The Diary of Jonathan

di NeroNoctis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Visite indesiderate ***
Capitolo 3: *** Gran Maestro ***
Capitolo 4: *** Ci sto ***
Capitolo 5: *** In volo verso Newport ***
Capitolo 6: *** Il Cacciatore della Notte ***
Capitolo 7: *** L'indizio di Jonathan ***
Capitolo 8: *** Kaelim ***
Capitolo 9: *** Cambiamenti e segreti ***
Capitolo 10: *** Natura morta ***
Capitolo 11: *** Verità ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Esseri dai corpi completamente scuri e lividi si arrampicavano lentamente sulle mura di quella magione così sinistra. Osservavano tutto con i loro occhi scavati e vuoti, mentre della leggera bava nera colava dalle loro bocche che parevano senza fondo.

I Nomikos, questo il loro nome, erano creature oscure che portavano solo morte e distruzione. Uno di loro guardava attraverso una finestra, mentre un altro si avvicinò a lui.

«Il Necronomicon non è qui» disse un Nomikos con voce vuota e demoniaca all'altro, che annuì con decisione. 

«Dunque è lui il Salvatore» chiese l'altro, indicando con l'indice lungo e avvizzito un uomo dentro quella magione, ricevendo una risposta affermativa dalla creatura demoniaca al suo fianco.

«Dobbiamo andare, la Madre non può attendere» dissero all'unisono, per poi svanire in una coltre di fumo nero.

Intanto, dentro la magione, l'odore e il calore del sangue stava riempiendo tutti i sensi di quell'uomo, Julian, che giaceva in ginocchio fissando un corpo privo di vita tra le sue braccia.

Tutto intorno a lui era freddo, marcio e silenzioso. Le assi di legno sembravano osservare quella scena drammatica con un ghigno malefico, come se quella casa fosse abitata da una presenza oscura estranea persino ai Nomikos.

L'uomo riportava diverse ferite su tutto il corpo, la sua maglia bianca era ricoperta da chiazze rosse e strappi, mentre le sue nocche erano rovinate e incrostate dal suo stesso sangue.

Il suono di passi attirò l'attenzione di Julian, che comunque non aveva la forza di voltarsi né aveva la voglia di farlo. Chiunque stesse per arrivare, doveva fare solo la cosa migliore per lui: porre fine alla sua esistenza.

«Julian» disse quella presenza dietro, con tono apprensivo e familiare «che cosa hai fatto?»

Julian non rispose, continuando ad osservare quel corpo che stringeva a sé, un corpo di una bambina. Un corpo a cui aveva tolto la vita proprio con le sue mani.


 
 

Tutto iniziò alcuni mesi prima...

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Capitolo 2
*** Visite indesiderate ***


Il gusto deciso del whiskey era l'unica cosa che riusciva a dare sollievo a Julian, seduto in uno sgabello al bancone del pub. Tutto intorno a lui aveva vita propria: la gente che parlava allegramente ai tavoli dietro, passando da discorsi sul lavoro e sulla crisi a discorsi più spensierati come il modo per abbordare una ragazza o un ragazzo. 

"Tutto così normale" pensò l'uomo che muoveva ritmicamente il bicchiere di vetro per far oscillare il liquido ramato dentro di esso. Ultimamente stare seduto in quel luogo era l'unica via di fuga dai suoi innumerevoli demoni... innumerevoli, certo. Erano soltanto due, tra cui uno avvenuto solo e soltanto per colpa sua.

Sapeva benissimo che la vita di un Cacciatore di Streghe era tutt'altro che facile, ma quando veniva addestrato dal padre Jonathan non pensava affatto che avrebbe affrontato tutto questo... la morte di sua moglie e sua figlia per mano di una Banshee e causare il coma di quello che era il suo partner: Paul.

Ripensò a quel momento, odiandosi. La battaglia, le magie delle Streghe, gli incantesimi manipolatori e poi... la sua spada che attraversava il corpo di Paul e lo faceva cadere da una considerevole altezza. 

Non doveva partecipare a quella battaglia, non doveva... avrebbe dovuto lasciare tutto a Jane e William, coppia del passato dotata di incredibili poteri magici e arrivata a quei tempi tramite il cosiddetto Diario di Jane: grimorio nel quale era intrappolata l'anima della Strega e quella di William, creato dalla stessa Jane e dotato di volontà propria... ma era un'altra storia e lui non ne sapeva molto, l'unica cosa che sapeva era che per colpa di quel Diario la sua vita era peggiorata.

Bevve un'altro sorso, inebriandosi di quel gusto pungente ma irrinunciabile, mentre la confusione continuava ad aumentare, aiutata anche dal fatto che al The Stage -questo il nome del locale- vi era musica dal vivo. Ogni venerdì si esibivano un ragazzo ed una ragazza, che spaziavano dalla musica rock a quella metal, per passare anche al country e stranamente al più classico jazz e blues. Dei fenomeni, Julian doveva ammetterlo, anche se sapeva benissimo che quei due erano rispettivamente una Strega e uno Stregone.

Così giovani e già praticanti magici. Da un anno a quella parte il mondo aveva visto crescere in modo smisurato il numero di praticanti della magia, dovuto anche al fatto che fu lanciato un incantesimo capace di risvegliare il potere sopito e latente di ogni essere umano, rendendo di fatto la popolazione divisa in due: coloro che avevano sangue di Strega in corpo e, di conseguenza, capaci di usare la magia e chi era un normale essere umano. Questo comunque non permetteva ai primi di fare quello che volevano, l'Enclave aveva emanato delle leggi specifiche per l'uso della magia e se qualcuno trasgrediva, vi erano pene più o meno pesanti. In sintesi, la caccia alle Streghe era ricominciata in modo ufficiale, anche se non si era mai interrotta, ma questo era un segreto del Vaticano e dell'Enclave.

Julian si voltò lentamente verso sinistra, leccandosi una goccia di whisky che imperlava le sue labbra. Osservò il palco rialzato dove i due fratelli stavano eseguendo la loro versione di Nothing Else Matters, squadrandoli dalla testa ai piedi. Non era un tipo che aveva pregiudizi, ma non avrebbe mai permesso a sua figlia di andare in giro conciata in quel modo. La ragazza indossava lungi stivali di pelle nera e pantaloni attillati dello stesso materiale, mentre una canottiera grigio topo copriva il resto. Lui invece indossava lunghi jeans neri strappati e una classica camicia rossa  a scacchi neri, molto più sobrio della sorella, sicuramente.

I due sembrarono notare lo sguardo di Julian, tanto che si voltarono all'unisono l'un verso l'altra, se lui sapeva della loro natura, anche loro erano a conoscenza che lui era un Cacciatore di Streghe. 

«Forever trusting who we are» intonò Cameron, mentre sua sorella Lillian accompagnava il tutto con la chitarra «no, nothing else matters»
Vari applausi arrivarono dal locale, anche dal proprietario Stephen, che aveva mollato i bicchieri per dedicarsi a loro. 

«Adesso facciamo una pausa» esclamò Lillian, guardando il fratello che fece un cenno positivo. Entrambi si allontanarono dal palchetto, non prima di aver lanciato un'occhiata a Julian che sorrise in modo enigmatico, un misto di divertimento e... velata minaccia.

«Smettila» tuonò Stephen, che tornò ad asciugare i bicchieri ancora bagnati. Il contrasto tra la sua camicia bianca e la pelle nera risaltava i suoi lineamenti, che in quel momento erano tutt'altro che divertiti.

«Di far cosa?» rispose Julian, fissando il bicchiere ormai vuoto. Quanti ne aveva bevuti? Tre, quattro? Difficile dirlo.

«Devi smetterla di guardarli in quel modo, non hanno mai fatto niente di sbagliato»

«Forse un giorno lo faranno»

Stephen poggiò i bicchieri dietro il bancone, sbuffando, mentre Julian ordinava un altro giro, non venendo comunque ascoltato. Poco male, avrebbe riprovato dopo, se non fosse stato per quella persona che si era appena seduta al suo fianco.

«Julian Sullivan» iniziò l'uomo, in un tono quasi canzonatorio. Julian sapeva benissimo chi era e cosa faceva: l'aveva visto diverse volte alla sede dell'Enclave e poi la spilla che portava era molto esplicativa.

«Cosa vuoi, Thomas?» rispose, in modo seccato.

«Il Gran Maestro ha un incarico per te» si limitò a dire, aspettando una risposta di Julian che continuava a fissare davanti a lui, mentre una risata strozzata si fece strada in lui.

«Non sono più un Cacciatore e Knight lo sa bene. Rivolgiti a Marc Mott se vuoi un lavoro veloce e pulito»

«Marc Mott è impegnato in questioni diverse, per questo lavoro ci servi tu» 

Julian batteva le nocche sul tavolo, con fare nervoso. Avrebbe voluto mollargli un pugni dritto su quei bei dentini curati, ma non aveva voglia di risarcire i danni di quel sempliciotto. Perchè non si limitavano ad accettare la sua scelta? Ormai non cacciava più, la Banshee che aveva ucciso la sua famiglia era come svanita nel nulla e il suo essere Cacciatore aveva spedito in coma Paul, che senso aveva continuare?

«Jonathan avrebbe voluto che accettassi» lo incalzò l'uomo, vestito con quel completo elegante che stonava con l'ambiente così caloroso e fatto di tavoli e sedie di legno e diversi quadri che raffiguravano scene di cinema, concerti o teatro che donavano al locale un aspetto particolare.

L'uomo strinse i denti «non nominare mio padre»

«Va bene, scusami. Ma il Gran Maestro Knight vuole che tu accetti. Andiamo Sullivan, è un lavoro che solo tu puoi svolgere. Un gruppo di persone, si fanno chiamare Angoni, sta causando seri danni a noi dell'Enclave. Ha già ucciso diversi di noi e sospettiamo che nascondano un potere in grado di distruggere per sempre ogni cosa. Stanno intercettando tutti i Cacciatori e le persone a loro legate, devi agire prima che sia troppo tardi!»

Julian non rispose, si limitava a fissare le bottiglie di fronte a lui: whisky, rum, vodka, birra... Stephen che si era piazzato nel suo campo visivo.

Thomas sbuffò, alzandosi e voltandosi verso la porta «Domani sera tornerò, esigo una risposta»

L'uomo si allontanò, lasciando Julian da solo con i suoi pensieri, con il suo bicchiere vuoto e con Stephen che lo guardava preoccupato.


 
 

Un ragazzo dai lunghi capelli castani era disteso su un letto d'ospedale, coperto da una coperta azzura fino al torso. Il suo stato era monitorato da diverse macchine e, ad intervalli regolari, entravano un paio di medici ad accertarsi delle sue condizioni. La stanza era al buio, illuminata solo dai lampi che imperversavano insieme a quel violento temporale.

Nella stanza entrarono due uomini, che si posizionarono di fronte al ragazzo, scrutandolo come se fosse un oggetto antico esposto in un museo. Uno dei si guardò intorno, con fare cauto, mentre l'altro controllava il nome scritto sul letto, per accertarsi che si trattava del paziente giusto.

«E' lui?» chiese quello che controllava in giro.

«Si, è Paul Rivers»

«Ottimo. Portiamolo via, se qualcuno ci nota sai cosa fare»

L'uomo annuì, estraendo dalla giacca una pistola silenziata «Colpo dritto in testa. Nessun testimone»

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Capitolo 3
*** Gran Maestro ***



Julian chiuse la porta dietro di sè, sospirando. Era grato verso ogni forma divina di essere tornato a casa, sempre se casa si potesse definire. L'ambiente era completamente al buio, così l'uomo decise di premere l'interruttore vicino all'entrata. Una debole luce illuminò l'ambiente circostante: mura vecchie e sporche, alcuni mobili su cui erano raccolte diverse cianfrusaglie e un attaccapanni logoro su cui era poggiata una semplice camicia azzurra.

L'ex Cacciatore si sfilò il cappotto, poggiandolo sopra la camicia mentre lui si incamminava verso la camera da letto. Tutto era in disordine: coperte posizionate a caso e che toccavano il pavimento, diverse bottiglie che facevano capolino in ogni angolo e un armadio a muro con diversi vestiti sporchi che giacevano in un ammasso informe. 

Ennesimo sospiro che lasciò spazio ad una gita verso la porta del bagno. Julian si tolse la maglia bianca e si poggiò con le mani sul lavandino, fissando il suo riflesso allo specchio. Aveva l'aria stanca, mentre innumerevoli tagli e cuciture sfiguravano il suo torso e le sue spalle. Le dita delle mani erano sporche di sangue ormai asciutto e il suo alito puzzava di alcool.

Ripensò alla visita del membro dell'Enclave, trovandola decisamente fuori luogo. Era stato chiaro con il Gran Maestro Knight: lui non avrebbe più cacciato.

Senza sapere perchè, si ritrovo nuovamente in camera da letto, scostando i vestiti dall'armadio e recuperando un baule dalle dimensioni notevoli, che posizionò accuratamente sul letto. Lo fissò per qualche secondo, incurante del suo tremare per via del freddo che entrava dalla finestra semi aperta. Quella sensazione lo faceva sentire vivo, cosa che ormai gli procurava soltanto il dolore fisico.

Passò le dita sul baule, tastandone la consistenza ruvida dovuta al lavoro manuale. Le dita passarono in rassegna tutta la superficie, fin quando non si fermarono sulle iniziali scavate nel legno: JS. 

Le iniziali di Jonathan Sullivan, suo padre, che aveva costruito quel baule per il figlio. Le iniziali di Julian Sullivan, che ormai aveva riposto tutto in quel freddo baule e non aveva intenzione di riprendere a fare quello che gli riusciva meglio... o forse peggio.

Lo aprì, osservandone l'interno: una coppia di pistole con diverse munizioni, che spaziavano da quelle normali a quelle intrise di diverse sostanze utili a contrastare Streghe o Banshee. Due fiale piene di Sorbo degli Uccellatori, alcuni strumenti dell'Enclave in grado di captare l'energia magica ed infine la sua fidata spada, con cui aveva mietuto innumerevoli vittime.

Prese quest'ultima, passando le mani sulla lama e ripensando agli insegnamenti di Jonathan: il modo in cui impugnarla, gli affondi e gli altri stili di attacco. Pensò anche che aveva giurato di usarla per uccidere la Banshee che aveva sterminato la sua famiglia, ritrovandosi invece tra le mani l'arma con cui aveva colpito mortalmente Paul, che finì in coma. Vittima di quel pensiero, ripose la lama e chiuse velocemente il baule, tremando.

«Non è stata colpa tua, Julian»

L'uomo si voltò di scatto, osservando la figura di Stephen. Non seppe decifrare bene le sue emozioni: era sollevato o infastidito da quella visita? Avrebbe voluto dirgli così tante cose, ma non gli venivano le parole. Stephen era sempre stato molto legato a lui sin da quando i due si erano conosciuti, tanto che ormai il barman aveva anche le chiavi di quell'appartamento e conosceva tutta la sua storia.

«Si invece» rispose lui, allontanando il baule e sedendosi sul letto. Fissava le sue scarpe, mentre lo sguardo fisso di Stephen lo stava agitando. Odiava essere fissato quando si trovava in quelle condizioni, ma non era la prima volta che l'amico lo sorprendeva in quello stato.

«No. Sei stato manipolato da una Strega che ti ha spinto a farlo. Poi Paul non è morto, è solo in coma» non appena finì la frase, Stephen si morse la lingua. Non era il massimo dire "solo in coma". Non era una situazione facile da gestire, non c'era neanche certezza di risveglio da un coma... avrebbe voluto tanto trovare altre parole.

Vedendo la non risposta di Julian, aggiunse: «Hai fatto di nuovo a botte?»

Julian accennò un sorriso «Non trattarmi come un bambino, oppure inizio a pretendere che mi prepari la cena»

«E' già successo quattro volte questo mese, quindi non vedo perchè non dovrei trattarti come un bambino» ci fu una pausa, con entrambi che sorridevano in modo stanco «sei già andato da lui questa settimana?»

«No» fece Julian, scuotendo il capo «andrò domani. Ho capito che visitare Paul ogni giorno non giovava, cos' ho deciso di andare solo nel weekend.»

L'amico annuì, fin quando un bussare regolare e deciso non attirò l'attenzione dei due, che si guardarono entrambi con aria interrogativa in cerca di qualche spiegazione. Dai loro sguardi capirono che nessuno aveva invitato gente a casa. Senza scambiarsi una parola Julian indossò la prima maglietta che aveva a tiro e Stephen si diresse verso l'entrata, tornando pochi attimo dopo con un uomo vestito con un lungo cappotto grigio topo e un cappello abbinato. Julian lo riconobbe subito: il Gran Maestro dell'Enclave Aloysius Knight.
«Julian, dobbiamo parlare» tagliò corto Knight.

«Se riguarda la visita del tuo uomo, beh, sono stato fin troppo chiaro. Non ho intenzione di partecipare a nessuna missione»

Knight si tolse il cappello, si voltò verso Stephen per poi tornare a guardare l'ex Cacciatore. «Lui resta» rispose Julian, capendo subito il volere di Knight. Non aveva segreti con Stephen e la sua presenza lo manteneva tranquillo e, cosa più importante, due punti di vista erano migliori di uno solo. 

«Così sia...» sospirò Knight «sei già stato informato sugli Angoni e questo è un bene. La cosa che non sai è un'altra» 

L'anziano recuperò dalla tasca interna del cappotto diverse foto che porse a Julian, che iniziò a guardarle con leggero interesse. Se inizialmente non capiva cosa fossero, subito dopo i suoi occhi si sgranarono in una visione di terrore misto ad odio.

«Sono arrivate questa mattina, riprese di una telecamera, non sappiamo altro. Non sappiamo dove abbiano portato Paul o se-»

«Sta zitto» Julian digrignava i denti, aveva una voglia tremenda di prendere a pugni qualcosa o qualcuno. Le foto davanti a lui parlavano chiaro: Paul era stato rapito e a giudicare dal simbolo che si intravedeva sul vestiario dei rapitori era opera degli Angoni. Alzò lentamente lo sguardo, fissando Knight con un espressione quasi animalesca.

«Dimmi cosa devo fare. E per inciso, una volta trovato Paul io smetterò di lavorare per voi» 

«Va bene... domani ti verranno spediti tutti i dettagli via email. Mi dispiace darti questa notizia, ma se c'era qualcuno che doveva dirtelo dovevo essere io» Knight si voltò, dirigendosi verso la porta.

«Quasi dimenticavo» estrasse una specie di taccuino dalla tasca, che Julian riconobbe subito «il diario di Jonathan, avrebbe voluto che l'avessi tu. Non ho mai avuto modo di fartelo avere» detto questo, Knight varcò la soglia e una volta arrivato all'uscita chiuse la porta alle sue spalle, mentre Julian stringeva le foto di Paul e il diario di suo padre tra le mani, sotto lo sguardo silenzioso di Stephen.          


 
  
 

Cameron e Lillian erano ormai tornati a casa dopo il solito concerto al The Stage, stavolta ancor più soddisfatti dell'ultima volta. I due fratelli vivevano in una graziosa casa, condividendo praticamente ogni spazio personale. La cosa non dispiaceva a nessuno dei due, dato che erano praticamente una cosa sola e l'uno il confidente dell'altra.

Lillian aveva deciso di spogliarsi e indossare qualcosa di più comodo, un enorme pigiama giallo per l'esattezza, cosa che lasciava Cameron sempre con un sorrisino. Il ragazzo invece aveva approfittato dell'attimo di pace per distendersi sul divano e navigare su Facebook, iniziando la sua sessione di "stalking agonistico" come amava definirlo lui.

«Lo stronzo continua a condividere immagini con quell'asse di legno» fece Cameron, con espressione disgustata. Lillian si precipitò dietro al fratello, poggiandosi al divano.

«Che razza di insulto sarebbe asse di legno?»

«Non lo so, qualcosa per indicare una persona inespressiva ed emotivamente piatta...»

«Cam, dovresti smetterla di farti del male. Il mondo è pieno di ragazzi e troverai quello giusto anche tu» lo rassicurò la sorella, carezzandogli i capelli.

«Il mondo è pieno di ragazzi etero e tu hai la fortuna di essere una ragazza. Per me è diverso. Sono tremendamente sexy, questo lo so, ma rimane comunque complicato sedurre ragazzi etero... tipo quel Cacciatore»

Lillian scoppiò a ridere in modo teatrale «no, non incoraggerò nessun a letto con il nemico! Dovremmo comunque parlarne... quel Julian ci caccerà in un sacco di guai, insomma, hai visto come ci guardava, no?»

Cameron annuì, gettando di lato il tablet e godendosi quei massaggi ai capelli che arrivavano dalle mani delicate della sorella. Se c'era una cosa che amava erano i massaggi, soprattutto se era Lily a farli, la migliore senza ombra di dubbio.

