparentemente arrugginita, che difatti scricchiolò in un modo sinistro e non volle saperne di aprirsi.

- Faccio io -

Strinsi il pugno attorno alla chiave e la ruotai con forza finché non udii un leggero scatto.

- È la cosa più utile che ti abbia mai visto fare, sai? -

- Quando la smetterai di essere così cinico? -

- Scusa! Lo sai che scherzo... -

Questa volta ottenni un bacio su una guancia che bastò a farmi chiudere la bocca.

Sussultai quando mi accorsi che ero io quello davanti e che quindi spettava a me accendere la luce.

"Cavolo... "

Appiattii una mano al muro ruvido e umido e cercai l'interruttore a tentoni. Fui costretto a stringere le palpebre quando la stanza fu inondata dalla luce, seppur opaca e tremolante.
Riccardo chiuse la porta dietro di sé e rimase imbambolato con le labbra socchiuse e le sopracciglia aggrottate, fissando un punto dritto di fronte a lui. Dal mio canto ero nella stessa posizione, ma intento a chiedermi se il panno nero sul cemento fosse un topo morto o uno scarafaggio radioattivo.

- Ro, c-cos'è quella roba? -

- Non ne ho idea... -

Avanzò con la stessa espressione da ebete in volto; io lo seguii titubante.

- Cosa credi che sia? Com'è arrivata qui? -

- E lo chiedi a me? È la tua cantina-garage! -

Un grido poco virile fuoriuscì dalla mia bocca quando mancai uno scalino, rischiando così di cadere in avanti e rotolare sul suolo fino a raggiungere quella cosa nera.

Finite le scale, presi un respiro profondo e mi chinai lievemente per osservare meglio il misterioso oggetto.

- Toh, è un calzino! -

- Ma di che cavolo stai parlando?!-

Mi voltai verso Riccardo, il quale teneva ancora lo sguardo fisso su qualcosa.

- Oh, perché... non stavamo parlando della stessa cosa? -

Mi grattai la nuca imbarazzato, in attesa di una risposta che non arrivò.

- Hey, si può sapere che diamine stai guardando da tre ore? Sbrigati ad accendere quel coso e andiamocene, questo posto non mi piace e puzza di vecchio -

Mi avvicinai al volto del ragazzo e mi abbassai alla sua altezza per seguire la traiettoria del suo sguardo.

- La macchina? -

Fu come se si fosse risvegliato da un sonno profondo.

- Sì! Come ci è arrivata quella macchina qui? -

- Be', siamo in un garage... oh! A meno che le cantine-garage non abbiano una funzione particolare... in effetti questo spiegherebbe molte cose -

Incastrai il mio mento fra indice e pollice, assumendo una finta aria pensierosa, ma il ragazzo non mi degnò di un solo sguardo.

- No, stupido! Questa macchina non è mia, non è mai stata qui -

- Ro, da quanto tempo non scendi qui giù? -

- Da almeno due anni... ma non c'entra! In questa casa c'è sempre stata una sola macchina, che è andata distrutta dopo... dopo l'incidente di papà... -

La terribile immagine dell'auto in fiamme apparve nella mia mente e improvvisamente la voglia di scherzare scomparve del tutto, lasciando spazio a un crescente senso di angoscia e paura.

- Q-quindi stai dicendo che... no, Ro, non è possibile. Può darsi che tua padre l'abbia comprata prima dell'incidente... -

- Senza dirmi nulla? -

Anche lui dava l'idea di essere scioccato.

- Hai ragione... e tua nonna? -

- Mia nonna vive qui da anni e in ogni caso non guida più -

- Allora cosa cavolo... hey! Non avvicinarti! -

- Perché? -

Abbassai il tono di voce.

- Che cosa ne sai di cosa potrebbe esserci lì dentro? -

- Se ci fosse stato un pazzo omicida non credo avrebbe aspettato così tanto a venire fuori-

La sola idea mi fece rabbrividire da capo a piedi. Osservai il più piccolo avanzare verso la macchina scura, mentre io rimasi impietrito.

"Diamine, non riesco mai a mostrare un po' di fegato in queste situazioni. Come fa quel nanetto a non avere paura? In confronto a lui sono solo uno stupido cacasotto!"

- Vieni a vedere! -

Mi fece segno di avvicinarmi con una mano. Mi affacciai al finestrino chiuso e sbirciai all'interno sotto la luce fioca della vecchia lampadina.

- S-sembra vuota ed è anche chiusa... ora per favore possiamo andarcene? Chiamiamo la polizia, i vigili del fuoco e tutto quello che vuoi... ma non voglio stare qui -

- Non è vuota, guarda meglio! -

Si frugò in una tasca e puntò la torcia del cellulare nell'auto. Racimolai un altro po' di coraggio e mi sporsi nuovamente in avanti.

- Vedi quello? È un portachiavi, ma non l'ho mai visto in vita mia! -

- Oh... i-io invece sì... -

Riccardo mi rivolse uno sguardo sorpreso.

- Dove? -

Strinsi gli occhi e osservai meglio il piccolo pupazzo verde che penzolava dallo specchietto retrovisore interno. Una piccola lettera era cucita sul ventre di quel familiare portachiavi: una "N" in giallo era ben visibile da lì. Non c'erano dubbi.

- I-io l'ho visto... appeso allo zaino di Noemi -

L'altro strabuzzò gli occhi, aveva un'espressione incredula e turbata al contempo. Non volevo sapere invece quale fosse la mia.

- Sicuro che sia lo stesso? Non ricordi se lei ce l'ha ancora? -

- N-no... l'ho visto di sfuggita, ma è identico al suo -

Trasalimmo entrambi.
Una domanda si fece largo nella mia testa, era così insistente che fui costretto a sputarla fuori senza pensarci due volte.

- Credi che dovremmo parlarne con qualcuno? -

- Certo che sì! Hai visto che da soli non siamo stati in grado di concludere niente, no? E aspettare ha solo peggiorato la situazione. Se ne occuperà chi è in grado di farlo, io me ne tiro fuori -

Il triste ricordo di Noemi che singhiozzava disperatamente per la scomparsa del padre mi fece impallidire: d'altronde comprendevo il suo sentimento di smarrimento ed estrema malinconia. E avrebbe dovuto capirlo anche Riccardo.

- A-aspetta... c'è una cosa che non ti ho detto -

Gli raccontai ciò che avevo vissuto quel pomeriggio con voce rotta e tremante.

- E me lo dici solo adesso?! -

- S-scusa... non volevo che questa fosse l'ennesima giornata di merda passata insieme, anche se alla fine lo è diventata lo stesso...-

L'altro si mostrò inaspettatamente apprensivo e premuroso nei miei riguardi: mi prese il volto fra le mani, ma non riuscì a sostenere il mio sguardo. Nonostante ciò mi bastò sentire il calore della sua pelle per calmarmi un po'.
Lo anticipai prima che potesse aprir bocca.

- So cosa stai per dire, e so anche che è la cosa più giusta da fare, ma aspettiamo almeno un altro giorno, ti prego... -

- Perché? Cosa cambierebbe? Anzi, non sai quante altre cose orribili potrebbero succedere in un giorno solo? -

- Ro... lasciami almeno accertare che Noemi c'entri con questa faccenda prima di metterla in mezzo, non voglio che diventi l'ennesima sospettata anche se non ha fatto nulla -

Finalmente i suoi occhi incrociarono i miei.

- Non ho detto questo, per me Noemi non è colpevole ma... -

Serrai le sue labbra con un bacio frettoloso, senza sapere neanche il perché di quel gesto.

- Lo so, lo so, non incolperesti mai una persona senza esserne certo... per questo so anche che sei dalla mia parte e che capiresti i sentimenti di Noemi perché ci sei passato anche tu... -

Le parole mi morirono in gola e quelle precedenti sembrarono improvvisamente prive di significato. Il mio cuore sobbalzò nel petto e parve arrestarsi di scatto subito dopo.
Tutto ciò accadde non appena una punta di ostilità oscurò quei vivaci occhi verdi.

- Da quando ti preoccupi così tanto per Noemi? Pensavo non ti andasse molto a genio -

Il suo tono era freddo e spento, in esso non era riconoscibile nulla della solita voce allegra e un po' acuta.

- Sono solo in pena per lei dopo quello che mi ha raccontato oggi... pensavo che anche tu avessi compreso la sua situazione -

- E ci pensi mai alla nostra situazione? Alla mia? -

- Ovvio che sì... penso costantemente a quello che abbiamo passato e... -

- È proprio questo il problema! Tu pensi sempre e solo a quello, è come se la nostra relazione, se così si può chiamare, sia basata soltanto su tutte le disgrazie che ci sono capitate! -

- R-Ro... ma che stai dicendo... -

- Pensaci bene: da quando ci conosciamo non siamo mai stati bene, mai! Quei pochi momenti felici in realtà erano solo una breve pausa dal terrore e dalla disperazione! Ed è ancora così... io non ce la faccio più... -

La sua voce si ruppe e i dai suoi occhi cominciarono a sgorgare numerose lacrime.
Strinsi il suo esile corpo in un abbraccio e appoggiai le labbra al suo orecchio bollente.
Nelle sue parole c'era dell'amaro, dell'inaccetabile.

- Non è affatto così... indipendentemente da qualsiasi cosa, io ti amo e ti amerò anche quando tutto questo sarà finito, quando saremo finalmente liberi. Il nostro legame non è fondato sulle cose che ci sono successe, perché l'abbiamo creato noi -

Sospirai con il viso premuto contro i suoi capelli impregnati del solito odore inebriante che non avevo mai sentito da nessun'altra parte e che mi era mancato tanto.

- Ho capito quanto fossi importante per me dalla prima volta che ti ho visto, quando mi hai guardato negli occhi in mondo scontroso perché ti infastidiva il fatto che ti stessi fissando... ma non riuscivo a non farlo, sei così bello... -

Io stesso arrossii per tutte quelle cose imbarazzanti che non avevo mai pensato di dire, eppure stavano uscendo dalle mie labbra in quel preciso istante.

- ... e nessuno è comparabile a te. Per quanto la storia di Noemi o di chiunque altro possa impietosirmi e chiamare in causa tutte le mie brutte esperienze passate, io sceglierò sempre la strada che mi porterà da te e vorrò sempre il tuo bene. Ma questo lo sai già, non è vero? -

Portai una mano dietro la sua testa e gli accarezzai impercettibilmente la nuca con le dita gelide. Lo sentii rabbrividire.

- Sei semplicemente turbato per questo fatto... -

Lanciai un'occhiata insicura all'automobile parcheggiata dinanzi a noi e respirai contro i morbidi capelli dell'altro.