«Mi hanno comunque dato una soffiata: stronzo, asse di legno e una piccola comitiva stasera sfideranno la sorte e faranno una piccola seduta spiritica nella casa abbandonata dei Jones, con tanto di tavola Ouija»

«Quindi?» chiese Lillian, sapendo benissimo cosa stava per sentire. Cameron si voltò con un sorriso sadico sul volto e, con la sola imposizione della mano sinistra, fece sollevare il tablet dal divano «quindi è arrivato il momento di far prendere qualche spavento»

«Che bastardo infantile» scherzò Lillian.

«Vuoi comunque troppo bene al bastardo infantile e poi ho anche dei difetti» concluse Cameron, abbandonando l'abitazione.



Cameron camminava per le strade della città, con espressione delusa e anche sconfitta. Era andato alla casa abbandonata ma non aveva trovato nessuno e quando aveva chiesto informazioni ad uno dei suoi amici, la risposta era stata che asse di legno aveva avuto un indigestione con conseguente serata spiritica annullata. 

Non restava che tornare a casa, senza rischiare di essere ucciso da qualche cacciatore in incognito per uso improprio della magia. Ripensò a quanto stava male per quella situazione, dopotutto Jack era stato il suo primo ragazzo e con lui aveva scoperto così tante cose sull'amore, sia in senso emotivo che fisico.

Gli mancava? Si, tanto... ma era stato anche ferito e questo non se lo sarebbe mai aspettato. Pensava che Jack fosse un ragazzo migliore e che fosse la persona giusta per lui ma... non era stato così, anche se con lui si era sentito davvero vivo e per la prima volta non si vergognava di essere "diverso".

L'unica persona che non l'aveva mai giudicato per il suo orientamento sessuale era Lillian, ma lei era qualcosa di diverso. Era la sua anima gemella, fanculo la teoria delle anime gemelle in amore. La sua metà era lei e le voleva un gran bene dell'anima, l'eventuale amore per un'altra persona sarebbe stato qualcosa di forte, devastante ma non paragonabile ad un rapporto così sano e sincero.

Durante il suo cammino, si rese conto di essere di fronte casa di Julian. Aveva scoperto dove viveva quasi per caso, incontrandolo mentre rientrava ubriaco e seguendolo, gesto dettato dalla noia e dalla voglia di scoprire qualcosa sui cacciatori. Il fratello maggiore di Cameron e Lillian aveva lasciato casa per unirsi all'Enclave, con i due che non ricevettero più notizie da anni, così decisero di partire per indagare su quella questione. Julian era uno dei tasselli fondamentali per arrivare al fratello, o almeno così credeva lui.

Notando che la porta si stava aprendo, Cam corse subito ai ripari, nascondendosi tra alcune siepi adiacenti l'abitazione, fortunatamente abbastanza vicino da riuscire a vedere e sentire ogni cosa.

Dalla casa uscì un signore anziano, vestito con cappello e cappotto, che afferrò subito il cellulare e compose un numero.

«Si, sono Knight. Ha accettato, questo significa che non dovrete far del male a Paul per nessun motivo. Al mio ritorno esigo di vederlo»             

Detto questo l'uomo si allontanò, lasciando Cameron incuriosito da quelle parole. Era sicuro di aver già sentito quel cognome, ma non sapeva dove... forse doveva tornare a casa e dire tutto a Lillian, così si allontanò dalla casa di Julian e si diresse dalla sorella, in cerca di risposte.

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Capitolo 4
*** Ci sto ***



Il rumore delle ruote sull'asfalto, la lancetta fissa sui 100 chilometri orari, la musica in sottofondo e i fari in lontananza delle altre auto: il relax totale per Julian. Stava con gli occhi fissi sulla strada, con una mano sul volante e l'altra sul cambio. Non sopportava le auto con il cambio automatico, voleva sentire il piacere di premere la frizione e controllare ogni minimo aspetto di quel mezzo. 

Si voltò un attimo verso destra, osservando sua figlia che guardava fuori dal finestrino. Dio, quant'era bella. La ragazza più bella che lui avesse mai visto... tutta sua madre, senz'altro. I suoi capelli castani si posavano delicatamente sulle spalle, mentre gli occhi verdi erano intenti a scrutare qualcosa nell'oscurità. Jill si voltò verso il padre, sorridendo. Un sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi cuore di ghiaccio.

«Che c'è?» esclamò ridendo, con Julian che ricambiò quella risata.

«Avanti, puoi dirmi a chi stai pensando» rispose lui, tornando con gli occhi sulla strada e un sorriso sornione di chi sapeva troppo e non diceva nulla. Jill si voltò, sentendo il calore inondarle la faccia segno che stava per arrossire. 

«Non è detto che io stia pensando a qualcuno!» 

«So che ti sembrerà strano ma sono stato giovane anche io» Julian mise la freccia verso sinistra e superò una fastidiosissima macchina gialla che rallentava il viaggio di tutti, per poi rientrare nella corsia normale.

«E io che pensavo fossi nato già con la barba» scherzò Jill «comunque beh, c'è un ragazzo che mi piace, ecco»

«La nostra Jill sta crescendo» la voce proveniva dai sedili posteriori, dove Julian intravide sua moglie Melissa grazie allo specchietto retrovisore. Indossava un maglione grigio a collo alto, cosa che lui non avrebbe mai indossato dato che odiava sentirsi robe sul collo che soffocavano. Aveva il solito sguardo allegro che si sposava alla perfezione con quella pioggia corvina di capelli ricci, rendendola praticamente la sua musa.

Julian sorrise, ma stavolta sentiva una strana sensazione crescere dentro, come un senso di malessere ed inadeguatezza. C'era qualcosa che non andava in quella situazione... ma cosa? Prima che potesse formulare qualche risposta, si ritrovò ad inchiodare per non investire due persone che erano immoblili al centro dell'autostrada. Imprecò qualcosa e poi vide chiaramente quei due: Paul e lui.

Il Julian in strada aveva trafitto Paul che cadde fuori dal guardrail, mentre Jill e Melissa iniziarono a chiamare Julian assassino. L'uomo si voltò verso di loro, notando che erano sporche di sangue e contemporaneamente, accanto a Melissa, apparve Paul, anch'esso rosso per via della sua ferita.

Tutto divenne nero, tranne una singola porzione della strada dove apparve una ragazza con vesti logore e bianche. Aveva un velo davanti al viso ma si riusciva a vedere chiaramente che stava piangendo sangue. Una Banshee: spirito di una Strega intrappolata nel limbo tra la vita e la morte. Avanzò di qualche metro e poi sibilò qualcosa a Julian:

«Questo sarà il mio Marchio, figlio di Jonathan. Io ti maledico, in nome delle mie sorelle morte per mano di tuo padre! La tua esistenza sarà lunga e vivrai ogni singolo giorno questo momento, fin quando non cederai e sporcherai le tue stesse mani del colore scarlatto del sangue!»

Julian si ritrovò ad indietreggiare, non era più in macchina, fin quando non si ritrovò con le spalle al muro. Rivide Paul, ancora ferito per mano sua «Fin quando non cederai e sporcherai le tue stesse mani del colore scarlatto del sangue!»



Si svegliò, madido di sudore. Bevve un sorso d'acqua ed afferrò il cellulare. Vide la notifica di una mail di cui il mittente era sconosciuto, ma la cosa era abbastanza ovvia: l'Enclave. Si alzò dal letto, dirigendosi verso il portatile. Una volta aperta la casella mail, lesse tutte le informazioni del caso.

Dati Riservati: Cacciatore Julian Sullivan.
Incarico Confidenziale di Rango S. 
Luogo: Newport, Maine.
Briefing:
Da diverso tempo ormai l'Enclave è stato preso di mira da un gruppo denominato Angoni che continua a mietere vittime tra le nostre fila. Ma non è questo il principale problema, siamo venuti a conoscenza che il suddetto gruppo capitanato da Lucy Baker, custodisce un oggetto magico sottratto durante una spedizione di un gruppo dell'Enclave diretto da Aloysius Knight e Jonathan Sullivan. 
Secondo le recenti informazioni l'obiettivo è in grado di attingere ad una fonte spropositata di magia nera.
L'obiettivo sarà di infiltrarsi tra le fila degli Angoni, recuperare il maggior numero di informazioni e sottrarre l'artefatto prima che venga usato per distruggere per sempre il mondo come lo conosciamo oggi.


Julian sospirò, notando che vi era allegato anche un messaggio audio. Lo selezionò e spostò il cursose su play.

Lo schermo mostrava lo studio di Knight all'Enclave, situato sotto il Vaticano. Il Gran Maestro si sedette e guardò verso la telecamera. «Julian, come avrai notato dal briefing, in questa missione era coinvolto tuo padre. E' il momento che tu sappia che è stato durante questa operazione che lui ha perso la vita per salvare la mia. Gli Angoni hanno usato l'artefatto per controllare un gruppo di Banshee che ci hanno scagliato contro... Jonathan ne ha uccise cinque è mi ha spinto a continuare e... diceva che almeno uno di noi doveva salvarsi e ha scelto me. Mi dispiace dirti la verità solo adesso, ma sono stati gli Angoni ad ucciderlo. Questa è la tua chance per vendicarlo e per scoprire più informazioni sulla Banshee che ha sterminato la tua famiglia. Per questo il caso doveva e deve essere tuo, solo tu puoi portarlo a termine»

Lo schermo divenne nero.


 


Cameron rientrò a casa, cercando la sorella. Si diresse verso il divano ma non c'era nessuno, così entrò in camera sua vedendola seduta sul letto mentre suonava qualcosa con la chitarra accompagnandola con un canto delicato. Non ne era abbastanza sicuro, ma gli parve di sentire qualche frase di Ignorance dei Paramore.

«Cam?» disse lei, alzando lo sguardo verso il fratello. Le sue dita si muovevano ancora sulle corde, come se fosse la cosa più naturale del mondo suonare quello strumento. Per lei lo era a dire il vero, aveva iniziato ad amare la musica sin da piccola, da quando suo fratello maggiore le aveva dato le prime lezioni di chitarra.

«Dimmi che ricordi il cognome Knight. Ho visto un uomo uscire da casa del Cacciatore che aveva quel nome» la voce di Cameron era un misto di eccitazione, trepidante attesa e paura. Sapeva che Lillian sapeva qualcosa, doveva essere così.

«Knight... Knight...» le dita di lei stavolta iniziarono a tamburellare sulla chitarra, per poi bloccarsi di colpo «Knight! Adam mi parlò di un certo Knight come Gran Maestro dell'Enclave... che sia lui?»

«Deve esserlo...» l'espressione di Cameron si incupì. Quella notizia doveva farlo sentire felice, era una pista in più per trovare il fratello ma... aveva una strana sensazione. E se lui non volesse più vederli? E se gli fosse successo qualcosa? Non avrebbe potuto sopportarlo.

«Andiamo al The Stage» propose Lily, cercando qualcosa nell'armadio «se Julian è coinvolto con Knight, scopriremo qualcosa»

«Si, hai ragione»

 


 

Ennesimo allegato della mail era una carta d'imbarco previsto per due giorni dopo. Julian la stampò e si diresse verso l'uscita di casa, aveva bisogno di bere qualcosa e soprattutto di parlare con Stephen. Chiuse la porta dietro di sè, assaporando il freddo che gli pungeva la pelle. Prese il cellulare, visualizzando nuovamente il messaggio di Knight, non accorgendosi comunque di essere osservato.

In alto, sul tetto di un palazzo, un ragazzo stava osservando la scena con i suoi freddi occhi blu. Sembrava divertito da quella scena. Si passò una mano tra i capelli castani mentre dietro di lui un uomo completamente insanguinato si lamentava.

«Sta zitto, non riesco a sentire sennò» disse il ragazzo, puntando l'indice all'uomo con aria abbastanza infastidita. Julian finì di guardare nuovamente quel messaggio e si incamminò verso il The Stage, mentre il ragazzo con un sorriso ancor più divertito si avvicinò all'uomo, chinandosi verso di lui. «Hai capito l'Enclave? In questi giorni mi divertirò da morire e sinceramente ne avevo troppo bisogno. Riguardo te, non hai un buon sapore, mi dispiace» detto ciò, infilò i pollici negli occhi del malcapitato fino ad ucciderlo per poi passarsi le dita insanguinate sulle labbra «niente da fare, pessimo sapore»

 



Julian aveva mostrato la carta d'imbarco a Stephen, che lesse ad alta voce la destinazione con un tono abbastanza stupito. Dall'altro lato del bancone i due fratelli stavano ascoltando ogni singola parola tra i due, mentre sorseggiavano un boccale di birra.

«Dobbiamo seguirlo» esclamò Cam a bassa voce.

«A Newport, nel Maine? Non sai nemmeno dove si trova... e poi dove li troviamo due biglietti a meno di due giorni dalla partenza?»

«Beh, internet è la soluzione. Male che vada abbiamo i nostri poteri per passare ogni controllo e spacciarci qualcun altro sull'aereo» propose Cam, sorseggiando quel freddo liquido biondo.

«Infrangeremo la legge umana e anche quella degli accordi con l'Enclave... ma è la nostra unica possibilità»

«Quindi ci stai?» chiese Cam, con gli occhi che brillavano.

«Ci sto» rispose la sorella.

«Ci sto anche io» sussurrò tra sè lo stesso ragazzo che poco prima era sul tetto e che adesso si trovava al The Stage, seduto distante sia dai fratelli che da Julian, così distante che non avrebbe dovuto sentire una parola, così come non avrebbe dovuto sentire una parola del video-messaggio di Knight. Si alzò, lasciando una banconota da cinque dollari sul bancone «tieni pure il resto» per poi uscire dal locale con quel sorriso così enigmatico che avrebbe inquietato chiunque.


 

Note dell'autore
 
 
Ed eccoci qua, con un nuovo misterioso personaggio capace di ascoltare a gran distanza e di uccidere senza pietà persone... perchè? Chissà! Capitolo di transizione più che altro, ma che introduce alcune cosine interessanti. 
Volevo comunque approfittare di questo spazio per augurarvi buon anno e per ringraziare i fedelissimi Melz e Blankit più coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e a tutti gli altri lettori, thanks ♥
Ci si becca nel 2017 con aggiornamento ogni due settimane (sono leggermente più impegnato ultimamente!) ma prometto che pubblicherò anche prima se riesco, quindi tenete d'occhio la storia!
Stay tuned!
Marco / NeroNoctis

 
 

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Capitolo 5
*** In volo verso Newport ***


Click.
L'unico semplice rumore che riempiva la stanza di Cameron e Lily era proprio quello, il click del mouse. I due stavano ormai cercando da abbastanza tempo un volo per Newport, ma non avevano avuto molto successo. Lily aveva preparato del tè a cui aveva aggiunto del miele, giusto per rendere quella ricerca meno faticosa. Avrebbe anche preparato delle fette biscottate con lo stesso miele o della marmellata, ma una volta arrivata in cucina notò che nella confezione ne era rimasta soltanto una.

Click.
Da quanto tempo non facevano la spesa? Forse una settimana, o due. La paga da cantanti non era la migliore, ma si riusciva comunque ad arrivare a fine mese, soprattutto con le esibizioni al The Stage... non sapeva il perchè, ma Stephen era quello che pagava di più al mese. Li guardava sempre con il solito sorriso, come se ormai fossero parte di una grande famiglia, ma forse era solo un impressione sbagliata, non sapeva dirlo con certezza. L'unica cosa che sapeva era che al The Stage lei si sentiva in un posto familiare.

Click.
«Ah» sbuffò Cam, poggiando la schiena alla sedia girevole e portando le mani verso il soffitto. Era visibilmente stanco, dopotutto non aveva riposato un attimo da quando era uscito e aveva portato notizie di Knight. Afferrò la tazza, bevendone un sorso e godendosi il caldo liquido che lo riscaldava dall'interno, mentre i suoi occhi erano fissi sullo schermo. Era così serio, notò Lily. In quel momento il suo sguardo deciso ricordava molto quello di Adam, che sarebbe stato fiero di vedere uno sguardo così su Cam.

E lei era fiera allo stesso modo. Aveva sempre voglia di proteggerlo, anche quando non serviva. Avrebbe persino ucciso per lui, ma era in questi momenti che si rendeva conto che non serviva, lui sapeva cavarsela benissimo nelle peggiori situazioni e forse -anzi sicuramente- Cam era il più forte tra i due, sia emotivamente che fisicamente, nonostante fosse lei ad avere sempre l'aria da dura, cosa che le dava vantaggio nei rapporti di ogni giorno.

«Non troviamo posti, se li troviamo costano troppo. Che sfiga» esclamò Lily, per concentrarsi su altro e non sui pensieri che riguardavano lei. La priorità era arrivare a Newport, anche se sembrava impossibile. 

«Mi sa che dobbiamo mettere le buone intenzioni da parte, passare all'azione mista ad un pizzico di improvvisazione» rispose Cam, avvolgendo con entrambe le mani la calda tazza. Si accorse solo in quel momento che aveva le mani completamente congelate, chiedendosi di quanto fosse scesa la temperatura.  


Giorno della partenza, aeroporto.


Julian era seduto su una scomodissima sedia dell'aeroporto, le gambe erano poggiate sulla valigia nera mentre con le mani teneva fermo il diario di suo padre, leggendo varie imprese più o meno interessanti. Aveva letto di cacce fallite, riuscite e anche di alcuni parti del suo personale bestiario. La parte che lo incuriosì di più fu quella delle creature estinte dove figuravano creature di diverse mitologie: Wendigo, Wraith, Succubus «E io che credevo che le Streghe erano le uniche cattivone del mondo» successivamente, una particolare dicitura cancellata attirò la sua attenzione dove si intravedevano solo alcune lettere "C" "a" "a" "g" "g"

«Perchè avrebbe dovuto cancellarlo?» borbottò a bassa voce, passando l'indice su quella cancellatura che notò essere anche profonda, come se fosse stata effettuata di fretta e con violenza. Passò in rassegna diverse teorie, ma si accorse che nessuna di loro era plausibile, forse era semplicemente un errore del bestiario e quindi qualcosa da cancellare.

Avvisiamo gli spettabili passeggeri che il gate per il volo verso Newport è stato aperto.

«Finalmente» Julian si alzò, afferrando la sua valigia dove custodiva il suo arsenale. Pensò che uno dei pochi vantaggi di essere un Cacciatore dell'Enclave era che non appena il metal detector rilevava le armi, il simbolo dell'Organizzazione faceva capolino sugli schermi, dando praticamente il via libera. L'unica cosa utile.

Si mise in fila dietro a diverse persone, davanti a lui un signore anziano con lunghi capelli bianchi, sembrava quasi un senzatetto che aveva vinto alla lotteria e si dava alle vacanze sfrenate, o semplicemente Babbo Natale con un nuovo taglio di capelli, difficile dire quale fosse la soluzione migliore. Quel pensiero disegnò sulle sue labbra un leggero sorriso, uno di quelli fastidiosi che solo lui sapeva fare.

Si concentrò talmente tanto su BarboNatale (l'aveva rinominato così, giusto per dare corrette entrambe le versioni) che non notò che a qualche metro dietro di lui, Cam e Lily erano riusciti a procurarsi dei biglietti validi... in modi tutt'altro che legali. Avevano attirato con l'inganno una giovane coppia, per poi usare un leggero incantesimo di persuasione su di loro. Un furto in pieno regola, un furto magico, due reati in uno, mentre si insegue un Cacciatore che poteva ucciderli sedutastante.

Lily era visibilmente agitata, mentre Cameron tentava di essere più tranquillo. Sentiva l'adrenalina scorrere nel suo corpo, fare queste cose lo eccitava da matti. Dopotutto odiava la vita monotona e quell'occasione gli aveva stampato un sorriso compiaciuto sul volto, tranne quando si ricordava che l'incantesimo durava un numero variabile di ore... non erano ancora bravi a fare questo genere di cose.

Il ragazzo ricordò quando usò per la prima volta quel potere, stava convincendo una commessa di un fast food a farsi dare un hamburger in più, peccato che l'effetto svanì pochi minuti dopo e Cam sir itrovò a correre con il boccone ancora pieno.

«Stai pensando all'hamburger?» chiese Lily, guardandosi intorno.

«Ci penso ogni qualvolta che usiamo questo potere» rispose lui, soddisfatto. La sorella roteò gli occhi, rendendosi conto che non aveva senso fare quella domanda per ricevere puntualmente la stessa, identica risposta. Fortunatamente per loro i controlli andarono alla grande, così si ritrovarono seduti sul volo per Newport, con Julian seduto alcune file davanti che non si era accorto stranamente di nulla.

Il messaggio del pilota annunciò che l'aereo stava per partire e che le cinture di sicurezza andavano allacciate, mentre le hostess procedevano con il consueto gesticolare accompagnare dalle istruzioni. Cam non riusciva mai a capire perchè perdere tempo in tutta quella sceneggiata, se l'aereo avesse avuto qualche problema grave, erano tutti morti. Fin troppo semplice. 