- Per quanto questa faccenda possa farti male, ricorda che ne fa anche a me e che ti capisco in tutto e per tutto. Quindi... sosteniamoci a vicenda -

Il ragazzo tirò su con il naso e si lasciò sfuggire un gemito, poi tentò di parlare fra i singhiozzi.

- Se mi ami così tanto come dici... perché hai accettato di stare lontano da me per tutti questi giorni? So che ci avevano vietato di sentirci e vederci, ma io volevo comunque... -

Si distaccò da me e si passò una manica del giubbino sul volto coperto dai lunghi capelli castani.

- L'unica cosa che mi fa stare bene e non mi fa sentire solo sei tu... perché non mi hai aiutato? Perché mi hai fatto soffrire da solo?! -

Un senso di vuoto si impadronì totalmente del mio stomaco, ne conseguì una forte nausea.

- R-Ro... io non immaginavo che tu... -

- Sei stato male anche tu, allora perché non hai cercato di rimediare?! Sai benissimo che mi tenevano sotto controllo e non mi facevano uscire di casa, mi sarebbe bastato anche solo affacciarmi al balcone e trovarti lì sotto... -

Provai ad allungare una mano verso il suo volto, ma lui la allontanò bruscamente.

- Non hai idea di quante volte l'abbia fatto nella speranza di vederti, ma non c'eri mai! -

Senza che me ne accorgessi, le lacrime cominciarono a scivolare anche sul mio viso contratto per il malessere.

- Scusami, scusami tanto... non sai quante volte abbia pensato di farlo, ma tenevano sotto controllo anche me. Soprattutto il padre di Matteo... pensa che ha fatto bloccare perfino gli infissi dei balconi. Ormai in quella casa mi trattano come se avessi gravi problemi mentali... e forse fanno bene -

Riuscii a strappare un sorriso a Riccardo e d'un tratto fu come se il mio cuore avesse ripreso a battere. Ma l'improvviso scatto di una serratura destò entrambi. Voltammo il capo all'unisono, con un'espressione sconvolta. Fissammo la maniglia abbassarsi lentamente, poi la porta si spalancò e una figura china e grondante d'acqua apparve dinanzi all'uscio.
La stanza si riempì delle nostre urla di terrore.

 

Note dell'autore:

Scusate per l'enorme ritardo! (Come al solito)

Mi farò perdonare >_<

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** 31. ***


Lun, 20 novembre, sera

- Cosa diavolo avete da urlare voi due? -

Riccardo balzò in avanti e salì le scalette di corsa; si posizionò davanti alla figura ricurva della nonna, intenta a ispezionare la zona.

- N-n-niente... abbiamo fatto quello che ci avevi chiesto. Andiamo su! -

Prese l'anziana signora sottobraccio e la condusse lontano dalla mia vista, poi indietreggiò e mi fece segno di sbrigarmi. Feci scattare verso l'alto quello che sembrava l'interruttore che stavamo cercando e mi avviai in fretta verso l'altro, intenzionato a sparire da quel luogo il prima possibile.

- Allora, cosa volete per cena? -

Storsi le labbra alla vista di una cesta piena di broccoli poggiata sul ripiano di marmo della cucina.

- Io... uhm... dovrei tornare a casa -

Lanciai un'occhiata d'intesa a Riccardo, dopodiché ci incamminammo su per la scalinata che portava al piano superiore; mi chiusi alle spalle la porta della sua camera e mi ci appoggiai contro.

- Perché diamine non hai fatto vedere la macchina a tua nonna?! -

- Shh, abbassa la voce! -

- Anche tu stai urlando! -

L'altro si lasciò cadere sul letto a pancia in su e liberò un lungo sospiro.

- Le sarebbe venuto un infarto, anche lei non ne può più di questa storia -

- Sì, ma prima o poi si verrà a sapere e sarà ancora peggio quando sapranno che abbiamo tenuto questa cosa nascosta... -

- Perché arrivi sempre alle conclusioni più drastiche? -

- Perché è così che funzionano le nostre vite... -

- Hai ragione -

Mi sedetti accanto a lui.

- Quindi cosa hai intenzione di fare? -

- Contattiamo la polizia o chiunque si stia occupando di questo caso, però non voglio che nonna lo sappia, mi odia già abbastanza -

Corrugai la fronte e mi stesi anche io, congiungendo le mani sul ventre.

- Perché dovrebbe odiarti? Insomma, tu non hai fatto niente, anzi... non mi sembra che ti odi così tanto -

- Be'... penso che semplicemente non ne possa più di tutto questo...-

Le sue parole divennero a un tratto trasparenti e in primo piano subentrò una domanda tanto sciocca quanto assillante.

- Ro, tu non hai mai picchiato tua madre, vero? -

- Così pensavo -

- Ma sei stato assolto, vuol dire che non hai nessuna colpa, nessuna... -

Di tutta risposta il ragazzo mi diede le spalle e tirò su con il naso.

- Hey... non intendevo farti stare di nuovo male... -

Mi rispose la sua voce incrinata da qualcosa di più forte della tristezza.

- Sai... a volte penso di non essere puro, e non è per le cose che sono successe... -

Il mio cuore perse un battito e mi ritornò alla mente l'immagine di quella figura ripiegata sul corpo addormentato di Riccardo.

"Lui non sa"

- In che senso? -

Si voltò di nuovo verso di me e mi puntò in viso uno sguardo perso.

- Non lo so, è come se fossero successe molte cose che non ricordo. Cose importanti... -

Le immagini erano ancora vivide nella mia mente.

- Ro, davvero non capisco... spiegati meglio -

- Mi sento sporco... non so come fartelo capire. Ti sei mai svegliato la mattina con la strana sensazione di essere stato toccato? -

Mi ricordai della scomoda esperienza avuta con Matteo poco tempo prima.

- Toccato in che senso? -

Il ragazzino si mise a sedere e tirò su con le spalle con fare ingenuo.

- Capiscimi... -

Un allarme scattò nella mia testa e balzai in piedi quasi urlando.

- Togliti la maglia! -

Riccardo si tirò indietro con un'espressione sorpresa e contrariata.

- Eh?! Ma che stai dicendo? -

Ridussi la distanza che ci separava e cercai di invitarlo a seguire il mio consiglio.

Lui chinò il capo dubbioso e si portò le mani al bordo della maglietta; si spogliò e rimase in attesa, diritto di fronte al mio corpo scosso. Sussultai.

- Non c'è più niente... -

Allungai le dita tremanti su di lui e le feci scorrere sul suo addome che si alzava e abbassava velocemente. Faticavo a credere ai miei occhi: ogni traccia di violenza subita non era più presente sulla sua pelle ora liscia.

- Oh, dovevano guarire prima o poi... -

- Già... e dopo la morte di tua madre, non hai notato altri lividi? -

Mi guardò interdetto e aggrottò la fronte. Poi parlò in modo insicuro.

- No... non mi sembra. Chi avrebbe dovuto farmi male? -

Mi morsi un labbro ed esitai per qualche secondo.

- Non so. Per esempio lo stalker? Non hai mai pensato che abbia potuto fare male a entrambi mentre eravamo incoscienti? Come quella volta della finestra rotta... -

- Mi sarei ricordato una cosa tanto grave... -

- E allora perché non ricordi di tutte le volte che tua madre ti ha picchiato e... -

Riccardo mi mise le mani al petto a intimarmi di fare silenzio, ma gli mancarono le forze e fu costretto a sedersi nuovamente. Ne approfittai per continuare.

- Ripensa a tutti i ricordi sfocati e ai vuoti di memoria... non sai cosa è successo in quei momenti-

- E tu invece lo sai? -

Mi osservai le mani sudate in cerca di una risposta che non arrivò.

- Allora? -

- Ricordi quando sono precipitato dal balcone della tua camera? Non sono sicuro di quello che sto per dirti, sai che ho sbattuto la testa a terra, ma quelle immagini non vogliono andarsene dalla mia mente -

L'altro mi incalzò con tono impaziente.

- Parla -

- Ecco... non è semplice. Quella sera credo di aver visto qualcuno... la stessa persona che mi ha spinto giù -

- Aspetta... mi avevi raccontato di essere scivolato. Cos'è questa storia? -

- I-io ho detto di aver sbattuto la testa, non ricordo bene... -

- Oh, invece mi sembra che tu ricordi fin troppo bene, ma chissà per quale motivo non vuoi parlarmene -

Si avvicinò inaspettatamente e mi prese il viso fra le mani; la sua espressione si addolcì.

- Poco prima ci siamo promessi di sostenerci a vicenda in qualunque situazione, sai che puoi dirmi tutto -

- Ro... quell'uomo... io credo che ti abbia stuprato -

Bastò meno di un istante prima che i suoi occhi si rabbuiassero.

- C-cosa... n-non capisco... -

Avrei dovuto quantomeno prepararmi un discorso o qualcosa di opportuno da dire in base alla sua reazione e, invece, come lui, non riuscivo a spiccicare parola. Tentai invano di sfiorargli un braccio, perché lui si spostò immediatamente, rivolgendomi uno sguardo spaventato e ostile.

- È... è una cosa che hai pensato t-tu, oppure... -

Mi morsi un labbro, indeciso se continuare a parlare o no, ma ci ero dentro fino al collo esattamente come lui. Doveva sapere la verità nonostante l'enorme dolore che gli avrebbe procurato.

- È quello che ho visto -

- E tu... t-tu sei abbastanza sicuro di quello che hai visto? -

- Sì, e questo spiegherebbe molte cose... -

Il ragazzo scattò in avanti e mi afferrò per lo scollo della felpa.

- Spiegherebbe cosa, esattamente? -

- B-be'... tutti i lividi che... -

- Intendi questi?! -

Si portò le mani alla cintura di cuoio e lasciò cadere i jeans sul pavimento. L'imbarazzo del momento ebbe il sopravvento e mi voltai, ma l'altro mi richiamò con insistenza.

- Guarda, ho detto! -

Mi girai titubante e passarono dei secondi interminabili prima che riuscissi a posare gli occhi sulle sue gambe esili. La pelle olivastra era ricoperta di lividi e segni rossi, come se qualcuno lo avesse afferrato con forza.

- Quelli... da quanto...? -

- Non lo so, li ho visti stamattina -

Deglutii rumorosamente e mi sedetti sul letto, che cigolò impercettibilmente sotto il mio peso. Scossi la testa e puntai gli occhi a terra, laddove non potevo assistere a quello spettacolo doloroso.

- Come... com'è possibile... allora coma fai a dire che non ho ragione? -

- Ale! Me ne sarei accorto... -

- E come te lo spieghi?! -

Riccardo si chinò a raccogliere gli indumenti e si rivestì lentamente, seppur tremando dal freddo, forse per prendere tempo prima di rispondermi.