«Cosa facciamo se dovesse accorgersi di noi?» chiese Lily, voltandosi verso il fratello che parve pensarci su. «Non lo so» rispose infine, lasciandola sprofondare sul sedile.

L'aereo finalmente partì e Julian guardò fuori dal finestrino, sorridendo. "Davvero quei due pensano che io non mi sia accorto di niente?" pensò. Aveva cacciato troppe Streghe ostili o le ben peggiori Banshee per lasciarsi sorprendere in quel modo, ma era curioso di sapere dove quei due bimbi volessero arrivare.

L'uomo si voltò verso il corridoio, per poi sobbalzare per via di una turbolenza... no, non era una turbolenza. Tutto l'aereo era stato invaso da una strana tonalità blu notte, come se l'intera luce fosse risucchiata da un buco nero. I passeggeri erano completamente immobili, come bloccati nel tempo. Julian si alzò, spostandosi nella corsi centrale e guardandosi intorno.

«L'impavido Cacciatore» una voce dietro di lui lo fece voltare, osservando un ragazzo che poteva avere circa venticinque anni. Non l'aveva mai visto prima, ma il suo sguardo era fin troppo deciso, dopotutto lo sarebbe stato anche lui in seguito ad un freeze del tempo su un aereo.

«Chi sei tu?» chiese Julian, mentre i suoi occhi divennero una piccola fessura. Lo stava studiano, cercando che razza di Stregone potesse essere... uno con queste abilità non poteva essere davvero in libertà.

«Gideon» rispose il ragazzo avvicinandosi all'uomo «Gideon Lawless»

«Un cognome adatto per uno che non rispetta la legge» ribattè Julian, con la solita calma da chi aveva affrontato fin troppe situazioni pericolose, anche se essere intrappolati in una gabbia di metallo ferma nel tempo non era la migliore delle aspettative.

«In effetti Lawless non è il mio vero cognome, l'ho solo preso in prestito. Suona bene, non trovi?»

Julian non rispose, rimase in attesa di una mossa del ragazzo, che non tardò ad arrivare. Gideon si lanciò a velocità impressionante su di lui, facendolo sbattere contro la porta della cabina di pilotaggio. Una smorfia di dolore apparve per una frazione di secondo sul viso di Julian, che tentò di afferrare un coltello che teneva sulla cintura. Una volta preso, trafisse il torace del ragazzo, che però non si mosse.

«Andiamo Julian, pensi che questo basti a fermarmi?» Gideon portò la mano sinistra all'altezza del cuore dell'uomo, dal suo palmo uscirono alcune scintille che bruciarono la sottile maglietta che indossava il Cacciatore, scoprendo il pentacolo cerchiato che marchiava la sua pelle.

«Il Marchio del Diavolo, il monito di una Banshee... vediamo ti sei meritato questa maledizione» Gideon chiuse gli occhi, per poi sorridere alcuni attimi dopo «Una vendetta contro tuo padre che hai pagato in persona... tua moglie e tua figlia brutalmente uccise e tu maledetto affinchè possa rivivere quei ricordi in eterno. Che crudeltà» il ragazzo sorrise.

«Che cosa sei?» chiese Julian a denti stretti, facendosi sorridere Gideon che aprì la bocca, mostrando un paio di canini lunghi ed affilati. Julian scosse la testa, iniziando a ridere.

«Suppongo che tu non creda ai vampiri» chiese Gideon, mordendosi il labbro inferiore dalla quale sgorgò una piccola goccia di sangue. Julian non riusciva a credere a quello che stava guardando, i vampiri non esistevano... le uniche minacce erano Streghe, Banshee, Witcher in casi estremi, ma mai vampiri. Quelle erano solo leggende.

«Non sono leggende e vedo che hai conosciuto anche un Witcher...» esclamò Gideon, sorpreso. «Non pensavo conoscessi quel simpaticone di Mikael Ragnarsson» aggiunse infine. Mikael era un Witcher che Julian aveva affrontato durante il periodo della caccia alla Strega Nera, la stessa strega che aveva causato il coma di Paul. I Witcher erano Cacciatori divenuti immortali tramite un incantesimo che, perdendo la motivazione nella loro causa, si trasformavano in macchine assetate di sangue e controllati dalle anime delle Streghe uccise durante tutta la loro esistenza. I casi di Witcher documentati erano veramente pochi e Mikael era stato l'ultimo di loro.

«Leggi anche nel pensiero? I vampiri non dovrebbero limitarsi a succhiare il sangue?» a quella domanda Gideon lasciò Julian, che si ritrovò esausto e sul pavimento dell'aereo. Il ragazzo si sedette di fronte a lui, osservandolo allo stesso modo in cui si osserva un amico al bar.

«In effetti mi nutro di sangue, sai, mi serve per tenermi in forze. Ma se credi che i vampiri sono quelli che vedi in The Vampire Diaries ti sbagli di grosso. Non divento cenere se cammino alla luce del sole, la verbena non ha nessun effetto su di me... mi chiedo chi sia il pazzo che mi abbia descritto in questo modo! Sono semplicemente un normale ragazzo di 156 anni che uccide per sopravvivere. I poteri magici sono un bonus che mi sono guadagnato, ma questo non fa di me uno Stregone, credo. Forse un ibrido tra Strega e Vampiro, ma non credo esista un termine adatto»

«Cosa vuoi da me? Vuoi forse uccidermi?» Julian non era intimorito dalla risposta, anzi, forse avrebbe preferito la morte così da potersi ricongiungere con Jill e Melissa e lasciarsi alle spalle l'incidente di Paul con relativi rimorsi di coscienza... era la scelta migliore per tutti, fanculo se il mondo era in pericolo per Angoni con artefatti magici. Lui voleva semplicemente essere lasciato in pace dai propri demoni.

«Non lo so, vedrò come si evolvono le cose. Sono tremendamente annoiato, son sicuro che tu e i due fratelli seduti in fondo mi farete divertire per un po'. A proposito, quei due sono convinti che tu non li hai notati»

Julian abbassò lo sguardo «sono inesperti»

«Hanno infranto la legge per salire su questo volo, dovresti punirli» puntualizzò Gideon, allontanandosi da Julian e osservando da vicino Lillian, carezzandole delicatamente la guancia e gustandosi il profumo così dolce della sue pelle e del suo sangue. Trovava ironico che proprio lui parlava di legge relativa alle questione magiche o civili.

«Si fotta la legge. Agirò solo se mi mettono i bastoni tra le ruote, non voglio seccature»

«Capisco...» Gideon rubò una bevanda dal carrello in fondo all'aereo, per poi voltarsi con fare teatrale verso l'uomo, che si era rimesso in piedi «Fossi in te tornerei al tuo posto, sto per sbloccare il tempo» Julian annuì, tornando al proprio sedile e fissando pensieroso fuori dal finestrino, mentre il vociare della gente riprendeva come se nulla fosse accaduto.


 


Aloysius Knight stava camminando tra gli enormi saloni dell'Enclave. Avere la sede sotto il Vaticano era un vantaggio enorme, nessuno sospettava di niente e poi era un luogo praticamente inaccessibile. Sorrise al pensiero della gente che era convinta che la Chiesa non utilizzasse i loro tesori per sfamare i poveri... semplicemente non poteva usare quelle ricchezze perché servivano a finanziare l'Enclave. Le classiche storie sulle proprietà papali erano così divertenti.

Bastava osservare quel luogo per rendersi conto che la Chiesa non aveva badato a spese per realizzarlo: saloni con pavimento di marmo lavorato così lucido da riflettere il soffitto decorato da enormi affreschi realizzati dai migliori artisti dei tempi perduti. Scalinate che portavano a piani inferiori e superiori, candele che illuminavano le parti più scure ed enormi lampadari di oro massiccio che illuminavano il resto della struttura. 

Dozzine di statue ed armature decoravano i lunghi corridoi dell'Enclave, mentre Arazzi e dipinti ad olio accompagnavano quelle pareti così piene di storie e segreti.

Knight passò accanto ad un vescovo, salutandosi con un silenzioso gesto del capo per poi dirigersi ognuno nella propria direzione. Il Gran Maestro era appena stato nella Biblioteca, stanza di innumerevoli metri quadrati in cui erano custoditi tutti gli scritti esistenti di quei tempi, che narravano della vera Creazione, della nascita delle Streghe, creature sovrannaturali, segreti millenari, minacce oscure, demoni... il mondo non era affatto luogo di sole Streghe, ma questo erano in pochi a saperlo. In passato esistevano varie creature, poi estinte o bandite dal mondo. Le Streghe erano le uniche sopravvissute e quelle che esistevano in maggior numero. La Biblioteca era anche il luogo dove era stata creata la religione, mezzo con cui veniva controllata l'umanità. 

Ma a Knight non importava pensare a quelle scartoffie per il momento, doveva vedere qualcosa di ben diverso da un essere sovrannaturale. Si fermò di fronte ad una porta di legno lucido, sistemandosi i grigi capelli arruffati. Entrò per poi richiudere la pesante forma di legno dietro di sè. Era in una stanza completamente austera, priva di decorazioni. Al centro vi era un solo pannello di vetro che saperava quel posto in due: da una parte lui, dall'altra un letto su cui era disteso Paul Rivers in stato comatoso.

«La nostra carta vincente» sussurrò Knight «mettere in scena il rapimento degli Angoni è stata la miglior soluzione» Ma era davvero la cosa giusta da fare? Knight sapeva che quello che aveva fatto era sbagliato verso Julian, il figlio del suo migliore amico e miglior partner di guerra... ma la posta in palio era davvero troppo alta. Una vittima necessaria per un bene superiore. Dopotutto quel Paul non era nessuno di rilevante, solamente un orfano salvato da Julian dopo che la famiglia era stata uccisa da una Banshee... ironico. Stesso destino del figlio di Jonathan. 

La porta della sala si aprì, mostrando un uomo vestito con una lunga toga viola.

«Mio Signore, Julian Sullivan è arrivato a destinazione»

Knight annuì «Perfetto. Adesso tutto è nelle sue mani. Che agisca con giudizio»

«Cosa ne sarà del ragazzo? Rivers, signore»

«Tenetelo in vita, per il momento. Se Sullivan dovesse fare qualcosa di avventato, tortureremo Paul per convincere il nostro Cacciatore»

«Come desidera»

L'uomo uscì dalla stanza, seguito pochi attimi dopo dallo stesso Aloysius Knight.

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Capitolo 6
*** Il Cacciatore della Notte ***


Gideon stava passeggiando per le vie di Newport, osservando il panorama che offriva Joslyn Street e godendosi l'aria fresca che gli carezzava la pelle. Indossava una maglietta grigia a maniche corte, nonostante la temperatura fosse davvero bassa, ma il suo essere vampiro influiva anche su questo: non sentiva più freddo. 

A volte faceva ancora fatica ad abituarsi a quella situazione, al non sentire freddo o caldo, ad avere quella strana fame di sangue o semplicemente sentire rumori e discorsi davvero distanti. Se la cosa gli piacesse? Decisamente si, ma non era sempre così semplice.

Voltò per Grove Street, ritrovandosi di fronte ad una Chiesa Battista, fissandola per qualche secondo. In tutti questi anni di vita non aveva ancora capito perché ci fosse la credenza popolare che i vampiri fossero vulnerabili a luoghi sacri, crocifissi o acqua santa... forse per tranquillizzare la gente su eventuali essere sovrannaturali?

Riprese la sua passeggiata, sorridendo al pensiero della gente che credeva ai vampiri. Lui era uno di loro, certo, ma era l'unico vampiro esistente in tutto il pianeta. La cosa a volte lo faceva sentire un po'... solo. Era una cosa buffa, non provava da tempo diverse sensazioni, ma quel senso di solitudine ad essere l'unico della sue specie, beh, quello non voleva cessare.

Newport era una cittadina fin troppo tranquilla per ospitare qualche minaccia sovrannaturale, cosa che Gideon trovava davvero paradossale. E divertente. Un posto paradisiaco che nascondeva qualcosa in grado di distruggere l'umanità... tranquilla, certo. Un uomo si avvicinò a Gideon, impugnando un coltello nella mano destra, ma il vampiro continuò per la sua strada, mani in tasca e sguardo sulla strada.

«Amo i turisti...» sussurrò l'uomo, anche se Gideon riuscì a sentirlo, sorridendo. Il ragazzo imboccò Marginal Way, con l'uomo ancora alle sue calcagna. Gideon iniziò a correre, seguito dall'uomo che lo raggiunse in pochi attimi e lo scaraventò sull'asfalto, osservando la sua espressione di puro terrore.

«Non farmi del male, ti prego!» esclamò Gideon, tremando, mentre l'uomo lo fissava con un ghigno. Aveva il polso fermo sulla lama, carezzando la gola del ragazzo con quel freddo metallo. Il suo sguardo era deciso, spietato, prova che non era la prima volta che aggrediva i turisti. Le sue mani erano state sporche di sangue innumerevoli volte.

«Come sei carino» sussurrò, spostando la lama dalla gola alla guancia, ma non appena lo fece Gideon sorrise, colpendo l'uomo dritto sul collo e scaraventandolo al suo posto, per poi affondare i denti nella sua carne. Bevve avidamente quel caldo liquido vermiglio, inebriandosene e volendone ancora, ancora e ancora. 

Stranamente quell'uomo aveva il sangue davvero buono, così dolce... talmente dolce che Gideon affondò i denti ancora più in profondità, tanto che l'uomo non riuscì neanche più a respirare, fin quando la vita non lo abbandonò. Gideon continuò a nutrirsi per svariati minuti, per poi afferrare il cadavere e dirigersi verso il lago, dove lo gettò. 

Dopo essersi disfatto del cadavere, il ragazzo si fermò ad osservare la luna specchiarsi sul lago, rimanendone affascinato. Non vedeva qualcosa di così bello da diverso tempo, tanto che si sedette sulla riva e rimase lì, per un periodo di tempo indefinito. Uccidere per nutrirsi inizialmente non era così semplice, adesso era qualcosa di meccanico, utile alla sopravvivenza, ma non voleva pensare agli inizi, voleva solo godersi lo spettacolo... che fu interrotto da qualcosa che emerse dall'acqua. No, non qualcosa, ma qualcuno: pelle in decomposizione e pallida, ossa sporgenti e labbra secche e violacee, come se fosse il cadavere di qualcuno morto annegato... un cadavere tornato in vita evidentemente.

Gideon si alzò, mentre dalla sua mano destra iniziava a nascere una piccola fiamma.


 


Cameron e Lily avevano preso posto sui rispettivi letti dell'hotel, ringraziando il cielo per aver trovato qualcosa di così comodo. Il viaggio sull'aereo era stato tranquillo, ma ad un certo punto del viaggio i due percepirono qualcosa di strano, come se il tempo si fosse fermato per un nano secondo.

«Muoio di fame» disse Cam, rischiando di sbavare sul cuscino.

«A chi lo dici... prepariamo qualcosa, non so, qualche sandwich» propose Lily, mettendosi a sedere sul letto e carezzando la rossa coperta. Non era un amante del colore rosso, ma era davvero felice di starci sopra. Ricordò che da bambina indossava un completo rosso il giorno del ringraziamento e da quel giorno il rosso, beh, non lo associava a qualcosa di bello.

Stava giocando a nascondino con Cam, lei cercava. Girò per diversi angoli della casa, fin quando non giurò di vedere il fratello correre al piano di sotto. Lei lo seguì, ma finì per rotolare giù dalle scale. Non ricordava molto bene l'accaduto, si ritrovò semplicemente con un taglio sulla fronte e il vestito rosso sporco beh, di altro rosso.

Almeno questo era quello che si ripeteva, che raccontava in giro per sentirsi meglio... il vero trauma avvenne prima di quella caduta, quando... beh, quando le mani di suo zio tentavano di togliere quel vestito.

«Adesso togliamo questo bel vestito rosso» Lily trasalì, mentre Cam la stava osservando.

«Ti senti bene?» chiese, con lei che annuì abbozzando un sorriso «Sono solo stanca. Prosciutto e formaggio?»

«Direi che sono perfetti» sorrise Cam, ignaro di quello che la sorella aveva passato. Lei avrebbe voluto tanto dirglielo ma... la cosa faceva troppo male, il solo pensiero la faceva sentire così.. così... sporca? Non sapeva dirlo con certezza.

Quei pensieri furono interrotti dal bussare incessante sulla porta, spingendo la ragazza a chiedere chi fosse.

«Servizio in camera di benvenuto» rispose la voce dietro la porta, con i due fratelli che si guardarono con un sorriso. Un servizio in camera gratuito era proprio quello che ci voleva. Lily spinse la maniglia in giù, osservando Julian che la guardava con un sorriso, per poi entrare.

«Ascoltatemi bene» iniziò Julian, puntando l'indice verso i due fratelli «non so che intenzioni abbiate, ma seguirmi fin qui è stato un errore»

«Vuoi consegnarci all'Enclave? Ucciderci?» chiese Cam, la sua voce dubbiosa tentava di nascondere un filo di paura mista rabbia, non per la sua vita, ma per Lily. Non sarebbe mai riuscito a perdonarselo, mai. Se c'era qualcuno che doveva proteggere, era proprio lei, l'unica persona che amava più della sua stessa vita.

«Niente di tutto ciò. Non mi interessa l'Enclave ne tantomeno uccidervi. Ditemi solo cosa ci fate voi qui»

«Stiamo cercando informazioni su nostro fratello Adam, un Cacciatore come te. Abbiamo visto Knight a casa tua e abbiamo pensato che se ti avessimo seguito avremmo scoperto qualcosa su di lui... tutto qua» fece Lily, avvicinandosi al fratello.

Julian rimase piacevolmente sorpreso da quei due ragazzi, soprattutto perché non era da tutti conoscere il Gran Maestro dell'Enclave o sapere qualcosa in modo specifico su quel gruppo. Tuttavia l'uomo non conosceva molti Cacciatori, non gli interessava lavorare per loro e con loro, a meno che non ci fosse un rendiconto personale. Non conosceva nessun Adam, ne l'aveva mai sentito nominare da Knight, quindi la ricerca dei due fratelli su di lui era inutile.

«Non conosco nessun Adam» si limitò a dire, poggiandosi al muro «quindi dovreste andar via, è pericoloso stare qui»

«No» iniziò Cameron, facendo un passo avanti «Sei l'unica pista che abbiamo, quindi verremo con te. Che tu lo voglia o no»

A quelle parole Julian ebbe un sussulto. Ricordò quando salvò Paul da quella Banshee e lui disse qualcosa del genere, con la stessa determinazione negli occhi. Forse era destino? Un modo per redimersi dai propri peccati? O era semplicemente un occasione per ripetere tutto quanto? Non poteva saperlo, ma perché adesso era così dubbioso sul mandarli via? Sapeva benissimo che se li cacciava, quei due l'avrebbero seguito, cacciandosi in guai ancora più grossi... forse se li avesse avuti accanto... ma cosa stava dicendo? Non li conosceva nemmeno, erano solo due giovani che non conoscevano il pericolo.

«Allora?» lo incalzò la ragazza.

«Allora vado a farmi una doccia. Riguardo quei sandwich, prosciutto e formaggio per me vanno bene. Deciderò dopo cosa fare con voi» si limitò a dire, abbandonando la stanza dei due fratelli che rimasero immobili ad osservarlo mentre varcava la porta.


 


Julian tornò nella sua stanza, scuotendo la testa conscio di quello che stava per fare. Dell'enorme cazzata che stava per compiere. Si diresse in bagno, togliendosi i vestiti di dosso e rimanendo solo con i jeans. Si specchiò, osservando le innumerevoli cicatrici sul suo torso, sulla sua schiena... cicatrici di caccia e cicatrici per dimenticare quanto dolore provasse. Provare dolore per dimenticarne altro.

Forse legarsi a qualcuno poteva essere positivo, poteva distrarsi dai suoi peccati e poteva tornare ad interessarsi a qualcuno, forse. Si sciacquò il viso, sentendosi improvvisamente strano, come se fosse più leggero e con uno strano senso di nausea. Un rumore sordo riempì la sua mente, tanto da costringerlo in ginocchio e a soffocare un urlo. Prima che potesse proferir parola, tutto divenne nero.

Julian si risvegliò di fronte ad una magione che a prima vista sembrava molto antica. La luna piena illuminava quel luogo così tetro e sinistro, che sembrava uscito da un classico film horror. L'uomo si incamminò verso la costruzione, notando un cancello sulla sinistra che portava ad un sentiero stretto e circondato da alberi e siepi. Ci sarebbe andato dopo.

«Figlio di Jonathan» tuonò qualcuno dietro di lui, con voce che sembrava provenisse dall'interno di una caverna. Una voce quasi vuota ma profonda allo stesso tempo, gelida come l'inverno e come la morte. Julian si voltò, osservando un essere incappucciato. Indossava un'armatura simil-vichinga, fatta di pelle e cuoio rovinato, mentre sulle spalle era posizionata una pelliccia di lupo che formava una sorta di cappa. Julian giurò di vedere l'elsa di una spada fare capolino da sopra la spalla sinistra, mentre diversi pugnali erano visibili sul fianco. Il cappuccio che copriva il volto era marrone e logoro, mentre delle bende coprivano il viso del figuro, lasciando visibili solo gli occhi che ricordavano due fuochi fatui dal colore, un azzurro così brillante che sembrava quasi inumano. O forse lo era davvero.

«Chi sei?»

«I miei compagni mi chiamano Kaelim» rispose il guerriero, voltandosi verso un cavallo nero come la notte più profonda che Julian non aveva notato. L'animale indossava sella, borse e una maschera fatte di ossa. L'uomo associò istintivamente quel cavallo ad uno di quelli dei cavalieri dell'Apocalisse, Morte forse. Ma tentò di non fare domande irrilevanti.

«Cosa vuoi da me? Che posto è questo?» chiese Julian, tentando di rimanere il più lucido possibile. Sapeva che un attimo prima era in bagno, ricordava ogni cosa. Si sentiva come in un sogno, ma era tutto fin troppo reale.

«Voglio metterti in guardia, figlio di Jonathan» disse Kaelim «ma ho poco tempo, loro non devono scoprire che sono qui.»

«Loro?»

Kaelim ignorò volutamente quella domanda «In questo luogo si annida la minaccia più grande per il mondo intero. Devi starne lontano.»

Julian incrociò le braccia «Perchè dovete sempre essere così vaghi? Non so neanche cosa sto cercando, so solo che è in grado di annichilire l'umanità. Non potresti semplicemente essere più chiaro?»

«No, le mie parole sono controllate se le adopero in un piano astrale diverso dal solito. Tieniti lontano da questo posto, per il bene di tutti»

«Dimmi solo una cosa... se continuo nella mia missione, troverò quel che cerco?»

«Cosa cerchi, figlio di Jonathan? Redenzione? Verità? Vendetta? O solo la morte? In ogni caso...» Kaelim sembrò tentennare un attimo, distogliendo lo sguardo da Julian per qualche secondo «troverai più di quanto tu cerchi, ma il prezzo è troppo alto. Sei disposto a sacrificare la tua umanità e quella del mondo intero per questo?»

Julian non rispose, voltandosi verso la magione che continuava a far da sfondo a quella strana conversazione. Qualcosa si annidava in quelle stanze, in quei saloni, Julian lo sentiva. Era come se il Marchio a forma di pentacolo che aveva sul petto bramasse quel luogo, così come un cucciolo è attirato dal seno della madre. Come se qualunque tipo di magia fosse attirata da qualcosa, qualcuno.

Il suono di un corno riecheggiò nella notte, con Kaelim che guardò verso la luna con sguardo quasi rassegnato. Il suo cavallo sbuffò, come se fosse impaziente di ripartire.

«Devo andare, loro mi aspettano. E dovresti farlo anche tu, i tuoi amici sono in pericolo, figlio di Jonathan»

Kaelim colpì al volto Julian, che si risvegliò sul freddo pavimento del suo bagno. Prima che potesse dar vita a qualunque tipo di pensiero, si ritrovò a correre e ad impugnare la sua spada, dirigendosi verso la stanza dei fratelli dopo aver sentito l'urlo di Lily farsi strada nei corridoi dell'hotel. 

 


 

Kaelim risalì sul suo cavallo, carezzandola sul dorso. Diede una leggere speronata, col cavallo che iniziò a cavalcare e a librarsi nella notte, lasciando sotto gli zoccoli la magione e relativa Newport. Fu raggiunto da un ragazzo a cavallo, che teneva il volto basso.

«Rike» si limitò a dire Kaelim, senza guardare l'altro.

«Non ti ha ascoltato, vero?»

Kaelim tornò a guardare sotto di sè, verso la magione «Non lo so, spero solo che Julian scelga bene»

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Capitolo 7
*** L'indizio di Jonathan ***


Julian stringeva la sua spada con la mano sinistra, mentre con il fianco destro sentiva il freddo metallo della pistola che si infrangeva contro la sua pelle. Non aveva badato a sistemare le armi in modo che non arrecassero fastidio, voleva solo arrivare in fretta nella camera dei ragazzi e scoprire cos'era successo. Non sentiva quel fare protettivo dal primo incontro con Paul, quando il ragazzo piangeva ancora la morte dei genitori.

Svoltò l'angolo, arrivando nel corridoio giusto, anche se identico a quello precedente: moquette rossa e pareti bianche, banale. Sentì il Marchio bruciare lievemente per una frazione di secondo, ma non diede molto peso alla cosa, era ormai arrivato di fronte alla porta della camera, che immediatamente sfondò.

Di fronte a lui, al centro della stanza, Cam era seduto sul pavimento con una mano sul braccio destro, visibilmente insanguinato. Lily era china sul fratello, nonostante il suo sguardo era fisso su un'altra persona, che Julian non faticò a riconoscere: Gideon Lawless, quello stupido vampiro magico.

Se avesse avuto il tempo di riflettere sulla cosa, sicuramente si sarebbe risposto per l'ennesima volta che i vampiri con poteri da strega non esistevano e che quei canini erano solo uno scherzo di uno Stregone particolarmente vivace, ma in fondo sapeva che quello che aveva davanti era un vampiro reale. Il mondo era invaso da Streghe e creature simili, il Bestiario nel diario di suo padre descriveva altre creature sovrannaturali e lui ancora si stupiva di un vampiro? Che cosa ridicola.

Comunque spostando di poco lo sguardo, notò che la minaccia non era affato Gideon, ma qualcosa di fronte a lui: un essere pallido, dalla pelle a chiazze rosse e con la testa che ricordavo un teschio. I suoi occhi erano incavati e puzzava terribilmente di carne putrefatta. Le sue mandibole sembravano grosse, resistenti, capaci di spezzare ossa.

«Pensi di darmi una mano con questo ghoul o vuoi restare a guardarmi il culo?» chiese Gideon, tenendo il palmo della mano destra verso il mostro e quella sinistra chiusa a pugno. Julian capì che lo stava tenendo immobilizzato, ma lo stesso incantesimo non permetteva al vampiro di muoversi. Probabilmente conosceva tecniche migliori, ma lo spazio ristretto non permetteva manovre offensive efficienti. Perché non fermare il tempo allora? Dopotutto era riusciuto a tenere in stasi un intero aereo. Ma non era tempo di domande, non ancora almeno.

Julian strinse la spada, accorgendosi solo adesso che aveva le mani sudate e, una volta superati Cameron e Lillian, praticò un affondo dritto nella testa del ghoul, che si accasciò sul pavimento per poi svanire in una pozza di sangue che pareva quasi acido.

Il Cacciatore si voltò prima verso Gideon, che abbandonò la sua posa rigida e poi verso i due fratelli, inginocchiandosi accanto a loro. Il taglio sul braccio di Cam non era niente di grave, solo un lieve graffio, nonostante il sangue facesse intendere il contrario. Osservando il volto della sorella, Julian riuscì a leggere ansia, preoccupazione, paura. Quei due erano inseparabili e quelle espressioni contornate da micro-espressioni rendeva tutto palese. Non sapeva cosa significasse avere un fratello, ma guardando quei due, doveva essere fantastico.

«La ferita non è profonda, vai a lavarla, dopo la benderemo» esclamò Julian, con un tono tanto delicato che stupì persino lui. Cam annuì, alzandosi e dirigendosi in bagno, accompagnato da Lily. Il Cacciatore si voltò verso Gideon, che si era poggiato al muro con un ghigno divertito.

«Come sei premuroso»

«Cosa ci facevi qui? E soprattutto non potevi finirlo e basta? Hai fermato un aereo, nel caso tu l'avessi dimenticato»

Gideon incrociò le braccia, sbuffando. Julian notò che le sue scarpe erano sporche di fango, quindi probabilmente era stato al lago per qualche motivo che non voleva neanche sapere. La cosa più strana era che quel Kaelim l'aveva avvertito del pericolo imminente, quindi l'ipotesi "sogno terribilmente reale" era da scartare. Aveva incontrato davvero quel Kaelim e lui gli aveva mostrato volontariamente la magione con annesse informazioni. 

«Punto primo, io non ho mai fermato il tempo. Era solo un'illusione, ho semplicemente giocato con la tua mente. E' facile farlo quando il soggetto è rilassato. Andiamo, per quale motivo ti ho fatto tornare al tuo posto una volta finito? Semplice: non ti sei mai mosso dal tuo bel sedile. Sarebbe stato strano smettere di giocare con la tua mente vicino la cabina dell'aereo per poi trovarti magicamente seduto composto, non trovi?»

Gideon si staccò dal muro, avvicinandosi al tavolo dal quale afferrò un sandwich prosciutto e formaggio, notando che erano tre. Uno a testa per i fratelli e uno per... certo, per Julian. Il vampiro sorrise, addentando con gusto quello sfizioso sandwich.

«Punto secondo» masticò per qualche secondo, mandando giù il boccone. Diamine se era buono. «Ho salvato il culo ai tuoi amici e dovresti ringraziarmi per questo. Stavo semplicemente cercando te perché la situazione è più grande di quello che entrambi pensavamo. Punto terzo, questo posto brulica di creature del genere. Quello era un ghoul e lo so dal momento che sono un ragazzo informato e ho avuto un passato movimentato, ma quello che ho visto prima di lui... non saprei. E' come se qualcosa li attirasse da queste parti»

Julian si sentì schiaffeggiato in quel momento, sia per essere stato ingannato in maniera pregevole sull'aereo e secondo perché aveva appena avuto la conferma che la strana sensazione avuta nel piano astrale -così l'aveva chiamato Kaelim- era vera: la magione aveva qualcosa di oscuro che lo attirava e faceva lo stesso con quei mostri.

«Cercavi me, perchè? Mi hai fatto intendere di essere abbastanza neutrale in questa storia»

«Lo sono, ma non posso divertirmi se voi morite subito. Adesso che sai più o meno che la cosa non è semplice come pensavi forse posso fare lo spettatore in modo più sereno»

«Forse»

Dal bagno tornarono i due fratelli. Cam aveva il viso sereno, come se non fosse mai stato aggredito mentre Lily aveva il volto leggermente più serio, mentre le sue mani stringevano delle bende trovate nell'armadietto sopra il lavandino. La ragazza posizionò tutto sul tavolo, osservando il numero dei sandwich per poi lanciare un'occhiata a Gideon, che sorrise.

«Hai un momento?» chiese Julian alla ragazza, che lo guardò abbastanza stupita. Se c'era qualcosa che non si aspettava -oltre le varie aggressioni di mostri che parevano usciti da qualche videogioco- era che quel Cacciatore che l'aveva osservata in modo strano al The Stage adesso volesse parlare con lei. Avrebbe comunque bendato Cam prima, non poteva tenerlo con un braccio ferito, seppur in maniera lieve. Julian parve capire i pensieri della ragazza, tanto da aggiungere che Gideon avrebbe bendato Cam, con entrambi i ragazzi che lanciarono un'occhiata all'uomo.

«E va bene» fece infine la ragazza «ma sta attento» aggiunse, rivolgendosi al vampiro che nel frattempo aveva mandato giù l'ultimo pezzo di sandwich. Julian e Lily si diressero fuori dalla camera, lasciando soli i due ragazzi che si guardarono in modo abbastanza... imbarazzato.

«Prima iniziamo prima finiamo» esclamò Gideon afferrando le bende dal tavolo e avvicinandosi a Cam, che non si mosse di un centimetro. Il vampiro poggiò le mani sul braccio del ragazzo, che trasalì a quel contatto: le sue dita non erano fredde come pensava, ma era un tocco caldo, delicato. Strano, dopotutto i vampiri dovevano essere morti ambulanti succhiasangue. Le sue mani avevano comunque un colore più chiaro della pelle di Cam, un lieve bianco contrapposto ad un rosato più acceso, scuro ma comunque delicato.

«Stai tremando» disse Gideon, mentre poggiava la garza sul taglio di Cam, che si limitò a negare quella frase. Non pensava di star tremando, ma quel contatto era stato così strano che forse aveva ragione, poi doveva ammetterlo, ad averlo così vicino notò che era davvero un bel ragazzo, ma non era il momento di fare pensieri del genere. Il vampiro sorrise e poggiò la benda sulla garza per poi fare qualche giro deciso. Perché aveva sorriso? I vampiri riescono a leggere i pensieri? Però aveva poteri magici, quindi sapeva di quei pensieri? La mente di Cam si stava rivoltando su sè stessa, entrando quasi in panico, tuttavia il vampiro non disse nulla, quindi forse era una semplice coincidenza quel sorriso, si, doveva per forza essere così. Nessuno poteva leggere la mente.

«Quindi dato che sei un vampiro... esistono anche i lupi mannari?» Cam fece la prima domanda che gli passò per la mente, giusto per allontanare quei pensieri che lo stavano facendo apparire senza ombra di dubbio abbastanza stupido. Quella domanda, tuttavia, forse confermava il suo essere stupido? Dio, perché doveva essere tutto così complicato? Era stato solo un semplice e banale sorriso, non era mica l'apertura del Santo Graal.

«Esistevano, si. Diciamo che siamo nati insieme, ecco» 

C'era qualcosa nella voce di Gideon che fece pensare a Cam di aver toccato un tasto dolente. Il suo tono era quasi malinconico, rassegnato. Aveva abbassato lo sguardo quando pronunciò quelle parole, come se lo stesso ricordo gli facesse male. Doveva continuare a chiedere o era meglio cambiare argomento? Non sapeva decidere, l'unica cosa che sapeva era che quel vampiro, in quell'istante, gli era parso la persona più umana del mondo.

«Ad oggi non è sopravvissuto nessun vampiro o lupo mannaro... io sono l'unico. O forse dovrei definirmi l'ultimo. E' quello che sono, semplicemente un sopravvissuto, ma va bene così...» Gideon fece una piccola pausa, poi alzò lo sguardo verso il ragazzo, assumendo nuovamente quell'espressione beffarda e divertita che lo caratterizzava «ho più sangue da gustare, non trovi?»

«Decisamente, anche se hai appena coperto una ferita sanguinante, sei un vampiro vegano?»   

«Vampiro vegano... cosa dovrei mangiare? Linfa degli alberi?»

«Sarebbe un'idea» Entrambi risero, venendo comunque interrotti da Julian e Lily che tornarono in camera. Cam tentò di decifrare l'espressione della sorella, che venne comunque interrotta da un sorriso abbastanza solare. Non sapeva il motivo, ma probabilmente erano notizie positive e l'unica notizia positiva che poteva arrivare era che Julian aveva accettato la loro collaborazione.

«Ascoltatemi bene signorini» esclamò Julian, togliendosi la pistola dalla cintura e posizionandola sul tavolo «indagheremo insieme sulla storia di vostro fratello, ad una condizione»

Julian osservò Cam e poi Gideon «Tu» disse indicando il vampiro «addestrerai questi due piccoli inesperti, mi basta che sappiano quanto meno difendersi»

«Stai scherzando?» chiese Gideon, ma a giudicare dall'espressione dell'uomo, non era uno scherzo. «Okay, lo prendo come un no. Se questo è il prezzo da pagare per far qualcosa, ben venga»

«Ottimo allora» rispose Julian, sorridendo a Lily, che si limitò ad annuire.

Cam osservò la pistola, per poi passare in rassegna la spada dell'uomo. Non riusciva a capire come mai i Cacciatori preferissero le armi bianche anziché quelle da fuoco, era una cosa senza senso. Una pistola era decisamente più pratica rispetto ad una spada.

«Ho una sola domanda» iniziò Cam «perché voi Cacciatori usate sempre la spada e raramente la pistola? Un colpo in testa è letale dopotutto»

Julian sorrise «Il motivo è questo» disse afferrando la pistola e sparando in testa al vampiro. Il proiettile si infranse su una barriera che sembrava di cristallo, lasciando illeso il vampiro.

«Sei un coglione» esclamò Gideon, con il Cacciatore che ripose la pistola sul tavolo «un proiettile non va mai a segno. Una spada è più complicata da prevedere»

«Divertente» si limitò a dire Gideon, osservando il proiettile ancora caldo sul pavimento.


 


Julian era tornato in camera, mentre i fratelli stavano ascoltando qualche nozione base da Gideon che aveva accettato l'incarico, anche se a giudicare dal suo tono di voce avrebbe preferito fare altro. L'uomo si posizionò sul letto, afferrando il diario del padre e sfogliando qualche pagina, fin quando qualcosa non catturrò la sua attenzione: un disegno della magione. 

Analizzando meglio quel disegno, Julian notò un piccolo quadrato sulla sinistra che sembrava evidenziare qualcosa... si, quel sentiero che aveva visto nel piano astrale. Passò alla pagina successiva, il disegno era diverso, adesso delle lapidi facevano capolino dalla terra, mentre sullo sfondo si ergeva maestosa la magione. Su una delle lapidi l'uomo notò un simbolo che non vedeva da troppo tempo: un Ankh.

Sin da piccolo, Julian era stato iniziato alle arti del combattimento da suo padre. Quando il piccolo riusciva in un compito particolarmente arduo, Jonathan era solito ricompensare il figlio, nascondendo un regalo che il bambino doveva trovare tramite la risoluzione di vari enigmi o percorsi segreti, messaggi criptati o altro. Ognuno di questi messaggi era contraddistinto dal simbolo Ankh. Un Ankh inciso nell'albero nascondeva un piccolo cofanetto nel tronco, un Ankh disegnato su una pietra indicava la via, un Ankh accompagnato da numeri e lettere indicava pagine di uno specifico libro... un Ankh disegnato nel diario di Jonathan che raffigurava una lapide della magione... era un chiaro messaggio. Era un linguaggio segreto tra padre e figlio e questo significava una cosa sola: Julian doveva indagare, era il volere di Jonathan.



Julian era ormai di fronte la magione. Una volta uscito dall'hotel non sapeva bene dove andare, ma era come se il Marchio lo guidasse in una direzione. Attraverso strade, poi distese di alberi ed infine si ritrovò lì, di fronte quella costruzione che aveva visto prima nel piano astrale con Kaelim e poi disegnata nel diario di Jonathan. Era tutto calmo, il vento spostava le foglie degli alberi e la magione non emetteva il minimo suono, come se fosse sigillata da anni. Le finestre erano completamente al buio e alcune piante rampicanti si facevano strada sulle pareti di quella struttura. 

Julian inspirò, iniziando a camminare verso il sentiero che portava al cimitero. Aveva portato con sè solo la spada, dato che la pistola era rimasta nella camera dei fratelli e il baule era troppo pesante da portare dietro, non aveva comunque voglia di portare gingilli o cose varie del mestiere. L'unica cosa che teneva in mano era la pagina del diario, che mostrava il disegno delle lapidi e del simbolo Ankh.

Il diario invece giaceva sul letto, aperto sul disegno della magione, così giusto per precauzione. Un indizio sul suo cammino nell'eventualità di un non ritorno. Scrutò la pagina, concentrandosi nuovamente sul simbolo Ankh «Cosa vuoi dirmi, papà?»

Percorsi ormai diversi metri, si ritrovò in un piccolo cimitero. Scavalcò un piccolo cancelletto arrugginito e si fece strada su quei ricordi di pietra che nascondevano resti di persone, nomi e date che volevano raccontare una storia che nessuno avrebbe mai ascoltato.

Julian si ritrovò finalmente di fronte la lapide su cui era inciso il simbolo Ankh, scavato direttamente sulla pietra. Il Cacciatore si inginocchiò, iniziando a scavare con le mani alla ricerca di qualcosa che non tardò ad arrivare: un cofanetto, lo stesso che non vedeva ormai da anni. Era chiaramente opera di Jonathan. 

Julian aprì quel cofanetto, mentre le sue mani iniziarono a tremare. Quelle sensazioni di quando era piccolo... non le provava da troppo tempo. Una volta aperto il piccolo box di legno, notò dei fogli ingialliti dal tempo che mise frettolosamente in tasca quando sentì del movimento alle sue spalle. Prima di voltarsi, inserì il foglio del diario nel cofanetto e lo posizionò sul terreno. Finalmente si voltò.

Un gruppo di uomini armati di spade l'aveva circondato, sui vestiti era cucito il simbolo degli Angoni e Julian capì che la magione non era affatto abbandonata.

«Prendetelo» ordinò un Angone, con Julian che fu costretto ad alzare le mani mentre un sacco di juta veniva posizionato sulla sua testa. 