- Penso di averlo fatto io -

- Tu? E come? -

Mi scappò una risata amara.

- Il compagno di... mio padre... diceva che spesso mi agitavo nel sonno, forse per il troppo stress...-

- Ti stai arrampicando sugli specchi, ti sembra così assurdo quello che ho detto?! -

- S-sì... non è possibile -

- E io ti dico che ho visto quella cosa con i miei occhi! -

- No! Non... non è possibile... -

Il suo volto si ricoprì di lacrime e presto la sua voce mutò in deboli singhiozzi.

- Non ci sono prove... e io... nessuno mi si è mai avvicinato più di te! -

Fui tentato di corrergli incontro e stringerlo nell'abbraccio migliore che potessi dargli, per poterlo confortare e dirgli che era tutto un brutto sogno; purtroppo perfino io faticavo ad avanzare in quella situazione.

- Ro, tu prima hai detto che ti senti sporco e che... -

- Lo so! Ma di certo non intendevo dire che mi hanno messo le mani addosso! -

- E allora cosa volevi dire?! È tutto così chiaro... -

- Non c'è niente di chiaro! Stiamo solo azzardando ipotesi, ma a malapena sappiamo dove cavolo ci troviamo! -

Riccardo stava disperatamente cercando di negare l'evidenza e anche io desideravo che fosse tutto falso, ma sapevamo entrambi che c'era un'ampia possibilità che tutte le ipotesi più spaventose fossero vere.

- Va bene, facciamo finta che io non abbia visto niente. Però devi darmi una spiegazione plausibile per quella roba che hai addosso -

L'altro storse il naso e si fece più indietro sul letto sfatto. Proprio come pensavo, non aveva alcuna idea di cosa rispondere.

- Quindi? -

- Quindi non so cosa diavolo stia succedendo, vorrei solo stare bene. Lasciamo tutto nelle mani degli investigatori e smettiamola di giocare a fare Sherlock Holmes e Watson -

- Sì, ma la macchina... -

- Sì, sì, d'accordo, domani li chiameremo -

Annuii rasserenato, ma il più piccolo non era per nulla deciso a darmi un attimo di tregua.

- Perché ti interessa così tanto di quella ragazza? -

- Te l'ho detto, mi dispiace per lei-

- Sì, ma dallo schifarla ad arrivare a dispiacerti per lei... -

- È normale, si trova in una brutta situazione -

- Anche io! -

Gli misi una mano sulla fronte e gli scompigliai i lunghi capelli che facevano fa frangia.

- Non ti preoccupare nano, le mie attenzioni sono tutte su di te -

Riccardo sorrise e poi, inaspettatamente, si stese al contrario e appoggiò il capo sulle mie ginocchia.

- Dimmi che sono il centro del tuo universo -

- Perché mai dovrei farlo? -

- È divertente sentirti dire cose imbarazzanti! -

Allungò un dito verso il mio petto e cominciò a disegnarvi dei cerchi immaginari.

- Se ti diverte così tanto... sei il centro del mio universo -

Mi rivolse un sorrisino compiaciuto, che mutò poco dopo in un'espressione concentrata.

- Anzi, no! Io sono il tuo universo-

- Ora non esageriamo, esistono anche altre cose oltre a te -

Lo scrutai con la coda dell'occhio e mi morsi il labbro inferiore per trattenere una risata.

- Tipo? Non fai niente oltre a dormire... -

Contò le parole sulle dita.

- Mangiare, lamentarti, dire che ti scocci di studiare, darmi fastidio... -

- Cosa? Ti do fastidio? -

- Sì, e anche tanto! -

Si girò di lato e si coprì il ventre con entrambe le braccia, prevedendo il mio assalto.

- Soprattutto quando mi fai ingelosire -

- Ah, allora lo ammetti! -

- S-sì... però non lo dire a nessuno-

Gli scoccai un bacio sulla fronte e gli feci cenno di tirarsi su.

- Sai che se fosse per me starei qui tutta la notte, ma purtroppo sono ospite e devo rispettare degli orari -

Feci una faccia annoiata e lo abbracciai un'ultima volta, prima di lasciare la stanza e scendere le scale di corsa.

Mar, 21 novembre, pomeriggio

Osservai Riccardo bussare alla porta torcendomi le mani. Quando un freddo "avanti" ci raggiunse, l'altro abbassò la maniglia con cautela e mi fece cenno di star calmo. Deglutii e lo seguii, non di certo più tranquillo ma, se possibile, ancora più nervoso. L'uomo che ci attendeva alla scrivania distolse lo sguardo dalle scartoffie che lo tenevano occupato e ci guardò dapprima spaesato, poi curioso.

- Buongiorno, accomodatevi -

Cercò di sembrare il meno sorpreso possibile, anche se sicuramente non si aspettava quella visita.

- Cosa vi porta qui spontaneamente? Pensavo non gradiste molto questo posto -

Fece un sorriso ironico e attese con le dita incrociate sotto il mento finché non ci fummo sistemati.
Riccardo, per mia salvezza, prese l'iniziativa.

- V-vorremmo denunciare una cosa... cioè... si denunciano solo le persone, o almeno credo... -

- Tranquillo, dimmi tutto -

Osservai l'altro fare un respiro profondo e strizzare gli occhi per concentrarsi. Lo capivo, neanche io sarei stato in grado di fare un discorso sensato di fronte all'uomo che conduceva le indagini legate al nostro caso. Chissà se c'erano altri sospettati, a noi purtroppo non era dato avere alcuna informazione.

- E-ecco... -

Non sapevo neanche perché, ma le parole uscirono da sole, sovrastando il tono pacato di Riccardo.

- C'è una macchina nel garage di Riccardo, sappiamo di chi è, ma non abbiamo idea di come sia arrivata lì... -

L'uomo inspirò rumorosamente dalle narici e aggrottò le sopracciglia.

- Aspetta, sei stato a casa di Riccardo? -

- S-sì... pensavo che... -

- Sì, sì, naturalmente vi è concesso vedervi, ma non dovete essere troppo precipitosi, c'è sempre bisogno di attenzione -

Chinai il capo e mi scusai, seguito a ruota dal più piccolo; poi l'uomo volle sapere tutte le informazioni in nostro possesso e ci liquidò, dichiarando che dopo tutte quelle notizie aveva ancora più lavoro da fare.
Ce ne andammo a bocca asciutta e rimpiansi di non aver avuto occasione di dare un'occhiata alle carte che l'investigatore teneva fra le mani.

Io e Riccardo passeggiammo a testa bassa per pochi metri, dinanzi alle espressioni curiose o fredde dei passanti, ormai a conoscenza di parte di quella brutta storia. Lo accompagnai fin davanti casa e rimanemmo a parlare di scuola per qualche minuto sull'uscio, giusto per far finta di avere qualcosa di interessante di cui discutere; poi, non appena scattarono le venti, ci separammo a malincuore, promettendo di vederci l'indomani a scuola.

Mar, 21 novembre, sera

Mi infilai le mani in tasca e avanzai a passi lenti, nonostante dovessi essere a casa entro le venti e trenta. Scorsi in lontananza una figura che passeggiava sul mio stesso marciapiede, ma nel verso opposto; più mi avvicinavo, più potevo distinguerne meglio i lineamenti: era un ragazzo e indossava gli auricolari. Camminava velocemente con le mani nelle ampie tasche dei pantaloni e la sua testa era ricoperta da un cappuccio; non si era ancora accorto di me, difatti mi diede una spallata e subito dopo si fermò per scusarsi.

- Scusami, non ti avevo vist- ah! Alessio, ma sei tu -

- Eh? Oh... ciao Matteo, che ci fai in giro a quest'ora? -

- Uhm... nulla, un giro -

Lo scrutai attentamente, non mi convinceva affatto, ma d'altronde che mi importava di lui? Non lo avevo ancora perdonato del tutto.

- Be', okay. Ci vediamo dopo -

Il ragazzo esitò per qualche istante, poi mi tirò per un gomito.

- Aspetta, mamma e papà sono usciti e tu non hai mangiato, giusto? -

- Già, ma non fa niente. Troverò qualcosa in frigo o posso sempre ordinare una pizza -

- Con quali chiavi? E con quali soldi? -

- Saresti così gentile da... -

- O potrei prepararti qualcosa io -

- Mh... solo se mi dici che stai combinando -

"Diamine! Non deve importarmi !"

- Non sono cose che ti riguardano, e in ogni caso non ho niente da fare... -

Mi prese a braccetto e mi forzò a tenere il suo passo veloce verso casa.

- Hey, ho detto di no! -

Mi divincolai dalla sua stretta e rimasi immobile sotto il suo sguardo scocciato.

- Hai paura di stare da solo con me? -

- N-no, non è questo... -

- Sicuro? -

- S-sì... -

Feci un passo indietro e mi ritrovai con le spalle contro una fredda ringhiera di ferro.

- Quindi non hai paura se faccio questo...? -

Mi circondò un fianco con un braccio e con la mano libera si appoggiò alla ringhiera.
Avvicinò il suo viso al mio e la testa mi girò vorticosamente. Di nuovo le orribili immagini di Riccardo e quell'uomo mi ritornarono alla mente.

- F-fermo! -

Senza pensarci due volte mi protesi in avanti anche io e gli morsi un labbro con forza, fino a farlo sanguinare.

- Ma che cazzo fai?! -

Approfittai della sua confusione per liberarmi di lui e cominciare a correre. La sua voce mi giunse come un eco.

- Guarda che stavo scherzando! -

Non mi importava.

Mi arrestai dinanzi alla porta di casa, piegato in due per il fiatone, con lo stomaco sottosopra e il cuore che pulsava velocemente. Non avevo mai corso così in vita mia.
Ma non ebbi neanche il tempo di riprendermi, perché una voce parlò alle mie spalle.

- Alessio, ti stavo aspettando -

Sobbalzai e mi lasciai sfuggire un singhiozzo di sorpresa, ma tirai un sospiro di sollievo quando constatai che avevo davanti il poliziotto che più volte mi aveva interrogato.

- C-cosa ci fa lei qui? -


Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** 32. ***


Mar, 21 novembre, sera

- C-cosa ci fa lei qui? -

- Dammi del tu, per favore. Vorrei parlarti, ma prima... mi sembri sconvolto, cos'è successo?-

Tentai di darmi una sistemata e assumere un'espressione normale.

- Nulla, ho discusso con un amico. Una cosa da niente -

- D'accordo, allora... possiamo metterci comodi da qualche parte? -

- Be'... io, ecco... -

Mi frugai automaticamente in tasca.