 

Note di Noctis
 
 
Uh, eccoci qua dove la storia inizia a prendere una svolta! Adesso il titolo penso che sia chiaro, Jonathan continua a guidare il figlio grazie al suo diario, adesso bisogna vedere quali oscuri segreti si celano dentro quella magione! Ho grossi progetti comunque, spero che siano di vostro gradimento u.u Ah, ho anche cambiato il divisore per le varie parti, adesso sono passato al simbolo Ankh, giusto per essere coerente con il resto!
Btw, non facevo delle note da un po' di tempo, rinnovo i miei ringraziamenti ai miei recensori e a coloro che seguono la storia!
Ho anche voglia di inserire una piccola notizia: Gideon non era incluso nel pacchetto di protagonisti, è nato per caso a storia già avviata, ma ho ideato un background talmente complesso per lui che ho già in mente uno spinoff a lui dedicato.
Direi che per il momento è tutto, accetto pareri, domande, commenti, donazioni (?) e tutto il resto. Non siate timidi su u.u
See ya!


 

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Capitolo 8
*** Kaelim ***


Julian aprì gli occhi, sentendo un dolore diffuso per tutta la testa che arrivava fin dietro gli occhi. Le ultime cose che ricordava era un rumore assurdo in sottofondo: voci, passi, porte sbattute, grida, rumori metallici. Il fatto di essere spinto a destra e a manca non aiutava poi la concentrazione, così come la puzza di marcio di quel sacco che aveva sulla testa. Non sapeva bene cosa lo attendesse, dopotutto non aveva mai provato la sensazione di essere catturato, ma era comunque certo che l'avrebbe scoperto a breve, almeno fin quando un colpo sulla sua testa non lo fece cadere sul pavimento, attutendo tutti i rumori e colorando il suo campo visivo di nero (non che vedesse molto anche prima, con quel sacco puzzolente.)

Si mise a sedere sul freddo pavimento, la schiena poggiata ad una fredda parete di roccia e lo sguardo perso ad osservare una fredda inferriata che lo divideva dal mondo esterno. Una cella, fantastico!

Volse lo sguardo alla sua destra, osservando diversi sacchi e coperte ammassati in un angolo della cella, poi osservò il lato opposto a lui, in cui si stagliava austero solamente un muro di pietra. Una parte di lui si chiese in che anno fosse finito, dato che sembrava una classica segreta di un castello medievale, ma doveva lasciar spazio alla parte razionale e tentare un modo di fuggire, non che fuggire da una cella sotterranea fosse un'impresa semplice.

Sospirò, concentrandosi momentaneamente su altro, ovvero su quei fogli trovati poco prima. Li estrasse dalla parte interna dei jeans (la tasca gli sembrava un nascondiglio non adatto ad imminenti rapimenti) e li osservò in silenzio per un attimo, successivamente lesse quelle poche righe con la calligrafia inconfondibile di Jonathan.

Julian, figlio mio.
Se stai leggendo questo significa che io ho fallito... ed è strano scrivere qualcosa che verrà letto dopo esser morti. Ma significa anche che Aloysius Knight ti ha contattato e messo in guardia contro gli Angoni... e significa anche che Aloysius dopotutto ti ha consegnato il mio diario. Spero che tu stia bene, ma so già che posso star tranquillo, sei mio figlio dopotutto. E sono sempre stato fiero di te, anche se non te l'ho detto troppe volte.
Ma ascoltami Julian, non devi assolutamente andare in fondo a questa storia. Vai via, finchè sei in tempo. Perchè tu hai ancora tempo, Julian.
Se comunque tu decidessi il contrario... è necessario che dalle tombe passi agli interni, dove gli antichi nobili banchettano sotto le fugaci occhiate della gente che va di fretta ☥



Julian deglutì, notando anche che le sue mani avevano iniziato a tremare. Non si aspettava di trovare una lettera del padre indirizzata proprio a lui, pensava di trovare qualche indizio sotto forma diversa... si rese conto che il padre gli mancava terribilmente. E anche lui era fiero di essere suo figlio, era una delle poche cose di cui era certo.

Ripensò a diversi momenti della sua infanzia, gli enigmi del padre, gli allenamenti disumani e poi le tranquille cene, tra lividi che facevano male e pane abbrustolito sul camino, accompagnato da formaggio e carne, o le volte in cui Jonathan andava in città e tornava con pietanze più prelibate, come del buon pesce o qualche aragosta procurata chissà in quale modo. 

Certo, la vita in una casa isolata dal mondo in mezzo alla natura non era semplice, ma al piccolo Julian non dispiaceva. Sapeva anche che non sarebbe durata per sempre, conosceva bene i rischi del mestiere e sapeva anche che un giorno suo padre sarebbe potuto non tornare, per questo ringraziava il cielo ogni singolo giorno che passava insieme al genitore che tanto ammirava.

Si ritrovò a sorridere nel buio di quella cella, riponendo quella lettera in tasca e fissando le sbarre di metallo di fronte a sè. Doveva fuggire e scoprire l'indizio successivo, ma come? Del rumore lo distrasse dal pensiero della fuga, così l'uomo si voltò e osservò verso le cianfrusaglie sulla sinistra, notando del movimento. Julian si alzò in piedi, avvicinandosi con passo cauto ma prima che potesse scoprire chi o cosa si celasse dietro quei sacchi e quelle coperte, fu la stessa figura a presentarsi ai suoi occhi.

«Un nuovo prigioniero...» mormorò la ragazza che giaceva sotto le coperte da diverso tempo.

«Avevi intenzione di restare nascosta tutto il tempo?» chiese Julian, visibilmente sorpreso di avere una compagna di cella. Si chiese da quanto tempo quella ragazza fosse prigioniera, dopotutto il suo viso era sporco, i suoi capelli scompigliati e il suo sguardo stanco e provato. Sembrava avere una trentina d'anni, ma era difficile giudicare in quella situazione, l'unica cosa che Julian sapeva era che quella ragazza aveva sfidato gli Angoni, fallendo miseramente.

«Forse, dopotutto è quello che faccio da diverso tempo ormai... sei un Cacciatore?»

Julian si limitò ad annuire, mentre lei si alzava e si avvicinava a lui, fissandolo insistentemente. Il cacciatore era abituato a ricevere sguardi dal gentil sesso, ma quello sguardo che si parava di fronte a lui adesso era così curioso, come se stesse scrutando nelle profondità più oscure della sua anima. 

«Cosa stavi cercando qui?»

«Dimmi prima qual è il tuo nome» rispose Julian, non distogliendo lo sguardo dai suoi occhi azzurri. Erano stranamente motivati, come se quella ragazza volesse sapere tutto su di lui. Era legittimo dal momento che era prigioniera e non aveva chissà quali svaghi, ma era comunque strano... sospetto, forse. Beh, ormai il danno era fatto, dire la verità ad una prigioniera non poteva di certo peggiorare la situazione.

La ragazza sorrise «Jocelyn, Jo per gli amici»

«Non è un nome per ragazzi?» scherzò Julian. Dopotutto quel nome era usato sia al maschile che al femminile, ma di certo si addiceva più ad una persona di sesso femminile, almeno secondo lui... tuttavia l'occasione di scherzare un po' su quell'occasione lo stuzzicava decisamente troppo.

«Tocca a te»

«Julian»

«Mi trovo costretta a non poter fare nessuna battuta, purtroppo» i due si ritrovarono a sorridere all'unisono, cosa che stemperò per un attimo quella situazione così strana, claustrofobica e fredda, perché il freddo continuava a farsi sentire senza sosta.

Julian si avvicinò alla ragazza, sedendosi accanto a lei. Una prigioniera in quello stato avrebbe dovuto avere un pessimo odore, ma Jocelyn era l'eccezione alla regola, non che a lui dispiacesse, certo. Si guardò un po' in giro, osservando quelle grate e il corridoio spoglio scavato nella pietra, che portava ad altre celle vuote e austere.

«Sono stato inviato dall'Enclave per recuperare un manufatto in grado di distruggere ogni cosa, mettendo fuori gioco anche i principali nemici della Santa Sede che stanno causando diversi problemi. Almeno questo è quello che so, Knight non ama entrare molto nei dettagli»

Jo poggiò la testa alla parete, osservando il soffitto consumato dall'umidità e da qualche ragnatela tessuta da un ragno che probabilmente era riuscito ad evadere da quel luogo «Anche tu contro gli Angoni eh?» sorrise «Tuttavia non pensavo fossi un prediletto di Knight, è raro che lui si dedichi ai Cacciatori in modo diretto»

«Prediletto di Knight? No, affatto. Semplicemente mio padre era un suo grande amico. Suppongo che la missione degli Angoni sia stata affidata anche a te»

Jo annuì «E' proprio il motivo per cui mi hanno catturata. Chi era tuo padre?»

«Jonathan Sullivan» pronunciando quel nome Julian ebbe un brivido lungo la schiena. Non lo pronunciava da troppo tempo, almeno non in quel modo. Un misto di malinconia, tristezza e nostalgia. E amore, tanto amore. Jo invece non si mosse, continuava a fissare il soffitto, inespressiva. C'era qualcosa nel suo sguardo che faceva pensare a Julian che quella ragazza sapesse qualcosa sul conto di Jonathan, ma era impossibile. 

«Mai sentito nominare» rispose infine la ragazza, suscitando una leggera delusione nell'uomo che, nonostante tutto, sapesse bene che era normale. L'unica persona con cui poteva davvero parlare del padre era il Gran Maestro Knight e i due non erano in chissà quali rapporti, soprattutto da quando Julian aveva abbandonato i Cacciatori per dedicarsi a Paul. Tutte le carinerie, le battute e i discorsi tra i due erano solamente una semplice formalità.

«Pensi che staremo chiusi qui per tanto tempo?» chiese Julian, ma quando si voltò verso Jo notò che la ragazza si era addormentata.


 

 

L'orologio sul cellulare di Cam segnava le 06.46 e il suo stomaco sembrava accusare ormai la mancanza di colazione. Dio, avrebbe ucciso per delle uova e del bacon croccante... o dei pancakes, o entrambi magari. Poi la giornata era anche soleggiata e fresca, ideale per farsi una nuotata al lago e bere qualcosa di buono. E invece no, quel lago stava semplicemente ospitando una sessione di addestramento capitanata dal bellissimo vampiro Gideon Lawless. Cam si convinse anche di non dover usare il termine bellissimo quando il vampiro era nei paraggi.

«Ehy mozzarella, datti una mossa. Correre, correre!» urlò Gideon, spaparanzato su una sdraio e intento a sorseggiare un succo corretto con del sangue di provenienza animale (la provenienza animale era da accertare, secondo Cam quel sangue era di qualche giovane fanciulla adescata poco prima, ma non voleva davvero indagare a fondo)

Cam riprese la corsa, affiancandosi alla sorella che teneva un buon ritmo «cosa ne pensi?» chiese lui, tra un respiro pesante e l'altro.

«Non lo so, non pensavo di dover correre durante un addestramento di magia»

«Già...» i due continuarono il loro giro, facendo avanti e indietro sul bagnasciuga del lago, mentre il vampiro li osservava dalla solita posizione, indossando anche un paio di occhiali da sole all'ultima moda. Cam rimpianse i vampiri fotosensibili, erano più pratici: sole? Mucchietto di cenere. Invece lui no, era un semplice stregone succhiasangue centenario più che vampiro.

Gideon distolse lo sguardo dai due che continuavano la loro corsa, e afferrò qualcosa dalla tasca: il foglio del diario di Jonathan che indicava la magione come indizio. Julian era dentro e lui non poteva che esserne più felice. Tentò di sorridere, ma c'era qualcosa che lo bloccava, un sentimento di rabbia, odio, che lo sentiva fin dentro alla bocca simile ad un sapore metallico... o forse era solo il sangue di quel malcapitato incrociato durante la notte spacciato per animale.

Afferrò un altro foglio dalla tasca, era una fotografia raffigurante una ragazza sorridente, lo sguardo spensierato e divertito. L'estremità della foto era sporcata da del sangue ormai vecchio, ma Gideon non voleva sbarazzarsi di quella macchia rossa, nonostante lo facesse sentire malissimo. Era un monito, non poteva cancellare con una spugna l'intera esistenza di qualcuno... non ancora almeno.

«Si può sapere perchè dobbiamo correre? Dovresti insegnarci la magia! M A G I A!» urlò Cam, ormai sfinito e seduto sul terreno bagnato. Le gambe tremavano e pulsavano e il cuore martellava in gola come durante un concerto dei Metallica.

Gideon sbuffò «Per farvi esercitare sotto sforzo e col fiato corto. E' semplice lanciare incantesimi quando si è freschi, sotto stress è tutta un'altra cosa. Su, prova ad incendiare qusto foglio» disse, agitando la pagina del diario di Jonathan. Cam si avvicinò di qualche passo, poi recitò una formula a bassa voce ma l'unica cosa che riuscì a produrre fu una flebile scintilla che svanì nell'aria poco dopo.

«Appunto» concluse Gideon, riponendo la foto sulla sdraio e avvicinandosi ai due fratelli. 

«Notizie di Julian?» chiese Lily, chinata a riprendere fiato. 

«E' nella magione, fidiamoci di lui per ora. Adesso statemi bene a sentire...» Gideon iniziò una spiegazione sui vari tipi di incantesimi e il modo corretto di lanciarli, mentre i due suoi allievi ascoltavano attenti. Esausti, ma attenti.


 


Il cielo notturno era costellato da un infinito manto di stelle luminose, mentre la natura sembrava riposare in una pace eterna e duratura, peccato che la pace non sarebbe mai stata tale. Questo Kaelim lo sapeva bene, come sapeva anche che tutto quello che stava facendo insieme a Rike era sbagliato, almeno per la sua posizione.

Lui non poteva e non doveva immischiarsi nelle faccende del mondo umano, non più almeno. Forse non gli era nemmeno permesso ripensare alla sua vecchia vita, ma quella era una delle poche che non voleva perdere. Aveva già perso troppo: la famiglia, l'amore, persone che si fidavano di lui e soprattutto l'umanità, anche se quella era andata persa ormai da troppo tempo. Adesso era uno di Loro, gruppo di cui non aveva mai pronunciato il nome, gruppo di cui non si poteva parlare e le cui tracce erano state eliminate da ogni registro sovrannaturale.

Sorrise. Ripensava a quando credeva che le uniche minacce esistenti al mondo erano solo le Streghe, che errore. Il mondo, anzi, i mondi, nascondevano minacce ben più oscure delle Streghe, come i Witcher, i Demoni, i Vampiri e i Licantropi, anche se di questi ultimi la situazione era leggermente diversa, dato che erano semplicemente "esperimenti" di una mente contorta e curiosa. Un po' come Gideon, frutto di uno di questi esperimenti, un prodotto di una pazza morta ormai da tempo.

Kaelim stava lì, seduto sulla riva del lago di Newport con la sua puledra accanto. Doveva partire per il Santuario, ma era abbastanza sicuro che in quel momento il Re lo stesse osservando, non che la cosa lo turbasse più di tanto, ma quello era il momento più sbagliato. Aspettò per diversi minuti, ore... difficile dirlo, ma sapeva che quando quel senso di malessere che lo attanagliava sarebbe scomparso doveva partire. Le uniche cose che poteva fare per il momento era pensare e specchiarsi nel lago, osservando i suoi occhi azzurri, così diversi dal loro colore originale.

Finalmente l'occhio vigile del Re svanì, così Kaelim montò in sella ad Haras e iniziò a galoppare nel cielo stellato, diretto alla sua destinazione dove avrebbe trovato l'unica persona che sposava la sua causa e quella di Rike. Il vento spostava la stoffa dei suoi vestiti, carezzava la pelle di lupo che portava sulle spalle e anche i suoi capelli, adesso liberi in quella notte perenne del piano astrale in cui lui e la sua gente erano prigionieri. Avrebbe venduto la sua anima per assaporare la libertà ed essere vivo per solo un giorno, ma era un desiderio impossibile.

Arrivò a destinazione, smontando dal cavallo e dirigendosi verso un luogo intriso di potere magico situato in una caverna naturale che conduceva fin sotto la superficie terrestre, una conca coperta da un manto di rocce e vegetazione, dove il potere magico era concentrato e in cui l'occhio del Re non riusciva a guardare. Kaelim percorse quel sentiero fangoso e roccioso, avvicinandosi a due statue che raffiguravano due ragazzi inginocchiati l'uno di fronte all'altro, mentre le loro mani si stringevano. Erano talmente reali che si faceva fatica a considerarle statue e Kaelim ne era sempre stato affascinato, almeno da quando si trovava intrappolato in quel piano astrale.

Accanto alle statue, un uomo le fissava con sguardo perso e malinconico, uno sguardo azzurro uguale a quello di Kaelim, così come erano uguali i vestiti e il modo di porsi, di parlare. Un guerriero come lui, che aveva disertato dagli ordini del Re per seguire lo stesso scopo di Kaelim e Rike.

«Sei in ritardo» si limitò a dire l'uomo, senza staccare lo sguardo dalle statue.

«Lo so, ma l'occhio mi stava osservando. Troverà anche te, lo sai»

L'uomo si voltò, con lo sguardo sprezzante e divertito. Si avvicinò a Kaelim, che tuttavia non si mosse. Il ragazzo sapeva di non aver detto niente di sbagliato, sapeva anche che quello era uno dei pochi luoghi sulla terra, se non l'unico, ad essere impenetrabile alla vista del Re, ma era proprio questo il problema: se il Re non avesse trovato Noj avrebbe capito che si nascondeva al Santuario... o forse lo sapeva già e aspettava il momento giusto per intervenire.

«Non m'importa. Non dovrebbe importare nemmeno a te. Dimmi, qual è il tuo nome?»

«Kaelim» rispose quest'ultimo, abbassando lo sguardo. Sapeva dove voleva andare a parare Noj, lo sapeva bene. Kaelim non era il suo nome reale, così come non lo erano neanche Rike o Noj... semplicemente il Re assegnava dei nomi nuovi ad ogni suo cavaliere, per farli rinascere come suoi sudditi e lasciare alle spalle la loro vecchia vita, la loro vita quando erano appunto... vivi.

Noj rise, visibilmente divertito «Potrei dirlo io il tuo nome, qui e ora. Sappiamo che quando si pronuncia il vero nome si firma alla propria condanna a morte, ma a quanto pare non sei ancora pronto, ma non importa, arriverà il momento in cui abbraccerai il vero te. Comunque...» Noj sospirò, voltandosi per un secondo verso le statue. C'era qualcosa in quel gesto che Kaelim non capiva, ma che era sicuro di aver visto già in passato. Aveva dimenticato così tante cose... «Che notizie porti, Kaelim?»

«Julian Sullivan è stato preso dagli Angoni, non ascoltando il nostro suggerimento. Sappiamo già che se continua risveglierà il Male... e se questo accade...»

«Il mondo avrà fine» aggiunse Noj «e soprattutto il Re potrebbe riuscire a farci evadere da questa prigione, mettendo ancora più a rischio l'umanità... e rendendo vano il sacrificio di loro due» si voltò verso le statue, mentre una smorfia si dipingeva per un secondo sul suo viso. Noj non voleva assolutamente che il Re e il suo esercito tornassero sulla terra, nonostante questo significasse una prigione eterna per lui, Kaelim e Rike. C'era un motivo ben preciso per cui erano intrappolati in quel piano dimensionale ed il motivo erano proprio quelle due statue, che Noj non voleva deludere.

«C'è anche il problema del vampiro...» aggiunse Kaelim, incrociando le braccia. Quel vampiro era una delle poche cose che ricordava di quando era ancora in vita, dopotutto non se ne vedevano spesso di ragazzi succhiasangue. 

«Chi, Gideon? Non era stato ucciso?»

«E' ancora vivo e ha avvicinato Julian, lo sta manipolando per avvicinarlo alla magione. Ovviamente Gideon non ha fatto minimamente parola del suo scopo, sta usando la scusa della noia»

Noj sorrise ancora una volta «Quel vampiro prima o poi finirà senza testa a furia di manipolare la gente, la cosa peggiore è che Julian si fida di lui»

«Già. Per questo siamo qui, dobbiamo cambiare le carte in tavola»

«E' arrivato il tempo di risvegliare Paul Rivers»        


 

Note dell'autore
 



Oddio, sono passati due mesi e io mi sento in tremenda colpa per non aver dato più mie notizie, ma sono successe così tante cose che non ho avuto il tempo per scrivere o semplicemente quando lo facevo ero così preso da altro che veniva fuori un capitolo nonsense! So che questo di oggi forse non è il massimo, dato che è frutto di due mesi di pausa, ma si riparte da qui. Poi ehy, per farmi perdonare ho aggiunto il punto di vista di Kaelim che insomma, aggiunge miliardi di dubbi: 1) chi è il Re? 2) chi sono loro? 3) Cosa vogliono fare? 4) Chi è il Male e perchè loro devono restare in trappola? 5) Perchè Gideon mente? 
Insomma, questi ed altri xD
Ma adesso sul serio, mi scuso per la mia assenza e riprenderò a ritmi umani ad aggiornare, soprattutto ora che c'è un bel po' di carne sul fuoco. Stay tuned, e alla prossima!       

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Capitolo 9
*** Cambiamenti e segreti ***


Contro ogni previsione, Julian era caduto vittima dell'abbraccio di Morfeo, svegliandosi solo diverse ore dopo, o almeno era quello che credeva. Era difficile stabilire il passare del tempo quando ti trovavi rinchiuso tra quattro mura, anzi, tre mura e delle sbarre di metallo. 

L'uomo aveva un sapore metallico in bocca, avrebbe pagato per bere qualcosa... nah, si sarebbe accontentato anche di un semplice bicchiere d'acqua. Si voltò nella direzione di Jo, notando che la ragazza non era presente. Si alzò, sputando sul pavimento per tentare di placare quel gusto orribile e passò in rassegna l'intera cella. Niente, della ragazza nemmeno l'ombra. Probabilmente gli Angoni l'avevano presa e la cosa non lo rincuorava neanche un po'.

Julian si avvicinò alle sbarre di metallo, chiudendo le dita attorno ad esse e sentendo la superficie ruvida per vie delle imperfezioni e della ruggine. Strattonò con tutta la forza che aveva in corpo, conscio che era un azione inutile, ma gli sembrava la cosa più logica da fare in quel frangente. Sospirò, imprecando sottovoce, poi si voltò e si sedette fissando davanti a sé, completamente assorto nei suoi pensieri.

Era forse la sua fine? Sarebbe tutto finito così, in una cella? Prigioniero di un gruppo che combatteva i Cacciatori e che, probabilmente, minacciava il mondo intero? Di certo quando pensava alla sua morte, non era questo quello che vedeva. Aspirava a qualcosa di diverso: una vita lunga e tranquilla con sua moglie, magari una vecchiaia vissuta in una casa isolata dal mondo e con loro due seduti davanti la porta di casa a contemplare la natura, mentre i nipotini giocavano spensierati e sorridenti.

Poi la sua famiglia cessò di esistere e Julian imbracciò nuovamente le armi per farsi giustizia... no, per vendicare i suoi cari. Voleva uccidere quella Banshee che aveva distrutto la sua vita e chissà, forse sarebbe morto in quel tentativo o anche prima, mentre seguiva la pista di quelle Streghe in bilico tra la vita e la morte, quelle Streghe che riuscivano a percepire le anime dei morti e che urlavano in modo disumano.

Invece era lì, chiuso in una cella, con tutti i suoi pensieri vanificati. Una fine così stupida per Julian Sullivan... ma forse era troppo semplice. Suo padre era già stato in quella magione, aveva lasciato degli indizi e una parte di lui sapeva che c'era qualcosa di profondamente oscuro in quei segreti, qualcosa che avrebbe rimescolato tutto. Qualcosa che... forse avrebbe fatto luce sulla morte del padre? Non sapeva perché quel pensiero sfiorò le corde più nascoste della sua mente, ma qualcosa in lui, una vocina flebile e nascosta, gli diceva che forse non tutto era come sembrava.

«Ehm...» una voce tenue fece trasalire Julian che, ancora immerso nei suoi pensieri, non notò neanche l'esile figura che si stagliava dubbiosa dietro le grate. L'uomo fu visibilmente sorpreso di vedere una bambina che reggeva un vassoio di metallo tra le mani e, a giudicare dal tremolio dello stesso, non era nemmeno tanto sicura di perché si trovasse là sotto con quello che probabilmente era un nemico.

«Ti sei persa?» chiese Julian, non riuscendo a fare a meno del suo solito sarcasmo che a volte veniva fuori nelle situazioni più inopportune, soprattutto quando era rivolto ad una bambina che avrebbe voluto trovarsi ovunque tranne che in quel posto sporco ed umido insieme a qualcuno che avrebbe voluto evitare ad ogni costo. Ma la cosa che più disgustava l'uomo era una: come si poteva mandare una bambina da un prigioniero?

«No» sussurrò lei, avvicinandosi alle grate di metallo e ruggine «ho qui il tuo pranzo... spero che tu abbia fame...» la sua voce tremava e la cosa, per qualche assurdo motivo, fece sentire Julian a disagio. 

«Si, si ho fame» si limitò a rispondere lui, non distogliendo lo sguardo dagli occhi marroni di lei. Erano grandi, ma lo sguardo era comprensibilmente indeciso. Ciocche di capelli castani si posavano delicatamente sulle spalle della bambina, che nonostante tutto erano dritte e decise. Che buffa contraddizione.

«Hai paura?» 

Lei scosse la testa, in un modo così deciso che Julian sorrise. Forse non era paura, più timore, ma c'era qualcosa in lei che gli piaceva. «Come ti chiami?»

«Emily»        

Julian decise di avvicinarsi ad Emily, che si irrigidì leggermente, cosa che l'occhio allenato del Cacciatore notò. Una volta afferrato (quasi a fatica) il vassoio, lo esaminò scrupolosamente: una fetta di pane che sembrava essere vecchio di qualche giorno, una sostanza che somigliava alla lontana a del purè di patate e... cosa diavolo era quella cosa? Una sostanza scura, informe... cibo per cani? Forse era la cosa più plausibile.

«Avete dei cani qui?» chiese, non distogliendo lo sguardo da quella... cosa. Giurò di aver visto del movimento sospetto in quell'accozzaglia di roba scura, ma forse era solo la sua immaginazione, o almeno così sperava. La bambina, intanto, scosse la testa, cosa che aggravò le teorie di Julian che si ritrovò costretto a pensare che si trattasse quasi certamente del cervello di un ghoul, dato che ormai i ghoul andavano così tanto di moda anche nel mondo reale. 

L'unica cosa vagamente umana in quel vassoio era la bottiglietta d'acqua, ancora chiusa e non manomessa, l'uomo fu rallegrato dalla cosa e si rese conto di avere una gran sete, in quanto alla fame beh, forse poteva resistere ancora un po', o al limite poteva provare a masticare le grate, unendo la fuga al semplice cibo. 

Emily fissò per qualche secondo Julian, dopodiché si voltò ed iniziò a camminare verso l'uscita, lasciando quello strano prigioniero in balia del cibo preparato dai migliori cuochi della magione degli Angoni. In quanto a Julian, beh, si sforzò enormemente di mettere qualcosa sotto i denti, ovviamente tutto escludeva la misteriora poltiglia scura, così afferrò del pane, lo spezzò quasi a fatica e lo immerse nel presunto purè, mandando giù quel boccone che non sapeva assolutamente di nulla.


Passò circa mezz'ora e il rumore di piccoli passi riecheggiava nuovamente nelle celle, attirando l'attenzione di Julian che vide Emily arrivare a grandi falcate e con qualcosa in mano. La bambina si posizionò di fronte alla cella, porgendo qualcosa all'uomo che, incuriosito, accettò. Tolta la carta da quel misterioso oggetto, pensò di essere finito in paradiso. I suoi occhi stavano guardando un vero panino! Emily fece lo stesso, guardando Julian e sorridendo. La classica intesa da panino, pensò Julian. Pensò anche che quella bambina dovesse essere un angelo per avergli portato del vero cibo e restare lì, a condividere il momento tra un morso e l'altro.

I due si ritrovarono seduti sul pavimento, divisi solo dalle grate di metallo. Julian stava masticando quel cibo così squisito che non sapeva neanche cosa ci fosse con esattezza all'interno. Aveva riconosciuto dell'ottima carne speziata, con lattuga e salsa, ma era troppo preso dalla situazione per analizzare minuziosamente l'interno. Emily, dal canto suo, mangiava tranquillamente e scambiava qualche parola col prigioniero.

«Quindi Emily» fece Julian, parlando con la bocca semi-piena «cosa ci fa una bambina come te in questo posto così... umido?»

«Non sono una bambina» tuonò lei, da dietro le grate. Il suo sguardo voleva sicuramente apparire minaccioso, ma il fatto che avesse il mento sporco di senape aromatizzata distruggeva un po' gli intenti di lei.

«Quanti anni hai? Non sei una bambina, stupiscimi»

«Dodici» rispose lei, addentando nuovamente quel panino.

Julian si ritrovò a sorridere «Okay, ragazzina»

Emily sembrò più entusiasta di quell'appellativo, anche se non del tutto. Voleva sentirsi un'adulta e, forse in parte e nel profondo del suo cuore, lo era già. Gli raccontò un po' la sua storia, quello che aveva passato. Era cresciuta in quella magione, insieme agli Angoni ed era a tutti gli effetti un vero e proprio membro. I suoi genitori erano degli ex cacciatori che avevano disertato dall'Enclave e per questo finirono uccisi, il fatto che persero la vita di fronte a lei, beh, era qualcosa di orribile. Così si ritrovo lì, da sola, senza una famiglia e in balia di sè stessa, trovandosi costretta ad adeguarsi alle regole degli Angoni. Pian piano iniziò a familiarizzare un po' con tutti, anche durante gli addestramenti, per poi ritrovarsi a svolgere mansioni piuttosto semplici, come il portare cibo ai detenuti. 

Julian rimase in silenzio durante quel racconto, smise addirittura di mangiare, concentrandosi un punto indefinito del muro. Quella storia gli ricordò così tanto il suo passato... addestramenti, famiglie guerriere e tragedie. Ma lui ormai era adulto e aveva imparato a convivere con il dolore, lei... lei era ancora una bambina. Nonostante volesse dimostrarsi adulta, forte e sicura di sé, Julian sapeva che Emily era fragile, insicura e così tante altre cose che non riusciva nemmeno ad immaginare. Una dodicenne non doveva vivere in quel modo, lei avrebbe dovuto essere a scuola, uscire con gli amici, ricevere rimproveri dai genitori e fare tutto quello che spetta ad una bambina, ma no, la vita per lei aveva scelto diversamente. Erano uguali e questo lo fece stare tremendamente male.

«Emily!» Tuonò una voce da lontano, voce che divenne via via più forte e profonda. Un uomo, con la tenuta degli Angoni, si fermò di fronte a quello strano spettacolo, fissando in silenzio i due che erano ancora seduti sul pavimento. «Cosa stai facendo?» chiese, con una voce che tradiva una certa rabbia.

«Niente...» rispose lei, abbassando lo sguardo, mentre quell'uomo si avvicinava e la portava via, sotto lo sguardo di Julian che si scontrò, in modo prepotente, con quello dell'Angone. Passarono diversi minuti, poi l'uomo tornò. 

«Hai intenzione di portare via anche me?» chiese, sorridendo in modo sarcastico, ma l'Angone non parve apprezzare molto quella domanda. Passò una mano tra i corti capelli castani, mentre il suo sguardo azzurro esaminava ogni centimetro di Julian, in modo sospetto ed accusatorio, misto a disprezzo ed odio. Un quadretto niente male.

«Chi tace acconsente! Oppure il tuo silenzio è uno di quelli che non promettono nulla di buono?» aggiunse, infine.

«Sta lontano da lei» 

«Beh, io sono in una cella, è complicato in ogni caso avvicinarmi a lei»

«Penso di essere stato abbastanza chiaro, Cacciatore» detto ciò, l'Angone si allontanò da Julian, per poi fermarsi qualche passo dopo, portando l'indice all'orecchio sinistro e chinando il capo «Si. Ne è sicura? Ricevuto» detto ciò si voltò, fissò per qualche secondo il prigioniero per poi avvicinarsi alla cella «Il Capo vuole vederti.»   


 

 

«Hai fame?» chiese Lily, mentre armeggiava con qualche arnese in cucina e cercava diversi ingredienti. Il suo modo di fare era così disinvolto che Gideon pensò che non era nuova a cose del genere, e sicuramente amava il mondo culinario, cosa che il Vampiro non poteva certamente dire, lui era più propenso a mangiare (e sbranare persone) ma di fatto a preparare qualche piatto... beh, era negato.

«Mi stai proponendo di affondare i miei canini sul tuo collo?» scherzò lui, ma con un tono di voce che fece trasalire la ragazza, il fatto che Gideon si era estremamente avvicinato a lei e aveva finito la frase sussurrandole proprio sul collo non aiutava di certo, tuttavia Lily tentò di non tradire la sua tensione. 

«Non...» sussurrò, tentando si spostarsi dal ragazzo che, ancora sorridendo, teneva le labbra a pochi millimetri dalla pelle di lei. Riusciva a sentire il sangue scorrere nelle vene e quel profumo particolare che emanava lei, un misto di sapone e vaniglia, misto a qualcosa di buono. 

«VAI VIA!» urlò di scatto lei, voltandosi e schiaffeggiando Gideon che, colto alla sprovvista, rimase immobile. Non aveva certamente intenzione di morderla, tanto meno di fare altro, perché allora quella reazione? Cosa aveva fatto di così sbagliato? Uno scherzo finito male. «Non volevo spaventarti» rispose lui, guardando negli occhi lei e notando qualcosa di strano, come un oscuro dolore che stringeva in una morsa velenosa quella ragazza. 

Non poteva certamente immaginare che quella ragazza che profumava di così buono non aveva un buon rapporto con quel genere di cose, quella vicinanza così provocatoria seppur scherzosa e altre cose che potevano ricondurre ad un contatto fisico un po' più particolare. Quando da bambina senti sulla tua pelle dei tocchi di uno zio che vuole ben altro da te, beh, non è facile crescere. Non è facile fidarsi degli altri e non è facile approcciarsi con le persone del sesso opposto, soprattutto con il sesso in generale, lei, che da quel momento in poi, aveva guardato con sospetto chiunque e non aveva neanche mai baciato un ragazzo, facendo comunque credere il contrario a tutti, compreso Cam, per illudersi di avere una vita normale e non marchiata da quel segreto così viscido.

«Vattene» ripetè lei, stavolta abbassando lo sguardo con Gideon che rimase immobile per qualche secondo. Era probabilmente la prima volta che veniva trattato così, beh, almeno la prima volta che non aveva intenzioni particolari. Decise di voltarsi e iniziare a camminare verso l'uscita, senza sapere neanche il perché. Non era quel tipo di ragazzo che prendeva ordini, non era qualcuno che ascoltava facilmente, ma c'era qualcosa in quella situazione che lo convinse, qualcosa in Lily che gli sfuggiva, un fardello così grande da superare persino il suo, probabilmente.

Si ritrovò in strada, sotto il cielo stellato di Newport. Le vie erano quasi deserte, eccezion fatta per un auto che lo superò, illuminandolo in modo fastidioso con quei fari così abbaglianti. L'aria odorava di natura, smog e cibo, mentre il rumore dei suoi passi e il rombo del motore dell'auto in lontananza erano gli unici suoni che lo accompagnavano. Guardare Main Street così vuota lo intristì, non sapeva bene il perché, o forse si sentiva in quel modo semplicemente per quanto accaduto prima? Non sapevo dirlo con certezza.

Recuperò dalla tasca una sigaretta, che accese poco dopo. Non era un amante del fumo, ma il fatto di essere sostanzialmente una creatura non proprio umana ed immune alle malattie comuni lo spingeva a sfogarsi anche in quel modo. Il sapore del fumo lo disgustava e lo rilassava al tempo stesso, ricordandogli un po' il suo passato: le strade trafficate da carrozze, i gentleman con il soprabito, il fumo incessante delle fabbriche e dei macchinari che contraddistinguevano la Londra Vittoriana da qualunque altra città. Ricordò un paio di vicende, le leggende che nacquero dopo e poi ricordò lei... buttò fuori il fumo dai polmoni e afferrò nuovamente quella foto che aveva osservato il giorno prima durante l'addestramento: Lucie, la sua Lucie. 

Osservò quella foto per un tempo così indefinito che parve un eternità, affogando nei ricordi dalla quale era possibile fuggire. Ricordi che sommergevano come acqua scura e che impedivano di venirne fuori, tra un boccheggio e l'altro che inevitabilmente avrebbero portato chiunque a fondo. Dei passi alla sua sinistra lo destarono, fin quando non riconobbe Cam che, a passo veloce e deciso, lo raggiunse.

«Cosa hai fatto?» ringhiò lui, con uno sguardo che non assumeva mai. Un misto di rabbia, odio e tensione. Gideon portò nuovamente la sigaretta alla bocca, sputando fumo sul viso di Cameron, che contro ogni previsione non tossì. Era immobile e in attesa.

«Niente» si limitò a rispondere lui, ed era vero. Non aveva assolutamente fatto nulla, aveva soltanto voglia di scherzare un po', per stemperare la stanchezza dell'addestramento di quel giorno. Era il secondo giorno di addestramento sul campo e i fratelli, seppur con qualche difficoltà, sapevano usare la magia. Certo, erano inesperti e non avrebbero mai potuto effettuare incantesimi complessi (cosa che comunque non conosceva neanche lui, non era uno stregone o un mago o chissà che, era semplicemente qualcuno in grado di usare magie, di cui qualche trucco interessante, ma una strega di media potenza probabilmente era migliore di lui) ma procedevano bene. Fino a quel giorno avevano giocato con la magia in incantesimi semplici e brevi, ma il manipolare gli elementi o creare scudi, beh, non avevano mai provato, ma almeno adesso sapevano le basi.

«Niente?» ripetè lui, nervoso «Allora perché mia sorella è scoppiata in lacrime?»

«Non lo so, non so cosa abbia passato e non so cosa nasconda, ma di certo io non ho fatto nulla, aveva solo voglia di scherzare ma non l'ha presa benissimo»

«Scherzare?» Cam alzò ancora il tono della voce, mentre Gideon gettò la sigaretta e si voltò verso qualcosa di più interessante, come il distributore di bibite in lontananza che faceva compagnia ad ogni ospite del motel in cui alloggiavano. Improvvisamente Cam allargò il braccio, colpendo la mano del vampiro e facendogli cadere la foto che aveva in mano, foto che aveva quasi dimenticato di stringere ancora.

«Guardami quando ti parlo!» Gideon si voltò, lentamente. Il suo sguardo mutò in qualcosa di diverso, selvaggio. Afferrò Cam per il collo, sbattendolo al muro dell'abitazione che faceva da sfondo a tutto. 

«Ascoltami ragazzino. Non provare mai più a far cadere quella foto o tua sorella avrà davvero un motivo per piangere. Non venire ad incolpare me per qualcosa che ho non ho fatto, scopri cos'ha lei che non va, perché tutti abbiamo dei segreti, tutti quanti. Tu potrai essere anche gay e pensare di avere il peso enorme della società sulle spalle, ma credimi, tua sorella ha qualcosa di oscuro dentro e tu non hai mai notato niente, quindi invece di aggredire me e commettere errori imperdonabili, torna da lei e rimedia.»

Gideon lasciò la presa su Cam, che cadde e si portò le mani alla gola. Stava per rispondere, ma il bruciore che provava non gli permettè di emettere alcun suono. L'altro si allontanò, recuperando la foto e riponendola delicatamente in tasca, per poi dirigersi verso una meta sconosciuta anche a lui. 

«E il tuo?» riuscì a dire Cam, con voce roca e tremolante «qual'è il tuo segreto?»

Gideon si fermò per un attimo, portando la mano all'altezza della tasca, successivamente riprese a camminare, lasciando Cam da solo e dolorante. 


Vaticano, Sede dell'Enclave


Tutto quello che Paul riusciva a sentire era dolore: alla testa, alle mani, agli occhi e in ogni singola parte del suo corpo. Aveva gli occhi chiusi e un sapore amaro in bocca, ma ciò non gli impediva di sapere di essere da qualche parte del mondo completamente sbagliata, in un contesto sbagliato e con le persone sbagliate. Tentò di alzare la testa, fallendo. Intorno a lui dei rumori metallici ed alcuni passi, con uno strano odore di alcol nell'aria. Il tipico odore di ospedale, si disse. Ma com'era arrivato lì? Dio, non ricordava praticamente nulla, solo qualche frammento.

Seppur a fatica, finalmente riuscì ad aprire gli occhi, mettendo a fuoco lentamente quell'ambiente circostante: mura bianche, lettini ospedalieri in fila e... un prete? Okay, forse la botta in testa era stata davvero forte o semplicemente quella era la sua estrema unzione. Aprì la bocca per dire qualcosa ma l'unico suono che uscì fu un rantolo fastidioso.