- Non ho le chiavi -

- Oh! Ma fa freddo qui... che ne dici di andare in macchina? -

- V-va bene... -

Lo seguii diligentemente e lo osservai mentre attivava l'aria condizionata.

- Di cosa dobbiamo parlare? -

- Ho saputo delle informazioni che avete dato tu e Riccardo all'investigatore oggi -

- R-riguardo a quella macchina? -

- Sì, esattamente. Mi sono permesso di comunicarti alcune cose che ho pensato. Ovviamente nulla di certo... -

Nonostante nulla fosse ancora sicuro, non stavo nella pelle all'idea di poter ottenere informazione direttamente da parte di qualcuno facente parte del corpo investigativo.

- Ne ho parlato anche con il capo e sembrava abbastanza convinto, quindi ha preso in considerazione le mie analisi. Non posso dirti le cose in modo dettagliato, anche perché non c'è un filo conduttore che si ricolleghi a tutti gli avvenimenti... -

Tutte quelle prefazioni mi entravano da un orecchio e uscivano dall'altro: non vedevo l'ora che arrivasse subito al punto, anche se ero terrorizzato da ciò che avrebbe potuto svelarmi.

- Per farla breve, pensiamo che il padre di Noemi c'entri in negativo con tutta questa storia -

Rimasi interdetto.

- I-il padre di Noemi? Ma lui... io non lo conosco neanche e... e sono sicuro che sia una bravissima persona, proprio come sua figlia -

- Ci sono tante persone che hanno un vero e proprio talento naturale nell'ingannare gli altri... -

- Stai... stai insinuando che Noemi abbia potuto prendermi in giro? Non mi ha mai fatto niente! -

- Ma cerca di avvicinarsi a te il più possibile, o sbaglio? -

Deglutii.

- E tu come lo sai? -

L'uomo chiuse gli occhi per qualche attimo e inspirò rumorosamente.

- Controllarti è il mio incarico principale -

- C-controllarmi... o seguirmi? -

Appoggiai una mano sulla maniglia dello sportello, ma l'uomo premette il tasto per bloccare tutte le uscite.

- Alessio, ascolta... -

- No! Tu... tu non sei un normale poliziotto... tu mi nascondi qualcosa! -

- Cosa stai dicendo? Se non ti avessi appoggiato, allora perché avrei dovuto dirti queste cose? -

- Per spingermi a fidarmi di te... -

L'altro scosse la testa e mi sfiorò un braccio, ma mi scostai all'istante.

- Calmati. Perché non provi ad ascoltarmi invece di reagire d'impulso? So che sei molto scosso per tutto quello che è successo... e anche per le cose che ti ho detto... -

- Sta' zitto! Non voglio ascoltarti! -
- So anche che ci tieni alla tua compagna di classe. Non è certo che lei e suo padre c'entrino qualcosa, non l'ho mai detto... -

- Ma ne sei convinto, e ne hai parlato anche con il tuo capo! -

Scossi la testa e tentai nuovamente di aprire lo sportello, invano.

- Soltanto perché per il momento questa è la pista più sensata da seguire! -

- Quindi... questo vuol dire che prima che io e Riccardo vi comunicassimo quelle cose... -

- Esatto, eravamo in alto mare -

- E appena vi abbiamo detto quelle cose, non avete potuto fare altro che inventarvi un colpevole, giusto? Avrei preferito essere incolpato io! Almeno faccio direttamente parte del casino che si è creato dal fottuto giorno in cui quel bastardo mi si è presentato davanti! -

Stavolta l'uomo non mi rispose, ma rimase in silenzio a meditare sulle mie parole.

- Sono sicuro al 100% che il padre di Noemi sia innocente. Perché invece non vi date da fare per trovarlo? Sua figlia sta malissimo... e poi, quale assassino lascerebbe la sua macchina nella casa in cui ha ucciso delle persone? Eh?! -

- Hai ragione, non avrebbe senso. Ma allora perché proprio la sua macchina? Questo ci dà conferma del fatto che sia coinvolto... e non a caso è scomparso dalla circolazione. Per quanto mi riguarda, potrebbe essersela data a gambe o potrebbe star escogitando un nuovo piano... -

- Infatti la cosa non ti riguarda! Lui è innocente, Noemi è innocente, Riccardo è innocente, io sono innocente... vorrei solo sapere chi... perché... -

- Sarà proprio questo tuo modo di pensare a farti soffrire sempre di più -

- Che vuoi dire? -

- Dubiti delle persone che ti sembrano più sospette, mentre dovresti prestare attenzione anche a coloro di cui ti fidi -

- Secondo il tuo ragionamento non dovrei fidarmi di nessuno. E poi... se una persona mi sembra sospetta ci deve essere un motivo, tipo te -

- Perché dovresti dubitare di me? -

- Perché stai cercando di farmi cambiare punto di vista in tutti i modi e hai cambiato argomento -

L'uomo incrinò il capo e mi guardò confuso.

- A cosa ti riferisci? -

- Vuoi farmi credere che il padre di Noemi sia il colpevole e non vuoi dirmi perché non stai in mezzo a una cazzo di strada a controllare il traffico invece di tenermi bloccato in questa macchina di merda! -

- Hai frainteso... devi calmarti... -

Il suo respiro si fece affannoso e i suoi occhi vagavano da un angolo all'altro dell'auto.

"Ha paura di me. Questa volta ho io il coltello dalla parte del manico, è divertente! Chissà come reagirebbe se..."

- Alessio... -

Non avevo idea di come apparissi ai suoi occhi, ma a giudicare dalla sua espressione, dovevo essere davvero spaventoso. Non mi importava.

In uno scatto guidato dall'irrazionalità mi avventai su di lui e afferrai la pistola agganciata alla sua cintura, gliela puntai contro e sorrisi.

- Ora capisci come mi sento ogni maledetto giorno? Non mi interessa sapere chi tu sia, a patto che muovi il culo e mi tiri fuori da questa situazione -

Spostai il dito sul grilletto e feci un po' di pressione.

- F-fermo... sono stato semplicemente ingaggiato dal capo perché mi hai rivelato delle c-cose importanti... -

- Vuoi dirmi solo questo? -

- S-sì... è tutto quello che ho da dire -

- E perché non l'hai detto prima? -

Mi piegai ancora di più sul suo corpo rannicchiato in quello spazio ristretto.

- Doveva essere un segreto... dovevo sembrarti un semplice poliziotto interessato a questo caso... -

Aggrottai le sopracciglia e lui alzò le mani all'istante in segno di difesa.

- S-solo un segreto professionale... tutto qui -

Deglutì e spostò lo sguardo altrove; continuava a respirare affannosamente e a gemere di tanto in tanto, con le tempie umide di sudore.

"Allora è così che sono io quando mi faccio sopraffare dal terrore... che spettacolo orribile, che schifo!"

Mi venne voglia di premere il grilletto per ammazzare quella perfetta versione di me, sperando di poter scomparire con essa, ma gli occhi lucidi e il corpo fragile di Riccardo mi riportarono alla realtà: mi avrebbe odiato se avessi fatto una cosa del genere.

Lasciai cadere la pistola sul sedile del passeggero e sbloccai gli sportelli, poi uscii di corsa con le guance ricoperte di lacrime fin troppo calde a dispetto dell'aria gelida che mi colpiva in viso come uno schiaffo.
La macchina che poco prima mi aveva ospitato, partì immediatamente, lasciandomi solo e immerso nell'oscurità di un vialetto che non mi apparteneva. Volevo tornare a casa, chiedevo forse troppo? Ma alla fine, cosa ci sarei tornato a fare? Per sentirmi ancora più solo?

Mi destai quando una luce mi colpì dritta in viso e un rombo di motore riecheggiò in lontananza: i genitori di Matteo erano tornati a casa e io non mi ero accorto di aver chiuso gli occhi ed essermi addormentato contro il portone di casa, seduto sulle scalette umide. Mi rialzai e mi diedi una sistemata, tentando di assumere l'aria di uno che era appena arrivato, ma la testa mi girava vorticosamente e rischiai di cadere un paio di volte.
Uno degli sportelli posteriori si aprì e ne uscì Matteo, che mi corse incontro e quasi mi saltò addosso.

- Da quanto tempo sei qui? Mi hai fatto preoccupare! -

Volevo rispondere in modo sarcastico, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. Dovevo sembrare abbastanza sorpreso, perché l'altro mi prese il viso fra le mani e mi chiese se andasse tutto bene. Mi scostai e mi piazzai davanti alla porta, aspettando che Rosanna mi raggiungesse con le chiavi in mano.

- Alessio! Non ti sei fatto vedere per tutta la giornata, che fine avevi fatto? -

Mi appoggiò una mano sulla nuca e mi accarezzò dolcemente, ma il suo calore non mi arrivò affatto.

- Abbiamo incontrato Matteo per strada e siamo andati a mangiare una pizza. Abbiamo provato a chiamarti, ma non rispondevi! -

Il suo tono preoccupato mi faceva sentire a disagio.

- E Matteo ha detto che neanche lui ti ha visto per tutto il giorno! Cosa combini? Ci fai preoccupare... -

Mi voltai verso Matteo e alzai le sopracciglia, come a fargli una domanda che non potevo pronunciare. Il ragazzo abbassò lo sguardo e si scusò sottovoce.

Quella sera mi rifiutai di cenare e mi gettai sul letto a pancia in giù, senza neanche svestirmi. Premetti la faccia sul cuscino e, per quanto tentassi di non ripensare a tutto ciò che era successo quel giorno, la mia mente ripercorreva ogni istante di quello che era accaduto in macchina e, maggiormente, agli avvenimenti successivi: ero troppo nervoso e angosciato, in che modo avrei potuto addormentarmi? Non ricordavo neanche di essermi seduto lì, né capivo perché la testa mi pulsasse così forte da sembrare in procinto di scoppiare. Fui assalito da una paura incontrastabile; mi alzai di scatto dal letto e spalancai un'anta dell'armadio per potermi specchiare. Mi tolsi la maglia e mi avvicinai il più possibile alla mia figura riflessa. Niente. Mi abbassai anche i pantaloni, ma non c'era alcun segno. Evidentemente ero molto stressato, perciò negli ultimi tempi ero piuttosto paranoico. Non feci in tempo a tirare un sospiro di sollievo ché la porta si aprì ed entrò Matteo con un piatto coperto da un tovagliolo.

- Hey! O-oh... scusami -

Diventò rosso in viso e per poco non fece precipitare il piatto a terra.

- Ti ho portato un po' di pasta e...-

Si guardò intorno, spaesato.

- Volevo chiederti scusa... per quello scherzo. Sono un cretino -

Non riuscivo a rivolgergli un tono arrabbiato o quantomeno scontroso, perché sarei risultato ancora più ridicolo di quanto non fossi già.

- Allora... te lo lascio qui -

Sgranò un po' gli occhi prima di chinarsi e appoggiare il piatto sulla scrivania.

- Non hai aperto la busta che ti ho dato? -

- No, e non mi interessa -

Mi sorpresi di quanto la mia voce suonasse fredda e scontrosa.

- Be', dovresti -

Fece per girare i tacchi e andarsene, ma si bloccò nuovamente. Sbuffai, prevedendo che avrebbe detto un'altra stupidaggine.

- Quelle mutande sono mie -

- Erano nel mio cassetto -

- Ridammele -

- Ma erano nel mio cassetto -

- Senti, domani ho il compito di matematica e quelle sono le mie mutande portafortuna -

- Non è colpa mia se tua madre le ha messe nel mio cassetto -

Strinse le palpebre e mi rivolse uno sguardo d'odio puro.

- Se non le togli, te le strappo di dosso -

- Dubito che poi potresti metterle-

- Muoviti! -

Fece un passo in avanti, io indietreggiai.

- Toglile! -

- Oh ma dai, le metteresti dopo che le ho usate io tutto il giorno?-

- Sono disposto a tutto per prendere almeno un cinque in matematica -

- Non ci pensare neanche, mi schifo io per te. Solo a pensarci mi vengono i brividi -

- Che t'importa? E poi, non ti lavi? -

- Certo che mi lavo, ma potrei avere qualche malattia -

Afferrai i pantaloni e mi coprii il bacino.

- Oh andiamo! Non dobbiamo mica fare sesso, muoviti a darmi quelle mutande! -

Sbuffai arreso, mi scoppiava la testa e non avevo proprio voglia di sentirlo nelle orecchie per chissà quanto tempo. Entrai nel piccolo bagno e mi cambiai velocemente, poi gli cedetti le sue tanto agognate mutande portafortuna.

- Almeno sciacquale -

Il ragazzo non mi rispose e si dileguò all'istante.
Mi balzò in mente l'espressione irritata di Riccardo mentre ammetteva di essere geloso e sorrisi, almeno c'era qualcuno a cui importava realmente di me. Pensai che gli avrebbe dato molto fastidio sapere che Matteo mi aveva visto nudo per l'ennesima volta, forse sarebbe stato meglio non dirglielo mai.

Ven, 24 novembre, mattina

Come ogni mattina, Riccardo mi attendeva sorridente al nostro banco, con un libro fra le mani e le penne sparse ovunque.

- Hey, Ale! Sei arrivato giusto in tempo... -

Per poco non mi sbattè il quaderno di chimica in faccia e si scusò di fretta.

- Ieri non ho fatto in tempo a fare i compiti, ma pensavo di poterli fare stamattina... invece non ho capito niente -

Mi sedetti accanto a lui e osservai la sua scrittura arricciata.

- Perché mi parli come se io avessi fatto i compiti? -

- Eddai... ma che hai fatto ieri? -

- Ti ti ho pensato -

Gli feci l'occhiolino, ma lui alzò gli occhi al cielo, sicuramente pensando a me che giocavo con la PlayStation di Matteo mentre lui era all'allenamento di calcio.

Prima che potessi tuffarmi nei meandri della chimica (di cui a malapena conoscevo la formula dell'acqua), il professore varcò la soglia e lanciò una fredda occhiata alla sedia vuota di Noemi. Abbassai il capo sotto lo sguardo indagatore di Riccardo e mi scandii la voce tossicchiando, poi la noiosa lezione cominciò.

- Hey, come va... con quella cosa?-

Mi arrestai su due piedi mentre l'ampio flusso di studenti si dimenava nel corridoio principale dopo il suono dell'ultima campanella.

- Intendi quello che è successo in macchina l'altra sera? -

- Già... stai bene? -

- Potrei stare meglio -

Tirai su con il naso e mi adeguai alle gomitate degli altri studenti che desideravano uscire al più presto.
Riccardo prese un bel respiro a testa alta, come a fare mente locale, poi mi afferrò una mano e cominciò a tirarmi e a urlare svariati "levati!" di qua e di là.

- R-Ro... dove cavolo vai? -

- Usciamo di qui, no?! -

"Be', sì... mi sembra ovvio"

Sbucammo nel cortile sotto gli occhi sorpresi e curiosi degli altri ragazzi; mi sentii rimpicciolire a tal punto che pensai di essere diventanto più basso di Riccardo. Tutti quegli sguardi puntati addosso mi mettevano a disagio e allo stesso tempo non potevo fare a meno di sorridere come un ebete davanti alla faccia falsamente fiera ma imbarazzata dell'altro.

- Ro... non credo sia il caso -

Mi grattai la nuca e continuai a lasciarmi trascinare per una mano da quel piccoletto determinato a fare chissà cosa.
Giungemmo in una stradina malandata e ci fermammo accanto a una staccionata traballante. L'altro si voltò di scatto e mi fissò impaziente.

- Be'? -

- Cosa...? -

- Ora non stai meglio? -

- Uhm... s-sì insomma, diciamo che mi hai messo un po' in imbarazzo -

- Allora starai meglio dopo questo... -

Si leccò le labbra con la punta della lingua e si alzò sulle punte. Indietreggiai per riflesso, con il viso sicuramente più rosso del cartello stradale che mi stava di fronte. Il ragazzo percepì il perché di quell'azione e, incredibilmente deciso, si protese nuovamente in avanti sorridendo con malizia; appoggiò le sue labbra umide sulle mie e non mi lasciò opzioni, se non quella di rispondere al suo bacio e sospirare come se quella fosse la prima volta. Ero impacciato, non sapevo neanche dove mettere le mani; se sui suoi fianchi, fra i suoi capelli, sul suo viso, ma una cosa era certa: non sui suoi glutei, ossia laddove i miei ormoni impazziti guidavano le mie braccia. Riccardo si allontanò di poco, lasciano un filo d'aria tra le nostre labbra schiuse; alzò le sopracciglia e mi scrutò divertito, poi mi baciò di nuovo e mi afferrò i polsi con decisione, conducendo le mie mani sul suo fondoschiena. Non mi aspettavo una mossa del genere.
Mi ricordai di quella volta in camera sua, quando chissà per quale assurdo motivo stavamo andando oltre; a quel pensiero mi feci rosso fino alle punte dei capelli, non riuscendo a capire dove avessi trovato il coraggio di fare quelle cose a quel tempo, quando invece in quel momento mi stavo comportando come se non avessi mai toccato un altro essere umano.

"Okay Alessio, devi stare calmo. Forse non hai mai toccato il sedere di un ragazzo, ma non dovrebbe essere molto diverso da quello di una ragazza"

Presi un respiro profondo e osai scendere un po' più giù con le dita che a malapena sfioravano il tessuto aderente dei suoi jeans.

"Aspetta... non ho mai toccato il sedere di una ragazza"

Stavo per andare di nuovo nel panico e a causa dell'ansia morsi un labbro al più piccolo che, fraintendendo, mi diede una spinta sul petto e sorrise, per poi far aderire il suo corpo al mio più di prima.

"Devo stare calmo. Non è difficile, è solo un sedere. Un sedere. U n sedere..."

Continuai a ripetere quelle parole, mentre l'altro, ignaro del gran casino che c'era nella mia testa, continuava a baciarmi con foga.

"Cazzo, cazzo! Così non va... devo concentrarmi di più.... di più..."

- A-Ale... -

"Oh, mamma... non così tanto"

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** 33. ***


Ven, 24 novembre, mattina

Strinsi gli occhi e rischiai di strozzarmi con la mia stessa saliva. Il ragazzo si allontanò da me bruscamente e puntò lo sguardo a terra, laddove sicuramente non poteva vedermi. Tirai il bordo della maglia finché potevo sul cavallo dei pantaloni e mi voltai imbarazzato come mai prima d'allora.

- Ehm... -

Riccardo mi appoggiò una mano sulla schiena con tenerezza e si alzò sulle punte, tentando di sbirciare oltre le mie spalle. Mi cercava con gli occhi, ma non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Sospirò rassegnato e mi cinse il bacino da dietro, muovendo una guancia contro il mio giubbino di piume.

- Va tutto bene... sei un ragazzo -

- Be'... dopo quello che è successo è evidente che sono un maschio -

- Scemo, non intendevo questo! -

Sorrisi con il capo basso e accarezzai le sue mani con le mie dita fredde.

- Scusa... -

- Non mi sono offeso... diciamo che potrei considerarlo un complimento, parlando molto, molto, molto generalmente -

Mi feci di nuovo tutto rosso e interruppi il contatto fra noi.

- Volevo solo dirti che non devi avere vergogna o paura di me, perché per me non c'è niente di male in tutto quello che fai e qualsiasi cosa accada... cercherò sempre di capirti -

Appoggiò di nuovo il capo sulle mie spalle e mi strinse più forte ma, notando che non avevo la minima intenzione di rispondergli a causa del troppo imbarazzo, pensò bene di farmi desiderare ancora di più di sprofondare sotto terra.
Si alzò nuovamente sulle punte e mi sfiorò un orecchio con le labbra.

- Guarda che sto parlando con te... mi dà fastidio quando le persone non rispondono -

Cominciai seriamente a pensare che quel ragazzo fosse bipolare o perlomeno provasse gusto nel farmi sospirare di sollievo, per poi distruggere ogni mia facoltà mentale. Non sapevo se odiarlo per questo.

"Forse piace anche a me"

Le sue mani appoggiate sul mio ventre si disgiunsero e una di esse, sorprendentemente calda, scivolò sulla mia pelle scoperta.

- Ro... che stai facendo? -

Cominciai a respirare più affannosamente e tentai di fare un passo in avanti, ma l'altro mi trattenne con forza.

- N-non mi sembra il caso... -

- A quanto pare non sono l'unico a non conoscere le buone maniere... -

"Cazzo, lo odio!"

Purtroppo il mio corpo non era della stessa idea del mio cervello.

"Ma come fa a piacermi questo nano malefico?!"

Con un movimento inaspettato, Riccardo tirò giù la zip dei miei jeans. Proprio in quel momento, prima di poter dire o fare qualcosa, il suono di un clacson ci fece sobbalzare entrambi; sulla strada presso la quale eravamo avvinghiati, una macchina sostava con il motore acceso. Non capimmo che attendeva noi fin quando uno dei finestrini anteriori si abbassò e ne spuntò il capo stempiato di Mr. Giraffa. L'uomo ci fece cenno con la testa di avvicinarci.