Il prete che stava nella stanza si voltò subito verso Paul, strabuzzando gli occhi e correndo fuori dalla stanza, inciampando quasi sul bordo del letto. Passarono alcuni minuti e nella stanza entrarono un uomo che indossava una strana divisa e il prete di poco prima «Non ci voleva» sentenziò l'uomo, fissando Paul che non capiva, mentre l'altro annuì, stringendo a sé qualcosa che Paul non riuscì a distinguere «Io...» balbettò il prete «non voglio essere coinvolto in tutto questo, è immorale.» L'uomo accanto a lui sorrise, scuotendo la testa «allora va via, vecchio»

Il prete obbedì a quell'ordine e lasciò la stanza in fretta e furia, mentre l'uomo, rimasto solo con Paul, afferrò un pugnale dalla sua cintura, osservandolo in modo divertito «Vedi Rivers, ti sei svegliato nel momento sbagliato. E' un peccato doverti uccidere adesso, soprattutto perché ho appena lavato le mie bellissime armi»

Bellissime armi? Morire adesso? Cosa diavolo stava succedendo? Dove si trovava? Perché un prete ed un uomo armato volevano la sua morte, in un letto d'ospedale per di più? La testa gli scoppiava e lui ricordava a malapena come fosse finito in quelle condizioni... ricordava Julian, una lotta e poi... il nulla. La cosa peggiore era che non ricordava molto del passato, né di questo Julian il cui nome continuava a rimbombare nella sua testa. Forse era qualcuno di importante o semplicemente la persona che l'aveva infilzato con una spada. Lui non lo sapeva, non sapeva nulla.

Quello che sembrava un assassino in piena regola si avvicinò a Paul, che tentò di dire qualcosa, fallendo ancora una volta. Quel gesto scatenò una profonda risata nell'uomo che, ancora in preda alle lacrime si chinò su di lui. «Se     queste erano le tue ultime parole, mi dispiace non averle capite» detto ciò, alzò la lama sul corpo di Paul e successivamente il viso del ragazzo si tinse del colore scarlatto del sangue.

Ma non era il suo sangue.

L'uomo si accasciò su Paul, con un foro di proiettile sulla fronte e una smorfia di dolore sul viso, mentre qualcun altro si avvicinava al ragazzo. Paul finalmente lo inquadrò: capelli neri come il carbone, leggermente lunghi e spettinati, occhi dello stesso colore e un viso che sembrava averne passate tante. Era vestito con una tenuta nera, alla schiena portava quella che sembrava essere una spada e in mano teneva una pistola, la stessa con cui gli aveva praticamente salvato la vita.

«Ch...chi sei?» sussurrò Paul, mentre il suo salvatore gettava sul pavimento il cadavere.

«Adam Blake, e adesso ti porto fuori di qui»

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Capitolo 10
*** Natura morta ***


Julian era ormai uscito dalla cella, mentre l'Angone lo scortava dal suo Capo. Certo, il termine scortare era forse un po' fuori luogo dal momento che una pistola poggiata alla schiena non era il massimo della sicurezza, ma in determinate circostanze non era malaccio. Si era allenato duramente da giovane ma né lui né Jonathan avrebbero mai pensato che qualcuno l'avrebbe minacciato con un'arma... dopotutto le Streghe non amano usare armi convenziali. 

In quel momento ripensò a Jane e Will, quest'ultimo nato effettivamente dal potere della Strega, questo poteva fare di lui un'arma davvero formidabile. Will, ragazzo nato dal potere di Jane durante uno degli incantesimi più complicati nella storia della magia, incantesimo sporcato dalla Black Dahlia che riuscì a spezzare la volontà di Jane intrappolando il suo lato migliore in Will e trasformando di fatto Jane in un'arma... la Black Dahlia, la stessa strega che aveva causato il coma di Paul. Ma ormai era morta, tuttavia le sue azioni continuavano ad avere ripercussioni sul mondo: prima di morire aveva usato il suo potere per sbloccare la magia in tutti gli esseri umani predisposti ad usarla, causando un incremento spropositato di Streghe e Maghi, con annesso cambiamento dei Cacciatori e della situazione mondiale. La Black Dahlia voleva un esercito di armi viventi dopo la sua morte... si, decisamente le streghe non amavano le armi convenzionali.

«Cammina» lo intimò l'Angone, spingendo la canna della pistola sulla schiena. Quel contatto fece leggermente sussultare Julian, che non immaginava tanta foga in quell'azione semplice. Non rispose, ma si limitò a continuare il suo cammino, fin quando non arrivo all'uscita delle prigioni e si trovò in un lungo corridoio che ricordava quasi quello della base segreta dell'Enclave: tappeto rosso sul pavimento, quadri sulle pareti e... quelle erano armature medievali? Si domandò dove le avessero trovate, ma preferì non cercare nessuna risposta.

«Carino il luogo» esclamò Julian, osservando la replica di una Gioconda... almeno credeva fosse una replica. Sarebbe stato alquanto buffo sapere che quella custodita gelosamente dai francesi fosse semplicemente un falso e quella vera si ritrovasse mischiata in complotti di Streghe e Cacciatori e Cacciatori Corrotti... Dan Brown poteva ricavarci una fortuna, decisamente. 

«Non sei autorizzato a parlare» rispose l'altro, continuando ad indicare la strada, così Julian, sapendo benissimo che il sarcasmo o il suo comportamento da spaccone non l'avrebbero portato da nessuna parte, decise di seguire le "regole" e star in silenzio.

I due avevano attraversato corridoi, saloni con scalinate enormi e altri corridoi, fin quando non si ritrovarono di fronte ad una doppia porta in legno con il simbolo degli Angoni finemente decorato che svettava imperioso e minaccioso su quelle assi. Julian si chiese se ci fosse altro oltre corridoi artistici e porte in quel luogo, ma il vociare che aveva sentito durante la sua scarpinata probabilmente gli aveva suggerito una risposta precisa. Ma non doveva pensarci per il momento, stava per incontrare il Capo che, probabilmente, l'avrebbe condannato a morte come i suoi colleghi Cacciatori. La fine era arrivata.

L'Angone aprì finalmente la porta, lasciando Julian ad osservare l'interno di quella stanza: ampie librerie colme di libri di ogni tipo, una tv enorme di ultima generazione, un mucchio di armi che ricoprivano la parete di sinistra e un lucido pavimento di marmo. Lo stile, doveva ammettere Julian, non mancava di certo. La stanza profumava di pulito e al centro era posizionato un tavolo semplice, che quasi stonava con quello stile particolare della stanza. Su di esso diverse scartoffie, un portatile, un pugnale e diversi bicchieri vuoti, intorno le sedie erano al loro posto, tranne una che dava le spalle a tutto, compreso l'Angone e Julian.

«Julian Sullivan è qui» esclamò l'Angone, non distogliendo lo sguardo da quello schienale. 

«Molto bene» una figura si alzò da quella sedia, mostrando Jo che guardò il Cacciatore con un sorriso divertito. Stavolta non indossava stracci, indossava un maglione nero e un paio di jeans chiari, vestiti semplici e comodi... gliel'aveva davvero fatta.

«Si scalano velocemente i ranghi in questo posto» scherzò Julian, non distogliendo lo sguardo dalla sua ex compagna di cella. Fingersi una prigioniera per studiare quelli che sarebbero arrivati era una tattica intelligente, ma estremamente rischiosa, tuttavia il Cacciatore sentì crescere del rispetto verso quel gesto, nonostante si trattasse del nemico.

«Sappiamo entrambi il motivo per cui ho agito in questo modo» rispose lei, avvicinandosi di qualche passo ai due «ti ringrazio, Glenn» aggiunse, voltandosi verso l'Angone che annuì, spostandosi verso sinistra.

«Sei stato inviato qui dal Gran Maestro dell'Enclave, Aloysius Knight. Sei stato inviato qui per recuperare il manufatto che custodiamo e per distruggere il nostro Ordine, dico bene?»

«Come ti ho detto in cella, sì, queste sono le direttive di Knight. Evidentemente ho fallito e, suppongo, questo sarà il mio processo»

«Si, sei qui per morire. Sarai giustiziato nella sala d'addestramento davanti a tutti, come monito per i trasgressori e per i nemici, così che nessuno osi sfidare noi Angoni e soprattutto, nessuno osi tradirci» la voce di Jo era dura, quasi spietata, cosa che tradiva perfettamente la sua espressione semplice, pulita e quasi dolce. Era così diversa dalla ragazza che aveva condiviso quei pochi minuti con lui. Parlava proprio come un capo, o forse, era più adatto dire come una dittatrice in pieno regime del terrore.

«E' così che tieni fedeli i tuoi uomini? Con la paura?» rispose Julian, incrociando le braccia e voltandosi verso Glenn, che tuttavia non ricambiò il suo sguardo. Non era mai stato a capo di nulla, ma sapeva bene che con la paura non si otteneva nulla, non nel lungo periodo almeno. Usare la paura per controllare qualcuno era il metodo più sbagliato per ergersi come leader.

«E' così che si comanda, con la paura ed il sangue» ribattè lei, quasi con aria di sfida.

«Questo non vi rende migliori dell'Enclave allora»

«Attento Sullivan, attento a come parli» rispose Glenn, afferrando la sua spada e portandola alla gola di Julian, che rimase fermo a fissare il Capo degli Angoni. Evidentemente quella gente odiava essere paragonata all'Enclave, dopotutto avevano dichiarato guerra e uccidevano ogni singolo membro, avevano rapito Paul e fatto altre cose orribili. Un manipolo di fanatici governati da qualcuno che usava il terrore per farsi strada nella mente degli altri, per poi spargere sangue in giro per il mondo.

«Pensate sul serio che la mia vita sia importante per me? Non m'importa, potete uccidermi qui, ora. Ho perso la mia famiglia, avete portato via l'unica persona che mi rimaneva... non ho paura di morire. Io non ho paura.»

A quelle parole Jo sorrise, facendo un cenno a Glenn che tolse la fredda lama dalla gola di Julian, che non capiva cosa stava succedendo. Si sentiva quasi preso in giro.

«Sei uguale a tuo padre, Julian» disse lei, con un sorriso, lasciando ancor più confuso l'uomo che, non sapendo bene cosa fare, si voltò verso Glenn, che si limitò a dirgli una semplice frase: «Tuo padre era un uomo d'onore»

«Di cosa state parlando? Cos'è questa storia?»

«Rispondi solo ad una domanda, Julian. Sei pronto ad accettare la verità, seppur cambierà completamente il tuo modo di vedere le cose? Sei pronto a rivolgere la tua lama verso coloro che ti hanno manipolato sin dall'inizio? Sei pronto a scoprire la vera storia dietro tuo padre?»

Julian balbettò qualcosa... Jo stava mentendo, doveva essere per forza così. Aveva appena ammesso che la sua intera esistenza era una menzogna, ma non avrebbe avuto senso. Perché Knight l'aveva mandato lì allora? Cosa doveva rispondere? Era pronto per la "verità" o doveva semplicemente rendersi conto che Jo voleva plagiarlo per qualche scopo a lui ignoto?

«Non devi rispondere ora, fai un giro se vuoi, o torna anche fra 5 minuti. Non importa, esci da quella porta e fai quello che vuoi. Sei libero, la scelta di ascoltare è solo tua» 

Glenn aprì la porta, così Julian, seppur diffidente, l'attraversò richiudendola alle proprie spalle. I due Angoni rimasero a fissare quella scena, per poi guardarsi negli occhi. «Cosa pensi che farà?» chiese Glenn, sedendosi su una sedia e poggiando gli stivali sul tavolo, mentre Jo lo fulminava con lo sguardo e lui tornava a sedersi composto.

«Non lo so» rispose, riempiendo una tazza con del tè ancora caldo «ne vuoi un po'?»

«No» rispose Glenn, voltandosi nuovamente verso la porta «Non mi fido di lui, è cresciuto per essere un Cacciatore e-»

«Anche Jonathan era un Cacciatore...» lo interruppe Jo «tutti noi eravamo dei Cacciatori»



Julian aveva lasciato dietro di sé il Capo degli Angoni e probabilmente il secondo in comando, era sicuro che sarebbe morto, era sicuro di così tante cose e adesso non era più sicuro di niente. Jocelyn aveva praticamente ammesso che tutta la sua esistenza era una menzogna, che suo padre gli aveva mentito sin dall'inizio... suo padre, lo stesso uomo che gli aveva lasciato degli indizi all'interno della magione. E' necessario che dalle tombe passi agli interni, dove gli antichi nobili banchettano sotto le fugaci occhiate della gente che va di fretta.

Ripensò a quella frase e finalmente capì. Si diresse verso il corridoio che aveva attraversato con Glenn, quello che portava alle prigioni, lo stesso corridoio che era costellato di dipinti antichi che narravano storie diverse. Gli antichi nobili banchettano, era quella la chiave, doveva cercare un dipinto che raffigurava un banchetto, per l'appunto. 

Arrivò finalmente a destinazione, con il cuore che gli martellava nel petto. Era così vicino a scoprire il resto di quella storia, era così vicino a rileggere qualcosa scritta da suo padre, doveva solo trovare il dipinto giusto. Passò in rassegna il primo quadro, che raffigurava una natura morta, decisamente era quello sbagliato, anche se si scoprì ad apprezzare quello che stava guardando. Sin da bambino era stato affascinato dall'arte, soprattutto da Leonardo da Vinci, ma il resto dell'arte, secondo lui, non nascondeva chissà quali misteri, ma doveva ammettere che alcune opere erano ben fatte. In particolare, le nature morte, nonostante fossero semplici ai suoi occhi, erano decisamente affascinanti.

Passò al prossimo quadro, che raffigurava La Natura Morta con Teschio, uno dei dipinti che l'avevano più segnato sin dall'infanzia, nonostante non capisse bene il perché se ne ricordasse in modo così specifico. «Vanitas vanitatum et omnia vanitas» sussurrò, per poi dirigersi al terzo dipinto.

Stavolta stava osservando qualcosa di diverso: niente natura morta, ma qualcosa che raffigurava un gruppo di soldati che montavano su dei cavalli che cavalcano in aria, mentre sotto di loro un campo di battaglia distrutto faceva da contrasto al tutto. C'era qualcosa in quel dipinto che... non sapeva spiegarlo. 

«Asgardsreien» esclamò una voce dietro di lui, cosa che fece voltare l'uomo per capire chi fosse stato a parlare e soprattutto per chiedersi come mai non l'avesse visto arrivare. La persona che aveva parlato aveva capelli di platino e lunghi quasi fino al collo, occhi castani e uno sguardo di chi sapeva tanto e se ne vantava. Il genere di persona che probabilmente Julian avrebbe preso a pugni, se non fosse che anche lui assumeva una certa aria da saccente. 

«Dipinto da Peter Nicolai Arbo, norvegese. Raffigura il mito della Caccia Selvaggia» aggiunse avvicinandosi a Julian e osservando quasi con devozione quel dipinto.

«Vedo che qualcuno ha fatto i compiti» rispose Julian, osservando l'altro. Chi diavolo l'aveva invitato? Non poteva di certo continuare a cercare l'indizio di suo padre con un Angone in circolazione. L'uomo sorrise, mentre nella sua bocca si formavano alcune piccole rughe.

«Conosci la Caccia?» chiese, stavolta con un tono di voce diverso da quello di prima. Le venature di saccenza avevano lasciato spazio ad una più sincera curiosità, cosa che spinse Julian a rispondere... non che avesse molte altre alternative. Era comunque nella tana del lupo, quindi meglio che si comportava a modo.

«No. Non sono esperto circa leggende norvegesi.» 

«Dovresti. La Caccia Selvaggia» iniziò l'Angone, affiancando Julian e fissando il dipinto «il corteo della morte che cavalca e miete vittime in ogni dove. Si pensava che la luna piena annunciava la loro venuta, seguita dal suono di un corno di guerra. A capo della Caccia vi è un Re, ogni cultura pensa che sia il proprio: Odino, Artù, Waldemar... ma nessuno conosce il vero nome del Re della Caccia Selvaggia. Di fatto è un mito affascinante, la morte che arriva dal cielo.»

L'Angone sorrise, poi si voltò e iniziò a camminare, lasciando da solo Julian che lo fissava con un sopracciglio alzato. Quel tipo era strano, decisamente. Però c'era qualcosa in quello che aveva detto... qualcosa in quel dipinto... che Kaelim fosse un membro della Caccia Selvaggia? Un guerriero vestito come un cacciatore, un cavallo... no, non poteva essere, la Caccia era una mera leggenda nata e morta tempo addietro. Aveva accettato l'esistenza delle Streghe, delle Banshee e di tutte i derivati magici. Aveva anche accettato l'esistenza dei ghoul, ma la Caccia Selvaggia andava ben oltre la concezione umana.

Julian riprese finalmente la sua ricerca, perdendo un'ora del suo tempo e non trovando assolutamente nulla. Nessun dipinto con il simbolo del padre, nessun indizio, niente di niente. Decise di tornare indietro da Jo, ma la confusione e il rumore di piatti attirò la sua attenzione, così aprì la porta alla sua sinistra ed entrò, venendo osservato da tutti con sguardo scettico e minaccioso. Era finito nella sala da pranzo, una sala da pranzo colma di Angoni, però lui era libero no? Non era stato condannato a morte o altro, quindi si diresse con molta calma al bancone e fissò quello che sembrava il cuoco.

«Cosa si mangia oggi?» esclamò, poggiandosi al bancone e facendo l'occhiolino a quel cuoco che, non sapendo bene come reagire, fissò i vassoi di fronte a sé: arista, patate, insalata, mais. «Arista e patate» aggiunse Julian, sorridendo con fare sardonico al ragazzo che, nel dubbio, riempì un piatto all'uomo e si voltò verso gli altri Angoni, come per chiedere qualche tipo di aiuto, che puntualmente non arrivò. L'unica persona ad arrivare fu Jo, che invitò Julian al proprio tavolo, accompagnata dal solito Glenn che guardava il Cacciatore con poca fiducia.

«Questo si che è cibo, non quella... cosa di prima.» disse, portando il cibo ancora caldo alla bocca. Jo sorrise «Eri un prigioniero, potevi essere chiunque»

«Hai ragione, dopotutto governi con la paura ed il terrore»

«Mentivo» puntualizzò lei, con un tono che Julian non seppe decifrare «era... un test, più o meno»

Lui sorrise, scuotendo la testa. Si rendeva benissimo conto che tecnicamente quella gente doveva essere già morta, era la sua missione dopotutto. Ma doveva davvero farlo? O voleva scoprire la verità che si nascondeva dietro le parole di Jo, dietro il messaggio criptico di suo padre? Però quella gente... aveva Paul, l'aveva visto nel filmato. I rapitori avevano il simbolo degli Angoni sulle vesti.

«Paul Rivers» esclamò, voltandosi verso Jocelyn.

«Paul Rivers?» ripetè lei, visibilmente confusa, cosa che fece sospirare Julian... possibile che Knight stesse mentendo su Paul? O forse era la stessa Jo a mentire, facendo finta di non sapere nulla su quel ragazzo. Diamine, doveva sapere. «Voglio sapere cos'hai da dire» disse semplicemente, posando la forchetta.

«Goditi la cena, ne parleremo domattina. Riposati, prenditi una serata libera, fidati, ti servirà»

«Va bene...» rispose lui, non trovando alternative. Sapeva che controbattere aveva poco senso, poteva soltanto chinare il capo ed ubbidire. Mentre continuava la sua cena (tra l'altro davvero ottima) Julian notò l'Angone che aveva così tanto farneticato circa la Caccia Selvaggia, così si ritrovo istintivamente a chiedere informazioni a Jo, che rispose in modo abbastanza esaustivo, circa.

«Vladimir, diciamo che è il nostro studioso di arti oscure e misticismo, leggende e cose del genere. La nostra guida contro il soprannaturale»

«Mi ha tenuto una lezione sulla Caccia Selvaggia, semplicemente perché ero lì a guardare un quadro»

«Tipico di Vlad, arriva, dice la sua, va via. Dovrai abituarti alla sua presenza» Jo parlava come se la scelta di Julian fosse quella di rimanere a tempo indeterminato. C'era qualcosa in quell'atteggiamento che infastidiva Julian, o forse era ammirazione. O un misto delle due cose. Quella donna (più ragazza che donna) era così sicura di sé da essere riuscita ad essere un leader seppur restando al pari con gli altri, cosa che l'uomo notò quando lei scambiava battute con i vari Angoni... sembravano quasi una famiglia, l'Enclave invece era un covo di soldati, quasi mercenari. C'era una bella differenza dopotutto, quindi come potevano essere gli Angoni il male? Quei pensieri l'accompagnarono anche alla sua camera, quando decise di distendersi su un morbido materasso e a fissare il soffitto fin quando non chiuse gli occhi abbandonandosi alla stanchezza.



Sede dell'Enclave

Aloysius Knight era seduto alla sua scrivania, fissando insistentemente il filmato di sicurezza che mostrava Adam Blake fuggire con Paul Rivers. La cosa peggiore era che nessuno era riusciuto a fermare quel traditore... no, la cosa peggiore era che quel ragazzo sapeva padroneggiare la magia. Nel filmato, Adam aveva creato un muro di fuoco per sfuggire ad un manipolo di cacciatori, per poi far perdere le proprie tracce. Knight imprecò sottovoce, battendo la mano sul tavolo.