- Cosa state combinando in questa stradina sperduta? Abbiamo impiegato mezz'ora a trovarvi -

Si scoprì un polso e gettò una veloce occhiata all'orologio.

- Trentaquattro minuti, per la precisione -

Mr. Orso ci guardò con disappunto e annuì alle parole dell'altro.

- Fortuna che esiste il GPS -

Ricordai che erano dei professionisti, anche se i loro aspetti non lo confermavano affatto.

- Forza, salite in macchina -

Riccardo, che fino a poco prima non aveva fatto altro che stuzzicarmi e scherzare, rimase muto come un pesce per tutto il viaggio, guardando fisso fuori dal finestrino e chiedendosi sicuramente dove ci stessero portando; ma entrambi non osammo chiedere.
L'auto si fermò dinanzi allo stesso edificio che avevamo visitato pochi giorni prima per denunciare il fatto della macchina trovata misteriosamente in garage. Rabbrividii: avevo un bruttissimo presentimento.
I due uomini ci guidarono silenziosamente fino a un ascensore che salì per molti piani prima di arrestarsi con un assordante rumore metallico. Le lunghe vetrate del corridoio dell'ultimo piano erano coperte da spesse tende blu.
Mr. Orso bussò rozzamente a una porta chiusa e attese di sentire lo scatto di una chiave. I due agenti si fecero avanti, noi li seguimmo lenti e titubanti.

- Buongiorno, siete in ritardo -

Seduto dietro l'ampia scrivania, vi era lo stesso uomo che aveva ascoltato con disponibilità tutte le informazioni che io e Riccardo gli avevamo ceduto: il capo del gruppo investigativo; ma il suo sguardo era molto meno gentile e caloroso della volta precedente.
Non appena io e il più piccolo ci fummo accomodati, l'agente Alfieri - come citava la targa sul suo petto - fece cenno a Mr. Orso e Mr. Giraffa di lasciare la stanza. Rimanemmo di nuovo solo noi tre, immersi in un'atmosfera stranamente fredda.

- Non vorrei fare troppi giri di parole... -

L'uomo incrociò le dita e si inumidì le labbra con la lingua. Allungai una mano verso il braccio di Riccardo e gli strinsi il polso con forza; di rimando lui la afferrò e se la mise in grembo, intrecciandola con la sua.

- Abbiamo individuato e catturato il colpevole. Stando alle regole che mi sono state imposte, non dovrei comunicare il tutto direttamente a voi, ma qui non si tratta certo di automi, siamo umani anche noi e ritengo sia giusto che voi due lo sappiate prima di chiunque altro esterno al caso -

L'agente sembrava seriamente dispiaciuto per noi, ma ciò non bastò a rallentare il battito irrefrenabile del mio cuore, che mi martellava nel petto all'unisono con quello di Riccardo.
Non appena le labbra dell'agente si schiusero di nuovo, feci un respiro profondo; ma puntò entrambi gli occhi sull'altro, il quale divenne pallido e deglutì.

- È stato il compagno di tua madre, Roberto -

Per poco non caddi a peso morto dalla sedia, privo di sensi. Percepii una pungente sensazione di freddo, anche se ero più che certo di star sudando.

- M-ma... -

La voce di Riccardo si spense all'improvviso così come era venuta fuori.

- No, non è morto. C'è stato uno scambio di corpi, se così si può dire -

Sapevo di non essere in grado di sopportare ciò che mi era stato detto né tutto quello che avrei ascoltato successivamente, ma dovevo andare avanti e resistere. Mi feci più avanti sulla sedia e lanciai una veloce occhiata a Riccardo: era sconvolto, e più di quello non potevo descrivere come si sentisse, perché era per me inimmaginabile.

- L'incidente con la macchina ha coinvolto un'altra persona, mentre il pluriomicida è fuggito senza lasciare alcuna traccia, o almeno così credeva -

Non c'era bisogno di dirlo a voce: si trattava indubbiamente del padre di Noemi; difatti l'uomo non ne fece menzione.

- È da escludere che i due fossero complici. Con ogni probabilità ci sono state minacce o addirittura uso di stupefacenti, dal momento che la vittima e l'assassino non avevano alcun legame che andasse oltre quello nell'ambito lavorativo. Il colpevole ha confessato, ma riguardo a ciò non posso dirvi altro. La buona notizia è che la vostra innocenza è evidente e per il momento non riteniamo necessario che voi due partecipiate al processo -

Io stesso non comprendevo fino a che punto pendessi dalle labbra di quell'uomo: ogni cosa stava diventando magicamente più chiara ai miei occhi, ma allo stesso tempo avrei voluto porre mille domande.
Non capivo la situazione in cui mi trovavo, mi era impossibile analizzare così tante informazioni contemporaneamente e il mio cervello si rifiutava di ritornare alle orribili esperienze passate per esaminarle. L'unica cosa che contava in quel momento, erano le parole dell'uomo che si diffondevano nella stanza, per essere immediatamente assorbite dalla mia mente avida di ulteriori spiegazioni.

- Ora, se non ti dispiace... -

Il suo sguardo fu interamente su di me.

- Alessio, ti chiedo gentilmente di lasciare la stanza e attendere in corridoio. Vorrei parlare da solo con Riccardo -

Prima che potessi aprir bocca, il più piccolo mi precedette.

- Lui ha il diritto di sapere, di qualsiasi cosa si tratti... -

Poi si corresse, rendendosi conto di essere stato troppo informale.

- Sempre se è possibile... -

- D'accordo. Alessio, se vuoi puoi restare -

Mi sedetti di nuovi tirando un sospiro di sollievo: non avrei resistito un altro secondo a reggermi sulle gambe che sembravano due ramoscelli in procinto di spezzarsi.

- Cercate entrambi di mantenere la calma, si tratta di un tema alquanto delicato... -

- Lo so -

- Come, scusa? -

La voce acuta di Riccardo riecheggiò nella stanza e rimase sospesa sopra le nostre teste, in attesa che qualcuno ne cogliesse il senso.

- I- io so cosa sta per dirmi... lui mi picchiava e... e mi ha violentato -

Emise un gemito simile a un singhiozzo, ma non piangeva.

- Più volte... -

Il mio cuore parve essersi arrestato: la verità mi era stata sbattuta bruscamente in faccia, dopo che io avevo fatto lo stesso con lui. Capivo molto meglio come ci si sentiva.

"Ironico, eh?"

- È così, ma c'è dell'altro. Tua madre non ha mai alzato un dito su di te né tu su di lei -

- A-allora perché... -

- Droga, un tipo di droga molto forte che causa vuoti di memoria, uno stato simile all'inconscienza a distanza di pochi minuti dall'utilizzo e, se usata ripetutamente, uno stato d'ansia e disagio fisico continuo. In poche parole sei inconsapevolmente dipendente da questa sostanza -

- E... e che sostanza è? -

- È bene che tu non lo sappia, altrimenti la cercheresti, visto che è molto comune... soprattutto fra voi giovani disgraziati -

Il suo sguardo passò da me a lui più volte.

- Mi auguro che non facciate già uso di sostanze stupefacenti, per la vostra salute... -

Riccardo sembrava totalmente assente, focalizzato su altro.

- D-da quanto tempo... -

- Non saprei dirti con precisione, ma non dovrebbe essere molto. Un mese al massimo -

Parve un po' più sollevato.

- So che tutte queste notizie sono molto difficili da digerire e vi hanno sicuramente scombussolato, ma almeno adesso siete sicuri di due cose: siete innocenti e non più sotto minaccia. Soprattutto tu, Riccardo, anche se hai ancora un po' di strada da fare... -

- I-in che senso? -

- Ho contattato uno psicologo esperto in questo campo, al quale ho raccomandato anche te, Alessio. Mentre tu, Riccardo, in aggiunta dovresti unirti a un'associazione che ha come scopo la reintegrazione nella società e la disintossicazione dalla droga -

- Uhm... sì, d-devo parlarne con nonna, grazie... -

- Non preoccuparti, ci penserò io-

Il ragazzo ruotò gli occhi e li puntò sul pavimento; sembrava turbato da altri motivi esterni a quelli che mi erano già noti, ma mi imposi di non darvi troppo peso.

- Bene, questo è quanto -

L'uomo disgiunse le mani e ci fece cenno di alzarci.

- Alessio, ho già contattato il tuo tutore, Franco, ti sta aspettando giù. Si è proposto di accompagnare anche Riccardo -

Avevo già appoggiato le dita sulla maniglia della porta, quando la sua voce richiamò nuovamente l'attenzione di entrambi.

- Ovviamente ci sono molte altre cose di cui parlare, per esempio i motivi, che vorrete sicuramente conoscere, che hanno mosso il colpevole a fare ciò che ha fatto, ma provvederò a comunicarvi il tutto in seguito al processo che si terrà dopodomani. Nel frattempo vi prego di fare attenzione: non è da escludere quel 2% di probabilità che ci siano dei complici. E soprattutto... non fate parola con nessuno di queste informazioni, neanche con le persone di cui vi fidate di più -

Io e Riccardo annuimmo all'unisono, poi uscimmo dalla stanza con la testa pesante e il cuore che batteva all'impazzata, ma decisamente più leggero.
Nessuno dei due, però, era intenzionato a riprendere gli sconvolgenti temi di cui si era trattato poco prima.

Non appena mettemmo piede nel grande parcheggio, scortati da un agente di cui non riuscivo neanche a leggere il nome sulla targa - tanta era l'eccitazione - Franco mise in moto la macchina e suonò il clacson per segnalare la sua presenza.

- Andiamo... -

Afferrai un lembo del cappotto dell'altro e lo invitai a seguirmi, ma le sue gambe sembravano essere fatte di pastafrolla. Si fermò di punto in bianco e alzò il capo lentamente; i suoi occhi erano spenti e tristi, ma sul volto risaltava un abbozzo di sorriso falsamente incoraggiante.

- Penso che dovresti parlare con Matteo -

- Matteo? Cosa c'entra adesso... -

- D-dovreste fare pace... ecco. Solo questo -

Strabuzzai gli occhi e lasciai ricadere le braccia lungo il busto, in un gesto di estrema sorpresa.

- Solo questo? Dopo tutto quello che abbiamo saputo, l'unica cosa che riesci a fare è mettere in mezzo Matteo? Che diamine... -

L'altro abbassò lo sguardo e prese a tormentarsi le dita con le unghie.

- Scusami Ro, non volevo essere così diretto, ma capiscimi... -

- So che sei scosso, lo sono anche io... appunto per questo non voglio che tu rimanga da solo, hai bisogno di sostegno in un momento così... -

- Non mi serve la compassione di Matteo né quella di nessun altro, finché ci sei tu sto bene -

Non volli sentire ragioni. Troncai ogni suo tentativo di pronunciare parole inutili: non aveva bisogno di stressarsi ulteriormente per problemi che non lo riguardavano.
Lo presi per mano con decisione e lo condussi fino alla macchina.