Le porte dello studio del Gran Maestro si aprirono, mentre un Cacciatore chinava il capo di fronte all'anziano. «Signore, Sullivan è compromesso»

«Merda» sussurrò Knight, abbassando lo sguardo «manda gli altri in posizione. Riguardo Julian, può ancora agire secondo i piani»

«Agli ordini» il Cacciatore abbandonò lo studio, mentre Knight si alzò e si diresse verso una libreria, dalla quale, premuto un pulsante abbastanza nascosto, si aprì una porta segreta, che conduceva ad un'altra porta, simile all'entrata di un bunker. Sul fronte vi erano raffigurati diversi simboli magici, alcuni così antichi che persino lo stesso Knight pensava fossero leggenda. Ma erano lì, il suo obiettivo era lì. Doveva aprire quella porta e per farlo, doveva rischiare il tutto per tutto. Il più grande segreto nella storia dell'Enclave era a pochi passi da lui e soltanto Julian Sullivan era in grado di sbloccare quella serratura.



Magione degli Angoni

Voci stridevano nella testa di Julian, che si ritrovò a camminare nei corridoi di quel luogo, corridoi immersi dall'oscurità notturna. Gli occhi dell'uomo erano aperti, ma vuoti e completamente neri, nessuna pupilla, nessuna iride, niente di niente, occhi demoniaci e monocromatici. Il Marchio che aveva sul petto, la maledizione e monito della Banshee, bruciava a più non posso, brillando quasi di luce propria, mentre lui continuava a camminare, mentre la voce nella sua testa lo intimava ad andare avanti, a liberarla, a far sprofondare il mondo nell'oblio più totale. E lo vide: un mondo completamente nero, mentre fiamme oscure divoravano ogni cosa e piedi nudi camminavano su teschi e cadaveri, la natura completamente morta. Vide la fine del mondo, poi una voce lo fece rinsavire.

Si voltò, notando Emily dietro di lui. «Tutto bene Julian?» chiese la bambina.

Lui deglutì, sentendo improvvisamente freddo «Si piccola, va tutto bene»

«Okay» rispose lei, con lui che ripetè la stessa parola, tornando nella sua stanza e non riuscendo più a prender sonno.

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Capitolo 11
*** Verità ***


La notte era passata lentamente e in modo assordante, nonostante l'estremo silenzio di quel luogo che fino al giorno prima era una prigione per il Cacciatore. Non riusciva a spiegarsi quello che era successo, non voleva neanche sapere cosa fossero quelle visioni e quelle voci che aleggiavano nella sua mente... soprattutto perché influissero così tanto sul Marchio che aveva sul petto. Sapeva bene che quel Marchio, quella bruciatura simile ad un tatuaggio a forma di pentacolo era una maledizione che avrebbe portato sempre con sé, una maledizione inferta dalla Banshee che aveva ucciso la sua famiglia, ma qualcosa in lui gli suggeriva che stavolta era diverso.

Le prime luci dell'alba furono quasi una liberazione per Julian, che decise di alzarsi dal letto e poggiare finalmente i piedi nudi sul freddo pavimento, cosa che gradì dopo quella notte infernale. Si sgranchì, osservandosi allo specchio: occhiaie dovute alla mancanza di sonno, Marchio sul pettorale e qualche cicatrice qua e là... ordinaria amministrazione dopotutto, tranne per il fatto che si rese conto di indossare un paio di boxer bucati. In quel momento pregò di trovare della biancheria pulita.

Si diresse verso l'unica porta in quella stanza che non aveva ancora esplorato: il bagno. Accese la luce, osservando quanto fosse pulito, dopotutto. Immaginava un posto leggermente più sporco per essere un ritrovo di guerrieri, principalmente uomini, ma fu felice di vedere quel grado di pulizia. Entrò nel box doccia, facendo scorrere l'acqua gelata sul suo corpo, sperando di cancellare almeno i pensieri che lo affligevano, speranza comunque invana. Una volta uscito si avvolse un asciugamano intorno alla vita e indossò finalmente abiti puliti, successivamente uscì dalla stanza, ancora con i capelli umidi.


Julian si ritrovò circondato da alcuni Angoni, che lo scortarono con modi non proprio amichevoli verso lo studio di Jo. Era certo che ormai non dovesse più preoccuparsi della sua incolumità in quella magione, però i modi di quei due gli fecero quasi cambiare idea. Fortunatamente la strada non fu troppa e Julian non potè scoprire le doti di quei due, la cosa probabilmente gli dispiaceva, almeno un pochino. 

Le porte dello studio si aprirono, mostrando Jo seduta al centro della stanza, con al suo fianco Glenn e altre persone che l'uomo non aveva mai visto. Riconobbe Vladimir seduto vicino ad una libreria, che lo guardavo con uno sguardo glaciale e un sorriso sardonico. Per la prima volta da quando si trovava in quel luogo, sentì una strana sensazione incrociando lo sguardo di quell'uomo, quasi come se fosse uno spettro in attesa di divorarti l'anima.

«Julian Sullivan» esclamò Jo alzandosi in piedi, mentre un Angone colpì la gamba del Cacciatore, facendolo finire in ginocchio.

«E' proprio necessario questo?» chiese Julian, alzando lo sguardo verso Jo, che era seria in viso. La ragazza sembrò non sentire la domanda dell'uomo, tanto che continuò a parlare.

«Oggi, in questa sala, abbandonerai le tue vesti da Cacciatore. Morirai e rinascerai per impugnare la sacra lancia che sconfiggerà il Male e proteggerà l'equilibrio del mondo»

«Cosa...»

«Sei pronto a servire la causa degli Angoni? Sei pronto a scoprire la verità sull'Enclave, combattere i Gran Maestri ed evitare che la Prigione cada?»

Cosa stava blaterando Jo? Fino a prova contraria doveva soltanto scoprire la verità, non abbandonare il suo essere Cacciatore per unirsi a loro... o almeno era quello che ricordava. Che il giorno prima avesse accettato di diventare un Angone? La testa stava riprendendo a fargli un gran male, con le visioni della notte precedente che stavano per tormentarlo ancora una volta... non lo sapeva, ma doveva accettare, lui doveva scoprire la verità ed avere un quadro completo sulla situazione.

«Sono pronto» rispose infine Julian, abbassando lo sguardo per una frazione di secondo.

«Ripeti dopo di me» fece Jo, poggiando una lancia sul pavimento. Julian la riconobbe, quella lancia era appunto un antico angone, l'arma da cui quel gruppo prendeva il nome.

«Ed ora la mia missione inizia. Sarò la lancia che proteggerà il mondo dalle tenebre. Sarò la catena che terrà l'oscurità imprigionata. Sarò il libro della verità, l'arte del passato e lo scudo del futuro. Vivrò e cadrò con la mia lancia in pugno, che Dio mandi a me Longino se dovessi disonorare la parola data.»

Julian ripetè parola per parola tutto il discorso fatto da Jo e non appena pronunciò l'ultima parola, il capo degli Angoni battè la lancia sul pavimento, mentre il resto dei guerrieri esplose in un urlo di gioia e di incentivo. Jo sorrise, mentre Julian rimase ancora in ginocchio, indeciso sul da farsi.

«Ti sei prostrato da Cacciatore, ti rialzi da Angone. Che tutto il tuo passato sia cancellato. Adesso tu, Angone, sei pronto per la verità.»


Passarono diversi minuti intervallati da pacche sulle spalle e complimenti vari, con molti dei presenti che si dicevano entusiasti di avere un altro Sullivan tra le loro file, cosa che fece sospettare a Julian che anche suo padre prima di lui avesse affrontato quel rito di passaggio... Jonathan, lo stesso uomo che non avrebbe mai tradito l'Enclave. 

Anche Vladimir volle congratularsi con Julian, in modo molto enigmatico a dire il vero. «In poco tempo stai togliendo i veli dal mondo, mi auguro che alla fine della strada tu sappia cavalcare il tuo destriero» disse, con Julian che non ebbe in tempo di attingere alla sua vasta scorta di sarcasmo... e per non trovare le giuste parole verso qualcuno bisognava essere davvero bravi ed evidentemente quel Vladimir lì lo era, ma il modo in cui lo era a Julian non era permesso saperlo.

«Allora mio nuovo sottoposto» sorrise Jo, avvicinandosi a Julian ed indicandogli una sedia, suggerimento che l'uomo fu felice di accettare, evitando qualsivoglia battuta sul fatto che adesso lei era effettivamente il suo capo, l'unica cosa che voleva era sapere la verità «sei pronto per sapere.»

«Si, poniamo un punto a questa storia»

«Non ci sarà nessun punto da adesso in poi, solo puntini di sospensione. Ma lasciamo da parte le metafore grammaticali e andiamo... al punto. Knight ti ha mandato qui per recuperare un artefatto in grado di cambiare tutto, quell'artefatto esiste e lo custodiamo proprio qui. Quel manufatto non è altro che un quadro, so che possa sembrare stupido ma... quel quadro è un contenitore per un potere che, se liberato, distruggerà l'intero pianeta. Noi Angoni abbiamo giurato di proteggere il mondo da chi vuole usare quel potere per i propri scopi, come l'Enclave per l'appunto.»

«Cosa c'entra mio padre in questa storia?» chiese Julian. Aveva senso il fatto che l'artefatto fosse qualcosa di "comune" e aveva altrettanto senso che, una volta rigirate le carte, fosse l'Enclave a voler usare quel quadro per i propri scopi, dopotutto se non fosse stato vero Jonathan non avrebbe mai accettato di collaborare con loro, lui che era così leale al Gran Maestro Aloysius Knight e alla causa dell'Enclave.

«Jonathan era arrivato qui esattamente come te, in missione, in cerca di qualcosa che si pensava essere custodito tra le nostra mura. Tempo fa non eravamo ancora apertamente in guerra contro Knight, era più un sorta di guerra fredda. Io ero più piccola e al comando c'era mio fratello... comunque, Jonathan riuscì ad entrare qui e finì per scoprire la verità. Fortunatamente era disposto a dialogare e capì la nostra situazione, vide anche quel quadro e sentì l'enorme potere magico che custodisce. Divenne un Angone in gran segreto, disposto a procedere come infiltrato nell'Enclave ma... qualcosa andò storto. Knight scoprì la verità, non so dirti come, sappiamo solo che tuo padre ha parlato con lui, ma era troppo tardi. Il Gran Maestro aveva deciso di attaccare la struttura con un gruppo di Banshee, non tenendo il conto che la magia in questo luogo non funziona, proprio per colpa di quel quadro... il suo potere è talmente forte da annichilire qualunque traccia di magia»

«Una sorta di scudo anti-magia generato dalla più pericolosa forma di magia di sempre... un paradosso quasi sensato. Ma perché l'Enclave dovrebbe attaccare con delle Banshee? Non ha senso! Noi... loro cacciano le streghe!»

«Non tutte. Knight ha costruito dispositivi in grado di controllare le creature magiche, insieme ad altre Streghe che hanno accettato di aiutarlo in cambio di vivere in libertà. Quelle Banshee erano controllate da lui, con l'ordine preciso di ucciderci tutti, ma il campo anti-magia generato dal quadro ha disattivato il controllo di Knight su di loro, che si sono rivoltate contro il piccolo gruppo di Cacciatori. Tuo padre era tra loro, tuo padre sapeva la verità ma ha comunque deciso di restare a combattere da solo quel gruppo di Banshee impazzite per dare il tempo a Knight di fuggire. Erano amici da tanti anni e tuo padre era un uomo d'onore, non avrebbe mai fatto morire il suo più grande amico, nonostante fosse qualcuno con scopi... malvagi. Riuscì ad uccidere tutte le Banshee, tranne una, di cui non è stata trovata nessuna traccia.»

Julian pensò al giorno in cui aveva trovato la moglie e la figlia morte, mentre una Banshee giaceva immobile sopra i cadaveri delle due donne della sua vita. Non avrebbe mai dimenticato quel giorno, non aveva mai smesso di cercare in diversi covi di Banshee, che fossero giovani ragazze ancora all'oscuro dei propri poteri o Banshee che conoscevano bene la loro natura, o altre che avevano assistito a così tante morti della loro congrega da diventare quasi spiriti in cerca di morte, aveva cercato ovunque quella Banshee che gli aveva distrutto la vita, ma non l'aveva mai trovata. Ricordava ancora le sue parole: Questo sarà il mio Marchio, figlio di Jonathan. Io ti maledico, in nome delle mie sorelle morte per mano di tuo padre! La tua esistenza sarà lunga e vivrai ogni singolo giorno questo momento, fin quando non cederai e sporcherai le tue stesse mani del colore scarlatto del sangue!

Adesso sapeva... quella Banshee aveva assistito alla morte della sua Congrega, quella Banshee aveva ucciso suo padre e la sua famiglia... ma no, sapeva che in realtà non era così semplice, era qualcosa di diverso, qualcuno di diverso ad avere distrutto la sua vita. Lo ripeteva in continuazione nella sua mente, ma non sembrava abbastanza, doveva dirlo, doveva rendere quel pensiero reale e cambiare tutto.

«Knight ha ucciso la mia famiglia» sentenziò, non accorgendosi di avere una lacrima che gli rigava il viso. Jo non rispose, si limitò a guardarlo e a sentirsi quasi in colpa... se non fosse stato per lei e suo fratello probabilmente Jonathan sarebbe ancora in vita.

«Mi dispiace Julian, ma tuo padre avrebbe voluto che tu lo sapessi, a proposito...» si alzò, recuperando qualcosa da dietro una scaffale. Era qualcosa di piccolo, avvolto in carta da imballaggio e dalla forma rettangolare. Jo lo porse a Julian, che non capiva cosa dovesse farci «Aprilo, tuo padre avrebbe voluto che lo avessi tu»

Julian strappò via la carta ed osservò quel piccolo oggetto: un quadro che raffigurava un banchetto di nobili. Lo girò, osservando qualcosa scritto sul retro: "Julian, se stai leggendo questo probabilmente hai proseguito la tua ricerca. L'Enclave vuole usare il quadro per aprire una porta blindata magicamente sotto il Vaticano, l'Enclave vuole risvegliare il Male per recuperare qualcosa che si trova dietro quella porta. Julian, qualunque cosa tu faccia, ricorda che gli Angoni agiscono per il bene comunque... io l'ho capito troppo tardi. Se non trovi un senso a questo messaggio, parla con Jocelyn, lei ti spiegherà ogni cosa. Spero solo che lei stia bene. Ti voglio bene figlio mio ☥"

«Ti voglio bene anche io papà... adesso so quello che devo fare» disse a bassa voce, alzando lo sguardo verso Jocelyn che aveva un lieve sorriso malinconico disegnato sulle labbra «Grazie» sussurrò Julian alla ragazza che era la cosa più vicina a suo padre che gli fosse rimasta.

«Non devi ringraziarmi, ma adesso basta, sei ufficialmente uno di noi, puoi chiedermi tutto quello che vuoi adesso!»

«Avrei una richiesta in effetti, vorrei che due... miei amici venissero qui. Voglio tenerli al sicuro e voglio che trovino le risposte che cercano»

«Cameron e Lily Blake, dico bene? I miei Angoni si danno da fare, so che non sei solo. Loro possono entrare, tanto qua dentro la loro magia è inutilizzabile. Ti chiedo comunque di lasciar perdere il tuo amico Gideon, lui non mettere mai piede qui e sono sicura che comunque non voglia farlo»

«Perchè no?»

«Perché... ha tentato di uccidere mio fratello e non avrà pace fin quando non lo troverà. Ed io non avrò pace fin quando non ucciderò quel lurido vampiro.»


Italia, luogo sconosciuto


«Qui dovremmo essere al sicuro, almeno per un po'» esclamò Adam Blake posando il borsone sul pavimento di legno, mentre Paul Rivers si guardava intorno. Erano finiti in una casa abbandonata e piuttosto vecchia: le pareti ed il pavimento erano in legno, i mobili erano ormai consumati e gli oggetti erano visibilmente di qualche generazione fa, ma ai due non importava molto, erano stanchi e dovevano riposarsi.

«Non credo di averti ancora ringraziato» disse Paul, poggiandosi lentamente ad una sedia. Aveva tutto il corpo dolorante e il risveglio da un coma così brusco di certo non aiutava le cose, ma era meglio soffrire in quel modo che essere torturati, o peggio, morti. Se non fosse stato per Adam sarebbe ancora tra quelle mura.

«Non devi ringraziare me, devi ringraziare un certo Rike, lui mi ha mostrato cosa fare e mi ha spiegato che salvarti era la scelta giusta per tutti. Per te, per il mondo... per i miei fratelli...»

Paul osservò il ragazzo, incuriosito «come si chiamano?»

«Cameron e Lily. Non li vedo da un po' e mi mancano terribilmente... ho scoperto di avere poteri magici prima di loro, per questo sono entrato nell'Enclave, per proteggerli, anche a costo della mia vita. Lui è scapestrato, un perfetto idiota, quasi quanto me... ma è anche maldestro e non riesce a nascondere le cose, anche se è sicuro di farlo alla perfezione. Lei è bellissima, forte, tenace ma è anche la persona più dolce e dall'animo puro che io abbia mai incontrato»

Paul sorrise «E' bello»

«Cosa?» rispose Adam, quasi non facendo caso a quelle parole che aveva appena pronunciato. Si spostò una ciocca di capelli dagli occhi, per osservare meglio Paul che stava ancora sorridendo «E' bello sentirti dire queste cose, non tutti hanno qualcuno che si preoccupa così.»

«Tu si» 

«Forse... io... non mi ricordo bene molte cose. So che Julian mi ha trovato, so che per me è un familiare e so che mi ha colpito a morte perché controllato da... come si chiamava? Dahlia, credo. So queste cose, so che mi vuole bene ma io... ricordo solo questo. Non ricordo le mille avventure che abbiamo condiviso, non ricordo bene il suo carattere, non ricordo cosa ama bere e qual'è il suo cibo preferito. Io so che esiste qualcuno che di nome Julian che farebbe tutto per proteggermi. Ricordo il suo volto e qualche altro frammento, ma il resto purtroppo... è come un puzzle da ricomporre.»

«Sono sicuro che quando lo incontrerai ricorderai tutto. Rike mi aveva avvertito che risvegliarti avrebbe avuto degli effetti collaterali, ma sono sicuro che passeranno, dobbiamo solo andare da lui.»

Paul si fissò le scarpe, sporche di fango e più grandi di due misure rispetto ai suoi piedi «E' proprio questo il punto. Io non voglio incontrarlo, non sono ancora pronto. Non voglio guardarlo e vedere la delusione nel suo volto quando scoprirà che non ricordo quasi niente di lui. Voglio restare qui, in attesa di essere la persona che ero e... niente, va bene così. Mi accontenterò di restare qui con te, almeno fin quando non decidi di cercare la tua famiglia, in quel caso spiega a Julian la situazione, oppure inventa una scusa, ad ogni modo digli che sto bene»

«Non potrò farlo» rispose Adam, scuotendo la testa «l'Enclave è sulle mie tracce e non ho intenzione di mettere a rischio i miei fratelli. Non potrò andare da loro ancora per molto tempo... siamo io e te mi sa.»

Paul si alzò, avvicinandosi ad una bottiglia di vino incrostata ed impolverata «Un brindisi a noi due allora, emarginati e ricercati. La coppia di fuggitivi più strana del mondo: il Cacciatore Magico e il Belloccio Smemorato»

Adam rise «A noi due, sperando di sopravvivere a questo vino»

I due brindarono ripetute volte, per poi addormentarsi stremati in quella casa abbandonata immersa in una sperduta campagna d'Italia.


 

Note dell'autore
 

Penso di aver passato metà dei miei ultimi capitoli a scusarmi per la mia presenza altalenante, la verità è che tra impegni, vita sociale e tutto il resto, mi è mancata sia la voglia che il tempo di aggiornare. Ho provato a mettermi qui, a scrivere, ma nulla, non riuscivo affatto. Sarebbe stato più semplice avere diversi capitoli pronti ma per lo stesso motivo non ci sono, ma spero comunque che questo tamponi leggermente la mia assenza. Siamo al giro di boa più o meno, dal prossimo capitolo ci sarà un sostanziale cambiamento e tutto sarà diverso. Probabilmente concluderò questa storia a 20 capitoli (non ne escludo altri tuttavia, non si sa mai!) e spero di farlo entro Natale! Con questo voglio comunque dire che nonostante la mia prolungata assenza, so bene che strada prendere e i tempi saranno molto ridotti adesso. Non ho voglia di promettere aggiornamenti settimanali o altro, so che non ci riuscirei, ma prometto di continuare a pubblicare questa e le altre tre-quattro storie in cantiere. Ne approfitto per ringraziare come sempre e mi scuso anche con la mia amatissima Melz per non aver potuto leggere la sua storia come avevo detto tempo fa, dopotutto è una delle mie lettrici stalker! Dopo questo romanzo, ancora grazie per seguire questa storia (grazie anche per aver messo nei preferiti questa e anche le mie vecchie storie, che son felicissimo di sapere che continuano a piacere!) e niente, per oggi da Marco è tutto! See ya! (presto stavolta!)

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