Franco sapeva di non poter fare domande, quindi si limitò a un semplice "tutto bene?". Un sorriso involontario si fece spazio sul mio viso: quella frase suonò alle mie orecchie così maledettamente normale, finalmente un po' di normalità; e, dopo tanto tempo, Franco mi sembrò più un gentile padre che un freddo tutore. Forse, fino a quel momento, mi ero limitato a vederlo così come la mia stupida mente corrotta e impazzita voleva che lo vedessi.

Come di consuetudine, voltai il capo verso il finestrino puntellato di goccioline d'acqua che non mancavano di fare a gara su quale si dissolveva prima.
Mentre scrutavo gli alberi spogli e i quartieri deserti, un contatto inatteso mandò in cortocircuito il mio sistema nervoso che si era da pochi minuti ristabilito.
La mano di Riccardo era intrecciata alla mia, più forte che mai, e lui mi sorrideva felice, davvero felice.
Scossi la testa in modo interrogativo, ma lui mi rispose facendo spallucce e scuotendo a sua volta il capo; poi, notando che non demordevo, infilò la mano libera in una tasca dei pantaloni e ne tirò fuori il cellulare, con lo schermo ancora segnato da un profondo spacco.
Mi lasciò la mano e cominciò a digitare lentamente, assicurandosi di non commettere errori. Dopo una manciata di secondi, il mio telefono vibrò impercettibilmente, facendomi quasi sobbalzare per lo spavento.

Riccardo <3

Non preoccuparti per me, sto bene. Non voglio pensare a quello che è successo, altrimenti non potrei mai andare avanti. Sarà difficile, ma ho uno stupido spilungone a sorreggermi, ed è più forte di qualsiasi roccia, sai?
inviato alle 16:07

Sorrisi come un ebete e non persi un secondo a fiondarmi sulla tastiera del cellulare.

Non posso dire lo stesso. Mi vergogno di far sapere in giro che per me la persona più coraggiosa del mondo è un nanetto che crede ancora negli unicorni e ha manie di protagonismo.
inviato alle 16:08

Il mio cellulare vibrò una seconda volta sotto il sorrisetto divertito dell'altro, che mi fece perdere un battito.

R iccardo <3

Ora però devi farmi un favore, perché sono tanto triste! Dimmi la cosa che voglio sentirmi dire più di tutte le altre, e sarò il nano più felice del mondo
inviato alle 16:08

Avrei voluto urlargli in faccia quanto era maledettamente bello mentre rideva scrivendomi, e si portava le ciocche ribelli prima dietro un orecchio, poi dietro l'altro, sbuffando perché gli coprivano gli occhi.

Lessi le sue parole con la fronte corrugata e le palpebre ridotte a due fessure: non avevo idea di cosa volesse sentirsi dire e cominciai a farmi prendere dal panico; era come se quel messaggio fosse scritto in geroglifici. Mi feci mille domande, ma cestinai tutto. Non era il caso di ribadire un altro "andrà tutto bene" o "con il tempo passerà tutto", questo me l'aveva già detto lui stesso.
Ripescai il cellulare sballottolato di qua e di là sul sedile a causa delle curve stradali.

Perché non mi dai un indizio? Al momento il mio cervello è un po' fuori uso, sai com'è...
inviato alle 16:10


Riccardo <3

Il tuo cervello è sempre fuori uso! Se spremi le meningi un po' di più non ti scoppia la testa, sai?
inviato alle 16:10

Mi balzò in mente una pazza idea, prima ancora che il mio cervello si attivasse davvero e, una volta tanto, guidasse con un minimo di razionalità le mie azioni.
Afferrai la mano del più piccolo, senza chiedermi più di una volta se gli desse fastidio o no; scacciai le ansie e i brutti pensieri e chiusi gli occhi. Mi lasciai guidare dal mio stupido istinto inaffidabile, perché ogni cellula del mio corpo mi gridava di farlo. Erano due parole, due stupide parole, eppure speravo che lui ne avrebbe colto l'intero significato, tutto ciò che c'era dietro. Mossi le labbra così come i miei nervi impazziti mi avevano imposto di fare, in un sussurro che io stesso non sentii. Non sapevo neanche se lui avesse capito, se io l'avessi detto bene, visto che non l'avevo mai fatto e, soprattutto, se fosse la cosa giusta da fare.

Aprii prima una palpebra, cautamente, poi l'altra. Mi ritrovai i suoi occhi sbarrati e lucidi di fronte, a pochi centimetri dai miei.

Ce l'avevo fatta.

L'avevo reso il nanetto più felice del mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** 34. ***


Sab, 25 novembre, sera

Ancora non riuscivo a crederci. 
Il colpevole in quel momento era rinchiuso fra la sbarre di un lurido alloggio provvisorio, in attesa di essere processato. L'agente Alfieri era stato molto chiaro sul possibile esito del processo: il colpevole non aveva alcun modo di essere assolto, tutte le accuse erano contro di lui. 
Eppure non riuscivo a essere pienamente felice, soddisfatto. E avevo anche ragione: non capivo il nesso, il motivo, il perché.
Perché aveva ucciso i miei genitori? Perché aveva tormentato me? 
Le risposte sarebbero arrivate presto, anche se avevo già in mente una causa che mi spaventava non poco.

Quella sera Matteo mi aveva letteralmente trascinato fuori di casa con la forza, invitandomi a festeggiare e mostrare un sorriso una volta tanto. Ovviamente non poteva avere accesso alle informazioni che possedevamo io e Riccardo, ma sapeva che il colpevole era stato intercettato e sapeva anche che non stavo affatto bene. La mia non era felicità, ma semplice e puro stupore o incredulità. 
Anche Riccardo era distrutto, di gran lunga più di me: d'altronde si trattava del compagno di sua madre, che aveva prima odiato, poi perdonato, poi perduto e poi riscoperto vivo e colpevole di tutte le sue più grandi sofferenze. Dubitavo si sarebbe più riferito a quell'uomo con l'appellativo di "padre". 
Strinsi i pugni e deglutii; ancora non avevo digerito il tutto, mi ci sarebbe voluto sicuramente moltissimo tempo, forse un per sempre non sarebbe bastato.

- Hey, ti va un panino? -

Smise di camminare e dondolò sul posto, attendendo una mia risposta che sapeva essere spenta e vuota.

- Come vuoi -

In realtà avevo a malapena sentito la sua domanda e non avevo neppure fame. Insomma, chi diavolo avrebbe fame dopo una cosa del genere? Dopo aver corso all'impazzata per quasi tre mesi, avevo soltanto voglia di gettarmi sul letto e piangere tutte le lacrime che non avevo ancora versato, tutto ciò che mi era rimasto. 
In quel momento la mia mente era totalmente concentrata su Riccardo e mi chiedevo di continuo cosa stesse facendo, come si sentisse, se avesse bisogno di qualcuno. 

"Ovvio che ne ha bisogno, brutto idiota. Te l'ha detto l'altra volta, no?"

Ma non me la sentivo di andare a casa sua per verificare quanto fosse a terra il suo umore, quando poi non avevo neanche provato a chinarmi e raccogliere tutti i pezzi del mio animo infranto che avevo perduto strada facendo. 

- Allora, vuoi entrare o no? -

Annuii e seguii il ragazzo, che ormai aveva perso ogni speranza di strapparmi un sorriso e scuoteva la testa rassegnato. Lessi il menu da cima a fondo almeno tre volte, senza mai realmente capire cosa ci fosse scritto; eppure avrei dovuto saperlo a memoria, visto che ero andato in quel pub un centinaio di volte. 

La solita cameriera con la faccia smunta ci intimò di ordinare con il suo tono grave, che detestavo da sempre. M'importava così poco di lei, che avrei voluto urlarle in faccia tutto il mio dolore, tanto non avrebbe capito e, così come lei era insignificante per me, allo stesso modo le mie parole non l'avrebbero scalfita minimamente.

Ma mi limitai a scacciare il senso di nausea con un singhiozzo e sputai fuori il nome di un panino di cui non conoscevo neanche gli ingredienti. Dopo una buona mezz'ora il cibo mi fu posto davanti e cominciai a mangiare, desiderando a ogni morso che mi andasse qualcosa di traverso o di trovare un capello nel panino, così avrei avuto una buona scusa per lasciare finalmente quel posto. E in un certo senso il mio desiderio si avverò, ma con conseguenze ben più drastiche, perché cominciai a tossire talmente forte che non riuscii a stare seduto e dovetti piegarmi in avanti. Scorsi tutti i presenti voltarsi e guardarmi incuriositi, poi spaventati. Matteo urlava il mio nome; alzai il capo e lo vidi inginocchiarsi a terra accanto a me, mentre digitava freneticamente dei numeri sul suo cellulare. 

E poi ci vidi sempre meno, come se qualcuno stesse lentamente stendendo un velo sul mio viso; il mio corpo diveniva via via più leggero e il suolo venne a mancarmi sotto i piedi. Mi sembrava di precipitare in un tunnel profondo... molto profondo... così silenzioso e distante da tutto...

"Sono... sono morto?" 

- Sei un cretino! Oddio! UN CRETINO! -

Dalle mie labbra incollate fuoriuscì un verso simile a un lamento; la testa vorticava leggermente e sentivo tutto il peso del mio corpo, di cui non riuscivo a far muovere neanche una fibra. Mi sentivo legato
Ci riprovai: mossi una mano, ma subito mi sentii trafiggere il polso da mille aghi.

- Non muoverti... -

Una voce calma, che infondeva sicurezza, ripeté quelle parole più volte, finché non mi rassegnai alla mia inspiegabile condizione.

- Sta bene? Dio mio, pensavo fosse morto! -

- Mamma... non esagerare come al tuo solito... -

Finalmente aprii gli occhi, ma tutto ciò che riuscii a mettere a fuoco fu un soffitto bianco; voltai il capo e al mio fianco c'erano Matteo, Franco e Rosanna, che mi guardavano impietositi come si fa con gli animali privi di vita sul ciglio della strada.

"E che diamine! Non sono mica morto! Sono solo in un cavolo di ospedale e non so neanche io come ci sono finito..."

Ma Matteo giunse a prestarmi soccorso, ovviamente nel suo modo sempre poco adeguato alle situazioni.

- Sei un idiota! Se ordini una cosa da mangiare si dà il caso che tu sappia già cosa diavolo c'è dentro! -

- I-io non capisco... -

Con un grande sforzo riuscii a mettermi seduto sul materasso duro e il mio sguardo cadde inevitabilmente su due piccole siringhe che trapassavano la pelle del mio polso destro.

- Te lo dico io cos'è successo! -

Il ragazzo era a dir poco furioso, ormai sua madre aveva rinunciato a farlo smettere di sbraitare.

- Nel tuo panino c'erano i cetriolini. I CETRIOLINI! -

Sottolineò quella parola come se fosse il nome di una malattia mortale.

- Come fai a mangiare un panino con i cetriolini senza accorgerti che ci sono i fottuti CETRIOLINI?-

- S-smettila di dire "cetriolini"... -

- Per quanto mi riguarda in questo momento potrei benissimo ficcarteli in... -

- Matteo! Adesso stai superando il limite! Aspetta in corridoio... e se non riesci a calmarti, prendi un tè caldo -

Il ragazzo lasciò la stanza spoglia non dopo aver scimmiottato la madre.

- Caro... come ti senti? -

La donna mi accarezzò la testa con fare materno, non potei non risponderle.

- Un po' stanco... non vi preoccupate... -

Mi voltai anche verso Franco, che fino a quel momento non aveva proferito parola.

- Be', a quanto pare sei allergico ai cetriolini. Non lo sapevi? -

- S-sì... ma non mi ero accorto che... -

- Stai tranquillo. Avresti potuto reagire in modo peggiore... ci manca solo questo -

L'uomo si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore. Anche lui era stanco, e non poco.

- Amore... perché non mi lasci un attimo da solo con Alessio? Penso che dovresti aiutare nostro figlio a darsi una calmata lì fuori -

- S-sì... certo -

La donna lo guardò interdetta, ma preferì seguire il consiglio del marito e si dileguò in pochi istanti. 
Quando fummo soli, Franco aspettò qualche attimo prima di rilasciare un lungo sospiro e poi cominciare a parlare.

- Stamattina ho parlato con l'agente Alfieri, intendo di persona... -

Si fermò e sospirò di nuovo.

- Prima di me ha parlato con la nonna di Riccardo e credo che dovresti sapere che venerdì ci sarà il processo, ma tu ovviamente non parteciperai. Ora più che mai devi solo pensare a riprenderti... -

- Non penso che mi riprenderò -

Sputai fuori quelle parole prima ancora di poterne prendere coscienza. Ma era la verità, e ormai avevo appreso che era inutile tenerla celata.

- Ma c'è dell'altro. Molto altro in realtà... l'agente mi ha spiegato un po' le motivazioni... le cause che hanno spinto quell'uomo a fare quelle cose... -

Sorrisi. Neanche lui riteneva che il suo nome fosse degno di essere pronunciato, soprattutto dinanzi a me. 
Feci un piccolo cenno con il capo per invitarlo a continuare.

- Be'... penso ci sia arrivato anche tu. Era ossessionato da suo figlio a tal punto da voler uccidere chiunque si avvicinasse troppo a lui -

Abbassò lo sguardo, sembrava avere a malapena la forza di pensare a quelle cose, figuriamoci dirle.

- So cosa stai per chiedermi... perché non ha ucciso me? A dire la verità nessuno lo ha ben capito, quell'uomo ha detto poco e niente su questi fatti o semplicemente Alfieri ha preferito non scendere troppo nei dettagli... Comunque, l'ipotesi più probabile è che volesse farti soffrire in modo peggiore, facendo del male alle persone a te care, perché tu ti sei avvicinato più di tutti gli altri. Sarebbe stato troppo semplice farti uscire subito di scena. Oh... che brutta cosa da dire... perdonami -

Scossi la testa, come a dire "non importa, va' avanti". La verità era che in quel momento riuscivo a comunicare soltanto tramite degli insignificanti gesti e temevo che nessuno da lì a un paio di giorni sarebbe stato capace di cavare qualche parola dalla mia bocca. 
Lui annuì e per l'ennesima volta notai quanto gli pesasse affrontare quel discorso. Ero certo che desiderasse non essere lì a parlarmene e lo capivo. L'ultima cosa che volevo era contagiare altre persone più di quanto non avessi già fatto fino ad allora. 
La realtà dei fatti era dura da accettare, lo sapevo bene, ma pensavo questo già da tempo: sarebbe stato meglio se fossi morto prima; se quella mattina al bar, colui che per me rappresentava soltanto un ragazzaccio minaccioso, mi avesse piantato nella gola il coltellino che si portava dietro. E avrei lasciato tutto a un frivolo "chi vivrà vedrà".

- Bene... penso che basti così -

- N-non avevi detto che... -

Fui costretto a bloccarmi: la mia voce si trasformò in un rantolo ed era come se qualcuno mi stesse sfregando della carta vetrata sulla lingua e nella gola. 
Ma, testardo com'ero, preferii terminare la frase anche se tutto l'interno della mia bocca bruciava da morire.

- C'erano tante cose da dire... ? -

- Oh... sì, si. Hai ragione. Ma si tratta di piccoli dettagli sulle scelte del colpevole e non vorrei farti impressionare ancor di più. Soprattutto ora -

Aveva ragione. Non ne avevo bisogno e non avrei voluto saperlo neanche fra un migliaio di anni. 
Franco fece come per girare sui tacchi e lasciare finalmente la stanza, ma poi si fermò a metà strada e si voltò di nuovo.

- Sai, ho visto Riccardo lì. Penso proprio che dovresti aprire quella busta -

Stavo per chiedergli a quale busta si riferisse, ma poi ricordai di quel regalo che mi aveva dato Matteo per scusarsi. A quanto pare era una cosa importante: magari uno dei tanti pranzi di Rosanna che avevo rifiutato.

- Ah... cerca di riposare quanto più possibile adesso, domattina torneremo a casa -

- Non... non possiamo andarcene ora? -

- È tardi. Sono quasi le undici. Meglio se passi la notte qui, okay? -

Mi passò una mano fra i capelli e per un istante mi parve una copia al maschile di Rosanna; compresi che mi aveva preso a cuore tanto quanto sua moglie.

Dom, 26 novembre, mattina

La prima cosa che feci quando misi piede nella mia stanza, fu togliermi di dosso i vestiti che avevo tenuto per tutta la notte. La seconda fu afferrare il cellulare e controllare i messaggi.

Marco
Marco 
Marco

Che mi chiedeva venti volte se fossi davvero allergico ai cetrioli, ovviamente con battute squallide in omaggio.

Sì, ma soltanto a quelli sott'olio 😊 inviato alle 10:47

Mi dispiacque non vedere alcuna notifica da parte di Riccardo, ma non volevo insistere: aveva bisogno dei suoi spazi. 
Stavo per affondare la faccia nel cuscino e andare in apnea, per poi morire per mancanza di fiato. Ma non  era il caso. 
Alzai lo sguardo e lo puntai sulla quella piccola busta bianca malamente gettata sulla scrivania giorni prima. Mi decisi ad alzarmi e me la rigirai fra le mani, finché non compresi che l'unico modo per aprirla era strappare lo scotch e rovinare la carta. Feci spallucce e separai le due parti con uno scatto, quasi disintegrando la busta.

"Tanto è un regalo di Matteo. Che poi... che diamine c'entra Riccardo? Giuro che se quel cretino ha provato a mettergli in testa qualche stupida idea... "

Un piccolo biglietto di carta cadde a terra, mi chinai per raccoglierlo.

Aspettami
           - Ro

"A-aspettami... cosa... cosa diavolo vuol dire...?"

Le mani iniziarono a tremarmi e rischiai di sputare il cuore a terra per quanto palpitava forte. 
Mi lanciai letteralmente fuori dalla stanza e mi fiondai sull'uscio. 
Corsi
Corsi 
Corsi a perdifiato anche se non avevo forze e ossigeno nei polmoni. Anche se non capivo neanche perché stessi correndo. 
Corsi finché non giunsi davanti a quella villetta così bianca, così silenziosa, così vuota. 
Le persiane erano serrate come il cancelletto di ferro che permetteva l'accesso al vialetto. 
Somigliava a una di quelle solite case estive, vuote per quasi un anno intero. Sembrava che non ci avesse abitato mai nessuno, ma soltanto soggiornato per qualche giorno. 
Come se nessuno avesse lasciato niente di suo.

Scavalcai il cancelletto rischiando di strafacciarmi sul cemento per la troppa foga. Cominciai a bussare e a suonare il campanello contemporaneamente, ma sapevo già dall'inizio che nessuno sarebbe venuto ad aprirmi. Perché effettivamente non c'era nessuno.

"Me l'hanno portato via... me l'hanno portato via... no..."

Mi misi entrambe le mani davanti agli occhi e mi accasciai a terra, scosso da tremiti e singhiozzi. Dannatamente solo in un luogo fuori dal tempo, che io stesso riconoscevo a stento.

Me l'avevano portato via. Via da un passato macchiato di sangue e rimbombante di urla di sofferenza.

Dove io ero intrappolato. 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** 35. ***


E non pensare a me

Che penso a te

Che non ti vedo

Non ti sento

Ora che

Non ci sei

E non pensare a me

Che non ti penso

Che vado avanti

Che ti dimentico

Tu ci sei sempre

Stato

E sempre

Ci sarai

Vivi fra il mio sorriso

E le mie lacrime

Fra le notti insonni

E i sogni

Meravigliosi

Dove una montagna

È un sasso

E un fiore

Non ha odore

E non pensare a me

Che mi dispero

Io sto bene

Perché tu ci sei

Ma io vado

Avanti

E forse

Quello che è andato via

In realtà

Sono io

E tu sei sempre

Qui

Nelle mie mani

Nascosto fra le canzoni

Più dolci

Che da quando non

Ci sei

Suonano

Zitte

Con parole troppo

Vuote

Che non ti rispecchiano

Di certo

Perché solo io so

Per certo

Come sei

E forse

Fra tutte le cose che

Ti ho detto

Mi sono dimenticato di

Urlare

Aspettami

( anche tu )

 

 

Note dell'autore:

Ed ecco l'ultimo capitolo di questa storia che (ahimé) ho iniziato circa due anni fa; diciamo che il rapporto fra me e lei è stato un continuo tira e molla. Mi dispiace essere stata assente per lungo tempo, difatti in questo modo ho perso molti lettori. Ciò non toglie che io ami questo racconto nonostante tutte le sue incongruenze, e i miei personaggi che mi ha fatto tanto piacere presentarvi. Indipendentemente da questo, grazie a chiunque abbia deciso di leggere la mia storia o anche solo darvi una sbirciatina. GRAZIE! <3  

P.s. State tranquilli, Alessio e Riccardo si incontreranno di sicuro.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3495367